L'assassina del Club Flaubert di Artemis Hide (/viewuser.php?uid=75234)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** ... ***
Capitolo 2: *** ... ***
Capitolo 3: *** ... ***
Capitolo 1 *** ... ***
Un grazie a Sebastiano
Theus,
autore fantastico ed insostituibile spalla, nonché orecchio
(ma possiede anche tutto il resto del corpo, davvero): il tuo supporto
è più che prezioso.
L’assassina
del Club Flaubert
Watson
si mosse a disagio
all’ennesimo gemito che attraversò le pareti. Il
letto cigolò ambiguamente
sotto di lui, mentre parole che non avrebbe mai osato nemmeno pensare
seguivano
quei lamenti spingendolo a fissare la punta delle proprie scarpe con
crescente
ostinazione.
Holmes fumava la pipa appoggiato
contro il muro, lanciando di tanto in tanto un’occhiata
all’orologio o
sporgendosi nello spiraglio della porta. Sembrava non badare a quei
rumori,
anzi, per la verità pareva persino non udirli,
cosa che, se possibile, faceva innervosire Watson ancora di
più. Si allentò di
poco la cravatta resistendo all’impulso di toglierla come
aveva fatto col il
gilet ed arrotolando, invece, ulteriormente le maniche della camicia.
L’aria in
quella stanza era calda, soffocante, impregnata dell’odore
dolciastro dell’acqua
di colonia e del sesso. Se si toglieva l’elegante arredamento
e l’innegabile
gusto dei quadri, quello non era un bordello diverso dagli altri.
Un ultimo inequivocabile grido
ribadì la buona riuscita dell’incontro ed Holmes
lo accolse con un ghigno ed
una battuta che lo fece arrossire fino alla punta dei capelli. Si
alzò di
scatto, esasperato.
- Santo cielo, Holmes, mi vuole
dire cosa ci facciamo qui?! - sbottò, sperando che il suo
tono non tradisse
l’imbarazzo - È più di due ore che
aspettiamo in questa stanza e Dio solo sa
quanto io ne abbia abbastanza! -
Holmes lo guardò come se lo
vedesse per la prima volta.
- Mi pare più che chiaro, Watson,
stiamo risolvendo il caso del ladro-assassino di XXX- rispose tirando
una lungo
boccata di pipa.- E lo cerchiamo al Club
Flaubert? -
- Tutti gli indizi portano a
quest’unica ed inequivocabile soluzione, mio caro dottore. -
- Sappiamo solo che quattro
ricchi esponenti della borghesia, che peraltro non si conoscevano, sono
stati
ritrovati nel quartiere di XXX uccisi, pugnalati alla schiena e
derubati di
ogni oggetto di valore a poche vie di distanza l’uno
dall’altro. Sappiamo che
gli omicidi sono avvenuti a circa due o tre mesi di distanza
l’uno dall’altro e
solo ora son stati collegati. E sappiamo che l’assassino
è un uomo, un uomo,
Holmes! E un ladro.-
- Ma sappiamo anche che tutti
loro hanno frequentato il Club Flaubert. Questo non Le basta a mettere
insieme
i pezzi? -
- Mezza Londra lo frequenta,
praticamente chiunque possa permetterselo. -
- Ma solo alcuni possono vantare
il loro ultimo appuntamento in vita con Lady Isolde e questi sono i
nostri
defunti signori -
- E Lei come…? -
- Ho avuto il permesso si
sbirciare nel registro personale di Madame Bovary mentre fingevamo di
registrarci al bancone. Sapeva che saremmo venuti. Quando
l’ho informata del
caso, e della sua soluzione, ha deciso di permetterci accesso e
libertà
d’azione, a patto che le fornissi tutte le indicazioni
necessarie a farle
salvaguardare il club. Donna saggia, decisamente. E con un gran senso
degli
affari… Insomma, Watson, non si è chiesto come
mai nonostante l’aspetto
palesemente fuori luogo non ci siano state fatte domande ne chiesto
alcun
pagamento? Adesso per favore si sieda e La smetta di parlare ad alta
voce. Non
ci rimane molto tempo e c’è più di una
cosa che deve sapere. -
L’altro restò un attimo a
fissarlo in silenzio, indeciso se prenderlo a pugni o obbedirgli. Alla
fine
sospirò, tornando ad accomodarsi sul letto. Trovarsi
lì era la cosa più assurda
che gli fosse capitata.
Il Club Flaubert era uno dei più
conosciuti a Londra, ma anche dei più inaccessibili. Di
facciata, non era altro
che un club letterario, dove i gentiluomini londinesi più
abbienti potevano
trascorrere qualche serata a discutere di economia e di politica
lontano dal
popolo volgare, bevendo scotch servito da belle ragazze. Ma in
realtà c’era
molto di più. Per una somma più o meno alta,
ognuna delle ragazze poteva
diventare un’acuta compagna di conversazione o, al piano di
sopra, una compagna
di qualche ora. La mezzana, Madame Bovary, gestiva le sue ragazze con
la
migliore accortezza in modo che fossero pronte a sostenere qualunque
discorso
e, si sussurrava, qualunque fantasia dei suoi avventori. Ogni dettaglio
era ispirato
all’eleganza e alla moda più fine, perfino le
fanciulle avevano un nome d’arte
che richiamava alla letteratura o alla lirica. Solo i più
abbienti potevano
frequentare quel posto e non tutti potevano permettersi di trascorrere
più di
un’ora di conversazione con loro. Era un luogo unico.
- Posso almeno essere messo a
parte delle sue brillanti deduzioni? - chiese sarcastico.
Holmes parve non cogliere
l’ironia - Ma naturalmente - disse spegnendo la pipa.
- Per cominciare cosa l’ha
portata qui? - iniziò il dottore mentre lui si accomodava al
suo fianco, le
gambe accavallate e un sorrisetto irritante in faccia - E, secondo, sa
come
provarlo? Spero per Lei che la polizia sappia ciò che sta
facendo, perché se
qualcuno ci denunciasse saremmo… -
- Una questione per volta, Watson
- lo interruppe il detective - come le ho detto il tempo a nostra
disposizione
non è molto, quindi sarò breve. Da qualche tempo
mi ero convinto che sotto
questi assassinii ci fosse più che il semplice furto finito
in omicidio e non
mi ci è voluto molto per risalire a questo club
d’alto borgo. Ho scoperto che
ognuno di quei gentiluomini ne era un frequentatore e successivamente
che,
morendo, la loro consorte ha ereditato una somma più che
discreta. Così pochi
giorni fa mi sono travestito e presentato da ognuna delle signore ed ho
avuto
la conferma dei miei sospetti: sapevano delle frequentazioni del
marito. Il
quadro si è fatto ancora più chiaro quando Lei,
proprio l’altro giorno, mi ha
confermato che l’arma del delitto era la stessa in tutti i
corpi e che
l’aggressore doveva essere una persona forte, abituata a
trasportare pesi. Un
marinaio, con ogni probabilità! Le fibre di tela di sacco
che ho trovato
impigliate ad uno dei bottoni della vittima riesaminando i corpi hanno
tolto
quasi ogni dubbio. Mi è bastato parlare con Madame per
poterli fugare del
tutto. -
- Interessante, ma non mi ha
ancora detto cosa c’entra l’assassino con questo
posto. -
- L’assassina è Lady Isolde -
- Ma ha appena detto che era un…!
-
- Insieme a suo fratello. -
- Cosa?! Holmes la smetta coi
giochetti, questo è assurdo. -
- Au contraire, dottore.
È perfettamente logico e sequenziale, mi
troverei quasi ad ammirarlo nella sua semplicità, se non
avesse causato dei morti.
Partirò dal principio: ogni ragazza, come sa, serve ogni
sera ai tavoli finché
la sua presenza non è richiesta a un tavolo o in camera.
Ognuna di loro osserva
e cerca i clienti più ricchi da sedurre e di ciò
che guadagna una parte va a
Madame, un’altra la tiene per sé. Ma una di loro
si è fatta più furba e ha
capito che poteva avere di più, parecchio di più.
Watson, Lei sa quanto uno scandalo
possa mandare in rovina una famiglia? O, nello specifico, quanta
infamia
procuri alla moglie tradita? Ora provi a pensare che, un giorno, una di
queste
giovani bussi ad una casa e affermi che il marito è solito
frequentare il
bordello in cui lavora. All’inizio verrà
insultata, forse cacciata, ma alla
fine sarà inevitabile: la moglie vorrà delle
prove. E lei saprà dargliene.
