Harrison Clever

di VAleMPIRE
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventunesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventiduesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitresimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattresimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinquesimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventiseiesimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisettesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventottesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinovesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo trentesimo ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentunesimo ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentaduesimo ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattresimo ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***



Capitolo 1
*** Primo ***


CAPITOLO PRIMO

 

Harrison Clever, detto Harry, era un londinese di trent'anni sin da piccolo interessato all'arte e con il sogno di diventare un pittore famoso, il fondatore di una nuova corrente che sarebbe stato ricordato per sempre. Ma crescendo si era reso conto che la strada verso il successo era più faticosa del previsto e così si era accontentato di praticare attività sempre diverse legate comunque alla pittura che lo avrebbero potuto mettere in luce:artista di strada, venditore di suoi quadri in fiere... Finché inaspettatamente un giorno, in una fiera natalizia, fu notato da un uomo, Clark Got,direttore di una galleria d'arte contemporanea alla Tate Gallery di Londra.

Got gli disse che il suo talento non passava inosservato e che era sprecato lì o tra i marciapiedi. Così divenne il suo committente quasi subito ed Harry si illuse di essere vicino al raggiungimento del suo obiettivo, ma anche allora dovette ricredersi.

Clark Got era apparso in un primo tempo molto aperto ad accogliere le esigenze del giovane, ma questo atteggiamento fu solo temporaneo, giusto per conquistarsi la sua simpatia. In seguito, come d'altronde hanno sempre fatto un po' tutti i committenti, cominciò ad imporre cosa creare all' artista. Tuttavia Harry non fece obiezioni perché riteneva (e anche lo stesso Got glielo ripeteva) che era già stato abbastanza fortunato  ad incontrare il direttore di un importante galleria per caso, che lo avrebbe potuto lanciare. Ovviamente le sue creazioni, seppur basate sull' idea e i gusti di Got, non furono subito dei successi, ma Harry era comunque convinto di volere continuare a seguire le sue ambizioni. 

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Capitolo 2
*** Capitolo secondo ***


CAPITOLO SECONDO

 

Una sera di fine Agosto, Harry ritornò nel suo piccolo appartamento di periferia, dove viveva con la sorella maggiore, Meredith.
- Come mai hai fatto così tardi?- chiese la donna richiudendo la porta d' ingresso. Aveva i capelli raccolti con poca cura e dei vestiti ripiegati in mano.
- Lascia perdere, lascia perdere...- rispose il fratello con aria stanca, la schiena curva.
Ma Meredith fece nuovamente la domanda mostrandosi preoccupata.
- D'accordo.- iniziò Harry sedendosi su una poltrona.- Ti spiegherò tutto, così potrai rimproverarmi, come sempre...- continuò togliendosi gli stivali.
Dopo averli buttati sul tappeto, si passò la mano sulla faccia, stendendo con pollice ed indice la pelle della fronte.
Meredith si sedette a sua volta alzando gli occhi in cielo perché immaginò già cosa stesse per dire Harry.
- Got non c'era. Ho preso tre autobus per andare dall'altra parte della città da lui, ho atteso due ore nel suo studio per poi sentirmi dire che non sarebbe venuto e al ritorno mi sono anche bagnato con questa maledetta pioggia!- disse furioso.
- Strano, le previsioni dicevano bel tempo...- disse la sorella per sdrammatizzare.
Non lo guardò negli occhi perché sentiva che l’altro stava per esplodere.
- Avanti, perché non fai la solita predica Mery? Questa volta non mi dici che sto solo perdendo tempo stando dietro al mio sogno, un' utopia?!- continuò con rabbia Harry.
- Te l'ho già detto troppe volte, infatti lo sai. Ora tocca a te scegliere se continuare ad illuderti o meno. In fondo, la vita è tua e sei padrone di decidere cosa farne. 
Quelle parole stupirono Harry perché era la prima volta che anziché consigliargli di smettere di frequentare Got lo lasciava alle sue decisioni, seppur sapendo che era un sogno e nient'altro. La donna, esasperata, cambiò stanza e andò a raccogliere altre cose da stirare lasciate in giro. Harry per un po’ restò con lo sguardo fisso nel vuoto a ripetersi in testa quel consiglio che suonava quasi come un rimprovero. Quando furono quasi le ventidue cenarono e Meredith come ogni sera lo osservò e notò che mangiò con poco appetito. Non lo guardava nemmeno il cibo, lo pescava lentamente dal piatto, distratto. Di tanto in tanto scuoteva il capo e rideva amaramente tra sé e sé. I suoi grandi occhi scuri sempre più tristi. Lo vedeva sempre più “assorbito” dal suo desiderio: non vi era giorno in cui non stava chiuso nella sua stanza per almeno sei ore a disegnare e sommergere la scrivania di fogli strappati, accartocciati, frutto della mancata ispirazione giusta. Dedicava anima e corpo solo e sempre all'arte. Chiunque avrebbe capito, anche non sapendolo, che in quella casa viveva un'artista, sarebbe bastato guardarsi intorno: copie d'autore incorniciate e appese un po' ovunque, montagne di fogli imballati nella sua stanza, dove in un angolo si trovava il cavalletto con accanto ogni tipo di colori, e poi ancora l'attestato di diploma al liceo artistico e quello di laurea all'accademia appesi...L'arte era tutto il suo mondo e purtroppo questa lo aveva privato di crearsi legami d'amicizia e sentimentali. L'unica persona sempre accanto a lui era Meredith, finché un giorno...

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo terzo ***


CAPITOLO TERZO

 

Il primo Settembre Meredith annunciò al fratello una cosa importante: tra breve avrebbe cambiato casa.
- Andrò a convivere col mio ragazzo.- iniziò servendo il primo piatto a quest'ultimo invitato e a Harry.- Abbiamo intenzione di sposarci prima della fine dell'anno.
Sentendo quest'ultima frase, Harry guardò subito il calendario: Settembre 1999. Sollevò le sopracciglia.
- E' già così vicino il 2000! Sembra incredibile..- disse accennando un sorriso.
- Non te ne eri accorto Harry?- chiese Jake, il fidanzato della sorella, assiduo frequentatore di centri estetici e palestra a giudicare dall’aspetto impeccabile.
- Ad essere sincero non bado molto al tempo che passa, diciamo che vivo in una dimensione tutta mia: lo dice anche Meredith. Ma credo sia così un po' per tutti gli artisti, ci perdiamo nelle nostre creazioni senza osservare cosa accade intorno a noi.- rispose Harry spezzando del pane.
- Tuo fratello è un filosofo o un pittore? - scherzò Jake guardando sia questo che Meredith.
- E' solo mio fratello e lo sarà sempre anche se un giorno diventerà famoso e le nostre strade si divideranno.
Nel dire quelle sincere parole, Meredith fece un dolce sorriso che le illuminò gli occhi.
- Una cosa che accomuna voi artisti, oltre la propria “dimensione temporale” che dicevi tu, è anche questa smania di voler diventare qualcuno, non ti pare?
- Lo so, lo ammetto, voglio emergere.- rispose sincero.
- E' solo per una questione di soldi?
- Non si tratta solo di soldi.- iniziò ad infastidirsi Harry, fulminandolo con lo sguardo.
Meredith notò che le domande di Jake si stavano facendo pungenti ed irritanti, così intervenne.
- Scusate, ma possiamo accantonare questi discorsi e tornare a discutere del vero motivo che ci ha uniti questa sera?- disse lasciando muti entrambi gli uomini.
Nel breve silenzio che seguì, Meredith li guardò e le sembrarono come i suoi alunni che ricevevano una nota.
- Già, scusa cara, parliamo di noi.- rispose Jake stringendole la mano.
- Io e Jake ci siamo incontrati per caso, in un pub; li abbiamo iniziato a parlare e poi...
- Non mi importa cosa è successo poi!- la interruppe Harry- Hai organizzato tutto questo solo per dirmi che devo trovarmi un lavoro perché cambierai anche città, non solo casa! Ti ho sentita l'altra sera al telefono...
Meredith restò muta e lo pregò di ascoltarla.
-Veramente cambieremo anche continente...- disse Jake senza rendersi conto che quella precisazione in quel momento era inopportuna.
- Aspetta, fammi spiegare le cose con ordine. E' vero, dovevo dirtelo prima, ma è successo tutto molto velocemente. Dopo esserci conosciuti abbiamo deciso di sposarci a Las Vegas, perché è li che Jake si trova spesso per lavoro. Così abbiamo stabilito di trasferirci direttamente a Las Vegas. Mi spiace lasciarti solo, ma io non intendo perdere l'uomo della mia vita per starti dietro. Io lo amo davvero, Harry, per lui è lo stesso.- spiegò Meredith.
- E' solo una questione di soldi?- ripeté sarcastico Harry sapendo che il fidanzato della sorella era molto ricco.
- Harry finiscila!- si spazientì Meredith.
- Se fosse così, io cosa ci guadagnerei?- intervenne Jake, alzando le spalle.
La donna guardò con aria di rimprovero il futuro sposo.
- Cosa vorresti dire?- chiese arrabbiandosi.
- Stavo scherzando, zuccherino!- rispose Jake dandole un bacio sulla guancia.
- Lo spero per te.
- State già litigando e non siete ancora sposati...- commentò Harry.
- E' solo per colpa tua.- lo rimproverò Meredith.
- Tua sorella è solo un po' irascibile, tranquillo. Anzi abbiamo l'invito e il biglietto aereo per te, così potrai essere presente al nostro matrimonio, gli comunicò, estraendoli dalla tasca posteriore dei jeans.
- Non voglio niente da te!- rispose sgarbatamente l'artista allontanandoli con la mano.
- Ma Harry, perché?- chiese la sorella.
- Meredith, non voglio venire. Non mi piacciono i matrimoni, lo sai.- rispose guardando fuori da una finestra.
Un’ insignificante ragazza che attraversava il marciapiede di fronte attirò la sua attenzione per il grosso cane indisciplinato che portava a guinzaglio.
- Mi sentirei costretto. Come lui dal guinzaglio.- borbottò.
Jake non afferrò le parole e fu sul punto di chiedere alla futura moglie cosa avesse detto, allungando il collo verso la finestra. La donna lo ignorò scuotendo la mano.
- Ma questo è quello di tua sorella, io tengo alla tua presenza, non lo capisci?
Harry la pregò di non insistere e si allontanò dalla sala da pranzo. Meredith restò delusa, mentre il suo ragazzo sembrò sollevato. La donna capì che i due uomini non sarebbero mai andati d'accordo.

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Capitolo 4
*** Capitolo quarto ***


CAPITOLO QUARTO

 

L' indomani Meredith iniziò a fare le valigie e riferì al fratello un posto in cui avrebbe potuto lavorare per guadagnare qualcosa, visto che sino ad allora la maggior parte delle spese le aveva affrontate lei, che era insegnante alle medie.
- Alla locanda di chi?- fu la prima domanda di Harry.
- Del sig. Owen, non lo ricordi? - ripeté Meredith.- Era amico di papà.
I due, al ricordo del padre, sentirono quasi in colpa: non ne parlavano da un bel po’, sia perché li rattristava sia perché erano troppo presi ognuno dalle proprie vite.
- Già...Owen. Quando posso andarci?
- Anche domani, ha sempre tanto lavoro. Una mano gli farà comodo.
Come detto, già il giorno dopo, il 3 Settembre, Harry si recò alla locanda del signor Owen che lo accolse calorosamente. Dall’ultimo incontro, era meno appesantito e coi capelli più bianchi. Ma negli occhi conservava un po’ della vitalità giovanile. Ed era questo a renderlo immediatamente simpatico.
- Harry, come sei cresciuto!- iniziò l'uomo abbracciandolo.- Era molto tempo che non ci vedevamo.- continuò emozionandosi.
- Già, prima che papà e mamma morissero. Ero solo un ragazzino...- rispose Harry manifestando malinconia.
- Su, ora parlami un po' di te.- disse Owen facendolo accomodare insieme a lui a un tavolino.
Così Harry comunicò ad Owen i suoi tentativi verso la strada del successo e nel raccontarlo fece trasparire nei suoi grandi occhi neri la sofferenza e la delusione, il tormento e l'entusiasmo, tanti stati d'animo insieme.
- Quello che ti serve a mio parere, caro Harry, è una persona che ti stia accanto.- concluse Owen indicando con lo sguardo una signora che stava per entrare alla locanda. In realtà in quell’istante ne stavano entrando due di donne e non capì a quale si riferisse. Ma ovviamente non parlava di nessuna delle due…
- Una donna?- si stupì Harry.
- Certo, qualcuno che ti distragga, che colmi le tue delusioni...- spiegò Owen offrendogli un bicchiere di whisky.
- Come potrei averne una? Non ho costanza in nulla tranne che nella passione di dipingere!E poi, non ho una macchina, né tanti soldi...sono solo un illuso, le ragazze oggi non cercano quelli come me. Basta guardare Meredith: tra breve si sposerà con un riccone a Las Vegas!- sorseggiò teso Harry.
- Comunque non sottovalutarti Harry: io conosco le tue doti artistiche.- lo consolò Owen.
Quella frase la disse come se fosse la cosa più seria che avesse mai detto.
- Non basta questo. Got, il mio committente, vuole che cerchi nuovi soggetti, nuove ispirazioni, qualcosa che possa stupire...
Proseguì per qualche minuto la chiacchierata, che più volte il locandiere tentò di portare su toni più leggeri.
Terminata la conversazione Harry iniziò subito a lavorare servendo i tavoli. Restò alla locanda sino al tardo pomeriggio, anche se non si sentisse a suo agio. Owen lo notò, ma non aggiunse altro credendo che provare a riprendere con Harry il discorso sulle donne sarebbe stato inutile. Poco prima che chiudesse la locanda, l'artista fece strada verso casa con la sua bicicletta, sotto una pioggia incessante. Malgrado fosse stanco, pedalò velocemente perché voleva tornare presto a casa per rilassarsi a dipingere.
Poi fu distratto da qualcosa di strano in fondo a una strada: una luce bianchissima, che non poteva essere quella di qualche faro di una macchina. Restando a guardarla incuriosito, poco dopo avvertì un forte dolore e senza capire come si ritrovò per terra.

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Capitolo 5
*** Capitolo quinto ***


CAPITOLO QUINTO

 

Appena aperte lentamente le palpebre, si vide circondato da diverse figure indistinte, bianche.”Devo essere morto” - pensò Harry.
Per il momento il suo cervello non riusciva a formulare altro, era come intontito.
Ma dopo mise meglio a fuoco e riconobbe l'ambiente: un ospedale. Le figure erano quattro medici in camice bianco con in mano delle cartelle e lo osservavano sbalorditi. Capì che stavano parlando con lui ma non riconobbe chiaramente le parole. Muovendo leggermente in avanti la nuca, si vide disteso, nudo, con sopra solo un leggero camice. Avvertì una pressione sul torace e difficoltà nel respirare, così intuì che doveva avere qualche frattura.
- Mi sente?- si sentì chiamare da uno dei medici.
- Forse è ancora sotto choc...- commentò un altro.
- Controlliamo la pressione.- aggiunse uno rivolgendosi a un' infermiera.
- Cosa è successo?- riuscì a dire Harry provando a sollevarsi sui gomiti.
- No, non deve muoversi!- lo frenò subito un medico facendolo ridistendere.- Le abbiamo da poco fasciato il torace: deve stare per almeno tre giorni in assoluto riposo.- spiegò.
Con una smorfia di dolore si rimise disteso e solo allora notò di avere una flebo e di essere collegato a una macchina che registrava la sua frequenza cardiaca e la pressione sanguigna.
- I valori si sono ristabilizzati, ha ripreso i sensi e pare abbia superato lo choc.- continuò il medico che aveva parlato per primo.
Un altro gli chiese se ricordasse di aver avuto un incidente con la sua bici, scontrandosi con una macchina. Harry si sforzò di ricordare,ma ciò che gli era rimasto impresso nella mente era solo quella strana luce in fondo alla strada. Poi cercò di dare un filo logico alla situazione: suppose che probabilmente si era distratto guardando quel bagliore ed era stato investito, non facendo in tempo a spostarsi. Inoltre pioveva e l'autista della macchina che lo aveva travolto poteva anche non averlo visto. Ma un'altra cosa non gli era chiara: chi lo aveva soccorso? Così chiese ai medici chi lo avesse portato in ospedale.
- Un passante ha chiamato un'ambulanza, mentre l'uomo al volante che vi ha travolto se ne è andato subito dopo, restando illeso.
Dopo la spiegazione uscirono dalla stanza dicendo di dover badare a casi più gravi. Harry continuò a pensare a quella luce non sapendo dargli una spiegazione razionale. Non riuscendo a dormire passò il tempo a cercare di chiarirne l'identità, ma ogni probabilità gli risultò illogica: un ufo..una chiamata divina... una stella cadente...
Poi socchiuse gli occhi per la stanchezza cercando di liberare la mente, ma appena riuscitovi ebbe l'impressione di non essere più solo nella stanza. Avvertì nell'aria un odore di vaniglia, molto delicato e così riaprì gli occhi. Colpito da stupore, balzò alla visione che aveva davanti: una donna bellissima, eterea, forse sua coetanea, esile, con lunghi capelli castano chiaro e grandi occhi celesti.
- Come sta?- chiese con voce pacata ad Harry.
- Non capisco, cosa sta succedendo...? Devo avere delle allucinazioni.- disse l'uomo confuso, battendo ripetutamente le palpebre.
- Perché dice questo?
- No...ma cosa le spiego, sarà stato quel bicchiere di troppo alla locanda di Owen. Adesso lei sparirà...- rispose convinto di avere dinanzi a se un' immaginazione.
- Ma non ha bevuto molto, solo mezzo bicchiere di whisky mi pare...- ricordò quella.
Harry continuò a confondersi e iniziò a darsi dei pizzicotti per capire se stava sognando o no.
- Tranquillo, ero solo alla locanda anch'io .- continuò la donna sorridendo.
- E mi ha spiato, mi stava forse pedinando? E' della FBI? Sono ricercato, ho commesso qualche reato?
- Stia calmo, mi ero solo fermata a guardarlo e lei non se n'è neanche accorto, eppure ero proprio dietro di lei...
- Ora è un po' più chiaro. Ma una cosa non capisco: come mai è qui?
- L'ho soccorsa io.
- Che strana coincidenza: ci siamo incontrati due volte in un giorno ma io la sto vedendo solo adesso! E' buffo...
- Già e non ci siamo neanche presentati: io sono Janet Crossworth.- si presentò la donna tendendogli la mano.
- Piacere, mi chiamo Harrison Clever.- rispose- Come posso ringraziarla per avermi salvato?
Nel chiederlo, strinse ancora la mano della donna e si stupì della sua morbidezza e della sua leggerezza.
- Non mi deve proprio niente, era un dovere. Ma a proposito, come si sente?
- Un po' stordito, ma fisicamente tutto sommato bene. Mi sto sforzando di ricordare l'incidente, ma devo essere svenuto sul colpo e non lo ricordo, neppure lei...
Mentre continuarono a parlare entrò nella stanza un medico per accertarsi che le sue condizioni fossero stabili e Janet restò seduta in un angolo ad ascoltare quello che diceva.
- Deve solo riposare, confermo. Come avrà capito, ha riportato delle fratture alle costole, a tre esattamente, quindi dovrà stare prevalentemente disteso e non dovrà compiere movimenti bruschi, anche perché se ci provasse si sentirebbe mancare il respiro.- precisò il medico- Comunque può ritenersi fortunato: avrebbe anche potuto morire sul colpo se le costole si fossero incrinate maggiormente bucando i polmoni...Adesso vado.-concluse uscendo.
Harry provò ribrezzo sentendo quelle parole, poiché era un tipo facilmente impressionabile. Scacciò presto dalla testa l’immagine del suo cadavere per terra sotto la pioggia.  E dopo pensò a un' altra frase del medico:”può ritenersi fortunato”. Dopo Clark Got, era già la seconda persona che glielo diceva, ma riflettendo lui non si riteneva molto fortunato: da anni non riusciva a realizzare il suo sogno e visto che per lui l'arte era tutta la sua vita, era come se sino ad allora non avesse raggiunto nessun obiettivo. Mentre si soffermò su questi pensieri, iniziò a venirgli sonno e Janet si avvicinò a lui. Quando fu quasi addormentato la donna gli sfiorò delicatamente i folti capelli scuri e le sue mani fredde lo destarono. Ma Harry restò muto e immobile a guardarla e si sentì inspiegabilmente sereno. Successe qualcosa dentro di sé in quegli attimi. Cambiò il modo di vederla. Per adesso era solo la sua salvezza, non gli importava di sapere altro. Forse quel senso di pace, però, era dovuto anche agli antidolorifici, pensò…
- Riposi tranquillo Harrison.- gli sussurrò Janet all'orecchio.
- Potrò rivederla?
- Ne sono sicura.- rispose sottovoce.
Quelle tre semplici e ferme parole lo cullarono verso un sonno profondo.

