French Kiss

di Rosie Bongiovi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Parle-moi de toi ***
Capitolo 3: *** Guerre ***
Capitolo 4: *** Trêve ***
Capitolo 5: *** Adieu ou au revoir? ***
Capitolo 6: *** Noir ***
Capitolo 7: *** Take A Look At The Future ***
Capitolo 8: *** Where have you been? ***
Capitolo 9: *** Rendez-vous ***
Capitolo 10: *** Ghost ***
Capitolo 11: *** A piece of paper ***
Capitolo 12: *** "Nice" to meet you ***
Capitolo 13: *** La resa dei conti ***
Capitolo 14: *** Will you fight for me? ***
Capitolo 15: *** A clear conscience ***
Capitolo 16: *** 167 ***
Capitolo 17: *** Marry me, please ***
Capitolo 18: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Gira a sinistra, a sinistra!”.

Un momento, dannazione, c'è rosso!”.

Non mi importa, investi quella signora, ha anche mal di schiena, si vede da come cammina! Farai un'opera buona e porrai fine alle sue sofferenze!”. Maya ed Hilary si voltano verso di me, mentre io, seduta sul sedile posteriore, comincio a dire cose senza senso. Però non posso farne a meno, perché l'attesa mi sta facendo impazzire e lo stomaco si sta attorcigliando, causandomi uno strano senso di nausea. E' come se avessi le vertigini ed i brividi sembrano scariche elettriche che attraversano il mio corpo alla velocità della luce.

Kayla, stai tranquilla, per favore. Ormai mancano dieci minuti e..”.

L'aereo decolla tra quindici!” strillo io, probabilmente assumendo un colorito che ricorda vagamente un peperone. Di rimanere bloccata nel traffico, purtroppo, non l'avevo previsto.

Poi un'idea balzana accarezza la mia mente ed io, da brava persona impulsiva che sono, la metto subito in atto.

Ci vediamo dopo là!” esclamo, per poi aprire la portiera e correre, correre il più velocemente possibile, per raggiungere l'aeroporto. Non mi importa se rischio di essere investita, tanto peggio di così non può andare.

Ancora non so come mi sia passato per l'anticamera del cervello di rispondergli in quella maniera. Pensare, però, in questo momento non mi aiuta di certo. Mentre mi fermo per riprendere fiato, sotto quella pioggia scrosciante, che non intende di certo smettere solo perché io sono allo stremo delle mie forze, faccio un respiro profondo.

: - Puoi farcela Kayla -.

Mi rimetto in movimento, ripensando al motivo per cui devo sbrigarmi.

: - Rischi di non rivederlo mai più, questo lo sai? Perché poi sarà troppo tardi, perché poi ci rimuginerai sopra. E ti è già successo una volta. Non ci vuoi ripassare, giusto? -.

No, certo che non ci voglio ripassare. Perciò faccio un ultimo sforzo, rischiando di scivolare sopra una grata di ferro. Ma non mi importa, arriverei anche con qualche osso rotto, pur di vederlo.

Mi faccio largo tra la calca di turisti pronti a partire, che trascinano ingombranti valigie, poi vedo quel cappello da cowboy e il mio cuore decelera.

Richie!” urlo, con tutto il fiato che ho in gola. “Richard Stephen Sambora!”.

Si volta verso di me ed i suoi occhi color gianduia mi osservano sorpresi.

Mitchell?”. Scanso un paio di uomini, servendomi dei gomiti, ma il mio sguardo è incatenato al suo, non riesco a guardare altrove. Sento la gola secca.

Non volevo avere rimpianti, non di nuovo. Perché mi sono resa conto che non c'è nulla di peggio che sentire la mancanza delle persone, le persone che contano davvero nella vita di tutti i giorni e che occupano inevitabilmente un considerevole spazio nel cuore. E potrei passare per egoista perché, ora, mentre corro verso di lui, sto pensando alla mia, di felicità.

 

Ma forse.. Forse è meglio fare un passo indietro e cominciare dall'inizio.

Sono Kayla Mitchell e, questa, è la mia storia.

 


Nota dell'autrice:

Eccomi qui, sono tornata! E anche prima di quanto credessi.. Beh, carissimi bonjoviani, spero che questa storia vi piacerà. Per il momento è già pronto il primo capitolo, perciò pubblicherò il prima possibile. 

Sarà una storia molto, molto autobiografica, perlomeno per i primi capitoli. 

Ringrazio subito cinque persone che leggono quel che la mia mente malata partorisce e, con tanta, tanta pazienza, mi consigliano o spronano a continuare, ovvero Valentina (VaVa_95), Ilaria (KeepSmiling), Diletta (Lady Phoenix), Chiara (chiaretta78) e Marzia. 


Non ho altro da aggiungere!

Ci leggiamo presto,


Rosie

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Capitolo 2
*** Parle-moi de toi ***


“Oh, io credo che ce la farai”.

“No, no che non ce la farò. L'hai visto? Ci hai parlato insieme? Hai idea di quanto sia insopportabile?” domandai io a quella che, nell'arco di pochi minuti, sarebbe diventata la mia ex compagna di banco.

“Kayla, coraggio, non può essere così terribile” replicò lei, mordicchiando il tappo della sua biro nera. Ormai era diventato un vizio. “Meglio quello che le sigarette” le dicevo sempre, anche se questa sua strana abitudine la costringeva ad acquistare una decina di penne al mese, ed era l'equivalente di circa tre pacchetti di sigarette, alla fin fine.

“Hai ragione” confermai io. “E' mille volte peggio..”.

La mia professoressa di francese, dato che ero la migliore del suo corso, aveva deciso di piazzarmi di fianco ad uno dei ragazzi più pestiferi ed insopportabili che avessi mai conosciuto, ovvero Richard Stephen Sambora. Pur riconoscendo la mia bravura nello studio di quella lingua, che amavo con tutta me stessa, non era in grado di nascondere il suo lato più subdolo, perciò mi aveva detto:“Mademoiselle Mitchell, o monsieur Sambora arriva ad avere la sufficienza, o boccerò tous les deux”. Con tanto di r moscia.

Sembrò non sentirle nemmeno, le mie lamentele. Si rivelò del tutto inutile anche protestare con la coordinatrice di classe, quindi dovetti caricarmi di un'enorme dose di pazienza e sperare che quel disastro di ragazzo imparasse qualche altra parola a parte “oui” e “ça va?”.

Mi feci coraggio e varcai la soglia dell'aula, sedendomi al penultimo banco, di fianco a quel ragazzo alto, molto, molto più di me. Grazie al suo metro e ottanta ed il fisico slanciato, era tra i migliori giocatori di basket della scuola. I capelli erano lunghi e di un castano chiaro, esattamente come gli occhi profondi, color cioccolato, che gli davano una finta aria da innocente. La pelle, del tutto priva di imperfezioni, sembrava quella di un ragazzo appena tornato dalle vacanze estive.

Non appena mi sedetti, smise immediatamente di scrivere chissà cosa su un quaderno, che si affrettò a chiudere e mettere in cartella.

“Buongiorno, Mitchell” mi salutò, rivolgendomi un sorriso da 'tifaròpatirelepenedell'inferno'.

“Ciao” dissi io, freddamente. Non mi andava giù il fatto che la mia media potesse essere rovinata da un atleta che non sapeva ancora per quale razza di motivo fosse iscritto al corso di francese.

“Oh, come siamo acide..”.

“Beh, scusami se non avevo programmato di diventare una babysitter” replicai, stizzita.

“Sarò un bravo bambino, lo prometto” rispose lui, sogghignando.

Bonjour à tous le monde!” esclamò la professoressa, entrando in classe e riservandomi un sorrisetto divertito. “C'est une chose merveilleuse! Mademoiselle Mitchell et monsieur Sambora allo stesso banco! Spero che il nostro Richard imparerà presto a parlare decentemente cette langue fantastique!”. Un po' tutti, in classe, non sopportavamo il fatto che parlasse un po' in americano e un po' in francese. Era fastidioso, esattamente come quando scandiva le parole, come se stesse facendo un dettato, o quando faceva concludere a noi una frase che, di fatto, era già finita.

Tornò alla cattedra, senza rimuovere quel sorriso falso dalle labbra, ricoperte da un rossetto scuro, in netto contrasto con la sua pelle estremamente pallida.

Alors, che ne pensate di faire une recherche?” chiese entusiasta, come se ci avesse comunicato che ci avrebbe portati ad un luna park. I ragazzi dei primi banchi annuirono e lei si sentì ancor più motivata a continuare. “Pensavo ad una bella ricerca sur la cuisine française. Dovrete choisir un plat typique et cuisiner!”. In poche parole, ci stava chiedendo di cucinare un piatto tipico e di avvelenare l'intera classe o lei stessa. “La ricerca sarà da fare a coppie. Donc.. Circle et Crux ensemble. Mislay et Johnson, ensemble. Sambora et Mitchell.. Ensemble”.

: - Ovvio, mi sarebbe sembrato strano se non l'avesse detto -.

“Non sarò bravo in francese.. Ma in cucina me la cavo discretamente” mormorò lui.

“Voglio proprio vedere quante persone moriranno quando assaggeranno quel che preparerai” sussurrai io, facendolo ridacchiare.

“Mi sottovaluti un po' troppo, Mitchell” bisbigliò di rimando.

“Non ti sottovaluto. Gli atleti non sono visti di buon occhio. E' difficile immaginarvi a fare qualcosa che richieda più di un neurone”.

Parfait! Alors, cette recherche est pour semaine prochaine. Demain abbiamo il test sur l'unité 9. Rivediamo il capitolo velocemente. Mademoiselle Summer, s'il vous plait, legga a pagina 45”.

“Vedi di stare attento e soprattutto in silenzio, la verifica di domani deve andarti bene a tutti i costi” gli dissi io, sottovoce.

“Non è minacciando che mi insegnerai il francese, Mitchell. Devi avere pazienza con me.. Ho comunque un cuore tenero come il burro, io!”.

Sarebbe stato un semestre infernale, ne ero più che sicura.

“Senti e se.. Se ci vedessimo per studiare, questo pomeriggio?” continuò lui.

: - Quale parte di 'vedi di stare attento ed in silenzio' non ti è chiara, Sambora? -.

“Per me già è un incubo il fatto che la mia promozione dipenda dal tuo cervello, vuoi davvero torturarmi anche fuori da scuola?”.

“Ebbene sì. Perché, cara la mia Mitchell, se io non imparo il francese, tu vieni bocciata. Perciò non so quanto ti convenga lasciarmi a casa con un libro incomprensibile tra le mani” sussurrò, con una punta di arroganza, mista a quel suo sarcasmo perenne.

“E va bene, d'accordo, hai vinto. Ma ti concedo massime due ore” risposi, arrendendomi. Era parecchio cocciuto il ragazzo.

“Saranno più che sufficienti per farti esaurire la pazienza. Ti sta già pulsando una vena sul collo e sei la mia vicina di banco da meno di dieci minuti” osservò, sorridendomi.

“Cosa? Io non”. Mi portai una mano alla giugulare calda, che sentii pulsare. “Fai silenzio”.

Comme tu désires. Mitchell. Comme tu désires”.

 

Uscita da scuola, mi fermai come sempre a parlare con Hilary, l'amica più cara che avessi. Lei si era trasferita lì, a Woodbridge nel New Jersey, quando aveva circa 5 anni ed eravamo diventate inseparabili, finendo sempre nella stessa classe fino al liceo. Era una ragazza leggermente più bassa di me, con i capelli di un castano scuro e gli occhi color nocciola. Per lei non contavano molte cose, se non l'amicizia e la danza, per la quale nutriva un amore spassionato da moltissimo tempo ormai.

“Che faccia grigia che hai” commentò lei, facendomi spazio sulla panchina su cui era seduta, pronta ad addentare un tramezzino.

“Mi hanno messa vicina a lui” risposi, mettendomi al suo fianco e passandomi le mani sul viso.

"Lui.. Lui chi?" domandò, con la bocca piena. Le rivolsi un'occhiata affranta e le si illuminarono gli occhi. "No. Non dirmelo!".

"Oh, sì che te lo dico". Scoppiò a ridere, rischiando addirittura di soffocare a causa del cibo. Se non fosse stata la mia migliore amica, l'avrei strozzata all'istante.

“Richie Iosonoilpiùbravoagiocareabasket Stoconunacheerleader Sambora? Oh, la mia povera Kayla..”.

“Io davvero non so come sia saltato per la testa alla mia professoressa di francese di mettermi di fianco a lui” borbottai, mettendo le mani nelle tasche della mia calda felpa nera. C'era solo scritto 'Beatles', per il resto era un normalissimo capo di abbigliamento con un cappuccio. Alle gambe portavo un paio di jeans scuri e, ai piedi, delle immancabili scarpe da ginnastica, bianche. Il mio corpo mi piaceva, ma l'unica cosa che non sopportavo erano i capelli ricci. Un riccio definito ed invidiato addirittura da mia sorella, una delle ragazze più belle che avessi mai visto in vita mia, ma che avrei sostituito volentieri con una chioma liscia o semplicemente ondulata.

“Chi ti dice che sia ancora lo stesso atleta che ti ha fatto lo sgambetto il giorno della tua presentazione?” chiese Hilary, sorseggiando della coca-cola.

“Il mio istinto. Oh, e il buon senso. E la consapevolezza che un tipo del genere non possa cambiare”. Detto fatto, nel mio campo visivo comparve il ragazzo del quale stavamo parlando. Stava baciando Katy Fox, il capitano della squadra delle cheerleaders e, udite udite, la mia acerrima nemica. Questo odio corrisposto era nato nel momento in cui io, per sbaglio, le ero passata di fianco, urtandola e facendole cadere addosso della cioccolata calda. Questo mi segnò a vita ed influì gravemente sulla mia reputazione scolastica. Non che mi importasse, anzi. Facevo già parte del gruppo dei musicisti e degli scrittori che, in un liceo controllato da atleti e ragazze spocchiose, equivaleva ad essere una persona con la stessa utilità di una radio accesa in una sala di sordomuti. Però la mia cerchia di amicizia si limitava a due persone soltanto, ovvero Hilary e Alec.

“Ma secondo te prenderanno fiato per respirare?” domandò la ragazza accanto a me, osservando la scena con un sopracciglio arcuato. Le strappai la lattina di mano e bevvi un lungo sorso.

“Non mi interessa. Gliela faccio passare io la voglia di fare il fidanzatino perfetto. Dobbiamo studiare francese, la mia media dipende dal suo neurone solitario” spiegai, mentre Hilary tentava disperatamente di riavere la sua cola, seguendo con la mano ogni singolo movimento che faceva la lattina nelle mie, mentre gesticolavo animatamente. Si arrese e rivolse gli occhi al cielo.

“Kayla, tranquillizzati”.

“No, no che non mi tranquillizzo! Devo fare la babysitter contro il mio volere e lui è talmente str”. Mi tappò la bocca con una mano, facendo un cenno con la testa verso tre bambini che stavano passando di fianco alla panchina. “Lui è talmente odioso, che sarebbe capace di collezionare dieci F di seguito, solo per farmi bocciare”.

“Hai detto trenta parole nell'arco di cinque secondi, ora respira e guarda che sta venendo verso di noi” disse lei, abbassando la voce. 
“Mitchell, avevo in mente di andare a mangiare un boccone insieme, prima di cimentarci nello studio della lingua”. Mi riservò un sorrisetto malizioso, forse per l'ambiguità della sua frase.

“E Katy non si ingelosisce?” domandai, con un tono di voce così insopportabile da infastidire anche me stessa.

“Come se ti importasse” rispose lui, ridendo. “Coraggio, alzati, abbiamo molto lavoro da sbrigare oggi”. Lanciai uno sguardo disperato verso Hilary, che stava assistendo alla scena con sguardo incantato, come se fossimo il suo film personale. Sospirai e presi la mia borsa a tracolla, ricoperta da spille di numerose band. Poi guardai Richie con aria di sfida e sorrisi, falsamente.

“Andiamo, Sambora”. Salutai la mia migliore amica con un gesto della mano, e camminai al fianco del gigante moro. Mi sentivo parecchio in soggezione, con il mio metro e sessantacinque.

“Senti quanto è buona la fresca aria di novembre!” esclamò, inspirando profondamente ed allargando le braccia, rischiando di darmi una gomitata. 
“Ecco, mi hai dato una buona idea: perché non ce ne stiamo in silenzio a goderci il vento fresco, mh?” proposi.

“Sembri una zitella con dieci gatti ed i dolori sparsi per il corpo. Vite, alors, Mitchell! Togliti quell'aria da perenne condannata a morte!” disse, spintonandomi e ridendo, in attesa di una mia reazione.

“Ah allora quando c'è da rompere le scatole al prossimo lo sai il francese!” replicai, sorridendo. Sorridendo. Oddio, avevo sorriso in sua presenza. No, così non poteva andare! Quel sorriso poteva significare 'Sì, ti trovo proprio divertente!'. Addio speranza di assumere un minimo di autorità su di lui, benvenute prese in giro e battute penose.

“Quando bisogna rovinare la vita a qualcuno, sono sempre pronto!” confermò lui, annuendo con convinzione.

“Non avevo il minimo dubbio.. Ma posso sapere dove stiamo andando?”. Effettivamente avevo acconsentito a seguirlo per mangiare, ma non avevo la più pallida idea di dove mi stesse portando.

“Oh, siamo arrivati. Guarda, è quella tavola calda laggiù” rispose, indicando un locale che, per qualche motivo a me sconosciuto, avevo sempre cercato di evitare. Comunque non potevo pretendere di avere qualcosa in comune con lui, era normale che mi avesse portata in un posto che non avrei approvato. “Ti piacerà, ne sono certo” aggiunse, prendendomi per mano e trascinandomi con sé, attraversando con il semaforo rosso e ricevendo svariati insulti da parte di alcuni conducenti.

“Ma sei un serial killer nel tempo libero?” domandai, liberandomi con violenza dalla sua presa.

“Oh certo. I miei amici mi chiamano Jack, Jack lo Squartatore” disse, sussurrando ciò al mio orecchio.

“Ma finiscila!” replicai, ridacchiando.

“Prego signorina”.

“Grazie, finto gentiluomo” risposi io, per poi entrare nel locale, approfittando del fatto che avesse aperto la porta in questo improvviso atto di galanteria. Varcata la soglia, ebbi l'impressione di essere stata catapultata in un saloon, con travi e pavimento in legno. C'era un lungo bancone in mogano e, dietro ad esso, una lunga mensola piena di calici da birra. La stanza, poi, era arredata occhio e croce da una decina di tavoli rotondi, di legno, circondati da quattro sedie ciascuno. Dal juke box usciva musica country e mancava solo John Wayne a darci il benvenuto. “Fammi indovinare, sul menù ci sono fagioli con salsiccia piccante” azzardai io, seguendo Richie ad un tavolo non molto distante da un barile di birra.

