Dream as if you can live forever

di kleines licht
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Tell me how I'm supposed to breathe with no air ***
Capitolo 2: *** And I believed, when you told that lie ***



Capitolo 1
*** Tell me how I'm supposed to breathe with no air ***




I walked, I ran, I jumped, I flew
Right off the ground to float to you
There's no gravity to hold me down for real
 
But somehow I'm still alive inside
You took my breath, but I survived
I don't know how, but I don't even care
 
So how do you expect me
to live alone with just me
'Cause my world revolves around you
It's so hard for me to breathe
 
Sono seduta sul sedile posteriore dell’auto di Nathaniel e aspetto solamente di vedere l’aeroporto davanti a noi, del resto mi importa decisamente poco. Stringo ancora tra le mani il ciondolo che mi ha regalato mia madre ormai troppo tempo fa, l’ipod appoggiato sul sedile, poco distante da me. Mi lascio semplicemente invadere dalla voce di Jordin Sparks. Canta di come vivere sena aria, di quanta fatica abbia fatto per avvicinarsi a qualcuno e di quanto vuoto abbia lasciato, di quanta fatica faccia a vivere da sola nel mezzo del niente, quando il mondo che aveva gravitava intorno a una persona che non c’è più. Me lo chiedo anche io a questo punto, se sia possibile vivere senza aria e comincio a pensare che infondo una parte di noi sia programmata per vivere anche dopo che tutto quel che ci circondava si distrugge. Anzi è programmata per cercare una via di fuga, qualunque cosa che possa portarci a scappare da quel che abbiamo distrutto e cercare qualcosa di meglio, o almeno è quello che pensavo quando ho prenotato questo dannato volo per Atlanta. Cosa pensavo in quel momento rimane un bel mistero, forse ero così avvolta dall’aria che respiravo, per quanto malsana fosse, che avevo smesso di pensare che qualcosa può anche andare storto prima o poi. Ero soffocata da quello che avevo considerato il mio mondo e avevo cominciato a…cancellare tutto il resto. Beh magari non proprio tutto, tutto il resto. Qualcosa sì, ma non tutto.
Controllo lo schermo del cellulare per la centesima volta e incontro ancora quegli occhi azzurri e sconvolgenti, il sorriso appena accennato, tutto perfettamente in ordine. Non c’è niente in quell’immagine che possa sembrare o essere sbagliato. Sembra che quella figura sia stata creata per essere ammirata e onorata ogni ora del giorno e della notte. Beh magari non proprio onorata no? Perché mi sembra che avessi cominciato a considerare questa follia come tale, ovvero una cavolata assurda…non eri tu che si voleva ritirare?! Domanda come al solito puntigliosa la mia dea interiore. Giace in un posto della mia anima, le mani sui fianchi e l’aria di rimprovero. Sbuffai sonoramente, al niente. Vero, la mia parte razionale aveva cominciato a funzionare qualche settimana prima, o almeno sembrava in grado di funzionare. Cominciavo a sospettare fosse solamente perché le cose con Michael si erano messe decisamente bene…non c’era niente tra noi che sembrasse voler cambiare, niente che preannunciasse una tempesta. Pensavo che ormai sfuggire dal mio paese d’origine fosse inutile, che senso aveva scappare da un posto dove c’era tutto quel che desideravo?
Poi è precipitato tutto, come ogni volta. Michael si era dimostrato il solito ipocrita e l’idea di andarmene da lì per quanto stupida mi era sembrata la soluzione migliore. Avevo bisogno di aria migliore, nuova. Avevo bisogno di fare qualcosa che cambiasse per sempre o almeno in parte il mio destino. A sentir Nathaniel stavo sbagliando tutto: stavo considerando una semplice “gita fuori porta” la carta per cambiare ogni cosa. Ma dannazione andare in America non mi sembrava per niente una “gita fuori porta”, piuttosto mi sembrava il viaggio di una vita.
Inutile precisare che cominciassi davvero a sentirmi come tutte quelle donne che, molti secoli prima, avevano cominciato a spostarsi per andare nel Nuovo Continente. Me le vedevo sfilare davanti, i bambini in braccio e le lunghe vesti che sfioravano terra raccogliendo appena la polvere delle strade…
