Una forzata vacanza

di boll11
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Risvegli ***
Capitolo 2: *** 2. ***
Capitolo 3: *** 3. ***
Capitolo 4: *** Abluzioni, deduzioni e un caffè ***
Capitolo 5: *** 2. ***
Capitolo 6: *** 2. ***



Capitolo 1
*** 1. Risvegli ***


Una forzata vacanza

UNA FORZATA VACANZA

Beta: Nykyo e TwinStar
Rating: PG13
Sommario: Severus, Sirius e Remus si risvegliano al mattino scoprendo invece di essere piombati in un incubo. Cosa è successo? E soprattutto, perché?
Disclaimer: Questi personaggi non sono miei, ma della Rowling che ne detiene ogni diritto. Né tanto meno ci guadagno un euro.
Avvertimenti: Comica. (che il nume ce la mandi buona!)


1. Risvegli

1.

Severus si svegliò presto, quel giorno, per due motivi.
Primo, il letto gli sembrava straordinariamente scomodo.
Secondo, un raggio di luce lo colpì attraverso le palpebre abbassate.
Senza aprire gli occhi, nel dormiveglia fece, velocemente, delle ovvie considerazioni.
Il suo letto era di solito comodissimo, indi quello non poteva essere il suo letto.
E non si trovava nei suoi amati sotterranei, perché mai, assolutamente mai, un raggio di sole l’aveva disturbato dal suo riposo.
Solo Sirius aveva quella prerogativa, avvinghiandosi a lui, stile polipo, per tutta la durata del sonno, ed oltretutto lui non c’era.
Accidenti, questo era oltremodo irritante.
Non percepiva immediato pericolo, ma sicuramente un lieve, fastidioso allarme.
Aprì cauto l’unico occhio che spuntava dalle coltri.
Evidentemente quel malefico raggio lo disturbava da un po’, perché non aveva l’abitudine di rintanarsi totalmente sotto le lenzuola, che oltretutto gli sembravano anche insopportabilmente ruvide.
Che diamine stava succedendo?
La vista di una stanza che non era assolutamente la sua gli fece fare quello che il sole non era riuscito a fare.
Alzarsi, scostando con impeto le coperte che lo avvolgevano.
Rimase basito a guardarsi intorno.
Con un’espressione che non gli si addiceva.
Occhi sgranati e bocca spalancata.
La chiuse di scatto con un secco schiocco, quando si vide riflesso allo specchio posto di fronte al letto, su una cassettiera di dubbio gusto.
Bianca, squadrata, senza maniglie.
Un orrido parallelepipedo.
Anche il resto lasciava a desiderare.
Pareti tinteggiate di un giallo pallido.
L’armadio faceva il paio con la cassettiera, e la finestra aveva addirittura due tendine di organza bianca, con disgustosi volant.

Salazar! ma dov’era?

Quando poi il suo sguardo cadde sul letto dove si era appena svegliato, quasi perse i sensi dalla choc.
Trapunta colorata.
Ma colorata era riduttivo.
Ultra colorata!
Non aveva mai visto neanche la metà di quelle tinte, accostate tipo pugno in un occhio in righe minuscole.
E vogliamo parlare dell’insulso pigiama che indossava?
Un tessuto che non era cotone ma che sicuramente qualcosa, in minima parte ne conteneva.
Se ne sfilò immediatamente la maglia.
La soppesò tra le mani.
Colore celeste sbiadito con insignificanti stampe ad intervalli regolari.
Sembravano ancore.
Deglutì.
Non poteva credere di aver avuto addosso quell’indumento.
All’interno, sul colletto, un’etichetta descriveva le componenti del tessuto:
20% cotone 80% acrilico.
Deglutì ancora socchiudendo gli occhi.
Una vena sulla tempia gli pulsò pericolosamente.
Contrasse le labbra in una linea bianca.
Improvvisi dei colpi alla porta, che si spalancò subito dopo, facendo entrare una donna anziana, ma energica, che portava tra le braccia degli indumenti.
Severus fece appena in tempo a coprirsi con le lenzuola di flanella, facendo emergere solo la cima della testa.
“Che cosa combina, maestro Snape? Ancora a poltrire? La colazione è pronta da un pezzo. Farà tardi a scuola.” Depose i vestiti ai piedi del letto e proseguì a parlare, decisa e svelta, raccogliendo da terra quelli che gli sembrarono calzini, un paio di scarpe, una camicia e jeans.
“Oggi, deve portare la classe al cinema. Quei bimbi non devono stare nella pelle. Non li faccia aspettare, si alzi che le si fredda il caffè.”
Fu difficile non spalancare nuovamente la bocca, sentendo quelle parole.
E poi… che caspita!
Come si permetteva quell’insulsa donnetta, di entrare nella sua camera senza neanche bussare!
Calma, calma.
La tua camera?
Quest’ obbrobrio non è la mia camera!
E’ qualcosa di così lontanamente avulso da quello che si può definire “camera mia” che potrei sentirmi male all’istante.
Comunque, camera o non camera, quella donna meritava una lezione.
Con la mano pescò alla cieca la bacchetta sul ripiano bianco del comodino.
La puntò immediatamente sulla donna scandendo forte le parole di un blando incantesimo.
Quella lo guardò sbalordita.
“Maestro Snape! Ma cosa le prende? Non è il momento di scherzare! Lei è sempre così burlone, ma è veramente molto tardi. Si alzi, su e la smetta di fare il bambino!”.
Non era successo assolutamente nulla!
Lo sguardo gli cadde sul braccio ancora teso.
Tra le mani teneva stretta una stupida matita.
Gli tremarono gli angoli della bocca e l’occhio destro prese a pulsargli in un tic nervoso.
Bambino!
L’aveva chiamato bambino!
Burlone, oltretutto!
Quella, dopo un ultimo risolino divertito, uscì dalla camera chiudendosi dietro la porta.
Severus si alzò frenetico.
Buttò un’occhiata disgustata agli indumenti lasciati sul letto.
Poi cominciò a cercare la sua bacchetta.
Non era sul comodino, non era sotto il letto.
Non era da nessuna parte lì attorno!
Aprì l’armadio con violenza.
Vestiti babbani di ogni colore, ma non la sua amata veste nera!
Anche i vestiti!
Oh! Merlino santo.
Ora aveva un attimo di panico.
Quello che non era riuscito a fare Voldemort in tutti quegli anni glielo stava facendo una stupidissima, vetusta donnetta.

Calmati Severus.
Sei sempre stato una mente sveglia e analitica.
Puoi riuscire a venire fuori da questo disgustoso impiccio.
Ma come?
Come, senza la mia bacchetta?

