Again.

di shesfede
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter one ***
Capitolo 3: *** Chapter two ***
Capitolo 4: *** Chapter three ***
Capitolo 5: *** Chapter four ***
Capitolo 6: *** Chapter five ***
Capitolo 7: *** Chapter six ***
Capitolo 8: *** Chapter seven ***
Capitolo 9: *** Chapter eight ***
Capitolo 10: *** Chapter nine ***
Capitolo 11: *** Chapter ten ***
Capitolo 12: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***






Prologue.

 
1864
Stretta nella mia vestaglia di seta blu, indugiavo fuori dalla porta della sua camera. Una parte di me, quella più razionale e realista, mi diceva che quella era una cosa folle, irreale, frutto della mia immaginazione. L’altra parte invece, quella più facilmente condizionabile e debole, mi spingeva ad andare da lui e chiedere delle spiegazioni perché forse tutto quello che pensavo era vero, possibile e reale. Ma se davvero fosse stato così, come avrei reagito? Ero pronta per una notizia del genere? Potevo mai credere veramente a quella folle leggenda?
Il palazzo era silenzioso e deserto. La mezzanotte era da poco scoccata e il buio aveva risucchiato tutto e tutti. Mi guardai intorno, per accertarmi ancora una volta che nessuno mi avesse visto andare da lui. Io, la figlia del duca di Cambridge, non potevo di certo farmi sorprendere nelle camere del maestro di canto della mia sorellina.
Respirai profondamente, buttando l’ennesimo sguardo alle mie spalle, e presi la decisione. Con tocco leggero, ma udibile, bussai alla camerata, sperando in cuor mio che nessuno venisse ad aprirmi. Quando quella speranza andò affievolendosi, mi voltai per andarmene, cosciente che tanto sarebbe stato un tentativo inutile.
«Juliet» mi chiamò. La sua voce mi provocò brividi inspiegabili. Non i soliti dovuti al suono basso e roco che aveva. Quelli che provai quella notte furono brividi di paura.
Mi arrestai di colpo, chiudendo gli occhi .
«Juliet» mi chiamò nuovamente.
Strinsi i pugni e, con uno scatto veloce, mi voltai verso di lui, convinta che se ci avessi pensato ancora su avrei avuto l’ennesimo ripensamento.
Lo guardai, lo scrutai in ogni suo punto, ma non riuscivo più a vedere il ragazzo di cui mi ero innamorata. Nei miei occhi ero certa che si leggesse il terrore che provavo in quel momento che ero vicino a lui. Si mosse verso di me e, istintivamente, feci un passo indietro.
Lui scosse la testa sconsolato, facendo ondeggiare la cascata di ricci con la quale avevo giocato quella stessa mattina, quando per nasconderci da mio padre ci eravamo rifugiati nel giardino del palazzo. Dal suo sguardo percepivo che aveva capito perché fossi da lui.
«Juliet io posso spiegart-» provò a parlare, ma gli bloccai le parole in bocca.
«Cosa sei?» gli domandai con disgusto, senza però riuscire a smascherare la paura che si era ormai impossessata di ogni fibra del mio corpo.
«Ascoltami, io non voglio farti del male, non potrei mai. Vogl-» provò a farmi sentire al sicuro, ma ormai avevo capito che il pericolo era lui.
«Cosa sei?» chiesi di nuovo, sempre più spaventata.
«Lo sai» si rassegnò a rispondere.
Indietreggiai di nuovo, fino a scontrare una colonna che tagliava il corridoio. Scostai i capelli, impreparata e sconvolta per quello.
«Non può essere» mormorai, guardando il vuoto.
«Non può essere» dissi di nuovo, questa volta guardando lui.
I suoi occhi erano spenti, vitrei, quasi invisibili. Completamente diversi da come ero abituata a vederli. Un altro brivido mi percorse la schiena, facendomi raggelare il sangue.
«Se solo mi lasciassi spiegare…» provò ad avvicinarsi, ma lo scansai ancora prima che mi fosse vicino.
«Dillo» gli ordinai. Lui mi guardò, supplicandomi con gli occhi di non farlo.
«Dillo. Voglio che sia tu a dirmelo» non mi lasciai incantare, non più, e glielo chiesi di nuovo.
Lui inspirò, per poi buttare fuori l’aria assunta. «Sono un vampiro, Juliet» disse con tono fermo e solenne.
Nonostante lo avessi capito da sola, nonostante lo sapessi, fu come ricevere una pugnalata in pieno petto, dritta al cuore. Con una mano davanti alla bocca, mi lasciai cadere a terra.
«Tutte quelle morti, tutti quelli innocenti… sei stato tu?» anche se doveva essere una domanda, apparì come una certezza. Perché ormai era certo che il mostro che tutti temevano fosse lui.
Da più di qualche mese a Cambridge regnava il terrore tra la gente. Tutti erano spaventati da una causa comune: il mostro. Le morti di tante persone erano state giustificate da attacchi animali, ma quel pomeriggio io avevo scoperto che non era così.
In silenzio, senza farmi notare da nessuno, mi ero rinchiusa in libreria e, nella sezione ‘libri proibiti’ avevo iniziato la mia ricerca. Denti brillanti, occhi di un colore intenso, strani cambiamenti di umore, velocità, riflessi pronti… era lui, lo era sempre stato e ora ne avevo la certezza.
«Juliet devi capire che il mio modo di vivere è complicato, ci sono tante cose alle quali io non posso resistere» si giustificò, chinandosi verso di me.
La sua mano gelida si posò sul mio viso, accarezzando la mia guancia con tocchi leggeri. La scansai violentemente, alzandomi da terra.
«Complicato? Complicato?! Sul serio Harry, come hai potuto?» incrociai il suo sguardo e mi sentii morire dentro. Lui, il ragazzo che amavo, era un assassino.
«So che adesso non puoi capirmi, che tutto ti sembra orribile, ma se solo mi ascoltassi, se solo lasciassi che io ti spieghi quello che sono allora capiresti» disse con tono supplichevole, cercando le mie mani inutilmente.
Lo guardai ancora, ma per quanto mi sforzassi non riuscivo più a vedere niente di buono in lui.
Fece ancora un passo verso di me, ma indietreggiai ancora.
«Ti prego, non avere paura di me.»
«Non posso, non ci riesco» fu tutto quello che riuscii a farfugliare, prima di correre lontano da lui.
Corsi il più veloce possibile, con il cuore che sembrava esplodermi dentro. Il corridoio sembrava non finire mai. I miei passi echeggiavano nel silenzio solenne della notte.
«Ti prego Juliet, ascoltami.»
Urlai disperatamente, quando me lo ritrovai all’improvviso davanti.
«Come… come hai fatto?» Tornai a correre nella direzione opposta. La lunga vestaglia mi impediva di tenere il passo svelto che avrei voluto avere in quel momento.
«Juliet guardami. Sono sempre io, il solito Harry» disse riapparendomi davanti e prendendomi le mani senza permettermi di reagire.
Provai ad oppormi a quel contatto, ma non ci riuscii. Era più forte di me, lo era sempre stato. Ma adesso almeno sapevo il reale motivo.
«Per favore, lasciami andare» lo supplicai, con le lacrime agli occhi.
«Sai che non posso. Ti amo, la mia esistenza non avrebbe senso senza di te.» Puntò i suoi occhi nei miei, mentre con la mano libera seguiva i lineamenti del mio collo.
Mi sorrise e per la prima volta lasciò che vedessi i suoi canini. Erano affilati, sembravano due lame taglienti.
«Harry, ti prego» lo pregai di nuovo. «Se davvero mi ami lasciami andare via.»
Lui mi guardò, lasciando intravedere nel suo sguardo una sorta di rassegnazione.
«Se ti lascio andare, non tornerai mai più» disse triste.
Un groppo mi salì in gola. Aveva ragione, non sarei mai più tornata da lui. E allora capii da sola cosa avrebbe fatto, quale sarebbe stato il mio destino.
«Mi dispiace che debba finire così» fu l’ultima cosa che disse.
Chiusi gli occhi, prima che i suoi canini penetrassero nella mia pelle. Urlai per il dolore, per la disperazione, per la rabbia. Urlavo perché era l’unico modo per sfogarmi. Sentivo le forze venire meno lentamente. Era come se lui stesse prosciugando la mia energia. Le urla vennero meno, così come i singhiozzi rallentarono quando, ormai sfinita, chiusi gli occhi e mi lasciai andare.
Non percepii più la sua stretta sul mio corpo, ma sentii il freddo del pavimento scontrarsi col calore del mio corpo
«Presto starai meglio, te lo prometto» sussurrò, chinandosi sul mio viso. Poggiò le sue morbide labbra sulle mie, per poi raccogliermi da terra e camminare lontano da quel punto con me in braccio. Dopo di che solamente il buio.
Le tenebre della notte avvolsero il palazzo, mentre il mio destino era ormai segnato.



here i am:
ormai io e le mie storie vi avremmo stancato, ma finchè la voglia di scrivere non mi sarà passata dovrete sopportarmi LOL
so che ho un'altra fan fiction in corso, ma state tranquille, ho intenzione di finirla! a dire il verso questa non rallenterà per niente la scrittura dell'altra perchè è già stata terminata lol a dire il vero non del tutto, manca ancora l'epilogo ma conto di scriverlo a breve *-*
allora, come avrete ben notato non si tratta della solita ff dove i one direction sono dei comunissimi ragazzi, vanno a scuola e le solite cose che ormai abbiamo letto e riletto mille volte. quello dei 'vampiri' non è assolutamente il mio genere, diciamolo chiaro e tondo. l'idea di questa storia è nata nella mia testolina dopo aver visto le tre intere stagioni di tvd una dietro l'altra, perciò capitemi: ho avuto soltanto vampiri in testa per due mesi forse lol
la protagonista, juliet, come avrete certamente capito dal banner la immagino come selena gomez. a propoisto, che ne pensate del banner? a me piace particolarmente ed è strano che io apprezzi così tanto una cosa fatta con ps da me *-* ahah
allora, credo di aver detto tutto o almeno lo spero (?)
se volete cercarmi su twitter vi ricordo che sono xshewalksaway mentre se volete che vi tenga aggiornate sull'andamento della storia basta che mi lasciate il vostro nick nella recensione e io vedrò di ricordarmi di informarvi ogni volta che aggirono uwu 
mmm..okay, ho parlato fin troppo D: ahah
niente, grazie tante e buona lettura xx


p.s. michela, la storia la dedico a te perchè oltre a essere la mia dems e la mia metà perfetta sei anche quella che ha sopportato i miei scleri per questi due ragazzi ogni volta che scrivevo anche la più piccola ed insignificante scena, perciò in un certo senso te lo devo ♥ grazie di tutto e spero che la storia piaccia soprattutto a te :') ti voglio bene, sel x

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Capitolo 2
*** Chapter one ***





Chapter one.
 

1864
Percorsi l’infinito corridoio del palazzo a passo svelto, cercando di non inciampare nel mio stesso vestito. Mio padre mi aveva pregato di essere puntuale almeno quella volta, ma neanche impiegando tutte le forze che avevo in possesso ci ero riuscita. Mi avrebbe sicuramente ucciso se avessi fatto tardi perché avevo trascorso il mio tempo rinchiusa in libreria a leggere. Scesi l’ultima rampa di scale tenendomi dal corrimano. Quando i miei piedi ebbero toccato nuovamente un piano liscio, sospirai sollevata. Mi sistemai i capelli, cercando di allisciargli il più possibile. Era già una grazia che me li lasciassero tenere sciolti, figuriamoci cosa sarebbe successo se avessi osato presentarmi in disordine. «Finalmente sei arrivata» mi ammonì mio padre, anche se nel suo tono di voce si percepiva tutto, tranne che la rabbia.
«Sono mortificata padre» mi scusai, affiancandomi a mia madre, che mi sorrise cordiale.
Mia sorella minore, Gabrielle, era più vivace del solito quella mattina. Eravamo tutti lì solo per lei in un certo senso. Stavamo aspettando il suo nuovo insegnante di canto, che a quanto pareva doveva essere meno puntuale di me visto che non era ancora arrivato. La cosa, ovviamente, andava a favore mio.
«Tua sorella ti assomiglia molto» disse mia madre, accarezzandomi una guancia.
Insieme a lei gustai la scena della piccola Elle che saltava per le scale, felice come una Pasqua. Da me lei aveva preso lo spirito intraprendente e la curiosità, così come l’indole da maschiaccio e la poca affinità con il mondo aristocratico. Anche se con lei i miei genitori erano più severi, proprio per evitare che crescesse con il rifiuto verso la nobiltà proprio come la sottoscritta. Nonostante seguissi il galateo, non mi era mai piaciuto quel mondo fatto di false cortesie e di brillanti, mentre a Gabrielle in un certo senso lo stavano imponendo. Mio padre diceva che almeno una delle due doveva essere cresciuta a regola d’arte e, siccome con me non era andata a finire bene, adesso riponevano tutte le loro speranza nella piccola di casa.
Si udirono dei cavalli nitrire e, ben presto, una delle nostre carrozze si vide in lontananza. Mio padre fece segno ai domestici di prepararsi all’arrivo del maestro. Lo immaginavo un uomo sulla cinquantina, senza famiglia e abbandonato a se stesso. Un uomo che aveva dedicato la sua vita alla musica e che era finito per rimanere solo. Sicuramente una persona poco interessante. Quando la portiera venne aperta, dovetti rimangiarmi ogni singolo pensiero. Il giovane più bello che i miei occhi avessero mai visto, infatti, scese dalla carrozza e venne verso di noi.
«Benvenuto nella residenza Harris-Felton signor Styles» disse con la sua voce solenne mio padre. Si rivolse a quel ragazzino come se fosse un suo pari, quando avrebbe potuto avere si e no la mia stessa età.
«È un onore lavorare per voi, duca Harris» disse il giovane, chinandosi leggermente verso mio padre. Aveva dei modi educati e cortesi, segno che aveva ricevuto una buona educazione. Sicuramente mio padre avrebbe apprezzato quel particolare.
«Questa è mia moglie Caroline.» Il giovane, sotto l’occhio vigile di mio padre, baciò la mano a mia madre.
«Spero che si troverà bene con noi» augurò al ragazzo, che si limitò ad un cenno col capo.
«Io sono Elle» si fece avanti la piccola. Mio padre la rimproverò con lo sguardo e lei fece un passo indietro, abbassando la testa silenziosamente.
«Gabrielle» la corresse «la mia figlia minore.»
Il ragazzo si chinò verso di lei e, come per mia madre, le baciò la mano dolcemente. Poi però, quando si stava per rialzare, le pizzicò leggermente la guancia. Lei trattenne le risate solo per non farsi richiamare un’altra volta.
«E lei è Juliet, la maggiore» disse infine, indicando la sottoscritta.
Afferrai i lembi dell’amplia gonna del vestito e feci un mezzo inchino per salutare.
«Juliet» ripeté il ragazzo «che nome dolce e soave.» Prese la mia mano e stampò un bacio, in maniera più lenta e delicata rispetto alle precedenti.
Sentii le guance prendere colore e allora abbassai lo sguardo ma, invece del pavimento come da me sperato, incrociai gli occhi di lui, che splendevano di un verde luminoso.
«Harold Edward Styles» disse il suo nome, tornando eretto con la schiena. «Da oggi e per sempre ai suoi servizi, signorina.»
Sorrisi di fronte a quell’affrettata dichiarazione, sicuramente non gradita da mio padre che infatti non tardò per allontanarlo da me. «Prego signor Styles, segua i miei domestici: vi condurranno nelle vostre camere.»
Il giovanotto assentì, sparendo qualche istante dopo, come se risucchiato dal palazzo stesso.
«Sta molto attenta figliola, certi legami sono proibiti.»
Alzai lo sguardo verso mia madre, rassicurandola: «Abbiate fiducia madre, non sono una sprovveduta.»
Lei mi guardò, poco convinta di quelle mie parole. In fondo, neanche io ci credevo veramente.
 
2012
Il cielo, nonostante fossimo in pieno inverno, non era nuvoloso quella mattina sopra Cambridge. La mia pelle chiara luccicava leggermente sotto i raggi tiepidi del sole, mentre i lunghi capelli castano cioccolato, che portavo rigorosamente sciolti, venivano ondeggiati dal leggero vento che tirava sempre a quell’ora. Quella si prospettava essere una bella giornata, se alla prima ora non avessi avuto storia, la materia che più odiavo. Per me, che in un certo senso la storia l’avevo vissuta, quella materia era una vera pugnalata al cuore.
Arrivai al mio armadietto e iniziai a sistemarvi i libri che non mi sarebbero serviti per il momento. Il corridoio era semi deserto a causa dell’ora: nessuno arrivava mai puntuale in quella scuola, fatta eccezione per qualche secchione e per la sottoscritta che, a causa della sua velocità, neanche intenzionalmente ci sarebbe mai riuscita.
«Buongiorno bella mora!» esclamò qualcuno alle mie spalle. Qualcuno che avevo riconosciuto ancora prima che arrivasse.
«Ciao Niall» dissi tranquillamente, chiudendo lo sportello dell’armadio. Lui mi guardò sorridendo, allungando il bicchiere di caffè che ogni mattina mi portava puntuale come un orologio svizzero.
«Come farei senza di te, Horan?» gli chiesi retorica, afferrandolo e iniziando a sorseggiarlo. In realtà neanche mi piaceva il caffè, ma per esigenze fisiche ero costretta a berlo, altrimenti sarei apparsa gelata come un iceberg a chi mi stava vicino. Feci qualche faccia strana, dovuta al sapore amaro che adesso mi ritrovavo in bocca.
«Beh, sai che non dovrai dirmi addio…» lasciò la frase in sospeso perché era già a conoscenza del mio pensiero riguardo quell’argomento.
«Niall te l’ho già detto, non avrai il mio sostegno, non in questa cosa almeno» tagliai corto, incamminandomi verso l’aula di storia.
«Juliet aspetta, non andartene così!» mi urlò dietro.
Per quanto non sopportassi quella sua scelta, Niall rimaneva sempre il mio migliore amico, così come Jennifer, la sua ragazza. Mi fermai e tornai indietro, da lui.
«Non devi farlo per forza» provai a persuaderlo per quella che era forse la millesima volta.
«Cosa ti fa credere che cambierò idea?» mi domandò, incrociando le braccia al petto.
Alzai leggermente le spalle, bevendo un altro goccio di caffè. «La stessa cosa che ti fa credere che io cambierò idea.»
Scosse la testa, passandomi un braccio attorno alle spalle e incamminandosi verso la sua meta preferita: l’armadietto della sua ragazza. Jenn non tardò ad arrivare, così da mettere fine ai lamenti insopportabili di Niall su quanto sentisse la sua mancanza.
«Per fortuna sei qui, non ce la facevo più» sbuffai, appoggiandomi al muro. «Jenny è l’amore della mia vita, staremo insieme per sempre» gli feci il verso, con tanto di mimica.
«Ehi, io non parlo affatto così!» protestò lui.
«In realtà si, amore» lo contraddisse la stessa.
«State per caso complottando contro di me? No, perché due vampiri contro un umano non è affatto equa come cosa.»
Mi irrigidii di scatto, non appena lo sentii arrivare.
«Sh, sta arrivando Liam» avvertii Niall, dato che Jenn sicuramente ne era già al corrente.
Annuirono comunque entrambi, per poi iniziare a scambiarsi delle effusioni in modo da distrarre l’attenzione dell’argomento tirato innocentemente in ballo da Niall.
Qualche istante dopo, come previsto, Liam arrivò.
«Buongiorno raggio di sole» esclamò come era solito fare quando mi vedeva.
«Ehi ciao» ricambiai il saluto, avvicinandomi a lui per stampargli un dolce bacio sulle labbra.
Andò a salutare Niall e Jenn, la quale poco dopo mi raggiunse per lasciare che i due ragazzi parlassero di cose da… ragazzi.
«Allora?» mi chiese. La guardai con occhi sperduti, non capendo a cosa si riferisse.
«Quando hai intenzione di dirglielo?» Questa volta ebbi capito, ma finsi ancora di non esserci arrivata per evitare l’argomento.
«Dirgli cosa?» Lei sbuffò, sistemandosi nervosamente i capelli.
«Andiamo Juliet, se lui ti piace veramente devi dirgli che cosa sei!» sbottò.
«Vuoi abbassare la voce?!» la richiamai. Lei si scusò con lo sguardo, ma non aggiunse altro.
«Non sono pronta ok? Quando arriverà il momento giusto allora glielo dirò, per adesso siamo felici così.» Buttai lo sguardo su di Liam, che rideva e scherzava con il suo migliore amico. Louis era appena arrivato e si era aggiunto ai due.
«E se il momento giusto non arrivasse mai?» mi domandò piano.
Tornai a posare lo sguardo su di lei, che invece mi stava scrutando coi suoi grandi occhi verdi. «Vorrà dire che non era destino» tagliai corto.
«Già, il destino» disse sarcastica, per poi abbandonarmi da sola.
«Niall tesoro, andiamo in classe?» chiese prendendolo sottobraccio. Lui annuì.
«Ci vediamo dopo allora» salutò Niall.
«Si ovvio, abbiamo letteratura alla terza insieme» lo informò Liam.
«Scappo anch’io, francese alla prima non ammette ritardi» annunciò Louis.
«A dopo ragazzi» salutò Jenn.
«A dopo Destiny» precisò, quando mi passò accanto.
Le dedicai uno dei miei peggiori e gelidi sguardi, anche se sarebbe servito a poco. Conoscendola, non si sarebbe mai arresa. E il tempo, per creature eterne come noi, era una grossa fregatura.
 
Nonostante condividessi casa con Jenn, lei non c’era quasi mai. Era sempre fuori, o per nutrirsi, o per stare con Niall. Quelle ormai erano le sue priorità.  Del tutto diverse dalle mie, che ero sempre più convinta di voler tenere Liam lontano da quel mondo, il mio mondo. Non che non provassi niente per lui o che non gli volessi bene. Al contrario, lo tenevo all’oscuro di tutto proprio perché gli volevo troppo bene. Quel segreto era un macigno non facile da sopportare, io stessa ne avevo pagato le spese sulla mia pelle. Non volevo che Liam si ritrovasse nella mia stessa situazione, non volevo obbligarlo a scegliere. Jenn la pensava in modo completamente diverso dal mio, convinta che un segreto del genere non si potesse tenere nascosto ai proprio cari. La sua storia era ben diversa dalla mia, in quanto la sua trasformazione fu causata dalla necessità di sopravvivere. Era la seconda guerra mondiale, quando rischiò di perdere la vita e un giovane ragazzo la salvò dalla pozza di sangue in cui si era ritrovata. Mi raccontò che stessero insieme per un certo periodo di tempo, ma poi lei scelse di allontanarsi perché voleva allargare i suoi orizzonti.
Spensi la tv annoiata. I programmi del ventunesimo secolo erano tutti uguali e demenziali, a lungo andare ti stancavano. Mi alzai dal divano, lanciando il telecomando e andando in cucina per cercare un po’ di cioccolata. Ero una vampira da 148 anni eppure ancora sentivo la necessita di alcune cose, come il cacao. In realtà non erano delle necessità vere e proprie, molte cose le facevo per abitudine, come quella.
Presi il barattolo di nutella e, da uno dei cassetti, un cucchiaino. Svitai il tappo, poggiandolo sul ripiano della cucina, e iniziai ad affondare nella crema. Gustavo quella delizia al cioccolato tranquillamente, dondolandomi da un piede all’altro distrattamente. Improvvisamente percepii un mormorio, una specie di chiacchiericcio che mi faceva da sottofondo in quel momento. Avevo imparato a controllare il mio udito e di certo non poteva trattarsi di qualche conversazione dei miei vicini di casa, perciò il mio pensiero andò alla televisione, che comunque avevo spento. Controllare però non mi avrebbe fatto del male, così posai il barattolo sul tavolo e tornai in salotto. Dovetti ricredermi, quando trovai la tv accesa. Sorpresa, presi il telecomando che si trovava schiacciato tra due cuscini. Sicuramente un contatto involontario aveva fatto accendere il televisore, ecco risolto il mistero. Scuotendo la testa e ripetendomi di essere una paranoica, tornai dal mio vasetto di nutella. Mi bloccai sulla soglia della porta, osservando immobile la finestra aperta. Quella non era paranoia, quello era un dato di fatto. Ero sicura che prima che me ne andassi fosse chiusa, mentre adesso era completamente spalancata. Mi affrettai a richiuderla, mentre brividi di freddo mi percorrevano il corpo. Se Jenn mi avesse vista in quelle condizioni mi avrebbe preso in giro, dandomi della rammollita nonostante ciò che fossi. Del mio lato umano avevo conservato le mie paure e le mie insicurezze, cosa che non sapevo definire come un bene o come un male. Sapevo di potermi difendere e di essere forte, ma continuavo ad avere paura persino della mia stessa ombra.
Iniziai a sentirmi osservata, controllata… spiata. Avevo una strana sensazione, un misto tra paura ed eccitazione. Presi dei respiri profondi, tentando di calmarmi. Affondai le mie preoccupazioni ancora una volta nei piaceri del cioccolato, tranquillizzandomi leggermente. Anche se in realtà non riuscivo a stare bene, sentivo che qualcosa non andava.
«Ciao Juliet» una voce calda e profonda parlò improvvisamente alle mie spalle.
Mi girai di scatto, lasciando cadere tutto quello che avevo nelle mani.
Non potevo crederci, ma lui era tornato.



here i am:
so che forse è un po' presto, ma avevo davvero voglia di aggiornare perciò ecco il primo capitolo ** che ve ne pare?
allora, come avreste notato si sviluppano due storie 'parallele'. abbiamo la parte al passato, che racconta com'era la vita della nostra progatonista prima e poi abbiamo la parte al presente, che è la storia vera e propria. questa impostazione ci sarà fino all'ultimo capitolo, perciò potrete notare differenze e similitudini delle due situazioni per tutto il corso della storia :)
boh, non so esattamente cosa dirvi D: ahah ah si! lei è jenn :) per chi non la conoscesse è britt robertson, l'attrice protagonista della serie the secret circle. ha fatto anche avalon high, il film della disney per farvi capire bene chi è ahah

na na na, non so più davvero cosa dirvi D: #fail
grazie per le recensioni al prologo e spero che vi sia piaciuto il capitolo (: xx

 

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Capitolo 3
*** Chapter two ***





Chapter two.
 