Immagini per un secondo quanta rabbia possa seguire a quella scoperta.
Che fare
quindi? Far uscire la storia significherebbe uno scandalo e certamente
la
moglie finirebbe ripudiata dal marito furente, infamata a vita e forse
costretta a vivere di stenti… Ma la ragazza ha
già una soluzione: l’omicidio.
Sarà lei a sedurre e poi uccidere il marito, facendolo
sembrare un incidente, un
semplice furto andato storto. Per una somma cospicua,
vendicherà la moglie
tradita e le assicurerà gli agi
dell’eredità senza alcuna ritorsione. Quale
donna non accetterebbe? Ovviamente la nostra ragazza non è
sola. È lei ad
organizzare tutto, ma la mano che li uccide è quella del
fratello. È un
marinaio, probabilmente sbarcato qualche mese fa da una di quelle navi
francesi
attraccate nel porto. Esattamente poco prima che iniziassero gli
omicidi. Con
ogni probabilità ha un nascondiglio nella sua camera, guarda
caso la più vicina
all’uscita di servizio. Arrivato l’ospite, con la
sua complicità lo uccide per
poi liberarsi del cadavere attraverso l’uscita secondaria
usata dalle ragazze o
dagli avventori che non vogliono essere visti scendere dopo un
incontro. In
questo modo sono già riusciti ad accumulare una bella somma
e ho motivo di
credere che a breve tenteranno la fuga sulla stessa nave su cui lui
è arrivato.
Per questo dobbiamo fermarli stanotte. -
Watson lo fissava sorpreso e, suo
malgrado, sinceramente ammirato. Nonostante tutto quel tempo,
c’era sempre
qualcosa di sorprendente nel modo in cui Holmes metteva insieme i
pezzi, sommava
i dettagli e li ricuciva in un’unica trama innegabilmente
logica. Era qualcosa
di inspiegabile, affascinante, qualcosa a cui, malgrado tutto, sapeva
che non
sarebbe riuscito a rinunciare. Improvvisamente quel pensiero lo mise a
disagio.
Si affrettò ad annuire, tossendo
per dissimulare l’imbarazzo.
- Quindi come pensa di agire? -
Lo sguardo del detective si
illuminò, come se non aspettasse altro che quella domanda.
- Il piano è semplice, mio caro
Watson. Aspetteremo che Lady Isolde, attualmente in servizio di sotto,
salga
col suo ultimo cliente. Le ho lasciato un biglietto, circa mezzora fa,
in cui
ho scritto che so tutto e voglio incontrarla per parlare del suo piano.
Appena
sarà entrata in camera io scenderò in sala
spacciandomi per un avventore e
quando tornerà lascerò che mi porti nelle sue
stanze. Fingerò di lasciarmi
sedurre e abbassare la guardia così che lei dia il segnale
al fratello per
uccidermi ed è allora che interverrà Lei,
dottore. -
- E in che modo? -
- Rimarrà appostato qui e quando
mi sentirà salire si accosterà alla porta e
terrà d’occhio la situazione
intervenendo al momento opportuno per aiutarmi ad incastrare quei due.
La
camera è esattamente di fronte alla nostra:
un’ottima base d’osservazione oltre
che un’eccellente copertura. Il fatto che il Club Flaubert
affitti anche
qualche stanza è un impareggiabile vantaggio per noi! Il
nostro arrivo non ha
dato nell’occhio e da qui possiamo attendere senza il
pericolo di essere
disturbati…e nel caso ci fingeremo due amanti. -
- C-che cosa?! - Watson lo fissò,
stralunato. Sapeva cosa davano l’impressione di essere, in
due in una stessa
camera – di un bordello per giunta! –, ma sentire
quelle ultime parole
pronunciate quasi con naturalezza gli avevano stretto lo stomaco.
- Ma come può anche solo insinuare
una possibilità del genere! - gridò, alzandosi di
scatto - Sa cosa
accadrebbe se qualcuno interpretasse
davvero male questa situazione e ci denunciasse? Sa cosa succede a chi
viene
sospettato di… -
- Non si scaldi, so benissimo che
è un rischio. Ma la polizia è già
stata informata. Sanno
che siamo qui e faranno irruzione verso
mezzanotte, in tempo per arrestare i due colpevoli. Ho promesso che
avrei dato
loro il ladro-assassino di XXX senza che muovessero un dito se non per
raccogliere la gloria finale, come sempre. E questo club non
è la prima volta
che ospita uomini a quanto pare, non ha di che preoccuparsi. -
- Non ho di che preoccuparmi? Lei
sa pensare solo a se stesso o ai suoi casi! Mi ha trascinato qui senza
dirmi
nulla e ora addirittura se ne esce con la possibilità che
noi ci fingiamo… -
non riuscì a dire la parola e si trovò ad
annaspare qualche secondo prima di
riprendere - Se Mary sospettasse anche per un solo secondo cosa sto
facendo non
mi rivolgerebbe più la parola. O peggio se lo scoprisse
qualcun altro, la mia
carriera sarebbe compromessa per sempre. Se il suo piano non
funziona… -
- Quante volte? - chiese
all’improvviso.
Watson si bloccò, restando
interdetto. - …cosa? -
Holmes lo guardava serio, le
iridi scure puntate su di lui con una fermezza che lo scosse. Sembravano terribilmente
profonde e, per un
attimo, temette di caderci dentro.
- Le ho chiesto quante volte -
ripeté lui, pacato. - Quante volte un mio piano non ha
funzionato? Quante volte
l’ho coinvolta senza davvero sapere che ne saremmo usciti,
secondo Lei? Mi
ritiene così privo di scrupoli? -
L’altro rimase fermo, colpito dal
tono così grave e in qualche modo ferito del proprio
compagno. Stava per
rispondere quando una porta in corridoio si aprì. Sentirono
distintamente un
uomo, sicuramente un po’ brillo, lanciare un complimento
osceno alla propria
accompagnatrice e quella indicargli senza troppe cerimonie la porta in
fondo al
corridoio da cui accedere alla scala di servizio. L’uomo si
avviò con passo
incerto, sostenendosi al muro ogni tanto. Lo sentirono avvicinarsi,
forse
troppo, e poi la ragazza gridargli ‘Non
quella porta, quella dopo!’. Si fissarono
terrorizzati, senza avere il
tempo di dir nulla, mentre una mano sbatteva contro il legno della
porta
cercando la maniglia. Fu un istante.
La maniglia si abbassò e Holmes
afferrò Watson per la cravatta attirandolo sopra di
sé con forza, cadendo entrambi
sul letto mentre la porta si apriva e lui gli serrava le labbra con le
proprie.
Fu qualcosa di completamente
inaspettato, la paura e subito dopo il trovarsi l’uno contro
l’altro. L’uomo
fece un passo in avanti, ancora ignaro dell’errore e Watson
si divincolò
impulsivamente, ma Holmes trattenne. Lo sentì cedere contro
le proprie labbra e
d’istinto approfondì il contatto, ignorando tutto
ciò che non fosse il compagno
sopra di sé. Watson sentì appena il verso
sbigottito dell’avventore sulla porta
e le sue sciocche scuse prima di fuggire, troppo preso dal modo in cui
il suo
corpo si era teso rispondendo istintivamente al quel bacio come se lo
aspettasse, al modo in cui sentiva il sangue andare alla testa e poi
scendere
giù in basso. La porta si richiuse dietro di loro con un
tonfo sordo, ma
nessuno dei due vi badò. Si staccarono qualche secondo dopo,
ansimanti, il
corpo che pretendeva aria e il cuore che batteva
all’impazzata.
Il detective allentò la presa
sulla cravatta, cercando i suoi occhi, e Watson fremette quando si
incontrarono. Distolse immediatamente lo sguardo, scostandosi.
Si alzò in piedi cercando di
ricomporsi, ma ogni movimento gli pareva legnoso e innaturale:
stentò a
riconoscersi.
