Stella Morente

di nini superga
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro_ i Guardiani della Stella ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque_ pensieri ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei_Ophale ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***


 

Capitolo uno: il lamento della stella morente.

    Un temporale di quella portata non si era mai visto. Tutti, compresi i vecchi, non serbavano memoria di un avvenimento così immenso e nessuno era rimasto nelle case; persino le balie coi neonati al seno erano uscite per ammirare le imponenti nuvole nere che si riversavano sulla città, i cirri e i cumuli enormi farsi avanti ed  oscurare il sole, i lampi fluorescenti e i fulmini che andavano a infrangersi a terra nei campi esterni a Winscott. Le bianche mura della città risplendevano agli ultimi raggi del caldo sole, soffocato da quel nero che scendeva dal cielo e giungeva all’improvviso, rapido, portando folate di aria umida e calda nella città invasa dalla canicola della stagione del sole. I soldati, di guardia sulle mura, rabbrividirono nel vedere infrangersi al suolo un fulmine, mentre il rombo del tuono scuoteva i vetri delle Case Maggiori e Minori, in cui i simulacri degli Dei dormivano sonni odoranti incenso, e dei palazzi signorili. I bambini urlarono e le madri se li strinsero al petto, correndo sotto i vasti portici che ombreggiavano le strade cittadine, vanto e bellezza di Winscott, capitale del regno di Scott. I vecchi, fermi sulle soglie delle case, il naso per aria, si guardavano l’un l’altro e scuotevano la testa, increduli: chi se lo ricordava un temporale di tale entità? Accarezzavano i loro cani bastardi e rognosi e si sedevano sulle sedie appena fuori dagli usci, certi che se fossero morti colpiti da un fulmine almeno sarebbero morti per qualcosa di straordinario.

 

Anche a Palazzo Scott il maestro astrologo guardava il cielo dalla torre più alta, fissando le nuvole attraverso  l’Occhio Grande , un tubo che per un gioco di lenti era in grado di ingrandire gli oggetti posti a grandi distanze, ammirando i fulmini azzurrini che si creavano da una scintilla e saettavano verso il basso, più veloci di un batter di ciglia, schiantandosi al suolo un battito di ciglia dopo. La stagione calda era appena iniziata e i temporali sarebbero dovuti arrivare dopo, molto dopo, a metà della stagione delle piogge, pensava l’astrologo che, preoccupato, frugava con la mente antiche pagine di antichi manoscritti, frutto di antichi maestri vissuti in antichi tempi: si ricordò di un passo di cinque secoli prima, in cui un maestro, vissuto sotto il primo Re Scott ,  parlava di una stagione estiva particolarmente piovosa… un fulmine si scagliò a terra e il tuono fu così forte che l’astrologo sentì tutto il suo vecchio essere vibrare di paura. Si, poteva esserci stato qualche precedente, ma quello che stava per accadere quel giorno sarebbe stato unico e lui non poteva lasciarselo sfuggire perché aveva semplicemente paura. Con un fremito di impazienza ed eccitazione, l’astrologo ripose l’Occhio Grande nella sua custodia e rientrò nel suo studiolo, prendendo pergamena e penna e attendendo, trepidante, l’arrivo del temporale su Winscott dalle bianche mura.

 

Parecchi metri sotto la torre dell’astrologo, nella corte secondaria del palazzo di Winscott, sotto i portici imbiancati a calce, un uomo si muoveva nell’ombra cupa. Era un uomo alto dalla carnagione diafana, i capelli pallidi come neve e gli occhi rossi e penetranti come rubini, vestito completamente di nero tranne per una fascia rossa legata attorno alla vita ben delineata, un pugnale cerimoniale infilato fra le pieghe. Passeggiava tranquillo, Haiduc di Albeis, quando si appoggiò alla colonna, il naso puntato verso l’alto, pronto ad inspirare l’odore buono della pioggia. Gli erano sempre piaciuti i temporali, anche quando era un marmocchio, e quello era il primo che vedeva a Winscott dopo tutti quegli anni di permanenza nella città. Un tuono si abbatté rombante sulla città, così forte da lasciarlo piacevolmente stupito e da convincerlo ad osservare con maggiore attenzione il cielo: un manto nero, perfettamente omogeneo, rischiarato qua e la dai lampi e dai fulmini che, come strali divini, cadevano a terra. Ad ogni lampo, urla si alzavano dalla città, stupita e spaventata. La bocca di Haiduc si piegò in un ghigno: se gli abitanti di Winscott avessero mai visto una delle tempeste che si abbattevano su Albeisine avrebbero definito quanto stava per rovesciarsi sulle loro teste un acquazzone di fine estate. Un altro tuono proruppe, facendo vibrare i mattoni della colonna a cui Haiduc era appoggiato, e l’Albeis si lasciò andare alla piacevole sensazione di vibrare assieme alla natura furiosa, mentre antiche memorie gli invadevano la mente. << Non avevo mai visto niente di simile. >> Disse una voce piatta alle sue spalle, interrompendo il flusso di pensieri. << E’ perché tu non sei mai stato ad Albeisine, Nicolai. >> Rispose Haiduc senza voltarsi, riconoscendo la voce del suo interlocutore. Poco dopo, un uomo biondo ed alto, dal viso sbarbato, vestito di camicia bianca e pantaloni neri, entrò nel suo campo visivo. Nicolai sogghignava, guardando l’Albeis con quei suoi penetranti occhi verdi. Un lampo gli fece puntare gli occhi al cielo. << In ogni caso, questo evento ha dello straordinario. >>  Adocchiò la torre di astrologia. << Di sicuro, il maestro astrologo starà annerendo pagine e pagine di pergamena, su questo avvenimento: non si era mai visto un temporale di questa portata nella stagione delle piogge, figuriamoci all’inizio di quella del sole! >>

<< Preferisce starsene chiuso in quello studiolo misero e polveroso, piuttosto che mettere fuori il suo lungo naso e godersi lo spettacolo. >> Haiduc ridacchiò. << E questo spettacolo sembra davvero interessante… >>

Il biondo inarcò un sopracciglio << Ma non hai appena detto che i temporali di Albeisine erano i migliori di tutti? Ti rimangi così la parola, Albeis? >>

Haiduc evitò accuratamente di rispondere alla stoccata, mentre la memoria vagava lontano, nei ricordi di quando era un ragazzino e guardava le tempeste abbattersi su Albeisine, la città degli Albeis, la città a lui destinata. Guardava i lampi riflettersi sulle case lucide di pioggia, vedeva il mare intero alzarsi attorno alla città e andare a cozzare contro l’alta scogliera su cui Albeisine era arroccata, lo vedeva dall’alto della sua camera e quello spettacolo aveva la magia di incantarlo anche allora, a distanza di anni, di secoli… la voce di Nicolai tornò a distrarlo nuovamente, riportandolo bruscamente alla realtà. << Quanti temporali hai visto come questo, Haiduc? >> 

<< Molti. >> Rispose l’Albeis con un malinconico sospiro. << Perché? >>

Un fulmine di un insolito colore viola si abbatté molto vicino alla città, forse addirittura dentro le mura, tanto che lo spostamento d’aria provocò lo scoppio di alcuni vetri sopra di loro e numerose grida proruppero dalle stanze del palazzo. Haiduc e Nicolai rimasero immobili, mentre un vetro sopra la loro testa si sfracellò in mille pezzi sui ciottoli della corte. << Che mi dici di questi? >> La voce di Nicolai era tesa, mentre l’uomo si ritirava nell’ombra del portico per correre via. L’Albeis seguì Nicolai lentamente, irrigidito dalla sensazione che gli era passata nelle viscere, facendole contorcere. Si accorse di non aver risposto alla domanda dell’uomo, mentre un altro fulmine viola si abbatteva sulla città e lampi rosati illuminavano il cielo nero e i tuoni si confondevano con le urla del popolo. I fulmini apparivano stranamente materici e dove colpivano abbattevano case, provocavano incendi e crateri; i pennacchi di fumo iniziavano ad essere visibili anche dalle corti del Palazzo attraverso cui Haiduc e Nicolai camminavano veloci, per giungere alla Corte Magna, l’ingresso al Palazzo. Li, vi trovarono un’unità della Guardia Cittadina pronta ad uscire per andare a salvare i civili e spegnere incendi. << Dobbiamo assolutamente uscire. >> Disse Nicolai, camminando a passo spedito accanto alla colonna di fanti, diretto alle stalle, con Haiduc che lo seguiva per inerzia, il cuore e lo stomaco stretti in una sola morsa con gli intestini: temeva gli sarebbe tremata la voce nel dirgli che, il giorno in cui Albeisine venne rasa al suolo, era stato a causa di un temporale come quello che si stava abbattendo su Winscott… << Haiduc! >> Lo scrollò Nicolai, mettendogli fra le mani le briglie di un cavallo preso dalle stalle. << La Guardia Cittadina uscirà tra poco e su ordine del Re porterà il popolo nelle catacombe, nella speranza che la tempesta si plachi. Io e te dobbiamo andare a vedere sulle mura, per conto di sua Maestà. >> L’Albeis annuì, vacuo, osservando l’amico montare in sella: era eccitato, ma la durezza della mascella squadrata dimostrava che la paura di Nicolai era davvero molta, anche se cercava di nasconderla sotto la maschera dello sbruffone. Haiduc deglutì piano, cercando di calmare i battiti del proprio cuore: ciò che era successo ad Albeisine lui l’aveva visto da lontano, ma non era sicuro che la stessa cosa sarebbe capitata a Winscott- sperava, in cuor suo, di non dover perdere nuovamente la propria casa, il proprio posto. Pregò il suo Dio che nulla di male accadesse alla sua città adottiva e montò in sella, scacciando pensieri infelici. Cavalcarono a fianco della fanteria facendosi strada tra la folla impaurita, spronata dai fanti a dirigersi verso le catacombe, dove sarebbe stata sicuramente più al sicuro che all’esterno.

 

Dalla torre di astrologia, l’astrologo non poteva credere ai suoi occhi: palle di fuoco violaceo si formavano da scintille nelle nuvole nere e schizzavano a terra come dardi infuocati, cadendo ed emettendo boati una volta giunti al suolo. Era pericoloso restare li, lo sapeva bene, ma il mondo doveva sapere quello che stava accadendo, doveva essere coraggioso e fare il proprio dovere, come il maestro esploratore di Re Wulf della terza era, che era andato a banchettare negli abissi marini pur di riportare al suo re la conferma che nel mare vi era un mondo simile al nostro, semplicemente subacqueo. Trasse un profondo sospiro e intinse il pennino nel calamaio:

… i lampi si fanno da bianchi a rosati, mentre palle di luce viola si formano come masse infuocate e si scagliano a terra, come strali lanciati da divinità infuriate. Che Dei a noi sconosciuti si siano adirati con noi? Io vedo queste palle, e mi chiedo se esse siano della stessa consistenza delle stelle lontane, che ardono nella notte. Di certo, le stelle che cadono nelle sere della stagione calda non fanno tutti questi danni. Ecco, ora gli strali divini si abbattono su Winscott, distruggendo case e palaz- Un tuono di incredibile portata gli strappò un grido, mentre i vetri della torre andavano in mille pezzi a causa della pressione dell’aria, ferendolo in volto e facendolo cadere dallo sgabello, il calamaio che cadeva sulla pergamena e imbrattava ogni cosa. Anziano come era, il maestro astrologo fece fatica a riaversi dal tremendo spavento ma nulla, nulla, lo terrorizzò e stupì più di quanto vide quando riuscì a rialzarsi: una luce aleggiava sopra la città, simile ad un velo, appena sotto il manto di nubi. L’astrologo era abbastanza in alto per vedere che la luce si muoveva ad un ritmo proprio, come se coordinata da una musica, ed appariva leggera e benigna nel suo rosa pallido. Senza badare al pericolo, l’astrologo uscì sul piccolo davanzale della torre, la bocca spalancata dallo stupore, gli occhi fissi su qualcosa che andava oltre le sue capacità. Fu allora che la vide.

 

 

Fu allora che la videro. Haiduc e Nicolai erano sul bastione della porta nord, e guardavano un punto preciso sopra le loro teste: una figura si muoveva nel velo di luce che si era srotolato sopra la città di Winscott. Più che muoversi, la figura galleggiava nell’aria, sospesa nel colore, quasi fosse un liquido uterino e materno, protettivo. I fulmini si erano fermati, e Winscott alle loro spalle mostrava qua e la i segni della loro furia in pinnacoli di fumo nero. Da sotto lo spesso strato di nubi, il sole era tornato a filtrare, dando a Winscott i suoi bianchi bastioni e al velo un’iridescenza ipnotica.  << Nicolai… >> Mormorò Haiduc con fatica, senza distogliere lo sguardo dal cielo. << Devi sapere che mentivo, quando ti dicevo che non avevo mai visto un temporale di simile portata. >> Nicolai rimase in ascolto, senza guardarlo, attendendo che Haiduc proseguisse. << Albeisine… è stata distrutta da un temporale come questo. >> Concluse l’Albeis, senza vergognarsi della nota tremula che la sua voce aveva acquisito nel dire la verità. Che vergona c’era nel dimostrarsi spaventato? Quei fulmini viola avevano portato la fine del suo mondo, e Nicolai doveva saperlo.

<< Dei misericordiosi. >> Si lasciò scappare Nicolai dopo un lunghissimo silenzio, distogliendo lo sguardo dal cielo e puntandolo sull’amico. Si girò per vedere la sua città, la sua Winscott, per pensare al luogo in cui era nato, cresciuto, vissuto fino ad allora. Guardò al Palazzo, alla sua mole nella Città Alta, guardò il piccolo puntino che si muoveva sulla torre di astrologia, gli uccelli che si muovevano sinuosi nel vento tempestoso…non si stupì di avere gli occhi lucidi, quando riportò lo sguardo al cielo, e non si vergognò di invocare gli Dei perché la loro punizione fosse rapida e indolore.

Ma quello non era il momento di Winscott, e nemmeno di Nicolai o di Haiduc; non era il momento nemmeno dell’astrologo, che guardava dall’alto i due puntini che si trovavano sul bastione nord. Quello era il momento della figura avvolta nel colore, piccola e nuda. Era suo, e di nessun altro.

 

 

Accadde tutto così velocemente che nessuno credette mai alle loro parole: il velo di colore inziò a farsi più spesso e a vibrare con maggiore forza, mentre le nubi andavano ritirandosi a ammassandosi attorno alla figura. Il colore del cielo si faceva sempre più intenso, mentre il velo iniziava a ritirarsi verso la figurina e ad avvolgerla in una palla rosa, vorticosa ed instabile. Man mano, le nubi nere ripiegavano e  prendevano forma di spirale sopra la palla, muovendosi dapprima lentamente e poi vorticosamente una volta che il velo ebbe finito di avvolgersi attorno alla figura. La palla ora girava e scariche elettriche di fulmini violacei mostravano tutta la sua potenza distruttrice, mentre le nubi sopra di essa vorticavano e andavano assottigliandosi sempre di più, quasi fossero esse il motore che spingeva lentamente la palla a terra. Poi, ci fu un rumore sordo, una vibrazione dell’aria, una pulsazione e la palla iniziò a scendere verso il terreno, lenta, quasi dolce, simile ad una foglia nel vento. Nicolai e Haiduc non potevano credere ai loro occhi, mentre dall’alto della torre il maestro ammirava le nubi tempestose assottigliarsi e contrastare, con la loro forza irruenta, con la dolcezza del movimento della palla. La vibrazione nell’aria si ripeté di nuovo, più forte, e tutti nella città, anche gli abitanti nelle catacombe, anche il Re sul suo trono, anche Haiduc e Nicolai, anche il maestro astrologo la percepirono, restandone terrorizzati. La vibrazione si ripeté per ben due volte, prima che la palla si fermasse a qualche metro da terra. Allora, un vento forte iniziò a soffiare, convergendo nello spazio tra la palla di luce e la terra, come se volesse risucchiare il mondo. << Dobbiamo andarcene! >> Gridò Nicolai, ma Haiduc sembrava come ipnotizzato da quella palla: non riusciva a distogliere lo sguardo da essa, morbosamente curioso di vedere cosa sarebbe successo. << Haiduc! >> Lo chiamò ancora Nicolai, ma ormai era tardi: la palla era entrata in contatto con la terra e tutto era inutile.

Una luce accecante abbagliò la città. La vibrazione che emanò il contatto fu così potente che quando investì la città, parecchie case pericolanti crollarono, mentre le catacombe ressero per miracolo. A qualche vecchio il cuore cedette e qualche cane impazzì di paura ma, a parte questo, Winscott dai mille portici sopravvisse senza problemi. Sul bastione della porta nord, Haiduc e Nicolai caddero, perdendo l’equilibrio, ma immediatamente si rialzarono, consci che quell’avvenimento sarebbe entrato nelle cronache e nelle leggende. I due si sorpresero a piangere, mentre la palla di luce entrava in contatto con la terra, a pochi metri da loro. Nella sua caduta, la palla scavava un cratere via via sempre più grande e profondo, lanciando vibrazioni sempre più deboli ed emettendo qualcosa di nuovo: un lamento di agonia, un grido che partiva del basso per diventare sempre più acuto, coincidendo con la fine della caduta. Haiduc e Nicolai si tapparono le orecchie, continuando a guardare: la palla ora era per metà nel cratere e per metà fuori di esso e, lenta, iniziava a spegnersi, esaurendo il suo potere distruttivo e la sua carica elettrica. Si ritraeva, lasciando dietro sé una scia di fumo rosato.  Finito il lamento, Haiduc e Nicolai si guardarono, asciugandosi le lacrime. << L’hai sentito anche tu? >> Chiese Nicolai, tirando su col naso, mentre l’adrenalina scorreva ancora nelle sue vene. Haiduc annuì appena, gli occhi rossi fissi sul cratere. << Un lamento. >> Disse Nicolai. << Anzi: il lamento di una stella che muore, ecco cosa abbiamo udito. >>

Haiduc lo guardò. << Hai colto nel segno. >> Ammise. << Vieni, usciamo. >>

 

Il maestro astrologo riprese fra le mani l’Occhio Grande, tremando per l’emozione: che ne era della figura al centro della palla, questo si chiedeva. Ma il fumo era troppo fitto e denso, non ci vedeva. Non poté far altro che concentrare l’attenzione sui due cavalieri che uscivano proprio in quel momento dalla porta nord.

