A mali estremi...

di rabbyra
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Capitolo I - Alleanza ***
Capitolo 3: *** Capitolo II - Braccato ***
Capitolo 4: *** Capitolo III - Infiltrazione ***
Capitolo 5: *** Capitolo IV - Angeli Custodi ***
Capitolo 6: *** Capitolo V - Redenzione ***
Capitolo 7: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Descrizione. Cross-Over: Gerkhan e Kranich, inviati a New York da un Generale dell'Interpool, hanno il compito di arrestare il vigilante Frank Castle noto come "The Punisher". La storia è stata scritta a quattro mani da me, che sono un fanboy del Punitore (che è un personaggio dei fumetti Marvel), e da "ChiaraLuna21", fangirl di "Squadra Speciale Cobra 11". Il prologo è in realtà solo una "descrizione" dei personaggi principali, naturalmente ognuno ha raccontato i suoi (xD)!!



PROLOGO

 
(ChiaraLuna21)
Semir Gerkhan e Tom Kranich erano l’esempio perfetto di persone completamente influenzate e prese dal loro lavoro. Amici fino alla morte, più volte non avevano titubato un secondo a rischiare la vita l’uno per l’altro.
I loro caratteri, sebbene molto simili, si completavano a vicenda, creando una squadra quasi perfetta.
Il primo, sempre positivo, perdeva la calma solo in casi estremi, caratteristica che condivideva anche il secondo, essendo addirittura una persona poco aggressiva.
Semir, di origine turca, era il membro più anziano del gruppo, avendo ormai circa 16 anni di servizio nella squadra.
Tom, invece, in ritardo come al solito, lo aveva raggiunto solo qualche anno dopo, senza trovare però troppi problemi nell’ambientarsi e nell’affezionarsi all’amico.
I due ne avevano viste di tutti i colori facendosi una lista di nemici tanto lunga da poter ricoprire tutta l’autostrada sotto la loro giurisdizione.
Ma questo era il loro lavoro, in fondo… e quella lista era solo la dimostrazione che lo sapevano fare molto bene.
Ma i loro destini non erano stati sempre incrociati… anzi!
Il primo, Semir, aveva avuto tanti di quei compagni da poter fare concorrenza alla lista dei criminali incalliti.
Lavorando insieme si crea un legame forte con il proprio compagno… e quando lo si perde, perché se ne va o perché uno dei bastardi riesce nell’intento di toglierlo di mezzo, è sempre dura.
Tom era stato il suo compagno più duraturo, ma anche lui se ne era andato.
Era successo tanti anni prima, quando il bastardo non era riuscito ad eliminare lui, ma la sua ragazza… la sua ragazza e il bambino che aveva in grembo.
Era stata dura… molto dura! Finché sei tu ad essere in pericolo… a rischiare la vita, la cosa va bene, ma quando è chi ti sta vicino a rimetterci, i sensi di colpa hanno la meglio… e si finisce con l’odiarsi, per il solo motivo di non essere riusciti a proteggerla… perché mentre tu sei vivo, lei non lo è!
Così se ne andò,  sperando di superare la cosa.
… non ci riuscì mai davvero…
Però arrivò ad affrontare il dolore… a conviverci. E così tornò, e la vecchia squadra risalì in sella, più unita di prima.
Intanto Semir era andato avanti con la sua vita, e così al suo ritorno, il collega lo aveva trovato sposato con Andrea, la segretaria del capo.
Si era fatto una famiglia… e nel suo lavoro non si sa mai se sia un bene o un male.
Tanti anni… tante auto distrutte e tanti casi risolti… tante missioni pericolose e tanti criminali incastrati…
… tanti motivi per avere un animo logorato.
 
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(RabbyRa)
Frank Castle era una persona poco ordinaria: non parlava con nessuno, non comprava da nessuno, non conosceva nessuno. Si era congedato dalla società che lo accoglieva con indifferenza molti anni or sono. Non ne sentiva il peso, o forse lo ignorava. Ora i suoi figli, Frank Jr. e Lisa, avrebbero circa venticinque anni. Probabilmente, lui e la sua amata moglie Maria, sarebbero persino nonni.
Il triste e ingannevole destino non lo ha voluto. Tornato dal Vietnam, la sua famiglia fu uccisa durante un pic-nic, coinvolta in un regolamento di conti tra bande di malviventi. Il suono dei Thompson echeggiò in Central Park quel giorno: fu l'ultimo rintocco di una campana funebre, ma da cui nacque il suo temibile alter ego.
Una campana, su cui era inciso un teschio bianco, che aveva già fatto sentire la sua voce nel lontano Vietnam. Il "Punitore" era nato molto prima, quando un giovane capitano dei Navy Seals scoprì di amare una guerra ormai agli sgoccioli. Una guerra di sangue e di morti che avrebbe, ed ha, continuato per trenta lunghi anni, esclusivamente, contro la criminalità.
Uccide perchè gli piace, sebbene rispettando un'etica forse discutibile: priorità all'incolumità degli innocenti, morte ai colpevoli... da lui scelti in veste di giudice e boia nell'istante in cui preme il grilletto.


FINE PROLOGO.



[NOTE degli autori (RabbyRa & Chiara): abbiamo pensato di iniziare con queste personali presentazioni per far entrare nell'ottica del racconto chi non conosce i personaggi, o almeno il loro background. :D

Credits:
I personaggi di cui parliamo non appartengono a noi, ma a chi di diritto e noi non ne facciamo uso a scopo di lucro ma solo per il nostro divertimento personale.
Per quanto riguarda "The Punisher" la storia sarà una trasposizione, in parte ispirata e in parte simile, in forma letteraria di un ciclo di storie (a fumetti, naturalmente) scritto da Garth Ennis e disegnato da Goran Parlov. Il titolo è "Valley Forge, Valley Forge" pubblicato sotto la linea editoriale "Marvel Max 100%" nel 2005. ]

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Capitolo 2
*** Capitolo I - Alleanza ***


N.B. by RabbyRa: Ricordo che sono due gli autori di questo crossover: RabbyRa e ChiaraLuna21! :) Quando ci sono i nostri nomi tra parentesi in rosso significa che la parte che leggerete è stata scritta esclusivamente da me o da Chiara. Tutto il resto l'ho scritto io, con la consulenza, supervisione e l'aiuto di Chiara! ^^

CAPITOLO I
ALLEANZA

 
Il seminterrato della stazione di polizia di New York aveva visto giorni migliori. Scatoloni, ammassati uno sull'altro in ogni dove, e fascicoli alti tre dita giacevano polverosi su diverse scrivanie poste a caso in quella che, mesi prima, fungeva da grande aula multimediale. Una fotografia avrebbe ritratto quel luogo come uno studio legale o un'anagrafe qualsiasi.
Budiansky era seduto ad una scrivania. Aveva tra le mani un fascicolo ospitante una foto segnaletica di un uomo sulla cinquantina, capelli scuri e occhi chiari. Visibilmente nervoso, il poliziotto iniziò a scrivere su un secondo foglio a quadretti recante il timbro "Classified". Si fermò a metà dell'opera quando il Commissario Engelhardt, una donna di mezz'età,  entrò dalla porta principale. Percorse il sentiero artificiale tra gli schedari e gli scaffali ricolmi di scatole e documenti d'ogni genere. Si guardò intorno come nauseata. Non era abituata ad una simile confusione, generalmente non transigeva su una tale mancanza di cura.
Budiansky si alzò e la accolse porgendole la mano. Lei ricambiò aggiungendo un lieve sorriso.
 
«Capitano Paul Budiansky, polizia di New York» si presentò con rispetto.
 
«Commissario Anna Engelhardt»
 
«Spero che il viaggio dalla lontana Germania non vi abbia dato noie...» aggiunse Budiansky, tanto per rompere il ghiaccio, prima di passare alle faccende di lavoro.
 
«Vi dirò, credevo peggio... veniamo subito al dunque, cosa sappiamo di Castle?»
 
«Oh sì... sì certo...» Budiansky balbettò per un attimo, fece fatica a ritrovare il dossier che aveva in mano poc'anzi. Quando lo ebbe di nuovo tra le mani lo porse alla donna che lanciò le prime attente occhiate.
 
«Sembra sia latitante da anni, perchè nessuno è mai riuscito ad arrestarlo?»
 
«Nessuno ci ha mai davvero provato. Castle, il "Punitore", uccide i più pericolosi criminali che noi non facciamo in tempo a trovare...» Budiansky scosse la testa, anche se per niente affranto.
 
«Era un soldato... ha persino combattuto in Vietnam» Engelhardt sfogliava le poche pagine buttando l'occhio qua e là, dove trovava sottolineature.
 
«Si, per molti di noi è una manna dal cielo. Fa metà del nostro lavoro...»
 
«Credo che l' Interpol non la pensi così, per questo sono qui» il Commissario ripose il fascicolo dove Budiansky l'aveva pescato.
 
«L' Interpool è solo un tramite, gli ordini arrivano dal Generale Perìno...»
 
«... che non ho l'onore di conoscere, Capitano» Engelhardt lo interruppe «Tutto quello che mi interessa è eseguire gli ordini»
 
«Sono d'accordo. Ha già pensato a come... si... insomma... come fare? Il Punitore è il più sfuggevole vigilante di New York...» Budiansky lasciò trapelare insicurezza, forse dettata dalla poca volontà nel portare a termine quel compito.
 
«Kranich e Gerkhan, i miei due ispettori capo, dirigeranno questa Task Force» Engelhardt prese posto di fronte a Budiansky, che tornò a sedersi «arriveranno dall'Europa tra pochi giorni, sempre che per il Dipartimento non sia un problema...»
 
«Oh... no no!» disse subito Budiansky «Può disporre delle sue risorse come meglio crede»
 
«La risorsa migliore che possiamo offrirvi. Comunque, ho letto di "omicidio plurimo", quindi...»
Engelhardt si alzò, si avvicinò ad una scaffalatura metallica. Con due dita diede dei colpetti ad uno degli scatoloni che era più vicino a lei e guardò gli altri sulla stessa fila.
 
«...quindi, Capitano, voglio mettermi subito al lavoro. Può indicarmi in quale di questi raccoglitori ci sono i presunti omicidi di Frank Castle?»
 
Budiansky abbozzò un amaro sorriso. Ostentò malinconia, ricordando quando lui stesso pose la stessa identica domanda. Allargò le braccia.
«In tutti...!» rispose gelido.  
 
Engelhardt spalancò gli occhi esterrefatta. Si guardò intorno più volte, come per contare uno per uno tutti quei raccoglitori di cartone dislocati nella stanza, ma sapeva che era inutile...
 