1864
Con il naso infilato tra le pagine dell’ultimo libro preso dalla biblioteca di palazzo, camminavo per i corridoi infiniti diretta nella mia stanza per dedicarmi meglio alla lettura di quel romanzo che tanto mi stava appassionando. Si trattava della storia d’amore di due giovani appartenenti a due ceti sociali diversi che, per vivere liberamente il loro amore, scappavano di casa, rinnegando per sempre le loro famiglie. Sorrisi al pensiero di quanto forte potesse essere quel sentimento, ma subito dopo mi rattristii, soffermandomi a pensare se esistesse davvero qualcosa di così forte come l’amore o se fosse soltanto frutto della fervida immaginazione degli scrittori.
Completamente assorta nei miei pensieri, continuai a camminare, fino a quando non scontrai con qualcuno, facendo cadere inevitabilmente il libro a terra.
«Sono mortificata, non vi avevo visto» mi scusai, chinandomi per raccoglierlo, ma qualcosa me lo impedì. Una mano lo aveva afferrato al posto mio e adesso me lo stava porgendo.
«Dovreste fare più attenzione quando camminate.» Alzai lo sguardo, fino a incrociare gli occhi del maestro di canto di Elle.
«Vi chiedo ancora perdono, ero sovrappensiero» mi ripetei, allungando la mano fino a sfiorare la sua e riprendere il libro. Quel contatto, così breve ma così intenso, mi provocò brividi lungo tutta la schiena. Mi irrigidii di colpo, cercando di mostrare indifferenza.
«Una così bella ragazza come voi non ha bisogno di scusarsi» disse, avvicinandosi a me. In quel poco tempo che aveva passato con noi, il signor Styles si era rivelato una persona educata, ma sfacciata all’occorrenza. Arrossii visibilmente a quel complimento, più che lusingata.
«Finirete col viziarmi con tutti questi complimenti, signor Styles» lo ammonii. Lui scosse la testa, sorridendomi dolcemente.
«Vi avrò pregato un miliardo di volte di chiamarmi Harry» mi ricordò, sorridendomi calorosamente.
«Avete ragione, lo avevo scordato.» Mi affiancai a lui, riprendendo a camminare per il palazzo. «Sbaglio o è l’ora della vostra lezione di canto con mia sorella?»
«Stavo giusto andando da lei» mi informò. «Vi andrebbe di farci compagnia, Juliet?»
Mi fermai e mi voltai verso di lui. «Ne sarei onorata, Harry» accettai, marcando il suo nome a dimostrazione del fatto che gli avevo concesso una certa confidenza.
«Seguitemi allora» disse, facendomi strada verso la stanza dove conservavamo il pianoforte.
I pochi domestici che si trovavano nelle nostre vicinanze osservarono la scena in silenzio, ma con occhi curiosi. Erano tutti dei gran pettegoli, questa non era certo una novità. Le donne, in particolar modo, si divertivano a sparlare la sera, quando la servitù si riuniva nei suoi alloggi. Probabilmente l’argomento di quella sera sarebbe stato lo scandalo della figlia del duca e dell’insegnante di canto, ma poco mi importava. Non mi ero mai fatta condizionare da questo genere di cose e non avrei di certo iniziato in quel momento.
 
«Spero che possiate scusare mia sorella, in quanto a puntualità ha preso da me.» Sorrisi calorosamente ad Harry, sperando che non si infastidisse del fatto che Elle fosse in ritardo per la lezione. Mi accostai alla finestra, soffermandomi a guardare l’immenso giardino che si apriva davanti ai miei occhi.
«State tranquilla, sono certo che sarà qui a momenti» mi rispose gentile.
Al suono della sua voce bassa e calda mi voltai. Lo osservai in ogni suo movimento, mentre si accomodava al pianoforte e intonava una dolce melodia, accompagnandola con il suo bel canto.
I capelli ricci, raccolti in un codino come da copione, ricadevano comunque sul suo dolce viso, formando dei simpatici boccoli. Gli angoli della bocca erano curvati leggermente verso l’alto, accennando un tenero sorriso. I suoi occhi, invece che ai tasti, erano rivolti verso di me. Erano verdi, talmente profondi che sembravano essere due smeraldi incastonati. Era di una bellezza unica, tanto che sembrava irreale.
Rimase concentrato su di me, anche quando ebbe terminato di suonare. I nostri occhi sembravano completarsi in quel gioco di sguardi e ammiccamenti.
«Avete un talento straordinario, Harry» gli confessai, avvicinandomi a lui.
«Come tanti altri, del resto il mondo è pieno di talenti.»
«Oh, perché dite così? Non dovreste sottovalutarvi, credetemi.» Accennai a volermi sedere al suo fianco e lui intuì subito quali fossero le mie intenzioni, così si spostò leggermente sulla sinistra, lasciandomi una porzione libera di sgabello. «La vostra voce ha qualcosa di… ammaliante oserei dire.»
«Siete una ragazza incredibilmente splendida Juliet, ve lo hanno mai detto?» Sorrisi imbarazzata, chinando il capo verso le mie mani poggiate sui tasti bianchi. Poco dopo, le mie dita furono sfiorate da qualcosa di soffice, anche se leggermente freddo. La mano di Harry accarezzava la mia, noncurante del fatto che qualcuno potesse sorprenderci in quell’attimo, così innocente eppure così condannabile.
«Ehm, ehm.» Trasalii, alzandomi immediatamente quando ebbi notato Elle ferma sulla soglia della porta.
«Scusate, non volevo interrompere» disse educata, guardandomi con fare interrogativo.
«Tranquilla, io e il tuo maestro stavamo parlando di musica» cercai di convincerla di ciò, mentre mi alzavo e mi avvicinavo a lei. «Non è vero, signor Styles?»
Lui mi assecondò con un cenno leggero del capo. «Certamente. È stato un nobile gesto da parte sua farmi compagnia nell’attesa di sua sorella, signorina.»
Lo guardai, incantata ancora dal suo sguardo magnetico. «È stato un piacere» risposi, accennando un inchino per poi lasciare i due alla loro lezione di musica.
 
2012
Lo fissavo stordita stando completamente schiacciata contro al muro. Non ero spaventata da lui, ero solo… sorpresa. Dopo il nostro ultimo incontro credevo che non lo avrei mai più rivisto. Era passato più di un secolo dall’ultima volta in cui avevo incrociato quelli occhi verdi e adesso me li ritrovavo davanti, che mi scrutavano da capo a piedi curiosi e bramosi.
«Cosa ci fai qui?» dissi fredda, quasi di pietra, non appena ebbi trovato la forza di parlare.
«Dopo 148 anni è così che mi accogli? Pensavo in qualcosa di più caloroso» sogghignò, avvicinandosi a me con passo da predatore. «Come un abbraccio» continuò provocatore. «O un bacio» disse infine, quando mi ebbe raggiunto.
Sfiorò una mia guancia con il dorso della sua mano e io mi affrettai a spingerlo via. «Non toccarmi» lo schifai, piazzandomi nel lato opposto della stanza per averlo il più lontano possibile da me.
«Juliet, Juliet, Juliet» ripeté il mio nome scuotendo la testa «o forse dovrei chiamarti Destiny?» Lo guardai, serrando la mascella e chiudendo i pugni. Sapevo che tornando a Cambridge per lui sarebbe stato facile trovarmi, ma dopo tutto quel tempo passato a nascondermi da lui ero convinta che avesse rinunciato al  mio inseguimento.
«Sai, se solo la smettessi di scappare da me e ti fermassi un attimo ad ascoltare quello che ho da dirti magari la smetteresti anche di odiarmi» disse ancora, assumendo quell’aria da presuntuoso che non gli donava per niente.
«Cosa ci fai qui, Harry? Voglio sapere solo questo.» Lo guardai mentre perlustrava la mia cucina, del tutto a suo agio, a differenza mia, che improvvisamente mi sentivo fuori luogo.
«Dovresti saperlo il perché, Juliet.» Alzai lo sguardo, incontrando il suo fisso su di me. Nonostante il tempo, quello sguardo riusciva ancora a mettermi in soggezione, così fui costretta a spostarmi nuovamente dal punto in cui mi trovavo.
Mi accostai alla finestra, guardando i nostri volti riflessi nel vetro. L’Harry che avevo davanti era all’apparenza completamente diverso da quello che avevo conosciuto, eppure c’era qualcosa di così familiare in lui che mi riportava indietro negli anni. Forse si trattava del suo sorriso, caloroso oggi come allora, o forse dei suoi occhi che, per quanto mi facessero sentire male, erano di una bellezza indescrivibile.
«Credevo di essere stata abbastanza chiara durante il nostro ultimo incontro» mi voltai quando tornai in me. «Non voglio più averti nella mia vita, Harry» terminai decisa, incamminandomi verso l’uscita della stanza.
«Juliet aspetta» mi fermò, stringendomi per un braccio. Anche se lo nascosi, rabbrividii quando la sua pelle fu nuovamente a contatto con la mia. Guardai la sua mano, poi lui, intimandogli con lo sguardo di mollare la presa. E così lui fece.
«Mi dispiace, ma non ho intenzione di lasciarti andare adesso che ti ho ritrovato» disse deciso, puntando i suoi occhi nei miei per l’ennesima volta. «Ho bisogno di parlare con te, di spiegarti quello che non mi hai dato la possibilità di fare in passato.»
Cercò le mie mani, ma gli impedii di stringerle nelle sue. Non dovevo cedere, non potevo ricadere nella sua trappola. «Non hai scelta Harry, devi lasciarmi in pace e basta.»
Un rumore proveniente dalle scale catturò la mia attenzione. Mi concentrai per qualche secondi e riuscii a distinguere la voce di Jenn canticchiare mentre saliva le scale. «La mia coinquilina sta per arrivare, faresti meglio ad andartene.»
Lui non parve ascoltarmi e, invece che lasciare l’appartamento, si avvicinò ancora di più a me. Continuava a guardarmi intensamente e stavo quasi per impazzire. Non era facile sopportare le sue occhiate e io non ero mai stata brava a farlo. «Non finisce qui Juliet, dovrai ascoltarmi che tu lo voglia oppure no» mi sussurrò, prima di sparire nello stesso modo in cui era tornato nella mia vita.
 
Quella mattina mi alzai di mal umore. Durante la notte non ero riuscita a chiudere occhio perché avevo pensato costantemente ad Harry. Lui era sempre stato il mio più grande dilemma, se non l’unico. Se scavavo nel mio passato mi accorgevo che i ricordi più belli della mia vita erano legati a lui, così come quelli peggiori. Non era mai stata una storia facile la nostra, anzi tutt’altro, eppure quel sentimento che un tempo ci legava era così forte da farci credere che nessuna barriera fosse imbattibile. Nessuna barriera, tranne quella che alla fine era riuscita a dividerci. Più che la verità, non ero stata capace di comprendere la sua reazione di quella notte e forse non sarei mai stata capace di accettarla e lasciarmela alle spalle. 
«Signorina White, sarebbe così gentile da dirmi di cosa stiamo parlando?» Il professor Coleman si fermò davanti al mio banco, incrociando le braccia al petto in attesa di una mia risposta. Era ormai dall’inizio dell’anno che provava a mettermi in difficoltà coi suoi trucchetti da insegnante furbo e scaltro, ma nonostante i numerosi fallimenti insisteva nel non arrendersi.
«Il giallo di Cambridge, signor Coleman.» Sorrisi vittoriosa non solo perché sapevo di aver indovinato l’argomento, ma anche perché, modeste a parte, quella era la mia vita.
«Bene» rispose evidentemente infastidito. «Sarebbe così gentile da illuminarci con il racconto del, come lo chiama lei, ‘giallo’?» Si aggiustò gli occhialetti da intellettuale che portava sul naso, tornando a sedersi alla sua cattedra.
Mi schiarii la voce per creare una cerca atmosfera da teatro e feci come richiesto. «Era il 1864, a Cambridge a regnare erano i duchi Harris, un’antica famiglia nobile fondatrice della città stessa. Il duca William Harris e sua moglie, Caroline Felton, avevano due figlie: la maggiore, Juliet, e la più piccola, Gabrielle. Fu la scomparsa della primogenita a far nascere la leggenda di cui tutt’oggi si parla. Le tesi più attendibili raccontano che la giovane sia stata uccisa da un servo che si era invaghito di lei. Purtroppo però il corpo della ragazza non venne mai ritrovato, ma le chiazze di sangue viste il giorno dopo la sua sparizione lasciano poco a pensare.»
Il professore teneva gli occhi puntati su di me, nella speranza che io sbagliassi qualcosa. Ma per sua enorme sfortuna io non commettevo mai il genere di errori da lui desiderati. La storia da me raccontata, la storia narrata nei libri, era totalmente differente dalla realtà, ne ero cosciente. Ma se quella era la versione ufficiale non sarei stata di certo io a smentirla.
«Mi dispiace doverti contraddire, ma questa è solo una delle tante versioni del racconto.» Se il sangue fosse stato ancora in circolo nelle mie vene, si sarebbe raggelato al suono di quella voce rauca e calda, pietrificante e tagliente allo stesso tempo.
«Altri storici meno accreditati, ma pur sempre competenti, hanno ideato un’altra teoria, secondo la quale Juliet Harris non morì veramente, bensì inscenò la sua morte per poter così scappare con l’amore della sua vita che, a differenza di quanto hai detto tu, non era un servo ma un uomo di corte. Si vocifera che si trattasse del maestro di canto di palazzo, del quale la bella Juliet fosse stata attratta sin dal primo istante.» Raccontò quella storia, la nostra storia, come se stesse recitando a memoria la trama di The Vampire Diaries o peggio, la saga di Twilight. Aveva programmato tutto, ne ero certa, dalla mia interrogazione alla sua entrata in grande stile nell’aula. Certo, sapeva come stupire.
«Mi scusi, lei è?» Il professor Coleman lo osservò dall’alto in basso, cercando di capire se lo avesse già incontrato. Cosa sicuramente ovvia, visto che la sua mente era stata controllata dal riccio. Ma questo lui certamente non lo avrebbe mai ricordato.
«Chiedo scusa» disse tirando su lo zaino dalla spalla destra. «Styles, Harry Styles» si presentò, avvicinandosi all’insegnante e consegnandoli uno di quei foglietti che ti danno in segreteria quando sei nuovo.
«Oh certo, Styles!» esclamò come se avesse appena avuto un colpo di genio. «Il ragazzo dal Chesire» disse fra i suoi pensieri. «Si accomodi pure nel primo banco libero che trova.»
Harry si voltò a guardare l’aula davanti a lui. Gli occhi di entrambi caddero purtroppo nel banco vuoto al mio fianco. In quel momento mi stavo chiedendo se il fatto che Liam si sentisse poco bene quella mattina per venire a scuola fosse vero oppure opera sua. A differenza di quanto mi aspettassi, si venne a sedere in completo silenzio, limitandosi solo a qualche occhiata nella mia direzione.
Il professore, tempo qualche minuto trascorso a scrivere alla lavagna, attirò nuovamente l’attenzione su di me. «Juliet Cassandra Katherine Victoria Harris Felton» lesse con voce teatrale quello che aveva scritto. «Voglio che facciate una ricerca sul suo personaggio e sulla sua storia. Siete pregati di non limitarvi al racconto, ma di esporre anche le vostre teorie personali al riguardo. Voglio la tesi entro due settimane sulla mia cattedra, ne varrà un terzo del vostro voto finale.»
La campanella suonò un istante dopo che Coleman finì di parlare, lasciandoci tutti liberi di sfuggire da quell’inferno. Mi alzai di corsa, sperando di riuscire a scappare da Harry un’altra volta.
«Dove credi di andare?» mi fermò, strattonandomi per un braccio quando mi trovavo in corridoio e portandomi dietro ad un angolo apparentemente isolato.
«Il più lontano possibile da te» gli ringhiai contro, rischiando quasi di mostrare i canini tanta era la rabbia che provavo a causa sua.
«Non puoi scapparmi in eterno Juliet» mi disse serio, fermandosi davanti a me in modo che non potessi andare via.
«Ho un’altra vita adesso, stanne fuori.» Lo guardai dritta negli occhi, sperando che quella finta sicurezza riuscisse ad intimidirlo almeno un po’. Speranza inutile, direi, dato che sul suo viso non apparve alcun segno di cedimento ma anzi, ridacchiò anche.
«Come ti fai chiamare adesso? Destiny, giusto?» Il suo tono di voce strafottente riemerse, facendo ribollire la rabbia in me al solo pensiero che lui potesse entrare a far parte della mia nuova vita. Anche se ormai era troppo tardi per impedirglielo.
«Ho chiuso con il passato, Harry. Ho una nuova vita e dovresti fartene una anche tu.» Con un gesto deciso e forte, gli feci mollare la presa in modo da essere libera. Feci per andarmene, ma lui con un gesto presuntuoso mi riportò a lui, sbattendomi contro il muro e mettendomi in trappola.
Quella situazione fece riaffiorare il flashback della notte in cui morii tra i miei ricordi. Il suo sguardo lasciava intravedere la stessa disperazione e tristezza di quella volta. Un brivido mi percorse la schiena a causa di tutti quelli eventi.
«Non posso, non senza di te» sussurrò ad un soffio dalle mie labbra. Questa volta la sua voce era diversa, questa volta era carica di sentimenti. Invece del solito tono piatto e arrogante, era tremante e dolce, oserei dire. Il suo sguardo non era più rigido, ma quasi dolce e cercava disperatamente il mio. Mi parve anche di intravedere un sorriso sincero, ma non ebbi abbastanza tempo per constatarlo.
Sbattei le palpebre per una frazione di secondo, ma lui era già sparito. Era fatto così, Harry. Lanciava la bomba e poi lasciava che le conseguenze esplodessero quando lui era ormai fuori pericolo. Lo aveva fatto questa volta, lo aveva fatto la sera prima e lo aveva fatto anche centoquarantasei anni fa. Eppure in quel momento, ancora con le spalle al muro, sentivo qualcosa di diverso muoversi in me. Era una strana sensazione, familiare e anche abbastanza piacevole. Come se qualche sentimento positivo stesse rinascendo in me. La mia vita era già stata sconvolta una prima volta con l’incontro con Harry, e adesso la mia esistenza stava avendo la stessa sorte con il suo ritorno.


here i am:

forse sto aggiornando troppo in fretta, forse no.. chi lo sa LOL no sul serio, questa storia mi ha preso da matti e muoi dalla voglia di sapere cosa ne pensate :)
mi dispiace che qualcuno pensi che la trama sia stata copiata da quella di the vampire diaries, perchè non è affatto così >.< e leggendo ve ne potrete rendere conto anche da soli u.ù il prologo si, quello è abbastanza simile, ma anche perchè come ho già detto ha preso l'idea dalla serie, ma nient'altro. fine. 
ringrazio non solo voi che recensite, ma anche quelle che hanno già messo la storia tra le seguite/preferite! siete splendide, sul serio! *-*
vi ricordo che se volete essere aggiornate sui capitoli postati dovete lasciarmi il vostro nick twitter nella recensione, altrimenti non so proprio come trovarvi :S
beh, spero che anche questo capitolo vi sia piaciuto, grazie ancora! xx

 

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Capitolo 4
*** Chapter three ***





Chapter three.
 

1864
Con passi piccoli e veloci svicolavo lungo gli infiniti corridoi del palazzo, cercando di evitare la servitù, ma soprattutto mia madre. In quei giorni la vita a corte era diventata un vero inferno: tutti erano troppo occupati coi preparativi del ballo in maschera primaverile che mia madre era solita organizzare ad ogni equinozio. Le famiglie più antiche della città erano invitate nella nostra residenza per trascorrere una notte tra balli e musica. Un modo, secondo gli organizzatori e i partecipanti, regale ed elegante per festeggiare l’arrivo della nuova stagione.
Personalmente detestavo i balli e quel genere di feste: i cerimoniali da dover rispettare alla regola, i nobili riuniti che osservavano con attenzione ogni tua mossa per poterti attaccare non appena avessi sbagliato, le giovani della mia età con la puzza sotto il naso che si atteggiavano a regine solo perché erano nate con un cognome importante.
Più tempo passavo in quell’ambiente di corone e titoli, più mi rendevo conto di essere nata dalla parte sbagliata della giostra. Io non ero fatta per i pizzi e per i merletti, non mi piaceva atteggiarmi a nobil donna, ero incapace di impartire degli ordini. A stento riuscivo a controllare la mia vita, come avrei potuto allora gestire un intero territorio come quello di Cambridge? No, la vita con me aveva sbagliato tutto. Sarei dovuta nascere nel borgo, tra la polvere e il disordine. Sarei dovuta essere libera di fare le mie scelte e di sbagliare, senza mai essere giudicata o, peggio, colpevolizzata. Sentivo la necessità di dare voce ai miei sentimenti e ribellarmi a quel costume, ma sapevo di non poterlo fare. Perché per quanto detestassi la società in cui vivevo, amavo la mia famiglia e mai avrei voluto farle un torto.
Introdottami nelle stanze della servitù, grazie ad Emily arrivai nel giardino sul retro senza che nessuno mi vedesse. «I vostri genitori mi caccerebbero se sapessero che ogni volta che sparite è per colpa mia» mi disse con tono severo, ma morbido allo stesso tempo.
«Oh Emily» le sorrisi. «Sapete benissimo di essere molto di più di una semplice dama di compagnia. Mi avete cresciuta, così come state facendo con Elle. Siete come una seconda madre per me e lei e come una sorella per mia madre: non vi caccerebbero mai.» La congedai dopo questo discorso e lei mi lasciò andare, consapevole del fatto che tanto sarei sparita comunque.
Emily era l’unica estranea alla mia famiglia di cui mi fidassi ciecamente. Lei era stata la prima a cui avevo confidato la volontà di evadere da quel mondo e lei era stata l’unica a capirmi realmente. Nonostante mia madre si impegnasse ad educare Elle per un futuro regno, sapevo che il suo più grande desiderio era quello che fossi stata io ad ereditarlo. E probabilmente, nonostante tutto, sarebbe andata a finire così.
Tra le piaghe del vestito avorio che indossavo nascondevo il libro che avevo detratto dalla libreria, in modo da sedermi all’ombra di un albero e immergermi nella sua lettura per le ore successive. In quel modo sarei stata da sola per un po’ di tempo e sarei riuscita a staccare la mente.
Da lontano vidi la quercia sotto la quale ero solita leggere. Era l’unico grande albero in quel piccolo giardinetto riservato alla servitù, ma sapeva farsi valere. Era maestoso e rigoglioso: un spettacolo della natura secondo il mio parere. Mi avvicinai intonando una lieve melodia, ma qualcosa mi presa di sorpresa. Una lepre, o forse un coniglio, schizzò improvvisamente via, passando davanti ai miei occhi ad una velocità strabiliante. Sembrava quasi che stesse scappando da qualcosa o da qualcuno. Mi avvicinai di qualche passo,  fino a quando una figura grande e dominante non si alzò davanti a me.
«Harry» sussultai. «Mi avete spaventato, non credevo di trovarvi qui» continuai, ricomponendomi dopo il lieve spavento. Avanzai un altro po’, fino a raggiungerlo ai piedi dell’albero. L’ombra dei rami ci proteggeva da quel lieve sole che brillava nel cielo. Un leggero venticello tirava, scompigliandomi i capelli che erano legati in una lunga treccia.
«Juliet, come siete incantevole» disse con voce calda e seduttrice, prendendo dolcemente una delle mia mani e posandovi un delicato bacio, come nel nostro primo incontro.
«Tutti questi complimenti finiranno col viziarmi» lo ammonii, sorridendogli in imbarazzo. Tirai su l’ampia gonna dell’abito e, cercando di fare attenzione per non rovinarlo, mi sedetti a terra sulla soffice erba verde. Poggiai il libro che avevo portato con me al mio fianco, convinta che per quel pomeriggio non avrei dedicato ore alla lettura.
«Siete la figlia del duca, è giusto che io vi vizi.» Sorrise beffardo, mentre con un gesto agile e veloce si sedette al mio fianco. Voltai il viso nella sua direzione, perdendomi a contemplare la sua bellezza disumana. Era bello come nessun ragazzo, i suoi occhi erano come specchi e il suo sorriso illuminava più del sole stesso.
In quei giorni mi ero ritrovata più di una volta a condividere del tempo insieme a lui. Quando ero con lui mi sentivo libera di parlare di qualsiasi cosa, e così facevo. Stavo bene quando lui era attorno a me, mi faceva sentire speciale, in modo diverso dal solito però. Lui mi trattava come se non avessi un titolo nobiliare, come se tutte quelle attenzioni che mi dava non mi fossero dovute, bensì dovessi conquistarmele. Diceva che trascorrere del tempo insieme a me gli piaceva e che non lo faceva esclusivamente per non fare un torto alla figlia del Duca. Mi piaceva e mi faceva sentire reale.
«Non voglio che mi vediate così, io per voi sono Juliet e basta» dissi ad alta voce, dichiarando quello che era il mio pensiero ma che lui già conosceva. Sentii qualcosa di caldo accarezzarmi la guancia e, anche se non avevo bisogno di farlo, mi voltai per guardarlo sorridere mentre strofinava le sue dita sulla mia candida pelle.
«Non volevo turbarvi, cercavo solo di essere ironico. Chiedo scusa se vi sono sembrato indelicato» si scusò in una maniera terribilmente amabile. Ogni cosa in lui era impossibile da non amare, dal modo in cui si scostava i capelli ai suoi atteggiamenti garbati e cortesi.
«Scusate voi il mio inesistente senso dell’umorismo.» Mi mossi leggermente col busto e, anche se non era mia intenzione, lui ritirò la mano. Lentamente feci scivolare via il nastro che teneva legati i miei capelli, liberandoli da quell’incastro di nodi. Aiutata dal leggero soffio di vento, con la mano li ravvivai, in modo da far sparire i segni della treccia che avevo fatta fino a poco prima.
«Dicevamo?» chiesi ad Harry divertita, notando la sua espressione ammutolita di fronte a quel mio gesto. «Non credevo che bastasse così poco per mandare in confusione un uomo come voi» ridacchiai, dato che lui non rispondeva.
«Credevo che aveste già capito che non sono immune alla vostra bellezza.» Le dita della sua mano intrecciarono alcune mie ciocche di capelli, giocando ad arricciarli. Arrossii imbarazzata, come ogni volta che lui mi rivolgeva un complimento.
Aiutandomi con le braccia mi spinsi più vicina a lui, poggiando la testa sulla sua spalla senza dire nulla o domandargli il permesso di farlo.
«Vostro padre non approverebbe la confidenza che mi concedete» disse, stringendomi a sé con un braccio. La sua stretta era salda e forte, mi faceva sentire sicura e protetta.
«Finchè mio padre non lo scopre non abbiamo di che preoccuparci.» Alzai lo sguardo, fino ad incrociare il suo. Mi parve di vedere il mio volto riflesso nei suoi profondi occhi verdi, che in quel momento brillavano di uno strano luccichio. Il suo viso, sul quale era accennato un sorriso, si faceva sempre più vicino al mio.
Percepii uno strano nodo alla bocca dello stomaco, ma non era il solito dolore di pancia. Era qualcosa che ti stringeva, ma che ti trasmetteva anche una sorta di calore. Dei brividi mi percorsero la schiena quando la sua mano scese dalle mie spalle al fondoschiena. Mi attirò leggermente a sé, fino a far scontrare le nostri fronti che adesso erano poggiate una contro l’altra. Sorrisi, intuendo cosa sarebbe successo di li a poco.
Schiusi leggermente la bocca, aspettando che fosse lui a poggiare le sue labbra sopra le mie. E così fece qualche istante dopo.
La sua bocca sapeva di fragola, il frutto che più gustavo al mondo. O forse era solo una mia impressiona data la situazione. La sua lingua fece una leggera pressione contro i miei denti e, istintivamente, la feci entrare in modo che incontrasse la mia. Si intrecciavano in una danza particolare, un tornado di emozioni di cui solo loro erano le protagoniste.
Allungai le braccia dietro al collo di Harry, affondando le mani dentro i suoi folti ricci. Mi divertii a giocarci, mentre lui con la mano libera mi cingeva la testa, attirandomi ancora di più a lui.
Fu un bacio che durò giusto qualche minuto, anche se in realtà mi sembrò un’eternità. Quando fummo costretti ad allontanarci per riprendere fiato, tornammo a far combaciare le nostre fronti. I nostri nasi si strofinarono accidentalmente, facendomi divertire. Mi morsi il labbro, cercando di assaporare ancora il dolce gusto che quel bacio aveva avuto.
«Siete davvero speciale, Juliet» mi sussurrò, spostandomi una ciocca di capelli dietro l’orecchio. Io scossi la testa, circondando nuovamente il suo collo con le mie esili braccia.
«Sei davvero speciale, Juliet» lo corressi, provocando in lui una leggera risata.
«Sei davvero speciale, Julie» ridisse, aggiungendo una piccola variazione personale.
«Julie?» gli domandai curiosa. «Nessuno mi ha mai chiamato così» sorrisi. Era qualcosa di insolito per me, ma mi piaceva come suonava.
«Si, esatto: Julie. Da oggi ti chiamerò così, sarà qualcosa di speciale ed esclusivamente nostro» mi rispose, per poi baciarmi di nuovo, questa volta in maniera più casta e composta rispetto alla precedente, che invece era stata più passionale e spinta.
«Mi piace Julie» gli sussurrai ad un orecchio. Lo tirai per il colletto della camicia, mentre lentamente indietreggiavo col corpo. Mi spinsi verso il terreno, fino a quando non lo toccai con la schiena. Lui si sdraiò leggermente sopra di me, aiutandosi con le braccia.
Ci baciammo di nuovo, alternando baci leggeri, dove le nostre labbra a stento si sfioravano, a baci dove bramavano disperatamente l’uno le labbra dell’altro. Ogni volta che questo succedeva sentivo una scarica di adrenalina attraversarmi il corpo ed era la sensazione più bella che avessi mai provato, perché mi faceva sentire come se ci appartenessimo.
 