- Lei…è impazzito! C-che cosa Le
è preso? - gridò - Si rende conto di quello che
ha appena fatto? -
Holmes si sedette, guardandolo
con una calma tradita solo dai capelli scompigliati e dal leggero
ansimare - Ci
ho appena salvati entrambi, mi sembra. -
- Salvati entrambi? Un uomo è
appena entrato nella nostra stanza e ha visto… -
- Cosa? Due uomini di schiena che
potevano essere chiunque, due uomini che i suoi occhi di ubriaco hanno
fatto
appena in tempo a mettere a fuoco prima che la sua sciocca pruderia
borghese lo
facesse scappare senza badare a nient’altro. Io ci ho
protetti, Watson che le
piaccia o no. E non pensavo che una cosa del genere l’avrebbe
sconvolta tanto.
-
Le ultime parole risuonarono in
un accento quasi doloroso, impossibile da non cogliere. Ma Watson non
voleva
ascoltarlo, non poteva: aveva bisogno di tutto il suo buon senso ora e
se
l’avesse di nuovo ascoltato, se l’avesse guardato
di nuovo forse non sarebbe
riuscito a recuperarlo.
- La smetta! La smetta, Holmes,
Lei non ha nessun diritto di dire una cosa del genere. Gioca con la mia
vita
come farebbe con la propria ed io ogni volta glielo permetto! Ma ora ha
passato
il segno io… -
In quel momento altri passi si
avvicinarono distintamente, facendolo ammutolire. Udirono una voce
delicata
parlare in tono sommesso e la porta di fronte alla loro aprirsi e
chiudersi.
Capirono immediatamente: Lady Isolde era entrata nella sua camera, era
il
momento di agire.
Calò un silenzio imbarazzato.
Improvvisamente sembrarono ricordare entrambi dove si trovavano e per
quale
motivo, come se quella parentesi avesse tolto loro la percezione del
mondo
esterno.
Holmes si alzò senza una parola.
Aggiustò le maniche della camicia, ri-indossò la
giacca aggiustando il
colletto, per poi passarsi rapidamente una mano tra i capelli. Si
diresse verso
la porta mettendosi in tasca la pipa. Solo allora si voltò
verso il suo
compagno.
- È evidente che al momento si
sente troppo compromesso per lavorare con me. Ma io ho un caso da
risolvere e
andrò fino in fondo. Anche senza di Lei, Watson. Se ha
bisogno sa dove trovare
le scale di servizio. - Sospirò, prima di aggiungere -
Ammetto che la facevo
meno ‘borghese’. La sua Mary deve averla istruita
davvero bene. -
Uscì, chiudendosi la porta alle
spalle. Qualunque cosa provasse, doveva lasciarsela dietro e tornare al
suo
lavoro. Imboccò le scale per il salone principale senza
voltarsi indietro;
finse solo di aggiustarsi il colletto e, per un secondo,
lasciò che le dita gli
accarezzassero le labbra.
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Capitolo 2 *** ... ***
Watson
rimase immobile, guardando
la porta chiudersi dietro il suo collega. Poi con un gemito frustrato
si
accasciò sul letto. Prese la testa fra le mani sforzandosi
con tutto se stesso
di pensare, di chiarire quella massa di emozioni che sentiva vorticare
dentro e
serrargli lo stomaco. Si sforzò di respirare in modo
regolare. Era chiaro che
l’intera situazione l’aveva esasperato e,
probabilmente, quel ba… quello che
aveva fatto Holmes era la cosa più logica. Forse era il
luogo ad averlo
suggestionato, non era stato nulla più che
un’azione di copertura, per quanto
scioccante. Ma perché non riusciva a convincersene del
tutto? ‘Perché, caro
John Watson’, disse la sua
coscienza ‘sai benissimo che
è andato
oltre la semplice farsa dell’occasione. Lui ti ha baciato. Ti
ha baciato
davvero, e tu lo sai. Tu hai risposto’. Scosse la
testa, scacciando
quell’insulsa vocina. Anche il solo pensiero di provar
qualcosa di più che
attaccamento da camerata per Holmes lo scuoteva profondamente. Era
pericoloso,
quasi quanto lo era il suo collega, era assurdo! Holmes era scostante,
trasandato, completamente privo di senso comune ed incapace di gestire
i
rapporti umani. Lo esasperava fino allo sfinimento e non sapeva far
altro che
cacciarsi nei guai in continuazione o distruggergli
l’appartamento. Però era
anche geniale, unico e, per qualche assurdo motivo, si fidava
ciecamente di lui
al punto da affidargli la propria vita. E c’era qualcosa nei
suoi occhi che
riusciva a smuoverlo ogni volta, per quanto assurda fosse la richiesta,
per
quanto improbabile, per quanto spericolata. Gli bastava guardarlo e,
presto o
tardi, lui cedeva. Inevitabilmente.
Si chiese se sarebbe successo
anche quella volta e un brivido gli corse lungo la schiena.
Poi udì dei rumori nel corridoio.
I suoi sensi di soldato presero il sopravvento. Distinse chiaramente i
passi di
due persone e li isolò in mezzo a tutti gli altri
provenienti dalle camere e
dal piano di sotto: quelli di una erano leggeri e aggraziati, quelli
dell’altra
più pesanti e cadenzati, per lui inconfondibili. Li
sentì avvicinarsi; una
porta si aprì e si chiuse dietro di loro.
D’istinto balzò in piedi, prendendo
la pistola pronto ad agire. Poi si bloccò.
Era davvero quello che voleva
fare, rispondere ancora una volta al piano di Holmes? Era ancora in
tempo per
prendere le sue cose e andarsene, mandarlo al diavolo per una volta,
dimostrargli che non poteva usarlo a suo piacimento. Se la sarebbe
cavata come
sempre, di certo aveva già calcolato tutto. Probabilmente
aveva anche un piano
di riserva. Per un attimo accarezzò davvero
l’idea: uscì in corridoio e si
incamminò verso la porta che dava all’uscita, come
per sfida.
Fece solo qualche passo. Poi
imprecò e tornò indietro.
Si maledì per la propria incapacità
di lasciarlo perdere. In ogni caso, decise, non gli avrebbe dato la
soddisfazione di vederlo cedere così palesemente, no,
nemmeno per sogno!
Avrebbe controllato cosa succedeva, proprio come previsto, ma sarebbe
intervenuto solo se ce ne fosse stato davvero bisogno. In alternativa
avrebbe
comunque fatto in tempo ad andarsene prima che lo vedesse.
Attento a non fare rumore, si
avvicinò alla porta. All’interno si udivano delle
voci sommesse.
Controllò il corridoio per essere
certo che non lo vedesse nessuno, ma stranamente sembrava deserto.
Tanto
meglio.
Ad uno sguardo attento, notò che
la porta in realtà non era stata chiusa, lo sembrava
soltanto: qualcosa aveva
bloccato il meccanismo per permettere di scostarla senza fare rumore:
di certo
opera di Holmes. Con cautela la tirò verso di sé
aprendone uno spiraglio. La
moquette rese lo spostamento perfettamente silenzioso.
Gettò una rapida occhiata alla
stanza: era elegante, dai colori caldi, con un grande letto poggiato
sulla
parete di fronte e poco più indietro, ai lati,
rispettivamente un enorme
paravento decorato ed un grande armadio a muro dal legno pregiato.
Holmes
sedeva sopra ad un baule ai piedi del letto rivolgendosi verso la
parete,
apparentemente parlando con nessuno.
- …e come Le ho detto, non sono
il tipo che accetta qualunque compromesso - stava finendo di dire, la
bocca
atteggiata a un lieve sorriso sornione.
Da dietro il paravento venne una
risata, musicale e delicata come Watson non ne aveva mai sentite.
- Non ne dubito Mr. Holmes -
disse soavemente la voce a cui apparteneva, e il dottore fu certo che
non
potesse appartenere che ad una creatura bellissima, la più
bella che riuscisse
a immaginare.
Una mano dalle dita affusolate
comparve appoggiandosi al legno decorato e una figura uscì
da dietro il
paravento, con un movimento simile ad un passo di danza. Watson
trattenne il
fiato: la fanciulla doveva avere poco più di
vent’anni ed era di una bellezza
incredibile, alta e flessuosa, dagli occhi color cielo e i capelli
biondi.
Pareva una di quelle visioni sacre usate per ritrarre la natura. Era di
una
sensualità particolare, quasi virginea eppure terribilmente
seducente ed
esperta.
