L'assassina del Club Flaubert

di Artemis Hide
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ... ***
Capitolo 2: *** ... ***
Capitolo 3: *** ... ***



Capitolo 1
*** ... ***


Un grazie a Sebastiano Theus, autore fantastico ed insostituibile spalla, nonché orecchio (ma possiede anche tutto il resto del corpo, davvero): il tuo supporto è più che prezioso.




L’assassina del Club Flaubert

 

 

Watson si mosse a disagio all’ennesimo gemito che attraversò le pareti. Il letto cigolò ambiguamente sotto di lui, mentre parole che non avrebbe mai osato nemmeno pensare seguivano quei lamenti spingendolo a fissare la punta delle proprie scarpe con crescente ostinazione.
Holmes fumava la pipa appoggiato contro il muro, lanciando di tanto in tanto un’occhiata all’orologio o sporgendosi nello spiraglio della porta. Sembrava non badare a quei rumori, anzi, per la verità pareva persino non udirli, cosa che, se possibile, faceva innervosire Watson ancora di più. Si allentò di poco la cravatta resistendo all’impulso di toglierla come aveva fatto col il gilet ed arrotolando, invece, ulteriormente le maniche della camicia. L’aria in quella stanza era calda, soffocante, impregnata dell’odore dolciastro dell’acqua di colonia e del sesso. Se si toglieva l’elegante arredamento e l’innegabile gusto dei quadri, quello non era un bordello diverso dagli altri.
Un ultimo inequivocabile grido ribadì la buona riuscita dell’incontro ed Holmes lo accolse con un ghigno ed una battuta che lo fece arrossire fino alla punta dei capelli. Si alzò di scatto, esasperato.
- Santo cielo, Holmes, mi vuole dire cosa ci facciamo qui?! - sbottò, sperando che il suo tono non tradisse l’imbarazzo - È più di due ore che aspettiamo in questa stanza e Dio solo sa quanto io ne abbia abbastanza! -
Holmes lo guardò come se lo vedesse per la prima volta.
- Mi pare più che chiaro, Watson, stiamo risolvendo il caso del ladro-assassino di XXX- rispose tirando una lungo boccata di pipa.- E lo cerchiamo al Club Flaubert? -
- Tutti gli indizi portano a quest’unica ed inequivocabile soluzione, mio caro dottore. -
- Sappiamo solo che quattro ricchi esponenti della borghesia, che peraltro non si conoscevano, sono stati ritrovati nel quartiere di XXX uccisi, pugnalati alla schiena e derubati di ogni oggetto di valore a poche vie di distanza l’uno dall’altro. Sappiamo che gli omicidi sono avvenuti a circa due o tre mesi di distanza l’uno dall’altro e solo ora son stati collegati. E sappiamo che l’assassino è un uomo, un uomo, Holmes! E un ladro.-
- Ma sappiamo anche che tutti loro hanno frequentato il Club Flaubert. Questo non Le basta a mettere insieme i pezzi? -
- Mezza Londra lo frequenta, praticamente chiunque possa permetterselo. -
- Ma solo alcuni possono vantare il loro ultimo appuntamento in vita con Lady Isolde e questi sono i nostri defunti signori -
- E Lei come…? -
- Ho avuto il permesso si sbirciare nel registro personale di Madame Bovary mentre fingevamo di registrarci al bancone. Sapeva che saremmo venuti. Quando l’ho informata del caso, e della sua soluzione, ha deciso di permetterci accesso e libertà d’azione, a patto che le fornissi tutte le indicazioni necessarie a farle salvaguardare il club. Donna saggia, decisamente. E con un gran senso degli affari… Insomma, Watson, non si è chiesto come mai nonostante l’aspetto palesemente fuori luogo non ci siano state fatte domande ne chiesto alcun pagamento? Adesso per favore si sieda e La smetta di parlare ad alta voce. Non ci rimane molto tempo e c’è più di una cosa che deve sapere. -
L’altro restò un attimo a fissarlo in silenzio, indeciso se prenderlo a pugni o obbedirgli. Alla fine sospirò, tornando ad accomodarsi sul letto. Trovarsi lì era la cosa più assurda che gli fosse capitata.
Il Club Flaubert era uno dei più conosciuti a Londra, ma anche dei più inaccessibili. Di facciata, non era altro che un club letterario, dove i gentiluomini londinesi più abbienti potevano trascorrere qualche serata a discutere di economia e di politica lontano dal popolo volgare, bevendo scotch servito da belle ragazze. Ma in realtà c’era molto di più. Per una somma più o meno alta, ognuna delle ragazze poteva diventare un’acuta compagna di conversazione o, al piano di sopra, una compagna di qualche ora. La mezzana, Madame Bovary, gestiva le sue ragazze con la migliore accortezza in modo che fossero pronte a sostenere qualunque discorso e, si sussurrava, qualunque fantasia dei suoi avventori. Ogni dettaglio era ispirato all’eleganza e alla moda più fine, perfino le fanciulle avevano un nome d’arte che richiamava alla letteratura o alla lirica. Solo i più abbienti potevano frequentare quel posto e non tutti potevano permettersi di trascorrere più di un’ora di conversazione con loro. Era un luogo unico.
- Posso almeno essere messo a parte delle sue brillanti deduzioni? - chiese sarcastico.
Holmes parve non cogliere l’ironia - Ma naturalmente - disse spegnendo la pipa.
- Per cominciare cosa l’ha portata qui? - iniziò il dottore mentre lui si accomodava al suo fianco, le gambe accavallate e un sorrisetto irritante in faccia - E, secondo, sa come provarlo? Spero per Lei che la polizia sappia ciò che sta facendo, perché se qualcuno ci denunciasse saremmo… -
- Una questione per volta, Watson - lo interruppe il detective - come le ho detto il tempo a nostra disposizione non è molto, quindi sarò breve. Da qualche tempo mi ero convinto che sotto questi assassinii ci fosse più che il semplice furto finito in omicidio e non mi ci è voluto molto per risalire a questo club d’alto borgo. Ho scoperto che ognuno di quei gentiluomini ne era un frequentatore e successivamente che, morendo, la loro consorte ha ereditato una somma più che discreta. Così pochi giorni fa mi sono travestito e presentato da ognuna delle signore ed ho avuto la conferma dei miei sospetti: sapevano delle frequentazioni del marito. Il quadro si è fatto ancora più chiaro quando Lei, proprio l’altro giorno, mi ha confermato che l’arma del delitto era la stessa in tutti i corpi e che l’aggressore doveva essere una persona forte, abituata a trasportare pesi. Un marinaio, con ogni probabilità! Le fibre di tela di sacco che ho trovato impigliate ad uno dei bottoni della vittima riesaminando i corpi hanno tolto quasi ogni dubbio. Mi è bastato parlare con Madame per poterli fugare del tutto. -
- Interessante, ma non mi ha ancora detto cosa c’entra l’assassino con questo posto. -
- L’assassina è Lady Isolde -
- Ma ha appena detto che era un…! -
- Insieme a suo fratello. -
- Cosa?! Holmes la smetta coi giochetti, questo è assurdo. -
- Au contraire, dottore. È perfettamente logico e sequenziale, mi troverei quasi ad ammirarlo nella sua semplicità, se non avesse causato dei morti. Partirò dal principio: ogni ragazza, come sa, serve ogni sera ai tavoli finché la sua presenza non è richiesta a un tavolo o in camera. Ognuna di loro osserva e cerca i clienti più ricchi da sedurre e di ciò che guadagna una parte va a Madame, un’altra la tiene per sé. Ma una di loro si è fatta più furba e ha capito che poteva avere di più, parecchio di più. Watson, Lei sa quanto uno scandalo possa mandare in rovina una famiglia? O, nello specifico, quanta infamia procuri alla moglie tradita? Ora provi a pensare che, un giorno, una di queste giovani bussi ad una casa e affermi che il marito è solito frequentare il bordello in cui lavora. All’inizio verrà insultata, forse cacciata, ma alla fine sarà inevitabile: la moglie vorrà delle prove. E lei saprà dargliene. Immagini per un secondo quanta rabbia possa seguire a quella scoperta. Che fare quindi? Far uscire la storia significherebbe uno scandalo e certamente la moglie finirebbe ripudiata dal marito furente, infamata a vita e forse costretta a vivere di stenti… Ma la ragazza ha già una soluzione: l’omicidio. Sarà lei a sedurre e poi uccidere il marito, facendolo sembrare un incidente, un semplice furto andato storto. Per una somma cospicua, vendicherà la moglie tradita e le assicurerà gli agi dell’eredità senza alcuna ritorsione. Quale donna non accetterebbe? Ovviamente la nostra ragazza non è sola. È lei ad organizzare tutto, ma la mano che li uccide è quella del fratello. È un marinaio, probabilmente sbarcato qualche mese fa da una di quelle navi francesi attraccate nel porto. Esattamente poco prima che iniziassero gli omicidi. Con ogni probabilità ha un nascondiglio nella sua camera, guarda caso la più vicina all’uscita di servizio. Arrivato l’ospite, con la sua complicità lo uccide per poi liberarsi del cadavere attraverso l’uscita secondaria usata dalle ragazze o dagli avventori che non vogliono essere visti scendere dopo un incontro. In questo modo sono già riusciti ad accumulare una bella somma e ho motivo di credere che a breve tenteranno la fuga sulla stessa nave su cui lui è arrivato. Per questo dobbiamo fermarli stanotte. -
