Il demone cieco

di ShuraExorcist
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. Il figlio del degli angeli ***
Capitolo 3: *** 2. L'alba dell'ultimo giorno ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
 
 

 
- Prologo -
 

 
 
 
 
 

Quando Padre Christoph trovò quel bambino avvolto in fasce, era l’alba di una giornata autunnale piuttosto fredda. Avevano bussato alla porta del monastero e si chiese chi fosse a quell’ora del mattino. Il sole era già alto, si udiva il lontano cinguettio degli uccelli dagli alberi alti del giardino.
Davanti a Padre Cristoph, tuttavia non c’era nessuno. Pensò che forse aveva passato una notte troppo inquieta e che dunque il rumore fosse solo una sua impressione, ma sotto ai suoi piedi il pianto di un neonato lo fece sobbalzare.
Incredulo, in una cesta di vimini c’era un bambino avvolto in una coperta azzurra.
Le sue guance erano rosee, i suoi capelli scuri e cominciò ad agitarsi dentro la cesta, scalciando.
Padre Christoph si chiese chi mai avrebbe lasciato lì quella creatura innocente tutta la notte.
Si chinò e prese il piccolo fagotto tra le braccia. Era caldo e cominciò a dondolarlo per calmare il suo isterico pianto. Malgrado provasse a cantare una ninna nanna, il bambino non la smetteva di piangere. Dalla coperta azzurra, scivolò via una lettera.
La prese e cominciò a girarla e rigirarla alla ricerca del nome del mittente, ma la busta era completamente bianca.
Portò il bambino dentro e si sedette sulle scalinate dell’altare.
I fogli della lettera erano freddi, l’inchiostro nero era lievemente sbiadito. Da dove veniva quel bambino? Fece un lungo respiro profondo e diede un’occhiata alla creatura tra le sue braccia.
Era piccola, inerme. Quando il bambino smise di piangere, aprì i suoi grandi occhi tondi.
Era troppo piccolo per vedere il colore dei suoi occhi, ma Padre Cristoph vi lesse dentro tutta la sua innocenza, al punto che sentì il suo cuore rimpicciolirsi. Sorrise al bambino e gli toccò il naso.
Poi tornò a leggere.
 
Vogliate accogliere la nostra richiesta padre. Abbiate cura del nostro erede, dal più alto dei cieli noi veglieremo su di voi. Che Dio vi benedica.”
 
Padre Christoph rimase di sasso. Dal più alto dei cieli… angeli?
Improvvisamente gli tornò in mente il sogno di quella notte. Quella figura radiosa, quella voce sublime, quei capelli dorati che gli dicevano: “Abbiatene cura”.
E soprattutto, quelle lunghe ali bianche.
Guardò il bambino, cominciò a pizzicarsi le braccia e si cominciò  a sbattere la mano in fronte, facendo scivolare via i suoi occhialini tondi.
-Vogliono prendersi gioco di un povero anziano padre.-
Padre Christoph, un po’ in collera, si diresse verso l’entrata della chiesa del monastero, ma si fermò non appena il piccolo riprese a piangere.
Sbuffò:-Devo proprio tenerti. Non c’è via d’uscita. E va bene, Il tuo nome sarà…-
Fece una pausa. Come avrebbe chiamato quel bambino?
-Abraham.-
 

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Capitolo 2
*** 1. Il figlio del degli angeli ***


CAPITOLO 1
-IL FIGLIO DEGLI ANGELI-


 

 



''Il loro viso (era) come sole che luce, i loro occhi come lampade ardenti,
dalle loro bocche usciva un fuoco, i loro vestiti una diffusione di piume, e le
loro braccia come ali d'oro, al capezzale del mio letto.
Mi chiamarono col mio nome. ''
-Enoch, Capitolo I  vv. 5

 

 