“Oh, anche la zuppa di carne e, come bevanda, una dissetante limonata messicana!” confermò lui, guardandomi con fare soddisfatto. Inarcai le sopracciglia. “Mitchell, ricorda. Zitella con gatti”. Oh, quanto lo odiavo. “Mentre tu scegli se chiamarli in altri modi oltre che Felix e Tom, io vado ad ordinare e porto qui da mangiare. E sta tranquilla, fanno anche hamburger e patatine” concluse, prima di dirigersi al bancone.

: - Domani abbiamo una verifica che gli andrà male ed è tutto tranquillo che mi porta nei saloon. Ci manca solo che inizia a girare con un cappello da cowboy.. -.

“Eccomi qui!” annunciò, con due vassoi in mano, entrambi con hamburger, patatine ed un bicchiere di coca-cola. Eppure continuavo ad avere paura che da un momento all'altro potesse saltare fuori John Ford.

“Ora, Mitchell” iniziò, sedendosi al suo posto e prendendo un sorso di bibita con la cannuccia. “Parlami di te”.

: - E stare zitti zitti ad ascoltare la bella musica country? No? Okay no -.

“Poi non dire che ti ho annoiato..” lo avvertii, nella speranza che cambiasse idea da un momento all'altro.

“Tranquilla, magari è più deprimente la mia”.

: - Non credo proprio.. -.

“Beh.. Mi sono trasferita nel New Jersey quando ero molto molto piccola. Avrò avuto sì e no un anno. Ho abitato per un po' di tempo in Australia, infatti il nome Kayla è originario di quel posto.. Uhm, che altro.. Ho perso i miei genitori a 12 anni, incidente stradale, il giorno del mio compleanno. Essendo già maggiorenne, la persona che ha ottenuto il mio affidamento è stata Maya, mia sorella. Perciò viviamo insieme qui a Woodbridge. Lei paga le bollette insegnando pianoforte in una prestigiosa scuola di musica non molto lontana da qui ed io ho un lavoro part-time in un negozio di dischi. La mia unica vera passione è la musica e suono la chitarra. Tra l'altro.. L'unica cosa che è uscita intatta dall'automobile dei miei, è stata una chitarra acustica. Ho voluto imparare a suonarla per loro. Doveva.. Doveva essere il mio regalo di compleanno” feci una piccola pausa, per addentare una patatina fritta ricoperta da senape ed incrociai lo sguardo affranto di Richie. “Non guardarmi così, non cerco di certo pietà. Sto bene, davvero.. Ora però tocca a te”.

“Non c'è molto da raccontare, a dire il vero..” mormorò, cupo. “Sono nato e cresciuto qui. Mi piace il basket e, come ben sai, faccio schifo in francese. Non sono un tipo particolarmente interessante”. Accennò un sorriso forzato. Se non avessi parlato per prima, di certo avrebbe continuato a ridere beato. Eppure non so per quale motivo abbia deciso di aprirmi così tanto con lui, non erano molte le persone a sapere la mia storia e, in particolar modo, il fatto che fossero i miei genitori il vero e proprio motivo per cui suonavo ed amavo la musica. Forse era perché, con quegli occhi gianduia, era riuscito a mettermi a mio agio come nessun altro aveva mai fatto prima. 

 

Nota dell'autrice:

Okay, dopo aver scritto di getto questo primo capitolo - che tra l'altro è nato prima del prologo - potete anche spararmi per aver pubblicato così presto. Però mi sentivo in dovere, siccome il prologo era esageratamente corto e volevo farmi perdonare  ._.

Ringrazio Lady Phoenix che ha recensito e messo la storia tra le seguite insieme a BrianneSixx e quell'amore di barbara83 che l'ha inserita tra le preferite, esattamente come tutte le mie altre storie su questo fandom. Spero di non deludere nessuno..

I ringraziamenti particolari vanno a Valentina, Ilaria (la nostra amata Hilary), Diletta (che presto farà la sua apparizione in questa FF), Marzia (la premurosa sorella maggiore di Kayla, Maya) e chiaretta78, senza le recensioni della quale, probabilmente non avrei aggiornato o pubblicato così frequentemente nella sezione Bon Jovi.

 

Alla prossima!

 

Rosie


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Capitolo 3
*** Guerre ***


Dopo aver discusso animatamente sul luogo ideale per studiare francese, Richie riuscì ad averla vinta, per la terza volta in quella giornata, e mi disse di fidarmi e di seguirlo in silenzio.

“Non intendo studiare agli allenamenti delle cheerleaders, se è quello che volevi fare” lo avvertii. Ormai stavamo camminando da venti minuti; non credevo che Woodbridge fosse così grande.

“Smetti di brontolare. Non sono così stupido da andare a preparare una verifica di fronte alla mia fidanzata. Mi distrarrei ogni mezzo secondo, non pensi?”.
“Sì, e lei mi ucciderebbe” confermai io, sbuffando. Ancora non riuscivo a spiegarmi cosa spingesse una persona ad odiare un suo coetaneo solo perché questo l'aveva urtata senza nemmeno farlo a posta. Però non ero un'esperta di psicologia, perciò non avrei mai trovato una risposta adeguata. Richie non disse niente, si limitò a sospirare ed assunse un'aria tra il dispiaciuto ed il 'non saprei che dire'. Era più che normale che non si mettesse contro Katy, non potevo biasimarlo.

“Però ancora non mi spiego una cosa, Mitchell” commentò, mettendo le mani dietro la schiena e calciando un sassolino che, dal marciapiede, rotolò in mezzo alla strada.

“Ora fa una domanda stupida, me lo sento..” mormorai, provocando una sua risata sinceramente divertita. Notai che, quando rideva, due simpatiche fossette comparivano sulle sue guance. Era quello che rendeva spontaneo e contagioso il suo sorriso.

“No no, stranamente non è nulla di stupido” si affrettò a precisare, per poi proseguire. “Quando hai iniziato a non sopportarmi?”.

: - Oh, questa sì che è una bella domanda, Sambora -.

“Mi ricordo che mi stavi simpatico quando andavamo alle elementari nella stessa scuola. Tutte le mattine ti presentavi con quel cappello così enorme per la tua testa” dissi, sorridendo, mentre una parte di me veniva immersa inevitabilmente da ricordi nemmeno così tanto remoti. “Allora mi stavi simpatico, nonostante non ti avessi mai rivolto la parola. Poi.. Quando hai iniziato a frequentare quel gruppo di teppisti che passavano più tempo dal preside che in classe, è cambiato il mio parere nei tuoi confronti”. Rimase in silenzio, annuendo.

“Insomma, sei una piena di pregiudizi” mi stuzzicò, sorridendo divertito. Ancora quel sorriso strafottente. Pensare che qualche ragazza lo trovasse affascinante, mi faceva sentire un alieno: a me veniva solamente voglia di dargli un bello schiaffo. 
: - Ma a che cosa pensavo quando gli ho raccontato tutta la mia vita? Forse la lattina di Hilary non conteneva solo coca-cola -.

“Oh, no no. Non sono affatto piena di pregiudizi” replicai, mentre lui girava a sinistra e iniziava a camminare su una collinetta.

“Coraggio, Mitchell, tu non mi sopporti per il semplice fatto che faccio parte della squadra di basket, che non mi piace la tua materia preferita e che sto con la tua acerrima nemica. Non mi hai mai dato grosse opportunità per interagire con te, il tuo odio è dettato dalla convinzione che, un tipo come me, ha un quoziente intellettivo mille volte più basso di quello del tuo ragazzo ideale”. Rimasi stupita da quelle parole. Che ci avesse azzeccato? In effetti ero un tipo parecchio orgoglioso, non aveva tutti i torti.. “Je me trompe?*”. Nel vedere la mia espressione, sicuramente atterrita, e la mia mancanza di parole, accennò ancora una risatina e scosse la testa. “Iniziamo a studiare francese, vah” si sedette nell'erba ed estrasse i libri dallo zaino. Io, troppo orgogliosa per non offendermi almeno un pochino, mi misi accanto a lui ed ottenni mia vendetta.

“Ah, d'ora in avanti, Sambora, dovremo parlare solo ed esclusivamente in francese. Per le prossime due ore nessuna parola in americano, chiaro?”. Sgranò gli occhi.

“No, non sono in grado di diventare un dizionario vivente!” strillò.

Excuse-moi, je ne comprende pas. Parle en français, s'il vous plait”. Mi riservò uno sguardo truce. D'altronde era l'unico modo per farlo passare da una F ad una C.

 

Le due ore passarono più velocemente del previsto. Mi assicurai che ogni singola parola dell'unità dedicata alla verifica venisse stampata nella mente di Richie.

“Je.. Je peux parler en.. Americhen?”. Scoppiai a ridere.

“Sì, ora puoi tornare alla tua lingua natale, la tortura è finita” risposi. Le labbra del moro si incresparono in un sorriso a trentadue denti. Mi abbracciò, per poi lasciare la presa e rivolgere gli occhi al cielo.

“Grazie, grazie!” strillò, facendomi ridere ancor più forte. Le cose erano migliorate notevolmente in quel poco tempo, insomma, l'avevo picchiato con l'astuccio solo sei volte! Stavamo facendo passi da giganti.

“Speriamo che ti ricorderai le cose fino a domattina. Ah, sappi che se non ti andrà bene il compito, mi avvarrò della facoltà di spaccarti una chitarra sulla testa” lo avvertii, raccogliendo i libri e rimettendomi la borsa sulle spalle.

“Ma certo, è il minimo che tu possa fare”.
“Richie! Zuccherino!”. Una voce stridula richiamò l'attenzione di entrambi. Terrorizzata dalla persona che da lì a breve sarebbe comparsa nel mio campo visivo, spostai lo sguardo alla mia destra e vidi Katy, in divisa da cheerleader, mentre saltellava con i pon pon in mano, per farsi notare dal ragazzo al mio fianco. Questo la salutò con un ampio gesto della mano.

“Oh, mi hai vista!” disse lei, euforica.

“Tranquilla, Katy, è impossibile non vederti, hai più paillettes addosso di un qualsiasi costume di Carnevale” le urlai io. Sentii Rich sghignazzare per un istante, poi, per evitare che l'ira funesta della fidanzata si scagliasse su di lui, mascherò la risata con un colpo di tosse.

“Ciao, Mitchell” mi salutò la vipera, rivolgendomi il sorriso più falso che avessi mai visto. Anzi, forse faceva concorrenza a quello della professoressa di francese.

“Grazie per l'aiuto, Kayla. Ci vediamo domani..” intervenne Richie, prima che potessimo scannarci. E non era affatto un modo di dire.

“Figurati. A domani” conclusi io, per poi guardarli mentre si allontanavano. Sbuffai, per poi incamminarmi verso casa mia. Automaticamente, il pensiero di Maya tornò alla mente e accelerai il passo, mettendomi a correre. Non l'avevo avvisata del fatto che sarei tornata tardi. Come minimo mi avrebbe uccisa, ma prima avrei dovuto sorbire una ramanzina lunga come la Divina Commedia.

: - Magari non mi fa fuori.. Beh, non subito, perché forse è andata dalla polizia a denunciare la scomparsa – pensai, pregando che non avesse già tappezzato la città con la mia foto con tanto di recapito telefonico in caso di avvistamento.

Dopo dieci minuti di corsa e un centinaio di insulti da parte delle mie gambe, giunsi di fronte alla mia dolce dimora, una villetta bianca, a due piani, con uno dei giardini più belli di tutta Woodbridge. Mio padre amava il giardinaggio ed io e mia sorella avevamo mandato avanti questa sorta di tradizione di famiglia. Presi un lungo respiro, mi portai una mano sul petto e scavalcai la staccionata, come ero solita fare dall'età di sette anni. Aprii lentamente la porta, come se avessi paura di essere aggredita da un pastore tedesco – comunemente chiamato 'sorella' -, e appoggiai la borsa a terra.

“Maya?”. Nessuna risposta. Tirai un enorme sospiro di sollievo. Molto probabilmente era ancora al lavoro e si sarebbe trattenuta fino a tardi. Tutto quello di cui avevo bisogno era una doccia ed un po' di tempo per suonare la chitarra. E sarei anche riuscita a fare tutto quel che avevo progettato, se non fosse stato per il campanello della porta, che iniziò a suonare ininterrottamente non appena presi in braccio lo strumento musicale, dopo la meritata doccia.

“Arrivo, arrivo!” urlai, finendo di legarmi i capelli in una coda di cavallo che, tanto, non avrebbe retto più di mezz'ora, vista la quantità di boccoli.

“Mitchell, buonasera!” esclamò Richie. No, non era possibile, non poteva seguirmi anche a casa.

“Cosa ci fai qui?” domandai, vergognandomi profondamente del mio abbigliamento del tutto informale, composto da una maglia grigia piuttosto larga e dei pantaloncini neri. Il ragazzo entrò senza nemmeno chiedermi il permesso e cominciò a guardarsi attorno. Successivamente, perlustrati l'entrata ed il corridoio, i suoi occhi si fermarono su di me. “Ho bisogno di aiuto” disse poi, lasciando la borsa accanto alla mia e dirigendosi in soggiorno.

“Richie, no, vai fuori da qui!” esclamai.

: - Signore, aiutami a non ucciderlo, te ne prego, perché sta diventando parecchio difficile non stringergli le mani attorno al collo -.

“Mitchell, vuoi essere promossa sì o no?”.

“Sambora, vuoi continuare a vivere sì o no?” domandai io di rimando, utilizzando il suo stesso tono di voce.

“Mi piacerebbe, se devo essere sincero. Ma vivrei di gran lunga meglio se mi aiutassi a capire come si esprime la contemporaneità in francese”. Purtroppo non ero sufficientemente forte per buttarlo fuori casa, quindi sospira e parlai.

“Prendi appunti, muoviti”. E passati venti minuti tentando di fargli entrare in testa mezza pagina, vidi la mia pazienza preparare le valigie e scappare a gambe levate.

“Ho capito!” strillò ad un certo punto. Furono le due parole più belle che potesse dirmi.

“Bene! Perfetto! Ora vattene”.

“Ma che devi fare di tanto urgente? C'è il tuo fidanzato per caso?” chiese, sarcasticamente.

“Volevo suonare un po' e non posso finché ci sei tu”.

“Non posso sentire?” insistette lui, sorridendomi, stavolta non in modo accattivante o furbo.

“Poi prometti di tornare a casa? Perché se mia sorella torna e ti vede qui, non so come la prenderebbe..” risposi, pensierosa.

“Non ti preoccupare, piuttosto scappo dalla finestra”. Mi lasciai scappare una risata e abbandonai il divano, invitando Richie a seguirmi nella stanza della quale io e Maya eravamo più fiere, nella quale c'erano il suo adorato pianoforte, due mie chitarre ed una libreria piena zeppa di spartiti. Sulla parete a sinistra avevamo posizionato un giradischi, accanto al quale c'erano tutti i miei vinili – un centinaio circa. Era una bella fortuna quella di lavorare in un negozio di musica, siccome gli sconti erano davvero buoni e non potevo fare a meno di acquistare un paio di dischi al mese -. La carta da parati, di un giallo ocra, si sposava perfettamente con il parquet di un legno scuro.

“Eccoci qui. Questa è la parte più bella di tutta la casa, per ovvi motivi” annunciai. Il moro annuì sorridente.

“Davvero bella”. Si percepiva una grossa tranquillità dopo aver varcato la soglia di quella stanza. Perlomeno, questo valeva per me.

“Mio padre, quando ero piccola, si sedeva lì” spiegai, indicando una poltrona bordeaux, “e suonava la chitarra.. Allora io mi mettevo a gambe incrociate di fronte a lui e lo osservavo, rapita, come se fosse lo spettacolo più bello che esistesse. Dopo le prime due canzoni mi invitava a mettermi sulle sue ginocchia e, ancora non mi spiego come accidenti facesse, ricominciava a suonare. Ero l'unica che poteva sentire le sue canzoni.. Ed ero l'unica a cui voleva insegnarle. Perciò prendeva le mie mani e mi aiutava a spostarle sul manico, con tanta.. Tanta pazienza..” raccontai. Sentii che il mio corpo veniva stretto in un abbraccio e, riaperti gli occhi, che nemmeno mi ero resa conto di aver chiuso, mi resi conto che era Richie quello che mi aveva appena stretta a sé. “Che stai facendo?” chiesi, spiazzata.
“Stavi piangendo, Mitchell..” mi spiegò lui, sottovoce e con un pizzico di sarcasmo. In effetti era assurdo il fatto che non me ne fossi accorta..

“Erhm.. Buonasera”. Sobbalzai, per poi allontanarmi di scatto da Richie ed inquadrare il viso di mia sorella, che era appoggiata allo stipite della porta e ci osservava con un sorrisetto velato da un filo di ironia. 
“Maya, ehi” la salutai io, probabilmente con le gote non rosse, ma fosforescenti.

“Io allora.. Ci vediamo domattina. E' stato un piacere, Maya” concluse Rich, riservandoci un tipico sorriso di cortesia, per poi uscire velocemente di casa. Mia sorella mi scrutò con le sopracciglia inarcate.

“Ora mi dici chi è”.

Interrogatorio round 1.

“Nessuno, è solo un mio compagno di classe a cui devo insegnare francese” dissi io, uscendo dalla stanza per sfuggire al suo sguardo tanto severo quanto incuriosito.

“Non ci credo nemmeno se mi paghi. A te lui piace” continuò, seguendomi. Probabilmente si divertiva a fare la detective.

“Perché ogni sacrosanta volta cerchi di farmi mettere con un ragazzo, sorella degenere?”.

“Perché tu lo guardi con quegli occhi a cuoricino!”.

: - Ah, non mi bastava il peggior alunno della classe, ci voleva anche una futura consulente matrimoniale -.

“Mi sa che ci vedi male, non sono a forma di cuore, sono a forma di martello o veleno per topi” replicai, aprendo il frigorifero ed estraendo del succo d'arancia. Maya si sedette sul bancone, con le gambe incrociate.

“Rose o girasoli?”.

“Per che cosa?” domandai, per poi bere dalla bottiglietta.

“Per il matrimonio!”. Andato di traverso il sorso appena fatto e persi dieci anni di vita, minacciai mia sorella con lo sguardo più cattivo che potessi fare.

“Se c'è una cosa della quale sono sicura, è che, dopo il liceo, io e Richie prenderemo due strade talmente diverse e lontane, da non incontrarci mai” replicai.

“Lo vedremo, sorellina!” urlò lei, ridacchiando. Alzai gli occhi al cielo e salii le scale, raggiungendo camera mia e lasciandomi cadere sul letto.

“Matrimonio. Ma ti prego”.

 

“Sveglia sveglia sveglia, si prospetta essere una meravigliosa giornata all'insegna della felicità!”. Non c'era niente di più insopportabile del il risveglio di mia sorella. Spalancò le tende ed aprì la finestra, il che mi fece sgusciare sotto le coperte nell'arco di mezzo secondo. Era vero, la mattina i miei riflessi erano esasperatamente lenti, ma per certe cose reagivo molto in fretta.