 

 

Haiduc e Nicolai si avvicinarono cautamente al bordo del cratere, coprendosi con le maniche delle camice naso e bocca per non respirare il fumo acre che esalava dalla terra. << Per i miei Dei e per il tuo Dio! >> Proruppe Nicolai, asciugandosi gli occhi mentre guardava il pinnacolo di fumo rosa. << Credi che sia caduta assieme alla palla? >> Haiduc arrivò all’orlo del cratere, cercando con lo sguardo un segno qualsiasi di vita. << Io… credo che si sia sciolta, Nicolai. >>

Nicolai annuì. << Già… ma che cos’era? >>

Hiaduc scosse la testa: quando la Fine del Mondo si era abbattuta su Albeisine non vi era stato alcun velo, alcuna figura, alcuna palla di luce. Solo fuoco viola, morte e distruzione per mano dei fulmini di quel fottutissimo temporale. Ma lui era lontano, non aveva visto bene… << Non ne ho la più pallida idea. >> Ammise l’Albeis, scrutando ancora dentro il cratere: il fumo non accennava a diradarsi e la curiosità era grande… << Procurami una corda >> Disse all’amico, fissandolo con uno dei suoi ghigni. << Mi calo. >>

 

Attraverso l’occhio grande, l’astrologo riuscì a vedere che un folto gruppo di persone erano uscite per riunirsi attorno al cratere: popolani, nobili… erano tenuti a debita distanza da un cordone di fanti della Guardia Cittadina, su ordine di Haiduc d’Albeis- lui era riconoscibilissimo nella sua pelle adamantina, tanto invidiata dalle dame di corte- e Nicolai Cavaliere della Lingua, sempre in mezzo ai guai. L’astrologo sorrise, grattandosi il naso adunco e gibboso, continuando ad osservare, curioso come una comare nel voler svelare il mistero attorno la palla di luce.

 

Haiduc d’ Albeis si era sempre fatto vanto di non temere nulla, ma stavolta, la corda legata attorno alla vita, il pugnale tra i denti e gli occhi di mezza Winscott puntati addosso lo facevano sudare freddo- o era il cratere a creargli quella brutta sensazione? Si appuntò di andare alla Casa e di accendere per ogni Dio cinque candele, per ringraziarlo di aver avuto misericordia di Winscott. Nicolai gli batté una mano sul sedere, mettendolo in serio imbarazzo davanti alla folla. << Allora, sei pronto o devo darti una spintarella? >> Ridacchiò il cavaliere, ricevendo un’occhiata stizzita dall’altro che, per tutta risposta, gli diede il capo libero della fune. << Renditi utile. >> Gli disse solo, prima di iniziare a calarsi nel fumo.

Il cratere era profondo tre metri abbondanti, ed era illuminato dai riverberi che il sole proiettava  sul fumo ancora spesso. Vi era il più totale silenzio e Haiduc si muoveva con fare circospetto sul fondo della conca, cercando di vedere qualcosa nella nebbia rosata. Fece pochi passi, prima di urtare qualcosa col piede. Si sentì gelare il sangue mentre, guardando in basso, riconosceva nel grumo sporco e sanguinante che aveva urtato una mano semi aperta. Rapido, Haiduc si chinò e la vide: una larva umana, ustionata, bruciata, sanguinante, butterata era ai suoi piedi, nel centro del cratere, e i piccoli movimenti del corpo la rivelavano viva. Nella sua vita non aveva mai visto niente di simile, e si chiese come gli Dei potessero tollerare una simile sofferenza.              << Hei. >> Chiamò l’Albeis, toccando con la punta delle dita la creatura disgraziata. Questa si ritirò immediatamente, mugolando di dolore al contatto con l’altro. La voce di Nicolai giunse da lontano              << Trovato niente? >>

Haiduc non aveva tempo per rispondere: si tolse la camicia e la fusciacca, mostrando il petto pallido e liscio, e avvolse la creatura miracolosamente viva in essi, facendo piano e sussurrandole parole di conforto. La osservò bene: era piccola, la creatura, senza il primo strato dell’epidermide; i capelli spuntavano a ciocche insanguinate sul capo, mentre delle orecchie e del naso non era rimasto nulla, se non i fori; gli occhi erano grandi e gonfi, chiusi come quelli dei neonati e tutto era connotato da un’innaturale magrezza, dovuta con ogni probabilità al prosciugamento di muscoli e liquidi. Mentre avvolgeva le gambe della creatura nella sua lunga fusciacca, vide che era femmina. Lei aprì la bocca, lasciandosi sfuggire un lamento quando Haiduc la prese fra le braccia, stringendosela al petto. << Ti porto fuori. >> Le disse, dando un forte strattone alla corda << Nicolai! >> Chiamò << Tirami su! C’è un ferito qui! >>

 

 

Fu così che a Winscott nacque la leggenda della ragazza caduta dal cielo, la Stella Morente.

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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***


 

Capitolo due: rinascita.

 

     Erano passati nove giorni dal temporale memorabile e dalla caduta della Stella Morente. In quei nove giorni, non vi era abitante a Winscott che non invocasse per lei una morta rapida e indolore, pietosa nei confronti della povera creatura. Quei pochi che erano riusciti a vederla mentre Haiduc l’Albeis la portava fuori dal cratere, stringendosela al petto quasi fosse un pezzo di vetro, narravano che la ragazza fosse senza il primo strato di pelle, i suoi occhi bruciati, il suo naso sparito, il suo corpo ustionato. Di lei non vi era più niente di salvabile, così aveva detto ad un oste un medico di corte, bevendo del vino speziato per darsi un tono e raccontare quegli agghiaccianti dettagli. Si diceva che, nella tenda allestita accanto al cratere, la ragazza non avesse pace, e quelli che abitavano vicino alle mura giuravano e spergiuravano che, almeno un paio di volte a notte, delle urla terribili si alzavano proprio da quella tenda, gelando il sangue di chi le udiva. Tutto lasciava immaginare che fosse la ragazza a soffrire gli Dei sanno che mali, col corpo coperto di pustole purulente e piaghe infette.  L’immagine della Stella Morente rimase per lungo tempo proprio quella: una ragazza piagata e sanguinante, scuoiata dal fuoco, urlante di dolore. Uno spauracchio buono per i bambini capricciosi. Eppure, la ragazza era tenace: dopo nove giorni, era ancora attaccata alla vita con le unghie e con i denti, senza dar segno di voler mollare.

Anche i medici erano dello stesso parere del popolo: andavano a visitarla nella tenda della quarantena, fuori dalle mura, il viso coperto da mascherine e l’aria resa pura dalla citronella balsamica; osservavano le sue piaghe infettarsi nonostante la continua pulizia e il cambio incessante di bende, mentre il corpo deforme si contraeva in spasmi di dolore atroce. I dottori stavano al capezzale della ragazza qualche ora, per poi andare, sconsolati, a riferire al Re Scott X e alla Regina Marghery quello che vedevano: una creatura disgraziata, che avrebbe fatto bene a morire, piuttosto che lottare per la vita. Ovviamente, non lo dicevano solo alle loro Maestà, ma anche ad ogni oste che fosse disposto ad offrire vino speziato e birra scura per qualche informazione.

Si arrivò addirittura al punto che la Regina Marghery, pia donna, invitò tutta la corte a pregare per la Stella Morente in una solenne veglia presso la Casa Maggiore, tempio delle divinità di Winscott, veglia a cui mancarono due eminenze, facendo scalpore: Haiduc l’Albeis, Duca di Albeisine, Principe della sua gente, e Nicolai di Langued’Och, Cavaliere della Lingua. Suscitarono parecchie chiacchiere con la loro assenza, ma la Regina era di cuore buono e sapeva per quale motivo essi mancassero: stavano compiendo la missione impartitagli dal suo signore il Re, Scott X di casa Scott. Loro compito era vegliare la Stella Morente, portando direttamente alle orecchie del sovrano notizie sulle sue condizioni. Purtroppo, i racconti di Haiduc e Nicolai non divergevano di molto da quelli dei medici, ma erano quelli di cui il Re si fidava maggiormente. Il loro compito era lugubre, la Regina ne era consapevole, ma comunque di gran lunga migliore di pregare Dei  che lei credeva sordi, se non inesistenti. La Regina lo sapeva benissimo che quella era tutta una farsa, eppure non poteva che sottomettersi al suo ruolo: quello della pia donna timorata degli Dei, anche se sapeva benissimo che gli Dei erano ormai morti. Sbirciò il Re al suo fianco, mentre intonava una preghiera alla Dea della Guarigione, e si costrinse a sua volta a recitare con lui, tornando con la mente alla tenda in quarantena fuori dalle mura.

 

 

Haiduc ascoltava con attenzione i canti che si levavano dalle Case Maggiori e Minori, sparse per la città, e che giungevano sino a lì, fuori dalle mura. Erano canti di guarigione, intonati per guarire, qualcosa che la gente credeva potesse funzionare per la Stella Morente. Si accese una sigaretta, l’ennesima, ed aspirò una profonda boccata di fumo alla menta, restando perplesso: il tabacco di Winscott era sempre aromatizzato dai Frati Tabaccai, per quanto essi giurassero e spergiurassero che quello fosse il vero, autentico tabacco delle Isole Sudali, importato da esse e trattato dalle loro graziose mani per i graziosi gentiluomini di Winscott. Ma Haiduc sapeva che il tabacco, quello vero, aveva un sapore ben diverso, acre e amarognolo, che lasciava del giallo in bocca e sui denti. Quanto avrebbe dato per una sigaretta di Albeisine… inevitabilmente, la mente fu di nuovo là, nella sua terra, nella sua città. Era arroccata su un’isola, Albeisine, ma era capitale del regno degli Albeis, la sua razza. Sorrise, pensando a quanto poco differissero dagli Uomini: fisicamente, gli Albeis erano come loro, avevano gli stessi pregi e gli stessi difetti, ma il loro Dio aveva voluto che la loro pelle fosse più chiara e sottile per poter meglio scrutare nei loro cuori, che i loro capelli fossero candidi perché candidi dovevano essere i loro pensieri e che gli occhi rossi fossero rossi perché… ah! quello, Haiduc non se lo rammentava più. Quello che li differenziava dagli umani era la lunga, lunghissima vita, che si protraeva per secoli ma che, prima o poi, finiva nel sonno mortale. Ma lui era l’ultimo Albeis, l’unico superstite della sua specie: Albeisine era un cumulo di macerie e lui se ne era andato da tempo, da oltre un secolo, giungendo a Winscott attraverso il mare e venendo accolto da Re Scott VI, trisavolo dell’attuale Re Scott X, dapprima come amico e poi come consigliere. Questo aveva favorito a far fiorire in Haiduc un sentimento di riconoscenza e amore per Winscott e i suoi abitanti, un sentimento così forte da far eleggere Winscott sua patria adottiva.

Con un frusciare di seta, Nicolai fece capolino dalla tenda e si accese con fare non curante la pipa di spuma marina. << Credo che le preghiere non facciano altro che disturbarla. >> Disse, puntando gli occhi verso la città. << … E sollevaci dalle nostre ansie, o Dea, e sollevaci dalle nostre pene! Fa che la Morte giunga su rapide ali, per alleviare il nostro dolore! >> Si fece improvvisamente serio, aspirando più volte per far bruciare il tabacco. <<  Come è possibile che si possa invocare la Morte? >>

<< Quando non si ha altro da fare, amico, quella è l’ultima spiaggia. >> Haiduc guardò Nicolai, avvolto in una nube di tabacco alla violetta << Ma non è roba per donne quella? >> Sfotté, perplesso: il suo amico, l’unico che avesse nelle mura del Palazzo di Winscott, era stranamente attirato da tutte le cose che piacevano alle dame, broccati e tabacco alla violetta compresi. << Sempre meglio di quell’orribile tabacco che fumi tu, in quella maniera barbara poi! >> Ribadì Nicola, creando anelli di fumo. << Almeno il mio lascia l’alito profumato. >>

<< Si, certo, per l’amore che porti a tutte le dame del Palazzo, nevvero? >> Haiduc gli diede una gomitata fra le costole, ridacchiando. << Sei proprio una vecchia volpe, tu! >>

Nicolai si strinse nelle spalle. << Mi godo solo la vita, tutto qua. >>

Rimasero per un po’ in silenzio, entrambi contemplando la città punteggiata dalle luci delle fiaccole, mentre le bianche mura riflettevano la luce lunare. Un mugolio proveniente dall’interno della tenda li fece distrarre. << Non si è ancora svegliata. >> Disse Nicolai a voce bassa, come a non voler turbare il sonno della ragazza. << Prega i tuoi Dei affinché non lo faccia. >> Ribadì Haiduc, a voce altrettanto bassa. << Se mai dovesse vedere in che condizioni è ridotta, credo impazzirebbe di dolore. >> Nicolai annuì in silenzio. << Come credi che sia giunta qui, Haiduc? Cioè… quando la tua città è stata distrutta, tu… >>

<< Io non ho visto niente di tutto ciò. >> Concluse bruscamente Haiduc, così bruscamente da far trasalire Nicolai. Fu quello a farlo proseguire in maniera più delicata. << Te l’ho detto come andò: io ero fuori città, vidi tutto dalla barca su cui ero a pescare da solo. Questo e nient’altro mi ha salvato la vita. >> Era vero: con ogni probabilità, se quel giorno non fosse uscito a pescare pesce spada per diletto, anche lui sarebbe un cumulo di ossa- ma cos’era meglio? Essere vivo e solo, ultimo rimasto della sua nobile casata, o essere morto, ma unito a tutti i membri della sua stirpe? Gli ci erano voluti cinquanta anni buoni, per risolvere quel dilemma e tornare a dormire sonni tranquilli la notte. << Magari, se si sveglia, potrebbe raccontarci qualcosa. >> Suggerì Nicolai, espirando il fumo dalle narici. << Qualcosa? >> Chiese Haiduc, interdetto, non capendo. << Si, qualcosa su cosa è successo la. >> Il biondo indicò il cratere. << E su cosa è successo alla tua città, Haiduc… in fondo, lei è arrivata qui attraverso gli stessi fulmini viola che hanno abbattuto Albeisine. Forse, viene dallo stesso posto. >>

<< Forse. >> Ammise Haiduc << O forse no. Io preferirei non saperlo. >> Lanciò uno sguardo dentro la tenda: oltre la zanzariera, nel profumo disinfettante della citronella e dell’incenso, la ragazza riposava piano, più morta che viva. << Io spero che non si svegli. >> Concluse Haiduc, vagliando comunque l’idea di Nicolai: se la ragazza veniva davvero dallo stesso mondo dei fulmini viola, forse avrebbe saputo rispondere alla sue domande, forse gli avrebbe raccontato il perché della caduta della sua città, forse… un mugolio più forte lo colse di sorpresa, facendogli perdere il filo dei pensieri. << Vado io. >> Disse Nicolai, piazzandogli la pipa in mano. Haiduc annuì, lanciando in uno dei bracieri alla citronella la cicca della sigaretta. Stava per provare a prendere una boccata dalla pipa quando la voce di Nicolai, stranamente tremula ed emozionata, lo richiamò all’interno della tenda. << Albeis, >> Disse. << Qui c’è una cosa che non puoi assolutamente perderti. >>

Haiduc svuotò il fornelletto della pipa ed entrò, incuriosito dallo strano tono di voce di Nicolai. Vi era solo il pallore lunare che filtrava attraverso la seta, nient’altro, ma fu sufficiente per permettere ad Haiduc di vedere il corpo della ragazza fluttuare a qualche spanna sopra il letto, le braccia e le gambe aperte, come se fosse immersa nell’acqua. << Buon Dio… >> Si lasciò sfuggire l’Albeis dopo un lungo silenzio carico di stupore, girando attorno al letto della ragazza, mentre Nicolai se ne stava in un angolo, completamente in soggezione davanti a quello spettacolo. Haiduc lo guardò, indicando poi la ragazza con pollice, in una muta richiesta di spiegazione.

<< Non lo so, non chiedermelo. >> Rispose Nicolai, alzando le mani come a volersi difendere. Nonostante la luce tenue, Haiduc lo vide impallidire. << E non hai ancora visto tutto. >> Fece un cenno ai piedi della ragazza, avvicinandosi a sua volta. << Guarda. >> Haiduc si concentrò sui piedi martoriati: le ferite giallognole e gonfie trasudavano siero, e nemmeno la citronella riusciva ad attenuare l’odore di morte che emanava il corpo della giovane; addirittura, sulla caviglia, era visibile l’osso del malleolo. Haiduc represse la voglia di storcere il naso e si stava per girare verso Nicolai quando, d’un tratto, vide il miracolo: delle unghie, piccole e rosate, stavano ricominciando a crescere mentre la pelle delle piante dei piedi si era completamente ricostruita. Si concentrò sulle unghie, sbalordito: era solo una sua impressione oppure… << Vedi bene. >> Lo rassicurò Nicolai, fissando lo spettacolo. << Si sta rigenerando a vista d’occhio. >>

<< Ma questa è una cosa impossibile! >> Esclamò Haiduc, sconcertato. << Le ferite guariscono, Nicolai, ma non a vista d’occhio! Come se parlassimo di ferite comuni, poi… >> Scosse il capo, incredulo. << Questa cosa è contro natura. >>

<< Come è contro natura arrivare a Winscott avvolti da un fulmine e restare per nove giorni aggrappati alla vita. >> Ribadì tranquillo Nicolai, senza distogliere lo sguardo dall’alluce aggraziato della ragazza. << Mi chiedo solo cosa l’abbia spinta a rigenerarsi adesso. Prima soffriva terribilmente, non credi? Perché proprio ora, a quasi dieci giorni dalla caduta, il suo corpo ha iniziato a reagire? >>

Haiduc fece spallucce, senza trovare una risposta convincente. << Forse aveva bisogno di recuperare le energie. >> Tentò. << O forse si è accorta che è meglio vivere che morire. >>

Rimasero in muta contemplazione del corpo che si rigenerava, uno spettacolo di raccapricciante bellezza: dapprima, si creavano i muscoli, che si allungavano fibrosi per pochi centimetri e, subito sopra si ricostruivano gli strati inferiori dell’epidermide, il grasso sotto cutaneo e la pelle stessa, pallidissima al chiaro della luna- così pallida, che Haiduc credette che ella fosse un Albeis. << Quanto durerà? >> Sussurrò Nicolai, più a se stesso che al compagno. << Lo scopriremo stando qui. >> Rispose Haiduc, lasciandosi cadere su una delle sedie imbottite poste a fianco del letto e facendo cenno a Nicolai di prendere posto accanto a lui.

