Blackheart

di FairyCleo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Un ospite molto patricolare ***
Capitolo 2: *** Questions ***
Capitolo 3: *** Miraz ***
Capitolo 4: *** La goccia che ha fatto traboccare il vaso ***
Capitolo 5: *** Remorse ***
Capitolo 6: *** Informazioni ***
Capitolo 7: *** Il risveglio ***
Capitolo 8: *** Il colloquio ***
Capitolo 9: *** Novità ***
Capitolo 10: *** The good servant ***
Capitolo 11: *** A servizio ***
Capitolo 12: *** The message ***
Capitolo 13: *** Il duello ***
Capitolo 14: *** One last breath ***
Capitolo 15: *** Salvation ***
Capitolo 16: *** Truth and pain ***
Capitolo 17: *** Your voice ***
Capitolo 18: *** In trappola ***
Capitolo 19: *** So cosa hai fatto... ***
Capitolo 20: *** Teardrop... ***
Capitolo 21: *** Un aiuto inaspettato ***
Capitolo 22: *** Decisioni ***
Capitolo 23: *** Destiny ***
Capitolo 24: *** Il discorso del re ***
Capitolo 25: *** Too late ***
Capitolo 26: *** Polvere di fata ***
Capitolo 27: *** Where is Merlin? ***
Capitolo 28: *** Where are your memories? ***
Capitolo 29: *** Confessioni ***
Capitolo 30: *** Verso Telmar ***
Capitolo 31: *** Telmar ***
Capitolo 32: *** Il piano ***
Capitolo 33: *** Dark days ***
Capitolo 34: *** Red eye ***
Capitolo 35: *** The chamber ***
Capitolo 36: *** The wolf ***
Capitolo 37: *** The jar ***
Capitolo 38: *** Mercurio ***
Capitolo 39: *** I figli di Adamo e le figlie di Eva ***
Capitolo 40: *** Un mostro nascosto nell' ombra ***
Capitolo 41: *** La luce nel buio ***
Capitolo 42: *** X ***
Capitolo 43: *** Imprevisti in corridoio ***
Capitolo 44: *** La tinozza ***
Capitolo 45: *** Lucia ***
Capitolo 46: *** La punizione ***
Capitolo 47: *** Un problema risolto ***
Capitolo 48: *** La verità di Gaius ***
Capitolo 49: *** Mikael ***
Capitolo 50: *** La chiave di volta ***
Capitolo 51: *** Caspian X ***
Capitolo 52: *** Di amori, fiducia e incubi nella foresta ***
Capitolo 53: *** L'ombra della fine ***
Capitolo 54: *** Subdoli ricatti ***
Capitolo 55: *** Il leone dorato ***
Capitolo 56: *** I due figli di Adamo ***
Capitolo 57: *** L'incantesimo ***
Capitolo 58: *** Inaspettate verità ***
Capitolo 59: *** L'ultima battaglia ***
Capitolo 60: *** L'inizio della fine: l'alba di un nuovo giorno ***



Capitolo 1
*** Un ospite molto patricolare ***


Un ospite molto particolare


"Merlino, vedi di sbrigarti! Non abbiamo tutto il giorno!".
"Si, Artù...".
"Sei sempre il solito idiota!".
' E voi siete sempre il solito asino! '.
Avrebbe voluto urlare il giovane servitore al futuro erede al trono di Camelot, ma, quella volta, al contrario delle altre, si era trattenuto.
E non perché avesse paura delle conseguenze.
No, proprio no.
Era abituato, ormai, alla gogna e alla lunga serie di umiliazioni pubbliche a cui veniva settimanalmente (se non giornalmente) sottoposto.
Non aveva ribattuto solo perché non ne aveva davvero il tempo.

Era tutto il giorno che l' intero enturage di servitori di re Uther e figlio faceva su e giù per il castello, lustrando persino i cardini delle porte delle segrete.
Camelot doveva prepararsi al meglio per accogliere in maniera egregia un ospite molto particolare.
Camelot si stava preparando ad accogliere re Miraz, un sovrano che veniva da una terra lontana.
Una terra che oggi tutti chiamava Telmar, ma che anticamente aveva un nome diverso.
Re Miraz era potente. Molto potente.
E soprattutto, temuto.
Tutti erano a conoscenza della ferocia con cui aveva scacciato le creature magiche dal suo regno, perché esse avevano ucciso Caspian IX, suo fratello, e rapito suo nipote, il principe Caspian X, futuro erede al trono di Telmar.

Nel corso dei tre anni di regno, la sua sete di potere sembrava aumentata a dismisura, così come il suo esercito.
Dotato di un potere immenso, aveva invaso e conquistato tutte le terre confinanti con Telmar, non avendo pietà nè del popolo, nè dei sovrani, nè delle loro consorti e, soprattutto, dei loro eredi.
Fortunatamente, questo periodo di razzie sembrava essersi placato da un paio di mesi, e Camelot non ne era stata vittima.

Qualche settimana prima di tutto quel trambusto, era giunta una missiva in cui il suddetto re comunicava di voler visitare il regno del grande Uther Pendragon per ' puro piacere '.
Quell' ultima affermazione aveva fatto rizzare i peli dietro la nuca di Uther, che aveva immediatamente distribuito a servitori, cavalieri, consiglieri e quant' altro i compiti da svolgere.
Tutti avevano avuto qualcosa da fare.
Soprattutto Artù, era stato messo alle strette dal padre.
Avrebbe dovuto fare da ' guida ' a re Miraz, mostrandogli le meraviglie di Camelot.
Si sarebbe dovuto comportare in maniera impeccabile, da degno erede di un regno prospero e sereno.
Solo che la troppa ufficialità infastidiva il somaro ereditario, che veniva quotidianamente avvertito dal padre di non comportarsi mai in maniera avventata, perché Miraz era pericoloso, e il minimo errore avrebbe potuto provocare una guerra che avrebbero sicuramente perso.
Il suo esercito era formato da truppe interminabili, e Camelot sarebbe caduta nelle sue mani in pochissimo tempo, nonostante il valore del principe e dei suoi cavalieri.

Proprio per questo, Artù, torturato dal padre, non faceva altro che torturare a sua volta il povero Merlino, che, già avvertito dal vecchio Gaius sulla malvagità di questo re, non faceva altro che pensarci, col risultato di diventare ancora più maldestro del solito.
Questa catena di S. Antonio sembrava impossibile da spezzare.
E chissà cosa sarebbe accaduto una volta che il ' tanto atteso ospite ' avesse messo piede a Camelot!
La sola idea faceva rabbrividire il giovane mago.
Un altro re che ce l' aveva con le creature magiche...
Avrebbe dovuto fare il triplo dell' attenzione (a dire il vero spesso e volentieri molto scarsa) che faceva solitamente.

"Merlino, ma è mai possibile che tu sia diventato più idiota del solito?? Ti ho detto che devi sbrigarti, e sei ancora fermo qui, a lucidare questo stupido candelabro!
Lo sai cosa potrebbe accadere se tutto non fosse perfettamente in ordine per l' arrivo di Miraz??".
Il giovane aveva inghiottito rumorosamente.
Il suo pomo d' Adamo sembrava aver fatto una capriola.
"N- non lo so Artù, cosa potrebbe accadere?".
Il principe, biondo, dagli occhi azzurri, con le spalle larghe e il fisico massiccio, proprio come un principe delle fiabe, gli si era avvicinato a pochi centimetri.
Solo che, in quel frangente, non aveva proprio niente di fiabesco.
Guardava Merlino con gli occhi iniettati di sangue.
"Potrebbe scoppiare una guerra. Ecco cosa potrebbe accadere".
Aveva scandito le parole una ad una, con un tono di voce da far venire i brividi.
Il mago, che fino a poco prima aveva retto il suo sguardo, si era affrettato a distoglierlo, fissando insistentemente il candelabro che ora stava lucidando con maggiore celerità.
"Ecco, vedo che hai capito".

Artù si era sporto dalla finestra.
Poteva vedere tutti impegnarsi al massimo nello svolgere i compiti loro assegnati.
Sperava solo che tutto questo fosse sufficiente.
Con persone come Miraz, tutto diventava terribilmente difficile, e la possibilità di commettere anche il più piccolo errore cresceva esponenzialmente.
"E, Merlino, quando hai finito in questa stanza, provvedi a lavare tutte le lenzuola delle stanze di questo piano. Pretendo che siano più candide della neve".
E, dicendo  ciò, era uscito dalla stanza, sbattendo con violenza la porta alle sue spalle.
Al mago non era rimasto altro da fare se non tirare un profondo respiro e cercare di non pensare a quanto tempo ci avrebbe impegato per lavarle tutte.

                                                                                                        ***

"Non ce la faccio più Gaius! Sono SFINITO".
Il povero Merlino era rientrato nella modesta abitazione che divideva col cerusico a notte fonda.
Aveva da poco finito di lavare le lenzuola, e purtroppo non aveva potuto utilizzare la magia, perché non era l' unico servo ad utilizzare il lavatoio.
Per questo, colto dalla stanchezza, si era lasciato scivolare al suolo, con le spalle poggiate alla porta d' ingresso.
Per colpa del contatto ripetuto con l' acqua, le sue mani si erano raggrinzite, diventando simili a quelle di un anziano.

"Artù ti ha dato un gran da fare, quest' oggi..." - Gaius aveva versato una sostanziosa dose di zuppa in una ciotola - "Vieni a tavola, ragazzo... E mangiane quanta ne desideri. Affrettati... E' ancora calda".
Rincuorato dalle parole affettuose di colui che per lui era come un padre, si era alzato, nonostante le proteste della sua schiena, e si era seduto a tavola, avventadosi sulla zuppa offertagli.
Era davvero ottima.
Se non ci fosse stato Gaius, era certo che avrebbe fatto un sacco di cose davvero stupide che lo avrebbero portato ad essere scoperto.
Rabbrividiva al solo pensiero delle conseguenze.
Il vecchio cerusico si era seduto accanto a lui, e lo osservava mangiare, in silenzio.

"Credetemi, Gaius, non ho mai fatto tanta fatica in vita mia. Mi fanno male anche muscoli che non pensavo di avere. Non credo di farcela ad andare avanti così...".
L' uomo sorrideva.
"Abbiamo tutti un gran da fare per via di questo evento, mio caro Merlino...".
Il giovane aveva annuito, chinandosi sul piatto di nuovo stracolmo.
"Merlino...".
"Umm?".
Il tono grave di Gaius non gli piaceva affatto.
"Promettimi che farai attenzione. Lo so che non faccio altro che ripeterlo, ma sono molto in pensiero per te, ragazzo mio".
Lo guardava con due occhi talmente dolci da far provare una stretta al cuore a Merlino.
Era davvero un uomo speciale.
"Miraz è pericoloso. Molto più pericoloso di Uther.
Se avesse solo il minimo sospetto di quale sia la tua vera natura, non si limiterebbe a condannarti a morte".

Gli doleva il cuore ad essere così duro con lui, ma doveva esserlo, per il suo bene.
Aveva visto Merlino diventare paonazzo.

"Miraz gode nel vedere le persone soffrire. Ti torturerebbe egli stesso, infliggendoti le pene più dolorose. Facendoti implorare la morte".
"Gaius, io...".
"Io ho paura ragazzo. Vorrei tanto che tu fossi ad Eldor, adesso".
Merlino si stava torturando il labbro inferiore.
Non era un tipo che scappava di fronte ai problemi, ma sta volta, avrebbe davvero voluto essere lontano.
Solo che non ne aveva avuto il cuore.
Per quanto Artù fosse un asino zuccone, non lo avrebbe mai lasciato solo in un momento come quello.

"Andrà tutto bene Gaius. Vi prometto che starò attento".
E, nonostante il timore dilagasse in lui, aveva sorriso al suo buon amico, prima di mettere da parte la ciotola ormai vuota e dirigersi verso la sua stanza.


                                                                                                                                                                                                                               Continua....

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Ciao a tutti!!
Voglio ringraziare chiunque abbia speso un po' del proprio tempo leggendo questo capitolo.
E' la mia prima storia su Merlin, e sono molto elettrizzata!
Spero che vi sia piaciuto.
Ora, dopo i convenevoli, vorrei fare delle precisazioni.
Anche se negli avvertimenti ho spuntato su Cross- over, non lo è al 100%.
E, questa volta ho deciso di fare un esperimento: solitamente, scrivo tutta la storia, e man mano revisiono i capitolo prima di postarli...
Sta volta, invece, ho deciso di scrivere e postare man mano, dunque, non ho ancora in mente un' idea precisa di ciò che ne verrà fuori!
Mi auguro di non avervi spaventato!
=)
Bè, credo di aver detto anche troppo!
A presto!
Un bacione!
Cleo




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Capitolo 2
*** Questions ***


Questions

Come previsto, l' alba aveva portato alle genti di Camelot ancora più lavoro del giorno precedente.

Era solo la quarta veglia, e Merlino aveva già pulito le stanze di un intero piano del castello, mentre gli altri servitori si erano occupati dei corridoi, delle armature, dei candelabri e delle grandi scalinate.
Le stalle erano state pulite da cima a fondo, le carrozze rimesse a nuovo, i cavalli non avevano mai avuto un aspetto migliore.
Tutta Camelot non era mai stata tanto linda.
I tetti delle case erano stati riparati, nelle aiuole erano stati piantati fiori di ogni genere, e il rudimentale impianto fognario era stato ricostruito di sana pianta.
Le strade erano immacolate.
Era stata pulita persino la gogna.
Nel vedere Nigel affaccendarsi a lustrarla, Merlino aveva sorriso ironicamente.
Almeno, la prossima volta che Artù ce lo avrebbe spedito, sarebbe stato nella più totale igiene!

                                                                                                               *

"Padre, vi prego, lasciatemi un po' di respiro!".
"Figliolo, sai perfettamente che tutto questo è necessario. Il minimo errore potrebbe...".
"Scatenare un conflitto. Lo so".
"Molto bene. Allora procedi".

Artù era stato costretto Uther a rimanere per un tempo lunghissimo in biblioteca a ripassare tutto ciò che riguardava l' etichetta e ad imparare a memoria l' intero albero genealogico di re Miraz.
Si era incupito nell' apprendere che il giovane nipote scomparso, il principe Caspian X, avrebbe dovuto avere la sua stessa età.
Era un principe di un regno lontano, ma il pensiero che, se le cose fossero andare diversamente, sarebbero potuti essere amici, si stava facendo largo in lui.

"A cosa pensi, Artù?".
Uther si era seduto accanto a lui, fissandolo con i suoi occhi color del ghiaccio.
Aveva percepito il turbamento del figlio.
"La triste sorte del principe Caspian mi ha davvero colpito... Era poco più che un ragazzo quando è stato sottratto alla vita".
Uther lo aveva ascoltato in silenzio.
"La morte di un erede al trono è sempre una tragedia, figlio mio. E, quando si tratta di un giovane come Caspian, è ancora più dolorosa".
"Padre! Voi... conoscevate Caspian?".
Re Uther aveva chiuso gli occhi e chinato il capo.
"Era un giovane meraviglioso, figlio mio.
Era leale, educato, un vero gentilumo, per essere solo un ragazzo.
Aveva ancora tanto da imparare, ma, un giorno, quando i tempi sarebbero stati maturi, sarebbe diventato un grande sovrano. Amato, e rispettato da tutti".
Artù lo ascoltava a bocca aperta.
Non aveva mai sentito suo padre parlare in quel modo di un altro giovane all' infuori di lui.
Per un attimo, pensava di essere geloso di quelle attenzioni.

"Perché io non l' ho mai incontrato?".
"Perché, Artù, suo padre aveva a cuore le creature magiche, ed io non ti avrei mai portato con me nel suo regno esponendoti ad un simile pericolo.
La sua bontà e la sua fiducia non sono state ripagate. E purtroppo, hanno portato se stesso e suo figlio alla rovina.
E' per questo che Miraz lotta in maniera così ardua per estirpare la Religione Antica.
La magia è malvagia, Artù.
Se dovessi dimenticarlo, pensa alla sorte del giovane Caspian, e vedrai che la ragione tornerà a guidarti".
Suo padre aveva ragione.
La magia era malvagia e pericolosa.
Proprio per questo, l' avrebbe combattuta finchè le forze glielo avrebbero permesso.
"Padre...".
"Si?".
"Secondo voi, quali sono le reali ragioni che spingono Miraz a farci visita?".
Uther Pendragon si era alzato, guardando oltre lo spesso cristallo delle finestre della polverosa biblioteca, lasciando che il proprio sguado si perdesse su Camelot.
"Non lo so, figlio mio".
Artù aveva percepito timore nella sua voce.
"Farò tutto ciò che sarà necessario, per proteggere il nostro popolo".
Il re aveva voltato il capo per osservarlo.
Artù non era più un ragazzino.
Era un giovane uomo, e un giorno, sarebbe stato un re ricordato nei secoli.
Sarebbe stato un re di gran lunga migliore di lui.
"Ne sono certo, Artù. Ora,  continua ad assolvere i tuoi compiti. Confido in te".
"Si, padre!".
Artù avrebbe fatto qualunque cosa pur di non deluderlo, e Uther, questo lo sapeva bene.

                                                                                                            *

"Merlino, so esattamente che non dovrei dirti queste cose, ma data la tua idiozia crescente..."
"Grazie tante Artù!".
"NON INTERROMPERMI!!".
Il mago aveva alzato le mani in segno di resa.
"Dicevo, data la tua IDIOZIA CRESCENTE, ti ordino di non commettere errori. O solo gli dei sapranno cosa potrebbe capitarti".

Merlino guardava Artù stranito.
Che Gaius si preoccupasse per lui, aveva senso.
Ma Artù?

"Vostra altezza?".
"Uh?".
"Siete forse PREOCCUPATO PER ME?".
Il mago aveva calcato volutamente le ultime parole.
Il principe si era girato con fare teatrale, allargando le braccia e corrucciando la fronte.

"Ma come ti salta in mente una cosa del genere??".
Artù lo avrebbe negato fino alla morte, ma quello che a Merlino era parso di vedere sul suo viso, era proprio un lieve rossore.
A quella vista, non aveva potuto fare a meno di sorridere.

"Che hai da ridere??".
"Non sto ridendo, vostra altezza!".
"Si, invece!".
Il principe aveva portato entrambe le mani sui fianchi.
Merlino trovava quasi adorabile quel comportamento da parte sua.

"Miraz è pericoloso".
Il giovane dalla capigliatura mora aveva distolto lo sguardo, tornando ad occuparsi del vassoio.
"Lo so, Artù. Tutti quanti non fate altro che ripeterlo".
Il principe lo osservava, cupo.
"E perché vogliamo evitare ' spiacevoli inconvenienti ' che continuiamo a ripeterlo, Merlino.
Vedi, solitamente, non mi spaventa un avversario potente.
Ma, questa volta, è diverso".

Artù si era seduto, cominciando a giocare con la coscia di pollo servitagli da Merlino.
Il mago non lo aveva interrotto.

"I racconti che tutti fanno su di lui sono... spaventosi...
Quello che ha fatto a maghi e streghe... le indicibili torture... mio padre, a confronto, è stato un gattino".

L' immagine di Uther Pendragon con delle orecchie a punta bianche e pelose, un lungo paio di baffi e un campanellino legato al collo con un nastrino rosso si era materializzata nella mente del mago, che a stenti aveva trattenuto una risata.

"Merlino... E' una cosa seria".
Aveva puntato gli occhi in quelli preoccupati del suo principe.
Era proprio per far si che quello sguardo spaventato andasse via che era rimasto accanto a lui.

"Artù, se questo può farvi stare più tranquillo, vi prometto che presterò la massima attenzione.
Non vi deluderò".
Il principe aveva abbozzato un sorriso.
"Ora, mangiate. O tutto si raffredderà, e sarò costretto a tornare nelle cucine per portarvi qualcosa di più caldo".
"MERLINO TI PREGO! Se Miraz dovesse mai farti una richiesta simile, obbedisci all' istante!".
Artù quasi era scattato in piedi dal terrore.
"State tranquillo sire. Farò tutto ciò che il nostro ospite desidera".
Era proprio quello il punto.
Cosa desiderava Miraz?

Continua...

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Capitolo 3
*** Miraz ***


Miraz

Il giorno tanto temuto era finalmente arrivato.
Re Miraz e il suo seguito erano giunti a Camelot un venerdì mattina, quando il sole era ormai alto nel cielo.

Merlino, che stava finendo di sistemare un mazzo di fiori freschi nel grande vaso di cristallo sul tavolo della stanza di Miraz, lo aveva visto arrivare da lontano, e si era precipitato nelle stanze di Artù per finire di vestirlo.

"Perdonatemi Artù, non volevo fare tardi"- aveva detto Merlino col fiato corto, mentre richiudeva la porta alle sue spalle.
"Facciamo presto!".
Il giovane servitore si era affrettato nel recuperare la cintura di Artù e sistemargliela in vita, per poi prendere il mantello e sistemarglielo sulle larghe spalle.
Artù era piuttosto nervoso.
Come Merlin, del resto.
Ma quest' ultimo stava cercando in ogni modo di non farglielo notare, continuando a sorridere e ad assolvere i propri compiti come faceva ogni giorno.
Non poteva addossargli anche i suoi timori.
Lui era lì apposta per lenire le sue sofferenze, non per causargliene di nuove.

"Sei silenzioso, Merlino".
Il mago aveva sorriso con dolcezza, prima di allacciargli il mantello rosso.
"Non volevo disturbarvi".
Il principe aveva sollevato un sopracciglio.
"Quanta premura! A cosa la devo?".
Sta volta era stato il mago ad aggrottare le sopracciglia.
"Potrei anche offendermi, Artù! Io sono sempre premuroso quando si tratta di voi!".
Lo guardava scettico.
Merlino, facendo fonta di non capire, aveva posto la corona in capo ad Artù.
"Ora siete perfetto!".
"Io sono sempre perfetto, Merlino".
Il suo tono di voce era canzonatorio.
"Si sire, siete un perfetto asino!".
Artù si era girato di scatto, lanciandogli contro la prima cosa capitatagli tra le mani (la sua spazzola di legno) mancandolo di un centimetro.

"Potevate uccidermi!!!".
Il principe, dopo averlo guardato con occhi severi, era improvvisamente scoppiato a ridere.
L' espressione sconvolta di Merlino era stata un toccasana.
Il mago rideva insieme a lui.

"Vieni... cerchiamo di non fare tardi...".
Così dicendo, aveva aperto la porta della propria camera da letto, lasciando Merlino dietro di lui.

Era finalmente riuscito a farlo ridere un po'.
Merlino era davvero orgoglioso di se stesso.
Sorridendo, aveva posato la spazzola lanciatagli da Artù sul comodino.

"MERLINO! VUOI SBRIGARTI???".
La voce del principer lo aveva scosso dai suoi pensieri.
"Arrivo!".
Meglio non farlo aspettare.
Dopotutto, quello era un giorno davvero importante per lui, e per tutta Camelot.

                                                                                                             ***

Re Miraz aveva appena varcato la soglia di Camelot in sella al suo maestoso destriero dal pelo color ebano, scortato da un numero esorbitante di guardie.
Al suo fianco, rispettivamente uno a alla sua destra e l' altro alla sua sinistra, vi erano il suo consigliere, lord Sopespian, e il suo generale, lord Glozelle.
Tutto il popolo si era prostrato al suo passaggio.

Miraz emanava una sorta di aura scura, malvagia.
La sua figura era lo specchio del suo cuore nero.
Era alto, robusto, aveva corti capelli neri, e il viso incorniciato da una lunga barba dello stesso colore della capigliatura, che terminava a punta.
I suoi occhi erano grandi, scuri e severi, e scrutavano la folla con aria di superiorità.
Il fatto che fosse vestito completamente di nero e argento, rendeva tutto ancora più grave e sinistro.

Artù stava immobile alla destra del padre, rigido, impettito, attentissimo ad ogni mossa del suo ospite.
Era teso come una corda di violino.
Merlino, al suo fianco, era nervoso almeno quanto lui.

Re Uther aveva accanto a sè Gaius, l' unico che sembrava rendersi veramente conto, oltre a lui, della pericolosità di Miraz.
Non lo vedeva da così tanto tempo che quasi aveva dimenticato come fosse fatto il suo volto.
Era talmente diverso da suo fratello Caspian.
Una sola cosa non era riuscito a dimenticare: i suoi occhi.
Una volta erano lo specchio dell' avidità e dell' invidia verso i beni altrui. ora, erano due pozzi neri di superbia e malvagità.

Al giovane mago era parso di vedere re Uther rabbrividire.

"Vostra maestà, benvenuto a Camelot.
Spero che la vostra permanenza qui sia piacevole.
Io, mio figlio e tutto il popolo faremo in modo che voi e il vostro seguito siate a vostro agio.
Trattenetevi qui per tutto il tempo che vorrete.
E' un onore per tutti noi avervi come ospite".

Quelle di Uther erano parole forzate.
Lo si percepiva dal tono della voce troppo controllato.
In realtà, voleva che quell' uomo andasse via al più presto.
Ma cosa poteva fare?
In casi come quelli, era sempre meglio far buon viso a cattivo gioco.

Re Miraz aveva ascoltato in silenzio.
Il suo volto era di pietra,  non lasciava trasparire alcuna emozione.

Con un agile balzo, era sceso da cavallo, portandosi davanti ad Uther.
Era alto quanto lui, ma sembrava esserlo molto di più.

"Uther... quante formalità...".

Il re di Camelot era sbiancato.
Miraz aveva usato un tono vagamente ironico che non lasciava presagire nulla di buono.
Artù, attendeva timoroso che il loro ospite proseguisse col suo discorso.
Quella pausa interminabile lo stava facendo impazzire.

"Dopotutto, noi siamo amici! Non è forse così, vecchio mio?".
Così dicendo, gli aveva dato una pacca sulla spalla, e poco dopo lo aveva abbracciato.

Ad Uther era parso di trovarsi in una morsa.
Quell' uomo gli faceva gelare il sangue nelle vene.
Suo malgrado, aveva ricambiato quell' abbraccio.

Una volta sciolto, lo sguardo duro di Miraz si era posato su di lui.
"Sei invecchiato. Ti ricordavo molto più prestante".

"Gli anni passano per tutti, Miraz...".
"Questo è vero... Ma dipende da come si spendono".

Detto ciò, aveva incatenato i suoi occhi a quelli di Artù, che si era impettito ancora di più per non lasciar trasparire timore e apprensione.
Poche volte Merlino l' aveva visto così preoccupato.

"Questo è il tuo giovane erede, Uther?".
"Si, Miraz. Lui è mio figlio Artù".
Uther aveva posato una mano sulla spalla del figlio per incoraggiarlo.
"E' un nobile cavaliere, un guerriero valoroso. Un giorno sarà un grande re".

"Spero di essere all' altezza dei miei sudditi, un giorno".

Merlino ed Uther avevano sorriso alle umili parole del principe.
Miraz, invece, aveva sollevato il sopracciglio con aria scettica.

"Hai strane idee in testa, giovane principe".

Continuava a fissarlo con insistenza. Sembrava quasi che non sbattesse neppure le palpebre.

"Avremo tutto il tempo di parlarne".

Così dicendo, senza che nessuno lo invitasse, aveva iniziato a percorrere la scalinata che lo avrebbe fatto entrare nel castello, seguito da lord Sopespian, e dal generale Glozelle, lasciando alle proprie spalle un Uther e un Artù sconvolti.

La permanenza di Miraz a Camelot sarebbe stata molto più difficile del previsto.

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Capitolo 4
*** La goccia che ha fatto traboccare il vaso ***


La goccia che ha fatto traboccare il vaso

Il salone reale era stracolmo.
I grandi tavoli erano stati apparecchiati come di dovuto, ed ogni sorta di leccornia era stata servita agli ospiti di Telmar.
I vini più pregiati venivano versati nelle coppe d' argento riservate a lord Sopespian e a lord Glozelle, mentre a re Miraz era stata donata una coppa d' oro puro con rubini incastonati, un vero gioiello realizzato apposta per lui
I servitori cercavano di eseguire il proprio dovere al meglio, cercando di essere invisibili e di non far mai restare vuote troppo a lungo le coppe degli ospiti.
Anche il giovane Merlino, solitamente molto maldestro, stava dando il meglio di se.
Artù spesso lo osservava con ansia, pregando gli dei perché il suo servitore idiota non combinasse qualcuno dei suoi soliti guai.

"Bravo Merlino, per una volta vedo che stai seguendo i miei consigli".
Artù gli aveva sussurrato quelle parole mentre il giovane si era avvicinato per riempirgli il bicchiere.
"Non capisco a cosa vi stiate riferendo!".
Merlino gli sorrideva, apparentemente sereno.
Artù doveva stare rilassato.
Non doveva sapere quanto in realtà fosse agitato, spaventato al solo pensiero di poter commettere anche il minimo errore.
Fortunatamente, non gli era ancora toccato di servire re Miraz.
"Mi raccomando Merlino... Non fare l' idiota come al solito".
Sorridendo, il giovane si era messo da parte, sperando davvero di non causare danni irreparabili.

"Vedo che nulla è cambiato, qui a Camelot!".
Miraz si guardava intorno, mente sorseggiava l' ennesimo bicchiere di vino.
"E' proprio come l' ultima volta che sono stato qui".
Uther lo guardava serio.
L' ultima volta che Miraz era stato a Camelot, era venuto al seguito di suo fratello Caspian.
Quel ricordo aveva provocato in lui qualcosa di simile ad una fitta di dolore.
Caspian non era solo un alleato: era un amico, al contrario di Miraz che era sempre stato cinico e invidioso.

"Uther... sei pensieroso? I miei discorsi forse ti recano noia?".
La mal celata ironia di Miraz aveva riportato Uther sulla terra.
"Certo che no! Le tue parole sono veritiere... Qui a Camelot è tutto come prima... ".
Miraz sorrideva maligno.
"Dovresti vedere com' è ora Telmar... Sono sicuro che faresti fatica a riconoscerla".
Uther non voleva neanche provare ad immaginarsela.
Le notizie che arrivavano a Camelot parlavano di un popolo ridotto alla fame e di un castello sempre più sfarzoso.
Alcuni raccontavano che Miraz si fosse fatto costruire un trono d' oro massiccio.
Come si poteva essere talmente avidi, talmente bramosi?
"Spero di vivere abbastanza a lungo per poter visitare di nuovo il tuo regno, Miraz".
Sul volte del re si era allargato uno strano sorriso.
"Lo spero anche io".

Miraz stava per portarsi il calice alle labbra, quando si era accorto che era vuoto.

"In questo regno i calici degli ospiti sono soliti restare vuoti??".

Il silenzio era calato in sala.
La voce di Miraz aveva fatto raggelare il sangue nelle vene a tutti.
Artù era rimasto a bocca aperta.
Il re aveva uno sguardo di pietra.

"Sto ancora aspettando!".

Merlino si stava precipitanto per servirlo, ma Clara, una giovane serva dai lunghi capelli ricci e rossi, l' aveva preceduto.
Nonostante fosse visibilmente terrorizzata, la poveretta si era fatta coraggio, e aveva riempito il calice quasi fino all' orlo, per far piacere al re.
Mai avrebbe immaginato che quella premura si sarebbe trasformata in una condanna.
Nel portare il calice alle labbra, Miraz aveva fatto cadere alcune gocce del liquido scuro sulla propria casacca.
Era stata letteralmente la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.

"Tu... TU! Stupida schiava! GUARDA CHE COSA HAI FATTO!".
Era balzato in piedi, sbattendo una mano sul tavolo, facendolo tremare.
Guardava Clara come se la volesse uccidere.

La ragazza, dalla paura, aveva lasciato cadere la brocca a terra, che aveva fatto un suono metallico riecheggiato per tutta la sala, portandosi poi entrambe le mani alla bocca.

"Miraz... ti prego... è solo una ragazza... non accadrà più...".
Uther stava cercando di cacciare quella ragazza dai guai, ma Miraz sembrava irremovibile.
"Oh, sono proprio certo che non accadrà più, mio caro Uther".
Detto ciò, aveva rivolto il proprio sguardo verso lord Glozelle, che si era alzato immediatamente, eseguendo quell' ordine silenzioso.

"Vieni qui".
Aveva afferrato Clara per un braccio, trascinandola al centro della sala.
Con uno spintone l' aveva fatta cadere al suolo.

"Uther, dovete fare qualcosa, dovete opporvi!".
Gaius aveva sussurrato quelle parole ad Uther, con un misto di orrore e ansia nella voce, ma il re aveva chinato il capo in sego di resa.
Non poteva credere che il grande Uther Pendragon potesse essere stato sottomesso in quel modo.
Persino Morgana, la sua pupilla, non era riuscita a smuoverlo.

Clara era scoppiata in lacrime ancor prima di aver visto quello che lord Glozelle aveva in mano.
"No... vi prego...".
Ma il generale di Miraz non si stava facendo intenerire.
Aveva levato il braccio verso il soffitto, pronto a sferrare la prima frustata.

Il re osservava soddisfatto.
Stavano per assistere ad uno spettacolo indimenticabile, che sarebbe stato da monito per i presenti.
Tutti dovevano sapere cosa significava oltraggiare Miraz.

Clara piangeva, nascondendosi il viso tra le mani, attendendo la prima frustata.
Sentiva la striscia di pelle fendere l' aria producendo un rumore sinistro, cercando di farsi forza.
Ma, proprio quando avrebbe dovuto sentire il dolore dilaniargli la pelle, era successo qualcos' altro.

Qualcuno le aveva fatto scudo col proprio corpo, prendendosi la frustata al posto suo, e soffocando l' urlo di dolore tra la sua chioma fiammeggiante.
Mai avrebbe immaginato che questo qualcuno fosse Merlino.

Nessuno riusciva a credere che il giovane servo di Artù avesse fatto una cosa simile.
Artù stesso si era alzato in piedi di scatto, osservando la scena sconvolto.

Il colpo aveva lacerato la stoffa della tunica ufficiale che Merlino era stato costretto ad indossare, lasciando scoperta una lunga ferita sanguinante.
La frustata era stata inferta con una violenza inaudita.

Miraz era rimasto di stucco.

"Bene... bene... bene... a quanto pare abbiamo un cavaliere, qui davanti a noi...".

Aveva fatto il giro della tavolata, avvicinandosi al suo generale.

I due giovani continuavano a rimanere al cento della sala, immobili.
Clara aveva afferrato Merlino per le vesti, tenedole talmente strette da strapparle, quasi.
Merlino continuava ad accarezzare i capelli di lei, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Il dolore era fortissimo e, dato l' oltraggio che aveva appena commesso, era certo che quello fosse solo l' inizio.

"Non hai niente da dire, schiavo?".

Miraz li guardava con odio.

Il principe di Camelot si stava maledicendo per la stupidità del suo servo.
A cosa erano servite tutte le raccomandazioni che gli aveva fatto, se quello era il risultato?
Era il primo ad essere indignato per quello che sarebbe capitato alla povera Clara, ma non vedeva perché mettersi a fare l' eroe proprio in quel frangente!
Se Merlino ne fosse uscito vivo, l' avrebbe spedito alla gogna per i prossimi sei anni.

"Che ti succede, schiavo? Hai forse perso la lingua?".

Merlino continuava a non rispondere.
Cosa avrebbe potuto dirgli, dopotutto?
Che era ingiusto e crudele?
Sarebbero stati solo dei complimenti per uno come Miraz.
Per questo, aveva preferito rimanere in silenzio.

"Vedo che continui a tenere la bocca chiusa... Bene... Vedremo di darti una motivazione valida per fartela aprire!".
Aveva preso la frusta dalle mani di lord Glozelle, e aveva cominciato a colpire Merlino con tutta la forza che aveva in corpo.

Una... quattro... dieci... quindici... venti frustate di fila, senza alcuna pausa.
Ad ogni colpo, Merlino aveva lanciato un urlo di dolore straziante.
Morgana si era coperta gli occhi con la mano per non guardare, la sua serva aveva fatto altrettanto.
Uther era rimasto immobile a guardare, mentre Gaius aveva quasi le lacrime agli occhi per l' orrore e il disgusto.
"Padre...".
Il giovane principe avrebbe fatto qualuque cosa gli avesse ordinato il padre, pur di non vedere Merlino soffrire in quel modo.
"Non posso fare niente... mi dispiace".
Disperato, Artù si era lasciato ricadere sulla sedia, senza staccare gli occhi di dosso al suo servitore che continuava ad essere frustato come un animale disobbediente.

Dopo più di cinquanta frustate, Miraz si era finalmente fermato, stremato dallo sforzo.

Il povero Merlino era semi- svenuto.
Stava dritto solo perché sotto di lui c' era Clara a reggerlo.
La ragazza aveva continuato a tenerlo stretto per tutto il tempo, piangendo insieme a lui.
Non gli sarebbe mai stata abbastanza grata per quel gesto.

"Vedo che ancora non ti decidi a parlare... peggio per te... passerai la notte nelle segrete!"- gli aveva urlato contro - "Non è vero, Uther?".
Il re di Camelot non si era potuto opporre.
"E sia".
Così dicendo, aveva fatto cenno a due dei suoi cavalieri di prendere Merlino.
Il povero ragazzo, ormai privo di sensi, era stato trascinato di peso fino ai sotterranei.
L' unico ad essere soddisfatto di quello spettacolo raccapricciante era colui che l' aveva provocato: il crudele Miraz.
Ora, tutti sapevano davvero chi avevano di fronte.

Continua...

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Grazie a tutti coloro che fin ora hanno letto e recensito!
Un bacione!
Cleo

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Capitolo 5
*** Remorse ***



Remorse

Artù era fuggito via dalla sala nello stesso istante in cui suo padre aveva decretato la fine del banchetto.
O meglio, era fuggito via nello stesso istante in cui RE MIRAZ aveva decretato la fine del banchetto.

Non riusciva a credere che si fossero rammolliti fino a quel punto.
I potenti e orgogliosi Pendragon si erano lasciati afferrare come due agnellini pronti per essere macellati.

Le immagini dell' ingiusta punizione a cui era stato sottoposto Merlino gli erano tornate in mente durante tutta la durata della ' festa '.
Non era più riuscito a toccare cibo.
Lo stomaco gli si contorceva dolorosamente ogni volta che il ricordo della frusta che torturava le candide carni di Merlino si faceva largo nella sua mente.
Le urla del suo fido valletto riecheggiavano nelle sue orecchie ancora, e ancora e ancora.
Più volte aveva chiesto a suo padre di poter lasciare la sala, ma questi gli aveva negato il permesso.
Un' ulteriore colpa che si aggiungeva a quella che già aveva commesso.

Non era intervenuto.
Non aveva mosso neanche un muscolo per soccorrerlo.
La paura lo aveva trasformato nel peggiore dei codardi.
La paura gli aveva impedito di salvare un amico, l' unico amico che aveva.

Per questo, ora sentiva il bisogno di fuggire via.
Fuggire via da quel luogo che gli ricordava quello scempio terribile.
Un solo minuto in più in quella maledetta sala e sarebbe morto asfissiato, schiacciato dal peso del rimorso.

L' unica cosa che voleva fare era correre nelle segrete, e accertarsi delle reali condizioni di Merlino.
L' unico che era veramente sincero e leale con lui.
L' unico che lo sarebbe stato per sempre, fino alla morte.

Stava per attraversare l' ultimo corridoio e raggiungere la ragione di quel suo profondo dolore, quando due guardie gli avevano bloccato il passaggio.
"Come osate?".
"Ci dispiace vostra altezza. Abbiamo l' ordine perentorio di non far passare nessuno".
"Ma io sono il figlio del re!".
I due soldati si erano scambiati un lungo sguardo.
"Siamo mortificati, vostra maestà. Non possiamo far passare nessuno".
Proprio in quell' istante, un lamento sommesso era giunto alle orecchie del giovane principe, e il cuore gli si era stretto in una morsa.
"Merlino...".
Il suo amico stava patendo le peggiori sofferenze e non gli era permesso neppure avvicinarsi.
"Lasciatemi passare".
"Vostra maestà, vi abbiamo già detto che...".
Rapido come un fulmine, Artù aveva disarmato una delle guardie, impossessandosi della sua lancia, e puntandola alla giugolare dell' altra, che, stesa al suolo, lo guardava terrorizzato.
"Vi ho detto di lasciarmi passare".
Non potevano più opporsi.

Veloce come non mai, con il cuore che galoppava così forte da fargli quasi male, Artù era giunto davanti la porta della fredda cella dove era stato rinchiuso Merlino.
Il poveretto giaceva a terra, svenuto, rannicchiato su di un fianco, con le braccia incrociate sul petto, nascoste in parte dalle ginocchia ossute, e il viso affondato in esse.
Nonostante avesse rivolto la schiena verso il freddo muro di pietra, non era difficile immaginare in che condizioni fosse.
Sotto di lui, una pozza di liquido denso e scuro si stava allargando a vista d' occhio.
Se non fosse intervenuto all' istante, sarebbe morto dissanguato in quel posto infernale.

"Portatemi le chiavi!".
Artù si era accorto che le guardie lo avevano seguito, anche se erano rimaste in disparte ad osservarlo in silenzio.
"Vostra maestà...".
"Portatemi le chiavi, ADESSO. O la butto giù a spallate".
E lo avrebbe fatto per davvero.
Aveva sbagliato una volta, non avrebbe commesso di nuovo lo stesso errore.

Anche se un po' titubante, la guardia gli aveva porto il mazzo di chiavi, che Artù aveva afferrato prontamente.
"Sire, se re Miraz dovesse saperlo...".
"NON ME NE IMPORTA. NON E' FORSE ABBASTANZA CHIARO?".
Il principe di Camelot che doveva dare spiegazioni a delle guardie.
Era assurdo!

L' ira e il destino gli stavano giocando un brutto scherzo: aveva scelto la chiave sbagliata per ben tre volte.
Ma non poteva prendersi il lusso di perdere altro tempo.
Non ora.
C' era di mezzo qualcosa di troppo importante.
C' era di mezzo la vita di Merlino.

Finalmente, la quarta chiave aveva fatto scattare la serratura.
"Si!".
Senza esitazione, si era avvicinato al suo servitore.
Respirava a malapena.
Gemeva dal dolore nonostante fosse privo di sensi.
Il suo esile e fragile corpo era percorso da spasmi violentissimi che lo facevano sembrare una marionetta straziata da un burattinaio crudele e dispettoso.

Un nodo alla gola stava quasi per far strozzare Artù.
Non sapeva più cosa provava.
Dolore? Rabbia? Risentimento? Odio?
Forse un misto di tutte quelle emozioni, forse nessuna.
Sapeva solo che aveva una gran voglia di piangere, ma che non era quello il momento.

"Che cosa volevi fare...?".
Artù aveva allungato la mano, fino a posarla tra i capelli madidi di sudore di Merlino.
"Volevi fare l' eroe? Eh, Merlino?".
Il giovane aveva sussultato a quel tocco.
"Non potevi aspettare che prima ti ordinassi cavaliere?".
Il principe sentiva che le lacrime stavano affiorando dai suoi grandi occhi azzurri, arrossati per lo sforzo di trattenerle.
Non voleva che le guardie lo vedessero in quelle condizioni, debole e indifeso.
Lui era il principe ereditario di Camelot, e non poteva permettersi debolezze.
Non davanti ai suoi soldati, almeno.
"Sei il solito idiota, Merlino!".

Così dicendo, si era sporto per guardare la sua schiena.
Era certo di non aver mai visto niente del genere in tutta la sua vita, nonostante fosse un guerriero, nonostante avesse rischiato egli stesso di morire più volte per colpa di terribili ferite riportate in battaglia.
E, a quella vista straziante, per un attimo gli era balenata nella mente l' idea che per Merlino non ci fosse più niente da fare.

"Non osare farmi scherzi, hai capito? O giuro che verrò a prenderti, ovunque andrai, e ti metterò alla gogna per il resto della tua vita".
Il giovane servitore, o meglio, quel che ne restava, aveva emesso un lamento lungo e straziante.
Artù doveva portarlo via da lì, e in fretta.
E chiamare Gaius immediatamente, prima che fosse stato veramente troppo tardi.

"Mi dispiace tanto, Merlino. Perdonami".

Aveva fatto scivolare le braccia dietro le ginocchia e dietro le spalle di Merlino, sollevandolo da terra, e cercando di provocargli meno dolore possibile.
Ma era stato inutile, perché il giovane servitore aveva spalancato gli occhi all' improvviso, gemendo e afferrando con le poche forze che aveva la veste del suo signore, sussurrando a malapena il suo nome.
Ma troppo intenso era il dolore che stava provando.
Così intenso da fargli perdere di nuovo i sensi.

Ad Artù era parso di morire.
Solo allora si era accorto di quanto Merlino fosse leggero.
Appoggiato sul suo ampio e poderoso torace, aveva tutta l' aria di un bambino indifeso.
A quel punto, gli era diventato impossibile trattenere le lacrime.
"Andiamo via da qui".

Non gli importava più che le guardie lo stessero osservando a bocca aperta.
Non gli importava più dell' ira di Miraz, o di suo padre.
Dopo quello che aveva visto, dopo quello che aveva udito, l' unica cosa importante era portare via Merlino.

"Chiunque avrà qualcosa da dire a riguardo, si rivolga direttamente a me".
E, con quelle parole, Artù si era congedato dalle due guardie, che, sconvolte, lo avevano visto allontanarsi a testa alta dalla prigione, reggendo tra le braccia ciò che restava di un ragazzo sconsiderato e coraggioso.
Ciò che rimaneva del povero Merlino.



Continua...

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Ok, ammetto di essere stata davvero cattiva nel capitolo precedente.
Spero di essermi fatta perdonare almeno in parte con questo!
Povero Merlino...
E povero Artù!
Divorato letteralmente dal rimorso...

Comunque, avrete notato che posto quando mi capita!
Bene, non è perché ho manie di protagonismo, ma perché questa fic per me è un esperimento...
Scrivo ogni volta che sono ispirata, e posto subito dopo per evitare di tornarci su e cambiare troppe cose!
(Posso assicurarvi che ho riscritto interi finali in altre fiction!).

Bè!
Ho ciarlato fin troppo!
Vorrei ringraziare tutti coloro che hanno letto, e in particolar modo Saretta_Lol e elfin emrys per le splendide recensioni!!
Al prossimo capitolo...
Cleo

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Capitolo 6
*** Informazioni ***



                                                                                    Informazioni



"Si rimetterà, Gaius?".

Il principe, che a stento riusciva a trattenere l' ansia, guardava il vecchio cerusico in attesa di una risposta.
Non aveva lasciato per un solo istante il capezzale di Merlin, da quando lo aveva liberato dalla prigione, portandolo nelle proprie stanze.
Aveva adagiato il suo giovane amico sul morbido materasso del suo letto a baldacchino, facendo attenzione a non provocargli ulteriori sofferenze, e aveva provveduto a far chiamare Gaius da Gwen, che, prontamente, aveva eseguito l' ordine impartitole.

Nessuno sapeva che, durante il tempo in cui aveva atteso pazientemente l' arrivo del medico di corte, il principe di Camelot si era steso al fianco del suo servitore, occupando l' angolo più estremo del suo grande letto diventato improvvisamente troppo piccolo, e che all' infinito gli aveva ripetuto di resistere, perché presto Gaius sarebbe arrivato e lo avrebbe rimesso in sesto in men che non si dica.

Nessuno sapeva che aveva più volte accarezzato i capelli di Merlino per infondergli coraggio, prima di mettersi in ginocchio sul morbido materasso e finire di lacerare la stoffa di quella che un tempo era stata la divisa di cerimonia ufficiale dei servitori di Camelot, sfilandola dal corpo devastato di Merlino.

Guardare le ferite sanguinanti aveva provocato in lui il desiderio di entrare nelle camere di Miraz e sfidarlo ad uno scontro all' ultimo sangue.
Al diavolo suo padre!
Al diavolo il trattato di pace!
Nessuno doveva permettersi di giocare con le persone in quel modo!
E lo avrebbe fatto veramente, se un gemito sommesso del povero Merlino non avesse attirato la sua attenzione, facendogli sciogliere il cuore.

"A - Artù...".
L' aveva appena sussurrato.
Prontamente, il principe gli si era steso accanto, a pancia in giù, portandogli di nuovo la mano sul capo, tergendogli il sudore con un lembo della sua manica.

Non si stava sbagliando.
Quello sul volto di Merlino era un sorriso.
"P-perché m-mi avete po-portato qui? D-dopo, dovrò pulire tu-tto...".
Gli occhi gli si erano riempiti di lacrime.
Il suo amico aveva ancora la battuta pronta nonostante fosse in fin di vita.

"Si, dopo pulirai tutto. Puoi giurarci. Ma per pulire devi prima cercare di non morire. Per questo ti ho portato qui".
Il servitore aveva di nuovo chiuso gli occhi.
Artù poteva vedere le lacrime raggrupparsi agli angoli e cominciare a scivolare lungo la pelle candida del suo viso.
"Merlino... non azzardarti a lasciarmi, hai capito?".
Proprio in quell' istante, Gaius e Gwen erano entrati nella stanza, e lui aveva fatto in tempo a rimettersi seduto in maniera più composta, crecando di mascherare il dolore che provava.
Non sarebbe stato giusto.
Erano lì per curare Merlino, non per consolare lui.
Per questo, anche se a malincuore, aveva lasciato il suo posto accanto al giovane amico, lasciando a Gaius tutto lo spazio sufficente per poter agire, mettendosi in un angolo, e facendo una cosa che non aveva mai fatto prima d' ora.
Aveva chiuso gli occhi e si era messo a pregare.
Si era messo a pregare gli Dei affinchè risparmiassero la vita di Merlino.

                                                                                                              *

Re Miraz era nelle sue stanze, seduto sulla poltrona di pelle nera sistemata apposta per lui.
Tutto a Camelot era stato fatto apposta per lui, e questo non faceva altro che aumentare in lui il desiderio di possedere ancora di più.

Sorrideva maligno mentre sorseggiava altro vino rosso.
Rosso come il sangue del giovane servo a cui aveva inflitto la giusta punizione.

"E' stato uno spettacolo che Camelot non dimenticherà tanto presto...".
Lor Sopespian era seduto sul bordo del tavolo, con una gamba penzoloni, e osservava divertito il suo re.

"Hai ragione, lord Sopespian..." - aveva detto, prima di svuotare il bicchiere - "Il ragazzo è stato una sorpresa inaspettata".
"Ha sopportato con grande dignità... Ma è stato uno stolto... Quella ragazza non rappresenta niente per lui".
"Vedo che hai fatto le dovute ricerche!".
Il nobile gli aveva rivolto un sorriso malefico.
"E' il mio compito compiacervi, mio signore".

Re Miraz era davvero soddisfatto.
Quell' uomo gli obbediva come una cagnolino fedele.
Ed era davvero il minimo, visti tutti i privilegi che Miraz gli aveva riservato dopo la sua ascesa al trono.

"Ebbene?".
"Il giovane Merlino ha un grande cuore.
Pare che sia all' ordine del giorno, per lui, rischiare la vita per gli altri. Soprattutto per il principe Artù".

Miraz gli aveva fatto cenno di procedere con la mano.
Era evidente che lord Sopespian aveva  ben altro da dirgli.

"Merlino ha salvato più volte la vita all' erede al trono, e in modi piuttosto insoliti".
"Definite insoliti, lord Sopespian".

Una luce strana si era accesa negli occhi di Miraz.
Il nobile era sceso dal tavolo, portandosi dietro la sedia del suo signore.
Gli aveva posato una mano sulla spalla, e si era avvicinato al suo orecchio, sussurrandovi appena.
"E' proprio questo il punto, vostra maestà.
Nessuno è stato in grado di spiegarmelo".

Non riusciva a crederci.
Un ampio sorriso si era allargato sul suo volto.

"Mi state dicendo che ce l' abbiamo fatta?".
Lord Sopespian aveva stretto più forte la presa sulla spalla del suo re.
"Penso che basti una piccola verifica, mio signore, e dopo, tutto potrà avere inizio".

Miraz, a quelle parole, si era alzato di scatto, guardando fuori dall' ampia finestra che dava sulla cittadella.

"Dov' è ora, il ragazzo?".
"E' nelle stanze di Artù".

Aveva aggrottato le sopracciglia per lo stupore.
"Nelle stanze... di Artù?".

"Sono rimasto molto... ' colpito ' anche io quando l' ho appreso.
Pare che il principe tenga molto a lui".
"Ma davvero?".
Il sorriso sul volto di Miraz era diventato famelico.
"Ci sarà da divertirsi".
"Potete giurarci, lord Sopespian. Potete giurarci".



Continua...


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Salve a tutti!!
Grazie a coloro che hanno letto, e un ringraziamento speciale ai miei recensori, sia a quelli nuovi che a quelli di fiducia!
Questo capitolo si è fatto un po' attendere, rispetto agli altri...
So che non è intenso come quello precedente, ma doveva essere un momento di ' stacco ' , doveva incuriosire...
Spero di esserci riuscita!!
Vi aspetto al prossimo!; )
Un bacione!
Cleo


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Capitolo 7
*** Il risveglio ***


Il risveglio

Erano trascorsi tre giorni dal terribile banchetto in cui Merlin aveva rischiato di perdere la vita.
Il giovane mago aveva riposato nelle stanze di Artù che, pazientemente, aveva vegliato il suo sonno sdraiato sul canapè accanto al suo letto.

Gaius aveva somministrato a Merlin una pozione che lo aveva fatto sprofondare in un sonno profondissimo, evitando così di fargli sentire dolore.
L' effetto della pozione si esauriva ogni dodici ore, e questo consentiva a Clara e a Gwen di aiutarlo a sorseggiare qualche cucchiaiata di zuppa.
Fortunatamente, Merlin restava immerso in uno strano stordimento, e non si rendeva conto di quali erano le sue reali condizioni.

La bella Clara era pronta a soddisfare ogni suo più piccolo bisogno.
Si era praticamente appostata nel corridoio, proprio davanti la porta della stanza di Artù, per essere pronta ad intervenire semmai Merlin ne avesse avuto bisogno.
Doveva tutto a quel ragazzo.
Se fosse stata lei a ricevere le frustate, sicuramente non sarebbe stata lì.
Non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza.
Mai.

Gaius aveva cercato di fare tutto il possibile, disinfettando le ferite e cercando di cauterizzare quelle più profonde.
Ma stava a Merlino lottare per la propria vita.
La medicina aveva trovato un ostacolo insormontabile.
Solo il desiderio di vivere e la forza d' animo di quel giovanotto che amava come un figlio potevano oltrepassarlo.
E Merlin, sembrava esserci riuscito.

La mattina in cui si era svegliato nonostante l' effetto della pozione, era una mattina particolarmente calda, nonostante fossero in pieno inverno.
Il sole splendeva alto nel cielo di un azzurro così intenso da non sembrare reale, e Camelot era già sveglia da tempo.

Al suo risveglio, la prima cosa che Merlin aveva sentito, nonostante fosse ancora piuttosto stordito, e nonostante le finestre fossero chiuse, era stato il clangore delle spade che si scontravano l' una contro l' altra.
Ad inframezzarne il rumore metallico, c' erano le voci di cavalieri che incitavano a colpire.
E Merlin era certo di averne riconosciuta una: era certo che quella fosse la voce di Artù.

                                                                                                         *

Il principe si stava battendo contro sir Leon in allenamento per il ' piacere del suo ospite '.
La rabbia per quello che Miraz aveva fatto al suo servitore lo aveva consumato nei giorni addietro.
Giorni terribili in cui aveva dovuto mantenere il dovuto contegno per ordine di suo padre.

Inutili erano state le parole che Artù gi aveva urlato contro per cercare di scuoterlo e di avere giustizia.
Ma Merlino era solo un servo.
"E nessuno si sarebbe messo contro Miraz per rendegli giustizia. O vendetta".
Erano state quelle le ultime parole pronunciate da Uther prima di ritirarsi nelle sue stanze e lasciare suo figlio da solo ad annegare nei suoi pensieri.

Suo padre era un debole.
E lui non si stava comportando da meno.

Per questo, per riscattare il proprio onore e quello di Merlin, aveva preso la decisione di sfidare a duello Miraz.
Un duello all' ultimo sangue, in cui solo uno di loro ne sarebbe uscito vivo.
Sfortunatamente (o fortunatamente) Morgana si era accorta dei propositi del suo fratellastro, convincendolo così a desistere.

"Non è abbassandosi al suo livello che avrai giustizia per te e per il povero Merlino.
Tu non sei come lui.
E non sei come tuo padre!
Non sei un codardo.
Vuoi solo il bene di Camelot.
Purtroppo è stato commesso un errore, e per questo Merlino ne ha pagato le conseguenze, anche se ingiustamente.
Ha salvato una vita rischiando di perdere la propria.
E' stato avventato, nonostante sia stato un eroe.
Per questo, l' unica cosa che ci resta da fare, sarà non commettere più errori finchè quel mostro resterà qui a Camelot.
Promettimelo Artù".

E lui aveva ceduto e gliel' aveva promesso.
Per questo, si stava comportando meglio che poteva, nonostante il suo cuore gli dicesse di fare ben altro.

L' istante in cui aveva creduto di cedere era stato quello in cui Miraz gli aveva chiesto quali fossero le condizioni ' del suo schiavo '.

"Credo di aver esagerato un po' con il vostro schiavetto, principe Artù...
Però, vedete... le sue urla erano così eccitanti. Non potevo non bearmi nel sentirle, e non potevo non desiderarne ancora".
Aveva pronunciato quelle parole orribili durante la cena, ridendo come se avesse raccontato una storia divertente.
Artù si era trattenuto a stenti, continuando a mangiare ciò che gli era stato servito dalla povera Gwen che aveva ricacciato indietro un gridolino sconvolto.
"E ditemi, Artù..." - aveva continuato poi - "Non vi da fastidio che il suo sangue macchi le candide lenzuola del vostro letto? O forse, ci siete abituato?".
A quelle parole, Morgana aveva lasciato cadere la posata che stava per portare alle labbra nel piatto.

Quello era stato davvero troppo.
Persino Uther non riusciva a credere alle proprie orecchie.
Insinuare una simile vergogna era veramente inconcepibile.
Artù stava per espodere.
Era diventato viola dalla rabbia sino alla punta delle orecchie, e si sarebbe gettato addosso a Miraz come una furia se non fosse intervenuto suo padre.

"Caro Miraz, vedo che non hai perso il senso dell' umorismo!"- aveva detto, levando il bicchiere al cielo - "Credo proprio che tu abbia colto nel segno, anche se hai commesso un errore di valutazione. Ben altro ' sangue ' ha visto le lenzuola di mio figlio!".
E si era portato il bicchiere alle labbra - "Anche se questo non è argomento da trattare davanti ad una damigella.
Lady Morgana ci scuserà per questa digressione non propriamente... cavalleresca!".
La giovane dama aveva abbozzato un sorriso, fingendosi imbarazzata, ed era tornata a rivolgere tutte le sue attenzioni al contenuto del suo piatto, nonostante avesse perso completamente l' appetito.
La questione sembrava momentaneamente risolta.
Camelot non sarebbe mai stata tanto grato al suo re come in quel frangente.

Così, Artù stava sfogando tutta la sua frustrazione nel duello contro sir Leon, dimostrando a Miraz che Camelot aveva guerrieri valorosi che la proteggevano.

Il re straniero osservava con grande attenzione ogni attimo dello scontro, senza perdersi neanche un passaggio.
Era quasi stupito dalla bravura di Artù.
"Avevo sentito parlare delle doti di spadaccino di tuo figio, Uther, ma non avrei mai creduto che fosse cento volte meglio di quello che raccontavano!".
Uther aveva abbozzato un sorriso.
Suo figlio era davvero bravo, e non aveva bisogno dei complimenti di un pazzo come Miraz per averne conferma.
Era ben consapevole del valore di Artù, e questo gli riempiva il cuore di gioia.
"Artù sarà un grande re, un giorno".
Non si sarebbe mai stancato di ripeterlo.
Miraz si era limitato a sorridere.

Improvvisamente, un urlo di gioaia si era levato dalla piccola folla di cavalieri riuniti in cortile per vedere lo scontro.
Artù era riuscito a disarmare sir Leon e a metterlo a tappeto.

"Bravo Artù!".
Suo padre si era alzato in piedi, applaudendo con forza.
Era stato uno scontro davvero avvincente, e suo figlio era stato degno di meritarsi la vittoria.
Persino Miraz aveva dimostrato apprezzamento, applaudendo a sua volta.

Ma il principe non ne era affatto soddisfatto.
Non desiderava approvazione da quell' uomo orrendo.
Voleva solo che lasciasse Camelot il più presto possibile.
Cercando di distrarsi, si stava dirigendo dai suoi cavalieri, dopo aver aiutato il proprio avversario a rimettersi in piedi.
Ma qualcosa aveva catturato la sua attenzione.
O meglio, qualcuno.

"Artù! Artù! Vostra maestà!".
La giovane Clara gli stava correndo incontro, col cuore in gola.
Era tutta rossa in viso, ed era terribilmente affannata.
"Clara! Che succede?".
Per un attimo, aveva temuto che portasse cattive notizie riguardanti Merlino.
"Vostra maestà! Merlino... Merlino si è risvegliato".
Il principe aveva sgranato gli occhi così tanto da far quasi spavento.
Credeva di aver udito male le parole di Clara.
"Vostra maestà, Merlino è sveglio e sta bene. E si domanda come abbiate fatto a ' combinare un tale disastro in soli tre giorni ' .
Sta bene vostra maestà! Merlino sta bene!".

"Ma cos' ha tuo figlio, Uther?".
Miraz era curioso di sapere cosa fosse accaduto al principe.
Artù, dopo che quella sciocca servetta che si era salvata dalla sua punzione gli si era avvicinata e gli aveva parlato, aveva gettato a terra la propria spada e si era affrettato a raggiungere l' ingresso del castello, percorrendo i gradini a tre a tre.

Uther ne era a sua volta rimasto colpito.
"Non saprei, Miraz".
Allora, il malvagio re di Telmar si era girato verso la folla, crecando con lo sguardo lord Sopespian.
Una volta riconosciutolo tra i presenti, si era concentrato sul suo viso.
L' espressione del nobile non lasciava più dubbi.
Il giovane Merlino doveva essersi svegliato.


Continua....


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Rieccoci qui!!
A questo ennesimo capitolo di transizione!!
Ci sono buone notizie, come avrete potuto vedere!!
Finalmente il nostro caro Merlino si è svegliato (mi sono tolta un peso dal cuore)!

Cielo! Non posso spiegarvi quanto odio provo per "Re Miraz"!
Ma era così cattivo a "Le cronache di Narnia- Il principe Caspian", o sto esagerando io??

Mi scuserete per la battuta sul sangue....
E' un pochino volgarotta, lo ammetto, ma è in qualche modo tra  l' ambiguo e il diretto.
Dopotutto, a buon intenditor poche parole!
E grazie al cielo Uther è intervenuto!
Cavolo, non si batterà per l' onore di un servo, ma per la virilità di suo figlio direi proprio di si!!

Ho parlato fin troppo, come al solito!
Ringrazio di cuore i miei recensori di fiducia!!
Date un senso al mio lavoro!
Al prossimo chappy...o meglio, ALLA PROSSIMA ISPIRAZIONE!!
Un bacione!!
Cleo






 


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Capitolo 8
*** Il colloquio ***



Il colloquio

Merlino era tornato a lavoro un paio di giorni dopo il suo risveglio.
Nonostante le profonde ferite gli causassero non pochi problemi, non aveva intenzione di stare tutto il tempo sdraiato nel letto.
O meglio, l' idea lo allettava molto, perché quello significava stare lontano dal proprio carnefice, ma non avrebbe mai potuto farlo.
Farlo sarebbe stato come abbandonare Artù di nuovo.
E non solo non poteva, ma non voleva che accadesse.

Clara gli aveva raccontato delle notti in bianco passate dal giovane principe al suo capezzale.
Gli aveva raccontato di come Artù fosse stato attento ad ogni suo più impercettibile lamento, al modo in cui respirava, alla temperatura del suo corpo.
La bella rossa gli aveva confidato di averlo sorpreso, una volta, ad accarezzagli i capelli mentre, chino su di lui, gli sussurrava con la più dolce delle voci di non mollare.
Il pensiero di Artù Pendragon, l' asino reale, che osava tanta premura nei suoi confronti lo aveva fatto arrossire fino alla punta delle orecchie.

Ricordava poco dei suoi giorni di lotta tra la vita e la morte.
Ricordava solo il dolore, e due braccia forti che lo avevano stretto all' improvviso, donandogli un conforto insperato.
Aveva sentito la voce di Artù, ed era certo di aver visto Gaius, Clara e Gwen, ma non avrebbe saputo dire cosa avevano fatto per lui.
Di certo, qualcosa di buono, se era di nuovo in piedi!
Non gliene sarebbe mai stato grato abbastanza.

Così, facendo attenzione a non far si che i movimenti del suo corpo provocassero in lui un misto tra dolore e bruciore, stava rifacendo il letto di Artù.
Lo stesso letto in cui aveva dormito per tutto il tempo della sua degenza.
Gli sembrava una cosa così assurda!
Lui, un misero servitore, aveva dormito nel letto del proprio padrone.
L' idea lo imbarazzava, e non poco.
Sperava che nessuno si fosse fatto idee strane a riguardo!
Sapeva che genere di dicerie era capace di inventare la servitù e, anche se a volte potevano corrispondere a realtà (non avrebbe mai dimenticato quella volta che, servendo del vino ad un gruppo di cavalieri, qualcuno di loro aveva avuto la cortese premura di palpargli i glutei), di certo non potevano e mai avrebbero potuto riguardare Artù.
Guai a chi osava attentare alla virilità di sua maestà l' asino reale erede al trono!
Gli sarebbe toccato marcire nelle prigioni per il resto della vita!

Bè, dopo quello che gli era successo, forse non era poi un' idea tanto malvagia.
Ancora ricordava la terribile sensazione della frusta che si infrangeva sulle sue carni tenere come burro.
A ben pensarci, si era molto meravigliato di aver compiuto davvero un simile gesto.
Forse, la vicinanza di Artù gli aveva fatto credere di poter fare qualunque cosa.
Già... Si trattava sicuramente delle cattive influenze di Artù!
Ma non se ne pentiva affatto.
Aveva evitato ad una povera innocente di patire le pene dell' inferno, e per questo si sentiva più che orgoglioso.

"Ahi!".
Un movimento troppo azzardato nello sprimacciare un cuscino gli aveva procurato una fitta un po' troppo intensa.
"Così impari a fare l' idiota, Merlino!".
Sorrideva, mentre pronunciava quelle parole.
Eh si... Forse Artù aveva ragione...
A volte, era proprio un idiota.


                                                                                                                           *

"Vedo che il tuo schiavo è di nuovo in ottima forma, Artù!".

Il principe di Camelot, suo padre, lady Morgana, re Miraz e lord Sopespian stavano pranzando nel grande salone.
L' elettricità era percepibile, ma tutti avevano mantenuto un profilo basso, almeno fino a quell' istante.

Alle parole pronunciate con tanta cattiveria da quell' essere mostruoso, Merlino era rabbrividito.
Durante tutto il pranzo, aveva cercato di essere il più disinvolto possibile.
Aveva deciso di stare accanto ad Artù nel bene e nel male, e stava mettendo in atto i suoi propositi.
Per questo, aveva assolto i propri compiti in maniera impeccabile, evitando, però, di avvicinarsi troppo al suo carnefice o di incrociarne lo sguardo di pietra.
Quell' uomo dal cuore nero lo spaventava a morte.
Non poteva nasconderlo a se stesso.
E neanche ad Artù, che aveva notato il suo disagio, lanciandogli per tutta la sera sguardi furtivi che erano riusciti almeno in parte a rincuorarlo.
Quest' ultimo, dal canto suo, prima di rispondere al proprio ospite, aveva preso un bel respiro.

"Merlino è giovane... Ed è forte, re Miraz".

"Lo vedo" - aveva detto quel mostro.
Merlino aveva sorriso ad Artù.
Si sentiva quasi lusingato del modo in cui prendeva le sue difese.

Purtroppo, poco dopo gli sarebbe toccato riempire il calice di Miraz.
Un servitore non poteva scegliere quali compiti svolgere.
Così, proprio nell' istante in cui aveva finito di riempirlo, Miraz aveva allungato di scatto una mano, afferrandogli saldamente il polso sinistro.

A quel gesto talmente repentino, Merlino aveva sussultato, ma, per fortuna, era riuscito a reggere la brocca con una sola mano, senza far cadere una sola goccia di liquido  scuro.
Morgana si era come pietrificata, al contrario di lord Sopespian che sembrava compiaciuto.
Artù, invece, aveva fatto il gesto di alzarsi in piedi, ma era stato bloccato da suo padre.

Il sangue gli si era gelato nelle vene.
Non voleva che quel mostro toccasse Merlino.
La sola idea gli faceva venire la nausea, figurarsi vedere una simile scena che si palesava davanti ai suoi occhi.

L' uomo dal cuore di pietra stringeva sempre più forte, tanto da far diventare la mano del giovane mago livida.
Le vene, in evidenza, pulsavano frenetiche.
Aveva fatto scorrere il suo sguardo carico di malvagità e di brama dal polso di Merlino, fino a fargli percorrere il braccio, l' avambraccio, la spalla, il collo coperto dal rosso e logoro fazzoletto, il mento, fino a farlo posare sulle labbra schiuse del ragazzo.
Un brivido di puro terrore lo aveva attraversato.

"Hai proprio ragione, Artù..." - aveva detto, tirando Merlino più vicino a sè - "E' proprio... ' giovane '... e forte"- e aveva mollato la presa.
Merlino si era allontanato di scatto, cercando di mettersi ad una distanza che potesse in qualche modo tenerlo al sicuro.

Automaticamente, i suoi occhi si erano mossi per la sala, cercando quelli di Artù.
Il principe era provato almeno quanto lui.

La forza di fare quello che avrebbe fatto di li a poco neanche lui sapeva da dove l' aveva tirata fuori.
Non distaccando neanche per un istante gli occhi da Artù, aveva mosso le labbra fino a formare una parola silenziosa, sperando che lui potesse comprendere.
' Va tutto bene '.
Il principe, dopo qualche istante, aveva annuito, sorridendo in maniera incerta.

Già... Come poteva far credere agli altri che andasse tutto bene, quando era egli stesso il primo a non crederci?

                                                                                                           *

Re Uther era rimasto nella sala del trono, dopo il pranzo.
Miraz gli aveva chiesto di avere un colloquio in privato.
La faccenda, da un lato lo tirava su, ma dall' altra lo stava gettando in un abisso.
Che si fosse finalmente deciso a svelare il motivo della sua permanenza a Camelot?
Ma cosa poteva volere un uomo simile da lui?

"Uther!".
Il momento della verità era giunto.

"Miraz! E' un piacere vederti così di buon uomore... Volevi parlarmi?".

Il re di Telmar si era seduto in maniera un po' scomposta sul bordo del tavolo, facendo dondolare avanti e indietro una gamba.

"E' bello trovarti disponibile al dialogo! Bene, arriviamo subito al dunque! Ho una richiesta da farti!".
Uther aveva fatto una lunga pausa prima di rispondere.
"Dimmi pure...".
Miraz sorrideva famelico.
"Vedi, Uther... Sono qui per parlarti di Merlino...".
Il re di Camelot non riusciva a comprendere dove il suo ospite volesse arrivare.



Continua...

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Ciao Merliniani!!
Spero che questo ottavo capitolo vi sia piaciuto!!!
L' ho scritto tra la mezzanotte e l' una di oggi (giovedì 9 giugno 2011) e l'ho subito postato, quindi, se dovessero esserci errori di battitura, abbiate pietà!
Non so neanche io come ho fatto a fare tutto a tempo di record!!
Forse, la magia di Merlino mi ha guidata! ;)

Ragazzi miei (o meglio, ragazze mie) che dirvi!
Non so come ringraziarvi per le splendide recensioni!
Mi spronano a continuare e a fare sempre meglio!
Spero davvero di riuscirci e di non deludervi!

Ho fin troppo, come al solito!
Al prossimo chappy!
Un bacio grande!
Vostra!
Cleo



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Capitolo 9
*** Novità ***


                                                                          Novità


Era passata da un pezzo la veglia in cui Merlino avrebbe dovuto recarsi nella camera di Artù per portargli la cena e aiutarlo a prepararsi per la notte, ma di lui non c' era la minima traccia.
Artù, piuttosto preoccupato per l' eccessivo ritardo, stava seduto sul davanzale, con una gamba penzoloni, mentre guardava fuori dalla finestra, sperando di vedere il proprio servitore attraversare il cortile da un momento all' altro, tutto trafelato.

I ritardi di Merlino erano all' ordine del giorno, e solitamente Artù di sarebbe infuriato e avrebbe minacciato di mandarlo alla gogna, ma dopo quello che aveva patito a causa di Miraz, le cose erano cambiate radicalmente.
Ogni volta che Merlino ritardava anche solo di un minuto, temeva che fosse per colpa di quel mostro proveniente da Telmar.
Ed era lo stesso sentimento che provava proprio in quel momento.

Improvvisamente, qualcuno aveva bussato alla sua porta, prima di aprirla, facendola scricchiolare.
"Finalmente sei arrivato!".
Ansioso, e falsamente adirato, Artù aveva girato il capo per incontrare gli occhi blu di Merlino, ma le cose sarebbero andate diversamente.
Grande era stata la sua sorpresa nel vedere che di fronte a se non c' era il suo amico.

"Mi dispiace avervi fatto aspettare, sire... ma sono stato avvisato solo pochi minuti fa che avrei dovuto occuparmi di voi".
Nigel lo guardava serio, mentre reggeva a stenti il pesante vassoio con la cena del principe.
Artù lo guardava a bocca aperta.
"Che significa che dovrai occuparti di me? Dov' è Merlino?".
Gliel' aveva chiesto con una nota di terrore, nella voce.

Dopo aver posato il vassoio sul tavolo ( non senza aver rischiato di rovesciare la brocca contentente il vino ), aveva inivitato il principe a sedersi, continuando a parlare a testa bassa, quasi vergognandosi di trovarsi un quella situazione.
L' esatto opposto di quello che avrebbe fatto Merlino.
Già... Dov' era Merlino?
"Nigel, sto aspettando!".
Spazientito, Artù aveva allargato le braccia per poi lasciare ricadere pesantemente sui fianchi.

"Vostra altezza, mi dispiace... Io non so nulla... So solo che da oggi sarò il vostro valletto".
Non era vero.
Il ragazzo continuava a torcersi freneticamente le dita.
Di quel passo, ne avrebbe sicuramente slogate un paio.

"Nigel"- il tono di Artù era durissimo, imperioso.
"Si, sire?" - il ragazzo aveva deglutito sonoramente.
"Dimmi dov' è Merlino. ADESSO".
Il ragazzo non aveva potuto disobbedire.

                                                                                                                  *

"COSAAAAAAAAAAA?????????????".
Come una furia, Artù aveva spalancato le porte della sua stanza, sbattendole violentemente contro le pareti di pietra, e lasciando il povero Nigel solo nelle proprie stanze.

Il giovane principe aveva gli occhi iniettati di sangue, e avanzava veloce verso la propria meta.

Non riusciva a credere a quello che Nigel gli aveva raccontato.
Era a dir poco assurdo!!!
Come aveva potuto permettere una cosa simile?

"Sta volta non me ne starò a guardare!".

Urlando come un ossesso nei corridoi del castello, era finalmente arrivato al capolinea.
Senza nè bussare, nè chiedere permesso, aveva aperto in maniera brusca la grande e pesante porta di legno, entrando come una belva feroce nella stanza.

"TU!".
"Artù!".
"TU! Come hai potuto farlo???".
Uther era seduto sullo scranno, intento ad esaminare alcune cartine insieme ad alcuni dei suoi consiglieri, che, nel vedere il loro principe in quelle condizioni, erano rimasti basiti.
Il re, che aveva compreso immediatamente le ragioni che spingevano suo figlio a comportarsi in quel modo, lo guardava serio.
Con un solo gesto della mano, aveva invitato i presenti ad uscire per poter restare con suo figlio.

Finalmente erano soli.
Artù lo guaradava come se lo volesse uccidere da un momento all' altro.

"Io non capisco come tu abbia potuto farlo!".
"Cerca di calmarti Artù".
"Calmarmi??? CALMARMI??? Come posso calmarmi dopo quello che hai fatto??? COME???".
"Tu non sei in te, Artù".
"Certo che no! Mi pare ovvio! Come potrei essere in me sapendo quello che hai fatto??".

Uther era balzat in piedi.
"Non puoi permetterti di comportarti in questo modo! Sei il principe ereditario di Camelot! Non ti permetto di avere reazioni simili per futili motivi!".

Artù era senza parole.
Possibile che suo padre proprio non capisse?
Che per lui fosse così difficile comprendere quanto fosse importante?
Il principe aveva stretto i pugni talmente forte da farsi diventare le nocche bianche e far penetrare le unghie nella carni che, inesorabilmente, avevano preso a sanguinare.
Davvero non sapeva come risolvere quella situazione.

                                                                                                             *

Miraz era nelle proprie stanze, e, pazientemente, attendeva che le cose andassero come aveva previsto.
Era veramente soddisfatto del proprio operato.
E il meglio doveva ancora venire.

"Vi vedo soddisfatto, mio re!".
Lord Glozelle guardava il proprio re quasi con timore reverenziale, esattamente come lo osservava Lord Sopespian.
Miraz era potente e malvagio, ed era necessario per la loro sopravvivenza acconsentire ad ogni suo più piccolo capriccio, pur di avere salva la vita.
Dopotutto, loro ne avevano ricavato solo vantaggi dopo la sua ascesa al trono.
Erano diventati molto più ricchi e tutti li rispettavano e chinavano il capo al loro passaggio.
Dovevano ammettere che era una sensazione veramente fantastica.
Ma il potere aveva dato loro alla testa.
E l' unica cosa che desideravano era ottenerne ancora di più.
Per questo, sui loro volti era solito vedere un malefico ghigno.

"Non sai quanto, lord Glozelle... e il meglio deve ancora venire!".
"Che piani avete per lui, mio signore?".
"Lo vedrai presto... Tutti lo vedrete presto!" - e, mentre lo diceva, un sorriso sinistro si allargava sulle sue labbra.

Improvvisamente, qualcuno aveva bussato alla porta.

"Direi che i giochi sono passati alla seconda fase, miei cari signori. Ora, lord Glozelle, potresti aprire la porta, per favore?".
"Subito, mio re".
Un attimo dopo, colui che aveva bussato alla porta aveva fatto il proprio ingresso nella stanza, a capo chino.

"Ti stavo aspettando!".
I tre sorridevano famelici, mentre si scambiavano occhiate più che eloquenti.
Il proprio interlocutore, però, non sembrava aver intenzione di rispondere.

"Andiamo... che ti prende? Il gatto ti ha forse mangiato la lingua?".
Senza aspettare risposta, Miraz gli si era avvicinato, passandogli una mano tra i capelli corvini.
"Sono sicuro che ci divertiremo molto insieme... Non è vero, mio caro Merlino?".
Il ragazzo aveva chinato ancora di più il capo, mentre un brivido gelido gli percorreva la schiena in tutta la sua lunghezza.
"Non è vero?".
Senza il minimo riguardo, gli aveva afferrato il mentro con una mano, facendo pressione e costringendolo ad alzare il capo e a guardarlo negli occhi.
Non poteva non godere del terrore ben visibile negli occhi blu del giovane mago.
"Si... si mio signore".
A quelle parole, Miraz lo aveva lasciato andare, dirigendosi verso il tavolo e servendosi una sostanziosa dose di vino.
Dopo averne bevuto solo pochi sorsi, però, il re aveva pian piano allargato le dita che reggevano la coppa, facendola cadere rovinosamente al suolo.
Tutto il suo contenuto si era riversato sulla preziosa pelle d' orso che arredava la stanza.

Merlino aveva osservato la scena in silenzio, troppo spaventato per fare qualunque cosa.
"Oh... ma guarda un po' cosa ho combinato! Sono proprio maldestro! Non è vero, miei signori?".
I due lord sorridevano malvagi.
Merlino aveva inghiottito rumorosamente.
Il suo pomo d' adamo sembrava aver fatto una capriola, e il suo cuore batteva all' impazzata.

Dopo qualche altro risolino crudele, però, la situazione era improvvisamente precipitata.
Lord Sopespian si era portato su Merlino con un balzo, afferrandolo per i capelli e torcendogli un braccio dietro la schiena, costrongendolo ad inginocchiarsi.
Il poveretto non aveva potuto fare altro se non urlare dal dolore.

"Credo che tu non abbia ancora capito cosa deve fare uno schiavo, stupido ragazzino...".
Lord Sopespian gli si era rivolto come se fosse lui a comandare.
Come se fosse lui il re, in quella stanza.
Il ragazzo cercava di trattenere le lacrime.
Non voleva dargli la soddisfazione di vederlo piangere, di vederlo ancora più spaventato e vulnerabile di quanto già non fosse.

"Lord Sopespian, suvvia... non è questo il modo di trattare il povero Merlino!".
Quelle parole avevano lasciato il giovane di stucco.
Credeva di non aver capito bene quello che il perfido re aveva appena detto.
"Lascialo andare".
Immediatamente, il nobile aveva mollato la presa su Merlino e si era allontanato, facendosi da parte.

Miraz, invece, si era avvicinato a lui a grandi passi, posandogli una mano sulla spalla e chinandosi quanto bastava per fissarlo negli occhi.
"Credo che abbiamo inizato col piede sbagliato, mio caro Merlino".
Continuava a chiamarlo per nome, rimarcandolo insistentemente.
Il ragazzo non sapeva cosa pensare.
"Puliresti il tappeto?".
Senza esserne troppo convinto, aveva annuito e, dopo essersi tolto il fazzoletto rosso dal collo, aveva cominciato ad usarlo per pulire il pavimento.
Non gli importava che si rovinasse.
Voleva solo fare presto e uscire da quella stanza il prima possibile.

"Spero che ti piacerà stare al mio servizio... mio caro... Lo spero davvero".

Il ragazzo aveva chinato maggiormente il capo, impegnandosi ancora di più nello svolgere il proprio compito.

"Si... mio re... lo spero anche io".
Solo il suo cuore sapeva quanto quella speranza fosse vana.


Continua...


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Chiedo venia per la lunga attesa!!!
Comincio col dire che questo è solo un capitolo di passaggio!
Anche se so che non giustifica il fatto che non sia riuscito benissimo, lo so!
Bè, pare che Miraz abbia ottenuto quello che voleva!
Merlino è il suo nuovo servitore.
Il suo comportamento atipico, però, a cosa porterà?
Lo vedremo nella prossima puntata!XD
Grazie a tutti coloro che hanno letto e recensito!
VI ADORO!
Un bacio enorme!
Vostra!
Cleo

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Capitolo 10
*** The good servant ***



                                                                    The good servant

Inveire contro suo padre non aveva portato a nulla di concreto.
Uther era stato irremovibile.
"E' solo un servo Artù! Ora basta perdere del tempo dietro simili sciocchezze! Hai un esercito da istruire!".
Aveva provato a controbattere, ma era stato inutile.
"Sarà solo per un po' di tempo! Miraz non resterà qui per sempre!
E, ti prego Artù, cerca di essere ragionevole!
E' del bene di Camelot che stiamo parlando!".

Da quando il bene di Camelot derivava dal sacrificio di un innocente?
Non riusciva a pensare che il suo migliore amico fosse veramente al servizio di quel mostro.
Ricordava ogni singola frustata infertagli come se fosse stato lui stesso ad averle subite.

Il timore che un simile scempio potesse ripetersi quotidianamente stava dilagando in lui.

Possibile che essere il principe ereditario di Camelot non contasse nulla?
Possibile che suo padre fosse così cieco da non voler vedere?

Aveva taciuto per troppo tempo, rimanendo in disparte come gli era stato ordinato.
Questa volta, però, avrebbe fatto di testa sua.
Al diavolo gli ordini di suo padre!
Al diavolo Miraz!
Avrebbe tirato Merlino fuori da quella prigione invisibile da solo, senza l' aiuto di nessuno.

Così, fattosi coraggio, Artù si era diretto verso le stanza di Miraz a grandi passi, sperando con ogni singola fibra del suo essere di no fare qualche sciocchezza.

Era arrivato davanti la grande porta di legno che lo separava dal re di Telmar in pochi minuti.
Era tutto trafelato per colpa della corsa.
Le sue guance erano tinte di rosso, e aveva i capelli scompigliati e sudaticci.
Ma le condizioni del suo aspetto erano veramente ininfluenti, in una simile condizione.
Per questo, senza esitare oltre, aveva levato il braccio, bussando per ben tre volte sul pesante legno scuro.

Era stato Merlino ad aprirgli.
Si era quasi meravigliato nel trovarselo davanti un po' timoroso, ma tutto intero, e felice di vederlo.
Pensava di trovarlo in catene, grondande di sangue.
Era evidente che il ricordo di Merlino nelle segrete continuasse a tormentarlo.
Si era sentito un po' sciocco, ora che aveva l' opportunità di verificare con i propri occhi le sue condizioni.
Forse, era diventato un po' troppo apprensivo...

"Artù...".
Merlino sembrava quasi sorpreso di trovarselo davanti accaldato e ansioso e, per un istante, gli si era palesata l' idea che fosse venuto lì per salvarlo.
Ma quello era un pensiero davvero sciocco, dopotutto!
I principi salvano le belle principesse in pericolo, non i servitori idioti e dall' aspetto poco piacevole.

Dopo aver atteso invano che una frase di qualsiasi genere fuoriuscisse dalle labbra rosee del principe, stava per domandargli cosa ci facesse lì, ma era stato interrotto.

"Principe Artù! Quale onore! A cosa devo la vostra visita?".
Miraz, seduto in maniera davvero poco elegante sullo scranno, lo guardava da dietro una coppa di vino, sorridendo sornione.
"Avanti Merlino! Fa entrare il tuo principe! Prima che mi consideri un cafone maleducato".

' Peccato che io abbia già questa opinione di voi ' - aveva pensato Artù.

"Subito mio re... prego Artù".
 
Mio re... Merlino si era davvero rivolto a Miraz utilizzando quell' aggettivo?
Non poteva averlo fatto...
E, soprattutto, non poteva davvero fare così male...

Senza staccare gli occhi da dosso a Merlino, che aveva chinato il capo mettendosi da parte, era finalmente entrato nella stanza.
Merlino non era mai stato così... ubbidiente in vita sua.
Doveva essere letteralmente terrorizzato.
Eppure sembrava così tranquillo...

"A cosa devo la vostra visita, Artù?".
Miraz lo aveva invitato a prendere posto accanto a lui, ma il principe aveva declinato l' offerta con un cenno del capo.
"Ecco... io... ".
"Sicuramente avrete appreso la lieta notizia!" - aveva detto, indicando Merlino - "E' talmente... eccitante! Non trovate?".
Quella definizione aveva lasciato il principe a bocca aperta.
Eccitante?
"Avere un nuovo servitore, intendo!
Affidare i propri bisogni, la  propria vita ad una persona sconosciuta è sempre un rischio!
Ma Merlino è leale... E soprattutto, è fedele, dico bene Artù?".

Il giovane reale si era trovato a boccheggiare come un pesce fuor d' acqua.
Il discorso di Miraz... le parole utilizzate... il tono in cui le aveva pronunciate... avevano qualcosa di sbagliato.
Di insano e sbagliato.
Come se quell' essere spregevole stesse alludendo a qualcosa che non riusciva a cogliere.
L' ulteriore prova gli era stata data dal gesto di Merlino, che, istintivamente, aveva chinato maggiormente il capo, serrando forte gli occhi.

"Artù! Non ho forse ragione?".
Miraz gli sorrideva, ma, quell' apparente premura, aveva solo provocato in lui un forte disagio.
E lui era Artù Pendragon: in pochissimi erano capaci di metterlo a disagio.
"Merlino è giovane e forte... ed è un servitore ligio ed un giovane ben educato. Quasi non ci si crede che sia un contadino".
Il principe era sempre più confuso.
Non sapeva veramente cosa dire per controbattere.
Controbattere a cosa, poi?
Quel mostro stava letteralmente tessendo le lodi di Merlino!
DI MERLINO!!!
Lo stesso ragazzo che una settimana prima aveva chiamato ' schiavo ' e torturato fino a quasi ucciderlo!

Gli anni di addestramento militare gli avevano permesso di capire tante cose sui suoi nemici.
Gli avevano insegnato a studiarne ogni minimo, impercettibile cambiamento.
Ma, nonostante dovesse ammettere di non riuscire a leggere tra le righe in quel frangente, le allusioni di Miraz sarebbero state comprese anche da un allocco.

"Sapete, Artù, credo che ci divertiremo tanto io e Merlino, insieme".

Quell' espressione aveva fatto letteralemete raggelare il principe ereditario di Camelot.

"Miraz, è proprio di questo che vorrei parlarvi..." - era finalmente riuscito a ritagliasi uno spazietto in quell' infinito monologo del re di Telmar.
"Ebbene?" - aveva detto Miraz, bevendo un lungo sorso di vino.
"Io non credo di poter rinunciare a Merlino".
L' aveva detto.
L' aveva detto veramente!
E aveva usato proprio quelle parole!!
Dei, non poteva averlo fatto veramente!
Si era accorto di quello che aveva detto solo quando aveva finito di dirlo, purtroppo, ed era certo che il suo sangue freddo non gli fosse bastato per far si che non avvampasse.

Merlino aveva sollevato il capo di scatto, guardandolo sconcertato.
Un lieve rossore colorava le sue guance d' avorio.

Miraz lo guardava serio.
Aveva posato il calice sul tavolo, in silenzio, e non accennava a distogliere lo sguardo da Artù.

"Sapete..."- aveva detto, alzandosi in piedi - "Io vi capisco..." - si era diretto verso Merlino, fermandosi al suo fianco.
Artù l' aveva visto passargli accanto, ed era stato come se una gelida corrente l' avesse trafitto con i suoi spilli ghiacciati.
"Merlino è talmente... invitante ".
Aveva avuto la premura di mettergli una mano sull' esile e ossuta spalla, prima di proseguire.
Artù aveva provato una dolorosa fitta allo stomaco nell' osservare quel gesto che era solito fare nei confronti di Merlino.
Era come se Miraz gli avesse preso qualcosa che era solo ed esclusivamente sua senza chiedergli il permesso.
E, dopotutto, era stato davvero in quel modo.

Il giovane, dal canto suo, si era irrigidito, chiudendo nuovamente quei suoi meravigliosi occhi blu e voltando lievemente il capo verso sinistra, per non diver incontrare il volto di Miraz.

"E' davvero un peccato dover rinuciare a lui, anche se per poco.
Però, vedete, oggigiorno i bravi servitori sono rarissimi, e quelli che si capita di avere sotto mano sono già impegnati !
Dunque, per una volta che si ha la fortuna di incontrarne uno, è bene godere appieno dei suoi servigi, non trovate?".

Stava per farlo.
Artù stava davvero per scagliarsi contro Miraz e ucciderlo a mani nude.
Tutte quelle allusioni gli avevano provocato una terribile nausea.
Aveva voglia di urlare, di prendere Merlino e andare via da lì, e l' avrebbe fatto veramente, se proprio le parole di quest' ultimo non l' avessero lasciato di sasso.

"Sono contento di esservi utile, mio re. E' gratificante avere la vostra stima. Ne sono onorato".

No.
Non era vero.
Quello che aveva appena parlato non era Merlino.
Non poteva esserlo, non doveva esserlo!
Era solo uno scherzo, uno stupido scherzo che probabilmente era stato architettato da quella strega di Morgana!
Merlino aveva davvero ragione, a volte!
Era un vero asino!

Senza pensarci troppo su, allora, era scoppiato in una risata isterica che non aveva voluto reprimere.
Miraz l' aveva lasciato fare, mentre continuava a tenere la mano posata sulla spalla di Merlino.

"Andiamo Merlino... Non puoi... tu non puoi...".
"Lui non può cosa, Artù?".
La voce di Miraz lo aveva pietrificato.
Era priva di qualunque sentimento.
Fredda e distaccata, proprio come lui.

Il principe non sapeva cosa dire.
Merlino, dal canto suo, continuava a stare zitto, evitando di incrociare il suo sguardo azzurro. Sarebbe stato davvero troppo da sopportare.

"Lui è il mio servo adesso.
Sono io che decido cosa può, e non può fare.
Vi è chiaro questo, vostra altezza?".
Miraz gli si era avvicinato quanto bastava per poterglielo sussurrare nell' orecchio, facendogli avere un brivido alla nuca.
Artù si era girato per poterlo osservare negli occhi: due pozze nere come la notte che brillavano della luce del male.

"Starò bene qui, Artù...
Voi... voi non dovete preoccuparvi per me...
Re Miraz è... è un uomo giusto.
Ed io sono un bravo servitore.
Non è vero, Artù?
Non è vero?".

Merlino aveva gli occhi velati lacrime, ma stava cercando con tutte le sue forze di non farle scivolare lungo il suo pallido volto.
Artù poteva giurare di avervi visto dentro gratitudine e rassegnazione.
Gratitudine per aver tentato di salvarlo da quell' incubo, e rassegnazione, nell' accettare quel suo atroce destino.

"Ora, principe, non avete forse un nuovo servo da istruire e un esercito da addestrare? Presumo di si!
Merlino, accompagna Artù alla porta e dopo torna ai tuoi doveri.
Non è bello perdere inutilmente tempo prezioso".

"Certo, mio re".

Ciò detto, si era precipitato all' uscio, aprendolo con un solo strattone, e invitando Artù ad uscire.
Come ipnotizzato, Artù aveva intrapreso la via indicatagli da Merlino, fino ad uscire fuori dalla stanza, senza però trovare la forza di resistere nel voltarsi un' ultima volta ed incrociare quei suoi grandi occhi blu, la prima cosa che aveva visto ogni mattina per anni quando si destava dal suo sonno.

Nonostante lo shock, avrebbe potuto giurare di averl letto sulle labbra di Merlino l' unica cosa che in quel momento gli sembrava fuoriluogo.
Era certo di aver letto un silenzioso, impecettibile ' grazie ' , prima che la pesante porta di legno venisse chiusa.

E, mentre tornava nelle proprie stanze confuso, con la coda tra le gambe, non poteva fare altro che continuare a ripetere la stessa frase, consapevole che lui non avrebbe mai potuto sentirla.
"E' vero Merlino... Sei proprio... un bravo servitore".


Continua...

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Salute a voi merliniani!!!
Siamo finalmente alla soglia del decimo capitolo!
Wow!!!
Quasi non ci credo!
Bene, cominciamo con una precisazione: sono la prima ad essere sconvolta dalla piega che sta prendendo la fic...
Ma si sta praticamente scrivendo da sola!!
Sembrerà impossibile, ma è così!
A fine capitolo mi ritrovo spesso a pensare: "Ma davvero io l' ho scritto?".
Ebbene si! U.U
Dopo i miei soliti deliri, non posso che fare i dovuti ringraziamenti a coloro che leggono e a coloro leggono e recensiscono!!!
Siete tutti meravigliosi!!!
Vi mando un grande bacio e un abbraccio!
Alla prossima ispirazione!
Cleo






















 





 


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Capitolo 11
*** A servizio ***



                                                                           A servizio

Non sarebbe mai stato capace di spiegare al proprio principe il motivo per cui aveva deciso di rimanere al servizio di Miraz.
Non che quest' ultimo avesse chiesto il suo permesso o il suo parere, era ovvio.
Il modo in cui lo aveva guardato sin da quando aveva messo piede nella stanza, quella sua gentilezza al limite del ridicolo, l' avevano profondamente messo a disagio.
Cosa avrebbe potuto fare, dopotutto, un misero servitore come lui?
Forse era diventato così bravo a mentire sulla sua vera natura di mago, che ormai gli veniva naturale mentire su tutto il resto.
Ma no.
In realtà sapeva benissimo che non era così.
Artù si era accorto che il suo era solo un disperato tentativo di tenerlo al sicuro, lontano dall' evidente pericolo che rappresentava Miraz per lui e per tutta Camelot.
In fin dei conti, stava solo adempiendo al suo compito: stava proteggendo Artù, compiendo così il proprio destino.

Merlino continuava a pensare e ripensare a tutte queste cose, mentre sistemava alcune rose nere in un vaso come aveva espressamente chiesto il suo nuovo, momentaneo signore.
Nonostante fossero fiori piuttosto macabri, doveva ammettere di trovarli davvero belli.
Spiccavano tantissimo in confronto al cristallo sfaccettato del vaso, e il loro intenso profumo aveva invaso tutta la stanza.
Il giovane mago si era avvicinato per catturarne meglio la fragranza, socchiudendo leggermente i grandi occhi blu.

"Sono meravigliosi, non trovi?".
La voce di Miraz lo aveva scosso improvvisamente, facendolo scattare sull' attenti come un ligio soldatino.
"Mio re... non vi ho sentito arrivare... chiedo perdono".
Si era precipitato a raccogliere il mantello e la spada, riponendoli nel grande baule di legno.
"Rilassati mio giovane amico. Io non sono di certo Artù".

Quello era poco ma sicuro.
Miraz non aveva niente in comune con il principe di Camelot.
Persino i difetti del somaro reale diventavano pregi a confronto
.
Senza sapere cosa rispondere, aveva semplicemente continuato a spogliarlo, facendo molta attenzione a non incrociare il suo sguardo.
Non che gli mancasse il coraggio: recentemente aveva dimostrato di averne da vendere.
Semplicemente, non riusciva a pensare che quello davanti a lui non era Artù.
La forza dell' abitudine sembrava avere la meglio (DOVEVA essere solo la forza dell' abitudine a farglielo mancare), senza considerare il fatto che avrebbe dovuto passare quei giorni a sdebitarsi con l' asino reale per essersi preso cura di lui.
Se ripensava a quello che gli aveva raccontato Clara, non poteva evitare di arrossire.

"Sei sempre così silenzioso?".
Miraz aveva interrotto il filo dei suoi pensieri.
"Scusate, vostra altezza... Ero solo molto concentrato sul mio lavoro.
La cavalcata è stata di vostro gradimento?" - aveva domandato, più per cortesia che per reale interesse, mentre toglieva gli ultimi indumenti al re.
"E' stata un vero tocca sana.
Anche lord Glozelle e lord Sopespian ne hanno tratto beneficio".

Si era accorto solo ora dell' assenza di quei due avvoltoi.
Meglio così: si sarebbe sentito meno osservato e meno sotto esame.
"Me ne rallegro".
"E' un vero peccato che tu non sia venuto" - aveva detto Miraz, mentre entrava nella tinozza dove acqua calda e una massiccia dose di schiuma lo stavano attendendo - "Sono certo che ti saresti divertito molto a correre con noi tra gli sconfinati prati di Camelot".
Il tono con cui aveva pronunciato quella frase era tutt' altro che allettante.
Era decisamente più contento di essere rimasto al sicuro, tra le mura del castello.
"Ne sono certo, vostra maestà".
Fosse stato Artù quello che aveva davanti, avrebbe risposto a tono con un bel: "E poi come avrei fatto a preparare in tempo il bagno per tergere il vostro regale asinino deretano?".
Ma quello non era Artù...
Avrebbe dovuto rassegnarsi all' idea, almeno fino a quando Miraz non sarebbe tornato da dove era venuto.
E, sinceramente, sperava che quel momento arrivasse presto.

"Merlino?".
Si era accorto di nuovo di aver fantasticato ad occhi aperti mentre quell' essere che era costretto a chiamare ' mio re ' lo guardava con aria interrogativa.
"Saresti così gentile di prestarmi attenzione, mentre ti parlo?".
"Scusate mio re... Non accadrà più".
"Lo spero bene".

Maledizione a lui e alla sua fervida fantasia!
Avrebbe rischiato di farsi ammazzare, se non fosse stato più attento.

D' un tratto, si era accorto che Miraz lo guardava con uno strano ghigno in viso, come se nella sua mente stesse prendendo forma chissà quale pensiero oscuro.
Il giovane era rabbrividito solo all' idea.
"Lavami la schiena".
Sperava davvero di evitare quello spiacevole contatto, purtroppo, invano.
Così, aveva preso lo straccio di puro lino con cui adempiere a quel compito, e aveva cominciato a tergere le larghe spalle del re di Telmar.
"Sai, Merlino, sono certo che questa... attività, ti aiuterà a prestarmi attenzione"- aveva detto, mentre si sistemava meglio nella tinozza.
"O preferisci fantasticare che qui immerso nell' acqua ci sia il tuo caro principe Artù?".

Era talmente sconvolto da quella domanda che aveva mollato per un attimo la presa sulla stoffa bagnata e insaponata, raccogliendola un attimo prima che scivolasse lungo la schiena del sovrano.
"Mio re... ma no... cosa dite?".
"Dico solo la verità, Merlino. Tu non vuoi stare qui con me".
Il giovane mago lo guardava a bocca aperta, cercando una qualche plausibile risposta da dargli.
"Non è così! Io...".
"Non-osare-mentirmi".
Il re era scattato in piedi all' improvviso, facendo schizzare acqua e sapone ovunque sul pavimento, allungandosi quanto bastava per afferrare saldamente il polso del ragazzo che aveva emesso un rantolo sommesso per lo spavento.
Miraz aveva gli occhi iniettati di sangue.

"Mio re..." - avrebbe tanto voluto dirgli di lasciarlo andare, che provava dolore per quella stretta, ma le parole gli erano morte in gola.
Sapeva già come sarebbe finita: lo avrebbe picchiato fino a fargli perdere i sensi, se non peggio.
Invece, era accaduto l' inaspettato: Miraz aveva lentamente lasciato la presa sul suo polso, permettendogli di allontanarsi da lui.
Spaventato e sorpreso da quel gesto, il ragazzo si era stretto il polso al braccio, guardandolo quasi con le lacrime agli occhi.

"Merlino... Merlino... " - Miraz era uscito dalla vasca e, senza coprirsi le nudità, si era avvicinato a lui, prendendogli il mento tra le dita bagnate - "Non devi fare così.
Non devi mentire al tuo re".
Con l' altra mano, aveva cominciato ad accarezzargli i capelli, inumidendoli.
Il mago aveva serrato gli occhi, cercando di impedire alle lacrime di scendere lugno le sue guance.
Non voleva che lo toccasse.
Non riusciva a sopportarlo.
"Io... io... mi dispiace...".
Miraz continuava ad accarezzarlo.

"Merlino... sei una creatura talmente... meravigliosa... " - lo aveva costretto a sollevare il capo quanto bastava per trovarsi alla sua altezza - "E sono certo che tu sia in possesso di deliziose doti nascoste. Dico bene?".

Solo allora, il ragazzo aveva aperto gli occhi, svelando tutto il suo terrore.
A cosa si riferiva quel mostro?
Perché non parlava mai chiaramente?

"Ora, saresti così gentile da tornare a tergere la mia schiena?".
E si era di nuovo immerso nella vasca, aspettando pazientemente che il giovane ricominciasse il proprio lavoro.
Doveva ammettere di essere stato piuttosto bravo: poteva giurare di averlo in pugno.


Continua...

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Salute a voi Merliniani...
Ah....
Povero, piccolo, dolce Merlino...
Sono davvero in pena per la sua triste sorte...
Non si merita tutto questo...
Ma, che volete che vi dica?
Miraz è un bastardo, e lo sta dimostrando alla grande...
Che farà Arthur?
Lo scopriremo nei prossimi capitoli...
XD
Un megabacio!
Cleo
Ps: aveva dimenticato una cosa!:p
Approfitto di questo spazietto per farmi un po' di pubblicità: se a qualcuno di voi piace Supernatural, o se in generale vi piacciono le mie storie o il mio modo di scrivere, sono quasi arrivata alla fine di una fic a cui tengo molto...
Questa storia mi ha dato grandi soddisfazioni!
Credo che piacerà anche ai fan di The Vampire Diaries... Se leggerete, capirete perché!
La storia si chiama "L' Angelo Caduto" e la trovate nella sezione Supernatural, e nelle mia pagina, ovviamente!
Ancora bacini!
Sempre vostra!
Cleo

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Capitolo 12
*** The message ***


                                                                   The message

Artù non era riuscito a prendere sonno, quella notte.
Né quella precedente, né quella prima ancora.
Erano tre giorni ormai che Merlino era al servizio di quel mostro, e lui non aveva avuto la benchè minima possibilità di parlargli.
Il suo amico gli rivolgeva a stenti uno sguardo fugace, quando si trovavano tutti nel grande salone per desinare, o quando Miraz assisteva agli allenamenti dei cavalieri.
Non lasciava che Merlino si allontanasse dal suo fianco neanche per un istante.
Di cosa aveva paura?
Che fuggisse via?
No... non l' avrebbe mai fatto.
E non per lealtà verso i confronti di quell' animale, ma per lealtà verso di lui, verso l' asino reale.
E questo Artù lo sapeva bene.
Per questo, Morfeo aveva deciso di non fargli più visita: per far si che il rimorso e il dolore lo divorassero lentamente.

Dei quanto avrebbe voluto parlargli anche solo per un istante!
Solo per sapere come stava, e se Miraz aveva cercato di fargli del male.
Era certo che Merlino avrebbe mentito per non farlo preoccupare, ma lui sarebbe stato capace di leggere la verità nei suoi occhi.
E poi avrebbe agito.
Avrebbe davvero ucciso quell' essere infernale.

Doveva trovare il modo di vederlo.
E subito.
Per questo, aveva indossato i propri stivali tirati a lucido da Nigel, e, silenzioso come un gatto, era scivolato fuori dal castello per dirigersi verso il luogo prestabilito.
L' abitazione di Gaius.

Aveva fatto ben attenzione a non incrociare nessuna delle guardie, e, una volta raggiunto l' ingresso della modesta casa, aveva bussato energicamente per tre volte.
L' anziano cerusico non aveva tardato ad aprire.
"Artù!".
"Gaius...".
"Cosa ci fate qui a quest' ora? Vi sentite male? Il re sta bene? Lady Morgana?".
"Niente del genere! Sta tranquillo! Stanno tutti bene...".
Leggeva apprensione sul volto dell' uomo che, improvvisamente, gli era parso molto più vecchio di quanto già non fosse.
"Gaius, potrei entrare un istante?".
"Ma certo vostra maestà! Prego!".

Artù aveva fatto il proprio ingresso nella modesta casa.
Il solito caos- ordinato regnava in quell' ambiente fatto di libri e pozioni di ogni genere, ma qualcosa sembrava stonare.
Era come se qualcosa mancasse.
Senza induguare troppo, aveva posato lo sguardo sulla porticina di legno che conduceva alla stanza in cui dormiva Merlino, trovandola chiusa.
"Sono qui per Merlino..." - aveva detto, indicando la suddetta soglia.
L' anziano aveva assunto una strana espressione, sbiancando all' improvviso.
"Gaius! Vi sentite bene?".
Il cerusico sembrava non aver neppure sentito le parole di Artù, e, lentamente, si era lasciato cadere sulla sgangherata panca di legno.
Al principe si era stretto il cuore nel vederlo in quello stato.
Non che lui fosse un tipo sentimentale, ma sapeva benissimo quale rapporto c' era tra Gaius e Merlino, e quella reazione da parte dell' uomo non lasciava presagire nulla di buono.
"Artù..."- aveva iniziato a dire, quasi tra le lacrime - "Merlino non dorme nella sua stanza da tre giorni".
Il principe aveva deglutito rumorosamente.
"Gaius...".
"Miraz vuole che stia al suo servizio notte e giorno... Per questo, mi è stato chiesto di portare le poche cose di Merlino nelle sue stanze...".

Non riusciva a crederci.
Merlino dormiva nelle stanze di Miraz.
Non che fosse una cosa così assurda: se non fosse stato per via del fatto che Merlino fosse l' assistente di Gaius, avrebbe dovuto dormire nella stanzetta adiacente alla propria, per adempiere immediatamente ad ogni suo bisogno.
Ma si trattava di Miraz, non di lui.
Ciò non aveva fatto altro che fa aumentare la sua già elevata ansia.

"Dunque Merlino dorme nella stanza della servitù...".
A quelle parole, l' anziano si era rannicchiato ancora di più su se stesso, scuotendo violentemente il capo da una parte all' altra.
Il principe, allora, gli si era inginocchiato davanti, posandogli entrambe le mani sulle spalle.
"No?
 Perché no Gaius?
Ti prego, rispondimi!".
"Merlino dorme sul tappeto, accanto al camino. Così che possa sorvegliare il sonno del re".
Artù era trasalito.
Perché gli sembrava l' esatto contrario?
L' immagine di Miraz che dall' alto del suo comodo letto posava i suoi malefici occhi sul corpo addormentato di Merlino si stava facendo largo nella sua mente.

Senza sapere cosa altro fare, si era seduto accanto al cerusico, dandogli delle pacche sulle spalle.
Fosse stato uno dei suoi uomini, gli avrebbe intimato di non piangere, ma come poteva fare una cosa del genere se era il primo a volersi abbandonare ad un tale conforto?
"Sei riuscito a... a parlargi, almeno?" - gli aveva chiesto, con voce tremante.
"No, Artù. Non mi è permesso avvicinarmi a lui. A nessuno è permesso".
Lo sospettava.
"Sono... sono certo che starà bene...".
Avrebbe tanto voluto sfogarsi, ma con quale cuore avrebbe potuto accollare ad uomo distrutto anche il suo dolore?
Non era corretto.
Lui era un cavaliere.
E non uno qualunque: era il principe ereditario di Camelot, e avrebbe fatto di tutto per non cedere, per non cadere.
"Spero tanto che voi abbiate ragione, Artù... Non potrei sopportare di vederlo soffrire ancora.
E' come un figlio per me.
Non posso pensare alla mia vita senza di lui".
Gaius aveva proprio centrato il segno.
Come avrebbero potuto vivere serenamente senza le battute di quell' idiota di Merlino?
No...
Non era una cosa plausibile.

                                                                                                             *

Miraz era rimasto solo nella propria stanza.
Aveva ordinato al suo nuovo schiavetto di portargli un' abbondante colazione, e il giovane si era precipitato giù per le scale, ancora mezzo stordito dal sonno.
Non poteva sapere che il malvagio re di Telmar aveva trascorso ore a guardalo, prima di addormentarsi.

Lo trovava straordinario.
Quell' esile e meraviglioso ragazzino era veramente straordinario.
Era davvero ansioso di scoprire quali meraviglie celasse il suo corpo.
Sorrideva bramoso.
Non avrebbe dovuto attendere ancora per molto.
Il suo piano stava procedendo a meraviglia.
Presto avrebbe avuto ciò che più bramava.

"Buongiorno, mio signore".
Lord Sopespian era entrato nella stanza, fresco come una rosa e vestito di tutto punto.
"Lord Sopespian! Siete molto mattiniero!".
I due si guardavano sorridendo.
"Diciamo che ho dovuto ' assolvere alcuni doveri ', mio re".
Miraz gli si era avvicinato.
"E lord Glozelle?".
"E' nelle sue stanze, attento che il suo valletto moli al meglio la sua spada. Deve essere pronto al meglio! Dico bene?".
"Dici bene! Dici bene!" - aveva detto, posandogli la mano sulla spalla - "Sarà una giornata esaltante!".