“Non ci voglio andare a scuola” biascicai, strizzando gli occhi per la luce e mettendo la testa sotto al cuscino.

“Kaylaaaa! Kayla, Kayla, Kayla, Kayla, Kaylaaa!”.

: - Qualcuno la sopprima, vi prego -.

“Kaylaaaaaaa!”.

“Okay, va bene, sono sveglia!” piagnucolai, trascinandomi fuori dal letto.

“La colazione è pronta, ti aspetto di sotto” mi avvisò Maya, sorridendo e lasciando la camera. Stropicciando più volte gli occhi per non vedere sfocato, mi portai di fronte all'armadio, dal quale estrassi una maglietta a maniche corte turchese con dei motivi floreali neri, una felpa bianca e dei pantaloni scuri. Solo l'idea di indossare abiti freddi gelati, in netto contrasto con il mio adorato pigiama caldo, mi faceva venire i brividi. Mi feci coraggio e, nell'arco di quindici minuti, mi ritrovai fuori casa, a camminare con le mie converse, che avrei messo con qualsiasi temperatura.

“Kayla, che hai combinato?” mi chiese Alec, risvegliandomi dai pensieri. Alec era mio amico dai tempi dell'asilo. Era un ragazzo non molto alto, dai capelli neri e gli occhi castani, piuttosto gracile ma con uno spiccato senso dell'umorismo. Nonostante non lo avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura, aveva una cotta 'segreta' per Erika, la vicina di casa di Hilary nonché la migliore studentessa dell'istituto e futura promessa nel mondo della scrittura.

“A che ti riferisci?” domandai, un po' disorientata dal suo quesito.

“Katy ti sta cercando, ha un diavolo per capello”.

“Ma che..”.

“Mitchell!” strillò la cheerleader, camminando furiosamente incontro a me, seguita dalle sue inseparabili compagne, che rimasero a qualche passo da lei. “Cosa diamine ti sei messa in testa, mh?” domandò, con aria minacciosa.

“Non capisco di cosa tu stia parlando, Katy” replicai io, sulla difensiva.

“Richie. Michelle l'ha visto uscire da casa tua, ieri sera. Tu non ti devi azzardare, hai capito bene? Lui è il mio ragazzo, stupida ragazzina che non sei altro” disse, spingendomi. Se non fosse stato per Alec, sarei caduta a terra.

“Lasciala stare” esclamò, mettendosi tra me e lei.

“Such, vattene via, non sono cose che ti riguardano. Torna nel tuo gruppetto e fingi di contare qualcosa” rispose, evidentemente ostile a qualsiasi tipo di intervento.

“Oh, sì che sono cose che mi riguardano. Lasciala in pace, prenditela con il tuo fidanzato, non con Kayla” insistette Alec, con il tono di voce più deciso che avessi mai sentito. Finché non sarei rimasta da sola, Katy non avrebbe avuto il coraggio di fare qualcosa. Mi lanciò un'ultima occhiata carica di odio, per poi allontanarsi. La guerra era stata dichiarata.


Nota dell'autrice:

Eccoci qui al nostro secondo capitolo. Spero che sia stato di vostro gradimento!

Ringrazio le mie fedeli Valentina, Diletta, Ilaria, Marzia e Chiara, tutti coloro che hanno messo la storia tra le preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker80s (che ha anche recensito :) )

_DodoBJ

e quelli che hanno messo la storia tra le seguite:

_BrianneSixx

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_GiadiX_McKagan

_GioTanner

_Lady Phoenix (che ha anche recensito e non smetterò mai di ringraziarla per le sue bellissime recensioni :D )


Alla prossima!


Rosie

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Capitolo 4
*** Trêve ***


“D'ora in poi non ti lasceremo per nessuna ragione al mondo” annunciò Alec, annuendo con convinzione ed aprendo l'armadietto accanto al mio.

“Non ce n'è bisogno, so cavarmela anche da sola..” risposi, con la schiena appoggiata all'anta di metallo.

“Non ne dubitiamo, Kayla, ma tu sei una, le cheerleaders sono una decina. Io la mia migliore amica la vorrei viva e vegeta anche in futuro” aggiunse Hilary, guardandomi con compassione, come se mi avessero già spedita in ospedale.

“Vi voglio bene, angioletti custodi” disse, ridacchiando e stringendo entrambi in un abbraccio, interrotto dallo stridulo suono della campanella. “Devo andare, compito di francese.. Ci vediamo a pranzo” conclusi, sorridendo loro e dirigendomi verso la mia aula, con la testa piena di pensieri. Proprio non mi andava che le persone mi ritenessero una sottospecie di.. amante. Soprattutto quando il ragazzo in questione era Richie, che non digerivo affatto fino al giorno precedente. Decisi che avrei continuato ad aiutarlo siccome non avevo alternative, ma senza far sì che quel rapporto si evolvesse in amicizia.

Varcai la soglia della stanza che avrei visto per chissà quanto altro tempo, con una lavagna che la bidella sessantenne non puliva nemmeno dietro minaccia, i banchi ricoperti da scritte in matita, il più delle volte con suggerimenti per le verifiche, le tende un tempo arancioni e quell'inconfondibile profumo di libri.

“Ehilà” mi salutò lui, seduto al solito posto. Mi misi al suo fianco e spostai leggermente il banco, senza degnarlo di uno sguardo. “Mitchell, ho fatto qualcosa di male?”. Mi sfilai la giacca e l'appoggiai sullo schienale della sedia, per poi tirare fuori una biro dalla borsa. “E' per tua sorella, non è vero? Lo so che non avrei dovuto rimanere lì per tutto quel tempo ma..”.

“No, non è per mia sorella” lo interruppi, facendogli chiaramente capire che non avevo intenzione di continuare a parlare. Mi rivolse un'occhiata confusa e dispiaciuta, poi la professoressa fece il suo ingresso.

Bonjour! S'il vous plait, dividete i banchi, rapidement”. E così facemmo, con la stessa delicatezza di un branco di elefanti in una cristalleria. “Monsieur Longman, distribuisca. Avete une heure pour répondre a tutte le domande” annunciò poi, sedendosi dietro alla cattedra ed aprendo il giornale locale, che iniziò a leggere sorseggiando una tazza di caffè fumante, come al suo solito.

“Mitchell.. Pss!” fece Richie, con un fil di voce. Tentai di ignorarlo, ma la gomma che mi aveva appena lanciato mi costrinse a cedere.

“Cosa vuoi?” chiesi, spazientita.

“Ti prego, scrivimi su un foglietto la risposta alla 4..”.

“Non se ne parla proprio, usa il cervello, è la domanda più semplice del test” replicai io, tornando a rivolgere la mia attenzione al foglio, ma fallii nell'intento.

“E dai, Kayla.. Non la voglio un'altra insufficienza”.

: - Ma perché devo essere sempre così clemente? -.

“D'accordo, ma poi non mi interrompi per il resto della verif”.

“Sambora, Mitchell! Cosa ne dite de faire un giretto dans le couloir, mh?”.

“Professoressa no, io non”.

Rapide, fuori da qui” concluse, freddamente. Avrei voluto mettermi a urlare e a picchiare Richie proprio di fronte al suo naso. Lasciai la classe, seguita dal moro, e andai alla finestra di fronte all'aula.

“Non era mia intenzione..”.

“Ci mancherebbe altro” risposi io, scocciata. Una verifica annullata non era sicuramente il modo migliore per farci ottenere la promozione, anzi.

“Ora puoi dirmi cosa ti è successo da un momento all'altro?” continuò.

“Se proprio insisti allora te lo dico. La tua fidanzata mi ha minacciata, perché crede che io provi qualcosa per te, e lo dimostra il fatto che tu sia uscito da casa mia ieri sera. Michelle ti ha visto et voilà, ora un'intera squadra di cheerleaders mi odia e credono che sia successo chissà cosa tra noi due” spiegai, tutto d'un fiato. Richie rimase senza parole, stranamente.

“Non è possibile”.

“Invece sì, lo è. Il problema è che sei talmente accecato dall'amore e dai suoi pon pon pieni di brillantini, da non accorgerti del fatto che quella, caro il mio Sambora, è tutto fuorché una brava persona. E' una cheerleader” dissi io, tutto d'un fiato, senza nemmeno rendermi conto di stare puntando un indice contro il suo petto e di essermi avvicinata pericolosamente al suo viso. Feci un passo indietro, respirando profondamente e smettendo di fissarlo negli occhi. Probabilmente avevo appena fatto la figura di quella mentalmente instabile, ma non mi interessava, era tutta colpa sua se Katy ce l'aveva con me. Non doveva venire a casa mia e, cosa più importante, doveva studiare quella stupida lingua.

“Ancora pregiudizi, eh?” mormorò lui, scuotendo la testa, come se fosse rimasto deluso dalle mie parole.

“No, questi non sono pregiudizi, Richie. Mi ha minacciata, okay? Non me lo sono sognata” replicai, nervosa. Solo lui era in grado di darmi quella tranquillità che mi aveva spinta a raccontargli la mia storia, ma anche di farmi innervosire come una leonessa alla quale è stato tolto il proprio cucciolo.

“E' gelosa, anche tu faresti così se vedessi una ragazza uscire dalla casa del tuo fidanzato, no?” insistette, diminuendo sempre di più la distanza che ci divideva. Non mi importava se lui era molto più alto di me, non avrei abbassato lo sguardo né tanto meno mi sarei arresa.

“C'è modo e modo di affrontare la cosa. Io la mia idea su di lei non la cambio, per nessuna ragione al mondo. Probabilmente mi ricrederei se la vedessi mentre salva un delfino sulla riva. Finché si atteggia come se fosse l'ultima donna rimasta sulla terra, per me Katy è solo una delle tante spocchiose di questo istituto degenere”. Mi ritrovai con la schiena appoggiata al muro e, solo per un attimo, sussultai.

“Sbaglio o dicevi così anche di me? Eppure mi hai raccontato la tua triste storiella, dei tuoi genitori, di quello stupido regalo di compleanno e dei commoventi e toccanti episodi in cui tuo padre ti prendeva in braccio, no?”. Eccolo, eccolo quell'insopportabile nodo alla gola. Come poteva dirmi quelle cose? Come poteva dirmele con così tanta tranquillità, come se stesse recitando una poesia?

“Sei un idiota” conclusi, camminando velocemente verso il bagno delle ragazze. Mi accucciai in un angolo con le lacrime agli occhi, mentre i ricordi si impossessavano della mia mente e le parole di Richie rimbombavano nella mia testa. Era un idiota, solo un grandissimo idiota, a cui piaceva scherzare e prendersi gioco degli altri, sfruttando i loro punti deboli.

: - Al diavolo. Non dovevo arrendermi quando mi aveva detto che era colpa del mio orgoglio o del fatto che fossi prevenuta nei confronti degli atleti. E' un dato di fatto, da gente così non ci si può aspettare niente di buono. E questa ne è la conferma -.

“Kayla io.. Mi dispiace, non volevo dirti.. Quello che ho detto..” lo sentii sussurrare dalla porta. Non intendevo rispondergli. Non ci sarei cascata un'altra volta.

: - Non volevi che il rapporto sfociasse in amicizia, no? Ecco fatto, ora sarai sicura che non succederà mai. Guarda sempre il bicchiere mezzo pieno -. “Kayla.. Avanti, vieni fuori..”. Dopo svariati tentativi, sentii il suono dei suoi passi mentre si allontanava. Tirai un sospiro e rimasi lì, aspettando che la campanella suonasse.

 

Uscita da scuola, decisi che non avrei aspettato né Alec né Hilary. Non avevo voglia di parlare con nessuno e soltanto l'idea di dover tenere un minimo di conversazione con Maya mi infastidiva. Con le mani in tasca, cominciai a camminare verso casa mia. Era stata una giornataccia che non avrei mai e poi mai voluto ripetere.

“Mitchell”.

: - No, stavolta non intendo proprio parlargli -.

“Mitchell, puoi rallentare?”.

: - No, no che non rallento. Se vuoi dirmi qualcosa, acceleri e apri la bocca -.

“Mitchell, e dai..”. Richie fece una piccola corsa, per poi stare al mio fianco. Continuai a fissare il marciapiede e finsi di non avere alla mia sinistra un ragazzo, bensì un moscerino fastidioso. “Senti, ho parlato con la professoressa di francese”.

: - Fammi indovinare, ti ha mandato a quel paese e ripeteremo l'anno -.

“Ha detto che se domani facciamo quella famosa presentazione con tanto di piatto tipico, ci darà l'opportunità di recuperare il compito”. Mi fermai di scatto e Richie, per fare lo stesso, rischiò quasi di scivolare sul ghiaccio e rompersi un osso.

“L'hai forse minacciata di morte per convincerla?” chiesi, stupita.

“No, è merito del mio fascino" rispose gongolante, poi tornò serio, capendo che non ero dell'umore giusto per le battute. "E poi ho spiegato la spiegazione completamente in francese.. Dicendo che non è stata colpa tua e che non era giusto punire anche te”.

: - Ricordati di non lasciarti imbrogliare dall'apparenza, Kayla. Tieni bene a mente quello che ti ha detto in corridoio -.

“Ti ringrazio. Beh, ora dobbiamo andare in biblioteca, prendere un libro di ricette e cucinare” dissi, sospirando. Avevo apprezzato quel gesto, ma non ero il tipo di persona che dimenticava facilmente.

“Va benissimo. Andiamo allora”. Per tutta la camminata, rimanemmo in silenzio. Spesso e volentieri Richie prendeva fiato per dire qualcosa, poi percepiva la mia aria piuttosto distaccata e lasciava perdere. Finalmente giungemmo nella biblioteca. Non era molto grande, ma c'erano numerosi libri, anche rari e difficili da trovare nelle librerie.

“Dividiamoci. Tu vai a sinistra ed io a destra” annunciò poi, convinto.

“Richie, a destra ci sono i libri di fantascienza. Cosa speravi di trovare là?” domandai, inarcando un sopracciglio.

“Ah. Beh, magari un libro su qualche astronauta francese?”.

: - No, non puoi ridere o dargli corda, sei arrabbiata, ricordatelo -.

Scossi le spalle ed iniziai a leggere i titoli di alcuni volumi su un ripiano. “Eccolo qui. Consigli e ricette sulla cucina francese” dissi, estraendo il libro appena nominato.

“Fammi dare un'occhiata..” mormorò lui, accostandosi a me e guardando le pagine che stavo sfogliando. “Direi che è perfetto”.

“Concordo.. Forza, andiamo a segnare il nostro nome e usciamo” conclusi, per poi avvicinarmi al bancone dietro il quale c'era la bibliotecaria, una donna pressoché sorda. “Signora Steen, vorremmo prendere questo libro”.

“Incendiano un ulivo?” chiese, spalancando gli occhi, terrorizzata. “Nella mia biblioteca??”.

“No, no” mi affrettai a dire, per poi alzare la voce e dare una gomitata a Richie che se la rideva della grossa. “Vorremmo questo libro” ripetei, stavolta scandendo per bene le parole.

“Oh, ma certo cara!” esclamò, per poi prendere una tessera, timbrarla e porgermela. “Buona giornata!” strillò ancora. Credevo che fosse l'unica bibliotecaria a fare confusione in un luogo in cui si esigeva il silenzio più assoluto.

“Come accidenti ha fatto a capire 'incendiano un ulivo'?” domandò Richie, con una mano sulla stomaco ormai dolorante, a furia di ridere. Purtroppo non riuscii a trattenermi e sghignazzai anche io.

“Lasciamo perdere.. Coraggio, la cucina francese ci aspetta”.

“Ah, a questo proposito.. I miei genitori sono andati a trovare dei parenti e torneranno domattina. Se mi prometti di sistemare tutta la confusione che faremo in cucina, potremmo andare da me..”. Presi in considerazione circa mille pro e mille contro nell'arco di qualche istante. In effetti sarebbe stato piuttosto imbarazzante se mia sorella fosse tornata e mi avesse vista con Richie in circolazione. Ma..

“E se passa Katy? O qualche sua amica?” domandai poi. Sinceramente era l'ultima cosa che avrei voluto.

“Sono tutte andate a casa di Gwen per un pigiama party. Quindi non ci sono problemi di questo genere, oggi” rispose prontamente.

: - Mi arrendo -.

“D'accordo allora..” dissi infine, seguendolo.

“Non meriti di subire trattamenti stupidi ed insensati da parte mia, Kayla. E non sai quanto me ne penta di aver detto quelle cose stamattina, ma sentir parlare male di Katy.. Lei per me è speciale, molto. Non mi interessa quello che pensa la stragrande maggioranza della scuola, con me è una persona meravigliosa. Però non voglio rovinare quella tregua che ero riuscito ad ottenere tra noi due. Spero che tu possa perdonarmi. Sappi che sarei disposto a scrivere un romanzo in francese, se ti facesse sorridere”. Si scatenò una lotta, dentro di me, una sanguinosa guerra tra il mio orgoglio e quella poca fiducia nel prossimo che ogni tanto si faceva vedere. “Chiedo solo una seconda chance.. S'il vous plait”.

“Va bene. Ma se proprio vuoi ferirmi.. Prendimi in giro, fai quello che vuoi.. Ma no, non tirare fuori la mia storia” aggiunsi.

“Se potessi prendermi a martellate in testa lo farei. Non ti farò mai più una cosa simile Mitchell, te lo giuro. E non ho motivi per ferirti.. A dir la verità, nemmeno oggi ce li avevo”.

“Beh, siamo pari, no? Anche io ti ho trattato male per un'intera giornata e ci mancava poco che non ti aggredissi” osservai, tentando di smorzare quell'atmosfera cupa con un sorriso, immediatamente ricambiato dal mio interlocutore.

“Mi piaci, Mitchell” aggiunse, annuendo.

“Grazie, Sambora”.

“Siamo arrivati, comunque. Quella è casa mia”. Indicò una delle tante villette di quel paesino. Si assomigliavano un po' tutte, vuoi per il giardino, vuoi per la forma, vuoi per i colori e per i paletti di legno, rigorosamente bianchi. Dopo aver aperto la porta e varcato la soglia, mi guardai attorno. C'era un lungo tappeto rosso, a terra, che percorreva tutto il corridoio, sul quale si affacciavano cucina, soggiorno, bagno ed un'altra stanza, accanto alla scalinata di legno, che conduceva sicuramente alle camere da letto. “Qui c'è la cucina.. Ovvero il luogo che distruggeremo” spiegò, ridacchiando e mostrandomi una stanza arredata con mobili di un legno chiaro, al centro della quale c'era un tavolo rettangolare, con sei sedie attorno. Appoggiammo gli zaini su due di esse e cominciammo a guardare le ricette.

“C'è l'imbarazzo della scelta..” commentai, dopo una decina di minuti.

