Lost Memories

di _Sihaya
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 – A world elsewhere ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 – Who are you? ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 - Butterfly ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 - Come as an old enemy ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 - Aprimi ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 - Cambiamenti ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 - Lost Memories ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 - Quello che è reale ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 - Good advice ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 - Down to Wonderland ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 - Cose preziose ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 - Burn ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 - Be my baby ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 - Verità ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 - Somewhere I belong ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 - Back to home ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 - Vantaggi ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 - Hero ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 - Nemici ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 - Il Mantello dell'Invisibilità ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 - Pensieri ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 - Il Lago Nero (I parte) ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 - Il Lago Nero (II Parte) ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 - The serpent under't ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 - Tempo ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 - Obiettivi ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 - Piani d'azione ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 - Bellatrix Lestrange ***
Capitolo 29: *** Capitolo 29 - Ladri ***
Capitolo 30: *** Capitolo 30 - Slave [Pureblood] ***
Capitolo 31: *** Capitolo 31 - Grifondoro e Serpeverde ***
Capitolo 32: *** Capitolo 32 - Vendetta (I parte) ***
Capitolo 33: *** Capitolo 33 - Vendetta (II parte) ***
Capitolo 34: *** Capitolo 34 - Il Prescelto ***
Capitolo 35: *** Capitolo 35 - La profondità dell'odio ***
Capitolo 36: *** Capitolo 36 - Corpo a corpo ***
Capitolo 37: *** Capitolo 37 - Bacchette Magiche ***
Capitolo 38: *** Capitolo 38 - Sickness ***
Capitolo 39: *** Capitolo 39 - Scelte (I Parte) ***
Capitolo 40: *** Capitolo 40 - Scelte (II Parte) ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 – A world elsewhere ***


Lost Memories - Capitolo 1

Ed eccomi approdare anche nel mondo di Harry Potter!

E lo faccio nel modo che preferisco: con un “finale alternativo” e con il più classico degli escamotage

Se vi va di seguirmi, questa è la mia proposta:

 

-    rimuovete l’epilogo di Harry Potter e i doni della morte (Diciannove anni dopo).

-    Eliminate le ultime otto pagine del finale e precisamente fermatevi alle seguenti parole (cito testualmente):

 

“[…] L’alba fu lacerata dalle urla e Neville prese fuoco, immobilizzato. Harry non poté sopportarlo: doveva intervenire…

Poi accaddero molte cose contemporaneamente.”

 

-    Ora domandatevi: “Quali cose sono accadute? E se fossero state dimenticate?”

 

* * *

 

Lost Memories

(Di _Sihaya)

 

* * *

 

There is a world elsewhere…

 

William Shakespeare, The Tragedy of Coriolanus

 

* * *

 

Capitolo 1 – A world elsewhere

 

Hermione Granger non è di questo mondo, più la osservo e più me ne convinco.

 

Ron Weasley si passò una mano fra i capelli spettinati, poi sbadigliò sguaiatamente; erano due giorni che non chiudeva occhio decentemente, in pratica da quando Harry aveva accettato di lavorare al caso del signor McKenzie.

 

Antony Cooper McKenzie era un ricco avvocato di Chelsea con la passione per l’arte. Era famoso nell’alta società londinese per essere un appetibile scapolo, proprietario di una magnifica pinacoteca privata.

Appena un paio di giorni prima, in una mattina uggiosa, la sua limousine aveva attraversato il quartiere di Soho, svoltato per una minuscola stradina e parcheggiato presso l’edificio di quattro piani, in cemento e mattoni faccia-vista, sede dell’agenzia di investigazioni private Potter&Weasley.

McKenzie era sceso dall’auto con l’ombrello in mano e il cappotto grigio avvolto al braccio destro. Era salito al secondo piano ed era entrato nell’ufficio di Harry e Ron chiedendo aiuto senza nemmeno presentarsi.

 

Ron l’aveva preso subito in antipatia.

 

Harry, invece, si era mostrato molto interessato al caso: un po’ perché si trattava di un furto d’opere d’arte da una collezione privata - raro da quelle parti - un po’ perché Harry si lasciava facilmente affascinare da certe coincidenze. Non gli sembrò casuale, infatti, che la denuncia del signor McKenzie avvenisse in concomitanza all’apertura di una mostra di quadri presso Villa Malfoy, prevista per il fine settimana.

Harry Potter non vedeva di buon grado le attività organizzate da Draco Malfoy, perché giravano voci preoccupanti sul ragazzo, alimentate dal suo comportamento eccentrico ed evasivo; così, nonostante il disappunto di Ron, aveva accettato il caso.

 

Da allora Ron Weasley aveva trascorso le sue giornate chiuso in un’auto appostata presso Villa Malfoy, come un avvoltoio, in attesa di qualcosa d’insolito che non era affatto sicuro di poter individuare.

 

Anche perché tutto ciò che circondava la Villa era insolito.

 

Si chiese come fosse possibile riconoscere la stranezza in mezzo alla stranezza…

 

Hermione Granger… anche lei era insolita in quel contesto.

 

Ron l’aveva vista entrare nella Villa sicura e a testa alta, ma aveva percepito un lieve disagio. La camicetta bianca sotto ad un tailleur antracite, ordinato e sobrio, la invecchiava di qualche anno. Non vestiva lo stile mondano degli altri invitati, per cui era facile indovinare che fosse una giornalista piuttosto che una donna d’alta società; eppure non era stato questo insieme di discordanze a turbare Ron, bensì la sensazione che la sua presenza fosse avulsa all’evento… come se provenisse da un mondo alieno, parallelo.

 

L’arrivo improvviso di Harry lo fece sobbalzare e lo distolse dalle proprie congetture.

 

« Sandwich con formaggio. Il prosciutto era finito, » affermò il detective porgendogli dal finestrino aperto un pacchetto di carta con la cena.

 

Ron fece una smorfia di protesta.

Harry entrò in macchina e si sedette al suo fianco. Cominciò a scartare il proprio panino e, con un cenno della testa, indicò il piccolo schermo ricevitore che l’amico teneva sulle ginocchia.

 

« Novità? » domandò.

 

Ron grugnì seccato: « A palate. »

 

Dopo un lungo silenzio meditabondo Harry bofonchiò con la bocca piena di pane: « He-mione? »

 

« Niente, » Ron scrollò le spalle, poi prese un morso del proprio tramezzino, « non fa altro che scrutare quei quadri. Li fissa, annuisce, scrive appunti. Sempre uguale. È snervante per quanto è meticolosa, » borbottò prima di addentare nuovamente il panino.

 

Harry sperava ci fosse dell’altro; continuando a masticare fissò Ron, il quale finì per perdere la pazienza: « Lasciamo stare, dai, Malfoy è pulito! »

 

Harry socchiuse gli occhi in un’espressione d’evidente scetticismo: « Cosa te lo fa credere? ».

 

Ron non poté fare a meno di lamentarsi fra sé e sé per la caparbietà del compagno. « Sono quadri acquistati onestamente, lo capisco da come Hermione scrive sul taccuino… se fossero quadri rubati, - ridacchiò - …avrebbe riempito pagine. Invece fa solo qualche cenno col capo, ogni tanto, poi annota qualcosa. »

 

Una luce brillò nello sguardo di Harry, fu come se i suoi sospetti avessero trovato una nuova fonte di alimentazione. « Cenni di che tipo? » domandò curioso.

 

« Di nessun tipo! Dammi retta, Harry, è roba pulita! » sbuffò Ron, « e poi … è Hermione, cavoli! Riconoscerebbe un furto dall’odore! »

 

Harry chinò lo sguardo e fissò il cruscotto dell’auto.

Ron ebbe il tempo di mandar giù due interi bocconi del proprio panino.

Il terzo boccone gli andò di traverso: Harry lo stava fissando folgorato da un’idea geniale.

 

« Chiedile il taccuino, » ordinò.

 

« Che cosa?! »

 

« Chiedi il taccuino a Hermione, dobbiamo vedere se ha scritto qualcosa di importante. »

 

« Tu sei pazzo! Potrebbe uccidermi per una cosa del genere! »

 

* * *

 

La facciata di Villa Malfoy che dava sul viale d’ingresso ricordava i templi dell’antica Grecia. Era composta da blocchi angolari in marmo bianco inframmezzati con mattoni faccia a vista. Al piano terra dominava un grande portone di legno, mentre il primo piano era decorato da quattro colonne ioniche poste ai lati di un poggiolo, soprastante l’ingresso, sul quale si apriva un’ampia finestra.

 

All’interno, un via vai di ricchi esponenti dell’alta società affollava i locali.

 

Hermione scivolò fra gli eleganti invitati facendosi largo con qualche contenuto colpo di gomito. Quando finalmente raggiunse la sala laterale, sulla sinistra del salone principale, tirò un sospiro di sollievo: era decisamente meno affollata delle altre stanze.

Immediatamente si portò la mano destra fra i capelli. Fingendo di sistemarli, controllò che la minuscola telecamera, che Ron e Harry le avevano chiesto di portare con sé, fosse ancora ben nascosta dai ricci voluminosi.

Non aveva capito cosa cercassero precisamente i due detective, ma era una prassi normale, per lei, dar loro una mano nelle investigazioni. Spesso erano state proprio le sue idee a sbloccare le indagini, a smascherare mariti infedeli e mogli adultere.

Era una grande osservatrice, abile nel notare piccoli dettagli, e possedeva buone capacità logiche. Al “The Art Newspaper”, uno dei più famosi settimanali d’arte di Londra, l’avevano assunta per questo… e per la sua straordinaria abilità descrittiva, con la quale sapeva tratteggiare un quadro come se avesse vita propria.

Da circa due anni lavorava in redazione e, fin da subito, era spiccata fra i colleghi per il suo talento; quindi nessuno aveva trovato strano che il biglietto d’invito per la chiacchierata mostrafosse indirizzato personalmente a lei, piuttosto che al caporedattore.

 

Appena ricevuta la partecipazione, Hermione era stata divorata dalla curiosità di poter sbirciare all’interno della maestosa Villa Malfoy.

 

L’edificio era costruito su due piani. La pianta interna prevedeva un elegante salone centrale, nel quale erano esposti i pezzi più interessanti della mostra. Il ballatoio soprastante si apriva s’un alto soffitto decorato da affreschi. I vani laterali del piano terra conducevano, sulla sinistra, ad un paio di stanze dedicate all’esposizione ed alla sala da pranzo; sulla destra ad uno studio ed ai bagni che, aveva potuto costatare Hermione, erano ampi quanto il monolocale in cui viveva.

Sulle stanze che s’affacciavano al ballatoio, raggiungibile tramite due scalinate in marmo poste di fronte all’ingresso, la giornalista aveva potuto fare solo supposizioni, poiché non era consentito l’accesso al piano superiore.

 

Immaginava che lassù si rifugiasse Draco Malfoy, notoriamente insofferente ad eventi mondani così affollati.

 

Dell’eccentrico ragazzo si sapeva solo che aveva perso i genitori e che era unico erede di quell’enorme ricchezza. Si diceva un po’ di tutto sul suo nome e sulle sue origini; egli, tuttavia, non sembrava preoccuparsene, sfuggiva alla gente come una serpe fra il sottobosco, senza smentire alcun pettegolezzo.

 

Sistematasi i capelli, Hermione tornò al proprio lavoro. La penna riprese a tingere le pagine del taccuino ad un ritmo sostenuto. Con poche parole, scritte in una calligrafia ordinata e leggera, la giornalista iniziò a descrivere il quadro appeso al centro della parete di fronte, ma non ebbe il tempo di concludere.

 

All’improvviso, fu come se avessero spalancato una finestra in pieno inverno ed un ondata di freddo l’avesse investita.

 

Senza un reale motivo sentì crescere la paura.

 

Un brivido le scese dietro la nuca e capì che qualcuno le stava alle spalle.

 

Come una preda che percepisce la presenza del cacciatore, drizzò la schiena e trattenne il fiato, guardando fissò avanti a sé.

 

« Hermione Granger del The Art Newspaper, vero? » Il sibilo gelido a pochi centimetri dal suo orecchio destro le fece schizzare il cuore in gola.

 

Si voltò di scatto.

 

Solo la sua magistrale capacità di autocontrollo le impedì di gridare: Draco Malfoy la fissava con sguardo di pietra, rendendo impossibile capire se la sua domanda fosse formalità o provocazione.

Hermione deglutì, fece un cenno d’assenso e chinò subito la testa.

 

Non avrebbe mai immaginato di incontrare Malfoy di persona, men che meno di parlargli faccia a faccia.

 

Dello stesso avviso sembravano anche gli altri presenti. Hermione si consolò di non essere l’unica, in quella stanza, a provare il terrore che lui potesse leggere nel pensiero e conoscere, così, tutti i pettegolezzi sul suo conto condivisi da mezza Londra.

 

« Che cosa ne pensi della mia collezione? » Draco Malfoy parlò a bassa voce, sicuro.

 

Hermione fu attraversata dalla sensazione che fosse sceso al piano terra soltanto per parlare con lei.

 

Inspirò, poi rispose in tono abbastanza alto, sperando di soddisfare la curiosità di tutti gli sguardi puntati su di lei.

 

« Sensazionale, … Signor Malfoy, …Sono opere di grande qualità, tenute magnificamente. Questa in particolare, sembra quasi… » iniziò indicando il quadro di fronte, ma lui l’interruppe. Alzò il mento con aria arrogante e rispose con lo stesso tono, alto e un po’ strafottente: « A voi giornalisti escono dalla bocca un sacco di stupidaggini. »

 

Lei rimase dapprima sorpresa, poi capì che si trattava di un avvertimento.

 

Non farlo più.

 

La conversazione sarebbe dovuta rimanere riservata e lei aveva sprecato l’occasione.

 

« Questa sera, a cena, farò aggiungere un posto per te, Granger. » Il tono era di nuovo basso, misurato, per questo più minaccioso: « Il The Art Newspaper non vorrà perdere l’opportunità… »

 

Hermione, lo sguardo fisso a terra, fece appena un cenno e sussurrò l’unica risposta possibile: « Ci sarò. »

 

Continua…

* * *

 

N.d.A.

 

Ho letto i libri di Harry Potter a grande distanza di tempo l’uno dall’altro e non ricordo ogni dettaglio. Con l’aiuto di numerosi siti in rete, ho cercato di scrivere questa fanfiction attenendomi il più possibile a quanto descritto della Rowling. Quindi, se individuate degli errori, probabilmente sono involontari, se invece notate un po’ di OOC… beh, considerate che l’aver posto i personaggi in un provvisorio “universo alternativo”, ossia il mondo babbano, richiede per forza alcuni adattamenti.

 

Queste sono state fin’ora le mie principali fonti d’ispirazione (altre saranno citate più avanti):

Film: Matrix, The butterfly effect, Sliding Doors.

Libri: la saga di Harry Potter, Alice nel paese delle meraviglie.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 – Who are you? ***


Lost Memories - Capitolo 2

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Who are You?

 

Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie

(il Brucaliffo ad Alice)

 

* * *

Capitolo 2 – Who are you?

 

Lo schermo del ricevitore si spense all’improvviso sotto gli occhi allibiti di Ron, che lo scosse diverse volte prima di accettare ciò che Harry stava dicendo: “batteria scarica”.

 

« Dannazione! » imprecò.

 

Il viso di Draco Malfoy era l’ultima cosa apparsa sul video e la sua espressione inquisitoria era ancora impressa nella mente di Ron.

 

« Secondo te, cosa le stava dicendo? » domandò con il tono di voce alterato dalla preoccupazione.

 

Harry sembrò ignorarlo. Mise le mani sul volante dell’auto, inserì la chiave nel cruscotto e accese la vettura.

 

« Harry, mi hai sentito?! Non vorrai lasciare Hermione là da sola! »

 

« Dobbiamo rientrare, ci aspetta un sacco di lavoro. »

 

« Prima andiamo a prendere Hermione, » protestò Ron, « almeno aspettiamola! »

 

Harry premette l’acceleratore e l’auto si mise in moto, lasciandosi Villa Malfoy alle spalle. « Se la caverà benissimo. »

 

« E se la scopre? Se scopre che sta indagando per noi? »

 

« Se andiamo a prenderla, lo capisce di sicuro! » fece notare Harry, « Hermione è abbastanza intelligente da non farsi scoprire. »

 

Quell’apparente noncuranza nel rispondere contribuì soltanto ad amplificare l’ansia di Ron, che si voltò indietro guardando dal lunotto posteriore la grande residenza che si allontanava.

 

« Eri tu che volevi il taccuino di Hermione! » si tormentò i capelli rossi con le mani, « e se avessi ragione, Harry? Se nei suoi appunti ci fosse qualcosa di importante? » si agitò sul sedile, frustrato per l’inspiegabile disinteresse del compagno.

 

« Se la scopre … »

 

Il solo pensiero gli fece salire un sapore acido in gola.

 

Poi esplose: « Ma l’hai vista la faccia di Malfoy?! »

 

Harry frenò bruscamente, fermandosi allo Stop che immetteva su Hampstead High Street; questo calmò Ron. Diede un’occhiata rapida alla strada principale e poi esaminò lo specchietto retrovisore: non c’erano auto nei paraggi. Mantenendo il motore acceso, appoggiò l’avambraccio destro sul volante, si voltò verso l’amico e lo guardò fermamente negli occhi.

 

« Mi vuoi spiegare che cosa ti ha preso? Eravamo d’accordo così. »

 

« Se la scopre … » ripeté lui a mo’ di scusa.

 

« Cosa vuoi che le faccia? » rimbeccò Harry.

 

Ron lo guardò sconvolto.

 

« Ci sono decine di persone in quella casa, » continuò Harry, « dovrà limitarsi a minacciarla velatamente, ed Hermione non è certo il tipo che si lascia intimorire. E poi… quando ha accettato di darci una mano sapeva perfettamente a cosa andava incontro, » così dicendo riprese la posizione di guida. Premendo piano sull’acceleratore, diede un paio di bracciate e sterzò verso sinistra, immettendosi sulla via principale del distretto.

 

Anche se Ron si era zittito, Harry sentiva che l’ansia non lo aveva abbandonato.

 

« Non preoccuparti, » aggiunse, « Hermione non si farà scoprire. Fidati di lei. »

 

« Io mi fido di lei! » sbottò Ron, « …è di Malfoy che non mi fido! »

 

* * *

 

Nella sala da pranzo di Villa Malfoy, Hermione si strinse nelle spalle fissando fuori dall’ampia vetrata. Si era appoggiata contro l’infisso laterale di una finestra e teneva le braccia incrociate sul petto, fingendo interesse per ciò che accadeva oltre il vetro. In realtà, fuori c’era ben poco da vedere: era scesa la sera e il buio nascondeva gran parte del giardino che circondava la Villa. Le luci esterne erano accese solo lungo il viale d’ingresso, mentre tutto il resto del parco era immerso nell’oscurità.

 

Nel vetro, quindi, la giornalista vedeva riflessi se stessa, la sala da pranzo e i numerosi ospiti.

 

Analizzando con velata presunzione il riflesso di quello sfarzoso angolo di aristocrazia, in qualità di giornalista d’arte valutò il quadro che aveva davanti di pessima fattura.

Il pavimento in marmo italiano, i decori dorati del soffitto e le pareti dipinte d’un bianco quasi accecante, avevano l’intento di far apparire la sala ancor più vasta di quanto fosse; eppure, pensò Hermione, a dispetto delle dimensioni sembrava troppo piccola per contenere tutta quella gente.

Era evidentemente di malumore, ma la frivolezza degli invitati non era che il capro espiatorio del suo orgoglio ferito: Draco Malfoy tardava a raggiungere gli ospiti e lei temeva che non sarebbe mai arrivato. Si sentiva presa in giro (dopotutto era stata invitata di persona) e allo stesso tempo stupida, per aver creduto che ci fosse un reale interesse del padrone di casa ad averla presente.

 

Il delicato suono di un campanello, appena percettibile fra il chiacchierare degli invitati, segnalò che la cena era pronta.

 

Hermione identificò il proprio posto a tavola grazie ad un cartellino riportante il suo nome. Era collocato all’angolo di una delle due lunghe tavolate e probabilmente era stato aggiunto all’ultimo minuto, a tavola ormai allestita. Alla sua sinistra era apparecchiato per il capotavola, ma il posto era vuoto. Di fronte aveva una giovane coppia che faceva di tutto per apparire affiatata, mentre alla destra sedeva un uomo di stazza notevole e dalla voce baritonale che, pensò Hermione, senza dubbio intimoriva la signora di mezz’età che lo stava ascoltando.

 

In tutta quell’agitazione notò che nessuno era sorpreso per l’assenza di Malfoy.

 

Come aveva temuto, il nobile rampollo non si fece vedere per tutto l’arco della serata… il che trasformò il banchetto in una gran perdita di tempo.

I pettegolezzi erano poco interessanti per guadagnarsi un trafiletto sul The Art Newspaper, e le conversazioni troppo banali per meritarsi il suo intervento.

Hermione sfiorò la telecamera che portava fra i capelli: probabilmente la batteria era scarica. Se fosse accaduto qualcosa, non avrebbe potuto documentarlo, quindi non era più d’aiuto nemmeno ai detective.

 

Per questo, al termine della cena, si alzò da tavola nervosa ed indignata, decisa a tornare verso casa.

 

Uscì dalla sala da pranzo e attraversò il salone principale per svignarsela inosservata, ma il maggiordomo direttore della serata la raggiunse prima che potesse abbandonare la kermesse.

Cortesemente le porse un vassoio argentato con alcuni flute colmi di champagne e, fra essi, un foglietto ripiegato.

 

« Prego, » disse.

 

Lei tentennò incerta.

 

Lo sguardo dell’uomo era abbastanza eloquente: intimava di raccogliere biglietto.

 

Hermione mosse le dita, inspiegabilmente gelate.

 

Alzò la mano lentamente. Esitò.

 

Infine, prese il foglio e lo aprì.

 

Mi segua, prego, senza dare nell’occhio.

 

[Follow me, please, discretely]

 

Trattenne il respiro.

 

Cosa significava quel messaggio?

 

La curiosità non le concesse di temporeggiare: seguì il maggiordomo, vagliando un’infinità di ipotesi. Dietro al passo rapido dell’uomo, tornò alla sala da pranzo e l’attraversò, diretta alla porta che conduceva in cucina.

 

Nessuno la notò, forse per la discrezione, o forse perché gli invitati non si curavano di lei.

 

Attraversata la cucina, con i cuochi ancora intenti a preparare dolci e caffè, Hermione scoprì che nella villa vi erano altre camere, inaccessibili dal salone centrale.

Entrarono in un corridoio ristretto sul quale si affacciava una serie di stanze, con porte in legno tutte uguali, alcune appena socchiuse. Dall’odore di chiuso e dalla polvere nell’aria, si poteva capire che non erano frequentate spesso e che fungevano, probabilmente, da cantina.

Il maggiordomo non le rivolse mai la parola, ma si dimostrò una guida premurosa avvertendola con un cenno di fare attenzione ad un gradino.

Superato l’ostacolo, il successivo tratto di corridoio non era diverso, ma l’uomo si fermò davanti ad una vecchia credenza che, posta lungo la parete, restringeva il passaggio.

Era una vecchio mobile da salotto, corredato di un piccolo scrittoio. Il maggiordomo ne aprì un cassetto minuscolo ed estrasse un libricino, poi lo porse a Hermione.

 

Lei parve tanto spaesata che dovette rassicurarla: « Deve prenderlo, è per lei. »

 

Hermione osservò il libretto in mano al maggiordomo: si trattava di un vecchio taccuino, rivestito in cuoio, decorato agli angoli e rilegato manualmente ad arte.

 

Nella copertina era inciso un titolo: My memories.

 

Un diario personale!

 

Hermione trattenne a stento la propria riconquistata vivacità. Afferrò avidamente il taccuino e aprì la copertina.

Le pagine leggermente ingiallite suggerivano che fosse un oggetto molto vecchio; ne sfogliò un paio, poi si fermò a bocca aperta, sorpresa da una calligrafia pulita, senza fronzoli, essenziale quanto la domanda tracciata al centro della pagina:

 

Chi sei?

 

[Who are you?]

 

Spaventata e curiosa allo stesso tempo, fece scivolare la carta sottile fra le dita, passando rapidamente tutte le pagine.

 

Pochi istanti dopo, sul suo viso si dipinse l’insoddisfazione.

 

Era soltanto un quaderno vuoto.

Continua…

 

* * *

 

N.d.A.

 

xMirtilla75: grazie! la trama di questa fic è lunga e contiene più di un pairing, molto si basa sull’effetto sorpresa, per questo preferisco non anticiparli. Purtroppo però non è una Draco/Harry, mi dispiace, ma non sono capace di scrivere fiction del genere yaoi; ho anche  fatto dei tentativi, ma con risultati pessimi che sono stati rapidamente cestinati… conosco i miei limiti, insomma… ^_^

 

XPaytonSawyer: grazie! Generare curiosità era uno dei miei principali obiettivi e sono contenta d’esserci riuscita almeno un po’!

 

xChiara_96: grazie! Farò del mio meglio per continuare ad incuriosirti! In realtà, non ho deciso di lasciare la fic inconclusa, ma sto andando incontro ad un periodo piuttosto impegnativo e, anche se ne ho scritta buona parte, non so quando riuscirò a finirla. Ci tenevo a precisarlo perché sono sempre piuttosto lenta a pubblicare.

Io adoro Matrix! Mi ha ispirato tantissimo per questa fic (troverai anche delle citazioni dal film).

 

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 - Butterfly ***


Lost Memories - Capitolo 3

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Si dice che il minimo battito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo.

Dal film “The butterfly effect (*)”,

 regia di E. Bress e J. M. Gruber

 

* * *

 

Capitolo 3 – Butterfly

 

L’agenzia di investigazioni private Potter&Weasley aveva la propria sede nel quartiere di Soho, in Lexington Street: una via stretta, con un unico senso di marcia, nella quale era consentito parcheggiare solo con permessi speciali o per brevi soste. Per questo motivo Ron e Harry preferivano andare al lavoro in metropolitana. La fermata distava pochi minuti a piedi dal loro ufficio e spesso, prima di salire allo studio, erano soliti fermarsi per fare colazione al Butterfly, il piccolo caffè situato al piano terra dell’edificio.

 

Si trattava di un locale piuttosto nuovo.

 

Quando circa due anni prima Harry e Ron avevano aperto la loro agenzia nel piccolo ufficio due piani più in alto, il Butterfly ancora non esisteva. Al suo posto c’era un negozio di souvenir che mostrava, nella vetrina spoglia e scura, un malinconico cartello “Vendesi”.

 

Circa un anno dopo, una ragazza intraprendente acquistò il locale e vi allestì un bar che in breve fece conoscere il proprio nome, sia per l’atmosfera vivace, sia per l’arredamento informale che esibiva un’impressionante varietà di toni cerulei. Persino la facciata in legno che dava su Lexington Street era stata dipinta d’azzurro, dalla proprietaria in persona.

 

Harry ricordava bene quel periodo, quando aveva fatto conoscenza con la caparbia barista capace di mandare avanti l’attività tutta da sola: Ginevra Weasley.

 

La ragazza era arrivata a Soho portando con sé una valanga di quelle coincidenze che piacevano tanto ad Harry. Prima fra tutte il suo cognome, abbinato alla innegabile somiglianza con Ron.

Ginevra, divenuta presto Ginny, aveva affermato da subito di essere cugina di Ron, ma lui, anche a distanza di mesi, negava testardamente l’evidenza.

Ginny diceva anche di essere capitata a Soho per pura casualità.

La cosa, secondo Harry, puzzava di bugia, ma non aveva mai avuto il coraggio di dirlo in faccia alla ragazza.

 

Questo perché, in realtà, lei gli piaceva.

 

Ginny era volitiva, carismatica, intrigante. Ogni volta che entravano nel bar li accoglieva con un sorriso solare e, sollevando la mano destra per un cenno di saluto, domandava: “Cosa posso fare per voi?”

 

Di solito Ron ignorava completamente la domanda per pura testardaggine.

 

Anche quella mattina accadde più o meno la stessa cosa, con la differenza che Ron non ignorò il saluto, ma rispose scoppiando in una risata incontenibile, generata dall’insolita acconciatura della “cugina”.

 

Ginny teneva i lunghi capelli quasi sempre sciolti, ma quella mattina portava un fermaglio per fissare alcune ciocche rosse dietro l’orecchio sinistro. La spilla era particolarmente vistosa: rappresentava una farfalla sovraccarica di brillantini che - Ron lo trovò esilarante - muoveva le ali quando lei scuoteva la testa.

 

Chiaramente, la ragazza si offese appena comprese la causa di tanta ilarità e voltò le spalle a Ron.

 

Nel fare quel gesto, andò a colpire con il gomito un pacchetto appoggiato in uno dei ripiani sottostanti il bancone.

 

La busta cadde a terra con un tonfo ed Harry si sporse per vedere cosa fosse successo.

 

Nello stesso istante, Ginny si portò le mani alla bocca trattenendo un’esclamazione.

 

In terra giaceva un pacchetto postale sul quale spiccava a lettere cubitali l’indirizzo del destinatario:

 

Agenzia investigativa privata Potter&Weasley

12, Lexington St.

W1F 0LF Londra

 

Harry aggrottò la fronte e trascorsero alcuni istanti di silenzio prima che Ginny prendesse la parola.

 

« Oh, Harry, mi dispiace tantissimo! » disse con la voce attutita dalla mano ancora sulla bocca, « ieri pomeriggio hanno portato questo pacco per voi, siccome non c’era nessuno in agenzia, » gesticolò agitata e le ali della farfalla molleggiarono fra i suoi capelli, « sono entrati qui, hanno chiesto se vi conoscevo e se potevo consegnarvelo. » Si fermò aspettando che Ron si avvicinasse al bancone; gli lanciò un’occhiata litigiosa, poi tornò ad Harry: « Era gente con dei soldi comunque, a giudicare dall’auto… » S’interruppe a metà frase e gli volse le spalle per chinarsi a raccogliere la busta in terra. Così facendo, la gonna corta s’alzò un poco e le scoprì le cosce.

 

Harry si tirò indietro, imbarazzato.

 

Lei gli porse tempestivamente il pacchetto, rossa in viso.

 

« Mi dispiace, » si scusò ancora, « mi sono dimenticata di darvelo… Comunque, » aggiunse come attenuante, « è arrivato ieri pomeriggio, non sono poi così in ritardo… »

 

* * *

 

L’ufficio in cui lavoravano Ron e Harry era composto da due stanze e un bagno. La sala più grande, su cui s’apriva la porta d’ingresso, era arredata in modo molto semplice: con due ampie scrivanie, disposte perpendicolarmente a formare una “L”, sulle quali regnava il disordine; lungo le pareti, rivestite con carta da parati color crema, precedenti inquilini avevano appeso alcune riproduzioni di quadri famosi che nessuno aveva più tolto. Sul lato sinistro, una porta a vetri conduceva nella stanza a fianco, vero e proprio laboratorio.

Nel complesso l’ufficio risultava piccolo e non particolarmente accogliente, tuttavia gli affari andavano bene. I clienti non mancavano, anche se i casi erano poco entusiasmanti: si trattava per lo più di pedinare amanti infedeli o parenti inaffidabili, recuperare oggetti smarriti o smascherare truffatori.

 

Finalmente un lavoro interessante, si disse Harry, lasciandosi cadere sulla sedia girevole della scrivania centrale, mentre apriva la busta ricevuta da Ginny.

 

All’interno vi trovò un biglietto scritto frettolosamente, un DVD ed un paio di fogli stampati e rilegati con una graffetta.

 

Lesse il biglietto ad alta voce:

 

« Come da voi richiesto, ecco una copia del video registrato dalle telecamere di sorveglianza nella mia pinacoteca. Spero possiate rapidamente scoprire ciò che io non sono nemmeno in grado di comprendere…

Cordiali saluti,

Antony Cooper McKenzie. »

 

Al loro primo incontro, McKenzie aveva vantato un sofisticato sistema di sorveglianza a protezione della propria collezione d’arte, il quale, però, al momento del furto era stato disattivato per consentire ad alcuni ospiti la visita a quelle stanze; solo le telecamere erano rimaste in azione.

Di conseguenza, Harry aveva richiesto una copia del filmato della giornata e, ovviamente, una dettagliata lista degli ospiti.

 

Curioso, aprì subito la custodia del supporto ottico.

In attesa che il computer completasse la procedura di accensione, con il disco infilato nell’indice alzato a mezz’aria, si soffermò ad esaminare Ron.

Il detective camminava impaziente avanti e indietro per il piccolo ufficio; sentendosi osservato si fermò e guardò l’amico.

 

« È in ritardo, » si lamentò. Si riferiva ad Hermione.

 

Avevano stabilito di incontrarsi alle nove in punto, ed era passata già mezz’ora.

 

« Arriverà, » disse Harry infilando il DVD nel lettore.

 

Nell’istante esatto in cui pronunciò quelle parole, qualcuno bussò alla porta.

 

Ron aprì in un batter d’occhio.

 

«Scusate il ritardo!» Hermione irruppe nella stanza, accalorata e col fiato corto, si tolse il cappotto e lo appese con cura all’attaccapanni. Sbuffò: « Questa mattina sembravano tutti impazziti in metropolitana! »

 

« Ci hai fatto preoccupare! » pigolò Ron.

 

Lei sospirò e raggiunse Harry alla scrivania, sfilò dalle tasche dei jeans la microscopica telecamera utilizzata il giorno prima e la pose sul tavolo, infine si sedette sulla sedia di fronte a lui.

 

« Non so se lo farò ancora, » disse lievemente seccata.

 

Ron, in piedi all’entrata, fece un impercettibile cenno d’approvazione con la testa, poi chiuse la porta.

 

Harry sgranò gli occhi: « Perché? »

 

« Perché sono una giornalista, Harry, ho una reputazione da mantenere. Se dovessero scoprire che filmo senza permesso le case di ricchi signori inglesi, perderei il lavoro. »

 

Harry capì ed andò dritto al punto: « Credi che Malfoy abbia intuito qualcosa? »

 

Hermione non rispose.

 

Per la prima volta dalla sera precedente, Harry parve seriamente turbato. Ron provò quasi sollievo nel vedere la preoccupazione farsi largo sul viso dell’amico.

 

« Hermione, » domandò serio, « è accaduto qualcosa? »

 

Lei scosse la testa.  « No… Ma … non credo sia una buona idea tornare a Villa Malfoy. »

 

« Lo sapevo! » esclamò Ron, « Malfoy ti ha minacciato! Hermione, qualsiasi cosa ti abbia detto o fatto devi dircelo! »

 

« Calmati, » disse lei paziente, « non è successo nulla, Draco Malfoy non s’è fatto nemmeno vedere. »

 

Ron sbuffò offeso: « mi prendi in giro? Ho visto perfettamente la sua faccia mentre parlava con te. Cosa voleva? »

 

« Niente… Solo… »

 

« Solo… » incalzò lui.

 

« Solo… Mi ha invitato a cena! Ecco. » Arrossì.

 

Harry spalancò gli occhi.

 

A Ron mancarono le parole.

 

Lei, dato il silenzio imbarazzante, ritenne opportuno chiarire i dettagli.

 

« Mi ha invitato alla cena organizzata per gli altri ospiti. Sono rimasta, ma lui non si è fatto vedere, non so perché. Forse sospettava di me, …magari l’invito era per mettermi alla prova… »

 

Così dicendo, ripensò alle parole del messaggio ricevuto a fine serata. D’istinto portò la mano destra a proteggere la borsetta dove teneva ancora il piccolo quaderno ricevuto dal maggiordomo: qualcosa le suggeriva di tenere quel particolare per sé.

 

« Hermione, devi dirci tutto quello che è accaduto ieri, » asserì Ron in tono severo.

 

« Quello che hai notato di strano, » aggiunse Harry.

 

« …e quello che ha fatto Malfoy. » terminò Ron.

 

Harry approvò con un cenno della testa. « Poi… » esitò soppesando le parole, « vorremmo vedere quello che hai scritto… »

 

« …Scritto dove? » domandò Hermione sospettosa.

 

Ron tossì, poi azzardò con un filo di voce: « sul tuo taccuino… »

 

Lei si voltò e lo squadrò con un’espressione talmente truce da farlo sentire un tutt’uno con la parete.

 

« Che c’entra il mio taccuino, adesso? » berciò.

 

E Ron lanciò un’occhiata eloquente ad Harry, come a dire: visto che avevo ragione?

 

* * *

 

Erano le tre del pomeriggio quando Hermione si fermò davanti all’imponente cancello in ferro battuto chiuso sull’ingresso di Villa Malfoy.

 

La nebbia che avvolgeva la città di Londra sembrava addensarsi in particolare nel quartiere di Hampstead ed infittirsi intorno alla Villa, conferendole un aspetto spettrale.

Faceva freddo e la ragazza si strinse nel cappotto, chiudendo con la mano destra il colletto intorno alla gola. Indossava un paio di jeans con comode scarpe da ginnastica e aveva i capelli ricci increspati dall’umidità: nel complesso, la sua figura esile e immobile di fronte all’enorme cancello, sembrava quella di una ragazzina curiosa, intenta a spiare la maestosa Villa e tentata dall’idea di intrufolarsi all’interno del giardino.

 

In effetti, erano stati la curiosità e il bisogno di chiarire una questione in sospeso a guidarla lì, solo che lei non era disposta ad ammetterlo: dava la colpa alla stanchezza.

 

Aveva passato tutta la domenica sera a scrivere l’articolo per il The Art Newspaper.

Quella mattina era uscita di casa presto per consegnarlo al direttore, affinché avesse il tempo di farne una revisione prima di mandarlo in stampa.

Poi era uscita per incontrarsi con Ron e Harry, come avevano concordato, ed era arrivata in ritardo all’appuntamento a causa del traffico.

Verso le undici aveva preso di nuovo la metro, a Leicester Square, per tornare in ufficio.

Aveva fame e un lieve mal di testa, così fu semplice dare la colpa alla stanchezza quando s’accorse d’essere salita sul treno che andava in direzione opposta, verso nord.

 

Nonostante si fosse resa conto immediatamente dell’errore, era rimasta sul vagone fino alla fermata di Hampstead: all’improvviso carica di coraggio, aveva deciso di chiedere spiegazioni in merito al messaggio ricevuto la sera prima.

 

Ora, fra le fredde strade del quartiere, davanti a quell’edificio che si perdeva nella foschia come l’immagine di un sogno, tutta la sua audacia era svanita.

 

Si sentì sciocca quanto un topolino che entra a curiosare nella tana di una vipera.

 

Così girò le spalle alla Villa, ma proprio in quell’istante la serratura del cancello d’ingresso scattò.

 

* * *

 

A mezzogiorno, dopo che Hermione aveva lasciato lo studio, Ron era uscito per incontrare alcuni degli ospiti presenti sulla lista di McKenzie, mentre Harry era sceso a comprarsi il pranzo.

 

Gli spaghetti del Wagamama Noodle, però, erano diventati freddi senza essere toccati e da un’ora giacevano, dimenticati, sulla scrivania.

 

Harry Potter teneva la testa fra le mani e sembrava che avesse gli occhi incollati allo schermo del computer, arrovellandosi, senza risultato, sul quesito che gli avrebbe fatto passare la notte in bianco:

 

Come diavolo aveva fatto il ladro a rubare il quadro dalla pinacoteca McKenzie?!

 

Lui, davvero, non si capacitava: continuava a fissare il monitor sperando di carpire un indizio, qualche segnale che potesse essere d’aiuto; le mani immerse nei capelli, gli occhi stanchi, e la mente tormentata da un mistero che aveva dell’incredibile.

Aveva guardato e riguardato all’infinito la stessa scena del DVD, credendo a stento a quello che la telecamera a circuito chiuso documentava senza possibilità d’equivoco.

 

Premette il tasto sinistro del mouse e riportò il filmato, per l’ennesima volta, indietro di un paio di minuti.

 

Nell’angolo della schermata in basso a destra lampeggiò l’orario: 22:43.

 

L’inquadratura comprendeva un lungo corridoio lievemente illuminato.

Su entrambe le pareti erano appesi dei ritratti ben visibili: quattro sul lato sinistro, tre su quello destro.

 

Nemmeno un’ombra attraversò il magnifico pavimento in marmo rosa per due interminabili minuti.

 

Poi, alle ore 22:45, il ritratto centrale appeso alla parete di destra, raffigurante un uomo corpulento e dalle gote arrossate, in meno di un istante, svanì nel nulla.

 

Continua…

* * *

 

N.d.A

 

(*) “Effetto farfalla” è una locuzione usata per riassumere la frase che il fisico Edward Lorentz disse parlando della teoria del caos: “Il battito delle ali di una farfalla in Brasile può scatenare un tornado in Texas”. Ho scelto la citazione del film, piuttosto che le parole del fisico, solo perché mi piaceva di più, tanto la sostanza è la stessa.

 

 

xPaytonSawyer: sono contenta che la mia storia continui ad incuriosirti! Pian piano troverai le risposte che cerchi, ma non in questo capitolo… ci sono prima altre domande da porre!! ^^

 

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 - Come as an old enemy ***


Capitolo 4 – Come as an old enemy

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Come

As you are, as you were
As I want you to be

As a friend, as a friend

As an old enemy

Nirvana, Come as you are

 

* * *

 

Capitolo 4 – Come as an old enemy

 

Sentendo scattare la serratura del cancello di Villa Malfoy, Hermione si paralizzò. Rimase immobile per diversi secondi finché decise di voltarsi.

 

Alle sue spalle non c’era nessuno, ma il cancello socchiuso sembrava un chiaro invito ad entrare.

 

Alzò gli occhi verso la possente facciata della Villa, che ora aveva un aspetto mille volte più inquietante di prima. La frivolezza e la vivacità dei numerosi ospiti che ne affollavano le sale sembravano frammenti di un ricordo lontano.

Osservò la serratura del cancello, in particolare il rilievo inciso sul ferro battuto: raffigurava una serpe avviluppata su se stessa a formare la lettera “S”.

 

Quasi inconsciamente fece qualche passo in avanti e allungò la mano per sfiorare con le dita il rilievo.

 

Quel contatto ebbe lo stesso effetto del risveglio improvviso dopo un incubo, accompagnato dalla paura che possa diventare realtà. Il freddo le attanagliò le tempie e le sembrò di sentire un ululato sommesso, un grido di rabbia soffocato, attraverso la foschia.

 

D’impulso spinse il cancello per aprirlo definitivamente, consapevole che quel gesto avrebbe potuto decretare la fine della propria carriera.

 

Lentamente, con la gola strozzata, iniziò a percorrere il ciottolato che conduceva all’ingresso. Il freddo le saliva lungo le gambe e fra le maniche della giacca mozzandole il respiro, mentre la nebbia s’alzava intorno a lei, inghiottendola passo dopo passo.

 

* * *

 

La lista degli ospiti che l’avvocato McKenzie aveva fornito si rivelò decisamente impegnativa per Ron, che non era abituato a frequentare l’alta società.

Il terzo ospite in elenco viveva in una graziosa villetta a due piani in Gloucester Road che, si diceva, fosse appartenuta ad un famoso scrittore di fine ottocento.(*)

Il giardino privato era curato ad arte e i davanzali delle finestre del piano terra traboccavano di fiori, con un gusto tutto femminile.

 

Ron trasse un profondo respiro per farsi coraggio e suonò il campanello. Pochi istanti dopo la governate aprì il cancello e lo invitò ad entrare.

Nonostante avesse telefonato per avvisare del suo arrivo, Ron varcò la soglia con evidente imbarazzo.

Non era da tutti i giorni avere l’occasione di incontrare una famosa artista, e lui lo stava facendo nel più squallido dei modi: come poliziotto.

 

La donna in questione si chiamava Pansy Parkinson ed era una nota attrice di teatro.

Non di quelle che tutti i registi vorrebbero avere nel cast, ma di quelle che, per qualche innato talento, riescono ad avere sempre la parte principale.

 

Quando Pansy scese al piano terra, era avvolta in una vestaglia di seta bianca, con larghe maniche ed un voluminoso collo in pelliccia.

Subito lo invitò a seguirla in un arioso salotto arredato con mobili d’epoca.

Lei prese posto sul divano e lui sulla seggiola di fronte.

Fra loro, sopra ad un tavolino di cristallo, era stato servito del tè.

 

Osservando la giovane donna, Ron pensò che, pur non essendo particolarmente bella, metteva una certa soggezione. Gli occhi neri e vivaci erano segno di grande sicurezza nelle proprie capacità, i lineamenti duri del viso suggerivano quanto di quella sicurezza potesse trasformarsi in presunzione.

 

Il tipo di persona che ottiene sempre quello che vuole…

 

« Sono felice di aiutarla nelle indagini, Signor... »

 

Ron si schiarì la voce: « Weasley, Ronald Weasley, dell’agenzia investigativa… »

 

« Gradisce del tè? » interruppe lei.

 

Ron scosse la testa.

Poi seguirono alcuni convenevoli al termine dei quali si ritrovò con piattino e corrispondente tazzina di tè fra le mani.

 

Fortunatamente, Ron aveva illustrato il motivo della propria visita quando aveva preso appuntamento per telefono, così poté porre subito la classica domanda: « Dove si trovava nella serata di giovedì scorso, signorina Parkinson? »

 

Lei si guardò le unghie con fare sostenuto.

 

« Questo lo sa già. Ero a cena da Antony. »

 

« Quando ha lasciato la casa? Insieme agli altri ospiti oppure… »

 

Lei lo squadrò indignata. « Sta forse insinuando che… »

 

Ron desiderò sprofondare sottoterra. « No. NO! Assolutamente, ma è importante… l’orario… perché per noi… ecco, il furto è stato commesso durante la notte e… »

 

Lei scoppiò in una risata al limite dell’insolenza.

 

« Lei è molto divertente, sa? In effetti, mi sono trattenuta con Antony un po’ di più, per chiarire alcuni particolari del mio prossimo contratto di lavoro. Non era nemmeno mezzanotte quando mi ha riaccompagnato a casa. »

 

« McKenzie è uscito di casa insieme a lei? » domandò Ron sorpreso.

 

Pansy Parkinson rise per l’assurdità della domanda: « Oh, no! Signor Wesley! »

 

« Weasley, » corresse Ron.

 

« Ovviamente mi riferivo al mio autista. »

 

* * *

 

L’atrio di Villa Malfoy era completamente vuoto. E freddo. La temperatura sembrava addirittura inferiore a quella esterna.

 

Hermione ebbe un brivido.

 

Era nervosa, anche se, prima di entrare, aveva individuato almeno una decina di valide scuse per motivare quella visita improvvisa. 

 

Avanzò qualche passo e si fermò in mezzo alla stanza. L’immensità della Villa era ancora più evidente ora che le sale erano vuote.

Esaminò l’arredamento e i dipinti appesi alle pareti, che già aveva studiato a fondo il giorno prima.

L’ambiente era illuminato sia dalle ampie finestre, sia dalle lampade a parete, accese anche in pieno giorno; come se tutta quella luce potesse mitigare il senso di solitudine che aleggiava nell’aria.

Sembrava che la villa fosse disabitata, tanto era profondo il silenzio.

 

Hermione analizzò ogni dettaglio della sala per un paio di volte, finché non riuscì più ad ignorare il crescente disagio.

Nessuno era ancora arrivato ad accoglierla e lei si pentì d’aver oltrepassato il cancello.

Poi un’eco di passi le fece alzare lo sguardo verso la sala da pranzo, dalla quale sopraggiungeva lo stesso maggiordomo che il giorno prima l’aveva trattenuta.

Camminava a passo sostenuto e quando la raggiunse fece un mezzo inchino.

 

« Buongiorno Miss Granger, » disse, e con l’accoglienza che si riserva ad un’amica di famiglia, l’invitò a togliersi il cappotto.

 

Hermione avrebbe voluto parlare con lui della sera precedente, ma l’uomo si dileguò con la sua giacca troppo rapidamente.

 

E lei, di nuovo, rimase sola.

 

Sentendosi ancora più inquieta e imbarazzata, iniziò a compiere una serie di gesti privi di scopo.

Si ravvivò i capelli. Lisciò il maglione. Dalla borsetta prese il cellulare e scrisse un messaggio alla collega che si occupava di correggere le bozze del suo articolo.

 

Com’è andata? L’articolo è in stampa?

 

Senza attendere la risposta, ripose il telefono nella borsa.

Pochi istanti dopo il cellulare squillò e contemporaneamente, da dietro la grande scalinata sulla destra, comparve Draco Malfoy.

 

Hermione trasalì.

 

Il ragazzo che la stava raggiungendo appariva affascinante, nonostante l’alterigia del suo portamento. Era vestito elegantemente in abito scuro, con pantaloni in tessuto e una giacca aperta sopra ad una maglia a collo alto. I capelli biondi risaltavano illuminati dalla luce diffusa.

 

Si fermò ad alcuni passi da lei, ad una distanza che sembrava calcolata.

 

« Benvenuta nella mia dimora, Granger, » disse tirando le labbra in un sorriso con un ché di sarcastico.

 

« Può chiamarmi Hermione, » suggerì lei.

 

Lui la ignorò. Senza parlare, le fece cenno di seguirlo presso lo studio.

 

Precedendola, raggiunse le due grandi vetrate e scostò le tende.

 

La luce grigia di quel pomeriggio uggioso illuminò la stanza, arredata in stile antico, con mobili di mogano scuro e tende in velluto nero con passamaneria dorata. Si sentiva forte l’odore di nuovo, come se il locale fosse utilizzato solo di rado.

 

Il contrasto con la sala centrale era evidente, come quello tra i capelli biondi di lui e l’abito che indossava.

 

Hermione fece un paio di passi oltre la soglia, poi si fermò ad osservare il ragazzo.

 

La pelle pallida e la durezza dei suoi lineamenti erano affascinanti quanto surreali. Egli si muoveva nella stanza con sicurezza e distacco, come se volesse sottolineare la sua superiorità nei confronti di ciò che lo circondava. Il grigiore del suo sguardo ricordava lo stesso fascino e la stessa desolazione che si provano osservando un freddo paesaggio lunare.

 

Arrossì, imbarazzata, appena lui la guardò con l’espressione di chi coglie una ladra in flagrante.

 

Poi l’ospite si diresse alla scrivania dello studio e la invitò a prendere posto dall’altra parte del tavolo, secondo le regole di un incontro d’affari.

 

Hermione si accomodò composta sulla sedia, mentre lui si fece scivolare sulla poltrona tenendo gli avambracci sui braccioli e la testa reclinata all’indietro contro lo schienale, con fare sornione, dando l’impressione di potersi addormentare da un momento all’altro.

 

« A cosa devo questa visita? » Domandò.

 

Lei rimase a bocca semiaperta per un po’.

 

Che cosa poteva rispondere?

 

Le scuse che aveva costruito solo pochi minuti prima, erano crollate tutte insieme, in un secondo, appena aveva capito che lui voleva sentirsi dire una cosa soltanto.

 

La verità.

 

Allora aprì rapidamente la borsetta e prese a rovistarvi all’interno.

Per un tempo che le sembrò infinito, le sue mani perquisirono il contenuto in modo scoordinato, mentre la sua mente vagava altrove.

Finalmente trovò il taccuino e lo porse al ragazzo.

 

« Sono venuta a restituirlo. L’altra sera, il Vostro maggiordomo mi ha consegnato questo quaderno, ma temo ci sia stato un errore, Signor Malfoy, io non… »

 

« Nessun errore, Granger, » disse lui.

 

« Hermione, » propose lei, per la seconda volta.

 

Le labbra di lui si tesero in un sorriso che aveva quasi del maligno: « non c’è stato nessun errore. Quel quaderno è per te. »

 

« Per me? Ma io non… »

 

« Hai risposto alla domanda? » chiese lui.

 

« Io? No… Signor Malfoy, mi dispiace, ieri sera non intendevo assolutamente mettere in cattiva luce il vostro nome, io… »

 

A quel punto Draco la interruppe seccato, alzandosi bruscamente dalla poltrona; con la mano destra indicò l’uscita.

 

« Hermione Granger, » disse scandendo il nome in un misto di sfida e cautela, « torna da me solo quando avrai risposto alla domanda. »

 

* * *

 

Pansy Parkinson non era stata in grado di ricordare esattamente l’orario in cui aveva lasciato McKenzie, così Ron aveva pensato che il suo autista potesse dargli qualche indicazione in più.

Congedatosi dall’attrice, scese i cinque gradini appena fuori dalla porta e voltò a destra, girando intorno alla villetta.

Nel retro del cortile era situato un garage, davanti al quale era parcheggiato un Mercedes nero. Un uomo alto e dall’aspetto giovanile lo stava lucidando in ogni angolo.

 

Senza dubbio, l’autista.

 

Ron lo avvicinò: « Buongiorno, lei è… » consultò gli appunti disordinati che aveva preso poco prima, « …Joseph Serrano, vero? Sono il detective Ronald Weasley dell’agenzia investigativa privata Potter&Weasley. »

 

L’autista lo guardò sorpreso, poi rispose al saluto.

 

« Posso farle qualche domanda? » chiese Ron.

 

Il volto dell’uomo si adombrò. « Sicuramente, » rispose incerto. Aveva un accento marcatamente straniero.

 

« È stato lei, nella sera di giovedì scorso, ad accompagnare la signorina Parkinson al numero 15 di Carlyle Square? »

 

Joseph guardò in alto, con espressione pensosa, poi fece un cenno con la testa: « Sì. »

 

« Ed è tornato lei a prenderla per riaccompagnarla a casa? »

 

Di nuovo lo sguardo verso l’alto, di nuovo un cenno con la testa: « Sì. »

 

Ron inspirò pazientemente: aveva la netta sensazione che l’uomo capisse ben poco di quello che gli stava chiedendo.

 

« A che ora è tornato a prenderla? »

 

L’uomo alzò gli occhi al cielo per l’ennesima volta. Ron stava per troncare l’inutile conversazione, quando l’autista rispose: « le undici e venti di sera, ma non l’ho accompagnata a casa. »

 

« Ah no? »

 

L’autista scosse il capo: « No. Ho portato la signorina ad Hampstead. Al numero tre di Heath street.»

 

Ron spalancò gli occhi: « ma quella è la residenza di… »

 

« Dei Malfoy. » concluse l’autista.

 

Ron, colto da frenesia, aggiunse rapidamente una annotazione ai propri appunti.

 

Joseph Serrano, 11.20 p.m. --> MALFOY!

 

Il nome del ricco erede venne cerchiato per due volte.

 

« A che ora è tornato a prenderla? »

 

« Non sono tornato. »

 

Il detective rimase a bocca aperta, letteralmente allibito. « Sa, per caso, a che ora è rientrata? »

 

« No, » rispose divertito l’autista. Poi gli volse le spalle e riprese la pulizia dell’auto: « Questo dovrebbe far parte del suo lavoro, Signor Weasley... »

 

Ron guardò l’uomo con crescente irritazione: non sapeva neanche l’inglese e si permetteva di fare battute!

 

« Rimanga a disposizione, Signor Serrano, » concluse secco.

 

Poi, fulmineo, imboccò la via d’uscita dalla villetta…

 

Doveva assolutamente parlare con Harry!

 

* * *

 

Ron irruppe letteralmente in ufficio, tutto arrossato in volto, ansimante per la corsa e per l’agitazione.

 

« Harry, tu non hai idea di cosa ho appena scoperto! » Esclamò.

 

Harry lo ascoltò con scarso interesse, poi scosse la testa: « No. Tu non hai idea di cosa sia successo.»

 

Dando poca considerazione alle parole dell’amico, Ron si sedette alla scrivania di fronte a lui: « Ho intervistato alcuni degli ospiti nella lista di McKenzie. C’era anche Pansy Parkinson, hai presente? L’attrice… »

 

In tutta risposta, Harry prese lo schermo del computer e lo girò verso il compagno. « Guarda, » ordinò facendo partire il filmato.

 

« È il filmato di McKenzie? » domandò Ron.

 

Harry fece un cenno d’ assenso.

 

« Ok, Harry, dopo lo guardo, ma adesso ascoltami, » disse Ron. Lanciando distrattamente qualche occhiata allo schermo, si sbottonò la giacca. « Vuoi sapere cosa ha fatto Pansy Parkinson giovedì sera? »

 

Harry, le braccia incrociate sul petto, non lo stava ascoltando. Scrutava solo l’amico in attesa della sua reazione al video.

 

« Si è fermata da McKenzie fino alle undici e venti, e poi… »

 

Ron si sfilò le maniche della giacca.

 

« …Non è tornata a casa… »

 

E diede un altro sguardo allo schermo.

 

Harry assentì con la testa, contando mentalmente i secondi.

 

« Si è fatta accompagnare… »

 

Ron finì di togliersi la giacca, si alzò solo per gettarla sulla poltrona. Poi tornò a sedersi.

 

« Si è fatta accompagnare a casa di M - »

 

Ammutolì.

 

Aveva intravisto sullo schermo quello che Harry oramai sapeva a memoria.

 

« Ma… » balbettò, « il quadro… è scomparso! »

 

Harry annuì con un movimento lento della nuca e fece un sorriso nervoso.

 

« Cavoli, » commentò Ron, « il filmato è stato ritoccato! »

 

* * *

 

Continua...

 

N.d.A

 

(*) Lo scrittore a cui faccio riferimento è James Matthew Barrie, autore di Peter Pan. La sua villa di Londra è stata venduta all’asta qualche anno fa.

 

x giuliechelon90: grazie! Sono contenta che la storia ti piaccia e spero che continuerai a trovarla interessante!

 

x Malika: se quando dici che non ci capisci un accidente ti riferisci alla trama, in effetti è voluto. Diciamo che è un po’ contorta ed io ho cercato di inserire pochi indizi per volta. Le cose si chiariranno man mano, ma serviranno ancora alcuni capitoli.

 

_Jaya: allora, provo a chiarire i tuoi dubbi senza svelare troppo:

-          hai detto di eliminare gli ultimi capitoli del 7^ libro, ma quando racconti sembrano passati vari anni da quel momento.

Sì. Per scrivere la fic non ho tenuto conto dell’Epilogo e nemmeno di tutto ciò che la Rowling ha raccontato dopo la frase che ho citato; come se da quel momento in poi si aprisse una seconda strada. Inoltre, è esatto: non è stato ancora detto esplicitamente, ma sono passati circa un paio d’anni (questo posso svelarlo ^^).

-          Harry e company non sono maghi? O.o Perché non c'è traccia di magia, se non in quel filmato del furto in cui il quadro sparisce "per magia"?

Sì, sono maghi perché quello che è accaduto prima della frase che ho citato rimane un punto fermo, quindi nessuno dei personaggi è diverso dalla sua vera natura. Solo che, come ho detto nell’introduzione, sono accadute “delle cose” che sono state dimenticate e che, come si vede, hanno cambiato profondamente la vita dei vari protagonisti. Ovviamente, prima di scoprire cos’è accaduto servono ancora un po’ di capitoli!

Spero che sia almeno un po’ più chiaro!!^^.

 

x PaytonSawyer: scusami, ma posso risponderti solo in modo vago o sintetico, perché ti poni proprio le domande che io volevo suscitare nei lettori in attesa dei prossimi capitoli… ^_^

-          Ron ed Hermione sanno di essere dei maghi? No (…ehm, so che è poco, ma ora posso dire solo questo… ).

-          Ginerva Weasley che apre un bar sotto di loro e si spaccia per la cugina di Ron senza che loro si ricordino di lei... oddio, che cavolo vuol dire?? Mi dispiace – bocca cucita.

-          Durante la guerra è successo qualcosa ed hanno perso i ricordi o sono stati cancellati? Beh, non posso dire nemmeno questo… porta pazienza! XD

 

 

 

 

 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 - Aprimi ***


Capitolo 5 - "Aprimi"

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

L’aprì e dentro c’era una minuscola torta su cui un bellissimo

ghirigoro di uva sultanina formava la parola “mangiami”…

 

Lewis Carrol, Alice nel paese delle meraviglie

 

* * *

 

Capitolo 5 – “Aprimi”

 

Martedì mattina Harry entrò al Butterfly da solo e Ginny capì subito che qualcosa non andava.

 

« Dov’è hai lasciato Ron? » chiese con un pizzico di ironia che Harry, impegnato in altre riflessioni, non colse. Si limitò a sedersi sullo sgabello presso il banco e a rispondere al saluto con aria assente.

 

Ginny osservò l’espressione concentrata del ragazzo e le sue profonde occhiaie. Era evidente che qualcosa lo preoccupava.

 

« Harry, ti senti bene? Sembra che tu non abbia dormito. »

 

« Non molto. Mi faresti un espresso? »

 

« Certo. »

 

La barista iniziò ad armeggiare con la macchinetta; nel frattempo Harry si guardò attorno, scorgendo un solo cliente nel locale. Un uomo anziano, solo, sedeva presso un tavolino accanto alla vetrata e sorseggiava un bicchiere che aveva tutta l’aria di contenere Gin.

Harry scosse la testa con disapprovazione.

 

« Non dovresti dargli da bere quella roba, » mormorò.

 

Ginny non gli diede retta. Poco dopo gli porse il caffè: « Hai una faccia che fa paura. »

 

Lui tirò le labbra in un sorriso scoraggiato e girò la tazzina fra le mani: « Io e Ron stiamo lavorando ad un caso… » avrebbe voluto descriverne l’assurdità, ma si limitò guardare la barista da sopra le lenti, pensieroso.

Notò che non portava più la molletta che Ron aveva deriso.

 

Lei sollevò un sopracciglio, poi si scostò una ciocca di capelli dietro l’orecchio sinistro. Appoggiò i gomiti sul tavolo e si sporse verso di lui, guardandolo intensamente.

Harry si perse per un attimo nel suo sguardo.

Aveva dei bellissimi occhi che in certi momenti - come quello, ad esempio - sembravano capaci di sondare nel profondo del suo animo.

 

« Secondo me lavori troppo. »

 

Harry aggrottò la fronte; fece per ribattere, ma Ginny non lo lasciò parlare: sembrava investita di un’improrogabile missione.

 

« Devi rilassarti, svagarti un poco. Entro le cinque di stasera ti voglio fuori dall’ufficio. »

 

A Harry quasi scappò da ridere.

 

Entro le cinque… Con tutto quello che doveva fare!

 

Rimanevano ancora alcuni ospiti da interrogare, bisognava risentire Pansy Parkinson per confermare la versione del suo autista e poi… qualcuno avrebbe dovuto parlare anche con Malfoy.

 

Ginny, ovviamente, non conosceva i suoi impegni, ma se anche li avesse saputi avrebbe continuato a combattere la propria crociata. « Alle cinque, » ripeté risoluta, « salgo a prenderti io. Ti tiro fuori da quel buco e andiamo a bere qualcosa. » Strinse le labbra e il suo sguardo s’incupì.

 

Harry, che non l’aveva mai vista così seria, pensò che avrebbe potuto addirittura piantare una scenata, quindi non s’attentò a ribattere.

 

Ginny, però, non era il tipo da fare sfuriate.

 

Ginny voleva solo mascherare il proprio imbarazzo di fronte a quella che era una palese richiesta d’appuntamento.

 

Cosa che, sul momento, Harry non aveva assolutamente capito.

 

Ma le cinque del pomeriggio sarebbero arrivate anche per lui…

 

* * *

 

Hermione Granger viveva in un monolocale al terzo piano di una moderna palazzina nel quartiere di Vauxhall, a pochi isolati di distanza dalla sede del The Art Newspaper.

 

L’appartamento era costituito da tre piccole stanze. Entrando ci si trovava immediatamente nel salotto, arredato con un comodo divano e un’affollata libreria; a destra era allestito un semplice angolo-cucina, in legno laminato bianco, con un tavolino quadrato accostato alla parete; a sinistra c’erano la camera e un piccolo bagno.

 

Hermione indossò una felpa aperta sopra al pigiama e attraversò scalza la soglia della stanza da letto, rabbrividendo leggermente al passaggio dalla moquette alle fredde mattonelle.

Erano le sei del mattino e si era svegliata di buon’ora per iniziare il proprio lavoro.

Accelerò il passo per raggiungere il fornello su cui bolliva l’acqua nella teiera.

Si versò una tazza di tè e la tenne fra le mani, apprezzandone con piacere il tepore. Bevendo qualche sorso, si avvicinò con passo stanco al tavolino, per iniziare a lavorare.

 

Dopo il servizio sulla collezione di Villa Malfoy, doveva occuparsi della mostra temporanea di Arte Africana inaugurata al British Museum. Conosceva poco l’argomento e così si era procurata riviste, giornali e libri per documentarsi prima di iniziare a scrivere.

Tutto il materiale si trovava sparso disordinatamente sul tavolo ed Hermione biasimò se stessa per averlo lasciato in quello stato, la sera prima.

Posò la tazza di tè e iniziò a riordinare.

Si era completamente dimenticata che, sommerso dai volumi, aveva lasciato (non del tutto involontariamente) il taccuino ricevuto a casa di Draco Malfoy.

 

Si ricordò della questione soltanto quando se lo ritrovò davanti.

 

Lo fissò per alcuni secondi con la ridicola sensazione che stesse sussurrando la parola “Aprimi”…

 

Si passò le mani sugli occhi assonnati.

 

Chi sei?

 

Non voleva aprire il taccuino per evitare che la fastidiosa domanda la distraesse dal lavoro. La sera precedente, infatti, aveva commesso quell’errore e aveva concluso con il rimuginare così tanto sulla questione da addormentarsi sul tavolo.

Scostò il quaderno, nervosamente.

Prese un blocco di fogli bianchi, rovistò sul tavolo in cerca della penna e poi scelse una rivista a caso. Si sedette ed iniziò a sfogliarla.

 

Chi sei?

 

Non le servirono neanche due pagine per rendersi conto che la concentrazione era già perduta.

L’occhio saltava ogni cinque secondi sulla copertina in cuoio del taccuino.

 

Chi sei?

 

Strinse forte la penna nella mano.

Non era possibile che una sciocchezza simile riuscisse a distrarla tanto!

C’era un sacco di lavoro da portare avanti e non aveva certo bisogno di perdersi in giochetti infantili o inutili fantasticherie!

 

Sospirò e scosse la testa con sommo disappunto.

 

Sconfitta, afferrò il libricino e lo aprì.

 

Sfiorando le pagine con la stessa cautela della prima volta, fu pervasa da una strana sensazione: erano intonse eppure sembravano usate. Erano ruvide come se qualcuno vi avesse scritto e poi cancellato per diverse volte.

 

Chi sei?

 

Sollevò il quaderno ed esaminò le pagine controluce, ma non c’erano, come si era aspettata, zone in cui la pressione di una penna avesse lasciato traccia di qualche parola.

 

Non si leggeva nulla oltre alla domanda…

 

Chi sei?

 

Hermione sentì crescere il nervosismo.

 

Doveva documentarsi e aveva tempo fino alle nove, per poi recarsi al British Museum…

 

E la domanda pulsava nella testa, sembrava un’ossessione.

 

Chi sono?

 

Stava perdendo un sacco di tempo! Sbottò stizzita, poi prese il taccuino, lo aprì a caso e, calcando sulle pagine delicate, scrisse:

 

Hermione Granger.

Giornalista freelance per il “The Art Newspaper”.

 

Infine lo richiuse e lo gettò in fondo al tavolo.

 

Non aveva tempo per giocare.

 

Qualsiasi altra cosa avesse voluto sapere da lei, Draco Malfoy avrebbe dovuto chiedergliela chiaramente di persona.

 

Faccia a faccia.

 

* * *

 

Ron si era rivolto al miglior studio grafico di sua conoscenza per far esaminare il video registrato dalla telecamera di McKenzie.

Dopo alcune ore di impaziente attesa, il ragazzo che aveva effettuato la perizia gli aveva comunicato che il filmato era interamente originale, quindi non aveva subito alcuna modifica.

 

Ron scrutò pensieroso il tecnico che gli restituiva il DVD.

 

« Sei sicuro? » domandò, « come spiegheresti quel “salto”…? » Si riferiva al momento in cui il quadro scompariva dallo schermo.

 

Il giovane scrollò le spalle. « Non saprei… L’unica possibilità è che sia stato messo qualcosa davanti alla telecamera… Io ti garantisco che il video è un’unica sequenza, mai interrotta. Non sono state apportate variazioni a posteriori, né aggiunte, né modifiche, né tagli. »

 

Ron ringraziò e prese il disco insieme al resoconto della perizia, poi si allontanò dallo studio grafico, un po’ deluso, un po’ rassegnato.

 

Rimaneva solo la possibilità che il ladro avesse frapposto qualcosa fra sé e la telecamera…

 

Ron non riusciva neanche ad immaginare come fosse possibile, quindi ne dedusse che l’azione richiedeva l’abilità e l’esperienza di un professionista.

 

Quando rientrò in ufficio espose la propria riflessione a Harry, il quale non poté fare altro che assecondare l’ipotesi.

 

« Mentre eri fuori ho esaminato il video registrato da Hermione: non c’è nulla di sospetto, » disse, « ma dobbiamo comunque parlare con Malfoy, chiarire i suoi rapporti con la Parkinson e vedere se ci lascia esaminare la sua collezione, » aggiunse con una certa soddisfazione.

 

Il fatto che stessero cercando un professionista, non escludeva comunque nessuno dalla lista dei sospetti.

 

Soprattutto, non escludeva Draco Malfoy.

 

* * *

 

« Buongiorno, Signor Malfoy. Ispettori Harry Potter e Ronald Weasley, dell’agenzia investigativa Potter&Weasley. Vorremmo farle alcune domande. »

 

Draco Malfoy - nobile di sangue purissimo - non si curò di nascondere l’espressione di disgusto che deformava il suo viso mentre sondava le figure dei poliziotti dall’alto in basso.

 

Si erano presentati così, i due rompiscatole, con baldanza e faccia tosta, incuranti del pericolo che correvano zampettando con le loro scarpacce interrate sul suo pavimento di marmo.

 

Chiamandolo “Signor Malfoy”, tra l’altro…

 

Sogghignò fra sé e sé, voltando loro le spalle e conducendoli allo studio, dove generalmente riceveva le visite dalle quali non poteva sottrarsi.

 

Si sedette alla scrivania, comodamente sdraiato sulla poltrona in pelle.

 

Ron scostò la seggiola di fronte e si accomodò. Si sfilò i guanti, li cacciò in tasca e aprì la cerniera del vecchio giaccone. Dalla tasca interna estrasse un blocchetto di fogli e una penna.

 

Harry si diresse ad una delle grandi vetrate dello studio e guardò fuori. Stava cominciando a piovere.

 

A Ron non sfuggì lo sguardo truce con cui il nobile stava scrutando Harry, che chiaramente si comportava così con lo scopo di intimorirlo.

 

« Lei conosce l’avvocato Antony Cooper McKenzie? » domandò Harry continuando ad osservare il cortile.

 

Draco portò una mano a lisciarsi la cravatta. « Sì, » rispose in tono seccato.

 

Domanda prevedibile.

 

La tua banalità, Potter, è memorabile.

 

Ron cominciò a prendere appunti meticolosamente.

 

…E anche la stupidità dei Weasley.

 

« E ha mai preso parte ad una delle serate organizzate da lui? »

 

La stava prendendo larga, ma Draco era certo di sapere dove intendeva arrivare. « No. »

 

« È al corrente del furto subito dal signor McKenzie? »

 

Prevedibile come il sorgere del Sole.

 

« Era su tutti i giornali, » ribatté con ostentata noia.

 

« Sappiamo che lo scorso week-end ha organizzato una mostra… »

 

Ron, che fino a quel momento aveva scribacchiato senza osare guardarlo in faccia, prese la parola: « Signor Malfoy, come… come è venuto in possesso dei quadri? »

 

Malfoy squadrò il poliziotto lentigginoso e poi passò ad esaminare l’altro, chiedendosi se quello scambio di testimone fosse calcolato.

 

« Di quanti pezzi consta la sua collezione? » chiese Harry.

 

Evidentemente: No.

 

Draco spostò lo sguardo su di lui con sufficienza, ma in realtà era infastidito dal fatto che continuasse a voltargli le spalle, scandagliando con lo sguardo la stanza.

 

« Trentasei, » rispose tra i denti, « Potter, se cerchi qualcosa per incastrarmi sei fuori strada, quei quadri appartengono alla mia famiglia da secoli. »

 

A quel punto il poliziotto si voltò e abbandonò la finestra per avvicinarsi alla scrivania.

Malfoy si compiacque di se stesso.

E anche Harry si ritenne soddisfatto, dato che era riuscito a farlo innervosire.

 

« Signor Malfoy, lei conosce Pansy Parkinson? »

 

Quella domanda dal tono chiaramente retorico, in effetti, lo sorprese.

 

« In che rapporti siete? » chiese subito dopo Ron.

 

« È un’amica. »

 

Ron si aspettò che abbassasse lo sguardo (chiaro segno di menzogna) da un momento all’altro, invece Malfoy rimase a sfidarlo a testa alta.

 

« Può confermarci che ha passato con lei la notte di giovedì scorso? »

 

« Non saprei, » rispose Malfoy in tono sostenuto, « forse non hai idea di quanto sia difficile, Weasley, ricordare tutte le donne che entrano in casa mia… » Tese le labbra in un sogghigno fastidiosamente snob, e Ron pensò che avrebbe voluto vomitare.

 

Harry decise di tagliare corto: « sappiamo che la signorina Parkinson è stata qui giovedì notte. Lei stessa lo ha confermato. » Si aggiustò gli occhiali e si scostò i capelli dalla fronte, cercando di darsi un tono severo.

 

Pessimo tentativo, pensò Malfoy fissando la cicatrice a forma di saetta che spiccava in modo evidente sulla pelle dell’investigatore.

 

« Se già lo sapevi, Potter, perché hai perso tempo a chiedermelo? »

 

Continua…

 

* * *

N.d.A

 

Xgiuliechelon90: sono contenta che la storia ti stia interessando! Per ora siamo all’inizio e la trama è piuttosto complessa, spero vorrai continuare a seguirmi, ne sarei davvero felice!

Che vuole realmente Draco? Hehe… domandone da mille dollari! =P Porta pazienza, manca poco per scoprirlo!

 

X PaytonSawyer: è un piacere ricevere le tue recensioni. Le domande che ti poni sono quelle che io desidero suscitare in voi lettori e ti garantisco che è una grande soddisfazione sapere che ci sono riuscita. Ovvio che non posso proprio risponderti, specie alla domanda su Pansy!

Mi sono divertita molto a giocare con l’ingenuità di Harry e Ron, li ho sempre visti un po’ sprovveduti e in veste “babbana” ho voluto accentuare questa caratteristica.

 

X _Jaya: contenta d’aver chiarito un po’ dei tuoi dubbi. Grazie dei complimenti! ^^ Ammetto che anche io mi sono divertita ad immaginare Pansy in veste d’attrice e a descrivere il suo incontro con Ron!

 

 

 

 

 

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 - Cambiamenti ***


Capitolo 6 - Cambiamenti

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Questo capitolo è corto, ma serve da preludio al prossimo che sarà fondamentale! Quindi, non perdetelo!!

 

* * *

 

“Spiacente ma non posso spiegarmi, signore,” disse Alice, “perché io, vede, non sono più io.”

 

Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie

 

* * *

 

Capitolo 6 – Cambiamenti

 

Ron sbuffò forte e scosse le spalle, quasi volesse scrollarsi di dosso il ricordo della visita a Villa Malfoy.

 

« Draco Malfoy è insopportabile, » decretò appena Harry chiuse il grande cancello dietro di loro e s’incamminarono verso l’auto parcheggiata poco distante. « Non ce la facevo più a guardare quella faccia! » borbottò, « hai sentito con che arroganza si rivolgeva a noi? Parlava come se ci conoscesse da anni, come se fossimo polvere sulle sue scarpe da damerino! E poi ci ha fatto perdere un sacco di tempo! »

 

Harry rise: in effetti Ron non aveva tutti i torti.

Malfoy aveva acconsentito a mostrare loro la collezione di quadri, ma non l’intera Villa, per la quale, come c’era da aspettarsi, aveva richiesto un mandato ufficiale, cosa che, data l’assenza di prove, era impossibile procurarsi.

 

In sostanza si era trattata di una visita formale poco producente, ma non del tutto inutile, pensò Harry.

 

« Hai notato i quadri? » domandò al compagno.

 

« Uh? »

 

« La maggior parte aveva autori anonimi. »

 

« È strano. »

 

« Già. »

 

« Inoltre ne mancava uno, nella prima sala a sinistra. »

 

« Era evidente il segno al centro della parete, » confermò Ron, « perché toglierlo? »

 

« Riguardiamo il filmato di Hermione e vediamo se domenica era esposto, » disse Harry.

 

A quelle parole Ron ebbe un tuffo al cuore.

 

Lupus in fabula!

 

« Hei, » disse afferrando il braccio di Harry ed indicando verso l’altro lato della strada, « quella sembra Hermione, vero? »

 

Harry guardò dove Ron stava puntando l’indice.

 

Heath Street era un viale molto ampio e poco trafficato. Dall’altra parte della strada scorse alcuni passanti e fra quelli identificò una ragazza dai capelli mossi, che nascondeva il viso stringendosi nel cappotto e si riparava dalla pioggia con un piccolo ombrello scuro.

Non era possibile riconoscerla.

Allora guardò l’orologio: erano le quattro.

 

« Non credo, » disse, « a quest’ora starà ancora lavorando. »

 

« Ti dico che è Hermione. »

 

« Le assomiglia, ma… » prima che Harry potesse dire la propria, Ron aveva messo le mani a coppa intorno alla bocca e stava gridando.

 

« Hermione! Hermione! »

 

Si sbracciò per salutarla, ma la ragazza continuò a camminare senza voltarsi.

 

Harry scosse la testa. « Non è lei. Andiamo. »

 

Ron rinunciò ad attirare l’attenzione dei passanti, ma non a sostenere la propria opinione. « Sono sicuro che è lei, vorrei proprio sapere cosa ci fa da queste parti! »

 

* * *

 

Vedendo Ron ed Harry uscire insieme da Villa Malfoy, Hermione aveva sollevato il colletto del cappotto e si era nascosta dietro l’ombrello per non farsi riconoscere. Era sicura che quell’accorgimento bastasse a non attirare l’attenzione, ma quando sentì Ron gridare il suo nome dall’altra parte della strada fu colta dal panico.

 

Non poteva certo voltarsi e salutarlo! Lui l’avrebbe travolta con una valanga di domande inopportune, magari urlate attraverso il viale.

 

Così finse di non sentire e cercò di mantenere la stessa andatura per non destare sospetti.

 

Sapeva che Harry e Ron avrebbero finito con l’interrogare Malfoy, anche se non compariva sulla lista degli indiziati principali, ma non immaginava che l’avrebbero fatto così presto. Per quanto improbabile, si chiese se avessero notato nel filmato della mostra qualcosa di strano che a lei era sfuggito…

 

Guardandoli con la coda dell’occhio, camminò senza fermarsi finché non li vide salire in macchina e partire. Solo a quel punto attraversò la strada e si avvicinò all’ingresso di Villa Malfoy. Suonò il campanello ed inspirò profondamente davanti alla cancellata in ferro battuto che si apriva per lasciarla entrare.

 

Appena varcò la soglia, per la seconda volta l’inquietudine la raggiunse come una scarica elettrica attraverso il terreno. Di nuovo le sembrò di sentire uno stridio provenire da lontano, sotto il picchiettare della pioggia, simile ad una minaccia o ad un avvertimento.

 

Ammoniva che, proseguendo in quella direzione, qualcosa di lei sarebbe cambiato per sempre.

 

* * *

 

Ron ed Harry rientrarono alla sede dell’agenzia dopo una breve passeggiata: avevano parcheggiato ad un paio di isolati di distanza. I negozi del quartiere avevano acceso le insegne luminose e si cominciavano a vedere esigui gruppetti di persone entrare nei pub.

Anche se aveva smesso di piovere, il cielo era ancora coperto di spesse nubi grigie. La notte in arrivo minacciava di essere molto fredda.

 

Prima di salire in ufficio, Harry lanciò un’occhiata al Butterfly, che quella sera sembrava particolarmente affollato, sperando di intravedere Ginny attraverso la vetrata. Tentativo che fallì a causa di un paio di uomini che entrarono in quel momento, coprendogli la visuale.

 

Deluso, seguì Ron nell’ascensore.

 

Giunti davanti alla porta dell’ufficio, i due detective rimasero spiazzati trovando proprio la giovane barista ad attenderli sull’ingresso.

 

« Ginny, che cavolo ci fai qui? » l’accolse Ron.

 

La ragazza lo guardò compassionevole, come se quello fosse il massimo livello di gentilezza cui lui poteva arrivare. « Sono qui per Harry, » rispose.

 

Harry ebbe un momento di stordimento.

 

« Ti ricordi? » fece lei rivolgendosi direttamente al ragazzo, che sembrava essersi pietrificato sul pianerottolo, « avevo detto che sarei passata a prenderti alle cinque. »

 

Ron guardò l’orologio e dedusse che stava attendendo da quindici minuti.

 

Harry non si era dimenticato dell’appuntamento, in realtà lo aveva considerato talmente improbabile da ignorarlo. E invece, lei era salita davvero, ed era rimasta lì ad aspettarlo, avvolta in un cappotto cremisi, con sciarpa e guanti ancora indosso.

 

« Se tu sei qui, chi c’è giù al bar? » domandò Ron stupito.

 

Lei sollevò un sopracciglio, che stava ad indicare quanto fosse ammirata per l’acutezza dell’osservazione, chiedendosi com’era possibile che fosse diventato un investigatore.

 

« C’è una mia amica, mi deve un favore. »

 

Ron tacque: non aveva più nulla da chiedere. Non a lei.

Per Harry aveva un migliaio di domande che, data la presenza della presunta cugina, decise di riservare al giorno dopo.

 

« Andiamo? » disse Ginny dopo alcuni secondi di silenzio in cui Harry aveva più volte cercato, trovato e scartato, qualcosa da dire.

 

Ron si voltò verso di lui e allargò le braccia: che altro stai aspettando?

 

Non lo disse, si limitò a pensarlo, tanto la sua faccia in quel momento chiariva già tutto.

 

Harry fece un cenno d’assenso con la testa, poi guardò l’amico sentendosi un po’ in colpa.

 

« Ci penso io qui, » lo rassicurò Ron, « guardo il video e poi chiudo. Così per una volta me ne vado a casa prima di cena... »

 

Concluse lasciando la frase in sospeso, con tono lievemente seccato, per fargli capire che il giorno successivo, alla fatidica domanda “com’è andata ieri sera con Ginny?”, non se la sarebbe cavata con un banalissimo “tutto bene”.

 

Appena la porta dell’ufficio si chiuse dietro Ron, Harry e Ginny s’incamminarono giù per le scale, uno accanto all’altro. Lui imbarazzato più che mai, lei apparentemente più disinvolta, ma ugualmente emozionata.

 

Ron entrò nell’ufficio piuttosto scoraggiato.

Anche se era contento per Harry, non poteva certo dirsi fortunato, visto il noioso lavoro che lo aspettava.

Accese la luce, gettò giacca e chiavi, tutti insieme, sulla poltrona e si diresse subito alla scrivania. Lo studio era rimasto chiuso per tutto il pomeriggio e l’aria era leggermente viziata, ma Ron non aprì nemmeno le finestre, tanto fuori faceva buio.

 

Scansò alcune carte dal tavolo e si mise al computer, accorgendosi che l’aveva dimenticato acceso. Sul desktop era pronto per essere visionato il file del video registrato da Hermione con la telecamera nascosta. Anche se aveva già seguito quegli eventi in diretta grazie al ricevitore, Ron sapeva che era necessario riguardarli, perché al primo esame sfugge sempre qualcosa.

 

Con le braccia incrociate sul petto ed un’espressione annoiata iniziò a guardare lo schermo. Il filmato era appena iniziato e lui stava già pensando alla sua conclusione: non aveva alcuna voglia di rivedere il primo piano di Malfoy.

 

Poi, dopo due minuti, ecco comparire il primo dettaglio sfuggito, un particolare insignificante fino a due giorni prima...

 

Fra ospiti impacchettati in rigidi smoking e signore impegnate a dar sfoggio di costosi modelli d’alta moda, sfilava, con un fulgido abito verde smeraldo, un pellicciotto bianco intorno alle spalle e vertiginosi tacchi a spillo, nientemeno che Pansy Parkinson.

 

* * *

 

Harry, le mani congelate nelle tasche del giaccone, guardò Ginny con dolcezza. Indossava un paio di caldi guanti di lana, una sciarpa della stessa fattura dietro la quale nascondeva il viso, e un buffo berrettino multicolore. Tuttavia, anche così, imbacuccata come un’eschimese, era incredibilmente carina. I capelli rossi sparsi sulle spalle e i vispi occhi castani che spuntavano da sopra la sciarpa, erano sufficienti per farlo sospirare… e sopportare pazientemente l’aria gelida di quella sera.

 

Stavano camminando in silenzio da cinque minuti buoni, quando finalmente si decise a parlare.

 

« Dove andiamo? » chiese.

 

Lei sorrise misteriosa, guardando avanti in un punto indefinito.

 

« Tra un po’ arriviamo. È un posto molto carino, » rispose.

 

Continua…

 

* * *

 

 

N.d.A.

 

x PaytonSawyer: ciaooo!!! Non devi scusarti perché non eri assolutamente in ritardo, e comunque le tue recensioni sono graditissime in ogni caso! Sono contenta che ti sia piaciuto l’interrogatorio, io mi sono divertita molto ad immaginarlo! Come hai giustamente previsto, non posso rispondere alla tua domanda… però ho una buona notizia: troverai un po’ di risposte nel prossimo capitolo! (Che poi genereranno altre domande… ma questo è solo un dettaglio! XD) Ah, concordo perfettamente sulla povera Ginny! ^^

 

x _Jaya: Si! Bellissimo! Potevo far degenerare l’interrogatorio in uno scontro corpo a corpo tra Malfoy e Harry, però… dai… avevo i miei buoni motivi per optare per un incontro semi-pacifico.

Ma veniamo alle tue domande:

 

Da certe frasi si capisce che Malfoy conosce sia Harry che Ron, sia le loro famiglie, sia il segreto della cicatrice.. vuol dire che sa dei poteri magici??

Mmh, questa volta mi posso leggermente sbilanciare e ti dirò che sei su una buona strada.

E Ron e Harry sanno di conoscere Draco?

Per ora non posso rispondere, ma nel prossimo capitolo potrò farlo, quindi… bè si tratta di pazientare appena un po’!! =P

 

P.S. Ormai avrai notato che ho letto la tua fic, ed ho commentato! Scusami se sono rimasta indietro con gli ultimi due capitoli, ma ho trascorso una settimana estenuante. Recupererò al più presto!

 

 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 - Lost Memories ***


Capitolo 7 - Lost Memories

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Questo capitolo è molto lungo, non so se sia un scelta felice o infelice, ma non mi andava di spezzarlo, tutto qui. Almeno mi farò perdonare per il precedente, che invece era brevissimo.

Fatemi sapere che ne pensate, please!!

 

* * *

 

Ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. Niente di più.

 

Dal film Matrix,

regia di Andy e Larry Wachowski

 

* * *

 

Capitolo 7 – Lost Memories

 

Per la sua terza visita a Villa Malfoy, Hermione non fu costretta ad attendere imbarazzanti minuti in solitudine, ma venne accolta immediatamente dal maggiordomo.

 

« Buonasera Miss Granger, » disse l’uomo, « se vuole lasciarmi il soprabito… »

 

« Non occorre, » replicò lei sbrigativa. Estrasse dalla tasca del cappotto il vecchio taccuino e lo porse al maggiordomo: « Vorrei solo restituire questo al Signor Malfoy. Gli dica che ho fatto quello che mi ha chiesto. »

 

Fece per andarsene, ma una voce strascicata la trattenne: « Perfetto. »

 

Si voltò e vide Draco Malfoy lungo la scalinata che conduceva al piano superiore; come ogni altra volta che si erano incontrati, era impeccabilmente elegante. Scese le scale lentamente; lei pensò che la volesse raggiungere per recuperare il quaderno, invece si fermò all’ultimo gradino.

La guardò con affettata imperturbabilità, ma i suoi occhi tradivano una sincera speranza.

 

Chi sei?

 

In quel momento - senza riuscire a spiegarsene il motivo - Hermione intuì che la sua risposta, data con superficialità e fastidio, lo avrebbe deluso.

Considerò l’ipotesi di prendere tempo e congedarsi senza consegnare il taccuino…

 

Draco si rivolse al maggiordomo: « Non scenderò per cena. »

 

L’uomo annuì tranquillo, come se la cosa accadesse di frequente.

 

Poi Draco si voltò verso Hermione: « Seguimi. »

 

Lei esitò indecisa.

Non aveva ancora del tutto scartato l’idea di andarsene, ma il ragazzo le stava proponendo di salire al piano superiore della Villa e la sua curiosità prese il sopravvento; così intascò il quaderno e s’incamminò salendo le scale dietro di lui.

 

Draco la condusse attraverso le sale che si affacciavano al ballatoio. L’arredamento era ricercato e curato nei minimi dettagli, ma non colpì l’attenzione di Hermione tanto quanto il gelo terribile che regnava dietro ogni porta. Pensò che in nessuna di quelle stanze avrebbe potuto trascorrere più di un’ora senza congelare o, peggio ancora, soccombere all’angoscia della solitudine.

 

Precedendola di un paio di metri, Draco Malfoy la guidò presso l’ultima sala rimasta, alla fine del ballatoio.

 

A Hermione bastò osservare il modo in cui si era fermato davanti alla soglia, per capire che quella era una stanza particolare.

 

La porta a due ante in mogano scuro era più larga e robusta delle altre, gli infissi erano decorati da insoliti simboli; entrambe le ante erano tagliate trasversalmente da listelli in ferro battuto, inchiodati al legno, che si ricongiungevano fra loro a formare un chiavistello.

Quando il ragazzo entrò nella stanza, Hermione rilasciò, con un unico sospiro, l’aria che aveva trattenuto per tutto il tempo in cui lui aveva armeggiato con la serratura, e le sfuggì un’esclamazione di autentico stupore.

 

Era un’immensa biblioteca.

 

Altissimi scaffali colmi di libri erano ancorati lungo tutte e quattro le pareti.

 

Hermione rimase senza parole.

 

Quella stanza non era nemmeno lontanamente paragonabile alle altre. Sembrava calda, viva. C’erano divani e comode poltrone posti intorno a due tavolini di cristallo, su uno di essi c’era un vassoio di biscotti. Nell’aria era diffuso un gradevole profumo di pulito.

Avanzò sulla moquette verde acqua totalmente rapita dall’infinità di libri archiviati sugli scaffali in ebano, decorati con incisioni uguali a quelle riportate sulla porta d’ingresso. Scivolò fra le poltrone e si avvicinò ad un ripiano che esponeva tomi rilegati con spesse copertine, simili a quella del minuscolo quaderno nella tasca del suo cappotto.

 

Dimenticandosi della presenza del padrone di casa, non resistette alla tentazione di estrarre un volume. Sfiorò con le dita quelli disposti all’altezza del proprio viso e, tra tutti, ne scelse uno bello grosso, dall’aria vecchiotta e un po’ trascurata: Dizionario delle rune.

Era pesante e molto più grande di come appariva quand’era affiancato agli altri libri.

Rimanendo in piedi accanto allo scaffale, Hermione sorresse il testo con il braccio sinistro e con la mano destra lo aprì. La carta profuse nell’aria un odore antico e familiare, che le trasmise una curiosa sensazione, molto simile alla nostalgia.

Con massima sorpresa, la giornalista scoprì che le pagine erano piene di simboli illeggibili, identici a quelli sugli stipiti della porta e sugli scaffali della libreria; i fogli erano giallognoli e ruvidi. Esattamente come quelli del taccuino…

 

Per tutto il tempo Draco Malfoy rimase ad osservare in silenzio, in una posa controllata e circospetta, nascondendo l’impazienza che lo attraversava. Vedere Hermione Granger perdersi in uno scaffale di libri, fu come ritrovare un ricordo che credeva perduto per sempre; ma la leggerezza che provò il suo cuore in quel momento, non sarebbe stato capace di descriverla nemmeno a se stesso.

 

Quando lei ripose il libro, non riuscì più ad aspettare.

 

« Che cosa ricordi? » domandò.

 

Hermione si girò verso di lui e rimase a bocca semiaperta, incantata da un paio di occhi grigi che la fissavano, carichi di aspettativa.

 

Non ottenendo risposta, Draco superò il salotto e si avvicinò fino a porsi esattamente di fronte a lei.

 

Li separava un dizionario.

 

Hermione sentì le proprie guance arrossire.

 

« Che cosa ricordi? » chiese lui, di nuovo.

 

Lei sbatté le palpebre, come risvegliandosi da una visione.

 

« Come, prego? »

 

Furono le parole con cui calpestò il maestoso castello che lui aveva costruito in quei pochi secondi.

 

Egli, però, non si scompose. Si concesse soltanto di stringere la mano sinistra in un pugno.

 

* * *

 

Ginny aveva detto “tra un po’ arriviamo” e Harry aveva immaginato di dover camminare ancora per qualche isolato, invece era un quarto d’ora buono che proseguivano con ritmo abbastanza sostenuto. Non che gli dispiacesse passeggiare al fianco di Ginny, ma fu notevolmente sollevato quando svoltarono in uno stretto vicolo della Charing Cross Road e lei esclamò: « Siamo arrivati! ».

 

Harry guardò il pub che Ginny stava indicando: si trattava di un bar moderno, con ampie vetrate che davano sulla strada e un piccolo spazio all’aperto. Un’insegna con il nome, Royal George(*), illuminata a giorno, campeggiava sopra al locale per tutta la sua lunghezza.

 

Harry trovò il posto, tutto sommato, molto anonimo, ma Ginny ne sembrava entusiasta.

 

« Ti piace? » gli chiese dirigendosi ad un piccolo tavolo accanto alla vetrata.

 

Lui annuì non troppo convinto, guardandosi intorno un po’ infastidito dalle numerose lampade a muro che emettevano luce soffusa e rossastra. « Il Butterfly è meglio, » commentò.

 

Ginny sorrise divertita.

Harry le sorrise di rimando, poi si sedette e rimase a guardarla. Lei si tolse il cappotto infilando sciarpa, guanti e cappello nelle tasche, alla rinfusa; con una espressione serena sul volto, scosse i capelli e li ravvivò un poco, infine prese posto di fronte lui. Poiché aveva ancora la giacca indosso, gli chiese se aveva freddo e allungò le mani sul tavolo verso di lui, coi palmi rivolti verso l’alto…

 

Harry pensò che avrebbe voluto dirle la verità: che, sì, aveva freddo e avrebbe volentieri lasciato che lei gli scaldasse le mani… ma non sapeva bene come interpretare quel gesto, che sembrava più che altro senza scopo, dato che ora lei si stava guardando intorno in cerca di un cameriere.

 

« No. Non ho freddo, » mentì sfilandosi il giaccone.

 

* * *

 

Draco Malfoy se l’era ripetuto migliaia di volte che non sarebbe stato facile; ma una sconfitta è sempre indigesta, anche quando è temporanea.

 

« Non hai fatto quello che ti ho detto, vero? » chiese con voce aspra.

 

Era arrabbiato.

 

Hermione trovò ridicolo che tentasse di darsi un tono compassato, il fatto che fosse nervoso era evidente. Non le era del tutto chiaro il motivo, ma di certo lei c’entrava qualcosa…

 

« Non capisco… » disse calma, ma la sua pazienza si stava lentamente logorando.

 

Lui mostrò il palmo della mano destra. « Dammi il diario, » intimò.

 

Hermione sgranò gli occhi. Controvoglia estrasse il quaderno dalla tasca del cappotto e glielo consegnò.

 

« Mi dispiace, » esordì, ripetendo a se stessa che stava facendo la cosa giusta, « non era nelle mie intenzioni violare la sua privacy. »

 

Rimase appositamente sul vago. Era pronta ad ammettere di aver filmato di nascosto la mostra, ma non poteva assolutamente tradire Harry e Ron rivelando che l’aveva fatto per loro.

 

Lui, però, non sembrò per niente interessato alle sue scuse. Si limitò a recuperare il diario e a sfogliarne le pagine.

 

« Non hai risposto, » asserì, e così dicendo le mise davanti agli occhi il libricino aperto sulla snervante domanda.

 

« Invece ho risposto, Signor Malfoy, in una pagina diversa… da qualche parte… » replicò Hermione tra l’imbarazzato e l’infastidito. Se da un lato il buonsenso le imponeva di comportarsi con formalità e educazione, dall’altro l’orgoglio reclamava rispetto e ragione.

 

Lui sfogliò rapidamente il diario; le sue dita affusolate scorsero le pagine con irrequietezza e si fermarono trovando il foglio su cui lei aveva scritto la propria risposta.

 

Forse, rivolgersi a lei era stato un errore. Eppure…

 

Guardò Hermione.

 

Le cose non stavano andando come avrebbe voluto e doveva farle sapere quanto questo lo irritasse: « Non chiamarmi Signor Malfoy. - lo disse come ordine, ma sembrò il capriccio di un ragazzino viziato - Non sono il Signor Malfoy… e nemmeno tu sei una giornalista.»

 

Fu troppo per lei. Offesa nell’orgoglio, difese la propria professionalità: « Con tutto il rispetto, Signor Malfoy, credo che stia esagerando. Io sono un’ottima giornalista e faccio il mio lavoro meglio di chiunque altro! »

 

Eppure… Tutti dicevano che fosse tanto intelligente …

 

Malfoy decise di fare un altro tentativo.