In quel momento era vestita solo
con un bustino bianco, ricamato, lungo poco oltre i fianchi, da cui
spuntavano
un paio di piccoli fermagli a trattenere delle lunghe calze bianche che
coprivano
le gambe snelle fino ad un paio di stivaletti coi tacchi scuri. Era una
vista
che toglieva il fiato.
Avanzò lentamente verso il
detective, sorridendo di rimando - Tuttavia, vorrei che ascoltasse la
mia
proposta prima… -
Si fermò a pochi centimetri da
lui e solo allora Watson si accorse che non aveva più
addosso la giacca, che
giaceva abbandonata sul letto.
- La ascolto - mormorò lui
accattivante.
Lei si avvicinò ulteriormente
fino a scivolare sopra le sue ginocchia, sedendosi delicatamente.
- Vede, Mr. Holmes, io non sono
cattiva - disse piano e la sua voce risuono di un’innocenza
perfetta mentre con
le mani gli accarezzava lievemente il colletto della camicia - e vorrei
tanto
dimostrarglielo. Ha detto tante cose brutte su di me e questo
mio…fratello, ma
come vede in realtà siamo soli qui…soli Lei ed
io, proprio come dovremmo essere.
-
Le ultime parole si caricarono di
sensualità, mentre con le mani slacciava alcuni dei bottoni
della camicia per
sfiorare sotto e Watson vide distintamente il suo compagno sospirare e
appoggiarle le mani sui fianchi, accarezzandola fino alla schiena per
raggiungere i lacci del bustino. Lei gemette piano e prese a baciargli
il collo
facendogli spingere d’istinto la testa all’indietro
mentre la attirava
possessivamente a sé con un trasporto che il dottore non gli
aveva mai visto.
Si trovò improvvisamente con la
bocca completamente secca. In tutti quegli anni aveva imparato a
conoscere ogni
lato di Holmes, ma soltanto ora si rendeva conto di non averlo mai
visto in un
momento di intimità. Lo colpì
l’impressione netta di quanto potesse essere
appassionato, sensibile con quelle mani abituate di solito a maneggiare
armi o
strane sostanze chimiche e si ritrovò a rabbrividire
immaginando lo stesso
tocco sopra di sé. Deglutì a vuoto quando lei gli
prese le labbra, intrecciando
le dita fra i suoi capelli quando lui rispose con altrettanto
trasporto. Era
uno spettacolo da cui non
riusciva a
staccare lo sguardo ed una parte di lui provò una fitta
bruciante di gelosia al
pensiero che poco prima quella bocca era stata premuta contro la sua
con una
passione che lui aveva ricambiato. E poi respinto. L’ultimo,
involontario
pensiero gli strinse lo stomaco.
Era così preso da ciò che aveva
davanti che quasi gli sfuggì quando la porta
dell’armadio a muro iniziò ad
aprirsi. Fu un movimento fluido, privo di rumore, e da quello spiraglio
lentamente uscì una figura: un uomo, alto e muscoloso, dai
capelli castani e
gli occhi chiari come quelli della ragazza; indossava
un’inconfondibile abbigliamento
da mozzo. Era il fratello di Lady Isolde, Holmes aveva ragione!
Le luci soffuse si infransero con
uno scintillio sulla lama che impugnava. Teneva lo sguardo fisso verso
il
detective girato di schiena, preso dal bacio appassionato che aveva
ovviamente
l’unico scopo di bloccarlo in quella posizione.
L’istinto di Watson lo fece
quasi scattare, ma riuscì a trattenersi: nessuna aveva
l’udito più fine di
Holmes, doveva averlo percepito per forza. Per quanto silenzioso
rimaneva pur
sempre un marinaio, pesante e per nulla delicato. E il detective
percepiva
qualunque cosa. L’uomo avanzò ancora di qualche
passo, lento ma esperto, ed
iniziava ad essere pericolosamente vicino. Perché Holmes non
si muoveva? Era
davvero così coinvolto da aver perso la sua normale acutezza
dei sensi? Pochi
metri ancora e avrebbe rischiato di finire come le altre vittime.
- Avanti Holmes… - sussurrò
Watson a denti stretti sollevando lentamente la pistola.
L’uomo avanzò ancora di mezzo
metro.
- Avanti… -
E ancora.
- Si giri, perdio, so che l’ha
sentito… -
E ancora.
- Andiamo, non mi costringa ad
intervenire… -
Arrivò ai piedi del baule.
- Holmes, La prego… -
Poi l’uomo sollevò il pugnale.
- Holmes! -
Il grido infranse il silenzio
insieme al rumore della porta che si spalancava. Sparò senza
esitare un
istante.
Il detective, come fosse un
segnale, cinse con un braccio la ragazza e facendo leva sulle gambe si
lanciò a
terra. Il pugnale gli sfiorò la camicia per un soffio,
conficcandosi nel legno
mentre una pallottola colpiva di striscio la spalla che
l’aveva vibrato
strappando un grido al suo possessore. I due rotolarono a terra e Lady
Isolde
gridò divincolandosi dalla sua stretta. Holmes la
lasciò, ma fece appena in
tempo a balzare di nuovo all’indietro prima che un fendente
cercasse di
squarciargli il petto. La lama comparsa all’improvviso nelle
sue mani tagliò il
tessuto penetrando con la punta nella carne e subito un sottile rivolo
rosso
macchiò il bianco della camicia. Lei si lanciò in
avanti in un affondo pieno di
rabbia, ma stavolta il detective fu pronto ad afferrarle un polso
sbilanciandola in avanti per poi disarmarla. Le torse un braccio dietro
la
schiena spingendola a urlare di dolore e il fratello, distratto da quel
grido, ricevette
il calcio della pistola del dottore in piena fronte, cadendo a terra
come un
sacco di patate.
- Lavoro eccellente, vecchio mio
- disse Holmes, sorridendo soddisfatto.
- Non potrei dire lo stesso di
Lei. Si è quasi fatto ammazzare - lo prese in giro Watson,
ridendo.
- Era parte del piano, mi pare
ovvio… -
Non fece in tempo ad aggiungere
altro, perché un enorme trambusto riempì
l’edificio. Si udirono voci, grida e
un secondo dopo Lestrade irruppe con un gruppo di poliziotti a pistole
spianate,
invadendo la stanza.
- Oh, ecco qui il braccio armato
della legge. - commentò sarcastico il detective - Tempismo
perfetto come
sempre, Lestrade, abbiamo finito di metterli fuori gioco giusto ora -
- Holmes, farà bene a non fare il
furbo con me - abbaiò il poliziotto, deriso
nell’orgoglio - mi aveva promesso
l’assassino di XXX, che ci fa qui ferito e con una ragazza? -
- Le racconterò una storia,
ispettore. Anni fa vi era una famiglia di ricchi mercanti, la cui madre
aspettava una bambina. Un giorno, prima della sua nascita, il padre si
imbarcò
su alcune navi dirette in Francia per affari e non fece più
ritorno. Nel
frattempo, nacque una bambina bellissima, che la madre
allevò con gli agi e
l’istruzione del suo rango, aspettando ogni giorno di veder
tornare il marito
con altri soldi a sostenerle. Non tornò mai. Cadute in
disgrazia, la ragazza fu
raccolta e ospitata dalla proprietaria di questo Club, Madame Bovary,
colpita
dalla sua bellezza e dai modi acculturati, perfetti per questo posto.
La
ragazza smise di pensare alla famiglia perduta, finché un
giorno, qualche mese
fa, altre navi dalla Francia sbarcarono e lei incontrò una
persona che mai
avrebbe pensato di vedere: il suo fratellastro. A pochi istanti dalla
morte, il
padre gli aveva confessato di aver lasciato una famiglia a Londra,
certamente
bisognosa di mezzi e lui era tornato a cercarli. È stata la
sorte a
ricongiungerli. Nessuno di loro può permettersi di vivere
qui, ma, con
abbastanza soldi, in Francia avrebbero avuto
l’opportunità di rifarsi una vita
sotto un altro nome. Da qui il loro pian perverso. Lady Isolde, la
nostra
fanciulla, è colei che organizzava tutto: rivelava le
abitudini poco lecite dei
mariti alle rispettive mogli e per soldi si offriva di eliminarli.
L’assassino
vero e proprio, invece, è
lui, il
marinaio francese gentilmente rabbonito dal mio dottore. Una volta
uccise le
vittime, le ripulivano ed il corpo era abbandonato nel quartiere appena
vicino
a questo, dove potevano tranquillamente passare per furti con omicidio.