“Ehi, leggi qui! Clafoutis alle ciliegie. Non sembrano difficili da preparare e dalla foto sembra buono!” esclamò. Dovevo ammettere che mi stava venendo l'acquolina in bocca.

“Ci servono 250 grammi di ciliegie, 3 uova, 60 grammi di zucchero, 300 millilitri di latte, 100 grammi di farina, rum e dello zucchero a velo. Abbiamo tutto?”. Richie aprì il frigorifero ed un armadietto, estraendo tutti gli ingredienti appena pronunciati.

“Sì. Mettiamoci all'opera!”.

“Prima di tutto abbiamo bisogno che le ciliegie siano denocciolate. A te l'onore, Sambora. Io penso al composto” dissi poi, tirandomi su le maniche e recuperando una ciotola di plastica.

“Agli ordini capo!”. Nell'arco di quindici minuti, il composto era pronto da mettere negli stampini, ciliegie incluse. Richie, dopo essersi premurato di rovesciare a terra le rimanenti uova e scivolare, aprì il forno. “Dammi, ci penso io”.

“Ah, non ti azzardare a prendere questo vassoio! Inforno io, tu vai a pulire il pavimento, hai già fatto abbastanza guai. E tira fuori i libri, non intendo suggerirti proprio nulla domani” replicai, divertita.

“Vostro onore, chiedo una pausa!”.

“Respinta. Muoviti” insistetti, facendogli la linguaccia, per poi raggiungerlo in soggiorno. 

 

Nota dell'autrice:

Salve popolo bonjoviano! Eccoci con il terzo capitolo! 

Come al solito ringrazio Valentina, Ilaria, Marzia, Diletta e Chiara (spero che stia passando delle buone vacanze ;) ).

Ringrazio Diletta (Lady Phoenix) , DadaOttantotto e CarrieLaRocker  per le bellissime recensioni che mi hanno lasciato <3

Poi le persone che seguono questa storia, alias:

_BrianneSixx

_DadaOttantotto

_DodoBJ 

_Fra_Rose

_GiadiX_McKagan

_GioTanner

_Lady Phoenix


E le tre che l'hanno inserita tra le preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

 

Bon, spero di non aver dimenticato nessuno.. Ci leggiamo presto ;)

 

Rosie

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Capitolo 5
*** Adieu ou au revoir? ***


“Sei sicura che sia giusta questa espressione? E' cacofonica”.

“Richie, hai rovesciato a terra il dolce e siamo usciti due volte per comprare altre uova. Se fiati ancora, giuro che ti uccido, e non scherzo”. Che ore erano? Le 6 e qualcosa, forse le 7. Eravamo ancora lì, in quel soggiorno le cui pareti, ormai, mi stavano dando la nausea. Eravamo ancora lì, di fronte a due libri le cui parole non sarebbero entrate in testa a Richie nemmeno se gliele avesse ripetute Jimi Hendrix in persona. Quanto meno il fantasma.

Fatto sta che la mia pazienza si stava esaurendo neanche poi tanto lentamente. Il fatto che avesse tirato fuori una teglia dal forno senza guanti la diceva lunga sulla sua furbizia. Come se non bastasse, oltre che produrre un grido paragonabile a quello di una cantante lirica, aveva lasciato cadere tutte le tortine preparate che, se fossero state in grado di parlare, l'avrebbero insultato e avrebbero confermato la mia teoria: Richard Stephen Sambora era un caso non disperato, di più.

“Mi arrendo, hai ragione tu”.

: - E' ovvio che ho ragione, non mi invento le regole di grammatica, io -.

Il timer del forno richiamò l'attenzione di entrambi. Richie fece per alzarsi, quando lo incenerii con lo sguardo.

“Non ti azzardare ad avvicinarti al dolce. Se ci ritrovassimo a dover ripreparare quei cosi, andrei in escandescenze”. Ridacchiò.

“Mamma mia, come sei suscettibile, Mitchell” commentò, piegando le labbra in un sorriso offeso. Feci spallucce e varcai la soglia della cucina, aprendo il forno con le presine ed estraendo la teglia fumante. C'era un profumo delizioso, che non tardò ad insinuarsi nelle mie narici e a stimolare il mio appetito. “Ce l'abbiamo fatta, Sambora. Se la professoressa non ci dà almeno una B, è cattiveria pura”.

“Modestamente.. Come tolgo io i noccioli alle ciliegie, non lo fa nessuno” commentò dalla sala, provocandomi un sorriso appena accennato. Poggiato il vassoio sul mobile, sopra ad un cerchietto di silicone a posta per non rovinare il legno sottostante, tornai da Richie, che aveva appena chiuso la cartella, liberando il tavolo.

“Abbiamo finito di cacciarti invano delle informazioni nel cervello?” domandai, arcuando le sopracciglia.

“Direi di sì. Al massimo ti telefonerò nel cuore della notte per chiederti ulteriori chiarimenti”. Chissà perché una parte di me sapeva che ne sarebbe stato perfettamente in grado.

“Tanto risponderebbe Maya e ti urlerebbe dietro in dieci lingue differenti. Io da addormentata non sentirei nemmeno un carro armato” risposi, mentre mi dirigevo verso l'entrata ed indossavo la mia morbida giacca nera. “Ricordati di portare a scuola il dolce, chiaro?”.

“Signorsì signora. Inoltre so a memoria tutto quello che riguarda Lim.. Limo.. Com'è che si chiama la regione in cui hanno inventato il clafoutis?”.

: - Andiamo bene -.

“Limousin, Richie. Come la macchina lunga che porta in giro i personaggi famosi”.

“Esattamente. Non te ne pentirai!” esclamò sicuro di sé, mentre girava la maniglia della porta. “Posso fare il gentiluomo e accompagnarti fino a casa?”.

“Per chi mi hai presa, Sambora? Sono perfettamente in grado di badare a me stessa. Dopo averti insegnato la contemporaneità, sono in grado di fare qualsiasi cosa”. Ma mentre pronunciavo inutilmente quelle parole e il signorino sogghignava, mi ritrovai di fianco ad un Richie in giacca di jeans e mani in tasca. Ancora mi domandavo per quale arcano motivo sprecassi inutilmente aria per parlare. Non serviva, era cocciuto come un mulo.

“In tutto ciò, non mi hai ancora fatto sentire come suoni la chitarra” osservò, seguendomi.

“Non ti perdi nulla, fidati”.

“Anche io strimpello, a dir la verità” mi rivelò, facendomi spalancare gli occhi. Vista la mia espressione, mi rivolse un sorriso divertito e aggiunse “Non lo sa praticamente nessuno. Per quelli a scuola ormai sono solo quello bravo a basket. Dopo essere stato etichettato così, sarebbe difficile diventare il musicista misterioso e magari che prova addirittura sentimenti”.

 Quel discorso, apparentemente superficiale, mi mostrò un altro lato di Richie, quello di un ragazzo leggermente differente dalla massa. Quello di un ragazzo che era in qualche modo incatenato all'immagine con cui si era presentato, magari erroneamente.

“Se quelli sono veramente tuoi amici, dovrebbero chiudere un occhio e accettarti come sei, no?”.

Se. Un grande, immenso, gigantesco, abnorme, sproporzionato 'se'. Mitchell, entrambi sappiamo come funzionano le gerarchie di questa scuola. L'egoismo è l'unica cosa che conta realmente, come l'apparire. Ti aspetti sul serio che i miei compagni di squadra o la mia fidanzata accetterebbero di buon grado il fatto che scrivo canzoni e salto sul letto ascoltando i Beatles o gli Stones o i Deep Purple?”.

“Mi sfugge un particolare, francamente” dissi io, dopo aver assimilato bene le sue parole. “Tu da che parte vuoi stare, Sambora? Da quella in cui l'egoismo e l'apparenza sono sovrani, o quella in cui puoi essere libero e.. Diverso?”. Rimase in silenzio, esitante. A dire il vero me l'aspettavo. Approfittando di questa sua insolita mancanza di parole, continuai :"Io non mi sono mai preoccupata di quel che la gente pensa di me. Suono la chitarra, ascolto musica rock vietata alle ragazzine per bene, mi piace scrivere anziché uscire il sabato sera. Ho due migliori amici e, pensa un po', sono felice esattamente come sono. Sarà che sono pigra, e quindi mai e poi mai mi sforzerei di cambiare per piacere a qualcuno. Sarà che non sopporterei l'idea di dire addio alle mie felpe e ai miei jeans e indossare magliette aderenti e gonnelline con le balze. Comunque sia, rinnovo la mia domanda: da che parte vuoi stare, tu?". Tra l'altro mi resi conto che eravamo anche arrivati di fronte a casa mia.

“In realt”.

“Aspetta, non rispondere. Pensaci un po'. Non sono io la persona a cui devi dimostrare cosa ti importa realmente. Sono solo la vicina di banco che ti insegna il francese, dopotutto”. Gli riservai un sorriso spontaneo e gli feci l'occhiolino. “Buona serata, Richie”.

“Anche a te, Kayla” concluse lui, facendo dietro front e camminando, con gli occhi fissi sul marciapiede.

 

 

Due mesi. Erano passati due, lunghi, interminabili mesi, nei quali il signorino Sambora era riuscito a conquistare la bellezza di tre B +. Ero fiera di me stessa e lui pieno di lividi sulle braccia.

Il suo atteggiamento in pubblico non era cambiato molto dalla conversazione avvenuta in quella famosa sera che aveva preceduto la presentazione. Con me, invece, si era aperto parecchio, raccontandomi qualsiasi particolare della sua infanzia. In parte perché entrambi stavamo conquistando la fiducia l'uno dell'altra, in parte perché, durante i nostri incontri pressoché giornalieri, avrebbe parlato di qualsiasi cosa pur di prendersi una pausa dal francese.

“Ciao Paul, ci vediamo domani”. Salutai il mio collega, un ragazzo che aveva iniziato a lavorare nel negozio di musica lo stesso giorno in cui avevo cominciato io. Per via delle ripetizioni con Richie, avevo scongiurato il mio capo di spostare il mio turno il più tardi possibile, perciò mi ero ritrovata ad iniziare alle 5 del pomeriggio e finire alle 8 e mezza, uscendo ogni giorno con una fame da lupi.

“Stai attenta Kayla, mi raccomando” disse lui.

“Un po' di buio non ha mai ucciso nessuno. E poi è Woodbridge, non succede mai nulla qui” replicai, divertita.

“Lo dicevano anche i protagonisti di svariati gialli” confermò, annuendo con convinzione. Non sapevo se ridere o piangere. Nel dubbio feci un sorrisetto sghembo.

“Buona serata!” conclusi, aprendo la porta di vetro e chiudendola alle mie spalle, facendo inevitabilmente suonare la campanellina appesa allo stipite. Ancora non mi era chiara la sua utilità, ma vabbè.

Raggiunto il marciapiede opposto al negozio, imboccai quella stradina priva di lampioni, nella quale si poteva vedere solo grazie ad una luce ad intermittenza, appartenente alla scritta 'BAR', di un vecchio locale chiuso un paio di anni addietro.

“Mitchell, buonasera”. Mi voltai di scatto, mentre il mio cuore aveva perso un battito. Quella voce femminile la conoscevo fin troppo bene. Come volevasi dimostrare, ecco che vidi avanzare Katy, in tutto il suo splendore, con indosso una giacchetta bianca, fin troppo leggera per l'acquazzone che si era interrotto da poco. I suoi occhi da gatta mi scrutavano. Finsi di non aver sentito e tornai indietro. Avrei preso un'altra strada per tornare a casa, avrei tagliato per il parco e..

“No, non così in fretta”. Stavolta la voce apparteneva a Michelle, braccio destro di quella che, ormai, era la protagonista dei miei incubi. Anche lei aveva cominciato ad osservarmi divertita, con quelle iridi color ghiaccio. Spostato lo sguardo alla mia sinistra e poi alla mia destra, realizzai di essere circondata. Allora mi concentrai solo ed esclusivamente sul viso di Katy, mentre sentivo il sangue pulsare nelle orecchie e la mia gola si faceva improvvisamente secca.

“Che cosa vuoi da me?” chiesi poi, recuperando quel minimo di coraggio che avevo, nato da una piccola arrogante parte di me, che avrebbe voluto prendere il sopravvento e difendermi. Il problema era che, purtroppo, il timore stava combattendo contro l'ardore.

E quest'ultimo avrebbe sicuramente perso.

“Non ti è servito il nostro breve incontro fuori da scuola, un paio di mesetti fa. Continui a vederti con Richie.. Ci esci insieme, a volte pranzate fuori”. Fece schioccare la sua lingua contro il palato, come a dire 'No, non ci siamo'.

“Non è colpa mia se ha bisogno di aiuto a scuola” replicai, balbettando. Balbettando. La mia reazione fece scoppiare a ridere tutti i presenti. Quante erano? Dieci? Dodici?

Quante probabilità avevo di uscirne illesa?

“Taci. Ha la media della B, ora. Non c'è più bisogno di te”. Alzata la voce, il mio cuore rallentò ancora, per poi riprendere velocità e raggiungere quella di una macchina sportiva.

“Perfetto allora. Se non c'è più bisogno di me, allora posso..”.

“Andare?” mi interruppe, precedendomi.

Ancora la lingua contro il palato.

Ancora quell'insopportabile pulsare nelle orecchie, che mi sembravano tappate. “E' vero, non c'è più bisogno di te. Ma vogliamo che tu possa ricordartelo bene” mormorò. Il cerchio attorno a me si strinse, impedendomi di sfondarlo con una gomitata. Se anche ci fossi riuscita, le mie gambe stavano tremando troppo per permettermi di correre e non venire raggiunta. Perciò chiusi gli occhi, pregando che tutto finisse presto.

 

Kayla? Kayla?”.

Una voce ovattata mi riportò alla realtà e sobbalzai riaprendo gli occhi, anzi, spalancandoli, come se avessi appena sognato di cadere da un'altissima montagna. Alla mia destra c'era Hilary e, seduto sul fondo del letto, Alec. Ero sicura che quella non fosse camera mia, né quella di mia sorella, né della mia migliore amica, né tanto meno quella di Alec. C'era decisamente troppo ordine per essere la sua.

“Che ti è successo?” chiese la voce femminile. Strizzai gli occhi e mi passai una mano sulla fronte, ritraendola immediatamente. Faceva male, e tanto.

“Prima potrei sapere dove sono?”.

“In ospedale. Ora dicci che cosa è successo” rispose il ragazzo, insistendo.

“Katy.. Katy e quelle amichette del cavolo” mugugnai, facendo un lungo respiro, interrotto da una fitta al fianco. “Mi sono rotta qualcosa?”.

“Una caviglia, quasi una costola e tagliata la fronte. Ci sono due punti, meglio che non la tocchi..” mi spiegò Hilary, come se avesse studiato a memoria la mia cartella clinica, mentre Alec assumeva un'espressione arrabbiata.

“Ma che cosa le è saltato in mente? Bisogna denunciarla, anzi no, la dobbiamo fare fuori. Come si è permessa di”.

“Alec, calmati, ti prego, mi sta scoppiando la testa” mi lamentai, riabbassando le palpebre ed appoggiando la testa al cuscino. Nell'esatto momento in cui chiusi gli occhi, mi tornarono alla mente mille flash di quell'incontro nella stradina buia, perciò dovetti riaprirli, perché non avevo la minima voglia di ricordarmi tutti gli eventi di quella serata. “Maya è già stata avvisata?”.

“E' stata la prima a venire qui, ora è scesa al bar per prendere un caffè” mi spiegò la mia migliore amica, rivolgendomi un sorriso che riuscì a tranquillizzarmi, più o meno.

“Potete andarla a chiamare? Così se mi vede viva e vegeta potete tornare a casa tutti e tre.. Che ore sono?”.

“Le dieci” rispose Alec, apparentemente più calmo.

Dieci? Caspita, ero rimasta senza sensi per parecchio allora..

“Dacci un minuto e torniamo con tua sorella. Vuoi che ti portiamo qualcosa?” domandò Hilary, dopo essersi alzata dalla bianca seggiola di plastica.

“Nulla, sto 'bene' così”. Entrambi annuirono, non molto convinti, e lasciarono la stanza.

: - Appena torno Paul mi urlerà 'Te l'avevo detto!', me lo sento -.

E tutto quello era successo perché io, semplice plebea, non avevo l'autorizzazione ad affezionarmi ad una persona come Richie.

Richie.

Il suo nome riecheggiò nella mia testa, aumentando il dolore alle tempie. Dovevo starmene zitta come mi ero ripromessa di fare due mesi prima. Dovevo continuare a pensare alle parole dette dopo essere stati cacciati dalla classe, così mi sarei convinta che era una persona per la quale non valeva la pena lottare nemmeno un istante. E invece no, con la sua simpatia genuina non ero riuscita a reggere più di un giorno, e gli avevo raccontato la mia storia, confessato i miei timori, fatto leggere i testi delle mie canzoni, permesso di affezionarmi a lui. A lui, alla persona che, se non fosse stato per la sua collezione di insufficienze, avrei continuato a non sopportare per un'antipatia di quelle inspiegabili.. A pelle.

Alla stessa persona che aveva appena varcato la soglia, con un pacchetto di cioccolatini in mano.

“Buonasera..”.

“Che cosa ci fai qui?”.

“Maya mi ha detto che eri finita in ospedale. Ha fatto bene, altrimenti l'avrei saputo al tuo ritorno a scuola” rispose, sedendosi di fronte a me, dopo aver appoggiato i dolcetti, ricoperti da una carta dorata, sul comodino verde acqua accanto a me. “Allora.. Caduta dalle scale? Scivolata sul ghiaccio? Picchiato un altro ragazzo che era negato a scuola? Oh no, aspetta: inseguivi un ragazzo negato a scuola su delle scale ricoperte di ghiaccio”. Il suo tono di voce era saturo di sarcasmo. In altre circostanza probabilmente avrei anche apprezzato questo suo disperato tentativo di farmi sorridere, o quanto meno di alleggerire le mie preoccupazioni, dimezzandone il peso e prendendo quella metà sulle sue spalle, come era solito fare.

“No, non ha nulla a che fare con questo”. Sospirai. “La verità è che.. Richie, tu ormai hai un'ottima media, perciò non ti servo più per studiare francese”.

“Cosa c'entra? Io voglio sapere per quale motivo sei finita in ospedale”.

“Quindi da domani potresti anche provare a continuare per conto tuo” proseguii io, come se non avessi sentito la sua richiesta.

“Kayla, dimmi cosa ti è successo, ora”.

“Sono sicura che la professoressa sarà obbligata a promuoverti, se vai avanti di questo passo”.

“Kayla, dannazione, spiegami cosa ti è capitato!” esclamò, facendomi sussultare tanto era stato alto il suo tono di voce. Nell'arco di un paio di secondi, entrò l'infermiera, la cui attenzione era stata inevitabilmente attirata dall'urlo di Richie.

“Mi scusi, l'orario delle visite è terminato, la invito a lasciare la stanza”.