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(ChiaraLuna21)
La BMW grigio cromato di Semir sterzò, facendo un testacoda, e frenò di colpo.
Lo sportello dal lato del guidatore si spalancò e ne uscì un uomo non molto alto, con una pistola in mano.
L’uomo, rapido come una saetta, si portò fino all’ingresso di un magazzino lì accanto e vi entrò, puntando l’arma di fronte a sé.
Più o meno al centro del deposito, Aaron Fisher impugnava una pistola di piccolo calibro, puntando la canna alla tempia di Tom Kranich, poco più avanti di lui, con i polsi legati.
Tom e Semir si lanciarono uno sguardo nel quale il primo sembrava voler chiedere scusa al secondo che, invece, pareva avere tutta l’intenzione di ucciderlo con la sola forza del pensiero.
In effetti Tom si rendeva conto che, probabilmente, entrare in casa di uno spacciatore da solo di notte per trovare delle prove non era stata una delle sue idee più brillanti, ma che ci poteva fare?! In fondo… anche Semir avrebbe fatto lo stesso!
«Ispettore, che piacere! Allora?! I documenti?!»
Il turco prese un profondo respiro ed infilò una mano nel giubbotto, estraendone una cartella piena di fogli contenenti tutte le informazioni e le prove del caso “Fisher” che l’uomo aveva richiesto come merce di scambio.
La alzò in aria per fargliela vedere bene. «Eccoli… ora lascialo!»
Il criminale sembrò ridere. «Dai, dici sul serio?!» rispose, come se l’ispettore gli avesse fatto una proposta assurda. «Prima il fascicolo, poi tutto il resto!»
Semir strinse i denti e lanciò uno sguardo al collega. Non poteva lasciargli il fascicolo… ma non poteva nemmeno mollare Tom nelle sue mani.
Anche il collega strinse i denti, sperando che l’amico riuscisse a leggere i suoi pensieri.
“Oh, andiamo! Sali in macchina  e porta quei fascicoli al commando! Dai, incastralo!” pensava con tutte le sue forze.
Ma Semir non lo avrebbe mai abbandonato da solo in quella situazione… erano troppo amici perché potesse anche solo pensare di farlo!
Sospirò. «Va bene… va bene, prendili!» disse, piegandosi per poggiarli a terra.
Si risollevò e spinse il file con un piede verso il Fisher.
L’uomo lo prese da terra, continuando a tenere Tom sottotiro, lo aprì e ne sfogliò rapidamente il contenuto.
«Uhm… bene! Bene, c’è tutto!» disse, sollevando lo sguardo.
Semir sorrise. «Perché, non ti fidavi?» rispose ironico. «Ora lascialo!»
Il criminale scosse la testa. «Non così in fretta, Gerkhan! Prima giù l’arma!»
Semir deglutì: quella storia stava prendendo una brutta piega…
«Dai, hai avuto i tuoi maledetti documenti, ora lascialo!» rispose.
Ma Fisher rimase impassibile. «Via l’arma! Ora!»
L’ispettore prese un profondo respiro. L’idea non lo allettava, ma, d’altronde, non aveva molta scelta.
«Okay… la metto giù!» disse mostrandola bene al criminale, ignorando Tom che provava a scuotere la testa, senza grandi risultati.
Semir poggiò l’arma a terra e mise le mani bene in vista.
Il criminale sorrise. «Bene! Ispettore, è stato un piacere! Ora, se ci vuole scusare…» rispose, iniziando a sostarsi verso l’uscita, tenendo sempre la pistola inchiodata alla tempia dell’ispettore.
«Ehi, fermo! Non erano questi i patti!» disse Semir, quasi non si aspettasse quella mossa dal criminale.
Ma invece di Fisher, fu Tom a rispondere.
«Ehi, Semir, va tutto bene… tranquillo!» disse.
Poi ci fu quello scambio di sguardi… quella veloce luce che attraversò i loro occhi…
… e poi accadde.
Tom diede una gomitata nello stomaco di Fisher, piegandosi proprio un attimo prima che partisse un proiettile.
Semir, approfittando della distrazione del criminale, si buttò a terra, afferrò la pistola e sparò un colpo, che centrò in pieno la spalla del criminale.
Fisher urlò e cadde a terra, stringendosi la spalla destra con la mano sinistra.
Tom in un attimo fu su di lui e con un calcio gli allontanò la pistola da vicino alla mano.
Semir si sollevò e puntò la pistola verso il criminale. Poi, tenendolo sotto tiro, si voltò verso il collega. «Tom, tutto bene?»
L’altro annuì. «Sì, sì… tranquillo!»
Il primo guardò un attimo l’orologio. «... Credo tu sia in ritardo per il lavoro, sai?» scherzò.
L’altro sospirò. «E qual è la novità?! Non lo sono sempre!»
I due risero, per poi rimanere in silenzio qualche secondo.
«Allora?!» disse il primo, come se stesse aspettando qualcosa.
«Allora cosa?!»
Tom mostrò i polsi ancora legati al collega. «Allora mi vuoi slegare o vuoi che guidi così?!»
Semir, che ovviamente, preso dalla scarica di adrenalina, se ne era dimenticato, iniziò a scusarsi, estraendo il coltellino a serramanico e tagliando rapidamente le corde.
Tom iniziò a massaggiarsi i polsi. «Grazie, socio!» disse, giusto un attimo prima che il suo cellulare iniziasse a squillare.
Lo prese dalla tasca e lesse il nome sul display.
«Buongiorno, capo! Come va lì nella grande mela?» rispose, mentre Semir pensava ad ammanettare il criminale.
«Potrebbe andare meglio Kranich… è per questo che la sto chiamando!» rispose la donna dall’altro capo del telefono.
L’ispettore sembrò non capire. «Scusi, capo… che vuol dire?!»
La donna sospirò. «Vuol dire che qui la faccenda sembrerebbe più complicata del previsto e che avere due ispettori-capo che sappiano fare il loro lavoro forse non sarebbe una cattiva idea!»
Lo sguardo di Tom si fece ancora più dubbioso. «Capo, continuo a non seguirla…»
La Engelhardt fece un altro sospiro. «Kranich, per ora deve capire solo che il volo suo e di Gerkhan partirà tra due ore… il resto ve lo spiegherò quando sarete qui! Vi aspetterò all’aeroporto di New York… vi prego, non fate esplodere anche l’aereo!»
 
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(RabbyRa)
Staten Island, New York City. La saracinesca di un vecchio deposito lasciò intendere d'essere stata aperta poche volte. I rumorosi scricchiolii metallici tradivano la mancanza di olio nei binari.
Il vecchio deposito vide finalmente la luce. L'ombra di un uomo aitante, di mezza età, si estese, come un elastico, fino in fondo al deposito. Frank Castle portò una mano al risvolto del moderno trench coat di pelle nera che indossava. Lo abbottonò fino al torace, coprendo il teschio bianco dipinto sul giubbotto in kevlar. Cercò l'interruttore nascosto tra due pareti, poi chiuse la saracinesca dietro di se, mentre i neon lampeggiavano per poi avviarsi.
Afferrò un telo di stoffa scuro, come un lenzuolo, e lo tirò via. Apparvero decine di casse di legno, alcune sigillate con numerosi chiodi, altre aperte del tutto. Da una di queste ne trasse una valigetta in fibra di carbonio lunga almeno due metri. La poggiò a terra, la aprì.
Raccolse il fucile di precisione CheyTac, versione M200. Strinse il pugno sul manico, poggiò il calcio alla spalla e ne ritrasse la clip per assicurare la presenza dei proiettili all'interno. Ricaricò e armò la canna tirando a se la leva del blocco otturatore.
Ripose con cura il fucile nella valigetta, la richiuse e, con essa, uscì dal retro passando attraverso una tenda nera, lasciando la luce accesa.
 
«Ai messicani non fa bene passare oltre il confine, diventano nervosi, esagitati, e quando perdono cinquanta chili di coca rinnegano anche le cattive amicizie...»
 
Frank Castle era assorto nei suoi pensieri, come spesso accadeva. Non era molto abituato a parlare, se non per proferire rare minacce di morte. Era Fermo sul tetto di una vecchia cartiera abbandonata nella zona industriale, la valigetta a terra, giusto affianco a lui. Da quella posizione aveva una buona visuale su un parco giochi abbandonato. Cinque ispanici erano intorno ad un'auto, braccia conserte, in attesa. Per lo più in abiti certamente poco sgargianti. Uno di loro era in macchina. Si distingueva dagli altri per la vistosa collana d'oro massiccio che aveva al collo. Altre cinque macchine piene di messicani arrivarono un minuto dopo, circondando quella già presente.
 
«Un lucroso affare non lo rifuta nessuno. Specialmente chi, come Juarez, aveva una pistola ficcata in gola. E  Westies non perdonano chi si fa fregare la merce sotto il naso, sempre che esista un ladro...»
 
Uno sparo improvviso fece eco tra i palazzi di periferia abbandonati. Un'auto verde, nuova fiammante, entrò dalla strada principale, seguita da tre furgoni recanti inserzioni pubblicitarie e privi di targa, probabilmente rubati. I messicani estrassero le pistole che tenevano nascoste dietro la schiena. Iniziarono a sparare contro le auto. In un attimo fu l'inferno, lo scontro a fuoco divenne sempre più violento, Castle rimase a guardare, imperturbabile.
 
Quando Juarez, il messicano dalla collana d'oro, uscì finalmente allo scoperto cercando di strisciare via da quella pioggia di proiettili, Castle aprì la valigetta. Avvitò il silenziatore alla canna, poi raccolse il fucile CheyTach e lo tenne fermo contro la spalla destra. Guardò nel mirino di precisione, puntò alla testa di Juarez, che stava strisciando via, lentamente, cercando di non farsi notare dietro l'automobile crivellata di proiettili.
 
«Portami a casa, mi hermano!»
 
Da Juarez, spostò subito il fucile verso la direzione dei messicani. Sparò un primo colpo, ne abbatté uno colpendolo al cuore. Ritrasse l'otturatore, il bossolo scappò via dalla culatta. Partì un secondo colpo, questo passò tra le tempie di un altro ispanico. Riarmò con destrezza. Rimise l'occhio nel binocolo, trattenne il respiro e tenne ben saldo il fucile per un terzo colpo.
Il suo bersaglio si accucciò dietro il riparo e buttò via la pistola terrorizzato. Guardò il compagno poco distante da lui, ancora combattivo e pieno di coraggio, poi si distese a terra scomparendo dal reticolo del Punitore.
 
«Sotto una pioggia di proiettili è necessario e vitale fare gioco di squadra... » spostò la mira nella direzione dell'altro messicano «...perchè permette al nemico di sparare a qualcun'altro»
 
Il proiettile volò lungo una traiettoria calcolata chirurgicamente fino a piantarsi nella gola del bersaglio che cadde a terra lasciandosi dietro una lunga scia di sangue.
Il caricatore dell' M200 era quasi esaurito e i Westies avevano vinto quel tremendo scontro con l'ignaro l'ausilio del Punitore credendo che i loro stessi colpi avessero centrato i bersagli.
Castle tornò velocemente su Juarez, il boss messicano, ora paralizzato dallo spavento. Rialzò il fucile e rinunciò all'ultimo colpo fatale. Intanto i Westies uscirono finalmente allo scoperto. Guardarono con disprezzo Juarez e, tenendolo in quattro, lo buttarono sul retro del furgone.
 
«Westies irlandesi... se la prendono per così poco...»
 
Una vetreria abbandonata, Juarez era appeso a testa in giù. I piedi legati con una spessa corda. Sospeso nel vuoto di una vecchia discarica-contanier di vetri inutilizzati. Davanti a lui, su una balaustra, un biondo irlandese vestito in maniche di camicia verdi.
 
«Non credere di fotterci in questo modo, negro! Dove hai messo la roba?!»
 
«Non l'ho presa io, non l'ho presa io!» rispose piagnucolante. La corda, allentandosi, strattonò verso il basso il malcapitato messicano intimandogli di parlare.
 
