you're here, there's nothing i fear.

di 31luglio
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** titanic. ***
Capitolo 2: *** i'll be your jack. ***
Capitolo 3: *** i promise. ***
Capitolo 4: *** we are friends. ***
Capitolo 5: *** dark. ***
Capitolo 6: *** it's not the end. ***
Capitolo 7: *** yes, sir. ***
Capitolo 8: *** never let you go. ***
Capitolo 9: *** beautiful song, you know? ***
Capitolo 10: *** eight minutes and twentyfour seconds. ***
Capitolo 11: *** louis likes you too. ***
Capitolo 12: *** on your bedroom's floor. ***
Capitolo 13: *** everything's gonna be alright. ***
Capitolo 14: *** she'd never leave her alone. ***
Capitolo 15: *** that's not being in a relationship. ***
Capitolo 16: *** strength. ***
Capitolo 17: *** you could... ***
Capitolo 18: *** better than selena. ***
Capitolo 19: *** surprise! ***



Capitolo 1
*** titanic. ***


Capitolo uno - Titanic.

«Mi dispiace di non averle costruito una nave più robusta, piccola Rose», stava dicendo il costruttore della nave Titanic nell'omonimo film alla rossa. Justin e Ronnie stavano guardando quel film per la terza volta in un mese. Era il preferito di lei e il biondo non avrebbe mai saputo dirle di no. Anche perché anche a lui piaceva da morire.

La rossa stava piangendo da quando Jack e Rose erano a prua della nave e lei aveva detto di stare volando. Il biondo, invece, cercava di trattenere le lacrime il più possibile per fare l'uomo. A lui piaceva Ronnie, troppo. In realtà, la amava. E l'unica cosa che lo fermava dal farsi avanti era che non sapeva se era ricambiato. Se fosse stata un'altra ragazza non avrebbe esitato, però lei era la sua migliore amica da quando aveva quattro anni. Nel caso si fosse dichiarato e lei l'avesse rifiutato, beh, la loro amicizia sarebbe cambiata radicalmente.
Ronnie aveva guardato Titanic solamente con Justin. Avevano rispettivamente due e tre anni quando era uscito al cinema, perciò la prima volta l'avevano visto a casa del biondo, sei anni dopo, quando lei ne aveva nove e lui dieci. Da allora, la rossa lo aveva voluto guardare almeno una volta ogni due mesi e aveva sempre pianto come la prima, sempre dallo stesso punto del film.
L'unica cosa che tratteneva il ragazzo dall'urlare di togliere quel film dalla sua tv, oltre al motivo che gli piaceva un sacco, era che per tutta la durata e per almeno l'ora successiva alla fine, poteva avere la ragazza abbracciata a lei e consolarla.
Il biondo prese una manciata di popcorn dalla scodella che sua madre gli aveva preparato, come sempre aveva fatto, e li mangiò tutti in una volta. Se fosse stata, per così dire, lucida, Ronnie gli avrebbe mollato uno schiaffo. Era una ragazza pro-galateo, quando si trattava di mangiare. Justin sapeva che aveva ragione, ma quando era da solo – o con la sua migliore amica – voleva mangiare come gli pareva. Anche se la migliore amica in questione era la ragazza che amava.
Ora la bellissima Kate Winslet, nel film, stava cercando di svegliare Jack, o meglio Leonardo DiCaprio, ormai morto. Ronnie stava piangendo più che mai e il biondo sapeva che non avrebbe smesso almeno fino alla fine. In realtà, il punto culmine del pianto lo raggiungeva all'ultima scena del film, quando la nave, da relitto sotto il mare, tornava lo splendente Titanic che era stato per quattro giorni, illuminatissimo e lussuoso e Rose tornava sullo scalone della prima classe, circondata da tutte le 1523 vittime e baciava il suo Jack, davanti all'orologio dinnanzi al quale il ragazzo l'aveva aspettata la sera prima dell'affondamento.
Justin doveva ammettere che anche a lui faceva piangere da morire quella scena. Ma ora, ormai diciottenne, non poteva più lasciarsi andare. Aveva pianto davanti a quel film fino a cinque anni prima, ma ora non poteva più farlo. Aveva una certa reputazione da difendere e una ragazza da consolare e aveva paura che, se si fosse lasciato andare, lei non si sarebbe fatta calmare da una 'femminuccia' come lui.


You're here, there's nothing I fear and I know that my heart will go on

We'll stay forever this way, ou are safe in my heart

And my heart will go on

 

«Justin, è morto!», gridò la ragazza, singhiozzando, dopo i titoli di coda.
Lui la strinse. Sapeva che, in fondo, la rossa sperava ogni volta che qualcosa cambiasse. «Lo so, Ronnie, lo so».
«Ti scoccia dover restare qua a consolarmi ogni volta, non è vero?».
«Assolutamente no! Perché, a qualcuno scoccia?».
«Oh sì, beh, a tutti».
«Hai guardato Titanic con qualcun altro?».
«No!», si affrettò a dire la ragazza. «Ma conosco i ragazzi».
«Beh, io non sono come loro. A me fa piacere consolare la mia migliore amica dopo un film del genere», affermò, sorridendole.
Lei ricambiò il sorriso, ancora in lacrime. Migliore amica, aveva detto lui. E lei che aveva sperato, come una stupida, di piacergli.
Almeno poteva stare tra le sue braccia, ora, senza farsi scoprire. Grazie a Dio, pensò, esiste questo capolavoro di film.














buongiorno a tutti, sì, sono tornata!
non sono morta, ma non ho più ispirazione per le altre due ff.
penso che cancellerò 'under the mistletoe', lol.
passando a questo primo capitolo, chiedo umilmente scusa.
chiedo scusa perché vi ho parlato di titanic, tipo in maniera ossessiva.
chi mi ha come amica su facebook dovrebbe tipo volermi sparare.
ma, ecco, sono fissata con quel film e non potevo non inserirlo in questa ff.
guardate, meglio averlo nel primo capitolo, così ve lo togliete di mezzo, forse.
non è tristissimo? sì. sabato l'ho visto al cinema e ho pianto per tre ore.
vi rendete conto? tre ore! che cosa brutta!
ora vi lascio, comunque. 
fatemi sapere se come primo capitolo può andare o se fa cagare.
love,
andreeeea.

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Capitolo 2
*** i'll be your jack. ***


Capitolo due - I'll be your Jack.


I due stavano ancora ascoltando la canzone di Céline Dion, due ore dopo la fine del film. Era ormai mezzanotte e la ragazza stava ancora piangendo disperatamente, tra le braccia del biondo, che si stava chiedendo quando avrebbe finito. Ormai la canzone gli usciva dalle orecchie. Gli piaceva, sì, tanto, ma due ore ad ascoltare sempre la stessa canzone erano un po', come dire, pallose. Ma per Ronnie valeva la pena, no?

«Justin?», lo chiamò la rossa, con la voce tremante. Il ragazzo la guardò: i suoi occhi blu erano gonfi, rossi e umidi. In quel momento sembrava la bambina di dodici anni prima che andava da lui in lacrime quando la madre la sgridava per qualcosa. In quei momenti si sentiva importante. Lui aveva sei anni e lei lo sapeva, quindi non avrebbe potuto fare niente, ma andava comunque a farsi consolare da lui.
«Dimmi, Ronnie», le sorrise lui.
«Ci mettiamo a dormire? Sono stanca».
«Ci credo, hai pianto così tanto! Comunque, certo che sì».
Lei abbozzò un sorriso e si alzò, dirigendosi in bagno e tornando in camera una decina di minuti più tardi con addosso un paio di pantaloncini neri e una maglia a maniche corte azzurra. Quello era il suo pigiama, poiché, essendo agosto, faceva piuttosto caldo anche in Canada. Nel frattempo anche il biondo aveva indossato il suo, che consisteva in un paio di pantaloncini da basket blu. Sì, lui dormiva a petto nudo e no, non lo imbarazzava. Sperava di far colpo sulla rossa mostrando il suo fisico, senza sapere che lei moriva ogni volta che lo vedeva senza maglia. Entrambi erano convinti di non piacere all'altro ed entrambi sbagliavano. Era possibile che non se ne accorgessero?
Di solito Justin dormiva nel suo letto e Ronnie in uno dall'altra parte della stanza, ma quella sera entrambi si infilarono in quello abituale del ragazzo. Questa volta Titanic aveva scosso la ragazza più del solito, senza alcun motivo.
La rossa si accoccolò sul petto del biondo, cercando di smettere di piangere. Forse piangeva per il fatto che lui le aveva detto che era la sua migliore amica e lei avrebbe voluto essere qualcosa di più che una semplice migliore amica. Lei voleva essere la sua ragazza, la sua Rose!
«Smetti di piangere, dai», le sussurrò lui, accarezzandole dolcemente i capelli.
«Se solo riuscissi...»
«Sicura che sia per il film, Ronnie?».
Lei annuì, anche se poco convinta, ed il ragazzo decise di non farci troppo caso. Tanto non gli avrebbe mai detto cosa aveva.
La baciò sulla fronte e continuò ad accarezzarla teneramente.
La ragazza si asciugò le lacrime con il palmo della mano. «Sei sicuro che non ti rompa quando piango per quel film?».
«Sono sicurissimo, perché dovrei mentire?».
«I ragazzi, di solito, odiano Titanic», ripeté, come qualche ora prima.
«Ti ho già detto che a me piace. Piuttosto, sei sicura di non aver guardato il film con qualcun altro? Mi sembri paranoica. A me non dà fastidio, se vuoi vederlo con qualcuno che non sono io», mentì.
«Justin, ho guardato Titanic solo con te e lo sai benissimo».
«No che non lo so, Ronnie!», disse, con il tono di voce un po' troppo alto.
«Calmati, Justin. Sei il mio migliore amico» dire quelle due parole le fece male, tanto male «e se ti dico una cosa è quella. Non mi interessa guardare questo film con qualcun altro, non avrebbe senso. Voglio vederlo e l'ho visto solo con te, chiaro?».
Lui non rispose; si limitò a stringerla forte a sé, come per chiederle scusa per aver alzato la voce con lei. La verità era che era geloso, maledettamente geloso. Quel film era il loro film. Come le coppie avevano una canzone – la loro era, appunto, My Heart Will Go On – loro avevano un film. Un film di cui conoscevano tutte le battute a memoria, un film romantico e triste, un film tratto da una tragedia vera, il film oggettivamente più bello della storia.
Il ragazzo chiuse gli occhi, cercando di addormentarsi. Ronnie aveva la testa sul suo petto e poteva sentire il battito del suo cuore. Entrambi desideravano che l'altro ricambiasse e si confessasse, ma questo non sarebbe mai successo. Non senza l'aiuto di qualcuno.
«Mi regali Jack Dawson?», chiese la rossa al biondo, ad un certo punto. Justin sapeva bene che Leonardo era l'attore favorito della ragazza. Non si era mai persa un suo film, ma, chiaramente, Titanic era il suo preferito. Come poteva non esserlo? In quel film Di Caprio era oggettivamente bellissimo; anche un ragazzo doveva ammetterlo. Ronnie aveva passato pomeriggi interi a parlare di lui a Justin: quanto fosse bello, il fisico, gli occhi, il carattere del personaggio di Jack, tutto. Il biondo non si sentiva all'altezza. Era bello? Con un bel fisico? Dei bei occhi? Un bel carattere?
«Non credo di potere, ma se vuoi sarò io il tuo Jack».

















ohohohohoh.
babbo natale mode on.
cento anni fa il titanic era affondato e di 2223 passeggeri in vita ce n'erano solo 700.
siete tristi? io sì.
avete visto titanic in 3D? io sì, l'ho visto pure ieri sera.
lo guarderete stasera? io sì.
detto questo, ringrazio di cuore le cinque belle donne che mi hanno recensito.
non me l'aspettavo, grazie mille.
vi piace questo capitolo? a me non tanto.
anyway, ora vado.
love u,
andreah.

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Capitolo 3
*** i promise. ***


    Capitolo tre - I promise.




Davvero le aveva detto una cosa del genere? Lui voleva essere il suo Jack? Rischiare tutto per lei, addirittura morire? No, no, stava scherzando. Lei era solamente la sua migliore amica, lui non provava niente di più, gliel'aveva detto un paio di ore prima. Era inutile continuare a farsi illusioni. Doveva metterselo in testa: lei non gli piaceva. Sicuramente aveva detto che sarebbe stato il suo Jack per amicizia, non per amore.

Il ragazzo stava dormendo già da un paio d'ore, ma lei non riusciva ad addormentarsi. Quella frase le rimbombava in testa, insistente, seguita da mille altri pensieri. Gli piaceva! Oppure no? Probabilmente no. E allora perché gli aveva detto di voler essere il suo Jack? Avrebbe potuto dirle 'no, guarda, mi dispiace, ma non riesco a portartelo' oppure avrebbe potuto dirle di sì, pur sapendo che non glie l'avrebbe mai regalato, invece le aveva detto che lui sarebbe stato il suo.

Ora era tra le sue braccia e si sentiva sicura. Si sentiva così dalla prima volta in cui si erano abbracciati. Però aveva anche voglia di piangere, la stessa che aveva avuto quando Justin le aveva raccontato che gli piaceva Sarah, tre anni prima, la stessa che aveva avuto quando si erano messi insieme. Non sapeva se con lei aveva avuto la sua prima volta e non voleva saperlo. Sicuramente sì, ma preferiva vivere nell'ignoranza.

Da quando lui le aveva confessato il suo amore, se così si poteva chiamare, per Sarah, lei aveva cercato qualcuno che potesse piacerle quasi quanto Justin. Aveva trovato Harry, un ricciolino con gli occhi azzurri e si era messa insieme a lui. La loro storia era durata pochi mesi: lui voleva andare oltre i baci e lei si rifiutava, perciò un bel giorno, il riccio l'aveva lasciata. Non che le fosse interessato più di tanto. Nei suoi pensieri c'era sempre stato quel biondino.

Non molto tempo dopo la sua rottura con Harry, anche Justin e Sarah si lasciarono. Lui non era molto scosso. Le cause della fine della loro storia era la troppa gelosia della ragazza e il fatto che a lui non piacesse più molto. Lei e Justin non parlavano mai di Sarah e di Harry. Lui odiava il riccio e lei la ex del suo migliore amico.

«Ronnie?», la chiamò a un certo punto il biondo, con voce assonnata. Era persa nei suoi pensieri, perciò sussultò. «Sei ancora sveglia?».

«Sì, perché?».

«Che ore sono?».

La rossa diede un'occhiata all'iPhone del ragazzo. «Quasi le tre, perché?».

«Boh, così. Che ci fai sveglia?».

«No, niente, pensavo».

«A che cosa?».

«Lascia stare, niente di importante».

Justin la strinse ancora di più a sé. «Tutto quello che ti riguarda è importante».

«Non è vero».

«Invece sì. Ora parla».

«Pensavo a Sarah e ad Harry».

«Harry? Hai guardato Titanic con lui?».

«Cosa? No!», sbottò la ragazza. Perché era fissato che lei avesse guardato quel film con qualcun altro? Lei non voleva vederlo con nessuno, a parte lui, solo con lui si sentiva protetta, anche se non ne era certa, poiché non l'aveva mai nemmeno sperimentato, ne era certa. «Perché cazzo non ti fidi?».

«Prima dici che scoccia a tutti i ragazzi consolarti dopo Titanic, poi pensi ad Harry, cosa vuoi che mi passi per la testa?».

«Io. Ho. Guardato. Titanic. Solo. Con. Te», scandì le parole, scostandosi dal ragazzo, infastidita. Doveva crederle, se le voleva bene. Okay, Harry le aveva accennato che voleva guardare quel film con lei, ma lei aveva mentito dicendogli che non le piaceva. Era stata una delle bugie più difficili da dire, ma ne era valsa la pena, tutto sommato.

«Se ne sei sicura...»

«Dio, Justin, ti giuro, ti odio quando fai così. Perché dovrei mentirti?».

Il biondo non rispose.

La ragazza non lo vedeva, era ancora troppo buio e i suoi occhi non si erano abituati, eppure sapeva che stava valutando se crederle o meno. Si alzò dal letto irritata. «Senti, vattene a fanculo, tu e i tuoi dubbi, sono la tua migliore amica o no? No, sai, perché non sembra affatto, da come dubiti di me». Si infilò nel letto dall'altra parte della stanza; rivestirsi e tornare a casa sarebbe stato troppo umiliante, e poi non ne aveva voglia. Era in Canada, non a Miami. Non faceva caldo, fuori, di notte. Poteva essere agosto, ma era comunque freschino.

«Ronnie, torna qua, dai!».

«No!», disse, con le lacrime agli occhi. Odiava questa sua debolezza: piangeva spesso. Non davanti a tutti, ma più o meno ogni sera passava una mezzora a piangere. Per Justin, per tutto.

Il ragazzo la raggiunse e si sedette di fianco a lei. Le sue labbra sfiorarono la fronte della rossa, provocandole un lieve brivido alla schiena. «Scusa», le sussurrò, prendendole la mano, «ti credo. Non dubito di te».

Questa volta fu lei a non rispondere, perciò il biondo le cinse la vita con un braccio e la cullò teneramente, finché non si fu calmata. Dopodiché la prese in braccio e la portò nell'altro letto, il suo, matrimoniale.

«Sei la mia Rose, chiaro? Prometto che ti crederò, sempre».

Ronnie sorrise: forse non gli piaceva, ma nessuno l'aveva obbligato né a dire che lui era il suo Jack, né che lei era la sua Rose. Perciò perché buttarsi giù? Solo il tempo avrebbe determinato le cose.

«Buonanotte, Justin».

«Buonanotte, piccolina. Sei la mia vita».

Il ragazzo la baciò sulla guancia, poi si addormentò, dopo essersi accertato che lei stesse dormendo tranquilla.
















hola, beddi!
sono stata più puntuale del solito, non è vero? sì uù
siete fieri di me? sì dai :')
okay, fatemi sapere che cosa ne pensate.
grazie mille per le quattro recensioni!
vi amo fkjdk
adieu,
andreah.

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Capitolo 4
*** we are friends. ***


    Capitolo quattro - We are friends.




Erano passati tre giorni da quella notte e tra i due ragazzi qualcosa era cambiato. Non sembravano più semplici amici. Sembravano quasi... fidanzati ignari di esserlo. Sia Leah, la migliore amica di Ronnie, che Chaz, Ryan e Chris, i migliori amici di Justin, se n'erano accorti. Tutti e quattro avevano provato a chiedere ai due delle spiegazioni, ma entrambi sostenevano che tutto fosse normale.

La ragazza, pur continuando ad amare il biondo, si stava cominciando ad interessare ad un certo Louis, un ragazzo castano con gli occhi chiari, alle volte azzurri e alle volte verdi. Aveva un sorriso splendido ed era il suo compagno di biologia e storia. L'unica sua pecca era che era il migliore amico di Harry e la cosa, a Ronnie, non piaceva per niente.

«Ronnie!», la chiamò il ragazzo, avvicinandosi a lei mentre si dirigevano nell'aula di biologia. Justin aveva ginnastica. Era il capitano della squadra di basket, si allenava due pomeriggi alla settimana, se non tre. Nei pressi delle partite, anche tutti, dalle 3 alle 6 del pomeriggio.

«Ciao, Louis!», gli sorrise lei.