Proprio in quell' istante, Merlino aveva fatto ritorno della stanza, reggendo un vassoio stracolmo di cibo.
"Scusate mio re... Non volevo interrompervi... Buongiorno, lord Sopespian...".
Era stato molto cauto.
Ricrodava ancora la forza bruta di quell' uomo, e non voleva saggiarla nuovamente.
"Merlino! Merlino! Vieni qui ragazzo!".
Miraz aveva preso piuma e pergamena e aveva scarabocchiato qualcosa velocemente, per poi raccoglierla e consegnarla al giovane, che aveva posato il vassoio sul tavolo.
"Portala ad Artù. Subito".
"A - ad Artù?".
Non credeva alle proprie orecchie.
Artù. Avrebbe parlato con Artù.
Doveva aver capito male.
"Certo! A chi altri sennò! E fa presto! Aspetto una risposta da parte del tuo principe!".

Il ragazzo si era precipitato fuori dalla stanza, veloce come non mai.

"Credo che oggi sarà propri una bella giornata, mio re".
"Ne sono certo Lord Sopespian... ne sono proprio certo!".
 
                                                                                             *

Merlino correva.
Correva più veloce che mai lungo i corridoi di pietra del castello.
Non riusciva a credere che presto avrebbe parlato con Artù, e senza il terrore di essere picchiato a morte, per giunta!

Trafeato come non mai, col cuore in gola, era finalmente arrivato davanti la porta a lui tanto familiare, ed era entrato senza bussare, come al solito.

"Artù!".
Il principe di Camelot, intento a non fare nulla mentre Nigel lo vestiva pazientemente, aveva quasi creduto di avere una visione.
"Me - Merlino!".
Il giovane mago avrebbe potuto giurare di aver visto gli occhi del suo signore velarsi di lacrime, ma sapeva bene che quest' ultimo non l' avrebbe mai ammesso.
E, sinceramente, non gli importava.
Era troppo felice di vederlo, e niente avrebbe rovinato quel momento.

Con un semplice gesto della mano, Artù aveva congedato Nigel, che sembrava ben contento di interrompere i propri doveri, ed era finalmente rimasto solo con suo amico.
Era talmente felice di vederlo che quasi non trovava le parole.
Per questo, continuava a boccheggiare come un pesce fuor d' acqua.
Continuava a scrutare ogni porzione di pelle visibile del corpo di Merlino, terrorizzato nel potervi scovare segni di torure e violenze.
Fortunatamente, sembrava intatta in ogni sua parte.

"Vedo... vedo che state bene!".
Era stato il giovane servitore ad interrompere quello strano silenzio.
"Come potrebbe essere atrimenti? Non ho più un servitore idiota che si occupa della mia persona!".
' Il solito asino ' - aveva pensato Merlino.

Artù si era versato una buona dose di idromele, distogliendo lo sguardo da quello del suo amico.
Avrebbe voluto corrergli incontro e abbracciarlo, per poi strofinargli energicamente il pungo sulla testa e canzonarlo, ma si era trattenuto.
Troppa era l' emozione.
Quasi si era sentito uno sciocco, in quel frangente.
Ma era uno sciocco felice, almeno.

"Che cosa ci fai qui?".
Improvvisamente ricordatosi del compito affidatogli, Merlino aveva estratto dalla tasca la pergamena stropicciata, porgendola ad Artù.
"Il mio signore mi ha detto di consegnarvi questa".
Artù era certo di essere sbiancato alle parole ' mio signore '.
Era lui il signore di Merlino, non quel mostro orrendo!

Rabbuiato, ma incuriosito, aveva preso la pergamena.
In quell' istante, le sue dita erano entrate in contatto con quelle di Merlino.
Aveva dimenticato quanto delicata fosse la sua pelle, nonostante i lavori pesanti che era solito affidargli.
Si erano scambiati un breve sguardo, prima di interessarsi entrambi al contenuto della pergamena.

Artù aveva letto tutto d' un fiato, lasciando cadere poi il messaggio sul tavolo.
"Artù... Sono brutte notizie?".
C' era apprensione nella voce di Merlino.
Il principe aveva raccolto il foglietto, e, dopo averlo osservato un' ultima volta, lo aveva consegnato al ragazzo.
"Vuole uno scontro. Me, contro Lord Glozelle".
"Cosa???".
Il mago stava leggendo quella calligrafia serrata, verificando la veridicità delle parole di Artù.
"Ma, è per...".
"Oggi. Subito dopo pranzo".

Si guardavano sconvolti.
D' accordo, gli scontri erano all' ordine del giorno, ma perché Miraz voleva che Artù si battesse contro Lord Glozelle?
Doveva esserci qualcosa sotto.
Ma cosa?
Purtroppo, l' avrebbero scoperto solo col tempo.
L' avrebbero scoperto, quando il sole avrebbe toccato il punto più alto del cielo.

Continua...

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Merliniani, ecco a voi il tanto atteso dodicesimo chappy!
(Che paroloni!!! XD).
Come sempre, ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono!!!
SIETE STRAORDINARI!!!
Bene bene!!
Che dire?
Sto scrivendo di notte, dopo pranzo, dopo cena, insomma, appena ho un momento libero che possa farmi riposare il cervello!!!
(Stranamente, il mio cervello si riposa se è in attività!U.U).
Spero tanto che questo capitolo abbia suscitato la vostra curiosità!!
Fatemi sapere cosa ne pensate, se vi va!
Bacioni, Cleo!
Ps: ne approfitto sempre per pubblicizzale l' altra mia fic, quella su Supernatural!
L' Angelo Caduto.
Ne sto scrivendo anche un' altra, organizzata in una serie.
La mia prima vera Destiel!
;)
Se vi va di leggerla, visitate la mia pagina!
2014 Camp Chitaqua, e Remember me...
A presto!!!
Bacini!!
Cleo

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Capitolo 13
*** Il duello ***


                                                           Il duello


Artù continuava a guardare la pergamena.
Non si sarebbe mai tirato indietro.
Sarebbe stato un disonore, una macchia indelebile sullo stemma rosso e oro dei Pendragon.
Camelot si sarebbe mostrata debole e prostrata completamente al volere di Miraz, e questo non poteva accadere assolutamente.
Il suo popolo stava vivendo solo un momento di passaggio sotto l' ombra malvagia del re di Telmar, e costui aveva già seminato troppo panico e troppo dolore.
Per questo, nonostante fosse certo che ci fosse dell' altro sotto, aveva deciso di accettare la sua proposta.

Aveva preso una piccola pergamena e vi aveva scarabocchiato velocemente poche righe, porgendola poi a Merlino.
Non era riuscito a non guardarlo negli occhi per un istante lunghissimo, mentre portava a termine quel piccolo gesto.
Aveva potuto leggervi il dubbio, e un pizzico di paura.
Quell' idiota non avrebbe mai smesso di preoccuparsi per lui: era più che palese, ormai.
E lui non avrebbe mai smesso di preoccuparsi per Merlino.
Non finchè ci sarebbe stato Miraz nei paraggi, almeno.

Così, Merlino aveva preso il piccolo rotolo di pergamena, aveva salutato Artù con un lungo e profondo inchino, e l' aveva guardato per un' ultima volta prima di chiudersi la porta alle spalle, per dirigersi dal suo nuovo signore che di certo avrebbe gradito la lieta notizia.

                                                                                                            *

L' arrivo del torneo (se così poteva definirsi) non si era fatto attendere.
Gli spalti erano gremiti da spettatori di ogni genere, ma, principalmente, si trattava di cavalieri di Camelot che occupavano gli spalti sulla destra, e di cavalieri di Telmar, che occupavano rispettivamente gli spalti di sinistra.
Al centro, nella tribuna reale, sedevano Uther, Miraz Gaius, Lord Sopespian e Lady Morgana.
Merlino e Gwen attendevano in piedi, dietro i rispettivi signori, che lo scontro avesse inizio.
Stranamente, anche la giovane mulatta era piuttosto agitata.
Continuava a torcersi le dita delle mani e ad aggrottare le sopracciglia con fare isterico.
Merlino non era il solo, evidetemente, a cui quello scontro puzzava di marcio.
Uther, dal canto suo, sembrava ben felice di ciò che presto si sarebbe palesato davanti ai loro occhi: Artù avrebbe sicuramente vinto il fatidico scontro, e Camelot avrebbe dimostrato di avere un valoroso principe e, di conseguenza, un valoroso esercito, capace di tenere testa agli uomini di Miraz.
Si, era certo che quella sarebbe stata un' occasione d' oro per loro.
Un' occasione che non si sarebbero lasciati sfuggire.

"Ti vedo sereno, Uther!".
"Puoi ben dirlo Miraz! Artù è un guerriero straordinario! Hai già avuto modo di verificare con i tuoi occhi la veridicità delle mie parole, ed oggi non sarà da meno!".
Il re di Telmar lo guardava con uno strano ghigno in volto.
"E' divertente questa tua estrema sicurezza!".
"Cosa intendi?".
"Intendo solo che sarà uno spettacolo a dir poco... indimenticabile!".
Il tono con cui aveva pronunicato quelle parole non faceva presagire nulla di buono.

I due cavalieri, dopo essere stati preparati di tutto punto, erano finalmente uno di fronte all' altro.
Artù indossava la sua solita armatura, bello e fiero come sempre.
Lord Glozelle, al contrario, aveva addosso una pesante armatura nera, e questo lo rendeva particolarmente minaccioso.
Ma Artù non si sarebbe fatto di certo spaventare: lui puntava alla vittoria, e niente l' avrebbe ostacolato.

Lo scontro aveva finalmente avuto inizio.
La folla incitava a gran voce i cavalieri, ansiosa di vedere uno spettacolo che difficilmente avrebbe rivisto.
Artù era stato il primo ad attaccare, scagliandosi contro il proprio avversario con estrema forza.
Quest' ultimo, dal canto suo, era stato pronto ad incassare, rispondendo con un fendente ancora più potente di quello ricevuto.

Lord Glozelle era più anziano rispetto al principe di Camelot, e l' esperienza, in questi casi, poteva fare la differenza.
Ma Artù non era da meno: era molto giovane, ma nello stesso tempo attento e capace.
Era stato addestrato all' arte del duellare sin da piccolo, e questo aveva fatto si che fosse il caposaldo dell' esercito di Camelot non tanto per titolo nobiliare, ma per merito.

La nutrita folla osservava lo spettacolo rapita.
Le incitazioni per l' uno o per l' altro cavaliere toccavano l' osceno, in alcuni punti, facendo quasi dubitare della nobiltà dei presenti.
Ma, dopotutto, erano uomini: uomini tirati su per combattere ed uccidere, non di certo per ricamare o sorseggiare tisane in compagnia delle proprie dame.

Artù continuava a colpire, con sempre maggiore forza.
Sembrava quasi che le energie, invece che scemare, accrescessero man mano, spremute da ogni più remoto anfratto del proprio corpo.
E lord Glozelle schivava e affondava a sua volta, costringendo il giovane erede al trono a compiere manovre a dir poco impossibili per evitare quei possenti colpi.

"Andiamo Artù! So che puoi farcela!".
Gli occhi di Uther brillavano, mentre sbraitava con fare poco reale per spronare il figlio a dare il meglio di se.
Non che Artù non lo stesse già facendo, ma avrebbe preferito che quello scontro finisse dopo pochi affondi, con un  ' nemico ' sdraiato al suolo disarmato, e un Artù che gli puntava la spada alla gola, per poi risparmiarlo ed essere proclamato vincitore.

"Uther! Quanta foga!".
Miraz lo guardava soddisfatto: era evidente che il sovrano di Camelot non si aspettasse una tale bravura da parte di lord Glozelle, e forse, anzi, sicuramente, cominciava a temere per l' esito del duello.
Lui, dal canto suo, non aveva bisogno di spronare né Glozelle, né nessun altro dei suoi uomini.
Erano vere e proprie macchine da guerra, e la semplice vista di una lama li mandava in fibrillazione.
Si riducevano quasi allo stato di animali: alcuni, come Glozelle o Sopespian, con una mentalità da fine predatore.
Altri, impetuosi come tori imbizzarriti.
Eh si!
Aveva proprio fatto un buon lavoro con quegli uomini, doveva ammetterlo!

Merlino continuava a spostare il proprio sguardo da Artù a Miraz.
Nonostante questo gli causasse dolore e apprensione, quest' ultima era aggravata dal constatare che il suo presentimento era fondato.
Miraz aveva in mente qualcosa di grosso.
Poteva leggerglielo negli occhi.
Solo che non riusciva poprio a capire che cosa!
In momenti come quelli, in cui si sentiva impotente nonostante il dono della magia, avrebbe tanto desiderato poter leggere nelle menti altrui.
Questo avrebbe potuto risolvere una serie di spiacevoli inconvenienti, ma, purtroppo, la Religione Antica non gli aveva concesso un simile potere.
Avrebbe dovuto accontentarsi del suo dono, nonostante fosse a dir poco inutilizzabile.
Almeno davanti a tutta quella gente capeggiata da due uomini che avevano giurato morte a chiunque la praticasse.
Davvero una grande fortuna!
Per questo, non poteva fare altro che stare sull' attenti e aspettare la prossima mossa di quel mostro, sperando, in cuor suo, che non arrivasse mai.

"AAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!".

Un urlo spaventoso si era levato dal centro dell' arena, facendo gelare immediatamente il sangue a tutti i presenti.
Lord Glozelle era a terra, supino, che si contorceva per il dolore di una ferita piuttosto profonda e sanguinante provocatagli da Artù.
Il principe continuava a puntargli contro l' arma, valutando la situazione.
Non credeva che il proprio avversario sarebbe stato capace di rialzarsi.
Il taglio era profondo, doveva ammetterlo, ma il comportamento di Glozelle lo aveva insospettito.
Sembrava che si fosse distratto di proposito per permettere al principe di colpirlo.
Artù ne era quasi certo.
Ma perché commettere una simile stoltezza?

Uther si era levato in piedi, pronto a proclamare suo figlio vincitore.
Lady Morgana, Gwen, Gaius e Merlino erano al culmine della gioia.
Sapevano che Artù non li avrebbe delusi.
Lo scontro era stato eccitante fino all' ultimo colpo, ma il ragazzo era stato superiore, soprattutto durante gli ultimi istanti.
Era degno di quella vittoria.
Miraz, al contrario, era rimasto impassibile.
Possibile che quell' uomo non avesse un briciolo di cuore?
Che l' organo dell' amore e della vita fosse solo un' enorme pozza nera priva di qualunque sentimento?
Dopotutto, era uno dei suoi uomini quello steso al suolo, sanguinante.

Spesso, però, le cose non sono quelle che sembrano.
Proprio mentre il giovane principe levava un braccio al cielo in segno di vittoria, era accaduto l' impensabile.
Lord Glozelle aveva agganciato una gamba di Artù con il proprio piede, tirando indietro quanto bastava per farlo cadere violentemente al suolo, e aveva stretto la mano, nonostante fosse quella del braccio ferito, attorno all' elsa, colpendo il principe con violenza.
"ARTU'!"- Morgana era scattata in piedi, portandosi le mani davanti la bocca per lo shock, temendo il peggio.
Fortunatamente, però, il principe era sclatro ed era riuscito a sfuggirgli rotolando su se stesso, rimettendosi in piedi.
Il suo avversario sembrava come posseduto da un' entità dalla forza immane.
Gli occhi erano come iniettati di sangue.
Il giovane principe sembrava seriamente in difficoltà.

Merlino aveva stretto forte i pugni.
Doveva assolutamente fare qualcosa, o Artù avrebbe potuto farsi male sul serio.
Ma restava sempre il problema della folla.
Qualcuno, tra tutta quella gente, avrebbe sicuramente notato che ' la spada stretta saldamente tra le mani di Lord Sopespian era improvvisamente sbalzata lontano, come attirata da una forza invisibile '.
Che cosa doveva fare?
Scegliere la salvezza della propria vita o la salvezza della vita di Artù?
Il giovane mago non sapeva che non avrebbe mai fatto in tempo a decidere.

Lord Glozelle aveva colpito Artù sulla coscia destra, facendo penetrare la lama tra le sue carni.
Un fiotto di sangue bollente aveva preso a sgorgare violentemente, mischiandosi al sangue di Glozelle caduto in precedenza sul terreno.
Il giovane principe era caduto in ginocchio, prima di stramazzare al suolo, su di un fianco, stringendosi la ferita.
 
"NOOOOOOOOO!".
Non poteva essere.
Non poteva davvero essere accaduto ciò che si presentava davanti ai loro occhi.
Artù non poteva essere stato ferito in modo talmente grave.
Era solo un incubo.
Un bruttissimo, orrendo, incubo.

"LARGO AL VINCITORE!".
Sta volta era stato il re di Telmar a levarsi in piedi, radioso più che mai, seguito dal Lord Spespian.
I cavalieri di Miraz gioivano per la vittoria del loro generale, incuranti delle condizioni del ragazzo che giaceva al suolo agonizzante.
Miraz c' era riuscito: aveva portato a termine il suo oscuro proposito, e nessuno era stato in grado di fermarlo.

Uther, seguito da Gaius, da Morgana e da Gwen era corso al centro dell' arena, per prestare soccorso ad Artù.
Merlino aveva cercato di seguirli, ma Miraz lo aveva afferrato per la casacca, strappandone una manica per la foga con cui l' aveva trattenuto.
La piccola e nivea spalla del mago era rimasta scoperta.
Il re, con una luce sinistra negli occhi, l' aveva osservata a lungo, prima di posarvi sopra una mano, tenedolo stretto.
Il poverino aveva cominciato a tremare.
"Perché perdersi lo spettacolo? Da qui c'è una vista magnifica".
"Mio re... vi prego... io...".
"Tu resti qui. Con me".
E aveva lasciato la presa sul ragazzo.
Merlino era scoppiato in lacrime, nascondendosi il viso tra le mani, mentre Miraz tornava al suo posto accanto a Lord Spespian.
Non aveva potuto fare niente, niente per aiutare Artù.
Aveva esitato, e il suo principe era stato ferito gravemente.
Stava male, forse rischiava la vita, e Merlino non poteva neppure stargli accanto, fargli sentire che era lì, con lui, per lui.

Aveva potuto solo vedere i suoi uomini, Sir Leon in testa, portare Artù in spalla all' interno del castello, seguiti da Uther che teneva stretta tra le braccia una Morgana inconsolabile, mentre la folla festante di Telmar acclamava il proprio campione.

Continua...

___________________________________________________________________________________________________________

Merliniani: salute a voi!!!
Chiedo venia!
Ho dovuto preparare un esame, e non ho proprio avuto tempo di scrivere, neppure la notte!!! E sono arrivata all' epilogo di una delle storie che ho scritto a cui sono più legata in assoluto: "L' Angelo caduto". Ho il cuore infranto! =(
Ma (perdonate il mio continuo divagare) eccoci di nuovo qui, con il tredicesimo, direi shockante, capitolo.
Il mostro è sempre più mostruoso, non c'è che dire.
Non ha avuto neppure il coraggio di sfidare egli stesso Artù!
Oltre che malvagio, anche codardo!
Non so voi, ma lo sopporto sempre meno. >=(
Cosa vorrà fare adesso che Artù è stato ferito a morte?
Lo scopriremo presto...
Un bacione ENORME! E GRAZIE DI TUTTO!
Un bacione!
Cleo

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Capitolo 14
*** One last breath ***


One last breath


Camelot era in subbuglio.
La notizia che il principe fosse in fin di vita era giunta sino ai meandri più remoti del regno.
Una folla esorbitante di persone di ogni genere si era ritrovata sotto la finestra delle stanze di Artù, pregando in silenzio che il miracolo accadesse:
che il valoroso futuro erede al trono di Camelot riuscisse a scampare dalla gelida presa della morte, giunta troppo presto per strappare al mondo un cuore troppo giovane,
un fiore appena sbocciato, un ragazzo non ancora uomo.

Lady Morgana si era rifiutata di lasciare il capezzale del fratellastro.
La giovane dama dagli occhi cerulei era rimasta inginocchiata per tutto il tempo al suo fianco, stringendo la sua fredda mano nella propria, accarezzandogli i capelli dorati come grano, e sussurrandogli le parole più dolci.

Gaius aveva fatto tutto ciò che era in suo potere, sedando Artù, disinfettandogli il profondo squarcio, suturandolo e fasciandolo.
Nonostante il ragazzo fosse storidito dal potente sedativo somministratogli, si era più volte lamentato, cercando di sottrarsi a quella necessaria tortura.

Per tutto il tempo, Uther aveva osservato suo figlio in silenzio, senza avere il coraggio di avvicinarsi.
Non aveva rivolto parola a nessuno.
Con quale coraggio?
Si sentiva in parte responsabile di ciò che era accaduto.
Non aveva impedito al suo unico erede di battersi contro un uomo molto più esperto di lui.
Anzi, aveva gioito alla notizia, vedendovi una possibilià di riscatto, di affermazione del potere e della forza di Camelot.
La sua stoltezza li avrebbe probabilmente portati alla rovina.
Artù... Artù stava morendo.
La creatura venuta al mondo grazie al sacrificio della madre, stava per raggiungerla, senza avere la possibilità di fare ritorno.
Aveva sbagliato quasi vent' anni fa, e aveva commesso nuovamente un errore imperdonabile.
' La salvezza del regno viene prima di ogni cosa '.
Questo gli avevano insegnato, e questo aveva insegnato ad Artù.
Ma, per come si stavano evolvendo le cose, quella certezza stava vacillando.

Vedeva Artù lottare tra la vita e la morte, e Morgana, la sua prediletta, la sua pupilla, distruggersi dal dolore.
Ed era solo colpa sua.

"Non si sveglierà prima di domattina. Il sedativo che gli ho somministrato è molto potente, mio re. Andate a riposare".
Uther sembrava essersi destato da un sogno ad occhi aperti alle parole di Gaius.
Il suo sguardo contrariato la diceva lunga su quali fossero le sue reali intenzioni, ma non aveva il coraggio di fiatare.
Aveva il timore che qualsiasi cosa potesse dire o fare avrebbe causato solo un ulteriore dolore alle persone che amava.
"Gaius...".
"Mio re, lui avverte le vostre preoccupazioni. Sente il vostro dolore. Rimanergli accanto significa prolungare le sue sofferenze.
Permettetegli di riposare. E permettetelo anche a voi stesso".

Le parole dell' anziano cerusico avevano scosso il cuore del burbero re che, alla fine, aveva deciso di accettare il suo consiglio.
"Andate anche voi lady Morgana".
"Gaius, no! Non posso lasciarlo!".
L' uomo le si era avvicinato, posandole dolcemente una mano tra i lunghi capelli corvini.
"Rimarrò io con lui. Potete stare tranquilla".
"Ma...".
"Vieni Morgana, dobbiamo andare".
La voce di Uther, che voleva suonare ferma e perentoria, era in realtà rotta dall' emozione.
Forse, proprio per questo, la giovane e ribelle dama si era piegata alla volontà del suo tutore, lasciandosi confortare dalle sue forti braccia.
"Uther..." - era scoppiata in lacrime.
"Andrà tutto bene Morgana... Andrà tutto bene".
Sembrava, più che altro, che stesse cercando di convincere se stesso.

                                                                                                      *

"Glozelle, devo complimentarmi con voi! E' stata una vittoria a diro poco stupefacente!".
Miraz aveva levato il calice al cielo, sorridendo beato, mentre si complimentava per l' ennesima volta col suo campione.
A causa dell' ' incidente ' capitato al giovane Artù, i festeggiamenti non erano stati celebrati, e lui, per non destare sospetti, aveva deciso di omaggiare lord Glozelle facendosi servire del buon vino nelle proprie stanze, in compagnia dell' onnipresente lord Sopespian.

Dovevano ammettere di aver fatto proprio un lavoro con i fiocchi!
Artù era caduto nella trappola del suo avversario come un vero sempliciotto, e quest' ultimo aveva avuto la possibilità di portare a compimento il piano senza alcuna difficoltà.
Avrebbe dovuto fare un dono a lord Glozelle, una volta tornati a Telmar.
E Miraz, aveva già in mente cosa il suo generale potesse gradire.

"Merlino! Non vorrai farci attendere ancora!".
Il ragazzo, consumato dal pianto, si era avvicinato quanto bestava per riempire i calici ai presenti.
Da quando erano rientrati al castello, non aveva fatto altro che accontentare ogni più disparato capriccio di quei tre mostri.

I ' festeggiamenti ' proseguivano da diverse ore, ormai, e la sua candida spalla era ancora esposta alla luce delle candele.
Quella piccola porzione di pelle lasciata scoperta lo faceva sentire nudo e vulnerabile.
Ma, la cosa peggiore, era che non aveva più voglia di lottare.
Miraz era forte, troppo forte.
Aveva avuto la meglio su Uther, su di lui, ed ora, anche su Artù.
Si era portato via tutto il suo mondo, prendendoselo con la forza, e lui non aveva potuto fare niente per fermarlo.
Si sentiva sciocco e inutile.
Forse, Artù aveva davvero ragione quando gli dava dell' idiota.

"Mio re, perdonate il mio osare, ma il vostro schiavo è per caso indisposto? E' mille volte più pallido del solito!".
Lord Glozelle si era allungato quanto bastava per poter prendere il vostro di Merlino tra le mani.
"Guardate che brutte occhiaie! E che occhi rossi!".

Merlino si era stancato di essere trattato come un giocattolo.
Quei tre mostri non facevano altro che mettergli le mani addosso, facendolo sentire un oggetto.
E non la smettevano di rivolgersi a lui con il termine ' schiavo '.
Lui non era uno schiavo.
Lui aveva una volontà, aveva una dignità.
Ma sembrava non importare a nessuno.
Bè, doveva finire lì.
Immediatamente.
Anche se questo significava dover usare la magia.

Merlino aveva piantato i suoi occhi in quelli di lord Glozelle, lanciandogli il più agguerrito degli sguardi.
Il generale, dal canto suo, continuava a stringere sempre di più la presa, allargando maggiormente il suo ghigno.
Né Miraz, né lord Sopespian avevano battuto ciglio.
"Che c'è, schiavetto? Osi forse sfidarmi?".
Merlino aveva stretto i pugni talmente forte da far si che le sue nocche diventassero bianche.
Se avesse avuto la forza fisica necessaria, gli avrebbe volentieri tirato un pugno in pieno viso, ma non era quello in suo obiettivo.
Madre natura gli aveva donato un fisico inadatto ai corpo a corpo, ma la Religione Antica gli aveva dato molto, molto di più.
Quel povero sciocco non aveva idea di quello che stava per accadergli.
Così come non l' avevano nè il suo compare, nè il suo re.
L' incantesimo era già nella sua mente, pronto per essere pronunciato a mezza voce; i suoi occhi stavano per diventare dorati, quando era sopraggiunto un imprevisto: qualcuno aveva bussato alla porta.
Glozelle aveva lasciato andare Merlino.

"Avanti!".
Una delicata mano si era affacciata dall' uscio, lasciando pian piano posto ad una figura intera.
Gwen.
Merlino non credeva ai propri occhi.
"Mio re, mi dispiace disturbarvi...".
"La serva di Morgana! A cosa devo la tua visita, giovane mulatta?".
La ragazza, con i cuore in gola, non riusciva a staccare gli occhi da Merlino: il suo amico aveva un aspetto orribile, e i segni sul suo mento e sulle guance non lasciavano presagire nulla di buono.
Se solo li avesse visti Artù!
Già... Artù...

"Sto aspettando!".
"Chiedo scusa. Re Uther mi ha ordinato di delucidarvi sulle condizioni del nostro principe come voi avevate chiesto".
Il cuore di Merlino aveva perso un battito.
Miraz aveva scambiato uno strano sguardo ai due uomini, prima di abbandonarsi sullo schienale dello scranno.
"Bene!".
La ragazza, dopo aver preso un profondo respiro, aveva iniziato a parlare, anche se con voce tremante.
"Le condizioni di Artù non sono buone, mio re... Gaius ha cercato di fare tutto ciò che era in suo potere..." - sembrava che stesse per scoppiare in lacrime da un momento all' altro - "Probabilmente non passerà la notte".

Merlino credeva che l' intero universo gli fosse crollato addosso.
Artù stava morendo.
Stava morendo, e non era con lui.
Gli occhi rossi erano diventati nuovamente liquidi.
Goccie salate e calde avevano ricominciato a scendere sulle sue guance.
Non gli importava più di placare i suoi singhiozzi.
Che differenza poteva fare se l' avessero punito o no?
Artù avrebbe presto esalato l' ultimo respiro, e il suo destino non si sarebbe mai potuto compiere.
Senza il suo principe, la sua vita non aveva più senso.

"Che terribile notizia... che disgrazia! Morire così giovani... Come farà adesso Uther? Chi sarà l' erede al trono di Camelot?".
Il tono falsamente affranto di Miraz aveva fatto venire la nausea ai due giovani servitori.
A lui non importava niente del destino di Camelot!
Anzi: entrambi erano certi che la notizia in qualche modo provocasse gioia in lui!
Avrebbe potuto attaccare il regno e conquistarlo in pochissimo tempo! E Merlino cominciava a credere che fossero quelle le sue reali intenzioni.
Miraz era giunto a Camelot per conquistarla, ne era certo!
E nessuno aveva impedito che la prima parte del suo malefico piano fosse messa in atto.

"Quale atroce perdita! Devo andare immediatamente da Uther e porgergli le mie condoglianze! Miei Lord, se volete seguirmi..."- stavano per alzarsi in piedi, quando l' imprevedibile li aveva gelati.
"Artù non è ancora morto!".
Non ce l' aveva fatta più.
Merlino era esploso.
Tra le lacrime, aveva urlato tutto il suo dolore, tutta la sua sofferenza.

Gwen lo guardava sconcertata.
Capiva perfettamente i sentimenti del suo amico, ma se aveva desiderio di accompagnare Artù nel suo viaggio di sola andata, bè, c' era riuscito.
Lo sguardo interrogativo lanciatogli da Miraz la diceva lunga.

"Tu! Miserabile schiavo, come osi rivolgerti così al tuo padrone???".
Lord Sopespian aveva estratto dalla cinta la frusta che era solito portarsi dietro, e l' aveva levata al cielo, pronto ad infierire contro un Merlino sprezzante.
Gwen si era portata entrambe le mani alla bocca: non poteva sopportare di vedere ancora una volta una simile crudeltà.
"Ti insegno io come ci si comporta!".
Ma, proprio mentre stava per colpirlo, Miraz l' aveva fermato.
"Lascialo stare, Sopespian!".
Tutti i presenti si erano girati a guardalo, attoniti.
"Vostra... vostra maestà...".
"Merlino ha ragione. Artù non è ancora morto. Ma questo non ci impedisce di stare accanto ad un padre disperato.
Per questo, miei cari signori, vi prego di seguirmi" -  e si era diretto presso la porta.

Merlino e Gwen non sapevano cosa dire.
"Merlino, resta qui. Voglio trovare le stanze riscaldate e un' abbondante cena al mio ritorno. Sono stato chiaro?".
Il ragazzo, per un attimo non aveva saputo cosa rispondere, ed era rimasto a guardarlo come un perfetto idiota.
"Merlino?".
"Sarà fatto".
E, dopo un breve cenno fatto col capo, il re di Telmar era sparito dietro la pesante porta, portandosi dietro i due fedeli cagnolini.

                                                                                                        *

"Sei stato un folle a rispondere in quel modo! Avrebbero potuto ucciderti!".
"Tanto meglio! Che senso ha vivere, adesso?".
"Perché parli cosi? Sei stato il primo a dire che Artù non è ancora morto!".
"Ma per quanto tempo resisterà ancora? Per una volta, guardiamo in faccia la realtà, Gwen!".

La ragazza aveva aspettato a lungo prima di rispondergli.

"Chi sei tu?".
"Che vuoi dire?".
"Tu non sei Merlino".

Quell' affermazione aveva lasciato perplesso il ragazzo.
"Merlino non si arrende mai. Neanche di fronte ad ostacoli apparentemente insormontabili.
Merlino ha un cuore grande che racchiude amore, speranza e gioia di vivere.
Tu... tu sei spento... e vuoto...
Che cosa ti hanno fatto?
Che ne hai fatto di Merlino?".
Lo guardava con gli occhi colmi di lacrime.
Non era un' accusa, ma una semplice constatazione.

Il giovane mago non aveva potuto che distogliere lo sguardo da quello penetrante di lei.
"Io... io non lo so.
So solo che ho tanta paura Gwen. Paura per Artù, paura per voi, paura per Camelot!
Questo mostro è entrato nelle nostre vite e le ha letteralmente stravolte!
Ci comanda come se fossimo suoi soldatini ed io... io non so più che cosa fare!".

Non piangeva neanche più.
Era la forza della disperazione a farlo agire in quel modo.

La ragazza, asciugate le sue lacrime, gli aveva posato una mano sulla spalla nuda, sorridendo.
"Per cominciare, potresti toglierti questa casacca e lasciare che me ne occupi io. O ti prenderai un malanno.
Tutti noi sappiamo quanto tu sia maldestro a rammendare".
Merlino sorrideva mesto.
"Che cosa devo fare, Gwen?".
Lei gli si era gettata al collo, stringendolo tra le proprie braccia.
"Non perdere la speranza. Artù ha bisogno di te ora più che mai"- gli aveva detto, mentre gli accarezzava i morbidi capelli corvini.
Il ragazzo l' aveva stretta più forte a sè.
Gwen aveva ragione: finchè Artù avesse continuato a respirare, lui non avrebbe perso la speranza.

                                                                                                            *

"Mio re, lasciatemelo dire: siete un uomo geniale!".
"Quanti complimenti, lord Sopespian!".
I tre uomini ridevano sotto i baffi (nel vero senso della parola), mentre percorrevano i corridoi del castello.
"Il vostro piano è a dir poco perfetto!" - aveva aggiunto lord Glozelle.
"Signori! Vi prego! Così mi mettete davvero in imbarazzo!".
Sta volta non si era preoccupato di nascondere il suo ghigno malefico.
Ma doveva dargli adito: il piano stava procedendo a meraviglia!
E presto, avrebbe avuto un' ulteriore evoluzione!
Pregustava già il dolce momento della vittoria.
"MI raccomando, miei signori: una volta giunti dal caro vecchio Uther, mostratevi il più costernati possibile. Soprattutto voi, lord Glozelle!".
"Sarà fatto, mio re!".
"Lo spero! Bene! Che la recita abbia inizio!".

Dicendo ciò, avevano fatto il loro ingresso nella sala del trono, dove un Uther distrutto attendeva pazientemente che la notte passasse.
"Uther... quale spiacevole evento...".

Tendenzialmente, l' uomo cerca di trovare nei propri simili almeno un lato buono.
Questo discorso, purtroppo, per i mostri non ha il minimo valore.

Continua....


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Salute a voi Merliniani!!
(Spero di non essere diventata monotona XD).
Come avevo promesso a valentinamiky, ho aggiornato prima di mercoledì.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!
Che dire? Questi cambiamenti di umore del "mostro" spaventano me per prima.
La sua ambiguità passerà alla storia!
A parte gli scherzi, in realtà questo capitolo doveva essere più lungo, ma rischiava di diventare noioso e ho preferito renderlo più breve, e narrare il resto della vicenda nel prossimo.
Non odiatemi per questo!
(Si, lo so: metto sempre le mani avanti u.u).
Vogliamo parlare di Merlino?
Lo amo sempre di più!!
E per una volta nella sua vita, Gwen ha un' utilità!XD
Perdonate la mia cattiveria (che mi stia immedesimando troppo nel personaggio di Miraz?? HELP)!!
Al prossimo chappy!!
Un bacione grande a voi tutti che avete la pazienza di leggere questo frutto della mia follia!
VI ADORO!!
Cleo


























 



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Capitolo 15
*** Salvation ***


 

Salvation


Merlin non riusciva ancora a credere che il destino potesse aver giocato loro uno scherzo simile.
Artù stava morendo.
Il principe ereditario di Camelot non avrebbe sicuramente visto una nuova alba.

La sua mente continuava a tornare sulle parole pronunciate dal drago... ' Compi il tuo destino '.
Aveva fallito.
Non era riuscito a proteggere colui che gli era stato affidato, colui che avrebbe permesso alla magia di tornare a vivere.
Aveva lasciato che accaesse l' irreparabile, e ciò era successo perché era un codardo.
Si, ecco cos' era!
Era un inutile, sciocco codardo!
A cosa gli serviva la magia se aveva così tanta paura di usarla?

Merlino si tormentava in quel modo da ore, ormai.
Continuava a girarsi sul freddo pavimento di marmo, incapace di prendere pace.
Brividi continuavano a percorrere il suo esile corpo.
Le braci che ardevano nel camino non riuscivano a scaldarlo, perché quel freddo proveniva dal suo petto.
Era il suo cuore ad essersi prima spezzato, e poi gelato.

Artù...
Tutti erano certi che Artù fosse semplicemente il nome dato al principe ereditario di Camelot.
Nessuno sapeva che, in realtà, era proprio quel titolo a semplificare le cose.
Gli altri avrebbero perso il principe, lui avrebbe perso ARTU'.
Si... Non era un principe che stava morendo: stava morendo un amico.
L' amico più prezioso che avesse mai avuto.

I suoi grandi occhi, vigili e brillanti, continuavano a fare capolino nella mente del mago.
Quante volte gli era stato intimato da sua maestà che fissarlo negli occhi era segno di irriverenza?
Ma lui non ne aveva mai tenuto conto.
Quelle iridi azzurre svelavano molto più di quanto Artù volesse far sapere di sè...
E Merlino sapeva tutto del suo amico.
Sapeva quanto soffriva per non aver mai conosciuto sua madre.
Sapeva quanto il peso dell' eredità di Camelot lo opprimesse.
Sapeva quanto avrebbe voluto essere un ragazzo come tutti gli altri.
Ma cercava di non darlo mai a vedere, mostrandosi sempre forte e valoroso.

Non avrebbe mai più potuto fissare quegli occhi leggendogli nell' anima, e non si sarebbe mai più sentito dire di non farlo.
Avrebbe davvero sopportato un simile dolore?

Nel silenzio della notte, i suoi singhiozzi mal soffocati rimbombavano come urla.

' Che cosa ne hai fatto di Merlino? '.
Gwen aveva ragione.
Da quando Miraz era entrato nelle loro vite, lui non era più stato se stesso.
Ammetteva di non essere figlio del coraggio, ma la paura ormai aveva preso posto in lui, dilagando, invadendo ogni parte più remota della sua essenza.

Lentamente, si era girato sul fianco opposto, cercando, nella penombra della stanza, di scorgere la figura stesa sul grande letto a baldacchino.
Aveva avuto quasi un sussulto nel vedere che Miraz dormiva sul fianco destro, girato proprio nella sua direzione.
Sembrava che lo osservasse persino durante il sonno.
 
"Hai rovinato tutto...".
Lo aveva appena sussurrato, soffocando l' ennesimo singhiozzo.
Con il dorso della mano, aveva asciugato le lacrime che rigavano il suo pallido volto.
I suoi occhi sembravano scintillare nella notte.
"Merlino è qui Gwen. E non andrà più via".

Il giovane mago, come smosso da una forza più grande di lui, si era sollevato in piedi, continuando a fissare il suo ' padrone ' nel buio.
Sapeva esattamente cosa fare.

Muovendosi come un felino, si era diretto verso la porta.
Lentamente, l' aveva socchiusa, cercando di non far cigolare i cardini.
Un ultimo sguardo verso il mostro che dormiva nel letto, e Merlino era scivolato nel buio, lasciandosi quella stanza alle spalle.

Non aveva potuto vedere il ghigno compiaciuto sul volto di Miraz.

                                                                                                    *

Era entrato nelle stanze di Artù senza troppi preamboli.
Doveva fare presto se non voleva che Miraz si accorgesse della sua assenza.
Nonostante tutto il dolore che gli aveva causato, non si sentiva in grado di togliere la vita ad un altro essere vivente.
Per questo, avrebbe cercato di fare più in fretta che poteva, per poter tornare al suo posto sul freddo pavimento prima che per un malaugurato motivo, Miraz si fosse destato dal suo sonno.
Prima o poi sarebbe dovuto andare via.
Ed era certo che quel momento sarebbe arrivato presto.
Merlino non poteva immaginare quanto quella sua supposizione corrispondesse alla realtà.

Nella stanza, oltre ad Artù, steso immobile nel letto che Merlino tante volte aveva rifatto, c' era solo Gaius.
Nel vederlo, il vecchio cerusico aveva quasi creduto di avere di fronte un fantasma.

"Merlino! Che cosa...".
"Scusatemi Gaius, ma non c' è il tempo! Devo fare qualcosa prima che sia troppo tardi!".
Detto ciò, il giovane mago si era inginocchiato alla destra di Artù.
Il principe era bianco come un cadavere.
Le sue labbra erano candide, gli occhi serrati, contornati da profonde occhiaie violacee.
I biondi capelli, umidi di sudore, erano appicciati in maniera scomposta sulla sua fronte.
Il petto si muoveva in maniera impercettibile sotto le candide lenzuola.
Nonostante la morte lo stesse strappando al mondo, Merlino credeva di non aver visto niente di più bello e fiero in tutta la sua vita.

"Non preoccupatevi Artù... ci sono io ora... andrà tutto bene...".
Aveva sussurrato piano all' orecchio del principe.
Così piano, che si era domandato se Artù avesse mai potuto sentirlo anche da sveglio.

Gaius lo guardava a bocca aperta, incapace di comprendere la scena che si palesava davanti ai suoi occhi.

Dolcemente, Merlino aveva sfilato le coperte dal corpo di Artù, potendo così vedere lo scempio che devastava quella assoluta perfezione.
Non era riuscito a trattenere le lacrime.
Le bende che ricoprivano la ferita grondavano sangue che, inesorabilmente, aveva macchiato le splendide lenzuola di seta.

Aveva serrato forte le palpebre, incapace di osservare ancora quell' orrore.

Istintivamente, si era chinato maggiormente su di lui, posandogli una mano tra i capelli dorati e continuando ad accarezzarli proprio come Artù aveva fatto con lui qualche tempo addietro.
I suoi occhi erano un mare di lacrime

"Merlino..." - Gaius non sapeva davvero cosa dire.
Era chiaro a tutti quanto fosse forte il legame che li univa, ma una scena del genere non poteva non stringere il cuore.
Non aveva idea di come il suo protetto fosse riuscito a sgattaiolare via dalle grinfie del mostro, ma sapeva perfettamente a quale rischio stava andando incontro.
Il suo Merlino era coraggioso: era il ragazzo più coraggioso che avesse mai conosciuto in vita sua.

"Va tutto bene Gaius" - Merlino aveva cercato di ricomporsi - "Ora... ora dovete andare a prendere quell' unguento".
Il cerusico lo guardava stranito.
"Dovete andare a prendere ' quell' unguento ' . Non è vero, Gaius?".
Improvvisamente, aveva capito quali erano le sue intenzioni.
"Promettimi che starai attento".
"Fidatevi di me".
Come avrebbe potuto non fidarsi di lui?

Sorridendo mesto, il vecchio cerusico si era diretto sulla soglia.

"Ah, Gaius?".
"Si, ragazzo?".
"E' bello rivedervi!".

Sorridendo, aveva lasciato i due giovani da soli nella stanza.

                                                                                                       *

Ora non c' era davvero più tempo da perdere.
Merlino sapeva benissimo che non avrebbe avuto un' altra occasione.
Per questo, non poteva prendersi il lusso di fallire.

Determinato più che mai, si era rimesso in piedi, osservando con decisione il principe Artù.

"Non vi lascerò morire. Fosse l' ultima cosa che faccio in vita mia".
Aveva posizionato la mano destra sulla ferita del principe, tenendola sospesa di qualche centimentro, aprendo completamente il palmo.
Sentiva la magia scorrere nel proprio corpo, rigenerandolo al suo passaggio.
La formula stava prendendo forma nella sua mente, e presto, mentre l' avrebbe pronunciata ad alta voce, i suoi occhi sarebbero diventati dorati, lasciando che la magia si sprigionasse in tutta la sua forza.

Eppure gli mancava ancora qualcosa.
Aveva preso un bel respiro, e aveva chiuso per un istante le palpebre, prima di cominciare.
La mano di Artù giaceva inerme accanto al suo stanco corpo.
Istintivamente, Merlino l' aveva afferrata nella propria, stringendola forte.
Ora, era finalmente completo.

Aveva pronuciato l' incantesimo a voce piena, lasciandolo esplodere in tutta la sua luce brillante.
I suoi occhi, come aveva previsto, era diventati d' oro, una luce fortissima lo aveva avvolto completamente e la mano da cui si sprigionava l' incantesimo bruciava.
Ma non era un bruciore doloroso: era la sensazione migliore che avesse mai provato nella sua vita.
Continuava a stringere la mano di Artù, mentre la ferita, lentamente, si stava richiudendo.

                                                                                            *

Artù vagava a lungo nel buio.
Non capiva perché si trovasse lì, e perché nessuno rispondesse alle sue richieste d' aiuto.
Non capiva perché tutti l' avessero lasciato solo.
Faceva freddo in quel luogo ostile, e la paura iniziava a farsi largo in lui.
Comiciava a credere che sarebbe rimasto lì per sempre.

D' un tratto, però, un tiepido calore aveva cominciato a riscaldare il suo petto, donandogli conforto.
Man mano, quel tepore aumentava, infondendosi in tutto il suo corpo intorpidito e stanco.
E, sempre più velocemente, il buio aveva cominciato a diradarsi, lasciando spazio ad un' abbagliante luce dorata.
Non aveva più freddo, non aveva più paura.
Qualcosa, o qualcuno, lo stava cullando dolcemente, tenendolo saldamente, proteggendolo e guidandolo.
Poi, all' improvviso, li aveva visti stagliarsi nitidi entro quella luce dorata.
Due grandi e profondi occhi blu.
Finamente, si sentiva di nuovo al sicuro.

                                                                                                 *

Artù stringeva la mano di qualcuno.
Il principe aveva avuto la forza di socchiudere appena gli occhi, e gli era parso di vedere il suo sciocco valletto irradiare una luce calda e rassicurante.
Stava certamente sognando, perché era convinto di non aver mai visto niente di più bello in vita sua.
Gli occhi di quell' essere erano dorati, e sentiva uno strano calore diffondersi nella gamba ferita, lenendo dolcemente il dolore.
Chiunque fosse quella creatura celestiale, perché certamente non poteva trattarsi di Merlino, avrebbe avuto la sua graditudine per sempre.
Poi, tutto era finito.
La luce era scomparsa, così come il calore, e lui si era sentito bene.
Si, non avrebbe potuto trovare un termine più adatto.
Lui stava bene.
Proprio per questo, si era lasciato cullare dalle braccia di Morfeo.

                                                                                                  *

Merlino respirava affannato.
Quell' incantesimo era potente, e aveva prociugato gran parte delle sue energie.
Ma aveva il cuore finalmente leggero.
C' era riuscito: aveva salvato il suo Artù da morte certa.
La ferita era stata quasi completamente cauterizzata: aveva lasciato solo un piccolo graffio in superficie leggermente sanguinante per evitare di destare sospetti.
Piangeva di gioia, incapace di trattenere le lacrime.

Per un attimo, gli era parso che Artù lo stesse guardando, ma doveva essersi certamente sbagliato.
Forse, l' emozione del momento gli aveva tirato un brutto scherzo.
Però, di una cosa era certo: aveva sentito la mano di Artù stringersi attorno alla propria.
Quello era il segno più evidente della riuscita del suo piano.

"Avete visto Artù? Ve l' aveva promesso... Starete bene di nuovo...
E quando tutto questo finirà, potrete di nuovo ordinarmi di lucidare i vostri stivali, pulire le stalle, rammendare i vostri abiti e fare tutte quelle cose noiose e faticose che vi divertono tanto".
Rideva nel pianto.
Non c' era gioia più grande di quella.

Ora, non doveva fare altro che aspettare il ritorno di Gaius, e poi sarebbe scivolato di soppiatto nelle stanze di Miraz.
Avrebbe ripreso il suo posto accanto al camino, e nessuno si sarebbe accorto di niente.
Si, tutto sarebbe andato a meraviglia.
Se solo non fosse accaduto l' imprevedibile.

Qualcuno, alle sue spalle, stava applaudendo sonoramente, emergendo dal buio, e i passi sul pavimento annunciavano il suo avvicinarsi.
Un brivido di terrore aveva attraversato la schiena del ragazzo.

"Bravo Merlino. Davvero bravo".

Non poteva essere.
Il destino non poteva avercela con lui fino a quel punto.
Quella voce baritonale ormai così familiare aveva infranto quell' attimo di felicità, riducendolo in mille piccoli pezzi.

Tremando, aveva afferrato ancora di più la mano del suo principe, trovando in essa la forza di voltarsi e guardare in viso quell' ospite indesiderato.

Due occhi neri come la notte lo fissavano, bramosi di potere.
Gli occhi di un mostro.
Questa volta, sarebbe stata davvero la fine.

Continua...

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CHIEDO PERDONO PER L' IMMENSO RITARDO!!!
Non sto facendo la pigrona, è solo che non so più come dividermi tra studio, lavori in casa, vita reale, efp ecc ecc...
Ma, anche se dopo un' eternità rispetto ai miei standard, eccomi di nuovo qui, con il capitolo 15.
Wow...
Siamo già al quindicesimo!!
Quasi non credo di aver raggiunto questo traguardo insieme a voi, recensori e lettori meravigliosi!!!
Avete tutta la mia stima e la mia gratitudine!!!

Che dire a riguardo?
Povero Merlino...
Mi sento in colpa nei suoi confronti!!=(
Maledetto mostro!!!
Prima o poi la pagherà, ve lo prometto.
Ma, per ora, posso solo dirvi che i guai devono ancora iniziare.
Per questo, spero che siate ancora con me al prossimo capitolo...

A presto!
Un bacione!
Cleo


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Capitolo 16
*** Truth and pain ***


Truth and pain


Nell' istante in cui aveva incrociato quegli occhi maledetti, aveva capito che per lui non ci sarebbe stato più niente da fare.
Si sentiva quasi uno sciocco per aver pensato che tutto fosse andato liscio come l' olio.
Per aver pensato di aver vinto.

Ma, in fondo, lui aveva vinto.
Artù era salvo, e se Miraz avesse osato fargli del male, avrebbe usato la magia per difenderlo.
A quel punto non gli importava più delle conseguenze.
Era stato scoperto, e presto tutti sarebbero venuti a conoscenza del suo segreto.
Non aveva motivo di nascondersi ancora.

Per questo, si era messo davanti ad Artù, pronto ad attaccare nel momento del bisogno.

Ma il suo nemico aveva piani ben diversi.
Miraz continuava a guardarlo raggiante.

"Lo sapevo. Sapevo di non essermi sbagliato. Ne ero certo".

Merlino era diventato una statua di sale: era certo che presto si sarebbe ridotto in miliardi di minuscoli granelli.
Doveva mantenere la calma il più possibile, però.
Non sapeva quali fossero le reali intenzioni di quell' essere, e doveva proteggere Artù.
Per questo, continuava a guardarlo in silenzio, attendendo la sua prossima mossa.

"Ah... mio caro Merlino... sei veramente una creatura straordinaria!".
 Miraz si era fermato nel bel mezzo della stanza, continuando a guardarlo con aria soddisfatta.
"Non vedo l' ora di iniziare a giocare veramente... con te!".

Il ragazzo aveva trattenuto il respiro.
Quelle parole lo avevano fatto rabbrividire.

"Non preoccuparti" - aveva detto all' improvviso Miraz, accortosi di come il giovane servo cercasse di proteggere il proprio principe - "Non è mia intenzione fare del male al tuo amichetto... Non se farai il bravo, per lo meno!".
"Che cosa vuoi?".
Non si capacitava di come avesse fatto a trovare il coraggio per pronunciare quelle parole.
Ma quando aveva visto Miraz posare i suoi occhi da predatore sul corpo inerme di Artù, non aveva potuto reprimere la rabbia e il disgusto.
Poteva fargli ciò che voleva, ma non doveva sfiorare Artù neanche con un dito.

Il malvagio re di Telmar lo guardava con un misto tra ammirazione e brama.
"Osi persino darmi del tu! Sei proprio sicuro delle capacità dei tuoi poteri!".
"Non so di cosa voi stiate parlando!".
Sapeva perfettamente di essere stato visto, ma non gli costava niente fare il finto tonto, o almeno provarci.
"Andiamo... per quanto tu possa essere potente, credi davvero di potermi trarre in inganno fino a questo punto?".
Miraz non la smetteva di guardarlo.
Merlino si odiava in quel momento per la sua stupidità.
"Però, è lecito che ti accontenti!".
"Accontentarmi?".
"Non ho ancora risposto alla tua domanda, dopotutto!".
Lentamente, aveva ricominciato ad avvicinarsi.
Il mago si era irrigidito ancora di più.

"Sta calmo piccolino... ti ho già detto che non voglio far del male alla tua bella...".
Merlino lo guardava accigliato.
Cominciava davvero ad odiare quell' uomo.
Senza farsi troppi problemi, Miraz si era lasciato cadere sulla grande poltrona di pelle, accavallando le gambe, e posando entrambe le mani sui braccioli.
Il suo sguardo continuava a rimanere fisso sul ragazzo che aveva di fronte.

"Continuo a pensare di aver fatto la scelta più ponderata di tutta la mia esistenza decidendo di mettermi alla ricerca del più potente mago di tutti i tempi".
Gli occhi blu di Merlino si erano sgranati tanto da far paura.
Come faceva quel mostro a sapere del suo segreto??
Non aveva mai usato i propri poteri davanti a lui, e poi Miraz aveva affermato di essersi ' messo alla ricerca '.
Qualcuno sapeva chi lui fosse veramente e aveva rivelato il suo segreto ad altri?
Chi sapeva oltre a Miraz che lui era un mago?
E poi, perché Miraz si era messo a cercarlo?
Lui odiava la magia.
Il suo odio era più profondo di quello di Uther.
Che cosa voleva da lui?

"Merlino... smettila di pensare... riesco a sentire il tuo cervello arrovellarsi sin da a qui..." - aveva scavallato le gambe, invertendo poi la loro posizione.
Qualunque gesto facesse provocava in Merlino ansia e disgusto.
Aveva bisogno di sapere. Subito.
O sarebbe impazzito.

"Bene, credo che sia arrivato per te il momento di sapere...
Ma, ti prego, piccolino mio... Mettiti comodo!" - e gli aveva indicato di sedersi sul bordo del letto, accanto ad Artù.
Merlino aveva deglutito poco prima di fare cenno di no con la testa.
Miraz sorrideva malvagio.
"Come preferisci...".

Un lungo momento di silenzio aveva seguito l' ultima frase pronunciata da Miraz.
Quell' attesa avrebbe fatto perdere la pazienza a chiunque.

"Sicuramente ti starai domandando come facevo a sapere che il mago più potente della storia si nascondesse proprio qui a Camelot...".
Merlino continuava a chidersi perché si rivolgesse a lui con quell' epiteto.
Lui non era il mago più potente del mondo.
Era solo un ragazzo che aveva un dono, e un compito troppo grande da portare a termine.
Ma non aveva fatto domande.
Aveva troppa paura della reazione di quell' essere.

"Sai, Merlino, essere il re più temuto è più potente del mondo ha molti vantaggi...
I tuoi nemici ti temono, e ti temono ancora di più i tuoi amici.
Inizialmente, essere serviti e riveriti ti esalta.
Ti senti importante e temuto.
Ma, dopo un po', subentra la cosa peggiore che possa capitare ad un essere umano: la noia.
Nessun uomo dovrebbe mai annoiarsi, Merlino.
Per questo, per sfuggire alla noia, ho cominciato a ' fare visita ' ai sovrani dei regni vicini.
Credimi, ragazzo: non c'è niente di meglio di una guerra per rinfrancar lo spirito!
Tutto quel sangue, quelle urla... bambini e donne terrorizzati, anziani rassegnatisi all' idea di aver perso prematuramente i figli... i tesori conquistati...
Ah, il solo pensarci mi rigenera e mi esalta!".

Merlino lo guardava con disprezzo.
Come si poteva fare la guerra per sfuggire alla noia?
Sperava davvero di non aver sentito pronunciare quelle frasi orribili.

"Così, uno dopo l' altro, ho conquistato tutti i regni che confinavano con Telmar.
E mi sono divertito un mondo!
Mi sentivo potente e invincibile!
Finchè non è accaduto un imprevisto"- aveva cominciato a tamburellare le dita della mano destra sul bracciolo.
Subito dopo, l' aveva stretto tanto forte che sembrava volesse stritolarlo.

"Era l' ennesimo scontro portato avanti per conquistare l' ennesimo regno limitrofo...
Avevo la vittoria in pugno...
Il mio ' caro vicino ' era a terra, con uno squarcio in petto grondande sangue color rubino...
L' avevo colpito mortalmente...
Era fatta ormai!
Ma, evidentemente, lui non era d' accordo: ha avuto la forza di recuperare la propria spada, e colpirmi alle spalle un istante prima di passare a miglior vita.
Il bastardo mi ha trapassato da parte a parte... proprio qui..." - e si era portato la mano al fianco destro.
"Sono stato sospeso tra la vita e la morte per un lungo, lunghissimo mese...
Io, Miraz, il grande re di Telmar, ferito mortalmente.
Quasi non ci si crede!".
Sorrideva.
Ma era un sorriso amaro, risentito.
Merlino non si era perso neppure un passaggio del suo racconto, ma ancora non era stato in grado di capire a cosa volesse arrivare.

"Ti vedo perplesso, giovane mago".
Merlino non aveva proferito parola.
"Andiamo... possibile che tu non abbia ancora capito?".
Il silenzio era piombato tra loro.
Un silenzio, che pesava più di mille parole.

Improvvisamente, Artù aveva emesso un gemito nel sonno, interrompendo quella situazione assurda.
Merlino gli aveva rivolto uno sguardo preoccupato, ma invano: il ragazzo si era semplicemente agitato nel sonno, dopo aver cercato inutilmente di cambiare posizione.
Nonostante si trovasse nel bel mezzo di un incubo, il ragazzo non aveva potuto non pensare a quanto Artù fosse tenero, simile ad un bambino.
Si sentiva quasi sciocco nel pensare una cosa del genere in un momento come quello.

"Credo che il nostro principe ci sarà di ottimo aiuto per spiegarti meglio cosa voglio da te, mio giovane amico...".
Miraz si era alzato in piedi, avvicinandosi pericolosamente al letto dove giaceva Artù.
Merlino aveva stretto forte i pugni, fino a farsi sbiancare le nocche.
Non voleva che quel mostro toccasse Artù.
Non DOVEVA toccarlo.

Si era fermato un attimo prima di arrivare ai piedi del grande letto a baldacchino, guardando Artù col suo solito sorrisetto malvagio in volto.
"Se osate toccarlo...".
"Sta calmo ragazzino. Il tuo principe non mi interessa. Non adesso, almeno".

Merlino lo guardava con odio.
Miraz aveva incrociato le braccia sul petto, continuando a scrutare i due giovani che aveva di fronte, con quel ghigno malefico che orami lo caratterizzava.

"Vedi, Merlino... è proprio questo quello che voglio... quello da cui pretendo di essere immune..." - e aveva indicato Artù con un gesto della mano - "Voglio che tu sconfigga per me la nemica più potente, l' unica che può porre fine al mio operato...".
Merlino era rimasto di sasso nel capire finalmente quali fossero le reali intenzioni di quel mostro.
"Voglio che tu sconfigga per me la morte".
Sperava davvero che quello fosse solo frutto della sua fervida immaginazione.

                                                                                             *

"Voi siete pazzo! Siete letteralmente pazzo!!".
Gliel' aveva detto a denti stretti, quasi sperasse si secernere veleno come il più pericoloso dei serpenti.
Come poteva quel mostro pensare solo lontanamente che lui avrebbe potuto fare una cosa simile??

Miraz lo guardava per niente sopreso: evidentemente si aspettava una reazione del genere da parte del ragazzo.
"No, Merlino: geniale, diabolico, spietato. Ma pazzo no di sicuro".

Il mago era scoppiato a ridere, ma la sua, era una risata forzata.
"Ti diverti, ragazzo?".
"Si! Avete sbagliato tutto re Miraz! Io non sono un mago, nè tanto meno, sono capace di fare una cosa simile!
Sconfiggere la morte!
Che pretesa assurda!".
Il re di Telmar lo guardava serio.
"E dimmi, ragazzo... credi davvero che io abbia fatto tutta questa strada per sentirmi dire da te che non sei un mago?
Credi davvero che io sia talmente sciocco?".

Merlino aveva stretto forte i pugni.
Il re di Telmar gli si era avvicinato pericolosamente, fermandosi proprio davanti a lui.
Poteva sentire il suo respiro bollente accarezzargli la pelle, poteva specchiarsi in quegli occhi di ardesia.
Quegli occhi che sembravano scrutargli fin dentro l' anima, ferendola, dilaniandola.
Voleva indietreggiare, ma la paura lo teneva lì, bloccato come una statua di sale.

"Sei davvero straordinario... mio piccolo mago... mio piccolo schiavo..." - aveva allungato una mano per sfiorargli i folti capelli corvini, ma Merlino si era spostato quanto bastava per evitarlo.
Non voleva he quell' uomo lo toccasse.
Lo faceva rabbrividire il solo pensiero.
Miraz aveva sbuffato, facendo ricadere pesantemente la mano lungo il fianco.
"Non vedo l' ora che questa storia finisca!
E' esaltante il tuo coraggio, ma a lungo andare, stanca" - aveva detto, riprendendo il suo posto sullo scranno di Artù.

Il mago era rimasto in silenzio.
Non sarebbe mai accaduto quello che quel mostro bramava.

"Tornando a noi, credo di doverti ancora qualche spiegazione...".
Aveva nuovamente accavallato le gambe, posando i gomiti sui braccioli dello scranno, e unendo le dita delle mani proprio sotto il mento, facendogli fare un movimento a fisarmonica che era quasi ipnotico.
"Dunque, Merlino, colto dal desiderio di sconfiggere la mia più ardua nemica, ho inviato in ogni cittadina, regno, campagna, paese, un mio uomo fidato, affinchè potesse scovare un potente stregone capace di esaudire il mio desiderio.
Non sai quanto a lungo ho dovuto attendere!
Quegli inetti, non facevano altro che portarmi fattucchieri e maghi di terz' ordine!
Ormai pire e patiboli erano all' ordine del giorno a Telmar...".

Non poteva crederci!
Quell' essere aveva bruciato centinaia di streghe e maghi e ucciso i suoi stessi uomini perché non erano riusciti a soddisfare un suo desiderio!!
Li aveva uccisi per un errore!
Un solo stupido, maledetto errore!!
Miraz si rivelava ogni volta più crudele e spietato.
E, la cosa peggiore, era che se ne compiaceva.

"Comunque, dopo un lungo cercare, finalmente, mi è giunta voce che a Camelot accadevano ' cose strane ' piuttosto di frequente.
Salvataggi roccamboleschi, attacchi di creature magiche potenti sventate senza fatica, guarigioni miracolose...
E il fulcro di tutto sembrava essere il castello!
Non c' erano dubbi: doveva essere quello il nascondiglio della mia preda!
Era incredibile!!
Un potente mago si nascondeva proprio sotto in naso dell' essere che odia più al mondo la magia!
Sotto il naso di Uther Pendragon, e quello non se n' era neanche accorto!!
Credimi ragazzo, credo di aver rischiato seriamente di morire dalle risate!".

Chissà perché, lui non ci trovava proprio niente di divertente.

"Così, mi sono messo in viaggio, pronto ad arrivare a Camelot, dove mi attendeva la mia fidata spia.
Grande è stata la sorpresa quando mi ha rivelato che il mago in questione era il servitore del giovane Artù!
Sai, non le avevo creduto, all' inizio.
D' accordo che i Pendragon non brillano per intelligenza, ma non pensavo potessero essere tanto sciocchi!" - si era coperto le labbra con la mano, mascherando malamente un sorriso malvagio.
Merlino aveva chiuso gli occhi per un lungo istante.
"Così, ti ho tenuto d' occhio... ma tu non accennavi ad usare i tuoi poteri!
La leggenda che io odio la magia deve averti proprio terrorizzato!
E, per controllarti meglio, ho chiesto ad Uther di averti come schiavetto personale!
Quel codardo ha accettato subito!
Guai a far arrabbiare Miraz, a quanto pare!".

Già.. guai!

"Ma tu niente.
Continuavi a comportarti da bravo servitore ligio e devoto.
E, di conseguenza, ho dovuto prendere provvedimenti...".

"Avete fatto ferire Artù perché io potessi guarirlo e voi poteste finalmente smascherarmi, non è vero?".
"Finalmente ci sei arrivato!".
"Siete... siete...".
"Si si. Lo so! Sono un essere immondo, spietato, crudele, malvagio, bla bla bla... lo so, Merlino, lo so...
So che mi odiate tutti! Ma questo non cambia le cose!
Tu farai quello che voglio in ogni caso!".
"E cosa ve lo fa pensare?".
"Questo!".

Lord Sopespian e Lord Glozelle erano fuoriusciti dall' oscurità, esattamente come aveva fatto prima il loro signore.
Sopespian si era gettato su Artù, puntandogli una spada alla gola, mentre Glozelle aveva afferrato Merlino per le braccia, torcendogliele dietro la schiena.
Un dolore lancinante aveva attraversato le spalle del giovane mago, che, all' improvviso, si era sentito i polsi gelare, come stretti in una morsa di ghiaccio.

"NOOO! Maledetti! Lasciatelo andare! Subito!".
Gli occhi del ragazzo erano iniettati di sangue.

"Vi ho detto di lasciarlo! Altrimenti io...!"
"Altrimenti tu che cosa?".

Lord Glozelle lo aveva lasciato andare, sorridendo malvagio.
Le braccia gli erano cadute pesantemente lungo i fianchi, facendogli un male cane.
Voleva piangere dal dolore, ma si era trattenuto.
Con grande fatica, le aveva sollevate entrambe, per vedere cosa gli causasse tutto quella sofferenza.

"Ma cosa... che cosa...??".
Due enormi polsiere di metallo cesellato circondavano i suoi polsi.
Al centro esatto di entrambe, giaceva incastonata una grande pietra rosso rubino, di forma ovale.
Istintivamente, aveva cercato di togliersi quei simboli di progionia, ma non c' era riuscito.
Sembrava che non avessero un' apertura, ed erano agganciati in maniera così stretta ai suoi esili polsi, che era ipossibile sfilarli.
I tre uomini ridevano malvagi.
Merlino stava per scoppiare a piangere.

"Che cosa mi avete fatto maledetti!! Toglieteli! Adesso!".
"Calmo, ragazzino!" - lord Sopespian gli aveva tirato uno schiaffo talmente forte da farlo cadere a terra, per poi chinarsi fino a pochi centimetri dal suo viso.
"Provaci da solo se ci riesci...".

E ci aveva provato.
Aveva provato ad usare la magia per farli sparire, ma era accaduta una cosa che non aveva previsto: le due pietre si erano illuminate in modo sinistro, splendendo di un rosso vivido e spaventoso, e un dolore lancinante aveva attraversato entrambi i polsi, che, un attimo dopo, avevano cominciato a sanguinare.
Merlino piangeva tanto era forte la sua sofferenza.
Miraz aveva preso il posto di lord Sopespian, prendendo tra le dita l' esile mento del giovane mago, costringendolo, ancora, a sollevare il capo verso di lui.

"Ogni volta che userai la tua magia per tentare di liberarti, o per fare del male ad uno di noi, il tuo incantesimo verrà assorbito dalle polsiere che ti imprigionano, e ti si ritorcerà contro.
E sanguinerai. Sanguinerai fino a quando la vita non abbandonerà questo tuo bellissimo corpo mortale".

Aveva lasciato andare il ragazzo, che si era accasciato al suolo, singhiozzando in silenzio.
Non sapeva cosa bruciasse di più, se il dolore o la sconfitta.

I tre uomini, se così si potevano chiamare, si erano diretti presso la porta.

"Io non lo farò".
Miraz si era fermato all' improvviso, gelato da rifiuto del ragazzo.
"Potete uccidermi, torturarmi, io non farò mai ciò che chiedete! Non vi donerò mai l' immortalità!".

Lo guardava con occhi di fuoco.
Ah! Se solo avesse potuto usare ancora i suoi poteri!
Se solo non avesse esitato, vinto ancora una volta dalla volontà di scorgere qualcusa di buono in ogni creatura, a quest' ora non solo Camelot, ma tutti i regni conquistati avrebbero ottenuto la libertà.
Maledirsi non sarebbe servito, ma non ne poteva fare a meno.
Si sentiva in colpa, tremendamente in colpa.

"Io credo che tu non abbia capito, Merlino..." -  il suo tono era stranamente calmo, come se fosse certo che il ragazzo non potesse sottrarsi al suo volere - "Pensi davvero che io sia solito viaggiare con tutto il mio esercito?".

Aveva portato con sè tutto l' esercito per poter attaccare Camelot se lui si fosse rifiutato di aiutarlo!
"Voi... voi... voi non...".
"Io cosa? Io non posso? Si, ragazzino.
Posso eccome!
E lo farò, se ti ostinerai a non darmi ascolto.
E il tuo bel principe sarà il primo a morire, per mia mano, e tu non potrai fare niente per salvarlo, sta volta".

Il silenzio di Merlino era valso più di mille parole.

"Molto bene, allora. Ti lascio qualche altro minuto con il tuo amichetto...
Raggiungimi nelle mie stanze prima della prossima veglia.
Bada bene a non farmi attendere troppo a lungo, piccolino...
Abbiamo tante cose da fare insieme, adesso" - e stava per uscire dalla stanza.
"Ah, Merlino?" - il giovane, stravolto, aveva sollevato il capo, incontrando così quei due occhi malefici - "Credo che la prossima volta tu debba stare più attento prima di prendere le frustate al posto di una ' giovane fancuilla indifesa ' ! Sai, le spie possono avere lunghi capelli di fuoco, a volte" - ed era scoppiato in una risata malvagia e crudele, prima di sparire dietro la porta, seguito dai suoi uomini.

Questa volta, Merlino si sentiva veramente perduto.

Continua...

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Merliniane!!!
Rieccomiiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!!!!!!!!!!!!!!
Mamma mia, scrivere questo capitolo è stato un parto, credetemi!
Che ne pensate??
Sinceramente!
Ci ho messo una vita a scriverlo, lo so!!
E chiedo perdono!!
Miraz è un essere immondo, ma sul serio!
Ora siete convinte del fatto che le cose debbano ancora peggiorare??
Povero, povero Merlino...
Sono in pena per lui...=(
Bene, termino qui il mio delirio inutile (dopotutto, sono io che lo faccio soffrire, quindi, che mi lamento? -.-' ).
Al prossimo chappy!!
Un bacio enorme!!
Cleo

 

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Capitolo 17
*** Your voice ***


Your voice


E' incredibile come le cose possano diventare ancora più complicate di quanto non lo fossero in precedenza.

Merlino era rimasto inginocchiato ai piedi del letto di Artù, fissando con gli occhi rossi di pianto i simboli della sua prigionia.
L' aveva incastrato.
Miraz l' aveva incastrato, rendendolo il suo personale schiavetto a tutti gli effetti.
Lo aveva deriso, umiliato, e il peggio doveva ancora venire.

Sorrideva mesto, consapevole finalmente che nulla accade per puro caso.
Si sentiva usato e tradito da Clara.
Aveva preso delle frustate a causa sua.
Era stato imprigionato, aveva rischiato di morire per difenderla!
E lei lo aveva ingannato sin dal principio.
La bella e dolce rossa era riuscita a manipolarlo fino a farlo cedere, e lui le si era servito su di un vassoio d' argento.

Aveva provato e riprovato a togliersi le pesanti polsieri di dosso, ma l' unico risultato che aveva ottenuto era stato quello di sanguinare e soffrire.
Sembrava impossibile, ma era diventato ancora più pallido del solito.
Le labbra, rosee e piene, erano secche e candide.
Profonde occhiaie violacee circondavano i suoi begli occhi color del mare.

Quello non era Merlino: era solo lo spettro di se stesso.
E la consapevolezza di non avere scampo lo stava divorando.

Poteva continuare a rifiutarsi di esaudire il desiderio di Miraz, ammesso che avesse le capacità per realizzarlo, ma per quanto tempo?
Non gli importava delle punizioni e delle torture a cui lo avrebbe sottoposto.
Aveva più volte dimostrato di essere un osso duro.
Ma non c' era in ballo solo la sua vita.
C' era in ballo tutta Camelot!
E Miraz gli aveva fatto capire chiaramente che non avrebbe esitato ad attaccarla se lo avesse fatto attendere a lungo e invano.

Ma, nel momento in cui fosse riuscito a trovare un incantesimo che avrebbe conferito a quel mostro l' immortalità, non avrebbe forse attaccato ugualmente Camelot per conquistarla?
Non avrebbe forse ucciso Artù, e Uther, e tutti coloro che avrebbero lottato per difenderla, facendosi forte grazie all' immortalità?

Cosa doveva fare allora?
Sarebbero morti tutti in ogni caso.
E sarebbero morti solo per colpa sua.

Senza neanche rendersene conto, aveva voltato il capo verso il grande letto a baldacchino di Artù.
L' immagine di lord Sopespian che gli puntava la propria spada alla gola continuava a fare capolino nella sua mente.
Vile!
Come si poteva attaccare un uomo inerme?

Artù si era mosso nel sonno, quasi a voler dare ragione ai pensieri inespressi di Merlino.
Ah! Se solo quello zuccone fosse stato capace per davvero di leggere nella sua mente, un sacco di problemi sarebbero stati evitati.
Ma il fato aveva riservato a lui il dono della magia.
Aveva dato a lui quel fardello da portare, non ad Artù.
Quest' ultimo, non aveva la più pallida idea di quanto fosse fortunato.

Improvvisamente, Merlino si era sentito solo e abbandonato.
Non poteva confidarsi con il suo unico amico, non poteva parlare con colui che gli aveva fatto da padre, non poteva neppure accennare il suo dolore a Gwen.
Non c' era al mondo creatura più triste e sfortunata di lui.

Un brivido di freddo aveva attraversato il suo esile corpo.
Si era cinto il torace con le braccia per darsi conforto, ma il contatto della propria pelle con i simboli della sua prigionia gli aveva causato maggiore disagio.
Se solo non avesse avuto quei... cosi ai polsi, avrebbe potuto usare la magia e...
E fare cosa?
Non era capace di togliere la vita.
Era stato servitore di Miraz per un periodo interminabile, e l' idea di ucciderlo non lo aveva minimamente sfiorato.
O, almeno, non era un qualcosa che avrebbe mai potuto prendere forma.
Aveva troppo rispetto per la vita umana per potervi porre fine.
Chi era lui per decretare la morte di un essere vivente?

Già... la morte.
La cara amica che dava sollievo, che ti prendeva tra le proprie braccia, non abbandonandoti mai più.
D' un tratto, la grande finestra ad arco acuto della stanza di Artù aveva preso possesso del suo campo visivo.
Le imposte erano socchiuse, e un fresco vento faceva danzare le tende di velluto rosso.

Merlino sorrideva.
Ma i suoi occhi non seguivano la curva delle sue labbra.

D' un tratto, si era alzato sulle gambe, continuando a fissare l' invitante apertura che affacciava sul cortile.
A quanti metri dal suolo si trovava la finestra?
Trenta?
Quaranta?
Com' era volare?
Improvvisamente, gli era venuta una grande smania di saperlo.

Così, con quel falso sorriso stampato in volto, aveva spalancato completamente la finestra, posando prima un piede sul davanzale e facendo leva sulla gamba per issarvisi, tenendosi con la mano destra al muro esterno.

Faceva male morire?
Cosa si provava nel momento in cui il proprio corpo toccava terra dopo aver volato per decine e decine di metri?

Merlino sorrideva.
Non era importante l' arrivo: era importante il viaggio.

Per questo, aveva deciso di chiudere gli occhi e volare.
Volare e non pensare a niente.
Non pensare a Miraz, alla sua assurda proposta, a Camelot.
Per una volta voleva essere egoista e pensare solo a sè stesso.

Stava per andare via col vento, non curandosi più di niente, quando qualcosa lo aveva riportato alla realtà.
Una voce.
Una sussurro impercettibile lo aveva fermato, facendolo voltare di scatto.

Artù aveva sussurrato il suo nome.
Il principe di Camelot aveva pronunciato il suo nome.
E continuava a farlo.
Artù continuava a chiamarlo nel sonno.
Come resistere al richiamo dell' altra parte della medaglia?

Senza poterlo evitare, Merlino aveva lasciato che tutto il suo dolore venisse fuori, scoppiando in un pianto disperato.
Velocemente, era sceso giù dal davanzale, dirigendosi a grandi passi verso il letto di Artù.

Sapeva che era sbagliato.
Sapeva che se qualcuno avesse aperto la porta, sarebbe stato umiliante e oltraggioso, ma non gli importava.

Per questo, aveva scostato dolcemente le coperte, sdraiandosi accanto al principe che tanto amava e rispettava.
Era a pochi centimetri dal suo petto.
Poteva vedere il suo torace abbassarsi e alzarsi al ritmo del suo respiro.

Esitando, il giovane mago aveva posato una mano su di esso, proprio all' altezza del cuore.
Batteva forte, fortissimo, quasi fosse in preda al panico.
Forse lo sarebbe stato se l' avesse visto in procinto di suicidarsi, ma Merlino era certo che non l' avrebbe mai ammesso.
Dopotutto, era un borioso asino reale, no?

Ma quell' asino reale, era riuscito a non fargli commettere il più grande errore della sua vita.
Lentamente, il battito del suo cuore aveva rallentato la sua folle corsa, fino a tornare normale.

Era incredibile quanto piccolo e indifeso sembrasse, addormentato in quel letto troppo grande persino per due persone.

Merlino si era accoccolato maggiormente sul comodo cuscino di piuma d' oca.
Purtroppo, proprio davanti ai suoi occhi, c' erano i segni della sua nuova condizione di prigioniero.
Le lacrime erano diminuite, ma non accennavano a cessare.

Artù si era mosso quanto bastava per avvicinarglisi ancora.
Sembrava quasi che lo facesse di proposito...
Ma ora, Merlino poteva osservare meglio il suo volto perfetto, dai lineamenti netti e precisi.
Un giorno, Artù sarebbe diventato un grande re, il più grande re che Camelot avesse mai avuto.

Proprio per questo, non poteva arrendersi.

Aveva spostato la mano tra i suoi capelli dorati, accarezzandoli dolcemente.

"Vi prometto che farò di tutto per fermarlo, a costo di sacrificare la mia vita.
Ve lo prometto, Artù".

Quelle, erano state le utlime parole di Merlino per quella notte.
Vinto dalla stanchezza, il giovane mago si era lasciato cadere in un profondo sonno.

Sembrava incredibile e sciocco, ma finalmente dopo tanto, tanto tempo, si sentiva protetto.
Protetto, dalla persona che tante volte aveva protetto a sua volta: il giovane e audace principe Artù.

Continua...

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CHIEDO PERDONO PER L' IMMENSO RITARDOOOOOO!!!
Credetemi, sto attraversando il periodo di crisi da pagina bianca più brutto della mia vita.
Per giorni aprivo il documento word e le parole non uscivano!
Poi, dopo un periodo di crisi esistenziale, sta sera le parole sono uscite da se!
Quasi non ci credo!
Che ne pensate?
C' è poca storia, forse, ma molto pathos, no?
Merlino e le sue idee folli! (Io e le mie idee folli).
Non odiatemi!!!
Bene, ho parlato abbastanza, e data l' ora, non so che altro dire!
Fatemi sapere cosa ne pensate, d' accordo?
GRAZIE A TUTTI COLORO CHE LEGGONO E RECENSISCONO!
Vi adoro!
Un bacio enorme!
Cleo

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Capitolo 18
*** In trappola ***



In trappola


L' alba di un nuovo giorno era appena sorta su Camelot.
Il castello era in fermento.
Tutti erano ansiosi di sapere da Gaius quale fosse il destino di Artù e di conseguenza di tutto il regno.
E il primo di tutti era proprio suo padre, re Uther Pendragon.

Quella mattina, Uther non aveva aspettato il suo servitore per lavarsi e vestirsi.
Per la prima volta nella sua vita aveva fatto tutto da solo.
Anche il re, di fronte alla crudeltà della morte che minaccia di strapparti un figlio dalle braccia, aveva dimenticato ogni rigida regola dell' etichetta, dirigendosi a grandi passi verso le stanze di Artù.

Proprio nello stesso istante in cui Uther aveva raggiunto la propria meta, un Gaius affaticato e stanco aveva fatto lo stesso.
Sul viso del re si erano dipinti contemporaneamente stupore e preoccupazione.
"Gaius! Da dove stai venendo? E perché non sei con Artù?".

L' anziano cerusico era diventato più pallido che mai nell' udire le parole del re.
Come giustificare la sua assenza dal capezzale di Artù?
E come spiegare al re la quasi certa presenza di Merlino?
Non aveva notizie del suo ragazzo dalla sera prima, in effetti.
Da quando gli aveva detto di andare a casa a "prendere l' unguento".
E c' era andato a casa.
Solo che la stanchezza era troppa e si era addormentato col viso riverso sul tavolo.
Oh dei quanto si sentiva stupido!
Ma il re attendeva una risposta, e non poteva farlo aspettare ancora a lungo.

"Ecco sire, io... io sono dovuto andare a casa a prendere l' unguento per curare la ferita di Artù...
Purtroppo l' avevo terminato, e non ho avuto cuore di svegliare qualcuno per fare il lavoro che spetterebbe a Merlino...".
Non voleva essere polemico, ma non era riuscito a trattenersi.
Non aveva digerito quello che Uther aveva fatto a Merlino.
C' era forse bisogno di accontentare quel folle di Miraz in tutto e per tutto, a discapito della felicità e della salute di un ragazzo di appena vent' anni?

"Certo Gaius... ma come sta mio figlio?".
Non era sicuro che Uther avesse capito quello che aveva cercato di dirgli, ma non se la sentiva di continuare.
Non se c' era la vita di un altro ragazzo di vent' anni in ballo, almeno.

"Non ci resta che entrare per scoprirlo".
Era stato enigmatico, ma cosa avrebbe potuto dire?
' Sapete, dovevo attendere che Merlino finisse di eseguire l' incantesimo di guarigione per sapere qualcosa, ma mi sono addormentato, quindi ne so quanto voi '.
Sarebbe stata davvero un' ottima mossa!

Grazie al cielo Uther non sembrava particolarmente perspicace quella mattina.
Per questo, Gaius aveva aperto lentamente la porta, sperando di non cogliere in flagrante Merlino in ' atteggiamenti sospetti ' .

I suoi dubbi erano stati presto levati: Artù era solo nella stanza, e dormiva su di un fianco, sul lato del letto, come se avesse fatto spazio a qualcuno.
In effetti, anche il alto del letto libero era molto caldo, e non credeva affatto che Artù fosse stato in grado di girarsi da solo.
Che cosa significava, allora?
Ma non era quello il momento per fare assurde elucubrazioni!
Il colorito di Artù era molto migliorato, e dalla posizione in cui teneva la gamba, sembrava proprio che la ferita si fosse rimarginata.

L' unica cosa rimastagli da fare, era scostare le coperte per verificare.
Con sua grande sorpresa, aveva scoperto che tutto era stato portato a compimento.
Merlino c' era riuscito!
Aveva salvato Artù!
E aveva lasciato la ferita aperta solo in superficie per non dover giustificare una guarigione altrimenti sospetta!
Era davvero fiero di lui!

"Sire... guardate... la ferita si sta rimarginando... Artù non è più in pericolo di vita".

Uther non riusciva a credere alle parole di Gaius.
Suo figlio stava guarendo.
Artù sarebbe sopravvissuto.
Avrebbe di nuovo potuto abbracciare suo figlio e Camelot avrebbe avuto il suo erede!
Quello era un giorno di festa!
E tutti avrebbero dovuto gioire!

"Gaius! Qualsiasi cosa tu abbia fatto, GRAZIE!
Sarò in debito con te in eterno!
Se c'è qualcosa che posso fare per te, qualunque cosa, non esitare a chiederla!".
Uther era sincero.
Gaius poteva leggerglielo negli occhi.
Forse quella era la giusta occasione per fare qualcosa di veramente buono.

"Veramente, Uther, ci sarebbe qualcosa che potete fare...".
"Parla! Ti ascolto!".
"Vorrei che voi faceste qualcosa per Merlino".

Ma Gaius non sapeva che ormai era troppo tardi.

                                                                                                      *

Camelot era in festa.
Sua altezza reale il principe Artù era guarito e il re aveva indetto un sontuoso banchetto in suo onore.
In paese, invece, aveva fatto metter su delle enormi tavolate imbandite dei cibi più gustosi, e aveva stabilito che nessun calice dovesse rimanere vuoto.

Era incredibile vedere quanto il popolo amasse Artù.
Tutti, indistintamente, si erano recati sotto la finestra delle stanze di Artù per rendergli omaggio.
Il principe non si era ancora destato, ma a loro non importava: erano certi che avrebbe percepito la loro presenza, il loro amore incondizionato.

Merlino osservava la scena da una delle finistre delle stanze di Miraz.
Il ragazzo aveva profonde occhiaie scure sotto al mare blu dei suoi occhi rossi e stanchi.

Il ricordo delle ore passate accanto ad Artù non accennava a svanire.
Era un misto tra gioia e dolore, tra bisogno disperato e voglia di dimenticare.
Ma come poteva farlo?
Sentiva ancora l' odore della pelle di Artù.
L' odore dell' uomo che aveva salvato dalla morte, l' odore dell' uomo che sarebbe diventato il più grande re di Camelot.

Avrebbe tanto voluto partecipare alla gioia del popolo, ma non gli era concesso.
Doveva rimanere accanto al suo signore e padrone, doveva amarlo e seguirlo nel bene e nel male, riverirlo e accontentarlo.
Accontentarlo...
Di nuovo i suoi occhi si stavano riempiendo di lacrime.
Come avrebbe mai potuto esaudire una simile richiesta?

"Merlino! Non gioisci per la "miracolosa" guarigione del giovane Artù?".
Lord Sopespian non aveva smesso di fissarlo da quando era rientrato.
Il compare di quel mostro senza cuore di Miraz si era limitato a guardarlo per tutto il tempo e a sogghignare malefico, come se attendesse quacosa.

E Merlino sapeva benissimo cosa.
Solo che fingere di non capire era più semplice.
Almeno per il momento.

Il re di Telmar non era presente: essendo Artù guarito, aveva ben pensato di precipitarsi da Uther per "esprimere tutta la sua gioia" in compagnia di lord Glozelle.
Mostro... se solo Uther avesse saputo che era stato lui a mettere Artù in pericolo, forse finalmente avrebbe reagito dichiarandogli guerra.
Doveva proprio aspettare una sciagura per risollevarsi?
A volte era davvero un codardo.

Lord Sopespian gli si era avvicinato, sbirciando con finta curiosità fuori dalla finestra.
"Oggi ci sarà il banchetto, e noi parteciperemo... Non è vero, piccolino?" - aveva posato la mano sul collo di Merlino, accarezzandogli il mento con l' indice ruvido.
Merlino era rabbrividito.
Non si sarebbe mai abituato a quei tocchi presi con la forza.

"Sei talmente straordinario... straordinario e bello...".
Non gli piaceva il modo in cui lo stava fissando.
Non gli piaceva il modo in cui lo toccava.
Odiava il modo in cui gli parlava.
Avrebbe voluto piangere e urlare, ma si stava trattendendo.
Lui, Miraz e lord Glozelle avevano avuto abbastanza soddisfazioni per quel giorno.
Era meglio non contribuire ad aumentare il suo ego smisurato.

"E' tardi mio signore... il banchetto sarà tra meno di due veglie e dovete finire di prepararvi...".
Il giovane prigioniero aveva cercato di allontanarsi, ma era stato tutto inutile: Lord Sopespian lo aveva afferrato per le esili braccia, facendolo sbattere con violenza contro la spessa parete di pietra.
L' impatto violento aveva spezzato il fiato a Merlino, e un forte dolore si era impossessato della sua schiena.
Sopespian lo teneva ancorato al muro, stringendogli forte i polsi imprigionati a loro volta dalle pesanti polsiere.

Lo guardava come se fosse un piatto prelibato da divorare.
Possibile che non ne avesse mai abbastanza di torturarlo?

"Sei così bello...".
Si era avvicinato al suo collo, annusandone e fondo l' odore.
Lo aveva percorso in tutta la sua lunghezza, saggiandone l' aroma lieve e unico.
Il mago avrebbe potuto giurare che gli occhi di quel mostro fossero diventati più cupi, come smossi da un desiderio oscuro e osceno.
Gli mancava l' aria.
Lo aveva addosso e non riusciva a mandarlo via.

"Hai paura? Eh, Merlino? Vorresti mandarmi via?
Avanti... sai che puoi farlo...
Sai che puoi mandarmi via con un battito di ciglia...
Usa la magia... Usala e mandami via...".

Gli aveva sussurrato quelle parole all' orecchio.
Aveva sentito il su fiato caldo solleticargli il padiglione auricolare, e le labbra umide posarglisi sopra.
Il panico lo aveva assalito.
Stava per accadere l' irreparabile e non sapeva come evitarlo.
Poteva mettersi ad urlare, ma chi lo avrebbe mai creduto?
Anche se li avessero colti in flagrante, che cosa avrebbero potuto fare?
Lord Sopespian era il braccio destro di un re potente e temuto, e lui era un inutile servitore.
Chi mai avrebbe rischiato la vita per salvare il suo onore?

"La- lasciatemi andare! Lasciatemi! NO!".
E lo aveva fatto: aveva tentato di usare un incantesimo per allontanarlo da se.
Ma non era servito a niente, se non a causargli un dolore atroce.

Le parole di Miraz si erano rivelate veritiere: la magia, la sua più cara amica, lo stava facendo soffrire.
Era come se stesse bruciando dall' interno.
Il suo corpo era scosso da fremiti incontrollabili, sudava freddo, e i polsi... i polsi sanguinavano copiosamente.
Senza rendersene conto, lacrime silenziose aveva iniziato a rigargli le scarne guance.

"Che cos' hai, schiavetto? Stai male??" - lord Sopespian aveva cominciato a stringelo con maggiore forza, attirandolo ancora di più verso il suo corpo.
"Sarai mio... mio e di nessun altro! E non avrai modo di ribellart...AAAAAAAAAHHHHHHHH!".

Ma così non era andata: Merlino si era ribellato nell' unico modo che aveva trovato.
Sopespian si era avvicinato così tanto da permettere a Merlino di dargli un profondo morso sul collo.
Il giovane aveva affondato così tanto i denti da farlo sanguinare, e sembrava non avere intenzione di mollare la solida presa.

"Tu! Lurido cane bastardo! Come hai osato!".
Sopespian era impazzito.
Aveva scaraventato Merlino al suolo e, con una furia inaudita, aveva iniziato a prendere a calci il suo corpo inerme.

"Credo che tu non abbia capito con chi hai a che fare!
Non hai capito che devi fare tutto quello che voglio senza obiettare!
Tu non sei nessuno!
Sei solo il mio piccolo schiavo!
Sei un oggetto di mia proprietà!
E devi fare quello che ti dico!".

Lo aveva sollevato di peso, afferrandolo per le spalle e scuotendolo senza la minima cura.
Merlino si lamentava e piangeva, nonostante non fosse pienamente cosciente.

L' unica cosa che sentiva erano dolore e bruciore... quel bruciore così intenso che gli aveva invaso la mente e lo spirito.

"B- basta... p- per favore... basta...".
Lo aveva appena sussurrato.
Ma quelle parole sembrava non avessero sortito alcun effetto su quell' essere immondo.

"Chi credi di essere per potermi dire di smettere?
Tu non sei nessuno".

"Ma io si!".
Una voce imperiosa e conosciuta aveva fatto irruzione nella stanza, facendo gelare il sangue di Sopespian che, lentamente, aveva lasciato cadere Merlino al suolo.

"Vostra- vostra maestà... io...".

"Calma i tuoi istinti animaleschi, lord Sopespian.
Non sei un lupo allo stato brado".

Miraz, seguito da lord Glozelle, aveva fatto ingresso nella stanza, dirigendosi a grandi passi verso il giovane riverso al suolo.
Si era chinato quanto bastava per prenderlo tra le braccia e sollevarlo, prima di rivolgere a Sopespian il più crudele degli sguardi.

Al nobile si era gelato il sangue nelle vene.

"Sia ben chiara una cosa, Sopespian.
Non amo quando qualcuno tocca le mie cose.
Sopporto ancora meno chi le rompe".

Aveva scandito le parole una ad una, per far si che il suo interlocutore comprendesse.

"Se ti avvicini ancora a lui senza il mio permesso, giuro che ne pagherai le conseguenze".
Sopespian desiderava che si aprisse una voragine sotto i suoi piedi e lo inghiottisse.
"Ora va nelle tue stanze e preparati.
Abbiamo un banchetto tra due veglie, e tutto deve essere perfetto".

Non aveva avuto risposta.

"HAI CAPITO SOPESPIAN?".
"Si. Si mio Re. Vi chiedo perdono" - sudava freddo.

Miraz, continuando a reggere Merlino tra le braccia, lo guardava come se volesse incenerirlo.
"Sparisci dalla mia vista Sopespian. Prima che ti faccia pentire di essere nato".

L' uomo non se l' era fatto ripetere due volte: era sparito dietro la porta veloce come un capriolo.

"Da oggi in poi terrai d' occhio il tuo compare, lord Glozelle.
Non tollererò altri colpi di testa come questo." - aveva detto, mentre aveva adagiato Merlino sul suo letto - " Il ragazzo è troppo prezioso per provocare l' irreparabile".
Lo aveva sistemato sotto le coperte, attento a far si che non provasse troppo dolore ai polsi sanguinanti.

"Come desiderate mio signore".
"Va ora... preparati. Non possiamo rischiare di rovinare tutto ora che siamo così vicini".
"Si, mio re" - ed anche lord Glozelle aveva lasciato le stanze di Miraz.

Una volta rimasti soli, Miraz aveva osservato a lungo il mago in silenzio.
Ogni volta si meravigliava della resistenza e della tenacia di quell' esile ragazzino.

Era davvero una creatura incredibile e straordinaria.
A volte, la Religione Antica giocava davvero degli strani scherzi.
Conferire un simile potere ad una creatura così piccola e fragile.
Una creatura che avrebbe modellato a suo piacimento con il tempo, non come voleva fare Sopespian.
Usare la forza con lui non aveva senso, ormai era chiaro.
Non era un uomo d' armi.
Era un ragazzo intelligente e sensibile con cui si doveva giocare d' astuzia.
Il fatto stesso di averlo dovuto imprigionare con quelle polsiere incantate non gli era andato a genio, ma non aveva avuto scelta.

La sua magia era potente, e si sarebbe di certo ribellato.
Non che non lo stesse facendo, dopotutto, ma almeno così poteva controllarlo.
E, finalmente, avrebbe potuto realizzare i propri piani.

"Non avere timore, Merlino... tutto questo finirà nel momento esatto in cui avrai esaudito il mio desiderio.
E dopo, sarai di nuovo libero".
Un sorriso malvagio aveva attraversato il suo viso.

Come si poteva vivere in libertà sotto il dominio di un tiranno?

"Riposati, piccolo mio... avrai bisogno di forze...".
E, così dicendo, si era diretto verso l' armadio: aveva un banchetto a cui partecipare, dopotutto.

Continua...

____________________________________________________________________________________________________________

Merliniani, salute a voi!
Ecco qui il capitolo 18!
Tengo a precisare che questi sono solo capitoli di passaggio!
Essendo la fretta cattiva compagna di viaggio, preferisco procedere per gradi.
Dopotutto, è nel mio stile lasciarvi col fiato sospeso, no?; )

Sopespian maledetto!
MERLINO NON SI TOCCA!
(Lo so che sono ridicola considerando che l' ho scritto io questo capitolo, ma ciò non toglie che Merlino non si tocca!U.U).
E meno male che non doveva essere una cosa slash!
XD
Chiedo venia!
Per una volta nella sua inutile esistenza, Miraz ha "fatto la cosa giusta" (che paroloni!).
Speriamo che il piccolino si riprenda presto!
Così come l' asino reale!
Bene!
Come al solito ho parlato troppo!
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto, e ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito!
Vi adoro!
Un bacio grandissimo!
A presto!
Cleo

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Capitolo 19
*** So cosa hai fatto... ***


So cosa hai fatto...


Era risaputo in tutti i territori della magnificenza con cui re Uther era solito organizzare i banchetti, e quello fatto per festeggiare la miracolosa guarigione del principe Artù non era stato da meno.
La sala era gremita di nobili e cavalieri in alta uniforme, alcuni comodamente seduti attorno alla ricca tavola imbandita con le più pregiate leccornie, altri al centro della sala, intenti ad eseguire i passi della danza che in quel periodo era più in voga in compagnia di gentil donne.

Lady Morgana era meravigliosa: la dama indossava un lungo abito color porpora, e, per l' occasione, aveva chiesto a Gwen di acconciarle i capelli in un complicato gioco di trecce e riccioli, fermando ogni ciocca con perle e pietre preziose, le stesse che portava al collo e ai polsi.
Un tocco di colore sugli occhi cerulei e sulle labbra carnose la rendeva come sempre la dama più corteggiata e più invidiata di tutto il reame.

Uther era radioso.
Nonostante Artù non si fosse ancora destato dal suo sonno, lo scampato pericolo lo aveva come portato a nuova vita.
Sembrava essersi persino dimenticato del "problema Miraz".

Una sola cosa non aveva dimenticato: la richiesta dell' uomo che aveva salvato suo figlio da morte certa.
Gaius aveva ragione, dopotutto.
Merlino era un bravo servitore, fedele e leale, nonostante fosse un po' idiota, e non meritava di subire ancora a lungo una simile punizione.
Era normale che il cerusico soffrisse per la sua assenza: era il figlio che non aveva mai avuto.

E non poteva biasimare neache suo figlio.
Nonostante non tollerasse l' attaccamento che Artù aveva nei confronti di quel ragazzo, doveva ammettere che Merlino era per lui un porto sicuro a cui approdare, la fune a cui aggrapparsi nel momento del bisogno.
Per di più, cominciava a nutrire il timore che il servetto avesse subito crudeli angherie e indicibili torture da parte di Miraz e dei suoi due compari.
Non gli piaceva il modo in cui lo guardavano, e il ragazzo non faceva altro che tremare come una foglia da quando era al loro servizio.
Non che iniziasse ad importargli della servitù, sia ben chiaro!
Erano solo contadinotti e popolani di bassissimo rango, persone dall' esistenza insignificante, che non avrebbe mai avuto peso nella storia, dopotutto.

Ma Uther era un uomo di parola, e Gaius era un amico, per questo, durante il banchetto, avrebbe parlato con Miraz.
Non sapeva ancora come avrebbe posto la questione al pericoloso sovrano, ma era quasi certo di usare come scusante le precarie condizioni di salute di Artù.
"Il principe è molto provato... ha bisogno dell' aiuto di persone fidate... chi meglio del suo servitore personale potrebbe alleviare le sue sofferenze?".
Si... poteva funzionare...
Almeno lo sperava.

"Uther, oggi è un giorno radioso per Camelot!" - Morgana, splendente come una stella, si era avvicinata al suo tutore, prendendo posto accanto a lui, levando il calice al cielo - "Facciamo un brindisi in onore di Artù!".
"Mia adorata figliastra, non potevi trovare parole più adatte!" - e anch' egli aveva levato il calice - "Che tutti i giorni siano radiosi come oggi! Che il sole splenda sempre alto nei cieli di Camelot! Artù è il nostro sole! VIVA IL PRINCIPE ARTU'!".
"EVVIVA IL PRINCIPE ARTU'!".
Mille voci diverse si erano unite in un solo canto per celebrare il futuro re di Camelot.
Il re era certo che il regno avrebbe dovuto aspettare il matrimonio di Artù per provare nuovamente una simile emozione comune, un simile raccoglimento.

"Morgana, mia adorata, non so cosa avrei fatto senza di te! Sei una perla rara. Sono felice di averti sotto la mia custodia.
Sei come una figlia per me!
Se Artù non fosse sopravvissuto, mi saresti rimasta solo tu...".
Gli occhi del burbero sovrano erano velati di lacrime.
La giovane dama era rimasta spiazzata dalla confessione di Uther.
Sapeva di essere la sua prediletta, la sua pupilla, ma mai il re le aveva confessato così apertamente tutto il bene e la stima che aveva nei suoi confronti.
Improvvisamente, la ragazza si era sentita in colpa per tutti i piccoli dispetti che aveva fatto subire al suo tutore.
Il suo animo ribelle a volte le faceva compiere spesso scelte errate, ma si era ripromessa che, da quel momento in poi, sarebbe stata più pacata e lungimirante.
Per se stessa, per Uther, per Artù, e per il bene di tutta Camelot.

"Vi prometto, Uther Pendragon, che qualunque cosa accada, rimarrò sempre fedele a voi e a Camelot".
C' era determinazione nei suoi occhi.
Bruciava come il fuoco.
Il re, allora, non curandosi dell' etichetta e di chi aveva attorno, si era girato verso la fanciulla e l' aveva stretta tra le sue possenti braccia.
Se la stirpe di sangue non avesse parlato chiaro, nessuno avrebbe mai detto che quello non fosse un tenero abbraccio tra padre e figlia.

I momenti idilliaci, però, non sono soliti durare a lungo.
L' ampio portone di legno si era spalancato per permettere l' ingresso dell' ospite d' onore.
Re Miraz, stranamente non accompagnato dai due soliti segugi, camminava a testa alta, consapevole della propria posizione.
Ogni passo suonava come un avvertimento ai presenti: "Io sono Miraz, e posso schiacciarvi quando più mi aggrada".

Uther non si sentiva più tanto sicuro delle proprie intenzioni.
Sapeva perfettamente che tutti gli stavano dando del codardo, che il drago dorato dei Pendragon ruggiva furioso per il disonore, ma cosa poteva fare?
Camelot era invasa dai soldati del suo ospite, e il proprio esercito contava meno di un quarto degli uomini di Miraz.
Era meglio lottare e condannare tutti a morte certa o peggio ancora a schiavitù, o starsene buoni e aspettare la sua prossima mossa?
Non sempre la miglior difesa era l' attacco.

"Uther caro! Ti vedo radioso! Come non esserlo, dopotutto!".
Miraz si era avvicinato alla tavola reale.
Il suo ricco completo nero lo rendeva minaccioso e affascinante allo stesso tempo.
"Lady Morgana... siete un sogno" - sorridendo, aveva afferrato l' esile mano della fanciulla, posandovi sopra un casto bacio in segno di saluto.
La dama, sopresa da tanta gentilezza (Cos' era accaduto? Uno strano morbo aveva reso tutti i sovrani più buoni e gentili?), aveva risposto con un cenno del capo.
"Grazie mio re... voi mi lusingate".

Senza fare ulteriori preamboli, il sovrano si era lasciato cadere sullo scranno accanto a quello di Uther, dandogli delle sonore pacche sulle spalle.

"Ah! Sono così contento che Artù sia guarito! Trovo che ci sia qualcosa di miracoloso in tutto questo, non trovate?".
"Le cose belle accadono, mio re".
Morgana non era riuscita a trattenersi.
Non gli piaceva quell' uomo, e gli piaceva ancora meno il tono con cui aveva pronunciato quelle parole.
"Lady Morgana ha ragione, Miraz. Le cose belle accadono. E questa, è di gran lunga la migliore che potesse capitare a Camelot!".
Miraz aveva bevuto un lungo sorso di liquido scarlatto dal calice riempitogli da Gwen.

"Merlino non è con voi, quest' oggi?".
Era inutile tergiversare... meglio affrontare il discorso subito.
"Mmm... Il mio giovane schiavo sta riposando, mio caro Uther..." - lo guardava dritto negli occhi, con una malizia tale da far quasi ribrezzo - "E' un servitore talmente valido, talmente fidato... credo che potrei affidargli la mia stessa vita".
Quel commento lo aveva lasciato perplesso.
"Si trova nelle stanze adiacenti le vostre, mio caro ospite?".
"Uther! Quante domande! Sembra quasi che tu stia cercando di dirmi qualcosa per vie traverse!".
Un sussulto aveva scosso il re.
Possibile che a quell' uomo non sfuggisse proprio niente?
"No... cosa dici... io, te lo chiedevo perché Gaius voleva fare visita al suo protetto... sai com' è, in quanto suo tutore, deve accertarsi che lui stia bene".
"Oh, è vero... Gaius è il suo tutore..." - aveva finto di averlo dimenticato - "Sta tranquillo Uther. Puoi dirgli che il suo pupillo è in ottime mani".
Quell' ultima affermazione aveva fatto rabbrividire lady Morgana, che non si era persa una virgola del loro discorso.
"Merlino sta dormendo placidamente nel mio letto".

Sta volta era stata Gwen ad aver rischiato di rovesciare la caraffa colma di vino sulla tovaglia di lino bianco.
Lady Morgana si era portata entrambe le mani alla bocca, incapace di trattenere il proprio disgusto.
Uther...
Uther non aveva fatto altro che spostare lo sguardo dal suo ospite a quello di Gaius, che, speranzoso, se ne stava seduto in fondo alla sala, attendendo dal proprio re una qualsiasi risposta.
Come avrebbe mai potuto spiegare al suo anziano amico che il proprio pupillo era vittima delle crudeltà di un mostro dal cuore nero come la notte?

"Ti vedo sconvolto, amico mio... qualcosa ti turba?".
Immagini del ragazzo ferito e sanguinante stavano attraversando veloci la mente del sovrano.
Quel ragazzo aveva salvato la vita di suo figlio tante volte...
Aveva la stessa età di Artù...
Come si poteva arrivare a tanto?

Improvvisamente, il sovrano proveniente da Telmar era scoppiato in una sonora risata.
"Aahahah! Ve l' ho fatta ancora, miei cari signori!".
I presenti stentavano a capire.
"Suvvia Uther, non penserete davvero che io possa dedicare attenzioni simili ad un comune schiavetto?
Per carità, Merlino è talmente delicato e bello che un occhio inesperto potrebbe scambiarlo per una fanciulla, ma non è il mio caso.
E poi, ha già chi si prende cura di lui in quel senso, vostra maestà!".
Quest' ultima affermazione Uther davvero non l' aveva capita.
Morgana e Gwen, sempre più rosse in viso, avevano cercato di nascondersi come meglio potevano.
Non volevano ascoltare un' altra sola parola sconcia uscire dalle labbra di quell' uomo orribile!

"Per un attimo avevo temuto che...".
"Potete stare tranquillo Uther... Merlino è in buone mani, ve lo ripeto!".

Il sovrano di Camelot aveva rivolto un radioso sorriso a Gaius: almeno sapevano che Merlino stava bene.
Doveva ancora capire perché uno come Miraz gli avesse concesso di dormire nel proprio letto, ma quella era una cosa che poteva aspettare.

Accortosi di ciò che stava facendo Uther, Miraz gli si era avvicinato maggiomente, sussurando quasi al suo regale orecchio.
"Voi, invece, tenete molto a Gaius, non è vero, Uther?".
Miraz continuava a ripetere il suo nome come una cantilena.
Non lo sopportava!
Ma era meglio mantenere la calma.
"Gaius è un ottimo amico.
E' una persona fidata.
Un uomo saggio a cui chiedere consiglio.
E, come voi fareste con Merlino, io affiderei a lui la mia vita, quella di Morgana, e quella di Artù, come ho fatto, in effetti".

Gaius era davvero un brav' uomo.
Si sarebbe meritato un po' più spesso degli elogi.
Avrebbe dovuto donargli qualche nuovo strumento chirurgico, o uno studio più grande in segno di gratitudine, in effetti.
Presto avrebbe provveduto.

"E, ditemi un po', Uther, Gaius è stato l' ultimo a rimanere nelle stanze di Artù?".
"Si...".
"E sta mattina, quando vi siete recato da vostro figlio, lui è arrivato in contemporanea con voi, tutto trafelato, non è così?".
"Si...".
"E vi ha detto che era andato a prendere un unguento, vero?".
Ma dove voleva arrivare?
"Certamente! Lo stesso unguento che ha guarito Artù dall' infezione!".

Miraz si era lasciato cadere sullo schienale, posando i gomiti sui braccioli e accavallando le gambe.
Le mani giunte che si piegavano in una sorta di ipnotica fisarmonica.

"E voi avete visto l' unguento, vostra maestà?".
Un sorriso diabolico era dipinto sulle sue labbra.

"Dove vuoi arrivare Miraz?".
Si stava scaldando.
"Uther, possibile che tu non abbia capito?".
Il sovrano lo guardava con ansia.
"Vediamo se dandoti un piccolo indizio tutto possa diventare più chiaro..." - Miraz si era chinato in avanti, fissandolo dritto negli occhi - "Sbaglio, o Gaius, un tempo, praticava la magia?".

Una scossa di puro terrore aveva attraversato il corpo di Uther.
Come faceva a saperlo?

"Miraz... si tratta di una cosa accaduta tanti anni fa. Gaius...".
"Gaius non ha usato l' unguento per guarire Artù, ha usato la magia!".
"Non puoi provarlo!".
"Oh, è qui che ti sbagli, amico mio! GUARDIE!".

Due energumeni in armatura spuntati dal nulla avevano afferrato il povero Gaius per le vecchie e stanche braccia, trascinandolo di peso davanti al tavolo dove erano seduti.
"Che cosa volete! Lasciatemi andare!".
Il cerusico si lamentava e cercava di sottrarsi da quella morsa infernale, ma era solo un povero anziano, e quelle che lo stringevano era braccia possenti.
Non aveva possibilità di scampo.

"Miraz, ma cosa sta succedendo? Ordina ai tuoi uomini di lasciare Gaius immediatamente!".
Uther, senza rendersi minimamente conto di quello che aveva detto, era balzato in piedi, furioso, sbattendo con violenza un pugno sulla tavola.

Lady Morgana non riusciva a credere ai suoi occhi.
Finalemente, Uther Pendragon era tornato in sè.

"Quanto furore, Uther! E tutto questo a causa di uno stregone!" - Miraz non si era scomposto minimamente.
"Non puoi accusare un uomo innocente in questo modo! E' immorale!".
Si era sentito in colpa per quello che aveva detto: lui stesso aveva fatto uccidere innocenti, anche bambini.
Ma sta volta era diverso!
Sta volta si trattava di Gaius!

"Se non credi alle tue orecchie, allora crederai a ciò che vedranno i tuoi occhi".
Proprio in quell' istante, lord Glozelle e lord Sopespian avevano fatto il loro ingresso nella sala.
Lord Sopespian reggeva in mano un fagotto di vecchi stracci marroni, mentre avanzava crudele e risoluto.

Gaius era sbiancato, incapace di dire o fare altro.

"Questo, vostra maestà, è quello che cercavate!".
Lord Sopespian aveva aperto il fagotto, estraendone un vecchio e pesante libro dalla copertina logora.

"Non... non è possibile..." - Uther si era sentito venire meno.

"Il grimorio è la prova della colpevolezza di quest' uomo!
Il vostro medico di corte pratica la magia, e per questo deve essere arrestato e condannato a morte!".

Gaius non credeva ai propri occhi.
Come aveva fatto quel mostro a trovare il libro di magia che, per di più, era nascosto in camera di Merlino?
Sperduto, ormai consapevole dell' atroce destino che lo attendeva, aveva rivolto un utlimo sguardo ad Uther, sperando che potesse leggervi la propria innocenza.

"Credetemi sire... non sono stato io".

Ma ormai era troppo tardi.
L' ultima cosa che avrebbe ricordato di quel giorno glorioso, era la voce di Uther che ordinava alle guardie di scortarlo nelle prigioni.
Mai e poi mai avrebbe creduto di finire i propri giorni in quel modo.