2012
Un vento forte tirava quella notte, creando un’atmosfera tetra e terrificante. Sentivo il sibilo che emetteva quando si insediava tra i rami degli alberi nonostante le finestre chiuse e la testa infilata sotto la calda coperta. Probabilmente un temporale sarebbe iniziato di lì a poco data la situazione. Al rumore del vento mi parve di accostarne un altro, diverso e meno definito. Lasciai perdere, cercando di riprendere nuovamente sonno. Sicuramente si trattava di qualche animale fuori che cercava riparo dal vento.
Quella era stata una giornata abbastanza stancante e avevo le forze a raso terra. Rivedere Harry a scuola mi aveva consumato le energie e i mille e uno pensieri che mi riempivano la mente da quando erano tornati non facevano altro che procurarmi un mal di testa perenne.
Quando stavo per ricadere nel sonno lo stesso rumore di prima si fece risentire, questa volta più acuto e preciso. Sembravano essere dei passi, anche se non ne ero sicura dato lo stato di dormiveglia in cui mi trovavo. Lentamente mi alzai dal letto e mi avvicinai alla scrivania che si trovava in un angolo della stanza. Aprii uno dei cassetti e presi la torcia che tenevo lì. Dato che avevo deciso di fare un giro di perlustrazione per l’appartamento quella mi sarebbe tornata piuttosto utile.
Più andavo avanti nella perlustrazione delle camere, più in me cresceva l’idea che di punto in bianco mi sarei ritrovata nuovamente faccia a faccia con Harry. Imprevedibile com’era, avrebbe potuto azzardare ancora una volta una mossa del genere. Dovetti però ricredermi quando ebbi visto che anche l’ultima stanza rimasta era vuota. Tornai così in camera, decisa che se avessi continuato così avrei contattato io stessa uno psicologo per farmi curare. Dovevo smetterla di farmi condizionare la vita in quel modo, dovevo darmi una calmata o sarei diventata davvero pazza in poco tempo.
La mia stanza era come l’avevo lasciata: buia e vuota. Tornai al cassetto della scrivania e vi riposi dentro la torcia, tanto ormai non mi sarebbe più servita. Quando però mi voltai per tornarmene a letto, capii quanto affrettata fosse stata mia decisione.
«Aaah!» urlai come una bambina in preda al panico. Si, perché io avevo davvero paura in quel momento.
«Però, non credevo di essere così sexy fino al punto di farti urlare alla mia vista.» Inspirai ed espirai profondamente ripetute volte, prima di riprendermi totalmente da quello spavento. Nonostante avessi già riconosciuto la sua voce, realizzai di trovarmelo davanti solo quando lo ebbi guardato coi miei occhi.
«Non ci credo, Zayn sei qui!» Gli gettai le braccia al collo e lo obbligai a prendermi in braccio. Si, ero una bambina a tutti gli effetti a quanto pareva. Ma non potevo reagire diversamente all’arrivo del mio migliore amico dopo più di un anno dall’ultima volta in cui lo avevo visto.
«Che hai fatto tutto questo tempo? Dove ti sei cacciato?» lo riempii di domande, pretendendo delle risposte che però non arrivavano. Lui mi guardava divertito, mentre mi rimetteva coi piedi per terra.
«Un po’ qua, un po’ là» rispose evasivo, come era tipico di lui fare. Quando era partito aveva detto di voler visitare l’America, ma non avrei mai pensato che quella sua vacanza sarebbe durata così tanto tempo.
«Mi sei mancato da morire» gli confessai, abbracciandolo nuovamente.
«Anche tu piccoletta, anche tu» disse dolcemente, stringendomi con le sue forti braccia.
Avevo conosciuto Zayn a qualche mese dalla mia trasformazione. Ero incontrollabile all’epoca, incapace di comprendere in pieno quello che mi stava succedendo ma soprattutto quello che stavo facendo. All’inizio lui era stato duro con me, minacciando anche di uccidermi, ma alla fine si era rivelato completamente diverso. Mi aveva insegnato a controllarmi e a gestire i miei poteri e nel frattempo era diventato un buon amico. L’unico che avessi mai avuto. Era come una sorta di fratello maggiore, qualcuno che mi proteggeva e che si prendeva cura di me.
«Ora però esigo che tu mi racconti tutto quello che hai fatto in questi mesi, intesi?» Gli puntai un dito contro il petto, fissandolo negli occhi con sguardo da finta cattiva.
«Non puoi fare una delle tue solite magie e gironzolare da sola nei miei ricordi?» sbuffò, ridendo divertito. Feci di no con la testa, obbligandolo a seguirmi sul letto e a parlarmi del tempo trascorso lontano da me.
 
«Boston, Los Angeles, New York, Phoenix» elencai solo alcune delle città in cui era stato «Certo che non ti sei fatto mancare niente!»
«Si è trattato di un bel viaggio, devo ammetterlo» assentì, mentre con una mano si pettinava il ciuffo che forse adesso necessitava di una leggera spuntatina.
«Come mai sei venuto da me in piena notte? Si insomma, spaventarmi nel sonno ti allettava così tanto?» Lui mi fissò perplesso per qualche minuto, per poi buttare indietro la testa e scoppiare a ridere. «Davvero divertente, Malik. Ora sputa il rospo, cosa ci fai qui?»
Alzò le spalle, guardandosi intorno. «Deve esserci un motivo per venire a trovare la mia migliore amica?» chiese, guardandomi interrogativo.
«Suppongo di no» mi arresi infine. Non aveva tutti i torti e forse la mia era solo una sensazione sbagliata.
«Sono qui perché avevo voglia di vederti» disse teneramente, pizzicandomi una guancia. «Anche se…» continuò, diventando improvvisamente serio e cupo.
«Anche se…?» lo spronai a continuare. Forse il mio presentimento non era del tutto sbagliato. Non mettevo in dubbio il fatto che gli mancassi, ma forse c’era davvero qualcos’altro sotto.
«Ecco, io ho avuto una visione su di te» si decise infine a dire. Non era la prima visione di me che Zayn aveva. Solitamente erano più frequenti più una persona era a te legata, perciò non mi sorpresi più di tanto.
«E cosa hai visto?» gli chiesi diretta, sperando che per una volta fosse qualcosa di bello e non le solite disgrazie che una visione preannunciava.
«Ho visto te che parlavi con un ragazzo nella tua cucina» si fermò subito, grattandosi la testa in difficoltà. Stava cercando le parole più giuste per dirmi ciò che doveva, anche se non sembrava essere una cosa facile.
«Juliet non voglio allarmarti, anche perché non sono sicuro che sia lui, ma…» Fece un’altra pausa, forse la più lunga di tutte fin’ora. «Ma credo che si trattasse di Harry. Temo che lui sia sul punto di ritrovarti» si decise finalmente a parlare e a svelarmi quel mistero.
Sospirai, capendo che ormai era troppo tardi per andare via. «Zayn, lui mi ha già trovata.»
 
Se ci sono problemi chiamami, Zayn xx. Lessi il messaggio e gettai nuovamente il cellulare nella tracolla. Era forse la quinta o la sesta volta che Zayn mi mandava un messaggio del genere e, nonostante io tentassi in mille modi a rassicurarlo, lui continuava insistente. Riposi i libri ormai inutili nell’armadietto e presi quelli che invece mi sarebbero serviti per la prossima lezione. Sistemai la borsa e la misi in spalla, mentre controllavo se nei paraggi ci fosse Liam. Lo avevo intravisto quella mattina all’entrata di scuola, per poi perderlo di vista per il resto della mattinata. Avevo soltanto capito che si era ripreso da quell’improvviso virus che aveva contratto il giorno prima e che adesso stava bene. C’era poco che quadrava in quella storia, ma se l’unico modo per capirne qualcosa era parlare con Harry allora avrei continuato a stare nell’ignoranza. Persi definitivamente le speranze di rintracciare Liam quando il mio udito captò finalmente qualcosa.
«Così siamo insieme anche a matematica, praticamente seguiamo gli stessi corsi!» Riconobbi la voce di Liam, allegra e serena come sempre. La percepivo forte e chiara, segno che non si trovava poi così lontano da me.
«Già, davvero curiosa come cosa.» Istintivamente sbattei con forza l’anta dell’armadietto per richiuderlo quando sentii la sua voce. Aveva decisamente superato il limite, anche se da lui me lo sarei dovuto immaginare.
Schivai la folla di studenti che camminava nella direzione opposta alla mia fino a raggiungerli. Liam stava tranquillamente dialogando sorridente davanti al suo armadietto, mentre il suo interlocutore si fingeva interessato a quel discorso incentrato su compiti e appunti di qualche lezione. Harry si accorse subito di me e ne fui certa quando sul suo viso vidi apparire un sorriso di quelli che lasciano intendere che ha raggiunto il suo scopo. La voglia di afferrarlo e attaccarlo al muro era tanta, ma sapevo di non potermi lasciare andare, anche perché avrei perso io.
«Liam» lo chiamai forte, facendolo voltare verso di me.
«Ehi» mi salutò sorridente, facendomi segno di avvicinarmi a lui. Quella situazione mi agitava come poche cose. Vedere Liam, così innocente e ingenuo, vicino a Harry non prometteva nulla di buono.
«È tutta la mattina che ti cerco, dove sei finito?» Mi sforzai ad essere il più naturale possibile per non farlo insospettire, ma la presenza di Harry mi agitava parecchio. Se ne stava lì, vicino a noi, come se niente fosse, guardandoci e ammiccando.
«Scusa, sono stato impegnato» si scusò, scompigliandosi i capelli con una mano. «Conosci già Harry, vero? Stiamo a storia insieme.» Ecco che il peggiore dei miei incubi stava prendendo forma. Era riuscito a farsi spazio nella mente di Liam, a convincerlo ad essere suo amico. Mi sorrise cordiale, allungando una mano verso di me.
«Destiny, giusto?» chiese con la sua voce profonda e calda. Guardai la sua mano tesa a mezz’aria e Liam che mi osservava, probabilmente sorpreso del fatto che ancora non gliela avessi stretta ancora.
«Esatto, Destiny» risposi, marcando forse un po’ troppo il nome. Per fortuna Liam non se ne accorse. Strinsi la sua mano velocemente, cercando di limitare ad un breve tempo quel contatto che, nonostante tutto, mi provocò degli strani brividi. Per un attimo pensai che i sentimenti che provavo per lui stessero riemergendo, ma mi bastò poco per realizzare la realtà dei fatti. Aveva provato a farlo, aveva tentato di usare il suo potere su di me.
La delusione della sconfitta gli si leggeva in volto. Lo avevo sorpreso e quella era una bella soddisfazione. Una cosa di cui Harry non era a conoscenza erano appunto le mie doti speciali, così simili alle sue al punto tale di permettermi di contrastarlo e impedirgli di manipolarmi a suo piacimento nonostante non fossi al massimo delle mie forze data la mia dieta a base di sangue animale che seguivo.
La campanella per fortuna suonò, interrompendo quel momento tanto fastidioso quanto imbarazzante.
«Devo scappare, ho la verifica di inglese» disse sbrigativo Liam, torturandosi le mani per l’agitazione, aveva un’ottima media, ma l’ansia lo possedeva sempre prima di un test. «Pranziamo insieme?»
Lo guardai, annuendo. «Certo» dissi, avvicinandomi a lui. Lasciai che mi posasse un dolce bacio sulle labbra, prima che si incamminasse verso la sua aula.
«Ciao Harry, ci si vede in giro» aggiunse soltanto, mentre il riccio si limitò ad un segno col capo. Si era infastidito, anche se non lo dava a vedere.
Quando Liam se ne fu andato io lo imitai. «Aspetta» mi fermò Harry, questa volta senza usare maniere forti e prepotenti.
«Cosa vuoi ancora?» Incrociai le braccia al petto, guardandolo dura. Non mi sarei mai dovuta voltare verso di lui nuovamente, specialmente ora che eravamo da soli, eppure c’era qualcosa (forse la curiosità) che mi spingeva sempre a farlo.
«Come hai fatto? Come sei riuscita a contrastarmi?» mi chiese a basa voce, sussurrando, quasi come se fosse spaventato.
«Dovresti andare, hai lezione come ogni normale studente Harry.» Mi voltai per andarmene perché non volevo dargli risposte, non potevo giocarmi così le mie carte.
Lui mi afferrò per il polso quando capì quali fossero le mie intenzioni. «Juliet» mi chiamò.
«Mi dispiace Harry, ho da fare adesso.» Scansai la presa e mi incamminai verso l’aula dove avevo lezione quell’ora.
Una cosa era certa: dopo circa 150 anni ero riuscita a prendermi la prima rivincita su di lui.


here i am:

allora, eccomi qua col nuovo capitolo! scusate il ritardo, ma mi ero proprio scordata di dover postare ahah #sonopessima
vi dico subito che la parte al passato è una tra le mie preferite di tutta la storia, e penso che non ho bisogno di spiegarvi il motivo ahah
nella parte al presente vediamo l'arrivo di zayn, che per juliet è una sorta di fratello maggiore insomma c: 
e poi..non lo so.. magari la parte finale vi potrebbe lasciare perplesse o comunque con dei dubbi, ma vi assicuro che più avanti verrà spiegato tutto meglio c:
vi ringrazio per il sostegno e per tutti i complimenti che mi fate cwc
spero che la storia non vi stia deludendo e niente... grazie ♥

 

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Capitolo 5
*** Chapter four ***





Chapter four.
 

1864
«Harry non dovremmo allontanarci così da palazzo.» Il sole non era ancora sorto, ma io mi trovavo già insieme a lui, a farmi tirare verso una meta a me sconosciuta.
Mi aveva portato fuori da palazzo quando ancora tutti stavano dormendo, riuscendo a varcare l’enorme cancello senza che nessuno ci vedesse.
Stavamo camminando lungo il confine della residenza. Teneva stretta la mia mano per non lasciarmi scappare, anche se sapeva che non sarei mai andata da nessuna parte senza di lui.
«Fidati di me, vale la pena correre questo rischio » continuava a ripetermi, senza mai rallentare il passo. Mi stavo davvero incuriosendo e ad una certa avevo anche iniziato a pensare che quella in fondo non era un’idea così folle e da sprovveduti.
«Manca ancora molto?» gli chiesi, stringendomi al suo braccio. Lui voltò il suo viso verso di me ma, invece che rispondermi, mi diede un dolce bacio sul naso.
«Siamo quasi arrivati.» Gli sorrisi annuendo e continuando a camminare in silenzio.
Camminammo ancora per un poco lungo le mura esterne del palazzo, stretti l’uno all’altro.
«Eccoci qua» esclamò radiante Harry, indicando un piccolo boschetto di alberi alti in lontananza. Mi guardai intorno e dovetti ammettere che quel posto era davvero meraviglioso.
«Dove siamo?» chiesi correndo in direzione del corso d’acqua che scorreva lì vicino. Più mi avvicinavo più mi pareva di scorgere in lontananza una piccola cascata creata artificialmente. Sembrava di trovarsi in un paradiso terrestre.
«Benvenuta nel mio rifugio segreto» rispose, allargando le braccia e indicando il paesaggio attorno a sé.
«È bellissimo qui» sospirai, sedendomi su di un masso ai piedi di quella cascata.
«Ti piace davvero?» Si sedette dietro di me e mi circondò con le sue forti braccia. Mi feci indietro per poggiare la schiena sul suo petto. Piegai la testa d’un lato, invitandolo a baciarmi il collo. Iniziò così a lasciarmi una scia di leggeri baci fino a scendere lungo la spalla.
«Come lo hai trovato?» gli chiesi, chiudendo gli occhi e lasciando che la leggera brezza mattutina mi colpisse il viso e scompigliasse i miei capelli.
«Qualche giorno dopo il mio arrivo avevo bisogno di rilassarmi, così ho iniziato a camminare e sono arrivato qui» raccontò, accarezzandomi la pelle nuda con le sue morbide mani.
«Sono felice che tu me l’abbia mostrato.» Girai la testa indietro e incrociai il suo sguardo brillante. «Significa molto per me» aggiunsi.
«Tu significhi molto per me» ammise, abbassando leggermente il capo forse per la vergogna. Gli misi due dita sotto al mento, obbligandolo ad alzare lo sguardo verso di me.
«Anche tu sei importante Harry, voglio che tu non lo dimentichi mai» ammisi, vergognandomi forse più di lui. Lui sorrise, posando una mano sulla mia guancia. Gliela baciai delicatamente, per poi stringerla nella mia.
Avvicinò il suo viso lentamente al mio, fino a poggiare le sue labbra sulle mie e baciarmi dolcemente. Presto quel bacio fu approfondito e divenne più carnale e passionale.
«Se mia madre ci vedesse in questo momento penserebbe che non sei poi un ragazzo così tanto ben educato» lo derisi, mordendogli leggermente il labbro inferiore.
«Penso che non sarei io la preoccupazione più grande di tua madre in quel caso» rispose, per poi baciarmi nuovamente. Sorrisi nel bacio, perché in quel momento ero davvero felice.
Restammo lì a guardare l’alba e il sole sorgere. Si trattò di uno spettacolo strabiliante, ma non quanto Harry che, in quel luogo, sembrava essere l’unica fonte di luce presente.
«Dovremmo rientrare, tra poco la servitù verrà svegliarti nelle tue stanze» mi disse, arricciando tra le dita una ciocca dei miei capelli.
«Non ho voglia di rientrare» protestai.
«Ma dobbiamo» mi riprese.
Sbuffai, alzandomi all’improvviso e fermandomi a braccia incrociate davanti a lui. Restò fermo sul masso dove si trovava, guardandomi con aria divertita.
«Non ho voglia di camminare fino a palazzo.» Lui mi guardò, aspettando che continuassi. «Le ordino di condurmi in braccio fino alla mia residenza, signor Styles» mi improvvisai sovrana, cercando di apparire autoritaria nel dare quell’ordine che in realtà faceva ridere anche me.
«E se io mi rifiutassi?» osò dire, alzandosi e venendo vicino a me con aria superiore e arrogante.
«Perché mai dovresti?» gli domandai a mia volta, guardandolo sbattendo gli occhi ripetutamente e aggrappandomi all’orlo della sua camicia.
«Vieni qua» disse soltanto, per poi prendermi velocemente in braccio. «Tieniti forte, non vorrai rischiare di cadere?» mi sussurrò sulle labbra.
«Con te non ho mai paura» ammisi, per poi baciarlo di mia iniziativa.
Ed era vero, accanto a Harry non avevo mai paura. Mi sentivo la padrona del mondo, capace di fare qualsiasi cosa, di superare ogni avversità. Harry era il mio piccolo angolo di salvezza, quel posto dove a prescindere da qualsiasi altra cosa, mi sentito in pace con me stessa. Ero felice e, fino a quando lui sarebbe stato con me, lo sarei continuata ad essere.
 
2012
«Avevi detto che avevi dei compiti da fare e invece te ne sei andata a passeggio tutta la giornata con quel tipo col ciuffo strano. Come dovrei sentirmi se non ingannato e preso in giro, Destiny?» Liam era nervoso, ma mai quanto me che in quel momento avevo veramente voglia di strangolarlo. Mi aveva chiesto di vederci quel pomeriggio, ma mi ero ritrovata costretta a rifiutare perché necessitavo di andare a caccia. Zayn era venuto insieme a me e, mentre facevamo ritorno al mio appartamento, qualcuno ci vide, riferendo tutto a Liam.
«Ascolta Liam, te l’ho detto: sono uscita per comprare la Nutella che era finita e nel mentre ho incontrato Zayn. Fine della storia, ti prego basta.» Sbuffai, alzandomi dal letto sul quale ero seduta da almeno mezz’ora e mi affiancai alla finestra della camera di Liam. Guardai all’orizzonte il sole calare, mentre il cielo iniziava a colorarsi delle tonalità del rosso e del giallo.
«Basta te lo chiedo io Dest, se non vuoi più stare con me basta dirmelo.» Mi voltai a guardarlo, scuotendo la testa per il nervoso. Strinsi i pugni, cercando di contenere così la rabbia che mi ribolliva nelle vene. Avevo un carattere piuttosto emotivo, perciò ero molto sensibile ai cambiamenti d’umore: se ero felice mi sembrava di essere in estati, quando ero nervosa non riuscivo a gestire la rabbia, mentre quando ero triste era come entrare in depressione.  Quello era un tunnel di emozioni difficile da gestire, soprattutto se la gente attorno a te non sapeva della tua vera natura.
«Liam io non voglio rompere con te» gli dissi calma, anche se dentro stavo bruciando di rabbia. Avevo spiegato a Liam che Zayn era soltanto un amico, ma lui insisteva nel sostenere che ci fosse qualcosa sotto. Inizialmente reagii bene perché pensai che fosse colpa di Harry, ma dopo aver controllato realizzai che quella paranoia era frutto della sola mente del mio ragazzo.
«Sul serio? Perché a me non sembra così.» Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso. Con uno scatto mi ritrovai addosso a lui, spingendolo contro il muro. Lui mi fissava spaventato, mentre io lo tenevo fermo per i polsi. Avevo il fiato corto e pesante, a stento riuscivo a respirare. Sentii un nodo formarsi alla gola e il desiderio di fame farsi sempre più vivo nonostante dovesse essere al minimo.
«Dest, che ti prende?» Mi accarezzò una guancia lentamente, cercando il mio sguardo. Io lo evitai, tornando per un attimo in me e lasciandolo andare.
«Mi dispiace, non so cosa mi sia preso» farfugliai in preda al panico. Mi allontanai immediatamente da lui, raccogliendo le mie poche cose sparse per la camera e affrettandomi ad uscire.
«Aspetta, dove stai andando?» mi chiamò, quando mi vide fuori dalla porta. Ma in un attimo io ero già schizzata lontano da lui.
 
