Stella Morente di nini superga (/viewuser.php?uid=97164)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro_ i Guardiani della Stella ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque_ pensieri ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei_Ophale ***
Capitolo 1 *** Capitolo uno. ***
Capitolo
uno: il lamento della stella morente.
Un
temporale di quella portata non si era
mai visto. Tutti, compresi i vecchi, non serbavano memoria di un
avvenimento
così immenso e nessuno era rimasto nelle case; persino le
balie coi neonati al
seno erano uscite per ammirare le imponenti nuvole nere che si
riversavano
sulla città, i cirri e i cumuli enormi farsi avanti ed oscurare il sole, i lampi
fluorescenti e i
fulmini che andavano a infrangersi a terra nei campi esterni a
Winscott. Le
bianche mura della città risplendevano agli ultimi raggi del
caldo sole,
soffocato da quel nero che scendeva dal cielo e giungeva
all’improvviso,
rapido, portando folate di aria umida e calda nella città
invasa dalla canicola
della stagione del sole. I soldati, di guardia sulle mura,
rabbrividirono nel
vedere infrangersi al suolo un fulmine, mentre il rombo del tuono
scuoteva i
vetri delle Case Maggiori e Minori, in cui i simulacri degli Dei
dormivano
sonni odoranti incenso, e dei palazzi signorili. I bambini urlarono e
le madri
se li strinsero al petto, correndo sotto i vasti portici che
ombreggiavano le
strade cittadine, vanto e bellezza di Winscott, capitale del regno di
Scott. I
vecchi, fermi sulle soglie delle case, il naso per aria, si guardavano
l’un
l’altro e scuotevano la testa, increduli: chi se lo ricordava
un temporale di
tale entità? Accarezzavano i loro cani bastardi e rognosi e
si sedevano sulle
sedie appena fuori dagli usci, certi che se fossero morti colpiti da un
fulmine
almeno sarebbero morti per qualcosa di straordinario.
Anche a
Palazzo Scott il maestro astrologo guardava il cielo dalla torre
più alta,
fissando le nuvole attraverso l’Occhio
Grande , un tubo che per un gioco di lenti era in grado di ingrandire
gli
oggetti posti a grandi distanze, ammirando i fulmini azzurrini che si
creavano
da una scintilla e saettavano verso il basso, più veloci di
un batter di
ciglia, schiantandosi al suolo un battito di ciglia dopo. La stagione
calda era
appena iniziata e i temporali sarebbero dovuti arrivare dopo, molto
dopo, a
metà della stagione delle piogge, pensava
l’astrologo che, preoccupato, frugava
con la mente antiche pagine di antichi manoscritti, frutto di antichi
maestri
vissuti in antichi tempi: si ricordò di un passo di cinque
secoli prima, in cui
un maestro, vissuto sotto il primo Re Scott , parlava
di una stagione estiva particolarmente
piovosa… un fulmine si scagliò a terra e il tuono
fu così forte che l’astrologo
sentì tutto il suo vecchio essere vibrare di paura. Si,
poteva esserci stato
qualche precedente, ma quello che stava per accadere quel giorno
sarebbe stato
unico e lui non poteva lasciarselo sfuggire perché aveva
semplicemente paura.
Con un fremito di impazienza ed eccitazione, l’astrologo
ripose l’Occhio Grande
nella sua custodia e rientrò nel suo studiolo, prendendo
pergamena e penna e
attendendo, trepidante, l’arrivo del temporale su Winscott
dalle bianche mura.
Parecchi
metri sotto la torre dell’astrologo, nella corte secondaria
del palazzo di
Winscott, sotto i portici imbiancati a calce, un uomo si muoveva
nell’ombra
cupa. Era un uomo alto dalla carnagione diafana, i capelli pallidi come
neve e
gli occhi rossi e penetranti come rubini, vestito completamente di nero
tranne
per una fascia rossa legata attorno alla vita ben delineata, un pugnale
cerimoniale infilato fra le pieghe. Passeggiava tranquillo, Haiduc di
Albeis,
quando si appoggiò alla colonna, il naso puntato verso
l’alto, pronto ad inspirare
l’odore buono della pioggia. Gli erano sempre piaciuti i
temporali, anche
quando era un marmocchio, e quello era il primo che vedeva a Winscott
dopo
tutti quegli anni di permanenza nella città. Un tuono si
abbatté rombante sulla
città, così forte da lasciarlo piacevolmente
stupito e da convincerlo ad
osservare con maggiore attenzione il cielo: un manto nero,
perfettamente
omogeneo, rischiarato qua e la dai lampi e dai fulmini che, come strali
divini,
cadevano a terra. Ad ogni lampo, urla si alzavano dalla
città, stupita e
spaventata. La bocca di Haiduc si piegò in un ghigno: se gli
abitanti di
Winscott avessero mai visto una delle tempeste che si abbattevano su
Albeisine
avrebbero definito quanto stava per rovesciarsi sulle loro teste un
acquazzone
di fine estate. Un altro tuono proruppe, facendo vibrare i mattoni
della
colonna a cui Haiduc era appoggiato, e l’Albeis si
lasciò andare alla piacevole
sensazione di vibrare assieme alla natura furiosa, mentre antiche
memorie gli
invadevano la mente. << Non avevo mai visto niente di
simile. >>
Disse una voce piatta alle sue spalle, interrompendo il flusso di
pensieri. <<
E’ perché tu non sei mai stato ad Albeisine,
Nicolai. >> Rispose Haiduc
senza voltarsi, riconoscendo la voce del suo interlocutore. Poco dopo,
un uomo
biondo ed alto, dal viso sbarbato, vestito di camicia bianca e
pantaloni neri,
entrò nel suo campo visivo. Nicolai sogghignava, guardando
l’Albeis con quei
suoi penetranti occhi verdi. Un lampo gli fece puntare gli occhi al
cielo.
<< In ogni caso, questo evento ha dello straordinario.
>> Adocchiò
la torre di astrologia. << Di
sicuro, il maestro astrologo starà annerendo pagine e pagine
di pergamena, su
questo avvenimento: non si era mai visto un temporale di questa portata
nella
stagione delle piogge, figuriamoci all’inizio di quella del
sole! >>
<<
Preferisce starsene chiuso in quello studiolo misero e polveroso,
piuttosto che
mettere fuori il suo lungo naso e godersi lo spettacolo.
>> Haiduc
ridacchiò. << E questo spettacolo sembra
davvero interessante… >>
Il
biondo inarcò un sopracciglio << Ma non hai
appena detto che i temporali
di Albeisine erano i migliori di tutti? Ti rimangi così la
parola, Albeis?
>>
Haiduc
evitò accuratamente di rispondere alla stoccata, mentre la
memoria vagava
lontano, nei ricordi di quando era un ragazzino e guardava le tempeste
abbattersi su Albeisine, la città degli Albeis, la
città a lui destinata.
Guardava i lampi riflettersi sulle case lucide di pioggia, vedeva il
mare
intero alzarsi attorno alla città e andare a cozzare contro
l’alta scogliera su
cui Albeisine era arroccata, lo vedeva dall’alto della sua
camera e quello
spettacolo aveva la magia di incantarlo anche allora, a distanza di
anni, di
secoli… la voce di Nicolai tornò a distrarlo
nuovamente, riportandolo
bruscamente alla realtà. << Quanti temporali
hai visto come questo,
Haiduc? >>
<<
Molti. >> Rispose l’Albeis con un malinconico
sospiro. << Perché?
>>
Un
fulmine di un insolito colore viola si abbatté molto vicino
alla città, forse
addirittura dentro le mura, tanto che lo spostamento d’aria
provocò lo scoppio
di alcuni vetri sopra di loro e numerose grida proruppero dalle stanze
del
palazzo. Haiduc e Nicolai rimasero immobili, mentre un vetro sopra la
loro
testa si sfracellò in mille pezzi sui ciottoli della corte.
<< Che mi
dici di questi? >> La voce di Nicolai era tesa, mentre
l’uomo si ritirava
nell’ombra del portico per correre via. L’Albeis
seguì Nicolai lentamente,
irrigidito dalla sensazione che gli era passata nelle viscere,
facendole
contorcere. Si accorse di non aver risposto alla domanda
dell’uomo, mentre un
altro fulmine viola si abbatteva sulla città e lampi rosati
illuminavano il
cielo nero e i tuoni si confondevano con le urla del popolo. I fulmini
apparivano stranamente materici e dove colpivano abbattevano case,
provocavano
incendi e crateri; i pennacchi di fumo iniziavano ad essere visibili
anche
dalle corti del Palazzo attraverso cui Haiduc e Nicolai camminavano
veloci, per
giungere alla Corte Magna, l’ingresso al Palazzo. Li, vi
trovarono un’unità
della Guardia Cittadina pronta ad uscire per andare a salvare i civili
e
spegnere incendi. << Dobbiamo assolutamente uscire.
>> Disse
Nicolai, camminando a passo spedito accanto alla colonna di fanti,
diretto alle
stalle, con Haiduc che lo seguiva per inerzia, il cuore e lo stomaco
stretti in
una sola morsa con gli intestini: temeva gli sarebbe tremata la voce
nel dirgli
che, il giorno in cui Albeisine venne rasa al suolo, era stato a causa
di un
temporale come quello che si stava abbattendo su Winscott…
<< Haiduc!
>> Lo scrollò Nicolai, mettendogli fra le mani
le briglie di un cavallo
preso dalle stalle. << La Guardia Cittadina
uscirà tra poco e su ordine
del Re porterà il popolo nelle catacombe, nella speranza che
la tempesta si
plachi. Io e te dobbiamo andare a vedere sulle mura, per conto di sua
Maestà.
>> L’Albeis annuì, vacuo, osservando
l’amico montare in sella: era
eccitato, ma la durezza della mascella squadrata dimostrava che la
paura di
Nicolai era davvero molta, anche se cercava di nasconderla sotto la
maschera
dello sbruffone. Haiduc deglutì piano, cercando di calmare i
battiti del
proprio cuore: ciò che era successo ad Albeisine lui
l’aveva visto da lontano,
ma non era sicuro che la stessa cosa sarebbe capitata a Winscott-
sperava, in
cuor suo, di non dover perdere nuovamente la propria casa, il proprio
posto.
Pregò il suo Dio che nulla di male accadesse alla sua
città adottiva e montò in
sella, scacciando pensieri infelici. Cavalcarono a fianco della
fanteria
facendosi strada tra la folla impaurita, spronata dai fanti a dirigersi
verso
le catacombe, dove sarebbe stata sicuramente più al sicuro
che all’esterno.
Dalla
torre di astrologia, l’astrologo non poteva credere ai suoi
occhi: palle di
fuoco violaceo si formavano da scintille nelle nuvole nere e
schizzavano a
terra come dardi infuocati, cadendo ed emettendo boati una volta giunti
al
suolo. Era pericoloso restare li, lo sapeva bene, ma il mondo doveva
sapere
quello che stava accadendo, doveva essere coraggioso e fare il proprio
dovere,
come il maestro esploratore di Re Wulf della terza era, che era andato
a
banchettare negli abissi marini pur di riportare al suo re la conferma
che nel
mare vi era un mondo simile al nostro, semplicemente subacqueo. Trasse
un
profondo sospiro e intinse il pennino nel calamaio:
…
i lampi si fanno da bianchi a
rosati, mentre palle di luce viola si formano come masse infuocate e si
scagliano a terra, come strali lanciati da divinità
infuriate. Che Dei a noi
sconosciuti si siano adirati con noi? Io vedo queste palle, e mi chiedo
se esse
siano della stessa consistenza delle stelle lontane, che ardono nella
notte. Di
certo, le stelle che cadono nelle sere della stagione calda non fanno
tutti
questi danni. Ecco, ora gli strali divini si abbattono su Winscott,
distruggendo case e palaz- Un
tuono di incredibile portata gli strappò un grido, mentre i
vetri della torre
andavano in mille pezzi a causa della pressione dell’aria,
ferendolo in volto e
facendolo cadere dallo sgabello, il calamaio che cadeva sulla pergamena
e
imbrattava ogni cosa. Anziano come era, il maestro astrologo fece
fatica a
riaversi dal tremendo spavento ma nulla, nulla, lo
terrorizzò e stupì più di
quanto vide quando riuscì a rialzarsi: una luce aleggiava
sopra la città,
simile ad un velo, appena sotto il manto di nubi. L’astrologo
era abbastanza in
alto per vedere che la luce si muoveva ad un ritmo proprio, come se
coordinata
da una musica, ed appariva leggera e benigna nel suo rosa pallido.
Senza badare
al pericolo, l’astrologo uscì sul piccolo
davanzale della torre, la bocca
spalancata dallo stupore, gli occhi fissi su qualcosa che andava oltre
le sue
capacità. Fu allora che la vide.
Fu
allora che la videro. Haiduc e Nicolai erano sul bastione della porta
nord, e
guardavano un punto preciso sopra le loro teste: una figura si muoveva
nel velo
di luce che si era srotolato sopra la città di Winscott.
Più che muoversi, la
figura galleggiava nell’aria, sospesa nel colore, quasi fosse
un liquido
uterino e materno, protettivo. I fulmini si erano fermati, e Winscott
alle loro
spalle mostrava qua e la i segni della loro furia in pinnacoli di fumo
nero. Da
sotto lo spesso strato di nubi, il sole era tornato a filtrare, dando a
Winscott i suoi bianchi bastioni e al velo un’iridescenza
ipnotica. <<
Nicolai… >> Mormorò Haiduc con
fatica, senza distogliere lo sguardo dal cielo. << Devi
sapere che
mentivo, quando ti dicevo che non avevo mai visto un temporale di
simile
portata. >> Nicolai rimase in ascolto, senza guardarlo,
attendendo che
Haiduc proseguisse. << Albeisine… è
stata distrutta da un temporale come
questo. >> Concluse l’Albeis, senza vergognarsi
della nota tremula che la
sua voce aveva acquisito nel dire la verità. Che vergona
c’era nel dimostrarsi
spaventato? Quei fulmini viola avevano portato la fine del suo mondo, e
Nicolai
doveva saperlo.
<<
Dei misericordiosi. >> Si lasciò scappare
Nicolai dopo un lunghissimo
silenzio, distogliendo lo sguardo dal cielo e puntandolo
sull’amico. Si girò
per vedere la sua città, la sua Winscott, per pensare al
luogo in cui era nato,
cresciuto, vissuto fino ad allora. Guardò al Palazzo, alla
sua mole nella Città
Alta, guardò il piccolo puntino che si muoveva sulla torre
di astrologia, gli
uccelli che si muovevano sinuosi nel vento tempestoso…non si
stupì di avere gli
occhi lucidi, quando riportò lo sguardo al cielo, e non si
vergognò di invocare
gli Dei perché la loro punizione fosse rapida e indolore.
Ma
quello non era il momento di Winscott, e nemmeno di Nicolai o di
Haiduc; non
era il momento nemmeno dell’astrologo, che guardava
dall’alto i due puntini che
si trovavano sul bastione nord. Quello era il momento della figura
avvolta nel
colore, piccola e nuda. Era suo, e di nessun altro.
Accadde
tutto così velocemente che nessuno credette mai alle loro
parole: il velo di colore
inziò a farsi più spesso e a vibrare con maggiore
forza, mentre le nubi
andavano ritirandosi a ammassandosi attorno alla figura. Il colore del
cielo si
faceva sempre più intenso, mentre il velo iniziava a
ritirarsi verso la
figurina e ad avvolgerla in una palla rosa, vorticosa ed instabile. Man
mano,
le nubi nere ripiegavano e prendevano
forma di spirale sopra la palla, muovendosi dapprima lentamente e poi
vorticosamente una volta che il velo ebbe finito di avvolgersi attorno
alla
figura. La palla ora girava e scariche elettriche di fulmini violacei
mostravano tutta la sua potenza distruttrice, mentre le nubi sopra di
essa
vorticavano e andavano assottigliandosi sempre di più, quasi
fossero esse il
motore che spingeva lentamente la palla a terra. Poi, ci fu un rumore
sordo,
una vibrazione dell’aria, una pulsazione e la palla
iniziò a scendere verso il
terreno, lenta, quasi dolce, simile ad una foglia nel vento. Nicolai e
Haiduc
non potevano credere ai loro occhi, mentre dall’alto della
torre il maestro
ammirava le nubi tempestose assottigliarsi e contrastare, con la loro
forza
irruenta, con la dolcezza del movimento della palla. La vibrazione
nell’aria si
ripeté di nuovo, più forte, e tutti nella
città, anche gli abitanti nelle
catacombe, anche il Re sul suo trono, anche Haiduc e Nicolai, anche il
maestro
astrologo la percepirono, restandone terrorizzati. La vibrazione si
ripeté per
ben due volte, prima che la palla si fermasse a qualche metro da terra.
Allora,
un vento forte iniziò a soffiare, convergendo nello spazio
tra la palla di luce
e la terra, come se volesse risucchiare il mondo. <<
Dobbiamo andarcene!
>> Gridò Nicolai, ma Haiduc sembrava come
ipnotizzato da quella palla:
non riusciva a distogliere lo sguardo da essa, morbosamente curioso di
vedere
cosa sarebbe successo. << Haiduc! >> Lo
chiamò ancora Nicolai, ma
ormai era tardi: la palla era entrata in contatto con la terra e tutto
era
inutile.
Una luce
accecante abbagliò la città. La vibrazione che
emanò il contatto fu così potente
che quando investì la città, parecchie case
pericolanti crollarono, mentre le
catacombe ressero per miracolo. A qualche vecchio il cuore cedette e
qualche
cane impazzì di paura ma, a parte questo, Winscott dai mille
portici
sopravvisse senza problemi. Sul bastione della porta nord, Haiduc e
Nicolai caddero,
perdendo l’equilibrio, ma immediatamente si rialzarono,
consci che quell’avvenimento
sarebbe entrato nelle cronache e nelle leggende. I due si sorpresero a
piangere, mentre la palla di luce entrava in contatto con la terra, a
pochi
metri da loro. Nella sua caduta, la palla scavava un cratere via via
sempre più
grande e profondo, lanciando vibrazioni sempre più deboli ed
emettendo qualcosa
di nuovo: un lamento di agonia, un grido che partiva del basso per
diventare
sempre più acuto, coincidendo con la fine della caduta.
Haiduc e Nicolai si
tapparono le orecchie, continuando a guardare: la palla ora era per
metà nel
cratere e per metà fuori di esso e, lenta, iniziava a
spegnersi, esaurendo il
suo potere distruttivo e la sua carica elettrica. Si ritraeva,
lasciando dietro
sé una scia di fumo rosato. Finito
il
lamento, Haiduc e Nicolai si guardarono, asciugandosi le lacrime.
<< L’hai
sentito anche tu? >> Chiese Nicolai, tirando su col naso,
mentre l’adrenalina
scorreva ancora nelle sue vene. Haiduc annuì appena, gli
occhi rossi fissi sul
cratere. << Un lamento. >> Disse Nicolai.
<< Anzi: il lamento di
una stella che muore,
ecco cosa abbiamo udito. >>
Haiduc
lo guardò. << Hai colto nel segno.