Tutt'ad un tratto un colpo di fucile attraversò la nuca dell'irlandese che cadde a peso morto già dalla balconata d'acciaio, dritto nella discarica. Juarez spalancò gli occhi, non sorpreso, ma neanche felice dell'accaduto.
Il Punitore apparve su una gru, all'interno del deposito. Riarmò la canna. Sparò un altro colpo che uccise un secondo Westies che cercava di raggiungerlo. Saltò di sotto, aprì il giaccone di pelle che aveva. Il vistoso teschio bianco era di nuovo visibile, pronto a stampare nella mente altrui gli ultimi attimi di vita. Estrasse le due fedeli calibro 50. Camminò tra i containers uccidendo tutti i mafiosi che cercavano di sorprenderlo. Uno di loro ci riuscì. Gli apparve alle spalle, gli sparò alla schiena, quasi al livello della nuca. Il kevlar assorbì il colpo altrimenti mortale. Castle si voltò, il Westies lasciò andare la pistola e urlò come non mai. Il Punitore allungò il braccio armato contro di lui. Scosse la testa quando il mafioso cercò di velocizzare il passo per scappare.
 
«Non sta bene sparare alle spalle... ma se devi farlo...» il Westies era bloccato sul posto. Castle si avvicinò a lui, il braccio teso, la pistola puntata. Era vicinissimo. Fece entrare la pistola attraverso la bocca spalancata dell'uomo, fermandosi una volta raggiunta la gola.
 
«... Almeno mira alla testa!» e detto questo premette il grilletto...
 
Juarez urlò, ancora appeso come un salame. Castle andò verso di lui.
 
«Ho mantenuto la mia parte dell'accordo, va bene? Ora, ti prego... fammi scendere di qui! M'è andato tutto il sangue in testa...» Juarez urlò piangente, implorando pietà.
Il Punitore lo afferrò per un braccio, lo portò a se, estrasse un coltello e tagliò la corda facendolo cadere rumorosamente sul pavimento metallico.
 
«Riga dritto, senòr. Ti ho dato una chance perchè puoi essermi utile in futuro, non farmene pentire... o...» gli puntò la pistola contro «... mi conoscerai molto meno altruista» premette il grilletto, sotto le urla soffocate di Juarez. Lo sparo si risolse soltanto in un click.


FINE PRIMO CAPITOLO. To be continued...

[Note degli autori: ed ecco il primo capitolo! Dopo una piccola porzione di Incipit della trama abbiamo deciso di fare due mini-storie separate come "presentazione" vera e propria dei personaggi. Speriamo siate riusciti a cogliere la personalità, il carattere dei personaggi protagonisti di questo Cross-Over :D]

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Capitolo 3
*** Capitolo II - Braccato ***


N.B. by RabbyRa: Ricordo che sono due gli autori di questo crossover: RabbyRa e ChiaraLuna21! :) Quando ci sono i nostri nomi tra parentesi in rosso significa che la parte che leggerete è stata scritta esclusivamente da me o da Chiara. Tutto il resto l'ho scritto io, con la consulenza, supervisione e l'aiuto di Chiara! ^^



CAPITOLO II
BRACCATO

 
Il telefono del seminterrato della stazione di polizia di New York squillò per tutta la mattina. Budiansky alzò la cornetta e rispose, un po' seccato per le continue interruzioni.
Semir, che era di fronte a lui, quasi coperto da una pila enorme di documenti lo guardò sbuffare e portare una mano alla fronte per asciugarsi il sudore.
 
«Sì, sissignore... Gerkhan e Kranich sono qui da ieri sera... ci siamo già messi al lavoro...»
 
Tom, che era in piedi alle spalle di Semir, bevve un sorso di caffé da un bicchiere di plastica.
Budiansky ruotò la sedia e si spostò di lato, si adagiò comodamente sulla poltrona e avvicinò la cornetta alla bocca. Tom svuotò il bicchiere tutto d'un sorso, poi lo pose sulla scrivania, non trovando spazio lo adagiò sulla torre cartacea di fascicoli.
 
«Sì, Generale Perìno... Castle ha preso di mira la mafia irlandese ora...»
 
Semir fulminò bonariamente Tom con lo sguardo. Indicò il bicchiere scuotendo la testa di lato. Tom alzò le sopracciglia e aggrottò la fronte, riprese il bicchiere e lo lanciò tra il completo disordine già presente su tutto il pavimento, cercando di centrare un cestino dell'immondizia già saturo.
 
«... Semtex, signore. Esplosivo plastico fatto in casa. Lo sa che è nel loro stile...»
 
Tom si strinse nelle spalle guardando il compagno. Semir scosse la testa, si voltò di nuovo e sorrise furtivo. Tom, a braccia conserte, aspettava che Budiansky finisse la sua conversazione al telefono.
 
«Castle ne è rimasto coinvolto, era anche lui in quel bar... e ora sta cercando i colpevoli e pensiamo voglia prendere di mira le attività dei Doherty...» Budiansky fece una breve pausa, per ascoltare il suo interlocutore all'altro capo del telefono, poi scosse la testa.
 
«Gerkhan e Kranich saranno sul campo, sarò io a guidarli dalla mia postazione... lo prenderemo!» e detto questo colpì violentemente il telefono con la cornetta per riagganciare. Sbuffò annoiato.
 
«Beh?» disse Tom alzando il capo.
 
Semir guardò Budiansky con pena. Tornò al suo fascicolo, lo lesse, poi si rivolse all'americano che era di fronte a lui amareggiato.
 
«E' uno stratega, capitano... fa quello che faremmo noi per arrestare i criminali, prende di mira una famiglia e non le da tregua. Mi dia il resoconto dei suoi ultimi attacchi ai Wesdiez... »
 
«Westies, Semir... Westies...» lo interruppe Tom alle sue spalle, come per rimproverarlo di un grave reato.
 
«Lo so, Tom! Permetti che sia ancora legato al nostro accento?»
 
«Perchè non dici "Mafia Irlandese"? Così ti risparmi le mie prediche, amico» gli diede dei colpetti sulla spalla, bonariamente voglioso di cercar rogne. Semir scosse la testa.
 
«Allora!?» intervenne Budiansky gelido.
 
«Come ha detto Semir, ci serve il resoconto di tutti i suoi attacchi... studieremo quali famiglie ha colpito maggiormente nelle ultime settimane, e andremo verso quelle che hanno ricevuto meno danni di altre...» rispose Tom.
 
«Perchè mai...?» Budiansky sembrava non comprendere il loro piano.
 
«E' semplice, sappiamo bene che le famiglie mafiose ricevono spesso aiuti dall'esterno, in questo caso penso da delegazioni irlandesi o infiltrati sul posto» aggiunse Semir, poi mostrò al capitano una pagina del fascicolo.
 
«Guardi... ha attaccato i Doherty cinque volte in una settimana, è molto improbabile che ci ritorni. Aspetterà che qualcuno si faccia vivo per farla risorgere per così stanarlo, o che qualche altra famiglia criminale gli dia il colpo di grazia approfittando della loro debolezza. In ogni caso va tutto a suo vantaggio. Lui studia tutto questo, calcola e agisce freddamente... come noi stesso facciamo»
 
«Quando ci riesce, Semir...» lo interruppe di nuovo il compagno.
 
«Quando "tu" ci riesci, Tom! Quando non ti infiltri come un ladro in case di spacciatori per cercare prove inconfutabili...» Tom alzò le braccia, come per dargli ragione, e allo stesso tempo scusarsi per l'ennesima volta... inutilmente.
 
«Per arrivare al dunque, Capitano Budiansky... terremo sotto controllo i rivali dei Doherty, quelli che non attacca da tempo. Tornerà per indebolirli prima che possano acquisire il potere che ha fatto perdere alle altre famiglie...» concluse Semir.
 
«Quindi... vediamo...» Tom prese il fascicolo dalle mani di Budiansky «Dateci tutto quello che ha sui Murphy, gli O' Connor e gli O' Callazgherz»
 
«Callagher, Tom... Callagher... dì pure "quest'altra famiglia" così ti risparmi le mie prediche» Semir aspettava questo momento con ansia, per rispondere a tono il compagno come lui stesso aveva fatto poco prima.
 
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«Cos'è questo? Un nome turistico? "Clinton"... Ora è così che chiamano Hell's Kitchen...»
 
Frank Castle passeggiava su di un marciapiede dove giacevano qua e là vecchi ubriaconi. L'odore di birra era nauseante, lui rimase impassibile. Continuò il suo pensiero, dopo aver dato un'occhiata a quei poveri derelitti.
 
«Una volta erano i Westies a mandar avanti la barca... a loro dire hanno trasformano bordelli in case di carità, bische clandestine in caffetterie, palazzi fatiscenti in appartamenti per yuppie depressi...»
 
Attraversò la strada ancora bagnata dalla pioggia battente di qualche minuto prima. Le auto deteriorate dal tempo e dai teppisti erano parcheggiate ai due lati della strada, anche dirimpetto ad un pub che recava l'insegna metallica di un quadrifoglio, che ora cigolava con il vento forte e pungente. Castle guardò l'interno del locale attraverso le vetrate su cui era dipinto con la vernice un nome: "Doherty".
 
«La gente civile che vive in questo luogo non scappa, non ne avrebbe modo. Non possono far altro che prenderne atto e bere alla mensa dei poveri»
 
Passarono diversi minuti. Poi iniziarono ad uscire tutte le persone. In pochi secondi la strada fu deserta. Qualcuno girò il cartello appeso alla porta di vetro dell'ingresso per sancire la chiusura. Castle rimase fermo, le mani in tasca. Dopo qualche secondo si allontanò a passo svelto.
 
«Conferme del passato... e se il passato è solo illusione della brava gente?»
 
Improvvisamente, una tremenda esplosione fece tremare la terra. La vetrata del bar che Castle aveva di fronte esplose in mille pezzi lanciati contro la parete all'altro lato della strada strada. Le auto più vicine al bar esplosero finendo in strada, alcune cappottate per l'onda d'urto. Gli antifurti delle altre iniziarono a suonare e fu il caos totale.
 
«Quando sei a corto di personale, per i Westies sei già morto. O almeno ti scavano la fossa, risparmiandoti il dolore dell'attesa...»
 
Il Punitore guardò le fiamme divamparsi, sentì le sirene della polizia e dei pompieri in lontananza, poi scomparve in un vicolo buio che dava all'altro isolato. Un vento gelido si alzò tra i due vecchi palazzi. Si fermò, portò una mano alla giacca ed estrasse agilmente la pistola voltandosi di spalle per puntarla alla cieca. Semir era dietro di lui, la pistola rivoltagli contro.
 
«E' proprio perchè sapevamo non avresti attaccato i Doherty che siamo qui. L'imprevedibilità a volte costa cara, Punitore...»
 
«Siamo?» Castle tirò a se il cane della 1911 che aveva in pugno, come per incitare lo sconosciuto che aveva davanti a vuotare il sacco.
 
Udì un tonfo. Tom apparve alle spalle di Castle, puntandogli anch'esso la pistola contro.
 
«Getta l'artiglieria» gli intimò.
 
Castle alzò le sopracciglia, lo sguardo impassibile. Guardò Tom con la coda dell'occhio. Con un' iniziativa fulminea balzò all'indietro. Tom tentò di sparargli ad una gamba, ma errò il colpo quando fu urtato dal braccio teso del punitore che riuscì a disarmarlo e ad afferrarlo per la gola. Semir fece un passo avanti, rinunciò a sparare nella direzione del compagno tenuto in ostaggio.
 
«Mi avreste già sparato. Mi volete vivo. Siete dei poliziotti europei a giudicare dalle P88 e dall'accento, quindi vi manda qualcuno. Chi?» Castle analizzò la situazione cercando di non sprecarsi in troppe parole.
 