 

Si erano promessi di vegliare affinché, di buon ora, uno dei due andasse ad avvertire le loro Maestà sull’improvviso complicarsi degli eventi. Avevano anche promesso di fare dei turni di guardia per non perdere mai d’occhio la ragazza: il primo sarebbe toccato all’Albeis, ma con suo grande stupore Haiduc si svegliò per dare il cambio a Nicolai quando era mattino inoltrato, il sole filtrava nella tenda e la citronella e l’incenso si erano esauriti nei bracieri. Circondato da tutta quella luce, Haiduc non poté fare a meno di sobbalzare sulla sedia, rischiando di cadere per lo stupore. Nicolai dormiva ancora, la testa reclinata all’indietro, russando in maniera tenue, l’espressione serena… ma un’altra rumore aleggiava per la sala, e Haiduc si stupì che esso provenisse dalla creatura che ora giaceva sul letto. Si alzò piano, quasi temesse di svegliarla, e le si avvicinò guardandola come se fosse la cosa più bella del mondo.

La ragazza che giaceva nel letto era l’esatto opposto della creatura disgraziata e martoriata dei nove giorni precedenti. Per qualche magia a lui ignota, la ragazza si era rigenerata completamente nel corso della notte, in una maniera che Haiduc non aveva mai considerato in quanto troppo oltre le sue facoltà: guarire era comprensibile, ma rigenerarsi? Impossibile. Eppure era possibile, e lei ne era la prova. E che prova! Haiduc non aveva mai visto Donna così bella, simile ad un bocciolo in fiore: i lunghi capelli biondi le avvolgevano il corpo fino al pube, riccio e folto di un biondo più scuro, mentre il viso riposava sereno, le sopracciglia distese, gli occhi dalle lunghe ciglia chiusi e il naso deliziosamente all’insù, la bocca piccola e piena appena aperta per emettere quel lieve russare tutto femminile, il simbolo di un ritorno alla vita.

Rimase a fissarla a lungo, perdendo la cognizione del tempo, pensando solo a quanto fosse impossibile il corso degli eventi: la creatura disgraziata che la mattina prima giaceva su quello stesso letto, piagata e dolorante, non aveva niente in comune con quella ragazza delicata, dalla pelle pallida e i capelli biondi, bella come il sole. << Ellis. >> La chiamò, spontaneo, l’antica parola con cui era noto il sole. Non seppe perché la pronunciò, ma l’atmosfera cristallizzata dentro la tenda si ruppe a quel suono meno forte di un sussurro: la ragazza serrò le labbra, deglutendo e voltandosi sul fianco, assumendo una posizione fetale per dare le spalle al sole e dormire ancora un poco. Haiduc si scostò da lei, accorgendosi di essere troppo vicino e indietreggiò fino a pestare il piede a Nicolai, che si svegliò di colpo. << Non pensavo che il tuo turno di guardia sarebbe durato così a lungo. >> Borbottò, la voce roca dal sonno, guardandosi attorno. Quando si accorse della novità della stanza, non poté fare a meno di avere la stessa reazione di Haiduc: stupore e sgomento si impadronirono del cavaliere che non riusciva a mettere in relazione la Stella Morente con quella giovane ragazza sana. << Ma cosa è successo? >>

<< Ti riferisci alla guarigione miracolosa o al fatto che ci siamo addormentati come due bambini? >> Chiese Haiduc, stizzito: sopportava male quelle situazioni, in quanto lo sgomento lo lasciava sempre impreparato. Nicolai ebbe a sua volta un moto di stizza: rotò gli occhi verdi e allargò le braccia. << Ma ad entrambi, no? Come è possibile che due soldati esperti come noi- tu vecchio di secoli, io un po’ meno- siano stati sorpresi da un sonno così profondo e pesante da farci svegliare solo la mattina dopo? E che dire di lei, eh? >> Haiduc gli fece cenno di abbassare la voce, per poi fare spallucce. << Dobbiamo avvertire il Re. >> Ribadì semplicemente, sfilandosi una sigaretta dal taschino e puntandola contro Nicolai << E controllare gli annali e i testi antichi: dobbiamo capire se questo evento è il primo mai capitato a Winscott o se è consuetudine di altri popoli guarire in questo modo; se è la testa di una profezia e se si a cosa porta; ci sono un sacco di cose da fare, caro Nicolai, e in cima alla lista hai andare a palazzo e avvertire il Re e la Regina. >> Haiduc si alzò in piedi, la sigaretta fra le labbra, l’aria soddisfatta di chi ha nuovamente tutto sotto controllo. << Hai capito, caro? >>

Nicolai mise il broncio. << Non sono il tuo galoppino! >> Sbottò, incrociando le braccia sul petto in segno si diniego, ma un indice sulle labbra di Haiduc lo riportò ad osservare la ragazza, che iniziava ad agitarsi nel letto, con una lieve apprensione. << Che dici, si sveglia? >> Sussurrò Nicolai, curioso. Haiduc l’Albeis, una volta ogni tanto, non sapeva cosa dire: scosse la testa e fece cenno a Nicolai di andare, che sarebbe rimasto lui con la ragazza. L’Uomo, contrariato, si avviò a grandi passi fuori dalla tenda, verso la città, per farsi dare un cavallo e andare a tutta velocità a palazzo.

Haiduc uscì nella tiepida aria del mattino estivo, restando all’ombra della tenda per evitare di scottarsi la pelle chiara. Alzò le braccia e stiracchiò i muscoli, facendo scrocchiare la schiena così forte che l’eco risuonò a lungo per la piana davanti a Winscott. Muovendo le spalle all’indietro per sciogliere il trapezio, si accese la sigaretta con un cerino ed aspirò una boccata così intensa da consumarne metà in un colpo solo. Espirò piano, lasciando fluire nella testa tutti gli avvenimenti della notte: la chiacchierata con Nicolai, il miracolo, la speranza e la curiosità, il sonno improvviso, il risveglio di soprassalto, il vistoso cambiamento della giovane… tutte queste cose Haiduc le lasciava girare nella sua mente mentre fissava un punto imprecisato sulle bianche mura- ma un’altra cosa gli si gonfiava nella mente, lasciandogli il cuore pieno di angoscia e speranza: se lei si svegliava…sospirò, tremando a confessare quel pensiero persino a se stesso. Se lei si svegliava… poteva parlare. E, aggiunse esitante, se lei parlava, forse avrebbe scoperto qualcosa in più su quanto accaduto un secolo prima, sulla rovina di Albeisine, sulla fine del suo mondo…il solo pensiero lo sollevava e angosciava, contraendogli la bocca dello stomaco e mandandogli la bile in bocca. Haiduc sputò a terra, facendo un’ultima boccata nervosa e gettando la cicca nel braciere ormai morto. Rientrò che la ragazza aveva cambiato nuovamente posizione e un seno acerbo sbucava tra i capelli biondi scomposti, mentre il respiro si era notevolmente alleggerito, presagendo un risveglio immediato.

Haiduc si sedette nuovamente sulla sedia accanto al letto, stropicciandosi gli occhi stanchi: nonostante avesse dormito tutta la notte, le ore di veglia nei giorni precedenti l’avevano distrutto. Sbadigliò sonoramente e troppo tardi si accorse di avere la testa a ciondoloni e gli occhi pesanti. Pensò che dormire non gli avrebbe fatto male e lasciò che quel flusso di stanchezza si concentrasse tutto dietro le palpebre. Non ci volle molto prima di giungere nel mondo dei sogni e ci volle ancora meno perché gli incubi tornassero a tormentarlo, come accadeva da quasi un secolo. Erano sempre gli stessi: riviveva tutto in terza persona, da spettatore; vedeva se stesso da giovane, seduto sulla barchetta regalatagli dal padre, a torso nudo e con i piedi in ammollo nell’acqua fresca e cristallina; vedeva le nuvole addensarsi sopra la sua testa, il mare diventare caldo e ribollire, mentre i pesci affioravano sulla superfice, morti per il troppo calore; si alzava di scatto, l’Haiduc giovane, imprecando per la paura; solo allora si voltava verso Albeisine e la vedeva, lontana, arroccata sulla sua roccia,  avvolta in nubi viola e sconvolta dai fulmini; Haiduc allora prendeva il remo e lo immergeva nell’acqua per raggiungere la sua città, la sua famiglia, i suoi amici, e gridava mentre cercava di combattere contro la corrente che lo portava via, lontano, verso coste sconosciute e a lui ignote. Albeisine si faceva sempre più piccola e il suo cuore si stringeva sempre di più, sanguinando di dolore e angoscia per la propria gente; poi, nel sogno, gli giungeva l’imponente voce di suo padre, autoritaria e fredda come mai era stata: << Un Re non deve mai abbandonare il suo popolo. >> Diceva, e le nubi sopra la sua testa assumevano i contorni del viso di suo padre, gli occhi gravi, il naso adunco, l’espressione scontenta che si chinava sempre di più su di lui, sempre più sempre più… Come al solito, il sogno si interrompeva lì, quando lui veniva sommerso dai flutti, dal peso della colpa di essere sopravvissuto, e Haiduc si svegliava con la sensazione schiacciante che fosse tutto sbagliato, che tutto quello che lui avesse fatto dal momento in cui era sopravvissuto fosse errato perché, in fondo, sarebbe dovuto morire con gli altri. Era così da tanto tempo, si aspettava che il sogno si sarebbe concluso così pure stavolta. Ma non si svegliò, Haiduc l’Albeis, perché nelle acque del sogno era intervenuto qualcosa a lui sconosciuto: un essere anomalo, dai lunghi capelli biondi e verdastri, fluttuanti nell’acqua, che lo guardava con occhi a mandorla di un incredibile color grano. Sembrava chiamarlo. Incuriosito, Haiduc nuotò nelle acque del suo sogno, avvicinandosi fin quasi a toccare la sirena. Fu allora che spalancò gli occhi, finalmente sveglio e lucido, e vide chiaramente ciò che aveva sognato: la Stella Morente, ora viva e sveglia, lo stava fissando con quegli stessi occhi.

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***


 

Capitolo tre_ presa di coscenza.

 

     La ragazza era ancora stesa nel letto da campo, le lenzuola macchiate del suo sangue, nella stessa posizione in cui Haiduc l’aveva lasciata prima di addormentarsi. Era uguale a prima, ma gli occhi erano aperti e lo fissavano con infantile curiosità. Avevano un non so che di magico, quegli occhi color del grano,  e l’Albeis non poteva fare a meno di perdersi in essi.

La ragazza cambiò posizione e si sedette sul letto. Si guardò le mani, piccole e affusolate e contrasse sotto le coperte le dita dei piedi- una cosa che illuminò il suo viso di un tenue sorriso. Poi tornò a guardare Haiduc, come se solo in quel momento si fosse ricordata che anche lui era nella tenda. Stranamente, non si coprì davanti a lui. Con movimenti lenti e impacciati, la ragazza fece scivolare le gambe fuori dalle lenzuola, lasciandole ciondolare dal bordo del letto. Allungò il collo per vedere quanta distanza c’era tra i piedi e il pavimento e, puntellandosi con le mani, lasciò scivolare il sedere e toccò con le punte degli alluci il tappeto che costituiva il pavimento della tenda. Haiduc seguiva i suoi movimenti, seduto davanti a lei, estasiato dalla concentrazione che lei metteva in ogni singolo gesto, come la lingua che spuntava da un angolo delle labbra, piccola e rossa come una fragola, o come il tremore nei bicipiti delle braccia, segno che si stava sforzando troppo per le sue esigue risorse fisiche. Fu allora che si riscosse da quella visione.

<< Non affaticarti. >> Le disse, e la ragazza alzò di scatto la testa, sorpresa, cristallizzandosi nei movimenti. Haiduc si alzò in piedi, per andarle incontro. << Mi capisci? >> Chiese, cercando di apparire il più amichevole possibile. Stese una mano davanti a se, indeciso se toccarla o meno. << Sei molto debole. >> Aggiunse, acquistando un pallido colorito rosato che rivelava l’imbarazzo di quella situazione.

La ragazza non rispose subito. Terminò la discesa dal letto, tastando con le piante dei piedi la consistenza morbida del tappeto, finemente arabescato, e si asciugò le goccioline di sudore che le imperlavano la fronte. Fece un paio di respiri, prima di guardare Haiduc dritto negli occhi. Solo allora annuì. << Bene. >> Fece l’Albeis, traendo un sospiro per allentare la tensione. << Hai idea di come sei giunta qui? >> Chiese, tentennante . Lei ci pensò, per poi scuotere il capo.

<< Ti ricordi cosa è successo prima che giungessi qui? >> La risposta fu ancora negativa.

<< Non ricordi da dove vieni? >> Ancora no.

<< Niente? >> La ragazza fece spallucce e scosse forte la testa, muovendo i capelli biondi in un frusciare setoso. Haiduc era sempre più perplesso: che non si ricordasse della tempesta era plausibile, spesso gli eventi traumatici vengono rielaborati dal corpo dimenticandoli completamente, ma che non ricordasse da dove venisse prima della tempesta…un’inquietudine improvvisa si fece largo in lui, simile ad un brivido, portandogli una nuova domanda a cui doveva assolutamente dare risposta.

<< Ti ricordi chi sei? >>

La domanda aleggiò nella tenda a lungo, greve come un macigno. La ragazza sgranò gli occhi e assottigliò le labbra, guardando Haiduc e nello stesso tempo perdendosi in chissà quali ragionamenti . Alla fine, spaurita, fece ancora no con la testa.

Haiduc l’Albeis sospirò forte, passandosi una mano sul viso e grattandosi il mento, dimenticandosi per un attimo della creatura e pensando solamente che, se lei nulla rammentava, a nulla poteva essergli utile per capire cosa fosse accaduto ad Albeisine. Il pensiero lo infastidì, e si diede dello sciocco per aver creduto ed alimentato una speranza così vana, e sarebbe andato avanti a lungo maledicendo se stesso,  ma un piccolo singhiozzo lo riportò alla realtà: la ragazza aveva gli occhi liquidi di lacrime, e il suo esile corpo era squassato da singhiozzi silenziosi. Haiduc si diede dello stupido per essersi perso nelle sue fantasie, e riportò l’attenzione sulla ragazza, che iniziò a piangere più forte.

<< Non piangere. >> La consolò, azzerando le distanze fra loro. Senza temere di spaventarla, la prese per le braccia e la alzò con delicatezza per farla sedere sul bordo del letto, mentre lei piangeva. Si sedette al suo fianco, circondandole le spalle in un gesto protettivo. << Vedrai che ricorderai chi sei e da dove vieni. >> Le sussurrò, cercando di apparire ottimista, ingannando persino se stesso. << E’ una cosa normale,  perdere la memoria dopo grossi traumi… >> Non sapeva se quella era la cosa giusta da dire, ma era l’unica sensata: non era mai stato un bravo consolatore, lui. << Pensa a questo: sei viva. >> Le disse calorosamente, accarezzandole i capelli con la mano mentre i singhiozzi e le lacrime si facevano più intensi. << Sei viva e vegeta, hai tutta una vita davanti per scoprire il mistero della tua venuta a Winscott e posso giurarti già da ora che non sarai mai sola. >> La ragazza si voltò verso di lui, tirando su col naso. Haiduc rimase colpito dalla sua bellezza, dalla sua aria indifesa, dalla sua innocenza. Le sorrise dolcemente. << Io sono Haiduc, colui che ti ha salvato. Sappi che ti sono amico da qui all’eternità. >> Una campana batté i colpi sul suo cuore: quelle parole avevano il sapore di un giuramento e lui le pronunciava col cuore puro e sincero.

La ragazza sbatté le palpebre ornate da ciglia bionde, così sorpresa da aver smesso di piangere, colpita da quanto l’Albeis le aveva detto. Gli poggiò una mano sul petto, afferrando con dolcezza la stoffa della camicia estiva di Haiduc, mentre l’altra andava a posarsi con delicatezza e naturalezza nel palmo della mano aperta dell’Albeis. << Grazie. >> Disse allora la ragazza, la voce esile, guardando le loro mani unite, la sua in quella di lui, simile ad un uccellino sicuro nel nido.

 

Nicolai li trovò così, stretti in un abbraccio, occhi dentro occhi, e il fatto lo lasciò di stucco: l’Albeis che si lasciava andare a simili tenerezze? E da quando?

<< Siamo arrivati. >> Disse, entrando nella tenda con falsa noncuranza e guardando poi la ragazza, che si strinse al petto di Haiduc, spaventata. Le sorrise, inchinandosi con fare elegante. << Madonna, mi presento: sono Nicolai di Langued’Och, Cavaliere della Lingua, agli ordini di sua maestà Re Scott X di Casa Scott, re di Winscott e delle Coorti interne, delle Isole Sudali e delle Saline. >> Le rivolse un nuovo sorriso, raddrizzandosi, << Mi piegherò volentieri anche ai vostri ordini, Madonna, sempre che lo desideriate e che Haiduc me lo permetta. >>  Ridacchiò all’occhiataccia che l’Albeis gli riservò. << Si, vedo che siete diventati molto amici… >> Commentò, malizioso.