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Capitolo 6
*** Capitolo sesto ***


CAPITOLO SESTO

 

8 Settembre 1999
Dopo essere stato dimesso dall'ospedale, Harry si rimise a lavorare alla locanda, anche se doveva prestare molta attenzione nei movimenti. Non disse niente alla sorella, partita un giorno prima dell'incidente. Con grande stupore di Owen, l'artista iniziò a parlargli di sua iniziativa di una donna, Janet, dopo avergli raccontato dell'incidente.
- Allora,se vuoi, stasera puoi andare via prima.- disse Owen al pittore.
- Perché?
- Come, non dirmi che non l'hai invitata a cena per conoscervi meglio?- chiese deluso il locandiere.
- No non so neanche se la rivedrò, anche se...lei mi ha raccomandato con inspiegabile certezza di si.- rispose Harry ripensando l' intenso momento del saluto con Janet.
- Sai almeno dove abita?
- No.
- Cosa fa?
- No...
- Avrai almeno il suo numero?
- Neanche.
- Allora come credi di poterla rincontrare, se non per un purissimo caso o fortuna?  Il che sarebbe alquanto improbabile, visto l'elevato numero di abitanti di Londra...
- Senti, Owen, lo so!- lo interruppe Harry - Non ti ho detto che avevo intenzioni serie con lei e poi avevo da poco ripreso conoscenze quando l'ho vista. Certo però, mi piacerebbe dipingere i suoi occhi...
Poi Owen preferì non aggiungere altro e ritenette di aver colpevolizzato abbastanza Harry. Questo restò immerso nei suoi pensieri, passando e ripassando distrattamente lo straccio sul pavimento.
- Ehi, ehi fermati! E' pulitissimo, va bene così. - lo interruppe Owen, dandogli una leggera pacca sulla spalla sorridendo.
- Ah, si, scusa. Ero pensieroso.- rispose il pittore con aria imbambolata.
- Va pure ora, è tardi, sto per chiudere.- continuò il vecchio.
- Ok, a domani allora.- lo salutò Harry togliendo la giacca da cameriere e indossando il suo cappotto.
Quando fu per uscire Owen lo fermò di nuovo.
- Aspetta!- disse.
Harry si girò sostando sulla soglia.
- Voglio scusarmi per prima: ti ho smontato una relazione in così poco tempo, non avrei dovuto scoraggiarti. Non pensare a tutto quello che ho detto, se sei sicuro di rivederla, sarà così. - lo rassicurò con aria e modi da buon padre.
Harry rispose semplicemente con un cenno d'approvazione e rinnovò i saluti.

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Capitolo 7
*** Capitolo settimo ***


CAPITOLO SETTIMO

 

Dopo la strana visione di quella luce bianchissima e l'incontro con Janet, episodi che avevano un po' spezzato la monotonia dei suoi giorni, Harry spostandosi con la bici per lavoro prestava molta più attenzione, per due motivi: cercare di non distrarsi mentre pensava i suoi guai per non avere altri incidenti e anche sperare di scorgere il volto di Janet tra la folla. L'incontro con quella splendida donna gli aveva fatto scuotere qualcosa dentro e non riusciva a smettere di pensarla. Pensò che quei sentimenti dovessero significare qualcosa di nuovo per lui: era forse la prima volta che si innamorava ed era successo tutto in brevi istanti, senza neppure conoscerla. Ogni sera, prima di tornare a casa, si guardava attorno: per le strade, nei negozi, sull'autobus, vicino casa, ovunque andasse...Ma non gli era più capitato di incontrare Janet. Persino nella sua arte ora si rifletteva il suo nuovo stato d'animo: nei soliti quadri che raffiguravano realisticamente la natura si avvertiva serenità, ma allo stesso tempo tormento. In altri inseriva addirittura la figura appena accennata di Janet, calcando soprattutto gli occhi, che gli erano rimasti particolarmente impressi nella mente. Un giorno di fine Settembre mostrò le nuove creazioni al suo committente.
- Vedo che abbiamo cambiato soggetto.- commentò quasi stupito Got.
- Ho trovato un'ispirazione nuova suppongo...
- Direi di si. E come si chiama?
- Janet, è una donna che mi ha soccorso dopo l'incidente. Ormai è da quasi un mese che non la vedo ma ho memorizzato i suoi tratti.
- In particolare i suoi occhi mi pare...- indagò quello sollevando un sopracciglio con un mezzo ghigno.
- Si, mi piacciono molto, riescono a infondermi un senso di quiete e trasmettono trasparenza.
Dopo quelle parole il committente colse negli occhi di Harry il suo sentimento e mostrò di essere finalmente soddisfatto. Il pittore fremeva nell'attesa del giudizio della sua raccolta di lavori.
- La ritrattistica.- iniziò quello- E' da tempo che non si vedeva: ultimamente la figura umana è quasi del tutto stata sostituita da forme astratte o altro.
- E quindi?
- Hai abbandonato la semplice pittura paesaggistica, ma devo ammettere che è stato un bel cambiamento. Solo che...
- Che?- chiese Harry sempre più in ansia e felice al tempo stesso nel vedere Got soddisfatto.
- Questi disegni finalmente comunicano qualcosa, ma...- si interruppe di nuovo Got sembrando divertito nel tenere il pittore sulle spine.
- Ma ?- chiese iniziando a spazientirsi Harry.
- Dovresti porre maggiore attenzione a ogni dettaglio, il che significa che non devi dipingere questa donna a memoria, ma di presenza.- concluse il committente.
Pur mostrando sempre un'aria d'insufficienza, per la prima volta Harry aveva colto in Got, nelle sue parole e nell'espressione, un compiacimento. Ma subito dopo ripensò quello che aveva precisato: doveva dipingere Janet di presenza, ma come avrebbe potuto rintracciarla? Poi Got lo distrasse.
- Non dici niente Clever?- iniziò- Se non lo avessi capito, ho detto che sei migliorato.- ammise l’uomo senza guardarlo.
- Si, si ho capito, solo che sono senza parole. Non me lo aspettavo, la ringrazio infinitamente.- riuscì a dire Harry con il cuore che gli batteva come un martello dentro il petto.
- Non adagiarti troppo però; solo perché hai fatto un passo avanti non significa che sei a due dal successo.- lo avvertì Got.
- Ma certo, certo, lo so. Ho ancora tanta strada davanti e mi impegnerò al massimo, ci conti.- rispose Harry sprizzando allegria da ogni poro.
- Su, su adesso vai e ricorda quello che ti ho detto. Voglio almeno un ritratto finito entro la prossima settimana, Clever.- continuò Got.
Harry ebbe un attimo di scoraggiamento chiedendosi come avrebbe potuto in pochi giorni trovare e ritrarre Janet, ma fu ottimista. Poi raccolse nella carpetta tutti i lavori e, non smettendo di ringraziare Got, uscì fuori dalla porta del suo ufficio.

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Capitolo 8
*** Capitolo ottavo ***


CAPITOLO OTTAVO

 

Era cominciata per Harry una ricerca disperata di Janet, in ogni luogo che frequentava e non. Se prima era attratto da lei e intendeva trovarla solo per conoscerla meglio, adesso si era aggiunta anche un'altra ragione: dipingendola avrebbe (forse) finalmente raggiunto il successo. Doveva trovarla, assolutamente, ma non sapeva più dove cercarla. Pensò anche di provare a leggere il suo cognome sull'elenco telefonico, ma nessuna voce rispondeva a Crossworth. Era già passato un giorno da quando Got gli aveva fatto la richiesta e un giorno era per lui già troppo tempo perso. Così preferì chiamare il suo committente.
- Pronto, studio di Clark Got, desidera?- rispose la segretaria.
- Sono Clever, il signor Got non c'è?
- E' qui, adesso ve lo passo.- rispose la donna.
Passarono diversi secondi prima che Got rispondesse.
- Clever?- iniziò dopo un po' seccato.
- Si, buongiorno. Vi ho disturbato?
- Sono molto impegnato, spero che tu abbia chiamato per riferirmi qualcosa di veramente importante!
- Si, credo lo sia.- iniziò preoccupandosi di deludere il suo committente.
- Avanti, allora, parla...
- Riguarda il limite massimo per la creazione del ritratto: credo proprio di non poterlo rispettare.- rispose cominciando a temere il peggio.
- Non puoi fare un ritratto in una settimana?
- Non credo sia possibile, ma non perché mi occorre più tempo per dipingerla, perché...non so come rintracciarla.
- Non mi importa se non sai come rintracciarla, trovala! Sei hai intenzione di avvicinarti al successo, sappi che i tempi sono molto stretti: devi essere capace di produrre in poco tempo molti disegni e poi ricorda...se mi piaceranno molto potrei anche esporli in galleria.- concluse Got velocemente.
Harry restò senza parole e guardò fuori dalla finestra illudendosi che sotto casa sua stesse passando proprio Janet. Guardò meglio: non era un'illusione, era davvero lì! Lasciò cadere la cornetta per l'agitazione e Got continuò a ripetere “pronto?”.
- Non capirò mai quel Clever. - commentò Got mentre stava per riattaccare.
- Sig Got, sig Got!- sentì chiamare di nuovo.
- Ma che diavolo succede, insomma?! Non ho tempo da perdere!
- Lo so, mi scusi...ho risolto il problema, tutto risolto! Potrà avere il ritratto entro il tempo stabilito, tutto risolto!- gridò euforico.
- D'accordo, non sono interessato a sapere come, ma va bene. Arrivederci!- riattaccò.
Harry, subito dopo, dimenticando di essere in pantofole e vestaglia, scese di corsa nella via sotto casa per paura di non riuscire a fermare Janet.
In brevissimo tempo fu dietro di lei e iniziò a chiamarla a squarciagola. Tutti i passanti lo guardarono pensando che fosse pazzo, ma lui non se ne curò.
- Janet, fermati!- gridò provando dolore al torace per la frattura ancora non del tutto risanata.
La donna si girò guardandosi intorno con aria preoccupata.
- Harrison, da quando ci diamo del tu?- disse quella guardandolo stupita.
- Già, dimenticavo...da adesso?- rispose con fiato corto tenendosi il torace per il dolore.
- Ok, ma perché corri come un pazzo in tenuta da casa?- chiese Janet sorridendo.
Harry si guardò e arrossì dicendo di essersi dimenticato di come fosse vestito.
- Ti ho vista dalla finestra di casa mia e...non ho pensato ad altro se non che dovevo raggiungerti.
- Dovrai dirmi qualcosa di importante quindi?- continuò Janet guardando attorno a lei un grande numero di persone che si era fermato ad assistere.
- Si, molto importante, ma sarà meglio andare a casa.- rispose Harry notando anche lui le persone.
- Andiamo allora, fammi strada.- disse Janet.
E mentre si recarono verso casa, si crearono sempre più fitti commenti negativi su Harry, totalmente ignorati da questo - che toccava il cielo con un dito per la felicità - ma tenuti in considerazione da Janet.

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Capitolo 9
*** Capitolo nono ***


CAPITOLO NONO

 

Las Vegas, 1 Ottobre 1999
- Cara, rispondi tu?- disse Jake alla futura moglie- Io sono sotto la doccia, non posso!
- Si vado io, tranquillo. - rispose Meredith mentre pettinava i capelli.- Pronto..?
- Ciao Meredith, sono Tracy.- rispose dall'altra parte.
- Ah, ciao, credevo fosse Harry.- salutò Meredith, un po' delusa.
- E' proprio di lui che voglio parlarti; ti ho disturbata? Sai, il fusorario non l'ho mai capito...
- No, non preoccuparti. Come mai mi chiami per mio fratello, è successo qualcosa di grave?
- Non so quanto possa essere grave, ma visto che sono tua amica ho ritenuto opportuno avvisarti.
- Allora dimmi, cosa è successo?
- Ecco, ieri, ero per strada: mi è capitato di incontrarlo...in vestaglia e pantofole!
- In vestaglia e pantofole!?
- Si, è più strano del solito! Correva e gridava in mezzo alla strada e ...
- Sei sicura che fosse lui Tracy?
- Ma si, era proprio Harry! Non so cosa gli sia preso, ma è davvero preoccupante, forse doveva essere ubriaco, non saprei...
- Ho capito, non dirmi altro: prenderò il primo aereo per Londra...
- Come? No, no non ti muovere da lì! Che ne sarà del matrimonio?- la frenò l'amica.
- Ma non posso abbandonare Harry in questo stato! Non l'ho neanche sentito per telefono da quando sono partita. Siamo così impegnati con i preparativi...
- Sapevo che non avrei dovuto dirti niente..
- Ma no, cosa dici? Hai fatto bene ad avvisarmi. Ne parlerò con Jake; se sarà necessario sposteremo le nozze...- concluse Meredith riattaccando il telefono.
- Di cosa devi parlarmi?- chiese Jake raggiungendola dal bagno. Era scalzo e si stava chiudendo l’accappatoio.
- Mi hai fatto spaventare...- disse la donna iniziando a pettinarsi nervosamente.
- Cosa c'è che non va?- continuò Jake sedendosi accanto a Meredith.
- Si tratta di Harry.- rispose la donna preoccupandosi della reazione di Jake.
- Harry, Harry, sempre Harry!- gridò Jake.
- Fammi parlare, Jake!
- Perché ancora non hai capito che tuo fratello è una persona adulta e indipendente?
- Lascia che ti spieghi!
- Ti ho sentita al telefono: vuoi spostare le nozze per lui! Non hai niente da spiegare! Non se ne parla: Harry non deve sconvolgere la nostra vita coniugale!
- Ma è mio fratello, non posso lasciarlo solo! Tracy mi ha detto che ha dei comportamenti preoccupanti, devo aiutarlo!
- Certo, corri da lui a salvarlo! Ma se sarà così, allora non ci sposeremo affatto!
- No, questo no! Io ti amo, Jake!
- Non mi sembra. Mi sembra che per te conti solo Harry!
- Non è così e tu lo sai. E' proprio perché ti amo che ho cambiato vita: questo dovresti comprenderlo e apprezzarlo.
- Se dici di aver cambiato vita, devi escludere Harry, almeno per ora. Ricordi che tra poche settimane ci sposiamo?
- Ho capito, scusami. Hai ragione, le nozze non dobbiamo toccarle. Partirò dopo e intanto chiederò a Tracy di controllare un po' Harry e mi riferirà per telefono.

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Capitolo 10
*** Capitolo decimo ***


CAPITOLO DECIMO

 

Harry, intanto, ancora incredulo di avere avuto la fortuna di rincontrare Janet per caso, organizzava appuntamenti con lei per conoscerla meglio e stabilire la posa del ritratto. Una mattina fu a casa sua  per iniziare il disegno. C’era un certo imbarazzo, non si scambiarono parola sino a quando non furono dentro. Pensò che fosse il caso di scusarsi per il disordine, ma gli sembrò una frase troppo usata nei film, così la guidò subito in cucina, dove sua sorella teneva tutto a posto.
- Vuoi un caffè?- chiese Harry.
- No, grazie, l'ho già preso prima al bar.- rispose Janet.
- Sai che mi sembra ancora incredibile che tu sia qui?- continuò il pittore emozionato.
- Già, è stato proprio un caso il nostro incontro.- disse la donna con la solita voce pacata.- Allora dove devo posare?- deviò il discorso Janet.
- No, aspetta, perché non parliamo un po' prima di iniziare?- chiese l'uomo.
- Di cosa?
- Non so, vorrei sapere qualcosa di te, mi piace conoscere con chi lavoro.
Janet parve disturbata dalla proposta e fu evasiva anche con lo sguardo. Ma Harry volle insistere.
- Posso sapere, se non sono troppo indiscreto, cosa fai nella vita?- riprovò il pittore.
- Non sono molto impegnata, come te. Vivo con i miei genitori e la mia passione sono le piante.
- Sei una fioraia?
- No, mi occupo solo di curare le piante e i fiori del mio giardino.
- Oh, scusa...non lavori?
- No.- rispose in modo sbrigativo.- Allora, possiamo iniziare?- chiese tornando sfuggente. Così dicendo uscì dalla cucina e sostò in corridoio.
- Si, scusami, non voglio più metterti a disagio. Per la posa, ti lascio libera di sceglierla: puoi metterti come e dove vuoi.
- Come, non devi dirmelo tu? Io non ho mai posato per nessuno, non saprei proprio come mettermi.
- Scegli la posa più comoda e naturale, quella che vuoi...- la rassicurò avviandosi al piccolo salotto.
- Posso stare seduta anche qui allora?- chiese Janet indicando il divano.
- Certo, come vuoi. La posa deve essere il più naturale possibile. Forse...solo una cosa...- disse Harry avvicinandosi a lei.
Janet apparve emozionata e notò che era diretto verso la sua testa. Harry con cautela posò le mani sul suo fermaglio che le raccoglieva i lunghi capelli e glielo tolse. Cadde lentamente una folta chioma di boccoli, che si adagiarono sulle spalle.
- Perfetta.- commentò Harry- Non toccarli, sono perfetti così.
In quei pochi istanti così vicini tra loro, Harry ebbe la tentazione di baciare Janet e il desiderio di restare in quella posizione per sempre. Per un po' il tempo parve fermarsi e i suoi occhi si persero in quelli della donna. Questa colse nell'espressione dell'artista la tentazione e girò la faccia indietreggiando.
- Scusami...- disse Harry allontanandosi.
Poi il pittore prese la tela e i colori e si posizionò di fronte Janet. Prima di iniziare il disegno prese il giradischi e fece suonare vecchi brani dei Beatles.
- Come mai non hai uno stereo come tutti gli altri?- chiese Janet incuriosita.
- Amo i pezzi d'antiquariato...e i Beatles. Sono il mio gruppo preferito, non seguo molto i cantanti contemporanei. Ti da fastidio?
- No, figurati, piace anche a me la loro musica.
- Metto sempre della musica di sottofondo.
Dopo aver sistemato tutto, iniziò il tanto atteso disegno, dapprima con mano quasi tremante per l'emozione. Janet restò impassibile ed Harry si rilassò poco dopo, un po' per la musica e un po' nel guardare gli occhi sereni della donna. Trascorse solo circa un'ora e il pittore aveva già terminato di disegnare l'armonica figura di Janet in tutti i suoi particolari. Adesso mancava il colore: non aveva intenzione di usare tinte realistiche, voleva colorare con realismo solo gli occhi. Gli occhi, che lo avevano fatto innamorare di Janet. Riempì il resto della figura con delicati passaggi chiaroscurali con il carboncino.
- Ho finito.- disse circa un'ora dopo.
Accennando un'espressione di stanchezza, Janet si alzò dirigendosi verso la tela.
- Giurami che un giorno me ne regalerai uno, Harry.- iniziò la donna guardando affascinata il ritratto.
- Un tuo ritratto?
- Sì, così potrò guardarmi quando sarò vecchia.- sorrise- No, sul serio, ne vorrei uno. Sei bravissimo, non riesco a credere che il sig Got sia sempre insoddisfatto delle tue creazioni.- continuò non togliendo lo sguardo dal disegno.
- Forse adesso cambieranno le cose: sento che mi porterai fortuna.- iniziò Harry pensando che quello fosse il momento giusto per dichiararsi.
Sentì le guance arrossarsi per quello che aveva intenzione di dire.
- Ma non voglio che tu pensi il mio interesse verso di te legato esclusivamente al lavoro, Janet.
Temeva di apparire troppo imbranato, così non proseguì e cercò di farsi capire meglio con gli occhi.
Lei cominciò ad indietreggiare verso la porta d'ingresso e si scusò dicendo che si era fatto tardi e aveva un impegno. Harry sospirò e rilassò i muscoli.
- D'accordo. Puoi tornare domani?
- Si, credo che verrò.- lo salutò uscendo.