Tristemente diede una rapida occhiata ai pantaloni che ancora indossava.
Quelle ancore avevano il potere di farlo imbestialire.
Doveva vestirsi (e qui deglutì di nuovo all’idea di doversi infilare quegli abiti), e subito, prima che quella donna ripiombasse nella stanza.
Rigido, raccolse i vestiti e diede un’occhiata in giro in cerca della porta del bagno.
Non c’era.
Oh, Salazar! e ora?
Neanche il bagno in stanza?
Puntò fremente l’unica porta e silenziosamente l’aprì di uno spiraglio.
Sbirciò fuori.
Un corridoio fortunatamente deserto.
Naturalmente con un atroce arredamento.
Sulla parete di fronte poté scorgere quello che gli sembrò un disegno vergato da una mano sicuramente infantile, oltre che idiota.
Un’orrenda stilizzazione di una figura umana che teneva per mano (mano? quei quattro segnacci?) il suo corrispettivo in piccolo.
Due nomi sotto le figure.
Severus (e qui ebbe un altro attacco di panico) e Betty.
Si arrischiò a tirare fuori tutta la testa.
Svariate porte.
Ecco!
Ed ora qual’era quella giusta?
Inspirò a fondo e uscì dalla stanza in punta di piedi.
La prima porta che provò ad aprire era chiusa a chiave.
Prima di rendersene conto aveva fatto leva sulla maniglia più volte, disperandosi per non averla azzeccata al primo colpo.
Con rapidi saltelli sulla punta dei piedi si avvicinò alla successiva.
“Maestro Snape! Ancora in pigiama?”
Ci mancò poco che facesse un balzo.
Lo salvò il suo autocontrollo (anche se messo a dura prova) e la sua prontezza di spirito.
“Il bagno…”, riuscì a rispondere dopo essersi voltato lentamente.
“Giuro, che lei è strano forte, stamani! Sta andando nella direzione opposta.”, e scuotendo la testa, la donna ritornò sui suoi passi spalancando la porta vicina e che si rivelò essere quella della cucina.
Severus rimase fermo a fissare nel vuoto per alcuni lunghi istanti.
Poi si diresse veloce nella direzione indicata dalla donna.

Merlino! che brutto risveglio!

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Capitolo 2
*** 2. ***


Una forzata vacanza

2.

Sirius sbatté gli occhi infastidito da una lama di sole e da un peso sconosciuto sul suo petto.
Quando finalmente uscì dal dormiveglia rimase a fissare una massa boccoluta di capelli biondi, palesemente tinti - dato il colore fosforescente che abbaglia - che si spargevano sul suo petto nudo, senza riuscire a capire se ancora sognava e fosse caduto in un incubo.
Da quella posizione immobile, le braccia stese dietro di sé a toccare le sbarre di ottone della testiera, volse lo sguardo intorno per quanto possibile.
Il soffitto era tinto di un arancione acceso e nel centro troneggiava un lampadario talmente arzigogolato che a seguirne le linee veniva mal di testa.
Con la coda dell’occhio riuscì a scorgere il resto dell’arredamento, che era talmente kitch da dargli il capogiro.
Le pareti erano verde muschio.
Mobili spaiati la occupavano in lungo e in largo, di legno, di ottone, di qualcosa simile a paglia.
Vestiti erano sparsi su sedie imbottite, sul pavimento ricolmo di tappeti dozzinali, sui ripiani lucidi dei mobili, sulle ante aperte dell’armadio, in mucchi eterogenei, maschili e femminili.
Stava ancora cercando di venire a capo di quella situazione, la fronte leggermente aggrottata, quando il suono penetrante di una sveglia lo fece sussultare spaventato.
La testa tinta si animò e si sollevò con uno scatto repentino dal suo petto, dandogli la prima piacevole sensazione da che si era svegliato.
Poi, quando il viso proprietario di quella testa si volse verso di lui, occhi cisposi e abbottati, ogni ottimistico pensiero si sciolse come neve al sole.
“Buongiorno cucciolo!” bisbigliò una voce roca, da labbra carnose.
Cucciolo?
“Buongiorno?” rispose titubante lui, sempre immobile, le mani a stritolare le lucide barre di ottone. Quella si alzò veloce dal letto, scostando lenzuola di raso verde e mostrando un corpo semivestito da una corta sottana bianca.
“Abbiamo fatto tardi ieri tesoruccio” continuò quella raccattando da terra alcune manciate di vestiti “Dovremo dormire più di due ore per notte, non credi?”.
Sirius non trovò nulla da obbiettare.
Si sentiva uno straccio, e quando il sottointeso di quelle parole fece breccia nella sua comprensione, ebbe un capogiro da mozzare il fiato.
-Non è possibile che io abbia potuto anche solo sfiorare una donna come questa!- pensò, mentre l’orrore di certi pensieri si trasformava in vivide immagini.
“Avanti cocco, sbrigati ad alzarti, se non vuoi che torni alla carica!” rise quella, continuando a recuperare vestiti stazzonati. “Ho ancora voglia, lo sai tenerone? La mattina mi prende sempre così.”
La vide smettere di chinarsi, mostrando il suo sedere privo di ogni rivestimento, e di questo fu grato, ma si volse verso di lui ammiccante, la massa di abiti stretta al petto voluminoso.
“Ti va un po’ di sbattipancia, coccoloso?” chiese, la voce roca che le doveva sembrare particolarmente sexy.
Sirius ebbe un moto inconsulto di spavento.
Come un lattante si coprì fino alla bocca con le lenzuola sgualcite, a mostrare solo gli occhi sgranati. “E’ davvero tardi, coccolosa.” Biascicò lui da quella misera protezione.
La sentì sospirare e dirigersi alla porta.
“Ok, bambolo. Ti preparo il caffè. Sbrigati a tirarti fuori dal letto.”
E detto questo, uscì.

Dove diamine sono?
Dove dannato Merlino sono?
Scostò le lenzuola e scese cauto dal letto.
Rimase fermo in mezzo alla stanza cercando di far chiarezza nei ricordi della sera precedente.
Era insieme a Severus.
Stavano bevendo del vino.
Ed ora?
Come diavolo era arrivato lì?

Con lo sguardo cercò intorno qualcosa che gli rammentasse che era un mago, diamine, ma della bacchetta, della sua toga blu, dei suoi abiti sobri non vide traccia.
Solo una profusione di colori.
A dispetto del panico gli venne da ridere ad immaginare Severus nella sua situazione.
Sarebbe morto sul colpo, ci avrebbe giurato.
-Cosa faccio, ora?- si chiese distratto, raccogliendo da terra quelli che gli parvero jeans da uomo –Prima di tutto ci vuole un caffè! Non credo di essermi mai svegliato a quest’ora in vita mia e i miei pensieri non possono avere un filo logico.-
Si diresse, pantaloni sotto braccio, verso una cassettiera sbilenca fatta di un materiale simile al vimini e aprì il primo cassetto.
Con un sorriso si congratulò con se stesso per aver azzeccato al primo colpo.
Era la sua biancheria.
Per la prima volta lo sguardo scese sui suoi boxer e lì si fermò.
Se si fosse visto allo specchio, in quell’esatto istante, avrebbe riso di se stesso.
Aveva un’espressione imbambolatissima.
Sopra il taglio verticale dei boxer era stampato a caratteri maiuscoli:
La bestia.
Aveva mai visto qualcosa di così idiota, nella vita?
Probabilmente sì, e vi aveva anche riso, ma indossato, mai!
Chi caspita era diventato?
Frugò nel cassetto alla ricerca di mutande normali, ma non ne trovò.
Su ogni dannato paio erano riportate delle scritte dal significato più o meno esplicito: Ogni giorno è buono, La forza sia con te, Cucù, Ucci ucci ucci… e via dicendo.
Si stava deprimendo veramente ora.
Prese un paio di boxer a caso dal mucchio disordinato del cassetto e si dispose a cercare una camicia che, a quanto notava da quelle sparpagliate in terra, non fosse a scacchettoni stile tovaglia o a rigoni da carcerato.
Aveva già dato, grazie.
Mentre pescava nei cassetti con foga maniacale, entrò di nuovo la donna, completamente vestita ora:
“Puccio, non scordarti di indossare la canottiera, mi raccomando!” gli disse, tendendogli un orrido indumento di un bianco indecente.
Una di quelle canottiere che aveva visto, a volte, indosso al padre di Remus. Costretto dalla madre, ovvio.
-Sarà una fissazione delle donne babbane, questa?- Si chiese, tendendo la mano ad arraffare quell’indumento e rimanendo interdetto a guardarlo.
“Ma mi sta questa?” chiese più a sé stesso che alla donna, osservando la larghezza risicata della maglia solcata da piccole righe in rilievo.
“Che scioccolone che sei, tesoruccio! L’hai messa tante di quelle volte! Su, fai il bravino e sbrigati.
Appena hai finito di vestirti fammi un fischio che ti acconcio quella massa di capelli spettinati, leoncino mio!” tubò la donna e ancheggiando in stretti pantaloni di pelle marrone, scomparve nuovamente dalla stanza.