Venni bruscamente interrotta nelle mie congetture dalla radio altissima che Nate aveva appena acceso. Evidentemente la sua sveglia biologica è appena suonato nel suo cervello, abbastanza da annullare le inutili prediche per l’ora in cui si era svegliato solo per portarmi all’aeroporto.
I Green Day cantano di camminare da soli nella radura dei sogni infranti, mentre Jordin dice di essere sopravvissuto in qualche modo, senza voler nemmeno sapere come.
You took my breath, but I survived
I don't know how, but I don't even care
Ero sopravvissuta anche io, a modo mio e in qualche maniera complicata sulla quale mi rifiutavo di indagare. Sinceramente non voglio nemmeno pensare a come mi ero ridotta per quel cretino, ora ho la mia nuova avventura da vivere.
E non sono nemmeno sola, per mia fortuna. Non mi sarei mai inventata una cosa del genere di sana pianta, ci mancherebbe altro! Non sono così pazza, o meglio preferisco non mostrarmi tale. La ragazza tranquilla e carismatica che ogni mattina si sveglia dal letto con una nuova idea ha ormai perso il suo smalto, ma anche nel suo giorno migliore non avrebbe saputo partorire un’idea così pazza. Non c’entra la lontananza tra la mia amata Australia e l’America stessa, quello è solo un dettaglio. E’ l’idea di base che sembra più un’idea da stalker –non che non lo fossi, alle volte- che altro! E l’artefice di tutto questo non poteva che essere quella matta di Katlin. Australiana alla lontana e solo da parte della madre, l’anima meno normale che abbia mai conosciuto. Quest’ultima e mia madre sono state compagne di scuola da giovani e si sono riscoperte solo di recente. Katlin vive in Francia, al momento, anche se ha vissuto per parecchi anni in Italia, in Germania e in Gran Bretagna. Sì è una di quelle persone che ha ufficialmente girato il mondo, e senza troppi complimenti. Suo padre è sempre stato un uomo di mondo, d’altronde, ma non è mai tornata in Australia. Si può quasi dire che non l’ha mai davvero vista, cosa assai ingiusta. Trovarla è stato,se per questo, un bel colpo di fortuna, uno di quelli che capitano a una persona su tremila. Facebook e Twitter fanno comunque dei miracoli, ogni tanto, e questo è uno di questi. Ci eravamo trovate per caso, e lentamente è nata quella che non posso che considerare una vera amicizia. Mia madre si fida di lei come se la conoscesse di persona e io non vedo l’ora di incontrarla.
Clicco ancora una volta il tasto di blocco del telefono e finalmente trovai quel messaggio che tanto agognavo: Katlin. Lo apro, già pronta a sorridere. E’ praticamente il contrario di me: solare, pazza fino l’inverosimile, nutre speranze anche irrealizzabili su praticamente ogni cosa di questo mondo e soprattutto sa convincere le persone come ben pochi sono capaci di fare
Hei dormigliona già in viaggio? Non rispondermi se sei sull’aereo, mi servi ancora per il nostro famoso piano! Il mio muffin al cioccolato ti saluta, ci vediamo quando arrivi… e spero per te che tu sia riconoscibile.
La solita testarda. Le ho spiegato almeno un centinaio di volte che il suo “piano” è troppo anche per me ma sembra  non volermi sentire.  In somma che diavolo le è saltato in testa quando ha deciso che, una volta andate in America, avremmo fatto tappa obbligatoria ad Atlanta per incontrare il cast di Vampire Diaries? Non sto dicendo che non è uno dei miei desideri, a chi non piacerebbe?! Semplicemente mi sembra qualcosa di esagerato, da fan che farebbe l’inverosimile per un autografo. E poi che potremmo mai dirgli? E’ fuori discussione uscirsene con cose come “Ian non sai quanto ti considero bello” o “Ian se anche ora ti togli la tua maglietta a me non dispiace” come pensa Katlin. Che è un bel ragazzo lo capisce anche da solo e poi è una di quelle cose che risulta al primo posto nella mia classifica di cose imbarazzanti.
P!nk risuona nell’abitacolo della macchina mentre canta di una storia finita. Rispecchia perfettamente quel che penso al momento di tutto quel che è successo.
I’ve been crying, I’ve been crying, I’ve been dying over you
Tie a knot in the rope, trying to hold, trying to hold,
But there’s nothing to grab so I let go