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Capitolo 11
*** Capitolo undicesimo ***


CAPITOLO UNDICESIMO

 

3 Ottobre 1999
Harry, come ogni mattina, si recò alla locanda del sig. Owen, ma appena arrivato ebbe l'impressione che fosse successo qualcosa. Diversi dipendenti e i soliti clienti erano raggruppati a discutere. Cercò di sorpassare la folla vicino la porta d'ingresso della locanda per capire di cosa parlassero. Tra questi riconobbe la signora Mitchell,moglie di Owen, in lacrime. Si avvicinò a lei dopo aver accostato la sua bicicletta a un muretto.
- Signora Mitchell, cosa è successo?- chiese garbato.
Quella esplose in un pianto ancora più forte e si gettò al petto di Harry. La sofferenza la faceva sembrare ancora più minuta e fragile. Poi indicò verso un tavolo della locanda senza riuscire a parlare. Lo sguardo del pittore si diresse subito verso l'indicazione e lì vide qualcosa coperta da un telo bianco. Si avvicinò capendo che si trattasse di un morto, così, con il timore di trovarvi sotto il corpo di Owen, lo sollevò comunque e ...dovette realizzare che il presentimento era vero. Sentì ghiacciarsi il sangue nelle vene.
- Owen!- urlò portando la mano davanti la bocca.
La vedova si avvicinò coprendolo e gridando a sua volta. Poi un uomo, cameriere del locale, allontanò la signora Mitchell.
- Sarà davvero difficile per lei superare questa perdita, se non impossibile.- spiegò ad Harry commosso, dopo averla condotta fuori.
- Ma come è morto?- domandò l'artista con le lacrime agli occhi.
- Aveva un brutto male...non te l' ha mai detto?
- No, mai. Ma perché?- si stupì Harry.
- Forse non voleva darti altre preoccupazioni. Io lo conoscevo bene era fatto così: sempre pronto ad aiutare gli altri, senza fargli mai pesare i suoi problemi.
- Ma non ha potuto fare niente per curarsi? Non so...un'operazione...- disse Harry.
- No, il male era già troppo esteso quando se n'è accorto. L'operazione non avrebbe risolto niente. Sapeva esattamente quanto tempo lo separasse dalla morte e...purtroppo, con un po' d'anticipo, lo ha raggiunto ieri notte, prima che chiudesse la locanda. Sua moglie non si è neanche accorta che non era tornato a casa dopo il lavoro perché prende sempre dei sonniferi: soffre d'insonnia e d'ansia.
- Mi dispiace davvero. Ora cosa farà?- chiese Harry guardando la donna distrutta dall'immenso dolore.
- Ha chiesto di essere lasciata sola e di fare cessare l'attività.
- Si chiuderà la locanda?
- Si. E siamo tutti senza lavoro... Ma del resto, io personalmente non riuscirei più a lavorare come prima senza Owen. Soprattutto sapendo che è morto qui...
Harry appoggiò il parere di quell'uomo e ripensò tutti i giorni trascorsi lì col saggio Owen, un amico che aveva riscoperto troppo tardi.
Cercò di ricordare se, anche in modo impercettibile, avesse mai mostrato di stare male. Ma ricordò solo di averlo visto sempre col sorriso sulle labbra, anche di fronte alcune situazioni più difficili.
 - Era un grande uomo.- commentò raccogliendosi agli altri con lo sguardo basso e la voce rotta dal dolore- E' un vero peccato che ci abbia lasciati.

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Capitolo 12
*** Capitolo dodicesimo ***


CAPITOLO DODICESIMO

 

Nel pomeriggio dello stesso doloroso giorno alla locanda, come promesso, Janet tornò a casa di Harry. Quando lo salutò notò in lui una profonda tristezza.
- Non stai bene Harry?- gli chiese posando il suo cappotto nell'appendiabiti.
- E' morto Owen, quell'uomo della locanda di cui ti ho parlato.
Dirlo ad alta voce gli fece venire i brividi.
- Mi spiace. L'ho visto qualche volta, ma mi pareva stesse bene...
- Aveva un tumore, io non lo sapevo. Forse se lo avessi saputo lo avrei convinto ad operarsi e magari...
- Tss!- lo frenò Janet ponendo un dito sulle sue labbra- Non devi sentirti in colpa, non ne hai motivo. Nessuno può evitare la morte delle persone a cui tiene in certi casi.- lo consolò.
- Forse hai ragione.- esclamò Harry tranquillizzandosi.- Però temo che oggi non riuscirò a dipingere serenamente, neppure con la musica. - continuò in un sussurro.
- Non fa niente, vuol dire che me ne andrò.
- No, ti prego, restiamo ancora insieme. Ho voglia di distrarmi, perché non mi fai conoscere la tua casa?
Janet sembrò pietrificarsi e restò qualche istante a pensare.
- Ma se non vuoi, tranquilla, non fa niente.- disse Harry notando la sua reazione.
- No, puoi venire.- cambiò idea Janet.
Così uscirono ed iniziarono a mettersi in marcia. Harry provò un inspiegabile senso d'insicurezza accanto a lei. Ripensò alla sua reazione ed ebbe l'impressione che nascondesse qualcosa: d'altronde non la conosceva molto, poteva essere chiunque. Solo allora si era soffermato su quell'idea: chi era veramente Janet? Perché aveva quelle strane reazioni e non voleva discutere della sua vita? Janet lo guidava tranquillamente per raggiungere casa sua ed Harry raggiunse una zona di periferia che non aveva mai visto: vi era un lungo viale alberato e tante graziose villette.
Harry capì che Janet doveva essere ricca o, comunque, molto benestante. Dopo circa venti minuti di tragitto furono arrivati di fronte un grande cancello nero circondato ai lati da fitti rampicanti. La strada non era asfaltata e non si sentiva alcun rumore.
- E' magnifico qui.- commentò Harry.
- Questa è casa mia.- disse Janet indicando un' abitazione che s'intravedeva tra gli alberi oltre il cancello.
Era una villa su due piani, con semplici rifiniture ma elegante. La porta d’ingresso con ai lati degli ampi vasi vuoti.
- E' davvero carina.- disse Harry provando un pizzico di gelosia ma non esternandolo.
- Entriamo?- chiese Janet facendolo disincantare.
Così Janet prese un mazzo di chiavi dalla tasca del cappotto e aprì il cancello. Attraversarono un lungo vialetto pavimentato che conduceva alla casa. Harry osservò le rigogliose piante, soprattutto grasse, nell'immenso giardino e poi tra queste notò anche una fontana non attiva. Janet non fece sfoggio di quelle meraviglie ed Harry fu colpito dalla sua umiltà.
- Aspetta Janet.- disse Harry- Fermati lì.- continuò facendo sostare la donna vicino la fontana.
La donna lo guardò senza capire ma si fermò sorridendo.
-E' un' immagine stupenda. Mi piacerebbe dipingerti lì.- spiegò Harry aprendo la carpetta coi fogli che portava sottobraccio.
- Qui?
- Si, vicino la fontana.- continuò.
- Vuoi dipingere adesso? Sei sicuro di riuscirci?
- Si, in questo giardino sto ritrovando la serenità. I tuoi non ci sono?
- No, oggi sono in campagna.- rispose Janet dopo qualche esitazione.
- Allora ti va se mi siedo su questa panchina a farti un altro ritratto?
- Si, ma solo se sarà il mio.
- D'accordo, te lo regalerò.
Seguirono interminabili minuti di serenità. Tutto in quel giardino sembrava essersi fermato e Janet appariva agli occhi di Harry come un angelo, illuminata dalla rossiccia luce del crepuscolo. I suoi lunghi capelli erano appena mossi dal vento e riflettevano i raggi del sole ormai quasi tramontato. Nel disegnare, Harry si estraniò da tutto: non pensò più neanche che era rimasto senza lavoro. Si concentrò solo sulla figura di Janet, il foglio e i tratti della matita.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredicesimo ***


CAPITOLO TREDICESIMO

 

Era giunto il momento di presentare a Clark Got la sua raccolta di lavori. Era proprio il 7 Ottobre, la data prestabilita per la consegna e aveva realizzato non un disegno, ma tre, di cui uno a colori. Si recò allo studio del committente intorno alle undici del mattino e attese quasi un'ora prima di essere ricevuto. Poi, finalmente, uscì dallo studio la segretaria a dirgli che poteva entrare. Teso, solcò la soglia con la carpetta sottobraccio e diede il buongiorno a Got.
- Puntuale Clever.- iniziò quello.
- Già e ho realizzato più del previsto.- rispose Harry iniziando ad aprire la carpetta.
- Su, fa vedere.- continuò Got prendendo i ritratti.
Li osservò scrupolosamente per qualche minuto restando in perfetto silenzio. Si rigirò sulla sedia girevole con i disegni in mano e poi li riposò sulla scrivania.
- Allora?- chiese impaziente Harry,
- Si potrebbe provare...- iniziò Got con la solita aria d'insufficienza.
- A fare cosa?
- Ad includerli tra le opere di artisti emergenti nella galleria d'arte contemporanea.- disse Got senza manifestare alcun tipo di emozione.
- Dice sul serio?- si stupì Harry balzando dalla sedia.
- Si, ma non ti esaltare: non è detto che sia un successo. Diciamo che la considero una prova.... Magari una piccola percentuale potrebbe toccare anche a te.- concluse.
- Magari...una piccola percentuale?- chiese stupito e allo stesso tempo deluso Harry.
- Certo, sarà così all'inizio. Cosa credevi?- rispose semplicemente Got.
- Ma io ho bisogno di soldi, ho perso il lavoro!- si sfogò il pittore.
- Non è un mio problema, Clever. Dovresti già ringraziarmi perché ti sto offrendo questa occasione.
- Lei dice sempre che dovrei ringraziarla e ritenermi fortunato, ma sono anni che accumulo solo delusioni!- esclamò Harry spazientendosi.
- Clever, non mi aspettavo una reazione così energica! Cerca di controllarti...- disse Got continuando a girare sulla sedia.
Harry si sedette e cercò di calmarsi. Ragionò: in fondo aveva finalmente ottenuto di poter vedere esposte le sue creazioni, anche se, per lui, non avrebbero fruttato molto denaro. Per un attimo si sentì un' ipocrita ripensando a quando il cognato, Jake, aveva insinuato che il suo interesse per l'arte era legato solo ai soldi.
- Mi scusi Got.- disse dopo aver riflettuto.- Ha ragione, devo ringraziarla per avermi dato l'opportunità di mostrare al pubblico i miei disegni.
- Bene, vedo che hai ripreso a ragionare. Tornando alla mostra, credo se ne parli il mese prossimo perché ci dobbiamo organizzare: la cerimonia d'apertura, il banchetto, gli accordi col museo...poi attendo ancora alcune opere di altri aspiranti artisti...Quindi questi ritratti li lasci a me e li conserverò fino al giorno della mostra e naturalmente, nelle prossime settimane puoi portarmi altri disegni e ah, si, di alla tua modella che è invitata ad assistere alla mostra: voglio vederla dal vivo, confrontarla coi tuoi disegni e constatare se davvero le somiglia.
Dopo quell'esauriente quanto rapida spiegazione, Got prese i disegni e accomodò Harry fuori dal suo studio. Questo, appena uscito, sentì completamente scrollato di dosso tutto il nervosismo e fece un salto di gioia accompagnato da un urlo scaturito dal medesimo sentimento.
- Scusate.- farfugliò alla gente che era in attesa e aveva assistito a quella manifestazione.
Poi, quasi salterellando, andò fuori verso la sua bici e fece un giro tra i negozi, ma non per fare acquisti: intendeva trovare un'altra occupazione al più presto. Entrò in un negozio di scarpe, in una libreria, in un bar, in una pizzeria, ma niente...In seguito passò accanto a un negozio d'antiquariato e anche lì chiese se avessero bisogno di personale.
- Buongiorno.- lo salutò una signora davanti la porta.
- Lei lavora qui?- chiese Harry meravigliandosi di come una personalità tanto eccentrica e moderna potesse interessarsi a un negozio di quel genere.
- Si, perché?- rispose quella buttando la cicca per terra.
- Vorrei sapere se qui occorre un commesso: cerco disperatamente lavoro, qualunque lavoro.- spiegò Harry.
La signora attorcigliò i capelli tra le dita e lo guardò.
- Qualunque dici...Hai mai pensato che sei molto carino?- chiese la donna con tono malizioso.
- Ma cosa...?- arrossì Harry.
- Su, sto scherzando! Entra pure.- disse quella ridendo.
Appena entratovi si stupì delle dimensioni e della quantità d'oggetti esposti: da fuori era parso un negozio molto meno grande e fornito.
- Cosa ci fa una come lei qui, scusi?- disse Harry continuando a guardare la signora.
Quella infatti, anche se fosse di mezza età, aveva un abbigliamento alquanto eccentrico: stivali alti e laccati rossi, trucco pesante, capelli con treccine stile afro, unghia finte...
- Era il negozio di mio padre, viene tramandato da generazioni.
- Capisco. Allora posso trovare occupazione qui?
- Gestisco da molto tempo quest'attività da sola, ma devo ammettere che una mano mi farebbe comodo...magari puoi occuparti di pulire gli oggetti più piccoli.- iniziò prendendogli le mani- Vedo che hai delle dita molto sottili, ti riuscirà sicuramente meglio di me. Allora, accetti?
- Certo, certo grazie infinite signora.- rispose Harry felice.
- Chiamami pure Charlotte.- si presentò la donna.
- Ok, Charlotte, io sono Harrison, ma puoi chiamarmi Harry, come tutti.
Dopo tornò a casa dicendo che avrebbe iniziato a lavorare l'indomani.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordicesimo ***


CAPITOLO QUATTORDICESIMO

 

Era forse la prima volta dopo tanto tempo che Harry si sentiva sereno e aveva più motivi per esserlo (anche se non aveva dimenticato il vecchio amico Owen): aveva trovato un lavoro, si era innamorato e , soprattutto, aveva raggiunto la prima tappa importante nella sua carriera artistica. Così sentì la necessità di dirlo alla sorella e la chiamò.
- Chi è?- rispose Jake.
- Sono Harry, ciao.- si presentò.
Jake, seccato gli disse subito che Meredith non era in casa.
- Chi è, Jake?- chiese la donna da un'altra stanza.
Harry la sentì e, nervoso, pregò Jake di passarle subito la sorella. Prima che quello lo facesse, disse a Meredith di essere breve e non farsi convincere, qualora Harry lo avesse detto, ad andare di nuovo a Londra. Il pittore riuscì a sentire quella raccomandazione che suonava quasi come una minaccia e provò ancora più antipatia nei confronti del cognato. Poi la sorella prese la cornetta e lo salutò contenta.
- Ti fai comandare da Jake così?- iniziò il fratello.
- Cosa? Ma che dici...- rispose quella fingendo.
- Ah,..lasciamo perdere...Ti ho chiamato per farti sapere che Got ha deciso di esporre  i miei disegni nella sua galleria!
- Davvero!? Ma è fantastico Harry!- esclamò stupita Meredith.
- Si, il mese prossimo. Ma non è tutto, purtroppo chiamo anche per darti una brutta notizia: Owen è morto.- continuò in tono più serio.
- Mi dispiace...come mai?
In quella domanda Harry avvertì una falsa ingenuità.
- Dai, non dirmi che tu non lo sapevi, Meredith...Lo sapevano tutti che stava male, tranne io.
- Ah, così te lo hanno detto...
- Si, ma non capisco perché me lo hanno tenuto nascosto, compresa te!
- Eri già troppo giù, non volevamo che peggiorasse la tua situazione, primo di tutti Owen.- spiegò Meredith con voce triste.
- Tu come stai invece?- chiese Harry.
- Bene, bene...Io e Jake ci sposiamo tra una settimana. E comunque ricorda che è ancora valido il tuo invito.
- No, te lo ripeto Meredith: non ho intenzione di venire. Sono molto impegnato perché devo fare altri disegni per la mostra e poi...lo sai che non mi piace affatto Jake. - spiegò pronunciando con tono di disprezzo il nome del cognato.
- Allora io non verrò alla mostra.- rispose offesa la sorella- Non prendertela, ma ormai credo che il nostro rapporto si sia incrinato, siamo troppo distanti.
- Perché non chiedi come mai è successo all'uomo che dovrai sposare?- disse innervosendosi Harry e interrompendo la chiamata.
- Non ci pensare .- disse Jake avvicinandosi alla futura moglie e accarezzandole le spalle.
- Abbiamo litigato di nuovo...
- Non sentirti in colpa, tanto scommetto che se un giorno raggiungerà il successo non si ricorderà neanche di chi sei...- continuò Jake.
- No, questo non succederà: non è uno che si monta la testa mio fratello.- rispose la donna alzandosi dal divano.
Ed effettivamente nessuno credeva che Harry avesse mai assunto quell'atteggiamento, primo fra tutti, proprio lui. Mai poi il pittore dovette ammettere che dopo aver sentito da Got la bella notizia aveva pensato anche ai soldi e questo un po' lo preoccupava. Aveva paura che il successo lo avrebbe allontanato ancora di più da tutti, ma, in seguito, pensò che non lo aveva ancora raggiunto e sino a quando non sarebbe accaduto nessuno poteva prevedere le conseguenze.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindicesimo ***


CAPITOLO QUINDICESIMO

 

Trascorrevano i giorni ed Harry continuava ad invitare Janet a casa sua per ritrarla nel pomeriggio, mentre la mattina era occupato al negozio d'antiquariato. Si avvicinava la tanto attesa mostra e intanto Janet sembrava cambiare il suo comportamento di giorno in giorno: sembrava più distaccata. Harry non diede molto peso al cambiamento e continuò a pensare solo la data della mostra : 15 Novembre. Poi la sera del 20 Ottobre, successe qualcosa di straordinario ed inaspettato...Non gli fu chiaro se stesse vivendo un sogno o meno, ma nella cucina gli apparve Owen. Colto da stupore misto a paura, gli restò distante chiedendosi se stesse sognando.
- No, Harry: sono proprio qui.- rispose il vecchio con molta tranquillità.
- Ma come è possibile? Tu sei morto!- gridò Harry cominciando ad avvicinarsi.
- Sono qui per avvisarti di una cosa.
- Ma cosa...?- continuò a stupirsi il pittore sgranando gli occhi.
- Devi dimenticare Janet: ti farà soffrire.- rispose Owen con lo stesso tono in cui in vita gli dava consigli da padre.
- Cosa? Ma non la conosci neanche, come puoi dire una cosa simile? E poi tu non dovresti neppure essere qui...!
- Ricorda quello che ti ho detto: dimenticala, non è quella che credi!- ripeté Owen iniziando a dissolversi.
Dopo lo strano episodio Harry svenne e cadde per terra e al risveglio non ricordò se fosse stato sogno o realtà. Il giorno dopo si fece convinto che avesse fatto solo uno strano sogno e cercò di non pensarci, anche perché non capiva come il locandiere potesse parlare male di Janet. Come ogni mattina si recò al negozio d'antiquariato e iniziò il suo lavoro. Tuttavia non riuscì a distrarsi e, anzi, suppose che infondo Janet poteva anche non essere come appariva, visto che non sapeva molto di lei. Non fece più molto caso a cosa era successo e soprattutto a chi gli aveva detto quelle cose su Janet, ma a quello che aveva detto il suo vecchio amico: “non è quella che credi”. Cominciò a pensare i motivi più svariati per cui Janet potesse fingere: forse era ricercata, una latitante o un'assassina, una ladra interessata a rubare i suoi quadri se avessero acquisito un certo valore...
Ma poi ripensò i suoi splendidi occhi: gli erano sempre parsi lo specchio della sua anima, così limpidi e sinceri...Come poteva riuscire a mentire senza manifestarlo?
- Qualcosa non va ?- chiese improvvisamente Charlotte notandolo molto pensieroso.
- Come?- disse lui riprendendo a pulire gli oggetti.
- Ho capito...come si chiama?- esclamò Charlotte intuendo che stesse pensando a una donna.
- Non mi va di parlarne scusa...- rispose Harry seccato.
- Comunque ho fatto centro, vero?- continuò la donna.
Harry rispose solo facendo cenno di si con la testa e continuò a fare il suo lavoro.