Ecco a
lei, dunque, questa storia di sofferenza, avidità e sangue. -
Lestrade l’aveva ascoltato
stupito insieme ai suoi uomini. Spostò più volte
lo sguardo da lui ai due
arrestati che ora indossavano un paio di manette di ordinanza, come
incerto se
credere ad ogni singola parola senza fiatare o se ribattere.
- Lei è certo di quello che dice,
Holmes? - chiese infine, titubante.
- In assoluto. Chieda a loro
stessi e troverà confermata la mia storia. Ancora una volta
ha risolto
brillantemente il caso e assicurato due pericolosi criminali alla
giustizia,
Lestrade. Congratulazioni! - ribatté quello con ironia.
- Sì, ma dove sono i gioielli delle
vittime? Senza di quelli non ci sono prove ad accusarli degli omicidi,
solo
un’accusa per aggressione nei vostri confronti -
- Eccellente constatazione,
ispettore, ammetto che la sua sagacia mi colpisce. I gioielli
appartenuti alle
vittime fanno parte del bottino, e come tali devono essere ancora in
questa
stanza insieme ai soldi ricevuti per gli omicidi. -
- Se quei gioielli ci sono li
troveremo. Uomini, frugate dappertutto! E portate in cella questi due -
I poliziotti fecero cenno alla
ragazza di seguirli, troppo abbagliati dalla sua bellezza per agire
rudemente,
mentre il fratello fu afferrato per le braccia senza troppe cerimonie e
spinto
verso l’uscita. Lui si ribellò, divincolandosi
come una belva e riuscendo a
liberarsi abbastanza da correre verso la sorella e afferrarle il viso
fra le
mani. ‘Non
lascerò che ti uccidano, mia luce. Dirò loro che
ti ho costretta a
farlo e tu potrai partire lo stesso!’
gridò in francese prima di essere
afferrato di nuovo dalle guardie e trascinato fuori. Lei lo
fissò, immobile,
mentre una lacrima le solcava la guancia. ‘Fratello
mio’ sussurrò solo.
Holmes spalancò gli occhi, come
se solo allora avesse davvero capito.
- Tu lo ami
- le disse, a sua
volta in francese, e lei lo guardò senza rispondere mentre
le guardie la
portavano via.
- Che ha detto? - chiese Lestrade
- Se è qualcosa di importante bisogna scriverla per il
tribunale. -
- Non era niente - rispose lui,
scuotendo la testa - …le ha solo detto addio -
Watson lo guardò, stupito di
quella delicatezza, ma lo sguardo che ricevette fu carico di
significato.
- Bene. Ora se non avete più
bisogno di noi… - iniziò di nuovo il detective,
ma un improvviso giramento di
testa lo costrinse a fermarsi. Il dottore fu subito al suo fianco per
sostenerlo, facendolo sedere sul letto. Solo allora
l’attenzione generale si
focalizzò sulla sua ferita che, pur poco profonda, si
stagliava evidente sopra
il petto appena sotto la camicia.
- Ha ripreso a sanguinare, devo
suturarla - osservò il medico, pensieroso.
- Ma potreste ancora servirmi per
mettere in luce i lati ancora oscuri del caso… - si
intromise l’ispettore,
preoccupato dei fascicoli di dati che avrebbe dovuto inserire prima di
poter
definitivamente archiviare il caso.
- Sono certo che Holmes sarà più
che disposto a raccontare tutto ad un suo collega tra poco, mi serve
giusto il
tempo di fermare il sangue e ricucire il taglio. Nella stanza di fronte
ho
parte della mia strumentazione, dovrebbe bastare a rimetterlo insieme
in un’ora
-
Il poliziotto annuì soddisfatto. -
Perfetto, allora vi farò mandare uno dei miei uomini quando
avremo finito di
perlustrare la stanza in cerca dei gioielli delle vittime. Potrete
raccontare
tutto a lui -
- Sempre troppo comprensivo,
ispettore Lestrade - bofonchiò il detective, prima che il
tentativo d’alzarsi
gli strappasse un’imprecazione di dolore. Ora che
l’effetto dell’adrenalina
stava svanendo, sentiva la ferita pulsare contro lo sterno e la testa
girarli
leggermente.
Watson lo aiutò a mettersi in
piedi passando un suo braccio attorno alle proprie spalle e cingendolo
alla
vita. Leggermente barcollanti si avviarono all’uscita, mentre
un gruppo di
poliziotti era impegnato a mettere sottosopra la camera.
Ringraziando che la loro stanza
fosse così vicina, Watson varcò la soglia e si
chiuse dietro la porta.
L’ambiente divenne improvvisamente silenzioso ed entrambi
tirarono un sospiro
di sollievo. Nonostante tutte le proteste, Holmes venne fatto sdraiare
sul
letto e fu costretto ad attendere pazientemente che l’altro
raggiungesse la
propria borsa e si sistemasse sul tavolino accanto a lui.
Lasciò che gli
aprisse del tutto la camicia e che tamponasse il sangue con una parte
del
lenzuolo.
- Lady Isolde sapeva dove mirare
- commentò osservando la ferita. – E aveva
nascosto il coltello nello
stivaletto! Pericolosa anche in
lingerie. Mi viene in mente solo un’altra donna da cui mi
sarei aspettato una
cosa del genere… -
- Irene Adler - completò lui, con
un mezzo ghigno. - Lo so. Una donna bellissima che cela armi ed
inganni. Mi ero
aspettato un trucchetto del genere. -
- E per fortuna
l’ha quasi evitato. La ragazza
aveva puntato alla gola. -
Prese alcuni strumenti dalla
borsa e li dispose sul tavolo. Poi estrasse una fiaschetta.
- Ne beva un po’ - ordinò,
porgendogliela - ma non la finisca. Impiegherò un attimo a
sterilizzare gli
strumenti e la dovrò ricucire. Farà un
po’ male. Ma d’altronde dovrebbe già
saperlo. -
Il detective obbedì, ingollando
un sorso generoso che gli bruciò fino in fondo alla gola,
facendolo tossire. -
Niente male dottore – esalò, riprendendo fiato -
sono contento di sapere che
sulle medicine non lesina. -
- Non la finisca, mi raccomando.
-
Holmes ridacchiò e bevve un altro
paio di sorsi prima di passargli di nuovo la fiaschetta. Avvertiva il
dolore
farsi pian piano meno acuto, mentre una piacevole sensazione di
leggerezza lo
invadeva allentando la tensione. Sussultò quando lo stesso
liquido ambrato
venne fanno scorrere lungo la ferita.
- Ah! Faccia piano, quella roba
brucia! -
- È normale che faccia così, la
smetta di fare la femminuccia -
- Avrei dovuto berne di più -
bofonchiò scontroso.
Watson afferrò un ago da sutura
sterilizzato e si apprestò ad iniziare il lavoro. Ricucire
gli strappi di
Holmes dopo le loro avventure era diventata quasi una routine, tanto
che
avrebbe affermato che nessuno conosceva il suo corpo meglio di lui. Ne
aveva
medicato praticamente ogni centimetro, steccato buona parte e ricucito
l’altra
metà. Una vicinanza che gli era sempre parsa normale, ma che
ora avvertiva con
un significato più profondo. Lui era l’unico che
conoscesse le sue vecchie
ferite e i suoi punti deboli, l’unico da cui il compagno si
lasciasse toccare,
non importa quanto grave fosse il danno. L’unico ad avere
accesso ad un pezzo
della sua anima, forse, dato che l’anima reca impressi tutti
i segni della
vita. Improvvisamente quel corpo solido ed ora leggermente pallido che
aveva
sotto di sé gli parve qualcosa di speciale, di perfetto, da
custodire ad ogni
costo.
L’altro parve percepire qualcosa
nella sua attesa, perché alzò lo sguardo, quello
sguardo così dannatamente
profondo e lo guardò. Per un lunghissimo istante si
fissarono e Watson si stupì
di quanti dettagli ora cogliesse nel suo viso: le ciocche che cadevano
spettinate sulla fronte, le pupille leggermente dilatate
dall’alcol, le guance
arrossate dal caldo, le labbra umide che appena si sfioravano.