“Kayla, dimmi cos'è successo!” insistette, mentre la donna cercava di spintonarlo fuori dalla stanza. Io rimasi in silenzio, con le lacrime agli occhi. Mi sarebbe mancato, mi sarebbe mancato eccome. Però non avevo intenzione di essere uccisa solo perché tenevo a lui. E, di quel passo, Katy sarebbe perfettamente stata in grado di rivoltargli contro anche i suoi compagni di squadra. E non potevo permettere che anche lui venisse conciato in quella maniera. “Ditemi cose le avete fatto!”. Fu l'ultima frase che sentii, poi la porta bianca venne chiusa e tornò il silenzio.

 


Nota dell'autrice:

Vi prego, non uccidetemi per questo capitolo tutto fuorché allegro, era necessario per lo svolgimento degli eventi e *evita dei coltelli affilati* sì, me ne sto zitta e lascio commentare voi ç_ç

Ringrazio di cuore le persone che hanno recensito i precedenti capitoli, alias:

_Lady Phoenix 

_CarrieLaRocker

_DadaOttantotto

_GioTanner


Coloro che hanno inserito 'French kiss' tra le seguite:

_BrianneSixx

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_GiadiX_McKagan

_GioTanner

_Lady Phoenix


E quelli che l'hanno inserita tra le preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ


E non dimentichiamoci Valentina (Vava_95) che mi manderà a quel paese a furia di leggere quello che pubblico, l'altra Valentina, non iscritta su EFP, alla quale dovrei decisamente costruire una statua siccome legge ogni capitolo con tanta pazienza (:*), Ilaria (la nostra Hilary), Marzia (la detective-sorella premurosa - non come nella realtà! - Maya), Diletta (altra futura martire) e Chiara, che spero di sentire presto :)

 

Beh, non ho altro da aggiungere, alla prossima!


Rosie

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Capitolo 6
*** Noir ***


Dopo una settimana di riposo, avevo tutto tranne che la voglia di tornare a scuola. La nausea mi perseguitava e avrei trovato qualsiasi sintomo pur di non rivedere quelle persone.

"Te la senti di andare oggi?" domandò Maya, dopo aver varcato la soglia della mia stanza, trovandomi seduta sul letto, con la schiena contro la spalliera.

Me la sentivo? Non riuscivo nemmeno a capirmi a dir la verità. "Perché devi dirmi se devo mandare via il ragazzo che è seduto sul divano, se decidi di riposare". Smisi di respirare per un secondo e squadrai mia sorella, per capire se stesse parlando seriamente o se stesse scherzando. Era seria. Però.. Però non poteva essere lui. Avevo sapientemente evitato ogni telefonata e chiesto esplicitamente ad Hilary e ad Alec di non riferirgli nulla, né della mia salute né di quanto mi era accaduto.

"Alec?".

"Richie" mi corresse, con le braccia incrociate al petto ed un indecifrabile espressione sul volto. "Allora?" insistette, come se la sua vita dipendesse dalla mia risposta.

: - Allora, mi chiedi? Allora non è capace a cogliere i segnali, il ragazzo. Per quale cavolo di motivo non mi lasci in pace, Sambora? -.

"Dammi un minuto per vestirmi e scendo" dissi poi, sospirando. La ragazza annuì e scese le scale, lasciandomi in balia del silenzio, che non avrei sfruttato per pensare, perché preparare discorsi che poi non mi sarei ricordata era inutile. Mi misi a canticchiare il ritornello di Spirit in the Night di Bruce Springsteen mentre, con le stampelle, mi spostavo di fronte all'armadio.

: - Tanto la verità non gliela dico -.

Maglia con scollo a V, color panna, con il disegno di un ciliegio in fiore.

: - Devono passare sul mio cadavere per farmi parlare -.

Jeans strappati sul ginocchio.

: - Lui stesso mi ha detto che Katy con lui è meravigliosa, no? Ecco, quindi non vedo per quale motivo dovrebbero litigare per colpa mia -.

Sul piede sano indossai una semplice scarpa da ginnastica nera e lanciai un'occhiata allo specchio, mentre tentavo di pettinare i miei innumerevoli ricci.

: - Seria, diretta, decisa. Puoi farcela. Fai finta che sia il professore di storia -.

Uscii, per niente convinta di me stessa. Diciamo che l'autostima ed io vivevamo su due pianeti nettamente differenti. Varcata la soglia del soggiorno, vidi Richie alzarsi di scatto. Una settimana senza i suoi allegri e comprensivi occhi color cioccolato, i lunghi capelli castani e quella frangetta che dava un'aria ancor più furba ed infantile a quel viso di per sé libero da qualunque tipo di difetto.

"Kayla". Non dissi nulla e mi limitai a guardarlo nuovamente. "Tu non rispondi alle mie telefonate, Hilary non mi vuole parlare ed io mi sento come se avessi la lebbra o qualche malattia contagiosa" puntò gli occhi nei miei e si avvicinò, proseguendo. "La mattina dopo il tuo ricovero è scoppiato il putiferio ed è intervenuto il preside a dividere Alec e Katy. Perciò, dato che la mia ragazza non mi spiega nulla e dice semplicemente che lui è impazzito, ora vorrei che tu mi raccontassi che nesso c'è con lei, perché comincio a non capirci veramente nulla".

No, non sapevo come reagire, come comportarmi, cosa dirgli. Parlare era così semplice, di solito. Eppure in quel momento mi sarebbe costato uno sforzo abnorme, che non me la sentivo di compiere.

"Richie, se io ti dicessi tutto quello che è successo..".

: - Kayla, non hai appena detto che non avresti fatto nulla di simile? -.

"Togli quel se, Mitchell. Io mi sto tormentando da una settimana, i miei hanno già preso in considerazione l'idea di chiamare un bravo psichiatra". Gli feci segno di non interrompermi, portandomi l'indice sulle labbra.

"Ne va anche della tua salute, non solamente della mia. Perciò, per favore, non insistere. Ti chiedo solo questa cortesia, perché non vuoi sentire veramente quello che è successo. Io preferirei che tu ora lasciassi questa casa e andassi a scuola, sarebbe meglio per entrambi e tanto non ci perdi nulla, no? Non sono la persona più simpatica sulla faccia della terra e non sono nemmeno famosa, o ricca. Fingi che tu non abbia mai avuto nessun problema e che la professoressa non ti abbia affibbiato una rompiscatole, d'accordo?". Si portò una mano sulla fronte e sbuffò, per poi guardare il soffitto e riportare lo sguardo sul mio viso, assumendo un'espressione seria e dispiaciuta.

: - Di piangere non se ne parla. Non fare la femminuccia eh -.

"Io.. Io non so davvero come spiegartelo”. Si stava arrabbiando, eccome se si stava arrabbiando. Ecco gli occhi divenuti improvvisamente cupi, le gote leggermente arrossate, le sopracciglia abbassate, che gli davano un'aria innervosita e al contempo turbata. “Sei.. Sei la mia migliore amica, dannazione. Nemmeno pensavo di potertelo dire, ma è così e voglio proteggerti, ma non posso se non so da chi o da cosa". A sentire quelle parole credetti di stare sognando.

: - Ci faccio una figuraccia se mi do un pizzicotto nel bel mezzo della conversazione? -.

Come potevo essere la migliore amica del ragazzo che dovevo allontanare per il bene di entrambi? Era un po' incoerente come cosa. Un po' tanto incoerente.

Vedendomi avvampare, perché ero certa di essere arrossita, abbassò gli occhi. "Facciamo che.. Che me lo dici quando te la senti, va bene?". Annuii leggermente. "Posso avere l'onore di portare il tuo zaino ed accompagnarti a scuola?" propose poi, indicando la cartella che era rimasta accanto al camino dalla settimana precedente. Nello stesso istante pensai che, se non fosse stato per lui, molto probabilmente avrei deciso di restarmene a letto per un'altra giornata.

"Richie io credo che..".

"Non ti preoccupare, riesco a portarli i libri. Insomma, hai visto che muscoli ho?" domandò, mostrandomi il braccio sinistro e facendomi scoppiare a ridere, allontanando definitivamente quella tensione che si era creata. Non avremmo dovuto uscire insieme e sapevo di stare facendo una mossa sbagliata per entrambi, concedendomi quel piccolo pezzetto di felicità. Però se da una parte temevo di essere vista dalle cheerleaders, dall'altra ero terrorizzata dall'idea di fare a meno di Richie. “Anzi..”. Gli occhi gli si illuminarono e si guardò attorno. “C'è tua sorella?” sussurrò, avvicinandosi a me. Mi faceva paura.

Sì.. Ma perc”. Senza lasciarmi concludere la domanda, il ragazzo moro mi prese in braccio, stampelle incluse, ed uscì, chiudendosi la porta alle spalle. “Richie, la cartella!” esclamai, per poi incrociare il suo sguardo e il suo sorrisetto sghembo. Forse avevo capito.. “Non stiamo andando a scuola, giusto?”.

Indovinato!”.

: - Angelo custode, sarebbe arrivato il momento di vegliare su di me molto più di quanto tu abbia fatto fino ad ora -.

E dove allora?” domandai, con le braccia attorno al suo collo come una novella sposina. A dire il vero cominciava ad essere imbarazzante la situazione, ma avevo scarse probabilità di essere ascoltata se gli avessi detto che ero capace di muovermi con le stampelle.  

"Davvero ti aspetti che te lo dica?". Giusto, quesito stupido. 

"Nemmeno un indizio?".

"Fai silenzio, Mitchell" replicò, ironicamente. Dopo aver camminato per, beh, dopo essere stata trasportata per quindici minuti, Richie mi passò una bandana rossa, appena estratta dalla tasca del jeans. "Mettila sugli occhi, è vietato vedere dove stiamo andando".

"Ma dai Sambora, quanti anni pensi che io abbia? Sono capace a tenere gli occhi chiusi se me lo chiedi".

"La smetti di contraddirmi? Obbedisci, donna!". Ridacchiai e, arrendendomi come al solito, lo accontentai. "Bene. Ora abbia pazienza, tra cinque minuti ci siamo. E non vale sbirciare eh. Ti tengo d'occhio, Mitchell". Sbuffai, senza riuscire a rimuovere il sorriso dalle labbra. Finalmente i miei piedi, quanto meno quello sano, toccarono nuovamente terra. Richie mi tolse la benda dagli occhi e mi ritrovai nel bel mezzo di un parco, con un'enorme distesa innevata che sembrava zucchero a velo, finito per sbaglio anche sulle foglie degli alberi. "Voltati" mi suggerì, indicando un laghetto ghiacciato, dall'altra parte del quale c'erano quattro tavoli da pic-nic, sempre occupati nella stagione primaverile. "Che ne dici di andare là?" propose, sorridendo. Annuii appena e raggiungemmo uno dei tavoli. Dopo avermi aiutata a sedermi, come se mi fossi rotta tutte e duecento e passa le ossa, Rich si mise di fronte a me, sfregandosi le mani, mentre il suo respiro diventava una nuvoletta bianca. Sicuramente stava aspettando che io accennassi a quell'argomento, ma feci finta di non intuire questo suo desiderio, continuando a rimanere in religioso silenzio e sperando in un colpo di scena, tipo la comparsa di uno scoiattolo o di un cervo. "La professoressa Meunier, dopo mille e mille sforzi, è riuscita ad ottenere il permesso dal preside per il viaggio a Parigi.. Te la sentiresti di venire?". 

: - Tre giorni lontana da gente che mi odia e che mi vorrebbe morta, nella città dell'amore e in quella che ho sempre voluto visitare? Assolutamente sì -.

"Quando è prevista la partenza?".

"Settimana prossima" rispose, prendendo una busta dalla tasca interna della giacca. "La streg cioè la prof mi ha chiesto se potevo darti l'autorizzazione da compilare. Verrai, vero? Io non me la sento di girare in un posto in cui al massimo sarò in grado di chiedere 'come stai?'!". Accennai una risata.

"Verrò, tranquillo. Ma ad una condizione".

"Non ti preoccupare, non ti butterò le stampelle nella Senna" disse, con convinzione. No, non era in grado di fare più di un discorso serio a giornata. 

"Intendevo, basta che non mi accompagni su una scalinata senza ascensore per poi lasciarmi lì, perché dopo essere scesa, non chiedermi come, altro che chitarra in fronte". 

"Mi è mancata la tua dolcezza, Mitchell" commentò infine, stampandomi un bacio sulla guancia.

: - E a me è mancato tutto di te, Sambora.. -.

 

"Finalmente nous sommes arrivés! Ragazzi, avete un'ora di tempo pour aller dans votre chambres,disfare le valigie et faire un petit giro nelle vicinanze. Vi aspetto ici per l'appello alle 12.00". 

Prese le chiavi delle stanze e litigato con l'ascensore più malandato sul quale fossi mai stata, sia io che Richie salimmo nelle nostre camere, sullo stesso piano, addirittura una di fronte all'altra. No vabbè, non era stato un caso, lui era riuscito a corrompere la persona alla quale era destinata quella stanza, ancora non so come. 

"Ci ritroviamo giù tra dieci minuti?" propose, guardando l'orologio da polso.

"Direi che è perfetto. Chi scende per secondo paga le crepes al cioccolato all'altro per i prossimi giorni!" esclamai, per poi chiudermi la porta alle spalle ed appoggiare la valigia sul letto.

Durante quella settimana a scuola, Katy mi aveva evitata, forse terrorizzata dall'idea che potessi raccontare l'episodio agli insegnanti o al dirigente. Il problema era che non aveva ancora capito che non mi sarei mai abbassata ai suoi livelli, per nessuna ragione al mondo. Doveva starsene con i suoi sensi di colpa per il resto dei suoi giorni. Ammesso e concesso che ce li avesse, i sensi di colpa. 

Dopo aver tirato fuori le scarpe e le magliette, realizzai che, siccome nella mia valigia non ci stava più nulla, avevo chiesto a Richie di tenere nella sua il sacchetto con all'interno gli shampoo e i balsamo. Decisi quindi di riprendermeli, prima che fosse lui il primo a disfare la valigia e a rimpinzarsi di dolci francesi solo per farmi spendere una barcata di soldi. Lasciai la stanza e mi avvicinai alla porta della sua, pronta a bussare, ma la sua voce interruppe il mio gesto.

"Sì tesoro, siamo arrivati.. Il viaggio è andato benone e.. Ah, Kayla.. No, non.. Non so dove sia la sua camera. Ma sì, tanto non mi importa, lo sai benissimo. Certo che ho sentito della partita di pallacanestro. Siamo stati bravi, già. Dai, ora vado o la professoressa ci fa fuori.. Ti chiamo stasera. Anche io". Prima che potessi dire o fare o pensare qualcosa, il moro aprì la porta, sobbalzando. Evidentemente non si aspettava di ritrovarmi lì. "Kayla, c'è qualche problema?".

: - Respira, non dire niente di avventato e.. -.

"E poi dicevi tanto dei miei pregiudizi e del fatto che i tuoi amici e la tua ragazza non ti avrebbero accettato per quello che sei, eh?".

: - Come non detto -.

"La verità è che tu non ti sforzi nemmeno di dir loro che suoni la chitarra, che ti piace il rock, che ti piace pensare e parlare di altro, altro che non sia basket o pon pon colorati. Giuro, giuro che non avevo la minima intenzione di origliare, volevo solo riprendermi quegli stupidi saponi. Comunque sia, non ho mai sbagliato, le prime impressioni non dovrebbero mai cambiare".

"Kayla stai dicendo un mucchio di fesserie, avanti. E poi non ti ho mai promesso che avrei ammesso che suono e tutto il resto, quella conversazione era.. Una normale conversazione, destinata a rimanere tale, non a diventare uno stile di vita" replicò lui. 

"Sai una cosa? Se tu aprissi un po' di più quegli occhietti da cerbiatto, ti accorgeresti che noi comuni mortali viviamo benissimo anche senza sedere al tavolo centrale alla mensa, senza occupare il muretto di fianco all'entrata dell'istituto, senza prendere il budino il lunedì, senza avere tutti quei privilegi che, ammettilo, tu ami immensamente, perché altrimenti avresti provato a dimostrare loro che sei un umano e non un mezzo dio".

"A te dà fastidio non averceli, però è più trasgressivo e poetico fare la diversa, indossando felpe con i nomi dei gruppi e frequentando solo due amici" insistette, guardandomi con un'espressione che non avevo mai visto prima.

"La diversa? Tu sei esattamente come me, Richie, anche se non vuoi darlo a vedere. A me non puoi mentire, sei stato tu a volermi raccontare la tua vita. Quindi, a maggior ragione posso dire che sei esattamente come gli altri, se non peggio. Loro sono nati così, non fingono. Tu invece sì e non riesco a capire il motivo". Entrai nuovamente nella mia camera, appoggiandomi alla porta e sospirando profondamente. Da quanto tempo quelle parole aspettavano di uscire? 

"Ma fammi il piacere, Kayla. Il tuo ragionamento è senza senso. Che differenza fa, per te, se io voglio viverla così la mia vita?" domandò, con tono arrabbiato. Anche lui era appoggiato alla porta, la voce era troppo chiara perché si fosse allontanato dalla soglia. 

"Che tra dieci anni sarai la stessa, medesima, cinica, finta persona" replicai.

Non sapevo perché mi desse così tanto fastidio. Forse.. Forse era perché non sopportavo il fatto che lui non fosse solo.. Mio. Perché non sopportavo il fatto che io dovessi smettere di evitarlo solo fuori da scuola, quando ero sicura che nessuno ci avrebbe visti. Forse, anzi, sicuramente perché mi faceva male pensare che tutti lo ritenessero superficiale, quando invece io avevo avuto il modo di conoscere un Richie vero, nettamente differente dal suo alter ego. E, a lungo andare, avevo paura che quel suo alter ego si impossessasse di quel lato che mi aveva fatta affezionare a lui. 

"Dieci anni? Ora che passano dieci anni, tu hai fatto in tempo a renderti conto che tutto questo discorso è stato il più stupido che potessi fare".

 

E mentre Richie pronunciava queste parole, venne aggredito da un mal di testa, un terribile mal di testa, che lo costrinse ad inginocchiarsi e portarsi ambedue le mani sulla testa.

Le orecchie si tapparono.

La voce si bloccò in gola, impedendogli di chiamare aiuto.

Poi ci fu solo il buio.

 

Nota dell'autrice:

So che la fine di questo capitolo non è molto chiara, ma capirete cosa è successo - stavolta aggiornerò prima, promesso -.

Beh, colgo l'occasione per ringraziare Valentina (Vava_95), l'altra Valentina ("Trilli"), Diletta (Lady Phoenix), Ilaria (KeepSmiling), Marzia e Chiara (sono tentata dal chiamare una trasmissione come "Chi l'ha visto". Mi auguro che sia tutto okay ç_ç).