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Capitolo 16
*** Capitolo sedicesimo ***


CAPITOLO SEDICESIMO

 

Finalmente mancavano solo due giorni alla mostra ed Harry si recò nella casa di Janet per dirle che vi era stata invitata. Suonò più volte ma sembrava non esserci nessuno. Poi pensò di chiedere a un passante che vide uscire da una casa lì vicino se conoscesse i Crossworth e sapesse se fossero usciti. 
Il signore, molto distinto, appena sentito quel cognome corrugò la fronte e guardò attentamente Harry.
- Lei non è di queste parti, vero?- chiese quello.
- No.- rispose Harry guardandosi gli abiti e capendo che l'uomo aveva intuito proprio da quelli, molto più modesti dei suoi, che non abitava in quella ricca zona di periferia.
- Non vivono più qui da tempo...Ma perché li cerca?
- Cosa? - disse sbalordito l'artista - Sa perché?
- Pare che la figlia sia scomparsa e loro abbiano cambiato casa.
- Scomparsa? Io la conosco!
- Non saprei dirvi altro, mi spiace.- esclamò il passante iniziando a dirigersi verso la propria auto.
- Grazie lo stesso.- lo salutò Harry continuando a guardare la villa da dietro il cancello.
Poco dopo, mentre stava ancora spiando l'abitazione, sentì dietro di sé un profumo conoscente: quello di Janet, alla vaniglia. Si girò quasi spaventato e le disse che doveva parlarle.
- Perché sei qui?- lo interruppe Janet.
- Pensavo fossi in casa e volevo parlarti.
- Stavo facendo un giro.
- I tuoi non sono in casa?- continuò Harry fingendo di non sapere del loro trasloco.
- Si, ma stanno poco bene.
- Perché non smetti di fingere!- sbottò Harry alzando il tono della voce e richiamando l'attenzione dei passanti.
Questi cominciarono a guardarlo male e ad additarlo. Janet se ne accorse e senza dire niente iniziò a correre in direzione del centro città. Harry, sempre più confuso, la seguì gridandole di fermarsi. Non riuscendo a starle dietro, decise di dichiararsi con lei in quel momento per cercare di convincerla a non correre più.
- Ti amo!- cominciò a gridare continuando a correre tra le auto e le persone.- Ti amo Janet!- continuò senza curarsi di ciò che accadeva attorno.
Janet si fermò e lentamente andò verso di lui. Aveva un’aria implorante e confusa. Sembrava lui stesso stupito di essere riuscito finalmente a dire quelle semplici ma significative parole.
- Ti amo dal primo istante in cui ti ho vista.- ripeté alla donna quando furono l'uno davanti all'altra su un marciapiede.
- Ma io non posso Harry.- fu la risposta di lei con gli occhi gonfi di lacrime.
- Perché? Cosa nascondi?
- Non doveva andare così. Non possiamo stare insieme, Harry...- continuò Janet.
- Non vedo il perché! Se c'è qualcosa che non va , dimmelo. Perché scappi e non mi dici niente di te? - domandò Harry accarezzandole il volto.
- Devo andare.
- No!
- Non posso dirti il perché.- rispose iniziando ad allontanarsi da lui. - Non mi crederesti mai...
- Aspetta Janet!- continuò Harry - Vuoi venire alla mostra dopodomani? Got tiene molto alla tua presenza e anche io ovviamente.- spiegò.
- Si, verrò. - rispose lei dopo qualche riflessione. - Forse così capirai perché la nostra storia non avrebbe senso.
Dopo quelle misteriose parole si allontanò ed Harry la perse tra la folla. Lui restò fermo su una panchina continuando a pensare quale segreto potesse avere Janet e soprattutto perché non potevano stare insieme. Neppure l'arrivo della pioggia lo fece alzare dalla panchina: non riusciva a capire il perché di tutti quei segreti e quelle bugie ed era rimasto come di pietra, incapace di reagire.

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassettesimo ***


CAPITOLO DICIASSETTESIMO

 

Fervevano incessanti gli ultimi preparativi dell'inaugurazione della galleria d'arte contemporanea con la mostra di opere d'artisti emergenti. Clark Got, con i suoi collaboratori, continuava a ripassare il discorso che avrebbe fatto ai visitatori, le donne delle pulizie si accertavano che fosse tutto a posto, la sorveglianza era già a tutti gli angoli della galleria e due uomini attendevano all'ingresso l'arrivo del pubblico per ritirare i biglietti. La visione della mostra avrebbe avuto inizio tra breve e già molte persone attendevano nell'atrio in cui il museo, in attesa che fosse tutto pronto, offriva gratuiti aperitivi e antipasti. Got si ritirò nel suo ufficio a fumare l'ultima sigaretta prima di cominciare.
- Perché ancora non arriva quel Clever! - disse tra sé e sé -”E' forse la migliore promessa tra tutti... - pensò.
- Desidera un caffè? - disse la sua assistente mentre ne stava già bevendo uno da un bicchierino di plastica.
- Ma sei matta! Dovresti saperlo che mi innervosisce paurosamente!- rispose Got nervoso.
- Sbaglio o dicevate che Clever è il migliore? - continuò la donna.
- Ma è scontato, lo seguo da più tempo...gli altri non hanno di che sperare. - rispose percorrendo su e giù tutta la stanza.
- Eppure mi pareva lo scoraggiasse...
- Adesso sta zitta, devo andare. - concluse buttando la cicca nel posacenere.
Poi si diresse all'atrio e vide, tra la gente, che alcuni artisti autori delle opere della mostra erano arrivati, ma non Harry. Per cercare di mascherare la tensione si unì alla gente a bere con loro gli aperitivi.
- Vedrete che sarà una bella mostra! - iniziò rivolgendosi a un gruppetto di ragazzi - Scommetto che piacerà anche a voi! - continuò dirigendosi verso alcuni anziani.
Mentre continuava a sfoggiare sorrisi forzati e a bere ogni tipo di bevanda, Got si accorse che poco più avanti, vicino l'ingresso, era giunto Clever col suo solito abbigliamento trasandato. Vi andò incontro e notò che appariva a disagio in mezzo a tutte quelle persone - Scusi il ritardo, ma Janet era indecisa sul venire sino all'ultimo momento. - si giustificò Harry.
- Peccato, speravo sarebbe venuta. - rispose ancora più nervoso Got.
- Come, non la riconoscete? E' lei la donna che ho ritratto! - disse il pittore indicandola alla sua sinistra.
- Quanto sei spiritoso Clever, deve essere il nervosismo a farti comportare in questo modo... - esclamò ridendo Got.
- Vuole dire che non le somiglia? Io credevo fosse identica... - rispose deluso Harry.
- Allora devi avere la febbre... - continuò spazientito Clark Got.
- Janet, di qualcosa anche tu! - disse il pittore iniziando a preoccuparsi.
- Adesso basta con questo scherzo, Clever! - urlò Got facendo girare tutti verso di Harry. - Non c'è proprio nessuno accanto a te!

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Capitolo 18
*** Capitolo diciottesimo ***


CAPITOLO DICIOTTESIMO

 

Sogno? Realtà? Harry non riusciva più a comprendere...Notò tutti gli sguardi su di lui ed era talmente confuso che non riusciva neanche a distinguere le parole dei commenti creatosi. Avvertì un capogiro, per poco non svenne e continuava a girargli  per la testa quella frase in continuazione:”Non c'è proprio nessuno accanto a te!”
La gente reagì in maniera diversa: qualcuno rideva, altri lo prendevano in giro, altri ancora mantennero le distanze da lui. Qualcuno continuava a bere e mangiare e bisbigliare l'uno con l'altro, proprio come era accaduto altre volte in cui era fuori con Janet. Got intanto distraeva la gente incoraggiandola ad entrare alla mostra che sarebbe iniziata tra meno di cinque minuti, alle 10:30. Janet si era allontanata dopo averlo guardato senza riuscire a dire una parola e lui era rimasto solo. Mancava così poco all'inizio della mostra, eppure non aveva alcuna voglia di presenziarvi anche se quasi certamente le sue opere avrebbero riscosso più successo delle altre. Ormai pensava solo a come spiegarsi lo strano accaduto: era mai possibile che Janet fosse solamente frutto della sua immaginazione? “Dovrò ricoverarmi in qualche clinica psichiatrica...”- disse tra sé e sé.
- Signori, accomodatevi prego: la mostra ha inizio. - disse improvvisamente Got cercando di nascondere il nervosismo.
Quando furono quasi tutti entrati, richiamò Harry per cercare di convincerlo a partecipare, ma quello parve irremovibile, sotto choc.
- Non fare l'idiota Clever, è il tuo momento! - gli urlò.
- Non è possibile, non posso crederci... - continuava a ripetere Harry con lo sguardo perso nel vuoto.
- Non so cosa ti sia preso, ma devi entrare! La gente aspetta che tu commenti le opere! - ribatté Got agitato - Potrebbe essere il momento che aspetti da una vita e vuoi buttarlo così!?
Ma Harry seguitava ad essere assente e disinteressato alle parole di Got.
- Sei ancora più sciocco di quanto credessi ... Cos'è, hai forse paura del successo? Sbloccati! - urlava ancora il committente.
Harry riuscì a concentrarsi finalmente sulle sue parole dopo che sentì la parola successo: forse davvero lo avrebbe raggiunto? Con grande forza di volontà si riprese rendendosi conto che senza di lui si stava svolgendo un evento importante.
- Grazie sig. Got per il vostro sostegno ed il vostro incoraggiamento. Sapevo che in fondo tenevate a me. - iniziò quasi emozionato - E scusate il mio comportamento. - concluse avviandosi in galleria.
- Bene, si comincia. - esclamò eccitato Got.
Appena varcata la soglia d'ingresso della galleria si sentì addosso tanti sguardi, tutta l'attenzione si era concentrata su quel Clever di cui aveva tanto parlato il direttore con - seppur contenuto - entusiasmo.
- Prego di scusare Harrison Clever. L'emozione a volte gioca brutti scherzi, lo ha un po' bloccato! - iniziò Got sorridendo - Ma adesso comincerà ad illustravi il significato delle sue creazioni. Prego, Clever. - lo presentò.
Davanti a quell'impaziente moltitudine gli mancarono le parole e il cuore sembrava volesse uscirgli dal petto. Aveva molta confusione in testa: mentre continuava a pensare Janet, pensava anche come impostare un discorso.
- Non ho né programmato né studiato bene cosa dire, quindi scusate l'imbarazzo. - iniziò accostandosi alla sua prima opera.
Got ebbe l'impressione che avesse cominciato male e riprese a mandar giù drinks.
- Innanzitutto, vorrei dirvi che secondo me l'artista è il mestiere più difficile che possa esistere al mondo. Deve sempre adeguarsi, rinnovarsi e non farsi sorpassare dagli altri; è sempre in mezzo a mille difficoltà e questo lo so bene perché l'ho vissuto, anzi, lo sto vivendo, sulla mia pelle. Oggi non vi chiedo di apprezzare le mie opere, ma di giudicarle come meglio crediate: per me essere qui è già un sogno. E non intendo stare qui a dirvi perché le ho fatte o cosa significhino per me: preferisco lasciarvi liberi di interpretarle. Comunque posso dirvi che la mia arte non ha uno scopo preciso, la faccio perché mi fa sentire bene e perché non potrei vivere senza. Ho sempre posto l'arte prima d'ogni altra cosa e questo ha comportato non poche incomprensioni familiari.- disse emozionandosi e notando che Got gli faceva cenno di stringere- La mia arte è pura, trasparente, è così come la vedete: non nasconde significati, codici o valori simbolici. E' solo espressione di un sincero sentimento, tutto qui. Vi ringrazio per l'attenzione e per essere venuti così numerosi alla mia prima mostra.- concluse ricevendo un grande applauso.

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannovesimo ***


CAPITOLO DICIANNOVESIMO

 

- Clever, non capisco proprio cos'hai oggi! - gli urlò Got, trascinandoselo nel suo studio dopo il discorso.
- Non capisco...cosa ho sbagliato? - rispose il pittore preoccupato.
- Non ti avevo detto di aprire a tutti il tuo cuore e di discutere della tua vita privata!
- Sono stato spontaneo e credo davvero che a quella gente comunque sia piaciuto! Cosa dovevo fare? Per me è già stata un' impresa superare lo choc di prima ed essere riuscito a parlare davanti a centinaia di persone!- rispose Harry innervosendosi.- Adesso devo andare.- riprese dopo una pausa, più calmo.
Poi bussarono insistentemente alla porta prima che la raggiungesse Harry. Got aprì e vi trovò la sua assistente sulla soglia.
- Cercano Clever.- disse semplicemente.
- Cercano Clever? - sbottò Got accendendo l'ennesima sigaretta.
- Si, per gli autografi.- rispose la donna.
Got scoppiò in una risata guardando ora Clever ora la segretaria gesticolando e spargendo fumo in tutta la stanza.
- Clever? - riprese continuando a sghignazzare - E chi sarà mai? Già lo cercano per il suo autografo...Te lo dico io chi è Clever.- proseguì più serio - In una parola? Un pazzo. Un pazzo che ha paura del successo, non sa il senso della sua arte e ha un'amica immaginaria! E la ama per di più!
Harry divenne più nervoso al pensiero di Janet e uscì fuori senza dire nulla. Gruppi numerosi di persone d'ogni età lo circondarono tenendo in mano carta e penna, ma lui sorpassò tutti senza guardare nessuno in faccia. Con passo deciso e incurante dei commenti attorno a lui sempre più fitti, uscì dalla galleria. Ma anche lì fu bloccato: all'ingresso sostavano alcuni giornalisti pronti a commentare la mostra e raccogliere il parere dei visitatori. I giornalisti non sapevano chi fosse Harrison Clever, ma avevano letto il suo nome in un cartello (insieme ad altri artisti) all'ingresso della mostra. Così fermarono proprio lui, credendo che fosse un visitatore, uscito stranamente per primo.
- Ci dica! Come è stata la mostra? - iniziò una donna puntandogli il microfono addosso alla sua destra.
- E quel certo Clever, che pareva fosse la migliore promessa, com'è? - continuò un altro giornalista della BBC.
- Credetemi: io sono proprio la persona meno adatta a cui potete chiederlo.- disse con tono sgarbato Harry cercando di sorpassarli.
Ma i giornalisti non smisero di fare domande a raffica in maniera asfissiante e Clever, pensando ancora a Janet ed accumulando tutta la rabbia che aveva dentro (nonostante le sue opere avessero riscosso un discreto successo) non riuscì a controllarsi ed alzò le mani a due di loro. Proprio in quell'istante, mentre si allontanava pentito della sua insolita reazione violenta, uscì fuori anche Got a cercarlo e vide i reporters a terra.
- Cosa è successo? - urlò mentre guardava sia verso i due uomini che verso Harry.
- E' stato quell'uomo! - disse uno indicando il pittore.- Lei sa chi è?
- E' Clever.- disse Got a denti stretti e con aria di disprezzo.

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Capitolo 20
*** Capitolo ventesimo ***


CAPITOLO VENTESIMO

 

Erano le 11:00 del 15 Novembre e mancava ancora un'ora al termine della mostra, così Got, nonostante Clever si fosse allontanato dopo aver aggredito i giornalisti, tornò alla galleria per la presentazione degli altri pittori. Harry, intanto, si era recato alla casa di Janet: dopo aver compreso che non esisteva, quella grande villa pareva ancora più abbandonata. Scrutando tra i pineti, nel giardino vide la fontana a cui Janet si era accostata posando per lui. Gli sembrava impossibile che tutti quei felici momenti passati con lei fossero stati solo immaginazioni. Aveva persino sentito il suo delicato profumo di vaniglia, sfiorato i suoi morbidi capelli e avvertito le sue gelide mani su di lui. Mentre continuava ad osservare la casa, passò di lì lo stesso signore distinto a cui due giorni prima aveva chiesto se conoscesse i Crossworth. Questo riconobbe Clever e si fermò vicino a lui guardandolo incuriosito mentre, piangendo, stringeva tra le mani le sbarre del cancello.
- Deve farsene una ragione. - gli disse l'uomo poggiandogli una mano sulla spalla.
Harry balzò in aria e si voltò asciugandosi il viso.
- Siete voi...
- I Crossworth non abitano più qui: ve l'ho già detto. - continuò quello.
- Lei non può capire perché sto piangendo.
- Li conosceva?
- Conosco Janet Crossworth.
- Vi ho anche detto che la figlia dei Crossworth è scomparsa qualche tempo fa, è impossibile ... A meno che ... potreste finire in tv se è vero, sa? - disse l'uomo cambiando tono e sorridendo stupito al pittore.
- Come? - si meravigliò Harry.
- I suoi genitori pare siano ancora vivi e non abbiano perso la speranza di ritrovarla ... La sua scomparsa è stato un noto fatto di cronaca quattro o cinque anni fa ... ma dopo, non se ne è più parlato. Dareste una gioia a quei poveri vecchi!
- Io non seguo molto la tv, non ne ho mai sentito parlare ... Ma c'è un “piccolo” problema.
- Quale?
- No, mi prendereste per pazzo...
- Mi dica!
- E' un'assurdità, mi creda ... - disse Harry iniziando ad allontanarsi.
- Sono uno psichiatra. Sono disposto ad ascoltarla. - disse l'uomo per fermare Harry.
Il pittore si arrestò e pensò potesse dargli una mano.
- Sul serio? - chiese un po' diffidente.
- Ovvio, non dico mai bugie. - lo rassicurò - Ma andiamo a casa mia: comincia a piovere. - propose aprendo l'ombrello e offrendo riparo anche ad Harry.
- La ringrazio.
- Diamoci del tu. Io sono Mattew. - si presentò mentre si dirigevano verso la sua auto.
- Harry. - rispose l'artista.
Poi salirono in macchina e dopo un tragitto di circa dieci minuti giunsero alla meta.

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Capitolo 21
*** Capitolo ventunesimo ***


CAPITOLO VENTUNESIMO

 

Anche Mattew era benestante come i Crossworth, ma a differenza di Janet lo ostentava in abiti, gesti ed arredi. La villa era immensa ed internamente tappezzata di quadri di valore, specchi con cornici in oro, moquette...Li accolse una domestica di colore e dopo, dal salotto, giunse la moglie dello psichiatra, una donna sui trentacinque o quarant'anni, di piccola statura ma graziosa.
- Ciao Mattew, vedo che sei in compagnia. - lo salutò guardando Harry.
- E' un ragazzo che forse toglierà un po' di polvere dal caso Crossworth, lo ricordi? - disse il marito.
- Crossworth, Crossworth...no, non mi dice nulla. - rispose con aria indifferente la donna - Come ti chiami? - continuò rivolgendosi ad Harry.
- Harrison Clever o, semplicemente, Harry, piacere.
- Bene, io sono Sonia. Non so di cosa vogliate parlare, ma vi lascio soli: stavo per uscire con delle amiche. A più tardi Mattew.
Dopo di che la donna prese una borsa, la pelliccia e se ne andò. Lo psichiatra ed Harry restarono nel salotto dopo aver bevuto un tè caldo al limone.
- Quindi, Harry, hai incontrato Janet? - iniziò Mattew.
- Si, ma...
- E quindi non è morta, come molti credevano...Beh, d'altronde la morte è l'ipotesi più plausibile dopo anni di scomparsa...Ma dimmi, dove l'hai incontrata?- continuò incuriosito incrociando le gambe.
- Questo non importa! Non è semplice come sembra. E' vero, l'ho incontrata, ma nessuno, a parte me, riesce a vederla!
Dopo quelle parole Mattew pensò subito di essere di fronte un caso clinico alquanto grave ma comune. Così decise di esporre ad Harry il suo parere, come faceva con ogni paziente.
- Harry, il tuo non è un problema inedito. Vedi, molte persone, ovviamente anche molto fantasiose e sole, come te, creano nella loro mente un' immagine ben precisa di qualcosa o qualcuno che vorrebbero. Certo, solitamente accade in età infantile di immaginare un amico o un compagno di giochi, magari dopo aver perso una persona importante, ma si verifica pure in età adulta talvolta. Hai subito un trauma? - chiese dopo l'esauriente e fredda spiegazione.
- Sapevo di non poterne parlare con nessuno, tanto meno con uno strizzacervelli! - si offese Harry - Non sono un pazzo visionario, Janet c'era davvero, lo so!
- Non devi impaurirti della tua natura. Hai questo problema? Tranquillo, basta che fissiamo degli appuntamenti. - continuò Mattew con tono professionale.
- Non ho bisogno di te. Io so la verità. - rispose Harry rimettendosi il cappotto - Io l'ho ritratta, lei esiste!
- Allora come ti spieghi il fatto che nessuno possa vederla?
- Questo non lo so. Anche io prima pensavo di averla solo immaginata, ma ora ...non so più cosa credere. - disse Harry rassegnato.
- Davvero? Allora come mai sino a un attimo fa eri convinto nel dire che Janet esiste? - insistette Mattew.
Harry non seppe come rispondere e fu assalito da una grande confusione mentale: tutto quel continuare a pensare, cercare una risposta logica e razionale a quel mistero gli fece girare la testa a tal punto da cadere a terra. Mattew fu subito pronto a sorreggerlo e lo chiamò più volte sentendo la pressione sanguigna del polso: era quasi nulla.

