Dentro di Te di FairySweet (/viewuser.php?uid=103013)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Non piangere Mamma ***
Capitolo 2: *** Smettere di Pensare ***
Capitolo 3: *** Verso di Te ***
Capitolo 4: *** Ti difenderò Io ***
Capitolo 5: *** Batte Forte ***
Capitolo 6: *** Farai Parte di Noi? ***
Capitolo 7: *** Era un Segreto ***
Capitolo 8: *** Due persone come Tante ***
Capitolo 9: *** Ti Aspettiamo Qui ***
Capitolo 10: *** Troppo Presto ***
Capitolo 11: *** Hai detto una Bugia ***
Capitolo 12: *** Le Ombre non fanno Paura ***
Capitolo 13: *** Papà ti Ama ***
Capitolo 14: *** Fantasmi ***
Capitolo 15: *** Non è stata colpa Tua ***
Capitolo 16: *** Aiutami a Proteggerlo ***
Capitolo 17: *** Non puoi farlo di Nuovo ***
Capitolo 18: *** Ciao bambino Mio ***
Capitolo 19: *** Profumi di buono Mamma ***
Capitolo 1 *** Non piangere Mamma ***
Dentro di Te 1
Non piangere Mamma
... Perché stai piangendo mamma? Hai paura? Anche io ho tanta
paura sai? Perché sento solo il battito del tuo cuore, ti sento
piangere e non posso fare niente per farti stare bene perché
sono piccolo piccolo.
Forse mamma non è sbagliato, forse, non tutto per voi grandi dev’essere per forza così.
Io
non so nemmeno com’è il mondo lì fuori ma penso che
dev’essere davvero spaventoso e cattivo perché fa piangere
le persone.
Non piangere mamma non aver paura ...
Le mani
strette attorno alla testa e calde lacrime a percorrerle il viso, a
pochi passi da lei quel maledetto test di gravidanza, positivo,
così positivo da toglierle il respiro.
Non poteva essere vero,
non poteva, non ora, non voleva figli, non facevano parte della sua
visione del futuro ma ora ne aveva uno.
Chiusa nel bagno,
lontano dal mondo frenetico dell’ospedale con la consapevolezza
di dover fare una scelta, di dover liberare la mente e fare lunghi
respiri profondi ma riusciva solo a restare lì, a piangere, a
pregare chiunque ci fosse lassù di risvegliarla da questo sogno
che non aveva chiesto e non voleva.
Posò la testa
contro il muro sospirando, una mano a sfiorare qualche secondo il
ventre “Mi dispiace” un lacrima a scivolarle sulle labbra,
il respiro rotto dai singhiozzi e quel tremore violento che si stava
velocemente prendendo ogni piccolo pezzo della sua razionalità
“Mi dispiace davvero tanto”
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Capitolo 2 *** Smettere di Pensare ***
Dentro di te 2
Smettere di Pensare
Sai cosa sto facendo? Penso a qualcosa di allegro e divertente,
alla luce che vedrò se mi terrai, al sapore della cioccolata che
tu mangi tanto, penso a tante cose perché se smetto di pensare
vi sento urlare.
Urlate
per me, perché sono apparso all’improvviso e ti ho
sconvolto la vita, mi dispiace, mi dispiace davvero tantissimo mamma,
non volevo farti del male ...
“Un bambino
non è come ordinare una pizza! Non puoi chiedermi di avere un
figlio se non ...” “Cosa!” urlò picchiando
violentemente il pugno sul tavolo “Se non lo vuoi? Se è
apparso all’improvviso? È mio figlio, nostro figlio e io
lo voglio! Lo voglio davvero e se solo ti fermassi a pensare, capiresti
che non tutto nella vita è lavoro e chirurgia!”
trasalì indietreggiando di colpo “Ho giurato di amarti
Cristina! L’ho fatto non per gioco o perché era una
stupida formula da recitare, l’ho fatto perché ci credo
davvero, perché ti amo probabilmente più di quanto ami la
mia stessa vita ma tu continui a prendermi in giro!”
“Davvero è questo che pensi?” “Che altro
dovrei pensare? Viviamo esattamente come vuoi tu e lo sai, non ti ho
mai negato niente perché sei meravigliosa, perché sei
così maledettamente speciale da farmi incazzare!” si
passò una mano in viso cercando di calmare i battiti violenti
del cuore “Ma ora, ora non parliamo più solo di noi, ora
parliamo di una famiglia! Di quello che ho sempre sognato e che ora,
per un tuo stupido capriccio rischio di perdere!” “È
questo per te? Un capriccio?” domandò confusa tra le
lacrime “Non volevo dire ...” “Avanti spiegami allora
cos’è! Avere un figlio, cambiare la mia vita, ripartire
ancora da zero, cambiare il mio carattere per fingere che
d’improvviso la chirurgia diventi inutile e stupida solo per far
piacere a te!” si bloccò di colpo incatenato a terra dagli
occhi di sua moglie “Te l’ho già detto! Non odio i
bambini, li rispetto ma meritano dei genitori che li vogliono, entrambi
i genitori Owen perché non puoi avere mezzo bambino”
“Perché diavolo non riesci ad accettare questa
fottutissima idea? Perché non provi a pensare che magari, da
qualche parte lì dentro anche tu hai un cuore!” il
silenzio a spaccare le lacrime “Non volevo dire ...”
“No, va bene così” sollevò appena lo sguardo
cercando di trattenere tutte quelle emozioni ma più ci provava,
più il cervello aiutava gli occhi non vedere
“Aspetta” una mano stretta attorno al suo polso così
forte da farle male “Ti prego aspetta” ma lei non rispose,
sfilò la mano trattenendo un singhiozzo “Me ne vado”
furono le ultime parole che riuscì a sentire, un tremito
violento ad accompagnare i pensieri mentre l’unica ragione della
sua vita lo abbandonava.
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Capitolo 3 *** Verso di Te ***
dentro di te 4
Verso di Te
“Ma che fai?” si voltò di colpo, il viso di Meredith
a mischiarsi a quello degli altri passeggeri “Dove credi di
andare?” “Ti ha mandato lui?” ma il volto della
ragazza era già di per sé una risposta “Vado
via” “Sei impazzita?” “Credi? Io penso di
no” “Cristina” esclamò stringendola per le
spalle “Stai scappando con suo figlio” un debole sorriso a
colorarle il volto “Per ora è solo mio figlio, e non sto
scappando, sto semplicemente facendo una vacanza” “In
Florida?” sorrise annuendo leggermente “Stai andando ad un
colloquio di lavoro e se andrà bene non tornerai più! Mi
credi davvero tanto scema?” “E secondo te perché non
ti ho detto niente? Sei l’unica che poteva capirlo”
“Perché?” domandò Mer stringendole una mano
“Perché lo fai?” “Perché mio marito
pensa che io non abbia un cuore. Crede davvero che sia un automa ma non
lo sono!” “Lo so” “Perché tutti lo
pensano? Perché non posso semplicemente essere una
ragazza?” “Lo so” un debolissimo sorriso a colorarle
il volto “Lo sai perché non volevo questo bambino?”
pochi secondi di silenzio, la mano di Mer a stringersi più forte
attorno alla sua “Lo so, non hai bisogno di spiegarmelo
però vedi, forse tuo marito ha diritto a quella spiegazione
perché sta diventando matto” l’altoparlante a
spezzare i loro discorsi, afferrò la valigia sospirando
“Ho bisogno di allontanarmi da lui Meredith perché
altrimenti mi autodistruggo nella commiserazione e non posso farlo, non
più” la giovane annuì sorridendo “Tieni il
cellulare acceso e fammi sapere appena arrivi” la tirò tra
le braccia stringendola con forza “Non gli dirò niente non
preoccuparti” un debole grazie ad uscire dolcemente dalle sue
labbra “Cristina?” si voltò di nuovo “Lo
terrai?” un sorriso appena accennato, qualcosa di invisibile
eppure così lampante per lei da scaldarle il cuore “Allora
ci vedremo molto presto” non rispose, si limitò ad annuire
incamminandosi lentamente verso il gate, verso una vita nuova che la
terrorizzava da morire.
...
È vero mamma? Davvero mi tieni? Non stai solo giocando vero?
Perché giocare è bello ma se giochi con me allora non so
se è bello o no.
Non
so tante cose, non conosco il tuo mondo ma se davvero mi tieni con te
allora prometto che imparerò tutto quello che vorrai ...
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Capitolo 4 *** Ti difenderò Io ***
dentro di te 4
Ti difenderò Io
Aveva mangiato, fatto una doccia e perfino trovato il tempo per guardare uno stupido programma di quiz in televisione.
Trovare un lavoro per
lei non era mai stato difficile, era brava, maledettamente brava e
terribilmente forte e forse, piegarsi per una volta ad una scelta
nuova, ad una scelta spaventosa e diversa poteva mostrarle che il
mondo, il mondo delle persone normali non era poi tutto orribile e
contorto.
Si voltò
lentamente dall’altro lato, un braccio posato sotto alla testa e
la mano a sfiorare tremante il ventre “Ehi” mormorò
nel buio “Non so nemmeno se puoi sentirmi, non so come stai o
cosa pensi. Non so niente piccolo ...” un sospiro a rompere il
silenzio mentre quelle carezze leggere continuavano a toglierle ogni
briciolo di ragione “ ... non sono sicura di essere una buona
madre sai? Ho lasciato il tuo papà senza dargli modo di capire,
senza dirgli dove sono o cosa sto facendo o come stai tu. L’ho
lasciato e basta” una perla d’argento a sfiorarle la pelle
del viso “Ce la caveremo vedrai, ce la caveremo e io
imparerò a cambiare pannolini e a preparare biberon” un
debolissimo sorriso a sfiorarle le labbra “Dovrai essere paziente
con me piccolo perché so a malapena immaginare pannolini e
biberon ma ti prometto che imparerò, che diventerò una
brava mamma e che sarò in grado di dividere il mio tempo
tra te e il lavoro” chiuse gli occhi ricacciando indietro un
singhiozzo “Sei arrivato come un fulmine a ciel sereno piccolo.
Non ero pronta a te e probabilmente, non ti avrei mai nemmeno cercato.
Sono un chirurgo, un ottimo chirurgo e lavoro tanto ma troverò
il modo di non farti mancare niente vedrai” parole confessate al
silenzio della notte, parole che sperava davvero arrivassero a suo
figlio che di colpe non ne aveva “Forse non sono tanto brava a
parlare con i piccoli umani però una cosa la so: il mondo
è pieno di draghi cattivi e di mostri che ti fanno male e si
divertono a giocare con te ma tu non devi aver paura ok? Perché
ti prometto che quei draghi non si avvicineranno mai a te” il
respiro regolare e la dolcezza della notte a trascinarla nel sogno ...
Ti
sento mammina e non devi aver paura. Diventerò grande e forte te
lo prometto e ti difenderò io da quei draghi, prenderò la
spada e con il cavallo andrò a cercarli e gli farò male
perché sei la mia mamma e nessuno può farti piangere.
Non mi importa se non
ho un papà, non mi importa quello che ti ha detto o quello che
ha fatto, io non sono suo, io cresco dentro di te mamma.