 

Di nuovo le mise davanti agli occhi la pagina del diario, con un dito indicò la domanda.

 

« Dovevi rispondere qui sotto, » la rimproverò.

 

Hermione sbuffò e scosse la testa infastidita: « Oh, è una cosa ridicola! Ci sono decine di pagine bianche! Perché mai dovrei - »

 

« Perché funziona così, Granger! »

 

« “Funziona così”… cosa? » sbottò lei (le sembrava d’avere a che fare con un bambino spocchioso!), « io credo… io credo di averne avuto abbastanza di queste stupidaggini! Se c’è qualcosa che vuol sapere da me, conserveremmo entrambi più dignità se la chiedesse senza giri di parole. »

 

« È quello che sto facendo, » disse lui con l’espressione di chi è determinato a condurre l’avversario allo sfinimento, « voglio che tu scriva il tuo nome. »

 

« Come? »

 

« Scrivi il tuo nome qui sotto. »

 

Lei tacque. Non perché le mancassero le parole per ribattere, ma perché lui le porgeva addirittura una penna, estratta dalla tasca dei pantaloni.

 

Chiuse gli occhi, contò fino a dieci.

 

Hermione, calmati.

 

Era una situazione assurda…

 

Aprì gli occhi, spazientiti, e incontrò i suoi, spavaldi.

 

Un déjà vu. Il cuore le saltò in gola: ricordava quell’espressione come se si conoscessero… da anni!

 

Lei non faceva mai nulla di avventato.

Non prendeva decisioni senza prima aver valutato i pro e i contro.

Metteva sempre razionalità e prudenza davanti a tutto.

 

Ma quella volta…

 

Decisamente, una situazione assurda…

 

Sfilò la penna dalle dita del ragazzo e, con tratto tremolante perché lui reggeva il diario con la sola mano destra, firmò.

 

Mentre l’inchiostro macchiava la carta, un tremito la percorse e udì un sibilo ovattato, che sembrava provenire dal diario stesso.

 

Si ritrasse spaurita e in quel momento vide il suo nome scomparire, come se la pagina lo stesse lentamente fagocitando.

 

Cacciò un grido e fece un passo indietro, portandosi le mani alla bocca. La penna cadde a terra.

 

Una parola, scritta con calligrafia elaborata e pulita, si andava formando sulla carta…

 

Gryffindor

 

Lei smise di respirare.

 

E sul viso di Draco Malfoy si formò un sorriso soddisfatto.

 

* * *

 

Ron sbadigliò e si stiracchiò: cercare indizi esaminando una sequenza di immagini in movimento senza mai perdere la concentrazione non era un compito che faceva per lui. Non era nemmeno adatto a Harry, pensò. Probabilmente l’unica persona in grado di portarlo a termine senza essere divorata dalla noia era Hermione.

 

Soppesò l’idea di far esaminare anche a lei il filmato. Dato che aveva vissuto in prima persona gli eventi, poteva ricostruirli anche nelle parti che risultavano più fumose.

Sia dal punto di vista logico, che visuale…

Piazzare la telecamera fra i capelli di Hermione non era stata, in effetti, un’ottima idea, le immagini erano spesso mascherate da qualche ciocca increspata scivolata davanti all’obiettivo… e lei, di questo, li aveva avvertiti.

 

Tutti i quadri esposti, però, erano stati ripresi alla perfezione, con immagine ferma per diversi secondi. Fu così che Ron poté tranquillamente esaminare il ritratto che occupava il centro della parete nella sala più piccola, e che quel pomeriggio mancava alla collezione di Malfoy. Raffigurava il volto di una donna fredda e affascinante, con lunghi capelli biondi, occhi azzurri ed un’espressione regale di altezzoso distacco.

 

Rifletté su quali ragioni avessero indotto il nobile a rimuoverlo, ma non trovò nessuna spiegazione convincente.

 

Fu allora che il filmato mostrò gli ultimi secondi di ripresa e si bloccò sull’ultimo frame.

Nonostante Ron ricordasse perfettamente quell’immagine, sobbalzò sulla sedia appena comparve l’inquietante primo piano di Draco Malfoy.

Ciò che gli parve un’autentica beffa nei suoi confronti, fu il fatto che il video non si oscurasse dopo il finale, ma mantenesse l’immagine in bella mostra a tutto schermo.

 

Fino a pochi giorni prima, Ron aveva ritenuto Malfoy il classico figlio di papà, tronfio e pieno di sé, ma non certo pericoloso.

Da quando lo aveva conosciuto, invece, aveva cominciato a pensarla come Harry.

Lui aveva già avuto a che fare qualche mese prima con il nobile, per una serie di segnalazioni da parte di una signora che diceva di vederlo ogni notte camminare davanti alla sua casa, lungo la Charing Cross Road. Da allora, quelli che erano solo pettegolezzi sul conto di Malfoy, erano diventati, per Harry, indici veri e propri di attività illecite.

 

Il pensiero di Ron corse con preoccupazione a Hermione.

Harry si sbagliava di grosso: era lei quella che aveva visto camminare al lato opposto di Heath Street, l’avrebbe riconosciuta anche ad un miglio di distanza. Era sicuro che Malfoy la stesse minacciando, o magari ricattando, … altrimenti perché andare alla Villa, quando aveva detto di non volerci più tornare?

 

Colto da nervosismo, lanciò un’ultima occhiata allo schermo prima di spegnere il computer e pensò che, decisamente, Malfoy puzzava.

 

Rimaneva solo da individuare la causa di tanto fetore.

 

* * *

 

Hermione sentì girarle la testa.

 

Per quanto incredibile, l’inchiostro era scomparso e ricomparso, cancellando la sua firma e scrivendo, nel mezzo della pagina, quella parola…

 

Gryffindor

 

…Familiare.

 

Come i libri che aveva sfiorato…

 

Come l’espressione di Draco Malfoy.

 

A fatica, riprese a respirare. « Che diavoleria è…? » mormorò.

 

Il ragazzo le offrì la verità nel modo più semplice possibile: « Magia. »

 

Lei lo scrutò incredula e, suo malgrado, spaventata.

Era convinta con tutta se stessa d’essere presa in giro, eppure sembrava che lui credesse veramente a ciò che aveva appena detto.

Tuttavia, scartò la possibilità di dargli ascolto: non intendeva certo fare la figura dell’idiota.

 

Guardò la penna ai suoi piedi e si chinò a raccoglierla.

 

« È inchiostro simpatico, » ipotizzò.

 

Lui scosse la testa.

 

Ancora un po’ di pazienza...

 

« Scrivi di nuovo, » suggerì, « … solo il tuo cognome. »

 

La bocca di lei si torse nell’espressione di chi ha appena appreso una deludente notizia: Draco Malfoy è pazzo.

 

Ma si diceva che fosse saggio assecondare le richieste di un folle, piuttosto che contestarlo… Così, si chinò sul diario.

 

Mentre lui lo reggeva, scrisse ciò che aveva chiesto:

 

Granger

 

Per la seconda volta le lettere sbiancarono lentamente e nel centro della pagina comparve un’unica parola:

 

Mudblood

 

Arretrò di un passo.

 

« Che scherzo volgare! » deplorò, offesa e indignata.

 

« Non è uno scherzo, è la verità, » disse lui con freddezza, « ti sta dicendo cosa sei. »

 

Sangue

 

Sporco.

 

Qualcosa nelle viscere della ragazza si attorcigliò dolorosamente. L’eco di un grido lontano la raggiunse e prese a rimbalzare nello sterno insieme al battito del cuore.

 

Sempre più forte.

 

Indietreggiò di qualche passo avvicinandosi all’uscita.

 

Adesso, era terrorizzata.

 

« Non puoi andartene, non ho ancora finito, » lui la fermò, la voce decisa e beffarda.

 

Lei mise una mano sulla maniglia. Tremava.

 

« Cosa ricordi… dei tuoi genitori? » chiese.

Lei scosse la testa. « Sono morti che ero una bambina. »

 

In quell’istante un’immagine le passò davanti agli occhi.

 

Alla stazione di King’s Cross, li abbracciava, poi raccoglieva le proprie valige e s’incamminava lungo la banchina continuando a salutarli…

 

« Curioso, » ironizzò lui, « e scommetto che hai studiato in un collegio scozzese… »

 

Lei spalancò la bocca. Il cuore accelerò il battito.

 

Ecco perché era familiare: avevano frequentato la stessa scuola!

 

« Hogwarts, » disse lui, quasi le avesse letto nel pensiero.

 

Pronunciare quel nome fu come sfilare la chiave di volta: l’intera struttura, lentamente, iniziò a crollare.

 

Lei sentì le forze abbandonarla, le gambe cominciarono a vacillare. Si aggrappò alla maniglia, ma la porta appena socchiusa ruotò, facendola barcollare.

Lui l’afferrò per un braccio.

 

Hermione provò a liberarsi: lì, dove le sue dita stringevano, la pelle bruciava.

 

« Non ti lascerò andare, devi aiutarmi, » disse lui. La sua voce determinata faceva paura.

 

« A fare cosa? » lo chiese con un sospiro affaticato, che le era costato tutta l’aria che aveva nei polmoni. La testa continuava a girare mentre immagini su immagini scorrevano davanti ai suoi occhi, gettandola indietro in un passato che ancora non riusciva a credere suo.

 

« A vendicarmi. »

 

Draco Malfoy…

 

Sentì il vuoto sotto ai piedi.

 

« Per cosa? »

 

« Mi ha sfregiato e ha ucciso i miei genitori. Ha umiliato il nome della mia famiglia! …Ma cosa vuoi capirne tu? Sei solo Sangue Sporco! »

 

… Slytherin.

 

Pezzetti di puzzle sparsi in ogni angolo della mente, nascosti ma non perduti, lentamente si ricomposero. Le ginocchia cedettero sotto il peso dei ricordi, i sensi s’affievolirono, gli occhi si chiusero…

 

« Granger… Guardami! »

 

Lei alzò la testa.

 

Dall’odio che intravide nel suo sguardo, Malfoy capì che finalmente ricordava.

 

« Lasciami! » ordinò istericamente e si divincolò, costringendolo a lasciarle il braccio. « Non t’avvicinare! »

 

« Non puoi voltarmi le spalle! » il viso di lui si contrasse in un’espressione oltraggiata.

 

« Tu sei… » era sgomenta e le parole si ghiacciarono in gola. Un’immagine sola dominava la sua mente.

 

Il Marchio Nero.

 

« Chi sono io o cosa sei tu, adesso non ha alcuna importanza! »

 

Anche se Draco era chiaramente fuori di sé, Hermione era sicura che avesse scelto quelle parole con estrema razionalità: sputavano veleno.

 

« Nessuno di noi due appartiene a questo mondo! Questo non puoi negarlo. Se ti piacciono tanto i  babbani, resta con loro. Non me ne frega niente di cosa farai dopo, Granger, ma ora devi aiutarmi!»

 

Draco Malfoy…

 

Appena lui le staccò gli occhi di dosso, lei vide uno spiraglio di libertà.

 

Rapida, gli voltò le spalle e scappò, oltre la porta, giù dalle scale.

 

…Mangiamorte.

 

« Granger! » dietro di lei, Malfoy arrancava a grandi passi, « dove stai andando?! »

 

La voce uscì snaturata e quando lei sbatté la porta d’ingresso dietro le proprie spalle, esplose in un grido furioso.

 

« Dannazione! »

 

Inutile.

 

Sangue.

 

Sporco.

 

Si pentì di ogni cosa che aveva detto e fatto per ottenere la sua attenzione; ciononostante, un’incontrollabile paura gli stava strozzando la gola.

 

Perché sapeva, in fondo, d’aver perso l’unica cosa di cui avesse mai avuto veramente bisogno.

 

* * *

 

 

N.d.A.

 

(*) Il locale esiste davvero; si trova alla fine di un vicolo che dà sulla Charing Cross Road (Goslett Yard). A questo link ci sono le foto e le informazioni che ho utilizzato per descriverlo:  http://www.fancyapint.com/pubs/pub2975.php.

Il motivo per cui ho scelto questo locale lo capirete più avanti (o magari lo intuite già), ma non è fondamentale ai fini della trama. La cosa importante è che si trova sulla Charing Cross Road, strada sulla quale si affaccia l’ingresso del Paiolo Magico… 

 

X PaytonSawyer: fine in sospeso? Beh, credimi, questo è solo l’inizio! Adoro la suspense e, purtroppo per voi lettori, concluderò quasi tutti i capitoli con un cliffhanger… No, non è cattiveria, dai, l’ho messo anche come genere della fic… Almeno una rispostina l’hai avuta, no? Come dice anche la nota, il locale dove Ginny ha portato Harry non ha propriamente a che fare con il mondo magico, però…

Beh, direi che l’avventura della piccola Herm in territorio nemico ha avuto notevoli risvolti in questo capitolo, dico bene? Quel che succederà poi… non penserai che te dica ora? XD

 

X _Jaya: Grazie mille a te! Non ho ancora letto e recensito il tuo ultimo capitolo, ma lo farò a breve, assolutamente prima di partire per le vacanze! Lo scorso capitolo era necessario per non appesantire troppo questo, che già è molto lungo… In effetti mi diverto davvero molto quando devo scrivere di Ginny, specialmente se c’è di mezzo anche Harry!! XD Grazie ancora!

 

 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 - Quello che è reale ***


Capitolo 8 - Lost Memories

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

(*) Nella prima parte di questo capitolo troverete delle frasi in corsivo allineate a destra, sono citazioni dal settimo libro della Rowling, Harry Potter e i Doni della Morte, a partire dal capitolo 15 fino al 31. Si tratta di scambi di battute avvenuti fra Ron ed Hermione, oppure fra Harry e Ron in presenza di Hermione, e stanno ad indicare che Hermione sta ricordando esattamente quel momento.

 

* * *

 

« Hai mai fatto un sogno tanto realistico da sembrarti vero?

E se da un sogno così non ti dovessi più svegliare? »

 

Dal film Matrix,

regia di Andy e Larry Wachowski

 

* * *

 

Capitolo 8 – Quello che è reale

 

Hermione fece il viaggio di ritorno in preda ad un frenetico susseguirsi di ricordi che riaffioravano alla coscienza; rigidamente seduta nel vagone della metropolitana, con le estremità congelate, la gola secca e lo sguardo fisso su un cartello pubblicitario.

 

Quando entrò in casa era ancora sconvolta.

 

Fece un smorfia di dolore e si portò una mano allo stomaco che bruciava in modo intenso. Sentiva il forte bisogno di piangere, ma l’incredulità era ancora troppa per lasciare il posto alle lacrime.

Sfinita, si appoggiò all’ uscio e chiuse le palpebre.

 

Pochi istanti dopo, lo squillo del campanello di casa la scosse; sbarrò gli occhi e fissò per diversi secondi un punto indefinito della stanza, sperando d’averlo soltanto immaginato.

 

Ma il campanello suonò di nuovo, più a lungo.

 

Anche se desiderava unicamente essere lasciata in pace, Hermione si avvicinò al citofono senza quasi rendersene conto.

 

Vi fu un altro squillo, seguito rapidamente da un secondo. Sembrava una cosa urgente.

 

Inspirò profondamente e sollevò con un gesto meccanico la cornetta: « Chi è? ».

 

« Sono io. »

 

Chiuse gli occhi e appoggiò la fronte al muro, il contatto con l’intonaco freddo la fece rabbrividire.

 

« Non ora, Ron, » mormorò con voce spettrale.

 

« Ti devo parlare, non ci vorrà molto. »

 

« Non è il momento. » Stare in piedi e reggere il citofono le costavano enorme fatica.

 

Lui se ne accorse: « Ti senti bene? »

 

La voce allarmata dall’altro capo le rimbombò fastidiosamente nella testa. « Sì. Sono solo stanca. Ho bisogno di stare un po’ da sola. »

 

« Ci metto un minuto, » insistette il ragazzo, « fammi salire. »

 

« Ron ti prego… » stava cercando le parole giuste per convincerlo a tornare a casa, quando, attraverso il citofono, sentì la porta d’ingresso aprirsi e la voce lontana di Ron ringraziare; poi il silenzio.

 

Hermione rimase in attesa finché udì passi pesanti sul pianerottolo, seguiti da un bussare ostinato alla sua porta. Ripose la cornetta.

 

« Ron, va’ via. »

 

L’ordine, appena udibile attraverso l’uscio, invece che dissuadere ebbe l’effetto contrario. Ron bussò ancora più forte.

 

« Hermione, se non stai bene è meglio chiamare un medico. »

 

« Sto bene, » ribadì lei.

 

« Allora fammi entrare. »

 

Possibile che fosse sempre così testardo?!

 

Hermione rimase zitta a lungo, studiando il modo più efficace per farlo desistere, ma lui fraintese il silenzio e cominciò a pensare che si fosse sentita male. Iniziò ad agitarsi e prese a gridare e bussare a palmo aperto sull’uscio.

 

« Hermione! Hermione! Mi senti?! »

 

Lei sospirò e infine si arrese. Aprì la porta solo per farlo smettere di urlare.

 

Lui s’infilò nella stanza e, senza nemmeno togliersi la giacca, cominciò a tempestarla di domande sulla sua salute. Era impossibile, infatti, ignorare il pallore che copriva le sue guance e lo sconcerto che alterava la sua espressione.

 

« Che cosa ti è successo? »

 

« Niente. » Rispose lei secca. Cercando di contenere il fremito che le faceva tremolare le mani, si sfiorò la fronte febbricitante. « Ho solo mal di testa, oggi ho lavorato molto. Cosa devi dirmi? »

 

Il tono refrattario nella voce di Hermione fece sospettare Ron, per un istante, d’essere ospite inopportuno; ma dall’intuito alla consapevolezza il passo è lento, e il ragazzo non considerò minimamente l’ipotesi di congedarsi.

 

« Sei pallida. Hai chiamato un dottore? »

 

Lei sbuffò, stanca e insofferente: c’era una questione mille volte più importante di cui avrebbe dovuto occuparsi in quel momento. « Ron, per favore! Perché tu ed Harry siete sempre così insistenti?! »

 

« Harry? » Fece lui, tra il disorientato e l’offeso, « cosa c’entra Harry? Ci sono solo io qui… Sono venuto… perché sono preoccupato per te. » Ammise.

 

 

« Io… Sì… sì, io resto, Ron, avevamo detto che saremmo andati con Harry, che l’avremmo aiutato…»

« Capito. Scegli lui. »(*)

 

 

Hermione aprì la bocca ma, prima che potesse parlare, Ron riprese: « Ti ho vista andare da Malfoy. - Lei scosse la testa - Non negare, ti ho riconosciuta. Voglio sapere che cosa ti ha fatto. »

 

Hermione non riuscì a parlare. Nella confusione, tentava di capire quale fosse la cosa più giusta da fare: rivelare a Ron l’inganno nel quale avevano vissuto fino a quel momento, o tenerlo all’oscuro di ciò che lei stessa riteneva ancora incredibile?

Inoltre, non sapeva se la verità avesse in sé il potere di risvegliare i ricordi o se, invece, servisse il diario che Malfoy aveva usato con lei.

 

« Dimmi cosa è successo. » Ordinò lui, con un tono perentorio spezzato dall’apprensione.

 

« Vuoi sapere cosa è successo? » La voce di lei vibrò di sfida e dell’impellente desiderio di sfogarsi.

 

« Sì. »

 

« Davvero vuoi saperlo? » Domandò ancora lei, mentre un’accavallarsi di ricordi la scuoteva dall’interno.

 

 

« Ti sono corsa dietro! Ti ho chiamato! Ti ho supplicato! »(*)

 

 

« Sì che voglio saperlo!! Voglio sapere cosa ti ha fatto quel bastardo! Sei sconvolta! » gridò Ron.

 

Hermione lo fissò in un crescendo di intense emozioni, come il lento e inesorabile avanzare di un’onda destinata ad infrangersi contro gli scogli.

 

Tutto conduceva in un’unica direzione.

 

« E va bene! Vuoi sapere… cosa mi sconvolge? Semplicemente… Questo mondo! La nostra vita … è tutta una menzogna! »

 

Lui aggrottò la fronte, smarrito: « Cosa intendi dire? »

 

« È come se… come se fin’ora avessimo vissuto nella finzione… »

 

« Mh… Sì, » borbottò Ron, sempre più confuso, « …ma a cosa ti riferisci esattamente? »

 

« I tuoi ricordi, il nostro passato… Noi non apparteniamo a questo mondo! »

 

Hermione sembrava perfettamente conscia di ciò che stava dicendo e questo rendeva Ron sempre più preoccupato. « Tu stai male, » asserì e si portò ad un passo da lei, poi alzò la mano destra con l’intento di sentirle la fronte. Lei si scostò bruscamente.

 

« Sapevo che non avresti capito - »

 

 

« Be’ cos’altro posso dire? »

« Ah, non so! Frugati il cervello, Ron, non dovresti metterci più di un paio di secondi. »(*)

 

 

« Come faccio a capire, se non vuoi spiegarmi nulla! »

 

« È quello che sto facendo, ma tu non mi ascolti! - Avrebbe voluto dire “Non mi credi!” - Ti sto dicendo che è successo qualcosa… »

 

Lui, in preda ad una collera improvvisa, non la lasciò concludere: « Se quel bastardo di Malfoy ti ha fatto del male io… »

 

 

« Per favore, non ricominciare! »

« Considera i fatti, Hermione. »(*)

 

 

« Malfoy non mi ha fatto niente! Smettila! Sto cercando di dirti che è successo qualcosa a tutti noi

 

« Cosa è successo? Di cosa parli? »

 

« Non lo so. Non riesco a ricordarlo! …Qualcosa che mi ha fatto dimenticare… che ci ha fatto dimenticare! »

 

« Che cosa abbiamo dimenticato, Hermione? Cosa? Cosa?! »

 

Lei lo guardò per un istante negli occhi, poi chinò la testa, sopraffatta dalla consapevolezza.

 

 

« Lo so, Harry… quindi ora o mai più, no? »(*)

 

 

« … Quello che è reale, » rispose in un fiato, e finalmente i suoi occhi divennero lucidi, la vista si annebbiò e lacrime salate scesero lungo le sue guance.

 

Ron provò di nuovo ad avvicinarla; titubante, fece un passo. Ed Hermione compì l’altro che li separava, gettandosi fra le sue braccia.

 

Lui rimase impalato, trattenendo il respiro in preda all’imbarazzo, mentre lei singhiozzava sul suo petto. Quando finalmente si decise ad espirare, trovò il coraggio di abbracciarla, e la strinse a sé con tutta l’angoscia di chi è impotente di fronte al dolore di un caro amico; di chi sa che non è in grado di comprenderlo.

 

* * *

 

Il campanello squillò forte nell’atrio di Villa Malfoy; il maggiordomo si affrettò ad aprire il cancello perché sapeva che l’ospite in arrivo non amava attendere.

Fermo sulla soglia dell’ingresso, rimase a guardare con ammirazione il Mercedes scuro che si avvicinava lentamente lungo viale; quando l’auto si fermò davanti alla scalinata d’ingresso, l’autista uscì e aprì la portiera sul retro, aiutando a scendere un’elegantissima Pansy Parkinson.

 

L’attrice entrò nella Villa e trovò ad accoglierla, in cima alle scale, Draco Malfoy.

Non le sfuggì l’espressione dura sul suo viso e strinse le labbra accigliata.

 

Vedendola entrare, Draco si era ricordato della recente sconfitta e dei due motivi per cui aveva dovuto far entrare Hermione Granger in casa sua.

 

Il primo era un dettaglio chiamato quoziente intellettivo.

Dote che scarseggiava fra i morbidi capelli corvini della Parkinson e che, invece, abbondava fra la stoppa rigogliosa sulla testa della Granger. O, perlomeno, era quello che la studentessa modello aveva sempre lasciato intendere, quando, fra i banchi di scuola, sventagliava impaziente la mano verso l’alto e con voce stridula riversava fiumi di nozioni in faccia alla McGrannit.

 

Il secondo motivo era l’ ovvia verità che Pansy Parkinson in versione babbana fosse del tutto inutile: anche volendo sorvolare sulle capacità logiche, non si poteva farlo sulle abilità magiche.

Draco, infatti, aveva sottoposto Pansy alla stessa prova di Hermione, ma lei non aveva ricordato nulla. Quando la parola Slytherin era apparsa sul quaderno, l’attrice si era dapprima spaventata, poi rabbuiata, e infine aveva spalancato gli occhi scuri e, guardandolo con devozione, aveva definito la situazione “un gioco divertente”.

 

Preoccupata per l’ espressione funerea di Draco, Pansy si tolse il soprabito e lo passò al maggiordomo, sbrigandosi a raggiungerlo in cima alle scale.

 

Gli mise le mani sul petto e gli sfiorò la guancia con un bacio delicato. « Brutta giornata, vero? »

 

Draco la lasciò fare (aveva un buon profumo), ma non rispose. Era impegnato a rammaricarsi di non essere riuscito a recuperare i suoi ricordi: sarebbe stato mille volte più facile servirsi di lei, piuttosto che della Granger.

 

Tuttavia, era rimasto sorpreso dalla facilità con cui Hermione aveva recuperato la memoria. Forse, ipotizzò, Pansy era vittima di un incantesimo molto più potente…

 

* * *

 

La notte era scesa inesorabile sulla città di Londra cingendola in un gelido abbraccio e, da quando Harry aveva memoria, non ricordava d’aver mai preso tanto freddo.

 

Ginny camminava al suo fianco ad una lentezza estenuante. Le piaceva fermarsi ad ogni angolo, a guardare le vetrine o a curiosare nei locali. La sua espressione tranquilla e serena era l’unico motivo per cui lui aveva deciso di ignorare lo scarseggiare di sensibilità nelle proprie dita.

 

Si stavano dirigendo insieme verso il parcheggio, dove Ron aveva lasciato l’auto, preferendo tornare in metropolitana.

Harry aveva insistito per accompagnare Ginny a casa, ritenendo l’oscurità un amplificatore di pericoli nel quartiere. A nulla era servito fargli notare che lei abitava ad un paio di isolati e che, normalmente, tutte le sere rientrava dopo il tramonto.

 

« Me la togli una curiosità? » disse Ginny ad un tratto.

 

« Spara, » fece lui.

 

« Ricordi come ti sei procurato quella cicatrice sulla fronte? È stato un incidente di lavoro? »

 

Harry pensò che, in effetti, sarebbe stato molto ganzo poterle raccontare d’essersi procurato quello sfregio scampando alla morte, ma si rassegnò a dirle la verità.

 

« Non lo so. Dev’essere accaduto che ero molto piccolo perché non ricordo nulla. »

 

Ginny sapeva che Harry aveva perduto i genitori quando era ancora in fasce, e che aveva trascorso una infanzia difficile, in solitudine, affidato ad una famiglia incapace di volergli bene.

 

Per questo scelse di non insistere sui ricordi, ma si concentrò sul presente.

 

« Ti dà fastidio, a volte? » domandò.

 

Sorpreso da quella domanda, Harry scosse la testa. « No, » rispose, « più che altro mi infastidisce la gente, quando la osserva curiosa… credo che sia per la sua forma strana… »

 

« Già, » annuì Ginny, « non sembra una ferita casuale… »

 

Procedevano affiancati lungo la Old Compton Street e si fermarono per un secondo sul bordo del marciapiede, prima di attraversare la strada.

In quel momento, senza alcun preavviso, Ginny sì appoggiò ad Harry stringendosi al suo braccio destro.

Per lui furono istanti di puro panico.

S’irrigidì e contrasse i bicipiti, le mani cominciarono a tremolare, il respiro si fece teso e corto. Ciò che più lo agitava era la naturalezza con cui lei aveva compiuto quel gesto. Sembrava quasi che non se ne fosse resa conto: la sua espressione non era cambiata e nemmeno il ritmo del suo passo.

 

Avevano camminato chiacchierando del più e del meno, condividendo osservazioni superficiali su tutto ciò che li circondava; con lei che di colpo si fermava incuriosita davanti ad un negozio e lui che tornava indietro di due passi per attenderla.

 

Adesso, che la loro andatura procedeva all’unisono, ritennero le parole del tutto superflue.

 

E la notte, all’improvviso, smise di essere tanto fredda.

 

Continua…

* * *

 

N.d.A.

 

X PaytonSawyer: Ciao e mille volte grazie! Ho lasciato volutamente vaghe le motivazioni di Malfoy perché non ce lo vedevo molto a confidarsi con Hermione XD… Comunque sì, ha un conto in sospeso con il Signore Oscuro che ha distrutto la sua famiglia (il come è tutto da scoprire! =P). Per quanto riguarda il locale, il nome è una coincidenza, George non c’entra… per ora…Comparirà anche lui (non ho risparmiato nessuno! hehe), ma più avanti!

 

X_Jaya: Ciao! Grazie a te! Non so che farei senza i vostri commenti! ^^ Beh, che posso dire? Indubbiamente i personaggi non sono inseriti a caso ^^. Anzi, quasi nulla di ciò che ho scritto è lì per caso, solo che ci vorrà ancora tempo per costruire tutto il puzzle! Però, dai, sei sulla buona strada!

 

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 - Good advice ***


Capitolo 9 - Lost Memories

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Sono un po’ preoccupata per questo capitolo: non sono molto brava nelle descrizioni e qui ce ne sono molte, spero che la lettura non sia troppo pesante … Fatemi sapere!

 

* * *

 

It is the good advice that you just didn’t take...

Alanis Morrisette, Ironic

 

* * *

Capitolo 9 – Good advice

 

Harry entrò in ufficio e trovò il compagno (stranamente mattiniero) già al lavoro.

 

« Com’è andata ieri sera? » domandò Ron senza lasciargli nemmeno il tempo di spogliarsi.

 

« Tutto bene, » fu la vaga risposta.

 

« Avrei giurato che avresti detto così! » commentò Ron.

 

Harry lo ignorò e ribatté con un’altra domanda: « E tu dove sei stato? Non sei rientrato questa notte. »

 

Ron trasalì rivivendo il momento in cui Hermione aveva afferrato la sua mano e lo aveva supplicato: “Non lasciarmi sola, ti prego...” e lui, con il cuore colmo d'emozione, aveva esaudito la sua richiesta.

 

« Sono stato… da Hermione. » Le sue guance si chiazzarono di rossoed evitò cautamente di guardare l’amico negli occhi. « Sta male. »

 

Tutto in un colpo Harry divenne serio e si sedette. « Cos’ha? »

 

« Era lei, ieri, a Hampstead. Avevo ragione: stava andando a casa di Malfoy… » rispose Ron con un groppo in gola, « sono sicuro che le ha fatto qualcosa… era distrutta. »

 

Harry appoggiò i gomiti sulla sua scrivania e si mise le mani fra i capelli. « Sono stato uno stupido a coinvolgerla. »

 

« È anche colpa mia, » disse Ron, « se solo avessi capito quanto poteva essere pericoloso... »

 

« Ti ha detto perché è tornata alla Villa? » chiese Harry in preda al senso di colpa.

 

Ron scosse la testa e sospirò, consapevole di trovarsi in mezzo a qualcosa di troppo grande per lui solo. « No, vaneggiava. Ha parlato tutta notte di magia e d'incantesimi. Raccontava di una scuola e di un mondo magico… cui dice di appartenere. Dovevi vederla, Harry, sembrava pazza… Io temo che Malfoy... Era confusa e spaventata, non voleva restare da sola. Ha parlato di un uomo potente, di cui non può fare il nome. Ecco… io ci ho pensato e… credo che Malfoy l’abbia costretta ad entrare in una setta. »

 

Harry spalancò gli occhi: per quanto pazzesco, tutto tornava.

 

Come aveva fatto a non pensarci prima?

 

« Ron, ti ricordi, un paio di mesi fa, quando ho lavorato al caso della signora Williams? » disse battendo un palmo sul tavolo.

 

Ron annuì.

 

« Tutto torna! » esclamò Harry concitato, « la Williams diceva di vedere Malfoy, ogni notte, camminare avanti e indietro di fronte alla sua palazzina (sulla Charing Cross), come se attendesse qualcuno, e poi sparire rapidamente. Lei temeva che la stesse spiando, ma ora che ci penso… Forse Malfoy attendeva soltanto un segnale… o l’apertura di un passaggio… magari per incontrarsi con altri complici in qualche sotterraneo, » si dovette necessariamente fermare per prendere fiato, poi riprese deciso (aveva già in mente un piano!), « come sei rimasto d’accordo con Hermione? »

 

« Ha giurato che non tornerà da Malfoy. Ha detto che non è la persona che pensava. » spiegò Ron, sperando con tutto il cuore che fosse la verità.

 

Harry fece un cenno d’approvazione. « Ottimo, » disse, « questa sera andiamo a trovarla, … » Era chiaro che intendeva sincerarsi che tenesse fede al giuramento - come Ron, del resto. « … E poi facciamo un sopralluogo sulla Charing Cross Road. Questa notte. Controlliamo cosa accade da quelle parti… »

 

Fu così che i sopralluoghi da fare quel giorno divennero due: uno durante la notte, loro preciso dovere nei confronti dell’amica; l’altro nel pomeriggio, indispensabile per uscire dal vicolo cieco del caso McKenzie.

 

* * *

 

Antony Cooper McKenzie, avvocato famoso e di grande esperienza, non nutriva molta fiducia nei metodi della polizia metropolitana, per questo aveva chiesto il supporto di un’agenzia investigativa privata. Come di norma, l’accesso alla scena del reato era appannaggio di poliziotti difficilmente disposti a condividere informazioni; tuttavia, senza esaminare la galleria d’arte era impossibile proseguire le indagini perciò Harry era riuscito ad ottenere il permesso di accedervi.

 

Erano circa le tre del pomeriggio quando i due investigatori uscirono dalla metro.

Dopo un quarto d’ora di cammino giunsero a Carlyle Square, una tranquilla zona neldistretto di Kensington e Chelsea. La piazza quadrangolare era occupata da un ampio parco sul quale si affacciavano graziose villette in stile vittoriano. Una accanto all’altra, le abitazioni alternavano eleganti cancellate in ferro battuto a bianchi muriccioli con colonne decorate. L’atmosfera che si poteva respirare era quel mescolio di pace e ricercatezza che contraddistingueva la parte più elitaria della città di Londra.

Esternamente, la residenza dell’avvocato apparve loro molto simile a tutte le altre che circondavano l’area; fu solo entrando che i due detective si resero veramente conto di cosa significasse essere spudoratamente ricchi.

 

Li accolse McKenzie in persona; i modi dell’avvocato erano quelli d'un gentleman, ma non nascondevano le esigenti pretese che egli aveva nei confronti dei due detective.

Attraversando le stanze, la prima opinione che Harry e Ron si scambiarono (e bastò un semplice sguardo) fu come fosse facile, grazie al denaro, trasformare un edificio di fine ottocento in una residenza dotata dei più moderni comfort tecnologici.

 

Quando giunsero alla galleria d’arte, il contrasto tra antico e moderno divenne più forte.

La disposizione dei quadri lungo le pareti, i soggetti dipinti, le luci soffuse e la temperatura fresca, evocavano il passato e si scontravano con l’avanzata tecnologia del sistema di vigilanza e dell’impianto di condizionamento. Le pareti del lungo corridoio erano rivestite con carta da parati bordeaux sulla quale era stampato un motivo ricorrente. I dipinti erano appesi alla stessa distanza l’uno dall’altro, corredati da una targhetta che ne riassumeva le caratteristiche. A circa un metro dal muro, vi era una serie di pannelli in plexiglas alti fino al ginocchio, che servivano per mantenere la distanza fra le opere e lo spettatore.

 

La prima cosa che notò Harry fu il segno del quadro rubato sulla parete: un rettangolo più chiaro che mostrava probabilmente l’originario color Borgogna della tappezzeria.

 

Ron, invece, si chinò curioso ad esaminare i pannelli e quasi fece un salto notando un finissimo capello biondo incastrato fra due di essi; probabilmente sfuggito ai sopralluoghi frettolosi della polizia metropolitana. Lo mostrò a Harry che gli fece un cenno soddisfatto, s’infilò un guanto, s’inginocchiò e lo raccolse mettendolo in un apposito sacchetto di plastica.

 

« Signor McKenzie, può dirci qualcosa in più sul quadro rubato? » domandò poi, osservando che la targhetta dell’opera mancante riportava informazioni estremamente vaghe.

 

Origin: 1200 A. D. – Spain (?)

Author: Unknown

 

« Ho vinto il ritratto pochi mesi fa ad un’asta di beneficenza, pagandolo veramente una sciocchezza, » rispose l’avvocato, « dopo l’acquisto ho fatto valutare l’opera da alcuni esperti e ho capito di aver concluso un ottimo affare. Sono tutti concordi nel riconoscere che è in ottime condizioni. »

 

« Chi altri è a conoscenza del valore del quadro? » chiese Harry.

 

« Non saprei. Qualunque buon critico può valutare facilmente la qualità dell’opera. »

 

«Tra gli ospiti che ha invitato crede che - »

 

Harry non fece in tempo a terminare la domanda perché Ron lo interruppe: « Harry, dà un’occhiata alle telecamere… »

 

Harry alzò gli occhi ad esaminare il circuito di sorveglianza. McKenzie aveva elogiato più volte la qualità dell’impianto, descrivendolo con orgoglio, ma vederlo dal vivo aveva tutto un altro effetto. Era un sistema centralizzato, gestito da un computer posizionato in una sala di controllo. Le periferiche erano distribuite lungo tutto il perimetro del soffitto, ad altezze diverse, in modo da non lasciare punti morti. Ad intervalli casuali le telecamere ruotavano l’obiettivo, coordinate in modo che ogni area della stanza fosse costantemente ripresa da almeno due inquadrature.

Ron moriva dalla voglia di conoscere i costi di un simile impianto, ma si trattenne in favore di un’osservazione più importante. Indicando le telecamere che puntavano verso l’ingresso, affermò: « Viene filmato costantemente chiunque entri nella stanza. È impossibile nascondersi qui. »

 

Così dicendo, scartò definitivamente l’unica ipotesi che era riuscito a formulare in merito alla dinamica del furto.

Harry fece un cenno con la testa, pensieroso: rimaneva ancora una possibilità. « Allora il filmato è stato interamente sostituito dalla sala di controllo. »

 

« Impossibile, » intervenne con sicurezza l’avvocato McKenzie, « per entrare serve un codice. »

 

« Qualcuno dei suoi ospiti potrebbe essersi allontanato e… »

 

« No. Sono rimasto con loro tutto il tempo della visita. »

 

« La signorina Parkinson, però, si è trattenuta oltre… »

 

« È mia cliente, abbiamo discusso d'affari. E poi, mi perdoni, ma - sorrise ironico - Pansy riesce a malapena ad utilizzare il cellulare! Comunque, siamo rimasti in salotto per quasi un’ora e non si è mai assentata, se non per andare alla toilette. »

 

A quelle ultime parole, Harry e Ron si scambiarono uno sguardo complice.

 

« Possiamo vedere la “sala di controllo”? » domandarono in coro.

 

« Certamente, » acconsentì l’avvocato, « seguitemi. »

 

* * *

 

Ron detestava l’ultramoderna stazione di Vauxhall, molto simile ad una fantascientifica rampa di lancio per Shuttle; uscendo dalla metro rallentò il passo e si guardò intorno, infastidito da tutti i turisti che si fermavano a fotografare la costruzione.

Harry lo precedeva. Incurante della folla, camminava spedito verso l’appartamento di Hermione.

 

Erano le sei e mezza di sera quando Hermione sentì squillare il campanello. Pensò subito ad una visita di Ron e fu sorpresa di vederlo salire insieme a Harry.

 

C’erano ancora diverse cose che non aveva chiarito nei suoi ricordi: cose che erano difficili da accettare, cose che erano ancora, in parte, oscure…

 

Non era preparata ad affrontare Harry.

 

Ron era un ragazzo un po’ superficiale ed imprudente, ma con un grande cuore. Hermione sapeva di poter contare sul suo sostegno, anche se non aveva la sua comprensione.

 

Ma Harry era diverso.

 

Harry era testardo; agiva impulsivamente, come Ron, ma non era l’istinto a guidarlo, bensì un senso di responsabilità soffocante, che lo aveva sempre accompagnato in ogni sua scelta e che, anche cancellando il passato, faceva parte di lui.

 

Se non fosse riuscita a farlo ricordare, Harry avrebbe pensato che stava diventando pazza.

 

Non solo non avrebbe capito il suo dolore, ma non sarebbe nemmeno riuscito ad accettarlo.

 

Come Ron, Harry Potter avrebbe addossato tutta la colpa a Draco Malfoy, scatenando un putiferio pur di far convergere tutte le prove in favore della propria tesi.

 

Mentre la giovane giornalista si torceva le mani preoccupata, i due investigatori entrarono nell’appartamento, stranamente indifferenti alle sue ansie. Presi dal caso McKenzie, dichiararono subito d’aver bisogno del suo valido aiuto nelle indagini.

Hermione cercò di ricacciare indietro i ricordi insieme alla tensione e, per un po’, li assecondò.

 

In realtà i ragazzi erano preoccupati per l’amica, ma avevano deciso di non affrontare l’argomento Malfoy “per non farla soffrire”. Decisione vagliata e costruita insieme con tutta la sensibilità che erano riusciti a racimolare, ma che, dall’esterno, appariva molto simile ad una coda di paglia.

 

I due detective iniziarono riassumendo a Hermione tutte le informazioni raccolte e conclusero esponendo i loro forti sospetti su Pansy Parkinson (…che conducevano poi dritti a Malfoy!).

 

Sentendo parlare dell’attrice, Hermione sussultò. Solo pochi giorni prima, quel nome avrebbe rappresentato per lei una perfetta sconosciuta, ora invece diventava un ulteriore nodo in una matassa già abbastanza intricata.

 

Che cosa ci faceva Pansy Parkinson fra i babbani?

 

Era un’attrice, aveva detto Harry.

 

Ma da quanto tempo? Che anche lei avesse dimenticato?

 

Se, come sosteneva Ron, tra lei e Malfoy c’era una relazione, era logico credere che l’avesse aiutata a recuperare i ricordi nello stesso modo in cui aveva risvegliato i suoi.

 

Pansy Parkinson…

 

Hermione si concentrò in una riflessione fin quasi a scordarsi degli amici accanto a lei: Harry e Ron vedevano appena la punta dell’iceberg, mentre lei era in grado di cogliere le potenziali dimensioni del pericolo.

 

Malfoy stava architettando qualcosa.

 

Era sempre stato un vigliacco, ma non era né ingenuo, né stupido.

 

Se poteva contare su una Slytherin, perché andare a scomodare il “nemico” Gryffindor?

 

Cosa voleva da lei?

 

Qualcosa che non poteva avere da Pansy Parkinson, questo era ovvio…

 

Era astuto, sibillino e irrimediabilmente sleale.

 

Draco Malfoy, si ripeté Hermione più volte quasi avesse paura di dimenticarlo, era un Mangiamorte.

 

« Grazie Hermione, ora dobbiamo andare, » disse ad un tratto Harry. Poi, vedendola tanto assorta, domandò: « Ti senti bene? »

 

Lei non rispose, ma scrutò i due amici. Harry si era alzato e aveva cominciato a riordinare tutti i fogli sparsi sul tavolo con i loro appunti sul caso McKenzie.

 

Che tipo di incantesimo era stato fatto su di loro?

 

Era possibile farli ricordare?

 

« Oh Ron, possibile che non ti ricordi nemmeno di… noi? » domandò all’improvviso Hermione, accorgendosi che quelle parole erano uscite dalla sua gola con prepotenza, abbattendo la barriera dell’orgoglio che le aveva trattenute con fatica la sera prima.

 

« Di… di cosa parli? » chiese il ragazzo sulla difensiva a causa del tono un po’ accusatorio.

 

« Non puoi averlo dimenticato, » insistette lei, timidamente, radunando tutto il coraggio che riuscì trovare, « davvero non ricordi quello che … quello che c’è stato… fra noi. »

 

Ron sbarrò gli occhi imbarazzato, ma lungi dal dare a quelle parole il loro vero significato.

 

Harry tossicchiò. « Io vado. Ti aspetto fuori. »

 

Ron balzò in piedi scansando goffamente la seggiola.

 

« Harry, aspettami! » si lamentò, « non ho capito, Hermione, cosa mi dovevo ricordare? »

 

Gli occhi di lei erano lucidi. « Lascia perdere… » disse cacciando indietro le lacrime.

 

« Ma io voglio capire! » protestò Ron.

 

« Non si tratta di capire, si tratta di ricordare… Ora è meglio se andate. » lo liquidò bruscamente Hermione.

 

« Ma… Hermione… » balbettò Ron.

 

Lei lo interruppe: « Lascia perdere, ho detto. Troverò un altro modo. »

 

A quelle parole Harry si bloccò sulla porta. « Non fare sciocchezze, » si raccomandò, serio.

 

Lei scrollò le spalle in un gesto di stizza: « Io non faccio mai sciocchezze. »

 

* * *

 

Durante il giorno la Charing Cross Road era sempre molto frequentata. Ristoranti, teatri e cinema erano enormi calamite per turisti; negozi e librerie ad ogni angolo attiravano curiosi di tutte le età. Dopo la mezzanotte di quelle sere invernali, però, regnava il silenzio, tutto era immobile, congelato, come il resto della città.

 

Ron ed Harry camminarono senza rivolgersi la parola per diverso tempo, stringendosi nelle rispettive giacche, con i pugni chiusi in tasca e le spalle contratte per il freddo. Ad un tratto si fermarono, incuriositi, davanti all’ingresso del famoso London Astoria Theater, storico edificio che, trasformato per un periodo in centro commerciale, era tornato ad ospitare concerti e spettacoli teatrali (*). Ad attrarre la loro attenzione era stato il manifesto dell’evento in programmazione per la serata che riportava il nome di Pansy Parkinson. I due ragazzi si scambiarono qualche opinione esaminando la locandina, poi ripresero il cammino verso Leicester Square, sbrigandosi a raggiungere la meta del loro sopralluogo.

 

Ben presto si resero conto che il loro obiettivo non era semplice: la strada, ampia e ben illuminata, non forniva aree adatte per appartarsi e spiare la zona inosservati. Dopo una lunga consultazione, scelsero l’ingresso di un piccolo negozio che offriva un angolo più buio e una buona visuale sulla strada. Di fronte c’erano due negozi dalle vetrine sbarrate ma illuminate. Uno vendeva libri di seconda mano, l’altro, alla sua destra, vendeva dischi e vantava sconti appetibili sulle compilation dell’anno appena trascorso. Davanti ad essi c’era una lunga rastrelliera per biciclette nella quale alloggiava un vecchio ciclo malmesso e abbandonato.

 

I detective iniziarono ad osservare con occhio critico gli occasionali passanti: per lo più piccole comitive di giovani incuranti dell’aria gelida, forse per i sensi inibiti dall’alcool.

Un gruppo di ragazzi attraversò la strada; uno di loro aveva una birra in mano, l’altro armeggiava con il telefono cellulare, il terzo rallentò il passo, si fermò, calciò la bicicletta malandata e poi li raggiunse. Risero.

 

Ron scosse la testa e borbottò che detestava l’arroganza; poi, imitando Harry, passò ad esaminare un individuo che sopraggiungeva solitario, chiuso in un pesante tabarro di panno scuro, con la nuca coperta da un ampio cappuccio.

I detective tesero l’udito e acuirono lo sguardo prestando la massima attenzione a quell’insolita (e più che mai sospetta) figura. La videro oltrepassare il portabiciclette, avvicinarsi al negozio di libri, osservare la vetrina per alcuni secondi, guardarsi intorno circospetto, stringersi il mantello attorno collo e, all’improvviso… sparire!

 

Ron cacciò un grido ed Harry gli tirò una gomitata.

 

« Ma l’hai visto? » protestò: l’accaduto era troppo incredibile per mantenere il controllo. « E’ impossibile! » Esterrefatto, scosse la testa in modo meccanico. « Io comincio a non capirci più niente. O sto diventando pazzo, o quello che dice Hermione è vero: la magia esiste, » sbottò, « qui tutto sparisce sotto ai nostri occhi in modo assurdo... Prima il quadro, poi quel tizio! »

 

Harry fece per dire qualcosa ma rimase a labbra socchiuse, sorpreso da quell’osservazione: in effetti, il modo in cui era scomparso l’uomo ricordava incredibilmente il furto alla pinacoteca McKenzie.

 

Ron era in fibrillazione e Harry, per quanto cercasse di contenersi, aveva il cuore che batteva a mille.

 

Quella coincidenza apriva davanti a loro un oceano di possibilità, sbattendogli in faccia tutt’in un colpo la reale complessità del caso che stavano affrontando e trascinandoli con forza in una rete di congetture molto più intricata di quanto avessero, fino a quel momento, immaginato.

 

* * *

 

N.d.A

(*) Il London Astoria è stato chiuso all’inizio del Gennaio 2009 per essere demolito entro il 2012. Perdonatemi se, trattandosi di un teatro storico, mi sono permessa di farlo scampare al proprio destino.

 

X PaytonSawyer: Ciao ciao! Vacanze finite, ahimè! Qualche giorno per riprendermi ed ecco il capitolo 9. Spero ti sia piaciuto, anche se molto descrittivo e con poca azione.

Hehe… anche Pansy ha un ruolo importante, ma ora può sembrare un po’ fuori luogo. La nostra Hermione prenderà la situazione di pugno, non c’è dubbio, ma non avrà la strada spianata… (altrimenti non ci avrei scritto una fic!!) ^^. Poveri Harry e Ron, li maltratto sempre… ma non temere per Ginny, è una tosta! XD

 

X _Jaya: beh, è chiaro che prima o poi Draco dovrà spiegare ad Hermione perché ha bisogno di lei, ma gli serve tempo, poverello.

Come hai potuto notare nel capitolo, lo stato di Hermione ha fatto preoccupare Ron ed Harry, ma meno del previsto: ho pensato infatti che sarebbe stato troppo inverosimile farli credere sulla parola, dato che non ricordano nulla… ma, tranquilla, Hermione sta escogitando qualcosa! Sono contenta che ti sia piaciuto il pezzo con Harry e Ginny e mi ha fatto piacere il tuo commento, perché quella che hai descritto era proprio la sensazione che volevo trasmettere!

 

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 - Down to Wonderland ***


Capitolo 10 - Lost Memories

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

O il pozzo era molto profondo o lei stava precipitando molto lentamente…

 

L. Carrol, Alice nel paese delle meraviglie

 

* * *

 

Capitolo 10 – Down to Wonderland

 

Draco Malfoy osservò la telecamera di sorveglianza mentre inquadrava dall’alto Hermione Granger e sorrise compiaciuto: le cose cominciavano ad andare nel verso giusto. Scivolò intorno al robusto tavolo dello studio e si diresse verso la sala centrale ad accogliere l’attesa - quanto insperata - ospite.

 

Hermione era lì, nel centro della stanza, con espressione agguerrita, per nulla disposta a lasciargli la possibilità di commentare quella visita. Non aveva cambiato idea: non aveva alcuna intenzione di aiutarlo. Era tornata perché era lei, ora, ad aver bisogno di qualcosa.

 

Malfoy trovò difficile trattenersi dall’irritare la ragazza: « Sentivi la mia mancanza? »

 

Lei sbuffò dalle narici come un toro infuriato. Immaginò di girare sui tacchi ed andarsene, mollarlo senza dire una parola.

 

Pregustò la sua faccia pietrificata dalla duplice sconfitta…

 

Ma non si mosse. Non poteva.

 

« Neanche per idea. Devo chiarire alcune cose e vorrei consultare i tuoi libri. »

 

Lui sogghignò a quell’affermazione, sicuro che prima o poi l’avrebbe detta. Fece per commentare, ma lei lo prese in contropiede dirigendosi, a passo di marcia, verso la biblioteca.

 

Draco dapprima si agitò, poi le si parò davanti impedendole di salire le scale: « Cosa credi di fare? »

 

« Ci sono questioni che non mi sono chiare, devo fare delle ricerche. »

 

« Non c’è nulla di utile là dentro, ho esaminato ogni libro. » ribadì indicando con la mano destra in direzione della biblioteca.

 

« Potrebbe esserti sfuggito qualcosa. »

 

Lui scosse la testa con ostinazione. « Non credere che sia così semplice, » disse.

 

« Dimentichi che a Hogwarts ero la migliore, » ribatté Hermione.

 

Poi strinse le labbra, combattiva. Di certo non s’aspettava che la lasciasse girovagare liberamente in casa sua senza riceverne beneficio, ma nel tono di voce del ragazzo c’era un lieve rammarico, che non era presente, invece, nella sua espressione determinata.

 

« Prima devi giurare di aiutarmi, » disse lui e subito dopo si morse l’interno del labbro.

 

“Giurare di aiutarmi ”?! … Perché cavolo aveva usato quelle parole?

 

Così sembrava una richiesta infantile, un capriccio, e invece lei doveva capire che non esisteva nulla di più importante; che non l’avrebbe lasciata scappare una seconda volta.

 

« Se vuoi il mio aiuto, dovrai prima spiegarmi cosa sta accadendo. »

 

La ferma richiesta di lei lo portò a rivalutare la frase appena detta.

Aveva dimenticato come certi termini, quali “onore”, “aiuto”, “giuramento”, avessero il potere di surriscaldare il nobile spirito di un Gryffindor.

 

Non ci fu bisogno di darle risposta, lei aveva già interpretato da un pezzo il suo silenzio come una resa: « Cos'è successo? Chi ci ha fatto questo? Di quale incantesimo si tratta? »

 

Tante domande in una volta lo portarono d’istinto a sollevare le mani e a mostrare i palmi per dichiarare la propria innocenza. « Non ho idea di cosa abbiano fatto a voi. Non lo ricordi? » chiese sorpreso.

 

Lei scosse la testa.

 

« Per quanto mi riguarda, » riprese lui, « sono stati i miei genitori. »

 

« I tuoi genitori? »

 

« Sì. Ricordo le loro ultime parole: hanno detto che questo era il modo migliore di proteggermi da Tu-Sai-Chi. »

 

A Hermione non sfuggì nulla di quella frase, nemmeno ciò che Draco aveva volutamente omesso.

 

“Ultime parole …”

 

“…Tu-Sai-Chi”

 

Narcissa e Lucius Malfoy erano morti… forse per mano di Voldemort?

 

Non poteva esserne certa, ma il fatto che Malfoy non avesse pronunciato il suo nome, significava che lo temeva.

 

« Hanno unito le loro abilità per fare un potente incantesimo di memoria e… non so che altro … Due anni. Sono passati due anni… poi ho trovato quel diario. Sono sicuro che anche quello è opera loro: creato apposta per aiutarmi a ricordare… »

 

Draco raccontava con sicurezza perché aveva ricostruito completamente il proprio passato.

Lei, invece, se andava indietro di due anni trovava come ultimo ricordo solo il dolore straziante per la morte di Harry.

 

E invece Harry era vivo…

 

Era lì, nel mondo babbano, insieme a lei, Ron, Ginny, Malfoy, Pansy Parkinson… e chissà chi altri!

 

Una domanda seguì spontanea: « Siamo solo noi due a ricordare? »

 

Più che un “sì”, la risposta fu un sospiro cauto, che soppesava il rischio di mostrare la schiena al nemico.

 

Lei rifletté a labbra socchiuse per alcuni istanti. « E Pansy Parkinson? »

 

Malfoy sussultò. « Non ricorda nulla. »

 

« Oh, - Hermione non sapeva se considerarla una buona o una cattiva notizia, - perché non le hai mostrato il quaderno? » suggerì diffidente.

 

« Ci sto lavorando, Granger, » rispose lui, nervoso, « adesso piantala di fare domande. Giura – questa volta lo disse di proposito – che mi aiuterai. »

 

« Perché dovrei farlo? Sei un mago potente, Malfoy, dubito che tu non riesca a cavartela da solo. »

 

Draco si piantò le unghie nei palmi delle mani che prudevano di rabbia. Se solo fosse stata un metro più vicina l’avrebbe presa a schiaffi, restituendole l’umiliazione che gli aveva inflitto sette anni prima.

 

Il tempo aveva smussato la Gryffindor soltanto in superficie. L’aveva resa più affabile e più cortese, ma non le aveva scrostato di dosso l’insopportabile spirito saccente e combattivo, l’eruttante razionalità, il nauseante senso di giustizia e quel dannato bisogno ossessivo di avere sempre l’ultima parola.

Con cocente rammarico, pensò alla docile Pansy: così semplice da convincere… e piacevole! Pensò al profumo dei suoi capelli, alla sua pelle morbida, al calore fra le sue cosce sode… E, invece, di fronte aveva Hermione Granger: un nugolo di ispidi capelli (castano scuro o chiaro? Ma si era tinta?)… castano indefinito, voce fastidiosa, temperamento isterico e l’arroganza stampata sul viso…

 

Draco borbottò fra sé e sé, contro Merlino e contro la sorte avversa, come quando ci s’accorge che l’ultima caramella rimasta nel sacchetto delle Tuttigusti+1 è quella al sapore di vomito.

 

« Entrerai nella mia biblioteca solo dopo aver giurato di aiutarmi. » E più chiari di così non si poteva essere.

 

Hermione prese tempo.

 

Malfoy non era più soltanto il ragazzino viziato e fetente che aveva conosciuto a Hogwarts, abituato ad avere tutto senza rischiare nulla. Il ragazzo che le stava davanti e che chiedeva il suo aiuto portava, come Harry, il peso della dolorosa perdita di entrambi i genitori; cercava vendetta e, forse, anche riscatto da un destino in cui era stato trascinato contro il proprio volere. Rimaneva, però, uno dei peggiori rappresentanti della Casa di Serpeverde e, dovette ripetersi con forza ancora una volta, era un Mangiamorte: c’era un marchio indelebile a ricordarlo.

 

Se voleva ottenere qualcosa da lui, doveva scendere al suo livello e giocare sleale.

 

« Va bene, » rispose.

 

Draco rimase un attimo sorpreso, poi ordinò: « Giuralo. ».

 

Lei avanzò di un passo. Lui, di riflesso, si spostò per bloccarla.

 

« Granger, voglio la tua parola! »

 

« Ho detto che ti aiuterò, » tagliò corto lei. Per ottenere ciò di cui aveva bisogno era disposta a scendere a compromessi, ma non a lasciare qualcosa di sé nelle mani di Malfoy, nemmeno la sua parola: la stretta di un serpente può essere mortale.

 

Anche se non era nello stile Slytherin (avrebbe preferito vincolarla con un giuramento - magari sulla testa di Harry Potter), lui allentò la presa e si accontentò.

 

Cedette il passo e la seguì su per le scale, in modo che fosse lei a doversi guardare le spalle.

 

* * *

 

Erano le cinque e mezza del pomeriggio quando Ron uscì dall’ufficio dopo una lunga giornata di lavoro. Passando davanti alla vetrina del Butterfly, lanciò un’occhiata all’interno del locale e notò che Ginny non c’era; al suo posto serviva una ragazza piuttosto carina e Ron non ci pensò due volte ad invertire rotta ed entrare nel bar.

La sostituta barista gli sembrò subito più affabile e gentile della cugina. Aveva dei lunghi capelli biondi, gli occhi grandi e chiari, un viso sottile e il naso all’insù che le dava un’aria ingenua.

Il detective avanzò pavoneggiandosi, drizzando le spalle e lisciandosi la chioma rossa; quando fu al banco si schiarì la voce: « Dov’è Ginny?»

 

La biondina rispose educatamente (Ron trovò delizioso il suo tono di voce) e disse che Ginny era nello scantinato a riordinare alcune cose. « La sostituisco solo per qualche ora, » chiarì.

 

« Non ti ho mai visto qui. » Ron cambiò discorso, a conferma dello scarso interesse per gli affari della cugina Ginevra.

 

« Non vengo spesso a Londra… rimarrò solo per un paio di giorni, » spiegò lei evitando di guardarlo negli occhi. Non era l’imbarazzo ad impedirle di incrociare il suo sguardo, ma una fastidiosa sensazione di inadeguatezza unita al timore di dire la cosa sbagliata.

 

Ron interpretò quel modo di fare come autentica timidezza, così decise di presentarsi per primo: « Mi chiamo Ron Weasley, lavoro in un ufficio qui sopra come investigatore privato. E tu? »

 

« Lavanda Brown. »

 

Ron corrucciò la fronte per qualche istante: “Lavanda”… Che razza di nome era?!

 

Proprio non si addiceva ad una ragazza come lei. Troppo originale per quel viso ingenuo e troppo scialbo per quelle gambe tornite in mostra sotto la gonnellina a pieghe…

 

In ogni caso si guardò bene dal fare commenti, anche perché lei gli aveva voltato le spalle e si stava allungando per afferrare una tazza dallo scaffale.

 

« Preparo un tè, » affermò con voce acuta (per chi fosse il tè non aveva importanza).

 

Ron annuì disattento e quella fu l’ultima cosa che si dissero. 

 

Fra loro scese lentamente un sottile sipario oltre il quale lui, grattandosi nervosamente il collo, si dedicò alla vana ricerca d’un argomento di conversazione non banale, mentre lei ne approfittò per distogliere lo sguardo e abbandonarsi ad una sensazione di insoddisfazione, nata in sordina nel momento in cui lui era entrato e cresciuta fino a bruciare di rancori irrisolti.

 

Fu in quel momento che Ginny tornò al bar, entrando tutta affannata dalla porta situata a fianco del bancone. Lanciò uno sguardo preoccupato a Lavanda, poi si rivolse al cugino: « Ron! Che cosa ci fai qui? Dov’è Harry? »

 

Lo aggredì come se rimproverasse un figlio rientrato in casa a tarda notte.

Ron si trattenne dal farle notare che sembrava una madre isterica solo per non mettersi in cattiva luce davanti alla bionda Lavanda.

 

« Harry è rimasto in ufficio, io sto tornando a casa, » rispose con fastidio.

 

« L’hai lasciato solo? »

 

« Certo che l’ho lasciato solo! Direi che sa badare a se stesso… »

 

Ginny sospirò: « Lavora sempre fino a tardi in questi giorni…»

 

« Se sei preoccupata va’ a trovarlo… Potresti portargli un tè, » suggerì Ron, provocatorio.

 

Ginny arrossì: « Beh, sì potrei… di cosa si sta occupando ora? »

 

« Non posso parlarne. »

 

« Lo so, » fece lei arrendevole. Si aspettava quella risposta prima ancora di formulare la domanda, ma giunse un aiuto insperato.

 

« Che peccato! », esclamò Lavanda, « io adoro le storie di detective! Il tuo è un lavoro davvero affascinante! »

 

Le guance di Ron iniziarono a colorarsi di grosse chiazze rossastre e lui si schiarì la voce: « Dai, non facciamo nulla di speciale… Adesso ci stiamo occupando del furto alla pinacoteca McKenzie, l’avrai letto sui giornali… »

 

Ginny era letteralmente allibita: Ron si era venduto senza alcuno scrupolo per una chioma bionda e un paio di gambe affusolate.

 

« Il furto alla pinacoteca McKenzie? Oh cielo! » esclamò Lavanda esterrefatta.

 

« Beh, in realtà non è un semplice furto, si tratta di un caso di più complesso… »

 

Ginny guardò Ron e vide un tacchino dal petto gonfio e la cresta alzata.

 

Gli occhi di Lavanda brillavano di curiosità e lui proseguì: « Non sappiamo ancora cosa sia accaduto, ma ci sono eventi inspiegabili nella dinamica del furto… » 

 

« Quali eventi? »

 

Ron, in un barlume di lucidità, oppose una debole resistenza: « mi dispiace, ma non posso parlarne… »

 

« Dai Ron, tanto rimane fra noi… » incalzò Ginny.

 

* * *

 

Hermione ricordava molto bene che la biblioteca era l’unica stanza accogliente di Villa Malfoy; grazie anche al profumo dei libri che evocava nostalgici ricordi di Hogwarts.

Appena entrata, notò che il vassoio al centro del tavolino era vuoto e lì accanto giaceva il diario magico che le aveva fatto recuperare la memoria.

 

Lungo le pareti, l’enorme collezione di libri le tolse il fiato per la seconda volta.

Come un bambino all’ingresso di un immenso parco giochi, cominciò a guardarsi intorno scorrendo rapidamente lo sguardo da uno scaffale all’altro, ingorda, desiderosa di divorare tutti quei volumi in una volta sola.

S’avvicinò e ne scelse uno, lo sfogliò rapidamente e ne prese un altro… e un altro ancora….

Estraeva un testo, ne scorreva le pagine attenta ad ogni dettaglio cercando di memorizzare il maggior numero di informazioni possibile, poi lo poggiava e passava al successivo, cumulando sul tavolino precarie pile di libri.

 

Per venti minuti buoni Draco Malfoy la osservò trafficare in silenzio.

Si era seduto sulla poltrona del salotto, sprofondato nel morbido schienale, a gambe larghe e con le braccia distese lungo i braccioli: una posa studiata per apparire rilassato, ma in realtà era attento ad ogni mossa della ragazza. Scattava impercettibilmente appena lei afferrava un nuovo volume e scioglieva i muscoli solo quando iniziava a perdersi nella lettura.

 

Ad un tratto Hermione si volse verso di lui con una domanda diretta: « Sei più tornato ad Hogwarts? »

 

Draco scosse la testa. « Non ancora. Non posso farlo finché avrò addosso questa Maled -, » s’interruppe di botto, scostando lo sguardo da lei e fissando la moquette.

 

Hermione sbatté le palpebre incuriosita: « Maledizione? Quale maledizione? »

 

Draco esitò prima di risponderle. Non era certo smanioso di mettere al corrente Hermione Granger della propria umiliante condizione, ma d’altronde - si disse - l’aveva dovuta coinvolgere proprio per quel motivo.

 

« Qualcuno mi ha fatto una fattura che impedisce di fare incantesimi, » ammise con disgusto.

 

Hermione sbarrò gli occhi in un’espressione sorpresa, ma dentro stava esultando: Draco Malfoy incapace di fare magie era pericoloso quanto un boa constrictor chiuso in una teca di vetro al museo di scienze naturali!

 

Capì immediatamente perché aveva insistito per strapparle un giuramento: era l’unico strumento che possedeva per impedirle di prendersi gioco di lui; allo stesso tempo, pur senza volerlo, Hermione cominciò a provare per lui una specie di solidarietà, simile al cameratismo che si viene a creare fra persone che si trovano, impotenti, in balia dello stesso destino.

 

« E ti aspetti che io possa annullarla? »

 

« Esatto. »

 

« È opera dei tuoi genitori? »

 

« Non ne ho idea… ma ne dubito: mio padre non l’avrebbe mai permesso. »

 

Hermione decise di non commentare quell’affermazione. « Dovrò consultare alcuni di questi volumi con più calma, » disse vaga. Non voleva sbilanciarsi in promesse o rivelazioni e, soprattutto, non aveva perso di vista il proprio obiettivo.

Chinandosi sui libri accatastati sopra al tavolino, ne afferrò quattro a braccia larghe e fece per raccoglierli. In quel momento Draco Malfoy s’alzò fulmineo e posò la mano destra sulla pila di volumi, spingendo verso il basso ed impedendole così di sollevarli.

 

« Un solo libro, Granger. Porterai fuori di qui un solo libro alla volta, » minacciò.

 

Non che dubitasse del modo in cui la giornalista poteva trattare i suoi preziosi volumi, ma era in casa sua e le regole le dettava lui.

 

Lei quasi tremò quando se lo ritrovò davanti con quell’espressione bieca: le iridi grigie erano ferme e le pupille dilatate la fissavano dritta negli occhi. Sfilò lentamente dalla pila di libri l’ultimo in fondo, mentre lui teneva ancora il palmo aperto sul primo.

Con le dita della mano sinistra scivolò sotto al volume fino a trovare il piccolo diario magico; con cautela, senza lasciare lo sguardo del Serpeverde, afferrò anche quello assieme al pesante tomo. Aiutandosi con l’altra mano, estrasse i due libri tenendoli ben saldi insieme; lesta li ruotò e li strinse con entrambe le braccia sul petto, nascondendo alla vista di lui il piccolo taccuino.

Il cuore le batteva a mille, ma Draco non se n’accorse; quando vide spuntare dalle sue braccia la copertina di Jinxes for the Jinxed (*) riprese il proprio posto sulla poltrona.

 

Hermione si diresse alla porta senza dire una parola e lui la lasciò andare, fermamente convinto del suo ritorno.

 

Quando lei fu sull’uscio si fermò: « Hai ancora la tua bacchetta magica? » gli domandò.

 

« Ovviamente. »

 

« Bene. Quando avrò trovato una soluzione dovrai prestarmela, perché non ho idea di dove sia la mia. »

 

« Tu sei pazza! » esclamò lui scrutandola con superiorità.

 

« Non sto scherzando, Malfoy, come pensi che possa aiutarti se non riesci a fidarti? »

 

« Ho l’impressione che sia una difficoltà reciproca. »

 

Hermione scosse le spalle esasperata. « Non posso fare dei validi incantesimi senza una bacchetta… Riflettici! Non posso farcela se non collabori! » disse categorica, uscendo dalla stanza.

 

Lui rimase rilassato sulla sua poltrona, non si scosse nemmeno quando l’anta sbatté forte alle spalle di Hermione.

 

Poi chiuse gli occhi ed inspirò profondamente.

 

Ce la farai, Granger.

 

Dopotutto, ad Hogwards eri la migliore…

 

* * *

 

Alle cinque del pomeriggio Harry aveva convinto Ron a tornare a casa, mentre lui era rimasto in ufficio per terminare il rapporto sull’indagine della sera precedente: voleva farsi perdonare per averlo lasciato a lavorare da solo quando era uscito con Ginny.

 

Uscendo dall’ufficio, Ron aveva spento la luce per abitudine ed Harry, per pigrizia, non si era alzato a riaccenderla; così ora si trovava davanti allo schermo del computer mentre il sole tramontava e dalla finestra dello studio provenivano gli ultimi istanti di fioca luce naturale. Avrebbe continuato a scrivere imperterrito anche al buio, ma all’improvviso qualcuno bussò alla porta. Si alzò contrariato sentendo gravare tutta in una volta la stanchezza cumulata nella giornata di lavoro, amplificata dal continuo complicarsi del caso McKenzie, che sembrava non avere capo né coda.

 

Si avvicinò all’ingresso e ne approfittò per accendere la luce.

 

Quando aprì, si trovò davanti Ginny che fissava lo zerbino e non spiccicava parola; in mano teneva una tazza di tè caldo e fumante.

 

Harry l’accolse imbarazzato ma piacevolmente sorpreso.

 

« Ho visto Ron: mi ha detto che sei rimasto a finire del lavoro, così ti ho portato un po’ di tè, » esordì lei.

 

Harry immaginò che l’amico fosse passato al bar di proposito. « Devo stilare un rapporto. Si tratta di un caso complicato e voglio andare in fondo a questa storia. »

 

Ginny si pulì le scarpe sul tappetino poi entrò e poggiò la tazza di tè sulla scrivania. « Di cosa si tratta? » azzardò ben sapendo che non erano affari suoi.

 

Harry scrollò le spalle e borbottò assente: « Ancora non l’abbiamo capito, ma troverò una spiegazione… »

 

Ginny lo guardò negli occhi con una intensità tale da fargli mancare il fiato: chiunque abbastanza sveglio avrebbe capito dove vagabondavano i suoi pensieri, ma Harry era un po’ imbranato e troppo insicuro per accorgersene.

 

Così intavolarono un goffa discussione, rimanendo fermi in piedi nello stesso punto per tutto il tempo.

 

« Ron ha detto che vi state occupando di un furto… »

 

Harry imprecò fra sé e sé: non era loro abitudine diffondere dettagli sui casi cui lavoravano, quindi era chiaro che Ron si era fatto raggirare dalla cugina.

 

Si grattò la nuca cercando di essere il più delicato possibile: « Ginny, a dire il vero queste sarebbero informazioni riservate e… »

 

« Lo so, Harry, non sono stupida. Non ne farò parola con nessuno, stai tranquillo. Solo pensavo che… ecco… magari potrei esservi d’aiuto. »

 

Harry spalancò gli occhi: inizialmente aveva pensato ad una battuta di spirito, ma l’espressione di Ginny era serissima.

 

« E come? » domandò sperando di non offenderla. Ginny gli appariva  così delicata che a volte aveva l’impressione di ferirla con le sole parole.

In realtà la ragazza aveva delle spalle ben più robuste di quanto Harry immaginasse, ma a lei piaceva quella cura che lui mostrava nei suoi confronti e non aveva intenzione, per il momento, di rivendicare la propria indipendenza.

 

« So che siete stati sulla Charing Cross Road ieri notte. Succedono cose strane da quelle parti, non siete gli unici che hanno visto sparire un uomo… »

 

Altro che dettagli, Ron aveva praticamente spiattellato tutto!

 

« Ginny… » cominciò Harry, sistemandosi gli occhiali sugli occhi e cercando di mantenere la calma.

 

Lei non lo lasciò parlare: « È successo anche a Simur. Camminava nei pressi del negozio di dischi, hai presente? È stato spinto a terra da un uomo avvolto in un mantello, ma quando alcuni passanti sono arrivati per aiutarlo, l’uomo è sparito di botto. »

 

« Chi è Simur? » Harry era sempre più preoccupato e la cosa divenne evidente dai suoi movimenti rigidi e nervosi; cominciò a sentire il bisogno di sedersi.

 

« Simur è un cliente fisso, » spiegò Ginny che invece sembrava a suo agio, « ti ricordi? È quel vecchietto simpatico che siede sempre accanto alla finestra. »

 

Harry capì e d’un tratto si sentì profondamente sollevato. « Finché continuerai a dargli del Gin alle otto di mattina è normale che veda scomparire le persone! » obiettò.

 

« Quanto sei ottuso Harry! Anche tu e Ron l’avete visto succedere e non avevate bevuto! … O devo pensare il contrario? » insinuò lei.

 

Il detective scosse la testa pazientemente: « Quello che abbiamo visto ha una spiegazione… »

 

« Non crederai alla storia della setta di Malfoy? Ma dai! » ironizzò Ginny, « solo a Ron possono venire certe idee! »

 

Harry era letteralmente sconcertato: ma che altro diavolo le aveva raccontato Ron?!

 

Sbuffò nervosamente: « Ginny, per favore, non intrometterti, ho la sensazione che si tratti di un affare pericoloso. »

 

« Se lo è per me, lo è a maggior ragione per te. »

 

« Ma è il mio lavoro. »

 

Ginny pensò che Harry aveva ragione e lei si stava comportando in modo troppo apprensivo. Dopotutto erano usciti insieme soltanto una sera… in quel modo rischiava di sembrare appiccicosa.

Così non rispose nulla. Si limitò a guardarlo negli occhi, sentendo nascere un groppo in gola al semplice pensiero di dover uscire da quella stanza e lasciarlo solo.

Quando iniziò ad apparire ridicola persino a se stessa, indicò la tazza di tè sul tavolo che si stava raffreddando: « È meglio che vada, » disse.

 

« Già, » borbottò Harry mentre una lieve insoddisfazione gli riempiva il petto.

 

Gli avrebbe fatto veramente piacere averla accanto tutta la sera e, per un istante, ipotizzò di chiudere un occhio ed accettare l’offerta d’aiuto, ma era rischioso… No, non poteva davvero coinvolgerla.

Quando la salutò a malincuore, immaginò di vederla uscire dall’ufficio mentre lui tornava al noioso verbale, invece lei si avvicinò fino a mettergli una mano sul petto, facendogli nascere un brivido dietro la nuca che quasi lo intontì.

 

« Ti prego, stai attento, » mormorò.

 

Facendo un respiro profondo prese tutto il coraggio che riuscì a trovare, si alzò in punta di piedi e lo baciò.

 

Poi, leggera come un soffio di vento, gli volse le spalle e scappò fuori dall’ufficio.

 

Lasciandolo lì, impietrito, a fissare la porta chiudersi lentamente, con l’impronta delle sue labbra sulla bocca e lo sguardo stralunato, perduto in un altro universo.

 

* * *

 

N.d.A.

 

(*) Jinxes for the Jinxed (Fatture per Affatturati) è uno dei libri che Hermione trova nella Stanza delle Necessità, durante la prima riunione dell’Esercito di Silente.

 

Non ho trovato una descrizione dettagliata di Lavanda Brown, così mi sono arrangiata. So che ha i capelli castano chiari, spero non vi abbia dato troppo fastidio se ho detto che è bionda, alla fine non c'è molta differenza.

 

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 - Cose preziose ***


Capitolo 11 - Lost Memories

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

La memoria.

Sacca piena di cianfrusaglie che rotolano fuori per caso e finiscono col meravigliarti,

come se non fossi stato tu a raccoglierle, a trasformarle in oggetti preziosi.

 

Q, Luther Blisset

 

* * *

 

Capitolo 11 – Cose preziose

 

Hermione fece un profondo respiro prima di suonare al campanello dell’appartamento di Harry e Ron; si disse che non c’era motivo di preoccuparsi se la sera prima s’erano salutati con freddezza.

Ad accoglierla trovò soltanto Ron, assonnato e in mutande, che la invitò ad entrare. Ci mise qualche istante a realizzare la propria condizione, e lei provò una gran tenerezza vedendolo arrossire di botto e dileguarsi alla velocità della luce in cerca di maglietta e pantaloni. Quando rispuntò vestito in modo approssimativo, aveva ancora la piega del cuscino stampata sulla faccia.

Hermione non resistette a stiracchiargli un ciuffo ribelle e particolarmente ridicolo. Non ottenne molto, solo un ulteriore imbarazzo di Ron, che con un gesto brusco l’allontanò: « Dai, Hermione! »

 

Lei si ritrasse con una stretta al cuore e respinse una lacrima insidiosa.

 

No, non era l’illusione che quel gesto potesse farlo ricordare…

 

Era l’infrangersi della speranza che il loro legame fosse più forte di un Incantesimo di Memoria.

 

« Dov’è Harry? »

 

« In ufficio, » Ron si grattò la nuca e raccolse un sacchetto di patatine dal tavolino ai piedi del divano, « ne vuoi una? »

 

Lei scosse la testa.

 

Lui ripulì il salotto da una serie di briciole sparse. « Siediti, dobbiamo parlare, » disse serio.

 

Hermione trattenne il respiro. Il ricordo del loro primo ed unico bacio l’attraversò come una scossa, per l’ennesima volta in quegli ultimi giorni.

 

« Parlare? D-di cosa? »

 

« Del caso McKenzie, ovvio! Ci sono delle novità, roba che non puoi nemmeno immaginare! »

 

Hermione pensò che fosse delusione il bruciore che le infiammava la gola, invece era paura.

Paura della solitudine. Istintiva diffidenza di un’anima sola in territorio straniero.

 

« No, Ron, sono di fretta, » mentì, « verrò in ufficio... »

 

« Domani? »

 

« Domani, sì, forse… »

 

« Ok, » annuì Ron, « meglio che ci sia anche Harry. »

 

« Sì, » mormorò lei.

 

« Perché sei venuta allora? » chiese Ron tutt’ad un tratto preoccupato, come se si fosse appena reso conto della mancanza di un pezzo nella costruzione.

 

« Io… ecco…  volevo solo darvi questo… » disse Hermione estraendo dalla borsetta un piccolo quaderno rilegato in cuoio.

 

Ron si alzò perplesso dal divano e andò a prendere l’oggetto: « Cos’è? »

 

Lei scrollò le spalle: « Il mio taccuino. Volevate leggerlo, giusto? »

 

* * *

 

Erano passati solo pochi mesi da quando Draco Malfoy aveva recuperato la memoria, ma a lui sembravano secoli. Riteneva, a dispetto delle parole dei suoi genitori, che gli fosse stata inflitta la peggiore delle punizioni: vivere a Londra in mezzo alla feccia, senza usare incantesimi, senza poter Respingere, Schiantare, Pietrificare; senza potersi Smaterializzare e Materializzare, senza Burrobirra… e senza Quidditch!

 

Seduto in biblioteca, Draco rigirò fra le mani la propria inutile bacchetta.

Più volte, fuori controllo, aveva rischiato di spezzarla perché essa non rispondeva al suo volere. Tuttavia, non intendeva prestarla a Hermione Granger.

 

E non solo per il suo sporco retaggio.

 

Poteva fidarsi di lei?

 

“Fidarsi è bene, non fidarsi è meglio”, dicevano i babbani.

 

E lui, in linea di massima, approvava.

 

Riflettendo, scrutò il tavolino accanto a lui ed una curiosa sensazione lo attraversò.

Inizialmente non riuscì a focalizzare il problema, ma era certo che ci fosse qualcosa sul ripiano in vetro che…

 

Anzi, mancava qualcosa…

 

In un istante, la folgorazione.

 

Poi un’imprecazione.

 

Il diario!

 

Malfoy balzò in piedi, furibondo.

 

Hermione Granger l’aveva ingannato!

 

Stupida, ottusa, irriducibile Grifondoro… 

 

E sudicio sangue babbano! 

 

« A stare in mezzo ai babbani mi sono rammollito! » sibilò schifato, precipitandosi fuori dalla biblioteca.

 

* * *

 

Hermione interruppe la lettura di Jinxes for the Jinxed e fece un grosso sbadiglio.

Accarezzò le ultime pagine del libro, invecchiate ed ingiallite, e all’improvviso si ritrovò a rievocare la sera del primo incontro dell’Esercito di Silente nella Stanza delle Necessità.

 

Era impressionante la quantità di ricordi che continuava ad affiorarle alla mente. La sua memoria sembrava una sorgente infinita; ad ogni istante, spillavano come zampilli tracce, informazioni, immagini, rimpianti, successi, emozioni legati al passato. Ricordi dolci e allo stesso tempo amari, che sottolineavano il divario profondo tra lei e il resto dei babbani fra cui ora viveva.

 

Distesa bocconi si sollevò sui gomiti e ruotò lasciandosi cadere sul letto di schiena. Allungò la mano sul comodino per prendere la sveglia.

 

Era notte inoltrata.

 

La luce soffusa dell’abat jour rifletté lo sconforto e la stanchezza nei suoi occhi.

 

Non aveva trovato nessuna fattura, tra le pagine del volume, che potesse privare un mago dei propri poteri.

 

Incrociò le mani dietro la nuca, concentrata.

 

Aveva trovato solo qualche magia per inibire il funzionamento di una bacchetta, ma sapeva bene che gli incantesimi potevano essere fatti con il solo pensiero. Se Malfoy riteneva d’essere vittima di una fattura, significava che non era in grado di usare i propri poteri in alcuna forma.

 

Tuttavia, lei non aveva letto nulla del genere, nemmeno fra le tecniche più complesse.

 

Sospirò scoraggiata.

 

Rimanevano poche alternative, tutt’altro che rassicuranti.

 

O si trattava di Magia Nera, o Malfoy stava mentendo.

 

Nel primo caso, c’era la remota possibilità che quella fattura fosse connessa all’Incantesimo di Memoria, e che quindi anche lei avesse lo stesso problema... Un vicolo cieco.

 

Scosse la testa per liberarsi di un improvviso senso di soffocamento.

 

Nel secondo caso, diventava fin troppo tangibile l’ipotesi che Malfoy le stesse tendendo una trappola… per incastrare Harry?  Forse…

 

In realtà, poteva trattarsi anche di un incantesimo sconosciuto… certamente inventato da un mago molto potente…

 

Oppure a Malfoy era stata somministrata qualche pozione… dall’effetto assai duraturo, a dire il vero…

 

Infine c’era la possibilità che Jinxes for the Jinxed non fosse un’enciclopedia esaustiva… ridicolo…

 

Hermione si portò una mano alla fronte. Le tempie pulsavano come se avesse trascorso gli ultimi secondi in apnea, sotto litri d’acqua, annaspando per risalire in superficie.

 

Prese un lungo, risoluto, respiro.

 

Affrontare il problema in modo empirico.

L’unica soluzione.

 

* * *

 

L’indomani mattina, Harry Potter e Ronald Weasley si ritrovarono in ufficio a discutere animatamente, seduti l’uno di fronte all’altro. La luce metallica del sole invernale illuminava le rispettive scrivanie, accentuando il caos che regnava su di esse.

 

« Facciamo il punto della situazione. » esclamò Harry.

 

Ron prese la parola: « È stato rubato un quadro dalla pinacoteca McKenzie. Non sappiamo come sia potuto accadere perché la Villa è sorvegliata in modo maniacale e il video delle telecamere è un falso. »

 

« Potrebbe essere stato sostituito dal ladro o addirittura da McKenzie stesso. » ipotizzò Harry.

 

« E se il furto fosse una messinscena per truffare l’assicurazione? »

 

« McKenzie non otterrebbe nulla… L’allarme era disattivato: l’assicurazione non pagherà mai. Loro ci sguazzano in questi dettagli! »

 

« Però abbiamo un capello biondo! » disse Ron con soddisfazione.

 

Harry annuì. Entrambi sapevano perfettamente dove li poteva condurre quella prova.

 

« Può essere di Malfoy. »

 

« Ma Malfoy non è stato da McKenzie, nessuna telecamera lo ha ripreso e non è nella lista degli ospiti. »

 

Ron considerò l’osservazione: Harry aveva ragione, ma non bastava a scagionare il nobile.

 

« Pansy Parkinson c’è, invece, e dopo essere stata da McKenzie è andata da Malfoy, dopo che è avvenuto il furto. »

 

« Ma la Parkinson non è bionda. »

 

« Vero, » borbottò Ron rovistando tra le carte sulla scrivania in cerca della lista degli invitati di McKenzie. La rilesse ad alta voce, anche se entrambi la sapevano ormai a memoria, esaminando caso per caso.

 

« La Signorina Savignon è bionda, ma ha 74 anni. Poi c’è Henry Poison Tsang, ma il referto del laboratorio dice che il capello è biondo originale, mentre Tsang è chiaramente tinto… »

 

« Olga Neeson è bionda… » anticipò Harry.

 

« Sì. Non possiamo escluderla. »

 

« Che altro sappiamo? »

 

« Sappiamo che Pansy Parkinson e Draco Malfoy hanno una relazione. Si sono visti certamente la notte del furto e poi alla mostra, quando c’era anche Hermione, » ricordò Ron.

 

« Sappiamo anche che Malfoy ha tolto un quadro dalla sua esposizione: il ritratto di una donna bionda. Ha detto di averlo posto al sicuro per timore di danneggiarlo, ma non abbiamo prove. »

 

Ron si accorse che l’amico aveva pronunciato l’ultima frase con espressione meditabonda: « A cosa pensi, Harry? »

 

« Ad uno scambio. Un accordo tra McKenzie e Malfoy. Entrambi i ritratti sono oggetti di gran valore. »

 

Ron considerò la supposizione. « Sì, può funzionare, ma a che scopo? E poi… abbiamo già scartato l’ipotesi della setta? »

 

« Non ancora: è credibile, ma non mi convince completamente… A proposito! Dovevi proprio spiattellare ogni cosa giù al bar?! »

 

Ron arrossì, vergognandosi specialmente del motivo per cui aveva divulgato quelle informazioni. « Scusa Harry! Mi sono lasciato prendere! Però… Ginny dice che la storia della setta è ridicola… Dice che non spiega come le cose scompaiano al volo. »

 

Harry prese un profondo respiro. C’è anche questo problema…, pensò con la mente divisa in due: metà afflitta da quella constatazione, metà perduta nel ricordo del bacio di Ginny.

 

« In fondo, Ginny non ha tutti i torti. » disse.

 

« Lo so, ma come spieghi il comportamento di Hermione? Lei e Malfoy si sono rivisti dopo la mostra... è stata lei ad andare da lui. Ed ora è così strana, dice cose assurde… nasconde la verità… »

 

« Magari hanno avuto una storia… » azzardò Harry, « no, dico così per dire… Lei va da lui, lo scopre con un’altra, la Parkinson, ad esempio… »

 

« Impossibile, » asserì categorico Ron ad un tratto pallido come il latte, « ad Hermione non piacciono i tipi come Malfoy. E poi… c’è un’altra cosa… » aggiunse depositando sulla scrivania, di fronte a Harry, un piccolo quaderno rilegato.

 

« Cos’è? »

 

« Il taccuino di Hermione; me l’ha dato ieri sera. Guardalo! »

 

Harry esaminò la copertina, poi sfogliò rapidamente le pagine. « È vuoto, » concluse.

 

« Appunto. Perché darci un taccuino vuoto? »

 

« Per non farci leggere le sue preziose annotazioni. »

 

« Allora poteva tenerselo! » esclamò Ron che si aspettava quella risposta « …E poi non è esattamente vuoto… » aggiunse proprio quando Harry individuò l’unica pagina scritta.

 

A quel punto calò un lungo silenzio nell’ufficio, come se nessuno dei due ragazzi sapesse dare risposta ad una domanda tanto semplice:

 
Chi sei?

 

* * *

 

La sede del The Art Newspaper era un edificio moderno e funzionale. Una struttura costituita da tre palazzine, a pianta rettangolare, connesse tra loro con un’originale architettura frontale in metallo, simile ad un complesso di arcate. La redazione del giornale era situata all’ultimo piano e dalle ampie vetrate si aveva una gradevole vista su Vauxhall Park.

 

Hermione chiuse il proprio ufficio e scese per la pausa pranzo, ma appena mise piede in South Lambeth Road, si raggelò.

 

Dall’altra parte della strada, appoggiato alla recinzione che circondava il parco, stava Draco Malfoy; le braccia incrociate sul petto e un’espressione sinistra sul volto, mezzo nascosto dal collo di un pesante giaccone scuro.

 

I due si studiarono per un po’. Poi Hermione s’incamminò per la propria strada: aveva deciso di ignorarlo.

 

Lui tenne la stessa direzione, sull’altro lato della strada, continuando a fissarla.

 

Pur mantenendo lo sguardo davanti a sé, Hermione sapeva che Malfoy la stava seguendo. Sentiva il suo fiato sul collo.

 

Troppo nervosa per proseguire, si fermò e, dove la segnaletica lo consentiva, attraversò la strada.

 

Piazzandosi davanti a lui, lo aggredì: « Che cosa vuoi, Malfoy? »

 

Lui storse la bocca: « Lo sai perfettamente. »

 

« No, non lo so. Ma qualsiasi cosa sia, mi ha già rovinato la pausa pranzo. » fu la caustica risposta.

 

« Hai rubato qualcosa che mi appartiene. » disse lui torvo.

 

« Non so di cosa parli, » ribatté lei, evitando di guardarlo negli occhi.

 

« Non fare la furba. Restituiscimi il diario. » ordinò Malfoy, tendendo il palmo destro verso di lei.

 

Hermione s’impose la calma. « Non ce l’ho ora. »

 

Lui, in un moto di rabbia, l’afferrò per un braccio: « Non m’importa, vai a prenderlo. Adesso! »

 

« Lo riavrai stasera. Ora non posso, » affermò lei divincolandosi, « devo rientrare al lavoro. Sempre che tu sappia cos’è un lavoro… »

 

Lui fece un sorriso petulante: « So cosa hai in mente di fare. Peccato che quell’oggetto sia stato creato per me, non certo per finire tra le mani del Bamboccio Sopravvissuto.»

 

« Se è per questo, tu l’hai messo fra le mani di una Nata Babbana, » sogghignò Hermione, tagliente.

 

« Molto divertente, Granger, ma non servirà a farli ricordare. »

 

« Se ha funzionato con me, potrebbe… »

 

« Certo, potrebbe…, » troncò lui, « ma voglio ricordarti che sono un Malfoy. E i Malfoy odiano Potter. »

 

Hermione rifletté un istante, a bocca semiaperta, fissando Vauxall Park alle spalle di Malfoy, come se lui fosse trasparente.

 

Vale comunque la pena tentare, almeno su Ron… si disse.

 

Lui la riscosse. « Hai mezza giornata per far tornare quel diario nella mia biblioteca. Chiaro? » disse categorico, voltandole le spalle ed entrando nel parco.

 

« Entro le sei, Granger, non un minuto di più. »

 

* * *

 

N.d.A

 

X PaytonSawyer: ciao Payton, le vacanze sono andate bene, un po’ di relax era necessario… anzi indispensabile! E le tue?

Dici che sono sadica? In effetti, togliere la magia a Malfoy e sbatterlo fra i babbani è proprio crudele. Ma gli fa bene soffrire un po’! Tu che ne dici?

Hermione non sarebbe Hermione se si lasciasse abbindolare: ha ben chiaro il suo obiettivo – per ora.

Devo dire che quando ho immaginato la scena di Ron e Lavanda ridevo tra me e me perché avevo davvero in mente un tacchino, alla fine, scriverlo mi sembrava il minimo.

Sono contenta che ti sia piaciuto il capitolo e che ti sia piaciuta Ginny; quando scrivo di lei sono sempre preoccupata perché è uno dei personaggi che ho trovato più difficile da gestire in questa fic.

 

X Jaya: le tue ipotesi sono interessanti, e questo capitolo sostanzialmente non le ha smentite, ma per scoprire se sono esatte, mi spiace, dovrai aspettare il prossimo! ^_^ Baci!!

 

 

 

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 - Burn ***


Capitolo 12 - Lost Memories

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Capitolo 12 on-line! Qui si conclude, più o meno, la parte iniziale della fic. Con i prossimi capitoli inizieranno a dipanarsi alcuni dubbi ed entrerete (finalmente!) nel vivo della storia.

Non perdeteli! XD

 

* * *

 

Everything will burn, baby, burn…

Ash, Burn Baby Burn

 

* * *

 

Capitolo 12 – Burn

 

Mentre usciva dalla stazione della metropolitana in Leicester Square, Hermione si fermò per rovistare nella borsetta e recuperare il cellulare che stava squillando.

 

« Sono Hermione. Dimmi, Ron. »

 

La voce del detective risuonò vivace attraverso l’apparecchio: « Sei già uscita dal lavoro? »

 

« Sì. Sto venendo da voi, arrivo in un paio di minuti, » lo rassicurò lei.

 

Stava per chiudere la telefonata quando a Ron tornò in mente una questione urgente: « Hermione, aspetta! Volevo dirti che ieri ti sei sbagliata: nel taccuino che mi hai dato non c’è scritto nulla. »

 

« Non mi sono sbagliata, » corresse lei. Si aspettava quell’osservazione, per questo stava andando a trovare i due amici in ufficio.

 

« Ma… » Ron fece per controbattere, ma lei lo interruppe.

 

« Ascolta, hai presente quella pagina con al centro la domanda “chi sei?”? »

 

« Ah-ha. »

 

« Devi rispondere. »

 

Ron rimase alquanto sorpreso: « Che vuoi dire? »

 

« Voglio dire che devi prendere una penna e scrivere nome e cognome sotto alla domanda. Capito? »

 

« Si ho capito, » borbottò lui, accigliato, « ma perché? »

 

« Perché è importante, Ron. Scrivi il tuo nome e poi fai fare a Harry la stessa cosa, okay? Io sto arrivando lì, » concluse Hermione sbrigativa, ansiosa di raggiungere l’agenzia.

 

Ron staccò il telefono e si accorse che Harry lo stava guardando divertito dalla buffa espressione corrucciata sul suo viso.

 

« Cosa ti ha detto? »

 

Ron scrollò le spalle: « Ha detto che sta arrivando e che… boh… dobbiamo scrivere sul taccuino che ci ha dato. Sotto alla domanda dobbiamo scrivere nome e cognome. »

 

« Perché? »

 

« Non lo so. Te l’ho detto che è strana ultimamente, » rispose Ron prendendo il taccuino e passandolo a Harry. « Fallo prima tu, » propose, come se volesse scrollarsi di dosso l’insolita responsabilità.

 

Harry, pur ritenendo la cosa piuttosto insensata, non pose altre domande.

 

Si sedette alla scrivania e prese una penna nera.

 

Nel centro della pagina in questione scrisse ciò che Hermione aveva richiesto:

 

Harry Potter

 

Non aveva ancora sollevato la penna dal foglio che una fitta lieve, ma fastidiosa, lo colse in corrispondenza della cicatrice.

 

Subito dopo l’inchiostro prese a brillare; da nero che era divenne dorato, arancio intenso e infine rosso.

 

Trascorsero pochi, brevissimi, istanti.

 

Poi le parole divennero incandescenti ed una fatale, nefasta, lingua di fuoco s’alzò dalle pagine del quaderno di Hermione.

 

Harry balzò in piedi, imprecando. L’orrore dipinto sul viso.

 

Ron lo imitò, imprecando a sua volta, più forte.

 

Il caos prese il sopravvento.

 

Lo studio si trasformò in una bolgia.

 

Entrambi i ragazzi, inveendo e schiamazzando, iniziarono a tamponare il libricino con tutto quello che trovavano a portata di mano. Libri, fazzoletti, quaderni, sciarpe… Ron vi versò sopra persino l’ultimo dito di Coca Cola da una lattina dimenticata sulla scrivania…

 

Finché la fiamma si spense, lasciando nell’aria un inconfondibile odore di carta bruciata.

 

In quel momento Hermione bussò alla porta.

 

Una, due, tre volte.

 

Nessuno si mosse.

 

Il tono perentorio di Hermione scosse il pianerottolo. « Apritemi! »

 

Ron si diresse meccanicamente all’ingresso.

 

Harry si precipitò a spalancare le finestre, operazione chiaramente tardiva e inutile.

 

Tremando, Ron girò la maniglia.

 

Hermione mise appena un piede nella stanza.

 

Mentre il suo cervello registrava l’acre odore di bruciato proveniente dalle narici, il suo sguardo cadde sul taccuino martoriato, che giaceva sulla scrivania sottosopra, fiero d’essere sopravvissuto all’apocalisse.

