Harrison Clever di VAleMPIRE (/viewuser.php?uid=219889)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Primo ***
Capitolo 2: *** Capitolo secondo ***
Capitolo 3: *** Capitolo terzo ***
Capitolo 4: *** Capitolo quarto ***
Capitolo 5: *** Capitolo quinto ***
Capitolo 6: *** Capitolo sesto ***
Capitolo 7: *** Capitolo settimo ***
Capitolo 8: *** Capitolo ottavo ***
Capitolo 9: *** Capitolo nono ***
Capitolo 10: *** Capitolo decimo ***
Capitolo 11: *** Capitolo undicesimo ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodicesimo ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredicesimo ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordicesimo ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindicesimo ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedicesimo ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassettesimo ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciottesimo ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannovesimo ***
Capitolo 20: *** Capitolo ventesimo ***
Capitolo 21: *** Capitolo ventunesimo ***
Capitolo 22: *** Capitolo ventiduesimo ***
Capitolo 23: *** Capitolo ventitresimo ***
Capitolo 24: *** Capitolo ventiquattresimo ***
Capitolo 25: *** Capitolo venticinquesimo ***
Capitolo 26: *** Capitolo ventiseiesimo ***
Capitolo 27: *** Capitolo ventisettesimo ***
Capitolo 28: *** Capitolo ventottesimo ***
Capitolo 29: *** Capitolo ventinovesimo ***
Capitolo 30: *** Capitolo trentesimo ***
Capitolo 31: *** Capitolo trentunesimo ***
Capitolo 32: *** Capitolo trentaduesimo ***
Capitolo 33: *** Capitolo trentatre ***
Capitolo 34: *** Capitolo trentaquattresimo ***
Capitolo 35: *** Capitolo trentacinque ***
Capitolo 36: *** Capitolo trentasei ***
Capitolo 37: *** Capitolo trentasette ***
Capitolo 1 *** Primo ***
CAPITOLO
PRIMO
Harrison
Clever, detto Harry, era un londinese di trent'anni
sin da piccolo
interessato all'arte e con il sogno di diventare un pittore famoso, il
fondatore di una nuova corrente che sarebbe stato ricordato per sempre.
Ma
crescendo si era reso conto che la strada verso il successo era
più faticosa
del previsto e così si era accontentato di praticare
attività sempre diverse legate
comunque alla pittura che lo avrebbero potuto mettere in luce:artista
di
strada, venditore di suoi quadri in fiere... Finché
inaspettatamente un giorno,
in una fiera natalizia, fu notato da un uomo, Clark Got,direttore
di una
galleria d'arte contemporanea alla Tate Gallery di
Londra.
Got
gli disse che il suo talento non passava inosservato e che era sprecato
lì o
tra i marciapiedi. Così divenne il suo committente quasi
subito ed Harry si
illuse di essere vicino al raggiungimento del suo obiettivo, ma anche
allora
dovette ricredersi.
Clark
Got era apparso in un primo tempo molto aperto ad accogliere le
esigenze del
giovane, ma questo atteggiamento fu solo temporaneo, giusto per
conquistarsi la
sua simpatia. In seguito, come d'altronde hanno sempre fatto un po'
tutti i
committenti, cominciò ad imporre cosa creare all' artista.
Tuttavia Harry non
fece obiezioni perché riteneva (e anche lo stesso Got glielo
ripeteva) che era
già stato abbastanza fortunato
ad
incontrare il direttore di un importante galleria per caso, che lo
avrebbe
potuto lanciare. Ovviamente le sue creazioni, seppur basate sull' idea
e i
gusti di Got, non furono subito dei successi, ma Harry era comunque
convinto di
volere continuare a seguire le sue ambizioni.
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Capitolo 2 *** Capitolo secondo ***
CAPITOLO
SECONDO
Una sera di fine Agosto, Harry
ritornò nel suo piccolo appartamento di periferia, dove
viveva con la sorella
maggiore, Meredith.
- Come mai hai fatto così
tardi?- chiese la donna richiudendo la porta d' ingresso. Aveva i capelli raccolti con
poca cura e
dei vestiti ripiegati in mano.
- Lascia perdere, lascia
perdere...- rispose il fratello con aria stanca, la schiena curva.
Ma Meredith fece nuovamente la
domanda mostrandosi preoccupata.
-
D'accordo.- iniziò Harry sedendosi su una poltrona.- Ti
spiegherò tutto, così
potrai rimproverarmi, come sempre...- continuò togliendosi
gli stivali.
Dopo
averli buttati sul tappeto, si passò la mano sulla faccia,
stendendo con
pollice ed indice la pelle della fronte.
Meredith
si sedette a sua volta alzando gli occhi in cielo perché
immaginò già cosa
stesse per dire Harry.
-
Got non c'era. Ho preso tre autobus per andare dall'altra parte della
città da
lui, ho atteso due ore nel suo studio per poi sentirmi dire che non
sarebbe
venuto e al ritorno mi sono anche bagnato con questa maledetta
pioggia!- disse
furioso.
-
Strano, le previsioni dicevano bel tempo...- disse la sorella per
sdrammatizzare.
Non
lo guardò negli occhi perché sentiva che
l’altro stava per esplodere.
-
Avanti, perché non fai la solita predica Mery? Questa volta
non mi dici che sto
solo perdendo tempo stando dietro al mio sogno, un' utopia?!-
continuò con
rabbia Harry.
-
Te l'ho già detto troppe volte, infatti lo sai. Ora tocca a
te scegliere se
continuare ad illuderti o meno. In fondo, la vita è tua e
sei padrone di
decidere cosa farne.
Quelle
parole stupirono Harry perché era la prima volta che
anziché consigliargli di
smettere di frequentare Got lo lasciava alle sue decisioni, seppur
sapendo che
era un sogno e nient'altro. La donna, esasperata, cambiò
stanza e andò a
raccogliere altre cose da stirare lasciate in giro. Harry per un
po’ restò con
lo sguardo fisso nel vuoto a ripetersi in testa quel consiglio che
suonava
quasi come un rimprovero. Quando furono quasi le ventidue cenarono e
Meredith
come ogni sera lo osservò e notò che
mangiò con poco appetito. Non lo guardava
nemmeno il cibo, lo pescava lentamente dal piatto, distratto. Di tanto
in tanto
scuoteva il capo e rideva amaramente tra sé e sé.
I suoi grandi occhi scuri
sempre più tristi. Lo vedeva sempre più
“assorbito” dal suo desiderio: non vi
era giorno in cui non stava chiuso nella sua stanza per almeno sei ore
a
disegnare e sommergere la scrivania di fogli strappati, accartocciati,
frutto
della mancata ispirazione giusta. Dedicava anima e corpo solo e sempre
all'arte. Chiunque avrebbe capito, anche non sapendolo, che in quella
casa
viveva un'artista, sarebbe bastato guardarsi intorno: copie d'autore
incorniciate e appese un po' ovunque, montagne di fogli imballati nella
sua
stanza, dove in un angolo si trovava il cavalletto con accanto ogni
tipo di
colori, e poi ancora l'attestato di diploma al liceo artistico e quello
di
laurea all'accademia appesi...L'arte era tutto il suo mondo e purtroppo
questa
lo aveva privato di crearsi legami d'amicizia e sentimentali. L'unica
persona
sempre accanto a lui era Meredith, finché un giorno...
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Capitolo 3 *** Capitolo terzo ***
CAPITOLO
TERZO
Il
primo Settembre Meredith annunciò al fratello una cosa
importante: tra breve
avrebbe cambiato casa.
-
Andrò a convivere col mio ragazzo.- iniziò
servendo il primo piatto a
quest'ultimo invitato e a Harry.- Abbiamo intenzione di sposarci prima
della
fine dell'anno.
Sentendo
quest'ultima frase, Harry guardò subito il calendario:
Settembre 1999. Sollevò
le sopracciglia.
-
E' già così vicino il 2000! Sembra incredibile..-
disse accennando un sorriso.
-
Non te ne eri accorto Harry?- chiese Jake, il fidanzato della sorella,
assiduo
frequentatore di centri estetici e palestra a giudicare
dall’aspetto
impeccabile.
-
Ad essere sincero non bado molto al tempo che passa, diciamo che vivo
in una
dimensione tutta mia: lo dice anche Meredith. Ma credo sia
così un po' per
tutti gli artisti, ci perdiamo nelle nostre creazioni senza osservare
cosa
accade intorno a noi.- rispose Harry spezzando del pane.
-
Tuo fratello è un filosofo o un pittore? -
scherzò Jake guardando sia questo
che Meredith.
-
E' solo mio fratello e lo sarà sempre anche se un giorno
diventerà famoso e le
nostre strade si divideranno.
Nel
dire quelle sincere parole, Meredith fece un dolce sorriso che le
illuminò gli
occhi.
-
Una cosa che accomuna voi artisti, oltre la propria
“dimensione temporale” che
dicevi tu, è anche questa smania di voler diventare
qualcuno, non ti pare?
-
Lo so, lo ammetto, voglio emergere.- rispose sincero.
-
E' solo per una questione di soldi?
-
Non si tratta solo di soldi.- iniziò ad infastidirsi Harry,
fulminandolo con lo
sguardo.
Meredith
notò che le domande di Jake si stavano facendo pungenti ed
irritanti, così
intervenne.
-
Scusate, ma possiamo accantonare questi discorsi e tornare a discutere
del vero
motivo che ci ha uniti questa sera?- disse lasciando muti entrambi gli
uomini.
Nel
breve silenzio che seguì, Meredith li guardò e le
sembrarono come i suoi alunni
che ricevevano una nota.
-
Già, scusa cara, parliamo di noi.- rispose Jake stringendole
la mano.
-
Io e Jake ci siamo incontrati per caso, in un pub; li abbiamo iniziato
a
parlare e poi...
-
Non mi importa cosa è successo poi!- la interruppe Harry-
Hai organizzato tutto
questo solo per dirmi che devo trovarmi un lavoro perché
cambierai anche città,
non solo casa! Ti ho sentita l'altra sera al telefono...
Meredith
restò muta e lo pregò di ascoltarla.
-Veramente
cambieremo anche continente...- disse Jake senza rendersi conto che
quella
precisazione in quel momento era inopportuna.
-
Aspetta, fammi spiegare le cose con ordine. E' vero, dovevo dirtelo
prima, ma è
successo tutto molto velocemente. Dopo esserci conosciuti abbiamo
deciso di
sposarci a Las Vegas, perché è li che Jake si
trova spesso per lavoro. Così
abbiamo stabilito di trasferirci direttamente a Las Vegas. Mi spiace
lasciarti
solo, ma io non intendo perdere l'uomo della mia vita per starti
dietro. Io lo
amo davvero, Harry, per lui è lo stesso.- spiegò
Meredith.
-
E' solo una questione di soldi?- ripeté sarcastico Harry
sapendo che il
fidanzato della sorella era molto ricco.
-
Harry finiscila!- si spazientì Meredith.
-
Se fosse così, io cosa ci guadagnerei?- intervenne Jake,
alzando le spalle.
La
donna guardò con aria di rimprovero il futuro sposo.
-
Cosa vorresti dire?- chiese arrabbiandosi.
-
Stavo scherzando, zuccherino!- rispose Jake dandole un bacio sulla
guancia.
-
Lo spero per te.
-
State già litigando e non siete ancora sposati...-
commentò Harry.
-
E' solo per colpa tua.- lo rimproverò Meredith.
- Tua
sorella è solo un po' irascibile, tranquillo. Anzi abbiamo
l'invito e il
biglietto aereo per te, così potrai essere presente al
nostro matrimonio, gli
comunicò, estraendoli dalla tasca posteriore dei jeans.
-
Non voglio niente da te!- rispose sgarbatamente l'artista
allontanandoli con la
mano.
-
Ma Harry, perché?- chiese la sorella.
-
Meredith, non voglio venire. Non mi piacciono i matrimoni, lo sai.-
rispose
guardando fuori da una finestra.
Un’
insignificante ragazza che attraversava il marciapiede di fronte
attirò la sua
attenzione per il grosso cane indisciplinato che portava a guinzaglio.
-
Mi sentirei costretto. Come lui dal guinzaglio.- borbottò.
Jake
non afferrò le parole e fu sul punto di chiedere alla futura
moglie cosa avesse
detto, allungando il collo verso la finestra. La donna lo
ignorò scuotendo la
mano.
-
Ma questo è quello di tua sorella, io tengo alla tua
presenza, non lo capisci?
Harry la pregò di non
insistere e si allontanò dalla sala da pranzo. Meredith
restò delusa, mentre il
suo ragazzo sembrò sollevato. La donna capì che i
due uomini non sarebbero mai
andati d'accordo.
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Capitolo 4 *** Capitolo quarto ***
CAPITOLO
QUARTO
L'
indomani Meredith iniziò a fare le valigie e
riferì al fratello un posto in cui
avrebbe potuto lavorare per guadagnare qualcosa, visto che sino ad
allora la
maggior parte delle spese le aveva affrontate lei, che era insegnante
alle
medie.
-
Alla locanda di chi?- fu la prima domanda di Harry.
-
Del sig. Owen, non lo ricordi? - ripeté Meredith.- Era amico
di papà.
I
due, al ricordo del padre, sentirono quasi in colpa: non ne parlavano
da un bel
po’, sia perché li rattristava sia
perché erano troppo presi ognuno dalle
proprie vite.
-
Già...Owen. Quando posso andarci?
-
Anche domani, ha sempre tanto lavoro. Una mano gli farà
comodo.
Come
detto, già il giorno dopo, il 3 Settembre, Harry si
recò alla locanda del
signor Owen che lo accolse calorosamente. Dall’ultimo
incontro, era meno
appesantito e coi capelli più bianchi. Ma negli occhi
conservava un po’ della
vitalità giovanile. Ed era questo a renderlo immediatamente
simpatico.
-
Harry, come sei cresciuto!- iniziò l'uomo abbracciandolo.-
Era molto tempo che
non ci vedevamo.- continuò emozionandosi.
-
Già, prima che papà e mamma morissero. Ero solo
un ragazzino...- rispose Harry
manifestando malinconia.
-
Su, ora parlami un po' di te.- disse Owen facendolo accomodare insieme
a lui a
un tavolino.
Così
Harry comunicò ad Owen i suoi tentativi verso la strada del
successo e nel raccontarlo
fece trasparire nei suoi grandi occhi neri la sofferenza e la
delusione, il
tormento e l'entusiasmo, tanti stati d'animo insieme.
-
Quello che ti serve a mio parere, caro Harry, è una persona
che ti stia
accanto.- concluse Owen indicando con lo sguardo una signora che stava
per
entrare alla locanda. In realtà in quell’istante
ne stavano entrando due di
donne e non capì a quale si riferisse. Ma ovviamente non
parlava di nessuna
delle due…
-
Una donna?- si stupì Harry.
-
Certo, qualcuno che ti distragga, che colmi le tue delusioni...-
spiegò Owen
offrendogli un bicchiere di whisky.
-
Come potrei averne una? Non ho costanza in nulla tranne che nella
passione di
dipingere!E poi, non ho una macchina, né tanti soldi...sono
solo un illuso, le
ragazze oggi non cercano quelli come me. Basta guardare Meredith: tra
breve si
sposerà con un riccone a Las Vegas!- sorseggiò
teso Harry.
-
Comunque non sottovalutarti Harry: io conosco le tue doti artistiche.-
lo
consolò Owen.
Quella
frase la disse come se fosse la cosa più seria che avesse
mai detto.
-
Non basta questo. Got, il mio committente, vuole che cerchi nuovi
soggetti,
nuove ispirazioni, qualcosa che possa stupire...
Proseguì
per qualche minuto la chiacchierata, che più volte il
locandiere tentò di
portare su toni più leggeri.
Terminata
la conversazione Harry iniziò subito a lavorare servendo i
tavoli. Restò alla
locanda sino al tardo pomeriggio, anche se non si sentisse a suo agio.
Owen lo
notò, ma non aggiunse altro credendo che provare a
riprendere con Harry il
discorso sulle donne sarebbe stato inutile. Poco prima che chiudesse la
locanda, l'artista fece strada verso casa con la sua bicicletta, sotto
una
pioggia incessante. Malgrado fosse stanco, pedalò
velocemente perché voleva
tornare presto a casa per rilassarsi a dipingere.
Poi
fu distratto da qualcosa di strano in fondo a una strada: una luce
bianchissima, che non poteva essere quella di qualche faro di una
macchina.
Restando a guardarla incuriosito, poco dopo avvertì un forte
dolore e senza
capire come si ritrovò per terra.
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Capitolo 5 *** Capitolo quinto ***
CAPITOLO
QUINTO
Appena
aperte lentamente le palpebre, si vide circondato da diverse figure
indistinte,
bianche.”Devo essere morto” -
pensò Harry.
Per
il momento il suo cervello non riusciva a formulare altro, era come
intontito.
Ma
dopo mise meglio a fuoco e riconobbe l'ambiente: un ospedale. Le figure
erano
quattro medici in camice bianco con in mano delle cartelle e lo
osservavano
sbalorditi. Capì che stavano parlando con lui ma non
riconobbe chiaramente le
parole. Muovendo leggermente in avanti la nuca, si vide disteso, nudo,
con
sopra solo un leggero camice. Avvertì una pressione sul
torace e difficoltà nel
respirare, così intuì che doveva avere qualche
frattura.
-
Mi sente?- si sentì chiamare da uno dei medici.
-
Forse è ancora sotto choc...- commentò un altro.
-
Controlliamo la pressione.- aggiunse uno rivolgendosi a un' infermiera.
-
Cosa è successo?- riuscì a dire Harry provando a
sollevarsi sui gomiti.
-
No, non deve muoversi!- lo frenò subito un medico facendolo
ridistendere.- Le
abbiamo da poco fasciato il torace: deve stare per almeno tre giorni in
assoluto riposo.- spiegò.
Con
una smorfia di dolore si rimise disteso e solo allora notò
di avere una flebo e
di essere collegato a una macchina che registrava la sua frequenza
cardiaca e
la pressione sanguigna.
- I
valori si sono ristabilizzati, ha ripreso i sensi e pare abbia superato
lo
choc.- continuò il medico che aveva parlato per primo.
Un
altro gli chiese se ricordasse di aver avuto un incidente con la sua
bici,
scontrandosi con una macchina. Harry si sforzò di
ricordare,ma ciò che gli era
rimasto impresso nella mente era solo quella strana luce in fondo alla
strada.
Poi cercò di dare un filo logico alla situazione: suppose
che probabilmente si
era distratto guardando quel bagliore ed era stato investito, non
facendo in
tempo a spostarsi. Inoltre pioveva e l'autista della macchina che lo
aveva
travolto poteva anche non averlo visto. Ma un'altra cosa non gli era
chiara:
chi lo aveva soccorso? Così chiese ai medici chi lo avesse
portato in ospedale.
-
Un passante ha chiamato un'ambulanza, mentre l'uomo al volante che vi
ha
travolto se ne è andato subito dopo, restando illeso.
Dopo
la spiegazione uscirono dalla stanza dicendo di dover badare a casi
più gravi.
Harry continuò a pensare a quella luce non sapendo dargli
una spiegazione
razionale. Non riuscendo a dormire passò il tempo a cercare
di chiarirne
l'identità, ma ogni probabilità gli
risultò illogica: un ufo..una chiamata
divina... una stella cadente...
Poi
socchiuse gli occhi per la stanchezza cercando di liberare la mente, ma
appena
riuscitovi ebbe l'impressione di non essere più solo nella
stanza. Avvertì
nell'aria un odore di vaniglia, molto delicato e così
riaprì gli occhi. Colpito
da stupore, balzò alla visione che aveva davanti: una donna
bellissima, eterea,
forse sua coetanea, esile, con lunghi capelli castano chiaro e grandi
occhi
celesti.
-
Come sta?- chiese con voce pacata ad Harry.
-
Non capisco, cosa sta succedendo...? Devo avere delle allucinazioni.-
disse
l'uomo confuso, battendo ripetutamente le palpebre.
-
Perché dice questo?
-
No...ma cosa le spiego, sarà stato quel bicchiere di troppo
alla locanda di
Owen. Adesso lei sparirà...- rispose convinto di avere
dinanzi a se un'
immaginazione.
-
Ma non ha bevuto molto, solo mezzo bicchiere di whisky mi pare...-
ricordò
quella.
Harry
continuò a confondersi e iniziò a darsi dei
pizzicotti per capire se stava
sognando o no.
-
Tranquillo, ero solo alla locanda anch'io .- continuò la
donna sorridendo.
- E
mi ha spiato, mi stava forse pedinando? E' della FBI? Sono ricercato,
ho
commesso qualche reato?
-
Stia calmo, mi ero solo fermata a guardarlo e lei non se n'è
neanche accorto,
eppure ero proprio dietro di lei...
-
Ora è un po' più chiaro. Ma una cosa non capisco:
come mai è qui?
-
L'ho soccorsa io.
-
Che strana coincidenza: ci siamo incontrati due volte in un giorno ma
io la sto
vedendo solo adesso! E' buffo...
-
Già e non ci siamo neanche presentati: io sono Janet
Crossworth.- si presentò
la donna tendendogli la mano.
-
Piacere, mi chiamo Harrison Clever.- rispose- Come posso ringraziarla
per
avermi salvato?
Nel
chiederlo, strinse ancora la mano della donna e si stupì
della sua morbidezza e
della sua leggerezza.
-
Non mi deve proprio niente, era un dovere. Ma a proposito, come si
sente?