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Capitolo 22
*** Capitolo ventiduesimo ***


CAPITOLO VENTIDUESIMO

 

Un leggero fruscio gli invadeva le orecchie, davanti i suoi occhi un bianco purissimo, nessun suono intorno, nessun odore, né sensazione di freddo o caldo. Pace assoluta...Questo provò Harry. Poi una voce lontana chiamò dolcemente il suo nome.
- Janet! - la riconobbe - Ma dove sono, cosa è successo?
- Tranquillo Harry.- rispose la donna.
- Perché non ti riesco a vedere più neanche io?
- Sono proprio accanto a te. - rispose Janet sfiorandogli i capelli.
Adesso la vedeva: era bella come sempre, o forse di più, illuminata da una luce dorata.
- Siamo in paradiso? - chiese Harry stupito e preoccupato.
- No, Harry. Non è la tua ora. Sei solo svenuto.
- E tu, chi sei veramente?
- Posso dirti chi ero, cosa facevo, dove vivevo...Ma tutto questo ormai non conta più nulla. E tu non puoi amarmi.
- Come...Cosa? Ma... - disse Harry confuso.
- Adesso svegliati e va a goderti il successo.- continuò la donna allontanandosi in una bianca foschia.
Seguirono attimi di totale silenzio, che apparvero interminabili...poi, uno scossone: era Mattew che lo chiamava insieme alla moglie, che intanto si era ritirata.
- Hai chiamato un'ambulanza? - domandò quest'ultima al marito.
- No, non ancora...Però, aspetta! Il polso ha ripreso ad essere regolare! - disse lo psichiatra portando anche l'orecchio sul petto del pittore.
- Si sta svegliando! - esclamò la moglie sollevata - Pensa se fosse morto qui a casa nostra!- continuò a bassa voce.
- Devo andare!- disse Harry appena sveglio sollevandosi sulla schiena.
- Stai bene? - chiesero insieme i coniugi.
- E' tutto chiaro!- continuò il pittore - Non preoccupatevi più di me, so cosa fare.
Dopo quelle ambigue parole salutò i due ed uscì di corsa. La pioggia non era ancora cessata ma non rappresentò per Harry un ostacolo: corse verso la galleria di Got e vi arrivò intorno le 12:45 circa. Got era ancora lì insieme ai giornalisti e la conferenza stampa. Appena vide Clever, abbandonò gli intervistatori e lo guardò torvamente. Si avvicinò lesto verso di lui e lo fermò.
- Clever, che cosa è successo? - gli urlò.
- Sono andati via tutti? - chiese l'artista con fiato corto.
- Ovvio! Non hai visto che ore sono?
Solo allora Harry guardò il suo orologio: non pensava fosse tardi.
- Ma perché sei scappato dopo il discorso e hai aggredito i giornalisti?! Stavi forse conquistando inspiegabilmente il pubblico e ti sei già rovinato l'immagine! Adesso ti ricorderanno tutti così: “Clever, quel pazzo che ha picchiato due giornalisti!”- lo scoraggiò Got - Ascoltami: avrai anche un po' di talento, ma non sei tagliato per il successo. Cercati un lavoro e tieniti l'arte solo come hobby. Io ho chiuso con te!
- Sono desolato, Got.- disse Harry chinando il capo.
- Non mi importa, è troppo tardi. Hai bruciato una grande possibilità.- continuò duramente il gallerista - Non c'è ne sarà un'altra.
- Posso sapere almeno cosa pensano i critici delle mie opere?
Got apparve un po' più disteso e si sedette su uno sgabello vicino all'ingresso della galleria; Harry restò in piedi camminando nervosamente avanti e indietro.
- I visitatori erano circa centoventi, tra scolaresche, gente comune, critici d'arte e collezionisti. Uno di quest'ultimi pareva interessato ad avere uno dei tuoi quadri.- disse con il solito sguardo glaciale.
- Davvero? Quale? - chiese felice Harry.
- Uno in bianco e nero: lo ha trovato più espressivo degli altri. Ma avrebbe voluto parlare con te...poi sei scappato...e ha anche saputo che hai picchiato i due giornalisti.
Per il nervosismo Harry colpì il muro con un pugno.
- Quindi non lo compra? - domandò deluso.
- No, è contro la violenza e poi non gli piaceva così tanto...- rispose Got accorgendosi che gli vibrava il cellulare - Scusa, è una chiamata personale.- disse facendogli cenno di allontanarsi.
Clever andò verso fuori e Got rispose.
- Non è tornato Clever? - chiese un uomo dall'altra parte del telefono.
- No, ma mi ha chiamato dicendomi che potremo incontrarci domani qui.- rispose Got
- Allora posso pagare il quadro domani. Viene 600 sterline, giusto?
- Si, metà spetta a me e metà a Clever. E' una miseria, ma è il primo quadro...
Poi il collezionista restò in silenzio qualche secondo.
- Oh, no!- sbottò improvvisamente - Domani ho già un impegno, non posso proprio venire...
- Puoi passare oggi pomeriggio, darò io i soldi a Clever dopo.- rispose prontamente l'altro.
- Ok, allora sono da te verso le 18:00.- disse il collezionista chiudendo la chiamata.
Ma, se qualcuno avesse anche solo guardato il sorriso quasi maligno di Got, avrebbe capito che si sarebbe tenuto tutti i soldi, senza dire niente ad Harry. E qualcuno lo vide, la segretaria, ma conoscendolo, preferì non impicciarsi...

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Capitolo 23
*** Capitolo ventitresimo ***


CAPITOLO VENTITRESIMO

 

L'indomani di quella tanto attesa quanto particolare giornata, Clever, a sua insaputa, aveva conquistato pienamente la simpatia di un critico. Questo, un certo Trevor Smith, era più noto di quanto credesse Got e pubblicava spesso articoli su riviste e giornali, negli spazi dedicati all'arte. L'opera di Harry gli sembrò semplice ma innovativa: con pochi tratti e senza alcun colore trasmetteva serenità. Così decise anche quella volta di esprimere pubblicamente le sue impressioni riguardo il nuovo linguaggio pittorico dell'esordiente Clever. Quando uscì l'articolo sulla rivista “London news”, fu il 18 Novembre, tre giorni dopo la mostra. 
In quest'arco di tempo Harry pensò solo Janet, rendendosi finalmente conto della realtà con consapevolezza: era morta. E lui, forse per la sua particolare sensibilità, riusciva a vederla e a parlarle. Cercò di dimenticarla e riprendere la vita di sempre . Anche se da tre giorni non l'aveva più vista, non era però riuscito a dimenticare i suoi occhi. Tuttavia cercava di concentrarsi sull'arte: dipingeva ininterrottamente. La mattina del 18 Novembre, intorno alle 10:30 circa, Got rientrò in ufficio dopo aver acquistato proprio il “London news”, che era solito leggere. Si sedette sulla poltrona girevole e, accendendo una sigaretta, iniziò a leggere.
- Novità interessanti? - chiese la segretaria con aria annoiata.
- No, solite cose ... Il Chealse ha perso di nuovo, il tempo sarà ancora brutto.- rispose sfogliando distrattamente - Ma tu guarda ...! - sbottò d'improvviso scorgendo l'opera di  Clever nell'articolo di Smith nella pagina dell'arte.
Incuriosita, la segretaria si avvicinò, ma Got prontamente coprì la pagina con un quaderno fingendo che dovesse prendere un appunto. La donna capì che nascondeva qualcosa, ma non chiese nulla: era una persona piuttosto tranquilla e se notava che qualcosa poteva infastidire Got, preferiva evitarlo. 
Poco dopo squillò il telefono e rispose la segretaria.
- E' un certo Smith. - disse passando a Got il telefono.
Questo rispose uscendo in corridoio; dopo essersi salutati, il collezionista riprese a chiedergli di Clever.
- Non si terranno altre mostre con opere sue? - cominciò.
- Credo di si, ma sicuramente il mese prossimo. - rispose Got.
- L'artista non ha chiesto di incontrarmi? - continuò Smith.
- No, è molto impegnato per ora.
- Capisco. Informami, allora, quando si terrà la prossima esposizione.
- Contaci, ciao. - terminò Got.
Il gallerista tornò in ufficio e dopo aver sistemato alcune carte, gettò accartocciato nel cestino il “London news”. La segretaria capì che sul giornale doveva esserci qualcosa che Got non aveva gradito o che voleva nascondere. Così, spinta dalla curiosità, approfittò dei cinque minuti di pausa che Got si concedeva giornalmente per il caffè uscendo sulla terrazza con alcuni colleghi e prese il giornale dal cestino. Stando attenta che non rientrasse Got, lo riaprì e iniziò a sfogliarlo. Giunta alla pagina dedicata all'arte capì immediatamente il gesto di Got.
- “Innovativo e originale” - iniziò a leggere nella critica di Smith.
Ma la sua attenzione balzò subito al sottotitolo dell'articolo: “Venduto per 600 sterline primo quadro dell'esordiente Clever”. D'anima buona, istintivamente, la segretaria, indignata, decise di chiamare l'artista. Prese il suo cellulare, compose il numero di Harry copiandolo dalla rubrica di Got e uscì subito verso il bagno per non farsi scoprire.
- Chi è? - rispose il pittore dopo qualche secondo con tono speranzoso.
- Sono Hilary, la segretaria di Got. - si presentò velocemente.
- Ha notizie di qualcuno che vuole comprare miei quadri?
- No: di qualcuno che lo ha già fatto!
- Davvero? Quando? E perché Got non mi ha detto niente?
- Mi spiace ferirti, ma una volta scoperta la realtà, ho ritenuto opportuno dirla: Got ha venduto a un collezionista una tua opera di nascosto e ha tenuto tutti i soldi!
- Sei sicura? - chiese il pittore stupito e nervoso.
- Ho la prova tra le mie mani! - disse stringendo l'articolo che aveva ritagliato dal giornale prima di ributtarlo - Il collezionista, un certo Smith, ha pubblicato un articolo sul “London news” in cui dice di aver apprezzato una tua opera e di averla pagata 600 sterline!
- Got! Non lo credevo così meschino! - disse Harry con un tono tra il furioso e il deluso.
Ma sfortunatamente Got passava vicino al bagno e, anche per il particolare silenzio di quel momento, riuscì a sentire la voce della segretaria preoccupata. 
Bussò alla porta e la donna, chiudendo bruscamente la chiamata in corso, uscì con visibile tensione.
- C'è qualcosa che non va, Hilary? - domandò Got osservando la schermata del suo cellulare per vedere se compariva ancora il numero dell'ultima chiamata.
- No, signore. - rispose lei ponendo in tasca il telefonino.
Lo sguardo di Got la scrutò gelidamente per alcuni secondi, in silenzio. Hilary arrossì per l'imbarazzo e cercò di oltrepassare l'uomo. Quello la lasciò andare ma con rapidissimi ragionamenti, tutto gli fu chiaro: la donna mentiva e c'entrava Clever.

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Capitolo 24
*** Capitolo ventiquattresimo ***


CAPITOLO VENTIQUATTRESIMO

 

Hilary tornò nello studio cercando di mascherare l'ansia, anche se guardando Got capì che non l'aveva creduta.
- Scommetto che starà arrivando. - disse improvvisamente Got alla segretaria rompendo quel silenzio carico di tensione. Abilmente Hilary fuorviò l'argomento.
- Sì, penso che stia arrivando: è lunedì... - rispose tranquilla.
- Di chi parli?
- Del rifornitore delle macchinette: viene ogni lunedì. Così potrà prendere il suo caffè! - disse la donna accennando un sorriso forzato.
- L’ho già preso il caffè. E non è lunedì. - disse freddamente Got.
- No? Mi scusi, ho sbagliato. Di chi parlava allora?
- Lo sappiamo tutti e due, Hilary.
- Non capisco, signore.
- Nemmeno io capisco una cosa: perché hai scelto di farti licenziare dopo soli due anni!
- E d'accordo, lo confesso: ho detto la verità a Clever! Ho letto sul giornale l'articolo del critico Smith, perché mi sono incuriosita nel vedere che nascondevate qualcosa! - disse quasi con le lacrime agli occhi - Ma vi prego, non licenziatemi: ho una famiglia da mantenere!
- E' inutile implorarmi. Hai tradito la mia fiducia, credevo che avessi chiaro in mente qual è il tuo ruolo qui. Devi solo ricevere visitatori in caso mi assenti qualche minuto, appuntare le chiamate che mi interessano e scrivere i miei appuntamenti! - concluse arrabbiato.
- Ma vi scongiuro, l'ho fatto solo...
- Non intendo sentire giustificazioni. - la interruppe invitandola ad uscire dallo studio, senza il minimo risentimento.
Prima di andare Hilary sembrò inspiegabilmente più serena agli occhi di Got ed ebbe il coraggio di aprire ancora bocca. Alzò il capo con la schiena ben dritta.
- Accetto il licenziamento, anzi, sa cosa le dico? Che questo episodio mi è servito ad avere la conferma di quanto sia spregevole ed egoista e quindi non vedo un motivo valido per cui restare a lavorare per lei! Mi merito rispetto e da lei non si può avere che con le minacce e i ricatti, pertanto preferisco lavorare con persone civili! E in quanto a Clever, credo di aver capito perché lo disprezza tanto: perché lo invidia!
- Lo invidio? - la bloccò Got ridendo e cominciando a fumare.
- Si, vorrebbe saper dipingere come lui, per questo a volte lo incoraggia. Se davvero non tenesse a lui, non lo incoraggerebbe, ma è troppo orgoglioso per potere manifestare questa sua briciola di cuore!
- Ti ho licenziata esattamente due minuti e trenta secondi fa: da quel momento saresti dovuta uscire da questa stanza senza esitare! - continuò Got spingendola verso la porta.
La donna, senza neppure guardarlo, uscì raccogliendo la sua borsa e il suo cappotto. Appena varcata la soglia, le sembrò di avere ripreso a respirare dopo i lunghi minuti di tensione, simile a una perenne apnea. Fiera di ciò che aveva detto, abbandonò la galleria con passo deciso e soddisfatta d'essere riuscita finalmente ad esprimere tutto ciò che provava verso Got da tempo. Non aveva mai nemmeno immaginato di poter essere capace di farlo un giorno...
E mentre in quella parte della città un cuore traboccava di gioia, dall'altra, quello di Harry, diretto in bici verso Got, sembrava frantumarsi lentamente...

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Capitolo 25
*** Capitolo venticinquesimo ***


CAPITOLO VENTICINQUESIMO

 

Got si ritrovò solo nel suo studio, seduto coi gomiti poggiati alla scrivania e le mani sulla testa. Pensò a ciò che Hilary gli aveva detto e per un momento credette che avesse ragione. Non si era mai sentito così solo in vita sua: per la prima volta si era sentito dire di essere egoista e capì quanto fosse vero. Infondo, ripercorrendo la sua esistenza, ripensò che non si era mai sposato, che da anni non aveva accanto una donna, non faceva altro che accumulare soldi (spesso illecitamente) e lavorare. Questa riflessione fu interrotta solo mezz'ora dopo dall'arrivo di Harry. Questo, senza bussare, spalancò energicamente la porta e si piombò dinanzi Got. Aveva lo sguardo di un pazzo e tremava per il nervosismo. Got riassunse la sua solita espressione severa.
- Perché lo ha fatto? - gli urlò Harry.
- Per punirti, Clever.
- Punirmi di cosa?
- Del tuo comportamento tenuto alla mostra. Un'artista che tenta d'avviarsi al successo non può permettersi di fare aspettare il pubblico o aggredire la gente!
- Ma non poteva almeno dirmi che l'opera era stata venduta? Non mi importano i soldi, continuerò a vivere come ho sempre fatto, con tanti lavoretti!
- Davvero? Vuoi dirmi che non ti interessano i soldi? Voglio verificarlo subito ... - si fermò cominciando a cercare qualcosa tra le carpette. - Giorni fa, la Tate Gallery, è stata contattata dalla New York High Accademy, la conosci? - continuò Got dandogli un volantino sull'Accademia.
- Sì, esattamente. E' una delle accademie più prestigiose degli USA. Perché?
- Ecco vedi, il prossimo 18 Dicembre, in occasione del suo 30° anniversario, offre un'opportunità unica ai pittori e agli scultori emergenti: avranno l'occasione di tenere una conferenza con i suoi fondatori, eredi di artisti americani famosi ( Warhol, per farti un'idea), durante la quale esporranno le loro opere. Nella maggior parte dei casi l' High Accademy si trasforma in una galleria, in cui i nuovi linguaggi artistici proposti riscuotono solitamente successo in America. Potremmo definirlo un trampolino di lancio ... Ma questo salto costa. L'Accademia richiede diversi soldi per l'ingresso alla galleria, necessari a garantirne le sue spese. Metti anche il viaggio: è una bella cifra!
- E quindi?
- Se ti presentassi una speciale occasione come questa, che non puoi permetterti economicamente ... mi diresti ancora che non ti importano i soldi? - disse mostrando ad Harry diverse banconote.
- Vuole offrirmi i suoi soldi per andare all' High Accademy di New York? - disse Harry con disprezzo - Non accetterei mai i soldi di un traditore! E poi non vedo perché andarci, visto che mi dite sempre che non ho speranze!
- Per due motivi: perché infondo il tuo stile potrebbe piacere, visto che già alla tua prima mostra è stata acquistata un'opera. e perché in America non ti conosce nessuno e quindi non sanno della tua reputazione.
- Vuole dirmi che qui, a Londra, non ho più un futuro? - chiese preoccupato Clever.
- Centinaia di persone, tra cui giornalisti, hanno assistito alla tua follia durante la mostra. Quindi già mezza Londra sa di te, ogni giornale sbatterà in prima pagina articoli in cui si parlerà della tua aggressività ... Credimi, non hai alcuna speranza.
Harry si lasciò cadere su una sedia girevole e pensò all'allettante proposta di Got.
- Anche se volessi andare a New York con i tuoi soldi, dovresti lavorare così tanto che entro Dicembre non ci arriveresti.
- Dovrà pure avere un suo tornaconto, lei non fa niente per niente! Cosa ottiene in cambio? O forse spera che fallisca per rimproverarmi l'ennesimo sbaglio?
- Te l'ho detto Clever: è per verificare se davvero non ti importa il denaro.
- Ma in questo caso mette in gioco l'arte, la cosa più importante della mia vita! Non può confondere il mio interesse per l'arte con queste banconote! - disse Harry guardandole tuttavia affascinato.
Got colse in quell'istante nel volto dell'artista il desiderio di cedere alla tentazione. Sembrava avere lo straordinario potere di cogliere nel viso degli altri ogni lieve mutamento, leggerli quasi nel pensiero. Improvvisamente scoppiò in una fragorosa risata, continuando a guardare Harry che era rimasto a riflettere.
- Lo sapevo! - gridò Got - Anche gli artisti che come te si autodefiniscono dall'animo nobile, alla fine sono comuni materialisti!