La ragazza arrossì, lasciando scivolare la mano posata sul petto di Haiduc sul suo grembo, coperto dai capelli biondi. << Voi fraintendete. >> Disse,  << Haiduc è la persona a me più cara in quanto è la prima che vedo in questo mondo sconosciuto, in cui sono estranea addirittura a me stessa… >> Rivolse gli occhi a Nicolai. << Ma, se me ne darete il tempo, sono certa che riuscirò ad apprezzare anche voi, messer Nicolai, e anche il vostro Re… >> Si volse di scatto, guardando con aria spaurita lo stuolo di persone che improvvisamente aveva invaso la tenda: erano cinque frati dell’ordine medico, tutti con la testa rasata tranne per i ciuffi sulle orecchie, capitanati dal maestro astrologo. Quest’ultimo si fece avanti, il viso rugoso increspato da un sorriso sincero. << Ragazza. >> Disse, dopo un lungo momento passato a contemplarla. <<  Non sapete quale immenso onore è conoscervi. >>

<< Chi siete. >> Chiese, semplice come un bambino. << Sono amici. >> Rispose per lei Nicolai, << Persone che desiderano conoscerti e…visitarti. >>

La notizia la confuse. << Visitarmi? E perché? >>

<< Siete stata in coma per dieci giorni, madonna. >> L’informò un frate, il cui grembiule era più candido della pelle di Haiduc. << Vi siete ripresa lentamente, risvegliandovi solo stamattina. Vorremmo farvi una visita di controllo, una mera formalità, solo per vedere se siete sana e guarita del tutto. >>  Il frate sorrise, l’aria bonaria e rassicurante. << Non dovete temere, figliola: qui, nessuno vi è nemico. >>

La ragazza guardò Haiduc prima di rispondere e, quando vide che in lui non c’era traccia di reticenza o di falsità, acconsentì a farsi visitare.

 

 

Nicolai fece un fischio di vistosa approvazione, ridacchiando e battendo una mano più volte sulla spalla di Haiduc. << Ben giocata amico mio, davvero ben giocata! >> Esclamò, accendendosi la pipa.

Haiduc rimase a braccia conserte, gli occhi puntati sulla tenda lontana qualche metro da loro. << Cosa è ben giocata? >> Chiese, innervosito da quell’atteggiamento. Nicolai sbuffò una nuvoletta di tabacco alla violetta, ma il vento la disperse prima che potesse spandere il suo odore nell’aria. Gli puntò la pipa contro. << Guarda che non c’è nulla di male, sai? >>

Haiduc emise un verso di esasperazione, roteando gli occhi rossi al cielo.<< Nulla di male in cosa? >>

<< Ma a desiderare una bella figliola come quella, Haiduc! >> Esclamò l’altro, spalancando le braccia e schivando prontamente un cazzotto da parte dell’Albeis. Nicolai si portò a debita distanza, ridendo divertito a quella reazione. << Cosa credi, che non l’abbia notato? Le eri così vicino davvero solo per consolarla? >> Stavolta dovette scansare una pietra. << Sei sempre stato permaloso, lo sai? >>

<< Quella creatura si è sciolta in lacrime proprio davanti a me, Nicolai, come facevo a non consolarla? >> Scattò Haiduc, gesticolando, vistosamente alterato. << Non ho fatto nulla di male! >>

Nicolai continuava a ridacchiare. << Da come ti agiti, sembra che tu abbia commesso il peggiore dei peccati, amico… >> Si fece serio. << Gli Dei sanno cosa è successo a quella creatura, Albeis: sono proprio curioso di sapere se i medici scoprono qualcosa. >>

Haiduc scosse il capo <> Trasse un sospiro. << Quella ragazzina ha qualcosa di speciale. >>

<< Be, sai com’è! >> Esclamò Nicolai, ironico. << Si è appena autorigenerata dopo nove giorni di agonia ed è caduta dal cielo avvolta in una palla di fuoco! Se non è magia quella! >>

Haiduc alzò gli occhi al cielo, inspirando per mantenere la calma. << Se non ti uccido oggi, Nicolai,  giuro che vivrai in eterno! Non è solo per quello… >> Chinò il capo, nella testa l’immagine di lei e lo scintillare degli occhi. << Io…l’ho sognata. >>

<< Sognata? >> Nicolai era perplesso e morse il bocchino della pipa. << Come sognata? >>

<< Un attimo prima che si svegliasse, l’ho vista nel mio sogno. >> L’Albeis si rabbuiò. << Lo conosci il mio sogno, no? Vedo la mia città andare in cenere, cerco di raggiungerla ma vengo affogato dalle acque. >> Sospirò, chiudendo gli occhi e pinzandosi la radice del naso fra pollice e indice. << Di solito, a quel punto, mi sveglio. Ma non stavolta. >>

<< Perché hai visto lei? >>

<< Era una sirena che si muoveva nell’acqua, sinuosa. >> Haiduc se la vide di nuovo innanzi. << L’ho  vista avvicinarsi e guardarmi con quegli incredibili occhi gialli. >> Aprì nuovamente gli occhi, volgendosi verso Nicolai. << Il problema è che io non sapevo ancora di che colore fossero i suoi occhi. >>

Nicolai annuì, meditando un attimo. << Credi che si sia infilata nel tuo sogno, Albeis? >>

<< Certi maghi lo sanno fare. >> Scrollò le spalle. << Maghi antichi e potenti. >>

Nicolai si grattò la fronte col bocchino della pipa, perplesso. << Credi che lei sia qualcosa di simile ad un mago? È risaputo che la loro razza si è estinta secoli or sono. >>

<< Ancora prima che nascessi io. >> Precisò Haiduc. << Ma forse essi vivono altrove, forse qualcuno è sopravvissuto… nelle Antiche Cronache non si parla forse della loro culla, Xeris, il luogo da cui essi provenivano? Forse essi sono tornati da lì- forse, Ellis proviene da li… >>

Nicolai inarcò un sopracciglio. << Ellis? >>

Haiduc si sentì pungere sul vivo, assumendo di nuovo una sfumatura rosata di puro imbarazzo. << L’ho chiamata così. >>

<< Ah, adesso ne reclami anche la paternità! >> Nicolai rise, divertito, ma vedendo la faccia di Haiduc si fece subito serio. << Scherzavo. >>

<< Scherzi sempre troppo per i miei gusti. >> Borbottò Haiduc, acido, incrociando le braccia sul petto e tornando a guardare la tenda: da quanto tempo la stavano visitando? Cosa ci voleva per dire che semplicemente Ellis era una miracolata? << Nicolai, voglio proteggerla. >>

<< E da cosa, se posso saperlo? >>

<< Un essere del genere non scende nel nostro regno tutti i giorni. Attirerà curiosità, morbosità.... >> Haiduc si fece pensieroso. << La vorranno studiare. Cercheranno di usarla per qualche scopo. Magari contro il Re, magari contro qualcun altro. E io non sono d’accordo. >>

Nicolai si fece vicino all’amico, guardandolo negli occhi. << Leggo determinazione nei tuoi occhi da Albeis, ma anche ansia e apprensione. >> Gli batté una mano sulla spalla. << Amico, non devi temere: non sarai solo. Ti darò entrambe le mani, se non saranno impegnate altrove, per proteggere quella creatura.>> Haiduc gli riservò un’occhiata di gratitudine, mentre i frati uscivano finalmente dalla tenda.

 

 

Il frate che aveva rassicurato Ellis delle loro intenzioni era quello più estasiato, mentre gli altri non facevano che confabulare e scuotere la testa, sorpresi e ammaliati da quanto avevano visto. << Una cosa del genere è unica e rara! >> Disse a Nicolai e Haiduc, che avevano chiesto un resoconto della visita. Al frate luccicavano gli occhi. << Quella creatura è completamente rinata… >> Si passò una mano sul viso e volse lo sguardo al cielo, come a rendere lode agli Dei. <<  Essi hanno ascoltato il nostro grido! >> Esclamò, allargando le braccia in un gesto di grazie. << Hanno ascoltato le nostre preghiere e l’hanno miracolata… >>

<< Io sarei cauto a parlare di miracolo, fratello. >> Intervenne il maestro astrologo, fra gli occhi una ruga di severità. << Se fosse davvero un miracolo, a quale pro’ lasciare la creatura senza memoria? >>

Il frate rise sommessamente, una mano davanti alla bocca, come a farsi beffe del suo interlocutore. << Ma per non ricordarle della terribile avventura, no? >> Si guardò attorno, raccogliendo consensi dagli altri frati. << Maestro Wiligelm, a volte sembrate non accorgervi delle risposte più semplici. >>

<< Queste considerazioni semplicistiche le lascio volentieri a gente meno complicata di me, fratello. >> Ribadì il maestro con una punta di permalosità nella voce, avviandosi poi verso la città, solitario. << Maestro Wiligem è sempre stato così. >> Disse Haiduc, sorridendo nel vedere il vecchio che caracollava verso la città. << Anche da giovane. >>

<< E’ stato l’unico a non unirsi alla preghiera collettiva. >> Spifferò il frate, contrariato. << Quell’uomo è senza Dei! >> Haiduc fissò il frate, facendolo ammutolire. << Avrà avuto i suoi buoni motivi per non lodare gli Dei. >> Gli passò innanzi, entrando nella tenda. << E, in ogni caso, voi non avete pregato per la una  rinascita, ma per una morte pietosa. >>

 

 

Quando entrarono, Ellis era in piedi, vestita di una lunga camicia da notte, i capelli che le arrivavano di poco sotto le reni. Dava le spalle all’entrata e sussultò quando sentì la tenda frusciare ma, una volta riconosciuti Haiudc e Nicolai, sorrise. << Finalmente se ne sono andati. >> Sussurrò, avvicinandosi a loro. Li prese entrambi per mano, con naturalezza, quasi fossero amici da una vita. << Non ne potevo più. >>

<< Che cosa ti hanno fatto? >> Chiese Haiduc, curioso. Ellis scrollò le spalle, indifferente. << Mi hanno toccato dappertutto, persino li. >> E si indicò il pube. << E hanno continuato a parlare di miracolo e arendere lode agli dei. Haiduc, perché dicevano così? >>

Nicolai lanciò all’Albeis un’occhiata: e adesso? Haiduc si schiarì la gola. << Vedi, non ti ho detto tutto. >> Accennò al letto. << Siediti. >> Ellis annuì e si sedette lentamente sul letto, sbuffando per i pochi movimenti compiuti. Haiduc e Nicolai si sedettero sulle sedie davanti a lei.

Ellis sollevò un sopracciglio invisibile, invitandoli a parlare. Con un profondo sospirò, Haiduc iniziò a raccontare.

 

-O-

 

Haiduc incrociò le braccia sul petto, concludendo così la versione dei fatti. << Questo è quanto. >>

<< Io? >> Ellis si puntò un indice al petto, esterrefatta. Haiduc e Nicolai annuirono, solenni, attendendo per farle assimilare la notizia. Lei rimase così, l’indice sullo sterno, troppo colpita anche per pensare. Lei era arrivata con una palla di fuoco…

<< E sono guarita così di colpo? >> Esclamò, facendo sobbalzare entrambi i suoi interlocutori.  Ellis si toccò il viso. << Ma ora sto bene! >>  Si toccò le orecchie e la fronte, quasi a volersi controllare. << Ora sto bene… >>  Si mise le mani dappertutto, continuando a ripeterlo.

<< Ora. >> Disse Nicolai, sorridendo a tutta quella foga. << Ora si che stai bene, ma prima avevi un aspetto orribile. >>

<< Non ne dubito… >> Ellis sospirò, osservandosi con attenzione le dita dei piedi. << Dunque, sono semplicemente rinata. >>

Haiduc annuì. << Parliamo pure di resurrezione. Sei riuscita a ricordare qualcosa? >>

Ellis scosse il capo, sconsolata. << No. Non ricordo nemmeno il mio nome. >> Haiduc e Nicolai si scambiarono un’occhiata. << Noi un nome te l’avremmo dato. >> Ammise Nicolai, sorridendo alla sua espressione stupita. <<  Che nome è? >> Chiese lei, gli occhi che brillavano di curiosità. << Ellis. >> Disse Haiduc, e la sua voce tremò appena. Si schiarì la gola prima di proseguire. << Significa “ Sole” nella lingua antica. Tu sei bella come il sole, quindi Ellis è perfetto. >> L’Albeis aggiunse quelle ultime parole in maniera sbrigativa, quasi se ne vergognasse. Dal canto suo, Ellis arrossì di piacere. << E’ un nome molto bello. >> Convenne, guardando Haiduc ed arrossendo maggiormente. <<  Lo accetto con piacere. >>

L’Albeis e la Stella Morente rimasero a guardarsi ancora per un po’, mentre Nicolai spiava le loro emozioni e sorrideva con aria sorniona.

 

 

 

 

 

 

Cantuccio: ahem… eccomi qui.

Non so, a me questa storia piace tanto. E’ una storia che avrei sempre voluto leggere, ma evidentemente altri la pensano come me…. mi piacerebbe sapere cosa ne pensate, voi che passate di qui, tanto per sapere se sono sulla retta via o sono così accecata dalla mia bravura- si, sono un’inguaribile egocentrica. In verità, avevo postato questa storia per due motivi: avere dei pareri e crogiolarmi… si, lo so, sono anche sfacciata e probabilmente vi starò antipatica- per non dire sul ca- -o – ma io sono così.

 

Accetto sia cose positive, che negative, che neutre. Dai, orsù, fate felice questa piccola bitch.

 Vostra, Anna.

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro_ i Guardiani della Stella ***


Capitolo quattro_  i Guardiani della Stella

Ellis si rivelò essere una ragazza forte: nonostante le cose pazzesche che le erano successe, la sua mente rimase equilibrata e lucida e, se fosse rimasta scossa dalle rivelazioni di Haiduc e Nicolai, non lo diede a vedere. I medici sarebbero venuti ogni giorno e ogni giorno l’avrebbero visitata accuratamente per tenerla d’occhio. In verità, lo scopo delle visite era raccogliere dettagli sulla Stella Morente, adesso Rinata, e spargerli per la città, aumentando una curiosità che a tratti risultava morbosa. Haiduc e Nicolai sapevano che era così, ma per quanto fossero infastiditi avevano le mani legate: gli ordini arrivavano direttamente dalle Loro Maestà, quindi dovevano ingoiare il rospo ed uscire dalla tenda durante la visita giornaliera.

Già dai primi giorni, si parlò di quarantena: non si sapeva niente di Ellis e del suo corpo diafano. Meglio lasciarla fuori le mura per qualche settimana e vedere come reagiva all’aria di Winscott e ai suoi cibi, prima di farla entrare in trionfo tra le bianche mura. Su questo, Haiduc e Nicolai non ebbero da obiettare: Ellis era molto debole, come c’era da aspettarsi dopo quello che le era accaduto, ma la cosa più spaventosa era il tremendo vuoto di memoria che l’aveva colpita, lasciandola estranea persino a se stessa. Speravano che Ellis ricordasse qualcosa durante la quarantena, ma le speranza si affievolivano ogni giorno che passava: nella testa di Ellis, sotto la voce ricordi, non affiorava niente. Tutto questo non sarebbe dovuto trapelare ai Frati dell’Ordine Medico, avevano concordato Haiduc e Nicolai: se avessero saputo del vuoto che divorava Ellis come avrebbero reagito? Avrebbero forse pensato che Ellis mentisse, che magari nascondesse qualcosa…quindi, con la complicità di lei, dissero che la ragazza, dopo un momento di smarrimento dovuto allo shock per quanto accadutole, aveva ricordato frammenti della sua vita passata: la sua casa era oltre le Terre Sudali, luoghi ancora inesplorati; era stata sorpresa dalla stessa tempesta che aveva investito Winscott, credendo di morire mentre il forte vento la sollevava da terra. L’ultimo ricordo era l’immagine del suo villaggio distrutto mentre il primo era quello della tenda in cui si era svegliata dopo dieci giorni di agonia. Quella bugia venne propinata più e più volte nel corso delle visite, ma quanto sarebbe durata? Prima o poi, Ellis avrebbe dovuto spiegare la sua situazione o inventarsi qualcosa di nuovo.

In ogni caso, a qualcosa le visite mediche erano servite: i Frati avevano prescritto una dieta di frutta, carne e pane, che unita a grandi dosi di Cha grigio( un tonico tipico di Winscott, ricostituente ed energizzante )e ad un riposo praticamente assoluto avrebbe risolto il problema della debolezza fisica di Ellis. Quindi, la ragazza caduta dal cielo passava le sue giornate nella tenda, stesa su soffici tappeti, adagiata su cuscini multicolori con innanzi a sé un tavolino basso su cui una teiera per il Cha era sempre pronta. I medici le avevano anche predisposto una donna, Kie, che sarebbe venuta da Winscott tutte le mattine per lavarla, vestirla e pettinarla come si confaceva ad una Madonna di tutto rispetto: i lunghi capelli venivano acconciati un giorno in trecce corpose e l’altro lasciati sciolti, meravigliosi nel loro biondo ondulato, mentre il corpo veniva coperto da abiti di mussola bianca o azzurro cielo, abiti di campagna, abiti comodi per la vita di assoluto riposo della Stella Rinata. Haiduc e Nicolai ricevettero dalle Loro Maestà in persona l’incarico di proteggere Ellis e di educarla agli usi e costumi di Winscott, così che al termine della quarantena ella potesse far loro visita. Con un editto reale, essi vennero insigniti del ruolo di Guardiani della Stella: le sarebbero stati sempre accanto, giorno e notte, pronti a proteggerla con la vita, se necessario.

 

Ellis aveva sorriso a quel titolo pomposo, dicendo che per lei Haiduc e Nicolai era ben altro che semplici Guardiani: erano i suoi unici amici in quel mondo sconosciuto. << Di voi sento che posso fidarmi. >> Gli aveva detto una sera. << E anche senza titolo avreste dato la vita per me. Come io per voi, d’altro canto. >> .Haiduc e Nicolai avevano annuito, seri, sorseggiando Cha e mangiando frutta secca. Non era un compito difficile, il loro, anzi: sembrava quasi di essere in vacanza, lontano dalla vita di corte con la sua rigidità e i suoi rituali… l’unico servizio a cui dovevano sottoporsi era quello di andare a Palazzo una volta ogni cinque giorni, per fare rapporto al Re sulla quarantena. In particolar modo la Regina Marghery, così caritatevole e buona, chiedeva sempre dello stato di salute della giovane ed aveva espresso il desiderio di prendere Ellis sotto la sua ala, elevandola al rango di Dama, una volta che ella fosse uscita dalla quarantena. La cosa aveva ovviamente riscontrato la benevolenza del Re e della Corte, come sempre ben disposta davanti a queste opere caritatevoli.  