«Senti, mi stavo chiedendo», iniziò il ragazzo, indugiando. Si stava torturando le mani, visibilmente nervoso. «Non è che vorresti venire a prendere qualcosa con me al bar, oggi pomeriggio?».

Ronnie ci aveva sperato, se doveva essere sincera. Justin aveva gli allenamenti fino alle cinque e la sera sarebbe dovuto andare a mangiare – e a dormire – da Chaz, Leah doveva fare dei giri con sua madre, quindi la rossa non aveva niente da fare. «Ci sarà anche Harry?».

Louis si fece cupo in viso. «No... perché, vuoi rimetterti con lui?».

«Assolutamente no!», si affrettò a rispondere. «No, è che non lo voglio».

Sorrise, sedendosi al suo posto, seguito dalla ragazza. «Bene. Passo sotto casa tua alle quattro e mezza?».

Lei gli schioccò un bacio sulla guancia, mentre il professore cominciava la lezione. «Puoi contarci, tesoro».

 

 

La rossa era appena tornata a casa da scuola: erano le tre e dieci e doveva farsi la doccia, asciugarsi, vestirsi e truccarsi. Ci sarebbe riuscita?

Si precipitò in bagno, avviò la riproduzione casuale del suo iPhone e decise che alla fine della seconda, massimo la terza, canzone che sentiva, sarebbe già stata ad asciugarsi capelli. Stranamente, così fu. Quando usciva con Justin era sempre in ritardo e lui la rimproverava, o almeno nei primi tempi. Ora si era rassegnato e, mentre la aspettava in macchina, cantava. Ronnie sapeva che Justin scriveva canzoni e sapeva anche che era parecchio bravo. Lui, però, non voleva tentare la fortuna.

La ragazza finì di mettersi le scarpe proprio mentre Louis suonava al campanello. Indossava una canottiera bianca a costine, un paio di jeans chiari e le Converse bianche. Aveva indossato una collana lunga con un ciondolo abbastanza grande con il segno della pace e degli orecchini a palla neri. Afferrò la felpa nera, le chiavi, il telefono, una banconota da venti dollari ed uscì.

Non appena la vide, il ragazzo sorrise raggiante. Lei lo salutò con un bacio sulla guancia e si avviarono, per mano – per mano! – verso Starbucks. Ce n'era uno nel centro del paese che, in realtà, era l'unico. Avevano dovuto lottare, loro ragazzi, per ottenerne uno. La rossa amava quel bar sin da quando aveva sette anni. Ce l'avevano portata i suoi genitori – all'epoca stavano ancora insieme – quando erano andati insieme a Londra, per due settimane, in agosto. L'avevano portata appena arrivata, le avevano fatto prendere un frappuccino al caramello e da allora lei aveva voluto andarci almeno una volta tutti i giorni.

A Stratford c'era solo da un paio d'anni. Lei aveva partecipato all'inaugurazione, con gli occhi pieni di lacrime di gioia e Justin di fianco, che non capiva il perché di tanta allegria. L'aveva capito solo dopo aver assaggiato anche lui il famoso frappuccino.

«Ronnie?».

«Sì?», chiese lei, ritornando alla realtà. Si accorse solo in quel momento che aveva pensato a Justin, mentre lei era con Louis. Pessimo inizio.

Il ragazzo sorrise divertito. «Grazie per avermi ascoltato», disse, ridacchiando.

«Scusa, è che...»

Lui la interruppe. «Non preoccuparti, scherzavo. Cosa prendi?».

«Cioccolata calda e un biscotto con le gocce di cioccolato», rispose.

Il ragazzo ordinò, per poi raggiungerla ad un tavolino fuori da Starbucks. «Dimmi, cosa c'è tra te e Justin?», le chiese. In realtà non voleva davvero saperlo, aveva paura che facesse male. A lui piaceva Ronnie, ma la vedeva sempre con quel biondo... stava raramente anche con la sua migliore amica, Leah Parks. Loro due erano amici e la povera mora se ne lamentava, alle volte, parlando con lui ed Harry. Harry... già, altro punto dolente. Era il suo migliore amico ed aveva paura che, nel caso più fortunato, se si fosse messo insieme a lei, lui sarebbe stato male. Nella parte più profonda di sé sapeva che il riccio era un puttaniera, non si innamorava (quasi) mai e Ronnie gli piaceva solo perché aveva un bel seno e un bel culo.

Per lui, invece, era bellissima al di là delle parti favorite di qualsiasi uomo etero. Aveva gli occhi blu ed i capelli rosso fuoco, chiaramente tinti, anche se in realtà era rossa carota... e lui amava le carote, ma questo era un particolare. E poi, beh, aveva un carattere strano, per quello che la conosceva. Era simpatica, ma stronza. Era testarda e sensibile. Ed era misteriosa... per questo gli piaceva. Aveva dei capelli appariscenti, ma non fumava, né beveva, o almeno per quanto ne sapeva.

«Niente», tagliò corto lei. «Siamo amici».

«Sembrate qualcosa di più».

«Beh... non lo siamo», rispose, nervosamente. Ma che ne voleva sapere lui? Non sapeva niente lei, e pretendeva di sapere lui?

Il ragazzo intuì che era un discorso che non voleva affrontare, perciò cercò altro da dire. «Che musica ascolti?».

Prima che lei potesse rispondere, arrivarono le ordinazioni. Sorseggiò la sua cioccolata e disse: «Mah, un po' di tutto. Roba commerciale, quella che danno sui canali di musica. Soprattutto Miley Cyrus e Demi Lovato, sai, sono i miei idoli. E tu?».

«Anche io un po' di tutto. Il mio cantante preferito è Michael Jackson».

«Il re del pop... lo adoro. Sono cresciuta con la sua musica. Justin lo ama, mi ha rintronata con le sue canzoni, quando eravamo piccoli. All'inizio non mi piaceva molto, ma poi mi ha influenzata», disse, lasciandosi trasportare dai ricordi, senza nemmeno farci caso. La prima canzone che lui le aveva fatto ascoltare, quando avevano lei sei e lui sette anni, era stata Beat It. Il biondo la ballava, invitando lei a seguirlo. Lui era sempre stato un brillante ballerino, cantante, compositore e suonatore. A quel tempo Justin stava imparando a fare il moonwalk.

«Capisco», annuì Louis, nascondendo un cenno di delusione. Certo, non c'era nulla tra lei e Justin, come no. Ci credeva pure. «come faceva a non piacerti? È bravissimo!».

«Lo so, ma... boh, non mi convinceva, all'inizio. E, con “all'inizio”, intendo quando l'ho ascoltato la prima volta. Dalla seconda, già lo amavo», spiegò divertita.

Il ragazzo rise. «Oh, capisco!».

«Ciao, ragazzi». Una voce, la sua voce, fece sussultare Ronnie.

Merda.

Justin. 













aggiorno solo ora e vi chiedo di scusarmi çwç
non ho scuse, ho avuto tempo, computer, internet...
e non posso dire nemmeno che non ho avuto ispirazione, perché non ci ho pensato çç
ma, per farmi perdonare, vi ho scritto un capitolo lunghissimo (?)
fatemi sapere cosa ne pensate v.v
il Louis è circa sir. Tomlinson, cioè di estetica sì.
ma di carattere, non so, perché non conosco sir. Tomlinson.
amo solo come canta, lui e gli altri, non so i gusti, niente.
quindi viene tutto di mia sana pianta(?).
HAHAHAHAHAHAHAHAHA, oddio, okay, smetto.
comunque, domani parto per la francia fino a sabato, quindi non aggiornerò e_e
love yoooooou all,
andreah.

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Capitolo 5
*** dark. ***


Capitolo cinque - Dark.




Bastò mezzo istante alla rossa per comprendere che la voce del suo migliore amico non era molto contenta. Louis sembrò non notarlo e lo salutò cortesemente, mentre la ragazza lo guardava con occhi sbarrati.

«Scusa», disse il biondo, «posso portartela via un attimo?», chiese, poi prese Ronnie per mano e la trascinò al parco lì vicino, lasciando il ragazzo in mano a Chaz e Ryan. «Ma che cazzo ti salta in mente?», sbraitò, dopo qualche secondo di silenzio.

«Adesso non posso nemmeno uscire con un mio amico? Io non ti ho detto niente quando uscivi con Sarah, e tu ora mi rompi le palle per Louis?».

«Hai presente il suo migliore amico? Ti farà soffrire!».

«Non è affatto vero, è un bravo ragazzo. Gli piace Michael Jackson, sai?».

«Non me ne frega niente, perché sei uscita con lui? Non devi farlo!».

Ah, ora pretendeva anche di comandare la sua vita. In quattordici anni di amicizia non avevano mai discusso più di tanto, ma ora, in tre giorni, non avevano fatto altro. Ci stava la gelosia, ma non troppa. Lei per prima era gelosa di Justin, tantissimo, aveva voglia di rompere il naso a qualsiasi ragazza gli si presentasse davanti, ma non lo dava a vedere. Perché lui sì? Non poteva trattenersi? E poi era troppo possessivo. Lei non era sua, non ancora e, anche se faceva male ricordarlo, non lo sarebbe mai stata. Anche perché lui non ricambiava. Quindi la colpa era sua, non di Ronnie.

«Ma che vuoi? Viviti la tua vita, Justin, non rompere a me».

«La stai facendo finita? Stai chiudendo la nostra amicizia?».

Non le era nemmeno passato per l'anticamera del cervello. «Forse è meglio così», disse, con il cuore in gola. Le stavano salendo le lacrime, non poteva immaginare la sua vita senza quel ragazzo, perché lui era la sua vita. «Dio, Justin, ti prego, fai qualcosa...», pensò. Si asciugò la prima lacrima che le stava rigando la guancia destra.

Il biondo era fermo, con lo sguardo che fissava un punto lontano. Faceva sempre così quando non voleva piangere e la rossa lo sapeva bene. Come poteva non saperlo? Conosceva ogni cosa di lui, erano cresciuti insieme. Lui era stato il punto chiave della sua infanzia, della sua adolescenza. C'era sempre stato, anche nei momenti più bui.

La ragazza si precipitò tra le braccia di Justin, che la strinse a sé. Se quello era un abbraccio d'addio, nessuno dei due voleva che finisse. Lei, ormai, stava piangendo. Possibile che fosse stato Louis a mandare tutto a puttane? Non c'era riuscita Sarah, non c'era riuscito Harry... e ci riusciva Louis? Forse era destino.

«Addio, Ronnie», sussurrò il biondo, per poi lasciarla lì, sotto quell'albero. Guardò mezzo secondo il tronco e lo riconobbe: si erano conosciuti lì. La loro amicizia era iniziata lì. Ed era anche finita lì.

 

«Ciao! Mi chiamo Justin, e tu?», chiese il piccolo bambino biondo dagli occhi color miele alla rossa dagli occhi blu. Aveva una voce allegra.

La bambina se ne stava lì seduta a guardare gli altri che giocavano con occhi tristi. Era sempre stata esclusa, per via dei suoi capelli color carota. «Veronica», rispose, sorpresa, «ma chiamami Ronnie. Perché sei venuto da me?».

«Eri qui da sola, pensavo ti facesse piacere! Ma se vuoi me ne vado...», disse, avviandosi verso gli altri bambini, con un finto faccino triste.

«No!», lo fermò lei, «no, no, resta!». Il bambino sorrise tra sé e sé: sapeva che lei l'avrebbe fermato.

 

La diciassettenne se ne stava nel bagno di casa sua, con gli occhi ancora pieni di lacrime. Non era tornata da Louis, non gli aveva mandato messaggi. Piuttosto, era il suo telefono quello che sembrava essere impazzito. Leah l'aveva chiamata almeno sette volte nelle ultime due ore e le aveva mandato dieci messaggi. Louis aveva fatto altrettanto. Anche Chaz e Ryan le avevano scritto un paio di volte. Persino Harry l'aveva chiamata, ma lei non aveva risposto.

Ora aveva un paio di forbici in mano. Sporche di sangue, il suo sangue. A differenza di tre anni prima, tagliarsi non le dava alcun sollievo. Il dolore fisico sovrastava quello morale solo per quei pochi secondi nei quali la lama percorreva il suo polso destro, poi tornavano i ricordi, Justin, Louis, l'abbraccio, l'albero.

«Ronnie, sono a casa!», le parve di sentire. Sua madre, forse. Chi altro poteva essere? Suo padre abitava a Londra. Non aveva fratelli. Non aveva nessuno, se non la sua mamma. Ma non aveva energia per fare niente.

E aspettò lì, finché, una manciata di minuti dopo, la trovò. Per primo, la rossa avvertì un urlo spaventato, ma le appariva lontano. Le girava la testa, ci vedeva sfocato.

Poi, le parve di essere presa in braccio da qualcosa, qualcuno, per poi essere appoggiata su un divano, un sedile, una barella. Era tutto molto confuso.

Sapeva che stava andando all'ospedale. Aveva fallito, si era fatta scoprire da sua madre. Il fatto era che, per dimenticare Justin, era andata un po' oltre i semplici tagli in superficie. Aveva premuto troppo contro i polsi, forse. Non ci aveva nemmeno fatto caso, voleva dimenticare e basta.

Ma non ci era riuscita. Nemmeno un po'.

E Justin come stava?

Non ci fu un pensiero seguente.

Solo buio. 













buongiorno bella gente!
sono tornata dalla francia e, come promesso, ho aggiornato!
lo so, è successo un casino nella ff D:
non so se sono soddisfatta di questo capitolo...
un po' sì, un po' no(?).
più che altro ho voglia di continuare per sapere come va a finire!
fatemi sapere cosa ne pensate!
infinite luv,
andreah.

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Capitolo 6
*** it's not the end. ***


    Capitolo sei -  It's not the end.



Il biondo era in camera, ancora scosso per quanto accaduto un paio d'ore prima. Davvero avevano chiuso? Per sempre? Perché non l'aveva stretta a sé e basta, per sempre, facendole capire che non l'avrebbe mai lasciata andare? Perché le aveva detto
addio?

La verità era che quando l'aveva vista con Louis non ci aveva capito più nulla. Lei era sua, pur non essendolo veramente. Non sapeva nemmeno lui cosa intendesse, sapeva solo che era geloso, terribilemente.

E l'aveva lasciata andare. Ma già da ora non viveva senza di lei. L'indomani le sarebbe andato a casa, con titanic in una mano e una rosa rossa nell'alta. Le rose erano i fiori preferiti di Ronnie, lui lo sapeva benissimo.

«Justin», sentì gridare il biondo da sua madre. Di solito gli gridava solo quando doveva mettere a posto la camera, o se aveva fatto qualcosa di sbagliato. Ci rifletté un istante su: non aveva fatto niente, perché urlava? «Dobbiamo correre in ospedale».

Lui odiava la parola 'ospedale'. Aveva paura di quel posto: voleva dire che qualcuno si era fatto male. Da un ospedale si poteva uscire completamente diversi da come si era prima di entrare, oppure non uscire, se non per andare sotto terra.

«Cos'è successo? Papà? Jazzy? Jaxon? I nonni?», chiese, agitato, precipitandosi in salotto munito di iPhone e felpa.

Pattie scosse la testa. «Ronnie».

Il sangue, nelle vene del ragazzo, si gelò: che cazzo era successo? «Che ha fatto?».

La donna mise in moto e partì. «Lei... lei è in coma».

«Cosa?!», sbottò lui, trattenendo le lacrime. «Perché?».

«Justin, è una fortuna, ha rischiato di morire. Si è tagliata i polsi e... grazie a dio sua madre l'ha trovata in tempo. Ancora una decina di minuti e sarebbe morta. Ora le stanno facendo delle trasfusioni».

«Ti prego, dimmi che scherzi».

«Vorrei, vorrei tanto. Tu sai che cosa potrebbe essere successo?».

Per un istante Justin pensò di rispondere negativamente, poiché era sicuro che fosse così, poi si ricordò del litigio, dell'addio, di tutto. «Sì. Abbiamo litigato, avevamo deciso di farla finita con la nostra amicizia... penso sia per...»

Sua madre lo interruppe. «Stai scherzando? Si vede lontano un miglio che vi amate e decidete di chiudere? Ti rendi conto? Ma che hai in testa?».

«Lo so, ma lei era uscita con un ragazzo, il migliore amico del suo ex, e io ero geloso... e poi lei non mi ama».

«Perché voi ragazzi non capite niente?».

«Siamo fatti così...», rispose, poi scese dalla macchina, seguito da sua madre. L'ospedale di Stratford non era niente di nuovo, né per il ragazzo, né per la donna: almeno un paio di volte l'anno si ritrovavano lì, poiché Justin si faceva male a causa degli sport. Questa volta, però, c'era un pensiero che angosciava entrambi. Non erano lì per il biondo, per qualcosa di, per così dire, futile, come una gamba rotta – anche se non era poi così futile – bensì per una ragazza che stava ad un passo dalla morte.

Dopo aver chiesto informazioni alla “reception”, se così poteva essere chiamata, dell'ospedale, si diressero al secondo piano, verso la stanza 238. Ronnie non era ancora stata portata dentro quella camera, ma comunque lì davanti trovarono la signora Anderson, sua madre, in lacrime. Suo padre, Jack Anderson, aveva preso il primo aereo da Londra, ma sarebbe arrivato solo otto ore dopo circa. La sua migliore amica, Leah Parks, sarebbe arrivata in compagnia dei genitori a momenti. Per ora la mamma di Ronnie non aveva voluto avvisare altre persone, poiché l'ospedale si sarebbe affollato e basta. Avrebbe chiamato i nonni di sua figlia solo quando avrebbe saputo qualcosa di preciso, dicendogli che non era necessario che venissero.

La barella con sopra sdraiata Ronnie arrivò solo un'ora dopo, accompagnata da quattro infermieri che, dopo averla adagiata sul letto, uscirono per rispondere alle domande.

«Prima che possiate chiedere qualcosa, la ragazza è in coma», disse un'infermiera dai capelli biondi. «Le abbiamo fatto delle trasfusioni poiché ha perso parecchio sangue ed è un miracolo che sia viva. Purtroppo non sappiamo se e quando si sveglierà. Per ora la sua vita è appesa ad un filo. Nel caso peggiorasse, sarà finita. In caso contrario, potrà solo migliorare. Noi speriamo per il meglio, ovviamente, ma l'unica cosa che può effettivamente dirci le sue condizioni sono gli esami, che le faremo regolarmente alle nove della mattina ogni tre giorni. Vi pregherei di non disperarvi perché non è finita, c'è un 75% di possibilità che migliori. Noi faremo tutto il possibile», disse, per poi andarsene, seguita dagli altri tre.

Leah, i suoi genitori, Justin, Pattie e la signora Anderson si guardarono negli occhi. Non era finita, c'erano delle possibilità che prevedevano Ronnie tornare a sorridere, tornare a vedere con i suoi occhi blu, tornare a vivere.

Justin si sedette su una sedia, guardando i capelli rosso fuoco della ragazza oltre la vetrata che separava la sua stanza dal corridoio. Era tutta colpa sua, della sua fottuta gelosia, del suo dannato orgoglio. Perché non l'aveva solamente stretta a sé, senza lasciarla andare? Perché se n'era andato, abbandonandola sotto quell'albero, sapendo che si sarebbe accorta che quello era il loro albero? Perché non le aveva rivelato il suo amore? Perché era stato così stupido? Era solo colpa sua se ora lei si trovava ad un passo dalla morte. No. No, non era colpa sua. Era colpa di Louis. Se lui ed Harry non fossero esistiti, lei non li avrebbe conosciuti, non avrebbe avuto il riccio come fidanzato e non sarebbe uscita con il suo amico, quel giorno. Di conseguenza, lui non si sarebbe fatto prendere dalla gelosia, loro sarebbero stati ancora migliori amici e Ronnie non sarebbe stata in coma.