 

Ci mise un secondo a capire.

 

Le mancò il respiro.

 

Ron esordì nel peggiore dei modi: « Non è come pensi, Hermione… »

 

Lei lo fulminò.

 

« S-Stai calma… si è rovinata solo una pagina… » cercò di mitigare Harry.

 

In effetti, il taccuino (salvo le pagine macchiate di Coca Cola) era ancora in buono stato. Solo un foglio, di cui rimanevano piccoli pezzetti inceneriti, era andato perduto.

 

Hermione boccheggiava in preda ad un turbine di emozioni indistinguibili: « Come diamine… » La voce si spense in fondo alla gola.

 

« Avevi detto che era importante… volevo farlo prima che arrivassi, » cercò di spiegarsi Ron. « Così ho dato subito il quaderno a Harry per scrivere… »

 

« A-ad Harry? P-perché a Harry? » Domandò Hermione sbigottita, la voce sempre più acuta.

 

« Perché tu avevi detto …»

 

« Io avevo detto prima tu, Ron, poi Harry! » La sua voce stridula penetrò i timpani dei due ragazzi come il fischio di una sirena.

 

« Va bene, ma che differenza… » si difese Ron, smarrito.

 

Hermione aveva ormai perso il controllo. Fuori di sé, afferrò il taccuino sulla scrivania.

 

« Lo sapevo! Non posso fidarmi di te! … Anzi, non posso fidarmi di nessuno! » Gridò inforcando l’uscita e sbattendosi la porta alle spalle.

 

« Se la prende sempre con me! » Si lamentò Ron, combattuto tra sensi di colpa e lo sconforto, « tu hai rovinato il taccuino e ci prendo sotto io! » Tacque un istante, poi guardò Harry, interrogativo: « A proposito: come hai fatto ad incendiarlo?! »

 

Harry aggrottò la fronte.

 

« Non lo so…, » balbettò massaggiandosi la cicatrice, « non ne ho la più pallida idea. »

 

* * *

 

Hermione sapeva d’essere in ritardo, ma non era impaziente di restituire a Malfoy il diario magico ridotto in pessime condizioni per colpa di Ron. Aveva riflettuto sul fatto che, nel peggiore dei casi, il Serpeverde avrebbe potuto esibirsi in una sfuriata, condita di minacce ed offese…

 

Niente a che vedere con la Maledizione Cruciatus.

 

Quando arrivò alla Villa, trovò aperti il cancello e perfino la porta d’ingresso. Tentennando sulla soglia, chiese più volte, a voce alta, il permesso di entrare, ma non ottenne risposta. La casa sembrava deserta.

 

Attese ancora un po’. Non che s’aspettasse un’accoglienza calorosa, ma almeno il maggiordomo gentile… invece non arrivò nessuno.

 

Prese quindi l’iniziativa e si avviò lungo le scale, verso la biblioteca. Senza intoppi la raggiunse e notò che la porta era socchiusa.

Non ci pensò due volte ad approfittarne, ma quando fece per entrare, dalla stanza di fronte, oltre il ballatoio, uscì qualcuno.

 

Hermione si voltò di scatto.

 

Sbarrò gli occhi.

 

Deglutì.

 

Draco Malfoy, la camicia sbottonata e una mano fra i capelli spettinati, esclamò: « Ma chi… ? Granger, sei in ritardo! » Poi sbatté le palpebre allibito: « Che diavolo stai facendo?! »

 

Vergogna e paura s’aggrovigliarono nello stomaco di Hermione. « Io? Niente… ho chiamato ma nessuno… »

 

« Hai schiamazzato, per la precisione! » Borbottò lui. « Neanche il tempo di… »

 

Fece due passi avanti e lei si schiacciò contro lo stipite della porta.

Sembrava che Malfoy si fosse appena svegliato ed il suo aspetto era inquietante. Era spettinato e seminudo. Il torso esile e pallido s’intravedeva sotto la camicia slacciata, indossata in tutta fretta; ed il colore bianco del tessuto sbatteva terribilmente con il viso scialbo e spigoloso, dandogli un aria quasi cadaverica.

 

« Hai portato il diario? » Domandò.

 

« S-sì, » balbettò Hermione, limitandosi a mostrargli il quaderno da lontano.

 

« Bene, » disse lui soddisfatto, « mettilo in biblioteca e poi vattene. »

 

« Io veramente… ho riportato anche questo, » azzardò Hermione sollevando Jinxes for the Jinxed, « non ho trovato molto e … vorrei consultare altri testi… ».

 

« Un’altra volta, non ho tempo ora, » rispose lui, secco.

 

In quel momento, dalla stessa stanza da cui era uscito Malfoy, si affacciò una donna; se ne stava nascosta dietro la porta e solo il volto era visibile. Lineamenti duri, naso schiacciato, capelli scuri dal taglio sofisticato…

Hermione non la riconobbe subito, fu la voce a confermare che si trattava di Pansy Parkinson. Come Ron ed Harry le avevano detto: i due “se la intendevano”.

 

« Draco, tesoro, ma quanto ci metti? »

 

Lui neanche si voltò a guardarla: doveva tenere sotto controllo Hermione, la quale fissava Pansy con aria di superiorità.

 

« Torna dentro e aspetta, » le ordinò.

 

« Odio aspettare, lo sai, » protestò l’attrice; poi alzò gli occhi per curiosare oltre le spalle del ragazzo e fu allora che vide Hermione Granger.

Si accigliò e, bruciante di gelosia, uscì dalla stanza; la sua sontuosa vestaglia strisciò sul pavimento. Raggiunse Draco e strinse entrambe le mani attorno al suo braccio sinistro, arricciandogli involontariamente la camicia.

Lui tirò il polsino per stendere la manica.

Hermione fu certa che quel gesto aveva lo scopo di assicurarsi che il Marchio Nero rimanesse ben coperto; si schiarì la voce: « Io - indicò la biblioteca - posso fare anche da sola… dato che sei occupato… » propose sarcastica.

 

Malfoy strinse il pugno destro.

 

Stava odiando quel momento dal profondo delle viscere.

 

Perché diamine Pansy non si faceva gli affari suoi?

 

E perché nessuno aveva mai messo un limite all’invadenza Grifondoro?

 

« Draco, » Pansy lo strattonò impaziente.

 

Lui la ignorò. Poi sbuffò e puntò l’indice contro Hermione. « Posso controllare ogni tua mossa, » asserì. Che voleva dire: non azzardarti di nuovo ad intascare roba che non ti appartiene.

 

« Voglio solo consultare i tuoi libri, Malfoy, » ribatté lei, infastidita, « credevo di doverti aiut -»

 

« Va bene, Granger, » tagliò corto lui, « ma voglio un resoconto dettagliato delle ricerche e… non insudiciare tutto con le tue mani unte! »

 

* * *

 

Pansy trascinò letteralmente Draco dentro la stanza. Lui non oppose resistenza, era impegnato ad arrovellarsi sui possibili danni che poteva generare Hermione Granger in casa sua.

Pansy chiuse la porta e si ritrovarono nella semioscurità, spezzata dalla luce soffusa delle lampade regolabili. L’attrice si strusciò addosso al ragazzo, teso e distratto, e lo spinse contro la parete; poi si sollevò in punta di piedi e gli baciò le labbra sottili.

 

« Cosa ci fa quella giornalista da quattro soldi a casa tua? » Lo interrogò in tono inequivocabilmente geloso.

 

Draco le allontanò il viso per guardarla negli occhi: « La conosci? » Domandò di rimando, sorpreso.

 

« Caro, » rispose lei indulgente, sfiorandogli le labbra con le dita, « dimentichi che sono un’artista, » disse scendendo con tocco vellutato lungo il collo e la spalla, fino a scostare la camicia, « quella è Hermione Granger, scrive per il giornale d’arte più famoso della City… » spiegò ancora, baciandolo sul petto.

Al contatto con le labbra morbide e calde, lui si rilassò, inclinando la testa all’indietro e chiudendo gli occhi.

« Dicono che sia brava, » continuò Pansy alternando i baci alle parole, « ma non ha mai… recensito… i miei spettacoli, …io lavoro solo… con veri… professionisti. »

 

Il respiro di lui accelerò. Le affondò una mano nei capelli e la tirò contro di sé. Lei premette leggermente con le unghie sul suo torace e lo rigò scendendo verso il basso, fino alla cintura. Poi si fermò.

 

« Non mi hai detto perché è qui… »

 

Lui borbottò insoddisfatto: « Deve fare delle ricerche, vuol scrivere un articolo sulla mia famiglia. » Sperò che s’accontentasse di quella risposta.

 

Lei tacque, immobile per un istante, poi gli slacciò i pantaloni e, lentamente, scese lungo il suo petto baciandone la pelle chiara. Quando arrivò alla cintura, il respiro di lui si fece più corto ed asmatico.

Pansy si fermò di nuovo; lui si lamentò, impaziente, aggrottando le sopracciglia con disapprovazione.

 

« Non mi piace, » sussurrò lei, inginocchiandosi ai suoi piedi, « non fidarti. » Suggerì, poi lo baciò, provocatrice.

Lui inarcò all’indietro la schiena e gemette. « So badare a me stesso, » sussurrò con voce roca.

 

Lei, indispettita, gli piantò le unghie nei fianchi e fece per allontanarsi, pronta a protestare, ma lui le mise una mano sulla nuca per tenerla contro di sé.

 

Non era il momento di parlare, quello.

 

* * *

 

Hermione Granger s’accorse di provare una gran simpatia per il maggiordomo di Villa Malfoy. Era un uomo sulla cinquantina, alto e di bell’aspetto, dai capelli brizzolati e radi sulla nuca per via della calvizie. Aveva il portamento elegante e rispettoso di chi è stato abituato a servire la nobiltà, e sul viso un espressione amichevole, creata dai lineamenti morbidi e gli occhi grandi.

 

Era comparso sulla soglia della biblioteca mentre lei stava consultando il settimo volume del Manuale di Incantesimi, e con discrezione l’aveva invitata a scendere per la cena.

Hermione aveva accettato dopo aver controllato l’orario sul cellulare, posato sul tavolino per tenere costantemente d’occhio lo scorrere del tempo.

 

Ora era seduta nell’immensa sala da pranzo, la stessa dove aveva avuto luogo il ricevimento. Una delle due lunghe tavole era stata apparecchiata solo per lei, a capotavola, con una meravigliosa tovaglia in pizzo macramè. Il maggiordomo le aveva servito una cena semplice e leggera, che Hermione aveva gradito moltissimo, ed ora attendeva, in piedi accanto allo stipite della porta, il momento di sparecchiare.

 

Prima di alzarsi, la giornalista rifletté ancora una volta sulla opprimente solitudine che regnava in ogni angolo di quella Villa.

 

Una stanza tanto grande per far mangiare una sola persona…

 

Il maggiordomo s’avvicinò: « desidera ancora qualcosa, signorina? »

 

Lei si alzò rapidamente in piedi, pulendo il maglione da un paio di briciole: « Oh, no grazie! Solo… mi domandavo… il Signor Malfoy - dovette costringersi ad usare quell’appellativo - non scende per cena? »

 

Il maggiordomo scosse la testa. « Di rado. Generalmente preferisce cenare in camera. »

 

Hermione non si stupì. Immaginò Draco Malfoy, seduto a quel tavolo, che mangiava in silenzio… All’improvviso un nodo le si strinse in gola.

 

« Lo capisco, » disse sottovoce, « è una stanza così… fredda. »

 

A quelle parole, il maggiordomo le sorrise. « Lei è una persona molto buona, Miss Granger, ma non provi compassione per il Signor Malfoy, è lui che l’ha voluta così. »

 

Continua...

 

* * *

 

N.d.A.

 

x PaytonSawyer: eh già… vacanze finite! Vorrei fare come nelle pubblicità, finita una vacanza riparto con CostaCrociere! XD Scherzi e nostalgie a parte, mi sforzo molto per rendere credibili i personaggi all’interno del mondo babbano, e sono davvero contenta che ti sia piaciuto Draco nel capitolo scorso e che tu l’abbia trovato IC.

Inoltre, come hai potuto constatare, la strada che porta ai ricordi di Ron e Harry è ancora lunga… ma non troppo dai! Come ho detto all’inizio, col prossimo capitolo i ritmi s’intensificheranno!

 

x Jaya: troppi compliments! *^_^* arrossisco! Che dire, la tua ipotesi, all’inizio, era molto buona… era esattamente quello che Hermione avrebbe voluto fare! Peccato che Ron e Harry… siano Ron e Harry: non potevano renderle la vita facile! Non so se quello che è accaduto nel capitolo tu lo consideri colpo di scena, ma di certo per loro due ho in serbo altri -deliranti- progetti!

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 - Be my baby ***


Capitolo 13 - Lost Memories

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Poiché la trama, d’ora in poi, andrà decisamente complicandosi, ho pensato fosse utile riassumere brevemente i fatti accaduti nei capitoli precedenti. Per cercare di essere breve ho messo solo i fatti principali, i dettagli marginali sono stati tralasciati… ma non è detto che non siano importanti! =P

 

Riassunto dei capitoli precedenti: Harry Potter e Ron Weasley, detective privati nella Londra babbana, vengono ingaggiati da un ricco avvocato per scoprire chi ha rubato un prezioso ritratto dalla sua pinacoteca privata. Harry e Ron sospettano di Draco Malfoy, ricco erede che di recente ha organizzato una mostra di quadri in casa propria. Per le indagini, i due chiedono aiuto all’amica Hermione Granger, giornalista freelance, stranamente invitata alla mostra. Entrando in contatto con Malfoy grazie a un insolito diario, Hermione scopre d’essere vittima di un incantesimo di memoria. Tutti i suoi ricordi legati al mondo magico sono stati rimossi per motivi sconosciuti. Malfoy le rivela d’aver subito un simile trattamento da parte dei genitori, poco prima d’essere uccisi da Voldemort, e le chiede (a modo suo) aiuto: il Serpeverde, infatti, non riesce a usare i poteri magici e ritiene di essere stato maledetto.

Hermione torna a Villa Malfoy e accetta di aiutarlo, ma in realtà ha un altro obiettivo: sottrargli il diario e utilizzarlo per far recuperare la memoria a Harry e Ron, anch’essi ignari del proprio passato.

Nel frattempo, Harry e Ron trovano in Pansy Parkinson (l’attrice, come spiega Draco a Hermione, non ha recuperato i ricordi nemmeno utilizzando il diario magico) un legame tra l’avvocato derubato e Draco Malfoy, e scoprono che sulla Charing Cross Road avvengono strane sparizioni, dalle modalità identiche a quelle del furto cui stanno lavorando: i pregiudizi che i due hanno nei confronti di Malfoy si trasformano in sospetti, e i due detective, preoccupati dal comportamento strano di Hermione, ipotizzano che il ricco erede abbia costretto l’amica a far parte di una setta.

In un momento di debolezza, Ron rivela questi sospetti a Ginny Weasley. La ragazza, che sostiene di essere sua cugina e con la quale Harry ha avuto di recente un appuntamento, vive anch’essa fra i babbani e lavora come barista nel locale sottostante l’agenzia d’investigazione: il Butterfly. Venuta a conoscenza della complessità del caso, Ginny sale all’agenzia e, nell’esporre a Harry la sua preoccupazione, lo bacia per poi fuggire imbarazzata.

La stessa sera, Hermione consegna a Ron il diario magico che è riuscita a rubare da Villa Malfoy, ma il giorno seguente, le sue speranze di riuscire a annullare l’incantesimo di memoria che affligge gli amici vanno letteralmente in fumo: il diario, infatti, riconoscendo l’identità di Harry, prende fuoco e si autodistrugge.

Hermione, minacciata da Malfoy, torna alla sua villa per restituirgli il diario, e lo trova in compagnia di Pansy Parkinson. Nonostante lui cerchi di congedarla rapidamente, Hermione, con la scusa di dover aiutare il ragazzo a riappropriarsi dei propri poteri, riesce a ottenere il permesso di accedere alla sua biblioteca e consultare altri testi magici...

 

* * *

 

Got a ticket for a world where we belong, so would you be my baby?

 

Savage Garden, To the Moon and back

 

* * *

Capitolo 13 – Be my baby

 

Harry Potter non aveva capito fino all’ultimo che Ginny avesse proprio quell’intenzione.

 

A dire il vero, lei l’aveva sorpreso un po’ con quel bacio, regalato in mezzo alla strada, davanti alla vetrina del Butterfly appena chiuso.

 

Poi, però, gli era sembrato quasi ovvio che accettasse di farsi accompagnare a casa di buon grado, senza proteste; anzi, era persino arrossita. D’altronde si erano chiariti la sera prima: avevano parlato e avevano capito di piacersi quanto basta per provare a stare insieme.

 

Harry le teneva un braccio intorno alla vita quando erano arrivati davanti a casa sua: un vecchio appartamento rivestito di moquette e carta da parati.

Sull’ingresso, Ginny l’aveva baciato di nuovo, dolcemente; poi l’aveva invitato a entrare.

Avevano trascorso un po’ di tempo a chiacchierare perché lui era rimasto sorpreso dall’originalità dell’abitazione, nella quale trovava asilo un inusuale animale domestico: un gufo reale costantemente assopito sul trespolo all’ingresso.

 

All’improvviso, inaspettatamente, era stato percorso da un lieve brivido perché Ginny l’aveva preso per mano conducendolo verso la camera da letto.

 

Lì, si erano baciati a lungo, con passione. Un bacio indimenticabile.

 

Poi lei gli aveva sfilato gli occhiali, appoggiandoli sul comò.

 

A quel punto, in realtà, un sospetto l’aveva attraversato.

 

Solo che, poi, s’era perso per l’ennesima volta in quegli occhi grandi, sciogliendosi al loro calore… Finché lei, imbarazzata, aveva chinato il capo e aveva sussurrato: « Rimani con me questa notte, Harry? »

 

Solo in quel momento, Harry Potter aveva davvero capito.

 

E si era anche accorto di non essere del tutto preparato. Anzi, non lo era per niente.

 

Le mani avevano cominciato a tremare e non si erano più fermate. L’aria si era rarefatta e il respiro era diventato affannoso, la voce roca, la mente confusa.

 

Lei s’era sfilata il maglione e l’aveva aiutato a togliersi il suo; poi i gesti, le parole e i sospiri si erano fatti così febbrili ed eccitanti che non aveva più pensato a niente.

 

A niente che non fosse Ginny; o il corpo di Ginny; o il profumo, o la pelle, o le mani di Ginny.

 

All’inizio aveva agito in modo piuttosto impacciato, poi lei l’aveva guidato con sicurezza, dicendogli cosa fare, come muoversi.

Se fosse stato più lucido questo avrebbe potuto imbarazzarlo, ma in quel momento i gesti e le parole di lei erano ubriacanti.

Le carezze sulla sua pelle gli avevano tolto il fiato.

I mormorii e il suo muoversi, lenta, sopra di lui, gli avevano annebbiato la vista e la ragione; gli unici contorni rimasti nitidi erano quelli dei capelli rossi che le cadevano sulle spalle, degli occhi grandi, dei fianchi sinuosi, dei morbidi seni.

Prima che Harry potesse rendersene conto, le sue mani avevano iniziato a scorrere lungo il suo corpo, fermandosi sui fianchi e le cosce, per seguire quel movimento ondeggiante e ritmico, inebriante, di lei che si stringeva attorno a lui.

Attimo dopo attimo, i muscoli si erano tesi fino allo spasmo.

Fino a che lei aveva gridato forte, scossa dai fremiti dell’estasi; e lui si era sciolto dentro di lei, ebbro di piacere.

 

Alla fine, Ginny si era rannicchiata fra le sue braccia, baciandolo e sorridendogli, e lui, recuperando un po’ di consapevolezza, l’aveva stretta a sé per poi farla distendere al suo fianco.

 

L’uno accanto all’altra, si erano addormentati.

 

* * *

 

Alle nove di sera Draco Malfoy entrò nella biblioteca e rimase basito: c’erano libri aperti ovunque, sul tavolo, in terra, sui braccioli della poltrona, mancava solo…

 

Spalancò li occhi.

 

« Granger?! » Gridò rabbioso. « Granger, dove-cavolo-sei? »

 

Una figura s’affacciò timidamente da dietro la poltrona; reggeva in mano un grosso volume aperto a metà. Era Hermione, con un aspetto ancora più orribile del solito: i capelli tutti arruffati, gli occhi stanchi… e lo fissava stranita: « Che hai da urlare? »

 

Lui inspirò profondamente. Per un attimo aveva temuto che lei l’avesse di nuovo ingannato.

 

S’avvicinò di qualche passo.

 

« Che cosa hai combinato qui dentro? »

 

Invece di rispondere, lei domandò: « Hai ancora ospiti? »

 

Aveva parlato con voce incolore e stanca, ma lui in quella domanda ci lesse solo insolenza.

 

« No, » rispose secco. « Ora dimmi che cosa hai… » s’interruppe prima di finire la domanda. Il suo sguardo era caduto sul diario malconcio poggiato sul tavolino, seminascosto tra i libri. S’affrettò a raccoglierlo e sventagliandolo davanti a Hermione, l’aggredì: « Come diamine hai fatto a ridurlo così? »

 

Lei indietreggiò di un passo e, con infinita lentezza, poggiò a terra il grosso volume.

 

Lui interpretò il silenzio e sogghignò: « Non dirmi che hai provato a usarlo su Potter?! »

 

Lei fece un cenno con la testa, non s’attentò a emettere alcun suono.

 

Malfoy divenne inspiegabilmente allegro: « Lo sapevo, aveva previsto anche questo! » Gongolò. « Mio padre è un genio! »

 

Poi si rivolse a lei, con euforico sarcasmo: « Allora, hai qualche altra buona notizia da darmi? »

 

Hermione scosse la testa.

 

« Veramente… speravo di trovare di più informazioni in questa biblioteca.»

 

« Che cosa intendi dire? »

 

« Ecco… pensavo a testi di… Magia Nera… solo… solo da esaminare, per informarmi, intendo, per capire se esiste qualche incantesimo che possa inibire i poteri magici, perché altrimenti... »

 

Si vergognava di una simile richiesta perché le Arti Oscure erano proibite, ma lui non ci fece alcun caso.

 

« Tutto quello che ho è qui. Deduco che brancoli ancora nel buio. Per un attimo ho creduto che fossi intelligente come dicono… »

 

Lei strinse le palpebre, astiosa. « In realtà ho un’ipotesi, » rilanciò. Malfoy la guardò attento.

 

« Io credo che tu... ecco... credo che tu abbia un blocco emotivo, » Hermione pronunciò quelle parole con un filo di voce.

 

« Un blocco… che? »

 

« Emotivo. Può capitare, era accaduto anche a Ninfadora Tonks… »

 

« Chi? »

 

« Tonks, la moglie del professor Lupin… Oh! Purtroppo hanno perso la vita entrambi - sospirò affranta -  Era tua cugina, figlia di Andromeda Black, forse non ti ricordi di lei perché è stata diseredata … »

 

« So chi è, Granger! Va’ avanti! »

 

« Vedi, Tonks era una Metamorfomagus. Inizialmente, Lupin ha respinto il suo amore, arrecandole un dolore così grande da farle perdere temporaneamente i poteri… Così ho pensato che, forse, il trauma che hai vissuto per la morte dei tuoi genitori… »

 

A quelle parole oltraggiose il viso di Malfoy s'irrigidì: « Non ho mai sentito una stupidaggine simile. Io non ho nessun trauma! »

 

« Va bene, » mitigò Hermione, « ma ipotizzando che tu possa avere questo blocco emotivo…  »

 

« Io non ho nessun blocco »

 

Hermione sospirò paziente.

 

« Potrebbe essere stato indotto da qualcuno o da qualcosa… » inventò, scegliendo con cura ogni parola. « Supponiamo che qualcuno ti abbia indotto questo… forte stress… (magari usando una pozione) che ha bloccato temporaneamente i tuoi poteri… »

 

Malfoy la guardò dubbioso, poi decise che l’ipotesi era avvallabile. « Va bene. Cosa mi serve per annullarne l’effetto? »

 

« Niente, » rispose semplicemente  Hermione. « Devi aspettare del tempo »

 

« Tempo?! » Malfoy inorridì. « Secondo te io dovrei passare la mia vita rinchiuso qui ad aspettare?! Non se ne parla. Trova un’altra soluzione! »

 

Hermione scosse la testa rassegnata (era impossibile farlo ragionare!), ma in fondo sperava che la discussione arrivasse a quel punto…

 

« In realtà, forse ho trovato qualcosa, » azzardò, « una pozione che... Be’, non posso saperlo finché non proviamo… »

 

Malfoy spalancò gli occhi, interessato. « Cosa ci serve? »

 

Lei esibì un’espressione soddisfatta. « Prima di tutto, una bacchetta… » disse con naturalezza.

 

Malfoy ebbe la netta sensazione d’essere stato raggirato per la seconda volta.

 

« E siccome tu non vuoi prestarmi la tua, dobbiamo andare a Diagon Alley, » concluse lei.

 

Il ragazzo la scrutò per un paio di secondi, chiedendosi se fosse consapevole di quello che stava dicendo. « Hai una Puffola Pigmea al posto del cervello? Non possiamo usare la Magia e, soprattutto, non abbiamo idea di cosa stia accadendo nel Mondo Magico, non sappiamo nemmeno se lui è… »

 

Hermione lo interruppe: aveva rimuginato su quella scelta tutta la notte trascorsa. « Lo so che è una mossa azzardata, ma io - la voce s’incrinò - ho bisogno di una bacchetta. Se …Tu-Sai-Chi - non pronunciò il nome per cautela - è stato sconfitto, non avrò problemi a trovarne una. Se così non fosse… » esitò un istante, « nessuno ti fermerà: sei un Mangiamorte. »

 

Fece quell’affermazione come se fosse una colpa ancestrale.

 

Lui deglutì, sentendo la profondità del disprezzo in quelle parole. Si massaggiò l’avambraccio sinistro, da cui il Marchio Nero non sarebbe mai scomparso.

 

« Non ho intenzione di andare a Diagon Alley, » disse voltandole le spalle.

 

« Allora dovrai prestami la tua bacchetta »

 

« Sei pazza se t’aspetti che lo faccia, te l’ho già detto »

 

E n'era quasi sicuro: c’era il novanta per cento di probabilità che Hermione Granger fosse impazzita. Per il restante dieci per cento stava cercando di fregarlo.

 

Si passò una mano fra i capelli e si voltò per esaminare la sua reazione. L’espressione corrucciata, ridicola e infantile, nel tentativo malriuscito di rendersi minacciosa, lo divertì.

 

« Non sto scherzando, » fece lei indispettita. « Cosa c’è? Hai paura? »

 

Lui inarcò le sopracciglia: « Di te? Non farmi ridere! »

 

« Allora prestami la tua bacchetta, sarà tutto più facile »

 

Lui estrasse la bacchetta infilata nella cintura dietro la schiena. La teneva sempre con sé, come a Hogwarts.

 

« Questa? » Domandò con un ghigno beffardo, agitando il bastoncino davanti agli occhi di Hermione.

 

« Esatto »

 

Hermione allungò la mano per afferrarla.

 

Lui arretrò.

 

Lei strinse le labbra; la fronte aggrottata. Scavalcò un ammasso di libri sparsi in terra, camminando precariamente tra un volume e l’altro, e lo raggiunse. Di nuovo tentò di prendere la bacchetta; ma Malfoy sollevò il braccio.

 

Hermione sbuffò. « Perché sei così testardo? Te la restituirò subito, » lo rassicurò. « Non credi che prima di tutto dovremmo verificare se sono in grado di usare i miei poteri? »

 

« Anche tu hai subito dei traumi, Granger? Lo sospettavo… » la derise.

 

Lei ruggì e strinse i pugni. Avanzò verso di lui facendolo arretrare finché gli scaffali arrestarono i suoi passi. A quel punto saltò per afferrare la bacchetta, ma lui tese il braccio più in alto che poteva. Decisa a non mollare, si aggrappò alla sua camicia per aiutarsi. Elevandosi in punta di piedi riuscì ad afferrargli il polso e cercò di fargli abbassare la mano.

 

Inizialmente, a Malfoy sembrò che un cinghiale gli fosse piombato addosso: mostrava le zanne ringhiando, gli strappava la camicia, gli sfregiava il polso e, con il peso del corpo, lo schiacciava contro lo scaffale…

Il disgusto per quel contatto gli suscitò l’istinto di spingerla a terra, ma optò per il sarcasmo: « Hai forse dimenticato perché sei qui, Granger? »

 

Lei s’impietrì. Fu come ricevere una doccia fredda. Di scatto s’allontanò di uno, due passi. Una vampata di calore le infiammò il viso. Abbassò lo sguardo a terra.

 

« Non l’ho dimenticato, » rispose fra i denti, « ma mi serve una bacchetta! O ti decidi a collaborare o… O andrò comunque a Diagon Alley! Da sola! »

 

* * *

 

Ron Weasley era invidioso del fatto che Harry Potter avesse la ragazza.

 

Il lavoro che facevano era impegnativo e non lasciava loro molto tempo libero per fare nuove conoscenze, ma in passato c’erano stati momenti di magra, in cui nessuno si fermava sul pianerottolo dell’agenzia, e lui ora rimpiangeva d’aver preferito ciondolare in casa, piuttosto che uscire a bere una birra.

Harry era fortunato, pensò, perché non aveva fatto molta fatica: conoscere Ginny era stato inevitabile, dato che scendevano al bar abitualmente; inoltre lei aveva praticamente preso ogni iniziativa.

Lui invece doveva rimboccarsi le maniche e partire da zero.

C’era stato un periodo in cui s’era invaghito di Hermione, ma lei era così presa dal suo lavoro che ogni tentativo di invitarla a uscire era fallito. Così, demoralizzato, aveva gettato la spugna. E poi, non era esattamente il suo tipo, si disse. Lui cercava una ragazza che amasse divertirsi, non una specie di dittatrice in carriera…

 

Era già passata l’ora di cena quando uscì dall’ufficio demoralizzato, ripercorrendo i propri insuccessi sentimentali degli ultimi due anni.

 

Passando davanti al Butterfly, il suo istinto segnalò allarmato che c’era qualcosa di strano.

 

S’avvicinò alla vetrina e guardò attraverso le sbarre della saracinesca. L’interno era buio, ma dalla porta accanto al bancone, che conduceva allo scantinato, filtrava una luce.

 

Aggrottò la fronte perplesso: quella luce poteva essere una semplice dimenticanza, oppure qualcuno era entrato senza autorizzazione.

 

Il suo primo pensiero fu di contattare Harry, ma non voleva rovinare il suo appuntamento. Poi si ricordò che, all’interno della palazzina, si poteva accedere a un’area comune nel seminterrato. Quest’area dava accesso alle cantine private dei condomini, a patto di possedere la chiave.

Ron, ovviamente, aveva soltanto quella assegnata all’agenzia, ma decise comunque di dare un’occhiata.

 

Prima di scendere, però, corse in ufficio a prendere la pistola, in via precauzionale…

 

* * *

 

Harry si svegliò nel mezzo della notte a causa di un lieve prurito alla fronte che lo infastidiva.

 

Gli servirono alcuni istanti per orientarsi. Quando ricordò di essere a casa di Ginny, si drizzò a sedere sul letto e subito la cercò al suo fianco. La ragazza dormiva serenamente, dandogli le spalle. Accese la luce e rimase a osservare la sua schiena scoperta e i capelli sparsi sul cuscino, ascoltando il suo respiro calmo e delicato.

Una profonda emozione gli gonfiò il petto.

Non era solo il ricordo della notte trascorsa, ma qualcosa di molto più intenso.

 

Era la consapevolezza che il sentimento nato fra loro aveva radici profonde e possedeva una forza immensa.

 

La sensazione che il destino avesse in serbo per loro grandi progetti.

 

Si sedette al bordo del letto, s’infilò gli occhiali e i boxer. Il pizzicore sulla fronte si era intensificato e si sfregò la cicatrice.

S’alzò per andare a lavarsi il viso, ma fu costretto a fermarsi: il formicolio sul capo era diventato una fitta dolorosa e persistente. Premette forte il palmo destro sulla ferita, ma fu inutile, la tempia pulsava così forte da annebbiargli la vista e un ronzio costante gli tormentava l’udito.

Aumentò la pressione della mano e chiuse gli occhi.

 

All’improvviso, un’immagine gli apparve come l’istantanea di un sogno.

 

Un volto deforme.

 

Riaprì gli occhi spaventato, ma le visioni non si fermarono.

Flash di immagini apparvero uno dopo l’altro, senza quasi lasciargli il tempo di capire cosa rappresentassero.

 

Il cadavere di un ragazzo.

 

Fiamme ovunque.

 

Un uomo anziano, la barba bianca e lunghissima...

 

Il dolore alla cicatrice si amplificò fino a piegarlo in ginocchio, ai piedi del letto. Con entrambe le mani fece pressione sulla fronte, stringendo i denti.

 

Una serpe strisciava, viscida, verso di lui.

 

Una Ginny bambina, il suo corpo steso a terra bocconi, inerme.

 

Urlò.

 

Non avrebbe voluto, ma la voce si era ribellata a ogni repressione ed era uscita dalla sua gola in un grido d’orrore.

Harry si voltò verso Ginny: l’aveva svegliata.

Si era seduta e ora lo guardava attraverso le palpebre socchiuse per abituare gradualmente gli occhi alla luce.

Quando si rese conto che accasciato a terra scattò in piedi allarmata.

 

« Harry! Harry, ti senti bene? »

 

Lui mormorò un “sì” affaticato. Le visioni, fortunatamente, erano terminate e il dolore s’era alleggerito.

 

Lei gli appoggiò una mano sulla spalla: « Cosa è successo? »

 

« Nulla, » rispose lui. « Solo un forte mal di testa »

 

Lei lo abbracciò. « Passerà, » gli disse teneramente, coccolando la sua testa sulla spalla e accarezzandogli i capelli. 

 

Rimasero così alcuni minuti e pian piano anche il dolore si placò.

 

« Va meglio ora, » disse Harry. « Scusa se ti ho svegliato »

 

« Non importa, adesso rilassati. Ti preparo un tè, » disse la ragazza alzandosi in piedi.

 

« Ginny… » Harry la chiamò dai piedi del letto, lo sguardo fisso sulla moquette. Non sapeva perché, ma sentiva il bisogno di dirle ciò che aveva visto.

 

« Credo di aver avuto un’allucinazione »

 

Lei lo guardò sorpresa: « Cosa… Cosa hai visto? »

 

« Un volto deformato… era orribile. Fiamme. Un serpente. Un cadavere. Un vecchio… E poi tu, a terra, svenuta… Forse… » balbettò, l’angoscia gli impastava la bocca.

 

« Tu credi… credi che io stia impazzendo? »

 

Ginny lo guardò con infinita dolcezza. « No » Rispose. La sua voce era calda e rassicurante.

 

« No, Harry. Assolutamente.  »

 

* * *

 

Ron scese le scale al buio, lentamente, cercando di non fare rumore. Raggiunse il seminterrato e individuò subito la cantina del Butterfly: l’unica dalla cui porta filtrava un po’ di luce.

Si schiacciò contro lo stipite e impugnò la pistola a due mani.

Sapeva più o meno cosa doveva fare: lui e Harry avevano frequentato un corso preparatorio prima di aprire l’agenzia, il problema era che non l’aveva mai fatto per davvero.

Esaminò la serratura e constatò che non era stata manomessa.

A questo punto le possibilità erano due: o Ginny aveva semplicemente dimenticato di spegnere la luce, oppure l’intruso possedeva le chiavi. In tal caso poteva essere ancora dentro.

Rifletté alcuni istanti.

Nell’ordine, doveva: fare irruzione nella stanza, sorprendere l'intruso e immobilizzarlo.

 

Semplice…

 

Ron inspirò profondamente, quindi allungò la mano destra sulla maniglia. La girò e la porta, che non era chiusa a chiave, si socchiuse.

Ron temporeggiò alcuni secondi, ma non accadde nulla. Non sentì alcun rumore.

Allora alzò il piede destro, diede un colpo all’anta e irruppe nella stanza, tenendo la pistola davanti al viso, all’altezza degli occhi.

Rapidamente, scrutò ogni angolo dello sgabuzzino. Su un lato c’erano la scala d’accesso al bar e un grosso congelatore; sull’altro, un altissimo scaffale colmo di bibite e liquori; di fronte aveva un disordinato ammasso di cassette e scatoloni vuoti.

 

Certo d’essere solo, ripose la pistola nella fondina. Avanzò nel centro della stanza e perlustrò con maggiore attenzione.

 

Tutto era in ordine: Ginny aveva solo dimenticato di spegnere la luce.

 

Tirò un sospiro di sollievo e si girò per uscire.

 

Fu allora che lo vide, poggiato contro la parete alle sue spalle, semicoperto da un vecchio telo bianco.

 

« Oh, merda! » esclamò sbigottito.

 

* * *

 

N.d.A

 

x nausikaa87: ricevere una tua recensione è un onore, credimi! Spero anch’io che la fic continui a intrigarti! Capisco cosa vuoi dire quando parli di gusti difficili perché anche io sono abbastanza esigente, specialmente in termini di originalità. Per questo sono davvero contenta che la trama ti piaccia... Anche se aggiorno ogni due settimane, è un anno che la progetto e ri-progetto!

 

x PaytonSawyer: ma figurati! Come ti ho scritto nella recensione, mi piacciono il tuo stile e le caratterizzazioni che dai ai personaggi… non è cosa da poco!

Con questo capitolo si dovrebbe capire che il diario si è incendiato per aver riconosciuto l’identità di Harry. In sostanza, quando Lucius e Narcissa lo hanno creato, hanno voluto impedire a chiunque altro di appropriarsene (in questo caso, Harry) con lo scopo di proteggere il figlio non solo da Voldemort, ma da tutti coloro che avrebbero potuto dargli la caccia o svelare la sua identità.

Se, per caso, ti stai domandando: “allora perché con Hermione ha funzionato?!”

Be’, sappi che… stai chiedendo troppo! =P

Concludo dicendoti che, in effetti, volevo suscitare un po’ di pena nei confronti di Malfoy, credo che soffra molto di più di Hermione a stare nel mondo babbano, inoltre, la mancanza di poteri magici annulla completamente la sua identità!

 

x _Jaya: Hermione aveva sospettato che il diario non funzionasse con Harry perché Malfoy stesso l’aveva ipotizzato. Ovviamente non poteva esserne sicura, ma nel dubbio aveva pensato di tentare con Ron, che ovviamente ha mandato tutto a monte!

Non vorrai che renda la vita facile alla mia protagonista?!

Malfoy ha trovato il libricino nella sua villa e ritiene che sia stato creato dai suoi genitori per aiutarlo a ricostruire i ricordi. L’avevo detto nei capitoli precedenti, ma mi rendo conto che sia facile dimenticare qualche dettaglio, dato che la storia è abbastanza incasinata e i miei aggiornamenti troppo radi… Comunque, questa tua domanda mi ha fatto riflettere e ho pensato fosse utile fare un breve riassunto che ho messo all’inizio del capitolo!

 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 - Verità ***


Capitolo 14 - Verità

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

La verità è una cosa meravigliosa e terribile, e per questo va trattata con cautela.

J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale

 

* * *

Capitolo 14 – Verità

 

Non si erano guardati in faccia nemmeno un istante.

 

Il silenzio era stato interminabile.

 

Poi Draco Malfoy aveva ordinato: « Seguimi. »

 

Hermione Granger, senza fiatare, aveva eseguito.

 

Gli interessi in ballo erano troppi per potersi permettere una sola parola.

 

Scesero al piano terra, attraversarono il lungo corridoio che si estendeva dietro le cucine di Villa Malfoy e giunsero in una stanza fredda, umida e polverosa. La luce della luna filtrava da un’unica, stretta, finestra posta nella parete di fronte all’entrata. Tutto il mobilio era ricoperto da grandi lenzuoli bianchi. Nel centro della sala s’intravedeva, sotto un telo, la struttura in ferro battuto di una vecchia lettiera; di fronte c’era un grosso armadio. Malfoy scostò parzialmente la tenda che lo ricopriva e ne aprì le ante; i cardini cigolarono e dal legno s’alzò un forte odore di muffa.

Hermione s’affacciò da dietro le sue spalle per vedere all’interno: il mobile era privo di ripiani e conteneva soltanto un quadro.

 

Lo riconobbe subito.

 

L’aveva visto pochi giorni prima, alla mostra. Era il ritratto che stava esaminando quando Malfoy l’aveva invitata a cena; il dipinto che Harry e Ron sostenevano fosse stato nascosto.

 

In quel momento, Hermione individuò facilmente anche il soggetto raffigurato: Narcissa Black.

 

Si rimproverò per non averci pensato prima.

 

Poi ebbe un’intuizione.

 

I suoi occhi brillarono eccitati appena comprese di cosa si trattava.

 

« Una Passaporta! » bisbigliò quasi avesse il timore che qualcun altro potesse sentirla.

 

Malfoy annuì. « Me ne sono accorto solo pochi giorni fa, dopo che ho fatto allestire la mostra. Prima non sapevo nemmeno della sua esistenza… non mi occupo di queste cose, » precisò.

 

« Ci porterà a Diagon Alley? » azzardò Hermione, in una crescente tensione.

 

Malfoy scrollò le spalle. « Non ne ho idea. Non l’ho ancora usata. »

 

Hermione inspirò profondamente. Un brivido di paura l’attraversò. Il volto di Narcissa Black sembrava scrutarla minacciosa attraverso la tela, suggerendo che, ovunque conducesse quel passaggio, lei non era certo la benvenuta.

 

Rifletté ansiosa.

 

E se fosse una trappola?

 

« Non è sicura, » decretò. « Non sappiamo dove conduce. Se finissimo nei guai, nessuno di noi potrebbe difendersi. »

 

« Bene, » ribatté lui, tagliente, « allora andiamo a Diagon Alley attraversando il Paiolo Magico. Di certo non correremo pericoli... »

 

« Non puoi saperlo finché non provi. »

 

Malfoy sospirò impercettibilmente. Era impossibile che Hermione Granger non si rendesse conto di quanto fosse ridicola la propria posizione. Certamente, da insopportabile Grifondoro, s’impuntava solo per avere ragione a tutti i costi.

 

« L’ho già fatto, » disse voltandosi a guardarla negli occhi, come atto di sfida.

 

Quell’affermazione la spiazzò. Spalancò gli occhi e li piantò nei suoi, sospettosa.

 

« Avevi detto di non essere… »

 

« Ho detto che non sono mai tornato a Hogwarts, » precisò lui. « In realtà, non sono stato nemmeno a Diagon Alley, » aggiunse dopo una pausa retorica, « ma ho fatto diversi sopralluoghi sulla Charing Cross: il passaggio è ancora utilizzato... »

 

« Avresti potuto attraversarlo e dare un’occhiata. Sarebbe stato utile. Perché non l’hai fatto? » lo rimproverò Hermione.

 

Lui, infastidito, rimbeccò: « Non so… tu cosa proponi? Forse perché non posso usare la magia? »

 

« Perché hai paura. »

 

A Malfoy non piacque per niente quella risposta e decise di vendicarsi.

 

Il suo sguardo si fece tetro e la sua voce divenne un sibilo: « Sbagliato. Perché aspettavo te, Granger. Costruendoti intorno meticolosamente la mia trappola. »

 

La vide sbiancare.

 

L’espressione atterrita sul viso pallido della ragazza lo riempì di soddisfazione.

 

Sogghignò.

 

« Questa Passaporta è stata creata per me; non so dove conduca, ma di certo in un luogo sicuro. »

 

« Sicuro per te, » ribatté Hermione, nervosa.

 

« “Non puoi saperlo finché non provi”, » Malfoy le fece il verso, pungente, tirando le labbra in un sorriso provocatore. « Devi solo decidere se vale la pena rischiare. La posta in gioco è alta… O sbaglio? »

 

* * *

 

« Oh, merda! »

 

Nello scantinato del Butterfly si udì forte e chiara l’imprecazione di Ron, sbigottito.

 

« E adesso che faccio? » si lamentò mentre estraeva il cellulare per chiamare Harry.

 

Inveì all’apparecchio, saltellando sul posto, in attesa che l’amico rispondesse alla chiamata.

 

« Oh dai, Harry, rispondi! Cavolo! »

 

Dall’altra parte era silenzio assoluto.

 

Ron attese invano per diversi squilli, finché si attivò la segreteria. Subito dopo il classico “bip”, camminando avanti indietro, iniziò a riversare nel ricevitore una valanga di parole, senza quasi prendere fiato, che testimoniavano tutta la sua agitazione.

 

« Diamine! Quando ho bisogno non ci sei mai! » aggredì il suo interlocutore fantasma. « Alza le tue chiappe e vieni in ufficio. Qui è successo un casino, » spiegò continuando a muoversi per tutta la stanza, come una molla, gesticolando nervosamente per poi tormentarsi grossi ciuffi di capelli rossi.

 

« Sono nello scantinato del Butterfly… C’era la luce accesa, mi è sembrato strano e sono sceso per controllare… Non puoi immaginare cos’ho trovato! Senti… mi dispiace, ma non devi fidarti di Ginny, hai capito? Non fidarti! » ammonì apprensivo. « Non lo dico per invidia, Harry, non lo farei mai… Oh, cavolo, non riesco a crederci, però l’ho davanti agli occhi; è mezzo coperto, ma non mi sto sbagliando. Sono sicuro: è il quadro di McKenzie! È pazzesco. Mi dispiace dirlo… è un’accusa pesante… non chiedermi come ha fatto perché non ne ho idea… ma è la verità… l’ha rubato lei… L’ha rubato Ginny! »

 

Tacque per qualche istante, troppo agitato per continuare.

 

« Non so cosa fare, te lo giuro, ma non posso lasciarlo qui, cerca di capire… Mi dispiace, ma devo prenderlo. Uso il telo per non lasciare impronte e lo porto in ufficio… Non chiamo la polizia, OK? Vado in ufficio e ti aspetto. Muoviti! »

 

Disse quelle ultime parole con lo sguardo fisso sul quadro.

 

Non aveva ancora chiuso la telefonata quando, all’improvviso, il pavimento ai suoi piedi si trasformò in un concerto di scintille scoppiettanti, una raffica di petardi. Imprecò e prese a saltellare cercando di evitare gli scoppi che sbocciavano ai suoi piedi con intensità crescente.

Un boato più forte degli altri lo terrorizzò. Per lo spavento gridò e il cellulare, con la chiamata ancora in attesa, gli scivolò dalle mani e cadde a terra, rompendosi.

Gridò di nuovo quando una luce accecante lo investì, costringendolo a chiudere gli occhi e voltare il viso riparandosi con un braccio.

Un susseguirsi di esplosioni più potenti lo atterrì a tal punto che, indietreggiando alla cieca, inciampò rovinando fra l’ammasso di scatoloni vuoti.

 

Sentì una voce, fra i botti; una risata.

 

Provò ad aprire gli occhi, ma la luce era ancora accecante.

 

Poi, all’improvviso, qualcuno balzò su di lui, bloccandogli gambe e braccia; con voce roca lo minacciò: « Non fiatare o ti faccio secco. »

 

Ron, terrorizzato, pensò che tutto sommato poteva farcela a trattenere il fiato.

 

Respirare non era urgente… non quanto il bisogno di andare in bagno!

 

* * *

 

Hermione fece un passo avanti affiancando Malfoy.

 

« Se questo è un inganno, te ne farò pentire amaramente, » ammonì.

 

Lui osservò il suo profilo dall’alto: se aveva paura, non lo dava a vedere.

 

« E come? Lo dirai alla McGrannit? » la canzonò.

 

Lei ebbe un moto di stizza e si rifiutò di considerarlo.

 

Lui allora si mise la mano sinistra in tasca e pose le dita della destra contro la sua schiena, poco sotto le scapole, premendo con forza per spingerla in avanti.

Lei, colta di sorpresa, fece qualche passo incespicando, avvicinandosi al quadro.

 

« Prendilo, » ordinò Malfoy facendole pressione con le dita sulla schiena.

 

Lei si voltò tentennante: « Io? » balbettò.

 

Lui tirò le labbra sottili in un sorriso compiaciuto.

 

Oh, adesso sì che hai paura…

 

« Certo Granger, lì dentro è pieno di muffa, » disse altezzoso, « ed io ho già le mani sporche di fango. »

 

Hermione strinse i denti. Inaspettatamente, quell’insulto velato le aveva fatto male, tanto che non riuscì a trovare nulla con cui ribattere. Allora prese il quadro, mossa dal desiderio di romperglielo in testa, ma Draco ne afferrò immediatamente la cornice e subito dopo la Passaporta si attivò, risucchiando entrambi in un vortice di vento…

 

 

L’atterraggio colse Hermione impreparata.

 

Quando arrivarono a destinazione, inciampò e cadde a terra. Si mise a sedere dolorante, costatando sconfortata lo strappo sui jeans, all’altezza del ginocchio.

Poco più avanti arrivò Malfoy. Schivò per un pelo un robusto tavolo di legno, cui si appoggiò barcollando per qualche passo, ma rimase in piedi.

Scuotendosi i pantaloni si guardò intorno, spaesato.

 

Erano giunti in una piccola casetta di legno, costituita da un’unica stanza; arredata con uno stretto letto, un camino, un grosso tavolo al centro ed uno scaffale alto fino al soffitto, ricolmo di oggetti accatastati in apparente disordine; a fianco del camino, una parete provvisoria separava i servizi.

 

Era un rifugio abbandonato da lungo tempo.

 

Ogni cosa era ricoperta da uno spesso strato di polvere, tanto che nell’atto di appoggiarsi per restare in piedi, la mano di Draco aveva lasciato una lunga scia lucida sul manto grigio ed uniforme del tavolo.

 

Hermione, ancora accovacciata in terra, starnutì.

 

Si era quasi dimenticato di lei.

 

La guardò dall’alto, al di là del tavolo.

 

Era completamente malmessa, sembrava che metà dei capelli le si fossero rivoltati sulla testa, il maglioncino di lana scuro che indossava era tutto impolverato, e aveva persino i pantaloni strappati.

 

« Per Merlino, Granger! » esordì disgustato. « Sembra che tu non abbia mai usato una Passaporta! »

 

Lei si difese: « Per tua informazione, Malfoy, sono due anni che non mi esercito! Non è così semplice. »

 

« Anche io sono due anni che non lo faccio, Granger, » ribatté lui, « eppure guardami: sono in piedi! Evidentemente non è questione di esercizio, è questione di stile. »

 

Lei s’alzò, ripetendosi che quel genere di provocazione era da ignorare.

 

Così non rispose e s’avvicinò allo scaffale per dare un’occhiata. Con sua enorme sorpresa vide che era ricolmo di un’infinità di oggetti magici, di pozioni, di erbe ed ingredienti generici. Alcuni noti, altri visti solo sui libri; di qualcuno non conosceva nemmeno l’esistenza, né la funzione.

 

Anche Draco esaminava il luogo estasiato, prodigandosi in lodi solenni alla genialità della propria famiglia, a partire dai più antichi avi fondatori.

 

Prima di utilizzare la Passaporta, Hermione aveva avuto davvero paura di inoltrarsi in quella trama ordita, nei minimi particolari, da una spietata famiglia di Mangiamorte.

 

Ora, però, capiva d’essere al sicuro quanto lo era Draco.

 

Tutto quello che aveva visto era stato minuziosamente progettato e creato da Lucius e Narcissa, ed aveva il solo ed unico intento di proteggere ciò che rimaneva loro di più prezioso.

 

E non si trattava soltanto di un figlio.

 

Si trattava di un nome, di una dinastia.

 

Si trattava dell’ultimo discendente dei Malfoy.

 

Ora sapeva che poteva seguire il Serpeverde lungo il percorso studiato dai suoi genitori.

 

Essi avevano consegnato la propria vita a Lord Voldemort, dapprima invaghiti del suo potere, poi inchiodati ad esso con minacce e ricatti; ma, un istante prima di morire, avevano preso una decisione importante: mai avrebbero lasciato la loro eredità, il loro futuro, nelle sue gelide mani.

 

Hermione sorrise fra sé e sé: il destino a volte sapeva essere davvero beffardo.

 

Lucius Malfoy aveva previsto un incantesimo che impedisse persino a Harry Potter di toccare il diario di suo figlio, ma non aveva posto alcun ostacolo per i Nati Babbani… Evidentemente riteneva impossibile (o forse non riusciva nemmeno ad immaginarlo) che Draco potesse condurre lei, Hermione Granger, attraverso quella sua maestosa creazione.

 

E lui…

 

Hermione cercò Malfoy con lo sguardo.

 

Probabilmente l’aveva capito.

 

Il ragazzo stava davanti all’unica porta di quel piccolo rifugio; sentendosi osservato, si voltò.

 

« Vado fuori, » disse girando la maniglia.

 

Hermione - voce della prudenza - si oppose: « Non mi sembra una buona idea… » obbiettò, ma lui non la prese in considerazione.

 

« Malfoy, mi ascolti? Non farlo! »

 

L’ordine morì nell’aria quando lui si chiuse la porta alle spalle.

 

* * *

 

Harry finì di vestirsi e raggiunse Ginny in cucina.

 

Il dolore acuto alla testa era ormai passato, ma aveva lasciato dietro di sé una traccia profonda, fatta di immagini visionarie e spaventose, che ancora gli stringeva lo stomaco.

 

La salutò con un bacio poi, mentre lei apparecchiava, prese il cellulare.

 

Un SMS comunicava la presenza di un messaggio vocale in segreteria.

 

Compose subito il numero.

 

Nell’attesa guardò Ginny che con le dita si scostava una ciocca di capelli dietro l’orecchio, tutta intenta a servire tè e biscotti: la trovò mille volte più bella.

 

Il messaggio registrato riportava il numero di Ron.

Harry ne fu sorpreso, ma non ebbe il tempo di fare congetture. Le parole dell’amico si riversarono nelle sue orecchie, accavallandosi come rapide di un torrente; sempre più allarmate, gli trasmisero la stessa ansia e la stessa eccitazione che aveva provato Ron.

L’espressione di Harry mutò istante dopo istante, trasformandosi in autentico stupore, quando Ron rivelò la presenza del quadro nello scantinato del Butterfly.

 

“Non devi fidarti di Ginny!”, si raccomandava.

 

Troppo tardi.

 

Harry si rifiutava di credere a quell’accusa. Muoveva la testa in continuazione, facendo cenni di negazione ad ogni sillaba che usciva dal ricevitore.

 

Aveva già deciso, prima ancora che Ron lo proponesse, di non chiamare la polizia.

 

E aveva anche deciso di non raggiungerlo in ufficio.

 

Cambiò idea solo quando un tremendo frastuono rimbombò attraverso l’apparecchio, seguito da un grido…

 

Poi il silenzio assoluto.

 

Ron era stato aggredito!

 

E non poteva essere stata Ginny, si disse Harry, perché avevano dormito insieme quella notte!

 

Ginny lo guardò profondamente preoccupata: era bianco come una pezza lavata quando rimise il telefono in tasca, vide l’angoscia nei suoi occhi.

 

« Harry, che cosa succede? »

 

« Io… devo andare… » farfugliò lui, stordito. «Credo che sia accaduto qualcosa a Ron… »

 

« Cosa? » domandò Ginny, ma Harry stava già inforcando l’uscita balbettando frasi sconnesse; sembrava in stato di shock.

 

« Scusami… davvero… devo andare in ufficio… è successo qualcosa… nello scantinato… »

 

Nello scantinato?!

 

A Ginny mancò il fiato.

 

« Harry, no! Aspetta! Posso spiegarti! » gridò, ma lui era già in strada.

 

Ginny si precipitò fuori dalla porta, chiamandolo più volte invano.

 

Raggiunse il cancello, ma si bloccò: aveva dimenticato una cosa importante.

 

Imprecò e fece dietro-front.

 

Rientrò e corse ad una cassettiera nel corridoio d’ingresso.

 

Prese le chiavi di casa ed aprì il primo cassetto in alto.

 

Estrasse una penna ed un minuscolo block notes.

 

Strappò un foglio e vi scrisse in fretta e furia alcune righe; poi lo ripiegò in modo approssimativo.

 

Impacciata per l’agitazione, corse al trespolo ed accartocciò il biglietto attorno ad una zampa del gufo.

 

Lo prese in braccio e lo portò fuori con sé.

 

« Vai, sai cosa devi fare! » gridò e con entrambe le mani accompagnò il suo volo.

 

Poi, finalmente, corse dietro a Harry, mentre il rapace spalancava le ali e saliva alto nel cielo, felice di tornare verso casa in quella fredda notte invernale.

 

Continua...

 

* * *

N.d.A.

 

X Jaya: ciao! Sono contenta che il riassunto sia stato utile. Non lo farò ogni volta, perché non sempre ho il tempo, ma ho deciso che nelle parti più “incasinate” metterò un breve riepilogo degli eventi. Ero molto preoccupata per l’appuntamento di Harry e Ginny: volevo descriverlo in modo diverso dal solito, ma temevo di non riuscire a trasmettere le giuste sensazioni… Credo d’aver riscritto quel pezzo almeno venti volte… e se lo rileggo ci trovo ancora dei difetti!

Per quanto riguarda i ricordi di Harry, ho immaginato che riaffiorassero in modo confuso, privi di un nesso che li collegasse, così ho scelto delle immagini “a caso” fra tutti gli episodi vissuti da Harry. Il volto deforme è quello di Voldemort, so che non è proprio l’aggettivo adatto per descriverlo, ma ho pensato che Harry ora non ricorda chi è il Signore Oscuro e quindi non può vedere altro che un volto anomalo, deformato. Mi spiace che non si sia capito bene! -_-

Hai interpretato nel modo corretto la maggior parte delle immagini. Per le fiamme, pensavo all’Ardemonio; il vecchio è Silente, la serpe è Nagini e Ginny è nella Camera dei Segreti.

Con questo capitolo si è scoperto quello che Ron aveva visto sotto il telo… non so cosa ne pensi, ma quel quadro, con cui è cominciata tutta la storia, doveva pur servire a qualcosa! ^_^

Ron che si compatisce, secondo me, è comprensibile… dopotutto, il mondo babbano rispetto a quello magico è piuttosto noioso, no? XD

 

X Nausikaa87: sapere che il mio capitolo ti ha risollevato la giornata è davvero un onore! E… tranquilla, non ti è sfuggito proprio niente! Il mio obiettivo era quello di suscitare proprio le domande che ti sei posta tu, e ora… qualcosa dovrebbe essere più chiaro… forse…

Sono d’accordo con te: Malfoy smielato perde fascino. In realtà penso che tutte le cose smielate, in generale, perdano fascino… Ma son gusti!

Ispirazione e voglia di scrivere sono abbastanza al sicuro, quello che mi manca è il tempo! Posso tranquillizzarti sul fatto che la storia è completa (anche se solo nella mia testa!), perché io non pubblico mai nulla che non abbia già un finale. Scrivendo definisco i tempi e i dettagli, ma non riuscirei nemmeno a cominciare se non avessi già in mente l’intreccio.

 

 

X PaytonSawyer: sono contenta che Harry e Ginny ti siano piaciuti, ho fatto una fatica bestiale a scrivere quel pezzo. Io ho iniziato ad amare questa coppia solo alla fine del settimo libro, anche perché credo d’aver capito Ginny solo allora. La domanda su Hermione dovrebbe aver trovato risposta. Anche se non l’ho detto esplicitamente, spero si sia capito il motivo per cui il diario non ha reagito negativamente con lei.

In questo capitolo si è scoperto quello che aveva sconvolto Ron, ma… credo che tu non possa ancora smettere di congetturare! =P

 

 

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 - Somewhere I belong ***


Capitolo 15 - Somewhere I belong

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

I wanna heal, I wanna feel

like I’m close to something real.
I wanna find something I’ve wanted all along,
somewhere I belong

Linkin Park, Somewhere I belong

 

* * *

Capitolo 15 – Somewhere I belong

 

Hermione rincorse Draco fuori dal rifugio.

 

Appena uscì, ciò che vide le tolse il respiro.

 

Si trovavano fra le montagne, in una piccola radura, sul versante sud di un monte scosceso; dietro di loro cresceva un fitto bosco di conifere, di fronte la spianata terminava in un dirupo.

 

Era impossibile allontanarsi da quel luogo, così com’era impossibile raggiungerlo.

 

I monti che li circondavano erano alti, alcuni rocciosi ed innevati, altri ricoperti da rigogliose foreste; la loro posizione disegnava nello spazio un largo ferro di cavallo, e i versanti scendevano ripidi confluendo in un’enorme vallata.

 

Circondata da una tetra atmosfera, la pianura si estendeva a perdita d’occhio.

 

Una lugubre foresta, un lago spettrale.

 

Una cittadina triste, immersa nell’oscurità, spezzata soltanto da fioche, sporadiche luci.

 

Una vecchia ferrovia, una stazione fantasma.

 

Al centro della vallata, il Castello di Hogwarts.

 

Hermione s’accorse d’avere il battito del cuore a mille.

 

Sopra di loro, il cielo era pece.

Solo un debole quarto di Luna s’affacciava fra nubi dense e scure, che sembravano dover scoppiare da un momento all’altro in un violento temporale.

Tra la minaccia plumbea della tempesta e squarci di lampi verdi, il Marchio Nero troneggiava superbo sul Castello.

 

Morsmordre.

 

Deboli fiamme circondavano il perimetro della Scuola e luci bieche brillavano dietro alle finestre dei torrioni.

A nord-ovest, la cima della Torre era nascosta da una fitta nebbia, il tetto della Guferia era crollato. A est…

 

Hermione si portò una mano alla bocca. L’angoscia le stritolò lo stomaco.

 

Laggiù, il Castello era in rovina.

 

La Torre di Grifondoro era sventrata, a malapena si reggeva in piedi. I dormitori non esistevano più, né la Sala Comune, né…

 

Hermione fece qualche passo avanti, avvicinandosi al dirupo.

Draco Malfoy era sull’orlo e guardava in basso, nella valle. Teneva entrambe le mani nelle tasche.

 

Per un attimo, lo rivide studente; la camicia bianca e i pantaloni scuri ricordavano l’uniforme della scuola e lui, forse più alto e dimagrito, guardava la vallata con la determinazione, l’orgoglio e la freddezza dei migliori Slytherin.

 

Ad un tratto, senza voltarsi, Draco domandò: « Sai cosa farò quando l’avrò sconfitto? »

 

Hermione sobbalzò: evidentemente si era accorto della sua presenza, anche se quella domanda sembrava rivolgerla soprattutto a se stesso.

 

« Riscatterò il nome dei Malfoy… e ricostruirò Hogwarts. »

 

A quelle parole un groppo le salì in gola. Le labbra s’incurvarono tremanti.

 

« Tutto tornerà identico a com’era prima. Ripristinerò la Sala Grande, l’Osservatorio, le Serre… »

 

Lei seguì con lo sguardo i luoghi che citava, chiedendosi se anche lui fosse turbato almeno un po’ dalla stessa miriade di emozioni che la stava sconvolgendo.

Innumerevoli ricordi, felici e dolorosi, dolci e amari.

Ricordi perduti, riportati in vita dal delirante progetto di un ragazzo che sembrava, ad un tratto, essere tornato bambino.

 

Premette la mano sulla bocca per trattenere un singhiozzo.

 

« Ricostruirò il campo da Quidditch, » continuò lui con voce vibrante e Hermione spostò lo sguardo verso ciò che rimaneva dello stadio: un’area ovale incolta circondata da una struttura pericolante.

 

Draco era immobile, ma lei capì che stava guardando nella stessa direzione. E che avrebbe posato gli occhi su ogni luogo della scuola, esattamente come stava facendo lei.

 

« Ricostruirò i dormitori, i bagni e la Torre di Grifondoro, » continuò lui.

 

A quelle parole, il nodo che Hermione aveva in gola si strinse in modo soffocante ed i suoi occhi s’inondarono di lacrime.

 

« Riaprirò la Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts e le restituirò la sua magnificenza… Inoltre, ne diventerò il Preside. »

 

Concluse facendo una profonda pausa, come un grande condottiero che promette al proprio esercito l’utopia di un mondo migliore.

 

Poi, all’improvviso, si voltò verso di lei.

 

« Sai perché siamo qui, Granger? Io e te? »

 

Lei sussultò, ma non riuscì a dire nulla.

 

Calde ed amare lacrime le scendevano lungo le guance. Inarrestabili.

 

Non avrebbe mai voluto che lui la vedesse così.

 

Malfoy tornò a volgerle le spalle senza attendere risposta.

 

« Siamo qui perché Hogwarts non sarebbe nulla senza di noi: Serpeverde, Tassorosso, Corvonero e Grifondoro… siamo l’anima di questo mondo, » disse solenne, concedendosi un profondo respiro.

 

Poi si voltò e si diresse verso l’ingresso del rifugio.

 

« Io non vorrei appartenere a nessun altro luogo, » mormorò passandole accanto.

 

E tu, Hermione Granger?

 

* * *

 

Harry corse al Butterfly senza tregua. Scese nel sottoscala e trovò aperta la porta dello scantinato del bar. Si gettò nella stanza chiamando Ron a gran voce, rischiando di svegliare l’intera palazzina.

La preoccupazione divenne angoscia quando costatò che non c’era nessuno. Quello che aveva temuto ascoltando la telefonata, otteneva una dolorosa conferma.

La sua voce si spezzò, ma continuò a chiamare l’amico finché il tono pian piano s’affievolì lasciando spazio alla rassegnazione.

Si mise una mano tra i capelli ed inspirò profondamente.

 

Che cosa era successo?

 

Dov’era Ron?

 

E il quadro?

 

Esaminò la stanza partendo dal cellulare di Ron che, rompendosi nella caduta, aveva interrotto la comunicazione. I pezzi erano tutti sul pavimento, non mancava nulla. Tutt’intorno, le assi di legno riportavano piccole bruciature sparse in modo irregolare. Contro la parete di fronte c’era un ammasso disordinato di scatoloni; in una zona erano schiacciati e sfondati...

 

Forse Ron era caduto in quel punto…

 

Cercando di non calpestare le bruciature, Harry raggiunse il centro della stanza, poi si voltò verso l’ingresso; accanto alla porta giaceva un telo bianco.

 

Harry provò a ricostruire i fatti e a riepilogare gli indizi.

 

Ron gli aveva telefonato nel cuore della notte sostenendo d’aver trovato il quadro rubato a McKenzie nello scantinato del Butterfly

 

Non poteva essersi inventato tutto, eppure lì non c’era traccia del ritratto.

 

Aveva accusato Ginny d’essere una ladra, poi la chiamata era stata interrotta.

 

Dal caos presente nella stanza era facile dedurre che Ron fosse stato aggredito e, forse, rapito.

 

Da chi?

 

Ginny era davvero una ladra? Aveva un complice o era all’oscuro di tutto?

 

In quell’istante, lei spuntò sulla soglia della porta, aggrappandosi allo stipite, col fiato corto ed una mano sul petto.

 

« Harry… » ansimò.

 

* * *

 

Hermione si asciugò le lacrime.

Poi prese un profondo respiro e si risolse a rientrare nel rifugio, dove trovò Malfoy intento ad esaminare il contenuto dello scaffale.

Lo raggiunse silenziosamente.

Un velo di imbarazzo si venne a creare quando lo affiancò.

Rivedere Hogwarts in quello stato, dopo due lunghi anni, li aveva feriti entrambi; uno nell’orgoglio, l’altra dritto al cuore. Quell’emozione intensa li aveva scossi e indeboliti.

Anche se nessuno di loro era disposto ad ammetterlo, li aveva costretti a guardare verso un comune obiettivo.

 

« Allora, cosa ci serve? » chiese all’improvviso Draco.

 

Hermione aggrottò la fronte.

 

« Cosa ci serve per la pozione? » insistette lui, « i miei genitori hanno lasciato un sacco di roba, non credo avremo problemi a trovare gli ingredienti giusti, » disse rovistando fra i ripiani.

 

Hermione annuì, pensierosa. « Non hanno lasciato nessuna bacchetta magica… » specificò con una certa cautela.

 

Malfoy sogghignò: « Evidentemente non lo ritenevano necessario, visto che ne ho già una. Non credo che - » Si fermò, attratto da una piccola sfera di vetro, seminascosta, che sembrava contenere sbuffi di fumo bianco.

 

Una Ricordella.

 

« Guarda! » esclamò indicando l’oggetto, contenendo a stento il volume della voce.

 

Lei spalancò gli occhi meravigliata: ogni cosa di quel progetto era sempre più sorprendente…

 

« Sai cos’è? » domandò lui per metterla alla prova.

 

Per un attimo s’immaginò di vederla sventagliare la mano sopra la testa per avere la parola: “Lo so! Lo so, professore!”…

 

« Una Ricordella, » rispose prontamente lei. « Ed è anche una Passaporta! »

 

« È confortante scoprire che sei ancora una spocchiosa so-tutto-io. »

 

« Sono sempre stata un’ottima studentessa. »

 

Malfoy la squadrò dall’alto in basso: « La tua unica qualità, a quanto pare. »

 

Hermione gli lanciò un’occhiata fulminante, rossa di rabbia, ma lui non le diede il tempo di parlare.

 

« Credo di sapere dove conduce… » disse indicando la Ricordella.

 

La collera di Hermione sfumò rapidamente per lasciare posto alla curiosità.

Lo guardò negli occhi, senza livore né soggezione.

Lo sguardo di Malfoy, solitamente freddo e ostile, sembrava vibrare di trepidazione. Con la mano destra raccolse la Ricordella e, tenendola sul palmo, la porse a Hermione. Solo per un istante, un impercettibile sorriso gli illuminò il volto poi, con voce tentatrice, sussurrò: « Andiamo? »

 

Hermione, in un crescente batticuore, pose la propria mano sopra alla sfera.

 

Pochi istanti dopo, il vortice di una Passaporta li risucchiò per la seconda volta.

 

* * *

 

Harry guardò Ginny con la disperazione negli occhi. Avrebbe creduto a qualsiasi spiegazione avesse voluto dargli, ma lei non parlò. Si limitò a posare lo sguardo sul quadro rubato. Harry, di riflesso, fece la stessa cosa.

 

Un attimo dopo raggiunse la conclusione d’essere pazzo.

 

Per un fulmineo istante gli era sembrato che il volto nel quadro si fosse mosso. Come se avesse passato lo sguardo ad esaminare la stanza per poi fissarsi su di lui, accennando un lieve sorriso.

 

Ebbe un brivido.

 

Poi di nuovo una fitta alla fronte. Si lamentò sfregandosi col dorso della mano.

 

« Harry che succede? » domandò Ginny allarmata.

 

« Niente. »

 

« Ti fa male la cicatrice? »

 

« No. »

 

Mentiva. A Ginny era chiaro come il Sole.

In pochi passi gli fu accanto, senza pensare che rischiava di compromettere delle tracce.

Lo abbracciò.

 

« Finite Incantem, » mormorò.

 

Era la seconda volta che pronunciava la formula, quella notte.

 

La prima volta mentre Harry dormiva, pensando che le sue difese fossero più deboli. Sapeva che non sarebbe bastata, ma sperava che potesse ridurre l’effetto del potente incantesimo di memoria.

 

Harry doveva fare il resto.

 

A lei spettava il compito di placare le sue paure, di aiutarlo ad accettare i propri ricordi, per lasciarli affiorare in superficie senza che essi lo conducessero alla pazzia.

 

Harry la strinse a sé. « Dimmi che non sei stata tu. » Supplicò, stringendo i denti per il dolore che era aumentato e stava diventando insopportabile.

 

« Mi dispiace… »

 

Harry tremò e chiuse gli occhi, come se quel gesto potesse cancellare ogni cosa; ma dietro le palpebre trovò un nuovo mondo, altrettanto inquietante.

 

Vide una foresta fitta e scura.

 

Animali mitologici, centauri ed unicorni apparivano e scomparivano tra le fronde.

 

Un cervo dal manto argenteo.

 

Vide i sotterranei bui e freddi di un vecchio castello.

 

C’erano dei passi in avvicinamento.

E, nella gola, paura ed eccitazione.

 

Di nuovo, il corpo di Ginny steso a terra privo di vita.

 

L’abbracciò forte e sentì una lama affilata penetrargli la fronte.

Soffocò un grido.

 

Un uomo anziano, la barba lunga e gli occhi saggi, scaraventato nell’aria da un lampo di luce.

 

Avada Kedavra.

 

Il dolore profondo per la perdita di un amico.

 

Sussultò.

 

Vide un bambino dallo sguardo vacuo e il cuore di ghiaccio.

 

Un volto deforme. Beveva sangue nella foresta.

 

Una serpe spaventosa.

 

Sibilava…

 

« V o l d e m o r t »

 

Il volto di una donna, l’espressione dolce, amorevole… materna.

 

Erano immagini sconnesse, irreali… Eppure erano sue.

 

Scivolavano fuori dall’inconscio una dopo l’altra, come se un filo invisibile le legasse assieme.

 

Un uomo dal portamento fiero e sicuro. Il sorriso di un padre.

 

« Harry… »

 

Spalancò gli occhi, aggrappandosi a Ginny e stritolando il suo corpo minuto.

 

Nonostante il dolore, lei non si lamentò, ascoltava il suo respiro fattosi più intenso.

 

Consapevole.

 

« Io… » balbettò, « io sono… »

 

Qualsiasi cosa stesse per dire, Ginny terminò la frase per lui.

 

« Harry Potter, » mormorò.

 

« Tu sei Harry Potter. »

 

* * *

 

Questa volta l’atterraggio fu impresa ardua anche per il Serpeverde.

Senza avere il tempo di rendersene conto finì a sbattere contro il fianco di un grosso armadio di legno. Con sommo disappunto, si appoggiò ad esso massaggiandosi una spalla.

 

Poi vide Hermione con la faccia a terra, e si consolò.

 

La ragazza si lamentò a bassa voce per il dolore. Sapeva perfettamente che alle sue spalle Draco Malfoy si stava godendo impietosamente la scena, così finse di ignorarlo e si rialzò, guardandosi intorno.

 

Si trovavano in un’ampia stanza quadrangolare, senza porte né finestre. Nel centro c’era un lungo tavolo privo di sedie. Ordinati contro le pareti, erano disposti innumerevoli scatoloni di diversi colori e dimensioni, tutti catalogati con apposite etichette.

Hermione ne scelse uno piuttosto grande, color fucsia.

Veritaserum”, diceva l’etichetta; aprendolo, vi trovò decine di sieri della verità.

Poi ne aprì uno giallo ocra: pozione Felix Felicis.

E poi proseguì, passandoli in rassegna rapidamente uno dopo l’altro: Polvere di Corno di Bicorno, Pozioni d’Amore, Mandragole, Sangue di Salamandra, Bevanda della Pace, Magiscotch, …

 

Aveva qualche dubbio sull’efficacia della maggior parte delle pozioni, ma era stupefatta.

 

Si guardò alle spalle: era pieno di scatole anche dietro di lei!

 

Corse verso l’armadio a cui Malfoy era ancora appoggiato.

 

Spalancò le ante: Scope Volanti e Metro Polvere!

 

« Incredibile! È esattamente quello che speravo di trovare! Secondo me siamo nella Stanza delle Necessità! Lo pensi anche tu, Malfoy? » esclamò euforica.

 

Quando si voltò per capire se lui la pensava allo stesso modo, rimase di stucco.

 

Malfoy era incollato al fianco del grande armadio. E tremava.

 

Il suo volto aveva assunto un pallore cadaverico; gocce di sudore gli imperlavano la fronte e il respiro era asmatico, irregolare.

 

« Malfoy? »

 

Silenzio.

 

Si spostò fronteggiandolo. « Che ti succede? » Insistette.

 

Lui mosse impercettibilmente la testa. Il cuore pulsava così forte che temeva gli sfondasse il petto. « Stanno venendo a prendermi, » disse con un filo di voce.

 

« Chi? »

 

« Andiamocene, » ordinò irrequieto, « sa che sono qui. »

 

Hermione lo studiò scettica: « Come fai a dirlo? » 

 

Lui le restituì uno sguardo colmo di disprezzo, per lei che lo sottovalutava e per se stesso piegato dalla paura. Si sollevò la manica sinistra della camicia e il gesto fu talmente feroce che strappò il bottone del polsino.

 

Lei vide per la prima volta il Marchio Nero tatuato sulla sua pelle.

 

Si portò entrambe le mani alla bocca per soffocare un grido.

 

Il serpente arrotolava le proprie spire movendosi sull’avambraccio arrossato dal bruciore.

 

« Lo vedi? Mi sta cercando! » Berciò Malfoy.

 

Un sapore acido le salì alla gola, come cibo mal digerito, ed un’improvvisa pietà le velò gli occhi.

 

Scosse la testa e parlò fra le dita, strette sulle labbra: « Ma non ti troverà. »

 

« Certo che mi troverà! »

 

« Se questa è, come credo, la Stanza delle Necessità siamo al sicuro, nessuno può entrare se ci siamo noi. »

 

« Balle! » ruggì lui, « ho fatto entrare io stesso i Carrow nella Stanza delle Cose Nascoste, usando l’Armadio Svanitore! »

 

« La Stanza delle Cose Nascoste è andata distrutta, ricordi? » (*)

 

Lui non ascoltava. Tutto il suo corpo era percorso da un fremito incontrollato. « Andiamocene! » Ordinò isterico.

 

Lei capì che non era possibile calmarlo a parole.

 

Con sensi offuscati dalla paura, ogni stimolo era appannaggio dell’istinto.

 

Istinto di sopravvivenza…

 

Istinto di protezione…

 

Allora Hermione Granger fece un gesto che non avrebbe mai immaginato di compiere.

 

Tanto improbabile, quanto spontaneo.

 

Un gesto che Draco Malfoy non avrebbe dovuto permettere in alcuna circostanza.

 

Un gesto che, tuttavia, lo placò.

 

Delicata come una piuma mossa dal vento, gli mise una mano all’altezza del cuore e si avvicinò appoggiandogli una guancia sul petto; rimase alcuni secondi in silenzio ad ascoltarne il battito convulso.

Lui trattenne il respiro, con il terrore negli occhi ed una voce nelle orecchie che ordinava di allontanarla.

 

Non ci riuscì.

 

Era paralizzato contro l’armadio, con la schiena e i palmi premuti sul legno.

 

Guardava fisso davanti a sé, senza vedere; con il vuoto completo nello stomaco e nella mente.

 

E il cuore che, lentamente, andava rallentando.

 

« Calmati, » mormorò Hermione, « cerco una bacchetta, poi ce ne andiamo. Ci metto un secondo. »

 

Quando lei s’allontanò per riprendere la ricerca, lui sentì una corrente gelida attraversargli il corpo ed espandersi fino alle estremità, come se gli avessero appena sottratto l’unica sorgente di calore nella stanza.

 

Hermione ritornò poco dopo, trionfante.

 

Raccolse la Passaporta e lo trascinò, letteralmente, dal rifugio alla Londra babbana.

 

* * *

 

Cumulonembi carichi di pioggia, trasportati dal vento che si era alzato rapidamente, oscuravano il cielo sopra a Hogwarts e alle montagne circostanti.

 

« Quando la Luna si va eclissando, c’è qualcuno che sta arrivando, » recitò lentamente la vedetta.

 

Fredde sferzate d’aria umida le scompigliarono i capelli biondi.

 

Tutti dicevano che non c’era bisogno di sorvegliare l’orizzonte durante i temporali, ma lei sentiva che quello era un giorno importante, per cui era tornata lì, sulla cima del pendio, ad aspettare. Incurante della pioggia e delle correnti, sfidando la temperatura invernale con indosso solo un abitino di lana blu.

 

Nessuno l’aveva fermata.

 

Perché lei era strana, e bisognava lasciarla fare.

 

Socchiuse le labbra sottili, in trepida attesa.

 

Non aveva freddo, bastava quell’ombra nera che volteggiava fra le nubi a scaldarle il cuore.

 

Tese le braccia dietro la schiena fermando l’abito gonfiato dal vento.

 

Poco dopo, l’ombra si rivelò essere un bellissimo gufo reale che, volando ad ali spiegate sopra la valle, la raggiunse posandosi sul suo braccio.

Impigliandosi nei suoi riccioli dorati, zampettò fino a salirle sulla testa.

 

Lei allungò le mani e slacciò il biglietto che portava attorno ad un artiglio.

 

Sentendo dei passi alle sue spalle, si voltò.

 

« Ciao Neville. »

 

« Vieni dentro. Prenderai freddo, » disse premuroso il ragazzo; poi notò che sulla sua testa s’era appollaiato un gufo.

 

Lei gli porse il biglietto: « Ha portato questo. »

 

Neville, sorpreso, lesse subito il messaggio.

 

Torniamo presto

 

[We’re coming back soon]

 

« È di Ginny, » disse lei, affiancandolo per rientrare insieme nel rifugio.

 

Lui annuì, ma non riuscì a trattenere una domanda: « Come facevi a sapere che sarebbe arrivato oggi? »

 

« Anche quando piove, il tempo si muove… » rispose lei. Era tutto il giorno che parlava per rime.

 

Neville Paciock sorrise.

 

Ancora una volta, Luna Lovegood aveva avuto ragione.

 

 

* * *

 

Continua…

 

N.d.A

(*) Mi riferisco a quando Tiger ha incendiato la Stanza delle Cose Nascoste con l’Ardemonio. Ho immaginato che venisse distrutta non l’intera Stanza delle Necessità, ma solo la sua forma di Stanza delle Cose Nascoste.

 

X Carol24: grazie per la recensione! Sono felice che trovi la storia interessante, ora dovrebbe essere un pochino più chiara la posizione di Ginny, ma per sapere i dettagli dovrai attendere i prossimi capitoli. Per quanto riguarda Harry, mi piacerebbe sapere se ti riferisci più al suo essere impacciato con Ginny o al modo impreciso con cui sta conducendo l’indagine sul furto del quadro… Da parte mia posso dirti che ho calcato appositamente la mano su questa sua caratteristica per due motivi. Innanzitutto, Harry non ricorda il proprio passato, ma è comunque un mago. Accentuandone l’“imbranataggine” volevo sottolineare la sua inadeguatezza al mondo babbano (… e quindi la sua appartenenza di diritto ad un altro mondo, per rifarmi anche al tema del capitolo). Come quando ci si trova in un luogo che non si addice alla nostra personalità e si prova disagio nell’interagire con persone e cose. In secondo luogo, ho reso Harry molto imbranato nel rapportarsi con Ginny perché volevo che voi lettori coglieste una leggera stonatura fra loro, dovuta al fatto che (ora posso dirlo!) Ginny ricorda qualcosa, mentre Harry no. Ginny, infatti, accelera i tempi perché è ben consapevole del loro legame, cosa di cui Harry è assolutamente all’oscuro… Volevo che si cogliesse il suo imbarazzo per il comportamento di Ginny che, ai suoi occhi, è ovviamente gradito, ma piuttosto audace.

 

X PaytonSawyer: Ciao! Non preoccuparti dei ritardi, sai che apprezzo tantissimo le tue recensioni ma non pretendo certo che tu sia puntuale!!! Ci mancherebbe! E poi, come vedi, anche io sono sovraccarica di impegni per cui pubblico (e recensisco!) con un bel po’ di ritardo. Spero che la storia continui a coinvolgerti ancora! Io ce l’ho messa tutta per creare suspance! XD

 

x Nausicaa: grazie, è un piacere ricevere i tuoi commenti. Creare suspence è uno degli obiettivi principali della fic, quindi sono contenta di sapere che ci sto riuscendo almeno un po’! Come sempre, poni i giusti interrogativi e cogli le incongruenze che ho appositamente creato per incasinare la storia… il che – purtroppo per te - significa che per ora non potrò sciogliere i tuoi dubbi! ^_^ Per il finale stai tranquilla: detesto lasciare le cose a metà!

Quando hai scritto della pazienza di Hermione ho riso un sacco. XDD Rompere le scatole a Hermione è il minimo che Malfoy possa fare, dato che ha già dovuto umiliarsi abbastanza per chiederle aiuto!

 

 

 

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 - Back to home ***


Capitolo 26 - Back to home

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

N.d.A.

Scusate l’incredibile ritardo, ma Novembre è stato un mese infernale! Inoltre, questo capitolo aveva bisogno di qualche revisione e io ho impiegato un sacco di tempo per sistemarlo, e ancora non mi convince del tutto. Fatemi sapere il vostro parere!

 

Payton, Nausikaa, Jaya e Carol, perdonatemi se sarò un po’ sbrigativa nel rispondere alle vostre recensioni, lo faccio solo per non rimandare oltre la pubblicazione del capitolo! Un grazie infinito per il tempo che dedicate a farmi sapere quello che pensate del mio lavoro, non avete idea di quanto sia importante per me ogni vostro commento!

 

Nausikaa87:

Non ti sei fatta nessun film, tranquilla, solo ricorda che questa what-if? inizia prima della conclusione della battaglia, esattamente quando Hagrid porta Harry in braccio e tutti lo credono morto, un attimo prima che lui si nasconda sotto al Mantello.

 

Carol24: ho lavorato tantissimo alla prima scena, quella del Castello di Hogwarts, non so più quante volte l’ho riscritta… ho fatto di tutto per renderla triste!

Pian piano ritorneremo al mondo magico, ma certe premesse erano necessarie! ^_^
Neville e Luna sono personaggi che adoro, ma per scoprire il loro ruolo… c’è ancora un po’ da aspettare, non troppo, tranquilla!!

PaytonSawyer: In effetti, le parole “Malfoy” e “sentimento” nella stessa frase… fanno un po’ strano!! XD
Scherzi a parte, mi dispiace, ma oltre a qualche informazione sullo stato di Ron, non credo che le tue domande troveranno ancora risposta… ma non è colpa mia se vai sempre a toccare i punti più delicati! ^^

Recensirti è un piacere, credimi! Vorrei solo trovare il tempo di dirti quello che penso per ogni tuo lavoro, ma… confido nelle vacanze natalizie!! Magari Babbo Natale mi regala un po’ di tempo!

 

Jaya: mi dispiace che tu non riesca ad aggiornare, ma non preoccuparti, prenditi il tempo necessario per fare le cose al meglio! Intanto grazie dei commenti!

 

* * *

 

There’s no place like home.

 

Dal film The Wizard of Oz

(Regia di Victor Fleming, 1939)

 

* * *

 

Capitolo 16 – Back to home

 

Harry e Ginny erano rimasti a parlare nel seminterrato del Butterfly per tutta la notte. All’alba erano ancora seduti in un angolo della stanza, l’una nelle braccia dell’altro. Ginny appoggiava la testa sulla spalla di Harry e si lasciava coccolare dalle sue carezze; lui le passava la mano fra i capelli, talvolta le accarezzava il viso dandole qualche bacio sulla fronte, talvolta intrecciava le proprie dita con le sue e faceva una domanda.

Ginny ascoltava paziente e replicava. Aveva una risposta per tutto.

 

« Come siamo arrivati a…  questo? » domandò Harry, riferendosi alla propria condizione, condivisa con Ron e Hermione.

 

« È opera della McGrannit, » esordì Ginny lasciandolo esterrefatto. « Oh, Harry! Durante la battaglia al Castello, quando Hagrid è comparso reggendo il tuo corpo… ho sentito il mio cuore spezzarsi… e ho visto infrangersi la speranza negli occhi di tutti coloro che avevo accanto. Ricordo quell’istante come se fosse ieri. Noi credevamo profondamente in te; la tua morte, in quel momento, rappresentava la fine. »

 

La voce di Ginny si era lentamente incrinata ed ora era profondamente commossa, ma lei proseguì trattenendo con orgoglio ogni lacrima.

 

« La professoressa McGrannit è stata l’unica a non credere all’evidenza; ha intuito che qualcosa non andava prima ancora che balzassi giù dalle braccia di Hagrid e ti nascondessi sotto al Mantello. Ti credeva ferito e sospettava - conoscendoti - che avessi in mente qualcosa di eroico e impossibile. Inoltre, temeva la sconfitta. Molti di noi erano soltanto ragazzini, studenti mediocri ed insicuri: non potevamo affrontare una guerra. Così ha preso una decisione istintiva, di cui si è pentita mille volte, e che io stessa non ho mai veramente accettato. Solo ora, inizio a pensare che sia stata la scelta migliore.

Ha deciso che ci serviva tempo per rafforzarci e diventare un vero Esercito. Nel frattempo, tu avresti dovuto restare nascosto per impedire a Tu-Sai-Chi di trovarti e a te di prendere iniziative personali… Così fece un Incantesimo di Memoria su di voi: tu, Ron e Hermione; aiutata dai centauri, nel caos, riuscì ad attraversare i confini di Hogwarts e Smaterializzarsi portandovi qui, a Londra. Pensò che, se Silente vi aveva voluti insieme, lei non vi avrebbe separato. »

 

Ginny si fermò e fece un sorriso ironico ed intenerito allo stesso tempo: « Sentimentale, eh? L’avresti mai detto della McGrannit? »

 

Harry sorrise appena, troppo basito per dire qualsiasi cosa. Ginny continuò a raccontare.

 

« A Hogwarts lo scontro diventò terribile: tu eri scomparso e Tu-Sai-Chi ti  cercava con una furia devastante. La McGrannit tornò al Castello, ma non per combattere. Proteggendoci, ci trascinò uno ad uno nella Stanza delle Necessità… il quartier generale dell’Esercito, ricordi? Eravamo pochi, non più di una decina. Ci disse di restare nascosti lì, mentre lei andava a radunare altri studenti.

Poi non ricordo molto bene. Ero piegata in due dal dolore, Harry, perché credevo che tu mi avessi lasciata per sempre. George ha dovuto trattenermi con un Incantesimo della Pastoia, perché gridavo che volevo vendetta, che volevo combattere e non avevo più niente da perdere…

Quando la McGrannit tornò con altri studenti, ci spiegò quello che aveva fatto. Disse che intendeva insegnarci molte cose, che avremmo dovuto esercitarci giorno e notte e quando saremmo stati pronti, sarebbe tornata a prendervi. Poi aggiunse che io avevo un compito speciale: ero il vostro Custode (un po’ come nell’Incanto Fidelius); dovevo proteggere la vostra identità e, al momento giusto, aiutarvi a ricordare. Per questo sono venuta a vivere fra i babbani. È stato difficile starti vicino e fingere… di non provare nulla per te… » concluse in un sussurro.

 

Harry arrossì.

 

Poco dopo fece un’altra domanda, la più banale fra tutte quelle che ora lo assillavano, ma l’unica che l’aveva condotto lì.

 

« Hai rubato tu il quadro? » le domandò.

 

Ginny annuì.

 

« È una copia del quadro di Dexter Fortebraccio. Qualche settimana fa, per caso, ho scoperto della sua esistenza in una pinacoteca privata (non ho idea di come e quando ci sia finito, magari secoli fa!). Ho pensato che ci sarebbe tornato utile per controllare l’Ufficio del Preside. Ne ho parlato con Lavanda, quando è venuta a trovarmi, e ci siamo accordate perché George passasse a prenderlo… questa sera… » scosse la testa, « non avevo previsto il vostro coinvolgimento. Sicuramente Ron gli avrà creato dei problemi… »

 

Harry si sentì solo parzialmente sollevato al pensiero che l’aggressore di Ron fosse George Weasley.

 

« Ron non ricorda nulla, » disse, « ma credo che Hermione abbia recuperato la memoria. »

 

« Davvero? » Ginny era sorpresa.

 

« Sì. Temo che sia accaduto quando ha iniziato ad avere contatti con Malfoy. È andata più volte a casa sua… Ginny, perché credi che Malfoy sia qui tra i babbani? Non lo trovi sospetto? »

 

« Tutti noi lo troviamo sospetto, » disse Ginny. « Abbiamo diverse ipotesi, ma nessuna soddisfacente. Di sicuro non è opera della professoressa McGrannit… inoltre sappiamo che alcuni Mangiamorte lo credono morto. »

 

« E a proposito di Pansy Parkinson? »

 

« Pansy Parkinson? » Esclamò Ginny. « Io non avevo idea che anche lei fosse … »

 

« Lavora in teatro… e se la intende con Malfoy, » la informò Harry, preoccupato, « dobbiamo tenere gli occhi aperti perché c’è chiaramente sotto qualcosa. »

 

« Sì, Harry, lo temo anch’ io, » confermò Ginny, « per questo, stasera, torniamo a Hogwarts. »

 

* * *

 

Draco si svegliò tutto indolenzito. Aveva dormito seduto sul pavimento, ai piedi di un vecchio letto, con la schiena appoggiata alla lettiera.

Ricordava la maggior parte degli eventi vissuti la notte precedente, tranne i minuti conclusivi. L’ultima cosa che aveva in mente era quel contatto imprevisto con Hermione, e il suo calore contro il petto.

 

Scosse la testa in un misto di disgusto e denigrazione: quella sì, che era una cosa da dimenticare…

 

Sollevandosi dalla spalliera, fece per alzarsi, quando vide alla sua destra una piccola boccetta trasparente, contenente un liquido verde acqua. Sotto di essa c’era un messaggio scritto in fretta su un pezzetto di carta: “ Prova questa ”.

 

Draco ebbe un tuffo al cuore ed i suoi occhi s’illuminarono.

 

Per una volta (l’unica! ) Hermione Granger l’aveva sorpreso.

 

In bene o in male, era ancora tutto da decidere.

 

Si sedette a gambe incrociate e pose la fiala davanti a sé, fissandola pensieroso.

 

Non aveva idea di che pozione fosse, e Hermione non aveva lasciato scritto nulla… non la poteva biasimare, perché lui avrebbe fatto la stessa cosa. Il colore faceva pensare ad una Pozione Rilassante(*), ma poteva osservarla ed odorarla all’infinito formulando unicamente supposizioni.

Solo bevendola avrebbe trovato conferme.

Era rischioso, ma quel liquido glauco non l’avrebbe certo ucciso, si disse.

 

Perché lei era una Gryffindor…

 

E i Gryffindor non hanno il coraggio di uccidere.

 

Così Draco prese un profondo respiro, alzò l’ampolla e bevve il liquido in un unico sorso.

Sentì un bruciore fastidioso scendergli nello stomaco, che però sparì rapidamente.

 

Subito dopo estrasse la propria bacchetta e si concentrò.

 

« Lumos, » ordinò reggendo il bastoncino davanti ai propri occhi, speranzoso.

 

Non accadde nulla.

 

Riprovò di nuovo, più volte, ma la formula magica non ebbe mai effetto.

 

Una profonda delusione lo attraversò e si abbandonò all’indietro, accasciandosi contro la lettiera.

 

« Idiota, » borbottò.

 

E non era chiaro a chi si riferisse.

 

* * *

 

Non accadeva dai tempi di Hogwarts che Hermione Granger e Ginny Weasley facessero colazione insieme. Si erano date appuntamento presso lo Starbucks Café della stazione di Vauxhall.

 

Seduta ad un tavolino accanto alla vetrata, Ginny rigirava fra le mani un bicchiere di caffelatte caldo, senza troppa voglia di berlo. Hermione, di fronte a lei, fissava la pioggia rigare il vetro e rifletteva.

 

Ginny aveva raccontato di Harry e di tutto quello che era cambiato a Hogwarts negli ultimi due anni. Aveva parlato del piano della McGrannit, della rinascita dell’Esercito di Silente e dei progressi fatti dai suoi membri, tanto che Hermione si era sentita per la prima volta “l’ultima della classe”. Infine, aveva espresso i propri sospetti in merito a Draco Malfoy e a Pansy Parkinson, concludendo con la stessa proposta che aveva fatto a Harry: partire per Hogwarts immediatamente, quella sera.

 

Le rassicurazioni di Hermione sull’innocuità dei due Serpeverde erano servite soltanto a suscitare la disapprovazione di Ginny per essersi lasciata abbindolare.

 

Poi la conversazione era scivolata in un fastidioso silenzio, finché Ginny esplose d’impazienza: « Allora, verrai con noi questa sera o no? » domandò.

 

Hermione la guardò stranita, sorpresa che l’amica mettesse in dubbio la sua lealtà. « Certo che ci sarò, ma non è questo il punto, » disse tornando a fissare il vetro, « mi chiedo solo se siamo davvero pronti… »

 

« Lo siamo eccome! » Esclamò Ginny, « ti ho appena detto che siamo diventati molto più forti e più abili. »

 

Hermione scosse la testa. « Ho capito, ma il problema siamo noi tre. In questi due anni non abbiamo fatto nulla. Nulla, capisci?! » Disse con drammaticità. « Potrei non riuscire più ad evocare un Incanto Patronus o lanciare uno Schiantesimo o… »

 

« Tu? » Ginny la guardò di sottecchi, « non ci crederei nemmeno se lo vedessi. Inoltre, quello che non sai te lo insegneremo e lo imparerai in un attimo. »

 

Hermione si ritrasse con modestia. « Grazie. Ma… Harry? E… Ron! - Ginny lesse la disperazione nei suoi occhi - Lui… lui non ha nemmeno recuperato la memoria! »

 

« Sono sicura che sia in buone mani, George l’avrà sicuramente portato al nostro nascondiglio, dove se ne occuperà mamma. Se non dovesse farcela a raggiungere un buon livello, » aggiunse Ginny, che non era del tutto estranea alle preoccupazioni dell’amica, « allora rimarrà al rifugio come hanno fatto altri. »

 

« Anche Harry? » Ribatté Hermione scettica, « io non credo che qualcun altro possa sconfiggere Tu-Sai-Chi… »

 

« Lo so, » interruppe Ginny, « ma abbiamo tempo. Abbiamo atteso due anni, possiamo aspettare ancora. Adesso la priorità è mettervi al sicuro, Londra è diventata troppo rischiosa... Io non ti voglio rimproverare, Hermione, mi chiedo solo perché non hai considerato che avvicinandoti a Malfoy, avresti potuto mettere in pericolo Harry… »

 

Hermione rispose guardandola negli occhi: « Perché credo che Malfoy non sia pericoloso. Per quanto ti possa sembrare assurdo, tutto ciò che vuole è tornare a Hogwarts e ricostruire la nostra scuola. »

 

« Lui ti ha detto questo? »

 

« Sì. »

 

« E tu gli hai creduto? »

 

Hermione scrollò le spalle e abbassò lo sguardo. « Mi è sembrato sincero… »

 

« Sei ingenua, » replicò Ginny alzandosi in piedi e, senza aggiungere altro, uscì dal bar.