Quella volta, ad udienza finita, Haiduc era tornato alla tenda  mentre Nicolai era rimasto in città per andare da un mercante di sete di sua conoscenza: voleva far confezionare un vestito ad Ellis per la sua venuta a Palazzo, ed Haiduc aveva affidato a lui anche la scelta degli accessori. Nicolai sarebbe rimasto via a lungo, aveva pensato l’Albeis, dirigendosi verso la tenda con calma, sottilmente soddisfatto dalla prospettiva di restare da solo con Ellis. Quando era entrato, l’aveva trovata al centro della tenda inondata di luce, seduta sul suo sgabello da toeletta, davanti al grande specchio incastrato nel paravento, concentrata a sciogliersi la treccia tripla in cui Kie aveva ingabbiato i suoi splendidi capelli. Ellis si sorprese nel vederlo arrivare e gli rivolse un silenzioso sorriso di benvenuto dallo specchio. Haiduc pensò che era semplicemente deliziosa: per lavorare bene, aveva portato la treccia sul davanti, lasciando così scoperta la nuca candida. Una volta che Haiduc ebbe finito di raccontarle dell’udienza, Ellis rise di gusto. << La Regina mi vuole davvero come Dama? Sul serio? >>  Era colma di stupore, mentre cercava di districare il disastro che Kie aveva combinato quella mattina: questa volta le aveva annodato così saldamente i capelli da renderle la nuca dolorante già nel primo pomeriggio. Guardò il riflesso dell’Albeis e sorrise. << Stamattina Kie era nervosa… ha fatto una treccia così stretta che non riesco nemmeno a scioglierla… >> sbuffò guardandosi allo specchio. << Che disastro… >> Aveva sul viso un’espressione concentrata e seria che fece sorridere Haiduc. Senza nemmeno accorgersene, le fu accanto. << Mi permetti di aiutarti? >> le chiese con estremo garbo. Senza attendere risposta, le prese le ciocche annodate dalle mani e se le portò in un palmo, mentre con l’altra mano prendeva un pettine d’osso dai denti fini. Se Kie aveva fatto un disastro con in capelli, aveva avuto buon gusto in fatto di abbigliamento: Ellis vestiva un abito azzurro con maniche corte a palloncino, stretto sotto al seno da un nastro zafferano, con lo scollo rotondo ornato di pizzo dello stesso colore del nastro. L’abito le lasciava scoperte le gambe dal ginocchio in giù, mentre i piedi scalzi erano accarezzati dal tappeto di seta. Era bellissima. Guardando il riflesso di Ellis nello specchio, Haiduc la trovò lievemente inquieta. << Non devi sentirti a disagio >>, l’ammonì l’Albeis mentre la pettinava con delicatezza per non farle male. << Non con me o Nicolai. Siamo i tuoi custodi, oltre che tuoi amici… >> Ellis annuì e cercò di sorridere, ma quella sensazione rimase. << Desideri che smetta? >> Le chiese allora l’Albeis, ma Ellis scosse il capo, cercando di assumere una posa più spigliata e cercando di scacciare quella vena sottile di inquietudine che l’attraversava. Dopo un attimo di silenzio, Haiduc decise da cambiare argomento. << Perché ti stupisci che la Regina voglia conoscerti ed averti a fianco? >> le chiese per distrarla, << Sei la Stella Rinata, la Ragazza caduta dal Cielo: tutta Winscott vuole conoscerti. >>

Ellis annuì, lasciandosi poi andare ad un pesante sospiro ed abbassando lo sguardo. << E se io non volessi conoscere Winscott? >> Mormorò, incrociando gli occhi col riflesso di Haiduc. Inavvertitamente, l’Albeis le sfiorò la nuca,  facendole accapponare la pelle delle braccia nude. << Perché dici così? >>, le chiese Haiduc, lasciando perdere i capelli e fissandola, perplesso. Davanti a quegli occhi, Ellis si sentì costretta a vuotare il sacco. << Da quanto è che sono qui, Haiduc? >> sussurrò, << Una decina di giorni, senza contare la decina in cui ero agonizzante… >> La voce le uscì in un sussurro debole, ma più dura di quanto avrebbe desiderato. << Ebbene, cos’è successo in questo lasso di tempo? >>

<< Hai recuperato le forze >>, elencò prontamente l’Albeis, tornando a pettinarla, << Hai mangiato, hai dormito, ti sei rimessa in sesto… abbiamo parlato tanto. >> Continuò a guardarla, serio, cercando di arrivare al nocciolo senza essere duro. << E’ da poco che sei qui, Ellis, non puoi pretendere di ricordati una vita intera in pochi giorni, non dopo quello che ti è successo. >> Avrebbe voluto finire la discussione così ma, vedendo il viso della ragazzina rabbuiarsi, fu costretto a chiedere. << Cosa c’è che non va, dimmelo. >>

Ad Ellis tremarono appena le labbra. << Non so…assolutamente niente! >> Sbottò, lasciando che la voce si rompesse in più punti, << Niente di niente, Haiduc. Non so da dove vengo, non so come sono guarita, non so come sono sopravvissuta… non ricordo la mia famiglia, non so nemmeno se ho una famiglia, non so nemmeno chi sono! >> Scosse il capo con aria sconsolata. << Come posso affrontare Winscott in una tale situazione, me lo dici? Come faccio a fare finta di star bene quando non so nemmeno come mi chiamo? >> Si girò sullo sgabello. Incrociò gli occhi di lui per fargli capire il tormento che si annidava in lei. Si stropicciò le mani, nervosa. << Lo capisci quello che sento? Lo comprendi? >>

Sanza alcun preavviso, Haiduc le posò la mano libera sulla guancia, sorprendendola con quel tocco gelido- Haiduc era sempre più freddo di Nicolai, come un diamante… L’Albeis la fissava quasi con rimprovero, ma negli occhi di rubino erano ben visibile la tristezza e la solitudine di una vita intera. << Si, capisco quello che dici. >> Le disse con fare calmo, sommesso. << Più o meno, ho provato esattamente quello che provi tu adesso. >> Ellis lo guardò con occhi nuovi. Prima che potesse ribattere, Haiduc continuò. << Essere lontano da coloro che ami, non avere più qualcosa in cui identificarti perché quel qualcosa è morto e divorato dai pesci, essere così solo e alienato da faticare a sentire la voce di te stesso, fino ad abortire te stesso e il tuo sangue, e intanto continuare a chiederti: perché proprio a me…>>  La bocca divenne una linea dura nel diamante del suo viso. << Almeno, tu hai il beneficio del dubbio: non sai se sei l’ultima della tua stirpe o della tua intera razza, la tua amnesia è involontaria e credimi, c’è una grande differenza fra questo tipo di amnesia e quella che colpì me… ringrazia Dio di avere questo dono, Ellis, perché la tua confusione diverrebbe disperazione se fossi nei miei panni. >>

Dopo un lungo attimo di silenzio, Ellis non riuscì più a resistere. << Allora… >> mormorò esitante, come se stesse per svelare un grande mistero. Si protese verso Haiduc, inarcando un sopracciglio perplesso, una luce di speranza negli occhi. << Allora, tu sei come…me? >>

Haiduc stava per aprire bocca quando un pensiero l’investì: Ellis non si ricordava di essere entrata nel suo sogno, la mattina in cui si era svegliata, dunque non ricordava della fine di Albeisine. Questa cosa lo lasciò perplesso e in bilico fra due decisioni: raccontarle tutto o tacere? Pochi conoscevano la sua storia per intero… valeva la pena raccontarle l’orrore che aveva patito, farle rivivere il suo incubo personale? Se solo avesse potuto vedere… e lì gli venne l’intuizione.

<< Alzati >> , le ordinò poggiando il pettine sul tavolino da toeletta. Ellis obbedì, confusa, e si trovò in piedi davanti a lui. Si accorse solo allora di arrivargli a malapena allo sterno. Lo guardò dal basso con occhi interrogativi, chiedendosi cosa fosse accaduto ad Haiduc. In un moto di inquietudine, si chiese che fine avesse fatto Nicolai.

<< Abbracciami. >> Disse semplicemente il suo custode. Quell’unico verbo la lasciò spiazzata. Sgranò gli occhi, mentre il viso le prendeva fuoco per l’imbarazzo. << Cosa? >> pigolò, ma Haiduc fece un gesto sbrigativo con la mano. << Non importa, non possiamo perdere tempo, non ora… >> mormorò concitato, azzerando le distanze e stringendole la vita con le braccia possenti. La fece poggiare sul suo petto, baciandole i capelli profumati. << Voglio che mi abbracci e voglio che ti concentri, è di vitale importanza che tu lo faccia… >> Ellis appoggiò con cautela la guancia al suo petto, ascoltando il battito del cuore di lui accelerare. Non pensava che fosse così essere abbracciate da un uomo… << Non devi avere paura >>, la tranquillizzò lui, << Non voglio farti niente di male. >>  Ellis alzò le braccia e le allacciò al collo taurino di Haiduc, alzando il viso e trovando a poca distanza quello di lui. Quando lo vide così vicino, non poté fare a meno di sentire lo stomaco sciogliersi: cos’era quella sensazione calda? Senza accorgersene, gli stava fissando le labbra: non pensava che fossero così pallide anche da vicino… Stava per succedere qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa. Una strana carica si stava creando tra i due e la scintilla scattò quando Haiduc inchiodò gli occhi rossi nelle iridi color grano di lei. << Ascoltami attentamente >>, le disse in un sussurro, così vicino che Ellis poteva l’odore mentolato del tabacco, << Guarda in me. L’hai già fatto, anche se non lo sai. E’ ora di farlo di nuovo. >> Haiduc poggiò la fronte a quella di Ellis, così calda in confronto alla sua da sembrare bollente, e vide la sua espressione passare da preoccupata a languida. Cosa si aspettava? Si chiese Haiduc, improvvisamente conscio di essere in una posizione imbarazzante: forse, Ellis si aspettava di essere baciata... ma da lui? Seriamente?  << Non avere paura >> le disse ancora, accarezzandole le guance tinte d’imbarazzo. << Non di questo, non di me… >>

Ellis annuì con occhi scintillanti, aspettando qualcosa. Haiduc  chiuse un attimo gli occhi per concentrarsi. Poi, li spalancò e li fissò nuovamente in quelli di Ellis, lasciando che lei si perdesse nelle sue pupille rosse. Non era sua intenzione farle paura, ma aveva assolutamente bisogno di capire… l’aveva vista nel suo sogno, quella volta, e adesso voleva sapere se lei era capace di entrare volontariamente in lui. Se ce la faceva, forse avevano una pista.

Dapprima, Ellis non vide niente, solo gli occhi di Haiduc resi enormi dalla vicinanza. La imbarazza e disorientava questo suo fissarla, ma lui le aveva chiesto di non avere paura e lei sarebbe stata forte per lui. Lo fissava negli occhi, incapace di credere di essersi finalmente liberata da quel peso che da oltre una settimana le opprimeva il cuore. Lo sapeva che avrebbe fatto bene a parlarne con entrambi, eppure ci era riuscita solo con Haiduc. Con Nicolai aveva uno splendido rapporto, molto simile a quello con l’Albeis, ma col biondo qualcosa mancava, qualcosa che invece con Haiduc c’era, e molto anche. Complicità?  Si chiese, mentre si perdeva nel mare rosso dei ricordi di Haiduc…

…un mare nero, per l’esattezza, che si abbatteva su una spiaggia bianca coperta di detriti sotto ad un cielo carico di nubi. Guardò con maggiore attenzione, muovendo gli occhi a destra e a sinistra, cogliendo fulmini in mare e un vento così forte da spazzare la cresta delle onde che si abbattevano sul bagna asciuga con rombi tonanti. Ellis fece qualche passo, inciampando in qualcosa di morbido. Abbassò il capo e si gelò dall’orrore: un cadavere giaceva a faccia in giù sulla sabbia, ancora lambito dalle onde. Ellis cercò di spostarsi dal corpo morto, ma inciampò ancora, stavolta in un braccio, poi in una gamba e infine nel torso decapitato di un bambino, finendo così col sedere nella sabbia, schiacciando i corpi morti di una moltitudine di pesci. Avrebbe voluto gridare, sentiva che spalancava la bocca e prendeva fiato, ma nessuna voce le usciva dalla gola anche se l’orrore era insopportabile: cadaveri. Cadaveri dappertutto, su quella spiaggia. Cadaveri umani e pesci  a non finire, su quella dannata spiaggia. Un movimento la colse di sorpresa, facendola scattare in piedi e distogliendola dalla carneficina. Distante qualche metro, c’era qualcuno di vivo: era in piedi, nudo, le spalle curvate e le braccia abbandonate lungo i fianchi. Fissava i resti ai suoi piedi con fare assente. Ellis si avvicinò, riconoscendo nei tratti del giovane qualcuno: pelle bianca come il latte, occhi come rubini. Si stupì di vedere Haiduc in una versione più giovane e decisamente più spaventata: piccolo ed emaciato, questo Haiduc aveva il naso sporco di muco. Fissava qualcosa ed Ellis seguì il suo sguardo, incrociando gli occhi rossi semi aperti di un testa mezza staccata dal suo cadavere. Ancora, Ellis spalancò la bocca in un urlo muto, ma Haiduc non si accorse di niente, come se lei non ci fosse. Aveva le mani chiuse a pugno, nervose e cattive. Senza che Ellis se l’aspettasse, Haiduc calciò con forza la testa morta, staccandola e facendola rotolare di qualche metro sulla spiaggia, mettendola in balia delle onde. Il ragazzo iniziò a gridare forte, ed Ellis poté sentire il grido di un bambino ferito trasformarsi in un urlo bestiale, disumano. Voleva farlo smettere, aiutarlo in tutto quel dolore: gli si avvicinò per sfiorarlo e il giovane Haiduc si voltò verso di lei, guardandola con occhi così stravolti da sembrare quelli di una bestia al macello. << Hai visto?! >> le gridò, prendendola per le spalle e scuotendola come una bambola di pezza, facendola gridare di paura. << Anche io come te! Anche io come te! ANCHEIOCOME

 

 

TE!ANCHEIOCOMETE!ANCHEIOCOMETE!ANCHEIOCOMETEEEEEEEE!!!! >> La voce di Ellis adesso era così acuta da ferirle l’ugola. Sono tornata?, si domandò inconsciamente, ma era troppo spaventata per pensare. La furia dell’Albeis, adesso adulto, adesso vestito, ma con gli stessi occhi del ragazzo spaventato del ricordo era assoluta e spaventosa: Haiduc la scuoteva come se fosse stata una bambola di pezza, le sue unghie conficcate nella polpa delle spalle erano una sensazione troppo dolorosa per non farle fiutare il pericolo che la furia si trasformasse in altro. << Smettila! Smettila! Ho detto SMETTILA HAIDUC!! >> Gridava Ellis, terrorizzata, la voce acutissima mentre tempestava di pugni il petto dell’Albeis impazzito, inutilmente: Haiduc sembrava non sentire niente, continuava ad arpionarle le spalle e a scuoterla , ripetendo quella cantilena che era diventata l’inno della loro somiglianza in un urlo sempre più disperato.

<< iocometeiocometeiocometeiocometeiocomeIOCOMETEIOCOMETECOMTECOMTECOMETE!! >>

Ci volle l’intervento precipitoso di Nicolai per fermali entrambi. Aveva sentito urlare ancora alle porte della città ed era corso come un pazzo sotto il cielo estivo per soccorrere i due. Si aspettava di tutto, tranne quello: Haiduc piegato su Ellis, le mani enormi sul corpo della ragazzina, il modo in cui la scuoteva…le urla terrorizzate di lei e quelle disumane di lui. Si era messo fra loro, spingendo Haiduc lontano da lei con un sonoro cazzotto sulla mascella dell’amico. Senza farlo apposta, il colpo lo fece barcollare all’indietro e senza volerlo Haiduc si trovò lo sgabello da toeletta di Ellis in mezzo ai piedi. Perdendo l’equilibrio, Haiduc cadde a terra e sbatté la testa  contro la gamba del tavolino basso. L’urto fece cadere le tazze e la teiera di Cha, sparpagliando liquido grigio sul tappeto.  La voce dell’Albeis si mozzò solo allora, lasciandolo muto, mentre il suono dei singhiozzi di Ellis riempiva la stanza.  Conscio di quello che aveva fatto, Haiduc si mise a sedere e fissò imbambolato Nicolai ed Ellis, lei scarmigliata e scomposta, singhiozzante e terrorizzata, lui sconvolto e all’erta, un braccio attorno alle spalle di Ellis e l’altro posato sull’elsa della spada. Gli occhi di Haiduc si concentrarono sui segni rossi lasciati dalle dite sulle spalle della ragazza. << Oh Dio… >> gemette, massaggiandosi la nuca ma senza trovare la forza di alzarsi. << Ellis, io… hai visto? >>

Stretta fra le braccia di Nicolai, Ellis annuì. << Ti ho visto. >> Mormorò, tremante per la tensione. Ancora spaventata, si sciolse dall’abbraccio protettivo di Nicolai per avvicinarsi con cautela ad Haiduc. << Eri giovane, su quella spiaggia coperta di cadaveri… >> ricordò la testa mozzata dal suo calcio. << Perché hai colpito quel cadavere? >>

Haiduc respirava piano, cercando di mantenere la calma: lei aveva guardato in lui… l’aveva visto calciare la testa di suo padre… un’ondata di nausea l’assalì. Credette di vomitare, ma l’Albeis riuscì a trattenersi. Guardò Nicolai, più confuso che mai. << Amico, ti devo delle spiegazioni… >> Gli disse, facendogli un cenno affinché si avvicinasse. << Ma prima devi tornare in città, a Palazzo, dal Maestro Astrologo. >> Nicolai si era inginocchiato accanto a lui. << A che pro’? >> Chiese, scettico all’idea di lasciarli soli: non sapeva cosa era successo, ma quelle urla l’avevano spaventato più di qualsiasi cosa. << Prima dovete spiegarmi cosa è successo qui >>, sentenziò, sedendo a terra  a braccia conserte. Haiduc sorrise nonostante tutto. << Abbiamo una pista, amico mio. >> Accennò alla ragazza, seduta al suo fianco. << Abbiamo davanti a noi l’unica sopravvissuta di Xeris, patria dei maghi. >>

 

 

    

 

 

Dulcis in Fundo:

Ebbene , eccomi qui. si, avete letto bene: questo è il capitolo 4! Di nuovo? Da, di nuovo. Quello prima non mi soddisfava, sono stata precipitosa come al solito, rischiando di rovinare tutto…fatto è che ho trovato un modo per finire questa storia, una simpatica scaletta. Dunque, eccomi qui a proporre un nuovo chappi per intraprendere un’altra strada- ma che faticaccia… vabbuò, alla prossima! Ciau a tutti!