«Poche chiacchiere! Ti dichiaro in arresto!» Semir fece un passo avanti. Castle tenne la pistola lungo il fianco, non cercò nemmeno di puntarla su Tom, che era bloccato nella sua morsa forzuta.
 
«Quanti anni sono che non vedevi l'ora di dirlo come in un poliziesco americano, eh?» disse Tom ironico. Il compagno scosse la testa e sorrise rassegnato, proprio in quella situazione!
Tom cercò di divincolarsi, ma inutilmente. Castle indietreggiò e con lui il suo scudo umano. Semir guardò il compagno, come per dirgli qualcosa. Lui rispose scuotendo la testa. Non era in grado di metterlo a tappeto, era di una stazza troppo grande.
Semir si avvicinò ancora. Castle pose un piede sul polpaccio di Tom e lo spinse violentemente contro il suo compagno. Caddero entrambi, uno sull'altro e quando si rialzarono Castle era sparito.
 
«Mi basta poterlo dire nella nostra lingua... solo non mi avrebbe capito» Semir diede una mano a Tom per farlo rialzare.
 
«Forza! Teniamoci in contatto io lo anticipo dall'altra parte!» disse. Semir annuì poi corsero in direzioni opposte. Arrivarono entrambi ai due lati della strada. Semir cercò di scrutare attraverso le fiamme che ancora illuminavano quella notte di sangue davanti al Pub irlandese. Aguzzò la vista, non vide nessuno. Portò una mano all'orecchio sinistro a cui era collegato un auricolare.
 
«Tom! E' scappato nella tua direzione, qui non c'è!» disse al microfono.
 
«Si ora lo vedo, gli sto dietro! Raggiungimi tra la quarta e la quinta di Mott Street! Lo intercettiamo lì!»
 
Semir ricominciò a correre. Tom guardò la figura del Punitore scomparire in un'altra stradina.
Estrasse la pistola in corsa. Vide Castle salire una rampa di scale di servizio d'acciaio.
 
«Semir! Sta salendo al numero dieci di Mott Street! Prendi le scale principali, ci vediamo sul tetto!»
 
«Ricevuto!»
 
Tom continuò a correre lungo le scale più velocemente che poteva, la pistola tra le mani. Arrivò in cima e saltò oltre il cornicione fino al tetto. Puntò la pistola, era deserto. Guardò il cassone dell'acqua che aveva al lato, era lì! Spalancò gli occhi quando si ritrovò l'enorme sagoma del Punitore a caricarlo.
Lo lanciò a terra, gli mollò due cazzotti sul viso e afferrò la pistola. Premette l'estrattore per far cadere il caricatore pieno, poi lanciò l'arma scarica e inutilizzabile dalla cima della struttura fino in strada.
Tom cercò di divincolarsi dalla presa, Castle lo tenne fermo piazzandogli un piede sulla gola e con l'altro lo tramortì violentemente calciandolo alla nuca.
Lo frugò in tasca, gli prese qualcosa e scappò verso per le scale principali.
La porta di alluminio chiusa si spalancò di colpo quando apparve Semir, puntandogli contro la pistola. Guardò il compagno a terra afflitto dal dolore e impossibilitato ad alzarsi, strinse i denti dalla rabbia e fissò Castle con ferocia.
 
«Ultima fermata, Punitore!» appena finito di dirlo una voragine si aprì sotto i suoi piedi.
Cadde di sotto! Si aggrappò ad una tubatura dell'acqua che percorreva il sottotetto, scivolò lasciando cadere la pistola. Castle lo agguantò per una mano, prima che potesse cadere nel vuoto.
 
«Siamo in una catapecchia da demolire... allora? chi vi manda?» disse.
 
«E tu credi che io te lo dica!?» gli abbaiò Semir, la voce fece eco tra le scale in ferro del palazzo.
 
«Giusto, perchè non ho modo di minacciarti visto che sai che non ti lascerò morire... »
 
Prese dalla tasca del trench delle manette, probabilmente prese a Tom. Ne agganciò una al polso di Semir, l'altra alla tubatura. Lo lasciò andare lasciandolo sospeso nel vuoto.
Semir guardò giù, strinse i denti e cercò di portare anche l'altra mano alla tubatura d'acciaio. Tutto il peso caricato sulla catena glielo impedì. Tremò per un attimo per lo spavento. Guardò Castle con rabbia, imperturbabile, sul tetto che lo fissava.
 
«Non preoccuparti, sono sempre le ultime a cadere quando c'è un terremoto...» e detto questo scomparve. Scese le scale più veloce che poteva. Uscì dal palazzo, si riabbottonò il lungo cappotto di pelle e si dileguò dando le spalle al fumo nero e denso che si levava dai focolari che i pompieri tentavano disperatamente di spegnere.
 
Semir, ancora appeso per un braccio, pensava di non farcela. Fu allora che apparve Tom, oltre la buca. Aveva un occhio gonfio e perdeva sangue dal labbro sinistro. Scosse la testa.
 
«Come vorrei avere una fotocamera per immortalare questo storico momento!» disse, mentre le pupille luccicavano come invase da lacrime di gioia.
 
«Certo... avessi avuto io il modo di immortalare tutte le volte che t'ho salvato il culo...» obiettò Tom, con naturalezza, come se si trovasse nella più comoda delle posizioni.
 
«Eh già...» continuò Tom «A quest'ora potevamo cambiare mestiere per fare soldi coi book-fotografici di un idiota in difficoltà!»
 
«No... sei stato grande, amico...  ora magari mi liberi da queste manette!? ... cioè no... aiutami prima a risalire e poi mi liberi dalle manette!» si corresse subito Semir.
 
«Hey, ho detto di essere idiota... ma ora non approfittarne...» obiettò ancora Tom sarcastico. Tese il braccio destro all'amico, lo aiutò a risalire. Si ritrovarono entrambi distesi a terra, stanchi e stremati. Tom si mise a sedere per primo. Raccolse il cellulare da una delle tasche della giacca e lo portò all'orecchio.
 
«Budiansky... è attiva?»
 
Semir poggiò una mano a terra per aiutare le gambe stanche a rialzarsi dopo la lunga ed estenuante corsa. Si spazzò via la polvere dal pantalone e guardò il compagno annuire al telefono. Sorrise compiaciuto e perse un'altra goccia di sangue dal labbro. Poi chiuse il telefono e lo avvicinò alla fronte, sbarrò per un attimo gli occhi, come per dormire.
 
«Ci sei riuscito, gli hai messo la cimice addosso...?» Semir gli pose la mano. Tom aprì gli occhi e la accettò per rimettersi anche lui in piedi.
 
«Beh? Cosa credevi? Che mi facessi picchiare da quel novellino per niente? Tutto calcolato qui!» rispose orgoglioso, portò una mano alla fronte e diede dei colpetti con l'indice.
 
«Anche quell'occhio nero è calcolato, vero? Serve per fare scena?»
 
«Per entrare nella parte, no!?» si giustificò Tom, facendo credere di arrampicarsi pateticamente sugli specchi, ma solo per scherzare con il compagno.
 
«Bah! Torniamo alla macchina, forza...» Semir poggiò il braccio sulla spalla dell'amico, poi scesero giù per le scale del palazzo fino al portone.
 
«Semir, la mia pistola. Senza non posso vivere!» gli disse, una volta fuori. Indicò la strada sottostante al tetto da cui poco prima era volata l'arma.
 
«Già, che cattivone quel Castle. Non è questo il modo di trattare questi gioiellini tedeschi!»

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Capitolo 4
*** Capitolo III - Infiltrazione ***


N.B. by RabbyRa: Ricordo che sono due gli autori di questo crossover: RabbyRa e ChiaraLuna21! :)  Quando ci sono i nostri nomi tra parentesi in rosso significa che la parte che leggerete è stata scritta esclusivamente da me o da Chiara. Tutto il resto l'ho scritto io, con la consulenza, supervisione e l'aiuto di Chiara! ^^


CAPITOLO III
INFILTRAZIONE

 
«Questo è l'ultimo avvertimento... voglio il Punitore incatenato ad una sedia entro quarantotto ore o le prometto che i giudici non saranno così clementi» una voce tuonò e fece eco all'interno di un poligono di tiro deserto. Sembrava nervosa, e allo stesso tempo ricolma d'ira. Dopo una breve attesa ricominciò.
 
«Esatto, è quello l'edificio! Tenete fuori il Dipartimento da questa faccenda alla sua cattura, nessuno deve saperlo tranne la sua Task-Force!» un'altra breve pausa «dopodomani sarò a New York, preghi che la situazione sia quella che abbiamo pattuito... o sarà peggio per lei» La pausa, stavolta, durò decine di secondi.
 
«Non è per questo che li abbiamo assunti e i rami secchi vanno tagliati prima o poi. Se provano ad ostacolare i nostri piani... uccidili. Non farai altro che aggiornare i capi di imputazione di Castle...»
 
«Sissignore, signore» Budiansky riagganciò e mise via il telefono cellulare.
Si concesse un minuto di raccoglimento, cercò di restare calmo, poi rientrò nella vecchia Cadillac Escalade parcheggiata al lato della strada, nel quartiere più lontano di Hell's Kitchen. Attraverso i finestrini, in parte oscurati, si poteva notare la fonte luminosa di un monitor. Il Capitano batteva sulla tastiera di continuo, cercando di tenere aggiornata la mappa che indicava la posizione della cimice che Tom era riuscito ad attaccare al Punitore. Salvò in memoria più volte varie coordinate GPS ogni volta che la Castle si fermava in un punto per più di cinque minuti, ma si muoveva di continuo. Staccò per un attimo gli occhi dal computer quando vide, in lontananza, avvicinarsi Tom e Semir a passo svelto.
Poggiò il piccolo laptop sul cruscotto, scese dall'auto e andò verso i due per accoglierli con un sorriso. Gli porse la mano, i due ricambiarono scetticamente.
 
«Lo abbiamo in pugno! E' nel nostro mirino, non dobbiamo far altro...»
 
«Forse l'ha già trovata» Tom bloccò l' entusiasmo di Budiansky parlando chiaro.
Il Capitano sollevò le sopracciglia e cambiò in un attimo espressione, come si fa con lo scambio di una maschera di carnevale.
 
«Non è un criminale qualsiasi, è riuscito a scrollarci di dosso entrambi nonostante sia più vecchio di noi, ha una temibile esperienza nel campo militare... e non credo sia così stupido da non notare una cimice» disse Semir, con profonda serietà.
 
«Allora non è servito a niente...» disse Budiansky abbassando il capo, amareggiato.
 
«In realtà è proprio quello che lui vuole. Sono sicuro che non gli va di essere braccato in eterno e non ha altro obiettivo che chiudere questa storia il più presto possibile. Presto si farà raggiungere da noi, cercherà di metterci fuori gioco, in modo che non possiamo più dargli fastidio» aggiunse ancora Semir. Budiansky scosse la testa e allargò le braccia. Il suo sguardo domandava già di per se quale sarebbe stata la prossima mossa.
 
«Seguiamolo... e quando si sarà fermato per almeno un quarto d'ora vorrà dire che resterà lì. O forse che desidera che lo attacchiamo in quel punto preciso... » disse Tom, che si avvicinò al retro dell'imponente SUV dove li aveva attesi Budiansky. Semir lo seguì.
«E stavolta, capitano...» aprì il portabagagli dell'auto «... ci faremo trovare pronti» sorrise e indicò col palmo aperto l'interno dell'auto, come un presentatore sul palco di un teatro. Budiansky ricambiò con un sorriso compiaciuto e si avvicinò alla macchina: aveva già capito.
 