-
Un po' stordito, ma fisicamente tutto sommato bene. Mi sto sforzando di
ricordare l'incidente, ma devo essere svenuto sul colpo e non lo
ricordo,
neppure lei...
Mentre
continuarono a parlare entrò nella stanza un medico per
accertarsi che le sue
condizioni fossero stabili e Janet restò seduta in un angolo
ad ascoltare
quello che diceva.
-
Deve solo riposare, confermo. Come avrà capito, ha riportato
delle fratture
alle costole, a tre esattamente, quindi dovrà stare
prevalentemente disteso e
non dovrà compiere movimenti bruschi, anche
perché se ci provasse si sentirebbe
mancare il respiro.- precisò il medico- Comunque
può ritenersi fortunato:
avrebbe anche potuto morire sul colpo se le costole si fossero
incrinate
maggiormente bucando i polmoni...Adesso vado.-concluse uscendo.
Harry
provò ribrezzo sentendo quelle parole, poiché era
un tipo facilmente
impressionabile. Scacciò presto dalla testa
l’immagine del suo cadavere per
terra sotto la pioggia. E
dopo pensò a
un' altra frase del medico:”può ritenersi
fortunato”. Dopo Clark Got,
era già la seconda persona che glielo diceva, ma riflettendo
lui non si
riteneva molto fortunato: da anni non riusciva a realizzare il suo
sogno e
visto che per lui l'arte era tutta la sua vita, era come se sino ad
allora non
avesse raggiunto nessun obiettivo. Mentre si soffermò su
questi pensieri,
iniziò a venirgli sonno e Janet si avvicinò a
lui. Quando fu quasi addormentato
la donna gli sfiorò delicatamente i folti capelli scuri e le
sue mani fredde lo
destarono. Ma Harry restò muto e immobile a guardarla e si
sentì
inspiegabilmente sereno. Successe qualcosa dentro di sé in
quegli attimi.
Cambiò il modo di vederla. Per adesso era solo la sua
salvezza, non gli
importava di sapere altro. Forse quel senso di pace, però,
era dovuto anche
agli antidolorifici, pensò…
-
Riposi tranquillo Harrison.- gli sussurrò Janet all'orecchio.
-
Potrò rivederla?
-
Ne sono sicura.- rispose sottovoce.
Quelle
tre semplici e ferme parole lo cullarono verso un sonno profondo.
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Capitolo 6 *** Capitolo sesto ***
CAPITOLO
SESTO
8
Settembre 1999
Dopo
essere stato dimesso dall'ospedale, Harry si rimise a lavorare alla
locanda,
anche se doveva prestare molta attenzione nei movimenti. Non disse
niente alla
sorella, partita un giorno prima dell'incidente. Con grande stupore di
Owen,
l'artista iniziò a parlargli di sua iniziativa di una donna,
Janet, dopo
avergli raccontato dell'incidente.
-
Allora,se vuoi, stasera puoi andare via prima.- disse Owen al pittore.
-
Perché?
-
Come, non dirmi che non l'hai invitata a cena per conoscervi meglio?-
chiese
deluso il locandiere.
-
No non so neanche se la rivedrò, anche se...lei mi ha
raccomandato con
inspiegabile certezza di si.- rispose Harry ripensando l' intenso
momento del
saluto con Janet.
-
Sai almeno dove abita?
-
No.
-
Cosa fa?
-
No...
-
Avrai almeno il suo numero?
-
Neanche.
-
Allora come credi di poterla rincontrare, se non per un purissimo caso
o
fortuna? Il che
sarebbe alquanto
improbabile, visto l'elevato numero di abitanti di Londra...
-
Senti, Owen, lo so!- lo interruppe Harry - Non ti ho detto che avevo
intenzioni
serie con lei e poi avevo da poco ripreso conoscenze quando l'ho vista.
Certo
però, mi piacerebbe dipingere i suoi occhi...
Poi
Owen preferì non aggiungere altro e ritenette di aver
colpevolizzato abbastanza
Harry. Questo restò immerso nei suoi pensieri, passando e
ripassando
distrattamente lo straccio sul pavimento.
-
Ehi, ehi fermati! E' pulitissimo, va bene così. - lo
interruppe Owen, dandogli
una leggera pacca sulla spalla sorridendo.
-
Ah, si, scusa. Ero pensieroso.- rispose il pittore con aria imbambolata.
-
Va pure ora, è tardi, sto per chiudere.- continuò
il vecchio.
-
Ok, a domani allora.- lo salutò Harry togliendo la giacca da
cameriere e
indossando il suo cappotto.
Quando
fu per uscire Owen lo fermò di nuovo.
-
Aspetta!- disse.
Harry
si girò sostando sulla soglia.
-
Voglio scusarmi per prima: ti ho smontato una relazione in
così poco tempo, non
avrei dovuto scoraggiarti. Non pensare a tutto quello che ho detto, se
sei
sicuro di rivederla, sarà così. - lo
rassicurò con aria e modi da buon padre.
Harry
rispose semplicemente con un cenno d'approvazione e rinnovò
i saluti.
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Capitolo 7 *** Capitolo settimo ***
CAPITOLO
SETTIMO
Dopo
la strana visione di quella luce bianchissima e l'incontro con Janet,
episodi
che avevano un po' spezzato la monotonia dei suoi giorni, Harry
spostandosi con
la bici per lavoro prestava molta più attenzione, per due
motivi: cercare di
non distrarsi mentre pensava i suoi guai per non avere altri incidenti
e anche
sperare di scorgere il volto di Janet tra la folla. L'incontro con
quella
splendida donna gli aveva fatto scuotere qualcosa dentro e non riusciva
a
smettere di pensarla. Pensò che quei sentimenti dovessero
significare qualcosa
di nuovo per lui: era forse la prima volta che si innamorava ed era
successo
tutto in brevi istanti, senza neppure conoscerla. Ogni sera, prima di
tornare a
casa, si guardava attorno: per le strade, nei negozi, sull'autobus,
vicino
casa, ovunque andasse...Ma non gli era più capitato di
incontrare Janet.
Persino nella sua arte ora si rifletteva il suo nuovo stato d'animo:
nei soliti
quadri che raffiguravano realisticamente la natura si avvertiva
serenità, ma
allo stesso tempo tormento. In altri inseriva addirittura la figura
appena
accennata di Janet, calcando soprattutto gli occhi, che gli erano
rimasti
particolarmente impressi nella mente. Un giorno di fine Settembre
mostrò le
nuove creazioni al suo committente.
-
Vedo che abbiamo cambiato soggetto.- commentò quasi stupito
Got.
- Ho trovato un'ispirazione nuova suppongo...
-
Direi di si. E come si chiama?
-
Janet, è una donna che mi ha soccorso dopo l'incidente.
Ormai è da quasi un
mese che non la vedo ma ho memorizzato i suoi tratti.
-
In particolare i suoi occhi mi pare...- indagò quello
sollevando un
sopracciglio con un mezzo ghigno.
-
Si, mi piacciono molto, riescono a infondermi un senso di quiete e
trasmettono
trasparenza.
Dopo
quelle parole il committente colse negli occhi di Harry il suo
sentimento e
mostrò di essere finalmente soddisfatto. Il pittore fremeva
nell'attesa del
giudizio della sua raccolta di lavori.
-
La ritrattistica.- iniziò quello- E' da tempo che non si
vedeva: ultimamente la
figura umana è quasi del tutto stata sostituita da forme
astratte o altro.
- E
quindi?
-
Hai abbandonato la semplice pittura paesaggistica, ma devo ammettere
che è
stato un bel cambiamento. Solo che...
-
Che?- chiese Harry sempre più in ansia e felice al tempo
stesso nel vedere Got
soddisfatto.
-
Questi disegni finalmente comunicano qualcosa, ma...- si interruppe di
nuovo
Got sembrando divertito nel tenere il pittore sulle spine.
-
Ma ?- chiese iniziando a spazientirsi Harry.
-
Dovresti porre maggiore attenzione a ogni dettaglio, il che significa
che non
devi dipingere questa donna a memoria, ma di presenza.- concluse il
committente.
Pur
mostrando sempre un'aria d'insufficienza, per la prima volta Harry
aveva colto
in Got, nelle sue parole e nell'espressione, un compiacimento. Ma
subito dopo
ripensò quello che aveva precisato: doveva dipingere Janet
di presenza, ma come
avrebbe potuto rintracciarla? Poi Got lo distrasse.
-
Non dici niente Clever?- iniziò- Se non lo avessi capito, ho
detto che sei
migliorato.- ammise l’uomo senza guardarlo.
-
Si, si ho capito, solo che sono senza parole. Non me lo aspettavo, la
ringrazio
infinitamente.- riuscì a dire Harry con il cuore che gli
batteva come un
martello dentro il petto.
-
Non adagiarti troppo però; solo perché hai fatto
un passo avanti non significa
che sei a due dal successo.- lo avvertì Got.
-
Ma certo, certo, lo so. Ho ancora tanta strada davanti e mi
impegnerò al
massimo, ci conti.- rispose Harry sprizzando allegria da ogni poro.
-
Su, su adesso vai e ricorda quello che ti ho detto. Voglio almeno un
ritratto
finito entro la prossima settimana, Clever.- continuò Got.
Harry ebbe un attimo di
scoraggiamento chiedendosi come avrebbe potuto in pochi giorni trovare
e
ritrarre Janet, ma fu ottimista. Poi raccolse nella carpetta tutti i
lavori e,
non smettendo di ringraziare Got, uscì fuori dalla porta del
suo ufficio.
|
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Capitolo 8 *** Capitolo ottavo ***
CAPITOLO
OTTAVO
Era
cominciata per Harry una ricerca disperata di Janet, in ogni luogo che
frequentava e non. Se prima era attratto da lei e intendeva trovarla
solo per
conoscerla meglio, adesso si era aggiunta anche un'altra ragione:
dipingendola
avrebbe (forse) finalmente raggiunto il successo. Doveva trovarla,
assolutamente,
ma non sapeva più dove cercarla. Pensò anche di
provare a leggere il suo
cognome sull'elenco telefonico, ma nessuna voce rispondeva a Crossworth.
Era già passato un giorno da quando Got gli aveva fatto la
richiesta e un
giorno era per lui già troppo tempo perso. Così
preferì chiamare il suo
committente.
-
Pronto, studio di Clark Got, desidera?- rispose la segretaria.
-
Sono Clever, il signor Got non c'è?
-
E' qui, adesso ve lo passo.- rispose la donna.
Passarono
diversi secondi prima che Got rispondesse.
-
Clever?- iniziò dopo un po' seccato.
-
Si, buongiorno. Vi ho disturbato?
-
Sono molto impegnato, spero che tu abbia chiamato per riferirmi
qualcosa di
veramente importante!
-
Si, credo lo sia.- iniziò preoccupandosi di deludere il suo
committente.
-
Avanti, allora, parla...
-
Riguarda il limite massimo per la creazione del ritratto: credo proprio
di non
poterlo rispettare.- rispose cominciando a temere il peggio.
-
Non puoi fare un ritratto in una settimana?
-
Non credo sia possibile, ma non perché mi occorre
più tempo per dipingerla,
perché...non so come rintracciarla.
-
Non mi importa se non sai come rintracciarla, trovala! Sei hai
intenzione di
avvicinarti al successo, sappi che i tempi sono molto stretti: devi
essere
capace di produrre in poco tempo molti disegni e poi ricorda...se mi
piaceranno
molto potrei anche esporli in galleria.- concluse Got velocemente.
Harry
restò senza parole e guardò fuori dalla finestra
illudendosi che sotto casa sua
stesse passando proprio Janet. Guardò meglio: non era
un'illusione, era davvero
lì! Lasciò cadere la cornetta per l'agitazione e
Got continuò a ripetere “pronto?”.
-
Non capirò mai quel Clever. - commentò Got mentre
stava per riattaccare.
-
Sig Got, sig Got!- sentì chiamare di nuovo.
-
Ma che diavolo succede, insomma?! Non ho tempo da perdere!
-
Lo so, mi scusi...ho risolto il problema, tutto risolto!
Potrà avere il
ritratto entro il tempo stabilito, tutto risolto!- gridò
euforico.
-
D'accordo, non sono interessato a sapere come, ma va bene.
Arrivederci!-
riattaccò.
Harry, subito dopo, dimenticando di essere in pantofole e vestaglia,
scese di corsa
nella via sotto casa per paura di non riuscire a fermare Janet.
In
brevissimo tempo fu dietro di lei e iniziò a chiamarla a
squarciagola. Tutti i
passanti lo guardarono pensando che fosse pazzo, ma lui non se ne
curò.
-
Janet, fermati!- gridò provando dolore al torace per la
frattura ancora non del
tutto risanata.
La
donna si girò guardandosi intorno con aria preoccupata.
-
Harrison, da quando ci diamo del tu?- disse quella guardandolo stupita.
-
Già, dimenticavo...da adesso?- rispose con fiato corto
tenendosi il torace per
il dolore.
-
Ok, ma perché corri come un pazzo in tenuta da casa?- chiese
Janet sorridendo.
Harry
si guardò e arrossì dicendo di essersi
dimenticato di come fosse vestito.
-
Ti ho vista dalla finestra di casa mia e...non ho pensato ad altro se
non che
dovevo raggiungerti.
-
Dovrai dirmi qualcosa di importante quindi?- continuò Janet
guardando attorno a
lei un grande numero di persone che si era fermato ad assistere.
-
Si, molto importante, ma sarà meglio andare a casa.- rispose
Harry notando
anche lui le persone.
-
Andiamo allora, fammi strada.- disse Janet.
E
mentre si recarono verso casa, si crearono sempre più fitti
commenti negativi
su Harry, totalmente ignorati da questo - che toccava il cielo con un
dito per
la felicità - ma tenuti in considerazione da Janet.
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Capitolo 9 *** Capitolo nono ***
CAPITOLO
NONO
Las
Vegas, 1 Ottobre 1999
-
Cara, rispondi tu?- disse Jake alla futura moglie- Io sono sotto la
doccia, non
posso!
-
Si vado io, tranquillo. - rispose Meredith mentre pettinava i capelli.-
Pronto..?
-
Ciao Meredith, sono Tracy.- rispose dall'altra parte.
-
Ah, ciao, credevo fosse Harry.- salutò Meredith, un po'
delusa.
-
E' proprio di lui che voglio parlarti; ti ho disturbata? Sai, il
fusorario non
l'ho mai capito...
-
No, non preoccuparti. Come mai mi chiami per mio fratello, è
successo qualcosa
di grave?
-
Non so quanto possa essere grave, ma visto che sono tua amica ho
ritenuto
opportuno avvisarti.
-
Allora dimmi, cosa è successo?
-
Ecco, ieri, ero per strada: mi è capitato di
incontrarlo...in vestaglia e pantofole!
-
In vestaglia e pantofole!?
-
Si, è più strano del solito! Correva e gridava in
mezzo alla strada e ...
-
Sei sicura che fosse lui Tracy?
-
Ma si, era proprio Harry! Non so cosa gli sia preso, ma è
davvero preoccupante,
forse doveva essere ubriaco, non saprei...
-
Ho capito, non dirmi altro: prenderò il primo aereo per
Londra...
-
Come? No, no non ti muovere da lì! Che ne sarà
del matrimonio?- la frenò
l'amica.
-
Ma non posso abbandonare Harry in questo stato! Non l'ho neanche
sentito per
telefono da quando sono partita. Siamo così impegnati con i
preparativi...
-
Sapevo che non avrei dovuto dirti niente..
-
Ma no, cosa dici? Hai fatto bene ad avvisarmi. Ne parlerò
con Jake; se sarà
necessario sposteremo le nozze...- concluse Meredith riattaccando il
telefono.
-
Di cosa devi parlarmi?- chiese Jake raggiungendola dal bagno. Era
scalzo e si
stava chiudendo l’accappatoio.
-
Mi hai fatto spaventare...- disse la donna iniziando a pettinarsi
nervosamente.
-
Cosa c'è che non va?- continuò Jake sedendosi
accanto a Meredith.
-
Si tratta di Harry.- rispose la donna preoccupandosi della reazione di
Jake.
- Harry, Harry, sempre Harry!- gridò Jake.
-
Fammi parlare, Jake!
-
Perché ancora non hai capito che tuo fratello è
una persona adulta e
indipendente?
-
Lascia che ti spieghi!
-
Ti ho sentita al telefono: vuoi spostare le nozze per lui! Non hai
niente da
spiegare! Non se ne parla: Harry non deve sconvolgere la nostra vita
coniugale!
-
Ma è mio fratello, non posso lasciarlo solo! Tracy mi ha
detto che ha dei comportamenti
preoccupanti, devo aiutarlo!
- Certo,
corri da lui a salvarlo! Ma se sarà così, allora
non ci sposeremo affatto!
-
No, questo no! Io ti amo, Jake!
-
Non mi sembra. Mi sembra che per te conti solo Harry!
-
Non è così e tu lo sai. E' proprio
perché ti amo che ho cambiato vita: questo
dovresti comprenderlo e apprezzarlo.
-
Se dici di aver cambiato vita, devi escludere Harry, almeno per ora.
Ricordi
che tra poche settimane ci sposiamo?
-
Ho capito, scusami. Hai ragione, le nozze non dobbiamo toccarle.
Partirò dopo e
intanto chiederò a Tracy di controllare un po' Harry e mi
riferirà per
telefono.
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Capitolo 10 *** Capitolo decimo ***
CAPITOLO
DECIMO
Harry,
intanto, ancora incredulo di avere avuto la fortuna di rincontrare
Janet per
caso, organizzava appuntamenti con lei per conoscerla meglio e
stabilire la
posa del ritratto. Una mattina fu a casa sua per
iniziare il disegno. C’era un certo
imbarazzo, non si scambiarono parola sino a quando non furono dentro.
Pensò che
fosse il caso di scusarsi per il disordine, ma gli sembrò
una frase troppo
usata nei film, così la guidò subito in cucina,
dove sua sorella teneva tutto a
posto.
-
Vuoi un caffè?- chiese Harry.
-
No, grazie, l'ho già preso prima al bar.- rispose Janet.
-
Sai che mi sembra ancora incredibile che tu sia qui?-
continuò il pittore emozionato.
-
Già, è stato proprio un caso il nostro incontro.-
disse la donna con la solita
voce pacata.- Allora dove devo posare?- deviò il discorso
Janet.
-
No, aspetta, perché non parliamo un po' prima di iniziare?-
chiese l'uomo.
-
Di cosa?
-
Non so, vorrei sapere qualcosa di te, mi piace conoscere con chi lavoro.
Janet
parve disturbata dalla proposta e fu evasiva anche con lo sguardo. Ma
Harry
volle insistere.
-
Posso sapere, se non sono troppo indiscreto, cosa fai nella vita?-
riprovò il
pittore.
- Non
sono molto impegnata, come te. Vivo con i miei genitori e la mia
passione sono
le piante.
-
Sei una fioraia?
-
No, mi occupo solo di curare le piante e i fiori del mio giardino.
-
Oh, scusa...non lavori?
-
No.- rispose in modo sbrigativo.- Allora, possiamo iniziare?- chiese
tornando
sfuggente. Così dicendo uscì dalla cucina e
sostò in corridoio.
-
Si, scusami, non voglio più metterti a disagio. Per la posa,
ti lascio libera
di sceglierla: puoi metterti come e dove vuoi.
-
Come, non devi dirmelo tu? Io non ho mai posato per nessuno, non saprei
proprio
come mettermi.
-
Scegli la posa più comoda e naturale, quella che vuoi...- la
rassicurò
avviandosi al piccolo salotto.
-
Posso stare seduta anche qui allora?- chiese Janet indicando il divano.
-
Certo, come vuoi. La posa deve essere il più naturale
possibile. Forse...solo
una cosa...- disse Harry avvicinandosi a lei.
Janet
apparve emozionata e notò che era diretto verso la sua
testa. Harry con cautela
posò le mani sul suo fermaglio che le raccoglieva i lunghi
capelli e glielo
tolse. Cadde lentamente una folta chioma di boccoli, che si adagiarono
sulle
spalle.
-
Perfetta.- commentò Harry- Non toccarli, sono perfetti
così.
In
quei pochi istanti così vicini tra loro, Harry ebbe la
tentazione di baciare
Janet e il desiderio di restare in quella posizione per sempre. Per un
po' il
tempo parve fermarsi e i suoi occhi si persero in quelli della donna.
Questa
colse nell'espressione dell'artista la tentazione e girò la
faccia indietreggiando.
-
Scusami...- disse Harry allontanandosi.
Poi
il pittore prese la tela e i colori e si posizionò di fronte
Janet. Prima di
iniziare il disegno prese il giradischi e fece suonare vecchi brani dei
Beatles.
-
Come mai non hai uno stereo come tutti gli altri?- chiese Janet
incuriosita.
-
Amo i pezzi d'antiquariato...e i Beatles. Sono il
mio gruppo preferito,
non seguo molto i cantanti contemporanei. Ti da fastidio?
-
No, figurati, piace anche a me la loro musica.
-
Metto sempre della musica di sottofondo.
Dopo
aver sistemato tutto, iniziò il tanto atteso disegno,
dapprima con mano quasi
tremante per l'emozione. Janet restò impassibile ed Harry si
rilassò poco dopo,
un po' per la musica e un po' nel guardare gli occhi sereni della
donna.