«No», lo rimproverò una voce femminile. Leah. «non è colpa loro». Il biondo guardò la mora: come aveva fatto a sapere quello che pensava? «L'hai detto ad alta voce, idiota».

Il ragazzo si mise le mani tra i capelli. «Perché gliel'ho lasciato fare?».

Leah gli mise una mano sul ginocchio. «Non è stata colpa tua. L'ha scelto lei».

«Avrei dovuto sapere che avrebbe potuto farlo».

«Finiscila, Justin».

«Merito di morire».

«E poi lei come andrebbe avanti?».

«Pensi che si sveglierà?».

«Justin, ne sono sicura. Conosco la mia migliore amica da quando avevamo un anno. So che è forte. Dovresti saperlo anche tu».

















hello, gurlssss!
inizio col ringraziarvi: otto recensioni! 
credo di amarvi, dio mio! fkdkfj
grazie, grazie, grazie.
non so se sono soddisfatta di 'sto capitolo. 
non molto, credo. 
non piangete troppo, però :c 
no, scherzo ahahah io non faccio piangere D':
anyway.
fatemi sapere cosa ne pensate c:
love you,
andreah.

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Capitolo 7
*** yes, sir. ***


    Capitolo sette - Yes, sir.


«Justin, tu sei ancora vergine?»,
gli chiese la rossa, dal nulla, dieci mesi prima dell'accaduto. Erano seduti su una panchina del parco in cui si erano conosciuti, lei sulle gambe di lui. Stavano parlando del più e del meno, e lei era saltata con quella domanda. Il biondo era arrossito all'istante. Non sapeva se dirle la verità o una bugia. Ronnie, comunque, lo guardava insistentemente, perciò si decise a rispondere.

«Sì». Aveva optato per la verità. Se avesse detto di no, lei avrebbe continuato a fare domande, avrebbe scoperto e si sarebbe – giustamente – arrabbiata. Al contrario, dicendole di sì, perciò la verità, il discorso sarebbe finito lì, no?

Gli parve di scorgere un'espressione sollevata nella ragazza. Non era andato oltre con Sarah – a quel tempo non era ancora pronto. Non voleva perdere la verginità a quindici anni e non con quella ragazza. Nemmeno lei voleva, e l'argomento 'sesso' era off limit per entrambi. Parlavano di qualsiasi cosa, tranne quella.

Justin non chiese a Ronnie se anche lei era vergine, perché già lo sapeva. Gliel'aveva detto lei, dopo essere stata lasciata da Harry. Da sola, con un tono di voce piatto, indifferente, senza un briciolo di tristezza. Meglio così, almeno non stava soffrendo per quell'idiota del riccio. Lui l'aveva sempre saputo che non la amava, non quanto lui.

«Davvero? Non pensavo».

«Perché?».

«Sembravi così preso da Sarah...».

«Beh, non lo ero abbastanza».

«Lei non voleva?».

«Nessuno dei due voleva, Ronnie, non sono come tutti gli altri ragazzi».

«Che tradotto sarebbe 'non sono come Harry'».

Il biondo abbassò lo sguardo, colpevole.

«Justin, lo so, lo so che voleva solo portarmi a letto, smettila di rinfacciarmelo, mi fa venire il nervoso».

«Scusa», disse. Poi le baciò una spalla, dolcemente. «Ti voglio bene, sai?». Quelle parole erano così difficili da pronunciare. Lui le voleva molto più che bene. Lei era molto di più che una semplice migliore amica. Lei era tutto per lui.

 

Il biondo se ne stava in quell'ospedale, invaso dai ricordi, da ormai una settimana. Alla ragazza erano stati già fatti altri due esami. Il primo, non aveva avuto alcuna novità: il suo stato era sempre tale. Il secondo, tuttavia, aveva portato un esito differente: era peggiorata. Il che voleva dire che sarebbe morta. Il che voleva dire che anche Justin, con lei, avrebbe smesso di vivere.

Per ora, comunque, Ronnie era ancora viva, se così si poteva dire. Il suo cuore batteva ancora, o così sembrava, la sua piccola non aveva ancora ceduto. Leah era ancora positiva, anche se non come la settimana prima. Lei andava in ospedale ogni pomeriggio, dopo scuola. I suoi non le permettevano di saltarla. Justin, invece, si era imposto con sua madre e faceva la spola tra la stanza 238 e il corridoio lì davanti.

Persino i parenti dei pazienti delle stanze dopo quella della rossa si erano affezionati, per così dire, a lei ed ogni volta che vedevano il biondo lì davanti – ovvero sempre – si fermavano a chiacchierare con lui.

Il padre di Ronnie era arrivato durante la prima notte, stremato. Era stanchissimo, stremato dal jet lag, ma soprattutto dalla notizia della figlia. Negli ultimi tre anni non si erano visti molto, solo una settimana durante l'estate ed una in inverno. Lei, comunque, lo adorava, e lui ricambiava. Quando i signori Anderson avevano deciso di separarsi, Jack si era trasferito a Londra, suo sogno da sempre. Era questo, secondo Justin, quello che aveva portato la sua migliore amica a tagliarsi per la prima volta: la consapevolezza di avere suo padre, quello con cui aveva condiviso tutto, quello che l'aveva portata sulle spalle da piccola, oppure tutte le volte che andavano al parco insieme, a migliaia di chilometri di distanza.

Grazie al biondo aveva smesso di tagliarsi quattro mesi dopo, un mese dopo che lui l'aveva scoperto. Le aveva fatto capire che non avrebbe risolto niente, e che avrebbe potuto rivedere suo padre, sentirlo al telefono, video-chiamarlo con il computer. Forse non sarebbe stato lo stesso, ma era sicuramente meglio di non sentirlo o vederlo affatto, no? Non era morto. Era solo un po' lontano fisicamente, ma nel suo cuore sarebbe stato sempre presente, sempre.

 

Il giorno in cui Justin aveva scoperto che Ronnie si tagliava era un mercoledì. Loro avrebbero dovuto uscire insieme, subito dopo scuola, ma la ragazza, che allora aveva ancora il suo colore naturale di capelli, rosso carota, aveva insistito per passare un attimo da casa sua perché doveva darsi una sistemata. Secondo il biondo, era bellissima, non aveva niente da sistemare, ma lei aveva voluto a tutti i costi passare e lui l'aveva accontentata.

Lei era salita in bagno e lui l'aveva aspettata per venti minuti sul divano, finché si era accorto che stava tardando, perciò aveva deciso di salire a vedere cosa fosse successo. Aveva aperto la porta e l'aveva trovata per terra che piangeva, appoggiata al muro, con i polsi tagliati ed una lametta sporca di sangue accanto a lei.

«Ronnie, ma che hai fatto, merda!». L'aveva presa in braccio e l'aveva portata sul letto, facendola sdraiare. Per l'ora e mezza successiva era stato un continuo viavai dal bagno, alla cucina, alla mansarda, alla camera. Quando aveva finito di medicarle le ferite, e le aveva buttato nella spazzatura tutte le lamette che aveva trovato in giro per la casa, si era seduto sul suo letto e l'aveva presa tra le sue braccia, finché non si era addormentata.

Questo 'rito' durò quasi un mese, finché lui non le parlò chiaramente di tutti i rischi che correva, come malattie al sangue. Ronnie si era spaventata da morire e aveva cessato qualsiasi forma di autolesionismo. Almeno fino ad allora.

Durante quella prima settimana era entrato regolarmente ogni due ore dentro la stanza della rossa ed almeno una volta al giorno le aveva fatto sentire la loro canzone, poi le aveva recitato qualche battuta di Titanic. Forse, questo, l'avrebbe fatta migliorare, anche se non ci credeva più di tanto. Anche ora che la sua morte era ormai certa, continuava a cercare di farla sentire meglio, aiutato da Leah.

 

«Justin, la ami?», chiese il signor Anderson al biondo, riportandolo alla realtà. Il ragazzo non si era accorto della presenza dell'uomo, e quella domanda lo colse di sorpresa.

Rivolse lo sguardo al padre di Ronnie. «Cosa?».

«Rispondi», disse soltanto. «La ami?», ripeté.

Lui guardò la rossa che dormiva oltre la vetrata a cui era appoggiato. Cosa provava? Tristezza, perché era in fin di vita. Aveva paura di non rivedere più il suo sorriso raggiante rivolto a lui, i suoi occhi blu intrecciati ai suoi, aveva paura di non poterla più stringerla a sé. Ma provava anche un certo senso di felicità, poiché non era ancora morta, non era del tutto persa, questa battaglia. Nutriva ancora, seppur nel più profondo angolo di sé, la speranza che si potesse risvegliare. E poi, poi provava amore. «Sì, signore», rispose infine. «Io la amo».














holahola bedda genteeee!
come state? all right?
ecco, ecco, Ronnie sta per morire.
ci siete rimaste male, non è così?
mi sta simpatico Jack, il padre della rossa.
comunque non l'ho fatto di proposito a chiamarlo Jack come Jack Dawson.
è stato il primo nome che mi sia venuto in mente.
ESCE SOMEDAY IN ITALIA, YAYYYYYY!
ma io ce l'ho già, preso da london city..
ma lo ricomprerò, yep yep.
fatemi sapere se vi è piaciuto il capitolo!
io ne sono abbastanza soddisfatta.
okay.
vi lascio.
love you all,
andreah.

ps. grazie mille per le sei recensioni!

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Capitolo 8
*** never let you go. ***


Capitolo otto - Never let you go.



Erano passate ormai tre settimane dall'inizio del coma di Ronnie e Justin non l'aveva lasciata un attimo. Spesso c'era Leah con lui e, di tanto in tanto, passavano anche Louis ed Harry. Il biondo non ce l'aveva più con Tomlinson da parecchio tempo. Piano piano, erano anche diventati quasi amici.

Il padre di Ronnie dormiva in quella che, fino a tre anni prima, era stata casa sua. Quasi ogni pomeriggio passavano Caitlin, Chaz, Ryan e Chris e, a volte, qualcuno della scuola. Il fatto era che la rossa pensava di non importare a nessuno, mentre tutti erano, in qualche modo, legati a lei.
Gli infermieri non dicevano più nulla, né al ragazzo, né ai genitori della ragazza, forse perché avevano perso le speranze. Secondo Justin stavano solo aspettando che si spegnesse del tutto. Anche Leah aveva smesso di pensare positivo. Piangeva quasi tutti i pomeriggi, consolata dal biondo, per paura di non rivedere più la sua migliore amica.


I due ragazzi stavano al parco, il famoso parco in cui si erano conosciuti. Era appena prima che Justin cominciasse a frequentare Sarah e non erano passati ancora due mesi da quando Ronnie aveva smesso definitivamente di tagliarsi. Lei era seduta sulle gambe di lui, come sempre avevano fatto. Stavano parlando tranquillamente di tutti i ragazzi che, scherzando, li prendevano in giro dicendogli che sembravano fidanzati.
«Ronnie», la chiamò ad un certo punto il biondo. «ma tu hai mai pensato se potremmo stare davvero insieme?».
«No, perché?».
«No, così, mi era venuta questa curiosità».
«Capito. E tu ci hai mai pensato?».
«No, ci ho pensato ora».
«E cosa ne pensi?».
«Non lo so».
«Ti piaccio?».
Sì, Ronnie, mi piaci. «Non lo so, ti ho sempre guardata come un'amica».
La rossa annuì. «Hai mai dato un bacio vero ad una ragazza?».
«No, e tu ad un ragazzo?».
«No. Che cosa triste... abbiamo già quattordici anni e nessun bacio».
Il ragazzo la guardò negli occhi, poiché si era girata verso di lui, poi la baciò teneramente. Per la prima volta aveva dato un bacio vero ad una ragazza. E quella ragazza era la sua migliore amica.
Un brivido percorse la schiena di entrambi, ma nessuno dei due lo disse all'altro.

Era una mattina di un martedì piuttosto soleggiata, a Stratford. Giugno era iniziato già da qualche giorno e si sentiva, poiché anche nella piccola cittadina canadese c'era abbastanza caldo. Justin aveva appena finito di lavarsi e di cambiarsi nel bagno dell'ospedale ed ora stava entrando nella stanza della rossa. I signori Anderson sarebbero arrivati dopo tre ore, la madre del biondo un'ora dopo di loro.
Il ragazzo si sedette su una sedia bianca di pelle imbottita, posta di fianco al letto. Questa volta, con sé aveva anche una chitarra. Componeva canzoni da un paio d'anni e la ragazza lo sapeva, ma non l'aveva mai sentito suonare. C'erano molte canzoni che lui aveva pensato di suonarle e di cantarle, ora che lei era in ospedale, ma poi ne era arrivata una.
Cominciò a suonare i primi accordi e poi iniziò a cantare.

They say that hate has been sent,
so let loose the talk of love.
Before they outlaw the kiss,
baby give me one last hug.

There's a dream
that I've been chasing,
want so badly for it to be reality
and when you hold my hand,
then I understand
that it's meant to be.

Guardò la rossa: sembrava avere cambiato espressione, sembrava viva, non sembrava più la stessa di pochi secondi prima. Questo lo rendeva immensamente felice, ma tuttavia sapeva che era solo una sua impressione, e non la verità.

'Cause baby, when you're with me
it's like an angel came by
and took me to heaven
'cause when I stare in your eyes
it couldn't be better.

So let the music blast,
we gon' do our dance,
bring the doubters on,
they don't matter at all.
'Cause this life's too long,
and this love's too strong,
so baby know for sure
that I'll never let you go.

I got my favorite girl,
not feeling no pain, no fear.
Don't have a care I in the world,
why would I when you are here?

There's a moment I've been chasing,
and I finally caught it out on this floor.
Baby, there's no hesitation, no reservation,
by taking a change and more

I don't want you to go, so
take my hand, let's just dance
watch my feet, follow me.
Don't be scared, girl I'm here
if you didn't know
this is love.

So don't fear, don't you worry 'bout a thing
I am here, right here, I'll never let you go
Don't shed a tear whenever you need me
I'll be here, I'll never let you go .

 

La guardò un'ultima volta, prima di sorridere tra sé e sé. «Ti amo, Ronnie».

«Ti amo anche io, Justin».


















il prossimo capitolo si prospetta interessante, non è vero?
sarà bello, promesso!
questo lo odio, mi fa veramente schifo, mi è riuscito maleee!
ma so che voi siete carine e dolci e recensirete lo stesso, no?
sì.
brave, così mi piacete gfjdkf
comunque, ora vi lascio, perché non ho nulla di interessante da dire..
grazie mille per le otto recensioni allo scorso capitolo,
vi amo gfdjkkf
andreah.

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Capitolo 9
*** beautiful song, you know? ***


Capitolo nove - Nice song, you know?


Il biondo guardò verso la ragazza, incredulo. Stava sognando o Ronnie gli aveva risposto? Gli occhi azzurri della diciassettenne erano fissi sul ragazzo, e sul suo viso c'era uno di quei sorrisi che lo facevano morire. Il primo impulso fu quello di baciarla, ma non lo fece; il secondo fu quello di piangere, ma non lo fece; il terzo quello di chiamare i dottori, ma non lo fece; il quarto quello di sgridarla per essersi tagliata, ma non lo fece.

«Bella canzone, sai?». Fu lei a spegnere il silenzio, semplicemente perché Justin non sapeva cosa fare. Pensava di trovarsi semplicemente in un sogno. I medici avevano detto che sarebbe certamente morta, come era possibile che lo stesse guardando? «Hai intenzione di rispondermi, biondo?». Spostò lo sguardo verso la finestra, un po' irritata. In realtà, nemmeno lei sapeva cosa fosse ben successo, ma l'unica cosa che voleva ora era parlare a lungo con il suo migliore amico che, forse, presto sarebbe diventato qualcosa di più.

«Ti sei svegliata, finalmente, oddio, non ci credo quasi», disse, come se fosse uno strano fan di un qualche cantante al loro primo incontro. Ci mancava solo che le chiedesse una foto ed un autografo. «Che bello rivedere il tuo sorriso, i tuoi occhi, che bello sentire di nuovo la tua voce». Doveva smettere di parlare o si sarebbe messo a piangere entro due secondi.

«Cosa mi è successo?», chiese lei, rivolgendo nuovamente gli occhi al biondo.

«Sei stata in coma tre settimane. Tre! Era proprio necessario tagliarsi di nuovo? Sei deficiente o cosa?».

«Potresti smetterla di farmi la predica? Mi sono appena svegliata e l'ultima cosa che voglio è ricominciare subito a litigare».

«Volevo solo farti capire che è stato un inferno, è persino venuto tuo padre, Leah viene tutti i pomeriggi, molti della scuola sono venuti a trovarti. Fino ad ora, eri più morta che viva e tutti noi eravamo disperati».

«Però ora sono viva del tutto».

«Dio, lo spero così tanto».

«Dai, vieni qui e abbracciami, signor Bieber».

Il biondo obbedì, stringendola a sé più forte che poteva, come se fosse l'ultima volta. Gli era mancata, cavolo se gli era mancata! Ora che si era svegliata, gli sembrava di poter ricominciare a respirare, come se fosse stato sott'acqua per tutto il tempo del coma.

«Quanto è bello poterti abbracciare di nuovo, Ronnie».

«È tanto bello anche abbracciare te, sai?».

«Questo mi rende immensamente felice. Mi sembrano passati anni dall'ultima volta in cui ci siamo abbracciati».

«Non dirlo a me, rossa», concordò. Dopo qualche secondo di silenzio, riprese a parlare: «Senti, mi dispiace per quella sera», disse, facendo riferimento a tre settimane prima, quando avevano litigato per via dell'appuntamento con Tomlinson della ragazza. «Quando vi ho visti insieme, la gelosia mi ha accecato. Mi dispiace di essere la causa di tutto questo, Ronnie. Se io fossi stato meno geloso nei tuoi confronti, ora non ti troveresti qui. Magari saresti insieme a Louis».

«Non ci penso nemmeno, Justin. Non mi interessava lui quando ci sono uscita e non mi interessa ora. Era un'uscita tra amici, non tra fidanzati. Non avevo voglia di restarmene segregata in casa, quel pomeriggio, c'era un sole che spaccava le pietre».

«Davvero? Non ti piace lui?».

«Pensavi mi piacesse?», chiese, alzando un sopracciglio.

«Tu a lui piaci».

«Ma io lo vedo solo come amico, signorino. Dovresti smetterla di farti dei film mentali, sai?».

«Sarebbe il caso, piccina, lo so».

Lei annuì, poi disse: «Senti, quando mi lasceranno tornare a casa...»

«... guarderemo Titanic», la precedette. «Certo che sì. Con un'enorme dose di caramelle, popcorn, patatine, Coca-Cola e fazzolettini di carta», sorrise.

La rossa ricambiò il sorriso. «Mi conosci troppo bene».

«Esatto», concordò, «quasi più di me stesso. Ed è una bella sensazione».