All'interno del portabagagli, oltre ad un set di maschere antigas, lacrimogeni, e due taser-gun, vi era una custodia aperta di vetroresina che ospitava due pistole mitragliatrici lucidate a specchio. Avevano entrambe un silenziatore avvitato alla volata della canna e il caricatore montato.
 
«Heckler e Koch... sono due MP5 queste, non le usiamo da quando eravamo di leva, prima di passare sulle strade... spero di non dover mai premere il grilletto, il taser basterà» disse Tom, rivolgendosi prima a Budiansky, poi a Semir che annuì confermando la volontà del compagno.
 
«MP5? Come si fa a non conoscerle...» disse Budiansky, affascinato.
 
«Roba tedesca, Capitano. Ecco... non lo dica con accento americano perchè non le valorizza. Maschinepistole Model Fünf... ripeta...?»
 
Budiansky sorrise, sapeva di non riuscirci. Non parlava mezza parola di tedesco.
 
«Tom, possiamo rimandare la lezione di tedesco e metterci in cammino?»
 
----------
 
La finestrella, che dava sulla strada, di un seminterrato venne raggiunta da una luce fioca. Castle aveva disposto piccolo deposito logistico nel Bronx. Si avvicinò ad una delle numerose casse d'armi che aveva posizionato in un angolo e ne trasse delle clip già cariche di proiettili per le sue calibro 50. Ricaricò le pistole e le rinfoderò ai lati, prima di riabbottonare il cappotto. Si avvicinò poi alla scrivania dove c'era un piccolo monitor che mostrava le immagini dall'esterno grazie ad una telecamera. Guardò attentamente: la strada adiacente era deserta. Il segnale andò disturbandosi, fino a far scomparire del tutto l'immagine a schermo.
 
«RR-124, granate chaff. Contromisure radar ad alto potenziale... Solo chi so io ha accesso a simili armamenti... oltre al sottoscritto» pensò, poi spense le luci e scomparve nell'oscurità.
 
Tom e Semir, entrambi protetti da maschere antigas, si avvicinarono a passo svelto alle tre finestre lungo il marciapiede che davano al seminterrato. Tom fece segno a Semir di appiattirsi al muro e così fecero. Diedero entrambi un'ultima occhiata alla mitraglietta che avevano tra le mani, si assicurarono che il colpo fosse pronto in canna e il selettore su "Auto".
 
Semir avvicinò l'indice all'orecchio spingendo il tasto sull'auricolare.
«Budiansky, credo sappia che siamo qui. Assicurati che non esca dal retro, poi dacci tu il via. Chiudo»
 
«E' fermo... Ore tre dalla tua posizione di ingresso, Tom. Se non ci sta ingannando con la cimice, dovremmo riuscire a prendere un piccolo vantaggio... non abbiamo scelta, dobbiamo entrare. Attendete il mio via... Chiudo»
 
Semir guardò Tom attraverso gli occhiali scuri che componevano la maschera antigas. I due si guardarono, quasi leggendosi nel pensiero.
 
«Tom, non lo dire... sarebbe scontato!» disse Semir, con una certa insofferenza.
 
«Siamo vecchi per questo genere di cose...» replicò Tom.
 
«Non sprecarti in vecchie frasi da clichè hollywoodiani, siamo solo negli Stati Uniti...» aggiunse Semir. Tom, nonostante l'ansia e un po' di paura, riuscì a sorridere anche non potendo mostrarlo. Annuì con il capo, poi rivide la sua posizione e si adagiò meglio contro la parete.
 
«Semir, se ti salvo per la seconda volta le chiappe mi concederò un'ora in più di sonno al giorno quando torniamo a casa, per non svalutare la mia utilità sul lavoro...» disse ancora Tom.
 
Semir lo guardò e scosse la testa.
«Non so dove vuoi arrivare, ma se ti concedi anche un' ulteriore ora di ritardo, a questo punto vado a lavorare da solo...» disse, cercando di trattenere il riso. Non era la situazione più adatta per mettersi a scherzare, forse.
 
«Attenti alla mira, aiutatevi coi laser... Tenetevi pronti! Dieci secondi... nove...»
Budiansky iniziò il conto alla rovescia, Semir e Tom si guardarono di nuovo.
 
«Giuro Semir, che se corri in mio aiuto persino nella grande "Terra delle Opportunità" non farò mai più tardi al lavoro!» Tom estrasse una bomboletta bianca dalla cintura, poi spinse il bottone sul corpo della mitraglietta per accendere il laser a punto rosso.
 
Intanto, il conteggio del Capitano continuava.
«Otto, sette, sei, cinque...»
 
«Stai tranquillo... non ho intenzione di cambiare collega!» Semir rispose e fece lo stesso.
 
«Quattro, tre, due, uno...»
 
«Questa era buona, lo ammetto!» replicò Tom.
 
Appena ebbe finito di parlare, Budiansky diede il via.
Come quando si assiste ad immagini speculari, i due compagni mollarono un calcio ben calibrato alla vetrata, tolsero la spoletta alle granate lacrimogene e le lanciarono dentro. Saltarono all'interno tenendo ben salda la presa sugli MP5.
 
L'esplosione di fumo invase in un attimo tutta la stanza. Castle era dove Budiansky aveva predetto. Dava le spalle ad una colonna portante, aveva un visore termico sugli occhi, una maschera antigas e una superba mazza da baseball tra le mani.
Appena Tom svoltò l'angolo verso destra, il Punitore uscì allo scoperto ruotando la mazza e colpendolo al torace. Il giubbotto di kevlar attutì l'impatto, ma il mitra gli cadde dalle mani. Estrasse subito il taser che teneva agganciato alla manica della giacca, era pronto e prevenuto.
Lo puntò contro Castle. Resistette al dolore, mirò ed esplose il primo colpo. Riuscì a beccarlo al collo. Castle rotolò nel fumo, il taser gli rimase quasi attaccato sfiorandogli la pelle, cercò di resistere alla scossa elettrostatica, per quanto possibile.
 
«Semir! Ha un visore termico!» urlò Tom, Semir corse ai ripari e spense subito il mirino laser. Poi puntò nella direzione delle lieve scariche elettriche emesse dalla pistola taser.
Il Punitore uscì dal fumo, anticipandolo, e lo colpì con la mazza lanciandolo a tappeto. Tom gli andò contro, il fumo sarebbe dovuto rarefarsi in pochi secondi dando una visuale libera, ma a Castle bastavano e questo non era stato, purtroppo, messo in conto.
 
«Mira basso!» urlò Tom, poi balzò indietro di qualche passo. Semir, che era disteso a terra, sparò una raffica al suo livello per beccare il Punitore alle gambe. La raffica silenziata fece eco nella stanza ad ogni singolo colpo, per venti volte circa.
Il fumo scomparve del tutto. Castle era salito sul tavolo d'acciaio che ospitava i monitor delle telecamere. Saltò all'indietro, scendendo dalla posizione rialzata che lo aveva difeso dalla pioggia di piombo. Diede una spinta al tavolo mandandolo a terra per ripararsi, sacrificando le attrezzature multimediali. Subito estrasse una granata e la lanciò oltre il riparo!
 
«Granata!» Semir rotolò contro le casse di legno all'angolo urtandole, con la mano destra afferrò l'ultima in cima e ci si catapultò dietro per ripararsi dall'esplosione... che non avvenne!
 
«Semir! Non ha tolto la spoletta!» urlò Tom, che aveva lanciato uno sguardo veloce dal pilastro che aveva scelto per riparo. Semir spalancò gli occhi e  fu allora che vide davanti a se un contenitore cubico di polistirolo con dentro decine di granate stordenti e un timer a cui mancavano solo due secondi...
 
«Ma Porrrca!! A terra! Copriti gli occhi!» urlò, nello stesso momento in cui si lanciava a terra, stringendo i palmi aperti sulle orecchie. Tom accolse l'ordine e fece lo stesso.
 
Budiansky, dall'altro lato della ricetrasmittente, spalancò gli occhi incredulo.
Un'esplosione luminosa tanto accecante quanto guardare il sole ad occhio nudo. La strada dirimpetto al palazzo divenne cianotica e pallida per pochi secondi. Un'esplosione folgorante, accompagnata da un suono acuto e assordante, proveniente dal seminterrato sembrò far sorgere il sole nel cuore della notte. L'interno del seminterrato divenne presto afoso e umido.
Semir rimase a terra, finché quel fragoroso sibilo non cessò. Nonostante si fosse coperto gli occhi, aveva la vista sfocata e sentiva un forte capogiro. Provò ad alzarsi, barcollò, come se il baricentro del suo corpo si fosse spostato in un'altra posizione. Perse l'equilibrio e si appoggiò alla parete.
Tom, anche lui confuso, ma in grado di muoversi, andò verso il compagno e lo sostenne per non farlo ricadere sulle ginocchia.
 
«Semir! Semir, stai bene!?» urlò preoccupato.
 
«Si... si... sto bene... le flashbang non sono letali, ma ti inabilitano e ti rendono vulnerabile, lo sai bene... come diavolo fa Castle ad avere questa roba!?» Semir tentò di rialzarsi appoggiandosi al muro, sbarrò gli occhi. Il capogiro era quasi svanito del tutto, sentì l'aria tornare in circolo nei polmoni e il fischio nelle orecchie cessare gradualmente.
 
«Budiansky... mi senti?» Tom pigiò con l'indice sull'auricolare.
 
«Sembrava "mezzogiorno di fuoco" qui fuori, voi state bene?» rispose Budiansky dall'altra parte.
 
«Si, Semir è un po' acciaccato, ma siamo tutti interi... Castle?»
 
«E' uscito dall'ingresso principale, poi ha spento la cimice. Sapeva di tenerla addosso, la vostra previsione era giusta, ragazzi... abbiamo falli...»
 
Semir riuscì finalmente a stare in piedi da solo, gli occhi gli bruciavano ancora, ma riuscì a resistere. Parlò all'auricolare, negando quello che stava per dire il Capitano.
 
«Budiansky... Capitano! Non spegnere il laptop... tieni aggiornato lo stato della cimice, è molto probabile che la riaccenda...» boccheggiò per un po', Tom gli pose una mano sulla spalla, ancora impensierito per l'amico «la riaccenderà! E' il primo a volere che questa storia finisca!»
 
----------
 
Budiansky era nervoso, accolse freddamente i due ispettori capo in auto. Aveva ancora davanti il laptop, gli sembrava star perdendo tempo. Castle non dava più segni di vita da un'ora.
 
«Non riusciremo mai a prenderlo...» disse scoraggiato, mentre batteva sulla tastiera.
 
«Ci ha colti di sorpresa, non credevamo avesse tutto quell'armamentario lì dentro» disse Semir, ma non in tono di giustificazione.
 
«Non vi ho avvertito, è stato un mio errore... ma ormai è fatta...»
 
«E pensare che gli americani erano per me i "combattivi" per eccellenza» Tom tirò un'occhiata di sdegno verso Budiansky, che non rievocò la natura del il suo grado superiore per rispondere a tono. Tom lo aveva provocato volutamente, e questa era la reazione che si aspettava.
Guardò Semir, girato di spalle sul sediolino di fronte, e aggiunse.
 
«Cosa nasconde... Capitano? Perchè non è così determinato e così poco impulsivo?»
 