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque_ pensieri ***


Capitolo cinque_  pensieri.

 

Il suo cuore aveva finalmente rallentato i battiti, la sua mente stava recuperando informazioni e lucidità eppure, tutte le volte che incrociava lo sguardo rosso di Haiduc, la bocca dello stomaco le si chiudeva in una morsa dolorosa: vedeva in quegli occhi la follia del ragazzino nella spiaggia coperta di cadaveri. Cadaveri bianchi come lui, pensò Ellis, che aveva ricominciato a districare la massa di capelli biondi, arruffati anche più di prima a causa della colluttazione con Haiduc. L’occhio biondo le cadde sui segni rossi che non accennavano a sparire sulle sue spalle, ricordandole il pericolo appena trascorso. Che quei segni le fossero da monito: mai più sarebbe interferita nel ricordo di qualcuno! Era già passata qualche ora, eppure la conversazione fra l’Albeis a Nicolai era ancora vivida nella sua testa…

<< Abbiamo davanti a noi l’unica sopravvissuta di Xeris, Nicolai. >> Aveva detto Haiduc, sorridendo nonostante il dolore pulsante alla mascella. Nicolai aveva fatto saettare gli occhi azzurri da Ellis a lui, passandosi poi le mani fra i capelli. << E come sei giunto a questo, me lo spieghi? >> Sbottò, indicando con la mano aperta le spalle di Ellis. << Per tutti gli Dei, sembravi impazzito! >>

<< Lo era davvero… >> Mormorò Ellis, portando su di sé tutta l’attenzione. Guardò Nicolai con gli occhi biondi, il viso così bianco da sembrare di gesso. << … Mi ha detto di abbracciarlo e di concentrarmi, fissando gli occhi nei miei. Io… pensavo che… >> Scosse il capo, come se avesse pensato una sciocchezza, per poi continuare. << Non so cosa sia successo, non so chi fossero tutti quei cadaveri e perché fossero tutti lì,  ma il verso che ha fatto dopo aver calciato la testa di quell’uomo- averla calciata così forte da staccarla dal suo cadavere!- era così disumano e disperato che… >> Sembrò accorgersi solo allora che Haiduc era al suo fianco. Trasalì, aspettandosi una qualche reazione dell’Albeis, ma l’unica cosa che Haiduc fece fu prenderle la mano e baciarla piano. << E lo ero, Ellis, lo ero. Credo che quello fu il momento più buio in assoluto, quel momento in cui maledissi me stesso e la mia carne e il mio sangue. Io… >>

<< Stai dicendo che ha guardato dentro di te? >> Intervenne Nicolai, chinandosi in avanti. << Questa ragazzina ha visto i tuoi ricordi? >>  Haiduc annuì all’espressione sbalordita dell’amico. Gli raccontò di cosa avevano parlato, della paura di Ellis, di come lui si fosse aperto a lei e della sua intuizione… << L’ho lasciata entrare, Nicolai, pensando che non ci fosse niente di male. E’ entrata nella mia mente e si è fermata a guardare quando ho scoperto i cadaveri della mia gente, quando ho trovato il corpo di mio padre. Erano morti, tutti. >> Nicolai gli fece un cenno affinché continuasse. La storia la conosceva già da tempo. Haiduc annuì, gli occhi lontani. << E’ andato tutto “ bene “, finché lei non si è avvicinata e mi ha toccato… una rabbia improvvisa mi ha investito. Rabbia e paura, tutta la paura che avevo dentro per essere rimasto io solo, l’unico di una razza, l’unico col peso della vita addosso. Ero come avvolto nel mio incubo, incapace di svegliarmi.  >> Alzò di scattò la testa, sogghignando. << Finché non sei arrivato e  mi hai messo al tappeto con un colpo da maestro. >> Nicolai si costrinse a sorridere. << Be, quando c’è una fanciulla in pericolo questo e altro… >>

Ellis si sorprese a sorridere, eppure il cuore le si agitava come un uccellino in gabbia. << Quindi, tutto questo è servito a qualcosa. >> Disse.  Haiduc annuì più che serio. << Abbiamo una pista. >>

<< Devi essere una maga, o qualcosa del genere. >> Commentò Nicolai, annuendo a sua volta. << Una di Xeris. >>

<< E dove è Xeris? >> Chiese Ellis, ma nessuna risposta giunse dai suoi interlocutori. << Signori? >> Pigolò, perplessa da quel silenzio. << Ditemelo, dove è Xeris? >>

Dopo un attimo di greve silenzio, Haiduc le posò una mano sulla testa, cercando di darle conforto.<< Non esiste più, Ellis. Xeris è morto. >>

 

Un nodo più caparbio degli altri la fece mugolare  di dolore, attirando l’attenzione di Haiduc. I loro occhi si incrociarono di nuovo per subito allontanarsi, imbarazzati, nel più assoluto silenzio. Da quando se ne era andato Nicolai quel silenzio aleggiava fra loro, tangibile come una barriera. Ma di cos’era fatto questo ostacolo? Paura? Senso di colpa? Vergogna?

<< Eri fuori di te dal dolore >>, sentenziò Ellis a voce alta, scacciando quella parola dalla sua mente quasi fosse arroventata. Parlò come se stesse proseguendo una conversazione. Stavolta, fu lei a cercare gli occhi di lui. << Haiudc. >> Lo chiamò. << Eri un ragazzino spaventato, è comprensibile che - >>

<< Che ti abbia stretta così forte da lasciarti degli ematomi? >> Sbottò prontamente lui, << O che ti abbia sbattuto come una bambola di pezza? No, non è comprensibile, Ellis. E nemmeno accettabile. >> Sentenziò, avviandosi verso l’uscita della tenda, il più lontano da lei. Era infastidito dall’incaponirsi della ragazza: perché semplicemente non gli dava la colpa che meritava?  << Io… non posso essere perdonato. >>

<< Certo che puoi! >> Esclamò Ellis, saltando sulla sedia per l’energia che sentì nella sua voce. Da dove veniva tutta quella forza? << E sai perché? Perché non c’è niente da perdonare, Haiduc. >>

L’Albeis non si voltò a guardarla, troppo spaventato da quello che era successo poche ore prima e dalla domanda che continuava a farsi da allora: se Nicolai non fosse intervenuto, non l’avesse allontanato da lei, cosa sarebbe accaduto? Si sarebbe fermato oppure… scacciò il pensiero dalla testa, e in quello spazio si infilò l’immagine della testa decapitata di suo padre che rotolava sui granelli di sabbia, i lunghi capelli candidi come alghe nelle onde, la bocca dischiusa da cui usciva una granchio verdastro… Ecco cosa c’è da perdonare, pensò Haiduc con amarezza, la mia intera vita è da perdonare. << Non mi voltare le spalle, Haiduc! >> Lo richiamò di nuovo Ellis, sorprendendolo: quella ragazzina si stava rivelando più tenace di quanto credesse… Lentamente, si volse per guardare quello scricciolo biondo e bianco, incrociando il suo sguardo furente. Perché è così arrabbiata?  << Ho solo bisogno di pace, adesso. Tutti e due ne abbiamo bisogno. >>  Le disse, conciliante, ma lei inaspettatamente strinse i pugni. << No, abbiamo bisogno di parlare, invece! >> Gli si avvicinò a grandi falcate, senza alcun timore. << Non ho alcuna intenzione di lasciarti sprofondare nei sensi di colpa >>, annunciò con le braccia conserte sotto il piccolo seno, mentre lui la ascoltava. Gli puntò un dito al petto. << Ascoltami bene: quello che mi ha sbatacchiata come una bambolina non eri tu, Haiduc, perché tu non mi faresti mai e poi mai del male. Quello che mi ha sbatacchiata eri tu molto tempo fa, che per non so quale motivo stava in piedi circondato da cadaveri e prendeva a calci la testa di suo padre. >> Sospirò, passandosi le mani nei capelli in un gesto stanco << Eri spaventato a morte, Haiduc, disorientato proprio come me il giorno del mio risveglio >>,  disse guardandolo da sotto le ciglia chiare. << Solo che io ho potuto piangere liberamente, circondata dalle tue braccia, e nessuno si è intrufolato nei miei ricordi. >> Gli sorrise, cercando di apparire convincente. << E poi, sono stata anch’io un’irresponsabile: interferire con l’Haiduc del passato… sono certa che se non ti avessi toccato non ti saresti nemmeno accorto di me. >> Adesso, notò Haiduc,  i suoi occhi erano calmi e la sua espressione serena. Come una bambina, Ellis aveva già superato la paura e i tumulti del suo cuore, cercando di allievare il suo dolore col balsamo della sua voce. Sei straordinaria, pensò in un improvviso moto d’affetto. Avrebbe voluto abbracciarla, ma temeva che Ellis fraintendesse e fuggisse, così cerco di sorriderle, ma il cazzotto di Nicolai gli aveva lasciato il viso mezzo indolenzito, quindi fece una smorfia. << Ti ha proprio messo al tappeto. >> Sentenziò Ellis ricordandosi solo allora della maniera con cui Nicolai l’aveva allontanato da lei. Ridacchiando, accennò al tavolino basso su cui teiera e tazze erano stati ricollocati.  << Dai, bevi con me. >>

 

Nonostante i molteplici sforzi, Ellis lo costrinse ad usare un impacco di acqua fredda sulla mascella gonfia. Si sentiva ridicolo a stare disteso su quei cuscini,  con un fazzoletto intriso di acqua ghiacciata sulla mascella,  ma tacque, soddisfatto dall’avere la testa sul grembo di Ellis e gratificato dalle occhiate che lei gli lanciava quando pensava che stesse dormendo. Erano occhiate dolci, fugaci, velate da un sorriso.   

<< … Mi ha detto di abbracciarlo e di concentrarmi, fissando gli occhi nei miei. Io… pensavo che… >> Si era interrotta a metà pensiero, eppure Haiduc aveva colto molto anche in quelle poche parole. Dio mio, pensò sconcertato, pensava davvero che l’avrei baciata. Non era mai stato un grande amante come Nicolai, eppure anche lui aveva avuto le sue conquiste: donne umane affascinate dal suo corpo diafano, romanticamente colpite dai frammenti che si sapevano sul suo passato, spudoratamente interessate a lui  per la sua amicizia con il Re. Era da tanto tempo li a Winscott e aveva visto sbocciare e sfiorire molte delle sue amanti, cosa che lo lasciava sempre lievemente amareggiato: poteva stare con una donna umana per qualche tempo, ma alla fine la relazione non poteva mai sbocciare in un vero rapporto, fatto di “ finché morte non ci separi ”: chi avrebbe passato la sua vita con un semi immortale ? Ovviamente, aveva avuto anche delle conquistatrici; era stato innamorato un paio di volte, e il sentimento non aveva fatto altro che peggiorare la situazione: aveva visto coloro che amava scivolargli dalle dita come acqua, riaprendo le cicatrici sulla morte di ogni singolo abitante di Albeisine. Era da tempo che non provava più quei sentimenti, pensò con un certo stupore, chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta in cui si era appartato con una dama maliziosa. Eppure, sentiva che con Ellis poteva essere diverso proprio perché lei era diversa: così bianca, così bionda, così… Albeis. Quell’idea l’aveva sfiorato sin da subito: Ellis sembrava un misto delle due razze, anche se Haiduc non sapeva che aspetto avessero i sangue misti, eppure sapeva che erano esisti: peccato che lui non ne avesse generato nemmeno uno. In ogni caso, che Ellis fosse o meno una della sua specie, doveva levarsi dalla testa l’idea malsana di una relazione con lei: era troppo piccola, troppo innocente per un peccatore come lui, nel fiore degli anni coi suoi due secoli di vita. E come la metteva con la sua possibile provenienza da Xeris?

Sentì una mano accarezzargli i capelli, facendogli sciogliere lo stomaco, sfumando nel bianco quei pensieri impuri: da quanto tempo nessuno lo accarezzava così? Ripensò improvvisamente alla sua bellissima madre, ancora nel fiore degli anni, che gli pettinava i capelli tutte le sere prima di andare a dormire. C’era stato un tempo in cui aveva i capelli lunghi, già

…nemmeno si ricordava la sensazione delle mani di lei nelle sue ciocche bianche e folte. Si fissò nello specchio, incrociando gli occhi sereni e concentrati di sua madre. Le sorrise, prendendole la spazzola dalle mani e alzandosi per farle posto. Sua madre, la regina, si sedette con fare elegante sullo sgabello troppo piccolo del figlio, facendo ruotare lo strascico dell’abito sul davanti con un fruscio sommesso e dolce, come il brusio lontano delle onde. << Togli il diadema, madre. >> Mormorò Haiduc bambino, toccando la consistenza morbida e serica dei capelli della donna, quelli che lui aveva ereditato. Sua madre obbedì, scuotendo la testa e reclinandola leggermente all’indietro per permettere al figlio di lavorare con maggiore agio. Haiduc la vide sorridere di piacere. Si concentrò sui lineamenti del viso: l’ovale dolce, il nasino all’insù, la bocca candida, la fronte spaziosa… e gli occhi, incredibilmente viola. << Madre, siete la donna più bella del mondo >>, disse Haiduc al colmo dell’ammirazione, sopraffatto da tanta bellezza. Sua madre si  voltò verso di lui, gli occhi scintillanti di gioia e orgoglio, e gli carezzò una guancia candida con dita lunghe e affusolate.  << Sei così dolce. Fortunata la donna che ti prenderà come sposo, figlio mio. >> Gli disse, facendolo arrossire: e chi si voleva sposare? Lui voleva fare il pescatore e si sa, loro non hanno tempo per le donne. << Non voglio una donna, madre. Mi bastate voi >>, ribadì il bambino, spazzolando con dolcezza le prime ciocche di capelli.  Sollevò ancora lo sguardo e incrociò gli occhi di un’altra persona nel riflesso dello specchio: occhi color del grano…

Haiduc si svegliò con un tremito così forte da far trasalire Ellis. Spalancò gli occhi rossi e li fissò nel soffitto della tenda, espellendo tutto il fiato che aveva in corpo in un colpo solo. << Di nuovo. >> Sussurrò lei, spaventata. Si accorse di avere ancora le mani nei capelli di lui e le ritrasse di scatto, inquieta. << E’ successo ancora, Haiduc… >> Disse piano, ancora sconvolta.  L’Albeis si sedette ed annuì piano. Non si sentiva affatto spaventato, anzi: un senso di malinconia sempre maggiore gli stava invadendo l’anima. Da quanto tempo non aveva ricordi piacevoli sul suo passato? Non si ricordava nemmeno la faccia di sua madre da viva… Mi vergogno di me stesso. << Era bella. >> Il pigolio sommesso di Ellis lo risvegliò dai suoi pensieri. << Come? >> Chiese, voltandosi verso di lei. La Stella  gli sorrise, dolce e malinconica. << Tua madre. Era bellissima. >> Haiduc soppesò le sue parole, annuendo come se fosse un dato di fatto. << Erano anni che non la ricordavo così >>, le confessò.

<< E come la ricordavi? >>

<< Cadavere. >> Perché l’ho detto? 