Trasalì
riacquistando l’autocontrollo e distolse lo sguardo. Strinse
l’ago fra le dita.
- Farà un po’ male - disse solo.
- Ci son abituato. -
Strinse i denti quando l’ago
penetrò nella sua pelle per la prima volta, attraversando
gli strati separati
dalla lama per legarli di nuovo insieme. Era un lavoro lungo e di
precisione,
ma nessuno sarebbe stato in grado di farlo meglio di Watson. E lui non
l’avrebbe lasciato fare a nessun altro. C’era stato
un momento, prima, in cui
aveva visto qualcosa passare nei suoi occhi, una scintilla di un attimo,
ma
abbastanza perché la riconoscesse. Non aveva mai osato
sperarci e, in effetti,
era inutile farlo ora. Forse era stata la situazione o, forse, un
allucinazione
dovuta all’alcol.
- Aveva ragione lei, alla fine. -
disse sommessamente il dottore - Il fratello era nascosto nella camera
di Lady Isolde.
-
- È stata una deduzione
elementare - ribatté lui - non poteva che essere
così. -
L’altro rimase un po’ in
silenzio, come indeciso. Alla fine parlò.
- Lei sapeva che era lì. Sapeva
dove era nascosto. L’ha sentito muoversi e non ha fatto nulla
per impedirlo. -
- Cosa glielo fa credere, di
preciso? -
- Non si prenda gioco di me,
Holmes. La conosco da abbastanza tempo per sapere che i suoi sensi non
si
lasciano ottundere da una bella donna, a meno che non sia Irene Adler.
Lei era
pronto ad agire, ha evitato la coltellata con troppa prontezza per
convincermi
del contrario. Eppure ha atteso fino all’ultimo secondo, se
io non fossi
entrato forse ora non sarebbe qui a raccontarlo! Si può
sapere cosa aspettava?
-
- Mi pare evidente. Aspettavo
Lei, dottor Watson. -
Rispose così, semplicemente, e fu
come se un fulmine avesse attraversato la stanza.
Watson rimase incredulo, con
l’ago ancora in mano, incapace di muoversi. Una parte di
sé lo aveva sempre
saputo e l’altra lo stava odiando profondamente per averlo
messo nel sacco
un’altra volta. Eppure sapevano entrambi che questa volta era
diverso; non era
più un giochetto o uno stupido braccio di ferro.
Senza quasi accorgersene il
dottore si ritrovò chinò su di lui, incatenato
dalle sue iridi scure, e sentiva
distintamente il suo cuore pulsare attraverso il petto contro la
propria mano.
Provò il desiderio di afferrarlo per i capelli, tirargli la
testa all’indietro,
gridargli che era un pazzo incosciente e poi chiudergli la bocca con la
propria
baciandolo come aveva visto fare prima a quella ragazza. Si accorse che
il
detective aveva iniziato a respirare più velocemente e
avvertì una delle sue
mani sfiorargli un fianco, titubante, come se gli stesse chiedendo il
permesso
di toccarlo. I loro visi erano ormai tanto vicini da sfiorarsi e
capì che erano
vicini a un punto di non ritorno. Sarebbe bastato un soffio e sarebbero
caduti
entrambi, un solo centimetro in più…
Qualcuno bussò alla porta
facendoli sussultare.
Holmes abbassò la mano e Watson
si sollevò di scatto spezzando il contatto visivo.
- Avanti. -
Suonò autorevole, calmo. Soltanto
il detective vi percepì una nota di stizza.
Un poliziotto comparve sulla
porta rivolgendo loro un rigido cenno di saluto.
- L’ispettore Lestrade mi ha
mandato a raccogliere la deposizione del Signor Holmes. -
- Ho quasi finito - rispose il
dottore, tornando a dedicarsi alla ferita.
Bastò un ultimo punto, poi lo
aiutò ad alzarsi per potergli fasciare il busto.
Compì l’operazione in silenzio
sforzandosi di non toccarlo un centimetro in più del
necessario, gli occhi ben
fissi al proprio lavoro.
- Se vuole iniziare sono già in
grado di risponderle, agente - lo apostrofò Holmes con
noncuranza, come se in
quel momento non stesse fremendo ad ogni tocco del proprio collega.
- È necessario che mi seguiate in
centrale, Signore - rispose quello, ignaro - non ci è
permesso trattenerci in
questo posto più dello stretto necessario ed i miei colleghi
stanno finendo la
perquisizione. -
- Immagino che Madame vi abbia
messo in riga appena entrati - lo prese in giro il detective,
ridacchiando nel
vederlo irrigidirsi. - Non appena il mio socio avrà
terminato sarò lieto di
seguirvi. -
Lasciò che il dottore finisse di
sistemare le bende poi scese dal letto e si riabbottonò la
camicia ancora
sporca di sangue. Il poliziotto sgranò gli occhi - Ma,
Signor Holmes, non
vorrete uscire in strada in questo modo! -
- Visto che è stato così gentile
da chiedermelo, no, non penso uscirò in questo modo.
Nell’altra stanza
troverete la mia giacca e da qualche parte qui dovrebbe esserci ancora
il
soprabito… -
- Al momento non può entrare di
là. Vado a prendergliela io, Signore. -
Uscì di fretta per tornare subito
con la sua giacca. Lui si sistemò con calma, controllando di
avere ancora la
pipa e solo allora indossò il soprabito che Watson gli
porgeva. Alla fine parve
soddisfatto.
- Tres bien. Ci faccia strada,
agente. -
Quasi due ore dopo, i due si
trovarono finalmente fuori dalla centrale, di nuovo immersi nelle
fredde strade
londinesi.
Il poliziotto era stato oltremodo
zelante e li aveva costretti a narrare la storia più volte e
nei dettagli, a
passare in rassegna ogni deduzione. Era stato solo grazie
all’autorevolezza
medica di Watson che l’agente si era infine convinto a
lasciarli andare per non
correre il rischio di vedere il suo testimone stramazzare a terra
morto. La scenetta
misero su tolse un po’ del broncio al detective e la
successiva notizia, –
scappata per caso da un tavolo vicino – che i gioielli delle
vittime non erano
stati trovati nella perquisizione lo ringalluzzì del tutto.
- Holmes, non mi dica che stiamo
tornando al Club Flaubert! - sbottò Watson, esasperato,
vedendolo imboccare
senza esitazione la strada da cui erano arrivati.
- Mi pare logico, caro dottore:
se la polizia non ha trovato nulla toccherà farlo a noi! -
esclamò vispo - E
poi, ho promesso a Madame che avrei risolto il caso entro stanotte. -
L’altro sospirò rassegnato.
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Capitolo 3 *** ... ***
Holmes
si fermò davanti ad una
porta scura, quasi nascosta in un vicolo secondario.
Controllò la serratura
poi, con un verso di approvazione, estrasse gli arnesi da scasso.
Il meccanismo scattò con un
rumore metallico che risuonò ingigantito dal silenzio
segnante nel vicolo.
Senza una parola entrarono. Davanti a loro vi era un piccolo atrio
decorato da
quadri e una scala che saliva direttamente al piano di sopra. Salirono
silenziosamente,
i passi attutiti dalla moquette.
Era buio nel corridoio, eppure
non fu difficile percorrerne qualche metro e trovare
l’entrata della camera che
cercavano. Il detective entrò per primo e accese la luce;
Waston si affrettò a
seguirlo chiudendo
la porta dietro di
sé. Il caldo li costrinse immediatamente a liberarsi dei
cappotti e poi
poterono finalmente guardarsi intorno.
Si stupirono dello stato in cui si
trovava la stanza: vi erano segni evidenti di perquisizione ed ogni
cassetto o
anta era spalancato, il contenuto ammucchiato a terra, eppure nel
complesso
manteneva ancora un certo ordine. I mobili erano nella posizione di
partenza ed
il letto sfatto ma non divelto, né coi materassi squarciati.
Era come se gli
agenti si fossero sforzati di non distruggerla.