>> Ammise. << Vieni,
usciamo. >>
Il
maestro astrologo riprese fra le mani l’Occhio Grande,
tremando per l’emozione:
che ne era della figura al centro della palla, questo si chiedeva. Ma
il fumo
era troppo fitto e denso, non ci vedeva. Non poté far altro
che concentrare
l’attenzione sui due cavalieri che uscivano proprio in quel
momento dalla porta
nord.
Haiduc e
Nicolai si avvicinarono cautamente al bordo del cratere, coprendosi con
le
maniche delle camice naso e bocca per non respirare il fumo acre che
esalava
dalla terra. << Per i miei Dei e per il tuo Dio!
>> Proruppe
Nicolai, asciugandosi gli occhi mentre guardava il pinnacolo di fumo
rosa.
<< Credi che sia caduta assieme alla palla?
>> Haiduc arrivò
all’orlo del cratere, cercando con lo sguardo un segno
qualsiasi di vita.
<< Io… credo che si sia sciolta, Nicolai.
>>
Nicolai
annuì. << Già… ma che
cos’era? >>
Hiaduc
scosse la testa: quando la Fine del Mondo si era abbattuta su Albeisine
non vi
era stato alcun velo, alcuna figura, alcuna palla di luce. Solo fuoco
viola,
morte e distruzione per mano dei fulmini di quel fottutissimo
temporale. Ma lui
era lontano, non aveva visto bene… << Non ne
ho la più pallida idea.
>> Ammise l’Albeis, scrutando ancora dentro il
cratere: il fumo non
accennava a diradarsi e la curiosità era grande…
<< Procurami una corda
>> Disse all’amico, fissandolo con uno dei suoi
ghigni. << Mi calo.
>>
Attraverso
l’occhio grande, l’astrologo riuscì a
vedere che un folto gruppo di persone
erano uscite per riunirsi attorno al cratere: popolani,
nobili… erano tenuti a
debita distanza da un cordone di fanti della Guardia Cittadina, su
ordine di
Haiduc d’Albeis- lui era riconoscibilissimo nella sua pelle
adamantina, tanto
invidiata dalle dame di corte- e Nicolai Cavaliere della Lingua, sempre
in
mezzo ai guai. L’astrologo sorrise, grattandosi il naso
adunco e gibboso,
continuando ad osservare, curioso come una comare nel voler svelare il
mistero
attorno la palla di luce.
Haiduc
d’
Albeis si era sempre fatto vanto di non temere nulla, ma stavolta, la
corda
legata attorno alla vita, il pugnale tra i denti e gli occhi di mezza
Winscott
puntati addosso lo facevano sudare freddo- o era il cratere a creargli
quella
brutta sensazione? Si appuntò di andare alla Casa e di
accendere per ogni Dio cinque
candele, per ringraziarlo di aver avuto misericordia di Winscott.
Nicolai gli
batté una mano sul sedere, mettendolo in serio imbarazzo
davanti alla folla.
<< Allora, sei pronto o devo darti una spintarella?
>> Ridacchiò il
cavaliere, ricevendo un’occhiata stizzita
dall’altro che, per tutta risposta,
gli diede il capo libero della fune. << Renditi utile.
>> Gli disse
solo, prima di iniziare a calarsi nel fumo.
Il
cratere era profondo tre metri abbondanti, ed era illuminato dai
riverberi che
il sole proiettava sul
fumo ancora
spesso. Vi era il più totale silenzio e Haiduc si muoveva
con fare circospetto
sul fondo della conca, cercando di vedere qualcosa nella nebbia rosata.
Fece
pochi passi, prima di urtare qualcosa col piede. Si sentì
gelare il sangue
mentre, guardando in basso, riconosceva nel grumo sporco e sanguinante
che
aveva urtato una mano semi aperta. Rapido, Haiduc si chinò e
la vide: una larva
umana, ustionata, bruciata, sanguinante, butterata era ai suoi piedi,
nel
centro del cratere, e i piccoli movimenti del corpo la rivelavano viva.
Nella
sua vita non aveva mai visto niente di simile, e si chiese come gli Dei
potessero tollerare una simile sofferenza. <<
Hei. >> Chiamò
l’Albeis, toccando con la punta delle dita la creatura
disgraziata. Questa si
ritirò immediatamente, mugolando di dolore al contatto con
l’altro. La voce di
Nicolai giunse da lontano
<<
Trovato niente? >>
Haiduc
non aveva tempo per rispondere: si tolse la camicia e la fusciacca,
mostrando
il petto pallido e liscio, e avvolse la creatura miracolosamente viva
in essi,
facendo piano e sussurrandole parole di conforto. La osservò
bene: era piccola,
la creatura, senza il primo strato dell’epidermide; i capelli
spuntavano a
ciocche insanguinate sul capo, mentre delle orecchie e del naso non era
rimasto
nulla, se non i fori; gli occhi erano grandi e gonfi, chiusi come
quelli dei
neonati e tutto era connotato da un’innaturale magrezza,
dovuta con ogni
probabilità al prosciugamento di muscoli e liquidi. Mentre
avvolgeva le gambe
della creatura nella sua lunga fusciacca, vide che era femmina. Lei
aprì la
bocca, lasciandosi sfuggire un lamento quando Haiduc la prese fra le
braccia,
stringendosela al petto. << Ti porto fuori.
>> Le disse, dando un
forte strattone alla corda << Nicolai! >>
Chiamò << Tirami
su! C’è un ferito qui! >>
Fu
così
che a Winscott nacque la leggenda della ragazza caduta dal cielo, la
Stella
Morente.
|
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Capitolo 2 *** Capitolo due. ***
Capitolo
due: rinascita.
Erano
passati nove giorni dal temporale memorabile e dalla caduta della
Stella
Morente. In quei nove giorni, non vi era abitante a Winscott che non
invocasse
per lei una morta rapida e indolore, pietosa nei confronti della povera
creatura. Quei pochi che erano riusciti a vederla mentre Haiduc
l’Albeis la
portava fuori dal cratere, stringendosela al petto quasi fosse un pezzo
di
vetro, narravano che la ragazza fosse senza il primo strato di pelle, i
suoi
occhi bruciati, il suo naso sparito, il suo corpo ustionato. Di lei non
vi era
più niente di salvabile, così aveva detto ad un
oste un medico di corte,
bevendo del vino speziato per darsi un tono e raccontare quegli
agghiaccianti
dettagli. Si diceva che, nella tenda allestita accanto al cratere, la
ragazza
non avesse pace, e quelli che abitavano vicino alle mura giuravano e
spergiuravano che, almeno un paio di volte a notte, delle urla
terribili si
alzavano proprio da quella tenda, gelando il sangue di chi le udiva.
Tutto
lasciava immaginare che fosse la ragazza a soffrire gli Dei sanno che
mali, col
corpo coperto di pustole purulente e piaghe infette. L’immagine
della Stella Morente rimase per
lungo tempo proprio quella: una ragazza piagata e sanguinante, scuoiata
dal
fuoco, urlante di dolore. Uno spauracchio buono per i bambini
capricciosi.
Eppure, la ragazza era tenace: dopo nove giorni, era ancora attaccata
alla vita
con le unghie e con i denti, senza dar segno di voler mollare.
Anche
i medici erano dello stesso parere del popolo:
andavano a visitarla nella tenda della quarantena, fuori dalle mura, il
viso
coperto da mascherine e l’aria resa pura dalla citronella
balsamica; osservavano
le sue piaghe infettarsi nonostante la continua pulizia e il cambio
incessante
di bende, mentre il corpo deforme si contraeva in spasmi di dolore
atroce. I
dottori stavano al capezzale della ragazza qualche ora, per poi andare,
sconsolati, a riferire al Re Scott X e alla Regina Marghery quello che
vedevano: una creatura disgraziata, che avrebbe fatto bene a morire,
piuttosto
che lottare per la vita. Ovviamente, non lo dicevano solo alle loro
Maestà, ma
anche ad ogni oste che fosse disposto ad offrire vino speziato e birra
scura
per qualche informazione.
Si
arrivò addirittura al punto che la Regina
Marghery, pia donna, invitò tutta la corte a pregare per la
Stella Morente in
una solenne veglia presso la Casa Maggiore, tempio delle
divinità di Winscott,
veglia a cui mancarono due eminenze, facendo scalpore: Haiduc
l’Albeis, Duca di
Albeisine, Principe della sua gente, e Nicolai di
Langued’Och, Cavaliere della
Lingua. Suscitarono parecchie chiacchiere con la loro assenza, ma la
Regina era
di cuore buono e sapeva per quale motivo essi mancassero: stavano
compiendo la
missione impartitagli dal suo signore il Re, Scott X di casa Scott.
Loro compito
era vegliare la Stella Morente, portando direttamente alle orecchie del
sovrano
notizie sulle sue condizioni. Purtroppo, i racconti di Haiduc e Nicolai
non
divergevano di molto da quelli dei medici, ma erano quelli di cui il Re
si
fidava maggiormente. Il loro compito era lugubre, la Regina ne era
consapevole,
ma comunque di gran lunga migliore di pregare Dei
che lei credeva sordi, se non inesistenti. La
Regina lo sapeva benissimo che quella era tutta una farsa, eppure non
poteva
che sottomettersi al suo ruolo: quello della pia donna timorata degli
Dei,
anche se sapeva benissimo che gli Dei erano ormai morti.
Sbirciò il Re al suo fianco,
mentre intonava una preghiera alla Dea della Guarigione, e si costrinse
a sua
volta a recitare con lui, tornando con la mente alla tenda in
quarantena fuori
dalle mura.
Haiduc
ascoltava con attenzione i canti che si levavano
dalle Case Maggiori e Minori, sparse per la città, e che
giungevano sino a lì,
fuori dalle mura. Erano canti di guarigione, intonati per guarire,
qualcosa che
la gente credeva potesse funzionare per la Stella Morente. Si accese
una
sigaretta, l’ennesima, ed aspirò una profonda
boccata di fumo alla menta,
restando perplesso: il tabacco di Winscott era sempre aromatizzato dai
Frati
Tabaccai, per quanto essi giurassero e spergiurassero che quello fosse
il vero,
autentico tabacco delle Isole Sudali, importato da esse e trattato
dalle loro
graziose mani per i graziosi gentiluomini di Winscott. Ma Haiduc sapeva
che il
tabacco, quello vero, aveva un sapore ben diverso, acre e amarognolo,
che
lasciava del giallo in bocca e sui denti. Quanto avrebbe dato per una
sigaretta
di Albeisine… inevitabilmente, la mente fu di nuovo
là, nella sua terra, nella
sua città. Era arroccata su un’isola, Albeisine,
ma era capitale del regno
degli Albeis, la sua razza. Sorrise, pensando a quanto poco
differissero dagli
Uomini: fisicamente, gli Albeis erano come loro, avevano gli stessi
pregi e gli
stessi difetti, ma il loro Dio aveva voluto che la loro pelle fosse
più chiara
e sottile per poter meglio scrutare nei loro cuori, che i loro capelli
fossero
candidi perché candidi dovevano essere i loro pensieri e che
gli occhi rossi
fossero rossi perché… ah! quello, Haiduc non se
lo rammentava più. Quello che
li differenziava dagli umani era la lunga, lunghissima vita, che si
protraeva
per secoli ma che, prima o poi, finiva nel sonno mortale. Ma lui era
l’ultimo
Albeis, l’unico superstite della sua specie: Albeisine era un
cumulo di macerie
e lui se ne era andato da tempo, da oltre un secolo, giungendo a
Winscott
attraverso il mare e venendo accolto da Re Scott VI, trisavolo
dell’attuale Re
Scott X, dapprima come amico e poi come consigliere. Questo aveva
favorito a
far fiorire in Haiduc un sentimento di riconoscenza e amore per
Winscott e i
suoi abitanti, un sentimento così forte da far eleggere
Winscott sua patria
adottiva.
Con
un frusciare di seta, Nicolai fece capolino
dalla tenda e si accese con fare non curante la pipa di spuma marina.
<<
Credo che le preghiere non facciano altro che disturbarla.
>> Disse,
puntando gli occhi verso la città. <<
… E sollevaci dalle nostre ansie,
o Dea, e sollevaci dalle nostre pene!
Fa che la Morte giunga su rapide ali, per alleviare il nostro dolore!
>>
Si fece improvvisamente serio, aspirando più volte per far
bruciare il tabacco.
<< Come
è possibile che si possa
invocare la Morte? >>
<<
Quando non si ha altro da fare, amico,
quella è l’ultima spiaggia. >>
Haiduc guardò Nicolai, avvolto in una nube
di tabacco alla violetta << Ma non è roba per
donne quella? >>
Sfotté, perplesso: il suo amico, l’unico che
avesse nelle mura del Palazzo di
Winscott, era stranamente attirato da tutte le cose che piacevano alle
dame,
broccati e tabacco alla violetta compresi. << Sempre
meglio di
quell’orribile tabacco che fumi tu, in quella maniera barbara
poi! >>
Ribadì Nicola, creando anelli di fumo. <<
Almeno il mio lascia l’alito profumato.
>>
<<
Si, certo, per l’amore che porti a tutte le
dame del Palazzo, nevvero? >> Haiduc gli diede una
gomitata fra le
costole, ridacchiando. << Sei proprio una vecchia volpe,
tu! >>
Nicolai
si strinse nelle spalle. << Mi godo
solo la vita, tutto qua. >>
Rimasero
per un po’ in silenzio, entrambi
contemplando la città punteggiata dalle luci delle fiaccole,
mentre le bianche
mura riflettevano la luce lunare. Un mugolio proveniente
dall’interno della
tenda li fece distrarre. << Non si è ancora
svegliata. >> Disse
Nicolai a voce bassa, come a non voler turbare il sonno della ragazza.
<<
Prega i tuoi Dei affinché non lo faccia. >>
Ribadì Haiduc, a voce
altrettanto bassa. << Se mai dovesse vedere in che
condizioni è ridotta,
credo impazzirebbe di dolore. >> Nicolai annuì
in silenzio. << Come
credi che sia giunta qui, Haiduc? Cioè… quando la
tua città è stata distrutta,
tu… >>
<<
Io non ho visto niente di tutto ciò.
>> Concluse bruscamente Haiduc, così
bruscamente da far trasalire
Nicolai. Fu quello a farlo proseguire in maniera più
delicata. << Te l’ho
detto come andò: io ero fuori città, vidi tutto
dalla barca su cui ero a
pescare da solo. Questo e nient’altro mi ha salvato la vita.
>> Era vero:
con ogni probabilità, se quel giorno non fosse uscito a
pescare pesce spada per
diletto, anche lui sarebbe un cumulo di ossa- ma cos’era
meglio? Essere vivo e
solo, ultimo rimasto della sua nobile casata, o essere morto, ma unito
a tutti
i membri della sua stirpe? Gli ci erano voluti cinquanta anni buoni,
per
risolvere quel dilemma e tornare a dormire sonni tranquilli la notte.
<<
Magari, se si sveglia, potrebbe raccontarci qualcosa. >>
Suggerì Nicolai,
espirando il fumo dalle narici. << Qualcosa?
>> Chiese Haiduc,
interdetto, non capendo. << Si, qualcosa su cosa
è successo la. >>
Il biondo indicò il cratere. << E su cosa
è successo alla tua città,
Haiduc… in fondo, lei è arrivata qui attraverso
gli stessi fulmini viola che
hanno abbattuto Albeisine. Forse, viene dallo stesso posto.
>>
<<
Forse. >> Ammise Haiduc << O
forse no. Io preferirei non saperlo. >> Lanciò
uno sguardo dentro la
tenda: oltre la zanzariera, nel profumo disinfettante della citronella
e
dell’incenso, la ragazza riposava piano, più morta
che viva. << Io spero
che non si svegli. >> Concluse Haiduc, vagliando comunque
l’idea di
Nicolai: se la ragazza veniva davvero dallo stesso mondo dei fulmini
viola,
forse avrebbe saputo rispondere alla sue domande, forse gli avrebbe
raccontato
il perché della caduta della sua città,
forse… un mugolio più forte lo colse di
sorpresa, facendogli perdere il filo dei pensieri. <<
Vado io. >>
Disse Nicolai, piazzandogli la pipa in mano. Haiduc annuì,
lanciando in uno dei
bracieri alla citronella la cicca della sigaretta. Stava per provare a
prendere
una boccata dalla pipa quando la voce di Nicolai, stranamente tremula
ed
emozionata, lo richiamò all’interno della tenda.
<< Albeis, >>
Disse. << Qui c’è una cosa che non
puoi assolutamente perderti. >>
Haiduc
svuotò il fornelletto della pipa ed entrò,
incuriosito dallo strano tono di voce di Nicolai. Vi era solo il
pallore lunare
che filtrava attraverso la seta, nient’altro, ma fu
sufficiente per permettere
ad Haiduc di vedere il corpo della ragazza fluttuare a qualche spanna
sopra il
letto, le braccia e le gambe aperte, come se fosse immersa
nell’acqua. <<
Buon Dio… >> Si lasciò sfuggire
l’Albeis dopo un lungo silenzio carico di
stupore, girando attorno al letto della ragazza, mentre Nicolai se ne
stava in
un angolo, completamente in soggezione davanti a quello spettacolo.
Haiduc lo
guardò, indicando poi la ragazza con pollice, in una muta
richiesta di
spiegazione.
<<
Non lo so, non chiedermelo. >>
Rispose Nicolai, alzando le mani come a volersi difendere. Nonostante
la luce
tenue, Haiduc lo vide impallidire. << E non hai ancora
visto tutto.
>> Fece un cenno ai piedi della ragazza, avvicinandosi a
sua volta.
<< Guarda. >> Haiduc si
concentrò sui piedi martoriati: le ferite
giallognole e gonfie trasudavano siero, e nemmeno la citronella
riusciva ad attenuare
l’odore di morte che emanava il corpo della giovane;
addirittura, sulla
caviglia, era visibile l’osso del malleolo. Haiduc represse
la voglia di
storcere il naso e si stava per girare verso Nicolai quando,
d’un tratto, vide
il miracolo: delle unghie, piccole e rosate, stavano ricominciando a
crescere
mentre la pelle delle piante dei piedi si era completamente
ricostruita. Si concentrò
sulle unghie, sbalordito: era solo una sua impressione
oppure… << Vedi
bene. >> Lo rassicurò Nicolai, fissando lo
spettacolo. << Si sta
rigenerando a vista d’occhio. >>
<<
Ma questa è una cosa impossibile! >>
Esclamò Haiduc, sconcertato. << Le ferite
guariscono, Nicolai, ma non a
vista d’occhio! Come se parlassimo di ferite comuni,
poi… >> Scosse il
capo, incredulo. << Questa cosa è contro
natura. >>
<<
Come è contro natura arrivare a Winscott
avvolti da un fulmine e restare per nove giorni aggrappati alla vita.
>>
Ribadì tranquillo Nicolai, senza distogliere lo sguardo
dall’alluce aggraziato
della ragazza. << Mi chiedo solo cosa l’abbia
spinta a rigenerarsi
adesso. Prima soffriva terribilmente, non credi? Perché
proprio ora, a quasi
dieci giorni dalla caduta, il suo corpo ha iniziato a reagire?