A Sirius tutto quel miele aveva cominciato a dare ai nervi.
Come non mai sentì il bisogno di una di quelle frasi deliziosamente pungenti col quale lo salutava la mattina Severus.
Tipo:
“Ti sei appena destato dal sonno dei morti?” o il sempreverde, “Non ti avvicinare che hai l’alito che uccide un cadavere.”
Sospirando pescò una camicia a caso, sorvolando sul fatto che, proprio sul davanti, aveva un disegno complicatissimo di draghi intrecciati a liane rampicanti in una caterva di colori che nessun occhio umano poteva sopportare per più di due secondi senza cadere stecchito a terra privo della vista.

Prima di uscire dalla stanza, diede un’ultima occhiata disperata al panorama, sondando frenetico con l’occhio alla ricerca, hai visto mai, della sua bacchetta.
Nulla.
E va bene!
Con un ultimo moto di fastidio, raccolse le scarpe (un orrido intreccio di lacci e stringhe a formare un sandalo dall’aspetto imponente) e schiuse la porta.
L’odore del caffé fu l’unica cosa positiva di quell’inizio mattinata.
Aspirò a pieni polmoni e a piedi scalzi si diresse verso quella che poteva essere la porta del bagno. Facile, visto che era spalancata a mostrare un disordine di acqua e asciugamani.
La chiuse dietro di lui e sospirò.

Merlino! che orrendo risveglio!

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Ebbene sì, Ana, ho cominciato a scrivere questa storia comica da parecchio ed è rimasta nel cassetto per troppo tempo, tormentandimi stile tarlo con tavola di legno.
Per questo la pubblico, sebbene non sia ancora totalmente finita.
Gli aggiornamenti non saranno regolari, ma prometto che non saranno neanche troppo distanti.
Io è questa storia abbiamo un conto in sospeso.
Ho promesso che l'avrei avuta vinta e ci sto pian piano riuscendo.
Quindi, Summers non preoccuparti. La continuo sicuro. ^_- e grazie.

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Capitolo 3
*** 3. ***


Una forzata vacanza

3.

Remus quella mattina fu scaraventato fuori dal sonno da una voce secca e autoritaria.
“Tesoro, alzati. E’ ora di andare al lavoro. Elvira ti ha preparato il bagno, e la colazione è quasi pronta.”
Prima che potesse chiedersi chi fosse Elvira, ma soprattutto a chi appartenesse quella voce femminile così tonante, il rumore secco delle tapparelle che venivano sollevate e la conseguente luce che lo investì contribuirono a togliergli di dosso gli ultimi brandelli di sonno.
Spalancò gli occhi e si trovò a fissare il volto di una donna, talmente asciutto da sembrare inciso in un pezzo di marmo.
I capelli di un grigio compatto erano tirati in una crocchia perfetta, da cui neanche un filo minuscolo osava ribellarsi.
Remus non riuscì neanche a sbattere gli occhi.
Rimase a fissare tranquillamente quel volto appena sorridente, chiedendosi furiosamente chi caspiterina fosse.
“Avanti Remus, alzati…” riprese con quel vocione la donna, continuando a muoversi come un caterpillar per la stanza “Se non vuoi che il bagno si freddi. Su quella sedia ti ho preparato il necessario per la toilette. Rasati quella barba, che il tempo dei belli e impossibili è passato da un pezzo e sant’Iddio ti supplico di eliminare anche quei baffetti alla Erroll Flynn che fanno spavento. Sembri un grasso topo impomatato. Inoltre ti prego di lucidare i mocassini, figlio mio, che la trascuratezza non ti dona. Ti ricordo poi che il tuo compagno ti aspetta alle otto precise, quindi vedi da te che non c’è tempo da perdere. Ed ora scusami caro, ma devo andare a conferire con la cuoca per il pranzo.”
Con la coda dell’occhio la vide marciare fuori dalla stanza.
Non aveva mai tirato il fiato, mentre gli parlava, e questo l’aveva trovato straordinariamente ipnotico.
Ma chi era, Merlino?
Rimase steso nel letto, incredibilmente comodo in verità, a cercare di assimilare tutte le informazioni che quella donna gli aveva sparato a raffica.
La parte sui baffetti l’aveva quasi ucciso tanto che si era tastato il labbro superiore con la punta delle dita accarezzando l’evidente peluria quasi incredulo con una voglia pericolosa di mettersi a piangere per l’avvilimento.
Poi chi diamine era Erroll Flynn?
E quando arrivò a comprendere la parte del “compagno” si convinse che quello era un sogno.
Non poteva essere altrimenti, visto che lui non aveva compagni né desiderava averli.
Ma, miseria, un sogno insopportabilmente vivido.

Si arrischiò a sollevarsi e rimase seduto sul letto a guardarsi intorno.
La stanza era di un gusto squisito.
Le pareti tinteggiate di un pallido avorio e i mobili in legno scuro a fare un piacevole contrasto.
Il pavimento in parquet era lucidissimo, quasi un peccato pensare di camminarci sopra.
Sarebbe rimasto in catalessi per molto tempo ad osservare qualcosa che possedeva soltanto nei suoi sogni - Quindi quello non poteva che essere un sogno.- Si ripeté, se non fosse stato per quel bussare imperioso alla porta.
“Tesoro? Devo chiamare Severus per informarlo che farai tardi come tuo solito? Avanti alzati invece di poltrire.”