Abraham era disteso nel giardino nel retro del monastero. Sentiva l’erba fresca e bagnata nella schiena. Era un pomeriggio di primavera.
Tra le mani aveva un libro di particolare. Suo padre – o meglio, il suo padre adottivo- gli aveva imposto di leggerlo, per “capirne di più”. Non sapeva a cosa si riferisse con quel termine ma gli aveva promesso che un giorno, non appena avrebbe finito il libro glielo avrebbe spiegato.
Abraham sapeva che Padre Christoph era un uomo dai mille misteri.
Gli aveva detto di averlo trovato vent’anni prima in fasce davanti la chiesa e che probabilmente era un dono del cielo. Anche se Abraham viveva tra le mura di un monastero e uomini di chiesa, non credeva molto nella religione.
-E questo libro è proprio un ammasso di idiozie.- disse chiudendolo e posandolo.
Il libro lanciato sull’erba emise un piccolo tonfo. Abraham osservo gli spiragli di cielo che si intravedevano dalle chiome degli alberi.
Diede un’occhiata al libro.
-Il libro di Enoch.- disse, sbuffò. -Che fantasia.-
-Dici che siano fantasie?-
Abraham sussultò. Padre Christoph spuntava sempre dal nulla e spiava Abraham qualsiasi cosa facesse. Si avvicinò ad Abraham, sicuro di sé come sempre. Gli tolse dai capelli neri due ciuffi d’erba e gli prese il Libro di Enoch dalle mani.
-Volevo farti leggere la Bibbia, ma uno scettico come te non capirebbe.-
Abraham gli lanciò un’occhiata torva. -Sono solo realista.-
-Come reagiresti se ti dicessi che gli angeli di cui parla Enoch esistono?-
-Direi che l’uomo che mi ha cresciuto è un pazzo e che si inventa barzellette per non farmi dormire la notte.-
Padre Christoph gli diede un colpo di libro in testa. Abraham andò in collera:
-Ma sei impazzito, papà? Mi hai fatto male!-
-Se potessi di aprirei il cervello in due per metterti dentro un po’ di buon senso.-
Abraham sbuffò:-Buon senso eh! Sentiamo, perché hai disturbato la mia interessante lettura?-
Padre Christoph notò il leggero sarcasmo di Abraham nella parola “interessante”.
C’aveva perso le speranze. Quel ragazzino non avrebbe mai capito, né imparato un bel niente.
Vent’anni li aveva solo per andare da solo dal medico e all’università. Il suo cervello era parecchio indietro rispetto alla sua età anagrafica, tuttavia gli voleva bene.
Amava Abraham e aveva fatto molti sacrifici per crescerlo in salute. Ed era proprio un gran bel ragazzo. Lo invidiava, per le strage di cuori che avrebbe fatto con le donne.
Peccato che a lui interessava solo la medicina e delle donne non gliene importava.
Faceva l’eremita su quei giardini a studiare e Padre Christoph lo vedeva solo per la cena e per il pranzo. Ah, questi giovani, pensava spesso.
-Vuoi sentire una storia divertente come quelle che raccontano i fanatici della chiesa?-
-Sentiamo. Passiamo troppo poco tempo insieme e voglio sentire le tue barzellette.-
Padre Christoph e Abraham si sedettero, uno di fronte all’altro.
Gli raccontò di un certo Mikael, che sconfisse Lucifero. Gli raccontò di creature alate che combattevano e dell’angelo più radioso del cielo che non sopportava gli esseri umani, che avrebbe voluto sottometterli e cercò di rubare il trono a Dio, ma quel certo Mikael non glielo permise.
Schiacciò la sua testa e gli cavò gli occhi. Lo rese cieco.
I seguaci di Lucifero caddero sulla terra e si trasformarono in creature dannate, obbligate a vivere la loro eternità nell’agonia. I loro  figli che nascevano da relazioni con donne umane, venivano chiamati nephilim. Dopo quella parola, Abraham non poté smettere di ridere.
-Dai papà smettila.- disse tra le risate. -Saremmo morti tutti già se questa battaglia fosse realmente esistita.-
Padre Christoph gli diede un’occhiataccia: -Infatti, è appena iniziata.-
Abraham divenne serio:-Iniziata? Papà studio medicina, la medicina dimostra le cose che la religione e le sue leggente non possono dimostrare. I medici hanno salvato più vite di quante ne abbiano salvate le preghiere.-
-Abraham, sei il figlio di Mikael. Mikael è tuo padre e ti ho protetto per troppo tempo, vedi ora di cavartela da solo. - tagliò corto, arrabbiandosi.
Padre Christoph si alzò, in collera. Se ne tornò dentro al convento, lasciando il libro di Enoch sulle gambe di Abraham. Emanava calore, o forse no. Forse quello che Abraham aveva appena sentito dalla bocca di padre Christoph gli bruciava dentro.
Quel vecchio parroco doveva ritirarsi in un’accogliente casa di riposo.
Si sdraiò sull’erba e lesse il Libro di Enoch, da dove si era fermato. Si rese conto che cominciava a guardarlo sotto un aspetto diverso.
Ma lui era un medico,non poteva sul serio credere a quelle sciocchezze.
Abraham smettila, che diavolo ti passa per la testa?
Il figlio di Mikael. Un medico non doveva lontanamente pensare a tutte quelle dicerie.
Un medico, ha studiato attraverso la scienza. Il mondo andava a rotoli e nessun angelo, nessun Dio dava una mano. Stavano tutti a guardare.
Patetici umani. Che pretendevano? Che cadesse l’astro del cielo e salvasse tutti?
No, qui ognuno nasce per cavarsela da solo, pensava Abraham, se esistesse realmente un Dio, nessuno dovrebbe preoccuparsi e nessuno moriva con le bombe sopra ai tetti. L’uomo chiama demone il male che lui stesso crea.
Dopo quel pensiero Abraham si rannicchiò su un fianco e si addormentò.