>>
Haiduc
fece spallucce, senza trovare una risposta
convincente. << Forse aveva bisogno di recuperare le
energie. >>
Tentò. << O forse si è accorta che
è meglio vivere che morire. >>
Rimasero
in muta contemplazione del corpo che si
rigenerava, uno spettacolo di raccapricciante bellezza: dapprima, si
creavano i
muscoli, che si allungavano fibrosi per pochi centimetri e, subito
sopra si
ricostruivano gli strati inferiori dell’epidermide, il grasso
sotto cutaneo e
la pelle stessa, pallidissima al chiaro della luna- così
pallida, che Haiduc
credette che ella fosse un Albeis. << Quanto
durerà? >> Sussurrò
Nicolai, più a se stesso che al compagno. <<
Lo scopriremo stando qui.
>> Rispose Haiduc, lasciandosi cadere su una delle sedie
imbottite poste
a fianco del letto e facendo cenno a Nicolai di prendere posto accanto
a lui.
Si
erano promessi di vegliare affinché, di buon ora,
uno dei due andasse ad avvertire le loro Maestà
sull’improvviso complicarsi
degli eventi. Avevano anche promesso di fare dei turni di guardia per
non
perdere mai d’occhio la ragazza: il primo sarebbe toccato
all’Albeis, ma con
suo grande stupore Haiduc si svegliò per dare il cambio a
Nicolai quando era
mattino inoltrato, il sole filtrava nella tenda e la citronella e
l’incenso si
erano esauriti nei bracieri. Circondato da tutta quella luce, Haiduc
non poté
fare a meno di sobbalzare sulla sedia, rischiando di cadere per lo
stupore.
Nicolai dormiva ancora, la testa reclinata all’indietro,
russando in maniera
tenue, l’espressione serena… ma un’altra
rumore aleggiava per la sala, e Haiduc
si stupì che esso provenisse dalla creatura che ora giaceva
sul letto. Si alzò
piano, quasi temesse di svegliarla, e le si avvicinò
guardandola come se fosse
la cosa più bella del mondo.
La
ragazza che giaceva nel letto era l’esatto
opposto della creatura disgraziata e martoriata dei nove giorni
precedenti. Per
qualche magia a lui ignota, la ragazza si era rigenerata completamente
nel corso
della notte, in una maniera che Haiduc non aveva mai considerato in
quanto troppo
oltre le sue facoltà: guarire era comprensibile, ma
rigenerarsi? Impossibile. Eppure
era possibile, e lei ne era la prova. E che prova! Haiduc non aveva mai
visto
Donna così bella, simile ad un bocciolo in fiore: i lunghi
capelli biondi le
avvolgevano il corpo fino al pube, riccio e folto di un biondo
più scuro,
mentre il viso riposava sereno, le sopracciglia distese, gli occhi
dalle lunghe
ciglia chiusi e il naso deliziosamente all’insù,
la bocca piccola e piena
appena aperta per emettere quel lieve russare tutto femminile, il
simbolo di un
ritorno alla vita.
Rimase
a fissarla a lungo, perdendo la cognizione
del tempo, pensando solo a quanto fosse impossibile il corso degli
eventi: la
creatura disgraziata che la mattina prima giaceva su quello stesso
letto,
piagata e dolorante, non aveva niente in comune con quella ragazza
delicata,
dalla pelle pallida e i capelli biondi, bella come il sole.
<< Ellis. >>
La chiamò, spontaneo, l’antica parola con cui era
noto il sole. Non seppe
perché la pronunciò, ma l’atmosfera
cristallizzata dentro la tenda si ruppe a
quel suono meno forte di un sussurro: la ragazza serrò le
labbra, deglutendo e
voltandosi sul fianco, assumendo una posizione fetale per dare le
spalle al
sole e dormire ancora un poco. Haiduc si scostò da lei,
accorgendosi di essere
troppo vicino e indietreggiò fino a pestare il piede a
Nicolai, che si svegliò
di colpo. << Non pensavo che il tuo turno di guardia
sarebbe durato così
a lungo. >> Borbottò, la voce roca dal sonno,
guardandosi attorno. Quando
si accorse della novità della stanza, non poté
fare a meno di avere la stessa
reazione di Haiduc: stupore e sgomento si impadronirono del cavaliere
che non
riusciva a mettere in relazione la Stella Morente con quella giovane
ragazza
sana. << Ma cosa è successo? >>
<<
Ti riferisci alla guarigione miracolosa o
al fatto che ci siamo addormentati come due bambini? >>
Chiese Haiduc,
stizzito: sopportava male quelle situazioni, in quanto lo sgomento lo
lasciava
sempre impreparato. Nicolai ebbe a sua volta un moto di stizza:
rotò gli occhi
verdi e allargò le braccia. << Ma ad entrambi,
no? Come è possibile che
due soldati esperti come noi- tu vecchio di secoli, io un po’
meno- siano stati
sorpresi da un sonno così profondo e pesante da farci
svegliare solo la mattina
dopo? E che dire di lei, eh? >> Haiduc gli fece cenno di
abbassare la
voce, per poi fare spallucce. << Dobbiamo avvertire il
Re. >>
Ribadì semplicemente, sfilandosi una sigaretta dal taschino
e puntandola contro
Nicolai << E controllare gli annali e i testi antichi:
dobbiamo capire se
questo evento è il primo mai capitato a Winscott o se
è consuetudine di altri
popoli guarire in questo modo; se è la testa di una profezia
e se si a cosa
porta; ci sono un sacco di cose da fare, caro Nicolai, e in cima alla
lista hai
andare a palazzo e avvertire il Re e la Regina. >> Haiduc
si alzò in
piedi, la sigaretta fra le labbra, l’aria soddisfatta di chi
ha nuovamente
tutto sotto controllo. << Hai capito, caro?
>>
Nicolai
mise il broncio. << Non sono il tuo
galoppino! >> Sbottò, incrociando le braccia
sul petto in segno si
diniego, ma un indice sulle labbra di Haiduc lo riportò ad
osservare la
ragazza, che iniziava ad agitarsi nel letto, con una lieve apprensione.
<< Che dici, si sveglia? >>
Sussurrò Nicolai, curioso. Haiduc l’Albeis,
una volta ogni tanto, non sapeva cosa dire: scosse la testa e fece
cenno a
Nicolai di andare, che sarebbe rimasto lui con la ragazza.
L’Uomo, contrariato,
si avviò a grandi passi fuori dalla tenda, verso la
città, per farsi dare un
cavallo e andare a tutta velocità a palazzo.
Haiduc
uscì nella tiepida aria del mattino estivo,
restando all’ombra della tenda per evitare di scottarsi la
pelle chiara. Alzò
le braccia e stiracchiò i muscoli, facendo scrocchiare la
schiena così forte
che l’eco risuonò a lungo per la piana davanti a
Winscott. Muovendo le spalle
all’indietro per sciogliere il trapezio, si accese la
sigaretta con un cerino
ed aspirò una boccata così intensa da consumarne
metà in un colpo solo. Espirò
piano, lasciando fluire nella testa tutti gli avvenimenti della notte:
la
chiacchierata con Nicolai, il miracolo, la speranza e la
curiosità, il sonno
improvviso, il risveglio di soprassalto, il vistoso cambiamento della
giovane…
tutte queste cose Haiduc le lasciava girare nella sua mente mentre
fissava un
punto imprecisato sulle bianche mura- ma un’altra cosa gli si
gonfiava nella
mente, lasciandogli il cuore pieno di angoscia e speranza: se lei si
svegliava…sospirò,
tremando a confessare quel pensiero persino a se stesso. Se
lei si svegliava… poteva parlare. E, aggiunse
esitante, se lei
parlava, forse avrebbe scoperto qualcosa in più su quanto
accaduto un secolo
prima, sulla rovina di Albeisine, sulla fine del suo
mondo…il solo pensiero lo
sollevava e angosciava, contraendogli la bocca dello stomaco e
mandandogli la bile
in bocca. Haiduc sputò a terra, facendo un’ultima
boccata nervosa e gettando la
cicca nel braciere ormai morto. Rientrò che la ragazza aveva
cambiato
nuovamente posizione e un seno acerbo sbucava tra i capelli biondi
scomposti,
mentre il respiro si era notevolmente alleggerito, presagendo un
risveglio
immediato.
Haiduc
si sedette nuovamente sulla sedia accanto al
letto, stropicciandosi gli occhi stanchi: nonostante avesse dormito
tutta la
notte, le ore di veglia nei giorni precedenti l’avevano
distrutto. Sbadigliò
sonoramente e troppo tardi si accorse di avere la testa a ciondoloni e
gli
occhi pesanti. Pensò che dormire non gli avrebbe fatto male
e lasciò che quel
flusso di stanchezza si concentrasse tutto dietro le palpebre. Non ci
volle
molto prima di giungere nel mondo dei sogni e ci volle ancora meno
perché gli
incubi tornassero a tormentarlo, come accadeva da quasi un secolo.
Erano sempre
gli stessi: riviveva tutto in terza persona, da spettatore; vedeva se
stesso da
giovane, seduto sulla barchetta regalatagli dal padre, a torso nudo e
con i
piedi in ammollo nell’acqua fresca e cristallina; vedeva le
nuvole addensarsi
sopra la sua testa, il mare diventare caldo e ribollire, mentre i pesci
affioravano sulla superfice, morti per il troppo calore; si alzava di
scatto,
l’Haiduc giovane, imprecando per la paura; solo allora si
voltava verso
Albeisine e la vedeva, lontana, arroccata sulla sua roccia, avvolta in nubi viola e
sconvolta dai
fulmini; Haiduc allora prendeva il remo e lo immergeva
nell’acqua per
raggiungere la sua città, la sua famiglia, i suoi amici, e
gridava mentre
cercava di combattere contro la corrente che lo portava via, lontano,
verso
coste sconosciute e a lui ignote. Albeisine si faceva sempre
più piccola e il
suo cuore si stringeva sempre di più, sanguinando di dolore
e angoscia per la
propria gente; poi, nel sogno, gli giungeva l’imponente voce
di suo padre,
autoritaria e fredda come mai era stata: << Un Re non
deve mai
abbandonare il suo popolo. >> Diceva, e le nubi sopra la
sua testa
assumevano i contorni del viso di suo padre, gli occhi gravi, il naso
adunco,
l’espressione scontenta che si chinava sempre di
più su di lui, sempre più
sempre più… Come al solito, il sogno si
interrompeva lì, quando lui veniva sommerso
dai flutti, dal peso della colpa di essere sopravvissuto, e Haiduc si
svegliava
con la sensazione schiacciante che fosse tutto sbagliato, che tutto
quello che
lui avesse fatto dal momento in cui era sopravvissuto fosse errato
perché, in
fondo, sarebbe dovuto morire con gli altri. Era così da
tanto tempo, si aspettava
che il sogno si sarebbe concluso così pure stavolta. Ma non
si svegliò, Haiduc
l’Albeis, perché nelle acque del sogno era
intervenuto qualcosa a lui
sconosciuto: un essere anomalo, dai lunghi capelli biondi e verdastri,
fluttuanti nell’acqua, che lo guardava con occhi a mandorla
di un incredibile
color grano. Sembrava chiamarlo. Incuriosito, Haiduc nuotò
nelle acque del suo
sogno, avvicinandosi fin quasi a toccare la sirena. Fu allora che
spalancò gli
occhi, finalmente sveglio e lucido, e vide chiaramente ciò
che aveva sognato:
la Stella Morente, ora viva e sveglia, lo stava fissando con quegli
stessi
occhi.
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Capitolo 3 *** Capitolo tre. ***
Capitolo
tre_ presa di coscenza.
La
ragazza era ancora stesa nel letto da
campo, le lenzuola macchiate del suo sangue, nella stessa posizione in
cui
Haiduc l’aveva lasciata prima di addormentarsi. Era uguale a
prima, ma gli
occhi erano aperti e lo fissavano con infantile curiosità.
Avevano un non so
che di magico, quegli occhi color del grano, e
l’Albeis non poteva fare a meno di perdersi
in essi.
La
ragazza cambiò posizione e si sedette sul letto. Si
guardò le mani, piccole e
affusolate e contrasse sotto le coperte le dita dei piedi- una cosa che
illuminò il suo viso di un tenue sorriso. Poi
tornò a guardare Haiduc, come se
solo in quel momento si fosse ricordata che anche lui era nella tenda.
Stranamente, non si coprì davanti a lui. Con movimenti lenti
e impacciati, la
ragazza fece scivolare le gambe fuori dalle lenzuola, lasciandole
ciondolare
dal bordo del letto. Allungò il collo per vedere quanta
distanza c’era tra i
piedi e il pavimento e, puntellandosi con le mani, lasciò
scivolare il sedere e
toccò con le punte degli alluci il tappeto che costituiva il
pavimento della
tenda. Haiduc seguiva i suoi movimenti, seduto davanti a lei, estasiato
dalla
concentrazione che lei metteva in ogni singolo gesto, come la lingua
che spuntava
da un angolo delle labbra, piccola e rossa come una fragola, o come il
tremore
nei bicipiti delle braccia, segno che si stava sforzando troppo per le
sue
esigue risorse fisiche. Fu allora che si riscosse da quella visione.
<<
Non affaticarti. >> Le disse, e la ragazza
alzò di scatto la testa,
sorpresa, cristallizzandosi nei movimenti. Haiduc si alzò in
piedi, per andarle
incontro. << Mi capisci? >> Chiese,
cercando di apparire il più
amichevole possibile. Stese una mano davanti a se, indeciso se toccarla
o meno.
<< Sei molto debole. >> Aggiunse,
acquistando un pallido colorito
rosato che rivelava l’imbarazzo di quella situazione.
La
ragazza non rispose subito. Terminò la discesa dal letto,
tastando con le
piante dei piedi la consistenza morbida del tappeto, finemente
arabescato, e si
asciugò le goccioline di sudore che le imperlavano la
fronte. Fece un paio di
respiri, prima di guardare Haiduc dritto negli occhi. Solo allora
annuì.
<< Bene. >> Fece l’Albeis,
traendo un sospiro per allentare la
tensione. << Hai idea di come sei giunta qui?
>> Chiese,
tentennante . Lei ci pensò, per poi scuotere il capo.
<<
Ti ricordi cosa è successo prima che giungessi qui?
>> La risposta fu
ancora negativa.
<<
Non ricordi da dove vieni? >> Ancora no.
<<
Niente? >> La ragazza fece spallucce e scosse forte la
testa, muovendo i
capelli biondi in un frusciare setoso. Haiduc era sempre più
perplesso: che non
si ricordasse della tempesta era plausibile, spesso gli eventi
traumatici vengono
rielaborati dal corpo dimenticandoli completamente, ma che non
ricordasse da
dove venisse prima della
tempesta…un’inquietudine improvvisa si fece largo
in lui, simile ad un brivido,
portandogli una nuova domanda a cui doveva assolutamente dare risposta.
<<
Ti ricordi chi sei?
>>
La
domanda aleggiò nella tenda a lungo, greve come un macigno.
La ragazza sgranò
gli occhi e assottigliò le labbra, guardando Haiduc e nello
stesso tempo
perdendosi in chissà quali ragionamenti . Alla fine,
spaurita, fece ancora no
con la testa.
Haiduc
l’Albeis sospirò forte, passandosi una mano sul
viso e grattandosi il mento,
dimenticandosi per un attimo della creatura e pensando solamente che,
se lei
nulla rammentava, a nulla poteva essergli utile per capire cosa fosse
accaduto
ad Albeisine. Il pensiero lo infastidì, e si diede dello
sciocco per aver
creduto ed alimentato una speranza così vana, e sarebbe
andato avanti a lungo
maledicendo se stesso, ma
un piccolo
singhiozzo lo riportò alla realtà: la ragazza
aveva gli occhi liquidi di
lacrime, e il suo esile corpo era squassato da singhiozzi silenziosi.
Haiduc si
diede dello stupido per essersi perso nelle sue fantasie, e
riportò l’attenzione
sulla ragazza, che iniziò a piangere più forte.
<<
Non piangere. >> La consolò, azzerando le
distanze fra loro. Senza temere
di spaventarla, la prese per le braccia e la alzò con
delicatezza per farla
sedere sul bordo del letto, mentre lei piangeva. Si sedette al suo
fianco,
circondandole le spalle in un gesto protettivo. << Vedrai
che ricorderai
chi sei e da dove vieni. >> Le sussurrò,
cercando di apparire ottimista,
ingannando persino se stesso. << E’ una cosa
normale, perdere la
memoria dopo grossi traumi…
>> Non sapeva se quella era la cosa giusta da dire, ma
era l’unica
sensata: non era mai stato un bravo consolatore, lui. <<
Pensa a questo:
sei viva. >> Le disse calorosamente, accarezzandole i
capelli con la mano
mentre i singhiozzi e le lacrime si facevano più intensi.
<< Sei viva e
vegeta, hai tutta una vita davanti per scoprire il mistero della tua
venuta a
Winscott e posso giurarti già da ora che non sarai mai sola.
>> La
ragazza si voltò verso di lui, tirando su col naso. Haiduc
rimase colpito dalla
sua bellezza, dalla sua aria indifesa, dalla sua innocenza. Le sorrise
dolcemente. << Io sono Haiduc, colui che ti ha salvato.
Sappi che ti sono
amico da qui all’eternità. >> Una
campana batté i colpi sul suo cuore:
quelle parole avevano il sapore di un giuramento e lui le pronunciava
col cuore
puro e sincero.
La
ragazza sbatté le palpebre ornate da ciglia bionde,
così sorpresa da aver
smesso di piangere, colpita da quanto l’Albeis le aveva
detto. Gli poggiò una
mano sul petto, afferrando con dolcezza la stoffa della camicia estiva
di
Haiduc, mentre l’altra andava a posarsi con delicatezza e
naturalezza nel palmo
della mano aperta dell’Albeis. << Grazie.
>> Disse allora la
ragazza, la voce esile, guardando le loro mani unite, la sua in quella
di lui,
simile ad un uccellino sicuro nel nido.
Nicolai
li trovò così, stretti in un abbraccio, occhi
dentro occhi, e il fatto lo
lasciò di stucco: l’Albeis che si lasciava andare
a simili tenerezze? E da
quando?
<<
Siamo arrivati. >> Disse, entrando nella tenda con falsa
noncuranza e
guardando poi la ragazza, che si strinse al petto di Haiduc,
spaventata. Le
sorrise, inchinandosi con fare elegante. << Madonna, mi
presento: sono
Nicolai di Langued’Och, Cavaliere della Lingua, agli ordini
di sua maestà Re
Scott X di Casa Scott, re di Winscott e delle Coorti interne, delle
Isole
Sudali e delle Saline. >> Le rivolse un nuovo sorriso,
raddrizzandosi,
<< Mi piegherò volentieri anche ai vostri
ordini, Madonna, sempre che lo
desideriate e che Haiduc me lo permetta. >> Ridacchiò
all’occhiataccia che l’Albeis gli
riservò. << Si, vedo che siete diventati molto
amici… >> Commentò,
malizioso.
La
ragazza arrossì, lasciando scivolare la mano posata sul
petto di Haiduc sul suo
grembo, coperto dai capelli biondi. << Voi fraintendete.