Watson lo fissava sorpreso e, suo malgrado, sinceramente ammirato. Nonostante tutto quel tempo, c’era sempre qualcosa di sorprendente nel modo in cui Holmes metteva insieme i pezzi, sommava i dettagli e li ricuciva in un’unica trama innegabilmente logica. Era qualcosa di inspiegabile, affascinante, qualcosa a cui, malgrado tutto, sapeva che non sarebbe riuscito a rinunciare. Improvvisamente quel pensiero lo mise a disagio.
Si affrettò ad annuire, tossendo per dissimulare l’imbarazzo.
- Quindi come pensa di agire? -
Lo sguardo del detective si illuminò, come se non aspettasse altro che quella domanda.
- Il piano è semplice, mio caro Watson. Aspetteremo che Lady Isolde, attualmente in servizio di sotto, salga col suo ultimo cliente. Le ho lasciato un biglietto, circa mezzora fa, in cui ho scritto che so tutto e voglio incontrarla per parlare del suo piano. Appena sarà entrata in camera io scenderò in sala spacciandomi per un avventore e quando tornerà lascerò che mi porti nelle sue stanze. Fingerò di lasciarmi sedurre e abbassare la guardia così che lei dia il segnale al fratello per uccidermi ed è allora che interverrà Lei, dottore. -
- E in che modo? -
- Rimarrà appostato qui e quando mi sentirà salire si accosterà alla porta e terrà d’occhio la situazione intervenendo al momento opportuno per aiutarmi ad incastrare quei due. La camera è esattamente di fronte alla nostra: un’ottima base d’osservazione oltre che un’eccellente copertura. Il fatto che il Club Flaubert affitti anche qualche stanza è un impareggiabile vantaggio per noi! Il nostro arrivo non ha dato nell’occhio e da qui possiamo attendere senza il pericolo di essere disturbati…e nel caso ci fingeremo due amanti. -
- C-che cosa?! - Watson lo fissò, stralunato. Sapeva cosa davano l’impressione di essere, in due in una stessa camera – di un bordello per giunta! –, ma sentire quelle ultime parole pronunciate quasi con naturalezza gli avevano stretto lo stomaco.
- Ma come può anche solo insinuare una possibilità del genere! - gridò, alzandosi di scatto -  Sa cosa accadrebbe se qualcuno interpretasse davvero male questa situazione e ci denunciasse? Sa cosa succede a chi viene sospettato di… -
- Non si scaldi, so benissimo che è un rischio. Ma la polizia è già stata informata.  Sanno che siamo qui e faranno irruzione verso mezzanotte, in tempo per arrestare i due colpevoli. Ho promesso che avrei dato loro il ladro-assassino di XXX senza che muovessero un dito se non per raccogliere la gloria finale, come sempre. E questo club non è la prima volta che ospita uomini a quanto pare, non ha di che preoccuparsi. -
- Non ho di che preoccuparmi? Lei sa pensare solo a se stesso o ai suoi casi! Mi ha trascinato qui senza dirmi nulla e ora addirittura se ne esce con la possibilità che noi ci fingiamo… - non riuscì a dire la parola e si trovò ad annaspare qualche secondo prima di riprendere - Se Mary sospettasse anche per un solo secondo cosa sto facendo non mi rivolgerebbe più la parola. O peggio se lo scoprisse qualcun altro, la mia carriera sarebbe compromessa per sempre. Se il suo piano non funziona… -
- Quante volte? - chiese all’improvviso.
Watson si bloccò, restando interdetto. - …cosa? -
Holmes lo guardava serio, le iridi scure puntate su di lui con una fermezza che lo scosse.  Sembravano terribilmente profonde e, per un attimo, temette di caderci dentro.
- Le ho chiesto quante volte - ripeté lui, pacato. - Quante volte un mio piano non ha funzionato? Quante volte l’ho coinvolta senza davvero sapere che ne saremmo usciti, secondo Lei? Mi ritiene così privo di scrupoli? -
L’altro rimase fermo, colpito dal tono così grave e in qualche modo ferito del proprio compagno. Stava per rispondere quando una porta in corridoio si aprì. Sentirono distintamente un uomo, sicuramente un po’ brillo, lanciare un complimento osceno alla propria accompagnatrice e quella indicargli senza troppe cerimonie la porta in fondo al corridoio da cui accedere alla scala di servizio. L’uomo si avviò con passo incerto, sostenendosi al muro ogni tanto. Lo sentirono avvicinarsi, forse troppo, e poi la ragazza gridargli ‘Non quella porta, quella dopo!’. Si fissarono terrorizzati, senza avere il tempo di dir nulla, mentre una mano sbatteva contro il legno della porta cercando la maniglia. Fu un istante.
La maniglia si abbassò e Holmes afferrò Watson per la cravatta attirandolo sopra di sé con forza, cadendo entrambi sul letto mentre la porta si apriva e lui gli serrava le labbra con le proprie.
Fu qualcosa di completamente inaspettato, la paura e subito dopo il trovarsi l’uno contro l’altro. L’uomo fece un passo in avanti, ancora ignaro dell’errore e Watson si divincolò impulsivamente, ma Holmes trattenne. Lo sentì cedere contro le proprie labbra e d’istinto approfondì il contatto, ignorando tutto ciò che non fosse il compagno sopra di sé. Watson sentì appena il verso sbigottito dell’avventore sulla porta e le sue sciocche scuse prima di fuggire, troppo preso dal modo in cui il suo corpo si era teso rispondendo istintivamente al quel bacio come se lo aspettasse, al modo in cui sentiva il sangue andare alla testa e poi scendere giù in basso. La porta si richiuse dietro di loro con un tonfo sordo, ma nessuno dei due vi badò. Si staccarono qualche secondo dopo, ansimanti, il corpo che pretendeva aria e il cuore che batteva all’impazzata.
Il detective allentò la presa sulla cravatta, cercando i suoi occhi, e Watson fremette quando si incontrarono. Distolse immediatamente lo sguardo, scostandosi.
Si alzò in piedi cercando di ricomporsi, ma ogni movimento gli pareva legnoso e innaturale: stentò a riconoscersi.
- Lei…è impazzito! C-che cosa Le è preso? - gridò - Si rende conto di quello che ha appena fatto? -
Holmes si sedette, guardandolo con una calma tradita solo dai capelli scompigliati e dal leggero ansimare - Ci ho appena salvati entrambi, mi sembra. -
- Salvati entrambi? Un uomo è appena entrato nella nostra stanza e ha visto… -
- Cosa? Due uomini di schiena che potevano essere chiunque, due uomini che i suoi occhi di ubriaco hanno fatto appena in tempo a mettere a fuoco prima che la sua sciocca pruderia borghese lo facesse scappare senza badare a nient’altro. Io ci ho protetti, Watson che le piaccia o no. E non pensavo che una cosa del genere l’avrebbe sconvolta tanto. -
Le ultime parole risuonarono in un accento quasi doloroso, impossibile da non cogliere. Ma Watson non voleva ascoltarlo, non poteva: aveva bisogno di tutto il suo buon senso ora e se l’avesse di nuovo ascoltato, se l’avesse guardato di nuovo forse non sarebbe riuscito a recuperarlo.
- La smetta! La smetta, Holmes, Lei non ha nessun diritto di dire una cosa del genere. Gioca con la mia vita come farebbe con la propria ed io ogni volta glielo permetto! Ma ora ha passato il segno io… -
In quel momento altri passi si avvicinarono distintamente, facendolo ammutolire. Udirono una voce delicata parlare in tono sommesso e la porta di fronte alla loro aprirsi e chiudersi. Capirono immediatamente: Lady Isolde era entrata nella sua camera, era il momento di agire.
Calò un silenzio imbarazzato. Improvvisamente sembrarono ricordare entrambi dove si trovavano e per quale motivo, come se quella parentesi avesse tolto loro la percezione del mondo esterno.
Holmes si alzò senza una parola. Aggiustò le maniche della camicia, ri-indossò la giacca aggiustando il colletto, per poi passarsi rapidamente una mano tra i capelli. Si diresse verso la porta mettendosi in tasca la pipa. Solo allora si voltò verso il suo compagno.
- È evidente che al momento si sente troppo compromesso per lavorare con me. Ma io ho un caso da risolvere e andrò fino in fondo. Anche senza di Lei, Watson. Se ha bisogno sa dove trovare le scale di servizio. - Sospirò, prima di aggiungere - Ammetto che la facevo meno ‘borghese’. La sua Mary deve averla istruita davvero bene. -
Uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Qualunque cosa provasse, doveva lasciarsela dietro e tornare al suo lavoro. Imboccò le scale per il salone principale senza voltarsi indietro; finse solo di aggiustarsi il colletto e, per un secondo, lasciò che le dita gli accarezzassero le labbra.