Fece un sogno strano. Bruciava tutto: case, palazzi, ogni cosa. Venivano giù a blocchi, ed era un disastro, sembrava l’Inferno. Cercava qualcuno, cercava Padre Christoph.
Non si seppe spiegare come, ma si ritrovò nel suo giardino e il libro di Enoch che Padre Christoph gli aveva detto di leggere, era ridotto in un cumolo di cenere.
Abraham non credeva ai suoi occhi, si sentiva angosciato, disperato.
Si voltò e notò che quello non era il suo giardino. Era ai piedi di un’alta collina fiorita poteva osservare quelle fiamme alte, che da lì sembravano piccole e insignificanti.
Dov’era? Dove si trovava?
“Abraham, è questo quello che accadrà”.
La voce candida di una donna dietro di lui lo riportò alla realtà, ridestandolo dai pensieri.
“Cosa? Cosa accadrà!”
“Abraham, salva questo mondo. Tu sei colui che deve salvarlo”
Abraham si sentiva confuso, rise, come rideva sempre quando Padre Christoph gli leggeva le parabole per farlo dormire da bambino
-No, io a malapena riesco a salvare me stesso.-
“Sei tu il figlio dell’Arcangelo e il Caduto Lucifero è tornato.”
La donna aveva lunghi capelli dorati, le ali bianche e luminose.
Dalla forma sembrava proprio un angelo. Abraham strabuzzò gli occhi, incredulo.
-Oh, no, pure tu come se papà non bastava.-
“Padre Christoph ha fatto di te un uomo forte, ti ha istruito e  proprio secondo i nostri desideri. Ora devi andare, devi cercare i seguaci e devi unirti a loro. Devi combattere gli angeli caduti e salvare il mondo dall’apocalisse.”
-Davvero devo farlo io? Siete così tanti, forti. Dove sono gli arcangeli?-
“Una dolorosa piaga causata dai demoni sta colpendo tutti noi, anche gli arcangeli. Noi moriamo, loro diventano numerosi. Sei l’unico, Abraham.”
Il discorso dell’angelo non faceva una piega. Doveva credere davvero di poter essere il nuovo  Messia? Una matricola universitaria cresciuta in un convento, poteva salvare il mondo?
Poi si svegliò.
Non c’erano le fiamme, non c’era neanche la donna.
Si ritrovò nel giardino, ed era ormai sera. Qualcuno lo chiamava. Era Padre Christoph.
L’orologio della chiesa scoccò le nove e mezza di sera. Stava facendo tardi a cena.
Si alzò, con un mal di testa atroce. Barcollando, si sentiva come se fosse appena sceso dalle montagne russe.
Studi troppo, si disse. Basta, brucia quei libri, sei diventato pazzo.
Tuttavia, decise di parlare a cena a Padre Christoph. Decise di dirgli cos’aveva visto, anche se lui era molto arrabbiato per la breve litigata del pomeriggio.
-Ah, adesso che l’hai visto ci credi, San Tommaso-se-non-vedo-non-credo?-
Abraham gli lanciò un’occhiataccia fulminea:-Smettila di prendermi in giro è un sogno, non ho detto che ci credo, però ci voglio provare.-
Padre Christoph smise mangiare. Non aveva ancora finito il suo piatto di spaghetti quando si alzò e prese dal cassetto una busta ingiallita.
-La trovai tra le coperte in cui eri avvolto quella notte d’autunno.-
Abraham lo guardò dubbioso, poi la lesse.
Abbiate cura del nostro erede, dal più alto dei cieli noi veglieremo su di voi.”
Ci fu un lungo silenzio che separò Padre Christoph e Abraham per tutta la cena,finché il ragazzo parlò: -Pare che io sia obbligato a crederci.-
-Già.-
-Da dove devo incominciare?-
-Da te stesso.-
-Eh?-
-Comincia da te stesso, parti e intraprendi un viaggio che non sai dove ti porta. Questa sarà casa tua ogni volta che vorrai tornare.-
Abraham lo guardò scioccato. L’aveva presa sul serio, lo stava invitando a lasciare il monastero?
Tornò a guardare quella lettera.
Partire senza sapere da dove cominciare.
Un buon pellegrinaggio spirituale, un’avventura, ma di sicuro non era una cosa normale da essere umano normale. Ammesso che Abraham fosse davvero normale.
Tutto era così strano e Abraham era troppo diffidente.
Salì in camera sua, guardandosi attorno. Doveva fare le valigie andare via.
Doveva credere ai suoi sogni e a quello a cui non aveva mai creduto.
Abraham, ma ti rendi conto che diavolo stai facendo? Per tutti i demoni dell’..no, lasciamo stare, pensò.  Si sbatté una mano in fronte e si lasciò andare sul letto. 