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Capitolo 26
*** Capitolo ventiseiesimo ***


CAPITOLO VENTISEIESIMO

 

Harry rifletteva sul giudizio di Got e non riusciva a credere che fosse realmente finita la sua carriera, appena iniziata, a Londra. Avrebbe dovuto cedere alla tentazione di Got? Infondo non avrebbe voluto perdere quell'occasione, ma non voleva neppure accettare il denaro da un traditore. E soprattutto continuava a chiedersi che vantaggio avrebbe tratto Got.
- Vuoi ancora pensarci? - lo distolse Got - Non accetti?
- No. - rispose deciso dopo una breve esitazione.
- Oh, sei il primo uomo che abbia mai conosciuto a rifiutare così facilmente a tanti soldi.- disse Got riponendo in una busta la somma.
- Se deciderò di andarci lo farò con i miei soldi. A costo che debba lavorare tutto il giorno! - continuò Harry avviandosi verso l'uscita della stanza.
- Addio, allora. - lo bloccò Got severamente - Non lavoreremo più insieme.
- Non abbiamo mai lavorato insieme. Ho sempre fatto ciò che voleva e si è tenuto tutti i soldi per sé! Non mi pare lavorare insieme questo! - rispose respingendo la pressione della mano di Got sulla sua spalla.
- Due addii in un solo giorno, nella stessa ora! Sappi che non mi dispiace affatto non seguirti più: odio i fessi come te!
- Sarò anche fesso, ma ho la coscienza pulita! E poi perdendo lei non sono finito, ho la mia arte!
- E la tua amichetta immaginaria! - rise Got.
Harry sbiancò e restò zitto, immobile. Appena ricordata Janet, gli tornarono in mente i momenti felici passati con lei. Immaginandola ormai come una sorta di angelo custode si domandava perché lo avesse abbandonato, proprio adesso che era in crisi e sentiva il bisogno di averla vicino.
- La pensi ancora, non è così?
Prima che Harry potesse aprire bocca, qualcuno bussò alla porta. Era un ragazzo che puntualmente portava a Got l' “Art week”, rivista che era solito leggere.
- Oh, grazie. - gli disse offrendogli pochi spicci di mancia.
- Non ci posso credere!- esclamò Harry non appena vista una sua foto in prima pagina - Sono proprio io! - continuò avvicinandosi con impeto.
Ma la sua iniziale espressione di serenità si tramutò presto in delusione.
- “Clever: pazzo, visionario e aggressivo”- lesse nel sottotitolo in neretto.
- E' questo che ormai tutti pensano di te. Te l'ho detto. - disse Got accendendo una sigaretta.
Senza aggiungere altro, Harry uscì dalla stanza, continuando ad avere impresse nella mente quelle parole. Appena in strada, ebbe paura che qualcuno lo riconoscesse e camminò col capo chino velocemente. Sul suo stesso marciapiede, passò Tracy, l'amica di sua sorella, che però conosceva solo di nome. La donna ebbe l'impressione che stesse vagabondando e provò quasi pena per lui. Però non gli disse niente, consapevole dei suoi scatti d'ira improvvisi. Tuttavia non riuscì a non chiamare Meredith, che le aveva ricordato di avvisarla se avesse notato nel fratello qualcosa di strano o preoccupante. Non appena sedutasi in una panchina chiamò l'amica, che rispose dopo qualche secondo con poco entusiasmo.
- Cosa c'è, qualcosa non va? - chiese Tracy.
- Io e Jake abbiamo litigato.
- Non è in casa?
- No, come al solito. - rispose seccata Meredith.
- Allora svelta, dimmi tutto.
- No, dimmi prima tu, perchè mi hai chiamata?
- Si tratta di Harry, è molto giù e ... è su tutti i giornali di questa settimana.
- E perchè è giù? - chiese Meredith pensando che fosse diventato famoso.
- Perché ha ricevuto una critica negativa alla sua prima mostra. Ma non per i quadri, per il suo comportamento.
- Cosa ha fatto? - si preoccupò la donna.
- Io non ero presente, ma si dice che abbia aggredito due giornalisti e parlato con un'amica immaginaria!
- Cosa? Non è possibile, stai scherzando?
- Non potrei mai e lo sai! Mi dispiace darti preoccupazioni, ma mi hai chiesto di tenerti informata ...
- No, figurati, dovevi. Vedrò di tornare il prima possibile. Inoltre con Jake non va per niente bene ... - disse Meredith seccata e preoccupata.
- Cosa è successo, non siete felici insieme?
- Diciamo che mi ero illusa fosse perfetto, l'uomo della mia vita. E' spesso fuori per lavoro e non gli piacciono affatto i bambini, mentre io pensavo di crearmi una famiglia...
- Forse vi siete sposati troppo in fretta, senza conoscervi a fondo. Ma avete provato a chiarirvi? - domandò Tracy con sentito interesse verso l'amica.
- E' come parlare ad un muro. E anche Harry è una causa dei nostri litigi. Gli ho detto che se avesse avuto problemi lo avrei raggiunto per stargli vicino, perchè sono l'unica sua parente. Jake però sembra addirittura geloso di mio fratello, è assurdo ed egoista!
- Allora lo lasci?
- Non so, gli chiederò di prenderci una pausa ... Spero di arrivare a Londra entro questa settimana.
- Ok, allora ci vediamo.- la salutò Tracy.
- Ciao e grazie! - rispose Meredith chiudendo la chiamata.

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Capitolo 27
*** Capitolo ventisettesimo ***


CAPITOLO VENTISETTESIMO

 

Arrivato a casa, Harry ebbe l'impressione che ogni suo tentativo verso il successo fosse sempre stato vano. Forse Got non era mai stato il committente adatto, il suo sogno era destinato a restare tale e Janet era sicuramente la donna più sbagliata di cui avrebbe potuto innamorarsi. Insomma, abbandonato alla disperazione, in preda ai nervi, Harry si convinse che in tutta la sua vita non aveva mai fatto una scelta giusta. Cominciava seriamente a pensare di voler cambiare vita, ricominciare da capo. Ma da dove? Cosa fare? Inoltre si sentiva tremendamente solo: anche se spiacevoli, gli incontri con Got gli consentivano almeno scambi d'opinioni ed era una delle poche persone con cui parlasse. Ora che si era staccato da lui, non aveva davvero nessuno con cui parlare: la sorella non si sentiva da settimane, Janet era ( nuovamente) scomparsa, Owen morto...Era solo con la sua arte, proprio come aveva detto a Got. Già, ma cosa se ne faceva? I continui dispiaceri gli avevano anche portato via l'ispirazione, il desiderio di esporsi a un pubblico, soprattutto se numeroso e pronto ad attribuirgli delle etichette negative a prima impressione. La disperazione e la rassegnazione erano riuscite a soffocare il suo desiderio di diventare un pittore affermato. In passato, seppur con difficoltà, aveva sempre trovato la forza per rialzarsi ed affrontare ogni nuova sfida a testa alta, scostando da sé pregiudizi e avversità. Questa volta però non ce la faceva perchè aveva, oltre il timore di non riuscire a sfondare, anche la certezza che il suo futuro da pittore a Londra era un'utopia.
Non aveva neppure voglia di uscire di casa perchè il suo volto, ormai semi noto, poteva attrarre occhiatacce e commenti negativi. Con questo stato d'animo trascorse tre giorni, in assoluta solitudine, estraneo al mondo circostante, ignorando ogni telefonata.
Ad interrompere questa quiete quasi surreale fu un'inaspettata visita: quella di Meredith, alle 10:00 del mattino del 21 Novembre.
- Mery! - la accolse con commozione gettandosi fra le sue braccia.
- Harry, ma cosa è successo? - rispose lei, lasciando cadere le valigie per terra.
- Cosa ci fai qui? - continuò Harry chiudendo la porta - E dov'è Jake?
- Questo non importa, rispondimi!
Harry prima di rivolgersi alla sorella cercò di sollevare i suoi bagagli per riporli nella stanza da letto, ma si sentì mancare le forze e gli ricaddero. Meredith lo aiutò subito e notò solo allora quanto il suo fisico fosse debole e il suo volto pallido.
- Non ti trovo affatto bene Harry, vuoi che ti porti in ospedale? - chiese la donna preoccupata.
- Non c'è bisogno, tranquilla...Nessuna cura può guarire il mio stato di malessere. - rispose chinando il capo.
Meredith capì che non si trattava di un malessere fisico e pensò a ciò che l'amica le aveva riferito per telefono.
- Ascoltami Harry - cominciò invitandolo a sedersi accanto a lei sul divano - Non puoi incentrare la tua vita interamente sull'arte, come vedi non ha dato buoni frutti...Quindi ti consiglio di cercare nuovi interessi, non puoi continuare ad autodistruggerti!
- Chi ti ha detto del fallimento della mostra?
- Tracy. Le avevo chiesto di tenermi informata su di te quando era lontana, avevo il diritto di saperlo!
- Cos'altro ti ha riferito quella spia? - chiese Harry un po' nervoso.
- Non è una spia, solo una buona amica!
- Rispondi Mery!
- Mi ha anche detto che ti hanno preso per pazzo perchè alla mostra eri convinto che accanto a te ci fosse la tua modella...immaginaria. Questa cosa mi ha fatto venire i brividi, credimi, non immaginavo soffrissi a tal punto di solitudine da crearti addirittura delle compagnie di tua fantasia!
- Nemmeno tu mi credi?
- Credere cosa?
- Non era una mia immaginazione, Janet era reale!
- Mi stai facendo paura, Harry!
- Ma è la verità, credimi almeno tu! - la scongiurò alzando la voce.
- Mi spiace, ma non posso. Sono tornata qui solo per starti vicino e ho anche rinunciato al mio matrimonio!
- Vorresti dire che avete chiuso per colpa mia? Ho capito dal primo giorno in cui vi ho visti insieme che tra voi non poteva funzionare! - gridò cominciando ad aprire una bottiglia di gin.
- Da quando tu bevi? - si preoccupò la sorella.
Ma Harry non rispose e andò verso la sua stanza. Meredith si chiese se aveva fatto bene a lasciare Jake per il fratello, ma pensò che anche quando si era allontanata da questo si era chiesta se fosse giusto. Era tremendamente confusa e non riconosceva più Harry, aveva sensi di colpa, ripensamenti. 
Poi, mentre Harry riprese a dipingere con la solita musica di sottofondo, quella dei Beatles , le apparve qualcosa di straordinario davanti agli occhi...

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Capitolo 28
*** Capitolo ventottesimo ***


CAPITOLO VENTOTTESIMO

 

- Harry è una persona speciale, non voglio che lo lasci solo. Per questo ho deciso di darti la possibilità di vedermi.
Quel volto angelico e sincero e quel tono di voce pacato avevano come immobilizzato Meredith. Non riusciva a comprendere se la persona che le stava parlando fosse reale. Spaventata, indietreggiò e si lasciò cadere sul divano.
- Non devi avere paura di me. Sono Janet e sono qui solo per dirti di aiutare Harrison.
- Non ci posso credere, mi sono fatta suggestionare da Harry! Tu non ci sei, ti sto immaginando, sparisci! - gridò chiudendo gli occhi.
In quel momento arrivò Harry, trovando la sorella che tremava come una foglia, sul divano.
- L'hai vista anche tu! - esclamò felice il pittore.
- Non è reale, non è reale... - continuava a ripetere Mery impaurita.
Janet intanto iniziava a scomparire, ma prima che fosse del tutto invisibile Harry la raggiunse con le lacrime agli occhi per la gioia.
- Allora non te ne sei andata, sei sempre accanto a me! - disse Harry accarezzandole il volto.
- Si, Harrison.
- Anche tu mi ami, non è così?
- Non posso amarti e neanche tu puoi amare me. Sono venuta per fare in modo che tua sorella non ti lasci solo.
- Chi sei? - li interruppe Meredith ancora scioccata.
- Janet Crossworth, ma sarebbe meglio dire chi ero.
- Insomma saresti un, un ... fantasma? - continuò Mery sempre più incredula.
- Si. - rispose semplicemente Janet con un velo di tristezza.
- Ma perché hai rovinato la vita di mio fratello, cosa vuoi da lui!? - urlò la donna spaventata.
- Io ho solo il compito di proteggerlo, ma purtroppo lui si è innamorato di me ed è andato tutto storto. Non sarebbe dovuto succedere.
- E allora vattene, sparisci! Lo proteggerò io!
- E' quello che intendo fare. Sono qui anche per salutarti, Harry: addio! - concluse Janet senza far trasparire alcuna emozione.
- No, aspetta! - la chiamò Harry - Non potrò più rivederti? Non potrò mai sapere chi eri, come sei scomparsa?
- Questo non ha più importanza. - concluse Janet sparendo del tutto.
Harry si piegò sul pavimento piangendo, mentre sua sorella restò immobile con lo sguardo fisso dove era scomparsa quella strana donna. Rialzando il capo,Harry si accorse che per terra al posto di Janet era rimasta una chiave. Immediatamente la prese tra le mani e comprese che doveva averla lasciata quell'angelo incantevole, perchè non l'aveva mai vista prima.
- Meredith! - chiamò Harry alzandosi - Meredith! - continuò scuotendola.
- Cosa? - rispose quella ancora scioccata.
- Guarda, l'ha lasciata Janet. - disse incredulo Harry - Forse vuole dirci qualcosa!
- Ma Harry, dimenticala, basta! Non tornerà...
- Magari è di casa sua! - esclamò il pittore dirigendosi verso l'appendiabiti.
- Harry, che vuoi fare?
- Devo andarci, è sicuramente la chiave di casa sua! - continuò il fratello indossando un lungo cappotto sopra il pigiama.
- Dove vuoi andare? - chiese ancora Meredith preoccupata.
- Se vuoi, seguimi! - rispose velocemente Harry varcando la soglia della porta d'ingresso.
Meredith, pur senza comprendere, istintivamente lo seguì per paura che potesse succedergli qualcosa. Tra l'altro, era tornata per stargli accanto e ora avrebbe continuato a farlo, anche se le sembrava di essere in un inspiegabile sogno. Rapidamente salirono entrambi sulla bici di lui e si introdussero dapprima presso stretti viali, scorciatoie che Harry aveva imparato per raggiungere più facilmente la casa di Janet, e dopo in dintorni signorili e alberati. Intorno alle 11:30 arrivarono all'imponente residenza che un tempo apparteneva ai Crossworth.

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Capitolo 29
*** Capitolo ventinovesimo ***


CAPITOLO VENTINOVESIMO

 

Il tempo in quella smisurata area pianeggiante si era come fermato. Meredith non ricordava di averla mai vista e ne rimase incantata. Harry accostò la bici al muretto vicino il cancello, che era rimasto aperto.
- E' qui che ti ha portato Janet? - chiese Meredith sfiorando i rampicanti secchi intrecciati al cancello.
- Si, ed è in questo giardino che le ho fatto il ritratto migliore.
- Vuoi davvero provare ad entrare in questa casa abbandonata? - continuò la sorella, intimorita.
- Sono quasi certo che ci troveremo delle risposte, non so perchè. - rispose Harry stringendo forte a sè la chiave.
Poi spostò in avanti il pesante cancello cigolante e insieme alla sorella mise piede nell'immenso giardino. Rivisse i bei momenti passati quel pomeriggio con Janet e con passo veloce si diresse verso i pochi gradini che conducevano all'ingresso della villa, esternamente rivestita in pietra.
- Aspetta! - lo fermò Meredith - Possiamo ancora andare via di qui, dimentichiamo questa storia!
- Perché? La chiave appartiene a questa porta! - esclamò contento Harry.
- Non lo so, mi inquieta questo posto ... Ed è tutto troppo assurdo. Torniamo a casa.
- Non eri obbligata a seguirmi. Io ho deciso di entrare: se tu non vuoi, aspettami fuori. - disse Harry mettendo la chiave nella serratura.
Non appena la girò, la porta si aprì sollevando della polvere. La luce immediatamente penetrò, dopo chissà quanto tempo, all'interno della casa illuminando il vasto salotto all' atrio.
- Non ci posso credere! - esclamò sempre più emozionata Meredith - Un fantasma ci ha dato la chiave della sua casa ... Come hai fatto a sapere che questa chiave ci avrebbe permesso di entrare qui?
Harry si limitò a stringersi nelle spalle e, con il cuore che gli batteva fortissimo sino alla gola, iniziò ad esplorare quel mondo sul quale da tempo si poneva diversi interrogativi.
- E' grandissima! - esclamò Meredith seguendolo a piccoli passi - Dove credi di trovare queste risposte?
- Non lo so, però ... aspetta, su questa parete c'è un calendario. - esclamò il pittore avvicinandovisi - E' fermo al 1995, Novembre 1995.
- Quindi l'ultima volta questa casa è stata abitata circa cinque anni fa ... - suppose Meredith guardandosi intorno.
- Così sembra... - la seguì Harry accostandosi alle scale in fondo alla stanza che conducevano al piano superiore - Le stanze da letto dovranno essere sopra: magari in quella di Janet troverò qualcosa.
Harry era sempre più impaziente ed emozionato. Era anche felice di aver ottenuto la complicità della sorella. L'idea di entrare nella camera di una ragazza (anche se non più in vita) quasi lo imbarazzava. Inoltre era la prima volta che accedeva alla stanza di una donna, eccetto che in quella di sua sorella, ovviamente, e si sentiva un po' un intruso.

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Capitolo 30
*** Capitolo trentesimo ***


CAPITOLO TRENTESIMO

 

- L'hai trovata? - domandò Meredith arrivando anche lei sopra.
- Ho visto la prima stanza sulla destra, ma c'è un letto matrimoniale, quindi credo sia quella dei suoi genitori.- rispose Harry.
- Sei sicuro che Janet non fosse sposata?
- Non le ho mai visto la fede al dito.
- Però forse potrebbe esserci qualche risposta anche in questa stanza.- disse Meredith entrandovi.
- Forse, ma io voglio vedere la stanza di Janet.- rispose Harry andando verso l'ultima porta in fondo al corridoio.
La aprì: era semilluminata, con pareti color ocra, un letto sulla destra con una coperta merlettata. Immediatamente la sua vista gli fu attirata da un diario sopra il comodino.
La sua naturale discrezione gli disse di non aprirlo. “Ma dal momento in cui mi ha dato la chiave...”- pensò - ...magari ho il diritto di leggere il suo diario, forse qui dentro ci sono le risposte che cerco...” 
Meredith, intanto, “esplorava” la stanza da letto dei signori Crossworth: era spaziosa, con arredo antico, tende e tappeti preziosi...
- Come ho potuto convincermi ad entrare... - disse tra sé e sé Meredith - Mi sento una ladra...
Harry smise di essere indeciso: scostò le tende di raso bianco dalla finestra e prese il diario per leggerlo. Andò subito all'ultima pagina per sapere quando per l'ultima volta Janet vi avesse scritto: la data era il 21 Novembre 1995, esattamente quattro anni prima. “Incredibile”, pensò. Così iniziò a leggere la pagina.