Camminavo di corsa, risucchiata dal buio. Ormai si era fatta sera ed in pochi eravamo ancora in giro. Le strade erano per lo più deserte, fatte eccezione per qualche negoziante in chiusura o per qualche barbone che dormiva sdraiato su di una panchina.
Ancora non riuscivo a credere a ciò che avevo fatto. Avevo attaccato Liam, rischiando di fargli del male. Se gli fosse successo qualcosa a causa mia non me lo sarei mai perdonato, mai e poi mai. Intanto il desiderio di fame continuava a crescere in me: una volta azionato quel meccanismo c’era soltanto un modo per farlo smettere. Erano rare le volte in cui bevevo sangue umano e quelle poche volte che accadeva si trattava di sacche rubate da qualche ospedale o clinica privata. Il senso di colpa che provavo ogni volta che uccidevo un uomo mi faceva stare più male del dolore causato dalla fame in sé. Avevo fatto si che la mia anima da umana non mi abbandonasse mai ma, in momenti come quello, desideravo tanto che fosse spenta.
Proseguii per qualche isolato, camminando a testa bassa e cercando di prendere dei grandi respiri. Dovevo stare calma, altrimenti sarei scoppiata. Poi sentii qualcuno tossire. Svoltai l’angolo e vidi un uomo anziano chinato su se stesso, il che mi indusse spontaneamente ad aiutarlo.
«Sta bene signore?» gli domandai, facendolo alzare e recuperando il bastone che probabilmente gli era caduto a causa del malore.
«Si, la ringrazio» mi rispose con voce stanca e smorzata. Un sorriso spento gli si formò in viso, mentre tentava di reggersi in piedi da solo. «Ho perso l’equilibrio e sono caduto.»
Osservai l’uomo e all’altezza del ginocchio vidi il suo pantalone macchinato e, dall’odore, percepii la presenza di sangue. Quello fu l’elemento che mi mise in crisi definitivamente. Lasciai il braccio dell’uomo, allontanandomi di poco e poggiando la schiena contro il muro del palazzo sotto il quale eravamo. Cercai di regolarizzare il respiro, di evitare quell’odore, ma tutto era inutile: ogni cosa sembrava spingermi verso la mia vera natura.
«Che le prende signorina?» L’uomo si avvicinò a me, nonostante io lo implorassi di starmi lontano. L’odore del sangue era sempre più vicino e più invitante, ero sul punto di esplodere.
Alzai lo sguardo e incrociai quello dell’anziano che in quel momento si stava preoccupando per me. «Mi dispiace» farfugliai solamente, tra le lacrime, prima di cedere alla mia mostruosa natura.
Affondai gli affilati canini nella sua carne e, anche se il suo sangue non era delle migliori qualità, bevvi famelica, come se fossi in astinenza da secoli. Avevo provato a resistere, mi ero ribellata alla mia natura, ma era stato tutto inutile. Mi capiva di avere dei crolli emotivi, di stare male psicologicamente, ma ogni volta riuscivo a trovare la forza per riemergere. Eppure quella notte il male sembrava risucchiarmi.
L’uomo continuava ad urlare, implorandomi di smettere, ma io, per quanto lo volessi, non riuscivo a trattenermi dal desiderio di sangue. Poi, all’improvviso, due braccia forti mi afferrarono e mi buttarono via. Una figura scura stava chinata sull’uomo, ancora vivo seppur gravemente ferito. «Si dimenticherà di noi, dirà di essere stato aggredito da un drogato in cerca di soldi» disse quell’ombra, afferrando il volto dell’anziano tra le mani per poi lasciarlo cadere nuovamente sul marciapiede.
Io restai ferma, immobile, a guardare quella sagoma avanzare verso di me. Era notte fonda, e non riuscii a guardarla in volto fino a quando non si fermò sotto la luce dell’unico lampione presente in strada. La sua voce era bastata come indizio, eppure, nonostante fossi certa che si trattasse di Harry, stentavo ancora a crederci. Aveva il viso riposato e gli occhi brillanti, segno che si era nutrito da poco. Forse per questo aveva risparmiato quell’uomo che stava per essere dissanguato dalla sottoscritta.
«Come stai?» mi domandò preoccupato, tendendomi una mano. Rimasi ferma a fissarlo, mentre lui si avvicinava a me sempre con la mano tesa.
«Juliet, come stai?» mi chiese di nuovo, questa volta a pochi centimetri da me. Non dissi niente, non risposi, ma mi catapultai tra le sue braccia. Mi strinsi a lui, scoppiando a piangere disperatamente.
«Ehi, ehi, ehi» mi riprese più volte, ricambiando la stretta. «Non è successo niente» continuò, cullandomi tra le sue braccia.
Alzai il viso, staccandomi leggermente da lui. Mi specchiai in quelle iridi verdi che mi guardavano sempre più preoccupato. Era preoccupato per me, veramente.
«Non so cosa mi sia preso. Io..io..io non volevo» cominciai a balbettare. Scoppiai nuovamente a piangere, stringendo tra le mani la sua felpa.
«Andrà tutto bene, ci sono io ora Julie.» Alzai la testa di scatto, mentre lui mi stava accarezzando i capelli. Un sorriso stupido si aprì da solo sul mio viso, senza neanche che io me ne rendessi conto. Lo aveva fatto, mi aveva chiamato in quel modo.
«Nessuno mi chiamava così da 148 anni» sussurrai, tirando su con il naso. Stavo ancora tremando, ma improvvisamente era come se mi sentissi meglio. Come se lui, con le sue parole, mi avesse aiutato a guarire.
«Nessuno è mai stato me» affermò vantandosi. Sorrise a trentadue denti, mostrandomi quelle graziose fossette che, nonostante gli anni, riuscivano a dargli un’aria da bambino.
«Vuoi che ti riporti a casa?» domandò serio, prendendomi il viso tra le mani, e accarezzandomi le guancie. Il suo tocco era morbido e mi faceva rabbrividire ogni volta.
Non ci pensai per neanche un poco su, ma rifiutai immediatamente. «No» dissi secca. «Non voglio andare a casa, Jenn e Zayn mi riempirebbero di domande.»
Lui mi guardò, annuendo. «Ti va di venire da me allora?» mi chiese titubante.
Così come prima, non riflettei per niente alla risposta da dare. Annuii lievemente, facendolo sorridere ancora di più. E inaspettatamente quello fece sorridere anche me.
«Ok, andiamo.» Ci incamminammo, ma dopo solo qualche passo io rischiai di cadere a terra, a stremo delle mie forze.
«Vieni qua.» Alzai lo sguardo e vidi Harry piegato verso di me. Mi raccolse da terra, prendendomi in braccio. Il mio viso era ad un soffio dal suo, i nostri nasi si sfiorarono e le sue labbra quasi toccavano le mie. «Tieniti forte, non vorrai rischiare di cadere» disse, facendomi stringere le braccia dietro il suo collo.
Poggiai la testa sul suo petto, aspettando che iniziasse a correre. Nascosi il viso, in modo che non mi vedesse sorridere anche quella volta. Ripensai a quando ero ancora in vita e lui era solito prendermi in braccio, dicendomi quella frase alla quale io ero solita rispondere: «Insieme a te non ho mai paura.» E anche se quella notte non glielo avevo detto, dentro di me mi sentivo al sicuro come prima che la tragedia avvenisse.
Dopo quasi un secolo e mezzo trascorso a scappare da lui improvvisamente le sue braccia erano l’unico posto dove riuscivo a sentirmi protetta.


here i am:

capitolo numero quattro, eccoci qua! 
grazie a tutti per le recensioni, sono felice che la storia vi stia piacendo *-*
allora, la parte al passato vi mostra harry e juliet felici e contenti durante la loro storia d'amore, mentre la parte al presente.. beh, quella vi mostra una juliet diversa, più fragile e delicata, una juliet che necessita di essere salvata.. e beh, chi è meglio di super hazza? nessuno uwu ahah poi vabè, una cosa che io amo è la 'ripetizione' della scena in cui lei viene presa in braccio da harry aww
no sul serio, fatemi sapere che ve ne sembra di questo riavvicinamento e..niente, buona lettura xx

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Capitolo 6
*** Chapter five ***





Chapter five.
 

1864
Afferrai la sua mano e senza pensarci su due volte lo trascinai via con me. Ero stanca di nascondermi, ero stanca di stare al buoi. Volevo vivere alla luce del sole, volevo vivere con lui.
«Juliet dove mi stai portando?» mi chiese divertito, mentre sgattaiolavamo via da palazzo. Io risi, senza rispondergli. Mi piaceva tenerlo sulle spine, visto che quasi sempre era lui a farlo.
Varcammo l’enorme porta d’entrata e finalmente fummo fuori, di fronte ai giardini. «Vieni con me» lo incitai, senza mollare la presa su di lui.
Cercando di non farci vedere, sorpassammo il giardiniere intento a potare qualche albero e entrammo in quello che a me piaceva chiamare il ‘labirinto alberato’. Era un nome buffo, stupido e anche banale se volete, però era perfetto. I giardini erano il luogo più contorto e complicato di forse l’intera residenza. Una volta entrati era difficile riuscire ad uscirne. Per mia fortuna avevo trascorso tra quei cespugli la maggior parte nella mia infanzia: erano stati il mio nascondiglio perfetto ogni volta che volevo nascondermi dal mio maestro di portamento oppure dagli eventi sociali organizzati da mia madre.
«Erano anni che non mi inoltravo qui dentro» pensai, camminando verso il centro mano nella mano con Harry. Saperlo al mio fianco mi faceva stare bene. Era qualcosa di difficile da spiegare, qualcosa che ancora mi sembrava irreale.
«Sicura che ne usciremo vivi?» scherzò, prendendosi gioco di me. Lo guardai, riducendo gli occhi a due fessure.
«Se non vuoi stare con me puoi sempre tornare nella tua camera» gli dissi acida, staccando la mia mano dalla sua e procedendo da sola. Non mi ero arrabbiata davvero, ormai avevo imparato a capire quando Harry scherzasse e quando no, però ogni tanto mi piaceva tenerlo sulle spine.
«Non fare la bambina, torna qua.» Non stetti a sentirlo, continuando a camminare verso l’interno di quel posto. Sbuffò rumorosamente, tanto che anche io riuscii a sentirlo. Ridacchiai piano, per non farmi sentire.
«Dove credi di andare senza di me?» mi afferrò improvvisamente per il polso, facendomi voltare verso di lui. Mi ritrovai schiacciata contro il suo petto, col suo respiro che mi arrivava dritto al viso.
«Prendimi e lo scoprirai» sussurrai lentamente. Mi staccai da lui e iniziai a correre. Lui mi seguii, infatti sentii subito i suoi passi dietro ai miei. Continuai così, fino a quando, quasi arrivata, non lo sentii più dietro di me.
«Harry? Harry, dove sei?» lo chiamai, quando ormai mi trovavo nel cuore del giardino. Si trattava di un piccolo spazio circolare, limitato da alcune siepi. Era un posto tranquillo, dove nessuno ci avrebbe potuto disturbare o interrompere.
«Harry, non è divertente. Dai, vieni fuori!» Iniziai a guardarmi intorno, preoccupata. E se non avesse preso la strada giusta? E se invece che andare a destra dopo il roseto avesse preso la direzione opposta, allontanandosi da me? Mille pensieri mi si formarono in mente, fino a quando non lo rividi.
«Ti sono mancato?» sussurrò alle mie spalle. Sobbalzai, sorpresa e spaventata. Lo guardai in silenzio per una frazione di secondo, il tempo necessario per accertarmi che stesse bene. Poi mi ricordai dello spavento che mi aveva fatto prendere e allora tornai in me.
«Sei uno stupido, mi hai fatto preoccupare» lo rimproverai, schiaffeggiandogli il petto. Sembravo una formica in confronto a lui, ma poco mi importava. Volevo che capisse quanto mi fossi preoccupata per lui, nonostante non ne avessi motivo.
«Mi dispiace, non volevo» si scusò, cingendomi la vita e facendo combaciare la sua fronte con la mia. «Mi perdoni?» chiese, facendo un’espressione da cucciolo alla quale non sarei mai e poi mai riuscita a resistere.
«Si, ti perdono» gli risposi, buttandogli le braccia al collo. Rimanemmo in quella posizione per del tempo che parve interminabile. Il suo respiro si confondeva col mio, mentre i nostri nasi si sfioravano e i nostri sguardi si intrecciavano.
Si avvicinò a me quel poco che bastava per toccare le mie labbra con le sue. Ogni volta che lo faceva per me era come andare in paradiso. Ogni suo tocco, anche il meno percettibile, mi faceva sussultare e rabbrividire. Era quello giusto, lo avevo capito da tempo ormai anche se ancora non avevo avuto il coraggio di confessarglielo.
Ci sdraiammo a terra, abbracciati l’uno e all’altra. Di tanto in tanto ci scambiavamo qualche bacio o carezza, dimenticandoci del tempo e dello spazio attorno a noi. Esistevamo solo noi, in quell’universo parallelo che ci eravamo costruiti grazie al nostro amore.
 
2012
Il freddo che mi aveva raggelato il corpo adesso era sparito, lasciando spazio ad un intenso e piacevole calore. Stropicciai gli occhi per un po’ di tempo, per poi aprirli lentamente. Per un attimo vidi tutto intorno a me sfocato, ma durò poco perché subito tutto dinanzi a me divenne chiaro e cristallino. Le fiamme di un fuoco ardente scintillavano ed illuminavano la stanza in cui mi trovavo. Abbassai gli occhi sul mio corpo, notando una coperta di lana avvolgermi delicatamente. Spostai ancora una volta lo sguardo, fino a vedere nella penombra il suo volto. Era sdraiato al mio fianco, mentre mi accarezzava lentamente i capelli.
«Torna a dormire, è presto» mi disse dolcemente, scostandomi qualche ciocca dalla fronte. Scossi la testa, tirandomi su con la schiena con l’aiuto delle braccia. Mi appoggiai allo schienale del divano, rimanendo con lo sguardo fisso sui suoi occhi.
«Che ore sono?» gli domandai, iniziando invece a guardarmi intorno. Mi trovavo in quello che doveva essere l’appartamento di Harry e, stranamente, ricordavo ogni particolare di come ci fossi arrivata.
«Quasi le due» rispose, girandosi su di un fianco per potermi guardare in viso. Le fiamme del fuoco continuavano ad illuminare la stanza lievemente, creando dei giochi di ombre che rendevano l’atmosfera intima e… romantica.
Mi schiarii la voce, in imbarazzo per la sua presenza così ravvicinata. «Grazie per avermi aiutata» sussurrai, giocherellando con un lembo della coperta per la tensione.
«Non ringraziarmi, non è necessario» disse, facendo degli strani gesti con le mani. Risi leggermente per quanto buffo fosse in quelle circostanze. Non era mai stato bravo con le parole e a quanto pareva non era migliorato affatto. Certo, quando voleva sapeva farci, ma richiedeva uno sforzo così grande che era raro sentirgli dire determinate cose.
«Lo so, ma voglio farlo» ammisi, alzando leggermente lo sguardo. Lo vidi sorridere e questo provocò in me la stessa cosa.
«Sono indelicato se ti chiedo cosa ti è successo questa notte?» Il mio sorriso si spense subito di fronte a quella domanda. Deglutii rumorosamente, irrigidendomi subito.
«Ehi, se non ti va di parlarne non farlo.» Abbassai lo sguardo sulla mia mano poggiata sul divano che adesso era stretta nella sua. Harry aveva quello strano effetto su di me, capace di farmi stare tranquilla sempre e comunque. Scossi la testa, intenzionata a parlare con lui.
«Quando non ti nutri di sangue umano per tanto tempo capita che al minimo litigio la sete si riaccenda in modo incontrollabile. È qualcosa che non puoi frenare, qualcosa che va oltre la tua stessa forza di volontà. Potrai tentare infinite volte di resistere al richiamo del sangue, ma non riuscirai mai a contrastarlo.» La stretta della sua mano aumentò, facendomi bloccare le parole in gola. Cosa mi stava succedendo? Perché dopo tutto quel tempo mi stavo comportando in quel modo con Harry? Lo avevo evitato, mi ero nascosta da lui, eppure adesso volevo averlo accanto. «Ho litigato con Liam questa sera e questa è stata la conseguenza. La rabbia mi ha accecato e io sono caduta in trappola.»
«Cosa vuoi dire? Che non bevi sangue umano?» mi chiese, corrugando la fronte. Annuii, facendo mente locale e schiarendomi le idee.
«I primi tempi sono stati davvero duri: ero da sola e nessuno mi aveva insegnato come vivere questa vita. Una cosa però l’avevo capita da sola, ovvero non volevo che degli innocenti morissero a causa mia.» Feci una pausa, prendendo un respiro profondo. «Così ho iniziato a cacciare animali, evitando gli uomini per giorni interi. Alla fine sono riuscita a riorganizzare il mio organismo, rendendolo forte anche solo grazie al sangue animale. Ma hai visto anche tu che non sempre è possibile resistere.»
Lo guardai mentre teneva il volto abbassato. I capelli ricoprivano interamente il suo viso, ma anche un cieco si sarebbe accorto dell’espressione di tristezza che aveva durante il mio racconto.
«Mi dispiace» sussurrò poi, interrompendo il silenzio che si era creato tra di noi.
«Non è colpa tua» risposi pronta.
«Si invece» sbottò, alzandosi in piedi e allontanandosi da me. Iniziò a fare avanti indietro per la stanza, passandosi le mani tra i capelli nervosamente. «Quella notte io non avrei dovuto…» fece una pausa, lasciandosi cadere nuovamente sul divano. Piegò la schiena verso avanti, nascondendo il viso tra le mani in un misto tra disperazione e rabbia.
Mi avvicinai a lui, poggiando una mia mano sulla sua spalla. Gliela accarezzai lentamente, per poi finire col poggiarci il viso. «Non volevi farmi del male, lo so.»
Alzò il viso, che era rigato dalle lacrime. Stava piangendo e stavo male a vederlo così. «Come fai a saperlo?» disse con voce smorzata, asciugandosi il viso bagnato. «Ho rovinato la tua vita Juliet, non ne avevo alcun diritto. Ti ho tolto la possibilità di scegliere solo perché sono egoista e avevo paura della tua decisione.»
Gli presi il viso tra le mani e lo obbligai a guardarmi dritto negli occhi. «Basta con i rimorsi, fanno parte di un passato lontano ormai. Hai passato la tua esistenza a rincorrermi, mentre io la mia a scappare da te. Non hai voglia di fermarti dopo tutto questo tempo?» Improvvisamente tutto l’odio, il disprezzo, il rancore che provavo per lui scomparvero, lasciando il posto a dei sentimenti positivi. Quella notte mi accorsi di quando avessi amato Harry e di quanto mi fosse mancato averlo al mio fianco.
«Credevo che mi odiassi» disse ridendo a bassa voce, prendendo le mie mani tra le sue.
Feci spallucce, cercando una risposta che cambiasse quell’atmosfera triste e cupa. «Chi ti dice che non ti stia odiando ancora e che questa sia tutta una farsa per pugnalarti alle spalle?»
Mi guardò serio per qualche secondo, per poi lasciarsi cadere indietro e scoppiare a ridere veramente. Una risata genuina, spontanea, allegra. Una risata che mi era mancata da morire.
«Grazie Harry.» Si arrestò, ricomponendosi e sedendosi nuovamente in modo corretto.
«Per cosa?» mi domandò, guardandomi curioso con i suoi profondi occhi verdi.
«Per essere tornato nella mia vita.» Dirlo ad alta voce aveva un effetto totalmente diverso da quello che risultava nella mia testa. Detto così sembrava essere più intenso, più forte… più vero.
«Non c’è di che» rispose, sorridendomi calorosamente e allungando un braccio dietro le mie spalle. Mi lasciai attirare da lui verso il suo petto, dove appoggiai la testa. Chiusi gli occhi e, senza neanche programmarlo, feci partire i flashback. Rivivemmo la maggior parte dei momenti trascorsi insieme, dal nostro primo incontro al nostro primo bacio. Dopo qualche minuto, quando ebbi terminato, lui mi guardò sorpreso.
«Cosa è successo?» Sorrisi, alzando leggermente la testa verso di lui.
«Sapevi che quando trasformi una persona con cui hai un legame forte questa prende parte dei tuoi poteri?» Lui mi guardò, facendo di no con la testa. «Beh, neanche io. Ma a quanto pare ho ereditato il controllo della mente da te… anche se con una leggera modifica.»
«Perché lo hai fatto?» mi chiese, accarezzandomi i capelli.
«Fatto cosa?» finsi di non capire, quando in realtà era ovvio a cosa si stesse riferendo.
«Mostrarmi quei ricordi.» Alzai le spalle leggermente, perché non sapevo esattamente cosa dire.
«Sono stanca, forse è meglio parlarne un’altra volta» mentii per levarmi da quella situazione, accoccolandomi di più a lui. Harry non disse niente, lasciandomi condurre il gioco per una volta. Mi strinse solamente ancora di più a sé, continuando ad accarezzare ogni parte del mio corpo che gli capitava sotto mano.
«Notte Julie» sussurrò quando ebbi chiuso gli occhi, baciandomi dolcemente la testa. Sorrisi, restando però in silenzio.
Finalmente avevo ritrovato il mio angolo di salvezza.
 
Mi ero svegliata presto, stranamente di buon umore. Avevo lasciato Harry che dormiva quando ebbi lasciato l’appartamento. Ero passata da casa giusto per cambiarmi e mi ero diretta subito a scuola.
I corridoi erano semivuoti, erano percorsi solo da qualche docente che si stava dirigendo in aula insegnanti o da qualche studente impegnato a ripetere per qualche compito in classe importante.
Sistemai i libri che non mi servivano nell’armadietto, tenendo con me solo quello di letteratura inglese, la mia materia preferita tra l’altro. Sbrigata questa faccenda, mi diressi verso l’esterno per andare ad aspettare Niall in cortile. Sarebbe stato sorpreso di trovarmi lì a quell’ora.
Passai davanti alla palestra e dei rumori tonfi e pesanti catturarono la mia attenzione. Deviai, affacciandomi da quella porta per sbirciare al suo interno. Vidi Liam, già stanco e sudato, andare a canestro. Mi fermai in un angolo ad osservarlo in silenzio, mentre cercavo di respingere nella mia mente le immagini della notte scorsa: avevamo litigato, avevo rischiato di ferirlo, ero impazzita e infinte ero stata con Harry. Decisamente stavo iniziando a sentirmi in colpa.
«Che ci fai qui?» Trasalii, tornando sul pianeta Terra.
«Ciao Liam» dissi, staccandomi dalla parete e avvicina nomi a lui, che stava ancora sotto canestro.
«Dest» si limitò a dire, preparandosi ad un lancio che si rivelò davvero buono. «Come stai? Ti è passato il mal di testa?» Lasciò che la palla rotolasse lontano da noi, prendendomi le mani. Credevo che fosse arrabbiato con me, invece si stava mostrando preoccupato.
«Quale mal di testa?» domandai, confusa.
«Quello che hai avuto ieri sera e per il quale sei tornata a casa presto» rispose accarezzandomi il viso.
Non ero stupida e perciò realizzai subito quello che fosse successo. Harry era andato da Liam per poi soggiogarlo e fargli dimenticare tutto quello che avevo fatto.
«Giusto, il mal di testa…» dissi vaga. «Sto meglio, grazie» mentii. Lui sorrise, per poi sporsi verso di me. Provò a baciarmi, ma io mi scansai delicatamente, porgendogli la guancia. Mi baciò lì, per poi dirigersi verso gli spogliatoi in silenzio.
«Che casino!» sussurrai tra me e me, prendendomi i capelli tra le mani e sedendomi a terra.
Ero confusa, non sapevo cosa fare, come comportarmi. Provavo mille emozioni diverse, un tornando di sensazioni mi attraversava in quel momento. La testa mi diceva di fare una cosa, il cuore ne voleva un’altra. Forse sarei dovuta scappare di nuovo, lasciarmi quella vita, quella città, alle spalle una volta per tutte. O forse sarei dovuta restare e affrontare i fantasmi del mio passato.
La campanella mi salvò dalle mie preoccupazioni. Uscii così dalla palestra, convincendomi che per almeno la prossima ora la mia unica preoccupazione sarebbe stata cercare di prendere un buon voto in letteratura inglese.


here i am:

spero che il quinto capitolo vi sia piaciuto, io personalmente AMO la parte al presente akcjsnak
quella al passato mi piace anche, ma è niente in confronto al riavvicinamento di quei due, non trovate anche voi? cwc
cosa ne pensate di tutta la situazione? tifate per harry o per liam? LOL
fatemi sapere, grazie a tutte! xx

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Capitolo 7
*** Chapter six ***





Chapter six.
 