 

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Capitolo 3
*** 2. L'alba dell'ultimo giorno ***


Nota: Salve a chi mi segue *si inchina* :)  In questo capitolo, comincio a far vedere un pò i personaggi principali della storia, avviso che nei prossimi capitoli come in questo renderò tutti partecipi facendo in modo che la storia non si concentri solo su Abraham, ma anche su gli altri e perché no anche sui demoni. Buona lettura :3








Capitolo 2.
L’alba dell’ultimo giorno
 

 
 
 

 




Abraham quella mattina si alzò presto per studiare. All’incirca dovevano essere le sei o le sei e trenta del mattino, quando decise di alzarsi. Era passato qualche giorno da quando quell’angelo, quelle fiamme, quell’orribile sogno tormentava le sue notti, ed ancora non aveva avuto il coraggio di decidere di partire.
Padre Cristoph continuava a pressarlo e più Abraham voleva riflettere, più si sentiva incapace di prendere una decisione. Così, rimase chiuso in camera sua, con la testa fra le mani a scontare la stanchezza provocata dalle sue notti tormentate.
Sbuffò, quel letto non gli era mai sembrato così comodo come quella mattina, ma si diresse verso la scrivania.
Assonnato, si sedette con gli occhi chiusi e un muso lungo, segno di chi non voleva saperne di affrontare la giornata.
Aprì il quaderno, cominciando distrattamente a trascrivere appunti da un grande libro alla sua sinistra. La penna tra le mani gli sembrava un masso pesante da sollevare con due dita. Era la volontà di studiare che gli mancava. La lettera che Padre Christoph gli fece leggere, l’aveva portata in camera. Era rimasta lì, tra la tazza verde piena di evidenziatori e la tazza grigia piena di penne blu e nere.
Gli diede un’occhiata superficiale, ma tornò a guardarla attentamente un istante dopo.
Gli tornarono in mente le fiamme alte attorno, quella collina.
Era un sogno troppo frequente per essere un semplice complesso che girovagava incessantemente nella sua testa.
Abraham sbatté una mano sul tavolo lanciando la penna in aria.
Uscì dalla stanza, con le mani in tasca. Nel corridoio del monastero, i suoi passi echeggiavano nel silenzio.
Sicuramente, Padre Cristoph e gli altri padri erano radunati nella chiesa per il vespro mattutino. Abraham decise di non disturbare nessuno e mettersi come sempre a guardare il sole sorgere dalla parte est del giardino.
Si rannicchiò con le ginocchia al petto, amava la solitudine. Abraham era sempre stato un tipo riservato, timido e introverso. Per quanto il suo aspetto attirasse parecchio le ragazze, lui era riuscito a far andare bene le cose solo tre anni prima per quasi un anno, con una compagna di scuola. Quando lo lasciò le disse che era un disastro e Abraham non le diede mai torto. Era un disastro in tutto, forse per questo preferiva non infierire in niente.
Qualsiasi cosa facesse, era destinata a finire nella spazzatura.
-Che idiota.- si disse.
 