“Oggi ho deciso che dirò tutto a papà e mamma, anche se so che non capiranno. Devo dare una svolta alla mia vita, non posso continuare a restare chiusa qui dentro. Mi sembra di non riuscire a respirare! Comincio ad odiare ogni singolo metro quadro di questa casa, mi sento schiacciata tra le mura...Quando sapranno che voglio andarmene so già come reagiranno, ma io devo uscire: fuori c'è un mondo migliore. Lo psichiatra arriverà domani a prenderli e, anche se a malincuore, dovrò dirgli addio. Così forse potrò esercitare anche al di fuori di questa prigione la mia passione: la pittura.
- Anche lei dipingeva!- esclamò stupito Harry - Allora per questo ci teneva così tanto al mio futuro da pittore!
La pagina si concludeva lì, dopo quelle poche ma schiette righe. Ad Harry era chiaro: Janet era vittima della malattia mentale dei suoi genitori che la costringevano a stare chiusa in casa. Poi lo raggiunse la sorella.
- Ma non mi è ancora chiaro come è morta!- disse a Meredith dopo averle fatto leggere il diario.
- Forse l'hanno uccisa i suoi genitori quando ha tentato di scappare.- suppose la donna rabbrividendo - Magari proprio qui!- continuò guardandosi intorno con terrore.
- Sarebbe terribile, ma è probabile. Infatti il suo fantasma non è più in questa casa perché con la morte si è finalmente liberata dalla prigionia!
- Ma se la sua anima è libera, allora il suo corpo... - esclamò tremando Meredith.
- Sarà ancora qui, da qualche parte.- ipotizzò tristemente Harry.- Ma non voglio scoprire dove...
Meredith visse durante quel dialogo puro terrore, immaginò come sarebbe potuto avvenire l'omicidio, le vennero alla mente immagini raccapriccianti: Janet che fuggiva da una stanza all'altra, i suoi che la inseguivano armati, sangue...
- Basta!- sbottò improvvisamente in preda al panico.
- Tranquilla, adesso andiamo.- la rassicurò Harry comprendendo di aver coinvolto abbastanza sua sorella in quella storia.
Dette quelle parole, decise di uscire dalla stanza e, non appena anche fuori dalla casa,ebbe l'impressione di essersi tolto un peso: finalmente sapeva, quasi certamente, cosa era successo a Janet. Prima di andare a casa, restò seduto in giardino con Meredith su una panchina.
- Sono certo che Meredith mi ha dato la chiave per liberarla.- sospirò Harry volgendo lo sguardo verso il cielo.
- Come? - domandò la sorella che era soprappensiero.
- Voglio dire che, dopo la morte, Janet si è liberata ed è potuta uscire dalla casa anche se il suo corpo è rimasto in casa. Però non era ancora potuta andare in cielo perché non si era fatta luce sulla sua scomparsa, perciò ha chiesto aiuto a me dandomi la chiave in modo che potessi leggere il suo diario - rispose con convinzione Harry - Ora capisco perché non mi parlava mai dei suoi genitori e non voleva che entrassi a casa sua... - continuò - E capisco anche l'avvertimento di Owen... - proseguì a bassa voce senza che la sorella lo sentisse.
- E i suoi genitori che fine avranno fatto? - si chiese Meredith, ormai addentrata nella vicenda dopo la spiegazione persuasiva di Harry.
- Saranno scappati, magari pentiti dell'omicidio e poi hanno fatto credere che la figlia è scomparsa. Tempo fa ho parlato di questo caso con un certo Mattew, che abita qui vicino: mi ha detto che i signori Crossworth hanno lasciato questa casa dopo la scomparsa di Janet. Poi però ha anche detto che probabilmente, seppur anziani, saranno ancora vivi e decisi a ritrovare la figlia. Una copertura, insomma...
- Certo, non potremo mica raccontarlo ai giornali, anche se risolveremo un fatto di cronaca chiuso da anni...
- Non possiamo dire di aver incontrato il fantasma di Janet e di avere avuto da lei la chiave grazie alla quale abbiamo avuto delle risposte, ci prenderebbero per pazzi ... La mia reputazione è già abbastanza discutibile. In fondo quello che mi importa è di essere riuscito a dimostrare che Janet non era una mia immaginazione.
- Ma per essere libera di andare in cielo, come dici tu, la verità sulla sua scomparsa non si dovrà sapere? O basta che la sappiamo solo noi due? - domandò perplessa Meredith.
- Non saprei, io spero che basti. D'altronde mi ha detto addio, chissà ... sarà già da qualche parte lassù.- esclamò Harry guardando di nuovo il cielo.
Rimase qualche secondo a fissare le nuvole e fra queste immaginò il volto angelico di Janet, sorprendentemente sereno. Meredith guardò a sua volta.
- La ami ancora?- chiese al fratello all'improvviso.
Harry non rispose e si alzò sospirando.
- Andiamo? - disse guardando il suo orologio da polso - Si è fatto tardi, è quasi l'una. Non pensavo fosse passato tutto questo tempo...
Meredith comprese che doveva provare ancora qualcosa per Janet, così preferì tacere e insieme al fratello si incamminò verso il cancello per uscire. Ma poi Harry...

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Capitolo 31
*** Capitolo trentunesimo ***


CAPITOLO TRENTUNESIMO

 

Una volta fuori, un passo indietro, poi un altro e un altro ancora. Harry rientrò in giardino e sul suo volto si dipinse una profonda commozione. Senza badare all'insistente invito della sorella ad uscire nuovamente, con passo deciso, rientrò in casa e Meredith lo seguì preoccupata.
- Non vorrai cercare il suo corpo? - chiese impaurita.
- No, i suoi disegni. Devono essere qui, no?
- E se i suoi genitori li hanno buttati, dopo averla uccisa?
- Io voglio cercarli comunque. Deve aver dipinto molto ... stando sempre chiusa qui dentro, probabilmente sarà stato il suo unico sfogo.
Detto ciò, rientrò nella stanza di Janet e iniziò a cercare dentro i cassetti dell'armadio e in quelli della scrivania.
- Ma cosa vorresti farne? - domandò Meredith guardandolo ma senza dargli una mano.
- Ho intenzione di farli conoscere ... - rispose Harry aprendo l'ennesimo cassetto.
- A chi?
Ma il fratello non rispose e rimase intento nella ricerca. Meredith lo fissava senza comprendere.
- Non vorrai mica fingere che siano tuoi? - esclamò sperando di sbagliarsi.
Harry si fermò e si mostrò deluso. “Come puoi pensarlo?”, sembrò dirle solo con lo sguardo. La donna allora restò muta e si sedette sul letto.
- Magari ... - disse tra sé e sé Harry alzando il copriletto - Ecco, una carpetta!- esclamò emozionato tirandola da sotto il letto.
Meredith si alzò di scatto e la guardò insieme al fratello alla luce. Harry, con mano tremante, la aprì e vi trovò diversi fogli di media grandezza. La maggior parte dei disegni erano bozzetti, schizzi del giardino, l'unico paesaggio che vedeva la donna. 
Altri erano semplicemente coperti di linee che però lasciavano comprendere con che stato d'animo le avesse tracciate: solcavano il foglio, lo bucavano quasi, ed erano tutte nere.
- Le avrà fatte per il nervosismo.- commentò Harry sfiorando uno dei fogli - Povera Janet...
- Guarda questi!- disse Meredith scorgendone altri in fondo alla carpetta - Sono dei suoi autoritratti!
- Era bravissima!- esclamò Harry con le lacrime agli occhi - Un vero peccato che il suo sia rimasto solo un talento nascosto, non trovi? Per questo ho deciso di esporli ...
- Esporli? Dove?- domandò stupita Meredith.
- Insieme ai miei. Voglio andare a New York.- rispose semplicemente.
- Come? In America...? - continuò la sorella sempre più incredula.
- Ti spiegherò tutto a casa.- disse Harry richiudendo la carpetta.
Così uscirono nuovamente dalla villa. Harry richiuse la porta e conservò la chiave nella tasca del cappotto.
- Ma come li porteremo? Siamo in bici ... - commentò Meredith ricordando al fratello la grande dimensione della carpetta.
- Io vado a casa in bici, tu prendi un taxi e li porti con te. Fai molta attenzione però che non si rovinino.- rispose Harry montando sulla bicicletta.
E così fecero. Meredith, una volta in taxi e in mezzo al traffico londinese, ebbe come l'impressione d'essere ritornata alla realtà. Le sembrò d'essersi svegliata da un incubo, ma comprese che quell'incredibile vicenda era stata vera vedendo accanto a sé la carpetta. Era ancora terrorizzata e il conducente se ne accorse quando tremante gli riferì l'indirizzo. 
Il suo volto era pallido, le unghia delle sue mani sottili violacee.
- Ha visto un fantasma? - scherzò l'autista notando il suo umore dallo specchietto retrovisore.
Meredith, sentendo quella parola, rabbrividì e si limitò a mostrare un mezzo sorriso.
Harry, nel frattempo, pedalava rapidamente lungo i marciapiedi con la mente piena di tutto ciò che aveva vissuto: era stata senz'altro l'esperienza più inverosimile della sua vita. Come era accaduto in precedenza, al suo passare, raccolse su di sé gli sguardi indiscreti della folla, stupita nel vederlo in pigiama con sopra un lungo cappotto aperto. Ma lui non se ne curò.
La velocità e il vento gelido del rigido inverno gli paralizzavano la faccia e il cappotto volava dietro di sé. 
Si chiedeva cosa lo aspettasse, adesso che avrebbe voluto cambiare vita. 
Pensò che era forse l'ultima volta che percorreva quelle strade e salutò la gente di Londra.

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Capitolo 32
*** Capitolo trentaduesimo ***


CAPITOLO TRENTADUESIMO

 

- E' tutto pronto? - chiese Harry a Meredith bussando alla porta della sua stanza.
- Si, arrivo. - rispose quella uscendo.
Era il 14 Dicembre ed Harry era a un passo da New York, dove, con un po' di fortuna, avrebbe forse finalmente iniziato la sua carriera da pittore. Non era passato neanche un mese da quel surreale pomeriggio alla villa in cui un tempo vivevano i Crossworth, ma Harry aveva già raggiunto, anche grazie all'appoggio della sorella, la cifra sufficiente ad affrontare il viaggio e l'ingresso all' High Accademy di New York. Aveva lavorato sodo guadagnandosi del denaro con diversi impieghi part- time e nel contempo aveva realizzato anche una vasta serie di dipinti. Aveva lavorato durante il giorno e il pomeriggio e dipinto la notte. 
Meredith lo aveva visto distrutto, ma incredibilmente pieno di forze e di volontà. L'idea di cercare fortuna in America le era sembrata più grande di lui, ma aveva fiducia in Harry e avrebbe fatto qualunque cosa pur di renderlo felice. Anche per lei avrebbe potuto avere inizio una nuova vita: se il fratello fosse diventato famoso, lei sarebbe rimasta a New York. Harry le aveva detto che anche se ciò non fosse avvenuto, lui avrebbe scelto di restare comunque in America, perché a Londra aveva troppi ricordi che lo rattristavano. Janet, inevitabilmente, era ancora nei suoi pensieri. Quel dolce viso invadeva anche i suoi sogni, ogni notte, quando dormiva.
- Possiamo andare. - disse Harry dopo aver riposto le valigie e le carpette coi disegni nella macchina di seconda mano che aveva comprato Meredith.
Entrambi diedero un ultimo sguardo a quella che era stata la loro casa di sempre. Meredith, alla guida, non riuscì a trattenere le lacrime. Harry lo notò, nonostante cercasse di nasconderlo.
- Ehi, cosa c'è che non va? - chiese dolcemente.
- Niente ... - rispose lei passandosi le dita sugli occhi - E' solo che ne sentirò la mancanza.
- Eppure pochi mesi fa non hai esitato poi tanto a lasciare Londra per andare a vivere a Las Vegas.
- L'amore mi aveva resa cieca. Credevo che Jake mi avrebbe dato tutto, non mi importava dove saremmo stati ... Ora invece non so cosa mi aspetta ...
- Te lo ridico Meredith, per l'ultima volta: non sei costretta a venire con me se non ti va. Io me la caverò.
- No, non ho intenzione di lasciarti di nuovo solo. L'ho anche promesso a Janet. - replicò la donna commuovendosi.
Dopo entrambi restarono in silenzio, ognuno con pensieri diversi. Guardarono ogni via della città, ogni angolo, parco, villa, locale ... 
Meredith rivisse tanti momenti della sua vita trascorsi in tutti quei posti, tra cui pure la casa di Tracy, alla quale promise che sarebbero rimaste comunque sempre amiche, anche se separate dalla distanza. Harry si rese conto invece di non ricordare tutti gli angoli della sua città: da quando dipingeva usciva di rado o andava sempre negli stessi posti. Era sempre stato un tipo malinconico e trascorreva la maggior parte del suo tempo in casa davanti la tela, immerso in un mondo tutto suo, perso nelle mille variazioni cromatiche della sua tavolozza. L'unico evento che lo aveva scosso particolarmente e lo aveva portato a conoscere una parte nuova della città era stato l'incontro con Janet. Percorrendo la strada verso l'aereoporto, vide la Tate Gallery e per un attimo ebbe la tentazione di chiedere a Meredith di fermarsi per scendere e incontrare Got, probabilmente per l'ultima volta. Meredith lo vide guardare la galleria d'arte e accostò vicino un marciapiede.
- Vuoi salutarlo? - domandò al fratello.
- Come ...? Eh, no, no... - balbettò Harry.
- Sicuro? Sei ancora in tempo se vuoi: il volo è solo tra un'ora.
- No, veramente. Mi ha ferito, non ho più intenzione di rivederlo. Sono sicuro che si sarà già scordato di me. Mi sono voltato istintivamente ... insomma, ci sono venuto tante volte ... Su, o facciamo tardi. - disse il pittore incitando la sorella a partire.
- D'accordo. Non c'è un posto che vorresti rivedere per l'ultima volta?- continuò la donna.
Ad Harry balenò subito nella mente la villa dei Crossworth: quell'immagine non lo aveva ancora abbandonato e lui inoltre aveva ancora sempre con sé la chiave.
La teneva per sentire vicina Janet, che non aveva smesso di amare, dopotutto. Dopo questa riflessione disse di no con la testa. Ripresero così il tragitto senza nessun' altra sosta.

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Capitolo 33
*** Capitolo trentatre ***


CAPITOLO TRENTATRESIMO

 

Toccarono il suolo americano, lui per la prima volta e lei per la seconda, dopo circa 8 ore di volo diretto. Erano le venti, ma sembrava più tardi, faceva freddo. 
A primo impatto ad Harry New York non parve molto diversa dalla sua città di nascita, eccetto che per la maggiore illuminazione.
- E' molto più bella di giorno secondo me. - commentò Meredith che ci era già stata una volta con Jake.
Harry non fece alcun movimento, non fiatò. Poi sospirò e strinse forte a sé la sorella. Recuperate le valigie, si diressero al bar dell'aereoporto e presero dei panini per cena. Successivamente si recarono in uno degli alberghi più modesti della città. Ad Harry riuscì impossibile chiudere occhio: era troppo eccitato all'idea che avrebbe partecipato alla mostra. Meredith dormì pochissimo, continuò a chiedersi se fossero mai riusciti a rifarsi una vita. Ragionò su tutte quelle cose che Harry aveva un po' tralasciato, pensando più che altro all'arte: come mantenersi, che lavoro fare, trovare una casa ... Certo, avevano messo da parte qualche soldo vendendo il loro appartamento, ma dovevano sin da subito cercare delle occupazioni. Lei era disposta a fare qualunque lavoro e, come Harry, non mirava certo a una villa come loro nuova casa. A entrambi bastava un piccolo monolocale. Poi, in preda a tutti queste  preoccupazioni, Meredith si addormentò, per la stanchezza fisica e mentale. Harry invece restò sveglio, teso e con mille pensieri. L'indomani si alzò alle 06:00, come la sorella, si fece una calda doccia veloce e si vestì col suo abito più elegante, un completo grigio scuro con cravatta blu e camicia bianca. Quell’abbigliamento contrastava un po’ coi capelli ribelli e l’espressione perplessa.
- Come sto? - chiese a Meredith appena uscito dal bagno.
- Non ti vedevo così chic dal matrimonio di Owen. - rise commossa quella - Solo una cosa ... - continuò sistemandogli il nodo della cravatta.
- Non ho mai saputo farlo bene ... - commentò Harry ridendo.
- Possiamo andare? - domandò Meredith prendendo la sua borsa.
- Si. - rispose deciso il fratello raccogliendo tutte le carpette coi disegni.
Uscirono dall'albergo alle 07:30 circa. La mostra aveva inizio solo alle 11:00, ma per raggiungere l' High Accademy occorrevano trenta minuti di tragitto e inoltre gli artisti dovevano presentarsi con un certo anticipo per allestire la galleria con gli organizzatori dell'evento. Prima dell'esposizione, durante i preparativi, si sarebbe svolta la cerimonia iniziale per il 30° anniversario della prestigiosa accademia.
Ogni anno per la mostra inaugurale di giovani artisti ( pittori e scultori ), venivano da qualunque parte del mondo promettenti talenti. Harry, nella sua modestia, non si era mai ritenuto tra questi, ma dopo l'inaspettato incoraggiamento di Got era convinto che avrebbe potuto farcela. Questa persuasione giustificava il fatto che si era preparato ad una nuova vita: lasciare la propria città e la propria casa sarebbe stata per molti una scelta che avrebbe richiesto maggiore meditazione, non tutti avrebbero avuto il coraggio di dare una svolta così radicale alla propria esistenza. D'altronde Harry voleva pure dimenticarla Londra, voleva cancellare quella villa, Janet ... temeva che se non lo avesse fatto non sarebbe riuscito ad andare avanti e lo temeva anche sua sorella che era stata l'unica a vivere sulla sua stessa pelle la stessa inspiegabile esperienza. Meredith era ancora turbata, forse più di Harry. Comunque, almeno in quel giorno, che poteva rivelarsi uno dei più importanti della loro vita, cercò di distrarsi. Attese con ansia il momento della presentazione di Harrison guardando continuamente l'orologio. Tra i mille volti presenti alla cerimonia le sembrò più volte di scorgere quello di Janet, ma osservando meglio constatò che erano solo altre donne con tratti o pettinatura simili. 
Alla cerimonia dell'anniversario servirono degli aperitivi, misero musica classica e proiettarono sulle pareti della grande sala circolare opere d'arte contemporanea. Meredith si trovò un po' a disagio in mezzo a tutta quella gente, così, anziché unirsi a qualcuno come faceva la maggior parte, restò in piedi a guardare fisso le proiezioni. Poi un uomo sui quarant'anni le si avvicinò senza che lo sentisse.
- E' anche il mio preferito. - disse improvvisamente alle sue spalle osservando la “Zuppa Campbell” di  Andy Warhol.
- Mi ha fatto prendere uno spavento! - si voltò lei.
- Non era mia intenzione, mi scusi. Anche a me capita di distrarmi di fronte a capolavori come questo.
- Veramente non è il mio preferito. - rispose Meredith rigirandosi verso l'opera.
- Ah no? - chiese stupito l'uomo.
- Con tutto rispetto, non ne capisco il significato. E poi non sono neanche americana ... quindi, se proprio devo dirla tutta, apprezzo gli artisti inglesi, come me.
L'uomo sembrò quasi scandalizzato. Sgranò gli occhi azzurri e per un paio di secondi restò con la bocca aperta.
- Come può non capire Warhol? - chiese rivolgendo un ampio gesto verso il quadro col braccio destro.
- Non sono una grande esperta d'arte ... preferisco cercare di comprendere quella di mio fratello.- continuò Meredith.
- Parteciperà alla mostra? - chiese incuriosito quello.
- Si, sono qui per questo.
- Non ci siamo ancora presentati. - disse l'uomo non appena sulla parete venne proiettata un'altra opera. - Io mi chiamo Paul Jefferson.- si presentò tendendo la mano.
- Meredith Clever, piacere.
Quel certo Paul aveva una stretta decisa e delle mani affusolate. I capelli castani con un taglio recente e ben pettinati all’indietro col gel. Era parecchio più alto di lei e di media corporatura.
- Andiamo a bere qualcosa?- propose Paul prendendola sottobraccio.
- Si, grazie. - rispose Meredith guardandolo lusingata.
Nel frattempo Harry era in preda all'agitazione, al panico, all'impazienza...Osservò gli altri partecipanti sistemare con sicurezza le loro opere, gli sembrò di essere l'unico in ansia, “o magari”- pensò -“ riescono solo a nasconderlo meglio”
Il direttore dell' High Accademy e il coordinatore della mostra dissero agli artisti emergenti che si sarebbero presentati in ordine alfabetico. Harry, pensando che doveva essere tra i primi, reagì contemporaneamente in due modi diversi: da una parte fu felice perchè non avrebbe più dovuto attendere, dall'altra pensò di non essere abbastanza pronto ad affrontare la critica e il pubblico. Provava molto imbarazzo in mezzo alla gente, soprattutto da quando si era presentato alla Tate Gallery di Londra. Ma il suo momento stava arrivando e non poteva certo rinunciare...