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Capitolo 2
*** ... ***


Watson rimase immobile, guardando la porta chiudersi dietro il suo collega. Poi con un gemito frustrato si accasciò sul letto. Prese la testa fra le mani sforzandosi con tutto se stesso di pensare, di chiarire quella massa di emozioni che sentiva vorticare dentro e serrargli lo stomaco. Si sforzò di respirare in modo regolare. Era chiaro che l’intera situazione l’aveva esasperato e, probabilmente, quel ba… quello che aveva fatto Holmes era la cosa più logica. Forse era il luogo ad averlo suggestionato, non era stato nulla più che un’azione di copertura, per quanto scioccante. Ma perché non riusciva a convincersene del tutto? ‘Perché, caro John Watson’, disse la sua coscienza ‘sai benissimo che è andato oltre la semplice farsa dell’occasione. Lui ti ha baciato. Ti ha baciato davvero, e tu lo sai. Tu hai risposto’. Scosse la testa, scacciando quell’insulsa vocina. Anche il solo pensiero di provar qualcosa di più che attaccamento da camerata per Holmes lo scuoteva profondamente. Era pericoloso, quasi quanto lo era il suo collega, era assurdo! Holmes era scostante, trasandato, completamente privo di senso comune ed incapace di gestire i rapporti umani. Lo esasperava fino allo sfinimento e non sapeva far altro che cacciarsi nei guai in continuazione o distruggergli l’appartamento. Però era anche geniale, unico e, per qualche assurdo motivo, si fidava ciecamente di lui al punto da affidargli la propria vita. E c’era qualcosa nei suoi occhi che riusciva a smuoverlo ogni volta, per quanto assurda fosse la richiesta, per quanto improbabile, per quanto spericolata. Gli bastava guardarlo e, presto o tardi, lui cedeva. Inevitabilmente.
Si chiese se sarebbe successo anche quella volta e un brivido gli corse lungo la schiena.
Poi udì dei rumori nel corridoio. I suoi sensi di soldato presero il sopravvento. Distinse chiaramente i passi di due persone e li isolò in mezzo a tutti gli altri provenienti dalle camere e dal piano di sotto: quelli di una erano leggeri e aggraziati, quelli dell’altra più pesanti e cadenzati, per lui inconfondibili. Li sentì avvicinarsi; una porta si aprì e si chiuse dietro di loro. D’istinto balzò in piedi, prendendo la pistola pronto ad agire. Poi si bloccò.
Era davvero quello che voleva fare, rispondere ancora una volta al piano di Holmes? Era ancora in tempo per prendere le sue cose e andarsene, mandarlo al diavolo per una volta, dimostrargli che non poteva usarlo a suo piacimento. Se la sarebbe cavata come sempre, di certo aveva già calcolato tutto. Probabilmente aveva anche un piano di riserva. Per un attimo accarezzò davvero l’idea: uscì in corridoio e si incamminò verso la porta che dava all’uscita, come per sfida.
Fece solo qualche passo. Poi imprecò e tornò indietro.
Si maledì per la propria incapacità di lasciarlo perdere. In ogni caso, decise, non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederlo cedere così palesemente, no, nemmeno per sogno! Avrebbe controllato cosa succedeva, proprio come previsto, ma sarebbe intervenuto solo se ce ne fosse stato davvero bisogno. In alternativa avrebbe comunque fatto in tempo ad andarsene prima che lo vedesse.
Attento a non fare rumore, si avvicinò alla porta. All’interno si udivano delle voci sommesse.
Controllò il corridoio per essere certo che non lo vedesse nessuno, ma stranamente sembrava deserto. Tanto meglio.
Ad uno sguardo attento, notò che la porta in realtà non era stata chiusa, lo sembrava soltanto: qualcosa aveva bloccato il meccanismo per permettere di scostarla senza fare rumore: di certo opera di Holmes. Con cautela la tirò verso di sé aprendone uno spiraglio. La moquette rese lo spostamento perfettamente silenzioso.
Gettò una rapida occhiata alla stanza: era elegante, dai colori caldi, con un grande letto poggiato sulla parete di fronte e poco più indietro, ai lati, rispettivamente un enorme paravento decorato ed un grande armadio a muro dal legno pregiato. Holmes sedeva sopra ad un baule ai piedi del letto rivolgendosi verso la parete, apparentemente parlando con nessuno.
- …e come Le ho detto, non sono il tipo che accetta qualunque compromesso - stava finendo di dire, la bocca atteggiata a un lieve sorriso sornione.
Da dietro il paravento venne una risata, musicale e delicata come Watson non ne aveva mai sentite.
- Non ne dubito Mr. Holmes - disse soavemente la voce a cui apparteneva, e il dottore fu certo che non potesse appartenere che ad una creatura bellissima, la più bella che riuscisse a immaginare.
Una mano dalle dita affusolate comparve appoggiandosi al legno decorato e una figura uscì da dietro il paravento, con un movimento simile ad un passo di danza. Watson trattenne il fiato: la fanciulla doveva avere poco più di vent’anni ed era di una bellezza incredibile, alta e flessuosa, dagli occhi color cielo e i capelli biondi. Pareva una di quelle visioni sacre usate per ritrarre la natura. Era di una sensualità particolare, quasi virginea eppure terribilmente seducente ed esperta.
In quel momento era vestita solo con un bustino bianco, ricamato, lungo poco oltre i fianchi, da cui spuntavano un paio di piccoli fermagli a trattenere delle lunghe calze bianche che coprivano le gambe snelle fino ad un paio di stivaletti coi tacchi scuri. Era una vista che toglieva il fiato.
Avanzò lentamente verso il detective, sorridendo di rimando - Tuttavia, vorrei che ascoltasse la mia proposta prima… -
Si fermò a pochi centimetri da lui e solo allora Watson si accorse che non aveva più addosso la giacca, che giaceva abbandonata sul letto.
- La ascolto - mormorò lui accattivante.
Lei si avvicinò ulteriormente fino a scivolare sopra le sue ginocchia, sedendosi delicatamente.
- Vede, Mr. Holmes, io non sono cattiva - disse piano e la sua voce risuono di un’innocenza perfetta mentre con le mani gli accarezzava lievemente il colletto della camicia - e vorrei tanto dimostrarglielo. Ha detto tante cose brutte su di me e questo mio…fratello, ma come vede in realtà siamo soli qui…soli Lei ed io, proprio come dovremmo essere. -
Le ultime parole si caricarono di sensualità, mentre con le mani slacciava alcuni dei bottoni della camicia per sfiorare sotto e Watson vide distintamente il suo compagno sospirare e appoggiarle le mani sui fianchi, accarezzandola fino alla schiena per raggiungere i lacci del bustino. Lei gemette piano e prese a baciargli il collo facendogli spingere d’istinto la testa all’indietro mentre la attirava possessivamente a sé con un trasporto che il dottore non gli aveva mai visto.