Comincio a cantare con voce sommessa, mentre Nathaniel tiene il tempo sul volante con un sorrisetto e ripete, appena udibile, le parole che conosce. E’ mio fratello, il mio adorabile e assieme odioso fratello maggiore. Ricordo ancora quando tagliava i capelli alle mie barbie e ora invece mi ritrovo a vederlo solo una volta a settimana. Al contrario di quel che dice sempre, ha deciso anche lui di andarsene anche se non troppo lontano. Si è spostato qualche anno fa per vivere a Sidney in uno di quegli attici stupendi con la sua fidanzata, Miluna che ricorda tanto una marca di gioielli più che una ragazza fatta e finita. Non serve a molto puntualizzare che è totalmente diversa da me: capelli biondo platino, sorriso coperto da chili di rossetto, occhi verdi, pelle costantemente imperlata da chili di fondotinta, orecchini pesanti alle orecchie –spesso mi sono chiesta se almeno quando sono a letto assieme se li tolga- e quasi sempre abitini succinti, anche quando fuori fa così freddo che non puoi fare molto se non coprirti tanto da sembrare un enorme pupazzo di neve. Lei appare sempre perfetta, magra, slanciata e io finisco sempre per sentirmi troppo larga, troppo sbalgiata, troppo fuori luogo. Stare con lei non è la mia attività preferita e perfortuna Nate sembra appoggiare l’idea di tenerci lontane.  Penso da sempre che lei gli abbia detto qualcosa su di me, perché mi smebra strano che faccia qualcosa per me senza che glielo chieda in ginocchio! O forse una ragazza che fa surf, che lavora nella clinica veterinaria dei genitori e che frequenta la scuola d’arte è fisicamente incompatibile a una tutta scarpe col tacco, profumo pregiati e occhiali da sole firmati, ed è inutile farlo presente.
Mi rilasso appena sul sedile mentre davanti a noi comincia a mostrarsi l’aeroporto nazionale in tutta la sua grandezza. Ho preso l’aero solo qualche volta e sinceramente non è stata mai una passione, ma non ho molta scelta. Purtroppo non ci sono altri mezzi per arrivare fino in Francia e non ho alcuna intenzione di mostrarmi preoccupata davanti a Nate.
Appena parcheggia salto giù dall’auto –che sembra più fatta per una scampagnata nel deserto che altro- e mi avvicino al cassettone posteriore, alzandomi sulle punte dei piedi per prendere le mie valigie. Nate mi raggiunge in fretta, quasi spinto da una morsa di altruismo che mai avrei pensato di vedergli negli occhi. Con un sospiro da “devo fare sempre tutto io” tira giù il trolley e il bagaglio a mano. La sua faccia sorpresa sembra chiedermi urlando che diavolo ci ho messo dentro ma che pretende? Infondo per tutto il tempo in cui abbiamo progettato di stare via mi servono decisamente parecchie cose.
Prima di ripensarci prendo lo slancio e lo abbraccio.
Ci si sente, fratellone…
Sussurro al suo orecchio prima di aggiustarmi l’abito e prendere la borsa, posandola dolcemente sulla spalla. Mi scosto perché non mi cada tutto, prendo il trolley e mi avvio senza voltarmi indietro verso la porta. Se mi voltassi so che mi verrebbe voglia di mollare o nel migliore dei casi il mio umore diventerebbe pessimo. Sì perché Nate ha il tempismo peggiore di questo mondo: tende a dire le cose peggiori, le notizie più sconvolgenti o cominciare catastrofi nei momenti meno appropriati. Quindi meglio evitare. Mancano ancora due ore al mio volo ma devo fare il check-in cosa che mi preoccupa non poco. Al momento, passata la parentesi di nostalgia, ho solamente voglia di lasciarmi tutto alle spalle per un po’ e conoscere persone nuove.
Appena faccio il mio ingresso nell’aeroporto un gruppo di fotografi e giornalisti si volta verso di me, neanche gli avessi appena chiamati con un fischietto ultrasuoni. Li guardo sconvolta, mentre tornano a chiacchierare visibilmente ansiosi. Stanno aspettando qualcuno…ma chi?
Sinceramente non sono affari tuoi…ma poi pensala come ti pare!
Solita vocina, che non perde certo tempo per farmi notare quando sbaglio qualcosa. In ogni caso l’edificio non è pieno come mi ero immaginata, malgrado ci sia comunque abbastanza gente in giro. Sarà un volo lungo, con una breve pausa a casa di Katlin e poi un volo in sua compagnia verso l’America. Ci abbiamo pensato parecchio e ancora adesso l’idea di atterrare direttamente ad Atlanta mi sembra alquanto audace. Pregusto ancora il sapore della vittoria ottenuta rubando quella piccola concessione alla mia nuova compagna di viaggio.
Non abbiamo certamente intenzione di fermarci ad Atlanta, quella è solo una tappa –gentile concessione della sottoscritta e del suo orgoglio- poi ci sposteremo più o meno velocemente lungo la costa.  Fosse stato per Katlin sarebbe rimasta appostata davanti al set tutta estate!
Rido tra me e me all’idea prima di lasciarmi cadere su una sedia, mentre Bonnie Tyler supplica quegli occhi chiari di tornare indietro…e l’immagine di quel ragazzo così irraggiungibile mi torna velocemente in mente.
ANGOLO AUTRICE:
Bene ciao a tutti^^
Dunque questa storia nasce da un idea balzana che non so come potrà proseguire ma spero comunque che proseguirà :3
Non c’è molto da dire su questo primo capitolo, diciamo che è un po’ un riscaldamento!
Sicuramente a Katlin e la nostra protagonista (il nome lo scoprirete nel prossimo capitolo non ve lo dico ora u.u) succederà qualcosa, forse potete già intuire cosa.
La paura più grande per questa nuova ff è quella di cadere nell’ovvio, cosa che spero non succeda. Per il momento vi lascio :3
Baci e abbracci
Vostra Jude.