1864
Mi trovavo nella stanza del pianoforte con la scusa di voler assistere alla lezione di canto di Elle. Seguivo Harry in ogni suo movimento. Le sue mani si muovevano leggiadre sul pianoforte e sembra che le sue dita neanche sfiorassero i tasti per quanto era delicato il suo tocco. Mia sorella cantava su quella melodia ed era piuttosto brava. Harry di tanto in tanto la correggeva, dandole piccoli suggerimenti o chiarimenti riguardo qualche esercizio. Nonostante avesse solo qualche anno in più rispetto a me dimostrava tanta esperienza e capacità. Era davvero il migliore insegnante che Elle avesse mai avuto.
Una delle cameriere mi venne a cercare, interrompendo così la musica e la lezione stessa. «Chiedo scusa, signorina Juliet il duca desidera vederla nel suo studio» annunciò con voce tremante, come se io le mettessi paura.
«Può riferire a mio padre che a breve sarò da lui?» le chiesi, anche se quella che appariva una domanda in realtà era un ordine.
«Perdoni l’insistenza, ma il duca desidera parlare subito» mi contestò, sorprendendomi. D’altronde in quel palazzo colui che comandava era mio padre, quindi anche un mio ordine veniva meno se lui ne aveva dato uno diverso.
«Va bene, adesso può andare» la congedai, innervosita. Aspettai che uscisse dalla stanza, per parlare con Harry. «Spero che non vi dispiaccia, ma sono costretta ad andare» usai quel finto tono di informalità giusto per non far insospettire mia sorella.
«Vada pure, sua sorella capirà se non potrà assistere alla parte finale della lezione di oggi» finse anche meglio di me. Guardai lui annuendo, per poi salutare a dopo Elle, augurando ad entrambi un buon proseguimento.
Uscii a malincuore da quella stanza per raggiungere lo studio di mio padre, che si trovava nell’ala opposta del palazzo. Camminai abbastanza, ma alla fine arrivai in breve tempo alla sua porta. Feci per bussare, ma le voci sue e di mia madre mi fecero arrestare. Stavano avendo quella che mi piacque chiamare un’accesa conversazione, della quale però non riuscii a decifrare subito il motivo. Così mi accostai alla porta già semi aperta e prestai molta attenzione a ciò che si dicevano.
«William comprendila, è solo una ragazza. Mi sembra normale che si possa essere presa un’infatuazione per quel ragazzo.» La voce di mia madre era abbastanza bassa e appariva premurosa. Stavano parlando di me, ormai mi era chiaro. Mi avvicinai ancora di più alla porta, per cercare di capire meglio cosa stessero dicendo di preciso sulla sottoscritta.
«Carol, nostra figlia è destinata a ereditare questo trono. Che lei lo voglia o no la nostra famiglia non può cadere nello scandalo.» Il tono di mio padre era più profondo e… sconfortato. Lo vidi sedersi sulla sua poltrona, come se si stesse rassegnando di fronte a qualcosa… di fronte alla sua stessa figlia. La rabbia mi accecò, così senza riflettere spinsi la porta e entrai, interrompendo il loro bel discorso.
«Padre, volevate vedermi?» domandai, seppur avevo già intuito perché mi avesse fatto chiamare.
«Vi lascio da soli» disse mia madre non appena fui entrata, affrettandosi ad uscire e a lasciarmi faccia a faccia con mio padre da sola.
«Allora padre? A cosa è dovuta tutta questa urgenza?» lo provocai, sapendo che avrebbe utilizzato interminabili giri di parole prima di arrivare al nodo vero e proprio della questione.
«Juliet, siediti» indicò la poltrona davanti a lui.
«Preferisco restare in piedi» rifiutai, incrociando le braccia al petto. Lui non lo gradì, lo intuivo dall’espressione che aveva assunto in viso.
«Ho saputo che ultimamente stai assistendo a parecchie delle lezioni di tua sorella» iniziò così quella che sarebbe stata una lunga e accesa discussione.
«Al signor Styles non dà fastidio la mia presenza se è di questo che ti preoccupi» dissi, anche se sapevo che non era quello il suo obiettivo.
«Sicuramente è così» mi diede infatti ragione. «Solo non credi di trascorrere troppo tempo in sua compagnia?»
Sorrisi amaramente quando ebbe pronunciato quella frase. Eravamo arrivati al momento fatidico. «Non so padre, secondo voi è così?»
Lui mi guardò con occhi spenti e stanchi, scuotendo la testa sconsolato. «Sebbene ti abbia insegnato che le differenze tra classi sociali siano state ormai superate devi comunque prestare attenzione ai tuoi comportamenti» disse con tono fermo e deciso, come se stesse dando un ordine a uno qualsiasi della servitù.
«Per caso mi state vietando di vedere Harry?» risposi arrabbiata, alzando leggermente il tono della voce e senza più prestare attenzione a ciò che stavo dicendo.
«Harry? Chi è Harry? Juliet ti proibisco di frequentare ancora quel ragazzo, sono stato chiaro?» mi urlò contro infuriato. Si alzò dalla sua poltrona di velluto rosso e mi osservò dall’alto con prepotenza e delusione allo stesso tempo.
«Vi credevo diverso padre, pensavo che avreste capito» dissi debolmente, allontanandomi a piccoli passi da lui. «Ma a quanto pare mi sbagliavo» aggiunsi, prima di lasciare in lacrime quella stanza.
Quando uscii fuori, scontrai contro mia madre. «Tesoro, cosa è successo?» mi domandò preoccupata.
«Come se non lo sapessi» le diedi contro, anche se infondo sapevo che non era lei il vero problema.
«Tesoro mi dispiace così tanto, vedrai che presto la situazione si risolverà» tentò di tranquillizzarmi, abbracciandomi e stringendomi a lei. Ma tutto era inutile.
«Lasciami andare» la pregai, ma lei invece strinse ancora di più la presa.
«Vuoi andare da lui?» mi domandò, accarezzandomi i capelli dolcemente. Annuii debolmente, anche se forse avrei dovuto negare, visto che anche lei era d’accordo con mio padre seppur non totalmente.
«E allora vai» disse, allontanandosi da me. La guardai sbalordita, mentre mi asciugava le lacrime rigate dal pianto. «Vai da lui, prima che cambi idea. Veloce!» mi ripeté.
«Grazie mamma» le dissi soltanto, per poi correre in direzione delle sue stanze. La servitù mi guardava incuriosita. Sicuramente d’ora in avanti non si sarebbe parlato d’altro fuorché di quella mia sorta di fuga.
La lezione di canto ormai sarebbe dovuta essere finita, quindi ero certa di trovarlo in camera sua. Bussai con insistenza, fino a quando non mi venne ad aprire.
«Cosa è successo?» mi domandò, spaventato. Spalancò la porta e io mi fiondai tra le sua braccia.
«Non è successo niente» iniziò a ripetermi, cullandomi tra le sue forti e confortanti braccia. Mi spostò leggermente, quanto bastasse per chiudere la porta alle mie spalle e impedire alla gente al di fuori di guardarci. Mi fece alzare leggermente il viso, incontrando così i miei occhi.
«Mio padre sa di noi, mi ha proibito di vederti» singhiozzai tra le lacrime, aggrappandomi al colletto della sua camicia ormai consumata.
«Andrà tutto bene, ci sono io ora Julie» mi disse, stringendomi ancora di più a sé. Nascosi il viso dietro la sua spalla, lasciandomi cullare da quei movimenti lenti e delicati.
«Non voglio rinunciare a te Harry, non voglio» dissi con voce smorzata, ancora tremante per l’agitazione e la paura di perderlo.
«Non dovrai farlo ok? Niente e nessuno riuscirà mai a dividerci» mi disse, afferrando il mio viso tra le mani e obbligandomi ancora una volta a incrociare i suoi occhi verdi, che in quel momento trasmettevano soltanto preoccupazione.
«Promettimi che saremo più forti di qualsiasi cosa, promettimelo Harry» lo supplicai, poggiando la mia fronte contro la sua.
«Te lo prometto Julie, saremo indistruttibili» disse convinto, per poi baciarmi delicatamente sulle labbra.
Lo baciai ancora, e ancora, e ancora. Lo baciai fino a quando non mi sentii totalmente al sicuro. Lo baciai perché avevo bisogno di sapere che era ancora lì con me, lo baciai perché avevo bisogno della certezza che non mi avrebbe lasciato. Lo baciai perché lo amavo alla follia.
 
2012
Avevo evitato Liam per le ore seguenti, riuscendoci anche alla grande. Ero più veloce e avevo un udito molto più sviluppato di lui perciò ogni volta che lo sentivo vicino cambiavo direzione, prendendo quella completamente opposta alla sua. Avevo spento il cellulare per non leggere i suoi messaggi, così nel caso in cui mi avesse chiamato avrei potuto usare la solita e banale scusa della batteria scarica. Dovetti saltare la lezione, l’unica materia che quel giorno avevo non solo in comune con Liam, ma persino con Harry. Evitare lui si rivelò molto più difficile e complicato di quanto potessi mai immaginare. Ogni passo che facevo lo sentivo dietro di me, era come stare perennemente col suo fiato sul collo. Mi sentivo sempre sul punto di essere raggiunta da lui, ma chissà come ogni volta, per un soffio, riuscivo a scampare da lui. Forse lo stava facendo di proposito a lasciarmi andare, forse voleva vedere quali fossero realmente le mie intenzioni. O forse negli anni ero diventata davvero brava a sfuggirgli di mano. Decisamente la prima opzione.
Nel pomeriggio sapevo che la situazione sarebbe diventata insostenibile, anche perché ci sarebbe stata l’ora buca di pranzo e allora non avrei più avuto scuse per evitare l’uno o l’altro. Perciò mi finsi malata, decidendo di saltare le lezioni pomeridiane. Quando ancora mancava qualche minuto al suono dell’ultima campanella per quella mattina, andai al mio armadietto per raccogliere le mie cose in fretta.
«Ehi bella mora, dove credi di andare?!» Alzai lo sguardo al cielo sbuffando. Ero troppo occupata a preoccuparmi di Liam e Harry che avevo completamente scordato tutti gli altri.
«Ti prego, non ti ci mettere anche tu Niall.» Richiusi la cerniera della tracolla e sbattei l’anta dell’armadietto per bloccarlo. Mi voltai così verso il biondo che stava con una spalla poggiata contro gli stessi armadietti e mi guardava arrabbiato.
«Perché non mi hai detto niente di questo Harry?» chiese aggrottando le sopracciglia. «Sono giorni che mi gira intorno e io sono diventato pure suo amico!»
Gli feci segno di seguirmi verso l’uscita. «Mi dispiace ok? Non ho avuto il tempo per realizzare il tutto» pregai che mi perdonasse. «Jenn non ha avvertito niente?» gli chiesi poi.
«Infatti è stata lei a dirmelo» mi spiegò frettolosamente. Poi si fermò, strattonandomi per un braccio e spingendomi a fare la stessa cosa.
«Posso credere che la mia migliore amica sia un vampiro. Posso credere che la mia ragazza sia un vampiro, ma a tutto c’è un limite» disse a bassa voce, per paura che qualcuno origliasse la nostra conversazione.
«Cosa è successo?» gli domandai, iniziando a preoccuparmi leggermente. Vedevo Niall preoccupato dalla figura di Harry e volevo capirne il perché.
«Zayn ci ha raccontato la tua…» fece una pausa, guardandomi negli occhi. «La vostra storia» si corresse, alludendo al passato mio e di Harry. «Insomma, perché non ce ne hai mai parlato? Perché non ci hai mai detto di essere stata innamorata del vampiro che ti ha trasformato?»
«È complicato ok?» gli risposi acida, non avendo una risposta reale da potergli dare. Non avevo raccontato loro niente perché parlarne mi feriva. Ricordare i giorni passati felice insieme a Harry nel lontano 1864 mi faceva strane male. Ogni volta che con la mente tornavo a quel periodo provavo una fitta allo stomaco terribile e scoppiavo quasi immediatamente a piangere. «Non credevo che fosse così importante per voi sapere la verità sulla mia trasformazione» riuscii infine a dire.
«Juliet sei la nostra amica più cara, puoi confidarti con noi, puoi parlarci liberamente del tuo passato.»
La campanella suonò in quel preciso momento, salvandomi da Niall ma mettendomi nel rischio di imbattermi in Liam o Harry. «Mi dispiace, devo andare» gli dissi, iniziando a correre verso l’uscita. «Ne parliamo un’atra volta!» urlai, voltandomi un’ultima volta verso di lui. Quella semplice disattenzione bastò per farmi urtare contro qualcuno che però non si mosse di un millimetro. Ciò stava a significare soltanto una cosa. Nello scontro mi ero ritrovata a poggiare le mani sul suo petto, che a movimenti lenti e leggeri si muoveva. Il suo respiro si poggiava caldo sul mio viso, mentre il suo profumo mi mandava completamente in tilt il cervello. Alzai il viso e incrociai subito i suoi occhi, intenti a guardarmi incuriositi. In quel momento le sue labbra si aprirono in un sorriso meraviglioso, capace di farmi spalancare la bocca e iniziare a balbettare come una matricola di fronte al ragazzo sexy e irraggiungibile dell’ultimo anno.
«Juliet» pronunciò il mio nome con voce bassa e rauca. Passò una mano tra i miei capelli, finendo col giocare con una ciocca. La attorcigliò al dito, fino a lasciarla cadere e a posare la mano sulla mia guancia. Era calda e morbida.
Rimasi qualche minuto intontita di fronte a lui, senza sapere come comportarmi. Lo guardai negli occhi ancora per qualche secondo, per poi prendere la sua mano nella mia e spostarla. «Non posso» sussurrai soltanto, prima di sorpassarlo e andarmene via.
Mentre spingevo il maniglione della porta d’ingresso, vidi Liam fermo qualche metro poco distanza da me. Mi stava guardando andare via e sicuramente aveva visto anche la scena tra me e Harry qualche minuto prima. In quel momento stavo peggio di come mi sentivo prima. Abbassai il capo e uscii da quella scuola in silenzio, correndo verso il mio appartamento, correndo lontano da quel dilemma secolare.
 
Sdraiata sul mio letto, fissavo il soffitto bianco sopra la mia testa. Lentamente il bianco latte si sfocò, lasciando spazio ad alcune sfumature di colore più chiaro o scuro. Socchiusi gli occhi, fino a serrarli completamente. Non tornai molto indietro nel passato, anzi, tutt’altro. Con la mente riavvolsi gli avvenimenti di quella giornata, soffermandomi sul mio incontro/scontro con Harry. Di fronte a me rividi le sue iridi verdi mentre mi penetravano l’anima (se ancora ne avevo una), il suo sorriso smagliante che da solo illuminava un’intera notte, le sue fossette capaci di dargli ancora un’aria dolce, i suoi ricci ribelli che spettinati gli ricadevano sulla fronte. Sorrisi al ricordo del suo volto.
Allora ti piaccio ancora! Spalancai gli occhi e mi alzai con la schiena quando quel pensiero mi venne in mente nonostante non fossi stata io a pensarlo. Ai piedi del letto, lì vicino a me, vidi Harry guardarmi divertito.
«Ma come…?» Lo guardai spaesata, non riuscendo a capire cosa avesse effettivamente fatto. Harry poteva cancellare la memoria della gente, poteva decidere quali ricordi far dimenticare e quali tenere, ma non era capace di insediare pensieri nella mente o addirittura di parlare attraverso.
«Sapevi che quando trasformi una persona con cui hai un legame forte, oltre che a prendere parte dei suoi poteri, i tuoi si ampliano se usati con lei?» mi disse, mettendo su quel suo sorriso sghembo che gli dava un’aria da vero stronzo. Un’aria che gli donava tantissimo. In quelle parole ritrovai lo stesso tono che io avevo usato quando gli avevo confessato il mio potere. E così anche le parole da lui usate erano le stesse delle mie.
«Quindi puoi controllare a 360° la mia mente adesso?» Lo guardai, scuotendo la testa.
«Solo se tu mi lasci entrare» mi rispose, lasciando passare il fatto che fosse contento che io non gli avessi opposto resistenza. «E tu puoi fare lo stesso con me» aggiunse, spiazzandomi.
«Io non posso controllare la mente. Io controllo i ricordi» lo corressi, non potendoci credere.
«Non puoi controllare le menti umane, puoi controllare solo la mia» rispose, marcando quelle ultime parole con il tono della sua voce. «Provaci» mi spinse di fronte alla mia titubanza.
Mi concentrai su di lui, guardandolo fissa negli occhi. «Non sento niente» mi arresi.
«Riprova» insistesse, avvicinandosi a me e prendendomi le mani nelle sue. Chiuse gli occhi, mentre le stringeva forte, con l’intenzione di non lasciarle andare. Chiusi gli occhi anch’io, cercando di non farmi distrarre dalla sua vicinanza.
Mi concentrai su di lui fino a quando non avvertii qualcosa. Una sorta di brivido mi percorse la schiena e istintivamente strinsi la presa. Mi sei mancata sentii.
«Anche tu mi sei mancato, Harry» dissi per la prima volta ad alta voce, cosa che fece sorprendere me per prima.
Riaprii gli occhi, convinta di vederlo ancora con i suoi chiusi, ma invece erano più spalancati che mai. Si trattò di un lampo, un istante quasi irrealizzabile. Prese il mio viso tra le mani e lo strinse saldamente, bloccandolo proprio di fronte al suo. Poggiò dolcemente le labbra sulle mie, facendole schiudere leggermente. Allora il bacio divenne più profondo e passionale. Strinsi le braccia attorno al suo collo, attirandolo ancora di più a me. Quel bacio fu travolgente, mozza fiato, da cardiopalma. Le emozioni dei vampiri sono sempre amplificata rispetto alla realtà, ma qualcosa, i ricordi del passato, mi diceva che anche se fossi stata ancora un’umana avrei provato lo stesso identico tornado di sensazioni. Il lato positivo adesso era che non avevamo bisogno di respirare e quindi non fummo costretti a staccarci dalla necessità di ossigeno. Fui comunque io la prima ad allontanarsi, perché avevo bisogno di specchiarmi nei suoi occhi che un tempo mi avevano fatto innamorare.
«Resti con me ‘sta notte?» gli domandai, aggrappandomi all’orlo della sua maglietta. Ci giocherellai un poco, finchè non si decise a rispondermi.
«Ok» disse solo, per poi spostarsi e sdraiarsi lungo il materasso. Allungò un braccio e mi fece segno di avvicinarmi. Mi sdraiai anch’io, poggiando la testa sul suo petto mentre lui mi accarezzava i capelli, proprio come una volta.
In poco tempo mi addormentai tra le sue braccia, accorgendomi che dopo un secolo e mezzo erano ancora il mio posto preferito, quello dove mi sentivo protetta, quello dove, nonostante avessi provato a negarlo a me stessa per anni, ero più al sicuro.


here i am:

ehilà bella gente, come vanno le vacanze?
io non sto facendo niente dalla mattina alla sera, perciò ecco qua un nuovo capitolo!
boh, a me piace tanto e spero che sia lo stesso per voi c:
fatemi sapere cosa ve ne pare, fede xx
p.s. mi dispiace ma sono da mia nonna quindi non ho con me l'elenco dei nick twitter per avvertire tutte voi che seguite, perciò chiedo scusa çç

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Capitolo 8
*** Chapter seven ***





Chapter seven.
 

1864
«Questa sera avrete tutti gli occhi puntati addosso. Lasciatevelo dire signorina, siete incantevole.» Guardai la mia immagina riflessa nel grande specchio di fronte a me, eppure riuscivo a vedermi in qualsiasi modo, tranne che incantevole.
«Grazie Emily» le risposi, forzando un sorriso. «Puoi andare? Voglio finire di prepararmi da sola.»
«Come vuole» si limitò a dire, uscendo dalla stanza.
Tornai a guardarmi allo specchio e mi accorsi che ormai era rimasto ben poco, se non nulla, da preparare. Il vestito lo avevo indossato e, essendo stato cucito apposta per l’occasione, mi stava perfettamente, non potevo negarlo. Inoltre il blu era il colore che meglio si abbinava alla mia pelle secondo il parere di tutti, perciò non sarebbe potuto essere diversamente. I capelli erano stati rigorosamente pettinati alti, raccolti in una strana acconciatura che ancora non avevo capito, fatta eccezione per qualche ciocca lasciata cadere dolcemente sulla mia fronte. Abbassai lo sguardo verso i miei piedi nudi, per poi passarlo alle scarpe che giacevano ai piedi del letto a baldacchino. Raccolsi l’ampia gonna e mi piegai verso il basso, raccogliendo le scarpe per poi indossarle. Rivolsi lo sguardo verso il mobile lì vicino, dove avevo poggiato la maschera che avrei indossato per la serata. La presi e la indossai dopo aver guardato il mio riflesso spento e vuoto un’ultima volta allo specchio
La stanza era già gremita di nobili di tutte le razze e, anche se non potevo vederli tutti in viso per via delle maschere, avrei scommesso che c’erano tutti. Mia madre mi vide arrivare, ma non fece niente, a differenza di mio padre, che appena si accorse di me mi richiamò all’ordine. Da quanto aveva scoperto di me e Harry mi stava col fiato sul collo in qualsiasi occasione e ormai era praticamente impossibile per me vederlo. Ancora non ero riuscita a capire per quale motivo non l’avesse ancora cacciato via, ma qualsiasi fosse dovevo a lui tutta la speranza che avevo dentro me.
Dopo i saluti di cortesia che ero costretta a fare in quanto padrona di casa, mi rintanai in un angolo buio del salone. Non ero mai stata parte attiva di quelle feste e tantomeno lo sarei stata quella sera, quando il mio umore era pessimo. Rimasi ferma vicino ad una colonna, mentre gli invitati si divertivano tra balli, musica e cibo.
«Una bella ragazza come voi non dovrebbe restare al bordo della pista.» Sussultai quando sentii quella voce sussurrare al mio orecchio e una mano posarsi delicatamente sulla mia vita, solleticandomi.
«Harry?» domandai, voltandomi di scatto e incrociando immediatamente degli splendidi occhi verdi che potevano essere soltanto i suoi.
«Indovinato» soffiò quasi sulle mie labbra. Erano così vicine che la tentazione e la voglia di baciarle erano incontrollabili.
«Che ci fai qui?» gli domandai, trascinandolo dietro la colonna per nasconderci da mio padre. «Se mio padre ti vede qui per noi è la fine» aggiunsi, preoccupata per lui. Mi accarezzò una guancia, sorridendomi. Quel piccolo gesto bastò per rassicurarmi. «Mi sei mancato» gli sussurrai, avvicinandomi a lui. Poggiai la testa sulla sua spalla e respirai profondamente il suo profumo per un tempo che mi sembrò infinito.
«Anche tu, per questo sono qui ‘sta sera» mi rispose, cingendomi la vita con la sue braccia forti che tanto mi facevano sentire protetta.
«Andiamo via da qui» gli proposi quando la voglia di avere qualcosa in più di una semplice carezza iniziò ad ardere in me. Erano giorni che non gli ero così vicina e sentivo la necessità di assaporare le sue labbra e di sfiorare la sua pelle morbida. Lui annuì, prendendomi la mano e trascinandomi fuori dal salone.
Passammo da una porta laterale secondaria, in modo da non essere notati. Appena fuori non mi diede il tempo di parlare che mi spinse contro il primo muro trovato e si lanciò sulle mie labbra, impossessandosene con violenza e desiderio. Durante il bacio ne approfittai e gli cacciai la maschera, giusto per godere in pieno della bellezza del suo viso.
«E il pudore dove lo hai lasciato?» gli domandai ironica, dopo che a fatica si staccò da me. Eravamo ancora nella stessa posizione: io con la schiena contro il muro e lui che mi bloccava col suo corpo schiacciato contro il mio. Respiravo a fatica, mentre cercavo di regolarizzare il respiro dopo quel bacio che mi aveva lanciato in un’altra dimensione e poi riportato brutalmente nella mia quando fu interrotto.
«Sei tu la nobile, non io» rispose, sorridendo beffardo e togliendomi a sua volta la maschera che, come avevo fatto poco prima io, aveva poi lasciato cadere a terra.
«Beh, se le cose stanno così…» lasciai la frase in sospeso, mentre ero attenta a mordermi il labbro inferiore pensierosa. Poggiai le mani sul suo petto e lo spinsi leggermente lontano da me. Afferrai la sua mano e lo condussi lungo i corridoio tutti apparentemente uguali di quel palazzo.
«Dove siamo?» mi domandò curioso, quando fummo davanti la porta di camera mia. Non gli risposi, ma invece lo baciai con lo stesso trasporto che lui aveva avuto qualche minuto fa con me.
«Seguimi» gli dissi soltanto, spingendo la porta alle mie spalle e trascinandolo all’interno. Si guardò attorno perplesso per qualche istante, ma poi tornò a guardare me con aria maliziosa.
«Deduco che questa sia la tua stanza» disse avvicinandosi a me. Poggiò le sue grandi mani sui miei fianchi, attirandomi con forza verso di lui.
«Perspicace» lo derisi, mentre gli toglievo la giacca di velluto blu che indossava e la lasciavo cadere sul freddo pavimento.
«Stai giocando col fuoco, lo sai?» mi domandò, senza far mancare mai quel pizzico di malizia nel suo tono di voce. Sorrisi, mentre iniziavo a sbottonargli la camicia. A ogni bottone aperto i miei polpastrelli sfioravano la sua pelle e io, istintivamente, sussultavo.
Harry non solo era stato il mio primo bacio, ma a quanto pareva sarebbe stato anche il primo con il cui mi sarei spinta oltre.
«Magari potresti insegnarmi a non bruciarmi» dissi piano, cercando di imitare uno dei suoi sorrisi provocatori. Dalla sua reazione, parvi riuscirci alla perfezione.
Mi spinse indietro, fino a farmi cadere sul letto. Mi sedetti sul bordo, mentre lui riprendeva a baciarmi con passione. Lo sentii armeggiare con i laccetti del mio corpetto, che dopo una manciata di minuti furono tutti sciolti. Mi alzai per far scivolare il vestito a terra, sotto i suoi occhi attenti. Osservava il mio corpo come se si trattasse di qualche opera d’arte famosa e la cosa mi lusingava e imbarazzava allo stesso tempo. Tolsi le scarpe e lui fece lo stesso, prima di sdraiarsi sul letto. Mi sistemai sopra di lui, passandomi una mano tra i capelli in modo da scioglierli. Scossi la testa un paio di volte per liberarli definitivamente.
«Mi fai impazzire quando fai così» ammise, afferrandomi la testa e baciandomi ancora. Poggiai le mani sul suo petto, questa volta nudo, e iniziai ad accarezzarlo in tutta la sua superficie. Scesi fino al bordo dei suoi pantaloni e in quel momento lo vidi sorridere nel bacio. Ci liberammo degli ultimi indumenti che si intromettevano tra di noi e poi lui mi fece stendere sotto di lui.
Mi sovrastò col suo corpo, cercando di fare il meno peso possibile aiutandosi a tenersi sollevato con la forza delle sue braccia. Affondai le mani dei suoi ricci ribelli e avvicinai il suo viso alla mia bocca. Lui però deviò, spostandosi lateralmente e iniziando a lasciarmi una scia di baci umidi lungo il collo. Chiusi gli occhi e piegai leggermente la testa per godere al pieno di quel piacere sublime. «Sicuro che non sarò io quella che impazzirà?»
Tornò a baciarmi le labbra, con l’impeto e la passione di sempre. Le nostre lingue si cercavano per intrecciarsi in una danza perfetta. Le sue mani accarezzavano il mio corpo esperte e sicure, mentre io ero inerme dinanzi a così tanto piacere. I nostri corpi combaciavano ormai alla perfezione, tanto che sembravano essere stati creati per unirsi in quell’atto d’amore.
Così, mentre qualche sala più in là i signori delle casate più prestigiose dell’ Inghilterra festeggiavano l’arrivo di una primavera qualsiasi, nella mia camera da letto io e Harry ci lasciammo trasportare dalla lussuria e dalla passione. Quella notte ci appartenemmo come non mai. Quella notte segnò definitivamente il nostro amore.
 