«Lascia perdere quel "poco impulsivo", Tom... tu lo sei troppo, e non è certo un pregio»
 
«Per te?» domandò secco Tom.
 
«Beh, io c' ho fatto un callo, ormai! Sarebbe dura trovare un mio sostituto...» i due compagni risero, Budiansky rimase paralizzato, inespressivo per un po'. Poi si rivolse a Semir.
 
«Niente... solo... » dopo una pausa, nascosta in una falsa riflessione continuò «mi hanno affidato un compito che nessuno al distretto ha voglia di portare a termine quindi...»
 
«Dunque è per questo?» domandò Tom per conferma.
 
«Si, per questo» rispose Budiansky. I due compagni non riuscirono a convincersi... Budiansky abbassò lo sguardo e riscaldò il tono della voce.
 
«Spero voi possiate comprendermi! Sono anni che Castle è in li... »
 
Venne interrotto da un doppio bip. Il laptop lampeggiò per alcuni istanti.
La cimice era di nuovo in funzione.


FINE TERZO CAPITOLO. To be continued...

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Capitolo 5
*** Capitolo IV - Angeli Custodi ***


N.B. by RabbyRa: Ricordo che sono due gli autori di questo crossover: RabbyRa e ChiaraLuna21! :) Quando ci sono i nostri nomi tra parentesi in rosso significa che la parte che leggerete è stata scritta esclusivamente da me o da Chiara. Tutto il resto l'ho scritto io, con la consulenza, supervisione e l'aiuto di Chiara! ^^


CAPITOLO IV
ANGELI CUSTODI

La Cadillac procedeva lentamente lungo le strade affollate e multi etniche di New York. Per Semir non ci volle molto ad abituarsi alle strade trafficate e larghissime della Grande Mela. Budiansky, che sedeva al posto del passeggero, gli indicava di volta in volta la strada da percorrere e con che andatura. La cimice aveva ricominciato a funzionare. Erano in cammino da circa venti minuti e Castle continuava a muoversi, sebbene lentamente e con imprevedibilità. Tom, che era sul sedile posteriore, si staccò dallo schienale e guardò il laptop in continuo aggiornamento.
 
«Non possiamo ancora attaccarlo, sta andando volutamente in posti molti affollati... metteremmo a repentaglio l'incolumità di altre persone» disse Budiansky, come rispondendo a Tom che non aveva fatto domande.
 
«Non è ancora pronto, sta preparando qualcosa per noi, lo sento... forse farà uno strappo alla regola e tenterà di ucciderci...» affermò Semir preoccupato.
 
«No, non lo farebbe mai. Ne ha avuto di occasioni, se vi voleva morti sareste morti» replicò Budiansky, con ferma sicurezza. Semir scosse la testa, ma non rispose alla provocazione. Tanto bastava quanto il Capitano gli aveva detto poc'anzi. Budiansky era la pecora nera del distretto, l'unico a cui era mai stato affidato il compito di catturare un vigilante così elusivo. Ne soffriva molto, Semir cercò di compatirlo.
 
«Se è per questo siamo forse gli unici ad essere riusciti ad avvicinarsi così tanto a lui» obiettò Tom, che non tenne dentro la sua critica. Budiansky annuì in silenzio, confermando quello che aveva sentito.
 
Semir scosse la testa, era pensieroso. Guardò la strada e poi il monitor.
«Pensa che... potrebbe andare peggio, Tom» guardò nel retrovisore, incontrando lo sguardo del compagno. Budiansky rimase concentrato, cercando di ignorarli.
 
«Già... e come?» domandò la voce dal retro.
 
«Il Punitore ha fatto mangiare la cimice ad un cane, e ora stiamo dando la caccia a "Fido"» disse Semir, sarcastico e amaramente sorridente. Dopo una breve pausa, fece per parlare.
 
«Anche peggio?» domandò Budiansky, che non aveva potuto far a meno di ascoltare.
 
«Beh si...» rispose Semir, come per attaccar discorso «potremmo trovare la cimice in una cacca di cane... o persino peggio, per esempio...»
 
«... Per esempio Fido è stitico e lo inseguiamo fino a Brooklin...» aggiunse Tom, come leggendo la mente del suo collega. Gli aveva tolto le parole di bocca.
 
I due non poterono far a meno di cogliere con sana ilarità la situazione e, per la prima volta, riuscirono a ridere di gusto. La situazione poteva sembrare abbastanza grottesca, ma di fronte ad un'esperienza del genere negli Stati Uniti, perchè lasciare solo brutti ricordi? Budiansky, invece, non tradì il suo tono serioso e composto. Continuò a tenere gli occhi sul monitor, ormai arrossati e stanchi dopo ore di veglia.
Il puntino rosso sulla mappa dinamica si spostò verso una zona lontana dalla città. Budiansky salvò le coordinate GPS passo passo. Conservò tutte le informazioni possibili.
 
«Ci siamo. Prendi la terza a destra...»
 
----------
 
Il SUV si fermò davanti all'ingresso di un grande cimitero all'aperto. Il cancello era semichiuso, forse Castle aveva scassinato la serratura per entrare. Attraverso le grate erano ben visibili numerose pietre tombali e, oltre la collina, i tetti di piccole e grandi cappelle con in cima croci di pietra. La notte eterna di New York sembrava quasi scomparire e diventare un miraggio tra quelle colline desolate. Semir guardò all'esterno, nella direzione di Budiansky.
 
«S'è scelto proprio il luogo adatto...» disse Tom guardando attraverso il finestrino.
 
«A quest'ora è deserto, è l'unico posto lontano dai civili in questa metropoli. E' molto lucido per essere un folle criminale...» disse Semir, poi aprì lo sportello e scese. Tastò l'auricolare che aveva all'orecchio. Volse lo sguardo verso Budiansky, che annuì.
 
«Vi aggiorno, procedete...»
 
Semir fece un cenno a Tom e insieme entrarono nel cimitero con gli MP5 sul fianco.
 
«A ore cinque, a circa cento metri, probabilmente alle spalle di una cappella...»
 
«Ricevuto» rispose Tom, dopo aver pigiato il bottone sull'orecchio.
 
I due avanzarono lentamente tra le tombe, controllarono ogni angolo, ogni possibile via di ingresso o di pericolo. Budiansky non dava notizie, la cimice si era fermata in quel punto preciso e lì era rimasta. Continuarono a passo svelto.
 
«Bello... Hey, bello... Fido?» sussurrò Tom, ironico, come per chiamare il cane su cui avevano poco prima scherzato. Semir si fermò di colpo, controllò la zona e si voltò per qualche istante verso Tom, scosse la testa compatendo la necessità di fare dello spirito per far passare l'ansia e il nervosismo.
 
«Speriamo di no, amico mio...» rispose seriamente «voglio saldare il conto una volta per tutte!» disse Semir convinto e determinato, poi continuarono ad avanzare.
 
Dopo pochi secondi videro la cappella in questione. Ci si avvicinarono velocemente, si appiattirono alla parete di marmo bianco. Cercarono di rasentare il muro con discrezione, senza invadere la sacra intimità delle tombe che si ergevano da ogni dove. Arrivarono all'angolo, restarono fermi contro la parete.
 
«Budiansky... è ancora fermo?» sussurrò Tom alla trasmittente.
 
«Affermativo» arrivata la risposta, Semir fece un cenno a Tom.
 
«Uno... due...» sussurrò. Tom alzò l'MP5 al livello del torace «...tre!»
 
Uscirono scattanti allo scoperto. Si bloccarono improvvisamente, abbassarono le armi verso terra, senza togliere il dito dal grilletto. Spalancarono per un attimo gli occhi e la bocca stupefatti, restarono immobili per poi alzare lo sguardo leggermente verso l'alto. Come dopo essersi svegliati da un incubo, non riuscivano a dar ragione a quello che avevano davanti. Semir, molto lentamente, portò il dito all'auricolare e pigiò il tasto.
 
«Budiansky... abbiamo un problema...» bisbigliò al microfono.
 
Davanti a loro una grande statua di marmo nero e pietra, alta almeno 10 metri, che raffigurava un maestoso e splendido angelo dalle grandi ali argentate. Il lussuoso monumento funebre sembrava, in molti punti, deteriorato dalle intemperie: doveva essere lì da decenni. Il busto della statua era cinto interamente da grossi pacchi di candelotti di dinamite, ognuno collegato all'altro tramite un cavo di innesco. Ai piedi della statua vi erano interi galloni di nitroglicerina fatta in casa e qualche esplosivo al plastico per uso militare. Tutto collegato in serie e l'innesco finiva in un detonatore elettronico tra le mani del Punitore, che era in piedi, di fronte alla statua a guardare Tom e Semir.
 
«Santo... cielo!» esclamò Tom, esterrefatto.
 
«Fatevi da parte, pedoni. Voglio parlare col vostro Re...» il Punitore si espresse con forte timbro vocale, in modo che potesse arrivare chiaro ai due che erano distanti circa venti metri.
 
«Pittoresco...» disse Tom guardando il compagno.
 
«Già...» aggiunse Semir «...e si è spiegato fin troppo bene...»
 
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Budiansky uscì allo scoperto. Apparve, a passo lento, alle spalle dei due ispettori e pose una mano sulla mitraglietta di Tom per fargliela abbassare. Semir fece lo stesso. Il Capitano fece qualche passo avanti, tenne le mani in tasca.
 
«Ora siamo faccia a faccia...»
 
«Paul Budiansky, ti credevo in prigione...» disse Castle, ma non sorpreso anzi quasi retorico.
Semir e Tom si scambiarono degli sguardi incerti.
 
«Non sono stato io ad uccidere quell'uomo, tu lo sai... eri presente. Ti prendi la facoltà di colpevolizzare, giudicare e sentenziare nel momento in cui premi il grilletto, ma con me ne hai la prova inconfutabile. Io non c'entro...»
 
«Lo so, ti hanno incastrato, e ora mi dai la caccia perchè io possa testimoniare a tuo favore, è questo che vorresti farmi credere? Sappiamo entrambi che la mia dichiarazione non avrebbe peso...»
 
Budiansky sorrise. Annuì rassegnato dalla fredda lucidità del Punitore. Tirò via le mani dalla tasca e allargò le braccia.
 
«Insomma, tu vuoi sapere da dove arrivano i gli ordini... e ti aspetti che te lo dica?»
 
«Quel qualcuno ha sicuramente la facoltà di far quadrare prove inesistenti. Dimmi chi è, te lo tolgo di mezzo, tu torni al Distretto, i due "männer" in Europa e facciamo tutti un buon Natale»
 
Ci fu, a questo punto, un lungo silenzio in cui i presenti rimasero come bloccati in una stasi naturale. Tom e Semir iniziarono a comprendere quello su cui Budiansky aveva spudoratamente mentito mentre erano in macchina. Forse non voleva far ricadere quella vicenda sulla sua reputazione? Forse nascondeva qualcosa di ben peggiore?
Si guardarono, come leggendosi nel pensiero. Semir indicò Budiansky, con la coda dell'occhio, di fronte a lui. Tom scosse la testa, facendogli segno di aspettare. Non potevano essere sicuri che il Punitore dicesse la verità, o che Budiansky fosse effettivamente un malvivente.
 
«Quel qualcuno vuole te, Castle...» rispose Budiansky, rimise le mani in tasca «... e io posso arrestarti nel nome dell'uniforme che indosso!»
 