 
Ambra era appena tornata, la sua casa era immersa nel silenzio. Le prime luci del mattino, illuminavano la piccola cucina e il lavello, dove vi erano i piatti sporchi della sera precedente ammassati l’uno sull’altro. Ogni parte del suo corpo le doleva. Non aveva neanche la forza di alzare le braccia per chiudere la porta di casa alle sue spalle.
I capelli lunghi e castani le ricadevano sulle spalle. L’orrore che aveva visto quella notte, traspariva dai suoi occhi sconvolti e glaciali. Si morse il labbro.
Aveva dovuto uccidere un essere umano. Era questo  il grande potere della sua famiglia?
Uccidere gli innocenti? Ambra ebbe una stretta al cuore. Fece scivolare la sua spada dietro il divano, il crocefisso lo ripose nella tasca dei jeans e andò dritta verso il frigorifero.
-Ben svegliata.-
La voce entusiasta di sua madre la fece sussultare, quasi da lanciare in aria il brik di succo di frutta alla mela verde.
-Ciao,mamma.-disse con un fil di voce.
-Duro lavoro stanotte.- le disse.
Non riusciva a capire come sua madre non notasse lo sgomento e l’orrore nel suo volto.
Non vedeva come guardava il vuoto davanti a sé? Forse loro erano più in gamba di lei, ma ne uccideva tanti ultimamente, troppi, non riusciva a salvarli, non riusciva a liberarli dai demoni che c’erano dentro ai loro corpi. Strinse il brik quasi da farlo esplodere.
-Ambra?- la chiamò sua madre.
Si avvicinò, stringendole le spalle. Ambra gemette un po’. Le ossa le scricchiolavano.
-Mamma, ho dovuto uccidere un pover’uomo indifeso.- disse, con orrore.
La madre di staccò da lei e si diresse verso la caffettiera e il contenitore del caffè.
-E’ il tuo lavoro, sei un’esorcista. Se non riesci a salvarlo devi ucciderlo e mi pare che ultimamente tu riesca più a uccidere che a salvare la gente.-
Nelle parole di sua madre, risaltava improvvisamente il sarcasmo acido che aveva sempre nei suoi confronti. Benché Ambra volesse un gran bene a sua madre, non sopportava il fatto che si rivolgesse a lei così. La faceva sentire una fallita, le diceva sempre che non era buona a nulla. L’unico dialogo che Ambra poteva avere con sua madre, era soltanto quando riusciva a combinare qualcosa di buono, evento che si ripeteva poche volte nel corso della sua vita. Sbuffò, annoiata.
-Io vado a dormire.-
-A dormire? Tu devi cercare l’angelo, Ambra. Se non vuoi essere spedita dall’altra parte del mondo, per quanto ancora tenti di infangare il nostro nome? Tuo padre non sopporterà ulteriori fallimenti da parte tua.-
Ambra chiuse il frigorifero, con violenza. Sentì sbattere le bottiglie di vetro all’interno, una contro l’altra e la guardò a pugni stretti.
-Mamma ho ventitré anni. Non sono una bambina né tantomeno felice di questo…- fece una pausa, per poi riprendere con sarcasmo il discorso:-Di questo gran nome che abbiamo.. volevo fare tante cose mamma, non volevo diventare…un’esorcista.-
Sua madre non si scompose. Rimase sempre glaciale, mescolando lo zucchero nel caffè.
-Che ti piaccia o no, sei una cacciatrice. Ti abituerai, come mi abituai anch’io.-