Severus?
Non quel Severus.
Ma quanti dannati Severus ci possono essere al mondo?
Aveva la folle tentazione di afferrare quella donna e costringerla a confessare tutta quella macchinazione.
Nella sua mente si vedeva prenderla per il collo e sbatterla alla porta:
“Chi diamine sei? Che vuoi? Chi ti manda?”, con il folle desiderio di azzannarle la gola.
Si costrinse a calmarsi, contando mentalmente fino a 50, un numero che aveva una sua grazia. Non imponente come il 100, ma neanche insignificante come il 10. Una giusta media, quella che si sforzava di tener sempre nella vita.
Profondi respiri a bocca chiusa gli decelerarono i battiti.
Quando si convinse di aver rinchiuso nuovamente la bestia, aprì gli occhi.
Il volto di quella che diceva esser sua madre sostava a due centimetri dal suo con un aria severa e disdicente.
“Non so cosa ti prenda oggi, Remus caro, ma giuro che sei veramente strano.” Gli disse con un tono secco e deciso, dopo essersi raddrizzata con piglio energico.
“La cameriera ti ha stirato l’abito blu. E’ appeso nell’armadio. Metti quello. Ti cade bene anche se hai messo qualche chilo di troppo. A questo proposito sarebbe auspicabile che facessi un po’ di shopping, visto che tutto ti va troppo piccolo, oramai. Fatti accompagnare da Severus. Ha gusti impeccabili e ti consiglia sempre ottimamente.”
Remus era arrivato a contare fino a 22 quando quello sproloquio cessò improvviso.
Scostò appena gli occhi e lo sguardo iroso della donna lo fece sobbalzare leggermente.
“Ma insomma, devo tirarti fuori dal letto con la forza? Dobbiamo tornare indietro negli anni e ricominciare col vecchio sistema di ribaltare il materasso?” Disse la donna rimboccandosi le maniche.
Da signora fine ed elegante si era trasformata in un’energumena minacciosa che a passo di marcia si avvicinava pericolosamente.
In un secondo Remus fu in piedi, dritto come un fuso.
Il grugno della donna si tramutò nuovamente in un viso, sorridente e magnanimo.
“Bravo ragazzo.” Sibilò soddisfatta, mani su quelli che dovevano essere i fianchi. Difficile dirlo, visto che il tronco era un parallelepipedo compatto.
Si volse con l’eleganza di un autotreno e spalancò la porta dicendo:
“Ti aspetto per la colazione.”
La porta si richiuse con un tonfo sordo.
Remus rimase fermo per qualche istante, troppo frastornato anche per contare.
Volse il viso intorno alla ricerca dei suoi abiti lisi di cui aveva una inopportuna nostalgia, ma in quel candore perfetto nulla era fuori posto.
Ogni svolta data alla sua vita aveva bisogno di un tempo abbastanza lungo per poter essere incamerata e racchiusa dentro solidi argini.
Remus era uno specialista nel rendersi un uomo a proprio agio in ogni evenienza.
Ma qui si sfidava ogni logica.
Dovette reprimere l’istinto di piegarsi a quattro zampe per cercare le sue cose in ogni angolo.
All’esterno solo il digrignare della mascella serrata faceva intuire il panico che lo aveva preso, mentre un sorriso prestampato galleggiava sul viso già da un po’.
-Basta frignare.- Si disse risoluto. –Ogni problema ha la sua soluzione. Bisogna andare per gradi.- Con passi meccanici raggiunse la cassettiera e aprì il primo cassetto che slittò docile e silenzioso sulle sue guide.
La sua vera cassettiera si incastrava sempre a metà percorso, un lato più sporgente dell’altro, tanto da dover chiudere e riaprire almeno un paio di volte.
La sua bacchetta, in quei frangenti, era sempre fuori portata e lui non era così malato da far ogni cosa con la magia, al contrario di Sirius.
Era talmente deliziato da quel facile movimento che aprì e chiuse il cassetto svariate volte, apprezzandone il sottile ronzio ben oliato.
Non si accorse subito del pacco che troneggiava in bella vista sulle mutande e sui calzini perfettamente ripiegati.
Sulla scatola di cartone, un rettangolo lungo e stretto, un foglio scritto con la sua calligrafia un po’ storta: “Ricordati!!!!!”
Già l’uso spropositato di tutti quei punti esclamativi gli diede un leggero malessere, ma il fatto assurdo che scrivesse biglietti per ricordarsi di qualcosa gli diede maledettamente ai nervi. Lui non scordava mai niente!
Ma dove caspita era?
Dove dannato Merlino era finito!

Sollevò quel pacchetto e lo soppesò tra le mani e quasi distrattamente ne alzò il coperchio.
Fu immediato il richiuderlo.
Questione di centesimi di secondo.
Forse anche meno.
Quello che aveva visto in quei brevi istanti era troppo anche per lui.
Il suo occhio attento aveva, in quel brevissimo lasso di tempo, già fatto la fotografia del contenuto.
Con precisione meticolosa seppellì quell’orrore sotto strati di slip celandolo alla vista.
Un vibratore.
Un orrido vibratore verde pisello.
Un orrido vibratore verde pisello con incise delle parole.
Un orrido arnese che riportava la disgustosa scritta: “Per Severus, quando non ci sono.”

Afferrò la biancheria a caso e richiuse il cassetto con uno scatto deciso, non potendo far a meno di notare che quello si era richiuso perfettamente con uno sbuffo soddisfatto e segretamente godendo della cosa.
Spalancò le porte dell’armadio e si perse nella contemplazione estatica di tutti quei completi, sebbene cercasse con finta indifferenza qualcosa di più pratico, come una toga. O come i suoi pantaloni lisi. Si sorprese a tastare ogni tasca delle numerose giacche meticolosamente appese per colore alla ricerca vana della sua bacchetta.
Era già arrivato al beige quando se ne rese conto.
Si bloccò, certo dell’inutilità della cosa.
Lui non faceva mai cose inutili.
Prese l’abito blu a cui era attaccato un memorandum con le parole: “E’ questo!!!!!!!!!!!!”, e si volse alla porta adiacente che era sicuro portasse al bagno.

Merlino! che risveglio anomalo!

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Capitolo 4
*** Abluzioni, deduzioni e un caffè ***


Una forzata vacanza

2. Abluzioni, deduzioni e un caffè

1.