Respiro solo se lo
fai tu e mangio quello che mangi tu, dormo al sicuro cullandomi con i
battiti del tuo cuore e questo, è molto più bello del
papà o del tempo che passa.
Lo sai, nessuno sa
fare la mamma, io non so nemmeno fare il bambino, però
imparerò, diventerò grande e imparerò a parlare e
a camminare e a vestirmi da solo e imparerò a cavalcare e a
usare la spada. Ti difenderò io mamma ...
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Capitolo 5 *** Batte Forte ***
dentro di te 4
Batte Forte
Era stupido, a tratti perfino folle ma ogni volta che operava, ogni
volta che si sedeva o che riposava cercava nel mondo i lineamenti di
quel bambino che ormai cresceva dentro di lei.
Già, gran bel
cambiamento per una ragazza abituata a pensare solo a sé stessa
e alla chirurgia “Allora?” sollevò lo sguardo dal
piatto sorridendo “Che ci fai qui?” “Ti avevo detto
che sarei venuta a trovarti no?” esclamò allegra Meredith
abbracciandola “Come stai?” “Oh tutto bene, Derek
diventa sempre più scontroso e Owen sta diventando matto”
“Si già, non mi interessa, ti ho chiesto come stai
tu” la ragazza sorrise sedendosi di fronte a lei “Sto bene,
tutto bene e tu?” “Mangio tantissimo” sorrise
sollevando leggermente la forchetta dal piatto “Mangio, opero,
bevo e faccio pipì, tantissima pipì” “Uao,
hai una vita piena” mormorò Mer rubandole dal piatto una
patatina “Hai fatto l’ecografia?” guardò
qualche secondo l’orologio prima di tornare a concentrarsi sul
piatto di fronte a sé “Non ancora” “E
perché no?” “Ti calmi?” ribatté
sarcastica “Perché sto mangiando e ce l’ho tra
un’ora circa” d’improvviso il volto di Meredith si
colorò di allegria e serenità “Si! Sapevo di
arrivare in tempo” “Se lo sapevi allora perché me
l’hai chiesto?” “Perché così è
più divertente” si limitò ad annuire ignorando quel
sorrisetto “Dicevo davvero prima, lui sta impazzendo”
“Non è un mio problema” “Cristina sei sua
moglie” “E?” “E quindi è normale che si
preoccupi per te! Ti ama ! Sono passati due mesi e non ha mai smesso di
cercarti. Non ti chiama e non lo vedi perché ha paura, ha paura
di farti altro male o di spezzare questa sorta di equilibrio che ora
hai ma gli manchi, gli manchi così tanto da costringerlo a
prendere un aereo, arrivare fino a qui e poi tornare indietro, e
l’unico premio è averti vista qualche secondo”
posò la forchetta sospirando “Devi parlare con lui, devi
parlare con lui e spiegargli tutto perché ne ha il
diritto” “Davvero?” gli occhi piantati nei suoi
“E io non avevo il diritto di scegliere? Non avevo il
diritto di pensare a me stessa?” “Ma non l’hai
fatto!” esclamò Mer afferrandola per un polso “Hai
tenuto questo bambino e così facendo hai tenuto lui inchiodato a
te! Davvero non lo capisci? L’hai costretto a restare
Cristina!” silenzio gelido a spaccare a metà i pensieri
“Ho comprato una culla, un passeggino e ciucci, biberon e pupazzi
colorati che profumano di menta e fragola. Ho comprato una casa nuova,
una macchina più grande e body colorati e così piccoli da
...” si fermò qualche secondo, un movimento leggero a
toglierle il respiro, posò la mano sul ventre, movimenti leggeri
appena accennati ma vivi “ ... si è mosso” Meredith
sorrise trattenendo il respiro, quasi come se respirare potesse rompere
la magia di quell’attimo.
Immobile, concentrata
sui movimenti leggeri di quella nuova vita che ora, per la prima volta,
sembrava reale “Ho comprato una vita nuova Mer e non posso
tornare indietro, non posso farlo” “Gli stai negando una
famiglia, gli neghi il poterti restare accanto in questi momenti”
un debolissimo si a riportarla alla realtà “Guardami negli
occhi e dimmi che ne sei sicura” sollevò lo sguardo, gli
occhi chiari e profondi della ragazza ad accoglierla
“D’accordo, allora resterò con te” “Sei
impazzita? Hai un lavoro e ...” “E per due settimane sono
in vacanza. Abbiamo scelto, sei la mia persona, io sono la tua e quindi
abbiamo scelto” un debole sorriso a colorarle il volto, si
alzò in piedi massaggiandosi il collo “Andiamo?”
“Cosa?” “L’ecografia” Meredith sorrise
seguendola, un braccio avvolto attorno al suo, esattamente come ai
vecchi tempi, esattamente come quando erano solo loro due.
Lo
sai mamma che ho un cuoricino anche io? Batte forte forte, più
veloce del tuo però c’è. Mi piace mamma, mi
piace sentirlo, mi piace ascoltare la tua voce ... mi piace la mia
mamma ...
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Capitolo 6 *** Farai Parte di Noi? ***
Dentro di te 6
Farai Parte di Noi?
“Siamo a casa piccolo” chiuse la portiera
dell’auto ridendo, parlava davvero da sola? Nel silenzio della
notte solo il suono ritmico dei suoi passi, i tacchi che picchiavano
dolcemente sul selciato, la mente libera da qualsiasi pensiero e tra le
mani un sacchettino colorato, ennesimo regalo del capo per quel bambino
che ancora non parlava e non camminava.
“Ora mamma si
toglie questo stupido vestito e si fa una bella doccia, che ne dici
piccolo? Ti va?” girò lentamente la chiave e quel tenue
calore la invase dolcemente.
Non aveva mai fatto
troppo caso alle sensazioni che poteva emanare la casa, il silenzio, il
profumo leggero di vaniglia e poi quel ticchettio costante e
rassicurante, posò le chiavi sulla mensola sfilandosi le scarpe,
il vestito cadde dolcemente al suolo, un passo, un altro ancora fino al
bagno, a quello specchio che ora rifletteva un’immagine che
faticava a riconoscere.
Il corpo a cui era
abituata non c’era più, al suo posto, una visione,
semplice, leggera, un ventre arrotondato custode del regalo più
bello che poteva fare al mondo.
Sorrise posandovi una mano “Uao, stai crescendo davvero tanto piccolo mio” ... Ho imparato a girarmi mamma! Mi senti vero? Senti come mi muovo? ... inclinò leggermente la testa di lato concentrandosi su quei movimenti, su quel continuo via vai di emozioni.
Indietreggiò
lentamente fino ad incontrare il letto “Lo sai tesoro ...”
la testa abbandonata sul cuscino e le mani strette attorno al suo
bambino “ ... in fondo il mondo non è poi tanto
brutto” Davvero? ... ... “Ci
sono un sacco di cose belle qua fuori. Il sole, le nuvole, l’erba
fresca, i giochi. Vedrai, ti divertirai davvero tanto a scoprire cose,
a cercare di capire da dove viene il suono dei sonaglietti ” ... Cos’è un sonaglietto? ... “Scoprirai
quant’è buono il gelato e com’è divertente
correre” sorrise al soffitto silenzioso “Imparerai a
camminare, a parlare e riderai tantissimo e avrai una zia meravigliosa
e uno zio con i capelli vaporosi e lo sguardo da Stranamore” poi
un sospiro, una certezza che cancellò il sorriso ... Perché sei triste? Se il mondo è così bello non devi essere triste ... “Eh
si piccolo mio, mi manca il tuo papà. Mi manca davvero
tanto” chiuse gli occhi trattenendo un singhiozzo insolente ... Non devi piangere mammina, ci sono io qui con te ... un’altra
leggera spinta a riportarla alla realtà “Scusami tesoro, a
volte i grandi hanno bisogno di ripensare alle cose” ...
ma questo non importa sai? Io sono piccolo ancora però posso
pensare, posso parlare anche se so che non mi sentirai mai e ti dico
una cosa mammina: ora la colpa non esiste più. È andata
via come quando nascondi un cioccolatino dietro alla schiena e poi
sorridendo dici “Dov’è?” perché
è così mamma, non è colpa di nessuno ... si asciugò il viso sospirando “Chissà cosa pensi lì dentro. Cosa stai facendo piccolino?” ...
Ti ascolto, mi muovo un po’ e ti ascolto perché sei
l’unica voce che mi fa riposare e non so come faccio, non so
perché posso pensare però ti ascolto ... “Spero
solo che tu stia bene” si alzò lentamente ridacchiando
“Ora ci facciamo una doccia e poi mangiamo un po’ di frutta
ti va?” abbassò leggermente lo sguardo, quella linea ormai
ben visibile ad accoglierla “Lo prendo per un si”
afferrò il telecomando dello stereo, pochi secondi e una musica
folle e divertente ad accompagnarli in quella tranquillizzante routine.
Se ne era accorta per caso, probabilmente, se non fosse finita la canzone non si sarebbe nemmeno accorta del campanello.
Afferrò un
asciugamano avvolgendoselo velocemente attorno “Arrivo”
urlò come se l’ospite al di fuori potesse sentirlo
“Mi dispiace, stavo ...” ma si bloccò di colpo
paralizzata da quegli occhi di ghiaccio che cercavano di sorridere
“Owen?” ”Ehi” un leggero imbarazzo a colorargli
la voce mentre i suoi occhi continuavano a studiarla
“Perché sei qui?” “Possiamo parlare?” si
mordicchiò leggermente un labbro combattuta tra la voglia di
abbracciarlo e quella di mandarlo via “Entra”
mormorò infine aprendo di più la porta.
Era una bella casa, una
casa rassicurante e piena di profumi diversi, accanto al caminetto una
carrozzina e poi pupazzi e giochini ordinatamente riposti sulle
mensole “Come stai?” domandò titubante
sedendosi sul divano di fronte a lei “Sto ... sto bene” si
strinse nelle spalle cercando di nascondere il loro bambino ma come
diavolo poteva nasconderlo? “Perché sei qui?”
“Mi manchi” trattenne il respiro qualche secondo,
probabilmente, se non ci fosse stato il divano sarebbe caduta per terra
“Sono stato un’idiota, non volevo dire quelle cose e non
...” “Owen, non puoi apparire dal nulla” “Non
sono nel nulla, sono qui, di fronte a te, ti sto chiedendo scusa e ti
prego, ti prego, ritorna da me” “Ho un lavoro”
“Ne hai uno anche a casa” ma lei scosse leggermente la
testa, i capelli bagnati a disegnarle teneri riccioli sulle spalle
“Mi hai fatto del male, mi hai fatto soffrire per uno stupido
litigio!” doveva solo respirare e tutto il resto sarebbe arrivato
di conseguenza “Sai perché non volevo questo
bambino?” non rispose, non si mosse di un centimetro “Al
secondo anno, durante un intervento ho avuto un aborto spontaneo”
abbassò lo sguardo cercando di concentrarsi su
qualcos’altro che non fosse quel ricordo “Ho perso il
bambino e una tuba nel giro di pochi minuti. Ho rischiato di morire e
indovina di chi era quel bambino?” “Cristina io non
...” “Già” sospirò abbozzando un
leggerissimo sorriso “Era di Burke, non l’avrei tenuto ma
è successa quella cosa” alzò lo sguardo incontrando
finalmente i suoi occhi, era spaventato, arrabbiato con sé
stesso e terribilmente combattuto “Non volevo riportare in vita
quel ricordo, non volevo riportare in vita lui”
“L’hai tenuto” annuì debolmente posando le
mani sul ventre “Già, l’ho tenuto” un fremito
leggero a zittirla di colpo “Stai bene?” domandò
preoccupato inginocchiandosi davanti a lei “Cristina?” quel
tocco delicato a cui ormai non era più abituata.