2012
«Buongiorno!» Saltai in aria facendo cadere tutti i fogli e i quaderni che stavo tenendo in mano. Feci per abbassarmi a raccoglierli tutti, ma Harry mi precedette, chinandosi ai miei piedi dove il mucchio giaceva a terra.
«Buongiorno anche a te» dissi a bassa voce, piuttosto imbarazzata. Quella mattina al mio risveglio al suo posto avevo trovato un biglietto con su scritto Grazie per la splendida notte –Harry e una rosa rossa poggiata sul mio comodino. Lui non c’era, ma non mi feci troppi problemi. D’altronde se lo avessi trovato ancora lì al mio risveglio avremmo dovuto parlare di quello che era successo e francamente era l’ultima cosa che volessi. Anche se sapevo che prima o poi sarebbe dovuto succedere.
«Come stai?» mi domandò, allungandomi le cose cadute che subito dopo buttai nell’armadietto. Lo richiusi e lui si poggiò lì con una spalla. Mi sorrise e quel poco bastò per mandarmi completamente in tilt il cervello. Iniziai a balbettare, dimenticandomi addirittura come si parlasse.
«Io… bene» riuscii a dire dopo una serie di frasi senza senso e stupide. «Tu?»
«Magnificamente» rispose, sporgendosi leggermente verso di me. Rimasi qualche secondo imbambolata a fissare le sue labbra rosee avvicinarsi sempre più alle mie. Erano ad un soffio, stavo quasi per sfiorarle quando…. Quando Liam arrivò.
«Destiny» mi chiamò, facendomi saltare in aria. Possibile che fossi così tanto presa da Harry da non sentirlo arrivare?
«Liam» disse Harry, di fronte al mio silenzio. Si grattò la testa, passando lo sguardo da me a lui diverse volte.
«Forse è meglio che io vada via» disse infine, abbozzando un sorriso che celava tantissima tensione. Quanto avrei voluto che una voragine si aprisse sotto i miei piedi e mi risucchiasse proprio in quel momento così scomodo.
«Mi sono perso qualcosa? Non so, forse il momento in cui io e te abbiamo smesso di stare insieme» disse pungente, avvicinandosi a me e guardandomi arrabbiato. «Perché per quanto mi riguarda tu sei ancora la mia ragazza e io sono ancora innamorato di te.»
«Non è successo niente Liam, io e Harry stavamo solo parlando» mentii, anche se un fondo di verità c’era comunque. Stavamo chiacchierando e poi era arrivato lui a interrompere… Si, a interrompere il bacio che quasi sicuramente ci sarebbe stato.
«Sono stanco di essere preso in giro Destiny» disse sconfortato, scuotendo la testa da destra a sinistra come se volesse mandare via determinati pensieri in quel modo.
«Liam ascoltami» gli sfiorai il braccio nella speranza di prenderlo da parte per poterlo fare così ragionare, ma lui mi scansò, spingendo lontano la mia mano.
«Sono stanco di ascoltare bugie Dest, ho bisogno di stare da solo» disse piano, con voce quasi inudibile, prima di sparire tra la folla di studenti presenti in corridoio.
Non provai neanche a chiamarlo, tanto sarebbe stato inutile. Mi sentivo uno schifo e niente avrebbe potuto cambiare questa situazione. Niente e nessuno.
 
Non vidi Harry per il resto della giornata e non seppi se considerarlo un bene o un male. Ero convinta che dopo l’apparizione di Liam si sarebbe fatto vivo nuovamente, ma a quanto pareva mi sbagliavo.
Dopo una doccia rilassante mi rinchiusi in camera mia per evitare uno dei soliti interrogatori di Jenn oppure questa volta di Zayn. Non era dell’umore adatto per parlare, volevo soltanto stare da sola. Mi buttai sul letto, ma con quel movimento brusco feci cadere a terra la tracolla che usavo per scuola che era posata sul bordo del letto. Sbuffai, chinandomi a raccogliere tutti i quaderni e i fogli che, per la seconda volta in un giorno, avevo buttato a terra. Quando stavo per richiudere la borsa però, una cartelletta rossa, assolutamente non mia, attirò la mia attenzione. La aprii per guardare il contenuto e mi sorpresi quando lessi che si trattava della ricerca che il professor Coleman ci aveva dato neanche due settimane fa. Portava la firma di Harry, quindi sicuramente l’aveva infilata lui tra le mie cose quando, quella mattina, ci eravamo incontrati.
La versione della storia che raccontava era la stessa che aveva esposto in classe il giorno in cui aveva fatto quell’entrata in grande stile. I toni erano dolci e romantici, sembrava il racconto di un romanzo rosa. Al termine c’erano alcune considerazioni su quanto fosse importante saper riconoscere il vero amore e su quanto fosse altrettanto difficile tenerlo stretto a sé. Mi parve di sentire quelle righe pronunciate da Harry che, con il suo tono di voce basso e ammaliante, mi ripeteva quanto io fossi importante per lui e quanto avesse cercato di contattarmi negli anni che io avevo passato a scappare da lui.
Sorrisi per l’ironia della cosa. Avevo passato la vita ad evitarlo, eppure mi era bastato poco a cedere nuovamente al suo fascino. Già, peccato che non si trattasse solo di quello. In passato lo avevo amato, questo avrebbe significato ancora qualcosa per forza.
«Che ne pensi?» Sussultai, mollando la presa dai fogli che tenevo in mano. Mi voltai e vidi Harry mentre chiudeva la finestra e si poggiava con le spalle al muro.
«Devi smetterla di piombare così all’improvviso» dissi seria. «Mi metti paura ogni volta.»
«Mi dispiace, non volevo» rispose, senza però usare quel tono sarcastico o quel pizzico di ironia che invece mi aspettavo da lui.
«Qualcosa non va?» gli domandai più dolcemente, alzandomi e avvicinandomi a lui. Provai a prendergli la mano e, al contatto, il suo sguardo divenne immediatamente triste e vuoto.
«Harry?» lo chiamai, spaventata.
«Dobbiamo parlare» rispose con un tono di voce che mai aveva usato prima con me. Era freddo, distaccato, come la pietra.
Deglutii rumorosamente e gli feci segno di sederci sul letto. Raccolsi i fogli sparsi sul materasso e accantonai tutto per fargli spazio. «Ti ascolto» dissi quando ebbi finito.
Inutile negare che avevo un’ansia terribile addosso. Dalle sue espressioni quello che doveva dirmi non era sicuramente nulla di buono.
«Questa mattina, dopo che Liam è arrivato, io non me ne sono andato. Mi sono nascosto dietro il muro e ho origliato la vostra conversazione» iniziò a parlare, dopo aver preso un lungo respiro. Io annuii, non trovando poi niente di così strano in quello che aveva detto.
«Inizialmente ci sono rimasto male. Sai, per il fatto che tu non gli abbia detto niente di quello che è successo tra di noi.» Abbassò il viso, per poi rialzarlo verso di me e sforzare un sorriso. Avrei voluto rispondere, dirgli qualcosa, una qualsiasi cosa, ma invece me ne stessi zitta.
«Poi Liam ha iniziato a parlare. Anche se non lo ha detto esplicitamente è ovvio che si è sentito tradito, e in un certo senso è stato così. Insomma, noi due ci siamo baciati, questa cosa deve pur contare qualcosa!» Sospirò pesantemente, passandosi una mano tra i ricci, per poi risistemarsi automaticamente i capelli con un gesto veloce della testa.
«Ha detto che ti ama e secondo me è stato sincero. Glielo si legge in faccia: quando ti guarda, il modo in cui ti sorride oppure quello in cui ti tiene stretta a sé… Lui ti ama davvero Juliet.» Adesso iniziavo a non capirci più nulla. Credevo che mi volesse parlare di noi due, di quel bacio e del perché non lo avessi confessato a Liam e invece il discorso stava prendendo una piega completamente diversa.
«Harry non capisco dove tu voglia arrivare» gli confessai, grattandomi la testa confusa.
Lui annuì, mordendosi il labbro inferiore. «Sono qui per salutarti Juliet, questa sera parto.»
Per qualche istante il mio cervello smise di funzionare. Fu come scollegarlo e smettere di pensare completamente. Non volevo credere, non potevo credere a quello che le mie orecchie avevano appena sentito. Con gli occhi ancora di fuori e la bocca semi aperta parlai. «Che vuol dire ‘questa sera parto’? Dove vai? E quando hai intenzione di tornare?»
Lui mi strinse la mano e, coi polpastrelli delle dita, iniziò a disegnarmi cerchi immaginari sul dorso. Come se me la stessa accarezzando. «Il punto è questo Juliet» disse. «Non tornerò mai più.»
Tolsi la mano dalla sua con una rapidità sbalorditiva. «No, non puoi farlo» dissi a denti stretti. «Non dopo che sei tornato così, senza che io lo volessi. Non puoi andartene via adesso, Harry» continuai a farneticare. «Non puoi» ribadii infine.
«Juliet lo faccio per il tuo bene, credimi. Oggi ho finalmente capito quanto la tua vita possa essere migliore senza di me. Tu ti meriti di meglio che un egoista ed egocentrico come me al tuo fianco. Ti meriti qualcuno che non possa deluderti mai, qualcuno affidabile… qualcuno come Liam.» Continuava a parlare, ma le sue parole erano come inudibili per me. Non volevo ascoltarlo, non volevo sentirlo dirmi addio. Volevo che rimasse accanto a me. Lo volevo al mio fianco ancora una volta.
«Mi dispiace» disse infine, alzandosi dal letto e avvicinandosi alla finestra.
«Non farlo Harry, non togliermi la possibilità di scegliere un’altra volta.» Le parole vennero fuori da sole, seppur lievi e quasi inudibili. Era quello il punto, lo era sempre stato. Era sempre lui a decidere per me, qualsiasi cosa si trattasse. Aveva deciso la mia trasformazione, aveva deciso di tornare nella mia vita dopo che io lo avevo rifiutato e adesso stava decidendo di andarsene perché secondo lui io sarei stata meglio se si fosse mantenuto lontano.
«Smettila di dire cosa è giusto o sbagliato per me, perché tu non lo sai.» Mi alzai e mi fermai davanti a lui. Mi avvicinai così tanto da far scontrare i nostri petti. Lui abbassò la testa in modo che anche le nostri fronti combaciassero. «Non lasciarmi, ti prego» sussurrai, quando capii di essere sul punto di piangere. Sentivo gli occhi gonfi bruciare come mai prima d’ora. Mi aggrappai con le mani al cappuccio della sua felpa, mentre lo supplicavo ancora una volta di non andare via.
Non ci pensai su due volte. Siccome non reagiva, presi io l’iniziativa. Poggiai le mie labbra sulle sue e lo baciai. Lo baciai con foga, con passione, con rabbia, con tristezza e con amore. Lo baciai con tutti i sentimenti e le emozioni che provavo in quel momento. Lo baciai perché speravo così di convincerlo a restare.
«Ti amo, Harry» gli dissi, ormai in lacrime. «Ti amo» ripetei, stringendomi forte a lui.
«Devo andare» fu la sua risposta.
Quando alzai la testa, lui non c’era più. Il suo corpo, che fino a qualche istante prima stavo stringendo tra le mie braccia, si era smaterializzato come per magia. Corsi ad affacciarmi alla finestra aperta, sperando di trovarlo di sotto a ripensare su quanto avesse appena fatto. Ma no, di lui non c’era neanche più l’ombra. Guardai la mia camera completamente vuota e l’occhio mi cade sulla relazione che mi aveva fatto leggere. Presa dall’ira afferrai quell’ammasso di fogli e lo buttai all’aria, per poi gettare per fargli compagnia ogni cosa che mi capitasse sotto tiro: magliette, borse, portafotografie, libri, astucci, qualsiasi cosa…
Dentro di me sentivo un vuoto assurdo. Era come morire una seconda volta, solo che questa volta non ci sarebbe stata la parte in cui dopo sarei stata meglio. A patto che Harry non decidesse di tornare. Mi lasciai cadere a terra, sprofondando nel disastro che io stessa avevo generato. Nascosi il viso tra le gambe e ricominciai a piangere. Dall’altro lato i miei amici chiamavano il mio nome e provavano a capire cosa fosse successo, ma dopo che li respinsi entrambi smisero di provarci.
Solo una persona avrebbe potuto salvarmi in quel momento. Ma quella era la stessa che mi aveva lacerato l’anima, se ancora ne avevo una, facendomi ridurre in quelle condizioni.
«Non lasciarmi Harry, ti prego, torna da me.» Ormai era tutto inutile: lui se ne era andato e questa volta non sarebbe tornato.


here i am:

forse non ve l'ho mai detto, ma i capitoli totali della storia sono dieci + prologo ed epilogo perciò si, siamo quasi alla fine D:
comunque, che ve ne pare?
io amo la parte al passato almeno quando amo quella al presente che, anche se triste, è molto significativa per me.
a voi cosa ne pare? fatemi sapere!
grazie tante, fede xx

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Capitolo 9
*** Chapter eight ***





Chapter eight.
 

1864
Una ragazza, probabilmente nuova a palazzo, era venuta a cercarmi dicendomi che Emily, la mia dama di compagnia, si stava chiedendo dove fossi. Strano, pensai, visto che di solito ero io ad aver bisogno di lei. Per una volta decisi di non stare aspettare e andai io stessa a trovarla. Siccome all’interno del palazzo non la vidi, era certo che si trovasse insieme al resto della servitù nella zona a loro riservata.
Scesa ai pieni inferiori domandai di lei ad una delle cameriere che incontrai lungo il tragitto, che mi indicò la cucina. Mi accostai alla porta, alzando il braccio per bussare. Nonostante le differenze sociali, la mia famiglia mi aveva insegnato che tutti andavano rispettati allo stesso modo e che quindi, anch’io, avrei dovuto chiedere permesso e scusarmi per il disturbo recato. Però non lo feci. Non bussai perché qualcosa di più importante di Emily attirò la mia attenzione.
«Questa mattina sono stati trovato un altro corpo giù, nel cuore del paese.» La riconobbi subito, era la voce dello stalliere. Stava parlando di una persona morta oppure il mio udito mi stava ingannando? Poggiai l’orecchio sulla porta, per ascoltare meglio.
«Con questa siamo a quota a dodici in un mese» parlò un’altra voce, ma questa volta non seppi dire a chi appartenesse. Davvero in così poco tempo erano morte tutte quelle persone? E come mai io non ne sapevo niente? E mio padre? I miei genitori erano a corrente di cosa stesse accadendo all’interno del loro regno?
«Non importa quanto le autorità provino a mascherare le loro morti, sappiamo tutti a cosa sono dovute» fu di nuovo lo stalliere a parlare. Arrivati a quel punto non capii più niente. Di quale causa misteriosa stavamo parlando? E perché tutti si stavano impegnando per tenerla così segreta?
«Non crederai che…?» una terza voce lasciò quella domanda in sospeso. Cosa? Cos’era questa entità di cui tutti avevano paura? E soprattutto perché la temevano?
«Si, i vampiri sono in città.» Mi lasciai andare contro il muro alle mie spalle, quando sentii pronunciare dallo stalliere quella parola.
Vampiri? Esistevano davvero? No, era solo una follia.
Da piccola mi erano state raccontate delle storie al riguardo, racconti che parlavano di uomini uccisi crudelmente e di vite spazzate. I vampiri erano descritti come creature terribili, che col tempo si erano evolute fino a riuscire ad integrarsi alla perfezione con la gente normale. Era praticamente impossibile riconoscergli, se non per alcuni atteggiamenti che in pochi riuscivano però a notare.
Io avevo sempre creduto che i vampiri fossero frutto dell’immaginario popolare, una leggenda nata per spaventare la gente e intimorirla. Dei mostri che uccidevano con così tanta spietatezza e facilità non potevano esistere veramente.
«Smettila di dire sciocchezze Pete, i vampiri non esistono!» La voce tuonante di Emily mi riportò alla realtà. Mi accostai nuovamente alla porta per sentire cosa stesse dicendo. «Le tue sono soltanto schiocche fantasie di un uomo pazzo e solo.»
«Allora tu come spiegheresti le pelli lacerate, i segni di canini e il dissanguamento? Io sarò anche un uomo pazzo e solo, ma questa volta non mi sbaglio.»
Scossi la testa, non riuscendo più a reggere il peso di quella conversazione. Lasciai quegli ambienti senza neanche più preoccuparmi del perché Emily mi stesse cercando. Ero troppo scossa e preoccupata per occuparmene.
Tornai ai piani superiori, ricordami di avere appuntamento con Harry prima dell’ora di pranzo. Andai in giardino, dove avevamo appuntamento, ma lui non c’era. Aspettai una decina di minuti, ma lui non si presentò. Preoccupata andai a cercarlo in camera sua, ma quando bussai nessuno mi rispose. Anche se convinta di trovare la porta chiusa, provai comunque a spingere la maniglia che, con mia grande sorpresa, si aprii. Così, per la prima volta da sola, mi ritrovai in camera di Harry.
Era vuota, di lui neanche l’ombra. Per evitare che qualcuno mi vedesse richiusi velocemente la porta alle mie spalle. Non era giusto che io mi trovassi lì senza la sua compagnia, ma ormai per quella giornata avevo preso la piega di non fare la cosa giusta, perciò continuai su quella strada.
Mi sdraiai sul suo morbido letto, prendendo qualche minuto per riflettere. Dopo tutte le informazioni ricevute avevo bisogno di starmene un poco da sola con me stessa (cosa che non avrei mai potuto fare se fossi andata in camera mia). Chiusi gli occhi, ispirando ed espirando lentamente. Con la mano destra iniziai ad accarezzare il lenzuolo sul quale ero sdraiata. Era morbido e liscio, era quasi un piacere per il tatto. Lasciai scorrere la mano fino dove arrivava, passandola anche sui cuscini. Erano grandi e soffici e sembravano invitarti per una bella e rinvigorante dormita. Chiusi gli occhi, godendomi quel momento. Feci scivolare le dita sotto di esso, sfiorando qualcosa che me li fece immediatamente riaprire. Mi tirai leggermente su col busto, sollevando leggermente il cuscino per vedere di cosa si trattasse.
Mi ritrovai tra le mani quello che, dato l’aspetto, doveva essere un vecchio diario, quello di Harry probabilmente. Passai le dita sulla copertina rigida, percependone lo spessore e il resto. Le pagine al suo intero erano gialle e parecchio consumate. Per la terza volta in una giornata decisi di fare la cosa sbagliata e leggere quel diario. Cercai l’ultima pagina scritta, quella che doveva essere la più recente. Portava la data di due giorni fa, quindi era stata davvero scritta da poco.
“Caro diario,
ieri notte io e Juliet abbiamo fatto l’amore. È stata l’esperienza più bella e sensazionale della mia vita. E per me, che di esperienze ne ho fatte davvero tante, questo significa molto.
So che stare con lei è sbagliato, non mi sarei mai dovuto innamorare di lei eppure l’ho fatto. Non passa giorno in cui non ripeta a me stesso quanto stia sbagliando, quanto la mia vicinanza sia pericolosa per lei, che potrei farle male in qualsiasi momento, anche involontariamente. Sto giocando col fuoco, ma non riesco a smetterle di starle accanto.
La voglia che ho di lei va ben oltre la voglia che ho di nutrirmi. Quando sto in sua compagnia mi dimentico di tutto il resto, anche della mia vera natura.”
Storsi le labbra, rileggendo quell’ultimo periodo più volte per riuscire ad assimilarlo. Le prime righe mi avevano toccato veramente il cuore, ma il seguito mi aveva soltanto spaventato. Non riuscivo a capire quale fosse la preoccupazione di Harry, il motivo per cui aveva così tanta paura di ferirmi. Lui era l’ultima persona che avrebbe potuto farmi del male. L’ultimo capoverso poi non riuscivo proprio a comprenderlo. Harry mi desiderava più del cibo? O forse intendeva qualcos’altro per nutrirsi? E quale era la sua vera natura? C’era forse qualcosa che io ancora non sapevo?
«Che ci fai qui?» trasalii, lasciando cadere il diario e nascondendolo, senza farmi notare, nuovamente sotto al cuscino. Fortuna che stavo dando le spalle alla porta, altrimenti mi avrebbe visto. Mi stupii però del silenzio in cui era arrivato. Non avevo avvertito la sua presenza fino a quando non aveva parlato.
«Ti cercavo, avevamo un appuntamento al quale non ti sei presentato.» Mi voltai verso di lui, cercando di mascherare il fatto che stavo per essere colta in flagrante.
«Hai ragione, mi dispiace» disse dispiaciuto, venendo verso di me. A quanto pareva mi aveva creduto. «Ero in biblioteca a leggere dei libri sulla musica e ho perso la cognizione del tempo.» Annuii, anche se non ero del tutto convinta.
Si chinò verso di me prendendomi il viso tra le mani. Gli sorrisi, facendogli così capire che non ero più arrabbiata con lui per avermi lasciato da sola senza prima avvertirmi. «Sei perdonato» dissi. «Per questa volta» mi affrettai ad aggiungere.
Lui ricambiò il sorriso prima di baciarmi teneramente.
Quando ero arrivata in camera sua ero intenzionata a parlare con lui della conversazione che avevo ascoltato quella mattina, delle supposizioni dello stalliere riguardo all’esistenza dei vampiri e delle mie teorie al riguardo, ma adesso, improvvisamente, sentivo di non doverlo fare.
Lasciai perdere l’argomento, sforzandomi di dimenticare anche solo per qualche istante di quelle conversazione. Ma era tutto inutile. Anche tra le braccia di Harry il mio pensiero era rivolto alle parole ‘i vampiri sono in città’.
 
2012
Erano passati soltanto due giorni da quella notte, eppure sembrava essere trascorsa già una vita. Harry era come sparito nel nulla e io non sapevo davvero come rintracciarlo. Non avevo niente che mi potesse ricollegare a lui, fatta eccezione per il nostro legame mentale che però non sembrava funzionare in quell’occasione probabilmente perché lui lo impediva. Avevo saltato scuola fingendomi malata per evitare Liam, Niall, Louis o qualsiasi altro dei nostri amici che sicuramente mi avrebbe fatto qualche domanda sul perché non stessimo insieme a pranzo o durante le ore libere. Quando Jenn era in casa io o mi rinchiudevo in camera oppure uscivo fuori a fare una passeggiata per evitarla. L’unico al quale non riuscivo a sfuggire era Zayn. Passava ore abbracciato nel letto insieme a me, come un perfetto fratello maggiore, a sentire i miei sfoghi o semplicemente ad asciugarmi le lacrime. Gli ero davvero grata, se non fosse stato per lui a quest’ora avrei davvero ceduto a qualsiasi tentazione. Neanche io capivo cosa mi stesse succedendo: pensavo a Liam e l’unico sentimento che provavo era il dispiacere per averlo ferito; pensavo ad Harry e l’unica cosa che desideravo era riaverlo al mio fianco.
«Sei sicura di riuscire a stare da sola per qualche oretta?» Guardai Zayn, mordendomi il labbro pensierosa. Se fossi rimasta sola in casa sicuramente sarei scoppiata nell’ennesimo mare di lacrime, ma non potevo certo impedirgli di uscire e andare a nutrirsi. Anzi, se lo avessi fatto sarebbe stato peggio per tutti.
«Tranquillo, posso cavarmela» tentai di rassicurarlo, anche se sapevo che sarebbe servito a poco. Zayn mi conosceva troppo bene per credere che io riuscissi davvero a stare da sola nelle mie condizioni emotive, ma anche lui sapeva di essere costretto, almeno per quella notte, ad andare.
«Tornerò presto, te lo prometto» disse prima di lasciarmi un bacio sulla fronte. Il tempo di un battito di ciglia e sparì.
Rassegnata all’idea che sarei stata da sola per un bel po’ di tempo, andai in cucina a cercare qualcosa da mangiare. Siccome anch’io era da un po’ che non mi nutrivo, presi una sacca di sangue dal congelatore e iniziai a bere per recuperare in fretta le forze. Avrei voluto evitare il sangue umano, ma davvero non riuscivo ad andare a cacciare. Quando anche l’ultimo goccio della sacca fu svuotato gettai il pezzo di plastica nel cassonetto. Questo vi entrò a stento, dato che il sacco nero era pieno fino all’orlo. Vampiro o no, anche io ero costretta ad occuparmi delle faccende domestiche così, una volta chiuso ed afferrato, presi il sacchetto della spazzatura per andarlo a gettare nel bidone di fronte al palazzo.
Un comune mortale avrebbe dovuto indossare cappotto e sciarpa di lana per non soffrire il freddo, mentre io decisi che per quella sera sarei potuta uscire anche con indosso soltanto una vecchia felpa. Qualcuno avrebbe potuto guardarmi strano, ma io non ci avrei fatto caso. Lanciai il sacco nero all’interno del bidone e mi ripulii le mani prima di dirigermi nuovamente verso il portone di casa. Giocherellai con le chiavi dell’appartamento mentre salivo le scale fino al mio piano. Una volta arrivata davanti alla porta però mi paralizzai.
«Harry?» parlai con un tono di voce inudibile se noi non fossimo stati degli esseri sovrannaturali.
«Divertente vero? Quanto ho resistito lontano da te? Due giorni?» Stava seduto di fronte alla porta e, quando mi vide arrivare, si alzò in piedi restando però fermo lì davanti. «La verità è che per quanto io mi sforzi a pensare alla tua felicità, la nostra viene sempre prima.»
Non gli permisi di dire nient’altro perché mi buttai immediatamente tra le sue braccia, che mi strinsero forte contro il suo petto. «Non farlo mai più. Anche se io l’ho fatto in passato, tu non lasciarmi mai più.» Lo afferrai per la maglietta e gli diedi diversi scossoni, lasciando che le lacrime rigassero il mio viso.
«Era il 1864 quando ti ho conosciuto. Indossavi i vestiti pomposi ed eleganti che tua madre faceva cucire appositamente per te, ma che tu detestavi» iniziò a parlare e il suono calmo della sua voce mi fece tranquillizzare. Prese il mio viso tra le mani e mi asciugò le guance bagnate. Tirai su col naso, cercando di smetterla di piangere. «Portavi i capelli sciolti anche se il protocollo li richiedeva legati.» Fece scorrere una mano nella mia chioma castana, giocherellando con qualche ciocca. «Un tempo li portavi più lunghi, ma tagliati così mi piacciono. Ti fanno apparire il viso.» Abbassai lo sguardo verso il basso, imbarazzata. Dopo quasi un secolo e mezzo i suoi complimenti riuscivano ancora a farmi arrossire. «La luce nei tuoi occhi, quella non è cambiata neanche col tempo. E il tuo sorriso, è bello oggi come allora.» Si chinò verso di me, ma le sue labbra deviarono quando ormai erano ad un soffio dalle mie per baciarmi il naso, che io arricciai immediatamente. «Ti amo Juliet. L’ho sempre fatto, anche se mi sono comportato da egoista decidendo di trasformati contro la tua volontà.»
«Harry io…» Quando Harry ebbe terminato il suo discorso e io mi trovavo sul punto di rispondere, il rumore di qualcosa che cade a terra e si rompe catturò la nostra attenzione. Ci voltammo di scatto in quella direzione, individuando subito una cornice a terra, ormai andata in mille pezzi. Una fotografia giaceva ai piedi di un ragazzo. Quel ragazzo era Liam. Il suo sguardo, spaventato e smarrito, si spostava alla velocità della luce da me a Harry. Quando capì che sapevamo fosse lì, scappò via. Harry scattò subito in avanti, ma io lo bloccai. «Sei impazzita Juliet, dobbiamo fermarlo!» mi urlò contro, ma io aumentai solamente la presa.
«Niall, ci serve Niall» dissi soltanto, trattenendolo ancora su quel pianerottolo.
«Niall?» Lo guardai e annuii.
«Qualsiasi cosa noi diremo o faremo peggiorerebbe soltanto le cose. Niall è l’unico che può farlo ragionare adesso.» Harry sembrò convincersi e annuii alla mia idea. Mollai così la presa sul suo braccio e insieme andammo a trovare Niall.
 