Ringrazio poi tutti coloro che hanno recensito:

_Lady Phoenix

_GioTanner

_DadaOttantotto

_CarrieLaRocker

 

le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:

_BrianneSixx

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_GiadiX_McKagan

_GioTanner

_Lady Phoenix

_ _Vicky_ 

 

e quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

 

A presto!

 

Rosie

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Capitolo 7
*** Take A Look At The Future ***


: - Che mal di testa atroce.. Non riesco nemmeno ad aprire gli occhi. No, okay, è stata una pessima idea quella di toccarmi la fronte. Facciamo mente locale, mentre questa fitta alle tempie se ne va. Dunque, prima che svenissi.. Ah, ecco, ora ricordo tutto. Sì, stavo discutendo con Kayla. Dovrò chiederle scusa, sono stato abbastanza stupido a risponderle come le ho risposto. Ora, con molta, molta calma, cerchiamo di vedere quanti compagni di classe ci sono attorno a me o quanti medici.. -. Aperti gli occhi, realizzai di essere disteso su un letto matrimoniale, in una stanza che non assomigliava per niente a quella dell'albergo parigino. C'erano dei muri con carta da parati bordeaux, una cassettiera di noce, una scrivania piena zeppa di libri, una tela raffigurante un vaso con all'interno due fiori rosa, ed una mensola vuota. Qualcosa non quadrava, quella non era di certo la stanza di un ospedale, ammesso e concesso che mi ci avessero portato. Presi quelli che dovevano essere per forza i miei vestiti, abbandonati davanti alla porta, indossandoli il più velocemente possibile.

: - Ma che diavolo è successo? -.

Lasciai la stanza e, dopo svariati tentativi e dopo aver attraversato a vuoto tre stanze, raggiunsi il corridoio che mi avrebbe condotto all'entrata. Lentamente, girai la maniglia e fuggii da quell'appartamento, domandandomi come ci fossi finito e cosa diamine fosse accaduto e.. E troppi, troppi altri quesiti, che non facevano altro che aumentare quell'insopportabile ronzio nelle orecchie e quel senso di fatica nel dover tenere gli occhi aperti.

: - Quindi.. Ora camminiamo con calma e.. Oh mio Dio -. Credetti di avere un infarto quando, nel mio campo visivo, comparve niente di meno che la Statua della Libertà.

: - Lì dovrebbe essere la Tur Eif Ef.. Come cavolo si chiama! Non può essere.. -. Dopo essermi scontrato contro un'anziana signora, che mi rivolse uno sguardo non cattivo, di più, camminai alla ricerca di una cabina telefonica. E lo shock, quello vero e proprio, arrivò nel momento in cui vidi la mia immagine riflessa in una vetrina di un negozio di ferramenta: ero alto forse cinque centimetri in più rispetto a quando ero svenuto. I capelli erano più lunghi e gonfi ed i lineamenti maturi, di una persona vicina ai trent'anni, e non di diciassette. Mi passai ambedue le mani tra i capelli e deglutii rumorosamente.

“N-non.. Non è possibile..”. Con lo stesso passo da maratoneta che avevo acquisito da dieci minuti a quella parte, entrai in un'edicola e presi in mano un quotidiano. Terrorizzato dalla situazione, alzai lo sguardo in alto a destra e lessi una data che mi fece gelare il sangue nelle vene: '30 agosto 198'6.

“M-mi-millenovecento..Ottantasei.. -. Lo lasciai cadere sulla pila di altri giornali, come se le pagine fossero diventate bollenti tutto d'un tratto.

“Hey, ragazzo, ti senti bene?” domandò l'edicolante, squadrandomi.

Millenovecentoottantasei. Era uno scherzo, uno scherzo di cattivo gusto.

“D-dovrebbe.. Dovrebbe essere il gennaio.. Del millenovecentosettantasei” replicai, balbettando, mentre i miei occhi guizzavano da una parte all'altra della stanza ed il mio cuore accelerava sempre di più.

“Forse dovresti andare a casa e stenderti un po'..” mi suggerì, avvicinandosi cautamente, come se fossi un pazzo appena evaso da un manicomio.

“L-lei non capisce, io sono svenuto ed era il 1976!” strillai, con un'immensa voglia di scoppiare a piangere. Stavo sognando forse? Era un incubo causato dall'aver battuto la testa contro al pavimento in hotel?

Vedendo le espressioni shoccate dei presenti, lasciai il negozio, più confuso di prima.

Paura, inquietudine, terrore. La situazione era inconcepibile, impossibile, innaturale. Io ero a Parigi e avevo 17 dannatissimi anni. Io..

“Richie!”. Una voce femminile, e parecchio arrabbiata, a giudicare dal tono, richiamò la mia attenzione. Vidi una ragazza non molto alta, con indosso una giacchetta nera, dalla quale spuntava il collo di un maglioncino bianco, e dei jeans. In effetti, nonostante fosse ormai settembre, cominciava a fare parecchio freddo ed il cielo era coperto da nuvole nere che minacciavano pioggia. La giovane aveva dei capelli corti e castani e degli occhi color cioccolato, che mi stavano incenerendo. “Si può sapere dove cavolo sei stato? Non ti sei presentato all'appuntamento, stamattina!”.

: - Sono stato catapultato nel futuro e c'è gente arrabbiata con me esattamente come nel passato. Com'è che si dice? The more things change, the more they stay the same? -.

“Tu.. Saresti..?”.

“Sei reduce da una sbronza, per caso?” chiese, avvicinandosi a me con fare assassino.

“Tanto tu non sei reale, questo è tutto un sogno che finirà nell'arco di un'or” non riuscii a concludere la frase, che la ragazza mi rovesciò addosso l'acqua ghiacciata contenuta nella bottiglietta che teneva nella mano sinistra.

“Che dici, sono sufficientemente reale?” domandò poi, con un sorrisetto furbo dipinto sulle labbra. Che caratterino. Comunque sia, quella era la conferma che no, purtroppo non mi era frutto della mia immaginazione. Dio, credevo di essere nel peggior romanzo di fantascienza, ricoperto da ragnatele e destinato a marcire su uno scaffale sperduto di una vecchia biblioteca. “Aiutami a fare mente locale” insistetti.

“Oh santo cielo, Richie. Devi aver bevuto davvero tanto ieri sera, eh. Sono Cameron, ricordi? La costumista della band e quella che ti odia sempre più ogni volta che non ti presenti alle prove del gruppo, siccome poi Jon dà di matto e ti cerchiamo in cinque, per recuperarti”.

: - Band? Prove? Chi è Jon? -.

“Cameron, calma, rallenta un attimino. Possiamo.. Andare a casa mia per parlare con più calma?”.

“Casa tua? Sei completamente impazzito? Siamo a New York, al massimo possiamo andare in albergo. Ma che ti prende? Sembri più rimbambito del solito”.

: - Deve volermi proprio bene questa ragazza -.

“Te lo spiego con più tardi di fronte ad un bel caffè, magari”.

: - Perché il caffè esiste ancora nel 1986.. No? -.

“Ma diamoci una mossa, perché le prove le hanno spostate a posta per te nel pomeriggio, dopo l'intervista con Rolling Stone”.

 

“Quindi.. Fammi capire..”. Cominciò Cameron, camminando avanti e indietro per la stanza, mentre io la osservavo, seduto su un divanetto di tessuto blu. “Tu stavi litigando con questa fantomatica Kayla”.

“Sì”.

“Lei ti ha urlato dietro 'tra dieci anni sarai sempre la stessa cinica persona', come se ti stesse sfidando”.

“Esattamente”.

“Tu sei svenuto e ti sei effettivamente ritrovato nel 1986”.

“Giusto”.

“E non ricordi niente di quello che è successo dal 1976 fino ad oggi”.

“Meno male, allora hai capito!” esultai infine, ma l'espressione di Cameron era tutto fuorché soddisfatta per aver ripetuto pari pari tutto quello che le avevo appena raccontato. Si avvicinò e si sedette di fianco a me, guardandomi negli occhi con fare comprensivo. “Richie, ascolta.. Noi possiamo aiutarti..”.

“Che?”.

“Possiamo aiutarti ad uscirne.. Devi solo dirmi che non è da molto che usi.. Certe sostanze”. Mi alzai di scatto. Lo sapevo, lo sapevo perfettamente che nessuno al mondo sarebbe stato in grado di capirmi, era una situazione paranormale e me ne rendevo conto, ma quanto, quanto avrei voluto che quella ragazza si sforzasse un pochino di comprendermi.

“Cameron, senti, io non ti sto prendendo in giro. Io non ho davvero la più pallida idea di come mi sia ritrovato qui”. Il mio tono di voce era sufficientemente serio perché smettesse di prendermi per un malato di mente? La vidi sbuffare e mettersi una mano sulla fronte.

“Ti rendi conto che è una cosa assurda e ai limiti della logica?”.

“Certo che me ne rendo conto. Mica sei tu quella che è stata catapultata a dieci anni dopo!” replicai, forse troppo sgarbatamente. Un altro sospiro. Scosse la testa. “Mi potresti fare un favore, ora?”.

“Dimmi, tanto ormai, per oggi ne ho viste di tutti i colori..” rispose, con voce stanca e perplessa.

“Devi raccontarmi tutto quello che mi è successo. Quello che sai.. Dove vivo, cosa faccio..” richiesi poi, tornandomi a sedere. Ci mise un attimo a rispondere, forse per recuperare tutte le informazioni sul mio conto.

“Nel 1980 ti sei messo a suonare nei Message, con Alec. Siete riusciti addirittura ad aprire dei concerti di Joe Cocker. Un paio di anni dopo, la band si è sciolta e tu ti sei ritrovato in tour con Cocker per qualche data, hai suonato con i Mercy e hai fatto un provino per entrare nei Kiss”. Rimasi in silenzio ad assaporare le parole di Cameron, sperando che i ricordi potessero tornare alla carica.

: - 1980 quindi.. Allora avevo abbandonato definitivamente il mio gruppetto e mi ero fatto conoscere come musicista.. Le parole di Kayla erano servite.. -.

“Poi Alec e Jon ti hanno visto suonare. Alec ha detto che ti conosceva e Jon gli ha chiesto di mettersi in contatto con te. Hai fatto un provino ed eccoti come chitarrista dei Bon Jovi, all'apice del successo grazie al vostro terzo album, Slippery When Wet, pubblicato giusto due settimane fa” concluse lei, come se avesse imparato la mia biografia a memoria.

“Terzo album.. Ma.. L'Alec di cui stiamo parlando di cognome fa Such?”.

“Esatto.. Mi ha detto che vi conoscevate anche al liceo, ma che allora non eravate amici, anzi” spiegò brevemente. Sì, quello me lo ricordavo.

“E.. Se abbiamo pubblicato un cd”. Era strano dirlo ad alta voce, ancor più strano che sentirmelo dire da quella ragazza. “Significa che ci sarà un tour..”.

“La leg giapponese si è già conclusa. Riprenderete a novembre con quella europea, quindi hai tutto il tempo che vuoi per.. Imparare i brani e tutto il resto”.

Dannazione, era vero. 3 album da imparare in 2 mesi non erano un gioco da ragazzi. Chiusi gli occhi e sbuffai, stendendomi sul divano, come se avessi passato la giornata peggiore di tutta la mia vita. E in un certo senso era vero. “Dammi un minuto solo, vado ad avvisare i ragazzi che ti ho trovato e che sei vivo e vegeto..” mi avvisò la mora, prima di alzarsi e scomparire nella stanza adiacente, ma come abbandonò il soggiorno, qualcuno bussò alla porta. “Come non detto, credo proprio che siano loro”. Girata la maniglia, varcarono la soglia quattro ragazzi, uno con degli occhi di un blu chiaro ed i capelli biondi, rigorosamente spettinati, come se volesse personificarsi in un leone; un altro aveva dei capelli lunghi e ricci, anche lui biondi, e delle iridi tra il grigio e l'azzurro, più scure di quelle del ragazzo che si stava avvicinando a me, con un grande sorriso sulle labbra rosee; il terzo era forse il più basso del quartetto e aveva dei capelli lunghi e neri, legati in un codino, ed un po' di barba appena accennata sul volto; l'ultimo, l'unico che riconobbi, era Alec. Non era cambiato un granché, se non per un imbarazzante pizzetto - che sembrava più che altro una riga fatta per sbaglio con il pennarello - che gli avrei strappato volentieri.

“Sambora! Dov'eri finito?”. Lanciai uno sguardo disperato verso Cameron che, in labiale, mi disse: “Quello è Jon”.

“Scusami Jon, so delle prove e.. Mi farò perdonare, giuro”.

: - Divaga e fingi di conoscerli da anni, divaga, sorridi ed annuisci -.

“Tranquillo.. Allora, non ci dici nulla riguardo Alexia?”.

“Oh, ma certo.. Alexia.. Ma certo”. Guardai nuovamente Cameron che, stavolta, non mi suggerì nulla, ma rispose al posto mio.

“Ma intendete l'Alexia pseudo ragazza di Richie, quella che abita a due passi da qui e con cui lui è uscito ieri sera?”.

: - Ah. Ecco dov'ero stamattina. Bene, è rassicurante. Ora la tizia vorrà uccidermi, dato che sono fuggito senza dirle nulla. La mia vita è più incasinata di quanto pensassi -.

“Beh, ecco.. Abbiamo.. Discusso e.. Ma parliamo d'altro! Tipo..”.

“Tipo che.. Alec, perché accidenti non ti tagli quel dannato pizzetto?” esordì il riccioluto, ridacchiando. Il bassista ci rivolse un'occhiata profondamente offesa. Doveva tenerci parecchio.

“Nemmeno sotto tortura! Ci sono affezionato, ormai..” ammise, portandosi un dito al mento e accarezzando il pizzetto. Tutto ciò stava cominciando a diventare inquietante.

“Avrei una proposta da fare” disse poi Jon, attirando l'attenzione dei presenti. “Che ne dite di mangiare una pizza e poi di andare direttamente a provare?”.

“Biondo, l'ultima volta che abbiamo provato dopo la pizza, a te è venuto il mal di stomaco, Tico ha rischiato di vomitare, Alec pure e Richie invece era l'unico che aveva digerito. Vuoi davvero andare in pizzeria?” domandò il riccio. Oh, allora il mio metabolismo impeccabile ero riuscito a mantenerlo nel tempo.

“Mh, avete ragione. Allora niente prove e pizza per tutti!”.

: - Iniziava a starmi sinceramente simpatico il ragazzo, ma.. Avevo decisamente bisogno di documentarmi sul loro conto, prima di andarmene fuori a pranzo e rischiare una serie di figuracce epiche -.

“Ragazzi, io a dire il vero non mi sento molto bene, credo che sia un'influenza o.. Stamattina sono uscito a maniche corte nonostante facesse freddo, quindi..”.

: - Vi prego, siate comprensivi, in onore della nostra amicizia e di tutti i bei momenti passati insieme, dei quali non ricordo nulla! -.

“Non ti preoccupare moro” rispose Jon, sorridendomi e dandomi una pacca sulla spalla. “Riposati pure.. Preferisci che rimaniamo nei paraggi, nel caso in cui capitasse qualcosa?”.

“Tranquilli, c'è Cameron che al massimo chiamerà il manicomio” dissi io, ricambiando il sorriso. Avevo l'impressione di conoscerli come il palmo delle mie mani, eppure non riuscivo a ricordare niente di niente. Era fastidioso e orribile. Era come aver perso le cose più preziose, nonostante non sapessi nulla sul loro conto e non le avessi nemmeno vissute realmente.

“Perfetto.. Oh, Cam, è ammessa qualsiasi tortura ma non rompergli le braccia, quelle gli servono per il tour” avvertì il biondo, scatenando una risatina generale. La ragazza annuì.

“Non ti preoccupare, ci penso io” e si sgranchii le mani.

“Uhuh, buona mor cioè, buona fortuna, Sambora!” mi augurò Alec, che fu il primo ad aprire la porta e a salutarci frettolosamente, perché troppo impegnato a litigare con il riccioluto, siccome aveva iniziato a prenderlo in giro per essere inciampato nel tappeto sulla porta. Il silenzio tornò non appena l'ultimo componente del gruppo aveva lasciato il soggiorno. Mi erano sembrate persone simpatiche, nonostante quel dialogo fosse durato poco.

“Grazie per.. I suggerimenti” dissi io, riservando un sorriso riconoscente a Cameron. Lei fece spallucce come a dire 'Non fa nulla', poi mi osservò, con le braccia incrociate al petto.

“Richie, se tutto quello che hai detto è vero.. Come.. Come facciamo a farti tornare indietro?”. Oh, finalmente non mi riteneva un malato di mente.

“Io non ne ho idea.. Però.. Però sono sicuro di una cosa”.

“Ovvero?”.

“Se sono stato catapultato nel 1986 parlando con Kayla, sempre con lei riuscirò a tornare a dieci anni fa”.

“Quindi..”.

“Quindi muoviamoci, dobbiamo prendere un aereo per Woodbridge”.

 

Nota dell'autrice:

Diciamo che questo capitolo è un po' particolare.. Come vi sarete accorti, la voce narrante da questo momento in poi sarà Richie. Spero che anche il nostro "Take a look at the future" vi sia piaciuto ;)


Ringrazio Valentina (Vava_95), Valentina 2, Diletta (ovvero il nostro nuovo personaggio, Cameron), Ilaria (Hilary) e Marzia (Maya).


Inoltre ringrazio con tutto il cuore le persone che hanno recensito:

_GioTanner

_DadaOttantotto

_LadyPhoenix

_CarrieLaRcoker


le persone che hanno inserito la storia tra le seguite:

_BrianneSixx

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_GiadiX_McKagan

_Lady Phoenix

_ _Vicky_ 

 

e quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

 

Alla prossima,

 

Rosie

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Capitolo 8
*** Where have you been? ***


“Cosa.. Cosa posso dire alla band?” domandai, con un foglio bianco davanti ed una biro nella mano destra. Cameron era riuscita a trovare i biglietti per l'aereo e, nell'arco di qualche ora, sarei tornato a Woodbridge. Chissà cos'era cambiato, chissà se i miei genitori stavano bene, se il cane del vicino abbaiava al gatto del panettiere, se Kayla era ancora lì. Nonostante non la vedessi da qualche ora, nella realtà erano passati dieci anni. Come potevo comportarmi? Magari dopo quella discussione avevamo anche chiarito e.. No, mi sembra impossibile, se avessimo risolto, Cameron avrebbe saputo che ci frequentavamo ancora. E' onnisciente per quanto riguarda il gruppo.

“Che sei partito per cercare la donna che ti ha spedito nel futuro?” propose lei, raccogliendo le ultime cose e mettendole in borsa.

“Mh, una spiegazione più plausibile?”.

“Che.. C'è stata un'emergenza a casa e che quindi sei andato via senza poterli salutare di persona. Sono comprensivi, non ti faranno mille domande” mi rispose, accennando un sorriso.

“Okay.. Ecco fatto, possiamo andare” conclusi, piegando in quattro il foglio che avrei consegnato alla reception.