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Capitolo 34
*** Capitolo trentaquattresimo ***


CAPITOLO TRENTAQUATTRESIMO

 

- E adesso è il momento di un pittore emergente londinese: Harrison Clever.- annunciò il coordinatore dell'evento, intorno alle 11:30.
Meredith, ancora in compagnia di Paul, non riuscì a trattenere l'emozione e strinse forte la mano dell'uomo. Con quella libera tormentava invece l’orlo di una manica del vestito color crema che le arrivava sino al ginocchio.
- E' lui, è mio fratello!- sussurrò con gioia.
- Quanto materiale ... - commentò Paul, notando i numerosi pannelli espositivi di Harry.
Il pittore entrò con lo sguardo basso, il volto in fiamme, le mani sudate e un indescrivibile, ma notabilissima, eccitazione. Appena entrò fu accolto con un applauso d'incoraggiamento, come ogni altro artista precedente. Quando fu il momento di parlare si sentì seccare la gola e fu come se improvvisamente avesse perso la voce. Dapprima tentò di riorganizzare mentalmente il suo discorso, i movimenti che aveva studiato ... ma la vista del pubblico lo bloccò. 
Meredith lo guardò come a volerlo incitare, lui però non la vide neanche in mezzo alla confusione. Trascorso quasi un minuto di completo silenzio, Harry si prese di coraggio e iniziò ad impostare la voce raschiandosi la gola. 
Accostandosi al primo pannello, ognuno dei quali comprendeva quattro opere, Harry cominciò il suo discorso.
- Buongiorno a tutti, come avete sentito, sono Harrison Clever. Vengo da Londra ed è la prima volta che metto piede negli Stati Uniti. Vi preannuncio che non tutte le opere che vedete sono di mia produzione, come penso qualcuno di voi avrà già capito, notando due stili differenti. Le mie creazioni sono queste dei primi tre pannelli.- proseguì indicandoli - Ognuno di questi disegni è stato eseguito nell'arco di poche settimane e con lo stesso stato d'animo. Sono paesaggi immaginari, scorci urbani ... c'è anche un mio autoritratto, questo.- disse spostandosi al pannello successivo e iniziando ad avere un approccio più diretto col pubblico - Per realizzarle ho utilizzato gessetti, carboncino e acquerelli. Le tavole che seguono sono state fatte da ... una mia cara amica scomparsa, che ho inoltre ritratto.- continuò trattenendo a stento le lacrime - Ho voluto esporle perchè non ha mai potuto farlo lei: io trovo che era semplicemente bravissima e so che se fosse qui le farebbe piacere. - concluse Harry, portando la mano nella tasca destra dei pantaloni e tenendo stretta la chiave della ex villa di Janet.
- Bene, adesso Clever terrà ancora per qualche minuto i suoi pannelli, dopo di che entrerà il prossimo artista.- si pronunciò il  coordinatore, irrompendo in sala al fianco di Harry.
Il pubblico sembrò ammirare la sua produzione, anche Paul, che a Meredith aveva dato inizialmente l'impressione di essere amante solo dell'arte americana.
- Trovo particolarmente interessanti i ritratti.- commentò Paul.
- Davvero? Per me sono tutti eccezionali. Pensa che per scaramanzia Harry non me li aveva mai fatti vedere ... Ha lavorato di notte, chiuso nella sua stanza.- rispose Meredith.
- Sai, credo che tuo fratello potrebbe avere un futuro.- disse Paul sorridendo.
- Sul serio? Io lo spero tanto ... - disse Meredith cercando di attirare l'attenzione del fratello agitando verso l'alto la mano destra.
Harry finalmente la vide e le sorrise. Poi velocemente uscì portando con sé i disegni, salutando ripetutamente il pubblico con gioia. Si sentì molto più sollevato una volta non più al centro dell'attenzione. Tutti quegli sguardi su di lui lo avevano messo a disagio e gli avevano fatto tornare in mente l'esperienza umiliante alla Tate Gallery . Però una volta terminata la presentazione si sentì rilassato: sentì d'aver varcato un ostacolo che gli era parso insormontabile. Ora doveva affrontare “soltanto” il giudizio della critica e del pubblico. Harry restò nella sala in cui si preparavano gli artisti durante il resto della cerimonia. Li guardò a distanza, li vide emozionati, preoccupati o sereni, alcuni anche troppo sicuri di sé ... Meredith rimase sino alle 12:00, in compagnia di Paul, dopo di che uscì nell'ampia area verde attorno alla struttura dell' High Accademy in attesa che anche Harry uscisse. Dopo pochi minuti la raggiunse e fu sorpreso nel vederla in compagnia di un uomo.
- Harry!- esclamò Meredith correndo ad abbracciarlo.
- Meredith!- disse lui felice.
- Sei stato formidabile!- continuò la donna entusiasta - Lascia che ti presenti Paul Jefferson. E' un critico d'arte.
- Piacere Harrison. - disse quello.
Il pittore, quando seppe che il distinto signore appena presentatogli era un critico, non riuscì a non indietreggiare, quasi intimorito dal suo giudizio.
- Non essere così sfiducioso.- lo incoraggiò - Ho notato la tua modestia nel mostrare i tuoi disegni: non devi farti intimorire dal pubblico.- continuò più serio.
- Ha ragione, ma ... - iniziò Harry.
- Dammi anche del tu.
- Ok, dicevo che hai ragione, ma per me è difficile, fa parte del mio carattere.
- Capisco, comunque ho trovato interessanti le tue opere e vorrei conoscerti meglio, magari a cena stasera.- disse Paul.
- Conoscermi? A cena? Ma veramente ... - balbettò Harry pensando di rifiutare per la precaria situazione economica.
- Si, ne ho già parlato con tua sorella.
- Ma non conosciamo la città, poi ...
- E' tutto sistemato Harry!- disse Meredith - Scusaci un attimo.- si rivolse a Paul, allontanandosi in disparte col fratello.
- Ti sei dimenticata? Non abbiamo un lavoro e non possiamo certo spendere i pochi risparmi uscendo a cena fuori!- sussurrò lui.
- Prima ancora che potessi dirglielo mi ha detto che ci offrirà lui la cena. Io ovviamente ho respinto la proposta, ma ha insistito ... Sembra molto attratto dalla tua arte, magari grazie a lui potrai affermarti, non vorrai perdere quest'occasione?
- Hai accettato di frequentarlo solo per aiutarmi? - domandò Harry tra il grato e il deluso.
- No ... passerà a prenderci all'hotel alle 20:00, dice di conoscerlo.
- Ma non capisco: è interessato a te o a me? - chiese confuso il pittore.
- Senti, non rovinare tutto! Potrebbe essere la volta buona, forse per tutti e due ... ora andiamo.- rispose decisa Meredith trascinando il fratello verso Paul.
- Avete deciso?- domandò quello in attesa della risposta gradita.
- Si, verremo.- dissero insieme i fratelli.

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Capitolo 35
*** Capitolo trentacinque ***


CAPITOLO TRENTACINQUESIMO

 

Paul li trascinò in un grazioso locale etnico che era solito frequentare. Si mangiava indiano e, ovviamente, anche musica ed arredo erano a tema. 
Harry, non appena entratovi, si sentì frastornato: non era mai stato in un locale di quel tipo. “Non sembra neanche di essere negli Stati Uniti...” pensò. 
Meredith invece ne restò affascinata.
- Sembra che tu mi abbia letto nel pensiero Paul: io adoro la cucina orientale!- disse prendendo posto col fratello.
- Ma dobbiamo stare per terra? - chiese Harry.
- Non ti senti a tuo agio? Si mangia così nei ristoranti etnici! - rise Paul chiamando un cameriere.
Harry fu un po' infastidito dall'atteggiamento di quell'uomo, gli diede fastidio che non si fosse neppure preoccupato di chiedere prima se mangiassero etnico. 
Ma poi pensò che in fondo gli offriva la cena e, soprattutto, che si erano incontrati per discutere della mostra, anche se non gli sembrava il posto più adatto.
- Allora Harry, posso chiamarti Harry giusto?
- Si, certo.
- Cosa vuoi mangiare? Io e tua sorella abbiamo già scelto.
Harry non se ne era neppure accorto e non sapendo cosa rispondere disse che per lui andava bene la stessa cosa che avevano ordinato loro. Le portate furono servite rapidamente e in grande quantità. Iniziarono a mangiare qualcosa d'imprecisato e piccante: Paul e Meredith lo gradirono, mentre Harry, seppur cercando di nasconderlo, ne rimase sconcertato.
- Posso sapere cosa ti ha colpito dei miei disegni? - domandò al critico sforzandosi di vederlo solo come tale e non come un “antipatico”.
- Certamente. - rispose Paul smettendo di mangiare - Li ho trovati incredibilmente espressivi nella loro semplicità e poi ti apprezzo perchè hai uno stile tutto tuo, non segui la scia di nessuna corrente artistica precedente o attuale. L'unica cosa che non condivido è l'uso del colore, un po' troppo scuro, cupo. Dovresti metterci più vita, più allegria! - continuò mettendo da bere ad Harry.
Ma questo, senza prendere il bicchiere, si mostrò contrariato.
- Senza nulla togliere alla tua capacità critica, Paul, ritengo che tu non debba imporre quali colori usare. Voglio dire... - precisò notandolo perplesso - Il colore è il mezzo fondamentale, con la linea, per esprimere le proprie emozioni. Quindi, per esempio, se vedo il cielo blu ma lo dipingo grigio o viceversa, è perchè in quel momento mi sento in un certo modo e cerco di comunicarlo attraverso la tela.
- Sei stato abbastanza esauriente. - lo interruppe Paul - Volevo solo 
metterti alla prova. - sorrise nuovamente.
Harry ebbe l'impressione che il critico si stesse prendendo gioco di lui, che non lo prendesse sul serio. Pensò che lo aveva invitato a cena solamente perchè non voleva lasciarlo solo. “Meredith è il suo vero obiettivo... pensò deluso.
- Comunque voglio comprare uno dei tuoi quadri.- disse d'improvviso Paul lasciando Harry e la sorella di stucco.
- Come? Io pensavo che ...
- Che non mi piacesse il tuo stile? - lo anticipò Paul - No, mi piace. In particolare il ritratto di quella donna in bianco e nero.
- Janet? Beh ... veramente ... - farfugliò Harry nervoso.
- Non è in vendita?- chiese sorpreso Paul. - Lo hai esposto, quindi pensavo…
- Ha un valore affettivo. - sbottò Harry.
Meredith lanciò uno sguardo di rimprovero al fratello.
- Certo che è in vendita! - intervenne - Così magari la potrai dimenticare del tutto ... - bisbigliò ad Harry.
- Bene, allora possiamo incontrarci anche domani.- disse lesto il critico, dando al pittore il suo biglietto da visita con indirizzo e numero di cellulare.
- Non so cosa dire ... - esclamò con falsa felicità Harry prendendolo.
Poco dopo terminarono la cena e Paul riaccompagnò con la sua auto Meredith ed Harry all'albergo.
- Non so come ringraziarti, Paul. - disse la donna appena scesa dalla macchina.
- Tuo fratello è d' accordo, giusto? - chiese a Meredith sottovoce mentre il pittore stava ancora uscendo dal veicolo.
- Si, è solo che non si aspettava di poter vendere così presto. E' molto chiuso, ma sono convinta che dentro salti di gioia. - lo rassicurò.
- Allora a domani. - la salutò Paul - Arrivederci Harry!
- Arrivederci!- rispose il pittore salutandolo con la mano.
Anche quella notte, come la prima a New York, Harry non riuscì a dormire molto. Questa volta perchè pensò che avrebbe perso il suo disegno che meglio ritraeva Janet. Era quasi come una foto, perfetto in ogni dettaglio e molto realistico, anche se monocromo. Ma, come gli aveva detto la sorella, disfarsi di quel dipinto lo avrebbe aiutato a dimenticare più facilmente Janet. E lui voleva dimenticarla, ma non ci riusciva: era stata l'unica donna per la quale avesse mai provato il vero amore e anche la più sbagliata. Il rapporto più bello e più doloroso al tempo stesso. Per sua sorella invece quell'angelo sembrava ormai quasi un ricordo lontano; forse aveva scelto d' intraprendere una storia con Paul per dimenticare l'episodio sconvolgente e anche la precedente delusione con Jake. 
In ogni caso era, o per lo meno appariva, più serena di Harry.

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Capitolo 36
*** Capitolo trentasei ***


CAPITOLO TRENTASEIESIMO

 

Paul Jefferson viveva in un grande appartamento al 34° piano di un grattacielo. Harry non era mai stato in un grattacielo e la salita in ascensore gli sembrò interminabile. Giunto finalmente a casa sua, ebbe l'impressione che i suoi polmoni riprendessero ad ossigenarsi. Sia lui che Meredith, appena varcata la soglia della casa di Paul, compresero che questo doveva essere un patito dell'oriente e che ogni sua scelta si indirizzasse sul gusto etnico. Molto rapidamente, dopo avergli offerto del tè verde, chiamò Harry ad accomodarsi con lui nel suo studio, una stanza poco curata, di non più di 20 metri quadri.
- Scusate il disordine, ma questa giungla deriva dalla mancanza di una presenza femminile. - spiegò guardando Meredith.
Il cuore della donna sussultò e le sembrò che Paul provasse qualcosa per lei.
Harry non lo notò, era troppo preso dal pensiero di doversi staccare dal quadro.
- Bene, mostrami il dipinto.
Harry con cautela lo uscì da una carpetta e lo passò al critico che lo scrutò in silenzio. Per osservarlo meglio lo sollevò dalla scrivania e lo mise a favore di luce. In attesa del giudizio, Harry rivisse i momenti di tensione passati a Londra più volte nello studio di Got.
- Duemila. - disse semplicemente Paul dopo una lesta riflessione.
- Come? - chiesero stupiti in coro i Clever.
- Vi do duemila dollari per questo. - ripeté il critico guardando estasiato il dipinto.
- Così tanto? - chiese Clever incredulo.
Meredith pestò un piede al fratello sotto la scrivania e ringraziò Paul stringendogli una mano con gioia.
- Non ho parole, grazie ... !- disse Harry emozionato.
Quello sarebbe stato solo il primo di una lunga serie d'affari tra Jefferson e il pittore. Con i primi guadagni Harry e Meredith affittarono un monolocale in periferia, qualche giorno prima del Natale. Era stato proprio Paul ad indicarglielo ed era poco lontano da lui. Quello del '99 fu per loro sicuramente uno dei migliori: Harry cominciava ad avere successo, Meredith cominciava ad innamorarsi di Paul. 
Il 25 Dicembre Harry rinunciò alla pittura, volle passare almeno quel giorno in un modo diverso e dedicarsi ad altro, dopo tanto tempo: con Meredith andò in giro per i negozi della città. Camminarono per ore, nonostante avesse iniziato a nevicare. Tutto ad Harry sembrò migliore, era felice, sorrideva a tutti per le strade, finalmente camminava senza il timore d' essere additato o riconosciuto ed insultato. Quest'armonia però, in quella serena giornata, sembrò spezzarsi quando Harry si trovò di fronte una panchina e si fermò con aria malinconica.
- Cosa c'è? - chiese Meredith non capendo il suo atteggiamento.
- Niente, solo che è molto simile a quella in cui ho ritratto Janet, nel suo giardino. - rispose lui con lo sguardo fisso.
- E' passato più di un mese da quando ti ha detto addio. Non pensarla più. So che è difficile, ma devi andare avanti senza di lei. E per farlo dovresti anche buttare la chiave. - consigliò la sorella - L'hai ancora con te, non è così? - continuò allungando la mano aperta verso di lui.
Harry mise la mano dentro la tasca destra dei pantaloni in cui conservava la chiave. Di fronte a sé aveva il panorama dell'isola di Manhattan e una grande distesa d'acqua gelida, nella quale ebbe l'impressione che sua sorella volesse spingerlo a buttarvi dentro l' ultimo ricordo materiale di Janet.
- Fallo tu, Harry. - lo incitò Meredith, qualche passo più indietro del fratello, coi capelli mossi dal vento.
Quello indietreggiò, uscì la chiave e la guardò ripensando intensamente tutto quello che aveva passato con Janet. La prima volta che l’aveva vista in ospedale. 
I loro incontri a casa di lui e poi di lei. Il momento in cui si era dichiarato. La scoperta della tremenda verità … Una lacrima scese lentamente dal viso di Harry alla chiave. Meredith lo guardò e pensò che non l'avrebbe mai buttata. Poi, improvvisamente, vide Harry prendere la rincorsa e lanciare con un ampio gesto la chiave verso il mare. Meredith seguì la traiettoria dell' oggetto stupita ed Harry fece un sospiro di sollievo.
- Andiamo a casa, sta facendo buio. - disse alla donna con contegno, voltandogli le spalle.
Meredith lo seguì e lo abbracciò.
- Sono felice che tu lo abbia fatto. - disse sorridendo.
Così, dal quel pomeriggio, ad Harry non rimase nulla di tangibile che fosse legato a Janet. Solo il suo ricordo.

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Capitolo 37
*** Capitolo trentasette ***


CAPITOLO TRENTASETTESIMO

 

Nei giorni seguenti Meredith continuò a frequentare Paul e trovò un occupazione: avrebbe lavorato nuovamente come insegnante, ma supplente, dal nuovo anno. Quell'uomo sembrò avergli portato fortuna e più di una volta la donna ebbe la paura che fosse tutto troppo perfetto, che anche Paul non fosse che un angelo custode ... Harry riprese a dipingere ininterrottamente, con la passione di sempre, anche se non riusciva a trovare molti soggetti: certo, i grattacieli della metropoli, non lo attraevano molto ... 
Comunque il nuovo anno era vicino e non videro modo migliore per iniziarlo: Harry si era liberato della chiave ed era deciso a liberarsi anche dei ricordi, Meredith si era ormai abituata alla nuova vita che l'aveva spaventata tanto. Una sera camminarono in un parco e parlarono. L'episodio di Janet li aveva ravvicinati parecchio, così Harry si sentì autorizzato a fare una domanda a Meredith riguardo Paul.
- Tra voi c'è qualcosa, vero? - chiese in attesa di una conferma.
- Io e Paul? - chiese lei ingenuamente.
- L'ho capito, sai. E’ vero, sono sempre con la testa fra le nuvole … ma non mi è sfuggito. Se guardo con attenzione certe cose le posso cogliere anche io, sai? - rise -  Quando ti dichiarerai? - continuò Harry.
- Beh, si ... in effetti mi piace. Non vorrei sembrarti troppo precipitosa, ma … questa volta sento di essere davvero innamorata. Non è come è successo con Jake.
- Non voglio sapere cosa provi né perché ti piaccia. Tanto non lo capirei. Non mi sta nemmeno così simpatico, nonostante tutto. - confessò Harry.
- Ho l’impressione che a te non starà mai simpatico nessun uomo che mi starà accanto … - azzardò la donna trattenendo un sorriso.
- Che c’è … ? - esclamò lui confuso, quando l’altra si protese per abbracciarlo.
- Sei geloso! O solo molto affezionato, fratellino! E’ una cosa carina.- gli sussurrò abbracciandolo in modo materno.
Harry arrossì e sciolse l’abbraccio.
- Quando ti dichiarerai? - ripetè - Avanti, lo so che non stai più nella pelle. Fallo e basta. Non ti vergognare ad ammettere che lo hai avvicinato a noi anche per te stessa.
- Direi che è stato lui a cominciare. Però hai ragione. Glielo dirò. Forse anche lui ricambia.
La donna lo avrebbe fatto l'indomani, il giorno di Capodanno: infatti, verso l'ora di cena, bussò alla sua porta e vide che Paul stava a sua volta uscendo per andare da lei a confessarle il suo amore. 
Harry invece trascorse la notte di fine anno in giro per le strade, tra la gente, come non aveva mai fatto. La città “esplose” allo scadere del conto alla rovescia, si dipinse di luci e colori con strabilianti giochi d'artificio.
Era un anno importante: il 2000. Molte profezie ne avevano parlato come di un tempo apocalittico, portatore di sconvolgimenti mondiali negativi. 
Invece, almeno per Harry e sua sorella, si preannunciava propizio. Tanti newyorkesi gli si avvicinarono, in preda all'entusiasmo, all'euforia e altri anche all'alcool. Una ragazza disinibita lo abbracciò da dietro e gli diede un bacio sulla guancia augurandogli buon anno. Lui restò impassibile ma sorpreso, pensando che gli americani avevano atteggiamenti molto diversi dalla gente inglese come lui. Poi provò a buttarsi nella mischia e si lasciò trascinare dalla folla gridando con gli altri:“Viva il 2000, viva il 2000!” .I volti di tutti erano ora gialli, ora rossi, verdi o blu, sotto il cielo in festa. Il volto di Janet si andò sbiadendo nella mente di Harry, ormai per lo più occupata da pensieri felici: il successo con Jefferson, primo fra tutti. 
Poi una visione lo colpì tra la folla: una giovane minuta, con corti capelli neri e grandi occhi scuri malinconici, stava in disparte, come se per lei il Capodanno non fosse una festa. La guardò mentre continuava ad essere travolto dalla moltitudine di festanti, poi si fermò di fronte a lei e ne rimase come folgorato: sarebbe stata la sua nuova fonte d'ispirazione?

 

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