Si chiuse in bagno, frenetico.
Stancamente si appoggiò alla porta, con gli occhi ben chiusi.
Il terrore di scoprire tinte da voltastomaco, gli fece rimandare l’inevitabile apertura delle palpebre, il più a lungo possibile.
Sospirò.
Merlino, Severus, ma il tuo proverbiale coraggio?
Qui il coraggio non centra.
Qui sto perdendo la testa!
Calmati, calmati!
Pian piano, con lentezza estenuante socchiuse le palpebre, permettendo agli occhi di tornare a vedere.
E improvvisamente, li spalancò, incredulo.
E un verso strozzato gli gorgogliò in gola.
Piastrelle nero notte.
Lucide.
Intense.
Anche i sanitari e il pavimento, su cui spiccava il bianco dei tappetini.
Un sorriso inconsapevole, grato, gli curvò le labbra.
Si raddrizzò e tirò fuori il petto.
Basta, ho deciso, mi barrico qui, fino a che non trovo l’ispirazione per uscire da questo impiccio.
Marciò deciso verso quel sogno di doccia, dopo aver posato gli abiti su una mensola di gusto impeccabile, e quasi reverente, azionò la leva dell’erogatore.
L’acqua ne uscì con un suono cristallino, tambureggiando sul piatto lucido.
Si liberò con gesti frenetici di quel pigiama disgustoso che gettò in terra con enorme soddisfazione.
Si rese conto che dalla gola gli uscì un suono di puro trionfo che lo spaventò.
Salazar! A che punto sono arrivato?
Provare questa soddisfazione per essermi liberato di uno stupido pigiama?
Lo guardò ammucchiato in terra per diversi attimi.
Oh, sì!
Non sono nella situazione per lasciarmi sfuggire gioie come queste.
Scosse le spalle accantonando la questione e finalmente si liberò anche degli slip.
Quando fu sotto la doccia, lasciò che il suo cervello analitico meditasse sulla situazione con maggior freddezza.
La notte prima era impegnato a sorseggiare vino con Sirius.
A sorseggiare e a litigare con lui, certamente.
Non c’era giorno in cui non si insolentivano.
Era normale.
Un sorriso gli increspò il viso serio al ricordo del suo compagno che blaterava frasi insensate al suo indirizzo agitando il calice e producendo una miriade di gocce rubino tutto intorno.
Non ricordava neanche il perché di quella discussione.
Di solito litigavano per inutili sciocchezze.
Intimamente si divertivano entrambi e la cosa finiva poi tra le lenzuola.
Lì non litigavano mai.
Andavano straordinariamente d’accordo.
Severus scosse la testa impedendo a certi pensieri di sostare nella sua mente.
Non è bene rimuginare su certe cose.
Non divaghiamo, dannazione.
Insomma, non c’era stato nulla di strano quella sera…
Un momento.
Severus si raddrizzò sotto il getto dell’acqua e scosse la testa con forza spingendo via i capelli bagnati dal viso.
Il vino.
Il vino rosso.
Quel dannato vino rosso.
Perché non ci aveva pensato prima?
Un dono del Preside.
Non era strano che il vecchio gli facesse qualche regalo ogni tanto.
Quella stupida chioccia gli era sempre attorno a controllare ogni particolare della sua vita.
Quando aveva saputo della sua relazione con Sirius, perché quel dannato cagnaccio non conosceva il significato della parola discrezione, aveva fatto una faccia delusa e l’aveva rimproverato col dito alzato.
Come se fosse un ragazzino che aveva appena compiuto una marachella.
Si fosse limitato a dissentire in silenzio, Severus l’avrebbe anche sopportato, non prima di insegnare al compagno una o due regolette per la convivenza, ma quel dannato vecchio impiccione era fermamente deciso ad appioppargli un altro fidanzato.
Merlino! Parole del vecchio scarpone! Fidanzato!
Ogni volta che ripensava alle parole del preside, si chiedeva quanto la sua pazienza sarebbe durata.
Poi si era messo in testa di accoppiarlo con Remus.
-Siete perfetti insieme-, non faceva che ripetergli ad ogni occasione possibile con quel sorriso rassicurante sulle labbra.
A nulla valevano le sue proteste ed in ultimo neanche la sua assicurazione che Lupin fosse assolutamente etero e felice di esserlo.
Dumbledore lo guardava con un’espressione di placida sopportazione che lo faceva infuriare.
Quell’aria da: io sono vecchio e conosco il mondo meglio di te.
Rabbiosamente si passò i palmi sugli occhi scacciando via gocce fastidiose dalle ciglia e dalle palpebre.
Era stato il vecchio, non aveva dubbi.
Ma qual’era il suo scopo?
E perché, dannato vecchio manovratore?
Con un gesto improvviso di stizza chiuse la leva dell’erogatore interrompendo così il getto.
Urlò.
Non poté impedirselo, visto che il lembo di pelle che lega pollice e indice era rimasto incastrato sotto la pressione di quel maledetto aggeggio.
Saltellò sdrucciolando sul piatto umido e viscido succhiando la parte offesa, gli occhi colmi di lacrime.
Dannato Dumbledore!
Questa me la paghi, lo giuro.
Spalancò la parete del box doccia e rimase agghiacciato a guardare un omaccione in abiti blu da operaio che lo guardava placido masticando un mozzicone di sigaro dall’odore pestilenziale, che gli pendeva da un angolo della bocca.
“Non si chiude in bagno, capo?”, disse con cadenza greve.
Severus era rimasto a corto di parole riconoscendo che quella domanda non era poi così insensata.
Ma chi Merlino era questo, ora?
Da dietro l’enorme mole elefantina dell’uomo comparve il volto sbalordito della vecchia.
Severus, come uscendo dalla catalessi, si affrettò a coprirsi con l’accappatoio appeso lì vicino.
Almeno l’accappatoio era morbido e di un giallino anonimo.
“Pensavo avesse terminato, Maestro Snape. E’ parecchio che busso alla porta”, stava dicendo con voce pratica la donna. “Questo è l’uomo che farà i lavori in bagno. Voleva cominciare oggi, come da accordi.”
“Lavori?”, chiese Severus senza capire.
L’omone tirò fuori da dietro l’ampia schiena con gesto delicato e riverente, una piastrella lucida che gli mostrò orgoglioso come se l’avesse fabbricata lui.
Cosa possibile perché era un orrore.
Rosa confetto con motivi di rose rosse in boccio o completamente aperte ad ogni angolo, e tralci talmente avviticchiati di verde smeraldo a comporre un motivo floreale estremamente ributtante.
Severus rimase a guardare senza capire, ma sentì che la palpebra tornava a battere convulsa.
“Eravamo d’accordo per questa. In due giorni vi trasformo questo bagno funebre in qualcosa di fine capo, lasci fare a me.”
Severus immaginò quel motivo ripetuto in ogni parete.
La cosa aveva del ridicolo.
Nessuno sano di mente poteva scegliere una piastrella simile.
Stava per protestare vibratamente quando la vecchia donna intervenne con voce incantata:
“Lei ha dei gusti squisiti, Maestro Snape.”
Poi come svegliata da un bellissimo sogno tornò pratica e senza dar tempo a Severus di aprir bocca lo sospinse fuori dal bagno con decisi colpettini delle dita puntute contro la schiena:
“Su, lasci lavorare il signore e si sbrighi che il caffè si fredda”, disse marciando poi rapida in cucina.
Severus rimase in corridoio ancora gocciolante ad osservare dalla porta aperta del bagno l’energumeno chino in terra che rimestava nella borsa degli attrezzi, l’enorme deretano bianco a far capolino dalla cima dei pantaloni.
Arricciò inconsapevole le labbra e si fece forza.
Doveva rientrare in bagno per recuperare gli abiti.
Si appiattì contro il muro per superare lo sbarramento di quell’uomo muraglia, e si riappropriò dei suoi vestiti bofonchiando qualche parola.
L’omaccione al suo passaggio gli strizzò l’occhio continuando a masticare il suo sigaro, cosa che fece sussultare Severus tanto da perdere gli slip che planarono graziosamente su una coscia enorme come un pilastro.
Si chinò a raccoglierla con gesto automatico e si trovò immerso in vapori pestilenziali, talmente vicino al viso di quell’uomo tanto da scorgere i pori dilatati del naso carnoso e rubizzo.
Severus non s’ingannava.
Quell’uomo stava ammiccando.
Deglutì e si rialzò in piedi cercando aria pura e visioni meno stomachevoli, sentendo un’acuta nostalgia del volto di Sirius appena sveglio, con tanto di occhi cisposi e barba sfatta.
Lo sorpassò senza una parola, quando sentì inequivocabile una pacca sul sedere.
La sua espressione più dura, che tanti studenti e tanti maghi adulti aveva spaventato, non produsse sul bovino accovacciato il ben che minimo effetto.
Continuò a ruminare il sigaro con un luccichio divertito negli occhi piccoli.
Sventolò anche le dita in un chiaro, svenevole saluto.
Non perse altro tempo.
Marciò verso la camera e si chiuse dentro a doppia mandata.

Seduto cupamente ad un brutto tavolo di formica azzurra, in un’ancora più brutta cucina, Severus si sentiva addosso un pessimismo cosmico che, anche non essendo quel che si dice un cuor contento, non aveva mai provato.
Il mondo non gli era mai sembrato un posto così desolatamente triste.
Né si era mai sentito così irrimediabilmente in trappola.
Sperò ardentemente che Albus avesse un motivo più che valido per averlo spinto in una situazione del genere.
Lo squillo di un telefono interruppe i suoi biechi pensieri, come la voce perentoria della vecchia governante.
La vide annuire vistosamente come se l’interlocutore potesse vedere i suoi gesti nevrotici e poi rivolgere il viso vizzo verso di lui:
“E’ il maestro Lupin”, disse tendendo la cornetta.
Con la fronte aggrottata in un’espressione interrogativa se l'avvicinò all’orecchio.
“Spero che tu sappia come uscire da questo disastro, Severus”, disse Remus in tono di gioviale conversazione, “altrimenti credo che ti sbranerò volentieri.”

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E' assolutamente una Sirius/Severus, non preoccuparti palanmelen.
Ti ringrazio per i complimenti, così come ringrazio Ellinor.
Purtroppo sono in un periodo di stanca e faccio fatica a proseguire questa comica e ciò mi causa profondi sensi di colpa, XD. Giuro che so già come va a finire e come son divisi i capitoli. Si tratta solo di scriverla. Le comiche non sono affatto storie facili.
Grazie anche a chi mi segue in silenzio.
Spero a presto.
Boll.