Continua...

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"Sono in ritardo!In arciritardissimo!!!"[cit. "Alice nel paese delle meraviglie"].
SCUSATEEEEEEEEEEEEEE!!
E' che sono al mare e trovare il tempo per la ff è un' impresa!!
Scappo!!
Spero che il capitolo vi sia piaciuto!!
POVERO GAIUS!!
Il viscidone colpisce ancora!!!=(=(=(
A presto merliniani miei!!
E grazie di cuore!!!
<3
Cleo







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Capitolo 20
*** Teardrop... ***


Teardrop...


Credeva di aver visto ogni cosa nella sua lunga e frenetica vita.
Credeva di aver curato ogni genere di malattia, di aver letto ogni genere di incantesimo, di aver conosciuto ogni genere di creatura.
Di aver mangiato ogni tipo di pietanza, di aver sentito ogni storia, dalla più affascinante alla più assurda, di aver incontrato ogni genere di persona.

Era certo di aver avuto un figlio, anche se non era sangue del suo sangue, ed era certo di aver avuto un amico.
E non un amico qualunque, ma un re.
Il re di Camelot.
Sua maestà Uther Pendragon.

Ma, a quanto pare, il vecchio cerusico era vissuto a lungo in una convinzione errata.
Perché un amico non ti da del colpevole facendoti arrestare come il più volgare dei ladri davati all' intera corte, non curandosi delle tue suppliche di innocenza.
Un amico non lascia che il primo arrivato ti accusi di stregoneria.
Non lascia che le guardie ti trascinino per la sala facendo si che le tue stanche membra si scontrino contro il freddo pavimento di pietra.
Un amico non lascia che le stesse guardie ti incatenino i polsi e ti gettino nelle segrete.
Un amico non ti lascia marcire in una fredda e lurida cella in attesa di una terribile sentenza di morte.

Il vecchio Gaius non riusciva a credere a quello che gli era capitato.
Come aveva fatto Miraz a trovare il libro?
E soprattutto, possibile che fosse talmente sagace da aver intuito che la guarigione di Artù era opera della magia?

Merlino aveva nascosto bene il libro...
Le assi che ricoprivano il nascondiglio sotto il suo letto erano perfettamente allineate, era impossibile notare la presenza della piccola botola.
Solo chi sapeva dove cercare avrebbe potuto trovare il libro.

Questo cosa significava?
Che aveva spiato Merlino durante il primo periodo della sua permanenza a Camelot?
O, peggio ancora, era stato lo stesso Merlino a rivelargli il nascondiglio?
Forse lo aveva torturato, costringendolo a parlare!
Quell' essere infernale era capace di qualunque cosa.

Il pensiero del suo protetto tra le grinfie di quel mostro lo stava tormentando.
Ma il suo Merlino non l' avrebbe mai fatto.
Il ragazzo che aveva accolto come un figlio era troppo leale e coraggioso per poter cedere.
Agli occhi degli altri poteva sembrare solo uno sciocco servetto pasticcione e codardo, ma chi conosceva davvero Merlino conosceva anche il suo valore, la sua lealtà.
Era il ragazzo che ogni genitore avrebbe desiderato, l' amico che ognuno avrebbe voluto avere.
No, non era stato Merlino a parlare.
Ne era certo.
Doveva esserci qualcos' altro sotto.
Solo che, molto probabilmente, non lo avrebbe mai saputo, perché il giorno della sua morte sarebbe arrivato prima.

Sperava solo che, qualunque cosa fosse accaduta, Merlino stesse bene, e non cedesse alle prepotenze di quell' essere abominevole.
Perché era certo che Miraz volesse qualcosa da Camelot.
Solo che non riusciva ancora a capire di cosa si trattasse.

                                                                                                         *

"Davvero non riesco a credere che abbiate permesso una cosa simile!".
Lady Morgana, rossa in viso per la rabbia, gli occhi iniettati di sangue, inveiva contro il suo patrigno da diversi minuti, ormai.
Non riusciva ad accettare quello che Uther aveva fatto a Gaius.
Si, Uther!
La colpa era solo ed esclusivamente sua se il suo unico amico si trovava nelle segrete, accusato di stregoneria.
Gaius???
Il loro Gaius???
L' uomo più buono e saggio del mondo a loro conosciuto era uno stregone??
E anche se fosse stato non capiva quale fosse il problema!
Aveva salvato Artù!
Era più che evidente che non volesse fare del male a nessuno, men che meno a lui!

Possibile che l' odio di Uther verso la magia lo avesse fatto diventare cieco al punto di vedere il marcio in chi gli era stato sempre accanto?
E se Artù, o lei stessa, fossero stati delle creature magiche che cosa avrebbe fatto?
Avrebbe condannato al rogo anche loro?
Li avrebbe uccisi come le centinaia di persone che avevano pagato con la loro vita il prezzo di un dono che non avevano chiesto di ricevere?
Davvero non riusciva a non pensarci!

"Morgana, ti prego, cerca di stare calma".
Il tono di voce di Uther sembrava quello di un felino a cui era stata pestata la coda.
"Stare calma? Stare calma? Spero davvero che tu stia scherzando! E' di Gaius che si tratta!".
"Lo so Morgana!".
"Lo spero bene! Perché sembra davvero che tu non te ne renda conto!".
Le utlime parole di Morgana sembravano aver toccato profondamente il borioso re.

Come poteva pensare che non se ne rendesse conto?
Ma cosa poteva fare?
Miraz l' aveva scoperto e incastrato, e tutti sapevano quanto pericoloso e quanto spietato fosse nei confronti della magia.
Fosse stato per lui, avrebbe lasciato correre.
Sapeva che Gaius in gioventù praticava la magia, e, sinceramente, non gli importava di venire a conoscenza del metodo con cui aveva guarito suo figlio.
Artù era salvo.
Solo quello contava.

Ma allora, perché Miraz aveva fatto perquisire la sua casa?
Che cosa voleva da loro?
Accusarli di praticare la magia, di difenderla, e potergli così dichiarare guerra e impossessarsi di Camelot?
Sapeva perfettamente che il proprio esercito non era abbastanza potente per sconfiggere il nemico.
Avrebbero lottato fino all' ultimo e sarebbero morti da eroi, ma questo non sarebbe stato abbastanza per difendere il proprio popolo.
Miraz aveva già iniziato la sua guerra.
Gaius era solo un pretesto.
Si... Doveva essere per forza in quel modo.
Quell' essere subdolo e diabolico li stava mettendo in trappola, e loro stavano abboccando come delle affamate trote.

Si sentiva stupido e inetto.
Possibile che la sua pupilla non se ne rendesse conto?

Così, Uther Pendragon aveva gettato la sua maschera da uomo di marmo, lasciando che tutto il suo dolore e le sue preoccupazioni sgorgassero insieme alle sue lacrime.
Non gli importava che Morgana lo considerasse un debole.
Aveva bisogno di sfogarsi, e niente gliel' avrebbe impedito.

La giovane dama non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe stata testimone di una simile scena.
Uther stava singhiozzando davanti ai suoi occhi, incurante del proprio rango, della propria posizione.
Le sue spalle erano scosse da fremiti incontrollabili, e le sue guance erano rigate da calde lacrime salate.

D' un tratto, lady Morgana si era pentita di essere stata talmente dura con lui.
Un po' impacciata, si era avvicinata al proprio tutore, posandogli una mano delicata sulla spalla.

"Uther, io...".
"Tu hai ragione, mia adorata Morgana... Ma io non so cosa fare. Non so come fermare quel mostro.
Non so come aiutare Gaius, come salvarlo dalla morte.
Miraz è subdolo, astuto...
Se ha fatto questo a Gaius, cosa potrebbe fare a Camelot?
Cosa potrebbe fare a te, ad Artù?".

Gli occhi della giovane avevano cominciato a riempirsi di lacrime.
Finalmente, riusciva a comprendere le paure di Uther.
Ma questo, era sufficiente per lasciar morire un amico?
Non riusciva davvero ad accettarlo.

"Uther, non so come, ma ti prometto che riusciremo a salvare Gaius, e Camelot".
Il sovrano, quasi sorpreso dalle parole della ragazza, aveva sgranato improvvisamente gli occhi, girando il capo verso di lei, fino ad incontrare i suoi occhi fieri.
"Riusciremo a salvarlo. Fosse l' ultima cosa che faremo in vita nostra".

La ragazza non sapeva che qualcuno nascosto nell' ombra la stava ascoltando.


Continua...

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Lo so, lo so: sono in ritardo.
Chiedo venia, è che sono tornata dal mare da poco, e scrivere durante la villeggiatura non era fattibile.
Bè, capitolo di passaggio...
Sempre intriso di saggezza e malinconia...
Adoro Morgana.
L' ho sempre adorata...
Mi spiace che sia diventata una "strega" nel vero senso della parola, nell' ultima serie.
Uther-gattino colpisce ancora.
Magari si è reso conto di quello che ha fatto a Gaius e a Camelot!
Il suo odio ha portato solo morte e distruzione.
Toccherà anche alla corte di Camelot?
Spero di svelare di più nei prossimi capitoli...
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito.
VI ADORO!
Al prossimo capitolo allora!
Un enorme bacio...
Cleo

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Capitolo 21
*** Un aiuto inaspettato ***



Un aiuto inaspettato


Merlino aveva da poco aperto gli occhi, faticando ad abituarsi alle penombra che regnava nella stanza.
Per un attimo non aveva avuto memoria di quello che gli era accaduto, e trovasi nel letto di Miraz lo aveva fatto tremare di paura.
Ma poi, l' eco di un sopito dolore che gli attanagliava i polsi aveva rimesso ogni cosa al suo posto.
Ricordava quello che voleva fargli quel mostro di lord Sopespian, e di come Miraz fosse arrivato al momento giusto, per una volta.
Quasi non riusciva a credere di essere stato "salvato" da quell' individuo.
Sperva solo di non aver mai più niente a che fare con lord Sopespian, o, almeno, di non dover mai più rimanere da solo con lui.
La sola idea gli faceva venire i brividi.

D' un tratto, guardandosi attorno e meravigliandosi di essere solo, si era reso conto di non aver ricevuto notizie su Artù.
Sapeva perfettamente di averlo guarito, ma non aveva idea se il principe di Camelot si fosse destato dal proprio sonno o meno.
Il pensiero degli occhi gioiosi di Artù che scrutavano attenti l' orizzonte gli avevano donato nuova speranza.

Lentamente, era sceso da quell' enorme letto.
Sapeva di non poter lasciare le stanze senza permesso, e che Miraz sarebbe potuto arrivare da un momento all' altro e punirlo.
Per questo, aveva socchiuso la porta quanto bastava per poter essere visto da qualcuno che passava in corridoio.
Il castello era pieno di servitori che lo percorrevano in lungo e in largo a qualsiasi ora del giorno e anche della notte.
Magari era talmente fortunato da riuscire a scorgere proprio Gwen!

Le sue speranze, però, erano state vane.
Era trascorsa più di mezz' ora e nessuno si era fatto vivo.
Neppure Miraz.
Ma dove erano finiti tutti?
Il desiderio di uscire da quelle stanze si stava facendo largo in lui.

Voleva vedere Artù, voleva vedere Gaius, voleva vedere Gwen e lady Morgana.
Voleva vedere Eldor, voleva vedere sua madre.
Voleva tornare ad essere libero, ma sapeva che questo era impossibile.
Almeno finchè era sotto le grinfie di Miraz.
E le polsiere che lo incatenavano ne erano la prova più evidente.

Dei quanto le odiava!
Proprio come odiava Miraz!
Come si poteva essere talmente spietati da privare della libertà i propri simili?
Sottometterli, umiliarli fino a farli cedere, piegandoli inesorabilmente alla propria volontà?
E, soprattutto, non riusciva a credere di essere una delle sue vittime.

Era davvero assurdo.
Ripensava al primo periodo trascorso al servizio di Artù.
Quando il borioso asino erede al trono era più borioso e più asino di ora.
Non riusciva a smettere di sorridere nel ripensare a tutti i piccoli dispetti, a tutte le mansioni impossibili che gli affidava continuamente, dandogli dell' idiota e dell' incompetente.
Mettendolo a confronto con tutto ciò che gli stava facendo subire Miraz si trovava a rimpiangerlo.
Chi mai glielo avrebbe dovuto dire che un giorno avrebbe desiderato lustrare gli stivali di tutti i cavalieri di Camelot?

D' improvviso, un eco lontano di passi aveva attirato la sua attenzione.
Qualcuno si stava avvicinando.
Forse era la sua amica Gwen!

Con il cuore in gola, il giovane mago si era avvicinato maggiormente all' uscio.
Il corridoio era in penombra, e non gli permetteva di distinguere chiaramente la figura, ma, a giudicare dal suono lieve dei passi, doveva per forza trattarsi di una fanciulla.
E, infatti, non si era sbagliato.
Solo che non si trattava della cara amica tanto attesa.
Era ben altra figura quella che si presentava davanti ai suoi occhi.
La figura di una splendida dama dalla chioma rossa come il fuoco.

"Clara...".
Merlino aveva quasi tremato nel vederla.
Aveva appena sussurrato il suo nome.
La ragazza che lo aveva condannato a quella prigionia si stava avvicinando, guardandolo dritto negli occhi.

"Ciao, Merlino".
La sua voce era morbida e delicata, proprio come la ricordava il giovane mago.
Il suo viso era stanco e provato.
Merlino non aveva potuto fare a meno di notare che le sue candide mani erano piene di tagli e calli.
Soprattutto, aveva perso peso: l' abito che indossava le stava larghissimo in vita.
Cosa le era capitato?
Quasi si era sorpreso nel rendersi conto che continuava a preoccuparsi per lei dopo quello che gli aveva fatto.
Nonostante tutto, rimaneva sempre Merlino: che poteva farci?

"Che cosa vuoi da me?".

Il giovane mago non si era accorto di aver indietreggiato davanti all' avanzare della ragazza, che, senza esitazione, era entrata nella stanza, chiudendo la porta alle sue spalle.
Ora che ci pensava, era molto tempo che non la vedeva in giro, a palazzo.
Non che lui avesse avuto molto tempo libero per rendersi conto di chi andava e veniva, doveva ammetterlo.

Clara non aveva risposto, e aveva continuato a guardarsi attorno come se si aspettasse che da un momento all' altro da un vaso di fiori potesse spuntare un mostro.

Improvvisamente, aveva arrestato il suo sguardo, incatenando i suoi profondi occhi a quelli blu mare di Merlino.
Un brivido aveva percorso la schiena del ragazzo.
Vi aveva potuto leggere dentro terrore, disperazione e determinazione allo stesso tempo.
Quella ragazza era un mistero.
Sarebbe prima o poi stato svelato?

"Gaius è stato arrestato".
Merlino credeva di aver capito male.
"Come, scusa?".
"Che ti prende? Sei diventato sordo?" - aveva detto, sbuffando sonoramente - "Gaius è stato arrestato".
Merlino credeva di morire di infarto.
"Ma... ma  come? Quando? Perché?".
Senza rendersene conto, aveva alzato pericolosamente il tono della voce.

"Mai sei impazzito? Vuoi che ci sentano tutti?".
Clara si era sporta quanto bastava per tappargli la bocca con le mani, ma Merlino, prontamente, si era spostato: non voleva che le i lo toccasse.

"Scusami" - aveva detto, alzando entrambe le mani in segno di resa.
Merlino la guardava sospettoso.
Non avrebbe voluto reagire in quel modo, ma era stato un riflesso involontario.
Dopotutto, era stata lei ad incastrarlo.

"Perché dovrei crederti?".

Lei si era morsa il labbro inferiore, facendo spuntare leggermente gli incisivi bianchissimi.

"Lo so che mi odi. Lo so che vorresti incenerirmi con uno dei tuoi incantesimi.
Ma, credimi, ho avuto le mie buone ragioni per fare quello che ho fatto".

"Per fare quello che MI hai fatto, vorrai dire".
Merlino, quasi con le lacrime agli occhi, aveva sollevato entrambe le braccia, mostrandole le polsiere che lo rendevano prigioniero.
"Riesci a capire che cosa mi hai fatto?".

Dal modo in cui le osservava, sembrava quasi che le conoscesse bene, molto bene.

"Rispondimi!".
"Non ti chiederò scusa se è quello che stai cercando di farmi dire".
Il tono freddo della giovane donna aveva irritato ancora di più i nervi del provatissimo Merlino.
"Tu.. tu...".
"Io sono venuta per informarti che il tuo mentore sta per essere giustiziato per stregoneria, ma, a quanto vedo, la cosa non ti interessa.
Buona giornata, Merlino".
Stava per uscire dalla stanza quando il giovane l' aveva afferrata per un braccio.

"Aspetta!".
Si era girata di scatto, facendo fluttuare i suoi splendidi capelli nell' aria.
"Hai cambiato idea?".
"Voglio sapere cosa è accaduto a Gaius".
"Prima lasciami andare".
E, lentamente, Merlino aveva allentato la presa mantenuta sul suo braccio.

Con voce ferma, la ragazza aveva raccontato al giovane mago quello che era accaduto poche ore prima nella sala del trono.
Merlino aveva ascoltato ogni cosa in silenzio, incapace di replicare.
Perché coinvolgere Gaius?
Come si poteva arrivare a tanto?

"E questo è quanto. Non è stata ancora emessa una sentenza definitiva, ma conoscendo Uther e Miraz, non ci vorrà molto prima che Gaius muoia bruciato sul rogo".
Sembrava quasi che non riuscisse ad accettare la sorte destinata al vecchio cerusico.

"Perché sei venuta a raccontarmelo?".
Merlino le aveva fatto quella domanda a bruciapelo.

"Perché nessun altro dovrà più morire per causa loro".
Lo aveva guardato con uno strano ardore negli occhi.
Quella frase nascondeva molto più di quello che aveva lasciato intendere.

"Non so che cosa fare. Non posso uscire da qui".
Merlino era stato lapidario.
Sacrificare Gaius, o sacrificare tutti?
Oh Dei! Voleva sparire!
Come poteva solo pensare di fare un simile ragionamento?

"Tu forse non sai cosa fare, ma qualcun altro si".
"Che cosa vuoi dire?" - non riusciva a seguire il suo discorso.
"Dimmi come arrivare dal drago. Solo così potremo aiutare Gaius".
Merlino guardava la ragazza a bocca aperta: era davvero un tipo pieno di sorprese.

Continua...
____________________________________________________________________________________________________________

Salute a voi Merliniani!
Come vanno le cose?
Molti di voi saranno tornati a scuola (credo), altri staranno combattendo come me contro la poca voglia di studiare.
(Io sto perdendo inesorabilmente. Spero che a voi stia andando meglio!).
Bene bene...
La nostra Clara ha fatto la sua ricomparsa...
Le sue intenzioni sono nobili o è tutta una trappola per far del male al povero Merlino e carpire profondi segreti dal possente drago?
Solo il futuro potrà darci delle risposte! U.U
Volevo ringraziare tutti coloro che hanno letto e recensito!!
Solo che, con mio grande rammarico, ho notato che alcuni dei miei lettori mi hanno abbandonata...
Che fine ha fatto Draco Potter? E la mia Niniel?
Bè, so che uno scrittore deve sempre tener conto che la sua storia dopo un po'possa stancare, però è spiacevole non sentire più le opinioni di chi ha letto e recensito dall' inizio...
Spero che torniate presto!
Ringrazio elfyn, _Sahara_, masrmg_5 e la mia carissima sis LiebeLiebeLiebe che ha letto e recensito tutti i capitoli in tempo da record!!
VI ADORO!
Siete fantastici!
Bene, ho ciarlato troppo come al solito!
Chiedo scusaaaaaaaa!!!
Ci "vediamo" al prossimo capitolo allora!
Un bacio grande!
Cleo

Ps: Se qualcuno fosse interessato, sto scrivendo anche una fanfiction su Supernatural: "Lo straniero che venne dal cielo''. ;)
GRAZIE ANCORA!
Ciao!=)




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Capitolo 22
*** Decisioni ***


Decisioni


Non accadeva tutti i giorni che i sotterranei venissero percorsi dal passo leggero di una dama fasciata di seta e perle.
Le prigioni erano tetre e maleodoranti, umide e buie.
Non erano iL luogo ideale per una gentile signora.
Ma lady Morgana non era il tipo che si lasciava scoraggiare facilmente.

La giovane castellana si muoveva tra quelle fredde mura con passo felpato, lasciando che il suo meraviglioso abito verde fluttuasse leggero.
Parlare con Uther era servito solo a farlo sfogare un po'.
Purtroppo non erano arrivati a nessuna conclusiore riguardante la sorte dell' anziano cerusico.

Il suo patrigno aveva troppa paura di Miraz, era più che evidente, ormai.
Riusciva a comprendere le sue ragioni, ma solo in parte.
Gaius era un uomo leale, un uomo buono.
Non era giusto sacrificarne l' esistenza perché vinti dalla paura.
Per questo, avrebbe cercato in ogni modo di fare qualcosa per lui, anche se questo significava sfidare Uther.
Anche se questo significava sfidare Miraz.

Dopo aver superato una cella dietro l' altra, la giovane donna si era fermata davanti a quella in cui era richiuso il medico di corte.
Nel vederlo, aveva avuto una stretta al cuore.

L' anziano uomo era accovacciato su di un vecchio covone di paglia, e nascondeva il capo tra le mani.
La sua veste era strappata in più punti, e non aveva toccato lo scarso cibo che gli era stato portato.

Come si poteva riservare quel trattamento ad un amico, e trattare un nemico come se fosse un amico?

Con voce ferma e decisa, lady Morgana aveva ordinato ad una delle guardie di aprire il cancello.
"Portate una coperta e dell' acqua fresca. E' la figliastra del re che ve lo ordina!".
La guardia aveva eseguito immediatamente l' ordine, aprendo la porta della cella, e sparendo subito dopo per recuperare ciò che la sua padrona aveva chiesto.

Nel sentire la voce di Morgana, Gaius si era tirato su a sedere.
Era una gioia vedere un volto amico, e, per un attimo, il suo cuore si era riempito di speranza.
"Morgana...".
"Gaius..." - in lacrime, la ragazza si era gettata ai suoi piedi, cingendogli le ginocchia con le braccia.
L' anziano cerusico, sorpreso dalla reazione della pupilla del re, inizialmente non aveva saputo come reagire.
Ma poi, guidato dall' istinto e dall' affetto che nutriva per Morgana, aveva cominciato ad accarezzarle dolcemente i capelli, cercando di placare i suoi singhiozzi.
"Su lady Morgana... coraggio... non dovete fare così...".
"Mi... mi dispiace Gaius... non doveva andare in questo modo... Non doveva!".
Stringeva tra le mani la stoffa della veste di Gaius mentre parlava.
La schiena percorsa da fremiti, le guance rigate dalle lacrime.

"Non è colpa vostra... su... alzatevi... asciugate queste lacrime...".
Gaius era riuscito a farle sollevare il capo, tergendole lo splendido viso con un lembo della propria veste.
Era bellissima.

"Dimmi la verità: hai guarito Artù con la magia? Ti prego, non mentirmi!".
"No, lady Morgana. Ve lo giuro. Non pratico la magia da tanto, troppo tempo ormai".
"Ma cosa ci faceva quel libro a casa vostra?".
Era inutile dire che il libro non era suo. Avrebbe solo peggiorato le cose.
"E' solo un vecchio ricordo di quando ero giovane, nulla più.
Non ho avuto il cuore di distruggerlo".
Era la verità, dopotutto.
"Gaius, io ti credo! Sei un bravo cerusico. Non hai bisogno della magia per guarire le persone!
Ma ci tengo a dirti che, in caso contrario, le cose per me non cambiano: hai guarito Artù, e non mi importa come!
Sei un uomo buono, e non posso permettere che tu muoia!".

Le parole della giovane dama lo avevano scosso nel profondo.
Non pensava che lady Morgana provasse un simile affetto per lui, un semplice medico di corte.
Un mesto sorriso si era affacciato sulle sue labbra.
Non sapeva che la domanda più difficile doveva ancora arrivare.

"Che cosa vuole da te Miraz?".
"Non lo so figlia mia... E' un uomo malvagio... senza scrupoli. Il suo cuore è nero come la notte".
Morgana lo ascoltava in lacrime.
"Come posso aiutarti, Gaius?".
"Prega gli Dei di custodire il mio spirito, bambina mia... e non piangere per me.
Non lasciare che Miraz ti pieghi".

Chissà perché quelle parole avevano solo fatto aumentare il pianto della dama.

                                                                                                            *

Merlino era rimasto nelle stanze di Miraz tutto il giorno, ma del suo padrone non c' era neanche l' ombra.
Da quando si era svegliato, e da quando aveva detto a Clara come raggiungere la prigione del drago, non aveva ricevuto più alcuna visita.
Per questo, per passare il tempo, e per evitare di attirare su di sè le sue ire, Merlino non si era dato un attimo di tregua, riordinando e pulendo orgni singolo angolo di quegli appartamenti.

Non era ancora sicuro di aver fatto la scelta giusta nel rivelare a Clara quel segreto, ma ormai era tardi per avere ripensamenti.
E poi, cosa avrebbe mai potuto fare quella ragazza a Kilgarrah?
Quell' enorme lucertolone avrebbe potuto incenerirla in un istante, se solo avesse voluto, quindi, non c' era da preoccuparsi.
Almeno per quello.

Ma cosa sperava di ottenere dal drago?
Era solito parlare per metafore, e gran parte delle volte i suoi consigli erano inutili.
Perché mai con lei si sarebbe dovuto comportare diversamente?
Avrebbe dato qualunque cosa pur di uscire da quella stanza e sentire quello di cui stavano parlando.
Ma purtroppo non poteva.
Era imprigionato lì da catene invisibili, e il non poter usare i propri poteri gli impediva persino di sentire il richiamo del drago.
Chissà se il lucertolone rideva di lui e delle sue sciagure!

"Vedo che ti sei dato da fare durante la mia assenza! Bravo, Merlino!".
Era talmente assorto nei propri pensieri da non essersi accorto dell' arrivo di Miraz.
Nel sentire la sua voce, Merlino era trasalito, lasciandosi scivolare dalle mani uno dei libri che stava spolverando.

"Mio... mio re... siete tornato...".
"Si.... sono tornato... e sono tutto per te!".
Si era avvicinato al tavolo, e si era versato una gran dose di vino che aveva mandato giù in un solo sorso.
Spesso, quell' uomo era davvero disgustoso.

"Dunque, piccolino, dato il tuo ottimo operato, direi proprio che ti sei meritato un premio!" - aveva detto, mentre aveva preso posto sullo scranno.
Quello che aveva detto non gli piaceva affatto.
Perché poi non gli aveva già detto di Gaius?
Fingere di non saperlo, poi, era ancora più difficile.

"Dimmi, piccino, quanto bene vuoi al tuo mentore?".
Ecco.
Il momento della verità era arrivato.
Improvvisamente, Merlino non si sentiva più tanto pronto.
"Perché questa domanda?".
"Non puoi semplicemente rispondere?".
Tanto vale assecondarlo.
"E' come un padre per me".
"Benissimo. E cosa saresti disposto a fare per uno che per te è come un padre?".
Bastardo.
Voleva forse ricattarlo?
"Qualunque cosa".
Miraz si era alzato di scatto dal tavolo, afferrando Merlino per il collo, e avvicinandosi pericolosamente al suo orecchio.
"Benissimo piccino... sai perfettamente quello che devi fare...
Altrimenti il tuo vice-paparino brucerà vivo su di una pira alta quattro metri per aver guarito Artù con la magia!".

Merlino aveva serrato forte gli occhi.
Non poteva neppure immaginare un simile destino per Gaius.

"Voi non potete...".
"Ancora con questa storia? Certo che posso, Merlino, e lo farò. Puoi giurare sulla vita di chi ti è più caro che lo farò".
Detto ciò, lo aveva lasciato andare.

Il momento di prendere una decisione sembrava essere arrivato.

"Va bene...".
"Cosa?" - Miraz non riusciva a ciò che aveva appena udito.
Il mago aveva davvero ceduto, alla fine?
"Lo farò".

Merlino si era sentito venir meno nel pronunciare quelle parole, ma non aveva avuto scelta.
Era inutile sperare che Clara potesse ottenere qualcosa dal drago.
Giaus era troppo importante.
Più importante della sua stessa vita.
Non aveva la più pallida idea di come avrebbe reso immortale un essere umano, ma ci avrebbe pensato in seguito.
Aveva una vita da salvare: adesso contava solo quello.

Miraz continuava a guardarlo con un misto tra meraviglia, incredulità e gioia.
Aveva ceduto.
Il piccolo mago aveva ceduto.
Era il giorno più bello della sua vita.
Almeno per ora.

"Ottima decisione piccino mio.
Ottima decisione".

Merlino sapeva perfettamente di non poter tornare indietro.

                                                                                                              *

Clara aveva fatto esattamente quello che gli aveva detto Merlino.
Aveva distratto le guardie, ed era scesa lungo la fredda e buia scalinata, facendosi luce con la torcia.
Il cuore le batteva all' impazzata.
Non sapeva se il drago l' avrebbe accolta o ignorata, ma il solo pensiero di trovarsi al cospetto di una creatura millenaria la affascinava e spaventava allo stesso tempo.

Dopo aver percorso un tunnel lunghissimo, una ventata d' aria gelida l' aveva investita, avvisandola di aver raggiunto la propria destinazione.
Una grotta di dimensioni gigantesche si presentava davanti a lei.
Quasi non riusciva a credere ai propri occhi.

Cosa doveva fare, ora?
Chiamarlo?
Ma poteva usare il suo nome?
Mille dubbi la stavano assalendo.
Non poteva tirarsi indietro.
Non ora che c' era così vicina.
Per questo, aveva preso un bel respiro, pronta a presentarsi a colui che tanto aveva sognato di conoscere: l' ultimo grande drago.

Ma, proprio mentre stava per chiamarlo, una voce profonda e cavernosa le aveva mozzato il respiro.
"Ti stavo aspettando, bambina".
Due grandi, enormi occhi gialli si erano palesati davanti a lei.
Kilgarrah era tutto fuorché come lo aveva immaginato.


Continua...
____________________________________________________________________________________________________________

Ok, lo so che la sto scrivendo io e non dovrei reagire così perché non ha senso, ma CACCHIO: Merlino ha detto SI!!!
Mamma mia...
Un colpo al cuore!
Non volevo scriverlo sto capitolo, ma, per fini narrativi, ho dovuto farlo.
O niente avrebbe avuto senso fino ad ora!
Povero Merlino...
Povero, povero Merlino.
Non smetterò mai di ripeterlo!
Clara ha finalmente incontrato il drago (ho controllato il nome su google e me lo scriveva così!)!
"Ti stavo aspettando".
E voi aspetterete il prossimo capitolo per sapere altro!XD
A presto!
E grazie per le recensioni! VI ADORO!
Un bacione!!
Cleo

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Capitolo 23
*** Destiny ***


Destiny


Miraz era radioso.
Non credeva che sarebbe stato così facile farlo cedere!
Non aveva funzionato con il bel principino? Bene!
Aveva funzionato col cerusico!
E se non avesse funzionato con lui avrebbe provato con Gwen, con Morgana e via dicendo, fino ad arrivare a sua madre.
Eh si, doveva ammetterlo: era un uomo pieno di risorse!

Era meraviglioso osservare il suo Merlino prodigarsi in quel modo per lui.
Il "Suo Merlino".
Provava un brivido perverso ogni volta che pronunciava quelle parole.
Si... Merlino era suo, e nessuno glielo avrebbe portato via.

Presto sarebbe diventato immortale, e sarebbe andato via da quel posto.
Camelot era meravigliosa, ma sentiva il bisogno di tonare a casa.
Lì, c' erano un paio di cose che avevano urgenza di essere sistemate.
Cose che non potevano più aspettare.

Oh Dei! Quasi non riusciva a crederci!
Il mondo intero si sarebbe piegato alla sua volontà, perché non c' era modo di porre fine alla sua esistenza.
E quando le persone non possono privarti della vita, non posso fare altro che avere timore di te.

Osservava sorridendo il ragazzo che presto avrebbe realizzato tutti i suoi sogni.
Si sentiva potente.
Potente come non lo era mai stato prima di allora.

"Ti vedo molto preso, Merlino".
Gli si era avvicinato furtivo, osservandolo mentre piegava i suoi abiti puliti.
Era veramente un ragazzo straordinario.
Non riusciva a dimenticare l' attimo in cui lo aveva spiato mentre guariva quello sciocco di Artù.
Era certo di aver sentito parte dell' energia che Merlino aveva sprigionato librarsi nell' aria.
E pensare che quell' idiota coronato non si era mai accorto di niente!
Per non parlare di Uther!
Aveva un mago sotto il suo regale naso e non lo sapeva!
Sorrideva tra il malvagio e il divertito.

Il mago continuava a raccogliere gli abiti.
"Si, vostra altezza... Sapete che ci tengo a servirvi al meglio".
' Servirvi al meglio...', che delizia per le sue orecchie!
"Si... certo che lo so...".

Miraz si era accomodato sul bordo del letto.
"Sai, credo che tu abbia preso la decisione migliore".

Merlino a stenti tratteneva la rabbia.
Certo, come no!
Quella di renderlo immortale era stata la decisione migliore della sua vita!
Dei quanto si odiava!
Ma doveva mantenere la calma.
Doveva farlo per Gaius.

Chissà che fine aveva fatto Clara, tra le altre cose.
Che il drago l' avesse incenerita??
Da una parte se lo meritava, dopo quello che gli aveva fatto...
Ma cosa andava a pensare??
"Merlino, stai diventando come lui, come Miraz. Cerca di stare calmo e di non farti venire strane idee".

"Sei qui con me, Merlino?".

Ma Miraz non aveva niente di meglio da fare??
Perché non si occupava della promessa che gli aveva fatto??

"No... cioè, si... si vostra maestà... mi chiedevo solo quando sareste andato a parlare con Uther...".
Ormai l' aveva detto... tanto vale aspettarsi il peggio da un momento all' altro.
"Tu cerca di terminare i preparativi al più presto, e ti prometto che andrò a parlare con Uther".
Merlino credeva di non aver capito bene.
"I preparativi?".

Uther si era sistemato meglio sul letto.
"Si, Merlino, i preparativi" - si era alzato di scatto, dirigendosi verso l' armadio, aprendolo e tirando fuori tutti i suoi vestiti - "Andremo via da qui presto. Molto presto".

In un attimo, il fragile muro che ancora proteggeva Merlino era crollato.
Il giovane mago non aveva più nessuna possibilità di scampo.

                                                                                                             *

Credeva che sarebbe morta da un momento all' altro.
La possente creatura magica, l' ultimo drago ancora in vita, le aveva appena detto che la stava aspettando.
Kilgarrah stava aspettando proprio lei!
Davvero non riusciva a crederci!

A stento era riuscita a deglutire, molto, molto rumorosamente.
I grandi occhi gialli del drago la scrutavano da capo a piedi.

"Avvicinati ragazza... non sei qui per pormi delle domande?".
Kilgarrah si era posizionato più comodamente su di uno sperone di roccia.

In quella posizione, Clara aveva potuto vedere la catena che imprigionava la creatura magica, e aveva provato una profonda stretta al cuore: sapeva bene cosa voleva dire essere progionieri.

"Provi pena per me, Clara?".
La ragazza aveva stretto forte i pugni.
"Nessuno, nessuno dovrebbe essere privato della propria libertà".
"Attenta a quello che dici... le tue parole sono nobili, ma la realtà dei fatti è ben diversa".

Lei lo ossevava in silenzio.

"Tu desideri la prigionia per chi ti ha fatto del male, se non una sorte peggiore, e questo ti ha spinto a fare scelte e cose che mai avresti pensato di fare...
Non ho forse ho ragione, mia cara?".

Le parole del drago l' avevano profondamente colpita.
Improvvisamente si era sentita nuda di fronte a lui, e, d' istinto, si era cinta le braccia attorno al corpo.

"Non devi sentirti violata, bambina... io so molte cose... forse anche troppe... a volte, vorrei essere cieco e sordo... ma credo che neanche questo servirebbe...".

"Sei arrabbiato con me? Per le cose che desidero? Per le cose che ho fatto?".
Clara poteva giurare di aver visto un sorriso allargarsi tra quella miriade di squame.
"Non potrei mai essere arrabbiato con te, bambina mia.
Hai fatto quello che ritenevi giusto.
Anche se hai dovuto sacrificare la libertà di qualcun altro".

"Merlino è l' unico che può farlo".

"Oh, lo so bene piccina! Lo so bene! E lo farà.
E' proprio questo il punto, Clara.
Lui lo farà".

I suoi occhi gialli sembravano essersi riempiti di sconforto.
Che tenesse a Merlino più di quello che dava a vedere?

"La domanda è un' altra" - aveva fatto una lunga pausa prima di continuare - "Cosa farai tu?".

Aveva quadrato il cerchio.
Intimorita, aveva cominciato a mordersi un labbro.

"Io... io sono qui per aiutare...".
"Chi, bambina? Gaius, o te stessa?".

Era rimasta di sasso.

"Tu.. tu sai...".
"Tutto. Io so tutto".

Clara aveva serrato forte i pugni.

"Dimmi cosa devo fare allora! Io voglio aiutare Gaius!".
"Ne sei sicura?".
"Si. Ho fatto una promessa, ed ho intenzione di mantenerla.
Nel patto che ho fatto, solo una vita deve essere spezzata, e non si tratta di quella del cerusico.
Voglio aiutarlo, ma non so come.
Aiutami, ti prego".

Kilgarrah aveva ascoltato ogni cosa in silenzio, senza interromperla.
Il grande drago poteva leggere nel suo spirito tutta l' angoscia e il tormento che la devastavano.
La vita di un essere umano è fatta di scelte.
E lei stava portando avanti le proprie.
E lo stava facendo a testa alta, nonostante tutto.
Questo le rendeva onore.

"Apri le mani e fidati di me".

Anche se con qualche esitazione, la ragazza aveva obbedito.
Tremando, aveva sollevato entrambe la mani, posizionandole l' una accanto all' altra con i palmi rivolti verso l' alto.

Kilgarrah aveva preso un bel respiro, e subito dopo vi aveva soffiato dolcemente sopra.
Clara si aspettava di prendere fuoco, ma così non era stato: la giovane aveva avvertito una meravigliosa sensazione di tepore, e, poco dopo, tra le sue mani era comparso un piccolo sacchetto marrone.

"La polvere di quel sacchetto è rara e preziosa.
Farà dimenticare ai presenti l' accaduto".

"Non ricorderanno nulla?".

"Sarà come se non fosse mai successo niente".

Clara sorrideva radiosa.

"Grazie".

"Vai, adesso. E compi il tuo destino" - Kilgarrah le stava parlando con dolcezza.
"Il mio destino?".
"Capirai presto bambina... Capirai presto".

E, dopo avergli detto addio, era andata via, continuando a pensare alle parole del drago.
Quale poteva essere mai il destino di una povera serva come lei?

Continua...
____________________________________________________________________________________________________________

Merliniani, salute a voi.
Spero di non avervi fatto attendere molto.
Kilgarrah ha parlato.
E la creatura più saggia del mondo a loro conosciuto, non si sbaglia mai.

"Andremo via da qui presto. Molto presto".
Fin ora abbiamo solo giocato.
Da adesso, cominciate ad evere PAURA.
(Muhahaha!! U.U).
GRAZIE per le recensioni e per le e-mail!
Vi adoro tutti!
E un caloroso benvenuto ai nuovi lettori!
A prestissimo...
Un bacione!
Cleo


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Capitolo 24
*** Il discorso del re ***


Il discorso del re


Non riusciva a crederci.
Non poteva credere che le parole di Miraz fossero veritiere.
Ora capiva perché gli avesse chiesto di lavare e raccogliere tutti i suoi abiti.
Pensava che il re volesse trasferirsi in un' altra stanza.
Mai avrebbe sospettato che volesse lasciare il regno.
E mai avrebbe sospettato che avesse dovuto seguirlo.

Era certo che Miraz non avrebbe lasciato Camelot fino a quando non avesse acquisito l' immortalità.
Era certo che fossero Uther e suo figlio i suoi primi bersagli.
Evidentemente si era sbagliato.

Andare via da Camelot.
Quante volte aveva pensato di farlo per sfuggire alle angherie di quell' asino borioso?
Quante volte aveva pensato di tornare ad Eldor, da sua madre?
Invece, era sempre rimasto.
E non era rimasto perché non aveva la forza di andarsene.
Era rimasto perché c' era un valido motivo per rimanere.
E, quel motivo, giaceva addormentato ormai da troppo tempo senza che lui potesse fargli visita.

Stava ancora sistemando gli abiti nei bagagli, quando il suo pensiero era volato nuovamente ad Artù.
Stava iniziando a pensare di aver sbagliato qualcosa nel pronunciare l' incantesimo.
Ormai, Artù avrebbe dovuto svegliarsi da un bel pezzo.
Perché ciò non era accaduto?

La cosa che più lo rattristava, però, era che non avrebbe mai avuto la possibilità di controllare di persona.
Miraz non era nella stanza con lui.
Era andato a parlare con Uther per risolvere la ' questione Gaius ', e gli aveva ordinato di far trovare ogni cosa pronta prima del suo rientro.
Non riusciva ad accettare di essere stato la causa di una tale ingiustizia.
Tutto per colpa sua e della magia.

I suoi occhi erano caduti sulle pesanti polsiere che lo rendevano progioniero.
Quanto le odiava!
Quanto si odiava!
Forse, non era una cattiva idea l' andare via da Camelot.
Dopotutto, i suoi amici erano in grado di difendersi da soli, e, in quel frangente, LUI era motivo di pericolo.

Però...
Però, non avrebbe rivisto mai più Gaius, non avrebbe rivisto mai più Gwen, non avrebbe rivisto mai più Morgana, non avrebbe rivisto mai più Nigel...
Non avrebbe rivisto mai più Artù.
Il suo cuore aveva perso un battito.

Artù.
Proprio in quel frangente, Miraz era tornato nelle sue stanze.

"Prendi le tue cose Merlino! Si torna a Telmar".

                                                                                                     *

Morgana aveva visto Miraz uscire dalla sala del trono, e il sorrisetto che gli aveva visto dipinto in volto non le piaceva affatto.
Sapeva che quell' essere aveva parlato con Uther, e la curiosità e la voglia di sapere la stavano divorando.
Per questo, aveva accelerato il passo, facendo capolino nella sala.

Uther era seduto sul proprio scranno, completamente solo, con lo sguardo perso nel vuoto.
Sembrava distrutto.
Il discorso che doveva aver affrontato con Miraz era stato logorante.
Non si era neppure accorto che la sua pupilla avesse fatto il suo ingresso.

"Uther...".
"Morgana..." - aveva le lacrime agli occhi.
"Ho visto Miraz uscire, un attimo fa...".
Il sovrano si era irrigidito.
"Che cosa aveva di così urgente da dirti?".

Il re di Camelot si era alzato in piedi, e, lentamente, si stava dirigendo verso la sua adorata figliastra.
Morgana lo guardava, trepidante.
Vederlo in quello stato era una sofferenza.

"E' venuto per parlarmi di Gaius".
La giovane si era allarmata.

"E... cosa ti ha detto, di grazia?".
Aveva paura di quale potesse essere la sua risposta.
"Che sta per lasciare Camelot".
"Cosa?" - Morgana non riusciva a credere alle proprie orecchie - "Ma è una notizia meravigliosa Uther!".
Stava per mettersi a saltare dalla gioia.
Gli Dei avevano esaudito le sue preghiere.

Uther, però, non era dello stesso umore.

"Ma, Uther..." - aveva detto la giovane, ripensando alle sue parole - "Hai detto che erano venuti a parlarti di Gaius o sbaglio?".
"Non sbagli, mia adorata".

Uther era scoppiato in lacrime.
La ragazza era diventata cerea.

Continua...
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Pietàààààààà!!!
Ho avuto la febbre (sto male tutt' ora) e non ho avuto la prestanza fisica per aggiornare!!
Filo a scrivere l' altro!
E chissà se dopo riesco a vedere questa 4x01 di Merlin!!
A prestissimo!
Un bacione!
Cleo

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Capitolo 25
*** Too late ***


Too late


Morgana era uscita dalla stanza urlando e piangendo.
Il suo comportamento ' poco regale ' aveva attirato l' attenzione di servi e cavalieri, ma non le importava.
Non riusciva ad accettare quello che le era stato appena confidato da Uther.
Non riusciva a credere che presto Gaius sarebbe morto.

In lacrime, aveva spalancato la porta della propria stanza, gettandosi sul letto davanti ad una Gwen incredula.
"Lady Morgana! Vi sentite bene??".
La sua giovane serva le si era avvicinata quanto bastava per controllare se stesse bene.
La dama piangeva lacrime amare, nascondendo il viso nel cuscino.
"Morgana..." - la voce di Gwen era dolce e melodiosa.

"Oh Gwen..." - si era messa a sedere in maniera piuttosto scomposta, cingendo la propria servitrice con le esili braccia.
La ragazza, presa alla sprovvista, aveva esitato, prima di stringerla a sua volta.
"Che cosa vi turba, mia signora?".
La dama aveva sollevato il capo, mostrandole gli occhi pieni di lacrime.
"Non c'è speranza Gwen... Non c' è più nessuna speranza!".
Ma la serva non riusciva a comprendere.
"Lo uccideranno... Uccideranno Gaius".

Solo allora, aveva potuto comprendere il dolore della ragazza.

"Ma... avevate detto che Uther ci avrebbe pensato...
Ed eravate certa che parlargli di nuovo sarebbe stato decisivo per fargli cambiare idea...".
"Mi sbagliavo! Stupida! Sono una stupida!".
"Non fate così...".
La pupilla del re si era allontanata di scatto, cominciando a sbattere i pugni sul materasso.
"Non avevo calcolato che quel... MOSTRO mi avrebbe preceduta! Non avevo calcolato quanto grande fosse la paura d Uther!".

D' un tratto, Gwen aveva capito a chi si stesse riferendo Morgana.
Miraz.
Il malvagio re di Telmar aveva avuto la meglio.
E Gaius, il loro amato Gaius sarebbe arso vivo sul fuoco.
Come non comprendere e condividere la reazione di Morgana.

"Mia signora... cosa possiamo fare?" - stava per scoppiare in lacrime a sua volta.
"C' è una sola cosa che possiamo fare, Gwen: va a svegliare Artù".

                                                                                                            *

"Prendi le tue cose Merlino! Si torna a Telmar!".
Ciò significava che Miraz aveva parlato con Uther.

"Vostra altezza...".
"E' tutto risolto Merlino. Ora sbrigati! Raccogli i tuoi pochi inutili averi. Dobbiamo andare via prima che il giorno lasci posto alla notte".

                                                                                                            *

Clara correva veloce come il vento.
Doveva arrivare al punto più alto del castello e gettare la polvere prima che venisse costruita la pira.
O sarebbe stato tutto più difficile.

Le parole del drago continuavano a ritornarle in mente.
"Compi il tuo destino".
Già.
Ma qual era il suo destino?
Forse non era quello il momento migliore per pensarci.
Lo avrebbe fatto in seguito, quando tutto sarebbe stato risolto.
Magari avrebbe avuto la possibilità di parlare di nuovo col drago, e tutto sarebbe stato più chiaro!

Sorrideva, percorrendo a ritroso il tunnel che l' aveva portata nelle grotte sotterranee.
Gaius sarebbe stato salvo, e forse il mago l' avrebbe perdonata.
Ehi? Ma da quando gli importava del perdono di quell' esserino??

Arrivata al primo piano, il sangue le si era gelato nelle vene.
La pira era già stata costruita, e re Uther la osservava dalla tribuna costruitavi attorno.
La gente stava già cominciando ad affollare la piazza, domandandosi il perché di quella macabra costruzione.
Ma come poteva essere???
Possibile che fosse rimasta i compagnia del drago per tutto quel tempo???

Almeno una buona notizia c' era: Miraz non si vedeva.
Il che significava che aveva il tempo di salire in cima al castello senza che lui la vedesse dalla piazza.

Così pensava prima di incrociare uno degli uomini che più odiava: lord Sopespian.

"Clara... qual buon vento! Credevamo che fossi scomparsa... per magia!".
Il nobile le si era avvicinato, prendendole alcune ciocche di capelli tra le dita.
"Sei sempre così meravigliosa...".
Era riuscita a spostarsi prima che quella mano arrivasse a sfiorare il suo splendido viso.
"E sfuggente!".
"Avete bisogno di qualcosa, lord Sopespian?".
"La tua indisponenza mi fa... impazzire figliola. Lo sai".
Sembrava che volesse mangiarla.
Quell' uomo si avventava su qualunque cosa respirasse.
Lei si era limitata a non rispondere, anche se avrebbe voluto ucciderlo.
"Preparati ragazza. Se non vuoi restare qui a Camelot".
"Cosa?".
"Si torna a Telmar Clara. E si parte adesso!".

Ogni cosa stava andando a rotoli.

                                                                                                                 *

Era tutto pronto, ormai.
Merlino  aveva riposto ogni cosa negli appositi bauli, e i cavalieri di Telmar avevano già stipato tutto nelle carrozze.
Nel cortile interno, quello che si vedeva dalla stanzetta della servitù attigua alle stanze di Miraz, c' erano già tre purosangue preparati di tutto punto, e uno stalliere ne aveva appena preparato un altro. Doveva essere il suo.
Almeno avrebbe viaggiato comodo!
Sorrideva amaro.
Se non all' ironia, a cos' altro si sarebbe potuto aggrappare?

C' era stato uno strano fermento nel castello, poco prima.
Forse, era per via della loro partenza.
Chissà se Miraz gli avrebbe dato il permesso di salutare i suoi amici.
Lo avrebbe scoperto a breve, anche se ne dubitava fortemente.

"Merlino. Dobbiamo andare".
Lord Glozelle era venuto a chiamarlo.
Il giovane mago, triste come mai prima d' ora, aveva preso la sua sacca, e si era attardato per poter osservare un' ultima volta quelle stanze, così simili e così diverse da quelle di Artù.

Stranamente, non vi era nessuno nei corridoi.
Forse erano tutti in piazza per ' porre omaggio ' al sovrano di Telmar.
Bè, lì ci sarebbero stati anche i suoi amici, e avrebbe potuto vederli un' ultima volta, almeno da lontano.
Chissà se ci sarebbe stato anche Artù.

Ma, una volta arrivato nel grande atrio, lord Glozelle lo aveva indirizzato verso una delle altre uscite.
"Ma...".
"Sbrigati ragazzo... dobbiamo partire prima..." - ma si era fermato all' improvviso.
"Prima di cosa?" - Merlino si era allarmato all' improvviso.
"Prima di niente. Sbrigati".

Merlino era stato spinto verso il cortile interno.
Miraz era lì ad aspettarli.

"Finalmente! Presto!! Non vorrete perdervi lo spettacolo dall' alto?".
Spettacolo?
"Coraggio Merlino! Monta a cavallo!! Non vorrei che proprio tu non riuscissi a vedere con i tuoi splendidi occhi il tuo caro cerusico bruciare!".

Solo allora si era reso conto del reale senso delle parole di Miraz.

Continua...
___________________________________________________________________________________________________________

Spero davvero di essermi fatta perdonare.
Anche se non credo, dopo questo capitolo.
Ludiro cane bastardo! (Scusate il francesismo).
Miraz è per davvero un mostro!
Clara era l' ultima speranza per Gaius, e adesso è stata intercettata da lord Sopespian.
Ci mancava solo lui, vero?
La mia mente è perversa, lo so...
Per questo, vado a farmi venti minuti di vergogna nell' angolino...
A presto!
Un bacione!
Cleo


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Capitolo 26
*** Polvere di fata ***


Polvere di fata


"Voi... voi... mi avete ingannato!".
Merlino era furioso.
Non riusciva a credere di essere stato talmente ingenuo da pensare che davvero Miraz volesse scagionare Gaius.
Quell' uomo era pefido e malvagio! Il suo cuore non conosceva sentimenti come bontà e compassione.
Era nero come la notte, colmo solo odio e disprezzo per la vita altrui.
Merlino era caduto nella tela del ragno. Ma, putroppo, non sarebbe stato il solo ad essere divorato senza pietà.
Gli occhi scuri e malvagi di Miraz si erano posati sul giovane mago. Un sorriso malvagio si era allargato sul suo viso crudele.
Tutto stava andando come previsto.

"Merlino caro... non puoi biasimarmi. Non potevamo scegliere momento migliore per andare via.
Dopotutto, non è una cosa comune farsi illuminare la strada da un fuoco che brucia di carne umana!".

"MALEDETTO!".

Sconvolto dalle parole sprezzanti di quel mostro, il ragazzo si era gettato su di lui, cercando di avere la meglio in un corpo a corpo inutile.
Non aveva fatto neanche in tempo a raggiungerlo che era stato fermato da lord Glozelle.
L' uomo lo stringeva forte per la vita con un braccio, bloccandogli le mani con l' altro.
Merlino urlava e si contorceva, le lacrime agli occhi per la rabbia e la disperazione.
Gaius non poteva morire. Non poteva perdere la propria vita a causa sua.

"Lasciami maledetto! Lasciami!".

"Andiamo Merlino! Non fare tante storie! Non vorrai farmi perdere tutto il divertimento?" - aveva detto Miraz mentre montava sul suo splendido stallone nero - "Lo lascio alle vostre cure, lord Glozelle! IN MARCIA!".
Aveva spronato il cavallo, partendo a tutta velocità seguito dal proprio esercito.
Il mostro, l' uomo dal cuore nero, stava abbandonando Camelot dall' uscita posteriore, fuggendo come un ladro avente sé un ricco bottino.
Peccato che il bottino facesse fatica nel lasciarsi trattenere.

"Sta fermo ragazzino!".
"NO! LASCIAMI!" - urlava Merlino, continuando a scalciare e a contorcersi sotto quella presa maledetta.
Lord Glozelle aveva esercitato maggiore pressione, facendo urlare il giovane mago di dolore.
"Non costringermi a farti del male".
Sembrava più una mal celata implorazione che un ordine.
Arresosi a quella presa, Merlino si era accasciato tra le sue possenti braccia, voltando lentamente il capo verso il proprio carceriere.
I suoi splendidi occhi blu erano velati da lacrime roventi.
"Vi prego lord Glozelle... ve ne prego... lasciatemi andare... lasciatemi salvare Gaius...".
Un nodo si era formato nella gola del generale di Miraz.
Il dolore di Merlino sembrava aver smosso qualcosa nell' animo di quel duro soldato.
Continuava a fissare i grandi occhi di quella misteriosa creatura.
Sembrava una delle prede impaurite che era solito catturare durante le battute di caccia.
Eppure, rispetto alla loro arrendevolezza, quel giovane non accettava di cedere alle sue minacce.
Quella non era una preda facile da tenere a bada neppure chiusa in gabbia.

"Ve ne prego... vi prego... lasciatemi aiutare il mio amico".

Lord Glozelle sembrava aver ceduto alle suppliche del ragazzo, allentando la presa senza sapere esattamente perché lo stesse facendo.
Stupito almeno quanto Merlino per il proprio gesto, si era ritrovato un istante dopo a dover reggere il corpo del ragazzo che si stava accasciando in avanti a peso morto.
Lord Sopespian aveva trafitto il collo del ragazzo con un dardo contenente un potente sedativo, e osservava rabbioso il proprio compagno.
Se non fosse stata necessaria la sua presenza, lord Glozelle era certo che Sopespian lo avrebbe ucciso.

"Non osare mai più farti venire in mente idee del genere. O la prossima volta non sarò l' unico a sapere ciò che è accaduto".
Il generale guardava il nobile in silenzio, incapace di replicare.
"Ora legalo e aiutami ad issarlo sul mio cavallo. Non vorrei che tentasse di nuovo di scappare... o meglio... che gli venisse data la possibilità di scappare".

Lord Glozelle non aveva potuto fare altro che obbedire, nonostante il sangue stesse ribollendo nelle sue vene.
Aveva legato i polsi di Merlino dietro la schiena del ragazzo, stringendo bene i nodi, e lo aveva issato con poca fatica sul destriero di lord Sopespian, montando egli stesso sulla propria cavalcatura.
Presto sarebbero tornati a Telmar.

                                                                                                        *

Clara aveva osservato la scena nascosta dietro il grande portone di legno.
Per Merlino non c' era più scampo. Era condannato ad un' eterna schiavitù.
Sapeva che Miraz non l' avrebbe mai lasciato andare, ma sperava di potergli dare la gioia di vedere il proprio tutore libero.
Invece non c' era riuscita. Aveva miseramente fallito.
E, per di più, aveva rischiato di farsi sorprendere da lord Sopespian.
Non sarebbe trascorso molto tempo dal momento in cui quel mostro si sarebbe accorto della sua assenza, e allora, probabilmente, avrebbe capito il suo inganno.
Se Miraz fosse tornato inidetro, avrebbe distrutto ogni cosa, e sarebbe stata solo colpa sua.
Per questo, doveva fare presto. Doveva raggiungere il punto più altro del castello, e lanciare la polvere sui presenti.

La ragazza aveva ripreso la propria corsa lungo la scalinata di pietra del castello.
Non riusciva a credere di essere stata talmente sfortunata.
Perché mai Miraz aveva scelto proprio quel frangente per lasciare il regno di Uther?
Una tempistica davvero perfetta!

Arrivata alle finestre del primo piano, la ragazza si era morsa la lingua pur di non urlare la maledizione che aveva preso forma nella sua mente.
I reali avevano già preso posto nel palco costruito apposta per loro.
Uther sembrava distrutto, e lady Morgana, vestita completamente di nero, non riusciva a smettere di piangere.
I cavalieri circondavano il palco posto ad una notevole altezza, proteggendo il sovrano e la sua pupilla dalla calca del popolo che faceva il proprio ingresso nella piazza, domandandosi concitato per chi fosse la pira appena sistemata.

Aveva perso la possibilità di attuare il piano del drago rivolgendolo solo ai diretti interessati.
Ora, c' era gran parte del popolo in piazza.
E se la polvere non fosse stata sufficiente per far si che tutta quella gente dimenticasse?
Il dubbio e il timore la stavano assalendo.

Doveva fare presto. C' era ben poco da fare.
Solo una volta arrivata abbastanza in alto e aver gettato la polvere sulla piazza avrebbe avuto risposta a tutte le sue domande.
Per questo, aveva ricominciato a correre, ma, proprio mentre stava per arrivare al punto prestabilito, una voce che pronunciava il suo nome le aveva fatto gelare il sangue nelle vene.
La voce di lord Glozelle.
Ma non era partito insieme ai suoi compari?? L' aveva visto con i propri occhi seguire il cavallo di Sopespian!
Cosa ci faceva di nuovo a palazzo??
Clara era convinta che si fosse accorto della sua assenza.
Le cose si stavano mettendo male.
Non era abbastanza in alto per lanciare la polvere. Avrebbe raggiunto solo una minima parte dei presenti, e, soprattutto, non avrebbe raggiunto i diretti interessati.
Il destino era loro sfavorevole, a quanto pareva.
Col cuore in gola, Clara aveva cercato di appiattirsi contro la parete nella speranza di non farsi vedere dal generale di Miraz.
Ma, proprio mentre tutto sembrava perduto, aveva visto passare colei che avrebbe potuto rappresentare la sua ultima speranza: Gwen.

La giovane mulatta al servizio di lady Morgana era scura in viso, e si stava dirigendo a grandi passi verso i piani alti del castello.
Quella era la sua ultima opportunità.
Facendosi coraggio, la giovane era fuoriuscita dal proprio nascondiglio, andando quasi a scontrarsi contro una spaventatissima Ginevra che, nel vederla, aveva a stenti soffocato un urlo.
"Gwen!".
"Clara! Ma che ti prende? Mi hai fatto quasi venire un colpo!".
Non c' era tempo da perdere. La ragazza aveva preso le mani della mulatta, facendo in modo che prendesse con sé il prezioso sacchetto.
"Ma cosa...".
"Ascoltami bene Gwen, perché non avrò il tempo di ripetermi. Prendi questo sacchetto e raggiungi un punto che ti possa permettere di avere tra le mani tutta la piazza.
Dopodiché, apri il sacchetto, e svuota il contenuto su di essa. Hai capito?".
Ginevra la guardava a bocca aperta.
Che Clara fosse del tutto impazzita?
"Senti, io...".
"Gwen, ti prego. Vuoi salvare Gaius, non è così?".
A quelle parole, la serva di Morgana aveva cambiato espressione.
"Non è così??".
"Certo che voglio salvarlo, ma non vedo perché dovrei svuotare il contenuto di uno stupido sacchetto sul popolo di Camelot".
Clara la guardava seria. Come spiegarle che solo la magia avrebbe potuto salvare Gaius?

"CLARA!".

Sta volta, la voce di lord Glozelle non era più un eco lontano. Il generale era vicino.
Presto l' avrebbe raggiunta, e tutto sarebbe stato vano.
Il panico si era impossessato della ragazza.
"Gwen, ti prego!".
Le aveva afferrato più saldamente le mani.
Il sacchetto veniva stretto pericolosamente.
"Clara, no!!".
"Ascoltami, ti prego!".
"No!".
Clara aveva quasi le lacrime agli occhi.
Era stanca e provata. Tutto quello che aveva cercato di fare era stato inutile. La sua stessa esistenza era inutile.

"CLARA!".
Era sempre più vicino.

"Gwen, giuro su ciò che ho più caro che non ti sto mentendo. Questo è l' unico modo che abbiamo per salvare Gaius. Avrei dovuto farlo io, ma è tardi ormai.
Lord Glozelle mi ha trovata, ed io non ho più il tempo per portare a termine il mio compito. Ma tu si.
Non negare ad un uomo buono la possibilità della salvezza".
La giovane la guardava indecisa sul da farsi.
"Gwen, ti prego. Questo è quello che avrebbe fatto Merlino".

Un attimo prima che lord Glozelle arrivasse e posasse la sua grande e ruvida mano sulla spalla della ragazza, Gwen aveva afferrato il sacchetto ed era corsa via veloce come un cerbiatto.

Clara, col cuore in gola, aveva incatenato i propri occhi a quelli del generale.
"Con chi stavi parlando?".
"Con nessuno mio signore... con nessuno".
Anche se un po' incredulo, lord Glozelle aveva preferito non insistere. Aveva già rischiato di passare dei guai qualche istante prima per colpa di una debolezza. Non voleva tentare di nuovo la sorte.
"Presto. Dobbiamo raggiungere gli altri prima che arrivino sulla collina. O entrambi subiremo l' ira di Miraz".
E, così dicendo, aveva strattonato la ragazza in modo che lo seguisse.

A Clara non restava che riporre tutte le sue speranze in Gwen.

                                                                                                      *

Gwen era arrivata nelle stanze di Artù, entrando senza neppure bussare.
Aveva chiuso dolcemente la porta alle proprie spalle, appoggiandosi ad essa per riprendere fiato.
' Un punto in cui tu abbia tra le mani tutta la piazza ' le aveva detto Clara.
Quale posto migliore della finestra centrale della stanza di Artù?
Si sentiva un po' folle nell' aver ceduto alle suppliche della ragazza.
In fondo, non la conosceva neppure. E se nel sacchetto ci fosse stato qualcosa che avrebbe potuto incastrarla?
Già suo padre era stato condannato a morte per uno stupido errore.
Eppure... eppure aveva letto sincerità nei suoi occhi.
Non poteva essere imbrogliata.

Artù giaceva nel proprio letto, supino, ancora addormentato.
Morgana le aveva detto di svegliarlo perché era certa che lui sarebbe stato in gradi di aiutare Giaus, ma, ormai, non era più il caso.
Era meglio per lei che il principe dormisse ancora.
Non avebbe saputo cosa spiegare se l' avesse scoperta a gettare dalla finestra il misterioso contenuto di un sacchetto di cui non sapeva niente.

Il petto del futuro re di Camelot si alzava e abbassava ritmicamente sotto le candide lenzuola. Il suo viso era sereno.
Le palpebre abbassate si agitavano freneticamente: Atrù stava sognando.
Chissà quali fantasie stavano prendendo forma nel subconscio del principe. Forse, sognava di qualche battaglia da cui stava uscendo vincitore.
Forse sognava di essersi appostato dietro un cespuglio in attesa di colpire la preda ideale. O, forse, ma meno probabile, stava sognando di salvare una bella damigella che sarebbe in seguito diventata la sua sposa.
Il principe si era girato quanto bastava per mettersi su di un fianco. Una ciocca di capelli dorati era scivolata sulla sua fronte.
Quanto era bello...
Il cuore di Gwen aveva subito un violento scossone.
Artù sarebbe stato per sempre solo una meta irraggiungibile. Lui era un futuro sovrano. Lei la figlia di un fabbro. Persino i cani da caccia del re avevano maggiore importanza di lei.

Il boato della folla l' aveva distolta dalle sue elucubrazioni.
Gaius sarebbe stato presto condotto alla pira e arso vivo. Non c' era un minuto da perdere.
Veloce come una lepre, la giovane mulatta aveva aperto la finestra, affacciandosi.
Il palco reale era stato costruito proprio al di sotto della finestra.
Non sapeva se questa fosse una buona o una cattiva notizia.
Con mani tremanti, aveva cominciato a slacciare il cordoncino dorato che teneva ben chiuso il sacchetto.
L' operazione si era rivelata più difficile del previsto.
La folla scalpitava, e il crepitio delle fiaccole che presto avrebbero dato fuoco alla pira l' avevano notevolmente innervosita.
Perché quel maledetto nodo non si scioglieva?

Poi, all' improvviso, era accaduto l' imprevedibile.
Nello stesso istante in cui il portone si era aperto e due guardie erano comparse trascinadosi dietro il povero Gaius incatenato, Gwen era riuscita ad allentare in nodo del sacchetto ma, dalla foga, esso le era scivolato dalle mani, cadendo inesorabilmente nel vuoto.
"NOOO!".
Una sottile scia di polvere luccicante color rubino si era librata nell' aria e la ragazza, senza rendersene conto, ne aveva respirato una quantità sufficiente a farle perdere i sensi.
Gwen si era accasciata sul pavimento, sprofondando in un lungo, profondo, innaturale sonno.

                                                                                                           *

Qualcosa era caduto ai suoi piedi e, pochi istanti dopo, un gruppo di soldati non molto lontani da lei si era accasciato al suolo.
Uther era balzato in piedi, urlando come un ossesso alle altre guardie di controllare se qualche freccia avesse colpito i propri compagni.
Morgana si era chinata in avanti, per osservarlo più da vicino. A ben vedere, era un piccolo sacchetto di stoffa chiuso da un cordoncino dorato.
Lo aveva fissato con circospezione prima di raccoglierlo.
Era contenta che Uther non si fosse accorto di quella stranezza, soprattutto perché la dama aveva visto qualcosa di strano fuoriuscire da esso.
Si trattava di una polverina rossa e luccicante. Sapeva che probabilmente sarebbe stato un errore, ma era una cosa che non riusciva a controllare.
Sembrava che il sacchetto le stesse sussurrando di venir aperto del tutto.
Spinta da una forza più grande di lei, Morgana aveva slacciato completamente il cordoncino dorato senza accorgersi che i suoi occhi avevano assunto il suo stesso colore scintillante.
Nello stesso istante, la voce di uno dei soldati aveva chiamato sua maestà.

"Sire!" - aveva urlato sir Leon - "Gli uomini stanno... dormendo!".
"Cosa?".

La polvere si era librata nell' aria, sollevata da una forza grandissima: dalla magia.
Sotto gli occhi distratti di Uther e dell' intera Camelot, essa aveva cominciato a danzare, espandendosi in ogni meandro, in ogni anfratto più remoto.

Muovendosi leggere, le particelle erano pian piano penetrate nelle narici di donne e uomini, anziani e bambini che, lentamente, stavano scivolando in un profondo sonno magico da cui si sarebbero svegliari ristorati e purificati da malsani pensieri.
Uno dei soldati che reggeva una delle torce, nel cadere al suolo, aveva lasciato scivolare l' oggetto proprio contro la pira che, un attimo dopo, aveva preso ad ardere, facendo risplendere le particelle dorate che non placavano la loro danza.

L' anziano cerusico stava osservando la scena a bocca aperta.
Che un terribile sortilegio si stesse abbattendo su Camelot?
No... non poteva essere così.
Poteva capirlo dall' espressione delle persone che cadevano al suolo addormentate. Esse erano felici.
In pochi minuti, tutti i presenti dormivano beati, compresi Uther, lady Morgana e i suoi carcerieri.
Ricuorato, Gaius aveva preso un bel respiro prima di andare in apnea.
Se aveva davvero capito di cosa si trattasse, ci sarebbe stato bisogno di qualcuno che avrebbe dovuto eliminare i resti della pira, no?

Continua...

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Voi non avete idea della sfiga che mi perseguita!!!
In pratica martedì 11 l' alternatore del router ha avuto la grandiosa idea di bruciarsi.
Di conseguenza, sono stata tagliata fuori dal mondo fino a sta mattina, quando la mia mamma mi ha informata che era tutto sistemato!!
Quasi non credevo di riuscire ad aggiornare di nuovo!!
POTREI PIANGERE!!!
Bando alle ciance, che ne pensate del capitolo??
Troppo lungo?? Troppo confuso??
Spero davvero di no!! E spero di non aver fatto errori, in tutto questo!! L' ho scritto di getto in preda alla rabbia per non poter postare, e, quando è così, posso rileggerlo anche ottomila volte che tanto qualcosa mi sfugge lo stesso! -.-'
Gwen è veramente inutile! Farsi cadere il sacchettino dalle mani!
Ma dico io, come si fa???
Che ne pensate del colpo di genio di aver fatto "attivare" i poteri di Morgana perché, in un certo senso, la polvere di fata la stava chiamando??
Troppo scontato??
Sono diventata un po' insicura, ahimè!!
Bene, come al solito ho parlato troppo!!
Spero che vi sia piaciuto, e spero di leggere presto i vostri commenti!!
Ringrazio le nuove arrivate, e tutti coloro che leggono in silenzio!! VI AMO TUTTI!!
Un bacio enorme!!
Cleo

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Capitolo 27
*** Where is Merlin? ***


Where is Merlin?


Il rogo ardeva prepotente nel grande cortile della cittadella.
Le fiamme, alte, maestose, divoravano veloci la legna secca usata per fabbricare la pira.
L' odore del fumo si era sparso per tutta la valle e, spinto dal vento, era giunto sino alle alture che circondavano i campi.
Sulla sommità della collina più alta, un intero esercito osservava rapito il movimento ipnotico delle spire infuocate.
Re Miraz aveva spronato il suo destriero fino all' inverosimile per arrivare in tempo al luogo predestinato e godersi così lo spettacolo.

Quasi non credeva di essere stato talmente crudele e geniale! Gaius, il cerusico di corte, non rappresentava più un problema.
Era certo che se avesse portato Merlino con sè e lui fosse stato ancora in vita, avrebbe escogitato qualcosa per venire a riprenderlo, e avrebbe cercato di mettergli i bastoni tra le ruote.
Adesso, invece, il povero, piccolo Merlino, era completamente solo. Solo e prigioniero.
Presto avrebbe realizzato il suo desiderio. Presto avrebbe visto il suo sogno realizzarsi!
Però, prima, doveva accadere un' altra cosa... Merlino doveva vedere con i propri occhi quello che si stava portando a compimento.
Per questo, aveva fatto un cenno a lord Sopespian che, prontamente, era stato colto dal nobile.
Con uno strattone, aveva fatto si che il giovane mago si destasse dal proprio sonno. Non avevano dovuo attendere molto.

Il ragazzo si era svegliato di soprassalto, stanco, frastornato, e infastidito dall' odore inconfondibile di fumo che gli aveva inondato gola e polmoni, facendolo tossire.

"Bentornato tra noi, giovane Merlino! Appena in tempo per goderti lo spettacolo!".
Il mago guardava Miraz confuso, incapace di comprendere quello che stava accadendo.
D' un tratto, però, il ricordo della minaccia incombente aveva fatto ritorno, scuotendo il ragazzo fin dentro l' anima.
"Gaius...".
Camelot. Camelot ardeva.
Si. Anche se qualcuno avesse detto l' opposto, era Camelot ad ardere, perché il regno senza il suo caro mentore, senza l' unico padre che aveva mai avuto, non sarebbe mai più stato lo stesso.
Le fiamme imponenti erano state accese per essere guidate dall' uomo. Erano fiamme assassine. Non fiamme purificatrici.
Erano le fiamme del male.

"Non trovi che sia uno spettacolo merviglioso?".

Miraz era radioso.
Miraz godeva della sofferenza altrui. Appena Merlino credeva che quel mostro avesse toccato il fondo, si doveva ricredere, perché riusciva ad arrivare ancora più in basso.
Gaius stava bruciando. Un innocente stava morendo in modo atroce, e il re di Telmar gioiva di una tale sciagura, di un tale dolore.

Merlino non riusciva neanche a proferire parola.
Esse erano inutili.
Fuggire, lo era ancora meno.
Senza rendersene conto, si era accasciato sul destriero, adagiando la schiena contro il torace dell' uomo che cingeva prepotente la sua vita.
Era debole e indifeso. Che facessero di lui ciò che meglio credevano. Lui non avrebbe lottato.
Non avrebbe avuto senso. Se non il mettere a repentaglio la vita dei suoi cari.

Oh Artù! Se solo avessi visto! Se solo avessi saputo! Saresti entrato nelle stanze di Miraz e lo avresti sfidato a duello, fino ad ucciderlo con un unico, possente colpo della tua lama. Un solo fendente, e tutto sarebbe finito. Miraz sarebbe morto, e tu, il grande principe Artù, futuro re di Camelot, avresti ridato la libertà a tutti coloro che erano stati assoggettati da quell' essere dal cuore nero.
Se solo avessi visto! Se solo avessi saputo...

"Vedo che hai finalmente capito, piccolino..." - aveva detto lord Sopespian, mentre stringeva ancora di più le dita sul fianco di Merlino - "Hai finalmente capito come devi comportarti...".
Il giovane non si era mosso. Incapace perfino di chiudere gli occhi sbarrati dal dolore della perdita.
"Continua a fare il bravo, e verrai ricompensato. Puoi starne certo piccolino... avrai solo il meglio".
Merlino era rabbrividito a quelle parole. Ognuna di esse sembrava sporcarlo, violarlo sin nel profondo. Non poteva usare la sua magia, e senza di essa non era in grado di difendersi. Il che significava che lui non valeva niente. Che lui non era niente.
Ogni cosa, ormai, era perduta.

Non si era accorto che il reguardava lord Sopespian con disprezzo.

"Dovremmo andare vostra maestà. Prima partiremo, prima arriveremo a Telmar".
"Quanta fretta lord Sopespian! Hai forse qualcosa di impellente da fare, a casa?" - come sempre, il sovrano aveva colpito e affondato: il nobile era diventato bianco come la cera - "Ma non posso darti torto. Sono smanioso almeno quanto te di rivedere la mia casa".
Detto ciò, aveva sorriso compiaciuto, spronando il suo cavallo con un poderoso colpo nelle reni.
"UOMINI! AL GALOPPO! TELMAR CI ATTENDE!".
"SIIIIIII!!!!!!!!!".

Si... Telmar li attendeva. Presto sarebbero arrivati a casa, e tutto sarebbe stato perfetto.
I cavalli erano stati lanciati verso una folle corsa, lasciandosi alle spalle la terra polverosa e l' intenso odore di fumo.
Merlino aveva chiuso gli occhi. Persino il vento lo feriva mortalmente.
Il suo cuore stava bruciando insieme alle fiamme della pira. Insieme al corpo orami senza vita di Giaus.
"Perdonami... padre mio...".
Sperava solo che fosse svenuto prima che le fiamme avessero lambito le sue carni.

                                                                                                           *

Silenzio.
Un silenzio surreale aveva accolto il suo risveglio.
Com' era possibile che il castello fosse immerso in una tale calma?
Com' era possibile, soprattutto, che quello sciocco del suo servitore non stesse facendo il solito baccano per svegliarlo? Dove si era cacciato quell' idiota?
Artù, gli occhi gonfi e la gola secca, si era seduto in maniera scomposta sul proprio letto, lasciando che le coltri coprissero solo le sue stanche gambe.
Nonostante avesse dormito a lungo (almeno quella era la sensazione che aveva addosso), si sentiva terribilmente stanco. Come se un cinghiale lo avesse preso in pieno.
Mentre si strofinava energicamente gli occhi col pugno chiuso, si domandava perché quell' idiota di Merlino non fosse lì con un calice d' acqua a placare la sua sete.
Dove poteva essersi cacciato?
Poi, all' improvviso, la verità era sopraggiunta, colpendolo in maniera più violenta di un pugno nello stomaco.
Merlino non era lì con lui perché era più al suo servizio da settimane, ormai.
Miraz lo teneva prigioniero, usandolo e torturandolo come una marionetta senza vita, senz' anima.
Ricordava dello scontro con lord Glozelle, e della ferita profonda che aveva sulla gamba.
Ricordava le cure inutili di Gaius... e poi... e poi ricordava due grandi occhi blu che si accendevano d' oro, e uno strano formicolio che si diradava per tutta la ferita.
Ricordava di essersi sentito improvvisamente bene, circondato dal calore di un corpo sdraiato accanto al suo.
Preso dalla smania di capire, aveva spostato le pesanti coperte, osservando la cicatrice appena visibile sulla propria pelle.
Possibile che di una ferita mortale fosse rimasto un banale graffio?

Un leggero mugolio aveva attirato la sua attenzione.
Per un attimo, aveva creduto che si trattasse di un nemico o di una spia di Miraz, ma poi aveva capito.
Gwen, stesa sul pavimento, accanto alla finestra, si stava destando dal... sonno??
Ma cosa ci faceva Ginevra addormentata sul pavimento della sua stanza??

"Gwen!".
"A - Artù!" - la ragazza, arrossita per essersi fatta sorprendere in quello stato dal suo principe, si era alzata di scatto - "Io... io... non so cosa sia successo...
Non so perché dormivo qui! Sono mortificata! ".
Il principe la guardava divertito.
"Va tutto bene Ginevra... ora, però... sai dirmi dov' è Merlino?".
La ragazza sembrava un po' confusa.
"Merlino dite?".
Il principe aveva annuito. Che Gwen avesse preso una botta in testa??
"Non saprei.. non lo vedo da giorni".

Artù era sbiancato. Come sarebbe a dire che non lo vedeva da giorni? Il timore che gli fosse accaduto qualcosa stava dilagando in lui.
"Gwen. Va a chiamare Merlino. Hai capito? Chiama Merlino!".
"Ma... Artù...".
"Ti prego Gwen. E' importante. Non ho paura di Miraz... io...".
 "Miraz?" - la giovane era sempre più confusa - " E chi sarebbe questo Miraz?".
Sta volta, Artù era convinto per davvero che Gwen avesse preso una botta in testa.

Continua...
____________________________________________________________________________________________________________

Olè!!!
L' asino si è svegliato!!! E chi c' era ad accoglierlo al suo risveglio??? La serva addormentata nel bosco... -.-'
Bè, meglio non commentare oltre!! Ci sarete già voi ad uccidermi per questo!
Credo che la crudeltà di Miraz aumenti di volta in volta...
Come si fa, dico io??
E pensare che è tutto frutto della mia mente malata!!! Eppure io sono il tipo che piange se uccidono un vermetto... (ho pianto tre giorni per la morte della tartaruga di mia zia...).
Mah! Efp fa uscire fuori il mio lato sadico, che volete che vi dica???
Ho detto fin troppo, non pensate??
Ora, dovete essere voi a parlare!!!
Fatemi sapere che ne pensate!!
Grazie a voi tutti!
Un bacione!
Al prossimo capitolo!
Cleo

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Capitolo 28
*** Where are your memories? ***


Where are your memories?


Artù era sempre più convinto che la giovane mulatta avesse preso una botta in testa e soffrisse di una forte amnesia.
Com' era possibile che non ricordasse nulla di Miraz e di tutto lo scompiglio che aveva causato durante la sua permanenza a Camelot?
Aveva provato a raccontarle dello sciagurato salvataggio di Clara da parte di Merlino, della richiesta assurda fatta ad Uther di farsi servire solo da quell' idiota, e della gara contro lord Glozelle che lo aveva quasi ucciso.
Ma lei sembrava cadere dalle nuvole.
"Credo che voi abbiate avuto un sonno molto agitato, mio signore!".
Un sonno molto agitato... UN SONNO MOLTO AGITATO??? Che lo stesse prendendo in giro?
Eppure, Gwen non era il tipo. Era sempre stata gentile, cortese, ed era abituata a mantenere le distanze, anche se spesso non aveva paura di dire ciò che pensava.
Ma mai lo aveva preso in giro, e non credeva che lo avrebbe fatto per la prima volta in quella circostanza. C' era troppa sofferenza in ballo. E poi, riusciva a leggere solo sincerità in quegli occhi dolci e confusi che lo scrutavano con amore. Poteva fidarsi di lei.
Per questo, aveva preferito non insistere oltre.
Dopotutto, aveva un intero castello a cui chiedere!
Anzi, probabilmente, con un po' di fortuna, sarebbe riuscito ad imbattersi proprio in quell' impiastro del suo servitore.
Aveva un assurdo bisogno di vederlo. E lo avrebbe soddisfatto.
"Posso fare dell' altro per voi, mio signore?".
' E' proprio questo il punto Gwen... non hai fatto niente. Come fai a fare dell' altro? ' - avrebbe sicuramente detto suo padre. Ma lui, Artù Pendragon, come avrebbe potuto trattare tanto male una giovane che gli era così devota?
"No Gwen... Grazie molte... puoi andare...".
"Si sire!" - e la giovane si era avviata verso la porta.
"Ah, Gwen... un' ultima cosa".
"Si?".
"Perché sei venuta nella mia stanza?".
La giovane mulatta non aveva proprio saputo cosa rispondere.

                                                                                                          *

Gaius era sfinito.
Sfinito, ma felice.
Grazie ai rudimenti della magia, era riuscito a far sparire i resti carbonizzati di quello che avrebbe dovuto essere la sua dimora di morte, e, approfittando dello strano sonno che aveva sopreso i presenti, si era avvicinato a lady Morgana con circospezione e curiosità.
Aveva visto chiaramente l' aura dorata emanata dalla giovane dama e la sospetta polverina rossa scintillante aleggiare nell' aria.
La magia, che con tanta fatica aveva cercato di tenere celata in lei, si era risvegliata.
Ma quale ne era stata la causa? Che fosse stata proprio lei a far addormentare tutti? E poi, perché, se fosse stato così, con lui non aveva funzionato, mentre lei era rimasta vittima del suo stesso incantesimo? Per dargli la possibilità di fuggire?
Divorato dai dubbi, e anche da un minimo di timore - dopotutto, non sapeva quali fossero i reali effetti di quella polvere sconosciuta - era giunto nei pressi del palco reale.
Uther e lady Morgana dormivano come sassi.
Il re, poi, si era addormentato con il pollice in bocca, e Gaius, nel trovarsi davanti agli occhi una simile scena, per poco non era scoppiato a ridere, mandando a monte il suo piano. E pensare che quello sciocco borioso di un re stava per farlo uccidere!

Ritrovando la concentrazione, il cerusico era salito sul patio, facendo attenzione a non inciampare nel mantello di Uther.
Lady Morgana aveva il viso pallido e sudato. Alcune delle lucide ciocche d' ebano erano appiccicate sulla fronte imperlata di sudore.
L' incantesimo l' aveva prosciugata di tutte le sue energie.
Povera ragazza. Doveva aver fatto uno sforzo estremo. Non gliene sarebbe mai stato abbastanza grato.

Puntando lo sguardo verso il basso, per evitare di scivolare sulla stoffa lucida della veste di Morgana, i suoi occhi avevano notato la presenza di un oggetto che prima gli era sfuggito.
Si trattava di un piccolo sacchettino di velluto, vuoto, a cui era attaccato un laccetto dorato, sciolto.
Facendo attenzione, lo aveva preso tra le mani, sollevandolo quanto bastava per poterlo osservare meglio.
Apparentemente, sembrava un comunissimo sacchetto di velluto. Niente di speciale. Probabilmente, proveniva dalla bottega in paese.
Ma perché si trovava ai piedi di Morgana?
Guardandolo meglio, Gaius si era accorto di uno strano simbolo sulla base. Sembrava marchiato a fuoco.
"Oh Dei..." - improvvisamente, aveva avuto un falsh. Non riusciva a credere a ciò che aveva davanti - "Ma questo... questo è...".
Era un piccolo, minuscolo, drago.

                                                                                                   *

Il principe non riusciva a credere a ciò che si presentava davanti ai suoi occhi.
Tutta Camelot, compresi Morgana e suo padre, giacevano addormentati nella grande piazza.
Una moltitudine di colori di ogni genere era riversa al suolo, creando un gioco tra l' affascinante e lo spettrale. A primo impatto, li aveva scambiati per una massa di cadaveri. Fortunatamente, i cadaveri non respiravano.
Ma che stava succedendo?
Prima Gwen, poi tutti gli altri erano vittima di uno strano sonno.
Di un sonno magico!
Ma certo!
"Un mago dove essersi infiltrato a Camelot durante la mia degenza, e deve aver fatto una fattura all' intera popolazione!".
Era certo che fosse causa della magia se Gwen era stata privata della propria memoria! E lo stesso sarebbe accaduto agli altri una volta svegli!
Ci scommetteva la sua spada migliore!

Muovendosi cauto, con la propria arma sguainata pronto a colpire nell' eventualità di un attacco, quando, all' improvviso, uno dei suoi cavalieri si era svegliato.
"A- Artù!".
"Sir Leon!".
L' uomo, anche se un po' frastornato, era riuscito a rimettersi in piedi, avvicinandosi incerto al principe.
"Che... che cosa è successo??".
"Vorrei tanto saperlo, sir Leon".
Pian piano, tutto il popolo si stava svegliando, compresi suo padre e sua sorella.
"Padre!".
Veloce come non mai, il principe era salito sul patio, trovandosi faccia a faccia con il re.
"Ma che cosa è successo? Perché tutti sono sdraiati al suolo? E... perché siamo qui?" - Uther era molto confuso.
Artù lo guardava sorridendo. Non sapeva se il pericolo fosse ancora in agguato, ma suo padre stava bene. E anche tutti gli altri. Questo era l' importante.
"Credo che siate stati vittima di un incantesimo padre. Non vedo altra spiegazione a tutto questo".
"Un mago? A Camelot? Ma cos...
GUARDIE! SETACCIATE LA CITTA' DA CIMA A FONDO!
VOGLIO CHE STANIATE IL MAGO E LO PORTIATE AL MIO COSPETTO! PAGHERA' QUESTO AFFRONTO!".
Era furioso. Se avesse potuto, lo avrebbe ucciso con le proprie mani.

Ma perché la magia ce l' aveva tanto con loro?
Possibile che tutti i maghi e le streghe fossero pericolosi, interessati solo al potere e alla gloria?
Artù non avrebbe mai compreso la ragione di tanto odio.
Ma, col trascorrere del tempo, si ritrovava a dare sempre più ragione al padre: la magia era pericolosa, e doveva essere debellata, in un modo o nell' altro.

"Tu stai bene, figlio mio?".
"Si, padre. Fortunatamente non ero presente quando tutto è successo, e...".
"Molto bene! Potrai prendere i tuoi uomini migliori e unirti alle ricerche! Dobbiamo trovarlo Artù, prima che decida di agire di nuovo!".

Era proprio come aveva pensato: suo padre non ricordava nulla di quello che era accaduto. Se fosse stato il contrario, non lo avrebbe di certo trattato in quel modo.

Continua...
___________________________________________________________________________________________________________

Salute a voi Merliniani!!
Bè, ho scritto il capitolo prima di vedere l' episodio di ieri... Ho cambiato idea! Alla faccia di una Gwen dolce e gentile! E' così dolce che non voleva far partire Artù alla ricerca di Merlin! ODIOSA!!
Bene, mi sono calmata...
Come avrete potuto notare, è  un capitoletto di passaggio...
C'è bisogno di respirare un po'!
A volte, faccio accadere un miliardo di cose tutte insieme! Chiedo venia! =)
Povero Artù... non ci sta capendo niente!! Di questo passo, crederà di essere ammattito! Almeno fin quando non parlerà con Gaius...
Quel geniaccio ha già capito tutto! Ha tutta la mia stima! XD
Lo so, non vi ho raccontato niente né di Clara, né del NOSTRO Merlin!!!
Rimedierò a breve...PROMESSO!!
Che altro dire?
Spero che vi sia piaciuto! <3
Ah, e se a qualcuno interessa Supernatural, o se a qualcuno in generale piacciono le mie storie, vi andrebbe di fare un salto in quel fandom?
La mia storia si intitola "Lo straniero che venne dal cielo".
Grazie!
Un bacio grande!
A presto!
Cleo

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Capitolo 29
*** Confessioni ***


 

Confessioni


Clara e Lord Glozelle galoppavano veloci nella foresta, cercando di raggiungere Miraz e il suo esercito partiti venti minuti prima di loro.
Per quanto avessero spronato i propri destrieri, però, non riuscivano a raggiungere il resto del gruppo.
Miraz aveva fretta di tornare a casa, a quanto pareva.

Clara aveva serrato le mani sulle redini del suo cavallo color della neve, cavalcando qualche metro dietro la cavalcatura del generale di Telmar.
Di tanto in tanto, voltava il capo verso il castello che l' aveva nascosta per mesi, pensando al dolore che aveva causato.
Sperava vivamente che quella servetta fosse riuscita a portare a termine la missione.
Se Gaius non ce l' avesse fatta ad evitare il peggio, non se lo sarebbe mai perdonato. Era un innocente.
L' unica colpa di quell' uomo era quella di aver nascosto un mago. Meritava la morte per quello?
Meritava la morte per aver protetto colui che considerava suo figlio?

Arrivati in cima alla collina, entrambi si erano fermati per un istante, voltandosi verso Camelot.
Non vi erano fiamme che si levavano imperiose nella piazza interna del castello, ma tutt' intorno si avvertiva un vago sentore di fumo.
Possibile che Ginevra avesse fallito, e che l' esecuzione si fosse compiuta con una tale velocità?
Il sangue le si era gelato nelle vene.

"Pensi che quel poveraccio abbia sofferto molto?".
Non si aspettava di sentire la voce del proprio compagno di viaggio. Men che meno si aspettava che pronunciasse simili parole.
La cosa più assurda, era che lord Glozelle le sembrava davvero pentito.
Gli uomini di Miraz avevano un cuore! Chi l' avrebbe mai detto?
"Non lo so. Ma spero con tutta me stessa che non sia stato così" - in realtà avrebbe voluto dire ' spero che non sia neanche arrivato in piazza ' , ma si era trattenuta.
Se avessero anche solo lontanamente sospettato un tradimento, tutto quello che aveva fatto fin ora sarebbe stato vano.
 
"Andiamo!" - aveva detto all' improvviso il cavaliere, tirando le redini del proprio cavallo per fargli intraprendere la direzione di casa - "Dobbiamo cercare di raggiungerli.
Non voglio grane di nessun tipo".
La giovane aveva esitato per un lungo istante, prima di spronare il suo destriero.
' Spero davvero che tu ce l' abbia fatta, Gaius. Lo spero davvero '.
Non aveva più niente, ora, che la legasse a Camelot. Niente all' infuori di Merlino.

                                                                                                      *

Gaius si era rintanato nel proprio studio, intento ad esaminare il sacchetto di velluto.
La sua intuizione iniziale non era stata smentita.
Quello che reggeva tra le mani era un sacchetto realizzato dalla magia stessa.
La magia forgiava simili oggetti dalla fiamma ardente dei draghi, e quei sacchetti venivano realizzati per contenere una sola cosa: la polvere estratta dalle ali delle fate.
Aveva tra le mani una delle cose più preziose di tutto il regno magico. Una cosa preziosissima e potentissima.
Quasi stentava a crederci.
Tutto combaciava perfettamente: tra i poteri della polvere di fata, vi era quello di indurre un sonno magico che faceva dimenticare agli interessati ciò che era accaduto nell' ultimo periodo.
Stupefacente!
Ora, era solo una la domanda da porsi: come aveva fatto lady Morgana a reperire un oggetto simile?
Era un dono di una creatura magica. Gaius era certo che fosse un dono di Kilgarrah. Ma come faceva la dama a sapere della sua esistenza?
Il mistero si infittiva.

Così come l' improvvisa partenza di quel mostro di Miraz e di tutto il suo esercito.
Quel maledetto non aveva avuto neppure il coraggio di vederlo morire.
Per fortuna, era stato risparmiato.
C' era qualcuno di potente che teneva a lui. Ne era certo.

Doveva condividere quello che aveva scoperto con qualcuno. E quel qualcuno era Merlino.
Dove poteva essersi cacciato quel pasticcione??
Ora che Miraz non c' era più, Merlino era finalmente libero!
Forse non si era recato da lui perché era stato vittima dell' incantesimo!
Meglio così... ricordare quello che aveva sofferto per mano di quel mostro non lo avrebbe aiutato ad andare avanti. Merlino doveva dimenticare.
Si: avrebbe tenuto il suo segreto per sé.
Solo così avrebbe protetto suo figlio.

Il suono delle campane aveva distratto Gaius dai suoi pensieri.
Finalmente il re e il popolo si erano svegliati.
E, conoscendo Uther, doveva essersi convinto che fosse opera di uno stregone deciso ad attaccare Camelot.
I suoi uomini, in quel preciso istante, stavano sicuramente perquisendo Camelot da cima a fondo.
Ovviamente non avrebbero  trovato nessuno.

Qualcuno aveva preso a bussare alla sua porta con insistenza.
"Avanti".
La figura statuaria del principe Artù si era presentata davanti ai suoi occhi.
"Gaius..." - non sapeva da dove cominciare.
"Mi fa piacere vedere che state bene, vostra maestà".
Gli occhi di Artù si erano illuminati all' improvviso.
"Tu... tu ricordi della battaglia! Ricordi della mia ferita!".
Uno strano entusiasmo lo aveva assalito.
"Si Artù... ricordo tutto. Ricordo anche di più".
Il principe era piacevolmente sorpreso.
"Sai dirmi cos' è accaduto, dunque".
"Sedetevi Artù... sedetevi".

Gli aveva fatto spazio sulla panca e, dopo aver riordinato le idee, aveva inziato il suo discorso con voce tremante.
"Siete stato male Artù... eravate ferito gravemente...
Ma, per fortuna, siete guarito, adesso" - si trovava in difficoltà. Non era bravo a guardare le persone negli occhi e a mentirgli.
Per questo, doveva cercare di dare spiegazioni al principe senza mettere nei guai nessuno.
Quest' ultimo pendeva dalle sue labbra.
"Vedete, durante la vostra degenza, sono accadute cose molto spiacevoli Artù.
Sono stato accusato di avervi guarito con l' uso della magia. Sono stato imprigionato e condannato a morte.
Qualcuno, però, ha deciso che non era ancora giunta la mia ora.
Qualcuno dotato di poteri magici".
Artù lo ascoltava a bocca aperta. La magia aveva salvato Gaius? Perché mai? La magia era malvagia!
"Questa persona... quest' essere, ha gettato il contenuto di un sacchetto sulla folla presente in piazza che, respirandola, è stata indotta ad addormentarsi.
Durante il sonno magico, le ' vittime' hanno dimenticato gli eventi dell' ultimo periodo. Dimenticando non solo la mia condanna, ma anche la permanenza di Miraz qui a Camelot. E con essa i suoi soprusi, e la sua crudeltà".
Gliel' aveva detto.
Gli aveva detto la verità. O quasi.
Cosa ne sarebbe stato di lui, adesso? Avrebbe creduto che era tutta opera sua?
Eppure, non era pentito di quello che aveva fatto. Era convinto che non fosse come suo padre.
Gaius era certo che Artù fosse diverso.
 
"Chi è stato Gaius? Chi ha osato accusarti?"- le iridi azzurre ardevano feroci.
Il cerusico non si era sbagliato: Artù Pendragon credeva alla sua innocenza.
"E' stato Miraz".
"Bastardo!".
Era scattato in piedi, battendo violentemente i pugni sul tavolo.
"Calmatevi vostra maestà. Sono vivo, sto bene. Miraz è andato via. Non ci farà più del male".
A quelle parole, Artù era sbiancato all' improvviso.

"Mio signore... vi sentite bene??".
"Gaius... hai detto che Miraz è andato via?".
"Si, vostra maestà, perché?".
Il principe, sconvolto, si era lasciato cadere sulla panca, guardando dritto davanti a sé.
"Perché non riesco a trovare Merlino".
Sta volta, il vecchio cerusico era certo che non sarebbe sopravvissuto.

Continua...
__________________________________________________________________________________________________________
Merlinianeeeeeeeee!!! Salute a voi!! =D
Bene bene! Non so se state seguendo la nuova serie, ma anche in quella Gaius è stato accusato ingiustamente!
Pare che ci prendiamo gusto!XD
Agravayne (spero di aver scritto giusto) mi ha veramente seccata! Come si fa a volere la morte del sangue del proprio sangue?
Dell' unico ricordo di tua sorella? MOSTRO!
Ma torniamo a noi...
NON HO PARLATO DI MERLINO, lo so!
Non uccidetemi...
Dovevo prima far raccontare la verità a Gaius. Mi spoilero un po' (che brutto termine).. non so ancora se farò scoprire i poteri di Merlino ad Artù, ma sto cercando di fargli capire una cosa: non è la magia ad essere cattiva, ma gli uomini.
Si, per la serie "da un grande potere derivano grandi responsabilità". U.U
Artù è giovane e un po' ingenuo... la sua giovane mente ha bisogno diessere aperta e guidata verso il bene, verso la giustizia VERA.
Non verso la vendetta.
*MOMENTO RINGRAZIAMENTI*.
Vi ho mai detto quanto vi adoro??
E' grazie a voi se il mio lavoro ha un senso, non smetterò mai di ripeterlo!
GRAZIEEEEEEE!!!!! <3 <3 <3
Approfitto di questo spazio per ricordarvi della mia fiction su Supernatural, e per informarvi che proprio ieri ho pubblicato il primo capitolo di una fanfiction su Dragon Ball
Passate dalla mia pagina! ;)
A presto!
Un bacio enorme
Cleo

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Capitolo 30
*** Verso Telmar ***


Verso Telmar


Stavano cavalcando da una... due... tre... forse quattro veglie.
Merlino aveva perso la cognizione del tempo, ormai.
Tutto attorno a sè era vuoto. Nullo.

Un tempo, trovandosi nella natura, avrebbe avvertito la sua energia scorrere sotto la pelle, fondendosi alla magia che animava la propria essenza, creando un' unico, grandissimo potere.
Ora, non c' erano altro che il fragore degli zoccoli sulla terra battuta, il vento che sferzava feroce contro il suo viso, e la mano del suo aguzzino che lo teneva stretto contro il proprio torace.
L' armatura di Lord Sopespian era gelida. Il contatto protratto con le sottili vesti del mago non era stato sufficiente a scaldare il metallo. Al contrario, la sua pella era stata vittima di quel gelo, e doleva, irrigidita da quel freddo pungente che la trafiggeva imperterrito.
La cosa, però, che riusciva ad avvertire più di tutte, era il fiato del cavaliere che si insinuava tra le pieghe del suo fazzoletto blu, sfiorando la nuca e il collo niveo.
Caldo, sporco, pesante, non gli aveva dato tregua.
Era come una nenia, come una promessa di appartenenza, di brama oscura.

Ma divincolarsi era inutile, ormai.
Tutto era inutile, oramai.

Gaius non c' era più.
L' uomo che lo aveva accolto in casa propria, istruito, trattato come un figlio, l' uomo che gli aveva insegnato ad accettarsi per quello che era senza doversene vergognare, era morto per espiare una colpa non sua.
Le spire malvage del fuoco lo avevano avvolto nella loro stretta mortale, divorandolo senza pietà.
Cos' era rimasto di un uomo saggio e buono?
Cenere... lieve, grigia, tiepida cenere...

Ah! Se solo Merlino avesse avuto la forza di essere quello che Gaius gli aveva insegnato ad essere!
Sarebbe stato in grado di lottare, di ribellarsi a quei soprusi, a quella prigionia!
Avrebbe almeno avuto il coraggio di guardare di nuovo il proprio riflesso nello specchio.
Invece, aveva ceduto. Si era arreso, rinnegando l' insegnamento più grande: Merlino si vergognava di sè stesso.
Si vergognava di quello che era diventato. Un vile, inutile, sciocco codardo.

Chi si sarebbe preso cura di quei miseri resti?
Chi si sarebbe assicurato di farli riposare in pace, impedendo all' impetuoso vento di trascinarli con sè verso mete sconosciute e temibili?

Il re?
Non lui di sicuro.
Lady Morgana?
Le damigelle non si sporcano le mani per un semplice cerusico.
Gwen?
Dolce e cara Gwen... Forse tu sei la sua utlima spiaggia...

E Artù?
Tu, Artù, se solo non fossi stato ancora addormentato per mano di Merlino, cosa avresti fatto?
Ti saresti arreso, inginocchiandoti al suolo per raccogliere le sue ceneri, o avresti lottato?
Tu, Artù Pendragon, principe di Camelot, cosa avresti fatto?

Una solitaria lacrima salata stava percorrendo la scarna e pallida guancia del mago.
Non avrebbe mai più rivisto nessuno dei suoi cari.
Miraz se n' era andato, Camelot era salva, chi mai si sarebbe preoccupato dell' assenza di uno stupido, inutile servitore?
Anche se Artù avesse espresso la volontà di partire alla sua ricerca, Uther non avrebbe mai acconsentito.

' E' solo uno sciocco servitore. Puoi averne centinaia migliori di lui ' .
' Era l' assistente di uno stregone... meglio per lui che stia lontano da Camelot '.

E, se anche avesse tentato di ribellarsi, Uther lo avrebbe fermato.
Sarebbe stato capace di imprigionarlo di nuovo, pur di impedirgli di commettere un errore.
Perché quello non era altro che un errore.

Cercarlo sarebbe stata la sua condanna a morte.
Miraz non era umano.
Quegli uomini non erano umani.

Ormai Merlino non aveva più dubbi.
Camelot sarebbe diventata solo un ricordo lontano, un dolce sgno che non avrebbe mai più sognato, un ricordo che, col tempo, sarebbe inesorabilmente sbiadito.

Il tempo... cos' era il tempo per un prigioniero?
Cos' era il tempo per un condannato a morte?
Non era altro che un pesante macigno.

Con la morte nel cuore, Merlino aveva lasciato che le palpebre, pesanti, si chiudessero sulle stanche iridi blu, non rendendosi veramente conto di quello che accadeva intorno a lui.

Quante volte si poteva morire, nella propria vita?
Il giovane mago non conosceva la risposta...
Sapeva solo che, nel suo caso, la vita stessa si era ormai trasformata in morte.

                                                                              *

"Eccoli laggiù! Muoviamoci!".
Clara e lord Glozelle avevano filamente avvistato Miraz e il suo esercito.
Erano a poco più di un quarto d' ora di cammino da loro, eppure non riuscivano ad accorciare quella distanza.
Sembrava che, per ogni passo guadagnato, ne perdessero altri quattro.
I cavalli erano sfiancati.

"Signore... i destrieri sono stanchi... hanno bisogno di bere...".
"Pensi che non lo sappia? Alagor è sfinito. Non so come sia possibile! Sai benissimo che non dovrebbe essere così...".

Il generale di Miraz la guardava serio.
I cavalli non sarebbero dovuti trovarsi in quello stato. Non dopo il ' trucchetto ' che era stato utilizzato.
Che quella ragazzina lo stesse imbrogliando?

Clara era preoccupata.
Aveva percepito chiaramente il tono accusatorio con cui si era rivolto a lei.
Ma non era colpa sua.
Non centrava.
E questo, lord Glozelle, avrebbe dovuto saperlo.
Ma non era per sè stessa che provava timore.

"Ne sono consapevole, lord Glozelle... Non dipende da me... Non sono io a...".
"Lo so che non centri tu" - l' aveva interrotta bruscamente - Spero solo che non ci siano...
' intoppi '. E sai bene a cosa mi sto riferendo. Miraz non ne sarebbe contento".

Il suo stomaco aveva fatto una capriola.

"Credo... credo che sia solo un attimo di stanchezza, lord Glozelle... Lui... lui sarà solo... sarà solo un po' stanco... non tradirebbe mai Miraz... lui...".

"Lui lo teme".

C' era una strana incrinazione nella sua voce.
Sembrava che in quella frase mancasse qualcosa.
' Lui lo teme... come tutti noi '.

"Sono solo i nostri cavalli ad aver accusato il colpo, mio singore.
Loro proseguiranno spediti fino a Telmar, prima che cali la sera".

Il generale era scettico.

"Ne sono sicura, mio signore. Ne sono sicura".
"Spero per voi che sia così".

Non era l' unico a sperarlo... Clara aveva già perso tutto.
Non avrebbe accettato di perdere anche la speranza.

Fine prima parte ____________________________________________________________________________________________________________________________________________


Trenta.
Sono arrivata al trentesimo capitolo.
Ho davvero bisogno di un attimo per pensare a qualcosa di serio da dirvi, perché per me è un traguardo importante.

Come avrò detto fino alla nausea, questa fic è nata da un esperimento, ed è il momento di rivelarvi da cosa è partito.

Avrete sicuramente notato che a fine capitolo non ho scritto il solito ' continua ' , ma qualcosa di diverso, qualcosa che ha un peso maggiore.
La prima parte di questa storia è finita.
Dopo mille peripezie, stiamo per addentrarci in quello da cui tutto è partito.
Questa crossover è nata da una scena che accadrà in questa seconda parte che inizierà dal capitolo 31.
La parte in cui Merlin è ridotto in schiavitù nella fredda e oscura Telmar.
Nessun volto amico è presente.
Merlino crede che Gaius sia morto, ed è convinto che Artù non andrà mai salvarlo.
O meglio, non vuole che vada a salvarlo. Si vergogna di sè stesso, della sua debolezza, e non vorrebbe mai che il suo principe lo vedesse in quello stato, mettendo a repentaglio la propria vita per salvare la sua.
Clara sarà l' unico appiglio del nostro giovane mago, ma la ragazza è sfuggente e ambigua. Capiremo pian piano il perché.

Dopo aver dato tutti gli spoiler necessari senza dire niente, in realtà, mi resta "solo" una cosa da fare:

speranza, Lily Castiel Winchester, Akunamatata, valentinamiky, masrmg_5, Raen 91, SilviAngel, sixchan, Niniel Pendragon, _Sahara_, rossinam, elfin emrys, LellaLaFolle, simplymyself, Liebeliebeliebe, sabry140695, Stella_Oscura, draco potter, emychan,Caskett96, Grinpow:

GRAZIE!!

Per la pazienza, per l' allegria, per l' attesa, per TUTTO!!
Anche una sola vostra recensione ha contribuito a far crescere questa storia.
PERCHE' IL MIO LAVORO, SENZA DI VOI, E' FINE A SE' STESSO.
Spero con  tutto il cuore che, anche se alcuni di voi non fanno più sentire la loro voce, siano ancora qui con me, a leggere in silenzio, e spero che tutti gli altri restino con me fino alla fine.
Siete tutti speciali!

A lunedì prossimo, allora, sperando che Telmar non vi intimorisca troppo.

Vi bacio e vi abbraccio.
Sempre vostra

Cleo

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Capitolo 31
*** Telmar ***


Telmar


Il viaggio era stato breve, ma terribilmente faticoso.
Gaius gli aveva raccontato che Telmar si trovava ai confini più estremi del paese, oltre le grandi montagne bianche, e che, partendo da Camelot, occorrevano molti giorni di marcia per raggiungerla.
Era evidente, però, che il vecchio cerusico avesse sbagliato i conti: erano partiti la mattina presto, e, poco prima che il sole calasse lasciando posto a sua sorella luna e alle stelle, avevano quasi raggiunto i cancelli della città inespugnabile.
Dalla loro posizione, si scorgevano gli stendardi recanti lo stemma di re Miraz che svettavano sulle alte torri del castello di pietra nera.

Merlino era certo di non aver immaginato tutto. Ammetteva di essersi addormentato contro il torace del suo carceriere durante il viaggio, ma non per più di un paio d' ore.
Eppure, sembrava che il povero Gaius avesse ragione, in un certo senso.
Il paesaggio era mutato radicalmente: dalle foreste rigogliose di Camelot, si era passati ad una terra brulla, malata. Gli alberi, che il quel periodo avrebbero dovuto essere ancora carichi di tutte le loro foglie, erano spogli, secchi. Il terreno era arido, e ovunque vi era solo la presenza di rovi ed erbacce tra i ruderi di quelle che in un tempo non molto lontano dovevano essere state le case di famiglie di contadini.
Una quiete surreale aleggiava in quei boschi: non un animale, non un alito di vento, non lo scrosciare di una cascata. Solo il suono degli zoccoli dei cavalli che, imperterriti, solcavano quella terra dimenticata dagli dei.
Come poteva essere che solo in poche veglie di marcia, il paesaggio fosse cambiato così radicalmente? Si era spinto tante volte al seguito di Artù nelle viscere del bosco per ricognizioni o battute di caccia, e in quello stesso lasso di tempo, non erano che arrivati neppure a metà del proprio regno.
Come potevano trovarsi già a Telmar?

"Signori miei!" - aveva detto all' improvviso Miraz, rompendo il filo dei pensieri del giovane mago - "Finalmente siamo tornati a casa! Telmar ci attende! Rendiamole omaggio come dovuto!".
Un ulro spaventoso si era levato da quella massa di uomini in uniforme che, presi dalla smania di varcare la soglia di casa, avevano fatto impennare i propri destrieri.
La stessa sorte era toccata all' equino di lord Sopespian, e Merlin, per la sorpresa, per poco non era caduto da cavallo, rischiando di essere schiacciato dai possenti zoccoli della bestia.

"Attento ragazzino!" - gli aveva detto il nobile, stringendo la mano attorno al suo esile braccio - "Non vorrai mica perderti lo spettacolo!".
L' intero esercito, scortato dal re, era ripartito al galoppo.
Casa era vicina e, se nei loro cuori un senso di sicurezza e di gioia si andava a moltiplicare, nel cuore del giovane mago prendevano posto solo l' angoscia e il dolore della sconfitta.
Cosa avrebbe mai potuto trovare a Telmar?

                                                                       *

La città era come mai Merlino avrebbe potuto immaginarla.
Niente in quel luogo pervaso da un' aura sinistra sembrava reale.
I grandi cancelli si erano aperti sul male e sulla sofferenza fatta persona.
Le strade erano buie e deserte, anch' esse costellate da centinaia e centinaia di rovi.
Non vi era nè una fiaccola, nè un fuoco che potesse in qualche modo rischiarare le tenebre.
Le case erano piccole e malridotte e, anche qui, la cosa più terribile di tutte era il silenzio.
Come poteva essere che in una cittadina, in un luogo abitato da esseri umani, non vi fosse il frastuono proveniente da una tavera, la voce melodiosa di giovani fanciulle canterine, e, soprattutto, non vi fosse neanche il sentore del pianto di un bambino?

Avanzavano lentamente.
Nonostante il buio, gli uomini di Miraz sapevano essatamente come muoversi.
Conoscevano ogni anfratto a memoria, ogni vicolo, ogni più stretta stradina.

Merlino aveva freddo e la paura lo stava letteralmente divorando.
Quel posto era terribile. Come si poteva vivere lì? Ammesso che ci fosse vita in quella landa deserta.