Trascorse solo circa un'ora e il pittore aveva già terminato
di disegnare
l'armonica figura di Janet in tutti i suoi particolari. Adesso mancava
il
colore: non aveva intenzione di usare tinte realistiche, voleva
colorare con
realismo solo gli occhi. Gli occhi, che lo avevano fatto innamorare di
Janet.
Riempì il resto della figura con delicati passaggi
chiaroscurali con il
carboncino.
-
Ho finito.- disse circa un'ora dopo.
Accennando
un'espressione di stanchezza, Janet si alzò dirigendosi
verso la tela.
-
Giurami che un giorno me ne regalerai uno, Harry.- iniziò la
donna guardando
affascinata il ritratto.
-
Un tuo ritratto?
-
Sì, così potrò guardarmi quando
sarò vecchia.- sorrise- No, sul serio, ne
vorrei uno. Sei bravissimo, non riesco a credere che il sig Got sia
sempre
insoddisfatto delle tue creazioni.- continuò non togliendo
lo sguardo dal
disegno.
-
Forse adesso cambieranno le cose: sento che mi porterai fortuna.-
iniziò Harry
pensando che quello fosse il momento giusto per dichiararsi.
Sentì
le guance arrossarsi per quello che aveva intenzione di dire.
-
Ma non voglio che tu pensi il mio interesse verso di te legato
esclusivamente
al lavoro, Janet.
Temeva
di apparire troppo imbranato, così non proseguì e
cercò di farsi capire meglio
con gli occhi.
Lei
cominciò ad indietreggiare verso la porta d'ingresso e si
scusò dicendo che si
era fatto tardi e aveva un impegno. Harry sospirò e
rilassò i muscoli.
-
D'accordo. Puoi tornare domani?
- Si, credo che verrò.- lo
salutò uscendo.
|
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Capitolo 11 *** Capitolo undicesimo ***
CAPITOLO
UNDICESIMO
3
Ottobre 1999
Harry,
come ogni mattina, si recò alla locanda del sig. Owen, ma
appena arrivato ebbe
l'impressione che fosse successo qualcosa. Diversi dipendenti e i
soliti
clienti erano raggruppati a discutere. Cercò di sorpassare
la folla vicino la
porta d'ingresso della locanda per capire di cosa parlassero. Tra
questi
riconobbe la signora Mitchell,moglie di Owen, in
lacrime. Si avvicinò a
lei dopo aver accostato la sua bicicletta a un muretto.
-
Signora Mitchell, cosa è successo?- chiese garbato.
Quella
esplose in un pianto ancora più forte e si gettò
al petto di Harry. La
sofferenza la faceva sembrare ancora più minuta e fragile.
Poi indicò verso un
tavolo della locanda senza riuscire a parlare. Lo sguardo del pittore
si
diresse subito verso l'indicazione e lì vide qualcosa
coperta da un telo
bianco. Si avvicinò capendo che si trattasse di un morto,
così, con il timore
di trovarvi sotto il corpo di Owen, lo sollevò comunque e
...dovette realizzare
che il presentimento era vero. Sentì ghiacciarsi il sangue
nelle vene.
-
Owen!- urlò portando la mano davanti la bocca.
La
vedova si avvicinò coprendolo e gridando a sua volta. Poi un
uomo, cameriere
del locale, allontanò la signora Mitchell.
-
Sarà davvero difficile per lei superare questa perdita, se
non impossibile.- spiegò
ad Harry commosso, dopo averla condotta fuori.
-
Ma come è morto?- domandò l'artista con le
lacrime agli occhi.
-
Aveva un brutto male...non te l' ha mai detto?
-
No, mai. Ma perché?- si stupì Harry.
-
Forse non voleva darti altre preoccupazioni. Io lo conoscevo bene era
fatto
così: sempre pronto ad aiutare gli altri, senza fargli mai
pesare i suoi
problemi.
-
Ma non ha potuto fare niente per curarsi? Non so...un'operazione...-
disse
Harry.
-
No, il male era già troppo esteso quando se n'è
accorto. L'operazione non
avrebbe risolto niente. Sapeva esattamente quanto tempo lo separasse
dalla
morte e...purtroppo, con un po' d'anticipo, lo ha raggiunto ieri notte,
prima
che chiudesse la locanda. Sua moglie non si è neanche
accorta che non era
tornato a casa dopo il lavoro perché prende sempre dei
sonniferi: soffre
d'insonnia e d'ansia.
-
Mi dispiace davvero. Ora cosa farà?- chiese Harry guardando
la donna distrutta
dall'immenso dolore.
-
Ha chiesto di essere lasciata sola e di fare cessare
l'attività.
-
Si chiuderà la locanda?
-
Si. E siamo tutti senza lavoro... Ma del resto, io personalmente non
riuscirei
più a lavorare come prima senza Owen. Soprattutto sapendo
che è morto qui...
Harry
appoggiò il parere di quell'uomo e ripensò tutti
i giorni trascorsi lì col saggio
Owen, un amico che aveva riscoperto troppo tardi.
Cercò
di ricordare se, anche in modo impercettibile, avesse mai mostrato di
stare
male. Ma ricordò solo di averlo visto sempre col sorriso
sulle labbra, anche di
fronte alcune situazioni più difficili.
- Era un grande
uomo.- commentò raccogliendosi
agli altri con lo sguardo basso e la voce rotta dal dolore- E' un vero
peccato
che ci abbia lasciati.
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Capitolo 12 *** Capitolo dodicesimo ***
CAPITOLO
DODICESIMO
Nel
pomeriggio dello stesso doloroso giorno alla locanda, come promesso,
Janet tornò
a casa di Harry. Quando lo salutò notò in lui una
profonda tristezza.
-
Non stai bene Harry?- gli chiese posando il suo cappotto
nell'appendiabiti.
-
E' morto Owen, quell'uomo della locanda di cui ti ho parlato.
Dirlo
ad alta voce gli fece venire i brividi.
-
Mi spiace. L'ho visto qualche volta, ma mi pareva stesse bene...
-
Aveva un tumore, io non lo sapevo. Forse se lo avessi saputo lo avrei
convinto
ad operarsi e magari...
-
Tss!- lo frenò Janet ponendo un dito sulle sue labbra- Non
devi sentirti in
colpa, non ne hai motivo. Nessuno può evitare la morte delle
persone a cui
tiene in certi casi.- lo consolò.
-
Forse hai ragione.- esclamò Harry tranquillizzandosi.-
Però temo che oggi non
riuscirò a dipingere serenamente, neppure con la musica. -
continuò in un
sussurro.
-
Non fa niente, vuol dire che me ne andrò.
-
No, ti prego, restiamo ancora insieme. Ho voglia di distrarmi,
perché non mi
fai conoscere la tua casa?
Janet
sembrò pietrificarsi e restò qualche istante a
pensare.
-
Ma se non vuoi, tranquilla, non fa niente.- disse Harry notando la sua
reazione.
-
No, puoi venire.- cambiò idea Janet.
Così
uscirono ed iniziarono a mettersi in marcia. Harry provò un
inspiegabile senso
d'insicurezza accanto a lei. Ripensò alla sua reazione ed
ebbe l'impressione
che nascondesse qualcosa: d'altronde non la conosceva molto, poteva
essere
chiunque. Solo allora si era soffermato su quell'idea: chi era
veramente Janet?
Perché aveva quelle strane reazioni e non voleva discutere
della sua vita?
Janet lo guidava tranquillamente per raggiungere casa sua ed Harry
raggiunse
una zona di periferia che non aveva mai visto: vi era un lungo viale
alberato e
tante graziose villette.
Harry
capì che Janet doveva essere ricca o, comunque, molto
benestante. Dopo circa
venti minuti di tragitto furono arrivati di fronte un grande cancello
nero
circondato ai lati da fitti rampicanti. La strada non era asfaltata e
non si
sentiva alcun rumore.
-
E' magnifico qui.- commentò Harry.
-
Questa è casa mia.- disse Janet indicando un' abitazione che
s'intravedeva tra
gli alberi oltre il cancello.
Era
una villa su due piani, con semplici rifiniture ma elegante. La porta
d’ingresso con ai lati degli ampi vasi vuoti.
-
E' davvero carina.- disse Harry provando un pizzico di gelosia ma non
esternandolo.
-
Entriamo?- chiese Janet facendolo disincantare.
Così
Janet prese un mazzo di chiavi dalla tasca del cappotto e
aprì il cancello.
Attraversarono un lungo vialetto pavimentato che conduceva alla casa.
Harry
osservò le rigogliose piante, soprattutto grasse,
nell'immenso giardino e poi
tra queste notò
anche una fontana non
attiva. Janet non fece sfoggio di quelle meraviglie ed Harry fu colpito
dalla
sua umiltà.
-
Aspetta Janet.- disse Harry- Fermati lì.-
continuò facendo sostare la donna
vicino la fontana.
La
donna lo guardò senza capire ma si fermò
sorridendo.
-E'
un' immagine stupenda. Mi piacerebbe dipingerti lì.-
spiegò Harry aprendo la
carpetta coi fogli che portava sottobraccio.
-
Qui?
-
Si, vicino la fontana.- continuò.
-
Vuoi dipingere adesso? Sei sicuro di riuscirci?
-
Si, in questo giardino sto ritrovando la serenità. I tuoi
non ci sono?
-
No, oggi sono in campagna.- rispose Janet dopo qualche esitazione.
- Allora ti va se mi siedo su questa panchina a farti un altro
ritratto?
-
Si, ma solo se sarà il mio.
-
D'accordo, te lo regalerò.
Seguirono
interminabili minuti di serenità. Tutto in quel giardino
sembrava essersi
fermato e Janet appariva agli occhi di Harry come un angelo, illuminata
dalla
rossiccia luce del crepuscolo. I suoi lunghi capelli erano appena mossi
dal
vento e riflettevano i raggi del sole ormai quasi tramontato. Nel
disegnare,
Harry si estraniò da tutto: non pensò
più neanche che era rimasto senza lavoro.
Si concentrò solo sulla figura di Janet, il foglio e i
tratti della matita.
|
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Capitolo 13 *** Capitolo tredicesimo ***
CAPITOLO
TREDICESIMO
Era
giunto il momento di presentare a Clark Got la sua raccolta di lavori.
Era proprio
il 7 Ottobre, la data prestabilita per la consegna e aveva realizzato
non un
disegno, ma tre, di cui uno a colori. Si recò allo studio
del committente
intorno alle undici del mattino e attese quasi un'ora prima di essere
ricevuto.
Poi, finalmente, uscì dallo studio la segretaria a dirgli
che poteva entrare.
Teso, solcò la soglia con la carpetta sottobraccio e diede il buongiorno a Got.
-
Puntuale Clever.- iniziò quello.
- Già e ho realizzato più del previsto.-
rispose Harry iniziando ad aprire la
carpetta.
-
Su, fa vedere.- continuò Got prendendo i ritratti.
Li
osservò scrupolosamente per qualche minuto restando in
perfetto silenzio. Si
rigirò sulla sedia girevole con i disegni in mano e poi li
riposò sulla
scrivania.
-
Allora?- chiese impaziente Harry,
-
Si potrebbe provare...- iniziò Got con la solita aria
d'insufficienza.
- A
fare cosa?
-
Ad includerli tra le opere di artisti emergenti nella galleria d'arte
contemporanea.- disse Got senza manifestare alcun tipo di emozione.
-
Dice sul serio?- si stupì Harry balzando dalla sedia.
-
Si, ma non ti esaltare: non è detto che sia un successo.
Diciamo che la
considero una prova.... Magari una piccola percentuale potrebbe toccare
anche a
te.- concluse.
-
Magari...una piccola percentuale?- chiese stupito e allo stesso tempo
deluso
Harry.
-
Certo, sarà così all'inizio. Cosa credevi?-
rispose semplicemente Got.
-
Ma io ho bisogno di soldi, ho perso il lavoro!- si sfogò il
pittore.
-
Non è un mio problema, Clever. Dovresti già
ringraziarmi perché ti sto offrendo
questa occasione.
-
Lei dice sempre che dovrei ringraziarla e ritenermi fortunato, ma sono
anni che
accumulo solo delusioni!- esclamò Harry spazientendosi.
- Clever, non mi aspettavo una reazione così
energica! Cerca di controllarti...-
disse Got continuando a girare sulla sedia.
Harry
si sedette e cercò di calmarsi. Ragionò: in fondo
aveva finalmente ottenuto di
poter vedere esposte le sue creazioni, anche se, per lui, non avrebbero
fruttato molto denaro. Per un attimo si sentì un' ipocrita
ripensando a quando
il cognato, Jake, aveva insinuato che il suo interesse per l'arte era
legato
solo ai soldi.
-
Mi scusi Got.- disse dopo aver riflettuto.- Ha ragione, devo
ringraziarla per
avermi dato l'opportunità di mostrare al pubblico i miei
disegni.
- Bene,
vedo che hai ripreso a ragionare. Tornando alla mostra, credo se ne
parli il
mese prossimo perché ci dobbiamo organizzare: la cerimonia
d'apertura, il
banchetto, gli accordi col museo...poi attendo ancora alcune opere di
altri
aspiranti artisti...Quindi
questi ritratti li lasci a me e li conserverò fino al giorno
della mostra e
naturalmente, nelle prossime settimane puoi portarmi altri disegni e
ah, si, di
alla tua modella che è invitata ad assistere alla mostra:
voglio vederla dal
vivo, confrontarla coi tuoi disegni e constatare se davvero le somiglia.
Dopo
quell'esauriente quanto rapida spiegazione, Got prese i disegni e
accomodò
Harry fuori dal suo studio. Questo, appena uscito, sentì
completamente
scrollato di dosso tutto il nervosismo e fece un salto di gioia
accompagnato da
un urlo scaturito dal medesimo sentimento.
-
Scusate.- farfugliò alla gente che era in attesa e aveva
assistito a quella
manifestazione.
Poi,
quasi salterellando, andò fuori verso la sua bici e fece un
giro tra i negozi,
ma non per fare acquisti: intendeva trovare un'altra occupazione al
più presto.
Entrò in un negozio di scarpe, in una libreria, in un bar,
in una pizzeria, ma
niente...In seguito passò accanto a un negozio
d'antiquariato e anche lì chiese
se avessero bisogno di personale.
-
Buongiorno.- lo salutò una signora davanti la porta.
-
Lei lavora qui?- chiese Harry meravigliandosi di come una
personalità tanto
eccentrica e moderna potesse interessarsi a un negozio di quel genere.
-
Si, perché?- rispose quella buttando la cicca per terra.
-
Vorrei sapere se qui occorre un commesso: cerco disperatamente lavoro,
qualunque lavoro.- spiegò Harry.
La
signora attorcigliò i capelli tra le dita e lo
guardò.
-
Qualunque dici...Hai mai pensato che sei molto carino?- chiese la donna
con
tono malizioso.
-
Ma cosa...?- arrossì Harry.
-
Su, sto scherzando! Entra pure.- disse quella ridendo.
Appena
entratovi si stupì delle dimensioni e della
quantità d'oggetti esposti: da
fuori era parso un negozio molto meno grande e fornito.
-
Cosa ci fa una come lei qui, scusi?- disse Harry continuando a guardare
la
signora.
Quella
infatti, anche se fosse di mezza età, aveva un abbigliamento
alquanto
eccentrico: stivali alti e laccati rossi, trucco pesante, capelli con
treccine
stile afro, unghia finte...
-
Era il negozio di mio padre, viene tramandato da generazioni.
-
Capisco. Allora posso trovare occupazione qui?
-
Gestisco da molto tempo quest'attività da sola, ma devo
ammettere che una mano
mi farebbe comodo...magari puoi occuparti di pulire gli oggetti
più piccoli.-
iniziò prendendogli le mani- Vedo che hai delle dita molto
sottili, ti riuscirà
sicuramente meglio di me. Allora, accetti?
-
Certo, certo grazie infinite signora.- rispose Harry felice.
-
Chiamami pure Charlotte.- si presentò la donna.
-
Ok, Charlotte, io sono Harrison, ma puoi chiamarmi Harry, come tutti.
Dopo
tornò a casa dicendo che avrebbe iniziato a lavorare
l'indomani.
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Capitolo 14 *** Capitolo quattordicesimo ***
CAPITOLO
QUATTORDICESIMO
Era forse la prima volta dopo tanto
tempo che Harry si
sentiva sereno e aveva più motivi per esserlo (anche se non
aveva dimenticato il
vecchio amico Owen): aveva trovato un lavoro, si era innamorato e ,
soprattutto, aveva raggiunto la prima tappa importante nella sua
carriera artistica. Così sentì la
necessità di dirlo alla sorella e la chiamò.
- Chi è?- rispose Jake.
- Sono Harry, ciao.- si presentò.
Jake, seccato gli disse subito che Meredith non era in
casa.
- Chi è, Jake?- chiese la donna da un'altra stanza.
Harry la sentì e, nervoso, pregò Jake di passarle
subito
la sorella. Prima che quello lo facesse, disse a Meredith di essere
breve e non
farsi convincere, qualora Harry lo avesse detto, ad andare di nuovo a
Londra.
Il pittore riuscì a sentire quella raccomandazione che
suonava quasi come una minaccia
e provò ancora più antipatia nei confronti del
cognato. Poi la sorella prese la
cornetta e lo salutò contenta.
- Ti fai comandare da Jake così?- iniziò il
fratello.
- Cosa? Ma che dici...- rispose quella fingendo.
- Ah,..lasciamo perdere...Ti ho chiamato per farti
sapere che Got ha deciso di esporre
i
miei disegni nella sua galleria!
- Davvero!? Ma è fantastico Harry!- esclamò
stupita
Meredith.
- Si, il mese prossimo. Ma non è tutto, purtroppo
chiamo anche per darti una brutta notizia: Owen è morto.-
continuò in tono più
serio.
- Mi dispiace...come mai?
In quella domanda Harry avvertì una falsa
ingenuità.
- Dai, non dirmi che tu non lo sapevi, Meredith...Lo
sapevano tutti che stava male, tranne io.
- Ah, così te lo hanno detto...
- Si, ma non capisco perché me lo hanno tenuto
nascosto, compresa te!
- Eri già troppo giù, non volevamo che
peggiorasse la
tua situazione, primo di tutti Owen.- spiegò Meredith con
voce triste.
- Tu come stai invece?- chiese Harry.
- Bene, bene...Io e Jake ci sposiamo tra una settimana. E comunque
ricorda che è ancora valido il tuo invito.
- No, te lo ripeto Meredith: non ho intenzione di
venire. Sono molto impegnato perché devo fare altri disegni
per la mostra e
poi...lo sai che non mi piace affatto Jake. - spiegò
pronunciando con tono di
disprezzo il nome del cognato.
- Allora io non verrò alla mostra.- rispose offesa la
sorella- Non prendertela, ma ormai credo che il nostro rapporto si sia
incrinato, siamo troppo distanti.
- Perché non chiedi come mai è successo all'uomo
che dovrai
sposare?- disse innervosendosi Harry e interrompendo la chiamata.
- Non ci pensare .- disse Jake avvicinandosi alla
futura moglie e accarezzandole le spalle.
- Abbiamo litigato di nuovo...
- Non sentirti in colpa, tanto scommetto che se un
giorno raggiungerà il successo non si ricorderà
neanche di chi sei...- continuò
Jake.
- No, questo non succederà: non è uno che si
monta la
testa mio fratello.- rispose la donna alzandosi dal divano.
Ed effettivamente nessuno credeva che Harry avesse mai
assunto quell'atteggiamento, primo fra tutti, proprio lui. Mai poi il
pittore
dovette ammettere che dopo aver sentito da Got la bella notizia aveva
pensato
anche ai soldi e questo un po' lo preoccupava. Aveva paura che il
successo lo
avrebbe allontanato ancora di più da tutti, ma, in seguito,
pensò che non lo
aveva ancora raggiunto e sino a quando non sarebbe accaduto nessuno
poteva
prevedere le conseguenze.
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Capitolo 15 *** Capitolo quindicesimo ***
CAPITOLO
QUINDICESIMO
Trascorrevano i giorni ed Harry
continuava ad invitare
Janet a casa sua per ritrarla nel pomeriggio, mentre la mattina era
occupato al
negozio d'antiquariato. Si avvicinava la tanto attesa mostra e intanto
Janet
sembrava cambiare il suo comportamento di giorno in giorno: sembrava
più
distaccata. Harry non diede molto peso al cambiamento e
continuò a pensare solo
la data della mostra : 15 Novembre. Poi la sera del 20 Ottobre,
successe
qualcosa di straordinario ed inaspettato...Non gli fu chiaro se stesse
vivendo
un sogno o meno, ma nella cucina gli apparve Owen. Colto da stupore
misto a
paura, gli restò distante chiedendosi se stesse sognando.
- No, Harry: sono proprio qui.- rispose il vecchio con
molta tranquillità.
- Ma come è possibile? Tu sei morto!- gridò Harry
cominciando ad avvicinarsi.
- Sono qui per avvisarti di una cosa.
- Ma cosa...?- continuò a stupirsi il pittore
sgranando gli occhi.
- Devi dimenticare Janet: ti farà soffrire.- rispose
Owen con lo stesso tono in cui in vita gli dava consigli da padre.
- Cosa? Ma non la conosci neanche, come puoi dire una
cosa simile? E poi tu non dovresti neppure essere qui...!
- Ricorda quello che ti ho detto: dimenticala, non è
quella che credi!- ripeté Owen iniziando a dissolversi.