Ambra tagliò corto quella discussione. Afferrò la sua spada e salì al piano di sopra, nella sua stanza sbattendo la porta e facendo tremare qualsiasi cosa nella stanza.
Ambra era sempre stata dura, con tutti, con tutto. Estroversa, sicura di sé. Non aveva punti deboli, o forse il punto debole era proprio sé stessa. Non riusciva a prendersi cura di sé stessa, non riusciva a parlare con sé stessa. Il suo animo sembrava diviso in due parti che lottavano costantemente tra loro.
Ereditando il brutto carattere della madre –oltre al lavoro che facevano- era riuscita ad allontanare tutti dalla sua vita. Il suo lavoro di cacciatrice, o esorcista, aveva fatto allontanare tutte le persone che c’erano attorno a lei. Ambra aveva sempre quel dovere a chiamarla, quando si concedeva le serate con gli amici. Finché tutti decisero che Ambra doveva stare sola e anche Ambra decise di isolarsi.
Ora c’era la caccia all’angelo da completare. Dove doveva andare a cercare l’angelo?
Sentiva più presenze demoniache, che qualcosa di buono in giro.
Solo sangue, morte … apocalisse.
Gli Esorcisti avrebbero potuta bandirla e se i suoi genitori fossero stati costretti ad abbandonarla, Ambra doveva andar via a vivere sotto un ponte.
La vita da barbona, forse, era più sopportabile di quello scempio.
Si mise su un fianco stringendo la spada al petto. Squillò il telefono sul comodino.
Dannazione, pensò.
-Pronto?-
-Abby!- esclamò la voce squillante ed energica di Juliette.
Juliette, era la sua migliore amica, che viveva dall’altra parte del mondo ed anche lei conduceva la sua stessa vita.
-Ciao Juliette.-
Ambra era felice, felicissima di sentire la voce della sua migliore amica, tuttavia sembrava disturbata, non riuscendo a far uscire quel pizzico di felicità che rimaneva imprigionata nel suo cuore.
-Cos’hai? E’ da un po’ che non ci sentiamo, non vorrei che tu sia arrabbiata con me.-
-No,no di certo.. ho avuto un po’ di problemi stanotte. . .- fece una pausa, portandosi i capelli su una spalla . -come tutte le notti.-
-Ti ho chiamato perché ho sentito parlare di te in cattivo modo in questi giorni, mi chiedevo cosa stesse succedendo…-
Il tono di voce di Juliette era strano, sembrava fosse sul punto di piangere. Ambra si sentiva in torto, da un po’ di tempo si era dimenticata di lei.
Le altre Congreghe di Esorcisti evidentemente conoscevano Ambra come un’incapace e da buona amica, Juliette si era preoccupata e l’aveva chiamata.
A volte Ambra si chiedeva come potesse essere così svanita.
-Scusami, Juliette. Sono parecchio indaffarata e non riesco più a salvare nessuno.-
Dall’altro capo del telefono ci fu un attimo lungo di silenzio. Ambra ebbe l’impressione che anche Juliette la pensasse come gli altri. Poi parlò e Ambra tirò fuori un sospiro di sollievo.
-E’ dura anche qui, Ambra. Ci sono troppi demoni forti. Ecco perché ho cercato di difenderti. Trova in fretta l’angelo.-
-Non so dove si nasconda.-
-Ho delle informazioni.- sussurrò Juliette.
Ambra si chiese perché sussurrasse, ma in quel momento nel suo cuore apparve una piccola luce di speranza. Juliette era davvero grandiosa.
-Vive in un monastero fuori città.-
 