>> Disse, <<
Haiduc è la persona a me più cara in
quanto è la prima che vedo in questo mondo sconosciuto, in
cui sono estranea
addirittura a me stessa… >> Rivolse gli occhi
a Nicolai. << Ma, se
me ne darete il tempo, sono certa che riuscirò ad apprezzare
anche voi, messer
Nicolai, e anche il vostro Re… >> Si volse di
scatto, guardando con aria
spaurita lo stuolo di persone che improvvisamente aveva invaso la
tenda: erano cinque
frati dell’ordine medico, tutti con la testa rasata tranne
per i ciuffi sulle
orecchie, capitanati dal maestro astrologo. Quest’ultimo si
fece avanti, il
viso rugoso increspato da un sorriso sincero. << Ragazza.
>> Disse,
dopo un lungo momento passato a contemplarla. << Non sapete quale immenso
onore è conoscervi.
>>
<<
Chi siete. >> Chiese, semplice come un bambino.
<< Sono amici.
>> Rispose per lei Nicolai, << Persone che
desiderano conoscerti
e…visitarti. >>
La
notizia la confuse. << Visitarmi? E perché?
>>
<<
Siete stata in coma per dieci giorni, madonna. >>
L’informò un frate, il
cui grembiule era più candido della pelle di Haiduc.
<< Vi siete ripresa
lentamente, risvegliandovi solo stamattina. Vorremmo farvi una visita
di
controllo, una mera formalità, solo per vedere se siete sana
e guarita del
tutto. >> Il
frate sorrise, l’aria
bonaria e rassicurante. << Non dovete temere, figliola:
qui, nessuno vi è
nemico. >>
La
ragazza guardò Haiduc prima di rispondere e, quando vide che
in lui non c’era
traccia di reticenza o di falsità, acconsentì a
farsi visitare.
Nicolai
fece un fischio di vistosa approvazione, ridacchiando e battendo una
mano più
volte sulla spalla di Haiduc. << Ben giocata amico mio,
davvero ben
giocata! >> Esclamò, accendendosi la pipa.
Haiduc
rimase a braccia conserte, gli occhi puntati sulla tenda lontana
qualche metro
da loro. << Cosa è ben giocata?
>> Chiese, innervosito da
quell’atteggiamento. Nicolai sbuffò una nuvoletta
di tabacco alla violetta, ma
il vento la disperse prima che potesse spandere il suo odore
nell’aria. Gli
puntò la pipa contro. << Guarda che non
c’è nulla di male, sai? >>
Haiduc
emise un verso di esasperazione, roteando gli occhi rossi al
cielo.<<
Nulla di male in cosa?
>>
<<
Ma a desiderare una bella figliola come quella, Haiduc!
>> Esclamò
l’altro, spalancando le braccia e schivando prontamente un
cazzotto da parte
dell’Albeis. Nicolai si portò a debita distanza,
ridendo divertito a quella
reazione. << Cosa credi, che non l’abbia
notato? Le eri così vicino
davvero solo per consolarla?
>>
Stavolta dovette scansare una pietra. << Sei sempre stato
permaloso, lo
sai? >>
<<
Quella creatura si è sciolta in lacrime proprio davanti a
me, Nicolai, come
facevo a non consolarla? >> Scattò Haiduc,
gesticolando, vistosamente
alterato. << Non ho fatto nulla di male! >>
Nicolai
continuava a ridacchiare. << Da come ti agiti, sembra che
tu abbia commesso
il peggiore dei peccati, amico… >> Si fece
serio. << Gli Dei sanno
cosa è successo a quella creatura, Albeis: sono proprio
curioso di sapere se i
medici scoprono qualcosa. >>
Haiduc
scosse il capo <> Trasse un sospiro. << Quella ragazzina
ha qualcosa di speciale.
>>
<<
Be, sai com’è! >> Esclamò
Nicolai, ironico. << Si è appena
autorigenerata dopo nove giorni di agonia ed è caduta dal
cielo avvolta in una
palla di fuoco! Se non è magia quella! >>
Haiduc
alzò gli occhi al cielo, inspirando per mantenere la calma.
<< Se non ti
uccido oggi, Nicolai, giuro
che vivrai
in eterno! Non è solo
per quello…
>> Chinò il capo, nella testa
l’immagine di lei e lo scintillare degli
occhi. << Io…l’ho sognata.
>>
<<
Sognata? >> Nicolai era perplesso e morse il bocchino
della pipa.
<< Come sognata? >>
<<
Un attimo prima che si svegliasse, l’ho vista nel mio sogno.
>> L’Albeis
si rabbuiò. << Lo conosci il mio sogno, no?
Vedo la mia città andare in
cenere, cerco di raggiungerla ma vengo affogato dalle acque.
>> Sospirò,
chiudendo gli occhi e pinzandosi la radice del naso fra pollice e
indice.
<< Di solito, a quel punto, mi sveglio. Ma non stavolta.
>>
<<
Perché hai visto lei? >>
<<
Era una sirena che si muoveva nell’acqua, sinuosa.
>> Haiduc se la vide
di nuovo innanzi. << L’ho
vista
avvicinarsi e guardarmi con quegli incredibili occhi gialli.
>> Aprì
nuovamente gli occhi, volgendosi verso Nicolai. << Il
problema è che io
non sapevo ancora di che colore fossero i suoi occhi. >>
Nicolai
annuì, meditando un attimo. << Credi che si
sia infilata nel tuo sogno,
Albeis? >>
<<
Certi maghi lo sanno fare. >> Scrollò le
spalle. << Maghi antichi e
potenti. >>
Nicolai
si grattò la fronte col bocchino della pipa, perplesso.
<< Credi che lei
sia qualcosa di simile ad un mago? È risaputo che la loro
razza si è estinta
secoli or sono. >>
<<
Ancora prima che nascessi io. >> Precisò
Haiduc. << Ma forse essi
vivono altrove, forse qualcuno è sopravvissuto…
nelle Antiche Cronache non si
parla forse della loro culla, Xeris, il luogo da cui essi provenivano?
Forse
essi sono tornati da lì- forse, Ellis proviene da
li… >>
Nicolai
inarcò un sopracciglio. << Ellis?
>>
Haiduc
si sentì pungere sul vivo, assumendo di nuovo una sfumatura
rosata di puro
imbarazzo. << L’ho chiamata così.
>>
<<
Ah, adesso ne reclami anche la paternità! >>
Nicolai rise, divertito, ma
vedendo la faccia di Haiduc si fece subito serio. <<
Scherzavo. >>
<<
Scherzi sempre troppo per i miei gusti. >>
Borbottò Haiduc, acido,
incrociando le braccia sul petto e tornando a guardare la tenda: da
quanto
tempo la stavano visitando? Cosa ci voleva per dire che semplicemente
Ellis era
una miracolata? << Nicolai, voglio proteggerla.
>>
<<
E da cosa, se posso saperlo? >>
<<
Un essere del genere non scende nel nostro regno tutti i giorni.
Attirerà
curiosità, morbosità.... >> Haiduc
si fece pensieroso. << La
vorranno studiare. Cercheranno di usarla per qualche scopo. Magari
contro il
Re, magari contro qualcun altro. E io non sono d’accordo.
>>
Nicolai
si fece vicino all’amico, guardandolo negli occhi.
<< Leggo
determinazione nei tuoi occhi da Albeis, ma anche ansia e apprensione.
>>
Gli batté una mano sulla spalla. << Amico, non
devi temere: non sarai
solo. Ti darò entrambe le mani, se non saranno impegnate
altrove, per
proteggere quella creatura.>> Haiduc gli
riservò un’occhiata di
gratitudine, mentre i frati uscivano finalmente dalla tenda.
Il frate
che aveva rassicurato Ellis delle loro intenzioni era quello
più estasiato,
mentre gli altri non facevano che confabulare e scuotere la testa,
sorpresi e ammaliati
da quanto avevano visto. << Una cosa del genere
è unica e rara! >>
Disse a Nicolai e Haiduc, che avevano chiesto un resoconto della
visita. Al frate
luccicavano gli occhi. << Quella creatura è
completamente rinata…
>> Si passò una mano sul viso e volse lo
sguardo al cielo, come a rendere
lode agli Dei. << Essi
hanno
ascoltato il nostro grido! >> Esclamò,
allargando le braccia in un gesto
di grazie. << Hanno ascoltato le nostre preghiere e
l’hanno miracolata…
>>
<<
Io sarei cauto a parlare di miracolo, fratello. >>
Intervenne il maestro
astrologo, fra gli occhi una ruga di severità.
<< Se fosse davvero un
miracolo, a quale pro’ lasciare la creatura senza memoria?
>>
Il frate
rise sommessamente, una mano davanti alla bocca, come a farsi beffe del
suo
interlocutore. << Ma per non ricordarle della terribile
avventura, no?
>> Si guardò attorno, raccogliendo consensi
dagli altri frati. <<
Maestro Wiligelm, a volte sembrate non accorgervi delle risposte
più semplici.
>>
<<
Queste considerazioni semplicistiche le lascio volentieri a gente meno
complicata di me, fratello. >> Ribadì il
maestro con una punta di
permalosità nella voce, avviandosi poi verso la
città, solitario. <<
Maestro Wiligem è sempre stato così.
>> Disse Haiduc, sorridendo nel
vedere il vecchio che caracollava verso la città.
<< Anche da giovane.
>>
<<
E’ stato l’unico a non unirsi alla preghiera
collettiva. >> Spifferò il
frate, contrariato. << Quell’uomo è
senza Dei! >> Haiduc fissò il
frate, facendolo ammutolire. << Avrà avuto i
suoi buoni motivi per non
lodare gli Dei. >> Gli passò innanzi, entrando
nella tenda. << E,
in ogni caso, voi non avete pregato per la
una rinascita,
ma per una morte pietosa.
>>
Quando
entrarono, Ellis era in piedi, vestita di una lunga camicia da notte, i
capelli
che le arrivavano di poco sotto le reni. Dava le spalle
all’entrata e sussultò
quando sentì la tenda frusciare ma, una volta riconosciuti
Haiudc e Nicolai,
sorrise. << Finalmente se ne sono andati.
>> Sussurrò,
avvicinandosi a loro. Li prese entrambi per mano, con naturalezza,
quasi
fossero amici da una vita. << Non ne potevo
più. >>
<<
Che cosa ti hanno fatto? >> Chiese Haiduc, curioso. Ellis
scrollò le
spalle, indifferente. << Mi hanno toccato dappertutto,
persino li.
>> E si indicò il pube. << E
hanno continuato a parlare di miracolo
e arendere lode agli dei. Haiduc, perché dicevano
così? >>
Nicolai
lanciò all’Albeis un’occhiata: e adesso?
Haiduc si schiarì la gola. <<
Vedi, non ti ho detto tutto. >> Accennò al
letto. << Siediti.
>> Ellis annuì e si sedette lentamente sul
letto, sbuffando per i pochi
movimenti compiuti. Haiduc e Nicolai si sedettero sulle sedie davanti a
lei.
Ellis
sollevò un sopracciglio invisibile, invitandoli a parlare.
Con un profondo
sospirò, Haiduc iniziò a raccontare.
-O-
Haiduc
incrociò le braccia sul petto, concludendo così
la versione dei fatti. <<
Questo è quanto. >>
<< Io? >> Ellis si
puntò un indice
al petto, esterrefatta. Haiduc e Nicolai annuirono, solenni, attendendo
per
farle assimilare la notizia. Lei rimase così,
l’indice sullo sterno, troppo
colpita anche per pensare. Lei era
arrivata con una palla di fuoco…
<<
E sono guarita così di colpo? >>
Esclamò, facendo sobbalzare entrambi i
suoi interlocutori. Ellis
si toccò il
viso. << Ma ora sto bene! >>
Si toccò le orecchie e la fronte, quasi a
volersi controllare. <<
Ora sto bene… >> Si
mise le mani
dappertutto, continuando a ripeterlo.
<<
Ora. >> Disse Nicolai, sorridendo a tutta quella foga.
<< Ora si
che stai bene, ma prima avevi un aspetto orribile. >>
<<
Non ne dubito… >> Ellis sospirò,
osservandosi con attenzione le dita dei
piedi. << Dunque, sono semplicemente rinata.
>>
Haiduc
annuì. << Parliamo pure di resurrezione. Sei
riuscita a ricordare
qualcosa? >>
Ellis
scosse il capo, sconsolata. << No. Non ricordo nemmeno il
mio nome.
>> Haiduc e Nicolai si scambiarono un’occhiata.
<< Noi un nome te
l’avremmo dato. >> Ammise Nicolai, sorridendo
alla sua espressione
stupita. << Che
nome è? >>
Chiese lei, gli occhi che brillavano di curiosità.
<< Ellis. >>
Disse Haiduc, e la sua voce tremò appena. Si
schiarì la gola prima di
proseguire. << Significa “ Sole”
nella lingua antica. Tu sei bella come
il sole, quindi Ellis è perfetto. >>
L’Albeis aggiunse quelle ultime
parole in maniera sbrigativa, quasi se ne vergognasse. Dal canto suo,
Ellis
arrossì di piacere. << E’ un nome
molto bello. >> Convenne,
guardando Haiduc ed arrossendo maggiormente. << Lo accetto con piacere.
>>
L’Albeis
e la Stella Morente rimasero a guardarsi ancora per un po’,
mentre Nicolai
spiava le loro emozioni e sorrideva con aria sorniona.
Cantuccio:
ahem… eccomi qui.
Non so,
a me questa storia piace tanto. E’ una storia che avrei
sempre voluto leggere,
ma evidentemente altri la pensano come me…. mi piacerebbe
sapere cosa ne
pensate, voi che passate di qui, tanto per sapere se sono sulla retta
via o
sono così accecata dalla mia bravura- si, sono
un’inguaribile egocentrica. In verità,
avevo postato questa storia per due motivi: avere dei pareri e
crogiolarmi… si,
lo so, sono anche sfacciata e probabilmente vi starò
antipatica- per non dire
sul ca- -o – ma io sono così.
Accetto sia
cose positive, che negative, che neutre. Dai, orsù, fate
felice questa piccola
bitch.
Vostra, Anna.
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Capitolo 4 *** Capitolo quattro_ i Guardiani della Stella ***
Capitolo
quattro_ i
Guardiani della Stella
Ellis si
rivelò essere una ragazza forte: nonostante le cose
pazzesche che le erano
successe, la sua mente rimase equilibrata e lucida e, se fosse rimasta
scossa
dalle rivelazioni di Haiduc e Nicolai, non lo diede a vedere. I medici
sarebbero venuti ogni giorno e ogni giorno l’avrebbero
visitata accuratamente
per tenerla d’occhio. In verità, lo scopo delle
visite era raccogliere dettagli
sulla Stella Morente, adesso Rinata, e spargerli per la
città, aumentando una
curiosità che a tratti risultava morbosa. Haiduc e Nicolai
sapevano che era
così, ma per quanto fossero infastiditi avevano le mani
legate: gli ordini
arrivavano direttamente dalle Loro Maestà, quindi dovevano
ingoiare il rospo ed
uscire dalla tenda durante la visita giornaliera.
Già
dai
primi giorni, si parlò di quarantena: non si sapeva niente
di Ellis e del suo
corpo diafano. Meglio lasciarla fuori le mura per qualche settimana e
vedere
come reagiva all’aria di Winscott e ai suoi cibi, prima di
farla entrare in trionfo
tra le bianche mura. Su questo, Haiduc e Nicolai non ebbero da
obiettare: Ellis
era molto debole, come c’era da aspettarsi dopo quello che le
era accaduto, ma
la cosa più spaventosa era il tremendo vuoto di memoria che
l’aveva colpita,
lasciandola estranea persino a se stessa. Speravano che Ellis
ricordasse
qualcosa durante la quarantena, ma le speranza si affievolivano ogni
giorno che
passava: nella testa di Ellis, sotto la voce ricordi, non affiorava
niente. Tutto
questo non sarebbe dovuto trapelare ai Frati dell’Ordine
Medico, avevano
concordato Haiduc e Nicolai: se avessero saputo del vuoto che divorava
Ellis
come avrebbero reagito? Avrebbero forse pensato che Ellis mentisse, che
magari
nascondesse qualcosa…quindi, con la complicità di
lei, dissero che la ragazza,
dopo un momento di smarrimento dovuto allo shock per quanto accadutole,
aveva
ricordato frammenti della sua vita passata: la sua casa era oltre le
Terre
Sudali, luoghi ancora inesplorati; era stata sorpresa dalla stessa
tempesta che
aveva investito Winscott, credendo di morire mentre il forte vento la
sollevava
da terra. L’ultimo ricordo era l’immagine del suo
villaggio distrutto mentre il
primo era quello della tenda in cui si era svegliata dopo dieci giorni
di
agonia. Quella bugia venne propinata più e più
volte nel corso delle visite, ma
quanto sarebbe durata? Prima o poi, Ellis avrebbe dovuto spiegare la
sua
situazione o inventarsi qualcosa di nuovo.
In ogni
caso, a qualcosa le visite mediche erano servite: i Frati avevano
prescritto
una dieta di frutta, carne e pane, che unita a grandi dosi di Cha
grigio( un
tonico tipico di Winscott, ricostituente ed energizzante )e ad un
riposo praticamente
assoluto avrebbe risolto il problema della debolezza fisica di Ellis.
Quindi,
la ragazza caduta dal cielo passava le sue giornate nella tenda, stesa
su
soffici tappeti, adagiata su cuscini multicolori con innanzi a
sé un tavolino
basso su cui una teiera per il Cha era sempre pronta. I medici le
avevano anche
predisposto una donna, Kie, che sarebbe venuta da Winscott tutte le
mattine per
lavarla, vestirla e pettinarla come si confaceva ad una Madonna di
tutto
rispetto: i lunghi capelli venivano acconciati un giorno in trecce
corpose e
l’altro lasciati sciolti, meravigliosi nel loro biondo
ondulato, mentre il
corpo veniva coperto da abiti di mussola bianca o azzurro cielo, abiti
di
campagna, abiti comodi per la vita di assoluto riposo della Stella
Rinata.
Haiduc e Nicolai ricevettero dalle Loro Maestà in persona
l’incarico di
proteggere Ellis e di educarla agli usi e costumi di Winscott,
così che al
termine della quarantena ella potesse far loro visita. Con un editto
reale,
essi vennero insigniti del ruolo di Guardiani della Stella: le
sarebbero stati
sempre accanto, giorno e notte, pronti a proteggerla con la vita, se
necessario.
Ellis
aveva sorriso a quel titolo pomposo, dicendo che per lei Haiduc e
Nicolai era
ben altro che semplici Guardiani: erano i suoi unici amici in quel
mondo sconosciuto.
<< Di voi sento che posso fidarmi. >> Gli
aveva detto una sera.
<< E anche senza titolo avreste dato la vita per me. Come
io per voi,
d’altro canto. >> .Haiduc e Nicolai avevano
annuito, seri, sorseggiando
Cha e mangiando frutta secca. Non era un compito difficile, il loro,
anzi:
sembrava quasi di essere in vacanza, lontano dalla vita di corte con la
sua
rigidità e i suoi rituali… l’unico
servizio a cui dovevano sottoporsi era
quello di andare a Palazzo una volta ogni cinque giorni, per fare
rapporto al
Re sulla quarantena. In particolar modo la Regina Marghery,
così caritatevole e
buona, chiedeva sempre dello stato di salute della giovane ed aveva
espresso il
desiderio di prendere Ellis sotto la sua ala, elevandola al rango di
Dama, una
volta che ella fosse uscita dalla quarantena. La cosa aveva ovviamente
riscontrato la benevolenza del Re e della Corte, come sempre ben
disposta
davanti a queste opere caritatevoli.