Era passata circa un’ora da quando eravamo usciti alla ricerca di Liam. Ci eravamo divisi, ognuno dei quattro avrebbe preso una strada diversa: Niall si mantenne nei paraggi, provando a rintracciarlo in qualsiasi modo a lui possibile; Jenn andò a casa sua, dove speravamo fosse tornato; Harry lo cercò a scuola e nei dintorni; io invece perlustrai tutti gli altri luoghi che era solito frequentare.
«Ci sono novità?» Guardai Niall, supplicandolo con lo sguardo di darmi una bella notizia. Lui buttò giù il telefono, facendo di no con la testa.
«Il telefono è ancora staccato» disse, alzandosi dal muretto su cui era seduto e iniziando a fare avanti e indietro per la strada.
«Dobbiamo trovarlo, non possiamo lasciarlo in giro per la città dopo quello che ha sentito» disse Harry, col tono di chi sta impartendo un ordine ai suoi soldatini.
«Beh, se è tanto semplice perché non usi i tuoi poter da super vampiro e lo rintracci tu?» Niall guardò Harry con sguardo duro, un’espressione che mai avevo visto formarsi sul suo viso. Harry scattò in avanti, pronto ad aggredirlo. Afferrai la sua mano, pregandolo col pensiero di farsi indietro e così fece.
Jenn ci raggiunse anche lei al centro della piazza dove avevamo appuntamento, ma neanche lei portava buone notizie. «Non sono riuscita a trovarlo, mi dispiace.»
Un urlo poi, fece trasalire tutti e tre. «È lui, è Liam» dissi velocemente, precipitandomi nel punto esatto dove avevo sentito le grida. Un vicolo qualche metro distante da noi, un posto appartato e buio che nessuno avrebbe mai notato a quell’ora della notte.
Lo spettacolo che mi si presentò davanti fu a dir poco raccapricciante. Un uomo, ormai morto, stava giacendo a terra. Liam, accanto a lui, cercava di recargli soccorso anche se ormai era tutto inutile. Poi arrivò Zayn, che si catapultò su Liam schiacciandolo al suolo. Fu quello l’istante che mi fece scattare.
«Zayn lascialo» urlai, afferrandolo per le spalle e spingendolo lontano da Liam che, tremante, mi guardava terrorizzato. In quel momento arrivò Harry, ma con un cenno veloce gli feci segno di andare da Zayn ed occuparsi di lui.
«Liam va tutto bene, tranquillo.» Allungai una mano verso di lui per toccarlo, ma lui si mosse indietro allontanandosi da me. Aveva paura. Aveva paura di me. Niall arrivò di corsa e, senza che io gli dicessi niente, aiutato da Jenn, prese Liam e lo allontanò da lì.
«Juliet, dovresti venire qua» mi chiamò Harry con voce smorzata. Mi voltai nella sua direzione, aspettandomi tutto tranne quello che vidi.
«Oh mio dio! Zayn!» Harry si spostò, lasciando spazio a me. Senza volerlo avevo spinto Zayn contro un vecchio tavolo di legno, conficcandogli uno dei piedi dritto nel petto.
«Zayn, ti prego, Zayn, non andartene!» disperata, iniziai a pregare che lui rimanesse con me, mentre gli toglievo quel pezzo di legno dal cuore.
«Ehi, non è successo niente, non è colpa tua» disse con voce smorzata, a fatica riusciva a parlare. «In fondo sono stato fortunato, ho vissuto parecchio per avere 18 anni» sorrise debolmente. Anche mentre moriva provava a farmi stare meglio, a non farmi pesare quella situazione.
«Tu starai bene Zayn, adesso troveremo un modo per riportarti in forze.» Mi obbligavo a non pensare che quello che per me era come un fratello mi stesse lasciando.
«Grazie per essere stata come una sorella Juliet. Ti voglio bene, non scordartelo mai.» In un sussurro disse a me quelle che furono le sue ultime parole.
Dopo tutte le lacrime versate credevo di non averne più a disposizione, ma invece mi sbagliavo. Mi piegai sul corpo di Zayn, iniziando ad urlare per la disperazione. Se ne era andato via e la causa ero io. Lo avevo ucciso perché avevo agito d’istinto senza prima pensare. Adesso non avrei più avuto nessuno con cui confidarmi, nessuno che mi capisse in fondo, nessuno che mi facesse da famiglia. Non avrei più potuto prenderlo in giro per il suo buffo ciuffo o per il suo atteggiarsi a belloccio della situazione. Non avrei più avuto un migliore amico perché il mio lo avevo ucciso.
«Ti voglio bene, Zayn» dissi tra le lacrime, baciandogli una guancia.
Senza che dicessi niente, Harry si sedette al mio fianco passandomi un braccio attorno le spalle e stringendomi a sé. Mi baciò la testa, ma non parlò. Rispettò le mie lacrime e il mio silenzio, lasciando che io dessi il mio addio a Zayn.
«Mi mancherai fratellone» fu l’ultima cosa che riuscii a dire, prima che il suo corpo si trasformasse in un cumulo di cenere.


here i am:

scusate l'attesa, spero che questo capitolo vi sia piaciuto in modo che possiate perdonarmi. anche se, dato quello che succede, non credo :/
mi dispiace per zayn, ma diciamo che era una cosa necessaria per lo svolgimento della storia cwc
e poi è soltanto per finzione, perciò concedetemelo..
volevo ringraziare tutte voi per le recensioni, che dal prologo vanno sempre aumentando ♥
adesso vi lascio il link di una one shot che vorrei voi leggeste, basta cliccare sul banner qui sotto c: (il link dovrebbe funzionare... almeno spero çç ahah)

 

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Capitolo 10
*** Chapter nine ***





Chapter nine.
 

1864
«Emily, posso farti una domanda?» Poggiai il libro che avevo ormai terminato di leggere sul tavolo dello studio e aspettai che lei mi rispondesse.
«Certo, mi dica» rispose col suo solito tono educato e rispettoso. Rimuginai qualche istante sulla domanda, prima di decidermi a porla.
«Tu credi nell’esistenza dei vampiri?» La risposta sarebbe dovuta essere negativa, ma la sua reazione immediata mi fece ricredere. Spalancò gli occhi e serrò la mascella di fronte a quella mia domanda inaspettata e sicuramente inusuale.
«Perché me lo state chiedendo?» evitò di rispondere, cercando di apparire calma e tranquilla quando non era affatto così. Forse aveva capito che avevo origliato la conversazione che aveva avuto con lo stalliere e gli altri in cucina.
«L’altro giorno ho letto un libro di leggende e citava l’argomento» mentii, sperando che lei mi credesse.
«Libri di questo genere si trovano solo nella sezione proibita della libreria» affermò, guardandomi sconcertata. Spalancai la bocca di fronte a quanto aveva detto.
«Sezione proibita? Abbiamo dei libri segreti a palazzo?» L’idea mi eccitava parecchio. Non ero mai stata a conoscenza di una sezione del genere e mai l’avevo vista, nonostante in passato avessi trascorso le mie giornate in quella libreria.
«Si dimentichi quello che ho detto, per favore. I vampiri sono solo creature inventate dall’immaginario collettivo per manifestare le proprie paure a mio parere» rispose infine, cercando di riporre la mia attenzione nuovamente sull’argomento vampiri e non più sulla sezione proibita, come lei l’aveva definita. Il suo sguardo preoccupato e assente mi fece capire che forse avrei fatto meglio ad assecondare la sua richiesta e a lasciar perdere almeno per il momento.  
«Oggi è una bella giornata» cambiai argomento, alzandomi e andando ad affacciarmi alla grande finestra. Il sole filtrava dal vetro, illuminando l’intera stanza.
«La primavera è finalmente arrivata» rispose, sorridendomi. Smettendo di farle domande l’avevo sicuramente tranquillizzata. «A proposito di primavera» sembrò ricordarsi di qualcosa. Mi voltai verso di lei, aspettando che continuasse. «Queste dovrebbero essere vostre.» Strette nella sua mano tendeva verso di me le maschere che la sera del ballo io e Harry avevamo abbandonato nel corridoio fuori dal salone da ballo noncuranti delle conseguenze che ci sarebbero potute essere se qualcuno, come ad esempio mio padre, le avesse viste.
«Oh grazie Emily» dissi, raccogliendo le maschere dalle sue mani. «Per fortuna le hai trovate tu» mi lasciai andare ad un sospiro di sollievo.
«Proprio di questo le volevo parlare signorina Juliet.» Alzai lo sguardo verso di lei, corrucciando la fronte. Era agitata, non l’avevo mai vista così.
«Cosa succede Emily?» le feci segno di accomodarsi di nuovo e mi sedetti di fronte a lei per ascoltare il tuo discorso. Da quando avevamo iniziato a parlare non sembrava trovare pace. Ogni conversazione iniziata andava a finire in un modo che nessuna le due avrebbe previsto e questa non era affatto una cosa piacevole.
«Emily ti prego, così mi fai soltanto preoccupare.» Strinsi la sua mano, infondendole coraggio.
«Ecco, io volevo parlare di quel ragazzo con cui vi vedete» iniziò titubante. La guardai annuendo. Fino a qui mi sembrava tutto normale.
«Harry» dissi il suo nome e lei annuì.
«Forse potrà suonarvi strano signorina, ma io vorrei che voi prestaste molta attenzione quando siete con lui.» Puntò i suoi occhi dentro i miei e abbozzò un sorriso. Si aspettava una risposta, ma io non sapevo davvero cosa dire.
«State tranquilla, non dovete temere la reazione di mio padre. Siamo molto attenti e…»
«Non ho paura di vostro padre, signorina» mi bloccò quando ebbi appena iniziato a parlare. Feci una smorfia che manifestò la mia sorpresa ma soprattutto la mia confusione.
«Emily io non capisco.» La donna mi guardò, scuotendo la testa debolmente.
«Siate prudente, ho paura che lui vi possa fare del male.»
«Lui chi? Harry forse?» le domandai, alzando leggermente il tono di voce per l’assurdità della cosa. Come poteva Emily pensare che l’unica persona capace di farmi sentire bene in quel momento potesse farmi del male?
«Vi prego signorina, ascoltatemi io…» provò ancora a dire qualcosa, ma l’arrivo di mia madre la interruppe bruscamente.
«Emily, sei qui» la chiamò all’ordine.
«Si signora duchessa?» rispose lei.
«Avrei bisogno del tuo aiuto per sbrigare alcune faccende» disse mia madre. «Juliet, mia cara, ti dispiace se viene con me?» domandò poi alla sottoscritta.
«Certo che no madre, io avevo giusto in mente di andare a riposare in camera mia» acconsentii, anche perché non avevo più voglia della compagnia di Emily. Quel discorso fatto su Harry mi aveva infastidito più di quanto avesse fatto il suo tacere alla mia domanda. «Sicuramente questa sera salterò la cena, non mi sento bene» aggiunsi prima che Emily e mia madre lasciassero la stanza.
«D’accordo, allora vai pure in camera tua, darò ordine ai domestici di non disturbarti» rispose mia madre, sorridendomi dolcemente. Io annuii, aspettando che se ne andassero per seguirle fuori ad quella stanza.
Come detto, andai in camera mia, ma, invece che dormire, aspettai che il pomeriggio trascorresse e che il sole tramontasse per uscire nuovamente. L’idea di una sezione proibita della libreria viaggiava ancora nella mia testa e non voleva uscire. Perciò, anche se con gli abiti da notte e una vestaglia addosso, mi addentrai nella libreria.
Camminavo lungo quei corridoi con passo esperto e deciso tanto gli conoscevo bene. Passavo ogni scaffale domandandomi dove questa sezione segreta potesse mai nascondersi. Dopo aver vagato senza meta per qualche ora, mi appoggiai ad uno scaffale stanca e sfinita.
«Forse neanche esiste quello che sto cercando» mugugnai, poggiando le mani sui libri alle mie spalle, tastandone lo spessore. Uno in particolare, sottile ma dalla copertina rigida, attirò la mia attenzione. Mi voltai per prenderlo, ma quando lo tolsi dallo scaffale mi accorsi che erano semplicemente dei fogli vecchi e gialli rilegati tra di loro. Un libro vuoto, ecco cos’era.
Un rumore poi, pesante e forte, echeggiò nella stanza. Mi affiancai allo scaffale e, con mio grande stupore, una porta si era aperta sul retro. «Come è possibile?» domandai a me stessa, mentre tentavo di infilarmi nel poco spazio che esisteva tra lo scaffale e il muro. Per mia fortuna ero sempre stata una ragazza minuta, per questo mi fu facile introdurmi in quella stanza segreta.
Un odore di chiuso e marciò mi investì subito, facendomi quasi pentire di essere entrata. Tastai il muro affianco al mio, fino a trovare una fonte di luce. L’accesi e quello che si presentò davanti ai miei occhi fu una stanza molto piccola, persino più di quelle riservate alla servitù. Ci sarebbe stata dentro una, massimo due persone alla volta. Due sole librerie erano presenti all’intero, ma traboccavano di libri. Una scrivania di un legno misero stava al centro, con una sedia fatta dello stesso legno. Una candela spenta e quasi consumata del tutto sul tavolo probabilmente per aiutare la lettura.
«La sezione proibita, eccola» esclamai estasiata. Passai a rassegna ogni singolo libro di entrambi gli scaffali, ammirandone la qualità della carta e l’ottima rilegatura. Erano libri dai titoli strani, o meglio insoliti. Parlavano di sortilegi, stregoneria, figure mitologiche e tante altre stranezze. Poi lo trovai, il libro che stavo cercando. Così, seduta su quella vecchia sedia, poggiata ad un tavolo instabile e illuminata solo da una fioca luce lessi quello che mi avrebbe portato a conoscenza di un qualcosa troppo grande per me, un qualcosa a cui non ero pronta, ma dal quale probabilmente non sarei mai riuscita a scappare. Qualcosa che avrebbe segnato il mio destino, qualcosa che mi avrebbe cambiato radicalmente la mia vita a partire dal preciso istante in cui io avrei voltato l’ultima pagina e richiuso il libro.
 
2012
È sconvolgente come una sola notte possa segnare radicalmente la tua vita… due volte. La prima volta avvenne nel 1864, quando a soli diciassette anni morii per poi rinascere come un vampiro. La seconda volta fu la notte dove, a causa di un fottuto scherzo del destino, persi per sempre il mio migliore amico.
«Bevi questa, ti farà rilassare.» Alzai il viso e vidi Harry porgermi una tazza fumante.
«Cos’è?» domandai titubante. Dopo i tranquillanti che avevano fatto prendere a Liam per riportarlo a casa avevo paura a bere o mangiare qualsiasi cosa mi offrissero. Non sapevo come Jenn fosse in possesso di quei farmaci, ma sicuramente non era una cosa che mi interessava al momento, anche perché lei non c’era. Aveva riportato Liam a casa insieme a Niall e poi erano rimasti a fare la guardia fuori da casa sua nel caso in cui si sarebbe svegliato (cosa comunque molto improbabile).
«Della semplice cioccolata calda» mi disse, porgendomi nuovamente la tazza. La presi tra le mani e l’avvicinai al naso per annusarne il contenuto. «Non ho intenzione di sedarti, puoi stare tranquilla» commentò, intuendo quale fosse la mia preoccupazione. Poggiai le labbra sul bordo della tazze e bevvi un piccolo sorso per accertarmene del tutto. La cioccolata era realmente cioccolata alla fine.
«Come ti senti? Anzi no, lascia stare, non rispondere» disse tutto di fila, come se subito dopo avermi chiesto come stessi si fosse reso conto di quanto stupida potesse essere la sua domanda.
«Vediamo» risposi comunque perché stare in silenzio mi faceva pensare e pensare mi induceva a stare male. «Per evitare che il mio migliore amico vampiro uccidesse il mio ex fidanzato umano l’ho spinto con violenza lontano da lui, facendolo catapultare su un vecchio tavolo in legno e conficcandoli così, senza neanche volerlo, quello che ha rappresentato un paletto nel cuore» riassunsi gli eventi della serata cercando di farmeli scivolare il più possibile di dosso, anche se con scarsi risultati. «Tutto sommato direi che sto bene» sentenziai alla fine. «Ah no giusto, sto comunque una merda perché lui prima di morire ha tenuto a precisare che la sua morte non è stata dovuta a me quando invece è chiaro come la luce del giorno che la responsabile di tutto questo sono soltanto io.» Sorrisi falsamente, bevendo un altro sorso di cioccolata.
«Mi dispiace per Zayn» disse debolmente Harry. Mi voltai verso di lui, aspettando che aggiungesse altro. «Insomma, non lo conoscevo ma a quanto ho capito ti è stato molto vicino in questi anni.»
Annuii, poggiando la tazza ancora piena sul tavolino di fronte a noi. «È stato come un fratello, l’unico ad esserci per me mentre il mondo mi lasciava da sola.» Per quanto mi sforzassi a non pensarci, ogni singolo ricordo che condividevo con Zayn mi si ripresentò alla mente anche se io cercavo di trattenerli.
«Sono sicuro che lui non vorrebbe vederti così.» Abbassai lo sguardo sulla mia gamba quando sentii la mano di Harry strofinarmi la coscia. Nel suo piccolo stava cercando di consolarmi.
«Grazie» pronunciai piano «per essere rimasto con me.» Feci scivolare la mia mano sotto la sua finendo col stringerla. La sua presa mi faceva sempre sentire protetta, al riparo.
«Sono tornato per restare.» Mi avvolse con le sue forti e muscolose braccia, stringendomi a sé. Le sue braccia erano il mio rifugio.
«Cosa hai intenzione di fare? Con Liam intendo» mi chiese, dopo un attimo di esitazione.
Rimasi in silenzio mordendomi il labbro pensierosa. Dopo la perdita di Zayn non avevo più pensato a Liam e al fatto che adesso fosse a conoscenza della mia, della nostra, vera natura. Pensai a me e a come reagii io quando ebbi scoperto di Harry. Ero disorientata, terrorizzata, come persa nel buio. Poi pensai a Niall e a come invece l’avesse presa bene lui. Era riuscito a non farsi scoppiare quella bomba tra le mani grazie all’amore che provava per Jenn. Ma adesso non si trattava né di me, né di Niall. Era Liam a doversela vedere con quella bomba e io non volevo per nessuna ragione al mondo che gli esplodesse tra le mani.
«Fai che si dimentichi tutto, a partire da questa notte fino al giorno in cui mi ha conosciuto» pronunciai infine quella che fu la mia sentenza.
Harry mi guardò come in disaccordo, corrucciando la fronte. «Sei sicura? Magari potrei fare in modo che non ricordi soltanto questa notte, mentre tutto il resto…»
«No, Harry» lo interruppi bruscamente, alzandomi dal divano sul quale eravamo seduti e avvicinandomi alla finestra del salotto di casa mia. La città era avvolta dalla notte, mancavano ancora un paio di ore prima dell’alba. «Voglio che si dimentichi di me, voglio che il mio volto per lui non riporti a galla nessun ricordo, voglio scomparire per sempre dalla sua vita e da quella di tutti coloro che mi hanno conosciuto.»
«D’accordo, se è questo che vuoi lo farò.» Mi voltai verso di lui, che adesso si trovava a un passo da me. Non lo avevo sentito alzarsi per raggiungermi, ma ero comunque felice che lo avesse fatto.
«Però non soffrirai sapendo che la persona che ami non si ricorderà mai più di te?» Abbassò lo sguardo verso la punta delle sue converse, evitando così il mio. Con due dita sotto il mento gli feci rialzare il viso, obbligandolo a guardarmi. Solitamente ero io quella che distoglieva lo sguardo perché incapace di sostenere il suo e quella situazione era abbastanza insolita e divertente in un certo senso per me.
«Pensavo che ormai l’avessi capito che l’unico di cui io sia mai stata innamorata sei tu.» Le parole uscirono da sole dalla mia bocca. Non fu neanche necessario pensare a cosa dire perché la frase giusta si era fatta spazio tra le altre inesatte da sola.
Il sorriso meraviglioso che mi riservò subito dopo mi fece capire che finalmente lo aveva capito. Mi cinse i fianchi con le mani, attirandomi a sé fino a quando i nostri petti non si scontrarono. Con la stessa velocità la mano sinistra abbandonò il mio fianco, poggiandosi sulla mia guancia. Mi accarezzò il viso con un tocco quasi impercettibile per quanto fu delicato. L’altra mano intanto era finita sul limite della mia schiena, poco al di sopra del sedere. La usava per tenermi stretta a sé per non lasciarmi andare. Le mie mani, che erano poggiate sul suo petto, salirono verso le sue spalle, fino a rincontrarsi dietro il suo collo. Mi alzai leggermente sulle punte per far si che i nostri nasi si potessero toccare. Il suo respiro era lento e regolare, così come il mio. Non c’era bisogno che lo facessimo, ma ormai era un’abitudine respirare. Profumava di menta e fresco, un odore che mi inebriò subito le narici per quanto era buono. Con le dita intrecciai i ricci che si trovavano alla base del collo, mentre mi avvicinavo ancora di più a lui fino ad arrivare a sfiorargli le labbra.
Annullò la ormai misera distanza tra di noi con un bacio dal sapore di fragola, lo stesso che la sua bocca aveva durante il nostro primo bacio. La sua lingua si intrecciava alla mia ormai esperta e pronta. Continuammo a baciarci ininterrottamente, felici almeno quella volta di non avere la necessità di riprendere fiato. Quell’abitudine improvvisamente sembrò di una inutilità quasi assurda. Fece scivolare entrambi le mani sul mio sedere, agitando una leggere pressione per sollecitarmi a sollevarmi da terra. Feci come mi chiese e, con il suo aiuto, riuscii ad intrecciare le gambe attorno al suo bacino. Mi teneva stretta a sé, mentre continuava a baciarmi desideroso e passionale.
Dal salotto alla mia camera il tragitto fu breve. Come durante quell’equinozio di primavera del lontano 1864 i nostri corpi si unirono tra loro, diventando uno solo. Le nostre emozioni si fusero in un tutt’uno, scatenando un tornado inarrestabile.
E, con Harry insieme a me, improvvisamente iniziai a credere che forse sarei di nuovo potuta essere felice. Non più da sola, non più persa nel buio. Semplicemente felice.


here i am:

scusate il ritardo, mi sono distratta e ho dimenticato di postare lol
allora, siamo quasi alla fine..
spero che il capitoli vi sia piaciuto e... niente, non so bene cosa dirvi lol
mi dispiace se non ho avvisato tutte, ma non sono a casa e non ho con me i nick di chi segue la storia :/
grazie a tutte, un bacio

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Capitolo 11
*** Chapter ten ***





Chapter ten.
 