«Non basta l'uniforme a fare un tutore della legge...» obiettò Castle con coerenza.
Socchiuse gli occhi, tenne alto il detonatore e fissò Budiansky in segno di sfida che alzò la mano destra. Semir e Tom rialzarono le loro armi e le puntarono nella direzione della statua.
 
«Ultimo avvertimento, Punitore. Lascia andare quel detonare e arrenditi»
 
Il Punitore portò lo sguardo al volto marmoreo dell'angelo. Guardò Budiansky e scosse la testa.
«Richiesta respinta» azionò il detonatore!
«Porrca...! A terra!!» Semir afferrò Tom e si lanciarono a terra entrambi.
 
L'esplosione non venne udita tanto forte come doveva essere. Da quel rumore di esplodente fiacco ascese una nera e densa colonna di fumo che invase tutta la zona.
 
«Era fasullo, in piedi!» urlò Budiansky, appena rialzatosi.
 
«Stavolta non ci freghi!» Tom e Semir si rimisero in piedi in un attimo. Budiansky, con il visore termico, indicò la direzione tra le numerose colonne di fumo che si erano alzate tutt'intorno.
Castle scappò tra le tombe. I due compagni estrassero i visori e li portarono agli occhi.
Il fumo scomparve dalla loro nuova vista monocromatica e la sagoma del Punitore divenne rossa cremisi e ben visibile.
 
«Tom, il taser! Semir, sparagli!» ordinò Budiansky. Tom lasciò andare il mitra ed estrasse la pistola taser. Semir sparò una prima raffica mirando basso, riuscì a vedere un guizzo di sangue cadere a terra prima di scomparire tra l'erba e fece segno a Budiansky.
 
«L'hai preso! Perimetro, distanza due metri!» Budiansky estrasse un manganello taser e corse nella direzione del Punitore, Tom lo seguì rispettando lo spazio. Castle uscì allo scoperto, accompagnò un violento pugno contro Budiansky che fu scaraventato all'indietro, il manganello volò in aria. Tom, con favolosa agilità, lasciò andare l'MP5, impugnò al volo il taser e colpì con violenza Castle alla gola nella stessa azione. La scarica elettrica così forte gli provocò un fremito. Castle cadde in ginocchio.
 
«Dagli un'altra scarica...» Budiansky si rialzò, raccolse l'arma di Tom che colpì di nuovo Castle con violenza. Semir si avvicinò.
 
«E' andata...» disse asciugandosi il sudore. Tom ricevette le manette da Budiansky e le avvicinò ai polsi di Castle che era ancora ginocchio. Fece fatica a respirare, sentì il fiato mancargli e le gambe come paralizzate. Scosse la testa e, con un ultimo sforzo riuscì ad afferrare le dita di Tom spezzandone due! Semir, colto di sorpresa, non riuscì a fermarlo. Gli sparò con il suo taser.
 
«Di nuovo...» ordinò Budiansky, Semir obbedì.
Tom urlò e cadde in ginocchio tenendosi strette le dita. Castle poggiò entrambe le mani a terra per non cadere. Budiansky scosse la testa e ancora una volta Semir fece esplodere una scarica elettrica dal taser, ormai scarico. Castle vide il fumo nero rarefarsi e, allo stesso tempo, la vista e i sensi abbandonarlo.
 
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Semir mollò un calcio alla porta di alluminio che dava nella stanza, all'interno di un palazzo semi abbandonato nella periferia di Manhattan. Tom lo seguì, cercando di tenere a bada il compagno.
Il Capitano era seduto ad un tavolo in fondo, il telefono cellulare alla mano. Semir colpì violentemente le mani sul tavolo facendolo tentennare e fissò Budiansky
 
«Ci deve delle spiegazioni! Engelhardt ci ha assicurato la guida di un Generale dell'Interpool, ma non può essere così. Da chi stiamo prendendo gli ordini!?»
 
«Appunto, dovete eseguire gli ordini, nient'altro. Il Generale Perìno è il mio diretto superiore e vuole incontrare Castle» rispose Budiansky, poi poggiò il telefono sul tavolo di metallo. I due si guardarono, Semir allontanò le mani dal tavolo. Si massaggiò la fronte con le dita e passeggiò per qualche secondo, innervosito.
 
«Difficile da credere... chi sta cercando Castle in realtà e perchè non lo abbiamo portato direttamente in centrale?» domandò Tom, che si fece avanti.
 
«Ho le mie buone ragioni...» Budiansky si alzò, guardò oltre la grata d'acciaio che dava alla strada. Si voltò verso i due ispettori, che rimasero in febbrile attesa, cercando di controllarsi.
 
«Sono un poliziotto, come lo siete voi! Guardo il mio lavoro e vedo ogni giorno colpevoli messi in libertà... stupratori, assassini, spacciatori! E quanto vorrei...» sollevò le mani «...quanto vorrei che la giustizia non funzionasse così! Io non ho intenzione di essere processato come un vile assassino! Io non ho mai ucciso nessuno in vita mia!»
Budiansky apparve stressato, sfinito, come un uomo che, per tutta la vita, ha corso e ora vuole solo riposare in pace e godersi la sua poltrona. Ma dava anche l'idea di essere quello che Tom e Semir stavano pensando su di lui.
 
«Il fatto che l'abbiamo portato qui mi lascia intendere che non lo abbiamo arrestato sul serio, almeno per ora, come autorità competenti... e non è questa la procedura!» gli urlò contro Semir.
Budiansky lo ignorò.
 
«Budiansky... lo sta consegnando a qualcuno che l'ha minacciata di farla incolpare di omicidio... chi è?» domandò Tom.
 
«Castle è un criminale! Ha ammazzato centinaia di persone! Io faccio quello che è giusto e non mi sento in colpa... ho una famiglia, ho una vita... e non ci rinuncerò per un assassinio che non ho commesso!» urlò Budiansky adirato e minaccioso.
 
«Capitano, non è altro che un vigliacco... Castle può anche aver ucciso mille persone, ma merita lo stesso tipo di giustizia che meriterebbe anche lei! Sta negando a lui quello che negherebbero a lei!»
 
«Io... io non sono Frank Castle!!» strillò acuto Budiansky, ormai preso da una crisi di nervi.
 
«Se lo lascia nelle mani di qualcuno poco fidato lo diventerà... e io non lo permetterò!» Tom prese il telefono dalla tasca destra, lo aprì. Semir si voltò e scosse la testa, ma era troppo tardi.
 
«Mettilo giù...» Budiansky aveva già impugnato la pistola sequestrata al Punitore. La puntò contro i due colleghi. Semir strinse i denti ed indietreggiò. Guardò il compagno negli occhi, che rimase fermo, come congelato in quella posizione.
 
«Tom... perchè proprio davanti a lui?» gli sussurrò all'orecchio Semir, ormai non più stupito, anzi quasi abituato ai gesti impulsivi del collega. Tom alzò le sopracciglia, come per scusarsi e abbozzò un sorriso poco compiaciuto, ma di certo divertito... e aveva una pistola puntata contro!

FINE QUARTO CAPITOLO. To be continued...

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Capitolo 6
*** Capitolo V - Redenzione ***


N.B. by RabbyRa: Ricordo che sono due gli autori di questo crossover: RabbyRa e ChiaraLuna21! :) Quando ci sono i nostri nomi tra parentesi in rosso significa che la parte che leggerete è stata scritta esclusivamente da me o da Chiara. Tutto il resto l'ho scritto io, con la consulenza, supervisione e l'aiuto di Chiara! ^^


CAPITOLO V
REDENZIONE

 
Tom rimase immobile alla vista della calibro 50 del Punitore puntatagli contro da Budiansky. Mise via il telefono da cui voleva chiamare la polizia per concludere il lavoro.
Il tempo passò inesorabile, ma la situazione sembrava congelata. Se Budiansky era tanto disperato da minacciare Tom e Semir, voleva dire che la faccenda era più intricata del previsto.
 
«Non sparerà...» affermò Semir, guardandolo negli occhi. Budiansky cercò di non incrociare lo sguardo e continuò a tener salda la pistola.
 
«E' la conferma che aspettavo...» disse Tom, poi incrociò le braccia «Forse qualche criminale vuole uccidere il Punitore, è in combutta con loro... si è abbassato al loro livello...»
 
«N... no... non è un criminale...» Budiansky tremò, non aveva il coraggio di farlo. Aveva ricevuto l'ordine di eliminare qualsiasi presenza esterna di troppo...
 
«Abbiamo avuto modo di conoscere Castle, ha a disposizione sempre troppe carte... forse davvero sa qualcosa su chi la sta minacciando, mi dica chi è...» cercò di convincerlo Semir.
 
«Non lo farà... se spara, tutto questo lavoro sarà stato vano... e allora avrà davvero la coscienza sporca...» aggiunse Tom, riprese il telefono e lo riaprì. Il compagno gli intimò di non farlo, ma lui fece per comporre il numero, ma era solo un modo per provocarlo inspiegabilmente!
 
Il Capitano Budiansky tremò. Era spaventato, ansioso. Tirò giù il cane della pistola. Scosse la testa ancora una volta, come per perdonarsi di quello che stava per fare. Spinse il grilletto.
 
----------
 
Il vuoto oscuro in cui Frank Castle era caduto terminò d'un tratto. Spalancò gli occhi, sentì una piccola fitta alla schiena. I polsi erano cinti dietro la sedia su cui era stato legato anche per le caviglie. Tentò di divincolarsi, ma i nodi erano troppo stretti e le manette facevano il resto del lavoro. Si guardò intorno, la stanza in cui era stato isolato era priva di finestre e l'unica fonte di luce veniva da due lampadine accese. Guardò il tavolo vuoto davanti a lui, e la sedia posta di fronte.
 
«La più classica delle stanze degli interrogatori, ma questa ha tutta l'aria di non essere il Dipartimento di Polizia di New York...» pensò.
 
Proprio in quel momento, l'unica porta che dava nella stanza si aprì e apparve Tom, con in mano la Colt 50 del Punitore. Si avvicinò al tavolo e lì la posizionò.
 
«E' scarica...» Tom mostrò l'unica pallottola carica, poggiò anche quella sul tavolo.
 
«Generale Edgar Perìno... cosa ti dice questo nome?» domandò, poi prese posto di fronte a Castle, che lo seguiva con lo sguardo. Rimase in silenzio per un po'.
 
«Copriva i trasporti di droga di Fernando Juarez dall' Afghanistan al Messico, è così alto nella filiera che l' Interpol non è riuscita mai ad incastrarlo, e neanche io ad ucciderlo...» rispose, stava per dire altro ma si fermò, per lasciare intendere a Tom che sapeva molte più cose di quanto si poteva immaginare.
«Ha minacciato Budiansky, e lui ha minacciato noi. Sapevo che la tua 50 non era carica. Non prevedevi, anzi non volevi usarla, neanche solo per provare ad intimidirci e penso...» fece una breve pausa, raccolse la pallottola che giaceva innocua sul tavolo e la ruotò tra le dita «... penso che io, Tom Kranich e il mio collega, Semir Gerkhan, abbiamo avuto modo di conoscerti anche meglio del previsto»
 
«Kranich, non sono il tuo confessore, dimmi solo come va a finire ora» disse con voce rauca e fredda il Punitore.
 
Semir entrò nella stanza. Si avvicinò a Tom che stava finendo di parlare e strinse i denti, sapendo di avere poco tempo per convincere il Punitore ad accettare la richiesta che stava per fargli...
 