Quella
volta, ad udienza finita, Haiduc era tornato alla tenda
mentre Nicolai era rimasto in città per
andare da un mercante di sete di sua conoscenza: voleva far
confezionare un
vestito ad Ellis per la sua venuta a Palazzo, ed Haiduc aveva affidato
a lui
anche la scelta degli accessori. Nicolai sarebbe rimasto via a lungo,
aveva
pensato l’Albeis, dirigendosi verso la tenda con calma,
sottilmente soddisfatto
dalla prospettiva di restare da solo con Ellis. Quando era entrato,
l’aveva
trovata al centro della tenda inondata di luce, seduta sul suo sgabello
da
toeletta, davanti al grande specchio incastrato nel paravento,
concentrata a
sciogliersi la treccia tripla in cui Kie aveva ingabbiato i suoi
splendidi
capelli. Ellis si sorprese nel vederlo arrivare e gli rivolse un
silenzioso
sorriso di benvenuto dallo specchio. Haiduc pensò che era
semplicemente
deliziosa: per lavorare bene, aveva portato la treccia sul davanti,
lasciando
così scoperta la nuca candida. Una volta che Haiduc ebbe
finito di raccontarle
dell’udienza, Ellis rise di gusto. << La Regina
mi vuole davvero come
Dama? Sul serio? >> Era colma di stupore, mentre
cercava di
districare il disastro che Kie aveva combinato quella mattina: questa
volta le
aveva annodato così saldamente i capelli da renderle la nuca
dolorante già nel
primo pomeriggio. Guardò il riflesso dell’Albeis e
sorrise. << Stamattina
Kie era nervosa… ha fatto una treccia così
stretta che non riesco nemmeno a
scioglierla… >> sbuffò guardandosi
allo specchio. << Che disastro…
>> Aveva sul viso un’espressione concentrata e
seria che fece sorridere
Haiduc. Senza nemmeno accorgersene, le fu accanto. << Mi
permetti di
aiutarti? >> le chiese con estremo garbo. Senza attendere
risposta, le
prese le ciocche annodate dalle mani e se le portò in un
palmo, mentre con
l’altra mano prendeva un pettine d’osso dai denti
fini. Se Kie aveva fatto un
disastro con in capelli, aveva avuto buon gusto in fatto di
abbigliamento: Ellis
vestiva un abito azzurro con maniche corte a palloncino, stretto sotto
al seno
da un nastro zafferano, con lo scollo rotondo ornato di pizzo dello
stesso
colore del nastro. L’abito le lasciava scoperte le gambe dal
ginocchio in giù,
mentre i piedi scalzi erano accarezzati dal tappeto di seta. Era
bellissima.
Guardando il riflesso di Ellis nello specchio, Haiduc la
trovò lievemente
inquieta. << Non devi sentirti a disagio
>>, l’ammonì l’Albeis
mentre la pettinava con delicatezza per non farle male.
<< Non con me o
Nicolai. Siamo i tuoi custodi, oltre che tuoi amici…
>> Ellis annuì e
cercò di sorridere, ma quella sensazione rimase.
<< Desideri che smetta?
>> Le chiese allora l’Albeis, ma Ellis scosse
il capo, cercando di
assumere una posa più spigliata e cercando di scacciare
quella vena sottile di
inquietudine che l’attraversava. Dopo un attimo di silenzio,
Haiduc decise da
cambiare argomento. << Perché ti stupisci che
la Regina voglia conoscerti
ed averti a fianco? >> le chiese per distrarla,
<< Sei la Stella
Rinata, la Ragazza caduta dal Cielo: tutta Winscott vuole conoscerti.
>>
Ellis
annuì, lasciandosi poi andare ad un pesante sospiro ed
abbassando lo sguardo.
<< E se io non volessi conoscere Winscott?
>> Mormorò, incrociando
gli occhi col riflesso di Haiduc. Inavvertitamente, l’Albeis
le sfiorò la nuca, facendole
accapponare la pelle delle braccia
nude. << Perché dici così?
>>, le chiese Haiduc, lasciando perdere
i capelli e fissandola, perplesso. Davanti a quegli occhi, Ellis si
sentì
costretta a vuotare il sacco. << Da quanto è
che sono qui, Haiduc?
>> sussurrò, << Una decina di
giorni, senza contare la decina in
cui ero agonizzante… >> La voce le
uscì in un sussurro debole, ma più
dura di quanto avrebbe desiderato. << Ebbene,
cos’è successo in questo
lasso di tempo? >>
<<
Hai recuperato le forze >>, elencò prontamente
l’Albeis, tornando a
pettinarla, << Hai mangiato, hai dormito, ti sei rimessa
in sesto…
abbiamo parlato tanto. >> Continuò a
guardarla, serio, cercando di
arrivare al nocciolo senza essere duro. << E’
da poco che sei qui, Ellis,
non puoi pretendere di ricordati una vita intera in pochi giorni, non
dopo
quello che ti è successo. >> Avrebbe voluto
finire la discussione così
ma, vedendo il viso della ragazzina rabbuiarsi, fu costretto a
chiedere.
<< Cosa c’è che non va, dimmelo.
>>
Ad Ellis
tremarono appena le labbra. << Non
so…assolutamente niente!
>> Sbottò, lasciando che la voce si rompesse
in più
punti, << Niente di niente, Haiduc. Non so da dove vengo,
non so come
sono guarita, non so come sono sopravvissuta… non ricordo la
mia famiglia, non
so nemmeno se ho una famiglia, non
so
nemmeno chi sono! >>
Scosse il
capo con aria sconsolata. << Come posso affrontare
Winscott in una tale
situazione, me lo dici? Come faccio a fare finta di star bene quando
non so
nemmeno come mi chiamo? >> Si girò sullo
sgabello. Incrociò gli occhi di
lui per fargli capire il tormento che si annidava in lei. Si
stropicciò le
mani, nervosa. << Lo capisci quello che sento? Lo comprendi? >>
Sanza
alcun preavviso, Haiduc le posò la mano libera sulla
guancia, sorprendendola con
quel tocco gelido- Haiduc era sempre più freddo di Nicolai,
come un diamante…
L’Albeis la fissava quasi con rimprovero, ma negli occhi di
rubino erano ben
visibile la tristezza e la solitudine di una vita intera.
<< Si, capisco
quello che dici. >> Le disse con fare calmo, sommesso.
<< Più o
meno, ho provato esattamente quello che provi tu adesso.
>> Ellis lo
guardò con occhi nuovi. Prima che potesse ribattere, Haiduc
continuò. <<
Essere lontano da coloro che ami, non avere più qualcosa in
cui identificarti
perché quel qualcosa
è morto e
divorato dai pesci, essere così solo e alienato da faticare
a sentire la voce
di te stesso, fino ad abortire te stesso e il tuo sangue, e intanto
continuare
a chiederti: perché proprio a
me…>>
La bocca divenne una linea dura nel diamante
del suo viso. << Almeno, tu hai il beneficio del dubbio:
non sai se sei
l’ultima della tua stirpe o della tua intera razza, la tua
amnesia è
involontaria e credimi, c’è una grande differenza
fra questo tipo di amnesia e
quella che colpì me… ringrazia Dio di avere
questo dono, Ellis, perché la tua
confusione diverrebbe disperazione se fossi nei miei panni.
>>
Dopo un
lungo attimo di silenzio, Ellis non riuscì più a
resistere. << Allora…
>> mormorò esitante, come se stesse per
svelare un grande mistero. Si
protese verso Haiduc, inarcando un sopracciglio perplesso, una luce di
speranza
negli occhi. << Allora, tu sei come…me?
>>
Haiduc
stava per aprire bocca quando un pensiero
l’investì: Ellis non si ricordava di
essere entrata nel suo sogno, la mattina in cui si era svegliata,
dunque non
ricordava della fine di Albeisine. Questa cosa lo lasciò
perplesso e in bilico
fra due decisioni: raccontarle tutto o tacere? Pochi conoscevano la sua
storia
per intero… valeva la pena raccontarle l’orrore
che aveva patito, farle
rivivere il suo incubo personale? Se solo avesse potuto
vedere… e lì gli venne
l’intuizione.
<<
Alzati >> , le ordinò poggiando il pettine sul
tavolino da toeletta.
Ellis obbedì, confusa, e si trovò in piedi
davanti a lui. Si accorse solo
allora di arrivargli a malapena allo sterno. Lo guardò dal
basso con occhi
interrogativi, chiedendosi cosa fosse accaduto ad Haiduc. In un moto di
inquietudine, si chiese che fine avesse fatto Nicolai.
<<
Abbracciami. >> Disse semplicemente il suo custode.
Quell’unico verbo la
lasciò spiazzata. Sgranò gli occhi, mentre il
viso le prendeva fuoco per l’imbarazzo.
<< Cosa? >> pigolò, ma Haiduc
fece un gesto sbrigativo con la mano.
<< Non importa, non possiamo perdere tempo, non
ora… >> mormorò
concitato, azzerando le distanze e stringendole la vita con le braccia
possenti.
La fece poggiare sul suo petto, baciandole i capelli profumati.
<< Voglio
che mi abbracci e voglio che ti concentri, è di vitale
importanza che tu lo
faccia… >> Ellis appoggiò con
cautela la guancia al suo petto, ascoltando
il battito del cuore di lui accelerare. Non pensava che fosse
così essere
abbracciate da un uomo… << Non devi avere
paura >>, la
tranquillizzò lui, << Non voglio farti niente
di male. >> Ellis
alzò le braccia e le allacciò al collo
taurino di Haiduc, alzando il viso e trovando a poca distanza quello di
lui. Quando
lo vide così vicino, non poté fare a meno di
sentire lo stomaco sciogliersi:
cos’era quella sensazione calda? Senza accorgersene, gli
stava fissando le
labbra: non pensava che fossero così pallide anche da
vicino… Stava per
succedere qualcosa, ma non sapeva esattamente cosa. Una strana carica
si stava
creando tra i due e la scintilla scattò quando Haiduc
inchiodò gli occhi rossi
nelle iridi color grano di lei. << Ascoltami attentamente
>>, le disse
in un sussurro, così vicino che Ellis poteva
l’odore mentolato del tabacco,
<< Guarda in me.
L’hai già
fatto, anche se non lo sai. E’ ora di farlo di nuovo.
>> Haiduc poggiò la
fronte a quella di Ellis, così calda in confronto alla sua
da sembrare
bollente, e vide la sua espressione passare da preoccupata a languida.
Cosa si
aspettava? Si chiese Haiduc, improvvisamente conscio di essere in una
posizione
imbarazzante: forse, Ellis si aspettava di essere baciata... ma da lui?
Seriamente?
<< Non avere paura >> le disse
ancora, accarezzandole le guance tinte d’imbarazzo.
<< Non di questo, non
di me… >>
Ellis
annuì con occhi scintillanti, aspettando qualcosa. Haiduc chiuse un attimo gli occhi
per concentrarsi.
Poi, li spalancò e li fissò nuovamente in quelli
di Ellis, lasciando che lei si
perdesse nelle sue pupille rosse. Non era sua intenzione farle paura,
ma aveva
assolutamente bisogno di capire… l’aveva vista nel
suo sogno, quella volta, e
adesso voleva sapere se lei era capace di entrare volontariamente
in lui. Se ce la faceva, forse avevano una pista.
Dapprima,
Ellis non vide niente, solo gli occhi di Haiduc resi enormi dalla
vicinanza. La
imbarazza e disorientava questo suo fissarla, ma lui le aveva chiesto
di non
avere paura e lei sarebbe stata forte per lui. Lo fissava negli occhi,
incapace
di credere di essersi finalmente liberata da quel peso che da oltre una
settimana le opprimeva il cuore. Lo sapeva che avrebbe fatto bene a
parlarne
con entrambi, eppure ci era riuscita solo con Haiduc. Con Nicolai aveva
uno
splendido rapporto, molto simile a quello con l’Albeis, ma
col biondo qualcosa
mancava, qualcosa che invece con Haiduc c’era, e molto anche.
Complicità? Si chiese, mentre si
perdeva nel mare rosso
dei ricordi di Haiduc…
…un
mare nero, per l’esattezza,
che si abbatteva su una spiaggia bianca coperta di detriti sotto ad un
cielo
carico di nubi. Guardò con maggiore attenzione, muovendo gli
occhi a destra e a
sinistra, cogliendo fulmini in mare e un vento così forte da
spazzare la cresta
delle onde che si abbattevano sul bagna asciuga con rombi tonanti.
Ellis fece
qualche passo, inciampando in qualcosa di morbido. Abbassò
il capo e si gelò
dall’orrore: un cadavere giaceva a faccia in giù
sulla sabbia, ancora lambito
dalle onde. Ellis cercò di spostarsi dal corpo morto, ma
inciampò ancora,
stavolta in un braccio, poi in una gamba e infine nel torso decapitato
di un
bambino, finendo così col sedere nella sabbia, schiacciando
i corpi morti di
una moltitudine di pesci. Avrebbe voluto gridare, sentiva che
spalancava la
bocca e prendeva fiato, ma nessuna voce le usciva dalla gola anche se
l’orrore
era insopportabile: cadaveri. Cadaveri dappertutto, su quella spiaggia.
Cadaveri umani e pesci a
non finire, su
quella dannata spiaggia. Un movimento la colse di sorpresa, facendola
scattare
in piedi e distogliendola dalla carneficina. Distante qualche metro,
c’era
qualcuno di vivo: era in piedi, nudo, le spalle curvate e le braccia
abbandonate lungo i fianchi. Fissava i resti ai suoi piedi con fare
assente.
Ellis si avvicinò, riconoscendo nei tratti del giovane
qualcuno: pelle bianca
come il latte, occhi come rubini. Si stupì di vedere Haiduc
in una versione più
giovane e decisamente più spaventata: piccolo ed emaciato,
questo Haiduc aveva
il naso sporco di muco. Fissava qualcosa ed Ellis seguì il
suo sguardo,
incrociando gli occhi rossi semi aperti di un testa mezza staccata dal
suo
cadavere. Ancora, Ellis spalancò la bocca in un urlo muto,
ma Haiduc non si
accorse di niente, come se lei non ci fosse. Aveva le mani chiuse a
pugno,
nervose e cattive. Senza che Ellis se l’aspettasse, Haiduc
calciò con forza la
testa morta, staccandola e facendola rotolare di qualche metro sulla
spiaggia,
mettendola in balia delle onde. Il ragazzo iniziò a gridare
forte, ed Ellis
poté sentire il grido di un bambino ferito trasformarsi in
un urlo bestiale,
disumano. Voleva farlo smettere, aiutarlo in tutto quel dolore: gli si
avvicinò
per sfiorarlo e il giovane Haiduc si voltò verso di lei,
guardandola con occhi
così stravolti da sembrare quelli di una bestia al macello.
<< Hai
visto?! >> le gridò, prendendola per le spalle
e scuotendola come una
bambola di pezza, facendola gridare di paura. << Anche io
come te! Anche
io come te! ANCHEIOCOME
TE!ANCHEIOCOMETE!ANCHEIOCOMETE!ANCHEIOCOMETEEEEEEEE!!!!
>> La voce di Ellis adesso era così acuta da
ferirle l’ugola. Sono
tornata?, si domandò inconsciamente, ma era troppo
spaventata per pensare. La
furia dell’Albeis, adesso adulto, adesso vestito, ma con gli
stessi occhi del ragazzo
spaventato del ricordo era assoluta e spaventosa: Haiduc la scuoteva
come se
fosse stata una bambola di pezza, le sue unghie conficcate nella polpa
delle
spalle erano una sensazione troppo dolorosa per non farle fiutare il
pericolo
che la furia si trasformasse in altro. << Smettila!
Smettila! Ho detto
SMETTILA HAIDUC!! >> Gridava Ellis, terrorizzata, la voce
acutissima mentre
tempestava di pugni il petto dell’Albeis impazzito,
inutilmente: Haiduc
sembrava non sentire niente, continuava ad arpionarle le spalle e a
scuoterla ,
ripetendo quella cantilena che era diventata l’inno della
loro somiglianza in
un urlo sempre più disperato.
<<
iocometeiocometeiocometeiocometeiocomeIOCOMETEIOCOMETECOMTECOMTECOMETE!!
>>
Ci volle
l’intervento precipitoso di Nicolai per fermali entrambi.
Aveva sentito urlare
ancora alle porte della città ed era corso come un pazzo
sotto il cielo estivo
per soccorrere i due. Si aspettava di tutto, tranne quello: Haiduc
piegato su
Ellis, le mani enormi sul corpo della ragazzina, il modo in cui la
scuoteva…le
urla terrorizzate di lei e quelle disumane di lui. Si era messo fra
loro,
spingendo Haiduc lontano da lei con un sonoro cazzotto sulla mascella
dell’amico.
Senza farlo apposta, il colpo lo fece barcollare all’indietro
e senza volerlo
Haiduc si trovò lo sgabello da toeletta di Ellis in mezzo ai
piedi. Perdendo l’equilibrio,
Haiduc cadde a terra e sbatté la testa
contro
la gamba del tavolino basso. L’urto fece cadere le tazze e la
teiera di Cha,
sparpagliando liquido grigio sul tappeto. La
voce dell’Albeis si mozzò solo allora, lasciandolo
muto, mentre il suono dei singhiozzi di Ellis riempiva la stanza. Conscio di quello che aveva
fatto, Haiduc si
mise a sedere e fissò imbambolato Nicolai ed Ellis, lei
scarmigliata e
scomposta, singhiozzante e terrorizzata, lui sconvolto e
all’erta, un braccio
attorno alle spalle di Ellis e l’altro posato
sull’elsa della spada. Gli occhi
di Haiduc si concentrarono sui segni rossi lasciati dalle dite sulle
spalle
della ragazza. << Oh Dio… >>
gemette, massaggiandosi la nuca ma
senza trovare la forza di alzarsi. << Ellis,
io… hai visto?
>>
Stretta
fra le braccia di Nicolai, Ellis annuì. << Ti
ho visto. >> Mormorò,
tremante per la tensione. Ancora spaventata, si sciolse
dall’abbraccio protettivo
di Nicolai per avvicinarsi con cautela ad Haiduc. << Eri
giovane, su
quella spiaggia coperta di cadaveri… >>
ricordò la testa mozzata dal suo
calcio. << Perché hai colpito quel cadavere?
>>
Haiduc
respirava piano, cercando di mantenere la calma: lei aveva guardato in lui…
l’aveva visto calciare la testa di suo padre…
un’ondata di nausea l’assalì. Credette
di vomitare, ma l’Albeis riuscì a trattenersi.