Proseguendo, erano giunti in quella che doveva essere la piazza principale della città, a giudicare dalle sue dimensioni.
La cosa bizzarra, però, era una: essa non era vuota. Tutt' altro.
Centinaia e centinaia di statue raffiguranti bambini, uomini, donne, anziani, storpi, contadini, erano sistemate in ogni dove. La loro fattura era talmente pregiata che, se non fossero state immobili, un occhio poco allenato avrebbe potuto scambiarle per esseri viventi.
Un brivido di terrore aveva percorso la spina dorsale del ragazzo.

"ABBASSATE IL PONTE! APRITE I CANCELLI! IL RE E' TORNATO!".

Dopo un breve tragitto a salire, erano finalmente giunti alle pendici del castello.
Il ragazzo non riusciva a credere a quello che si presentava davanti ai suoi occhi: circondato da pesanti mura merlate di pietra scura rinforzate a scarpa, costeggiate a loro volta da un fossato profondo decine e decine di metri, si ergeva la maestosa, sinistra dimora del re.
Centinaia di uomini erano stati messi di guardia, pronti a colpire con le loro balestre qualsiasi eventuale nemico.
Un rumore sordo di catene, e il ponte levatoio aveva preso dimora. I cancelli erano stati aperti.
Miraz aveva spronato il proprio cavallo, e aveva varcato la soglia.
Poco dopo, lord Sopespian e Merlino lo avevano seguito e l' esercito, a sua volta, aveva fatto lo stesso.

La grande piazza all' interno del castello era solo il preludio di tutto quello che si ergeva sulle loro teste.
Ovunque archi, portali, guglie, finestre decorate con bucrani e grandi scalinate in pietra.
Sinistre gargolle osservavano immutabili l' attonito visitatore.
Merlino si sentiva violato sin dentro l' anima da quei bulbi vuoti, da quelle fauci spalancate, da quelle espressioni feroci.

Miraz, smontato da cavallo, era salito in cima alla scalinata, voltandosi di scatto verso la folla concitata.
I suoi occhi neri, penetranti come quella notte dannata, si erano posati sul corpo del giovane mago che si guardava intorno tremante.

Sentendosi osservato, Merlino aveva girato il capo quanto bastava per incrociare quello sguardo letale.
Un sibilo sinistro aveva iniziato all' improvviso a percorrere l' aria.
Qualcosa si stava avvicinando. Qualcosa di terribilmente spaventoso.
Un' ombra nera aveva affiancato Miraz.
Lenta, viscida come solo le ombre sanno essere, aveva iniziato a percorrere la lunghezza della sua gamba sinistra, strisciando lungo il tronco, fino a raggiungere la sommità della sua spalla, e rimanere lì immobile.
Ora, non solo lui, ma tutta la folla doveva averli visti.Tutta la folla doveve aver visto quelle due sfere rosse come il fuoco accendersi come per magia vicino al volto di Miraz.
Il mago era svenuto, cadendo in malo modo da cavallo.

"Benvenuto a casa, Merlino".
Non aveva potuto vedere re Miraz che, languidamente, accarezzava il capo di quell' ombra sibilante.

Continua...
____________________________________________________________________________________________

Merliniane, benvenute nella sinistra Telmar.
In confonto, il castello del Conte Dracula è il parco giochi! XD
Non avete idea di quanto sia eccitata!!
Capitolo 1 della seconda parte!! *.* -Cleo gongola e gingilla come Prapapappo!-
Quasi non ci credo... Sembra un sogno!! E, se lo è, non azzardatevi a svegliarmi!! POTREI MORDERE!
Allora? Che ne pensate?? Sono ansiosa di leggere i vostri commenti!
Ci tengo a fare una precisazione: i bucrani in realtà si usavano in epoca romana e poi tornano di moda nel Rinascimento e decoravano gli altari, ma dato che li trovo alquanto sinistri, ho pensato che potessero stare bene tra le decorazioni(?) del castello che immagino in un contesto medievale!!
Sapete come dovreste immaginarlo, se non sono stata chiara?? Come il castello della Bestia prima che l' incantesimo venisse spezzato da Belle!
Inquietante, eh??
Poi l' ombra, le statue, Merlino che non capisce come cavolo hanno fatto ad arrivare in un solo giorno!
Quante cose!!
Saprete presto ogni cosa...
Al prossimo capitolo!!
E GRAZIE!
Cleo

Ps: vi ricordo sempre di dare un' occhiata (se vi va) alle altre due mie fanfictions: "Lo straniero che venne dal cielo", nella sezione Supernatural, e "When you least expect it" nella sezione Deagon Ball!.
Bacioni grandi!
Cleo

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Capitolo 32
*** Il piano ***


Il piano


Camelot era tornata alla sua normalità, per quanto si potesse considerare normale l' aver perso la coscienza delle azioni svolte negli ultimi 36 giorni.
I contadini lavoravano instancabilmente la terra, i mercanti esponevano le proprie merci al mercato nel giorno prestabilito, i cavalieri eseguivano i propri doveri e il re governava come solo un re poteva fare.
O meglio, come solo Uther poteva fare.
Il sovrano si trovava ancora nelle proprie stanze, essendosi appena svegliato. O, per essere precisi, avendo appena messo i piedi per terra, visto che non aveva chiuso occhio per tutta la notte.
L' ira per non essere stato in grado di catturare quel mostro che aveva osato attaccare il proprio popolo stentava a passare.
Ma come aveva fatto quella creatura magica a superare la stretta sorveglianza delle guardie reali?
A questo pensava, mentre giocherellava con la sua colazione diventata ormai gelida.
Dovendo essere puntigliosi, era capitato più di una volta che maghi e streghe si intrufolassero tra le mura del castello.
Quei maledetti erano bravi a farsi passare per gente comune. Erano maledettamente bravi.

Il suo servitore personale continuava a sbrigare le faccende, nel frattempo.
Aveva spalancato le finestre per far entrare l' aria pulita del mattino, aveva rifatto il letto, e si era preoccupato di prendere un cambio d' abiti per sua maestà.
Tutto questo, evitando di fare troppo rumore.
Vostra altezza era pensieroso, e non era da bravo servitore infastidirlo con rumori molesti.
Per questo, con la stessa delicatezza, aveva preso il logoro secchio di legno riposto nell' armadio, ed era uscito dalla stanza, chiudendo piano l' uscio, e dirigendosi verso il pozzo per prendere la prima secchiata d' acqua che avrebbe dovuto scaldare per preparare il bagno al re.

Era stato bravo, molto bravo, quasi bravo come i maghi che entravano a Camelot, perché Uther non si era accorto minimamente di ciò che gli era accaduto attorno.
Continuava ad immergere il cucchiaio nel piatto, sollevare un po' del suo cibo per poi farlo cadere di nuovo nel piatto, per poi ricominciare con quel gesto involontario.

C' era la necessità di prendere nuovi provvedimenti. Era inutile girarci attorno.
Camelot doveva trovarsi in una botte di ferro.
Per il suo bene, per quello del suo popolo, e, soprattutto, per quello di suo figlio.
Aveva commesso una volta l' errore di lasciare che la magia entrasse nella propria vita, e ne aveva pagato le conseguenze nella maniera più atroce. Mai più sarebbe accaduta una simile sciagura. Mai più qualcuno avrebbe dovuto subire le crudeltà della magia.

Suo figlio era l' unica cosa rimastagli della propria famiglia. Suo figlio era il suo unico erede, il re che un giorno avrebbe guidato un esercito di potenti cavalieri, e avrebbe governato un popolo adorante e rispettoso.
Artù sarebbe stato un grande re. Ma solo se lui fosse stato in grado di proteggerlo fino a quel momento.

Per questo, non aveva un minuto da perdere.
Si era alzato in piedi, e aveva afferrato i suoi abiti, cominciando ad indossarli senza aspettare l' aiuto del suo servitore che , poco dopo, aveva fatto capolino nella stanza.
Nel trovarsi davanti il re che si stava vestendo da solo, per un attimo non gli era venuto un colpo, e aveva rischiato di far cadere il pesante secchio d' acqua calda che aveva trasportato con non poca fatica.
"Vostra maestà! Questo è compito mio!"- e, veloce come non mai, si era precipitato ad aiutarlo.
"Un re non bada a queste cose, quando si tratta dell' incolumità dei propri sudditi!".
Il suo servitore continuava a non comprendere. Ma comprendere non era il suo compito.
Lui avrebbe pulito le sue stanze, lavato la sua biancheria, lucidato la sua armatura, e gli avrebbe portato il pranzo e poi la cena.
Quello era il suo compito, e lui, da bravo servitore, lo avrebbe assolto.
Subito dopo aver finito di vestirlo, ovviamente.

                                                                                *

"Ma padre! E' una follia!" - Artù non riusciva a credere a ciò che il re gli aveva appena detto.
Possibile che avesse deciso di prendere una decisione tanto drastica?
Non bastavano i problemi che già avevano??
Lui non aveva il tempo di pensare a quelle cose! Doveva andare a recuperare quell' idiota del suo...
"ARTU'! Mi stai ascoltando, di grazia?".
Il ragazzo aveva serrato i pugni.
"Si, padre mio, vi sto ascoltando, e permettetemi di esprimere il mio disappunto.
Non abbiamo bisogno di questo, padre! Camelot è un luogo sicuro! Centinaia di persone vengono a chiederci asilo o protezione, e noi non li abbiamo mai negati!
Non possiamo chiuderci a riccio e fare... fare quello che avete proposto di fare! Sono persone! Non bestie!".

Uther aveva serrato la mascella. Suo figlio doveva trarre una sorta di piacere perverso nel contraddirlo perennemente, non c' erano altre spiegazioni.

"Non è mia intenzione trattarli come delle bestie Artù! Si tratta solo di una precauzione!".
"UNA PRECAUZIONE?? Padre, volete farli marchiare!!
Volete far interrogare l' intera popolazione e dopo esservi accertato che tra di loro non ci siano stregoni o streghe, volete che centinaia di uomini, donne, anziani, bambini vengano marchiati a fuoco per essere riconosciuti come abitanti di Camelot!!
Riflettete sulle vostre parole e sono sicuro che noterete l' assenza di giustizia o di logica in tutto ciò!".
"Non alzare la voce con me, ragazzino!" - aveva detto Uther, sbattendo forte il pugno sul tavolo - "Sono io a dover prendere le decisioni! Sono IO il re!".

Quando Uther si comportava in quel modo, sembrava di avere a che fare con un bambino capriccioso. Insopportabile era un eufemismo!

"Padre, io non mi presterò a nulla del genere. Sappiate che non avrete il mio appoggio in nessun caso. Il nostro popolo finirà per sentirsi oltraggiato, e sapete bene che a nessun sovrano conviene avere contro il proprio popolo! Sono la nostra forza, il nostro sostegno! Sono loro a lavorare la terra e a pagare le tasse! Non possiamo riservargli un simile trattamento!".

Uther si era preso un attimo di pausa, prima di replicare.
Dopotutto, doveva ammettere che suo figlio non aveva tutti i torti.

"Io lo faccio solo per proteggerti, Artù".
"Padre, ve ne sono grato, ma non sono più un bambino. So bene com' è fatto il mondo, e quali pericoli ci siano là fuori. La magia è pericolosa, ormai questo l' ho compreso da tempo.
Ma vi prego, non adottate questo provvedimento.
Triplicate, quadruplicate le guardie se necessario. Io stesso le sottoporrò ad uno speciale addestramento, se me lo permetterete. E poi, sappiamo bene che Gaius è a conoscenza delle arti magiche, nonostante non le pratichi più da tempo. Sarà lui a farci da guida, se dovessimo chiederglielo. Non si tirerà indietro!".

Uther era sorpreso.

"Vorresti occupartene tu?".
Artù aveva serrato i pugni talmente forte da far si che le sue nocche si sbiancassero.
"Si, padre. Credo di essere pronto per affrontare questo. Come principe, come soldato, ma soprattutto come uomo".

Il re era oltremodo sorpreso. Quello che aveva davanti era sì suo figlio, ma era così diverso... così cambiato... così maturo.
Quello che aveva davanti era davvero un uomo.
Non gli avrebbe negato il consenso, nonostante la paura di perderlo fosse smisurata.
Non dopo quelle parole piene di sentimento e di amore verso i propri sudditi.

"Il tuo compito non sarà semplice. L' addestramento sarà massacrante, e avrai a che fare con uomini spesso stanchi e dall' uomore nero. Ma se questa è la tua volontà...".
Artù attendeva impaziente.
"E sia!".
Qualcosa si era sciolto in lui. Il principe di Camelot aveva finalmente avuto la meglio su suo padre.
Quello sarebbe stato un giorno che Artù non avrebbe mai dimenticato.

"Vi ringrazio padre. Non vi deluderò!".
"Lo spero Artù... lo spero con tutto il cuore".

                                                                                 *

Artù correva. Correva come mai aveva corso nella sua vita.
Veloce come un lampo, aveva attraversato l' intera ala est del castello, dirigendosi nelle stanze che odoravano di tutte le erbe del mondo.
Senza troppi convenevoli, aveva spalancato la porta.

"Gaius! Ce l' ho fatta! L' ho convinto!".
Un Artù trafelato e rosso in viso aveva fatto capolino dal misero uscio, con una luce nuova negli occhi.
"Vostra maestà! Così mi farete morire d' infarto! Non fatelo mai più!".
"Gaius, voi non capite! Mio padre ha accettato! Ha accettato! Ah, lo sapevo io che il piano avrebbe funzionato!".

Il principe si aggirava per la stanza come un ossesso, incapace di stare fermo.
L' anziano cerusico lo guardava a bocca aperta.
Non credeva che Artù sarebbe riuscito a convincere Uther con tanta facilità.
Nonostante quello fosse solo l' inizio del loro piano, era lo scoglio più difficile da superare.
E quel principe dalla bionda capigliatura c' era riuscito! ù
Vostra maestà aveva proprio ragione: un giorno, Artù sarebbe stato un grande re!

"La missione più difficile è stata portata a termine. Ora, Artù, dobbiamo pensare bene a come istruire i vostri uomini".

Alle parole di Gaius, Artù si era lasciato cadere sulla panca. Era quello il momento in cui entrava in scena il cerusico col suo provvidenziale aiuto.

"Voi siete sempre dell' idea che la forza non serva a nulla, non è così?".
"Si, vostra maestà. Bisognerà ricambiare con la stessa moneta. E' accaduto tutto quello che è accaduto proprio perché abbiamo sottovalutato l' ingegno del nostro ' ospite '. Bisognerà agire d' astuzia. Questo sarà l' unico modo per...".
"Per salvare Merlino" - aveva completato la frase pronunciata da Gaius con voce ferma.

Non potevano perdere tempo. Non aveva la più pallida idea del perché Miraz avesse rapito quell' idiota buono a nulla di un servo, e questo lo mandava ancora di più in ansia.

Aveva pensato bene di celarlo al cerusico, ma non aveva dormito la notte precedente.
Brutti pensieri avevano fatto capolino nella sua mente.
Gli occhi crudeli e assetati di potere del re di Telmar continuavano a tormentarlo.
Il modo in cui guardava Merlino. Il modo in cui si rivolgeva a Merlino.
Sembrava che volesse divorarlo, annientarlo nello spirito, fino a renderlo un giocattolo, un burattino nelle sue mani così simili a tenaglie di ferro.

Pensava che non fosse giusto condividere quei suoi timori con Gaius.
L' uomo aveva gli occhi stanchi e circondati da profonde occhiaie violacee, segno che neanche lui aveva dormito la notte precedente.
Voleva molto bene a Merlino. Era il figlio che non aveva mai avuto.
E, proprio come lui, aveva deciso di non dire niente.
Il pensiero di suo figlio tra le grinfie di quel mostro doveva essere un dolore quasi inspopportabile. Ma Gaius, invece di abbandonarsi ad esso, lo stava usando per darsi la forza necessaria per riportare a casa colui che amava.

"Artù, dovremo fare attenzione. Più attenzione che mai. Abbiamo sperimentato sulle nostre pelli la pericolosità e la follia di Miraz e dei suoi scagnozzi. Non possiamo permetterci errori".
La determinazione nella sua voce rappresentava un ulteriore stimolo per il giovane erede al trono.
"Pendo dalle vostre labbra, Gaius. Ditemi cosa avete intenzione di fare, e giuro che farò tutto ciò che serve per portarlo a termine. Merlino tornerà a Camelot. Dovessi impiegare tutti gli uomini a mia dosposizione".
Avrebber voluto dire ' a costo della mia vita ', ma non era la circostanza adatta. Gaius avrebbe potuto rinunciare alla loro missione, o avrebbe potuto farsi venire l' idea malsana di partire da solo, e questo, doveva essere evitato ad ogni costo.

L' anziano cerusico aveva scarabocchiato qualcosa su di un foglietto di carta, porgendolo poi ad Artù che lo guardava con aria interrogativa.
"Per ora, mio signore, dovrete fare una sola cosa: recarvi in biblioteca, e cercare i testi che vi ho appuntato sul foglio che avete tra le mani".
 
Il principe era confuso. Libri? E l' addestramento?? E poi, non poteva andarci lui??
"Ma Gaius...".
"Artù, so che vi sembrerà solo di perdere del tempo, ma quei testi sono di vitale importanza.
E poi, non posso prenderli io".
"Perché mai?".
"Avete mai sentito parlare della sezione proibita della vostra biblioteca?".
Il ragazzo cadeva dalle nuvole.
"Molto bene, Artù. E' ora che voi sappiate la storia dell' antico popolo di Narnia".

Continua...
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VIPREGOPERDONATEMIPERILRITARDO!!
Ho avuto il cosiddetto blocco dello scrittore.
Ma ora sono qui, con voi, quiandi non pensiamoci più!
Gaius e Artù insieme sono meglio di Chuck e Sarah! XD Due spie perfette!
Il borioso principino ha rigirato il proprio papà come un calzino! * Applausi *.
E' tempo che sappia la storia di Narnia!!
Credetemi, m' è venuto così, in questo preciso istate, dunque, come al solito, mi sono complicata la vita in maniera spaventosa! XD
Ma che gusto ci sarebbe, altrimenti??
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito!
Siete mitici!!
Bacioni grandi!!
Cleo

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Capitolo 33
*** Dark days ***


Dark days


Merlino si era svegliato di soprassalto, tremando di freddo, e sentendosi a disagio per il sudore che gli aveva appiccicato addosso le vesti.
Il buio che regnava intorno a sè lo aveva momentaneamente disorientato, impedendogli di capire dove si trovasse.

Purtroppo, però, veloci come cavalli al galoppo, i ricordi avevano ripreso ad affiorare, provocando in lui spasmi di puro terrore.

Telmar era il posto in cui era approdato poco tempo addietro.
E quella stanza buia e tetra, doveva essere una delle prigioni a cui Miraz lo aveva predestinato.
Muovendosi, e cercando di non fare il minimo rumore, si era tirato su, mettendosi seduto.

Avvertiva una superficie morbida sotto di sè, e qualcosa simile a calde coltri avvolgevano le sue esili membra. Preso dall' ansia di non capire dove fosse, prima, appena sveglio, non se n' era neanche accorto. Possibile che si trovasse in un letto?
Aveva preso la brutta abitudine di perdere i sensi qua e là, ma dubitava che, in quel luogo infernale circondato da persone infernali, qualcuno avesse avuto la premura di stenderlo in un letto comodo. Era uno schiavo, non un ospite.
E, in ogni caso, Merlino era certo che neppure ad un ospite avrebbero riservato un trattamento migliore.

Silenzio.
Un silenzio surreale regnava in quel luogo tetro.
I suoi sensi, nonostante non potesse più utilizzare la magia, si erano come acutizzati.
Era come se sentisse voci lontane, echi di morte che rivivevano all' infinito la loro tragica fine.

Lentamente, col cuore in gola, aveva spostato le coltri, posando al suolo i piedi nudi.
Il contatto con la gelida superficie lo aveva fatto rabbrividire e sorprendere allo stesso momento: era estremamente levigata. Nessuna asperità, nessuna pietra fuori posto.
Strano... molto strano.

Muovendosi come un gattino spaurito, aveva cominciato ad avanzare i primi passi in quell' antro.
Peccato però che, a differenza di un gattino, non riuscisse a vedere un accidenti.
Amaramente, non aveva potuto fare altro che pensare a quanto avesse bisogno dei suoi poteri in situazioni come quelle.

Quanto tempo era rimasto privo di sensi? Un paio d' ore? Tutta la notte?
Possibile, però, che, nonostante si trovasse in una prigione - una prigione con un letto comodo, tra l' altro - dunque, di conseguenza, in un sotterraneo, non filtrasse dall' esterno neppure una parvenza di luce naturale?

"Ah!".
L' avanzare con cautela non gli era servito: impossibilitato a vedere ciò che si trovava di fronte per colpa del buio, era inciampato contro qualcosa, cadendo con un tonfo secco.
Fortunatamente, aveva fatto in tempo a mettere le mani avanti, altrimenti, avrebbe sbattuto la fronte al suolo.

D' improvviso, aveva sentito un rumore, come di qualcuno che faceva girare la chiave in una toppa. Merlino aveva trattenuto il respiro. Magari, sfruttando il buio e rimanendo immobile, non lo avrebbero visto. Avrebbero pensato che stava tentando di scappare, ne era certo, e non osava neppure immaginare quale sarebbe stata la sua punizione.

Dopo tre giri, la serratura era scattata, e una porta si era spalancata nella sua stanza.
Dalla posizione in cui era, Merlino si era reso conto che chi l' aveva aperta reggeva in mano un lume, o qualcosa di simile, perché quella che stava rischiarando la stanza era di certo una luce artificiale.

"Ma che cosa ci fate lì a terra??".

Era una voce femminile. Una voce femminile irritata.

Lentamente, Merlino aveva sollevato il capo, sorprendendosi nel trovarsi davanti una donna di bassa, bassissima statura, decisamente in carne, col capo coperto da una buffa cuffietta bianca e due occhi scuri e imbronciati.

"Tiratevi su! Forza!" - prendendo Merlino per un braccio, lo aveva sollevato da terra, aiutandolo ad issarsi in piedi.
Non sapeva cosa dire: per prima cosa, non era abituato a sentirsi dare del voi, e poi, cosa voleva quella donna da lui?
Che fosse una delle serve del castello non c'erano dubbi.
Ma perché mandarla lì?

La luce del candelabro che reggeva nella mano grassoccia aveva rischiarato l' ambiente, facendo rimanere il giovane mago a bocca aperta.
Quella non era una prigione: era una stanza grandissima e lussuosissima. Nessuna stanza era come quella, a Camelot, neppure la stanza del re.
Ovunque vi erano mobili pregiati, grandi specchi dalle cornici dorate, e tavole raffiguranti cavalieri nell' atto di combattere.
Sul pavimento di marmo finissimo erano adagiati tappeti di pregiatissima fattura, e, al centro della stanza, c' era il grande, enorme, gigantesco letto a baldacchino in cui aveva dormito.
Incredibile.
Lettaralmente incredibile.

"Siete sicuro di stare bene? Siete pallido e sudato" - la donna lo stava guidando con ' grazia ' verso il letto, costringendolo a sedersi sulle soffice imbottitura.
"Dovete stare buono. Avete bisogno di rimettervi in forze. Vi porterò qualcosa da mangiare, non temete".

Lo aveva aiutato a stendersi, e gli aveva rimboccato le coperte, proprio come faceva lui con Artù.
Solo mentre gli sistemava addosso le coltri si era accorto di non avere addosso i suoi abiti, ma qualcosa di simile ad una tenuta da notte.
Questo voleva dire che qualcuno lo aveva spogliato.
Il pensiero che potesse essere stato lord Sopespian lo aveva fatto rabbrividire.
Quello non era un uomo, ma un maiale! E quella era una vera e propria offesa verso i maiali!

"Ma si può sapere perché non proferite parola? Non sapete parlare, forse?".
"Certo che so parlare!".
"Ah! Allora sapete farlo!" - la donna lo guardava negli occhi, spazientita - "Avete dormito per più di quindici ore! Dovevate essere proprio stanco!".
"Quindici ore??" - non riusciva a crederci! Probabilmente, non aveva mai dormito per quindici ore di fila in tutta la sua vita.
Sconfortato, si era abbandonato alla morbidezza di quei cuscini e di quel letto, tirandosi le coperte fino al mento.
Chissà cos' era accaduto al di fuori di quelle mura mentre lui pensava a poltrire...

La donna, nel frattempo, aveva pensato bene di accendere le altre candele presenti nella stanza, che erano davvero tantissime, e aveva sollevato lo sgabello in cui Merlino era inciampato.
Ma, se erano trascorse tutte quelle ore doveva essere mattino... Perché, allora, non apriva semplicemente le finestre?

"Mi scusi... signora...".
"Margareth...".
"Ah, si, Margareth, dunque, chi mi ha...".
"Lord Sopespian".
"E chi mi ha...".
"Un servitore, Tom".
"E come mai questa...".
"Perché il re vuole che stiate comodo. E non bisogna mai disobbedire agli ordini del re".

Merlino era a dir poco esterrefatto.
Come aveva fatto Margareth a rispondere ad ognuna delle sue domande senza che lui avesse finito di formularle??
Che avesse...

"E non mi guardi così, signorino Merlino! Non sono una strega".

Allora leggeva davvero nel pensiero?? Non sapeva davvero che pensare. Di sicuro, quella donna aveva delle abilità particolari. Su questo non ci pioveva.

"Io devo andare, adesso".
"Di già?" - c' era delusione nella voce di Merlino.
"Presto vi verrà servita la vostra colazione. Promettete di non alzarvi dal letto, però".
"Ma...".
"Niente ma. Non si discute".
E stava per avvicinarsi all' uscio.

"Margareth!".
"Si, Merlino?" - sta volta, sembrava proprio che non fosse stata in grado di leggergli nel pensiero.
"Perché non avete aperto le finestre?" - aveva chiesto con un' innocenza e un candore quasi commoventi.
La donna aveva preso un bel respiro prima di rispondere con voce seria e grave.
"Perché nulla cambierebbe signor Merlino. Nulla cambierebbe" - e aveva chiuso la porta alle sue spalle.

Preso dalla smania di capire, il giovane mago si era precipitato verso la finestra che aveva di fronte, aprendola con non poca fatica.

"Ma non- non è possibile!".

Quello che gli si presentava davanti, non aveva eguali.
La città, il castello e l' intera vallata erano immersi nel freddo abbraccio delle tenebre.
Mai nella sua vita, Merlino avrebbe creduto di vivere una situazione del genere.
La notte aveva preso il completo sopravvento sul giorno.

Continua...
___________________________________________________________________________________________________________________________

Merliniane, salute a voi!
Ormai abbiamo deciso che il giorno di pubblicazione è diventato il martedì... XD
Non odiatemi!
;)
E finalmente, si parla del nostro adorato Merlino.
CHE POSTO TERRIBILE E' MAI QUESTO??? Come faccia la mia mente a partorire queste cose GIURO che non lo so!!
Un posto dov' è sempre notte, dove il sole non sorge mai... atroce!
Povero piccolo Merlino... =( Tutto solo, spaventato, convinto che quella specie di depravato gli abbia fatto del male!
Meno male che ciò non è avvenuto!
Curiosa la figura di Margareth... come al solito, non era prevista! Vedremo come si svilupperà!
Presto torneranno Clara e lord Glozelle... e ne vedremo delle belle!!
Bacioni grandi!
E grazie di tutto!
Cleo

ps: vi ricordo sempre delle altre mie ff... ;)
Baci!


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Capitolo 34
*** Red eye ***


Red eye


Non riusciva a credere a quello che i suoi occhi gli stavano mostrando.
Crudele e inesorabile era lo spettacolo che si presentava davanti alle sue iridi color del mare.
Un' eterna oscurità. Un' opprimente, avvolgente oscurità regnava in quel luogo dimenticato dagli dei.
Là dove un sole luminoso e splendente avrebbe dovuto inondare il mondo con i suoi raggi dorati, c' era solo una pallida luna che stentava a sorgere, intrappolata tra le braccia della vecchia che faceva di tutto per tenerla prigioniera.
Gli alberi spogli che costellavano la terra arida e i ruderi avvolti da rovi contruibuivano solo a rendere ancora più tetro quello scenario da incubo.

Ciò che più di tutto, però, rendeva spettrale quel luogo, era la presenza di piccole, minuscole lucine che aleggiavano per tutta la cittadella, rischiarando appena i volti troppo lontani di persone che, ricurve sotto il peso opprimente del buio e di un dolore inespresso, vagavano per le stradine strette come anime in penitenza.

Sconfortato da quella vista crudele, il giovane mago aveva indietreggiato, fino a che le sue cosce sottili non avevano incontrato la solida struttura del comodo letto su cui si era seduto, rannicchiandosi come un bambino spaventato.

Dov' era finito?
E perché, soprattutto, la magia aveva provocato una simile sciagura?
Perché quella era opera della magia. Riusciva a sentirla nella sua più remota essenza. Scorreva nelle mura del castello, percorreva l' aria, scorreva lungo le acque, avvelenandole lentamente ed inesorabilmente.

Durante la sua giovane esistenza, più volte si era imbattuto in posti intrisi di magia nera, ma mai aveva visto nulla di simile.
Quale creatura possedeva simili abilità?
Chiunque fosse, Merlino era certo di una cosa: non avrebbe mai voluto incontrarla.

Sconfortato, si era rifugiato sotto le pesanti coltri, tirandosele fino ai capelli.
Si sentiva troppo debole per fare qualunque cosa, persino per ragionare.
Persino per piangere.

Dov' era Artù?
Sapeva che non era giusto sperare che il principe di Camelot, l' erede al trono, salisse sul suo destriero e, galoppando veloce, venisse a salvarlo, ma non poteva farne a meno.
Non voleva stare lì. Non poteva stare lì.
Perché la sorte aveva scelto proprio lui? Dov' era finita la storia dell' altra faccia della medaglia?
Dov' era finita la storia del "destino che doveva compiere"?
Era solo uno scherzo?
Il drago si era preso gioco di lui, ingannandolo e ferendolo?
Già, Kilgarrah... quello stupido lucertolone sputafuoco non aveva mosso un dito per aiutarlo.
E Clara? Dov' era finita?
Faceva parte del gruppo di scagnozzi di Miraz, perché non si era ancora fatta viva?
L' aveva ingannato anche lei?
Il dubbio stava diventando una certezza.

TOC. TOC. TOC.

"A-avanti...".
"Signorino Merlino..." - Margareth, la buffa, scorbutica Margareth aveva mantenuto fede alle sue promesse, portando con sè un enorme vassoio stracolmo di leccornie.
Gli occhi vigili della cameriera si erano subito accorti della finestra spalancata.
Senza induguare oltre, aveva posato il pesante vassoio sul tavolo, precitandosi a chiudere le spesse ante.

"Vi avevo detto di non aprire le finestre... siete disubbidiente!".

Il suo tono vagamente canzonatorio aveva ferito Merlino, il cui viso era spuntato timidamente dalle pesanti coperte.
La donna se n' era accorta, e, senza aggiungere altro, aveva preso il piatto con la zuppa calda tra le mani, sedendosi sul letto accanto al suo magrissimo ospite.

"Su, Merlino, mettetevi seduto... Non posso imboccarvi se vi ostinate a rimanere sdraiato... rischierei di ustionarvi".

"I-imboccarmi? Margareth, non ce n' è bisogno, io...".
"Alt! Non provate nemmeno a dirmi che fate da solo e non osate dire nemmeno che non avete fame. Aprire quelle ante vi ha sfinito, possibile che non ve ne rendiate conto?".

Aveva ragione... Ma non aveva alcuna voglia di mangiare.
O, forse, non aveva la forza di fare neanche quello.

"Su, fate il bravo: dite 'aaaaa' " - e aveva avvicinato un cucchiaio stracolmo di zuppa fumante alla bocca rosea e carnosa del giovane mago.
Merlino doveva ammettere che l' odore era davvero invitante.
E poi, come dire di no ad una come Margareth?

Facendosi forza, aveva dischiuso le labbra, lasciandole poi avvolgersi attorno al cucchiaio e all' invitante pietanza.
Buonissima.
Non avrebbe saputo dire di preciso di cosa si trattasse, ma era sicuro che contenesse della carne. E mangiare la carne, per uno come lui, era un privilegio.
Per questo, era riuscito a superare persino la particolarità di dover essere imboccato, e si era preparato a ricevere un nuovo boccone senza neanche farsi pregare.

Margareth si sentiva più che soddisfatta.
"Vedo che vi è tornato l' appetito! Bene... molto bene!".
Merlino sorrideva tra un boccone e l' altro: mai avrebbe creduto di incontrare un volto amico nel bel mezzo del male.

"Signora..." - aveva chiesto, con la bocca ancora piena.
"Margareth signorino Merlino... solo Margareth... Possibile che non lo capiate?".
"Eff.. ofai... dafforfo..." - se Artù lo avesse visto parlare con la bocca piena sarebbe rabbrividito. Evitando di morire soffocato, aveva preferito inghiottire rumorosamente il sostanzioso e succulento boccone.
"Le piace?".
"Cosa?".
"La mia zuppa!".
"Ah! Si!" - aveva risposto distrattamente, prima che un' altro cucchiaio stracolmo riempisse la sua bocca - "E' buoniffima!".
"Ne sono felice! Sa, è un' antica ricetta del luogo... occorrono un sacco si ingredienti per prepararla, e molte ore per cuocerla. Ma è la pietanza più saporita e nutriente che troverete in tutto il regno! E per togliere l' amaro di questi giorni, vi ho portato un dolce alle nocciole. Sono sicura che vi piacera tantissimo, signorino Merlino...".

Le parole della donna lo avevano colpito. Cosa sapeva davvero di lui e di quello che gli era capitato? Ma non aveva avuto cuore di trovare risposta ai propri interrogativi. Forse, aveva trovato il lato positivo di quella prigionia: dell' ottimo cibo.
A malincuore, era arrivato all' ultimo cucchiaio di zuppa, e Margareth, senza farlo aspettare troppo, gli aveva versato un bicchiere di acqua fresca, iniziando poi a spezzettare il dolce che Merlino avrebbe mangiato.

"Niente vino per voi, signorino... Non vorrei che vi facesse male!".

"Siete molto gentile... lo ricorderò".

La donna sorrideva soddisfatta.

"E' solo il mio lavoro... Credo che siano altre le cose che dovrete ricordare" - aveva risposto, cominciando ad imboccargli il dolce.
"Che volete dire?".
Margareth era diventata improvvisamente scura in volto.
"Nulla signorino... nulla... finite il dolce, su! Avete già messo su un po' di colore! Sono certo che un altro paio di giorni di riposo e sarete come nuovo!".
"Ma, io...".
"Niente ma! Finite il dolce!".
E Merlino aveva obbedito.
Del resto, era certo che presto avrebbe saputo a cosa sarebbe andato incontro.
                                                                        *

Passi.
Un' eco di passi risuonava nell' ampia scalinata nel castello di pietra nera.
Le flebili luci delle candele non erano in grado di illuminare a sufficienza quell' ambiente tetro e freddo.
Per questo, anche a chi lo consceva da sempre, sarebbe stato impossibile riconoscerlo.

Senza attendere di essere annunciato dalle guardie reali, aveva spalancato le porte del grande Salone degli Scranni, guardando dritto verso l' enorme trono di ebano scuro occupato da colui che per molto tempo era stato considerato solo un vile usurpatore.

"Mio re!" - aveva detto, inchinandosi al suo cospetto.
"Lord Glozelle... vedo che finalmente avete deciso di raggiungerci! Buon per voi...".

Re Miraz, seduto in maniera altezzosa su quello che era stato il trono di suo padre prima e di suo fratello poi, fissava con i suoi occhi di pece il proprio generale.
Le luci diffuse in tutta la stanza scintillavano sulla sua lucida corazza, accendendo anche i suoi occhi stanchi e fieri.

"Il cavallo ha perso il suo potere magico, mio signore... per questo sono rimasto indietro...".
Miraz sorrideva, maligno.
"Oh... Generale Glozelle... la cosa mi addolora! E dimmi, hai avuto difficoltà a ritrovare la strada di casa?".
Il soldato non capiva, ma il tono di sua altezza non lo allettava affatto.
"Certo che no, mio signore...".
"Bene... bene...".
Lord Glozelle non si era accorto che Miraz fissava un punto preciso oltre la propria spalla.
"E ditemi..." - aveva ricominciato a dargli del voi - "Anche il cavallo di Clara ha perso i suoi poteri?".

Il sangue si era gelato nelle vene del generale: sperava che Miraz non si fosse accorto della loro assenza, ma così non era stato. Non sfuggiva proprio niente al suo vigile sguardo.

"Io- io... vostra maestà, noi...".
"Voi cosa, generale Glozelle?".

Un sibilo sinistro si era propagato nell' aria, ma lord Glozelle non se n' era reso conto.

Doveva trovare una scusa... e subito! O sarebbero stati guai, per lui e per la giovane Clara.

"Credo di non essere stato chiaro: VOI COSA?".
"Avevo... Aveva... noi...".
"Voi?".
"Noi... AAAHH!".

Spire oscure all' apparenza impalpabili stavano avvolgendo il solido corpo del generale, stringendo fino al punto di piegare il pregiato metallo della splendida armatura.
Il fiato era venuto a mancargli.
Le costole si stavano incrinando, e presto si sarebbero fratturate, così come le ossa delle sue gambe e delle sue braccia.

Fra le lacrime che a stenti riusciva a trattenere, poteva vedere il volto compiaciuto del proprio re che gioiva del suo dolore, e con le orecchie che sembravano voler esplodere da un momento all' altro, aveva finalmente potuto udire il sibilo sinistro che aveva preceduto la sua aggressione.

"Vostra maestà... no... vi prego...".

"Sai cosa spetta ai traditori, generale! E' la legge di Telmar!".

Il dolore lo stava facendo impazzire.

"Re Miraz... no!".

"DOVE ERAVATE, GENERALE???".

E li aveva visti. Lord Glozelle li aveva visti. Aveva visto quelle pupille di fuoco.
Le stesse pupille di fuoco che avevano dato il via a tutto quell' orrore.
Le stesse pupille di fuoco che avrebbero decretato la fine dei giochi.

Con terrore, la sua stanca mente non aveva potuto fare altro che volgersi verso un unico pensiero: quanto dolorosa poteva essere la morte?

Continua...
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Merliniane, chiedervi scusa è riduttivo.
Sono in arcimegastraiperritardo, ma ho una valida motivazione: esami universitari e regali di Natale!!
Ora sono tutta per voi, e non dovrebbero più esserci ritardi! <3
E poi, aggiornare mentre trasmettono in tv "Il leone, la strega e l' armadio" ha il suo perché!;)
Bene bene... Merlino ha mangiato... Margareth lo ha prima sgridato e poi coccolato... e poi lo ha lasciato pieno di dubbi!
E quel mostro di Miraz che osa fare del male ad uno dei suoi uomini. Provo una grande pena per lord Glozelle.
Quale sarà la sua sorte? E quella di Clara? Cosa farà Artù?
Ovviamente, scopriremo tutto nelle "prossime puntate".
E, con l'augurio di un Natale pieno di gioia e di amore, vi lascio, sperando di sentirvi presto!
Baci enormi e coccolosi!
Sempre vostra,
Cleo!

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Capitolo 35
*** The chamber ***


The chamber


"La storia dell' antico popolo di Narnia" - aveva detto Gaius.
L' anziano cerusico aveva pronunciato quello strano nome con un misto fra timore e rispetto.
Artù non aveva mai sentito parlare di quel luogo, il che gli era parso strano, dato che era cosa ovvia per un futuro sovrano conoscere ogni terra, ogni popolo vicino al proprio regno.
La cosa più strana di tutte, poi, era l' esser venuto a conoscenza dell' esistenza di una sezione proibita nella biblioteca del castello.
C' erano sezioni ad accesso esclusivo del re, era vero, come quella riservata alle planimetrie del castello dove erano indicati tutti i tunnel segreti e gli ingressi secondari, ma non aveva mai sentito parlare di una ' sezione proibita '.
Chissà cosa conteneva, poi!
La curiosità lo stava assalendo, per questo, senza indugiare oltre, Artù aveva memorizzato le istruzioni impartitegli da Gaius, e si era lanciato alla ricerca dei testi desiderati.

"Il vostro anello, Artù. Quello con il simbolo della vostra casata. Prendetelo, e portatelo con voi in biblioteca, vi servirà per accedere alla stanza segreta".
Questa prima rivelazione dell' anziano cerusico lo aveva lasciato di stucco.
Il suo anello non era un semplice gioiello, ma una chiave che apriva la porta di una stanza che conteneva libri rari. Rari e pericolosi, a quanto aveva potuto capire.

"Poi, andate in biblioteca, evitando di destare troppi sospetti. Vi darei un sonnifero da somministrare al bibliotecario, ma, se le guardie lo trovassero addormentato, vostro padre potrebbe prendere seri provvedimenti, e noi non vogliamo provocare niente del genere".
Aveva ragione. Fin troppe persone avevano sofferto in quel periodo, sarebbe stato meglio evitare di farne soffrire delle altre.

"Dopo che sarete entrato in biblioteca, svoltate a destra dopo il primo scaffale, e percorrete il corridoio di pietra fino ad arrivare in fondo, dove troverete un alto scaffale di mogano scuro.
Lì, vostra maestà, troverete una serie di libri molto vecchi, dalla copertina logora, ma identica, posizionati sulla terza mensola.
Dovrete togliere il terzo e il quarto volume, facendo attenzione ad adagiarli al suolo. Se anche uno solo di loro dovesse sgualcirsi, chi è a conoscenza della sua esitenza capirebbe subito che qualcuno è entrato nella sala proibita. Avete capito bene?".
Aveva capito benissimo. A destra dopo il primo scaffale, fine del corridoio, scaffale in mogano, terza mensola, libri identici, terzo e quarto volume da maneggiare con cura.

"Ecco, Artù. Scavato nella parete troverete la forma esatta di metà della pietra incastonata nel vostro anello. Qui le cose diventano complicate, perché dovrete agire subito. Togliete la metà della pietra dal castone e inseritela nella concavità sulla parete, facendo attenzione che il simbolo del drago corrisponda perfettamente con il suo gemello. Allora, dovrebbe aprirsi una porta, credo, e voi dovrete posizionare i due volumi davanti alla pietra nel muro, in modo che non si veda, ed entrare nella stanza prima che si chiuda il passaggio. Cercate i volumi, e uscite, utilizzando l' altra metà della pietra nello stesso modo in cui avrete utilizzato la prima metà.
Mi raccomando, fate in fretta. Non oso immaginare cosa potrebbe accadervi se qualcuno vi scoprisse".

Il principe aveva ascoltato tutto con la massima attenzione.
Non sembrava una cosa particolarmente complicata, ma Gaius era terribilmente agitato, e questo non lo aiutava affatto.
C' era una cosa che non gli era chiara, poi: se lui avesse dovuto usare l' altra metà della pietra per uscire dalla sezione proibita, come avrebbe fatto a recuperarla?
Incuriosito, aveva posto la domanda a Gaius, che aveva accennato una parvenza di sorriso.

"Ci sono tante cose che ancora non avete visto, mio giovane principe. Oggi, ne vedrete alcune.
Fidatevi di me e fate esattamente ciò che vi dico. E, mi raccomando Artù, non portate nulla fuori dalla stanza se non i volumi che vi ho indicato. Lì sono nascoste cose di cui non dovremmo neppure sapere l' esistenza, e potremmo trovarci in guai più grossi di quelli in cui già siamo piombati".

Un altro ammonimento. La cosa stava diventando sempre più pericolosa e al tempo stesso eccitante, una sorta di caccia al tesoro il cui premio in palio era la conoscenza.

Dopo un tempo che gli era parso infinito, finalmente Artù aveva ricevuto sufficienti istruzioni, e poteva affrontare preparato il cammino che lo avrebbe condotto a destinazione.

"Gaius..."  - aveva chiesto, mentre si dirigeva verso la porta con in mano un sacco di iuta in cui avrebbe riposta la ' refurtiva '.
"Si, mio signore?".
"Non vorrei sembrarvi indiscreto, ma... come fate a sapere tutte queste cose sulla sezione proibita?".

L' anziano cerusico si era come rabbuiato, e dai suoi occhi sembravano trasparire tutto il peso degli anni e la consapevolezza che le scelte effettuate portano sempre a delle conseguenze.

"Come faccio a saperlo, dite?".
Il giovane dalla capigliatura color dell' oro aveva fatto un cenno col capo.
"Perché sono uno dei discendenti di colui che ha posato il primo volume in quella stanza di pietra".
Gaius aveva ragione: in quella giornata avrebbe imparato tante cose.

                                                                                  *

Artù stava facendo esattamente ciò che gli era stato detto.
Era andato nella propria camera e aveva estratto dal forziere che teneva nascosto sotto il proprio letto l' anello col simbolo della sua casata.
Poi, aveva nascosto il sacco di iuta sotto la propria tunica, e, dopo aver preso un bel respiro, aveva intrapreso il proprio cammino verso la destinazione indicatagli da Gaius.

Quella mattina, c' era una strana calma nel castello.
Sembrava che tutti avessero di meglio da fare che svolgere i propri doveri.
Meglio così. Non avrebbe incontrato inutili seccatori a cui dare inutili e troppo complicate spiegazioni fasulle.

In pochi minuti, era giunto davanti alla pesante porta di legno della biblioteca, e facendo attenzione a non provocare eccessivi rumori molesti, era entrato in quel luogo dove solo l' inchiostro aveva il permesso di parlare.

L' ansia era aumentata nell' istante in cui l' anziano bibliotecario gli si era avvicinato, rivolgendogli uno degli sguardi più basiti che il giovane Pendragon avesse mai visto su quel volto rugoso.

"Vostra maestà..." - e aveva appena accennato un inchino.
Artù, evitando di prolungare ancora quell' incontro inevitabile, aveva salutato brevemente con un cenno del capo, dileguandosi dall' altra parte rispetto alle indicazioni impartitegli da Gaius.
Era certo che il bibliotecario lo avrebbe seguito - come in effetti stava accadendo - e non voleva destare sospetti.

' Nessuno dovrebbe conoscere quel luogo all' infuori del re '- gli aveva detto il cerusico, e lui avrebbe fatto di tutto per far si che nessun altro ne scoprisse l' esistenza.

"A cosa devo la vostra presenza qui, mio signore? Cercate un volume in particolare? O vi ha mandato il re? Per qualunque cosa io sono qui. Chiedete, e sarete servito".

Il principe stava cercando di mantenere la calma, cosa che gli riusciva davvero molto difficile, negli ultimi tempi.

"Vi ringrazio, ma credo che me la caverò benissimo da solo. Tornate ai vostri doveri. E' il vostro principe che ve lo comanda".
Quell' ultima frase aveva lasciato interdetto il bibliotecario.
Artù non amava recitare la parte del principe borioso, se non con Merlino o con chi gli faceva perdere le staffe (Merlino, appunto), ma in casi come quelli era la cosa migliore da fare.
Infatti, così come aveva previsto, il bibliotecario era tornato sui suoi passi, lasciando al giovane principe la libertà di portare a termine la sua missione.

Ritornando al punto di partenza, Artù aveva seguito alla lettera le istruzioni di Gaius, addentrandosi nel buio e polveroso corridoio pervaso da un forte odore di carta e muffa.
Il principe non era solito frequentare la biblioteca, ma doveva ammettere che si trattava di un luogo piuttosto affascinante.
Vi erano volumi e pergamene di ogni dimensione e fattura. Prima o poi, avrebbe dovuto avere la decenza di studiarne qualcuna. Un re non era un vero re se era capace solo ed esclusivamente di brandire la spada. Questo lo aveva capito per davvero solo ora.
Appena si era reso conto dell' effettivo rapimento di Merlino, aveva deciso di radunare un piccolo esercito e partire per un disperato salvataggio, ma Gaius gli aveva fatto capire che la conoscenza sarebbe stata molto più utile della forza bruta.

Mentre attraversava il lungo corridoio, non aveva potuto fare a meno di pensare a cosa stesse combinando quell' idiota del proprio servitore. Possibile che fosse un bersaglio così appetibile per guai e tragedie di ogni genere?
Sperva solo di riuscire a prepararsi e ad arrivare in tempo. Non aveva la più pallida idea di cosa potesse volere Miraz da lui, ma non doveva trattarsi di niente di buono.

Finalmente, dopo un lungo vagare tra legno e carta, era arrivato proprio davanti allo scaffale di mogano scuro di cui gli aveva parlato Gaius.
Velocemente, aveva individuato la pila di volumi identici, spostandone il terzo e il quarto.
Erano terribilmente pesanti e polverosi, e, per un istante, aveva rischiato di mettersi a starnutire, attirando irrimediabilmente l' attenzione del bibliotecario su di sè.
Riuscendo ad evitare un guaio irreparabile, Artù aveva posato col delicatezza i volumi sul pavimento, perdendo un battito quando il solco sulla parete si era presentato davanti ai suoi occhi.
Era grande esattamente quanto metà della pietra che portava sull' anello, e recava inciso in esso il simbolo della loro casata.
Era sbalorditivo.

Affrettandosi, Artù aveva sfilato l' anello dalla tasca, estraendo dalla cintura il suo piccolo pugnale dal manico di argento cesellato, e, quasi senza nessuna fatica, aveva estratto la piccola sfera rossa dal castone dorato.
La pietra era perfetta, e separata dal proprio castone sembrava quasi emanare una sorta di luce calda e intensa. Suggestione, ovviamente.
Un' altra cosa lo aveva colto di sorpresa: l' altra metà della pietra, quella inferiore, recava anch' essa il simbolo della loro casata.

Però, il giovane principe aveva avuto come l' impressione che una parte del discorso di Gaius non avesse senso: aveva detto che la pietra sarebbe stata divisa a metà, ma quella che aveva tra le mani era intera.
Come avrebbe fatto ad inserire la seconda metà nella fessura all' interno della sezione proibita?
Mentre cercava una soluzione, faceva scivolare le dita callose ma gentili sulla superficie perfettamente levigata della sfera, non accorgendosi di averla sfregata più volte esattamente nel mezzo.
Proprio in quell' istante, il piccolo gioiello si era separato in due parti perfettamente identiche, e Artù aveva dovuto fare attenzione che le due estremità non cadessero al suolo, infrangendosi o scheggiandosi.

Ancora stupefatto, ma deciso a non perdere ulteriore tempo prezioso, aveva preso metà della pietra, e l' aveva inserita nella fessura, non accorgendosi di aver trattenuto il respiro.

Non sapeva cosa aspettarsi. Si sarebbe spostato uno scaffale e avrebbe visto la fantomatica stanza? O si sarebbe aperto un uscio su di una parete?
Niente di tutto ciò.
Proprio ai piedi dello scaffale di mogano, e senza che si producesse il minimo rumore, una porzione di pavimento delle dimensioni di uno scalino era sparita, o meglio, stava letteralmente sprofondando nelle fondamenta, formando man mano che scendeva una scala a chiocciola.
Il principe era a bocca aperta. Mai nella sua vita aveva assistito ad un simile spettacolo.
I gradini sembravano apparire come d' incanto, e, quando anche l' ultimo aveva fatto la propria comparsa, si era adagiato al suolo con un rumore appena udibile.

Veloce, facendo attenzione a non essere visto, aveva riposto i due volumi sullo scaffale in modo che coprissero la pietra, e si era affacciato in quell' antro in penombra.
Forse, avrebbe dovuto portare con sè una fiaccola. Ma non aveva idea di quello che ci fosse li sotto, e non voleva rischiare di causare un incendio.
Col cuore il gola, ma deciso più che mai a portare a termine la missione affidatagli, Artù aveva posato piede sul primo gradino, scoprendolo solido e sicuro.
Ora, non si poteva più tornare indietro.

Continua...
_________________________________________________________________________________
Giuro su ciò che ho di più caro che non sto conspirando contro di voi!
Non ho avuto un attimo di tempo per scrivere. Ci sono voluti ben quattro giorni per ultimare questo capitolo!! O.o Quasi quasi non ci credo neanche io! Ma avere la casa invasa da amici e parenti in maniera permanente porta a questo! XD
In ogni caso, vi aspettavate di sapere cosa è accaduto a lord Glozelle, vero? E INVECE NO!
Come sono cattiva!
Ma dovevo dedicare questo capitolo a "la ricerca della camera dei segreti", in perfetto stile Potteriano! (Che devo dirvi, ogni tanto ci vuole!).
Non vedo l' ora di parlarvi di ciò che contiene la super nascosta sezione proibita!!!
*.*
E di parlarvi di Narnia, sopratutto!!
Ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito, e rinnovo a tutti gli auguri di Buon Anno!
GRAZIE DI ESISTERE!
Baci grandi!
A presto!
Cleo

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Capitolo 36
*** The wolf ***


The wolf


Le spire invisibili continuavano a stringere le sue membra ormai troppo stanche e provate.
Sentiva sulla pelle arrossata il calore e il fetore di quel respiro infernale, ma, incapace anche solo di piangere, aveva smesso di provare a reagire.
La testa sembrava sul punto di esplodere da un momento all' altro tanto era forte la pressione che l' avvolgeva.
Sarebbe morto lì, per mano del mostro che aveva servito con devozione tanto a lungo.
Sarebbe morto lì, con gli occhi incatenati a quei tizzoni ardenti che lo fissavano con insistenza.
Sarebbe morto lì, indifeso e impaurito, colpevole di non aver fatto in tempo a chiedere perdono per ogni peccato commesso.

Ma, proprio mentre l' ennesima spira oscura stava per esercitare pressione sul suo collo esposto, era caduto al suolo, prono, sbattendo violentemente il naso contro il freddo pavimento di pietra nera.
Era quella, la morte?
Se così fosse, non era poi così diversa dalla vita. Respirava ancora, nonostante la sua cassa toracica fosse stata messa a dura prova dalla creatura che lo aveva ucciso, e le tempie stavano gradualmente smettendo di pulsare.
Dove si trovava? Era ancora così confuso e spaventato da non aver avuto il coraggio di aprire gli occhi che continuava a tenere serrati con insistenza.
Dubitava che avrebbe ricevuto perdono dagli dei. Non era stato un uomo retto, specialmente nell' istante in cui aveva deciso di servire il ' re ' che aveva posto fine alla sua esistenza senza nessuna remora.
Poco importava perché lo avesse fatto. Per lui aveva rapito, torturato e ucciso. Chi mai avrebbe potuto concedergli perdono dopo aver commesso simili abomini?
Aveva servito un essere spregevole diventando un essere spregevole a sua volta.

Immobile, attendeva con ansia un segno, o un qualcosa che fosse in grado di dargli un indizio su dove si trovasse, quando una voce fin troppo familiare lo aveva chiamato per nome.

"Lord Glozelle... ammiro il vostro modo di dimostrarmi la vostra devozione, ma è compito della servitù lustrare i pavimenti".
D' istinto, il generale aveva sollevato le palpebre. Era nella sala del trono, esattamente dove si trovava prima di essere ucciso.
Ma allora... allora, era ancora vivo?
"Generale Glozelle! Alzatevi! ADESSO!".

Evitando di farselo ripetere un' altra volta, il generale di Miraz si era tirato su, evitando accuratamente di guardare sua maestà negli occhi.
Aveva scampato la morte, ma era certo che quel mostro non avesse ancora finito con lui.
Conosceva bene ' sua altezza reale ' , eppure, ogni volta rimaneva basito dalla sua crescente crudeltà. Sembrava di avere davanti lo stesso uomo, eppure riusciva inesorabilmente ad essere ogni volta diverso.
Pazientemente, stava aspettando che Miraz proferisse di nuovo parola, cercando di non pensare al dolore che ancora attanagliava le proprie costole.
Teneva la mano premuta sul fianco, non riuscendo a capacitarsi del fatto che la forza di quella creatura avesse incrinato la robusta armatura.
Timoroso, cercava di individuarla con lo sguardo, scorgendone poi l' estremità inferiore simile ad una lunga coda ai piedi del trono su cui sedeva Miraz.

"Ditemi, lord Glozelle, siete contento del rango che avete raggiunto?".
Miraz aveva posto quella domanda a bruciapelo. Quel preambolo non piaceva affatto al generale, che, con grande amarezza, aveva ripescato dalla memoria il ricordo di come era riuscito a raggiungere la sua attuale posizione sociale.
Purtroppo, doveva tutto quello che aveva ottenuto a Miraz, e quest' ultimo non faceva altro che ricordarglielo continuamente.
"Sto aspettando una risposta, generale!".
"Si, vostra maestà" - aveva risposto, guardandolo di sottecchi.
"Bene!" - aveva detto Miraz, che aveva ricominciato ad accarezzare la sommità del capo di quell' ombra strisciante che continuava a sibilare sinistra - "Allora, se siete contento di ciò che siete diventato, non credete di dovermi dimostrare un po' più di rispetto e di gratitudine?".
"Si, mio re" - non aveva trovato il coraggio di guardarlo negli occhi.
"E allora, lord Glozelle..." - si era alzato in piedi con estrema lentezza, raggiungendolo a grandi passi per posargli due dita sotto il mento, sollevandolo in maniera rude - "Dimostrerete il vostro rispetto nei miei confronti dopo una settimana di reclusione nelle segrete".
Il soldato non aveva saputo cosa dire. Perché il re si era dimostrato così magnanimo nei suoi confronti?
"Guardie, portatelo via!".
E due guardie, due sottoposti, lo avevano guardato quasi con profondo rispetto prima di afferrarlo per le braccia doloranti e trascinarlo verso la grande porta di mogano.
"Lord Glozelle!" - aveva chiamato Miraz, mentre si lasciava cadere pesantemente sul ricco trono.
Le guardie si erano fermate di colpo, permettendo al generale di girarsi quanto bastava per guardare in faccia l' uomo che gli aveva appena risparmiato la vita.
"Spero che non vi dispiaccia se, nel frattempo, farò visita a casa vostra. Sapete, è molto tempo che non ho il piacere di vedere Lucia e il piccolo Marcus".

Il generale si era pietrificato, sgranando gli occhi al punto di fare quasi paura.
"Non potete... Voi... Voi non potete! NON POTETE! NON POTETE! NON POTETE! NOOO!!!".
"PORTATELO VIA!".

E così avevano fatto.
I soldati avevano trascinato il generale fino alle segrete, non potendo però evitare che, durante tutto il tragitto, il loro superiore continuasse ad urlare il nome delle due persone che amava di più al mondo.
Il nome di sua moglie e del suo adorato bambino.

                                                                                                       *

Glozelle aveva compiuto appena undici anni quando la sua famiglia era stata sterminata dall' attacco di un branco di lupi che si erano spinti ai margini del paese per colpa della fame.
L' inverno, quell' anno, era stato particolarmente rigido, e molti animali domestici come capre e vacche erano morti assiderati.
La selvaggina, già piuttosto scarsa senza una motivazione valida, sembrava essere sparita del tutto, e così, branchi interi di canidi avevano preso l' abitudine di fare irruzione nei villaggi, sbranando i pochi maiali allevati con sacrificio dai contadini, e non esitando ad aggredire e divorare anche questi ultimi.
La famiglia del generale del re era stata piuttosto sfortunata: sua madre era sola in casa, la sera della sua morte, con solo la compagnia della piccola di casa, Marie, che aveva poco più di tre mesi di vita.
Suo marito era un contadino come lei, ma, a differenza degli altri, sapeva scrivere il proprio nome e qualche altra parola, ed era capace di impugnare la spada con abilità.

Era solito uscire di casa la mattina presto per andare a lavorare ei campi d' estate e per tagliare la legna d' inverno, e Glozelle lo seguiva, non solo per svolgere i propri doveri, ma perché adorava trascorrere del tempo accanto a lui. Suo padre era un uomo buono, devoto alla moglie, e attento ai bisogni dei suoi cari.
L' uomo che tutti avrebbero voluto avere per genitore.
Il destino, però, aveva deciso che quella splendida famiglia non dovesse rimanere unita ancora a lungo.
Sua madre era sempre stata una donna molto precisa, purtroppo però, le distrazioni capitano, e, con esse, le disgrazie.

Il gelo dell' invero era difficile da sopportare, e le cose peggioravano se in casa c' era una creaturina appena affacciatasi al mondo da scaldare.
Sua madre, allora, aveva deciso di uscire, sebbene il buio avesse già avvolto ogni cosa, per prendere un altro ciocco di legno da far ardere nel fuoco.
Dopotutto, si trattava solo di arrivare dietro casa, prendere ciò che le serviva, e ritornare dentro.
E così aveva fatto.
Solo che, nell' uscire, non si era accorta di aver lasciato la porta di casa socchiusa e che tanti piccoli occhi iniettati di sangue la fissavano a distanza ravvicinata.

Si era resa conto troppo tardi di quello che era accaduto, purtroppo, e solo perché la piccola aveva cominciato ad urlare come mai prima di allora, per poi smettere all' improvviso. Nel vederla tra le fauci di uno di quei mostri si era messa ad urlare a sua volta, cercando di fermarli, ed era stato lì che avevano aggredito anche lei, sbranandola senza darle possibilità di scampo.
Il destino, il solito malvagio, crudele destino, aveva voluto che lui e suo padre rincasassero proprio in quell' istante.
Era bastato uno sguardo sul sentiero fangoso per capire cosa stesse accadendo.
Orme. Tantissime orme si stagliavano sul suolo, e solo ad una determinata specie animale potevano appartenere. Ai lupi.

"Stai qui" - gli aveva detto suo padre, mentre si precipitava in casa, ma lui non aveva ascoltato.
Lo aveva seguito, correndo come un forsennato, comprendendo immediatamente, una volta giunto sulla soglia, che ormai non ci sarebbe stato più nulla da fare.
Suo padre, sua madre e la sua sorellina erano al suolo, riversi nel loro stesso sangue, mentre quelle belve fameliche si nutrivano dei loro corpi esanimi.
Per lo shock, era svenuto.
Nessuno riusciva a spiegarsi come avesse fatto a salvarsi.
Una sola cosa era stato capace di ricordare.
"Uno dei lupi mi ha parlato".
Ovviamente, nessuno gli aveva creduto.
Da quel giorno, tutti avevano iniziato a pensare che fosse stato reso folle dal dolore.

Era stata una zia materna che svolgeva il lavoro di cameriera per la regina ad allevarlo, portandolo con sè a palazzo.
Zia Leona aveva fatto si che gli venisse affidato il compito di occuparsi dei cavalli di re Caspian VIII, l' allora re di Telmar.
Il giovane Glozelle aveva lavorato duramente per anni, senza mai lamentarsi, e, entrato nelle grazie di alcuni cavalieri, aveva ricevuto un' ottima istruzione militare, fino al punto di diventare l' unico erede di lord Remis, un cavaliere senza prole che lo aveva preso particolarmente a cuore.

Avendo ereditato cavallo e spada, nonché una cospicua somma di denaro, si era presentato al cospetto di sua maestà Caspian IX, succeduto da poco a suo padre, offrendosi come umile membro del suo potente esercito.
Il re, quale uomo buono e saggio che era, conosceva la storia del ragazzo di cui tutti i cavalieri parlavano, e aveva acconsentito alla sua richiesta.
Glozelle era diventato un soldato di vostra maestà.
Di lì a poco, il neo soldato aveva conosciuto quella che sarebbe diventata sua moglie, Lucia, una giovane dai lunghi capelli color del miele che avrebbe dato alla luce il suo adorato Marcus.

Il destino sembrava sorridergli dopo tanto tempo, finalmente, ma non sapeva che le cose presto sarebbero precipitate.
Miraz, il fratello minore del re, l' uomo che tutti definivano ' dal cuore nero ', non aveva mai potuto soffrire l' erede al trono. Era un essere malvagio e pericoloso, e voleva avere a tutti i costi il regno di suo fratello per sè.
Per questo, aveva riunito un piccolo esercito segreto che avrebbe dovuto far sembrare la morte del re uno spiacevole, banale incidente.
Glozelle, però, aveva ascoltato per puro caso una delle conversazioni dei cospiratori, e, deciso più che mai di informare il re, si era recato da ques' utlimo.
Purtroppo però, Miraz era furbo e scaltro, molto più furbo e scaltro di quello che molti credevano.
Quella stessa sera, il principe Miraz aveva intercettato il giovane soldato, facendogli un' offerta che non avrebbe potuto rifiutare.

"So che sai tutto" - gli aveva detto, sorridendo compiaciuto - "E so che hai intenzione di correre da mio fratello per informarlo dei fatti. Sei un uomo leale, hanno detto.
Ma io credo che non ci sia poi così tanta fretta, sai, soldato?".
Glozelle era rimasto ad ascoltarlo, pronto ad agire. Non gli importava di perdere la vita: lui voleva salvare re Caspian.
"Non vi permetterò di farlo".
Per un attimo, aveva creduto veramente di poterlo fermare, ma lo sguardo rivoltogli da Miraz gli aveva fatto capire quanto quel pensiero fosse sciocco.
"Sei coraggioso, soldato. Coraggioso e stupido. Eppure, ero convinto che tenessi molto di più a tua moglie a tuo figlio... Sai, credo di non aver mai visto in vita mia una donna così avvenente. Credi che le farebbe piacere la visita inaspettata di un gruppo di soldati armati fino ai denti nella sua umile dimora?".
Lo aveva incastrato.
Aveva usato sua moglie e suo figlio per ricattarlo.
Quel viscido verme schifoso lo aveva messo con le spalle al muro.
"Bene... Vedo che hai capito, soldato. Ora va a casa... La tua famiglia ti aspetta".
E, con la coda fra le gambe, aveva fatto ciò che gli era stato ordinato, voltando le spalle all' uomo che con lui era stato così buono.
All' uomo che lo aveva reso felice.

Qualche tempo dopo, re Caspian IX  e suo figlio erano morti in un tragico incidente avvenuto durante una battuta di caccia, o almeno, questo era quello che aveva raccontato Miraz: un abitante di Narnia, un curioso nano vestito di pelli sconosciute, aveva ucciso senza nessuna remora il re che aveva permesso loro di vivere ed occupare le loro terre.

Miraz, nel pieno del suo dolore, aveva dovuto raccontare l' avvenimento a cui aveva assistito, mostrando ai nobili e ai consiglieri reali la creatura che aveva ucciso suo fratello e suo nipote, ripromettendo a tutta la corte che, una volta salito al trono, avrebbe estirpato la radice malata che aveva scavato così a fondo nel loro regno: il popolo di Narnia.

Era stato allora che Glozelle era rientrato in scena.
Il futuro sovrano lo aveva fatto chiamare al suo cospetto, ordinandogli di uccidere la creatura che aveva tolto la vita al suo re e al suo principe.
Il soldato non avrebbe mai trovato le parole adatte per descrivere il modo in cui si era sentito il quel frangente.
Umiliato? Usato?

"Forza, Glozelle! Stiamo aspettando! Questo mostro ha ucciso i miei cari. Immaginate come potreste sentirvi se qualcuno uccidesse vostra moglie e vostro figlio".
Senza che lui se ne rendesse conto, lo aveva messo di nuovo con le spalle al muro.
Aveva minacciato subdolamente di far del male ai suoi cari se non avesse fatto ciò che gli era stato ordinato.
Così, lui lo aveva fatto: aveva estratto la propria spada dal fodero e aveva ucciso quell' essere indifeso e innocentre che lo supplicava con gli occhi di non porre fine alla sua vita.
Un solo, mortale fendente alla gola e tutto si era concluso nel sangue, proprio come era iniziato.
"Ben fatto soldato. Ben fatto".

Poco tempo dopo, Glozelle era stato elevato al rango di generale, per poi ricevere un feudo in beneficio e assumere il titolo di lord.
Solo il re e i suoi soldati sapevano cosa aveva dovuto fare per ' meritarsi ' quel titolo.
Solo il re sapeva che si era venduto per fare ciò che non era stato in grado di fare da bambino: salvare la propria famiglia.

E, ora che si trovava nella fredda e buia cella a cui era stato destinato, non poteva non ripensare a quello che aveva cercato di rimuovere dai ricordi per tanto tempo.
Non aveva potuto fare a meno che ripensare alle parole rivoltegli dal lupo che aveva ucciso la sua famiglia.

"Un giorno incontrerai dei veri lupi. Loro saranno le creature che dovrai affrontare e sconfiggere".

Sembrava che quel famelico animale avesse in qualche modo predetto il suo futuro, con una sola differenza: lui non sarebbe mai stato in grado di sconfiggere il lupo che aveva affondato i canini nella sua gola.

Continua...
_____________________________________________________________________________

Merliniani, salute a voi!
Inutile chiedervi scusa per il megaritardo... ormai è diventata una sorta di abitudine.
Ho un' altra attenuante: sono in vacanza dai miei zii!XD
E poi, essendo finita la quarta stagione di Merlin in un modo che non mi è andato giù per niente, ho subito un trauma da cui devo ancora riprendermi (si, lo so che è finita il 25 dicembre, ma ho bisogno di tempo per elaborare la cosa! U.U).
Ma tornando a noi: so che dopo questo capitolo morirò per mano vostra perché voi volete sapere che combinano Artù e Merlino, intanto non potevo lasciare questa cosa in sospeso molto a lungo.
La storia di Glozelle doveva essere raccontata. Lui non è cattivo, io lo so che non è cattivo! E' Miraz il mostro che fa diventare crudeli tutti coloro che ha attorno! LO ODIO!
Ci tengo a dirvi che non ho ancora letto Le Cronache di Narnia - che mia sorella mi ha regalato per Natale - e che non so se Glozelle ha una sua storia o meno.
Questa è quella che ho inventato io. Spero sia plausibile!
I lupi parlanti sono abitanti di Narnia... nel primo film erano al servizio della Strega Bianca... Ho pensato che potessero essere perfetti per giocare la parte dei ' cattivi ', che poi cattivi non sono perché sono stati spinti ad uccidere per colpa della fame e di qualcos' altro di cui parleremo più avanti.
Per ora, Cleo vi saluta qui, ringraziandovi per tutto ciò che fate!
Vi adoro!
Bacioni!
<3
Cleo

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Capitolo 37
*** The jar ***


The jar


Artù aveva il cuore in gola.
Stava percorrendo uno ad uno i gradini che lo avrebbero condotto alla sezione proibita della biblioteca reale.
Era talmente agitato da essersi convinto che il battito del suo cuore producesse un rumore troppo intenso, e che presto qualcuno si sarebbe accorto che lui era lì.
Non temeva per le proprie sorti.
Dopotutto, era l' unico erede al trono del re, e quest' ultimo avrebbe potuto limitarsi a chiuderlo nelle segrete per un paio di giorni, una settimana al massimo, ma niente di più.
Era per la sorte di Gaius che cominciava a preoccuparsi.
Se Uther avesse scoperto che il cerusico di corte aveva dato a suo figlio delle informazioni segrete, non avrebbe esitato a punirlo severamente. E Gaius era anziano, e Artù non era sicuro che sarebbe stato in grado di sopravvivere a lungo.
Proprio per questo motivo, stava cercando di fare il più in fretta possibile, sorprendendosi del numero incredibilmente alto di gradini che stava calpestando.

Arrivato al pianerottolo, il passaggio aveva cominciato a richiudersi più velocemente di quanto pensasse, e la scala stava tornando al proprio posto, lasciando lo spazio che occupava in precedenza completamente vuoto.
A tentoni - avrebbe proprio dovuto portare con sè una torcia - Artù si era affrettato a cercare il foro nel muro in cui avrebbe dovuto posizionare l' altra metà della pietra per poter riaprire il passaggio.
Era saggio cercarlo immediatamente, onde evitare di trovasi in una situazione spiacevole all' improvviso e non sapere come venirne fuori.
Dopotutto, non aveva la più pallida idea di cosa avrebbe potuto trovare lì sotto, e doveva ammettere che era piuttosto ansioso di scoprirlo.
Non c' era voluto molto per trovarlo: era a pochi passi da dove poco prima era terminata la scala, ed era esattamente identico a quello che si trovava dietro agli scaffali, al piano di sopra.
Il principe era ipressionato.
Quanti misteri avvolgevano il castello.
Chissà quanti altri passaggi o luoghi segreti esistevano...
Luoghi che avrebbe scoperto solo dopo essere diventato re.
' Ogni cosa a suo tempo ', era solito ripetergli suo padre, ma, ora che sapeva, era certo che aspettare sarebbe stato più complicato.

Ma non era quello il momento di pensare al giorno in cui sarebbe diventato re.
Doveva portare a termine la missione affidatagli da Gaius, e poi, sarebbe stato come sperare che suo padre morisse prima del tempo, e quello non faceva parte dei suoi desideri. Voleva bene a suo padre, anche se fin troppo spesso non condivideva le sue scelte, e, in ogni caso, non avrebbe mai sperato una cosa del genere per nessuno, neanche per il suo peggior nemico. Sempre se il nemico non si chiamava Miraz.

Dopo aver preso un bel respiro, l' ennesimo di una lunga serie, Artù aveva ripreso a tastare il muro, cercando una torcia che gli permettesse di illuminare al meglio quell' ambiente sconosciuto. Usando il tatto, si era accorto della presenza di una sorta di canaletta in pietra che correva lungo tutta la parte alta della parete, e da essa proveniva un forte odore di olio. Doveva trovare un modo per accenderlo senza causare danni. A quanto sembrava, però, le soprese contenute in quella camera non erano neppure iniziate: involontariamente, Artù aveva toccato una pietra leggermente rientrante rispetto al resto del muro, e, con una leggera pressione, si era aperta una piccola botola da cui erano fuoriusciti una manciata di carboni ardenti che erano caduti dolcemente nella canaletta. L' olio aveva cominciato a bruciare immediatamente, e una scia fiammeggiante si era accesa per tutta la lunghezza della canaletta in pietra. Lo spettacolo era stato a dir poco mozzafiato: in pochi attimi, l' intera sezione proibita era stata illuminata, lasciando Artù interdetto per ciò che si presentava davanti ai suoi occhi.
Non si trattava di una semplice stanza segreta costruita al di sotto di un corridoio della biblioteca.
No.
Quella era solo una sorta di anticamera, arredata con un grande tavolo di legno e una sedia, adiacente ad un lungo corridoio che si diramava poi in un numero indeterminato di corridoi e cunicoli.
Ad un primo acchitto, Artù aveva avuto come l' impressione che fosse più grande della biblioteca stessa, e, forse, non si trattava solo di un' impressione.
Era a dir poco stupefacente!

Eccitato, aveva cominciato a vagare per i corridoi, sorprendendosi sempre di più ad ogni meraviglia che gli si presentava davanti agli occhi.
Gaius aveva ragione: non c' erano solo libri custoditi in quel luogo, ma una quantità esorbitante di oggetti di ogni genere: vasi, scrigni, strane uova colorate, piume e conchiglie dalle forme e dai colori più strani.
Ciò che aveva attirato maggiormente l' attenzione del giovane principe, però, era una serie di barattoli di vetro perfettamente adagiati l' uno accanto all' altro, al cui interno, immersi in una sorta di liquido giallognolo, c' erano alcune creature che Artù non aveva mai visto durante la sua giovane vita.
Era molto incuriosito, e avrebbe tanto voluto avvicinarsi meglio per vedere di cosa si trattasse, ma si era trattenuto.
Doveva far presto. Era lì per un motivo ben preciso, dopotutto, e non poteva dimenticarlo.
Era lì per cercare i libri che gli avrebbero permesso di salvare quell' idiota del suo servitore.

Senza indugiare ancora a lungo, aveva estratto dalla tasca il lembo di pergamena datogli da Gaius, e aveva letto i nomi dei testi che avrebbe dovuto portargli.
' La storia di Narnia '. ' Aslan '. ' Il popolo di Narnia '. ' Narnia: le cronache '.
Titoli davvero particolari.
Cosa centrasse però questo antico popolo con Miraz non l' aveva davvero capito.
Chi erano, poi, gli abitanti di Narnia?
La curiosità lo stava divorando, anche se continuava a non capire come la storia di un popolo dal nome così particolare avrebbe potuto aiutarlo a salvare Merlino.
Non che non si fidasse di Gaius: aveva capito perfettamente che per battere Miraz doveva giocare d' astuzia, ma lui continuava ad essere un uomo d' azione, e la paura di star perdendo solo del tempo prazioso ogni tanto faceva capolino.
Forse, era meglio sbrigarsi. Se quello era il massimo d' azione che poteva permettersi al momento, sarebbe stato meglio non sprecarlo.

Così, il principe Artù si era incamminato nel primo corridoio.
Fortuna voleva che chiunque avesse stipato tutta quella roba in quel luogo, avesse catalogato tutto in ordine alfabetico.
Sul primo scaffale era incisa una svolazzante lettera A.
In uno di quegli scaffali avrebbe trovato il volume intitolato ' Aslan '.
Chissà chi era, questo personaggio. Forse il fondatore di Narnia. O un conquistatore. Oppure un grande re del passato.
Mentre la sua mente continuava a formulare ipotesi, il suo sguardo si era posato su di un pesante volume dalla copertina di pelle color rosso fuoco: ' Aslan '.
A caratteri dorati, vi era marchiato sopra il titolo, e, subito sotto di esso, vi era il capo di uno splendido leone dalla folta criniera.
Artù non aveva mai visto un leone dal vivo. Forse, era il simbolo della casata di questo Aslan.
Sempre con la mente altrove, aveva aperto il sacco di iuta e vi aveva riposto dentro il libro.
Meno uno.
Il prossimo della lista sarebbe stato ' Narnia: le cronache '.
Senza indugiare a lungo, Artù si era messo a cercarlo.
In meno di mezz' ora, i quattro libri richiesti da Gaius si trovavano nel sacco, pronti per essere consegnati al richiedente.
Sua maestà si sentiva piuttosto soddisfatto del proprio operato. Aveva trovato i libri e aveva scoperto dell' esistenza di un posto a dir poco straordinario.
Qualcosa gli diceva che a Merlino sarebbe piaciuta tanto la sezione proibita della biblioteca reale.
Per uno come lui, doveva essere una sorta di regno dei balocchi.
Forse, avrebbe potuto fare uno strappo alla regola e avrebbe potuto mostrarglielo... Merlino era Merlino, dopotutto...

Nel ripassare dall' anticamera, lo sguardo di Artù era caduto di nuovo sugli strani barattoli di vetro che avevano attirato la sua attenzione all' inizio.
Gli avvertimenti di Gaius continuavano a tornargli in mente... Però, che c' era di male ad avvicinarsi un attimo per vedere più da vicino cosa fossero?? Dopotutto, si sarebbe trattato solo di un momento, no? Cosa poteva cambiare in un momento?
Era incredibile il modo in cui si sentisse attratto da quei barattoli.
Non gli era mai capitato in vita sua di sentirsi attirato da cose che non fossero cavalli, spade o giovani fanciulle.

Portandosi il sacco in spalla, si era diretto presso lo scaffale.
"Che strezze..." - aveva escalamato, osservando meglio le curiose creature.
La sua voce era rimbombata nel silenzio de corridoi, creando un gioco di echi vagamente sinistro.
Ma era troppo impegnato ad osservare i barattoli per potersene accorgere.
Quelle creature erano davvero singolari: erano piccole e alate, dotate di tratti più o meno umanoidi. Erano dieci in tutto, una più strana dell' altra.
Osservandole meglio, si era accorto che si differenziavano l' una dall' altra per alcuni piccoli particolari: alcune avevano la pelle scura, altri l' avevano traslucida.
Alcuni avevano arti simili a magre gambe, altri non li avevano affatto.
Artù avrebbe tanto voluto sapere cosa fossero, ma sotto di essi non vi era nessuna targhetta che li identificasse. Chissà come mai.
Lì dentro tutto era stipato con la massima cura, catalogato con ordine maniacale. Perché non c' era niente che gli permettesse di capire cosa fossero quelle creaturine?
Era certo, però, che se avesse descritto quegli esserini a Gaius, quest' ultimo sarebbe stato in grado di dirgli cosa fossero.
Doveva ammettere che quell' uomo sapeva praticamente tutto!

"Vostra maestà. Dove siete?".
La voce fortemente ovattata del bibliotecario era giunta alle sue orecchie.
Dannazione! Quanto tempo era stato via?? Quell' uomo sarebbe stato un' ottima sentinella per essersi accorto che era entrato ma non era più uscito!
Avrebbe dovuto parlare con suo padre e chiedergli di cambiargli mansione! Di certo, con lui di guardia avrebbero evitato diversi attacchi spiacevoli.
Doveva sbrigarsi. E sta volta doveva farlo per davvero.
Aveva preso le dovute precauzioni, ma se quel ficcanaso lo avesse scoperto, avrebbe fatto passare guai seri a Gaius, e non era sua intenzione.
Per questo, si era diretto a gambe levate verso l' uscita.

Purtroppo per lui, non si era accorto di aver urtato involontariamente lo scaffale su cui erano riposti i barattoli. Uno di essi aveva cominciato a trabballare pericolosamente e, quasi avesse le gambe, si era avvicinato pericolosamente al bordo.
Nel frattempo, Artù aveva estratto l' altra metà della pietra dall' anello, inserendola nella fessura sulla parete.
La scala aveva cominciato a riapparire dal nulla.
Una cosa, però, doveva ancora fare: spegnere il fuoco.
Approfittando del tempo che la scalinata avrebbe impiegato a venir fuori, si era messo a cercare un qualcosa di simile alla pietra che gli aveva permesso di accendere il fuoco, ma non sembrava che ci fosse altro. Eppure, quella stanza era progettata nel minimo dettaglio, possibile che non ci fosse un modo per spegnere quella fonte di luce???
Niente da fare.
Cosa sarebbe accaduto se avesse posato di nuovo la mano sulla pietra precedente?

"Principe Artù! Dove siete finito!".
"Dannazione!".
Il bibliotecario era vicino. Troppo vicino.
"O la va o la spacca!".
Senza esitare ancora a lungo, aveva fatto la stessa cosa che aveva fatto tempo addietro senza rendersene conto.
La sua intuizione era esatta: proprio sulla canaletta stava comparendo una sorta di piccola pavimentazione in pietra che, impedendo all' aria di entrare in contatto con il combustibile, aveva spento il fuoco, facendo piombare la stanza nel buio più totale.
"Si!" - Artù era più che soddisfatto di se stesso.
Ora, doveva solo risalire al piano di sopra.
La scalinata si era formata completamente. Veloce come il vento, Artù l' aveva percorsa al contrario, rintrovandosi in meno di un minuto all' interno della biblioteca.
In pochi secondi, la botola si era chiusa completamente, battendo sul tempo il bibliotecario che era apparso davanti al principe dal nulla.

"Vostra maestà! Pensavo vi foste perso nei meandri della biblioteca!".
Artù, che aveva appena tirato un sospiro di sollievo, ora si trovava a dover dare una spiegazione sul perché avesse con sè un enorme sacco di iuta su cui quell' impiccione aveva già posato gli occhi.
"E quello? Se posso sapere...".
"Questo??" - aveva fatto eco - "Lo avevo anche prima!" - aveva mentito, sperando che il bibliotecario fosse troppo rimbambito per accorgersene.
"Siete sicuro?".
"Come la peste!".
Non sembrava convinto, ma sapeva bene che non credere al futuro re non sarebbe stata una cosa onorevole.
"Bene... ora, ora devo proprio andare! E' stato un piacere parlare con voi, ma il dovere mi attende! Sapete, cavalieri da addestrare, la caccia..." - e, così dicendo, si stava dirigendo verso l' uscita.
D' un tratto, però, la voce dell' uomo da cui cercava di scappare lo aveva costretto a voltarsi.
"Vostra maestà!".
"Si?" - nel girarsi, Artù si era accorto che l' uomo si stava rimettendo dritto, e che stava reggendo qualcosa fra pollice e indice di entrambe le mani.
"Credo che voi abbiate perduto queste".
Artù non riusciva a credere ai propri occhi: erano le parti della gemma che aveva utilizzato come chiavi per accedere alla sezione proibita.
Ma come aveva fatto a trovarle???
"Quella è la pietra del mio anello" - aveva detto, scioccamente. Se avesse saputo solo una lontana leggenda riguardante quella stanza, il bibliotecario avrebbe potuto sospettare di lui. Come aveva potuto essere così stupido?
"Vedo, vostra maestà... ma credo che si sia rotta. E' un vero peccato".
"E' proprio così!" - aveva esclamato Artù, togliendogliela di mano con poca delicatezza - "La porterò dall' orafo di corte... Grazie per averla trovata! Arrivederci!".
Era sparito in un attimo, lasciando il pover' uomo interdetto.
"Ma da quando abbiamo un orafo di corte?".
Avrebbe dovuto controllare nei registri contabili.

                                                                                                            *

A volte il destino gioca brutti scherzi e, purtroppo, troppo spesso, li causa nei momenti meno opportuni.
I passi frettolosi di Artù, aggravati dal peso dei libri che portava in spalla, avevano fatto tremare il pavimento.
I tremori continui di quella solida pietra si erano propagati ai grandi scaffali di legno della sezione proibita.
E, proprio perché al destino piace giocare brutti scherzi, era accaduto l' impensabile: il barattolo di vetro, quello che l' urto incauto di Artù aveva fatto avvicinare pericolosamente al bordo dello scaffale, era caduto al suolo, infrangendosi in mille pezzi.
Il liquido ambrato si era sparso sul pavimento, ricoprendo anche le schegge di vetro depositatesi tutt' intorno.
Una risata divertita stava risuonando nell' aria e due grandi occhi lucidi stavano brillando nell' ombra.
Quanto poteva essere beffardo, a volte il destino?

Continua...
_____________________________________________________________________________

Rieccomiiiii!!!
Ragazzi, ma che fine avete fatto tutti?? Non ditemi che mi avete abbandonata!!! *Cleo piange disperatamente* ='(.
Spero solo che stiate bene, e spero anche di sentirvi presto!
Le vostre recensioni sono uno spasso, e mi tirano sempre su di morale, senza dimenticare la cosa più importante: danno un senso al mio lavoro! =)
Ma torniamo alla storia.
Artù, sei un idiota totale! Ma dico io, hai giù tutta una serie di problemi, e tu vai a sbattere contro lo scaffale dove ci sono i dieci barattoli incriminati???
Mha... abbattetelo!! -.-'
Che sarà mai la creatura? Inutile dirvi che lo scopriremo nei prossimi capitoli! ;)
Vedremo di parlare del nostro patatino a breve! Ma tranquille, è quello che sta meglio di tutti!
Ci pensa la nostra cameriera tutta speciale a rifocillarlo e a coccolarlo! <3
Per ora, passo e chiudo, sperando di sentirvi presto!
Bacioni grandi!
Vi lovvo!
Cleo

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Capitolo 38
*** Mercurio ***


 

Mercurio


Quanto tempo era trascorso da quando aveva visto per l’ ultima volta i raggi del sole?
E quanto tempo avrebbe ancora dovuto attendere prima che il suo destino fosse definitivamente segnato dalla parola fine?
Se c’ era qualcosa che proprio non riusciva a sopportare, era l’ incertezza dell’ attesa.

Lord Glozelle, se ancora questo titolo poteva essergli riconosciuto, se ne stava seduto sul freddo pavimento della cella in cui era stato rinchiuso.
Stanco e affamato, aveva smesso ormai da tempo di cercare una spiegazione più che plausibile alle crudeltà che la vita gli aveva riservato.
Poteva comprendere il perché di tanto accanimento da parte del destino dopo tutto ciò che aveva fatto per compiacere quell’ essere senza cuore che per troppo tempo aveva chiamato ‘ re ‘, ma non riusciva proprio a capire perché tutto doveva essere cominciato sin da quando era bambino.

Tagliente come mille lame affilate era il ricordo della sua famiglia straziata, e pesanti come macigni erano le parole del famelico lupo.

“Un giorno incontrerai dei veri lupi, e saranno loro le creature che dovrai affrontare e sconfiggere”.

Ma come poteva anche solo lontanamente sperare di avere la meglio su quel mostro senza cuore di Miraz?
I lupi della sua infanzia avevano attaccato la sua famiglia per fame.
Il lupo della sua maturità stava per attaccarla solo per il gusto di uccidere e infondere dolore.

“Lucia…” – la sua mente, stanca e provata, non riusciva a non correre dalla sua amata sposa.
Mai avrebbe creduto di poter avere l’ onore di sposare una simile creatura.
Lucia non apparteneva al loro mondo, ne era certo. Come poteva essere altrimenti?
Lei era bella come un sogno: aveva lunghi capelli color del miele che era solita tenere sciolti sulle spalle, i lineamenti delicati di una bambola di porcellana, e gli occhi scuri e profondi pronti a carpire ogni più singolo aspetto del mondo. Era stata proprio questa sua caratteristica a far innamorare il giovane soldato di lei.

L’ aveva notata durante una giostra, e non era più stato in grado di toglierle gli occhi di dosso.
E lei, per nulla intimorita, aveva sostenuto il suo sguardo, fino al punto di farlo arrossire dall’ imbarazzo.
Poco tempo dopo, era stata lei a cercarlo, sorprendendolo con le più audaci parole del mondo.

“Siete proprio come vi ho sempre immaginato. Ditemi, mio signore, io sono come mi immaginavate?”.

Guidato non sapeva neanche lui da cosa, le aveva teneramente preso la mano, e guardandola in quei suoi meravigliosi occhi d’ ebano, aveva risposto a quella domanda, capendo che essa proveniva dal cuore.

“Siete il sogno che inseguo di notte nel sonno, e di giorno mentre sono sveglio. Ed ora più che mai sono certo di una cosa: non voglio più inseguirvi. Voglio vivervi”.

Il matrimonio si era celebrato poche settimane dopo.

Lei e Marcus rappresentavano tutto il piccolo mondo di Glozelle. Inutile dire che non era stata favorevole alla scelta del marito di seguire l’ usurpatore – perché sì, lei aveva capito che Miraz aveva strappato il trono dalle mani del fratello con la forza – ma non aveva insistito per venire a conoscenza delle ragioni che avevano spinto il marito ad intraprendere una simile strada. Conosceva fin troppo bene il cuore del suo sposo, e vi aveva letto turbamento e dolore. Glozelle non aveva mai gioito per la posizione che aveva raggiunto.
Sua moglie, però, era stata in grado di utilizzare i privilegi ottenuti per allietare l’ animo tormentato di suo marito: ogni giorno, seguita dalla sua dama di compagnia, percorreva a piedi la città fino ai suoi meandri più poveri, e lì, con amore e dedizione, si occupava di anziani e bambini, sfamandoli e vestendoli con i propri averi.
I popolani avevano cominciato a chiamarla ‘ la principessa dei poveri ‘ e, per ogni gesto che lei riservava a loro, veniva ricambiata con un fiore di campo.
Il risultato era che, ogni giorno, i suoi capelli erano ornati da cascate di fiori coloratissimi che la rendevano simile ad una delle ninfe delle favole.

Cosa ne sarebbe stato della sua ninfa, adesso? Che sorte sarebbe toccata al suo sogno divenuto realtà?
Miraz non era umano, e lui lo sapeva fin troppo bene.
Se chiudeva gli occhi, vedeva i proprio cari immersi nel loro stesso sangue, sentiva le urla strazianti di sua moglie, e il pianto disperato di suo figlio.
Perché non aveva fermato quel mostro quando ne aveva avuto l’ occasione?
Forse, a pensarci bene, era se stesso il lupo che avrebbe dovuto fermare.

*

Un’ eco di passi veloci rimbombava nel corridoio del terzo piano.
Il buio non aiutava ad alleviare la paura, ma per chi era avvezzo a quei luoghi, esso era diventato una sorta di curioso alleato.
Doveva fare fretta, evitando che qualcuno potesse sentire o vedere.
Aveva fin troppe spiegazioni da dare, e inventarne altre al momento non sarebbe stato neppure lontanamente immaginabile.
Per questo, aveva affrettato il passo, arrivando finalmente davanti alla porta della stanza che tanto aveva cercato.
Senza farsi troppi problemi, vi aveva posato sopra entrambi i palmi delle mani, spingendo indietro i battenti con tutta la forza che aveva in corpo.

La luce di mille candele l’ aveva investita in pieno, illuminando di mille riflessi i lunghissimi capelli di fuoco.

“Cla- Clara!”.

Merlino era lì, davanti a lei, con solo la calzamaglia addosso, intento ad infilarsi la tunica pulita che gli era stata riservata.
Era incredibile quanto fosse bianca la pelle del giovane mago, e quanto sembrasse vellutata.
La giovane era certa che dovesse esserlo, ma dubitava che Merlino le avrebbe permesso di toccarla.
Scorrendo col proprio sguardo su quel piccolo e magro corpo, aveva raggiunto gli avambracci, dove svettavano imperiosi i segni della sua prigionia.

Imbarazzato per gli sguardi della ragazza e per il silenzio che si era venuto a creare, il giovane mago aveva cercato di indossare il più in fretta possibile la tunica, ricavandone solo il risultato di rimanervi incastrato.

“Merlino! Ma che combini?” – lo aveva schernito Clara, mentre correva verso di lui per aiutarlo.
In poche abili mosse, la giovane aveva sciolto il legaccio posizionato sullo scollo, facendovi passare la testa corvina del ragazzo.
“Ed ora, le maniche… su!”.

Pazientemente, la ragazza lo aveva vestito, assicurandosi poi che l’ abito cadesse a pennello sulle spalle ossute di un Merlino che la guardava imbarazzatissimo.

Era uno degli abiti tipici di quel periodo che si ostinavano a chiamare ‘ Miraziano ‘.
Quello, in particolare, era un completo di alta fattura, molto, molto costoso.
Calzamaglia grigia, stivali di pelle neri, tunica scura e giubba nera di velluto decorata con ghirigori di un grigio più chiaro, fermati in vita da un cinturone.
Clara lo stava aiutando ad indossare proprio quest’ ultimo indumento, nel silenzio più totale.

“Ecco… ora sei pronto…”.

E, per un istante, la ragazza era rimasta senza fiato.
Era bellissimo. Bello come un principe.
Sembrava così lontana l’ immagine del servitore che indossava sempre i soliti vestiti sgualciti e consumati.
Quello che aveva davanti non sarebbe sembrato neanche più Merlino se quegli occhi blu come il mare non fossero stati i suoi.
Occhi blu tristi come quelli di un innamorato dal cuore infranto.

“Stai benissimo” – aveva confessato lei, dicendolo quasi più a se stessa che al diretto interessato.

Merlino aveva sorriso appena. Non era abituato a ricevere complimenti, men che meno sul suo aspetto.
E, ancora meno fatti da una ragazza.

“Grazie…” – aveva farfugliato, imbarazzatissimo – “Ma dimmi, hai buone notizie per me? Ti prego Clara, dimmi che di sì!”.
“Aspetta”.
Velocemente, la ragazza era tornata indietro, richiudendo la porta lasciata precedentemente aperta.
Un attimo dopo, lei e Merlino erano seduti sul letto di quest’ ultimo, l’ una di fronte all’ altro.

“So già cos’ è che vuoi sapere”.
“Ebbene?”.
La ragazza aveva preso un profondo respiro, prima di cominciare il suo racconto.
Così, gli aveva raccontato del drago, e di ciò che gli aveva detto di fare, omettendo, però, che Kilgarrah sapeva chi lei fosse.
“Polvere di fata, immagino! Quel lucertolone a volte ha davvero delle buone idee”.
Ma non erano lì per lodare le gesta dell’ ultimo drago esistente al mondo.

“Merlino…”.
“Si?”.
“Io non so come dirtelo”.
Il cuore del ragazzo aveva fatto un tuffo nel vuoto.
Sapeva già che Gaius non ce l’ aveva fatta, ma sentirsi raccontare come era andata non era una cosa che poteva sopportare.
“Parla…” – aveva detto, con la sconfitta nella voce.
“Non so cosa sia successo a Gaius”.
“CHE COSA??”.

Non riusciva a crederci! L’ aveva tenuto sulle spine per tutto quel tempo per poi dirgli che non sapeva niente.
Ma perché poi, non sapeva niente??

“Calmati! Non gridare! Non vorrai attirare qui tutto l’ esercito di Miraz!” – aveva sussurrato concitata.
“Si può sapere che cavolo significa che non sai cosa è successo a Gaius? Non hai fatto quello che ha detto il drago?”.
“Non ne ho avuto il tempo! Lord Glozelle è venuto a cercarmi, eravate già partiti e Miraz si sarebbe insospettito.
Ma ho dato il sacchetto a Gwen, sta tranquillo!”.

‘ Ho dato il sacchetto a Gwen ‘. Aveva dato il sacchetto a Gwen. Come sarebbe a dire che aveva dato il sacchetto a Gwen???

“Starai scherzando, spero!”.
“Che c’ è?” – aveva detto lei, offesa – “Non ti fidi del mio giudizio o della tua amica?”.
“Certo che mi fido di Gwen! Ma la missione era troppo rischiosa! Se Uther l’ ha scoperta lei è morta!”.

La ragazza si era morsa il labbro, sentendosi colpevole.
Ma cos’ altro avrebbe potuto fare? La ragazza era parsa l’ unica possibile risorsa, e l’ obiettivo era salvare Gaius.
Non era colpa sua se Glozelle era andata a cercarla proprio in quel frangente.
Già, Glozelle.
Chissà che cosa gli avrebbe fatto sua maestà per punirlo del ritardo.
E chissà cosa avrebbe fatto a lei. Le sembrava già un miracolo averla scampata per tutto quel tempo.

“Senti un po’ saputello, io ho fatto tutto quello che ho potuto, e questo è il tuo ringraziamento?
Gwen sa essere scaltra quando vuole, e sono certa che sia riuscita a spuntarla egregiamente!”-
Non ne era del tutto certa, ma non poteva pensare che Gaius fosse morto sul rogo con l’ accusa di tradimento – “Perciò, invece di stare qui ad autocommiserarti, cerca di appurarti dei fatti!”.
“E come pensi che possa fare, genio? Hai dimenticato che sono prigioniero? Hai dimenticato queste, forse?”.
Adirato, aveva sollevato una delle maniche, mettendo in bella vista una polsiera.
“Certo che non l’ ho dimenticata. Ma tu, piuttosto, sembri aver dimenticato che a questo mondo non esiste solo la magia come la conosci tu”.
“Che vuoi dire?”.

Sorridendo vittoriosa, Clara si era diretta alla finestra, spalancandola, e allungando una delle mani verso il vuoto.
“Ma che cosa stai facendo?”.
“Vuoi chiudere il becco per una volta e lasciarmi fare?”.

Imbronciato, Merlino aveva incrociato le braccia al petto. L’ ultima volta che lei ‘ aveva fatto ‘ si era ritrovato in quel casino.
Dopo qualche secondo, e dopo essersi guardata a lungo intorno, Clara aveva cominciato ad intonare una sorta di melodia, e, con estrema sorpresa del suo spettatore, era accaduto l’ inaspettato. Un piccolo cardellino si era posato sul suo dito, e aveva cominciato a cinguettare festante.

“Ecco qui il nostro messaggero: Mercurio!”.

Un cardellino? UN CARDELLINO??

“E, di grazia, come pensi che un uccellino così piccolo possa portare un messaggio legato alla zampetta, e, soprattutto, possa percorrere una simile distanza?”.

“Tu non sai di cosa parli, mio caro! E non osare offendere Mercurio! Non è vero piccolino?”.
A quella domanda, l’ uccellino aveva risposto con un cinguettio.
Aveva risposto? Da quando gli uccellini capivano ciò che dicevano gli uomini e rispondevano??
Doveva essere impazzito!

“Dunque!” – aveva esclamato Clara, avvicinando Mercurio a Merlino – “Cos’ era che volevi sapere? Se Gaius è vivo? E credo che tu voglia sapere anche se Artù si è svegliato, non è così?”.

Certo che voleva saperlo. Solo a sentir pronunciare il suo nome, il cuore di Merlin perdeva più di un battito.

“Bè? Che cosa stai aspettando? Parla!”.
“Eh??”.
“Digli cosa deve dire e a chi!”.
Merlino la guardava come se avesse perso all’ improvviso il lume della ragione.
“Cosa devo dire a chi?!?!”.
La ragazza aveva fatto roteare gli occhi al cielo.
“Merlino, io credo che il buio ti abbia dato alla testa. A Mercurio! A chi vuoi dirlo???”.
“Ma è un uccellino!”.
“Mercurio non è un semplice uccellino…” – aveva detto Clara, continuando ad accarezzargli dolcemente la piccola testolina – “E’ un discendente degli abitanti di Narnia”.
“Narnia??”.

La giovane gli aveva rivolto il più sconcertato degli sguardi.
Non poteva essere! Era assurdo!

“Tu non sai niente di Narnia?”.
Imbarazzato, Merlino aveva fatto cenno di no col capo.
“Siediti!” – gli aveva ordinato Clara.
Quella di Narnia, non era affatto una storia che poteva essere narrata in pochi frivoli, insignificanti minuti.

Continua…

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Salute a voi Merliniane!!
Come ve la passate? Spero bene! Io sono tornata a casa dopo 19 giorni trascorsi in Sicilia dai miei zii... ME TRISTE! =(
Meno male che ci siete voi a farmi compagnia con i vostri commenti!
Grazie di tutto! <3

Dunque: finalmente sappiamo che combina Merlino, e che fine ha fatto Clara! XD
Bene, non vorrei aver fatto dei danni, perché devo essere sincera: non ricordo tutti i capitoli che ho scritto, e non ricordo più se Merlino sapeva di Narnia o meno. SONO PESSIMA, LO SO! Che autrice è una che non ricorda quello che ha scritto? Per cui, se ho fatto il danno, perdonatemi! Cercherò di rimediare nei prossimi capitoli! ;)
Non trovate che Mercurio sia un amore??? <3 <3 <3
Presto lo vedremo all' opera! =D
Glozelle... sigh... quell' uomo mi fa così pena... Inutile dirvi che sapremo presto anche delle sorti di sua moglie e di suo figlio.
Bene, come sempre ho parlato troppo!
Spero solo che il capitolo vi sia piaciuto e che rimarrete con me fino alla fine!
Ne approfitto per ricordarvi delle altre due mie fic: "Lo straniero che venne dal cielo" per Supernatural e "When you least expect it" per Dragon Ball! Presto, proprio per questo fandom scriverò una nonsense insieme ad un' altra autrice! NON VEDO L' ORA!!
Grazie ancora per l' attenzione Merliniane mie!
Alla prossima!
Cleo

Ps: prometto che cercherò di aggiornare ogni domenica da oggi in poi!
Baci grandi!
xO xO

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Capitolo 39
*** I figli di Adamo e le figlie di Eva ***


I Figli di Adamo e le Figlie di Eva


Artù era finalmente riuscito ad arrivare negli appartamenti di Gaius, consegnando al cerusico i libri che era riuscito a portar via dalla sezione proibita della biblioteca.
Era a dir poco elettrizzato. Quel posto era davvero straordinario e non vedeva l’ ora di tornarci per poter scoprire quali meraviglie celasse, sorprendendosi si se stesso: non avrebbe mai e poi mai pensato di dire una cosa del genere su di una biblioteca.

Nel vederlo arrivare con i libri in mano, Gaius aveva tirato un respiro di sollievo.
“Finalmente, Artù… stavo cominciando a pensare che vi avessero scoperto”.
“C’ è mancato poco, a dir la verità!” – aveva ammesso Artù, mentre posava il sacco pieno di libri sul tavolo che il cerusico aveva sgombrato alla meno peggio – “Il bibliotecario è incredibilmente… incredibilmente…”.
“Opprimente?” – Gaius aveva finito la frase al posto suo.
“Che dirti… hai trovato il termine più adatto per descriverlo!”.

Ridendo sotto i baffi, il cerusico aveva infilato cautamente la mano nel sacco, estraendo un volume per volta.
Eccoli lì, i libri che attendeva con grande ansia.
Aveva avuto quasi un fremito nello sfiorarli.
Lì, in quelle pagine vecchie come il mondo, era scritta la storia del più glorioso popolo che ci fosse mai stato sulla faccia della Terra: Narnia. E, soprattutto, quelle pagine avrebbero loro narrato le gesta della sua guida: le gesta del saggio, potente e magnifico Aslan.

Artù aveva notato lo sguardo con cui Gaius aveva osservato i volumi. Era impaziente, come lui, del resto. Voleva venire a conoscenza dei segreti di quell’ antico popolo. Era necessario, se voleva salvare quell’ impiastro di Merlino.

“Artù… sedetevi… qui… accanto a me… è giunto il momento che voi sappiate…” – e aveva aperto il primo volume. Il principe non se l’ era fatto ripetere due volte.

A Telmar…

“Mi sembra impossibile che tu non sappia niente di Narnia. E’ assurdo!”.

Clara e Merlino erano seduti sul letto in cui aveva dormito quest’ ultimo, l’ una di fronte all’ altro, con il piccolo Mercurio, il cardellino chiacchierone, appollaiato dolcemente sulla spalla della ragazza.
Inutile dire che la situazione per Merlino era piuttosto imbarazzante, e non perché non fosse a conoscenza della storia di Narnia, ma perché era seduto sullo stesso letto con una ragazza. Era a dir poco sconveniente…
Cosa avrebbero pensato gli altri se lo avessero saputo?
Che cosa avrebbe detto Artù?

“Merlino… Ma mi stai ascoltando??” – una Clara incredula aveva passato energicamente la mano davanti al volto di Merlino, facendolo uscire da quella sorta di stato di trance in cui era piombato.

“Cosa?”.
“Merlino! Che senso ha parlare se tu non mi ascolti??” – aveva detto, stizzita.
Il piccolo Mercurio sembrava essere d’ accordo con lei, visto il suo cinguettare offeso.
Ma da quando un uccellino era offeso??
Merlino era certo di essere impazzito.

“Dicevo, vuoi che ti racconti di Narnia o no?”.
“Certo che voglio sapere!”.

“Bene! Allora vedi di non distrarti più!”.

Come non acconsentire ad una così amorevole richiesta?

“Dunque: Narnia era una terra ricca e florida, popolata da creature di ogni specie. Creature magiche, Merlino caro. Orsi, pantere, fauni, centauri, minotauri… Tutti erano saggi e gentili. Ognuno era disposto ad aprire le proprie case per dare ospitalità a chi più ne aveva bisogno. Tutti erano disposti a sacrificare le proprie vite per la giustizia e la pace. E questo luogo meraviglioso popolato da questi esseri, era guidato dalla saggezza del grande leone, Aslan. Egli era buono e giusto. Amato, e rispettato da tutte le creature.
Purtroppo, però, in un tempo molto lontano, Narnia fa attaccata da una donna crudele e malvagia, la Strega Bianca. Con l’ aiuto di alcuni rivoltosi, si autoproclamò signora di Narnia, e condannò tutti ad un’ esistenza di gelo e dolore”.

Merlino ascoltava rapito le parole di Clara. Aveva appena scoperto dell’ esistenza di un popolo magico e di un leone giusto e saggio. E di una strega malvagia che aveva assoggettato tutti al suo volere. Era a dir poco stupefacente.

“Ma…” – aveva proseguito Clara – “Grazie al cielo, un aiuto insperato risolse ogni cosa…”.

A Camelot…

Artù era esterrefatto.
Era esistito un intero popolo costituito da creature magiche, guidato da un leone! Un leone! Aveva creduto che quello sulla copertina fosse solo il vessillo di corte, invece, era l’ aspetto che aveva la creatura che tutti veneravano e rispettavano. Incredibile! E poi tassi, scoiattoli e pantere parlanti! E i minotauri!
Ancora non riusciva a credere che Gaius avesse detto proprio la parola minotauri! E poi, il cerusico aveva parlato di quelle creature come di esseri buoni e gentili. Erano esseri magici, come facevano ad essere buoni e gentili?

“Vi vedo sorpreso, Artù!” – aveva detto il cerusico, sorridendo sornione. La storia di Narnia doveva aver impressionato molto il suo principe.
“Vorrei ben vedere, Gaius! Mi avete appena rivelato l’ esistenza di cose che credevo solo frutto della fantasia! Minotauri, fauni, centauri! Gaius, i centauri! E’… è…”.
“Incredibile vostra altezza? Lo so bene… Ma lasciatemi continuare… vi assicuro che il resto sarà ancora più entusiasmante!”.

Artù era davvero impaziente di sentire il resto della storia.

“Vi dicevo che Narnia, purtroppo, fu attaccata dalla crudele e potente Strega Bianca. Ella, con l’ aiuto di alcuni abitanti ribelli, si proclamò regina di Narnia, e assoggettò tutto e tutti al suo volere.
L’ inverno calò su Narnia… un inverno senza fine… E, del buon Aslan, si perse ogni traccia…”.

A Telmar…

“Fu allora che, per puro caso, una piccola e deliziosa bambina, Lucy Pevensie, approdò nel magico mondo di cui ti sto raccontando la storia. Lucy venne da lontano, Merlino. Da molto più lontano di quello che noi tutti potessimo pensare.
Lei chiamò quel posto ‘ l’ Armadio Guardaroba ‘…”.

“L’ Armadio Guardaroba??”.

Clara sorrideva.

“Proprio così… non è vero piccino?” – e aveva accarezzato dolcemente il capo di Mercurio.

“Vedi, Merlino, c’ era una profezia… una profezia che tutti attendevano con ansia…”.

Il mago era ansioso di sapere.

“Verrà il tempo in cui due figli d'Adamo e due figlie di Eva libereranno Narnia dalla tirannia. Il dolore sparirà, quando Aslan comparirà; al digrignare dei suoi denti fuggon tutti i malviventi…”.

A Camelot…

“…’ Quando romba il suo ruggito, gelo e inverno è ormai finito; se lui scuote la sua criniera, qui torna la Primavera ‘. E’ questa la profezia, vostra maestà”.

Artù aveva ascoltato con grande attenzione. Ma ancora non comprendeva appieno il significato di quella curiosa filastrocca. O profezia, come diceva Gaius.

“Vedete, Artù, la Strega Bianca poteva essere battuta solo dall’ intervento di due figli di Adamo e due figli di Eva… quattro persone normali, Artù… quattro persone non dotate di poteri magici” – aveva detto, indicando sul libro le figure di due giovani e due damigelle che sfidavano una perfida donna avvolta dai ghiacci.

“Ma come può essere?” – l’ interesse in lui era vivissimo.

“Lasciatemi proseguire, e lo saprete. Credo che questa parte vi piacerà molto, mio principe, perché parla di un ragazzo coraggioso. Un ragazzo che divenne re quando aveva solo sedici anni…”.

Artù non riusciva a credere alle proprie orecchie.

A Telmar…

“La piccola Lucy incontrò un fauno, il signor Tumnus, e fece immediatamente amicizia con lui. Quest’ ultimo, mosso da questo nuovo sentimento che tanto gli scaldò il cuore, confessò alla piccola una terribile verità: chiunque avesse incontrato i figli di Adamo e le figlie di Eva, avrebbe dovuto consegnarla alla perfida Strega Bianca, colei che rese l’ inverno eterno, e le intimò di fuggire e di non tornare mai più, se voleva salva la vita.
La piccola, triste ma spaventata, obbedì, e tornò nell’ Armadio Guardaroba, ricongiungendosi al resto della sua famiglia: sua sorella Susan e i suoi due fratelli, Edmund e Peter, il maggiore.
Lucy raccontò subito della sua mirabolante avventura, ma loro non le credettero.
Indispettita per non essere stato creduta, la piccola tornò a Narnia, ma sta volta, venne seguita da suo fratello Edmund. Egli purtroppo, si imbattè nella perfida Strega Bianca. scaltra e astuta, ella capì subito che lui era uno dei figli di Adamo, e persuase il giovane Edmund con l’ inganno a condurre lì il resto della sua famiglia. Questo accadde a dopo poco tempo: tutti e quattro si ritrovarono a Narnia…”.