Si sottrasse dalla sua
carezza schiacciandosi completamente contro lo schienale
“Scusami, io non volevo ...” “No è solo ... si
muove parecchio tutto qui” lo sguardo a posarsi lentamente sul
suo ventre, su quelle mani intrecciate attorno al loro bambino.
Che diavolo doveva fare
ora? Era lì, inginocchiato davanti a lei con il terrore folle di
fare qualsiasi cosa e lei, confusa, indecisa, spaventata dalla scelta
che aveva davanti.
Chiuse
gli occhi qualche secondo cercando di riordinare i pensieri poi la mano
a muoversi da sola, si strinse attorno alla sua tirandola dolcemente
verso di sé “Cristina” “Ascolta” un
sorriso a cancellare ogni razionalità, le mani intrecciate sul
suo ventre a spiare i movimenti di quel piccolo umano “Ascoltalo
Owen” ma era confuso, irrigidito, lontano da quel contatto
così forte “Va tutto bene, non preoccuparti, sto bene e
si, non ho dimenticato niente di quello che vorrei dirti ma ora
...” sospirò “ ... ho bisogno di riposare
perché non è stata una giornata facile” e
finalmente quella visita inaspettata, quel movimento che da qualche
minuto stavano aspettando, lo vide sorridere mentre gli occhi si
riempivano di commozione, sentiva la sua mano tremare e poi
quell’espressione sognante dipinta in viso “Oddio”
gli sfiorò il volto ridendo “Sta bene” ...
Sono stato bravo mammina? Mi sono mosso hai visto? Me l’hai
chiesto e io l’ho fatto, solo per te. Lo sai che posso sorridere?
L’ho imparato adesso mamma però non so quando si
può sorridere e quando invece devo piangere. Mi hai sentito
papà? Posso muovermi ancora se vuoi e lo so che tu hai fatto
piangere la mamma, tu eri un drago cattivo e io ti avrei picchiato con
la spada perché nessuno può fare del male alla mia mamma.
Io
non ti conosco, non sono tuo ma se resti con noi allora forse lo
diventerò, però papà, se la farai piangere
ancora io mi arrabbierò tanto e ti metterò in punizione
perché si fa così con i bimbi cattivi ...
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Capitolo 7 *** Era un Segreto ***
Dentro di Te
Era un Segreto
“Hai
... hai dormito qui?” domandò confusa strofinandosi gli
occhi, Owen sorrise stiracchiandosi sulla poltrona “Dove altro
sarei potuto andare?” già, la risposta più ovvia
del mondo “Come ti senti?” “Sto ... sto bene”
un altro sbadiglio a interromperla, sollevò le braccia verso il
cielo cercando di rilassare ogni muscolo, la maglietta si
sollevò leggermente scatenando in lui un sorriso enorme
“Vuoi qualcosa? Caffè? Succo di frutta?”
“Mettiti seduta, credo di ricordare come si prepara una
colazione” lo sguardo a seguirlo in ogni movimento, ogni gesto
che ricordava alla perfezione “Dove tieni i cucchiaini?”
tremò leggermente riportata di colpo al presente “Nel
secondo cassetto” pochi minuti e l’aroma intenso del
caffè a spargersi per la stanza.
Fecero colazione assieme
esattamente come se fosse un giorno qualsiasi, ma quello, non era
affatto un giorno uguale agli altri “Vuoi che ti accompagni in
ospedale?” scosse leggermente la testa addentando una fetta di
pane tostato “Questa mattina non ho interventi, anzi, a dire la
verità, non li ho per il resto della settimana” “E
perché?” la voce colorata da curiosità “Per
il bambino” rispose ridendo “Non posso stare troppo tempo
in sala operatoria, a quanto pare ...” trattenne un sorriso
inclinando leggermente la testa di lato “ ... a lui non piace
granché” ma posò una mano sulle labbra trattenendo
il respiro, gli occhi incatenati ai suoi “Che
c’è?” si mordicchiò le labbra stampandosi in
viso un sorrisetto pieno di imbarazzo “Beh ecco, fino a questa
mattina avrei voluto picchiarti con un mestolo fino a farti
sanguinare” “Uao” ribatté sarcastico
sorseggiando il suo caffè “Ma ho riflettuto, ho riflettuto
davvero tanto e vedi, non ti impedisco di avere un figlio solo, ho
bisogno di tempo Owen” posò la tazza concentrandosi su di
lei “Ho bisogno di un po’ di tempo per elaborare tutto, per
riconsiderare ogni cosa perché ho ricostruito la mia vita e ora,
devo trovare un punto d’incontro tra il passato e il
presente” un debole sorriso sul viso dell’uomo a darle il
coraggio di proseguire “Avevo deciso di non dirti niente, di
tenerlo nascosto ma, beh ecco, poco fa ho praticamente svelato tutto e
a questo punto ...” “Cristina?” “Si” lo
vide sorridere come se tutto quel discorso non l’avesse
minimamente toccato “Ho capito, non hai bisogno di spiegarmelo
ogni volta. Hai bisogno di tempo e ti darò tutto il tempo che
vuoi” “È un maschio” la tazza bloccata a
mezz’aria e un’espressione idiota dipinta sul viso
“Sta per avere un bambino maggiore!” “Uao”
scoppiò a ridere divertita “Già, e siccome è
qualcosa che abbiamo in comune, beh, mi chiedevo se per caso ti va di
scegliere il suo nome assieme a me” ma non fece in tempo a
rispondere, la vide sorridere, incrociare le gambe sulla sedia cercando
una posizione più comoda e poi di nuovo i suoi occhi
“Facciamo così dottore, tu scegli il suo nome e io lo
faccio nascere. Che ne dici?” “Sei sicura?”
“Sei suo padre, se scelgo io un nome e poi a te non piace come
facciamo? Dovrà portarlo tutta la vita quindi è meglio
che sia un bel nome, niente che provenga da cereali o pasticcini”
si strofinò gli occhi alzandosi “Ora, mentre tu rifletti
io vado a fare la doccia, mi vesto e poi vado a comprare la carrozzina
e tu vieni con me” annuì debolmente, il cucchiaio ancora a
mezz’aria e il cuore che urlava “Grazie” con una
forza incredibile.
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Capitolo 8 *** Due persone come Tante ***
Dentro di te
Due persone come Tante
Era un sogno, un
bel sogno che lo trascinava in un mondo nuovo e diverso. Il braccio di
Cristina avvolto attorno al suo mentre il profumo di quel negozio gli
inebriava i sensi, una bella coppia che aspetta un bambino, ecco quello
che sembravano.
Due persone come tante
altre, come tutte quelle coppiette che passeggiavano allegramente
indicandosi a vicenda un vestitino o un giocattolo, quelli sguardi
sognanti, quella specie di mondo nuovo e diverso che aveva sempre
desiderato ora iniziava ad essere più chiaro e nitido.
La mano della ragazza
abbandonò lentamente la sua, la seguì con lo sguardo fino
a quelle scarpine minuscole, così piccole da fare tenerezza
“Ti piacciono?” non riusciva nemmeno a risponderle,
concentrato sul suo viso, sul suo sorriso e su quella bellezza che ora
era esplosa violenta.
Era sempre stata bella
ma ora, così, lo era ancora di più “Non ti
piacciono?” “No, no sono bellissime”
“Davvero?” annuì appena avvicinandosi “Sono
solo, beh, non sono abituato a tutto questo” “Mi hai fatto
del male per questo” eccola lì, diretta, ironica,
tagliente.
Non rispose, non poteva
farlo, in fondo, l’aveva costretto lui a fare una scelta e ora,
non poteva far altro che incassare quei colpi senza reagire.
Le camminava accanto
tentando di riconoscere in lei la stessa ragazza di una volta,
concentrata sulla chirurgia, così maledettamente testarda e
arrogante da vincere ogni sfida e ora, aveva davanti una ragazza
diversa.
Una donna meravigliosa,
con lo sguardo sognante perso su quei vestitini così piccoli,
una mano a sfiorarsi dolcemente il ventre, quasi come se quel bambino
potesse risponderle ogni volta che parlava, che si muoveva e poi quel
sorriso luminoso che non abbandonava nemmeno per un secondo le sue
labbra.
Ci aveva messo un
po’ a convincere il cervello, lei era sua moglie, la stessa che
aveva sposato, la stessa che non era mai uscita nemmeno per un secondo
dai suoi pensieri “Owen?” si voltò di colpo attratto
dalla voce della ragazza “Stai bene?” domandò
confusa inclinando leggermente la testa di lato “Si, si non
preoccuparti, stavo solo pensando” bel salvataggio davvero
“A che pensavi?” sorrise sfiorandole il viso “Al nome
per il nostro bambino” “Non voglio saperlo, ti ho rovinato
una sorpresa ora sarai tu a farla a me, però io ho il diritto di
veto sui nomi idioti chiaro?” scoppiò a ridere divertito
da quell’esplosione di allegria “D’accordo”
“Mi aiuti a scegliere la carrozzina?” la seguì lungo
il corridoio ridacchiando "Non ne hai già presa una?" "Si ma non
va bene" era una bugia, una bugia bella e buona ma dargli la
possibilità di scegliere assieme a lei l'avrebbe in
qualche modo aiutato a comprendere “A me sembrano tutte
uguali” “Davvero?” le sorrise posando la mano su un
enorme pupazzo “Davvero” “Beh, anche a me,
però una dovremo prenderla no? Altrimenti come lo portiamo a
spasso?” giusta obiezione, in fondo, una carrozzina poteva essere
davvero utile.
Passarono un’ora
circa a girare lì dentro, a scherzare, a sorridere come se tutto
fosse “normale” eppure, sapevano entrambi che non
c’era proprio niente di normale “Questa?” si
avvicinò a lui posando una mano sulla sua spalla “E non ci
scivola via da lì?” “No, a meno che non esca dalla
tua pancia con le istruzioni per smontare una carrozzina credo che ci
starà piuttosto comodo” “Ah, non fa ridere”
mormorò ironica passandosi una mano tra i capelli
“D’accordo” “Posso aiutarvi?”
domandò sorridente una giovane commessa dagli occhi verdi,
sembrava sbucata dal nulla, messa lì apposta come un'avvoltoio
per accalappiare i clienti “Oh noi, volevamo prendere una
carrozzina e l’abbiamo trovata” balbettò
confusa “La portate via subito?” si voltò
verso di lui cercando un modo per mandare via la commessa psicopatica
apparsa dal nulla “Oh va bene, la portiamo via
subito” la ragazza sorrise “D’accordo, ve la
faccio portare direttamente alla macchina”.