«Lo so», rispose lei. «La provo anche io, verso di te».

«Sì?», chiese il ragazzo, con tono di sfida. «Cosa sai di me?».

«So che balli, canti e suoni da quando eri piccolissimo, e lo fai bene, hai talento, i tuoi si sono separati quando eri piccolissimo, hai due fratellastri, la tua canzone preferita di Michael Jackson è Billie Jean e quando è morto hai pianto per ore, sposeresti Beyoncé, sei nato un martedì a mezzanotte e cinquantasei minuti, il tuo animale preferito è la giraffa, una volta hai preso una F a scuola ma l'hai modificata in B per non finire nei casini, sei claustrofobico da quando avevi 7 anni ed hai paura degli ascensori, il tuo colore preferito è il viola, giochi a qualsiasi sport praticabile, non ti piacciono i clown, non ti piacciono i gatti perché una volta hai sognato di essere mangiato da uno di loro, sei fissato con Chuck Norris, ti piacciono le banane e l'uva, sei credente, parli bene il francese, ami gli spaghetti...», elencò Ronnie, tutto d'un fiato, prima di essere interrotta.

«Okay, okay, ho capito», si arrese, ridacchiando. «Mi conosci in tutto e per tutto».

«Mai sfidare Veronica Grace Anderson, signor Bieber».

«Stai certa che non la sfiderò mai più», le assicurò, dandole un leggero bacio sulla guancia, il che provocò farfalle nello stomaco ad entrambi. Poi, il biondo la guardò: si era svegliata solamente da una decina di minuti ed aveva assunto un colorito subito roseo, il suo naturale. Non pensava fosse una cosa normale, era strano, ma sicuramente positivo. Anche i suoi occhi erano più accesi ed i suoi capelli avevano acquistato lucentezza. Sicuramente, appena tornata a casa avrebbe insistito per rifarsi la tinta rosso fuoco, poiché in tre settimane si vedeva già una lieve ricrescita e lei odiava vedere le ricrescite, specialmente su se stessa. Proprio per questo si tingeva i capelli ogni due settimane, di giovedì sera. Sempre e solo di giovedì sera. Non c'era un motivo, era solo che ormai si era abituata a quel giorno. Le due settimane scadevano di giovedì sera e lei il giovedì sera si rifaceva il colore. Probabilmente, questo Louis non lo sapeva.

«Bella canzone, sai?», disse lei, riportando il ragazzo alla realtà.

«Grazie», sorrise.

«Sei un artista, bello», affermò. «Ma dimmi un po', era vero quello che mi hai detto dopo aver finito di cantare, Justin?».

Il biondo la guardò, poi annuì. «Sì».

«Non devi dirmelo solo per pietà».

«Non te lo dico per pietà, lo penso davvero».

«Oh», disse. «Anche io, comunque. Sappilo».

«Quindi ci potremmo mettere insieme?».

La rossa sorrise. «Non vedevo l'ora che me lo chiedessi».

Il ragazzo si avvicinò piano al viso della diciassettenne e la baciò teneramente, proprio come tre anni prima. 




















hey belli!
avrò un pomeriggio assai molto occupato, perciò vi scrivo poco.
inizio con il ringraziarvi per le recensioni.
siete tutte fantastiche.
continuo con il dirvi che il prossimo capitolo sarà un finale alternativo.
poi scriverò anche il capitolo undici, il dodici e così via, facendo finta che non sia finita.
insomma, la farò finire diversamente.
se non avete capito, chiedetemi pure, che vi rispondo c:
finisco col dirvi di farmi sapere cosa ne pensate di questo.
love you all,
andreah.

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Capitolo 10
*** eight minutes and twentyfour seconds. ***


   Capitolo dieci - Eight minutes and twentyfour seconds. 

(finale alternativo)



Quello fu il loro ultimo bacio.

I due ragazzi furono trovati morti dai genitori della rossa un paio d'ore dopo, mano nella mano, entrambi con il sorriso sulle labbra, nella camera d'ospedale. Nessuno seppe mai, oltre a loro, dell'inizio della loro storia, né del risveglio di Ronnie e nessuno capì mai la causa di morte di entrambi.

Nessuno seppe che avevano fatto l'ultimo respiro insieme, né che le loro ultime parole erano state «ti amo», né che la ragazza era stata sveglia diciannove minuti e cinquantatré secondi, né che aveva sentito Justin cantare e suonare, ma era stata con gli occhi chiusi per non farlo smettere.

Nessuno seppe che, se il loro cuore non avesse cessato di battere, Justin avrebbe realizzato il suo sogno di diventare un cantante famoso e Ronnie quello di essere ballerina per quello che sarebbe stato prima il suo fidanzato, poi suo marito.

Nessuno seppe che avrebbero avuto tre splendidi figli, due gemelline e un maschio, o che avrebbero avuto una splendida villa da milioni di dollari ad Atlanta e la possibilità di fare vacanze e crociere ogni volta che volessero.

I due si amavano da quando avevano lui poco più di quattordici e lei tredici anni, ma nessuno dei due l'aveva mai confessato all'altro. Si erano dati il primo bacio ed avevano sorriso entrambi per giorni, provando qualcosa di inspiegabile.

Erano stati fidanzati, lui con Sarah e lei con Harry, avevano interrotto le storie, avevano litigato l'uno con l'altra una miriade di volte, tra cui l'ultima, quella che aveva portato la rossa a tagliarsi di nuovo dopo tre anni, quella che l'aveva portata al coma, quella che, probabilmente, li aveva portati alla morte.

Erano stati fidanzati otto minuti e ventiquattro secondi, poi le loro vite si erano spente, inspiegabilmente. In quegli otto minuti e ventiquattro secondi avevano fatto più progetti che in tutta la loro vita, progetti che non furono potuti essere realizzati.

Avevano deciso che, appena dopo la dimissione della rossa, sarebbero andati a fare la tinta a Ronnie, poi da Starbucks ed infine a fare shopping. Avevano deciso che il biondo avrebbe cominciato a pubblicare i video di lui che suonava e cantava per tentare la fortuna, e che sarebbero andati presto a Disneyland e al parco giochi dedicato ad Harry Potter.

Dopo quattro anni di amore tenuto nascosto, erano stati insieme meno di dieci minuti e nessuno, oltre loro due, lo sapeva né l'avrebbe mai saputo.

 

Il funerale fu celebrato nella chiesa di Stratford, due giorni dopo la loro morte. Erano presenti centinaia di persone, tra cui il padre ed i fratellini di Justin, Leah, Ryan, Chaz, Chris e Caitlin e tutta la scuola. Nessuno ci credeva ancora, pensavano tutti che avrebbero potuto rivedere Justin e Ronnie presto a scuola, ed invece non sarebbe stato così.

I migliori amici del biondo non riuscirono mai a rassegnarsi di non averlo più tra loro, si sentiva troppo la sua mancanza nel gruppo, tuttavia restarono sempre uniti. Leah, che era stata convintissima che la sua migliore amica si sarebbe svegliata, provava un forte senso di odio verso se stessa. Nei primi mesi dopo la morte dei due ragazzi pensò più volte al suicidio, ma non riuscì mai nemmeno a tentare, poiché sapeva che Ronnie non sarebbe stata fiera di lei. L'entrata di Louis nella sua vita riuscì a farla andare avanti, ma continuà ad avere incubi la notte, per una dozzina di mesi. In più, promise a se stessa che non avrebbe mai avuto un'altra migliore amica. L'unica, per lei, era quella ragazza capelli rossi ed occhi blu, quella che sapeva ogni suo segreto, ogni sua cotta, quella con cui aveva vissuto i momenti migliori e quelli peggiori.

Anche Harry era presente al funerale. Aveva amato la ragazza, ma non come la amava Justin, ne era sicuro. Il suo amore per lei era stato più uno da amico, che uno da fidanzato. Si era promesso almeno una cinquantina di volte, nel corso del coma di Ronnie, che non appena si fosse svegliata avrebbe riallacciato i rapporti con lei, ed in meno di un secondo i suoi buoni propositi furono spazzati via dalla morte.

I fratellini del biondo, Jazmyn e Jaxon, alla cerimonia funebre erano ancora troppo piccoli per capire, ma già la bambina aveva chiesto una decina di volte, a suo padre, dove fosse Justin. L'uomo le aveva risposto ogni volta con le lacrime agli occhi, dicendole che era andato in cielo.

I due adolescenti erano stati adagiati su una bara bianca, fatta fare più grande, per farli stare insieme. Avevano ancora la mano intrecciata a quella dell'altro e i sorrisi stampati sulla bocca. Alla rossa era stato fatto indossare un vestito blu come il colore dei suoi occhi, lungo poco più su del ginocchio, mentre al ragazzo avevano messo uno smoking nero.

Entrambi furono cremati e le loro ceneri vennero buttate dagli amici e dai parenti più stretti nell'oceano Pacifico quello stesso giorno. La grossa lapide nel cimitero di Stratford aveva una foto enorme dei due giovani sorridenti ed abbracciati, di qualche mese prima della loro morte. I fiori, nel piccolo vaso disponibile davanti alla lapide, erano cambiati ogni settimana da Pattie, Jeremy, i signori Anderson, Leah e Louis, o Chaz, Ryan, Chis e Caitlin, che ci fosse il sole, la pioggia o la neve.

Il padre di Ronnie era tornato a vivere nella piccola cittadina, in un appartamento nel centro, e frequentava d'abitudine la sua ex moglie o la madre di Justin. La morte dei ragazzi aveva unito tutti i cittadini di Stratford, e nessuno se lo aspettava.

I ragazzi, la sera, appena prima di andare a dormire, parlavano apparentemente da soli, ma loro sapevano di rivolgersi al biondo e alla rossa. Nella parte più profonda di loro, erano anche convinti che i due li ascoltassero e vegliassero su di loro.

Ed era così.

L'unica cosa che tutti, con il tempo, rimpiansero, fu che non si misero mai insieme, non si confessarono mai l'uno all'altra.

Nessuno di loro sapeva di quegli otto minuti e ventiquattro secondi, perché nessuno avrebbe mai potuto più raccontarglielo.
















hola, goodgirlss!
vi devo spiegare un po' di cose.
questo non è un vero finale.
mi sentivo ispirata nel farla finire così, ma mi rendo conto che sono pochi capitoli.
perciò, questo è un finale alternativo. 
nei prossimi capitoli (11, 12, 13, 14 ecc. finché non mi stufo io o voi uu ahah), continuerò la ff
dalla fine del capitolo nove, ovvero non saranno morti (anche perché altrimenti non ci sarebbe
alcun continuo, giustamente), ronnie uscirà dal coma eccetera eccetera.
ditemi che con questa spiegazione avete capito, vi prego ):
beh, fatemi sapere con una recensione cosa pensate di questo finale.
luv yoooou,
andreah.

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Capitolo 11
*** louis likes you too. ***


(Dal Capitolo nove - Beautiful song, you know?)

«Quindi ci potremmo mettere insieme?».

La rossa sorrise. «Non vedevo l'ora che me lo chiedessi».

Il ragazzo si avvicinò piano al viso della diciassettenne e la baciò teneramente, proprio come tre anni prima.


    Capitolo dieci 
- Louis likes you too.
          (continuo del capitolo nove!)

 

Ronnie uscì dall'ospedale circa un mese dopo essersi risvegliata. La scuola era finita e, pur avendo fatto molte assenze per il coma, fu promossa quasi a pieni voti. La stessa cosa per Justin, che le era stato accanto sempre, anche nei momenti più bui.

Ora era luglio inoltrato ed i due ragazzi erano sempre insieme. Come lui le aveva promesso, appena era stata dimessa, avevano guardato Titanic e lui l'aveva tenuta tra le braccia per tutto il film. Quella fu la prima volta di centinaia, in cui guardarono quel film da fidanzati e non più da migliori amici.

Justin e Ronnie erano a Miami, in vacanza. Le loro madri li avevano mandatii lì per la promozione, per fargli cambiare aria, e per festeggiare il risveglio della ragazza. Stranamente, avevano loro prenotato una casa. Nessuno dei due se l'aspettava, poiché gli adulti dei fidanzati vanno sempre a pensare male. Probabilmente anche Megan Anderson – la madre di Ronnie – e Pattie lo facevano, ma si fidavano abbastanza dei ragazzi da potergli affidare una villetta. Il padre della ragazza era andato con la sua compagna, Brooke, che l'aveva raggiunto in Canada da Londra, in crociera nel Mediterraneo Occidentale – Genova, Marsiglia, Barcellona, Ibiza, Tunisi, Catania e Civitavecchia.

In realtà, a Miami con Ronnie e Justin, c'erano anche Leah, che aveva, in teoria, la camera con la sua migliore amica, e Chaz e Ryan, che avrebbero dovuto dividere la stanza con il biondino. Però erano i due fidanzatini a dormire nella stanza della ragazza e di Leah, mentre la povera morettina occupava la terza stanza. La rossa sapeva che la sua amica ce l'aveva con lei, e si era promessa di riparare, ma ogni volta appariva Justin che la portava a fare una passeggiata, o in piscina, o in città e quindi continuava a rimandare.

Anche quella mattina sarebbe successa la stessa cosa che ormai andava avanti da una settimana, se la mora non avesse spedito il biondo in spiaggia insieme ai suoi inseparabili amici. Anche loro erano visibilmente irritati dal comportamento dei due piccioncini.

«Ecco...», iniziò Ronnie, una volta che i tre ragazzi si erano allontanati dalla villa. Leah la fissava acidamente da una decina di minuti. «Senti, mi dispiace. Sono giorni che vorrei scusarmi, ma...»

«Ma lui è più importante, no?», la interruppe la mora. «Ovvio. Le poche, anzi, quasi inesistenti volte che siamo da sole non fai altro che parlare di lui. Justin di qua, Justin di là, Justin ha detto, Justin ha fatto, Justin mi ha portata a destra, poi siamo andati a sinistra. Parli solo tu, te ne rendi conto? Ero finalmente contenta che avremmo potuto avere un minimo di tempo insieme, la sera, dopo essere tornate dalla discoteca, dalla cena, o la mattina, o per cambiarci, invece no! Di nuovo lui, di nuovo. Se non ti dai una svegliata, Veronica, mi dimentichi! E non perché sei troppo presa da lui, ma perché io cambierò migliore amica. Non ce la faccio più a vivere nell'angolino e incassare, incassare e incassare tutti i racconti. Fai pause solo per prendere fiato, quando parli, senza nemmeno guardare se sto ascoltando!».

«Lo so», ammise la rossa, abbassando lo sguardo. «Mi dispiace. Lo manderò in camera con Ryan e Chaz, okay?».

«Certo, come se te lo lasciassi fare. Come se non sapessi che dopo mi terrai il muso per tutta la vacanza. Vaffanculo, okay?».

La mora fece per andarsene, ma Ronnie la prese per un braccio. «Leah, cosa c'è di tanto importante che mi devi dire? Non faresti così, se non avessi qualcosa».

«Non importa, Ronnie. Non importa».

«Invece sì, che importa! Altrimenti avrei continuato a fare finta di niente, ma so che c'è qualcosa che non va. Qualcosa che va oltre me è Justin».

«Sì, c'è, ma non è importante. Ora vai dal tuo ragazzo, vai».

«No, finché non mi dici cosa succede nella tua vita».

«Succede che mi fate stare male. Non è colpa vostra, cazzo, ma mi sono innamorata di un ragazzo a cui interessi tu, capito? Questo fa male! Io e lui non saremo mai come voi due. Lui non mi vede, porca troia, non mi vede neanche! E tu, fino ad ora, non ti sei resa conto che la tua migliore amica, o almeno, quella che tu chiami tale, è innamorata».

«Ti piace Justin?», chiese la rossa, alzando un tantino la voce.

«Cosa? No!», urlò Leah. «No, non mi piace Justin».

«E allora...». Fece mente locale. A chi piaceva lei, oltre a Justin? Non le veniva in mente nessuno. Non piaceva sicuramente a Chaz, né a Ryan, né ad Harry. «... Louis!».

Gli occhi della mora si illuminarono al nome, e le spuntò un lieve sorriso sulle labbra, il che confermò i sospetti di Ronnie. Alla sua migliore amica piaceva Louis Tomlinson? Davvero? A quanto pareva, sì. E non poco, perché non erano molti i ragazzi che la facevano sorridere solamente a nominarli. «Da quando?», chiese la rossa, dopo qualche secondo di pausa.

«Un giorno eravamo all'ospedale, qualche giorno dopo che i dottori avevano detto che eri peggiorata, in pratica che eri teoricamente morta...». Entrambe deglutirono a quella parola. «Io avevo perso le speranze, nonostante fossi la più positiva. Ero andata in crisi, e lui era lì, di fianco a me, che mi stringeva a sé, come per darmi coraggio. È stato lì che mi sono accorta che il mio cuore stava battendo più forte del solito, e che volevo che mi stringesse di più».

«Mi dispiace di non essermene accorta prima, L».

«Fa niente. Vogliamo raggiungere i ragazzi?».

«Sì, comunque secondo me, anche tu piaci a Louis».

«No, a lui piaci tu».

«Quando ci incrocia per la strada, a casa, guarda te con un sorriso, non me».

«Forse perché tu gli hai spezzato il cuore».

«Oh, no, Leah. Non ti guarderebbe nel modo in cui ti guarda, se fosse per farmi ingelosire. Mi ha semplicemente dimenticata, perché sei apparsa tu».

«Dici?».

«No, ne sono sicura».

La mora sorrise, di nuovo. «Grazie».

«Vuoi ancora cambiare migliore amica?».

«Mai», le rispose, per poi abbracciarla.

«Comunque, seriamente, manderò Justin con i suoi inseparabili, così noi avremo del tempo solo per noi».

«Non sei obbligata, Ronnie, fa lo stesso».

«No. Non rompere, ho deciso».

«Ti voglio bene, sai?».

«Ti voglio bene anche io, scema».


















hola, gurlsss!
no, non sono morta.
chiedo scusa ma tra terremoto e bieber a milano (e io c'ero fgkjdjfk) sono andata in agitazione.
però, meglio tardi che mai, no?
mi perdonate?
sì, dai, voi siete care :c
comunque, come spero ormai abbiate capito, la ff non è finita con lo scorso capitolo.
infatti Ronnie e Justin sono vivi e vegeti e si amano tanto(?).
non so se essere soddisfatta o meno di questo capitolo, quindi lascio la parola a voi.
ringrazio coloro che recensiscono e coloro che hanno messo questa ff tra i preferiti, le seguite o le ricordate.
merci, merci, merci fkjdkg
love you,
andreah.

(ps. MILEY RAY CYRUS SI STA PER SPOSARE CON QUEL CANGURO.
        UCCIDETEMI, CAZZO, NON E' POSSIBILE.)

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Capitolo 12
*** on your bedroom's floor. ***


   Capitolo undici - On your bedroom's floor.


Le due successive settimane a Miami erano passate lisce per tutti e cinque i ragazzi. Le fanciulle avevano trascorso più tempo insieme di quanto Leah si aspettasse veramente e ogni notte restavano a parlare della giornata, delle apparenti troie che se la tiravano in un modo assurdo, o almeno secondo loro, in spiaggia, di Louis e di Justin. La vita sentimentale della mora era diventata persino più importante di quella della rossa e, oltretutto, Ronnie non aveva confidato la rivelazione della sua migliore amica al suo ragazzo.