Dopo lo strano episodio Harry svenne e cadde per terra
e al risveglio non ricordò se fosse stato sogno o
realtà. Il giorno dopo si
fece convinto che avesse fatto solo uno strano sogno e cercò
di non pensarci,
anche perché non capiva come il locandiere potesse parlare
male di Janet. Come
ogni mattina si recò al negozio d'antiquariato e
iniziò il suo lavoro. Tuttavia
non riuscì a distrarsi e, anzi, suppose che infondo Janet
poteva anche non
essere come appariva, visto che non sapeva molto di lei. Non fece
più molto
caso a cosa era successo e soprattutto a chi gli aveva detto quelle
cose su
Janet, ma a quello che aveva detto il suo vecchio amico: “non
è quella che
credi”. Cominciò a pensare i motivi
più svariati per cui Janet potesse
fingere: forse era ricercata, una latitante o un'assassina, una ladra
interessata
a rubare i suoi quadri se avessero acquisito un certo valore...
Ma poi ripensò i
suoi splendidi occhi: gli erano sempre parsi lo specchio della sua
anima, così
limpidi e sinceri...Come poteva riuscire a mentire senza manifestarlo?
- Qualcosa non va ?- chiese improvvisamente Charlotte
notandolo molto pensieroso.
- Come?- disse lui riprendendo a pulire gli oggetti.
- Ho capito...come si chiama?- esclamò Charlotte
intuendo che stesse pensando a una donna.
- Non mi va di parlarne scusa...- rispose Harry seccato.
- Comunque ho fatto centro, vero?- continuò la donna.
Harry
rispose solo facendo cenno di si con la testa e continuò a
fare il suo lavoro.
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Capitolo 16 *** Capitolo sedicesimo ***
CAPITOLO
SEDICESIMO
Finalmente mancavano solo due
giorni alla mostra ed
Harry si recò nella casa di Janet per
dirle che vi era stata invitata. Suonò più volte
ma sembrava non esserci nessuno. Poi pensò di chiedere a un
passante che vide
uscire da una casa lì vicino se conoscesse i Crossworth e
sapesse se fossero
usciti.
Il signore, molto distinto, appena sentito quel cognome
corrugò la
fronte e guardò attentamente Harry.
- Lei non è di queste parti, vero?- chiese quello.
- No.- rispose Harry guardandosi gli abiti e capendo
che l'uomo aveva intuito proprio da quelli, molto più
modesti dei suoi, che non
abitava in quella ricca zona di periferia.
- Non vivono più qui da tempo...Ma perché li
cerca?
- Cosa? - disse sbalordito l'artista - Sa perché?
- Pare che la figlia sia scomparsa e loro abbiano
cambiato casa.
- Scomparsa? Io la conosco!
- Non saprei dirvi altro, mi spiace.- esclamò il
passante iniziando a dirigersi verso la propria auto.
- Grazie lo stesso.- lo salutò Harry continuando a
guardare la villa da dietro il cancello.
Poco dopo, mentre stava ancora spiando l'abitazione,
sentì dietro di sé un profumo conoscente: quello
di Janet, alla vaniglia. Si
girò quasi spaventato e le disse che doveva parlarle.
- Perché sei qui?- lo interruppe Janet.
- Pensavo fossi in casa e volevo parlarti.
- Stavo facendo un giro.
- I tuoi non sono in casa?- continuò Harry fingendo di
non sapere del loro trasloco.
- Si, ma stanno poco bene.
- Perché non smetti di fingere!- sbottò Harry
alzando
il tono della voce e richiamando l'attenzione
dei passanti.
Questi cominciarono a guardarlo male e ad additarlo.
Janet se ne accorse e senza dire niente iniziò a correre in
direzione del
centro città. Harry, sempre più confuso, la
seguì gridandole di fermarsi. Non
riuscendo a starle dietro, decise di dichiararsi con lei in quel
momento per
cercare di convincerla a non correre più.
- Ti amo!- cominciò a gridare continuando a correre
tra le auto e le persone.- Ti amo Janet!- continuò senza
curarsi di ciò che
accadeva attorno.
Janet si fermò e lentamente andò verso di lui.
Aveva
un’aria implorante e confusa. Sembrava lui stesso stupito di
essere riuscito
finalmente a dire quelle semplici ma significative parole.
- Ti amo dal primo istante in cui ti ho vista.- ripeté
alla donna quando furono l'uno davanti all'altra su un marciapiede.
- Ma io non posso Harry.- fu la risposta di lei con
gli occhi gonfi di lacrime.
- Perché? Cosa nascondi?
- Non doveva andare così. Non possiamo stare insieme,
Harry...- continuò Janet.
- Non vedo il perché! Se c'è qualcosa che non va
,
dimmelo. Perché scappi e non mi dici niente di te? -
domandò Harry
accarezzandole il volto.
- Devo andare.
- No!
- Non posso dirti il perché.- rispose iniziando ad
allontanarsi da lui. - Non mi crederesti mai...
- Aspetta Janet!- continuò Harry - Vuoi venire alla
mostra dopodomani? Got tiene molto alla tua presenza e anche io
ovviamente.-
spiegò.
- Si, verrò. - rispose lei dopo qualche riflessione. -
Forse così capirai perché la nostra storia non
avrebbe senso.
Dopo quelle misteriose parole si allontanò ed Harry la
perse tra la folla. Lui restò fermo su una panchina
continuando a pensare quale
segreto potesse avere Janet e soprattutto perché non
potevano stare insieme.
Neppure l'arrivo della pioggia lo fece alzare dalla panchina: non
riusciva a
capire il perché di tutti quei segreti e quelle bugie ed era
rimasto come di
pietra, incapace di reagire.
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Capitolo 17 *** Capitolo diciassettesimo ***
CAPITOLO
DICIASSETTESIMO
Fervevano incessanti gli ultimi
preparativi
dell'inaugurazione della galleria d'arte contemporanea con la mostra di
opere
d'artisti emergenti. Clark Got, con i suoi collaboratori, continuava a
ripassare il discorso che avrebbe fatto ai visitatori, le donne delle
pulizie
si accertavano che fosse tutto a posto, la sorveglianza era
già a tutti gli
angoli della galleria e due uomini attendevano all'ingresso l'arrivo
del
pubblico per ritirare i biglietti. La visione della mostra avrebbe
avuto inizio
tra breve e già molte persone attendevano nell'atrio in cui
il museo, in attesa
che fosse tutto pronto, offriva gratuiti aperitivi e antipasti. Got si
ritirò
nel suo ufficio a fumare l'ultima sigaretta prima di cominciare.
- Perché ancora non arriva quel Clever! - disse tra
sé
e sé -”E' forse la migliore promessa tra
tutti...” - pensò.
- Desidera un caffè? - disse la sua assistente mentre
ne stava già bevendo uno da un bicchierino di plastica.
- Ma sei matta! Dovresti saperlo che mi innervosisce
paurosamente!- rispose Got nervoso.
- Sbaglio o dicevate che Clever è il migliore? -
continuò la donna.
- Ma è scontato, lo seguo da più tempo...gli
altri non
hanno di che sperare. - rispose percorrendo su e giù tutta
la stanza.
- Eppure mi pareva lo scoraggiasse...
- Adesso sta zitta, devo andare. - concluse buttando la
cicca nel posacenere.
Poi si diresse all'atrio e vide, tra la gente, che
alcuni artisti autori delle opere della mostra erano arrivati, ma non
Harry.
Per cercare di mascherare la tensione si unì alla gente a
bere con loro gli
aperitivi.
- Vedrete che sarà una bella mostra! - iniziò
rivolgendosi a un gruppetto di ragazzi - Scommetto che
piacerà anche a voi! -
continuò dirigendosi verso alcuni anziani.
Mentre continuava a sfoggiare sorrisi forzati e a bere
ogni tipo di bevanda, Got si accorse che poco più avanti,
vicino l'ingresso,
era giunto Clever col suo solito abbigliamento trasandato. Vi
andò incontro e
notò che appariva a disagio in mezzo a tutte quelle persone
- Scusi il ritardo,
ma Janet era indecisa sul venire sino all'ultimo momento. - si
giustificò Harry.
- Peccato, speravo sarebbe venuta. - rispose ancora più
nervoso Got.
- Come, non la riconoscete? E' lei la donna che ho
ritratto! - disse il pittore indicandola alla sua sinistra.
- Quanto sei spiritoso Clever, deve essere il
nervosismo a farti comportare in questo modo... - esclamò
ridendo Got.
- Vuole dire che non le somiglia? Io credevo fosse
identica... - rispose deluso Harry.
- Allora devi avere la febbre... - continuò spazientito
Clark Got.
- Janet, di qualcosa anche tu! - disse il pittore
iniziando a preoccuparsi.
-
Adesso basta con questo scherzo, Clever! - urlò Got facendo
girare tutti verso
di Harry. - Non c'è proprio nessuno accanto a te!
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Capitolo 18 *** Capitolo diciottesimo ***
CAPITOLO
DICIOTTESIMO
Sogno? Realtà? Harry non
riusciva più a
comprendere...Notò tutti gli sguardi su di lui ed era
talmente confuso che non
riusciva neanche a distinguere le parole dei commenti creatosi.
Avvertì un
capogiro, per poco non svenne e continuava a girargli
per la testa quella frase in continuazione:”Non
c'è proprio nessuno accanto a te!”
La gente reagì in maniera diversa: qualcuno rideva,
altri lo prendevano in giro, altri ancora mantennero le distanze da
lui.
Qualcuno continuava a bere e mangiare e bisbigliare l'uno con l'altro,
proprio
come era accaduto altre volte in cui era fuori con Janet. Got intanto
distraeva
la gente incoraggiandola ad entrare alla mostra che sarebbe iniziata
tra meno
di cinque minuti, alle 10:30. Janet si era allontanata dopo averlo
guardato
senza riuscire a dire una parola e lui era rimasto solo. Mancava
così poco
all'inizio della mostra, eppure non aveva alcuna voglia di presenziarvi
anche
se quasi certamente le sue opere avrebbero riscosso più
successo delle altre.
Ormai pensava solo a come spiegarsi lo strano accaduto: era mai
possibile che Janet
fosse solamente frutto della sua immaginazione? “Dovrò
ricoverarmi in
qualche clinica psichiatrica...”- disse tra
sé e sé.
- Signori, accomodatevi prego: la mostra ha inizio. -
disse improvvisamente Got cercando di nascondere il nervosismo.
Quando furono quasi tutti entrati, richiamò Harry per
cercare di convincerlo a partecipare, ma quello parve irremovibile,
sotto choc.
- Non fare l'idiota Clever, è il tuo momento! - gli
urlò.
- Non è possibile, non posso crederci... - continuava a
ripetere Harry con lo sguardo perso nel vuoto.
- Non so cosa ti sia preso, ma devi entrare! La gente
aspetta che tu commenti le opere! - ribatté Got agitato -
Potrebbe essere il
momento che aspetti da una vita e vuoi buttarlo così!?
Ma Harry seguitava ad essere assente e disinteressato
alle parole di Got.
- Sei ancora più sciocco di quanto credessi ...
Cos'è,
hai forse paura del successo? Sbloccati! - urlava ancora il committente.
Harry riuscì a concentrarsi finalmente sulle sue
parole dopo che sentì la parola successo:
forse davvero lo avrebbe
raggiunto? Con grande forza di volontà si riprese rendendosi
conto che senza di
lui si stava svolgendo un evento importante.
- Grazie sig. Got per il vostro sostegno ed il vostro
incoraggiamento. Sapevo che in fondo tenevate a me. - iniziò
quasi emozionato -
E scusate il mio comportamento. - concluse avviandosi in galleria.
- Bene, si comincia. - esclamò eccitato Got.
Appena varcata la soglia d'ingresso della galleria si
sentì addosso tanti sguardi, tutta l'attenzione si era
concentrata su quel
Clever di cui aveva tanto parlato il direttore con - seppur contenuto -
entusiasmo.
- Prego di scusare Harrison Clever. L'emozione a volte
gioca brutti scherzi, lo ha un po' bloccato! - iniziò Got
sorridendo - Ma adesso
comincerà ad illustravi il significato delle sue creazioni.
Prego, Clever. - lo
presentò.
Davanti a quell'impaziente moltitudine gli mancarono
le parole e il cuore sembrava volesse uscirgli dal petto. Aveva molta
confusione in testa: mentre continuava a pensare Janet, pensava anche
come
impostare un discorso.
- Non ho né programmato né studiato bene cosa
dire,
quindi scusate l'imbarazzo. - iniziò accostandosi alla sua
prima opera.
Got ebbe l'impressione che avesse cominciato male e
riprese a mandar giù drinks.
- Innanzitutto, vorrei dirvi che secondo me l'artista
è il mestiere più difficile
che possa esistere al mondo. Deve sempre
adeguarsi, rinnovarsi e non farsi sorpassare dagli altri; è
sempre in mezzo a
mille difficoltà e questo lo so bene perché l'ho
vissuto, anzi, lo sto vivendo,
sulla mia pelle. Oggi non vi chiedo di apprezzare le mie opere, ma di
giudicarle come meglio crediate: per me essere qui è
già un sogno. E non
intendo stare qui a dirvi perché le ho fatte o cosa
significhino per me:
preferisco lasciarvi liberi di interpretarle. Comunque posso dirvi che
la mia
arte non ha uno scopo preciso, la faccio perché mi fa
sentire bene e perché non
potrei vivere senza. Ho sempre posto l'arte prima d'ogni altra cosa e
questo ha
comportato non poche incomprensioni familiari.- disse emozionandosi e
notando
che Got gli faceva cenno di stringere- La mia arte è pura,
trasparente, è così
come la vedete: non nasconde significati, codici o valori simbolici. E'
solo
espressione di un sincero sentimento, tutto qui. Vi ringrazio per
l'attenzione
e per essere venuti così numerosi alla mia prima mostra.-
concluse ricevendo un
grande applauso.
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Capitolo 19 *** Capitolo diciannovesimo ***
CAPITOLO
DICIANNOVESIMO
- Clever, non capisco proprio
cos'hai oggi! - gli urlò
Got, trascinandoselo nel suo studio dopo il discorso.
- Non capisco...cosa ho sbagliato? - rispose il pittore
preoccupato.
- Non ti avevo detto di aprire a tutti il tuo cuore e
di discutere della tua vita privata!
- Sono stato spontaneo e credo davvero che a quella
gente comunque sia piaciuto! Cosa dovevo fare? Per me è
già stata un' impresa
superare lo choc di prima ed essere riuscito a parlare davanti a
centinaia di
persone!- rispose Harry innervosendosi.- Adesso devo andare.- riprese
dopo una
pausa, più calmo.
Poi bussarono insistentemente alla porta prima che la
raggiungesse Harry. Got aprì e vi trovò la sua
assistente sulla soglia.
- Cercano Clever.- disse semplicemente.
- Cercano Clever? - sbottò Got accendendo l'ennesima
sigaretta.
- Si, per gli autografi.- rispose la donna.
Got scoppiò in una risata guardando ora Clever ora la
segretaria gesticolando e spargendo fumo in tutta la stanza.
- Clever? - riprese continuando a sghignazzare - E chi
sarà mai? Già lo cercano per il suo
autografo...Te lo dico io chi è Clever.-
proseguì più serio - In una parola?
Un pazzo. Un pazzo che ha paura del successo, non sa
il senso della sua arte e ha un'amica immaginaria! E la ama per di
più!
Harry divenne più nervoso al pensiero di Janet e
uscì
fuori senza dire nulla. Gruppi numerosi di persone d'ogni
età lo circondarono
tenendo in mano carta e penna, ma lui sorpassò tutti senza
guardare nessuno in
faccia. Con passo deciso e incurante dei commenti attorno a lui sempre
più
fitti, uscì dalla galleria. Ma anche lì fu
bloccato: all'ingresso sostavano
alcuni giornalisti pronti a commentare la mostra e raccogliere il
parere dei
visitatori. I giornalisti non sapevano chi fosse Harrison
Clever, ma
avevano letto il suo nome in un cartello (insieme ad altri artisti)
all'ingresso della mostra. Così fermarono proprio lui,
credendo che fosse un
visitatore, uscito stranamente per primo.
- Ci dica! Come è stata la mostra? - iniziò una
donna
puntandogli il microfono addosso alla sua destra.
- E quel certo Clever, che pareva fosse la migliore
promessa, com'è? - continuò un altro giornalista
della BBC.
- Credetemi: io sono proprio la persona meno adatta a
cui potete chiederlo.- disse con tono sgarbato Harry cercando di
sorpassarli.
Ma i giornalisti non smisero di fare domande a raffica
in maniera asfissiante e Clever, pensando ancora a Janet ed accumulando
tutta
la rabbia che aveva dentro (nonostante le sue opere avessero riscosso
un
discreto successo) non riuscì a controllarsi ed
alzò le mani a due di loro.
Proprio in quell'istante, mentre si allontanava pentito della sua
insolita
reazione violenta, uscì fuori anche Got a cercarlo e vide i
reporters a terra.
- Cosa è successo? - urlò mentre guardava sia
verso i
due uomini che verso Harry.
- E' stato quell'uomo! - disse uno indicando il
pittore.- Lei sa chi è?
-
E' Clever.- disse Got a denti stretti e con aria di disprezzo.
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Capitolo 20 *** Capitolo ventesimo ***
CAPITOLO
VENTESIMO
Erano le 11:00 del 15 Novembre e
mancava ancora un'ora
al termine della mostra, così Got, nonostante Clever si
fosse allontanato dopo
aver aggredito i giornalisti, tornò alla galleria per la
presentazione degli
altri pittori. Harry, intanto, si era recato alla casa di Janet: dopo
aver
compreso che non esisteva, quella grande villa pareva ancora
più abbandonata.
Scrutando tra i pineti, nel giardino vide la fontana a cui Janet si era
accostata
posando per lui. Gli sembrava impossibile che tutti quei felici momenti
passati
con lei fossero stati solo immaginazioni. Aveva persino sentito il suo
delicato
profumo di vaniglia, sfiorato i suoi morbidi capelli e avvertito le sue
gelide
mani su di lui. Mentre continuava ad osservare la casa,
passò di lì lo stesso
signore distinto a cui due giorni prima aveva chiesto se conoscesse i
Crossworth. Questo riconobbe Clever e si fermò vicino a lui
guardandolo
incuriosito mentre, piangendo, stringeva tra le mani le sbarre del
cancello.
- Deve farsene una ragione. - gli disse l'uomo
poggiandogli una mano sulla spalla.
Harry balzò in aria e si voltò asciugandosi il
viso.
- Siete voi...
- I Crossworth non abitano più qui: ve l'ho già
detto. - continuò quello.
- Lei non può capire perché sto piangendo.
- Li conosceva?
- Conosco Janet Crossworth.
- Vi ho anche detto che la figlia dei Crossworth è
scomparsa qualche tempo fa, è impossibile ... A meno che ...
potreste finire in tv
se è vero, sa? - disse l'uomo cambiando tono e sorridendo
stupito al pittore.
- Come? - si meravigliò Harry.
- I suoi genitori pare siano ancora vivi e non abbiano
perso la speranza di ritrovarla ... La sua scomparsa è stato
un noto fatto di
cronaca quattro o cinque anni fa ... ma dopo, non se ne è
più parlato. Dareste
una gioia a quei poveri vecchi!
- Io non seguo molto la tv, non ne ho mai sentito
parlare ... Ma c'è un “piccolo” problema.
- Quale?
- No, mi prendereste per pazzo...
- Mi dica!
- E' un'assurdità, mi creda ... - disse Harry iniziando
ad allontanarsi.
- Sono uno psichiatra. Sono disposto ad ascoltarla. -
disse l'uomo per fermare Harry.
Il pittore si arrestò e pensò potesse dargli una
mano.
- Sul serio? - chiese un po' diffidente.
- Ovvio, non dico mai bugie. - lo rassicurò - Ma andiamo
a casa mia: comincia a piovere. - propose aprendo l'ombrello e offrendo
riparo
anche ad Harry.
- La ringrazio.
- Diamoci del tu. Io sono Mattew. - si presentò mentre
si dirigevano verso la sua auto.
- Harry. - rispose l'artista.
Poi
salirono in macchina e dopo un tragitto di circa dieci minuti giunsero
alla
meta.
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Capitolo 21 *** Capitolo ventunesimo ***
CAPITOLO
VENTUNESIMO
Anche Mattew era benestante come i
Crossworth, ma a
differenza di Janet lo ostentava in abiti, gesti ed arredi. La villa
era
immensa ed internamente tappezzata di quadri di valore, specchi con
cornici in
oro, moquette...Li accolse una domestica di colore e dopo, dal salotto,
giunse
la moglie dello psichiatra, una donna sui trentacinque o quarant'anni,
di
piccola statura ma graziosa.
- Ciao Mattew, vedo che sei in compagnia. - lo salutò
guardando Harry.
- E' un ragazzo che forse toglierà un po' di polvere
dal caso Crossworth, lo ricordi? - disse il marito.
- Crossworth, Crossworth...no, non mi dice nulla. -
rispose con aria indifferente la donna - Come ti chiami? -
continuò rivolgendosi
ad Harry.
- Harrison Clever o, semplicemente, Harry, piacere.
- Bene, io sono Sonia. Non so di cosa vogliate
parlare, ma vi lascio soli: stavo per uscire con delle amiche. A
più tardi
Mattew.
Dopo di che la donna prese una borsa, la pelliccia e
se ne andò. Lo psichiatra ed Harry restarono nel salotto
dopo aver bevuto un tè
caldo al limone.
- Quindi, Harry, hai incontrato Janet? - iniziò Mattew.