Guardò Nicolai, più confuso che
mai. << Amico, ti devo delle spiegazioni…
>> Gli disse, facendogli
un cenno affinché si avvicinasse. << Ma prima
devi tornare in città, a
Palazzo, dal Maestro Astrologo. >> Nicolai si era
inginocchiato accanto a
lui. << A che pro’? >> Chiese,
scettico all’idea di lasciarli soli:
non sapeva cosa era successo, ma quelle urla l’avevano
spaventato più di
qualsiasi cosa. << Prima dovete spiegarmi cosa
è successo qui >>,
sentenziò, sedendo a terra a
braccia
conserte. Haiduc sorrise nonostante tutto. << Abbiamo una
pista, amico
mio. >> Accennò alla ragazza, seduta al suo
fianco. << Abbiamo
davanti a noi l’unica sopravvissuta di Xeris, patria dei
maghi. >>
Dulcis
in Fundo:
Ebbene ,
eccomi qui. si, avete letto bene: questo è il capitolo 4! Di
nuovo? Da, di
nuovo. Quello prima non mi soddisfava, sono stata precipitosa come al
solito,
rischiando di rovinare tutto…fatto è che ho
trovato un modo per finire questa
storia, una simpatica scaletta. Dunque, eccomi qui a proporre un nuovo
chappi
per intraprendere un’altra strada- ma che
faticaccia… vabbuò, alla prossima!
Ciau a tutti!
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Capitolo 5 *** Capitolo cinque_ pensieri ***
Capitolo
cinque_ pensieri.
Il suo
cuore aveva finalmente rallentato i battiti, la sua mente stava
recuperando
informazioni e lucidità eppure, tutte le volte che
incrociava lo sguardo rosso
di Haiduc, la bocca dello stomaco le si chiudeva in una morsa dolorosa:
vedeva
in quegli occhi la follia del ragazzino nella spiaggia coperta di
cadaveri. Cadaveri bianchi come lui,
pensò Ellis,
che aveva ricominciato a districare la massa di capelli biondi,
arruffati anche
più di prima a causa della colluttazione con Haiduc.
L’occhio biondo le cadde
sui segni rossi che non accennavano a sparire sulle sue spalle,
ricordandole il
pericolo appena trascorso. Che quei segni le fossero da monito: mai
più sarebbe
interferita nel ricordo di qualcuno! Era già passata qualche
ora, eppure la
conversazione fra l’Albeis a Nicolai era ancora vivida nella
sua testa…
<<
Abbiamo davanti a noi
l’unica sopravvissuta di Xeris, Nicolai. >>
Aveva detto Haiduc,
sorridendo nonostante il dolore pulsante alla mascella. Nicolai aveva
fatto saettare
gli occhi azzurri da Ellis a lui, passandosi poi le mani fra i capelli.
<< E come sei giunto a questo, me lo spieghi?
>> Sbottò, indicando
con la mano aperta le spalle di Ellis. << Per tutti gli
Dei, sembravi
impazzito! >>
<<
Lo era davvero… >>
Mormorò Ellis, portando su di sé tutta
l’attenzione. Guardò Nicolai con gli
occhi biondi, il viso così bianco da sembrare di gesso.
<< … Mi ha detto
di abbracciarlo e di concentrarmi, fissando gli occhi nei miei.
Io… pensavo
che… >> Scosse il capo, come se avesse pensato
una sciocchezza, per poi
continuare. << Non so cosa sia successo, non so chi
fossero tutti quei
cadaveri e perché fossero tutti lì, ma
il verso che ha fatto dopo aver calciato la testa di
quell’uomo- averla
calciata così forte da staccarla dal suo cadavere!- era
così
disumano e disperato che… >> Sembrò
accorgersi solo allora che Haiduc era
al suo fianco. Trasalì, aspettandosi una qualche reazione
dell’Albeis, ma
l’unica cosa che Haiduc fece fu prenderle la mano e baciarla
piano. << E
lo ero, Ellis, lo ero. Credo che quello fu il momento più
buio in assoluto,
quel momento in cui maledissi me stesso e la mia carne e il mio sangue.
Io…
>>
<<
Stai dicendo che ha
guardato dentro di te? >> Intervenne Nicolai, chinandosi
in avanti.
<< Questa ragazzina ha visto i tuoi ricordi?
>> Haiduc
annuì all’espressione sbalordita
dell’amico. Gli raccontò di cosa avevano parlato,
della paura di Ellis, di come
lui si fosse aperto a lei e della sua intuizione…
<< L’ho lasciata
entrare, Nicolai, pensando che non ci fosse niente di male.
E’ entrata nella
mia mente e si è fermata a guardare quando ho scoperto i
cadaveri della mia
gente, quando ho trovato il corpo di mio padre. Erano morti, tutti.
>>
Nicolai gli fece un cenno affinché continuasse. La storia la
conosceva già da
tempo. Haiduc annuì, gli occhi lontani. <<
E’ andato tutto “ bene “,
finché lei non si è avvicinata e mi ha
toccato… una rabbia improvvisa mi ha
investito. Rabbia e paura, tutta la paura che avevo dentro per essere
rimasto
io solo, l’unico di una razza, l’unico col peso
della vita addosso. Ero come
avvolto nel mio incubo, incapace di svegliarmi.
>> Alzò di scattò la
testa, sogghignando. << Finché non sei
arrivato e mi hai
messo al tappeto con
un colpo da maestro. >> Nicolai si costrinse a sorridere.
<< Be,
quando c’è una fanciulla in pericolo questo e
altro… >>
Ellis si
sorprese a sorridere,
eppure il cuore le si agitava come un uccellino in gabbia.
<< Quindi,
tutto questo è servito a qualcosa. >> Disse. Haiduc annuì
più che serio. << Abbiamo
una pista. >>
<<
Devi essere una maga, o
qualcosa del genere. >> Commentò Nicolai,
annuendo a sua volta. <<
Una di Xeris. >>
<<
E dove è Xeris? >>
Chiese Ellis, ma nessuna risposta giunse dai suoi interlocutori.
<<
Signori? >> Pigolò, perplessa da quel
silenzio. << Ditemelo, dove è
Xeris? >>
Dopo un
attimo di greve silenzio,
Haiduc le posò una mano sulla testa, cercando di darle
conforto.<< Non
esiste più, Ellis. Xeris è morto. >>
Un nodo
più caparbio degli altri la fece mugolare
di dolore, attirando l’attenzione di Haiduc. I
loro occhi si
incrociarono di nuovo per subito allontanarsi, imbarazzati, nel
più assoluto
silenzio. Da quando se ne era andato Nicolai quel silenzio aleggiava
fra loro,
tangibile come una barriera. Ma di cos’era fatto questo
ostacolo? Paura? Senso
di colpa? Vergogna?
<<
Eri fuori di te dal dolore >>, sentenziò Ellis
a voce alta, scacciando
quella parola dalla sua mente quasi fosse arroventata. Parlò
come se stesse
proseguendo una conversazione. Stavolta, fu lei a cercare gli occhi di
lui.
<< Haiudc. >> Lo chiamò.
<< Eri un ragazzino spaventato, è
comprensibile che - >>
<<
Che ti abbia stretta così forte da lasciarti degli ematomi?
>> Sbottò
prontamente lui, << O che ti abbia sbattuto come una
bambola di pezza?
No, non è comprensibile,
Ellis. E
nemmeno accettabile. >> Sentenziò, avviandosi
verso l’uscita della tenda,
il più lontano da lei. Era infastidito
dall’incaponirsi della ragazza: perché semplicemente non gli dava la colpa che
meritava? <<
Io… non posso essere
perdonato. >>
<<
Certo che puoi! >> Esclamò Ellis, saltando
sulla sedia per l’energia che
sentì nella sua voce. Da dove veniva tutta quella forza?
<< E sai perché?
Perché non c’è niente
da perdonare,
Haiduc. >>
L’Albeis
non si voltò a guardarla, troppo spaventato da quello che
era successo poche
ore prima e dalla domanda che continuava a farsi da allora: se Nicolai
non fosse intervenuto, non
l’avesse
allontanato da lei, cosa sarebbe accaduto? Si sarebbe fermato
oppure… scacciò
il pensiero dalla testa, e in quello spazio si infilò
l’immagine della testa
decapitata di suo padre che rotolava sui granelli di sabbia, i lunghi
capelli
candidi come alghe nelle onde, la bocca dischiusa da cui usciva una
granchio
verdastro… Ecco cosa
c’è da perdonare,
pensò Haiduc con amarezza, la mia
intera
vita è da perdonare. << Non mi
voltare le spalle, Haiduc! >> Lo
richiamò di nuovo Ellis, sorprendendolo: quella ragazzina si
stava rivelando
più tenace di quanto credesse… Lentamente, si
volse per guardare quello
scricciolo biondo e bianco, incrociando il suo sguardo furente. Perché è così
arrabbiata? <<
Ho solo bisogno di pace, adesso.
Tutti e due ne abbiamo bisogno. >>
Le disse, conciliante, ma lei inaspettatamente strinse i
pugni. <<
No, abbiamo bisogno di parlare, invece! >> Gli si
avvicinò a grandi
falcate, senza alcun timore. << Non ho alcuna intenzione
di lasciarti
sprofondare nei sensi di colpa >>, annunciò
con le braccia conserte sotto
il piccolo seno, mentre lui la ascoltava. Gli puntò un dito
al petto. << Ascoltami
bene: quello che mi ha sbatacchiata come una bambolina non eri tu, Haiduc, perché tu non mi
faresti mai
e poi mai del male. Quello che mi ha sbatacchiata eri tu
molto tempo fa, che per non so quale motivo stava in piedi
circondato da cadaveri e prendeva a calci la testa di suo padre.
>>
Sospirò, passandosi le mani nei capelli in un gesto stanco
<< Eri
spaventato a morte, Haiduc, disorientato proprio come me il giorno del
mio
risveglio >>, disse
guardandolo da
sotto le ciglia chiare. << Solo che io ho potuto piangere
liberamente,
circondata dalle tue braccia, e nessuno si è intrufolato nei
miei ricordi.
>> Gli sorrise, cercando di apparire convincente.
<< E poi, sono
stata anch’io un’irresponsabile: interferire con
l’Haiduc del passato… sono
certa che se non ti avessi toccato non ti saresti nemmeno accorto di
me.
>> Adesso, notò Haiduc,
i suoi
occhi erano calmi e la sua espressione serena. Come una bambina, Ellis
aveva
già superato la paura e i tumulti del suo cuore, cercando di
allievare il suo
dolore col balsamo della sua voce. Sei
straordinaria, pensò in un improvviso moto
d’affetto. Avrebbe voluto
abbracciarla, ma temeva che Ellis fraintendesse e fuggisse,
così cerco di
sorriderle, ma il cazzotto di Nicolai gli aveva lasciato il viso mezzo
indolenzito,
quindi fece una smorfia. << Ti ha proprio messo al
tappeto. >>
Sentenziò Ellis ricordandosi solo allora della maniera con
cui Nicolai l’aveva
allontanato da lei. Ridacchiando, accennò al tavolino basso
su cui teiera e
tazze erano stati ricollocati. <<
Dai, bevi con me. >>
Nonostante
i molteplici sforzi, Ellis lo costrinse ad usare un impacco di acqua
fredda sulla
mascella gonfia. Si sentiva ridicolo a stare disteso su quei cuscini, con un fazzoletto intriso di
acqua ghiacciata
sulla mascella, ma
tacque, soddisfatto
dall’avere la testa sul grembo di Ellis e gratificato dalle
occhiate che lei
gli lanciava quando pensava che stesse dormendo. Erano occhiate dolci,
fugaci,
velate da un sorriso.
<<
… Mi ha detto di abbracciarlo e di
concentrarmi, fissando gli occhi nei miei. Io… pensavo
che… >> Si era
interrotta a metà pensiero, eppure Haiduc aveva colto molto
anche in quelle
poche parole. Dio mio,
pensò
sconcertato, pensava davvero che
l’avrei
baciata. Non era mai stato un grande amante come Nicolai,
eppure anche lui
aveva avuto le sue conquiste: donne umane affascinate dal suo corpo
diafano, romanticamente
colpite dai frammenti che si sapevano sul suo passato, spudoratamente
interessate a lui per
la sua amicizia
con il Re. Era da tanto tempo li a Winscott e aveva visto sbocciare e
sfiorire molte
delle sue amanti, cosa che lo lasciava sempre lievemente amareggiato:
poteva
stare con una donna umana per qualche tempo, ma alla fine la relazione
non poteva
mai sbocciare in un vero rapporto, fatto di “ finché
morte non ci separi ”: chi avrebbe passato la sua
vita con
un semi immortale ? Ovviamente, aveva avuto anche delle
conquistatrici; era stato innamorato un paio di volte, e il
sentimento non aveva fatto altro che peggiorare la situazione: aveva
visto
coloro che amava scivolargli dalle dita come acqua, riaprendo le
cicatrici
sulla morte di ogni singolo abitante di Albeisine. Era da tempo che non
provava
più quei sentimenti, pensò con un certo stupore,
chiedendosi quando fosse stata
l’ultima volta in cui si era appartato con una dama
maliziosa. Eppure, sentiva
che con Ellis poteva essere diverso proprio perché lei era diversa: così bianca,
così bionda, così… Albeis.
Quell’idea
l’aveva sfiorato sin da subito: Ellis sembrava un misto delle
due razze, anche
se Haiduc non sapeva che aspetto avessero i sangue misti, eppure sapeva
che
erano esisti: peccato che lui non ne avesse generato nemmeno uno. In
ogni caso,
che Ellis fosse o meno una della sua specie, doveva levarsi dalla testa
l’idea
malsana di una relazione con lei: era troppo piccola, troppo innocente
per un
peccatore come lui, nel fiore degli anni coi suoi due secoli di vita. E
come la
metteva con la sua possibile provenienza da Xeris?
Sentì
una mano accarezzargli i capelli, facendogli sciogliere lo stomaco,
sfumando
nel bianco quei pensieri impuri: da quanto tempo nessuno lo accarezzava
così?
Ripensò improvvisamente alla sua bellissima madre, ancora
nel fiore degli anni,
che gli pettinava i capelli tutte le sere prima di andare a dormire.
C’era
stato un tempo in cui aveva i capelli lunghi, già
…nemmeno
si ricordava la
sensazione delle mani di lei nelle sue ciocche bianche e folte. Si
fissò nello
specchio, incrociando gli occhi sereni e concentrati di sua madre. Le
sorrise,
prendendole la spazzola dalle mani e alzandosi per farle posto. Sua
madre, la
regina, si sedette con fare elegante sullo sgabello troppo piccolo del
figlio,
facendo ruotare lo strascico dell’abito sul davanti con un
fruscio sommesso e
dolce, come il brusio lontano delle onde. << Togli il
diadema, madre.
>> Mormorò Haiduc bambino, toccando la
consistenza morbida e serica dei
capelli della donna, quelli che lui aveva ereditato. Sua madre
obbedì,
scuotendo la testa e reclinandola leggermente all’indietro
per permettere al
figlio di lavorare con maggiore agio. Haiduc la vide sorridere di
piacere. Si
concentrò sui lineamenti del viso: l’ovale dolce,
il nasino all’insù, la bocca
candida, la fronte spaziosa… e gli occhi, incredibilmente
viola. <<
Madre, siete la donna più bella del mondo >>,
disse Haiduc al colmo
dell’ammirazione, sopraffatto da tanta bellezza. Sua madre si voltò verso di
lui, gli occhi scintillanti di
gioia e orgoglio, e gli carezzò una guancia candida con dita
lunghe e
affusolate. <<
Sei così dolce.
Fortunata la donna che ti prenderà come sposo, figlio mio.
>> Gli disse,
facendolo arrossire: e chi si voleva sposare? Lui voleva fare il
pescatore e si
sa, loro non hanno tempo per le donne. << Non voglio una
donna, madre. Mi
bastate voi >>, ribadì il bambino, spazzolando
con dolcezza le prime
ciocche di capelli. Sollevò
ancora lo
sguardo e incrociò gli occhi di un’altra persona
nel riflesso dello specchio:
occhi color del grano…
Haiduc
si svegliò con un tremito così forte da far
trasalire Ellis. Spalancò gli occhi
rossi e li fissò nel soffitto della tenda, espellendo tutto
il fiato che aveva
in corpo in un colpo solo. << Di nuovo. >>
Sussurrò lei,
spaventata. Si accorse di avere ancora le mani nei capelli di lui e le
ritrasse
di scatto, inquieta. << E’ successo ancora,
Haiduc… >> Disse piano,
ancora sconvolta. L’Albeis
si sedette ed
annuì piano. Non si sentiva affatto spaventato, anzi: un
senso di malinconia
sempre maggiore gli stava invadendo l’anima. Da quanto tempo
non aveva ricordi piacevoli sul suo
passato? Non si
ricordava nemmeno la faccia di sua madre da viva…
Mi vergogno di me stesso. << Era bella.
>> Il pigolio
sommesso di Ellis lo risvegliò dai suoi pensieri.
<< Come? >>
Chiese, voltandosi verso di lei. La Stella
gli sorrise, dolce e malinconica. << Tua
madre. Era bellissima.
>> Haiduc soppesò le sue parole, annuendo come
se fosse un dato di fatto.
<< Erano anni che non la ricordavo così
>>, le confessò.
<<
E come la ricordavi? >>
<<
Cadavere. >> Perché
l’ho detto?
Ellis
sgranò gli occhi, attonita e muta. << Ma
cos’è accaduto? >> Chiese
dopo un lungo attimo di silenzio. << Quale disgrazia si
è abbattuta sulla
tua gente? >>
Haiduc
inspirò aria dai denti stretti, sentendo una vecchia ferita
sanguinare.
<< E’ da circa un secolo che me lo chiedo.
>> Notò Haiduc,
sorridendo freddamente. << E ancora non ho risposta.
>>
Dopo un
attimo di silenzio, si mise a raccontare la sua storia. Le disse del
caso
fortuito per cui si era salvato, di come avesse assistito alla fine di
Albeisine ( di cosa avesse
provocato
la fine della sua civiltà ) e di come avesse pensato di
morire una volta che la
barca si era ribaltata tra i flutti. Le disse che quanto aveva visto
qualche
ora prima era vero: si era svegliato dopo un indeterminato lasso di
tempo,
nudo, su quella spiaggia sconosciuta, coperta dai cadaveri della sua
gente. Era
andato inconsciamente in cerca di suo padre e l’aveva
trovato. << Non so
nemmeno io perché ho calciato la sua testa. >>
Le disse, atono. <<
So solo che mi ha fatto male il collo del piede per giorni e giorni.
>>
Le disse di aver raccolto il cadavere di sua madre e di averla tenuta
stretta
per un giorno e una notte, mentre attorno a lui i granchi divoravano i
resti di
quelli che erano gli Albeis. Poi, erano arrivati i pescatori. Erano
stati
spinti dal forte tanfo di putrefazione che penetrava per chilometri e
chilometri nella foresta, fino ai loro villaggi paludosi. Lo avevano
trovato
scottato dal sole, privo di sensi, che teneva fra le braccia il
cadavere ormai
rigido. Furono loro a dargli per la prima volta ospitalità.
Sapevano chi era
perché gli Albeis e i pescatori umani spesso commerciavano
tra loro, ma
decisero che era meglio non chiedere quale disgrazia si fosse abbattuta
sull’intera stirpe degli Albeis. << In ogni
caso, mi ero chiuso in un
mutismo volontario >>, commentò.