Ora erano tornati dal mare e, all'aeroporto, Leah aveva trovato Louis ad aspettarla, con sua enorme sorpresa. Non sapeva che la rossa gli aveva detto di farsi trovare lì, non sapeva tutto quello che aveva confabulato. Non sapeva molte cose. E per fortuna.

Justin, Ronnie e gli altri altri due ragazzi uscirono dall'aeroporto, lasciando la mora con colui che amava. Lei lo guardò spiazzata, senza sapere cosa fare. Sì, forse era ricambiata, ma era solo un dannatissimo forse. Niente di sicuro, ed era questo che la faceva esitare. Okay, la sua migliore amica le aveva detto di sì, ma lei che ne sapeva? Non aveva parlato con lui, non sapeva la realtà.

«Leah». Il ragazzo la distolse dai pensieri. «Va tutto bene?».

«Sì, sì», rispose lei, arrossendo. «Che... che facciamo?».

«Starbucks?».

«Perché no?».

Dopo un'oretta di macchina dall'aeroporto di Toronto a Stratford, i due si diressero verso Starbucks, più imbarazzati che mai. Si piacevano, l'avrebbe notato chiunque. Louis sapeva di essere ricambiato e aspettava solo il momento giusto per farsi avanti, che arrivò per merito di una bambina.

Avrà avuto sui quattro anni, aveva i capelli neri e mossi e due occhioni azzurri tenerissimi, indossava una gonnellina azzurra e una canottiera bianca e si era allontanata un attimo da sua madre per andare incontro ai due ragazzi.

«Ciao», li salutò sorridendo. I due si guardarono, sorrisero e ricambiarono il saluto. «Voi vi amate?».

Leah arrossì di colpo ed evitò di rispondere per non balbettare. Louis, invece, si abbassò verso la bambina e le rispose: «sì, ci amiamo».

«Siete fidanzati?».

«Non ancora», ammise, timidamente. Non aveva guardato la mora, temeva un po' la sua reazione... sicuramente, non se l'aspettava.

«Io sono fidanzata», continuò la bambina, pavoneggiandosi.

Leah ridacchiò, ma tacque ancora. «Ma davvero? E come si chiama il fortunato?», chiese Louis, sempre più chinato verso la piccola.

«David», rispose lei, «ma non farmi la corte. Lui è forte e poi la tua fidanzata lì dietro, dopo, è gelosa!».

La mora sorrise divertita, mentre il ragazzo continuava a conversare con la bambina. «Grazie del consiglio, piccolina, lo terrò da conto».

Lei sorrise ancora, prima che sua madre la chiamasse: «Lisa! Vieni qui, subito!», disse, avvicinandosi ai tre. «Dio, mi dispiace, davvero, questa bambina è un tornado, scusatemi, non volevo».

«Si figuri, è stato un piacere», concluse Leah, per poi guardarle tornare al loro tavolo. Aspettò che Louis si girasse verso di lei e gli disse: «che bambina adorabile».

«Eh già», concordò lui. «Stavo pensando di andarle a fare una serenata, mi sono innamorato».

«Anche io».

«Di me?».

«Così pare... aspetta, tu come lo sai?».

«Sesto senso maschile, sai», rispose lui, facendo il vago.

«Ronnie».

«Il punto è, sono innamorato anche io di te, Leah. Non come lo ero di lei... per te provo qualcosa di molto più forte. Pensi che potremmo provare a... ecco...»

Lei lo baciò, sotto gli occhi radiosi della bambina, e quello bastò come risposta.

 

Leah suonò più volte a casa Anderson, aspettando che la rossa aprisse. Quando lo fece, la mora le saltò addosso, senza lasciarle dire nemmeno una parola. Lei e Louis stavano insieme da più o meno un'ora e si erano lasciati per poi rivedersi la sera, quindi lei era andata dalla sua migliore amica a darle la buona notizia.

Stavano saltando per casa, per festeggiare la nuova coppia, quando scese dalle scale che portavano al primo piano Justin in boxer. In quel momento, la mora notò che Ronnie indossava la maglia bianca del suo ragazzo – gliel'aveva vista più volte addosso – con scritto doing real stuff sucks e gli slip e d'un tratto ebbe la sensazione di aver interrotto qualcosa tra i due.

«Scusa, V», le disse, trattenendo una risata.

«Non è come pensi, davvero... mi piace solo la sua maglia», si giustificò la rossa, mentre le guance le andavano a fuoco. Sì, stavano per andare oltre il bacio, ma il campanello li aveva fermati. Tutto sommato, andava bene così, insomma, era Leah alla porta con una splendida notizia, perciò... poteva passare. Sarebbe stato molto più imbarazzante se avesse suonato Pattie, o suo padre, o chiunque altro.

«Certo, certo, ci credo... Dai, sei la mia migliore amica».

«Poi ti racconto...», le sussurrò. «Sempre se avrai tempo per me, con la tua nuova fiamma, eh».

«Nuova fiamma?», si intromise il biondo, senza un minimo di imbarazzo per il suo abbigliamento. «Com'è che non ne sapevo niente?». Ridusse gli occhi a una fessura e guardò prima una, poi l'altra ragazza, come per rimproverarle.

«Calmati, Bieber», lo ammonì la mora. «Non è niente di nuovo, io e Louis ci siamo messi insieme».

«Cosa?». Per poco non rimase a bocca aperta, poi si buttò sul divano e si mise a sedere, incrociando le gambe. «Niente di nuovo? Ma che, scherzi? Ora tu mi dici tutto, forza, forza, parla!», esclamò lui, facendole gesto di sedersi, come fosse casa sua. In un certo senso, forse era come se lo fosse.

«Niente, mi piace, gli piaccio, basta».

«Ma quando 'sta cosa?».

«Oggi, rincoglionito, siamo tornati oggi!».

«E che ne so oh, magari vi eravate messi insieme mentre eravamo a Miami».

«Quanto sei ritardato».

Lui le fece la linguaccia. «Quanto sei simpatica, Parks».

«Ooookay, state calmi. L, vuoi qualcosa da bere?», chiese Ronnie.

«No, no, grazie. Ora vado a casa, sai, devo prepararmi».

«Ecco, sì, vattene, Leah. Mi mancherai».

«Solo perché vi ho interrotti mentre stavate scopando, dai, vi rifarete».

«Leah!», gridò la rossa, fulminandola con lo sguardo.

«Era solo la verità, quanto te la prendi!».

Lei arrossì. «Sono... cose private», balbettò.

«Non c'è niente di strano, ti dico. Pensa che io...»

«Va bene, va bene, esci», la interruppe l'amica, spingendola fuori di casa. Le diede un bacio, come saluto, e chiuse la porta, rivolgendosi al ragazzo. «Sei proprio un cretino».

Lui si alzò dal divano e le si avvicinò. «E tu sei proprio sexy con la mia maglia», le disse, con tono provocante, attirandola a sé.

«Dici?», replicò lei, allontanandolo.

«Dico, dico», confermò, dandole un bacio. «E sai dove starebbe meglio?».

«Dove?».

«Sul pavimento di camera tua, proprio come lo era pochi minuti fa».

«Quanto sei deficiente».

«Ma...».

«Ti amo».




























lo so, lo so, lo so, sono imperdonabile.
non aggiorno da un mese, scusatemi, lo so!
scusa di oggi:
ho avuto gli esami fino al 26 giugno, il 30 sono partita per la croazia e sono tornata sabato.
scusatemi, ma questa è la mia estate (mi piace chiamarla così lol), quindi non so quando aggiornerò çç
giuro che proverò a farlo più spesso, ho tutto luglio e metà agosto per voi.
scusatemi tantissimo, scusate scusate scusate.
passando al capitolo, la parte di leah e louis non la sopporto, ma quella dopo mi piace ahahah
leah ha un tempismo perfetto HAHAHAHAHAHAHAHA
mi sto recensendo il capitolo da sola, che rincoss.
okay, bene, ora vi lascio.


ps.
bieber a bologna, la mia città! fkjdfgk
voi verrete? auguro a tutte di sì, siete stupende <3

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Capitolo 13
*** everything's gonna be alright. ***


    Capitolo dodici - Everything's gonna be alright.


«Anche io ti amo, ma dicevo sul serio», replicò il biondo, abbassandosi ed entrando nella sua maglia, che indossava la ragazza. In due in una maglietta. Molto stretti e molto vicini.

«Sembri piuttosto sicuro, per essere uno che non l'ha mai fatto».

«Beh, sì, lo sono».

«Come mai?».

«Ho passato giorni ad immaginare questo momento, sai?».

La rossa scoppiò a ridere. «Seriamente?».

«Dai, stronza, non mi prendere in giro», disse il ragazzo, facendo l'offeso ed “uscendo” dalla maglietta.

«Justin, non fare così». Lo abbracciò da dietro e gli baciò il collo dolcemente. «Non ti stavo prendendo in giro... la trovo una cosa dolce».

«Mh».

«Dai». Lo baciò ancora, questa volta su una spalla. «Sei meraviglioso».

«Non è vero», obbiettò, girandosi verso la rossa. «Tu lo sei». La prese in braccio e la portò in camera, per poi adagiarla dolcemente sul letto. E la maglia tornò sul pavimento, proprio come aveva voluto il biondino.

 

I giorni passarono e l'amore dei due si fece sempre più vivo. Tuttavia, avevano smesso di stare sempre appiccicati. Ora, entrambi mettevano gli amici per primi, poi l'amore. Questo non voleva dire non vedersi male e rinunciare l'uno all'altra, anzi, si vedevano più o meno tutte le sere ma, quando uno dei loro amici gli chiedeva di uscire, questi non rifiutavano mai.

Il ragazzo pubblicava video di lui che cantava e suonava da ormai un mese, quando ricevette una chiamata inaspettata, diversa da tutte le altre. Erano circa le sei e mezzo di sera e lui era appena uscito dalla doccia, quando aveva sentito squillare il telefono di casa. Sua madre era dai suoi genitori, perciò non avrebbe potuto rispondere. Il biondo fece una corsa assurda per arrivare all'apparecchio prima che questo smettesse di suonare.

«P... pronto?».

«Pronto, Justin Bieber?».

«Ehm... sì, chi è lei?».

«Buonasera, il mio nome è Scott Braun. Ho visto molti dei video-cover che posti sul tuo canale e vorrei sentirti dal vivo. Chissà che, un giorno, tu non diventi famoso».

«Cosa? Sta scherzando».

«No, non sto scherzando. Vorrei parlare con i tuoi genitori, però».

«Ehm... vivo con mia madre, ma al momento è dai miei nonni...».

«Oh, allora ti richiamo più tardi. Verso che ora tornerà?».

«Per le otto circa, credo».

«Va bene, la richiamerò verso quell'ora. A presto, Justin».

«A presto, signore...». Il biondo riattaccò, parecchio confuso. Davvero quell'uomo era chi diceva di essere? Cavolo, se sì, avrebbe potuto davvero provare ad essere famoso! A pensarci bene, però, era quasi sicuro che quello Scott era un impostore. Non l'avrebbe mai più richiamato, facendolo vivere per sempre nella speranza.

Il ragazzo cercò di smettere di pensarci e si preparò per uscire con Ronnie, Leah e Louis. Si precipitò in camera e indossò un paio di skinny jeans neri, una t-shirt bianca aderente e un paio di Supra blu. Poi prese l'iPhone, le chiavi, una banconota da cento dollari ed uscì, dirigendosi verso casa della sua ragazza. Loro e gli altri due si sarebbero incontrati alle otto davanti al'Hyland Cinema, nel paese in cui era nato Justin, a 60km da Stratford.

La ragazza scese appena in tempo per non essere in ritardo, bellissima come sempre: indossava una canottiera blu notte con scritto LOVE, un paio di shorts chiari e delle Converse del colore della canottiera. Al braccio aveva una felpa con la zip bianca, nel caso avesse avuto freddo (x). Al polso aveva i suoi immancabili braccialetti del merchandise di Demi Lovato con scritto 'unbroken', 'stay strong' e 'love is louder than the pressure to be perfect'. In quanto al make up, come sempre si era messa un filo di eyeliner e di matita e il mascara.

Justin la salutò attirandola a sé e baciandola, poi le aprì la portiera della macchina e poi si mise al posto del guidatore. Erano passate le sette da un quarto d'ora e loro sarebbero stati in ritardo, se non fosse che il biondo guidava ai 100km/h anche in curva. A quell'ora le strade non erano molto trafficate, ma la rossa aveva una paura assurda di fare un incidente e, all'ennesima preghiera di rallentare, Justin obbedì. Avevano fatto metà della strada in un quarto d'ora ed il ragazzo ridusse la velocità di una ventina di chilometri orari.

«Sei tenera quando hai paura, sai?».

«Grazie per aver rallentato».

«Che c'è, Ronnie?».

«Niente, va tutto bene».

«Sicura?».

«Sì, sono... sono solo un po' stanca».

«Mh... potevi annullare l'uscita, Ronnie... non ce la saremmo presa».

«No, no, non preoccuparti, va bene».

«No che non va bene, preferisco che ti riposi!».

«Dai, è solo un po' di stanchezza. Domani sarò come nuova».

«Mi fai preoccupare...»

La ragazza lo baciò sulla guancia, sperando di tranquillizzarlo e riuscendo nel suo intento. Per il resto del viaggio nessuno dei due disse niente, il biondo molto concentrato a guidare e la rossa a pensare. Da un paio di giorni non faceva altro che pensare.

Arrivarono all'Hyland Cinema una decina di minuti in anticipo ed entrarono a prendere i biglietti per il film, 'Take This Waltz', che sarebbe iniziato alle nove e un quarto. In realtà, si erano dati appuntamento alle otto perché sapevano che qualcuno avrebbe fatto tardi e per prendersela comoda, magari fare un giro in città.

Dopo essere usciti dal cinema, Ronnie attirò a sé il biondo e lo baciò, sperando di allontanare i pensieri di entrambi. Sembrò funzionare per il ragazzo, ma non per lei. Il pomeriggio di due giorni prima le sarebbe rimasto impresso per molto, molto tempo. Fortunatamente, Justin sembrò non accorgersi di nulla, e ciò rese tutto molto più facile.

Tuttavia, stava per aprire qualcosa, quando la rossa sentì la voce della sua migliore amica chiamarli da una decina di metri da loro. Corse incontro a Leah e la abbracciò forte, non stupendo la mora. Lei sapeva cos'era successo alla rossa. Lo sapeva benissimo.

«Ciao, ragazzi!», li salutò Louis, dando il cinque al biondo e baciando sulla guancia la sua ragazza. «Tutto bene?».

«Sì, tutto bene amico, voi?», rispose Justin prontamente, evitando di far rispondere a Ronnie.

«Bene anche noi, grazie».

«Okay, allora, abbiamo già preso i biglietti, il film inizierà tra un'ora esatta... a proposito, siete in ritardo!».

«Lo so, scusa, ma Leah non scendeva più».

«Hey! Sei tu che ti eri perso a vedere il football!», obbiettò la mora.

«Va bene, ragazzi, va bene. Facciamo un giro?».

«Certo», concordarono gli altri tre.

Justin circondò la vita a Ronnie con il braccio, mentre Louis prese per mano la sua ragazza. Si fermarono a guardare le vetrine di gran parte dei negozi, ma comprarono solo una Coca Cola al bar. Subito dopo si diressero nuovamente verso il cinema, per non allontanarsi troppo. Le due ragazze si diressero in bagno, lasciando i maschietti a parlare all'aperto.

Invece, suonò l'iPhone di Justin. «Ciao, mamma, dimmi».

«Justin, quaranta minuti fa mi ha chiamata un uomo».

«Ti ha richiamata davvero? Oh, non ci speravo».

«Sì, mi ha chiamata. Vuole che andiamo ad Atlanta. Potresti...». La donna non riuscì a finire la frase, troppo emozionata.

«Lo so, mamma. Quando dovremmo andare?».

«Ecco, questo è il problema. A lui andrebbe bene anche se andassimo domani mattina, ma è troppo presto. Pagherà lui il volo, l'hotel, tutto. Partiremo giovedì prossimo».

Domenica, lunedì, martedì, mercoledì... quattro giorni per dire tutto a Ronnie. «Ma perché così presto? Ci sono solo quattro giorni!».

«Lo so, tesoro, ma... capisci, se gli chiediamo troppo tempo, potrebbe spazientirsi. Non mi sembra il tipo, eh, però non si sa mai. Pensi di farcela, Justin?».

«Sì, mamma... credo. Ma Ronnie...»

«Lo so. È la tua ragazza e ci rimarrà male, ma capirà. Il vostro amore è più forte. Riuscirai a dirglielo e sarà felice per te».

«Va bene. Ci vediamo domattina, ti voglio bene».

«Anche io te ne voglio».

Justin riattaccò, guardando Louis come per dire “sono nei casini”.

 

Nel frattempo, Leah e Ronnie entrarono in bagno. La rossa guardò la sua migliore amica e la abbracciò forte, scoppiando a piangere, come ormai faceva da due giorni.

«Ronnie, stai calma, andrà tutto bene...».

«Io non ce la faccio, L, non ce la faccio...».

«Hey!», le disse la mora, allontanandola dolcemente e guardandola dritta nei suoi occhioni blu, ormai gonfi e rossi. «Ascoltami. Sì che ce la fai. Hai sconfitto anche la morte, piccola, non sarà questo a distruggerti».

«Questa volta è diverso... quando glielo dirò, mi lascerà».

«Non è vero, non lo farà. Ti ama».

«Lo so, ma sono stata una stupida».

«Non è colpa tua, Ronnie. È capitato e basta».

«Potevo non farlo capitare!».

«No. Le persone non possono controllarlo».

«Mi lascerà, Leah, mi lascerà... non sono niente senza di lui».

«Non dire cazzate, andrà tutto bene».

«Non è vero, invece!».

«Sì che è vero. Non ti lascerà, dico. Ci tiene troppo a te, e lo sai».

«Ma questo è diverso!».

«Smettila, rossa! Ci sono io qui. Io non ti abbandonerò mai».

«Ma lui...»

«Nemmeno lui lo farà, sbaglio o meno. Ti ama e sa che lo ami».

«Non ce la faccio...».

La mora strinse forte la sua migliore amica, ancora. «Sì che ce la fai», le sussurrò, per poi darle un tenero bacio sulla fronte. «Ora ti sistemo, piccola, o se ne accorgeranno. Andrà tutto bene».

La rossa si lasciò sistemare dolcemente da Leah. Quando questa ebbe finito, le due raggiunsero i rispettivi ragazzi, entrambe fingendo un sorriso. Come se in bagno non fosse successo nulla di strano.
























buon pomeriggio donzelle!
ecco a voi un nuovo capitolo appena sfornato.
la storia di ronnie mi fa venire ansia, lol.
povera piccina ):
beh, mi sembra di essere abbastanza soddisfatta di questo capitolo.
ma l'ultima parola va a voi, eh sì!
quindi ditemi che ne pensate :)
prometto che, se avrò almeno quattro recensioni (meglio sei, ma mi accontento dai), continuerò prestissimo c:
ciao belle, vi amo tutte <3

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Capitolo 14
*** she'd never leave her alone. ***


     Capitolo tredici - She'd never leave her alone


Mercoledì pomeriggio, sul tardi, Justin implorò Ronnie di uscire. Lei avrebbe dovuto fare un giro con Leah, ma il ragazzo ci teneva tanto, troppo, o almeno sembrava così, perciò verso le cinque e mezzo i due si trovarono davanti a casa di lei e si sedettero su una delle panchine in giardino.