- Si, ma...
- E quindi non è morta, come molti credevano...Beh,
d'altronde la morte è l'ipotesi più plausibile
dopo anni di scomparsa...Ma
dimmi, dove l'hai incontrata?- continuò incuriosito
incrociando le gambe.
- Questo non importa! Non è semplice come sembra. E'
vero, l'ho incontrata, ma nessuno, a parte me, riesce a vederla!
Dopo quelle parole Mattew pensò subito di essere di
fronte un caso clinico alquanto grave ma comune. Così decise
di esporre ad
Harry il suo parere, come faceva con ogni paziente.
- Harry, il tuo non è un problema inedito. Vedi, molte
persone, ovviamente anche molto fantasiose e sole, come te, creano
nella loro
mente un' immagine ben precisa di qualcosa o qualcuno che vorrebbero.
Certo,
solitamente accade in età infantile di immaginare un amico o
un compagno di
giochi, magari dopo aver perso una persona importante, ma si verifica
pure in
età adulta talvolta. Hai subito un trauma? - chiese dopo
l'esauriente e fredda
spiegazione.
- Sapevo di non poterne parlare con nessuno, tanto
meno con uno strizzacervelli! - si offese Harry - Non sono un pazzo
visionario,
Janet c'era davvero, lo so!
- Non devi impaurirti della tua natura. Hai questo
problema? Tranquillo, basta che fissiamo degli appuntamenti. -
continuò Mattew
con tono professionale.
- Non ho bisogno di te. Io so la verità. - rispose
Harry rimettendosi il cappotto - Io l'ho ritratta, lei esiste!
- Allora come ti spieghi il fatto che nessuno possa
vederla?
- Questo non lo so. Anche io prima pensavo di averla
solo immaginata, ma ora ...non so più cosa credere. - disse
Harry rassegnato.
- Davvero? Allora come mai sino a un attimo fa eri
convinto nel dire che Janet esiste? - insistette Mattew.
Harry
non seppe come rispondere e fu assalito da una grande confusione
mentale: tutto
quel continuare a pensare, cercare una risposta logica e razionale a
quel
mistero gli fece girare la testa a tal punto da cadere a terra. Mattew
fu
subito pronto a sorreggerlo e lo chiamò più volte
sentendo la pressione
sanguigna del polso: era quasi nulla.
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Capitolo 22 *** Capitolo ventiduesimo ***
CAPITOLO
VENTIDUESIMO
Un leggero fruscio gli invadeva le
orecchie, davanti i
suoi occhi un bianco purissimo, nessun suono intorno, nessun odore,
né
sensazione di freddo o caldo. Pace assoluta...Questo provò
Harry. Poi una voce
lontana chiamò dolcemente il suo nome.
- Janet! - la riconobbe - Ma dove sono, cosa è successo?
- Tranquillo Harry.- rispose la donna.
- Perché non ti riesco a vedere più neanche io?
- Sono proprio accanto a te. - rispose Janet
sfiorandogli i capelli.
Adesso la vedeva: era bella come sempre, o forse di
più, illuminata da una luce dorata.
- Siamo in paradiso? - chiese Harry stupito e
preoccupato.
- No, Harry. Non è la tua ora. Sei solo svenuto.
- E tu, chi sei veramente?
- Posso dirti chi ero, cosa facevo, dove vivevo...Ma
tutto questo ormai non conta più nulla. E tu non puoi amarmi.
- Come...Cosa? Ma... - disse Harry confuso.
- Adesso svegliati e va a goderti il successo.-
continuò la donna allontanandosi in una bianca foschia.
Seguirono attimi di totale silenzio, che apparvero
interminabili...poi, uno scossone: era Mattew che lo chiamava insieme
alla
moglie, che intanto si era ritirata.
- Hai chiamato un'ambulanza? - domandò quest'ultima al
marito.
- No, non ancora...Però, aspetta! Il polso ha ripreso
ad essere regolare! - disse lo psichiatra portando anche l'orecchio sul
petto
del pittore.
- Si sta svegliando! - esclamò la moglie sollevata -
Pensa se fosse morto qui a casa nostra!- continuò a bassa
voce.
- Devo andare!- disse Harry appena sveglio
sollevandosi sulla schiena.
- Stai bene? - chiesero insieme i coniugi.
- E' tutto chiaro!- continuò il pittore - Non
preoccupatevi più di me, so cosa fare.
Dopo quelle ambigue parole salutò i due ed uscì
di
corsa. La pioggia non era ancora cessata ma non rappresentò
per Harry un
ostacolo: corse verso la galleria di Got e vi arrivò intorno
le 12:45 circa.
Got era ancora lì insieme ai giornalisti e la conferenza
stampa. Appena vide
Clever, abbandonò gli intervistatori e lo guardò
torvamente. Si avvicinò lesto
verso di lui e lo fermò.
- Clever, che cosa è successo? - gli urlò.
- Sono andati via tutti? - chiese l'artista con fiato
corto.
- Ovvio! Non hai visto che ore sono?
Solo allora Harry guardò il suo orologio: non pensava
fosse tardi.
- Ma perché sei scappato dopo il discorso e hai
aggredito i giornalisti?! Stavi forse conquistando inspiegabilmente il
pubblico
e ti sei già rovinato l'immagine! Adesso ti ricorderanno
tutti così: “Clever,
quel pazzo che ha picchiato due giornalisti!”- lo
scoraggiò Got - Ascoltami:
avrai anche un po' di talento, ma non sei tagliato per il successo.
Cercati un
lavoro e tieniti l'arte solo come hobby. Io ho chiuso con te!
- Sono desolato, Got.- disse Harry chinando il capo.
- Non mi importa, è troppo tardi. Hai bruciato una
grande possibilità.- continuò duramente il
gallerista - Non c'è ne sarà
un'altra.
- Posso sapere almeno cosa pensano i critici delle mie
opere?
Got apparve un po' più disteso e si sedette su uno
sgabello vicino all'ingresso della galleria; Harry restò in
piedi camminando
nervosamente avanti e indietro.
- I visitatori erano circa centoventi, tra
scolaresche, gente comune, critici d'arte e collezionisti. Uno di
quest'ultimi
pareva interessato ad avere uno dei tuoi quadri.- disse con il solito
sguardo
glaciale.
- Davvero? Quale? - chiese felice Harry.
- Uno in bianco e nero: lo ha trovato più espressivo
degli altri. Ma avrebbe voluto parlare con te...poi sei scappato...e ha
anche
saputo che hai picchiato i due giornalisti.
Per il nervosismo Harry colpì il muro con un pugno.
- Quindi non lo compra? - domandò deluso.
- No, è contro la violenza e poi non gli piaceva
così
tanto...- rispose Got accorgendosi che gli vibrava il cellulare -
Scusa, è una
chiamata personale.- disse facendogli cenno di allontanarsi.
Clever andò verso fuori e Got rispose.
- Non è tornato Clever? - chiese un uomo dall'altra
parte del telefono.
- No, ma mi ha chiamato dicendomi che potremo
incontrarci domani qui.- rispose Got
- Allora posso pagare il quadro domani. Viene 600
sterline, giusto?
- Si, metà spetta a me e metà a Clever. E' una
miseria, ma è il primo quadro...
Poi il collezionista restò in silenzio qualche
secondo.
- Oh, no!- sbottò improvvisamente - Domani ho già
un
impegno, non posso proprio venire...
- Puoi passare oggi pomeriggio, darò io i soldi a
Clever dopo.- rispose prontamente l'altro.
- Ok, allora sono da te verso le 18:00.- disse il
collezionista chiudendo la chiamata.
Ma, se qualcuno avesse anche solo guardato il sorriso
quasi maligno di Got, avrebbe capito che si sarebbe tenuto tutti i
soldi, senza
dire niente ad Harry. E qualcuno lo vide, la segretaria, ma
conoscendolo,
preferì non impicciarsi...
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Capitolo 23 *** Capitolo ventitresimo ***
CAPITOLO
VENTITRESIMO
L'indomani di quella tanto attesa
quanto particolare
giornata, Clever, a sua insaputa, aveva conquistato pienamente la
simpatia di
un critico. Questo, un certo Trevor Smith, era più noto di
quanto credesse Got
e pubblicava spesso articoli su riviste e giornali, negli spazi
dedicati
all'arte. L'opera di Harry gli sembrò semplice ma
innovativa: con pochi tratti
e senza alcun colore trasmetteva serenità. Così
decise anche quella volta di
esprimere pubblicamente le sue impressioni riguardo il nuovo linguaggio
pittorico dell'esordiente Clever. Quando uscì l'articolo
sulla rivista “London
news”, fu il 18 Novembre, tre giorni dopo la
mostra.
In quest'arco di tempo
Harry pensò solo Janet, rendendosi finalmente conto della
realtà con
consapevolezza: era morta. E lui, forse per la sua particolare
sensibilità,
riusciva a vederla e a parlarle. Cercò di dimenticarla e
riprendere la vita di
sempre . Anche se da tre giorni non l'aveva più vista, non
era però riuscito a
dimenticare i suoi occhi. Tuttavia cercava di concentrarsi sull'arte:
dipingeva
ininterrottamente. La mattina del 18 Novembre, intorno alle 10:30
circa, Got
rientrò in ufficio dopo aver acquistato proprio il “London
news”, che
era solito leggere. Si sedette sulla poltrona girevole e, accendendo
una
sigaretta, iniziò a leggere.
- Novità interessanti? - chiese la segretaria con aria
annoiata.
- No, solite cose ... Il Chealse ha perso di
nuovo, il tempo sarà ancora brutto.- rispose sfogliando
distrattamente - Ma tu
guarda ...! - sbottò d'improvviso scorgendo l'opera di Clever nell'articolo di
Smith nella pagina
dell'arte.
Incuriosita, la segretaria si avvicinò, ma Got
prontamente coprì la pagina con un quaderno fingendo che
dovesse prendere un
appunto. La donna capì che nascondeva qualcosa, ma non
chiese nulla: era una
persona piuttosto tranquilla e se notava che qualcosa poteva
infastidire Got,
preferiva evitarlo.
Poco dopo squillò il telefono e rispose la segretaria.
- E' un certo Smith. - disse passando a Got il
telefono.
Questo rispose uscendo in corridoio; dopo essersi
salutati, il collezionista riprese a chiedergli di Clever.
- Non si terranno altre mostre con opere sue? -
cominciò.
- Credo di si, ma sicuramente il mese prossimo. -
rispose Got.
- L'artista non ha chiesto di incontrarmi? - continuò
Smith.
- No, è molto impegnato per ora.
- Capisco. Informami, allora, quando si terrà la
prossima esposizione.
- Contaci, ciao. - terminò Got.
Il gallerista tornò in ufficio e dopo aver sistemato
alcune carte, gettò accartocciato nel cestino il “London
news”. La
segretaria capì che sul giornale doveva esserci qualcosa che
Got non aveva
gradito o che voleva nascondere. Così, spinta dalla
curiosità, approfittò dei
cinque minuti di pausa che Got si concedeva giornalmente per il
caffè uscendo
sulla terrazza con alcuni colleghi e prese il giornale dal cestino.
Stando
attenta che non rientrasse Got, lo riaprì e
iniziò a sfogliarlo. Giunta alla
pagina dedicata all'arte capì immediatamente il gesto di Got.
- “Innovativo e originale” -
iniziò a leggere
nella critica di Smith.
Ma la sua attenzione balzò subito al sottotitolo
dell'articolo: “Venduto per 600 sterline primo
quadro dell'esordiente
Clever”. D'anima buona, istintivamente, la
segretaria, indignata, decise di
chiamare l'artista. Prese il suo cellulare, compose il numero di Harry
copiandolo dalla rubrica di Got e uscì subito verso il bagno
per non farsi
scoprire.
- Chi è? - rispose il pittore dopo qualche secondo con
tono speranzoso.
- Sono Hilary, la segretaria di Got. - si presentò
velocemente.
- Ha notizie di qualcuno che vuole comprare miei
quadri?
- No: di qualcuno che lo ha già fatto!
- Davvero? Quando? E perché Got non mi ha detto
niente?
- Mi spiace ferirti, ma una volta scoperta la realtà,
ho ritenuto opportuno dirla: Got ha venduto a un collezionista una tua
opera di
nascosto e ha tenuto tutti i soldi!
- Sei sicura? - chiese il pittore stupito e nervoso.
- Ho la prova tra le mie mani! - disse stringendo
l'articolo che aveva ritagliato dal giornale prima di ributtarlo - Il
collezionista, un certo Smith, ha pubblicato un articolo sul “London
news”
in cui dice di aver apprezzato una tua opera e di averla pagata 600
sterline!
- Got! Non lo credevo così meschino! - disse Harry con
un tono tra il furioso e il deluso.
Ma sfortunatamente Got passava vicino al bagno e,
anche per il particolare silenzio di quel momento, riuscì a
sentire la voce
della segretaria preoccupata.
Bussò alla porta e la donna, chiudendo
bruscamente la chiamata in corso, uscì con visibile tensione.
- C'è qualcosa che non va, Hilary? - domandò Got
osservando la schermata del suo cellulare per vedere se compariva
ancora il
numero dell'ultima chiamata.
-
No, signore. - rispose lei ponendo in tasca il telefonino.
Lo
sguardo di Got la scrutò gelidamente per alcuni secondi, in
silenzio. Hilary
arrossì per l'imbarazzo e cercò di oltrepassare
l'uomo. Quello la lasciò andare
ma con rapidissimi ragionamenti, tutto gli fu chiaro: la donna mentiva
e
c'entrava Clever.
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Capitolo 24 *** Capitolo ventiquattresimo ***
CAPITOLO
VENTIQUATTRESIMO
Hilary tornò nello
studio cercando di mascherare
l'ansia, anche se guardando Got capì che non l'aveva creduta.
- Scommetto che starà arrivando. - disse
improvvisamente Got alla segretaria rompendo quel silenzio carico di
tensione. Abilmente Hilary fuorviò
l'argomento.
- Sì, penso che stia arrivando: è
lunedì... - rispose
tranquilla.
- Di chi parli?
- Del rifornitore delle macchinette: viene ogni lunedì.
Così potrà prendere il suo caffè! -
disse la donna accennando un sorriso
forzato.
- L’ho già preso il caffè. E non
è lunedì. - disse
freddamente Got.
- No? Mi scusi, ho sbagliato. Di chi parlava allora?
- Lo sappiamo tutti e due, Hilary.
- Non capisco, signore.
- Nemmeno io capisco una cosa: perché hai scelto di
farti licenziare dopo soli due anni!
- E d'accordo, lo confesso: ho detto la verità a
Clever! Ho letto sul giornale l'articolo del critico Smith,
perché mi sono
incuriosita nel vedere che nascondevate qualcosa! - disse quasi con le
lacrime
agli occhi - Ma vi prego, non licenziatemi: ho una famiglia da
mantenere!
- E' inutile implorarmi. Hai tradito la mia fiducia,
credevo che avessi chiaro in mente qual è il tuo ruolo qui.
Devi solo ricevere
visitatori in caso mi assenti qualche minuto, appuntare le chiamate che
mi
interessano e scrivere i miei appuntamenti! - concluse arrabbiato.
- Ma vi scongiuro, l'ho fatto solo...
- Non intendo sentire giustificazioni. - la interruppe
invitandola ad uscire dallo studio, senza il minimo risentimento.
Prima di andare Hilary sembrò inspiegabilmente
più
serena agli occhi di Got ed ebbe il coraggio di aprire ancora bocca.
Alzò il
capo con la schiena ben dritta.
- Accetto il licenziamento, anzi, sa cosa le dico? Che
questo episodio mi è servito ad avere la conferma di quanto
sia spregevole ed
egoista e quindi non vedo un motivo valido per cui restare a lavorare
per lei!
Mi merito rispetto e da lei non si può avere che con le
minacce e i ricatti,
pertanto preferisco lavorare con persone civili! E in quanto a Clever,
credo di
aver capito perché lo disprezza tanto: perché lo
invidia!
- Lo invidio? - la bloccò Got ridendo e cominciando a
fumare.
- Si, vorrebbe saper dipingere come lui, per questo a
volte lo incoraggia. Se davvero non tenesse a lui, non lo
incoraggerebbe, ma è
troppo orgoglioso per potere manifestare questa sua briciola di cuore!
- Ti ho licenziata esattamente due minuti e trenta
secondi fa: da quel momento saresti dovuta uscire da questa stanza
senza
esitare! - continuò Got spingendola verso la porta.
La donna, senza neppure guardarlo, uscì raccogliendo
la sua borsa e il suo cappotto. Appena varcata la soglia, le
sembrò di avere
ripreso a respirare dopo i lunghi minuti di tensione, simile a una
perenne
apnea. Fiera di ciò che aveva detto, abbandonò la
galleria con passo deciso e
soddisfatta d'essere riuscita finalmente ad esprimere tutto
ciò che provava
verso Got da tempo. Non aveva mai nemmeno immaginato di poter essere
capace di
farlo un giorno...
E mentre in quella parte della città un cuore traboccava di
gioia, dall'altra, quello di Harry, diretto in bici verso Got, sembrava
frantumarsi lentamente...
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Capitolo 25 *** Capitolo venticinquesimo ***
CAPITOLO
VENTICINQUESIMO
Got si ritrovò solo nel
suo studio, seduto coi gomiti
poggiati alla scrivania e le mani sulla testa. Pensò a
ciò che Hilary gli aveva
detto e per un momento credette che avesse ragione. Non si era mai
sentito così
solo in vita sua: per la prima volta si era sentito dire di essere
egoista e
capì quanto fosse vero. Infondo, ripercorrendo la sua
esistenza, ripensò che
non si era mai sposato, che da anni non aveva accanto una donna, non
faceva
altro che accumulare soldi (spesso illecitamente) e lavorare. Questa
riflessione fu interrotta solo mezz'ora dopo dall'arrivo di Harry.
Questo,
senza bussare, spalancò energicamente la porta e si
piombò dinanzi Got. Aveva
lo sguardo di un pazzo e tremava per il nervosismo. Got riassunse la
sua solita
espressione severa.
- Perché lo ha fatto? - gli urlò Harry.
- Per punirti, Clever.
- Punirmi di cosa?
- Del tuo comportamento tenuto alla mostra. Un'artista
che tenta d'avviarsi al successo non può permettersi di fare
aspettare il
pubblico o aggredire la gente!
- Ma non poteva almeno dirmi che l'opera era stata
venduta? Non mi importano i soldi, continuerò a vivere come
ho sempre fatto,
con tanti lavoretti!
- Davvero? Vuoi dirmi che non ti interessano i soldi?
Voglio verificarlo subito ... - si fermò cominciando a
cercare qualcosa tra le
carpette. - Giorni fa, la Tate Gallery,
è stata contattata dalla New
York High Accademy, la conosci? - continuò Got
dandogli un volantino
sull'Accademia.
- Sì, esattamente. E' una delle accademie più
prestigiose degli USA. Perché?
- Ecco vedi, il prossimo 18 Dicembre, in occasione del
suo 30° anniversario, offre un'opportunità unica ai
pittori e agli scultori
emergenti: avranno l'occasione di tenere una conferenza con i suoi
fondatori,
eredi di artisti americani famosi ( Warhol, per
farti un'idea), durante
la quale esporranno le loro opere. Nella maggior parte dei casi l' High
Accademy si trasforma in una galleria, in cui i nuovi
linguaggi artistici
proposti riscuotono solitamente successo in America. Potremmo definirlo
un
trampolino di lancio ... Ma questo salto costa. L'Accademia richiede
diversi
soldi per l'ingresso alla galleria, necessari a garantirne le sue
spese. Metti
anche il viaggio: è una bella cifra!
- E quindi?
- Se ti presentassi una speciale occasione come
questa, che non puoi permetterti economicamente ... mi diresti ancora
che non ti
importano i soldi? - disse mostrando ad Harry diverse banconote.
- Vuole offrirmi i suoi soldi per andare all' High
Accademy di New York? - disse Harry con disprezzo - Non
accetterei mai i
soldi di un traditore! E poi non vedo perché andarci, visto
che mi dite sempre
che non ho speranze!
- Per due motivi: perché infondo il tuo stile potrebbe
piacere, visto che già alla tua prima mostra è
stata acquistata un'opera. e
perché in America non ti conosce nessuno e quindi non sanno
della tua
reputazione.
- Vuole dirmi che qui, a Londra, non ho più un futuro? -
chiese preoccupato Clever.
- Centinaia di persone, tra cui giornalisti, hanno
assistito alla tua follia durante la mostra. Quindi già
mezza Londra sa di te,
ogni giornale sbatterà in prima pagina articoli in cui si
parlerà della tua
aggressività ... Credimi, non hai alcuna speranza.
Harry si lasciò cadere su una sedia girevole e
pensò
all'allettante proposta di Got.
- Anche se volessi andare a New York con i tuoi soldi,
dovresti lavorare così tanto che entro Dicembre non ci
arriveresti.
- Dovrà pure avere un suo tornaconto, lei non fa
niente per niente! Cosa ottiene in cambio? O forse spera che fallisca
per
rimproverarmi l'ennesimo sbaglio?
- Te l'ho detto Clever: è per verificare se davvero
non ti importa il denaro.
- Ma in questo caso mette in gioco l'arte, la cosa più
importante della mia vita! Non può confondere il mio
interesse per l'arte con
queste banconote! - disse Harry guardandole tuttavia affascinato.