Si trovò improvvisamente con la bocca completamente secca. In tutti quegli anni aveva imparato a conoscere ogni lato di Holmes, ma soltanto ora si rendeva conto di non averlo mai visto in un momento di intimità. Lo colpì l’impressione netta di quanto potesse essere appassionato, sensibile con quelle mani abituate di solito a maneggiare armi o strane sostanze chimiche e si ritrovò a rabbrividire immaginando lo stesso tocco sopra di sé. Deglutì a vuoto quando lei gli prese le labbra, intrecciando le dita fra i suoi capelli quando lui rispose con altrettanto trasporto. Era uno spettacolo da cui  non riusciva a staccare lo sguardo ed una parte di lui provò una fitta bruciante di gelosia al pensiero che poco prima quella bocca era stata premuta contro la sua con una passione che lui aveva ricambiato. E poi respinto. L’ultimo, involontario pensiero gli strinse lo stomaco.
Era così preso da ciò che aveva davanti che quasi gli sfuggì quando la porta dell’armadio a muro iniziò ad aprirsi. Fu un movimento fluido, privo di rumore, e da quello spiraglio lentamente uscì una figura: un uomo, alto e muscoloso, dai capelli castani e gli occhi chiari come quelli della ragazza; indossava un’inconfondibile abbigliamento da mozzo. Era il fratello di Lady Isolde, Holmes aveva ragione!
Le luci soffuse si infransero con uno scintillio sulla lama che impugnava. Teneva lo sguardo fisso verso il detective girato di schiena, preso dal bacio appassionato che aveva ovviamente l’unico scopo di bloccarlo in quella posizione. L’istinto di Watson lo fece quasi scattare, ma riuscì a trattenersi: nessuna aveva l’udito più fine di Holmes, doveva averlo percepito per forza. Per quanto silenzioso rimaneva pur sempre un marinaio, pesante e per nulla delicato. E il detective percepiva qualunque cosa. L’uomo avanzò ancora di qualche passo, lento ma esperto, ed iniziava ad essere pericolosamente vicino. Perché Holmes non si muoveva? Era davvero così coinvolto da aver perso la sua normale acutezza dei sensi? Pochi metri ancora e avrebbe rischiato di finire come le altre vittime.
- Avanti Holmes… - sussurrò Watson a denti stretti sollevando lentamente la pistola.
L’uomo avanzò ancora di mezzo metro.
- Avanti… -
E ancora.
- Si giri, perdio, so che l’ha sentito… -
E ancora.
- Andiamo, non mi costringa ad intervenire… -
Arrivò ai piedi del baule.
- Holmes, La prego… -
Poi l’uomo sollevò il pugnale.
- Holmes! -
Il grido infranse il silenzio insieme al rumore della porta che si spalancava. Sparò senza esitare un istante.
Il detective, come fosse un segnale, cinse con un braccio la ragazza e facendo leva sulle gambe si lanciò a terra. Il pugnale gli sfiorò la camicia per un soffio, conficcandosi nel legno mentre una pallottola colpiva di striscio la spalla che l’aveva vibrato strappando un grido al suo possessore. I due rotolarono a terra e Lady Isolde gridò divincolandosi dalla sua stretta. Holmes la lasciò, ma fece appena in tempo a balzare di nuovo all’indietro prima che un fendente cercasse di squarciargli il petto. La lama comparsa all’improvviso nelle sue mani tagliò il tessuto penetrando con la punta nella carne e subito un sottile rivolo rosso macchiò il bianco della camicia. Lei si lanciò in avanti in un affondo pieno di rabbia, ma stavolta il detective fu pronto ad afferrarle un polso sbilanciandola in avanti per poi disarmarla. Le torse un braccio dietro la schiena spingendola a urlare di dolore e il fratello, distratto da quel grido, ricevette il calcio della pistola del dottore in piena fronte, cadendo a terra come un sacco di patate.
- Lavoro eccellente, vecchio mio - disse Holmes, sorridendo soddisfatto.
- Non potrei dire lo stesso di Lei. Si è quasi fatto ammazzare - lo prese in giro Watson, ridendo.
- Era parte del piano, mi pare ovvio… -
Non fece in tempo ad aggiungere altro, perché un enorme trambusto riempì l’edificio. Si udirono voci, grida e un secondo dopo Lestrade irruppe con un gruppo di poliziotti a pistole spianate, invadendo la stanza.
- Oh, ecco qui il braccio armato della legge. - commentò sarcastico il detective - Tempismo perfetto come sempre, Lestrade, abbiamo finito di metterli fuori gioco giusto ora -
- Holmes, farà bene a non fare il furbo con me - abbaiò il poliziotto, deriso nell’orgoglio - mi aveva promesso l’assassino di XXX, che ci fa qui ferito e con una ragazza? -
- Le racconterò una storia, ispettore. Anni fa vi era una famiglia di ricchi mercanti, la cui madre aspettava una bambina. Un giorno, prima della sua nascita, il padre si imbarcò su alcune navi dirette in Francia per affari e non fece più ritorno. Nel frattempo, nacque una bambina bellissima, che la madre allevò con gli agi e l’istruzione del suo rango, aspettando ogni giorno di veder tornare il marito con altri soldi a sostenerle. Non tornò mai. Cadute in disgrazia, la ragazza fu raccolta e ospitata dalla proprietaria di questo Club, Madame Bovary, colpita dalla sua bellezza e dai modi acculturati, perfetti per questo posto. La ragazza smise di pensare alla famiglia perduta, finché un giorno, qualche mese fa, altre navi dalla Francia sbarcarono e lei incontrò una persona che mai avrebbe pensato di vedere: il suo fratellastro. A pochi istanti dalla morte, il padre gli aveva confessato di aver lasciato una famiglia a Londra, certamente bisognosa di mezzi e lui era tornato a cercarli. È stata la sorte a ricongiungerli. Nessuno di loro può permettersi di vivere qui, ma, con abbastanza soldi, in Francia avrebbero avuto l’opportunità di rifarsi una vita sotto un altro nome. Da qui il loro pian perverso. Lady Isolde, la nostra fanciulla, è colei che organizzava tutto: rivelava le abitudini poco lecite dei mariti alle rispettive mogli e per soldi si offriva di eliminarli. L’assassino vero e proprio, invece,  è lui, il marinaio francese gentilmente rabbonito dal mio dottore. Una volta uccise le vittime, le ripulivano ed il corpo era abbandonato nel quartiere appena vicino a questo, dove potevano tranquillamente passare per furti con omicidio. Ecco a lei, dunque, questa storia di sofferenza, avidità e sangue. -