- Questa deve essere opera di
Madame – commentò il detective, divertito - quando
vuole sa essere più che
persuasiva e ha parecchie conoscenze dalla sua parte. Gli agenti di
Lestrade
avranno temuto perfino a rovistare nei cassetti! -
- Holmes, esattamente, dove pensa
di cercare? - lo interruppe l’altro, leggermente spazientito
- Se ci fossero
cassetti nascosti o doppifondi i poliziotti li avrebbero trovati. -
- Lei li sopravaluta, mio caro
Watson. Ma in ogni caso non sarà necessario ricontrollare i
cassetti. Ho il
sospetto che il nascondiglio sia molto più ingegnoso, magari
veloce da
raggiungere in caso di bisogno, eppure introvabile per chiunque
altro… -
Si mise a camminare per la stanza
pensieroso. Nonostante la stanchezza il suo cervello lavorava senza
sosta e
cercava nei suoi ricordi un indizio qualsiasi, un movimento o uno
sguardo che
potessero aiutarlo a capire. Accese la pipa, sedendosi sul grande letto
dietro
di sé. I suoi pensieri si interruppero per un secondo, come
per capriccio, al
pensiero di quelle lenzuola sfatte dalle mani di un insulso poliziotto
e non
dalla passione di due amanti. Si chiese se, nel caso, si potesse
ugualmente
arrivare a ridurle così. La parte successiva del pensiero lo
fece fremere.
Forse in modo troppo evidente.
- Holmes, sta bene? - chiese il
dottore avvicinandosi - La ferita le da fastidio? -
- No, sto perfettamente. - calcò
lui, punto sul vivo - E se non Le dispiace starei cercando di pensare
ora. -
- Oh, mi scusi tanto se mi
preoccupo per la Sua salute, cosa che evidentemente a Lei non importa
dato che
continua a metterla a repentaglio come un incosciente! -
- Non è nulla di cui Lei debba
preoccuparsi e, per sua informazione, ho sempre avuto la situazione
perfettamente sotto controllo -
- A me invece pare che la
situazione le avesse preso la mano, per l’esattezza che le
fosse in braccio. -
Il detective scattò in piedi, furioso
- Ho recitato la mia parte come Lei avrebbe dovuto fare con la propria,
se non
fosse stato occupato fino all’ultimo a guardarmi senza fare
nulla! -
Il pugno partì senza che nemmeno
se ne fosse accorto. Holmes fu colpito in pieno viso e cadde sul
materasso. Si
sentì afferrare per il colletto e aprendo gli occhi vide
Watson sovrastarlo,
accecato dalla rabbia.
- Come osa! È Lei qui ad avermi
messo in difficoltà, Lei e la sua stupida farsa per mettersi
in mostra e
cacciarsi nei guai un’altra volta pretendendo che io la segua
senza fiatare! -
- La smetta di comportarsi come
un insulso borghese pieno di falsi pudori e affronti la
verità! Lei non può far
a meno di me, è per questo che è tornato,
è solo per questo! E la sua non è
altro che gelosia nel vedermi fra le braccia di una donna... -
- Stia zitto! -
- Mi desidera quanto io desidero Lei
e non è capace di ammetterlo nemmeno con se stesso! -
- Stia zitto!! -
Ruggì cercando di colpirlo di
nuovo, ma il detective deviò il colpo facendolo sbilanciare
in avanti. Con la
mano libera gli afferrò la testa premendolo contro di
sé. Le bocche cozzarono
con violenza e lui corse a cercare la sua lingua intrecciandola con la
propria.
Lui si ribellò, gridò facendo forza contro il
materasso mentre la sua bocca si
impregnava del gusto amaro del tabacco e di quello forte, elementare,
di
Holmes. Si sentì scuotere da un tremito e il petto prese a
bruciare.
Poi, all’improvviso, Holmes lo
lasciò andare e lui si trovò a scattare
all’indietro trascinato dalla sua
stessa forza. Lo fissò sbigottito, sollevato per
metà da lui senza riuscire a
far altro che restare immobile, il respiro accelerato. Anche
l’altro ansimava e
solo allora, osservando le sue labbra, si accorse che una sanguinava
leggermente.
- Se ne vada… - mormorò il
detective, roco, e lui trasalì, il respiro bloccato in gola.
- Se ne vada ora,
se lo desidera. E stavolta non le chiederò di restare. -
Watson lo guardò e nei suoi occhi
lesse che diceva la verità: stavolta non l’avrebbe
costretto. La decisione era
soltanto sua. Alzarsi da quel letto, prendere il cappotto e uscire
lasciando
alle spalle tutto.
Osservò il suo petto che si
alzava ed abbassava a pochi centimetri da lui, lo sguardo risoluto,
orgoglioso,
le labbra serrate in attesa. Ricordò la sensazione del suo
tocco quando l’aveva
medicato e come avesse desiderato sentirlo ancora dopo, guardandolo con
quella
ragazza. Aveva ragione, dannato Holmes, aveva ragione come sempre. Rise
incapace di trattenersi e capì di aver perso di nuovo.
- Sa una cosa Holmes? Lei è il
più gran bastardo che io abbia mai conosciuto. -
Il detective si sollevò sui
gomiti e cercò di ribattere, ma stavolta fu lui a non
permettergli di parlare e
gli prese di nuovo le labbra. Provò un brivido
all’idea di ciò che stava
facendo, ma il mugolio affamato del suo compagno fere cessare ogni
pensiero
razionale. Si concesse di esplorare più a fondo la sua
bocca, inebriato dal suo
sapore così familiare e così eccitante insieme.
L’altro ricambiò subito,
lasciandolo guidare e prendere a suo piacimento per poi stupirlo e
prendere lui
il comando come in una lotta. C’era qualcosa di ruvido e
bruciante nel baciare
così un uomo: era puro trasporto, un gioco di possesso tanto
più intenso
proprio perché fatto da giocatori di pari forza.
Un secondo dopo si ritrovò ad
afferrarlo per le spalle e strappargli di dosso la giacca mentre
l’altro gli
prendeva i fianchi cercando i bottoni del suo gilet alla cieca, senza
staccarsi
l’uno dall’altro. Se ne liberarono con forza
riattaccandosi subito, con
ferocia, le mani che scorrevano lungo il petto e le cosce per poi
risalire alla
schiena, come due affamati che abbiano alla fine trovato di che
cibarsi.
Conoscevano ogni centimetro l’uno dell’altro,
eppure parve loro di sentirsi
davvero per la prima volta e allora
impararono il corpo che avevano davanti, con ogni tocco e con ogni
gemito.
Watson prese a mordergli il
collo, appena sotto il mento, e poi scese fino
all’attaccatura delle spalle
marchiandolo con piccoli segni rossi, stuzzicandolo con la lingua ogni
volta
che lo sentiva sussultare sotto i suoi denti per sentirne di nuovo i
gemiti
rochi. Era un suono intossicante, che gli mandava brividi lungo la
spina
dorsale e giù fino al ventre: dopo averne sentito uno ne
desiderava un altro,
più forte, e più forte ancora. Holmes lo
liberò con uno scatto dalle bretelle e
poi strattonò la camicia per potersi insinuare nello spazio
fra essa ed i
pantaloni, a contatto con la sua pelle. La avvertì bollente
al tatto, tesa e
tremante sotto il proprio tocco mentre lui a sua volta tremava
torturato dalla
sua bocca. Corse lungo la schiena facendolo inarcare al contatto e,
quando lui
prese a sfregare un dito contro uno dei suoi capezzoli, gli
affondò
istintivamente le unghie nella carne.
In un battito di ciglia erano
entrambi senza camicia, la pelle leggermente sudata che risaltava alla
luce
tenue delle lampade. Holmes si sollevò leggermente e lo
cinse con un braccio.
Fece scorrere la lingua lungo i muscoli dei suoi pettorali sentendolo
ansimare
mentre descriveva cerchi concentrici, che diventarono man mano
più piccoli fino
a che non strusciò contro la pelle più sensibile
di un capezzolo strappandogli
un verso di piacere. Percepivano entrambi la propria eccitazione e
quella
dell’altro farsi sempre più prepotente e dolorosa
stretta nei pantaloni. Fu
Watson a strapparglieli di dosso per primo liberandolo di tutto per poi
concedersi di ammirarlo, nudo, sotto di sé. Era splendido,
coi capelli spettinati
e quegli occhi scuri traboccanti di desiderio e richiesta.
Baciò con reverenza la punta
della sua erezione e lo sentì mugolare, in agonia, e
spingersi istintivamente
contro di lui. Sorrise all’idea di averlo in pugno e lo
leccò piano, senza
fretta, guardandolo spingere la testa all’indietro e
spalancare la bocca per
prendere aria mentre la voce si bloccava in gola. Ripeté il
gesto di nuovo e di
nuovo, beandosi della sua espressione e sentendo le sue gambe contrarsi
in
spasmi involontari attorno al suo corpo.