Ellis sgranò gli occhi, attonita e muta. << Ma cos’è accaduto? >> Chiese dopo un lungo attimo di silenzio. << Quale disgrazia si è abbattuta sulla tua gente? >>

Haiduc inspirò aria dai denti stretti, sentendo una vecchia ferita sanguinare. << E’ da circa un secolo che me lo chiedo. >> Notò Haiduc, sorridendo freddamente. << E ancora non ho risposta. >>

Dopo un attimo di silenzio, si mise a raccontare la sua storia. Le disse del caso fortuito per cui si era salvato, di come avesse assistito alla fine di Albeisine ( di cosa avesse provocato la fine della sua civiltà ) e di come avesse pensato di morire una volta che la barca si era ribaltata tra i flutti. Le disse che quanto aveva visto qualche ora prima era vero: si era svegliato dopo un indeterminato lasso di tempo, nudo, su quella spiaggia sconosciuta, coperta dai cadaveri della sua gente. Era andato inconsciamente in cerca di suo padre e l’aveva trovato. << Non so nemmeno io perché ho calciato la sua testa. >> Le disse, atono. << So solo che mi ha fatto male il collo del piede per giorni e giorni. >> Le disse di aver raccolto il cadavere di sua madre e di averla tenuta stretta per un giorno e una notte, mentre attorno a lui i granchi divoravano i resti di quelli che erano gli Albeis. Poi, erano arrivati i pescatori. Erano stati spinti dal forte tanfo di putrefazione che penetrava per chilometri e chilometri nella foresta, fino ai loro villaggi paludosi. Lo avevano trovato scottato dal sole, privo di sensi, che teneva fra le braccia il cadavere ormai rigido. Furono loro a dargli per la prima volta ospitalità. Sapevano chi era perché gli Albeis e i pescatori umani spesso commerciavano tra loro, ma decisero che era meglio non chiedere quale disgrazia si fosse abbattuta sull’intera stirpe degli Albeis. << In ogni caso, mi ero chiuso in un mutismo volontario >>, commentò. << Non volevo parlare di quanto avevo visto. Pensavo che fosse ancora tutto un sogno. Se avessi parlato, avrei confermato che era tutto vero e che erano tutti morti. >> Comunque, la gente del villaggio fu buona con lui: gli curarono le ustioni sulla pelle candida con latte di cocco e impacchi di banane e aloe, nutrendolo e cercando in qualche modo di integrarlo con loro: andava a pescare con gli umani, partecipava alle loro feste, ascoltava le loro storie, ma era sempre passivo. Per un anno non trovò voce, finché il capo del villaggio gli chiese espressamente di parlare e di dirgli ogni cosa. << Come un fiume in piena ho parlato, Ellis. >> Le disse, << Ho raccontato quello che avevo visto e che avevo patito. Io… ho pianto. Perché era tutto reale e per quanto loro mi volessero bene, io ero solo e solo resterò fino alla fine dei miei giorni. >> Ellis si avvicinò sensibilmente a lui, ma Haiduc si scostò, guardandola perplesso. << Lascia che ti abbracci. >> Lo pregò lei, senza aggiungere altro. Dopo un attimo di esitazione, Haiduc si volse verso di lei e aprì le braccia, accogliendola. Con la testa poggiata sulla sua spalla, proseguì il racconto. << Mi hanno consigliato loro di chiedere asilo a Winscott, in quanto un principe non poteva vivere tra comuni pescatori. Non chiesero nulla in cambio. >> Quando arrivò a Winscott, la notizia della fine degli Albeis era ormai acqua passata ma suscitò non poco scalpore che il rampollo della famiglia reale, il Duca di Albeisine, fosse vivo e vegeto. Il Re di allora, Scott VI, trisavolo dell’attuale Re, diede ad Haiduc asilo, accogliendolo e trattandolo con ogni riguardo. Col passare del tempo, Haiduc divenne sempre più confidente del Re, tanto che quest’ultimo gli affidò suo figlio nelle vesti di pupillo. Haiduc iniziò dunque a ricoprire un ruolo sempre più importante nella corte del Palazzo, ma cercò sempre di restare fuori da qualsiasi trama ed intrigo, fedele solo alla famiglia Scott che l’aveva accolto e fatto uno di loro. Divenne tradizione affidare i principi di casa Scott alle cure di Haiduc, che vide passare sotto la sua protezione ben tre generazioni di Re, fino a giungere a Re Scott X, il suo attuale Re. Da tempo Haiduc era stato nominato Custode del Reame e Cavaliere della Lingua,  protettore dei segreti del Re e della sua reputazione.

<< Anche Nicolai è Cavaliere della Lingua >>, constatò Ellis, << Anche lui ha i tuoi stessi doveri? >>

Haiduc annuì. << Diciamo che siamo gli unici veri pari del regno. Non riceviamo altri ordini che dal Re. Nemmeno la Regina o il Primo Ministro possono ordinarci qualcosa, se non su delega di Sua Maestà. >>  Si strinse nelle spalle. << Il mio è ovviamente un titolo onorifico, e Nicolai è diventato tale in quanto amico d’infanzia e fratello di latte del Re, nonché uomo di notevoli capacità e fedeltà incrollabile. >> Si separò dall’abbraccio di Ellis, ammonendola col dito indice. << Prima lezione: la fedeltà è il primo passo per conquistare la fiducia in una persona. Se sarai fedele, dovrai essere anche onesta: soppesa le parole e calibra i giudizi, ma di sempre quello che pensi. A tutti i costi. Capito? >>

Ellis annuì, versando il Cha tiepido in due tazze. Sorseggiarono il tonico con lentezza, in totale silenzio, mentre la canicola estiva lasciava il posto al tramonto rosso. La pelle di entrambi era tinta di un tenue arancione.

<< Dici che se sono stata capace di leggere nella tua mente, saprò farlo anche con quella di Nicolai? >> Chiese all’improvviso Ellis con voce troppo squillante per apparire naturale. Da quanto tempo sta pensando a questo? << Presumo di si, Ellis >> , le rispose, posando la tazza e allungandosi su una cuscino per prendere il piccolo astuccio di metallo e pelle in cui conservava i tabacchi e i cerini. << Se sei riuscita a guardare in me accarezzandomi i capelli, chissà cosa vedrai sfiorando i baffi di Nicolai. >>

La battuta la fece sorridere. << Già… perché pensavo che forse, se riesco a leggere in voi, posso leggere dentro di me, no? >> Eccolo, il nocciolo della questione. Ellis lo guardò intensamente e ad Haiduc i suoi occhi sembrarono paurosamente simili ai suoi, alterati dalla luce del tramonto. << Perché no? >> Ribadì, alzandosi per uscire a fumare. << In fondo, se vieni da Xeris, hai una potenzialità a noi sconosciuta. Dobbiamo solo capire come fare a “ risvegliare ” questa potenzialità sopita. >> Le fece l’occhiolino, una sigaretta in bocca e un cerino nell’altra mano. << Assieme ce la faremo, vedrai. >>

Ellis annuì ancora, alzandosi a sua volta per uscire. Fuori, l’aria era calda e ferma. La Stella calcò i piedi nudi sulla terra polverosa, restando nell’ombra della tenda, mentre le mura di Winscott si tingevano di rosso arancio e rosa per salutare la giornata appena passata. << E Xeris? >> Chiese alla fine Ellis, fissandosi le punte dei piedi bianche di polvere.

Haiduc espirò una prima boccata di fumo mentolato, guardano un punto distante sulle mura. Crollò il capo. << Era inevitabile che tu volessi sapere. >> Mormorò. << Ma vorrei che ci fosse anche Nicolai, per spiegarti con esattezza la situazione. >>

Ellis annuì. Non aveva fretta di conoscere se stessa: una strana inquietudine le attanagliava le viscere ogni volta che pensava a chi davvero fosse lei, forse perché sentiva che il ruolo di Stella Rinata le calzava a pennello, quasi le fosse cucito addosso. Forse dovrei smetterla di farmi tante domande, pensò, forse dovrei essere solo Ellis e dimenticarmi di essere un’altra- forse.  Guardò di sottecchi Haiduc stiracchiarsi e aspirare dalla sigaretta   una boccata profonda, immerso nella luce oltre l’ombra proiettata dalla tenda, poco lontano da lei. Dovrei vivere questa vita accanto a loro, beneficiare del dubbbio, non farmi domande. Sarebbe troppo infantile cogliere questo dono senza indagare chi me l’ha fatto?

In quel momento, dalla porta secondaria della Città uscì Nicolai, seguito dal suo cavallo. Portava appese alla sella due grosse bisacce dall’aria decisamente pesante. Si sbracciava per farsi vedere. << Oh Dio… >> Gemette Haiduc, le mani sui fianchi, mentre Ellis si avvicinava. << Credo che quello sia tutto ciò che riguarda la tua patria. >> Le circondò le spalle con un braccio, sorridendole con aria accattivante. << Sei pronta per imparare a leggere? >>                

    

 

D.I.F.

Ebbene, aggiornamento lampo. In verità, è che sono in panchina. In tutti i sensi: ho terminato l’Accademia e sono disoccupata. Quindi, saltellando da una mail a un’altra, eviscerando Informagiovani e annunci economici, eccomi qua. Adesso, ho DAVVERO tutto il tempo che voglio per scrivere e disegnare comediocomanda ( che bella parola, che dolce suono! ) e in più è tornata anche la verve scribacchina, quindi sono ultraipermegasuper a bot ( che, per chi non è della Bassa Bresciana, significa “ sotto col lavoro”) con tutto!

Ah, ovviamente ho fatto anche la tesi… embè, di te se è poco!!! Mah, dai, adesso basta. Vorrei sapere che ne pensate, che i vostri consigli/critiche sono la sferza quotidiana! Non volete darmi questa soddisfazione?

Besitos, Nini :D

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Capitolo 6
*** Capitolo sei_Ophale ***


Capitolo sei_ Ophale.

In verità, quella notte nessuno toccò i manoscritti che Nicolai aveva portato dalla città. Tutti erano decisamente provati dalle fatiche della giornata. Ellis dormì finché la luce non rese troppo chiara l’atmosfera della tenda, ferendole gli occhi. Si mise a sedere fra le lenzuola del basso letto da campo, chinandosi per sbirciare dietro il paravento i letti dei suoi custodi: Haiduc dormiva supino, le braccia incrociate sul petto, sereno, ma il letto di Nicolai era vuoto. Senza far rumore, Ellis si alzò, coprendo la camicia da notte fluttuante con uno scialle multicolore, ed uscì dalla tenda.

Il sole era ancora basso sull’orizzonte dell’alba, eppure faceva già caldo. Nicolai sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi come un gatto. Meno male che volevo stare sveglio tutta la notte per leggere… un formicolio alla nuca lo fece girare in direzione della tenda: Ellis, avvolta nello scialle che le aveva regalato qualche giorno prima, camminava verso di lui.

<< Buongiorno principessa >>, la salutò Nicolai, inchinandosi buffamente nella sua direzione. << Dormito bene? >> Ellis rise piano, facendo a sua volta un goffo inchino maschile, e sorridendo raggiante verso di lui. << Divinamente. E tu? >> Gli chiese, schermandosi gli occhi dal sole e guardano la Piana di Winscott tingersi di rosa e bianco. Era una pianura larga e piatta, quella che si estendeva davanti alla città. Si estendeva fino alle foreste di mangrovie e paludi in cui Haiduc aveva vissuto per circa un anno assieme ai pescatori, per poi lasciare il posto al mare sconfinato noto come Oceanus, o Oceano. Ma in quel momento, Ellis non poteva vedere altro che una grande tavola di terra candida e già rovente, che si estendeva a perdita d’occhio, tinta dei colori dell’alba. << Che spettacolo stupendo >>, constatò lei con un sospiro. Nicolai annuì, incrociando le braccia sulla camicia sbottonata. << Winscott e la sua Piana sono noti per le albe spettacolari e i tramonti memorabili. >> Le disse, inspirando aria tiepida. All’improvviso, lo travolse l’orgoglio di appartenere a quel popolo. Che terra meravigliosa che è questa, pensò, lasciandosi trasportare dai ricordi a casa, nelle Coorti interne, a Langued’Och.  La terra fertile e scura, i vigneti prosperosi sulle colline simili a seni sensuali, la gente cordiale, il castello tozzo e protettivo, con i suoi servi, e una brocca di vino speziato sempre pronta in foresteria… << Lo sai, vero, che dovrò fare a te la stessa cosa che ho fatto ad Haiduc? >>

Le parole di Ellis spezzarono il filo delle immagini, facendo ripiombare Nicolai al suo fianco, lontano anni e leghe dalla sua terra natia. Schiarendosi la gola annuì, serio. << Certo che lo so. >> Disse, voltandosi verso di lei. << Anzi: dovrai fare questo e ben altro, se vorrai capire la portata delle tue capacità. >> Lei assunse un’aria perplessa.<< Ben altro? >> Lui si strinse nelle spalle. << Immagino che i tuoi poteri vadano oltre che leggere il ricordo delle persone, sai? >> Sorrise alla sua espressione stupita. << Ci sarà stato un motivo per cui gli abitanti di Xeris hanno dominato le Terre di Narba, nei Tempi Antichi. Non credi? >> Ellis lo fissò con gli occhi sgranati. << … dominammo qui? >>

Nicolai ridacchiò, ricordandosi che Ellis nulla sapeva delle leggende del suo mondo. << Be, ormai è passato così tanto tempo che verità e leggenda si sovrappongono. E’ quasi impossibile distinguere ciò che è reale dalla pura invenzione fantasiosa. >> Le fece l’occhiolino. << Quando nelle Terre di Narba i miei antenati vestivano ancora col perizoma c’era, aldilà dell’Oceanus, una civiltà che vestiva di oro e metallo ed usava una forma di energia a noi sconosciuta, così potente che era in grado da far librare navi nel cielo e illuminare a giorno la notte. Quella, bellezza, era Xeris. >> Fece una pausa ad effetto, godendosi l’espressione rapita sul viso di Ellis. << Nessuno sa come fecero ad ottenere un simile grado di coscienza e civiltà, ma una leggenda narra che quel potere venne dal cielo, proprio come te. >> Ellis annuì in silenzio, invitandolo con lo sguardo a continuare. << … in un turbine di fulmini, la Forma si fece spazio in loro, infondendo in ognuno di essi la coscienza necessaria per sopravvivere e comprendere quanto gli era stato donato. >> Recitò Nicolai con voce impostata. << Vedi, quanto ho appena citato è un piccolo verso di ciò che i cantastorie narrano nelle fiere di paese, di luogo in luogo, di anno in anno, invariatamente: La Canzone di Xeris. E’ così da sempre e così per sempre sarà. >> Ellis annuì, pensierosa. << Comprendere, hai detto? >>

<< Si, comprendere quanto gli era stato donato dalla Forma. >> Ellis annuì ancora, l’indice sulle labbra segno di concentrazione massima. << Ma cos’è la Forma? >>

<< Sapevo che l’avresti chiesto. >> Nicolai ridacchiò. << Tutti i bambini che sentono la Canzone per la prima volta lo chiedono. Comunque, nessuno conosce il vero senso della Forma di cui canta la canzone. Si sa solo che essa entrò negli abitanti di Xeris, infondendo in loro poteri e capacità e dando anche ad essi la forza di comprenderli e ricordati, cara, che quando capisci una cosa la sai anche dominare. >> Ellis annuì. <<  Gli diede il potere. >> Concluse, facendo sorridere Nicolai di soddisfazione. La Stella è sveglia, gli Dei siano lodati… << Esatto, Ellis, vedo che hai capito. >> Fece una pausa ad effetto, puntando gli occhi azzurri sul cielo sgombro e accecante. << Ebbene, essi usarono il potere della Forma per accrescere i loro domini. Giunsero dal cielo cavalcando navi volanti, indistruttibili come il diamante e luccicanti come l’oro, e mossero guerra ai miei antenati proprio qui, su questa piana. >> Nicolai si chinò, prendendo fra le mani una manciata di terra candida e mostrandola ad Ellis. << Vedi? Questa terra ora è bianca, ma nelle Cronache e nella canzone si narra che rimase rossa di sangue per ben un secolo, tante le vite che erano state spezzate nel corso della Battaglia della Piana. >>

Ellis annuì, prendendo fra i polpastrelli un po’ di polvere. Rossa di sangue… rabbrividì dall’orrore. << E come andò a finire? >> Nicolai si strinse nelle spalle. << Come poteva finire? I nostri antenati usavano ancora pietre e legno, mentre quelli avevano dalla loro il potere della Forma e gli Dei sanno quali capacità, non ne parlano nemmeno i cantastorie e le Cronache. Divenimmo i loro schiavi, più simili a bestie che a uomini, ecco come andò a finire. >> Sospirò. << I maghi, nome con cui gli abitanti di Narba chiamavano i dominatori, regnarono per molti anni, secoli, usando le Terre di Narba come granaio e recinto sacrificale. >>

<< Recinto sacrificale? >> A quella parola misteriosa e inquietante, Ellis tremò. << Che significa? >> Nicolai scosse il capo e le sistemò affettuosamente lo scialle sulle spalle minute, alzando poi un dito al cielo per sottolineare il rintocco di una campana, proveniente dal recinto delle mura cittadine. << Hai sentito? Le porte stanno per essere aperte e Kie  sarà qui tra pochi istanti … Non è il momento opportuno per parlare di queste cose, Ellis. >> La prese per mano, accennandole alla tenda. << Oggi pomeriggio, dopo la visita quotidiana, da soli con Haiduc, continueremo con questo discorso. Intesi? >>

Ellis annuì, camminando mano nella mano con lui verso la tenda. << Intesi, Nicolai. >>

<< E non una parola di tutta questa storia con i Frati dell’ordine o con Kie. >> Si portò un dito alle labbra, sottolineando la segretezza delle loro dichiarazioni. << Proprio come i fatti di ieri, deve restare tutto segreto. Nessuno sa come potrebbero reagire se sapessero che probabilmente sei una maga… E se il Maestro Astrologo ti chiede qualcosa riguardo i libri, digli che vogliamo iniziarti alla cultura delle Terre di Narba. >> Lei inarcò un sopracciglio, scettica, dondolando le mani intrecciate al ritmo della camminata. << Pensi che ci crederà? Il Maestro Astrologo mi sembra più sveglio degli altri… >> Nicolai proruppe in una sonora risata, facendola sorridere. << No, anche secondo me non ci crederà, ma è la stessa cosa che dissi ieri per accedere alla biblioteca reale, ed è una scusa più che plausibile, quindi usala, e cerca di essere convincente. >> Si lisciò i baffi con cura. << Ecco una lezione per te, piccola: usa la menzogna con cautela, ma non temere di usarla. Se mischiata ad un po’ di verità, è meglio della verità stessa. >> Ellis si strinse nelle spalle. << Non mi sembra una lezione molto “ pulita”, Nicolai, ma vedrò di apprenderla e usarla con cura. >> Lui annuì, mentre dalla tenda sbucava Haiduc con aria assonnata.

<< Buongiorno. >> Li salutò con voce bassa quando furono vicini, restando all’ombra della tenda. Ellis gli sorrise, ricambiando il saluto. << Dormito bene? >> Haiduc sbadigliò sonoramente, la mano davanti alla bocca. Fece scorrere gli occhi piccoli di sonno da lei a Nicolai. << Di cosa stavate confabulando? >>

Il biondo si strinse nelle spalle. << La Stella era curiosa di conoscere qualcosa in più su Xeris, fratello. Le ho raccontato qualcosa, ma siamo stati interrotti dalla campana del mattino. >> Ellis annuì. << Abbiamo interrotto il discorso per riprenderlo oggi, quando non ci sarà altra interruzione se non la notte stellata. >> Haiduc annuì. Quindi, abbiamo una pista… finalmente, possiamo iniziare. 

Nel frattempo, Kie usciva dalle mura e li salutava col braccio alzato.