Lestrade l’aveva ascoltato stupito insieme ai suoi uomini. Spostò più volte lo sguardo da lui ai due arrestati che ora indossavano un paio di manette di ordinanza, come incerto se credere ad ogni singola parola senza fiatare o se ribattere.
- Lei è certo di quello che dice, Holmes? - chiese infine, titubante.
- In assoluto. Chieda a loro stessi e troverà confermata la mia storia. Ancora una volta ha risolto brillantemente il caso e assicurato due pericolosi criminali alla giustizia, Lestrade. Congratulazioni! - ribatté quello con ironia.
- Sì, ma dove sono i gioielli delle vittime? Senza di quelli non ci sono prove ad accusarli degli omicidi, solo un’accusa per aggressione nei vostri confronti -
- Eccellente constatazione, ispettore, ammetto che la sua sagacia mi colpisce. I gioielli appartenuti alle vittime fanno parte del bottino, e come tali devono essere ancora in questa stanza insieme ai soldi ricevuti per gli omicidi. -
- Se quei gioielli ci sono li troveremo. Uomini, frugate dappertutto! E portate in cella questi due -
I poliziotti fecero cenno alla ragazza di seguirli, troppo abbagliati dalla sua bellezza per agire rudemente, mentre il fratello fu afferrato per le braccia senza troppe cerimonie e spinto verso l’uscita. Lui si ribellò, divincolandosi come una belva e riuscendo a liberarsi abbastanza da correre verso la sorella e afferrarle il viso fra le mani. ‘Non lascerò che ti uccidano, mia luce. Dirò loro che ti ho costretta a farlo e tu potrai partire lo stesso!’ gridò in francese prima di essere afferrato di nuovo dalle guardie e trascinato fuori. Lei lo fissò, immobile, mentre una lacrima le solcava la guancia. ‘Fratello mio’ sussurrò solo.
Holmes spalancò gli occhi, come se solo allora avesse davvero capito.
- Tu lo ami - le disse, a sua volta in francese, e lei lo guardò senza rispondere mentre le guardie la portavano via.
- Che ha detto? - chiese Lestrade - Se è qualcosa di importante bisogna scriverla per il tribunale. -
- Non era niente - rispose lui, scuotendo la testa - …le ha solo detto addio -
Watson lo guardò, stupito di quella delicatezza, ma lo sguardo che ricevette fu carico di significato.
- Bene. Ora se non avete più bisogno di noi… - iniziò di nuovo il detective, ma un improvviso giramento di testa lo costrinse a fermarsi. Il dottore fu subito al suo fianco per sostenerlo, facendolo sedere sul letto. Solo allora l’attenzione generale si focalizzò sulla sua ferita che, pur poco profonda, si stagliava evidente sopra il petto appena sotto la camicia.
- Ha ripreso a sanguinare, devo suturarla - osservò il medico, pensieroso.
- Ma potreste ancora servirmi per mettere in luce i lati ancora oscuri del caso… - si intromise l’ispettore, preoccupato dei fascicoli di dati che avrebbe dovuto inserire prima di poter definitivamente archiviare il caso.
- Sono certo che Holmes sarà più che disposto a raccontare tutto ad un suo collega tra poco, mi serve giusto il tempo di fermare il sangue e ricucire il taglio. Nella stanza di fronte ho parte della mia strumentazione, dovrebbe bastare a rimetterlo insieme in un’ora -
Il poliziotto annuì soddisfatto. - Perfetto, allora vi farò mandare uno dei miei uomini quando avremo finito di perlustrare la stanza in cerca dei gioielli delle vittime. Potrete raccontare tutto a lui -
- Sempre troppo comprensivo, ispettore Lestrade - bofonchiò il detective, prima che il tentativo d’alzarsi gli strappasse un’imprecazione di dolore. Ora che l’effetto dell’adrenalina stava svanendo, sentiva la ferita pulsare contro lo sterno e la testa girarli leggermente.
Watson lo aiutò a mettersi in piedi passando un suo braccio attorno alle proprie spalle e cingendolo alla vita. Leggermente barcollanti si avviarono all’uscita, mentre un gruppo di poliziotti era impegnato a mettere sottosopra la camera.
Ringraziando che la loro stanza fosse così vicina, Watson varcò la soglia e si chiuse dietro la porta. L’ambiente divenne improvvisamente silenzioso ed entrambi tirarono un sospiro di sollievo. Nonostante tutte le proteste, Holmes venne fatto sdraiare sul letto e fu costretto ad attendere pazientemente che l’altro raggiungesse la propria borsa e si sistemasse sul tavolino accanto a lui. Lasciò che gli aprisse del tutto la camicia e che tamponasse il sangue con una parte del lenzuolo.
- Lady Isolde sapeva dove mirare - commentò osservando la ferita. – E aveva nascosto il coltello  nello stivaletto! Pericolosa anche in lingerie. Mi viene in mente solo un’altra donna da cui mi sarei aspettato una cosa del genere… -
- Irene Adler - completò lui, con un mezzo ghigno. - Lo so. Una donna bellissima che cela armi ed inganni. Mi ero aspettato un trucchetto del genere. -
 - E per fortuna l’ha quasi evitato. La ragazza aveva puntato alla gola. -
Prese alcuni strumenti dalla borsa e li dispose sul tavolo. Poi estrasse una fiaschetta.
- Ne beva un po’ - ordinò, porgendogliela - ma non la finisca. Impiegherò un attimo a sterilizzare gli strumenti e la dovrò ricucire. Farà un po’ male. Ma d’altronde dovrebbe già saperlo. -
Il detective obbedì, ingollando un sorso generoso che gli bruciò fino in fondo alla gola, facendolo tossire. - Niente male dottore – esalò, riprendendo fiato - sono contento di sapere che sulle medicine non lesina. -
- Non la finisca, mi raccomando. -
Holmes ridacchiò e bevve un altro paio di sorsi prima di passargli di nuovo la fiaschetta. Avvertiva il dolore farsi pian piano meno acuto, mentre una piacevole sensazione di leggerezza lo invadeva allentando la tensione. Sussultò quando lo stesso liquido ambrato venne fanno scorrere lungo la ferita.
- Ah! Faccia piano, quella roba brucia! -
- È normale che faccia così, la smetta di fare la femminuccia -
- Avrei dovuto berne di più - bofonchiò scontroso.
Watson afferrò un ago da sutura sterilizzato e si apprestò ad iniziare il lavoro. Ricucire gli strappi di Holmes dopo le loro avventure era diventata quasi una routine, tanto che avrebbe affermato che nessuno conosceva il suo corpo meglio di lui. Ne aveva medicato praticamente ogni centimetro, steccato buona parte e ricucito l’altra metà. Una vicinanza che gli era sempre parsa normale, ma che ora avvertiva con un significato più profondo. Lui era l’unico che conoscesse le sue vecchie ferite e i suoi punti deboli, l’unico da cui il compagno si lasciasse toccare, non importa quanto grave fosse il danno. L’unico ad avere accesso ad un pezzo della sua anima, forse, dato che l’anima reca impressi tutti i segni della vita. Improvvisamente quel corpo solido ed ora leggermente pallido che aveva sotto di sé gli parve qualcosa di speciale, di perfetto, da custodire ad ogni costo.