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Capitolo 2
*** And I believed, when you told that lie ***


The cycle repeated,
As explosions broke in the sky,
All that I needed,
Was the one thing I couldn’t find,
And you were there at the turn,
Waiting to let me know.

La batteria batte il ritmo sincopato con una forza che mai mi sarei aspetta, forse perchè il mio cervello infondo è ancora stordito dalle parecchie ore di sonno. Sono quasi sicura di essermi addormentata mentre Taylor Swift parlava di un giorno da favola che io sinceramente non ero certa di aver mai vissuto… Mi guardo intorno confusa. I finestrini sono scuri, si vede appena la pioggia che scroscia sottile e veloce sulla pista d’atterraggio all’orizzonte. Le luci dell’aeroporto di Parigi illuminano il cielo quasi volendolo distruggere. Non sono abituata a così tanta luce di notte, forse perché casa mia si affaccia sulla spiaggia e non abbiamo mai accettato di far installare luci che disturbassero troppo l’atmosfera. Qui le stelle sembrano un sogno lontano, non interessano a questa città instancabile. La Tour Eiffel ha già fatto la sua comparsa nel panorama e si impegna soltanto ad oscurare di più il cielo notturno. Nemmeno volendolo potrei capire se c’è o meno la luna, con tutte queste luci.
Mi rendo lentamente conto che lasciare casa mia per inseguire qualcosa che porterà a poco o niente è stata una vera sciocchezza. Lasciare l’ Australia solo perché una pazza ragazza bionda ha deciso che quest’estate stravolgeremo la nostra vita non è stata una grande mossa. Cosa cambierà in me? Niente. Vedrò semplicemente quello che è il sogno di molti da vicino, mi renderò conto che ogni aspettativa era infondo sbagliata e tornerò a casa con la delusione appiccicata alla pelle. Tre mesi non cambieranno l’esito del viaggio: ognuna tornerà semplicemente alla sua vita, con la certezza che se tutto quel che voleva è stato realizzato bisogna cercare qualcos’altro per andare avanti.
Sospiro senza staccare gli occhi dall’oblò, mentre le hostess si muovono per il corridoio, parlando di qualcosa che quasi sicuramente non voglio ascoltare. Forse avevano ragione i Green Day, nella macchina di mio fratello: finirò per camminare da sola tra i sogni infranti.
Smettila, sei qui e la radio non è certo una medium…quindi ora scendi a testa alta da questo dannatissimo aereo e preparati perché se tutto va bene fra due giorni, a quest’ora, sarai dove avresti voluto essere almeno un milione di volte.
La mia dea interiore ha stranamente dimenticato di insultarmi e la cosa, oltre che assurda, mi sembra parecchio rilevante. Forse per una volta dovrei seguire il suo consiglio e davvero smetterla di compiangermi. Anche perché ormai ho parecchie ore di volo per tornare a casa e la voglia di stare ancora per qualche istante seduta su queste poltrone a dir poco scomode mi fa venire la nausea.
Appena è possibile scendo quasi di corsa dal portellone e lascio che l’aria e la pioggia mi sferzino semplicemente contro, bagnandomi l’abito e i capelli. Ho bisogno di sentirmi viva come non mi sono mai sentita prima e questo è esattamente il modo migliore per cominciare. Lentamente mi avvicino all’aeroporto, percorrendo con passo meno svelto di tutti gli altri passeggeri. Godermi la pioggia e il freddo che sembra volermi penetrare l’anima è un modo per sentirmi a casa. Quante volte mi era capitato di prendermi un diluvio in spiaggia?
Il contatto con la natura, con quella che considero casa mia, in tutto quel cemento sembra lontano, effimero quasi. Non riesco a sentirmi davvero viva in quella colata di asfalto. Non riesco a sentirmi a casa ma prima o poi sarebbe dovuto succedere no? Una parte di me è rimasta sempre là, l’altra mi sta seguendo per essere poi ricomposta da altri pezzetti trovati qua e là.
E’ come il patchwork nella coperta che mi aveva regalato mia nonna quando ero piccola: la mia anima come quella di tutte le persone è destinata a non avere una composizione omogenea, in alcuni punti finirà quasi per stonare, ma alla fine è comunque un lavoro bellissimo, nell’insieme. Ritagli, cicatrici, spazi, colori stonati tra loro…fa tutto parte del percorso.
Mentre la pioggia mi inzuppa completamente, e il vento lotta con i miei capelli la gente si affanna. Si affanna per il pranzo, per prendere le valigie, si affanna per non perdere l’aereo, per incontrare qualcuno, per non rimanere senza taxi, per prendere un giornale…si affanna e basta, per qualunque cosa anche la più inutile. Infondo che gli sarebbe costato aiutare una vecchietta ai bordi del corridoio o fermarsi a dare l’elemosina a un giovane seduto a terra? Sono sicura che molti nemmeno se ne rendono conto, corrono e basta e stentano addirittura a tenere sotto controllo il loro stesso fiato. Si sorprendono anzi di non essere capaci di andare più veloci di così, pensano che avrebbero potuto fare molte più cose con un grammo in più di resistenza.
All that I needed,
Was the one thing I couldn’t find,