 

Hermione volse lo sguardo oltre la vetrata e la vide attraversare la strada. Si copriva, contrariata, la testa con le mani per ripararsi dalla pioggia che all’improvviso s’era fatta più intensa.

 

Il suo bicchiere di caffelatte era rimasto sul tavolo. Hermione lo prese fra le mani: era ancora pieno.

 

Doveva essere davvero dura, per loro, la vita fra i babbani.

 

* * *

 

La vecchia lettiera in ferro battuto vibrò per la violenza del colpo ricevuto. L’eco del clangore si diffuse nella stanza.

 

Un gesto di sfogo che a Draco Malfoy non bastò.

 

Afferrò con entrambe le mani la parte superiore della pediera e gridò di rabbia e frustrazione.

 

Non avrebbe sopportato un giorno di più in quel luogo. In mezzo a gente inferiore e stupida.

 

Non un minuto di più a respirare i veleni dello smog e l’aria stantia della Londra babbana.

 

Si voltò e aprì violentemente le ante dell’armadio, facendole sbattere contro il legno; fiotti densi di polvere scivolarono lungo gli spigoli del mobile.

 

Poi, il suo viso si deformò in una smorfia d’orrore.

 

Rantolò in cerca d’ ossigeno.

 

Pietrificato, cercava con fatica di assimilare l’agghiacciante concetto.

 

Il ritratto di sua madre.

 

Sparito.

 

Perduto.

 

Rubato!

 

« GRANGER! » Un urlo inferocito sfondò le pareti della Villa. « IO T’AMMAZZO! »

 

* * *

 

Ron Weasley aprì gli occhi ed una luce intensa lo investì, tanto che fu costretto a richiuderli.

Ritentò, socchiudendo cautamente una sola palpebra.

Era sdraiato su un morbido letto, coperto con lenzuola candide dal profumo delicato e familiare.

La stanza in cui si trovava era piccola, lunga e stretta; conteneva sei letti identici: due accanto al suo e altri tre contro la parete opposta.

Affondò le mani nel materasso per sollevarsi a sedere. Accorgendosi d’essere quasi nudo, tirò a sé la coperta, imbarazzato. C’era, infatti, nel letto di fronte al suo, una ragazza che non aveva smesso di guardarlo dal momento in cui si era svegliato. Ora, in particolare, sorrideva.

 

« Buongiorno Ron, finalmente ti sei ripreso, » disse. 

 

Lui aprì anche l’altro occhio, confuso. « Ci conosciamo? » domandò.

 

Lei annuì: « sono Angelina Johnson. »

 

Ron la osservò perplesso.

Era una ragazza molto carina. Dalla pelle scura e i capelli lunghi legati in mille piccole trecce. Aveva uno sguardo intenso e determinato, un’espressione sicura sul viso; il corpo tonico e in carne, le guance morbide e il respiro rapido; con una mano si accarezzava il ventre gravido.

 

« Mi dispiace. Non mi ricordo di te, » si scusò Ron.

 

« Non preoccuparti. Lo immaginavo. »

 

Quelle parole lo fecero sentire profondamente a disagio. « Perché siamo qui? » chiese.

 

« Perché tu sei qui, » specificò lei, « nel mio caso credo sia abbastanza evidente… » ridacchiò, suscitando in Ron una smorfia tra l’offeso e l’imbarazzato.

 

« È colpa di George, » continuò lei, « erano giorni che cercava disperatamente una cavia per provare la sua nuova creazione… Purtroppo ha trovato te, e non c’era nessuno a fermarlo… » Angelina fece un sospiro indulgente, ma allo stesso tempo un sorriso divertito le piegò le labbra.

« Oh Ron, hai vomitato per due giorni di fila. Vostra madre è andata su tutte le furie! Povero George, qui lo teniamo represso e non può esprimersi come vorrebbe… è normale che si sfoghi all’esterno… »

 

Normale un cavolo, pensò Ron che non aveva idea di chi stesse parlando anche se lei citava tutti come se fossero suoi parenti stretti.

 

Roteò gli occhi, disorientato.

 

In quel momento un ragazzo alto, dai capelli rossi e incredibilmente somigliante a lui, entrò baldanzoso nella camera.

 

« Uh, sorpresone! Il Re del Vomito si è svegliato! » Ululò.

 

Ron si ritrasse sotto le coperte e lo scrutò sospettoso.

 

Lui si piazzò nel messo della stanza e diede il via ad una sceneggiata.

 

« Avresti dovuto vederti! Eri completamente verde, uno schifo! Vomitavi senza interruzione e quando ti ho portato qui è stato il delirio! Padma ha iniziato a rimettere appena ti ha visto, Lavanda e Calì l’hanno seguita a ruota! È stato spettacolare, erano anni che non mi divertivo così! Mamma era talmente fuori di sé che per poco non mi staccava l’altro orecchio! » Disse indicandosi con il dito l’unico lobo rimasto.

 

Angelina notò l’espressione interdetta di Ron, e richiamò il ragazzo: « Dai George, basta. »

 

Lui finalmente la considerò e si diresse verso il suo letto, con espressione ruffiana. Le mise una mano sul ventre, si chinò verso di lei e le schioccò un sonoro bacio sulle labbra.

 

« Non preoccuparti dolcezza, » disse facendole l’occhiolino, « crescerà sano nel corpo e nella mente! »

 

« Ho i miei dubbi, » fece lei sarcastica. Poi si rivolse a Ron: « Tu che ne pensi? » 

 

Ron aggrottò la fronte.

 

Era sempre più convinto di trovarsi in un ospedale psichiatrico, reparto: Malati Gravi.

 

« Si può sapere chi cavolo siete!? » Sbottò.

 

* * *

 

Quella mattina, quando Hermione era arrivata in redazione, aveva trovato ben diciassette chiamate sulla segreteria telefonica. Tutti i messaggi dicevano la stessa cosa: “Granger, sei morta”.

Aveva indovinato subito l’origine di quelle minacce, ma la sua collega Emily era così allarmata da insistere per contattare la compagnia telefonica.

Il numero chiamante rispondeva a Villa Malfoy.

 

Hermione, seccata ed offesa, aveva deciso che non si sarebbe mossa per il Serpeverde fino al termine della giornata; all’ora di chiusura, forse, sarebbe andata da lui.

 

Alle cinque del pomeriggio, l’indignazione era lentamente sfumata portando con sé il “forse”.

E Hermione si era ritrovata di nuovo nell’atrio fastoso della Villa.

Ginny avrebbe detto che si era di nuovo lasciata “abbindolare” dai capricci di Malfoy, ma lei era lì solo per dirgli che da quel momento in poi avrebbe dovuto arrangiarsi da solo.

Guardò nervosamente l’orologio.

Mancavano poco meno di due ore alla partenza per Hogwarts.

C’era poco tempo, per cui non attese nessuno, salì diretta alla biblioteca, sicura di trovarlo là.

E infatti lui c’era, ma l’accoglienza che le diede non fu propriamente calorosa.

 

Appena mise piede nella stanza, le piombò addosso spingendola contro il muro e stringendole una mano intorno alla gola.

 

« Credi di essere più furba di me? » ringhiò.

 

Hermione non capì il perché di tanta aggressività, ma era chiaro che la Pozione Rilassante non aveva avuto alcun effetto…

 

E per fortuna, si disse, perché preferiva di gran lunga quelle dita ossute e pallide sul collo, che un’Avada Kedavra.

 

* * *

 

N.d.A. (bis)

(*) La Pozione Rilassante viene usata in Harry Potter e l’Ordine della Fenice per calmare Hannah Abbott prima degli esami (cap. 27). Il colore è inventato, perché ho cercato dappertutto e non ho trovato niente sulle sue caratteristiche. Ho pensato al verde, che nella cromoterapia è un colore rilassante. Anche se non l’ho spiegato (mi sembrava superfluo), Hermione propone questa pozione a Malfoy per ridurre il suo stress e favorire l’uscita dal trauma che ha ipotizzato; ovviamente l’ha trovata tra gli scatoloni, altrimenti non avrebbe avuto il tempo di prepararla.

 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 - Vantaggi ***


Capitolo 17 - Vantaggi

Lost Memories

(di Sihaya)

 

* * *

 

Your adversary has no warning about what kind of magic you are about to perform,

which gives you a split-second advantage.

 

J. K. Rowling, Harry Potter e il Principe Mezzosangue

(Manuale degli Incantesimi, Vol. 6)

* * *

Capitolo 17 – Vantaggi

 

« Credi di essere più furba di me? » ringhiò Malfoy stringendo la mano attorno al collo di Hermione.

 

Lei tentò invano di allentare la stretta. « La pozione era solo un tentativo… non c’è bisogno di farne una tragedia… »

 

L’espressione minacciosa di lui non mutò. « Un tentativo di fregarmi! Dove l’hai messo? »

 

Hermione ribatté disorientata: « Di cosa parli? »

 

« Il quadro, Granger! Lo sai benissimo! »

 

« La Passaporta? »

 

« Esatto, non credere di… »

 

Hermione parlò con difficoltà: « L’ho… rimessa al suo posto… quando… siamo tornati. »

 

« Certamente. E come mai ora non c’è più?! »

 

Negli occhi di lei balenò autentica sorpresa. « Io… non ne ho idea. »

 

« Invece, io ne ho una piuttosto chiara. »

 

La stretta divenne troppo dolorosa ed Hermione piantò le unghie nella mano del ragazzo per cercare di liberarsi. « Malfoy… non riesco a respirare… L’ho rimesso nell’armadio, non ho preso il quadro. Non sono una ladra. »

 

Un ghigno sul viso di Draco le ricordò che non era vero: aveva già rubato in casa sua.

 

Capì che era inutile discutere: Malfoy era arroccato sulle proprie convinzioni; così prese la bacchetta che si era procurata da appena un giorno.

Non era come maneggiare la propria, ma sarebbe bastato.

La puntò sotto il mento del ragazzo e, usando il tono più perentorio che aveva, ordinò: « Lasciami. »

 

Lui trattenne il respiro con la consapevolezza di essere in svantaggio; ma non poteva accettare che lei lo stesse minacciando.

 

« Non avrai intenzione… »

 

« Certo… che ho intenzione di usare la magia, » lo interruppe Hermione, « che ne pensi di… una Maledizione Senza Perdono? »

 

« Non avresti il coraggio, » disse lui mostrando un sorriso nervoso.

 

« Non ne avrei… nemmeno bisogno, » ribatté lei. « Mi basterebbe… uno Schiantesimo, oppure potrei Pietrificarti o… »

 

« Non lo farai, » asserì Malfoy, ma l’incertezza nella voce lo tradì.

 

Hermione s’infilò in quella falla con astuzia. « Nel dubbio, ti conviene lasciare la presa… » suggerì.

 

Lui rifletté un istante, poi sciolse la stretta con riluttanza e si allontanò di alcuni passi.

 

Hermione continuò a puntargli contro la bacchetta: mai abbassare la guardia.

 

« Per Merlino, » sbottò lui alzando le mani al cielo, « sono disarmato! Dov’è finita la lealtà Grifondoro? »

 

« La lealtà Grifondoro non è per i Mangiamorte, » apostrofò lei.

 

Malfoy incassò il colpo. « Non hai il coraggio di fare una cosa simile, » ripeté come se quell’affermazione gli trasmettesse energia.

 

« Ne sei davvero sicuro, Malfoy? » provocò lei. « Hai il Marchio Nero e io non mi fido di te. Inoltre abbiamo alcuni conti in sospeso, ricordi? Potrei vendicarmi di ogni volta che mi hai offeso, oppure delle torture che ho subito a Malfoy Manor... - tacque per alcuni secondi - Ma ho cose più importanti di cui occuparmi: parto per Hogwarts, » annunciò.

 

« Quindi hai preso il mio quadro per tornare a Hogwarts! » Dedusse lui, senza valutare le vere implicazioni di ciò che lei aveva detto.

 

Hermione scosse vigorosamente la testa. « Partirò con Ginny e Harry. Non ho bisogno del ritratto di tua madre; non ho motivo di rubarlo e sarebbe più intelligente distruggerlo, dato che è la tua unica possibilità di raggiungere Hogwarts. Ma non farò nemmeno quello… » disse guardandolo con determinazione, con il braccio destro teso e la bacchetta puntata contro di lui.

 

« D’ora in poi dovrai cavartela da solo: voglio solo essere sicura che tu non mi metta i bastoni fra le ruote… »

 

Concluse muovendo lievemente il braccio, con eleganza e freddezza.

 

Draco Malfoy intuì le sue intenzioni e, accantonando in fretta l’orgoglio, raggiunse con un balzo la poltrona a lui più vicina, eclissandosi dietro lo schienale.

 

Nello stesso istante, Hermione gridò: « Stupeficium! »

 

Seguì un silenzio surreale.

 

Poi, quando sentì l’aria addensarsi di sconcerto e delusione, Malfoy riemerse cauto dal nascondiglio.

 

Non era accaduto nulla.

 

Hermione, la bocca semiaperta e la fronte aggrottata, fissava la punta inattiva della propria bacchetta.

 

Interdetta, alzò lo sguardo verso di lui.

 

« Non funziona, » affermò guardandolo dritto negli occhi.

 

Malfoy non fece in tempo a parlare che sul viso di Hermione brillò un’intuizione.

 

 « Ho capito! La Maledizione dev’essere sulla Villa! »

 

Draco sentì il fiato mancare per un istante.

 

Tutta Hogwarts riteneva che Hermione Granger fosse la studentessa più intelligente, ma lui si era sempre sentito superiore; per questo stava odiando quell’imprevista sensazione di soggezione che gli opprimeva il respiro.

 

Abbassò lo sguardo, infastidito, come se la sicurezza sul viso della ragazza fosse accecante.

 

« Malfoy, hai mai provato a fare incantesimi fuori da qui? » Domandò lei.

 

Lui sgranò gli occhi. Un impalpabile velo di umiliazione li ricoprì.

 

« No, » borbottò.

 

Non ci aveva provato.

 

MAI.

 

Perché lui odiava stare in mezzo ai babbani, e solo lì dentro, nella dimora che i suoi genitori avevano scelto per lui, si sentiva vagamente a suo agio.

 

« Ho usato questa bacchetta ieri per riportarti indietro e funzionava, » spiegò lei, « qui invece non reagisce. Sono sicura che la Maledizione non è su di te, è sulla casa. Quindi, prima di dubitare di me, dovresti farlo di chi ti sta accanto ogni giorno… »

 

« Che cosa intendi dire? » La domanda di Malfoy terminò in un soffio. Egli s’irrigidì all’improvviso, con tutti i sensi all’erta, perché il portone d’ingresso alle spalle di Hermione si stava lentamente chiudendo, come mosso da una folata di vento.

 

Solo che tutte le finestre erano chiuse.

 

L’anta si chiuse con un tonfo e si sentì chiaramente scattare la serratura.

 

Hermione si voltò e strinse con fermezza l’impugnatura della bacchetta.

 

Rimasero immobili a fissare la porta. Per alcuni istanti si sentì soltanto il loro respiro teso.

 

Hermione cominciò a guardarsi intorno circospetta, ma lo sguardo di Malfoy rimase fisso sull’ingresso.

 

Si udì un lieve crepitio e i cardini della porta cominciarono a mutare.

 

In breve tempo, il metallo si pietrificò e sottili sentieri di cemento iniziarono a scorrere attraverso il legno, insinuandosi in tutte le fessure, e ramificandosi in ogni direzione, fino a ricoprire interamente le raffinate ante in mogano.

 

I due ragazzi, colti completamente alla sprovvista, si guardarono pensando la stessa, identica, cosa.

 

« Rivedi la tua teoria, Granger! Se è vero che qui non si possono fare magie, come spieghi… questo! » sbottò Malfoy indicando il grosso portone tramutatosi in una lastra di pietra.

 

Hermione era visibilmente preoccupata, ma non per la validità della propria teoria: « Forse chi ha lanciato la Maledizione può anche eluderla, » ipotizzò.

 

« Ti sei sbagliata, ammettilo! » Insistette lui.

 

Ma lei aveva altri pensieri. « Non capisci? Qualcuno sta cercando di bloccarci qui dentro! » urlò con voce stridula, convinta che lui non si rendesse conto del pericolo.

 

Malfoy sogghignò perfido. « E se volesse solo sbarazzarsi di te? »

 

Hermione non si fece intimidire. « L’avrebbe fatto nel momento in cui ho messo piede in questa Villa, e non certo rovinando questa preziosa biblioteca, » ribatté.

 

Draco serrò forte le mascelle.

 

« Esiste un’altra uscita? » Domandò Hermione.

 

Lui rispose che non c’erano altre uscite. Parlò con indifferenza, come se avesse altri pensieri per la testa.

 

Lei incalzò: « Chi c’è in casa, ora? »

 

Malfoy non rispose subito.

 

Era difficile accettare quello che stava accadendo.

 

Difficile rassegnarsi all’idea d’essere in pericolo nell’unico luogo che riteneva sicuro. 

 

« Solo… la servitù, » rispose distratto.

 

« Il maggiordomo! » Esclamò Hermione. « Cosa sai di lui? »

 

Malfoy la guardò incerto. « È un babbano, » disse.

 

« Ne sei sicuro? »

 

Scosse la testa.

 

Non era sicuro, pensò osservando preoccupato la possente lastra di pietra che ora sostituiva la porta.

 

Non era più sicuro di niente.

 

Hermione guardò l’orologio: le 17.40. Era tardi.

 

Mancava meno di mezz’ora all’appuntamento con Ginny.

 

Immaginò Harry preoccupato ad attenderla invano.

 

Sarebbero partiti anche senza di lei?

 

Sì.

 

Dovevano farlo.

 

Perché lei era bloccata lì dentro e aveva una sola via di fuga, che non contemplava la possibilità di raggiungerli entro sera.

 

Dovevano fidarsi di lei come avevano sempre fatto.

 

Un sapore acre le riempì la bocca.

 

“Sei ingenua.”

 

Aveva le parole di Ginny stampate nella mente e la sua espressione di rimprovero davanti agli occhi.

 

« Andiamo via di qui, » suggerì.

 

« Un’idea geniale, Granger, » commentò Malfoy tagliente.

 

Ma lei non lo stava ascoltando, aveva mani e testa immerse nella borsetta e rovistava frenetica in cerca di qualcosa. Quando le sue dita incontrarono finalmente una forma tondeggiante, riemerse estraendo dalla borsa una Ricordella.

 

Malfoy spalancò gli occhi e il suo stomaco cominciò a ribollire di rabbia.

 

« Tu… Tu sei… una… »

 

« Per ora sono la tua unica soluzione, » troncò lei mettendogli davanti al viso la Passaporta.

 

* * *

 

« Dobbiamo andare, » disse Ginny a malincuore.

 

« Ma Hermione non è ancora arrivata! » protestò Harry.

 

« È più di un’ora che aspettiamo; è tardi, » ribatté Ginny. Il suo sguardo era proiettato oltre la vetrina del Butterfly, ispezionava strada e passanti nella speranza di veder comparire l’amica.

 

Fuori era buio, le luci dei locali erano accese ed era calata una nebbiolina densa e umida.

 

« Tornerò a prenderla. »

 

« Non è da lei, » tentò ancora Harry, « forse è successo qualcosa. »

 

« Al rifugio ci stanno aspettando, ti accompagno e domani torno a prendere Hermione, » insistette Ginny, pensierosa.

 

Lo sapeva bene che far preoccupare gli amici non era tra le abitudini di Hermione, per questo aveva atteso ben oltre l’orario stabilito.

 

Eppure, qualcosa dentro di lei l’aveva capito fin da quella mattina che Hermione avrebbe fatto tardi. Per il modo in cui parlava, fissando la vetrina piuttosto che guardandola negli occhi. Per l’atmosfera di esitazione che l’accompagnava, come se avesse un conto in sospeso, lì a Londra, che non intendeva lasciare insoluto.

 

Ginny sapeva anche che Hermione era una persona più che affidabile, ma in quel momento si sentì sollevata per non averle rivelato il nascondiglio dell’Esercito di Silente.

 

« Harry, » chiamò a un tratto, voltandosi verso di lui e porgendogli la mano sinistra. « Prendimi per mano, » ordinò fermamente.

 

Harry Potter si sistemò gli occhiali e prese un profondo respiro.

S’avvicinò di qualche passo e le sfiorò timidamente le dita; quel contatto rievocò inevitabilmente immagini e sapori della notte trascorsa. Fece per ritirare la mano, imbarazzato, ma lei glielo impedì, stringendola con forza nella sua.

Lui la guardò negli occhi e vi lesse il bisogno profondo di saperlo al sicuro. Docilmente, si lasciò andare a quella stretta protettiva.

 

Poi Ginny agitò la bacchetta e i loro corpi scomparvero.

 

Un silenzio profondo calò all’interno del Butterfly; solitudine e desolazione s’impadronirono del piccolo locale.

 

Nelle ore successive, diversi clienti si fermarono a osservare delusi il cartello di chiusura che ciondolava sulla vetrina, ignari del fatto che sarebbe rimasto lì per tutto l’inverno.

 

E oltre.

 

* * *

 

Draco non era affatto contento d’essere tornato nella Stanza delle Necessità. Era nervoso nonostante il Marchio Nero tatuato sull’avambraccio fosse inerte.

Camminò avanti e indietro per un po’, isolato nei propri pensieri.

 

A un tratto alzò lo sguardo, come se si fosse ricordato di una cosa importante.

 

Dov’era finita Hermione Granger?!

 

Scandagliò la stanza, pressoché identica a come era apparsa il giorno prima, senza riuscire a vedere Hermione, finché sentì una sua lamentela provenire da un mucchio di scatoloni giganti ammassati in un angolo.

La ragazza si stava affannando nel tentativo di spostarli.

Incuriosito, la raggiunse.

La sentì borbottare fra sé e sé, lagnandosi di non riuscire a trovare qualcosa che “doveva esserci, ne era sicura”.

 

« Che stai facendo? » domandò disgustato dalla quantità di polvere che s’agitava nell’aria a ogni suo movimento.

 

Hermione si voltò con sguardo pensoso e il respiro affannato.

 

« Invece di stare a guardare, dammi una mano! »

 

« A fare cosa? »

 

« A spostare questi scatoloni, Malfoy! Non serve un M.A.G.O. per capirlo! »

 

Inaspettatamente, Malfoy sogghignò.

 

Prese la bacchetta magica e inspirò profondamente. L’agitò con destrezza nell’aria e la puntò contro lo scatolone più alto. Fece ogni movimento lentamente, assaporando istante dopo istante.

 

« Wingardium Leviosa, » mormorò.

 

Un brivido lo percorse.

 

La forza dell’Incantesimo lo attraversò e una profonda soddisfazione gli tirò le labbra in un sorriso appagato.

 

Leggeri come piume gli scatoloni si sollevarono nell’aria, spostandosi uno ad uno sotto lo sguardo basito e imbarazzato di Hermione: era così abituata ad arrangiarsi senza usare la Magia, che non aveva considerato quella banale soluzione.

Per mera educazione tossicchiò un “grazie” che Malfoy non sentì neanche, tanto era tronfio.

 

Per interminabili mesi aveva atteso quel momento.

 

L’aveva immaginato, desiderato, cercato con tutto se stesso.

 

E ora, finalmente, la Magia tornava a scorrere nelle sue vene.

 

Lo elevava oltre la nullità del mondo babbano restituendogli la propria identità.

 

Era di nuovo Draco Malfoy.

 

Era vivo.

 

* * *

 

« Figliolo quanto sei cresciuto! » ripeté commossa, per l’ennesima volta, Molly Weasley.

 

Ron fece una smorfia imbarazzata. Era emozionato, ma allo stesso tempo risentito per l’accoglienza ricevuta, tutt’altro che calorosa: nonostante fossero trascorsi due interi anni, suo fratello non aveva perso occasione di prenderlo in giro…

 

Ed era inutile che si scusasse, lo faceva soltanto perché c’era mamma!

 

Un leggero mal di testa lo infastidiva, generato dal rapido accumularsi di ricordi.

Sua madre, che stava ancora lavorando per annullare completamente l’Incantesimo di Memoria, gli passò amorevolmente una mano sulla fronte. Lui si scostò lanciando un’occhiata sospetta a George, ma non nascose a se stesso che quel gesto gli aveva fatto piacere.

 

Puntò le mani sul letto dell’infermeria e si mise più comodo appoggiando la schiena al cuscino, preparandosi alla lunga chiacchierata che lo attendeva.

 

C’erano ancora molte cose da chiarire e molti ricordi da recuperare, e la sua famiglia era lì per aiutarlo.

 

A sollevarlo, inoltre, c’erano la notizia dell’imminente arrivo di Harry e Hermione, e la consapevolezza che ora, finalmente, poteva capire quello che lei aveva tentato più volte di dirgli.

 

* * *

 

Hermione, trepidante, non attese nemmeno che Malfoy terminasse di spostare gli scatoloni; s’intrufolò tra essi e la parete allungandosi con fatica fino a raggiungere una piccola porticina di legno.

 

« Ero … sicura … che l’avrei… trovata… » disse mentre si muoveva faticosamente nell’angusto passaggio.

 

Draco nascose dietro un’espressione compatita il capriccio di scoprire cosa la rendesse tanto impaziente. Spostò rapidamente anche l’ultima scatola, ma rimase deluso quando vide una misera porticina cadente.

 

Per un attimo aveva pensato che quella fuga fosse stata organizzata in ogni dettaglio; che Hermione avesse nascosto il ritratto di sua madre nella Stanza delle Necessità, e da lì volesse raggiungere il suo nascondiglio.

 

Non era così: Hermione aveva altri progetti.

 

Quando lei afferrò la maniglia della piccola porta, aggrottò la fronte.

 

« Non vorrai uscire… » disse tra il minaccioso e il preoccupato.

 

« Sta’ tranquillo, » rispose lei, « è il passaggio segreto che ci condurrà a Hogsmeade. »

 

Malfoy la guardò perplesso.

 

Hermione aprì la porta mostrando che dietro di essa si diramava un tunnel buio e profondo.

 

« Andiamo, » intimò.

 

Ma lui non era convinto di seguirla. « L’ultima volta che sono stato a Hogsmeade, » disse, « c’era l’Incanto Gnaulante sull’intera città. »

 

Hermione seguì le sue parole scuotendo lentamente la testa. 

 

« Questo passaggio conduce direttamente alla Testa di Porco. La locanda è sicura e Aberforth, il barman, ci aiuterà. »

 

« In due anni qualcosa può essere cambiato, » ribatté Malfoy scettico, « per quel che ne sappiamo il barman potrebbe essere finito a… »

 

« Non pensarlo nemmeno! » Interruppe lei, severa. « Il passaggio conduce a un quadro posto sul camino della locanda. Ci avvicineremo senza farci vedere e da lì esamineremo la situazione; se il luogo è sicuro come penso, usciremo allo scoperto. Per cautela useremo un Incantesimo di Disillusione per modificare la nostra fisionomia. »

 

Malfoy seguì tutta la spiegazione con un sopracciglio alzato e aria diffidente.

 

Hermione lo guardò dritto negli occhi e lo sfidò: « Hai un’idea migliore? »

 

Lui rispose troppo rapidamente: « Sì, ho un’idea migliore. »

 

Solo in quel momento Hermione si accorse del sorriso tracotante e vendicativo che campeggiava sul suo volto.

 

Un espressione che non vedeva da molto tempo, ma che purtroppo ricordava bene.

 

Non ebbe il tempo di dire nulla.

 

Malfoy alzò la bacchetta e la puntò contro di lei.

 

Il grido di protesta non riuscì nemmeno a uscirle dalla gola, e si ridusse a un flebile lamento che in un istante si spense nell’aria.

 

Con un sorriso meschino stampato sul volto, Malfoy si chinò e prese fra le dita la sottile codina del topolino bianco che squittiva ai suoi piedi.

 

Lo sollevò all’altezza del viso, mentre quello si dimenava impazzito di rabbia e paura.

 

Ghignò, infilandolo nel taschino della camicia.

 

Il topolino iniziò ad agitarsi furiosamente sul suo petto nel tentativo di uscire dalla tasca; Malfoy gli diede alcuni colpetti con la bacchetta finché si fermò.

 

« Calmati, stupida, » borbottò inoltrandosi nel tunnel.

 

L’hai detto tu, no?

 

Sono un Mangiamorte. Nessuno mi fermerà.

 

* * *

 

Continua…

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 - Hero ***


Capitolo 18 - Hero

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

And they say that a hero can save us…

Nickleback, Hero

 

* * *

 

Capitolo 18 – Hero

 

Draco avanzava con cautela lungo il tunnel che l’avrebbe condotto a Hogsmeade. Ad ogni passo allungava la bacchetta verso le lampade appese alle pareti, per accendere quelle che lo precedevano e spegnere quelle che si lasciava alle spalle. Il topolino nella tasca della sua camicia aveva rinunciato alla propria battaglia da un pezzo e ora se ne stava rannicchiato in un silenzio forzato, a rosicare, incassando l’umiliazione e accumulando rancore.

 

Draco capì d’essere giunto a destinazione quando l’ultima lampada accesa illuminò una rampa di scale in pietra ed una porticina identica a quella da cui era venuto. S’avvicinò ad essa e senza sforzo l’aprì. Si ritrovò affacciato ad una sorta di finestra oltre la quale si scorgeva l’interno di una locanda. La Testa di Porco.

Sotto l’apertura c’erano una mensola vuota ed un caminetto spento. Sporse la testa e guardò all’interno della stanza. Era buia e fredda. L’unica finestra era coperta da una tenda e non lasciava filtrare nulla; era grazie alla luce proveniente dal tunnel che riusciva ad intravedere l’arredamento impolverato e spoglio.

Il silenzio regnava, lasciando supporre che la locanda fosse disabitata.

 

Spinse la porticina e scavalcò cauto la mensola, balzando sul pavimento con un lieve tonfo.

Rimase immobile alcuni istanti, con l’udito teso a percepire il minimo rumore. Stava quasi per rilassarsi quando sentì un cigolio oltre la porta che dava sul salotto, seguito da una serie di passi pesanti che mettevano a dura prova le assi di legno scricchiolanti della taverna.

S’irrigidì e portò la mano destra dietro la schiena stringendo la bacchetta. Il topolino s’agitò nella sua tasca percependo il pericolo.

 

La porta si aprì e un uomo alto e grosso s’affacciò sulla soglia. Sul viso era stampata un’espressione burbera e allo stesso tempo sorpresa, come se non vedesse anima viva da mesi.

Con un movimento quasi impercettibile della mano, agitò la bacchetta ed accese un paio di lampade nella stanza, generando una luce soffusa, utile appena per vedere il volto dell’intruso.

 

Gli occhi azzurro intenso di Aberforth Silente si spalancarono stupefatti.

 

Dal modo in cui lo scrutavano, Draco capì d’essere stato inequivocabilmente riconosciuto, ma l’espressione allarmata che piegò il volto stanco e barbuto del barman gli suggerì che era meglio per entrambi fingere il contrario. L’uomo, infatti, sapeva del ragazzo soltanto quello che aveva sentito vociferare fra Mangiamorte: ovvero che era un disertore, latitante o più probabilmente morto.

 

Malfoy spezzò per primo il silenzio: « Mi serve un rifugio per stanotte, vecchio, » disse altezzoso, come se gli venisse di diritto dalla propria progenie.

 

Aberforth non fece in tempo a rispondere.

La reazione di Hermione, stipata da troppo tempo nella tasca della camicia e sottopressione per la rabbia crescente, fu istintiva.

 

Malfoy gridò di dolore.

 

« Diamine ragazzo! Fa’ silenzio o ci farai ammazzare entrambi! » Lo rimproverò Aberforth con tono basso ma severo.

 

Lui imprecò imperterrito, strappandosi di dosso – letteralmente – il topolino che gli aveva addentato il petto, per poi gettarlo con violenza a terra.

 

« Ma sei impazzita?! » Gridò, senza curarsi di quanto potesse risultare ridicolo agli occhi del barista che lo vedeva inveire contro il piccolo animaletto. Si sfilò la bacchetta dalla cintura dei pantaloni e la puntò verso Hermione. Dai denti stretti per la rabbia lasciò uscire un gelido “Finite Incantem”, mentre inghiottiva a malincuore le sillabe dalla parola “Crucio”.

 

Ciò che sorprese Aberforth non fu scoprire che dietro quell’animale si celavano sembianze umane, ma vedere Hermione rialzarsi da terra, tossire e scuotersi di dosso la polvere.

 

Con grandi passi si diresse verso di lei e l’afferrò per le spalle.

 

Hermione, che avrebbe voluto riversare una valanga di insulti su Malfoy, si ritrovò invece travolta dalla raffica di domande di Aberforth.

 

« Per tutti i maghi! Hermione Granger, ma sei davvero tu? Quanto tempo! Che fine avevi fatto? » Sciorinava l’uomo, con voce bassa, senza prendere respiro, « dove… dove sono i tuoi amici? Dov’è Harry Potter? »

 

« Harry è al sicuro con Ginny Weasley, » rispose Hermione, « devo raggiungerlo. »

 

Quell’ultima affermazione giunse a Malfoy, ancora dolorante, in tono troppo sommesso per darle ascolto.

 

« Cos’è successo? Perché sei qui con… » Aberforth interruppe la domanda.

 

« …Un Serpeverde? » Concluse diplomatica Hermione, « non preoccuparti, è innocuo e non creerà problemi. Abbiamo solo bisogno di un posto dove riposare. C’è ancora il coprifuoco in città, vero? »

 

L’uomo annuì. « Mi dispiace, la locanda non è un luogo sicuro. Ricevo controlli dei Mangiamorte costantemente. Fermarsi qui non è una buona idea. »

 

« Solo fino all’alba, » lo rassicurò Hermione.

 

Aberforth inspirò profondamente: non era per nulla contento di ospitare dei ricercati nella propria locanda, ma i Mangiamorte di sorveglianza erano appena passati per un controllo, e quella notte non sarebbero più tornati.

 

« Va bene. Vi porto qualcosa da mangiare. Non uscite da questa stanza. E non accendete luci. E… » si rivolse a Malfoy, « non schiamazzate come femminucce. »

 

* * *

 

Harry e Ginny si materializzarono sulle montagne di Hogwarts sotto una fitta pioggia.

Harry fece appena in tempo ad intravedere la valle e il castello diroccato, ma bastò per torcergli le budella con tremenda violenza; poi Ginny lo trascinò velocemente attraverso una radura, fin dentro ad una grotta scavata nella roccia: l’ingresso del Rifugio.

Una robusta porta di legno si aprì su una grande stanza circolare.

Sulla sinistra erano apparecchiate tre lunghe tavolate; sulla destra c’erano diverse poltrone disposte attorno ad un camino acceso. Una scala a chiocciola affiancava la parete e conduceva ad un piano superiore.

 

Nell’istante in cui i due ragazzi s’affacciarono all’ingresso, decine di occhi attoniti si piazzarono su di loro.

Seguì una corale esclamazione di stupore.

 

Poi uno dopo l’altro i maghi cominciarono ad alzarsi in piedi e a circondarli d’attenzioni.

 

Si festeggiava il ritorno di un eroe.

 

Harry salutò Cho Chang, che non era cambiata di una virgola, e concesse a Calì Patil di asciugargli gli abiti con un rapido colpo di bacchetta. Lasciò che Neville gli saltasse letteralmente addosso, e che Luna gli consegnasse la sua bacchetta magica, conservata con orgoglio per quel momento.

Peccato che fosse quella di biancospino, sottratta a Malfoy fuggendo dalla sua Villa; la sua, quella di agrifoglio con il nucleo in piuma di fenice, si era spezzata – lo ricordava fin troppo bene – e probabilmente era andata perduta per sempre.

 

Uno dopo l’altro, Harry riabbracciò tutti i vecchi amici, smaniosi di metterlo al corrente dei progressi dell’Esercito di Silente, con racconti che si sovrapponevano l’un l’altro nel caos più totale.

 

In breve tempo, Harry divenne preda di una valanga inarrestabile di emozioni.

 

La testa cominciò a girargli vorticosamente, tanto da fargli pensare che al cervello non arrivasse più sangue. Nonostante facesse profondi respiri, aveva i polmoni continuamente vuoti.

 

Salutava e ascoltava, ma non parlava con nessuno.

 

Incrociava sguardi carichi di rispetto e speranza, di riconoscenza e aspettative, e sentiva quel fardello, ripiombatogli addosso da appena un giorno, diventare spaventosamente pesante.

 

Il suo cuore s’alleggerì un poco solo quando vide spuntare Ron da una porta collocata di fronte all’ingresso. Insieme con lui c’erano George, Angelina e… un tornado, Molly Weasley, che li travolse. Si precipitò ad abbracciare e baciare la figlia, per poi passare a salutarlo, e infine ritornare a stringere forte la sua Ginny, incurante delle infantili proteste.

 

Poi Ron si fece largo tra tutti e li raggiunse.

Aveva i capelli arruffati, gli occhi confusi e la voce incerta; approfittando di un casuale affievolirsi del trambusto chiese: « Dov’è Hermione? »

 

Bastò una domanda per ottenere il silenzio.

 

* * *

 

La tenue luce mattutina illuminava appena il salotto al primo piano della Testa di Porco.

Draco si svegliò tutto indolenzito a causa della scomoda posizione in cui si era addormentato. Era a braccia conserte, seduto su una vecchia poltrona, con la schiena ricurva e le gambe tese. Quando aprì gli occhi vide Hermione Granger accanto alla finestra del salotto che, senza scostare la tenda, si piegava di lato per cercare di intravedere all’esterno.

Scoprire che era già in piedi gli diede fastidio.

La sera prima, dopo aver mangiato il cibo offerto da Aberforth, non si erano praticamente rivolti la parola; erano rimasti entrambi seduti, ognuno sulla propria poltrona, cercando di tenere aperti gli occhi il più a lungo possibile, come in una gara, poiché non si fidavano l’uno dell’altra. Tuttavia, presto la sonnolenza aveva appesantito le loro palpebre, finché entrambi si erano addormentati.

 

Malfoy non ricordava quasi nulla, ma era certo di essere stato l’ultimo a cedere al sonno.

 

Si massaggiò il collo rimpiangendo - per appena una frazione di secondo - il caldo letto babbano della sua villa londinese.

 

« Sta piovendo, » disse Hermione con voce incolore, senza voltarsi.

 

Lui ascoltò il crepitio della pioggia contro i vetri, chiedendosi se poteva considerarla una buona notizia.

In quel momento, Aberforth spalancò la porta della stanza.

Draco balzò in piedi ed Hermione si voltò.

L’uomo teneva fra le braccia un fagotto che appoggiò sul tavolo.

 

« Piove ininterrottamente da ore, potrebbe continuare così per tutta la giornata, » esordì aprendo il pacchetto. Ne estrasse due mantelli di panno scuro, caldi e morbidi. « Vi saranno utili, sono impermeabili... »

 

Malfoy non gli lasciò il tempo di continuare, avidamente ne afferrò uno e lo infilò. Aberforth porse l’altro a Hermione, che aspettò ad indossarlo.

 

« Vi ho portato anche un po’ di cibo, » aggiunse il barman passando un pacchettino a Hermione, che lo ripose con cura nella propria borsa. « Dovete andarvene prima che arrivi qualcuno. C’è un’uscita sul retro, » aggiunse infilandosi giù per le scale.

 

Hermione e Draco lo seguirono.

 

Un odore di stantio li accolse mentre scendevano la scala traballante, poi Aberforth li invitò a girare intorno ai gradini mostrando loro un piccolo passaggio nel sottoscala. Attraverso la porticina, entrarono in una cantina sudicia e polverosa. Grosse ragnatele scendevano dal soffitto e vecchi strumenti in legno stavano ammassati in ogni angolo.

Aberforth s’avvicinò ad una parete libera e vi appoggiò le mani; sotto di esse, all’improvviso, s’aprì una porta, mirabilmente mimetizzata fra le assi di legno. 

Finalmente i due ragazzi videro l’esterno.

Davanti a loro, fra folti cespugli di erica, si districava un breve sentiero fangoso che s’inoltrava in una boscaglia austera e sfrondata. L’aria era fredda e umida; il cielo grigio plumbeo.

Quel luogo sembrava desolato e Malfoy pensò che probabilmente era la via più sicura per uscire da Hogsmeade. Non attese oltre e s’incamminò.

Hermione prese il proprio mantello e lo indossò. Subito si sentì avvolta da un piacevole tepore.

 

« Evita di fare incantesimi e tieni gli occhi aperti: il bosco non è così sicuro come può sembrare, » disse Aberforth mentre Malfoy s’allontanava. Hermione lanciò un’occhiata furtiva al Serpeverde e poi si rivolse al barman: « dove si nasconde l’Esercito? » domandò a bruciapelo.

 

Aberforth la squadrò con i suoi grandi occhi azzurri, lanciando anch’egli un’occhiata sospetta al ragazzo. Non gli era sfuggito il tono sommesso usato dalla ragazza, come se temesse di essere udita da lui.

 

« Non posso aiutarti, » disse, e in fondo ne era sollevato, « i ragazzi dell’Esercito non mi hanno mai rivelato la posizione del nuovo Rifugio, e io non voglio saperne nulla. Di rado si fermano qui per la notte, e subito se ne vanno all’alba; so soltanto che attraversano il bosco e vanno a ovest, verso la stazione. Non sono in grado di dirti altro, » tagliò corto.

 

« La stazione di Hogsmeade… » ripeté Hermione meditabonda, « va bene. Grazie Aberforth, » concluse con lo sguardo che passava dall’uomo a Malfoy, il quale proseguiva sul sentiero senza aspettarla.

 

Fece per incamminarsi, ma Aberforth la trattenne per un braccio costringendola a voltarsi. La sua stretta era possente e ferma, i suoi occhi profondi e grandi sembravano volerle sondare il pensiero.

Non era minaccioso, era severo.

 

La sua voce baritonale divenne ancora più cupa quando le parlò: « Spero che tu sappia quello che stai facendo, » scandì guardando preoccupato il ragazzo all’ingresso del bosco.

 

« Sì, so quello che faccio, » rispose Hermione determinata e, liberandosi educatamente dalla stretta, s’incamminò con passo spedito.

 

Il barista rimase sulla soglia della Testa di Porco ad osservarli preoccupato finché non li vide scomparire nell’incolta boscaglia.

 

Perlomeno erano abbastanza svegli da non scegliere il sentiero battuto…

 

* * *

 

Harry e Ron erano stati trascinati quasi di peso da Neville in una piccola stanza illuminata dalla luce soffusa di alcune candele sospese. L’arredamento era semplice e accogliente: c’erano un lungo tavolo al centro, una poltrona imbottita accanto ad un caminetto acceso e un paio di grossi Frullobulbi in una fioriera contro la parete di fronte all’entrata.

Oltre la porta si sentivano le voci concitate di alcune ragazze dell’Esercito, svegliatesi di prima mattina per preparare la colazione.

Neville aveva fatto accomodare Harry a capotavola ed era seduto alla sua sinistra, Ron si era lasciato cadere pigramente sulla poltrona. Poco dopo li aveva raggiunti Luna Lovegood, che aveva preso posto accanto a Neville e teneva le gambe rannicchiate al petto e i piedi incrociati sul cuscino.

 

C’erano tantissime cose di cui Harry e Ron dovevano essere messi al corrente al più presto, ma Neville attese pazientemente anche l’arrivo di Ginny, prima di iniziare a parlare.

 

« Mi dispiace, ho fallito, » esordì.

 

Harry alzò lo sguardo ed incrociò i suoi occhi, sorpreso non solo per quelle scuse pronunciate con amarezza, ma anche dall’emozione inaspettata che lo colse.

 

Erano trascorsi due anni e Neville Paciock era cambiato profondamente. Era diventato determinato e fiero, completamente diverso dal ragazzo insicuro e impacciato che aveva conosciuto al primo anno. Era capo dell’Esercito di Silente insieme a Ginny e Luna, ed aveva certamente dovuto affrontare momenti difficili e scelte gravose.

Eppure, guardandolo in viso, Harry aveva ritrovato in un istante l’amico di sempre.

Ed era stato lo stesso con Luna, i cui occhi vacui, spalancati in quell’indimenticabile espressione attonita, non bastavano più per far dubitare delle sue capacità. 

 

La lontananza non aveva mutato la loro amicizia e il tempo aveva contribuito a rafforzarla.

 

C’era solo il rimorso per non essere rimasto con loro in ogni istante, per non essere riuscito ad evitare loro la sofferenza, per non averli saputi proteggere…

 

Nonostante fosse in debito con loro per ogni cosa, Neville gli stava chiedendo scusa.

 

Harry scosse la testa perplesso: « non capisco, » balbettò.

 

« Non ho mantenuto la mia promessa, » spiegò Neville, « non sono riuscito ad ucciderlo… »

 

Harry sentì una stretta allo stomaco e lo interruppe: « uccidere Vold… » disse quasi con rabbia, ma Ginny gli afferrò una mano con impeto, facendolo trasalire ed impedendogli di continuare.

 

« Non pronunciare il suo nome o ci metterai tutti in pericolo, davvero. Non è vigliaccheria, Harry! » lo ammonì con una tale fermezza che Harry ne rimase mortificato.

 

« Ucciderlo, » disse appena ritrovò la propria sicurezza, « è compito mio. Silente... »

 

Neville scosse la testa: « mi riferisco a Nagini. Mi avevi dato il compito di uccidere il serpente, ed io ho fallito. »

 

Harry aprì la bocca, ma Neville non gli diede il tempo di parlare. « Abbiamo fatto di questa promessa il nostro obiettivo, ma fin’ora abbiamo solo collezionato sconfitte. »

 

Harry sentì il profondo rammarico nella sua voce e cercò di consolarlo: « Quando ti ho chiesto di uccidere Nagini, sapevo che sarebbe stato difficile. Non è un normale serpente, è un Horcrux, in esso è racchiusa parte dell’anima di… - esitò un istante prendendo un profondo respiro - …Voi-sapete-chi. Penso che serva la spada di Godric Grifondoro per ucciderlo. »

 

« Lo so, » disse Neville sorprendendolo, « durante la Grande Battaglia, quando Noi-sappiamo-chi ha cercato di torturarmi, l’unica cosa che avevo in mente era il compito che mi avevi assegnato, ed il Cappello Parlante mi è venuto in aiuto portandomi proprio quella spada. Solo che non ho potuto afferrarla: sono stato colpito improvvisamente da una maledizione ed ho perso i sensi.

In questi anni abbiamo fatto diverse incursioni al Castello per trovare e recuperare la spada, ma abbiamo sempre fallito… a volte pagando un caro prezzo… »

 

Quell’ultima affermazione fece calare un silenzio denso e straziante.

 

Harry capì che si riferivano alla morte della professoressa McGrannit: Ginny gli aveva raccontato che aveva dato la vita per proteggerli.

 

Il dolore bruciava come una ferita aperta, recente e profonda.

 

Dopo diverso tempo, il silenzio fu spezzato da una domanda di Ron. Affondato nella morbida poltrona, nascondeva il viso nella semioscurità e la sua voce era roca e nasale, come quella di chi ha pianto.

 

« Sapete dove si trova la spada? » Chiese.

 

Neville annuì. « All’inizio l’abbiamo cercata per tentativi, senza certezze. Luna ha sempre sostenuto che fosse ben sorvegliata nell’Ufficio del Preside, non tutti erano disposti a crederle… perché, beh… » Neville si passò una mano fra i riccioli scuri e spettinati, cercando le parole migliori per concludere la frase.

 

Luna sollevò le spalle e gli venne in aiuto: « Molti non credono a ciò che non possono vedere, come i Nargilli o il Ricciocorno Schiattoso… »

 

Neville sembrò sollevato del suo intervento e la ringraziò con un sorriso prima di proseguire.

 

« Soltanto poco tempo fa, Ginny ha scoperto l’esistenza di un ritratto di Dexter Fortebraccio, venduto all’asta ad un collezionista londinese. Abbiamo subito pensato che potesse essere una copia di quello appeso nell’Ufficio del Preside. Quando lo ha rubato, abbiamo avuto la conferma che i due quadri sono in comunicazione, e Fortebraccio ha confermato che la spada di Godric Grifondoro è custodita nell’Ufficio. »

 

Ginny intervenne rivolgendosi a Harry: « Quando quell’avvocato babbano mi ha lasciato il pacco postale per la vostra agenzia, ho provato a nascondertelo, ma tu avevi ormai accettato il caso e le cose si sono complicate. Poi, Ron mi ha parlato delle indagini ed allora ho capito che non avevo più tempo e la soluzione migliore era riportarti a casa, » concluse con dolcezza ed Harry sentì un piccolo brivido corrergli dietro la nuca.

 

C’erano ancora diverse cose che intendeva domandare ed altrettante che Neville voleva raccontargli, ma la conversazione fu interrotta dall’improvvisa irruzione di Hannah Abbott nella stanza.

 

La ragazza portava i capelli biondi legati in un paio di trecce; il ciuffo che le cadeva davanti agli occhi non bastava per nascondere l’espressione preoccupata sul suo volto.

 

Harry sentì una tensione palpabile espandersi attorno al tavolo.

 

Trascorsero alcuni lunghi secondi di silenzio e lei chinò la testa di lato, come se volesse evitare d’incontrare lo sguardo dei presenti.

 

Neville, che aveva già visto più di una volta quell’espressione sul viso di Hannah, fece un respiro profondo e affaticato; poi domandò, con dolore e rassegnazione, come se il silenzio stesso avesse già in sé la risposta: « Brutte notizie, vero? »

 

Hannah Abbott annuì.

 

* * *

 

A discapito delle parole di Aberforth, Draco ed Hermione attraversarono il bosco rapidamente, senza incontrare pericoli. Il freddo era pungente e in giro non c’era anima viva. L’intricata foresta di pini e betulle li aveva costretti a camminare nella penombra, ma li aveva protetti dalla pioggia.

Al confine gli alberi erano più diradati e lasciavano intravedere le rotaie della ferrovia. Quando uscirono, il temporale si era ormai placato e dal cielo cadeva un leggero nevischio.

Hermione si fermò un passo prima di uscire completamente dalla boscaglia e guardò la lunga corsia metallica che serpeggiava davanti a loro.

Draco la superò, ma si bloccò l’istante dopo: anch’egli osservava i binari in disuso dell’Hogwarts Express.

 

Hermione aveva rimuginato a lungo sulle parole da utilizzare con Draco in quel momento: intendeva proseguire verso la stazione senza dovergli spiegare troppo dettagliatamente il motivo. Un’impresa tutt’altro che semplice.

Fece per aprire bocca, convinta di dover affrontare una faticosa discussione, ma lui la sollevò straordinariamente da ogni incombenza. Senza rivolgerle la parola, raggiunse i binari e cominciò a camminare tra le vecchie assi di legno in direzione ovest.

 

Hermione avrebbe voluto richiamarlo e sottolineare l’imprudenza di avanzare in bella vista a quel modo, ma decise di tacere e seguirlo, rimanendo però seminascosta, calpestando l’erba che cresceva ai piedi della foresta.

 

Draco Malfoy non si curò di lei.

 

Aveva la mente invasa dai ricordi di un glorioso passato; tempo in cui la famiglia Malfoy era temuta e rispettata, in cui lui era studente modello e orgoglio della Casa Slytherin.

Quando odiava i Grifondoro con la caparbietà e la leggerezza di un ragazzino viziato.

Quando giocava come cercatore nella squadra di Quidditch, e il suo unico obiettivo era umiliare Potter…

 

I pensieri di Hermione, invece, erano un turbine di dubbi proiettati nel futuro.

 

Come raggiungere l’Esercito di Silente?

 

Era saggio continuare a proseguire con Malfoy o era necessario liberarsi di lui al più presto?

 

…E se tutto fosse una sua messinscena, attuata appositamente per stanare il nemico?

 

Lanciò un’occhiata sospettosa verso il ragazzo avvolto nel mantello scuro che trascinava nostalgicamente i piedi, con disattenzione, incespicando tra le vecchie rotaie.

L’istinto suggeriva che fosse sincero, ma lei non era abituata a dar credito alle sensazioni.

Lei analizzava, deduceva… e purtroppo c’erano ben pochi indizi su cui lavorare.

 

L’unica certezza, al momento, era che pur avanzando su binari paralleli, erano diretti entrambi verso la stessa meta: la stazione di Hogsmeade.

 

* * *

 

Zacharias Smith portò le ginocchia al petto e affondò le mani nei capelli biondi, stringendo forte i denti per reprimere la rabbia. Aveva sognato di rientrare al Rifugio come un eroe reggendo fra le mani, in un tripudio di gloria, la spada di Godric Grifondoro scintillante di rubini… e invece si trovava scaraventato in una cella ammuffita e puzzolente, a tremare di freddo e di paura, a pochi passi dalla morte.

 

Una fine tutt’altro che eroica.

 

Catturati dai Mangiamorte e, forse, maledetti senza perdono per uno stupido errore.

 

Sollevò appena la testa e guardò nel buio la sagoma della ragazza alla sua sinistra, senza preoccuparsi di celare l’espressione di disprezzo che gli storceva la bocca.

 

La colpa era tutta sua, di Katie Bell.

 

Era inciampata nel modo più stupido e banale che si potesse immaginare, e questo aveva attirato immediatamente l’attenzione dei Mangiamorte di guardia.

 

In poco tempo erano arrivati i rinforzi ed ogni speranza era andata perduta.

 

Il sogno di gloria svanito.

 

Insieme alla possibilità di porre fine a quella maledetta guerra.

 

Nel buio della cella, Katie Bell non poteva vedere l’espressione dei compagni, ma poteva quasi toccare i loro pensieri, tanto erano densi.

Tirò su col naso, obbligandosi a non piangere. La colpa non era soltanto sua, si era trattato di un incidente: un arbusto troppo debole si era spezzato, facendole mancare l’appiglio proprio mentre cercava d’issarsi in piedi lungo il ripido e fangoso pendio.

 

Seamus e Dean le avevano detto qualche parola consolatoria, ma Zacharias non aveva aperto bocca.

 

Per fortuna aveva ancora la sua moneta.

 

L’aveva nascosta negli stivaletti mascherandola con un incantesimo, per impedire ai Mangiamorte di entrarne in possesso.

 

Le monete erano lo strumento di comunicazione più efficace dell’Esercito di Silente: la professoressa McGrannit aveva infatti migliorato l’Incanto Proteus escogitato da Hermione anni prima, consentendo ai falsi galeoni di veicolare messaggi d’ogni tipo.

 

Katie roteò fra le dita il dischetto dorato e vi passò sopra l’indice, concentrandosi per trasmettere il messaggio al Rifugio. Erano stati privati tutti e quattro delle bacchette magiche e fu difficile fare l’incantesimo utilizzando solo la volontà, ma alla fine, la frase - sintetica ed essenziale - si compose senza errori:

 

Missione fallita.

Il passaggio non è più sicuro.

 

Continua…

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 - Nemici ***


Lost Memories - Capitolo 19

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Sono in mega-ritardo, ma in compenso ho fatto un breve riassunto dei fatti, in modo da rendervi meno fastidiosa l'attesa e un po’ più agevole la lettura.

 

Riassunto – superveloce - dei capitoli precedenti (1-18)

Sono trascorsi due anni dalla Seconda Battaglia di Hogwarts, durante i quali Harry, Ron e Hermione hanno perduto la memoria. Vivono nella Londra babbana, ignari del Mondo Magico, finché Malfoy contatta Hermione e, mostrandole un diario magico, le fa recuperare la memoria. Tornata consapevole delle proprie origini, Hermione scende a patti con il Serpeverde: lo aiuterà a riappropriarsi dei propri poteri magici ma lui dovrà fornirle una bacchetta magica. Pur di non prestarle la sua, Draco conduce Hermione, usando la Passaporta nascosta in un ritratto di Narcissa, ad un rifugio abbarbicato fra i monti di Hogwarts creato dai Malfoy per proteggerlo.

Scoprendo insieme a Malfoy la situazione di degrado in cui versa Hogwarts nelle mani dei Mangiamorte, Hermione capisce che il ragazzo, come lei, è profondamente legato alla Scuola e soffre, a modo suo, per la condizione in cui si trova. Dal Rifugio i due ragazzi riescono a raggiungere la Stanza delle Necessità grazie ad una seconda Passaporta nascosta in una Ricordella. Nella Stanza, Malfoy viene colto dal panico e i due sono costretti a rientrare a Londra appena Hermione trova una bacchetta magica.

Nel frattempo, Harry trascorre la notte insieme a Ginny, con la quale ha iniziato una relazione. Tuttavia, l’idillio fra i due appare breve: Ron, infatti, scopre che Ginny è l’autrice del furto al quale lui ed Harry stanno lavorando da tempo. Ha appena il tempo di avvisare l’amico, che viene aggredito e trasportato da George, insieme alla refurtiva, al nascondiglio dell’Esercito di Silente.

Ginny deve correre ai ripari: invia un messaggio via gufo a Neville e Luna e rimuove l’Incantesimo dalla memoria di Harry. Il ragazzo scopre così che nel Mondo Magico Voldemort è ancora vivo, ma lo è anche l’Esercito di Silente. I suoi compagni vivono da fuggiaschi fra i monti di Hogwarts e perpetrano una tenace resistenza in vista della battaglia finale, che combatteranno in nome della libertà e dei caduti, tra cui - ahimè – vi è anche la professoressa McGrannit, autrice degli incantesimi di memoria cui lui, Ron ed Hermione erano soggetti.

Dal canto suo, Ginny viene a sapere che Malfoy sta insidiando Hermione, e fra i babbani vive anche Pansy Parkinson, della quale si sa poco, se non che lavora come attrice di teatro e intrattiene rapporti con Malfoy.

Apprese queste informazioni, Ginny ritiene che Londra non sia più sicura e vuole riportare i compagni ad Hogwarts, dove Ron li sta aspettando e ha recuperato la memoria. La mattina seguente contatta Hermione e prende accordi per partire insieme la sera stessa, tuttavia, qualcosa va storto: Hermione e Draco rimangono imprigionati da un incantesimo nella Biblioteca di Villa Malfoy e dispongono di una sola via d’uscita: la Ricordella-Passaporta, che Hermione ha astutamente sottratto dal Rifugio dei Malfoy. I due ragazzi vengono catapultati, per la seconda volta, nella Stanza delle Necessità e da lì raggiungono la Testa di Porco, dove un Aberforth sospettoso li ospita per la notte. All’alba i due partono alla volta della stazione di Hogwarts e, mentre Hermione spera di trovare qualche indizio per ricongiungersi con Harry, Ron e Ginny, gli intenti di Malfoy –di nuovo in possesso dei poteri magici- sono in parte oscuri.

Intanto, Harry e Ginny arrivano al Rifugio dell’Esercito di Silente fra grandi festeggiamenti, ma l’allegria generale è presto soffocata da una terribile notizia: Zacharias, Katie, Dean e Seamus sono stati fatti prigionieri al Castello.

Occorre organizzare una missione per salvarli dalla condanna…

 

* * *

 

Non si è mai troppo prudenti nella scelta dei propri nemici.

Oscar Wilde

 

* * *

Capitolo 19 – Nemici

 

Il cielo sopra ad Hogsmeade era un’unica nube grigia e la stazione apparve, ai due ragazzi, tutta avvolta da una densa nebbiolina, sotto un nevischio che si era fatto più fitto con l’avanzare del tempo e che smorzava i toni rossastri dell’edificio.

Hermione salì con cautela sulla stretta banchina ghiacciata, il freddo penetrò impietoso tra le fessure del caldo mantello, sferzandole il viso e le mani. Draco abbandonò le rotaie per raggiungerla sul cemento. Hermione alzò lo sguardo verso di lui, osservando come le sue orme andavano rapidamente perdendosi sotto il lieve strato di neve che iniziava a depositarsi sul terreno.

Draco la superò, inoltrandosi per lo stretto percorso che si snodava dietro alla stazione.

 

Avevano percorso quella strada una volta soltanto, nove anni prima, quando Hagrid li aveva accompagnati a Hogwarts insieme agli altri studenti del primo anno, ma nessuno dei due l’aveva dimenticata.

Hermione discese il percorso dietro a Malfoy, pensosa, e ad un tratto inciampò, scivolando sul terreno bagnato. Per reggersi in piedi s’aggrappò ad al tronco di una giovane betulla prominente sul tracciato; la pianta si fletté verso il basso e dietro di essa Hermione intravide un fitto intreccio di felci e cespugli d’erica, che crescevano incolti sotto ad una volta di rampicanti e rami di vecchi pini rinsecchiti. In quella direzione il terreno era smosso e si snodava in un sentiero quasi irriconoscibile.

Le venne naturale pensare che quello fosse il posto ideale per occultare un passaggio segreto; tuttavia non s’inoltrò, preferì raggiungere Malfoy che ora la distanziava di diversi passi.

 

In breve raggiunsero il Lago Nero, le cui acque, ferme e vitree, sembravano un’immensa lastra di ossidiana; un alito gelido, innaturale, si levava dalla sua superficie.

Si nascosero nella boscaglia a pochi metri dalla riva, guardinghi.

 

Accanto alla sponda galleggiava una vecchia barca, fissata precariamente a un paletto con una corda deteriorata dal tempo.

 

Draco parlò a voce bassissima: « il Lago è sorvegliato dai Dissennatori, non possiamo usare questo passaggio. »

 

Hermione corrugò la fronte a dir poco sorpresa, chiedendosi se Malfoy aveva davvero pensato di poter raggiungere il Castello di Hogwarts in barca a remi, o se la stava prendendo in giro.

 

La conferma l’ebbe quando si voltò verso di lei e mormorò: « Adesso? »

 

Hermione svuotò i polmoni con un unico sospiro.

 

Al contrario di Malfoy, lei aveva un piano…

 

Che lui si sarebbe certamente rifiutato di seguire.

 

Le loro strade si sarebbero separate, con la differenza che lui non avrebbe saputo dove andare….

 

Ovviamente, non era il caso di preoccuparsi per la sorte di un Mangiamorte…

 

Inoltre, portarlo al Rifugio (se mai fosse riuscita a trovarlo) era terribilmente rischioso, senza contare la reazione dei ragazzi dell’Esercito…

 

La scelta più saggia era evidente, tuttavia rivelare il proprio obiettivo le costò più caro del previsto.

 

« Io intendo cercare Ron, Harry e Ginny, » disse telegrafica.

 

Lui fu sorpreso. « A Londra? » chiese in un sussurro.

 

Hermione scosse la testa ed evitò di guardarlo negli occhi: « Non si trovano più a Londra, » rispose.

 

Quell’ affermazione portò il silenzio. Un silenzio carico di riflessioni, troppo pesante per essere prolungato.

 

« Tu… cosa farai? » domandò Hermione.

 

Malfoy si strinse nel mantello e le voltò le spalle. « Non sono affari tuoi. »

 

Lei, che fino a quel momento aveva messo da parte il rancore e anche un po’ di buonsenso, s’indignò:« Guarda che se sono qui, la colpa è solo tua! Sei tu che hai chiesto il mio aiuto! » specificò.

 

« Devi aver capito male. »

 

Hermione protestò alzando il tono di voce: « Non negare l’evidenza, Malfoy, sei stato tu che - »

 

Malfoy si voltò lanciandole un’occhiata minacciosa.

 

Lei si portò una mano alla bocca: il rischio di farsi scoprire era alto. Sul Lago vagavano numerosi Dissennatori e non era escluso che qualcuno stesse perlustrando anche il bosco.

 

Malfoy parlò fra i denti: « Il mio obiettivo era recuperare i poteri magici per tornare ad Hogwarts. Siccome non avevo alternativa, ho dovuto sporcarmi con la feccia più squallida. »

 

« O forse eri consapevole di non valere un gran ché da solo, » rispose lei risentita, « se fosse stato per te ora saremmo ancora bloccati nella biblioteca! »

 

« Questo perché tu mi hai derubato! »

 

« Ti ho già detto che non ho preso il quadro di tua madre! »

 

« Non mi riferivo a quello... » disse Malfoy allungando la mano verso di lei col palmo rivolto verso l’alto. « Dammi la Passaporta, » ordinò.

 

Hermione rimase ad osservarlo inerme, le labbra socchiuse dallo stupore.

 

« L’ abbiamo usata per andare alla Stanza delle Necessità, quindi ora dovrebbe condurmi al rifugio dei miei genitori, » disse lui.

 

« E cosa pensi di poter fare dopo? » Mormorò lei, usando il sarcasmo per celare la preoccupazione. « L’idea migliore che hai avuto fin’ora è stata attraversare il Lago Nero in barca! »

 

« Quello che intendo fare non ti riguarda. »

 

« Ma da solo non puoi… »

 

La discussione era accesa, ma stavano entrambi sussurrando.

Fu soltanto il caso a far avvicinare un Dissennatore alla sponda del Lago.

Improvvisamente, i tronchi sul sentiero iniziarono a ricoprirsi di un sottile strato di ghiaccio assumendo un aspetto lugubre e avvizzito, come se qualcosa aspirasse la loro linfa vitale.

 

Il freddo strinse in una morsa le tempie dei ragazzi.

 

Malfoy sbarrò gli occhi, mentre la paura cominciava ad annebbiarli.

 

« Dammi la Passaporta! » ringhiò, « Dammela! »

 

Hermione riconobbe sul suo viso un terrore simile a quello che aveva provato nella Stanza delle Necessità.

 

« Calmati, » gli disse aprendo la borsetta, « stai perdendo il controllo. »

 

« Non sto perdendo il controllo, » ribatté lui con un acuto.

 

Aveva fretta. E paura.

 

E lei stava impiegando un’eternità per trovare la sua Passaporta…

 

Così, afferrò la sacca con un movimento nevrotico e gliela strappò di mano.

 

Lei soffocò un grido, ma ormai era troppo tardi.

 

Quel gesto aggressivo le fece sfuggire dalle dita la Ricordella che aveva appena trovato.

 

La piccola boccia di vetro scivolò fuori dalla borsa e scintillò per un ultimo istante, prima di cadere a terra e frantumarsi in mille pezzi.

 

* * *

 

I tre lunghi tavoli della sala circolare erano stati avvicinati per consentire ai membri dell’Esercito di Silente di riunirsi tutti assieme. Risultavano assenti Angelina Johnson, prossima al parto, Ginny, Luna e Dennis Canon, usciti su richiesta di Madama Chips per procurarsi un po’ di Centinodia, le cui scorte erano quasi terminate.

 

Neville, più deciso che mai, sedeva a capotavola.

Nel corso di quei due anni aveva preso il comando dell’Esercito senza quasi rendersene conto. Inizialmente era stato difficile assumersi ogni responsabilità, ma poi, le sue scelte, le sue parole, la tenacia e soprattutto il coraggio più volte dimostrati, avevano convinto tutti che non ci fosse nessun altro adatto quanto lui a coprire quel ruolo.

 

Quando vi fu silenzio parlò con profondo rammarico: « La missione è fallita e i nostri compagni sono stati catturati. »

 

La notizia gettò scompiglio lungo la tavolata. Qualcuno n'era già al corrente, ma la maggior parte dei ragazzi apprendeva del drammatico evento in quell’istante.

 

Neville chiese di nuovo, pazientemente, il silenzio.

 

« Il più delle volte le nostre incursioni si sono rivelate fallimentari, ma dopo l’Ultima Battaglia, – Neville s’interruppe con un nodo alla gola: avevano scelto quel nome non dimenticare che in quello scontro avevano perso la loro straordinaria guida, Minerva McGrannit, e un prezioso amico Lee Jordan. – le squadre sono sempre rientrate incolumi, e io temo che questo ci abbia fatto sottovalutare il pericolo… »

 

Qualcuno fece un cenno d’assenso alle sue parole; un paio di ragazze chinarono il capo colpevoli, qualcun altro commentò sottovoce con il vicino che lui - no - lui non si era mai permesso di sottovalutare il pericolo.

 

Neville riprese: « Vorrei ricordare a tutti quanti che, come noi abbiamo potuto migliorare e rafforzarci, anche Voi-Sapete-Chi ha fatto lo stesso. Non dobbiamo dimenticare la sua malvagità, né smettere di temerne potenza. Tuttavia, non rinunceremo a salvare i nostri amici. »

 

Vi fu un boato d’approvazione.

 

Harry e Ron, seduti al lato opposto del tavolo, si guardarono: pur essendo i meno preparati ad affrontare il nemico, fremevano dal desiderio di prendere parte alla missione.

 

Neville alzò la voce: « Ecco quello che faremo: partiremo domani mattina all’alba, divisi in squadre di tre persone. Attraverseremo il Lago Nero dal versante sud-est. »

 

Nella breve pausa che seguì l’affermazione un brivido sembrò attraversare la tavolata.

 

« Il versante sud-est è il più pericoloso, » obbiettò per primo Anthony Goldstein.

 

Neville era preparato a quell’osservazione: « il nostro passaggio è stato scoperto. È per questo che la squadra è stata catturata. »

 

« Ma quella parte del Lago è sorvegliata dai Dissennatori! » Commentò spaventata Lavanda Brown, che non era mai stata in missione.

 

« Tutto il Lago è sorvegliato dai Dissennatori! » la derise George Weasley atteggiandosi da veterano, « il versante sud-est è più pericoloso perché sott’acqua non abbiamo alleati. Fin’ora abbiamo potuto contare sul patto di neutralità stretto con le Sirene: ci lasciano passare senza ostacolarci. Ma a sud… non so cosa o chi si possa incontrare… A parte la piovra gigante! » concluse agitando le dita nell’aria davanti al viso di Lavanda, imitando i tentacoli di un polpo impazzito.

Lei si scostò soffocando un grido, per metà spaventata e per metà stizzita.

 

« Utilizzeremo l’incantesimo Testabolla come al solito? » Domandò Michael Corner.

 

« Sì, » rispose Neville, « e avanzeremo strisciando sul fondo. Se dovessimo incontrare ostacoli, potremo usare la magia senza destare troppi sospetti in superficie. »

 

« Capisco, » commentò George Weasley con aria da stratega, « quel lato è più buio e la costa è tutta frastagliata… ideale per nascondersi, ma… come entreremo nel Castello? È quasi impossibile risalire la scogliera… »

 

« Attraverso le Serre, » rispose Neville con prontezza, dimostrando d’aver accuratamente progettato ogni dettaglio del piano, « se ricordate, sono state distrutte durante l’Ultima Battaglia. Io ero presente: parte delle mura crollarono e si aprì una lunga frattura nel terreno che raggiunse le acque del Lago. Quella zona non era sorvegliata allora e probabilmente non lo sarà nemmeno adesso che è inutilizzabile. »

 

La sua risposta convinse buona parte dei presenti e Neville concluse: « questa volta partiremo con un equipaggiamento più pesante. La missione richiede un’accurata attività di esplorazione dato che non sappiamo dove i ragazzi sono stati imprigionati. Le squadre dovranno suddividersi le aree del Castello e passare inosservati è indispensabile. Oltre ai soliti oggetti, ognuno di noi porterà il preparato di una Pozione Polisucco della scorta di Molly (basterà aggiungere un capello per completarla) e della Metropolvere… »

 

« Ottimo. Come sono composte le squadre? »

 

Era stato Ron a parlare. L’intera tavolata si volse stupefatta verso di lui.

 

Ron s’agitò sulla sedia imbarazzato, ma con la ferma convinzione di essere fra i prescelti. Tuttavia la sua esuberanza non preoccupava Neville tanto quanto lo sguardo di Harry, fermo e denso di aspettativa: era chiaro che non s’aspettava di essere scelto, intendeva aggregarsi comunque

 

Neville non poté continuare a guardarlo e parlò al resto della tavolata: «Andremo io, George e Luna. Anthony, Alicia e Michael. Dennis, Cho e Hannah. »  Poi tacque per alcuni secondi, temendo un nuovo intervento...

 

« Verremo anche noi. »

 

Chiuse le palpebre ed inspirò profondamente: « Non credo sia una buona idea... », ribatté.

 

« Non ha importanza, » fu la caustica risposta di Harry.

 

* * *

 

Hermione Granger fissò inebetita le schegge di vetro che giacevano ai suoi piedi. Non aveva bisogno di guardare in faccia Draco Malfoy per capire quanto anch’egli fosse sconcertato: aveva letteralmente sentito il brivido che l’aveva scosso mentre la Ricordella finiva in pezzi.

 

Istintivamente, lo aggredì: « Sei soddisfatto ora? »

 

Malfoy alzò lo sguardo, il viso era piegato dalla collera.

 

Con un gesto violento le mostrò il Marchio Nero che portava sul braccio. Le parole gli graffiarono la gola: « Lo vedi? Quando mi sarò tolto questo sfregio sarò soddisfatto! »

 

Hermione sentì un nodo chiuderle la strozza, che fosse paura o pietà non ebbe il tempo di chiederselo, cercò solo di calmarlo: « Io… credo… posso provare a ripararla… calmati… » balbettò, ma non ebbe il tempo di fare nulla.

 

L’onda di freddo che li aveva spaventati un attimo prima, ora avanzava verso di loro, divorando il sottobosco.

 

« Non possiamo stare qui! » Hermione, allarmata, iniziò a risalire il sentiero di corsa.

 

Malfoy la seguì.

 

Il terreno fangoso s’impastava sotto i loro piedi, ostacolando il loro rumoroso incedere, mentre la morsa gelida del Dissennatore s’avvicinava rapidamente.

 

« Di qua, » bisbigliò Hermione strattonando Draco per il mantello, riconoscendo ad un tratto il passaggio intravisto durante la discesa.

 

Malfoy sentì troppa sicurezza nella sua voce e si bloccò: « Non vengo con te. »

 

Hermione non seppe spiegarsi perché quella reazione, tutto sommato prevista, generasse in lei tanta irritazione.

 

« Non essere ottuso, Malfoy! Dobbiamo solo… »

 

« Fare cosa? Raggiungere i tuoi amichetti nascosti come fuggiaschi in qualche grotta fra le montagne? Non ho nessuna intenzione di unirmi a loro! »

 

Hermione si sentì ribollire.

 

La causa era nello stolido orgoglio del Serpeverde che, pur col nemico alle calcagna, non gli consentiva di accettare per la seconda volta un aiuto marcato Grifondoro.

 

« “Hogwarts non sarebbe nulla senza di noi… siamo tutti parte di questo mondo”… sono parole tue… o le hai dimenticate? » gli rinfacciò, «  Sei un immaturo, Malfoy, troppo borioso per accettare di farsi aiutare! »

 

« Non certo dal tuo lurido sangue sporco e da un mucchio di Grifondoro inetti e babbanofili! »

 

Hermione andò su tutte le furie.

 

Con il fiato del Dissennatore sul collo si voltò verso di lui e piantò gli occhi inferociti nei suoi.

 

« Peccato, perché come hai detto tu: ti sei già sporcato le mani! Decidi contro chi vuoi combattere, Malfoy: il Signore Oscuro o Harry Potter? » Gridò, ma era talmente arrabbiata che non se ne accorse.

 

Malfoy sibilò spaventato: « Stupida, taci! » mentre alle loro spalle i rami di una betulla si spezzarono scricchiolando e il sentiero apparve come un’unica lastra di ghiaccio.

 

Hermione abbassò il tono di voce, ma non lo sguardo: « A differenza di te, Malfoy, io so perfettamente chi è il mio nemico! » Berciò fra i denti mentre estraeva la bacchetta magica.

 

Pronunciando Incantesimi Essiccanti ed Obliteranti, la puntò prima verso se stessa, poi contro di lui ed infine sul terreno.

 

« Ma che cosa fai? » protestò Malfoy infastidito, tastandosi il mantello asciutto.

 

Lei lo afferrò per un braccio e lo tirò dentro al sentiero.

 

« Cancello le tracce, ovviamente! Muoviti! » Ordinò spingendolo davanti a sé.

 

Poi entrambi si misero a correre lungo un invisibile rotta, incespicando tra i cespugli, incuranti delle sferzate che i rami più sottili degli alberi spogli lasciavano sulla pelle del viso.

 

L’unico pensiero era rivolto al nemico che si avvicinava ad una velocità insostenibile.

 

Il fiato cominciò a farsi corto, ma davanti a loro si estendeva un groviglio di rampicanti oltre il quale avrebbero potuto nascondersi con facilità.

 

Senza riflettere, si precipitarono contro la ragnatela di rami e foglie…

 

Finendo a sbattere dolorosamente contro un ostacolo duro ed invisibile.

 

Il fracasso dell’urto attirò l’attenzione del Dissennatore.

 

Pochi istanti per attutire il colpo ed entrambi i ragazzi infilarono le mani fra il garbuglio di foglie e spine, strappando e tirando, finché, sotto i palmi delle loro mani, umide assi di legno rivelarono la presenza di una porta serrata.

 

Tastarono invano tutt’intorno, alla ricerca di un passaggio o di un nascondiglio.

 

Malfoy imprecò.

 

Erano in trappola e il Dissennatore li stava raggiungendo. Potevano capirlo dalla morsa di gelo che riempiva i loro polmoni ad ogni respiro.

 

Fu allora che Hermione volse la schiena a Malfoy e alla porta puntando la bacchetta davanti a sé.

 

« Apri quella porta, » ordinò, « al Dissennatore ci penso io! »

 

E subito dopo ricordò l’ultima conversazione che aveva avuto con Ginny, quando aveva espresso tutti i suoi timori:“ Potrei non riuscire più ad evocare un Incanto Patronus o lanciare uno Schiantesimo… ”

Non ci crederei nemmeno se lo vedessi, ” aveva risposto Ginny…

 

Malfoy la guardò, sorpreso e dubbioso allo stesso tempo: stretta nel proprio mantello, con i piedi divaricati ben saldi a terra e il braccio teso in avanti, era decisa a difendersi, ma le sue spalle tremavano lievemente.

 

Si domandò se davvero fosse in grado di fermare un Dissennatore.

 

Se stesse agendo d’istinto o per un calcolo ponderato.

 

Se avesse paura.

 

E, solo per un istante, si chiese perché stava facendo tutto quello per lui…

 

Poi uno strillo isterico di lei gli ricordò il proprio compito.

 

Malfoy si voltò di scatto verso la porta: « Alohomora! »

 

Non accadde nulla.

 

Provò di nuovo, più volte.

 

« Sbrigati! » Intimò lei.

 

« È impossibile! Serve una parola d’ordine! »

 

Malfoy si guardò le spalle e vide il mantello scuro del nemico fermarsi davanti all’ingresso del sentiero che avevano percorso.

 

Hermione ora tremava in modo evidente.

Era passato troppo tempo dall’ultima volta che si era difesa da un Dissennatore, e faticava a cercare un pensiero felice e ragionare contemporaneamente.

 

« Prova… prova con “Albus”… » suggerì.

 

Non funzionò.

 

Cominciò allora a sfoderare raffiche di parole; “deve centrare con l’Esercito!”, si diceva mentre Malfoy ripeteva insistentemente che non avevano alcun effetto.

 

Il gelo raggiunse le caviglie dei due ragazzi, ed entrò in loro con violenza, soffocandone i respiri.

 

Malfoy strillò come un bambino e lei si decise a rischiare.

 

« Expecto Patronum! » Gridò.

 

L’incantesimo funzionò, anche se non riuscì perfetto come avrebbe voluto.

Una lontra argentea dalla forma non completamente definita sgusciò fuori dalla sua bacchetta, librandosi nell’aria e mettendo in fuga il Dissennatore.

 

Malfoy stava ancora guardando sbalordito l’animale allontanarsi in una scia cristallina quando Hermione, ora libera dalla tensione, ebbe una folgorazione: « Butterfly! » Gli gridò.

 

« Che cosa? » borbottò Malfoy.

 

« La parola è Butterfly! » Ripeté lei.

 

E la porta magica, sorprendentemente, si aprì.

 

I due si precipitarono all’interno, terrorizzati all’idea che altri Dissennatori li raggiungessero.

 

Scontrandosi per avere la precedenza, inciamparono e caddero l’una sull’altro. Malfoy graffiò il terreno nel tentativo di alzarsi, Hermione s’aggrappò ai suoi abiti.

 

La porta si richiuse dietro di loro prima che riuscissero a mettersi in piedi.

 

* * *

Continua…

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 - Il Mantello dell'Invisibilità ***


Capitolo 20 - Il Mantello dell'Invisibilità

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Il fratello più giovane era il più umile e anche il più saggio dei tre, e non si fidava della Morte. Perciò chiese qualcosa che gli permettesse di andarsene senza essere seguito da lei. E la Morte, con estrema riluttanza, gli consegnò il proprio Mantello dell’Invisibilità.

 

J. K. Rowling, Harry Potter e i Doni della Morte

 

* * *

 

Capitolo 20 – Il Mantello dell’Invisibilità

 

Avevano camminato a lungo nel buio attraverso un passaggio stretto, in salita, umido e dissestato. Apparentemente senza fine. Poi era apparsa una debole luce che era stata una vera e propria iniezione di energia; aveva cancellato la fatica e aveva dato loro la forza per correre all’esterno, a respirare l’aria fredda dell’inverno.

L’euforia sfumò in delusione pochi istanti dopo, quando entrambi realizzarono d’essere ancora in mezzo al bosco, all’ingresso di una piccola radura distesa lungo il pendio di una montagna, imbiancata dalla neve e immersa in un profondo silenzio.

Alle loro spalle, il passaggio si era richiuso mimetizzandosi in un groviglio di edera e foglie secche.

 

Hermione, amareggiata e avvilita, sentì la stanchezza piegarle le gambe e appesantirle il respiro. Cercò un appoggio e lo trovò nel tronco umido di una betulla. Scivolò lentamente contro di esso, sedendosi ai suoi piedi, su una pietra ricoperta di muschio.

 

Draco si chiuse in un silenzio nervoso e cominciò a percorrere lo spiazzo aperto da una parte all’altra, fermandosi più volte a scrutare il paesaggio a valle, dove troneggiava, in tutta la sua decadente maestosità, il Castello di Hogwarts.

Più che deluso, era contrariato: erano finiti esattamente sul versante opposto a quello che ospitava il rifugio costruito dai suoi genitori.

 

Terribilmente lontano da “casa”.

 

Hermione estrasse dalla propria borsa un po’ di cibo e glielo offrì. Lui rifiutò con un cenno sprezzante, preferendo sostare in silenzio nel mezzo di quel fazzoletto di terra rada, col capo scoperto e la neve che gli cadeva fra i capelli.

 

Lei non mangiò molto, solo qualche boccone mentre rifletteva.

Si era convinta che il passaggio segreto appartenesse all’Esercito di Silente, e questo offriva due possibilità: o era stato abbandonato, o in quell’area desolata si nascondeva un secondo passaggio. Ripose il cibo nella borsetta, rammaricandosi di non avere con sé qualche oggetto magico piuttosto che un inutile telefono cellulare.

Si alzò e iniziò a esplorare il piccolo spiazzo, nel quale spiccava una grossa roccia tondeggiante. Prestando attenzione a non scivolare sulla neve, vi salì sopra e s’accorse che da quel punto poteva controllare l’intera vallata.

 

Malfoy si era allontanato inoltrandosi nel bosco e lei si ritrovò sola, a contemplare le rovine della Scuola di Magia e a combattere contro l’amarezza dei ricordi che si fondeva con la recente delusione.

 

All’improvviso, uno scalpiccio ruppe il profondo silenzio.

 

Hermione si voltò e socchiuse le labbra, ma lo stupore la zittì.

 

Avvolta in un mantello verde oliva, con un buffo cappuccio dal quale scendevano rami d’edera in fiore, aveva di fronte Luna Lovegood. Un sorriso colmo di gioia le allargava le labbra.

 

«Hermione! » esclamò.

 

Non aveva idea di quando fosse arrivata, né da dove provenisse, ma non perse tempo a chiederselo. Le corse incontro e l’abbracciò, senza riuscire a pronunciare una sola parola.

 

Quando si separò, con gli occhi che diventavano lucidi, ebbe una nuova sorpresa.

 

«Hermione! C-com’è possibile?! » balbettava Ginny Weasley, pochi passi più indietro, fissandola attonita come se avesse una visione. «Sarei venuta a prenderti oggi… a Londra… Ma come… come hai fatto a… »

 

Lei fu lusingata da quello stupore che, di fatto, lodava le proprie capacità: «Oh, non è stato semplice – spiegò - siamo arrivati alla Testa di Porco usando… »

 

«Granger! Sarà meglio che trovi il modo di tornare indietro o… »

 

Draco Malfoy, irritato più che mai, fece capolino dal bosco.

 

Ginny e Luna s’irrigidirono.

 

Hermione trattenne il fiato mentre il ragazzo trasformava la sua espressione da bizzosa a sorpresa, a ostile.

 

Un duro silenzio scese fra loro insieme alla neve, che lenta e instancabile aveva ormai ricoperto il terreno.

 

Se da un lato Luna si stava arrovellando per spiegarsi la presenza di Malfoy tra quelle montagne, dall’altro Ginny aveva il volto in fiamme, perché sospettava che l’avesse accompagnato Hermione.

 

«L’hai portato tu? » domandò fra i denti.

 

Hermione mise in campo la propria diplomazia: «Non ho potuto raggiungerti all’appuntamento perché un incantesimo mi ha bloccato nella sua biblioteca. L’unica soluzione che avevo era utilizzare una Passaporta per la Stanza delle Necessità, ma ho dovuto portare anche lui. » Disse indicando Malfoy come se fosse un oggetto.

 

Lui aprì la bocca per ricordarle che la Passaporta era di sua proprietà e lei l’aveva ormai distrutta, ma a nessuna delle ragazze interessavano le sue parole.

 

Ginny lo squadrò diffidente mentre Luna si sfilò dall’orecchio la bacchetta magica e la strinse saldamente in mano.

 

«Ti rendi conto che ora lui conosce un modo per raggiungere il nostro nascondiglio? » sgridò Ginny. Era furiosa. Hermione poteva a capirla, tuttavia le fece notare che quella radura era deserta e nemmeno lei aveva idea di dove cercare il Rifugio.

 

«Mi stupisco di te! » si ribellò Ginny, «non puoi aver dimenticato che si tratta di un Serpeverde! »

 

«Un Magiamorte, » precisò Luna candidamente.

 

A quell’affermazione Ginny sentì un brivido scenderle lungo la schiena. «Non può stare qui,» disse categorica.

 

«In ogni caso dovrà dimenticare la strada… » concluse Luna e, puntando la bacchetta verso di lui, sussurrò: « Oblivion. »

 

Malfoy rimase alcuni istanti impietrito, come folgorato, per poi voltarsi verso Hermione.

 

«Che… che cosa sta succedendo? »

 

Aveva dimenticato tutto: da quando lui ed Hermione erano rimasti bloccati nella biblioteca, fino a pochi istanti prima.

 

Era imbestialito, ma nessuno lo considerò.

 

«Vieni, andiamo al Rifugio. » disse Ginny a Hermione.

 

Lei fece un passo, poi si fermò. «E lui… Dove andrà?» chiese con un filo di voce.

 

«Rimarrà qui. Sorvegliato. »

 

«Ma… »

 

« La priorità è proteggere l’Esercito. E anche lui ci guadagna, credimi… » ironizzò Ginny, « ci sono diverse persone, al Rifugio, che fremono all’idea d’incontrarlo… »

 

* * *

 

Incanto Fidelius!

 

Hermione era delusa da se stessa.

 

Come aveva fatto a non pensarci?

 

L’Esercito di Silente si nascondeva a pochi passi dalla radura nella quale lei e Malfoy erano arrivati, protetto dal complesso incantesimo. Come Luna le aveva spiegato, la McGrannit era stata a lungo il Custode Segreto, poi tutti loro avevano ereditato quel compito, come un patto solenne che li legava in modo indissolubile.

 

All’inizio Ginny aveva provato un po’ di riluttanza all’idea di condividere l’informazione con Hermione, ma aveva accantonato l’eccessiva diffidenza in nome della loro amicizia. Luna invece era serena, perché l’istinto le suggeriva fiducia.

 

Hermione seguì le amiche avanzando, ammirata, verso il Rifugio. Sapeva che nessuno avrebbe potuto trovare quel luogo senza conoscerne il Segreto, tuttavia rimase ulteriormente sorpresa scoprendo che il grande portone d’ingresso era protetto da altri incantesimi.

Quando le tre ragazze giunsero alla grande sala circolare, non trovarono molte persone a riceverle, ma ben presto la notizia dell’arrivo di Hermione si diffuse e l’intero Esercito si radunò per accoglierla. Come Harry, anche a lei ricevette un trattamento da eroina, a dimostrazione del rispetto che tutti avevano continuato a nutrire nei suoi confronti, nonostante la sua lunga assenza.

 

Saggiamente, Ginny e Luna si astennero dal menzionare Draco Malfoy: quella era un’informazione da manovrare con cura, da diluire in piccole dosi o si sarebbe trasformata in veleno.

 

Hermione si lasciò salutare e abbracciare, ma tutto quel calore contribuì soltanto a stringere il nodo che aveva in gola: il piedistallo su cui l’avevano innalzata era fragile come cristallo e poteva spezzarsi da un momento all’altro, facendola precipitare nel baratro dei traditori…

 

La stretta divenne ancora più dolorosa quando si trovò davanti a Harry e Ron.

 

Harry le chiese cos’era successo e perché aveva tardato a raggiungerli, ma lei non riuscì a rispondere perché Ron le saltò letteralmente addosso sciorinando una marea di scuse. Diceva d’aver recuperato la memoria e ora capiva quello lei aveva cercato di dirgli.

 

Gli occhi le si colmarono di lacrime.

 

Avrebbe voluto abbracciarlo stretto, ma lui l’afferrò per le spalle e prese a scuoterla: aveva migliaia di cose da dirle. Ripeté il proprio rammarico per non averla aiutata, e lei lo perdonò. Confessò di essersi immensamente preoccupato quando Harry era arrivato al rifugio da solo; lei arrossì, ma lui era talmente agitato che non se ne accorse e proseguì a raccontare a ruota libera, senza prendere fiato, tutto quello che gli era accaduto negli ultimi due giorni. Le descrisse il Rifugio, l’informò della missione fallita e del piano di Neville per salvare i loro compagni.

 

Non parlò d’altro e lei non riuscì a chiedere nulla.

 

Un po’ per imbarazzo, e un po’ perché sapeva che non sarebbero bastati pochi minuti per chiarirsi.

 

Perché il tempo e il silenzio cambiano le persone, ne modellano l’anima come l’acqua corrente leviga la pietra, e il rischio è di fermarsi a rimpiangere le schegge perdute, dimenticando di apprezzare la bellezza di una nuova forma.

 

* * *

 

Con il calare della sera fra i monti di Hogwarts aveva smesso di nevicare. Nella valle silenziosa, il Lago e il Castello apparivano lugubri e gelidi. Al centro della radura, sotto la debole luce lunare che filtrava attraverso una coltre di nubi, Draco Malfoy sedeva meditabondo sulla roccia da ore, incurante del freddo e dell’oscurità. Con le ginocchia raccolte al petto e i gomiti appoggiati su di esse, premeva i palmi delle mani contro le tempie e rimuginava.

 

Non aveva la più pallida idea di come fosse arrivato da quelle parti.

 

L’unica cosa che sapeva era di trovarsi sul versante opposto a dove avrebbe voluto essere.

 

Il suo ricordo più recente lo raffigurava, con Hermione, alla Testa di Porco.

Poi era come se un buco nero avesse risucchiato i momenti successivi, fino a quando Luna Lovegood aveva puntato contro di lui la bacchetta e aveva cancellato i suoi ricordi.

 

Un vuoto di ore…

 

Giorni, forse.

 

Era stato davvero sprovveduto a non prevedere quella mossa che aveva consentito all’insulso trio di fare di lui un facile prigioniero, per poi sparire sotto i suoi occhi.

 

“Andiamo al rifugio, ci penserà Dennis a sorvegliarlo”, aveva detto la piattola Weasley. Ma…
 
Chi cavolo era Dennis?

 

Non aveva nemmeno fatto in tempo a chiederselo che un ragazzino emaciato, con sguardo ingenuo e capelli color topo, era spuntato dal bosco e aveva cominciato a sorvegliarlo con atteggiamento superiore; senza staccargli gli occhi di dosso, come se avesse potuto scomparire da un istante all’altro…

 

Malfoy era sicuro che, se l’avesse voluto, avrebbe potuto allontanarsi in qualsiasi momento: prendersi gioco dell’idiota che lo stava sorvegliando era fin troppo facile.

 

Disarmarlo. Zittirlo. Incarcerarlo. Scappare

 

Ma dove?

 

Per quanto orribile, l’alternativa era più conveniente. Le pietose streghe gli avevano persino fornito una tenda nella quale passare la notte, un po’ di cibo e coperte.

 

Inoltre, se non si era mosso da lì era solo perché doveva fare qualcosa di più importante: recuperare i propri ricordi.

 

E per farlo, aveva già un piano.

 

* * *

« Che cosa?! »

 

Ginny cacciò un urlo che fece rizzare i capelli a tutti i presenti nella piccola stanza: Neville, Harry, Ron, Hermione e Luna.

 

« Io non ci penso nemmeno a starmene qui con le mani in mano! » protestò accaldata. Trovava assurdo, quasi offensivo, che Neville avesse deciso di tagliarla fuori dalla missione di salvataggio… E con che scusa, poi! Affiancare sua madre e Madama Chips durante il parto di Angelina!

 

Una cosa ridicola.

 

« Sarei inutile qui, Neville, » si lamentò agitando una mano nell’aria, i suoi capelli rossi erano un tutt’uno con il viso in fiamme, « e poi… mia madre ha abbastanza esperienza per tutti quanti, non credi? » aggiunse sarcastica.

 

Harry osservò l’orgoglio con cui si batteva: una grinta che non aveva dimenticato, ma che ora la rendeva straordinariamente bella. Non immaginava d’essere lui stesso causa della furia che le arrossava le guance. Ginny, infatti, era convinta che quell’esclusione fosse il risultato di un accordo tra lui (esageratamente protettivo) e Neville. Non aveva nemmeno lontanamente considerato d’essere stata tagliata fuori per la sua lunga assenza dall’Esercito, motivo per cui erano stati inizialmente esclusi anche Harry e Ron.

 

Neville tentò di spiegarle le proprie ragioni, smussando i dettagli con cura: « Ginny, hai faticato molto in questi giorni: hai bisogno di riposo. Inoltre, qui servirà una guida nel caso dovessimo fallire... tu sei la persona più adatta per… »

 

Lei lo interruppe ostinata: « Non falliremo. E comunque, Hannah è certamente più adatta di me ad un ruolo di comando. »

 

Neville fece per dire qualcos’altro, ma lei non lo lasciò parlare: « Vengo con voi, non provare a fermarmi: non mi serve nemmeno un compagno di squadra, sono in grado di cavarmela da sola. »

 

« Non posso lasciarti senza un compagno di squadra… »

 

« Be’, allora… »

 

« Può unirsi a Harry e Ron, sono solo in due… » Luna intervenne nella discussione senza immaginare le conseguenze della sua affermazione.

 

Hermione si fermò di respirare: nessuno le aveva detto che Harry e Ron avrebbero preso parte alla missione. Era convinta che sarebbero rimasti al rifugio per esercitarsi con lei negli incantesimi e poter raggiungere rapidamente il livello di preparazione dei compagni.

 

I pochi secondi di silenzio che seguirono l’affermazione di Luna le servirono per assimilare la notizia e volgerla a suo vantaggio: « Bene, allora andrò io con Ginny. »

 

Neville si passò una mano fra i capelli: la situazione era fuori controllo…

 

« Va bene, » si rassegnò, « ma tutte le squadre saranno composte da tre persone. Voi due andrete con Dennis; Cho starà con Harry e Ron. Hannah rimarrà al rifugio, come mio sostituto... Tra un paio d’ore ci troveremo qui per definire i dettagli della missione, » concluse.

 

Prima che uscisse dalla stanza, Ginny lo raggiunse, seguita da Luna. « Neville, aspetta. Dobbiamo parlarti… » disse lanciandosi una cupa occhiata alle spalle, « in privato. »

 

* * *

 

Il Rifugio dell’Esercito di Silente era costruito su due livelli all’interno di una grotta. Al piano superiore vi erano i dormitori, cui si accedeva attraverso una scala a chiocciola in legno di quercia, posta accanto al camino della grande sala d’ingresso a forma circolare. Appena giunti sul pianerottolo s’incontravano due piccole porticine identiche, una di fronte all’altra, con appeso al centro un quadretto ricamato, capace di cambiare forma e colore per indicare la presenza di qualcuno all’interno.

 

Il quadretto sulla porta di destra riportava la scritta “Arthur e Molly Weasley”.

In realtà, Arthur Weasley viveva a Villa Conchiglia da quasi un anno. Da quando era rimasto gravemente ferito durante un’avventata incursione al Ministero (tra l’altro, mai approvata dalla moglie) e il figlio Bill l’aveva trasportato laggiù per la lunga convalescenza. Il San Mungo, infatti, era caduto da tempo nelle mani dei Mangiamorte ed assomigliava ormai più a un luogo di tortura, che a un ospedale.