Un leggero cenno della mano e un ragazzo alto dall’aria
svampita li raggiunse “Mike puoi portare questa all’uscita
laterale” annuì debolmente sollevando la scatola “Se
lo chiami Mike ti uccido” sussurrò avvicinandosi
leggermente a suo marito “Ma io non ...” “Non
chiamarlo così” sorrise stringendola dolcemente tra le
braccia “Avete bisogno anche del passeggino?” si
voltò di colpo riportata al presente dalla voce della ragazza
“No, quello per ora non ci serve” “Di quanti mesi
è?” domandò sorridente soffermandosi qualche
secondo sul suo ventre “Cinque” “Uao, e sa già
cos’è?” “Un maschietto”
“Però, il papà ne sarà davvero molto
fiero” ma Owen scosse leggermente la testa ridacchiando
“Non fa differenza, basta che stia bene, per il resto sono solo
molto felice” “Si vede” sussurrò la giovane
“I padri sono sempre molto orgogliosi, di solito comprano tutine
e giocattoli, riempiono carrelli interi e poi tornano il giorno dopo a
prendere altre cose” "Uao" mormorò ironica stringendosi
più forte a suo marito "Ok, andiamo" la prese per mano tirandola
dolcemente verso l'uscita.
Mezz’ora per
raggiungere casa e solo due minuti per capire quanto quell’uscita
l’aveva stancata, era pallida, aveva lavorato come una matta per
i primi quattro mesi e ora, ogni sforzo in più la sfiniva
più di quanto lei non volesse mostrare “Hai bisogno di
riposare un po’” “Devo passare in ospedale,
controllare i miei dottori e capire cosa stanno combinando con le mie
ricerche” ma Owen sorrise togliendole dalle mani le chiavi della
macchina “Non azzardarti ad uscire dalla porta”
sorrise sciogliendosi dolcemente dal suo abbraccio, una mano a
giocherellare con i capelli mentre l’altra si insinuava
lentamente tra le sue “Prometto che sarò a casa il prima
possibile” le chiavi di nuovo tra le sue mani
“Cristina non ...” ma lei stava già correndo verso
l’uscita, il rumore delicato dei tacchi a rompere il silenzio
“Almeno non correre” ma la voce si perse nel silenzio
abbandonandolo ad un dolcissimo sorriso.
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Capitolo 9 *** Ti Aspettiamo Qui ***
Dentro di te 9
Ti Aspettiamo Qui
Non si era resa conto di quanto stancante potesse
diventare reggere un bisturi, sorridere mentre quelle fitte lancinanti
la costringevano a trattenere il respiro.
Lo faceva da giorni
ormai, sorrideva, si nascondeva dietro ad una stupida maschera evitando
gli sguardi preoccupati delle infermiere, di suo marito che la seguiva
ovunque impedendole di fare idiozie.
Nemmeno lui poteva
continuare così insomma, viaggiare continuamente, starle vicino,
occuparsi di un ospedale e fingere di essere riposato e tranquillo per
non allarmarla, ma conosceva bene quello sguardo, la paura che si
nascondeva dietro ad un “Va tutto bene non preoccuparti” e
poi quel continuo via vai di emozioni ogni volta che la vedeva
sospirare, stringere con forza le mani attorno al bordo del tavolo
“Sei pronta?” sollevò lo sguardo dalla cartella
“Perché sei qui?” “Perché non saresti
mai tornata a casa prima di otto ore, aveva altra scelta?” scosse
appena la testa massaggiandosi il collo “Hai bisogno di
riposare” “Ho bisogno di un intervento che mi occupi la
mente” “Hai bisogno di mangiare qualcosa, di riposare e di
lasciar stare la chirurgia per un po’ sei entrata nel sesto mese,
hai bisogno di tranquillità e non è qui dentro” la
tirò dolcemente per mano aiutandola ad alzarsi
“Coraggio” le sfiorò il viso sorridendo
“Andiamo via dottoressa se no sarò costretto a prenderla
in braccio” le sfilò il camice soffermandosi qualche
secondo sul suo viso, sull’espressione dolce e tenera dei suoi
occhi “Domani torno a Seattle” “Davvero?” la
voce incrinata dalla preoccupazione e dalla delusione
“Davvero” sorrise infilandole il cappotto “Devo
controllare i miei medici, il mio ospedale, i miei pazienti” la
mano posata sul suo ventre e sotto le dita i movimenti di suo
figlio ... Perché vai via? Avevi promesso che saresti restato per sempre papà ...
“Tornerò presto” “Lo so” mormorò
stringendo la mano attorno alla sua “Vedrai che me la
caverò bene. Ci sono riuscita fino ad ora, cosa potrà mai
esserci di diverso?” “Niente solo, beh, abbiamo comprato
cose, preparato una cameretta, pensato e nomi e io ...” sorrise
sollevandogli dolcemente il viso “Ci troverai qui come
sempre” ... Allora
è per questo che vai via? Per lavorare? Non preoccuparti
papà, resto io con la mamma, la proteggo io da tutto e da tutti
e se qualcuno vuole rubarla allora diventerò un principe forte e
coraggioso e la salverò ... “Ti va di
mangiare una pizza?” lo vide sorridere, annuire debolmente mentre
la pioggia sul vetro cancellava ogni preoccupazione.
Non era il restare sola
che la terrorizzava, ma piuttosto, la consapevolezza di aver
lasciato entrare di nuovo nella sua vita quell’uomo grande
e forte, quell’uomo che era anche padre e che amava suo figlio e
lei come se al mondo non avesse altro.
Sarebbe ripartito,
sarebbe stato via per settimane ma questo lo sapeva, lo sapeva
bene eppure, non riusciva a cacciare quel fastidioso pensiero dalla
mente.
“Torna a casa alle
tre ogni giorno, non litigare con gli altri bambini e non ammazzare
nessuno con il bisturi chiaro?” sorrise stringendo più
forte il suo braccio mentre, come tanti, camminavano in
quell’aeroporto “Non sto scherzando! Segui gli orari del
dottor Fellon, non operare più di ...” “La
smetti?” mormorò ironica ridacchiando “Non
succederà niente di brutto promesso”
“Davvero?” gli occhi inchiodati ai suoi e le mani posate
dolcemente sulle sue spalle “Davvero. Io e Julian staremo
bene” ... Hai visto papà? La mamma ha scelto, ho un nome ...
“Non ti piaceva” mormorò confuso “Non è
vero” “Ma se ...” “Non potevo dartela vinta
subito no?” si strinse appena nelle spalle mentre la risata di
suo marito le entrava nell’anima “Informiamo i signori viaggiatori che il volo 44869 per Seattle sta per imbarcare i passeggeri”
sollevò lo sguardo da terra incrociando i suoi occhi “Se
hai bisogno di qualsiasi cosa devi solo chiamarmi e sarò qui in
men che non si dica” “Tu pensa solo al tuo lavoro e ad
evitare che Alex eviri un’altro poveretto col catetere” la
strinse tra le braccia sospirando “La carta di credito è
sulla mensola della cucina, accanto ai biscotti e ho comprato un grosso
cesto di frutta, è nel frigo ok?” un debole sorriso a
colorarle le labbra “Buon viaggio maggiore” una mano posata
sul suo viso e poi le labbra sulle sue e un bacio così dolce e
delicato da stordirlo.
Da quando era tornato da
lei, non si era mai nemmeno sognato di fare una cosa del genere e ora
che quel bacio diventava reale, si rendeva conto di quanto in
realtà gli fosse mancata “Come faccio ad andare via
ora?” sorrise posando la fronte contro la sua poi la mano a
scendere dolcemente su quella pancia ormai evidente “Mi
raccomando piccolo mio, prenditi cura della mamma” un movimento
leggero, delicato a farlo sorridere ... te l’ho già detto papà. Mi prenderò cura io della mamma ...
la staccò dolcemente da sé cercando di sorridere, di non
lasciare alla preoccupazione “Ti chiamo appena arrivo” un
debolissimo si ad accompagnarlo fino al gate e la rabbia a colorare
ogni altra emozione.
“Le auguriamo buon
viaggio signore” esclamò il giovane riconsegnandogli il
biglietto, annuì leggermente voltandosi, il viso di sua moglie,
il suo sorriso, il movimento ritmico e delicato della mano, ogni
particolare ad imprimersi nella memoria prima di lasciarsela alle
spalle di nuovo.
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Capitolo 10 *** Troppo Presto ***
Dentro di te 10
Troppo Presto
“Ehi
maggiore” sorrise sfilando dal pacchetto un grissino
“Com’è Seattle?” lo sentì ridere,
parlare qualche secondo con un medico, probabilmente uno specializzando
“Come stai?” “Sto bene” “È passata la febbre?”
si guardò attorno pregando Dio che nessuno le chiedesse aiuto
per qualsiasi stupida procedura medica “No, resiste ma è
molto più bassa” “Sei a casa vero?” “Certo che si” l’infermiera le passò un foglio ridacchiando “Mi dai un secondo?” “Per cosa?”
posò una mano sul cellulare “Il paziente del letto otto
può essere dimesso” “Subito dottoressa”
“Puoi controllare anche il signor Mason? Ho paura che i miei
stupidi dottorini combinino qualche casino” la ragazza
annuì posandole davanti una bottiglietta di succo
“Scusami, dovevo prendere il computer” “Che strano, e io che pensavo dovessi controllare i tuoi medici” chiuse gli occhi sospirando “Mi hai sentito?” “No, però ti ho beccato”
sbuffò ridacchiando “Non opero, non sto in ospedale
più di cinque ore e non faccio corse folli e disperate, mi
limito solo a controllare che i miei stupidi medici non uccidano
qualcuno” “Hai la febbre, dovresti essere a casa a riposare e non lì”
“Sto bene, è solo un po’ di influenza”
poi una fitta violenta a toglierle il respiro, chiuse gli occhi
stringendo con forza il bracciolo della sedia “Cristina?”
“Si ... scusa sto ...” riprese fiato cercando di trattenere
ogni briciolo di dolore “ ... sto leggendo una cosa” “Sicura che vada tutto bene?" sorrise
mentre lentamente l’aria entrava nei polmoni “Si, non
preoccuparti, ero solo concentrata su una cosa” lo sentì
sospirare, probabilmente se l’avesse avuto davanti i suoi occhi
non si sarebbero fermati un secondo, avrebbero cercato in lei ogni
traccia di bugie o anche solo sensazioni “Owen sto bene
davvero” un’altra fitta, un altro sforzo immenso per
trattenere tutto, si morse le labbra concentrandosi sulla pressione che
i denti esercitavano sulla pelle massacrandola “Devo ... io
dovrei ...” “Tu dovresti spiegarmi come mai continui a ...”