E’ quella l’impressione: che nessuno riesca davvero ad avere quel che vuole. Corrono, scappano da se stessi senza trovare qualcosa di altrettanto prezioso. Corrono e basta incuranti del resto, senza un senso logico. Forse è proprio quella la differenza tra quel mondo e il mio: la mancanza di logica. Non fanno le cose per un motivo, le fanno e basta.
Mi sento come un pesce fuor d’acqua. Mi avvicino quindi tremendamente spaesata al nastro trasportatore delle valigie e quasi senza controllare afferro la mia valigia. Ho guardato distrattamente il nome perché raramente un’altra persona a questo mondo si permetterebbe di comprare una valigia di quelle dimensioni interamente leopardata! Non che mi piaccia stare al centro dell’attenzione ma è una delle poche soluzioni per non perderla o scambiarla.
La tua sbadataggine è così elevata che mi domando quasi come fai a non perdere anche questa.
Mi sembrava strano infatti che la mia dea interiore avesse deciso di regalarmi gratuitamente suggerimenti non richiesti! Sospiro  a niente in particolare e con il fare più fluido che riesco a trovare, anche se ancora annebbiata da tutte quelle ore di sonno, comincio a far scorrere le ruote e strascicare le ballerine rosse abbinate all’abito a quadretti –che Nate avrebbe sgraziatamente definito “una tovaglia da pic-nic, sister!”- sul linoleum quasi bello dell’aeroporto. Niente a che vedere con il parquet a cui sono abituata ma comincio a credere che qui non si possa  chiedere di meglio. E va bene così, se non potrei notare la differenza con casa mia!
Non ho idea di come farmi riconoscere Katlin o come riconoscerla ma sono troppo pigra e assonnata per pensare di cercare nella borsa il cellulare. Devo ricordarmelo per la prossima volta: niente sonno così prolungato in aereo. Comincio a sentirmi più simile a uno zombie che un essere umano in carne, ossa e cervello e mi trascino senza troppo entusiasmo verso l’uscita.
Troppo sonno, Troppo sonno, tropposonnotropposonno.
Continuo a ripetermelo come un mantra, una silenziosa accusa che infondo serve a ben poco. Lentamente comincio a pentirmi di aver preso tutta quella pioggia: i miei capelli si sono fatti impresentabili, appicciati alla pelle e all’abito zuppo. La gonna per fortuna non sembra averne risentito troppo, ed è comunque leggermente a trapezio. La mia immagine riflessa negli enormi vetri scorre lentamente, mostrando una ragazza dagli occhi color nocciola decisamente non nel suo ambiente.
Più mi avvicino alle porte scorrevoli e più il chiacchiericcio già presente della gente si intensifica. Chi parte, chi arriva, chi si saluta, chi piange. Come diavolo fanno a sopportare tutto quel rumore senza che la loro testa scoppi all’istante? E cosa più importante: come trovo Katlin in questo ammasso di gente sconosciuta? Non posso davvero credere di trovare qualcuno che non ho mai visto in vita mia, magari è tutta una farsa e non verrà, o forse se n’è già andata perché ci ho messo troppo.
Alla fine mi arrendo e tiro fuori il telefono dalla borsa. Nessun messaggio, dopo la risposta veloce prima di salire sull’aereo che ho spedito io stessa. 
Sento lo stomaco chiudersi e comincio a sbirciare nervosa tra tutte quelle capigliature. Bisogna dirlo, la lingua francese è tremendamente confusa. Non riesco a capire molto, malgrado mi sia impegnata a imparare qualcosa tanto per sapermi destreggiare con le cose essenziali.