Da allora, Molly era rimasta sola.

 

Sul quadretto della porta di fronte vi era invece scritto “Madama Chips”. Una terza porta, dritto in fondo al lungo corridoio, aveva un quadretto identico che però, congelato dal tempo e dal dolore, aveva perso la facoltà di cambiare forma e colore: era la camera della Professoressa McGrannit.

 

Ginny attraversò il corridoio fino a metà poi si volse a destra e bussò alla porta a due ante del dormitorio maschile.

 

Justin aprì e lei domandò subito di Harry. Il ragazzo abbozzò un sorriso malizioso e richiuse. Pochi istanti dopo Harry Potter s’affacciò seminudo sulla soglia. Alle sue spalle era tutto un ridacchiare ed un confabulare, ma Ginny non gli diede alcun peso.

 

« Puoi uscire un momento? » domandò.

 

Harry, decisamente meno bravo ad ignorare i commenti dei compagni, borbottò un “sì” imbarazzato e sgattaiolò fuori dalla stanza richiudendo alla svelta la porta dietro di sé.

 

Si allontanarono di alcuni passi, poi Ginny lo guardò negli occhi: « devo parlarti. »

 

Harry fece un cenno del capo ed incrociò le braccia sul petto, sfregandosi le mani sulla pelle.

 

« Che cosa c’è, ti vergogni? » lo provocò Ginny. Lui arrossì di colpo: « Fa freddo, » si giustificò.

 

Lei sorrise, ma si fece subito seria: « C’è una cosa che non ti ho detto, » cominciò, « che non ho detto a nessuno, a dire il vero…»

 

« Di cosa si tratta? »

 

« Ricordi il quadro di Dexter Fortebraccio che ho rubato all’avvocato…»

 

Harry annuì.

 

« Non ti sei mai chiesto come ho fatto ad eludere la sorveglianza e rubarlo? »

 

Harry Potter spalancò gli occhi: aveva smesso di pensare al caso McKenzie da un pezzo. In effetti non tutto era stato spiegato, ma quello per lui era diventato un problema insignificante ed era strano che Ginny ne volesse parlare.

 

« No, » rispose, « però, ora che ci penso, potresti aver utilizzato un Incantesimo di Disillusione…»

 

« Sì, avrei potuto, » ribatté lei, « ma in realtà ho usato una Pozione Polisucco per assumere le sembianze di una babbana, poi mi sono nascosta con questo, » disse porgendogli un quadretto di tessuto ripiegato con cura.

 

A Harry balzò il cuore in gola per l’emozione: era il Mantello dell’Invisibilità!

 

« Ginny…. » riuscì appena a balbettare.

 

« Me lo ha dato la McGrannit dopo avervi nascosto a Londra, » iniziò lei, ma per riuscire a continuare dovette prendere un profondo respiro, « mi disse di custodirlo con la stessa cura con cui avrei dovuto celare il vostro segreto, e così ho fatto. Intendevo restituirtelo al più presto, ma è passato molto tempo e… l’ho usato senza il tuo permesso. Scusami. »

 

Harry alzò le spalle per dirle che avrebbe potuto servirsi del Mantello altre mille volte, e che era lui a doverla ringraziare. « Credevo che fosse perduto per sempre, » mormorò.

 

« Prendilo, » disse lei mettendoglielo in mano, « potrebbe servirti per la missione. »

 

« È meglio che lo tenga tu, » insistette lui protettivo, « io posso arrangiarmi. »

 

Ginny respinse risoluta l’offerta: « Ho imparato a cavarmela meglio di quanto tu creda. Non sottovalutarmi. E non sottovalutare Tu-Sai-Chi: è diventato ancora più potente. »

 

« Non l’ho mai sottovalutato, » ribatté Harry cupo, « ma io sono l’unico che può… »

 

Ginny non lo lasciò finire: « È per questo che devi tenere tu il Mantello. »

 

Lui, testardo, insistette ancora, ma Ginny lo zittì. « Ho un’altra cosa che ti appartiene, » annunciò.

Harry la guardò curioso. Non immaginava cos’altro potesse nascondere Ginny nella mano sinistra che teneva dietro la schiena; quando lei glielo mostrò, perse la voce.

Era una piccola bisaccia di stoffa.

 

« In piena Battaglia, dopo la tua scomparsa, ho raggiunto Hagrid per cercare di capire quello che stava accadendo, e lui teneva in mano questo sacchetto; ha detto che ti era caduto, » spiegò Ginny, poi infilò una mano nella custodia ed estrasse la sua bacchetta magica, con il nucleo in piuma di fenice, irrimediabilmente spezzata, « mi dispiace, era così e non c’è stato modo di ripararla. »

 

Lui lo ricordava fin troppo bene. Commosso, prese la bacchetta con delicatezza, quasi fosse di cristallo, e la ripose nella custodia.

Colmo di gratitudine, avrebbe voluto saltare al collo di Ginny e stringerla forte, ma riuscì solo a guardarla attraverso gli occhi lucidi.

 

Era davvero straordinaria.

 

« Perdonami, » mormorò.

 

Ginny lo scrutò, interrogativa. « Per cosa? » chiese dolcemente.

 

« D’essere mancato per tanto tempo. »

 

Lei sollevò le spalle e sorrise comprensiva. « Non devi scusarti. Non è stata una tua scelta. »

 

Lui continuò, afflitto: « Mi dispiace di non aver combattuto insieme a voi e di non esserti stato vicino. »

 

« Ci siamo visti quasi tutti i giorni » sdrammatizzò lei.

 

« Ma io… non ero io. »

 

« Non importa, » asserì Ginny, ma in realtà era felice d’essersi gettata alle spalle quel periodo così difficile, lontano da Hogwarts e dal cuore di Harry, « mi hai voluto bene ugualmente, e questa è la cosa più importante. Significa che… - tossì imbarazzata, le guance s’imporporarono - … che il nostro legame è forte. »

 

Questa volta fu Harry a sorridere. « Il nostro legame è forte, » ripeté, « ma se siamo noi stessi, e mille volte meglio. »

 

Poi s’avvicinò, le prese una ciocca di capelli fra le mani e le accarezzò il viso.

 

« Ti amo, » disse in un timido sussurro.

 

«Oh Harry!»

 

Ginny, emozionata, gli gettò le braccia al collo e lo baciò.

 

Una, due, tre volte,… facendolo indietreggiare fino a sbattere contro la porta alle sue spalle.

 

E mentre lui le cingeva la vita con un braccio e con l’altra mano si sistemava gli occhiali, lei tirò fuori la bacchetta magica.

 

« Alohomora »

 

Harry sussultò, il tono di voce allarmato. « Gi-Ginny, ma che fai? Que-questa è la stanza di Madama Chips! »

 

Lei non gli diede ascolto. Lo zittì con un altro bacio e lo spinse dentro la camera buia.

 

Lui, un po’ nervoso e un po’ eccitato, borbottò una flebile supplica tra un bacio e l’altro: «

A-almeno chiudiamo la porta… Ginny… potrebbe… arrivare… »

 

Lei sbuffò divertita e senza staccarsi dalle sue labbra puntò la bacchetta magica verso l’uscio.

 

Non si prese nemmeno la briga di parlare.

 

Colloportus.

 

* * *

 

Neville, dopo essersi ripreso dallo shock che Ginny e Luna gli avevano provocato riferendo della presenza di Malfoy, aveva deciso di comune accordo con le ragazze che fosse saggio mantenere il silenzio ancora per un po’. Sarebbe stato troppo difficile contenere le reazioni che quella notizia avrebbe creato tra i membri dell’Esercito, soprattutto in prossimità della missione. Certamente sarebbe nata una sorta diffidenza, più o meno celata, nei confronti di Hermione e… come aveva detto Ginny, non erano da escludere crisi isteriche da parte di Harry e Ron.

Tuttavia si era reso necessario avvisare Hannah Abbott: a lei Neville avrebbe affidato il comando l’indomani all’alba, nonché la responsabilità di sorvegliare il prigioniero.

 

Per questo, dopo cena, era stato assegnato proprio a Hannah il compito di raggiungere Dennis Canon, portargli l’equipaggiamento per la missione e assicurarsi che anche lui mantenesse il segreto.

 

Avvolta in un mantello scuro dal quale uscivano appena gli ultimi riccioli delle sue trecce bionde, Hannah Abbott uscì dal rifugio e attraversò guardinga la radura con lo zaino di Dennis stretto sul petto, quasi temesse un’imboscata nemica.

Se Neville non l’avesse avvisata per tempo, la figura di Draco Malfoy seduta sulla grande pietra le sarebbe sembrata un’allucinazione.

Nonostante una tenda calda pronta ad accoglierlo al limite della radura, il ragazzo si ostinava a starsene al freddo. Apparentemente assorto nei propri pensieri, era in realtà più che mai vigile e sospettoso, per questo notò immediatamente la figura scura che gli stava passando davanti e raggiungeva il suo sorvegliante porgendogli uno zaino. Il passo veloce e circospetto di Hannah, il fitto bisbigliare che scambiava col compagno e le rapide occhiate che i due continuavano a dirigere verso di lui lo incuriosirono come non mai.

 

Così aguzzò lo sguardo sotto la luce lunare e rizzò le orecchie.

 

Nonostante il profondo silenzio, spezzato soltanto dai rari stridii dei rapaci notturni, origliare la conversazione era quasi impossibile poiché i due ragazzi confabulavano sottovoce. Allora scivolò lentamente lungo la pietra e s’incamminò con passo felpato in direzione della tenda, che era collocata più vicino ai due ragazzi. Man mano che s’avvicinava, aumentavano le parole che riusciva a distinguere… “missione”, “castello”, “Lago Nero”, “Testabolla”…

A pochi passi dalla tenda colse una frase quasi completa di Dennis Canon: « Domani mattina all’alba mi farò trovare laggiù, davanti al passaggio… » aveva detto facendo un cenno con la testa alle proprie spalle. Malfoy spostò lo sguardo in quella direzione e vide che sul bordo della radura s’apriva un piccolo sentiero.

La figura ammanta disse qualcos’altro e porse lo zaino a Dennis, che lo aprì.

Malfoy udì chiaramente la parola “pesante”… Poi, per pochi istanti, la voce femminile divenne abbastanza chiara: « Abbiamo aggiunto del preparato per la Polisucco, della Metropolvere, diverse pozioni corroboranti.Ah, dimenticavo: sei in squadra con Ginny ed Hermione. Vuoi che ti dia il cambio di guardia? Così puoi riposare… » domandò premurosa.

 

« Non preoccuparti, me la caverò, » ringraziò Dennis rifiutando la proposta d’aiuto di Hannah, e per puro scrupolo alzò gli occhi verso il centro della radura.

 

Quasi gli prese un colpo: il prigioniero era sparito!

 

Allarmato seguì con lo sguardo la scia di orme fresche nella neve e tirò un sospiro di sollievo quando vide il Serpeverde, stretto nel proprio mantello, che entrava sornione nella tenda.

 

* * *

 

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 - Pensieri ***


Capitolo 21 - Pensieri

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Entrerò nei tuoi pensieri di una notte che non dormi,
e sentirai freddo dentro…

Raf, Non è mai un errore

 

* * *

 

Capitolo 21 – Pensieri

 

Ron, entrato in cucina per fare un ultimo spuntino serale, fu interrotto da Molly prima che potesse aprire la dispensa. Fu visibilmente sollevato quando capì che sua madre non intendeva rimproverarlo, ma consegnarli qualcosa.

 

« Ti ho portato un pigiama per questa sera, » disse Molly porgendogli un abito ripiegato; Ron aggrottò la fronte, preoccupato dai giganteschi pois giallo limone che ne decoravano il tessuto.

 

« Ma dai, mamma, è orribile! » protestò.

 

Molly si rabbuiò: « Non fare storie, Ron, sei arrivato qui all’improvviso, non ho potuto procurarmi di meglio. »

 

Ron insistette: « Posso fare senza. »

 

« Fa freddo, non ti vorrai ammalare prima di andare in missione! » lo rimbeccò la madre.

 

Ron tagliò corto (con sua madre era inutile discutere) e, sbuffando forte, prese il pigiama.

 

« Prendi anche questa, » disse Molly, improvvisamente triste, porgendogli una bacchetta magica che a Ron parve famigliare.

 

« Non siamo riusciti a recuperare la tua, » spiegò Molly, « così… ecco… ho pensato che potresti  usare quella di tuo fratello… »

 

Ron guardò il bastoncino e sentì una stretta al cuore: era la bacchetta di Fred.

 

Poi vide che sua madre aveva gli occhi lucidi e combatteva contro le lacrime incipienti.

 

L’abbracciò.

 

« Grazie, mamma. »

 

* * *

 

Draco Malfoy non pensava di riuscire a violare la mente di Hermione Granger al primo tentativo. Probabilmente, lei stava dormendo.

Entrando, venne travolto da una miriade di emozioni.

Ansie, timori, palpitazioni, euforie s’intrecciavano davanti a lui senza logica apparente. Mise in campo tutta la propria abilità di Legilimens per ignorarle: batticuori e trepidazioni non gli interessavano, cercava i propri ricordi.

 

Gli erano stati sottratti con l’inganno e nello stesso modo intendeva riprenderseli.

 

Il primo ricordo di Hermione che trovò riguardava un loro incontro presso la sua Villa londinese: l’aveva invitata a entrare nel suo studio e lei esitava sulla porta. L’ arredamento della stanza era impreciso e nebuloso, le emozioni prevalevano sui dettagli; un pensiero, in particolare, lo turbò.

 

S’allontanò di riflesso, come se scottasse.

 

Era la sua immagine vista attraverso gli occhi di lei, coperti da un velo di timore e ammirazione.

 

L’imbarazzo era tangibile.

 

A quell’epoca, Hermione era ancora soggetta all’Incantesimo di Memoria e aveva provato soggezione davanti a quel ragazzo di alto lignaggio, schivo e ambiguo, dai lineamenti spigolosi e lo sguardo freddo.

 

Ne era rimasta affascinata.

 

L’aveva giudicato attraente.

 

Malfoy riusciva a crederci a stento, eppure quel pensiero non passava inosservato: etereo, galleggiava senza meta ed era l’unico a non trovare il proprio posto in quell’archivio ordinato in modo maniacale.

 

Come se per esso non esistesse una collocazione adatta.

 

Come se lei non ne avesse ancora decisa l’importanza.

 

Forse perché l’aveva formulato prima di ricordare le proprie origini, quando sapeva di lui soltanto quello che si vociferava nell’alta borghesia, quando lui non era un Mago, non era un Serpeverde, non era un Mangiamorte.

 

Quando, in pratica, non era Draco Malfoy.

 

Era proprio questo il pensiero che lo aveva scottato: Malfoy è attraente.

 

Un’informazione tutt’altro che utile alla sua ricerca, ma che egli rubò senza esitare.

 

Tuttavia - come lei - non riuscì a trovargli la giusta collocazione, e lo pose a metà fra la ragione e l’istinto.

 

Troppo imbarazzante per poter emergere alla consapevolezza.

 

Troppo pericoloso per stiparlo nell’inconscio.

 

Con in tasca quello che considerò il primo bottino della propria vile scorreria, Malfoy agganciò un secondo ricordo, più recente, che lo condusse in biblioteca.

La stanza era tappezzata da una moquette verde acqua che non ricordava affatto, ma ciò che attirò la sua attenzione era la Ricordella che brillava davanti a lui, sospesa a mezz’ aria.

 

Intuendo d’essere sulla strada giusta, s’affrettò a raggiungere l’oggetto magico, ma quello gli sfuggì per un soffio, infrangendosi a terra.

All’improvviso, una fitta nebbia gli oscurò la visuale; tutto divenne opaco, indefinito, fumoso. Porte e finestre scomparvero, i muri della stanza s’avvilupparono su se stessi, allungandosi e stringendosi, fagocitando ogni via d’uscita. Il pavimento si trasformò in fango e gli cinse le caviglie, impedendogli di muoversi.

 

Doveva andarsene. Scappare.

 

S’accorse d’avere il cuore in gola.

 

Non gli era mai capitato di avere paura esplorando la mente di qualcuno.

 

Non era paura d’essere scoperto.

 

Era paura di sprofondare in quell’etera palude.

 

Paura di avanzare, di addentrarsi in lei.

 

Paura di superare il confine e perdere la strada del ritorno.

 

* * *

 

Ron non riusciva a dormire.

 

Si era riappropriato di tutti i propri ricordi, ma con alcuni non aveva ancora fatto i conti.

Il breve incontro con sua madre lo aveva distrutto. La bacchetta magica di Fred, ora sul suo comodino, era una stilettata conficcata nel petto; continuava a sprofondare in una ferita senza fine, che mai si sarebbe suturata.

 

Quella maledetta guerra gli stava portando via tutto.

 

L’aveva privato di un fratello, del proprio passato, di cari amici e di grandi Maestri.

 

Gli aveva rubato anni di vita insieme a un po’ della sua spensieratezza.

 

E, forse, s’era presa anche un pezzetto di Hermione.

 

A mezzanotte inoltrata si rassegnò e scese al piano terra.

Si fermò sull’ultimo gradino della scala a chiocciola e sbirciò nella sala circolare per assicurarsi che non vi fosse nessuno: non aveva alcuna intenzione di farsi vedere in giro con quel ridicolo pigiama. Il debole fuoco del camino era l’unica fonte di luce e gli permise di avanzare in punta di piedi, con la convinzione d’essere solo.

Si immobilizzò al centro della stanza quando si accorse che, rannicchiata sulla poltrona di fronte al caminetto, dormiva Hermione. Allungò il collo per accertarsi che fosse davvero assopita, poi fece un paio di passi. Si bloccò di nuovo, sentendola emettere un lieve lamento e la scrutò pensieroso.

 

Distesa supina sul letto, non riusciva a dormire.

 

La stanza era troppo piccola, il calore soffocante.

 

Il buio e il silenzio erano talmente profondi che il minimo fruscio diventava motivo di allarme.

 

All’improvviso udì scattare la serratura della porta d’ingresso.

 

Il panico la colse. Il cuore pulsava così forte da farle girare la testa.

 

Udì dei passi.

 

Erano reali?

 

Doveva scoprirlo.

 

Era paralizzata dalla paura, ma fece uno sforzo enorme per allungare la mano e accendere la luce.

 

Non riuscì nemmeno a gridare.

 

Il fiato gelido di un Dissennatore le penetrò in gola.

 

Erano venuti a prenderla.

 

A rubarle l’anima.

 

Hermione si rizzò sulla poltrona e spalancò gli occhi. Le servì qualche istante per calmarsi e smettere di tremare: era stato solo un incubo.

 

Davanti a lei brillavano le braci del camino e per diversi secondi focalizzò l’attenzione su di esse, quasi avessero il potere di tranquillizzarla.

 

L’inquietudine non se ne andò del tutto, rimase la sensazione che quella rappresentazione onirica contenesse un messaggio, un avvertimento.

 

Proteggiti, Hermione.

 

Proteggi ciò che hai di più prezioso.

 

Si massaggiò le tempie, sentiva la mente affaticata come se qualcosa l’avesse tenuta impegnata anche durante il sonno.

 

All’improvviso scattò in piedi.

 

« Malfoy, » sfiatò inviperita, la fronte aggrottata, le labbra livide.

 

Ron sobbalzò sentendole pronunciare quel nome, ma lei non si accorse della sua presenza, era concentrata nell’Occludere la propria mente. Riuscì a nascondere i pensieri più importanti, ma era stanca, troppo stanca per affrontare una logorante azione difensiva.

 

Così, decise di prendere la situazione di petto: sibilò fra i denti un insulto al Serpeverde e si diresse a grandi passi verso l’uscita del Rifugio.

 

Senza farsi notare, Ron la seguì preoccupato.

 

* * *

 

George Weasley era seduto accanto ad Angelina, sul suo letto nell’infermeria. Era lì per salutarla prima di partire.

 

Lei era visibilmente contrariata: odiava non prendere parte alle missioni. In quelle condizioni si sentiva solamente un peso per tutti e questo non le piaceva affatto. George aveva cercato di consolarla con qualche battuta, ma aveva ottenuto l’ effetto contrario.

 

« Se sono costretta in questo letto, la colpa è solo tua! » disse irritata.

 

George sogghignò; poi, in uno slancio di tenerezza, le prese la mano.

 

« Quando sarà finita questa guerra, ti voglio sposare. » Lo disse ridendo, ma era sincero.

 

« Lo faresti solo per Molly... » ribatté scettica Angelina.

 

Lui scosse la testa e avvicinò le labbra al suo orecchio.

 

Non era abituato a certe smancerie, per cui parlò sottovoce: « No. Lo farò perché ti amo. »

 

Nemmeno lei era abituata e arrossì. Cercò scherzosamente di allontanarlo, ma finì per ricambiare il bacio, intenso e dolce, che lui aveva deciso di darle all’improvviso, per imprimerle bene nella testa che faceva sul serio.

 

« Tornerò in tempo per far nascere il pupo, te lo prometto! » disse spavaldo.

 

« Guarda che la data del parto è tra cinque giorni! » obiettò lei.

 

George ribatté sicuro: « Oh, ma noi concluderemo la missione in un paio di giornate al massimo! »

 

« L’unica cosa importante è che torni sano e salvo, » si raccomandò lei.

 

« Puoi giurarci! » disse lui di rimando, poi estrasse dalla tasca dei pantaloni una piccola rosellina azzurra e gliela allungò: « Tieni. »

 

« Cos’è? »

 

« Un regalo. Così non ti dimentichi di me. »

 

Lei alzò un sopracciglio con fare ironico: « Sto per partorire tuo figlio. Come faccio a dimenticarmi di te? »

 

Lui sorrise, la baciò di nuovo e la salutò.

 

« A presto » disse uscendo dalla stanza.

 

Lei gli augurò buona fortuna poi, quando chiuse la porta, guardò la rosa che le aveva regalato e si commosse.

 

Ne annusò il profumo stringendo le palpebre perché non voleva mettersi a piangere, ma ad un tratto il fiorellino iniziò a vibrare e, prima che lei potesse accorgersene, esplose in una disgustosa gelatina che schizzò ovunque, imbrattandole mani e viso.

 

“Così non ti dimentichi di me.”

 

Angelina alzò gli occhi al cielo profondamente seccata.

 

Già.

 

Come ci si può dimenticare di George Weasley?

 

Sospirando, scese dal letto con fatica e s’avvicinò al lavabo.

 

Mentre si sciacquava le mani, sentì un’inaspettata e dolorosa fitta al basso ventre. S’aggrappò al lavandino per qualche istante e strinse i denti.

 

Il dolore, inizialmente intenso, scemò rapidamente.

 

L’acqua scorreva ancora dal rubinetto aperto e lei fissò il vortice di gelatina che veniva risucchiato nello scarico.

 

All’improvviso, ebbe due certezze.

 

Che non sarebbe stato facile crescere un Weasley…

 

E che George non avrebbe mantenuto la sua promessa.

 

* * *

 

Per pochi minuti, le cupe nubi si erano diradate sopra al cielo di Hogwarts e la neve scintillava sotto la luce lunare, dando alla tranquilla radura un aspetto magico.

Dennis Canon alzò gli occhi ed assaporò quei brevi istanti di serenità, ben sapendo che il Marchio Nero sarebbe tornato presto ad oscurare la luna, sfregiando il cielo con macabri lampi verdi e richiudendo la valle in una soffocante cupola di terrore.

Nonostante il raro momento, il freddo invernale era intenso e Dennis si strinse nel mantello ritornando alla propria attività di sorveglianza. Era orgoglioso che quel compito fosse stato affidato a lui (nonostante fosse il più giovane dell’Esercito) e intendeva svolgerlo diligentemente.

 

Non aveva avuto occasione di conoscere Draco Malfoy di persona ai tempi della scuola, ma aveva sentito abbondantemente parlare di lui, per questo trovava piuttosto sospetta la rassegnazione con cui aveva accettato la propria prigionia. Inoltre, conosceva meglio di altri la malvagità dei Mangiamorte, perché aveva perduto il fratello a causa loro.

 

Scrutò pensieroso la tenda che ospitava il Serpeverde.

 

Tutto intorno era calma piatta, finché all’improvviso qualcuno spuntò dal bordo della radura…

 

Era Hermione Granger.

 

Dennis fece un cenno per salutarla da lontano, ma lei camminava così rapida e nervosa che non lo notò. In altre circostanze avrebbe fatto un secondo tentativo, ma un brivido glielo impedì.

 

Hermione si stava dirigendo dritta verso la tenda del prigioniero!

 

Dennis, cupo, avanzò qualche silenzioso passo e si nascose dietro ad un grosso albero; aggrottò la fronte, aguzzò lo sguardo e tese le orecchie.

La ragazza calpestò gli ultimi metri con furia e quando raggiunse la tenda ci s’infilò dentro, senza esitare nemmeno un secondo.

 

Se quell’immagine stupì Dennis, ciò che vide dopo lo lasciò letteralmente di sasso.

 

Ron Weasley apparve nello stesso punto da cui era arrivata Hermione: affannato, disorientato e infreddolito, con indosso solo un buffo pigiama a pois. Si guardò intorno alcuni istanti prima di notare una traccia di inequivocabili orme che si dirigevano verso una strana tenda issata al lato opposto della radura…

 

* * *

 

La tenda che ospitava Malfoy era ampia e calda, ma spoglia esattamente come una prigione. Il ragazzo se ne stava sdraiato sul letto, con scarpe e abiti ancora indosso, le braccia incrociate dietro la nuca, lo sguardo pensoso fisso nel vuoto e il viso imbronciato.

 

Quando l’ingresso si spalancò e un’ondata d’aria gelida varcò la soglia insieme a Hermione Granger, Malfoy pensò d’essere piombato in un incubo.

 

Poi lei sfoderò un secco insulto e lui capì che era realtà.

 

Balzò rapidamente in piedi, pronto a difendersi, sia a parole che coi fatti.

 

« Che cosa credevi di fare? » esplose lei agitando la bacchetta magica che teneva in mano.

 

Lui non si scompose più di tanto: « Speravo di riuscire a dormire, ma a quanto pare c’è un disgustoso incubo che mi tormenta… »

 

Lei scosse furiosamente i riccioli spettinati e fece alcuni passi avanti puntandogli la bacchetta sullo sterno: « Sai benissimo di cosa sto parlando. Se credi di poter ricostruire in quel modo i ricordi che Luna ha cancellato, scordatelo! Non provare mai più a violare i miei pensieri! »

 

Hermione era fuori di sé e Malfoy sembrava intenzionato ad esasperarla: « Puoi giurarci! Hai una mente che fa schifo, Granger, c’è puzza di babbano in ogni angolo! »

 

« Tipico di un Serpeverde! » berciò lei, « invece d’essere riconoscente dopo quello che ho fatto per te, cerchi di fregarmi! »

               

« Sono prigioniero in mezzo al nulla, Granger, non dirmi che t’aspetti dei ringraziamenti. »

 

« Seguirmi fin qui non faceva parte del nostro patto. »

 

Lui alzò un sopracciglio: « Il nostro patto, Granger? Il nostro patto? Non mi risulta che siamo soci… o possiedi un contratto con la mia firma in calce? »

 

Lei ringhiò stizzita: « Tu hai ottenuto quello che volevi: tornare a Hogwarts; e io – ora - ti chiedo solo una cosa, Malfoy: lasciami in pace! »

 

« Potrebbe dispiacerti… »

 

Lei lo fulminò con lo sguardo e una domanda le morì sulle labbra: “Che cosa intendi dire, Malfoy?”

 

Lui sembrò leggerle nuovamente nel pensiero: « E’ stato… come dire… istruttivo… scoprire che mi trovi affascinante. »

 

Quella battuta la raggelò.

 

Sul volto di lui si formò lentamente una strana espressione, che a Hermione sembrò un crudele sogghigno.

 

La frase era stata pronunciata come una provocazione, ma le parole erano ambigue: dentro di esse ne nascondevano altre, come scatole cinesi.

 

Fino a dove era arrivato esplorando la sua mente?!

 

Hermione era inorridita, l’espressione congelata.

 

Malfoy non aveva idea del perché avesse scelto proprio quelle parole (e forse avrebbe dovuto chiederselo), erano uscite spontanee come quelle di un bambino, ma la cosa importante era che l’avevano zittita. Ed era incredibilmente piacevole vederla così impietrita, con la mano destra a mezz’aria, il dito indice puntato verso di lui e le altre dita strette intorno alla bacchetta.

 

Lei boccheggiò un poco, per un tempo che le parve infinito, poi con enorme fatica parlò: « Io - »

 

Venne interrotta all’improvviso.

 

Lungi dall’immaginare cosa vi avrebbe trovato, dentro la tenda comparve Ron Weasley.

 

« Hermione! » esclamò, e poi, dopo un istante di sgomento, « Malfoy?! »

 

Hermione si girò verso di lui coi nervi a fior di pelle. Era talmente tesa che il solo voltarsi le procurò dolore.

 

Era un guaio.

 

“Non dire a Ron ed Harry di Malfoy” si era raccomandata Ginny…

 

Non si poteva più tornare indietro.

 

« Diamine, Granger, hai così paura di me che ti fai seguire da una guardia del corpo? » la derise Malfoy.

 

« Che diavolo ci fai tu qui? » sbottò Ron aggressivo, avanzando a grandi passi verso il Serpeverde.

 

Malfoy lo guardò con strafottenza: « Weasley, come sei conciato? Carnevale è ancora lontano. »

 

Ron sbuffò infuriato: era guerra aperta.

 

Hermione iniziò a temere il peggio. « Ron… » balbettò fra i denti, « mi hai seguito? »

 

Lui annuì.

 

« Va’ via, » ordinò secca, rimandando ogni spiegazione a più tardi.

 

« Non ci penso nemmeno! Non ti lascerò sola con questo - »

 

« Non avresti dovuto seguirmi! »

 

« E invece, per fortuna, l’ho fatto! »

 

« Non complicare le cose più di quanto serva, Ron! »

 

« Non sto complicando le cose, sono solo preoccupato per te! Se Malfoy ti sta ricattando o ti ha fatto del male o… Io e Harry possiamo aiutarti, vorrei che tu lo capissi! »

 

« E io vorrei che capissi che sono in grado di cavamela da sola! » sbottò lei. Poi, con espressione minacciosa piantò gli occhi in quelli di Malfoy e fece un passo verso di lui.

 

Il ragazzo vacillò impercettibilmente per l’intensità di quello sguardo, ma non abbassò il proprio.

 

« Quanto a te, » minacciò lei, « prova a rifarlo e ti lascerò a marcire fra queste montagne! »

 

E così dicendo, senza quasi rendersene conto, gli picchiettò con l’indice destro sul petto, una, due, tre volte…

 

Malfoy rabbrividì.

 

Con il dorso della propria mano colpì quella di Hermione scansandola da sé: « Non mi toccare » ringhiò.

 

Lei si ritirò immediatamente.

 

« Andiamo, Ron » disse orgogliosa, voltandogli le spalle.

 

Malfoy tirò le labbra in un ghigno. Era inutile che si nascondesse dietro quel cipiglio agguerrito, sapeva d’averla ferita: l’aveva letto a caratteri cubitali sul suo viso.

 

Lei, dal canto suo, si ritenne soddisfatta. Era sicura d’averlo umiliato con quel gesto confidenziale esibito davanti all’amico; aveva oltrepassato il limite implicitamente tracciato fra loro.

 

Ciò che entrambi ignoravano, però, era che quella brusca reazione non aveva lo scopo di proibire alla mano di lei d’infangare la pelle di un purosangue, ma d’impedire alle sue dita di sfiorargli il cuore.

 

* * *

 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 - Il Lago Nero (I parte) ***


Capitolo 22 - Il Lago Nero (I parte)

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Lost Memories continua, nonostante impegni, imprevisti e un calo d’interesse.

Il capitolo è corto, un po’ di stasi, ma necessario per porre delle premesse molto importanti.

Buona lettura!

 

* * *

 

Hai superato i confini della mappa, amico.

Qui, ci sono i mostri.

 

Dal film Pirati dei Carabi - La maledizione della prima luna

Regia di G. Verbinski

 

* * *

 

Capitolo 22 – Il Lago Nero (I parte)

 

Il cielo albeggiante sopra alla valle di Hogwarts era pieno di nuvole stratiformi che oscuravano i freddi raggi solari; pochi e sottili stralci rosa ne spezzavano il grigiore.

Tutt’intorno alla costa del Lago Nero, le nubi erano scese al suolo originando una fitta nebbiolina. Il fenomeno era frequente in inverno e, se sfruttato con sagacia, avrebbe costituito un enorme vantaggio per i ragazzi in missione.

 

Questi erano i pensieri di Neville mentre percorreva il bosco alla guida dei membri dell’Esercito.

 

Usciti dal Rifugio non avevano attraversato la radura, ma avevano imboccato un sentiero che l’aggirava poco più in alto, e si innestava all’incirca nel punto in cui Hermione e Malfoy erano giunti il giorno prima usando il passaggio segreto.

 

Proprio in corrispondenza dell’innesto, il gruppo si unì all’ultimo membro mancante: Dennis Canon. Il ragazzo si stringeva freddoloso nel mantello e aveva gli occhi stanchi per la lunga veglia notturna. I compagni lo salutarono con un roco “buongiorno”; Ginny ed Hermione lo avvicinarono per completare la squadra. Ginny gli ribadì alcuni dettagli della missione: sapeva che Dennis era stato informato dettagliatamente da Hannah Abbott la sera prima, ma quel suo aspetto assonnato non era per nulla rassicurante.

 

Dennis, dal canto suo, si limitò ad annuire e a lanciare un’occhiata fredda e sospettosa a Hermione; la quale si sentì gelare fin dentro le ossa, temendo che quella diffidenza fosse legata alla sua incursione notturna nella tenda di Malfoy: Dennis era di guardia e di certo aveva visto arrivare sia lei, sia Ron.

Per fortuna - si disse - era riuscita a convincere Ron a mantenere il segreto su quello che era accaduto (almeno temporaneamente), altrimenti quella densa tensione fra lei e il compagno di squadra, si sarebbe diffusa a macchia d’olio fra gli altri gruppi, rischiando di compromettere la missione.

 

* * *

 

Nel buio completo della cella il silenzio era spezzato soltanto dal piagnucolare sommesso ed ininterrotto di Katie Bell.

 

Nonostante fosse un lamento terribilmente fastidioso, nessuno osava chiederle di smettere.

 

Zacharias Smith era riuscito persino ad addormentarsi, raggomitolato sulla fredda pietra della prigione.

 

Dean Thomas aveva trovato una scheggia di pietra sul pavimento e la utilizzava per raschiare nervosamente in terra, sempre nello stesso punto, ma l’oscurità non gli permetteva di vedere gli sfregi biancastri che generava.

 

Seamus Finnigan, infine, stringeva tra le mani la preziosa moneta dell’Esercito che Katie gli aveva consegnato, e rifletteva.

 

Rimase di stucco quando nel buio pesto, il galeone s’illuminò fiocamente.

 

C’era una comunicazione in arrivo.

 

Seamus diede uno scossone a Zacharias che si svegliò contrariato, poi richiamò sottovoce l’attenzione di Dean e Katie, mostrando loro il messaggio: i compagni del Rifugio avvertivano che li avrebbero raggiunti e tratti in salvo di lì a poco.

 

Una nuova speranza alimentò i quattro ragazzi. All’improvviso si sentirono più forti, anche se (come fece notare Zacharias) quel salvataggio era umiliante.

 

Dean Thomas, rinvigorito, prese la parola: «Dobbiamo fare qualcosa, » disse risoluto.

« Oh, ma cosa possiamo fare? » si lamentò Katie.

 

« Se solo riuscissimo a capire dove siamo… potremmo dare delle indicazioni a Neville… »

 

Katie lo riportò alla realtà: « Ma è impossibile, ci hanno portati qui bendati(*) e ora non si vede nulla! »

 

Dopo alcuni secondi di silenzio, Seamus diede una nuova speranza: « Mentre ci trascinavano qui, ho sentito uno strano odore nell’aria… » bisbigliò.

 

« Sì, anche io. Era un profumo dolciastro… » confermò Zacharias.

 

« A me ricordava quell’odore che aveva sempre addosso la professoressa Cooman… » disse Katie in un mesto sussurro.

 

* * *

 

L’Esercito di Silente avanzava in fila indiana fra la spoglia vegetazione; Neville era in testa, Hermione in coda, dietro a Dennis e Ginny. Da quella posizione la ragazza poteva vedere chiaramente come l’incedere delle squadre fosse rapido e allo stesso tempo cauto, ne dedusse che dovevano conoscere il bosco come le loro tasche, fin nei suoi sentieri più reconditi.

Giunsero sulla sponda sud-est del Lago Nero tramite un passaggio che scendeva snodandosi fra rocce e grossi massi, districandosi fra betulle e querce dal tronco possente, ben radicate su tutto il versante. La discesa aveva richiesto discrete abilità, garantendo in cambio una copertura quasi totale.

 

In quel punto la riva del Lago aveva una piccola insenatura, coperta da un fitto roveto.

 

Il manipolo si fermò intorno alla pozza melmosa, la cui superficie era parzialmente ghiacciata. Da lì era impossibile vedere il resto della grande distesa d’acqua scura sulla quale volteggiavano minacciosi i Dissennatori, la cui presenza era dimostrata dal freddo pungente e artefatto che saliva dal terreno umido.

 

La comitiva aveva comunicato, fino a quel momento, con i gesti e così continuò Neville, ordinando a tutti di praticare l’incantesimo Testabolla e di scendere uno dopo l’altro nell’acqua.

Hermione si ricordò di quando, durante l’inverno, gli studenti venivano a pattinare sulle acque ghiacciate del Lago, e capì che tra i vantaggi offerti dalla sponda sud c’era quello di gelare più lentamente.

 

Neville doveva aver pensato anche a quello.

 

Eseguì diligentemente l’incantesimo per prima, ma fu l’ultima a scivolare sul terriccio bagnato fin dentro l’acqua. Una serie di brividi l’assalì appena s’immerse, ma cercò di non pensarci concentrandosi sui compagni che facevano strada.

 

Nuotarono seguendo il fondale, sempre più giù, forti della profondità e dell’oscurità delle acque; la lastra di ghiaccio che copriva quasi tutto il Lago fungeva da specchio, impedendo ai Dissennatori di scorgere i loro furtivi movimenti subacquei.

 

Il fondo del Lago era costituito da terra e piccoli detriti; qua e là spuntavano cumuli di sassi, punte rocciose e grotte affollate da miriadi di pesci e animali acquatici tra i più disparati, che Hermione aveva visto, per la maggior parte, soltanto nei libri di scuola.

 

Vi erano tratti nei quali crescevano fitti ammassi di alghe verdi e nere, alte più di due metri; uno molto ampio si estendeva proprio davanti alla comitiva.

 

Neville si arrestò un istante prima di intrufolarsi fra le fronde per raccomandare la massima vigilanza a tutti i compagni. Quel luogo, infatti, era un nascondiglio ottimale non solo per loro, ma per qualsiasi creatura vivesse in quelle acque, preda o predatore che fosse.

 

Hermione entrò per ultima, tesa e guardinga.

Il fatto che i compagni aprissero la strada non bastava a rassicurarla. La bolla gelatinosa intorno alla sua testa riduceva in parte la mobilità, e la visibilità era ridotta a causa della torbidezza delle acque e della scarsa luce che raggiungeva quella profondità.

Dietro la nuca ondeggiavano ribelli gli ultimi riccioli dei suoi lunghi capelli, che non era riuscita a far entrare nella bolla. Più volte s’impigliarono fra le alghe costringendola a strattonarli con dolore.

A un tratto qualcosa l’afferrò per un ricciolo in modo così saldo che Hermione fu costretta a fermarsi; cominciò a trafficare per districarsi, ma più si muoveva e più il nodo si stringeva attorno alla sua chioma. Allora cercò di prendere la bacchetta magica, decisa a recidere quell’alga insidiosa, ma un tentacolo verde pallido le avvinghiò il polso e strinse talmente forte da farle lasciare la presa.

 

La bacchetta cadde sul fondale prima che Hermione potesse recuperarla con l’altra mano.

 

In quel momento scorse un paio d’occhi gialli che la scrutavano aggressivi fra le alghe ondeggianti.

 

Era un Avvincino! (**)

 

Spaventata cominciò a dimenarsi, ma la stretta era terribile.

Fortunatamente, Ginny arrivò in suo aiuto e, tempestiva, recise i tentacoli che la tenevano prigioniera, poi tastò il fondo un paio di volte e recuperò la sua bacchetta.

Hermione non poté scusarsi né ringraziare, perché la compagna aveva ripreso immediatamente a nuotare, raggiungendo gli altri che stavano uscendo dal folto intrico di alghe. Dennis, invece, era fermo poco più avanti e la guardava con disprezzo perché aveva rallentato l’intera squadra (forse, temeva, in modo volontario).

 

Profondamente mortificata, Hermione percorse appena pochi metri prima di incontrare l’ennesima creatura mai vista: un pesce lungo oltre un metro, dalle pinne argentee, il muso arrotondato simile a quello di un coniglio e un solo grande occhio, le tagliò la strada. Aveva una spina rigida issata sulla pinna dorsale che non prometteva nulla di buono (***).

Hermione si fermò per lasciarlo passare, e tirò un profondo sospiro di sollievo quando capì che era innocuo.

 

Fece appena in tempo a riprendere la strada che subito fu costretta a fermarsi di nuovo, rischiando di scontrarsi contro il resto della comitiva.

 

Alzò lo sguardo e vide Neville, George e Luna, bacchetta alla mano, in posizione di difesa; gli altri, subito dietro, pronti ad attaccare.

 

Davanti a loro si ergeva un maestoso Ippocampo (****).

 

Aveva lo sguardo minaccioso e feroce. Scuoteva furiosamente la criniera di alghe impennandosi sulle zampe anteriori e reggendosi sulla possente coda.

 

Era una creatura tanto bella quanto pericolosa…

 

L’ultima che avrebbero voluto incontrare.

 

* * *

 

Quando Madama Chips entrò nella piccola stanza adibita ad infermeria trovò Angelina accovacciata ai piedi del letto.

 

Subito corse in suo aiuto.

 

Le porse il praccio e l’aiutò ad alzarsi in piedi.

 

« Tutto bene? » domandò.

 

Angelina annuì. Aveva il viso imperlato di sudore e il respiro affannato. « Io… io credo che sia il momento, » balbettò.

 

Madama Chips le scostò i capelli dal viso e la fece sedere sul letto.

 

Poi si affacciò alla porta chiamando a gran voce le gemelle Patil: « Cercate Molly e portate dell’acqua! » ordinò per poi tornare subito al fianco di Angelina.

 

In quel momento una nuova contrazione piegò la ragazza che si aggrappò, sofferente, al suo abito.

« Fatti forza cara, appena arriverà Molly prepareremo un infuso di Dittamo, per placare il dolore…» promise Madama Chips con dolcezza.

 

Ma l’unica cosa di cui aveva bisogno Angelina era che George tornasse sano e salvo dalla missione.

 

Al più presto.

 

* * *

 

N.d.A.

Cavoli, ho un po’ di note per questo capitolo…

 

(*) “Bendati” nel senso che su di loro è stato lanciato l’incantesimo Obscuro.

 

(**) Gli Avvincini sono demoni acquatici di cui si parla in Harry Potter e il prigioniero di Azkaban.

 

(***) Si tratta di un pesce chimera (che esiste veramente!). Nella realtà vive su fondi fangosi molto profondi ed ha un aspetto simile a quello descritto; misura circa un metro di lunghezza, ma può arrivare anche ad un metro e mezzo. La spina che ha sulla prima pinna dorsale è connessa ad una ghiandola velenosa.

 

(****) Non ricordo che in Harry Potter si sia mai parlato di Ippocampo, ma visto il contesto mi sono permessa di inserirlo fra gli abitanti del Lago. Si tratta di una creatura leggendaria della mitologia greca. È un cavallo fino alla pancia, e il corpo si conclude con una coda di pesce. Può avere zoccoli o zampe palmate e, al posto della criniera, una cresta di alghe.

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 - Il Lago Nero (II Parte) ***


Capitolo 23 - Il Lago Nero (II parte)

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Ci si rende conto della propria debolezza e invece di resisterle,

ci si vuole abbandonare a essa.

 

Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere

 

* * *

 

Capitolo 23 – Il Lago Nero (II parte)

 

L’Ippocampo si lasciò cadere sulle zampe anteriori e il fondo del Lago Nero tremò.

 

In quel momento fu chiaro a tutti che la fuga era l’unica soluzione.

 

La creatura bellicosa mosse la coda spazzando il fondale da una parte all’altra, sollevando un fitto nugolo di terra e detriti. Frotte di piccoli pesci nuotarono impazziti fra i ragazzi dell’Esercito, rifugiandosi negli anfratti rocciosi tutt’intorno.

Hermione vide un banco di enormi lucci alzarsi dietro all’Ippocampo, nuotare sopra di esso e dirigersi a tutta velocità verso di loro; anche George lo notò e lo indicò a Neville, con una vigorosa gomitata.

 

Fu allora che Neville si voltò verso il resto della compagnia e ordinò un Incantesimo di Disillusione.

 

Hermione rimase basita.

 

Lei non sapeva fare un vero Incantesimo di Disillusione e non riusciva a credere che qualcun altro nel gruppo ne fosse capace. Quando, però, vide Neville inforcare la bacchetta magica e puntarla contro se stesso, capì quello che intendeva dire: il ragazzo non era diventato completamente invisibile, ma era una sorta di sagoma mimetizzata con il terreno. Prestando la dovuta attenzione, se ne potevano distinguere i contorni.

 

Gli altri ragazzi avevano eseguito l’incantesimo ottenendo risultati dello stesso tipo, il migliore fra tutti era quello di Ginny. Hermione si ritrovò ad invidiarla profondamente.

 

Come aveva immaginato, l’incantesimo nella sua forma perfetta era fuori portata per tutti, ma dovevano essersi allenati strenuamente per raggiungere quel livello.

 

Quella constatazione non la consolò affatto.

 

Provò su se stessa concentrandosi al massimo, ma riuscì ad ottenere solo la semi-scomparsa delle mani e dei piedi.

 

Alzò lo sguardo a cercare Ron. Il ragazzo teneva la bacchetta rivolta verso il petto, la punta era illuminata da una luce giallognola poco promettente; gli tremò la mano e l’incantesimo deviò, schivandolo e scagliandosi su una piccola roccia alle sue spalle. Una chiazza nera e bruciacchiata si dipinse sulla pietra…

 

Fu allora che Harry, ancora ben visibile al suo fianco, tirò fuori dallo zaino il Mantello dell’Invisibilità e si nascose sotto di esso insieme all’amico.

 

Hermione si pentì d’aver insistito per partecipare alla missione e di non aver dato ascolto al proprio buonsenso. Mancava di esercizio e di tecnica, e non disponeva di mezzi alternativi come Harry.

 

Non la sollevò osservare che Dennis, alla sua destra, aveva ottenuto il peggior risultato tra tutti diventando una sorta di uomo-terra, completamente marrone.

 

Fu colta dal panico.

 

Vedendo i suoi occhi smarriti e preoccupati, per la seconda volta, Ginny corse in suo aiuto invocando l’incantesimo su di lei.

 

E per la seconda volta Hermione non riuscì a ringraziarla.

 

Con un guizzo rapido l’amica si era lanciata insieme agli altri verso il banco di lucci, e lei non poté fare altro che imitarla.

 

Uno dopo l’altro i ragazzi si attaccarono alla pinna dorsale degli enormi pesci che guizzavano davanti a loro e, unitisi al banco, si lasciarono trasportare lontano dall’Ippocampo infuriato.

 

Percorsero così diversi metri, finché la strada dei lucci prese la direzione opposta al Castello.

 

A quel punto si separarono e proseguirono verso la parte di scogliera subacquea che si ergeva ripida davanti a loro.

 

Quando toccarono la fredda roccia, Neville condusse il gruppo all’interno di un’insenatura stretta e buia. Tutt’intorno era pieno di detriti, grosse pietre levigate e vetri: si trovavano all’interno della crepa che si era aperta attraverso le Serre. Il crollo aveva fatto precipitare in mare una parte delle pareti portanti del Castello.

 

Quando la breccia si fece troppo stretta per consentire il passaggio, la comitiva lasciò il fondo per risalire in superficie, spezzare con delicatezza il ghiaccio e mettere finalmente la testa fuori dall’acqua

 

Per Hermione fu quasi una rinascita.

 

L’oscurità che regnava in quello stretto anfratto consentì ai ragazzi di scalare la scogliera con tranquillità, senza essere notati. Il silenzio era profondo e suggeriva che non vi fosse sorveglianza, come Neville aveva previsto.

 

Nonostante la fatica accumulata, Hermione affrontò la scalata con rinnovata energia; tuttavia, la mancanza di allenamento e preparazione si fecero sentire con scivoloni e graffi frequenti.

 

Giunta in cima, fu di nuovo Ginny a tenderle la mano per issarsi in piedi.

 

Questa volta, Hermione ringraziò.

 

* * *

 

Dopo la lunga nevicata notturna, i monti intorno a Hogwarts si erano risvegliati sotto un cielo grigio e freddo.

 

Hannah Abbott si strinse addosso il mantello per riscaldarsi e fissò la distesa di neve che imbiancava tutto il versante.

 

Era trascorsa poco più di un’ora da quando aveva preso il posto di Dennis, partito per la missione.

 

Da allora non era accaduto nulla.

 

Nessuno era uscito dal Rifugio e la tenda del prigioniero era rimasta sempre chiusa.

 

Si ritrovò a pensare che quell’attività di sorveglianza fosse alquanto noiosa, ma poi si rimproverò ricordandosi che Draco Malfoy non doveva essere sottovalutato.

 

Così decise di dare un’occhiata tutt’intorno al perimetro della radura, anche se il manto nevoso era intonso.

 

* * *

 

Lo spettacolo che accolse Hermione una volta risalita la scogliera fu sconvolgente.

 

La guerra aveva devastato quella zona, poi tutto era stato abbandonato all’incuria del tempo.

 

Dei grandi locali che costituivano le Serre non era rimasto praticamente nulla. Sia sulla destra che sulla sinistra i vivai erano distrutti. C’erano frammenti di vetro dappertutto e la struttura metallica che li reggeva era accartocciata su se stessa. Migliaia di piante abbandonate a se stesse crescevano incolte, alcune cibandosi di altre. In terra c’era fango ovunque, misto a rami avvizziti, foglie marce e flora morente; alcune zone erano costellate di aloni scuri: impronte lasciate da vecchie chiazze di sangue.

Di fronte, le mura del Castello erano crollate e della Torre non restava altro che un ammasso di pietre e mattoni.

Il pavimento era squarciato da profonde crepe, tra cui la più ampia scendeva fino al Lago ed aveva consentito loro di infiltrarsi nel Castello. La spaccatura andava assottigliandosi man mano che ci si allontanava dalla scogliera e terminava aprendo una breccia in ciò che rimaneva delle mura.

 

Hermione osservava paralizzata quello scempio, con un nodo alla gola e il respiro mozzato.

 

Anche Dennis, che la precedeva di qualche passo, era sconvolto. Lui aveva preso parte a poche missioni, e nessuna l’aveva mai condotto in quel luogo.

 

Ignorando Ginny che lo stava chiamando, si avvicinò ai resti di alcune Mandragole, pensando nostalgicamente alle lezioni di Erbologia e chiedendosi cosa imparassero adesso gli studenti…

 

Ammesso che Hogwarts fosse ancora una scuola…

 

Poiché né Hermione né Dennis sembravano volerla ascoltare, Ginny si diresse spazientita verso la breccia aperta fra le mura e la scavalcò, come le altre squadre avevano già fatto da un pezzo.

 

Si sforzò di essere comprensiva, ma dentro era un bollore di rabbia: per l’ennesima volta restavano indietro!

 

Richiamò di nuovo i compagni, alzando nervosamente la voce.

 

In quel momento accadde qualcosa di completamente imprevisto.

 

Dai detriti sparsi sull’ala destra balzò fuori, fulminea, una piccola creatura dall’aspetto ferino. Aveva gli occhi iniettati di sangue e lunghe unghie affilate con le quali graffiò l’aria un istante prima di lanciarsi contro Hermione.

 

Lei lo riconobbe subito: era un Berretto Rosso.

 

Rapidamente si scostò di lato ed estrasse la bacchetta.

 

Ginny tentò di scavalcare le mura crollate per correre un suo aiuto, ma l’aria tremò davanti al suo viso. Un altro di quegli esseri selvaggi le aveva lanciato contro un grosso pezzo di terra ed aveva iniziato a correre nella sua direzione.

 

Nello stesso istante altri Berretti Rossi emersero dal fango, qua e là, tutti insieme.

 

Erano quattro, cinque in tutto.

 

Hermione capì che stavano difendendo il loro habitat, per questo erano così aggressivi.

 

Fendendo l’aria con la bacchetta ne schiantò uno, Ginny fece lo stesso con quello che la stava raggiungendo.

 

Un terzo si scagliò contro le mura in rovina.

 

Numerosi calcinacci si sgretolarono sulla testa di Ginny, che fu costretta ad indietreggiare, rinunciando ad attraversare la breccia per raggiungere i compagni di squadra.

Lanciò raffiche di Schiantesimi contro la creatura dalla parte opposta del muro, ma quella sfuggì abilmente riparandosi fra i detriti.

Allora puntò tutto sull’ inganno: si mise in bella vista e quando il Berretto Rosso si lanciò all’attacco credendola un facile obiettivo, lo colpì con violenza, scagliandolo lontano. Il piccolo essere volò per alcuni metri prima di precipitare nella voragine.

Pochi secondi dopo si udì il tonfo sordo del suo corpo che cadeva nelle acque del Lago.

 

A destra di Hermione, Dennis era stato letteralmente placcato ed era caduto rovinosamente a terra.

 

Stava cercando di estrarre la bacchetta, e lei corse in suo aiuto colpendo il Berretto Rosso che stava per saltargli addosso.

 

Dennis si voltò verso di lei con un espressione che la lasciò interdetta: aveva gli occhi vibranti di collera e le guance rosse di umiliazione. Lungi dall’esserle grato per quel gesto, le disse fra i denti che era perfettamente in grado di cavarsela da solo.

 

Fu allora che l’ultima rimasta di quelle creature si lanciò inferocita contro di lui.

 

Dennis non ci pensò un secondo, alzò la bacchetta e sferrò contro di esso la Maledizione Cruciatus.

 

Quella crudeltà lasciò Hermione senza fiato.

 

La creatura, agonizzante, venne scaraventata dritta contro le rovine del Castello, le quali, provate dallo scontro, cominciarono a vacillare. Prima che i tre ragazzi se ne rendessero conto, la breccia si chiuse su se stessa, dividendo la squadra.

 

Ginny dentro il Castello, Hermione e Dennis ancora nelle Serre.

 

Gli istanti che seguirono furono un alternarsi di sorpresa, paura, rabbia e delusione.

 

Poi la voce di Ginny, preoccupata, spezzò il silenzio: « Hermione, Dennis… dove siete? »

 

Hermione, ancora stordita, s’avvicinò alle mura crollate: « Siamo bloccati qui, » rispose, « stiamo bene. » Ma si accorse d’aver parlato troppo presto: Dennis era seduto a terra, sofferente, e si teneva stretto il braccio sinistro.

 

« Dennis, tutto bene? » Gli domandò.

 

In risposta ottenne un grugnito. « Sei un’incapace! Hai rallentato tutti ed ora siamo bloccati qui per colpa tua! » Il ragazzo era furioso e parlava fra i denti con il volto chino, coperto dal cappuccio scuro del suo mantello ancora bagnato.

 

Hermione sentì il cuore stringersi. Per quanto quelle parole facessero male, erano vere.

 

Era stata lei a mettere la squadra in difficoltà, con la sua lentezza e la sua impreparazione. Di nuovo si rimproverò per aver insistito ad aggregarsi alla missione.

Poi prese una sofferta decisione.

Si accostò alla parete e chiamò: « Ginny, c’è un problema: Dennis è ferito. »

 

Ginny sospirò preoccupata, ma Hermione aveva già stabilito il da farsi.

 

« In queste condizioni saremmo solo d’intralcio, » disse mestamente, « va’ avanti tu, io resto qui e mi occupo di lui. »

 

Dall’altra parte fu un silenzio inquieto.

 

« È meglio se io resto qui, » insistette Hermione.

 

Ginny rispose, rassegnata: « Va bene. Non muovetevi da lì… anzi, nascondetevi. Io raggiungo Neville, liberiamo gli altri e torniamo a prendervi. »

 

« Ok, » mormorò Hermione affranta, mentre l’amica s’allontanava con passo frettoloso.

 

* * *

 

Hannah Abbott discese la radura per alcuni metri quando qualcosa di insolito attirò la sua attenzione.

 

Si fermò e scrutò all’interno del bosco.

 

A pochi passi di distanza, tra le fronde degli alberi, vide un ammasso di foglie e rami accatastati in terra. Senza staccare gli occhi dalla tenda, s’inoltrò per esaminare quel groviglio.

 

Quando fu abbastanza vicino si bloccò spaventata ed estrasse la bacchetta.

 

Sotto quel cumulo, nascosto malamente, giaceva un corpo umano: se ne potevano intravedere le scarpe e alcuni ciuffi di capelli chiari.

 

Inspirò profondamente e s’ avvicinò ancora di più, tendendo la bacchetta davanti a sé, pronta a difendersi.

 

Quando raggiunse il corpo, capì che era privo di sensi.

 

Allora si inginocchiò nella neve e cominciò a togliere le fronde che lo ricoprivano.

 

Una profonda inquietudine cominciò a risalirle lentamente la gola.

 

Il corpo era riverso a faccia in giù nella neve, tutto avvolto in un mantello scuro.

 

Si fece coraggio e lo voltò.

 

Terrorizzata, cacciò un grido e schizzò in piedi portandosi una mano alla bocca.

 

Era gelido, il volto inespressivo e gli occhi vacui.

 

Era Dennis Canon.

 

Pietrificato.

 

* * *

 

 

 

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 - The serpent under't ***


Capitolo 24 - The serpent under't

Lost Memories

(di Sihaya10)

 

* * *

 

Look like the innocent flower,

but be the serpent under’t.

 

[Prendi l’aspetto del fiore innocente,

ma sii il serpente sotto di esso.]

 

W. Shakespeare, Macbeth (Atto I, Scena V)

 

* * *

 

Capitolo 24 – The serpent under’t

 

I componenti dell’Esercito di Silente entrarono insieme nel Castello, scavalcarono i detriti della torre semidistrutta e attraversarono un piccolo varco.

Avanzavano con le spalle al muro e grande cautela, nel silenzio più assoluto; non si erano ancora separati, aspettavano un segnale da Neville, in testa alla spedizione.

 

A un tratto, George s’infilò una mano in tasca ed estrasse il galeone che aveva portato per comunicare con Angelina, quindi afferrò Neville per il mantello: aveva appena ricevuto un inaspettato messaggio da parte dei compagni catturati. Erano indicazioni un po’ vaghe e confuse che descrivevano il luogo in cui erano tenuti prigionieri: una cella fredda dai muri irregolari, con un profumo nell’aria che ricordava la professoressa Cooman…

 

Neville e George pensarono subito all’ala nord, sulla torre, vicino all’aula di Divinazione.

 

Confabularono per un po’, poi Neville bisbigliò al resto del gruppo: « Concentriamo le ricerche nell’ala nord. Alicia, Anthony e Michael, voi guardate al sesto e settimo piano, compresa l’aula di Divinazione. Noi - »

 

Ginny, arrivando di corsa, tutta affannata, lo interruppe.

 

« Dennis è ferito, » avvisò concitata, « Hermione è rimasta con lui alle Serre. Li raggiungiamo a fine missione. »

 

Ron sentì bruciare la gola di domande, ma Neville non lo lasciò parlare: « Ginny, unisciti a Cho, Harry e Ron. – disse pragmatico - perlustrerete i sotterranei della Torre Nord. »

 

C’era sempre qualcosa che andava storto, Neville Paciock, ormai, lo sapeva e col tempo si era scoperto più abile di quel che credeva nel prendere con sicurezza decisioni repentine; in quel caso, aveva pensato che, tutto sommato, le Serre erano un luogo abbastanza sicuro.

 

* * *

 

Hermione s’avvicinò a Dennis e costatò con sollievo che intorno a lui non c’erano tracce di sangue.

 

S’inginocchiò di fronte. « Fammi vedere il braccio, » disse premurosa.

 

Lui si rifiutò bruscamente. Seduto a terra, fra fango e detriti, puntellò i talloni e arretrò diffidente, nascondendosi sempre più nel mantello, quasi volesse scomparire.

 

« Siamo bloccati qui solo per colpa tua, » sibilò. Non c’era solo risentimento nel tono della sua voce, c’era vero e proprio astio, accanimento, nei suoi confronti.

 

Hermione ci rimase male. Non riusciva nemmeno ad immaginare che Dennis, sorridente e tranquillo, potesse provare tanta collera.

 

Il ragazzo sollevò appena il mento e per un breve istante incrociò gli occhi di lei: « Sei un’incapace, » accusò.

 

Hermione rabbrividì.

 

Occhi grigi e irosi, nascosti appena dall’orlo del cappuccio...

 

Conosceva quello sguardo…

 

Conosceva quel tono...

 

Si ritrovò a balbettare.

 

Ci abbiamo messo troppo tempo per attraversare il Lago, » continuò a lamentarsi lui, « …perché tu sei lenta! Lenta e incapace! »

 

Lei non provò nemmeno a difendersi.

 

L’acuirsi della tensione dovuta all’imminente, sconcertante, scoperta le mandava il sangue al cervello.

 

« Fammi vedere il braccio, » ordinò.

 

Lui si tirò indietro e tentò di allontanarla, diffidente ed aggressivo come un cane randagio.

 

Lei fu svelta e decisa. Gli afferrò il polso sinistro e, con uno scatto rapido, spinse il mantello e la manica della camicia su fino al gomito.

 

Non c’era alcuna ferita.

 

Come temeva.

 

C’era il Marchio Nero, minaccioso, sulla pelle arrossata.

 

* * *

 

Abbandonando il corpo di Dennis nella neve, Hannah si precipitò alla tenda e, con il cuore in gola, ne spalancò l’entrata.

 

Era vuota.

 

Draco Malfoy era sparito!

 

In preda al panico, cominciò a correre a rotta di collo attraverso la radura, incespicando e scivolando sulla neve ghiacciata.

 

Entrò al Rifugio senza fiato, ma non si fermò.

 

Chiamando a gran voce Molly Weasley, raggiunse l’infermeria e bussò alla porta freneticamente, senza riflettere.

 

Sapeva di dover tenere nascosta la faccenda di Malfoy, ma era troppo agitata per pensarci: c’era Dennis, là fuori, che aveva bisogno d’aiuto e, peggio ancora, c’era un Mangiamorte a piede libero!

 

« Signora Weasley! Signora Weasley! »

 

Gridava forte, ma ci volle un po’ prima che la porta si aprisse.

 

Quando Molly spuntò sulla soglia, Hannah aveva accumulato talmente tanta tensione che non riuscì a formulare alcuna frase di senso compiuto, solo una serie di parole sconnesse.

 

Molly vide che era pallida come un cencio e cercò di calmarla. « C’è un po’ di Pozione Rilassante nella dispensa in cucina, » disse.

 

Hannah scosse la testa vigorosamente. « Oh, no! È urgente! » insistette, « deve venire ora… alla radura… dobbiamo… » Si fermò per prendere fiato ma prima che potesse parlare, dall’interno della stanza s’udì il grido di dolore di Angelina e Madama Chips chiamò aiuto: « Molly! »

 

Hannah tentò di trattenerla: « Signora Weasley… » 

 

Ma Molly aveva altre priorità. Prese la ragazza per le spalle e cercò di essere il più comprensiva possibile: « Non ora, tesoro, non ora, » sorrise, « porta pazienza, manca poco. Intanto va’ in cucina e calmati con un po’ di Pozione... Ti raggiungo appena possibile. »

 

* * *

 

« Malfoy! Come…? » Ringhiò Hermione, ma non riuscì a continuare perché parole, rabbia e stupore erano saliti alla gola così in fretta da impastarsi tutti insieme.

 

Lui cercò ancora di scostarsi e lei riuscì chiaramente a vedere il ghigno che aveva sul viso: fiero e tronfio del proprio successo.

 

« La Polisucco, » disse lui con voce roca di soddisfazione, « è stato davvero troppo facile… quel Canon è così stupido… »

 

Hermione sentì il profondo desiderio di schiaffeggiarlo.

 

« Ma tu… Avevo un’ora di tempo. Se tu non fossi così imbranata, adesso sarei già dentro al Castello! »

 

« E poi? » abbaiò lei, « l’effetto della Pozione Polisucco sarebbe svanito in breve tempo e ti avremmo comunque scoperto! »

 

« Stupida! Non vi avrei certo seguiti! »

 

« E cosa intendevi fare, allora? »

 

Malfoy non rispose. Rimase per lunghi secondi in silenzio, poi si alzò in piedi. Si tirò giù la manica sinistra e si coprì il viso col mantello.

 

Fece un paio di passi, ma lei gli fu addosso: « Dove stai andando? »

 

« C’è un altro ingresso laggiù, » rispose spazientito, indicando davanti a sé, dove le Serre sparivano dietro l’angolo dell’edificio.

 

Di nuovo cercò di spostarsi. Come un’ombra, Hermione lo seguì: « Potrebbe essere sorvegliato, » obiettò.

 

Malfoy inspirò profondamente. « Fammi un piacere, Granger, » disse seccato, « levati dai piedi. »

 

« Non ci penso proprio. Sei ancora sotto sorveglianza dell’Esercito di Silente. »

 

« Oh, che paura. » ribatté lui con voce incolore, cosa che la fece innervosire ancora di più.

 

« Non credere che ti lasci fare i tuoi comodi. »

 

Malfoy la fissò dritto negli occhi: « Ti ricordo che se non fosse per me, tu saresti ancora dietro ad una scrivania a scribacchiare insulse critiche a qualche dipinto. Quindi, cerca di mostrare un po’ di gratitudine e piantala di mettermi i bastoni tra le ruote. »

 

« No. Almeno finché non mi dirai cosa hai in mente di fare. » Si ostinò Hermione rischiando di fargli perdere le staffe.

 

« Intendo scendere alla Sala Comune. » sbottò Malfoy.

 

Hermione rimase alcuni istanti impietrita: era chiaro che si riferiva alla Sala Comune dei Serpeverde, nei sotterranei.

 

Per timore o per cautela, abbassò il tono di voce. « Perché? » Mormorò.

 

« Perché è lì che lo troverò. »

 

Si riferiva a Voldemort, Hermione lo capì subito. « Come fai ad esserne certo? » domandò in un soffio.

 

« Sono un Mangiamorte. So come ragiona. »

 

« E se ti sbagliassi? »

 

« Lo stanerò a costo di rivoltare il Castello. »

 

La risposta la zittì.

 

Lui fece un sogghignoche aveva un ché di amaro.

 

Poi le passò una mano dietro il collo.

 

Al suo tocco la sentì irrigidirsi di colpo, i nervi tesi al limite. Le tirò il cappuccio del mantello sulla testa e davanti al volto, fino a coprine la fronte e tutta la massa di riccioli increspati d’umidità.

 

« Senti, » disse con tono pacato e sottilmente ironico, « ti farò entrare nel Castello perché so che è quello che vuoi e da sola non ne saresti capace… ma tu prova ad ostacolarmi e te ne farò pentire amaramente… »

 

* * *

 

Hannah Abbott rimase trenta secondi a fissare la porta chiusa dell’infermeria, poi corse fuori dal Rifugio.

 

In un batter d’occhio, raggiunse Dennis Canon e lo liberò dall’incantesimo.

 

Mentre lo aiutava a mettersi a sedere sulla fredda neve, si accorse di una cosa che all’inizio gli era sfuggita: mancava il suo zaino.

 

Capì quello che era accaduto un attimo prima che Dennis glielo raccontasse.

 

Ne rimase sconcertata.

 

Draco Malfoy aveva preso il suo posto (e le sue sembianze) nella missione.

 

Hannah non riuscì ad immaginare niente di peggiore…

 

E non riuscì a trovare nulla di più efficace di una moneta dell’Esercito per inviare un messaggio di allarme a Neville.

 

Insieme a Dennis ne compose il testo e aspettò.

 

* * *

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 - Tempo ***


Capitolo 25 - Tempo

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

“A volte penso che sia questo il nostro vero errore:

credere di avere tutto il tempo che vogliamo…”

 

Dal film Il tè nel deserto,

regia diBernardo Bertolucci

* * *

 

Capitolo 25 – Tempo

 

Per la seconda volta in pochi minuti Neville dovette cambiare i piani della missione, e non senza difficoltà: Anthony, Alicia e Michael erano già partiti in direzione della Torre Nord e non era possibile richiamarli; Harry e Ron erano incontenibili, avevano deciso di correre in aiuto di Hermione e non c’era modo di far cambiare loro idea; inoltre, Harry era offeso e arrabbiato per essere stato tenuto all’oscuro delle presenza di Malfoy, mentre Ron - stranamente - sembrava essere al corrente dei fatti e questo a Neville, Ginny e Luna non piacque per nulla.

 

Poiché non si raggiungeva un accordo, i ragazzi furono costretti a radunarsi e nascondersi dietro alcune macerie, protetti dal Sortilegio Scudo incorporato ai loro mantelli. Avviarono una discussione al termine della quale i gruppi vennero riorganizzati nel seguente modo: Harry, Ron, Ginny e Luna sarebbero tornati indietro a recuperare Hermione e rendere Malfoy inoffensivo; Neville, George e Cho avrebbero perlustrato il resto dell’ala nord in cerca dei compagni catturati.

 

* * *

 

Malfoy e Hermione attraversarono il lato est delle Serre e poi svoltarono l’angolo: anche da quella parte era tutto devastato. Fortunatamente non c’era anima viva in giro e il passaggio che dai vivai conduceva dentro al Castello era aperto; il grande portone in legno era completamente scardinato, ma l’arco in pietra era rimasto intatto.

Si accostarono alle mura e si sporsero appena per esaminare la situazione all’interno.

Oltre l’arco si estendeva un passaggio lungo e stretto che conduceva al corridoio principale dell’ala est e che, circa a metà, incrociava trasversalmente un’altra piccola corsia.

 

« Il corridoio principale è sorvegliato, » mormorò Malfoy. Non poteva vedere realmente fin laggiù, ma gli sembrò un’osservazione abbastanza ovvia. « A metà, sulla destra, ci sono delle scale per i sotterranei, » aggiunse.

 

Hermione fece appena in tempo a registrare l’informazione, che Malfoy scavalcò l’ingresso. S’affrettò a seguirlo.

 

Nel silenzio più assoluto, camminarono svelti fino a metà del passaggio, poi Malfoy svoltò a destra, secondo i propri piani.

 

Hermione ebbe un attimo d’esitazione e si fermò nel mezzo dell’incrocio. Non vedeva, né sentiva i propri compagni, ma dovevano per forza aver percorso almeno una parte di quel tratto trasversale.

 

All’improvviso, una figura ammantata proveniente dal corridoio principale comparve in fondo al passaggio.

 

Hermione sentì il cuore balzarle in gola.

 

Una frazione di secondo prima che il sorvegliante mettesse lo sguardo su di lei, Malfoy l’afferrò per il mantello e la trascinò lontano dall’incrocio, costringendola a schiacciarsi dietro gli stipiti di una piccola porta, leggermente rientrante rispetto alla parete.

 

* * *

 

Ron, Harry, Ginny e Luna erano tornati sui loro passi fino a raggiungere il passaggio che li aveva condotti dentro al Castello.

Poiché il muro era crollato, impiegarono un po’ per aprirsi un varco e poter scavalcare di nuovo le macerie. Appena rimisero piede nelle Serre, si accorsero che non c’era nessuno, oltre ai corpi privi di sensi dei Berretti Rossi.

Cercarono invano fra i resti dei vivai, poi si spostarono sull’altro lato del Castello, fino a raggiungere l’ingresso.

 

Videro che il portone era scardinato.

 

« Forse sono entrati da qui, » disse Luna.

 

Nessuno ebbe il tempo di commentare.

 

In fondo, dove il passaggio incrociava il corridoio principale dell’ala est, c’era un Mangiamorte.

 

Ginny lo vide per prima; con un’imprecazione appena percettibile diede l’allarme ai compagni e si nascose dietro l’arco a volta.

 

Il nemico non guardava verso di loro, quindi avevano qualche istante di vantaggio.

 

Luna ed Harry l’affiancarono immediatamente.

 

Ron avrebbe dovuto fare lo stesso, ma invece non si mosse.

 

Non aveva sentito le parole di Ginny, né la vedeva gesticolare freneticamente nella sua direzione.

 

Forse era stata una visione o forse un’allucinazione ma, appena erano arrivati, a metà del passaggio gli era sembrato di vedere…

 

Istintivamente, chiamò: « Hermione! »

 

Il tono di voce era controllato, ma le mura del castello fecero da amplificatore.

 

Il Magiamorte alzò lo sguardo verso di lui.

 

Nello stesso istante Ginny gli saltò addosso per tappargli la bocca, spingendolo dal lato opposto dell’ingresso, dietro al muro, mentre fra i denti inveiva contro la sua stupidità.

 

Per una frazione di secondo, il nemico scrutò sospettoso il lungo varco, fin’oltre l’arcata che s’apriva sulle Serre; Ron stava ancora cercando di capire cosa fosse successo, quando cominciò ad avanzare.

 

* * *

 

Molly Weasley e Madama Chips uscirono dall’infermeria e trovarono le gemelle Patil in fibrillazione.

 

« Possiamo vederlo? » domandarono in coro, emozionate.

 

Madama Chips scosse la testa: « Meglio di no, devono riposare. Lasciamoli soli per un po’. »

 

Le gemelle sospirarono dispiaciute, ma non insistettero: avrebbero avuto altri momenti per vedere il piccolo Fred Junior e complimentarsi con Angelina.

 

« Vado in cucina, » si congedò Molly, « poco fa Hannah ha chiesto il mio aiuto… »

 

« Sì, meglio che veniate tutte e due, » confermò Padma seria, « vi stavamo aspettando. La situazione è molto grave. »

 

Molly si adombrò e con passo rapido raggiunse la cucina dove trovò tutti riuniti attorno al piccolo tavolo.

 

Hannah Abbott era in piedi e camminava inquieta avanti e indietro.

La preoccupazione era evidente sui volti di tutti, ma ciò che veramente allarmò Molly, fu vedere Dennis Canon (pallido e mortificato) seduto accanto a Susan Bones.

 

« Cos’è successo? » domandò con apprensione.

 

In breve tempo ottenne tutte le spiegazioni necessarie. Poco dopo sentì l’impellente bisogno di sedersi e bere qualcosa…

 

Susan si alzò e le portò un bicchiere di succo di zucca.

 

George, Ronald, Ginevra…

 

La missione organizzata da Neville non era semplice, ma sapere che una maledetta spia, un Mangiamorte, era fra loro…

 

Non solo i suoi figli… Tutti erano in serio pericolo!

 

Non aveva ancora terminato la bevanda, quando Hannah si sedette a capotavola e parlò: « Il messaggio che io e Dennis abbiamo inviato non ha ricevuto risposta ma, in ogni caso, a quest’ora l’effetto della Pozione Polisucco è terminato: si saranno già accorti d’essere stati raggirati da Malfoy. »

 

« Possiamo solo sperare che l’abbiano capito per tempo e che lui non sia riuscito a consegnarli nelle mani di Noi-Sappiamo-Chi, » aggiunse preoccupato Dennis Canon.

 

« Non credo che sia quello l’obiettivo di Malfoy. Non penso sia più al suo servizio, » intervenne all’improvviso Terry Steeval, generando l’indignazione collettiva.

 

« Che cosa intendi dire? Lo stai difendendo?! » Domandò con una punta di fastidio Lavanda Brown.

 

Terry spiegò: « Si vocifera che durante la Battaglia, Noi-Sappiamo-Chi abbia ucciso Narcissa Black e Lucius Malfoy. Se così fosse, mi pare ragionevole credere che Draco Malfoy sia mosso dal desiderio vendetta e che abbia sfruttato la nostra missione solo per intrufolarsi nel Castello. »

 

Hannah scosse la testa, per quanto fossero verosimili le osservazioni di Terry, era evidente che nessuno in quella stanza voleva prenderle in considerazione: « Non ci importano le motivazioni di quel vigliacco, » tagliò corto, « credo sia più prudente non fidarsi di lui. La cosa migliore da fare ora è mandare una squadra di soccorso e, anche se non siamo certi che riceverà il messaggio, avvisare Neville del nostro arrivo… » Disse risoluta. Poi venne sopraffatta dal timore di prendere una decisione avventata e cercò l’approvazione dei compagni: « Voi cosa ne pensate?»

 

Ernie Macmillan - amico di sempre - le offrì per primo il proprio sostegno prendendole la mano. Lei si sentì immediatamente rincuorata.

 

« Mi offro volontario, » disse. Poi diede una gomitata a Justin, che sedeva al suo fianco.

 

Justin Finch-Fletchley tentennò un istante: non era mai stato particolarmente coraggioso. Era un Tassorosso, però, e quindi estremamente leale verso i propri amici. « Verrò anch’io, » confermò con le guance arrossate.

 

Infine, anche Padma, Calì e Terry vollero aggregarsi, mentre Lavanda e Susan si offrirono per aiutare Angelina e il neonato. Dennis sperò di potersi unire ai compagni, ma fu obbligato da Madama Chips a qualche giorno di convalescenza.

 

* * *

 

Hermione non mosse un muscolo e trattenne il fiato. Al suo fianco, nel silenzio, poteva sentire chiaramente il respiro di Malfoy carico di rimprovero e allo stesso tempo di paura.

 

Poi, all’improvviso, l’eco del suo nome rimbalzò inesorabile fra le fredde pareti del Castello.

 

Ebbe un tuffo al cuore: era la voce di Ron!

 

Si lanciò verso l’incrocio che aveva appena lasciato, ma Malfoy l’afferrò saldamente.

 

« Sei pazza? » la rimproverò.

 

Lei lo guardò confusa.

 

« Sta ancora sorvegliando il passaggio! » spiegò Malfoy.

 

Si riferiva al Mangiamorte: forse non aveva visto lei, ma di certo aveva sentito la voce di Ron, e ora, probabilmente, stava lasciando il corridoio principale per venire a cercare gli intrusi.

 

Hermione si voltò verso l’incrocio e rimase immobile, con tutti i sensi all’erta per percepire il minimo segnale della presenza di Ron.

 

Da dove chiamava? Era nascosto? L’aveva vista o la stava cercando?

 

Si liberò dalla stretta di Malfoy e fece un passo avanti, cauta.

 

« Se esci manderai a monte tutti i miei piani… » Disse lui.

 

Lei si fermò e irrigidì la schiena. Strinse i pugni in segno di protesta.

 

Non poter vedere oltre l’ angolo era un tormento.

 

Ron era al sicuro?

 

« E manderai a monte anche i vostri! » aggiunse Malfoy, « sempre che non ci sia già riuscito quello stupido di Weasley. »

 

Aveva ragione. Dannatamente ragione.

 

Hermione voleva raggiungere Ron e rassicurarlo, ma se lui ora era nascosto, uscire allo scoperto significava metterlo in pericolo.

 

Il silenzio che seguì fu surreale.

 

Poi Malfoy vide le spalle di Hermione abbassarsi lentamente in segno di resa e comprese al volo i suoi pensieri.

 

« Allora… » sollecitò, « … stai con me, Granger? »

 

Il tono di quella domanda la scosse.

 

Più che una richiesta sembrava una pretesa, eppure poteva sentirlo anche senza voltarsi che lui la stava fissando in attesa di una risposta.

 

Il silenzio si fece denso, inquietante.

 

L’aria era carica di tensione.

 

Come la quiete prima del temporale.

 

Da lontano si udì un incedere di passi rapidi e pesanti.

 

Stai con me, Granger?

 

Si accorse che le mancavano le parole.

 

Un lampo di luce squarciò la semioscurità del Castello. Il pavimento tremò.

Saette biancastre attraversarono il lungo corridoio come tentacoli impazziti, rimbalzavano sulle pareti e scalfivano la pietra, lasciando il segno indelebile della loro furia: una Maledizione era stata scagliata alla cieca per spaventare e stanare i clandestini.

 

Una delle saette rimbalzò sull’angolo dell’incrocio; schegge di pietra schizzarono verso Hermione e Malfoy.

 

Lei voltò le spalle all’ incrocio e alzò le mani per ripararsi il viso.

 

Lui si schiacciò dietro lo stipite. « Non c’è più tempo! » l’ammonì.

 

I loro sguardi si incrociarono: attendeva ancora una risposta!

 

Lei socchiuse le labbra, ma non riuscì a pronunciare una sola parola.

 

Un ruggito furioso rimbombò nell’ala est. Il terreno vibrò di nuovo per effetto di una seconda Maledizione, poi Malfoy imprecò.

 

Il Mangiamorte si era fatto strada scagliando incantesimi, era avanzato fino a metà percorso ed era in procinto d’affacciarsi all’incrocio.

 

Malfoy si appiattì più che poté contro lo stipite; con la mano sinistra afferrò Hermione per le spalle e la spinse contro la porta, con la destra estrasse la bacchetta.

 

« Alohomora. » sussurrò.

 

Lei, il viso premuto contro l’anta di legno, aveva nelle orecchie il frastuono delle Maledizioni che si accavallava all’eco di quella domanda, persistente come un fastidioso ronzio, incalzante come un conto alla rovescia.

 

Stai con me, Granger?

 

Le risuonò nella testa.

 

Era un ultimatum.

 

Un ricatto.

 

Una sfida.

 

Stai con me, Granger?

 

La porta si aprì e lui la spinse dentro la stanza.

 

Le sfuggì un ansito appena percettibile, poi la mano dello Slytherin le tappò la bocca con una veemenza tale da farla rabbrividire.

 

Mi lasci forse altra scelta?

 

* * *

 

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 - Obiettivi ***


Lost Memories - Capitolo 26

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Maybe you’re the same as me,
we see things they’ll never see.

Oasis, Live forever

 

* * *

 

Capitolo 26 – Obiettivi

 

Ginny spinse Ron dietro l’arco d’ingresso e lo schiacciò contro il rinfianco appena in tempo.

 

La maledizione saettò lungo il corridoio illuminandolo di luce cangiante, passò sotto la volta e si schiantò contro le macerie delle Serre.

 

Ron evitò accuratamente lo sguardo di rimprovero della sorella e lanciò un’occhiata confusa a Harry, contro il rinfianco opposto, che ricambiò: fremeva dal desiderio di chiedergli quando e dove aveva visto Hermione.

Accanto a Harry, Luna Lovegood alzò una mano mostrando il numero due: temeva che vi fossero due Mangiamorte a sorvegliare il corridoio principale.

 

Ginny era certa d’averne visto uno solo, ma non poteva sottovalutare i sospetti di Luna perché il corridoio principale era molto ampio. Tese l’orecchio per percepire i passi nemici che avanzavano sul pavimento.

 

Pesanti, cadenzati, minacciosi.

 

Sempre più vicini.

 

Ad un tratto si fermarono e calò un cupo silenzio.

 

Il tempo di un respiro, un sibilo acuto accompagnò una seconda maledizione; folgori e scintille sfrecciarono attraverso il passaggio, deviarono contro il portone scardinato e schizzarono fuori dal Castello.

 

Quel secondo, cieco, assalto diede a Ginny la certezza che il Mangiamorte non poteva vederli; supponeva che si nascondessero nelle Serre e colpiva con il solo intento di terrorizzarli.

 

Ginny decise di passare all’attacco: come una scheggia, attraversò la volta scagliando uno Schiantesimo dritto davanti a sé, arrestando la sua corsa al lato opposto, fra le braccia di Harry.

 

Vedendola lanciarsi allo scoperto impavidamente, Ron gridò, ma la sua voce fu completamente sovrastata dal furibondo latrato del Mangiamorte colpito ad una spalla.

 

Un’invocazione carica d’ira echeggiò nel tunnel: « Crucio! »

 

L’incantesimo eruppe attraverso la volta, colpendo il terreno a pochi passi da Luna Lovegood.

 

La ragazza quasi non si scosse, cacciò indietro i capelli biondi e guardò Ginny: si capirono al volo. Insieme balzarono nel centro del varco e lanciarono uno Schiantesimo coordinato, poi, senza nemmeno respirare, si prepararono per un secondo lancio.

Non servì.

L’incantesimo aveva colto di sorpresa il Mangiamorte che, colpito in pieno petto, rovinò a terra.

 

Per un po’ si udì soltanto il respiro affannato delle due ragazze, che alzavano e sollevavano le spalle ansimanti, mentre la tensione andava lentamente scemando; poi Ginny sgridò Ron: « Possibile che tu debba sempre creare problemi? »

 

Ron tacque; Harry, invece, non riuscì a trattenere un commento sarcastico, che in realtà celava un rimprovero: « Non è l’unico che agisce in modo imprudente… »

 

Ginny si difese: « Non ho agito in modo imprudente, Harry. So perfettamente quello che faccio. Sei tu che non hai idea di quello che abbiamo dovuto affrontare mentre… »

 

« Smettetela. Dobbiamo trovare Hermione! » ricordò Ron, impedendo a quello scambio di battute di degenerare in un litigio.

 

« Allora l’hai vista veramente? » domandò Harry.

 

« Certo che l’ho vista! » ribatté Ron, « era laggiù all’incrocio. »

 

« Hai visto anche Malfoy? » gli chiese Harry.

 

« No. »

 

Una risposta preoccupante e tranquillizzante allo stesso tempo. 

 

« A destra ci sono delle scale che portano ai sotterranei, forse Malfoy sta tentando di raggiungere la Sala Comune dei Serpeverde e Hermione intende fermarlo… » ipotizzò Luna.

 

Ron sbiancò.

 

Harry si mise a correre verso l’incrocio: « Io vado a cercarla! »

 

« No! Harry, fermati! » ordinò Ginny, ma venne ignorata e fu costretta ad inseguirlo lungo il corridoio, svoltando l’angolo a destra, subito dopo di lui.

 

Ron e Luna partirono un istante dopo, ma non riuscirono a raggiungere l’incrocio.

 

Di fronte a loro, all’altro capo del passaggio, era spuntato un secondo Mangiamorte; con il braccio destro teso in avanti, puntava contro di loro la bacchetta.

 

« Fermi dove siete! »

 

* * *

 

Essere in squadra con George Weasley era un notevole vantaggio.

Con la fama di essere tra i più scapestrati studenti di Hogwarts, era decisamente preparato su ogni cosa riguardasse la planimetria del Castello. Conosceva passaggi e corridoi di cui né Neville, né Cho avevano mai sentito parlare; una sapienza accumulata in anni di scorribande organizzate insieme al fratello. Questa sua abilità consentì ai tre ragazzi di raggiungere il settimo piano indisturbati, ma erano ancora lontani dalla meta: l’aula di Divinazione sulla Torre Nord.

 

Si fermarono e si nascosero in un angolo buio, al riparo da occhi indiscreti, nei pressi di un ampio corridoio che, fece notare George, conduceva alla Presidenza.

 

« Siamo ad un passo dall’Ufficio del Preside… » disse e i suoi occhi brillarono vivacemente.

 

« Potremmo provare a prendere la Spada di Godric Grifondoro… », mormorò Neville, intuendo esattamente quello che l’amico aveva sottointeso.

 

« Ma non conosciamo la parola d’ordine… » intervenne Cho.

 

« È vero, » confermò George, « però possiamo dare un’occhiatina nei paraggi, vedere se c’è sorveglianza... »

 

« È rischioso, » asserì lei, « e poi dovremmo prima pensare a liberare gli altri… »

 

« Ssh! »

 

George la zittì. Lungo l’ampio corridoio su cui si affacciava il loro nascondiglio stava sopraggiungendo un gruppetto di studenti. Erano circa una decina e indossavano l’uniforme Slytherin, l’unica ammessa nella scuola.

 

Vederli procurò al trio un senso di dolorosa nostalgia: essi rappresentavano ciò che era rimasto della Scuola di Magia e Stregoneria da quando Hogwarts era caduto nelle mani di Voldemort.

 

Dall’aspetto infantile si poteva dedurre che fossero matricole del primo anno e il pesante libro che portavano sotto al braccio lo confermava: Arti Oscure, Volume I.

 

Man mano che s’avvicinarono fu possibile udire i loro discorsi.

 

« Arti Oscure è in assoluto la mia materia preferita, non vedo l’ora di imparare delle vere Maledizioni! » disse una ragazzina dall’aspetto eccentrico. Era minuta, con la pelle eburnea ed i capelli di un biondo quasi bianco, corti e spettinati, che le davano un aspetto mascolino. Gli occhi grandi e le labbra sottili erano emblema di intelligenza e arroganza.

 

Il ragazzo accanto a lei, tarchiato e dallo sguardo spento, commentò: « Ma le Maledizioni sono argomento del secondo anno, che ne sai tu ora? »

 

Lei scosse la testa e rispose con accentuato sarcasmo: « Ho letto dei libri in biblioteca, qualche volta dovresti metterci piede anche tu, o non passerai l’esame di Arti Oscure! »

 

« Non preoccuparti, passerò l’esame… lo passeremo tutti! » ribatté presuntuosamente il ragazzo, « l’unico che avrà dei problemi è Eddie Newarck: non si è fatto vedere per due lezioni di fila, senza giustificazione. La Presidenza non lascerà correre… »

 

« No di certo! » esclamò lei con soddisfazione, « ricordi? Ha detto che siamo stati appositamente selezionati per un corso intensivo nelle vacanze invernali, questo significa che siamo i migliori del primo anno. Su di noi la Professoressa investe molte risorse, non tollera d’essere presa in giro. »

 

« Spero che venga punito a dovere, » borbottò il compagno.

 

La biondina sogghignò: « Io spero che tocchi a noi punirlo! »

 

Le sue ultime parole andarono sfocando mentre il gruppetto si allontanava lungo il corridoio, ma Cho le udì ugualmente. E rabbrividì.

 

Neville, invece, estrasse la bacchetta e la puntò verso la ragazzina. « Accio capello, » mormorò, ed un sottile filo bianco volò dal mantello della biondina nelle sue mani.

 

« Che hai in mente? » Gli domandò George.

 

« Assumo le sue sembianze e vado a dare un’occhiata alla Presidenza, » rispose aprendo lo zaino e mescolando il capello al preparato della Pozione Polisucco.

 

« Ottima idea! »

 

Neville bevve in un sorso ed in breve mutò aspetto. « Aspettatemi qui. » ordinò.

 

La sua voce, ormai trasformata, uscì acuta e femminile.

 

George non riuscì a trattenere un ghigno divertito. « Tranquilla piccolina, ti copriamo noi le spalle, » disse arruffandogli i capelli corti.

 

Neville si scostò. « Piantala George, » borbottò, ma il compagno stava ormai sghignazzando sommessamente e capì che non c’era modo di trattenerlo.

 

Sperò solo che nessuno lo sentisse.

 

* * *

 

« E ora? » domandò in un soffio Alicia Spinnet, nascosta sotto alla scala che conduceva all’Aula di Divinazione.

 

Anthony, Alicia e Michael avevano raggiunto la base della Torre Nord superando diverse difficoltà, perché la zona era sorvegliata, e questo faceva sperare che i prigionieri fossero rinchiusi da quelle parti.

 

Per arrivare a quel punto avevano aggredito un Mangiamorte alle spalle, Schiantandolo prima che potesse vederli; poi avevano incontrato un gruppo di studenti Slytherin ai quali avevano cancellato in parte la memoria, e dei quali avevano assunto le sembianze per salire in tranquillità al settimo piano.

 

Ora, però, brancolavano nel buio, perché non avevano idea di dove fossero rinchiusi i compagni e si guardavano intorno in cerca di indizi; consapevoli di dover prendere rapidamente una decisione, prima che terminasse l’effetto della Pozione Polisucco.

 

Sulla base delle informazioni che i prigionieri avevano comunicato poco prima “via galeone”, optarono per l’Aula di Divinazione. Era alquanto improbabile che fossero detenuti in quella stanza, ma da lì, forse, si poteva accedere a qualche zona nascosta di cui non erano a conoscenza.

 

A suggerirlo era anche la guardia incappucciata che faceva capolino dalla cima della lunga scala a chiocciola…

 

* * *

 

Con l’avvicinarsi del mezzogiorno la temperatura esterna era leggermente salita e l’ampia distesa di neve che circondava il nascondiglio dell’Esercito di Silente andava sciogliendosi; il manto bianco, però, ricopriva ancora tutta l’area e difficilmente sarebbe svanito nei giorni successivi.

 

Davanti all’ingresso del Rifugio, invisibile agli estranei grazie all’Incanto Fidelius, Molly Weasley e Madama Chips si stavano scambiando saluti e raccomandazioni.

 

« Sicura? » domandò Madama Chips.

 

Molly annuì.

 

« Harry Potter è tornato. Forse siamo state avventate a lasciarlo andare, sta di fatto che ora si trova dentro al Castello; molti sono con lui, altri lo stanno raggiungendo. Credo sia necessario informare di questa situazione i pochi alleati che abbiamo al Ministero: sta per accadere qualcosa di importante, lo sento. »

 

Dopo la partenza della squadra di soccorso, Molly aveva deciso di mettersi in viaggio verso Villa Conchiglia, per incontrare figlio e marito convalescente, e metterli al corrente degli eventi.

 

Sperava anche di riuscire a convocare in riunione lo sparuto gruppo di ex-ministri, ora latitanti, che si opponeva a Lord Voldemort. Gli stessi uomini con i quali Arthur aveva organizzato l’incursione al Ministero che gli aveva fatto rischiare la vita e, da quasi un anno, lo costringeva a letto, accudito dal figlio Bill.

 

Molly si legò stretto il mantello al collo, per ripararsi dal freddo, e raccolse la piccola valigia ai suoi piedi.

 

Dopo aver salutato l’infermiera, salì cavalcioni su una meravigliosa Firebolt.

 

« Capisco che Materializzarsi a villa Conchiglia sia troppo rischioso, ma… la scopa… Molly, non credo sia un mezzo molto sicuro, » obiettò Madama Chips.

 

Molly sorrise spavalda e si alzò in volo: « Non mi serve un mezzo sicuro, Poppy, mi serve un mezzo veloce! »

 

* * *

 

Un uomo ammantato passò accanto ai due Gargoyle di guardia davanti all’ingresso della sala professori ed entrò appena ottenne il permesso dall’interno.

 

Tremava.

 

Sapeva che non sarebbero piaciute le notizie che portava.

 

Appena varcò la soglia, Voldemort si girò e lo squadrò con occhi incandescenti ed egli s’inginocchiò sottomesso, chinando il capo istintivamente, come se il solo sguardo del Signore Oscuro gli avesse piegato le membra.

 

« Che cosa vuoi? » domandò Voldemort con voce serica, avanzando di alcuni passi. Nagini, strisciò sinuosa accanto a lui.

 

L’uomo prono si strinse nel mantello. « Mio Signore, brutte notizie… » esordì senza alzare la nuca.

 

Voldemort non parve scomporsi, ma la sua voce tuonò minacciosa: « Cosa succede? »

 

« Intrusi, mio Signore, nel Castello. Probabilmente dei ribelli che intendono liberare i prigionieri. »

 

« Quanti? »

 

L’informatore rabbrividì a quella domanda. Non sapeva con certezza quanti fossero gli intrusi ed il solo pensiero di doverlo riferire lo terrorizzava. Scelse le parole con cura, evitando di sottolineare quella mancanza.

 

« Due di loro stanno combattendo alle Serre, ma Tiger(*) è stato aggredito alla Torre Nord. »

 

Voldemort ringhiò.

 

« Incapaci! Cosa state aspettando? Giustiziate i prigionieri! »

 

* * *

 

Malfoy chiuse la porta con un incantesimo, liberò Hermione dalla sua stretta ed esaminò la piccola stanza in cui si erano rifugiati.

Era un’aula scolastica a gradoni, impolverata e in disuso probabilmente da decenni. Non c’erano sedie, solo quattro file di banchi in legno poste di fronte alla cattedra. La parete dietro alla cattedra era occupata da un’enorme lavagna sotto la quale si trovava un caminetto. L’aula disponeva di una sola finestra, sottile e allungata, simile ad una feritoia, posta a poco meno di un metro dal soffitto; era protetta da un’inferriata e il vetro rotto lasciava entrare gelidi spifferi. Con l’aiuto di un banco la si poteva raggiungere per vedere attraverso, ma l’idea di uscire dal Castello non sfiorò nessuno dei due.

 

Malfoy, in particolare, attraversò i banchi e raggiunse la cattedra.

 

« Siamo fortunati, » esordì.

 

A Hermione non sfuggì il plurale. Corrucciata, scese i gradoni dell’aula per raggiungerlo presso il camino spento che lui stava esaminando.

 

« A cosa ti riferisci? » domandò.

 

« Useremo la Metropolvere per andare alla Sala Comune. »

 

« Non mi sembra una buona idea. I camini sono di certo sorvegliati, e tu non hai un piano. Inoltre… - esitò - …non puoi costringermi a venire con te. »

 

Malfoy si voltò di scatto verso di lei. L’istante dopo le girò le spalle.