L’altro parve percepire qualcosa nella sua attesa, perché alzò lo sguardo, quello sguardo così dannatamente profondo e lo guardò. Per un lunghissimo istante si fissarono e Watson si stupì di quanti dettagli ora cogliesse nel suo viso: le ciocche che cadevano spettinate sulla fronte, le pupille leggermente dilatate dall’alcol, le guance arrossate dal caldo, le labbra umide che appena si sfioravano. Trasalì riacquistando l’autocontrollo e distolse lo sguardo. Strinse l’ago fra le dita.
- Farà un po’ male - disse solo.
- Ci son abituato. -
Strinse i denti quando l’ago penetrò nella sua pelle per la prima volta, attraversando gli strati separati dalla lama per legarli di nuovo insieme. Era un lavoro lungo e di precisione, ma nessuno sarebbe stato in grado di farlo meglio di Watson. E lui non l’avrebbe lasciato fare a nessun altro. C’era stato un momento, prima, in cui aveva visto qualcosa passare nei suoi occhi, una scintilla di un attimo, ma abbastanza perché la riconoscesse. Non aveva mai osato sperarci e, in effetti, era inutile farlo ora. Forse era stata la situazione o, forse, un allucinazione dovuta all’alcol.
- Aveva ragione lei, alla fine. - disse sommessamente il dottore - Il fratello era nascosto nella camera di Lady Isolde. -
- È stata una deduzione elementare - ribatté lui - non poteva che essere così. -
L’altro rimase un po’ in silenzio, come indeciso. Alla fine parlò.
- Lei sapeva che era lì. Sapeva dove era nascosto. L’ha sentito muoversi e non ha fatto nulla per impedirlo. -
- Cosa glielo fa credere, di preciso? -
- Non si prenda gioco di me, Holmes. La conosco da abbastanza tempo per sapere che i suoi sensi non si lasciano ottundere da una bella donna, a meno che non sia Irene Adler. Lei era pronto ad agire, ha evitato la coltellata con troppa prontezza per convincermi del contrario. Eppure ha atteso fino all’ultimo secondo, se io non fossi entrato forse ora non sarebbe qui a raccontarlo! Si può sapere cosa aspettava? -
- Mi pare evidente. Aspettavo Lei, dottor Watson. -
Rispose così, semplicemente, e fu come se un fulmine avesse attraversato la stanza.
Watson rimase incredulo, con l’ago ancora in mano, incapace di muoversi. Una parte di sé lo aveva sempre saputo e l’altra lo stava odiando profondamente per averlo messo nel sacco un’altra volta. Eppure sapevano entrambi che questa volta era diverso; non era più un giochetto o uno stupido braccio di ferro.
Senza quasi accorgersene il dottore si ritrovò chinò su di lui, incatenato dalle sue iridi scure, e sentiva distintamente il suo cuore pulsare attraverso il petto contro la propria mano. Provò il desiderio di afferrarlo per i capelli, tirargli la testa all’indietro, gridargli che era un pazzo incosciente e poi chiudergli la bocca con la propria baciandolo come aveva visto fare prima a quella ragazza. Si accorse che il detective aveva iniziato a respirare più velocemente e avvertì una delle sue mani sfiorargli un fianco, titubante, come se gli stesse chiedendo il permesso di toccarlo. I loro visi erano ormai tanto vicini da sfiorarsi e capì che erano vicini a un punto di non ritorno. Sarebbe bastato un soffio e sarebbero caduti entrambi, un solo centimetro in più…
Qualcuno bussò alla porta facendoli sussultare.
Holmes abbassò la mano e Watson si sollevò di scatto spezzando il contatto visivo.
- Avanti. -
Suonò autorevole, calmo. Soltanto il detective vi percepì una nota di stizza.
Un poliziotto comparve sulla porta rivolgendo loro un rigido cenno di saluto.
- L’ispettore Lestrade mi ha mandato a raccogliere la deposizione del Signor Holmes. -
- Ho quasi finito - rispose il dottore, tornando a dedicarsi alla ferita.
Bastò un ultimo punto, poi lo aiutò ad alzarsi per potergli fasciare il busto. Compì l’operazione in silenzio sforzandosi di non toccarlo un centimetro in più del necessario, gli occhi ben fissi al proprio lavoro.
- Se vuole iniziare sono già in grado di risponderle, agente - lo apostrofò Holmes con noncuranza, come se in quel momento non stesse fremendo ad ogni tocco del proprio collega.
- È necessario che mi seguiate in centrale, Signore - rispose quello, ignaro - non ci è permesso trattenerci in questo posto più dello stretto necessario ed i miei colleghi stanno finendo la perquisizione. -
- Immagino che Madame vi abbia messo in riga appena entrati - lo prese in giro il detective, ridacchiando nel vederlo irrigidirsi. - Non appena il mio socio avrà terminato sarò lieto di seguirvi. -
Lasciò che il dottore finisse di sistemare le bende poi scese dal letto e si riabbottonò la camicia ancora sporca di sangue. Il poliziotto sgranò gli occhi - Ma, Signor Holmes, non vorrete uscire in strada in questo modo! -
- Visto che è stato così gentile da chiedermelo, no, non penso uscirò in questo modo. Nell’altra stanza troverete la mia giacca e da qualche parte qui dovrebbe esserci ancora il soprabito… -
- Al momento non può entrare di là. Vado a prendergliela io, Signore. -
Uscì di fretta per tornare subito con la sua giacca. Lui si sistemò con calma, controllando di avere ancora la pipa e solo allora indossò il soprabito che Watson gli porgeva. Alla fine parve soddisfatto.
- Tres bien. Ci faccia strada, agente. -
Quasi due ore dopo, i due si trovarono finalmente fuori dalla centrale, di nuovo immersi nelle fredde strade londinesi.
Il poliziotto era stato oltremodo zelante e li aveva costretti a narrare la storia più volte e nei dettagli, a passare in rassegna ogni deduzione. Era stato solo grazie all’autorevolezza medica di Watson che l’agente si era infine convinto a lasciarli andare per non correre il rischio di vedere il suo testimone stramazzare a terra morto. La scenetta misero su tolse un po’ del broncio al detective e la successiva notizia, – scappata per caso da un tavolo vicino – che i gioielli delle vittime non erano stati trovati nella perquisizione lo ringalluzzì del tutto.
- Holmes, non mi dica che stiamo tornando al Club Flaubert! - sbottò Watson, esasperato, vedendolo imboccare senza esitazione la strada da cui erano arrivati.
- Mi pare logico, caro dottore: se la polizia non ha trovato nulla toccherà farlo a noi! - esclamò vispo - E poi, ho promesso a Madame che avrei risolto il caso entro stanotte. -
L’altro sospirò rassegnato.