Il biondo non aveva avuto il coraggio di dire alla sua ragazza che sarebbe partito per Atlanta per non si sa quanto tempo, forse più di un anno. Sapeva che non l'avrebbe presa bene e non voleva metterle pressione, proprio ora che sembrava così stanca. Però non era giusto partire senza dirle nulla, perciò aveva raccolto tutto il suo coraggio.

«Ronnie...», iniziò lui. Non sapeva che parole usare, non sapeva come dirlo. Sapeva solo che lei avrebbe reagito male e che a lui si sarebbe spezzato il cuore, per questo. L'avrebbe fatta soffrire, quando non ne aveva minimamente intenzione. La baciò, cercando di far apparire quel gesto normale, cosa che non gli riuscì minimamente.

«Mi dici che cosa è successo, per favore? Mi stai facendo preoccupare...».

«Ronnie, io...».

«Tu che cosa?», chiese, incitandolo.

«Ti amo», le disse, abbassando lo sguardo.

«Guardami... perché abbassi lo sguardo?».

«Lo farò per sempre, te lo prometto...».

«Mi stai lasciando, vero?».

«Non ti sto lasciando... perché dovrei? Ronnie, devo dirti una cosa».

«E io voglio sentirla, questa cosa, ma tu ci giri attorno...».

«Io... io devo partire».

«Cosa?». La voce le si spezzò e con essa anche il cuore. «Dove vai? Per quanto? Tornerai? Ti prego, non lasciarmi... perché te ne vai?». Ormai aveva gli occhi pieni di lacrime.

«Calmati, per favore...», la strinse a sé dolcemente, «devo andare ad Atlanta, amore mio, ma tornerò, te lo prometto. Hey, tu sei il mio destino, va bene? Un uomo mi ha proposto di andare là e magari potrei diventare famoso, ma tornerò sempre da te... te lo prometto, Ronnie, ma devi stare bene».

«Quando partirai?».

«Domattina presto... scusami, scusami, non ho avuto il coraggio di dirtelo prima, scusami, ti prego».

La rossa si sforzò di sorridere. «No, no, non preoccuparti. È il tuo sogno. Va' ed inseguilo. E realizzalo. Divertiti».

«No, no, no, no. Ti prego, io non parto se mi tratti così».

«Tu devi partire ed io non ti sto trattando in nessun modo. Credo in te».

«Scusami», la baciò.

«Stai tranquillo. A che ora partirai?».

«Dovrò essere alle 4 di mattina in aeroporto qui, per partire alle 5 e da lì andrò a Toronto, cambierò volo ed andrò ad Atlanta».

«Verrò a salutarti... mi mancherai da morire».

«Anche tu, Ronnie».

 

La ragazza non fece in tempo ad aprire la porta che già si ritrovava a piangere tra le braccia della sua migliore amica. Justin se n'era andato da una decina di minuti e, appena era uscito di casa sua, lei aveva chiamato Leah e le aveva chiesto di andare urgentemente a casa sua.

«Non ce la faccio, L, non ce la faccio, voglio morire...».

«Cos'è successo? Gliel'hai detto? Ti ha lasciata? Dio, Ronnie...».

«Non gliel'ho detto, ma lui... lui se ne va».

«Come se ne va? Dove se ne va? Ti lascia qua... da sola?».

«Sì, va... va ad Atlanta... forse diventa famoso... non ce la faccio».

«Ce la fai, con o senza di lui. Non è indispensabile. Ci sono io».

«Ma... mi lascia qua da sola... come faccio a crescerlo? Non ci riesco...».

«Hey, sei solo all'inizio. E non sei sola, ti ho detto. Pian piano lo diremo a Chaz, a Ryan, a tua madre, a Caitlin... ti aiuteremo tutti, vedrai».

«No... nessuno mi vorrà più stare vicino. Penseranno che sono una troia...».

«Ronnie, sono tuoi amici, tutti! È tua madre! Nessuno di loro lo penserà».

«Ho paura... per favore, ho paura, non mi lasciare... non ci riesco...».

«Tesoro, andrà tutto bene. Ci riesci. Non ti lascerò mai».

«Penseranno che sono una facile... tutti... non potrò più farmi vedere in giro... mi odio, Leah, mi odio».

«Nessuno lo penserà, smettila. Non ti devi odiare. Ti vogliono bene, tutti. Forse saranno un po' diffidenti, ma l'unica cosa che penseranno è che lui è uno stronzo, perché ti ha lasciato gestire tutto da sola».

«Non è colpa sua...».

«Non hai fatto tutto da sola. Perché non gliel'hai detto?».

«Io... io... non volevo lasciarlo partire con questa preoccupazione».

«Ronnie, non dovevi farlo partire e basta!».

«Certo... dopo ce l'avrebbe avuta con me per sempre... è il suo sogno da sempre, Leah, non potevo fare l'egoista...».

«Ti rendi conto di quello che stai dicendo? È...».

«Lo so, ma ormai è tardi. Ho preso la mia decisione. Lui... lui partirà».

«E quando tornerà, cosa farai?».

«Non so nemmeno se tornerà, L...».

«Certo che lo farà. Ti ama».

«Non ce la faccio...».

«Sssh. Sì che ce la fai, piccola».

Ronnie si lasciò andare, accasciandosi al pavimento. No, non ce l'avrebbe fatta. Come poteva, senza di lui? Dopo quattordici – quattordici! - anni passati insieme a Justin, come avrebbe fatto a cavarsela? In nessun modo, ecco come. Se si era tagliata dopo che avevano troncato la loro amicizia, ora che la stava abbandonando, cosa avrebbe potuto fare?

«Ti fidi di me?», le chiese Leah, sedendosi vicino a lei.

La rossa la guardò e, debolmente, annuì.

«Bene. Farò di tutto per farti essere felice. Farò di tutto per riuscire a farti andare avanti senza di lui. Rinuncerò anche a Louis, se necessario, per starti sempre accanto. Ce la farai, che tu voglia o meno».

«Ti voglio bene».

«Anche io te ne voglio».

La mora si alzò, poi tese la mano alla sua migliore amica e la accompagnò nella sua camera da letto. Aspettò che si addormentasse, per poi sedersi su una poltrona lì di fianco. Accompagnata da un fiume di pensieri, si addormentò anche lei.

 

Le due si svegliarono alle tre, quella notte. Ronnie si spogliò ed indossò un paio di Skinny Jeans, una canottiera marrone chiaro, un cardigan nero e un paio di Converse basse dello stesso colore del cardigan. Si truccò con un po' di eyeliner e di mascara, poi prese telefono e chiavi ed uscì, seguita da Leah.

Si diressero verso l'aeroporto con la macchina della rossa ed entrarono, in cerca di Justin. Nonostante fossero quasi le quattro, l'edificio non era per niente deserto come si aspettavano le due. Donne che tenevano per mano i loro bambini, uomini spazientiti, anziani che aspettavano di andare a fare una vacanza. E poi, in un angolo, seduti su un paio di sedie, c'erano Justin e Pattie, eccitati quanto stanchi.

Ronnie corse incontro al ragazzo, per poi quasi saltargli addosso. Lui la prese prontamente, senza rischiare di cadere, e la baciò teneramente.

«Mi mancherai tanto, Justin», gli disse la rossa. «Ancora non so come farò senza di te». Per lei – e per Leah – questo significava molto di più di quello che realmente sembrasse.

«Anche tu mi mancherai, Ronnie. Ma ti prometto che tornerò».

«Lo spero tanto».

«Ti amo e sarai sempre la mia piccola. Sempre».

Pian piano arrivarono anche Chaz, Ryan, Chris e Caitlin, ed infine Louis. Il biondo salutò tutti, per il totale di più o meno mezzora, poi scomparve dietro una porta che l'avrebbe portato al check-in, dopo aver salutato tutti un'ultima volta.

La mora e la rossa tornarono a casa poco dopo. Stranamente, Ronnie non aveva pianto come una disperata e questo aveva colpito entrambe le ragazze. Forse aveva quasi esaurito le lacrime, forse era decisa ad andare avanti. Nessuna delle due lo sapeva con certezza, ma la rossa non voleva che suo... figlio crescesse con una madre che gli faceva pesare l'assenza del padre. E poi, Leah le aveva detto così tante volte che non era sola, che ora ne era convinta.

Erano quasi le cinque della mattina e le due erano distrutte, perciò indossarono il pigiama e si infilarono nel letto matrimoniale di Ronnie. La mora si addormentò subito, mentre l'amica si immerse nei ricordi del pomeriggio del giovedì della settimana prima.

 

Le due amiche erano a casa di Leah. La rossa si sentiva strana da un paio di settimane. Le sembrava che le si fosse ingrossato un poco il seno, ma non ci aveva peso, in principio. Poi, si sentiva terribilmente stanca ad ogni ora del giorno ed aveva frequenti mal di testa. Infine, molti dei cibi che aveva sempre amato – pizza, pasta, hamburger, caramelle e persino la Nutella (!) - le provocavano una nausea assurda, che a volte l'avevano portata anche a vomitare. Infine, la cosa che più l'aveva fatta allarmare, era stato il ritardo del ciclo mestruale. Era sempre stato regolare, fino ad allora.

Con enormissima vergogna, le due erano state a comprare un test di gravidanza quel pomeriggio, sotto gli occhi di tutti gli anziani della farmacia che ne avrebbero parlato per mesi... fino allo scoprire dell'esito.

Prima di aprire la scatolina, Leah si era fatta raccontare quasi per filo e per segno la prima volta di Ronnie (e di Justin), scherzando sul fatto che non era possibile rimanere incinte la prima volta che lo si faceva. La rossa l'aveva fulminata con lo sguardo più volte, con il cuore in gola, poi si era decisa a fare quel test. Le due avevano aspettato quegli infiniti dieci minuti senza fiatare, guardandosi semplicemente come per chiedersi cosa avrebbero fatto se il risultato fosse stato... ecco, positivo.

Ronnie si era alzata tremando dal bordo della vasca sulla quale erano sedute entrambe e si era diretta verso il davanzale della finestra, prendendo il test con le mani sudate e guardandolo, temendo di vomitare. Lo aveva lasciato cadere per terra nello stesso momento in cui si era girata verso il gabinetto per rimettere tutto ciò che aveva mangiato fino ad allora.

Leah le si era precipitata vicino, aspettando che finisse e ripulendola, per poi chiederle: «Allora?».

La rossa l'aveva guardata con gli occhi pieni di lacrime e lo stomaco ancora sottosopra. «Sono incinta», aveva detto, per poi scoppiare a piangere.

La mora aveva passato tutto il pomeriggio ad abbracciare e a consolare la sua migliore amica, senza dirle nulla che avrebbe potuto ferirla, senza pensare a niente, tranne che a lei. Si era promessa solennemente che avrebbe fatto qualsiasi cosa per aiutarla, sarebbe andata contro a chiunque, anche ai suoi genitori, se necessario. Non aveva pensato nemmeno per un istante che avrebbero potuto prestare maggiore attenzione, o che la gente avrebbe potuto giudicarla perché si faceva vedere con una diciassettenne incinta, o ancora che Ronnie avrebbe potuto prendere la famosa pillola del giorno dopo.

Si era solamente detta che era capitato. Forse un po' troppo presto, ma non avrebbe permesso alla sua migliore amica di abortire per nessun motivo al mondo – anche se sapeva che non l'avrebbe mai fatto.

Era incinta di tre settimane quando l'aveva scoperto. Non voleva dirlo a Justin per paura che la abbandonasse, allora aveva cominciato ad evitarlo, ma senza che sembrasse qualcosa di sospetto. Aveva le scuse 'sono stanca', 'sono stata male', 'devo vedere Leah', ed ogni volta si rifugiava tra le braccia della sua migliore amica, l'unica che sapesse la sua situazione, l'unica persona che, ne era sicura al cento per cento, non l'avrebbe mai abbandonata, nemmeno nella più tragica delle situazioni.































hello gurlsss!
ecco a voi un fresco capitolo di cui PENSO di essere soddisfatta.
ma la parola a voi.
ah, chiaramente ringrazio le anime pie che perdono (o no?) tempo a recensire e a leggere.
fatemi sapere, quindi, cosa ne pensate.
criticatemi pure, se scrivo poco, se dovrei smetterla e darmi alla piromania, tutto.
io vi addddoro, belle.
adieuuu,
andreah.

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Capitolo 15
*** that's not being in a relationship. ***


      Capitolo quattordici - That's not being in a relationship.


Justin era partito da più di cinque mesi e la sua assenza si faceva sentire abbastanza. Ormai la pancia di Ronnie era più che evidente, dal momento che al secondo mese aveva scoperto l'esistenza non di uno, ma bensì di due pargoli. Leah aveva nuovamente scherzato sul fatto della prima volta di entrambi, dicendole che nemmeno volendo avrebbe potuto ripetere una cosa simile. Questa volta, la rossa aveva riso e concordato con la sua migliore amica.

Le due, quasi subito dopo la partenza del biondo, avevano detto a tutti – i signori Anderson, i genitori della mora, Ryan, Chaz, Chris, Caitlin e Louis – della gravidanza di Ronnie. Nessuno l'aveva attaccata, anzi, le avevano promesso di aiutarla come potevano, ma ognuno aveva i suoi pensieri al riguardo.

La ragazza era abbastanza serena e si stava già preparando al parto, sebbene con largo anticipo. Pensava che sarebbe stato meglio essere preparati. Leah viveva praticamente a casa sua e l'aveva letteralmente assillata su tutto: nomi per i due – un maschietto e una femminuccia – i colori della stanza, letti, culle, giocattoli... La rossa avrebbe preso a sprangate la sua migliore amica più di una volta.

Alla fine, le due avevano deciso Nicholas Drew per il piccolo e Avery Hope per la piccola. Avevano passato interi pomeriggi a decidere come fare la camera, e avevano quasi ultimato tutto: le pareti color azzurro, i due lettini bianchi con le sbarre che avevano tinto di verde chiaro stavano adossati ad una parete; con il colore con cui avevano dipinto i muri, avevano scritto sulla parte non sbarrata di un letto Drew e su quella dell'altro Avery; una luce a forma di sole stava al centro del soffitto. Un fasciatoio verniciato di verde era stato posizionato di fianco alla porta d'entrata; l'armadio, verde anch'esso, era di fronte ai due letti. Un tavolino rettangolare con quattro piccole sedie era di fianco a uno dei numerosi mobili contenenti libri e giocattoli, posizionati ordinatamente. In camera di Ronnie c'erano due culle, proprio di fianco al suo letto; anche lì, ceste piene di giocattoli o giochi alla rinfusa, davano un aspetto diverso alla stanza.

Justin era diventato famosissimo quasi subito dopo la sua partenza e aveva già rilasciato due album in studio, uno acustico e uno di Natale, tutti con grande successo. Alla rossa capitava spesso di pensare a lui, specialmente durante la notte, quando calci o nausea o semplicemente insonnia le impedivano di dormire. Non si sentivano spesso e a lungo, fino alla fine di ottobre perché lui era molto impegnato e lei, nel suo piccolo e diversamente, anche, poi dall'inizio di novembre le chiamate erano cessate del tutto. Comunque, stare al telefono con lui la metteva a disagio per via della gravidanza. A volte era anche un po' arrabbiata con lui per non essersene accorto.

Per come la dicevano i gossip, comunque, lui non era a corto di compagnia. Aveva la splendida Selena Gomez al suo fianco in modo diverso dall'ultimo dell'anno, e questo un po' la feriva. Poi si diceva che non poteva biasimarlo, perché lei era bellissima e, da come appariva, anche dolce. Sembravano felici, insieme.

Justin non sarebbe tornato prima della fine dell'anno che, oltretutto, era appena iniziato. Ronnie pensava che sarebbe stata una cosa positiva, in quanto avrebbe avuto più tempo per dimenticarlo, anche se, nel profondo, sapeva che non avrebbe mai potuto farlo nemmeno volendo.

 

La rossa si alzò nel bel mezzo della notte, dirigendosi verso il frigorifero. Leah stava dormendo dall'altra parte del suo letto e lei non aveva voluto svegliarla: quella ragazza lavorava troppo per aiutarla, e alla fine della giornata era stremata. Ronnie si era svegliata alle tre e mezzo con una voglia assurda di frullato alla frutta.

Aprì il frigo e prese due banane e del latte, poi attaccò il frullatore all'elettricità. Sbucciò e taglio le banane e le buttò dentro il frullatore, aggiungendoci un po' di latte, chiuse col coperchio e lo azionò, sperando che non facesse troppo rumore.

«Ronnie», si sentì chiamare la rossa dal buio, da una voce assonnata... la sua migliore amica. Nonostante l'avesse riconosciuta, sobbalzò. La mora accese la luce e la guardò. «Che stai facendo?».

«Ho... ho voglia di frullato».

«Capisco. Siediti, te lo verso io».

«No, no, va bene. Stai tranquilla, non sono stanca».

«Ronnie!».

«Okay, okay, fai tu», concordò la ragazza, sedendosi al tavolo, mentre la mora versava in un bicchiere altro il frullato. Successivamente, prese una cannuccia dal mobile sopra il lavabo e lo portò alla rossa, che cominciò a berlo.

«Sai, L, volevo andare a giocare nella neve», cominciò Ronnie. «Insomma, non mi sento canadese se non lo faccio».

«Non ci pensare neanche. Sarebbe troppo pericoloso».

«Sembri mia madre, se non peggio».

«Come sei simpatica», ironizzò Leah. «Una migliore amica è anche questo, quando serve. Non ci andiamo».

«Okay, ma... tu dovresti andarci, con Louis. Dico, dovresti prenderti una pausa da me, dico davvero. Potrei cavarmela da sola».

«Ti mando Chaz o Ryan, o Caitlin però, eh. Da sola no».

«Va bene... però tu dovresti staccare».

«Solo domani».

«È già un buon inizio».

 

«Svegliati, signorina!», gridò una voce maschile... o forse due? Ronnie aprì gli occhi e si trovò i due migliori amici del suo ex ragazzo davanti. Dunque, Leah le aveva dato ascolto. Un po' di tempo trascorso con dei maschi le mancava.

«Che volete? Che ore sono? Ho sonno, ragazzi».

«Come sarebbe a dire “cosa vogliamo”? La tua migliore amica ci ha chiamati dicendoci che ci volevi! Sono le tre del pomeriggio, Ronnie...».

«Oh. Che avete fatto fino ad ora?».

«Abbiamo giocato con la tua Xbox, con i giochi dei tuoi bambini e...»

«Avete giocato con i giochi di Drew e di Avery?!», urlò la rossa, per poi scoppiare a ridere. «Che deficienti, ma sul serio? Avete diciott'anni, ragazzi!».

«Sì, ma non sapevamo che fare...».

«Okay, mi dite una cosa?».

«Tutto quello che vuoi».

«Anche se farà male?».

I due si guardarono. «Va bene...».

«Sentite ancora Justin?».

«Sì».

«Spesso?».

«Abbastanza».

«Oh. Gli chiedete di me?».

«Quasi sempre».

«E lui?».

«Sta zitto, spesso. Parla di Selena».

«Ah».