A Camelot…

“Ma, appena arrivarono a casa del signor Tumnus, la trovarono vuota. Al suolo vi era solo un biglietto in cui il fauno veniva indicato come traditore. I ragazzi erano spaventati e smarriti, ma per fortuna incontrano delle guide più che valide: due gentilissimi Castori. Marito e moglie, per l’ esattezza”.

Gaius aveva fatto una pausa più lunga proprio per gustarsi al meglio l’ espressione allibita di Artù. Non si leggeva tutti i giorni di quattro ragazzi aiutati da due castori parlanti.

“I castori raccontarono ai ragazzi la storia di Narnia, narrando loro della profezia, e confessarono che Aslan stava radunando un esercito. Presto, la pace sarebbe tornata. Purtroppo per loro, però, scoprirono il tradimento di Edmund: il ragazzo scappò per avvisare la Strega dell’ arrivo dei suoi parenti. Ella, però, si infuriò con lui per non aver condotto lì i suoi fratelli, e lo imprigionò, rivelando il suo meschino proposito di uccidere lui e i suoi fratelli…”.

“Bè, bisogna ammettere che Edmund è stato piuttosto sciocco a fidarsi di lei!” – aveva esordito all’ improvviso Artù.
Gaius lo osservava con un’ espressione indecifrabile in viso: purtroppo, Artù non sapeva quante volte lui si fosse fidato delle persone sbagliate.
“E’ facile giudicare col senno di poi, vostra maestà. Edmund era un ragazzo giovane e frustrato perché si sentiva inferiore a suo fratello Peter, bello, coraggioso, intelligente e per lui inarrivabile”.
Artù non sembrava particolarmente convinto.
“Lasciatemi continuare… e arriverà il momento per lui di riscattarsi…”.

A Telmar…

“Nel frattempo, i due castori accompagnarono Peter, Susan e Lucy presso la Tavola di Pietra per incontrare il grande Aslan. Pare che il loro incontro fu una vera e propria rivelazione. E lì, Peter diede la sua prima dimostrazione di grande coraggio: subirono un’ imboscata da parte dei lupi a servizio della Strega, e il coraggioso ragazzo si prodigò nell’ uccidere il loro capo, Maugrim. Allora, Aslan, fiero del suo operato, lo nominò ‘ flagello dei lupi ‘.
Vedi, Merlino, ognuno di loro ricevette in consegna delle armi: Peter ebbe una spada e uno scudo. Susan arco, frecce e un corno magico da suonare in caso di necessità, e la piccola Lucy un pugnale e una boccetta contenente una pozione a base di estratto del fiore di fuoco”.

Estratto di fiore di fuoco. Merlino non riusciva a non pensare a quanto sarebbe stato utile averne un po’ da utilizzare nei momenti di bisogno. Artù non faceva altro che rischiare di farsi uccidere da quando lo aveva incontrato per la prima volta.
Sorrideva pensando a Peter. Era stato così coraggioso. Un ragazzo giovane che aveva fatto di tutto per difendere le proprie sorelle dalle angherie di lupi al servizio di una Strega malvagia.
Purtroppo, c’ erano creature magiche che sceglievano di prendere la via del male, e lui ne aveva incontrate davvero parecchie, da un po’ di tempo a quella parte.

“Ti vedo pensieroso…” – Clara aveva notato il suo cambiamento sul suo bel viso candido.
“Un po’… Peter è stato coraggioso”.
“Proprio così…”.
“Come hanno fatto a liberare Edmund?”.
“Ci stavo giusto arrivando…”.

A Camelot…

“Alcuni dei lupi che riuscirono a scappare, furono seguiti dagli uomini del grande Aslan, che poterono così potuto salvare Edmund. Purtroppo, lo stesso destino non capitò al povero signor Tumnus, perché venne trasformato in una statua di pietra dalla strega”.

Ad Artù faceva strano che qualcuno si rivolgesse ad un fauno – e già questo era strano – chiamandolo ‘ signore ‘.

“Edmund fu liberato e condotto dai suoi fratelli. La battaglia potè finalmente avere inizio”.

La battaglia! Finalmente! Non vedeva l’ ora di sapere come si fossero svolti i fatti!

“Però, presto la Jadis, la strega, li raggiunse, rivendicando il sangue del fratello traditore. Fu stato allora che il grande Aslan decise di immolarsi al suo posto”.

“Il Signore di Narnia che decide di morire per salvare la vita ad un traditore? Ma è inaudito!”.
“No, mio principe… vi ricordo che Aslan è buono e giusto”.
“Ma questo non ha alcun senso, Gaius! Lui avrebbe dovuto guidare il suo esercito! Invece li ha abbandonati per salvare la vita ad un ragazzino traditore! E’ da irresponsabili!”.

Gaius non riusciva a credere che fosse stato Artù Pendragon a parlare. Poteva vedere il furore nei suoi occhi, accompagnato da una nota di disprezzo.

“Quante volte avete rischiato la vostra vita per salvare qualcuno che per voi era importante, Artù?”.
“E’ diverso…”.
“No che non lo è… Edmund era molto importante per Aslan… era molto importante per Narnia”.

A Telmar…

“Aslan venne ucciso dalla perfida Strega Bianca sotto gli sguardi atterriti delle due figlie di Eva”.
“Ma è terribile!”.
“Si, Merlino, lo è… Ma, nello stesso tempo, fu straordinario”.
“Che intendi dire?”.

Clara sorrideva compiaciuta.

“La battaglia si svolse sulle colline di Beruna. Purtroppo, l’ esercito guidato dal ‘ flagello dei lupi ‘ subì numerose perdite. Gli uomini della perfida Strega stavano avendo la meglio. Ma, per quanto Jadis potesse essere astuta, Aslan lo era molto, molto di più”.

“Spiegati!”.

“Jadis non era a conoscenza un particolare fondamentale: l’ innocente che si immola al posto del colpevole, può tornare in vita”.

“Ma allora stai dicendo che…”.

“Si, Merlino… Aslan tornò in vita”.

A Camelot…

“Ma allora Aslan aveva calcolato ogni cosa! Era solo una strategia di guerra! Incredibile!”.
Gaius sorrideva.
“Vedo che avete cambiato idea, Artù! Vi avevo detto di non cedere subito a conclusioni affrettate! La saggezza di Aslan va oltre ogni umana comprensione”.
Il principe era imbarazzato… Come faceva Gaius ad avere sempre ragione era un mistero.
“Le prime a sapere della splendida notizia, furono Susan e Lucy che, con l’ aiuto del saggio re, raggiunsero il castello di ghiaccio della perfida Strega Bianca. Come vi ho detto, l’ esercito di Peter subì molte perdite, e nella dimora di Jadis c’ erano molti abitanti di Narnia pietrificati pronti a tornare alla vita e dar loro una mano.
E così fu, Artù!”.

“E Peter? E Edmund? Come si stava svolgendo la battaglia, Gaius… avete detto che stavano perdendo…”.

“E’ così, Artù. Ma è nei momenti difficili che si vede il coraggio di un uomo. Leggete, principe. Leggete voi stesso” – e aveva passato il pesante volume ad Artù.

“Edmund, il coraggioso Edmund, riuscì a distruggere con un colpo della sua possente spada lo scettro magico della Strega Bianca. Ma Jadis, scaltra e irata, cercò di trafiggerlo con ciò che rimaneva della propria arma. Purtroppo per lui, ella riuscì nel suo intento. Il giovane Edmund fu gravemente ferito” – aveva letto Artù con grande stupore – “Gaius… non ditemi che…”.
“Continuate a leggere Artù… e saprete ogni cosa…”.

A Telmar…

“Peter, accecato dalla rabbia, si lanciò contro di lei, ma purtroppo, non fu in grado di evitarne i colpi. Nonostante il suo coraggio, Peter rischiò di avere la peggio. Ma Aslan non si fece attendere oltre…”.

Quel racconto era a dir poco avvincente. Era talmente stupefacente che quasi stentava ad essere vero. Ma Clara era così seria che non poteva trattarsi di una favoletta da raccontare ai bambini.
E lui sapeva bene cosa significasse vivere delle storie a cui pochi avrebbero creduto.

“Proprio mentre Jadis fu in procinto di sconfiggere Peter, Aslan si gettò su di lei e la uccise, riportando finalmente la pace. Lucy, con l’ aiuto della sua pozione, riuscì a guarire tutti i feriti, compresi i suoi fratelli che rischiarono la vita per proteggere una terra a cui già sentivano di appartenere. E’ qui che viene il bello, Merlino, perché Aslan poteva leggere nei cuori di tutti… E sapeva bene ciò che provavano. Aslan incoronò i quattro giovani eroi re, e regine di Narnia. Lucy la Valorosa... Susan la Dolce…”.

A Camelot…

“Edmund il Giusto, e Peter il Magnifico” – aveva continuato a leggere Artù – “Furono anni di pace quelli che seguirono la sconfitta di Jadis, la perfida Strega Bianca. Ma, purtroppo, per non si sa quale preciso motivo, un giorno, da una cavalcata nelle splendide foreste di Narnia, al castello tornarono solo i cavalli dei re e delle regine di Narnia senza i propri fantini. Nessuno seppe mai cosa accadde ai più grandi sovrani della storia di quella terra rigogliosa”.

Artù si aspettava solo che Gaius pronunciasse la parola ‘ fine ‘ e gli desse il bacio della buona notte.
Ma non poteva essere finita in quel modo!

“Ma Gaius… Stai scherzando?? E chi ha regnato su Narnia dopo di loro? Erano fratelli e sorelle e ovviamente non potevano avere eredi! Che ne è stato di quella terra e del suo popolo??”.

Il vecchio cerusico aveva chiuso il libro. Non riusciva a guardare quelle crudeli immagini dipinte.

“E’ qui che entra in scena Caspian I, Artù… Ed è qui che noi figli di Adamo e di Eva dovremmo vergognarci”.
Il principe poteva leggere dolore negli occhi del buon vecchio Gaius.
Cosa poteva essere accaduto?

A Telmar…

“Fu terribile, Merlino. Caspian I invase Narnia, e distrusse ogni cosa. Lui odiava la magia e le creature magiche. Le considerava sporche, immorali e pericolose, e non si fece alcuno scrupolo a saccheggiare, uccidere e torturare. I pochi superstiti migrarono altrove, altri, trattati da bestie, finirono per diventare tali. La magia di Narnia si spense man mano… E di Aslan non si seppe più niente”.

Merlino era rimasto a bocca aperta.

“Ma, Clara… Caspian I non era… non era…”.
“Si, Merlino… Era un figlio di Adamo”.

Non riusciva a crederci. Perché un figlio di Adamo aveva attaccato Narnia? La stessa Narnia che era diventata una terra florida proprio grazie a due figli di Adamo e due figlie di Eva?

“E Aslan? Perché non è intervenuto?”.

“Perché le cose non accadono mai due volte allo stesso modo…” – Clara gli si era avvicinato, facendo si che Mercurio potesse posarsi sulla sua spalla elegantemente agghindata – “Vedi, nessuno sa come siano andate davvero le cose. Nessuno sapeva perché i re e le regine andarono via, ma, come potrai ben capire, gli abitanti di Narnia non si fidarono più dei figli di Adamo e delle figlie di Eva”.

“Ma dove sono adesso gli abitanti di Narnia? Sono ancora vivi, vero? Perché hai detto che Mercurio è un discendente di quelle creature!”.

Clara aveva ripreso ad accarezzare la testolina di Mercurio.

“Sono ovunque, Merlino… Ovunque… e, per un breve periodo hanno creduto di poter tornare alla rivalsa….

A Camelot…

“Hanno creduto di poter riscattare se stessi e le loro terre durante il breve periodo di regno di Caspian IX…”.

Continua…
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Vi chiedo scusa per il giorno di ritardo, e per questo capitolo chilometrico e forse un po' noioso. Sono sommersa di lavoro, ma non voglio assoluatamente mancare a nessun aggiornamento. Se non aggiorno una volta a settimana, o è perché la mia connessione è defunta, o perché sto male. U.U
Ma torniamo a noi.
Merlino e Artù dovevano sapere di Narnia, dei re e delle regine, e lo so che avete letto i libri e visto i film e questo capitolo è sembrato più un riassunto, ma spero di avervi almeno incuriosito per questa anticipazione su Caspian IX.
E poi, per una volta abbiamo parlato nello stesso capitolo di Merlino e Artù! XD
E siamo tutti più contenti!
Pargolette mie, mi dovete scusare ancora per questa cosa - e spero di non aver fatto danni coi tempi verbali, ma ne dubito -.-' .
Baci grandi, e grazie per le recensioni!
Vi aspetto!
Baci
Cleo

Ps: e nevica anche qui da me in Calabriaaaa!!!
<3 <3 <3






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Capitolo 40
*** Un mostro nascosto nell' ombra ***


Un mostro nascosto nell’ ombra


Artù non riusciva ancora a capacitarsi dell’ assurdità di quella storia, e continuava a rigirarsi nel letto, incapace di addormentarsi.
Figli di Adamo e figlie di Eva, fauni, centauri, castori parlanti, streghe e leoni… era tutto così incredibilmente assurdo che non poteva non essere vero.
Ma non era stata questa prima parte a sconvolgerlo al punto di non fargli prendere sonno, no.
Ormai sapeva bene che intorno a lui viveva la magia. Aveva capito che essa albergava ovunque e che non sarebbe mai riuscito a debellarla del tutto. Eppure, ascoltando il racconto di Gaius su Caspian IX, un’ altra domanda aveva preso forma nella mente del giovane principe: la magia era davvero così crudele e malvagia come gli aveva insegnato suo padre?
Le parole dell’ anziano cerusico continuavano a tornargli in mente: ‘ nessuno oserebbe mai dire il contrario, ma sono davvero pochi coloro che incolpano Narnia e la sua magia per la morte di un re e di un principe di buon cuore. E queste persone hanno il cuore nero ‘.
Era più che evidente che si riferisse a Miraz.
Ma possibile che fosse talmente crudele e assetato di potere da uccidere suo fratello e suo nipote?
Non riusciva a capacitarsene.
Suo padre gli aveva raccontato che era stata la troppa fiducia nella magia ad aver ucciso Caspina IX e suo figlio… possibile che lui non sapesse la verità?

‘ E' per questo che Miraz lotta in maniera così ardua per estirpare la Religione Antica.
La magia è malvagia, Artù.
Se dovessi dimenticarlo, pensa alla sorte del giovane Caspian, e vedrai che la ragione tornerà a guidarti ‘.

Come dimenticare un simile avvertimento?
Colto dalla disperazione per non poter rispondere ai suoi mille quesiti, Artù aveva schiacciato violentemente il morbido cuscino sul proprio viso, soffocando un urlo liberatorio.
Qual era la verità?
Miraz aveva ucciso i suoi parenti più stretti dimostrando di essere il mostro che si era rivelato, o lo era diventato perché essi erano stati uccisi dalla magia?
Ma, se Aslan esisteva, e Aslan esisteva per davvero, perché avrebbe dovuto permettere che una delle sue creature uccidesse due figli di Adamo che avevano provato a far risorgere il suo regno?

Tormentato, si era girato su di un fianco, lasciando che il suo sguardo vagasse fra il buio della propria stanza.
Non poteva non farlo, in quel frangente, non poteva non pensare a lui.
Non riusciva a non pensare alla sua risata, a quelle sue buffe orecchie, a quei suoi assurdi modi di fare, indisponenti e irritanti, a quei suoi occhi così profondi e saggi.

“Dimmi che stai bene Merlino… Ti prego… Se puoi, dimmi che stai bene…”.
Il forte, valoroso, possente principe Artù Pendragon, non si era accorto di essersi addormentato con una lacrima che invadeva le sue lunghe, bionde, splendide ciglia.

*

Merlino era sconvolto da ciò che aveva appreso durante il pomeriggio grazie a Clara.
Come avrebbe potuto anche solo lontanamente prendere sonno dopo ciò che gli aveva raccontato?
Miraz aveva ucciso suo fratello e suo nipote.
Quel mostro dal cuore nero aveva privato della propria vita un nobile re e un giovane principe di appena diciassette anni.
Come aveva potuto farlo? Come?
Clara aveva i begli occhi inondati di lacrime amare mentre rammentava con estremo dolore quel triste episodio.
Il popolo amava il suo re, quel re che aveva cercato di rimediare agli errori degli avi di cui portava il nome.
Gli abitanti di Narnia si fidavano di lui, di quel figlio di Adamo che aveva ridato loro la speranza. Qualcuno diceva persino che Aslan presto sarebbe tornato. Perché avrebbero dovuto uccidere lui e il suo erede, allora?
Eppure, nonostante la storia di Miraz facesse acqua da tutte le parti, i lord non avevano esitato un attimo nel credergli, ed erano partiti all’ attacco, sterminando tutti gli abitanti di Narnia che avevano ripreso possesso delle loro vite e della loro libertà.

E c’ era dell’ altro. Doveva trattarsi di una spiegazione al perché del loro comportamento, al perché di quel perenne buio, e al perché di quell’ ombra sibilante dagli occhi ardenti che Miraz accarezzava come il più fedele dei suoi animali, ma Clara non aveva fatto in tempo a fornirgliela: improvvisamente, la ragazza aveva asserito di dover andare via, ma Merlino era riuscito a strapparle la promessa di tornare e di terminare il suo racconto.
Non poteva non sapere il resto della storia.
Era intrappolato in quel luogo di terrore e di angoscia? Bene! Saperne di più sarebbe stato un punto a suo favore, un modo per non sprofondare totalmente nel dolore e nella disperazione.
Eppure, mai come in quel frangente avrebbe voluto essere a casa di Gaius, nel proprio piccolo, scomodo letto, avvolto nella sua misera e ruvida coperta, maledicendo Artù per averlo mandato a chiamare solo per farsi rimboccare le coperte.
Sorrideva amaro, Merlino.
Il pensiero di Artù lo faceva stare più male di quanto avrebbe voluto ma, purtroppo, non riusciva a controllarlo.
Era una cosa che gli veniva da dentro. Una cosa che non riusciva a spiegarsi.
Una cosa che gli impediva di addormentarsi.

Non vedeva l’ ora che il piccolo Mercurio giungesse a Camelot. Chissà che faccia avrebbe fatto Gaius nel trovarsi davanti un cardellino capace di parlare!
Lui non aveva avuto la possibilità di ascoltare la sua voce, ma Clara gli aveva assicurato che poteva stare tranquillo, e che il suo messaggio sarebbe giunto a destinazione quanto prima.
Col cuore colmo di speranza, Merlino stava per chiudere i grandi occhi blu, lasciandosi cullare dal dolce abbraccio di Morfeo.
Non si era accorto che qualcuno aveva aperto la porta della sua stanza e vi era scivolato dentro silenzioso come un’ ombra nella notte.

    *    

Il suo era un sonno agitato.
Merlino stava sognando di essere in viaggio, e che il cavallo su cui viaggiava stava correndo veloce verso la più completa oscurità. Il suo cuore batteva all’ impazzata per il terrore, e lui stava cercando disperatamente di arrestare il possente destriero, ma quello non rispondeva ai suoi ordini. Sapeva che nell’ istante in cui in buio lo avrebbe avvolto, non sarebbe più stato in grado di sfuggirgli.
Urlare e tirare le briglie era stato pressoché inutile, così come tentare di usare la magia.
Qualcosa gli impediva di tirare fuori il suo potere segreto e di sfruttarlo per uscire da quella terribile situazione.
Non sapeva cosa fare.
Quella pozza di terrore era ormai vicinissima. Aveva una sola speranza di evitare quella prigionia: gettarsi da cavallo. Ma sarebbe sopravvissuto? Era necessario tirare le somme. Cos’ era peggio? Morire o vivere nel più completo buio, fino a diventare parte integrante di esso?
Ma lui lo sapeva. Sapeva che l’ unica libertà sarebbe stata la morte.
Per questo, aveva lasciato andare le forti briglie, preparandosi a spiccare il balzo letale.
Purtroppo per lui, però, esso era stato compiuto troppo tardi: l’ oscurità aveva avuto la meglio su di lui.

Sconvolto, aveva aperto gli occhi di scatto, cercando di urlare, ma gli era stato impossibile, perché qualcosa era premuta contro le sue labbra, impedendogli di gridare.
Gli occhi di Merlino si erano riempiti del terrore più puro quando aveva visto il proprio riflesso dentro quelle malvage iridi nere. Anche nel buio più profondo sarebbe stato capace di riconoscere quello sguardo, così temibile, così carico di odio e di disprezzo, così dannatamente, terribilmente desiderosi di lui.
Non poteva muoversi. Nonostante cercasse con tutte le proprie forze di sfuggire a quella morsa micidiale: il peso del suo aguzzino gravava completamente contro il suo esile corpo ossuto, impedendogli di fuggire via, lontano da quel mostro che tante volte aveva provato a possederlo con la forza.
Da quel mostro che tante volte aveva bramato il suo corpo. Da quel mostro che sta volta sarebbe stato capace di prendersi quello che voleva.

“Ciao, mio piccolo schiavo… ti sono mancato, forse?”.
La voce carica di desiderio di lord Sopespian era giunta alle orecchie di Merlino. Il suo fiato caldo si era spezzato sulla candida pelle della sua guancia, facendolo rabbrividire dal terrore.
“Stavolta non ci sarà nessuno a salvarti, piccolo schiavo… Nessuno verrà ad aiutarti…” – gli sussurrava, mentre gli accarezzava languidamente il petto, e strofinava il bacino contro quello intrappolato del povero Merlino che mugugnava sconvolto contro quel palmo ruvido e violento.
“Sta volta sarai mio!” – e, con uno scatto deciso, Lord Sopespian aveva retratto la mano, sostituendola prontamente con la propria bocca.
Merlino si era sentito morire.
Quell’ essere lo stava letteralmente divorando. I suoi denti mordevano le tenere labbra, la lingua lappava impaziente, e la barba irritava la liscia e candida pelle.
Le mani dell’ aguzzino lo avevano già spogliato della propria tunica, sollevandogliela fino all’ altezza delle clavicole, e avevano iniziato ad occuparsi dei legacci dei propri pantaloni.
Era inutile tentare di allontanare quel bacino da sé: era troppo robusto, troppo forte per lui.

Sapeva che sta volta nessuno sarebbe venuto a salvarlo. Sapeva che non ci sarebbero stati interventi provvidenziali, e che sarebbe stato in balia di un essere che lo avrebbe reso un oggetto.
Una bambola da rompere e da gettare via.
Non aveva idea di come sarebbero andate le cose. Sapeva come accadeva fra un uomo e una donna, ma non aveva la più pallida idea di come sarebbe stato fra due uomini.
Una sola cosa aveva capito da alcune allusioni fatte dai cavalieri di Artù: che sarebbe stato tremendamente umiliante e doloroso.

Merlino era trasalito quando Lord – un essere del genere meritava un simile titolo? – Sopespian si era staccato da lui per poterlo mettere prono.
Di nuovo, non aveva avuto il tempo di urlare perché aveva premuto il suo viso contro il morbido cuscino, impedendogli persino di respirare.
Ormai lo aveva spogliato dei suoi pantaloni, abbassandoglieli fino alle ginocchia, e gli aveva passato una mano sulle natiche, stringendone una con forza fra le possenti dita.
Non aveva potuto fare a meno di gridare fra le lacrime che non era stato in grado di fermare.

“Adesso sta calmo… Hai capito, piccolo schiavo?” – gli aveva sussurrato all’ orecchio, mentre trafficava con i legacci dei propri pantaloni con una mano e con l’ altra gli sollevava il capo strattonandolo per i capelli.
Un mugolio di dolore uscito da quelle splendide labbra era giunto alle sue orecchie, facendolo vibrare di piacere.
Presto avrebbe avuto quello che voleva. Avrebbe fatto suo quel piccolo gioiello. Avrebbe goduto fra le sue strette carni bollenti, riempiendolo di sé.
“Mi raccomando… cerca di stare fermo” – aveva detto, stendendosi su di lui.
Merlino aveva sentito qualcosa premere contro le proprie natiche, rabbrividendo.
D’ un tratto, aveva compreso quella che sarebbe stata la sua tortura.
“Ti conviene aprire bene la bocca e mordere più forte che puoi questo splendido guanciale… Almeno, riuscirai a preservare i tuoi bei denti…”.
In lacrime, il giovane mago aveva chiuso gli occhi.
Gli restava solo una cosa da fare: sperare che Sopespian finisse presto.

Continua…
_______________________________________________________________________________________________

Merliniane, ce l' ho fatta ad aggiornare di domenica! EVVIVA!!
Ed ora, dopo questo autoelogio, sprofondo nella più totale vergogna e frustrazione.
Lord Sopespian, sei di quanto più spregevole possa esistere sulla faccia della terra! IO TI ODIO!
Sei un mostro senza cuore, peggiore persino di Miraz!
Povero, povero, povero Merlino! MOSTRO! (O il mostro sono io che scrivo queste cose?? SOB!).
Sembrava che avesse deciso di demordere e invece eccolo lì, pronto ad approfittarsi di un ragazzo solo e totalmente indifeso. Sono in pena per lui, credetemi.
Anche per questo non riesco a dirvi altro, se non che spero di scrivervi ancora la prossima settimana, raccontandovi l' esito di questa terribile notte.
Grazie a tutte voi!
Un bacio grande!
Cleo

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Capitolo 41
*** La luce nel buio ***


La luce nel buio


Non riusciva a farsene una ragione. Non poteva farsene una ragione.
Come poteva anche solo lontanamente pensare di poter accettare quello che stava per accadergli?
Stava per essere brutalmente violato da un mostro senza cuore che lo aveva sorpreso nel sonno, da un mostro che gli aveva detto di mordere il cuscino perché la sua unica volontà era quello di farlo morire di dolore.
Merlino stava annegando nelle sue stesse lacrime, mentre il suo aguzzino si metteva più comodo fra le sue gambe.
Come aveva fatto a finire il quella situazione?
Perché il suo dono più grande non faceva altro che creargli tremendi guai e farlo finire in situazioni da cui non sarebbe stato in grado di uscire?
Eppure, mai come allora rimpiangeva quel dono che gli era stato sottratto, quel dono che era stato sigillato in sé, privandolo dell’ unico modo che conosceva per difendersi.

“Piangi schiavo? Oh… povero piccino…” – si stava divertendo anche a deriderlo quell’ essere ignobile, prolungando solo l’ agonia che avrebbe preceduto quell’ atto così meschino e così immorale.
Sembrava che Merlino volesse ingoiare il guanciale. Quel guanciale che lo aveva accolto così dolcemente al suo risveglio.
Quel guanciale che sarebbe stato punto di raccolta e allo stesso tempo di sfogo di un dolore che nessuno avrebbe mai dovuto conoscere.
E non aveva potuto fare altro che affondavi dentro le dita, mentre lord Sopespian gli separava le natiche con uno strattone deciso, facendolo gemere di paura.

“Sta calmo, piccolino… in fondo, potrebbe anche piacerti…”.

Come poteva essere così meschino? Come poteva anche solo pensare una cosa simile?
Ma c’ era una cosa che lo sconvolgeva facendolo stare ancora più male: nonostante tutto, continuava a pensare a come sarebbe stato meraviglioso se all’ improvviso Artù avesse aperto la porta di quella stanza, avesse trafitto quel mostro con la lama affilata della sua spada e lo avesse portato in salvo, nella sua Camelot, stringendolo forte a sé come quella volta che lo aveva portato via da quella tetra e lugubre prigione.

‘ Artù…’ – chiamava il suo cuore.
‘ Artù… ‘ – ripeteva la sua mente – ‘ Aiutami… ‘.

E, nello stesso istante in cui lo aveva sentito premere contro la sua fessura, gli occhi azzurri e fieri di Artù erano apparsi proprio lì, davanti a lui.

“NOOO!”.

Non poteva permettergli di farlo: cercando dentro di sé un’ energia che non credeva di possedere, Merlino si era spostato di scatto e, con un violento colpo di reni, aveva ribaltato le loro posizioni, riuscendo miracolosamente a sfuggire alla presa di quel bastardo che, colto alla sprovvista, era caduto dall’ altra parte del letto.

“Brutto piccolo bastardo!” – aveva urlato, mentre cercava di rimettersi in piedi – “Vieni qui!”.

Ma era troppo tardi: Merlino era riuscito a tirarsi su i pantaloni e, nonostante il buio e le lacrime, era riuscito a raggiungere la porta, spalancarla, e fuggire senza una meta precisa nel buio corridoio del castello.
Qualunque posto sarebbe stato più sicuro di quella stanza.

Lord Sopespian si stava rivestendo in fretta, furioso come una belva a cui avevano appena sottratto la propria preda.
Come aveva fatto a farsi mettere con le spalle al muro da quel piccolo, inutile schiavo?
Era nei guai fino al collo!
Quel piccolo bastardo avrebbe fatto la spia con Miraz, ne era certo e, stavolta, il suo re lo avrebbe fatto impiccare!
Niente era andato come avrebbe dovuto!

“DANNAZIONE!” – stava urlando, rosso di rabbia.

Ma non poteva permettere che finisse in quel modo. Oh, no! Lo avrebbe cercato per tutto il castello, lo avrebbe legato, violato fino a farsi pregare di ucciderlo, e poi lo avrebbe strangolato con le mani.
Avrebbe visto i suoi occhi arrossarsi, e avrebbe sentito il rumore di quel suo niveo e bellissimo collo che si spezzava fra le sue mani enormi ed esperte.
Aveva avuto il velluto fra le sue mani, aveva saggiato la consistenza e il sapore di quella bocca, e non avrebbe più potuto farne a meno.

“Sarai mio, piccolo schiavo” – aveva detto, mentre usciva da quella stanza cercando di non essere visto da nessuno – “Sarai mio, mio e di nessun altro”.

*


Merlino correva, nascosto nel buio di quel castello forgiato dal male.
Non aveva fatto niente per cercare di calmare i propri singhiozzi. Non ci riusciva.
Sapeva fin troppo bene che in quel modo avrebbe lasciato a Lord Sopespian una traccia per seguirlo, ma non gli importava. Perché avrebbe dovuto nascondere il suo dolore? Non c’ era nessuno da preservare lì. Nessuno, se non se stesso.
Era così sconvolto che aveva seriamente pensato di rivolgersi a Miraz in persona.
Lui era il re, e aveva bisogno del suo aiuto per realizzare i propri scopi. Lo avrebbe sicuramente ascoltato e avrebbe punito quel mostro che più volte aveva cercato di possedere il suo corpo.
Sì, era questo che avrebbe dovuto fare.
Andare da Miraz e…
Era inciampato nei suoi stessi passi, cadendo in avanti sul freddo pavimento di pietra scura, sbattendo il volto.
Non aveva più la forza di alzarsi. Forse, quella era la punizione per aver pensato di rivolgersi a quell’ altro mostro.
Perché Artù non era lì? Perché il drago aveva mentito? Perché gli aveva detto che erano due facce della stessa medaglia, ed erano lontani giorni e giorni di marcia?
Perché? PERCHE’?
Un eco di passi sempre più vicini lo aveva spinto ad alzarsi e a riprendere la sua corsa.
Non poteva farsi sorprendere da Sospespian ancora più fragile e sconvolto di quanto già non fosse.
Veloce come una lince, aveva raggiunto la stretta scalinata, cominciando a percorrerla a rompicollo.
Non aveva la più pallida idea di dove stesse andando, ma doveva andare il più lontano possibile da lì.

A grandi passi, col cuore in gola e il fiato che cominciava a mancare, era finalmente riuscito a raggiungere il grande portone d’ ingresso.
Con un colpo deciso aveva afferrato la grande maniglia di ferro, e aveva dato uno strattone.
Niente. Non si era mosso neanche di un millimetro. Il portone era bloccato.

“Maledizione!”.

Ma com’ era possibile che fosse bloccato? E perché in quel maledetto castello non c’ era nessuno?
Non c’ era l’ ombra neanche di Margareth o di Clara! Loro lo avrebbero aiutato a trovare Miraz o almeno lo avrebbero aiutato a nascondersi.

“Dove sei, schiavo?”.

L’ eco della voce del suo aguzzino era giunta alle sue orecchie, facendolo rabbrividire dal terrore.
Non poteva perdere altro tempo. Presto lo avrebbe raggiunto, e Merlino era certo che stavolta non si sarebbe accontentato di riprendere da dove aveva lasciato.
Dei, ancora sentiva in bocca il sapore di quell’ uomo malvagio.
Doveva continuare a fuggire se voleva salvarsi. Era la sua unica possibilità.
Terrorizzato, aveva posato la schiena sul portone di legno, guardandosi attorno.
Ma il buio non lo aiutava a capire qual era la giusta direzione da prendere.
Come facevano gli altri a muoversi in quella maledetta oscurità??
 
D’ un tratto, una folata di vento gelido aveva attaccato i suoi piedi nudi. Una folata di vento che proveniva dalla sua destra. Il che poteva significare solo una cosa: da quella parte doveva esserci una porta.

“DOVE SEI!”.

Col cuore in gola, Merlino aveva imboccato quella direzione, scoprendo con grande gioia che aveva ragione: davanti a sé c’era una piccola porta di legno.
Senza pensarci due volte, vi si era aggrappato con tutta la forza che aveva, cercando di tirare. Niente.
Anch’ essa sembrava bloccata.
Magari, però, avrebbe dovuto spingere per aprirla.
E, in effetti, aveva sentito i cardini cigolare. Ma niente: continuava a non volersi aprire.

“No! No! Apriti dannazione!”.

Ma perché ce l’ avevano tutti con lui?
Senza poterne fare a meno, i suoi occhi erano caduti sulle maledette polsiere che gli impedivano di usare la magia. Se solo non le avesse avute…

“MALEDIZIONE!” – aveva urlato a se stesso. Non era quello il momento di pensare ai se e ai ma.
Non poteva usare la magia, doveva farsene una ragione!
Non aveva altre via di scampo, l’ unica sua speranza di salvezza era quella stupida porta che non ne voleva sapere di aprirsi.
Eppure, non doveva essere chiusa a chiave, altrimenti i cardini non avrebbero ceduto. Forse, nessuno l’ apriva da tanto tempo, per questo stava facendo tutta quella fatica!

Deciso più che mai ad aprirla, aveva posato entrambe le mani sulla porta, e aveva iniziato a spingere con tutta la forza che aveva in quelle sue gracili braccia.

“Apriti… Apriti…” – continuava a ripetere – “APRITI!”.

Finalmente, aveva sentito un notevole spostamento: i cardini bloccati dalla ruggine stavano cedendo!
Ma, purtroppo per lui, lord Sopespian era sempre più vicino.
Allora, aveva cominciato ad aiutarsi con tutto il corpo, facendo leva sulle gambe stanche, e mettendo più forza nelle braccia.
Non l’ aveva spalancata, ma l’ aveva aperta abbastanza per permettere ad uno mingherlino come lui di passarvi attraverso.
E Merlino non aveva atteso oltre: con uno scatto felino, aveva attraversato quello spiraglio, lasciando che la porta si chiudesse alle sue spalle.
Era salvo.
O forse no.
Sopespian era più forte di lui, e non ci avrebbe messo niente a buttare giù quella vecchia porta con un calcio.
Per questo, aveva tirato un bel respiro, e senza perdere altro tempo si era incamminato nell’ antro buio che si apriva davanti a lui, scoprendo, con sua grande sorpresa, che si trattava di un lungo corridoio il cui soffitto si abbassava progressivamente, fino a permettergli di passarvi al di sotto piegandosi in avanti.

Sentendosi come un topo in trappola, aveva cominciato a pensare di non aver avuto una splendida idea.
Avanzava chino nel buio senza sapere dove fosse diretto, se verso la salvezza o verso la rovina.
Per quello che poteva saperne, quel tunnel poteva condurlo anche in una fossa piena di belve feroci.
Ma, in ogni caso, quelle sarebbero state meglio di Sopespian che, nel frattempo, continuava a chiedersi che fine avesse fatto il suo ‘ piccolo schiavo ‘.
Ma come diavolo aveva fatto a disperdersi nel nulla?
Ovviamente, non aveva la più pallida idea che Merlino stesse strisciando proprio nella parete accanto a cui si trovava.

Il giovane mago era pensieroso.
Gli sembrava di camminare da una vita, e il buio non lo aiutava di certo a dissipare i suoi dubbi.
D’ un tratto, aveva toccato con la mano che teneva tesa davanti a sé per farsi strada una superficie ruvida. Secondo il suo tatto, doveva trattarsi di una porta.
Una piccola porta ruvida.
Ma quel posto era una specie di scatola cinese?
Arrivato a quel punto, avrebbe solo dovuto sperare che anch’ essa si aprisse con una spinta più decisa.
Spinta che Merlino non aveva esitato a dare.

In meno di un attimo, si era ritrovato in una piccola stanza circolare, senza finestre, illuminata da centinaia di fiaccole.
E, al centro di quella piccola stanza, su di un sarcofago di pietra scolpita, era adagiata la statua d’ avorio di un giovane.
Un giovane talmente bello che non sembrava potesse essere vero.

Continua…
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E DOMENICA FU!!
Ce l' ho fatta ad aggiornareee!! SONO FIERA DI ME!!
Mamma mia che spavento! Ma non potevo permettere che Merlino venisse violato da quel pezzo di *CENSURED*.
Povero cucciolo bello... <3
Ha trovato nel ricordo degli occhi di Artù la forza per riscattarsi!
COSI' SI FA! <3
Ora, che sarai mai questa strana stanza??
Lo scopriremo nel prossimo capitolo, ovviamente!
Baci grandi!
E grazie di tutto!
Cleo

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Capitolo 42
*** X ***


X


Merlino non riusciva a credere ai propri occhi. A quegli occhi che non riuscivano a smettere di guardare la splendida statua che giaceva supina davanti a lui.
Era esterrefatto.
Aveva visto numerose sculture ritraenti esseri umani durante la sua giovane vita, ma nessuna di esse era simile a quella.
Le proporzioni erano a dir poco perfette. Le membra erano fasciate da vesti marmoree che esaltavano le sue fattezze.
Il viso, l’ angelico viso, era incorniciato da una voluminosa massa di capelli lunghi fino al mento che ricadevano morbidamente sul cuscino, nonostante si trattasse di freddo e duro marmo.
Le palpebre serrate erano rappresentate in maniera talmente realistica da recare delle minuscole pieghe sulla parte mobile, e Merlino si chiedeva come fosse possibile che lo scultore fosse stato in grado di realizzare una per una anche le lunghe e ricurve ciglia.
Le gote erano piene e tese, e oltre il bel naso nascevano grandi e sensuali le labbra carnose e bellissime.
Erano leggermente schiuse, e lasciavano intravedere i piccoli incisivi perfettamente allineati.
Le belle mani affusolate erano incrociate sull’ ampio petto, nascondendo in parte l’ elsa decorata di una spada.

Il giovane mago era totalmente rapito da quell’ immagine quasi surreale.
Aveva scorto nella piazza di Telmar numerosissime statue così perfette da sembrare esseri umani dipinti di bianco, ma nessuna l’ aveva rapito come quella che aveva a pochi centimetri da sé.
Non aveva potuto fare a meno di chiedersi perché si trovasse lì, nascosto dal mondo che avrebbe solo potuto ammirarla affascinato.

Con cautela, si era avvicinato.
Avvertiva il bisogno di vederla più da vicino per poterne ammirare meglio ogni singolo particolare.
Voleva scoprire in quante pieghe si arricciasse il suo abito, voleva contare le gemme scolpite sull’ elsa, e toccare ogni singola ciocca di capelli.
Perché era proprio quello l’ irrefrenabile desiderio che non riusciva a spiegarsi.
Voleva toccarlo. Doveva toccarlo. Doveva rendersi conto se quella pelle era davvero fatta di marmo, o era identica alla sua, vera, calda e morbida. Doveva saggiare la consistenza di quelle labbra carnose, e scoprire se si piegavano sfiorandole col pollice.
Fuori da quella specie di mondo incantato c’ era un famelico lupo che braccava con insistenza la sua preda, eppure, quella stessa preda non se n’ era mai curata così poco come allora.
La verità era che si sentiva al sicuro.
Non sapeva perché, e non sapeva cosa fosse quel luogo e se ci fosse un’ altra via d’ uscita oltre a quella che aveva percorso per entrarvi, ma non gli importava.
Nella sua mente, si stava facendo largo l’ assurdo pensiero che fosse la presenza del cavaliere di marmo a rassicurarlo.
Con cautela, per evitare di disturbare il sonno per cui era stato forgiato, Merlino si era arrampicato sulla solida struttura, sedendosi accanto allo splendido cavaliere.
Tremante e impaziente allo stesso momento, aveva allungato una mano, posandola su quella del giovane.
Purtroppo per lui, era sì liscia, ma fredda e priva di vita.
Avrebbe dovuto aspettarselo. Dopotutto, era solo una statua di marmo.
Lentamente, aveva lasciato scivolare la mano sull’ elsa, avvicinandosi per ammirarne le decorazioni.
Le gemme erano così realistiche… Mancava loro solo il colore e la trasparenza che le avrebbe fatte risplendere.
E, proprio accanto ad una delle gemme più grandi, vi era incisa una lettera.
‘ X ’.
Merlino la osservava, curioso.
Forse non si trattava di una lettera, ma di un numero. Di un numero romano. Il numero dieci.
Non era stato in grado di comprenderne il significato, eppure avvertiva in lui una strana sensazione. Era come se qualcosa di ovvio gli stesse sfuggendo sotto il naso.

“Dieci” – aveva detto ad alta voce, sfiorando nuovamente l’ incisione – “Chissà, forse sei la scultura del decimo cavaliere di un’ armata. Del suo più giovane cavaliere, a giudicare dal tuo aspetto”.

Si sentiva un po’ stupido a parlare con una statua, ma allo stesso tempo lo trovava divertente.
Poteva dire tutto ciò che voleva senza che il proprio interlocutore lo contraddicesse.
Tutto d’ un tratto, aveva iniziato a balenargli in mente l’ idea di scolpire una statua di Artù da tenere nella propria camera per potervi inveire contro a suo piacimento.
Sarebbe stato uno spasso! Un modo perfetto per scaricare lo stress.
Già… Lo stress causato dall’ assistere il borioso, noioso, ripetitivo, coraggioso, valoroso, leale principe Artù Pendragon.

“Maledizione Merlino, piantala!”.

Doveva smetterla. Doveva smetterla per davvero.
Artù non era lì e non sarebbe mai venuto. Artù Pendragon era il principe di Camelot e non aveva tempo da sprecare per accorrere in aiuto di un mago impostore che credeva fosse un comunissimo servo.
A ben pensarci, quello che gli era capitato doveva sicuramente essere una punizione per aver celato così tanto a lungo la sua identità alla persona che avrebbe dovuto vegliare, guidare e proteggere.
Gli stava proprio bene!

“Ah, decimo cavaliere… Se solo sapessi quanto è complicata la mia vita… Sembra che, per quanto mi sforzi, io non riesca a combinarne una giusta. Finisco sempre col cacciarmi in guai più grossi di me”.

Neanche fosse un comodo letto di piume, Merlino si era seduto con le gambe incrociate sul piedistallo scolpito, posando le mani sulle sue caviglie.
Osservava la statua con rammarico.

“Li vedi questi?” – e aveva allungato in avanti le braccia come per mostrare al ragazzo di marmo le due polsiere – “Questi me li ha messi il padrone del castello per evitare che io possa usare i miei poteri. Devi sapere che sono un mago. Sì, so che sembra impossibile che uno con queste orecchie sia un mago, ma è la verità. Sono una creatura magica, e sono anche piuttosto potente, se proprio ci tieni a saperlo! Ma questa cosa – che ai miei amici devo tenere nascosta se tengo ad avere salva la vita – non fa altro che portarmi guai. Il caro re Miraz ha deciso di rapirmi perché vuole che lo renda immortale. E sai cosa ha fatto per mostrarmi di cosa era capace? Ha accusato Gaius, l’ unico vero padre che io abbia mai avuto, di stregoneria davanti a quel testone di Uther, facendolo condannare al rogo! Clara, la ragazza che mi ha tradito ma che adesso sembra pentita, dice che forse non è tutto perduto, e sai chi è l’ unico che potrebbe farmi sapere come stanno le cose, visto che non posso muovermi da qui? Un cardellino di nome Mercurio che secondo Clara può parlare a comando perché è un abitante di Narnia! Ma ti rendi conto??”.

Era rimasto quasi senza fiato.
Aveva parlato senza interrompersi, facendo al cavaliere di marmo un breve resoconto delle sue ultime disavventure.
Gliene erano capitate davvero tante, tirando le somme!

“DOVE SEI SCHIAVO?”.

La lontanissima voce di lord Sopespian era giunta alle sue orecchie.
Il giovane aveva sbuffato sonoramente.

“E lo senti questo pazzo che continua a darmi dello schiavo? Ecco, quest’ essere che si fa chiamare ‘ lord ‘ ha provato a farmi del male!” – i suoi occhi si erano riempiti di lacrime di rabbia e di disgusto – “Mi ha spinto sul letto, mi ha spogliato e mi ha infilato quella sua linguaccia in bocca! Ancora sento il suo sapore orribile!”.

Un brivido di puro disgusto aveva attraversato il suo esile e candido corpo.

“E c’ era quasi riuscito! C’ era quasi riuscito a farmi del male! Ma io mi sono ribellato, sono scappato, e sono venuto fin qui, brancolando nel buio! Sono venuto qui, e ho trovato te!”.

Si sentiva uno sciocco, eppure non poteva fare a meno di sorridere e ricacciare indietro le lacrime.

“Oh decimo cavaliere, vorrei tanto essere coraggioso come te, coraggioso al punto di meritare una statua così bella. Ma non lo sono e non lo sarò mai”.

Mai come allora avrebbe desiderato ricevere un abbraccio.

“Non ti spiace se mi stendo un po’ qui con te, vero? Non disturbo il tuo sonno, no? Mi faccio piccolo piccolo, prometto…” – e, visto che chi tace acconsente, Merlino si era accovacciato al fianco del cavaliere, abbracciando il suo esile busto con le braccia. Faceva freddo, ma non aveva intenzione di spostarsi.
Lord Sopespian lo stava ancora cercando e avrebbe preferito morire di freddo, sete e fame pur di tornare allo scoperto ed offrirsi così su di un piatto d’ argento a quel maiale.

“Che ne pensi, cavaliere? Dovrei parlarne con Miraz? Dopotutto, lui è il re, ed io gli servo sano e forte per realizzare i suoi scopi! Non che io voglia renderlo immortale, ma dimmi quali alternative ho!
Questo posto è orribile… Vivo nel buio, cavaliere, e non faccio che sperare di tornare a casa, da Gaius, e da quel borioso capriccioso di Artù! Ma non posso, perché sono prigioniero di quel pazzo!
E pensare che non è neanche il legittimo re…
E’ un uomo terribile, cavaliere! Ha ucciso suo fratello e suo nipote per salire al trono. Ancora non riesco a farmene una ragione.
Povero, povero principe Caspian…”.

Merlino era troppo stanco per continuare a parlare. Le sue palpebre si stavano lentamente abbassando mentre Morfeo tornava a fargli visita.
Aveva vissuto troppe emozioni tutte in una sola volta.
Dopo pochi istanti, vinto dalla stanchezza, il suo respiro era diventato regolare, e le sue membra si erano rilassate.
Il suo sonno era talmente profondo da non essersi reso conto di una cosa sorprendente: la splendida, meravigliosa statua di marmo, aveva appena mosso un dito.

Continua…
________________________________________________________________________________________________________________

Lo so, ho un giorno di ritardo. MEA CULPA.
Ho avuto da fare, purtroppo! ABBIATE PIETA' DI UNA POVERA PAZZA!!
Allora, finalmente ci siamo!!
Cavolo, ci sono voluti 42 capitoli per arrivare alle VERE vicende che hanno fatto nascere questo poema nella mia mente bacata!
MA CI SIAMO!!
Merlinuccio, lasciati dire che sei talmente cicciopatato che qui c' è la fila per sbaciucchiarti, farti le coccole, vestirti, farti il bagno, accarezzarti le orecchie e chi più ne ha più ne metta!
E LA FILA NON SARA' SOLO QUI, FIDATI!
Tesore mie, che dirvi?
Grazie per le recensioni!
Vi adoro!
Al prossimo capitolo!
Cleo

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Capitolo 43
*** Imprevisti in corridoio ***


Imprevisti in corridoio


Artù si era svegliato di soprassalto.
Non poteva permettersi di sprecare il suo preziosissimo tempo dormendo. Doveva lavarsi, vestirsi e correre da Gaius, tutto questo prima che iniziassero gli allenamenti quotidiani con i suoi cavalieri.
Ancora non aveva spiegato loro quale sarebbe stata la missione da svolgere, e soprattutto come avrebbero dovuto affrontarla, ma trovava ogni giorno sempre maggiore difficoltà a spiegare il perché delle sue lunghe assenze.

“Si tratta di Merlino” – continuava a ripetere loro – “Ma non posso dirvi altro, per ora”.

Era certo che presto i suoi uomini avrebbero cominciato a pensare che fra lui e l’ impiastro ci fosse qualcosa.
Non che la cosa lo inorridisse, in effetti, ma se la voce di corridoio fosse arrivata alle orecchie di suo padre sarebbe stato un problema non indifferente.

Resosi conto dell’ assurdo pensiero che aveva preso forma nella sua mente, Artù aveva rischiato di strozzarsi con la colazione che stava a dir poco divorando.
Il suo viso era diventato rosso, e gli occhi sporgevano fuori dalle orbite.
Tossendo rumorosamente, e aiutandosi con una coppa di vino, aveva mandato giù l’ incauto boccone, cercando di fare ordine nella propria mente e nel proprio esofago.
Non poteva DAVVERO aver pensato che non lo inorridisse la prospettiva di provare un sentimento nei confronti dell’ idiota del suo servitore.
Era assurdo! Doveva essere ancora mezzo addormentato. Non c’ erano altre alternative anche solo lontanamente plausibili.
Sì, doveva ammettere che Merlino occupasse gran parte dei suoi pensieri, ma non di certo perché provava qualcosa per lui!
Era il principe Artù Pendragon, futuro re di Camelot! Non poteva permettere che una simile cosa accadesse!
Sarebbe stato oltremodo sconveniente!
Eppure non riusciva ad evitare che le sue viscere si contorcessero al pensiero degli occhi blu di Merlino che si incatenavano ai suoi.
Artù era talmente perso nelle sue elucubrazioni da non essersi reso conto di star attraversando un’ ala del castello il cui pavimento era appena stato lavato, non facendo così in tempo ad evitare l’ immane scivolone che lo aveva fatto finire con il regale deretano sulla fredda e umida pietra.

“Ahi!” – si lamentava il temerario futuro sovrano.
Ma che aveva fatto di male per meritarsi una simile punizione? Mancavano solo gli assurdi pensieri riguardanti il suo servitore, e aveva veramente toccato il fondo.
“Ihihihih”.
Una sinistra risata era giunta alle sue orecchie, facendolo vergognare fino alla cima dei capelli.
Chi osava prendersi gioco di lui in quel modo?
Tremendamente imbarazzato, aveva preso a guardarsi attorno, cercando il colpevole del misfatto.
Colpevole che, però, non si vedeva da nessuna parte.
Forse lo aveva immaginato. Poteva essere, visto lo stress a cui era sottoposto nell’ ultimo periodo.
Così, evitando di perdere ulteriore tempo – e, soprattutto, evitando di finire di nuovo con il sedere per terra – si era rimesso in piedi, dirigendosi con cautela verso gli appartamenti di Gaius. Avevano molte cose di cui parlare, e non voleva tardare troppo.
Qualunque cosa gli dicesse il suo cuore – cuore che NON gli diceva assolutamente nulla - non poteva perdere ulteriore tempo.
Merlino poteva trovarsi in grave pericolo.

*


Gaius era rimasto chinato per tutta la notte sugli enormi volumi che Artù gli aveva consegnato.
In realtà, quello sarebbe stato un compito che avrebbe dovuto svolgere proprio quest’ ultimo, ma dubitava che sua maestà fosse in grado di leggerli tutti in una sola notte, e aveva deciso di affrontare personalmente quell’ ardua missione, ripromettendosi di sintetizzargli poi ogni cosa.
La faccenda era più complicata del previsto, in realtà.
Purtroppo, un solo volume accennava la storia di Telmar, e si fermava alla morte di Caspian IX.
A loro servivano informazioni più recenti.
Informazioni che sarebbero a loro pervenute solo grazie all’ invio di un messaggero. Ma non poteva permettere che qualcuno dei cavalieri di Artù rischiasse la vita. Solo gli dei sapevano quanto crudele potesse essere Miraz e cosa potesse celare nella sua fortezza.
C’ era una sorta di forza oscura a proteggerlo e a guidarlo, Gaius ne era certo. E doveva trattarsi di una forza tremendamente potente, se si prendeva la briga di fare tutto ciò che voleva con chiunque.

Tramava al solo pensiero di quello che sarebbe potuto capitare a Merlino.
Il suo giovane assistente, per quanto fosse un abile mago, non era sicuramente abbastanza potente, e soprattutto non era abbastanza furbo per farla ad uno come Miraz.
Quello era un mostro spietato. Un mostro che sicuramente voleva sfruttare i poteri di Merlino a suo piacimento.
Non poteva essere altrimenti. Non avrebbe avuto senso rapire un giovane servo. Miraz era giunto a Camelot con un esercito potentissimo, avrebbe potuto tranquillamente attaccare il castello dall’ interno, uccidere Uther e suo figlio e assoggettare l’ intero regno. Invece, aveva deciso di rapire Merlino.
Poteva anche essere una trappola per far sì che Artù andasse a Telmar per salvarlo – perché era sicuro che quel mostro avesse fatto delle ricerche sul ‘ nemico ‘ prima di attaccarlo – ma era molto improbabile.
E se Merlino non fosse stato portato a Telmar ma in un altro posto?
Dopotutto, Miraz aveva conquistato decine di terre e castelli, e avrebbe potuto rinchiuderlo nelle segrete di qualunque fortezza.

“Ah…” – sospirando amareggiato, Gaius aveva chiuso il pesante volume, provocando uno sbuffo di polvere che si era librata dolcemente nell’ aria.
“Dove sei, Merlino… Dove sei?”.

Proprio in quell’ istante, la porta del suo appartamento si era aperta, rivelando un Artù tutto trafelato e piuttosto turbato.

“Gaius…”.
“Buongiorno Artù… Tutto bene?”.
“Sì… ovvio che va tutto bene… Ci sono novità?”-

Il futuro re di Camelot aveva cambiato prontamente discorso. Non poteva affrontare di nuovo l’ argomento ‘ sentimenti ‘, men che meno davanti a Gaius. Sarebbe stato oltremodo sconveniente.
Perplesso, l’ anziano cerusico aveva preferito sorvolare, prendendo posto sulla sgangherata panca per bere un bel bicchiere d’ acqua fresca.

“Mi spiace, Artù… I libri narrano la storia di Telmar fino a Caspian IX… Noi abbiamo bisogno di informazioni più recenti”.
“Il che implica l’ invio di un messaggero”.
Il principe di Camelot aveva centrato il punto. Quello era un bel guaio.
Non si aspettava di ricevere simili notizie. E raggiungere Telmar alla cieca non sarebbe stato sicuro per nessuno. Come avrebbe potuto pretendere che uno dei suoi uomini intraprendesse una missione talmente rischiosa?
“Molto bene. Andrò io stesso, allora”.
“CHE COSA?”.
Gaius era balzato in piedi all’ improvviso, sbattendo i palmi sul tavolo di legno dall’ indignazione.
“Hai sentito bene. Tra qualche ora partirò per raggiungere Telmar”.
“Artù, ma siete letteralmente impazzito? Non potete partire! Non sapete a cosa andrete incontro! Potreste rischiare la vita!”.
Era un’ idea folle. E poi, ci sarebbero voluti giorni per raggiungere Telmar, come avrebbe giustificato la sua assenza ad Uther? No, no e no. Artù non sarebbe partito.
“Abbiamo forse alternative, Gaius?”.
Non era stato in grado di rispondere. Ma Artù non poteva intraprendere un viaggio tanto pericoloso.
Dovevano prima scoprire i piani di Miraz, e poi attaccarlo. Non potevano lasciarsi scoprire come degli sprovveduti.
“Rispondi, Gaius, abbiamo alternativa?”.

Proprio mentre il cerusico stava per obiettare ancora, un urlo spaventoso li aveva fatti trasalire.

“AAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHHHHHHH!!!!!!!!!!!!!!!!”.

“MA COSA STA SUCCEDENDO??”.

Senza pensarci due volte, Artù aveva sguainato la sua spada e si era precipitato in corridoio, dove Mary la lavandaia continuava ad urlare terrorizzata.

“Mary, che cosa succede??”.
Artù, seguito da un Gaius stremato per colpa della breve corsa, stava cercando di comprendere cosa potesse averla spaventata così tanto.
“Un mostro!”.
“Un mostro?” – avevano chiesto all’unisono i due uomini.
“Sì!!” – la donna tremava come una foglia.
“Mary, com’ era questo mostro?” – Gaius le stava accarezzando dolcemente la schiena, cercando di tranquillizzarla.
“Assomigliava ad un pesce!”.
“Ad un pesce?” – Artù era fortemente basito.
“Sì! Ad un minuscolo uomo-pesce! Non sono sicura, ma aveva la pelle e a scaglie! Ma la cosa più tremenda erano gli occhi! Tondi e neri! Oh mio principe, che paura ho avuto!”.
La corpulenta donna si era avvinghiata letteralmente al braccio del povero Artù che aveva rivolto a Gaius un’occhiata disperata. Possibile che in quel castello non ci fosse un attimo di pace?
Eppure, l’anziano cerusico non sembrava preoccupato.
“Hai qualche idea, Gaius?”.
Il diretto interessato si era morso il labbro inferiore, prima di sorridere dolcemente alla donna.
“E dimmi, mia cara, ha fatto qualcosa in particolare per farti spaventare tanto?”.
Mary si era asciugata le lacrime, indicando poi il grande secchio di legno ormai vuoto che giaceva riverso su di un fianco.
“E’ apparso nell’ acqua del secchio e… e mi ha schizzata in viso”.
Si sentiva un po’ sciocca a raccontare quello che le era accaduto, ma era solo la verità, dopotutto.
Gaius sorrideva nervoso.
“Non preoccuparti cara. Su, cerca di calmarti”.
“Ma Gaius, tu mi credi, non è vero?”.
“Certo che ti credo!” – aveva esclamato, quasi offeso che Mary potesse pensare il contrario – “Ma ti chiedo solo un favore: sta attenta all’ acqua, mia cara. Almeno, sta attenta finché non riusciremo a stanarlo”.

Continua…
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Salve Merliniani!!
Ho creduto di voler distruggere il modem fino a qualche minuto fa!  NON MI FACEVA CONNETTERE!!
Grr...
Nonostante il ritardo, ecco l' aggiornamento, però!
Povero Artù! Il suo cuore gli fa brutti scherzi!  PATATO! <3
Fra l' altro, l' ho sognato proprio l' altra notte! Ho sognato che mano nella mano andavamo a salvare Merlin! <3
Ah... quanta pucciosità!
Ma torniamo a noi!
I guai non finiscono mai, vero??
Ma Artù fa i danni... e il castello ne paga le conseguenze! MANNAGGIA A LUI!!
Al prossimo capitolo!
Baci
Cleo

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Capitolo 44
*** La tinozza ***


La tinozza


Era furioso.
Furioso e stanchissimo.
Aveva trascorso tutto il giorno a fare su e giù per il castello richiamato dalle urla disperate di cameriere e addette ai lavori a dir poco terrorizzate. Persino Gwen era scappata dalla stanza di Morgana in lacrime, urlando di aver visto una creatura orrenda nella brocca d’ acqua della sua signora. Ognuna di loro aveva detto di aver visto lo stesso esserino squamoso di cui aveva parlato Mary la lavandaia. Ma perché diavolo non c’ era mai un attimo di respiro?
Doveva pensare a Merlino! Non aveva il tempo di correre dietro ad un mostriciattolo in vena di scherzi.
Ma la cosa peggiore di tutte era stata l’ interrogatorio di Gaius.

‘ Sicuro di non aver toccato niente all’ infuori di quello che vi avevo detto? Di non aver portato fuori dalla sezione proibita qualche strano contenitore, o anfora, o scrigno? ‘.

E nonostante i suoi continui ‘ no ‘, Gaius continuava ad essere sospettoso. Non aveva fatto danni di alcun genere.
Si era limitato a prendere i testi indicatigli e ad uscire. Non avrebbe potuto fare danni neanche se avesse voluto.
Dove lo avrebbe trovato il tempo? Era stato lesto e cauto come un predatore.
No, non poteva essere stata colpa sua.
Ma allora, cos’ era quel mostriciattolo di cui tutti parlavano?
Di sicuro, traeva un sadico piacere nello spaventare la gente!
Fra l’ altro, appariva solo in acqua, a quanto aveva potuto capire.
E lui stava facendo il bagno. Da solo, fra le altre cose. Sia ben chiaro, era perfettamente in grado di proteggersi e allo stesso tempo lavarsi senza l’ aiuto di nessuno, ma avere qualcuno che ti guarda le spalle mentre ti massaggia il collo e la schiena con un panno può essere tremendamente piacevole e rilassante. Le mani di Merlino, poi, solitamente così distratto e maldestro, durante il bagno erano un vero toccasana, soprattutto dopo le difficoltà dell’ allenamento mattutino.

Stava di nuovo pensando a quell’ idiota del suo servitore in maniera davvero poco consona per una altezza reale. Ma che diavolo gli stava accadendo?
Davvero gli mancava il tocco delicato di Merlino sulla propria pelle?
Senza rendersene conto, perso nei ricordi di un passato che gli sembrava già troppo lontano, Artù aveva cominciato ad accarezzarsi dolcemente la spalla destra con la mano sinistra, lasciando che i polpastrelli percorressero il tragitto solitamente affrontato dalle mani esperte del suo servitore dalle buffe orecchie.

Il principe di Camelot aveva chiuso gli occhi, lasciandosi cullare dal tepore dell’ acqua, volando sulle ali dei ricordi. E, d’ un tratto, era come se la voce di Merlino fosse proprio lì, dietro di lui, a ricordargli di quanto fosse stato imprudente a compiere quello o quell’ altro gesto.
Era così bello sentirlo parlare. Per una volta, non gli avrebbe detto di chiudere il becco.
Poteva dire tutto quello che voleva. Tutto.
Anche che era il solito asino. Per quella volta, ma solo per quella volta, sarebbe stato una specie di complimento.

Nel frattempo, la mano di Artù vagava sul suo torace scolpito, provocandogli lievi brividi di piacere.
I polpastrelli sfioravano i pettorali, soffermandosi più a lungo sui suoi piccoli bottoncini rosa, diventati duri al contatto con le sue dita bagnate.
Beato, aveva gettato il capo all’ indietro, lasciando che l’ acqua lambisse anche la nuca e i biondi capelli.
Sentiva ancora la voce di Merlin che gli parlava.

‘ Siete stato molto incauto oggi, sire… Potevate farvi male sul serio… ‘.
“Mmm… sì Merlino… hai ragione…”.
‘ Siete sempre il solito asino…”.
“Come vuoi tu, Merlino…” – aveva sussurrato, mentre la sua mano era arrivata all’ altezza dell’ ombelico, tracciandovi all’ interno una serie di cerchi che stuzzicavano piacevolmente i suoi sensi.
Stava per farlo.
La sua grande e calda mano si era avvicinata al suo inguine, carezzandosi l’ interno della coscia con bramosia.
Ma, proprio mentre stava per sussurrare ancora il nome del suo servitore, qualcosa era schizzata prepotentemente fuori dall’ acqua, cozzando dolorosamente contro la sua regale fronte.

“AAAH! MA CHE DIAVOLO???”.

Eccolo lì, il colpevole! Il mostriciattolo squamoso sghignazzava e sguazzava felice nell’ acqua della sua vasca.
Come osava??

“Ti sistemo io! Hai finito di scorrazzare per il castello!”.

Irato, era schizzato fuori dalla tinozza, cercando di afferrare la spada che di solito lasciava sempre a portata di mano, spada che non era al suo posto perché di quello si occupava Merlino, e si dava il caso che l’ idiota non fosse lì, troppo impegnato a farsi rapire da re sanguinari e crudeli.
Purtroppo per lui, lo sporgersi troppo aveva causato solo un tremendo scivolone, e il risultato di averlo fatto trovare ignudo, bagnato e a gambe all’ aria davanti a due guardie accorse sentendo il suo urlo.

“Vostra… MAESTA’!” – imbarazzatissimi, i due uomini si erano coperto gli occhi, evitando di far cadere gli sguardi sul bianco deretano del futuro re di Camelot – cosa che gli stava risultando davvero molto complicata, data l’ assurda posizione di Artù che lo metteva in bella mostra.

“CHE AVETE DA GUARDARE?? C’ E’ IL MOSTRO NELLA TINOZZA! PRESTO!”.

Reso viola dall’ imbarazzo, con una rapida capriola degna di un atleta, il futuro sovrano si era messo in una posizione decisamente meno sconcia, ed era sgattaiolato nei pressi del suo letto, cercando di coprirsi con la tunica abbandonata sul morbido materasso.
Per fortuna le guardie non avevano notato la sua eccitazione – erano troppo impegnati a rimirare il suo deretano, evidentemente – e si erano dirette presso la tinozza, cominciando a colpire l’ acqua con le lance.
Ovviamente, l’ unico risultato era stato quello di aver fatto cadere tutto il liquido trasparente sul pavimento.

“Sire… non c’ è niente qui!”.

“Razza di idioti!” – aveva sbraitato un Artù che dal viola era passato al bordeaux – “Uscite da questa stanza immediatamente, e senza ridere! O giuro che vi manderò alla gogna”.

La minaccia della pubblica umiliazione aveva evidentemente sortito i suoi effetti, visto che i due poveri malcapitati avevano ben pensato di andare via a gambe levate.

Rimasto solo, Artù si era letteralmente lasciato cadere sul letto, nascondendo il viso nel guanciale che continuava a tenere premuto sul viso.
MALEDIZIONE!
Aveva fatto la figura dell’ idiota! Le sue raccomandazioni erano state inutili! Già sapeva che la sua disavventura sarebbe stata sulla bocca di tutti in meno di una veglia.
I soldati avrebbero riso di lui. Il castello avrebbe riso di lui. La città avrebbe riso di lui!

Aveva cominciato a tirate pugni sul morbido materasso, cercando di scaricare la tensione. Aveva persino dimenticato di dire a quegli idioti di mandare qualcuno a pulire quel casino.

E pensare che era così tremendamente rilassato… Se ripensava a quello che stava facendo andava in ebollizione. Si stava davvero per toccare in ‘ quel modo ‘ pensando a Merlino?
Non poteva essere vero!

Velocemente, si era rivestito, cercando di mantenere la calma e di recuperare la lucidità.
Doveva catturare quel mostriciattolo, catturarlo e farne polpette.
Doveva pagare quell’ affronto che gli aveva fatto subire. Dopodiché, quando avrebbe recuperato Merlino, avrebbe ridotto a polpette anche lui.
Ma non nel modo equivoco a cui state tutti pensando.

*

Gaius era alla ricerca di un qualcosa che potesse indicargli cosa fosse l’ esserino di cui tutti parlavano e che a quanto pare si nascondeva solo da lui, e credeva davvero di essere sulla buona strada.
Gli era giunta voce che persino sua maestà il principe Artù avesse avuto uno spiacevole incontro con l’ inatteso ospite combina guai. E se le voci giunte alle sue orecchie raccontavano il vero, era certo che l’ umore dell’ erede al trono fosse tutto fuorché ottimo. Già immaginava Artù che sbraitava contro chiunque, cercando di placare il rossore sulle sue guance.

D’ un tratto, proprio il suddetto principino aveva spalancato con pochissima delicatezza la porta degli appartamenti di Gaius, facendo tremare la fiammella della candela con cui il povero cerusico stava cercando di farsi luce.

“Gaius…”.
“Artù! Vi vedo turbato”.
Era sbiancato.
“Non-una-parola!”.

Il vecchio cerusico ridacchiava sotto i baffi, cercando di non farsi vedere da sua maestà. Era davvero molto buffo. Ci fosse stato Merlino, l’ avrebbe torturato con la sua pungente ironia.
Ma stavano lavorando proprio per riportare a casa quell’ impiastro, quindi non poteva perdere ulteriore tempo.
Anche se vedere Artù con le pudenda al vento in una posizione molto improbabile doveva essere stato uno spettacolo a dir poco esilarante.

“Hai trovato qualcosa?”.
“Non ne sono sicuro, ma credo che il simpatico esserino possa essere un Mephit”.
“Un cosa?”.
Figurarsi se Artù poteva sapere qualcosa riguardante le creature magiche.
“Un Mephit, vostra maestà. Ad essere precisi, un Mephit dell’ acqua. Sono esserini fondamentalmente innocui, ma sono dispettosi. E ce ne sono di diversi. Ognuno di loro è relativo ad un determinato elemento. Ecco, avvicinatevi, vi faccio vedere”.
E Gaius gli aveva fatto spazio per mostrargli i disegni sul suo pesante volume ingiallito.
Gli occhi di Artù vagavano veloci sulla pagina.
E, all’ improvviso, aveva trovato ciò che cercava.

“Eccolo lì Gaius! E’ lui!” – aveva esclamato, indicando con il dito il disegno del mostriciattolo che aveva attentato alla sua persona nella tinozza.
“Proprio come pensavo, allora. Avete fatto la conoscenza del Mephit dell’ acqua, Artù”.

I pensieri del biondo principino erano volati ai misteriosi barattoli che aveva visto nella sezione proibita.
Quegli esserini erano proprio identici a quelli che aveva visto riposare nella sostanza giallognola. Ma pensava fossero morti! O finti, ad essere sincero. Che ci facevano dei Mephit nascosti nella sezione proibita della biblioteca?

“Che succede, Artù?”.
“Io li ho già visti, Gaius. Ne ho visto una serie nella sezione proibita”.
“E siete sempre sicuro di non aver fatto cadere niente?”.
“A questo punto non lo so più. Voglio dire, ammetto che questi esserini hanno attirato la mia attenzione, ma non sono così tanto idiota! Non ho toccato nulla”.
Era sincero.
“Non so cosa pensare, sire. Potreste aver inavvertitamente fatto cadere uno dei barattoli, liberando il Mephit dell’ acqua. Sia chiaro, non vi sto affatto incolpando”.
Il principe sembrava turbato.
“Il problema non cambia, Gaius. Come lo staniamo e lo rispediamo da dove è venuto?”.
“Vedete, i Mephit sono creature elementali nate dalla composizione basilare della creazione. Ve ne esistono dieci specie, e ognuna prende le sue qualità dalla sostanza in cui è nata.
Sono più curiosi che malvagi, sire. E appaiono come piccole creature alate dotate di tratti più o meno umanoidi, come avrete potuto notare voi stesso”.
Artù pensava che Gaius non si stesse affatto riferendo a quando li aveva visti in biblioteca.
“In particolare, quelli dell’ acqua sono molto dispettosi. Ma più che fare qualche dispettuccio qui e là non possono!”.
La cosa, chissà perché, non lo rassicurava affatto.
“State tranquillo Artù. Troveremo un modo per fermarlo”.

Sperava solo che lo trovassero in fretta. Non avevano più molto tempo, e la loro priorità era e rimaneva una sola: Merlino.

Continua…
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Merlinianiiiii!!
Credo che morirò dal ridere dopo questo capitolo! xD
Ma povero Artù! XD
Credetemi, non so che fina abbia fatto la mia voglia di scrivere storie traboccanti di Angst!
Ed è tutta colpa della mia fanfiction su Dragon Ball!!! Scrivere una GokuxVegeta fa strani scherzi! XD
Ma torniamo a noi!
Io non faccio altro che sognare questi due! Soprattutto Artù!
E lo so che non è lo stesso, ma se vuole, gliela lavo io la schiena! XD
Comunque, abbiamo capito che cos' erano gli esserini nei barattoli!
Vedremo che si inventeranno!
Bacioni!
Cleo

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Capitolo 45
*** Lucia ***


Lucia


Si era svegliato con estrema fatica. C’ era una parte di lui che desiderava rimanere fra le braccia di Morfeo, e si trattava della parte più stanca e provata, quella parte che ormai aveva preso quasi il completo sopravvento.
La verità era che avrebbe preferito dormire per sempre pur di non dover vivere quell’ incubo orribile in cui era piombato. Sarebbe rimasto lì per il resto dell’ eternità, in compagnia del cavaliere misterioso che aveva protetto il suo sonno, diventando parte integrande di quella perfezione di marmo.
Ma, ovviamente, quello era solo un bellissimo sogno che non avrebbe mai vissuto. Miraz e quell’ altro gruppo di pazzi esaltati avrebbe presto setacciato l’ intero castello nel tentativo di stanarlo, e presto ci sarebbero riusciti.
D’ improvviso, aveva avuto la consapevolezza che se lo avessero trovato in quella cripta, in quel luogo segreto, avrebbero fatto di tutto per impedirgli di tornarci. Doveva avere un significato speciale quella statua se le era stata assegnata un’ area così intima e ben conservata ma, allo stesso tempo, era evidente che non dovesse essere vista da nessuno. E lui voleva rivederla, doveva rivederla. L’ idea che sarebbe stata nascosta in un posto introvabile, o peggio ancora distrutta lo aveva letteralmente mandato nel panico. Con uno scatto quasi ferino, Merlino aveva aperto gli occhi di scatto, trovando a pochi centimetri dal suo viso le splendide mani di marmo posizionate sulla bella elsa.
Senza essere troppo brusco, si era sollevato, mettendosi seduto come meglio poteva sul duro letto di pietra pregiata, toccandosi con dolcezza la guancia con la mano destra, mentre con l’ altra continuava ad accarezzare il petto del cavaliere. Il punto in cui si era addormentato conservava ancora il calore del suo corpo. Sembrava quasi che quel tepore provenisse dalla statua. Merlino sapeva perfettamente che era una cosa impossibile, ma non aveva potuto fare a meno di pensarci. Era così bello da sembrare vivo. Vivo e caldo.

“Sarebbe bellissimo se tu non fossi fatto di marmo, cavaliere… Potremmo essere amici…” – aveva sussurrato con dolcezza – “Ma sono certo che io e te lo siamo ugualmente!”.
Doveva essere impazzito, ma non riusciva a pensare altrimenti.
“E’ stato gentile da parte tua vegliare il mio sonno, ma adesso devo proprio andare. Non vorrei che mi trovassero qui e mi impedissero di tornare. Potrebbero farti del male e sì, lo so che sei fatto di marmo, ma prevenire è meglio che curare, fidati!” – e, con un piccolo balzo, si era messo in piedi, continuando, però, ad osservare il volto scolpito con tanta cura.
Senza porsi troppi scrupoli, aveva posato il dorso della mano sulla guancia tornita, scivolando fino al mento in una solitaria carezza.
“Tornerò presto… Promesso…”.
Ora, non saprebbe spiegare perché lo aveva fatto, ma così, senza pensarci su troppo a lungo, si era chinato in avanti, e aveva lasciato che le proprie labbra sfiorassero la fronte del bel giovane.
Era stato un tocco durato meno di un battito di ciglia, eppure, Merlino aveva avuto come la sensazione che anche da quel punto la statua emanasse calore. E non era una parte su cui si era posato per un lasso di tempo lungo.
No affatto!
“Mi prendi in giro, cavaliere?”.
Stava per posare di nuovo la mano sulla fronte, quando un rumore improvviso lo aveva fatto sobbalzare.
Senza indugiare ancora, era corso verso l’ uscita, assicurandosi di chiudere bene dietro di sé la porta.

Era fuori da quel luogo privo di tempo. Era fuori dal suo rifugio segreto. Ed era piombato di nuovo in quella maledetta oscurità che gli impediva di pensare.
Il bel sogno era svanito. Adesso, avrebbe dovuto essere cauto e prendere una decisione fondamentale: sarebbe tornato nei propri alloggi, o sarebbe andato a fare quello che si era prefissato?
Ma avrebbe davvero avuto il coraggio di parlare con Miraz?
Presto, lo avrebbe scoperto.

*


Re Miraz non era un uomo che faceva visita ad un proprio suddito per puro piacere, o per puro caso.
Re Miraz non era un uomo che piaceva agli altri suoi simili.
Re Miraz non era un uomo, secondo molti. E, forse, questi ‘ molti ‘ non avevano tutti i torti.
Ma a lui non importava. Anzi, lui gioiva di non essere messo allo stesso livello della comune plebaglia.
Aveva lottato duramente per diventare quello che era, e ne andava fiero.
Per questo, non si curava affatto di essere circondato da esseri striscianti che lo odiavano, proprio no.
E ciò accadeva perché lui poteva leggere il terrore nei loro occhi traendone un piacere immenso.
Non capiva perché molti sovrani fossero magnanimi. Era da sciocchi, ed era controproducente.
Chi ti teme non trama contro di te, perché sa che la punizione sarebbe tremenda, e che la morte non è prevista, o, almeno, non è prevista da Miraz. Troppo semplice e rapida. Lui preferiva lunghi periodi di prigionia accompagnati da una serie di divertentissime torture che facevano urlare il condannato, inorridire la corte, e che lo divertivano da morire.
E proprio a questi momenti per lui goduriosi stava pensando, mentre si dirigeva al galoppo verso l’ abitazione di lord Glozelle.
Però, a differenza di ciò che faceva di solito, aveva deciso che stavolta non ci sarebbero stati spargimenti di sangue di nessun genere. Non perché fosse diventato improvvisamente magnanimo, sia ben chiaro. Lui non faceva mai niente per niente. Aveva preso questa decisione perché il modo per punire quel traditore non poteva essere affatto consueto. E poi, non sarebbe stato fantasioso punire lui direttamente.
Riversare tutto sulla sua meravigliosa famiglia sarebbe stato mille volte più allettante e gratificante.
Era davvero tanto tempo che non faceva visita alla bella Lucia e al giovane Marcus, e non vedeva l’ ora di arrivare.

Sua maestà era l’ unico a muoversi davvero bene in quella che tutti definivano una ‘ maledetta oscurità ‘. Si sentiva tremendamente a proprio agio. Nel periodo trascorso a Camelot aveva creduto di impazzire con tutta quella luce. Il sole era inutile. A cosa serviva, quando si potevano avere gli stessi effetti in modi molto più rapidi e controllabili? Modi che quell’ idiota di Uther non avrebbe mai e poi mai tollerato, ovviamente. Ma Uther era appunto un idiota, e per fortuna non ci avrebbe avuto più niente a che fare per un bel po’.
Ma come faceva a credere che Camelot fosse protetta? Aveva un mago potentissimo per servitore senza saperlo! Anzi, a dir la verità, era quel borioso biondino d’ un principe che comandava a bacchetta Merlino. E pensare che quello sciocchino non aveva occhi che per lui. Era patetico! Se non avesse avuto affetti, proprio come lui, forse non si sarebbe ritrovato incatenato e schiavizzato! Ma quello non poteva essere un suo problema. Anzi, per lui era stato anche meglio, perché gli affetti rendevano Merlino ricattabile, e Miraz era certo che prima o poi avrebbe ceduto e lo avrebbe reso immortale. Lo desiderava con tutte le sue forze, e lui otteneva sempre ciò che desiderava.

Finalmente, dopo aver cavalcato a lungo ed essersi chiesto centinaia di volte perché Lucia non si fosse trasferita a palazzo come le mogli degli altri consiglieri, aveva intravisto la propria meta fra gli spogli rami di alcuni alberi che costeggiavano i possedimenti di Glozelle.
Anche quella casa, come tutte quelle del regno, aveva risentito degli effetti del buio: un tempo, il prato era rigoglioso e gli alberi carichi di frutta. Il viale era costeggiato da centinaia di fiori colorati, mentre adesso era brullo, morto. Un tempo, i cani avrebbero fatto impazzire i visitatori, continuando ad abbaiare fino a nuovo ordine. Un tempo, Lucia sarebbe stata seduto nel suo splendido giardino a ricamare, mentre suo figlio avrebbe giocato a rincorrere la sua vecchia balia.
Un tempo, per l’ appunto.
Doveva ammettere di aver fatto davvero un ottimo lavoro se anche una donna forte come lady Lucia se ne stava rintanata come una volpe spaventata dai cacciatori. Adorava sentirsi così.

Con un sorriso di trionfo stampato in viso, sua maestà era sceso da cavallo, e si era incamminato lungo il viale di fredda pietra. Era certo che presto la bella Lucia si sarebbe fatta vedere, e lui non voleva farsi cogliere impreparato.
E, proprio come aveva previsto, eccola apparire in cima alla spoglia scalinata.
Era bellissima come la prima volta che l’ aveva vista. Nessuno avrebbe mai e poi mai potuto dire che fosse una donna con un figlio ormai adulto. Se non fosse stato per qualche piccola ruga attorno agli occhi, sarebbe stata sicuramente scambiata per una ventenne.
Il suo sguardo fiero e sicuro avrebbe potuto intimorire anche il più feroce fra i guerrieri, ma non valeva la stessa cosa per Miraz. Il re di Telmar non temeva quella donna. La rispettava e provava per lei sentimenti che mai aveva provato per nessuna. Lucia era la donna che avrebbe voluto avere al suo fianco, se solo non fosse stata talmente ostinata nel voler sposare quel reietto di un soldato.
Forse, però, proprio quel soldato sarebbe stato utile per far leva sul cuore di quella donna così risoluta.

“Lady Lucia…”.
“Mio re…” – aveva detto, abbozzando un inchino – “ A cosa devo la vostra visita nella mia umile dimora?”.

Il re le aveva preso la mano, baciandone con una dolcezza che solitamente gli era estranea il bel dorso morbido.
La donna aveva a stento represso un brivido di disgusto.

“Siete splendida lady Lucia. Siete ancora più bella dell’ ultima volta”.

Odiava quel genere di attenzioni. Era una donna sposata, perché Miraz non si rassegnava? Non aveva mai ceduto alla sua corte sfrenata. Lo aveva sempre evitato, sin da quando era stato poco più che un ragazzo.
Era sempre stato prepotente e viziato, e lei non lo aveva mai potuto soffrire. Le sue lusinghe la irritavano, ma essendo una donna molto intelligente, aveva capito che la soluzione migliore era annuire e tacere, cosa che aveva appena fatto, in effetti.

“Entrate mio re, vi prego. Sono certa che Marcus sarà felicissimo di vedervi”.

Miraz sembrava irritato. Non sopportava la presenza di quel ragazzino, gli ricordava costantemente che Lucia non era più nubile, e che non sarebbe stata mai più sua, se non per via di una serie di sfortunate coincidenze.

“Molto volentieri” – e, senza farselo ripetere due volte, aveva lasciato che Lucia gli facesse strada in casa propria. Se fosse stata regina, non avrebbe mai dovuto fare gli onori di casa. Non poteva evitare di pensarci.

L’ interno era piuttosto spoglio, ma pulito e ordinato. Miraz sapeva bene che la donna spendeva la maggior parte del denaro del marito per aiutare i poveri del paese e che teneva pochissimo per sé.
Era straordinaria. Chiunque, al suo posto, avrebbe comprato abiti e gioielli. Chiunque, ma non lei.

“Vi vedo stanco, mio re. Posso offrirvi qualcosa con cui rifocillarvi? La cuoca ha appena preparato un dolce, mio signore, ma se gradite altro basta chiedere”.
“Siete sempre così gentile, my lady. E so che la vostra cuoca prepara dei dolci buonissimi. Sarò lieto di assaggiarne una fetta”.

E Lucia aveva ordinato con gentilezza ad una cameriera che venisse preparata una porzione di dolce per sua maestà. Sentiva gli occhi di Miraz percorrere il suo corpo da capo a piedi, e la sola idea dei pensieri che potevano attraversargli la mente la faceva sentire male. Ma doveva controllarsi. Doveva farlo per Glozelle, doveva farlo per Marcus e per se stessa.

“Cosa vi porta qui, mio re?”.
Era la seconda volta che glielo domandava. Non avrebbe potuto tergiversare, stavolta.
“Sapete, vostro marito sarebbe un ottimo soldato, se solo non fosse così indisciplinato…”.
“Prego?” – tutto poteva dire di Glozelle, ma non che fosse indisciplinato. Era un ottimo soldato, leale, amato dai suoi uomini. Se aveva una sola colpa, era quella di essersi fatto incastrare da un mostro come il re che serviva.
“Avete capito bene, lady Lucia. Vostro marito è indisciplinato, per non aggiungere altro”.
“E che cos’ altro dovreste dire, mio re?” – si stava davvero arrabbiando.
Miraz non si era lasciato sfuggire il tono di sfida della donna, e stava sorridendo beffardo. Aveva toccato il tasto giusto, a quanto sembrava.
“Che Glozelle è un traditore”.
Era ovvio che Miraz non si stesse riferendo al suo piccolissimo segreto.
“Non è vero”.
“Osate contraddirmi, mia signora?”.

Lo odiava. Era convinta di non poter odiare nessuno in vita sua, invece aveva appena scoperto che non era così. Odiava quell’ uomo con tutte le sue forze.

“Venite in casa mia senza preavviso, venite tratto come il più atteso degli ospiti, mi lusingate, e questo solo perché volete pugnalarmi alle spalle?”.

Era diventata rossa di rabbia. I suoi occhi dardeggiavano furenti, ma per Miraz era ancora più bella di prima.
Il re di Telmar era rimasto impassibile, seduto con le gambe accavallate sulla poltrona che doveva essere di Glozelle.

“Non sono qui per pugnalarvi, Lucia. Sono qui per proporvi un accordo”.
Era confusa.
“Che volete dire?”.
Miraz era profondamente compiaciuto. Aveva toccato il tasto giusto, evidentemente.
“Sedetevi lady Lucia, e mangiate l’ ottimo dolce della vostra cuoca insieme a me”.
“Perché dovrei farlo?”.
“Perché se non lo farete, vostro marito potrebbe non mangiarne mai più neanche una porzione. E voi, volete che lui ne chieda ancora, non è così?”.
Il sangue nelle vene di Lucia si era gelato, e il respiro le era venuto a mancare.
Non poteva essere stato così subdolo.
E invece, il suo sguardo crudele non lasciava più dubbi. Miraz era davvero l’ uomo peggiore del mondo.

Continua…
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Salve Merliniani...
Ho avuto un febbrone che non vi dico per una settimana, e per di più, in questo preciso istante ho un mal di testa che non vi sto a dire.
Ma bando alle ciance, parliamo di cose serie!
Hai capito il viscidone che desidera la moglie di Glozelle.
ODIOSO! Povera Lady Lucia, chissà che vorrà proporle! =( Suo marito morirà di infarto, altro che!
Merlino, invece, ormai è cotto della bella statua! XD
Lo sarei anche io, in effetti! U.U
Bè, nel prossimo capitolo ne vedremo delle belle!!
Rimanete con me!!
Bacioni
Cleo

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Capitolo 46
*** La punizione ***


La punizione


Lady Lucia non riusciva a credere alle parole di Miraz.
Non potevano essere veritiere. Non avevano alcun senso. Non potevano averlo. Glozelle, il suo amato marito,  l’ orgoglioso padre di suo figlio, non poteva aver fatto per davvero una cosa simile.
Non a lei. Non alla donna a cui aveva giurato amore eterno.
La damigella credeva che il suo cuore straziato si fosse infranto in mille piccole parti impossibili da ricomporre insieme. Eppure, qualcosa in lei le suggeriva che quelle di Miraz erano solo menzogne.
Conosceva troppo bene Glozelle per credere che avesse potuto fare una cosa simile, per credere che avesse potuto tradirla.
Il suo sguardo era perso nel vuoto, nonostante cercasse di apparire imperturbabile. Non voleva darla vinta a quel mostro dal cuore nero. Non poteva.
Ma Miraz aveva già capito di aver vinto.

“Vi vedo turbata, lady Lucia”.

Il sorriso di trionfo sul suo viso la diceva lunga. Il suo re, Miraz l’ usurpatore, era certo che presto lei avrebbe fatto qualunque cosa le avesse chiesto.

“Credo che voi stiate sbagliando, mio re” – aveva risposto, cercando di mantenere la calma.
“Io credo proprio di no” – e le aveva afferrato il sottile e delicato polso, stringendo forte la presa con le sue dita callose e ruvide.

Lady Lucia era rimasta esterrefatta: non poteva aver davvero osato tanto.

“Mio re, vi prego di lasciarmi” – aveva detto, fra il risentito e lo spaventato.
Ma Miraz non le aveva prestato ascolto, continuando a stringere e fissarla in quegli occhi profondi come il mondo intero.
“Ed io vi prego di credermi”.

Lady Lucia era stata davvero sul punto di mettersi ad urlare. Ma sapeva che non poteva farlo. Soprattutto, sapeva che farlo sarebbe stato del tutto inutile. Quell’ uomo, quel mostro, era imprevedibile, e avrebbe potuto fare qualunque cosa, anche farle male per davvero in casa sua, sotto gli occhi della servitù.
“Mi state facendo male Miraz… Vi prego, lasciatemi”.
Aveva le lacrime agli occhi. Quanto avrebbe voluto che suo marito fosse stato lì, con lei, pronto a difenderla.
Ma Glozelle non c’ era. Glozelle non era neanche andata a trovarla dopo il rientro dall’ ultima missione, e lei non sapeva perché.

“Madre! Ci sono problemi, forse?”.
La voce preoccupata e allo stesso tempo risoluta del giovane figlio di lady Lucia era giunta alle orecchie dei presenti, decretando la fine di quel gioco infernale.
Miraz aveva lasciato la presa sul polso della dama che, spaventata, era arretrata di qualche passo, cercando comunque di apparire il più serena possibile per non far agitare suo figlio.
“No, Mark. Va tutto bene. Coraggio, saluta il nostro ospite”.

Con passo sicuro, fin troppo sicuro per un quattordicenne, Mark, la copia esatta di suo padre, aveva fatto un lieve inchino davanti a sua maestà, avendo la sfrontatezza, però, di non distogliere mai lo sguardo da quello colmo di malvagità del re.

“Vostra maestà… Quale onore”.

L’ espressione di Miraz la diceva lunga: odiava quel ragazzino. Era la prova vivente che Lucia non gli apparteneva più. Così simile a suo padre nell’ aspetto, si stava dimostrando coraggioso, o forse sciocco. Sfidarlo apertamente… Ma chi credeva di essere? Cosa credeva di poter fare contro di lui?

“Salute a te piccolo Mark… Sei cresciuto!”.

Il ragazzo sembrava risentito dalle parole del re. Era evidente che non nutrisse simpatia per lui.

“Sono un uomo, adesso. Un uomo che si prende cura di sua madre, se necessario”.

Era stato fin troppo chiaro per i gusti di Miraz. Ma, allo stesso tempo, era stupefacente poter constatare quanto fegato avesse quel ragazzino. Doveva ammettere che, dopotutto, non gli dispiacesse affatto.

“Vedo… Credo che per te diventerà presto un’ abitudine dover fare le veci di tuo padre”.
“Prego?” – Mark era diventato livido.

Il ghigno malefico sulla bocca di Miraz si era allargato inesorabilmente.

“E’ arrivato il momento che tu sappia la verità, ragazzo mio. Siediti, e presta bene attenzione: ci sono cose che non posso essere ripetute una seconda volta”.

*


L’ ansia di lord Glozelle continuava a crescere di minuto in minuto.
Cosa voleva farne Miraz dei suoi cari? Quel mostro avrebbe fatto qualunque cosa pur di portare a termine il proprio piano malefico. Come aveva potuto permettere che tutto quello accadesse? Era tutta colpa sua! Era solo colpa sua! Se quel giorno nella foresta lo avesse ucciso, se quel giorno avesse trafitto il petto di quel mostro con la lama affilata della sua spada, tutto quello non sarebbe mai accaduto.
I popoli conquistati avrebbero ancora la loro libertà, Merlino non sarebbe stato catturato come una preda di caccia, e sua moglie e suo figlio non avrebbero rischiato di pagare le conseguenze delle sue azioni.
Sapeva fin troppo bene cosa provasse per sua moglie quel mostro.
La desiderava, l’ aveva sempre desiderata, sin da quando erano solo dei ragazzi. Ma lei lo aveva sempre rifiutato. La sua Lucia era una donna dal cuore troppo buono per poter trascorrere il resto della sua vita accanto ad una bestia feroce come Miraz.
Ma cosa le avrebbe fatto adesso? Quale sarebbe stato il suo destino?

Il generale stava per esplodere in un pianto disperato, quando un rumore improvviso aveva attirato la sua attenzione. Era un rumore di passi fortemente ovattato.
Strano, molto strano.
A differenza degli altri re, Miraz non aveva carcerieri. O meglio, non aveva al suo servizio carcerieri umani.
Rabbrividiva al pensiero delle creature che popolavano Telmar. Se chiudeva gli occhi, sentiva ancora su di sé la pressione esercitata dalle spire di quel mostro infernale.
Dei, come si poteva ricorrere ad un potere tanto oscuro?

Spaventato, Glozelle si era addossato alla parete della fredda cella, cercando di scorgere in penombra l’ aspetto dell’ essere che stava per sopraggiungere.
Che fosse una di quelle creature? Come avrebbe fatto a difendersi?
Aveva cominciato a sudare freddo.
I passi erano sempre più vicini, sempre più veloci e distinguibili.
E, proprio mentre era convinto di trovarsi davanti una bestia infernale, ecco che una fulgida chioma di capelli rossi aveva rivelato chi fosse il misterioso visitatore.

“Clara!”
“Lord Glozelle!”.

Rincuorato, l’ uomo si era avvicinato alle sbarre, intrecciando le dita con il freddo metallo arrugginito. La stessa cosa aveva fatto Clara, facendo attenzione, però, a non sfiorare le mani dell’ uomo.

“Che cosa ci fai qui?” – era davvero molto sorpreso di vederla.
“Ho saputo da Margareth quello che vi è accaduto!”.
“Sì, ma cosa sei venuta a fare?”.
“Io non dimentico i favori che mi vengono fatti, lord Glozelle”.

Il generale era esterrefatto. Clara voleva aiutarlo. La giovane voleva ricambiare la cortesia che Glozelle gli aveva fatto tornando indietro a prenderla durante la partenza da Camelot.
La verità era che la rossa si sentiva tremendamente in colpa. Era a causa sua se quell’ uomo buono era stato imprigionato, accusato di tradimento.

“Mi dispiace per questo, mio lord. Non pensavo che Miraz fosse capace di una cosa simile”.
“Quell’ uomo mangerebbe il cuore di sua madre se ciò gli servisse a portare a termine i propri scopi. Maledetto mostro. Avrei dovuto fermarlo quando ne ho avuto l’ occasione. Ed ora, mia moglie e mio figlio sono in pericolo”.

L’ ira si era impossessata di lui. I suoi occhi scuri dardeggiavano furenti. L’ impotenza lo stava uccidendo.

“Siete ancora in tempo, Glozelle”.
“Che vuoi dire?”.
“Posso liberarvi. Così potrete raggiungere la vostra famiglia e salvarla”.

Era esterrefatto.

“E come vorresti fare?”.
La giovane stava sorridendo, furba.
“Lord Glozelle, così mi state offendendo! Avete forse dimenticato di chi sono figlia, forse?”.

In poche mosse, la giovane aveva estratto dalla manica del vestito una piccola boccetta contenente un liquido blu, e l’ aveva versato sulla serratura. In un attimo, essa si era aperta senza riportare il minimo segno di effrazione. Il generale era a dir poco esterrefatto.

“Ma Clara… Lui capirà che sei stata tu a fare questo”.
“Non è questo il momento di farsi venire simili scrupoli. Dovete fare presto. Qui manometterò io le cose, non preoccupatevi. Miraz potrebbe anche non essere arrivato, e voi potreste allontanarvi con qualche cavallo magico prima che lui sopraggiunga. E’ disposto a fare qualunque cosa pur di ferirvi, e voi siete l’ unico capace di fermarlo”.
Clara aveva ragione. Sembrava rinato grazie al suo ottimismo contagioso.
“Grazie mia giovane amica. Un giorno mi sdebiterò”.

*


“VOI STATE MENTENDO!”.

Mark era furioso. In preda ad una rabbia incontrollabile, si era gettato addosso a sua maestà con l’ intenzione di aggredirlo, ma era stato prontamente fermato da sua madre e dal suo maestro, accorso in sala alle prime urla giunte alle sue orecchie.

“Figlio, ti prego, calmati!”.
“LASCIATEMI MADRE! DEVE MORIRE QUESTO USURPATORE! DEVE MORIRE!”.
“Oh Mark, ti prego, non aggiungere altro!”.

Lady Lucia era in preda al panico. Temeva una reazione esagerata da parte di suo figlio dopo il racconto di Miraz, ma non poteva prevedere nulla di simile.
Mark era come impazzito. Se avesse avuto fra le mani un’ arma, non avrebbe esitato nel trapassargli il torace da parte a parte.

“LASCIATEMI!” – continuava ad urlare e a scalciare. Ormai era diventato quasi impossibile trattenerlo.
Miraz, dal canto suo, era perfettamente tranquillo.
Anzi, sembrava addirittura divertito da quella scena: un figlio che lottava per difendere l’ onore del padre.
Era… Come definirlo… onorevole?

“Su, Mark… Non devi prenderla così! In fondo sapevi che tuo padre era quello che era!”.

Il ragazzo era diventato rosso di rabbia. Ad un’ altra parola, si sarebbe liberato della morsa che lo stringeva a morsi.

“TACETE! VILE TRADITORE!”.
“Sbagli, ragazzo! E’ tuo padre qui il traditore!”.
“STATE ZITTO!”.

Non poteva accettarlo. Suo padre non poteva averli traditi. Non poteva aver tradito sua madre in quel modo. No e poi no. Miraz era un bastardo, e non gli importava se gli avesse fatto del male: voleva colpirlo. Doveva colpirlo.
O sarebbe impazzito.

Il re di Telmar aveva esattamente sortito l’ effetto sperato: il figlio di Glozelle, quel ragazzo che tanto odiava, si era ribellato a lui, e nonostante la giovane età, essendo alto tradimento, avrebbe potuto farlo arrestare ed esiliare. E se il figlio della donna che aveva sempre bramato era lontano con l’ accusa di aver aggredito il re e suo padre si trovava ‘ altrove ‘ in compagnia di una giovane donna, Lucia sarebbe stata sua. Una donna come lei aveva bisogno di protezione, di un uomo che la trattasse come la regina che era.
In caso contrario, se avesse rifiutato, avrebbe la punizione che si meritava, anche se sperava vivamente di non doverla mettere in pratica.
Era eccitato più che mai. Come al solito, aveva avuto un piano a dir poco geniale. Glozelle e sua moglie sarebbero stati nello stesso luogo, solo che lei sarebbe stata al suo fianco, ignara della presenza del marito nei sotterranei del castello, mentre lui avrebbe saputo ogni cosa e sarebbe morto lentamente di gelosia e di dolore. E non avrebbero mai più avuto notizie del loro adorato figlio. Ucciderlo sarebbe stato troppo semplice. Lui voleva farlo soffrire, ed era certo che ci sarebbe riuscito perfettamente.

“Se sei così certo di quello che dici, allora impugna la spada e difendi l’ onore di un padre che non è neanche venuto a salutarti dopo il rientro da una missione durata settimane!”.

Le dure parole di Miraz avevano raggiunto il cuore del ragazzo che, cogliendo la provocazione, aveva ordinato a sua madre e al suo mentore di lasciarlo, giurando sulla propria vita che avrebbe difeso l’ onore di suo padre fino alla fine.

Ma, proprio mentre stava per affrontare Miraz, ansioso di farsi colpire per poter accusare il ragazzo, lord Glozelle aveva fatto il suo ingresso trionfale in casa, e si era scagliato con tutte le forze che aveva contro il re.

“PADRE!”.
“Glozelle!”.

Lucia e suo figlio avevano le lacrime agli occhi: eccolo lì l’uomo che amavano. Avevano avuto ragione a difenderlo a spada tratta. Glozelle non poteva averli traditi e abbandonati. Il suo cuore era troppo grande e troppo puro. Il suo amore era troppo profondo, troppo sincero.

Con energia e dignità, stava sferzando un colpo dietro l’ altro, nella speranza di uccidere il mostro che aveva rovinato la sua intera esistenza. Purtroppo era arrivato tardi, ma forse, quella era l’ occasione giusta per porre fine alla sua esistenza.
Ma il re usurpatore era troppo in gamba per farsi uccidere. E poi, aveva un aiuto speciale tutto per sé. Glozelle doveva essere impazzito del tutto per dimenticato quel dettaglio importantissimo.

“Quale onore Glozelle! Credevamo che fossi impegnato con la tua nuova amichetta”.
Ma come aveva fatto a liberarsi quell’ idiota? Questo complicava tremendamente le cose. Chi poteva averlo aiutato?
Il generale era sbiancato. Cosa aveva raccontato quell’ essere infame ai suoi cari? Doveva avergli parlato di Clara! Che altro si sarebbe potuto inventare, altrimenti?
“Come avete osato?”.
“Fare cosa? Raccontare le cose come stanno?”.
“Lei è solo un’ amica! Non avreste dovuto bramare alle mie spalle!”.

‘ LEI ‘? Ma allora c’ era davvero una lei? All’ improvviso, tutto era diventato chiaro. Miraz aveva finalmente compreso chi avesse aiutato Glozelle a fuggire di prigione. Solo una persona sarebbe stata in grado di farlo.

“Quella piccola sgualdrinella! Come ha osato???”.

Era stata Clara! Maledetta traditrice! Serpe! Ma non l’ avrebbe passata liscia! Quella storia doveva finire, e doveva finire immediatamente.
Così, prima che Glozelle potesse di nuovo attaccarlo, Miraz aveva estratto dal fodero un pugnale, e aveva colpito il proprio avversario dritto al cuore.

“NOOO!”.

Era troppo tardi per poterlo fermare.
Il pugnale aveva trafitto il torace di Glozelle, ma non così in fondo da farlo morire sul colpo. Era come se la lama stesse facendo quasi da tappo a quello squarcio tremendo, a quello squarcio che avrebbe decretato la sua fine.
Miraz era furioso più che mai. Il suo piano era andato in fumo.
Lucia non sarebbe mai e poi mai stata sua.
Con gli occhi rossi di rabbia, aveva avvicinato le labbra all’ orecchio di Glozelle, ormai abbandonato contro il corpo del re che aveva servito per tutto quel tempo.

“Ed ora guarda. Guarda quello che hai fatto, cane. Guarda come la tua famiglia pagherà per questo!”.

In un istante, la stanza si era riempita di uno strano fumo nero. Stava penetrando da ogni dove: dalle finestre, dalle porte, dal camino, dalle crepe nei muri.
Ed era gelido, gelido come il cuore del mostro che stava condannando loro alla più atroce delle sorti.
Inutile era stato il tentativo di Mark di difendere ciò che gli era rimasto della sua famiglia. Il fumo aveva invaso la sua gola, tagliandola e ferendola, finché non era successo: i suoi polmoni avevano smesso di incamerare aria, i suoi muscoli si erano induriti e il cuore si era fermato, fino a che ogni sua singola parte non era diventata fredda e liscia. E la stessa cosa era accaduta al resto dei presenti. A tutti, fuorché a Miraz e al povero Glozelle, che quasi esanime, stava osservando la scena con gli occhi pieni di lacrime amare.
I suoi cari stavano subendo la punizione più atroce, quella stessa punizione che l’ usurpatore aveva riservato a chiunque aveva osato ribellarsi.
Miraz non li avrebbe uccisi. Sarebbe stata una pena troppo indulgente. Miraz li stava trasformando in statue. In perfette ed immutabili statue di marmo. Ma la tortura non si sarebbe fermata a questo. Oh, no.
Sua moglie, suo figlio e i servitori di una vita, avrebbero continuato ad avvertire ogni sensazione senza la possibilità di porvi in qualche modo rimedio: avrebbero avvertito il caldo, il freddo, la fame, la sete, il dolore, la paura, e non avrebbero potuto fare niente. Sarebbero rimasti così, fino alla fine dei tempi. Senza morire, senza potersi liberare. Avrebbero vissuto l’ inferno in terra. E tutto per causa sua.

“Nooo…” – aveva biascicato Glozelle, con le labbra grondanti sangue – “Vi prego… No!”.
Ma Miraz non si era lasciato impietosire. Ogni ‘ no ‘ era un motivo in più per continuare.
E così, proprio mentre la vita stava per abbandonarlo, i suoi occhi velati si erano incatenati un’ ultima volta a quelli non ancora pietrificati della moglie, chiedendole silenziosamente perdono.

Qualche istante dopo, Glozelle non aveva sentito più niente. Il suo cuore si era fermato.
Sprezzante, Miraz aveva estratto brutalmente il pugnale, pulendo il sangue sulla tunica dell’ uomo che aveva appena ucciso. Il fumo nero era sparito, e le statue dei non morti troneggiavano imponenti nel bel mezzo del salone.

Sorridendo amaramente, il re di Telmar si era avvicinato a Lucia, posando sul bel viso di pietra dallo sguardo carico di dolore la mano sporca del sangue di Glozelle.

“Non volevo arrivare a tanto, mia adorata” – e si era sporto in avanti, sfiorandole quasi le labbra con le sue.
Ma, poco prima di toccarle, si era bloccato.
I suoi occhi si erano incantati a fissare quelli di lei.
“Ed ora guarda, mia diletta. Guarda come si decompone l’ uomo che ami”.

Ancora una volta, Lucia si stava chiedendo perché non fosse toccata a lei la sorte del marito.

Continua…
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Buona Pasqua Merliniani!
Scusate per il ritardo, ma questo capitolo mi ha impegnato più tempo del previsto.
Lurido bastrdo. Maledetto mostro. Demonio senza cuore!
Ha ucciso Glozelle. Lord Glozelle non c'è più. E Lady Lucia e Mark sono condannati ad una sorte peggiore della morte.
INFAME!
So che l' ho scritto io, ma non riesco a farmene una ragione.
A volte mi meraviglio di quello che partorisce la mia mente malata.
"Guarda tuo marito che si decompone".
Ma tu sei un folle! - o la folle sono io?
Una famiglia distrutta in un batter d' occhio. E in tutto questo, vi starete chiedendo che cacchio è sto fumo nero, chi è in verità Clara, e che cosa combinano Merlino e Artù.
Ma il peggio non è questo. No. Miraz è furioso perché le cose non sono andate come sperava. Cavolo, i giochi sono finiti per davvero. Temo per Merlino.
Bene, come sempre ho ciarlato troppo.
Grazie per le recensioni! =) Vi adoro!
Posso farmi un po' di pubblicità? Ecco, credo che Dragon Ball l' abbiamo visto tutti, almeno una volta nella vita... Vi andrebbe di dare un' occhiata ad una mia One Shot Angst con protagonista Vegeta?
Si intitola "The end". Credo che sia una delle migliori cose che io abbia mai scritto. Mi farebbe piacere sapere che ne pensate. Vi ringrazio in anticipo.
Baci
Cleo

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Capitolo 47
*** Un problema risolto ***



Un problema risolto


Merlino continuava a tormentare se stesso mentre cercava di orientarsi nel maledetto buio di quel maledetto castello.
Che cosa doveva fare? Non era mai stato un tipo che aveva pensato molto a se stesso. Per lui erano sempre venuti prima gli altri, ma a Telmar, a parte Clara e la gentile Margareth, non c’ erano ‘ altri ‘ da preservare.
L’ unico che doveva essere preservato era proprio lui. Non ne poteva più di quel maledetto Sopespian.
Brutto… pervertito! Non si era mai sentito male come in quella circostanza. Per lui era solo un oggetto da usare a suo piacimento, ma si sbagliava di grosso! Era una persona, una persona che ragionava e aveva una volontà propria. Non avrebbe mai più cercato di fargli del male. Non glielo avrebbe più permesso. Ma per evitare di fare la fine del topo, aveva bisogno di protezione. E in mancanza dell’ asino ed essendo momentaneamente – sperava – impossibilitato ad utilizzare la magia, doveva trovare una soluzione. Se solo il cavaliere fosse stato un essere in carne ed ossa… Ah!

“Basta Merlino! Cerca di non fare l’ idiota per favore!” – si era detto, mentre brancolava nel buio.
Ma che doveva fare? Era il caso di andare da Miraz o no? Per quanto se lo meritasse, era certo che il re avrebbe fatto torturare atrocemente e uccidere quel maiale di Sopespian, e lui non voleva essere responsabile della morte di una persona. Per quanto questa persona fosse orribile, era una cosa che non riusciva neppure ad immaginare. Non era come loro. Non era un mostro. E non lo sarebbe mai stato.
Ed ecco che si ritrovava punto e a capo.
Non ne sarebbe uscito da quella situazione, ne era certo.
Ma possibile che Mercurio non fosse ancora giunto a Camelot?
Sperava davvero che l’ uccellino tornasse il più presto possibile: almeno, se avesse portato buone notizie si sarebbe davvero rincuorato.
 
*

Non ne poteva più.
Dopo l’ incidente del bagno, aveva seriamente pensato di evaporare insieme all’ acqua calda del calderone.
Se un’ altra guardia avesse riso di lui, non avrebbe più risposto delle sue azioni.
Per di più, quel maledettissimo Mephit non si trovava da nessuna parte.
Ma che aveva fatto di male per attirare su di sé le più grandi sciagure dell’ intera galassia?

“Gaius, ti supplico, dimmi come possiamo stanarlo! Per l’ amor del cielo!”.

Il povero cerusico era esasperato da sua maestà l’ asino reale, come era solito chiamarlo Merlino. Ma non aveva gli allenamenti mattutini?? Perché doveva stare lì a mettergli fretta??

“Vostra maestà, io ho effettivamente trovato il modo per stanarlo, anzi, ho trovato il modo per intrappolarlo, ma per farlo mi occorrono delle erbe che in questo frangente non ho, e se solo voi non steste col fiato sul collo, FORSE, riuscirei a lavorare”.
Artù aveva sollevato un sopracciglio, leggermente irritato.
“Mi stai forse dicendo che ti sono d’ intralcio?”.
“No vostra maestà! Ci mancherebbe! Stavo solo suggerendo che se QUALCUNO fosse così gentile da recuperare le erbe necessarie, potrei preparare il liquido apposito per la sua conservazione e l’ esca per costringerlo ad entrare nel barattolo!”.

Era proprio quello il piano: Gaius aveva letto che per catturarlo, c’ era la necessità di prendere un barattolo e riempirlo di un composto che avrebbe determinato la conservazione del Mephit durante il suo lungo sonno.
Allo stesso tempo, però, aveva bisogno di un’ esca che lo attirasse nel barattolo, ed essa era un fiore speciale di cui il Mephit dell’ acqua era ghiotto, un fiore dai petali blu che nasceva sulle rive del Lago del Nord.

“Se QUALCUNO recuperasse il fiore gliene sarei molto grato” – aveva ribadito Gaius.
Il messaggio era giunto forte e chiaro.

“Oh! E va bene! Ditemi come è fatto questo coso speciale! E vediamo di sbrigarci per favore! Il prossimo che sento urlare per colpa del Mephit giuro che lo…”.
“AAAAAAAAAAAAHHHHHHHHHHHHH!!!”.

Gaius non era riuscito a trattenere una risata: sarebbe stata una lunga giornata.

*

Artù era in viaggio da un po’ quando si era reso di non essere il solo a percorrere il suo stesso tragitto.
Irritato più che mai, si era girato di scatto facendo attenzione a non cadere dal suo nobile destriero, scoprendo con grande stupore che la persona al suo seguito era niente meno che lady Morgana.