<< Non volevo parlare di quanto
avevo visto. Pensavo che fosse ancora tutto un sogno. Se avessi
parlato, avrei
confermato che era tutto vero e che erano tutti morti. >>
Comunque, la
gente del villaggio fu buona con lui: gli curarono le ustioni sulla
pelle
candida con latte di cocco e impacchi di banane e aloe, nutrendolo e
cercando
in qualche modo di integrarlo con loro: andava a pescare con gli umani,
partecipava alle loro feste, ascoltava le loro storie, ma era sempre
passivo.
Per un anno non trovò voce, finché il capo del
villaggio gli chiese
espressamente di parlare e di dirgli ogni cosa. << Come
un fiume in piena
ho parlato, Ellis. >> Le disse, << Ho
raccontato quello che avevo
visto e che avevo patito. Io… ho pianto. Perché
era tutto reale e per quanto
loro mi volessero bene, io ero solo e solo resterò fino alla
fine dei miei
giorni. >> Ellis si avvicinò sensibilmente a
lui, ma Haiduc si scostò, guardandola
perplesso. << Lascia che ti abbracci. >> Lo
pregò lei, senza
aggiungere altro. Dopo un attimo di esitazione, Haiduc si volse verso
di lei e
aprì le braccia, accogliendola. Con la testa poggiata sulla
sua spalla, proseguì
il racconto. << Mi hanno consigliato loro di chiedere
asilo a Winscott,
in quanto un principe non poteva vivere tra comuni pescatori. Non
chiesero
nulla in cambio. >> Quando arrivò a Winscott,
la notizia della fine degli
Albeis era ormai acqua passata ma suscitò non poco scalpore
che il rampollo
della famiglia reale, il Duca di Albeisine, fosse vivo e vegeto. Il Re
di
allora, Scott VI, trisavolo dell’attuale Re, diede ad Haiduc
asilo,
accogliendolo e trattandolo con ogni riguardo. Col passare del tempo,
Haiduc
divenne sempre più confidente del Re, tanto che
quest’ultimo gli affidò suo
figlio nelle vesti di pupillo. Haiduc iniziò dunque a
ricoprire un ruolo sempre
più importante nella corte del Palazzo, ma cercò
sempre di restare fuori da
qualsiasi trama ed intrigo, fedele solo alla famiglia Scott che
l’aveva accolto
e fatto uno di loro. Divenne tradizione affidare i principi di casa
Scott alle
cure di Haiduc, che vide passare sotto la sua protezione ben tre
generazioni di
Re, fino a giungere a Re Scott X, il suo attuale Re. Da tempo Haiduc
era stato
nominato Custode del Reame e Cavaliere della Lingua,
protettore dei segreti del Re e della sua
reputazione.
<<
Anche Nicolai è Cavaliere della Lingua >>,
constatò Ellis, << Anche
lui ha i tuoi stessi doveri? >>
Haiduc
annuì. << Diciamo che siamo gli unici veri
pari del regno. Non riceviamo
altri ordini che dal Re. Nemmeno la Regina o il Primo Ministro possono
ordinarci qualcosa, se non su delega di Sua Maestà.
>> Si
strinse nelle spalle. << Il mio è
ovviamente un titolo onorifico, e Nicolai è diventato tale
in quanto amico
d’infanzia e fratello di latte del Re, nonché uomo
di notevoli capacità e
fedeltà incrollabile. >> Si separò
dall’abbraccio di Ellis, ammonendola
col dito indice. << Prima lezione: la fedeltà
è il primo passo per conquistare
la fiducia in una persona. Se sarai fedele, dovrai essere anche onesta:
soppesa
le parole e calibra i giudizi, ma di sempre quello che pensi. A tutti i
costi.
Capito? >>
Ellis
annuì, versando il Cha tiepido in due tazze. Sorseggiarono
il tonico con
lentezza, in totale silenzio, mentre la canicola estiva lasciava il
posto al
tramonto rosso. La pelle di entrambi era tinta di un tenue arancione.
<<
Dici che se sono stata capace di leggere nella tua mente,
saprò farlo anche con
quella di Nicolai? >> Chiese all’improvviso
Ellis con voce troppo
squillante per apparire naturale. Da
quanto tempo sta pensando a questo? << Presumo
di si, Ellis >>
, le rispose, posando la tazza e allungandosi su una cuscino per
prendere il
piccolo astuccio di metallo e pelle in cui conservava i tabacchi e i
cerini.
<< Se sei riuscita a guardare in me accarezzandomi i
capelli, chissà cosa
vedrai sfiorando i baffi di Nicolai. >>
La
battuta la fece sorridere. << Già…
perché pensavo che forse, se riesco a
leggere in voi, posso leggere dentro di me, no? >> Eccolo, il nocciolo della questione.
Ellis lo guardò intensamente e
ad Haiduc i suoi occhi sembrarono paurosamente simili ai suoi, alterati
dalla
luce del tramonto. << Perché no?
>> Ribadì, alzandosi per uscire a
fumare. << In fondo, se vieni da Xeris, hai una
potenzialità a noi
sconosciuta. Dobbiamo solo capire come fare a “ risvegliare
” questa
potenzialità sopita. >> Le fece
l’occhiolino, una sigaretta in bocca e un
cerino nell’altra mano. << Assieme ce la
faremo, vedrai. >>
Ellis
annuì ancora, alzandosi a sua volta per uscire. Fuori,
l’aria era calda e
ferma. La Stella calcò i piedi nudi sulla terra polverosa,
restando nell’ombra
della tenda, mentre le mura di Winscott si tingevano di rosso arancio e
rosa
per salutare la giornata appena passata. << E Xeris?
>> Chiese alla
fine Ellis, fissandosi le punte dei piedi bianche di polvere.
Haiduc
espirò una prima boccata di fumo mentolato, guardano un
punto distante sulle
mura. Crollò il capo. << Era inevitabile che
tu volessi sapere. >>
Mormorò. << Ma vorrei che ci fosse anche
Nicolai, per spiegarti con esattezza
la situazione. >>
Ellis
annuì. Non aveva fretta di conoscere se stessa: una strana
inquietudine le
attanagliava le viscere ogni volta che pensava a chi davvero fosse lei,
forse
perché sentiva che il ruolo di Stella Rinata le calzava a
pennello, quasi le
fosse cucito addosso. Forse dovrei
smetterla di farmi tante domande, pensò, forse dovrei essere solo Ellis e dimenticarmi di
essere un’altra-
forse. Guardò
di sottecchi Haiduc
stiracchiarsi e aspirare dalla sigaretta
una
boccata profonda, immerso nella
luce oltre l’ombra proiettata dalla tenda, poco lontano da
lei. Dovrei vivere questa vita accanto a
loro,
beneficiare del dubbbio, non farmi domande. Sarebbe troppo infantile
cogliere
questo dono senza indagare chi me l’ha fatto?
In quel
momento, dalla porta secondaria della Città uscì
Nicolai, seguito dal suo
cavallo. Portava appese alla sella due grosse bisacce
dall’aria decisamente
pesante. Si sbracciava per farsi vedere. << Oh
Dio… >> Gemette
Haiduc, le mani sui fianchi, mentre Ellis si avvicinava.
<< Credo che
quello sia tutto ciò che riguarda la tua patria.
>> Le circondò le spalle
con un braccio, sorridendole con aria accattivante. <<
Sei pronta per
imparare a leggere? >>
D.I.F.
Ebbene,
aggiornamento lampo. In
verità, è che sono in panchina. In tutti i sensi:
ho terminato l’Accademia e
sono disoccupata. Quindi, saltellando da una mail a un’altra,
eviscerando
Informagiovani e annunci economici, eccomi qua. Adesso, ho DAVVERO
tutto il
tempo che voglio per scrivere e disegnare comediocomanda ( che bella
parola,
che dolce suono! ) e in più è tornata anche la
verve scribacchina, quindi sono
ultraipermegasuper a bot ( che, per chi non è della Bassa
Bresciana, significa
“ sotto col lavoro”) con tutto!
Ah,
ovviamente ho fatto anche la
tesi… embè, di te se è poco!!! Mah,
dai, adesso basta. Vorrei sapere che ne
pensate, che i vostri consigli/critiche sono la sferza quotidiana! Non
volete
darmi questa soddisfazione?
Besitos,
Nini :D
|
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Capitolo 6 *** Capitolo sei_Ophale ***
Capitolo
sei_ Ophale.
In
verità, quella notte nessuno toccò i manoscritti
che Nicolai aveva portato
dalla città. Tutti erano decisamente provati dalle fatiche
della giornata.
Ellis dormì finché la luce non rese troppo chiara
l’atmosfera della tenda,
ferendole gli occhi. Si mise a sedere fra le lenzuola del basso letto
da campo,
chinandosi per sbirciare dietro il paravento i letti dei suoi custodi:
Haiduc
dormiva supino, le braccia incrociate sul petto, sereno, ma il letto di
Nicolai
era vuoto. Senza far rumore, Ellis si alzò, coprendo la
camicia da notte
fluttuante con uno scialle multicolore, ed uscì dalla tenda.
Il sole
era ancora basso sull’orizzonte dell’alba, eppure
faceva già caldo. Nicolai
sbadigliò sonoramente, stiracchiandosi come un gatto. Meno male che volevo stare sveglio tutta la notte
per leggere… un
formicolio alla nuca lo fece girare in direzione della tenda: Ellis,
avvolta
nello scialle che le aveva regalato qualche giorno prima, camminava
verso di
lui.
<<
Buongiorno principessa >>, la salutò Nicolai,
inchinandosi buffamente
nella sua direzione. << Dormito bene? >>
Ellis rise piano, facendo
a sua volta un goffo inchino maschile, e sorridendo raggiante verso di
lui.
<< Divinamente. E tu? >> Gli chiese,
schermandosi gli occhi dal
sole e guardano la Piana di Winscott tingersi di rosa e bianco. Era una
pianura
larga e piatta, quella che si estendeva davanti alla città.
Si estendeva fino
alle foreste di mangrovie e paludi in cui Haiduc aveva vissuto per
circa un
anno assieme ai pescatori, per poi lasciare il posto al mare sconfinato
noto
come Oceanus, o Oceano. Ma in quel momento, Ellis non poteva vedere
altro che
una grande tavola di terra candida e già rovente, che si
estendeva a perdita
d’occhio, tinta dei colori dell’alba.
<< Che spettacolo stupendo >>,
constatò lei con un sospiro. Nicolai annuì,
incrociando le braccia sulla
camicia sbottonata. << Winscott e la sua Piana sono noti
per le albe
spettacolari e i tramonti memorabili. >> Le disse,
inspirando aria
tiepida. All’improvviso, lo travolse l’orgoglio di
appartenere a quel popolo. Che terra
meravigliosa che è questa,
pensò, lasciandosi trasportare dai ricordi a casa, nelle
Coorti interne, a
Langued’Och.
La
terra
fertile e scura, i vigneti prosperosi sulle colline simili a seni
sensuali, la
gente cordiale, il castello tozzo e protettivo, con i suoi servi, e una
brocca
di vino speziato sempre pronta in foresteria…
<< Lo sai, vero, che
dovrò fare a te la stessa cosa che ho fatto ad Haiduc?
>>
Le
parole di Ellis spezzarono il filo delle immagini, facendo ripiombare
Nicolai
al suo fianco, lontano anni e leghe dalla sua terra natia. Schiarendosi
la gola
annuì, serio. << Certo che lo so.
>> Disse, voltandosi verso di
lei. << Anzi: dovrai fare questo e ben altro, se vorrai
capire la portata
delle tue capacità. >> Lei assunse
un’aria perplessa.<< Ben altro?
>> Lui si strinse nelle spalle. << Immagino
che i tuoi poteri
vadano oltre che leggere il ricordo delle persone, sai?
>> Sorrise alla
sua espressione stupita. << Ci sarà stato un
motivo per cui gli abitanti
di Xeris hanno dominato le Terre di Narba, nei Tempi Antichi. Non
credi?
>> Ellis lo fissò con gli occhi sgranati.
<< … dominammo qui?
>>
Nicolai
ridacchiò, ricordandosi che Ellis nulla sapeva delle
leggende del suo mondo.
<< Be, ormai è passato così tanto
tempo che verità e leggenda si
sovrappongono. E’ quasi impossibile distinguere
ciò che è reale dalla pura
invenzione fantasiosa. >> Le fece l’occhiolino.
<< Quando nelle
Terre di Narba i miei antenati vestivano ancora col perizoma
c’era, aldilà
dell’Oceanus, una civiltà che vestiva di oro e
metallo ed usava una forma di
energia a noi sconosciuta, così potente che era in grado da
far librare navi
nel cielo e illuminare a giorno la notte. Quella, bellezza, era Xeris. >> Fece una pausa ad
effetto, godendosi l’espressione rapita sul viso di Ellis.
<< Nessuno sa
come fecero ad ottenere un simile grado di coscienza e
civiltà, ma una leggenda
narra che quel potere venne dal cielo,
proprio come te. >> Ellis annuì in silenzio,
invitandolo con lo sguardo a
continuare. << … in
un turbine di
fulmini, la Forma si fece spazio in loro, infondendo in ognuno di essi
la
coscienza necessaria per sopravvivere e comprendere quanto gli era
stato donato.
>> Recitò Nicolai con voce impostata.
<< Vedi, quanto ho appena
citato è un piccolo verso di ciò che i
cantastorie narrano nelle fiere di
paese, di luogo in luogo, di anno in anno, invariatamente: La Canzone
di Xeris.
E’ così da sempre e così per sempre
sarà. >> Ellis annuì, pensierosa.
<< Comprendere, hai detto? >>
<<
Si, comprendere quanto gli era stato donato dalla Forma.
>> Ellis annuì
ancora, l’indice sulle labbra segno di concentrazione
massima. << Ma
cos’è la Forma? >>
<<
Sapevo che l’avresti chiesto. >> Nicolai
ridacchiò. << Tutti i
bambini che sentono la Canzone per la prima volta lo chiedono.
Comunque,
nessuno conosce il vero senso della Forma di cui canta la canzone. Si
sa solo
che essa entrò negli abitanti di Xeris, infondendo in loro
poteri e capacità e
dando anche ad essi la forza di comprenderli e ricordati, cara, che
quando capisci una cosa la sai anche
dominare. >> Ellis
annuì.
<< Gli
diede il potere. >>
Concluse, facendo
sorridere Nicolai di soddisfazione. La Stella
è sveglia, gli Dei siano lodati…
<< Esatto, Ellis, vedo che hai
capito. >> Fece una pausa ad effetto, puntando gli occhi
azzurri sul
cielo sgombro e accecante. << Ebbene, essi usarono il
potere della Forma
per accrescere i loro domini. Giunsero dal cielo cavalcando navi
volanti,
indistruttibili come il diamante e luccicanti come l’oro, e
mossero guerra ai
miei antenati proprio qui, su questa piana. >> Nicolai si
chinò,
prendendo fra le mani una manciata di terra candida e mostrandola ad
Ellis.
<< Vedi? Questa terra ora è bianca, ma nelle
Cronache e nella canzone si
narra che rimase rossa di sangue per ben un secolo, tante le vite che
erano
state spezzate nel corso della Battaglia della Piana. >>
Ellis
annuì, prendendo fra i polpastrelli un po’ di
polvere. Rossa di sangue…
rabbrividì dall’orrore. << E come
andò a
finire? >> Nicolai si strinse nelle spalle.
<< Come poteva finire?
I nostri antenati usavano ancora pietre e legno, mentre quelli avevano
dalla
loro il potere della Forma e gli Dei sanno quali capacità,
non ne parlano
nemmeno i cantastorie e le Cronache. Divenimmo i loro schiavi,
più simili a
bestie che a uomini, ecco come andò a finire.
>> Sospirò. << I
maghi, nome con cui gli abitanti di Narba chiamavano i dominatori,
regnarono
per molti anni, secoli, usando le Terre di Narba come granaio e recinto
sacrificale. >>
<<
Recinto sacrificale?
>> A
quella parola misteriosa e inquietante, Ellis tremò.
<< Che significa?
>> Nicolai scosse il capo e le sistemò
affettuosamente lo scialle sulle
spalle minute, alzando poi un dito al cielo per sottolineare il
rintocco di una
campana, proveniente dal recinto delle mura cittadine. <<
Hai sentito? Le
porte stanno per essere aperte e Kie
sarà qui tra pochi istanti … Non
è il momento opportuno per parlare di
queste cose, Ellis. >> La prese per mano, accennandole
alla tenda.
<< Oggi pomeriggio, dopo la visita quotidiana, da soli
con Haiduc,
continueremo con questo discorso. Intesi? >>
Ellis
annuì, camminando mano nella mano con lui verso la tenda.
<< Intesi,
Nicolai. >>
<<
E non una parola di tutta questa storia con i Frati
dell’ordine o con Kie.
>> Si portò un dito alle labbra, sottolineando
la segretezza delle loro
dichiarazioni. << Proprio come i fatti di ieri, deve
restare tutto
segreto. Nessuno sa come potrebbero reagire se sapessero che
probabilmente sei
una maga… E se il Maestro Astrologo ti chiede qualcosa
riguardo i libri, digli
che vogliamo iniziarti alla cultura delle Terre di Narba.
>> Lei inarcò
un sopracciglio, scettica, dondolando le mani intrecciate al ritmo
della
camminata. << Pensi che ci crederà? Il Maestro
Astrologo mi sembra più
sveglio degli altri… >> Nicolai proruppe in
una sonora risata, facendola
sorridere. << No, anche secondo me non ci
crederà, ma è la stessa cosa
che dissi ieri per accedere alla biblioteca reale, ed è una
scusa più che
plausibile, quindi usala, e cerca di essere convincente.
>> Si lisciò i
baffi con cura. << Ecco una lezione per te, piccola: usa
la menzogna con
cautela, ma non temere di usarla. Se mischiata ad un po’ di
verità, è meglio
della verità stessa. >> Ellis si strinse nelle
spalle. << Non mi
sembra una lezione molto “ pulita”, Nicolai, ma
vedrò di apprenderla e usarla
con cura. >> Lui annuì, mentre dalla tenda
sbucava Haiduc con aria
assonnata.
<<
Buongiorno. >> Li salutò con voce bassa quando
furono vicini, restando
all’ombra della tenda. Ellis gli sorrise, ricambiando il
saluto. <<
Dormito bene? >> Haiduc sbadigliò sonoramente,
la mano davanti alla
bocca. Fece scorrere gli occhi piccoli di sonno da lei a Nicolai.
<< Di
cosa stavate confabulando? >>
Il
biondo si strinse nelle spalle. << La Stella era curiosa
di conoscere
qualcosa in più su Xeris, fratello. Le ho raccontato
qualcosa, ma siamo stati
interrotti dalla campana del mattino. >> Ellis
annuì. << Abbiamo
interrotto il discorso per riprenderlo oggi, quando non ci
sarà altra
interruzione se non la notte stellata. >> Haiduc
annuì. Quindi, abbiamo una
pista… finalmente,
possiamo iniziare.
Nel
frattempo, Kie usciva dalle mura e li salutava col braccio alzato.