“Dottoressa chiedono di lei nei laboratori” quella
richiesta improvvisa arrivò come aria pura “Arrivo
subito” ma gli occhi della giovane non si scollavano da lei
“Vuole che le porti una ...” “No” continuava a
respirare, ne era certa perché altrimenti come poteva parlare e
muoversi? Sentiva la voce di Owen, preoccupato, confuso da quel leggero
caos che al momento nasceva in lei “Puoi portare al signor Wallas
una sedia a rotelle? Deve fare la tac e non può fare sforzi,
meno cammina meglio è” la ragazza annuì correndo
via veloce “Cristina cosa ...” “Niente
davvero. Il mio paziente è stato operato ieri per un ... un
difetto della valvola cardiaca e ora ha bisogno di una tac e i miei
specializzandi sono degli idioti” una risata leggera a stemperare
la preoccupazione “Ora vado, prometto che ti chiamo più
tardi” “Aspetta non ...”
ma chiuse il cellulare picchiando con forza la mano sul ripiano fresco
“Ci sono dottoressa” il viso dell’infermiera di nuovo
di fronte a lei “D’accordo, e ora?” domandò
confusa aiutandola a sedere “Ora chiami il dottor Fellon e lo fai
correre al secondo piano alla velocità della luce”
l’altra annuì tremante spingendo la sedia a rotelle
“Cosa gli ...” “Digli che se non si muove, mio figlio
nascerà su una squallida sedia a rotelle!” che
diavolo le era saltato in mente? Perché non aveva detto ad Owen
la verità? Perché non l’aveva trascinato lì,
accanto a lei.
“Ok calma,
stai andando bene” “Davvero?” sbottò ironica
sollevando appena la schiena dal letto “Mio figlio è di
sette mesi scarsi, non può nascere prematuro e ...”
“Non c’è motivo di allarmarsi! Abbiamo tutto sotto
controllo, starete bene” “È così piccolo ...
lui non ...” la mano del medico a stringere con forza la sua
“Ascoltami bene ...” un sorriso tranquillizzante e sereno
sul volto “ ... non accadrà niente di brutto al tuo
bambino chiaro? Non lo permetterò quindi, considera
semplicemente la possibilità di dormire un po’ e di fare
quello che normalmente fanno le donne a sette mesi di gravidanza”
annuì leggermente cercando di rilassare ogni muscolo del corpo
ma c’era un unico pensiero a vorticarle nella mente.
Chiuse gli occhi
sospirando “Non puoi nascere prima tesoro, proprio non
puoi” mormorò posando una mano sul ventre afferrò
il cellulare, gli occhi persi sui numeri, combattuta tra la voglia
matta di chiamarlo e quella di tenerlo il più possibile lontano
dalla paura e dal dolore “Che faccio piccolo?” ... Ho paura mamma, ho tanta paura perché qui sento tanti tanti rumori e non so cosa sono ...... Puoi aiutarmi a dormire mammina? Puoi cantarmi una ninna nanna? Perché ho tanta tanta paura ... un
movimento leggero, un battito del cuore che la riportò di colpo
alla realtà poi quella spinta più forte, forse un pugno o
un calcio che il suo bambino usava per comunicare, per farla scattare
liberandola dai blocchi quasi come fosse un atleta in attesa dello
sparo.
Pochi secondi di silenzio e poi di nuovo la sua voce “Stavo per chiamarti io” si portò una mano alle labbra tossicchiando leggermente “Owen devo dirti una cosa” “Che riguarda?” “Tuo figlio e lo so, mi dispiace e avrei dovuto ....” ma si bloccò di colpo trattenendo il respiro “Secondo te perché sto per salire su un aereo?” “Cosa?” balbettò confusa stringendosi nelle spalle “Sto
venendo lì e ti conviene avere una scusa valida e credibile e
non le solite che usi per sviare i discorsi” un debole sorriso a colorarle le labbra “Come ti senti?” “Sto,
beh ecco, sono solo un po’ stanca tutto qui” sentiva le
voci dell’altoparlante e poi la gente e il caos
dell’aeroporto “E Julian?”
strinse più forte la mano attorno al ventre ridacchiando
“Fa un po’ di capricci, ogni tanto mi da un pugno e poi
torna tranquillo” “Davvero?” un debolissimo si a colorare il silenzio “Puoi restare in un letto fino a quando non arrivo? Pensi di farcela?” annuì appena convinta che quel debolissimo assenso potesse arrivare fino a lui “Cristina?” “D’accordo, promesso” e di nuovo il silenzio ad interrompere quell’attimo di normalità.
Fece un bel
respuro concentrandosi sul battito veloce del suo bambino
“Papà sarà qui tra poco, che ne dici piccolo? Lo
aspettiamo?” di nuovo un calcio, di nuovo un sorriso
“No, direi che questo è un no ma vedi tesoro, dobbiamo
aspettarlo perché è troppo presto ancora” ... Per cosa mamma? ... “Non puoi nascere adesso” ... Perché? ... sospirò
asciugando velocemente una lacrima dal volto “Sei troppo piccolo
Julian e se nasci ora forse .." si voltò leggermente verso il
monitor dove quella linea forte e veloce le mostrava quel piccolo
cuoricino “ ... la mamma ha bisogno che tu sia forte. Ho bisogno
che tu resti al caldo e al sicuro ancora per un po’ perché
qui fuori c’è ancora troppo freddo ed è tutto
triste e buio” ... E dopo no mamma? ... “Ma
se aspetti un pochino, allora verrà papà a portarci tanti
giochi e una pasta al cioccolato e anche un po’ di luce per
mandare via tutte le ombre” ...
Hai paura delle ombre mamma? È per questo che piangi? Anche a me
fanno paura le ombre però se chiudo gli occhi non le vedo
più ...
Conosceva bene i
rischi di un parto prematuro, sapeva che farlo nascere adesso,
all’inizio del settimo mese era rischioso, troppo rischioso e
provava in ogni modo a cacciare via i ricordi degli anni di medicina
“E ci porterà anche un pupazzo nuovo, l’ha comprato
ieri sera in un negozio pieno di mamme, di papà ed era contento
perché presto ti porterà in quel negozio ma devi restare
qui ancora un po’ piccolo mio” si voltò su un fianco
sospirando, una mano nascosta sotto il cuscino e l’altra ad
accarezzare il ventre ...
Non voglio andare in quel negozio, non voglio andare via da te e se
questo ti fa male mamma allora ti chiedo scusa, non andrò mai
via da te ... chiuse gli occhi abbandonandosi al dolce tepore di un sogno che lentamente si frantumava davanti ai suoi occhi.
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Capitolo 11 *** Hai detto una Bugia ***
dentro di te 11
Hai detto una Bugia
Immobile, lo sguardo perso su di lei, sulla sua mano abbandonata
dolcemente accanto al viso, sorrise stirando i muscoli della schiena.
Aveva viaggiato per
un giorno intero, fatto una doccia e poi era corso in ospedale
incurante della stanchezza, del riposo che avrebbe dovuto concedersi e
che invece, veniva cacciato via dalla preoccupazione.
Solo
il battito di suo figlio a cullare ogni pensiero “Mi hai fatto
prendere davvero un bello spavento” mormorò avvicinando
dolcemente le labbra al suo ventre “Stavo per fare
un’operazione e poi la voce della mamma è diventata
diversa ...” ... La sua voce diventa sempre diversa quando ha paura non lo sapevi papà? ... sorrise
posandovi una mano “ ... avevo paura di arrivare troppo
tardi sai? Di essere qui quando ormai tu eri nato e invece no”
sentì il suo bambino muoversi, ne immaginava il volto e le
espressioni “Lo so che hai tanta voglia di venire al mondo amore
mio però devi aspettare ancora un po’” ...
Ma adesso ci sei tu, mamma voleva solo che il mio papà fosse qui
per mandare via le ombre e ora ci sei. Non sai come si mandano via? ... inspirò
a fondo lasciando che l’aria entrasse nei polmoni poi la mano
della ragazza a posarsi dolcemente sulla sua “Ehi”
“Perché non mi hai svegliata?” sorrise stringendola
con forza “Semplicemente perché non volevo. Allora? Come
ti senti?” la vide sorridere, strofinarsi gli occhi cercando una
posizione più comoda sul letto “Continua ad avere qualche
sbalzo ogni tanto ma direi che tutto sommato va bene” “Ho
parlato con il dottor Fellon” “Davvero?”
ribatté ironica stiracchiandosi “E spero che almeno a te
abbia dato un opzione migliore del: va tutto bene!” sorrise
abbandonandosi contro lo schienale della poltroncina “Owen
è troppo piccolo per nascere adesso” “Lo so”
“Non può nascere, sono entrata nel settimo mese due giorni
fa e lui è così piccolo” non rispose, si
limitò ad annuire appena cercando di sembrare più vivo
possibile ma non era facile “Starà bene vedrai” ma
lei sbuffò passandosi le mani tra i capelli “Come mai dite
tutti la stessa cosa? Starà bene! Non starà bene!
È piccolo, troppo piccolo per uno stress del genere e la maggior
parte dei bambini nati prematuri hanno ...” “Lo so!”
la voce più alta e quella nota di rabbia a colorargli lo sguardo
“Scusami io ... è solo che sto cercando di capirci
qualcosa tutto qui. Sono stanco e l’ultima cosa che vorrei adesso
è dover pensare di perdere mio figlio per uno stupido problema
di giorni!” ... Non mi sono perso mamma, sono qui, dove mi hai chiesto di essere ... ma
l’espressione terrorizzata sul viso della ragazza lo bloccarono
di colpo “Scusa davvero io non ...” “Oh certo
perché invece per me è tutto semplice vero? Hai ragione!
È stata colpa mia, mia e del mio lavoro!” “Andiamo
non volevo dire questo lo sai” “E allora cosa Owen!”
urlava, sapeva di farlo ma non riusciva a bloccare nessuna di quelle
stupide reazioni “Sto impazzendo chiusa qui dentro, cerco in
tutti i modi di non farlo nascere ma sono sfinita e presa a calci
da queste fottute scariche ormonali!” si passò una mano in
viso cercando di riportare i battiti del cuore ad un livello
accettabile “Lo so che hai paura, che sei spaventato e stanco ma
non è da te che uscirà e non sarai tu a sentirti in colpa
se passerà mesi interi dentro un’incubatrice con le flebo
attaccate” gli occhi persi sul suo viso e in quell’azzurro
che ora, sembrava l’unica cosa viva in quella stanza “Puoi
fermarti un secondo e ...” “No!” esclamò
stringendo con forza il lenzuolo “Non posso fermarmi, non posso
smettere di pensare, di capire come posso tenerlo qui dentro ancora per
un po’! Non posso farlo!” lo vide sorridere, scuotere
leggermente la testa alzandosi di colpo “Ho bisogno di aria
fresca” “Oh certo” ricadde dolcemente sul cuscino
nascondendo il volto, allontanandosi dal suo sguardo il più
possibile “Vuoi che ti porti qualcosa? Hai fame?” un
leggerissimo no a spezzare il silenzio ... Hai detto una bugia mamma ... si
abbandonò al silenzio allontanando per l’ennesima volta
suo marito da tutto quello che al momento le passava per la testa.
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Capitolo 12 *** Le Ombre non fanno Paura ***
Dentro di te
Le Ombre non fanno Paura
Dormi
mammina, non aver paura dei mostri, ti proteggo io. Li manderò
tutti lontano, dove non ci sono le caramelle e gli umani si nascondono
nell’armadio.