“Ma che ci fai tu qui??” – aveva urlato, fermando di colpo il cavallo.
La bella damigella dagli occhi cerulei l’ aveva raggiunto, fermando a sua volta il proprio destriero.
“Seguo il prode Artù!”.
“E perché mai, di grazia?”.
“Perché anche un principe può avere bisogno di una mano!”.
“E invece no!”.
“Oh sì, visto che hai appena preso la direzione sbagliata!” – e lo aveva superato facendo partire l’ animale all’ improvviso verso la direzione opposta a quella intrapresa dal Pendragon.
“Ehi! Dove vai! Morgana!”.
Ma la giovane era ormai lontana, e non sembrava aver intenzione di fermarsi.

*

Avevano raggiunto il grande Lago del Nord verso il tramonto, con grande soddisfazione di Morgana e con grande disappunto da parte di Artù che era stato fatto fesso da una vipera come la sua sorellastra. Dovevano fare presto, perché il fiore doveva essere colto prima che calasse il sole – tanto per cambiare avevano sempre le ‘ veglie contate ‘ – o non avrebbe fatto più effetto.
A grandi passi, la bellissima dama si era diretta in riva al lago, seguendo alla lettera le istruzioni di Gaius.

Per Artù era stato un trauma apprendere che l’ amabile sorellastra ne sapeva più di lui a riguardo.

“Questo è perché sono stata informata da Gaius in persona”.
“E per quale oscuro motivo Gaius avrebbe dovuto dire a TE l’ ubicazione esatta del fiore?”.
“Semplice” – aveva detto la damigella, chinandosi in avanti nel tentativo di afferrare qualcosa situata in un cespuglio – “Perché lui sa che su di me si può fare affidamento”.
Con uno strappo deciso, la dama aveva colto il meraviglioso fiore, sventolandolo contenta sotto il naso di Artù.
“Visto?”.
“Mpf…”.
In pochi istanti, erano di nuovo in groppa ai loro cavalli.

*

“Ti manca molto, non è vero?” – aveva detto lady Morgana, mentre faceva avvicinare il cavallo a quello di Artù.
“A chi ti riferisci?” – Artù sapeva bene che il suo tentativo di tergiversare era stato vano, ma poteva sempre dire di averci almeno provato.
“Andiamo… Credi davvero che io sia così sciocca?”.

Maledizione… Ma era davvero così palese? Non se la sentiva di parlare di Merlino… Non con sua sorella, almeno. E soprattutto, non dopo quello che aveva cercato di fare mentre era nella tinozza. Dei, se ci pensava arrossiva come una verginella.

“Non credo che tua sia sciocca, per mia grande sfortuna”.

Artù aveva l’ amaro in bocca. Non ce l’ aveva con Morgana, in fondo. Non era colpa sua se era diventato così trasparente. Persino Gwen continuava a domandargli se stesse bene. Ma come poteva stare bene sapendo ciò che era accaduto a Merlino?
E poi, c’ era un’ altro problema: non era saggio per un futuro sovrano essere leggibile come un libro aperto. I nemici avrebbero fatto di lui tutto ciò che più li aggradava.

“Io sono certa che ci sia qualcosa sotto” – aveva detto Morgana, ad un certo punto.
“Cosa?”.
“Andiamo Artù! Merlino non può essersene andato così, su due piedi. Tiene troppo a te per poterlo fare”.

Gli era appena andato un groppone di saliva per traverso.

“Che vorresti dire?”.
“Esattamente quello che ho detto. Cerca di non fare l’ idiota, per favore”.
“Non ti sembra di esagerare?” – non la sopportava quando gli mancava di rispetto.
“Sei tu che esageri, Artù. Nel rifiutare l’ accettazione di quello che ormai è palese”.
“E sarebbe, di grazia?”.
“Cerca nel tuo cuore, e saprai risponderti da solo”.

*

Avevano trascorso il resto del viaggio in silenzio.
Artù Pendragon non riusciva a capacitarsi delle parole di Morgana. ‘ Cerca nel tuo cuore ‘. Ma cosa doveva cercare? E cosa centrava il cuore?
Sua sorella stava insinuando cose che non esistevano.
Lui non era… “quella cosa” con Merlino! No, no e poi no!

“Artù…” – tanto per cambiare, Morgana aveva interrotto di nuovo il filo dei suoi pensieri. Doveva prenderci gusto, evidentemente.
“Che c’è?” – aveva risposto in maniera piuttosto seccata.
“Sta fermo!” – Morgana stava continuando a fissare la sua testa.
“Perché? Che succede?”.
“Non so come dirtelo!”.
Si stava seriamente agitando. Che cavolo stava accadendo? C’ erano forse banditi, ladri, tagliaborse?
“Hai un cardellino sulla testa!”.

Stava cercando un senso a quelle parole. Ma non potevano averne uno!
“Che cosa?”.
Morgana aveva sbuffato sonoramente.
“Ma sei diventato sordo oltre che idiota? Ho detto che hai un cardellino sulla testa!”.

Stava seriamente per dirgliene quattro, quando una vocina, una vocina trillante lo aveva chiamato per nome.
“Artù!” – aveva detto, allegro, fra un cinguettio e un altro, lasciando sua maestà di sasso.

“Oh dei! Artù! Ha parlato!”.
“L’ ho sentito! Vieni qui bestiaccia!”.
“STA FERMO! GLI FARAI MALE!”.

Ma il piccolo cardellino non si era fatto prendere, e continuava a volare attorno alla testa del principe, ripetendo il suo nome fino allo sfinimento.

“Ma perché non chiude il becco? E poi come fa a parlare?” – continuava a chiedere ad una Morgana sconvolta e divertita allo stesso tempo.
“Artù, smettila di tormentarlo!”.
“Tormentarlo? IO?”.

Ad un certo punto, spazientita da quella scenetta a dir poco surreale – non si vedeva tutti i giorni un principe combattere valorosamente contro un tremendo cardellino assassino – aveva allungato una mano verso il cielo, e sul dito medio, aveva trovato quiete il piccolo uccellino.

“Ma guarda che carino! Sei proprio coccolone, lo sai, vero?” – gli aveva detto Morgana, accarezzandogli dolcemente la testolina. Il piccino sembrava gradire parecchio, visto che continuava a strusciarsi contro il dito della bella dama.
Artù aveva i nervi a fior di pelle. Ma che faceva sua sorella? Fraternizzava con il nemico?
“Ti rendi conto che parla, vero?”.
“Certo!”.
“E sei consapevole del fatto che tutto questo non è normale, vero?”.
“Sì!”.
“E allora smettila di fargli le moine e consegnalo a me!”.
“Perché tu possa fargli del male? SCORDATELO! Bruto!”.
Cosa aveva fatto di male per meritarsi tutto ciò?
“Morgana, per favore, potrebbe essere peric-.”.
“Vuoi stare zitto una buona volta e stare a sentire quello che ha da dire?”.

Era troppo sconvolto dalla reazione della sorellastra per poter replicare. Dovevano davvero ascoltare quello che un uccellino parlante aveva da dirgli? Bene! Se si fosse all’ improvviso trasformato in un mostro non voleva essere messo in mezzo. Come se questo fosse possibile, dopotutto. Lui finiva sempre in mezzo a questioni surreali!

Lady Morgana continuava ad accarezzargli la testolina piumata con estrema dolcezza. Si era proprio innamorata della bestiolina, a quanto sembrava!

“Allora, chiacchierone… Vuoi dirci cosa sei venuto a fare qui?” – aveva chiesto con estrema dolcezza.
“Morgana…”.
Ma l’ occhiataccia della giovane lo aveva costretto ad una resa totale.
Il cardellino, dopo aver girato la testa più e più volte a destra e a sinistra, si era posizionato più comodamente sul dito di Morgana, e aveva poi aperto il becco, cominciando a fare proprio ciò che aveva fatto qualche istante prima: parlare.
“Io sono Mercurio. Merlino dice di star bene. Merlino dice che devo parlare o con Artù o con Gaius, se è ancora vivo. E chiede notizie sul suo mentore”.

Improvvisamente, l’ interesse di Artù si era riacceso.
Merlino? Aveva appena pronunciato il suo nome?

“Merlino? Artù, ma cosa sta dicendo?”.
Ma il ragazzo non aveva neanche ascoltato sua sorella. Era smontato da cavallo, e si era avvicinato al cardellino, cercando di calmare l’ agitazione che continuava a montare.
“Merlino? Hai detto Merlino? Dei, ti prego, dov’ è? Cosa gli è successo?”.
Non era sicuro che il cardellino potesse capirlo. Forse era solo in grado di ripetere ciò che gli veniva detto, ma doveva almeno provare.
Il cardellino lo guardava, senza una particolare espressione. Era un volatile, dopotutto, che espressione doveva avere?
“Merlino sta bene. Gaius è vivo?” – aveva ripetuto Mercurio.
Non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.
“E’ vivo, sì. Gaius è vivo. Ma ti prego, dimmi di Merlino. Dove si trova? Ti prego, dimmelo?”.
Sapeva già la risposta, ma voleva sentirselo dire. E chi se ne importava se era un cardellino a dirgli dov’ era Merlino. Lui doveva saperlo.
“Miraz” – aveva trillato la vocina dell’ esserino piumoso.
Non c’ erano più dubbi, ormai.
“Artù…” – non avrebbe più potuto mantenere il segreto: Morgana avrebbe voluto sapere tutto.

*

Gaius aveva preparato il liquido e l’ aveva versato nell’ enorme barattolo di vetro, ma aveva rischiato di farlo cadere nell’ istante in cui Artù e Morgana erano entrati nelle sue stanze in compagnia di un uccellino che continuava a ripetere il proprio nome e quello del borioso principino.

“Gaius, ti prego, fallo smettere prima che qualcuno possa scoprirlo!”.

Ma il cerusico non lo aveva neanche ascoltato. Ovviamente, era palese che Artù non si fosse reso conto di cosa fosse quell’ esserino così fuori dal comune. Quell’ esserino così simile ma così diverso dal resto dei suoi simili.
Aveva quasi le lacrime agli occhi: non avrebbe mai creduto di vedere un discendente di un abitante di Narnia.

“Maestà… Da dove viene questo piccolino?” – aveva chiesto con voce tremante, lasciando posare l’ uccellino sul palmo ruvido della sua stanca mano.
“Crediamo che venga da Telmar” – era stata Morgana a rispondere – “Ci porta notizie di Merlino. Sta bene, ed era preoccupato per voi”.

Stavolta non era riuscito a controllarsi, e quelle lacrime che fino a qualche istante prima era riuscito a trattenere, adesso sgorgavano copiose sulle guance cadenti.
“Sta bene, dite?”.
Morgana sorrideva amaramente: non aveva mai visto Gaius in quello stato.
“Sì Gaius… Domandatelo a lui stesso”.
Il cerusico si sentiva emozionato e sciocco allo stesso tempo a rivolgersi ad un cardellino, ma sapeva bene che quella era una creaturina speciale. Una creaturina che avrebbe potuto cambiare ogni cosa.
“Non ne ho bisogno mia signora… Non ne ho bisogno”.

Quel momento era stato interrotto da Artù, che bruscamente aveva strappato dalle mani di sua sorella il sacchetto di pelle e ne aveva estratto il fiore colto qualche veglia addietro, sventolandolo sotto il naso di Gaius.
Il suo viso la diceva lunga su quali emozioni si agitassero in lui, e nessuno aveva osato commentare.

“Facciamo presto, Gaius. Merlino non può aspettare più”.

*

Tutto era pronto.
Il barattolo era colmo di liquido magico, e il fiore vi era stato immerso, sprigionando nell’ aria un curiosissimo odore simile a quello delle fragole.
Il cerusico, la damigella e il principe si erano nascosti lungo le scale che portavano alla stanzetta di Merlino, celati dalla porticina di legno. Avevano il cuore in gola, ma quello che era più agitato di tutti era proprio sua maestà. Non riusciva a dimenticare l’ umiliazione subita a causa di quel mostriciattolo, e non vedeva l’ora di riportarlo di persona al suo posto, sullo scaffale della sezione segreta – posto di cui ovviamente aveva tenuto celata l’ esistenza a Morgana. Ci mancava solo che la sua sorellastra scoprisse l’ esistenza di una sezione segreta della biblioteca, e poteva ritenersi morto e sepolto.
Gli altri due tenevano il fiato sospeso.
Gaius non vedeva l’ ora che quel contrattempo venisse definitivamente archiviato, e lady Morgana era curiosa di scoprire se il metodo scoperto da Gaius sarebbe stato utile o no.
La magia l’ aveva sempre affascinata, ed ora che era venuta a conoscenza dell’ esistenza di Narnia non vedeva l’ ora di saperne più che poteva. Poteva ritenersi più che fortunata: Gaius sarebbe stato un grande maestro.

Solo che, dopo due veglie, del simpatico ospite non sembrava esserci traccia.
Artù era veramente spazientito.

“Gaius, ma sei sicuro di non aver sbagliato qualcosa in quel tuo intruglio?”.
Il cerusico era piuttosto irritato per l’ osservazione infelice di sua maestà, ma aveva preferito non controbattere.
“Un po’ di pazienza Artù… Ve ne prego…”.
“Ma siamo qui da un’ infinità di tempo, e…”.
“Ssssh”.
Ssssh?? Gaius aveva osato dire ssshh a lui? Cavolo, tra qualche tempo sarebbe finito a pulire gli stivali ai suoi uomini e…
“Guardate!” – aveva bisbigliato lady Morgana, eccitata – “Eccolo lì!”.

E, proprio come aveva detto la dama, il Mephit dell’ acqua era apparso nel barattolo preparato da Gaius, e si stava cibando con gran gusto del fiore che avevano utilizzato come esca.

“Sì!” – aveva esclamato Artù, cercando di trattenere l’ entusiasmo.
E sua maestà era talmente eccitato da non essersi accorto che l’ anziano cerusico non si stava solo limitando a fissare lo svolgersi degli eventi, ma, facendo bene attenzione che nessuno lo sentisse, aveva cominciato a borbottare la formula segreta, l’ ingrediente immateriale che avrebbe intrappolato il Mephit per sempre nella sua prigione di liquido e vetro. Era bastato un attimo, giusto il tempo che i suoi occhi diventassero dorati, e la creatura aveva all’ improvviso smesso di muoversi, ripiombando nel sonno da cui era stata accidentalmente risvegliata.

“Ce l’ abbiamo fatta!” – Artù era stato il primo ad uscire dalla stanza e ad avvicinarsi con cautela al barattolo.
“Già…” – aveva risposto Gaius, esausto, ma felice.
Era andato tutto bene. Poteva ritenersi soddisfatto.
Ma Gaius non sapeva che lady Morgana aveva visto ogni cosa.

Continua…
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Rieccoci!!
Non vedevo l' ora di postare, mi credete??
Purtroppo, noto con dispiacere che molti di voi mi hanno abbandonata... Ma mi rendo conto che quando la storia diventa molto lunga può annoiare, ed è per questo che, una alla volta, chiuderemo tutte le questioni aperte, fino a giungere alla fine di questo poema! =)
Ringrazio i fedelissimi che ancora leggono e recensiscono!
Vi adoro!
Bacioni
Cleo

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Capitolo 48
*** La verità di Gaius ***


La verità di Gaius


Ce l’ avevano fatta.
Erano finalmente riusciti a rinchiudere nel barattolo l’ esserino dispettoso, afferrato prontamente da un Artù che aveva tutte le intenzioni di riportarlo da dove era venuto.

“Ma dove vai con il Mephit?” – aveva chiesto Morgana, incuriosita.
“Lo porto dove non darà mai più fastidio, spero” – e se n’ era andato pochi istanti prima che la dama potesse indagare oltre.

Lady Morgana non aveva insistito di proposito. Era certamente curiosa di sapere dove fosse questo fantomatico nascondiglio, ma aveva qualcosa di molto più importante e soprattutto molto più interessante da fare.
Ed ecco che, dopo aver preso un bel respiro, si era rivolta a Gaius, che continuava ad armeggiare sul tavolo dandole le spalle.

“Ho visto tutto” – aveva esordito, senza troppi preamboli.
Il cerusico inizialmente non aveva avuto sospetti.
“Visto cosa, mia signora?” – aveva chiesto con sincera innocenza.
“Quello che hai fatto”.

Le parole pronunciate da Morgana lo avevano lasciato di sasso, e l’uomo, colto alla sprovvista, aveva lasciato cadere una delle sue boccette di vetro che era rotolata sul pavimento, senza rompersi.
Non poteva aver detto il vero. Lady Morgana non poteva averlo visto.
Aveva fatto attenzione. Non era uno sprovveduto. Aveva recitato la formula muovendo impercettibilmente le labbra, e praticamente nessun suono era fuoriuscito dalla sua bocca.
L’ unica cosa che avrebbe realmente potuto tradirlo sarebbe stato il color oro accesosi nei suoi occhi all’ improvviso, particolare che non era in grado d controlliare e momento in cui perdeva per un istante la lucidità e il contatto con quello che aveva attorno.
Ma se la damigella l’ aveva visto veramente, poteva ritenersi un uomo fortemente ricattabile. Non che lei fosse quel tipo di persona, ma Gaius aveva imparato a proprie spese che fidarsi è bene e non fidarsi è meglio.
Era stato da poco salvato per miracolo da una condanna a morte per stregoneria, e non aveva alcuna intenzione di trascorrere altro tempo in quelle condizioni. Nella condizione di sapere che presto non avrebbe più potuto vivere la sua vita.

Lentamente, si era girato verso di lei, cercando di sembrare tranquillo.
Ma gli occhi di ghiaccio della dama erano troppo sicuri di ciò che avevano visto, e l’ anziano cerusico era crollato, nonostante la forgia donatagli da anni di menzogne.

“Morgana…”.
“Siete uno stregone?”.

Era talmente diretta. Così forte e sicura di sé. Come mentirle?

“Non è proprio così, mia signora. L’ Antica Religione mi ha dotato di poteri soprannaturali, ma ho preferito non perseverare nello studio delle arti magiche. E se vi state chiedendo se Uther è a conoscenza o meno di queste mie abilità, sì, ne è a conoscenza”.

Forse era stato un po’ brutale, ma almeno Morgana sapeva ogni cosa.

“Artù lo sa?”.
“No, mia signora”.
“Se non avessi recitato quella formula non saremmo riusciti a rinchiudere il Mephit, vero?”.
“Esattamente, milady”.

Gaius non sapeva cosa pensare. Aveva visto lady Morgana avvicinarsi alla sbilenca panca di legno e sedervisi su con grazia.
Non sembrava particolarmente turbata o delusa. Forse, stava ancora cercando di dare un senso a ciò che aveva scoperto. Oppure aveva già capito tutto da tempo e stava solo pensando ad un modo per averne un tornaconto personale. I nobili erano imprevedibili, purtroppo, e questo Gaius lo sapeva bene.

“Non dite niente, mia signora?”.
La dama aveva sollevato il capo, fino a posare gli splendidi occhi in quelli stanchi e preoccupati del cerusico.
“No Gaius. Non dico niente adesso, e non dirò niente in futuro”.
Quell’ ultima affermazione aveva lasciato di stucco l’ anziano uomo, che in cuor suo aveva ricominciato a sperare nella salvezza.
“Non capisco, lady Morgana”.
Allora, con fare leggiadro, la dama si era alzata in piedi e aveva raggiunto Gaius, stringendo forti quelle ruvide mani fra le sue.
“Non ti tradirò mai, Gaius. Sono certa che dietro misteriose guarigioni, impensabili salvataggi e quant’ altro ci sia stata la tua mano benedetta. Non è importante il potere che hai, ma come lo usi. E nessuno potrebbe utilizzarlo meglio di te”.

Le parole della nobile lo avevano lasciato di stucco. Era sincera. Si sentiva uno sciocco ad aver dubitato di lei.
Anche se non era stato lui a fare tutto ciò di cui parlava, Morgana aveva ragione: la magia non è cattiva, ma può essere cattivo il modo in cui la si utilizza. In pochi istanti, la dama aveva capito senza l’ aiuto di nessuno ciò che lui stentava a far comprendere ad Artù.

“Tu puoi aiutare Merlino, non è vero?”.
Non sapeva esattamente cosa rispondere.
“Non lo so, mia signora, ma farò tutto quello che potrò per salvare colui che considero mio figlio”.

“Allora facciamo presto!” – aveva detto Artù, comparendo davanti la porta delle stanze di Gaius con i propri uomini al suo seguito – “Non possiamo più aspettare”.

*


Merlino aveva rinunciato ufficialmente.
Il suo tentativo di cercare Miraz era fallito nell’ istante in cui si era ritrovato per la quinta volta al punto di partenza, ovvero davanti alla porta che conduceva alla stanza del Decimo Cavaliere.
Ma cosa aveva fatto di male per meritarsi quello?? Possibile che non riuscisse ad orientarsi in uno stupido castello? D’ accordo, era buio pesto, ma poteva dire di avere un minimo di senso dell’ orientamento, e poi non poteva essere una cosa tanto difficile muoversi in una struttura simile a tante altre! C’ erano delle scale, dei pianerottoli e delle stanze. Se si saliva, si poteva anche scendere. E allora, perché finiva per ritrovarsi sempre davanti allo stesso punto?
Doveva essere letteralmente impazzito. Non vedeva altre soluzioni anche solo lontanamente plausibili.
Chissà se almeno sarebbe stato in grado di tornare nella propria stanza…

Stava per avviarsi di nuovo lungo le scale, quando un eco di voci sempre più vicine lo aveva fatto sobbalzare.
Cosa doveva fare?? Era il caso di nascondersi? E se fosse stato lord Sopespian?
Aveva deciso di celarsi dietro uno dei grandi pilastri, quando aveva visto una strana figura avvicinarsi.
Era indubbiamente un uomo: si capiva dai passi pesanti e dal tono baritonale di voce.
E insieme all’uomo c’ era la sua amica dalla fulgida chioma.

“Clara!” – aveva chiamato, senza preoccuparsi delle possibili reazioni della giovane.
“Merlino!” – sembrava sorpresa di vederlo – “Che cosa ci fai qui?” – era piuttosto nervosa.
“Sono sfuggito a Sopespian” – aveva balbettato, imbarazzato. Non avrebbe mai ammesso come stavano realmente le cose davanti ad una ragazza.
L’ uomo al suo fianco aveva cominciato a guardarlo con interesse. Anche lui aveva i capelli rossi, anche se chiazzati da diverse ciocche bianche che risplendevano alle luci fioche delle candele.
“Lui ti brama” – aveva detto, senza troppi preamboli.
Il giovane mago si era irrigidito di colpo. Chi era quello strano uomo avvolto in una tunica lunga fino ai piedi?
“Padre, ma cosa dite?”.
“Padre?” – non riusciva a credere alle proprie orecchie. Quell’ uomo era il padre di Clara? Ora che lo guardava bene, aveva potuto notare che si somigliassero davvero tantissimo. Era in ogni caso un uomo molto giovane per essere genitore di una ragazza così grande. Ma quell’ uomo aveva qualcosa di strano. Era come se emanasse una sorta di alone di mistero misto ad un’ altra cosa. E quest’ altra cosa, Merlino la conosceva molto bene: si trattava della magia.
“Sei uno…”.
“Stregone, sì”.
Era senza parole.

Agitata, la ragazza gli aveva fatto segno di tacere, invitandoli poi a seguirla.
“Padre, vi prego… Non è un luogo sicuro questo… E Miraz potrebbe tornare da un momento all’ altro”.
Sembrava spaventata, e non era da lei.
“Seguimi” – aveva detto l’ uomo, rivolgendosi a Merlino – “Mia figlia dimostra di essere saggia, quando non commette nulla di avventato” – e si era incamminato verso l’ uscita del castello.

Merlino aveva rivolto uno sguardo a Clara, prima di seguirlo. Non sapeva cosa fare. Ma poi, prima che lui potesse prendere una decisione, la sua mano era stata stretta in quella affusolata di Clara, e si era incamminato insieme a loro.

Non sapeva ancora se stesse facendo bene a seguirli o no, ma una cosa era certa: Clara e suo padre erano mille volte meglio di Sopespian.

Continua…
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Merlinianiiiii!!!
Oddio, non sto più nella pelle!! Domani partirò per la convention di Supernatural e non chiedetemi con quale forza sono riuscita a scrivere il capitolo e aggiornare la storia!!
xD
Mamma mia!
Gaius ha rischiato grosso! Ma per fortuna, Morgana non è ancora uscita fuori di senno, e si preoccupa per le persone care.
Ed ecco che abbiamo conosciuto il padre di Clara!!
Chi l' avrebbe mai detto che si trattava di un mago? Io sì! XD
Non vedo l' ora di raccontarvi tuttooooo!!
Scappo!!
Baci grandi grandi!
Cleo

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Capitolo 49
*** Mikael ***



Mikael


Dopo aver percorso un tragitto che a Merlin era parso infinitamente lungo – tragitto percorso guardandosi continuamente alle spalle per la paura di finire tra le grinfie di Miraz e compagnia bella – il trio era giunto davanti alla piccola porta di una delle stanze del castello, porta dietro cui si celava un mondo che per il giovane mago era fin troppo familiare.
In ogni angolo di quella stanza, su ogni scaffale, in ogni cesto, vi erano adagiati libri di incantesimi, ampolle colme di liquidi colorati, barattoli contenenti erbe, strani esseri in salamoia e polveri magiche.
L’ intero ambiente era una sorta di fortezza della magia, un piccolo scrigno contenente tutto quello che qualunque mago di qualunque livello avrebbe desiderato.

“Seguimi, giovane mago…” – aveva detto il padre di Clara, invitandolo ad entrare nel Paese delle meraviglie.
Con il cuore in gola, il ragazzo aveva accettato l’ invito, dirigendosi con estrema cautela verso il bancone di legno su cui lo stregone era solito preparare pozioni e unguenti, da ciò che poteva vedere.

Giona – quello era il suo nome – fissava Merlino con curiosità e un pizzico di sospetto. Il giovane dai capelli color dell’ ebano non sembrava essersene accorto, tanto era grande la gioia di aver incontrato qualcun altro simile a lui il quel luogo dimenticato dagli Dei. Ma perché Clara non gli aveva confessato di essere la figlia di uno stregone? E lei aveva poteri magici? E perché uno stregone era al servizio di Miraz? Lui non aveva catene che lo imprigionavano, per quello che aveva potuto vedere il ragazzo. Che cosa c’ era dietro?

“Sono tante le domande che hai da porre, ragazzo” – aveva detto Giona all’ improvviso.
“Come, prego?” – Merlino era come caduto dal cielo.
“Ho detto che hai tante domande da porre”.

Era esterrefatto. Cioè, non ci voleva molto a capire che fosse curioso come bambino, ma perché aveva come la netta sensazione che quell’ uomo… Sì ecco… Che Giona gli avesse letto nel pensiero?

“Perché è esattamente così”.

Era sconvolto.

“Ma… Come fai?”.

Giona gli si era avvicinato, mostrandogli il contenuto di una delle ampolline che custodiva su di uno scaffale polveroso.

“Ci vuole tempo, giovane mago. Tempo e dedizione alle arti magiche. La magia è parte di noi, e va alimentata, non repressa” – aveva decretato, riponendo l’ ampolla al suo posto.
“Io…”.
“Sì, lo so. Tu hai paura. Il tuo re e il tuo principe non sono famosi per la loro intelligenza e la loro sagacia”.
“Ma Miraz non è conosciuto per la sua bontà!”.

Era stato proprio costretto a dirlo! Meglio nascondersi in eterno ma servire un principe buono e leale come Artù, che uscire allo scoperto e stare sotto le grinfie di un mostro sadico e arrivista come Miraz.

“So cosa pensi, ragazzo, e mi duole dirti che ti stai sbagliando. Io non sono affatto libero, Merlino” – e aveva rivolto uno sguardo colpevole alla bella Clara.
“Padre, non fatevi una colpa per quello che è accaduto… Non potevate sapere…”.
“No, figlia mia. Avrei dovuto prevederlo. Avrei dovuto sapere che non si sarebbe mai più fermato”.

Merlino non ci capiva più niente. Era oltremodo confuso. Giona tremava di rabbia, e Clara sembrava avere le lacrime agli occhi. Che cosa gli era capitato? Cosa avrebbero dovuto prevedere?
La sensazione che Giona centrasse con la morte di Caspian IX e figlio e con la presenza di quel buio opprimente stava diventando sempre più una certezza.

“Siediti, Merlino” – gli aveva chiesto Giona, invitandolo a prendere posto su di una vecchia sedia di legno.
Il ragazzo non se l’ era fatto ripetere due volte: sapeva che presto avrebbe dovuto ascoltare un lungo racconto, e non nascondeva di provare una certa ansia.
Clara gli aveva rivolto uno sguardo colmo di tristezza.
Quale poteva essere la vera ragione di tanto dolore?

*


Con poche semplici parole, Giona aveva spiegato al ragazzo il motivo del suo enorme dispiacere.
Il racconto delle sciagure – perché quello era il modo più corretto per definirle – che avevano afflitto quell’ uomo e la sua famiglia lo avrebbero perseguitato per il resto dei suoi giorni.

La verità era fin troppo ovvia per non essere capita immediatamente da una mente sagace come la sua, ma sentire il racconto di come erano andate le cose da uno dei diretti interessati era una cosa che Merlino non avrebbe mai neanche osato sperare.

E così, aveva appreso che Miraz aveva potuto ottenere tutto quel potere grazie alla magia, grazie ad una magia buona che era stata costretta a votarsi al male.

Il perfido principe usurpatore aveva ottenuto quel potere immenso grazie al primogenito di Giona, Mikael, il fratello maggiore di Clara.

“Mio figlio era un mago potente, Merlino. Un mago molto potente” – aveva detto, quasi con le lacrime agli occhi – “Miraz aveva scoperto questo suo immenso, sconfinato dono, e da uomo crudele e arrivista qual è, ha deciso di sfruttarlo a piacimento. Il nostro ‘ re ‘ ha minacciato il mio Mikael di uccidere la mia famiglia se non gli avesse fornito un modo per togliere di mezzo il legittimo erede al trono e suo figlio”.
“Tuo figlio ha ucciso il re e il principe?” – il mago era esterrefatto.
“Aspetta che mio padre finisca il suo racconto, Merlino. Te ne prego. Poi potrai giudicare”.
 
Lui non voleva esprimere giudizi, ma comprendeva benissimo la posizione di Clara. Si parlava ugualmente di suo fratello.

“Mio figlio era il servitore personale del principe Caspian.
Mikael e l’ erede al trono erano molto amici, erano quasi due fratelli.
Al povero principe sfortunato non era mai importato molto della loro differenza di rango. Voleva bene a mio figlio, e mio figlio voleva bene a lui”.

Quel rapporto di cui Giona stava raccontando gli ricordava molto il legame che c’ era tra lui e Artù. Non era proprio certo che l’ asino lo considerasse un suo pari, un fratello, ma per Merlino era sicuramente così. Anzi, Artù era molto più che un fratello: era un pezzo del suo cuore.

“Caspian sapeva della doti magiche di mio figlio. Per quanto io avessi cercato di dissuaderlo nel raccontare la verità a chi avrebbe potuto sfruttarci come meglio poteva, lui è stato irremovibile. Non avrebbe mai potuto mentirgli”.

“Ma Caspian IX proteggeva le creature magiche, ed era a favore della magia! Perché nascondervi?”.

“Perché quando ci sono in giro uomini come Miraz non si è mai davvero protetti, Merlino” – la risposta di Clara era stata più che soddisfacente. La ragazza aveva ragione. Il male cerca sempre di portare acqua al proprio mulino, e fin troppo spesso ci riesce.

“Ho cercato di proteggere il nostro segreto, e sono certo che Mikael non sia stato tradito dal giovane Caspian, troppo leale e sincero per fare del male al suo migliore amico, ma è stato comunque scoperto. Scoperto e minacciato. Miraz gli aveva giurato che avrebbe ucciso noi tutti se non avesse esaudito le sue folli richieste, e allora, il mio ragazzo ha accettato firmando un patto col suo sangue. E solo dopo averlo firmato Miraz gli ha rivelato cosa avrebbe dovuto fare”.

Il resto della storia era stato più che agghiacciante: il ragazzo avrebbe dovuto uccidere il suo principe e il suo re, e solo dopo che i loro corpi senza vita sarebbero stati esposti nella sala reale il ragazzo sarebbe stato lasciato libero di tornare alla sua vita, e la sua famiglia non avrebbe rischiato di subire l’ ira di Miraz, ma le cose non erano andate come aveva previsto il crudele principe.
Mikael, troppo leale e fedele all’ amico di una vita, si era rifiutato, ed era stato proprio nell’ attimo in cui era venuto meno al patto di sangue stretto con Miraz che quest’ ultimo aveva scoperto l’ inganno.
Giona gli aveva spiegato che quando si stringe un patto col sangue, le due parti sono legate a vita, e solo uccidendo uno dei due l’ altro piò tornare in libertà.
Miraz aveva avvertito il tradimento, e aveva deciso di punire Mikael, uccidendo sua madre.

“E quello è stato solo l’ inizio della sua atroce tortura” – Giona era sul punto di crollare.

Mikael era distrutto, ma non poteva tirarsi indietro se voleva vedere salva la sua famiglia, o meglio, ciò che ne restava. Avrebbe dovuto scegliere se salvare l’ amico di sempre o i suoi cari. Ed era stato allora che aveva deciso di aggirare il patto, sfidando davvero Miraz e la sua crudeltà. Pur di salvarlo da morte certa, aveva fatto un incantesimo al giovane Capian, sacrificando però la vita del suo re che, purtroppo, era stato ucciso brutalmente nella foresta da alcuni uomini di Miraz. Caspian era salvo, ma capendo di essere stato nuovamente ingannato, l’ ormai nuovo re aveva scatenato tutta la sua furia contro la famiglia di Giona.

“Dopo aver ucciso mia moglie… Ha fatto la stessa cosa con il mio figlioletto di tre anni sotto... L' ha fatto i miei occhi… Dei, come si può essere così crudeli?” – stavolta, Giona non era riuscito a trattenersi, e le lacrime amare e roventi che tanto aveva cercato di ricacciare indietro avevano cominciato a sgorgare, rigando le guance ispide di barba.
“Ma è terribile!” – non era riuscito a reprimere quell’ esclamazione di puro disgusto. Come aveva potuto privare della vita una donna e il suo bambino di pochi anni?
Era da folli!
Ma Miraz era un folle, lo sapevano fin troppo bene.

“Io ho cercato di proteggerli, ma non ho potuto… La mia magia era potente, ma il dolore e la paura di perdere gli unici membri della mia famiglia rimasti in vita mi hanno bloccato… Ed è stato allora che ho perso anche il mio Mikael”.

Che voleva dire?

“Anche se entrambi erano venuti meno al patto di sangue che avevano firmato, Mikael era stato il primo a disobbedire, e la magia gli si è rivoltata contro. L’ amore e la bontà alberganti nel cuore di mio figlio si sono sopiti, e Mikael è diventato…” – era troppo. Anche se erano trascorsi tanti anni, non riusciva ancora a confessare quello che era accaduto.

“Merlino” – la parola sarebbe passata a Clara, era evidente – “Hai presente l’ ombra sibilante che hai visto accanto a Miraz?”.

Il ragazzo aveva annuito.

“Quello è ciò che rimane di mio fratello”.

Non era possibile. Come poteva essere? Un essere umano non poteva diventare in quel modo… Non poteva diventare un’ entità crudele, spietata, al servizio di un mostro.

Clara si era accomodata sulla panca, e aveva ripreso a parlare guardando le mani che teneva incrociate in grembo. Si vergognava di quello che stava per confessare, evidentemente.

“Mio fratello aveva capito quello che gli stava accadendo e, impazzito dal dolore, come ti diceva poco fa mio padre, e ha deciso di compiere un gesto estremo. Il nostro Mikael ha maledetto Miraz e la sua crudeltà, diventando causa ed effetto di quella stessa maledizione da lui lanciata”.

Era certo di non aver capito cosa lei volesse dire. Come ci si poteva legare ad una maledizione?

“Mikael, prima di diventare ciò che hai visto, ha giurato a Miraz che il buio sarebbe ricaduto su Telmar perché il buio è l’ unica cosa che alberga e che albergherà mai nel suo cuore nero”.
“Ma Clara… Mikael ha punito un popolo intero per colpa di un mostro come Miraz l’ usurpatore?”.
“Non so cosa sia passato nella mente di mio fratello, Merlino. Ma so di per certo una cosa: che mai sarebbe voluto diventare quello che è diventato, e ciò è stato possibile per colpa di Miraz. Per colpa dell’ uomo che ha distrutto questa famiglia. Perché avrebbe dovuto prosperare sulla nostra disgrazia?”.

“Ma perché ha assunto quella forma mostruosa? Perché la magia ha permesso questo?? Allora può essere davvero crudele!”.

Giona aveva sollevato il capo, sconvolto da quelle parole.

“Giovane mago, sai bene che non è la magia ad essere cattiva!”.
“Ma tuo figlio non era cattivo!”.
“Mio figlio è venuto meno ad un patto di sangue, Merlino. Sapeva che ci sarebbero state delle conseguenze, ma l’ ha fatto lo stesso. Il sangue di Miraz e il dolore hanno cambiato il suo cuore, proprio come è successo al tuo re, solo che mio figlio ha cambiato anche la sua forma fisica”.

La sua mente era volata immediatamente ad Uther e al dolore che aveva provato nel vedere la moglie privata della vita. Dei che malaugurate sciagure!

“Ma voi che ci fate qui?” – aveva chiesto a Giona, ad un certo punto – “Perché siete venuti al castello?”.
“Per proteggere l’ operato di mio figlio, Merlino, e per cercare di riportare le cose com’ erano un tempo”.
La sua espressione perplessa diceva tutto.
“Mio padre ed io siamo stati costretti a venire al castello da Miraz. Lui ci ha asserviti. Usa lui per via dei suoi poteri magici - è stato mio padre a creare dal nulla i corpi dei reali che sono stati esposti dopo l' ' incidente con gli abitanti di Narnia' - e me per… Bè, hai visto che ho dovuto fare a Camelot”.

Che mostro senza cuore. Ma Merlino era certo che padre e figlia avessero deciso di farsi usare perché era l’ unico modo per stare accanto a ciò che rimaneva di Mikael. Nel cuore di Giona c’ era ancora posto per la speranza di vederlo tornare quello che era, evidentemente.

“Ma cosa ne è stato del giovane Caspian?? Voglio dire, gli è stato fatto un incantesimo, ma questo che significa? E’ morto? O no?”.

Clara aveva sorriso con un misto di malizia e furbizia.

“Caspian è vivo Merlino. Sta solo dormendo da un po’ di tempo”.
“Che vuoi dire?”.
“Che è tra noi… E ha solo bisogno che qualcuno lo aiuti a ridestarsi”.

Gli occhi di Merlino si erano sgranati tanto da far paura, e la sua bocca si era incurvata in una grossa ‘ O ‘.
‘ Ha solo bisogno che qualcuno lo aiuti a ridestarsi ‘.
Improvvisamente, si era reso conto di cosa stesse parlando Clara.

Continua…
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Eccomi qui di ritorno dalla Convention di Supernatural!
E' stata strepitosa! Non vedo l' ora di rivederli il prossimo anno! <3
Comunque, tornando a noi, ecco che tutti i tasselli stanno andando al loro posto!
Sappiamo chi è Clara, che cosa ha fatto la sua famiglia e il perché del buio a Telmar.
La cavalleria si sta preparando alla battaglia! TUTTA la cavalleria.
E Miraz la pagherà cara!
Grazie per le recensioni!
Un bacio
Cleo

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Capitolo 50
*** La chiave di volta ***


La chiave di volta


“Non è possibile!” – aveva esclamato, in preda ad un’ angoscia che non riusciva neppure a controllare – “E’ semplicemente impossibile!”.

Il giovane mago continuava ad agitarsi come un matto, andando da una parte all’ altra nella stanza nel tentativo di riordinare le proprie idee oltremodo confuse.
Non poteva essere come pensava che fosse! Era semplicemente impossibile oltre che assurdo!
Le parole di Clara e di Giona lo avevano soltanto suggestionato! Doveva essere per forza in quel modo!
Perché, altrimenti, voleva dire che non si era addormentato accanto ad una statua senza vita di un cavaliere perfetto, ma accanto a…

“Non posso aver dormito con Caspian!”.

Resosi conto all’ improvviso di aver urlato quello che aveva appena pensato, era diventato rosso come un peperone e si era portato una mano alla bocca, maledicendo la sua stupidità.

Giona e sua figlia si guardavano sorpresi e confusi.

“Che vuol dire che hai dormito con Caspian??” – Clara era interdetta e desiderosa di sapere di più, ma Merlino non sapeva bene cosa dire a riguardo. ‘ Ho dormito con una statua bellissima che credo sia il principe Caspian in persona ‘ sarebbe stato tremendamente umiliante e imbarazzante, oltre che stupido.
“Merlino???” – il silenzio di quest’ ultimo stava facendo impazzire la giovane dai capelli rossi.
Persino suo padre era tremendamente irrequieto.

“Stavo scappando da Sopesian, come vi ho detto prima… Cercavo un posto dove nascondermi… E ho trovato una porta… Forse non avrei dovuto farlo ma l’ ho aperta e in una stanza ho trovato una statua”.

I due si erano scambiati un’ occhiata di puro sgomento.

“Ed io… Ecco… Ero stanco… E mi sono addormentato lì, accanto alla statua… Cioè, a lui… Voglio dire… Avete capito” – era talmente rosso in viso da fare invidia allo stendardo dei Pendragon.

Clara si era seduta accanto a lui, guardandolo dritto in quegli occhi colore del mare.

“Merlino, la statua di cui parli regge in mano una spada con un simbolo inciso sopra?”.
“Sì…”.
“Oh Dei! Padre, avete sentito? E’ riuscito ad aprire la porta! E’ riuscito ad entrare!”.

La giovane era scattata in piedi, in preda ad un’ euforia che non aveva mai conosciuto prima di allora.

“Padre mio, lui è la chiave! Merlino è la chiave di volta! Come abbiamo fatto a non capirlo prima?”.

I suoi occhi brillavano di speranza e voglia di rivalsa.
Ma suo padre era ancora diffidente.

“Clara… Calmati figlia. Ha solo aperto la porta. Non sappiamo se sarà o no in grado di aiutarlo a destarsi dal suo sonno. Non è più padrone dei suoi poteri, purtroppo”.
“MA COME FAI A NON CAPIRE?” – aveva urlato furiosa – “Lui ha aperto la porta! Ha aperto la porta padre! Cosa che non era mai riuscita a nessuno! Neanche a te! Lui è il prescelto!”.

Merlino capiva sempre meno quello di cui stavano parlando. Che voleva dire che lui era il prescelto?

“Clara… Di cosa stai parlando?”.

Ma, proprio mentre la ragazza stava per rispondere, l’ urlo spropositato lanciato dall’ usurpatore era riecheggiato nell’ aria.

“CLARAAAAA!” – aveva gridato Miraz.

La ragazza era trasalita, sbiancando all’ improvviso.
Suo padre era scattato in piedi, guardandola con puro orrore.

“Figlia mia… Che cosa hai fatto?”.
“Portalo via!” – e aveva fatto alzare di scatto Merlino, spingendolo verso l’ armadio a muro situato accanto alla finestra.
“Ma che stai facendo?” – Merlino continuava a non capire.
“Clara…” – il padre non voleva lasciarla, era evidente.
“Papà, ti prego, non c’ è più tempo. Prendi Merlino e portalo da Caspian. Aiutalo a svegliare il nostro re!”.
“Ma…”.
“Vai!”.

La voce quasi spezzata ma piena di coraggio di Clara aveva convinto Giona a portare via Merlino.
In poche mosse, l’ uomo aveva aperto le ante dell’ armadio, e spingendone il fondo con i palmi delle mani aveva aperto un altro varco che dava su di un buio e stretto corridoio.

“Giona…”.
“Va Merlino. Sbrigati. Se ti trova con noi sarà la fine per tutti”.

E il ragazzo si era incamminato, seguito dall’ uomo che aveva rivolto uno sguardo supplice alla figlia, prima di sparire nel buio.

*


Clara era uscita di corsa dalla stanza.
Merlino e suo padre erano ormai al sicuro, visto che Miraz non era a conoscenza dell’ esistenza di quel passaggio segreto, ma sarebbe stato più saggio evitare di destare inutili sospetti.
Cercando di controllare il suo respiro, una volta allontanatasi dal luogo da cui proveniva aveva rallentato il proprio passo, dirigendosi verso l’ essere orribile che continuava a chiamarla a gran voce.
Non aveva dubbi sul perché Miraz avesse tanta fretta di vederla: doveva aver scoperto che era stata lei a far scappare lord Glozelle dalla prigione.
Dei, sperava solo che il poveretto ce l’ avesse fatta a salvare la sua famiglia, altrimenti avrebbe condannato loro e se stessa ad una fine terribile.

Con il cuore in gola e le membra tremanti, la giovane era finalmente arrivata nella sala del trono, dove sua maestà la attendeva impaziente.

“Mi avete convocata, sire?”.

Miraz la guardava con occhi colmi di rabbia. Sembrava che volesse ucciderla.

“TU! Maledetta traditrice!”.

Senza darle la possibilità di difendersi, le aveva dato un manrovescio talmente forte da farla cadere al suolo.
Spaventata da quel gesto così brutale, la ragazza non era riuscita a mantenere l’ equilibrio, cadendo rovinosamente al suolo. La guancia doleva e pulsava, e dagli occhi scendevano lacrime amare.
L’ avrebbe ammazzata, non aveva più alcun dubbio. Troppa era la rabbia che albergava in quel cuore nero.

“Mio re…”.
“TACI! Lurida serpe traditrice! Come hai osato giocarmi un simile tiro?”.
“Vi prego, lasciatemi parlare…”.
“TI HO ORDINATO DI TACERE!”.

Stavolta, Clara non aveva obiettato. Era rimasta per terra, in silenzio, cercando di placare le sue lacrime. Sapeva che sarebbe finita in quel modo. Sapeva che Miraz l’ avrebbe scoperta, ma non poteva non aiutare Glozelle. Non poteva non aiutarlo a salvare la sua famiglia.

“Tu e quell’ altra bestia avete osato tradirmi! Dopo tutto quello che ho fatto per voi!” – la guardava dall’ alto del suo metro e ottanta mostrando i denti, minaccioso.
“Ma ora il caro lord Glozelle e la sua famiglia hanno avuto ciò che si meritavano! E lo stesso capiterà a te!”.
“No!”.

Non poteva credere a ciò che aveva appena sentito: nessuno si era salvato della famiglia di Glozelle, nessuno.
Né lui, né la bella Lucia, né suo figlio. Ed ora lo stesso destino stava per toccare a lei.
Come poteva esserle sfuggito tutto quanto dalle mani? Ma non si curava per la propria sorte, bensì per quella di suo padre. Quel padre che sarebbe morto di dolore.

“Re Miraz, vi prego, vi supplico, vi scongiuro, abbiate pietà. Non per me, ma per mio padre. Vi siete già preso mio fratello, ve ne prego!”.
“TUO FRATELLO HA FATTO LA FINE CHE HA FATTO PERCHE’ MI HA TRADITO, PROPRIO COME TE!”.

Era certa che l’ avrebbe picchiata di nuovo se non si fosse messa in un angolo per proteggersi.
In fondo non aveva torto. Mikael aveva fatto quella fine perché aveva tradito Miraz, e lo stesso stava per capitare a lei. Forse la sua famiglia era stata colpita da una qualche maledizione, altrimenti non c’ erano altre spiegazioni plausibili. La sua famiglia sarebbe stata sterminata da quel mostro, e lei non avrebbe potuto fare niente per fermarlo.

“Mio re, vi prego, vi supplico di avere pietà di me. Vi scongiuro”.
“Dammi anche solo una minima motivazione per cui non dovrei farti sbranare viva dai lupi, cagna!”.

Cercando di darsi un minimo di contegno, la ragazza si era sollevata in piedi, tenendosi ancora la guancia dolorante.

“Lui vi è sempre stato fedele mio re, proprio come me e mio padre. Glozelle è… era un uomo leale e generoso, e sapete che per lui non c’ era niente di più importante della sua famiglia”.
“E con ciò?”.
“Mio re, voleva solo proteggerli, ed io volevo solo aiutarlo!”.
“Facendolo scappare!”.

Stava per picchiarla ancora, quando la voce supplice di Giona aveva interrotto quel macabro spettacolo.

“Miraz, no! Vi scongiuro!”.
“Padre…” – che ci faceva lì? Perché non era con Merlino? Che qualcuno li avesse intercettati? Impossibile!
“Lasciatela andare mio re, ve ne prego!”.
“Giona!” – Miraz era sorpreso di vederlo – “Che cosa ci fai qui?”.
Il padre di Clara non si faceva mai vedere in giro per il castello. Non era mai intervenuto dopo l’ incidente capitato al figlio. Che intenzioni aveva?
L’ uomo, dopo essersi avvicinato a Miraz, si era lasciato cadere in ginocchio, prostrandosi completamente ai piedi dell’ essere che aveva rovinato la sua famiglia.
Con la fronte posata sulla fredda pietra e le mani giunte in preghiera, Giona stava continuando a chiedere di risparmiare la vita alla sua bambina.
“Vi prego mio re. Vi supplico. E’ tutto quello che mi resta. Risponderò io delle sue azioni. Vi prego, punite me. Non privatela della vita. E’ troppo importante. Troppo preziosa e importante per essere spezzata brutalmente”.

Il re di Telmar sembrava dubbioso. Cosa fare? Mostrarsi clemente e assecondare l’ uomo, o proseguire per la sua strada? Non voleva sembrare debole, ma doveva ammettere che quell’ uomo era stato sempre leale con lui.
Al contrario dei suoi figli che erano indisciplinati e traditori.

“Alzati, Giona” – aveva detto, e il diretto interessato aveva obbedito immediatamente - “Tua figlia continua a disobbedirmi. E’ testarda e arrogante. A Camelot ha assaporato una cosa che qui non è permessa: la libertà”.
Non gli piaceva il tono con cui stava parlando. Non gli piaceva affatto.
“Che volete farle mio re?”.
“GUARDIE!”.

I due si erano pietrificati.

“Portatela nella torre!”.
“No sire! Vi prego…!”.
“TACI! O finirai lì anche tu!”.

E le guardie l’ avevano afferrata per le braccia, cominciando a trascinarla.
“No! Lasciatemi!” – non voleva andare nella torre. Era un luogo spaventoso da cui i prigionieri uscivano privi del senno con cui erano nati. Sarebbe stata immersa nella più totale oscurità senza vedere nessuno fino a nuovo ordine. La morte sarebbe stata meno dolorosa.
“Vi prego!”.
“PORTATELA VIA!”.

E la ragazza era ormai stata trascinata fuori dalla porta.

“E tu!” – aveva urlato a Giona – “Va a prendere il ragazzo! Abbiamo aspettato fin troppo!”.
“Sire! Ma…”.
“BASTA DISCUTERE! O LA FARO’ UCCIDERE!” – e aveva afferrato il mago per la tunica – “Portami il ragazzo, o te ne pentirai”.
Non aveva trovato alcun modo per opporsi.

*


Ce l’ aveva fatta. Aveva seguito alla lettera le istruzioni di Giona, ed era riuscito a raggiungere la dimora del cavaliere anche da quel labirinto di cunicoli bui. Se non ci fosse stata la luce-guida creata dal mago sarebbe stato in grandi difficoltà, però. Merlino non lo avrebbe mai ringraziato abbastanza.

Ed eccolo lì, bloccato in quella prigione di pietra, il principe Caspian X.
Dei, ancora non riusciva a credere di avere davanti il legittimo erede al trono di Telmar.
Ma ora, cosa avrebbe dovuto fare?
Non era chiaro a nessuno il perché fosse stato proprio lui quello in grado di aprire la porta, ma per Giona e Clara era un segno più che chiaro: lui era il prescelto, lui era la chiave di volta.
Però, il problema continuava a sussistere! Come doveva fare per ridestare il principe dal suo sonno?

“Pensa Merlino. Pensa e fai in fretta!”.

Non c’ era davvero tempo da perdere. Giona gli aveva detto di svegliare Caspian e portarlo al sicuro, lontano dal castello. Se Miraz avesse solo lontanamente sospettato che lui era la chiave di volta, lo avrebbe costretto a svegliare Caspian e ad ucciderlo, cosa che non doveva accadere assolutamente.
Ma che poteva fare? Non aveva poteri magici, ma quanto pare quella era una cosa che andava al di là di essi!
A ben pensare, quando si era svegliato dopo avergli dormito accanto, si era reso conto che la statua emanava calore. Poteva essere, no? Aveva bisogno di contatto umano per ritrovare la propria umanità!
Ma per quanto tempo avrebbe dovuto stare sdraiato accanto a lui?
Doveva trovare qualcosa di più sbrigativo…
E se…? Merlino era arrossito all’ improvviso. Ma come gli venivano in mente simili idee?? Doveva essere impazzito del tutto.
Eppure…
Poteva essere no? Dopotutto, era scritto anche nelle fiabe, e le fiabe erano piene di verità, anche se quasi nessuno ne era al corrente.
Cielo, ma dove avrebbe trovato il coraggio? Lui non aveva mai… Insomma non…

“Piantala Merlino!” – si era detto, avvicinandosi alla statua di Caspian. O meglio, a Caspian.
Doveva darsi una mossa, o Miraz avrebbe potuto capire ogni cosa, e poi sarebbero stati guai seri.
Ed eccolo lì, a prendere un profondo respiro, mentre si avvicinava lentamente a quel volto perfetto.
Eppure, per quanto fosse bello, non riusciva a non immaginare che quello fosse il volto di qualcun altro, di qualcuno che sperava di rivedere con ogni fibra del suo cuore.
“Ti prego… Svegliati Caspian. Svegliati e lotta come avrebbe fatto Artù”.

Un attimo dopo, le sue labbra si erano posate su quelle appena tiepide del bellissimo principe di Telmar.

Continua…
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E vi informo che oggi sono in vena di scrivere di baci!
Non chiedetemi perché, ma è così! XD
Cavolo, Merlino ha baciato Caspian. Sì, so che è per una buona causa, però... E comunque Artù: BEN TI STA! U.U
Miraz è giusto un po' incacchiato!
Povera Clara! E povero Giona!
=(
Ma presto tutto si sistemerà! =)
E non poteva mancare la scena dell' armadio, citato da entrambi i film!
Vi saluto, e mi scuso ancora per l' errore che ho commesso postando il capitolo di un' altra fic! XD
Sono un danno!
Bacino
Cleo

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Capitolo 51
*** Caspian X ***



Caspian X


Credere a quello che si stava svolgendo sotto i suoi occhi era a dir poco impossibile.
Mai avrebbe pensato di assistere ad un simile spettacolo.
Certo, era da anni testimone del risveglio di un principe, ma quello era tutto fuorché simile a quello a cui era abituato.
 Appena aveva posato le labbra su quelle della statua del principe Caspian, era stato in grado di avvertire il soffio della vita che riprendeva possesso di quel corpo meraviglioso e perfetto. L’aria gli aveva solleticato la pelle del viso delicato, e le labbra si erano dischiuse, diventando ad ogni istante sempre più calde.
 
Si era spostato a malincuore, rosso in viso, ma deciso ad assistere a quell’ avvenimento da un’ angolazione migliore. Aveva scelto di restare in prossimità della porta da cui era entrato la prima volta, né troppo vicina né troppo lontana dal giaciglio su cui si stava agitando il principe di Telmar.
Merlino si sentiva di troppo, eppure, allo stesso tempo, era convinto al cento per cento che non ci fosse niente di più giusto della sua presenza in quel luogo. Era come se ci fosse una sorta di filo indelebile che lo legava a quel principe, qualcosa che gli era sconosciuto e che contemporaneamente conosceva fin troppo bene.
Perché per quanto essa avesse smesso di rispondere ai propri comandi, continuava ad agitarsi in lui, chiara e forte come non mai, ed era lei la causa e la ragione di ogni cosa. Era la magia ad averlo legato a Caspian.
Ne acquistava consapevolezza sempre di più.

 Il principe aveva cominciato a muovere le braccia, lasciando che lo strato di pelle diventato marmo si riducesse in centinaia di piccoli frammenti e si staccasse, cadendo al suolo senza alcuna premura.
Le membra cominciavano a riprendere vigore ad una velocità impressionante.
Le dita si muovevano prima a scatti, poi con movimenti sempre più fluidi, sempre più regolari.
Le ginocchia si erano piegate, e Merlino era certo che il principe stesse flettendo persino le dita dei piedi, per assicurarsi di avere il totale controllo anche della parte più piccola del proprio corpo.
Poi, era toccato alla schiena: con poca difficoltà, Caspian aveva piegato le braccia per farvi forza, e aveva sollevato la schiena, mettendosi seduto.
Per ultimo, il capo. Con estrema cautela, il principe lo aveva piegato prima a destra, poi a sinistra, tenendolo poi dritto davanti a sé. E, poco dopo, i suoi polmoni si erano gonfiati di nuovo d’aria, e i suoi occhi si erano spalancati, guardando, finalmente, ciò che per troppo tempo gli era stato celato.

 Il giovane mago era senza parole.
Cosa avrebbe dovuto dire in un momento come quello? L’ emozione era troppa per poter essere espressa. Caspian era vivo. Il legittimo erede al trono era vivo, ed era l’ ultima speranza per quel popolo oppresso e ridotto ad un branco di marionette da un uomo senza cuore.

Caspian X aveva girato il capo, fino a puntare i suoi occhi scuri in quelli color del mare di Merlino.
Lo guardava con curiosità. Dopo anni che le sue pupille erano state private della luce del sole, della vista di un altro essere umano, il primo con cui avere un contatto era stato proprio lui.
Chissà che effetto gli aveva fatto… Probabilmente, aveva pensato di avere davanti il buffone di corte. Di certo, avrebbe notato subito le sue orecchie a sventola.
Ma la vera domanda era un’ altra, e al solo pensiero Merlino tornava ad arrossire.
Si era reso conto del tocco delle loro labbra?
Dal modo in cui lo guardava e dal gesto che ne era susseguito, Merlino credeva proprio che la risposta alla sua domanda fosse ‘ sì ‘.

“Siete voi il mio salvatore?” – aveva chiesto Caspian, emozionato – “Siete voi il mio principe azzurro?”.
 
C’ era un velo di ironia nella sua voce, e Merlino non aveva potuto fare a meno di sorridere, anche se imbarazzato.
Era diventato rosso fino alla punta delle orecchie.
Quanto era affascinante il giovane che aveva davanti?

Con grande disappunto di Merlino, il principe aveva posato i piedi al suolo e aveva tentato di alzarsi, rischiando però di cadere rovinosamente al suolo.
Se non fosse stato per l’ intervento provvidenziale del mago, non sarebbe riuscito a reggersi.

Per quanto fosse alto e robusto, non era affatto pesante. Si era aggrappato con le poche forze che aveva alle braccia di Merlino, aiutandosi a stare dritto.
Da quell’ angolazione, aveva potuto osservare benissimo il suo viso. Era davvero bello. I morbidi capelli scuri incorniciavano i lineamenti delicati. I denti erano bianchissimi, e sul mento c’ era una piccola fossetta.
Gli occhi, grandi e scuri, erano profondi e curiosi, ma allo stesso tempo timorosi e attenti.
Non c’ era in lui quella boriosità e quella spavalderia che dominava i principi conosciuti da Merlino. Sembrava quasi un suo pari, un ragazzo identico a lui. Peccato solo che la spada e i suoi abiti dicessero l’ esatto contrario.

“Stata bene, mio signore?” – aveva chiesto, timido, aiutandolo a mettersi seduto.
“Sì… Vi chiedo perdono, mio salvatore. Sono un po’ debole… Ho dormito per tanto, troppo tempo… Mi rammarico per la mia condizione fisica”.
La sua voce era melodiosa, quasi una musica.
“Non dite sciocchezze, vostra maestà. Avete tutto il diritto di essere stanco. E probabilmente siete anche molto affamato. Prendetevi un po’ di tempo per respirare, e poi aggrappatevi a me. Dobbiamo uscire da qui il più presto possibile”.

L’ansia nella voce di Merlino lo aveva messo in guardia. Le cose non dovevano andare bene, a Telmar.

“Miraz ha ottenuto il trono, non è così?”.
Quella domanda a bruciapelo aveva lasciato Merlino di sasso. Caspian non sapeva della morte del padre. Con quale coraggio gli avrebbe confessato le verità?
“Il tuo sguardo dice tutto, mio salvatore… Ciò significa che mio padre non è più in vita. Ho ragione?”.
Gli occhi del mago erano diventati lucidi.
“Mi dispiace vostra maestà. Mi dispiace con tutto il cuore e con tutta l’ anima. Ma non vi mentirò. Telmar è caduta in disgrazia, e voi dovete essere preparato a quello che i vostri occhi vedranno. L’oscurità regna sovrana, e nessuna luce riesce a penetrarla. Molti dei vostri sudditi sono imprigionati nel loro stesso corpo, reso di marmo come il vostro. Tutti hanno paura, e nessuno sa come fermare Miraz”.
Era stato brutale, ma non era riuscito ad evitarlo. Quanto grande sarebbe stato lo shock per quel ragazzo nel vedersi davanti quello spettacolo raccapricciante che era diventato il suo regno?

Caspian sembrava essere ritornato di pietra. Sembrava che stesse cercando di dare un senso alle parole di Merlino.

“E… che tu sappia, mio salvatore, c’è ancora al castello un ragazzo, un giovane mago di nome Mikael?”.
L’aveva chiesto con una così grande angoscia da far credere a Merlino che dalla risposta alla sua domanda dipendesse la sua stessa vita.
Cosa avrebbe dovuto rispondergli senza farlo morire di dolore? Era evidente che Caspian tenesse a quel ragazzo più di qualunque altra cosa.
“Lui è qui. Ma è come se non ci fosse” – era stata la cosa più sensata venutagli in mente.
“Che volete dire?”.
“Vi giuro che ve lo spiegherò col tempo, ma ora dovete stare calmo e cercare di rimettervi in forze. Mi avete capito?”.

Sembrava dubbioso e preoccupato, ma era evidente che non potesse fare altro se non fidarsi.

“Qual è il vostro nome, mio principe?” – aveva chiesto, serio, ad un certo punto.
“Mi chiamo Merlino, vostra altezza. E mi spiace deludervi, ma non sono un principe. Sono solo un servitore”.
“Non ho memoria di voi” – continuava a dargli del voi, nonostante tutto.
“Sono qui da poco tempo. Vengo da lontano”.
“Da dove, di grazia?”.
“Da Camelot”.

Già… Da Camelot. Chissà se Mercurio era giunto a destinazione. Mai come allora avrebbe desiderato saperlo.

*


Stavano galoppando da ormai tre veglie.
Continuavano a spronare i cavalli senza alcuna pietà, non tenendo conto del fatto che le povere bestie avessero fame, sete, o bisogno di riprendere fiato.
Finché ci sarebbe stata luce, avrebbero continuato ad avanzare.
Avevano perso sin troppo tempo nel fare ricerche e documentarsi. Merlino non poteva più aspettare.

Artù era a capo di quella piccola spedizione clandestina.
Quando Uther avrebbe capito che suo figlio, la sua figliastra e uno dei suoi cavalieri più valorosi erano scomparsi sarebbe andato su tutte le furie, ma avrebbe affrontato in seguito quel dilemma.
Aveva una cosa molto più importante da fare.

Dietro di lui galoppavano veloci sir Leon e Lady Morgana. Aveva cercato in tutti i modi di persuadere la giovane a rimanere al castello, ma non c’ era stato verso. Aveva asserito di essere impelagata in quella storia fino al collo, e che non sarebbe rimasta a Camelot per nessuna ragione al mondo.
Miraz era un mostro, e non potevano permettere che Merlino rimanesse tra le sue grinfie un minuto di più.

Ma la giovane era certa che Artù non si sarebbe fermato a quello. Quell’ essere dal cuore nero aveva creato fin troppo scompiglio a Telmar e nei regni che aveva invaso e conquistato.
Vi erano re che erano stati privati della loro corona, figli e madri separati, e intere popolazioni ridotte in schiavitù, e tutto questo per soddisfare la sete di potere di un individuo che non meritava neppure di essere chiamato uomo. C’ erano regole da rispettare, dinastie da ristabilire, l’ ordine avrebbe regnato nuovamente, e Morgana era convinta che una cosa simile sarebbe stata possibile solo per mano di Artù Pendragon.
Il suo fratellastro era borioso e viziato, non l’ avrebbe mai negato, ma allo stesso tempo era leale, forte e valoroso.
Non sapeva bene quali fossero i suoi piani, ma era certa che Miraz sarebbe perito per mano del figlio di Uther Pendragon.

E di certo, lei non sarebbe stata a guardare.
Aveva parlato con Gaius delle sue ‘ doti particolari ‘, e alla fine il cerusico, decisosi a non partire perché sarebbe stato solo d’ intralcio, le aveva donato una boccetta contenente un liquido ambrato, facendole promettere di utilizzarlo solo in casi estremi. Neanche lui era a conoscenza di tutti gli effetti di quella pozione, ma sapeva che sarebbe stata loro di grande aiuto.

‘ Qualunque cosa pur di fermare Miraz ‘ – aveva detto – ‘Qualunque ‘.

Ed eccoli lì, in viaggio verso Telmar, preceduti dal piccolo Mercurio che avrebbe dovuto spianare loro la strada.
Speravano solo che arrivasse in tempo e che avvertisse Merlino del loro arrivo imminente.
Non avevano la più pallida idea di come entrare senza farsi notare, altrimenti.

*


Clara era a dir poco terrorizzata.
Era riuscita a sfuggire alla morte, ma la punizione a cui era stata destinata era mille volte peggio.
Il buio totale che albergava in quella torre la stava letteralmente facendo impazzire.
Perché? Perché il destino si era accanito in quel modo sulla sua famiglia?
Perché proprio suo fratello era stato destinato a diventare il servitore di Caspian? Perché la magia si era insinuata e sviluppata in lui con tanto ardore? Perché sua madre e il suo fratellino erano morti? Perché suo padre e lei avevano dovuto soffrire così tanto?

Aveva portato lì Merlino per un motivo: sperava che potesse aiutarli. Sperava che il giovane mago riuscisse a salvare tutti loro, ma ora cominciava a nutrire seri dubbi anche su quello.
Cosa potevano fare Merlino e Caspian da soli contro Miraz e il suo intero esercito?
E se avesse fatto del male anche a suo padre? Se lo avesse ucciso, che le sarebbe rimasto?
Niente.
Ecco cosa le sarebbe rimasto.
Per questo, la giovane si era rintanata in un angolo e, per la prima volta dopo tanto tempo, aveva dato sfogo al pianto. Da troppo tempo ricacciava indietro quelle lacrime così bollenti, così amare.
Ma ora non più. Avrebbe lasciato che rigassero le sue guance.
Dopotutto, chi avrebbe potuto vederla, immersa in quella totale oscurità?

Continua…
_______________________________________________________________________________________________________________

La cavalleria sta arrivandoooo!!
E, con essa, anche la conclusione di questa storia.
Non so ancora quanti capitoli ci saranno, ma non credo che saranno tantissimi!
Dopo più di un anno - mi sembra - sto per scrivere la parola FINE.
Mamma mia...
Ringrazio tutti coloro che leggono e recensiscono!
Vi amo!
Cleo

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Capitolo 52
*** Di amori, fiducia e incubi nella foresta ***


Di amori, fiducia e incubi nella foresta


Merlino era riuscito a condurre Caspian fino alla sue stanze. Non riteneva possibile l’aver avuto la fortuna sfacciata di non essere andato incontro a contrattempi di alcun genere, ma non aveva tempo per gioirne. Doveva trovare un nascondiglio sicuro per il giovane principe, cercando di proteggerlo secondo se sue – seppur ridotte – possibilità.

Caspian gli era parso teso. Era evidente che, nonostante le parole del mago, trovarsi davanti ad uno scenario talmente desolante non fosse semplice per nessuno.
Quando si era ritrovato immerso nella più totale oscurità aveva smesso di respirare per un lasso di tempo lunghissimo, rimanendo immobile, quasi identico allo stato pietrificato in cui aveva vissuto per tutti quegli anni.
Era stato Merlino a spronarlo a muoversi, assicurandogli che tutto sarebbe andato per il meglio.

Con suo grande rammarico, il giovane mago aveva appurato che la porta della sua stanza era sprovvista di chiave, il che aumentava in maniera spropositata il pericolo di essere scoperti da una delle guardie o da uno dei seguaci di Miraz. E se questo qualcuno si chiamava Sopespian, le cose sarebbero state a dir poco disastrose.
Così, Merlino aveva trascinato il comò fino a posizionarlo davanti alla porta per sprangarla, cercando di non causare eccessivo rumore.
Lui e Caspian non erano al sicuro, ma sarebbero stati protetti quanto bastava per organizzare un piano di fuga.
L’usurpatore era impegnato con Clara e suo padre, e solo gli Dei sapevano quello che gli avrebbe fatto e quanto tempo ci sarebbe voluto.

“Dobbiamo escogitare qualcosa, vostra altezza. E dobbiamo sbrigarci. Potrebbero arrivare da un momento all’altro” – aveva detto Merlino, cominciando ad armeggiare con cassetti e ante dell’armadio.

Il principe, ancora stanco e debole, si era lasciato cadere sul letto, cominciando ad accarezzare con distrazione le morbide e vellutate coltri senza proferire parola.
Come poteva aver permesso che accadesse tutto quello? Come poteva aver accettato la proposta di Mikael di lasciarsi addormentare per avere salva la vita? Come poteva essere stato così egoista e così stolto?
Quella tremenda oscurità aveva inglobato la fiorente e gloriosa Telmar.
Il cuore nero di Miraz, unito alla magia potente e devastante del migliore amico che avesse mai avuto in vita sua avevano causato morte, tenebre e distruzione.
Suo padre non c’era più. Il suo popolo non c’era più. Del suo maestro Merlino non aveva saputo dirgli niente, e degli abitanti di Narnia, considerati gli artefici dell’omicidio del re, non c’era traccia alcuna.
Continuava a guardare Merlino. Sapeva che avrebbe dovuto essergli grato per averlo risvegliato dal suo lungo sonno, ma non riusciva a farlo completamente. Una parte di lui era arrabbiata con quel ragazzo che lo aveva riportato alla realtà. Cosa poteva fare lui, contro un uomo spietato e la magia di cui si serviva? Era solo un ragazzo. Di stirpe reale, certo, ma era pur sempre un ragazzo. E non aveva la più pallida idea di come agire.

Il suo cuore era stretto in una morsa dolorosissima.
E, per quanto il dolore verso il suo popolo fosse spropositato, ce n’era un altro che lo stava distruggendo attimo dopo attimo ad una velocità che non credeva possibile.
Mikael… Il suo Mikael era diventato un mostro, un’ombra spaventosa e sibilante al servizio dell’essere più spaventoso e crudele mai nato sulla faccia della terra.
Perché proprio lui? Perché proprio l’amico, il fratello, il compagno di mille avventure, l’unico che non l’avrebbe mai tradito, aveva fatto ciò che aveva fatto?
Caspian era convinto che il suo cuore fosse diventato di pietra, e questo perché l’aveva sentito emettere un rumore simile a quello della roccia che si infrange e inizia a sgretolarsi in centinaia di migliaia minuscoli frammenti polverosi.
A cosa gli serviva un cuore, se non aveva più l’opportunità di donarlo a qualcuno?

“Vostra maestà… Per favore, cercate di tirarvi su di morale. Ve ne prego”.

Il giovane mago si era avvicinato a lui, guardandolo con quei suoi grandi occhi color del mare.
Caspian era immensamente triste e preoccupato, e non occorrevano poteri magici per capirne il motivo. Sarebbe stato sconvolgente per chiunque risvegliarsi da un sonno talmente lungo e scoprire che niente era più come prima, e che della propria famiglia e dei propri cari non era rimasto niente, se non un maledetto traditore e l’animo corrotto di quello che era stato l’amico di una vita.
Ma non c’era il tempo per perdersi d’animo. Clara era convinta che il risveglio di Caspian fosse il segno dell’imminente cacciata dell’usurpatore, e non poteva ignorare le parole di una ragazza che sapeva molto più di lui, perché aveva vissuto, penato e sofferto durante gli anni di regno di Miraz.

“Caspian, vi prego, ascoltatemi” – e senza porsi molti scrupoli, si era seduto accanto a lui, lasciando cadere le mani in grembo. Non sapeva se fosse in grado o no di trovare le parole adatte, ma una cosa era certa: non gli avrebbe permesso per nessuna ragione al mondo di arrendersi.

“Il vostro dolore sembra insormontabile, lo so bene. Vostro padre non c’è più, il vostro popolo è alla rovina, e probabilmente avreste preferito non risvegliarvi mai più”.

A quell’ultima frase, Caspian aveva sollevato la testa di scatto, sorpreso, puntando gli occhi dritti in quelli di Merlino. Sembrava che il ragazzo gli avesse letto nel pensiero.

“Ma ci sono persone che hanno riposto in voi la loro più completa fiducia. Ci sono persone che hanno messo la loro vita nelle vostre mani. E due di queste persone sono ora al cospetto di Miraz perché hanno cercato di salvare la vita ad un uomo giusto e alla sua famiglia, e stanno per pagarne amare conseguenze”.

Era riuscito ad attirare l’attenzione del principe.

“Clara e Giona sono brave persone, Caspian, ma come sapete, Miraz è in grado di rompere tutto ciò che tocca. Non oso immaginare cosa abbia in mente di fare loro, ma so che se c’è qualcuno che può fermarlo, quello siete voi. Non so dirvi come farete, anzi, come faremo. Perché io vi ho risvegliato, ed io vi aiuterò sire. E lo farò fino alla morte”.

Merlino non avrebbe mai mentito. Mai. Non ad un ragazzo buono come Caspian, non ad una persona come lui.
Per quanto fosse spaventato e triste, il suo cuore era puro e forte, proprio come quello di Artù.
E, proprio perché quel ragazzo aveva quella sua stessa peculiarità, avrebbe fatto qualunque cosa per lui, a costo di sacrificare la propria vita. Miraz doveva essere fermato, e il tempo dei ripensamenti era cessato ormai da tempo.

“Le tue parole sono meravigliose, Merlino. Sono piene di speranza e di forza, ma continuo a credere che tu ti stia sbagliando. Su di me, e sul destino del mio popolo. Guardami! Sono solo, stanco e provato, privo di un esercito con cui combattere. Come posso pretendere di sconfiggere Miraz e la magia… e la magia di…” – non riusciva a dirlo. Non riusciva a pronunciare il suo nome senza che il suo cuore subisse una stretta lancinante - “Io non posso farlo”.

A quel punto, a Merlino era rimasta una sola carta da giocare.
Senza esitare, si era sollevato le maniche della splendida giacca nera che indossava, permettendo alle pesanti e logoranti polsiere di risplendere alla fioca luce delle candele.

“E questi? Cosa sono?” – aveva chiesto Caspian, curioso.
“Questi, mio principe, sono i segni della mia prigionia. Miraz mi ha portato qui con un intento preciso”.
Non aveva chiesto quale fosse. Interrompere la suspance creata da Merlino sarebbe stato un errore.
“Io non sono solo il servitore di Artù. Sono un mago, principe Caspian. E, stando a quello che alcuni dicono in giro, sono anche un mago piuttosto potente”.
“Un mago?” – ma cosa poteva volere Miraz da un altro mago? Aveva a sua disposizione Mikael, o quello che ne restava, e suo padre Giona!
“Sì, mio principe”.
Gli occhi di Merlino era diventati improvvisamente tristi e spenti. Miraz doveva avergli causato sofferenze inimmaginabili. Perché quell’uomo non faceva un favore a tutti e si ritirava in esilio ai confini del mondo?
“Che cosa vuole da te? Perché convocare un altro mago? Lui odia la magia! Guarda quello che ha fatto a Narnia e ai suoi abitanti!”.

Caspian era balzato in piedi, alzando la voce senza rendersene conto.

“Vi prego vostra altezza, non gridate! Potrebbero scoprirci!” – quella reazione avrebbe rischiato di farli finire in guai seri. Se anche Caspian fosse morto, per Telmar non ci sarebbe stato più alcun riscatto. E questo non doveva accadere. Merlino era convinto che ci fosse un motivo più che valido se era stato condotto lì contro la sua volontà, ed era certo che non si trattasse solo per via dell’assurda richiesta formulatagli dal mostro.
“Che importa, Merlino? Non possiamo difenderci! Ci troveranno, e mi uccideranno! Non c’è speranza per noi, siamo perduti!”.
“Adesso basta!” – e, per la prima volta in vita sua, Merlino aveva fatto ricorso a quella che aveva sempre evitato: alla violenza. Con decisione, aveva stampato una poderosa cinquina sulla guancia sbarbata del principe, che aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa e dall’improvviso bruciore.
“Come… come… che cosa hai fatto?”.
“Adesso basta, statemi a sentire! Sono stato torturato, ho rischiato di morire, sono stato sul punto di essere violato un’infinità di volte, sono stato ingannato, imprigionato e rapito! E sapete perché? Perché Miraz aveva bisogno del mago più potente che avesse a disposizione per esaudire il suo desiderio!”.
Il giovane lo ascoltava in silenzio.
“Miraz mi ha portato qui perché vuole che lo trasformi in un essere immortale”.

A qualunque cosa. Avrebbe potuto pensare a qualunque cosa, ma non a quello.
Miraz, il fratello di suo padre, lo zio che lo aveva reso orfano, che aveva usurpato il suo trono, nutriva il malsano desiderio di ricevere la vita eterna. E, per soddisfare quella sua brama, aveva rapito un giovane rendendolo alle stregue di un giocattolo da usare e da rompere.
Dei, come poteva essere arrivato a tanto? Quanto immensa, sbagliata e immorale era la sua follia?

“Tu non l’hai fatto… Non è vero? Non hai reso quell’essere immortale, non è vero?”.

Il panico si era impossessato del principe. Come poteva sconfiggere Miraz se costui era diventato invulnerabile?
Guardava Merlino come se volesse entrargli nella mente e leggervi i più reconditi segreti.
Pregava gli Dei di non aver fatto sì che una simile sciagura fosse avvenuta.
In caso contrario, non ci sarebbe stata più speranza per nessuno.

Gli occhi di Merlino, quelle meravigliose iridi blu, riuscivano a stenti a trattenere le lacrime.

“Come potete pensare che vi parli di rivalsa se avessi acconsentito a trasformarlo in un mostro immortale? Mi credete così sciocco, principe Caspian?”.

E, a quelle parole, aveva compreso quanto grande fosse stato l’errore commesso, e quanto infondata fosse la paura appena provata. Si sentiva un verme. Merlino aveva già sofferto abbastanza, perché causargli ulteriore dolore?

“Ti chiedo perdono” – aveva sussurrato, allora, cercando di non farsi soffocare da quello sguardo – “Sono solo… un inetto… Ti chiedo perdono”.

Si era lasciato ricadere sul letto, accanto al ragazzo che lo aveva riportato alla vita.
La sua coscia era vicina a quella di Merlino, scossa da un irrefrenabile tremore. Continuava a tormentarsi le mani, il giovane mago. Caspian gli aveva chiesto perdono.

“Siete scosso mio principe. Scosso, stanco e privo di fiducia. Sono certo che avrei reagito come voi. Ma vi prego, fidatevi di me. Fidatevi di Clara, fidatevi di Giona. Ma, soprattutto, fidatevi di voi”.

*


Il sole era calato e, con esso, era scemata anche la forza che aveva permesso loro di cavalcare per tutte quelle ore di fila.
I cavalli, stremati, avevano bevuto litri e litri d’acqua, e due di loro erano crollati al suolo, compreso quello di lady Morgana che dormiva accanto alla sua padrona.
La dama, però, al contrario delle bestie e dei due uomini che erano in sua compagnia, non riusciva a lasciarsi raggiungere dal sonno. La mente continuava a vagare lungo mete sconosciute, mete che avevano come sfondo una cosa ben precisa. Una cosa verso cui si era sempre sentita attirata, ma a cui non aveva mai potuto prestare attenzione più di tanto, viste le restrizioni severissime a cui Uther aveva destinato l’intero popolo di Camelot.
Ma, dopo aver assistito alla dimostrazione inaspettata di Gaius, Morgana si era resa conto di quanto inutili esse fossero, e che la magia, quella magia che il re tanto odiava e che aveva bandito con tanto vigore dal suo regno, era in realtà viva e vicina più che mai.
Certo, il cerusico le aveva assicurato che sua maestà fosse a conoscenza del suo dono, e che esso venisse utilizzato solo in caso di particolari necessità, proprio come quella di catturare e rinchiudere il Mephit nella sua prigione, o di curare ferite inguaribili alle persone che più stavano a cuore al loro re, ma questo, si domandava Morgana, non era molto simile a quello che stava facendo Miraz? Perché secondo il cerusico – che in ogni caso aveva omesso la vera natura di Merlino – l’usurpatore non aveva debellato la magia, ma l’aveva imbrigliata, sottomettendo così uomini forti e valorosi, e decretando la fine di regni prosperi e vitali.
Cosa c’era di diverso in quello che aveva fatto e continuava a fare Uther? Il re di Camelot aveva proibito la magia e condannato a morte centinaia di persone innocenti durante la Grande Epurazione, ma continuava ad utilizzarla per la cura delle persone da lui amate. Non si trattava comunque di scopi personali? Quella stessa magia che aveva salvato Artù, per fare un esempio banale, o magari lei stessa, avrebbe potuto salvare la vita al figlio di un contadino, o alla madre povera e senza latte e al suo bambino di pochi giorni.
No. Per quanto sapesse che il cuore di Uther non era corrotto come quello di Miraz, non era davvero in grado di scorgere alcuna differenza.

L’aria del bosco era fredda e carica di umidità. Infreddolita, la giovane si era rannicchiata ancora di più nella coperta portata con sé, avvicinandosi maggiormente al fuoco che continuava ad ardere incurante della notte e dei suoi pensieri.
Forse, era un’ingrata. Anzi, lo era senza alcuna ombra di dubbio.
Non aveva mai nascosto il proprio astio nei confronti del suo patrigno: aveva sempre lottato a testa alta, a volte attirandosi contro la sua ira, ma non poteva togliere che se non fosse stato per Uther, non avrebbe avuto un posto dove andare. Non avrebbe avuto una casa, i vestiti, i gioielli che le piacevano tanto, non avrebbe avuto un’amica come Ginevra, e, soprattutto non avrebbe avuto un fratello come Artù. Perché per quanto lei cercasse di non fargli capire i suoi reali sentimenti, non poteva di certo negare di amarlo come solo una sorella può fare.

Silenziosa, aveva girato il capo quanto bastava perché potesse trovarsi in una posizione ideale per osservare il bel volto del principe ereditario di Camelot.
Nonostante il sonno avesse avuto il sopravvento su di lui, il suo viso non era affatto rilassato.
L’espressione corrucciata e le labbra fortemente serrate lasciavano intendere tutte le sue preoccupazioni.
Sapevano bene che il rischio era spropositatamente alto, e che c’era la seria possibilità di non fare più ritorno a Camelot. Ma mai, mai, e per nessuna ragione al mondo, Artù avrebbe lasciato Merlino alla mercé di quell’infame.
Il perché Miraz avesse rapito un giovane servo non era chiaro a nessuno, anche se Morgana era certa di aver intuito i timori di Artù.
Aveva notato come l’usurpatore guardasse il ragazzo, come lo sfiorasse, e gli occhi terrorizzati e le membra tremanti di Merlino erano stati una conferma più che palese a quello che nessuno avrebbe mai osato pensare.
Come si poteva arrivare a tanto? Come si poteva rapire un giovane, privarlo della libertà di scegliere chi amare, schiavizzarlo, renderlo un oggetto, una bambola da usare, rompere e gettare via a proprio piacimento?
Alla giovane era venuta la pelle d’oca al solo pensiero delle mani di Miraz che vagavano voraci sul corpo bianco e magro di un Merlino inerme, dolorante e completamente indifeso. E nutriva la ferma convinzione che quel pensiero continuasse a tormentare anche Artù, e che lo facesse costantemente, fino a farlo stare male.
Perché, per quanto lui cercasse di negarlo a se stesso e al suo cuore, per lei era evidente che Merlino fosse molto più che un semplice amico, per il futuro erede al trono di Camelot.
Era incredibile quanto strana potesse essere la vita, e quanto imprevedibile potesse essere l’amore.
Esso, per quanto molti difendessero il contrario a spada tratta, non ha davvero età, non ha davvero limiti, non ha davvero sesso, o razza o quant’altro si voglia insinuare.
E lei, in quanto donna, lo sapeva bene, perché più sensibile e più portata alla comprensione e all’abbandono totale verso quel sentimento per molti così ostico.
Poteva leggere negli occhi di Artù il dolore, l’apprensione e la mancanza, proprio come era stata in grado di individuare la nascita di quel dono e la sua crescita giorno dopo giorno.
Morgana era certa che Merlino nutrisse gli stessi sentimenti nei confronti di quel principe borioso e pasticcione che si era ritrovato a servire, e che, proprio come lui, non fosse ancora stato in grado di riconoscerli per ciò che erano. Quanto volte aveva rischiato la propria incolumità per preservare quella di Artù?
Ricordava con chiarezza l’episodio in cui aveva bevuto da quella coppa avvelenata, salvandogli così la vita a costo di perdere la propria.
Quella non era solo la testimonianza di un’estrema amicizia: quella era la prova più visibile dell’amore e della devozione che quel ragazzo nutriva nei suoi confronti.

Eppure, per quanto quel sentimento fosse nobile, Morgana sapeva bene che in pochi sarebbero stati in grado di comprenderlo e accettarlo.
Artù per primo faceva fatica ad ammetterlo con se stesso.
Il principe, per quanto fosse giovane e ancora troppo “impegnato” nell’arte del cacciare e in quella di giostrare, spesso parlava del momento in cui avrebbe avuto un erede che avrebbe assicurato la discendenza dei Pendragon. Era sin troppo evidente che un uomo, che una persona del suo stesso sesso, non avrebbe mai potuto permettersi di donargli un figlio. E i nobili, molti di loro porci schifosi senza il minimo scrupolo morale, non accettavano re con concubini e concubine. I nobili non accettavano dei bastardi per sovrani.
La mancata discendenza Pendragon avrebbe di certo portato a lotte intestine per la conquista del trono e, per un popolo, non c’era niente di più deleterio e logorante di un simile conflitto.
Gli amanti sarebbero stati destinati a rimanere come tali. Certo, avrebbero potuto incontrarsi in segreto, ma la lealtà di Merlino nei confronti della corona e la morale integerrima di Artù non gli avrebbero mai permesso loro di attuare simili sotterfugi.
Avrebbero continuato a starsi accanto, fingendo di amare persone scelte per loro da altri, finché il cuore di uno dei due non avrebbe ceduto, portandolo a cadere nell’oblio eterno. Perché, per quanto esso non fosse mai stato manifestato apertamente, il loro amore era troppo grande e forte per finire. Era uno di quegli amori che sarebbero durati per tutta la vita, nonostante, proprio essa li porrà l’uno così vicino all’altro senza permettergli, tuttavia, di raggiungersi mai.

*


Un rumore improvviso lo aveva destato dal suo sonno.
Il rumore di qualcuno che stava tentando in tutti i modi di aprire la porta della stanza.
Preso dal panico, Merlino si era sollevato di scatto dal suo morbido materasso, rendendosi conto, con suo sommo orrore, di essersi addormentato dopo il lungo discorso affrontato con il principe Caspian.
Quante veglie erano trascorse? Quante volte avevano provato ad aprire la porta senza alcun successo? E, soprattutto, chi era la persona che continuava a fare forza sulla maniglia?
Assalito dal panico, il ragazzo aveva posato una mano sulla bocca di Caspian, evitando di farlo urlare o sussultare dall’ irruenza del gesto, e aveva cominciato a scuoterlo con vigore, sperando che il principe si risvegliasse.
Per sua enorme fortuna, non aveva dovuto attendere molto, ed ecco che un Caspian dallo sguardo vigile e velato dal terrore aveva puntato il proprio viso su quello di Merlino, cercando di metterlo a fuoco.

“Ssshhh!” – aveva appena sussurrato il ragazzo, il cui volto era illuminato dal chiarore dei mozziconi di candela che resistevano al richiamo della morte, indicando con il dito la maniglia della porta.

Capendo immediatamente a quale pericolo si erano esposti, il principe era balzato in piedi e si era precipitato verso l’armadio, chiudendovisi all’interno.
Certo, se qualcuno avesse sospettato della sua presenza in quelle stanze, l’armadio sarebbe stato il primo posto in cui avrebbe cercato, ma non era stato capace di farsi venire in mente un’idea migliore, al momento. E poi, era certo che il fondo dell’armadio fosse in realtà una porta per uno dei tanti corridoio nascosti che attraversavano tutto il castello e che, con un po’ di fortuna, sarebbe stato in grado di trovare il modo per aprirla.

Dopo essersi assicurato che Caspian si trovasse al sicuro e che fosse ben nascosto, Merlino si era dato una rassettata ai vestiti, avvicinandosi poi alla porta e chiedendo con voce tremante chi vi fosse celato dietro.

“Signorino Merlino… Sono io… Margareth!”.

Margareth! La simpatica cameriera!
Era stato talmente scosso dagli eventi delle ultime ore da aver completamente rimosso il ricordo di una delle poche persone gentili che aveva conosciuto il quel luogo di dolore.
Eccitato dall’idea di rivederla, aveva spostato immediatamente il pesante mobile, aprendo la porta di scatto e gettandosi praticamente al collo della bassa e rotonda donna, rischiando quasi di farle cadere di mano il vassoio carico di leccornie.

“Signorino! Che cosa fate?” – aveva chiesto, visibilmente imbarazzata.
“Margareth cara! Non sai quanto sono contento di rivederti!” – aveva quasi le lacrime agli occhi dalla gioia. Era a dir poco assurdo, lo sapeva bene. Si trattava di una persona appena conosciuta, ma la sua aria materna e i suoi modi gentili e alla mano erano riusciti a fare breccia nel cuore del giovane, convinto in tutto e per tutto che la donna potesse in qualche modo aiutarlo.
“Sì… Anche io sono contenta di rivedervi, ma ora lasciatemi! Mi state soffocando!”.
“Certo! Scusami! Entra, prego!”.

E Merlino si era chiuso la porta alle spalle.

“Si può sapere perché vi eravate barricato qui dentro? E se fosse scoppiato all’improvviso un incendio, o se ci fosse stato un terremoto, come avreste sperato di salvarvi??”.
“Mi dispiace Margareth, ma ho avuto le mie buone ragioni” – aveva risposto, lasciando che un’espressione di puro orrore prendesse i posto del suo smagliante sorriso.
Il cambiamento di umore del giovane non era sfuggito alla donna, che prontamente aveva cominciato a rivolgergli una serie di domande piuttosto mirate.
“Sopespian, non è così?”.
Lo sgomento era sin troppo evidente sul bel volto del giovane mago.
“E voi come…”.
“Quel porco! Non vi ha toccato, vero? Dei, giuro che se vi ha toccato lo uccido con queste mani! Gli taglio il gingillo e glielo infilo su per il…”.
“MARGARETH!!!” – Il rossore si era propagato sulla pelle di Merlino, finendo per raggiungere anche le grandi e buffe orecchie.
“Oh, perdonatemi signorino! Ma quell’essere immondo è mille volte peggio di Miraz in persona! Per quanto il nostro re sia crudele e senza cuore, resta un signore sotto questo punto di vista. Mentre Sopespian… Oh, quello si fare-“.
“Per favore!!” – ma che le era preso??

La donna gli aveva lasciato un’occhiata furente, cominciando ad esaminarlo centimetro per centimetro.

“Vi fa male da qualche parte, signorino? Perdete sangue, forse. Dei, certo che perdete sangue. Vi prego, so che è imbarazzante e frustrante, ma lasciatemi controllare. Posso disinfettarvi e alleviarvi il dolore con delle erbe. Ma devo agire presto o…”.
“Non mi ha toccato, stai tranquilla” – era assurdo rassicurare gli altri quando era lui quello da rassicurare.
“Siete serio?”.
“Come la peste, mia cara. Sono stato scaltro, e sono riuscito a fuggire”.
“Dei, vi ringrazio! Dovrò ricordarmi di fare loro un’offerta. Non avrei sopportato che vi facessero del male!”.

Il ragazzo aveva intuito che quello fosse il momento adatto per cogliere la palla al balzo.

“Io credo di sapere che genere di offerta vogliano gli Dei”.
“Che intendete dire?”.
“Venite fuori, vi prego” – aveva detto allora Merlino, rivolgendosi in direzione dell’armadio.

La cameriera non riusciva a comprendere il significato delle parole di quel ragazzo. C’era forse qualcuno nella stanza con lui? Ma chi poteva mai nascondere? L’ansia si era impossessata di lei.
E, quando l’anta si era aperta e si era rivelata la slanciata e aggraziata figura di quel ragazzo, per un attimo aveva creduto di avere un mancamento.

“Ma… Ma… Non è… Non è possibile!” – aveva bisbigliato, sconvolta, lasciando cadere la tazza dalle mani.
“Sì, invece” – Merlino era calmo e sicuro di sé – “E’ il vostro principe”.
“Permettete che mi presenti, signora. Io sono Caspian X”.
La donna aveva creduto di morire di infarto.

*


Si era svegliata nel cuore della notte, di soprassalto, sudata e spaventata come mai prima di allora.
Le era capitato più volte di fare sogni orrendi, sogni pieni di dolore, ma mai nessuno era stato vivido e realistico come quello.
Era in grado di avvertire ancora la presenza della morte aleggiare nell’aria, e l’odore del sangue continuava a punzecchiarle le narici e a farle ardere la gola.
“Morgana! Morgana! Che cos’è successo?”.
Un Artù e un sir Leon preoccupatissimi l’avevano circondata con fare protettivo.
Il volto pallido e imperlato di sudore della ragazza era per loro motivo di grande preoccupazione e apprensione.
Che le era capitato di tanto tremendo da farla reagire in quel modo?

“Miraz…” – aveva balbettato, continuando a fissare il vuoto.
“Cosa?”.
“Miraz… Lui vuole… Lui vuole… Dei Artù! E’ un mostro! E’ un mostro terribile!” – e si era aggrappata alle spalle del fratello, nascondendo il volto nell’incavo del suo collo, singhiozzando.

Sconvolto da quel gesto così inaspettato, il principe aveva rivolto a sir Leon uno sguardo carico di domande, cominciando, distrattamente, ad accarezzare la chioma lucente della dama.

“Shhh… Morgana, calmati… È stato solo un brutto sogno… Su…”.
“No! No Artù! Tu non capisci! Lui… Lui vuole fargli del male! Lui vuole il suo cuore!”.
“A chi, mia signora? A chi farà del male?” – aveva chiesto il cavaliere dalla lunga chioma riccioluta, non osando domandare a cosa si riferisse a proposito del citato cuore.
“A Caspian!” – e, un attimo dopo, era svenuta fra le braccia di Artù.

Continua…
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Un capitolo lunghissimo tutto per voi! ;)
Abbiamo parlato di tante, tanto cose! Spero che sia stato di vostro gradimento!
Morgana comincia ad avere le sue visioni in maniera sempre più chiara, e Merlino ha intuito che Margareth può essere l'unica in grado di aiutarli.
Arriveranno mai in tempo per salvare il mago e scongiurare la trasformazione di Miraz?
Appuntamento al prossimo capitolo! XD
Baci grandi!
Cleo

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Capitolo 53
*** L'ombra della fine ***


L'ombra della fine


Margareth era stata sul punto di perdere i sensi più di una volta per colpa dello shock. Di certo, dopo tutti quegli anni e dopo tutto quello che lei e i suoi concittadini erano stati costretti a subire, l’ultima cosa che si aspettava di sentirsi dire era che il momento della rivolta era vicino e, ancor meno, che la loro guida fosse il compianto principe Caspian X in carne ed ossa.
 Durante il racconto di Merlino non aveva mai smesso neppure per un istante di guardarlo. Inizialmente, aveva reagito come se avesse avuto davanti uno spettro, ma poi aveva cominciato ad elaborare e accettare le parole del giovane mago e, con esse, la presenza di quel ragazzo che non aveva mai smesso di rimpiangere.
Era talmente bello, il principe Caspian. Bello e fiero, proprio come suo padre. Aveva la stessa luce negli occhi, quella luce di giustizia e d’amore che finalmente avrebbe potuto di nuovo illuminare la triste e tetra Telmar.
Le sembrava cresciuto, sempre se non era del tutto impazzita. A quanto sembrava, anche se l’incantesimo lanciato da Mikael l’aveva pietrificato, il suo corpo non aveva arrestato il naturale sviluppo che lo interessava. A quel punto, non era stata capace di non chiedersi se lo stesso valesse per tutti i poveretti che erano stati resi immobili dalla perfidia di Miraz.
 Apprendere che era stato nascosto nel castello per tutto quel tempo, proprio sotto gli occhi di tutti, era stato forse lo shock più grande. Il mostro sibilante che li teneva sotto scacco aveva fatto proprio le cose per bene per tenerlo al sicuro, a quanto sembrava. Il cuore puro di Mikael aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per preservare l’unico vero amico che avesse mai avuto.
 Ma cosa poteva fare ora quel ragazzo per aiutarli? Solo, indifeso e senza un esercito, come avrebbe potuto anche solo lontanamente sperare di sconfiggere Miraz e riportare Telmar al suo antico splendore?

“E’ per questo che abbiamo bisogno di te, Margareth!” – le aveva confessato Merlino, ad un certo punto – “Abbiamo bisogno che tu lo metta in salvo!”.

La donna aveva sperato vivamente di aver frainteso le parole del ragazzo. Come poteva chiederle una cosa tanto folle e pericolosa? La città era sorvegliata dalle guardie e controllata dalla magia di quel folle, come poteva sperare che nessuno si accorgesse che stava aiutando un fuggitivo ad abbandonarne le cinta murarie?
E non un fuggitivo qualunque, ma il principe Caspian in persona. Era una richiesta a dir poco priva di senso, per di più rischiosa e assolutamente folle.

“Non potete chiedermelo, signorino Merlino!” – era troppo spaventata per poter acconsentite ad una simile follia.
La delusione sul volto del giovane mago non era tardata a sopraggiungere.

“Margareth, non lo farei se non fossi l’unica di cui mi fido ciecamente!”.
“Ma ci sono Clara e Giona che possono farlo! Perché proprio io?”.
L’espressione del ragazzo era mutata ancora una volta, diventando triste e cupa.
“Loro non possono esserci d’aiuto, al momento. Sono stati convocati dall’usurpatore, e tu sei la sola che possa aiutarlo a fuggire!”.
Ma Margareth non sembrava l’unica ad essere contrariata.

“Io non voglio fuggire, Merlino!”.

La determinazione nella voce di Caspian era lodevole. Ma se agli abitanti di Telmar occorreva proprio un principe, era necessario che egli rimanesse vivo il più a lungo possibile, e se fosse rimasto lì, il giovane erede di Caspian IX non sarebbe di certo sopravvissuto a lungo.

“Ne abbiamo già discusso, vostra maestà. Abbiamo bisogno di voi, e questo non è un posto sicuro.
Devo tenere Miraz occupato, voi avete bisogno di protezione, ed io al momento non posso offrirvela. Dunque, finché non troverò il modo per liberarmi di queste maledette polsiere, dovete stare il più possibile lontano da qui”.

L’idea di rimanere da solo non lo allettava affatto, ma sapeva bene di non avere alternative. La salvezza di Caspian era la cosa più importante, al momento, e lui non poteva garantirla.
Non poteva permettersi di distruggere l’ultimo atto d’amore di Mikael. Se fosse accaduto il contrario, non se lo sarebbe mai perdonato.
Ma il principe non sembrava dello stesso parere.

“Merlino, Miraz è così forte solo perché ha Mikael dalla sua parte. Magari se mi vedesse, o se riuscissi a parlargli, lui cambierebbe e riuscirebbe a tornare il ragazzo buono e gentile di un tempo! Non posso andare via, non posso abbandonarlo!”
 
La determinazione nello sguardo di Caspian aveva quasi messo all’angolo il giovane mago.
Lo capiva. Lo capiva fin troppo bene. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di salvare colui che era stato il suo migliore amico. Dopotutto, lui non aveva fatto lo stesso per Artù decine e decine di volte? C’era un sentimento che andava al di là dell’amicizia fra di loro, e lo stesso valeva per Caspian e Mikael. Ma poteva davvero fare qualcosa, ora che del ragazzo non era rimasta che un’ombra sibilante, la parte più nera della sua anima, quella che Miraz aveva incatenato a sé grazie ad un’antica regola della magia? Poteva davvero sperare di liberarlo da quella maledizione e di ricondurlo alla sua esistenza umana?
Probabilmente il modo esisteva, ma sarebbe stato sicuramente legato alla magia, per quello che aveva potuto dedurne.
Dubitava seriamente che Caspian potesse fare qualcosa da solo. Il problema sarebbe stato farglielo capire senza urtare maggiormente la sua estrema sensibilità. A volte, era decisamente meno complicato avere a che fare con un asino come Artù.

“Comprendo fin troppo bene il vostro dolore, Caspian. Cercherei di aiutare anche io il mio migliore amico se ne avessi la possibilità, ma il problema consiste nel fatto che per ora non ne siete in grado. Stare qui è un pericolo per voi, e per tutti noi. Siete la sola speranza che Telmar ha per rivedere la luce. Riesco a percepirla dai vostri occhi. Voi siete la salvezza, ma non ci sarà modo di aiutare nessuno se Miraz dovesse scoprire che vi siete ridestato dal vostro sonno eterno. So che l’ultima cosa che vorreste fare è nascondervi ancora una volta, ma dovete fidarvi di me e di Margareth. Dovete lasciare Telmar e nascondervi nei boschi. E’ l’unica possibilità che avete per fare qualcosa di concreto”.

Non capiva. Davvero non capiva cosa avrebbe potuto fare nascondendosi nei boschi come un codardo.
Cosa sperava? Che gli piombasse un esercito dal cielo e che grazie ad esso riuscisse a sconfiggere Miraz e riportare Telmar alla vita?? Era da folli!

“Cosa credi che potrei fare nei boschi, solo come un idiota? E se ci vedessero? No Merlino, è troppo rischioso. Per te, per me e per Margareth. Io devo rimanere qui e devo poter parlare con Mikael. E’ l’unico modo che ho per salvare tutti!”.

Il giovane mago si era lasciato cadere sul letto, rivolgendo uno sguardo disperato prima a Margareth, che sembrava d’accordo con Caspian, e poi a quest’ultimo che, più determinato che mai, sembrava volesse trafiggerlo con lo sguardo da parte a parte. Non poteva fare niente. Possibile che fosse così cieco da non riuscire a vederlo con i propri occhi?

“Non potete farlo, Caspian. Solo la magia può rompere quell’incantesimo, e voi non avete poteri magici. Margareth neppure, e al momento sono nelle vostre stesse condizioni” – aveva detto, prendendosi la testa fra le mani.
 
Margareth, rimasta in silenzio fino a qualche momento prima, si era avvicinata a Merlino, cominciando ad accarezzargli con dolcezza i morbidi capelli corvini.

“Non disperate, giovane Merlino… Sono certa che troveremo una soluzione… Su, non fate così…” – la sua voce dolce e melodiosa era come un balsamo per le orecchie stanche e provate del piccolo mago. Quanto avrebbe voluto che al posto di quella donna ci fosse stata la sua mamma. Non era mai stato un ragazzino frignone, ma mai come in quel frangente avrebbe gradito un abbraccio caloroso. Ne aveva passate così tante che ancora si meravigliava di non essere crollato come un castello di sabbia sotto il sole cocente dell’estate.
Cosa doveva fare per far capire a quel testone di un principe che doveva mettersi in salvo?

“Non so come fare per aiutarvi, Margareth… Non sono più niente… Non ho più niente da offrire… L’unico modo che ho per salvare Caspian è farlo allontanare da qui. Io purtroppo non ho modo di andare via senza far sì che Miraz se ne accorga… Devo liberarmi di queste…” – aveva detto, mostrandole alla donna e a al principe – “E sono certo che l’unico che può aiutarmi è Giona”.
Le lacrime avevano cominciato a bagnargli di nuovo gli occhi. Se fosse riuscito ad uscire vivo da quella situazione, non avrebbe più versato neanche una goccia salata, lo giurava su ciò che aveva di più caro.
“Su signorino Merlino, non piangete… Ecco, asciugatevi gli occhi” – e l’affettuosa donna gli aveva offerto un lembo del suo lindo grembiule bianco - “Piangere non servirà a nulla!”.
“Grazie…Sei così cara…” – e lo era davvero.

Caspian aveva osservato la scena in silenzio.
Cominciava seriamente a dubitare di ciò che aveva appena affermato con tanta forza. Si era risvegliato dal suo stato comatoso da poco, e di certo non poteva pretendere di saperne più di Merlino e di chi altro si era trovato in quella tremenda situazione prima di lui.
Ma come poteva abbandonare tutto un’altra volta? Era rimasto inerme per anni mentre tutto attorno a lui precipitava inesorabilmente, con quale coraggio sarebbe potuto scappare via, rifugiandosi tra le radici degli alberi secolari di quella che un tempo era la foresta di Narnia?
Era a dir poco impensabile. Abbandonare Mikael era impensabile. Se solo non avesse deciso di aiutarlo, di salvarlo, tutto quello non sarebbe mai accaduto. Se solo non lo avesse trattato come un bambino idiota e non come un sovrano capace di prendersi le sue responsabilità, la città non sarebbe piombata nel buio e nella disperazione. Miraz doveva essere fermato prima che diventasse così potente. Ma, purtroppo, lui non aveva avuto modo di farlo. E suo padre era morto, il suo popolo era decimato, e il suo migliore amico, l’altra metà della sua anima, forse non esisteva più.
Merlino era l’unico di cui poteva fidarsi. L’aveva liberato e nascosto a discapito della sua stessa vita, dunque, come poteva lasciarlo al suo destino? Eppure, sembrava così determinato, così forte, nonostante la sua estrema fragilità. Aveva sulle proprie spalle una responsabilità molto più grande della sua, a ben pensarci.
Miraz l’aveva portato lì con un intento ben preciso, e non sarebbe tardato il momento in cui l’avrebbe raggiunto per riscuotere. Era una situazione da cui non sarebbe stato facile uscire neanche per il più esperto stratega.

Il ragazzo dagli occhi color del mare aveva sollevato la testa, incrociando lo sguardo dubbioso di Caspian.
Era così piccolo, così delicato. Come poteva essere che una creatura come lui riuscisse a nascondere un potere così immenso? Un potere che Miraz voleva usare per i propri scopi malvagi.

“Per te è davvero così importante che io sia al sicuro?” – aveva chiesto, ad un certo punto.
“Non è importante solo per me, Caspian… E’ importante per tutti loro…” – era stata la risposta del giovane mago. Merlino aveva indicato Margareth mentre lo diceva, la donna che continuava ad accarezzargli la spalla con dolcezza – “Siete il legittimo erede al trono. E dovete essere protetto fino alla fine, vostra maestà. E’ quello che farei… è quello che farei anche con Artù”.
Era sincero. Così sincero da commuovere anche il più duro degli esseri umani.
“Facciamo come dici, allora” – aveva detto all’improvviso Caspian – “Andrò nei boschi. Ma non sperare che me ne stia con le mani in mano”.
“Non preoccupatevi!” – aveva trillato Merlino, saltando in piedi dalla gioia – “Non è questo quello che avevo intenzione di fare”.

La fase due del piano stava per essere messa in atto.

*


Dire che Morgana era ancora scossa dall’incubo che aveva avuto la notte precedente sarebbe stato un eufemismo. La dama dagli occhi cerulei aveva accettato di rimettersi in marcia solo perché voleva arrivare a Telmar prima che il suo sogno si avverasse.
Era stato del tutto inutile spiegarle che Caspian era morto anni addietro, e che di certo si era lasciata solo influenzare dai fatti.

“Era reale Artù!” – aveva continuato a ripetere per ore – “Non so come sia possibile, ma Caspian è vivo!”.
“Morgana, è stato solo un sogno!” – aveva ribattuto più volte il fratellastro, esasperato.
“No! Io l’ho visto Artù!” – era stata la sua risposta, mentre spronava ancora di più il proprio destriero – “Caspian è vivo… ed è in pericolo”.

*


Giona stava correndo lungo i corridoi del castello.
Avrebbe voluto piangere ed urlare tutto il dolore che aveva dentro, ma non era quello il momento. Clara era imprigionata ma ancora viva, e aveva un’importante compito da portare a termine. Doveva farlo prima che fosse troppo tardi, prima che Miraz arrivasse a lui.

La paura di non fare in tempo lo stava divorando. Cosa sarebbe accaduto se avesse compiuto i suoi orrendi propositi? Come avrebbe potuto sperare di vedere ancora il sole, e di riunire ciò che rimaneva della sua famiglia distrutta?

“Vi prego Dei, vi prego… Aiutatemi…”.

Ma aveva appena scoperto di non aver fatto in tempo.

“LASCIATEMI! NO! LASCIATEMI!”.

Merlino era stato afferrato con forza dalle guardie, e nonostante tentasse di sfuggire da quella morsa, stava avendo la peggio.
Le sue grida stavano riempiendo l’aria, distruggendo anche la più remota speranza aggrappatasi con forza al cuore stanco e provato di Giona.
Era perduto.
Era tutto perduto.
Miraz avrebbe avuto ciò che voleva. E nessuno, nessuno, sarebbe più stato in grado di fermarlo.

Continua…
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Salve Merliniani!!
Scusate per il ritardo, ma ho dovuto studiare!! In compenso l'esame è andato BENISSIMOOO!!
*.*
La situazione si complica - tanto per cambiare!!
Io corro a scrivere gli altri capitoli!!
Bacini
Cleo

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Capitolo 54
*** Subdoli ricatti ***


Subdoli ricatti


Margareth e Caspian erano riusciti ad oltrepassare la cinta muraria che circondava la città senza farsi vedere da nessuno, per loro grande fortuna. Se c’era una cosa che quella maledetta oscurità permetteva di fare, era proprio scivolare via senza che qualcuno se ne accorgesse, permettendo a chiunque di diventare tutt’uno con essa. E così era stato anche per loro. La servitrice e il principe avevano lasciato il castello da qualche veglia, ormai, inoltrandosi nelle profondità del bosco, ignari di ciò che avrebbero trovato, ma più che coscienti di ciò che si stavano lasciando alle spalle.
Non sapevano fino a che punto sarebbero stati oppressi dall’oscurità, ma per ora non era importante. La loro priorità era quella di fuggire il più lontano possibile dal perfido Miraz e da tutto ciò che sarebbe stato in grado di nuocere alla vita del giovane legittimo erede al trono.

Caspian era silenzioso e teso. Non aveva ancora digerito l’idea di abbandonare Merlino e il suo popolo, nonostante non avesse avuto molta scelta. Quel gesto da codardi poteva salvare tutti, secondo il giovane mago, e per questo, volente o nolente, era stato necessario portarlo a compimento.
Si domandava solo se il piano del ragazzo potesse davvero avere qualche risvolto positivo, o se si trattava solo della speranza di un giovane dal cuore puro ancora convinto che un giorno la luce sarebbe tornata a splendere su di un popolo da troppo tempo oppresso e infelice.