«Quando tornerà qui e scoprirà di Drew e di Avery si sistemerà tutto, Ronnie, te lo prometto», le disse Ryan, abbracciandola. «Non può averti dimenticata. Sei il suo primo e unico amore».

«No, ora c'è lei... e va bene così. Non potevo aspettarmi che saremmo stati insieme senza vederci per così tanto tempo. Spero che sia felice».

«L'importante è che tu e i bambini stiate bene».

«Ma è il vostro migliore amico, ragazzi».

«Però lui non deve portare due birbanti nella pancia per nove mesi. Ed, in più, sarebbe una responsabilità anche sua. Non li hai fatti da soli».

«Ma lui non lo sa».

«Ma...»

«No. Non deve scoprirlo. La sua carriera si incasinerà troppo. Potrebbe fallire e dopo ce l'avrebbe con me in eterno».

«È impossibile, rossa. Lui ti ama».

«No, ragazzi. Lui non mi ama più. Come lo devo accettare io, dovete farlo anche voi... anche se per voi sarà più facile».

«Non è vero. Noi crederemo sempre in voi».

«Ma se siamo stati insieme solo un mese e mezzo...».

«E nove mesi».

«No, quello non è stare insieme».

«Ma è essere legati, che lui lo sappia o meno».



























hola, chicas (?)
QUESTO CAPITOLO FA SCHIFO.
o almeno la parte in cui non descrivo la stanza (?).
quindi, questo capitolo è orribile.
come vedete, justin è un pezzo di pupù (?).
dai, pf, come ha fatto a dimenticarla? stronzo.
comunque non avevo ispirazione, quindi chiedo scusa.
il prossimo capitolo sarà meglio.
giuro.
fatemi sapere se vi piacciono i nomi dei due (eh sì, due.. che fortuna!) bambini.
e anche se dovrei riscrivere il capitolo o è appena sufficiente quindi va appena bene.
scusate ancora çç
love,
andreah.

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Capitolo 16
*** strength. ***


      Capitolo quindici - Strength.


«Leah! Ho un cazzo di problema!», gridò la rossa alla sua migliore amica, che era al piano di sotto. Ultimamente, al nono mese di gravidanza, non era molto fine nelle parole. «Vieni subito, Dio, ti prego!».

La mora si precipitò da lei. «Dimmi!».

«Le acque... mi si sono rotte!», disse, con una smorfia.

«Oh, merda. In macchina! Ora!», urlò, aiutandola ad alzarsi dal letto sul quale era sdraiata e accompagnandola sull'auto. Ronnie si sdraiò sul sedile posteriore e cercò di non urlare dal dolore, mentre Leah chiamava la signora Anderson e la informava. Quei cinque minuti di tragitto tra la casa e l'ospedale sembrarono infiniti alla quasi mamma, che non faceva altro che toccarsi il pancione.

La mora parcheggiò nel posto più vicino all'entrata, poi aiutò a scendere la rossa che continuava a cercare di non urlare dal dolore. Appena entrate, un infermiere le vide e fece sdraiare Ronnie su una barella, poi la spinse fino in reparto maternità e la affidò all'ostetrica, Katherine, una donna sui trent'anni con gli occhi grigi e i capelli neri, che la portò in sala travaglio. Leah entrò con loro e si mise di fianco alla rossa, tenendole la mano.

E così iniziarono le quattordici lunghe ore di travaglio, in cui la ragazza provò un dolore mai sentito prima. Ogni quattro minuti c'erano le contrazioni, durante le quali stringeva con una forza che non sapeva di avere la mano della sua migliore amica, che continuava a ripeterle, come le aveva detto di fare l'ostetrica, di stare calma e respirare.

Katherine restò con loro con loro tutto il tempo, facendo domande ad entrambe per distrarle un po'. Quando chiese, senza alcuna malignità, a Ronnie, del padre dei gemelli, questa la fulminò con lo sguardo, per poi dirle, acidamente: «Lui non lo sa. Lui è felice con la sua nuova ragazza, in giro per il mondo».

«Ah, è un ragazzo famoso?», insisté la donna.

«Ora lo è. Quando stavamo insieme, non lo era...».

«Lo conosco?».

«È impossibile il contrario. Il padre è Bieber...».

«Cosa?! Quel ragazzo diventato famoso da poco? Mi stai prendendo in giro».

«No! Perché dovrei? Un tempo, mi amava».

«E ora non più?».

«A quanto pare no. Sta con Selena Gomez».

«Ronnie, non ti fa bene parlarne...», intervenne Leah.

«Giusto. Non voglio che i miei bambini nascano con un'aria negativa».

«Come li vuoi chiamare?», chiese allora l'ostetrica.

«Nicholas Drew e Avery Hope».

«E darai loro il tuo cognome?».

«Per forza».

Subito dopo arrivarono le contrazioni, le ultime in sala travaglio, perché poi venne spostata in sala parto e lì sarebbe cominciata la vera festa. Il vero dolore, doppio a quello delle contrazioni. La rossa aprì le gambe e strinse la mano della rossa, poi iniziò a spingere come le aveva ordinato l'ostetrica, con tutta la forza presente in se stessa.

Il dolore era lancinante, ma lei cercò di non farci caso: stava dando la vita a due creature. Due bambini frutto di un grande amore, anche se durato poco. Un amore separato da un sogno, dall'inconsapevolezza della gravidanza. Perché non gliel'aveva detto? Già, perché? Perché la felicità del suo ragazzo era più importante della sua, più importante di quanto lei sarebbe stata male. Tenere due bambini in grembo senza un compagno l'aveva resa più forte. Non aveva più neanche pensato quei “non ce la faccio” detti solamente a Leah. Quando, durante la gravidanza, le era sembrato di essere debole, si diceva che lei era forte. Che doveva farcela. E ce la stava facendo. Chiuse semplicemente gli occhi e continuò a spingere, finché entrambi non furono fuori. Allora alzò le palpebre e li vide, ma solo di sfuggita: Katherine tagliò il cordone ombelicale, poi li affidò a due infermiere che li lavarono. L'unica cosa che ora rendeva felice Ronnie era sentirli strillare, quindi respirare.

Ce l'aveva fatta.

Nel momento in cui glieli diedero in braccio, la vista le si appannò per via delle lacrime. Loro, invece, smisero di strillare non appena lei li toccò. Li aveva aspettati nove mesi, ed ora eccoli lì, più vivi e piccoli che mai. Entrambi avevano due occhioni blu: i suoi. Invece, quei pochi capelli che avevano, erano biondi. Anche la bocca era quella di Justin, perciò la rossa dedusse che entrambi avrebbero avuto il suo sorriso.

Ancora una volta, le infermiere le tolsero i bambini per vestirli. Lei fu portata in una stanza abbastanza grande e con due lettini per i gemelli. Non appena fu sola in camera, una miriade di gente entrò: sua madre, suo padre, Chaz, Ryan, Caitlin, Chris, Louis, i suoi nonni, Leah. Tutti – a parte, ovviamente, la sua migliore amica che aveva assistito – iniziarono a farle domande. Il più delle volte non sapeva rispondere, perché non aveva ascoltato a che ora erano nati, quanto pesavano o chi era uscito per primo, troppo impegnata a guardarli. Sapeva solo che erano bellissimi, quasi irreali.

«Sono nati a», iniziò la mora. Lei aveva ascoltato ogni cosa. «mezzanotte e cinquantasei», disse, quasi in un sussurro. Ronnie la guardò: erano nati il ventidue marzo alla stessa ora di loro padre. Era veramente improbabile che succedesse una cosa del genere, invece era successa. Bene. «Avery pesa due chili e Drew 2,2. È uscito prima il maschietto. Entrambi stanno bene. Tu stai bene, Ronnie?».

«Sì... sono stanca», disse, sperando di far capire che non li voleva tra i piedi. Voleva rimanere sola con i suoi figli, che non erano ancora arrivati, senza nessun altro. Voleva pensare al da farsi. Quando sarebbe uscita? Avrebbe dovuto dirlo a Justin? Si toccò istintivamente la pancia, sorprendendosi di quanto già si fosse sgonfiata.

In quel momento, il suo iPhone cominciò a squillare. Un numero che aveva cancellato dalla rubrica, ma che avrebbe riconosciuto tra mille: quello di Justin. Il destino ce l'aveva con lei, possibile? «S... sì?».

«Ronnie! Come stai?».

«Be-bene, perché dici?».

«No, perché di solito si chiede, in un dialogo...».

«Ah, s-sì. Vero. Giusto. Tu come stai?».

«Bene, ma... è successo qualcosa?».

«N-no, perché d-dovrebbe?». Pregò in cinese che non arrivassero i bambini in quel momento. «No, tutto... tutto bene».

«Mi sembri strana».

«Senti, te ne sei andato, come dovrei essere?», chiese, riprendendosi. La rabbia si era un attimo impossessata di lei. «Ora stai con lei e non hai nemmeno avuto le palle di lasciarmi, ti rendi conto? Non mi chiami da novembre, siamo alla fine di marzo oramai, e d'un tratto ti fai sentire? Lasciami stare».

«Ronnie, no, ascoltami...»

«Ascoltami un cazzo. Sii felice con lei».

«Tornerò per Natale», riuscì a dire, prima che lei riattaccasse. Già, per Natale, ma che gliene fregava? Che tornasse quando voleva, tanto l'avrebbe evitato in qualsiasi modo. Non doveva sapere dei bambini, perché poi sarebbe stato un casino. Li avrebbe voluti un po' per sé, giustamente, ma dato che lei aveva mandato la gravidanza avanti senza di lui, troppo impegnato a scoparsi quella Selena, non glieli voleva dare. Li vedeva come qualcosa di suo. Lui non c'era stato. Storia chiusa, semplicemente.

Due minuti dopo le portarono Avery e Drew e lei li strinse a sé, stando molto attenta a non far loro male. Subito dopo si rese conto che Justin l'avrebbe assillata nella sua memoria, sempre. Semplicemente perché loro erano i loro figli, non solo i suoi. I due bambini erano il frutto del loro indescrivibile amore e lei non lo avrebbe mai dimenticato, nemmeno volendo. Come poteva? Aveva chiamato suo figlio con il secondo nome del padre.

Ronnie cullò i due bambini tra le sue braccia ed aspettò che si addormentassero, prima di metterli nei rispettivi lettini. Diede loro un bacio delicato sulla fronte, come se potessero rompersi, poi si infilò nel suo letto e si girò verso di loro. Avevano un'espressione così pacata sul viso; sembravano due angeli, e forse lo erano.

Dio, quanto le mancavano le labbra del biondo. Nove mesi senza di lui erano stati atroci. Aveva avuto voglia di chiamarlo e di implorarlo di tornare ad ogni ora del giorno. Avrebbe voluto urlargli che era incinta ogni volta che lui la chiamava, ma quando era sul punto di farlo si ricordava che gli avrebbe rovinato il sogno, e non era quello che voleva. Sarebbe stata egoista. Ma non lo era anche se non glielo diceva?

 

Quando si svegliò i bambini erano spariti. I lettini vuoti. E il cuore le fece una capriola. Si alzò a fatica dal suo letto e si diresse verso il corridoio dell'ospedale. Leah era seduta su una sedia, mano nella mano con Louis, e non appena la vide le andò incontro.

«Ronnie! Devi dormire, cosa fai sveglia?».

«Dove sono i miei bambini?».

«Li ha tua madre, li ha portati a fare un giro».

La rossa appoggiò la testa al muro, tirando un sospiro di sollievo. Non aveva mai provato così tanta paura in tutta la sua vita. Aveva sentito tante storie su rapimenti in ospedale... avrebbe sgridato sua madre, sicuramente. Come poteva prendersi i suoi gemelli senza dirglielo? Era la loro mamma! Avrebbe dovuto saperlo!

«Ronnie, stai tranquilla, non li lasceremmo mai senza qualcuno che li controlla. Nessuno te li ruba. Calmati».

Fece per tornare in camera ma, appena si voltò, sbatté contro un ragazzo, che per poco non la fece cadere a terra. «Oddio, scusami», le disse lui. «Non vorrei che il parto andasse male, ecco...», continuò.

«Veramente, ho appena partorito», replicò lei, acidamente.

«Ah. Ecco. Figura di merda. Scusami».

«Fa nulla, tanto è stato stanotte».

«Ma... ma non sei piccola?».

«E quindi? Che vuoi?».

«Niente, era... solo una domanda», rispose, confuso. «Io sono Thomas».

«Non te l'ha chiesto nessuno, Thomas».

«Lo so, volevo solo essere... Sei strana, ragazzina».

«Non sono una ragazzina. Ho diciotto anni».

«Sei comunque piccola, per essere mamma».

«Sto per tirarti un calcio, stronzo».

«Come sei nervosa», le fece notare lui. «Come ti chiami?».

«Ma che te ne frega?».

«Voglio conoscerti, sei carina».

«Ah», arrossì, «mi chiamo Ronnie».

«E hai diciott'anni. E sei mamma».

«Sì. Tu quanti anni hai?».

«Venti, ma non sono papà».

«Credo sia meglio per te, Thomas».

«Sei forte, sai? Sei qua da sola, deduco che il padre del tuo bambino...»

«Bambini», lo corresse lei, entrando in stanza e sedendosi sul letto. «Sono gemelli».

«Deduco che il padre dei tuoi bambini ti abbia lasciata da sola. E quindi... portare a termine una gravidanza a diciott'anni da sola non dev'essere stato una passeggiata».

«In verità, a Justin non l'ho detto. Volevo che realizzasse il suo sogno».

«E ce l'ha fatta?».

«Giudica tu», disse lei. «È Justin Bieber».

Thomas rise. «Stai scherzando!».

«Purtroppo no, caro».

«Quindi lui... non sa di essere padre?».

«No. E non voglio che lo sappia».

«Oh». Ronnie squadrò il ragazzo: moro, occhi verdi, alto e, da quello che riusciva a vedere, anche muscoloso. E sembrava avere persino un bel carattere. Quasi la perfezione.

Ma non era Justin...

«Perché sei qua?».

«La mia migliore amica è stata operata di appendicite».

«Capisco».

«Perché non usciamo, qualche volta?», chiese lui, come se fosse una cosa naturale.

«Dammi un buon motivo e uscirò con te».

«Beh... perché sono io».

Ronnie lo guardò divertita. «Vedremo».

«Almeno il tuo numero me lo dai?».

«Sì, quello sì, dai». Gli prese il telefono e gli scrisse il suo numero. «Ecco».

«Grazie. Ti chiamo, eh!».

«Chiama, chiama... però, appunto, ho due bambini, non sono sempre disponibile, chiaro?».

«Si vede che ti sono nati due gemelli, Ronnie».

«Da cosa?».

«Hai due tette enormi», disse, scherzando.

«Sei uno stronzo maniaco».

«Mi ferisci».

«Ora esci». Lui la salutò ed obbedì, sorridendo.

Sul comodino di fianco al letto di Ronnie, il telefono squillava da alcuni minuti, e c'erano già una decina di messaggi, ma lei non se ne accorse: Avery e Drew erano tornati dalla loro passeggiata, e lei era troppo impegnata, prima a sgridare sua madre, poi ad allattarli. Così, quando lesse il messaggio “Sto tornando lì, J.” era troppo tardi per qualsiasi cosa. Avrebbe dovuto affrontarlo. Lui avrebbe scoperto.

«Sei stata forte nove mesi, Ronnie. Lo sarai anche ora», le disse Leah, stringendole la mano, mentre salivano in macchina per tornare a casa.




















eccomi qua, con il nuovo capitolo :)
okay, avevo detto che Justin non sarebbe tornato, ma... tadannn!
è stata una sorpresa anche per me (?)
fatemi sapere cosa ne pensate, io sono abbastanza soddisfatta kgfjdhf
cosa ne pensate del povero piccolo thomas? lol
grazie per le otto recensioni, siete veramente stupende.
love,
andreah.

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Capitolo 17
*** you could... ***


   Capitolo sedici - You could...

Ronnie fece appena in tempo ad allattare per la prima volta Avery e Drew, poi qualcuno suonò il campanello. La ragazza sapeva perfettamente chi fosse; si precipitò a mettere i piccoli nella loro culla, poi scese ed aprì la porta. Sapeva perfettamente che l'avrebbe scoperto subito, per via della pancia in primis.

Lo guardò solo per un attimo, prima di rendersi conto di quanto le fosse mancato e di come fosse diventato bello: indossava dei jeans neri non troppo larghi, una t-shirt bianca, un giubbotto di pelle e un paio di Supra del colore della maglia. Niente a che vedere con lei: un maglione largo con la bandiera americana e jeans neri.

Presto si ritrovò tra le braccia del biondo che, senza dire una parola, la strinse a sé. Alla rossa venne una fottutissima voglia di ritrovare le sue labbra, ma si trattenne. C'erano cose più importanti da dire, da fare.

«Cosa ci fai qui? Dovevi tornare a Natale e... oggi è il 23 marzo».

«Mi mancavi, Ronnie. E mi sei sembrata strana».

«Ti ho anche detto il perché».

«No, non era per quello. Non solo, almeno».

Merda, pensò la ragazza. Aveva dimenticato che un tempo era il suo migliore amico. «Invece sì. Ah, ti ringrazio per avermi lasciata».

«Io non ti ho lasciata».

«Beh, però stai con lei. Quante volte te la scopi, al giorno? Cinque? Sei?».

«Nessuna. Non sto con Selena».

«Oh, peccato che i giornali siano dalla mia parte», gli disse, sbattendogli contro un magazine che li mostrava insieme in copertina. «Come lo spieghi? Eh?!».

«Ronnie, siamo usciti insieme un paio di volte. Non ti ho dimenticata!».

«E perché hai smesso di chiamarmi? Sentiamo!».

«Perché tu mi rispondevi a monosillabi!», gridò.

«Non urlare... li sveglierai».

«Non me ne frega un...», iniziò, urlando, poi abbassò la voce. «Svegliare chi?».

«S-svegliare? Co-cosa? No, nessuno», disse, rendendosi conto di aver fatto un passo falso. Okay, ora avrebbe sicuramente scoperto.

«Ronnie... parla».

«Non ho niente da dire. Comunque, ti rispondevo a monosillabi perché...»

«No», la interruppe. «Siamo andati oltre. Dimmi chi dovrei svegliare».

Dal piano di sopra si sentì un pianto. Avery. «Ecco. Bene. L'hai svegliata», disse, dirigendosi in camera. Lui la seguì e, quando lei prese in braccio la bambina, la guardò confusa. «Vattene», sibilò la rossa. «Finiremo di parlare un'altra volta».

«No. Voglio sapere chi è».

La ragazza continuò a cullare la sua piccola, cercando di farla smettere di piangere. «Ti ho detto di no. Sono impegnata».

«È... è tua...».

«No, è nostra figlia. O almeno, una dei due. Ora vattene».

«Tu... cosa? Nostra?». Guardò nell'altra culla, scoprendo Drew.

«Ti ho detto di andartene, Bieber».

Lui accennò una risata sarcastica. «Bieber? Per cognome, ora?».

«Vattene, ho detto!».

«Potrei svegliare anche lui, se vuoi».

«Sei uno stronzo. Vattene».

«Voglio che mi racconti tutto. Poi me ne vado».

«Non ti racconterò un bel niente, perché tu non mi hai detto nulla su Selena e la vostra storia. Mi hai lasciata qui come una deficiente. Io ti odio».