 

« Io non ti ho costretto, sei tu che mi hai seguito. »

 

« Non è così. »

 

Vi fu un lungo silenzio. Turbati, i due maghi rimasero a fissare l’intonaco sgretolato della parete davanti a loro, mentre prendevano coscienza di quell’invisibile filo che li aveva condotti insieme fino a quel punto e che ancora li trascinava nella stessa direzione.

 

Poi, Malfoy parlò: « Invece è così, abbiamo lo stesso obiettivo. »

 

« Quale? » domandò lei, scettica.

 

« Hogwarts. »

 

Continua…

* * *

 

N. d. A.

 

Le matricole del primo anno che ho descritto non rappresentano nessun personaggio noto. I nomi sono inventati, i cognomi (che verranno citati in seguito) sono stati scelti ipotizzando eventuali parentele con altri Serpeverde.

 

(*) Il Mangiamorte Tiger è il padre di Vincent Tiger. Spero di non aver commesso un errore considerandolo vivo, non ricordo che si sia mai parlato di una sua eventuale morte. Se ho sbagliato ditemelo che cambio personaggio, si tratta di una comparsa e la modifica è irrilevante ai fini della trama.

 

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 - Piani d'azione ***


Lost Memories - Capitolo 27

N.d.A.

Per aiutarvi nella lettura, ho fatto un altro breve riassunto. Trovate i precedenti riassunti all’inizio dei capitoli 13 e 19. 

 

Riassunto dei capitolo precedenti:

Dopo aver distrutto la Ricordella, Malfoy ed Hermione sfuggono ad un Dissennatore infilandosi in un passaggio segreto. Vengono trovati da Luna e Ginny nei paraggi del rifugio dell’Esercito di Silente, protetto dall’Incanto Fidelius. Hermione entra al rifugio mentre Malfoy viene privato degli ultimi ricordi per evitare che egli possa localizzare il nascondiglio, viene imprigionato in una tenda e sorvegliato a vista da Dennis Canon.

Di nuovo insieme ai compagni, Hermione apprende che Zacharias Smith, Katie Bell, Dean Thomas e Seamus Finnigan, infiltratisi nel Castello per cercare la Spada di Godric Grifondoro, sono stati catturati dai Mangiamorte e Neville ha organizzato una missione di soccorso.

L’indomani, quattro squadre composte dai migliori membri dell’esercito attraversano il Lago Nero ed entrano ad Hogwarts attraverso le Serre. Fra essi, però, si nasconde Draco Malfoy, che ha assunto le sembianze di Dennis Canon, dopo avergli sottratto una pozione polisucco. Hermione, rimasta bloccata alle serre insieme a lui, scopre ben presto la sua vera identità e apprende che Malfoy intende raggiungere la Sala Comune dei Serpeverde e affrontare Voldemort. Malfoy ed Hermione, con una sorta di tregua, entrano insieme nel Castello, ma la Grifondoro viene intravista da Ron che la chiama a gran voce. L’impulsività del ragazzo rischia di mettere a repentaglio la missione dell’Esercito e allo stesso tempo di mandare all’aria i piani di Malfoy: Hermione, per non mettere in pericolo l’amico, decide di non farsi trovare e di seguire, suo malgrado, il Serpeverde.

Mentre Alicia Spinnet, Anthony Goldstein e Michael Corner raggiungono l’aula di Divinazione, Neville, Cho Chang e George Weasley si ritrovano ad un passo dall’ufficio del Preside e tentano di recuperare la spada lasciando assumere a Neville le sembianze di una studentessa Slytherin.

Intanto Hermione cerca di convincere Malfoy della necessità di un piano, Harry – inseguito da Ginny - corre ai sotterranei per cercare l’amica e stanare Voldemort, e Ron e Luna, che vorrebbero seguirli, vengono bloccati da un Mangiamorte.

Anche al Rifugio dilaga lo stato d’allarme e, mentre Hannah Abbott s’improvvisa capo di una nuova spedizione, Molly  Weasley parte alla volta di Villa Conchiglia in cerca di rinforzi…

 

* * *

 

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Senza dubbio era un piano eccellente, semplice e davvero ben congegnato.

C’era solo una difficoltà: che Alice non aveva la più piccola idea di come realizzarlo.

 

L. Carrol, Alice nel paese delle meraviglie

 

* * *

 

Capitolo 27 – Piani d’azione

 

Ginny inseguiva Harry attraverso lo stretto corridoio, decisa a raggiungerlo e fermarlo.

 

Non era pronto.

 

Erano due anni che non usava la magia.

 

Non era pronto per battersi.

 

Era all’oscuro di molti cambiamenti e del potere acquisito dai nemici in quell’arco di tempo.

 

Harry Potter non era pronto per affrontare Voldemort.

 

Questa certezza le dava la forza di correre più veloce; passo dopo passo guadagnava terreno.

 

Harry svoltò a destra e scese una rampa di scale.

 

Ginny andava così veloce che fece fatica a rallentare per cambiare direzione; si precipitò giù per i gradini subito dopo di lui, chiamandolo a voce alta.

 

Finalmente Harry rallentò; Ginny lo raggiunse col cuore in gola, s’aggrappò alla sua spalla e tra un ansito e l’altro tentò di convincerlo.

 

« Non puoi andare da solo. »

 

« Hermione è in pericolo: non possiamo perdere tempo, » obiettò lui.

 

« Andremo tutti assieme, aspettiamo Neville e gli altri. »

 

Harry fece per aprire bocca quando all’improvviso un Mangiamorte incappucciato comparve dal nulla, quasi si fosse Materializzato.

I due ragazzi sobbalzarono e in un attimo sfoderarono le rispettive bacchette, puntandole contro colui che sbarrava loro la strada minaccioso.

 

Erano bloccati: a destra e a sinistra c’erano soltanto le spesse pareti del Castello; né porte, né passaggi. L’unica possibilità di fuga era la ritirata.

 

La posizione del Mangiamorte sembrava sorprendentemente strategica, come se avesse previsto che gli intrusi si sarebbero incanalati in quel vicolo privo di scappatoie.

 

Non altrettanto calcolata fu la reazione che ebbe trovandosi davanti i due ragazzi: d’un tratto parve immobilizzarsi spiazzato.

 

Nessuno dei due Grifondoro fu abbastanza rapido da approfittare di quel momento e scappare, anche perché Ginny non voleva abbandonare Harry, e lui non aveva alcuna intenzione di tornare sui propri passi.

 

Quando il Mangiamorte riprese il controllo, era troppo tardi. Sotto al cappuccio calato sugli occhi fece brillare un sogghigno, mentre sollevava la manica del mantello e s’ apprestava a sfiorare il Marchio Nero sull’avambraccio sinistro.

 

« Potter, » si compiacque, « …che sorpresa! »

 

* * *

 

« Posso chiederti una cosa? » disse Luna Lovegood.

 

Ron annuì senza abbassare la guardia.

 

« Com’è vivere tra i babbani? »

 

« Uh? » Ron la guardò stranito.

 

Come poteva porgli una simile domanda davanti ad uno scontro imminente?

 

Si grattò la testa dubbioso: era difficile abituarsi alle stranezze di Luna Lovegood, specialmente dopo una lunga assenza come la sua.

 

Lei ripeté pazientemente la domanda.

 

Ron guardò preoccupato il Mangiamorte e strinse forte la bacchetta magica, pronto a difendersi.

 

« Noioso, » rispose sbrigativo.

 

Luna sorrise. « Mi siete mancati. »

 

Il seguace di Lord Voldemort fissò i suoi avversari con superiorità. Erano soltanto due ragazzi. La biondina, in particolare, aveva uno sguardo vacuo che la faceva sembrare un po’ tocca; tant’è che colloquiava amichevolmente con il compagno, come se non si rendesse conto del pericolo.

 

Il mago non si fece sfuggire l’occasione e le scagliò una Maledizione.

 

Luna si scostò appena in tempo, l’incantesimo le passò accanto facendo svolazzare le pieghe stropicciate del suo mantello e sfregiando leggermente il tessuto.

Si volse a guardare l’avversario. Lo studiò senza che dai suoi occhi sporgenti trapelasse la paura; quindi puntò la bacchetta verso di lui e lanciò uno Schiantesimo.

 

Il Mangiamorte riuscì a schivarlo spostandosi sul lato destro del corridoio e questa volta attaccò Ron.

 

« Stupeficium! »

 

Ron venne colpito in pieno.

 

« Bombarda! » gridò Luna tempestivamente.

 

Dirigendo l’incantesimo contro la parete di pietra riuscì a creare un diversivo: davanti al nemico s’ alzò una nube di polvere e centinaia di schegge taglienti schizzarono ovunque costringendolo a ripararsi con il mantello.

 

Luna approfittò di quei pochi istanti per correre da Ron e risvegliarlo.

 

Ebbe appena il tempo di fargli aprire gli occhi che il Mangiamorte era già pronto ad attaccare di nuovo. Avanzò furente, con il braccio destro e la bacchetta tesi in avanti e vibranti d’odio.

 

Luna capì al volo le sue intenzioni.

 

« Ron, alzati! » ordinò, tirando per un braccio il ragazzo ancora intontito.

 

Un ruggito squarciò l’aria: « Crucio! »

 

* * *

 

All’improvviso una figura avvolta in un mantello scuro entrò dalla porta che conduceva all’aula di Divinazione.

 

Alicia, Michael e Anthony si schiacciarono il più possibile gli uni contro gli altri, dietro alla lunga scala a chiocciola, sperando di non essere scoperti. L’uomo appena entrato, però, era concentrato su una questione più importante e non si curò di controllare d’essere solo.

 

Attraverso le fessure fra i gradini, i tre ragazzi lo videro stringersi il pesante mantello al collo e salire le scale con urgenza al piano superiore. Dal loro nascondiglio non potevano vedere la destinazione dell’uomo, tuttavia udirono chiaramente le sue parole, rivolte ad un secondo interlocutore.

 

« Giustiziate i prigionieri. Ordini dell’Oscuro Signore. »

 

I ragazzi rabbrividirono all’unisono.

 

L’invisibile destinatario si raschiò la gola con evidente fastidio. Non gli piaceva che un suo sottoposto usasse quel tono perentorio nei suoi confronti, ma gli ordini venivano dall’alto e quindi non erano discutibili.

 

« Sarà fatto, » rispose congedando con sufficienza il messaggero.

 

Il mago scese le scale e si dileguò rapidamente com’era entrato.

 

Sopra le loro teste, i tre ragazzi udirono una serie di passi ed un ulteriore scambio di battute con un terzo individuo.

 

« Travers, portiamo i prigionieri alla Sala Comune dei Serpeverde. A quanto pare, dobbiamo giustiziarli prima del tempo. »

 

Non ci fu risposta, ma dal frenetico scalpiccio che seguì, i ragazzi compresero che i due Mangiamorte si stavano già attivando per eseguire gli ordini ricevuti.

 

« Che facciamo? » sussurrò Alicia.

 

« Li seguiamo, » propose Michael.

 

Anthony scosse la testa con decisione. « No, li precediamo. Aspettiamo che scendano e poi usiamo il camino dell’Aula di Divinazione. Arriveremo per primi e li coglieremo di sorpresa! »

 

* * *

 

Hogwarts.

 

Hermione rifletté in silenzio su ciò che Draco Malfoy aveva appena detto.

 

Purtroppo, che lei lo volesse ammettere o meno, aveva ragione.

 

Entrambi amavano quella scuola; era il luogo nel quale erano cresciuti e che custodiva gran parte dei loro sogni e delle loro ambizioni. Vi avevano trascorso l’infanzia e l’ adolescenza, ed i loro ricordi erano impregnati di ogni profumo, ogni suono, ogni immagine racchiusa fra quelle mura. Non erano disposti ad accettare il lento degrado in cui veniva trascinata da maghi malvagi, succubi di un tiranno inebriato dal potere.

 

Fece alcuni passi avvicinandosi al camino e inspirò profondamente.

 

« Va bene, forse hai ragione… » ammise fissando il pavimento per celare l’imbarazzo.

 

Draco la guardò stupito.

 

Lei continuò, soppesando accuratamente ogni parola: « Ti ho seguito fin qui perché credevo di esserci costretta. Invece, probabilmente, ti consideravo un “passaggio” per Hogwarts. Ora però, Malfoy, cerca di non essere ottuso e ascoltami. »

 

Lui la studiò di sottecchi, sospettoso.

 

« Non possiamo andare alla Sala Comune dei Serpeverde senza aver studiato un piano. Non abbiamo idea di chi potremmo incontrare e non conosciamo il vero potere di Tu-Sai-Chi… a dire il vero, non sappiamo nemmeno se ci sia ancora la Sala Comune! »

 

Draco scosse la testa con sommo disappunto: « Impossibile… »

 

Hermione alzò la mano per zittirlo. « Senti la mia proposta: usiamo la Polvere Volante e andiamo al rifugio costruito dai tuoi genitori (ricordo che c’era un camino) e lì mettiamo a punto un piano. Se ho intuito bene le caratteristiche dell’Incantesimo, quella baita dispersa fra le montagne è in realtà un’appendice del Castello, una sorta di camera nascosta, tramite la quale è possibile andare e venire a Hogwarts usando la Stanza delle Necessità. Se è così - come credo - scommetto che anche il camino è collegato al Castello e alla Metropolvere. Penso che i tuoi genitori non abbiano lasciato nulla al caso… »

 

Draco Malfoy rimase profondamente sorpreso da quell’analisi, condita di dettagli che lui non aveva minimamente considerato.

 

Evidentemente, Hermione Granger era più sveglia di quello che credeva…

 

Rimase in silenzio a valutare la sua proposta, senza trovare il coraggio di guardarla in faccia e dirle apertamente che l’ approvava. Ascoltò il suo respiro regolare, leggermente appesantito dall’attesa di un suo intervento.

 

Quando lei fece un altro passo per affiancarlo, s’irrigidì.

 

Le dita delle loro mani si erano sfiorate.

 

Per alcuni secondi, entrambi rimasero immobili, come se quel contatto li avesse congelati.

 

Poi Draco, come riprendendosi da una visione, chiuse il pugno e ritirò la mano.

 

Solo allora, Hermione parlò: « Non ti sembra una buona idea? » chiese con un candore che lui ritenne artefatto.

 

Perché Hermione Granger era consapevole della propria intelligenza, e quella modestia era dannatamente falsa...

 

L’idea era buona, per Merlino, ma non aveva alcuna intenzione di dirlo.

 

Lei interpretò il silenzio come disapprovazione. « Hai proposte alternative? » domandò.

 

A lui sembrò che un lieve sarcasmo le incrinasse la voce.

 

Non rispose.

 

Rimase a fissarla in silenzio mentre lei apriva lo zaino e prendeva un pugno di Polvere volante.

 

No.

 

Non ne aveva, di alternative.

 

E lei lo sapeva.

 

Per questo non attese il suo assenso, gettò la Polvere nel camino, pronunciò la destinazione e ci saltò in mezzo.

 

Lui la seguì, senza dire una parola.

 

* * *

 

Vista dall’alto Villa Conchiglia appariva come un’oasi nel deserto. Un incantesimo la proteggeva dal freddo che regnava sul resto della collina, mantenendo il giardinetto in fiore, come se fosse sempre primavera.

 

Molly Weasley atterrò accanto ad un’aiuola, scese dalla scopa e la ripose nella piccola valigia; poi s’ incamminò fra i cespugli fioriti.

 

Affacciata alla finestra dell’ingresso della Villa vide una bambina bellissima: aveva poco più di un anno, lunghi capelli biondi ed occhi azzurri, profondi e curiosi. Era Victoire Weasley.

 

Molly riconobbe immediatamente la nipotina, nonostante l’avesse incontrata soltanto quando era ancora in fasce.

 

La piccola s’allontanò dalla finestra; Molly la vide scomparire dietro il vetro e si ritrovò a ripensare a quegli ultimi due anni.

 

Molte cose erano accadute durante la guerra.

 

Drammi impossibili da accettare, come la perdita di un figlio, di un padre, di un amico...

 

E si viveva un po’ nell’illusione, creandosi un angolo di primavera nel grigiore dell’inverno…

 

Eppure, il mondo magico, ciò che di buono era rimasto fra il marciume asservito a Lord Voldemort, non aveva smesso di andare avanti, di sperare in futuro migliore.

 

Pensò alla nipotina Victorie, al piccolo Fred Junior, a Teddy Lupin rimasto orfano.

 

Poi pensò ai ragazzi dell’Esercito di Silente, che avevano scelto di vivere fra i boschi, lontani dai propri cari, disposti a rischiare la vita combattendo contro un essere fatto di pura malvagità…

Se avevano affrontato tutto quello e ancora non avevano ceduto, era per loro: le nuove generazioni. Per dare loro la pace, perché potessero provare le emozioni vissute dai nonni e dai genitori fra le mura del Castello, per vederli diventare grandi maghi, fieri d’aver studiato a Hogwarts.

 

Con gli occhi velati di lacrime, Molly non si era accorta che la porta della Villa era aperta e sull’ ingresso l’attendevano suo figlio Bill e Fleur Delacour, insieme alla piccola Victorie, nascosta timidamente dietro l’abito della madre.

 

* * *

 

Hannah Abbott aveva seguito con precisione il piano che Neville aveva messo a punto per raggiungere Hogwarts, guidando i compagni attraverso il Lago Nero, nella speranza d’arrivare in tempo per essere d’aiuto.

 

Riemersero dalle acque ai piedi della scogliera e s’arrampicarono.

 

Hannah andò per prima, seguita da Ernie, Justin e Terry. A contatto con l’acqua la roccia era fredda e levigata. Calì scivolò emettendo un gemito; guardò con sconforto i pantaloni strappati e l’abrasione sul ginocchio destro, ma strinse i denti e continuò a salire. La sorella, che chiudeva il gruppo, la raggiunse preoccupata e le rimase accanto per il resto del percorso.

 

Nessuno pensò che il flebile lamento della Grifondoro potesse destare l’attenzione dei Dissennatori che ispezionavano il Lago. Così, quando il gruppo raggiunse la cima della scogliera, trovò un’accoglienza del tutto imprevista.

 

Un gruppo di eterei Dissennatori volteggiava minacciosa sopra le Serre.

 

Uno di loro si precipitò contro gli intrusi prendendo di mira il capogruppo.

 

Hannah soffocò un grido.

Inspirò a bocca aperta, ma il gelo le raschiò la gola e la immobilizzò.

In un attimo, tutto divenne nebuloso ai suoi occhi e non fu più in grado di pensare, di muoversi, di difendersi. Era come se qualcosa le stesse risucchiando la ragione, privandola della propria consapevolezza e lasciandola in balia di un’unica emozione: la paura di impazzire.

 

Ernie fu al suo fianco in un istante.

 

Sapeva esattamente cosa fare: divaricò le gambe e sfoderò la bacchetta.

 

« Incanto Patronus! » Gridò ed un possente cinghiale argenteo prese forma nell’aria e caricò contro nemico mettendolo in fuga.

 

Nello stesso momento, Terry urlò puntando un dito verso il cielo: « Attenti! »

 

Alcuni Dissennatori avevano lasciato gli altri e si stavano pericolosamente avvicinando.

 

Tutti i membri dell’Esercito erano in grado di evocare il proprio Patronus, perché si erano allenati strenuamente per mesi, sotto la guida sapiente della professoressa McGrannit; ma solo in pochi sapevano cosa significasse realmente affrontare un Dissennatore.

 

Justin Finch-Fletchley non era fra quelli.

 

Vedendo il nemico avanzare, cadde nel panico. Aveva le dita ghiacciate e la bacchetta gli cadde di mano.

 

Percependo la sua debolezza, uno degli spettri lo attaccò.

 

« Justin! »

 

Hannah corse verso di lui per difenderlo, ma era ancora provata dal breve contatto avuto con il Dissennatore e la paura ridusse la sua concentrazione. Dalla punta della sua bacchetta non uscì altro che un filo argentato seguito da uno sbuffo.

 

Di nuovo Ernie corse in aiuto degli amici. Terry lo raggiunse.

 

Nello stesso istante Padma e Calì gridarono: davanti a loro c’erano altri due Dissennatori.

Si presero per mano facendosi forza a vicenda per combattere quel gelo surreale ed insidioso, poi  tentarono di evocare il rispettivo Patronus…

 

* * *

 

Lasciando i compagni ad attenderlo appena svoltato l’angolo, Neville Paciock (con un piano d’ azione alquanto fumoso) s’incamminò verso la Presidenza.

Nonostante avesse le sembianze della ragazzina Slytherin, si muoveva più che mai guardingo.

 

Quando fu a breve distanza dal passaggio che conduceva in Presidenza, vide una studentessa minuta e dal portamento altezzoso arrestarsi di fronte al Gargoyle.

 

Un autentico colpo di fortuna!

 

Abbandonando la cautela, si fermò in mezzo al corridoio e tese l’orecchio. La ragazzina, con voce delicata e una punta di capriccio, pronunciò la parola d’ordine: « Rigor Mortis. »

 

La grossa statua si spostò di lato e la parete dietro di essa si aprì.

 

Neville era euforico.

 

Percorso da scosse di adrenalina, s’appoggiò alla parete e attese impaziente che la studentessa uscisse dall’Ufficio, poi corse all’ingresso, pronunciò la parola d’ordine appena appresa e - quasi senza riflettere - attraversò la soglia.

 

Quando fu in cima alla scala a chiocciola, il cuore gli saltò letteralmente in gola: la porta dell’ Ufficio era socchiusa; dall’interno non giungeva alcuna voce.

 

La tentazione di entrare divenne irresistibile.

 

Possibile che il Preside avesse lasciato incustodito il proprio ufficio?

 

In quel momento, Neville si rese conto di non avere la più pallida idea di chi coprisse il ruolo di Preside.

 

Il fatto che Hogwarts fosse caduta nelle mani di Voldemort, rendeva il Castello più simile ad una prigione che ad una scuola, ed il pensiero che vi fosse ancora un Preside, non l’ aveva mai sfiorato.

 

Che fosse il Signore Oscuro?

 

Neville lo riteneva improbabile, tuttavia rabbrividì.

 

Poteva entrare e scoprirlo di persona…

 

Così facendo, poteva anche verificare la presenza della spada di Godric Grifondoro…

 

Scosse la testa e smise di perdere tempo in congetture.

 

Osservò la porta socchiusa e di nuovo costatò il silenzio all’interno; quindi inspirò profondamente per farsi coraggio e spinse l’anta in legno di quercia…

 

La porta si aprì sulla stanza circolare e Neville, di colpo, impallidì.

 

Dietro la grande scrivania, con un ghigno malvagio sulle labbra ed un lampo di follia negli occhi, sedeva il Preside della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts.

 

O meglio, la Preside.

 

Bellatrix Lestrange.

 

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 - Bellatrix Lestrange ***


Lost Memories - Capitolo 28

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

[…] una donna con una folta, scura chioma lucente e le palpebre semichiuse,

seduta sulla sedia con le catene come una regina sul trono.

 

J. K. Rowling, Harry Potter e il Calice di Fuoco

(cap. 30)

 

* * *

 

Capitolo 28 – Bellatrix Lestrange

 

« Muovetevi! » intimò il Mangiamorte spingendo Seamus e Dean giù dalle scale.

 

Dietro di lui, Travers stringeva per un braccio Zacharias e Katie, che gemette incespicando sui gradini.

 

Tutti e quattro i prigionieri avevano i polsi legati da corde stregate, ed erano in difficoltà a percorrere la scala a chiocciola.

 

Quando furono sull’ultimo gradino, Seamus tentò di ribellarsi; fece uno scatto improvviso con le spalle e riuscì a sfuggire, per un attimo, alla stretta del suo carceriere. Dean spalancò gli occhi e immediatamente tese i muscoli, pronto ad imitare il compagno, ma il Mangiamorte aveva previsto quel tentativo di fuga e non si lasciò cogliere di sorpresa.  Rapidamente riprese il controllo: strinse con violenza il braccio di Dean e afferrò Seamus per i polsi legati, strattonò entrambi giù dal gradino e spinse Seamus contro la parete, schiacciandogli il viso contro il muro.

 

« Mi hai preso per uno sprovveduto? » ringhiò.

 

Seamus non si fece intimorire e rispose a tono: « È quello che sei. »

 

« Bada a come parli, o sarai il primo a morire. »

 

« Non ho paura. Che io sia il primo o l’ultimo, verrà un Esercito a vendicarci. »

 

« Un esercito di bambocci! » sghignazzò il Mangiamorte prendendo la propria bacchetta e puntandogliela contro la nuca.

 

« Yaxley! » Travers lo richiamò dall’alto della scala. Il suo tono era allarmato, con una punta di rimprovero.

 

Yaxley lo guardò furente.

 

Non era in grado di controllare la propria ira e Travers capì che aveva il dovere di placarlo. « Dobbiamo portarli alla Sala Comune, sarà il Signore Oscuro a decidere come giustiziarli. »

 

Yaxley odiava essere interrotto e odiava ancor più che qualcuno gli dicesse cosa fare; ma Travers gli ricordò quanto fosse pericoloso contravvenire agli ordini di Voldemort.

 

Così si fermò, ripose la bacchetta e sollevò Seamus dalla parete.

 

« Muoviti, feccia! » ordinò spingendo i prigionieri davanti a sé.

 

Travers lo seguì trascinando letteralmente Zacharias terrorizzato e Katie in lacrime.

 

Nascosti dietro alla scala a chiocciola, Anthony, Alicia e Michael assistettero alla scena in un silenzio carico d'angoscia. Fremevano all’idea di aggredire alle spalle i Mangiamorte per liberare i propri amici, ma si costrinsero a rimanere nell’oscurità: lo spazio a disposizione era troppo ridotto per ingaggiare una battaglia e c’era un alto rischio di ferire gravemente i ragazzi disarmati.

 

Alicia aveva cominciato a piangere e, quando sentì Katie singhiozzare, si premette entrambe le mani sulla bocca per impedirsi di emettere anche il più flebile gemito.

 

Il piano di Anthony era la loro unica strategia, non poteva rischiare di mandare tutto a monte.

 

* * *

 

Un brivido scivolò lungo la schiena di Neville quando incrociò gli occhi di Bellatrix Lestrange, carichi di folle malvagità.

 

« Cosa vuoi? » domandò la strega.

 

Neville trasalì.

 

Prese tempo per formulare una risposta credibile, ricordando a se stesso che, per quanto terrificante e indagatore fosse quello sguardo, non poteva riconoscerlo.

Inspirò profondamente e diede un colpo di tosse.

 

« Sono qui per riferire una violazione del regolamento, » azzardò con voce acuta, atteggiandosi con presunzione come aveva visto fare alla studentessa di cui vestiva i panni.

 

« Ti ascolto. » disse la Preside, fredda e severa.

 

Neville rispose tutto d’un fiato: « Si tratta di Eddie Newark, studente del primo anno. Per due volte consecutive ha saltato la lezione di Arti Oscure, senza alcuna giustificazione. »

 

Bellatrix strinse gli occhi in fessure e scrutò la ragazzina.

 

« Capisco… » disse meditabonda. Poi prese a camminare avanti e indietro per l’Ufficio, sfiorando con le dita la robusta scrivania.

 

Vi fu un silenzio che a Neville parve senza fine.

 

Inquieto, alzò gli occhi ad esaminare l’Ufficio.

La nostalgia lo colse immediatamente mentre passava in rassegna i quadri dei vecchi Presidi di Hogwarts. S’accorse che quello di Silente era stato rimosso e le sue mani vibrarono di rabbia ed indignazione. Poi vide la teca posta al centro della parete, contenente la Spada di Godric Grifondoro; il riverbero del ferro brillò nelle sue pupille e, d’un tratto, si sentì rinvigorito nel coraggio e nella motivazione.

 

In quello stesso momento, Bellatrix si voltò verso di lui con un sorriso enigmatico: « Molto bene, » cantilenò melliflua, « la tua devozione al regolamento è ammirevole, Signorina Warrington(*), premierò la tua squadra con dieci punti. »

 

Neville guardò la perfida donna ingoiando lo stupore.

 

Come potevano esserci squadre se l’unica Casa ammessa era Serpeverde?

 

Poi ricordò le divise dei ragazzi che aveva incontrato lungo il corridoio e le fasce di colori differenti che portavano sul braccio: forse la Casa Serpeverde era stata suddivisa in sottogruppi per alimentare la competizione fra gli studenti…

 

A quel punto, la Preside lo congedò con un cenno sbrigativo e lui s’affrettò ad uscire dall’Ufficio, desideroso di raggiungere al più presto i compagni nascosti a pochi passi di distanza.

 

* * *

 

Appena capì che il Mangiamorte intendeva richiamare Voldemort attraverso il Marchio Nero, Ginny gridò: « Harry, non lasciarglielo fare! »

 

Harry capì al volo e puntò la bacchetta contro il nemico: « Expelliarmus! »

 

L’incantesimo fu abilmente aggirato, ma ebbe comunque l’effetto sperato perché impedì al nemico di toccare il Marchio.

 

Il Mangiamorte guardò Ginny con un ghigno carico d’odio.

 

Non pronunciò alcuna parola. Alzò la bacchetta e l’agitò nell’aria come una frusta. Una lingua di fuoco brillò nell’aria, guizzando attraverso il corridoio scalfì la pietra e si diresse verso Ginny.

 

La Maledizione di Antonin Dolohov.

 

Harry la riconobbe.

 

Vide che Ginny aveva invocato un semplice Sortilegio Scudo e corse in suo aiuto. 

 

« Protego Horribilis! »

 

Aveva sperato di essere abbastanza forte, ma il suo scudo non era all’altezza della potenza nemica. Resse abbastanza da impedire alla Maledizione di colpire la ragazza, ma l’onda d’urto la investì in pieno.

 

Il suo corpo venne sollevato in aria e cadde a terra su un fianco, rotolò e si fermò supino, a pochi centimetri dalle scale.

 

* * *

 

Su idea di Terry, i ragazzi dell’Esercito di Silente si disposero in cerchio, con le spalle rivolte al centro e le bacchette puntate in avanti a formare una raggiera; questa disposizione trasmise loro coraggio e sicurezza.

 

Nel giro di pochi minuti, dalle Serre s’alzò una spirale di luci argentee e il cielo divenne un volteggiare figure immateriali.

 

L’irruente cinghiale di Ernie correva in circolo intorno al gruppo, fungendo da scudo. Il gufo di Hannah e l’evanescente colomba di Padma si lanciavano in picchiata contro i nemici più lontani, mentre Terry, con il suo capriolo perfetto, badava a quelli che incauti scendevano ad attaccare. Perfino l’abbozzo di pecora evocato da Justin e gli sbuffi argentati generati dall’incantesimo di Calì riuscirono a spaventare i nemici.(**)

 

In breve i Dissennatori furono sbaragliati e la morsa di gelo lentamente si dileguò.

 

I vincitori, però, non ebbero nemmeno il tempo di esultare.

 

« Guardate! » gridò Terry, allarmato, puntando un dito in aria.

 

Il cielo aveva smesso di brillare d’argento ed era ritornato scuro come quand’erano arrivati; dritto sopra le loro teste, fra nubi nere e lampi verdi era comparso un enorme Marchio Nero.

 

Sui volti rivolti in su dei ragazzi si dipinse l’orrore.

 

Padma si portò le mani alla bocca. Justin cominciò a tremare.

 

« Dobbiamo fare in fretta! » esclamò Ernie.

 

Nessuno obiettò.

 

Sapevano fin troppo bene il significato di quel volto che deturpava il cielo.

 

Morte.

 

* * *

 

La Maledizione Cruciatus sfrecciò attraverso lo stretto corridoio mancando per un pelo i due ragazzi. Ron si era alzato appena in tempo e Luna era corsa verso la parete, trainandolo con tutte le sue forze. Sbatté contro il muro con violenza e Ron le cadde addosso, ma non ebbe il tempo di scusarsi. Lei lo allontanò e girò su se stessa con tanta rapidità che Ron ricevette sul viso una sferzata dei suoi lunghi capelli. Tese la bacchetta magica in direzione del Mangiamorte e un raggio di luce schizzò fuori dalla punta.

 

Era un incantesimo non verbale che diede a Luna un secondo di vantaggio sul nemico il quale, spiazzato, venne colpito in pieno allo sterno.

 

Ron gridò euforico quasi fosse una partita di Quidditch, mentre il mago volava verso l’alto e si ribaltava a testa in giù, appeso per i piedi ad una fune invisibile.

 

Il Magiamorte prese a dimenarsi per aria cercando di scostarsi dal viso il voluminoso mantello. Era furioso e deciso a vendicarsi nel più crudele dei modi, ma Ron fu più veloce.

 

« Expelliarmus! » Urlò appena la mano del nemico spuntò tra le pieghe dell’abito. La sua bacchetta roteò nell’aria.

 

Ron corse a raccoglierla proprio mentre Luna annullava inaspettatamente l’incantesimo Levicorpus.

 

Il Mangiamorte precipitò in terra con un tonfo.

 

Ron si volse allarmato verso la compagna, ma prima che potesse chiedere spiegazioni ebbe la risposta: Luna scagliò sul mago un ultimo incantesimo e lo pietrificò.

 

Ne rimase una fredda statua riversa su un fianco, con il braccio destro teso in avanti nel vano tentativo di recuperare la propria arma, quello sinistro premuto sulle costole, ed il viso scappucciato immortalato in un'espressione di dolore.

 

Ron lo riconobbe con stupore. Era Adrian Pucey, ex-studente della Casa Serpeverde. Aveva l’età di George.

 

« Dammi una mano. »

 

Ron guardò perplesso Luna che tentava di muovere la statua e corse ad aiutarla.

 

Assecondando il suo volere, spinse la statua lungo il corridoio fino all’incrocio e la ruotò di novanta gradi, ottenendo così un insolito, quanto macabro, indicatore.

 

« È per Neville, » spiegò Luna, « così saprà che direzione prendere per raggiungerci… »

 

Ron si grattò la testa dubbioso, ma non fece commenti. Si limitò a seguire la stravagante Corvonero mentre correva verso i sotterranei, per riunirsi a Ginny ed Harry.

 

* * *

 

Draco Malfoy mise piede nella piccola baita provando un grande sollievo nel trovarla identica a come l’aveva lasciata. Nonostante le dimensioni ridotte, l’arredamento spartano e l’odore di stantio, rappresentava l’unica casa che realmente gli apparteneva. 

 

Diede una rapida occhiata intorno per assicurarsi che tutto fosse rimasto al proprio posto, dopodiché passò a considerare Hermione.

 

Il fiato gli si fermò a mezza gola smorzando un’imprecazione: stava rovistando nello scaffale senza il suo permesso!

 

« Che cavolo stai facendo?! »

 

Hermione sobbalzò colpevole.

 

« Niente, » disse riponendo velocemente una specie di orologio da polso, che al posto del quadrante aveva una minuscola clessidra.

 

Era senza dubbio una Giratempo, aveva pensato Hermione, ma la clessidra era talmente piccola che forse riusciva a tornare indietro solo di pochi minuti.(***)

 

Draco s’avvicinò, osservò l’oggetto e scrutò Hermione.

 

Lei si difese prima ancora d’essere accusata: « Potrebbe servirci, » motivò imbarazzata.

 

Lui prese l’orologio e l’intascò, senza nemmeno domandarsi cosa fosse. « In tal caso, lo terrò io… » ribatté pungente.

 

Poi s’allontanò da lei di qualche passo e con la bacchetta fece uno strano disegno nell’aria.

 

« Fai una spirale ruotando il polso » disse con gli occhi rivolti alla parete di fronte.

 

Hermione, colta alla sprovvista, farfugliò: « Come? »

 

« Ruota il polso, è importante, » ripeté lui, seccato. Poi rifece lo stesso movimento pronunciando una formula magica che Hermione non aveva mai sentito.

 

« Mors Reflecto. »

 

Intorno a lui l’aria s’ addensò formando uno scudo circolare, fumoso e opaco, carico d’elettricità.

 

Lo guardò costernata. « Che cosa stai facendo, Malfoy? »

 

« Un incantesimo di difesa. »

 

« Sì, ma - »

 

La zittì spazientito: « Vuoi un piano o no? »

 

« Sì! » esclamò lei con sorpresa.

 

« Allora fa’ quello che ti ho detto prima che mi penta del tempo che sto perdendo. »

 

Hermione, concitata, estrasse la bacchetta e drizzò la schiena, mettendosi sull’attenti come un piccolo soldatino.

 

Quella reazione strappò a Malfoy un abbozzo di sorriso.

 

« Mors Reflecto. » Scandì evitando accuratamente di guardarla negli occhi.

 

Hermione ripeté la formula pronunciandola correttamente al primo tentativo e Malfoy approvò.

 

« È Magia Nera. »

 

Hermione s’irrigidì.

 

« È l’incantesimo di difesa migliore che conosco. Secondo la teoria, se evocato nell’istante esatto in cui l’avversario attacca, potrebbe persino deviare una Maledizione Senza Perdono, ma è ovviamente impossibile riuscirci. » Spiegò e s’accorse che Hermione stava trattenendo il respiro.

 

« Rilassati, » le disse. La sua voce fu così calda e blanda che la fece arrossire. « Non finirai ad Azkaban per questo. »

 

Hermione si disse che, dopotutto, non faceva nulla di male: stava solo imparando a conoscere le tecniche nemiche. Espirò con una lentezza estenuante, cercando di calmarsi, e sollevò la bacchetta; era difficile usarla con le dita quasi congelate, ma tentò comunque di replicare il movimento che lui le aveva mostrato.

 

Lo sentì grugnire.

 

« Una spirale! Ti sembrava una spirale quella!? »

 

« Sta’ zitto Malfoy, sto cercando di concentrarmi! » Rimbeccò lei, alzando di nuovo la bacchetta ma lui, all’improvviso, le afferrò il polso e lo guidò disegnando nell’aria quella che definì una “spirale perfetta”.

 

« Hai capito? »

 

Hermione aveva le guance in fiamme. Malfoy le stava così vicino che sentiva il suo respiro fra i capelli e continuava a tenerle il braccio aspettando una risposta.

 

Lei riuscì soltanto ad annuire.

 

Attese che lui le liberasse il braccio e ritentò.

 

« Il polso, Granger! Il polso! »

 

Hermione chinò la testa riconoscendo l’errore.

 

Una reazione troppo mansueta per i suoi gusti, ma non le riusciva proprio di cacciare fuori una sola parola.

 

Non poteva certo gridargli di scansarsi, che finché le stava così appiccicato lei non riusciva a concentrarsi!

 

* * *

 

Bill Weasley invitò la madre ad entrare nella piccola cucina di Villa Conchiglia e ad accomodarsi accanto al tavolo.

 

« Con la scopa! Per tutti i maghi, mamma, è troppo pericoloso! » si lamentò precedendola.

 

Molly scosse la testa con disapprovazione: « Bill, non permetterti di fare la ramanzina a tua madre! Piuttosto, » aggiunse rivolgendosi a Fleur, « mi scuso per l’improvvisata. »

 

« Oh, non fa nionte, » rispose Fleur prendendo in braccio la piccola Victorie, « è molto tempo che non sci vediamo. »

 

Molly annuì e salutò la nipotina che di rimando sorrise.

 

Bill, nel frattempo, aveva aperto la dispensa.

 

« Cosa posso offrirti mamma? Idromele, Succo di Zucca, c’è tutto quello che vuoi… »

 

« Lascia perdere Bill, non sono qui per un viaggio di piacere. Devo parlare con tuo padre, » rispose lei serissima.

 

Bill conosceva bene sua madre e gli bastò guardarla negli occhi per capire che era accaduto, o stava per accadere, qualcosa di grave. « Cos’è successo? » domandò allarmato.

 

Fleur percepì la sua preoccupazione e strinse a sé la figlia.

 

« Harry Potter è tornato, » annunciò Molly, « ha insistito per partecipare ad una missione guidata da Neville, ma ci sono stati degli imprevisti. Ora è ad Hogwarts. Tu-Sai-Chi potrebbe scoprirlo e lo scontro sarebbe inevitabile. I membri dell’Esercito di Silente hanno coraggio e talento, ma non possono combattere da soli una guerra di tale portata: dobbiamo contattare tutti gli alleati che riusciamo a rintracciare. Ho già inviato un gufo a Percy e a Charlie. » spiegò tutto d’un fiato, poi guardò la nuora scusandosi di nuovo, « perdonami se approfitto della vostra ospitalità, ma questo è il luogo più sicuro che conosco. »

 

« Non sc’è probloma. » rispose Fleur accomodante, poi Molly si alzò in piedi.

 

« Bill, non perdiamo tempo, devo informare Arthur. »

 

* * *

 

Draco Malfoy non poté fare a meno di notare la velocità con cui Hermione aveva imparato la tecnica dell’incantesimo: poteva anche avere trilioni di difetti, ma quando si trattava di usare la magia, puntava alla perfezione.

 

Tuttavia, nonostante compisse i movimenti corretti e la pronuncia della formula fosse impeccabile, dalla sua bacchetta non uscivano che miseri sbuffi di fumo.

 

« Non capisco dove ho sbagliato… » La sentì borbottare.

 

La ignorò. L’aveva spiegato già troppe volte qual era il suo errore: mancava di convinzione. Si vedeva lontano un miglio che non faceva seriamente, che non voleva assumersi la responsabilità di un’azione illegale.

 

E mentre lei si lamentava inutilmente, lui esaminò la baita con attenzione. Aveva la sensazione che ci fosse qualcosa fuori posto.

 

All’improvviso spalancò gli occhi.

 

Ricordava perfettamente lo spesso strato polvere che ricopriva il tavolo, ma…

 

S’avvicinò con una sola falcata ed emise un gemito, vedendo l’oggetto che era stato appoggiato sul legno.

 

Hermione si voltò verso di lui percependo lo stato di allarme e sbarrò gli occhi con lo stesso stupore: Malfoy reggeva fra le mani il ritratto di Narcissa Black Malfoy.

 

Si girò a guardarla minaccioso; se lei non fosse stata abbastanza rapida l’avrebbe ricoperta di accuse.

 

« Non posso averlo portato qui io! » Prevenne.

 

Malfoy strinse le palpebre: « E come ci sarebbe arrivato!? »

 

« Non ne ho la più pallida idea! Come avrei potuto tornare a Londra e lasciarlo qui? È una Passaporta! » obiettò pragmatica Hermione. Ne seguì una disarmante deduzione: « Qualcun altro deve per forza averlo… »

 

Non aveva ancora finito di parlare che Malfoy si era già precipitato all’esterno.

 

* * *

 

Neville, con ancora le sembianze della studentessa di Serpeverde, raggiunse i compagni che lo stavano aspettando e, impulsivamente, Cho lo abbracciò.

 

« Ci hai messo un sacco di tempo! Eravamo preoccupati! »

 

Lui, imbarazzato, l’ allontanò da sé.

 

« Sta attenta, » l’ammonì, « potrei non essere io. »

 

Cho si morse le labbra vergognandosi del proprio errore. « Scusa, » mormorò, ma Neville non la stava più ascoltando. Era distratto da George che lo fissava con sguardo ebete e sporgeva in fuori il labbro inferiore.

 

« Cos’è successo, George? » gli chiese sospirando paziente.

 

« Posso abbracciarti anche io? »

 

« No. »

 

George sbuffò. « Peccato. Perché se tu fossi più gentile, ti riferirei i messaggi che ho appena ricevuto… »

 

« Va bene, George, puoi abbracciarmi. »

 

George gli saltò al collo con uno slancio talmente impetuoso che il corpicino minuto della ragazzina barcollò.

 

Quando si separò, esordì brillante: « Buone notizie! Innanzitutto, è nato Fred Junior. »

 

Pur essendosi già congratulata, Cho gioì di nuovo battendo le mani: « Oh, non è meraviglioso? »

 

Neville le fece segno d’abbassare la voce, poi sorrise al neo-papà: « Congratulazioni! »

 

George ringraziò e riprese: « Appena te ne sei andato è arrivato anche un messaggio da Katie Bell; diceva che verranno portati alla Sala Comune dei Serpeverde. Infine, Angelina ha detto anche che sta arrivando una squadra di soccorso. »

 

Neville non parve troppo contento della comunicazione. Era già difficile gestire il caos in cui erano finiti.

 

« E tu cos’hai scoperto? » gli domandò Cho.

 

« Pessime notizie, » rispose parafrasando George, « sono riuscito ad entrare nell’Ufficio del Preside. »

 

George esultò: « Ma questa è un’ottima notizia! Grande Paciock! E la parola d’ordine? »

 

« È Rigor Mortis » rispose Neville senza entusiasmo, « hanno tolto il quadro di Silente… che vigliacchi! E… ho visto la Spada di Godric Grifondoro, solo che… c’era la Preside - »

 

« La Preside? » interruppe George basito (anche per lui era difficile pensare ad Hogwarts come una scuola), « e chi sarebbe? »

 

Neville s’incupì e prese un profondo respiro: « Bellatrix. »

 

I ragazzi si scambiarono uno sguardo disgustato e preoccupato.

 

George distolse gli occhi per primo: sul galeone era appena arrivata una comunicazione da parte di Hannah Abbott.

 

Siamo arrivati.

Siamo nel castello.

 

Non ebbe il tempo di riferire il messaggio. Riuscì soltanto ad intascare la moneta, poi le parole gli morirono in gola.

 

Con occhi sbarrati guardò alle spalle di Neville che, a sua volta, si girò.

 

All’inizio del corridoio, con un sogghigno tronfio e malvagio, c’era lei.

 

Bellatrix Lestrange.

 

« Beccati! »

 

* * *

 

N.d.A.

 

(*) La studentessa Slytherin è un personaggio ovviamente inventato, ma ho voluto darle un cognome noto (Warrington) per sottolineare la parentela con un Serpeverde.

 

(**) Gli animali evocati con l’Incanto Patronus sono tutti inventati a parte il cinghiale di Ernie. Non ricordo siano descritti nei libri e non ho trovato altro al riguardo, quindi ho associato ad ognuno l’animale che mi sembrava più adatto a rappresentarlo. Fatemi sapere se vi piace l’accostamento e se per caso ho commesso degli errori!

 

(***) Lo so che le Giratempo erano custodite al ministero e sono andate distrutte… ma ho immaginato, come poi accade sempre in ogni cosa, che fossero custodite solo quelle “ufficiali”. Penso che dopotutto sia credibile che la famiglia Malfoy possa possederne una, magari ereditata nei secoli e mai dichiarata, eventualmente con potenzialità limitate… mhh… ho già detto troppo… =P

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Capitolo 29
*** Capitolo 29 - Ladri ***


Lost Memories - Capitolo 29

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

« Lo sceriffo si è preso tutto quello che avevamo! »

« E allora, in nome di Dio, ce lo riprenderemo. »

 

Dal film Robin Hood: principe dei ladri

Regia di Kevin Reynolds

 

* * *

 

Capitolo 29 – Ladri

 

Lungo lo stretto passaggio trasversale che s’apriva sul corridoio principale del settimo piano Cho Chang gridò sconvolta.

 

« Mi hai seguito! » esclamò Neville mentre svaniva l’effetto della Pozione Polisucco e riprendeva la sua normale fisionomia.

 

Bellatrix Lestrange rise arrogante. « Seguito? Oh, è stato molto più facile! Un piano davvero astuto, il tuo, Paciock, peccato che tu abbia trascurato un piccolo dettaglio: chi pensi che sia l’insegnante di Arti Oscure? »

 

Neville era sbigottito: « Tu… Sei tu?! »

 

Gli occhi della strega si spalancarono colmi di soddisfazione: « Ah, Karin Warrington, » sospirò, « una delle mie migliori studentesse! Per lei e pochi altri ho istituito un corso di potenziamento intensivo… riesci ad immaginare anche dove tengo le lezioni? »

 

« Nell’Ufficio del Preside! Maledizione! » imprecò George.

 

« Ottimo intuito per essere un Weasley, » sghignazzò Bellatrix pungente, poi si rivolse di nuovo a Neville: « Avevo appena concluso una lezione, e tu… (ah, che ingenuo!) Mi hai riferito quello che ho visto con i miei occhi… è stato fin troppo banale capire… non ti facevo così sprovveduto, dopotutto nelle tue vene scorre sangue puro! »

 

« Maledetta, »  sibilò Neville fra i denti.

 

Bellatrix fece una risata malvagia, ebbra di soddisfazione, il cui eco si propagò per tutto il corridoio.

 

« Preside. » disse fra sé e sé, volgendo gli occhi al cielo, « mio Signore hai scelto un ruolo perfetto per me! »

 

Cho Chang rabbrividì e sfoderò la bacchetta per prepararsi allo scontro inevitabile.

 

Neville, il volto in fiamme, strinse i pugni con rabbia.

 

Mentre Cho cercava di sedare la paura e Neville si rimproverava per gli errori commessi, George ebbe una folgorazione.

 

Senza farsi notare mise una mano in tasca ed afferrò il galeone.

 

Distolse l’attenzione dal nemico e si concentrò sull’Incantesimo, componendo con destrezza un messaggio per Hannah:

 

Ufficio Preside vuoto.

Parola d’ordine: Rigor Mortis

Prendete la Spada!

 

Appena inviato il messaggio, si concesse qualche istante per complimentarsi con se stesso.

 

Quella disattenzione gli fu fatale.

 

Bellatrix scoccò la bacchetta nell’aria. « Weasley! » rise, « farai la fine di tuo fratello! »

 

E così dicendo attaccò.

 

George non ebbe il tempo di reagire. Colpito in pieno cadde a terra privo di sensi. La moneta gli sfuggì dalle mani e rotolò lontano, perdendosi nell’oscurità del piccolo corridoio.

 

« NO! George!»

 

Cho fu velocissima: « Innerv - »

 

« Silencio! »

 

La giovane Corvonero sentì la voce sfuggirle dalla gola come risucchiata in un vortice, ma dalla sua bacchetta partì comunque un lampo di luce che colpì George in pieno, e lei sperò che l’incantesimo interrotto avesse ugualmente effetto.

 

L’ululato di Bellatrix rimbombò tra le pareti un attimo prima che scagliasse un’altra fattura.

 

Neville protesse Cho evocando un Sortilegio Scudo e con la coda dell’occhio scrutò George: il suo corpo era inerme.

 

* * *

 

Le stanze di Villa Conchiglia erano tutte molto piccole, per questo Bill aveva effettuato un Incantesimo di Estensione Invisibile sulla camera degli ospiti, in modo che suo padre non dovesse alzarsi dal letto per presenziare alla riunione. Sua madre, poi, con l’aiuto di Fleur, aveva provveduto ad allestire un’elegante tavolata di benvenuto, con bevande e stuzzichini che tutti i convocati avevano trovato deliziosi.

 

Poco dopo l’accoglienza e i saluti d’occasione, il clima del raduno divenne molto serio.

 

Arthur informò gli invitati(*) della situazione; seguì una lunga discussione al termine della quale fu chiaro a tutti che era necessario intervenire.

 

Si trattava solo di decidere come.

 

Materializzarsi a Hogwarts era notoriamente impossibile, anche se qualcuno sosteneva che, secondo fonti imprecisate, qualche Mangiamorte fosse in grado di farlo.

 

Si scartò anche l’ipotesi di raggiungere il Castello con le scope, individuabili e bloccabili con troppa facilità.

 

Hestia Jones propose di Materializzarsi nella Foresta Proibita, ma l’idea venne archiviata rapidamente perché girava voce che proliferasse di creature asservite a Voldemort; inoltre, Hagrid era certo che fosse pattugliata dai Giganti e che Greyback, con alcuni suoi sottoposti, ne sorvegliasse strettamente il confine col Castello.

 

Horace Lumacorno era a favore dei tappeti volanti: c’era un modello proveniente dall’Estremo Oriente in grado di mimetizzarsi in volo insieme ai suoi passeggeri.

 

Il suo suggerimento venne preso in considerazione.

 

« Ci vorrà troppo tempo per procurarseli, » obiettò Sturgis Podmore.

 

Percy Weasley si espresse categorico: « Io non intendo viaggiare con mezzi illegali. »

 

Aberforth Silente lo rimbeccò: « Dobbiamo combattere contro Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e tu, ragazzo mio, pensi di farlo utilizzando solo strumenti legali? »

 

« Certamente. Checché se ne dica, resto ancora un impiegato del Ministero ed ho un onore da difendere. »

 

« Bene, allora offrici un’alternativa. » Lo sfidò Kingsley Shackelbolt.

 

Percy arrossì. « Beh, io pensavo a qualcosa che ci porti tutti insieme direttamente all’interno del cortile. In questo modo, se venissimo intercettati, potremmo aiutarci l’un l’altro…  l’unione fa la forza, no? »

 

Suo padre lo scrutò valutando la proposta. « A cosa pensavi esattamente? »

 

« Ecco… quando vivevo a Londra, ho conosciuto una famiglia di maghi che possedeva uno di quegli oggetti babbani… simili ad un Nottetempo a due piani… come si chiamano? Ah, double-decker(*). Un double-decker stregato. Lo tengono nel giardino, completamente incustodito. Potremmo prenderlo di notte e… »

 

« Parli di onestà e ci proponi un furto! » ironizzò Aberforth.

 

Percy si difese: « Non si tratta di un furto, è un semplice prestito. Ovviamente, lo restituiremo… »

 

La sua frase generò un acceso dibattito e Arthur, aiutato da Molly, si alzò in piedi per chiedere il silenzio. « Per me si può fare, » disse, « ricordo che mio figlio Ron, al suo secondo anno di scuola, arrivò a Hogwarts guidando la nostra auto stregata… » tossì imbarazzato, « non che ne vada orgoglioso, sia chiaro, ma in questo caso… insomma… dobbiamo solo stare attenti al Platano Picchiatore… »

 

Qualcuno sorrise. Le sue parole infusero coraggio ai presenti, che iniziarono ad essere sempre più convinti.

 

Arthur se ne accorse. « Prima di mettere ai voti la proposta, » disse, « lasciate che vi ricordi che state facendo questo per i vostri figli. »

 

« E i figli dei vostri figli, » incitò Molly.

 

La proposta venne approvata all’unanimità.

 

Nelle ore successive si discussero i particolari del piano, poi Arthur congedò i presenti.

 

« Andate a casa e preparate l’occorrente. Partiremo questa notte. »

 

Quando non rimase più nessuno, Molly parlò al marito. « Partiremo? Caro, tu sei ancora convalescente e non ti muoverai da qui. »

 

Arthur la guardò serio: « Non essere testarda Molly, si tratta anche dei nostri figli. Non intendo abbandonarli, non me lo perdonerei mai. »

 

Molly rifletté un istante. « Perfetto. Allora verrò anch’io. » Lo sfidò guardandolo negli occhi.

 

Arthur non poté fare altro che prendere atto della decisione.

 

Abbracciò la moglie, ammirandone il coraggio.

 

« Ce la faremo, » disse lei fra le sue braccia.

 

« Dobbiamo farcela. »

 

« Ce la faremo - ripeté Molly - ne sono sicura. »

 

* * *

 

Harry corse verso Ginny in preda all’angoscia. La chiamò e richiamò; quando la raggiunse si gettò in ginocchio e le prese il viso fra le mani, pregandola di aprire gli occhi.

 

Riconoscendo la sua vulnerabilità, il Mangiamorte, spietato, attaccò.

 

« Incarcerus. » ordinò puntando l’arma su di lui.

 

Fermarlo, ma non ucciderlo.

 

Ordini superiori.

 

« Protego! » Gridò Harry appena in tempo, vanificando l’attacco.

 

Lasciando Ginny a malincuore, si alzò in piedi per contrattaccare.

 

« Stupeficium! »

 

Il Mangiamorte schivò l’Incantesimo.

 

Nello stesso istante, Ron e Luna comparvero sulle scale. Vedendo Ginny in terra priva di sensi, Ron si precipitò giù e si gettò sulla sorella.

 

« Che cosa le è successo, Harry? » domandò allarmato.

 

Anche se nelle sue parole non c’era alcun rimprovero, Harry sentì una stretta al cuore come se fosse unicamente colpa sua. Rimase a guardare l’amico con un nodo in gola.

 

Il Mangiamorte approfittò del momento per sollevare la manica e tentare nuovamente di richiamare il suo Signore.

 

Luna, ancora in cima alle scale, comprese immediatamente le sue intenzioni.

 

« Glisseo, » ordinò trasformando i gradini in uno scivolo per scendere più velocemente. Arrivò in picchiata a terra, rotolò e si rimise in piedi in un baleno. Aveva i capelli scarmigliati ed il mantello tutto attorcigliato intorno alla vita, ma la bacchetta ben salda in mano.

 

« Stupeficium! » Replicò.

 

Il nemico ghignò con superiorità. Era un mago malvagio e potente: non aveva alcuna intenzione di farsi sconfiggere da uno Schiantesimo. Tuttavia dovette difendersi e di nuovo non riuscì a contattare Voldemort.

 

Harry staccò per un attimo gli occhi da Ron e Ginny; accorgendosi di quello che stava accadendo, raggiunse ed affiancò Luna.

 

Schiantesimi ed Incantesimi di Disarmo erano chiaramente inutili, così optò per qualcosa di più potente.

 

« Sectumsempra! »

 

Colto di sorpresa, il Mangiamorte questa volta subì tutta la violenza del colpo. Brandelli di stoffa volarono ovunque e schizzi di sangue macchiarono il pavimento e le pareti. Innumerevoli lame gli lacerarono il cappuccio del suo mantello, scoprendogli e sfregiandogli il volto.

 

Harry sobbalzò.

 

Come aveva intuito e temuto, era Antonin Dolohov.

 

Ferito e dolorante, ma lungi dal ritenersi sconfitto.

 

Harry e Luna utilizzarono quell’attimo di tregua per voltarsi verso Ginny.

 

Ron era chino su di lei. « Aguamenti, » disse bagnandole il viso con l’acqua.

 

Ginny si mosse e tentò di aprire le palpebre e subito le richiuse infastidita dal getto d’acqua continuo che le inondava il volto e le entrava in bocca e negli occhi.

 

« Ron, sei un imbecille! » imprecò.

 

« Oh, scusa, » balbettò il fratello realizzando di essersi completamente dimenticato di annullare l’incantesimo.

 

« Ma, cos’altro avrei dovuto fare, » si difese, « schiaffeggiarti? »

 

Ginny grugnì qualche insulto fra i denti e si alzò in piedi. Un giramento di testa improvviso la colse e barcollò.

 

« Rimani seduta, qui ci pensiamo noi, » suggerì Ron apprensivo.

 

« Piantala, sto benissimo. » ribatté lei, strizzandosi i capelli fradici e spostando l’attenzione sulla battaglia in corso. Harry e Luna la stavano guardando colmi di gioia.

 

Imprudenti.

 

Dolohov colse al volo l’occasione. Sollevò la manica del mantello e sfiorò, trionfante, il Marchio Nero.

 

Ginny sbiancò.

 

« No! No! » urlò disperata.

 

Facendosi largo fra i compagni sbigottiti, balzò nel mezzo del corridoio. La sua bacchetta fendette l’aria con una potenza che avrebbe scalfito la pietra.

 

Gridò con tutto il fiato che aveva in gola.

 

« Crucio! »

 

La Maledizione Senza Perdono colpì in pieno Dolohov che aveva incautamente abbassato la guardia. Il suo corpo si dimenò nell’aria in preda a violente convulsioni, per poi rovinare a terra.

 

* * *

 

Il cielo era talmente cupo, quel pomeriggio, che su Hogwarts sembrava essere calata in anticipo la notte; il Marchio Nero, enorme sopra al Castello, circondato da fitte nubi ed illuminato da lampi verdi, sembrava ghignare vittorioso.

 

Draco Malfoy, però, non lo notò.

 

Uscì a grandi passi, calpestando nervosamente il terreno, e girò attorno alla piccola baita, scrutando l’area ai limiti del bosco come un segugio.

 

La deduzione di Hermione conduceva ad una orribile realtà: chi aveva rubato e usato la Passaporta, non poteva essere andato lontano!

 

Perlustrò tutta la boscaglia nelle vicinanze senza trovare tracce, poi raggiunse il precipizio che si apriva sulla valle.

 

E lì, finalmente, vide il ladro.

 

A pochi passi dal burrone, con le spalle rivolte alla baita e lo sguardo alto nel cielo, era avvolto in un pastrano di panno scuro e sembrava assorto in profonde riflessioni.

 

Draco s’immobilizzò ad alcuni metri di distanza; sfilò la bacchetta magica da sotto il mantello e la puntò verso di lui.

 

Lo sconosciuto si voltò.

 

Aveva percepito la sua presenza fin dal primo istante, nonostante il ragazzo avesse osservato il silenzio più assoluto.

 

Questo perché lo stava aspettando da tempo.

 

« Chi sei? » ringhiò Draco.

 

La figura non rispose subito, presa com’era dal turbinio di emozioni che l’aveva travolta appena lui era arrivato. « Non mi riconosci? » chiese retorica, con un filo di voce, e si tolse il cappuccio che fino a quel momento le aveva coperto il volto rendendola irriconoscibile.

 

La luce verdastra del Marchio Nero si riflesse nei suoi occhi scuri.

 

Draco Malfoy fece un passo indietro, spiazzato.

 

« Pansy! »

 

La ragazza abbozzò un sorriso.

 

Draco abbassò la bacchetta. « T-tu? Tu hai rubato il ritratto di mia madre?! »

 

« Sì, » ammise lei, « per fermarti. Non puoi sconfiggere il Signore Oscuro, è troppo potente. »

 

Draco la guardò confuso.

 

Come poteva conoscere i suoi progetti? E poi…

 

« Quando… hai ricordato? » domandò.

 

« Non ho mai dimenticato, » rispose Pansy.

 

Lui aggrottò la fronte, sentendo crescere dentro di sé l’inquietudine. « Cosa intendi dire? » chiese scandendo le parole nervosamente.

 

« Ho recitato, » spiegò Pansy, « sono brava sai? Quando mi hai mostrato quel quaderno magico, ho finto di non capire. » Era tranquilla, non sembrava volerlo sfidare o provocare in alcun modo, ma lui non volle rilassare la mano che stringeva la bacchetta.

 

« Come… Come hai sciolto l’Incantesimo di Memoria? »

 

Pansy scosse la testa. « L’incantesimo era soltanto su di te. Io non ho mai perso i contatti con il Mondo Magico. »

 

Le perplessità di Draco si trasformarono improvvisamente in sospetti. « Allora cosa ci facevi a Londra? »

 

Pansy Parkinson inspirò profondamente: aveva atteso quel confronto con ansia eppure, ora lo temeva.

 

« Io volevo solo… stare vicino a te. »

 

Draco rimase senza fiato. Lei proseguì:

 

« Durante la Battaglia di Hogwarts, la professoressa McGrannit mi aveva ordinato di seguire Gazza e andarmene, ricordi? Ma ero maggiorenne e potevo scegliere. Tu, Tiger e Goyle avevate deciso di restare, e così sono tornata indietro. Ti ho trovato disteso a terra, tossivi e faticavi a rialzarti, eri insieme a Goyle e non c’era traccia di Tiger. Non mi sono avvicinata perché… non credevo ai miei occhi: tu eri un Mangiamorte… cosa ci facevi con Potter, Lenticchia e la Sanguesporco? (*) »

 

Draco ricordava quel giorno come fosse ieri. Aveva combattuto contro Potter nella Stanza delle Cose Nascoste e, paradossalmente, da Potter era stato salvato. Tiger aveva perso la vita tra le fiamme dell’Ardemonio, mentre lui e Goyle volavano all’esterno su una scopa guidata dallo Sfregiato.

 

In quel giorno, aveva perso contemporaneamente ciò che aveva di più simile ad un amico, i genitori e l’identità.

 

« Nel corridoio è esplosa la battaglia – continuò Pansy – tu sei scappato e io ti ho seguito. Quando lo scontro si è spostato all’esterno, ho visto i tuoi genitori entrare nel Castello. Ti cercavano e ho detto loro dov’eri nascosto: Voldemort li stava braccando e voleva anche te, ma loro avevano messo a punto quell’incantesimo pazzesco, sembrava frutto di settimane di lavoro! Rimossero i tuoi ricordi fornendoti una nuova vita, ma purtroppo non ebbero il tempo di allontanarti da Hogwarts: il Signore Oscuro li trovò e non poterono fare altro che proteggerti nel tuo nascondiglio. »

 

A quel punto, i ricordi di Draco diventavano più vaghi.

 

Ricordava lampi, scintille, urla e ruggiti; l’odore del sangue e della paura che lo paralizzava. Ricordava le lacrime che gli rigavano il volto per un motivo apparentemente sconosciuto e quel dolore sordo in fondo al petto, che non si era mai alleviato del tutto.

 

In quel giorno, aveva perduto due volte la sua famiglia: uccisa per mano di Voldemort e dimenticata.

 

In realtà, non ricordava d’aver assistito all’assassinio dei suoi genitori.

 

Non ricordava, ma sapeva.

 

L’unica cosa che non era mai riuscito a ricostruire, era la sua fuga da Hogwarts.

 

Pansy chiarì quel dettaglio senza che lui lo domandasse: « Sono stata io a portarti a Londra. Nell’Incantesimo di Memoria c’erano le indicazioni della tua nuova residenza e io non ho fatto altro che portarti dove tu stesso dicevi di voler andare. Mi sono permessa di completare il lavoro fatto dai tuoi genitori cancellando dalla tua mente anche quell’ultimo passaggio. »

 

A Draco non piacque per nulla quella rivelazione. Il suo volto assunse un’espressione di disprezzo.

 

Pansy aveva sempre saputo tutto e gliel’aveva tenuto nascosto. Aveva visto morire i suoi genitori e non era intervenuta. S’era intromessa nel loro progetto senza alcun permesso e gli aveva voltato le spalle, mentendogli, quando aveva bisogno d’aiuto. In quei due lunghissimi anni, non aveva condiviso con lui nulla di ciò che era veramente importante.

 

Tutto ciò che aveva fatto era stato infilarsi nel suo letto.

 

Puttana.

 

« Perché sei venuta a Londra? Sapevi che quello era il mio nascondiglio, avrebbero potuto seguirti e rintracciarmi. » La rimproverò.

 

« Siamo in guerra, » spiegò lei, « il Mondo Magico è diventato uno schifo, non vedi? Volevo stare con te e mi sono trasferita definitivamente tra i babbani. »

 

« Definitivamente… » masticò lui, sospettoso, «  prima hai detto di non aver perso i contatti con il Mondo Magico… »

 

Pansy si morse il labbro inferiore.

 

« Intendevo dire che non avevo perduto la memoria. »

 

« Bugiarda. »

 

Pansy tacque, sembrò soppesare l’accusa. « Era difficile spostarsi tra Hogwarts e Londra. Diagon Alley era sorvegliata, i Mangiamorte mi pedinavano, persino la mia famiglia aveva dei sospetti. Non ce la facevo a starti lontano, e così, alla fine, ho accettato… un compromesso. »

 

« Quale compromesso? » Domandò Malfoy, ma si pentì immediatamente d’aver parlato.

 

Lei arrotolò la manica sinistra del mantello tirandola fin sulla spalla e gli mostrò quello che considerava, stoltamente, un compromesso.

 

Il Marchio Nero.

 

Draco si accorse di non poter parlare. La sua voce si era volatilizzata.

 

« Con questo ho potuto muovermi liberamente. Tu-sai-chi voleva Potter e io mi offrii per cercarlo fra i babbani, dove alcuni sospettavano si nascondesse. » Spiegò, poi vide che lui era impallidito e scuoteva la testa meccanicamente; cercò di tranquillizzarlo. « Oh, non preoccuparti. Non ha alcun valore per me. È solo una copertura. Sono persino riuscita a diventare uno dei suoi seguaci più affidabili e lui non ha mai sospettato nulla. Nulla, ci credi? Sono brava a recitare, te l’ho detto, vero? »

 

« Pazza. » Sfiatò Malfoy.

 

Pansy non l’ascoltò, aveva un’espressione vacua sul viso, come se parlasse al vento e agli alberi del bosco: « Senza memoria… Merlino! Eri così diverso, così debole. Tu avevi bisogno di me. Il Lord Oscuro credeva che cercassi Potter, mentre invece passavo il mio tempo con te, dovevo solo ricordarmi di nascondere il tatuaggio con qualche intruglio babbano. Era tutto perfetto. Poi, all’improvviso, sei diventato pensieroso, nervoso, assente e… quando mi hai mostrato il quaderno… ho capito che avevi recuperato i ricordi e ho visto nei tuoi occhi il desiderio di vendetta. Speravo che mentire sarebbe bastato a fermarti, però… »

 

Draco avrebbe voluto dire qualcosa, ma riuscì solo a ringhiare.

 

Pansy mise una mano avanti per chiedergli di tacere: aveva altro da dire. « Quando è comparso Lenticchia in casa mia, con le sue stupide domande, mi è sembrata una Maledizione: senza nemmeno cercarlo avevo trovato lo Sfregiato e allo stesso tempo ti stavo perdendo. Ma non ho rinnegato la mia scelta. »

 

« Quale… scelta? » chiese Draco, sentendosi gelare ad ogni parola che s’aggiungeva a quell’assurdo racconto.

 

« Fra te e il Signore Oscuro, » rispose Pansy candidamente, senza rendersi conto che lui era sul punto di esplodere.

 

Draco puntò la bacchetta contro di lei: se Pansy era al servizio di Voldemort, non si sarebbe fatto scrupoli!

 

Lei alzò i palmi in segno di resa: « Non capisci? Io ho scelto te fin dal primo momento, anche quando non ricordavi nulla di noi. Con lui ho solo recitato. Solo che… quando ho visto… quellasquallidaSanguesporcoin casa tua… ho capito che dovevo fare qualcosa. Lei ti stava portando via. Ti stava costringendo a tornare qui, ti stava conducendo dritto al patibolo e tu… Oh! Come hai fatto a essere tanto sciocco? Tu l’hai assecondata. Vi ho spiati mentre raggiungevate le cantine ed usavate la Passaporta; al vostro ritorno, sono stata fortunata: eri privo di sensi ed è stato facile prendere il quadro. Io… - Le ultime parole divennero un bisbiglio - credevo che fosse il tuo unico passaggio per Hogwarts… ».

 

« E invece ti sbagliavi! »

 

Pansy guardò oltre le spalle di Draco e sbiancò.

 

Lui riconobbe subito un inconfondibile tono saccente e lapidario.

 

Fece una smorfia, contrariato.

 

« Granger, dannazione, non t’intromettere! »

 

* * *

 

Il gruppo capeggiato da Hannah Abbott aveva attraversato tutta l’ala ovest del Castello senza quasi incontrare ostacoli. Lungo il percorso avevano trovato due Mangiamorte schiantati, ma avevano proseguito senza curarsi di loro, certi che fossero vittime di uno scontro con la squadra di Neville. Salendo al settimo piano avevano abilmente evitato un curioso gruppetto di studenti, per farlo avevano dovuto lasciare la via principale infilandosi lungo una stretta scala di servizio.

A causa della deviazione non incrociarono Bellatrix, né si accorsero dello scontro che aveva ingaggiato con Neville, George e Cho.

 

Una svolta imprevista che però li aveva condotti esattamente di fronte all’ingresso della Presidenza.

 

Hannah si piazzò decisa davanti al gargoyle e pronunciò la parola d’ordine, conosciuta grazie al messaggio di George.

 

« Rigor Mortis. »

 

La statua si animò scostandosi sulla sinistra; la parete si aprì sulla scala a chiocciola. Sui volti dei ragazzi si dipinse un’espressione nostalgica, che rievocava gli anni di scuola bruscamente interrotti dalla Guerra.

In fretta, salirono sui gradini in pietra lasciandosi trasportare fin verso la grande porta in legno di quercia.

 

Era aperta.

 

Con le ginocchia tremanti ed il capo chino in segno di rispetto, entrarono nell’Ufficio che - per tutti loro - era e restava di Silente.

 

Come George aveva preannunciato, trovarono la stanza vuota. Dalle finestre filtrava la luce verdastra del Marchio Nero, come a voler loro ricordare che non c’era tempo da perdere.

 

Ernie fece un passo avanti e indicò, eccitato, la teca contenente la Spada di Godric Grifondoro.

 

« Prendiamola, svelti! » Esclamò, ma non fece in tempo a muovere un passo.

 

Una voce lo fece impallidire.

 

Proveniva dal ritratto di Phineas Nigellus Black; appeso esattamente sopra alla teca, lontano da tutti gli altri quadri.

 

« Intrusi! Intrusi in Presidenza! » diceva, ma più che un grido d’allarme, era un lamento.

 

« Piantala Phin, » l’apostrofò il ritratto di Dexter Fortebraccio, « non li riconosci? Sono studenti di Hogwarts. »

 

Phineas aggrottò la fronte, polemico: « Quale Hogwarts? Quella vecchia o quella nuova? »

 

« L’unica che sia mai esistita, » rispose caustico Dexter Fortebraccio, « non ricominciare, Phin, ne abbiamo già discusso a sufficienza. »

 

Phineas Nigellus borbottò indispettito: era stufo dell’atteggiamento di superiorità che gli altri ritratti avevano adottato nei suoi confronti da quando si era dichiarato neutrale. Egli, infatti, pur non approvando l’operato di Voldemort, non vi si era mai realmente schierato contro; anche perché, tutto sommato, non disprezzava le caratteristiche della nuova scuola (disconosciuta dai colleghi): soltanto ottimi allievi purosangue.

 

« Che cosa volete? » Domandò burbero, volgendosi ai ragazzi.

 

Terry Steeval si fece avanti: « Siamo qui per prendere la Spada di Godric Grifondoro, » rispose con aria di sfida.

 

Phineas sghignazzò: « Bah, fate pure, pivelli. »

 

Terry rimase leggermente turbato dalla risposta, ma Ernie non attendeva altro. Girò intorno alla scrivania e raggiunse la teca. L’aprì e cercò di sfilare la Spada dai supporti.

 

Non vi riuscì.

 

Una risata gongolante provenne dal ritratto di Phineas.

 

« Hi-hi-hi. Incantesimo di Adesione Permanente, » scandì l’ex-Preside, poi, con forte sarcasmo, chiese: « Qualcuno di voi intrepidi ragazzi ricorda il contro-incantesimo?(**) »

 

* * *

 

Gli occhi rosso fuoco del Signore Oscuro si spalancarono per lo stupore. Le pupille si contrassero trasformandosi in fessure verticali. L’intero volto divenne un ghigno elettrizzato di piacere ed egli mostrò i denti ed alitò compiaciuto.

 

Si avvolse nel mantello nero e richiamò a sé Nagini; poi, con un movimento lento e flessuoso, agitò nell’aria la potente Bacchetta di Sambuco e si Smaterializzò (***)

 

La chiamata che aveva appena ricevuto proveniva da uno dei suoi migliori e più fedeli seguaci. Egli, come ogni altro Mangiamorte, sapeva bene quanto fosse rischioso chiedere futilmente il suo intervento e per nulla al mondo l’avrebbe infastidito.

 

C’era solo una cosa per cui Voldemort poteva tollerare d’essere disturbato.

 

Harry James Potter.

 

Il Ragazzo Sopravvissuto.

 

* * *

N.d.A.

(*) Non ho descritto tutti i convocati per non risultare noiosa e perché li citerò più avanti. In generale, ho immaginato che fossero presenti i membri dell’Ordine della Fenice, alcuni professori di Hogwarts e i Ministri non asserviti a Voldemort.

 

(**) L’Incantesimo di Adesione Permanente non ha un contro-incantesimo, solo chi lo ha eseguito può staccare l’oggetto dalla base cui aderisce (in questo caso la Spada dalla parete)… Per questo Phineas Nigellus Black fa tanto lo sbruffone.

 

(***) E’ chiaro che Voldemort non ha eliminato da Hogwarts gli incantesimi che impediscono di Materializzarsi e Smaterializzarsi ma, essendo padrone della scuola, li ha modificati in modo da poterli eludere (come fece anche Silente, se non erro). Questo privilegio, leggerete più avanti, ce l’hanno anche alcuni suoi fedelissimi.

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Capitolo 30
*** Capitolo 30 - Slave [Pureblood] ***


Lost Memories - Capitolo 30

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

They say
that I must learn to kill before I can feel safe,
but I,
I rather kill myself then turn into their slave.

 

The Rasmus, In the shadows

* * *

 

Capitolo 30 – Slave [Pureblood]

 

Angelina strinse a sé il piccolo Fred Weasley Junior da poco venuto alla luce, addormentatosi beatamente fra le sue braccia. Era spossata dalle fatiche del parto, ma sentiva che avrebbe potuto stare sveglia per ore ad ammirare quel fagottino dagli sparuti capelli rossicci e dalle manine minuscole.

 

Inoltre, c’era un pensiero che l’assillava e le stringeva la gola.

 

George non aveva ancora risposto al suo messaggio.

 

Non era affatto un buon segno.

 

* * *

 

Ernie si voltò indietro a guardare scoraggiato Hannah e i compagni: era chiaramente impossibile prelevare la Spada di Godric Grifondoro, vincolata alla parete dall’Incantesimo di Adesione Permanente.

 

« Che facciamo? » domandò sperduto.

 

Padma provò a rimuovere i tasselli della parete in cui erano stati inseriti i supporti, ma scoprì che anch’essi erano protetti dallo stesso incantesimo.

 

Justin propose di far esplodere la parete, ma nessuno si volle assumere la responsabilità di distruggere (o almeno tentare) parte della Presidenza, nemmeno lui stesso.

 

Dopo una serie di altre assurde e impraticabili proposte, calò un silenzio carico di delusione; finché, dalla propria cornice, l’ex-preside Dylis Derwent tossicchiò.

 

« Hem, Dexter… » disse rivolgendosi al collega che capeggiava l’insolita coalizione di ritratti, « mi permetti di suggerire ai ragazzi una cosuccia? »

 

Dexter Fortebraccio annuì: « Certamente Dylis. »

 

Dylis si rivolse all’Esercito di Silente con il tono pedante di docente: « Vedete lo scaffale laggiù, ragazzi? - attese che tutti si voltarono - da sempre, là viene tenuto il Cappello Parlante… è un po’ malconcio ora, e non funziona più come una volta - sospirò -  classifica solo Serpeverde, ma vale la pena tentare… »

 

Lasciò la frase in sospeso, ma gli occhi di Hannah s’illuminarono. Rapida, corse allo scaffale e lo aprì, afferrando avidamente il Cappello Parlante.

 

Alle sue spalle, Phineas provocò: « Dylis, tesoro, dimentichi che il trucchetto funziona solo con un vero Grifondoro, e qui chi abbiamo? » Passò in rassegna i ragazzi con sguardo torvo e si fermò  sull’unica appartenente alla Casa. Sollevò un sopracciglio. « Non vorrai farmi credere che la ragazza  - Calì divenne paonazza - ha le caratteristiche giuste! »

 

Hannah raggiunse Calì a grandi passi: « Lo vedremo! » ribatté orgogliosa, mettendo il Cappello sulla testa dell’amica senza che ella potesse obiettare alcunché.

 

La grande visiera bruciacchiata e consunta coprì gli occhi di Calì riportandola all’improvviso indietro nel tempo. Nei secondi che seguirono, si ritrovò a lottare con le lacrime incipienti, mentre i compagni attendevano trepidanti che il Cappello smentisse il ritratto di Phineas Nigellus.

 

Non accadde nulla.

 

All’esterno.

 

All’interno della tela, il Cappello Parlante emise la sua inaspettata, quanto umiliante, sentenza: « Merlino, » borbottò, « come siamo caduti in basso, tu non sei all’altezza di questa scuola! »

 

Calì se lo sfilò immediatamente, indignata e ferita, ma contenta che nessuno avesse sentito quelle parole.

 

« Io sono una vera Grifondoro! » Berciò al cappello.

 

Hannah glielo tolse di mano.

 

« Non preoccuparti, Calì. Funzionerà al momento giusto, » disse inforcando rapidamente l’uscita.

 

* * *

 

Bellatrix duellava contemporaneamente con Neville e Cho, tenendo testa a entrambi. Scattava con destrezza da un lato all’altro del corridoio rispondendo agli attacchi con furia crescente.

 

Cho aveva recuperato la voce grazie all’aiuto di Neville, ma la sua offensiva diventava man mano meno efficace; Bellatrix non le lasciava il tempo di lanciare fatture, costringendola ad arretrare e difendersi in modo estenuante. Evocava protezioni senza sosta; gocce di sudore le imperlavano la fronte e i capelli finissimi s’appiccicavano al viso obbligandola, tra un incantesimo e l’altro, ad allontanarli freneticamente dagli occhi.

 

Neville si voltava continuamente indietro a esaminare George sperando che si rialzasse, ma lo scontro era talmente intenso da non lasciargli nemmeno il tempo di chiamarlo per nome.

Improvvisamente (aveva appena evocato l’ennesimo Sortilegio Scudo) un lampo di luce brillò alle sue spalle, gli passò fra le gambe e, saettando rasoterra, colpì in pieno Bellatrix.

 

La strega gridò di rabbia mentre le sue gambe iniziarono a danzare incontrollate e inarrestabili.

 

Neville e Cho si volsero indietro raggianti.

 

George si stava alzando in piedi: « Trantallegra! » ridacchiò soddisfatto.

 

Non ebbe il tempo di aggiungere altro.

 

Bellatrix aveva già effettuato il contro-incantesimo ed era di nuovo pronta a combattere.

 

Lo scontro riprese a un ritmo serrato, ma questa volta i ragazzi si sentivano mille volte più forti perché potevano contare su un terzo, valido, compagno.

 

George era il più audace; meno stanco degli altri, attaccava nei modi più imprevedibili, dando filo da torcere alla strega che, sorpresa dalle sue mosse, perdeva secondi preziosi per difendersi.

 

Cho era la più razionale: si occupava della difesa, proteggendo i compagni con tempismo perfetto.

 

Neville, sorprendentemente, era il più aggressivo. Utilizzava incantesimi complessi e sofisticati, a un tratto tentò perfino una Maledizione Cruciatus.

 

Fallì.

 

Bellatrix lo derise. « Sei patetico, Paciock! Devi volerlo veramente, devi desiderare di uccidermi! E dire che sei un Purosangue, il Signore Oscuro avrebbe fatto di te uno dei suoi migliori seguaci!»

 

« Non un seguace, uno schiavo! » ruggì Neville con spregio.

 

A quelle parole Bellatrix scoppiò a ridere forte.

 

Una risata grassa, cupa e spaventosamente folle.

 

* * *

 

Hermione aveva seguito Malfoy nella caccia al ladro mantenendo una distanza che le aveva permesso di nascondersi appena Pansy si era rivelata. In silenzio, schiacciata contro la parete di legno della baita, aveva origliato la discussione fra i due Serpeverde ed era uscita allo scoperto soltanto perché si era resa conto d’aver intuito qualcosa che Malfoy non aveva ancora compreso.

 

Con logica e deduzioni proprie d’un autentico detective, si rivolse a Pansy Parkinson.

 

« Dopo aver rubato il ritratto, hai temuto che Malfoy decidesse di andare a Diagon Alley. Quando io sono tornata - mio malgrado - alla Villa, tu eri là, da qualche parte a spiarci, e hai creduto di poter bloccare ogni via d’uscita chiudendoci in biblioteca, » affermò sicura, « ma il tuo tentativo è fallito: noi siamo fuggiti grazie alla Ricordella (che io, previdente, avevo conservato), e così hai pensato di usare questo! »

 

Malfoy guardò Hermione e spalancò gli occhi.

 

La Ricordella?

 

Ecco cos’era quel pensiero che non era riuscito ad afferrare leggendole la mente!

 

La Ricordella, diamine, dov’era ora?

 

Hermione alzò davanti al viso il ritratto di Narcissa Black Malfoy, tenendolo con cautela per non attivare la Passaporta.

 

« L’unico strumento che avevi per seguirci! » concluse trionfante.

 

Pansy Parkinson non riuscì a ribattere.

 

Le girava la testa.

 

Vedere in quel luogo la scomoda compagna di scuola aveva acceso in lei una bruciante gelosia.

 

Immotivata. Pensò Hermione Granger.

 

« Forse non hai sentito bene: non devi intrometterti Sanguesporco! » la insultò Pansy, ripetendo l’ordine che Draco aveva appena impartito alla Grifondoro.

 

Cercò l’approvazione negli occhi del ragazzo, ma vi trovò una freddezza che le diede i brividi.

 

Draco stava ricordando tutte le volte che Pansy gli aveva mentito e, anche se la verità era ormai venuta a galla, sentiva che qualcosa era stato omesso.

 

Pansy si angosciò nel vederlo così gelido.

 

Mentendogli, lo aveva deluso.

 

Rubando il ritratto di sua madre e violando quel nascondiglio, l’aveva offeso.

 

« Io… » la sua voce si ruppe in un singhiozzo che chiedeva pietà, « io… ero disperata, Draco. Cerca di capire, dovevo trovarti. Sapevo che saresti tornato qui, prima di andare da lui. »

 

Draco tirò le labbra in una smorfia: se era tornato lì a perdere tempo, la colpa era solo di Hermione…

 

Destino beffardo, Pansy!

 

Fece appena in tempo a pensarlo che Hermione parlò. « C’è dell’altro… »

 

Pansy le lanciò un’occhiata di fuoco.

 

Anche Draco si voltò a guardarla. Un sospetto gli attraversò la mente. Trattenne il respiro.

 

Hermione sostenne lo sguardo di entrambi con fierezza. Gli occhi le brillavano d’orgoglio per la proprie capacità deduttive. « Anche la Maledizione che impediva di usare la magia all’interno di Villa Malfoy è opera tua. È Magia Nera, vero? » asserì « Oh, non rispondere, ne sono sicura, altrimenti l’avrei trovata sull’Enciclopedia. »

 

Pansy indietreggiò. Terrorizzata. Muta.

 

Stava perdendo tutto.

 

Per colpa di una vile, meschina, insidiosa, Sanguesporco!

 

« E’ vero quello che dice? » ringhiò Malfoy.

 

Il suono sordo delle sue parole la scosse.

 

« Pensavo… credevo che… senza la Magia… tu… fossi al sicuro » La disperazione le spezzava la voce.

 

Lui era fuori di sé: « Come hai potuto farmi una cosa del genere? »

 

Pansy sollevò le spalle, come se la risposta fosse ovvia: « Io… ti amo. »

 

Lui, che dell’amore sapeva ben poco, si ribellò con tutto se stesso a quell’affermazione. Aveva conosciuto quel sentimento soltanto attraverso i suoi genitori e, nonostante fosse intriso del fanatismo di suo padre e della vanità di sua madre, lo sentiva fin dentro le ossa che l’amore è libertà.

 

Pansy, invece, non aveva fatto altro che inchiodarlo ad una realtà che odiava.

 

E, ai suoi occhi, questa era violenza.

 

Era follia.

 

Lei aveva le lacrime agli occhi: « Volevo solo proteggerti…»

 

« Proteggermi?! E da cosa? » gridò.

 

Davvero, lui non riusciva proprio a immaginare quali pericoli si celassero nell’insulso mondo babbano!

 

« Temevo che il Signore Oscuro volesse ucciderti, se avesse scoperto che eri ancora vivo… »

 

« Bugiarda! Tu sei al suo servizio: non puoi ingannarlo. Non hai il fegato per farlo! »

 

Sapeva bene quello che stava dicendo. Ricordava come fosse ieri il terrore che l’aveva paralizzato ogni volta che aveva desiderato di poter sfuggire al proprio, ingrato, compito ed evitare l’assassinio di Silente.(*)

 

Pansy fece un sorriso amaro: « Quando ha iniziato a sospettare della mia lealtà, ho dovuto confessare d’averti rintracciato. Ma… non temere… mi ha rivelato di volerti offrirti una seconda opportunità: vuole che sia io a riportarti a lui, ma non come prigioniero, come suo seguace. »

 

« Smettila di ostacolare la mia vendetta! »

 

« Tu non capisci, Draco. Se ti opponi a lui, sei destinato a perdere. Tornare al suo servizio è l’unica possibilità che hai per salvarti! »

 

Subito dopo aver parlato, Pansy s’immobilizzò apparentemente senza motivo.

 

Hermione, rapita dalla discussione concitata, non si era accorta che il Marchio Nero aveva iniziato a muoversi sul suo braccio: la serpe s’agitava viscida e disgustosa attraverso il macabro teschio.

 

Preoccupata guardò Draco. Era pallido e tremava. La fronte era madida di sudore. Il suo sguardo era proiettato nel vuoto, oltre la vallata, oltre l’orizzonte.

 

Pansy si rivolse a Draco con un sorriso amorevole e allo stesso tempo spaventato. « Ci sta chiamando, lo senti? »

 

Draco non rispose. Era paralizzato dalla paura.

 

Pansy non poteva saperlo, mentre Hermione lo capì subito: non aveva dimenticato quello che era accaduto nella Stanza delle Necessità.

 

«  Malfoy, non ascoltarla. » Intervenne, « lui non può sapere dove ti trovi ora. »

 

Pansy le lanciò un’occhiata minacciosa, di quelle che si riservano ai rivali più temuti. Poi incalzò: « Draco, ti prego, vieni con me. Il Lord Oscuro mi ha promesso che non ti farà del male, e io sono fra i suoi seguaci più fedeli. Non guadagna nulla ad averti come nemico: conosce le tue abilità e ti rivuole come Mangiamorte. »

 

Draco era perso in un silenzio estemporaneo e Hermione s’arrogò il diritto di parlare al posto suo: « Ha già fatto la sua scelta, lascialo in pace. »

 

Pansy indicò Hermione, ma non distolse lo sguardo dal Serpeverde: « E’ per lei, vero? Merlino, chi l’avrebbe detto che saresti caduto così in basso? » storse le labbra in un’espressione di disgusto, poi si strinse nel mantello, consapevole di non poter tardare ancora.

 

Hermione puntò la bacchetta contro di lei. « Dove credi di andare? » domandò sarcastica, alludendo a quella radura, isolata dal resto del mondo.

 

Pansy le mostrò un ghigno amaro, compiacendosi di quella misera vittoria. « Allora non hai capito Sanguesporco: io godo di privilegi che a te non saranno mai concessi! »

 

E così dicendo, si Smaterializzò.

 

Hermione sapeva bene che ad Hogwarts non era possibile farlo, e rimase basita a fissare il punto da cui lei era scomparsa.

 

In quello stesso istante, Malfoy sembrò riprendersi dal terrore che l’aveva afflitto.

Imprecò al vento un paio di volte, poi raggiunse Hermione e, senza che lei riuscisse ad opporsi, l’afferrò per un braccio e la strattonò verso la baita a grandi passi.

 

Lei incespicò, dolorante. « Malfoy! Ahi, mi fai male! Aspetta, che vuoi fare? » Sbraitò mentre lui la trascinava all’interno del rifugio « Non avrai in mente di… Non puoi affrontarlo! »

 

Lui ignorò ogni sua lamentela.

 

Quando si fermò davanti al caminetto, le passo un braccio intorno ai fianchi e l’afferrò saldamente in vita.

 

Lei aveva l’orrore dipinto negli occhi: « Malfoy, no! Non abbiamo un piano! »

 

In tutta risposta lui la trascinò contro di sé e avvicinò le labbra al suo orecchio: « Questo è il piano, Granger: - mormorò sarcastico - smettila di frignare e fa’ come che ti dico. »

 

Lei riconobbe a stento la sua voce. Non era mai stato tanto determinato.

 

Lui la spinse verso il focolare: « Entra, » ordinò.

 

Hermione si ancorò a terra protestando contrariata. Lui allora la sollevò di peso e mentre si dimenava gettò una manciata di Polvere Volante nel camino.

 

« Sala Comune dei Serpeverde. »

 

* * *

 

Da quando Voldemort si era insediato a Hogwarts, la Sala Comune dei Serpeverde non era più il punto di riferimento per gli studenti della Casa, ma era diventato il luogo di ritrovo dei Mangiamorte convocati dal Signore Oscuro.

Era stata abolita la parola d’ordine e per entrare nella stanza era necessario mostrare il Marchio Nero tatuato sul braccio.

L’ingresso e il camino, uniche vie d’accesso, erano sorvegliati a rotazione dai maghi nel Castello.

 

Era il turno di Antonin Dolohov, il quale, però, si era allontanato insospettito dal frastuono  all’arrivo di Harry e Ginny e non era più tornato.

 

Nessuno lo sostituiva in quell’importante compito.

 

Per questo, quando Anthony, Micheal e Alicia attraversarono il camino, trovarono la stanza deserta.

 

Il basso soffitto in pietra le dava un aspetto lugubre e spaventoso, lampade verdastre penzolavano dall’alto, proiettando inquietanti ombre sulle pareti spoglie.

Di fronte al camino c’era l’ingresso ufficiale alla Sala Comune, mentre a sinistra una lunga tenda di velluto smeraldo separava il passaggio ai dormitori. A destra, sotto le vetrate dal riflesso glauco, una cassapanca costeggiava la parete più corta. Non c’erano poltrone, né divani, l’unico arredo rimasto invariato era un enorme tappeto verde e argento posto fra il camino marmoreo e un ampio tavolo in legno massiccio, sopra al quale si allungavano possenti catene stregate.

 

Un odore acre era diffuso nell’aria.

 

In quella stanza Voldemort e i suoi seguaci punivano e torturavano maghi innocenti, colpevoli d’essersi opposti al loro potere e d’aver scelto la via della giustizia.

 

I tre ragazzi rabbrividirono udendo una serie di passi frettolosi e confusi attraversare il soffitto sopra le loro teste. Pensarono immediatamente ai compagni prigionieri di Yaxley e Travers, e cercarono un posto dove nascondersi per sfruttare al meglio il loro vantaggio e cogliere di sorpresa i carcerieri.

 

Scelsero di infilarsi dietro la pesante tenda, lungo il buio corridoio che in passato conduceva ai dormitori.

 

Protetti dall’oscurità, sobbalzarono quando videro esplodere, all’improvviso, una densa nube di fumo verdognolo nel camino dal quale erano venuti.

 

Si schiacciarono gli uni contro gli altri, senza fiatare, le bacchette sfoderate e strette in pugno.

 

Chi altri utilizzava quel passaggio?

 

Pian piano la nube si dipanò lasciando intravedere i nuovi arrivati.

 

Erano Draco Malfoy ed Hermione Granger.

 

Alicia si lasciò sfuggire un grido.

 

In altre circostanze, Anthony avrebbe ripreso la compagna avventata, ma la situazione di pericolo in cui versava Hermione Granger richiedeva un intervento tempestivo.

Senza pensarci un secondo, saltò fuori dal nascondiglio e aggredì il Serpeverde.

 

« Lasciala andare! »

 

Malofy indietreggiò sorpreso.

 

Alicia e Michel affiancarono Anthony per dargli manforte.

 

Malfoy ricordò che i tre non sapevano d’aver raggiunto il Castello insieme a lui, nascosto sotto le sembianze di Dennis Canon; sapevano soltanto di essere di fronte a un Mangiamorte.

 

Estrasse la bacchetta per difendersi, poi ebbe un’idea migliore.

 

Con una mossa sfrontata afferrò Hermione per le spalle e si nascose dietro di lei, usandola come ostaggio.

 

Lei, che stava per prendere la parola e tranquillizzare i compagni ritrovati, gridò isterica: « Malfoy, razza di vigliacco! Che cavolo stai cercando di fare?! »

 

In tutta risposta, lui le mise la punta della Bacchetta sotto il mento: « Provate a muovere un muscolo e la maledico! »

 

Michael digrignò i denti e fece un passo avanti, ma Anthony lo trattenne.

 

« Siamo tre contro uno, Malfoy. Libera Hermione e ti lasceremo andare. » Negoziò.

 

Hermione si dimenò, nervosa e contrariata, senza riuscire a svincolarsi dalla stretta dell’infido Serpeverde. Voleva spiegare ai compagni la situazione, ma d’un tratto l’aria nella Sala divenne pensante, quasi irrespirabile.

 

Un vento innaturale s’alzò intorno ai presenti. Un terribile presagio rubò loro la voce.

 

Nei pressi della cassapanca si materializzò una figura ammantata, accompagnata dal sibilo terrificante di un serpente.

L’ombra aprì il mantello che l’avvolgeva come fosse un paio d’ali, e la luce vibrante delle lampade verdi ne illuminò il volto deforme.

 

Gli occhi sanguigni del Signore Oscuro si spalancarono sulla stanza ed egli emise un soffio di stupore, misto a disgusto.

 

Nel silenzio e nell’immobilità assoluti, passò in rassegna i ragazzi atterriti, inspirando a pieni polmoni l’odore della loro paura.

 

Li scrutò uno ad uno.

 

Alicia Spinnet… Grifondoro.

 

Anthony Goldstein… Corvonero.

 

Michael Corner… Corvonero.

 

Hermione Jean Granger…

 

Sputò in terra nauseato. 

 

Sangue Sporco.

 

In ultimo, il suo sguardo si posò, con inaspettato piacere, su Draco Malfoy.

 

Serpeverde.

 

Mangiamorte.

 

« Molto bene... » sibilò con voce serica e tono sarcastico, « gli scolaretti negligenti sono tornati ad Hogwarts! »

 

* * *

 

 

N.d.A.

(*) Ho immaginato che Draco abbia cercato inizialmente, almeno con l’immaginazione, di poter eludere con l’inganno l’ordine di uccidere Silente.

 

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Capitolo 31
*** Capitolo 31 - Grifondoro e Serpeverde ***


Lost Memories - Capitolo 31

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

« È stato il Cappello Parlante ad assegnarti a Grifondoro, no?