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Capitolo 3
*** ... ***


Holmes si fermò davanti ad una porta scura, quasi nascosta in un vicolo secondario. Controllò la serratura poi, con un verso di approvazione, estrasse gli arnesi da scasso.
Il meccanismo scattò con un rumore metallico che risuonò ingigantito dal silenzio segnante nel vicolo. Senza una parola entrarono. Davanti a loro vi era un piccolo atrio decorato da quadri e una scala che saliva direttamente al piano di sopra. Salirono silenziosamente, i passi attutiti dalla moquette.
Era buio nel corridoio, eppure non fu difficile percorrerne qualche metro e trovare l’entrata della camera che cercavano. Il detective entrò per primo e accese la luce; Waston si affrettò a seguirlo  chiudendo la porta dietro di sé. Il caldo li costrinse immediatamente a liberarsi dei cappotti e poi poterono finalmente guardarsi intorno.
Si stupirono dello stato in cui si trovava la stanza: vi erano segni evidenti di perquisizione ed ogni cassetto o anta era spalancato, il contenuto ammucchiato a terra, eppure nel complesso manteneva ancora un certo ordine. I mobili erano nella posizione di partenza ed il letto sfatto ma non divelto, né coi materassi squarciati. Era come se gli agenti si fossero sforzati di non distruggerla.
- Questa deve essere opera di Madame – commentò il detective, divertito - quando vuole sa essere più che persuasiva e ha parecchie conoscenze dalla sua parte. Gli agenti di Lestrade avranno temuto perfino a rovistare nei cassetti! -
- Holmes, esattamente, dove pensa di cercare? - lo interruppe l’altro, leggermente spazientito - Se ci fossero cassetti nascosti o doppifondi i poliziotti li avrebbero trovati. -
- Lei li sopravaluta, mio caro Watson. Ma in ogni caso non sarà necessario ricontrollare i cassetti. Ho il sospetto che il nascondiglio sia molto più ingegnoso, magari veloce da raggiungere in caso di bisogno, eppure introvabile per chiunque altro…  -
Si mise a camminare per la stanza pensieroso. Nonostante la stanchezza il suo cervello lavorava senza sosta e cercava nei suoi ricordi un indizio qualsiasi, un movimento o uno sguardo che potessero aiutarlo a capire. Accese la pipa, sedendosi sul grande letto dietro di sé. I suoi pensieri si interruppero per un secondo, come per capriccio, al pensiero di quelle lenzuola sfatte dalle mani di un insulso poliziotto e non dalla passione di due amanti. Si chiese se, nel caso, si potesse ugualmente arrivare a ridurle così. La parte successiva del pensiero lo fece fremere. Forse in modo troppo evidente.
- Holmes, sta bene? - chiese il dottore avvicinandosi - La ferita le da fastidio? -
- No, sto perfettamente. - calcò lui, punto sul vivo - E se non Le dispiace starei cercando di pensare ora. -
- Oh, mi scusi tanto se mi preoccupo per la Sua salute, cosa che evidentemente a Lei non importa dato che continua a metterla a repentaglio come un incosciente! -
- Non è nulla di cui Lei debba preoccuparsi e, per sua informazione, ho sempre avuto la situazione perfettamente sotto controllo -
- A me invece pare che la situazione le avesse preso la mano, per l’esattezza che le fosse in braccio. -
Il detective scattò in piedi, furioso - Ho recitato la mia parte come Lei avrebbe dovuto fare con la propria, se non fosse stato occupato fino all’ultimo a guardarmi senza fare nulla! -
Il pugno partì senza che nemmeno se ne fosse accorto. Holmes fu colpito in pieno viso e cadde sul materasso. Si sentì afferrare per il colletto e aprendo gli occhi vide Watson sovrastarlo, accecato dalla rabbia.
- Come osa! È Lei qui ad avermi messo in difficoltà, Lei e la sua stupida farsa per mettersi in mostra e cacciarsi nei guai un’altra volta pretendendo che io la segua senza fiatare! -
- La smetta di comportarsi come un insulso borghese pieno di falsi pudori e affronti la verità! Lei non può far a meno di me, è per questo che è tornato, è solo per questo! E la sua non è altro che gelosia nel vedermi fra le braccia di una donna... -
- Stia zitto! -
- Mi desidera quanto io desidero Lei e non è capace di ammetterlo nemmeno con se stesso! -
- Stia zitto!! -
Ruggì cercando di colpirlo di nuovo, ma il detective deviò il colpo facendolo sbilanciare in avanti. Con la mano libera gli afferrò la testa premendolo contro di sé. Le bocche cozzarono con violenza e lui corse a cercare la sua lingua intrecciandola con la propria. Lui si ribellò, gridò facendo forza contro il materasso mentre la sua bocca si impregnava del gusto amaro del tabacco e di quello forte, elementare, di Holmes. Si sentì scuotere da un tremito e il petto prese a bruciare.
Poi, all’improvviso, Holmes lo lasciò andare e lui si trovò a scattare all’indietro trascinato dalla sua stessa forza. Lo fissò sbigottito, sollevato per metà da lui senza riuscire a far altro che restare immobile, il respiro accelerato. Anche l’altro ansimava e solo allora, osservando le sue labbra, si accorse che una sanguinava leggermente.
- Se ne vada… - mormorò il detective, roco, e lui trasalì, il respiro bloccato in gola. - Se ne vada ora, se lo desidera. E stavolta non le chiederò di restare. -
Watson lo guardò e nei suoi occhi lesse che diceva la verità: stavolta non l’avrebbe costretto. La decisione era soltanto sua. Alzarsi da quel letto, prendere il cappotto e uscire lasciando alle spalle tutto.
Osservò il suo petto che si alzava ed abbassava a pochi centimetri da lui, lo sguardo risoluto, orgoglioso, le labbra serrate in attesa. Ricordò la sensazione del suo tocco quando l’aveva medicato e come avesse desiderato sentirlo ancora dopo, guardandolo con quella ragazza. Aveva ragione, dannato Holmes, aveva ragione come sempre. Rise incapace di trattenersi e capì di aver perso di nuovo.
- Sa una cosa Holmes? Lei è il più gran bastardo che io abbia mai conosciuto. -
Il detective si sollevò sui gomiti e cercò di ribattere, ma stavolta fu lui a non permettergli di parlare e gli prese di nuovo le labbra. Provò un brivido all’idea di ciò che stava facendo, ma il mugolio affamato del suo compagno fere cessare ogni pensiero razionale. Si concesse di esplorare più a fondo la sua bocca, inebriato dal suo sapore così familiare e così eccitante insieme. L’altro ricambiò subito, lasciandolo guidare e prendere a suo piacimento per poi stupirlo e prendere lui il comando come in una lotta. C’era qualcosa di ruvido e bruciante nel baciare così un uomo: era puro trasporto, un gioco di possesso tanto più intenso proprio perché fatto da giocatori di pari forza.
Un secondo dopo si ritrovò ad afferrarlo per le spalle e strappargli di dosso la giacca mentre l’altro gli prendeva i fianchi cercando i bottoni del suo gilet alla cieca, senza staccarsi l’uno dall’altro. Se ne liberarono con forza riattaccandosi subito, con ferocia, le mani che scorrevano lungo il petto e le cosce per poi risalire alla schiena, come due affamati che abbiano alla fine trovato di che cibarsi. Conoscevano ogni centimetro l’uno dell’altro, eppure parve loro di sentirsi davvero per la prima volta e  allora impararono il corpo che avevano davanti, con ogni tocco e con ogni gemito.
Watson prese a mordergli il collo, appena sotto il mento, e poi scese fino all’attaccatura delle spalle marchiandolo con piccoli segni rossi, stuzzicandolo con la lingua ogni volta che lo sentiva sussultare sotto i suoi denti per sentirne di nuovo i gemiti rochi. Era un suono intossicante, che gli mandava brividi lungo la spina dorsale e giù fino al ventre: dopo averne sentito uno ne desiderava un altro, più forte, e più forte ancora. Holmes lo liberò con uno scatto dalle bretelle e poi strattonò la camicia per potersi insinuare nello spazio fra essa ed i pantaloni, a contatto con la sua pelle. La avvertì bollente al tatto, tesa e tremante sotto il proprio tocco mentre lui a sua volta tremava torturato dalla sua bocca. Corse lungo la schiena facendolo inarcare al contatto e, quando lui prese a sfregare un dito contro uno dei suoi capezzoli, gli affondò istintivamente le unghie nella carne.