Se ve lo state chiedendo sì sto cominciando a perdere la speranza…sto cominciando a morire un po’. E’ una cosa vecchia anche quella, ma senza speranza si muore è appurato.
Da quando hai fatto del pessimismo la tua filosofia di vita?
Bella domanda. Non ne ho idea, penso mai ma non riesco a pensare lucidamente, vorrei dormire ancora credo.
Ma alla fine non tutta l’ansia è giustificata. Prima che sfiori la pazzia davanti ai miei occhi si piazza l’immagine di una bionda carismatica con un enorme pezzo di cartone in mano. La scritta “Oceane” troneggia nero su marroncino, evidente anche tra le svariate pieghe di quello che una volta doveva essere probabilmente qualcosa da buttare. Pazza, pazza ma ingegnosa. Rispolvero un sorriso solare e paerto e mi avvicino più velocemente alla ragazza.
Katlin!
Grido quasi, entusiasta e felice che la mia salvezza sia qui. Lei molla il cartello a terra e corre ad abbracciarmi. E’ alta quanto me, centimetro più centimetro meno, e ha capelli biondi di quelli che chiunque invidierebbe. Indossai un capellino nero su un lato e un abito a righe bianche e blu talmente aderente che avrebbe fatto stare male chiunque. Non lei evidentemente.
A dispetto di quel che pensavo la sua voce non ha alcun accento particolare, solo qualche cadenza non troppo americana ma niente di troppo fastidioso.
Oceane, oh ben arrivata! Non sai quanto sono felice che tu sia qui! Comodo il viaggio? Il tempo è peggiorato tutto a un tratto…e tu ne sembri la prova vivente? Hai freddo? O forse hai fame? Beh spero anche sete, ma dovrai tenerla buona per domani sera, ho intenzione di fare una bella conoscenza dei pub americani e tu mi accompagnerai! Non sei astemia vero? Perché se lo sei cambierai idea, garantito…a parte questo che bell’abito! Dobbiamo fare shopping ad Atlanta, come a Hollywood e New York! Oh non puoi immaginare quanta voglia abbia di incontrare quei bellissimi ragazzi! E non sai quanti sogni mi son fatta questa notte su quel gran pezzo di ragazzo di Paul!
Parla senza respirare, tanto che temo che possa soffocarsi da sola da un momento all’altro. Le sue parole mi inondano, tanto da lasciarmi confusa e interdetta. Sono riuscita a stento a “decodificare” la frase del pub e dell’alcool e quella che riguarda Paul, il resto è confuso. No Paul non è uno dei miei interessi, non che sia brutto ma diciamo che quegli occhi azzurri come l’oceano mi hanno davvero colpita.
Per qualche istante temo che la mia risposta risulti tremendamente meno entusiasta e speranzosa della sua. Sorrido ancora, impacciata. Katlin si sta scusando per avermi “aggredita” in quel modo, ma ancora non sembra aver intenzione di arrestare la corsa di pensieri.
Ehi va tutto bene, davvero. Sono felice anche io di conoscerti e di partire anche se sai come la penso su quel piano osceno e irrealizzabile, ma ormai penso di essere destinata! A parte questo non sono astemia e anche se non ho intenzione di ubriacarmi proverò ad appoggiare la filosofia “quel che si fa in America, resta in America”…
Provo a dire nel modo più convincente che trovo. La cosa positiva è che, a quanto pare, non serve darle un argomento: parla, parla e parla ancora senza troppi freni. E’ tremendamente eccitata da tutto quello e quell’entusiasmo finisce per arrivare anche a me. Arrivo quindi a diventare euforica e parlare quasi come lei.