Ben presto non riuscì più a
restare a guardare. Sapeva di volerlo con tutto se stesso e allora si
liberò
dalla morsa dei pantaloni e risalì a baciarlo con foga per
poi chiedere con gli
occhi qualcosa; qualcosa di cui aveva già avuto il consenso.
Si fermò un
secondo, indeciso, tremante eppure incapace di pensare a un modo per
aiutarsi,
per non fargli male.
Fu Holmes, con un gesto un po’
saccente dei suoi, ad indicargli il cassetto del comodino mezzo
divelto: in
effetti, aveva scordato dove si trovava. Fu un attimo trovare
ciò di cui aveva
bisogno. Aprì con delicatezza la boccetta
e prese un po’ d’olio con le dita
spargendolo abbondantemente sopra di
esse e poi sulla propria erezione. Il detective seguì ogni
mosse, attento, e
quando l’altro fu pronto aprì solo un
po’ di più le gambe in un gesto
inequivocabile. Watson avvicinò delicatamente le dita.
- Farà un po’ male - disse solo.
- Potrei farci l’abitudine. -
Trattenne il respiro e spinse un
dito contro la sua apertura forzando leggermente. Lo sentì
contrarsi
istintivamente per respingere il suo ingresso, ma riuscì
ugualmente a scivolare
al’interno. Si fermò avvertendo un singhiozzo
trattenuto.
- Continui… - gli ordinò,
stringendo gli occhi.
A suo modo, era abituato al
dolore e Watson capì che se si fosse fermato ora per
riguardo gli avrebbe fatto
un male ben maggiore. Si mosse piano, abituandolo alla sua presenza
poi,
sentendolo rilassarsi un po’, aggiunse un secondo dito.
Rimasero in silenzio in
quell’intimità e ancora una volta il dottore
pensò a quanto dovesse fidarsi di
lui per donargli addirittura se stesso.
Pian piano riuscì a percepire un
cambiamento: dei piccoli tremiti che diventavano da sussulti di dolore
a
sussulti di piacere. Aspettò che fossero evidenti, quasi
gemiti e allora tolse
le dita e gli rivolse un ultima domanda. E i suoi occhi gli dissero di
sì.
Penetrò dentro di lui quasi con
dolcezza e rimase senza fiato: era stretto, bruciante, tanto che anche
il
semplice star fermo gli procurava delle scosse di piacere
così intense che
temette di poter giungere al limite. Strinse i denti e
respirò profondamente
per recuperare il controllo.
Si mosse lento, controllato,
lasciando che la carne cedesse lentamente sotto le sue spinte fino a
che non lo
sentì di nuovo gemere di piacere. Aumentò di un
po’ la velocità e con una mano
gli prese il sesso muovendolo a ritmo con lui e sentendolo inarcarsi
fra le sue
dita. Anche il suo corpo era ostinato come la sua mente, ma lui prese a
domarlo
una spinta dopo l’altra fino a sentirlo rispondere sotto si
sé ad ogni
movimento e ad ogni carezza. Gli afferrò i fianchi, incapace
di trattenersi ora
che i colpi diventavano sempre più veloci e potenti,
ansimando a sua volta
senza controllo mentre lo possedeva. Nel prenderlo cambiò
angolazione ed il
detective gridò quando il suo corpo di scosso da una
simultanea esplosione di
piacere. Resistette ad altri due colpi prima di venire singhiozzando il
suo
nome e lo sentì raggiungere i limite con un ruggito al suono
della propria
voce.
Crollarono entrambi, incapaci di
una sola parola, stretti l’uno all’altro coi corpi
ancora tremanti per
l’orgasmo.
- Lo ammetta Watson -
sussurrò il
detective - non può fare a
meno di me. -
L’altro sbuffò alzando gli occhi
al soffitto senza rispondere.
Passarono alcuni minuti, poi
entrambi si mossero. Nel farlo Holmes urtò contro una delle
colonnine di legno
della spalliera del letto ed entrambi sussultarono per il rumore che
fece:
suonava vuoto.
- Ma certo! Come ho fatto a non
arrivarci! -
Si sollevò di scatto e afferrò il
pomello ruotandolo. Quello si mosse docile e dopo pochi giri si
staccò
rivelando un vano nascosto. Ci infilò la mano, estraendone
soddisfatto due
sacchetti dall’aria piuttosto pesante.
- Come immaginavo! In uno ci sono
gli effetti personali delle nostre vittime e nell’altro i
soldi delle mogli
tradite. Tutto torna. Watson, abbiamo le prove! -
- Ho notato - borbottò l’altro,
raccogliendo i propri abiti.
Si vestirono in fretta, Holmes
diventato un autentico fiume di parole dopo aver trovato anche
l’ultima chiave
mancante del caso. Prestarono attenzione a lasciare meno tracce
possibili prima
di uscire. Watson imboccò rapidamente la strada per la porta
secondaria, ma
l’altro lo trattenne.
- Non da questa parte, dottore.
C’è un’ultima cosa da fare. -
Attraversarono il corridoio in senso
opposto, scendendo la scala che dava al salone convinti di trovare
buio. Anche
Holmes sussultò per la sorpresa quando, illuminata da
un’unica lampada,
scorsero Madame Bovary intenta a leggere un libro su una delle
poltrone, con a
lato un bicchiere di scotch.
- Madame - salutò il detective
riprendendosi velocemente.
Quella alzò il capo, per nulla
sorpresa dei due uomini che le stavano davanti: doveva avere
quarant’anni, i
capelli corvini e gli occhi neri, un fisico generoso ma ben formato.
Aveva un
fascino particolare, dato dall’espressione composta e sicura
di sé che si
stemperava in una bocca sensualmente sottolineata dal rossetto.
- Buonasera Mr. Holmes, o forse
sarebbe meglio dire buongiorno, data l’ora -
- Non sono solito badare a queste
formalità - sorrise lui. - Ci tenevo ad informarla che il
caso è risolto, ho
trovato anche l’ultima prova mancante. Senza la sua
collaborazione, questo non
sarebbe stato possibile. -
- Grazie a lei di avermi liberato
di una così scomoda situazione. I clienti avevano
già iniziato a vociferare che
qualcuno li osservasse entrare nel Club per poi ucciderli e a breve
qualcuno
avrebbe iniziato a spargere il panico. Inoltre, grazie alla sua
collaborazione,
all’arrivo della polizia i miei ospiti erano tutti al sicuro
nel salone e hanno
potuto andarsene in fretta senza essere fermati. -
Watson spalancò gli occhi,
capendo solo allora il perché non avesse incontrato nessuno
mentre si
apprestava a soccorrere Holmes. Un altro dei dettagli su cui il collega
non
aveva ritenuto utile informarlo.
- Mi dispiace solo che la polizia
sia intervenuta in modo così poco elegante, nonostante tutti
le mie
raccomandazioni.. -
- Oh, non si crucci, Mr. Holmes.
Il Club Flaubert conta clienti affezionati e troppo influenti
perché possa
davvero temere qualcosa, ed è troppo unico per potervi
rinunciare: l’amore che
si vende sulle note della letteratura non sembra nemmeno peccato.
Torneranno. -
- Lei è una donna saggia, Madame.
Vorrei ugualmente lasciarle questo denaro, una sorta di risarcimento di
Lady Isolde
per danni che lei ed il fratello hanno provocato. Ora, se non le
dispiace, io
ed il mio socio andremmo a concederci il meritato riposo. -
- Vi auguro che sia profondo ed
appagante, Signori. -
Con un breve cenno di congedo i
due si diressero verso la porta.
- Ah, Mr. Holmes - li richiamò
lei, un attimo prima che uscissero. - Voglio che sappia che il Club
Flaubert
avrà sempre una stanza per Voi, quando la vorrete. -
E dopo un lieve inchino, ritornò
a leggere.
>
Ringrazio AkaneMikael per
aver indetto il contest 'Potere
alle lemon!', a cui la storia partecipa e grazie a cui
è stata creata.
E un grazie di cuore a chi ha letto, apprezzato e
lasciato un commento. Il vostro parere resta fondamentale.
A.H.
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