Non
so come si usa una spada però posso raccontarti una favola
così fai dei bei sogni e le ombre vanno tutte via ... una lacrima a scendere silenziosa nel buio ... Tanto
tempo fa, viveva in un mondo lontano un bambino che aveva tanta paura
di imparare a nuotare. La sua mamma e il suo papà provavano in
tutti i modi a farlo entrare in acqua ma ogni volta lui si spaventava
perché sai mamma, l’acqua è profonda e toglie il
respiro ... com’era difficile riuscire a
pensare, riordinare la mente e trovare una via d’uscita, per lei,
per quel bambino che non voleva e che ora, era sempre nei suoi pensieri ... Però
una notte, mentre le stelle giocavano a nascondino con la luna, il
piccolo bambino vide una fatina seduta sopra ad una foglia di castagno
e le chiese “Perché sei qui?” allora la fatina
rispose “Ho paura di volare” “Ma hai le ali” e
quell’esserino piccolo piccolo sorrise “A te non capita mai
di aver paura di qualcosa?” “Io ho paura dell’acqua,
però io non ho le pinne come i pesciolini ma tu hai le ali, sei
fatta per volare via” ... stava perdendo tutto,
ogni punto fermo nella vita, ogni ragione per andare avanti, litigare
con suo marito? Beh, forse quella era solo l’unica cosa certa che
aveva ... La
fatina sorrise “A volte, anche se si hanno le ali fa paura
perché il cielo è così azzurro e da lassù
tutto è piccolo e lontano. È come l’acqua, fa paura
perché è profonda e scura e a volte anche cattiva”
“E allora come faccio a non aver paura?” “Devi fare
un bel respiro e poi tuffarti perché la paura passa solo se la
prendi per mano, allora si spaventa e scappa via” ... non
riusciva a trovare un solo motivo valido per far nascere suo figlio.
Terrorizzata dal poter in qualche modo fargli del male riusciva solo a
restare lì, sospesa tra la realtà e la fantasia ... Tutti
abbiamo paura mammina, io ho paura di tante cose, del freddo quando
sarò lì da te, della voce delle persone così
diverse dalla tua e ho paura di non essere bello come
vuole papà però, se ci penso tanto divento triste e
allora chiudo gli occhi e faccio dei bei sogni ... “Papà
è un po’ arrabbiato amore mio” mormorò
posando una mano in fronte “Ma non è arrabbiato con te,
no, è solo spaventato” ...
Anche tu ma lui può scappare, può andare via se vuole e
tu invece devi restare qui e decidere per me, perché sei tutto
quello che ho mamma e anche se fa paura, anche se è come
l’acqua profonda e buia, devi scegliere per me ...“Se
ti faccio nascere, se lascio che tu venga al mondo sarai abbastanza
forte da lottare assieme a me?” un debole sorriso a colorarle il
volto, come poteva risponderle il silenzio? ... Se
mi lasci nascere mamma ti prometto che lotterò per te, e se non
lo farò, non devi piangere perché ti voglio bene, anche
se sono piccolo piccolo e ti prometto che non mi arrabbierò con
te ... “Oddio,
parlo con te sperando che tu mi risponda” mormorò ironica
alzando gli occhi al cielo “Hai ventotto settimane e
probabilmente sei grande quanto la mano di Owen, come puoi
rispondermi?” ...
L’ho già fatto mamma e solo che non mi senti ancora,
però, se nasco forse puoi sentirmi, forse non ti faranno
più paura le ombre, allora forse mamma dovresti lasciarmi
nascere ...fece un bel respiro profondo, solo il cuore a
battere, a dimostrarle che era viva, che poteva scegliere perché
se la natura l’avesse fatto per lei si sarebbe portata via il suo
bambino “D’accordo” una mano posata sul ventre e
l’altra ad asciugare le lacrime “D’accordo Julian,
puoi nascere, la mamma non si arrabbia con te” allungò una
mano verso il comodino afferrando il cellulare, pochi secondi e la voce
del medico a farla sorridere “Dimmi solo che le voci che sento
sul tuo conto sono vere” “Dipende a quali ti riferisci” esclamò allegro l’uomo “Possiamo ritardare il parto?” lo sentì sospirare “Al
massimo qualche giorno ma non di più, il distacco della placenta
era sotto controllo ma hai la pressione piuttosto bassa e vorrei
evitare la sofferenza fetale quindi, si dottoressa, sono molto bravo
nel mio lavoro” chiuse gli occhi riprendendo fiato “D’accordo, va bene allora, fai nascere il mio bambino”
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Capitolo 13 *** Papà ti Ama ***
Dentro di te
Papà ti Ama
Dove sei mammina? Ho paura, è tutto freddo e tu non sei qui ... il suono costante del macchinario a rompere il silenzio mentre i minuti passavano terribilmente lenti ...
Farò il bravo mamma, te lo prometto, continuerò a
respirare però ti prego, prendimi in braccio perché non
sento più la mia ninna nanna, non sento più il tuo cuore
che batte ... “Lo so che hai paura piccolo mio”
sospirò posando le mani sul vetro gelido “E so anche che
ti abbiamo tirato fuori prima di quanto tu volessi ma ...”
tremava, tremava e non faceva niente per nasconderlo.
Aveva costretto Cristina
a riposare, l’aveva costretta a restare chiusa in quella
maledetta camera separandola da suo figlio.
Chiuse gli occhi qualche
secondo cercando di riordinare i pensieri, Julian doveva ristabilirsi
perché il parto aveva accentuato i problemi che già aveva.
Un’emorragia
celebrale che lentamente, troppo lentamente si riassorbiva, i valori
sballati e la difficoltà di respiro, sapeva che la maggior parte
di quelle complicazioni erano normali, i bambini nati prematuri
presentavano una soglia molto bassa di resistenza allo stress e
emorragie di quel tipo erano comuni ma non voleva che Cristina lo
vedesse così perché era certo, che se le avesse permesso
una cosa del genere lei non si sarebbe più staccata dalla
terapia intensiva.
Si sarebbe scordata
perfino di mangiare e di dormire e non poteva permetterle una cosa del
genere “Papà ha fatto una cosa davvero brutta
tesoro” staccò dolcemente una mano bloccandosi a
metà tra l’aria fresca e l’incubatrice poi qualcosa
scattò dentro di lui, la consapevolezza che un piccolo umano
l’avrebbe chiamato papà e si sarebbe stretto a lui, uomo
grande e grosso, quando le ombre della notte spaventavano i sogni.
Un contatto delicato, la manina di Julian si strinse attorno al suo dito “Sei così piccolo amore mio” ... Sei tu papà? ...
inspirò a fondo ricacciando indietro le lacrime, la paura, ogni
dannata emozione cercando di lasciare solo quei nuovi sorrisi a
scaldargli l’anima ... Puoi portarmi dalla mamma? ... “Devi
essere forte Julian, devi lottare e diventare grande perché ci
sono un sacco di cose belle che ti aspettano” tirò lo
sgabello fino a lì senza staccare un secondo la mano dal bambino
“Una cameretta tutta tua, con un bel lettino caldo e tanti giochi
colorati e poi la mamma ...” un debole sorriso a colorargli il
volto “ ... lei è la cosa più bella del mondo
grande e freddo in cui ti abbiamo scaraventato” ... So che è bella, è la mia mamma, sarà sempre bella ...
“Non è colpa sua, lei sarebbe corsa qui due minuti dopo
aver partorito ma ha bisogno di riposare, proprio come te”
percorse con un dito il braccio del bambino, un corpicino così
piccolo da terrorizzarlo, pesava appena quattrocento grammi, era
sottopeso e indebolito dallo stress ma avrebbe lottato, l’avrebbe
fatto perché la voglia di vivere scorreva violentemente nelle
sue manine, nella presa forte e decisa che incatenava il suo dito
“Ti prometto che la vedrai presto Julian però tu devi
avere la forza di respirare, di lottare perché altrimenti io e
la mamma piangeremo tanto” ...
Perché papà? Non si piange quando un bimbo chiude gli
occhi ma quando vive senza mai poterli aprire. La mamma dice sempre
così. Ha paura, tanta paura ma ne ho anche io e ora voglio solo
sentire il suo cuoricino ... sentiva le lacrime spingere
violentemente contro le palpebre, il respiro rotto dall’emozione
e quel maledetto pensiero a vorticargli nella mente : Hai separato una
madre dal proprio figlio, hai costretto tua moglie a rinunciare a
metà del suo cuore quando, l’unica cosa che continua a
chiedere è solo vederlo. Come le spiegherai il perché di
questa tortura? Già, come le avrebbe spiegato il perché
quando a malapena riusciva a capirlo lui? Il silenzio soffocante
riempiva le orecchie, i pensieri, la mano sempre posata accanto al suo
bambino e la consapevolezza di aver sbagliato per l’ennesima
volta, l’unica consolazione era forse il sedativo che al momento
al costringeva a riposare “Il papà ti ama davvero tanto
Julian” ... Anche la mamma? ...
sorrise ripensando a poche ore prima, quando, fuori dal reparto un
padre con un piccolo angelo tra le braccia camminava avanti e indietro
per i corridoi.
Aveva invidiato da
morire quel padre perché poteva stringere suo figlio, poteva
baciarlo, ascoltarne il respiro mentre lui doveva solo aspettare eppure
ora, seduto davanti a Julian sentiva quella stessa invidia scomparire
nel nulla, inghiottita dagli occhietti chiusi del suo bambino, dalla
sua pelle chiara e da quelle manine che si aggrappavano con forza ad
ogni cosa, un altro sorriso a colorare quelle lacrime insolenti
“Il tuo papà ti ama”
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Capitolo 14 *** Fantasmi ***
dentro di te 14
Fantasmi
La luce tenue del tramonto a giocare con le ombre di quella stanza
“Hai voglia di mangiare qualcosa?” ma lei non rispose,
continuava a fissare il vuoto, o almeno, era quello che immaginava
perché i suoi occhi erano persi sul vetro della finestra.
Sospirò passandosi una mano tra i capelli “Cristina hai
bisogno di mangiare altrimenti ...” le sfiorò il viso, un
leggero tremito a colpirlo con la violenza di un uragano, ritrasse la
mano di colpo preoccupato da quell’improvvisa reazione
“Posso?” domandò il dottor Fellon chiudendosi la
porta alle spalle “Come stai oggi?” ma Owen scosse
leggermente la testa, lo sguardo sfinito e carico di malinconia.
Passava le ore dividendosi tra la terapia intensiva neonatale e sua
moglie, era stanco, massacrato da quel silenzio creato apposta per
allontanare.
Gli esami di Cristina iniziavano a tornare nella norma ma Julian
faticava a respirare “Posso parlarti un secondo?”
annuì appena allontanandosi di un passo dal letto “Come
sta?” “Sta meglio, decisamente meglio. La pressione
è accettabile e gli esami buoni ma deve mangiare, non può
continuare così” “È arrabbiata con me”
lo sguardo confuso del medico lo costrinse a continuare “La
costringo a restare qui, a non vedere Julian e ...”