* * *
Parigi è meravigliosa, per quanto caotica e confusionale sia. Certo non è esattamente quello a cui sono abituata ma diciamo chee può andare, insomma per qualche giorno e come assaggio prima di catapultarsi nel caos americano. Dopo una notte decisamente riposante, una colazione abbondante e una passeggiata per le vie più artistiche della città abbiamo raggiunto l'aeroporto con un filo di malonconia. Infondo si stava bene anche qui, con i gentori gentili e amorevoli di Katlin, il suo gatto persiano e tutte le casette tipiche che si affacciano sulla Senna. Mi manca tremendamente Elvis, il mio labrador, come mi mancano i miei genitori e anche mio fratello, per quanto assurdo mi sembri ma sto lentamente diegerendo la lontananza. Mi sento quasi a casa.
Katlin dal suo canto aiuta parecchio: a parte il suo entusiasmo coinvolgente, la ragazza sa essere solare e positiva, tremendamente dolce e sincera. Diventeremo buonissime amiche molto di più di quanto avrei mai creduto. Ormai sembra più che chiaro che è lei la positiva del gruppo, con sogni e progetti che a me sinceramente mettono più paura che altro. Come l'idea di questa notte brava ad Atlanta, che purtroppo non riuscita a evitare. Mi fisso allo specchio, i capelli a boccoli leggeri che cadono sulle spalle, le ciglia coperte di mascara anche se per niente volgari, il blush che rende rossastre le guance appena abbronzate, le labbra definite e le spalle racchiuse nel vestito, ovviamente acquistato a Parigi. Katlin è stata infatti chiara anche in quello: un abito nuovo, con accessori inclusi, per il nostro viaggio. E' più che cristallino che con lei i miei strumenti di persuasione non attaccano.
Per fortuna sono riuscita a optare per qualcosa di abbastanza semplice: un abito che scende senza tanti giochi, interamente coperto di paiettes dorate a filo, così da creare un gioco di luce decisamente suntuoso. Le scarpe sono altissime, ancora mi meraviglio di essere capace di camminarci senza uccidermi o uccidere qualcuno.
Il programma della serata è già stato reso "pubblico": dopo essersi sistemate e preparate la meta diventerà uno dei locali più in di Atlanta. D'obbligo almeno cinque drink, ai quali comincio a dubitare di saper resistere. Non mi sono mai ubriacata e l'alcool non è un abitudine quindi comincio a domandarmi quanto saprò resistere.
Tanto per distrarmi mentre aspetto quella matta della mia conquilina mi soffermo, per l'enneesima volta, a far scorrere lo sguardo nella stanza. Mi aspettavo molto peggio da questa cittadina, famosa per un clima non sempre troppo soleggiato. La stanza è raffinata, senza sfociare nel chitc, anche se tutto questo oro e questo arancione sembrerebbero troppo presanti, almeno a primo acchito.
Le tende coprono a sufficienza le finestre, ma non abbastanza da impedire la vista della strada. Non siamo esattamente in centro, così da godere di una tranquillità piuttosto piacevole, e per ora Katlin sembra aver ignorato il problema di dover trovare il set di The Vampire Diaries. Una parte di me si azzarda a sperare che se ne sia dimenticata, per quanto risulti impossibile.
Mi sembra ancora assurdo di essere qui, dopo ore di volo, pronta per andare a ballare -cosa che odio essendo non solo imbranata ma anche scordinata- con quella che ha tutta l'aria di diventare mia migliore amica.
Katlin esce dal secondo bagno con una mossa decisamente esagerata, facendo muovere con vigore le piume sulle maniche del suo abito. Se io sono appariscente ma non troppo, lei sfiora il ridicolo, rimanendo comunque stupenda. In poche ore ho già compreso che, oltre ad essere testarda, è così bella che su di lei starebbe bene tutto.