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Capitolo 5
*** 2. ***


2.
Sirius si fece strada zompettando in punta di piedi sul pavimento disseminato di asciugamani fradici, vestiti sporchi e oggetti di dubbia origine, cercando di raggiungere il lavabo o almeno la doccia, anche se non riusciva a scorgerla in quel caos che comprendeva persino le pareti ricoperte da una profusione di mobili e mobiletti, attaccapanni e mensole e anche svariati separé a comporre un intricato labirinto.
Guardarsi allo specchio fu un’impresa.
Lo specchio era tondo e minuscolo ed oltretutto ricoperto quasi per intero da flaconi e flaconcini ammucchiati sulla sottostante mensolina.
L’unico occhio che riusciva ad inquadrare era circondato da un profondo alone violaceo e il bianco della cornea era solcato da un intrico di linee rosse che gli dava un’aria inquietante.
Quello che riusciva ad intravedere del viso era solo il pallore malato dell’incarnato e l’ombra scura della barba che risaltava impietosa sulle guance scarne.
Sirius rimase a guardare quello scorcio di se stesso per un tempo che gli parve infinito, le mani chiuse sul bordo del lavandino color marrone scuro, fino a che la voce di quella donna impossibile lo scosse dalla trance, facendogli compiere gesti inconsulti che provocarono il crollo di numerosi oggetti a lui sconosciuti.
Il risolino della donna lo innervosì ancora di più.
“Ma scioccolone! Che cosa combini? Oggi mi sembri proprio sfasato, cucciolo mio”, e abbracciatolo da dietro gli diede una amichevole strizzata ai gingilli.
Sirius dovette frenarsi per non serrarle il collo tra le mani.
Trattenne il respiro fino a quando quella mano non lo lasciò.
La faccia della donna era tutta delusione.
“Ma coccoloso… possibile che tu sia già sulla via dell’andropausa? Non ti era mai capitato di avere l’arma scarica…”
“E’ che sono molto stanco… tesoruccio e non mi sento proprio al meglio”, bisbigliò Sirius tra i denti, cercando di non mandarla amichevolmente al diavolo.
“Forse dovremmo fare un prova. Lascia che ti revisioni la pistola, ho qualche cartuccia speciale…”, ed il sorriso della donna era così indecente che Sirius rabbrividì e la scansò con le mani tese.
“E’ tardi, veramente molto, molto tardi.”
Quella crollò il capo sconfitta e ancheggiando uscì dal bagno dopo un: “Allora sbrigati, padroncino del mio cuore”.

Appena fu uscita corse alla porta cercando frenetico la chiave per sbarrarsi dentro.
Non c’era.
Sirius non si perse d’animo.
Per almeno un quarto d’ora voleva essere certo che quelle mani non potessero neanche sfiorarlo.
Spostò un basso mobiletto di legno, ingombro di biancheria sporca, boccette vuote e flaconi privi di etichetta fino alla porta. Non contento vi aggiunse nell’ordine: uno sgabello traballante del tutto privo di utilità, messo sopra a far massa, e un separé di vimini comprensivo di vestaglia appesa ad un angolo, incastrato per traverso a bloccare la maniglia.
Solo allora poté tirare un sospiro di sollievo.
Dannazione!
Dannato Merlino!
Voglio tornare a casa.
Voglio Severus.
Calmati.
Fare il moccioso non porta da nessuna parte.
Trasse un lungo respiro tremulo e si accinse a fare le sue abluzioni.
Sull’ingombro lavandino trovò quello che sembrava un pennello da barba.
La ricerca del rasoio fu più difficile.
Dopo varie ricerche lo trovò infilato in quella che sembrava una calza da donna, ma che si rivelò essere un paio di vecchi e ingialliti mutandoni di lana.
Chi diamine usa cose del genere?
Ebbe un moto di panico all’idea che poteva essere proprio lui.
O almeno quello di cui aveva preso il posto.
Merlino, cominciava a sentirsi confuso.
La crema da barba proprio non gli riuscì di trovarla, per quante incursioni in mobili, mobiletti, mensole e contenitori avesse fatto.
Rimpianse il suo kit magico da barba dei fratelli Grünschnabel e,con un altro sospiro, si accinse a compiere quel dannato lavoro.

Finito di lavarsi, col viso rigato di sangue che gli dava l’aria di un vampiro dopo il suo pasto mattutino, Sirius si accinse a vestirsi.
I jeans gli arrivavano appena sopra le caviglie.
Per quanto tirasse quella era la loro lunghezza, non c’era possibilità di fare altro e con l’accoppiata dei calzini bianchi, troppo corti, rimaneva scoperta una sottile striscia di pelle chiara su cui spiccavano i peli scuri.
Un orrore!
Quella canottiera, poi!
Era indecente.
Sperò che con la camicia la situazione migliorasse appena un poco.
Almeno un poco, per pietà.
Macché!
Al di sotto, si riusciva comunque ad intravedere quell’obbrobrio.
Tutto l’insieme veniva amplificato da quel disegno orrido che gli occupava mezza pancia.
Inutile metterla dentro i pantaloni.
Inutile camminare come qualcuno a cui hanno appena dato un pugno nello stomaco.
Quel disegno era grande.
Quel disegno era enorme.
Quel disegno spiccava con tutta la sua orrenda profusione di colori.
Sembrava vivo quel drago.
Che poi a dirla tutta, era disegnato anche male.
Non esisteva un drago così, Sirius ne era più che certo.
Quelle ali erano troppo piccole per poter sollevare in aria una mole gigantesca come quella.
Ma perché era lì?
Cosa ci faceva?
Aveva fatto del male a qualcuno?
Era una punizione divina?
Non aveva già pagato abbastanza?
Chissà se Severus lo stava cercando.
Chiuse gli occhi per riposare la vista e cercò di ricordare quello che aveva fatto la sera precedente.
Era con Severus.
Aveva montato una discussione con l’intento di poter far sesso, visto che Severus, dopo una bella litigata, era sempre ben disposto.
E stava bevendo dell’ottimo vino rosso.
Un po’ pesante, forse, visto che dopo essersi messi a letto erano piombati entrambi in un sonno profondo.
Non avevano fatto niente alla fine, Sirius ci poteva giurare.
Se lo sarebbe ricordato, anche perché aveva in mente un preciso giochino e certi suoi giochini non si scordavano facilmente.
Si guardò allo specchio, scoprendo sul viso devastato un sorriso sognante.
Sperò ci fosse occasione di farlo presto.
Basta, cerca di riflettere, Sirius!
Certo! Dumbledore!
Il vino lo aveva regalato a Severus quel maledetto vecchiaccio impiccione!
Sicuramente c’entrava lui in tutto questo!
Quel dannato non lo sopportava.
Le sue nere elucubrazioni furono interrotte dal crollo della sua fantastica barricata.
Precipitata miseramente per mano della donna che diceva essere sua moglie.
Con una semplice pressione di quel braccio ciccioso.
“Cucciolo d’oro, cosa hai combinato qui?”, esclamò la donna con tono civettuolo, “Oh, come sei sciccoso, amorino dolce!” la voce mielosa cominciava davvero a dargli sui nervi
Lui era abituato a ben altri toni.
Quelli di Severus, che di dolce non avevano neanche una briciola.
Quando lo chiamava calcava la S, tanto da sembrargli il sibilo di una serpe.
Era pur vero che la cosa lo eccitava.
Comunque non rispose.
Solo strizzò tra le mani il tubetto del dentifricio che, non avendo tappo, fuoriuscì a decorargli le già orrende scarpe di orrendi ghirigori bicolore.
“Dannazione”, si lasciò sfuggire.
La risatina di quella donna impossibile ebbe il potere di farlo rabbrividire.
“Forza, piccolo leoncino mio, ti acconcio i capelli”.
Si rassegnò e la lasciò fare.
Mai giorno era stato più lugubre di quello.