Merlino non era un ragazzo come gli altri, e non solo perché aveva rivelato di essere un mago.
Se davvero esisteva quella luce di cui tanto aveva parlato, essa brillava proprio nei suoi profondi occhi blu.
Il suo aspetto buffo, quasi tenero, celava il grande coraggio instillato nel profondo del suo animo.
Lealtà, bontà, giustizia, amore, erano quelli i sentimenti che brillavano nelle sue splendide iridi color del mare. Sentimenti che rischiavano di essere offuscati dal profondo dolore che più volte lo aveva piegato, senza mai spezzarlo del tutto, però.
Aveva un ricordo piuttosto definito dell’attimo in cui aveva percepito la sua presenza la prima volta, quando ancora era imprigionato nella sua condizione di statua vivente.
Dopo tanti anni trascorsi nella più completa solitudine, dimenticato da tutti e dimentico di tutto, aveva quasi smesso di aspettare il giorno della sua liberazione. La fame, la sete, il freddo, la paura, dopo un primo periodo in cui non avevano fatto altro che tormentarlo, si erano spente, divenendo una sorta di eco lontano, ormai quasi impercettibile. Ma, proprio quando aveva perso ogni speranza, aveva avvertito una presenza buona, una presenza dal cuore colmo d’amore. E quella stessa presenza lo aveva scaldato, quella piccola grande presenza lo aveva scaldato fino a donargli la forza necessaria per muovere le dita intorpidite dalla prolungata immobilità.
Quando la sua voce melodiosa gli era giunta alle orecchie era stata come un balsamo, come un canto che aveva spezzato l’assordante silenzio che per troppo tempo gli aveva fatto compagnia.
Ma l’attimo che non avrebbe mai potuto dimenticare, era stato quello in cui le sue labbra, morbide, carnose, vive, si erano unite alle sue in un bacio casto ed imbarazzato, l’attimo in cui il mago aveva rotto l’incantesimo, permettendogli di riaprire ancora una volta gli occhi su quel mondo che credeva di aver ormai dimenticato.

Quanto strana e piena di sorprese poteva essere la vita? Era poco più di un giorno che Caspian aveva avuto la fortuna di incontrarlo e di fare la sua conoscenza, e invece sembrava che Merlino fosse stato con lui sin dall’alba dei tempi. Era come se fosse in grado di leggergli dentro, di intuire i suoi pensieri, i suoi timori, i suoi desideri.
Ma, allo stesso tempo, non aveva paura di tenergli testa e di dimostrargli concretamente che sfidarlo per lui non sarebbe stato un problema, perché sostenere le proprie tesi fino all’ultimo, se considerate corrette, per lui era fondamentale. In tutta la sua seppur breve esistenza, un’altra sola persona era stata in grado di trattarlo come un suo pari, continuando, seppur stranamente, a dargli del voi, e questo qualcuno era colui che era stato causa e allo stesso tempo effetto del male che aveva distrutto ogni cosa.
Pronunciare il suo nome gli causava ancora troppo dolore. Collegare il suo nome al buio era anche peggio.
E faceva ancora più male sapere che tutto quello era avvenuto solo per salvare lui.

“Dobbiamo fare presto vostra maestà… Dovete nascondervi il più lontano possibile da Telmar!” – aveva esclamato Margareth, voltandosi appena per osservare in viso il giovane principe fuggitivo – “Appena tornerò indietro, metterò in atto ciò che ha detto il signorino Merlino, sperando che gli Dei decidano di venirmi incontro. Ah, principe, sapeste che gioia vedere che siete vivo e state bene!”.

Margareth era così contenta e spaventata allo stesso tempo da non riuscire a tenere a freno la lingua. Era così buffa, avvolta nel suo lungo mantello nero, tutta trafelata e con l’aria di chi aveva visto il fantasma di un defunto parente e lo aveva appena invitato a pranzo. Era a dir poco bizzarro constatare che nonostante la sua notevole mole, era capace di muoversi tra quei rami come un agile cerbiatto. Doveva conoscere molto bene quei luoghi. Caspian era certo che da bambina fosse solita frequentarli con gli amici, e che da ragazza avesse più di una volta usato uno di quei grandi massi come riparo per trascorrere del tempo con il proprio innamorato. Solo che, a quel tempo, era tutto molto più rigoglioso e vivo, mentre ora regnavano solo desolazione e morte.
L’assenza di sole aveva ucciso ogni creatura. Laddove avrebbero dovuto esserci nidi di uccelli, tane di conigli e voli di farfalle, vi erano solo sterpaglie, rovi e alberi senza foglie. Solo chi osava mettersi al posto degli Dei poteva essere così cieco e sordo di fronte alla sofferenza della natura. E Miraz era proprio uno di quegli esseri.

“Siete silenzioso! Non voglio assillarvi con le mie chiacchiere mio signore, ma la gioia che ho nel cuore è incontenibile! Vorrei mettermi a gridare per farlo sapere al mondo intero!”.
“E invece dovrete accontentarvi di bisbigliarlo sottovoce ai pochi abitanti di Telmar che sono scampati alla punizione di Miraz!” – aveva commentato con una punta di tristezza nella voce.
“Sarà in ogni caso un onore!” – era stata la risposta della donna, carica di vivacità e decisione.

Caspian si era limitato a sorridere, anche se con estrema difficoltà.

“Il tempo di sorridere senza timori è vicino vostra maestà. Lo so io, e presto lo saprà tutta la città. Non abbiamo più paura dei soldati, ora che ci siete voi e il signorino Merlino. Sono certa che insieme riuscirete a salvarci, maestà. Lo sento qui, nel cuore!” – e aveva portato entrambe le mani all’altezza dell’appena citata sede dei sentimenti umani – “Dobbiamo solo fare presto! Così voi sarete al sicuro, ed io potrò tornare indietro prima che qualcuno si accorga della mia assenza! E poi, non me la sento di lasciare ancora il signorino Merlino da solo in quel posto così pericoloso... Non vorrei che quel maiale schifoso di Sopespian cercasse ancora di… Oh bè, avete capito!”.

Aveva capito fin troppo bene, e la rabbia aveva preso il completo sopravvento sull’imbarazzo. Come si poteva costringere qualcuno a giacere contro la propria volontà? Sopespian doveva essere punito severamente. E che gli Dei non gliene volessero, ma sarebbe stato uno dei primi a saggiare il filo della sua lama.

“Torna indietro” – aveva detto all’improvviso, fermandosi di colpo.
“Ma, vostra altezza, ancora non siamo abbastanza lontani! Non posso lasciarvi!”.
“Puoi, invece. Anzi, devi, visto che si tratta di un ordine. Sono certo che il confine non è lontano. Ho esplorato questi boschi centinaia di volte da bambino, e anche se sono molto diversi, non posso perdermi. Merlino, al contrario, è solo e costantemente in pericolo. Non voglio che resti senza compagnia troppo a lungo. Torna a Telmar, riunisci il mio popolo, e di loro che Caspian è tornato, e che è pronto a guidarli verso la battaglia. Io proseguirò con il mio viaggio. Nel frattempo, Merlino dovrà trovare il modo di liberarsi di quelle oscenità che deturpano il suo essere. Solo a quel punto saremo davvero pronti”.

Sembrava all’improvviso diventato un altro: da ragazzo spaventato e timido, sembrava essersi trasformato in un uomo cosciente dei proprio oneri e onori. Sembrava il ritratto di suo padre, il ritratto del re saggio e giusto che per tanto tempo aveva governato su di una Telmar prospera e felice.

“Come desiderate, vostra maestà…” – aveva detto con un filo di voce, avvicinandosi a lui e posandogli con dolcezza la mano nodosa sulla guancia – “Siete un uomo meraviglioso, e un giorno, sarete un sovrano giusto, amato e rispettato da tutti”.
“Lo spero, mia cara”.
“Ne sono sicura…” – e aveva cominciato a percorrere il tragitto che l’avrebbe ricondotta a Temar, lasciando Caspian da solo con il suo destino.
“Vostra maestà” – aveva però chiamato, a voce piuttosto alta, stringendosi maggiormente addosso il velo nero che le fasciava il capo – “E’ per lui che lo fate, non è vero?”.
Il riferimento di Margareth era stato inequivocabile. Come ci si poteva sbagliare, del resto, visto che la situazione era molto simile a quella già vissuta in passato?
“Non finirà come… come Mikael. Non lo permetterò. Miraz si è già preso tutto una volta. Non accadrà di nuovo. Proprio per questo devi fare presto! Ti prego, corri, aiuta Merlino e prepara tutti all’assalto. Cercherò di tornare entro tre giorni massimo, te lo prometto”.
E si erano finalmente dati il vero commiato.

Caspian era completamente solo. Solo, e ai confini del bosco che tante volte aveva attraversato da ragazzo accanto al suo amato padre, o in compagnia del suo caro amico Mikael. Era ai confini del buio, ai confini del male, ai confini del dolore.
Ma cosa ci sarebbe stato oltre?
Altra solitudine, altro dolore?

Il giovane principe non aveva idea che due piccoli occhi scuri lo stessero osservando dall’altra parte, oltre quei confini del bosco che presto avrebbe definitivamente raggiunto.

*

Merlino era a dir poco terrorizzato. Era stato trascinato con la forza nelle stanze dell’usurpatore, negli appartamenti del mostro che lo aveva costretto alla prigionia e al terrore.
Che cosa voleva Miraz da lui? Che cosa voleva in quell’esatto frangente?
Che si fosse accorto di Caspian? Che avesse sentito i discorsi affrontati con il buon Giona e la determinata Clara? E che ne era di loro due? Cosa aveva fatto ai suoi amici?

Le camere di Miraz erano di dimensioni abnormi. A Camelot, le stanze di Uther erano grandi, ma non avevano niente a che fare con quelle in cui era appena stato condotto.
Ogni cosa era drappeggiata di nero e argento, comprese le tende e il pesante baldacchino che circondava l’ampio letto rettangolare. Accanto ad una delle grandi vetrate, vi era posizionata una libreria grande quanto l’intera parete, piena di volumi di ogni dimensione e ogni genere. Ogni tavolo, ogni davanzale, era adorno con vasi colmi di rose nere freschissime. Come potessero fiorire simili lugubri meraviglie in assenza del sole era un vero mistero.

Miraz era seduto in maniera scomposta sull’ampio scranno posizionato accanto al lungo tavolo imbandito con le più squisite leccornie. Impeccabile nell’aspetto, non aveva staccato neanche per un attimo gli occhi famelici dal corpicino delicato e tremante del piccolo mago spaventato. Le luci delle centinaia di candele che rischiaravano l’ambiente riflettevano sui suoi abiti e nelle sue pupille, rendendo il suo aspetto ancora più inquietante e sinistro.
Era solo, vostra maestà.
Solo e tremendamente adirato.
Merlino stava seriamente iniziando a temere il peggio.

“Mi scuso con te per la poca attenzione che ti ho rivolto in questo periodo. Non sono mai stato così scortese con un mio ospite, ma le circostanze mi sono state avverse, in questi ultimi giorni”.

Aveva pronunciato tutto d’un fiato, senza staccare neanche per un secondo le sue dannate iridi nere da quelle color del mare di Merlino.

“Spero in ogni caso che tu non abbia avuto alcun tipo di problema, mio giovane amico! Coraggio, vieni! Siediti qui, accanto a me! Non si può parlare di affari in piedi, non trovi?” – e aveva indicato l’altro scranno, decisamente di dimensioni più misere rispetto al suo, battendo due volte sul morbido bracciolo.

Il ragazzo, dopo aver deglutito rumorosamente, si era avvicinato a piccoli passi. Non avrebbe mai voluto farlo, ma non aveva molta scelta. Non poteva difendersi, e farlo arrabbiare non sarebbe stato l’ideale. Nonostante la paura, avrebbe dovuto trovare il coraggio. Doveva farlo per Telmar. Doveva farlo per Caspian.

“Apprezzo questo tuo nuovo temperamento così docile, piccino… Ti rende più affascinante, e evita di farmi perdere del tempo prezioso, non trovi? Ma vieni più vicino! Non mordo mica, sai?” – e aveva tirato lo scranno dal bracciolo, portandolo a pochi centimetri dal suo. Da quella posizione, aveva il controllo totale sul povero ragazzo spaventato. Come poteva essere che un solo uomo instillasse tanta paura?
“Bene, piccino, finalmente siamo soli! Mi mancava questa atmosfera… intima! A te no?”.
Certo che non gli mancava! Gli metteva la pelle d’oca la sua vicinanza. No, non gli mancava affatto!
“Sei proprio di poche parole, quest’oggi, eh piccolo?” – aveva detto, allungando la mano fino a sfiorare la chioma di Merlino che era rabbrividito al suo gelido tocco.
Istintivamente, aveva chiuso gli occhi dal ribrezzo. Ma perché tutti avevano quella mania di toccarlo contro la sua volontà?
“Mio re…”.
“Provi ancora ribrezzo, non è così?”.

Il tono glaciale di Miraz lo aveva fatto trasalire. Non era in grado di nascondere le proprie emozioni, purtroppo per lui, e in quelle occasioni non era affatto l’ideale essere trasparenti come una fonte d’acqua pura.

“No! No vostra maestà… Io… Non provo ribrezzo”.

L’usurpatore aveva chiuso gli occhi, rimanendo per un lungo istante in silenzio. Merlino era terrorizzato. Cosa doveva aspettarsi da una reazione simile?

“Bugiardo” – aveva sibilato all’improvviso dopo un lasso di tempo infinito.
“Che… Che cosa? No!”.
“BUGIARDO!” – e, tremante di rabbia, aveva stretto la presa sulla piccola spalla ossuta di Merlino, costringendolo ad inginocchiarsi di fronte a lui.
“Maestà…”.
“Sta zitto! Non peggiorare la tua situazione ragazzino!”.

Con un brusco gesto, Miraz lo aveva sollevato per le spalle, portandolo a pochi centimetri dal suo viso distorto dall’odio.

“Tra qualche minuto arriverà l’inventore dei bellissimi gioielli che porti ai polsi, ed inibirà per qualche veglia il loro potere, permettendoti di assolvere il compito per cui sei stato portato qui”.
 
A quelle parole, il mago era sbiancato. Non pensava che quel momento sarebbe arrivato tanto presto.

“Vostra altezza, io…”.
“Tu farai esattamente quello che ti dirò. O il tuo adorato amichetto dalla capigliatura dorata non sopravvivrà a lungo”.
“Che-che cosa??”.
“Credi davvero che io sia così sprovveduto, piccolino mio?” – e lo aveva sollevato maggiormente, avvicinando le labbra al buffo orecchio di Merlino – “Ho fatto in modo che la persona di cui il tuo bell’Artù si fida di più sia sotto il mio controllo… Credimi piccino, mi basta pronunciare una parola, e il tuo bel principe si ritroverà con la gola tagliata senza avere il tempo di rendersene conto”.
“No…! Non potete farlo! Non potete! Per favore, non fate del male ad Artù!”.

Mostro. Era un mostro! Come poteva vincere contro una creatura del genere? A quel punto, era felice di aver convinto Caspian a fuggire lontano. Doveva solo trovare il modo di non farlo tornare più indietro.

“Sì, invece. Dunque, lo farai non è così? Perché tu tieni a lui più della tua stessa vita. Ho ragione, Merlino?” – e senza dargli la possibilità di reagire, aveva posato le labbra sulle sue, premendo con forza su quella bocca tremante che ancora tremava sotto il tocco malvagio dell’uomo dal cuore nero.

Ancora una volta, era stato messo con le spalle al muro. Ancora una volta, era stato ferito, usato e umiliato.
Ancora una volta, era stata messa in pericolo una persona a lui cara. Ancora una volta, si era chiesto perché non avesse trovato il coraggio di gettarsi dalla finestra e porre fine alla propria vita, quella volta in cui ne aveva avuto l’occasione.

Continua…
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Ed eccoci qui con un nuovo capitolo!
Miraz ha sempre un asso nella manica, a quanto sembra... Mostro! Farà davvero ciò che ha minacciato? E Merlino, cosa deciderà di fare?
Ovviamente, lo scorpriremo presto!
Bacioni
Cleo

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Capitolo 55
*** Il leone dorato ***


Il leone dorato


Caspian aveva preso coraggio ed era riuscito ad oltrepassare il confine, anche se con il cuore in gola. Era stato un immenso sollievo poter posare la suola del proprio stivale sulla soffice erba che gli si stagliava davanti.
Per un attimo, aveva perso il controllo di sé nell’immergersi nella meravigliosa natura incontaminata che si estendeva oltre i confini di Telmar. Era come se tra i due territori ci fosse una sorta di barriera trasparente che separava la parte morta e avvolta dalle tenebre di Telmar dallo splendore e la luminosità dei territori limitrofi, dallo splendore dei boschi che un tempo appartenevano a Narnia.
Per un attimo, si era convinto di essere finito in uno di quei disegni che il suo vecchio maestro custodiva gelosamente, disegni in cui sole e luna venivano rappresentati vicini, così vicini da poter convivere allo stesso momento.
Si augurava solo che le cose non rimanessero come in quei disegni dai fulvidi colori: sperava che le due realtà si fondessero e che l’uno cedesse all’atro un po’ di luce da una parte e un po’ di oscurità dall’altra, fino a raggiungere quell’equilibrio che per millenni aveva regnato sul mondo.

Caspian era finalmente libero. Libero di vedere quale fosse la verità, libero di vedere quali conseguenze avessero portato le azioni scellerate di un uomo dal cuore nero.
Perché quella non era più Narnia. O, perlomeno, non era più la Narnia che ricordava. Gli alberi erano immobili, non danzavano più, gli animali se ne stavano nascosti, non si vedevano le ninfe cantare, e non si sentivano gli zoccoli dei lontani e saggi centauri che incontravano il terreno morbido e a tratti coperto da foglie e rametti.
Non c’era niente di tutto ciò. Ogni cosa sembrava morta, priva di vita, nonostante l’enorme differenza che c’era con Telmar.
 
Si sentiva tremendamente colpevole. Era solo a causa sua se tutto era caduto in rovina, se tutto si era spento, perdendo quell’alito di vita che il grande e potente Aslan aveva donato ad ogni creatura, scegliendone alcune predilette fra le altre.
Il figlio di Adamo aveva rovinato ogni cosa. Quel figlio di Adamo che avrebbe dovuto preservare il popolo su cui poteva esercitare la propria autorità, l’aveva ferito, tradito e abbandonato per rintanarsi in un sonno durato anni.
Non sapeva ancora come avrebbe fatto per compiere la seconda parte del piano di Merlino, né se c’era anche una sola possibilità di riuscita.
Dopotutto, come si poteva scovare il leone leggendario, il re dei re, il fondatore della terra meravigliosa che Miraz aveva deciso di sottomettere e distruggere?

Non aveva potuto non sorridere nel ripensare alla leggenda raccontatagli dal suo maestro, la leggenda che narrava dei prodigi del corno donato alla regina Susan.

Se qualcuno dovesse avere bisogno di aiuto, suonando questo corno riceverà tutto l’aiuto che Narnia può dargli.

Gli sarebbe tanto piaciuto averlo con sé, anche se dubitava tantissimo che in quel frangente un miracolo avrebbe potuto aiutarlo.

Il ricordo di quel consiglio lo aveva profondamente turbato.
Una volta, da bambini, lui e Mikael avevano rubato uno dei corni del padre di Caspian e avevano trascorso l’intera giornata nei boschi a giocare, fingendosi l’uno il leggendario re Peter e l’altro un potente stregone buono che aveva suonato il corno per chiamarlo e per farsi aiutare ad uccidere il cattivo di turno.
Erano i ricordi più vividi che aveva, i ricordi puri e innocenti di un bambino che guardava il mondo con speranza e con gioia di vivere e di fare scoperte che a quell’età sembrano sensazionali.
Avrebbe tanto voluto avere l’opportunità di tornare indietro, il giovane Caspian, di tornare a quando era bambino, per riavere Mikael, suo padre, e tutti i cari che non erano più lì con lui e che non avrebbe mai più avuto l’opportunità di rivedere, nonostante sapesse che quella speranza era vana.
Ma in cosa avrebbe dovuto sperare, allora? Nella vendetta? Non sarebbe stato da lui.
La verità era che, nonostante tutto ciò che aveva dovuto subire per colpa di Miraz, lui non se la sentiva di privarlo della vita. Quel gesto lo avrebbe reso simile a lui, e per nessuna regione al mondo avrebbe voluto essere identico alla causa di tutti i mali del mondo in cui viveva.
Non si era spinto fin lì per cercare vendetta: aveva varcato i confini di Narnia per cercare la tanto agognata giustizia.
Per questo, nonostante la stanchezza e il timore - che era diventato il suo più fidato compagno di viaggio -  aveva deciso di non fermarsi a riposare. C’era un leone leggendario a cui chiedere aiuto, e lui lo avrebbe trovato ad ogni costo.

*


Merlino non riusciva a credere che quel momento fosse arrivato per davvero. E non poteva credere di essere sul punto di farlo per davvero. Non dopo tutto quello che aveva fatto per evitarlo, non dopo tutto quello per cui aveva lottato. Aveva subito violenze fisiche, psicologiche, aveva visto i suoi cari rischiare la morte, non sapeva ancora quale fosse stata la sorte del caro Gaius, e sapeva di per certo che non avrebbe mai più rivisto Artù.

Come aveva fatto a cacciarsi in quel guaio? Come aveva potuto essere talmente ingenuo da usare la magia tra le mura di Camelot, facendosi così scoprire e incatenare come una bestia da una vera bestia senza cuore che presto avrebbe avuto a propria disposizione la vita eterna?

Miraz lo aveva trascinato di peso nel laboratorio di Giona, imponendogli ancora una volta la propria volontà, ribadendogli quale sarebbe stata la sorte di Artù in caso di un ulteriore ritardo o di un eventuale rifiuto da parte sua. Come poteva rifiutarsi, arrivato a quel punto?
Ma come poteva dirgli di sì essendo a conoscenza dell’anima nera di quel mostro che sarebbe stato costretto a servire?

“Spero vivamente che non ci saranno ulteriori esitazioni da parte tua, giovane mago. Sono stanco di attendere. Sai cosa voglio. E sai quando lo voglio. Sono stato chiaro, micino?”.

Miraz continuava a tenere Merlino fermo per le spalle, posandovi sopra le sue pensati mani callose, stringendole con forza. I pollici massaggiavano con decisione le scapole ossute, e la barba pungeva la nuca candida del ragazzo, facendolo rabbrividire. Non riusciva a controllare le proprie reazioni quando si trattava del perfido usurpatore. Il ribrezzo provato non era dissimile da quello che aveva avvertito con Sopespian.
Perché quegli esseri lo trovavano così interessante? Perché bramavano il suo corpo, le sue arti, le sue doti? Cosa aveva di così speciale? Possibile che sulla faccia della terra non esistesse un altro mago più bello e più potente? Non era così crudele da augurare tutto quel dolore ad un altro uomo, ad un altro ragazzo, ma non poteva non chiedersi perché gli fosse capitato tutto quello.
Forse, Gaius o il drago gli avrebbero detto che era stato lui a dover subire perché aveva spalle più larghe e forti, ma in quel momento non gli sembrava affatto così. Il peso di Miraz lo stava letteralmente schiacciando.

“Mio re… Io non so eseguire questo tipo di incantesimo” – aveva tentato ancora, nonostante sapesse che ogni sforzo fosse vano.
“Non credo che tu stia dicendo il vero, piccolo mio. Comprendo i tuoi timori, la tua reticenza, ma ti consiglio di continuare a pensare ad Artù. Sarebbe davvero spiacevole se gli accadesse qualcosa, non credi?”.

Mostro. Era un mostro spietato. Un mostro che traeva piacere nel tormentare i poveri indifesi. Non aveva nessun’anima Miraz, non aveva nessun cuore. E presto, quando l’incantesimo sarebbe stato portato a compimento, sarebbe stato senza un cuore anche lui, perché Miraz l’usurpatore lo avrebbe distrutto così come si distrugge un gigante dai piedi d’argilla.

*


Artù era stanco, così stanco che quasi faticava a tenere gli occhi aperti. Non aveva riposato molto durante la notte, e il blaterare di Morgana non lo aveva per niente tranquillizzato.
Non aveva mai dato molto peso ai sogni. Essendo un cavaliere, un uomo di mondo, era pragmatico, e di certo sarebbe stato fuori luogo per uno come lui dare retta a ciò che la mente contorta di una donna produceva durante il sonno.
Ma come poteva ignorare del tutto le parole della sua amata e allo stesso tempo odiata sorellastra? La loro meta era sconosciuta, e le difficoltà sarebbero di certo spuntate al più presto. Inutile considerarsi un uomo fortunato, men che meno in quelle circostanze. Di certo, non avrebbe rinunciato. Durante i suoi viaggi era solito avere un compagno, compagno che ora mancava all’appello per colpa della crudeltà di un uomo malvagio.

‘ Resisti Merlino, ti prego. Resisti solo un altro po’. Sto arrivando ‘.

Sperava davvero di riuscire ad arrivare in tempo, perché in cuor suo sapeva che Morgana aveva ragione: anche se Caspian era morto, era Merlino quello ad essere in pericolo.

Morgana era profondamente turbata.
Il terribile sogno che aveva fatto qualche veglia addietro l’aveva del tutto spaesata, facendole desiderare di arrivare a destinazione il più presto possibile.
Per di più, continuava a provare la terribile sensazione che qualcosa non fosse così come doveva essere.
Era quasi come se accanto a loro ci fosse un’entità malvagia, qualcosa che continuasse a seguirli e tenerli sotto scacco, ingannandoli, manovrandoli, rendendoli simili a delle pedine di un gioco per loro troppo grande.
E, purtroppo, Morgana non si sentiva al sicuro neanche con al suo fianco Artù e Sir Leon.
Sperava solo che Telmar non fosse troppo lontana. Quel viaggio stava diventando troppo simile ad una marcia funebre. Non poteva credere che la meta potesse essere la loro imminente tomba.

*
Caspian aveva camminato per così tante veglie che era convinto di aver consumato le suole dei suoi stivali nuovi. Le gambe gli dolevano, e quasi non riusciva più a muovere un altro passo, ma aveva comunque deciso di non fermarsi. Ma dove poteva essere Aslan? Dove poteva essere il fondatore di Narnia?
E soprattutto, si sarebbe mai rivelato a lui?

Ancora una volta, aveva posato con delicatezza il palmo della mano sulla corteccia di un albero, sperando di ricevere un qualsiasi tipo di segnale, ma fino ad allora non era accaduto niente del genere.

“Dove siete, Aslan? Re dei re, dove posso trovarvi?” – aveva chiesto ancora una volta, spostando lo sguardo attorno a sé nella speranza di avere una risposta. Risposta che continuava a non arrivare.

Sconfortato, si era accasciato con la schiena contro il tronco dell’albero, lasciandosi scivolare fino a terra.
Aveva fallito? Sinceramente, non lo sapeva, ma non aveva davvero idea di che pesci poter prendere.
Merlino si fidava di lui. Margareth si fidava di lui. La simpatica cameriera aveva di certo raggiunto nuovamente Telmar a quel punto, e di conseguenza ciò che rimaneva del suo popolo avrebbe di certo sperato di ricevere presto sue notizie. Ma lui non aveva ancora portato a termine il proprio compito, e non sapeva se ci sarebbe mai riuscito. Con quale coraggio sarebbe tornato indietro? Di certo non avrebbe abbandonato i superstiti alla furia di Miraz. Volente o nolente, solo, o con l’aiuto di qualcuno, avrebbe dato del filo da torcere all’usurpatore. Era un principe e avrebbe fatto di tutto per mantenere fede ai propri doveri.
Così, cercando di non perdersi d’animo, si era rimesso in piedi, incamminandosi ancora una volta verso quell’incerto sentiero che sperava potesse condurlo da Aslan. Doveva tentare almeno un’altra volta. Una sola. Poi sarebbe tornato a casa senza nascondersi, perché era quello che faceva un vero principe.

Ma, proprio mentre aveva ricominciato a muovere i primi passi, qualcosa gli era letteralmente cozzato addosso, qualcosa di piccolo e morbido che ora se ne stava ansimante tra le sue mani.

“Un cardellino?” – Caspian non capiva come mai un cardellino potesse essersi ridotto in quello stato – “Piccolino, che cosa ti è successo? Sei sfinito!” – e lo aveva accarezzato dolcemente sulla piccola testolina, aiutandolo a rimettersi dritto sulle zampette minuscole.
Non teneva in mano una creatura così morbida da quando era bambino. Eppure, a ben vederla, non sembrava una creatura come tutte le altre. Ma come poteva esserlo se si trovava a Narnia?

“Merlino!” – aveva trillato ad un certo punto il cardellino, facendo sussultare un Caspian incredulo.
“Che cosa-cosa hai detto?” – l’uccellino aveva davvero pronunciato il nome di una persona che lui conosceva, o aveva forse sognato?
“Merlino!” – aveva ripetuto.
D’un tratto, Caspian aveva avuto come un’illuminazione.
“Ma certo! Certo! Tu sei Mercurio! Mercurio, io sono Caspian! Merlino sta bene, puoi parlare con me!” – era a dir poco su di giri! Il messaggero era tornato, ma avrebbe portato loro buone notizie? E soprattutto, avrebbe parlato con lui?
L’uccellino lo guardava con i suoi piccoli occhi scuri, girando il capo da un lato all’altro, come se stesse cercando di studiarlo.
“Merlino!” – era stata la sua ennesima parola.
“Lo so piccolo, so che devi parlare con Merlino! Ma puoi fidarti di me! Sono Caspian, il principe! Sono un amico di Merlino! Lui è al castello, con Giona e Clara, mentre io sto cercando il tuo signore, Aslan. Ti prego, tu sai dirmi dov’è Aslan?”.
Forse, quella era l’unica speranza che aveva di trovare il leggendario leone.
Ma il piccolo stentava a capire, evidentemente, perché continuava a non rispondere e a girare il capo da un lato e dall’altro.
“Ti prego piccolo, sei l’unico che puoi aiutarmi. Per favore, dimmi dove posso trovare Aslan!”.

Mercurio, allora, aveva rivolto un ultimo sguardo al giovane principe, e si era librato in volo, cominciando a cantare con tanto ardore da produrre un suono talmente bello da non sembrare appartenente a quel mondo.
Caspian ne era affascinato. Quella creaturina così piccola aveva in sé una forza da fare quasi invidia.
Era un vero dono poterla osservare. Un privilegio poter godere del suo canto.
E poi, all’improvviso, le fronde degli alberi avevano cominciato a danzare, e un vento leggero si era insinuato tra esse e i suoi capelli, creando una magia che non credeva possibile. Tutto attorno a loro stava riprendendo vita, tutto stava vibrando, proprio come il cuore di Caspian. La speranza aveva nuovamente invaso ogni parte di sé, dandogli nuova vita.
Forse, non tutto era perduto.

*


Il fedele destriero di Artù era sfiancato, ma continuava la sua corsa sfrenata. Non potevano fermarsi, e sembrava che l’animale lo avesse capito.
Ma, proprio mentre stava per saltare un tronco caduto di traverso, si era bloccato all’improvviso, rischiando quasi di disarcionare il prode Artù.

“Ehi! Ma che fai, bello? Buono! Buono!” – ma il cavallo era nervoso, troppo per essere solo stanco.
“Artù, cosa succede?” – aveva chiesto Sir Leon, portandosi accanto a lui.
“Non lo so, il cavallo è nervoso! Sta buono!”.
Ma, con sua grande sorpresa, anche i destrieri di lady Morgana e del suo fido cavaliere avevano cominciato ad agitarsi.
“Ma che succede? Perché fanno così? Che ci sia in giro qualche bestia??” – aveva chiesto una Morgana allarmata.
“Non credo mia signora… Se ce ne fossero ne avremmo già incontrate, fidatevi!” – era stata la risposta di sir Leon.
Eppure, con sua grande meraviglia, aveva dovuto ricredersi qualche attimo dopo, proprio quando Artù aveva indicato un punto tra gli alberi, incredulo.
Non poteva essere, eppure, era proprio così. Quello che aveva davanti, era uno splendido, maestoso leone dorato.

*


Caspian non riusciva a credere ai proprio occhi. Era tutto talmente bello e perfetto da essere persino troppo per un semplice uomo.
La natura si era finalmente svegliata, e aveva ricominciato a cantare, proprio come il piccolo Mercurio che, con un’esperta virata, era planato dolcemente sulla criniera di colui che il principe stava cercando.

“Aslan…” – aveva sussurrato, incredulo. Quello era Alsan. Aveva finalmente trovato colui che cercava.
E, a quanto sembrava non aveva trovato solo quello.
Dietro di lui, come provenienti da un sogno, si stagliavano le figure di due cavalieri e di una splendida dama dai capelli corvini che lo osservavano con un’espressione che doveva essere simile alla sua.
A quel punto, il suo cuore era colmo di una gioia che non avrebbe mai più creduto di provare: non solo aveva trovato Aslan. Caspian aveva trovato molto, molto di più.

Continua…
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Merlinianiiii!!! Salute a voiiii!!
Come ve la passate?? Ovviamente, sono in super-ritardo, ma che ne pensate della geniale idea dei miei di mettersi a fare i lavori in casa con questo caldo e durante la sessione d'esame?? -.-' No comment, davvero!!
Torniamo a noi, questo è il capitolo numero 55. Mamma mia, 5 capitoli, l'epilogo, e saremo arrivati alla fine di questa epopea che si protrae da più di un anno!! Sono a dir poco emozionata!
Ma secondo voi, Merlino eseguirà l'incantesimo o no??
E come sarà la convivenza tra Caspian e Artù?? Saranno invidiosi l'uno dell'altro? Entreranno in competizione per il cuore di Merlino?? Dopotutto, in questa storia Freya non esiste, e Merlino ha dato il suo primo bacio al giovane erede di Telmar!! *.*
Chissà se riuscirò a riassumere tutto quello che vi devo dire in 6 capitoli! XD
Ora scappo via!! Lo studio mi attende!!
Grazie per essere rimasti con me fino ad ora!!
Bacioni
Vi adoro!!
Cleo

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Capitolo 56
*** I due figli di Adamo ***


I due figli di Adamo


Non era possibile. Non era semplicemente possibile. Era troppo bello per poter essere vero, troppo bello e troppo inaspettato.
Ma non c’erano dubbi. Per quanto il ragazzo cercasse di convincersi del contrario, quello che aveva di fronte era proprio il magnifico Aslan. E non erano solo i suoi occhi a confermare la sua presenza: più che lo sguardo, era il suo animo a confermare l’identità del maestoso leone. Una sensazione di gioia e benessere, quasi di beatitudine lo aveva pervaso da capo a piedi, facendolo sentire finalmente felice dopo tanto tempo.
Ce l’aveva fatta, l’aveva trovato per davvero! Aveva trovato il grande e possente Aslan, il giusto, il magnanimo re dei re. Finalmente, poteva tornare indietro e sconfiggere il mostro che aveva condannato tutti alla schiavitù.

Artù non poteva credere ai propri occhi. Quello che aveva davanti e che vedeva come attraverso una sorta di alone in movimento era un leone, un leone in carne e ossa, con tanto di zanne, criniera e artigli ricurvi. Ma cosa ci faceva un leone nel bel mezzo del bosco? E soprattutto, perché era convinto che non ci fosse posto più giusto di quello per imbattersi in lui?
Si sentiva stranamente bene. Era come se tutti i timori, tutte le angosce, fossero scomparse all’improvviso, lasciando posto ad una sorta di benessere che aveva provato solo in rarissime occasioni, quelle in cui si era ritrovato da solo con Merlino. Gli sembrava di aver trovato un motivo in più per lottare e non arrendersi. E la cosa sbalorditiva, era che doveva dare il merito di tutto a quell’enorme leone dalla criniera dorata.

Morgana e sir Leon non avevano avuto il coraggio di avvicinarsi. Per quanto quella creatura fosse meravigliosa e non sembrasse avere intenzione di attaccarli, incuteva in loro un timore mai provato prima di allora.
La maestosità della bestia faceva venire i brividi. Speravano solo di poter andare via da lì il più presto possibile.

Ma la cosa che più di tutte aveva sconvolto i due cavalieri e la dama, era stata l’apparizione improvvisa di un giovane dai lunghi capelli scuri e dal viso bello come quello di un angelo.
Artù era certo di non averlo mai visto prima di allora, eppure, era come se già lo conoscesse. C’era qualcosa di familiare in lui, qualcosa che gli sembrava di conoscere già da tempo. Ma come aveva fatto ad arrivare fino a lì dal nulla, in maniera ancora più bizzarra rispetto a come aveva fatto il leone? Era ansioso di scoprirlo.

Ad un’occhiata più attenta, il giovane principe di Camelot si era accorto che sulla criniera del leone si era adagiato un piccolo uccellino, un uccellino che conosceva fin troppo bene.

“Aslan! Aslan!” – aveva cinguettato il piccolo, zampettando felice fra il morbido e folto crine, così folto che sembrava quasi soffocarlo.
“Aslan! Aslan!” – aveva ripetuto ancora una volta.

“Aslan?” – si era domandato Artù, capendo immediatamente il significato di quel nome – “Aslan!”.

Ed ecco che il leone aveva ruggito, e i cavalli si erano impennati in saluto, prima di chinare il capo di fronte all’essere che avevano di fronte.
La rivalsa stava per avere inizio.

*


“Avvicinatevi, figli di Adamo” – aveva detto il leone con la sua voce calma, severa e allo stesso tempo profonda e rassicurante. Mai nella loro vita avrebbero pensato di sentir parlare un leone. Ma quello non era un leone qualunque, no affatto. Quello era il signore di Narnia, il re dei re, l’essere più giusto che mai aveva messo piede sulla faccia della terra. Un essere che aveva intimorito e nello stesso tempo reso fieri gran parte dei presenti.

Artù e Caspian si era guardati a lungo, cercando approvazione l’uno nello sguardo dell’altro. Erano in quattro in quel bosco, eppure, i due giovani principi erano certi che Aslan si stesse riferendo proprio a loro con quello strano appellativo.
In ogni caso, Morgana e sir Leon non avevano avuto alcune intenzione di avvicinarsi: il leone faceva loro troppa paura per poter commettere una simile imprudenza.

“Artù, non mi pare il caso…” – aveva detto Morgana, cercando di far indietreggiare il suo cavallo che, tuttavia, non aveva la benché minima intenzione di muovere neanche un passo.

“Figli di Adamo, vi prego, avvicinatevi” – aveva ripetuto il leone, assumendo un’espressione che poteva somigliare molto ad una specie di sorriso. Ma gli animali potevano sorridere? Magari quelli comuni no, ma Aslan non aveva davvero niente di comune!

Caspian provava l’ardente desiderio di obbedire alla richiesta fatta loro dal possente Aslan, ma allo stesso tempo sentiva di non essere degno. Dalla sua memoria erano pian piano riaffiorati i ricordi dei racconti sui leggendari re e le regine di Narnia: quell’appellativo era riservato ai due re. Loro erano i figli di Adamo, i sovrani di Narnia. Perché Aslan si era rivolto a loro con quell’espressione?

“Figli miei, non è mia intenzione farvi del male. Vi prego, non abbiate timore, e venite da me. Narnia ha bisogno di voi”.

Quell’appello era stato troppo accorato per poter far finta di non averlo sentito. Così, con passo incerto, Caspian aveva cominciato ad avvicinarsi ad Aslan nello stesso istante in cui Artù era smontato da cavallo.

“Artù, no!” – aveva urlato Morgana, ma inutilmente: il principe di Camelot non si sarebbe fermato.

Con il cuore pieno di timore e di forza allo stesso tempo, i due principi si erano avvicinati al grande e maestoso leone, inchinandosi una volta arrivati a pochi metri da lui.
Aslan sembrava soddisfatto ed orgoglioso di loro.
Con estrema dolcezza, si era rivolto prima a Caspian, parlando con la sua voce melodiosa.

“Figlio di Adamo, il tuo cuore è puro come le sorgenti di montagna. Hai sempre difeso la magia buona e tutte le creature del mio regno. Per amore, hai accettato la più crudele delle punizioni, ma ora sei qui, con me, ed ogni cosa tornerà al suo posto”.

Le parole di Aslan avevano raggiunto il cuore del principe, portandolo sull’orlo delle lacrime.

“Non merito queste parole, mio signore. Non ne sono degno. Ho abbandonato il mio popolo, l’ho lasciato in balia dell’odio e del buio. Tutto è caduto in rovina, ed è successo solo per causa mia. Vorrei non essere più in vita”.

Gli occhi del grande leone dorato si erano velati di lacrime: quanto grande era il dolore di quel giovane sovrano? Quanto grande era il suo senso di colpa?

“Non dire così, figlio di Adamo. Il tuo popolo ha bisogno di te. L’usurpatore non detterà legge ancora per molto, e sarà tutto merito tuo se il buio cesserà di esistere. Il tuo cuore puro e un aiuto inaspettato ti permetteranno di riprenderti ciò che è tuo di diritto” – e aveva soffiato sul capo ancora chino del giovane principe, che, investito da quel soffio caldo e ristoratore, si era sentito rinato. Ora sapeva che ce l’avrebbe fatta.

“E tu, figlio di Adamo” – aveva detto poi, rivolgendosi ad Artù – “Le tue intenzioni sono nobili proprio come la tua casata, anche se il tuo cuore è ancora confuso”.

Il biondo e borioso principe si era sentito sprofondare. Non solo era inginocchiato davanti ad un leone parlante, per giunta quel leone sembrava essere in grado di leggere nel suo animo. Si sentiva tremendamente vulnerabile.

“Non devi vergognarti di quello che provi, figlio di Adamo. L’amore è amore, in qualsiasi sua forma. Devi solo imparare ad avere maggiore fiducia anche nelle cose che non riesci a comprendere. La magia non è sempre crudele come pensi. Presto capirai cosa intendo”.

Ringraziava il cielo di essere a capo chino, perché non avrebbe sopportato che gli altri vedessero il rossore sulle sue guance. Non aveva mai provato simili emozioni in vita sua prima di allora, e non voleva che gli altri leggessero i suoi tormenti.

E poi, proprio come aveva fatto con Caspian, Aslan aveva soffiato sul capo di Artù, e all’improvviso, tutti i timori erano svaniti. Si sentiva un uomo nuovo, un uomo diverso, un uomo che non aveva più paura di interpretare i segnali che il suo cuore gli aveva più volte inviato e che aveva deliberatamente ignorato. Ora sapeva ciò che voleva, ed era lì per prenderlo e portarlo con sé.

“Alzatevi, figli miei. C’è un’importante missione che dovete portare e termine, e dovrete farlo insieme, proprio come insieme siete riusciti a giungere da me”.

I due ragazzi avevano obbedito, mettendosi in piedi, e guardandosi dritto negli occhi. Anche se Aslan non aveva pronunciato i loro nomi, sapevano perfettamente chi fossero, proprio come sapevano cosa avrebbero dovuto fare. Ed entrambi, proprio come due menti che funzionavano all’unisono, avevano formulato contemporaneamente lo stesso, identico pensiero: non erano stati loro ad andare da Aslan. Era stato Aslan a trovarli.

“Andiamo a Telmar e fermiamo Miraz” – ma Caspian non sapeva che qualcun altro avrebbe cercato di fare lo stesso con lui.

*


Proprio mentre stava per porgere la mano ad Artù e stringere con lui una sorta di alleanza, sir Leon, sceso all’improvviso da cavallo, era come impazzito, e aveva cercato di colpire prima Caspian, che prontamente aveva schivato l’affilata spada, e poi di colpire Artù che non era stato così tanto fortunato: il braccio del principe aveva cominciato a sanguinare copiosamente, facendolo cadere al suolo senza che potesse fare molto altro per difendersi.

“Sir Leon! Ma cosa fate, fermatevi!” – aveva urlato Morgana, incredula. Avrebbe voluto fermarlo, ma non voleva attraversare quella sorta di alone magico: aveva troppa paura.
“Fermatevi!” – ma l’uomo sembrava non ascoltarla: i suoi occhi erano completamente neri, ed era come sotto il controllo di qualche essere malvagio.

“Fai attenzione!” – aveva detto Caspian ad Artù, sguainando la spada che portava sempre con sé nel tentativo di difendere il suo alleato. Ma il cavaliere era in preda ad una furia distruttrice apparentemente inspiegabile, e battersi con lui sembrava un gesto folle, oltre che inutile.
Sir Leon era spaventoso, e aveva una gran quantità di schiuma bianca agli angoli della bocca. Sembrava un grosso animale feroce impossibile da placare.
Ma Artù e Caspian non avevano intenzione di demordere: nonostante la ferità, il giovane e biondo sovrano si era rimesso in piedi mettendosi al fianco del moro per affrontare insieme il nemico comune. Artù non voleva colpire con l’intento di uccidere: anche se era completamente impazzito, quello era pur sempre il suo soldato più fedele.
Sembrava che non ci fosse modo di contrastarlo. Inutili erano state le ferite inferte dai due cavalieri, inutile cercare di parlargli e di farlo ragionare: era sotto l’effetto di un sortilegio, e non c’era modo per loro di fermarlo.
Ed era stato proprio quando tutto sembrava finito che Aslan era intervenuto, ruggendo con una potenza tale da far tremare ogni cosa attorno a sé. Era maestoso, fiero, e incuteva timore, ma un timore pieno di rispetto, qualcosa che non avevano mai provato prima di allora.

Grazie a quel suo provvidenziale intervento, sir Leon era stato fermato: il prode cavaliere era caduto al suolo, privo di conoscenza, e pochi istanti prima che il suo corpo toccasse la morbida superficie erbosa, una sinistra ombra nera, una sorta di spirito malvagio, aveva abbandonato l’ospite, fuggendo in preda ad un urlo spaventoso in direzione di Telmar.

I presenti erano rimasti impietriti.
Caspian aveva cercato di soccorrere Artù che a sua volta si era precipitato da sir Leon. Morgana era l’unica che non aveva osato avvicinarsi. Aveva troppo timore del leone, e quello che aveva appena visto non aveva fatto altro che accrescere quello sgradevole sentimento.

“Sta bene?” – aveva chiesto Artù al possente Aslan.
“Si riprenderà…”.
“Ma cosa gli è accaduto? Sembrava normale… Chissà da quanto tempo quella cosa era… era in lui…” – gli sembrava impossibile di aver davvero visto ciò che era appena accaduto sotto il suo naso.
“È stata la magia di Mikael, non è vero maestà?” – Caspian aveva il cuore infranto. Non aveva alcun dubbio su chi potesse essere l’artefice di quel maleficio. Come poteva essere che una creatura buona e gentile come Mikael potesse produrre tanto dolore?
Il maestoso leone si era avvicinato al ragazzo, e con gli occhi velati dalle lacrime aveva strofinato il possente muso sulla sua guancia.
“Non devi temere, figlio di Adamo, tutto si risolverà. Non sei più solo” – e dopo avergli fatto un’altra carezza, si era diretto da Artù per leccargli dolcemente la ferita sanguinante.
Anche se inizialmente riluttante, il ragazzo si era dovuto ricredere: la saliva di Aslan aveva un odore celestiale, come di fiori e frutta messi insieme, e non gli aveva causato alcun bruciore. E sotto lo sguardo sbalordito dei presenti, la ferita si era rimarginata improvvisamente, non lasciando alcun tipo di cicatrice.
“Ora chiedete alla dama di attraversare il portale, e cavalcate verso Telmar. Dobbiamo evitare che il mago esegua l’incantesimo” – aveva detto poi, rivolgendosi ad entrambi.
Ma Artù non era stato in grado di comprendere.
“Il mago?” – chi era questo mago? E che incantesimo non doveva compiere?
“Ti spiegherò tutto per strada, principe di Camelot” – aveva detto Caspian, rivolgendosi poi di nuovo al leone – “Maestà, credo di aver bisogno di tutto l’aiuto che Narnia può darmi. È troppo potente perché io possa fare qualcosa da solo”.
La sua umiltà aveva commosso ancora una volta il maestoso Aslan, che aveva sorriso, prima di rivelare una grande notizia.
“Tornate a Telmar. Un esercito intero starà lì ad aspettarvi, e prenderà ordini solo da voi figli di Adamo”.
“Un esercito?” – aveva chiesto Artù, sempre più confuso.
“Abbi fede figlio di Adamo, e insieme, non ci sarà modo per Miraz di vincere”.

Continua…
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Rieccomiiiii!!!
Scusate, è un po' corto, ma non ho proprio avuto tempo in più per poter scrivere! Chiedo venia!
Che meraviglia Caspian e Artù insieme, pronti per salvare Merlino bello!
Aslan ha appena eliminato un pericolo. Miraz non ha più tutto il potere nelle sue mani. Il problema è che Merlino non lo sa! Che crisi! Arriveranno mai in tempo?
Lo scopriremo al prossimo capitolo!
Baci
Cleo

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Capitolo 57
*** L'incantesimo ***


L’incantesimo

 
Margareth era riuscita a rientrare tra le mura delle città senza farsi vedere da nessuno. Durante tutto il tragitto, però, la sua mente aveva continuato a valutare tutte le conseguenze e tutti gli avvenimenti spiacevoli che avrebbe trovato al suo rientro. Era stata via meno di un giorno, in fin dei conti, ma aveva imparato a sue spese che le cose a Telmar possono cambiare da un momento all’altro, e purtroppo solo in peggio da ormai sin troppo tempo. Eppure, nel suo cuore si era finalmente accesa di nuovo la speranza, la stessa che aveva letto nel cuore delle persone a cui aveva rivelato il lieto evento non appena aveva messo piede nella città.
 
“Ma sei certa che sia lui?” – aveva chiesto Joseph il falegname, purtroppo ancora troppo diffidente e ferito dagli eventi nefasti che avevano segnato la sua vita.
“Ha ragione. Come fai a dire che questo giovane sia l’erede legittimo?” – gli aveva fatto eco Matthew il mugnaio.
L’intero piccolo gruppo di persone raccoltesi attorno a lei sembrava in preda ad un’euforia contenuta, velata dal timore e dalla paura di gioire.
 
Ma Margareth non si era fatta scoraggiare da quei visi scuri.
 
“Statemi a sentire, al castello c’è un ragazzo che è stato catturato da quel mostro perché esegua un incantesimo terribile che per noi significherebbe la totale disfatta. Dovete fidarvi di me! Presto Caspian arriverà, e con lui, ritornerà finalmente la pace”.
 
*
 
Elencare tutte le stranezze in cui i due figli di Adamo si erano imbattuti in pochissime veglie sarebbe stato per loro impossibile. Avrebbero dovuto iniziare a raccontare dell’uccellino parlante, di quel piccolissimo scricciolo che si era dato da fare per portare a termine il proprio compito. Avrebbero poi dovuto proseguire parlando del misterioso alone in movimento, quella stranezza che Morgana aveva definito una sorta di “porta fra due mondi”, per poi dilungarsi sullo strano comportamento di quest’ultima, sulla reazione dei cavalli, e sulla fattura che era stata lanciata al povero sir Leon, che se ne stava ancora svenuto e posato come un sacco di patate sul dorso del suo fiero destriero. Ovviamente, non avrebbero potuto non citare l’emozione che entrambi avevano provato nell’incontrarsi e nello scoprirsi dalla stessa parte, e ultimo, ma non ultimo, lo stupore di essersi trovati a cospetto della più incredibile creatura mai esistita sulla faccia della terra.
 
Aslan, il maestoso leone, era a capo del piccolo gruppo di nobili, facendo loro strada verso il luogo in cui aveva convogliato il suo possente esercito. Subito dietro di lui, Artù e Caspian galoppavano sullo stesso destriero, con alle spalle Morgana e il cavallo su cui era stato adagiato il corpo ciondolante di sir Leon.
Al contrario di Caspian, che sembrava rilassato e per nulla imbarazzato del doversi tenere saldo alla vita di Artù, quest’ultimo provava un forte disagio, nonché un pizzico di timore. Nonostante il suo cuore gli suggerisse che seguire il leone era cosa buona e giusta, il suo spirito da condottiero gli imponeva di essere sospettoso. Non era cosa da poco imbattersi in un leone parlante, e non in un “comune leone parlante” – se questa cosa può avere un senso – bensì in Aslan in persona, ma questo imponeva una buona dose di disponibilità d’animo e di  propensione alla comprensione e all’accettazione della magia, cosa che gli avevano insegnato a disdegnare sin da quando era ancora un lattante. Suo padre, re Uther, lo avrebbe ucciso se solo avesse sospettato un simile tradimento da parte sua, ma ormai era troppo tardi per potersi tirare indietro. E poi, le parola di Gaius continuavano a tornargli in mente, dandogli nuova fiducia.
 “Non è la magia ad essere cattiva o buona, sono le persone” gli diceva sempre, e lui avrebbe scommesso il suo castello che Aslan fosse tutto fuorché crudele.
 
Caspian aveva il cuore in gola dall’emozione. I presenti non potevano saperlo, ma si stavano dirigendo nel luogo in cui centinaia di anni addietro si erano scontrati i quattro leggendari re di Narnia e la perfida Strega Bianca. Certamente, lo spiazzo erboso sarebbe stato di certo molto diverso da come lo descrivevano nei libri, ma gli importava poco. Avrebbe vissuto un’esperienza indimenticabile, innalzando il nome del grande Aslan e del magnifico re Peter. Telmar sarebbe stato di nuovo libera e Miraz sarebbe stato solo un ricordo vago e lontano, magari il nome di un mostro nelle storie che i genitori avrebbero narrato ai bambini.
Sperava con tutto il cuore e con tutta l’anima che l’esercito obbedisse ai loro ordini senza alcuna remora. Era più che certo che Aslan non li avrebbe accompagnati nella grande battaglia, e non potevano esserci esitazioni o incomprensioni. Lo stesso valeva per la convivenza con Artù. Il principe di Camelot gli sembrava nervoso, e più di una volta durante tutto il tragitto lo aveva pregato di raccontargli di Merlino.
Caspian aveva cercato di rassicurarlo, omettendo saggiamente la parte che riguardava le capacità magiche del suo giovane amico. Merlino gli aveva più volte ripetuto di non aver mai raccontato ad Artù delle sue strabilianti abilità perché a Camelot erano vietate, e di certo lui non lo avrebbe messo nei guai. Era convinto che prima o poi il mistero sarebbe stato svelato, e che Artù avrebbe reagito molto, molto meglio rispetto a quello che Merlino poteva pensare. Forse, quest’ultimo non se n’era ancora reso conto, ma il biondo principe teneva a lui molto più di quello che poteva sperare o immaginare. Caspian aveva notato come sobbalzava nel sentir pronunciare il nome del mago, e come il suo sguardo si perdesse in chissà quali ricordi o chissà quali pensieri, e ciò non poteva che farlo sorridere, anche se con una punta di amarezza, perché la sua mente correva verso quell’amico che aveva perso ogni cosa pur di difenderlo dal male che aveva invaso la sua vita.
 
Si domandava anche quale potesse essere il reale motivo dell’utilizzo dell’appellativo che aveva dato loro il grande Aslan. “Figli di Adamo” aveva un significato speciale per gli abitanti di Narnia, Caspian lo sapeva fin troppo bene, e doveva ammettere che nel sentirsi chiamare in quel modo il suo cuore aveva avuto un fremito di gioia e di orgoglio. Ma non era quello il momento di costruire castelli in aria. C’era una battaglia da organizzare, e il suo intervento poteva essere determinante al buon esito dell’operazione.
Doveva poi capire perché Aslan avesse chiamato in quel modo solo lui e il giovane Artù, escludendo da quel privilegio il cavaliere e la meravigliosa dama che galoppava al loro fianco.
Lady Morgana era bella come le rose a maggio. La pelle nivea, i capelli corvini e gli occhi color dei prati la rendevano una delle creature più affascinanti che avesse mai avuto l’opportunità di incontrare. Il suo atteggiamento ostile nei confronti di Aslan, però, aveva oscurato la splendida luce che la donna emanava. Non comprendeva il perché di quel comportamento, ma non era di certo quello il momento per porsi simili interrogativi. Il punto di incontro con l’esercito era ormai vicino. Non solo lo sapeva, ma lo avvertiva. L’aria era diventata elettrica, ed era certo di aver sentito un coro di ruggiti fendere l’aria. L’emozione lo stava divorando.
 
All’improvviso, Aslan aveva cessato la propria corsa, bloccandosi di colpo davanti ad un dirupo dall’aspetto terrificante. Il sole brillava alle sue spalle e rendeva la pelliccia dorata splendente fino al punto di rivelarlo per quello che era veramente: un essere che non apparteneva a questo nostro mondo corrotto.
I due principi e la damigella si erano fermati un attimo per ammirarlo, stupefatti da quella bellezza così imminente. Persino sir Leon aveva avuto la fortuna di svegliarsi un attimo prima che quella visione svanisse, rimanendo a sua volta a bocca aperta. Mai nella sua vita avrebbe creduto di poter assistere ad un simile spettacolo.
 
E poi, il re dei re si era girato verso di loro, rivolgendogli uno sguardo carico di solennità e apprensione.
 
“È giunto il momento figli di Adamo. La battaglia avrà presto inizio”.
 

*

 
Il buio che li circondava era lo scenario più adatto per l’atrocità che stava per essere commessa. Le flebili luci danzanti delle candele poste in cerchio attorno ad un altare di pietra nera rendevano l’atmosfera ancora più sinistra, e il piccolo gruppo di persone raccoltesi nell’ormai ex-stanza del trono non faceva altro che peggiorare la situazione.
Merlino aveva capito sin troppo bene di non avere ormai più alcuna speranza di potersi sottrarre a quell’abominio di cui sarebbe stato l’artefice. Miraz lo aveva minacciato nella maniera più subdola che potesse esistere, e per essere preparato al meglio per il rito, lo aveva costretto persino ad indossare un abito “adatto alla cerimonia” e a prepararsi sotto lo sguardo supervisore di un Giona che ormai era certo di aver perduto ogni cosa. Per tutto il tempo, non aveva osato guardare Merlino negli occhi, e nel porgergli il libro di incantesimi aveva fatto di tutto per non sfiorare la sua pelle. Proprio quando il giovane mago avrebbe voluto avere un abbraccio o un qualsiasi gesto di conforto, l’unico che poteva stargli vicino era venuto a mancare. Ma poteva capire fin troppo bene quali fossero i sentimenti che si agitavano nel cuore dello sfortunato Mago: sua figlia era imprigionata nella torre, e ciò che rimaneva di suo figlio si era rivoltato contro a tutti coloro che avrebbe invece dovuto proteggere. Merlino era la sua ultima speranza, speranza che era appena diventata vana.
 
A quanto sembrava, Miraz non aveva alcuna intenzione di togliergli le polsiere che lo tenevano prigioniero. Il povero Giona aveva offerto a Merlino una coppa colma di un liquido ambrato dal sapore ferroso, spiegandogli che gli avrebbe consentito di eseguire l’incantesimo senza tuttavia essere veramente libero. Sarebbe stato un rischio per lui permettergli di usare i suoi poteri. Miraz, quando si trattava di compiere malefatte, era molto più saggio di quello che poteva sembrare.
Quando aveva letto la procedura dell’incantesimo che avrebbe dovuto eseguire, a Merlino era venuto a mancare il respiro. Sospettava che non sarebbe stato piacevole o di facile esecuzione, ma mai avrebbe creduto di dover fare una cosa del genere. Il disgusto verso Miraz e purtroppo anche verso se stesso era aumentato vertiginosamente. Le mani avevano iniziato a tremargli, e gli occhi si erano appannati per l’orrore di quel gesto. Chi mai avrebbe potuto credere che la magia potesse essere plasmata da menti così crudeli capaci di concepire simili scempiaggini?
 
“Non posso farlo…” – aveva sussurrato, ormai incapace di vedere le parole scritte sulla carta ingiallita dal tempo per colpa delle lacrime – “Io non posso farlo…”.
 
Ma, proprio mentre stava per ricadere sullo scomodo sgabello di legno situato a pochi centimetri da lui, il subdolo Sopespian aveva fatto la sua comparsa, vanificando qualunque tentativo di fuga del giovane e disperato mago.
 
“Il nostro re ti attende” – aveva detto, continuando a guardarlo con quei suoi orribili occhi che sembravano distruggerti anche l’anima, e visto che Merlino continuava ad esitare, era stato così gentile da afferrarlo per un braccio e strattonarlo – “Ti ho detto che il re ti attende. E dopo potremmo tornare a dedicarci a noi, piccolino… E stavolta non avrai modo di scappare”.
 
Lottare sarebbe stato inutile. Così scortato da Sopespian e seguito da Giona, era stato portato nel luogo sinistro in cui sarebbe stato eseguito il malefico rituale.
Davanti all’altare, superbo nella sua figura completamente avvolta di nero, si ergeva il perfido e crudele Miraz. Al suo fianco, ciò che rimaneva del buon Mikael continuava a sibilare e allo stesso tempo, a guardarlo con i carboni ardenti che aveva al posto degli occhi.
I partecipanti al rito non avevano mostrato i loro volti. Ognuno di loro se ne stava seduto su di uno scranno di legno, immobile, come se facesse parte della cospicua collezione di statue che Miraz aveva accumulato con tanta perizia nel corso del tempo.
L’atmosfera era agghiacciante, ma Miraz non sembrava dello stesso parere.
 
“Sopespian… Non essere così brutale con il nostro giovane amico! Ci serve tutto intero, per il momento…” – aveva ghignato il perfido usurpatore.
Così, il giovane mago era stato condotto presso l’altare, ormai sul punto di non ritorno.
“Ci siamo Merlino… Finalmente, il momento è giunto”.
Un lampo di luce aveva attraversato gli occhi nero pece di MIraz. Ormai era certo di aver ottenuto tutto ciò che bramava.
 

*

 
L’accampamento era di dimensioni colossali, e l’esercito era talmente eterogeneo da lasciare senza fiato i presenti.
Artù era letteralmente senza parole.
Orsi, leone, ghepardi, pantere, rinoceronti, elefanti, giganti, nani, minotauri, centauri e ogni bestia mitologica varia ed eventuale si presentava al loro cospetto fiera, maestosa e pronta all’azione.
 
Al passaggio di Aslan, tutti si erano prostrati, chinando il capo davanti al loro re e signore. Artù era abituato agli onori, a differenza di Caspian che ne era a digiuno da tempo, ma uno spettacolo del genere non si era mai manifestato davanti ai suoi occhi. Era surreale e bellissimo allo stesso tempo. Aslan si guardava intorno, dispensando sorrisi e leccate affettuose agli animaletti più piccoli, come coniglietti e topolini dall’aspetto docile e allo stesso tempo fiero e battagliero.
Aveva ormai raggiunto l’ingresso di una tenda color porpora quando un bellissimo unicorno gli si era avvicinato, inchinandosi prima di iniziare a fare quello che un comune essere umano non avrebbe mai immaginato.
 
“Vostra maestà” – aveva detto con voce chiara e decisa – “La vostra armata è pronta. Tutta la popolazione di Narnia sopravvissuta allo sterminio del perfido Miraz è qui per servirvi. Dal più piccolo animale sino alla più grande delle creature riceverete tutto l’aiuto che occorre. Siamo ai vostri ordini o re dei re, e lo saremo fino alla morte”.
 
Artù non riusciva a credere alle proprie orecchie. Un conto era sentire un piccolo cardellino ripetere qualche parola imparata a memoria, un altro conto era trovarsi al cospetto di un unicorno – un unicorno! – che aveva appena fatto un discorso degno di un ambasciatore reale.
 
“È assurdo” – aveva detto, con gli occhi sgranati dallo stupore e la voce tremante – “Se è un sogno svegliatemi”.
“Non è un sogno vostra maestà” – aveva asserito il giovane Caspian, sul punto di piangere dalla gioia – “E anche se lo fosse, l’unica cosa che vorrei fare è svegliarmi”.
 
Pochi istanti dopo, era stato il possente Aslan a prendere parola.
Il maestoso leone aveva congedato lo splendido unicorno, ringraziandolo per i suoi servigi, ma sottolineando che non sarebbe stato lui a capo di quella imminente spedizione.
 
“Saranno i figli di Adamo a guidarvi” – era stata la sua ultima parola.
 
Eppure, nonostante si trattasse della volontà del re supremo, l’eterogeneo esercito non sembrava essere d’accordo. I felini avevano cominciato a ruggire interdetti, e gli elefanti e i rinoceronti erano diventati inquieti. Il vociare sommesso stava diventando sempre più un rumore assordante.
 
“Maestà” – aveva detto un enorme centauro dal crine nero come la pece – “Lui è un principe di Telamr” – e aveva indicato Caspian – “Noi non prendiamo ordini da chi ci ha decimato e costretto alla fuga per anni”.
 
Il cuore del giovane principe aveva avuto un violento sussulto. Avrebbe dovuto aspettarsi una simile reazione da parte loro, forse, ma non poteva negare che facesse molto, molto male sentirsi dare del mostro. Ma sapeva bene di essere la causa di tutti i mali. Era solo per colpa sua se quelle atrocità erano state commesse, se migliaia di animali innocenti avevano dovuto subire fame, sete e angherie di ogni genere. Meritava quel genere di trattamento. Quella era la prima delle conseguenze che avrebbero seguito il suo sonno.
 
“Grande Aslan, loro hanno ragione. Io non sono degno di capeggiare questo esercito. Per i narniani io sono il nemico, il mostro che li ha decimati. Me ne rammarico, amici miei… Se non fossi caduto nel lungo sonno indottomi per risparmiarmi la vita, a quest’ora voi non sareste in questo stato. Forse avrei potuto scontrarmi con Miraz, e stroncare sul nascere i suoi malvagi propositi”.
 
Gli occhi del giovane si erano riempiti di lacrime amare, lacrime che però non volevano sgorgare.
Ma Aslan non si era lasciato persuadere dalle parole del suo popolo ancora ferito. Con passo leggero ed elegante, il grande leone si era avvicinato al principe, strofinandogli il muso contro la gamba.
 
“La storia non si costruisce sui se e sui ma. Non possiamo sapere cosa sarebbe accaduto se Mikael non ti avesse nascosto e protetto. La colpa di un uomo dal cuore nero non può ricadere su di te, giovane erede al trono. Saranno i figli di Adamo a risollevare le sorti di Narnia, di Telmar e dei regni conquistati con la forza dal crudele Miraz. Figli miei, non potrete mai incontrare giovane dal cuore più puro del qui presente principe Caspian. E non potrete mai incontrare un altro principe coraggioso come il giovane Artù”.
 
A quelle parole, il biondo erede di re Uther si era impettito.
 
“Lasciate che sia il principe di Camelot a guidarvi verso la battaglia!” – aveva aggiunto, rivolgendosi poi a Caspian – “Tu, Caspian, verrai con me a Telmar. Dobbiamo arrivare prima che l’incantesimo venga portato a compimento”.
 

*

 
Artù non era affatto contento di come il possente Aslan aveva suddiviso i compiti fra lui e Caspian. Certo, si sentiva lusingato per essere stato posto a capo di un’armata tanto grande, ma la sua maggiore preoccupazione era raggiungere al più presto Merlino e sottrarlo alle grinfie di quel demonio. Per di più, c’erano delle cose che né Aslan né Caspian avevano voluto confessargli, era talmente evidente. A quale magia si era riferito il leone? E cosa centrava Merlino con tutto quello? Che avessero forse deciso di usarlo come vittima sacrificale per qualche oscuro rito? Ma se così fosse, perché non gli avevano permesso di andare con loro?
Nel vedere Caspian che si allontanava veloce in groppa al grande Aslan il suo cuore si era fermato. Se fosse accaduto qualcosa a Merlino non se lo sarebbe mai perdonato.
 
“Artù…” – gli si era avvicinato sir Leon ormai completamente ristabilito e vestito con una tunica che doveva essere tipicamente narniana – “I centauri chiedono udienza da voi, mio signore. Hanno con loro le mappe del territorio, e soprattutto le piante del castello. Dobbiamo studiarle in fretta e partire prima che cali la sera. Miraz non potrà più fare del male a nessuno, così”.
 
Era più che evidente che si stesse riferendo a se stesso e a quello che il maledetto usurpatore aveva osato fargli. Per un uomo ligio e devoto come lui doveva essere stato terribile cercare di uccidere il proprio re, anche se sotto l’effetto di un incantesimo malvagio.
 
“Sir Leon, non crucciarti più. Non è stata colpa tua” – lo aveva rassicurato Artù, posandogli una mano sulla spalla.
“Dovevo stare più attento vostra maestà. Se vi avessi fatto qualcosa…”.
“Ma così non è stato. Aslan ti ha guarito, sir Leon, fidati di lui e fidati di me”.
Il prode cavaliere si era inchinato davanti al suo principe, rivolgendogli uno sguardo carico di una forza nuova. Se quello era l’effetto di Aslan, gli avrebbe chiesto di stare sempre al loro fianco. Ovviamente, Artù ancora non aveva capito che il possente leone sarebbe stato nel suo cuore per sempre.
“Fai venire i centauri. Magari loro possono dirmi qualcosa di più su questo mostro di Miraz e su come ha fatto a procurarsi tutto questo potere. E poi mi chiedo che fine abbia fatto Morgana!” – erano due veglie che non vedeva la sua sorellastra.
“Sarà fatto! Lady Morgana si sta occupando dei cuccioli… dei figli dei soldati… bè, sì, avete capito, delle bestie più piccine. Pare che si senta molto a suo agio fra coniglietti e pappagallini!” – e aveva scostato la tenda, permettendo ad Artù di osservare la singolare immagine della sua amata/odiata sorellastra circondata da animaletti di ogni forma, dimensione, colore e razza. Se non si fosse trattato di Morgana, avrebbero potuto credere che fosse una principessa delle favole.
“Meglio così…” – aveva asserito Artù – “Finché rimarrà qui sarà al sicuro. Fai venire i centauri. Non c’è un attimo da perdere”.
 

*

 
Aslan e Miraz avevano finalmente raggiunto le porte di Telmar. Ritrovarsi nuovamente immersi in quella perenne oscurità era stato tremendo per il principe, ma persino di possente leone ne aveva risentito. I suoi occhi si erano rattristati, e il verso addolorato che aveva fatto aveva spezzato il cuore di Caspian.
 
“Quanto dolore regna in questo luogo. Un tempo, Telmar era ricca di gioia e di colori. L’amore verso il prossimo era palpabile, era come un profumo di viole nell’aria. Ora, non c’è altro che morte e desolazione”.
 
I suoi grandi occhi erano colmi di lacrime. E una di esse, una grossa lacrima salata, aveva percorso il muso del possente Aslan, fino a cadere inesorabilmente al suolo.
“Ma anche al dolore c’è una fine” – e, con grande stupore da parte del giovane principe, da quella singola goccia salata era nato un fresco e tenero germoglio – “Ogni cosa è piccola all’inizio, ma col tempo, se ha radici robuste, finirà per crescere e prosperare anche sul pendio più scosceso. Per ora, potrà sembrarti una goccia nell’oceano, ma non dimenticarti che l’oceano è fatto proprio di gocce”.
 
Le parole sagge di Aslan avevano scaldato il cuore ferito del giovane Caspian.
 
“Potremmo anche essere in difetto rispetto a loro, ma faremo tutto ciò che serve, Aslan. Lo prometto. Miraz avrà ciò che si merita”.
 
“E’ questo lo spirito giusto, principe! Ora tieniti forte: abbiamo un altro piccolo esercito da radunare” – e con un potente balzo, il leone aveva superato le alte mura di cinta, atterrando dolcemente sulla strada formata da centinaia di ciottoli.
Senza alcun timore, il leone aveva cominciato ad aggirarsi per gli stretti cunicoli, a perlustrare ogni casa in cerca dei poveri sventurati imbattutisi nell’oscura magia di Mikael, riuscendo a riportarli alle loro condizioni naturali con un semplice soffio sul loro viso, con il soffio della vita.
Nel trovarsi al cospetto di un leone e di un principe che lo cavalcava, tutti all’inizio avevano provato timore, ma nell’udire la melodiosa voce di Aslan, tutti avevano ritrovato la speranza, e avevano accettato di obbedire agli ordini senza alcuna remora.
 
“Andate, e dite agli altri che i figli di Adamo sono tornati. Per Telmar sta per iniziare un nuovo giorno glorioso”.
 

*

 
Merlino si era sentito morire nell’attimo in cui aveva dovuto iniziare i preparativi dell’oscuro rituale. Donare la vita eterna ad un essere mortale avrebbe determinato il pagamento di un prezzo molto, molto alto, e si domandava come Miraz avesse deciso di agire. Nella sala c’erano dozzine di persone, e non sapeva proprio chi sarebbe stato lo sfortunato prescelto.
Con lo sguardo basso e il cuore infranto, Giona aveva posizionato sull’altare il libro di incantesimi, il vassoio e il pugnale ricavato dall’artiglio di un drago. Il suo pensiero non aveva potuto fare a meno di volare verso il grande drago suo amico. Chissà cosa avrebbe detto nel trovarsi davanti un simile oggetto…
Ma non era quello il momento adatto a fare simili pensieri, e non ci sarebbe stato modo di alleggerire quella tragedia che stava per consumarsi.
Miraz era impaziente, lo si vedeva da come continuava a stringere i braccioli del suo scranno.
 
“Sto attendendo giovane mago, ma la mia pazienza ha un limite. Preferisci scegliere, o posso farlo io al tuo posto?”.
 
Era più che evidente a cosa si stesse riferendo, ma Merlino era troppo spaventato e disgustato per poter rispondere. Allora, Miraz aveva preso in mano la situazione, facendo un cenno alle due guardie situate accanto alla porta.
Il sorriso malvagio sulle labbra di Sopespian si era spento nell’attimo in cui si era sentito catturare dai due energumeni a servizio del re.
 
“Ma che state facendo? Come osate! Lasciatemi immediatamente! LASCIATEMI!”.
“Stai calmo, mio caro Sopespian! Non c’è motivo di agitarsi tanto! Avevi detto che mi avresti servito fino alla morte, non è così? E’ il momento di dimostrare la veridicità delle tue parole!”.
 
Il sangue nelle sue vene aveva smesso di scorrere. Non poteva davvero voler fare ciò che Sopespian sospettava. Era assurdo.
 
“Maestà, vi prego, non io! Vi supplico! Non io!”.
 
Ma Miraz non sembrava d’accordo.
 
“Il tuo discutibile comportamento ha causato innumerevoli ritardi alla realizzazione del mio piano, Sopespian. E poi, credo che per Merlino sarà molto più semplice farlo a te che non a qualcun altro. Ho ragione mio piccolo amico? Non vuoi forse vendicarti?”.
Miraz non aveva ancora capito che Merlino non aveva niente a che fare con un mostro come lui.
 
*
 
In pochi minuti, il grande Aslan aveva risvegliato tutti coloro che la magia di Mikael aveva costretto ad una forzata immobilità. Tra quelle persone vi erano anche la moglie e il figlio dello sfortunato Glozelle, perito per mano dell’usurpatore. La vedova sembrava inconsolabile, ma le parole piene di con conforto di Aslan erano in parte riuscite a placare il suo dolore. Il suo giovane erede aveva invece reagito come un vero cavaliere, giurando di vendicare la morte del padre.
Nel vedersi davanti il giovane Caspian tutto intero in compagnia del grande re dei re, la povera Margareth aveva rischiato di svenire, ma saggiamente aveva capito di non averne il tempo.
 
“Dobbiamo fermarlo prima che compia il rituale” – aveva detto il principe – “Forza e coraggio amici miei! Io ed Aslan andremo al castello. Voi aspettate il principe Artù e apritegli i cancelli quando sarà arrivato il momento. Seguitelo, miei prodi amici, lui saprà come guidarvi”.
 
La battaglia avrebbe presto avuto inizio.
 

*

 
Quando Aslan e il giovane Caspian avevano varcato la soglia del castello, le guardie avevano legato Sopespian all’altare di pietra.
Quando Aslan e il giovane Caspian avevano superato le guardie che avevano cercato di fermarli, Merlino aveva cominciato a formulare l’incantesimo.
Quando Aslan e il principe Caspian avevano raggiunto il primo piano del castello, le polsiere che imprigionavano Merlino avevano cominciato a pulsare dolorosamente, facendogli sanguinare le braccia.
Quando Aslan e il principe Caspian avevano raggiunto il secondo piano, un urlo spaventoso aveva riempito la stanza, accompagnato da una forte luce rossa come le fiamme dell’inferno.
Quando Aslan e il principe Caspian avevano raggiunto la sala del trono, Miraz aveva già mangiato il cuore pulsante di quello che era stato il suo più fidato consigliere.
Quando Asla e il principe Caspian lo avevano guardato negli occhi, l’uomo dal cuore nero era appena diventato immortale.
 
Continua…
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Capitolo 57!!! Posso dire che quasi non ci credo?? Mamma mia, siamo davvero agli sgoccioli, e Miraz ce l'ha fatta! Il mostro dal cuore nero è diventato immortale! CRISI!!
Cavolo, Merlino ha dovuto strappare a Sopespian il cuore dal petto! Come vedete il mio sadismo aumenta di giorno in giorno!
Ragazze, sono così emozionata che non so bene cosa dire, duqnue è meglio che io la smetta qui prima di dire qualche scemenza!! Vi mando un grosso bacio, sperando che restiate con me fino alla fine e che il capitolo vi sia piaciuto!
GRAZIE!
Bacioni
Cleo

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Capitolo 58
*** Inaspettate verità ***


Inaspettate verità

 
"Che cosa hai fatto?".
 
Caspian non riusciva a farsi una ragione dell'orrore a cui i suoi giovani occhi avevano appena assistito. Semplicemente non poteva essere vero. Lo scenario era troppo crudele e surreale per poter corrispondere alla realtà. Eppure, l'odore pungente di ruggine e sale che le sue narici avevano percepito e il rosso scarlatto che colava imperterrito dall'altare sul lindo pavimento erano la prova più evidente dell'orrore che era appena stato commesso.
 
In piedi, davanti al trono, con le labbra sporche di liquido rosso e le mani ancora zuppe della stessa sostanza, vi era l'essere che era stato la causa e l'effetto di quella magia così potente e così spaventosa.
Miraz l'usurpatore era circondato dalle losche figure incappucciate, e osservava con aria famelica i suoi stessi arti: erano gli stessi di un tempo, ma i presenti non riuscivano a capire che in realtà per lui erano praticamente come nuovi. In lui scorreva una linfa vitale, un'energia che solo chi era diventato come era lui sarebbe stato in grado di comprendere. Si sentiva vibrare, quasi ardere dalla forza che scorreva in ogni singola fibra del suo corpo. I suoi occhi erano del colore del fuoco, e il ghigno sul suo viso continuava a diventare sempre più opprimente e sempre più malefico.
Purtroppo, non si potevano non avvertire l'odore amaro della vittoria di un mostro, e quello della sconfitta e del dolore del mondo che aveva appena iniziato a vivere sotto una minaccia che non era in grado di contrastare.
Non era tanto l’immortalità di Miraz a causare un problema, ma il modo in cui se ne sarebbe servito. Purtroppo, chi ha scopi malefici, solitamente li protrae per tutto il resto della sua vita.
 
Il corpo senza vita di lord Sospespian giaceva immobile sull'altare: uno squarcio spaventoso si apriva sul suo torace, e là dove doveva trovarsi il cuore, c'erano solo sangue e vuoto.
Sul pavimento, riverso su di un fianco, il volto cereo e i polsi straziati da quella magia che faceva così tanto parte di lui, c'era il mago che era stato costretto a perpetrare un simile abominio.
 
"Merlino!" - aveva urlato il giovane Caspian, scendendo dalla sicura groppa del grande e possente Aslan.
Il timore che al suo nuovo amico fosse capitato qualcosa di terribile era dilagato in lui. Sapeva fin troppo bene quali prezzi richiedesse quel tipo di magia, glielo aveva insegnato il suo caro amico Mikael molto tempo addietro, e temeva che la vita di un solo uomo non fosse un prezzo abbastanza alto da pagare.
Aslan lo aveva lasciato fare: i suoi grandi occhi luminosi erano diventati allo stesso tempo tristi e severi, ma non potevano staccarsi dall'essere crudele che aveva osato sfidare le leggi della natura, le leggi che regolavano il mondo sin dalla notte dei tempi.
 
Il giovane Merlino respirava ancora, ma il battito del suo cuore andava mano a mano scemando. I polsi erano serrati dai malefici arnesi frutto della magia nera e sanguinavano copiosamente, forse più del corpo dilaniato di lord Sopespian. Di quel passo sarebbe presto morto dissanguato.
 
"Amico mio, amico mio, ti prego, devi svegliarti!" - continuava a ripetergli Caspian mentre lo scuoteva con dolcezza - "Devi svegliarti Merlino! Sono qui con Aslan, il grande leone, e presto verrà anche Artù! Mi hai sentito? Artù! Il principe della tua amata Camelot! Ti prego Merlino, non ci puoi abbandonare, non adesso!".
 
Ma proprio mentre stava facendo l'ennesimo tentativo di risvegliarlo, la malefica ombra di Mikael si era parata davanti al giovane Caspian, facendolo gelare. Fino a qualche tempo prima, aveva solo sentito parlare dell'essere spaventoso in cui si era tramutato il suo migliore amico, ma vederselo davanti senza alcun preavviso, in tutta la sua aria minacciosa e crudele, era tutta un'altra cosa. Le fauci spalancate lasciavano intravedere una sibilante lingua rossa, le lunghe spire si attorcigliavano su se stesse, ma la cosa che maggiormente procurava orrore al principe erano i tizzoni ardenti che essa aveva al posto degli occhi.
Ogni ricordo delle splendide iridi dorate di Mikael svaniva rispetto a quell'abominio. Neanche la più felice memoria poteva sperare di sopravvivere.
 
"Mikael..."  aveva appena sussurrato Caspian, mentre reggeva ancora fra le braccia il corpo di Merlino - "Amico mio... Che ti hanno fatto?".
 
L'ombra, però, non aveva dato alcun segno di avere memoria della perduta umanità. Le iridi di fuoco continuavano a scrutarlo, cercando di arrivare sin dentro la sua anima, e la punta della lingua arrivava quasi a sfiorargli la fronte. Caspian riusciva a percepire il gelo del suo alito, e non poteva capacitarsi di come una creatura apparentemente forgiata dal fuoco potesse emanare un freddo tanto spaventoso.
 
Era pietrificato dalla paura. Non aveva la più pallida idea di cosa poter fare per sistemare le cose. Voleva aiutare Merlino, e allo stesso tempo voleva cercare di salvare anche ciò che rimaneva del suo più caro amico. Ma cosa poteva fare lui, un misero essere umano, se neanche il possente Aslan sembrava in grado di fare qualcosa?
 
L'orrenda creatura si era avvolta su se stessa, e se gli anni di addestramento e di caccia gli avevano insegnato qualcosa, Caspian aveva riconosciuto quel gesto come un segno di imminente attacco. Ma, proprio mentre stava per spalancare le possenti fauci e fare Aslan solo sapeva cosa, la voce imperiosa di Miraz lo aveva fermato.
 
"Mio buon amico, non è questo il modo di trattare chi mi ha permesso di diventare immortale! E non è di certo questo il modo di salutare il principe Caspian!".
 
Il tono della sua voce era di scherno. La cattivera faceva evidentemente parte di lui, e sembrava gioirne ancora di più dopo essere diventato immortale.
 
"Tu... tu sapevi che...".
"Che eri vivo? Credi davvero che io sia così sciocco, mio caro nipote? Ho la magia più potente del mondo dalla mia parte, l'hai forse dimenticato? Non sai che piacere averti qui".
Ma Caspian sembrava non capire quello che suo zio evidentemente intendeva.
"Andiamo ragazzo, ero convinto che fossi molto più intelligente di così!".
"Vile codardo e traditore! Privi tuo fratello della vita, costringi tuo nipote alla prigionia e usurpi un trono che non potrà mai appartenerti! Non meriti di vivere!".
Miraz sorrideva maligno mentre si avvicinava a suo nipote e al mago.
"Belle parole, ragazzo. Parole di un futuro sovrano leale e giusto. Peccato solo che la tua ingenuità ti abbia portato a questo" - e aveva posato il palmo della mano su quello che doveva essere il capo dell'ombra sibilante.
"Tu non regnerai mai su Telmar, né su Narnia o sulle terre circostanti! Restituisci alla gente quello che gli appartiene, e sparisci per sempre!".
 
Caspian stesso si domandava da dove pervenisse tutto quel coraggio che stava dimostrando. Non era un codardo, ma aveva sempre affrontato ogni situazione ponderando meglio che poteva ogni cosa, evitando di fare cose che gli avrebbero causato pentimenti e vergogne. Ma non quella volta: in quell'occasione, Caspian si era dimostrato coraggioso quasi come il leone che lo aveva ricondotto a casa, o forse ancora di più, perché finalmente aveva trovato in se stesso la forza di combattere in nome della giustizia e dell'amore.
Ma il perfido e immortale Miraz non sembrava altrettanto entusiasta. Il coraggio di Caspian lo aveva inizialmente divertito, in seguito lo aveva indispettito a dismisura. Come si permetteva quello sciocco insolente di rivolgersi a lui con quel tono di sfida tanto altezzoso e impertinente? Uno sciocco ragazzino non poteva competere con il grande Miraz, l'immortale! Sì, quello era il titolo con cui sarebbe stato chiamato fino alla fine del mondo! L'immortale. Perché al contrario di tutte le altre creature, egli sarebbe vissuto per sempre.
 
L'anima nera di Mikael continuava ad essere sull'orlo di attaccare. Era assurdo che un essere nato dalla magia oscura decidesse di utilizzare un modo talmente animalesco e brutale di punire un nemico. Sembrava che aspettasse solo l'ordine di Miraz, ordine che però stentava a sopraggiungere.
 
"Io non ho paura di te, zio. Perché dovrei averne? Non sei tu ad aver conquistato ciò che ritieni di avere per merito. Hai costretto un ragazzo dal cuore puro a commettere degli abomini, hai incatenato a te la magia, e hai ridotto un intero popolo in schiavitù. Guardati attorno. Guarda cosa hai fatto a questo ragazzo" - e aveva indicato Merlino, ancora svenuto e agonizzante - "Guarda cosa sono gli esseri di cui ti circondi!".
 
Nonostante il principe Caspian non fosse pratico delle arti magiche e di tutto quello che gravitava loro attorno, sentiva una grande chiarezza riguardo alle cose che lo stavano circondando. Ciò gli aveva permesso di accorgersi immediatamente delle reale identità delle figure incappucciate che stavano supportando Miraz: esse non erano più creature appartenenti al nostro mondo, bensì erano quelli che un tempo erano uomini avevano venduto il loro cuore, tramutandosi in bestie crudeli trasfigurate nel corpo e nell'anima. I loro volti ormai privi di cappuccio erano quasi impossibili da guardare troppo a lungo: i capelli non erano più presenti sulle loro teste, e la pelle giallastra era cosparsi in più punti da verruche spaventose. Le mani erano scarne e ossute, terminanti con lunghe unghie gialle e ricurve, e l'aver addosso quella lunga tunica nera contribuiva a rendere ancora più sinistro il loro aspetto.
Caspian aveva stretto maggiormente Merlino a sé, cercando di distogliere lo sguardo. Persino Miraz sembrava profondamente turbato dall'immagine che si era manifestata davanti ai suoi occhi. Si era evidentemente reso conto all'improvviso di chi era davvero il gruppo di persone di cui si era circondato, e quello aveva evidentemente causato turbamento nel cuore nero del neo-immortale.
Come aveva fatto a non notarlo prima? Quegli uomini lo avevano affiancato sin da quando aveva iniziato a pianificare ogni cosa, e non si era mai accorto di cambiamenti o di qualcosa che potesse anche solo lontanamente farlo sospettare. Eppure erano lì, vive e reali, più spaventose e temibili che mai. Ma come poteva lui provare paura? Lui non poteva morire e aveva al proprio fianco l'essere più potente che la magia potesse forgiare, cosa poteva ferirlo, o anche solo lontanamente turbarlo?
 
"Non dovete avere timore maestà..." - aveva detto uno di essi, avvicinandosi con passo lento e ondeggiante - "Noi siamo qui per consigliarvi, proprio come abbiamo fatto sin dal primo istante".
"Sì maestà..." - aveva aggiunto un altro - "Non badate alle parole del giovane... E' traviato dal narniano, dal leone. Non c'è niente di cui temere mio signore. Noi siamo qui per servirvi, e lo saremo in eterno".
Miraz non sembrava del tutto tranquillo, ma di certo non avrebbe permesso a niente e a nessuno di rovinare i suoi piani.
"Non devi ascoltarli zio" - aveva tentato Caspian - "Sono certo che con l'aiuto di Aslan potrai rimediare al male che hai inflitto, potrai riportare la luce nel tuo cuore accecato dall'odio e dal buio. Anche il cuore più nero può cambiare se deciderà di accettare l'amore. Accetta l'amore di Aslan e potrai sistemare ogni cosa".
Ma Miraz non sembrava della stessa opinione. L'usurpatore aveva posato entrambe le mani sui fianchi ed era scoppiato in una fragorosa risata.
"In chi dovrei riporre la mia fiducia, caro nipote? In un leone che ti ha abbandonato così, su due piedi? I miei complimenti!".
Inizialmente, Caspian non aveva compreso il vero significato delle parole di suo zio. Poi, però, guardandosi attorno, si era accorto che quella presenza così costante che tanto gli aveva infuso coraggio era svanita nel nulla. Aslan non c'era più. Il maestoso leone dorato, il re dei re, il creatore di Narnia, aveva abbandonato il castello.
"Aslan...".
Dopo un iniziale smarrimento, le parole del leone gli erano tornate alla mente, e ogni cosa era stata finalmente chiara. Sarebbe stato compito dei figli di Adamo sconfiggere Miraz, anche se arrivati a quel punto sembrava una missione impossibile. Ma lui era il principe Caspian, il vero erede del trono i Telmar, figlio di Caspian IX e nipote di Caspian VIII, e di certo non avrebbe più ceduto. Non aveva bisogno di vedere Aslan con gli occhi, perché percepiva perfettamente la sua presenza nel cuore.
"Tu non vincerai, mostro. Noi ti fermeremo".
"Voglio proprio vedere come tenterai di farlo".

*

Artù era in fermento. L'esercito era ormai stato schierato, e da tempo avevano cominciato a marciare verso la volta di Telmar. Un nano dai capelli rossicci dal buffo nome aveva aiutato lui e sir Leon a pianificare l'attacco, avvertendolo di quello che avrebbero trovato una volta varcate la soglia della città. Anche se sembrava impossibile da credersi, pareva che ogni cosa fosse piombata nella più totale oscurità, e che l'anima che Miraz aveva legato a sé fosse un tempo un ragazzo buono che era stato costretto da un patto infranto a scagliare maledizioni in nome di quel mostro senza scrupoli. Briscola - questo era il nome del nano - aveva raccontato ad Artù che quasi tutta Telmar era invasa da uomini trasformati in statue di pietra, e che i pochi superstiti vivevano nel terrore. Il giovane sapeva che il desiderio di Miraz era quello di diventare immortale, ma continuava a non capire perché avesse deciso di rapire Merlino. Ovviamente, seguendo gli ordini di Aslan, Briscola non aveva rivelato la vera identità del ragazzo, aspettando che fosse quest'ultimo a farlo. La parola di Aslan doveva essere rispettata a prescindere da tutto e tutti, ma qualcosa nel cuore del valoroso nano gli suggeriva che questo giovane mago fosse un ragazzo dal cuore puro e innocente, una vittima della crudeltà e dell'ignoranza altrui. Sapeva pure che re Uther, il padre di Artù, aveva bandito la magia e dato la caccia a centinaia di creature magiche, ma questo non lo aveva fermato dal mettersi al servizio del giovane principe. Aveva visto lealtà e onore nei suoi occhi unite al desiderio ardente di salvare il suo amico. Il principe aveva sfidato il suo stesso padre pur di salvarlo, e questo dimostrava quanto puro e immenso fosse il sentimento che lo legava a Merlino. Briscola sperava solo di riuscire ad intervenire in tempo.
"Siamo al limitare del bosco, sire" - aveva detto sir Leon ad un certo punto – “Facciamo attenzione”.
Se inizialmente aveva provato disagio a muoversi fra animali parlanti di ogni genere, il prode cavaliere non aveva ormai più alcun timore. Quelle che lo circondavano non erano comuni bestie, ma esseri intelligenti e valorosi. Era un vero onore combattere al loro fianco e per giunta in una simile battaglia. Sperava solo che ne uscissero vincitori.
Artù si era avvicinato con il proprio destriero a quello di sir Leon, che galoppava a sua volta accanto a Briscola.
"Aslan ci ha detto che avrebbe radunato il resto del nostro esercito, e a questo punto credo che si riferisca al resto degli abitanti di Telmar, anche se non vedo come artigiani e contadini possano aiutarci contro un esercito ben istruito e per giunta assistito dalla magia nera, ma non voglio dubitare della Sua parola" - il principe aveva imparato immediatamente a non mettere in discussione ciò che il leone aveva proferito - "Sono sicuro che Lui interverrà al momento opportuno. E' solo che vorrei trovarmi al castello... Maledizione".
Sir Leon non aveva commentato: il suo principe era troppo nervoso e impaziente, e non era di certo quello il momento di mettersi a fare degli appunti. Artù era un condottiero, e l'attesa per lui era snervante.
"Cerchiamo di fare presto per favore... Miraz deve essere fermato prima che sia troppo tardi. Potrebbe arrivare persino a Camelot per portare morte e desolazione, e questo non possiamo permetterlo. Dobbiamo restituire alla gente la propria terra e la propria libertà, e dobbiamo sottrarre Merlino al suo volere. Qualunque sia la ragione per cui è stato condotto qui, ora non ha più importanza. Nel nome di Aslan, ridiamo a Narnia ciò che è di Narnia".

*

La situazione era precipitata in pochi istanti. Miraz aveva dato ordine ai suoi uomini di imprigionare Caspian e aveva fatto condurre Merlino nelle sue stanze. Il giovane mago non si era ancora risvegliato, e aveva continuato a perdere del sangue. Ormai era bianco come un cadavere, e il suo respiro era praticamente impercettibile. Caspian aveva lottato con tutte le sue forze per evitare che li separassero, ma era stato tutto inutile: erano troppi e troppo forti, e nonostante la presenza in lui dell'amore di Aslan, non era riuscito ad evitarlo. Merlino era lontano da lui, nascosto ai suoi occhi, e Caspian era certo che la sua prossima destinazione sarebbe stata la sala delle torture, dove Miraz, il caro zio che aveva fatto ogni cosa pur di ucciderlo, gli avrebbe fatto pagare la colpa di portare lo stesso nome che avevano avuto tutti i regnanti sedutisi sul trono di Telmar. Ma Caspian aveva ancora una volta sottovalutato la crudeltà dello zio: il perfido re immortale, aveva privato il giovane della sua spada e del suo pugnale, imprigionandogli polsi e caviglie proprio alla base del trono, in modo che chiunque entrasse nel salone fosse in grado di vederlo.
"Portate via il corpo di lord Sopespian! Trovo incredibile che nei nostri boschi si vedano ancora animali così feroci, no?" - aveva ordinato alle guardie, ridendo come solo un essere crudele come lui era capace di fare - "Subito dopo, pretendo che vengano radunati tutti i nobili e le loro signore: ci sarà una festa qui, oggi. Si festeggerà la cattura del mostro che ha fatto uccidere il suo stesso padre dai narniani".
Finalmente, tutto era chiaro. Il piano di Miraz aveva toccato il fondo con quell'ultima osservazione brutale. Il perfido tiranno aveva deciso di far passare Caspian per il colpevole davanti ai pochi che ancora non sapevano quello che era stato lui a fare, accusandolo di aver ucciso il re e istigato i narniani alla rivolta. Facendo in quel modo, Miraz avrebbe avuto un motivo per giustificare il loro attacco, un motivo per giustificare il misterioso e inatteso ritorno del principe che tutti credevano morto, e soprattutto avrebbe dato una spiegazione più che plausibile alla sua incoronazione e al perché il legittimo erede al trono fosse imprigionato come il più terribile tra i malviventi. E la cosa peggiore è che tutti gli avrebbero creduto, perché non c'era colpa più grande per un nobile che macchiarsi di alto tradimento nei confronti della corona. Chi avrebbe mai prestato ascolto alle insulse scuse di un ragazzo che era sparito per anni senza lasciare alcuna traccia di sé, di un giovane che tutti avevano dato per morto? Lacrime amare erano salite agli occhi del giovane principe, ormai pervaso dalla rabbia e dalla frustrazione. Si sentiva inutile e di peso. Cosa avrebbe potuto fare in quelle condizioni?
Improvvisamente, aveva scorto tra la piccola folla una figura che egli conosceva molto bene, una figura che non avrebbe potuto confondere con nessun'altra.
"Giona!" - aveva chiamato, cercando di non farsi udire dalle guardie che presidiavano il trono (sua maestà il re aveva deciso di cambiarsi d'abito per l'occasione) - "Giona!"- aveva ripetuto una seconda volta, sempre più agitato ed emozionato allo stesso tempo. Forse il padre di Mikael avrebbe potuto aiutarlo!
"Buon Giona, ti prego, ho bisogno del tuo aiuto! Aslan è stato qui! Lui mi ha condotto nel castello! Sono arrivato in groppa al suo dorso, non mi hai visto? Ti prego Giona, io non posso muovermi, ma c'è necessità che qualcuno faccia una cosa molto importante, una cosa che non può essere più rimandata!".
Caspian si riferiva al fatto che il popolo dovesse essere guidato durante l'apertura dei cancelli. C'era necessità di trovare il momento esatto, perché un ritardo o un anticipo avrebbero potuto far saltare il piano. Ah! Se solo non fosse stato talmente sciocco da farsi catturare! Come aveva potuto non prevedere una simile astuzia da parte dell'uomo dal cuore nero? Al solo pensiero di Miraz che divorava il cuore di un essere umano le budella di Caspian si contorcevano in una fitta dolorosissima. Quanto odio e quanta sete di potere albergavano in quell'uomo per permettergli di compiere un tale abominio? Per non parlare poi del povero Merlino: non occorreva un luminare per capire che quel mostro lo aveva costretto a compiere un brutale assassinio di sua mano. Una creatura così pura e innocente era stata costretta a commettere un atto così ignobile, pagandone le conseguenze sulla sua pelle. Il mago gli aveva spiegato cosa fossero le due maledette polsiere, e quali effetti provocassero in lui ogni volta che tentava di utilizzare la magia. Miraz non gli aveva permesso di toglierle, e quello solo per potersi servire ancora di lui in futuro, sempre se fosse sopravvissuto.
Cielo, come avrebbe potuto spiegare ad Artù quello che era successo senza parlare della magia che invadeva il suo giovane servitore? Facendo in quel modo non gli avrebbe permesso di aiutarlo. Ma fare altrimenti sarebbe stato come tradire la fiducia di Merlino. Era in una posizione davvero sconveniente e per nulla facile da gestire. Eppure, se Aslan lo aveva condotto in quel luogo e non all'accampamento, era certo che c'era un motivo più che valido.
Mentre proseguiva con quelle sue elucubrazioni, attendeva ancora una risposta da parte di Giona, risposta che, però, tardava a sopraggiungere.
Il mago non sembrava del tutto in sé. Evidentemente, l'orrore a cui aveva assistito lo aveva sconvolto al punto di non farlo più ragionare lucidamente.
"Giona, ti prego, è importante!" - ma neanche quell'ultimo accorato appello da parte di Caspian sembrava aver sortito alcun effetto su di lui. Il mago lo aveva fissato un attimo di sfuggita, senza però riconoscerlo per davvero, e poi era uscito dal salone, lasciando il prigioniero nel più totale sconforto, e nella più assoluta solitudine.
Caspian aveva fallito di nuovo.

*

Margareth e i suoi compari erano sull'orlo di una crisi di nervi. Non avrebbero mai messo in dubbio le parole del leone, ma cominciavano ad essere molto impazienti. A giudicare dalle urla di giubilo provenienti dal castello, doveva essere appena accaduto qualcosa di terribile, qualcosa che sarebbe stato segno di sventura per i poveri oppressi come loro.
"Credo che le cose non vadano per il meglio" - aveva esclamato la donna, mentre stringeva con forza il forcone che reggeva tra le mani - "E non vedo nessun esercito ancora. Ho paura che il signorino Merlino e il principe Caspian siano in grave pericolo. E noi siamo qui senza fare niente".
"Dobbiamo aspettare il segnale, lo sai bene" - aveva detto il mastro fornaio, anch'egli preoccupato - "Aslan e il principe Caspian non ci mentirebbero mai".
"Ma se è davvero così come dici, perché non è ancora arrivato nessuno?" - aveva ribadito il ciabattino.
"Perché ci vuole tempo per pianificare queste cose!" - aveva risposto il pescivendolo - "Muovere un intero esercito non è mica uno scherzo, amici! Sapete meglio di me di cosa parlano le leggende su Narnia e le sue armate! Presto saremo invasi da animali parlanti di ogni genere! E, nel nome di Aslan e del nostro futuro re, io sarò pronto ad attenderli!".
Il coraggioso pescivendolo non aveva neanche finito di pronunciare quella frase che un piccolo cardellino dall'aria del tutto innocua aveva cominciato a gironzolargli sul capo, disegnando dei cerchi concentrici sempre più piccoli.
"E questo che vuole?" - aveva esclamato il pescivendolo, cercando di ripararsi il capo - "Non sarà mica uno dei mostriciattoli al servizio di Miraz, no?".
Ma nessuno aveva fatto in tempo a rispondere che il piccolo uccellino aveva cominciato a parlare, ripetendo più volte il nome della persona che stavano aspettando.
"Artù!" - aveva detto - "Artù!".
"Artù?" - a quel punto, il pescivendolo, Vinicio, aveva alzato la mano verso il cielo, lasciando che il delizioso cardellino si posasse sul dito indice.
Tutti erano in attesa: doveva essere evidentemente un discendente di Narnia, e Artù era il principe di Camelot che tutti attendevano con grande ansia. Il momento della battaglia stava per sopraggiungere, e sarebbe stato a dir poco grandioso.

*

Artù non riusciva a capacitarsi di come il buio avesse avvolto ogni cosa in quel luogo dimenticato dagli dei. Quando era arrivato al confine, aveva esitato per la prima volta nella sua vita. Gli avevano spiegato che sarebbero piombati nel più totale buio, ma non pensava che sarebbe stato un buio letterale. La cosa che lo aveva maggiormente impressionato era stato proprio il trovarsi davanti alle tenebre mentre era ancora bagnato dal sole di mezzogiorno. Sembrava che fosse ai confini del mondo, dove la notte e il giorno si incontravano, dove sorgeva il limitare fra il regno del sole e quello della luna. Solo che non vi era nessuna luna dall'altra parte del bosco, né una stella che potesse in qualche modo rischiarare il loro cammino. Il buio inghiottiva ogni cosa, e solo uno sguardo attento e l'aiuto di una torcia avrebbe permesso a chiunque di proseguire.
"E' spaventoso" - aveva commentato sir Leon mentre cercava di calmare il suo cavallo, visibilmente agitato per la stranezza davanti a cui si trovava.
"Puoi dirlo forte e chiaro amico mio" - gli aveva fatto eco Briscola il nano, evitando di staccare gli occhi da ciò che aveva di fronte.
"Sono sempre più convinto che sia stato un bene lasciare Morgana all'accampamento" - era stato il commento di Artù - "La mia sorellastra è una fanciulla coraggiosa, ma dubito che a questo avrebbe reagito con la sua ostentata spavalderia!".
"Avete ragione maestà. Soprattutto dopo il suo incubo riguardante il principe Caspian, sarebbe stato un errore permetterle di partecipare alla battaglia. Non metto in dubbio il valore di lady Morgana, ma temo ugualmente per la sua vita".
"Sir Leon, pensavo che temessi più per la mia!" - aveva ironizzato il giovane Artù - "Pensa a cosa mi farebbe mio padre se le accadesse qualcosa! Dubito che dopo mi chiamereste ancora ' sire '!".
La battuta di Artù aveva permesso all'animo del cavaliere di alleggerirsi. Certo, non sarebbe stato piacevole inoltrarsi nel bosco, ma sapere di essere guidato da un giovane così reattivo era una vera manna dal cielo. Era fiero e orgoglioso di servire Artù, di certo il re più valoroso e saggio che Camelot avrebbe mai potuto sperare di avere.
"Dobbiamo andare. Il tempo di giocare è finito" - e, a quel punto, si era girato verso il bizzarro esercito alle sue spalle, parlando in tono solenne - "A questo punto, non ci si può più tirare indietro. Chiunque penetrerà nel buio, lo farà nel nome di Aslan e nel nome di Narnia. Coraggio miei soldati! Andiamo a liberare chi da troppo tempo vive oppresso dalla crudeltà e dalla sete di potere di un singolo uomo! Andiamo ad aiutare Caspian e ad aiutare il mio amico Merlino!".
Artù non si era reso conto che nel pronunciare il nome di quest'ultimo la sua voce era improvvisamente mutata.

*

Avrebbe voluto essere morto da secoli, ma non avrebbe voluto assistere a quello spettacolo ricolmo di odio e di orrore.
Avrebbe voluto che la terra lo inghiottisse o che le onde lo facessero sparire, piuttosto che veder morire un uomo, anche se crudele, per mano di un innocente.
Avrebbe voluto perire fra le più atroci sofferenze piuttosto che vedere Miraz divenire immortale.
Avrebbe voluto sparire nel nulla piuttosto che vedere ciò che rimaneva del suo amato figlio votarsi completamente al male più assoluto.
Giona non ce l'aveva fatta. Aveva fatto molto più di quello che il suo povero cuore poteva permettersi, ma assistere al rituale era stato un colpo che non aveva potuto reggere. Merlino non ce l'avrebbe fatta. L'aveva sospettato sin dall'inizio, e ne aveva avuto la conferma nel vederlo privo di sensi fra le braccia di un Caspian ancora convinto di poter risolvere ogni cosa. Il povero piccolo, dolce e coraggioso mago non avrebbe più aperto i suoi occhi sorridenti sul mondo crudele abitato dagli uomini. La magia di cui egli stesso era fatto lo avrebbe ucciso lentamente, come il potentissimo veleno di un serpente, e purtroppo, quel serpente era proprio suo figlio.
L'ombra nera generatasi da Mikael non aveva abbandonato neanche per un istante il capezzale di Merlino, assorbendone mano a mano tutta l'energia vitale che ancora albergava in lui. Quella creatura, quel mostro, si nutriva di tutto ciò di buono che l'universo poteva offrire, tramutandolo in puro odio e dolore.
Come poteva essere accaduto tutto quello proprio a loro? Come poteva essere accaduto proprio a lui? Quante volte aveva pregato Aslan, chiedendogli di proteggere la sua famiglia o meglio, ciò che ne restava? Già, Aslan. Il grande leone si era presentato al cospetto di Miraz insieme a Caspian per poi sparire nell'aria. Ma perché? Perché si divertiva a far loro del male? A fargli credere di poter finalmente parlare di rivalsa e giustizia per poi fargli crollare tutto addosso senza possibilità di appello? Avrebbe tanto voluto andargli incontro e urlargli tutto quello che lo stava avvelenando da anni, ma non ne aveva trovato la forza o il coraggio, e in ogni caso non ne avrebbe avuto il tempo, perché il re dei re non gliene aveva fornito.
Ah, com'erano cambiate le cose rispetto a quando era bambino! A quel tempo, quando avevano cominciato ad impartirgli i primi rudimenti della magia, il suo più grande desiderio era stato quello di incontrare il leone buono di cui tutti parlavano. Adesso, avrebbe voluto non vederlo affatto. Che speranze poteva avere che le cose migliorassero, arrivati a quel punto? Miraz era diventato immortale, i mostri che lo affiancavano si erano rivelati per quello che erano, e Caspian era stato imprigionato. Neppure un miracolo avrebbe potuto fare qualcosa per loro.
"Perché mi hai fatto questo Aslan, perché?".
Ma proprio in quel frangente, proprio quando aveva ormai perso ogni speranza, una voce fin troppo conosciuta lo aveva colto di sorpresa, facendogli sussultare il cuore.
"Padre! Padre! Sei vivo!".
"Clara! Figlia mia! Non posso credere che sia proprio tu!".
Eppure, quella che aveva davanti era davvero la sua bambina, l'ultima superstite di quella famiglia che credeva ormai del tutto distrutta. Senza pensarci due volte, l'uomo le era corso incontro, stringendola al petto come faceva quando era solo una bimbetta che a volte faceva i capricci. Per la prima volta dopo tanto tempo, l'uomo aveva finalmente pianto lacrime di gioia. Con estrema dolcezza le aveva posato una mano fra i capelli color del fuoco, cominciando ad accarezzarli con amore.
"Tesoro mio, sono così contento di rivederti!" - aveva detto ad un certo punto, staccandosi da lei controvoglia.
La ragazza, con gli occhi ancora lucidi dal pianto, aveva fissato il volto maturo di suo padre, cominciando a parlare con fare concitato.
"E' stato Aslan, padre mio. Il grande leone è venuto a salvarmi. Ancora non riesco a credere di averlo visto con questi occhi! Che grande emozione!".
Non riusciva a crederci. L'essere che aveva appena considerato la causa di tutti i suoi mali, aveva appena liberato sua figlia dalla torre. Che avesse commesso un errore?
"Aslan? Ma come...".
"Padre, io non so come abbia fatto, so solo che prima ero solo, al buio, incatenata e disperata, e poi un istante dopo le catene hanno smesso di dilaniarmi le carni, e non provavo più angoscia o dolore. Il mio cuore aveva di nuovo trovato la pace e la speranza, ed è tutto merito Suo. E' tutto merito di Aslan, Oh padre, dobbiamo fare presto! Dobbiamo liberare Caspian, aiutare Artù ad entrare e condurlo da Merlino, e dobbiamo fare presto!".
"Figlia mia... Ma cosa stai dicendo? Artù? Cosa centra Artù? E come pretendi di liberare Caspian senza l'aiuto della magia?".
"Non c'è tempo per discuterne! Ti spiegherò tutto per strada!  E se puoi padre mio, chiedi perdono per aver dubitato di Lui. Aslan non ci ha mai abbandonati, e mai lo farà. Nel nome di Alsan, andiamo a riprenderci ciò che è nostro!".