Già a poltrire? Forza, in piedi mia cara! La serata ha appena avuto inizio...!
annuncia per poi prendermi per mano e trascinarmi fuori dalla porta.
Da lì il tempo comincia a perdere ogni senso, ammesso e non concesso che ancora ne avesse uno. Il locale che ha scelto è enorme, anche se stranamente e con mia sorpresa nasconde posti decisamente appartati. La gente sembra già a un buon livello quando arriviamo e ben presto ci uniamo all'euforia. Se il limite minimo era di cinque drink sono sicura di averlo superato un'ora buona dopo, grazie o forse per colpa della bionda iperattiva che altro non fa che farmi riempire il bicchiere. Comincio a pensare che il suo obbiettivo fosse proprio quello di farmi ubriacare.
Avverto nettamente il momento di apssaggio tra la mia amata lucidità e la perdita di ogni pensiero. Tutto scorre velocemente e lentamente assieme, dandomi quasi alla nausea. Mi sono persa il motivo per il quale il fermento e l'eccitazione sembra aumentare, insieme ai flash smorzati delle macchinette fotografiche. Sembra che ci sia qualcuno di importante ma non voglio saperlo, o ricordarlo.
Miracolosamente riesco ad alzarmi su quei trampoli senza collassare a terra e mi dirigo a passo incerto verso il bagno. Vedere le pareti ondeggiare non mi sembra un buon indizio, ma sono costretta lo stesso a reggermi al muro per stare in piedi. Mi sento...leggera e pesante assieme. Ho bisogno di qualcosa per smorzare tutta quella confusione e l'unica cosa che mi viene in mente è di bere acqua. Mi avvicino lentamente al lavandino e dopo essermi chinata in modo tremendamente scomodo bevo a voluttuose sorsate l'acqua, rendendomi conto troppo tardi che fa veramente schifo. Non migliora per niente la nausea che già prima  mi saliva per la gola e alla fine decido che ondeggiare meno non mi farà male.
Esco dal bagno con i tacchi in mano e con un passo, se possibile, ancora meno sicuro di prima. Non sono sicura che riuscirò seriamente a trattenermi dal vomitare o che sarò abbastanza cosciente da tornare in bagno.
Quando sento il petto e la presenza forte di qualcuno contro la mia fronte comincio davvero a perdere la pazienza, oltre che la poca ragione che ero riuscita a tirare fuori. Che diavolo! Non poteva semplicemente guardare dove andava? Alzo lo sguardo vedendo poco o niente e comincio a bofonchiare imprecazioni in una delle tante lingue che ricordo. Non so quale, ma una andrà più che bene.
Ehi ehi, lingua biforcuta! Così fuori eppure parli ancora? Forse avresti bisogno di una boccata d'aria...
E' una voce maschile quella che mi rimbomba nelle orecchie, ma non riesco a capire dove l'ho già sentita. Sicuramente mi mette sui nervi, e anche la presa che mi stringe su un braccio. Cammino per inerzia, incapace di oppore la resistenza che vorrei. Mi lascio trasportare e l'unica cosa che riesco finalmente a realizzare è che chiunque mi stia spostando ha dei profondissimi occhi blu....


Angolino della scrittrice:

Bene bene, eccoci di nuovo così^^
Periodo ispirato, questo, come vedete aggiorno velocemente ma non sono sicura che riuscirò a fare sempre così. Speriamo bene xD
Beh piaciuto questo nuovo capitolo? Penso abbiate capito chi ha incontrato la nostra Oceane, ma nel caso contrario non vi svelo niente, vi lascio in sospeso U.U
Che altro dire?
Beh sicuramente ringrazio le prime valorose persone che hanno deciso di seguirmi e recensire. Mi scusi già ora per eventuali errori ma word al momento è impazzito e devo usare wordpad, che non sembra avere un controllo automatico xD
Ci si sente presto my little pandas (??? xD)
Xoxo
Jude.

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