Quando varcò la porta della cucina il fiato gli si bloccò in gola.
A tavola stava seduto, dritto come un fuso, un bambino che già solo alla vista gli riuscì antipatico.
Aveva capelli neri leccati all’indietro e l’aria supponente.
Un paio di grossi occhiali quadrati sottolineava la sua impressione.
Una cravatta rossa gli strizzava il colletto della camicia bianca.
E aveva una bellissima giacca nera, lucida ed elegante, che Sirius gli invidiò alquanto.
“Buongiorno, il caffè è pronto”, disse l’ometto alzandosi in piedi e piegandosi in un leggero inchino, “ma ti prego, bevilo in fretta che siamo molto in ritardo”.
Anche il tono di voce era supponente.
Sirius si bloccò sulla porta.
Indicandolo con un dito chiese alla donna:
“Chi è quello?”
“Giuro che oggi non sei tu. Ma è Horatius, tuo figlio. Sei sicuro di stare bene, bambolo?”, e detto questo baciò in testa il ragazzino, ammiccò a Sirius ed uscì ancheggiando.
Sirius aprì e chiuse la bocca.
Se mai avesse avuto un figlio, primo, non l’avrebbe assolutamente chiamato con quel nome stupido; secondo, quello non avrebbe certamente assunto un aria così antipatica, da secchione borioso; terzo, come era possibile che da due esseri come loro potesse uscire un tipo del genere?
Tutto questo lo stava facendo impazzire, ma preferì star zitto.
Borbottò solo qualche parola incomprensibile portando la tazza alla bocca per gettarla subito in terra, aumentando a dismisura le decorazioni delle sue scarpe.
“Merda, è bollente!”, sbottò scartando all’indietro, “merda, merda, merda!”
“Non si dice, papà! E’ una brutta parola che devi cancellare dal tuo vocabolario”.
La luce assassina dei suoi occhi non bastò a far star zitto quell’odioso ragazzino.
“Il maestro Snape ce lo ripete sempre!”.
Stava per dirgli cosa ne pensasse di tutto questo, sollevando i pugni, quando la parola Snape gli brillò nella mente come un faro accecante.
“Severus Snape?”, chiese tremante.
“Ma certo, papà. Il mio maestro”, annuì quello inspirando dal naso.
Se il cognome poteva essere un caso, quel nome no.
Assolutamente no.
“Dammi il suo numero di telefono, Orson!”

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Prima di tutto mi scuso per il mostruoso ritardo con cui aggiorno questa fic. E' che sto veleggiando in altri lidi, altri fandom mi tirano fuori storie a ripetizione e HP passa un poco in secondo piano.
Ma la finirò di certò.
Non sono abituata a lasciare le storie in sospeso.
Mi macero dai sensi di colpa!
Quindi ringrazio tutte voi per i complimenti, Aska, felice di divertirti; grazie anche a te, Piccola Vero, spero di continuarla presto; Elisahq, non temere! Severus è solo di Sirius, di nessun'altro! XD Grazie.
E spero presto con la prossima!

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Capitolo 6
*** 2. ***


NDA: Non ci sono scuse. Sono in netto ritardo, lo so.
Ma il fandom di HP mi è divenuto ostico a livelli inenarrabili. Comunque non sia mai che lascio una storia incompleta. Mi tormenta negli incubi e mi impedisce di scrivere serenamente il resto. XD
Quindi eccomi qui, con l’intenzione di terminarla il prima possibile.
Mancano quattro capitoli alla conclusione ed ho già cominciato a scriverli conscia delle ondate di disapprovazione di quanti leggono la mia storia.
Abbiate solo un altro po’ di pazienza.
Voglio davvero finirla.
Una comica ha bisogno di molta, moltissima attenzione o si rischia di fare una cosa raffazzonata.
Mi impegno a completarla entro l’anno.
E se non riesco, che mi prenda un crampo alla mano! XD
Grazie a tutte e buona lettura.
P.S. Le risposte ai vostri commenti a fine capitolo.


3.

“Allora Severus, sono veramente, ma veramente tanto seccato”, disse tranquillo Remus al telefono.
Sorrideva perfino allo specchio che aveva di fronte, dondolando mollemente la cinta del suo accappatoio - morbido, molto morbido. – mentre Elvira (doveva essere lei. Un donnino rotondo con una massa di riccioli neri chiusi in una retina), molto affaccendata, entrava ed usciva dal bagno portando tutta una serie di asciugamani, tutta una varietà di bagnoschiuma, tutto un trionfo di perle da bagno…
Mise una mano sulla cornetta e con l’altra bloccò la corsa della donna.
“Non si sogni di mettere altro che acqua nel mio bagno, Elvira. Se solo vedo nella vasca un accenno di schiuma o sento nell’aria odore di fiori, posso diventare molto sgradevole”, gli disse con un ampio sorriso. “Una bestia, gliel’assicuro”, aggiunse annuendo col capo.
Quella assentì con vigore, gli occhi già sporgenti di natura assunsero una conformazione preoccupante.
“Una normale pezzo di sapone andrà benissimo”.
Senza degnarla di un ulteriore sguardo tornò ad occuparsi di Severus. “Cosa sta succedendo?”
“Non ne ho la più pallida idea”, gli rispose quello. “Deve entrarci in qualche modo Albus. Almeno credo…” Severus si interruppe. “Cosa diavolo vuole?”, lo sentì tuonare.
“Volevo mostrarvi una cosa, capo. Pensavo che aggiungendo ogni tanto una mattonella come questa, poteva venire fuori una cosa più elegante, più fine… che ne dice?”.
Remus non sentì la risposta di Severus.
Solo una serie di colpi e un guaito e poi un lungo sospiro rassegnato.
“Ti dai alle ristrutturazioni?”, gli disse.
“Senti, Remus, non so come uscirne fuori. Non ora. Tanto dobbiamo vederci. Da quello che ho capito dobbiamo portare al cinema un gruppo di mocciosi. Parleremo a quattrocchi. Altro non posso dirti… Ma cosa vuole ancora?”
“Capo, mi dispiace seccarvi, ma che ne dice di questa? I Gigli gialli potrebbero intrigarvi di più?”
Remus chiuse la comunicazione sospirando.
A quanto pare stavano entrambi sulla stessa barca.