 
Il demone dagli occhi di ghiaccio,camminava per le fredde strade della città con il volto coperto. Non voleva far vedere quanto la sua cicatrice fosse profonda nel suo viso, tanto meno desiderava esporsi alla luce del giorno. Il suo  animo bramava divertimento, fame, sangue. Cercava qualcuno, qualcosa, voleva essere al centro dell’attenzione degli esorcisti e farli saltare fuori, uno dopo l’altro.
Il suo signore lo aveva avvertito: fai in modo che l’erede di Mikael ti senta.
Le mani gli tremavano e fu pervaso da un senso d’eccitazione che lo colpì nel profondo dell’anima, se ne avesse mai avuta una. Si leccò le labbra. La sua lunga lingua biforcuta era lunga fino al mento, sentì odore di sangue vivo e fresco nelle vicinanze.
-Non è ora di pranzo, Vladimir.-
Una voce alle sue spalle lo fece trasalire. La riconobbe.
-Ares.- mormorò.
Il demone di fronte a lui era alto, con un fisico robusto e forte. Le sue orecchie erano piene di piercing e i suoi occhi erano uguali a quelli dei felini,giallini, emanando la sua stessa luce accecante nella notte. I capelli invece erano ricci e gli ricadevano nella fronte.
-Siamo qui per cercare l’angelo, non per spassarcela.-
-Quanto cazzo sei noioso.-
Vladimir si alzò le maniche della felpa grigia,mostrando il suo tatuaggio a forma di serpente lungo il suo avambraccio, allungando le sue affilate unghie come gli artigli.
Nel viso di Ares apparve un sadico ghigno.
-Hai visto la donzella,laggiù.-
Ares indicò la donna davanti agli occhi di Vladimir. Qualcosa nel corpo di Vladimir cominciò a fremere, sentì la saliva scendere lungo la sua gola e la mandò giù deglutendo.
Ecco, cosa cercava.
-Possiamo cercare il moccioso dopo?-
Ares annuì. -Sbrigati.- gli disse.
Mentre Vladimir mangiava l’animo della donna, assorbendo di lei la linfa vitale, l’animo e il sangue Ares cominciò a sentire nell’aria qualcosa di diverso. Un forte potere si avvicinava, un corpo da prendere, una bella esca.
Una bambina castana e candida. Ares la vide avvicinarsi finché i loro sguardi si incontrarono. La bambina lo fissò, come ipnotizzata.
Si avvicinava, mentre gli occhi di Ares si illuminavano famelici.
Infine, anche Ares rubò l’anima della bambina, prendendo possesso del suo corpo della sua mente e di tutto quello che di buono e innocente ci fosse in una candida fanciulla.
 

 
 

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