 

Fecero colazione mentre Kie preparava la tinozza per Ellis, borbottando riguardo la situazione disastrosa dei capelli della Stella: infatti, dal pomeriggio prima, Ellis non li aveva più toccati e si era svegliata quella mattina con, al posto delle fluenti ciocche bionde, un cespuglio di nodi dolorosi da sciogliere. << Che questo vi sia di lezione! >> La sgridò la buona donna, una ragazzona sulla trentina che aspettava il secondo figlio. Aveva mani leste e delicate, Kie, ma in quanto alla lingua era senza freni. Le agitò un dito sotto al naso, mentre Ellis arrossiva di imbarazzo. << Ma Kie, mi faceva davvero male… >> La donna versò acqua fresca nella tinozza, fulminandola. << E dovevate ridurvi i capelli in questo stato? Sentirete che male a districare quei rovi, signorina! >> Sbraitò, ma rendendosi conto di aver esagerato, le carezzò le guance con delicatezza. << Sono stata brusca con voi, dovete scusarmi. Ma vedervi rovinare una simile bellezza mi manda in bestia, ecco! >> L’aiutò a spogliarsi, nascosta dal paravento, e ad entrare nella tinozza. Ci volle parecchio tempo prima che i capelli di Ellis tornassero alla consueta lucentezza, ma infine ce la fecero: le biondissime ciocche le arrivavano fino ai reni, ancora umide di acqua, mentre una tunica senza maniche color zafferano le cadeva dolcemente sulle forme acerbe. Indossate le scarpette di tela che Kie le aveva portato quel giorno, Ellis uscì dalla tenda, ricevendo complimenti da entrambi i suoi Guardiani, che avevano sistemato una stuoia e un tavolino all’ombra della tenda per aspettarla comodamente. Dopo poco, arrivarono i medici, che la visitarono con la solita accuratezza e confermarono i suoi progressivi miglioramenti. Mastro Wulfric fu ovviamente l’unico ad accorgersi dei libri, impilati in un angolo della tenda. << Vi interessate del nostro popolo? >> Chiese, prendendo fra le mani un volume manoscritto dall’aria antica. << Geografia e storia di Narba, eh? Interessante… >> Ellis, annuì, nascondendo il nervosismo con un sorriso affettuoso. << Come posso entrare a far parte del vostro mondo se nulla so di voi e della vostra storia? >> I Frati commentarono positivamente l’interessamento della ragazza per il mondo di cui era ospite e anche il Maestro Astrologo acconsentì, ma un’occhiata furtiva prima di dileguarsi fece credere ad Ellis che sapesse molto più di quanto lasciasse a intendere… rabbrividì, pensando di essere scoperta.

 

Un piacevole vento si era alzato nel primo pomeriggio, quindi decisero di iniziare le “ lezioni “ all’aria aperta. Ellis si mise seduta con i talloni sotto al sedere, ben eretta, aspettando che Haiduc e Nicolai portassero fuori una decina di libri a testa. Si trovava all’ombra della tenda, seduta davanti al tavolino basso e circondata di cuscini. Era semplicemente entusiasta: era dal discorso di quella mattina che aspettava quel momento e , anche se lo sapeva che la loro ricerca sarebbe stata molto lunga, non vedeva l’ora di iniziare a lavorare.<< Cos’è tutta quella carica? >> Chiese Haiduc, scaricando i libri sul tavolino. Il legno scricchiolò, mentre Ellis lo guardava con aria interrogativa.  L’Albeis scosse il capo, legandosi i capelli lunghi in un codino sulla nuca. << Sono sicuro che non ci hai pensato, Ellis. >> Si sedette davanti a lei, rimboccandosi le maniche della camicia sugli avambracci candidi. La fissò, dispiaciuto. << Non hai pensato che, se non sei di questo regno, non sai leggere la sua scrittura? >>

La frase ebbe l’effetto di una sciabolata al basso ventre. Ellis si sentì svuotare, mentre un freddo improvviso le gelava l’entusiasmo infuocato di un attimo prima. Lei non era di quelle parti…  Lacrime improvvise le punsero gli occhi, sorprendendola per la loro prontezza. Lei non sapeva leggere. Che stupida. Singhiozzò piano, mentre Nicolai la guardava con aria comprensiva dall’imboccatura della tenda, la pila di libri in mano. << Ti insegneremo, Ellis. >> Le disse con fare calmo, avvicinandosi per posare i libri. Haiduc, preso dai sensi di colpa per essere stato così diretto, si era accucciato vicino a lei. << Non è difficile, sai? >> Sussurrò, mentre Ellis cercava di riprendere il controllo. Lei lo guardò con gli occhi color grano, liquidi. << Ma abbiamo così fretta… >> Sussurrò, spezzata. << Io ho fretta… >> Haiduc le posò una mano sulla testa, accarezzandole i capelli con aria affettuosa. << Ma dove vuoi andare? Ricordati, la pazienza è la virtù dei forti, Ellis, e tu hai bisogno di essere forte. >> Nicolai si sedette accanto a lei, sorridendole a sua volta e parlando piano, come con un bambino che non capisce. << Ci siamo qui noi, Ellis, noi. Basta e avanza. >>

 

I manoscritti erano antichi e bisognava fare attenzione a voltar le pagine, che si staccavano con incredibile facilità. Ellis, dopo aver bevuto un po’ di Cha per calmarsi, prese un piccolo volume tra le mani, girandolo e rigirandolo, osservandone i dettagli. << Non ricordo di averne mai visto uno. >> Disse a bassa voce, aprendolo. Osservò le parole, che altro non erano che segni rossi sulla pergamena ingiallita, ammirando l’eleganza con cui erano state tracciate. Facendola trasalire, Haiduc le prese delicatamente il libro dalle mani e lo girò. << Questo è il verso giusto. >> Le disse con un sorriso, tornando poi a leggere. Ellis arrossì, imbarazzata. I suoi due protettori erano intenti nella lettura silenziosa, mentre lei non sapeva che cosa fare. << Come funziona la lettura? >> Chiese curiosa, sfogliando piano le pagine. << Cioè, cosa si deve fare? >> Nicolai non diede segno di voler rispondere, continuando nella lettura interessata di Leggende e dintorni. Haiduc lasciò andare il libro e iniziò a prepararsi una sigaretta, pensieroso. << Be, la lettura è un atto in cui la tua mente deve decifrare dei segni che corrispondono alle lettere di un determinato alfabeto. >> Leccò il bordo della carta, lisciandolo con l’indice affusolato. Ellis era incantata da quel gesto. << E le lettere sono i componenti di tutte le parole. >> Continuò l’Albeis. << Quindi, si tratta di decifrare le lettere, unite nelle parole, e comprenderne il significato. >> La Stella  si lisciò una ciocca di capelli, pensierosa. << Non sembra difficile… >> Haiduc sospirò, usando una delle candele sul tavolo per accendere la sigaretta. << Guarda che ho capito il tuo gioco, Ellis. >> Sbottò, facendola sogghignare. Guardò Nicolai, sempre più concentrato nella lettura, e sospirò di esasperazione. << E va bene, ho capito: ti insegnerò a leggere, d’accordo? Ma sappi che rallenterà le ricerche. >> Le scoccò un’occhiata di sfida, aspirando una boccata di fumo mentolato. << A meno che tu non sia così brava da apprendere in un paio di giorni, si intende. >> Ellis sorrise con entusiasmo sfrenato, battendo le mani come una bambina felice. << Sarò la migliore allieva della tua vita, Haiduc! >> Nicolai finalmente si riscosse, alzando lo sguardo dal suo libro. << Che succede? >> Chiese, con un sorriso da perfetto bugiardo. Haiduc roteò gli occhi al cielo, mentre Nicolai e la Stella ridevano prima piano poi sempre più di gusto. << Andate al diavolo. >> Borbottò, alzandosi, << Tutti e due. >> Si diresse con aria imbronciata verso la tenda, ma quella era solo una maschera e in fondo anche gli altri lo sapevano. Erano secoli che non mi sentivo così felice.

Presa una pergamena e dell’inchiostro, Haiduc iniziò Ellis ai segreti della lettura. Tracciò le 26 lettere dell’alfabeto di Narba, spiegandole che le lettere corrispondevano ai suoni che componevano le parole. C’erano cose come gli accenti e le dieresi, ma quelli li omise per rendere la lezione più spedita. Ellis, dal canto suo, dimostrava una notevole capacità di apprendimento e, nel corso della serata, riuscì a leggere qualche pagina, chiedendo però continue spiegazioni sulle parole nuove o sulla fonetica di certe lettere. Haiduc e Nicolai avevano continuato a leggere, senza però trovare niente di interessante. La giornata si concluse con Ellis che andò a dormire prima del solito, esausta.

<< E’ sveglia. >> Disse Nicolai, sbuffando fumo dalle narici. Haiduc annuì, fumando a sua volta. << Già. >> Erano usciti per non disturbare il riposo della Stella, chiacchierando delle ricerche e confrontando i dati trovati. Nicolai sorrise.<< Hai mi visto qualcuno imparare a leggere in un giorno? >> Domandò, gli occhi luccicanti di orgoglio. Haiduc sorrise a tutto quel sentimento, e gli diede una leggera gomitata. << Cos’è quest’atteggiamento da mamma chioccia? >> Chiese, ridacchiando, ma in verità si sentiva esattamente come Nicolai. << Anche io sono fiero di lei, dio solo sa quanto. >> Rimasero in silenzio per un attimo, contemplando le mura cittadine. << E’ una sensazione esaltante, non trovi? >> Chiese all’improvviso Haiduc, la sigaretta che si consumava piano fra le dita, << Vedere come una creatura che tutti credevano finita si sia ripresa in questo modo e dimostri queste capacità. >>

Nicolai sorrise alla luna, sospirando. << Ed è così bella… >> La frase punse Haiduc sul vivo, ricordandogli le sensazioni che aveva provato il giorno prima mentre lei gli accarezzava i capelli. Si accarezzò la testa, cercando il suo calore. Nicolai notò il gesto, sorridendogli con sincerità. << Credo che tu ti stia innamorando di lei. >> Gli disse, sereno, guardando l’amico e compagno arrossire lievemente alla luce della luna. << Non c’è niente di male, Haiduc. Un po’ di amore è quello che ti salverà. >>

<< Ma piantala. >> Sibilò l’Albeis, infastidito dalla piega del discorso. << Non posso innamorarmi di lei. >>

<< Non puoi? >> Nicolai ridacchiò, rimestando con un bastoncino nel fornelletto della pipa. << E chi te lo impedisce? Io? >> Continuò a ridacchiare sotto lo sguardo astioso di Haiduc. Alla fine tornò serio. << Io credo che non ci sia niente di male in questo, amico, e te le dico non per mio sollazzo, ma perché lei lo domanda. >> Haiduc inarcò le sopracciglia, perplesso. << Lo domanda? >>

<< Ma certo che si! >> Esclamò Nicolai, roteando gli occhi al cielo << E’ lei che ti domanda amore, no? >> Sgranò gli occhi, come se fosse davanti a qualcosa di incredibile. <<  Non dirmi che non hai notato come ti guarda, Haiduc. >>

<< Guarda me esattamente come te, Nicolai. >> Brontolò lui, incrociando le braccia sul petto, infastidito dal battito accelerato del proprio cuore. Ma che diavolo mi prende? Sembro un imberbe… << E in ogni caso, io sono troppo vecchio per lei. >>  Nicolai fece spallucce. << E chi ti dice che non abbia più anni di quanto ne dimostri? Io credo che- >>

Un frusciò improvviso interruppe il discorso di Nicolai, facendoli scattare sull’attenti. Si guardarono, in una muta richiesta di conferma. Attesero ancora, e il fruscio si ripeté nuovamente. Ad Haiduc si chiuse lo stomaco. Dio, fa che non sia Ellis, fa che non abbia ascoltato tutto… Nicolai scostò appena la tenda, spiando dentro la fievole oscurità. Corrugò la fronte, facendo cenno ad Haiduc di guardare a sua volta. Silenzioso, egli aprì uno spiraglio nella stoffa e lasciò che i suoi occhi si abituassero al buio, frugando in cerca della fonte del rumore. Si stupì nel vedere Ellis di schiena, in camicia da notte, seduta al tavolino, a fare qualcosa che non riusciva a vedere. Con un cenno del capo, entrambi i Guardiani entrarono nella tenda, evitando accuratamente di far rumore. Nel silenzio irreale, si sentiva soltanto il grattare di qualcosa su una superfice. Ormai vicini, videro che la Stella aveva fra le mani una piuma, nera. Ma quella piuma era bianca, pensò Nicolai, per poi accorgersi che anche il tavolo, che nell’oscurità chiara era solitamente grigio scuro, era nero. E’ inchiostro. Allora lo notarono: la boccetta era rovesciata vicino alla teiera ed Ellis aveva le mani e parte della camicia da notte neri d’inchiostro, mentre continuava a scrivere- perché stava scrivendo- sulla pergamena sotto di se, satura di segni. Haiduc e Nicolai si guardarono, incerti sul da fare, mentre Ellis continuava a scrivere, come posseduta. Nicolai si chinò accanto a lei, cercandole il viso fra i capelli. Si stupì di vederla addormentata. E’ sonnambula?  Stava per alzarsi e riferirlo ad Haiduc, quando la Stella si volse verso di lui e gli afferrò il collo, stringendolo con una forza impossibile per le sue minute membra. Haiduc scattò in avanti, ma Ellis lo scagliò lontano da loro con un semplice gesto della mano. L’Albeis atterrò contro il paravento, schiantandosi a terra fra cocci di legno e vetro. Nicolai ansimava, sconvolto e impaurito, in cerca di aria << Ellis… >> La Stella si alzò in piedi, trascinando Nicolai con sé. Tese il braccio verso l’alto, facendogli staccare i piedi da terra. Aprì gli occhi, fissandolo con le orbite ribaltate. << Ellis…mi stai… strozzando… >> sibilò ancora Nicolai, le mani attorno a quella di Ellis. Iniziò a scalciare, cercando di colpirla, ma invano. Cercò di vedere Haiduc, ma vedeva solo il suo corpo abbandonato, e poi non riusciva più a distinguere le forme, l’aria era sempre minore… concentrò tutti i suoi sforzi nella ricerca dell’aria, mentre il fiato di un’altra persona si mescolava al suo, lo stesso ansimare, e il frammento gli esplose nella testa

mentre la mettevano in quella cabina stretta, nuda e debole, imbottita di chissà quali droghe. Vide uomini che si affacciavano su di lei, i visi coperti di mascherine bianche e gli occhi a specchio che riflettevano la sua immagine. Allargò gli occhi, perdendosi nella visione di se stessa. Era lei, era Ophale… e aveva una missione da compiere prima che il vetro si chiudesse, lasciandola in un’oscurità umida. Qual’ era la missione, poi ?

L’aria tornò a circolare nei polmoni di Nicolai nel momento esatto in cui toccò terra, pesante come un macigno dopo quegli attimi di morte apparente. Per un attimo, il suo cervello fu troppo occupato a prendere ossigeno in poderose boccate per preoccuparsi di qualsiasi altra cosa, fosse anche di Sua Maestà in persona. Fu il rumore di qualcosa che cadeva pesantemente a terra a scuoterlo, costringendolo a rimettere a fuoco la realtà. Ellis, la sua, la loro Ellis, era a terra, scomposta e disarticolata, profondamente addormentata. Si mise a sedere, massaggiandosi il collo, ancora sconvolto da quello che era successo. Mosse lo sguardo dal tavolo, a Ellis, al paravento, dove il corpo di Haiduc giaceva ancora, inerte. Con estrema difficoltà, evitando accuratamente di svegliare Ellis, Nicolai raggiunse il compagno, trovandolo abbandonato sui resti del paravento di legno. Un taglio stillava sangue dall’attaccatura dei capelli, mentre frammenti di specchio erano conficcati nella carne del braccio destro, quello con cui aveva frantumato il vetro, salvandosi il viso, gli occhi e anche la vita. Se avesse troncato la giugulare… Haiduc aprì gli occhi solo allora, fissandoli in quelli dell’amico . Lo riconobbe dopo un po’ e quando lo fece si mise a sedere di scatto, sibilando di dolore: aveva puntellato il gomito sul vetro. << Sei vivo. >> Constatò in un sibilo, toccandosi la ferita alla testa. << E anch’io. >>  Allungò il collo e guardò Ellis dormire come una bambina sul tappeto, lercia di inchiostro.  Ma che diavolo è successo? << Credo che si sia svegliata, Haiduc. >> La voce flebile di Nicolai lo riportò nella realtà.

<< Svegliata? >>

Nicolai deglutì dolorosamente. << La vera Ellis. Ha preso il sopravvento e- >> Si bloccò, sconvolto ( la debolezza delle droghe, la nausea, l’oscurità umidiccia e calda… ) << E io l’ho vista. >> Guardò Haiduc a bocca aperta. << Ho visto lei nel suo ricordo… >> Sorrise, l’adrenalina così forte da fargli dimenticare il dolore. << O Dei, l’ho vista e.. Ophale? >> Si volse a guardare Ellis, sempre più stupito. << Ophale? >> chiese Haiduc, alzandosi con un mugolio di dolore. Afferrò la mano tesa di Nicolai, muovendosi con lui verso la loro Stella. << L’ho vista venire qui. >> Sussurrò Nicolai, eccitato. << L’ho vista mentre la spedivano qui, nuda e impaurita, con una missione da compiere… qualcosa che lei non ricorda. >> Haiduc fissò gli occhi sul tavolo, chinandosi poi a prendere il foglio di pergamena impiastricciato di inchiostro e saturo di segni scarabocchiati, ma leggibili. << O che non vuole ricordare. >> L’Albeis passò il foglio al compagno. Nicolai lesse, sgranando gli occhi per la paura e la sorpresa.

Come scritte da un bambino alle prime armi, ma perfette, le lettere componevano due sole parole.

Non svegliarmi.

 

 

 

 

 

 

 

D.I.F

Ebbene, eccomi. E’ stato un chappi lungo e sudato questo, che spero verrà apprezzato…mi è piaciuto moltissimo scriverlo, e la storia sta prendendo sempre più forma nella mia testa :D è una cosa meravigliossssa!!!! Fatemi sapere che ne pensate ok??? Besitos,

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