“Cosa?” un leggero sorriso a colorargli il volto
“Già, sono proprio uno stronzo” gli occhi persi
oltre il vetro “Voglio solo evitare che soffra, Julian è
troppo debole e se lo vede così ... ha passato gli ultimi mesi a
parlare con lui e ...” “È una cosa normale
Owen” “No” l’altro sorrise ascoltandolo con
attenzione “Lei non ha mai voluto un figlio e poi è
successo qualcosa, non so nemmeno io cosa e ora sono padre, ho un
bambino che per otto mesi è stato tutta la sua vita e ora non
è più dentro di lei” “Non è più
dentro di lei è vero ...” mormorò affabile il
medico “ ... ma è comunque parte di lei. È il suo
bambino, l’ha portato dentro tutto questo tempo e si,
Julian non sta molto bene ma è un combattente, è forte,
vuole vivere” “Non può vederlo, lei è troppo
debole” “Sta abbastanza bene per ...” “Non
può camminare fino a ...” “Owen!”
esclamò l’altro afferrandolo per le spalle
“Non puoi tenerla lontano da vostro figlio perché
così la uccidi! Non mangia quasi niente, è debole per
questo, non per le complicazioni del parto. Se non può camminare
la porteremo con la sedia a rotelle ma devi accompagnarla da
Julian. È la sua mamma, ha bisogno di vederlo, di sapere che
è vivo e respira e che continua a lottare altrimenti
smetterà di farlo e lei crollerà” lo sentì
tremare sotto le mani, gli occhi a posarsi qualche secondo sul corpo
della ragazza, immobile, quasi un fantasma nei loro pensieri, un
fantasma che non aveva nessuna intenzione di diventare parte di quei
discorsi.
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Capitolo 15 *** Non è stata colpa Tua ***
dentro di te
Non è stata colpa Tua
Gran bella idea portarla fino a lì e ora? Come avrebbe
fatto ad evitarle altre lacrime? Come le avrebbe spiegato che quel
piccolo corpicino pieno di tubi e cerotti in realtà era il suo
bambino, lo stesso esserino che per sette mesi e mezzo era rimasto al
sicuro sotto al suo cuore ”D’accordo” sussurrò
inginocchiandosi davanti a lei “Promettimi solo che continuerai a
respirare, che starai tranquilla e che se ti dovessi sentire male ti
lascerai aiutare” gli occhi persi sul suo viso, su quello sguardo
lontano che faceva più male di una coltellata in pieno petto
“Cristina tu ...” “Sto bene” un debole sorriso
a rassicurarlo “Perché non dovrei? In fondo, mi hai solo
tenuta lontano da lui per tre giorni, se moriva che differenza poteva
fare?” un brivido gelido a paralizzarlo mentre si alzava da
quella sedia, tremava, era debole e probabilmente sfinita da quella
distanza che lui le aveva imposto.
Un respiro profondo prima di aprire la porta e poi il cuore a martellare violento nel petto.
Davanti a lei solo
quell’incubatrice illuminata dalle luci blu della lampada
ultravioletta e il suo bambino, così piccolo, così
indifeso e solo, lontano da lei e da tutto quello che fino ad ora aveva
conosciuto.
Si sfiorò le
labbra trattenendo il respiro, solo pochi passi a separarla da lui ma
quant’era difficile convincere il cervello a fare quello stupido
movimento “Stai bene?” domandò preoccupato Owen
sfiorandole il viso “Cristina” la sentì tremare,
ritrarsi da quel tocco delicato “È così
piccolo” posò una mano sul vetro gelido
dell’incubatrice, quel debole contatto la costrinse a sorridere,
il suo bambino era lì davanti a lei, era vivo e lottava per lei,
per restare con la sua mamma.
Il visino nascosto dalla
maschera protettiva e tutti quei tubi ad avvolgerlo “Starai bene
amore mio” sussurrò trattenendo le lacrime “Vedrai
che starai bene” ... Mammina sei tu? ...
“Passerà presto Julian, ti porterò via da qui te lo
prometto” gli sfiorò una manina cercando di ignorare quei
maledetti giramenti di testa.
Owen accanto a lei, le
braccia abbandonate lungo i fianchi e gli occhi persi su di loro, unici
gioielli che il suo cuore avrebbe chiuso a chiave nei ricordi ...
Papà diceva che saresti venuta, sono bravo mamma vedi? Sto
respirando. È difficile e fa male però lo sto facendo per
te, perché le promesse si devono mantenere se no poi ci sono
tante punizioni brutte e io non voglio vedere le cose brutte, voglio
solo vedere la mia mamma ... i suoi ricordi, attimi che per anni aveva sognato e che ora, dopo tanto tempo aveva davanti agli occhi.
Era doloroso,
così doloroso da togliere il respiro eppure, quello non era uno
di quei sogni che tormentavano le sue notti, quella non era una donna
diversa, quella era sua moglie, una ragazza forte e testarda e ostinata
che d’improvviso, sembrava così simile a quel piccolo
corpicino nascosto dai tubi da spaventarlo.
“Ho parlato con
Mike mezz’ora fa ...” sussurrò avvicinandosi a lei
“ ... è più forte rispetto a ieri e inizia a
prendere peso. L’emorragia si sta riassorbendo, lentamente, molto
più lentamente di quanto vorremo ma ci sta provando”
“Era troppo piccolo” una lacrima a scendere insolente sul
suo viso “Era troppo piccolo per nascere subito, potevo tenerlo
ancora qualche giorno e invece ...” “No, ehi,
guardami” esclamò afferrandola per le spalle “Non
è stata colpa tua, non hai sbagliato” ma quegli occhi
pieni di lacrime lo massacravano “Non sarebbe cambiato niente,
doveva succedere tesoro e va bene così. Julian è forte,
sta lottando ti prego, non lasciarti andare” un debole sorriso a
spaccare quel pianto gelido poi il viso nascosto sul suo petto e il
calore di un corpo che per mesi aveva sognato.
La strinse a sé
ringraziando Dio per avergli restituito metà del suo cuore
“Ce la farà, ce la faremo” gli occhi persi sul suo
bambino mentre i singhiozzi di sua moglie si spegnevano lentamente nel
silenzio.
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Capitolo 16 *** Aiutami a Proteggerlo ***
Dentro di te
Aiutami a Proteggerlo
“Ehi amore
mio” sfiorò il corpicino di Julian sorridendo “Stai
diventando grande sai?” strinse la sua manina, era così
piccola da terrorizzarlo, se l’avesse stretto troppo forte
l’avrebbe rotto “Devi resistere, mi senti amore mio? Devi
essere forte ancora per un po’ perché tutto questo
passerà e allora saremo solo noi, io e te e la mamma. Ce ne
andremo a casa e dimenticheremo tutto il male che in questi giorni ci
passa sopra” “Ehi” si voltò di colpo
spaventato da quell’improvvisa interruzione “Mi
dispiace, non volevo, stavo solo ...” “No, no va tutto
bene” il viso di Meredith a colorarsi di sorrisi e preoccupazione
“Oddio, è così piccolo” si avvicinò
all’incubatrice, le mani posate sulle labbra nel tentativo folle
di trattenere l’emozione “Quando sei arrivata?”
“Cinque minuti fa” mormorò distratta senza staccare
gli occhi da Julian “Sono stata da lei ma si era appena
addormentata. Mike mi ha detto che sta meglio, che mangia di
nuovo” annuì appena passandosi una mano tra i capelli
“Lo so che allontanarla da Julian è stata una scelta
orribile ma l’ho fatto per lei, per evitare di ...”
“Owen non ho detto una parola” “No ma l’hai
pensato” gli occhi a fondersi con i suoi “Possiamo evitare
di litigare?” domandò ironica slacciando il cappotto
“Come va Julian?” sospirò avvicinandosi al bambino
“Lotta, è un combattente” “Sua madre lo
è altrettanto, non poteva essere diverso da quello che
è” “Già” si lasciò cadere sulla
sedia, gli occhi persi nel vuoto e milioni di pensieri a vorticargli
nella mente, pensieri che avrebbe voluto cacciare via, il più
lontano possibile da lui e dal suo bambino e che invece, continuavano a
restare ancorati a quella culla, a loro , troppo stanchi per continuare
a lottare.
La luce tenue ad
illuminare ogni angolo di quel posto silenzioso e pieno di pace. Si
inginocchiò stringendo le mani davanti al volto “Ho
bisogno di Te” parole leggere, parole sussurrate al silenzio
“Ho bisogno della Tua parola, di sentirti vicino perché
non so cosa fare” gli occhi a sfiorare il crocefisso e milioni di
parole a spingere per uscire “Ho studiato medicina, ho dato la
mia vita intera agli altri e dopo anni passati a salvare vite, non sono
in grado di salvare il mio bambino” una lacrima insolente a
correre lungo il viso, fece un bel respiro chiudendo di nuovo il dolore
dietro ad un muro invisibile “Non posso salvarlo io perché
la mia medicina non riesce ad aiutarlo. Sono solo un uomo, sono un
padre che vorrebbe stringere il suo bambino, portarlo via da qui
assieme alla sua mamma e invece, posso solo restare a guardare mia
moglie distruggersi lentamente, cerca cure, resta sveglia la notte
accanto a Julian e non mangia quasi niente ...” un respiro
profondo ad alleggerire la pressione dell’anima “ ... non
posso aiutare mio figlio, non posso aiutare mia moglie ma Tu puoi, Tu
fai i miracoli no? Ti prego, Ti prego non portarmi via il mio
bambino” le lacrime scoppiarono violente travolgendo ogni
briciolo di ragione “ Se lo porti via, se le togli Julian allora
ti prenderai una parte del suo cuore e crollerà ... Ti prego, ti
prego ridammi il mio bambino” la mani caddero dolcemente sul
legno nascondendo il viso e quei singhiozzi violenti che non davano
tregua “Prenditi cura di lui perché io non ... è il
mio bambino, è una parte di me, è tutto quello che
sarà di me ... Ho bisogno di vederlo sorridere, ho bisogno di
sentire la sua voce e le sue manine, ho bisogno di guardarlo negli
occhi per capire che non tutto quello che ho fatto nella vita è
sbagliato” di nuovo i singhiozzi, di nuovo quelle lacrime
violente a massacrargli l’anima “Non portarmi via il mio
bambino ... Aiutami a guarirlo, tienilo al sicuro e non ... Io ho
vissuto, ho provato ogni stupida emozione che la vita aveva da offrire
ma Julian è ... lui è così piccolo” provava
a respirare, provava a controllare i battiti del cuore ma ormai non
c'era più un briciolo di ragione dentro di sé "È
una punizione? È questo? Punisci me, io ho sbagliato, io le ho
fatto del male, io l'ho lasciata da sola ... se vuoi punire qualcuno
allora prendi me, portami via, allontanami dalla vita, puniscimi come
più credi, se questa è la Tua volontà allora che
sia ma ti prego ... Ti prego lascia qui mio figlio" strinse
più forte la testa tra le mani abbandonandosi al pianto.
Nel silenzio della
chiesetta solo lui a raccontare ad un Dio lontano il suo dolore, che
altro avrebbe potuto fare? Non poteva piangere davanti a lei e non
poteva farlo nemmeno davanti a Julian perché, anche se intubato
e sedato, era in grado di ascoltare e se l’avesse sentito
piangere? Non aveva bisogno di persone deboli ma della sicurezza che
solo quell’uomo grande e grosso poteva dare, il suo papà,
l’unica persona che avrebbe dovuto proteggerlo, l’unico
uomo che poteva stringerlo e baciarlo, che avrebbe dovuto proteggere la
sua mamma tenendola lontana dal male del mondo e che ora, nel
silenzio della notte, piangeva inginocchiato davanti ad un crocefisso
silenzioso.