Got colse in quell'istante nel volto dell'artista il
desiderio di cedere alla tentazione. Sembrava avere lo straordinario
potere di
cogliere nel viso degli altri ogni lieve mutamento, leggerli quasi nel
pensiero. Improvvisamente scoppiò in una fragorosa risata,
continuando a
guardare Harry che era rimasto a riflettere.
- Lo sapevo! - gridò Got - Anche gli artisti che come te
si autodefiniscono dall'animo nobile, alla fine sono comuni
materialisti!
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Capitolo 26 *** Capitolo ventiseiesimo ***
CAPITOLO
VENTISEIESIMO
Harry rifletteva sul giudizio di
Got e non riusciva a
credere che fosse realmente finita la sua carriera, appena iniziata, a
Londra.
Avrebbe dovuto cedere alla tentazione di Got? Infondo non avrebbe
voluto
perdere quell'occasione, ma non voleva neppure accettare il denaro da
un
traditore. E soprattutto continuava a chiedersi che vantaggio avrebbe
tratto
Got.
- Vuoi ancora pensarci? - lo distolse Got - Non accetti?
- No. - rispose deciso dopo una breve esitazione.
- Oh, sei il primo uomo che abbia mai conosciuto a
rifiutare così facilmente a tanti soldi.- disse Got
riponendo in una busta la
somma.
- Se deciderò di andarci lo farò con i miei
soldi. A
costo che debba lavorare tutto il giorno! - continuò Harry
avviandosi verso
l'uscita della stanza.
- Addio, allora. - lo bloccò Got severamente - Non
lavoreremo più insieme.
- Non abbiamo mai lavorato insieme. Ho sempre fatto
ciò che voleva e si è tenuto tutti i soldi per
sé! Non mi pare lavorare insieme
questo! - rispose respingendo la pressione della mano di Got sulla sua
spalla.
- Due addii in un solo giorno, nella stessa ora! Sappi
che non mi dispiace affatto non seguirti più: odio i fessi
come te!
- Sarò anche fesso, ma ho la coscienza pulita! E poi
perdendo lei non sono finito, ho la mia arte!
- E la tua amichetta immaginaria! - rise Got.
Harry sbiancò e restò zitto, immobile.
Appena
ricordata Janet, gli tornarono in mente i momenti felici passati con
lei.
Immaginandola ormai come una sorta di angelo custode si domandava
perché lo
avesse abbandonato, proprio adesso che era in crisi e sentiva il
bisogno di
averla vicino.
- La pensi ancora, non è così?
Prima che Harry potesse aprire bocca, qualcuno bussò
alla porta. Era un ragazzo che puntualmente portava a Got l' “Art
week”,
rivista che era solito leggere.
- Oh, grazie. - gli disse offrendogli pochi spicci di
mancia.
- Non ci posso credere!- esclamò Harry non appena
vista una sua foto in prima pagina - Sono proprio io! -
continuò avvicinandosi
con impeto.
Ma la sua iniziale espressione di serenità si
tramutò
presto in delusione.
- “Clever: pazzo, visionario e
aggressivo”-
lesse nel sottotitolo in neretto.
- E' questo che ormai tutti pensano di te. Te l'ho
detto. - disse Got accendendo una sigaretta.
Senza aggiungere altro, Harry uscì dalla stanza,
continuando ad avere impresse nella mente quelle parole. Appena in
strada, ebbe
paura che qualcuno lo riconoscesse e camminò col capo chino
velocemente. Sul
suo stesso marciapiede, passò Tracy, l'amica di sua sorella,
che però conosceva
solo di nome. La donna ebbe l'impressione che stesse vagabondando e
provò quasi
pena per lui. Però non gli disse niente, consapevole dei
suoi scatti d'ira
improvvisi. Tuttavia non riuscì a non chiamare Meredith, che
le aveva ricordato
di avvisarla se avesse notato nel fratello qualcosa di strano o
preoccupante.
Non appena sedutasi in una panchina chiamò l'amica, che
rispose dopo qualche
secondo con poco entusiasmo.
- Cosa c'è, qualcosa non va? - chiese Tracy.
- Io e Jake abbiamo litigato.
- Non è in casa?
- No, come al solito. - rispose seccata Meredith.
- Allora svelta, dimmi tutto.
- No, dimmi prima tu, perchè mi hai chiamata?
- Si tratta di Harry, è molto giù e ...
è su tutti i
giornali di questa settimana.
- E perchè è giù? - chiese Meredith
pensando che fosse
diventato famoso.
- Perché ha ricevuto una critica negativa alla sua
prima mostra. Ma non per i quadri, per il suo comportamento.
- Cosa ha fatto? - si preoccupò la donna.
- Io non ero presente, ma si dice che abbia aggredito
due giornalisti e parlato con un'amica immaginaria!
- Cosa? Non è possibile, stai scherzando?
- Non potrei mai e lo sai! Mi dispiace darti
preoccupazioni, ma mi hai chiesto di tenerti informata ...
- No, figurati, dovevi. Vedrò di tornare il prima
possibile. Inoltre con Jake non va per niente bene ... - disse Meredith
seccata e
preoccupata.
- Cosa è successo, non siete felici insieme?
- Diciamo che mi ero illusa fosse perfetto, l'uomo
della mia vita. E' spesso fuori per lavoro e non gli piacciono affatto
i
bambini, mentre io pensavo di crearmi una famiglia...
- Forse vi siete sposati troppo in fretta, senza
conoscervi a fondo. Ma avete provato a chiarirvi? - domandò
Tracy con sentito
interesse verso l'amica.
- E' come parlare ad un muro. E anche Harry è una causa
dei nostri litigi. Gli ho detto che se avesse avuto problemi lo avrei
raggiunto
per stargli vicino, perchè sono l'unica sua parente. Jake
però sembra
addirittura geloso di mio fratello, è assurdo ed egoista!
- Allora lo lasci?
- Non so, gli chiederò di prenderci una pausa ... Spero
di arrivare a Londra entro questa settimana.
- Ok, allora ci vediamo.- la salutò Tracy.
-
Ciao e grazie! - rispose Meredith chiudendo la chiamata.
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Capitolo 27 *** Capitolo ventisettesimo ***
CAPITOLO
VENTISETTESIMO
Arrivato a casa, Harry ebbe
l'impressione che ogni suo
tentativo verso il successo fosse sempre stato vano. Forse Got non era
mai
stato il committente adatto, il suo sogno era destinato a restare tale
e Janet
era sicuramente la donna più sbagliata di cui avrebbe potuto
innamorarsi.
Insomma, abbandonato alla disperazione, in preda ai nervi, Harry si
convinse
che in tutta la sua vita non aveva mai fatto una scelta giusta.
Cominciava
seriamente a pensare di voler cambiare vita, ricominciare da capo. Ma
da dove?
Cosa fare? Inoltre si sentiva tremendamente solo: anche se spiacevoli,
gli
incontri con Got gli consentivano almeno scambi d'opinioni ed era una
delle
poche persone con cui parlasse. Ora che si era staccato da lui, non
aveva
davvero nessuno con cui parlare: la sorella non si sentiva da
settimane, Janet
era ( nuovamente) scomparsa, Owen morto...Era solo con la sua arte,
proprio
come aveva detto a Got. Già, ma cosa se ne faceva? I
continui dispiaceri gli
avevano anche portato via l'ispirazione, il desiderio di esporsi a un
pubblico,
soprattutto se numeroso e pronto ad attribuirgli delle etichette
negative a
prima impressione. La disperazione e la rassegnazione erano riuscite a
soffocare il suo desiderio di diventare un pittore affermato. In
passato,
seppur con difficoltà, aveva sempre trovato la forza per
rialzarsi ed
affrontare ogni nuova sfida a testa alta, scostando da sé
pregiudizi e
avversità. Questa volta però non ce la faceva
perchè aveva, oltre il timore di
non riuscire a sfondare, anche la certezza che il suo futuro da pittore
a
Londra era un'utopia.
Non aveva neppure voglia di uscire di casa perchè il
suo volto, ormai semi noto, poteva attrarre occhiatacce e commenti
negativi.
Con questo stato d'animo trascorse tre giorni, in assoluta solitudine,
estraneo
al mondo circostante, ignorando ogni telefonata.
Ad interrompere questa quiete quasi surreale fu
un'inaspettata visita: quella di Meredith, alle 10:00 del mattino del
21
Novembre.
- Mery! - la accolse con commozione gettandosi fra le
sue braccia.
- Harry, ma cosa è successo? - rispose lei, lasciando cadere
le valigie per terra.
- Cosa ci fai qui? - continuò Harry chiudendo la porta -
E dov'è Jake?
- Questo non importa, rispondimi!
Harry prima di rivolgersi alla sorella cercò di
sollevare i suoi bagagli per riporli nella stanza da letto, ma si
sentì mancare
le forze e gli ricaddero. Meredith lo aiutò subito e
notò solo allora quanto il
suo fisico fosse debole e il suo volto pallido.
- Non ti trovo affatto bene Harry, vuoi che ti porti
in ospedale? - chiese la donna preoccupata.
- Non c'è bisogno, tranquilla...Nessuna cura può
guarire il mio stato di malessere. - rispose chinando il capo.
Meredith capì che non si trattava di un malessere
fisico e pensò a ciò che l'amica le aveva
riferito per telefono.
- Ascoltami Harry - cominciò invitandolo a sedersi
accanto a lei sul divano - Non puoi incentrare la tua vita interamente
sull'arte, come vedi non ha dato buoni frutti...Quindi ti consiglio di
cercare
nuovi interessi, non puoi continuare ad autodistruggerti!
- Chi ti ha detto del fallimento della mostra?
- Tracy. Le avevo chiesto di tenermi informata su di
te quando era lontana, avevo il diritto di saperlo!
- Cos'altro ti ha riferito quella spia? - chiese Harry
un po' nervoso.
- Non è una spia, solo una buona amica!
- Rispondi Mery!
- Mi ha anche detto che ti hanno preso per pazzo
perchè alla mostra eri convinto che accanto a te ci fosse la
tua modella...immaginaria.
Questa cosa mi ha fatto venire i brividi, credimi, non immaginavo
soffrissi a
tal punto di solitudine da crearti addirittura delle compagnie di tua
fantasia!
- Nemmeno tu mi credi?
- Credere cosa?
- Non era una mia immaginazione, Janet era reale!
- Mi stai facendo paura, Harry!
- Ma è la verità, credimi almeno tu! - la
scongiurò
alzando la voce.
- Mi spiace, ma non posso. Sono tornata qui solo per
starti vicino e ho anche rinunciato al mio matrimonio!
- Vorresti dire che avete chiuso per colpa mia? Ho
capito dal primo giorno in cui vi ho visti insieme che tra voi non
poteva
funzionare! - gridò cominciando ad aprire una bottiglia di
gin.
- Da quando tu bevi? - si preoccupò la sorella.
Ma Harry non rispose e andò verso la sua stanza.
Meredith si chiese se aveva fatto bene a lasciare Jake per il fratello,
ma
pensò che anche quando si era allontanata da questo si era
chiesta se fosse
giusto. Era tremendamente confusa e non riconosceva più
Harry, aveva sensi di
colpa, ripensamenti.
Poi, mentre Harry riprese a dipingere con la solita musica
di sottofondo, quella dei Beatles , le apparve
qualcosa di straordinario
davanti agli occhi...
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Capitolo 28 *** Capitolo ventottesimo ***
CAPITOLO
VENTOTTESIMO
- Harry è una persona
speciale, non voglio che lo
lasci solo. Per questo ho deciso di darti la possibilità di
vedermi.
Quel volto angelico e sincero e quel tono di voce
pacato avevano come immobilizzato Meredith. Non riusciva a comprendere
se la
persona che le stava parlando fosse reale. Spaventata,
indietreggiò e si lasciò
cadere sul divano.
- Non devi avere paura di me. Sono Janet e sono qui
solo per dirti di aiutare Harrison.
- Non ci posso credere, mi sono fatta suggestionare da
Harry! Tu non ci sei, ti sto immaginando, sparisci! - gridò
chiudendo gli occhi.
In quel momento arrivò Harry, trovando la sorella che
tremava come una foglia, sul divano.
- L'hai vista anche tu! - esclamò felice il pittore.
- Non è reale, non è reale... - continuava a
ripetere
Mery impaurita.
Janet intanto iniziava a scomparire, ma prima che
fosse del tutto invisibile Harry la raggiunse con le lacrime agli occhi
per la
gioia.
- Allora non te ne sei andata, sei sempre accanto a
me! - disse Harry accarezzandole il volto.
- Si, Harrison.
- Anche tu mi ami, non è così?
- Non posso amarti e neanche tu puoi amare me. Sono
venuta per fare in modo che tua sorella non ti lasci solo.
- Chi sei? - li interruppe Meredith ancora scioccata.
- Janet Crossworth, ma sarebbe meglio dire chi ero.
- Insomma saresti un, un ... fantasma? - continuò Mery
sempre più incredula.
- Si. - rispose semplicemente Janet con un velo di
tristezza.
- Ma perché hai rovinato la vita di mio fratello, cosa
vuoi da lui!? - urlò la donna spaventata.
- Io ho solo il compito di proteggerlo, ma purtroppo
lui si è innamorato di me ed è andato tutto
storto. Non sarebbe dovuto
succedere.
- E allora vattene, sparisci! Lo proteggerò io!
- E' quello che intendo fare. Sono qui anche per
salutarti, Harry: addio! - concluse Janet senza far trasparire alcuna
emozione.
- No, aspetta! - la chiamò Harry - Non potrò
più
rivederti? Non potrò mai sapere chi eri, come sei scomparsa?
- Questo non ha più importanza. - concluse Janet
sparendo del tutto.
Harry si piegò sul pavimento piangendo, mentre sua
sorella restò immobile con lo sguardo fisso dove era
scomparsa quella strana
donna. Rialzando il capo,Harry si accorse che per terra al posto di
Janet era
rimasta una chiave. Immediatamente la prese tra le mani e comprese che
doveva
averla lasciata quell'angelo incantevole, perchè non l'aveva
mai vista prima.
- Meredith! - chiamò Harry alzandosi - Meredith! -
continuò scuotendola.
- Cosa? - rispose quella ancora scioccata.
- Guarda, l'ha lasciata Janet. - disse incredulo Harry -
Forse vuole dirci qualcosa!
- Ma Harry, dimenticala, basta! Non tornerà...
- Magari è di casa sua! - esclamò il pittore
dirigendosi verso l'appendiabiti.
- Harry, che vuoi fare?
- Devo andarci, è sicuramente la chiave di casa sua! -
continuò il fratello indossando un lungo cappotto sopra il
pigiama.
- Dove vuoi andare? - chiese ancora Meredith
preoccupata.
- Se vuoi, seguimi! - rispose velocemente Harry varcando
la soglia della porta d'ingresso.
Meredith, pur senza comprendere, istintivamente lo
seguì per paura che potesse succedergli qualcosa. Tra
l'altro, era tornata per
stargli accanto e ora avrebbe continuato a farlo, anche se le sembrava
di
essere in un inspiegabile sogno. Rapidamente salirono entrambi sulla
bici di
lui e si introdussero dapprima presso stretti viali, scorciatoie che
Harry
aveva imparato per raggiungere più facilmente la casa di
Janet, e dopo in
dintorni signorili e alberati. Intorno alle 11:30 arrivarono
all'imponente
residenza che un tempo apparteneva ai Crossworth.
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Capitolo 29 *** Capitolo ventinovesimo ***
CAPITOLO
VENTINOVESIMO
Il tempo in quella smisurata area
pianeggiante si era
come fermato. Meredith non ricordava di averla mai vista e ne rimase
incantata.
Harry accostò la bici al muretto vicino il cancello, che era
rimasto aperto.
- E' qui che ti ha portato Janet? - chiese Meredith
sfiorando i rampicanti secchi intrecciati al cancello.
- Si, ed è in questo giardino che le ho fatto il
ritratto migliore.
- Vuoi davvero provare ad entrare in questa casa
abbandonata? - continuò la sorella, intimorita.
- Sono quasi certo che ci troveremo delle risposte,
non so perchè. - rispose Harry stringendo forte a
sè la chiave.
Poi spostò in avanti il pesante cancello cigolante e
insieme alla sorella mise piede nell'immenso giardino. Rivisse i bei
momenti
passati quel pomeriggio con Janet e con passo veloce si diresse verso i
pochi
gradini che conducevano all'ingresso della villa, esternamente
rivestita in
pietra.
- Aspetta! - lo fermò Meredith - Possiamo ancora andare
via di qui, dimentichiamo questa storia!
- Perché? La chiave appartiene a questa porta! -
esclamò contento Harry.
- Non lo so, mi inquieta questo posto ... Ed è tutto
troppo assurdo. Torniamo a casa.
- Non eri obbligata a seguirmi. Io ho deciso di
entrare: se tu non vuoi, aspettami fuori. - disse Harry mettendo la
chiave nella
serratura.
Non appena la girò, la porta si aprì sollevando
della
polvere. La luce immediatamente penetrò, dopo
chissà quanto tempo, all'interno
della casa illuminando il vasto salotto all' atrio.
- Non ci posso credere! - esclamò sempre più
emozionata
Meredith - Un fantasma ci ha dato la chiave della sua casa ... Come hai
fatto a
sapere che questa chiave ci avrebbe permesso di entrare qui?
Harry si limitò a stringersi nelle spalle e, con il
cuore che gli batteva fortissimo sino alla gola, iniziò ad
esplorare quel mondo
sul quale da tempo si poneva diversi interrogativi.
- E' grandissima! - esclamò Meredith seguendolo a
piccoli passi - Dove credi di trovare queste risposte?
- Non lo so, però ... aspetta, su questa parete
c'è un
calendario. - esclamò il pittore avvicinandovisi - E' fermo
al 1995, Novembre
1995.
- Quindi l'ultima volta questa casa è stata abitata
circa cinque anni fa ... - suppose Meredith guardandosi intorno.
- Così sembra... - la seguì Harry accostandosi
alle
scale in fondo alla stanza che conducevano al piano superiore - Le
stanze da
letto dovranno essere sopra: magari in quella di Janet
troverò qualcosa.
Harry
era sempre più impaziente ed emozionato. Era anche felice di
aver ottenuto la
complicità della sorella. L'idea di entrare nella camera di
una ragazza (anche
se non più in vita) quasi lo imbarazzava. Inoltre era la
prima volta che
accedeva alla stanza di una donna, eccetto che in quella di sua
sorella, ovviamente,
e si sentiva un po' un intruso.
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Capitolo 30 *** Capitolo trentesimo ***
CAPITOLO
TRENTESIMO
- L'hai trovata? -
domandò Meredith arrivando anche lei
sopra.
- Ho visto la prima stanza sulla destra, ma c'è un
letto matrimoniale, quindi credo sia quella dei suoi genitori.- rispose
Harry.
- Sei sicuro che Janet non fosse sposata?
- Non le ho mai visto la fede al dito.
- Però forse potrebbe esserci qualche risposta anche
in questa stanza.- disse Meredith entrandovi.
- Forse, ma io voglio vedere la stanza di Janet.-
rispose Harry andando verso l'ultima porta in fondo al corridoio.
La aprì: era semilluminata, con pareti color ocra, un
letto sulla destra con una coperta merlettata. Immediatamente la sua
vista gli fu
attirata da un diario sopra il comodino.
La sua naturale discrezione gli disse di non aprirlo. “Ma
dal momento in cui mi ha dato la chiave...”-
pensò - “...magari
ho il diritto di leggere il suo diario, forse qui dentro ci sono le
risposte
che cerco...”
Meredith, intanto, “esplorava” la stanza da letto
dei
signori Crossworth: era spaziosa, con arredo antico, tende e tappeti
preziosi...
- Come ho potuto convincermi ad entrare... - disse tra
sé e sé Meredith - Mi sento una ladra...
Harry smise di essere indeciso: scostò le tende di
raso bianco dalla finestra e prese il diario per leggerlo.
Andò subito
all'ultima pagina per sapere quando per l'ultima volta Janet vi avesse
scritto:
la data era il 21 Novembre 1995, esattamente quattro anni prima. “Incredibile”,
pensò. Così iniziò a leggere la pagina.
“Oggi ho
deciso che dirò tutto a papà e mamma, anche
se so che non capiranno. Devo dare una svolta alla mia vita, non posso
continuare a restare chiusa qui dentro. Mi sembra di non riuscire a
respirare!
Comincio ad odiare ogni singolo metro quadro di questa casa, mi sento
schiacciata tra le mura...Quando
sapranno che voglio andarmene so già come reagiranno, ma io
devo uscire:
fuori c'è un mondo migliore. Lo
psichiatra arriverà domani a prenderli
e, anche se a malincuore, dovrò dirgli addio. Così
forse potrò
esercitare anche al di fuori di questa prigione la mia passione:
la
pittura.”
- Anche lei dipingeva!- esclamò stupito Harry - Allora
per questo ci teneva così tanto al mio futuro da pittore!
La pagina si concludeva lì, dopo quelle poche ma
schiette righe. Ad Harry era chiaro: Janet era vittima della malattia
mentale
dei suoi genitori che la costringevano a stare chiusa in casa. Poi lo
raggiunse
la sorella.
- Ma non mi è ancora chiaro come è morta!- disse
a
Meredith dopo averle fatto leggere il diario.
- Forse l'hanno uccisa i suoi genitori quando ha
tentato di scappare.- suppose la donna rabbrividendo - Magari proprio
qui!- continuò
guardandosi intorno con terrore.