“E se si fosse trasferita?” mi chiese Cameron, scatenando in me più dubbi di quanti già ne avessi.

“Ho già preso in considerazione questa eventualità e.. Piuttosto attacco volantini in giro con la sua foto”.

“Ma non è mica un gatto” replicò, ridacchiando. Feci altrettanto, prendendo stancamente la giacca di pelle che c'era sulla sedia e seguendo la futura martire fino all'ascensore. “Dato che mancano due ore al decollo, io faccio un paio di telefonate per informarmi su Kayla. Ho un paio di persone che sono nel mondo del giornalismo o che conoscono tutti i pettegolezzi riguardanti le cittadine del New Jersey”.

“C'è qualcosa che non sai o su cui non sei preparata?” domandai io, tra lo spiazzato ed il sarcastico. Cameron sorrise.

“Effettivamente non ho la più pallida idea di come tu sia finito qui, ma questi sono solo dettagli. Dammi dieci minuti, poi prendiamo un taxi ed andiamo in aeroporto. Tu non combinare casini, chiaro?”.

“Guarda che ho 27 anni!”. Oh, faceva uno strano effetto dirlo ad alta voce.

“Solo esteticamente” rispose, con una punta di veleno nella voce. Le feci la linguaccia, pentendomi amaramente: di certo non sarebbe stata una dimostrazione della mia maturità.

“Appunto” concluse lei, allontanandosi e, consegnate le chiavi, chiese ad un dipendente dove avrebbe potuto effettuare una chiamata. Io sprofondai su una poltrona di tessuto rosso con dei disegni di fiori dorati. Di fronte a me, su un tavolino dal corpo di legno ed il piano d'appoggio in vetro, c'erano parecchie riviste. Ne presi una, che cominciai a sfogliare, azione evidentemente dettata dalla noia.

I Bon Jovi scalano le classifiche con i pezzi dell'album 'Slippery when wet'. I cinque ragazzi del New Jersey, il cui primo album è uscito solo due anni fa, hanno conquistato il cuore di centinaia e centinaia di fan, grazie al loro talento e, perché no, anche per il loro bell'aspetto. Con le tipiche sonorità dei gruppi emergenti, ma con una spolverata di energia in più, non si riesce ad abbassare il volume della radio quando le stazioni decidono di passare Livin' on a prayer, Wanted dead or alive, You give love a bad name, Wild in the streets, Runaway, In and out of love e tanti, tanti altri pezzi da una grinta invidiabile”. Chiusi la rivista.

: - Se sapessi di cosa stanno parlando, magari potrei anche arrossire o gongolare soddisfatto -.

“Richie!”. Spalancai gli occhi, dopo aver sussultato a causa di quella vocina acuta che aveva richiamato la mia attenzione, risvegliandomi dai miei pensieri.

: - Ripeto: the more things change, the more they stay the same -.

Vidi una figura slanciata che si stava avvicinando a me. Quell'aria imbronciata e quelle sopracciglia inarcate in un'espressione furiosa, di certo non erano un buon segno per la mia incolumità.

: - Fatemi indovinare: quella è Alexia e vuole uccidermi, giustamente, per essere sparito la mattina appena sveglio -.

La ragazza dai capelli rossi che incorniciavano quel viso dalla pelle olivastra, si fermò di fronte a me, pronta a proseguire con la sua scenata degna da film strappalacrime.

“Io mi auguro che tu abbia una buona spiegazione per essertene andato stamattina”.

: - E ora che cosa mi invento? -.

“Alexia io..”. Tossii, per schiarirmi la voce e guadagnare qualche millesimo di secondo. “C'è stata un'emergenza con la band e..”.

“Ma certo, come al solito! Sono arcistufa di questo comportamento insolente ed arrogante da parte tua. Solo perché sei una rockstar non puoi trattare le donne come se fossero delle scarpe vecchie, okay? Sei egoista e..”.

“Ci sono problemi?”.

: - Cameron, sei la mia ancora di salvezza! -.

“Alexia, ti presento..” iniziai io, ma fui interrotto dalla mora.

“La sua ragazza”.

: - No, no, no! Un momento! Cam, vuoi che questa qui mi butti in un tritacarne o che mi lasci andare libero a trovare Kayla? -.

“Oh, capisco. Beh..”. La vidi arrossire violentemente. La leonessa pronta a sbranarmi si era trasformata in un gattino privo di artigli. “Richie, è stato un piacere rivederti. Buon weekend ad entrambi” concluse, mentre sul suo volto si faceva largo un sorriso falso, e si allontanò, abbandonando la hall dell'albergo.

“Dicendole così, hai rischiato che ti saltasse alla giugulare e che poi facesse fare la stessa fine a me, sai?”.

“Oh, come si vede che non capisci quel tipo di donne, Richie. Lei, sapendo che sei fidanzato, si sarà sentita.. Onorata, siccome sei una rockstar, per giunta impegnata, che le ha dato attenzione, nonostante la sua situazione sentimentale” mi spiegò, rivolgendomi un sorrisetto sghembo. Era un portento. “Ora, seguimi, in aereo ti dirò tutto quello che ho scoperto sulla nostra Kayla”.

 

“Allora.. A quanto pare è diventata la direttrice di una rivista di musica e giusto la settimana scorsa è finita in prima pagina sul New York Times per essere una delle donne in carriera più in gamba del decennio. Sulla sua vita privata non si sa nulla, quindi non so dirti dove abita, se è sposata piuttosto che fidanzata, divorziata, con figli eccetera. Augurati che sia single e spensierata, altrimenti abbandona ogni desiderio legato a cose di questo genere”. Cominciavo ad adorare il fatto che fosse così schietta.

“Però.. Ne ha fatta di strada..”.

“Sarà cambiata parecchio.. Preparati ad ogni evenienza, Richie. E anche a fare milioni di chilometri per trovarla, perché se dirige un giornale, ho seri dubbi che sia ancora a Woodbridge e”.

“Cameron, lo so. Sono pronto a cercarla ovunque, pur di ritrovarla” risposi io, pronunciando con sicurezza e decisione quelle parole.

“E' la prima volta che ti sento così.. Determinato”.

“Era la mia migliore amica e non ho mai fatto nulla per dimostrarglielo, se non continuare a ferirla. Mentre lei si aspettava che mi schierassi sempre dalla sua parte per difenderla e per dimostrare che la pensavo come lei, io non facevo altro che deluderla e fingere di essere chi non ero. E ora che l'ho persa definitivamente, voglio rimediare agli errori che ho fatto e che non ho avuto l'occasione di evitare”.

“Notevole, per un ragazzino di diciassette anni” commentò. Annuii, senza aggiungere nulla, e chiusi gli occhi, in attesa che l'hostess annunciasse l'arrivo.

 

“Te lo ricordi l'indirizzo, vero?” domandò Cam, mentre io riempivo i miei polmoni dell'aria pulita del mio paesino natale, nettamente differente da quella della caotica New York.

“Sì, da qui possiamo arrivarci tranquillamente con dieci minuti di camminata” risposi, guardandomi attorno. A quanto pare Woodbridge era sempre la stessa. C'erano un paio di negozi in più ed un paio di negozi in meno, ma gli altri, quelli 'storici', non erano cambiati di una virgola, inclusi quelli del meccanico e del venditore di macchine usate, a cui davo una mano il sabato pomeriggio. “Quello era il mio liceo” dissi, improvvisandomi cicerone ed indicando l'imponente edificio alla nostra sinistra. “E quella laggiù, alla fine della strada, è la villa di Kayla e sua sorella” aggiunsi, camminando più sveltamente. La mora mi seguì senza proferire parola, limitandosi semplicemente ad osservare quella sequenza di villette perfette dai colori chiari e con giardini curatissimi ed impeccabili, senza nemmeno un filo d'erba fuori posto.

“Ci siamo allora” annunciò, scrutandomi come se aspettasse che fossi io a fare il primo passo. In effetti, era proprio quello che avrei dovuto fare.

: - Coraggio, Richie, devi solamente chiedere “Kayla Mitchell abita ancora qui o è sposata e mi ha dimenticato completamente com'è giusto che sia?” -.

Non feci in tempo a fare un passo che, nel mio campo visivo, comparve una ragazza dai capelli lunghi sino alle spalle, di un castano scuro. Ma quella era..

“Richie?”.

“Hilary?”. Non era davvero cambiata di una virgola. Il viso leggermente più maturo, contornato da una pettinatura più da adulta che da ragazzina, gli abiti più formali, ma la corporatura era la stessa di ieri cioè, di dieci anni fa.

“Che.. Che ci fai qui?” domandò, incrociando le braccia al petto e squadrandomi, come se fossi appena sceso da un ufo.

“Sono venuto qui per.. Per rivedere Kayla”. Improvvisamente, la sua espressione si fece più cupa. Sembrava che le avessero appena comunicato che il mondo stava per finire o che non avrebbe più potuto danzare.

“Ah, Kayla..” ripeté, come se stesse cercando di ricordare chi fosse. “Non.. Non l'hai saputo?”.

“Saputo? Saputo cosa?”. Battito cardiaco incontrollato, occhi ormai fuori dalle orbite. Ebbe un attimo di esitazione, cosa che fece aumentare la mia ansia a dismisura. “Saputo che cosa, Hilary?” insistetti, avvicinandomi ancor di più a lei, pronto a prenderla dalle spalle e scrollarla perché si sbrigasse a parlare.

“Kayla è..”.

: - No, non dire.. Non dire quella maledetta parola, non dirla -.

“E'? E' cosa, dannazione? Cosa?”.

- Ti prego, ti prego no -.

“Mo..”.

: - Mortificata. Molto distante da qui. Tutto ma non quello -.

“Hilary, ma che fine hai fatto?”. Nell'arco di pochi istanti, sentii un tuffo al cuore che mi causò un giramento di testa degno da montagne russe: una donna alta forse un metro e sessantacinque sbucò da dietro un'automobile rossa. Si spostò dietro l'orecchio un ricciolo e le sue labbra rosee si incresparono in una smorfia confusa, mentre i suoi occhi si spostavano dalla sua migliore amica al mio viso, probabilmente divenuto bianco come un foglio di quaderno.

“Scusami, stavo facendo morire di infarto Richie” rispose quella, scoppiando a ridere. L'avrei strozzata all'istante con le mie stesse mani, se avessi potuto.

“Tu cosa ci fai qui?” mi chiese Kayla, sconcertata.

“Io s-sono”. Deglutii. Quegli occhi verdi inquisitori, puntati nei miei, mi stavano facendo venire la pelle d'oca.

: - Sono? Sono cosa, Sambora? -.

“Sei in gran forma”.

: - Dio mio, si può essere più stupidi di così? Risposta? No -.

“Sei venuto fino a qui, dopo dieci anni, per dirmi che mi trovi.. In gran forma?” domandò. Colsi un velo di ironia nella sua voce, che, anziché farmi sentire meglio, mi mortificò ancor di più.

: - Allora, per tutto questo tempo, non ci siamo più visti né sentiti? Mi sento semplicemente uno schifo -.

“V-vorresti.. Vorresti uscire con me, stasera?” continuai io, come se non avessi sentito la sua domanda.

“Ho da fare” rispose, gelida. Altro colpo al cuore. Sarei sopravvissuto a quella conversazione più velenosa di un cobra e più forzata di un sorriso nella peggior giornata della propria vita?

“Mi piacerebbe.. Mi piacerebbe parlare un po' con te, non ti sto chiedendo di.. Di lasciare tutto e scappare con me”.

: - Oh, finalmente un po' di sicurezza. Balbetti un po' e sei diventato più ripetitivo del professore di biologia, ma stai migliorando -.

Kayla sbuffò e, prima di rispondermi, gettò un'ulteriore occhiata in direzione di Hilary, che, come Cameron, stava assistendo in silenzio a quest'imbarazzante scambio di battute.

“Qui, stasera, alle 20.00” concluse, per poi salire in macchina. Hilary accennò un sorrisetto divertito e mi fece l'occhiolino, per poi sedersi al sedile del passeggero e chiudere la portiera. Quando il motore della macchina si accese e la Ford bordeaux lasciò il parcheggio, io ripresi a respirare.

“Beh..” esordì Cam. “Direi che è andata discretamente bene”.

“Ho bisogno. Di bere. Dell'acqua con dello zucchero. E credo di stare per svenire. Di nuovo”.


Nota dell'autrice:

Lo sooooooooo, sono in un ritardo spaventoso, ma:

1)Miss Ispirazione faceva l'offesa 

2)Dovevo finire parte dei compiti delle vacanze

3)Non ho altre scusanti

Prima di uccidermi o di mandarmi sicari sotto casa, lasciatemi fare i soliti ringraziamenti ruffiani ai miei angeli: Valentina (Vava_95), Valentina 2 (che finalmente si è iscritta a EFP con il nome di 'ValeTrilli'), Ilaria (KeepSmiling-La sadica Hilary che ho amato alla follia in questo capitolo) e Diletta (Lady Phoenix-La dolcissima Cameron).

Poi ringrazio quelle fantastiche persone che mi hanno lasciato recensioni stupende per ogni capitolo, ovvero:

_Lady Phoenix

_GioTanner

_CarrieLaRocker

_DadaOttantotto


Le persone che hanno messo la storia tra le seguite:

_BrianneSixx

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_GiadiX_McKagan

_Lady Phoenix

_ ValeTrilli

_ _Vicky_


E tra le preferite (vi adoro):

_ la mia fedele barbara83 <3

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli


Ci leggiamo presto, stavolta mi impegnerò al massimo per aggiornare prima!


Rosie

 

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Capitolo 9
*** Rendez-vous ***


"Ascolta, dato che non mi pare giusto che io venga a casa dei tuoi genitori.. Cerco un hotel, a patto che tu mi dica tutto quello che è successo durante l'appuntamento, chiaro?". Annuii, finendo di bere l'ultimo sorso di caffè, preso in un nuovo bar, aperto da un anno circa a giudicare dalla perfezione che vi regnava.

"Ma certo che ti racconterò tutto.. Ma devo ammettere che sono terrorizzato, Cam" dissi, passandomi sulle labbra un tovagliolo di carta, per poi accartocciarlo e  poggiarlo sul tavolo di legno.

"In questi anni, mi sono reso conto che, a parte suonare la chitarra, la cosa che ti riesce meglio è sedurre e fare innamorare le ragazze, Richie. Io credo che tu non debba avere paura di nulla" replicò, ma quelle parole non mi aiutarono per nulla, anzi. Era come se detestassi immensamente quel mio alter ego. Era sicuro di se stesso, spavaldo e senza il minimo rispetto per i sentimenti altrui (quanto meno di quelli della popolazione femminile).

"Cameron, devo davvero ricordarti di nuovo la storiella paranormale? Io non ne so niente di questo Sambora, è inutile che mi affidi a lui. Io sono la persona che andava a scuola con un macigno sulle spalle, che era negato in francese e che aveva l'intervallo come materia preferita".

"Ma non potete essere così diversi. Sei sempre tu".

"In dieci anni possono cambiare tante cose.. Io ne sono la prova vivente. Spero solo di scoprire qualcosa in più su me e Kayla a casa mia.." risposi, estraendo il portafoglio dalla tasca della giacca ed avviandomi verso la cassa. La mora mi seguì, pensierosa.

"Lei ha detto che non ti facevi vedere da dieci anni.. Possibile che tu abbia cambiato scuola?".

"E se l'avesse fatto lei? Non aveva molti motivi per rimanere lì. Nell'ultimo periodo, aveva fatto intendere che praticamente odiava qualunque cosa che riguardasse il nostro liceo, a partire dalle gerarchie che c'erano al suo interno..". Qualcosa stava bruciando o erano i miei neuroni che non ne potevano più di formare sinapsi per farmi pensare e riempire di preoccupazioni d'ogni genere?

Diedi una banconota al commesso, che accennò un sorriso e mi diede il resto.

"Il mistero si infittisce. Mi rifiuto di credere che vi siate evitati per tutta la durata dell'anno scolastico" commentò Cameron, provocando una mia risatina sommessa.

"E' evidente che non la conosci. E' testarda, molto testarda. Quel tipo di persona che, quando viene contraddetta o criticata senza un commento costruttivo, è in grado di non rivolgerti la parola finché non decidi di farlo tu". Aveva sempre avuto un carattere forte e non sopportava di venire attaccata senza cognizione di causa. Non la biasimavo.

Lasciammo il locale, ritrovandoci di fronte ad un vecchio negozio di animali. A qualche minuto da lì, avrei raggiunto casa mia.

"E allora, dato che sei tu quello che ha il massimo dei voti nella materia 'Kayla', lascio gestire a te le cose. Ci vediamo qui, domani mattina, alle dieci?" propose, rovistando nella sua borsa, alla ricerca di un'agenda, forse.

"Ma certo. Che tu sappia.. Che rapporti ci sono con i miei?" chiesi, nella speranza che sapesse anche quello. 

"Ci sono rimasti molto male quando tu hai detto loro che saresti partito per un altro tour, perciò hai chiesto loro se volevano seguirti in Giappone per un paio di date. Nonostante il dispiacere iniziale, sono sempre stati tanto fieri di te e ti hanno appoggiato in ogni tua scelta". Sorrisi sinceramente nel sentire quelle parole: almeno il rapporto con i miei non era cambiato e la cosa non poteva fare altro che rallegrarmi.

"Perfetto. Grazie ancora. Nel frattempo, scegli un posto dove potrei costruirti una statua" conclusi, facendole l'occhiolino ed allontanandomi con le mani in tasca. Con il vento tra i capelli che arrivò ad insinuarsi nel colletto della giacca, rabbrividii ed accelerai il passo. Nell'arco di cinque minuti scarsi, eccomi di nuovo di fronte a quella villa della quale il mio alter ego aveva sicuramente sentito tanto la mancanza.

: - Okay, ora fingiamo di non vederli da mesi e via con gli abbracci e le espressioni strappalacrime -.

Suonai il campanello, che aveva ancora lo stesso stridulo suono insopportabile. Pur di farlo smettere, sarei stato disposto ad aprire a qualsiasi postino, giornalista, assassino.
"Arrivo subito!". Quella era l'inconfondibile voce di mia madre, calda e rassicurante. Pochi istanti dopo, mi ritrovai di fronte ad una donna di circa un metro e settanta, dai capelli neri e corti, cotonati, tenuti indietro da una fascia beige. Sul suo volto si fece spazio un sorriso quasi commosso, che era solita fare di fronte a romanzi d'amore. Per lei non era un gesto esagerato, nonostante mio padre si divertisse a stuzzicarla per questa sua sensibilità.

"Richie, tesoro!" esclamò, per poi gettarsi nelle mie braccia e stringermi come se fossi appena tornato illeso dalla guerra.

"Ciao mamma" la salutai, dandole un bacio sulla guancia. "Come stai?". Non ottenni risposta, siccome, staccata da me, corse dentro casa, molto probabilmente per avvisare mio padre. Varcai la soglia e fui raggiunto dall'uomo slanciato dal quale avevo preso l'altezza e la corporatura snella.