E Malfoy dov’è finito? In quella fogna di Serpeverde... »

 

J. K. Rowling, Harry Potter e la Pietra Filosofale

(Harry a Neville, cap. 13)

 

* * *

 

Capitolo 31 – Grifondoro e Serpeverde

 

Su Hogwarts stava calando la sera e con essa il gelo.

 

Fenrir Greyback fiutò l’aria: c’era odore di neve.

In quell’inverno, freddo e ghiaccio erano senza fine, ma a quelli come lui il tempo meteorologico non interessava. L’unico fastidio era dato dalle nubi fitte e scure che ricoprivano il cielo, nascondendo l’orizzonte, le stelle, la Luna.

 

Il licantropo alzò gli occhi e aguzzò la vista esplorando un punto lontano nella volta celeste, nel quale i fulmini emessi dal Marchio Nero illuminavano a intermittenza un oggetto volante d’origine ignota. Pensò a qualche assurdità babbana che, temeraria, attraversava l’atmosfera plumbea; un rombo accompagnava il suo passaggio.

 

All’improvviso distolse l’attenzione dal velivolo e si voltò.

 

Mostrò i canini, minaccioso, al Ghermidoreche l’aveva avvicinato alle spalle troppo silenziosamente.

 

Il sottoposto arretrò.

 

« Degli intrusi sono entrati nell’ala nord del Castello. Ordinano di tenere gli occhi aperti, » riferì.

 

Greyback sbuffò seccato.

A lui e al suo esercito mercenario spettava la sorveglianza del confine fra Hogwarts e la Foresta Proibita; essendo Magiamorte di basso livello, era tagliato fuori da qualsiasi cosa accadesse dentro al Castello; le comunicazioni arrivavano con ritardo e, a volte, non arrivavano per nulla. Nonostante questo, era certo di svolgere il proprio lavoro in modo impeccabile, se confrontato con l’incapacità dei maghi che vivevano all’interno. 

 

« Quanti sono? » Domandò senza interesse.

 

« Meno di una decina, ma potrebbero arrivarne altri. »

 

Greyback ricordò che alcuni giorni prima erano stati catturati dei ribelli.

 

« Tenteranno di liberare i prigionieri. »

 

Il Ghermidore annuì. Poi, d’un tratto, indicò il cielo alle spalle del lupo mannaro.

 

« Che roba è? »

 

Greyback si girò e corrugò la fronte, tentando invano di classificare l’enorme bolide che pochi istanti prima sfrecciava attraverso le nubi più alte, e che ora stava precipitando verso il cortile.

 

Se avesse avuto un minimo di cultura babbana, avrebbe riconosciuto il classico double-decker londinese, ma a Greyback non interessava capire la funzione di quella scatola metallica, né tantomeno l’origine: doveva arrestarne comunque la caduta.

 

Lanciò un incantesimo che colpì l’autobus sul fianco posteriore, tracciando un grosso sfregio lungo la carrozzeria scarlatta.

 

Il double-decker barcollò.

 

Al suo interno vi fu un vociare agitato mentre Arthur Weasley, che era alla guida, picchiettò con la bacchetta magica sul grosso volante per mantenere la rotta. Molly, in piedi al suo fianco, si aggrappò a una sbarra ed evocò uno Scudo intorno all’autobus.

 

« Come si fa atterrare questo coso?! » domandò Arthur a voce alta, cercando di rallentare la folle discesa.

 

« Parcheggiare… » lo corresse Percy.

 

« Come? » ribatté Arthur, concentrato in una serie di complesse manovre per evitare la raffica di maledizioni provenienti da terra.

 

« Si dice parcheggiare, avresti dovuto dire: “come si fa a parcheggiare questo coso” » precisò il figlio.

 

« Non è il momento di essere pedanti, Percy! » Lo rimproverò Molly. « Dacci una mano! »

 

Percy, con leggero disappunto, fece un incantesimo per rallentare la discesa, ma l’effetto arrivò troppo tardi: il veicolo arrestò la propria corsa conficcandosi nel terreno, penetrandolo di diversi centimetri e lasciando dietro di sé un grosso e lungo solco.

 

Nel frattempo una decina di Ghermidori aveva raggiunto Greyback per dargli man forte e una pioggia di maledizioni s’abbatté sull’autobus.

 

Bill Weasley raggiunse a grandi passi il padre al volante e guardò oltre il parabrezza.

 

« Greyback! » Ruggì. Poi si voltò verso i compagni di viaggio: « Lasciatelo a me! » ordinò, « ho un conto in sospeso con lui! » E così dicendo, spalancò le porte ed uscì.

 

Una sferzata di vento gelido penetrò all’interno dell’autobus.

 

Molly era allarmata più che mai: « Per Merlino, Arthur, fermalo! »

 

Arthur era già in piedi e con un balzo scese nel cortile della scuola e rincorse il figlio.

 

Percy lo seguì.

 

« Andiamo! » disse affiancando la madre. Un attimo prima di uscire si rivolse agli altri passeggeri: « Conoscete tutti il piano, signori. Buona fortuna! »

 

* * *

 

Hannah Abbott uscì dall’ufficio del Preside a passo di marcia seguita dal resto della squadra: dovevano trovare Neville al più presto.

 

Una volta scese le scale, decise di svoltare a destra percorrendo il grande corridoio che inizialmente aveva evitato, ma che ora sembrava deserto; avanzò con cautela costeggiando la parete.

 

All’improvviso si udì una violenta esplosione proveniente da una galleria trasversale, il cui ingresso era situato diversi metri più avanti.

 

Il gruppo si fermò.

 

Al frastuono seguirono una serie di lampi che illuminarono l’intero corridoio e il pavimento vibrò.

 

Non c’erano dubbi sul fatto che fosse in corso una battaglia.

 

Vi fu un grido terrificante, poi uno scoppio. Saette bianche schizzarono fuori dall’ingresso della galleria.

 

L’incantesimo era inequivocabile: Maledizione Cruciatus.

 

Il corpo di un mago, colpito dalla Maledizione senza Perdono, dopo aver compiuto in aria un’ampia parabola, si schiantò a terra nel centro del corridoio accompagnato da un acuto grido di dolore.

 

Hannah inorridì.

 

Era Neville.

 

Padma rimase impietrita di fronte alla violenza dell’incantesimo, mentre sua sorella gridò di terrore.

 

Terry Steeval le tappò la bocca e la rimproverò, ma Calì non era l’unica ad aver perso il controllo.

 

Hannah si era messa a correre per raggiungere Neville, sbatacchiando senza alcuna cura il vecchio Cappello Parlante che stringeva in mano.

 

Ernie la inseguì nel vano tentativo di fermarla.

 

Nemmeno l’uscita di Bellatrix Lestrange arrestò la loro corsa.

 

Era sbucata all’improvviso dalla galleria come una leonessa affamata, continuando a torturare Neville con spietata crudeltà. Il ragazzo, accasciato a terra, si contorceva dal dolore sotto gli occhi atterriti e impotenti degli amici.

 

« Ti farò perdere il senno, Paciock! » Gridava la strega, « Farai la fine dei tuoi inutili genitori! »

 

Neville aveva la gola in fiamme e gli arti brucianti di dolore, ma quelle parole lo resero furente; con uno sforzo fuori dal comune si sollevò carponi nonostante l’incantesimo lo tenesse ancora prigioniero. Un violento conato di vomito lo colse, ma non lo fermò.

 

Alzò sul nemico uno sguardo colmo d’odio.

 

« Pagherai caro tutto quello che… » la rabbia lo soffocò con prepotenza.

 

Bellatrix reclinò leggermente il capo e sgranò gli occhi, la bocca socchiusa in un’espressione tanto infantile quanto maligna: « Non dirmi che vuoi vendicare mamma e papà… » cantilenò. «  Frank e Alice Paciock… sapevano quello a cui andavano incontro rifiutandosi di collaborare… glielo ripetemmo così tante volte… sapevano perfettamente che tu ne avresti pagato le conseguenze, sapevano - »

 

« Sapevano che li avrei amati comunque! » berciò Neville tra i denti.

 

« O forse non ti volevano abbastanza bene… »

 

Quella meschina insinuazione lo accecò. Ignorando il dolore si alzò in piedi, ma il suo corpo non resse allo sforzo: perse l’equilibrio e barcollando arretrò di alcuni passi; la parete alle spalle gli fece da sostegno.

 

« Marcirai… in una fredda cella di Azkaban… hai la mia parola! » Ringhiò stringendo la bacchetta.

 

Bellatrix gettò la testa all’indietro ed esplose in una violenta risata: « Ti servirà ben più che quel faccino indignato per sconfiggermi, Paciock! Non vedo nei tuoi occhi il desiderio di uccidermi! »

 

Neville, allo stremo delle forze, si sollevò dalla parete e la guardò negli occhi con una tale sicurezza che la strega s’incupì.

 

« Ancora… non hai capito: - ansimò - io non sono come te! »

 

L’istante dopo crollò in ginocchio.

 

Bellatrix rise sprezzante: « Ah, che delusione, Paciock! Sei soltanto un innocuo e sprovveduto Grifond - »

 

Non concluse la frase. Spalancò gli occhi e all’improvviso il suo corpo divenne cemento.

 

Hannah Abbott, il volto serio e determinato, l’aveva pietrificata usando un incantesimo non verbale; poi si era gettata ai piedi di Neville. Con lei c’erano i compagni dell’Esercito.

 

Neville cercò di alzarsi e Hannah lo aiutò offrendogli la propria Pozione Corroborante. La bevve ringraziando cupo, senza abbassare la guardia: sapeva bene che un Incantesimo di Pietrificazione poteva essere annullato grazie ad una grande forza di volontà.

 

E Bellatrix, indubbiamente, possedeva quella forza.

 

L’incantesimo, infatti, si dissolse rapidamente e Bellatrix puntò lo sguardo ferino su Hannah: non le era sfuggito il Cappello Parlante che la Tassorosso portava con sé e le era stato facile dedurre d’essere stata, in qualche modo, raggirata. Fremendo dal desiderio impellente di punirla per quell’affronto, scagliò su di lei l’ennesima maledizione. Il Sortilegio Scudo che Ernie Macmillan evocò in fretta e furia si rivelò troppo debole e la ragazza venne scagliata contro la parete.

 

Un fioco lamento le uscì dalla gola mentre scivolava a terra piegandosi su se stessa.

 

Privato di ogni sostegno, Neville barcollò, ma ancora trovò la forza di reggersi in piedi.

 

« Non la toccare! » minacciò con voce roca e graffiante.

 

Bellatrix lo ignorò e colpì di nuovo la ragazza che giaceva inerte sul freddo pavimento.

 

Neville sentì la collera esplodergli nelle tempie.

 

Era di nuovo una sfida. Una provocazione.

 

La sua ultima provocazione.

 

Puntò la bacchetta magica contro la Mangiamorte e urlò.

 

« Stupeficium! »

 

Uno Schiantesimo.

 

Non era un errore di valutazione, dettato dalla fretta o dalla paura o dall’inesperienza. Non era debolezza o incapacità d’odiare, come aveva più volte insinuato Bellatrix.

 

Era la dimostrazione che per vincere non aveva alcun bisogno di uccidere.

 

Non aveva bisogno nemmeno di desiderarlo.

 

Perché, a differenza di lei, non era solo. Accanto a lui aveva degli amici forti e coraggiosi, pronti a combattere al suo fianco.

 

L’orgoglio e la determinazione del Grifondoro trasmisero al semplice incantesimo una potenza tale che il corpo della donna volò in aria, roteò su se stesso e cadde a terra accompagnato dallo scrocchio del polso destro che si spezzava.

 

George raggiunse la strega priva di sensi e la immobilizzò legandola.

 

Cho le sfilò di mano la bacchetta e la spezzò in ben quattro parti. « Stupida strega. » L’apostrofò.

 

Neville corse da Hannah; le passò un braccio intorno alla vita aiutandola a rialzarsi e con un sussurro appena percepibile la ringraziò.

 

All’improvviso George domandò: « Dov’è la Spada? »

 

« La Spada? » Mormorò Neville alzando lo sguardo sorpreso verso di lui.

 

George ricordò che, a causa del ritmo serrato dello scontro, non era riuscito a comunicare il piano che aveva architettato.

 

« Non l’abbiamo, » si rammaricò Padma scuotendo la testa.

 

George si rabbuiò, un po’ preoccupato, un po’ deluso: « Come sarebbe a dire, vi avevo… »

 

« La spada è bloccata con un Incantesimo di Adesione Permanente, » chiarì Padma.

 

« Però abbiamo preso il Cappello! » s’intromise Hannah sollevando il prezioso oggetto magico che non aveva mollato nemmeno un istante.

 

Neville passava lo sguardo da un interlocutore all’altro spaesato. Cho aveva la sua stessa espressione: « Cosa ce ne facciamo del Cappello Parlante? » chiese.

 

« Un vero Grifondoro può estrarne la Spada, » spiegò Hannah.

 

George s’illuminò: « Allora sbrighiamoci, dobbiamo portarlo da Harry! »

 

« Harry? » una luce furba attraversò gli occhi verdi di Hannah Abbott, « io non pensavo ad Harry… » E così dicendo mise il cappello in testa a Neville.

 

Il ragazzo, colto di sorpresa, sentì le guance avvampare e abbozzò un sorriso imbarazzato mentre la tesa gli calava sul viso nascondendone il diffuso rossore.

 

* * *

 

Greyback stava ancora chiedendosi cosa fosse quell’enorme scatola rossa col muso conficcato nel terreno, quando vide un gruppo di maghi riversarsi fuori da essa nel cortile, come Gobbiglie impazzite.

 

Un attimo dopo si ritrovò di fronte Bill Weasley. Riconobbe la propria firma nello sfregio che deturpava il suo volto.

 

Ringhiò mostrando i canini, ma il ragazzo non diede alcun segno di paura; con un gesto secco e deciso attaccò.

Greyback schivò l’ incantesimo per un pelo e rispose allo stesso modo, per prendere tempo e guardarsi intorno: una decina di Ghermidori l’aveva già raggiunto, altri stavano arrivando dai margini più lontani del cortile.

 

« Stupidi! Date l’allarme all’interno! » Abbaiò.

 

Un paio di suoi sottoposti si staccarono dal gruppo e corsero verso il castello.

 

Nel frattempo il resto della famiglia Weasley affiancò Bill.

 

Nell’aria esplosero lampi e saette d’ogni genere.

 

Arthur e Percy attaccavano senza sosta, danzando freneticamente per schivare le maledizioni nemiche e le grosse zolle di terra che esse sollevavano infrangendosi nel terreno.

Al primo Ghermidore che schiantò al suolo, padre e figlio si esibirono in un’esultanza molto simile a tifo da stadio. Molly smise di combattere per rimproverare la propria famiglia di un atteggiamento tanto irresponsabile.

 

Mentre i genitori e il fratello se la vedevano con i Ghermidori, Bill Weasley si accaniva contro Greyback.

 

Il licantropo rispondeva con autentica ferocia, ma scarsa concentrazione. Continuava, infatti, a lanciare occhiate preoccupate all’autobus che non smetteva di vomitare maghi.

 

Favoriti dalle nubi e dall’oscurità, erano scesi dal cielo come uno stormo di famelici Doxy. Ed ora correvano e guizzavano attraverso il cortile, penetrando le difese e gabbando i Ghermidori.

 

Impegnato a difendersi e a rammaricarsi della stupidità dei suoi sottoposti, in breve, Greyback perse il controllo della situazione.

 

I ribelli si muovevano in modo caotico e imprevedibile, ma in realtà ognuno di essi sapeva esattamente cosa fare. Greyback lo capì troppo tardi, quando vide alcuni dei suoi correre verso il castello, all’inseguimento di tre ribelli che ormai avevano varcato la soglia d’ingresso.

 

Accecato di rabbia ruggì e si avventò contro Bill, ma una morsa di paura gli serrava la gola.

 

Gli intrusi dentro e fuori le mura rendevano il suo lavoro di sorveglianza più che biasimabile.

 

Non c’era ricompensa per un mercenario inaffidabile e, forse, nemmeno alternativa.

 

* * *

 

Nel giro di pochi istanti altri quattro Mangiamorte raggiunsero il Signore Oscuro nella Sala Comune dei Serpeverde, per assistere all’esecuzione dei prigionieri.

 

La scena che si presentò ai loro occhi non dava adito a equivoci.

 

Il figlio di Lucius Malfoy, ritenuto morto dalla maggior parte di loro, era invece vivo e vegeto; con abilità aveva catturato un’intrusa e, puntandole la bacchetta sotto il mento, intimava la resa ai suoi compagni ribelli.

 

Riguardo al motivo del suo ritorno, una sola era l’ipotesi degna di considerazione: stava cercando di riconquistare le grazie di Lord Voldemort catturando i membri dell’Esercito di Silente.

 

Vedendoli arrivare, Hermione - il cuore in gola - cercò di divincolarsi dalla stretta di Malfoy, ma lui strinse la presa intorno alle sue spalle tenendola appiccicata a sé. Lei lo sentì tremare e capì che quel gesto era dettato soltanto dalla paura.

 

Il vile Serpeverde cercava protezione dietro le sue spalle!

 

Non si oppose nonostante fosse terrorizzata, ma si volse indietro a guardare i propri compagni: Michael, Alicia e Anthony erano immobilizzati; giunti alla Sala Comune per liberare i prigionieri, non s’aspettavano certo di trovarsi faccia a faccia con il Male.

 

Poi guardò Voldemort; sul suo volto non lesse emozioni, ma colse la soddisfazione con cui parlò a Malfoy.

 

« Vedo che hai preso in ostaggio una Sanguesporco… » Osservò, poi si rivolse al Mangiamorte che era alla sua sinistra: « Tu! Dai la feccia in pasto a Greyback! » Ordinò.

 

Malfoy strinse ancora più forte Hermione e lei pensò che non avesse compreso l’ordine.

 

Lui non l’aveva nemmeno ascoltato.

 

Le parole successive, invece, le udì in tutta la loro perfidia.

 

« Malfoy! Cane randagio! Non crederai, tornando affamato e con la coda fra le gambe, di poter riscattare il nome della tua famiglia ridicolizzato da quell’incapace di tuo padre! Come Mangiamorte vali meno di zero, ma ho trovato un posto adatto a te: mi serve un custode per i Troll di montagna… al tuo predecessore hanno spappolato le ossa! » Rise forte e il suo cachinno esplose nei timpani del ragazzo, che, mosso dall’ira, allontanò la propria bacchetta dal mento di Hermione, puntandola contro Voldemort.

 

Hermione lanciò un’occhiata al Mangiamorte che avrebbe dovuto prenderla in consegna e che, nello stesso istante, si era scoperto il capo con un gesto irrequieto: era Pansy Parkinson.

 

Il suo volto simulava un’espressione minacciosa, ma dietro di essa - tradita dall’incredibile pallore delle guance - si celava l’angoscia.

 

Fu allora che Hermione capì ciò che stava accadendo.

 

Il Signore Oscuro e gli altri Mangiamorte credevano che Malfoy fosse tornato per riprendere il proprio ruolo, il che significava che Pansy aveva mentito a Voldemort ancora una volta. Sapeva che quell’inganno era più che mai effimero, tuttavia sperava – pregava! – che Draco non sprecasse, stupidamente, la sua unica possibilità di salvezza.

 

E temeva che lei, Hermione Granger, smascherasse il suo tradimento.

 

Quando gli sguardi delle due donne si incrociarono, Hermione capì che Pansy era disposta ad ucciderla se avesse anche solo tentato di prendere la parola.

 

E lei scelse di tacere, di aderire a un’alleanza improbabile e muta, tanto precaria, quanto pericolosa.

 

Sperava di sfruttare quel piccolo vantaggio per proteggere, oltre se stessa, Michael, Antony e Alicia; infatti, era probabile che, sicuro di avere Malfoy dalla propria parte, Voldemort ritenesse inutile impegnarsi in uno scontro e preferisse delegare ad altri Mangiamorte la custodia dei presunti prigionieri. 

 

Hermione esaminò i propri compagni: non avrebbero creato problemi, perché anche loro la ritenevano ostaggio del nemico.

 

Poi guardò Pansy…

 

No, lei non avrebbe fiatato.

 

L’unico problema era lui: in bilico tra terrore e imprudenza, le stringeva ancora le spalle mentre puntava una bacchetta tremante verso l’assassino dei suoi genitori.

 

Era come giocare a Spara Schiocco, con la carta Malfoy che poteva esplodere da un momento all’altro…

 

Doveva assolutamente avvisarlo!

 

* * *

 

I pesanti e scoordinati passi di Hagrid rimbombavano attraverso il corridoio mentre Lumacorno e Vitious gli arrancavano accanto.

 

Erano entrati nel Castello con un trucchetto degno dei più incalliti professori di Hogwarts: con impeccabile precisione, Vitious aveva duplicato se stesso e i colleghi, mandando i sosia a scorazzare nel cortile per attirare l’attenzione dei Ghermidori. Approfittando della confusione e dell’oscurità – nonché di una certa sprovvedutezza degli inseguitori - i tre professori avevano raggiunto la Torre Ovest e si erano infiltrati nel Castello.

 

Fin da subito, tutto era apparso talmente tranquillo da risultare perfino inquietante.

 

Quell’area sembrava abbandonata a se stessa: un odore pungente di muffa aleggiava nell’aria e spifferi gelidi penetravano dalle vetrate infrante. L’oscurità era totale.

 

All’improvviso, un grugnito terrificante spezzò il silenzio surreale.

 

I professori s’ immobilizzarono.

 

Tutti e tre possedevano l’esperienza necessaria per riconoscere senza ombra di dubbio la devastante creatura che aveva generato quel verso.

 

Hagrid alzò la bacchetta e fece luce. Vitious e Lumacorno rabbrividirono.

 

Alla fine del corridoio li attendevano quattro enormi, spaventosi, feroci e più che mai imprevedibili Troll di montagna.

 

Decisamente incattiviti da una lunga prigionia e dalla fame, pareva che qualcuno li avesse liberati o, più probabilmente – pensò Hagrid osservando l’anta di un portone che uno di loro sollevava sopra la testa -, si erano liberati da soli.

 

* * *

 

Continua…

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Capitolo 32
*** Capitolo 32 - Vendetta (I parte) ***


Lost Memories - Capitolo 32

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Fanno sempre una fine miserabile, coloro che parlano di vendetta.

M. Kishimoto, Naruto

(Kakashi a Sasuke)

 

* * *

 

Capitolo 32 – Vendetta (I parte)

 

Hermione, finalmente, aveva qualcosa di simile ad un piano d’azione; traballante e lacunoso, ma l’unico che era stata in grado di progettare in quelle condizioni.

 

Doveva solo metterne al corrente Malfoy…

 

Decise di approfittare del momento: Voldemort stava redarguendo i Mangiamorte per aver lasciato che degli intrusi entrassero nel Castello e per averlo raggiunto in ritardo.

Mentre gli uomini incappucciati cercavano disperatamente di placare l’ira del Signore Oscuro, Hermione reclinò indietro la testa, cercando di avvicinarsi il più possibile a Malfoy e mormorò: « Abbassa la bacchetta e fingi di stare dalla loro parte. »

 

« Perché dovrei farlo? » ribatté lui.

 

Hermione lanciò un’occhiata a Pansy Parkinson che si stava avvicinando e ridusse ulteriormente il tono di voce.

 

« Evitare lo scontro ora ci permetterà di architettare un valido piano. »

 

Lui non ne poteva più di sentire parlare di strategie e di attesa: « Diamine, Granger, sei la peggior rappresentante della Casa Grifondoro… »

 

« Coraggio e stupidità non sono la stessa cosa. » obbiettò lei con voce bassa e graffiante, « Tu piuttosto, sei l’emblema dei Serpeverde: stai tremando dalla testa ai piedi! »

 

« Io non sto tremando, » si difese lui, ottusamente, nonostante i suoi stessi gesti lo smentissero. Vedendo che Pansy li aveva quasi raggiunti, infatti, era arretrato di un passo tirando con sé Hermione.

 

Quel movimento attirò l’attenzione di Voldemort.

 

I suoi occhi si fecero fessure, le labbra si strinsero in un sibilo minaccioso e altrettanto retorico: « Non vuoi dare quel pezzo di carne putrida in pasto ai licantropi, Malfoy, o stai cercando di opporti al tuo padrone? »

 

Malfoy non rispose, continuò a puntargli contro la bacchetta e a farsi scudo con Hermione.

 

« Dammi la bacchetta, » ordinò il Lord Oscuro. Il tono era perentorio e definitivo.

 

Esattamente come aveva fatto con suo padre, esigeva una prova di fedeltà.

 

Malfoy rispose fra i denti, senza pensare, gettando all’aria con una sola parola tutti i progetti di Hermione.

 

 « Mai. »

 

Voldemort ghignò soddisfatto: era la risposta che s’aspettava.

 

Non c’era per lui una seconda occasione.

 

Non c’era mai stata.

 

Hermione l’aveva sospettato.

 

Pansy l’aveva temuto, e nei suoi occhi, ora, campeggiava il terrore.

 

« Parkinson! » tuonò il Signore Oscuro, livido di rabbia: dopo Piton, nessun altro Mangiamorte era stato tanto stolto e insolente da credere di poterlo ingannare.

 

« M-mio signore… » lei si volse e chinò il capo, in un gesto di riverenza che non l’avrebbe salvata. Voldemort agitò la bacchetta nell’aria e in un istante il suo corpo minuto s’afflosciò a terra come quello di una bambola di pezza.

 

Quel gesto freddo e spietato fece rabbrividire Hermione e Draco nello stesso modo.

 

« Draco Lucius Malfoy, avresti il coraggio di sfidarmi? » ruggì minaccioso Voldemort.

 

Lui ringhiò una sola parola prima che rabbia e paura s’annodassero nella sua gola: « Assassino! »

 

Voldemort sghignazzò.

 

« Sei impudente e arrogante come tua madre! Stupida donna che ha osato ingannarmi, mentirmi… - la sua voce quasi si strozzò per lo sdegno -  sulla morte di Potter! E per quale motivo? Proteggere il suo inutile figlio cacasotto! »

 

Hermione gemette, Malfoy la stava stringendo così forte da farle male.

 

E Voldemort rideva.

 

Irriverente e crudele, rideva.

 

Rideva.

 

I nervi di Draco erano tesi fino al limite, lottava per non cedere alla disperazione.

 

I ricordi di sua madre si rincorrevano frenetici e dolorosi nella memoria.

 

Il suo viso dai lineamenti perfetti e regali, i capelli biondi, gli occhi azzurro cielo….

 

Quel sorriso speciale che riservava solo alla sua famiglia…

 

L’abbraccio protettivo dal quale si divincolava capriccioso da bambino per non farsi prendere in giro dai coetanei… 

 

Ogni istante vissuto insieme a lei, ogni immagine che affiorava alla mente, era un pugnale che si torceva in mezzo allo stomaco.

 

Era una stretta alla gola che gli toglieva il fiato.

 

Era un pezzo d’anima che si sbriciolava e, lentamente, si tramutava in odio.

 

E il Lord Oscuro continuava, senza pietà, godendo del dolore che gli sfigurava il volto e nutrendosi del veleno che cresceva in lui e lo accecava.

 

Voleva vedere il figlio di Lucius Malfoy contorcersi dal dolore.

 

Piegarsi sotto il peso degli errori suoi e di suo padre.

 

« Narcissa ha saputo nasconderti bene, devo dargliene merito. Ah, sangue Black nelle vene! - si compiacque - ha resistito al Veritaserum e si è tolta la voce per non parlare… Con l’Occlumanzia è persino riuscita ad impedirmi di leggerle in parte la mente! Ammetto che mi è dispiaciuto sbarazzarmi di lei, ma doveva pagare per quello che aveva fatto. »

 

Voleva punirlo per il tradimento di sua madre.

 

« In quanto a tuo padre… squallido leccapiedi… non la smetteva di ostacolarmi con inutili diversivi… »

 

Voleva vederlo crollare.
 
Umiliarsi mendicando la salvezza e poi…

 

« Ho dovuto maledirlo prima di interrogarlo! Quella sua voce lagnosa era insopportabile… »

 

Con un unico colpo, spezzarlo.

 

« Frignava come una bambina mentre torturavo tua madre: “Prendi me al suo posto!” »

 

Per Draco fu l’ultima goccia. L’ultimo istante di lucidità prima di impazzire.

 

Prima di scegliere di perdere tutto.

 

Coraggio e stupidità non sono la stessa cosa, aveva detto Hermione.

 

Si sbagliava.

 

Nel suo caso erano un’unica forma, un’unica direzione.

 

Erano la sua vendetta.

 

In uno scatto d’ira, liberò Hermione e la spinse lontano da sé, così forte da farla cadere a terra.

 

Con la bacchetta sferzò l’aria.

 

« MUORI! » urlò.

 

« Malfoy, no! Non farlo! » gridò Hermione.

 

Poi Voldemort alzò il braccio e socchiuse la bocca.

 

Due voci.

 

Un unico lampo smeraldo.

 

Hermione vide Draco rivoltarsi a mezz’aria accompagnato da un grido che si spense non appena rovinò a terra.

 

« Oh no! NO! NO! »

 

Si ritrovò a urlare senza accorgersene, spezzando il silenzio glaciale che pietrificava i presenti.

 

Senza nemmeno pensare, saldò la presa sulla propria bacchetta e cercò di rialzarsi da terra.

 

Per raggiungerlo…

 

Per aiutarlo…

 

Per fare qualsiasi cosa che non fosse restare a guardare il suo corpo esanime, dalla posa vitrea e innaturale.

 

Riuscì soltanto a mettersi in ginocchio.

 

Un Mangiamorte alto e robusto la raggiunse e le afferrò il polso, obbligandola a lasciare la presa sulla bacchetta, poi la sollevò di peso per portarla fuori dalla Sala.

 

* * *

 

Greyback ringhiò un suono aspro, senza parole, artigliando fango e neve per arrestare la rovinosa caduta.

A pochi passi di distanza, Bill Weasley lo studiava immobile, con una calma distaccata. Ansimava respirando a boccate l’aria gelida. Il cuore gli rimbombava nelle orecchie.

 

Stava lottando strenuamente contro la bestia che lo aveva sfigurato e si sentiva pronto ad affrontarla come non lo era mai stato prima. Si era allenato per lungo tempo, sognando - spesso senza alcuna speranza - il momento della resa dei conti.

 

« Sei finito. » Minacciò con fermezza.

 

Greyback scattò in piedi e Bill fece appena in tempo a schivare la maledizione che uscì dalla sua bacchetta.

Rispose con altrettanta rapidità e la bacchetta di Greyback volò in aria mentre funi e catene gli cinsero gli arti e la gola.

 

Greyback emise un verso spaventoso, né canino né umano, che divenne un gorgoglio soffocato quando Bill allargò le braccia e le corde si strinsero attorno al suo collo.

 

Un’energia sconosciuta alimentava i gesti di Bill e si fece strada in lui la consapevolezza d’essere a un passo dalla vittoria.

 

Bramava quella vendetta in un modo che non era mai riuscito a confessare nemmeno a Fleur.

 

In un modo che gli faceva quasi paura.

 

Perché la vendetta ha un prezzo che non tutti possono permettersi.

 

E Bill ricevette il conto pochi attimi dopo, quando il grido sconvolto di Molly lo impietrì.

 

Si voltò sgomento verso sua madre; le corde attorno al collo di Greyback si sciolsero.

 

« No, papà! NO! »

 

* * *

 

Mentre il corpulento Magiamorte prelevava Hermione, nella Sala Comune esplodeva lo scontro.

 

Lei, priva di bacchetta magica, poteva fare poco o niente e, attraverso la consapevolezza d’essere inutile, si fece strada l’angoscia per il destino di Malfoy.

 

Con la stessa intensità con cui in passato aveva detestato il Serpeverde, ora soffriva per la sua orribile sorte.

 

Non aveva dimenticato che quello era il ragazzo che la sfotteva e la insultava durante gli anni di scuola, ma sarebbe stata la più vile delle Serpi se avesse messo a tacere la voce che gridava nella sua testa, ancora troppo scioccata per sciogliersi in lacrime.

 

Perché non era soltanto pietà quella che provava per lui, costretto a vivere la solitudine in un mondo che non gli apparteneva, nutrendosi di ricordi e desiderio di vendetta.

 

Perché, in fondo, ammirava e condivideva il suo utopico e ambizioso progetto di riportare Hogwarts alla magnificenza.

 

Perché l’aveva creduto sincero, e non si era sbagliata.

 

Perché il pensiero di non guardare più insieme a lui verso lo stesso obiettivo faceva male.

 

Faceva spaventosamente male.

 

Dalla Sala Comune provennero grida, tonfi, stridore e scintille.

Hermione si voltò indietro per cercare di intravedere qualcosa, ma non ci riuscì.

Sperò che Voldemort lasciasse ai propri seguaci l’onere di catturare Alicia, Anthony e Michael, perché in tal caso sapeva con certezza che i suoi compagni non gli avrebbero reso facile il compito.

 

D’un tratto, dall’altra parte del corridoio, udì un’esclamazione.

 

« Hermione! »

 

Guardò avanti e la gioia le tolse la voce.

 

Stavano arrivando Ron, Harry, Ginny e Luna.

 

Si commosse, ma non c’era tempo per piangere.

 

Gridò i loro nomi.

 

Ginny fu la più rapida, attaccò il Mangiamorte che, per difendersi, fu costretto a liberare Hermione.

 

La ragazza cadde a terra bocconi, con un tonfo, e mentre Ron e Harry correvano in suo aiuto, Luna e Ginny ingaggiavano battaglia con il Mangiamorte.

 

Ron aiutò Hermione ad alzarsi e l’abbracciò, gli domandò se stava bene e dov’era Malfoy.

 

Lei non udì nemmeno una domanda.

 

Stava ragionando ad una velocità pazzesca, poi s’alzò risoluta e piantò gli occhi in quelli smeraldo di Harry.

 

« Per favore, Harry, prestami il Mantello. »

 

« Cosa? »

 

« Il Mantello dell’Invisibilità. »

 

Lui, spaesato e tentennante, le allungò l’oggetto magico senza celare la preoccupazione.

 

« Hermione, cos’hai in mente? »

 

« Oh, ti prego, Harry non è il momento di fare domande! Piuttosto, non muovetevi da qui fino al mio ritorno, » ordinò.

 

Harry s’incupì: « Voldemort… è là dentro? »

 

Lei scosse la testa in modo poco convincente. Guardò Ron con aria supplichevole.

 

« Vi prego, aspettatemi qui, » pregò scomparendo sotto il tessuto.

 

Ron fissò il pavimento. Harry aveva lo sguardo proiettato oltre le spalle di Hermione.

 

Non avevano alcuna intenzione di darle ascolto.

 

« Venti secondi, » implorò la sua voce invisibile, « datemi soltanto venti secondi! »

 

* * *

 

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Capitolo 33
*** Capitolo 33 - Vendetta (II parte) ***


Lost Memories - Capitolo 33

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

È più facile ricambiare l’offesa che il beneficio;

perché la gratitudine pesa, mentre la vendetta reca profitto.

Publio Cornelio Tacito

 

* * *

 

Capitolo 33 – Vendetta (II parte)

 

Accadde tutto in pochi istanti.

 

Il Mangiamorte vide Hermione scomparire nel nulla e, incredulo, cominciò a scagliare alla cieca incantesimi di rivelazione.

 

Un lampo scarlatto uscì dalla bacchetta magica di Harry.

 

« Expelliarmus! »

 

Il Mangiamorte gridò di rabbia.

 

Ron esultò.

 

Harry aggirò il nemico disarmato e inforcò il corridoio che portava alla Sala Comune dei Serpeverde.

 

Ron imprecò, pensando più che altro alla sfuriata di Hermione; poi inseguì l’amico: no, non l’avrebbe lasciato solo.

 

Ginny chiamò entrambi, supplicandoli di fermarsi.

 

Harry si girò, la guardò fermamente. Le disse di non muoversi, di mettersi al sicuro, di non provare a fermarlo. Le disse che sapeva cosa stava facendo e che solo lui poteva mettere fine a quella guerra. Infine le voltò le spalle e riprese la sua corsa, con Ron al suo fianco più determinato che mai.

 

Ginny sentì la rabbia e la paura stringerle lo stomaco. Erano di nuovo loro, gli affetti più cari, che le scivolavano via dalle mani senza che potesse fare nulla per trattenerli.

 

« Corri, fai ancora in tempo a raggiungerli, » disse Luna.

 

Ginny si voltò sorpresa, la bocca semiaperta.

 

Non fece in tempo a parlare.

 

Il Mangiamorte, che nel frattempo aveva raccattato la propria bacchetta, lanciò un incantesimo tra lei e Luna, costringendole a separasi ai lati opposti del corridoio.

 

Ginny puntò la bacchetta verso il mago, ma Luna insistette: « Harry ha bisogno d’aiuto. Posso cavarmela da sola. »

 

Ginny scosse la testa. Desiderava con tutta se stessa raggiungere Harry e altrettanto restare al fianco dell’amica.

 

Ma quello non era il momento di discutere.

 

Il Mangiamorte sferrò un nuovo attacco e Ginny evocò un Sortilegio Scudo appena in tempo. Attraverso la barriera protettiva, Luna lo sorprese.

 

« Ferula! »

 

Il mago oscuro incespicò e si ritrovò con la faccia a terra e polsi e caviglie immobilizzati da un garbuglio di bende sterili. Con una serie di gesti impacciati, accompagnati da altrettanti grugniti, riuscì a portarsi le ginocchia al petto e tagliare le corde che lo bloccavano, ma non poté fare altro: un altro incantesimo lo colpì in pieno, lasciandolo a boccheggiare disorientato sul pavimento.

 

Luna approfittò della tregua che si era appena procurata: « So di potercela fare, Ginny. »

 

« Non posso lasciarti sola, Neville si è raccomandato di avanzare in squadre. »

 

« Adesso gli dai ragione? » constatò Luna con un pizzico di ironia, ricordandole che per aggregarsi alla missione aveva contestato alacremente le decisioni del loro capo. « Quando Neville arriverà, » aggiunse, « vi raggiungeremo. »

 

La sicurezza e la caparbietà che brillavano nei suoi occhi grandi lasciarono Ginny senza parole.

 

Luna sembrava una ragazza ingenua, ma in realtà era coraggiosa e forte.

 

Era solitaria, stravagante, impacciata, ma geniale come solo una Corvonero poteva essere.

 

Sì, pensò Ginny, poteva farcela.

 

* * *

 

Hermione, sotto al Mantello dell’Invisibilità prestatole da Harry, raggiunse in pochi attimi la Sala Comune dei Serpeverde; diede una rapida occhiata alla stanza e attraversò il corridoio come una folata di vento.

Intorno a lei era un cozzare di incantesimi, saette contro Sortilegi Scudo; un rincorrersi di grida rabbiose, di terrore e di dolore.

 

Non si lasciò distrarre. Come un destriero ammaestrato, puntò dritta all’obiettivo: Draco Malfoy.

 

Si fermò a metà strada solo per raccogliere la propria bacchetta magica, poi s’inginocchiò accanto al corpo esangue del ragazzo.

 

Le parve di vedere il suo petto muoversi flebilmente.

 

Forse è ancora vivo, si disse.

 

Ma questo, ora, non ha importanza.

 

Facendo attenzione a non sporgere nemmeno un’unghia fuori dal Mantello, allungò la mano a sfiorargli il braccio destro, cereo e inerte, scivolò lungo l’avambraccio fino alle ossa del polso, teso lungo il fianco. Il Mantello ricoprì la mano del ragazzo e lei sperò che nessuno si accorgesse di quell’insolita scomparsa.

Cercando d’essere il più rapida possibile, infilò la mano nella tasca dei suoi pantaloni.

Le sue dita scivolarono all’interno del risvolto; un brivido la percorse, ma non interruppe la sua ricerca.

Con esasperante cautela estrasse quel piccolo orologio da polso che aveva visto nella baita dei Malfoy.

 

Se si trattava davvero di una Giratempo, sapeva come usarla.

 

Speranzosa, ruotò la minuscola clessidra che sostituiva il quadrante, pregando che le concedesse il tempo necessario per quello che aveva in mente di fare.

 

Come aveva detto ad Harry, venti secondi sarebbero bastati.

 

Per alcuni istanti Hermione perse completamente il contatto con la realtà.

 

Poi si ritrovò a guardare se stessa, l’altra Hermione, con soddisfazione.

 

Ancora una volta il suo intuito non l’aveva tradita.

 

La clessidra era una Giratempo dalle capacità limitate: mezzo giro l’aveva riportata indietro solo di pochi minuti.

 

Ricordava perfettamente la scena che aveva davanti agli occhi, l’aveva vissuta poco prima: Malfoy si rifiutava di consegnare la propria bacchetta a Voldemort, il quale non pareva affatto stupito della reazione.

 

Era, semplicemente, ciò che si aspettava.

 

Il Signore Oscuro aveva scoperto da tempo il doppio gioco attuato da Pansy Parkinson e, con quella richiesta plateale, intendeva smascherarla e punirla.

 

Hermione lo udì tuonare il nome dell’ingenua Mangiamorte e preparare la bacchetta per quel gesto silenzioso che le avrebbe tolto la vita.

 

L’efferatezza dell’immagine di Pansy che si accasciava a terra priva di vita era ancora vivida nella mente di Hermione, ed ella, per quanto detestasse la vile Serpeverde, lasciò che la pietà guidasse la sua mano.

 

Lanciò un incantesimo esplosivo ai piedi della stolta compagna di scuola, la quale, travolta dall’onda d’urto, venne sbalzata un paio di metri più indietro, quanto bastava per schivare l’incantesimo mortale.

 

Voldemort accusò Malfoy di quel salvataggio e lo minacciò.

 

Lo scontro verbale tra i due prese la stessa identica piega che aveva preso la prima volta, ed era destinato a concludersi allo stesso modo.

 

Hermione lo capì subito, ma non intervenne, né si fermò ad ascoltare.

 

Doveva prepararsi a fare ciò per cui era tornata indietro nel tempo e aveva bisogno di un immensa concentrazione.

 

Chiuse gli occhi.

 

Nulla intorno a lei doveva distrarla.

 

Ignorò l’ingrata Pansy che, imprecando, si rialzò diretta verso l’unica Hermione che poteva vedere con l’intento di catturarla come le era stato ordinato.

 

Ignorò il ghignare spietato del Lord Oscuro che faceva tremare d’odio l’erede dei Malfoy.

 

Ignorò i suoi compagni paralizzati dalla paura, e ignorò persino la villania con cui Draco l’aveva spinta a terra per sfidare Voldemort.

 

L’ira con cui egli invocò la morte del Signore Oscuro esplose con violenza fra le mura dei sotterranei, ma quel veleno non era sufficiente per ucciderlo.

 

Questo, il Serpeverde, non l’aveva voluto considerare.

 

E mentre le labbra dei due maghi scandivano in simultanea le sillabe dell’Anatema Che Uccide, Hermione protese la bacchetta magica e ruotò il polso formando nell’aria una spirale perfetta.

 

Mors Reflecto.

 

Una scossa elettrica le attraversò il braccio per poi concentrare tutta la sua carica sulla punta della bacchetta.

 

Mai avrebbe immaginato di riuscire a osare tanto.

 

L’enorme potere dell’incantesimo che aveva appena evocato le mozzò il respiro e la fece rabbrividire.

 

Si sentì soffocare, come se una valanga l’avesse travolta riempiendole la gola di fango.

 

Appena capì che solo una lucidità estrema poteva impedirle di affogare, aprì gli occhi.

 

Il suo braccio destro tremava nel tentativo di sostenere la potenza immensa che si sprigionava dalla bacchetta magica, mentre un vento elettrico s’alzava tutto intorno e nell’aria s’andava formando un vortice di fumo cinereo.

 

Hermione si chiuse nel Mantello e un enorme scudo nebuloso s’allargò in mezzo alla sala inglobando lei, Malfoy e l’Hermione del passato.

 

Un grido lacerante uscì dalla gola di Voldemort quando i due lampi di luce verde s’infransero contro lo Scudo e deviarono sul soffitto.

 

Malfoy tremava.

 

Pansy Parkinson tremava.

 

Hermione, l’altra Hermione, quella inconsapevole, guardava Malfoy sbalordita mentre Pansy ne approfittava per disarmarla e trascinarla fuori dalla stanza.

 

L’Hermione venuta dal futuro rimase a fissare la scena senza battere ciglio, tutta presa a lottare contro la forte tentazione di approfittare della propria evanescenza. Nei pochi istanti che le rimanevano avrebbe potuto fare qualsiasi cosa, ma un severo monito era vivido nei suoi ricordi: arrogarsi il diritto di interferire con il passato e controllare lo scorrere del tempo poteva avere conseguenze devastanti.

 

Risoluta, prese la decisione di ritirarsi, ma prima di ruotare la clessidra osservò gli effetti del suo gesto: l’incantesimo aveva scatenato il caos. Tutti stavano cercando di capire cosa avesse potuto generare quello scudo con tempismo perfetto, l’ipotesi che fosse stato il figlio di Lucius Malfoy appariva incredibile anche ai più sprovveduti.

 

Con la Giratempo fra le dita, Hermione si volse a guardare Draco Malfoy.

 

Era vivo…

 

E stupido abbastanza da vanificare il suo intervento.

 

Si lasciò sfuggire un lieve sbuffo, agitò la bacchetta ed eseguì per due volte l’Incantesimo di Disarmo.

 

Malfoy strillò sentendosi sfuggire la bacchetta dalle mani.

 

Voldemort grugnì interdetto e corse a grandi passi a raccogliere la Bacchetta di Sambuco, volata ad alcuni metri di distanza.

 

Solo allora Hermione si ritenne soddisfatta e, finalmente, ruotò la clessidra.

 

* * *

 

Nel pieno del duello ingaggiato a metà del corridoio che conduceva alla Sala Comune dei Serpeverde, Luna Lovegood si fermò sorpresa: una strana elettricità le drizzava i capelli e un formicolio intenso le tormentava i polpastrelli.

La potenza sprigionata dall’incantesimo di Magia Nera eseguito da Hermione era giunta fino a lei; non poteva immaginarne l’effetto, né l’autore, ma ne percepiva l’immensa portata.

 

Guardò il proprio avversario e s’accorse immediatamente che qualcosa era cambiato.

 

Meditabonda, puntò la bacchetta magica contro di lui: « Avis! »

 

Uno stormo di uccelli candidi comparve a mezz’aria, volò verso il soffitto in formazione e scese in picchiata contro il nemico, che non indugiò: « Oppugno! »

 

Una fiamma bruciò in un attimo i volatili di carta, ma Luna rimase indifferente al fallimento: stava studiando l’avversario, minuto e apparentemente debole, ma dal portamento arrogante e spietato.

 

Il nemico era mutato, era profondamente diverso da quello che fin’ora l’aveva attaccata.

 

È una donna, pensò Luna d’istinto, io la conosco…

 

* * *

 

Hermione, tornata nel presente, si rese conto che la situazione non era cambiata di molto, salvo che nella Sala Comune il caos era quadruplicato, insieme alla furia di Voldemort.

 

Con il suo intervento aveva temuto di generare un paradosso spazio-temporale, ma gli eventi sembravano seguire una logica predeterminata.

 

Tutto ciò che aveva ottenuto, quindi, era stato salvare la vita a due Serpeverde: Pansy Parkinson, che ora probabilmente stava combattendo contro Harry, Ron, Ginny e Luna; e Draco Malfoy che, nervoso, stava raccogliendo la propria bacchetta a un passo da lei.

 

Ne era valsa la pena?

 

Hermione, ben nascosta sotto al Mantello dell’Invisibilità, esaminò il ragazzo al suo fianco.

 

Il volto pallido non era più attraversato dai solchi della rabbia, ma appariva sconvolto,  come se si rendesse conto d’essere scampato alla morte.

 

All’improvviso, s’infilò una mano in tasca.

 

Hermione trattenne il respiro.

 

Lo vide spalancare gli occhi grigi ed estrarre il palmo vuoto, socchiudere la bocca interdetto.

 

Non poteva sentirlo, ma il suo cuore batteva forte.

 

« Granger… » mormorò tra lo stupore e l’incredulità.

 

Hermione non aveva idea di come si fosse riuscito, ma Malfoy si era reso conto della sua presenza.

 

Nervosa, borbottò: « Cosa vuoi? »

 

Al sentire la sua voce, lui sembrò riprendersi di colpo.

 

Con una lieve smorfia sul viso, sussurrò: « Avevo ragione: ti mancava la convinzione. »

 

« È la prima e l’ultima volta che faccio una cosa del genere, per te, vedi di non sprecare l’occasione. » rispose lei fra i denti.

 

« Impari in fretta, » fece lui di rimando, ma l’affermazione più simile ad una presa in giro che a un complimento.

 

« Dì pure che non avresti saputo fare di meglio… » ribatté Hermione.

 

La smorfia presuntuosa sulle labbra del Serpeverde si accentuò: « Lo sai che finirai ad Azkaban per aver praticato Magia Nera, vero? »

 

Ma per Hermione quella era la più banale delle provocazioni: « Io non pratico Magia Nera. Mi hai visto praticare Magia Nera, Malfoy? » sogghignò furba.

 

Lui non rilanciò, si limitò ad abbozzare un sorriso.

 

« Se non sai cos’altro dire, posso suggerirti “grazie”, » aggiunse Hermione.

 

Per un attimo, Malfoy soppesò il suggerimento.

 

Ringraziare Hermione Granger…

 

Naaahh…

 

La Sanguesporco chiedeva davvero troppo!

 

* * *

 

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Capitolo 34
*** Capitolo 34 - Il Prescelto ***


Lost Memories - Capitolo 34

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

« Molti uomini hanno provato. »

« Hanno provato e hanno fallito? »

« Hanno provato e sono morti... »

 

F. Herbert, Dune

 

* * *

 

Capitolo 34 – Il Prescelto

 

Pansy Parkinson si era rialzata da terra consapevole d’essere scampata all’ira del Lord Oscuro ed era corsa a disarmare Hermione e trasportarla fuori dalla Sala Comune, come lui le aveva ordinato.

Azioni intrise, senza dubbio, di vigliaccheria, ma mosse da ben altre motivazioni: Pansy credeva d’aver visto Draco evocare uno Scudo Oscuro con impressionante abilità e aveva ingenuamente rivalutato le sue possibilità di vittoria; inoltre, era convinta che lui fosse anche l’autore dell’incantesimo esplosivo che l’aveva salvata dalla morte.

Quel gesto era la conferma di quanto lui tenesse alla sua vita; ora toccava a lei dimostrargli il suo amore, aiutandolo a compiere la sua vendetta.

 

Ciò che poteva fare, in primis, era eliminare dal campo di battaglia chiunque potesse ostacolarlo: la Sanguesporco Grifondoro.

 

Ciò che non aveva previsto, purtroppo, era incontrare Potter e la sua banda ed essere costretta a sbarazzarsi della Granger per difendersi.

 

Ciò che più l’aveva irritata, infine, era ritrovarsi - senza aver capito bene come - a combattere contro la strega più insulsa e schizzata di Hogwarts: Luna Lovegood.

 

Pansy, il volto ben nascosto dal cappuccio, scrutò il nemico con evidente aria di superiorità, quindi mirò in alto, sopra alla sua testa.

 

« Descendo. »

 

Un vecchio lampadario in ferro battuto si staccò dal soffitto. Luna, rapidissima, lo bloccò a mezz’aria prima che le cadesse addosso.

 

La Mangiamorte sogghignò: non era quello il suo vero obiettivo.

 

Fin dal primo anno di scuola, era opinione diffusa fra gli studenti, che Luna Lovegood (inspiegabilmente Corvonero) fosse un po’ tocca.

 

Secondo Pansy, in particolare, era decisamente stupida, e questo lo si poteva chiaramente leggere nel sorriso arrogante che aveva plastificato sul volto quando attaccò:

 

« Deprimo. »

 

Il lume cedette alla forte pressione frantumandosi in mille pezzi che schizzarono ovunque. La difesa di Luna non bastò a evitarle tutte le schegge: alcune vennero deviate, altre le si conficcarono nel viso e nelle mani. Accusò il colpo malamente: il ferro arrugginito bruciava sotto la pelle. Sul viso dall’espressione sofferente, però, gli occhi vacui brillavano combattivi.

 

Con la bacchetta giocherellò nell’aria, apparentemente senza scopo.

 

« Exulcero. »

 

Pansy Parkinson pagò lo scotto d’aver sottovalutato il nemico.

 

Gridò imbestialita e si piegò su se stessa, ferita fisicamente e nell’orgoglio; il bruciore era insopportabile, la pellerovinata, il viso sfregiato come quello della nemica.

 

Attaccò guidata solo dalla rabbia: « Incarcerus! »

 

« Gemino. »

 

Un intreccio di catene avvolsero una Luna evanescente, dai capelli biondo platino e il corpo irrigidito, che sfumò nell’aria lasciando le catene stringersi attorno al nulla per poi cadere a terra.

 

Pansy ringhiò, beffata per la seconda volta.

 

Furiosa, levò la bacchetta nell’aria.

 

« Lumus Solem. »

 

Una luce accecante impedì a Luna di vedere la propria avversaria e di prevederne le mosse, udì soltanto pronunciare la formula di un incantesimo che riconobbe a stento, bandito dal Ministero della Magia da oltre un secolo per la sua pericolosità.(*)

 

Se Luna avesse potuto scorgere Pansy, l’avrebbe vista sghignazzare mentre compiaciuta l’osservava accasciarsi a terra in un grido stridulo di dolore, con una freccia conficcata nella spalla destra.

 

Ma se Pansy avesse guardato Luna togliendosi dal viso quel velo di presunzione, avrebbe notato che nonostante il dolore non aveva mollato la presa sulla bacchetta e, invece di evocare lo Scudo che l’avrebbe potuta proteggere, mormorava a fior di labbra uno Schiantesimo.

 

* * *

 

Bill abbandonò il campo di battaglia per correre al fianco del padre accasciato a terra: la ferita che si era procurato durante un’incursione al Ministero e che l’aveva costretto a letto per lungo tempo si era riaperta e perdeva sangue macchiando la neve tutt’intorno. Molly era china su di lui e tentava invano di curarlo. Bill, che aveva assistito suo padre durante tutta la convalescenza, sapeva che non avrebbe smesso di sanguinare per un bel po’: serviva un riposo assoluto, perché ogni movimento peggiorava la situazione.

 

Bill raggiunse il padre in due balzi, con delicatezza lo aiutò a sdraiarsi a terra e cominciò a fasciare a ferita. Molly lo lasciò fare, piangeva.

 

Bill avrebbe voluto tranquillizzarla, dirle che la ferita di papà non era così grave come poteva sembrare e che un buon riposo l’avrebbe aiutato a rimettersi ma, all’improvviso, Greyback tuonò:

 

« Weasley! »

 

Non si rivolgeva a Bill. Né a Percy o Arthur. Si rivolgeva a chiunque portasse quel nome.

Sterminare la famiglia Weasley - trave portante del movimento ribelle - rappresentava ora un’opportunità imperdibileper riparare alla negligenza dei propri Ghermidori e salvarsi, quindi, la pelle.

 

Riappropriatosi della bacchetta, si dichiaraò pronto a combattere.

 

Bill fece per alzarsi, ma Percy lo fermò.

 

« Occupati di papà, sei l’unico che sa come farlo. Ti copro le spalle. » Disse in modo tutt’altro che convincente. Tremava.

 

Merlino, tremava come una foglia! Era terrorizzato dal licantropo, dal suo aspetto inumano e dal pericolo che rappresentava. Con quei denti appuntiti e le unghie affilate era in grado di fare di lui, in un istante, un mostro.

 

In poche parole, Percy Weasley se la stava facendo sotto…

 

E ne era perfettamente consapevole.

 

Quando Greyback avanzò, racimolò tutto il coraggio che poté trovare e drizzò le spalle puntando la bacchetta contro di lui.

 

Riuscì a compiere quel solo gesto, poi, d’un tratto, sentì i piedi scivolare all’indietro sul ghiaccio e si ritrovò con la faccia piantata nella neve.

 

« Non pensarci nemmeno, Percy! »

 

Era sua madre, nella più severa delle sue espressioni. La fronte aggrottata e lo sguardo fermo di rimprovero, lo superò pestando la neve e fronteggiò il licantropo al posto suo.

 

Il suo sguardo scuro e determinato era proiettato altrove, come se non fosse lì in quel momento.

 

Ma Molly c’ era. C’era con tutta se stessa, con rabbia e con angoscia, e con una certezza più forte di ogni altra cosa: non era disposta a sopportare un grammo di più di quel dolore devastante che ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, ogni istante in cui pensava a Fred, le strappava il cuore in mille pezzi.

Questo sapeva Molly: che una sola goccia in più di quella sofferenza l’avrebbe uccisa.

E per questo, non avrebbe permesso mai più a nessuno di toccare la sua famiglia, senza passare prima attraverso di lei.

 

Due colpi di bacchetta e Greyback fu costretto in difesa.

 

« Bestia infame! Da adesso in poi, sarò io il tuo avversario! » Urlò al mercenario mentre una Maledizione schizzava a pochi centimetri dal suo viso…

 

* * *

 

Fra tante cose che Neville aveva temuto di incontrare nella corsa ai sotterranei, quella era la peggiore delle sue paure.

 

La spada scintillante di Godric Grifondoro gli scivolò dalle mani e cadde sul pavimento accompagnata da un tintinnio interminabile. Immobile, col respiro mozzato e il battito del cuore che gli risaliva la gola e premeva contro i timpani, sfiatò un “no” carico di angoscia.

Il resto delle parole gli morì nel petto.

 

Non lei.

 

Il corpo magro e fragile di Luna Lovegood - immobile e pallida come Pansy Parkinson schiantata a pochi passi da lei - giaceva contro la parete immerso in un lago di sangue; una freccia stregata le immobilizzava il braccio destro che sanguinava ancora, sotto la manica lacera e bruciacchiata del mantello.

 

Era priva di sensi.

 

Neville crollò in ginocchio accanto a lei e le appoggiò una mano tremante sul viso, il suo respiro era affannato ma di una debolezza preoccupante. Le sciolse delicatamente il nodo del mantello sotto al collo e scoprì il braccio ferito. Un disgustoso odore di carne bruciata lo investì; a denti stretti chiamò Terry e le sorelle Patil.

Poi fu tutto un susseguirsi concitato di delicate operazioni. Terry e Padma intervennero sulla ferita per estrarre la freccia e bloccare la perdita di sangue con un Incantesimo Cura Ferite; Calì restituì appena un po’ di colore alle guance dell’amica usando quasi l’intera scorta di Pozioni Corroboranti e altri infusi energetici; infine Neville, che per tutto il tempo le aveva tenuto il polso accertandosi della regolarità del battito, disinfettò la ferita e la fasciò.

 

A quel punto, Luna socchiuse le palpebre.

 

Calì e Padma gemettero apprensive, George si congratulò con Terry dell’ottimo lavoro e Neville, silenzioso, si alzò in piedi e raccolse la spada; concentrato com’era a trattenere le lacrime incipienti, non s’accorse che ne stava letteralmente stritolando l’elsa.

 

Nonostante la debolezza e lo smarrimento, Luna accennò un sorriso ai compagni riuniti intorno a lei; poi tentò di alzarsi, ma Terry la costrinse a terra: « Devi riposare. »

 

Lei sembrò non sentire la raccomandazione però rimase seduta, con le gambe tese in avanti e la schiena appoggiata alla fredda pietra dei sotterranei di Hogwarts.

 

Era esausta: aveva affrontato e battuto tre Mangiamorte, l’ultimo da sola.

 

Alzò lo sguardo a incrociare quello di Neville e gli parlò come se accanto a loro non ci fosse nessun altro.

 

« Ho sognato di essere morta. »

 

Sogni sempre cose strane, Luna.

 

Neville aveva la gola annodata così stretta che avrebbe giurato fosse impossibile far uscire la voce, ma le parole, invece, lo smentirono:

 

« Io ho avuto paura. »

 

« Era solo un sogno, » lo tranquillizzò lei.

 

L’ espressione ingenua, di una dolcezza disarmante.

 

Neville fremette, gli occhi annebbiati dalle lacrime ancora tenacemente arginate.

 

« Per fortuna, » sorrise, amaro.

 

Nemmeno in sogno potrei tollerare di perderti.

 

Lei non sembrò accorgersi dello sforzo che Neville faceva per controllarsi. Corrucciò la fronte e fece una serie di affermazioni sconnesse.

 

« Harry e Ron sono andati alla Sala Comune. Hermione è tornata laggiù col Mantello dell’Invisibilità. È accaduto qualcosa di… strano… c’era troppa elettricità nell’aria… l’avete sentita? »

 

Non attese alcuna risposta. Sotto gli occhi increduli dei compagni, appoggiò il braccio sano alla parete e con un considerevole sforzo s’alzò in piedi.

 

« Oh, » aggiunse come se si fosse dimenticata un banale dettaglio, « devo raggiungere Ginny. »

 

Neville, le mascelle serrate e la fronte corrucciata nel tentativo di seguire il filo logico delle sue parole, la guardò scandalizzato, come se avesse appena imprecato.

 

« Tu non vai da nessuna parte. » le disse un attimo dopo.

 

Era premurosa, la sua voce, ma con una incrinatura severa che non ammetteva repliche.

 

E Luna non replicò, ma nei suoi occhi era palese la delusione di non poter essere accanto a loro fino all’ultimo.

 

« Hai già fatto abbastanza, » aggiunse Cho per confortarla.

 

« Liberiamo gli altri e torniamo prenderti, » promise George a nome di tutti.

 

« Hannah, prendi un capello di Pansy, » ordinò Neville all’improvviso.

 

Padma e Calì lo guardarono perplesse mentre Terry annuì in segno d’approvazione.

 

Hannah, che fino a quel momento era rimasta silenziosa, in piedi alle sue spalle, a osservarlo prendersi cura di Luna in un modo che le spezzava il cuore, non si mosse.

 

Justin ed Ernie si scambiarono uno sguardo interrogativo. Che Hannah Abbott avesse un debole per Neville Paciock era evidente, almeno per i suoi due più cari amici, ma quella reticenza era decisamente fuori luogo in un momento in cui la gelosia e l’invidia avrebbero dovuto cedere il passo senza esitazione alla lealtà e alla collaborazione. A maggior ragione per una Tassorosso.

 

Quando Ernie glielo fece notare con una leggera gomitata, Hannah si riscosse. Il suo temporeggiare non era assolutamente provocatorio, ma necessario per placare il groviglio di emozioni che la dominava.

 

Si scusò con un cenno del capo, s’avvicinò al corpo della Mangiamorte e fece quello che le era stato chiesto.

 

Con un capello di Pansy fra l’indice e il pollice, Neville parlò a Luna in un tono che divenne pian piano più drammatico.

 

« Usa la Pozione Polisucco con questo, e torna alle Serre. Aspettaci là. Se Tu-Sai-Chi dovesse scontrarsi con Harry alla Sala Comune, si scatenerebbe qualcosa di terribile. Dovremo – dovrò – combattere al suo fianco ed è necessario che tu sia in un luogo sicuro. Perché non potrò venire ad aiutarti. Qualsiasi cosa accada, non mollerò il campo di battaglia. Anche se Harry dovesse… perdere… »

 

« Neanche io vorrei mollare il campo di battaglia, » aggiunse Luna prendendo rassegnata il capello che Neville le porgeva, « ma… immagino che così sarei solo d’impiccio. »

 

Neville chinò il capo senza più riuscire guardarla negli occhi e fece cenno ai compagni di incamminarsi verso la Sala Comune dei Serpeverde.

Si fidava di Luna; sapeva che era in grado di cavarsela da sola anche nelle difficoltà più grandi, ma lasciarla lì, sola e ferita, era molto più doloroso di quanto pensasse.

 

Fece appena un paio di passi che la Corvonero lo fermò.

 

« Harry vincerà. »

 

L’intero gruppo si voltò a guardarla.

 

« Come? »

 

Lei sorrise a tutti ma parlò a Neville, in particolare.

 

« Hai detto, “se Harry dovesse perdere”… ma Harry vincerà. »

 

George annuì vigorosamente: « Giustissimo! »

 

Quel rimprovero scosse Neville sciogliendo il nodo che aveva in gola. Il suo sguardo assunse vigore ritornando determinato e sicuro, come lo era stato nei momenti più difficili di quegli ultimi due anni.

 

Si rivolse ad Hannah Abbott porgendole la Spada di Godric Grifondoro.

 

« Tienila tu, » disse.

 

Hannah, sorpresa, prese in consegna l’oggetto magico con timore, rendendosi conto solo in quel momento di quanto fosse difficile manovrarlo; e le sembrò ancora più pesante quando Neville s’avvicinò a Luna e la prese in braccio.

 

« Oh, cosa fai?! » Squittì Luna, con le guance che avevano ripreso colore tutt’in un colpo, gli occhi spalancati e un’espressione basita.

 

Neville le sorrise e parlò forte, in modo che tutti potessero sentire: « Sai una cosa, Luna? Hai ragione. Harry vincerà. Sconfiggerà Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato e… bè, non so tu, ma io non vorrei perdermelo per nulla al mondo! »

 

Quell’ affermazione trasmise coraggio a tutti e Hannah, all’improvviso, si rese conto di quanto fosse importante il compito che le era stato affidato.

 

Accantonando la tristezza, affiancò Neville a testa alta. Con espressione risoluta strinse l’elsa della spada che d’un tratto s’era fatta più leggera, non più oppressa dal peso che ella portava sul petto.

 

Forse, pensava Hannah, non poteva sperare in un posto speciale nel cuore di Neville, ma di certo avrebbe occupato quello al suo fianco.

 

* * *

 

Harry si precipitò all’interno della Sala Comune dei Serpeverde con il cuore in gola, Ron al fianco e Ginny alle calcagna. Sulla soglia si fermò sconcertato: la scena che aveva davanti agli occhi era al di fuori della sua immaginazione.

 

C’erano Alicia Spinnet, Anthony Goldstein e Michael Corner impegnati in una folle battaglia contro alcuni Mangiamorte. Schivavano e deviavano incantesimi; quando non riuscivano a difendersi li annullavano e si rialzavano con tenacia, poi attaccavano e colpivano senza prendere fiato.

 

Lampi e frastuoni infiammavano la Sala, come una macabra danza tribale intorno ai protagonisti della battaglia: Voldemort e Malfoy, ora ritirati in una effimera tregua. Il primo era chino a recuperare la propria bacchetta, il secondo, pallido ed esangue, teneva la propria stretta in pugno e tremava come se fosse appena scampato alla morte.

 

Quello che più sconvolse Harry (e che fece gemere Ron in modo stridulo) fu vedere Hermione Granger comparire dal nulla accanto a Malfoy, la bacchetta ben salda in mano e il Mantello dell’Invisibilità ripiegato rapidamente attorno al braccio.

 

Come avesse usato l’oggetto magico non potevano saperlo, ma la preoccupazione salì alle loro gole.

 

Ron non riuscì a trattenersi e ancora una volta gridò il suo nome; l’angoscia gli spezzò la voce.

 

Hermione si portò una mano alla bocca: aveva sperato fino all’ultimo che l’aspettassero nel corridoio, ma sapeva che non l’avrebbero ascoltata.

 

Così come sapeva che nulla avrebbe impedito ad Harry di coprire quel ruolo che persino una Profezia gli aveva attribuito, il ruolo che Silente gli aveva cucito addosso con cura meticolosa, il ruolo in cui il Mondo Magico aveva sperato fin dalla sua nascita e dal quale egli, per niente al mondo, si sarebbe sottratto.

 

Lo sentì ruggire con coraggio: « Voldemort! »

 

Un latrato sfuggì alla gola del Signore Oscuro, la Bacchetta di Sambuco di nuovo stretta fra le dita lunghe e ossute, lo sguardo in fiamme.

 

« Potter! »

 

Malfoy fulminò Harry, come se fosse arrivato all’ultimo secondo a soffiargli la coppa della vittoria.

 

Prima che Hermione potesse intervenire, lo aggredì: « Potter, che cavolo sei venuto a fare?! »

 

Harry guardò il Serpeverde con aria di scherno, indugiando sul pallore del suo volto, trasparente alla paura: « Malfoy, stai tremando dalla testa ai piedi, non vorrai farmi credere che vuoi batterti contro di lui! »

 

Draco strinse le palpebre con aria ostile: « Non sono affari tuoi, vattene! » Ordinò.

 

« Non penserai di avere delle possibilità di vittoria? Dimentichi che tutti quelli che hanno lottato contro di lui sono morti e la stessa sorte è toccata anche a molti che hanno lottato per lui, e tu… non sei migliore di nessuno di loro! »

 

« Da quando vi sta così a cuore la mia esistenza? » ribatté il Serpeverde, quasi immediatamente.

 

L’aveva lì, quella domanda, nel mezzo della gola da oltre un paio d’anni, da quando il trio Grifondoro l’aveva salvato dall’Ardemonio evocato da Tiger.

 

Ed era tornata a dargli fastidio, come una caramella mal deglutita, da quando Hermione aveva accettato d’aiutarlo. Da quando, in particolare, lei era riuscita a placargli il cuore impazzito di paura semplicemente appoggiandosi al suo petto, nella Stanza delle Necessità.

 

Ed ora, che gli aveva salvato la vita, sembrava addirittura un boccone soffocante.

 

Come se fosse inconcepibile voler aiutare uno come lui.

 

« Da quando riteniamo più soddisfacente vederti marcire ad Azkaban! » oltre la spalla di Harry, Ginny esplose sarcastica, vibrante di determinazione.

 

« Uccidere Voldemort è compito mio, » insistette Harry facendo cenno a Ginny di non intromettersi, « io sono l’unico che può battersi contro di lui. »

 

Malfoy, un ghigno amaro sul viso, alzò le braccia al cielo in un gesto di scherno: « Potter il Prescelto, Potter il Salvatore! Ti stai gonfiando così tanto che potresti esplodere! »

 

Harry non si scompose, lo sguardo serio di chi sa d’avere sulle spalle il futuro di un intero mondo: « Ci sono cose che non sai, Malfoy, e non ho certo il tempo di spiegartele! »

 

Ron gli fece eco: « Anche perché non le capiresti… Si tratta di amore, di capacità di amare, di fedeltà, concetti che non hanno mai neanche lontanamente sfiorato l’anticamera di un cervello Malfoy… Senza dimenticare che persino la Profezia dice… »

 

« Me ne sbatto delle profezie, Lenticchia! » Berciò Malfoy alzando la bacchetta e puntandola contro Voldemort.

 

Harry lo spintonò: « Malfoy, levati dai piedi! »

 

         Continua…

* * *

 

 

 (*) Per questo incantesimo mi sono ispirata al modo di festeggiare dei tifosi della squadra di Quidditch Appleby Arrows. Dice Wikipedia: “i tifosi degli Arrows avevano l'abitudine di lanciare in aria delle frecce infuocate con le loro bacchette ogni volta che la loro squadra segnava un gol. Questo modo di festeggiare fu bandito dal ministero della magia nel 1894…

 

N.d.A

 

Io adoro la coppia Neville/Luna e vi giuro che è dall’inizio di questa fic che voglio scrivere di loro, ma ad ogni capitolo non mi sembrava mai il momento giusto. L’equilibrio in una storia è più importante, secondo me, di ogni “shipping” e così non ce l’ho fatta a raccontarvi di loro, come li immagino e come avrei voluto. Nonostante lo volessi con tutta me stessa, non sono riuscita a ritagliare un posticino solo per loro due; ma in questo capitolo avevo un piccolo spiraglio di libertà e l’ho sfruttato al meglio, come mi sembrava più opportuno per non spezzare l’equilibrio della trama. Purtroppo, però, c’era Hannah, lì, in prima linea, combattiva più che mai a rivendicare tenacemente il suo ruolo… e non sono riuscita a sottrarglielo del tutto. Ho lasciato quindi ogni cosa, ogni emozione, volutamente vaga perché sentivo, semplicemente, che doveva essere lasciata così, in sospeso… Tuttavia sappiate che, anche se qui non è scritto, nella mia testa le cose evolveranno in un solo ed unico modo… =P

 

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Capitolo 35
*** Capitolo 35 - La profondità dell'odio ***


Lost Memories - Capitolo 35

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Rispondendo all’odio con l’odio non si fa altro che accrescere la grandezza e la profondità dell’odio stesso.

Gandhi

 

* * *

 

Capitolo 35 – La profondità dell’odio

 

Quando Yaxley e Travers, trascinando i condannati, raggiunsero i sotterranei del Castello, trovarono una brutta sorpresa: un gruppo di ribelli con a capo Neville Paciock, aveva sconfitto - per la precisione schiantato - la Mangiamorte Pansy Parkinson, e ora li precedeva di pochi metri, diretto alla Sala Comune dei Serpeverde.

 

Yaxley imprecò e consegnò bruscamente i propri prigionieri, Seamus e Dean, a Travers, poi sfoderò la bacchetta magica e lanciò una Maledizione alle spalle degli intrusi.

 

Katie Bell, le braccia bloccate dietro la schiena, si piegò in avanti e gridò con tutto il fiato che aveva in gola.

 

Cho Chang e Padma Patil, in coda al gruppo, si voltarono appena in tempo per deviare l’attacco.

 

Il frastuono fece voltare tutti gli altri: Calì, Ernie, Justin, Terry, Neville, che portava in braccio Luna ferita, George alla sua sinistra e Hannah alla sua destra, che stringeva a due mani l’elsa della Spada di Godric Gridfondoro.

 

Vedendola, i volti dei quattro ostaggi s’illuminarono di coraggio.

 

Zacharias iniziò a dimenarsi come un’anguilla; Katie scoppiò in lacrime strattonandosi per sfuggire al proprio carceriere. Seamus, con uno scatto improvviso, calciò gli stinchi di Travers che ululò dolorante e allentò la presa sulle corde magiche che legavano i polsi suoi e di Dean.

 

In breve i due Mangiamorte persero il controllo della situazione.

 

Seamus si gettò contro Yaxley con un ruggito bellicoso; nei suoi occhi brillava la determinazione: era disarmato, ma pronto a battersi anche a mani nude.

 

Travers afferrò per il mantello Dean un istante prima che riuscisse a sfuggirgli. Dean ruotò su se stesso, ma il Mangiamorte lo afferrò per la gola e puntandogli la bacchetta sullo sterno lo colpì a bruciapelo, scagliandolo in aria. Dean cadde a diversi metri di distanza, slogandosi la spalla destra. Una fitta lancinante gli attraversò il braccio e il petto, gridò di dolore ma non si diede per vinto: si trascinò verso Pansy Parkinson che giaceva schiantata poco distante e le rubò la bacchetta magica, grazie alla quale annullò l’incantesimo che gli legava le mani. Si girò, si sollevò sul gomito sinistro e, stringendo i denti, lanciò un incantesimo di esplosione contro Travers, poi cadde a terra sfinito.

 

Mentre Ernie e Justin si lanciavano nella mischia per distrarre Yaxley, Calì liberò Seamus dalle catene e Terry corse in aiuto di Dean.

 

« Sbrigatevi a raggiungere Harry! » Gridò George e Neville e Hannah, « a questi due ci pensiamo noi: sono fottuti! »

 

* * *

 

Vedendo Harry e Ron litigare con Malfoy per rivendicare il ruolo di protagonisti in quella folle guerra, Hermione si diresse verso di loro a passo militare per dare manforte a Ginny che tentava invano di farli ragionare, ma dopo un paio di passi si fermò.

 

Gli occhi le brillarono di sorpresa e di speranza: Neville Paciock, arrivato in sordina, si schiacciava dietro allo stipite della porta d’ingresso alla Sala Comune.

 

Hermione ignorò Malfoy e persino Harry. Energica e determinata, confuse un Mangiamorte che l’aveva avvicinata e attraversò al volo la stanza.

 

Era su di giri quando raggiunse (e quasi gli saltò addosso) Neville: non le era sfuggito, infatti, il riverbero dei rubini incastonati nell’elsa della Spada di Godric Grifondoro che nascondeva dietro la schiena.

 

« Come siete riusciti a prendere la Spada?! » esclamò.

 

« Merito di Hannah, » rispose Neville, e la Tassorosso, nascosta dietro il muro che separava il corridoio dalla Sala, arrossì.

 

Hermione spostò lo sguardo su di lei e subito impallidì vedendo che sorreggeva Luna, ferita gravemente ad una spalla. Dal volto emaciato dell’amica capì che aveva perso molto sangue ed era debole. Insistette per contribuire a prendersi cura di lei, ma Hannah e Luna si rifiutarono categoricamente.

 

Il ruolo di Hermione, ora, era quello di coprire le spalle a Neville intenzionato portare a termine, una volta per tutte, il compito che Harry gli aveva affidato: uccidere Nagini.

 

* * *

 

Kingsley Shakelbolt, Aberforth Silente e Hestia Jones si fermarono a prendere respiro: erano arrivati all’entrata principale del Castello correndo senza sosta, sconfiggendo al primo colpo chiunque li avvicinasse. L’area era quasi deserta e mal sorvegliata, ma non compresero il motivo di quella condizione finché si trovarono davanti al degrado in cui versava la Sala Grande: il meraviglioso soffitto era squarciato e, sopra le loro teste, il cielo cupo e nebuloso era reale. Solo la tavolata dei Serpeverde riempiva la sala e un trono sostituiva l’intero tavolo dei professori. Flebili fiamme alle pareti erano l’unica illuminazione. Il gelo, padrone della stanza, scendeva nello stomaco a ogni respiro. Il silenzio era totale e, se non fosse stato per un debole cigolio, nessuno dei membri dell’Ordine della Fenice si sarebbe accorto d’essere stato pedinato.

 

I tre maghi si voltarono di scatto guardandosi le spalle: sulla soglia dell’ingresso c’erano sette Mangiamorte incappucciati.

 

Uno di loro stava seminascosto dietro lo stipite, gli altri parevano in formazione d’attacco, capeggiati da una figura minuta che puntava la bacchetta davanti a sé a braccio teso.

 

Kingsley si preparò ad attaccare.

 

Due Mangiamorte indietreggiarono prima ancora che estraesse la bacchetta; quello che pareva il capogruppo li redarguì con un’occhiata minacciosa e una scrollata di spalle carica di disprezzo. Poi mosse la bacchetta magica e un fumo nero si sollevò nell’aria.

 

« Andatevene dalla scuola! » Ordinò agli intrusi.

 

Aberforth spalancò la bocca sorpreso: la voce del Mangiamorte era forte e decisa, ma acuta e chiaramente femminile.

 

Uno Schiantesimo lo sfiorò, ma egli non si mosse. Un’orribile sensazione lo pervadeva.

 

Vide Hestia Jones evocare uno Scudo e rispondere con facilità a un debole attacco.

 

Quasi… ridicolo, pensò Aberforth.

 

Poi Kingsley fu bersaglio di una raffica di incantesimi, nessuno dei quali andò a segno; ormai sicuro dell’inferiorità tecnica e strategica del gruppo nemico, lanciò una maledizione contro il capo.

 

« Fermati! » Urlò Aberforth afferrandogli braccio.

 

L’ incantesimo uscì dalla bacchetta ma deviò dalla sua traiettoria, sfiorando appena il nemico, che tuttavia cadde a terra gridando.

 

Gli altri Mangiamorte erano paralizzati, due di loro tremavano vistosamente.

 

« Ma che fai? » sbottò Kingsley contrariato.

 

« Non capisci? » Ribatté Aberforth lasciandogli il braccio per avanzare a grandi passi verso il Mangiamorte colpito.

 

Lo raggiunse e gli levò il cappuccio.

 

Un grido d’umiliazione accompagnò quel gesto, ma l’esclamazione inorridita di Hestia Jones lo sovrastò: « Per tutti i maghi, sono dei bambini! »

 

* * *

 

Grazie ad un Incantesimo di Disillusione, Hermione e Neville attraversarono la Sala costeggiandone le pareti per avvicinarsi il più possibile al grosso tavolo centrale.

 

Raggiunta la posizione che ritennero più favorevole, perché meno coinvolta nella battaglia, si separarono: Neville rimase mimetizzato contro la parete, mentre Hermione uscì allo scoperto.

 

Aveva la gola secca per la paura.

 

Il suo compito era di distrarre Nagini facendo da esca, affinché Neville potesse raggiungerla e ucciderla al primo colpo.

 

Non potevano permettersi di fallire o avrebbero pagato con la vita anche il più banale degli errori.

 

Pochi passi la separavano dal lungo tavolo quando Nagini, avviluppata su se stessa, sollevò la testa e la scrutò in un modo che le diede i brividi.

 

Hermione divaricò le gambe e tese la bacchetta.

 

Un sibilo assordante le perforò i timpani.

 

Per un attimo sentì le forze abbandonarla. Chiuse le palpebre e tutto divenne confuso.

 

Quando le riaprì, la realtà davanti ai suoi occhi era mutata radicalmente.

 

Era sola nella camera del dormitorio Grifondoro.

 

Calda e accogliente come la ricordava.

 

L’ armadio era semiaperto.

 

S’ avvicinò.

 

Una creatura saltò fuori facendola balzare indietro per lo spavento.

 

Era un Molliccio che aveva assunto le sembianze di Nagini.

 

Si preparò a difendersi.

 

* * *

 

Una frusta di luce fuoriuscì dalla Bacchetta di Voldemort e schioccò nell’aria: Ron urlò atterrito, Malfoy incespicò nei propri passi e cadde col sedere a terra, Harry si fece scudo per Ginny e appellandosi a tutto il proprio coraggio riuscì a non indietreggiare, ma un grido impastato di rabbia e paura costrinse tutti a voltarsi verso Hermione.

 

Sembrava aver perso completamente il controllo.

 

Scuoteva la bacchetta a destra e a sinistra, lanciando raffiche di incantesimi contro Nagini con furia e decisione, ma senza alcuna logica.

 

Mentre Harry e Ginny cercavano una spiegazione a quel comportamento e Ron si sgolava per attirare l’attenzione di Hermione, Malfoy s’alzò e corse verso di lei. La placcò, la trascinò lontano dal campo di battaglia e la spinse contro l’angolo nascosto dietro ad una delle possenti colonne del camino.  

Poiché lei continuava a sbracciarsi per tentare di attaccare Nagini ormai fuori dal raggio d’azione, lui le afferrò i polsi e li bloccò al muro, all’altezza del viso. Hermione si contorse con tutte le sue forze per liberarsi dalla stretta, ma Draco la schiacciò contro la parete e con tono spazientito la richiamò: « Ti vuoi calmare?! »

 

Hermione sentì la sua voce attutita e lontana, come se provenisse dall’altro lato della stanza. Aveva la vista annebbiata e le servì un po’ per rendersi conto che lui era lì, schiacciato contro di lei, che le teneva i polsi e le respirava sul viso.

 

« Si può sapere cosa intendevi fare? »

 

Trascorsero diversi secondi prima che Hermione rispondesse, guardando Malfoy dal basso verso l’alto, seccata dal suo tono supponente: « Sei cieco, Malfoy? Cercavo di difendermi! »

 

La smorfia derisoria sul viso di lui divenne nitida davanti ai suoi occhi: « Usando Incantesimi Anti-Molliccio contro Nagini? »

 

« Cosa? » sfiatò Hermione.

 

Malfoy sentì i suoi polsi irrigidirsi sotto i palmi delle mani e percepì fin troppo intensamente l’inquietudine che l’aveva attraversata. Una imprecisata sensazione gli gonfiò lo stomaco, trattenne il respiro e rimase a fissarla mentre corrugava la fronte e si concentrava alla ricerca di una valida spiegazione per quello che era appena accaduto.

 

« Stupida, » l’apostrofò, indelicatamente come sempre, ma con un tono tutt’altro che offensivo, « ti sei fatta ipnotizzare. »

 

« Ipnotizzare? » balbettò Hermione.

 

« Non voglio sapere cosa ti sei messa in testa, ma sappi che non è così semplice uccidere Nagini. È protetta da un potente incantesimo: è troppo importante per lui, quasi… vitale » disse Malfoy, senza riuscire a trovare le parole giuste per spiegarsi.

 

Hermione comprese ugualmente: Malfoy, in qualche modo, doveva aver intuito la presenza di quel legame terrificante che univa Voldemort al proprio Horcrux.

 

« Oh, lo so che non posso ucciderla, » ribatté lei con una punta di presunzione, « ma… »

 

« Allora vedi di starle lontana. » troncò Malfoy asciutto, allentando la stretta sui suoi polsi.

 

Hermione alzò lo sguardo, sorpresa da quella raccomandazione priva d’ironia, e poiché lui guardava altrove, piegò il braccio sinistro davanti a sé fermando la mano socchiusa sul suo mantello, all’altezza del cuore.

 

Malfoy, colto alla sprovvista, si tirò indietro per guardarla in faccia, cercando nei suoi occhi la conferma della casualità di quel gesto. Non riuscì a trovarla.

 

Hermione abbassò repentinamente lo sguardo. « Ora, immagino di doverti ringraziare… » borbottò.

 

Era tesa, poteva capirlo da come il pollice e l’indice della sua mano si tormentavano sul suo petto.

 

Forse s’ aspettava una qualche reazione arrogante, ma lui, concentrato sul vuoto che sentiva nello stomaco, rimase ad osservarla in silenzio, aspettando che scegliesse, fra le mille cose che aveva da dire, quella con cui cominciare.

 

Ed Hermione cominciò e concluse in perfetto stile Grifondoro: alzò la testa orgogliosa e piantò gli occhi nei suoi, poi aprì la mano sinistra, premendo sul suo petto con tutto il palmo.

 

Malfoy pensò che Hermione dovesse avere le dita bollenti perché le sentiva bruciare una ad una attraverso il mantello.

 

« Grazie. »

 

Quella parola, semplice e diretta, fu più destabilizzante di quanto potesse immaginare. C’era qualcosa di grottesco nel modo in cui la guardò ammutolito: gli occhi spalancati, le labbra socchiuse, il respiro pesante, come se lei avesse appena svelato qualche mistero secolare.

 

E c’era qualcosa di grottesco anche nel modo in cui Hermione aprì e richiuse la bocca un paio di volte per poi girare il capo e sottrarsi lentamente al suo sguardo, passando a studiare un punto indefinito del pavimento.

 

Era pronta quasi a tutto, Hermione.

 

Sapeva d’ essere in grado di difendersi da ogni provocazione, di riscattarsi da ogni mortificante osservazione che Malfoy avrebbe potuto sputare, di troncare sul nascere ogni tentativo di approfittare della sua riconoscenza…

 

Ma non era preparata al silenzio.

 

Un silenzio così scomodo che sentì il bisogno impellente di riempirlo con qualsiasi cosa: « Un Grifondoro che ringrazia un Serpeverde. » esordì amara, « Un momento memorabile, Malfoy, che racconterai in giro per umiliarmi (se mai usciremo vivi da questa guerra) e che probabilmente nutrirà il tuo ego per i prossimi due anni (anche se non ce ne sarebbe bisogno, dato che, per qualche inspiegabile motivo, ti senti già superiore a tutti). Ma posso sopportarlo, se non altro per dimostrare che io, a differenza di te, non sono un’ingrata… Ti rendi conto che poco fa mi hai dato della stupida? Dopo tutto quello che ho fatto per te! Oh, io non sono stupida! »

 

Malfoy, che difficilmente, in quelle condizioni, avrebbe saputo elaborare uno qualsiasi di quei pensieri, continuò a tacere e a domandarsi come fosse possibile che la mano di una persona potesse produrre tanto calore.

 

Hermione ne sentì lo sguardo serio e indagatore su di sé e, infastidita dalla mancanza di ogni sua reazione, incalzò: « Ti sembro stupida, Malfoy? »

 

Lui, scosso dal tono minaccioso, tornò alla realtà, ma esitò un poco prima di rispondere.

 

Strinse la mano di Hermione nella propria e l’allontanò da sé: non era la prima volta che quel contatto lo faceva trasalire, ma solo ora aveva compreso quanto lo rendesse vulnerabile. Poi si schiarì la voce, ma le sue parole rimasero un sussurro: « Non sei stupida, è che… a volte… fai cose che non dovresti fare. »

 

Hermione socchiuse le labbra senza riuscire a fiatare, si ancorò alla sua mano prima che lui riuscisse a ritirarla.

 

Malfoy la guardò negli occhi, la bocca serrata e le dita gelide strette intorno alle sue, con un espressione così seria che Hermione ebbe paura. Non di lui, ma di se stessa. Dell’emozione inaspettata che le faceva battere il cuore così forte da non permetterle di respirare regolarmente.

 

All’ improvviso, Malfoy la spinse contro la parete e si protese verso di lei. Si chinò e le sfiorò la fronte con le labbra. Hermione fu percorsa da un brivido e s’irrigidì, come se si fosse resa conto solo in quel momento d’essersi spinta fin sull’orlo del precipizio e di un riuscire più a tornare indietro. Di non volerci nemmeno provare.

 

Lui se ne accorse e si fermò. Fece un sospiro che sapeva di rassegnazione, come se quella reazione fosse prevista, quasi ineluttabile.

 

Prima di allontanarsi, con un tono al limite del lezioso, di nuovo, si raccomandò: « Stai lontana dal serpente, ok? »

 

Hermione, le guance rosse e accaldate, lo guardò negli occhi e abbozzò un sorriso incerto, velato di ironia e di sospetto.

 

« Quale serpente? »

 

Malfoy percepì il violento e improvviso diffondersi del rossore sulle guance pallide del proprio viso. Il cuore gli salì in gola con la precisa intenzione di non volersi più schiodare da lì. Il vuoto che già gli occupava lo stomaco si amplificò inducendolo a liberare bruscamente la propria mano da quella di lei, consapevole di quanto fosse ormai insostenibile quel contatto.

 

Elusivo, voltò le spalle a Hermione sperando che quello bastasse per fuggire a ciò che era appena accaduto. Parole e gesti che - promise a se stesso - avrebbe rinnegato fino alla morte qualora lei fosse venuta a chiedere il conto di ciò che aveva detto e fatto.

 

Inconsapevolmente, senza dubbio.

 

Guardò nel centro della Sala, dove la battaglia proseguiva incurante della sua assenza, e vide Harry Potter che tentava insensatamente di disarmare Voldemort. Decise che aveva trascurato il proprio obiettivo per troppo tempo.

 

« Se quell’idiota di Potter… » borbottò fra i denti.

 

Non passò nemmeno un secondo perché Hermione rispondesse assumendo un’espressione oltraggiata, con la quale provò a nascondere, almeno all’apparenza, l’insieme di emozioni che ancora la turbava.

 

« Harry non è un idiota! »

 

« E come dovrei chiamare uno che affronta il Signore Oscuro con un Incantesimo di Disarmo? »

 

Hermione colse tutta l’insoddisfazione celata dietro quel sarcasmo. « Non puoi prendere il suo posto, fattene una ragione. »

 

Malfoy le ripeté le sue ragioni per l’ennesima volta, insofferente, come se lei fosse troppo ingenua per capire.

 

« Ha ucciso i miei genitori! »

 

« Ha ucciso anche i genitori di Harry! » Gli fece il verso lei, dimostrandogli che non era per mancanza di comprensione che provava a fermarlo.

 

« Ma io sono capace di odiare molto più di lui. »

 

Era vero.

 

Terribilmente vero, pensò Hermione.

 

La profondità dell’odio di cui era capace non era assolutamente paragonabile al sentimento che provava Harry. Questo lo sentiva limpidamente: Malfoy era tanto facile all’odio quanto Harry lo era al sacrificio.

 

A Malfoy non bastava rendere Voldemort inoffensivo. Egli voleva, anzi agognava, nel modo più assoluto, la propria personale vendetta.

 

Malfoy, però, da autentico Serpeverde, non capiva - ed in questo era molto più ingenuo di lei - che non è possibile spegnere l’odio con altro odio.

 

Inutilmente cercò di fermarlo: « Non basta odiarlo per sconfiggerlo. L’odio non fermerà l’odio, possibile che tu non riesca a comprendere che – »

 

Lui non le diede ascolto e si voltò.

 

Lei lo afferrò per la manica. « Dove vai? » Squittì. Era preoccupata, lo si poteva vedere chiaramente, tuttavia Malfoy ostentò disinteresse e le rispose con leggerezza.

 

« Devo rubargli la Bacchetta di Sambuco. »

 

« Cos- ? » Hermione perse la voce prima di terminare l’esclamazione. Avrebbe preferito di gran lunga sentigli dire che andava a duellare con Harry.

 

Lui vide l’ansia torcerle gli angoli della bocca, allora le mise una mano appena sotto lo stomaco e, delicatamente, la spinse di nuovo contro il muro.

 

« Non muoverti da qui. » ordinò mentre le apriva lentamente le dita con cui gli aveva artigliato il mantello.

 

Lei scosse la testa. « Ti farai ammazzare. » Constatò con un tono volutamente sarcastico, spezzato però dalla preoccupazione.

 

« In tal caso, Granger, ti autorizzo a intervenire. » Sogghignò lui voltandole le spalle.

 

Hermione aggrottò la fronte, turbata.

 

Poi decise che dovevano essere i postumi dell’ipnosi di Nagini: se quello che si stava allontanando non fosse stato il Serpeverde più stronzo della storia di Hogwards, avrebbe giurato d’avergli visto fare un occhiolino!

 

 

* * *

 

Nascosta dietro la colonna in marmo del grande camino, Hermione Granger era certamente confusa dall’insieme d’emozioni che aveva vissuto negli ultimi minuti, ma di una cosa era sicura: non intendeva rimanere in disparte un secondo di più.

 

Lanciò un’ occhiata alla Sala Comune: era un delirio, una lotta senza esclusione di colpi.

 

Alicia era ferita: un terribile sfregio - frutto di uno spregevole Incantesimo Oscuro - s’apriva dal suo mento fino alla base del collo; cicatrizzatosi all’istante, non sanguinava ma bruciava come un marchio a fuoco. Piangeva, Alicia, mentre scagliava ogni sorta di maledizioni contro colui che le aveva deturpato irrimediabilmente il volto.

 

Anthony si batteva strenuamente contro un Mangiamorte alto e terribilmente agile. Con intelligenza e astuzia riusciva a difendersi da tutti i suoi attacchi, ma faticava a mandare a segno i propri; costretto a indietreggiare colpo dopo colpo, si ritrovava ora sulla soglia d’ingresso alla Sala. Michael s’apprestava a correre in suoi aiuto, avendo appena sconfitto il proprio avversario.

 

Voldemort bramava la resa dei conti. L’Incantesimo di Disarmo che Harry aveva lanciato contro di lui era miseramente fallito, ma l’improvviso e scellerato intervento di Malfoy gli impedì di finire il suo acerrimo nemico: il Serpeverde, dimostrando una stoltezza persino superiore a quella del Ragazzo Sopravvissuto, minacciava di sottrargli la sua preziosissima Bacchetta di Sambuco!

 

Nel caos generale, Hermione cercò Neville là dove si erano separati e fu lieta di constatare che non aveva fatto mosse avventate: nell’ombra, attendeva ancora il momento adatto per attaccare. Folgorata da un’idea, rapidamente lo raggiunse.

 

* * *

 

Ron aveva visto l’Expelliarmus di Harry infrangersi sul pavimento e il corpo di Voldemort  gonfiarsi, letteralmente, in procinto di esplodere nell’Anatema Che Uccide.

 

Aveva gridato di paura.

 

Poi era arrivato Malfoy a rivendicare, in nome di un opinabile diritto, il proprio possesso sulla Bacchetta di Sambuco.

 

Ron non riusciva ad immaginare un intervento più stupido.

 

Si era frapposto tra Harry e Voldemort e si era tolto il mantello con un gesto spavaldo solo in apparenza. La camicia bianca, madida di sudore, era appiccicata alla sua schiena lungo tutta la spina dorsale che, pensò Ron, rischiava di spezzarsi per la paura.

 

All’ improvviso un Mangiamorte lo attaccò alle spalle. Voltandosi per contrattaccare, con la coda dell’occhio Ron vide Ginny trascinare Harry lontano dal campo di battaglia.

 

Tirò un sospiro di sollievo.

 

A fronteggiare Voldemort restava soltanto Malfoy, della cui sorte non avrebbe dovuto preoccuparsi.

 

Tuttavia, c’era qualcosa che continua a distrarlo. Un dettaglio che non quadrava.

 

Poco prima, Malfoy s’era allontanato per raggiungerla…

 

Cominciò a guardarsi intorno disperato.

 

L’aveva allontanata di peso da Nagini…

 

Uno Schiantesimo lo mancò, più per fortuna che per abilità.

 

Con convincenti argomentazioni a lui sconosciute (o più probabilmente con qualche subdola tecnica magica), era riuscito a calmarla…

 

Messo alle strette, Ron evocò un Sortilegio Scudo.

 

Quando Harry aveva attaccato Voldemort, per un attimo aveva perso d’occhio la situazione…

 

Il suo sguardo settava a destra e sinistra della sala. Scintille d’ogni colore si scontravano nell’aria, nugoli di polvere offuscavano la vista. Il frastuono era assordante, la confusione totale.

 

Finché Malfoy era tornato a giocare all’eroe con la coda di paglia…

 

Un altro incantesimo scoccò dalla bacchetta del suo avversario, reclamando la sua attenzione.

 

Ron sentì il fiato mancare.

 

Merlino! Dov’era Hermione?!

 

* * *

 

 

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Capitolo 36
*** Capitolo 36 - Corpo a corpo ***


Lost Memories - Capitolo 36

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Ci ho messo davvero un’infinità di tempo. Non posso che scusarmi.