*

Le mura che circondavano Telmar erano tre volte più alte rispetto a quelle che circondavano la sua Camelot. I cancelli erano di ferro battuto, e le sbarre erano e scure, proprio come il materiale delle costruzioni che svettavano sinistre verso il cielo. Il castello era enorme e aveva l'aria minacciosa, aumentata notevolmente dalla pietra scura di cui era stato costruito. L'intero esercito era in fermento. I felini silenziosi avanzavano sicuri, scivolando sinuosi fra le radici degli alberi, mentre gli animali dotati di zoccoli prestavano maggiore attenzione, cercando di non commettere il minimo rumore.
Artù, affiancato dal prode sir Leon e dal buono e coraggioso Briscola, attendeva impaziente che il simpatico Mercurio portasse a termine il proprio compito.
"A quest'ora dovresti essere già arrivato! Forza Mercurio... Siamo nelle tue mani".
E, proprio alla fine di quella invocazione, qualcosa aveva cominciato a muoversi, scuotendo l'aria e la terra attorno a loro: i cancelli si stavano aprendo.
L'intera armata era col fiato sospeso. Due sole erano le alternative che potevano celarsi lì dietro: l'arrivo degli alleati, o l'attacco dei nemici. Il principe aveva sguainato la spada, scendendo da cavallo. Nonostante le proteste di sir Leon e di Briscola, era avanzato nel buio, lasciandosi alle spalle un'armata che ormai non poteva più distinguerlo in maniera netta. Aveva i nervi a fior di pelle e il cuore che batteva all'impazzata quando dallo spiraglio appena aperto era fuoriuscito qualcuno che conosceva bene, qualcuno che si era andato a posare immediatamente sulla sua spalla coperta dall'armatura.
"Amici! Amici!"- aveva trillato il piccolo Mercurio accanto all'orecchio del biondo principe di Camelot, principe che ormai non stava più nella pelle.
"Ottimo lavoro piccolo! Anche se non parli ancora molto bene, sai farti capire alla perfezione!".
Qualche istante dopo, anche se i cancelli non erano stati completamente spalancati, l'apertura da cui era fuoriuscito il suo inviato era stata attraversata da un'altra figura, decisamente più grande, più umana e anche un po’ più grassa.
"Chi sei?" - aveva chiesto Artù con fermezza nella voce.
"Siete il principe Artù di Camelot?" - aveva chiesto quella di rimando, tremante - "Siete l'altro figlio di Adamo?".
A quella domanda, Artù si era avvicinato, scoprendo che colei che aveva parlato era una donna dall'aria gentile. Non aveva dato l'impressione di essere una spia di Miraz, ma come poteva esserne sicuro?
"Non credi che prima di ricevere una risposta da parte mia dovresti presentarti?" - aveva detto lui, sulla difensiva. Di certo non era venuta da sola, e non voleva affatto difendersi da un assalto improvviso. Lui voleva attaccare per primo.
"Vi chiedo scusa maestà, avete ragione. Ma sapete com'è, veder tornare il principe Caspian sulla groppa del potente Aslan...".
"Hai visto Aslan?".
"Sì maestà. E non l'ho solo visto, Lui mi ha parlato. Il grande leone mi ha detto che sareste arrivati e che ci avreste aiutato a liberarci di Miraz. Vi prego figlio di Adamo, non abbandonateci, abbiamo bisogno di voi. Da troppo tempo viviamo sotto il comando di un uomo malvagio e senza scrupoli che non ha esitato a punire e a distruggere anche quando non era necessario. Il mostro che si è proclamato re ha ucciso il nostro legittimo sovrano e...".
"Non occorre che tu mi racconti la vostra storia, donna. Sono qui perché mi è stato chiesto di aiutarvi, e sono qui per salvare un amico. Non so se lo conosci. Hai mai sentito parlare di un ragazzo che si chiama Merlino?".
"Oh, il giovane mago!".
Artù era rimasto di sasso. La donna non poteva aver detto quello che aveva appena sentito.
"Il mago? No di certo!".
"E invece sì, vi dico! Merlino è il mago che l'usurpatore ha rapito perché lo rendesse immortale! Povero ragazzo, se vedeste come è stato ridotto! Non solo è stato reso uno schiavo incapace di usare i propri poteri, per giunta un essere che qualcuno si ostina ancora a chiamare uomo ha cercato più volte di attentare alla sua virtù! Ma lui si è sempre difeso con onore! Ah, povero ragazzo!".
Il principe era rimasto a bocca aperta, gli occhi sgranati tanto da far paura e le pupille perse nel vuoto. La donna doveva essersi sicuramente sbagliata! Chi mai avrebbe potuto attentare alla virtù di uno come Merlino? Ma al solo pensiero di quello che secondo il racconto della donna era stato evitato per miracolo gli si accapponava la pelle. E poi, Merlino non poteva essere un mago. Era a dir poco impossibile che in incapace pasticcione come lui potesse essere una di quelle creature!
"Tu dici il falso..." - aveva detto senza poca convinzione. Non poteva accettarlo. Non poteva farlo perché tutti gli anni trascorsi insieme si sarebbero rivelati solo una menzogna, una immane, crudele menzogna. Merlino non gli aveva mai mentito su niente, come poteva avergli tenuto nascosto un simile segreto? Forse per paura che lo consegnasse nelle mani di suo padre? Quello era un tradimento ancora più grave, perché significava che l'unico amico che avesse mai avuto non si fidava di lui.
"No principe Artù, ve lo giuro, non vi mentirei mai. Leggo nei vostri occhi quanto tenete a quel ragazzo, e posso dirvi che lo stesso vale per lui. Non sapevo che voi non foste a conoscenza delle sue doti. Spero di non avergli causato dei problemi".
Il silenzio di Artù l'aveva spinta a proseguire.
"Credo che Merlino abbia fatto per voi molto più di quello che pensiate, figlio di Adamo. Quando parla di voi il suo viso si illumina e ritrova la felicità perduta. Separarsi da voi è stato il dolore più grande, e solo la speranza di potervi un giorno rivedere lo ha aiutato a tirare avanti, ve lo posso garantire".
Il principe si era sentito quasi venire meno. Le parole della donna lo avevano confuso e turbato. Merlino non poteva provare quello che lei aveva appena detto. Era assurdo.
"Siete ancora giovane, principe, ancora estraneo a questo tipo di amore, ve lo leggo negli occhi. Ma posso garantirvi che se a questo mondo esiste una persona veramente devota, quella è Merlino. Avrà avuto i suoi buoni motivi per non dirvi niente, ma il ragazzo vive per voi maestà".
"Mi ha mentito..." - aveva bisbigliato Artù con gli occhi puntati al suolo - "Mi ha mentito per tutto questo tempo... Non posso crederci...".
A quel punto, la donna dall'aspetto gentile aveva sollevato una mano, posandola sulla guancia morbida e priva di peli di Artù. A quel tocco, il principe aveva avuto un sussulto, ma non si era spostato. Nessuno aveva mai avuto un gesto così affettuoso e materno nei suoi confronti.
"Lui è di animo buono maestà. Non ha niente a che fare con la creatura che ha gettato odio e disperazione su questo posto. Aiutateci a sconfiggere Miraz figlio di Adamo, e noi vi aiuteremo a riprendervi Merlino. Non lasciate che il male in persona vi divida come ha fatto con il principe Caspian e il suo amico Mikael".
A quel punto, Artù sentiva l'esigenza di sentire il resto della storia.

*

Immerso nel buio della sua stanza, Merlino continuava a giacere sul letto, immobile, senza dare alcun segno di vita. Se non fosse stato per l'impercettibile movimento che il suo petto faceva nell'incamerare e nell'espellere aria, avrebbero potuto scambiarlo per un corpo senza vita. Le lenzuola erano ormai intrise di sangue e sudore, e sul volto pallido erano comparse scure e profonde occhiaie. Le labbra erano bianche e socchiuse, i capelli incollati alla fronte e al collo. Persino le orecchie, solitamente arrossate sull'estremità dei padiglioni avevano perso ogni vitalità. Il silenzio che regnava in quel luogo era interrotto solo dal lento sibilare della creatura che continuava a fargli la guardia. I suoi occhi spettrali scintillavano nel buio, e il suo respiro malefico impegnava l'aria di magia nera come il cuore di chi l'aveva generata.
Non ci sarebbe stato modo per Merlino di liberarsi, se non grazie all'aiuto di un amico. Miraz e la creatura erano più che certi che nessuno avrebbe mai osato tanto.
Però, a quanto sembrava, dato lo spaventoso urlo elevatosi dalla piazza, a volte anche chi aveva pianificato tutto alla perfezione poteva sbagliarsi.

Continua...
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Eccomi qui!!!
Stavolta il ritardo è più che giustificato: ho scritto tutte e tre i capitoli - lunghissimi, come avrete notato da questo appena postato - in una sola volta prima di postarli. Cercherò di farlo nel minor tempo possibile, visto che vi ho fatto aspettare tanto! Che dire? Ho quasi le lacrime agli occhi… Non riesco a credere di essere arrivata alla fine! Ma era giusto che essa arrivasse, dopotutto! Quando una cosa viene tirata troppo per le lunghe finisce per stancare, ed io non voglio stancarvi!
Grazie per avermi aspettata fino ad ora!
Vi adoro!
Baci
Cleo

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Capitolo 59
*** L'ultima battaglia ***


L'ultima battaglia

"Chiudete i cancelli! Sprangate le porte! Radunate tutti gli uomini! Per tutti gli dei, come avete fatto a non accorgervi che stavano per entrare!?".
Il nuovo generale dell'esercito di Miraz, lord Calorsen, era in preda al panico. Il castello e le mura della città erano controllate dalla magia dell'ombra, com'era potuto accadere che nessuno avesse notato l'avvicinarsi di un esercito così bene organizzato? Un esercito di narniani, poi! Ma non erano estinti? La sorpresa più grande, però, era stata il trovarsi davanti persone che credeva pietrificate! Come avevano fatto a liberarsi? Sicuramente era stata opera del leone. A quanto pare, si trovavano al cospetto di un nemico molto più potente di quanto avessero mai immaginato.
Gli uomini stavano facendo del loro meglio, ma le bestie erano feroci, intelligenti e forti, in quanto nei loro cuori albergavano sentimenti quali giustizia e amore, sentimenti dettati dal possente leone, ed era quasi impossibile contrastarli senza l'aiuto dell'unico che poteva sperare di competere con una così potente magia.
"Maestà!" - aveva urlato ad un certo punto il generale, in preda al panico - "Abbiamo bisogno di aiuto! Sono centinaia, e sono dotati di una forza spaventosa! Non vinceremo mai altrimenti!".
Miraz, però, non sembrava affatto preoccupato. Il sovrano immortale aveva finito con calma di indossare guanti e mantello da cerimonia, e si era tirato i capelli indietro, osservando con tranquillità la battaglia che si stava svolgendo nel cortile.
"Ma che bravo il gattino troppo cresciuto! E' riuscito a riportare le statue alla loro forma originaria... E guarda quanti narniani sono ancora in vita. Una vera sorpresa!".
Lord Calorsen si chiedeva se la reazione del suo re fosse solo una conseguenza estrema di una crisi di nervi. Come poteva altrimenti essere così tranquillo di fronte ad un simile pericolo?
"Maestà... ordini?" - voleva solo che si prendessero provvedimenti al più presto. Stavano riportando numerose perdite, e non aveva intenzione di seppellire più uomini del dovuto.
Ma Miraz non sembrava dello stesso avviso. Con estrema lentezza aveva girato il capo verso il suo generale, sorridendo con malvagità.
"Generale... mi meraviglio di voi e del vostro timore".
L'uomo si era irrigidito a quelle parole: temeva l'ira di sua maestà molto più della magia di un leone narniano.
"Avvicinatevi, lord Calorsen, avvicinatevi alla finestra".
Obbedendo immediatamente all'ordine, il generale si era avvicinato, lasciando che sua maestà posasse entrambe le mani sulle sue spalle. Quello che aveva provato era stato a dir poco indescrivibile: nonostante indossasse la cotta di maglia e l'armatura, e nonostante le mani di Miraz fossero fasciate dai guanti di pelle nera, la parte del corpo da lui sfiorata era stata colpita da un freddo innaturale, lo stesso freddo che usciva dalla narici di sua maestà. Il terrore aveva invaso l'animo dell'uomo che finalmente aveva compreso quale fosse la verità: Miraz, il re che stava servendo, non era più un uomo, anche se immortale. Lo zio di Caspian X era diventato una specie di morto che camminava ancora sulla terra, un essere che non apparteneva né al mondo dei vivi né a quello dei morti. Prestando attenzione, lord Calorsen si era accorto che non si avvertiva neppure il battito del suo cuore. Com'era stato possibile che avesse deciso di infliggersi una simile condanna con le sue stesse mani? Come era possibile che un uomo potesse decidere di diventare un mostro?
"Vi vedo perplesso lord Calorsen... C'è forse qualcosa che vi turba?".
"N-no mio re" - aveva balbettato quello, cercando di non mostrarsi nervoso o, peggio ancora, disgustato.
"Bene, perché ci sono tante cosa da fare, ancora. Guardate bene lo spettacolo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi! Guardate! Quanta ferocia stanno tirando fuori queste bestie che si ritengono tanto superiori? Attaccano, mordono e dilaniano come qualunque altro animale, anzi, forse anche di più. E sembra davvero che i nostri uomini siano in netto svantaggio. Ma guardate meglio! Coraggio... guardate! Guardate come li teniamo in pugno!".
Inizialmente lord Calorsen aveva trovato difficoltà a comprendere le parole del suo re. Poi, però, proprio in quell'istante, era riuscito a darsi una spiegazione: qualcosa di terribile aveva appena iniziato a manifestarsi sotto i suoi occhi.

*

Artù era nel bel mezzo della battaglia. Dopo il discorso che aveva affrontato con Margareth, la donna che aveva permesso loro di entrare tra le mura della città, un sentimento nuovo lo aveva spinto ad andare avanti senza esitazioni. Ora, tutto era finalmente chiaro. Era finalmente riuscito a spiegarsi il perché del rapimento di Merlino, così come era stato finalmente in grado di capire come avesse fatto ad uscire indenne da situazioni apparentemente catastrofiche. Era stato Merlino, era sempre stato Merlino. Il suo amico era un potente mago, ecco chi era, un mago che lo aveva protetto e difeso a costo della sua stessa vita. Aveva corso un pericolo tremendo decidendo di rimanere a Camelot, al suo fianco, sfidando le leggi di Uther, dimostrando di essere un ragazzo coraggioso oltre ogni limite. Ma c'era anche un'altra cosa che gli stava dando una spinta in più per reagire, ed essa era la rabbia. Perché per quanto comprendesse le motivazioni che avevano spinto Merlino a mentirgli per tutto quel tempo, si sentiva tradito dal suo migliore amico.
Davvero credeva che lo avrebbe consegnato a suo padre, facendogli patire una sofferenza ed una morte atroci? Ogni volta che gli tornavano in mente le parole di Margareth, Artù colpiva i nemici che non sapeva neppure di avere. Da solo, senza l'aiuto di nessuno, aveva atterrato una decina di uomini, ferendone gravemente altrettanti. Sembrava la morte scesa sulla terra, morte che aveva assunto l’aspetto di un giovane bello come il sole. Persino il prode sir Leon, compagno di mille spedizioni, si era meravigliato di vedere il proprio principe battersi con tanta ferocia. Artù non era mai stato un guerriero crudele. Artù era un ragazzo giusto e leale, un ragazzo che soffriva per ogni vita che era costretto a stroncare, e che chiedeva perdono agli dei per ogni sua vittima. Cosa poteva essergli accaduto in così poco tempo per tramutarlo in un guerriero così spietato?
"Artù!" - lo aveva chiamato il cavaliere, trovando un attimo di respiro - "Artù, dovete calmarvi! Non potete continuare così!".
Ma il prode principe di Camelot sembrava non averlo minimamente ascoltato. Continuava a caricare con veemenza, colpendo e dilaniando le carni di chiunque gli capitasse a tiro.
"Non è il momento di essere magnanimi sir Leon! Questo mostro va fermato, e con esso gli uomini che hanno deciso di schierarsi dalla sua parte!".
Il cavaliere aveva ferito di striscio un soldato telmariano prima di tornare a rivolgersi al suo sovrano.
“Non è questo il modo Artù! State combattendo senza lucidità e senza il giudizio che di solito vi contraddistinguono! Vi prego Artù, smettetela!".
"Aaah!" - aveva urlato il principe mentre atterrava un altro soldato, ignorando completamente il cavaliere - "Soldati! Al castello! Subito!".
Ma, proprio mentre la bizzarra e variopinta armata era giunta in prossimità dei cancelli ed era riuscita a spalancarli, essi si erano richiusi autonomamente, dividendo i pochi che erano riusciti a penetrare all'interno dai molti che erano rimasti chiusi fuori.
Il fedele destriero di Artù si era innervosito, così come il cavallo di sir Leon e quello di Briscola.
"Che cosa succede?" - aveva chiesto quest'ultimo, guardandosi attorno nella speranza di riuscire a comprendere qualcosa.
"Cosa vuoi che ne sappia??" - aveva risposto un Artù profondamente irritato, mentre cercava di placare il proprio cavallo.
Di certo, qualunque cosa stesse accadendo, era tremendamente inquietante: i cancelli, le porte, le finestre, ogni cosa si era sbarrata senza che nessuno la toccasse. Il castello era sigillato come uno scrigno. Non avevano più alcun accesso, eccetto una finestra posta in una stanza in alto da cui si intravedeva la fioca luce di una candela.
Osservando meglio, Artù si era reso conto che nei pressi della finestra vi erano due figure che guardavano verso l'esterno. Una delle due era a dir poco inconfondibile: nessuno avrebbe mai potuto dimenticare il volto crudele di Miraz. L'usurpatore aveva gli occhi puntati addosso al biondo principe, e sembrava schernirlo e sfidarlo allo stesso tempo. Non c'era meraviglia nelle sue iridi nere. Evidentemente, il mostro sapeva che sarebbe andato a cercare Merlino.
"Eccolo lì" - aveva sussurrato il principe di Camelot ai suoi compari, digrignando i denti dalla rabbia - "Eccolo lì quel verme schifoso!".
Il suo esercito si era girato verso la direzione indicata dal principe. Le pantere e i leoni avevano cominciato ad emettere bassi ringhi minacciosi, i centauri e i fauni avevano preso a scalpitare e le aquile e i grifoni avevano urlato verso il cielo talmente forte da sembrare sul punto di squarciarlo.
"Pare che quella sia l'unica via di accesso" - aveva commentato sir Leon, sarcastico.
"Sembra che tu abbia ragione" - gli aveva fatto eco Briscola.
"Dobbiamo raggiungere quel mostro" - aveva sentenziato Artù senza troppi preamboli.
Sir Leon e Briscola si erano scambiati un lungo sguardo d'intesa: a differenza del cavaliere, il nano non conosceva bene il principe Artù, ma sapeva bene che se Aslan lo aveva scelto era per il suo cuore puro e perché era un uomo giusto. Il perché del suo comportamento irruento era inspiegabile persino per uno che non lo conosceva, figurarsi per chi come sir Leon l'aveva visto crescere. Era quasi come se nel suo cuore non ci fosse più spazio per Aslan e per i suoi insegnamenti. Era quasi come se non ci fosse più spazio per l'Artù di Camelot che tutti amavano e rispettavano.
"Fatemi arrivare lassù" - aveva detto, senza possibilità di replica.
A quel punto, un grifone che aveva udito la sua richiesta era planato con velocità sino a toccare terra.
"Salite sulla mia groppa maestà. Vi condurrò dove desiderate".
Ma, proprio mentre Artù stava per scendere da cavallo, una sorta di spettrale nebbia era sorta dal nulla, e aveva cominciato a diffondersi ad una velocità spaventosa. Qualche istante dopo, gli animali avevano cominciato a cadere al suolo come se fossero stati colti da un sonno inaspettato e letale, compresi Briscola e sir Leon, che stavano per essere avvolti da essa nonostante i continui sforzi che stavano tentando di fare per evitarlo. A quel punto, Artù non poteva più esitare. Con un balzo, il principe si era portato sulla groppa del grifone, grifone che si era librato in volo proprio in tempo per evitare che qualcosa dagli occhi rossi come fuoco che il principe aveva visto solo di sfuggita riuscisse nel suo intento di mordere la zampa del grifone.
Artù volava veloce verso il proprio nemico. Il suo unico desiderio era quello di porre fine alla sua vita. Peccato solo che non sapesse nulla della sua immortalità.

*

Clara e suo padre si erano diretti a gran velocità presso le stanze di Merlino. Avevano appena socchiuso la porta quando la malefica ombra del loro amato parente si era dissolta nell'aria, e con essa la sensazione di disagio che si era venuta a creare.
"Merlino!" - aveva urlato la ragazza, precipitandosi verso l'ampio letto su cui giaceva immobile il povero mago quasi del tutto esangue - "Merlino, ti prego, guardami!" - aveva tentato ancora, sollevandogli di poco il capo. Ma il giovane non sembrava avere alcun tipo di reazione agli stimoli della ragazza dalla chioma fulva.
Giona si sentiva tremendamente in colpa: non aveva fatto niente per fermare quello scempio, anzi, aveva addirittura messo tra le mani del ragazzo il grimorio su cui era stato scritto il terribile incantesimo che nessuno avrebbe mai dovuto pronunciare.
"E' tutta colpa mia Merlino... Mi dispiace tanto..." - aveva detto al ragazzo, quasi con le lacrime agli occhi.
"Padre, dobbiamo fare qualcosa per lui, dobbiamo aiutarlo!" - era intervenuta la ragazza, che nel frattempo aveva iniziato ad accarezzare quel volto così bello anche nella sofferenza.
"Non credo che possiamo fare qualcosa, figlia mia".
"Ma tu sei un mago! E sei anche molto potente!" - aveva protestato lei, in preda al panico. Come poteva dire suo padre di non poter fare assolutamente nulla per lui?
"Credo di non esserlo abbastanza. La verità è che questo tipo di magia può essere infranta solo da un’altra di pari intensità e forza".
"Che cosa intendi di preciso?".
"Il punto è che nessuno lo sa! Potrebbe servire un contro incantesimo, o qualcosa di completamente diverso".
Non riusciva a crederci! Come poteva suo padre non sapere come fare per porre rimedio agli effetti devastanti di quella magia?
"Non può non esserci un contro incantesimo!".
"Figlia mia, ormai dovresti sapere che la magia richiede prezzi molto alti in queste circostanze".
"Oh dei padre! Non penserete mica che per riscattare la sua vita occorra sacrificarne un'altra?".
Clara era ormai sul punto di scoppiare a piangere, in parte per la rabbia, in parte per l'immenso dolore che quella situazione le stava procurando. Merlino ne aveva passate fin troppe, ed era tutta colpa sua. Era stata lei a scoprire il suo segreto, era stata lei ad indicarlo a Miraz come possibile esecutore del malefico incantesimo, era stata lei ad ingannarlo e a farlo imprigionare.
"Sono un mostro" - aveva sussurrato ad un certo punto, lasciando che le sue lacrime finalmente sgorgassero e bagnassero il volto cereo di Merlino - "E' tutta colpa mia. Ma giuro sul bene che voglio alla mia famiglia che farò tutto ciò che è in mio potere per salvarti" - aveva detto, posandogli un leggero bacio sulla fronte.
Giona aveva cominciato ad avere una terribile sensazione: se poco prima aveva ricevuto un minimo di sollievo nel sapere che sua figlia era finalmente libera, ora cominciava a temere per la sua vita. Clara aveva uno strano sguardo, uno sguardo che conosceva fin troppo bene.
"Figlia...".    
"E' colpa mia padre, è solo colpa mia. Non avrei dovuto tradire la sua fiducia, non avrei dovuto consegnarlo a Miraz. Se c'è un modo per salvarlo, e se questo modo richiede un sacrificio, io...".
"NON DIRLO!" - aveva urlato Giona, alzando la voce a tal punto da far sussultare la ragazza per lo spavento.
"Non devi dirlo neanche per scherzo! Ho perso due figli e una moglie, sei tutto quello che mi è rimasto! E per quanto io possa voler bene a questo ragazzo, non posso permetterti di sacrificare la tua vita per lui!".
"Ma padre...".
"Non ci sono ma che tengano, Clara! Tu non sai a quello che vai incontro! Sacrificare la tua vita non è un'opzione, per cui, non osare mai più neanche pensare una cosa del genere!".
Clara era stata sconfitta. Sapeva che suo padre non avrebbe mai accettato la sua proposta, ma confidava nel fatto che egli credesse nella giustizia di Aslan! Arrivata a quel punto, non sapeva più come fare per aiutare il povero Merlino. Lei non era dotata di poteri magici, e suo padre era l'unico mago disponibile nei paraggi. Si sentiva persa e sola.
"Io non voglio che lui muoia..." - aveva asserito, continuando a piangere e ad accarezzargli il viso.
Giona non aveva aggiunto altro. Neanche lui voleva che Merlino morisse, ma non aveva i mezzi per poter fare qualcosa di concreto. A quel punto, non gli restava che stare fermo ad aspettare. Se Aslan aveva aiutato sua figlia nonostante le bravate che era stata costretta a commettere, forse avrebbe aiutato anche l'artefice di quella malefica magia.
Tutto ad un tratto, però, aveva cominciato a sentire rumori provenienti dall'esterno, rumori a dir poco inconfondibili per chi aveva già affrontato in passato una battaglia.
"Padre, ma cosa succede?".
Velocemente, il mago si era diretto presso la finestra, cominciando a descrivere alla figlia in maniera dettagliata ciò che stava accadendo al di là del vetro.
"Narniani, figlia mia! Sono tanti, e attaccano con ferocia! L'esercito di Miraz è in difficoltà! E... quello deve essere Artù di Camelot! Figlia, il principe di Camelot è venuto a salvarci!".
Non riusciva a credere ai propri occhi. Quello che stava avvenendo era a dir poco portentoso! Ovviamente, era a conoscenza del fatto che il popolo di Narnia non fosse affatto estinto, ma non pensava che fossero tanto numerosi e tanto agguerriti. Lo stanco e provato Giona si era sentito improvvisamente rinascere.
"Forse abbiamo ancora una speranza!".
Ma, ovviamente, aveva parlato troppo presto: la piazza del castello si era improvvisamente riempita di uno strano fumo, e chiunque ne venisse investito cadeva al suolo privo di sensi. Solo il principe di Camelot era riuscito a sfuggirgli, aggrappandosi con forza al collo piumato di un enorme grifone dall'aspetto fiero e minaccioso. Il mago non aveva potuto fare a meno di notare che sotto di lui brillassero i perfidi occhi scuri di quella malefica ombra che conosceva bene come la sua anima.

*

Caspian non riusciva più a ragionare lucidamente. Il fragore della battaglia era giunto alle sue orecchie, e l'essere imprigionato ai piedi dell'altare come un trofeo di caccia lo faceva sentire doppiamente inutile ed inetto. Le due guardie che avrebbero dovuto badare a lui si erano unite al resto dell'esercito, lasciandolo solo, e aveva cercato di fare qualunque cosa pur di liberarsi dalle catene, ma l'unica cosa che era riuscito a fare era stata procurarsi delle lacerazioni profondissime che avevano cominciato a dolere e sanguinare copiosamente. Ma lui non si era arreso: non poteva mollare proprio ora, e non poteva lasciar fare tutto ad Artù! Era lui il principe ereditario di Telmar, si trattava del suo trono, della sua gente, doveva, voleva essere in prima linea per difenderli e restituire loro ciò che gli spettava di diritto. Per questo non si sarebbe arreso, per questo avrebbe continuato a lottare, strappandosi la carne con le sue stesse mani se necessario. Avrebbe combattuto al fianco di Artù.
Ma, proprio mentre stava tentando ancora di liberarsi, la porta si era spalancata di scatto, rivelando agli occhi del principe la snella figura di un giovane dai capelli scuri che era sicuro di non conoscere. Il ragazzo aveva esitato per un lunghissimo attimo prima di entrare, squadrando attentamente il principe incatenato.
"Chi sei?" - aveva chiesto Caspian, ad un certo punto - "Se sei un amico sei il benvenuto, ma se sei un nemico sappi che...".
"Sono un amico!" - lo aveva interrotto il ragazzo - "Sono-sono un amico maestà!" - e si era precipitato ad aiutarlo.
"State indietro" - lo aveva ammonito, spezzando subito dopo le pesanti catene con un colpo netto della sua possente spada.
Caspian aveva evitato di cadere in avanti in malo modo, e subito dopo aveva cominciato a massaggiarsi i polsi e le caviglie, evitando di rimettersi immediatamente in piedi perché temeva che le gambe non lo reggessero.
"Ti sono debitore, ragazzo. Sarei lieto di conoscere il tuo nome. Ci siamo mai visti prima di oggi?".
Il giovane aveva abbassato per un istante lo sguardo, stringendo poi con forza la spada con cui aveva liberato sua maestà.
"Non credo mio signore. Io sono Marcus maestà. Sono il figlio di lord Glozelle e di lady Lucia, venuto qui per servirvi, e per vendicare la morte di mio padre".
Caspian era sorpreso: non aveva dimenticato il tradimento di Glozelle, ma sarebbe stato scortese e controproducente tirare in ballo davanti al ragazzo cose di cui in fondo non era responsabile.
"Figlio di lord Glozelle e lady Lucia, ti devo la mia salvezza. Quando sarò re, tu sarai eletto cavaliere di Narnia".
Il ragazzo era arrossito per la sorpresa. Non si aspettava di ricevere una simile onorificenza, e non se ne sentiva neppure degno, ma aveva preferito non replicare.
"Maestà, io...".
"A dopo i convenevoli" - aveva tagliato corto Caspian mentre si accingeva a recuperare la propria spada - "Dobbiamo trovare Miraz, e soprattutto dobbiamo trovare Merlino!".
"Merlino?" - era ovvio che Marcus non sapesse di chi stesse parlando.
"Sì ragazzo, dobbiamo trovare il mago, o nessuno sarà in grado di fermare Miraz. Almeno, non fino a quando rimarrà immortale!".
La bocca spalancata di Marcus valeva più di mille parole.

*

Artù era quasi arrivato davanti alla grande vetrata che lo separava da Miraz. Non aveva mai volato prima di allora, e non aveva mai neppure creduto di poterlo fare, ma non era riuscito a godersi il brivido dell'esperienza, perché il suo unico pensiero era quello di uccidere il mostro che era diventato la causa di tutti i mali. L'odio verso Miraz non faceva altro che crescere, così come il disprezzo nei confronti di lord Sopespian. Entrambi sarebbero morti saggiando la sua lama letale.
Lo sguardo del principe di Camelot era profondamente cambiato. Totalmente accecato dall'odio, sembrava lo sguardo di un altro uomo, un uomo diverso che nessuno prima di allora aveva mai conosciuto, e che nessuno avrebbe mai sperato di vedere.
Giunto in prossimità del punto di arrivo, aveva finalmente sguainato la sua spada, facendola roteare in aria più volte prima di colpire il proprio bersaglio. Ma la minacciosa scena non sembrava aver turbato minimamente Miraz, al contrario del suo nuovo generale che sembrava completamente pervaso dal terrore.
"Maestà... Sta per attaccarci... Maestà...".
"State calmo mio caro!" - aveva sibilato, stringendogli con forza la spalla con le grandi mani nodose - "Dopotutto, difendermi è un vostro DOVERE!".
La scena era stata epica, degna di essere raffigurata dal più grande pittore mai esistito sulla faccia della terra: l'alta vetrata della finestra ad arco acuto era stata mandata in frantumi dalle possenti zampe del grifone arrivato ad ali spiegate e a becco spalancato, emettendo un verso spaventoso, proprio come una bestia portatrice di morte.
Sulla sua groppa si era presentato Artù, con la spada sguainata e la bocca deformata in un grido di puro odio che avrebbe fatto scappare qualunque creatura, anche la più coraggiosa. A pochi passi da lui, immobili, sulla loro traiettoria, vi erano re Miraz e il povero generale Calorsen che si era ritrovato a fare da scudo al perfido sovrano.
In un solo, temibile istante, gli sguardi dell'usurpatore e del principe si erano incrociati dichiarandosi guerra apertamente, per poi perdersi a causa di un'atrocità che era appena stata commessa: il fendente mortale di Artù era andato a segno, ma purtroppo per lui non aveva colpito le membra di Miraz, bensì il torace del povero generale, trapassandolo da parte a parte. Stravolto da quel gesto così inaspettato, Calorsen aveva avuto solo il tempo di guardare il mostro per cui aveva perso la vita negli occhi e leggervi dentro non rimorso o dolore, ma solo un sadico e orrido divertimento. E, in pochi secondi, il pover'uomo si era accasciato al suolo, abbandonando per sempre quella vita a cui era sempre stato estremamente legato.
"MIRAZ!" - aveva urlato Artù, scendendo dalla groppa del grifone - "Impugna la tua spada e battiti, codardo! Sono Artù di Camelot, sono un figlio di Adamo, e sono qui per prendermi la tua vita!".
Nonostante si trovasse sotto scacco, l'usurpatore non sembrava minimamente spaventato o turbato dall'accaduto.
"Piacere di rivedeti Artù di Camelot... Abbiamo fatto progressi a quanto pare! Figlio di Adamo...! Hai forse incontrato Aslan di recente?".
"Cane! Non osare prenderti gioco di me! Impugna la tua spada e combatti da uomo!".
"Quanto ardore! Tutto questo per aiutare il caro Caspian, o per liberare il dolce e gentile Merlino?".
"Non osare...".
"Fare cosa? Nominare il tuo maghetto? Pensavo fossi in collera con lui per averti mentito su chi era veramente! A quanto pare mi sbagliavo!".
A quanto sembrava, Miraz sapeva molto di più di ciò che Artù pensava. Margareth lo aveva avvisato della presenza della malefica ombra, ma non credeva che essa potesse essere tanto potente da narrargli ogni evento nello stesso istante in cui esso avveniva, se non addirittura in anticipo.
"Ti vedo sorpreso, Artù. Eppure so che sei a conoscenza delle splendide doti del mio braccio destro... A proposito! Non avete ancora fatto conoscenza!".
Un attimo dopo, dal nulla, era apparsa la terribile ombra sibilante, che strisciando sinuosa si era avvicinata alle gambe di Miraz.
Artù non l'aveva persa di vista neanche per un istante. Non provava timore nei confronti di quella bestia: provava solo ed esclusivamente ribrezzo.
"So che cosa sei" - aveva detto, rivolgendosi all'ombra di Mikael - "E so che cosa eri! Un traditore, ecco cosa eri!".
Sul volto di Miraz si era accesa improvvisamente una luce che alcuni guerrieri conoscevano molto bene. Sul suo volto si era accesa la luce della vittoria.
"Davvero, principe Artù? Era un traditore?".
"Sì, lo era!" - aveva urlato Artù, puntandogli addosso la spada - "Lui non ha tenuto fede al patto di morte che avevate stipulato!".
Il sorriso di Miraz si era allargato ancora di più. Tutto stava andando come previsto. Non riusciva quasi a credere che fosse stato così facile!
"E' proprio come dite, Artù. Lui era un traditore, ed ha pagato le conseguenze del suo gesto. Adesso, sarà legato a me in eterno. Obbedirà ai miei ordini in tutto e per tutto, senza mai potersi ribellare! Non trovate che sia la giusta punizione per uno come lui Artù? Non trovate? Non vorreste anche voi punire in questo modo chi ha osato tradirvi? Non volete?".
Nel cuore di Artù si agitavano sentimenti contrastanti: se da un lato si rendeva conto perfettamente che il discorso di Miraz nascondeva qualcosa di subdolo, nel contempo non riusciva a fare a meno di essere d'accordo con lui. La sua mente aveva cominciato a vagare, ripercorrendo tutti gli episodi di tradimento di cui era stato vittima inconsapevole. E, in ognuno di questi episodi prendeva forma sempre la stessa figura: quella slanciata e quasi eterea di Merlino.
"Sì Artù... E' proprio così" - aveva detto Miraz - "So a cosa stai pensando… A Merlino, e a tutto quello che ha fatto alle tue spalle. Lo senti questo sentimento, questo dolore che si agita proprio qui, nel tuo petto, all'altezza del cuore?" - e aveva posato una mano sul suo torace.
Artù aveva cominciato ad avvertire per davvero quel turbamento di cui parlava Miraz, e sentiva che Merlino era la fonte di tutti i mali. Quelli che fino a qualche istante prima erano stati ricordi in cui il mago aveva giocato la parte del salvatore celato, erano diventati ricordi in cui l'eroe si era tramutato nel mostro. Come aveva potuto essere talmente sciocco da fidarsi di un ragazzino? Essere talmente cieco da non vedere ciò che era chiaro come il sole?
Miraz sorrideva maligno mentre nella sua mente venivano proiettate dall'ombra le immagini che scorrevano nella mente di Artù. Il suo piano stava riuscendo a meraviglia, di conseguenza non poteva non gioirne. Ovviamente era a conoscenza dell'arrivo del principe e dello stupido esercito narniano, anche se non era stato in grado di vedere Aslan. Il grande leone si era celato agli occhi dell'ombra, impedendogli di sentire la sua voce. Fortunatamente, era stato in grado di apprendere molte cose anche dalla mente di Artù, vulnerabile, ma purtroppo limitata. Di certo, non aveva paura di un misero gruppo di belve feroci. La magia che aveva a disposizione era di certo molto più potente di quella al servizio dei narniani, e la sua immortalità costituiva l'ennesimo punto a suo favore.
Il figlio di Adamo stava cadendo in suo possesso, e non poteva capitargli fortuna migliore.
"E' proprio così Artù. Merlino è la causa di tutti i mali. Non vorresti vendicarti, principe di Camelot?".
Quest’ultimo non era stato in grado di rendersi conto che già da qualche minuto la maledetta ombra aveva cominciato ad emettere un suono a dir poco agghiacciante, un suono che però l'essere umano non era in grado di percepire ma che ne subiva effetti a dir poco devastanti. Senza saperlo, il biondo figlio di Adamo aveva cominciato a stringere l'elsa della spada con maggiore forza, facendola muovere di tanto in tanto. La rabbia in lui era cresciuta a dismisura, fino al punto di diventare quasi incontenibile.
"Sì... E' colpa di Merlino" - aveva detto - "E' tutta colpa sua".
C'era quasi. Ormai non mancava molto. Presto il figlio di Adamo sarebbe caduto sotto il suo controllo. E allora, nessuno avrebbe più potuto fermarlo.

*

Caspian correva talmente veloce da farsi mancare il fiato. I corridoi del castello erano improvvisamente diventati un campo di battaglia in cui i soldati e alcune bestie di Narnia continuavano a lottare, ormai allo stremo delle forze. Il principe, seguito a ruota dal prode e giovanissimo Marcus, continuava ad avanzare, stendendo con un solo fendente chiunque osasse intralciare il proprio cammino. Il suo obiettivo era quello di raggiungere al più presto Miraz l'usurpatore, e avere finalmente giustizia. Alla fine, si era reso perfettamente conto che l'immortalità non costituiva per lui un problema. Il vero problema era l'aiuto che l'uomo dal cuore nero traeva dall'ombra di Mikael. Sin dal primo istante, Caspian aveva deciso di non privare il perfido zio della sua vita per bontà, ed ora era sempre più certo che una volta spezzato l'incantesimo sarebbe tornato tutto come prima. Ma come avrebbe potuto farlo? Non era un mago, Giona non era abbastanza potente per cercare di porre rimedio, e di Merlino non c'era traccia, e non sapeva neppure se ci fosse un contro-incantesimo in grado di spezzare quella condanna peggiore della morte.
Marcus seguiva il suo principe senza battere ciglio: era stato addestrato per diventare un guerriero, e non avrebbe di certo disonorato la memoria di suo padre. Era la prima volta che partecipava ad una battaglia, anche se era a dir poco atipica. Mai avrebbe pensato di lottare al fianco di un popolo che riteneva estinto.
"Maestà!" - aveva detto ad un certo punto, accorgendosi che qualcosa non andava - "I narniani sono troppo pochi. Aslan non può averci inviato un esercito così esiguo. E poi, dove sono i nostri amici di Telmar? Dov'è il vostro popolo?".
Per quanto fosse un ragazzo appena adolescente, Caspian doveva ammettere che avesse notato una cosa che a lui era sfuggita.
"Hai ragione. C'è qualcosa che non va. Cosa proponi di fare?" - aveva chiesto, trovando riparo dietro una colonna.
"Maestà, l'esercito di Aslan si trova di certo nel cortile. Gli animali parlanti sono venuti dal basso, ma a giudicare dal silenzio che sento, il portone deve essersi richiuso per qualche assurdo motivo. Credo che sia il caso di andare a controllare e andargli incontro".
"Vorresti andare da solo?" - l'idea non allettava affatto Caspian, ma si era reso perfettamente conto che in realtà non avevano molta scelta.
"Solo se avrò il vostro permesso maestà".
Lo sguardo coraggioso del ragazzo e la sua forza di volontà avevano convinto il giovane principe, che poco dopo aveva dato al ragazzo la sua benedizione.
"Vi ringrazio principe Caspian. Non vi deluderò. Avete la mia parola" - ed era corso verso la propria meta a spada sguainata, sperando con tutto il cuore di potercela fare.

*

Marcus era riuscito a raggiungere il grande atrio del castello non senza qualche difficoltà, avanzando a tentoni tra il gruppo di soldati agguerriti. Aveva afferrato le pesanti maniglie della porta e l'aveva spalancata, rimanendo per un lungo istante sbigottito a causa di quello che si presentava davanti ai suoi occhi: entrambe le fazioni dell'esercito se ne stavano perfettamente immobili, le une accanto alle altre, senza fiatare, né emettere alcun suono o qualsivoglia verso.
Animali parlanti, uomini a cavallo, soldati di Miraz e il popolo di Telmar armato di torce e forconi sembrava essere diventato improvvisamente un esercito di marionette in attesa che qualcuno cominciasse a muovere i fili.
Per un lungo, lunghissimo istante, il ragazzo non aveva saputo cosa fare. Poi, smosso dalla voglia di non deludere il proprio re e di porre fine alla guerra, aveva finalmente parlato, invitando i suoi a battersi e ad entrare nel castello.
"Forza! In nome di Aslan, riprendiamoci ciò che è nostro!".
"Sì..." - aveva detto ad un certo punto uno dei nani - "Riprendiamoci ciò che è nostro".
Marcus non aveva la più pallida idea di ciò che aveva appena provocato.

*

Caspian aveva il fiato corto. Trovare la stanza in cui si trovava Miraz non era stato semplice, ma dopo vari tentativi era riuscito a compiere la propria impresa, spalancando le porte che avevano presentato davanti ai suoi occhi uno scenario a dir poco inspiegabile.
Artù era davanti a Miraz e lo guardava negli occhi, ma non sembrava che il principe rappresentante una minaccia per l'usurpatore. Al contrario, il perfido uomo dal cuore nero teneva una mano sulla spalla di Artù e lo invitava a votarsi alla sua causa con voce suadente. La perfida ombra se ne stava ai loro piedi, puntando i suoi occhi ardenti sulle membra temprate dai duri allenamenti dell'altro figlio di Adamo.
"Artù?" - lo aveva chiamato Caspian - "Artù, fratello, che cosa sta succedendo?".
Ma non era stato il diretto interessato a rispondere, bensì l'usurpatore.
"Nipote! Quale onore! Alla fine sei riuscito a liberarti!" - non sembrava affatto preoccupato dell'accaduto - "Mentre tu riposavi incatenato ai piedi del mio trono, io e il bel principe abbiamo discusso un po' arrivando ad una conclusione ben più che vantaggiosa per entrambi, non è vero Artù?".
Caspian non aveva potuto fare a meno di notare che il suo amico fosse profondamente cambiato: la sua postura era più rigida, quasi meccanica, il suo sguardo si era indurito, e le pupille erano dilatate, assumendo uno strano colore verdognolo. Il timore che fosse caduto sotto l'incantesimo di Mikael stava dilagando in lui ad una velocità inimmaginabile. Ma come era potuto accadere? Come aveva potuto Artù dimenticare gli insegnamenti di Aslan? Come aveva potuto dimenticare Merlino?
"Fratello... Fratello mio, che cosa ti è successo?".
Non poteva essere accaduto per davvero. Aslan non poteva essersi sbagliato. Il grande leone non sbagliava mai. Ma allora perché lo sguardo di Artù non era mutato nel vederlo? Perché non aveva già provato ad atterrare il nemico?
"Artù... Ti prego... Sono io... Caspian. Siamo venuti qui per battere Miraz e salvare Merlino! Non lo ricordi più, fratello?".
Ma ecco che alla parola Merlino il ragazzo aveva ricevuto come una sorta di scossa, e un istante dopo era partito all'attacco urlando frasi apparentemente senza senso.
"TU SEI AMICO DEL TRADITORE, ED IO NON CONSIDERO UN FRATELLO CHI SI COMPORTA COME TE!".
In pochi istanti, si era scatenato un duello all'ultimo sangue tra i due principi. Caspian non aveva più alcun dubbio: Artù era controllato dalla magia di Mikael, e Miraz aveva molto probabilmente previsto dall'inizio che i due finissero per battersi sino all'ultimo sangue. Il principe dalla capigliatura castana sperava solo che l'esito non fosse del tutto disastroso, e che alla fine entrambi ne uscissero vincitori.
Il grifone aveva spiegato le ali e aveva emesso un suono spaventoso cercando di intimorire il nemico, ma esso non era caduto nel suo tranello, costringendolo alla resa con l'utilizzo della magia. In pochi attimi era stato atterrato, e giaceva immobile come se fosse stato privato della vita.
Miraz, nel frattempo, si era messo comodo, e aveva iniziato ad osservare lo spettacolo divertito: aveva avuto davvero un'idea geniale.

*

La situazione era molto più drammatica di quanto avesse mai potuto immaginare. Dopo aver aperto i cancelli e invitato i suoi ad entrare, Marcus era stato letteralmente travolto e imprigionato da una folla infuriata, folla che stava dalla stessa parte, e che purtroppo per lui era la parte che venerava re Miraz. Tutti, indistintamente, narniani e abitanti di telmar, si erano precipitati nel castello, inneggiando il nome del loro sovrano e dichiarando di voler versare il sangue immondo del principe Caspian. Marcus non aveva potuto fare a meno di dedurre che l'ovvio cambiamento di fazione da parte dei narniani fosse dovuto alla magia nera: nessuno di loro avrebbe mai prestato il proprio aiuto all'essere che li aveva cacciati per anni nel tentativo di farli estinguere completamente. Ma cosa avrebbe potuto fare, ormai? Era stato catturato, aveva deluso Caspian e disonorato la memoria di suo padre. Non era che un inutile ragazzino, un ragazzino che non era stato capace di aiutare nessuno. Lacrime di rabbia erano salite ai suoi occhi, ma sarebbero rimaste per sempre lacrime che non avrebbe mai versato. Troppo grande era il dolore che albergava nel suo cuore.
Così, legato come uno schiavo e trascinato di peso da due enormi centauri, il ragazzo si stava dirigendo nella stanza in cui si trovava Miraz, circondato da quella folla eterogenea e sprezzante.
Si sentiva ormai perso e privo di qualsiasi speranza quando qualcuno gli aveva sfiorato una gamba più volte, nell'evidente tentativo di attirare la sua attenzione.
Si trattava di una figura incappucciata, e a giudicare dai lunghi boccoli neri che spuntavano dal cappuccio, doveva trattarsi di una donna.
"Chi sei?" - aveva chiesto, cercando di non farsi sentire dai centauri - "Che cosa vuoi da me?".
"Sssh! Non urlare ragazzo! Sono un'amica, voglio aiutarti".
Lentamente, la donna aveva sollevato di poco il cappuccio, permettendo al giovane di osservarla in viso. Era di certo la donna più bella che avesse mai visto. Pelle di luna, occhi color di foglia e labbra rosse come il fuoco. Marcus aveva pensato che dovesse essere una dea, una dea buona e gentile. Come poteva essere altrimenti?
"Non devi avere timore di me. Io sono lady Morgana, sono la sorellastra del principe Artù. Ho visto Aslan, e sono qui per aiutare".
"Perché non sei caduta vittima dell'incantesimo dell'ombra?" - aveva chiesto il ragazzo, saggiamente e con un filo di voce, cercando di non farsi udire dai centauri.
"Sono arrivata qui dopo che esso era stato pronunciato. Artù ha cercato di tenermi buona, ma io l'ho seguito senza che se ne accorgesse, e sono sempre più certa di aver fatto bene".
E lo aveva fatto per davvero.
"Signora, dobbiamo fare qualcosa. Sono tutti sotto il controllo del mostro. Io non voglio che il principe muoia. E' la nostra unica speranza".
Gli sembrava quasi impossibile di dover affidare tutto ad una damigella, ma non vedeva altre soluzioni. Forse, lady Morgana era la sua ultima speranza di salvezza.
"Non temere, farò quello che posso, ma tu devi reggermi il gioco. Ho visto Artù raggiungere in groppa ad un grifone la stanza in cui si trova Miraz, ed è proprio lì che ci stiamo dirigendo. L'unico modo che abbiamo per sperare di trovare qualcuno che è rimasto immune all'incantesimo, proprio come..." - ma la dama non aveva finito la farse, perché la figura di una donna dalla fulgida chioma aveva attirato la sua attenzione, in quanto si trattava di una donna che lei conosceva piuttosto bene.
"Clara" - aveva sussurrato Morgana, cercando di non far trasparire troppo la sua gioia.
Marcus aveva cercato di girarsi verso il punto in cui stava guardando la dama, ma gli era quasi impossibile scorgere ciò che lei aveva visto: per quanto la folla si muovesse ad una andatura ridicola, era troppo fitta per permettergli di vedere attraverso essa dalla posizione in cui era.
"Clara la figlia del mago, mia signora?" - aveva chiesto Marcus.
"La figlia del mago?".
"Sì signora. La figlia del mago Giona, nonché la sorella del ragazzo che oggi è diventato la creatura malvagia che è al servizio di Miraz. E' una ragazza di grande cuore, ed è probabile che lei e suo padre siano rimasti immuni a tutto questo. Dovete raggiungerli signora, per favore".
Morgana aveva sorriso, coprendosi meglio il viso con il cappuccio.
"E' proprio quello che avevo intenzione di fare. Buona fortuna ragazzo. Ci rivedremo molto presto" - ed era sparita tra la folla.

*

Clara era rimasta allibita dallo spettacolo che si stava svolgendo davanti ai suoi occhi atterriti. Tutti, indistintamente, stavano inneggiando Miraz, portando come ostaggio il povero figlio di lord Glozelle, il buon Marcus. Com'era potuto accadere? Com'era possibile che la magia oscura fosse tanto potente? Presa dallo sconforto, e per il timore di essere scoperta, aveva deciso di rintanarsi nella stanza, quando aveva visto venirle incontro una figura incappucciata che si muoveva in modo del tutto differente rispetto agli altri. Terrorizzata, aveva cercato di chiudere la porta, ma la figura l'aveva bloccata con un piede, rivelando immediatamente la propria identità.
"Lady Morgana!" - aveva esclamato la ragazza, lasciandola entrare e permettendole di richiudere la porta alle sue spalle.
Quello che le sue pupille ormai abituate al buio avevano visto era stato un vero colpo al cuore per la giovane dama.
"Merlino" - aveva sussurrato, portandosi le mani alla bocca in gesto di spaventato stupore - "Merlino, che cosa ti hanno fatto?".
Senza dare agli altri il tempo di rispondere, si era gettata sul letto, prendendo fra le mani il viso del giovane che per anni aveva visto affaccendarsi al fianco di Artù.
"Che cosa gli hanno fatto, Clara?".
Era disperata. Non pensava di poter soffrire tanto per una persona, per un servitore, poi. Ma per una volta, non le importava di quello che le altre dame avrebbero potuto pensare di lei: non si sentiva più una semplice donna di corte, ma qualcuno di diverso, qualcuno che neanche lei riusciva a spiegarsi.
"Morgana, non dovete fare così" - aveva detto Clara, avvicinandosi a suo padre - "E' stato...".
"Miraz! E' tutta colpa sua! Artù aveva ragione, e l'aveva avuta dal primo istante! Quell'essere è un mostro!" - aveva urlato, in preda ad una rabbia incontenibile.
"Madama, noi non possiamo fare niente per lui... La magia che ha provocato tutto questo è troppo potente e troppo malvagia" - era intervenuto Giona, stanco e provato.
Morgana si era chinata ancora su di lui, asciugandogli la fronte con la manica della sua veste.
"Ti prego Artù, fai in fretta. Merlino ha bisogno di te ora più che mai".

*

Caspian era in serie difficoltà: Artù era più esperto di lui nell'arte della spada, e la furia provocata dall'incantesimo lo rendeva mille volte più pericoloso di quanto non fosse già in condizioni normali. Per di più, non stava combattendo con l'intenzione di ferirlo, e questo aggravava di molto la sua situazione. Ormai era stanco, e cominciava a perdere colpi. La cosa peggiore, era che non aveva la più pallida idea di come fare per fermarlo. L'incantesimo che lo rendeva schiavo era terribilmente potente, molto più di quanto avesse immaginato se aveva iniziato ad odiare il ragazzo che era venuto a salvare.
"Artù, ti prego, cerca di tornare in te! Merlino non è un nemico, perché tanto odio Artù, perché?".
"TACI! Lui mi ha tradito, e lo hai fatto anche tu!" - aveva urlato, infuriato - "Mi hai mentito! Sapevi chi era in realtà e me l'hai tenuto nascosto, serpe!".
Ecco su cosa aveva fatto leva quel mostro dal cuore nero, allora. Aveva distorto la verità, facendogli credere che ogni gesto di Merlino fosse in realtà un tentativo di tradimento.  
"Non è come credi! Merlino l'ha fatto per proteggere te, ed io non ti ho detto niente per non tradire la fiducia che ha riposto in me! Doveva essere lui a confessare ciò che è in realtà! Ti prego fratello, basta!".
"TI HO DETTO DI TACERE!".
Troppo stanco per poter schivare il fendente, Caspian era stato colpito pesantemente ad un braccio, e la lama aveva squarciato le carni, provocando una ferita spaventosa grondante sangue scarlatto.
Sconvolto dal dolore e con la vista annebbiata, il ragazzo era crollato al suolo, pallido e madido di sudore. Impugnare ancora la spada era impossibile. A quel punto, non gli restava altro che chiudere gli occhi e sperare che la morte sopraggiungesse il più velocemente possibile. Almeno, sarebbe deceduto in battaglia come un vero condottiero.
Ma suo zio non sembrava dello stesso avviso: alzandosi in piedi, aveva intimato ad Artù di fermarsi, dicendogli che aveva svolto un lavoro egregio e che per il momento poteva bastare.
"Non è la sua morte che voglio, figlio di Adamo. Ti faccio i miei complimenti. Sei stato davvero bravo. Ora goditi gli applausi del tuo esercito, ragazzo: sei appena diventato il mio nuovo generale".
La folla di soldati aveva fatto il suo ingresso nella grande stanza, lasciando che fossero i due centauri e l'ostaggio i primi ad entrare.
Nel vedere Caspian steso al suolo in una pozza di sangue, Marcus aveva rischiato di perdere i sensi. Il suo principe non poteva essere stato sconfitto. Non poteva! Come poteva accettare che tutto sarebbe ormai stato vano? Che non avrebbe mai più assaporato la libertà, o il tepore del sole sul viso?
"Maestà..." - aveva sussurrato, sconfitto - "Vi prego maestà, svegliatevi".

*

Anche se a malincuore, Giona e Clara avevano deciso di lasciare Merlino alle cure di Morgana e raggiungere il laboratorio del padre nella speranza di trovare qualcosa che potesse alleviare le sofferenze del ragazzo. Se non poteva spezzare l'incantesimo, potevano però cercare di mutarne qualche aspetto, sperando di placare quelli più dolorosi. Ma per poterlo fare sarebbe stato necessario passare per il corridoio in cui si trovavano le stanze di Miraz, e la paura di essere scoperti era grandissima.
Infatti, arrivati nei pressi delle suddette stanze, la folla era così grande che sperare di passare inosservati sarebbe stato impossibile. Per di più, la curiosità di sapere cosa stesse accadendo in quelle stanze era enorme, ma forse era meglio per loro stare allo scuro di tutto. L'impotenza li avrebbe uccisi. Senza scambiarsi parola alcuna, alla fine avevano deciso di provare a passare ugualmente sfruttando il buio mentre strisciavano lungo le pareti, e fortunatamente per loro sembrava proprio che ce l'avessero fatta. Sfruttando la fortuna sfacciata che avevano avuto, si erano precipitati nel laboratorio di Giona, richiudendo la porta alle loro spalle e mettendosi immediatamente all'opera. Dovevano preparare un unguento che calmasse il dolore di Merlino, e soprattutto dovevano cercare di togliere quelle dannate polsiere. Forse, solo allora avrebbe avuto una possibilità di salvezza. Ma, come in tutti i migliori piani, anche quello aveva una falla: due soldati, due narniani, per giunta, li avevano scoperti, catturandoli e costringendoli alla resa. Presto, sarebbero stati al cospetto di Miraz, e non avrebbero avuto più alcuna via di scampo.
A quel punto, solo Aslan avrebbe potuto fare qualcosa per loro.
Continua...
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Salveeee!!
Rieccomi, e a distanza di un giorno! Sono stata brava??? In realtà avrei voluto far trascorrere più tempo, ma non so se riuscirò a connettermi da casa al mare – dipende tutto dalla chiavetta e dal segnale – e non voglio lasciarvi col fiato sospeso per quindici lunghi giorni. Ma dico io, vogliamo parlare di come le cose stanno peggiorando drammaticamente? Ma non dovevano migliorare, vi starete chiedendo? Certo! Nel prossimo, ultimo, atteso – spero - capitolo! XD
Artù è stato raggirato per bene… Non ho davvero parole, credetemi! E l’ho scritta io questa storia! Da dove tiro fuori queste idee non so davvero spiegarmelo!
In ogni modo, ringrazio tutti coloro che hanno letto e recensito fin ad ora!
Ps: “occhi color di foglia” è una citazione – anche se non letterale - di “Via del Campo” del grande Faber, non è farina del mio sacco! Ci tenevo a precisarlo” ;)
A presto!
Bacioni
Cleo

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Capitolo 60
*** L'inizio della fine: l'alba di un nuovo giorno ***


L’inizio della fine: l’alba di un nuovo giorno

Il principe Caspian era certo che non avrebbe mai più visto sorgere l'alba sulla sua amata Telmar, e non perché la vita lo avesse abbandonato, ma perché la sua prigionia sarebbe stata eterna, e sarebbe trascorsa nella più totale oscurità, quella maledetta oscurità a cui il suo mondo era stato condannato dall'uomo dal cuore nero e dal ragazzo che era stato l'amico più caro che avesse mai avuto in vita sua. Per un breve, fugace attimo, aveva creduto di poter porre fine al periodo di buio con l'aiuto di Artù e il sostegno di Aslan, colui che li aveva chiamati figli di Adamo e che aveva colmato i loro cuori di speranza. Ma di Aslan non c'era più alcuna traccia, ormai. Proprio come gli aveva raccontato il suo mentore da ragazzo, il grande leone dorato era apparso nel momento del bisogno, indirizzandoli sul giusto cammino e poi aveva lasciato tutto nelle loro mani, animando i loro cuori di sentimenti di giustizia e di amore. Eppure, quei sentimenti sembravano aver mano a mano lasciato posto allo sconforto e alla sconfitta. Caspian si era reso conto di aver lasciato andare Aslan, di aver rinnegato la promessa fatta con tanto ardore, ma proprio non era riuscito a fare altrimenti.
Artù e il suo esercito erano caduti sotto il controllo di un incantesimo potentissimo, Merlino era fuori gioco, distrutto dalla magia che aveva egli stesso eseguito, e l'unico compagno che gli era rimasto era stato catturato ed esposto come un trofeo dai due centauri. Come avrebbe potuto essere ancora una volta ottimista e speranzoso? Non si riteneva neppure degno di ricevere ancora l'aiuto di Aslan. L'aveva deluso, non aveva tenuto fede alla promessa fatta. Forse Artù aveva ragione: lui era davvero un traditore.
Miraz era il ritratto della soddisfazione. Il ghigno malefico sul suo viso era a dir poco spaventoso, e vederlo seduto sullo scranno, con ad un lato l'ombra di Mikael e dall'altra parte il povero principe Artù era un'immagine quasi surreale.
"Caro il mio Caspian... Che enorme dolore è vederti soffrire in questo modo! Colpito a morte dal tuo stesso fratello! Paradossale, non trovi?".
Il ragazzo, che riusciva appena a tenere gli occhi aperti, non aveva dato al perfido zio alcuna risposta. Cosa avrebbe potuto dirgli, dopotutto?
"Ma guarda un po' chi è venuto a trovarci!" - aveva aggiunto in seguito il re, gioendo maggiormente per ciò che vedevano i suoi occhi - "Il mago e la sua bella figlia dai capelli color del fuoco!".
Pochi istanti dopo, stretti dalla ferrea presa degli abitanti di Narnia, Giona e Clara erano stati trascinati nella sala, al cospetto del perfido Miraz e sotto lo sguardo stanco e atterrito del giovane Caspian.
"Lasciami! Lasciamo immediatamente!" - urlava la ragazza.
"Non toccatemi!" - le faceva eco suo padre.
Ma nessuno li stava ascoltando. Anzi, le loro urla non facevano altro che alimentare ancora di più l'odio da cui traeva forza la magia dell'ombra nera.
Incrociando lo sguardo ardente del mostro che li aveva catturati, le si era accapponata la pelle: non riusciva ancora a capacitarsi che quello un tempo fosse stato il suo tanto amato fratello.
"Miraz..." - aveva chiamato Caspian con tutto il fiato che aveva in gola, mentre cercava di rimettersi dritto - "Ti prego zio, in nome del legame di parentela che ci unisce, ti supplico di rendere loro la libertà. Ti hanno servito per anni, sono stati fedeli, abbia pietà di loro, te ne prego. Io resterò qui. Sarò il tuo schiavo, potrai fare di me quello che più ti darà piacere, ma per favore, se ancora nel tuo cuore alberga un po' di amore, risparmia loro questo supplizio".
L'accorato appello del giovane sovrano aveva commosso gli unici che erano ancora suoi alleati. Quanto leale sapeva essere quel ragazzo dai capelli corvini?
"Maestà..."- aveva sussurrato la giovane, guardandolo, e lasciando che le lacrime scivolassero ancora una volta sulle sue guance arrossate dalla rabbia.
"Che accorato discorso!" - aveva esclamato il re - "Sono quasi commosso dalle tue parole così sentite! Sei davvero un sentimentale, nipote... davvero!".
"Vi prego zio... Non prendetevi gioco di me...So che non siete così crudele come volete farci credere, so che avete un cuore, un cuore che ha amato molto, un tempo, anche se si trattava di un amore non corrisposto. Non potete averlo dimenticato zio, vi prego. Vi prego".
Ormai Caspian era allo stremo delle forze. Non sapeva neppure come aveva fatto a pronunciare quel discorso. Credeva ormai di non avere più molto tempo a sua disposizione prima di perdere i sensi, ormai.
"Caro nipote" - aveva esordito Miraz, alzandosi dal suo scranno con grande eleganza e raggiungendolo con grandi passi - "Come restare indifferente di fronte a tanta disperazione? Lasciate liberi il mago e sua figlia".
Non riuscivano a crederci: Miraz aveva dato ordine di liberare due su tre prigionieri. Possibile che avesse davvero dimostrato magnanimità?
"Giona e Clara sono stati preziosissimi per la realizzazione del mio astuto piano, e credo che si meritino un premio. Siete liberi. Uscite dal castello, e non tornate mai più qui".
"Ma...".
"Vuoi forse che ci ripensi, ragazzina? Credo di no, così come credo che ti convenga tacere".
A quel punto, Clara aveva preferito seguire il consiglio del mostro e tenere la bocca chiusa. L'idea di allontanarsi da Telmar e sembrava allo stesso tempo una sconfitta e un dono. Sapeva bene che non sarebbe mai più tornata indietro, e che una volta andata via non avrebbe mai più potuto fare niente per liberare suo fratello dalla maledizione e Telmar dal buio in cui era piombata. Tutti i suoi più cari amici erano ormai sotto il controllo di sua maestà l'immortale re Miraz, e non poteva fare niente per aiutarli. Aveva perso, e nel più crudele dei modi. Probabilmente, sarebbe stato meglio morire che subire un simile destino.
"Ma, prima che ve ne andiate, sarei felice di mostrarvi quale sarà invece la sorte del nostro giovanissimo amico. Centauri, venite avanti".
Con passo sicuro, le due possenti bestie di Narnia si erano portate dove gli era stato ordinato, fermandosi proprio a pochi metri dal re.
Marcus era a dir poco terrorizzato, ma stava cercando di fare tutto ciò che era in suo possesso per non farlo notare. Miraz lo osservava con crudeltà. Qualcosa suggeriva al ragazzo che a lui non sarebbe toccato lo stesso destino degli altri. Pochi istanti dopo, si era reso conto di aver perfettamente ragione.
"Tu sei fonte di guai, esattamente come tuo padre" - aveva sentenziato, acido più che mai - "Credevo di essermi sbarazzato di te, ma a quanto pare mi sbagliavo. Perbacco, sei coriaceo ragazzino!".
Era scoppiato in una crudele risata, facendo gelare il sangue nelle vene ai presenti che erano ancora coscienti del proprio corpo.
"Questa volta non commetterò lo stesso errore. Artù, mio nuovo generale, avvicinati e dimostra a questi traditori qual è la punizione che meritano!".
Clara, Marcus, Giona e Caspian avevano trattenuto il fiato. Non poteva essere, non poteva pronunciare quelle parole per davvero.
"Uccidi il ragazzo".

*

Ancora una volta, si era ritrovato a brancolare nel buio. Si era reso conto di non trovarsi a Telmar, ma piuttosto in una dimensione priva di spazio o tempo. Faceva molto freddo in quel luogo. La pelle era investita da getti di aria gelida, e i suoi denti non smettevano di tremare. Tenere gli occhi aperti sembrava impossibile, e persino respirare gli causava dolore. L'aria tagliente gelava i suoi polmoni stanchi e provati. Ai polsi portava ancora i segni della sua tremenda prigionia, e il sangue non smetteva di sgorgare. Ormai, il povero Merlino era convinto che avrebbe vagato in eterno nel buio, perché punizione più adatta per l'atrocità che aveva commesso non sarebbe mai esistita.
Aveva ucciso un uomo, e non per sbaglio o per difendersi, ma per accontentare la sete di potere di un mostro, e lo aveva fatto nel più crudele dei modi. Era stato costretto ad estrargli il cuore pulsante dal petto, si era macchiato le mani con il suo sangue. Dei, non avrebbe mai dimenticato l'urlo terribile che aveva squarciato l'aria. Lo avrebbe tormentato in eterno, ricordandogli in ogni istante quello che aveva fatto.
Non avrebbe mai più avuto un attimo di pace. Non avrebbe rivisto sua madre, Gaius, Caspian. Non avrebbe mai più rivisto il principe Artù.
Distrutto dal peso che stava portando, Merlino si era accovacciato su se stesso, cercando in qualche modo di ripararsi dal gelo che lo circondava. Nessuno avrebbe mai potuto più fare niente per lui, nessuno, neanche il mago più potente del mondo.
Ma, proprio mentre stava per abbandonarsi totalmente all'oblio, un improvvisa ventata di calore lo aveva investito, e subito dopo, nonostante le palpebre abbassate, una luce accecante aveva colpito i suoi occhi. Ma essa non gli aveva provocato dolore, piuttosto, un senso di profondo sollievo. Estremamente impaziente e timoroso allo stesso tempo, aveva allora aperto gli occhi, capendo finalmente di trovarsi immerso in una bolla di luce scintillante.
"Ma cosa...?".
Ed eccola lì, la fonte di quella luce sconosciuta. Se fosse stato nel mondo reale, solo e sperduto, privo della magia, sarebbe stato a dir poco terrorizzato, ma non in quel frangente, non davanti a Lui. Perché quello che aveva di fronte non era un comune leone, e non lo aveva capito solo dalle sue dimensioni abnormi e dal caldo bagliore che emanava, no. Merlino aveva capito che si trattasse di un essere speciale perché l'aveva sentito nel profondo del suo cuore.
Qualche istante dopo, il possente leone aveva parlato con la sua voce profonda e calma, rivolgendosi direttamente a Merlino.
"Alzati giovane figlio di Adamo, e avvicinati".
Anche se provava un certo timore, il suo cuore gli aveva suggerito di obbedire. Gli occhi dorati del leone erano due specchi di amore e saggezza, e lui ne aveva un estremo bisogno. Lentamente, Merlino gli si era avvicinato, inchinandosi una volta arrivato al suo cospetto.
"Giovane figlio di Adamo, sai chi sono io?" - aveva chiesto, sereno.
"Maestà... Io credo aver sentito parlare di voi di recente. Siete il possente Aslan, il figlio dell'Imperatore d'Oltremare, Signore di Narnia e re dei re".
Il leone aveva assunto un'espressione più dolce e distesa, e Merlino era certo di aver visto un sorriso sul suo enorme muso peloso.
"Quello che dici corrisponde al vero, figlio di Adamo, sono davvero colui di cui stai parlando".
A quel punto, non era più riuscito a trattenersi, e aveva lasciato che l'enorme dolore provato venisse fuori, riversandosi in un pianto disperato.
"Grande Aslan, sono così... Così mortificato... Il mio cuore sanguina maestà... Queste mani hanno privato un uomo della sua vita. Non sono degno di stare al vostro cospetto mio Signore perché non sono più un uomo. Io sono diventato un mostro".
Il dolore di Merlino era così profondo e sincero che non poteva essere altro che vero come vere sono le stelle del firmamento.
Il grande leone si era avvicinato maggiormente a lui, soffiando con dolcezza sui suoi polsi. Con estrema sorpresa per il ragazzo, le malefiche polsiere che lo avevano reso fino ad allora prigioniero si erano staccate dalle sue braccia, ricadendo pesantemente al suolo. Un attimo dopo, esse avevano cominciato a creparsi di luce, e avevano continuato fino ad infrangersi in mille pezzi brillanti come diamanti, fino a dissolversi nell'aria, fondendosi con l'ambiente circostante.
Merlino era così incredulo di essere nuovamente libero che per un istante non si era accorto delle grandi leccate che Aslan aveva dato ad entrambi i suoi polsi, polsi che avevano smesso di sanguinare. Il giovane mago si sentiva come nuovo, libero e colmo di una linfa vitale che non credeva più di avere ormai da tempo.
"Ecco, figlio di Adamo. Ora sei libero dalla maledizione che ti aveva costretto alla schiavitù. Ora non c'è più tempo da perdere: raggiungi i tuoi amici e aiutali a sconfiggere il mostro".
"Grazie Aslan, non vi sarò mai abbastanza riconoscente" - era vero. Non avrebbe mai potuto dimenticare quel gesto, neanche se avesse voluto.
"Vai figlio di Adamo, e porta a termine la tua missione. Il momento è finalmente giunto".
E, dopo che il leone aveva emesso un ruggito che aveva fatto tremare l'aria, la luce era diventata più intensa: Merlino aveva compreso che presto sarebbe tornato nel suo mondo.

*

La situazione era drammatica. Artù, ormai sotto il più completo controllo del mostro, stava per privare della sua vita un ragazzino innocente sotto lo sguardo atterrito di chi ancora sperava in un miracolo, e sotto lo sguardo compiaciuto di chi non attendeva altro che veder versare del sangue innocente.
Clara aveva smesso di piangere. Le lacrime non sarebbero servite ad esprimere tutto il dolore che il suo cuore stava provando, e lo stesso aveva fatto suo padre.
Caspian era distrutto, e il povero Marcus, la piccola vittima sacrificale, era paralizzata dal terrore. Il principe Artù, colui che avrebbe dovuto aiutarli, avanzava lento e deciso, a spada sguainata, pronto a colpire al prossimo ordine di Miraz.
"Ti prego Artù, no!" - aveva urlato il figlio di Adamo a squarciagola, ma senza effetto: il principe di Camelot continuava ad avanzare senza esitazione.
Era ormai a pochi passi da Marcus e presto lo avrebbe colpito, privandolo della vita. Nessuna morte sarebbe stata più ingiusta di quella.

*

Quando Merlino si era svegliato di soprassalto, aveva trovato Morgana addormentata al capezzale del suo letto, e Aslan che lo attendeva accanto alla porta spalancata. Era ovvio che fosse stato lui a farla cadere in quel sonno profondo.
Quando Merlino aveva cominciato a percorrere i corridoi deserti, aveva sentito incitazioni provenienti dai piani alti.
Quando Merlino aveva raggiunto la porta della stanza di Miraz, l'aveva trovata invasa da telmariani e narniani che acclamavano a gran voce Artù.
Quando aveva deciso di usare la magia per farsi spazio fra la folla, si era trovato davanti allo spettacolo più agghiacciante che avesse mai creduto di poter vedere: Artù di Camelot, il suo principe, l'amico, l'uomo per cui avrebbe dato la vita, stava per uccidere un innocente.
Senza pensarci due volte, senza provare timore per Miraz, per i soldati o per l'ombra sibilante, aveva lanciato un incantesimo sulla spada facendola saltare via dalle mani di Artù. La sala era stata immediatamente immersa nel più totale silenzio.
"FERMI!" - aveva ordinato il mago, sfruttando tutto l’ardore che aveva recuperato - "In nome di Aslan, vi ordino di fermarvi!".
Forse, non tutte le speranze erano andate perdute.

*

"Come hai fatto a liberarti dalle polsiere?!" - aveva sibilato Miraz in preda ad una crisi di nervi - "Come hai fatto? COME?!".
Era furioso. Non riusciva a credere che il mago fosse sfuggito al suo comando. Non era in grado di liberarsi da solo! Chi era stato a farlo?
"Sei sorpreso, uomo dal cuore nero? Non dovresti! Il potere di Aslan è più grande di quello di cui ti servi! Non sono più alla tua mercé, Miraz. E non lo sarò mai più!".
Se Merlino fosse stato un animale, in quel frangente sarebbe stato di certo un leone feroce che non temeva più di attaccare un ex capobranco diventato troppo impertinente. La luce che emanavano i suoi occhi era la stessa che avevano visto brillare negli occhi di Aslan: era la luce del bene e della giustizia.
"Illuso! Non vedi che sono tutti sotto il mio controllo? Narniani, telmariani, tutti! Persino il tuo amato Artù è nelle mie mani! Sei uno sciocco se credi potermi fermare".
UOMINI, ALL'ATTACCO!".
Ma gli uomini di Miraz non avrebbero mai avuto il tempo di attaccare: un ruggito, un potentissimo, terribile ruggito si era materializzato dal nulla, e pochi istanti dopo, tutte le vittime dell'incantesimo di Mikael erano cadute al suolo, in un sonno che all'apparenza poteva sembrare identico a quello indotto dal mostro, ma che in realtà era profondamente diverso. Esso era un sonno buono, un sonno ristoratore, un sonno che avrebbe condotto tutti alla libertà.
Pochi istanti dopo, essi si erano risvegliati, ritornando le creature giuste che erano state un tempo.
"Cane!" - aveva urlato Briscola il nano a Miraz, rosso di rabbia - "Tu ci hai usati!".
"Mostro!" - gli avevano fatto eco i soldati di Telmar ritornati in possesso delle loro facoltà - "Hai ucciso il nostro re!".
Eppure, proprio mentre loro stavano per attaccare l'usurpatore, coloro che si erano votati spontaneamente al perfido usurpatore, ovvero i demoni che lo avevano spalleggiato, avevano catturato Giona, Clara, Marcus e Artù, che nel frattempo si era ridestato dal torpore, comprendendo immediatamente l'orrore che era stato sul punto di compiere.
"Merlino! Merlino, io... io... ATTENTO!".
In meno di un secondo, l'ombra nera aveva cercato di attaccare Merlino, spalancando le sue fauci spaventose. Era quasi arrivato a colpire la gola nuda del povero ragazzo, quando l'ultima persona che sembrava in grado di muoversi gli aveva fatto scudo con il proprio corpo.
"NO! CASPIAN!".
Il giovane figlio di Adamo era stato morso all'altezza del collo, ed era stramazzato al suolo, trascinando dietro di sé le spire nere del mostro che lo aveva attaccato.
Quello che sarebbe accaduto subito dopo sarebbe rimasto nella mente dei presenti fino alla fine dei loro giorni, perché si era trattato dell'inizio della fine.
Mentre il corpo esanime di Caspian ricadeva tra le esili braccia di Merlino, l'ombra malefica aveva cominciato a contorcersi in maniera spaventosa, scossa da spasmi incontrollabili, emettendo un suono stridulo che aveva fatto accapponare la pelle ai presenti. D'un tratto, mentre quella danza degna di un tarantolato proseguiva senza freni, il corpo apparentemente impalpabile aveva cominciato a creparsi, e dalla crepe aveva cominciato a filtrare una luce dorata fortissima che aveva investito ogni cosa: persone, animali parlanti, pareti, mobili, finestre, e quant'altro, rischiarando ogni cosa con il suo bagliore incredibilmente intenso.
Dopo diversi minuti di agonia, le crepe si erano improvvisamente allargate, e il corpo del mostro era andato in frantumi, sprigionando tutta la luce che prima era stata imprigionata. Stravolti da quell'avvenimento, i demoni che impedivano ad Artù, Marcus, Giona e Clara di muoversi erano scomparsi in un'ondata di fumo nero denso e impenetrabile, lasciando al suolo solo le tuniche da cui erano avvolti, e con loro, era svanito anche l'ultimo aiuto che Miraz avrebbe potuto ricevere dalla magia.
Subito dopo, come d'incanto, le tenebre che per anni avevano oppresso la fiorente Telmar erano scomparse, lasciando posto a quella che finalmente potevano chiamare l'alba di un nuovo giorno.

*

"NOOOOO!!!!".
Non era possibile. Non era semplicemente possibile. Dopo anni e anni di inganni, tradimenti, omicidi e macchinazioni di ogni genere non poteva essere stato sconfitto!
Miraz era caduto vittima del suo stesso gioco crudele, ma era stato incapace di comprenderne il perché.
L'ombra malefica che aveva tenuto sotto scacco ogni cosa per tutti quegli anni era scomparsa per sempre, e al suo posto, ai piedi di Caspian e di Merlino, giaceva, privo di alcun indumento, il corpo niveo di un ragazzo dalla capigliatura di fuoco, un ragazzo che erano in molti a ritenere morto ormai da tanto, troppo tempo.
"Mikael..." - aveva sussurrato Giona, incapace di cedere ai propri occhi - "Mikael... figlio mio...".
Non riusciva a muovere nessun muscolo a causa dello shock che aveva appena subito. La verità era che non riusciva a credere che quello fosse davvero il figlio tanto amato, il figlio che aveva perduto e che non sperava ormai più di ritrovare.
Era stata Clara, la sua amata figlia, a muovere i primi passi verso di lui, preoccupandosi di raccogliere da terra uno dei mantelli dei demoni per coprire suo fratello. Si era poi chinata su di lui con estrema lentezza, sotto lo sguardo attento di tutti i presenti che continuavano a rimanere in religioso silenzio, e aveva posato una mano sulla sua schiena per assicurarsi che respirasse ancora. Fortunatamente, i suoi polmoni stavano incamerando aria, e il suo cuore batteva. Lentamente, ma batteva.
"Mikael..." - lo aveva chiamato allora lei, coprendolo con delicatezza - "Fratello mio, coraggio, svegliati...".
Merlino aveva le lacrime agli occhi. Quello che era appena accaduto era talmente evidente da essere quasi celato.
"L'incantesimo si è spezzato perché ha portato a termine le condizioni del patto" - aveva detto, più a se stesso che agli altri - "Doveva uccidere anche Caspian per poter sciogliere l'accordo con Miraz, e ora che l'ha fatto, è finalmente libero".
Già, era libero. Tutti erano liberi, ma a che prezzo? Perché per salvare qualcuno era sempre necessario sacrificare qualcun altro?
Con estrema dolcezza, Clara aveva cominciato ad accarezzare la schiena del fratello, invitandolo ancora una volta a destarsi dal suo sonno.
"Non lo ha fatto di proposito" - aveva aggiunto Merlino - "Era la natura malvagia del patto a guidare le sue azioni. Ma ora è tornato tutto come prima. Il suo cuore è puro. Lo sento. E' quasi come se fossimo in simbiosi".
In quello stesso istante, il corpo di Mikael era stato scosso da un fremito, e un attimo dopo, i suoi occhi si erano aperti con lentezza, fino ad essere di nuovo capaci di osservare ciò che lo circondava.
"Ca-Caspian..." - aveva chiamato, con la voce di chi non aveva parlato da tanto tempo - "Caspian...".
Ed ecco che finalmente era riuscito a mettersi seduto, incrociando lo sguardo colmo di gioia della sorella.
"Clara!" - aveva urlato, avvicinandosi a lei per poi stringerla al petto - "Sorella mia, che gioia rivederti!".
"Bentornato fratello" - gli aveva detto, ricambiando la stretta - "Bentornato".
Ma l'idillio era stato interrotto bruscamente da colui che era ormai stato sconfitto. Miraz, sbraitando come una furia, aveva afferrato la spada caduta a lord Calorsen e si era scagliato su Mikael con violenza, con l'intento di ucciderlo. Eppure, a quanto sembrava, l'usurpatore non aveva ancora capito qual era stato l'esito dei giochi.
"TU!" - aveva urlato Merlino, sollevando di scatto un braccio per bloccare la sua corsa con un incantesimo - "Hai finito di seminare il panico!" - e, aveva stretto il palmo della mano come se stesse stringendo qualcosa, ma prima che potesse ruotare il polso verso destra e continuare a stringere, Artù lo aveva fermato, puntando la spada al collo dell’usurpatore e intimandogli di non muovere neppure un muscolo.
"Hai finito di seminare il panico, Miraz. Immortale o no, dovrai vedertela con me e con gli altri figli di Adamo. Ti conviene tacere, parola di Artù di Camelot".
Mikael, che fino a qualche istante prima aveva assistito alla scena impotente, si era improvvisamente allungato verso Merlino, afferrando con entrambe le mani il suo braccio ancora sollevato in caso di necessità e invitandolo a desistere.
"Non cedere al suo ricatto, fratello mio. Tu non sei come lui" - gli aveva detto, serio - "Tu non sei come me".
Colpito dalle parole del ragazzo, Merlino aveva abbassato il braccio. L'usurpatore giaceva al suolo, in preda alla rabbia dettata dalla sconfitta.
"Mikael..." - aveva sussurrato Merlino, cercando di scusarsi.
"Non dire niente fratello... Non dire niente".
Con gli occhi colmi di lacrime, il ragazzo aveva accolto tra le sue braccia il corpo senza vita di Caspian, cominciando ad accarezzargli il volto sporco di sangue e i capelli bagnati dal sudore e dalle lacrime.
"Mi dispiace amico mio..." - aveva sussurrato, fra le lacrime - "Perdonami se puoi...".
"Lui lo ha già fatto".
Quella inconfondibile voce aveva attirato l'attenzione di tutti, facendoli girare nella direzione da cui proveniva.
Aslan, il possente leone, era comparso dal nulla, e aveva illuminato ogni cosa con la sua luce meravigliosa. Al suo cospetto, ogni creatura si era inchinata, mostrando rispetto e timore.
"Avvicinatevi figli di Adamo" - aveva detto - "Tutti".
Mikael non riusciva a crederci: Aslan si stava riferendo anche a lui.
"Maestà, ma io...".
“Porta qui tuo fratello figlio di Adamo. Il principe Caspian ha bisogno di tutti noi".
Senza farselo ripetere ancora una volta, il ragazzo, incurante di essere praticamente nudo, si era sollevato, e aveva condotto Caspian presso il grande leone. Subito dietro di lui, c'erano Artù e Merlino, che ancora non si erano scambiati neppure una parola, rimanendo sorpresi di aver ricevuto entrambi la stessa onorificenza.
"Adagialo qui, per terra... non avere timore figlio di Adamo, e abbi fede in noi. Abbi fede in me”.
Senza sapere esattamente per quale motivo, i tre ragazzi avevano cominciato a sentire un forte calore che si stava man mano sviluppando all’altezza del cuore. Era una sensazione strana, mai provata prima di allora. Era come se qualcuno stesse cercando di prelevare da loro una piccola particella di vita. Ma non era doloroso. Era solo estremamente fuori dal comune. Così, sotto i loro occhi stupefatti, delle piccolissime fiammelle di luce avevano abbandonati i loro toraci, per poi posarsi leggere sul corpo esanime di Caspian e sparire all’interno di esso.
Poi, con dolcezza, Aslan aveva soffiato sul giovane senza vita, investendo anche Mikael con il suo alito che sprigionava un profumo mai sentito prima di allora.
"Svegliati principe Caspian. Adesso" - e aveva ruggito con forza, facendo tremare il mago dai capelli di fuoco.
Poco dopo, sotto lo sguardo stupito di tutti, Caspian aveva aperto gli occhi, specchiandosi nelle iridi colme di gioia e sorpresa del suo caro amico d'infanzia.
"Mikael" - era stata la sua prima parola - "Mikael!".
Non pensava di poter provare di nuovo una gioia simile.

*

Quando trascorri un periodo lunghissimo della tua vita ad attendere che le cose migliorino, cominci a fantasticare su come sarà ciò che verrà. Cominci a pensare a ciò che farai, alle persone che incontrerai, e a tutte le emozioni che riempiranno il tuo cuore, dandoti l'opportunità di crescere e di diventare finalmente un adulto. Ma dovete sapere che, molto spesso, quando l'attesa è troppo lunga, si finisce per vivere di essa, e quando finalmente le cose migliorano, ti ritrovi spaesato e incapace di mettere in atto quello che avevi solo immaginato. Era proprio questo quello che stava capitando agli abitanti di Telmar e a quelli di Narnia. I primi erano stati sotto il dominio di Miraz per così tanto tempo che non sapevano cosa fare della libertà ritrovata. I secondi si erano nascosti per così tanto tempo che non sapevano come comportarsi ora che avevano riconquistato la luce del sole.
Entrambi i popoli, che si osservavano con imbarazzo e curiosità allo stesso tempo, avevano ricevuto da Aslan l'ordine di recarsi a Cair Paravel. Il castello, che tutti credevano distrutto, era stato in realtà celato agli occhi del nemico dalla potente magia di Aslan, e continuava ad affacciarsi in tutto il suo splendore sullo sconfinato oceano. Non avevano idea di quello che il grande leone volesse comunicargli. Di certo, avrebbe deciso cosa fare del perfido usurpatore. Per la cronaca, dopo l'intervento provvidenziale di Artù, Miraz era stato catturato e imprigionato nelle segrete, in attesa di ricevere giudizio.
Le due popolazioni erano convinte che anche a lui sarebbe toccato recarsi a Cair Paravel, e infatti, con grande stupore dei telmariani, l'immortale era stato trasportato a destinazione in volo, chiuso in una pesante gabbia di ferro trasportata da quattro enormi grifoni.
Una volta giunta a Cair Paravel, la gabbia con dentro il prigioniero era stata depositata nel grande salone, proprio ai piedi della scalinata che conduceva ai quattro troni un tempo appartenuti ai quattro leggendari re di Narnia: re Peter, la regina Susan, re Edmund e la regina Lucy.
Nonostante fosse del tutto inutile in quanto nessuno sarebbe stato così sciocco da prestargli attenzione, l'ormai ex-re Miraz continuava ad agitarsi e a sbraitare come un ossesso, minacciando di mandare alla forca chiunque gli fosse capitato sotto mano. Sfortunatamente per lui, però, non sarebbe stato in grado di fare niente del genere.
Nell'aria c'era fermento. Tutti erano impazienti di sapere. Ed ecco che, in conseguenza all'arrivo di Aslan, il brusio della folla era cessato di colpo, lasciando che l'unico suono fosse quello dei passi ovattati del leone. Subito dietro di lui, vi erano i quattro ragazzi protagonisti di questa indimenticabile avventura: il principe Caspian, il mago Mikael, il principe Artù, e ultimo, ma non ultimo, il giovane mago Merlino. I ragazzi avevano un aspetto che mai nessuno aveva notato in loro, prima di allora. Non erano solo estremamente belli nelle loro vesti di Narnia bordate d'oro e di argento, ma sembravano irradiare una luce nuova, una luce buona, saggia e matura, la luce dei sovrani supremi di Narnia.
"Miei cari" - aveva esordito Aslan con la sua voce bassa e potente - "Siamo qui riuniti per festeggiare la vittoria dell'amore e della giustizia sulla crudeltà e il buio dell'ignoranza. Questi quattro giovani, ognuno in un modo diverso, hanno contribuito alla salvezza di Telmar e alla rinascita di Narnia. Nonostante gli errori commessi durante il loro cammino, hanno trovato il modo di rimediare, e anche quando hanno creduto di perdere la speranza, quando hanno creduto di non farcela o di essere soli, alla fine hanno guardato dentro i loro cuori, scoprendo che in essi brilla una luce molto più grande e intensa di quello che avrebbero mai potuto immaginare. E' stato grazie a Mikael se Caspian ha avuto salva la vita. E' stato grazie all'intervento di Merlino se il principe Caspian si è risvegliato dal suo sonno eterno. E' stato grazie al sacrificio di Caspian se le tenebre hanno smesso di regnare su Telmar. Ed è stato grazie ad Artù se il mio esercito è stato condotto qui e se Miraz è stato finalmente imprigionato".
A quelle parole, l'usurpatore aveva ricominciato a gridare che non era ancora finita, ma subito dopo era stato zittito dall'affilata spada di un nobile topo.
"Chiudi la tua boccaccia usurpatore, o in nome di Aslan assaggerai di nuovo la spada di Ripicì il topo!".
"Ti ringrazio per il tuo intervento mio buon amico. Sei stato davvero prezioso" - lo aveva ringraziato il possente Aslan - "Ma ora, miei cari figli di Adamo, è arrivato per voi il momento di venire avanti".
Il momento solenne era finalmente giunto. Da una porticina situata alla destra dei troni avevano fatto il loro ingresso Clara, Giona, Marcus e Margareth, recanti ognuno un cuscino di velluto rosso con sopra adagiata una sottile corona d'oro, le corone dei quattro re di Narnia.
"Vieni avanti re Mikael, il leale. Vieni avanti re Merlino, il coraggioso. Vieni avanti re Caspian, l'umile. E vieni avanti re Artù, il valoroso. Loro saranno i nuovi re di Narnia, cavalieri di Telmar, figli di Adamo, signori di Cair Paravel, protettori dei giusti e difensori del regno di Aslan.
Rendete loro omaggio, miei sudditi, perché sotto di loro nascerà presto una nuova era, un'era in cui gli abitanti di Narnia potranno sconfinare anche negli altri territori, ponendo così le fondamenta di un nuovo regno d'amore e di giustizia".
A quel punto, la folla aveva levato un grido di giubilo: Narnia aveva di nuovo dei sovrani.

*

Il destino di Miraz era stato deciso qualche istante dopo. Aslan aveva lasciato che fossero i quattro re di Narnia a decretare sul da farsi, e all'unanimità aveva stabilito che sarebbe stato l'esilio la sua punizione. Ma non un comunissimo esilio, no affatto.
"Sarai inviato sulle Isole Tenebrose" - aveva detto Caspian, parlando a nome di tutti - "Lì trascorrerai il resto della tua vita immortale, incapace di fare ritorno nel luogo in cui hai provocato tutto il dolore che ha afflitto noi tutti per anni".
"NO! NON PUOI FARLO! NO!" – era stata la reazione del mostro, reazione del tutto inutile.
Aslan aveva soffiato sul corpo di Miraz, e sotto lo sguardo attento dei presenti, egli era sparito nel nulla, apparendo dopo qualche istante sulle spiagge desolate delle Isole Tenebrose.

*

I festeggiamenti erano durati fino a tarda notte. Alla grande tavola di Cair Paravel erano state servite le pietanze e le bevande più dolci e gustose, il cielo era stato illuminato da centinaia di fuochi d'artificio, e l'aria era stata allietata con musica, canti e danze. Non c'era più alcuna differenza fra telmariani e narniani: entrambi stavano festeggiando i loro re, felici e in grado finalmente di godere di tutto l'amore e la libertà che tanto avevano agognato.
La luna si trovava in un punto molto alto del cielo quando re Merlino si era allontanato dal salone, rintanandosi sul ponticello del giardino attraversato dal fiume. Non riusciva ancora a capacitarsi dell'avventura di cui era stato protagonista. Quanto aveva dovuto penare prima di vedere la giustizia trionfare, prima di vedere il sorriso sul volto di quelle persone così buone che tanto si erano prese cura di lui?
Era orgoglioso di se stesso. E chissà cosa avrebbero detto di lui Gaius e quel lucertolone parlante di Kilgarrah! Nonostante i momenti di sconforto e di dolore, aveva affrontato ogni difficoltà, ricevendo persino l'onore di incontrare Aslan in persona e di essere incoronato re di Cair Paravel. Lui, un semplice servitore, era diventato re. Chi l'avrebbe mai detto?
Caspian aveva riottenuto il trono di Telmar, il trono che gli spettava di diritto, e aveva ritrovato l'amico perduto. Merlino non era uno sciocco, e non era neppure cieco. Aveva notato sin troppo bene il modo in cui i due amici si guardavano. Tra di loro c'era molto, molto di più di quello che si poteva pensare. E nel vederli così felici, aveva finalmente capito che non c'era niente di male nei sentimenti che provavano l'uno per l'altro. Era davvero felice per loro.
Però, c'era ancora una cosa che oscurava la felicità di quel momento, o meglio, qualcuno. Il giovane figlio di Adamo non aveva ancora avuto l'opportunità di parlare con il suo principe e dargli finalmente una spiegazione. Era pur vero che non aveva ancora trovato un attimo di respiro per poterlo fare, ma aveva anche rimandato per non essere stato abbastanza bravo da trovare le parole adatte con cui iniziare il suo discorso.
Cosa avrebbe potuto dirgli, dopotutto? Gli aveva mentito per anni e anni. Come minimo, lo avrebbe mandato alla gogna! Non credeva che lo avrebbe denunciato a suo padre. Non dopo tutto quello che avevano passato.
Era talmente perso nei suoi pensieri da non essersi reso conto che il qualcuno a cui questi pensieri erano rivolti si trovava alle sue spalle, osservandolo come se fosse la cosa più preziosa esistente sulla faccia della terra.
"Un soldo per i tuoi pensieri!" - gli aveva detto Artù, facendolo sobbalzare.
"Maestà!" - aveva esclamato Merlino, arrossendo per essere stato colto in flagrante.
Il re di Narnia gli si era avvicinato, posando gli avambracci sulla ringhiera di legno del ponte, e guardando i loro riflessi sull'acqua illuminata dalla luna.
"Credo che non ci sia bisogno che tu mi chiami maestà. Almeno non qui, dato che sei anche tu un'altezza reale" - aveva precisato Artù, evitando di guardarlo dritto negli occhi.
"Avet-Hai ragione..." - si era corretto, facendo altrettanto.
La situazione era davvero singolare. Era la prima volta che si trovavano da soli da quando avevano lasciato Camelot. Considerando poi il periodo di separazione che avevano dovuto subire al castello per colpa di Miraz, era quasi come se stessero vivendo una situazione del tutto nuova. L'uno aspettava che l'altro parlasse per primo, ma così facendo, nessuno dei due avrebbe mai pronunciato parola. La situazione era oltremodo strana. Erano due persone che si conoscevano ormai da anni, ma si stavano comportando come se fossero stati quasi due estranei.
Una ranocchia aveva appena emesso il suo tipico suono quando Artù aveva trovato il coraggio di infrangere quel silenzio imbarazzante.
"Avresti dovuto dirmelo" - aveva detto, voltando il viso verso quello di Merlino.
"Lo so" - aveva risposto lui, ancora incapace di guardarlo negli occhi - "La verità è che avevo paura".
"Lo so" - aveva risposto a sua volta Artù, senza staccare gli occhi da lui - "Forse, avrei avuto paura anche io se fossi stato l'unico essere speciale in mezzo a tante persone comuni".
"Tu non sei un essere comune!" - si era infervorato Merlino, girandosi di scatto nella sua direzione - "Sei il principe di Camelot, e sei il re di Narnia! Sei un eroe! Quante persone hai salvato Artù? Migliaia! Il tuo aiuto ci ha permesso di restituire ad ogni re il proprio regno, e di rendere liberi dalla schiavitù di Miraz Telmar e...".
Ma Merlino non avrebbe mai finito di parlare: Artù, spiazzandolo completamente, lo aveva stretto in un forte abbraccio, affondando il viso nell'incavo della sua spalla. Il mago aveva creduto di sognare e di non essersi ancora svegliato. Artù lo aveva appena abbracciato per davvero?
"A-Artù... Ma cos-...".
"Ora capisci perché ritengo che tu sia un essere speciale?" - aveva detto, continuando a tenere gli occhi chiusi e sfregando con dolcezza la guancia liscia contro quella del ragazzo che stava stringendo.
"Io..." - era talmente imbarazzato da non essere stato in grado di fare niente. Non lo aveva né ricambiato né respinto, ma si era limitato a stare immobile, continuando a farsi abbracciare. Era sì imbambolato, eppure, si era reso perfettamente conto che quello non era stato un abbraccio fraterno, ma molto, molto di più. Era stata una sensazione stranissima. Strana, ma estremamente piacevole. 
Il momento in cui si erano separati era stato terribile, ma Artù lo aveva sorpreso di nuovo, prendendogli il viso fra le mani e guardandolo dritto negli occhi.
"Promettimi che non mi terrai mai più nascosto qualcosa. Promettimelo. Non potrei mai farti del male Merlino. Mai" - mentre parlava, i suoi occhi brillavano, e disegnava con i pollici dei cerchi sulle guance del ragazzo che stava stringendo.
"Ne sono consapevole, Artù" - aveva detto, arrossendo.
E il principe di Camelot si era avvicinato maggiormente.
"Art" - ma Merlino non aveva terminato la frase, perché due labbra morbide e un po' incerte si erano posate sulle sue, sconvolgendolo al punto di fargli quasi tremare le gambe. A quel punto, non aveva potuto fare a meno di aggrapparsi a colui che lo stava baciando, cingendogli le spalle con le braccia.
Non era stato un bacio sensuale, ma piuttosto uno scoprirsi lentamente, un assaporare quel momento con pudore e un pizzico di imbarazzo. Ma, finalmente, entrambi sapevano che le barriere erano crollate, e che nessuno avrebbe più dovuto fingere davanti all'altro.
Quando si erano staccati, si erano avvicinati più e più volte, continuando a far sfiorare le loro labbra in rapidi e teneri baci. Poi, alla fine, ancora abbracciati, avevano posato la fronte l'uno su quella dell'altro, continuando a guardarsi negli occhi.
"Grazie" - gli aveva detto Merlino - "Grazie di tutto" - e lo aveva abbracciato ancora una volta.
"Ora dovremmo andare" - aveva detto Artù, staccandosi da lui controvoglia - "E poi, devi ancora spiegarmi come hai fatto a risvegliare Caspian se non potevi usare la magia. Sono davvero curioso!".
A quella richiesta, il mago era arrossito violentemente, cercando un modo per evitare quel discorso.
"Te lo racconterò un'altra volta" - aveva tagliato corto, avviandosi verso il castello.
Artù era rimasto un attimo indietro, per ammirarlo.
"Gaius aveva ragione" - aveva detto ad un certo punto, finalmente consapevole di ogni cosa - "Non è la magia ad essere cattiva. Sono le persone".
Merlino aveva sorriso con dolcezza, girandosi verso di lui.
"E' proprio vero Artù... E' proprio vero" - e si era avviato di nuovo verso il castello.
"Emmm... Merlino?!" - lo aveva chiamato di nuovo Artù, con voce incerta.
"Sì, Artù?".
"Non credi che abbiamo dimenticato qualcosa... O meglio, qualcuno?".
"Non capisco...".
"Che fine ha fatto Morgana?".

*

Il momento di dirsi arrivederci era arrivato fin troppo presto. C'erano troppe cose da dover sistemare, ed era stato d'obbligo per loro tornare a Camelot. Separarsi da Caspian e da Mikael era stato un tormento, ma chi era  re di Narnia, lo sarebbe stato ovunque e per sempre. Il difficile, adesso, sarebbe stato dare ad Uther una spiegazione più che plausibile sull'accaduto, e cercare di spiegare a lady Morgana come erano andate le cose senza far trapelare troppi dettagli. La giovane dama era stata ritrovata addormentata nel castello di Telmar, e nessuno era riuscita a destarla dal suo sonno. La magia di Aslan era la più potente che potesse esistere, dopotutto.
Sir Leon aveva giurato di non fare parola con nessuno di quello che aveva visto, giurando ai re di Narnia fedeltà eterna.
Così, con due corone d'oro nelle bisacce e una donzella addormentata sistemata alla meno peggio su di un cavallo, i tre avevano fatto ritorno a Camelot, volando sul magico respiro del possente leone.
Abbracciare di nuovo Gaius era stata una gioia immensa. Merlino aveva raccontato le sue disavventure tutte d'un fiato al suo maestro, soffermandosi su ogni particolare con grande attenzione. Il cerusico aveva ascoltato tutto senza fiatare, commuovendosi quando aveva veduto con i propri occhi la corona che decretava l'elezione a re di Narnia del suo Merlino. Non era solo orgoglioso di lui. Era molto, molto di più.
Per quanto riguarda Artù, era stato punito severamente per aver disobbedito agli ordini del re, ignaro, fra l'altro, di chi erano diventati suo figlio e il ragazzo che considerava solo un servo. Non era ancora pronto per sapere della magia. Un giorno, Aslan avrebbe deciso di fargli visita, aiutando i due re a portare a termine il loro compito. Nel frattempo, loro avrebbero viaggiato per tutti i regni, diffondendo la notizia che il grande leone era finalmente tornato, e che Narnia era viva e libera dalla schiavitù.
Morgana non ricordava più niente di quello che aveva vissuto. Di tanto in tanto, diceva di aver sognato uno strano leone parlante, ma poi se ne pentiva, pensando che i presenti la considerassero una sciocca.
Sir Leon non aveva mai abbandonato i suoi due re. Con estrema regolarità, Merlino e Artù tornavano a Cair Paravel, dove vivevano Caspian e Mikael, sempre più saggi, e sempre più vicini. Tra tutti i cavalieri di Narnia, sir Leon era stato quello più attivo nel promulgare il messaggio del ritorno di Aslan. Egli stesso era stato liberato dal malefico incantesimo dal grande leone, e voleva che il mondo intero sapesse della sua bontà e del suo senso di giustizia. Aslan era amore, e tutti avrebbero dovuto provare quel sentimento, prima o poi.
Per quanto riguarda il nostro crudele usurpatore, a lui era toccata la peggiore delle sorti: sulle Isole Tenebrose, luogo in cui avrebbe trascorso il resto della sua esistenza da immortale senza avvertire né sete né fame, abitavano creature fuori dal comune, creature di cui non sospettava neppure l'esistenza.
Mentre vagava nel buio in cui per anni aveva costretto un intero popolo, miriadi di voci ghignanti giungevano alle sue orecchie, facendogli venire la pelle d'oca.
"Chi è là?" - aveva urlato, cercando di mantenere la calma.
"Finalmente un nuovo ospite" - aveva detto una di esse, stridula e acuta.
"Dici bene, sorella! E pare che con questo ospite avremo molto, molto tempo per divertirci..." – aveva risposto un’altra. Sembrava quasi che loro lo aspettassero da sempre, e qualche istante dopo, ne aveva avuto la conferma.
“Hai visto cosa succede a causare dolore agli altri, Miraz? Si finisce per diventarne vittime a sua volta”.
Era al limite del terrore. Se qualcuno fosse stato accanto a lui e fosse stato in grado di vederlo nonostante il buio, avrebbe visto un uomo terrorizzato che cercava di sfuggire alle sue persecutrici.
"NO! LASCIATEMI IN PACE!".
"Perché dovremmo?" - avevano risposto quelle in coro - "E' così divertente! Non sei contento? Dopotutto, abbiamo a disposizione tutto il tempo del mondo".

Epilogo

Erano trascorsi dieci mesi da quando quell'avvenuta era giunta al termine, e le cose nel mondo allora conosciuto avevano cominciato a migliorare notevolmente.
Grazie alla loro campagna di informazione, i re di Narnia e i loro missionari, fra cui Marcus, Clara, Giona e sir Leon, avevano dato la lieta notizia ai sovrani che avevano ricevuto indietro le loro terre, sovrani che avevano accolto con grande entusiasmo la venuta del grande Aslan. Caspian e Mikael si erano recati più volte in visita a Camelot, provocando un intenso vociferare da parte di nobili e servitù per via del loro rapporto così intimo. Uther non aveva mai approvato la loro vicinanza, anche se non l'aveva mai detto apertamente. Ovviamente, quest'ultimo era stato l'unico a non sapere niente di Narnia, ed era stato l'ultimo a non sapere che nel suo regno si erano ormai stabiliti da tempo numerosi animali parlanti. Fra di loro, vi era anche il piccolo Mercurio. L'adorabile cardellino, che ormai aveva imparato perfettamente a parlare, era diventato un grande amico di Gaius, ed erano in molti a chiedersi come avesse fatto ad addestrarlo così bene.
Finalmente, sembrava che tutto fosse tornato alla normalità, e tutti speravano che essa potesse durare in eterno.
Quella mattina, Artù aveva buttato giù dal letto il povero Merlino di buon'ora, comunicandogli che aveva una cosa molto importante da mostrargli.
"Artù, ma io ho sonno... Dovevi proprio farmi alzare così presto?".
"SSSHHH! Non urlare! E poi devi darmi del voi qui! Lo sai che nessuno sa che siamo re di Narnia!" - lo aveva ammonito il biondo sovrano.
"D'accordo, VOSTRA MAESTA'!" - aveva bofonchiato il mago, acido - "Ma si può sapere dove stiamo andando?".
"In biblioteca, è ovvio!".
"E cosa c'è di così importante in biblioteca, se posso osare?".
"Oh, lo vedrai presto mio caro. Lo vedrai presto!".
E quando l'aveva visto, aveva capito che ne era valsa davvero la pena. Artù lo aveva portato nella sezione proibita, e proprio come aveva previsto, era riuscito a sorprenderlo come mai nessuno fino ad allora c'era riuscito. Ovviamente, escludendo il potente Aslan!
"Artù! Ma è meraviglioso! Come avete fatto a sapere di questo posto?" - gli aveva detto, cominciando ad aggirarsi per gli scaffali - "Guardate qui! Questi testi di magia sono antichissimi e rarissimi! E questo libro di pozioni poi! E'... E'...".
"Magico?" - aveva completato la frase il suo principe, sorridendo.
"Credo di non poter trovare un termine più adatto!" - aveva detto Merlino, prendendo un volume tra le mani, un volume che Artù conosceva fin troppo bene.
"Ma a cosa ti serve quello?" - gli aveva detto, leggendone il titolo - "Non credi che ormai sappiamo abbastanza sulla storia di Narnia?" - e gli si era avvicinato, sbirciando nelle pagine su cui Merlino si era soffermato.
"Direi che non se sappiamo solo abbastanza, Artù! Direi che ne facciamo parte" - aveva detto, girando il libro nella sua direzione.
Con grande stupore di quest'ultimo, su di esse vi era narrata la loro avventura, con tanto di particolari di ogni genere.
"Ma è... è...".
"Magico?" - lo aveva preso in giro Merlino.
"Direi proprio di sì. E' magico. Proprio come te" - e gli aveva dato un bacio a fior di labbra, facendolo arrossire.
"E dimmi un po'..." - aveva poi proseguito, tornando a guardare il volume - "Dice anche come va a finire, la nostra storia?".
"Ovviamente no, razza di somaro! Quella, è una storia che deve essere ancora scritta. E sarà la storia più incredibile che tu abbia mai sentito".

Fine

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Merliniani miei... E’ finita. E’ veramente finita.
Che dire? Capitolo numero 60. Amiche mie, sorelle mie, credetemi se vi dico che sono sul punto di piangere. Da un lato, terminare questa storia è stata una sorta di liberazione, ma dall’altra, e vi posso assicurare che è la parte predominante, mi sembra di aver appena lasciato andare via un figlio divenuto ormai grande.
Scrivere questa storia ha significato davvero molto per me. Non è stata una semplice fanfiction, affatto. In essa vi ho messo tutta me stessa. Ci ho messo il cuore e l’anima, cercando di sorprendervi, di non annoiarvi, e di non essere mai scontata. A volte credo di esserci riuscita, altre credo di aver fallito, ma spero di poter andare in giro a testa alta, e dire che in ogni occasione ho dato il meglio di me.
Merlino, Artù, Caspian, Mikael, Marcus, Clara e tutti gli altri, non sono solo personaggi che ho rielaborato, o che sono nati dalla mia fantasia. Sono dei veri e propri amici, amici che sto facendo fatica a lasciar andare. Anche se avevo in mente cosa far fare ad ognuno di loro, ad un certo punto essi hanno preso vita propria, guidandomi nella stesura di questo piccolo grande delirio. Non ci sarebbe stato la storia senza i personaggi principali, ma se Mikael non avesse stretto il patto con Miraz, esso non sarebbe mai stato infranto. Se Clara non avesse ingannato Merlino, non sarebbe mai andato a Telmar. Se Marcus non avesse liberato Caspian, quest’ultimo non avrebbe mai raggiunto la camera da letto di Miraz. E poi la dolce e protettiva Margareth, l’adorabile Mercurio e tutti gli altri, sono stati una vera scoperta per me in primo luogo, e mi auguro anche per voi.
Credo che chi abbia iniziato a leggere questa storia dal primo capitolo sia stato in grado di notare quanto essa sia cambiata nel corso del tempo. Spero in meglio, ovviamente. Non nascondo che nell’ultimo periodo ho subito molto l’influenza di C.S. Lewis. Proprio la scorsa settimana ho finito di leggere Le Cronache di Narnia, e ho imparato ad amare ancora di più il personaggio di Aslan.
Per chiunque abbia letto il libro o abbia visto i film, è chiaro che Egli incarni la figura di Gesù. Il mio Leone è la divinità suprema, ma non mi permetterei mai di trattarlo allo stesso modo del grande maestro Lewis perché non ne sono in grado. La storia di fondo, quello che fa muovere tutto, è l’amore. L’amore che Artù nutre per Merlino e viceversa, l’amore che Mikael nutre per Caspian e viceversa. Ma, come sapete, il cristianesimo non ammette l’amore omosessuale, e proprio per questo, per chiunque voglia vedere il mio Aslan come quello di Lewis, non ho lasciato che dicesse niente riguardo l’amore dei quattro ragazzi. Ovviamente ho le mie idee a riguardo, ma non credo che sia questa la sede adatta per discuterne. Dopotutto, è solo una fanfiction senza pretese.
Che altro dire, ragazze mie? Alla fine, Miraz ha avuto quello che si meritava! Le “crudeli” abitanti delle Isole Tenebrose non siamo altro che noi fans incacchiate nere con questo mostro che ha cercato di sottomettere tutte le terre allora conosciute al suo volere! Quale punizione più atroce poteva subire? Ovviamente nessuna! Spero che la cosa vi abbia provocato lo stesso tipo di piacere che ha provocato a me! Oh, sì!
Ed ecco che arriva il momento dei saluti e dei ringraziamenti… Stavolta, eviterò di citare tutti coloro che hanno letto e recensito come ho fatto per il trentesimo capitolo. Non credo che mi abbia portato molta fortuna (almeno non per questa fic). E poi, credo che non ce ne sia bisogno. Coloro che hanno sempre letto e recensito sanno che hanno un posto speciale nel mio cuore! Non che gli altri non ce l’abbiano, ma per chi come me legge e scrive, sa quanto siano importanti le recensioni per uno scrittore. Il mio lavoro non avrebbe senso senza di voi. Era da un po’ che non ve lo dicevo, e credo che meritiate di sentirlo miliardi di volte.
Ora, prima che io continui a scrivere note sino a fine agosto, vi saluto, dicendovi per l’ultima volta GRAZIE.
Non so se scriverò mai altre fiction per questo fandom, e pensare che potrei non sentirvi più mi fa stringere il cuore. Spero di non perdervi, sorelle mie. Altrimenti, come faremmo a metterci d’accordo su come torturare Miraz?
Vi adoro!
Grazie davvero di cuore.
Un bacio enorme!
Arrivederci!
Cleo

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