- Sarebbe terribile, ma è probabile. Infatti il suo
fantasma non è più in questa casa
perché con la morte si è finalmente liberata
dalla prigionia!
- Ma se la sua anima è libera, allora il suo corpo... -
esclamò tremando Meredith.
- Sarà ancora qui, da qualche parte.- ipotizzò
tristemente Harry.- Ma non voglio scoprire dove...
Meredith visse durante quel dialogo puro terrore,
immaginò come sarebbe potuto avvenire l'omicidio, le vennero
alla mente
immagini raccapriccianti: Janet che fuggiva da una stanza all'altra, i
suoi che
la inseguivano armati, sangue...
- Basta!- sbottò improvvisamente in preda al panico.
- Tranquilla, adesso andiamo.- la rassicurò Harry
comprendendo di aver coinvolto abbastanza sua sorella in quella storia.
Dette quelle parole, decise di uscire dalla stanza e,
non appena anche fuori dalla casa,ebbe l'impressione di essersi tolto
un peso:
finalmente sapeva, quasi certamente, cosa era successo a Janet. Prima
di andare
a casa, restò seduto in giardino con Meredith su una
panchina.
- Sono certo che Meredith mi ha dato la chiave per
liberarla.- sospirò Harry volgendo lo sguardo verso il cielo.
- Come? - domandò la sorella che era soprappensiero.
- Voglio dire che, dopo la morte, Janet si è liberata
ed è potuta uscire dalla casa anche se il suo corpo
è rimasto in casa. Però non
era ancora potuta andare in cielo perché non si era fatta
luce sulla sua
scomparsa, perciò ha chiesto aiuto a me dandomi la chiave in
modo che potessi
leggere il suo diario - rispose con convinzione Harry - Ora capisco
perché non mi
parlava mai dei suoi genitori e non voleva che entrassi a casa sua... -
continuò - E capisco anche l'avvertimento di Owen... -
proseguì a bassa voce
senza che la sorella lo sentisse.
- E i suoi genitori che fine avranno fatto? - si chiese
Meredith, ormai addentrata nella vicenda dopo la spiegazione persuasiva
di
Harry.
- Saranno scappati, magari pentiti dell'omicidio e poi
hanno fatto credere che la figlia è scomparsa. Tempo fa ho
parlato di questo
caso con un certo Mattew, che abita qui vicino: mi ha detto che i
signori
Crossworth hanno lasciato questa casa dopo la scomparsa di Janet. Poi
però ha
anche detto che probabilmente, seppur anziani, saranno ancora vivi e
decisi a
ritrovare la figlia. Una copertura, insomma...
- Certo, non potremo mica raccontarlo ai giornali,
anche se risolveremo un fatto di cronaca chiuso da anni...
- Non possiamo dire di aver incontrato il fantasma di
Janet e di avere avuto da lei la chiave grazie alla quale abbiamo avuto
delle
risposte, ci prenderebbero per pazzi ... La mia reputazione
è già abbastanza
discutibile. In fondo quello che mi importa è di essere
riuscito a dimostrare
che Janet non era una mia immaginazione.
- Ma per essere libera di andare in cielo, come dici
tu, la verità sulla sua scomparsa non si dovrà
sapere? O basta che la sappiamo
solo noi due? - domandò perplessa Meredith.
- Non saprei, io spero che basti. D'altronde mi ha
detto addio, chissà ... sarà già da
qualche parte lassù.- esclamò Harry guardando
di nuovo il cielo.
Rimase qualche secondo a fissare le nuvole e fra
queste immaginò il volto angelico di Janet,
sorprendentemente sereno. Meredith
guardò a sua volta.
- La ami ancora?- chiese al fratello all'improvviso.
Harry non rispose e si alzò sospirando.
- Andiamo? - disse guardando il suo orologio da polso -
Si è fatto tardi, è quasi l'una. Non pensavo
fosse passato tutto questo
tempo...
Meredith
comprese che doveva provare ancora qualcosa per Janet, così
preferì tacere e
insieme al fratello si incamminò verso il cancello per
uscire. Ma poi Harry...
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Capitolo 31 *** Capitolo trentunesimo ***
CAPITOLO
TRENTUNESIMO
Una volta fuori, un passo indietro,
poi un altro e un
altro ancora. Harry rientrò in giardino e sul suo volto si
dipinse una profonda
commozione. Senza badare all'insistente invito della sorella ad uscire
nuovamente,
con passo deciso, rientrò in casa e Meredith lo
seguì preoccupata.
- Non vorrai cercare il suo corpo? - chiese impaurita.
- No, i suoi disegni. Devono essere qui, no?
- E se i suoi genitori li hanno buttati, dopo averla
uccisa?
- Io voglio cercarli comunque. Deve aver dipinto
molto ... stando sempre chiusa qui dentro, probabilmente
sarà stato il suo unico
sfogo.
Detto ciò, rientrò nella stanza di Janet e
iniziò a
cercare dentro i cassetti dell'armadio e in quelli della scrivania.
- Ma cosa vorresti farne? - domandò Meredith
guardandolo ma senza dargli una mano.
- Ho intenzione di farli conoscere ... - rispose Harry
aprendo l'ennesimo cassetto.
- A chi?
Ma il fratello non rispose e rimase intento nella
ricerca. Meredith lo fissava senza comprendere.
- Non vorrai mica fingere che siano tuoi? - esclamò
sperando di sbagliarsi.
Harry si fermò e si mostrò deluso. “Come
puoi
pensarlo?”, sembrò dirle solo con lo
sguardo. La donna allora restò muta e
si sedette sul letto.
- Magari ... - disse tra sé e sé Harry alzando il
copriletto - Ecco, una carpetta!- esclamò emozionato
tirandola da sotto il
letto.
Meredith si alzò di scatto e la guardò insieme al
fratello alla luce. Harry, con mano tremante, la aprì e vi
trovò diversi fogli
di media grandezza. La maggior parte dei disegni erano bozzetti,
schizzi del
giardino, l'unico paesaggio che vedeva la donna.
Altri erano semplicemente coperti di
linee che però lasciavano comprendere con che stato d'animo
le avesse
tracciate: solcavano il foglio, lo bucavano quasi, ed erano tutte nere.
- Le avrà fatte per il nervosismo.- commentò
Harry
sfiorando uno dei fogli - Povera Janet...
- Guarda questi!- disse Meredith scorgendone altri in
fondo alla carpetta - Sono dei suoi autoritratti!
- Era bravissima!- esclamò Harry con le lacrime agli
occhi - Un vero peccato che il suo sia rimasto solo un talento
nascosto, non
trovi? Per questo ho deciso di esporli ...
- Esporli? Dove?- domandò stupita Meredith.
- Insieme ai miei. Voglio andare a New York.- rispose
semplicemente.
- Come? In America...? - continuò la sorella sempre
più
incredula.
- Ti spiegherò tutto a casa.- disse Harry richiudendo
la carpetta.
Così uscirono nuovamente dalla villa. Harry richiuse
la porta e conservò la chiave nella tasca del cappotto.
- Ma come li porteremo? Siamo in bici ... - commentò
Meredith ricordando al fratello la grande dimensione della carpetta.
- Io vado a casa in bici, tu prendi un taxi e li porti
con te. Fai molta attenzione però che non si rovinino.-
rispose Harry montando
sulla bicicletta.
E così fecero. Meredith, una volta in taxi e in mezzo
al traffico londinese, ebbe come l'impressione d'essere ritornata alla
realtà.
Le sembrò d'essersi svegliata da un incubo, ma comprese che
quell'incredibile
vicenda era stata vera vedendo accanto a sé la carpetta. Era
ancora
terrorizzata e il conducente se ne accorse quando tremante gli
riferì
l'indirizzo.
Il suo volto era pallido, le unghia delle sue mani sottili
violacee.
- Ha visto un fantasma? - scherzò l'autista notando il
suo umore dallo specchietto retrovisore.
Meredith, sentendo quella parola, rabbrividì e si
limitò a mostrare un mezzo sorriso.
Harry, nel frattempo, pedalava rapidamente
lungo i marciapiedi con la mente piena di tutto ciò che
aveva vissuto: era
stata senz'altro l'esperienza più inverosimile della sua
vita. Come era
accaduto in precedenza, al suo passare, raccolse su di sé
gli sguardi
indiscreti della folla, stupita nel vederlo in pigiama con sopra un
lungo
cappotto aperto. Ma lui non se ne curò.
La velocità e il vento gelido del
rigido inverno gli paralizzavano la faccia e il cappotto volava dietro
di sé.
Si chiedeva cosa lo aspettasse, adesso che avrebbe voluto cambiare
vita.
Pensò che era forse l'ultima volta che percorreva quelle
strade e salutò
la gente di Londra.
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Capitolo 32 *** Capitolo trentaduesimo ***
CAPITOLO
TRENTADUESIMO
- E' tutto pronto? - chiese Harry a
Meredith bussando
alla porta della sua stanza.
- Si, arrivo. - rispose quella uscendo.
Era il 14 Dicembre ed Harry era a un passo da New
York, dove, con un po' di fortuna, avrebbe forse finalmente iniziato la
sua
carriera da pittore. Non era passato neanche un mese da quel surreale
pomeriggio alla villa in cui un tempo vivevano i Crossworth, ma Harry
aveva già
raggiunto, anche grazie all'appoggio della sorella, la cifra
sufficiente ad
affrontare il viaggio e l'ingresso all' High Accademy di
New York. Aveva
lavorato sodo guadagnandosi del denaro con diversi impieghi part- time
e nel
contempo aveva realizzato anche una vasta serie di dipinti. Aveva
lavorato
durante il giorno e il pomeriggio e dipinto la notte.
Meredith lo aveva visto
distrutto, ma incredibilmente pieno di forze e di volontà.
L'idea di cercare
fortuna in America le era sembrata più grande di lui, ma
aveva fiducia in Harry
e avrebbe fatto qualunque cosa pur di renderlo felice. Anche per lei
avrebbe
potuto avere inizio una nuova vita: se il fratello fosse diventato
famoso, lei
sarebbe rimasta a New York. Harry le aveva detto che anche se
ciò non fosse
avvenuto, lui avrebbe scelto di restare comunque in America,
perché a Londra
aveva troppi ricordi che lo rattristavano. Janet, inevitabilmente, era
ancora
nei suoi pensieri. Quel dolce viso invadeva anche i suoi sogni, ogni
notte, quando
dormiva.
- Possiamo andare. - disse Harry dopo aver riposto le
valigie e le carpette coi disegni nella macchina di seconda mano che
aveva
comprato Meredith.
Entrambi diedero un ultimo sguardo a quella che era
stata la loro casa di sempre. Meredith, alla guida, non
riuscì a trattenere le
lacrime. Harry lo notò, nonostante cercasse di nasconderlo.
- Ehi, cosa c'è che non va? - chiese dolcemente.
- Niente ... - rispose lei passandosi le dita sugli
occhi - E' solo che ne sentirò la mancanza.
- Eppure pochi mesi fa non hai esitato poi tanto a
lasciare Londra per andare a vivere a Las Vegas.
- L'amore mi aveva resa cieca. Credevo che Jake mi
avrebbe dato tutto, non mi importava dove saremmo stati ... Ora invece
non so
cosa mi aspetta ...
- Te lo ridico Meredith, per l'ultima volta: non sei
costretta a venire con me se non ti va. Io me la caverò.
- No, non ho intenzione di lasciarti di nuovo solo.
L'ho anche promesso a Janet. - replicò la donna
commuovendosi.
Dopo entrambi restarono in silenzio, ognuno con
pensieri diversi. Guardarono ogni via della città, ogni
angolo, parco, villa,
locale ...
Meredith rivisse tanti momenti della sua vita trascorsi in tutti quei
posti, tra cui pure la casa di Tracy, alla quale promise che sarebbero
rimaste
comunque sempre amiche, anche se separate dalla distanza. Harry si rese
conto
invece di non ricordare tutti gli angoli della sua città: da
quando dipingeva
usciva di rado o andava sempre negli stessi posti. Era sempre stato un
tipo
malinconico e trascorreva la maggior parte del suo tempo in casa
davanti la
tela, immerso in un mondo tutto suo, perso nelle mille variazioni
cromatiche
della sua tavolozza. L'unico evento che lo aveva scosso particolarmente
e lo
aveva portato a conoscere una parte nuova della città era
stato l'incontro con
Janet. Percorrendo la strada verso l'aereoporto, vide la Tate Gallery e
per un
attimo ebbe la tentazione di chiedere a Meredith di fermarsi per
scendere e
incontrare Got, probabilmente per l'ultima volta. Meredith lo vide
guardare la
galleria d'arte e accostò vicino un marciapiede.
- Vuoi salutarlo? - domandò al fratello.
- Come ...? Eh, no, no... - balbettò Harry.
- Sicuro? Sei ancora in tempo se vuoi: il volo è solo
tra un'ora.
- No, veramente. Mi ha ferito, non ho più intenzione
di rivederlo. Sono sicuro che si sarà già
scordato di me. Mi sono voltato
istintivamente ... insomma, ci sono venuto tante volte ... Su, o
facciamo tardi. -
disse il pittore incitando la sorella a partire.
- D'accordo. Non c'è un posto che vorresti rivedere
per l'ultima volta?- continuò la donna.
Ad Harry balenò subito nella mente la villa dei
Crossworth: quell'immagine non lo aveva ancora abbandonato e lui
inoltre aveva
ancora sempre con sé la chiave.
La teneva per
sentire vicina Janet, che non aveva smesso di amare, dopotutto. Dopo
questa riflessione
disse di no con la testa. Ripresero così il tragitto senza
nessun' altra sosta.
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Capitolo 33 *** Capitolo trentatre ***
CAPITOLO
TRENTATRESIMO
Toccarono il suolo americano, lui
per la prima volta e
lei per la seconda, dopo circa 8 ore di volo diretto. Erano le venti,
ma
sembrava più tardi, faceva freddo.
A primo impatto ad Harry New York non parve
molto diversa dalla sua città di nascita, eccetto che per la
maggiore
illuminazione.
- E' molto più bella di giorno secondo me. -
commentò
Meredith che ci era già stata una volta con Jake.
Harry non fece alcun movimento, non fiatò. Poi
sospirò
e strinse forte a sé la sorella. Recuperate le valigie, si
diressero al bar
dell'aereoporto e presero dei panini per cena. Successivamente si
recarono in
uno degli alberghi più modesti della città. Ad
Harry riuscì impossibile
chiudere occhio: era troppo eccitato all'idea che avrebbe partecipato
alla
mostra. Meredith dormì pochissimo, continuò a
chiedersi se fossero mai riusciti
a rifarsi una vita. Ragionò su tutte quelle cose che Harry
aveva un po' tralasciato,
pensando più che altro all'arte: come mantenersi, che lavoro
fare, trovare una
casa ... Certo, avevano messo da parte qualche soldo vendendo il loro
appartamento,
ma dovevano sin da subito cercare delle occupazioni. Lei era disposta a
fare
qualunque lavoro e, come Harry, non mirava certo a una villa come loro
nuova
casa. A entrambi bastava un piccolo monolocale. Poi, in preda a tutti
queste preoccupazioni,
Meredith si
addormentò, per la stanchezza fisica e mentale. Harry invece
restò sveglio,
teso e con mille pensieri. L'indomani si alzò alle 06:00,
come la sorella, si
fece una calda doccia veloce e si vestì col suo abito
più elegante, un completo
grigio scuro con cravatta blu e camicia bianca.
Quell’abbigliamento contrastava
un po’ coi capelli ribelli e l’espressione
perplessa.
- Come sto? - chiese a Meredith appena uscito dal
bagno.
- Non ti vedevo così chic dal matrimonio di Owen. -
rise commossa quella - Solo una cosa ... - continuò
sistemandogli il nodo della
cravatta.
- Non ho mai saputo farlo bene ... - commentò Harry
ridendo.
- Possiamo andare? - domandò Meredith prendendo la sua
borsa.
- Si. - rispose deciso il fratello raccogliendo tutte
le carpette coi disegni.
Uscirono dall'albergo alle 07:30 circa. La mostra
aveva inizio solo alle 11:00, ma per raggiungere l' High
Accademy
occorrevano trenta minuti di tragitto e inoltre gli artisti dovevano
presentarsi con un certo anticipo per allestire la galleria con gli
organizzatori dell'evento. Prima dell'esposizione, durante i
preparativi, si
sarebbe svolta la cerimonia iniziale per il 30° anniversario
della prestigiosa
accademia.
Ogni anno per la mostra inaugurale di giovani artisti
( pittori e scultori ), venivano da qualunque parte del mondo
promettenti
talenti. Harry, nella sua modestia, non si era mai ritenuto tra questi,
ma dopo
l'inaspettato incoraggiamento di Got era convinto che avrebbe potuto
farcela.
Questa persuasione giustificava il fatto che si era preparato ad una
nuova
vita: lasciare la propria città e la propria casa sarebbe
stata per molti una scelta
che avrebbe richiesto maggiore meditazione, non tutti avrebbero avuto
il
coraggio di dare una svolta così radicale alla propria
esistenza. D'altronde
Harry voleva pure dimenticarla Londra, voleva cancellare quella villa,
Janet ... temeva che se non lo avesse fatto non sarebbe riuscito ad
andare avanti
e lo temeva anche sua sorella che era stata l'unica a vivere sulla sua
stessa
pelle la stessa inspiegabile esperienza. Meredith era ancora turbata,
forse più
di Harry. Comunque, almeno in quel giorno, che poteva rivelarsi uno dei
più
importanti della loro vita, cercò di distrarsi. Attese con
ansia il momento
della presentazione di Harrison guardando continuamente l'orologio. Tra
i mille
volti presenti alla cerimonia le sembrò più volte
di scorgere quello di Janet,
ma osservando meglio constatò che erano solo altre donne con
tratti o
pettinatura simili.
Alla cerimonia dell'anniversario servirono degli aperitivi,
misero musica classica e proiettarono sulle pareti della grande sala
circolare
opere d'arte contemporanea. Meredith si trovò un po' a
disagio in mezzo a tutta
quella gente, così, anziché unirsi a qualcuno
come faceva la maggior parte,
restò in piedi a guardare fisso le proiezioni. Poi un uomo
sui quarant'anni le
si avvicinò senza che lo sentisse.
- E' anche il mio preferito. - disse improvvisamente
alle sue spalle osservando la “Zuppa
Campbell” di Andy
Warhol.
- Mi ha fatto prendere uno spavento! - si voltò lei.
- Non era mia intenzione, mi scusi. Anche a me capita
di distrarmi di fronte a capolavori come questo.
- Veramente non è il mio preferito. - rispose Meredith
rigirandosi verso l'opera.
- Ah no? - chiese stupito l'uomo.
- Con tutto rispetto, non ne capisco il significato. E
poi non sono neanche americana ... quindi, se proprio devo dirla tutta,
apprezzo
gli artisti inglesi, come me.
L'uomo sembrò quasi scandalizzato. Sgranò gli
occhi
azzurri e per un paio di secondi restò con la bocca aperta.
- Come può non capire Warhol? - chiese
rivolgendo un ampio gesto verso il quadro col braccio destro.
- Non sono una grande esperta d'arte ... preferisco
cercare di comprendere quella di mio fratello.- continuò
Meredith.
- Parteciperà alla mostra? - chiese incuriosito quello.
- Si, sono qui per questo.
- Non ci siamo ancora presentati. - disse l'uomo non
appena sulla parete venne proiettata un'altra opera. - Io mi chiamo
Paul
Jefferson.- si presentò tendendo la mano.
- Meredith Clever, piacere.
Quel certo Paul aveva una stretta decisa e delle mani
affusolate. I capelli castani con un taglio recente e ben pettinati
all’indietro
col gel. Era parecchio più alto di lei e di media
corporatura.
- Andiamo a bere qualcosa?- propose Paul prendendola
sottobraccio.
- Si, grazie. - rispose Meredith guardandolo lusingata.
Nel
frattempo Harry era in preda all'agitazione, al panico,
all'impazienza...Osservò
gli altri partecipanti sistemare con sicurezza le loro opere, gli
sembrò di
essere l'unico in ansia, “o magari”-
pensò -“ riescono solo a nasconderlo
meglio”.
Il direttore dell' High Accademy e il coordinatore
della
mostra dissero agli artisti emergenti che si sarebbero presentati in
ordine
alfabetico. Harry, pensando che doveva essere tra i primi,
reagì
contemporaneamente in due modi diversi: da una parte fu felice
perchè non
avrebbe più dovuto attendere, dall'altra pensò di
non essere abbastanza pronto
ad affrontare la critica e il pubblico. Provava molto imbarazzo in
mezzo alla
gente, soprattutto da quando si era presentato alla Tate
Gallery di
Londra. Ma il suo momento stava arrivando e non poteva certo
rinunciare...
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Capitolo 34 *** Capitolo trentaquattresimo ***
CAPITOLO
TRENTAQUATTRESIMO
- E adesso è il momento
di un pittore emergente
londinese: Harrison Clever.- annunciò il coordinatore
dell'evento, intorno alle
11:30.
Meredith, ancora in compagnia di Paul, non riuscì a
trattenere l'emozione e strinse forte la mano dell'uomo. Con quella
libera
tormentava invece l’orlo di una manica del vestito color
crema che le arrivava sino al
ginocchio.
- E' lui, è mio fratello!- sussurrò con gioia.
- Quanto materiale ... - commentò Paul, notando i
numerosi pannelli espositivi di Harry.