In un battito di ciglia erano entrambi senza camicia, la pelle leggermente sudata che risaltava alla luce tenue delle lampade. Holmes si sollevò leggermente e lo cinse con un braccio. Fece scorrere la lingua lungo i muscoli dei suoi pettorali sentendolo ansimare mentre descriveva cerchi concentrici, che diventarono man mano più piccoli fino a che non strusciò contro la pelle più sensibile di un capezzolo strappandogli un verso di piacere. Percepivano entrambi la propria eccitazione e quella dell’altro farsi sempre più prepotente e dolorosa stretta nei pantaloni. Fu Watson a strapparglieli di dosso per primo liberandolo di tutto per poi concedersi di ammirarlo, nudo, sotto di sé. Era splendido, coi capelli spettinati e quegli occhi scuri traboccanti di desiderio e richiesta.
Baciò con reverenza la punta della sua erezione e lo sentì mugolare, in agonia, e spingersi istintivamente contro di lui. Sorrise all’idea di averlo in pugno e lo leccò piano, senza fretta, guardandolo spingere la testa all’indietro e spalancare la bocca per prendere aria mentre la voce si bloccava in gola. Ripeté il gesto di nuovo e di nuovo, beandosi della sua espressione e sentendo le sue gambe contrarsi in spasmi involontari attorno al suo corpo.
Ben presto non riuscì più a restare a guardare. Sapeva di volerlo con tutto se stesso e allora si liberò dalla morsa dei pantaloni e risalì a baciarlo con foga per poi chiedere con gli occhi qualcosa; qualcosa di cui aveva già avuto il consenso. Si fermò un secondo, indeciso, tremante eppure incapace di pensare a un modo per aiutarsi, per non fargli male.
Fu Holmes, con un gesto un po’ saccente dei suoi, ad indicargli il cassetto del comodino mezzo divelto: in effetti, aveva scordato dove si trovava. Fu un attimo trovare ciò di cui aveva bisogno. Aprì con delicatezza la boccetta  e prese un po’ d’olio con le dita spargendolo abbondantemente sopra di esse e poi sulla propria erezione. Il detective seguì ogni mosse, attento, e quando l’altro fu pronto aprì solo un po’ di più le gambe in un gesto inequivocabile. Watson avvicinò delicatamente le dita.
- Farà un po’ male - disse solo.
- Potrei farci l’abitudine. -
Trattenne il respiro e spinse un dito contro la sua apertura forzando leggermente. Lo sentì contrarsi istintivamente per respingere il suo ingresso, ma riuscì ugualmente a scivolare al’interno. Si fermò avvertendo un singhiozzo trattenuto.
- Continui… - gli ordinò, stringendo gli occhi.
A suo modo, era abituato al dolore e Watson capì che se si fosse fermato ora per riguardo gli avrebbe fatto un male ben maggiore. Si mosse piano, abituandolo alla sua presenza poi, sentendolo rilassarsi un po’, aggiunse un secondo dito. Rimasero in silenzio in quell’intimità e ancora una volta il dottore pensò a quanto dovesse fidarsi di lui per donargli addirittura se stesso.
Pian piano riuscì a percepire un cambiamento: dei piccoli tremiti che diventavano da sussulti di dolore a sussulti di piacere. Aspettò che fossero evidenti, quasi gemiti e allora tolse le dita e gli rivolse un ultima domanda. E i suoi occhi gli dissero di sì.
Penetrò dentro di lui quasi con dolcezza e rimase senza fiato: era stretto, bruciante, tanto che anche il semplice star fermo gli procurava delle scosse di piacere così intense che temette di poter giungere al limite. Strinse i denti e respirò profondamente per recuperare il controllo.
Si mosse lento, controllato, lasciando che la carne cedesse lentamente sotto le sue spinte fino a che non lo sentì di nuovo gemere di piacere. Aumentò di un po’ la velocità e con una mano gli prese il sesso muovendolo a ritmo con lui e sentendolo inarcarsi fra le sue dita. Anche il suo corpo era ostinato come la sua mente, ma lui prese a domarlo una spinta dopo l’altra fino a sentirlo rispondere sotto si sé ad ogni movimento e ad ogni carezza. Gli afferrò i fianchi, incapace di trattenersi ora che i colpi diventavano sempre più veloci e potenti, ansimando a sua volta senza controllo mentre lo possedeva. Nel prenderlo cambiò angolazione ed il detective gridò quando il suo corpo di scosso da una simultanea esplosione di piacere. Resistette ad altri due colpi prima di venire singhiozzando il suo nome e lo sentì raggiungere i limite con un ruggito al suono della propria voce.
Crollarono entrambi, incapaci di una sola parola, stretti l’uno all’altro coi corpi ancora tremanti per l’orgasmo.
- Lo ammetta Watson - sussurrò  il detective - non può fare a meno di me. -
L’altro sbuffò alzando gli occhi al soffitto senza rispondere.
Passarono alcuni minuti, poi entrambi si mossero. Nel farlo Holmes urtò contro una delle colonnine di legno della spalliera del letto ed entrambi sussultarono per il rumore che fece: suonava vuoto.
- Ma certo! Come ho fatto a non arrivarci! -
Si sollevò di scatto e afferrò il pomello ruotandolo. Quello si mosse docile e dopo pochi giri si staccò rivelando un vano nascosto. Ci infilò la mano, estraendone soddisfatto due sacchetti dall’aria piuttosto pesante.
- Come immaginavo! In uno ci sono gli effetti personali delle nostre vittime e nell’altro i soldi delle mogli tradite. Tutto torna. Watson, abbiamo le prove! -
- Ho notato - borbottò l’altro, raccogliendo i propri abiti.
Si vestirono in fretta, Holmes diventato un autentico fiume di parole dopo aver trovato anche l’ultima chiave mancante del caso. Prestarono attenzione a lasciare meno tracce possibili prima di uscire. Watson imboccò rapidamente la strada per la porta secondaria, ma l’altro lo trattenne.
- Non da questa parte, dottore. C’è un’ultima cosa da fare. -
Attraversarono il corridoio in senso opposto, scendendo la scala che dava al salone convinti di trovare buio. Anche Holmes sussultò per la sorpresa quando, illuminata da un’unica lampada, scorsero Madame Bovary intenta a leggere un libro su una delle poltrone, con a lato un bicchiere di scotch.
- Madame - salutò il detective riprendendosi velocemente.
Quella alzò il capo, per nulla sorpresa dei due uomini che le stavano davanti: doveva avere quarant’anni, i capelli corvini e gli occhi neri, un fisico generoso ma ben formato. Aveva un fascino particolare, dato dall’espressione composta e sicura di sé che si stemperava in una bocca sensualmente sottolineata dal rossetto.
- Buonasera Mr. Holmes, o forse sarebbe meglio dire buongiorno, data l’ora -
- Non sono solito badare a queste formalità - sorrise lui. - Ci tenevo ad informarla che il caso è risolto, ho trovato anche l’ultima prova mancante. Senza la sua collaborazione, questo non sarebbe stato possibile. -
- Grazie a lei di avermi liberato di una così scomoda situazione. I clienti avevano già iniziato a vociferare che qualcuno li osservasse entrare nel Club per poi ucciderli e a breve qualcuno avrebbe iniziato a spargere il panico. Inoltre, grazie alla sua collaborazione, all’arrivo della polizia i miei ospiti erano tutti al sicuro nel salone e hanno potuto andarsene in fretta senza essere fermati. -
Watson spalancò gli occhi, capendo solo allora il perché non avesse incontrato nessuno mentre si apprestava a soccorrere Holmes. Un altro dei dettagli su cui il collega non aveva ritenuto utile informarlo.
- Mi dispiace solo che la polizia sia intervenuta in modo così poco elegante, nonostante tutti le mie raccomandazioni.. -
- Oh, non si crucci, Mr. Holmes. Il Club Flaubert conta clienti affezionati e troppo influenti perché possa davvero temere qualcosa, ed è troppo unico per potervi rinunciare: l’amore che si vende sulle note della letteratura non sembra nemmeno peccato. Torneranno. -
- Lei è una donna saggia, Madame. Vorrei ugualmente lasciarle questo denaro, una sorta di risarcimento di Lady Isolde per danni che lei ed il fratello hanno provocato. Ora, se non le dispiace, io ed il mio socio andremmo a concederci il meritato riposo. -
- Vi auguro che sia profondo ed appagante, Signori. -
Con un breve cenno di congedo i due si diressero verso la porta.
- Ah, Mr. Holmes - li richiamò lei, un attimo prima che uscissero. - Voglio che sappia che il Club Flaubert avrà sempre una stanza per Voi, quando la vorrete. -
E dopo un lieve inchino, ritornò a leggere.


 





> Ringrazio AkaneMikael per aver indetto il contest 'Potere alle lemon!', a cui la storia partecipa e grazie a cui è stata creata.
   E un grazie di cuore a chi ha letto, apprezzato e lasciato un commento. Il vostro parere resta fondamentale.

   A.H.




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