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Capitolo 17 *** Non puoi farlo di Nuovo ***
dentro di te 17.2
Non puoi farlo di Nuovo
“Ciao amore mio” un debolissimo sorriso a colorarle le
labbra mentre la manina di Julian si stringeva con forza attorno al suo
dito “La mamma è qui con te” Sono tanto stanco mammina, mi fa male respirare e non riesco a vederti
“Non devi aver paura, andrà tutto bene, lo so che stai
male, che sei stanco ma non puoi andare via Julian, non puoi lasciarmi
da sola” Perché?
Trattenne il respiro qualche secondo cercando di riordinare i pensieri,
cercando di fingere che tutto fosse normale ma non c’era proprio
niente di normale in quella stanza, solo una madre in lacrime accanto
al suo bambino “È stata colpa mia Julian, io ti ho fatto
nascere troppo presto e non ... puoi farcela amore mio, devi
lottare” Non
è stata colpa tua mammina, non sarà mai colpa tua ... Ti
vorrò sempre bene e sarai sempre la mia mamma, anche se
non posso vederti, anche se volo via lontano lontano. Non sono
arrabbiato con te mamma, non è stata colpa tua la
mano tremò leggermente e una stupida lacrima a spezzare il
silenzio, sorrise asciugandola “Sono stanca anche io amore, sono
tanto stanca e papà sta impazzendo. Continua a restare qui,
continua a fingere che i mostri e il buio non lo sapventino, cerca di
essere il papà che resiste anche ai colpi più violenti ma
la mamma sa bene quanto dolore sta provando ...” sospirò
passandosi una mano tra i capelli “ ... è solo troppo
preoccupato per ammetterlo. Non piangerà mai davanti a noi
Julian e lo sai perché? Perché è un combattente,
proprio come te” un sorriso a illuminare di nuovo il vuoto
“È un bravo papà, sarà un bravo papà
perché è un uomo meraviglioso. Ti porterà al
parco, ti insegnerà la vita e quando sarai stanco o avrai paura,
sarà lì a cullarti e a cacciare via i mostri
dall’armadio ... ” E tu mamma? Dove sarai tu?
“ ... esattamente come farà la mamma” la voce
spezzata dalla malinconia “Ci sono tante cose belle che ti
aspettano amore mio ...” sussurrò inclinandosi leggermente
verso l’incubatrice “ ... ci sono giochi, dolcetti colorati
e libri, pupazzi, una nuova casa e poi una famiglia. Avrai tante cose
belle piccolo mio ma devi lottare per averle” Sono tanto stanco mammina, puoi lottare tu per me?
Sollevò gli occhi dal suo bambino, un battito più lento
degli altri a toglierle il respiro “Devi lottare amore mio, non
può farlo la mamma per te ma posso restare qui, posso restare
vicino a te tutto il tempo che vuoi” l’infermiera
controllò il monitor “Chiamate il dottor Fellon” il
medico corse via alla velocità della luce e lei, immobile
accanto a quella piccolo culla, paralizzata con le mani sul vetro e il
respiro bloccato in fondo alla gola “Julian devi continuare a
respirare, la mamma è qui, non ti lascia da solo” Fa male mammina, fa tanto male respirare
“Allora che diavolo succede?” sbottò Michael
afferrando lo stetoscopio “Il battito è rallentato
dottore” “D’accordo, aumentiamo
l’ossigeno, somministrare altra epinefrina, deve ritornare a
livelli normali” “Epi in circolo dottore” gli
occhi sollevati, piantati sul monitor, attimi gelidi, lunghi come ore
intere poi di nuovo quella linea continua, quella linea di salvezza che
le restituì aria pura “Cristina!” le mani di Owen a
sorreggerla impedendole di crollare per terra “Ehi, avanti
guardami” la voce rotta dalla preoccupazione, tremava, sapeva di
farlo ma come poteva controllare il suo corpo? Come poteva evitare
anche a lui la paura che ora si stava trascinando via il suo bambino
“Non può farlo di nuovo” i singhiozzi a spaccarle a
metà il respiro “Non può farlo ancora
Owen” la strinse tra le braccia allontanandola da quella
maledetta stanza, da quel dolore che velocemente si stava risucchiando
ogni attimo di tranquillità.
Attimi confusi, solo il
rumore dei passi nel corridoio e poi la voce di Meredith “Che ...
che è successo?” stringeva tra le mani due bicchieri di
caffè, il fiatone a mozzarle il respiro “Owen che è
successo!” “Julian ha avuto una crisi respiratoria” i
bicchieri caddero nel vuoto mentre le mani reggevano con forza la sua
persona “Cristina andrà bene, mi senti? Andrà
bene!” “Non posso rifarlo Mer, non posso restare lì
mentre lui ... non può farlo di nuovo” “Lo
so” esclamò stringendola con forza tra le braccia
“Lo so ... però esiste qualcuno lassù, voglio dire,
deve esistere altrimenti tutti i pazienti che salviamo chi ringraziano
guardando il cielo?” Owen chiuse gli occhi qualche secondo
cercando di nuovo quella calma che tante volte gli aveva salvato la
vita “Vai da lui, resto io qui” solo uno sguardo a
rispondere, un semplice sguardo che in realtà racchiudeva un
mondo di parole.
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Capitolo 18 *** Ciao bambino Mio ***
dentro di te
Ciao bambino Mio
Aveva passato la notte sdraiato su quella maledetta poltroncina,
chiuso in terapia intensiva, lontano dalle lacrime di sua moglie e da
tutto il resto.
Era stanco, sfinito,
aveva bisogno di allontanarsi qualche ora da quel posto ma dove altro
sarebbe potuto andare? Allungò le braccia cercando di stendere
ogni muscolo della schiena, Julian aveva passato una notte tranquilla,
le crisi respiratorie erano passate e il battito cardiaco era tornato
forte e regolare “Owen” “Shepard?”
mormorò confuso strofinandosi gli occhi “Che ci fai
qui?” l’altro sorrise raggiungendolo “Zola voleva la
mamma e così siamo partiti” “Oh, fantastico, e chi
dirige ...” “Webber” tirò una sedia fino
a lui sorridendo “Hai bisogno di un amico”
“Già” “Cristina si è addormentata
cinque minuti fa” “A cosa serve?” Derek socchiuse gli
occhi voltandosi verso di lui “Tanto tra mezz’ora
sarà di nuovo qua dentro” “È sua madre
Owen” “Si sta sgretolando pezzo dopo pezzo! La vedo
scomparire lentamente davanti agli occhi e non posso fare niente per
aiutarla perché non me lo permette” la mano
dell’uomo a stringersi con forza attorno alla sua spalla
“Continua a sorridere, continua a dire di si ogni volta che le
chiedo di riposare ma continua a tornare indietro”
“L’ha portato dentro per sette mesi, l’ha avuto sotto
il cuore per tanto tempo, ha parlato con lui per tutto questo tempo ...
Si sente in colpa Owen e non puoi cambiare questa cosa perché
è madre, perché nonostante tutto, nonostante i
miglioramenti e i sorrisi, si sentirà sempre in colpa” gli
occhi a sfiorarsi qualche secondo e poi un bel sorriso a colorare il
viso di Derek “È biondo” “Cosa?”
mormorò distratto tornando ad appoggiarsi allo schienale
“Tuo figlio ha i tuoi colori amico mio” “È
vero” uno sprazzo di serenità in mezzo al buio
“Prega Dio che abbia anche il tuo carattere perché se
eredita la testa della mamma siamo rovinati” scoppiarono a ridere
allontanando tutto il caos di quei giorni passati “Pensi di
potercela fare a reggere due caratterini del genere?” “No,
direi proprio di no” “Beh amico mio, credo proprio che tu
debba abituartici perché questo piccolo angelo ha una forza
terrificante” gli occhi fieri di un padre a spiare quel piccolo
corpicino “Chissà cosa farà nella vita”
“Magari diventerà un medico” esclamò
divertito giocherellando con un pupazzetto colorato “O forse
diventerà un avvocato” “Non importa, può fare
tutto quello che vuole, può diventare ciò che
vuole” ma il respiro si bloccò di colpo
“Oddio” Derek si alzò lentamente dalla sedia
avvicinandosi all’incubatrice “Shepard lui ... ha ...
Julian ha ...” “Ha aperto gli occhi” “Ehi
piccolo” mormorò tremante inginocchiandosi di fianco alla
culla “Hai aperto gli occhi? L’hai fatto vero?” la
testolina a voltarsi lentamente verso di lui e quel battito di ciglia a
restituirgli aria pura “Oddio” si portò le mani alle
labbra sorridendo “Ciao amore mio” Shepard corse fuori
dalla stanza e loro, soli nel silenzio, gli occhi fusi assieme e i
cuori a battere all’impazzata.
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Capitolo 19 *** Profumi di buono Mamma ***
dentro di te
Profumi di buono Mamma
Il sorriso sul volto del medico era l’unica cosa che
riusciva a vedere “Risponde bene alla terapia, se continua
così, potremo staccare il respiratore a breve” “Sta
bene?” si voltò verso di lui sorridendo “Sta bene
Owen” chiuse gli occhi lasciando che quelle parole gli
scorressero dentro come aria pura “Resterà in incubatrice
fino a che non peserà due chili e mezzo almeno il che, a mio
parere, accadrà presto” una pacca sulla spalla a
restituirgli coraggio e poi quella domanda bella come la vita stessa
“Vuoi prenderlo in braccio?” “Non ... forse
è meglio che ...” “Oh andiamo” mormorò
Mike aprendo il lato della culla “Il respiratore si può
allungare e lui ha bisogno di un po’ di calore”
sollevò dolcemente Julian coprendolo con un panno azzurro
“Ehi guerriero, c’è il papà qui sai?”
tremava, sapeva di farlo ma come poteva pretendere di controllare anche
quello? Aveva tra le braccia il suo bambino, per la prima volta da
quando era nato poteva stringerlo, baciarlo e sorridere perché
finalmente, l’orrore di quegli attimi sembrava cancellato.
Shepard al suo fianco
non smetteva un secondo di sorridere, le mani posate sulla culletta
vuota e gli occhi pieni di gioia “Ciao Julian” la manina
del piccolo si strinse dolcemente attorno al suo dito “Te la cavi
bene sai Owen?” “Dici? Ho il terrore di romperlo”
l’altro scoppiò a ridere sedendosi accanto a lui
“Non farlo cadere e vedrai che tutto andrà bene”
“Si, molto incoraggiante davvero” poi la voce di Cristina a
farlo tremare “Owen?” un debole sorriso a colorarle il viso
“C’è la mamma Julian” le mani posate davanti
alla bocca nel tentativo folle di trattenere l’emozione e poi
quei gesti così naturali che lui non possedeva.
Julian si
aggrappava con forza al petto della sua mamma, stretto a lei con il
terrore di venirne separato e quelle carezze delicate che lo aiutavano
a riposare “Grazie amore mio” mormorò posando le
labbra sulla testolina di Julian Profumi di buono mamma, profumi di amore e
d’improvviso ogni preoccupazione, ogni paura, ogni stupido
pensiero venne cancellato, sostituito da quella meravigliosa sensazione
che li avrebbe accompagnati per tutta la vita.
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