Il pittore entrò con lo sguardo basso, il volto in
fiamme, le mani sudate e un indescrivibile, ma notabilissima,
eccitazione.
Appena entrò fu accolto con un applauso d'incoraggiamento,
come ogni altro
artista precedente. Quando fu il momento di parlare si sentì
seccare la gola e
fu come se improvvisamente avesse perso la voce. Dapprima
tentò di
riorganizzare mentalmente il suo discorso, i movimenti che aveva
studiato ... ma
la vista del pubblico lo bloccò.
Meredith lo guardò come a volerlo incitare,
lui però non la vide neanche in mezzo alla confusione.
Trascorso quasi un
minuto di completo silenzio, Harry si prese di coraggio e
iniziò ad impostare
la voce raschiandosi la gola.
Accostandosi al primo pannello, ognuno dei quali
comprendeva quattro opere, Harry cominciò il suo discorso.
- Buongiorno a tutti, come avete sentito, sono
Harrison Clever. Vengo da Londra ed è la prima volta che
metto piede negli
Stati Uniti. Vi preannuncio che non tutte le opere che vedete sono di
mia
produzione, come penso qualcuno di voi avrà già
capito, notando due stili
differenti. Le mie creazioni sono queste dei primi tre pannelli.-
proseguì
indicandoli - Ognuno di questi disegni è stato eseguito
nell'arco di poche
settimane e con lo stesso stato d'animo. Sono paesaggi immaginari,
scorci
urbani ... c'è anche un mio autoritratto, questo.- disse
spostandosi al pannello
successivo e iniziando ad avere un approccio più diretto col
pubblico - Per
realizzarle ho utilizzato gessetti, carboncino e acquerelli. Le tavole
che
seguono sono state fatte da ... una mia cara amica scomparsa, che ho
inoltre
ritratto.- continuò trattenendo a stento le lacrime - Ho
voluto esporle perchè
non ha mai potuto farlo lei: io trovo che era semplicemente bravissima
e so che
se fosse qui le farebbe piacere. - concluse Harry, portando la mano
nella tasca
destra dei pantaloni e tenendo stretta la chiave della ex villa di
Janet.
- Bene, adesso Clever terrà ancora per qualche minuto
i suoi pannelli, dopo di che entrerà il prossimo artista.-
si pronunciò il coordinatore,
irrompendo in sala al fianco di
Harry.
Il pubblico sembrò ammirare la sua produzione, anche
Paul, che a Meredith aveva dato inizialmente l'impressione di essere
amante solo
dell'arte americana.
- Trovo particolarmente interessanti i ritratti.-
commentò Paul.
- Davvero? Per me sono tutti eccezionali. Pensa che
per scaramanzia Harry non me li aveva mai fatti vedere ... Ha lavorato
di notte,
chiuso nella sua stanza.- rispose Meredith.
- Sai, credo che tuo fratello potrebbe avere un
futuro.- disse Paul sorridendo.
- Sul serio? Io lo spero tanto ... - disse Meredith
cercando di attirare l'attenzione del fratello agitando verso l'alto la
mano
destra.
Harry finalmente la vide e le sorrise. Poi velocemente
uscì portando con sé i disegni, salutando
ripetutamente il pubblico con gioia.
Si sentì molto più sollevato una volta non
più al centro dell'attenzione. Tutti
quegli sguardi su di lui lo avevano messo a disagio e gli avevano fatto
tornare in mente l'esperienza umiliante alla Tate Gallery
. Però una volta
terminata la presentazione si sentì rilassato:
sentì d'aver varcato un ostacolo
che gli era parso insormontabile. Ora doveva affrontare
“soltanto” il giudizio
della critica e del pubblico. Harry restò nella sala in cui
si preparavano gli
artisti durante il resto della cerimonia. Li guardò a
distanza, li vide
emozionati, preoccupati o sereni, alcuni anche troppo sicuri di
sé ... Meredith
rimase sino alle 12:00, in compagnia di Paul, dopo di che
uscì nell'ampia area
verde attorno alla struttura dell' High Accademy in
attesa che anche
Harry uscisse. Dopo pochi minuti la raggiunse e fu sorpreso nel vederla
in
compagnia di un uomo.
- Harry!- esclamò Meredith correndo ad abbracciarlo.
- Meredith!- disse lui felice.
- Sei stato formidabile!- continuò la donna
entusiasta - Lascia che ti presenti Paul Jefferson. E' un critico
d'arte.
- Piacere Harrison. - disse quello.
Il pittore, quando seppe che il distinto signore
appena presentatogli era un critico, non riuscì a non
indietreggiare, quasi
intimorito dal suo giudizio.
- Non essere così sfiducioso.- lo incoraggiò - Ho
notato la tua modestia nel mostrare i tuoi disegni: non devi farti
intimorire
dal pubblico.- continuò più serio.
- Ha ragione, ma ... - iniziò Harry.
- Dammi anche del tu.
- Ok, dicevo che hai ragione, ma per me è difficile,
fa parte del mio carattere.
- Capisco, comunque ho trovato interessanti le tue
opere e vorrei conoscerti meglio, magari a cena stasera.- disse Paul.
- Conoscermi? A cena? Ma veramente ... - balbettò Harry
pensando di rifiutare per la precaria situazione economica.
- Si, ne ho già parlato con tua sorella.
- Ma non conosciamo la città, poi ...
- E' tutto sistemato Harry!- disse Meredith - Scusaci
un attimo.- si rivolse a Paul, allontanandosi in disparte col fratello.
- Ti sei dimenticata? Non abbiamo un lavoro e non
possiamo certo spendere i pochi risparmi uscendo a cena fuori!-
sussurrò lui.
- Prima ancora che potessi dirglielo mi ha detto che
ci offrirà lui la cena. Io ovviamente ho respinto la
proposta, ma ha
insistito ... Sembra molto attratto dalla tua arte, magari grazie a lui
potrai affermarti,
non vorrai perdere quest'occasione?
- Hai accettato di frequentarlo solo per aiutarmi? -
domandò Harry tra il grato e il deluso.
- No ... passerà a prenderci all'hotel alle 20:00, dice
di conoscerlo.
- Ma non capisco: è interessato a te o a me? - chiese
confuso il pittore.
- Senti, non rovinare tutto! Potrebbe essere la volta
buona, forse per tutti e due ... ora andiamo.- rispose decisa Meredith
trascinando il fratello verso Paul.
-
Avete deciso?- domandò quello in attesa della risposta
gradita.
-
Si, verremo.- dissero insieme i fratelli.
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Capitolo 35 *** Capitolo trentacinque ***
CAPITOLO
TRENTACINQUESIMO
Paul li trascinò in un
grazioso locale etnico che era
solito frequentare. Si mangiava indiano e, ovviamente, anche musica ed
arredo
erano a tema.
Harry, non appena entratovi, si sentì frastornato: non era
mai
stato in un locale di quel tipo.
“Non sembra neanche di essere negli
Stati
Uniti...” pensò.
Meredith invece ne restò affascinata.
- Sembra che tu mi abbia letto nel pensiero Paul: io
adoro la cucina orientale!- disse prendendo posto col fratello.
- Ma dobbiamo stare per terra? - chiese Harry.
- Non ti senti a tuo agio? Si mangia così nei
ristoranti etnici! - rise Paul chiamando un cameriere.
Harry fu un po' infastidito dall'atteggiamento di
quell'uomo, gli diede fastidio che non si fosse neppure preoccupato di
chiedere
prima se mangiassero etnico.
Ma poi pensò che in fondo gli offriva la cena e,
soprattutto, che si erano incontrati per discutere della mostra, anche
se non
gli sembrava il posto più adatto.
- Allora Harry, posso chiamarti Harry giusto?
- Si, certo.
- Cosa vuoi mangiare? Io e tua sorella abbiamo già
scelto.
Harry non se ne era neppure accorto e non sapendo cosa
rispondere disse che per lui andava bene la stessa cosa che avevano
ordinato
loro. Le portate furono servite rapidamente e in grande
quantità. Iniziarono a
mangiare qualcosa d'imprecisato e piccante: Paul e Meredith lo
gradirono,
mentre Harry, seppur cercando di nasconderlo, ne rimase sconcertato.
- Posso sapere cosa ti ha colpito dei miei disegni? -
domandò al critico sforzandosi di vederlo solo come tale e
non come un
“antipatico”.
- Certamente. - rispose Paul smettendo di mangiare - Li
ho trovati incredibilmente espressivi nella loro semplicità
e poi ti apprezzo
perchè hai uno stile tutto tuo, non segui la scia di nessuna
corrente artistica
precedente o attuale. L'unica cosa che non condivido è l'uso
del colore, un po'
troppo scuro, cupo. Dovresti metterci più vita,
più allegria! - continuò
mettendo da bere ad Harry.
Ma questo, senza prendere il bicchiere, si mostrò
contrariato.
- Senza nulla togliere alla tua capacità critica,
Paul, ritengo che tu non debba imporre quali colori usare. Voglio
dire... -
precisò notandolo perplesso - Il colore è il
mezzo fondamentale, con la linea,
per esprimere le proprie emozioni. Quindi, per esempio, se vedo il
cielo blu ma
lo dipingo grigio o viceversa, è perchè in quel
momento mi sento in un certo
modo e cerco di comunicarlo attraverso la tela.
- Sei stato abbastanza esauriente. - lo interruppe
Paul - Volevo solo metterti alla prova. - sorrise nuovamente.
Harry ebbe l'impressione che il critico si stesse
prendendo gioco di lui, che non lo prendesse sul serio.
Pensò che lo aveva
invitato a cena solamente perchè non voleva lasciarlo solo. “Meredith
è il
suo vero obiettivo...”
pensò deluso.
- Comunque voglio comprare uno dei tuoi quadri.- disse
d'improvviso Paul lasciando Harry e la sorella di stucco.
- Come? Io pensavo che ...
- Che non mi piacesse il tuo stile? - lo anticipò Paul -
No, mi piace. In particolare il ritratto di quella donna in bianco e
nero.
- Janet?
Beh ... veramente ... - farfugliò Harry nervoso.
- Non è in vendita?- chiese sorpreso Paul. - Lo hai
esposto, quindi pensavo…
- Ha un valore affettivo. - sbottò Harry.
Meredith lanciò uno sguardo di rimprovero al fratello.
- Certo che è in vendita! - intervenne - Così
magari la
potrai dimenticare del tutto ... - bisbigliò ad Harry.
- Bene, allora possiamo incontrarci anche domani.-
disse lesto il critico, dando al pittore il suo biglietto da visita con
indirizzo e numero di cellulare.
- Non so cosa dire ... - esclamò con falsa
felicità
Harry prendendolo.
Poco dopo terminarono la cena e Paul riaccompagnò con
la sua auto Meredith ed Harry all'albergo.
- Non so come ringraziarti, Paul. - disse la donna
appena scesa dalla macchina.
- Tuo fratello è d' accordo, giusto? - chiese a
Meredith sottovoce mentre il pittore stava ancora uscendo dal veicolo.
- Si, è solo che non si aspettava di poter vendere
così presto. E' molto chiuso, ma sono convinta che dentro
salti di gioia. - lo
rassicurò.
- Allora a domani. - la salutò Paul - Arrivederci Harry!
- Arrivederci!- rispose il pittore salutandolo con la
mano.
Anche quella notte, come la prima a New York, Harry non
riuscì a dormire molto. Questa volta perchè
pensò che avrebbe perso il suo
disegno che meglio ritraeva Janet. Era quasi come una foto, perfetto in
ogni
dettaglio e molto realistico, anche se monocromo. Ma, come gli aveva
detto la
sorella, disfarsi di quel dipinto lo avrebbe aiutato a dimenticare
più
facilmente Janet. E lui voleva dimenticarla, ma non ci riusciva: era
stata
l'unica donna per la quale avesse mai provato il vero amore e anche la
più
sbagliata. Il rapporto più bello e più doloroso
al tempo stesso. Per sua
sorella invece quell'angelo sembrava ormai quasi un ricordo lontano;
forse
aveva scelto d' intraprendere una storia con Paul per dimenticare
l'episodio
sconvolgente e anche la precedente delusione con Jake.
In ogni caso era, o per
lo meno appariva, più serena di Harry.
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Capitolo 36 *** Capitolo trentasei ***
CAPITOLO
TRENTASEIESIMO
Paul Jefferson viveva in un grande
appartamento al 34°
piano di un grattacielo. Harry non era mai stato in un grattacielo e la
salita
in ascensore gli sembrò interminabile. Giunto finalmente a
casa sua, ebbe
l'impressione che i suoi polmoni riprendessero ad ossigenarsi. Sia lui
che
Meredith, appena varcata la soglia della casa di Paul, compresero che
questo
doveva essere un patito dell'oriente e che ogni sua scelta si
indirizzasse sul
gusto etnico. Molto rapidamente, dopo avergli offerto del tè
verde, chiamò
Harry ad accomodarsi con lui nel suo studio, una stanza poco curata, di
non più
di 20 metri quadri.
- Scusate il disordine, ma questa giungla deriva dalla
mancanza di una presenza femminile. - spiegò guardando
Meredith.
Il cuore della donna sussultò e le sembrò che
Paul
provasse qualcosa per lei.
Harry non lo notò, era troppo preso dal pensiero di
doversi staccare dal quadro.
- Bene, mostrami il dipinto.
Harry con cautela lo uscì da una carpetta e lo
passò
al critico che lo scrutò in silenzio. Per osservarlo meglio
lo sollevò dalla
scrivania e lo mise a favore di luce. In attesa del giudizio, Harry
rivisse i
momenti di tensione passati a Londra più volte nello studio
di Got.
- Duemila. - disse semplicemente Paul dopo una lesta
riflessione.
- Come? - chiesero stupiti in coro i Clever.
- Vi do duemila dollari per questo. - ripeté il critico
guardando estasiato il dipinto.
- Così tanto? - chiese Clever incredulo.
Meredith pestò un piede al fratello sotto la scrivania
e ringraziò Paul stringendogli una mano con gioia.
- Non ho parole, grazie ... !- disse Harry emozionato.
Quello sarebbe stato solo il primo di una lunga serie
d'affari tra Jefferson e il pittore. Con i primi guadagni Harry e
Meredith
affittarono un monolocale in periferia, qualche giorno prima del
Natale. Era
stato proprio Paul ad indicarglielo ed era poco lontano da lui. Quello
del '99
fu per loro sicuramente uno dei migliori: Harry cominciava ad avere
successo,
Meredith cominciava ad innamorarsi di Paul.
Il 25 Dicembre Harry rinunciò alla
pittura, volle passare almeno quel giorno in un modo diverso e
dedicarsi ad
altro, dopo tanto tempo: con Meredith andò in giro per i
negozi della città.
Camminarono per ore, nonostante avesse iniziato a nevicare. Tutto ad
Harry
sembrò migliore, era felice, sorrideva a tutti per le
strade, finalmente
camminava senza il timore d' essere additato o riconosciuto ed
insultato.
Quest'armonia però, in quella serena giornata,
sembrò spezzarsi quando Harry si
trovò di fronte una panchina e si fermò con aria
malinconica.
- Cosa c'è? - chiese Meredith non capendo il suo
atteggiamento.
- Niente, solo che è molto simile a quella in cui ho
ritratto Janet, nel suo giardino. - rispose lui con lo sguardo fisso.
- E' passato più di un mese da quando ti ha detto
addio. Non pensarla più. So che è difficile, ma
devi andare avanti senza di
lei. E per farlo dovresti anche buttare la chiave. -
consigliò la sorella - L'hai
ancora con te, non è così? - continuò
allungando la mano aperta verso di lui.
Harry mise la mano dentro la tasca destra dei
pantaloni in cui conservava la chiave. Di fronte a sé aveva
il panorama
dell'isola di Manhattan e una grande distesa d'acqua gelida, nella
quale ebbe
l'impressione che sua sorella volesse spingerlo a buttarvi dentro l'
ultimo
ricordo materiale di Janet.
- Fallo tu, Harry. - lo incitò Meredith, qualche passo
più indietro del fratello, coi capelli mossi dal vento.
Quello indietreggiò, uscì la chiave e la
guardò
ripensando intensamente tutto quello che aveva passato con Janet. La
prima
volta che l’aveva vista in ospedale.
I loro incontri a casa di lui e poi di
lei. Il momento in cui si era dichiarato. La scoperta della tremenda
verità … Una
lacrima scese lentamente dal viso di Harry alla chiave. Meredith lo
guardò e
pensò che non l'avrebbe mai buttata. Poi, improvvisamente,
vide Harry prendere
la rincorsa e lanciare con un ampio gesto la chiave verso il mare.
Meredith
seguì la traiettoria dell' oggetto stupita ed Harry fece un
sospiro di
sollievo.
- Andiamo a casa, sta facendo buio. - disse alla donna
con contegno, voltandogli le spalle.
Meredith lo seguì e lo abbracciò.
- Sono felice che tu lo abbia fatto. - disse sorridendo.
Così, dal quel pomeriggio, ad Harry non rimase nulla
di tangibile che fosse legato a Janet. Solo il suo ricordo.
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Capitolo 37 *** Capitolo trentasette ***
CAPITOLO
TRENTASETTESIMO
Nei giorni seguenti Meredith
continuò a frequentare
Paul e trovò un occupazione: avrebbe lavorato nuovamente
come insegnante, ma
supplente, dal nuovo anno. Quell'uomo sembrò avergli portato
fortuna e più di
una volta la donna ebbe la paura che fosse tutto troppo perfetto, che
anche
Paul non fosse che un angelo custode ... Harry riprese a dipingere
ininterrottamente, con la passione di sempre, anche se non riusciva a
trovare
molti soggetti: certo, i grattacieli della metropoli, non lo attraevano
molto ...
Comunque il nuovo anno era vicino e non videro modo migliore per
iniziarlo:
Harry si era liberato della chiave ed era deciso a liberarsi anche dei
ricordi,
Meredith si era ormai abituata alla nuova vita che l'aveva spaventata
tanto.
Una sera camminarono in un parco e parlarono. L'episodio di Janet li
aveva ravvicinati parecchio, così Harry si sentì
autorizzato a fare una domanda
a Meredith riguardo Paul.
- Tra voi c'è qualcosa, vero? - chiese in attesa di una
conferma.
- Io e Paul? - chiese lei ingenuamente.
- L'ho capito, sai. E’ vero, sono sempre con la testa
fra le nuvole … ma non mi è sfuggito. Se guardo
con attenzione certe cose le
posso cogliere anche io, sai? - rise - Quando
ti dichiarerai? - continuò Harry.
- Beh, si ... in effetti mi piace. Non vorrei sembrarti
troppo precipitosa, ma … questa volta sento di essere
davvero innamorata. Non è
come è successo con Jake.
- Non voglio sapere cosa provi né perché ti
piaccia. Tanto
non lo capirei. Non mi sta nemmeno così simpatico,
nonostante tutto. - confessò
Harry.
- Ho l’impressione che a te non starà mai
simpatico
nessun uomo che mi starà accanto … -
azzardò la donna trattenendo un sorriso.
- Che c’è … ? - esclamò lui
confuso, quando l’altra si
protese per abbracciarlo.
- Sei geloso! O solo molto affezionato, fratellino! E’
una cosa carina.- gli sussurrò abbracciandolo in modo
materno.
Harry arrossì e sciolse l’abbraccio.
- Quando ti dichiarerai? - ripetè - Avanti, lo so che
non stai più nella pelle. Fallo e basta. Non ti vergognare
ad ammettere che lo
hai avvicinato a noi anche per te stessa.
- Direi che è stato lui a cominciare. Però hai
ragione. Glielo dirò. Forse anche lui ricambia.
La donna lo avrebbe fatto l'indomani, il giorno di
Capodanno: infatti, verso l'ora di cena, bussò alla sua
porta e vide che Paul
stava a sua volta uscendo per andare da lei a confessarle il suo
amore.
Harry
invece trascorse la notte di fine anno in giro per le strade, tra la
gente,
come non aveva mai fatto. La città
“esplose” allo scadere del conto alla
rovescia, si dipinse di luci e colori con strabilianti giochi
d'artificio.
Era un anno importante: il 2000. Molte profezie ne
avevano parlato come di un tempo apocalittico, portatore di
sconvolgimenti
mondiali negativi.
Invece, almeno per Harry e sua sorella, si preannunciava
propizio. Tanti newyorkesi gli si avvicinarono, in preda
all'entusiasmo,
all'euforia e altri anche all'alcool. Una ragazza disinibita lo
abbracciò da
dietro e gli diede un bacio sulla guancia augurandogli buon anno. Lui
restò
impassibile ma sorpreso, pensando che gli americani avevano
atteggiamenti molto
diversi dalla gente inglese come lui. Poi provò a buttarsi
nella mischia e si
lasciò trascinare dalla folla gridando con gli altri:“Viva
il 2000, viva il
2000!” .I volti di tutti erano ora gialli, ora
rossi, verdi o blu, sotto il
cielo in festa. Il volto di Janet si andò sbiadendo nella
mente di Harry, ormai
per lo più occupata da pensieri felici: il successo con
Jefferson, primo fra
tutti.
Poi una visione lo colpì tra la folla: una giovane minuta,
con corti
capelli neri e grandi occhi scuri malinconici, stava in disparte, come
se per
lei il Capodanno non fosse una festa. La guardò mentre
continuava ad essere
travolto dalla moltitudine di festanti, poi si fermò di
fronte a lei e ne
rimase come folgorato: sarebbe stata la sua nuova fonte d'ispirazione?
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