Quando entrò in bagno il profumo lo colse a tradimento, tanto che barcollò come se avesse preso un pugno sul naso.
Poi vide Elvira sobbalzare e stringere tra le mani una boccetta sospetta.
“Cos’è?”, chiese Remus assottigliando gli occhi e scoprendo i denti.
Quella scosse il capo nervosamente lasciando dondolare alcuni ricci che le erano scappati dalla retina.
Remus si avvicinò a lei e le ghermì i polsi, costringendola ad aprire i pugni.
La boccetta rotolò in terra e si fermò contro una delle gambe della vasca scolpita a forma di zampa.
Carina, fine!
La raccolse tra le mani e lesse costernato la scritta.
Essenza di violetta.
“L’ha versata?”, chiese alla donna tremante rendendosi conto di avere una nota stridula nella voce. “Maledetta! Gliel’avevo proibito!”
“Solo tre gocce…”, esalò quella. “Come mi ha detto sempre. Non si scordi mai delle mie gocce di violetta o sarò costretto a punirla! Così m’ha detto! Io eseguo solamente.”
“Ma se le ho proibito…”, inveì per poi interrompersi.
Quella si era eretta con fierezza, spingendosi i ricci ribelli nella retina.
“Quello che mi ha detto oggi non conta, caro lei!”, disse sbrigativa.“Quello che conta sono le disposizioni giornaliere che si è premurato di scolpirmi sul muro. Sono stufa dei suoi atteggiamenti lunatici. L’ho vista che era un frugolo di neanche due chili. Quindi non si permetta più di spaventarmi”.
Ciabattò verso la porta con passo spedito e si volse di nuovo furente. “Le paperelle di gomma sono sulla mensola sopra la vasca!”, disse sprezzante e uscì sbattendo la porta.
Remus ebbe quasi la certezza di star facendo un sogno psichedelico.
Il profumo asfissiante non aiutava a calmare la mente.
“Come diamine sono finito in quest’incubo?”, pensò mentre afferrava la cordicella del tappo e lasciava defluire l’acqua dalla vasca.
“Pensa, Remus, pensa…”
Volse il viso intorno e intuì che forse quella stanza era l’unica cosa che aveva arredato il Remus alieno.
Era di un pacchiano da far battere i denti dal raccapriccio.
Tutto un trionfo di stucchi dorati.
Puttini obesi, fiori gravidi di petali e foglie, complessi arabeschi.
Il tutto a decorare soffitto e pareti ed era talmente carico da dare l’impressione che potesse staccarsi da un momento all’altro.
“Una doccia veloce, per l’amor di Godric!”, pensò frenetico sentendosi osservato.
Ci mise quasi mezz’ora a cercare una saponetta che non fosse o mughetto, o genziana, o rosa, o peggio ancora gelsomino, ma semplice latte.
Era stipata dietro quelle che parevano scorte per la pulizia di un intero battaglione di Auror.
Mentre si insaponava velocemente cercò di far mente locale sulla sera precedente.
Leggeva, e su quello nulla di nuovo.
Il libro era un interessante romanzo simil-horror di uno scrittore sconosciuto che però evidentemente, aveva il merito di catturare l’attenzione, perché non aveva udito Albus picchiare leggero all’uscio e se l’era trovato accanto all’improvviso.
Alto come la morte, silenzioso, s’era chinato a leggere sopra le sue spalle (cosa che odiava), con gli occhiali a mezzaluna sghembi sul lungo naso impiccione.
Aveva tirato fuori dalla gola un verso sfiatato ed era certo che con quel verso gli fosse spuntato fuori qualche altro capello bianco.
Gli aveva chiesto garbatamente che volesse, quando in realtà gli avrebbe volentieri azzannato il naso.
“Ti ho portato un pensiero, caro Remus”, e gli aveva teso una scatola di cioccolatini al Rhum. I suoi preferiti.
Se c’era una cosa a cui non sapeva rinunciare era il ripieno di quei cioccolatini.
“Grazie”, aveva risposto brevemente, desideroso di tornare alla lettura.
Albus l’aveva salutato con uno svolazzo delle dita e un sorriso che adesso gli riuscì chiaramente di identificare.
Astuto e sornione.
Tutti.
Li aveva mangiati tutti ed ecco… Si era svegliato in questo posto da incubo.
“Dannazione, Albus deve avere un ottimo motivo per questa follia. Deve!”
La doccia fu una questione di un secondo.
Il sentore di violetta aveva riempito ogni cosa e pareva emanare da ogni poro della pelle, sebbene si fosse premunito di eliminare qualsiasi traccia di quell’essenza dalla vasca con ripetuti risciacqui.
Si guardò infine allo specchio meditando di recidere quei disgustosi baffetti con un colpo di rasoio ben assestato, ma non poteva resistere lì dentro un minuto di più.
Aveva provato inutilmente ad aprire la finestra, ma pareva cementata.
Poi aveva scorto un cartiglio saldato su una delle ante.
Arieggiare il locale solo dalle 10!!!!!!
Un vero e proprio fan dei punti esclamativi.
“Ma per quale diavolo di motivo, poi?”, pensò inutilmente.
Scoprì di non volerlo sapere.

Uscì precipitosamente, e solo l’indossare quegli ottimi abiti lo calmò un po’.
Trovare il luogo dove era stata servita la colazione fu questione di secondi.
Il profumo della pancetta e del caffè gli aggredì le narici e da quello si fece guidare.
La donna che diceva di essere sua madre era seduta ad una lunga tavola e sorseggiava elegantemente da una tazzina da tè.
“Eccoti, finalmente”, disse frantumando un biscotto con la sua candida dentatura da squalo.
Remus si sedette, e subito una cameriera comparsa dal nulla gli mise di fronte un piatto abbondante di uova con pancetta e una tazza di caffè nero.
Poi gli versò un bicchierone di succo d’arancia.
“Sei leggermente in ritardo, figlio. Dovrai affrettarti. Sai che Severus ti ha pregato di essere sul posto puntuale, visto che era probabile ritardasse per via dell’operaio per il bagno”, biascicò la donna continuando a triturare biscotti.
Remus la guardò con un lieve sorriso, annuendo ai punti giusti e mangiando a quattro palmenti.
Non aveva la minima idea di quale fosse il luogo, ma per ora non se ne preoccupava.
Aveva fame e quando aveva fame tutto passava in secondo piano.
La donna lo guardava lievemente disgustata osservandolo spalmarsi una quantità esagerata di burro su una fetta di pane tostato.
“Sei veramente nauseante. Dirti che assomigli a una grossa oca in salmì sortirebbe qualche effetto?”, bisbigliò soffiando fuori una profusione di briciole.
Mentre si stava imburrando la terza fetta di pane la vide scattare su come una molla e afferrargli il braccio armato di coltellino con una mano che pareva una morsa.
Con una forza sovrumana riuscì a spingerlo in piedi e la fetta volò attraverso la stanza afferrata con tempismo dalla cameriera.
“Ora basta. E’ tardi.”, tuonò la donna.
Gli spazzolò con energia il completo con le sue manone e lo sospinse verso la porta d’ingresso dandogli colpi feroci dietro la schiena.
Sulla soglia gli depose tra le mani una ventiquattrore, sotto il braccio il Times e sul naso un bacio umido e appiccicoso.
“Hai fortuna che il cinema è solo a due passi, caro il mio grassottello!”, gli disse la donna con amore materno.
Lo spinse fuori dalla porta senza cerimonie e Remus di ritrovò in strada senza aver capito esattamente come.
Sospirò.
“Cerchiamo questo dannato cinema…”, sbuffò prima di incamminarsi desolato per la via.


Ed eccomi a rispondere ai vostri commenti.
Ci provo, Piccola Vero, ci provo. Grazie. È che voglio fare un buon lavoro; Ciao Mixky, che bello ritrovarti anche qui. ^^ Sì, me lo sono preso come impegno. Questa storia è la mia spina nel fianco. Grazie; Rieccomi dopo svariato tempo, Elisahq, e con il capitolo di Remus. Spero apprezzerai. La moglie di Sirius mi diverte e mi diverte mettere nei guai il povero Sirius. Sono un po’ sadica. Di solito lo sono con i miei personaggi preferiti; Aska, me lo immagino benissimo anche io e non è un bell’immaginare! XD Grazie; Ecco aggiornato, Valery Ivanov. Sono contenta ti diverta. XD Ho tutta la trama in testa. E’ che metterla su pc è un lavoro un po’ più complicato, ma giuro che la finirò.

Grazie di nuovo a tutte e giuro che non vi farò attendere più così tanto tempo.
Sono mortificata.
Boll

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