1864
La testa pulsava ad un ritmo inspiegabile e ogni parte del corpo mi faceva un male atroce. Cercai di ritornare con la mente a quello che era successo prima che svenissi. Ero andata da Harry, assurdo o no avevo scoperto che era un vampiro, mi aveva morsa ed ero caduta in una pozza di sangue. Ma a quanto pareva non ero morta. Una sensazione di sollievo nacque dentro di me, alimentata dal fatto che Harry non mi aveva ucciso. Non ancora almeno.
Aprii lentamente gli occhi e vidi la stanza in cui mi trovavo illuminata dalla luce fioca di una candela. Provai a tirarmi su con la schiena, ma avevo delle vertigini troppo forti per riuscirci. Dovevo aver perso molto sangue stando alle macchie rosse presenti sulla mia camicia da notte.
«Sei ancora troppo debole, devi nutrirti prima di provare ad alzarti.» Scattai di scatto, voltandomi verso la direzione della sua voce. Harry stava seduto su di una sedia accanto al letto e mi guardava con i suoi chiari occhi verdi che adesso avevano ripreso colore. Non erano più spenti come l’ultima volta che gli avevo visti, ma erano tornati ad essere quelli occhi che mi avevano fatto innamorare di lui. Poi però ricordai dell’aggressione, mi tornò in mente la sua violenza e tutto quello che avevo scoperto leggendo il libro trovato nella sezione proibita. Così, con la stessa velocità con cui si era presentata, l’immagine di quel ragazzo puro e d’animo di cui mi ero innamorata scomparve.
«Cosa vuoi da me? Lasciami andare!» gli urlai contro, scattando sull’attenti e allontanandomi da lui spostandomi da una parte all’altra del letto.
«Non posso, non più ormai» disse sorridendomi amaramente. Lo guardai cercando di cogliere la ragione nelle sue parole. Cosa voleva dire? Perché ormai sembrava essere troppo tardi per lasciarmi andare? Poi un lampo di genio mi colpì.
«Cosa mi hai fatto?» dissi dapprima in un sussurro tra me e me. «Cosa mi hai fatto?» urlai poi in preda alla disperazione.
«Juliet calmati, andrà tutto bene, fidati di me» iniziò a ripetermi come se fosse una cantilena. Si avvicinò a me, ma io mi scansai immediatamente, finendo col attaccarmi alla velocità della luce al muro.
«Io… come ho fatto? Come posso essere stata così veloce?» Mille domande si mischiavano nella mia testa, facendomela scoppiare. Era come se un caos enorme governasse la mia mente, offuscandola e mandandola in confusione.
«Ascoltami, sei troppo debole in questo momento. Devi soltanto sdraiarti e bere.» Fece cenno col capo a un bicchiere poggiato sul mobile ripieno di un liquido rosso. Nonostante fosse lontano da me ne sentivo l’odore come se ce lo avessi sotto al naso. Ognuno dei miei sensi era amplificato: percepivo ogni singola crepa del muro, anche la più minuscola; captavo ogni rumore, anche il più insignificante e lontano; dalla finestra riuscivo a vedere anche il dettaglio più minuscolo e distante; percepivo qualsiasi profumo si alzasse nell’aria; le papille gustative bruciavano e bramavano qualcosa che non riuscivo a identificare.
«Hai bisogno di calmarti e di bere per ristabilirti» disse di nuovo, allungandomi quel bicchiere al quale prima aveva soltanto accennato. Lo avvicinò a me e il suo odore si impossessò immediatamente delle mie narici. Sentivo ogni parte del mio corpo pulsare, segno che quel qualcosa che desideravo così ardentemente era proprio quel liquido rosso.
Titubante ne bevvi un primo sorso, per poi finire col scolare il bicchiere e non essere ancora sazia. Seppur dannatamente buono aveva un sapore strano, insolito, inspiegabile. «Cos’è?» chiesi ad Harry titubante.
Lui mi sorrise amaramente, prima di rispondere: «Sangue.»
Improvvisamente lasciai cadere a terra il bicchiere che prima stringevo tra le mani in maniera gelosa e possessiva. Il fatto che quello fosse sangue faceva si che il mio cervello lo rifiutasse, anche se il mio corpo continuava a desiderarlo.
«Perché? Perché mi sento così strana? Perché mi sento ribollire dentro? Perché mi sento bruciare la gola?» gli chiesi a raffica, pregando che questa volta mi rispondesse.
«Perché ti ho trasformata Juliet, adesso sei come me.»
La stanza attorno a me iniziò a girare e in quello che fu un attimo mi ritrovati seduta a terra. Fissavo un punto indefinito davanti ai miei occhi. Tutto improvvisamente sembrava essere così irreale e finto, come se al minimo tocco da parte mia potesse smaterializzarsi. In sostanza ero morta e poi resuscitata come un mostro succhia sangue.
Guardai Harry chinato su di me e l’unica cosa che riuscii a provare fu una sensazione di volta stomaco e di ribrezzo. «Non toccarmi» gli dissi fredda, allontanandolo da me.
«Se solo mi lasciassi spiegare io-»
«Spiegare? Cosa c’è da spiegare, Harry?» lo interruppi, riprendendo ad urlare. «Mi hai rovinato la vita, mi hai distrutto l’esistenza!» Il suo volto dinanzi a quelle parole si incupì, diventato triste e scuro. Qualsiasi spiegazione, qualsiasi tentativo di giustificare quel gesto sarebbe stato vano.
«Non voglio più vederti» fu l’ultima cosa che gli dissi, per poi scappare da quella camera, o meglio, da Harry.
Fui costretta a lasciare il palazzo, era l’unica alternativa che avevo. Non avevo un posto dove andare e non ero lucida di testa, ma in qualche modo sarei sopravvissuta all’inferno in cui Harry mi aveva gettato.
 
2012
«Non vorrei essere costretto a trascinarla via dal suo bel sogno signorina Juliet, ma il cielo è già alto in cielo e lei deve prepararsi per l’imminente pranzo di oggi.» Per un attimo mi parve di stare sognare. Quel linguaggio, quei modi, quelle usanze erano ormai così lontana dal tempo in cui vivevamo che non potevano essere ancora in uso. Poi ricollegai gli avvenimenti dell’ultima notte trascorsa e, nonostante un senso di vuoto continuasse a perseguitarmi, riuscii a sorridere. Aprii gli occhi lentamente, ritrovandomi gli occhi più belli dell’intero universo intenti a guardarmi.
«Hai rispolverato le vecchie maniere?» domandai ironica. Harry si avvicinò a me senza rispondere, chinandosi per baciarmi dolcemente le labbra.
«Pensavo che un po’ di galanteria ti facesse piacere» rispose sorridendomi. Mugugnai qualcosa di incomprensibile per risposta, afferrandolo per un braccio e tirandolo giù sul letto. Volevo che stesse accanto a me, volevo sentirlo vicino.
«Buongiorno» disse dolcemente, baciandomi i capelli. Poggiai la testa sul suo petto e rimasi in silenzio, ascoltando il rumore dei nostri respiri che adesso erano tornati a farsi sentire regolarmente. Durante la notte, avidi come eravamo stati, avevamo scordato completamente come si facesse.
«Da quanto sei sveglio?» gli domandai, notando solamente adesso che era vestito e non portava gli stessi abiti del giorno prima. Anche perché la maglietta che aveva indossato ieri adesso l’avevo indossata io. Mi piaceva mettere le sue cose: il suo profumo mi rimaneva sulla pelle e potevo sentirlo vicino a me ogni volta che lo desideravo.
«Un paio d’ore, ho pensato di lasciarti dormire mentre io…» lasciò la frase in sospeso, forse sperando che io capissi cosa volesse dire, anche se non fu così.
«Mentre tu?» lo incitai dunque a concludere.
«Mentre io andavo da Liam.» Alzai la testa verso di lui, rimanendo a guardarlo in silenzio. Mi morsi il labbro, cercando di respingere tutte le emozioni che si stavano formando dentro di me: rabbia, dispiacere, tristezza, delusione. Si esatto, delusione. Ma non verso di lui, ma nei miei confronti. Ero delusa di me stessa perché non ero riuscita a tenerlo al sicuro da quel mondo che avevo provato per tanto tempo a tenergli all’oscuro. Non solo lo aveva scoperto, ma anche in uno dei modi più peggiori. Probabilmente non sarei mai riuscita a perdonarmi per questo. Questo e tante altre cose.
«Va tutto bene?» Harry sicuramente aveva scorto la preoccupazione in me. Annuii, evitandogli anche quell’altro peso da dover portare.
«Lo sai che se hai bisogno di sfogarti con me puoi farlo, vero?» mi disse teneramente, accarezzandomi il viso. Quando lo fece presi la sua morbida mano e la baciai.
«Cosa faremo adesso?» Usai il plurale intenzionalmente. Volevo fargli capire che da adesso volevo stare con lui, che volevo progettare un lungo ed interminabile futuro insieme a lui.
«Prima di tutto andare via da qui» disse e sembrò quasi un ordine. Però non obiettai, sapevo che comunque lo avremmo dovuto fare prima o poi.
«E dopo?» domandai ancora, come una bambina alla continua ricerca di spiegazioni.
«E dopo possiamo andare ovunque tu voglia: Londra, Parigi, Los Angeles, Roma» elencò solo alcune delle città più belle e magiche del mondo, costringendomi così a immaginare ad occhi aperti come sarebbe potuta essere la nostra vita tra le strada della vicina capitale inglese oppure in quelle della più lontana California. «Ovunque tu voglia» ripeté alla fine, sigillando il tutto con uno dei suoi baci travolgenti.
«Mmm..» feci finta di pensarci sopra, leccandomi le labbra per assaporare ancora il sapore delle sue. «Sei sicuro di volermi lasciare carta bianca? Sai, potresti andare incontro a parecchi rischi» lo provocai, strofinando il naso sul suo collo giusto per provocarlo un pochino. Mi piaceva giocare con lui in quel modo, mi aiutava a rilassarmi e a distendere i nervi, anche se probabilmente non facevo altro che aumentare i suoi.
«Stai giocando col fuoco, lo sai?» disse con voce bassa e maliziosa, senza però opporre poi così tanta resistenza. Mi tirai leggermente indietro, soffermandomi a guardare il suo viso. Sorrisi, perché quella frase, per quanto ammaliatrice e provocatoria, portò alla mente uno dei miei ricordi più belli ed intensi. Lui sorrise soddisfatto perché sicuramente aveva intuito dove la mia mente fosse andata a finire.
«Aspetta, com’era?» gli feci attendere qualche minuto la mia risposta, fingendomi di essermene dimenticata. «Ah si» finsi di avere il colpo di genio. Mi sedetti a cavalcioni su di lui, costringendolo a sdraiarsi sotto di me. Poggiai le mani sul suo petto e lentamente mi chinai verso di lui, avvicinando la bocca al suo orecchio. «Magari potresti insegnarmi a non bruciarmi» gli dissi, sorridendo in modo malizioso. Il tempo di un istante e le posizioni furono da lui ribaltate, costringendomi a rimanere inerme bloccata tra le sua braccia. Tornò a baciarmi, ma proprio sul più bello fummo interrotti da un finto colpo di tosse.
«Scusate se interrompo la vostra sessione di sesso mattutino, ma abbiamo un problema.» Harry si alzò di scatto, mettendosi seduto al mio fianco. Io mi tirai su con la schiena, appoggiandomi a lui piuttosto che alla tavarca del letto.
«Cosa succede adesso, Jenn?» le domandai scontrosa, mentre lisciavo con le mani le pieghe della maglietta di Harry che portavo addosso.
«Si tratta di Niall, vuole essere trasformato: adesso.»
 
«L’ho trovato in mezzo alla strada pronto a farsi investire da un tir» raccontò brevemente Jenn, mentre Niall era tenuto seduto sul divano da Harry.
«Ti è per caso dato di volta il cervello, Niall? Cosa credevi di fare, eh? Farti ammazzare così poi saremmo state costrette a farti bere il nostro sangue?» gli urlai contro. Dire che ero furiosa con lui sarebbe stato sminuire la cosa.
«Aspettate un attimo, perché farti investire? Perché non farti trasformare direttamente da Jenn?» I conti non rientravo affatto nel bilancio. Jenn aveva sempre incitato Niall alla trasformazione, ero io quella contraria. Ma allora perché Niall aveva ricorso ad un gesto tanto estremo?
«Hai cambiato idea?» domandai a Jenn, voltandomi verso di lei. «Non vuoi più che si trasformi?» Provai una bellissima sensazione di sollievo nel sapere che adesso non ero l’unica a remare contro le volontà di Niall. Incrociai gli occhi chiari di lei, che cercava disperatamente di nascondere il viso dietro i capelli biondi che però non erano abbastanza lunghi per aiutarla.
«Dice che dopo quello che è successo con Liam e Zayn non se la sente di costringermi a fare una cosa del genere» mi spiegò Niall, guardando verso di lei piuttosto che me. «Quello che non capisce è che io non lo faccio perché sono costretto, lo faccio perché la amo!» Niall fece per alzarsi ed andare da lei, ma la prese ferrea di Harry sul suo braccio glielo impedì, riportandolo col sedere sul divano.
«Quello che è successo ieri notte ha sconvolto tutti quanti, vi sembra davvero adesso il momento migliore per discutere sulla morte e resurrezione di qualcuno di voi?» Harry mi stupì con quelle parole. Non che fosse la prima volta che lo sentissi dare ordini o comandare, ma suonava strano che lo facesse in quel contesto in quel determinato momento.
«Harry ha ragione» dissi «non è necessario parlare adesso dell’eventuale trasformazione di Niall.»
«Cosa? No!» urlò il biondo. «Quello che voi non capite è che io voglio diventare un vampiro ad ogni costo! Solo così potremmo stare per sempre insieme Jenn, non lo capisci?» Jenn ebbe un sussultò e si voltò, dando le spalle al suo ragazzo. Allora feci segno ad Harry di mollare la presa, così che i due potessero avvicinarsi.
«So che sei spaventata e che hai paura per me, ma non mi succederà niente di male, te lo prometto.» Niall adesso che la teneva stretta a sé le parlava più dolcemente. Entrambi si preoccupavano dell’incolumità dell’altro, cercavano in qualche modo di proteggersi a vicenda.
«Ascolta Niall, non è necessario che tu ti trasforma adesso» parlai un tantino titubante. «Si, insomma… potresti aspettare la fine del liceo e poi decidere definitivamente se farlo oppure no.» Jenn si staccò dal petto di Niall sbalordita. Non avevo di certo bisogno di leggerle nella mente per capire cosa stesse pensando, così come per Niall. Io, quella che si era sempre opposta a tutto questo, adesso stavo spingendo Niall verso la sua morte.
«Dici sul serio? Tu vuoi che lui si trasformi?» mi chiese Jenn, sorpresa proprio come immaginavo.
«No, non lo voglio» ammisi sinceramente, al che lo sguardo di Niall si rattristò parecchio. «Nell’ultimo periodo però ho capito quanto sia importante prendere da soli determinate decisioni, perciò è giusto che sia lui a decidere. Lui e basta.» Lanciai uno sguardo in direzione di Harry spontaneamente. Lui a quel mio gesto si alzò e, stringendomi la mano, si mise al mio fianco. Mi baciò la guancia, facendomi sorridere.
«Fino al diploma allora?» domandò Jenn a Niall.
«Fino al diploma» rispose lui, per poi baciarla dolcemente.
Quando quel momento strano fu passato, Harry si propose volontario per cucinare un delizioso pranzetto. Nonostante fossi una pessima cuoca, mi misi accanto a lui ai fornelli. In realtà più che aiutarlo a preparare il cibo mi impegnavo a rubare qualsiasi cosa invitante vedessi oppure stavo semplicemente ferma a contemplarlo mentre, con attenzione, tagliava questo o quel alimento. Era dannatamente bello anche mentre faceva una cosa così comune e banale. In confronto qualsiasi ragazzo sarebbe sembrato una nullità.
Jenn e Niall ritrovarono la loro serenità, aiutandoci apparecchiando la tavola. Erano così carini e affiatati che sarebbe stato un vero peccato che la loro storia andasse in fumo così all’improvviso.
Consumammo il pranzo cucinato da Harry tra una chiacchiera e l’altra, in un’armonia che ormai credevo non esistesse più.
Quando la notte della mia trasformazione ero scappata da palazzo avevo fatto una promessa a me stessa: non sarei mai diventata dipendente da una persona. Forse però avrei dovuto sapere che lo ero già. La mia vita dipendeva da Harry e così sarebbe sempre stato. Avevo bisogno di lui per sopravvivere, ma la cosa non mi spaventava più perché sapevo che d’ora in avanti lui ci sarebbe sempre stato.


here i am:

questo è l'ultimo capitolo, seguirà l'epilogo e poi sarà la fine davvero cwc
la parte al passato forse è poco convincente, ma è stato qualcosa di nuovo da scrivere per me e non sapevo bene come muovermi..
tutto sommato sono però soddisfatta del capitolo!
e voi? voi che ne pensate?
fatemi sapere la vostra :)

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Capitolo 12
*** Epilogue ***





Epilogue.
 

30 anni dopo
Il tempo passa, le persone invecchiano, i ricordi vanno affievolendosi. Le donne si guardano allo specchio cercando di intravedere ogni singola ruga o capello bianco, gli uomini riflettono sul perché la loro pancia aumenti con l’età e sulla caduta dei capelli. Tutti cambiamenti necessari nel corso della vita. Ma per me, che ero confinata nei miei 17 anni, i segni del tempo erano invisibili. Ero sempre la stessa da quasi due secoli, ma ormai ci avevo fatto l’abitudine.
Avevo lasciato Cambridge insieme ad Harry il giorno dopo della morte di Zayn. Per i primi anni avevamo deciso di rimanere in Inghilterra, spostandoci semplicemente a Londra. Quando il momento di andarcene fu arrivato ci spostammo in Spagna, vivendo nella movimentata Barcellona. All’inizio per Harry fu un trauma dover imparare lo spagnolo, ma per fortuna col tempo ci riuscì. Dopo la Spagna tornammo nel Regno Unito, stabilendoci in un piccolo villaggio dell’Irlanda del Nord. Avevamo voglia di un posto che ci ricordasse casa e quel paesino assomigliava molto alla Cambridge dei nostri tempi. Avevamo viaggiato in tutti e cinque i continenti, spostandoci ogni volta che era arrivato il momento di farlo. Ma adesso che ero di nuovo a casa mia mi sentivo come rinata.
La città non era cambiata molto negli ultimi anni. Qualche strada asfaltata e dei nuovi negozi, ma nulla di più. Niall mi aveva dato appuntamento ad un parco giochi che avevano costruito un isolato dopo la nostra vecchia scuola. Era frequentato da tantissimi bambini che si divertivano a giocare tra uno scivolo e un’altalena. Mi fermai ad aspettarlo all’entrata del parco, mentre occupavo il tempo osservandomi attorno.
«Ciao bella mora!» gridò qualcuno. Qualcuno che, come al solito, avevo riconosciuto molto prima che parlasse.
«Ciao Niall» risposi con il solito tono per niente sorpreso, lo stesso tono di quando eravamo più piccoli. Mi voltai con l’immagine del ragazzino dal ciuffo biondo e gli occhi azzurri brillanti nella mente, ma questo non fu quello che vidi. Dinanzi a me c’era un uomo non molto alto, con i capelli corti e un vestito elegante. Anche se la voce era la sua, quello non sembrava affatto essere il mio Niall.
«Ehi, come stai?» L’uomo, che doveva avere una cinquantina d’anni se non qualcosa in meno, mi strinse forte tra le sue braccia, non notando la mia perplessità. Chiusi gli occhi e inspirai ed espirai lentamente, riconoscendo però quello che era il profumo un tempo usato dal mio migliore amico ‘umano’.
«Mi sei mancato così tanto» mi lasciai scappare, quando finalmente riuscii a rivedere in quell’uomo il ragazzino vivace e chiacchierone d’un tempo.
«Non sei cambiata affatto» mi disse, con una punta di ironia. Risi, mentre mi faceva fare un giro completo su me stessa tenendomi per mano.
«Oh, anche tu sei esattamente come ti ricordavo» gli risposi sarcastica, facendolo così ridere. Niall poteva essere cambiato esteticamente, ma il suono della sua risata no di certo. Era sempre lo stesso, riconoscibile a metri di distanza e capace di farti tornare il buon umore anche nella tua giornata peggiore.
«Per te, come i vecchi tempi» mi disse, allungandomi una tazza di caffè caldo. Presi il bicchiere di carta e ne bevvi un sorso, accompagnando il tutto con le mie solite espressioni disgustate dovute al sapore di quella roba. «Beh, in fondo non sei cambiata neanche tu.»
«Andiamo Horan, abbiamo un sacco di cose di cui parlare» gli tesi la mano libera e ci andammo a sedere su di una panchina lì vicino. «Cosa mi sono persa in questi trent’anni?» gli domandai, anche se ero abbastanza aggiornata a causa delle continue telefonate che gli facevo. Avevo perso così tante persone nella mia vita che non volevo accadesse anche con Niall.
«Beh, teoricamente sai già tutto.» Si grattò il mento pensieroso, per poi iniziare quello che aveva l’aria di essere un lungo ma interessante racconto. «Louis si è sposato con una ragazza conosciuta al college. Si chiama Michelle e credimi se ti dico che andreste d’accordo se solo vi conosceste!» Sorrisi, pensando a quanto fosse assurdo che Louis Tomlinson fosse riuscito a trovare qualcuno capace di sopportare il suo umorismo da quattro soldi e la sua vanità. Ma ero felice per lui, perché era sempre stato un ragazzo d’oro. «Ha due figli, il maggiore si chiama Nicholas mentre la piccolina Chelsea.» Annuii, ricordandomi di quando mi aveva mostrato un video di Louis che saltava eccitato per i corridoi dell’ospedale a causa della nascita del suo primogenito.
Mi guardò interrogativo, chiedendomi con lo sguardo se potesse continuare il racconto. «Andiamo, raccontami di Liam» lo spronai esplicitamente, visto che sapevo che avesse paura di parlarmi di lui. Ormai era passato così tanto tempo che il dispiacere per quello che avevo fatto a Liam era svanito quasi del tutto. In un certo senso ero riuscita comunque  a salvarlo dal mio mondo.
«Liam si è fatto anche lui una famiglia. Così come Louis ha due figli: il maschio ha cinque anni e si chiama Justin, mentre la grande… beh ecco, lei si chiama Destiny.» Guardai Niall con occhi spalancati, non potendoci credere. Aveva chiamato sua figlia Destiny, il nome con il quale lui mi aveva conosciuto. Questo era un particolare che Niall aveva sempre omesso durante le nostre telefonate periodiche.
«Non è possibile, lui non si ricorda di me» dissi convinta, afferrando Niall per il braccio e stringendolo, come per dirgli ‘ehi, perché me ne stai parlando soltanto ora?
«Magari in qualche angolo buio della sua mente lui conserva ancora un piccolo ricordo di te» mi disse dolcemente, stringendomi la mano. Sospirai, pensando che in fondo quella fosse una cosa davvero tenera. Mollai così il suo braccio, cercando di cambiare argomento.
«E tu invece? Tu come stai?» Niall abbassò la testa, colpito da quella mia domanda. Forse avrei potuto evitarla, tanto sapevo già cosa fosse successo, ma sapevo anche che lui aveva bisogno di sfogarsi con qualcuno liberamente e io ero l’unica con cui potesse farlo.
«Non si è fatta più viva dopo il giorno in cui mi ha lasciato» confermò le mie conoscenze. Annuii in silenzio, aspettando che aggiungesse altro. «Adesso sono felice, ho un lavoro e una famiglia, ma non passa giorno senza che mi domandi perché lei lo abbia fatto.»
«Voleva che tu vivessi Niall, lo sai bene» gli risposi, stringendo ancora di più la sua mano.
«Tu l’hai più vista?» mi domandò voltando la testa verso di me. Nei suoi occhi vidi una luce di speranza, che però fui costretta ad uccidere confessandogli che no, neanche io l’avevo più vista o sentita.
«Dopo un po’ di tempo ha smesso di rispondere alle mie chiamate, probabilmente vedermi le ricorda i tempi in cui stavate insieme» gli dissi sincera. «Jenn ti amava davvero Niall, se ti ha lasciato lo ha fatto solo perché sapeva che così non ti saresti mai dovuto trasformare.»
«Lo so, per questo fa ancora più male» aggiunse triste. «Lo sai? Ha anche usato quel suo potere speciale su di me. Ha controllato le mie emozioni in modo che non mi sentissi ferito quando mi ha lasciato, ma dopo che è andata via il dolore è riemerso comunque» mi raccontò, facendo poi cadere quel discorso che lo faceva stare soltanto più male.
Stessimo in totale silenzio per un bel po’ di tempo, guardando i bambini giocare sotto i nostri occhi e i genitori disperati che li rincorrevano. «Sai, mi sarebbe piaciuto diventare mamma» confessai per la prima volta. Non avevo mai avuto un debole per i bambini, è vero. Però un giorno mi sarebbe piaciuto averne uno mio, da crescere e amare.
«Scommetto che saresti stata una madre eccezionale» mi rassicurò. «E scommetto anche che Harry non sarebbe stato poi così tanto male come padre» aggiunse, con una nota di ironia. Scoppiai a ridere insieme a lui, immaginando però come sarebbe stato avere una avere famiglia insieme alla persona che amavo. Harry sicuramente avrebbe trattato nostro figlio come il bene più prezioso al mondo e se ne sarebbe preso cura così come ha fatto con me nel corso di tutti questi anni.
Trascorremmo l’intero pomeriggio su quella panchina a parlare del tempo trascorso e di quello passato. Insieme riportammo a galla vecchi ricordi, immaginammo il nostro futuro, anche se sotto prospettive diverse, e fantasticammo sulla nostra vita. Anche se soffriva ancora quando ripensava alla fine della sua storia con Jenn, Niall adesso era felice. Era riuscito a realizzarsi nella vita, così come Liam e Louis che però, a differenza di lui, non si sarebbero mai ricordati di me.
Quando tornai a casa trovai Harry ad aspettarmi in cucina, dove aveva preparato una cena speciale per noi due. Aveva comprato una piccola villetta nella periferia della città senza dirmi niente, in modo che così avessimo potuto avere un posto che ci accogliesse ogni volta che avremmo voluto far ritorno a casa. Non c’era un giorno in cui non dicesse di amarmi o in cui ripetesse quando fosse felice di avermi al suo fianco. Insieme avevamo trovato il nostro equilibrio, ripromettendoci che non avremmo mai permesso a niente e nessuno di scombussolarlo.
Io ero felice? Si, lo ero totalmente. Magari non sarei mai potuta diventare madre o non avrei mai potuto costruirmi una vita vera mettendo le radici in un posto, ma almeno non ero da sola. Avevo perso tante persone nella mia vita, a partire dalla mia famiglia per arrivare fino ai miei amici. Avevo affrontato difficoltà che sembravano essere insormontabili, eppure alla fine le avevo superate tutte. Ero riuscita a ricongiungermi all’amore della mia vita, anche se all’inizio lo avevo respinto con tutte le mie forze.
Ero felice e lo sarei stata fino a quando Harry sarebbe rimasto al mio fianco.
Il futuro? Ormai non mi spaventava più.


here i am:
scusate per l'attesa, non mi sono resa conto del tempo che passava.. comunque ecco a voi l'epilogo :)
spero che non vi abbia deluso e che la storia vi abbia appassionato almeno un pochino!
io personalmente ne vado molto fiera, mi sono davvero affezionata a questa fan fiction anche se breve.
un saluto speciale a michs che ha avuto gli spoiler mentre scrivevo tranne dei capitoli finali lol love u x
e anche a fortunata che spero stia leggendo (visto fortu? ti ho citato, amami per questo (?))
grazie a tutte voi, davvero!
much love, fede x

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