 

Prima di lasciarvi alla lettura, però, è necessario che spieghi una scelta particolare che ho fatto per questo capitolo, per evitare di essere fraintesa.

 

Troverete ogni tanto dei dialoghi scritti in blu, in corsivo. Si tratta delle parole che la Rowling ha dato a Harry nel settimo libro, negli ultimi capitoli.

 

Ho deciso di riprendere queste battute perché volevo mostrare che, pur seguendo strade diverse, questo mio finale alternativo rimane profondamente agganciato al racconto originale. Non volevo in alcun modo scopiazzare il libro, né si tratta di mancanza di idee, tutto è stato progettato fin dall’inizio.

Da quando ho iniziato a scrivere Lost Memories, non ho mai perso di vista le due cose che ho pensato, istintivamente, appena terminato di leggere il 7 libro:

1.      la Rowling ha usato splendidamente Malfoy nel sesto libro, ma poi lo ha relegato in disparte: secondo me, ha sprecato un gran personaggio!

2.      ci sono destini già scritti e, per quanto le strade siano diverse e le persone cambiate, la meta è sempre la stessa.

 

Buona lettura!

 

* * *

 

Stanco di vedere le parole che muoiono.
Stanco di vedere che le cose non cambiano.
Stanco di dover restare all’erta ancora,
respirare l’aria come lama alla gola.

 

Subsonica, Corpo a corpo

 

* * *

Capitolo 36 – Corpo a corpo

 

Nello stesso istante in cui Malfoy tornò a sfidare Voldemort, Ginny afferrò Harry e, prima che lui riuscisse a obiettare alcunché, lo trascinò lontano di alcuni passi.

 

Ostacolato da Ginny che si era frapposta tra lui e il Signore Oscuro, Harry cercò di spostarla senza farla cadere. Lei si rivelò una roccia.

 

Harry divenne un tutt’uno con la protesta.

 

« Tu non capisci, Ginny! Nessuno può prendere il mio posto. Non si tratta di capacità! Questa… - disse indicandosi la fronte - non è solo una cicatrice… »

 

« Oh, lo so benissimo cos’è! » lo zittì Ginny. « La professoressa McGrannit mi ha spiegato molte cose… so anche cos’è un Horcrux, ma… ragiona, Harry! Questa guerra riguarda l’intero Mondo Magico: che tu lo voglia o no, saremo coinvolti ugualmente. Abbandonare ora la battaglia non è da vigliacchi. Se ti ritiri tu, ci ritiriamo tutti; torniamo al rifugio e ci prepariamo allo scontro finale. È questione di giorni, credimi, il tempo di chiedere aiuto all’Ordine della Fenice… »

 

Harry l’interruppe afferrandola per le spalle.

 

La guardò negli occhi, fermo e allo stesso tempo dolce: « Capisco quello che stai cercando di fare. Non essere in grado di proteggere le persone che ami è una frustrazione che può farti impazzire, lo so bene, ma dimentichi che tutto questo fa parte del piano di Silente. Lui aveva previsto tutto e inoltre… » esitò. Stava per metterla al corrente dell’importante intuizione che aveva avuto due anni prima e che era riaffiorata ai ricordi durante l’incursione al Castello(*): « Se i miei calcoli non sono errati, io sono il vero padrone della Bacchetta di Sambuco. Questo significa che - lanciò un’occhiata in direzione di Malfoy - corro meno rischi di quanti ne stia correndo quell’idiota! »

 

« Non me ne frega niente di quello che intende fare Malfoy, » sbottò Ginny, « per quanto mi riguarda, può anche lasciarci le penne! Sarebbe la gusta punizione per… »

 

« Non spetta a lui pagare per gli errori commessi dalla sua famiglia. »

 

« E allora? Non dirmi che ora vuoi batterti per salvare le chiappe di Malfoy! »

 

Harry scosse la testa. Ginny s’aggrappava a qualsiasi cosa ostinandosi a non capire.

 

« Io sono solo stanco. Stanco di questa guerra e del dolore che ha provocato a tutti noi, » mormorò drammatico, « sono stanco di guardare in faccia la morte e… »

 

Per puro caso, lanciò uno sguardo all’altro lato della Sala.

 

Ginny si voltò per guardare nella stessa direzione e spalancò la bocca stupita: ad alcuni metri di distanza dal grosso camino marmoreo, Neville, affiancato da Hermione, impugnava la Spada di Godric Grifondoro.

 

Harry mise le mani intorno alla vita di Ginny e la scostò di lato.

 

« …Ritirarsi ora sarebbe un vero peccato! Sei d’accordo Ginny? » Esclamò.

 

* * *

 

Un incantesimo Diffindo sfiorò la guancia sinistra di Molly Weasley; una manciata di capelli rossi svolazzò nell’aria e lo zigomo cominciò a sanguinare.

 

Molly non fiatò. Non era spaventata, né intimorita dalla bestia che avanzava verso di lei minacciando di farle ciò che aveva fatto a suo figlio.

 

Bill, invece, era furibondo.

 

L’arroganza con cui Greyback aggrediva sua madre e il pensiero dello strazio che portava sul volto erano accecanti. Senza pensare, incespicando sulla neve ormai resa poltiglia dal frenetico calpestio della battaglia, si protese in avanti e si lanciò contro il nemico.

 

La forza con cui arrivò a piantargli la spalla nello sterno, fece perdere a entrambi l’equilibrio.

 

Nella caduta, la bacchetta del licantropo si perse nel fango.

 

Bill si issò su di lui; artigliando la sua giacca lurida, gli puntò la bacchetta alla gola.

 

A Greyback non rimase che lottare corpo a corpo.

 

* * *

 

Ginny lasciò andare Harry con reticenza e un nodo alla gola soffocante. Aveva il cuore che batteva all’impazzata mentre si ripeteva con decisione che doveva fidarsi di lui perché eventi sembravano volgere in suo favore.

 

Neville era ad un passo dall’eliminazione di Nagini e - per quel che ne sapeva lei - in tutta la storia di Hogwarts non si era mai vista una bacchetta opporsi al proprio padrone: se era vero che Harry era il proprietario di quella di Sambuco, avevano la vittoria in pugno.

 

Harry si separò da lei e superò il tavolo centrale.

 

Pochi passi alla sua sinistra, Malfoy si guardava attorno freneticamente. Cercava la bacchetta che Voldemort gli aveva appena sottratto respingendo, senza alcuna difficoltà, la Maledizione Senza Perdono con la quale lo aveva - stupidamente e inutilmente - attaccato.

 

« Tom Riddle! »

 

La voce di Harry tuonò impavida fra i sotterranei.

 

Tutta la sala sembrò fermarsi nel medesimo istante per puntare gli occhi sul Ragazzo Sopravvissuto, che osava umiliare il Lord Oscuro usandone l’appellativo di Mezzosangue.

 

Voldemort, in procinto di dare una seconda, definitiva, lezione al rampollo reietto dei Malfoy, si fermò e spostò l’attenzione su di lui.

 

Harry, a denti serrati, lo sfidò:

 

« Sono io il tuo rivale. »

 

Voldemort, gli iridi iniettati di sangue e le pupille ridotte a due fessure, lo freddò: « Ancora per poco, Potter! »

 

Harry strinse la bacchetta; scrutò sospettoso Malfoy, poi lanciò un’occhiata preoccupata a Ron e a Ginny che, come temeva, aveva deciso di raggiungerlo.

 

Con un gesto secco, aprì il palmo della mano verso di lei. Ginny si fermò.

 

« Non voglio aiuto. »

 

« E chi ti vuole aiutare, Potter! » Sbottò Malfoy, giusto per fargli sapere quanto fosse contrariato dal suo intervento.

 

« Sta’ zitto, Malfoy, » replicò Harry. Nella sua voce non c’era il minimo cenno di paura, solo una profonda e salda certezza: « Deve andare così. Devo essere io. »

 

« Su questo non c’è dubbio, » sghignazzò Voldemort, « Tu sarai il primo! E dopo di te verranno tutti coloro che hanno osato opporsi al mio potere! »

 

« Non potrai uccidere nessuno di loro, mai più, » lo minacciò Harry.

 

Voldemort rise forte, superbo e sprezzante, ma in realtà non capiva quello che Harry stava dicendo.

 

« Due anni fa, nella foresta proibita, ero pronto a morire per impedirti di fare del male a queste persone.»

 

« E questo cosa importa ora? Sono trascorsi anni! Nei quali ti sei dato alla macchia nascondendoti come un vigliacco e usando tutti come tue pedine. »

 

« Io non ho usato nessuno. La professoressa McGrannit mi ha allontanato dal Mondo Magico perché temeva che non fossi ancora pronto per eseguire il compito che Silente mi aveva affidato, e loro – indicò i membri dell’Esercito di Silente che lo attorniavano - i miei amici! Mi hanno protetto con grandi sacrifici fino ad ora, senza sapere che in realtà ero io a proteggerli. »

 

« Non ho mai sentito una simile assurdità! Come potevi proteggerli se non eri fra loro, Potter?! »

 

« Non impari dai tuoi errori, Riddle, vero? »

 

« Errori? Io sono il Supremo Signore Oscuro. Sono più potente di qualsiasi altro mago della storia. Conosco più incantesimi di quanti ne conservino i Manuali. Ho conquistato Hogwarts e il mio luogotenente dirige la Scuola… Se sono arrivato fino qui, (mettitelo bene in testa!) è perché non ho commesso alcun errore! »

 

Harry non si fece intimorire da tanta superbia, era profondamente sicuro di quello che diceva: « Nella foresta proibita quando ho accettato di morire… - ricordò - ho fatto quello che ha fatto mia madre. Sono protetti da te. Non hai notato che nessuno dei tuoi incantesimi funziona su di loro? »

 

Voldemort strinse i denti e sibilò insofferente: « Ancora con questa storia? La tua è solo un’illusione, Potter, ma dato che insisti te lo dimostrerò subito! »

 

La perversione di quella minaccia era così tangibile da far accelerare il cuore.

 

Harry s’immobilizzò coi sensi all’erta, sperando di poter anticipare anche solo di un istante lo scatenarsi della sua furia.

 

Purtroppo, la crudeltà nemica superò la sua immaginazione. 

 

All’improvviso, come una folgore che squarcia il cielo notturno, alle sue spalle, Ginny gridò.

 

Harry si voltò sgomento. Un gemito strozzato gli uscì dalla gola.

 

Due Mangiamorte avevano sollevato Ginny da terra prendendola sotto le ascelle e per i piedi.

 

Mentre lei si dimenava invano con tutte le forze, la gettarono supina sul grande tavolo. Le robuste catene d’acciaio che lo ricoprivano presero vita all’istante, avvinghiandole le braccia e le gambe.

 

Ginny urlò di rabbia e inarcò la schiena tirando le catene fino a riempirsi i polsi e le caviglie di lividi.

 

« Ginny! »

 

Voldemort esplose in una risata sadica e disumana, vibrante di piacere: « Di cosa ti preoccupi, Potter, l’amore la proteggerà! »

 

Harry, con un dolore inimmaginabile in mezzo alle costole, corse al tavolo e afferrò la mano destra di Ginny. Puntò la bacchetta sulla catena che la immobilizzava, ma uno dei due Mangiamorte che l’aveva catturata intervenne in modo tempestivo e, più che mai, infausto.

 

« Expelliarmus! »

 

La bacchetta di biancospino gli sfuggì dalle mani e volò così in alto che per un attimo la perse di vista.

 

Ricadde, con un sonoro ticchettio, a diversi metri di distanza.

 

Harry emise un lamento angosciato. Disarmato, guardava Ginny con le lacrime agli occhi; vederla in quelle condizioni gli annebbiava la mente, impedendogli di individuare una qualsiasi soluzione alternativa.

 

In quell’istante, Ron raggiunse la sorella.

 

« Oh Ron! » Ginny gemette pregandolo di proteggere Harry.

 

Ron fu attraversato da un brivido. Quasi controvoglia – e di questo non andava certo fiero - s’allontanò dal tavolo preparandosi ad evocare uno scudo di protezione.

 

Doveva credere in quello che aveva detto Harry, credere che gli incantesimi del Signore Oscuro non potevano avere effetto su di lui, come su nessun altro membro dell’Esercito.

 

Ma la paura rese quella certezza così fragile da frantumarla non appena il volto di Voldemort mostrò una palese, devastante, espressione di vittoria.

 

Ron sentì le ginocchia tremare come se l’avessero colpito con una fattura Gambemolli.

 

All’improvviso, quando ormai si era rassegnato al peggio, accadde qualcosa che, nella concitazione di quei terribili momenti, nessuno aveva preso in considerazione.

 

Nel giro di una manciata di secondi, Neville Paciock e Hermione Granger, cambiarono il corso degli eventi.

 

Sbucando fuori dal Mantello dell’Invisibilità si ersero in piedi sopra al grande tavolo.

 

Hermione si chinò a liberare Ginny dalle catene stregate.

 

Neville balzò giù e corse verso Nagini.

 

Facendo appello a tutta la propria forza, sollevò la Spada e, con un grido selvaggio, la fece roteare sopra la testa.

 

Il ferro brillò riflettendo la luce verdastra della lampade mentre la lama calava sul collo del serpente.

 

La testa rotolò sul tappeto macchiandolo di sangue scarlatto.

 

Un agghiacciante latrato uscì dalla gola di Voldemort, mentre le spire della fedele Nagini s’afflosciavano l’una sull’altra prive di vita.

 

Accecato dall’odio e dalla rabbia, frustò l’aria con la bacchetta di Sambuco.

 

L’Anatema Che Uccide colpì Neville in pieno petto, facendolo volare in aria e sbattere con violenza contro l’intelaiatura in piombo di una delle grandi vetrate.

 

La Spada di Godric Grifondoro gli sfuggì dalle mani e cadde a terra; roteando, scivolò fin sotto al tavolo di tortura.

 

« Oh no! Neville! »

 

Harry urlò e fece per raggiungerlo, ma Hermione saltò giù dal tavolo indicando a braccio teso l’ingresso: « Harry, la bacchetta! » 

 

In quel preciso istante, Malfoy le sfrecciò accanto correndo nella stessa direzione.

 

Harry Potter e Draco Malfoy, entrambi disarmati, si gettarono in simultanea sulla bacchetta di biancospino.

 

Harry ne afferrò l’ impugnatura.

 

Malfoy, imprecando, la prese per la punta.

 

Ognuno la tirò a sé, nessuno era disposto a cedere.

 

« Questa bacchetta mi appartiene, Potter! » ringhiò Malfoy.

 

Harry ghignò: « Ora non più. Ti ho sconfitto due anni fa, l’hai dimenticato? È evidente che ne sono il legittimo proprietario. »

 

Più che dimenticato, Malfoy l’aveva volutamente rimosso, ma non si soffermò su quel dettaglio ed esibì un sorriso di scherno: « Ora non più. » Gli fece il verso, « dato che ti sei fatto disarmare come un babbeo. »

 

Harry incassò l’offesa, ma rilanciò con un ricatto: « Se davvero vuoi salvarti da Azkaban, lasciami portare a termine il compito che Silente mi ha affidato. »

 

Malfoy tirò la bacchetta verso di sé e lo guardò truce: « Se davvero conosci il dolore d’aver perso una madre, lasciami compiere la mia vendetta. »

 

Harry, le palpebre strette con aria di sfida e una smorfia meschina sulle labbra, sussurrò: « Exulcero. »

 

« Ah! Merda! »

 

Malfoy, che in fondo aveva capito fin da subito d’impugnare la bacchetta dal lato sbagliato, imprecò ritirando il palmo dolente.

 

« Me la pagherai, Potter! »

 

E mentre si soffiava sulla mano gonfia di disgustose pustole, Harry corse a fronteggiare Voldemort ancora una volta.

 

Quella definitiva.

 

« Sei finito, Riddle. »Minacciò« Ogni brandello della tua orribile anima è stato annientato. Non ne rimane che un misero, lurido cencio. »

 

Le sue parole erano così fiere e sicure che Voldemort, gonfio d’ira, riuscì soltanto a ruggire.

 

Harry inspirò profondamente, puntando verso di lui la bacchetta appena recuperata.

 

« Non ci sono altri Horcrux. Siamo solo tu ed io.»

 

* * *

 

N.d.A

 

(*)Ho immaginato che, anche se non viene detto esplicitamente nella storia originale, Harry si sia reso conto di essere il padrone della bacchetta di Sambuco ben prima dello scontro finale con Voldemort, ma che non ne abbia parlato con nessuno anche a causa del frenetico susseguirsi di eventi.

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Capitolo 37
*** Capitolo 37 - Bacchette Magiche ***


Capitolo 37 - Lost Memories

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

È la bacchetta che sceglie il mago, lo ricordi.

Credo che da lei dobbiamo aspettarci grandi cose, signor Potter...

 

J. K. Rowling, Harry Potter e la pietra filosofale

 

* * *

 

Capitolo 37 – Bacchette magiche

 

Greyback, la bacchetta di Bill Weasley puntata alla gola, tentò di recuperare la propria rovistando alla cieca nella neve, poi ruggì, irrigidì i muscoli e fece un rapido scatto.

 

In un attimo, Bill si trovò supino con al collo gli artigli nemici.

 

Lo sguardo ferino di Greyback, sicuro d’aver ribaltato le sorti dello scontro, era privo d’ogni umanità, le sue unghie affilate graffiavano la gola della vittima. A peggiorare la situazione, seguì un “crack” raggelante, che decretò lo spezzarsi della bacchetta di Bill sotto al ginocchio sinistro del licantropo.

 

Bill, consapevole di non essere abbastanza forte da liberarsi a mani nude, chiamò sua madre: « Colpiscilo ora, mamma! » Le ordinò.

 

Molly non si mosse: per quanto le spalle di Greyback apparissero enormi, il terrore di colpire il figlio l’immobilizzava.

 

Bill non la chiamò più; esausto, in cerca disperata di una strategia, lanciò un’occhiata alla propria destra. Nonostante il buio e l’impossibilità di voltare il capo, scorse in lontananza l’ingresso del Castello e poi, sulla stessa linea, a poco meno di mezzo metro da lui, la bacchetta magica di Greyback.

 

Non fu necessario pensare. Allungò il braccio per afferrarla, la puntò al fianco della bestia che gli toglieva il fiato e colpì a bruciapelo.

 

Una violenta esplosione travolse entrambi; poi il corpo del licantropo volò in aria, sopra le teste dei Weasley, e cadde ai piedi di un Ghermidore, che gridò, indietreggiò di alcuni passi e fuggì terrorizzato.

 

Greyback era morto.

 

Bill s’alzò a sedere ansimante, con il collo livido e le mani escoriate dall’effetto ravvicinato della Maledizione Cruciatus.

 

Molly fece per raggiungerlo quando un tuono rombò possente nell’aria.

 

A un tratto, il cielo di Hogwarts si scurì in un modo che nessuno avrebbe mai immaginato possibile. Le nubi si chiusero fagocitando completamente la Luna e tutte stelle, mentre il Marchio rimaneva l’unica fonte di luce a squarciare la densa oscurità.

 

Stava per accadere qualcosa di terribile.

 

Bill fece per alzarsi e correre al Castello, ma Molly glielo impedì.

 

« Vado io. » Disse irremovibile. « Riporta a casa tuo padre. »

 

Bill incrociò il suo sguardo e non provò nemmeno a protestare.

 

Non provare a fermarmi. Là dentro ci sono George, Ron e Ginny.

 

Dicevano gli occhi di sua madre.

 

Io devo proteggerli.

 

* * *

 

Il riflesso glauco delle ampie vetrate nella Sala Comune si mescolava alla luce soffusa delle lampade rendendo l’atmosfera cupa e inquietante. Il silenzio era glaciale, pesante come piombo. Il Ragazzo Sopravvissuto aveva sfidato Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato con tale grinta da congelare la Sala per numerosi secondi. Tutti, Magiamorte ed Esercito di Silente, sembravano fremere in attesa della reazione del Signore Oscuro.

 

Neville aveva appena ripreso i sensi. Era stato colpito da una Maledizione Senza Perdono ma era salvo grazie a Harry: era quella la forza, la genialità, del progetto di Silente, ora poteva davvero capirlo.

 

A Ginny, che lo teneva per un braccio e tremava, avrebbe voluto dire le stesse parole che Luna aveva detto a lui: “Harry vincerà”, ma la tensione nell’aria era tale da ammutolirlo. Riuscì soltanto a mettere la mano sopra la sua; lei gliene fu grata.

 

Ron guardava Harry senza però perdere di vista il Mangiamorte con il quale stava combattendo fino a pochi minuti prima, fermatosi per una sorta di timore reverenziale, un segno di rispetto che a Ron pareva incomprensibile. Come a sottolineare che la vittoria era imminente e apparteneva soltanto a lui, a Lord Voldemort.

 

Hermione stava dritta in piedi accanto al tavolo. Una mano chiusa a pugno e l’altra sul cuore, la bocca semiaperta. Impossibile comprendere il suo stato d’animo, se stesse macchinando qualche strategia di fuga in caso di sconfitta, o se vedesse così lucidamente gli errori del nemico da essere certa della vittoria.

 

Malfoy, dalla parte opposta della sala, con la mano destra stretta nella sinistra per alleviare il dolore della Fattura Pungente, scrutava Harry Potter a denti stretti per il nervoso.

 

Ok, lo Sfregiato con manie di protagonismo gli aveva sottratto l’arma, ma c’era ancora la sua bacchetta da qualche parte, in giro per la Sala…

 

L’aveva persa laggiù, nei pressi del tavolo di tortura…

 

Poteva raggiungerlo ora, senza dare nell’occhio…

 

In quella quiete tetra e insostenibile, Voldemort tese il braccio, spalancò gli occhi rossi e aprì la bocca per inspirare quanta più aria possibile. Un sibilo interminabile accompagnò il mutare del suo volto in una espressione di sadico piacere. 

 

« Avada Kedavra! »

 

La Bacchetta di Sambuco sputò scintille color smeraldo e un enorme fascio d’energia eruppe dalla punta, ingrandendosi con la stessa velocità con cui schizzava verso il nemico.

 

Harry aveva il fuoco in gola, il respiro mozzato, i muscoli rigidi come marmo e il gelo lungo tutta la schiena, ma una certezza nel cuore più forte di qualsiasi paura.

 

Chiuse gli occhi.

 

Silente avrebbe guidato la sua mano, così come aveva guidato, in tutti quegli anni, il suo cuore.

 

« Expelliarmus! »

 

I due incantesimi si scontrarono a metà strada.

 

Profondamente diversi tra loro eppure equivalenti in forza e resistenza.

 

Harry socchiuse le palpebre, come un bambino che, sopraffatto dalla tensione, sbircia fra le dita delle mani l’esito dello scontro finale.

 

Ma Harry non era più un moccioso babbano e quella che stava guardando non era la scena di un film.

 

Harry era la pedina di Albus Silente.

 

E in quanto tale, avrebbe dovuto immaginare che anche il piano più dettagliato può fallire a causa di una mossa imprevedibile.

 

Specialmente quando i pezzi sulla scacchiera godono di libero arbitrio e di bacchette magiche.

 

Infatti, qualcosa non tornava.

 

Harry ansimò di fatica. Troppa fatica.

 

La forza dell’Anatema Che Uccide era pazzesca.

 

Voldemort ruggiva mentre l’incantesimo si caricava di potenza crescente.

 

Harry era certo d’essere il proprietario della Bacchetta di Sambuco, tuttavia, essa non sembrava esitare ad attaccarlo.

 

Dove aveva sbagliato?

 

Il braccio cominciò a tremargli nello sforzo immane di reggere a tanta violenza.

 

Non aveva alcuna intenzione di mollare, ma sentiva, volente o nolente, che prima o poi avrebbe dovuto cedere.

 

Merlino, dove aveva sbagliato?!

 

L’energia di Voldemort aumentava in continuazione, Harry la sentiva arrivare a ondate progressive; il braccio gli doleva, talmente teso nel tentativo di opporsi che rischiava di spezzarsi. Era senza fiato, il sudore gli scivolava lungo le tempie e lacrime di rabbia gli bruciavano gli occhi.

 

Aveva commesso un errore e, lentamente, lo compresero tutti.

 

Persino Malfoy, ora chino sotto al grande tavolo, interruppe la ricerca della propria bacchetta.

 

Guardò Harry a occhi sbarrati, bruciante di rabbia.

 

Un Incantesimo di Disarmo! Di nuovo!

 

Perché non aveva usato l’Avada Kedavra? O al limite una Cruciatus!

 

Qualsiasi fossero le sue intenzioni, la stupidità di quel gesto era incommensurabile.

 

Cosa si era messo in testa Potter? Di redimere il Signore Oscuro?!

 

Non poteva lasciarlo vincere.

 

Non poteva lasciarlo in vita!

 

Era evidente che doveva prendere in mano la situazione.

 

Peccato che non sapesse da dove cominciare, dato che da quella parte non c’era traccia della sua bacchetta.

 

Si guardò intorno concitato e a un tratto, dove il tappeto imbrattato del sangue di Nagini toccava il piede del tavolo, un bagliore catturò la sua attenzione: era il luccichio dei rubini incastonati nella Spada di Godric Grifondoro.

 

Senza pensare nemmeno un secondo a quello che stava facendo, strisciò fuori e l’afferrò.

 

Soffocò un grido e un’imprecazione: sul palmo della mano che aveva toccato l’impugnatura si gonfiarono altre vesciche da ustione. Il bruciore divenne tremendo.

 

Non era degno di quell’arma. Il messaggio era chiaro.

 

Ma Harry Potter stava per soccombere.

 

E lui finalmente aveva la sua occasione.

 

S’issò in piedi e impugnò l’arma a due mani. Era incandescente.

 

Il dolore era tale da fargli tremare i denti, ma non mollò la presa.

 

La raffica di imprecazioni che riversò fece voltare Hermione, ma lo sguardo che le lanciò zittì ogni sua domanda sul nascere.

 

Dopodiché, si mise a correre trascinandosi dietro la Spada che, terribilmente pesante, rigava il pavimento.

 

La Maledizione di Voldemort aveva quasi preso il sopravvento sulla difesa di Harry, che arretrava passo dopo passo in una strenua resistenza: concentrati in quel duello all’ultimo sangue, nessuno dei due s’accorse di lui.

 

Non lo videro arrivare, né colsero lo sforzo pazzesco che gli permise di sollevare completamente Spada.

 

Udirono soltanto il suo grido di guerra.

 

Poi, la lama trapassò il ventre del Signore Oscuro.

 

L’urlo fu terrificante.

 

Fiotti densi di sangue schizzarono ovunque, mentre Voldemort boccheggiava. La Maledizione Senza Perdono, prosciugata della propria forza, svanì lasciando prendere il sopravvento all’incantesimo di Disarmo. La Bacchetta di Sambuco gli sfuggì dalle mani con violenza, rimbalzò contro il soffitto e cadde chissà dove.

 

Harry, il braccio destro ancora teso e l’altro penzoloni lungo i fianchi, assistette alla scena pietrificato.

 

Tutt’intorno, lo stupore e lo sgomento dilagarono a macchia d’olio.

 

Malfoy ansimava forte, di fatica e di paura; le spalle s’alzavano e s’abbassavano vistosamente, e ogni tanto erano scosse da brividi.

 

Eccola, la sua vendetta.

 

Gelida vendetta, dal sapore acido e l’odore di stantio.

 

Frastornato, lasciò la presa sulla Spada e si guardò i palmi dolenti delle mani, imbrattati del cruore nemico.

 

Pensò a propri genitori. Così devoti e sprovveduti da affidare al Lord Oscuro la sorte del loro unico figlio, avevano aperto gli occhi quando egli aveva deciso di portarglielo via per sempre.

 

Eccola, la sua vendetta.

 

Il Signore Oscuro moriva davanti ai suoi occhi, per un gesto che non aveva nulla di eroico.

 

Un gesto che portava il nome di vendetta, ma che era solo un carico d’odio da vomitare fuori insieme al sangue e al sudore che gli insudiciavano la camicia.

 

Un gesto che non gli restituiva nulla.

 

Che non li avrebbe riportati in vita.

 

Un gesto che…

 

All’improvviso sbarrò gli occhi, terrorizzato.

 

La mano viscida e ossuta di Lord Voldemort gli aveva afferrato la gola.

 

Iniziò a dimenarsi, ma la stretta era così forte da farlo soffocare.

 

« Figlio di un cane bastardo! » rantolò Voldemort sputando sangue.

 

Malfoy si portò entrambe le mani alla gola. « Mio padre non era un bastardo, » ringhiò col poco fiato che aveva.

 

Voldemort rise e i suoi occhi si spalancarono rinvigoriti, come se l’espressione sconcertata del figlio di Lucius Malfoy fosse per lui una nuova fonte d’energia. Con uno sguardo disgustato, invocò un Incantesimo di Respingimento: non poteva permettersi altro, doveva racimolare le forze per curare la propria ferita.

 

Malfoy volò in aria e cadde di schiena sopra al grosso tavolo. Imprecò per il dolore ma fu abbastanza rapido da saltare giù e sfuggire alle catene stregate.

 

Quasi a tutte.

 

Una s’avvinghiò al suo avambraccio destro, strattonandolo e impedendogli di andare lontano.

 

Malfoy sentì il sangue andargli alla testa. Ruggì di rabbia e si mise a tirare con forza il braccio nell’illusione che, una volta libero, ci fosse per lui una seconda occasione.

 

In quel momento, lo stesso Mangiamorte che aveva catturato Ginny e disarmato Harry, avvicinò Voldemort a bacchetta sguainata.

 

« Mio Signore, lasciate che vi aiuti! »

 

Malfoy si bloccò esausto, senza più fiato. Disarmato e incatenato era totalmente impotente.

Stanchezza e disperazione gli calarono addosso, insieme alla consapevolezza della sconfitta.

 

« Oh, tu non aiuterai proprio nessuno. »

 

Quella voce, più simile ad uno squittio che ad una minaccia, lo risvegliò.

 

Hermione Granger, braccio destro teso in avanti e cipiglio severo, aveva pietrificato il Mangiamorte che stava correndo in aiuto di Voldemort.

 

Nella mano sinistra, distesa lungo il fianco, teneva la Bacchetta di Sambuco.

 

Voldemort le lanciò un’occhiata furibonda. Lei arretrò di un passo, poi sembrò ripensarci e, stizzita, riprese la propria posizione.

 

Malfoy, la bocca semiaperta per lo stupore, osservò quanto fosse ambigua nel suo essere coraggiosa: intrecciava la volontà ferrea con cui s’imponeva d’affrontare ogni ostacolo alla paura di non farcela.

 

Come potesse avere quel timore, non riusciva proprio a spiegarselo.

 

Si era persino accaparrata uno dei Doni della Morte. (E non si potevano immaginare mani peggiori perché, come minimo, l’avrebbe fatto archiviare al Ministero!)

 

Aveva svelato più misteri di quelli che lui aveva intravisto nella propria vita e l’aveva ricondotto a Hogwarts… Con una serie di peripezie di cui avrebbe volentieri fatto a meno, persone che avrebbe volentieri evitato, emozioni che avrebbe volentieri dimenticato… Stava di fatto che l’aveva riportato lì.

 

E gli aveva pure salvato la vita!

 

Se gli fosse stata accanto, in quel momento così incredibile, dal silenzio soffocante, con la tensione talmente alta da far fischiare le orecchie, forse (in un mesto sussurro, certo) gliel’avrebbe detto.

 

Che era all’altezza.

 

Dopotutto poteva riconoscerlo (già che le aveva negato un “grazie”) che era il tipo di persona in grado di uscirne sempre e comunque a testa alta.

 

Determinata e vincente.

 

Continua…

* * *

 

 

N.d.A

Le reazioni della Spada di Godric Grifondoro sono inventate. Non ho trovato descrizioni complete riguardo a questo oggetto, così ho inventato di sana pianta. Spero di non aver creato incongruenze con la storia originale, diversamente fatemele notare perché sono assolutamente involontarie.

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Capitolo 38
*** Capitolo 38 - Sickness ***


Lost Memories - Capitolo 38

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Are you sick of everyone around?

 

Simple Plan, Welcome to my life

 

* * *

 

Capitolo 38 – Sickness

 

« Che cosa stai aspettando, Granger? Finiscilo! »

 

Malfoy gridò scuotendo l’atmosfera terrificante che aleggiava nella Sala Comune.

 

Hermione sussultò, ma non si volse verso di lui, né eseguì il suo ordine.

 

Malfoy sentì il sangue ribollire nelle vene.

 

Perché esitava? Era tutto tempo perso!

 

Hermione Granger ora possedeva l’arma più potente del Mondo Magico, che motivo aveva di temporeggiare?

 

Voldemort odorò la sua inquietudine e lo guardò con aria di sfida, leccandosi il sangue attorno alla bocca. Gli occhi rossi brillavano di compiacimento e il ghigno che gli piegava le labbra sembrava deriderlo per l’errore che aveva commesso: affidarsi ai Grifondoro per soddisfare le proprie ambizioni; maghi invasati di utopici ideali, incapaci di comprendere l’essenza e la necessità di una vendetta.

 

« Vi schiaccerò come cimici, prima la feccia Mezzosangue, poi i traditori, e questa volta non ci sarà mammina a proteggervi! »

 

La sadica risata che esibì fece tremare le vetrate e il suo eco si propagò fra le pareti per un tempo interminabile. Con entrambe le mani afferrò la lama della Spada che aveva conficcata nel ventre e fece per estrarla. La violenta reazione dell’arma al contatto non scalfì l’espressione di piacere sul suo volto.

 

Malfoy si dimenò con tutto se stesso per liberarsi, ma la stanchezza lo costrinse ad arrendersi. Ansimante, abbandonò il braccio sinistro lungo il fianco e guardò Hermione.

 

Era impassibile, sembrava quasi serena, con una calma innaturale guardava Voldemort puntandogli contro la Bacchetta di Sambuco. Stranamente, non sentiva il bisogno di parlare.

 

Come se tutto quello fosse calcolato.

 

Quasi… necessario.

 

Senza volerlo, d’istinto, passò a guardare Ron Weasley. Anche lui era fermo a bacchetta sfoderata, ma non sembrava intenzionato ad agire.

 

All’improvviso, imprigionato lì, all’angolo del tavolo, Malfoy vide le cose da una diversa prospettiva e comprese quello che stava facendo Hermione.

 

Aspettava.

 

Aspettava che gli eventi facessero il loro corso come da tempo, per motivi a lui oscuri, era stato progettato.

 

Forse lei, loro – Malfoy lanciò un’occhiata di sfuggita a Ron - erano a conoscenza di qualcosa che lui non sapeva. E forse c’era un fondo di verità nelle parole megalomani dello Sfregiato: era l’unico in grado di sconfiggere Voldemort.

 

Perché lui era il Prescelto?

 

No.

 

Perché lui era Sopravvissuto.

 

Si voltò di scatto.

 

Alla sua sinistra, poco più indietro di alcuni passi, Harry Potter, lo sguardo sicuro attraverso le lenti, frustò l’aria con la bacchetta.

 

Nello stesso istante, Voldemort si estrasse la Spada dal ventre bloccando la perdita di sangue. 

 

« Potter, muoviti! » Fremette Malfoy.

 

Ma Harry lo ignorò.

 

Non stava esitando. Stava soltanto ripassando mentalmente tutto il dolore che quell’essere aveva inflitto all’umanità. Tutto il male che aveva fatto ai suoi amici.

 

A Fred, alla professoressa McGrannit, a Lupin e Tonks.

 

A Sirus e a Silente.

 

A suo padre e a sua madre.

 

A lui. 

 

L’energia si radunò attorno alla punta della bacchetta di biancospino che brillò di luce smeraldina.

 

Malfoy spalancò la bocca, Hermione e Ron trattennero il fiato.

 

« Avada Kedavra! »

 

Voldemort, un’ espressione sorpresa sul volto deforme, fu sbalzato in aria con violenza. Mai avrebbe immaginato che il suo acerrimo nemico (un ragazzino!), potesse controllare tanta forza.

 

Che fosse l’amore o che fosse l’odio a dare a Harry Potter una simile potenza, non ebbe il tempo di scoprirlo: il suo corpo si schiantò contro la vetrata e cadde come un fantoccio a cavallo della cassapanca, lasciando sul vetro una grossa chiazza sanguinolenta.

 

* * *

 

Mentre Harry fissava lo scempio ancora incredulo, il resto dell’Esercito di Silente raggiunse la Sala Comune. George si arrestò sulla soglia dell’ingresso accompagnato da esclamazione colorita che sua madre certo non avrebbe approvato, Terry, al suo fianco, reggeva Cho, stanca e zoppicante, passandole un braccio intorno alla vita: gli ultimi minuti di lotta contro Travers e Yaxley avevano messo a dura prova tutti loro, ma la Corvonero pagava anche la fatica dello scontro con Bellatrix.

Padma e Calì si tenevano per mano e gridarono di sorpresa e orrore. Justin si affacciò cauto dalle spalle di Ernie per sbirciare la scena, incredulo davanti alla fine di Voldemort, vergognandosi d’averlo ritenuto, nei momenti più difficili, un evento impossibile.

 

Dall’altra parte della sala, con la stessa incredulità ma senza vergogna, indeciso se ritenersi umiliato o vincitore, Malfoy, esausto come se avesse corso per giorni, si lasciò scivolare a terra. Aprì la mano sinistra sul tappeto mentre il braccio destro era tirato verso l’alto dalla catena che ancora lo bloccava.

Si sedette con la schiena appoggiata al piede del tavolo e le gambe divaricate, tese in avanti sui colori della Casa Slytherin. Gettò la testa all’indietro e chiuse gli occhi.

 

Li riaprì poco dopo, sorpreso, quando s’accorse che la catena aveva perso il proprio effetto magico. Si massaggiò il polso e corrugò la fronte.

 

Hermione Granger, inginocchiatasi davanti a lui, aveva annullato l’incantesimo e ora, avvicinandosi pericolosamente, gli osservava uno zigomo.

 

« Sei ferito, » decretò, « devono essere state le catene quando sei caduto sul tavolo. »

 

Aveva un sorriso strano. Forse dolce, un po’ svanito… di certo non rassicurante. Aveva tutta l’aria d’essersi liberata all’improvviso da un enorme macigno che portava sulle spalle.

 

Malfoy deglutì e cercò di arretrare nonostante avesse ormai la schiena appiccicata al legno.

 

« Ginny avviserà sua madre. I membri dell’Ordine della Fenice e il ministro Percy Weasley saranno qui in un attimo, » chiarì lei; una velata e gentile minaccia per ricordargli che, casomai avesse tentato di darsela a gambe, il conto da pagare sarebbe stato ancora più salato.

 

Lui strinse le palpebre scrutandola sospettoso: « Si può sapere perché ti prodighi tanto per aiutarmi? »

 

Lei indicò con un cenno il taglio che aveva sulla guancia: « Mi sembra evidente che hai bisogno d’aiuto. »

 

« Non credo. E in ogni caso non del tuo. Ti ricordo che a Malfoy Manor ti ho torturato con una Maledizione Cruciatus. » Lo disse proprio per sottolineare quanto fosse grottesco che lei gli dedicasse quelle attenzioni.

 

Hermione spostò lo sguardo oltre le sue spalle. Era stato un momento terribile, durante il quale aveva creduto di morire. Lo ricordava perfettamente, tuttavia…

 

« È stata Bellatrix a torturarmi, » precisò con il fiele nella voce.

 

« Ma io sono rimasto a guardare. » Insistette lui, quasi volesse riappropriarsi di un ruolo che lei, invece, cercava in tutti i modi di sottrargli.

 

« Ti sei voltato dall’altra parte. » (*)

 

« Non fa molta differenza, ero lì. Perché ti ostini ad aiutarmi? »

 

In attesa di una replica, si mise ad osservarla. Inginocchiata fra le sue gambe, con la bacchetta di Sambuco infilata nella tasca dei jeans come fosse roba di poco conto, respirava nervosamente a testa china, con le guance rosse e i capelli fradici sulla fronte e attorno al viso…

 

Qualcuno doveva dirglielo che doveva fare qualcosa per quei ricci…

 

Se mai gli avesse messo una mano fra i capelli, rischiava di restarci impigliato…

 

Quel pensiero del tutto inaspettato gli smorzò il respiro.

 

Nello stesso istante, Hermione alzò lo sguardo su di lui. Era seria, quasi solenne, con il tono sicuro di una studentessa preparata, disse: « è grazie a te che ho recuperato la memoria, e poi mi hai aiutato con Nagini… insomma, cerco solo di sdebitarmi. »

 

« Mi hai salvato la vita. Direi che può bastare, » Ribatté lui sollevando un sopracciglio, un po’ ironico e un po’ provocatorio: se lei aveva deciso di non lasciarlo in pace, lui – adesso - aveva proprio intenzione di capirne il vero motivo.

 

Hermione notò che aveva le guance arrossate. Come le sue del resto, Hermione avrebbe potuto giurarlo sentendo il calore che le attraversava.

 

« Beh, ecco… mi secca ammetterlo, ma in fondo le cose stanno come hai detto tu, ricordi? Abbiamo lo stesso obiettivo. Anche io vorrei che Hogwarts tornasse alla sua magnificenza… »

 

Lui fece un sorriso sardonico. Se lei avesse smesso di guardarsi attorno e tormentarsi le mani, forse avrebbe potuto crederle, ma…

 

« Non sei convincente, » Asserì « Se ti piace tanto fare l’infermiera, preoccupati di Potter. »

 

Hermione aggrottò la fronte.

 

« Harry è in gamba e se la sta cavando egregiamente, » ribatté senza nemmeno preoccuparsi di verificare.

 

Malfoy sospirò. Hermione non aveva alcuna intenzione di lasciarlo in pace e lui tentò di allontanarla da una realtà che respirava a pieni polmoni, ma che era ancora troppo scomoda per entrambi.

 

« Ho solo un graffio, » borbottò, « Stai perdendo tempo, Granger. Hai dimenticato che sono un - »

 

« Un Serpeverde infido e vigliacco, sleale, bugiardo, disonesto, arrogante, pomposo… Oh no, lo ricordo perfettamente. »

 

Lui abbozzo un sorriso amaro e concluse la frase che lei aveva interrotto. « Un Mangiamorte. Quando questo casino sarà finito, mi sbatteranno ad Azkaban. »

 

Lo disse con una leggera aria di sfida, pronto a ricevere un qualche commento sarcastico, ma sembrava che Hermione non avesse proprio nulla da dire.

 

Lo fissava a bocca aperta, sorpresa.

 

Come aveva potuto dimenticare di quel “dettaglio”?

 

Era persa nei propri pensieri, a cercare di dare un nome al nodo che aveva in gola dal momento in cui aveva realizzato che davvero lui apparteneva a un altro mondo, che gli errori che aveva commesso erano macchie indelebili sulla sua pelle e, uniti a quelli di suo padre, lo condannavano a vita.

 

Lui abbassò lo sguardo e lei s’accorse di quanto fosse stanco, rassegnato ad una vittoria della quale avrebbe voluto essere unico protagonista. Un’amarezza che lo rendeva meno freddo e distaccato, ma che accentuava il piglio capriccioso e viziato che aveva da bambino. Teneva una posa rilassata ma non era realmente tranquillo. Il braccio sinistro era abbandonato sul tappeto come quello di un burattino, sotto la manica lacera s’intravedeva il Marchio Nero.

 

Il magone che Hermione aveva in gola si sciolse un poco annebbiandole la vista, sbatté le palpebre un paio di volte ricacciando indietro le lacrime.

 

Appoggiandosi una mano sul ginocchio, si piegò in avanti e tese l’altra verso il suo viso.

 

Malfoy s’irrigidì e trattenne una boccata d’aria. Quando lei gli sfiorò le labbra con le dita, fece per indietreggiare.

 

Con un filo di voce, borbottò: « Cosa fai? »

 

Lei non osò guardarlo negli occhi: « Hai… hai del sangue sul labbro. »

 

Lui, invece, continuò a guardarla. Era incredibilmente imbarazzata, cosa che gli procurò un inaspettato - e più che mai insolito - senso di tenerezza, ma che gli piegò anche le labbra in un sorrisetto malizioso e un po’ petulante.

 

« Non provarci, Granger. Sei una frana per queste cose. »

 

Lei ritirò la mano all’istante, le gote divennero paonazze. Drizzò la schiena e corrugò la fronte in un’espressione oltraggiata.

 

« Quali… cose?! » Strillò con un acuto in grado di infrangere il cristallo, « non crederai che ioMalfoy! Che cosa ti sei messo in testa? Guarda che… »

 

Approfittando dei pochi secondi in cui lei prendeva fiato, Malfoy decise che era il caso di deviare il discorso su altre questioni.

 

Con aria ingenua palesemente artefatta, l’avvisò: « Oh, hanno appena schiantato Lenticchia… »

 

« Cosa? » Strillò di nuovo Hermione, allarmata, alzando il collo per vedere oltre il piano del tavolo.

 

Malfoy si voltò guardando da sotto. Era incredibile (o forse non tanto) ma ci aveva quasi preso: Ron Weasley, che insieme ad Harry stava cercando di fermare i Mangiamorte in fuga, era stato colpito da una fattura ed era piegato carponi sul pavimento a vomitare lumache.

 

La scena non era affatto nuova…

 

« Caspita, lui sì che ha bisogno d’aiuto! Muoviti. » Incalzò Malfoy « Non vedi che è messo peggio di me? »

 

Ma non c’era bisogno d’insistere, Hermione era già in piedi con entrambe le bacchette in mano; approfittando di quel provvidenziale diversivo, se ne guardò bene dal rivolgergli la parola e, sospirando vistosamente, girò intorno al tavolo e lo lasciò solo.

 

« Decisamente peggio di me. »

 

Sottolineò Malfoy sbirciando da sotto il tavolo ed esibendo un’espressione di profondo disgusto.

 

« In tutti i sensi! »

 

Le urlò dietro mentre s’allontanava.

 

* * *

 

L’ingresso alla Sala Comune dell’Ordine della Fenice fu un momento liberatorio per tutti.

 

Sui volti stravolti dei ragazzi dell’Esercito di Silente compariva finalmente il sorriso.

 

Con tutti gli amici intorno sani e salvi, Harry si sciolse in lacrime. Allora Hagrid gli corse incontro facendo tremare il pavimento e lo abbracciò sollevandolo a un metro da terra.

 

« Harry sei un grande! Sei un eroe! »

 

« Ragazzo, ce l’ hai fatta contro ogni aspettativa. Mio fratello sarebbe fiero di te. » Commentò burbero Aberforth, e appena Hagrid rimise a terra il ragazzo, gli diede una pacca sulla schiena che lo fece barcollare e lo rimproverò: « Che fai? Adesso che è tutto finito, piangi come una donnetta? »

 

George Weasley, intanto, aveva raggiunto Ron che, chino e ansante, affrontava i postumi dell’incantesimo Mangia Lumache.

 

Afferrandolo per le spalle e tirandolo brutalmente in piedi senza alcun riguardo per il suo stato, gli mise un braccio attorno al collo e gli sussurrò all’orecchio (non senza ironia): « Weasley è il nostro re! » Poi, con tono più chiaro, schiarendosi la voce, annunciò: « Ed è anche diventato zio! »

 

Ron, rosso in volto fino alle orecchie, si liberò dalla presa e lo guardò in faccia: « Cosa?! » Esclamò agitato e imbarazzato, « Oh, miseriaccia! »

 

Uno ad uno arrivarono tutti. Luna, sorretta da Hannah, fece capolino oltre il muro d’ingresso; Katie corse a consolare Alicia, ancora in lacrime, col volto sfigurato.

Quando arrivò Molly Weasley, anche Ron scoppiò a piangere. Lei corse ad abbracciarlo e, mentre lo stringeva, allungava il collo e scandagliava la stanza per assicurarsi che tutti gli altri suoi figli fossero lì.

 

Ginny era con Harry.

 

George…

 

George si stava pavoneggiando del proprio ruolo di eroico neo-papà, attorniato da Padma e Calì che gli raccontavano concitate di Angelina del piccolo Fred Junior… e finalmente anche Molly sorrise.

 

E mentre tutti facevano a gara a congratularsi gli uni con gli altri, Hermione, un po’ in sordina, si tirò in disparte, e con solerzia si mise a ripulire le disgustose lumache che Ron aveva vomitato.

 

Kingsley Shakelbolt l’avvicinò.

 

« Ora basta, » le disse in tono bonario, indicando i Mangiamorte sconfitti che lei, Ron e Harry si erano premurati di incatenare in mezzo alla stanza, « lascia un po’ di lavoro anche a noi! »

 

Hermione tentò di giustificarsi: « Oh, io volevo solo… »

 

Kingsley le sorrise gentile: « Vai a goderti la festa, » le suggerì dandole una piccola spinta che le fece fare un paio di passi in avanti. In quel preciso istante, senza che lei facesse in tempo ad accorgersene, Ron la raggiunse e l’abbracciò.

 

La strinse forte, in silenzio, una mano attorno alle spalle, l’altra sulla nuca; il volto affondato fra i suoi capelli ribelli.

 

Lei tenne le braccia rigide lungo i fianchi per l’imbarazzo e la sorpresa, e anche per un maledetto nodo in gola che - era questione di secondi, lo sentiva – l’avrebbe fatta piangere.

 

Poi Ron parlò al suo orecchio. « Li spediranno ad Azkaban, » riferì.

 

A quelle parole, Hermione spalancò gli occhi e guardò oltre la sua spalla.

 

Ron non si accorse della sua inquietudine, con tono rassicurante e una punta di soddisfazione precisò: « Riceveranno il Bacio dei Dissennatori. Tutti. »

 

* * *

 

Malfoy, che per tutto il tempo era rimasto seduto accanto al piede del tavolo, si girò per sbirciare da sotto il ripiano quello che stava accadendo nella Sala.

 

Il chiasso aveva raggiunto un volume altissimo e la gioia della vittoria aveva travolto tutti indistintamente. C’era chi gridava, chi saltellava, chi cantava, chi avvicinava estasiato Potter come fosse un divo e chi – come la Piattola Weasley – non prendeva nemmeno fiato tanto aveva da raccontare a mamma e fratelli.

 

E poi c’era lei, Hermione Granger.

 

Fra le braccia di Ronald “Lenticchia” Weasley…

 

Chissà se riusciva a respirare dato che lui la stringeva come un poppante con l’orsacchiotto!

 

Malfoy sentì lo stomaco bruciare e si portò una mano al petto.

Il cuore gli batteva forte, lo sentiva rimbombare nelle tempie. Batteva persino più forte di quando sfidava Voldemort – ne era sicuro!

 

Ad un tratto, una profonda stanchezza lo colse, come se gli fosse calata addosso tutta in un colpo, sotto il peso insostenibile delle proprie emozioni.

 

L’euforia generale divenne insopportabile.

 

Insofferente, con la gola stretta e un mal di testa crescente, s’alzò in piedi.

 

S’infilò le mani in tasca e voltò le spalle ai vincitori.

 

Trascinando i piedi, s’avvicinò al camino.

 

Nessuno lo notò: in mezzo a tutta quella gente passava inosservato come mai in vita sua.

 

Soltanto Hermione, preoccupata, lo cercava con lo sguardo.

 

Ma lui era alle sue spalle e finché lei continuava a farsi stritolare dai tentacoli di Weasley, non poteva certo vederlo mentre prendeva la Metropolvere.

 

Oh, ma poteva stare tranquilla: non intendeva scappare…

 

Intendeva solo andarsene da lì, per non sentire più quel ronzio nelle orecchie e quel senso di soffocamento che gli mozzava il respiro.

 

Inoltre, era da tempo desiderava fare una capatina al campo da Quidditch...

 

Magari laggiù, in quell’area incolta che la guerra aveva dimenticato, sarebbe riuscito a respirare finalmente odore di casa.

 

* * *

 

N.d.A.
(*) Sì, lo so che nel libro 7 questa cosa non viene detta. Ma esaminando la descrizione e le azioni di Malfoy nel capitolo "Villa Malfoy", ho pensato che potesse essere una reazione plausibile.

Scusatemi dell'immenso ritardo, ma gli eventi di questi durissimi mesi non mi hanno dato la possibilità nè la serenità di dedicarmi alla scrittura.
Grazie comunque a tutti per la pazienza!

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Capitolo 39
*** Capitolo 39 - Scelte (I Parte) ***


Lost Memories - Capitolo 39

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Ed ecco, finalmente, l’epilogo di questa lunga fic. La più lunga che io abbia mai scritto, così lunga, secondo i miei parametri, che temevo sinceramente di non arrivarci in fondo. L’ho diviso in due parti per agevolare la lettura, ma le pubblico contemporaneamente perché è così che le ho scritte e rappresentano un unico capitolo.

 

* * *

 

Poi non è che la vita vada come tu te la immagini.

Fa la sua strada. E tu la tua. E non sono la stessa strada.

Baricco, Oceano Mare

 

* * *

 

Epilogo – Scelte (I Parte)

 

A due settimane dalla definitiva sconfitta di Lord Voldemort, con votazione unanime, il neo-eletto Consiglio dei Ministri aveva affidato a Kingsley Shacklebolt la carica di Presidente del Wizengamot. Nel giro di qualche giorno, con perfetta efficienza, Kingsley aveva formato una commissione di Auror per processare i Mangiamorte: tutti erano stati condannati al Bacio dei Dissennatori, eccetto un paio.

 

Il Consiglio aveva anche delegato all’Esercito di Silente il compito di ricostruire la Scuola di Magia e Stregoneria. Ogni area dell’edificio doveva essere ripristinata sulla base del progetto originale; eventuali modifiche avrebbero dovuto essere esaminate e autorizzate dal futuro Preside, la cui elezione era fissata per settembre, a ridosso della riapertura della scuola.

Intanto si raccoglievano le candidature e si cercava di rimettere in piedi Hogwarts: costituire un team di docenti, convocare le nuove matricole, organizzare percorsi di riabilitazione per gli attuali studenti e corsi intensivi per i ragazzi ormai fuori età che intendevano recuperare rapidamente gli anni perduti a causa della guerra.

 

Mentre ministri e Auror provvedevano alle questioni organizzative, i membri dell’Esercito s’apprestavano a occuparsi della parte operativa.

Era il primo di febbraio; fuori il cielo era coperto, ma la temperatura mite faceva respirare aria di primavera. Il freddo di quel terribile inverno sembrava un ricordo lontano.

 

Neville aveva convocato tutti per le otto del mattino nella Sala Grande del Castello.

 

La Sala era priva del suo più spettacolare incantesimo e mostrava solo uno spoglio soffitto a volta; l’illuminazione tenue era offerta dalle poche torce accese lungo le pareti. In fondo, al posto del tavolo dei professori, splendeva il trono sfarzoso usato in quegli anni da Bellatrix. Studenti ed ex-studenti sedevano, come ai vecchi tempi, alle tavolate delle rispettive Case, ma nonostante il brusio e il vociare fossero quasi frastornanti, la maggior parte dei posti non era occupata; il tavolo di Grifondoro era il più affollato, quello di Serpeverde era vuoto.

 

C’era una grande agitazione, sollevata per lo più da alcune copie della Gazzetta del Profeta, fresche di stampa, che stavano passando di mano in mano.

 

Harry, entrato nella Sala insieme a Hermione, si fermò sulla soglia e, chinandosi verso di lei, le bisbigliò qualcosa all’orecchio. Hermione, senza distogliere gli occhi dalla tavolata, fece un cenno d’assenso con la testa e deviò verso la Sala Professori. Harry la seguì, apparentemente inosservato.

 

« Facciamo questa cosa e poi ce ne sbarazziamo definitivamente, » disse Hermione risoluta, appena Harry chiuse la porta della Sala Professori.

 

« OK. » annuì Harry mentre estraeva la bacchetta di agrifoglio, irrimediabilmente spezzata, dalla custodia che Ginny gli aveva consegnato prima della missione.

 

Hermione vi poggiò sopra la punta della Bacchetta di Sambuco: « Reparo. »

 

Il legno si ricompose sotto gli occhi commossi di Harry. « È davvero potente, » mormorò.

 

« Per questo è necessario nasconderla, » ribadì Hermione, « in modo che nessuno possa mai più impossessarsene. »

 

« È la bacchetta a scegliere il mago… » citò Harry sovrappensiero, « a chi credi che appartenga veramente? »

 

« Cosa? »

 

« La Bacchetta di Sambuco. Credevo di esserne il proprietario ma, mentre combattevo contro Voldemort, non reagiva in mio favore. Forse l’Incantesimo di Disarmo non è sufficiente per appropriarsene… » rifletté ad alta voce. « Credi che appartenga ancora a Silente? Perché… in tal caso… potremmo restituirgliela, » propose mestamente.

 

Hermione rimase alcuni istanti in silenzio, sorpresa (ma non più di tanto) per quella domanda: durante lo scontro finale, probabilmente, il rapido susseguirsi di eventi drammatici aveva confuso Harry impedendogli di seguire il percorso della Bacchetta di Sambuco.

 

Hermione, invece, non l’aveva persa di vista un istante e ricordava perfettamente che un Mangiamorte aveva disarmato Harry mentre tentava di salvare Ginny dal tavolo di tortura.

 

Non era difficile trarre le conclusioni: se, come diceva Harry, la bacchetta gli apparteneva e bastava un Incantesimo di Disarmo per impossessarsene, a quel punto la proprietà era passata al Mangiamorte, nonostante il potente oggetto fosse nelle mani di Voldemort.

Harry non aveva tenuto conto di quel passaggio e aveva sfidato il Signore Oscuro. Malfoy, accortosi dell’imminente fallimento, era intervenuto con la Spada di Godric Grifondoro e ovviamente, come accade ogni volta che si agisce in modo avventato e illogico - Hermione fece una smorfia di disappunto - non era riuscito nel proprio intento, tuttavia aveva indebolito il Signore Oscuro abbastanza per consentire a Harry di disarmarlo. La Bacchetta di Sambuco era volata in aria e Hermione era corsa a raccoglierla; consapevole del potere dell’oggetto e dei rischi ad esso collegati, si era ben guardata dall’utilizzarlo e aveva preferito pietrificare con la propria bacchetta un Mangiamorte accorso in aiuto al Lord Oscuro.

 

Lo stesso Mangiamorte che poco prima aveva disarmato Harry.

 

Dedurre le conseguenze di quell’azione, per Hermione, era stato facile come fare “due più due”.

 

Si morse il labbro inferiore.

 

Non era il caso di rivelarlo a Harry, né ad altri.

 

E non c’era motivo per opporsi alla sua proposta: era un gesto nostalgico, di riconoscenza e di affetto, al quale l’amico probabilmente pensava da tempo.

 

« Non ho idea di chi sia il proprietario, » mentì scuotendo la testa vigorosamente, « ma penso che Silente sia un nascondiglio perfetto, » commentò consegnandogli la Bacchetta di Sambuco.

 

« Nascondila tu, » suggerì. « E non dire a nessuno dove l’hai messa. »

 

Harry annuì riconoscente e lei gli sorrise complice. Si fidava pienamente di lui.

 

* * *

 

Come al solito, l’aula di Pozioni era gelida.

 

Malfoy si strinse nel mantello che Aberforth gli aveva dato alla Testa di Porco. C’erano dei motivi pratici per non sbarazzarsi di un oggetto del genere: scaldava e riparava in modo efficiente… e poi c’erano altri motivi, che solo alcuni mesi prima non avrebbe mai preso in considerazione. Aveva imparato a guardare gli oggetti magici in modo diverso, non solo valutandone la qualità e l’utilità. Ognuno di essi rappresentava un frammento di memoria recuperato con fatica. In quei giorni Malfoy ci aveva riflettuto molto: quando perdi tutto eccetto il nome - che è come una maledizione perché a causa sua non potrai più possedere nulla - i ricordi sono l’unica cosa che rimane.

 

L’unica cosa in grado di non farti perdere anche te stesso.

 

Avvolto dal mantello caldo, seduto sul tavolo impolverato che una volta rappresentava il suo banco di lavoro, con le braccia incrociate sul petto, un piede a terra e l’altro su una vecchia seggiola, Malfoy si guardò la punta delle scarpe babbane, sporche e sdrucite, che ancora indossava: come avesse fatto della roba tanto scadente a sopravvivere ad una battaglia di maghi poteva saperlo solo Merlino... Con un colpo di bacchetta le rimise in sesto, poi tornò ai propri pensieri.

 

Assolto.

 

Ancora stentava a credere alla sentenza.

 

Si era rifiutato di parlare con chiunque, non aveva mostrato pentimento, né aveva mendicato perdono. Non che fosse pronto a pagare l’enorme debito che la sua famiglia gli aveva scaricato addosso, era soltanto convinto che per lui, Draco Lucius Malfoy, non ci fosse altro destino.

 

Il Wizengamot, invece, doveva essere di altro avviso perché la commissione aveva deciso di assolverlo.

 

“Non possiamo ignorare il male che la sua famiglia ha fatto, né i debiti che ha contratto con il Mondo Magico…” Aveva detto Shacklebolt.

 

Ma la sua famiglia non c’era più.

 

“Pertanto ogni bene intestato ai Malfoy verrà confiscato e utilizzato per la ricostruzione.”

 

Come s’aspettava: gli avevano tolto tutto.

 

La lista delle proprietà confiscate che Shacklebolt aveva letto ad alta voce gli era sembrata infinita, c’era addirittura un castello norvegese di cui ignorava l’esistenza.... Persino la Villa babbana di Londra era in elenco.

 

Stranamente mancava la baita segreta.

 

Possibile che la Granger non avesse spiattellato alla giustizia quel particolare?

 

E - sorprendente generosità! - gli avevano lasciato pure una parte del denaro depositato alla Gringott.

 

“Tuttavia…”, aveva aggiunto Shacklebolt dopo una pausa ad effetto.

 

Tuttavia?

 

In quel momento Malfoy era rimasto davvero col fiato sospeso a domandarsi quale fosse la sentenza emessa per lui.

 

 “Considerate le testimonianze delle persone che le sono rimaste vicine in quegli ultimi mesi…”

 

Malfoy aveva aperto la bocca e poi l’aveva subito richiusa, perché ci voleva poco a capire quel riferimento: l’unica persona con cui aveva, suo malgrado, interagito era Hermione Granger.

 

Considerata, quindi, la testimonianza della Granger…

 

Malfoy sospirò nel silenzio dell’aula di Pozioni e il suo fiato prese forma condensandosi nell’aria.

 

Merlino! Continuava a contrarre debiti con lei… 

 

“E valutato il suo ruolo nella battaglia finale…”

 

Su questo non poteva biasimarli, dato che lo Sfregiato sperava di salvare il mondo a colpi di Expelliarmus…

 

“La giuria ha deciso per la sua assoluzione.”

 

A quel punto, lo ricordava terribilmente bene, lo stomaco gli era balzato in gola, come se il pavimento si fosse aperto sotto di lui facendolo precipitare nel vuoto.

 

Ora, il ricordo di quelle parole aveva assunto un sapore fin troppo amaro.

 

Assolto, ma umiliato e privato di ogni ricchezza.

 

Con tutta l’ingenuità di cui era capace, il codardo che era in lui aveva guardato il giudice sgranando gli occhi e aveva domandato: “E io, ora, cosa faccio?”

 

Nonostante avesse davanti un ex-Mangiamorte, Shacklebolt aveva dovuto sforzarsi non poco per reprimere un sorriso di tenerezza e, assumendo l’espressione severa che il proprio ruolo e il retaggio dell’imputato imponevano, aveva risposto:

 

“Faccia quello che vuole, Signor Malfoy.”

 

Che è un po’ come dire: “Rifatti una vita altrove e non farti più vedere in giro.”

 

E in fin dei conti, pensò Malfoy, avrebbe potuto farlo, ma purtroppo per Shakelbolt, il Ministero e compagnia bella, le cose di cui aveva bisogno erano tutte a Hogwarts.

 

Compresa lei.

 

Certi pensieri arrivano all’improvviso, nel momento meno opportuno. Malfoy aveva potuto verificarlo mentre era là, al banco degli imputati.

 

Aveva scosso la testa con vigore e i giudici lo avevano guardato preoccupati.

 

“Si sente bene?”

 

La domanda era caduta nel silenzio.

 

No. Stava malissimo, decisamente. In preda ad un forte stordimento e con la sensazione di dover vomitare da un momento all’altro.

 

Pensando che non avesse compreso, Shaklebolt aveva aggiunto: “Da ora è un libero cittadino del Mondo Magico.”

 

A quel punto, sotto gli occhi turbati della commissione, Draco aveva inspirato profondamente, aveva abbandonato la propria postazione ed era uscito dal tribunale senza biascicare parola.

 

Un libero cittadino.

 

Non c’era nulla di nuovo. Dopotutto, lui era sempre stato un libero cittadino, anche quando aveva accettato di farsi marchiare, anche quando aveva tentato di uccidere Silente.

 

La differenza stava nel fatto che ora non c’era più suo padre a sollevarlo da ogni responsabilità.

 

Il che rendeva quella libertà un tantino opprimente e lo costringeva a fare i conti con se stesso.

 

Lo costringeva a riflettere prima di scegliere e gli ricordava in ogni momento che ogni decisione presa per puro tornaconto personale aveva delle ripercussioni sulle proprie emozioni.

 

E viceversa.

 

* * *

 

Ron spalancò la porta della Sala Professori senza bussare. Era rosso in viso e teneva in mano una copia della Gazzetta del Profeta. Raggiunse Hermione e gliela sventagliò davanti agli occhi con sdegno.

 

« Ti rendi conto che la colpa di questo è anche tua? » Esordì.

 

Respirando aria di tempesta, Harry sgattaiolò fuori dalla stanza lasciandoli soli: avrebbe ringraziato Hermione più tardi. Sapeva perfettamente cosa faceva imbestialire Ron, che poi era la stessa cosa che quella mattina agitava la Sala Grande: il trafiletto in prima pagina (approfondimenti a pagina sette) che annunciava la candidatura di Draco Malfoy alla carica di Preside di Hogwarts.

 

In realtà, ciò che infastidiva Ron non era la candidatura, ma il fatto che Malfoy non avesse trascorso ad Azkaban nemmeno un giorno.

 

Il tribunale supremo dei maghi aveva emesso quasi tutte le condanne con estrema rapidità, ma per Pansy Parkinson e Draco Malfoy erano stati ascoltati molti testimoni. Nel caso di Pansy, la pena era stata ridotta a qualche mese di reclusione. Malfoy, invece, era stato assolto. Per decidere della sua sorte erano stati interpellati anche Neville, Harry ed Hermione. L’obiettivo era comprendere quali fossero le vere motivazioni che l’avevano indotto a ribellarsi al Signore Oscuro, dato che il Serpeverde si rifiutava di comunicare civilmente con chiunque. Hermione era stata ascoltata per ultima. Aveva raccontato quello che era accaduto fin dal loro primo incontro a Londra, dichiarandosi fermamente convinta del sincero pentimento di Malfoy.

Era rimasta in tribunale per ore. Ron ed Harry, nell’attesa, avevano rischiato – testuali parole – di morire di fame.

Uscendo aveva riferito loro la propria posizione e, se Harry si era dichiarato alquanto perplesso, Ron l’aveva presa come una terribile offesa personale: non gli andava proprio giù che lei avesse testimoniato in favore del furetto rimbalzante.

 

« Quello è più viscido di un serpente! Hai dimenticato come ci trattava a scuola?! » Continuò Ron senza accorgersi che Harry se la dava a gambe.

 

« Per l’amor del cielo, Ron! Non puoi far baciare da un Dissennatore tutti quelli che a scuola ti prendevano in giro! » ribatté lei.

 

« Non posso crederci, questa tua… clemenza… è priva di qualsiasi buonsenso! Da te, Hermione, proprio non me l’aspettavo. »

 

« Le persone cambiano. » Commentò secca Hermione, ormai spossata da quell’inutile discussione.

 

Erano giorni che Ron insisteva rifiutandosi di ascoltare le sue ragioni. Per lui Malfoy non era altro che un meschino Serpeverde e un Mangiamorte a piede libero; non era disposto nemmeno a riconoscere che il suo intervento, per quanto lontano dagli obiettivi dell’Esercito, era stato determinante nella vittoria contro Voldemort.

 

« Non ho fatto altro che testimoniare, » si difese ancora, « ho descritto quello che ho vissuto, la sentenza finale è opera degli Auror. »

 

« Infatti mi sorprendo che gente di quel livello si sia lasciata abbindolare così facilmente… » masticò Ron con disprezzo.

 

« Non dirmi che è per questo che hai deciso di mollare gli studi! » Esclamò Hermione con un briciolo di rabbia nella voce.

 

Se per Ron era incomprensibile l’assoluzione di Malfoy, per lei era inconcepibile lasciare la scuola senza un valido motivo.

 

E Ron, quel motivo, sembrava proprio non averlo. Con semplicità, scrollò le spalle: «  È che non mi va più di studiare, te l’ho detto. Lavorerò con George ai Tiri Vispi. » disse abbassando lo sguardo per evitare di vedere la disapprovazione negli occhi di lei.

 

Sul viso di Hermione, però, non c’erano né biasimo, né delusione, solo una sottile amarezza. Imitandolo, alzò le spalle.

 

« Lo vedi? » Disse con il tono di una professoressa la cui ragione non può essere messa in discussione, « le persone cambiano. »

 

E quello fu tutto ciò che riuscì a dirgli.

 

Le parole, quelle complicate ma sincere, quelle che avrebbero dovuto descrivere i suoi sentimenti, spiegargli il motivo di quel distacco, della scelta di non provare nemmeno a incominciare una storia insieme, rimasero dentro di lei.

 

Forse per il timore di ferirlo ulteriormente.

 

O forse perché, in fondo, qualsiasi parola avesse usato per descrivere quello che provava sarebbe giunta a Ron come una provocazione.

 

In un anno possono accadere un’infinità di cose in grado di stravolgere la vita di una persona; nel loro caso, gli anni erano due.

La loro memoria era stata violata, i legami erano stati stravolti e i ricordi sostituiti da menzogne.

 

Che lo volesse o meno, prima o poi Ron avrebbe dovuto accettare i segni indelebili che gli eventi di quella guerra avevano lasciato in ognuno di loro.

 

Non era possibile spazzare via tutto con un colpo di spugna.

 

La sua testardaggine rendeva solo le cose più dolorose del previsto. Hermione avrebbe voluto essere compresa e forse, paradossalmente, approvata, ma lui si rifiutava persino di ascoltare.

 

« Io ti voglio bene Ron, qualsiasi cosa accada continuerò a volerti bene! » Gli disse con voce spezzata.

 

Lui le voltò le spalle bruscamente. Le lacrime gli riempivano gli occhi.

 

Io, invece, ti amo.

 

« Due anni sono tanti… sono successe delle cose che… non posso ignorare… » insistette lei.

 

Ron fece una smorfia.

 

Era davvero convinta che il semplice scorrere delle stagioni potesse alleviare il suo dolore?

 

Non voleva più ascoltare nessuna scusa.

 

Con un nodo in gola sempre più stretto, uscì dalla stanza a testa bassa, senza salutarla, per nascondere le lacrime che ormai gli rigavano le guance.

 

Hermione Granger dava la colpa al tempo.

 

Lui, invece, era convinto che la colpa fosse proprio di Malfoy.

 

Forse le aveva fatto qualcosa di terribile, alla Villa, che lei nemmeno ricordava.

 

O forse, come sosteneva lei, la vicinanza con il Serpeverde l’aveva semplicemente cambiata: quando gli aveva chiesto aiuto, lui nemmeno ricordava chi fosse. Senza volerlo l’aveva lasciata scivolare nella tana della Serpe costringendola ad arrangiarsi da sola per sopravvivere.

 

E lei, immancabilmente, non aveva fallito.

 

* * *


 

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Capitolo 40
*** Capitolo 40 - Scelte (II Parte) ***


Lost Memories - Capitolo 40

Lost Memories

(di _Sihaya)

 

* * *

 

Sono le scelte che facciamo che dimostrano quel che siamo veramente,

molto più delle nostre capacità.

 

J. K. Rowling, Harry Potter e la camera dei segreti

 

* * *

 

Epilogo – Scelte (II Parte)

 

I programmi dei corsi intensivi per il recupero del settimo anno di scuola erano stati decisi e pubblicati tempestivamente. L’inizio delle lezioni era fissato al primo giorno di primavera.

Inutile dire che Hermione si era iscritta per prima. Il suo piano di studi, concordato a tu per tu con il professor Vitious e la professoressa Sprite, prevedeva un pacchetto intensivo che riuniva Incantesimi, Trasfigurazione, Erbologia e Pozioni, in seguito avrebbe seguito il corso di Storia della Magia integrato a Babbanologia e Antiche Rune integrato ad Artimanzia.

Rimboccandosi le maniche, a giugno avrebbe potuto diplomarsi.

Ovviamente nessuno aveva presentato lo stesso temerario piano di studi, anche se quelli di Terry e Luna davano del filo da torcere. Harry e Neville avevano optato solo per i corsi obbligatori, mentre Malfoy si era iscritto agli esami di tutte le discipline (d’altronde aspirava alla carica di Preside!), ma intendeva studiare privatamente.

 

In attesa di ritornare a fare la studentessa, Hermione si era offerta di lavorare da sola alla ricostruzione della Sala Grande. Riteneva che riuscire a incantare il soffitto e illuminare la stanza potesse essere un ottimo esercizio per prepararsi al M.A.G.O. di Incantesimi. Neville non aveva avuto nulla in contrario e così lei, munitasi di alcuni pesanti volumi raccattati tra quei pochi rimasti in biblioteca, si era letteralmente accampata nella Sala fino a che non fosse riuscita nell’intento.

 

In piedi, con i palmi delle mani appoggiati sulla lunga tavolata di Corvonero e la testa china sul manuale di Incantesimi aperto a metà, stava ripassando mentalmente la formula magica che avrebbe dovuto aprire il soffitto al cielo limpido di quel pomeriggio.

 

D’un tratto sollevò la testa e tese le orecchie. Lentamente si voltò verso l’ingresso e subito aggrottò la fronte.

 

Aveva avuto la sensazione d’essere spiata, ma non c’era nessuno.

 

Prima che potesse rendersene conto, il pensiero corse a lui. A Draco Malfoy. L’ultima volta che lo aveva visto era stato quando aveva testimoniato in tribunale, ma sapeva che s’aggirava nel Castello e aveva la netta sensazione che la stesse evitando.

 

Non l’aveva più rivisto, ma lo aveva pensato. Oh, se lo aveva pensato!

 

E lo aveva anche maledetto, qualche volta.

 

Per essersi intrufolato nella sua mente a piccole dosi, così minuscole da non farle minimamente sospettare quanto fossero pericolose.

 

Era difficile descrivere quello che provava.

 

Si era invaghita di lui? O, peggio ancora, innamorata?

 

Se l’era domandato, in effetti, con una certa apprensione che era aumentata appena si era resa conto che una risposta non l’aveva.

 

E che per trovarla doveva rivederlo.

 

E guardarlo negli occhi.

 

E…

 

Scosse la testa con decisione.

 

Che tu sia maledetto, Malfoy!

 

 

* * *

 

La porta dell’aula di pozioni s’aprì cigolando e Malfoy si voltò in modo talmente brusco che la seggiola su cui poggiava il piede cadde per terra.

 

« Potter? » Esclamò tra il sorpreso e l’infastidito.

 

Harry si fermò sulla soglia.

 

« Per tua sfortuna ho il permesso di stare qui, » asserì Malfoy dandogli le spalle.

 

Fu talmente irritante che Harry considerò di andarsene su due piedi, poi si disse che la cosa migliore era chiudere la faccenda in modo diretto e sbrigativo.

 

« Lo so. » Rispose secco. Neville gli aveva riferito che Malfoy non poteva prendere parte alla ricostruzione di Hogwarts, ma aveva ottenuto il permesso di frequentare il Castello durante i lavori.

 

« Bene. Allora levati di torno. » grugnì Malfoy.

 

« Non vedo l’ora. » commentò Harry, ma invece di uscire, s’avvicinò al banco.

 

Malfoy s’alzò in piedi sospettoso. « Che vuoi? »

 

Harry non disse nulla, si limitò a mettere sul tavolo una bacchetta magica.

 

Malfoy sbarrò gli occhi sconcertato: « Co-Come come l’hai avuta? »

 

Harry lo guardò con superiorità, senza celare la soddisfazione d’averlo preso in contropiede.

 

« Era nell’Ufficio del Preside. A quanto pare, Bellatrix l’ha conservata. »

 

L’aveva trovata nel primo cassetto della scrivania, privo di qualsiasi incantesimo di protezione. Gli era sembrata immediatamente familiare, ma aveva impiegato un po’ per ricordarne il proprietario.

 

« Apparteneva a tua madre, vero? »

 

Malfoy non rispose, ma afferrò l’oggetto con avidità temendo che Harry potesse riprenderselo da un momento all’altro. Poi fece una smorfia.

 

« Per quale motivo quella strega avrebbe dovuto tenerla? » Borbottò fra i denti, con rancore e disprezzo. Parlava fra sé e sé, non si stava rivolgendo a Harry, ma lui intervenne ugualmente.

 

« Perché Narcissa era sua sorella. »

 

Malfoy si voltò scettico verso di lui, sembrava avere bisogno di una spiegazione. 

 

« Essere un seguace di Voldemort non significa essere come lui, incapaci di amare. Forse Bellatrix, a modo suo, amava Narcissa. La sua morte deve essere stata dolorosa da accettare… »

 

Malfoy strabuzzo gli occhi. « Bellatrix era pazza. » scandì con sarcasmo.

 

Harry scrollò le spalle. « Non ha importanza. L’amore ha molte forme, » commentò, « a volte è malato. A volte è così debole che puoi ignorarlo tutta la vita, a volte la lotta per reprimerlo è persa in partenza. Può commuoverti o disgustarti, ma non puoi fare a meno di vederlo. Voldemort, invece, era cieco di fronte ad ogni aspetto dell’amore, questo lo ha reso estremamente potente, ma altrettanto disumano. »

 

« Le tue teorie sull’amore mi fanno venire il voltastomaco, » l’interruppe Malfoy.

 

« Anche i tuoi genitori, anche loro hanno - » azzardò Harry, ma non poté continuare, l’ordine di Malfoy - rabbia e dolore trattenuti a stento - lo zittì.

 

« Vattene Potter! »

 

Harry indietreggiò di un passo.

 

Vide il Serpeverde portarsi le mani al volto, stringersi le tempie e aggrapparsi ai capelli.

 

Forse non avrebbe dovuto nominare la sua famiglia.

 

Imbarazzato, s’infilò una mano in tasca e con l’altra si sistemò gli occhiali.

 

L’amore ha molte forme, pensò scivolando in silenzio verso l’uscita.

 

Anche il dolore.

 

* * *

 

Malfoy attese la sera per uscire dall’aula di Pozioni. Attraversò i sotterranei, risalì le scale ed entrò nel Salone d’Ingresso della scuola. Non c’era anima viva. Approfittò della solitudine per avvicinarsi alla grande scala di marmo, salì sul primo gradino e si voltò ad osservare l’entrata. Lì nessuno ancora era intervenuto: lo stato di degrado era notevole. Il marmo delle scale era danneggiato in più punti; la luce delle poche torce accese si perdeva verso l’alto e non era sufficiente ad illuminare l’enorme stanza; le clessidre segnapunti avevano crepe evidenti e il contenuto di ognuna si era riversato a terra mescolandosi con quello delle altre.

 

Strinse il palmo attorno al corrimano scheggiato: un’idea gli era balenata in mente. Con fare circospetto si guardò intorno assicurandosi d’essere effettivamente solo, poi impugnò la bacchetta magica. Sapeva perfettamente che ciò che stava per fare gli era stato proibito, ma in fondo che male c’era ad alleggerire un poco il lavoro delle instancabili formichine dell’Esercito di Silente?

 

Un frastuono, proveniente dalla Sala Grande, lo fermò appena in tempo. Era un rumore catastrofico, come se centinaia di volumi fossero precipitati a terra dallo scaffale più alto di una libreria.

 

Insospettito, raggiunse la Sala e sbirciò all’interno. D’istinto provò l’impulso di nascondersi, ma poi rimase sulla soglia.

 

Hermione non si era accorta del suo arrivo. Stizzita, con le braccia incrociate sul petto, batteva ritmicamente in terra la punta del piede destro. Sulla sua testa brillavano le prime stelle del cielo notturno, sul pavimento e sulle lunghe tavolate giacevano migliaia di candele spente.

 

Malfoy capì subito cos’era accaduto: Hermione stava cercando di incantare l’illuminazione della stanza ma le candele non rimanevano sospese che per pochi secondi.

 

Prese un respiro profondo e si rilassò appoggiandosi allo stipite con una spalla e infilandosi le mani in tasca. L’espressione imbronciata di lei gli strappò un sorriso: non aveva dubbi sul fatto che prima o poi ci sarebbe riuscita. Avrebbe tentato e ritentato fino allo sfinimento, e lui…

 

Lui aveva un sacco di tempo libero.

 

Hermione scosse la testa e sollevò la bacchetta; pronunciò la formula magica e le candele s’accesero all’unisono, vibrarono dando l’impressione di volersi sollevare ma pochi istanti dopo si spensero con un sibilo delicato e sconfortante. Piccoli fili di fumo si sollevarono dagli stoppini e nella stanza si diffuse un forte odore che lei provvide immediatamente ad eliminare. Poi si voltò di scatto e pestando i piedi raggiunse il tavolo di Corvonero sul quale erano aperti diversi volumi.

Si passò una mano tra i capelli (più ordinati del solito - notò Malfoy - ma sempre troppo voluminosi) e si tolse il mantello, che ripiegò sullo schienale di una seggiola.

 

Era quello di Aberforth, riconobbe Malfoy. Anche lei lo aveva conservato.

 

Appoggiò le mani sul tavolo e si piegò in avanti, spostando il peso del corpo sulle braccia e sulla gamba sinistra, piegando leggermente l’altra.

Spogliata degli abiti da mago, sembrava una babbana qualunque. Non ricordava per niente la ragazzina saccente e petulante che frequentava Hogwarts. Era come se le fosse rimasto addosso un velo di quella maschera indossata forzatamente per adeguarsi alla Londra babbana.

Portava una camicetta azzurra e delle scarpe grigie con un piccolo tacco che batteva nervosamente sul pavimento. Malfoy non poté fare a meno di seguire con lo sguardo il taglio della gonna: lunga fino al ginocchio, larga in fondo e stretta sui fianchi.

 

Un improvviso calore lo attraversò, arrossandogli le guance e appesantendogli il respiro, tanto che dovette allentarsi il nodo del mantello.

 

Aggrappandosi ad una buona dose di cinismo, si disse che quella era un’ovvia reazione. Quando non si ha più nulla da perdere è normale che anche le cose più squallide assumano valore e la banalità diventi preziosa. Nonostante la mediocrità delle proprie origini, Hermione Granger era tutto fuorché una ragazzina e poi, a pensarci bene, che potesse (con i dovuti accorgimenti) risultare carina l’aveva dimostrato anni addietro, quando si era presentata al Ballo del Ceppo al fianco di Krum e tutti l’avevano riconosciuta a stento…

 

Ma la realtà era un po’ più complicata.

 

E lui lo sapeva.

 

Perché quella volta l’imbarazzo gli aveva tolto le parole per qualche istante, ma poi si era volatilizzato senza lasciare traccia, mentre oggi (fosse anche solo per quella stupida gonna!) gli scaldava il sangue, gli agitava il respiro, lo confondeva.

 

Perché da quando Voldemort era stato sconfitto, non aveva trascorso un giorno senza chiedersi cosa stesse facendo o cosa avrebbe fatto l’indomani.

 

Perché l’improbabile alleanza che avevano stretto, inizialmente indigesta a entrambi, ora aveva assunto il sapore dei ricordi: ad ogni assaggio, sempre più dolci.

 

La vide gettarsi sconfortata su una seggiola e provò l’istinto di entrare e avvicinarla.

 

Per dirle cosa, poi?

 

Grazie di quello che hai fatto per me?

 

Scartò l’idea.

 

Avrebbe potuto scivolarle alle spalle e spaventarla, farla balzare in piedi con un grido terrorizzato…

 

Ma quella sembrava un’idiozia ancora peggiore.

 

« È da questa mattina che ci prova, sai? L’ho tenuta d’occhio. »

 

Malfoy sobbalzò con il cuore in gola e si guardò le spalle. Trattenendosi a stento dall’imprecare ad alta voce, puntò la bacchetta magica verso Pix.

 

Il poltergeist ridacchiò soddisfatto per la riuscita del proprio assalto a sorpresa. Era l’unico spirito ad essersi fatto vivo dalla sconfitta di Voldemort e, forte dell’assenza del Barone Sanguinante, scorazzava spavaldo per il Castello e importunava chiunque gli capitasse a tiro.

 

« Sta’ zitto! » lo minacciò Malfoy con un filo di voce e un’espressione truce.

 

Per nulla intimorito, Pix sghignazzò ancora più forte, poi, senza un preciso motivo, abbassò il tono di voce e affiancò il Serpeverde. « È carina, vero? » gli sussurrò all’orecchio.

 

Malfoy si scostò e agitò la bacchetta nell’aria, scacciandolo come fosse un moscerino e fulminandolo con lo sguardo.

 

In tutta risposta, Pix gorgheggiò in modo sommesso e alquanto irritante.

 

« Ih-ih-ih, peccato che sia una Grifondoro, » commentò ironico.

 

Se è per questo è anche una Sangue Sporco

 

Pix roteò nell’aria un paio di volte poi si piazzò ad una spanna dal suo viso.

 

« Posso darti un consiglio? »

 

Malfoy gli voltò le spalle seccato. « No. »

 

« Te lo darò comunque: nessun serpente vorrebbe mai trovarsi tra gli artigli di un rapace. »

 

Malfoy non ebbe il tempo di assimilare quella parole: all’improvviso Hermione s’alzò in piedi folgorata da un'intuizione, attirando la sua attenzione insieme a quella di Pix.

 

Ragazzo e spiritello la seguirono trepidanti, la videro brandire la bacchetta magica con sicurezza, disegnare nell’aria una trama complessa e l’udirono pronunciare una lunga formula.

 

In pochi istanti, come migliaia di piccoli soldatini, tutte le candele si sollevarono da terra volando verso il soffitto; lì, in un colpo solo, si accesero illuminando a giorno la Sala Grande.

 

Pix era ammutolito e Malfoy a bocca aperta per la meraviglia, il cuore gli batteva forte come al primo giorno di scuola.

 

Pensò a Hermione che teneva ancora il braccio sospeso nell’aria e immaginò chiaramente l’emozione che in quel momento la stordiva.

 

« Adesso sì che siamo a Hogwarts » mormorò Pix, con una commozione che Malfoy non avrebbe mai immaginato di trovare in uno spirito.

 

Malfoy aveva un nodo alla gola, gli occhi lucidi e nessuna parola, quindi Pix fece quello che – così pensava il poltergeist - avrebbe dovuto fare lui.

 

Si mise a battere forte le mani e a gridare: « Brava! Brava! »

 

Malfoy spalancò gli occhi terrificato, fece per schiantare il maledetto spiritello ma era troppo tardi: Hermione si era già voltata e li aveva riconosciuti entrambi.

 

Malfoy era certo che di lì a poco avrebbe iniziato a sbraitare per la loro maleducazione, ma per diversi secondi non accadde nulla. Lo sguardo di Hermione rimase fisso su di lui, che si ritrovò immobile, investito da una vampata di calore che gli prese l’intero volto, fin dietro le orecchie. Era troppo lontano per coglierne l’espressione, ma temeva che fosse di biasimo e delusione.

 

Perché era rimasto lì a spiarla invece di andare a dirle grazie.

 

O per tanti altri motivi.

 

Malfoy si toccò l’avambraccio sinistro attorno al quale aveva avvolto una benda medica, non per curare una ferita, ma per tentare di nascondere agli occhi ciò che, di fatto, non poteva più cancellare dall’anima.

 

E da quando l’aveva fatto, in effetti, certi errori avevano cominciato a diventare più sopportabili.

 

Ma questo non significava che lei la pensasse allo stesso modo.

 

Senza dire nulla, tirò un lungo sospiro e abbassò lo sguardo a terra, voltò le spalle a Hermione e allo splendore che aveva restituito alla Sala Grande e si eclissò dietro allo stipite del grande portone d’ingresso.

 

Aveva fatto appena un paio di passi che la sentì gridare dalla Sala, l’eco amplificava notevolmente la sua voce accentuando la nota drammatica che accompagnava il suo nome.

 

« Malfoy? Malfoy! »

 

Lui accelerò il passo per arrivare alle scale dei sotterranei. Aveva lo stomaco attorcigliato su se stesso. Non aveva davvero voglia di sentire il suo sarcasmo, le sue minacce o i suoi rimproveri, quello era un pessimo momento.

 

Lei comparve nell’atrio e di nuovo lo chiamò.

 

Lui non fermò la fuga. Fuggire era una cosa che gli riusciva piuttosto bene ed era anche convinto che fosse anche un’ottima soluzione per smettere di pensare a lei. Di pensarla in quel modo.

 

« Oh, Malfoy! Aspetta! » Supplicò lei.

 

Davvero il peggiore di tutti i momenti.

 

I suoi piccoli tacchi calpestarono il pavimento a un ritmo veloce e un po’ irregolare. Stava correndo verso di lui, che però continuava a camminare verso l’ingresso alle scale dei sotterranei. Non voleva essere raggiunto, tuttavia rallentò il passo. Così quando inforcò la porta che conduceva ai sotterranei, lei riuscì a raggiungerlo e lo afferrò per una manica del mantello, come se lui, appena svoltato l’angolo, potesse scomparire.

 

Ansimava forte per la corsa. Ed era agitata. Agitatissima.

 

Lui continuò a darle le spalle senza avere il coraggio di voltarsi.

 

Sapeva bene quello che avrebbe visto.

 

Avrebbe visto lei che lo stringeva al braccio e ansimava.

Lei che lo rimproverava d’averla spiata.

Lei con i suoi capelli cespugliosi, la camicetta azzurra, le guance arrossate e la gonna stretta sui fianchi.

Lei che era scesa a patti con lui, che l’aveva riportato a Hogwarts, che gli aveva salvato la vita… e che aspettava un “grazie”.

 

Sapeva bene quello che avrebbe visto.

 

Ma non sapeva quello che avrebbe sentito né, di conseguenza, quello che avrebbe fatto.

 

« Io… sono giorni che ti cerco, » disse a un tratto Hermione, seccandogli la gola.

 

Sono giorni che ti penso.

 

Giorni che ho paura.

 

Paura di incontrarti e allo stesso tempo di non vederti mai più.

 

Malfoy prese un respiro profondo ma rimase immobile.

 

Perché non poteva voltarsi. Doveva andarsene. Ma voleva restare. E guardarla negli occhi.

 

E forse voleva anche ringraziarla, ma quello non l’avrebbe fatto. No. L’orgoglio Slytherin non era nella lista delle proprietà confiscate alla sua famiglia.

 

Non c’era nemmeno la purezza del suo sangue, a dire il vero, ma lui era a un passo dal consegnarla di sua sponte.

 

O forse gliel’avrebbe strappata lei dalle mani… ma non faceva molta differenza.

 

Sentì la sua mano stringersi più forte attorno al braccio. « Volevo sapere come stavi… io volevo solo… ».

 

Malfoy trattenne il respiro.

 

Non poteva restare. Doveva andarsene.

 

Ma voleva davvero guardarla negli occhi per capire perché aveva lasciato quella frase a metà.

 

« Volevo rivederti.»

 

Doveva andarsene. Ma si voltò e piantò gli occhi nei suoi; l’intensità dello sguardo fu tale che lei dovette prendere due respiri prima di riuscire a parlare.

 

Sapeva quello che avrebbe visto…

 

« Mi hai evitato fino a ora di proposito, vero? » disse lei con un filo di voce.

 

Ma non sapeva quello che avrebbe sentito né, di conseguenza, quello che avrebbe fatto.

 

In tutta risposta, la spinse contro il muro e quando Hermione alzò gli occhi offesi per domandargli il motivo di quella reazione, si piegò verso di lei e la baciò.

 

Un vuoto, generato dalla spontaneità di quel gesto, s’allargò nello stomaco di Hermione.

 

Disorientata, si aggrappò con una mano al collo del suo mantello e con l’altra al suo braccio, lì, appena sopra alle bende che non poteva vedere (ma che poteva immaginare), conficcandogli il pollice nell’incavo del gomito. 

 

Lui ebbe un tremito e quasi senza accorgersene si avvicinò di più, cercando una risposta dalle sue labbra ancora inermi.

 

Ma calde. E morbide. E arrendevoli.

 

Nonostante lui tenesse la mano sinistra piantata contro la parete, accanto ai suoi fianchi senza osare sfiorarli, e nonostante sulla schiena sentisse chiaramente il contatto con la pietra gelida, Hermione aveva avuto la netta sensazione di cadere.

 

Di precipitare, per l’esattezza.

 

Un attimo dopo socchiuse le labbra.

 

Malfoy sentì il cuore aumentare i battiti e d’istinto le mise una mano alla vita, traendola, per quanto fosse possibile, ancora di più a sé.

 

Lei abbandonò la stoffa che stringeva fra le dita e con l’indice scivolò cauta, un po’ imbarazzata, a sfiorargli il collo. Malfoy sentì bruciare al contatto.

 

Che poi non c’era da sorprendersi, perché aveva già sperimentato quanto il suo tocco potesse scottare.

 

Reclinò la testa e lei aprì la mano sulla sua pelle, scivolò dietro la nuca e l’affondò nei capelli.

 

E poi, finalmente, accolse quel bacio che (cosa c’era di male ad ammetterlo?) desiderava con tutta se stessa.

 

Abbandonandosi al calore della sua bocca, Malfoy pensò a quello che aveva appena detto Pix.

 

Che nessun serpente vorrebbe mai trovarsi tra gli artigli di un rapace.

 

Ma le mani di lei premute sul suo petto, che salivano ad accarezzargli il collo, che sprofondavano nei suoi capelli… tutto sembravano, tranne che artigli.

 

Pensò a Salazar Serpeverde, alla Casa Slytherin e alla purezza del sangue che gli scorreva nelle vene.

 

Pensò a quello che avrebbe detto suo padre, se fosse stato ancora vivo.

 

Che suo figlio disonorava la famiglia, che trasgrediva ad una regola inviolabile.

 

Ma lui, a Hogwarts, le regole le aveva infrante più di una volta.

 

E in futuro, magari, in qualità di Preside, avrebbe potuto addirittura cambiarle…

 

All’improvviso fu attraversato da un ricordo.

 

Gemette e si separò bruscamente da Hermione, ma lei non ne fu sorpresa, aveva pensato alla stessa cosa: « Il Cappello Parlante… è danneggiato, ma si può riparare, » mormorò sulle sue labbra.

 

Lui si allontanò appena, per guardarla negli occhi. « Dovresti sistemare tu anche quello, ora che hai la Bacchetta di Sambuco… » azzardò.

 

Non gliel’aveva vista usare nella Sala Grande e moriva davvero dalla voglia di sapere quale ignobile destino lei avesse riservato al potente oggetto.

 

Sì, certo, il tentativo per ottenere l’informazione era pessimo, fallimentare in partenza, ma in quel momento, con lei ancora addosso, era impossibile ragionare. Non si curò nemmeno di mascherare la curiosità e un briciolo di disapprovazione che aveva sul viso per la prevedibile risposta.

 

Hermione, infatti, si limitò a sorridergli sardonica.

 

Lui allora inspirò profondamente e guardò prima verso le scale che conducevano nel seminterrato e poi sbirciò attraverso l’atrio verso la Sala Grande. Non per controllare d’essere soli, ma per imprimersi bene nella mente il luogo in cui stava accadendo tutto quello.

 

« Dico sul serio, » le disse, « dovresti riparare tu il Cappello Parlante. »

 

Hermione arrossì ancora di più. « Oh, ma io… non saprei da dove cominciare… » si schernì imbarazzata, « non so se posso farlo… » La sua voce vibrava di emozione.

 

Per il bacio che si erano appena scambiati.

 

Per il sapore di lui che ancora aveva sulla bocca.

 

E per il ricordo vivo e inebriante di ogni singolo evento, passato e presente, vissuto fra quelle mura.

 

« Certo che puoi farlo, » la rassicurò lui, « dopotutto, a Hogwarts eri la migliore. »

 

Poi le sorrise, ironico e rilassato, pervaso da una serenità mai provata prima.

 

« Dopo di me, ovviamente. »

 

Hermione aprì la bocca per ribattere, ma lui la mise a tacere con un altro bacio.

 

E questa volta lo fece consapevolmente: la strinse a sé con entrambe le braccia e chiuse gli occhi, l’accarezzò, respirò il suo profumo, cercò la sua lingua e ascoltò i suoi gemiti. Senza pensare più a niente.

 

 

- Fine -

 

 

* * *

 

 

F I N I T A

 

Non vedevo l’ora, giuro. Anche se so perfettamente che questo è un lavoro pieno (anzi, stracolmo) di difetti, non posso negare d’esserne soddisfatta. Ci ho lavorato per ben tre anni, quando ho iniziato a pubblicare ero più o meno al capitolo 19 e, anche se la mia mente contorta aveva già architettato quasi tutto, non credevo davvero di riuscire a terminare (ci mancava solo che Madre Natura, sul finale, decidesse di shakerarmi la vita…)

 

Che dire ancora?

GRAZIE

 

Grazie per aver commentato con sincerità, e grazie per essere arrivati fino a qui. Spero che vi siate divertiti, così come mi sono divertita io a macchinare questa trama.

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