«Cosa?». Quelle parole lo colpirono dritto al cuore, il quale si spezzò, insieme alla voce. «Io... Ronnie, no, ti prego».

«Vattene».

«Nemmeno sotto tortura. Non finché non avremo chiarito qualsiasi malinteso».

«Non chiariremo un bel niente, perché ho da fare, dato che tu l'hai svegliata. E ringrazia che lui ha il sonno pesante come il tuo».

«Okay, ascolta», iniziò, sedendosi sul letto e abbassando lo sguardo. «Non sto con Selena e non voglio starci. Tu sei ancora tutto per me. Ti ho pensata ad ogni ora del giorno e della notte, e quando ti chiamavo ero felice, ma... tu mi rispondevi a monosillabi, così le chiamate duravano massimo tre minuti. Per questo ho smesso di chiamarti, pensavo che non mi volessi più. Sembravi così assente... io... mi dispiace di averti lasciata qua dicendoti della mia partenza la sera prima, ma non volevo ferirti, specialmente allora che sembravi da tutt'altra parte con la testa. Sono uscito con Selena da amico, perché i nostri manager l'avevano voluto, per fare notizia. Sì, più avanti avrebbero voluto che ci mettessimo insieme, ma se mi vorrai ancora, io... io rifiuterò. Sei la cosa più importante per me, Ronnie. Scusami per tutto, scusami se ti ho lasciata qua nove mesi mentre, a quanto ho capito, eri incinta di me, ma... non lo sapevo. A proposito, perché non me l'hai detto?».

«Perché non sono un'egoista schifosa. Ho preferito che tu fossi felice. E io, comunque, ora lo sono. Non sono più da sola. Ho loro».

«Io ero felice anche con te!», sbottò lui.

«Ma per favore, non dire cagate. Se ti avessi detto della mia gravidanza, col cazzo che saresti stato felice. Per te era molto più importante diventare famoso, e non dire di no».

«Come potrei non essere felice con te, Ronnie? Eh? Dimmelo!».

«Siamo stati insieme un mese e mezzo», disse, guardandolo freddamente. «In quel mese e mezzo sono anche riuscita a rimanere incinta di due bambini. Poi tu sei sparito per nove mesi, lasciandomi portare avanti una gravidanza da sola. E se te l'avessi detto, mi avresti odiata per non averti lasciato inseguire il tuo sogno».

«Sì, ma... ora mi odi tu».

«No... non esattamente. Quello che provo è più un dolore. Ma non fa niente, ho imparato ad essere forte».

«Non provi più nulla verso di me?».

Ronnie lo guardò, poi mise nuovamente Avery nella sua culla, poiché si era addormentata. Prima di rispondergli, la osservò sorridendo e si chinò per darle un lieve bacio. Poi si voltò verso Justin. «Come potrei? Non ho mai smesso di amarti. E mi hai dato gli anni più belli della mia vita, tra primo bacio, prima volta e... sì, anche la gravidanza. Tu sarai sempre l'unico uomo che amerò».

«Però non vuoi stare con me...».

«Hai la tua carriera e i bambini te la rovinerebbero».

«Non mi interessa. Sono i miei, i nostri figli. Non mi importa della carriera, se ci sono loro. Mi renderebbero molto più felice».

«Non lo so. Credo sia meglio di no, per ora».

«E fino a quando, eh? Io devo partire per l'Europa, tra poco. Ho un tour da portare a termine...»

«Visto? Non hai tempo per noi. Va bene».

«Sì che ne ho. Ne avrò sempre, siete la mia famiglia».

«Non è vero, non lo siamo».

«Come puoi dire questo? Non sai cosa sono disposto a fare».

«Lo so, invece. Non sei disposto a fare niente».

«Se non fosse che ti amo e che sei una ragazza, ti prenderei a schiaffi».

«Io lo farei anche se ti amo».

«E perché non lo fai, allora?».

«Vieni qua».

Lui obbedì, aspettandosi uno schiaffo in piena guancia che, tuttavia, non arrivò. Invece, Ronnie gli prese il viso tra le mani e lo baciò, incredula di quello che stava facendo. Il contatto con le sue labbra le provocò numerosi brividi lungo la schiena, che le fecero capire quanto le fosse mancato in quei nove mesi. Si baciarono a lungo, come per ricompensare quei lunghi mesi in cui non erano stati l'uno con l'altra. Lui le toccò delicatamente la pancia, ancora gonfia, poi passò al sedere, come ogni maschio che si rispetti. Passò a baciarle il collo, poi le guance, le spalle.

«Justin...», lo chiamò lei, debolmente. Lui le baciò un'altra volta il collo, come per darle attenzione. «Io... fermati, ti prego, non so quanto ancora riuscirò a controllarmi».

«Perché dovresti controllarti?», chiese lui, con un pizzico di malizia.

Lei lo guardò, poi lo spinse via. «Perché non puoi venire così solamente per portarmi a letto, okay?», sbottò. «Stai via nove mesi, torni e vuoi scoparmi? Nossignore, non funziona così! Vattene a cercare un'altra, di puttana occasionale!».

Lui seguì la rossa giù per le scale ed in salotto, prima di risponderle. In realtà, era rimasto un po' spiazzato da quello che lei gli aveva detto. Era rimasto spiazzato dai suoi sbalzi d'umore. La gravidanza l'aveva resa nervosa. Quella non era la sua Ronnie, non esattamente, ma lui continuava ad amarla. Nervosismo o meno. «Io... io non voglio portarti a letto. Ho capito che hai passato nove mesi non esattamente facili, eh! Non sono ritardato. Perché pensi che la fama mi abbia cambiato, eh? Sono sempre io. Justin. Il tuo migliore amico. Il tuo ragazzo. Non me la tiro e non sono un puttaniere!».

«Bene. Dimostramelo standomi lontano».

«Cosa?!», esclamò lui, quasi urlando. «Tu stai male! Io non posso starti lontana! Non capisci che sono venuto qua, rischiando l'infelicità delle mie fan e la collera di tutto il mio staff, solo per vedere te! Devo ripartire tra poco e tu mi dici che devo starti lontano? Vaffanculo, Ronnie».

«Sei uno stronzo. Fottiti, vai a farti Selena, io ti odio!».

«Perché? Dimmi cosa ti ho fatto!».

«Mi stai lasciando sola. Ancora».

«Tu mi hai detto di starti lontano. Non me lo sono inventato io!».

«Sì, ma...»

Lui la attirò a sé e la abbracciò forte. Non gli era mai piaciuto litigare con lei, soprattutto ora che, nel caso di un litigio pesante, non potevano risolvere subito, a causa della sua assenza.

Stettero abbracciati così per vari minuti, lei troppo occupata a sentirsi di nuovo bene tra le braccia di qualcuno e lui troppo impegnato a stringerla, per paura che potesse scappargli. Poi la allontanò teneramente, tenendola comunque stretta, e la baciò dolcemente.

«Ronnie, voi potreste venire... con me in tour».





































Hola girls!
Non aggiorno dal lontano 18 e sono scandalosa, lo so.
chiedo umilmentissimamente (?) perdono.
scussssate, ma sono stata impegnata çç
comunque, ecco a voi un nuovo capitolo...
con Justin! wohooo!
ad essere sincera non mi piace tanto, ma lascio la parola a voi.
grazie, come sempre, per le recensioni, grazie davvero gfkjgk
love,
andreah.

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Capitolo 18
*** better than selena. ***


  Capitolo diciassette - Better than Selena.

La rossa guardò Justin incredula. Gliel'aveva chiesto davvero? Il cuore, nel petto, le batteva come un tamburo. In altre circostanze, avrebbe accettato subito. Ora però, con i bambini che erano piccolissimi... avrebbe dovuto senz'altro pensarci a fondo. E se gli avesse rovinato la carriera? Sicuramente, i media l'avrebbero attaccato, per essere diventato padre così giovane. Però avrebbe potuto tenerlo lontano da Selena, no?

Il biondo la baciò dolcemente, come per calmarla. «Hey, puoi decidere tu. Non ti obbligo, okay? Rispetterò qualsiasi tua decisione».

«Io non lo so... Non avremmo una casa fissa, Avery e Drew crescerebbero in giro per il mondo. Hanno bisogno di stabilità...».

«Se non vuoi venire, è okay. Davvero. Ma lascia che ti dica una cosa: non girerò sempre, poi si tratta solo di questo tour. Magari, per i prossimi anni, troveremo una casa negli Stati Uniti e voi starete lì, andranno a scuola e io farò tour a spezzoni, in modo da essere presente».

«Davvero?».

«Certo che sì, piccola». La abbracciò.

«Quando sarebbe la partenza?».

«Ecco... praticamente stanotte. Ma, hey!, ti aiuterò io e pagherò io, davvero. Qualsiasi cosa, lo prometto».

La ragazza lo guardò incerta, poi cedette. Lui era stato così convincente... Trascorsero il pomeriggio a fare valigie ed impacchettare culle e materiale per i gemelli, ma non prima di aver avvertito amici e famigliari di Ronnie. I signori Anderson non si erano mostrati molto entusiasti, si vedeva che erano diffidenti. In realtà, nessuna delle persone a cui l'avevano detto era stata del tutto felice, ma era comprensibile: avevano aiutato la rossa durante la gravidanza, mentre lui non c'era, ed ora che erano nati partiva con lui.

La notte seguente, verso le tre, i due, insieme ai gemelli, erano già in aeroporto. Con loro, c'erano i genitori della ragazza, Leah, Louis, i Beadles, Chaz e Ryan. Justin aveva fatto già una ventina di autografi ed altrettante foto, ed aveva risposto a molte domande delle sue fan riguardo a Ronnie ed Avery e Drew.

Salirono sulla prima classe dell'aereo un'ora più tardi, diretti a Los Angeles, prossima tappa del tour. Il biondo si sarebbe esibito quella sera allo Staples Center davanti a ventimila persone. Sapeva che il suo manager si sarebbe infuriato, quando sarebbe venuto a sapere della sua nuova famiglia, anche se non l'avrebbe mostrato davanti alla ragazza. Con calma, si sarebbe anche abituato alla nuova situazione. E alle nuove telefonate che richiedevano interviste, sia con Ronnie, che con Justin.

Atterrarono quattro ore e mezzo più tardi. Il volo era trascorso velocemente e con tranquillità; i gemelli avevano dormito tutto il tempo e continuarono anche dopo l'atterraggio.

Il biondo lasciò la ragazza e i bambini nella loro stanza dell'hotel, mentre lui andò a parlare con il suo manager e sua madre. Ronnie si era appena addormentata, quando Avery cominciò a piangere, svegliando suo fratello, che la seguì a ruota. La rossa allattò prima una, poi l'altro, e successivamente cambiò loro il pannolino, quindi li rimise nelle rispettive culle e si infilò a letto, riuscendo finalmente a dormire.

Venne svegliata dodici ore più tardi dal suo ragazzo. «Dobbiamo iniziare a prepararci, piccola», le sussurrò. Lei si alzò a sedere, si stropicciò gli occhi e andò a fare una doccia, poi lasciò che la facesse Justin. Indossò un paio di skinny jeans, una canottiera bianca con scritto in rosso 'I only date super heroes' e un paio di Vans rosse. Estrasse dall'armadio della camera anche una felpa rossa con disegnata la faccia di un uccellino di Angry Birds, nel caso avesse avuto freddo. Poi si mise al collo una collana con scritto in oro bianco il nome del biondo e si truccò con un po' di eyeliner e di mascara. Infine, si asciugò i capelli ed aspettò che Justin fosse pronto.

Lui indossò un paio di jeans, una maglietta grigia e un paio di Supra, ma riuscì comunque ad essere pronto dopo Ronnie. Mentre lui si preparava, lei era riuscita anche a preparare una borsa e metterci dentro pannolini e vestitini di ricambio.

Arrivarono all'arena verso le cinque e mezzo del pomeriggio; lui iniziò subito il sound-check, mentre lei cominciò a fare conoscenza con Scooter, il manager di Justin, ed il resto del suo staff. Aveva lasciato, dopo essere stata implorata, i gemelli a Pattie.

Il concerto iniziò verso le otto: lo Staples Center era pieno e Justin esaltato. I bambini riuscirono a dormire, uno in braccio a Ronnie e l'altro alla madre del biondo, per tutto il concerto nonostante il rumore.

Arrivarono all'hotel solamente dopo l'una, quella notte; tra il concerto e gli autografi, il tempo era volato. Avery e Drew si erano svegliati dopo la fine dell'esibizione del padre, per mangiare ed essere cambiati, poi erano tornati a dormire. Ronnie sorrise: dormivano sempre. Quanto avrebbe dato per essere uno di loro.

«Ronnie!», si sentì chiamare, durante gli autografi. «Vieni qui, dai!».

Lei guardò Justin incerta. Sarebbe dovuta andare dalle fan, con i piccoli in braccio? Ma anche no, volendo. «No!».

«Per favore, su, non gli succederà nulla!».

«No...».

«Ronnie, Ronnie, Ronnie!», intonarono le fans del biondo, perciò lei si vide costretta a raggiungere il suo ragazzo. Si avviò verso di lui con un sorriso timido sul viso. Salutò con un cenno tutte le Beliebers, poiché aveva le mani occupate a tenere i gemelli. Subito dopo, Pattie le portò la carrozzina doppia.

«Ronnie!», la chiamò una fan. Lei si diresse verso la ragazza, sorridendo. «Da quanto conosci Justin?».

«Da quando avevo tre anni. Lui ne aveva quattro».

«E da quanto state insieme?».

«Circa... circa dieci mesi».

«E loro sono...», iniziò, alludendo ai bambini.

«Sì, miei figli...».

«Anche suoi?».

Ronnie guardò il ragazzo, a una decina di metri da lei. Lui le sorrise, annuendo. «Sì».

«E quanto hanno?».

«Due giorni».

«Sono bellissimi».

«Grazie. Spero che non mi giudichiate perché li ho avuti così presto».

«Oh, io no. Nei prossimi giorni, però, saremo divise in due gruppi, noi Beliebers: le pro e le contro te, loro, voi. Sarà difficile, ma mi sembri una ragazza forte. Lo supererai».

«Lo spero tanto, sai?».

«Sarai sempre meglio di Selena».





























































































































ayeeee, babes!
sinceramente, odio questo capitolo.
sono ispirata dall'altra ff, a dirla tutta.
quindi, direi che questa finirà presto.
molto molto molto presto.
vabbè, ditemi che ne pensate.
anyway, thank you ssso much per le cinque recensioni.
love,
andreah.

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Capitolo 19
*** surprise! ***


Capitolo diciotto - Surprise!

Avery e Drew avevano poco più di un anno e, al contrario delle paure di Ronnie, stavano crescendo con un padre. I giornali avevano contestato per mesi il fatto che Justin avesse già due figli, poi, pian piano, avevano finalmente smesso. Alla rossa arrivavano parecchi insulti, ma anche altrettanti complimenti. Ormai ci aveva fatto l'abitudine, perciò le offese non le facevano più troppo effetto. Sapeva che il biondo la amava, ed era quella l'unica cosa che le importava.

Il primo tour era finito. Era andato stupendamente, quasi ogni concerto aveva esaurito tutti i biglietti e le fans cantavano tutte le canzoni. Ora erano finalmente in vacanza. Dapprima, avrebbero fatto un salto a Stratford per salutare parenti ed amici, poi sarebbero andati a Miami qualche settimana ed infine a fare una crociera.

«Avery, fermati!», ordinò la ragazza a sua figlia, che stava correndo fuori dall'aereo. Quella bambina era una peste. Non stava ferma un secondo, si infilava ovunque e non li faceva mai riposare un po'. Se poi era insieme a suo fratello, ne combinava di ogni. Erano molto uniti, forse a causa dell'essere gemelli.

«Avery!», continuò Justin, con in braccio Drew. A differenza della volta in cui l'aveva chiamata Ronnie, la bambina si fermò e corse nella direzione opposta, verso sua madre. La rossa la prese in braccio e la sgridò leggermente, ripetendole per la milionesima volta che doveva stare vicino a loro.

Dopo essere scesi dall'aereo, atterrato nella piccola cittadina dell'Ontario, i quattro fecero il check-out. Recuperarono i bagagli e salirono su un taxi, diretti verso casa della signora Anderson. Quando furono arrivati, la donna abbracciò prima sua figlia, poi il biondo ed infine i bambini, soffermandosi sul fatto che erano cresciuti moltissimo.

Avery aveva i capelli biondi e lisci e gli occhi blu. Era una bambina magra ed allegra, ballava ogni volta che sentiva un po' di musica e riconosceva le canzoni di suo padre. Sapeva già quasi cantare, nonostante fosse piccolissima, e sembrava anche intonata. Drew aveva i capelli rossi e due occhioni blu. Era leggermente più tranquillo di sua sorella, ma quando erano insieme diventavano due diavoletti.

Salutarono la madre di Ronnie un'oretta e mezza dopo, diretti verso casa di Leah. Sapevano che avrebbero trovato anche Louis e i Beadles, Chaz e Ryan. Difatti, quando arrivarono, erano tutti lì. Li accolsero a braccia aperte e, pian piano, si passarono i bambini tipo il gioco della patata bollente.

«Quanto siete tornati?», chiese Leah, quasi urlando, per poi correre ad abbracciare la rossa.

«Poco più di un'ora fa!».

«Potevate avvisarci, che dici?».

«Mhhh. Sorpresa!».

Le due risero, proprio come ai vecchi tempi. L'anno passato lontane non le aveva allontanate e Ronnie fu felice di scoprirlo. La sua migliore amica le era mancata così tanto, nonostante tutte le chiamate, i messaggi e i Facetime tramite cui si sentivano, che aveva avuto paura che, per causa della decisione di seguire Justin nel tour, avrebbe potuto perderla per sempre. Insomma, non l'avrebbe certo biasimata: dopo averla aiutata nove mesi con la gravidanza, lei se n'era andata con Justin per un anno. Era probabile che Leah avesse preferito godersi un poco i bambini, ma l'amore che Ronnie provava per il biondo aveva superato qualsiasi altra cosa.

Il ragazzo abbracciò la rossa da dietro, baciandole dolcemente il collo. Entrambi guardarono la scena che gli si presentava davanti: Avery e Drew stavano scappando per tutta la casa di Leah, inseguiti da Chaz e Christian. Leah era andata a preparare il pranzo in cucina, aiutata da Caitlin. Louis e Ryan stavano apparecchiando la tavola ed ogni tanto si tiravano qualche scappellotto amichevole, senza un apparente motivo.

Justin realizzò quanto fosse fortunato. Aveva tutto quello che aveva sempre desiderato: era diventato famoso ed aveva milioni di fan, aveva tanti amici che gli volevano bene, una splendida ragazza da cui aveva avuto due figli perfetti. Poteva desiderare di più?








































ecco a voi la fine di questa storia.
lo so, sono una brutta persona, solo diciotto capitoli e questo è pure cortissimo.
ma non avevo più nemmeno mezza fottutissima ispirazione, quindi..
quindi addio :c
riuscirò a far finire una ff dopo 30 capitoli?
è la mia sfida, credo in me ahahah
magari la prossima, dai.
okay, recensite in tanti, plzz gkfdfk
love u all,
andreah.



ps. andate a leggere la nuova ff che ho iniziato, se volete!

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