«Non voglio farti la predica, so che non servirebbe. Ho letto il tuo dossier, hai fatto della tua vita un gelido inverno, non ti interessa niente, non credi a niente, uccidi criminali ed è questo che ti tiene in vita...» continuò Tom. Semir lo fermò cortesemente.
 
«Ho parlato con Budiansky, Perìno sarà qui tra un'ora. Tu sai come incastrarlo, ne sono convinto. Aiutaci ad arrestarlo...» aggiunse Semir.
 
Il Punitore sorrise, scosse la testa.
«Se vi do le prove della sua colpevolezza, scompariranno insieme a voi e io sarò morto. Avrò persino due cadaveri innocenti sulla coscienza...»
 
«Avevi ragione al cimitero, non basta l'uniforme a fare un tutore della legge, ma è anche vero che non basta una calibro 50 a fare un Punitore...» Tom si alzò, raccolse la pistola e fece qualche passo avanti e indietro, riflettete. Semir poggiò le mani sul tavolo e si rivolse a Castle, che lo guardò negli occhi. Cercò di essere convincente.
 
«Non puoi pretendere di ammazzarli tutti. E poi? Cos'è che ti rende diverso dai malviventi che uccidi ogni giorno?»
 
«Hanno qualcosa da perdere...»
 
La risposta agghiacciante fece tornare in stasi quel momento di pausa riflessiva. Semir ricordò di aver letto dell'orrendo passato e delle terribili perdite che Frank Castle aveva sofferto, della Guerra, delle centinaia di morti sulla coscienza che aveva accumulato. Non seppe cosa dire, poi cercò di riprendere la parola.
 
«E il peso di tutte queste vittime?» gli domandò.
 
«Non è un peso, per me»
 
«E non credi possano cambiare?»
 
«Non credo nella redenzione»
 
Sudò freddo. Si sentì teso psicologicamente. Quel botta e risposta così freddo e calcolato, come le battute dirette che Castle sembrava conoscere a memoria. Come prese da un copione, come se Semir non fosse stato il primo a fargliele… e probabilmente era così.
Il Punitore cessò il silenzio e avanzò la sua di richiesta, sapendo di avere i due davanti a lui in ascolto.
«Perìno mi sta cercando, vorrà sapere da me dove ho nascosto i cinquanta chilogrammi di cocaina rubati ai Westies giorni fa. Probabilmente ha già ucciso Juarez, che ha fatto il mio nome...»
 
«Cocaina? Hai rubato e nascosto la droga che lui smercia?» Tom si avvicinò incuriosito, come vedendo uno spiraglio di luce.
 
«Non li ho nascosti, li ho distrutti» rispose, di nuovo gelido, il Punitore.
 
«Hai bruciato l'unica prova in grado di incastrarlo!?» domandò Semir meravigliato.
 
«Non basta una prova a fare un colpevole» ancora una volta, Castle rispose a tono, senza pensarci due volte. Per lui, le sue ragioni e i suoi pensieri erano già tutti scritti e marchiati a fuoco, idealmente, su quel teschio bianco che lo rappresentava. Castle conosceva bene quel Generale corrotto: era intoccabile, pericoloso, da lui irraggiungibile... almeno fino a quella sera.
 
«Perìno sarà qui tra un'ora. Se vi opporrete vi farà uccidere, e ucciderà anche me. Comprendo la vostra posizione, dovete far rispettare la legge. Capite voi cosa è giusto e cosa è sbagliato. Come vedete... il confine è molto più labile di quanto crediate in questo caso» concluse Castle, dopodichè non proferì altra parola. Attese che Tom e Semir uscissero in silenzio dalla stanza per fare la loro scelta morale, o immorale per chi avrebbe creduto nel suo "giusto" o nel suo "sbagliato".
 
«Non possiamo portarlo al distretto... Perìno farebbe accusare Budiansky e, se è come dice Castle, davvero non ci sarà modo di evitarlo» disse Tom, chiudendo la porta dietro di se.
 
«Non abbiamo niente contro Perìno, tranne la parola di Castle e, forse, la testimonianza di Budiansky... ma non so quanto può valere in tribunale, nella situazione in cui si trova» aggiunse il compagno scuotendo la testa insicuro.
 
«Tom, siamo due ispettori capo e siamo qui per far rispettare la legge... Budiansky ha una sola possibilità per salvare il suo onore, il suo lavoro e la sua vita... ed entrambi sappiamo qual è»
 
I due si guardarono, leggendo ognuno i pensieri dell'altro. Guardarono verso la porta della stanza dove era rinchiuso Castle, dispiaciuti e affranti. Non si aspettavano di dover fare una scelta così difficile.
 
----------
 
Il Generale Perìno scese da un'auto governativa parcheggiata al lato della strada. Era la prima volta che si occupava di un affare di persona. Di solito aveva un tramite, o un secondo e terzo uomo. Aveva perso tutti i suoi più validi collaboratori, grazie al lavoro senza sosta del Punitore. L'ultimo, di cui si era fidato e che aveva fallito, era stato Juarez, barone della droga messicano che Castle aveva sfruttato per stanare un covo della mafia irlandese.
Juarez aveva perso 50 kg, e forse anche di più, di cocaina finissima. Milioni di dollari mandati in fumo dalla furia punitrice di un vigilante a New York, ma gli unici che ne erano a corrente erano Castle, Kranich e Gerkhan. Aveva "assunto" Budiansky e ora era lì, all'ultimo stadio della sua filiale, per riprendersi la merce.
 
Si avvicinò alle scalinate che davano all'appartamento. Proprio in quel momento, dal portone principale uscì Budiansky, seguito da Tom e Semir.
 
«Come li ha convinti?» il generale indicò i due tedeschi, incuriosito, credendo di trovarli in uno stato "diverso".
 
«Basta il senso del dovere, Generale Perìno» Budiansky alzò le sopracciglia e sorrise appagato per la missione portata a termine.
 
«Lui dov'è?»
 
«Dove avevamo stabilito. Abbiamo fatto la cosa giusta, almeno da stanotte sarà tolto dalle strade e cesserà la sua furia omicida... beh... ovviamente...» Budiansky scese le scale, Semir e Tom lo seguirono muti come tombe.
 
«... Ovviamente ci penserà lei a portarlo al Distretto, vero?» e detto questo fece un occhiolino furtivo al generale. Lui annuì e si rivolse ai due alle sue spalle.
 
«Certo, è in buone mani, potete tornare alle vostre occupazioni signori, farò solo quattro chiacchiere con Castle prima di portarlo via e per lei Budiansky direi che siamo pari, è stato un piacere» porse la mano al capitano che ricambiò caldamente. Semir e Tom annuirono e fecero un lieve inchino rispettoso prima di andare per la loro strada, seguendo a ruota e a passo svelto Budiansky.
 
«Un solo colpo, Punitore» sussurrò Semir un po' affranto, guardando nel vuoto.
Poi ci fu solo il silenzio.
 
Le rare automobili che passavano lungo la strada erano l'unica confusione in quella notte fredda fuori Manhattan. Il suono di uno sparo, un unico sparo che rovinò il sonno a chi lo udì, fermò la notte e la tinse di sangue. Il sangue di un colpevole...

FINE.



Nota degli autori: e con questo capitolo si chiude la nostra fan fiction ^^ Ci sarà solo un breve epilogo scritto esclusivamente da Chiara. Come vedete l'effettivo finale è abbastanza "aperto", quindi ognuno potrà fare le sue deduzioni... almeno ho cercato di arrivare a questo risultato ^^'!

Per quanto riguarda la storia ho provato a fare un quinto ed ultimo capitolo con momenti di tensione psicologica che vanno a sostituire gli scontri a fuoco tattici dei capitoli precedenti... vedremo se ci son riuscito! :P Grazie a tutti per aver letto e vi lascio all'epilogo di Chiara ovvero la sua versione sul finale "aperto" ^^ (RabbyRa)

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Capitolo 7
*** Epilogo ***


Epilogo
 

I tre poliziotti si fermarono davanti al SUV nero.
Budiansky abbassò lo sguardo. «Beh, ispettori, è stato un onore lavorare con voi…»
«Anche per noi, capitano!» rispose Semir.
I tre si strinsero la mano. «Spero che questa… cosa non vi metterà nei guai!»
I due tedeschi si scambiarono uno sguardo, per poi guardarono nuovamente il capitano e fecero spallucce. «Anche se fosse, sarà stato per una buona ragione!» disse Tom.
Budiansky annuì. «Beh… allora… buona fortuna, ispettori!»
Tom e Semir sorrisero. «Anche a lei, capitano!» concluse il secondo.
E, detto questo, il capitano si allontanò, lasciando soli gli ispettori.
I due presero un forte respiro ed entrarono in macchina.
Non appena Tom ebbe chiuso lo sportello del lato del guidatore, Semir iniziò a parlare.
«Che ne dici? Quanto saremo nei guai?»
L’altro fece uno sguardo dubbioso. «Per aver arrestato un pluriomicida e aver scoperto un poliziotto corrotto?!»
Semir sospirò. «No, per aver fatto uccidere un ufficiale superiore dell'esercito e aver lasciato scappare un pluriomicida!»
«Noi?! L’abbiamo lasciato al Generale Perìno, ricordi?!»
Il collega si voltò a guardarlo. «Sto parlando seriamente, Tom! Sai che quell’uomo è morto per colpa nostra, anche se non abbiamo premuto il grilletto!»
Tom lo guardò, serio. «Quell’uomo è morto perché era un bastardo! Andiamo, Semir: era corrotto! Era sporco più del punitore, e lo sai perché?! Perché la gente si fida della polizia e delle forze armate! Si fida della gente come Perìno! Si sente protetta!»
Il primo abbassò lo sguardo, senza parlare.
«Era uno spacciatore, Semir! Sai quanta gente innocente muore o viene uccisa quando c’è in ballo la droga! E sai quanto siano pericolosi gli sbirri corrotti! Non c’è bisogno te lo dica io!» aggiunse poi, ricordando una valanga di casi in cui si erano trovati contro un collega.
Semir tacque ancora.
«Sensi di colpa?» chiese Tom, per rompere il ghiaccio.
Il collega restò in silenzio per qualche altro istante. Poi scosse la testa. «No... no, assolutamente no!» sospirò. «Era ai piani alti… tutti i testimoni sarebbero finiti sottoterra e lui avrebbe continuato con la sua vita… »
I due si zittirono di nuovo.
«Forse il mondo ha bisogno di un punitore… qualcuno che ripulisca le strade da quella feccia che noi non riusciamo mai a raggiungere… di qualcuno che non abbia niente da perdere!»
Semir annuì. «Forse anche dalle nostre parti farebbe comodo un punitore!»
Tom si mise a ridere. «Beh, potrei farlo io!»
Il collega lo guardò senza capire. «Che cosa?!»
«Beh, sì! Potrei andarmene da Colonia e iniziare a girare per la Germania facendo il vendicatore solitario
Semir sbandò. «Solitario?! E io poi che faccio?!»
Tom sospirò, fingendosi seccato. «Va bene… puoi venire con me! Ora andiamocene: non ne posso più di questa lingua e questi SUV! Non vedo l’ora di mettermi nella mia Mercedes e iniziare a imprecare in tedesco dietro ad un ricattatore, un assassino o un pirata della strada!» concluse, infilando le chiavi nel quadro e avviando il motore.
Semir rise. «Socio, a chi lo dici!» poi lanciò uno sguardo all’edificio da dove erano appena usciti. «… A chi lo dici…»

FINE.

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