Fecero
colazione mentre Kie preparava la tinozza per Ellis, borbottando
riguardo la
situazione disastrosa dei capelli della Stella: infatti, dal pomeriggio
prima,
Ellis non li aveva più toccati e si era svegliata quella
mattina con, al posto
delle fluenti ciocche bionde, un cespuglio di nodi dolorosi da
sciogliere.
<< Che questo vi sia di lezione! >> La
sgridò la buona donna, una
ragazzona sulla trentina che aspettava il secondo figlio. Aveva mani
leste e
delicate, Kie, ma in quanto alla lingua era senza freni. Le
agitò un dito sotto
al naso, mentre Ellis arrossiva di imbarazzo. << Ma Kie,
mi faceva
davvero male… >> La donna versò
acqua fresca nella tinozza, fulminandola.
<< E dovevate ridurvi i capelli in questo stato?
Sentirete che male a
districare quei rovi, signorina! >> Sbraitò,
ma rendendosi conto di aver
esagerato, le carezzò le guance con delicatezza.
<< Sono stata brusca con
voi, dovete scusarmi. Ma vedervi rovinare una simile bellezza mi manda
in
bestia, ecco! >> L’aiutò a
spogliarsi, nascosta dal paravento, e ad
entrare nella tinozza. Ci volle parecchio tempo prima che i capelli di
Ellis
tornassero alla consueta lucentezza, ma infine ce la fecero: le
biondissime
ciocche le arrivavano fino ai reni, ancora umide di acqua, mentre una
tunica
senza maniche color zafferano le cadeva dolcemente sulle forme acerbe.
Indossate le scarpette di tela che Kie le aveva portato quel giorno,
Ellis uscì
dalla tenda, ricevendo complimenti da entrambi i suoi Guardiani, che
avevano
sistemato una stuoia e un tavolino all’ombra della tenda per
aspettarla
comodamente. Dopo poco, arrivarono i medici, che la visitarono con la
solita
accuratezza e confermarono i suoi progressivi miglioramenti. Mastro
Wulfric fu
ovviamente l’unico ad accorgersi dei libri, impilati in un
angolo della tenda. <<
Vi interessate del nostro popolo? >> Chiese, prendendo
fra le mani un
volume manoscritto dall’aria antica. << Geografia e storia di Narba, eh?
Interessante… >> Ellis,
annuì, nascondendo il nervosismo con un sorriso affettuoso.
<< Come posso
entrare a far parte del vostro mondo se nulla so di voi e della vostra
storia?
>> I Frati commentarono positivamente
l’interessamento della ragazza per
il mondo di cui era ospite e anche il Maestro Astrologo
acconsentì, ma
un’occhiata furtiva prima di dileguarsi fece credere ad Ellis
che sapesse molto
più di quanto lasciasse a intendere…
rabbrividì, pensando di essere scoperta.
Un
piacevole vento si era alzato nel primo pomeriggio, quindi decisero di
iniziare
le “ lezioni “ all’aria aperta. Ellis si
mise seduta con i talloni sotto al
sedere, ben eretta, aspettando che Haiduc e Nicolai portassero fuori
una decina
di libri a testa. Si trovava all’ombra della tenda, seduta
davanti al tavolino
basso e circondata di cuscini. Era semplicemente entusiasta: era dal
discorso
di quella mattina che aspettava quel momento e , anche se lo sapeva che
la loro
ricerca sarebbe stata molto lunga, non vedeva l’ora di
iniziare a lavorare.<<
Cos’è tutta quella carica? >> Chiese
Haiduc, scaricando i libri sul
tavolino. Il legno scricchiolò, mentre Ellis lo guardava con
aria
interrogativa. L’Albeis
scosse il capo,
legandosi i capelli lunghi in un codino sulla nuca. <<
Sono sicuro che
non ci hai pensato, Ellis. >> Si sedette davanti a lei,
rimboccandosi le
maniche della camicia sugli avambracci candidi. La fissò,
dispiaciuto. <<
Non hai pensato che, se non sei di questo regno, non sai leggere la sua
scrittura? >>
La frase
ebbe l’effetto di una sciabolata al basso ventre. Ellis si
sentì svuotare,
mentre un freddo improvviso le gelava l’entusiasmo infuocato
di un attimo
prima. Lei non era di quelle parti…
Lacrime improvvise
le punsero gli occhi,
sorprendendola per la loro prontezza. Lei
non sapeva leggere. Che stupida. Singhiozzò piano,
mentre Nicolai la
guardava con aria comprensiva dall’imboccatura della tenda,
la pila di libri in
mano. << Ti insegneremo, Ellis. >> Le disse
con fare calmo,
avvicinandosi per posare i libri. Haiduc, preso dai sensi di colpa per
essere
stato così diretto, si era accucciato vicino a lei.
<< Non è difficile,
sai? >> Sussurrò, mentre Ellis cercava di
riprendere il controllo. Lei lo
guardò con gli occhi color grano, liquidi. <<
Ma abbiamo così fretta…
>> Sussurrò, spezzata. << Io
ho fretta… >> Haiduc le posò una
mano sulla testa, accarezzandole i
capelli con aria affettuosa. << Ma dove vuoi andare?
Ricordati, la
pazienza è la virtù dei forti, Ellis, e tu hai
bisogno di essere forte.
>> Nicolai si sedette accanto a lei, sorridendole a sua
volta e parlando
piano, come con un bambino che non capisce. << Ci siamo
qui noi, Ellis,
noi. Basta e avanza. >>
I
manoscritti erano antichi e bisognava fare attenzione a voltar le
pagine, che
si staccavano con incredibile facilità. Ellis, dopo aver
bevuto un po’ di Cha
per calmarsi, prese un piccolo volume tra le mani, girandolo e
rigirandolo,
osservandone i dettagli. << Non ricordo di averne mai
visto uno. >>
Disse a bassa voce, aprendolo. Osservò le parole, che altro
non erano che segni
rossi sulla pergamena ingiallita, ammirando l’eleganza con
cui erano state
tracciate. Facendola trasalire, Haiduc le prese delicatamente il libro
dalle
mani e lo girò. << Questo è il
verso giusto. >> Le disse con un
sorriso, tornando poi a leggere. Ellis arrossì, imbarazzata.
I suoi due
protettori erano intenti nella lettura silenziosa, mentre lei non
sapeva che
cosa fare. << Come funziona la lettura? >>
Chiese curiosa,
sfogliando piano le pagine. << Cioè, cosa si
deve fare? >> Nicolai
non diede segno di voler rispondere, continuando nella lettura
interessata di Leggende e dintorni.
Haiduc lasciò
andare il libro e iniziò a prepararsi una sigaretta,
pensieroso. << Be,
la lettura è un atto in cui la tua mente deve decifrare dei
segni che
corrispondono alle lettere di un determinato alfabeto. >>
Leccò il bordo
della carta, lisciandolo con l’indice affusolato. Ellis era
incantata da quel
gesto. << E le lettere sono i componenti di tutte le
parole. >>
Continuò l’Albeis. << Quindi, si
tratta di decifrare le lettere, unite
nelle parole, e comprenderne il significato. >> La Stella si lisciò una
ciocca di capelli, pensierosa.
<< Non sembra difficile… >>
Haiduc sospirò, usando una delle
candele sul tavolo per accendere la sigaretta. << Guarda
che ho capito il
tuo gioco, Ellis. >> Sbottò, facendola
sogghignare. Guardò Nicolai,
sempre più concentrato nella lettura, e sospirò
di esasperazione. << E va
bene, ho capito: ti insegnerò a leggere,
d’accordo? Ma sappi che rallenterà le
ricerche. >> Le scoccò un’occhiata
di sfida, aspirando una boccata di
fumo mentolato. << A meno che tu non sia così
brava da apprendere in un
paio di giorni, si intende. >> Ellis sorrise con
entusiasmo sfrenato,
battendo le mani come una bambina felice. <<
Sarò la migliore allieva
della tua vita, Haiduc! >> Nicolai finalmente si
riscosse, alzando lo
sguardo dal suo libro. << Che succede? >>
Chiese, con un sorriso da
perfetto bugiardo. Haiduc roteò gli occhi al cielo, mentre
Nicolai e la Stella
ridevano prima piano poi sempre più di gusto.
<< Andate al diavolo.
>> Borbottò, alzandosi, << Tutti
e due. >> Si diresse con
aria imbronciata verso la tenda, ma quella era solo una maschera e in
fondo
anche gli altri lo sapevano. Erano secoli
che non mi sentivo così felice.
Presa
una pergamena e dell’inchiostro, Haiduc iniziò
Ellis ai segreti della lettura.
Tracciò le 26 lettere dell’alfabeto di Narba,
spiegandole che le lettere
corrispondevano ai suoni che componevano le parole. C’erano
cose come gli
accenti e le dieresi, ma quelli li omise per rendere la lezione
più spedita.
Ellis, dal canto suo, dimostrava una notevole capacità di
apprendimento e, nel
corso della serata, riuscì a leggere qualche pagina,
chiedendo però continue
spiegazioni sulle parole nuove o sulla fonetica di certe lettere.
Haiduc e
Nicolai avevano continuato a leggere, senza però trovare
niente di
interessante. La giornata si concluse con Ellis che andò a
dormire prima del
solito, esausta.
<<
E’ sveglia. >> Disse Nicolai, sbuffando fumo
dalle narici. Haiduc annuì,
fumando a sua volta. << Già. >>
Erano usciti per non disturbare il
riposo della Stella, chiacchierando delle ricerche e confrontando i
dati
trovati. Nicolai sorrise.<< Hai mi visto qualcuno
imparare a leggere in
un giorno? >> Domandò, gli occhi luccicanti di
orgoglio. Haiduc sorrise a
tutto quel sentimento, e gli diede una leggera gomitata.
<< Cos’è
quest’atteggiamento da mamma chioccia? >>
Chiese, ridacchiando, ma in
verità si sentiva esattamente come Nicolai. <<
Anche io sono fiero di
lei, dio solo sa quanto. >> Rimasero in silenzio per un
attimo,
contemplando le mura cittadine. << E’ una
sensazione esaltante, non trovi?
>> Chiese all’improvviso Haiduc, la sigaretta
che si consumava piano fra
le dita, << Vedere come una creatura che tutti credevano
finita si sia
ripresa in questo modo e dimostri queste capacità.
>>
Nicolai
sorrise alla luna, sospirando. << Ed è
così bella… >> La frase
punse Haiduc sul vivo, ricordandogli le sensazioni che aveva provato il
giorno
prima mentre lei gli accarezzava i capelli. Si accarezzò la
testa, cercando il
suo calore. Nicolai notò il gesto, sorridendogli con
sincerità. << Credo
che tu ti stia innamorando di lei. >> Gli disse, sereno,
guardando
l’amico e compagno arrossire lievemente alla luce della luna.
<< Non c’è
niente di male, Haiduc. Un po’ di amore è quello
che ti salverà. >>
<<
Ma piantala. >> Sibilò l’Albeis,
infastidito dalla piega del discorso.
<< Non posso innamorarmi di lei. >>
<<
Non puoi? >> Nicolai ridacchiò, rimestando con
un bastoncino nel
fornelletto della pipa. << E chi te lo impedisce? Io?
>> Continuò a
ridacchiare sotto lo sguardo astioso di Haiduc. Alla fine
tornò serio. <<
Io credo che non ci sia niente di male in questo, amico, e te le dico
non per
mio sollazzo, ma perché lei lo domanda. >>
Haiduc inarcò le sopracciglia,
perplesso. << Lo domanda? >>
<<
Ma certo che si! >> Esclamò Nicolai, roteando
gli occhi al cielo <<
E’ lei che ti domanda amore, no? >>
Sgranò gli occhi, come se fosse
davanti a qualcosa di incredibile. <<
Non dirmi che non hai notato come ti guarda, Haiduc.
>>
<<
Guarda me esattamente come te, Nicolai. >>
Brontolò lui, incrociando le
braccia sul petto, infastidito dal battito accelerato del proprio
cuore. Ma che diavolo mi prende? Sembro un
imberbe…
<< E in ogni caso, io sono troppo vecchio per lei.
>> Nicolai
fece spallucce. << E chi ti
dice che non abbia più anni di quanto ne dimostri? Io credo
che- >>
Un
frusciò improvviso interruppe il discorso di Nicolai,
facendoli scattare
sull’attenti. Si guardarono, in una muta richiesta di
conferma. Attesero
ancora, e il fruscio si ripeté nuovamente. Ad Haiduc si
chiuse lo stomaco. Dio, fa che non sia Ellis,
fa che non abbia
ascoltato tutto… Nicolai scostò appena
la tenda, spiando dentro la fievole
oscurità. Corrugò la fronte, facendo cenno ad
Haiduc di guardare a sua volta.
Silenzioso, egli aprì uno spiraglio nella stoffa e
lasciò che i suoi occhi si
abituassero al buio, frugando in cerca della fonte del rumore. Si
stupì nel
vedere Ellis di schiena, in camicia da notte, seduta al tavolino, a
fare
qualcosa che non riusciva a vedere. Con un cenno del capo, entrambi i
Guardiani
entrarono nella tenda, evitando accuratamente di far rumore. Nel
silenzio
irreale, si sentiva soltanto il grattare di qualcosa su una superfice.
Ormai
vicini, videro che la Stella aveva fra le mani una piuma, nera. Ma quella piuma era bianca,
pensò
Nicolai, per poi accorgersi che anche il tavolo, che
nell’oscurità chiara era
solitamente grigio scuro, era nero. E’
inchiostro. Allora lo notarono: la boccetta era rovesciata
vicino alla
teiera ed Ellis aveva le mani e parte della camicia da notte neri
d’inchiostro,
mentre continuava a scrivere-
perché
stava scrivendo- sulla pergamena sotto di se, satura di
segni. Haiduc e
Nicolai si guardarono, incerti sul da fare, mentre Ellis continuava a
scrivere,
come posseduta. Nicolai si chinò accanto a lei, cercandole
il viso fra i
capelli. Si stupì di vederla addormentata. E’
sonnambula? Stava
per alzarsi e
riferirlo ad Haiduc, quando la Stella si volse verso di lui e gli
afferrò il
collo, stringendolo con una forza impossibile per le sue minute membra.
Haiduc
scattò in avanti, ma Ellis lo scagliò lontano da
loro con un semplice gesto
della mano. L’Albeis atterrò contro il paravento,
schiantandosi a terra fra
cocci di legno e vetro. Nicolai ansimava, sconvolto e impaurito, in
cerca di
aria << Ellis… >> La Stella si
alzò in piedi, trascinando Nicolai
con sé. Tese il braccio verso l’alto, facendogli
staccare i piedi da terra.
Aprì gli occhi, fissandolo con le orbite ribaltate.
<< Ellis…mi stai…
strozzando… >> sibilò ancora
Nicolai, le mani attorno a quella di Ellis.
Iniziò a scalciare, cercando di colpirla, ma invano.
Cercò di vedere Haiduc, ma
vedeva solo il suo corpo abbandonato, e poi non riusciva più
a distinguere le
forme, l’aria era sempre minore…
concentrò tutti i suoi sforzi nella ricerca
dell’aria, mentre il fiato di un’altra persona si
mescolava al suo, lo stesso
ansimare, e il frammento gli esplose nella testa
mentre la
mettevano in quella
cabina stretta, nuda e debole, imbottita di chissà quali
droghe. Vide uomini
che si affacciavano su di lei, i visi coperti di mascherine bianche e
gli occhi
a specchio che riflettevano la sua immagine. Allargò gli
occhi, perdendosi
nella visione di se stessa. Era lei, era Ophale… e aveva una
missione da
compiere prima che il vetro si chiudesse, lasciandola in
un’oscurità umida.
Qual’ era la missione, poi ?
L’aria
tornò a circolare nei polmoni di Nicolai nel momento esatto
in cui toccò terra,
pesante come un macigno dopo quegli attimi di morte apparente. Per un
attimo,
il suo cervello fu troppo occupato a prendere ossigeno in poderose
boccate per
preoccuparsi di qualsiasi altra cosa, fosse anche di Sua
Maestà in persona. Fu
il rumore di qualcosa che cadeva pesantemente a terra a scuoterlo,
costringendolo a rimettere a fuoco la realtà. Ellis, la sua,
la loro Ellis, era
a terra, scomposta e disarticolata, profondamente addormentata. Si mise
a
sedere, massaggiandosi il collo, ancora sconvolto da quello che era
successo.
Mosse lo sguardo dal tavolo, a Ellis, al paravento, dove il corpo di
Haiduc
giaceva ancora, inerte. Con estrema difficoltà, evitando
accuratamente di
svegliare Ellis, Nicolai raggiunse il compagno, trovandolo abbandonato
sui
resti del paravento di legno. Un taglio stillava sangue
dall’attaccatura dei
capelli, mentre frammenti di specchio erano conficcati nella carne del
braccio
destro, quello con cui aveva frantumato il vetro, salvandosi il viso,
gli occhi
e anche la vita. Se avesse troncato la
giugulare… Haiduc aprì gli occhi solo
allora, fissandoli in quelli
dell’amico . Lo riconobbe dopo un po’ e quando lo
fece si mise a sedere di
scatto, sibilando di dolore: aveva puntellato il gomito sul vetro.
<< Sei
vivo. >> Constatò in un sibilo, toccandosi la
ferita alla testa. <<
E anch’io. >>
Allungò il collo e
guardò Ellis dormire come una bambina sul tappeto, lercia di
inchiostro.
Ma
che diavolo è successo? << Credo
che si sia svegliata, Haiduc.
>> La voce flebile di Nicolai lo riportò nella
realtà.
<<
Svegliata? >>
Nicolai
deglutì dolorosamente. << La vera Ellis. Ha
preso il sopravvento e-
>> Si bloccò, sconvolto (
la
debolezza delle droghe, la nausea, l’oscurità
umidiccia e calda… ) <<
E io l’ho vista.
>> Guardò
Haiduc a bocca aperta. << Ho
visto
lei nel suo ricordo… >> Sorrise,
l’adrenalina così forte da fargli
dimenticare il dolore. << O Dei, l’ho vista e..
Ophale? >> Si volse a
guardare Ellis, sempre più stupito.
<< Ophale? >> chiese Haiduc, alzandosi con
un mugolio di dolore. Afferrò
la mano tesa di Nicolai, muovendosi con lui verso la loro Stella.
<< L’ho
vista venire qui. >> Sussurrò Nicolai,
eccitato. << L’ho vista
mentre la spedivano qui, nuda e impaurita, con una missione da
compiere…
qualcosa che lei non ricorda. >> Haiduc fissò
gli occhi sul tavolo,
chinandosi poi a prendere il foglio di pergamena impiastricciato di
inchiostro
e saturo di segni scarabocchiati, ma leggibili. << O che
non vuole
ricordare. >> L’Albeis passò il
foglio al compagno. Nicolai lesse,
sgranando gli occhi per la paura e la sorpresa.
Come
scritte da un bambino alle prime armi, ma perfette, le lettere
componevano due
sole parole.
Non
svegliarmi.
D.I.F
Ebbene,
eccomi. E’ stato un
chappi lungo e sudato questo, che spero verrà
apprezzato…mi è piaciuto
moltissimo scriverlo, e la storia sta prendendo sempre più
forma nella mia testa
:D è una cosa meravigliossssa!!!! Fatemi sapere che ne
pensate ok??? Besitos,
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