"Richie, bentornato a casa!" esclamò, dandomi una calorosa pacca sulla spalla, che poi si tramutò in un buffetto sulla guancia destra.

"Grazie e scusatemi se non ho avvisato, ma..".

"Scherzi? Tesoro, questa è casa tua, non devi scusarti proprio di nulla!" mi interruppe mia madre, palesemente entusiasta. "Non hai portato nulla? Per quanto ti fermi? E' tutto okay, vero? Jon ed i ragazzi come stanno?". Ecco l'interrogatorio, degno da detective professionista.

"Rispondendo in ordine: no, non ho portato nulla perché..".

: - Giusto, cosa dico? -.

"E' una lunga storia..".

"Che ci racconterai a pranzo! Forza forza, ora vai a rinfrescarti e poi raggiungimi in cucina".

: - Così ho il tempo necessario per pensare a come spiegarvi che sono stato catapultato nel futuro, senza che nessuno di voi due muoia di infarto. Buona idea -.

Salii le scale ed entrai in camera mia, nella quale trovai gli stessi poster appesi alle pareti, una chitarra acustica distesa sul letto ed i miei libri preferiti, che mi stavano osservando dalla scrivania. Sui mobili non c'era nemmeno un filo di polvere, segno che mia madre aveva continuato ad essere pignola e perfezionista nei riguardi dell'ordine della casa. Mi lasciai cadere sul materasso, dopo aver messo la chitarra su una sedia di legno. Alzai la testa, accorgendomi di avere qualcosa sotto al cuscino. Presi quello che, non c'erano dubbi in proposito, doveva sicuramente essere un blocco per gli appunti, ricoperto da una rigida copertina azzurra. Cominciai a sfogliarlo, rendendomi conto che non c'era nemmeno una pagina libera. Non ricordavo nulla di quello che c'era scritto al suo interno, dato che nemmeno ricordavo di averlo acquistato.

 

"Kayla, io...

Okay, inizio pessimo, con tanto di puntini di sospensione che non fanno altro che peggiorare la situazione.

Senti, io non sono mai stato in grado di".

 

"Kayla, ascolta, vorrei dirti che non devi essere offesa con me se decido di vivere così la mia vita e.. Sono un deficiente".

 

E' notte e non riesco a dormire. Continuare a fissare il letto con la finestra aperta e l'aria parigina nella stanza mi sembra un'immensa perdita di tempo, soprattutto quando penso che tu sei arrabbiata con me. Ne hai tutte le ragioni del mondo, è vero, perché io ho paura di cambiare abitudini. Anzi, ho paura e basta. Quando leggerai questa frase, probabilmente tornerai indietro più e più volte, perché ti sembrerà di aver capito male. Poi, alla fine, urlerai 'Avevo ragione io!'. Ti lascerò questa piccola soddisfazione, ma sappi che sarà la prima e anche l'ultima volta! Sto perdendo il filo del discorso.

Il fatto è che.. In parte hai avuto ragione a dirmi ciò che mi hai detto ed in parte no. Ma prima di strappare la lettera in mille pezzi, dammi il modo di spiegare, cosa che non sono riuscito a fare a voce.

Questa è la mia vita, Kayla, e si presuppone che tu debba rispettare le mie scelte, nonostante queste siano stupide e senza senso. Dopotutto, sbagliare è umano. “Perseverare è diabolico”, penserai, però non voglio essere perfetto ed evitare ogni errore. “Sì, ma se mi dessi retta potremmo evitare spiacevoli conseguenze” insisterai. Giusto, questo è vero. Ma sai che ti dico? Che se ti fiderai del Richie che hai conosciuto, il chitarrista amante del rock, se parlerai con lui, quello che porta il cappello da cowboy e che ama mangiare hamburger e patatine, se crederai che gli interessano le stesse cosa che interessano a te, allora quel Richie non ti farà soffrire per nessuna ragione al mondo. Perché, te lo ripeto, sei la mia migliore amica ed anche l'unica persona che ha conosciuto il vero lato di me (sembro quasi profondo, mh?). L'unica se non contiamo mia madre. Mi sto rendendo ridicolo.

Concludo brevemente con le mie scuse. E devo offrirti tutte le crepes che vuoi, ricordi?

 

Ti voglio bene,

 

Richie”.

 

Fissai la lettera per qualche istante dopo aver terminato di leggerla. Siccome era ancora lì, non l'avevo consegnata a Kayla. Se l'avessi fatto, ne ero certo, le cose non sarebbero andate in quella maniera. Però doveva esserci una spiegazione dietro al mio comportamento. Non potevo aver rinunciato così, senza un motivo valido. Forse ci eravamo affrontati di persona. Forse..

“Toc toc. Posso entrare?”. Vidi il volto di mia madre attraverso la porta semiaperta. Le sorrisi e chiusi il quaderno, poggiandolo alla mia sinistra e facendole spazio sul materasso, dopo essermi seduto.

“Ma certo che puoi” le risposi io, osservandola mentre varcava la soglia e si avvicinava, volteggiando nel suo abito blu con dei fiori celesti, molto delicato. Aveva buon gusto, non come me, figlio degenere.

“Prima non volevo partire con le domande a raffica, siccome non ti volevo mettere a disagio. Però lo vedo dal tuo sguardo che qualcosa ti turba..”. Se c'era una persona che avrebbe sempre capito ogni mio timore ed intuito ogni preoccupazione, quella era mia madre.

“Mamma tu.. Hai mai fatto un errore a causa del quale hai pagato delle conseguenze per niente simpatiche?”. Sembrò sogghignare.

“Certo che sì. Sfiderei chiunque a dire che non gli è mai capitato nulla di simile” disse, con un tono di voce saggio e controllato, che acquisiva ogniqualvolta che doveva spiegare qualcosa.

“E che mi dici dei rimpianti?” continuai.

“Che non ne ho mai avuti. Sai perché? Perché ho sempre, sempre fatto di tutto per correggere quegli errori di percorso che ho commesso. Non è mai troppo tardi per farlo, tienilo bene a mente. E' sempre meglio immergersi nei ricordi con la coscienza pulita, che accompagnati dai rimorsi”. Era una donna saggia, su questo non c'erano dubbi. Assaporai le sue parole ed annuii con convinzione. “Si può sapere che hai combinato, signorino?”. Ridacchiai: ero così prevedibile?

“Te la ricordi Kayla Mitchell?”.

“Ma certo che sì! E' grazie a lei se quella serpe di professoressa di francese non ti ha strozzato”. Un sorriso dolce amaro comparve sulle mie labbra, ma mi affrettai a proseguire.

“Stasera, cioè tra due ore, dovremmo uscire ed io.. Non so da dove cominciare. E' passato così tanto tempo che, più ci penso, più vorrei tornare sui miei passi e non presentarmi all'appuntamento”. Come se avessi appena detto una serie di parolacce, mia madre sembrò sobbalzare e spalancò gli occhi color cioccolato, nei quali la luce si rifletteva in tanti piccoli puntini arancioni.

“Non dire sciocchezze. Sono passati.. Nove? Dieci anni, ormai. Direi che entrambi siete cresciuti e che gli screzi del passato hanno poca importanza”.

: - Passato.. Insomma, per me si tratta solo di un giorno -.

Prima che potessi dire altro, la donna di fianco a me aggiunse: “Non c'è bisogno di riprendere vecchi discorsi, non per il momento. Accantonateli ed affrontateli con calma quando si sarà instaurato nuovamente il legame che vi univa. Perché, ne sono certa, non era qualcosa di frivolo.. Giusto, Richard?”. Puntò le sue iridi nelle mie, con aria inquisitoria. Quando mi chiamava così, oltre che infastidirmi siccome il mio nome mi dava l'idea di uno con la puzza sotto il naso, mi metteva sempre alle strette. Mi sentivo come se non avessi altra alternativa se non darle una risposta affermativa.

“Giusto. Ti ringrazio mamma” mormorai infine.

“Figurati, è il mio lavoro. Ed ora pettiniamo quella criniera che hai in testa e recuperiamo qualche abito decente!”.

: - Avanti, prepariamoci ad affrontare una serata colma di figuracce e frasi senza nesso logico -.

 

Capelli pettinati (miracolo, miracolo!), camicia blu sopra alla quale c'era una morbida e calda giacca di pelle, jeans – immancabili -, scarpe nere, All Star, sguardo insicuro e gola secca. Osservai la porta di casa Mitchell, alla quale avevo bussato da un paio di secondi a quella parte, appoggiando appena il pugno al legno. Questo mio gesto, però, fu sufficientemente forte da richiamare l'attenzione della proprietaria della casa, che si rivelò in un morbido maglioncino a collo alto, bianco, dei pantaloni neri e delle decolleté dello stesso colore, estremamente semplici, ma con un tacco considerevolmente alto. Mi sorrise appena, ma colsi comunque della freddezza nella sua espressione, che ancora mi sembrava troppo matura, troppo adulta.

“Buonasera” sussurrai appena, per poi schiarirmi la voce e ripetere il saluto. “Buonasera”.

“Ciao Richie. Dammi un secondo solo, prendo la giacca e sono subito da te”. Scomparve per un attimo dalla mia vista, per poi ricomparire con addosso una giacchetta di jeans che le arrivava sino al bacino ed una borsa di pelle sulla spalla sinistra. Chiuse a chiave e si mise al mio fianco. “Allora, dove andiamo a cenare?”.

“Non voglio anticipare nulla. Dico solamente che faremo un salto nel passato” le risposi, con un velo di mistero.

“Un hamburger alla mensa della scuola?”.

“Come hai fatto ad indovinare?” domandai io, con ironia. I suoi angoli della bocca si inarcarono in un sorrisetto divertito. Questo mi alleggerì il cuore. 
“Allora.. Adesso sei un chitarrista di fama mondiale” commentò, dopo qualche vertiginoso secondo di totale silenzio.

“A quanto pare, è così”. Nessuno dei due disse qualcosa. Kayla si limitò ad annuire, come per farmi capire che aveva capito il concetto.“E tu, invece?”. Magari aspettava che le rivolgessi una domanda simile.

“Direttrice di una rivista di musica. La nostra sede è a New York..”.

“E come mai ora sei a Woodbridge?” chiesi io, sinceramente curioso ed interessato all'argomento.

“Settimana di vacanza. Ne avevo decisamente bisogno. E poi non mi costa nulla fare un paio di ore in macchina per andare e tornare.. Perciò, finché non ce ne sarà veramente il bisogno, la mia casa resterà questa”.

: - Grazie al cielo che hai deciso così, Mitchell. Altrimenti chissà quanti giri avrei dovuto fare per beccarti! -.

“Interessante.. E hai già scritto qualche cattiverai sul mio conto, in qualche articolo?” la stuzzicai. Forse ero stato troppo avventato: dovevo recitare come se fossimo tornati ad essere estranei o dovevo tenere in conto tutte le nostre vicissitudini? Questo era il dilemma.

“Non ancora, ma a breve farò qualcosa di simile” mi comunicò, riservandomi un'occhiata satura di sarcasmo. Tirai un immaginario sospiro di sollievo; a quanto pare potevo agire e parlare da persona simpatica, senza dovermi sentire in colpa.

La conversazione proseguì in questa maniera, con i toni controllati, senza mai sfociare in risate sguaiate o spintoni col rischio di cadere a terra. Dopo dieci minuti di camminata, Kayla cominciò a non prestare più attenzione alle mie parole, bensì all'ambiente attorno a noi. Sicuramente non si aspettava di essere portata dove stavamo andando. In realtà avevo paura che quel posto lo avessero chiuso piuttosto che demolito, ma valeva la pena tentare.

“Non dirmi che..”.

“Prego, entri pure, signorina”. Aprii la porta del locale arredato come un saloon, alias il primo posto in cui uscimmo il giorno in cui la professoressa di francese aveva firmato la condanna a morte della povera mora.

“Te lo ricordi ancora?” domandò, spiazzata.

: - Certo che me lo ricordo ancora, ci siamo stati un paio di mesi fa! -.

“Io non dimentico nulla, Mitchell”. Per un attimo smise di sorridere.

“Nemmeno io, Sambora”. Colsi del dispiacere nella sua voce e capii immediatamente a cosa si stesse riferendo.

Non sarebbe stato facile farmi perdonare. Soprattutto perché, con molta cautela, dovevo farmi dire che peccati dovessi espiare per ottenere il suo perdono. 

 

Nota dell'autrice:

Sì, dovevo pubblicare prima, lo so.. Però la scuola è ricominciata e word è stato così gentile da cancellare il capitolo che avevo scritto. Chiedo scusa a tutti i miei lettori, anche a quelli nuovi, che hanno aggiunto la storia alle seguite:

_BrianneSixx

_chiaretta78

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_KeepSmiling

_Lady Phoenix

_ValeTrilli

__ILoveRnR_

__Runaway_

_Vicky

 

Alle preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli (che l'ha anche inserita tra le ricordate :3 <3)


E non scordiamo le persone che hanno avuto la pazienza di recensire i precedenti capitoli, alias:

_chiaretta78

_Lady Phoenix

_GioTanner

_DadaOttantotto

_ _Vicky_

_CarrieLaRocker

 

Un ringraziamento speciale ad entrambe le Valentine (?) Vava_95 e ValeTrilli, alla mia fedelissima Chiara - chiaretta78 -, la mia adorata Hilary - KeepSmiling - e la dolcissima Cameron - Lady Phoenix -


Alla prossima!

 

Rosie 

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Capitolo 10
*** Ghost ***


Faticai parecchio, per tutta la durata della cena, nel cercare di non osservarla troppo a lungo senza dire qualcosa. Ed era piuttosto difficile trovare un argomento mentre i miei sensi di colpa mi stavano prendendo a sprangate in fronte. Parlammo ancora di lavoro e non riuscii mai a toccare l'argomento 'passato'. Eppure avrei dovuto riuscirci, perché, altrimenti, non avrei potuto fare nulla per farmi perdonare. E, dovevo ammetterlo, la curiosità faceva la sua sporca parte.

"Mi era mancato questo posto" ammise, dopo essere usciti dal ristorante.

"Non ci sei più venuta dopo che..".

: - Dopo cosa? -.

Decisi di lasciare la frase in sospeso, tanto avrebbe capito a cosa mi stessi riferendo – almeno lei -.

"No. A dire il vero preferivo evitare tutti.. I nostri posti" mormorò appena, probabilmente pentendosi di quello che aveva appena detto. Si strinse nella sua giacca e guardò fisso a terra, camminando. La osservai dispiaciuto.

"Allora approfittiamone". Repressi l'istinto di prenderla per mano, benché la tentazione fosse forte, e camminai, con le mani in tasca, sorridendole ed attraversando la strada.

"Che intendi?" chiese, giustamente spaesata.

“Ti fidi di me?”. Quella domanda a bruciapelo la fece esitare. Passò un interminabile secondo, nel quale attesi una sua risposta, senza sperare troppo in un 'sì'. Per questo motivo, infatti, rimasi stupito quando rispose annuendo e pronunziando quella magica parola a due lettere, che mi fece inevitabilmente sorridere.

In quel preciso istante, il silenzio ci stava a pennello, con l'aria si insinuava tra le foglie, muovendole appena ed appoggiandosi delicatamente sui nostri visi. Nel cielo brillavano numerose stelle e c'era la luna piena, che riuscimmo ad ammirare con tranquillità quando giungemmo a quel famoso tavolo da pic-nic al quale le avevo chiesto se sarebbe stata in grado di partire per Parigi.

Kayla scrutò ogni cosa che ci circondava. Lesse le lettere 'L+S' incise sul tronco di un albero alla nostra sinistra, inspirò profondamente, riempiendo le sue narici di quel profumo di erba tagliata probabilmente in mattinata, infine mi guardò, rivolgendomi uno sguardo complice.

“Me lo ricordo questo posto”.

“Ti avevo 'rapita' facendoti marinare la scuola. Però non avevo mica tutti i torti, mi eri mancata” risposi, arrossendo.

“Giusto, giusto..”. Lei prima si sedette sull'erba, stendendo le gambe, poi si distese, usando la borsa come cuscino improvvisato. Io, avvicinandomi cautamente, feci altrettanto.

“Cosa è successo, quando siamo partiti, Kayla?”. Consapevole del fatto che quella fosse una domanda rischiosa e che probabilmente le avrebbe fatto perdere la pazienza, mi voltai verso di lei, per osservare una sua reazione e comportarmi a seconda di essa. Attenta a non guardarmi negli occhi, prese fiato e cercò le parole. Sapeva perfettamente quanto fossi bravo a captare ogni sua emozione. I suoi occhi, la sua voce, gli angoli della sua bocca; tutti loro la tradivano ogni volta che tentava di mentirmi.

“Abbiamo litigato” rispose spontaneamente, senza faticare troppo nel ricordare ogni avvenimento. Insistetti.

“E dopo?”. Iniziavo a percepire uno strano bruciore di stomaco e mi accorsi che i piedi stavano diventando improvvisamente freddi ed i palmi delle mani cominciavano ad inumidirsi. Nessuno di noi due era in grado di nascondere le proprie insicurezze.

“E dopo è successo quello che è successo, Richie. Mia sorella si trasferì per un anno a Los Angeles, portandomi con sé, e non ci parlammo più. Che succede, te n'eri dimenticato?”.

: - Impossibile, impossibile che fosse successo solo questo. E durante quella settimana a Parigi? -. In quell'istante capii che, se avessi voluto sapere qualcosa, avrei dovuto parlare con Hilary. Anche se, ne ero completamente cosciente, non sarebbe stato facile farmi raccontare tutto nei minimi dettagli. Dovevo sperare di farle pena. Ma anche in quel caso avrebbe funzionato, visto e considerato che avevo ferito la sua migliore amica?

“Volevo solo.. Volevo solo sapere se ce l'hai ancora con me”. Si alzò, raccogliendo la borsa. Io mi sedetti di scatto, seguendola con lo sguardo. Finalmente riuscii a puntare gli occhi nelle sue iridi incerte.

: - Ora non mi scappi, Mitchell -.

“No, Richie. Esiste il perdono e la capacità di dimenticare. Dovresti conoscerla piuttosto bene, tu”.

: - Ah, se solo sapessi cosa mi è successo, Kayla, non lanceresti queste frecciatine velenose -.

“Se avessi dimenticato, credi che ti avrei portato in quel ristorante? Se avessi dimenticato, credi che ti avrei portata qui qui, ora?”.

: - Ricordare le cose come se fossero accadute qualche settimana fa comincia a rivelarsi comodo, per certi versi -.

Fece per dire qualcosa, poi tacque. Ne approfittai per alzarmi e mettermi di fronte a lei. Non era cresciuta un granché. Forse la mia altezza la stava mettendo in soggezione.

“Se avessi dimenticato, non sarei venuto a cercarti. Non pensi?”.

“Odio quanto fai.. Quando fai questa cosa” bisbigliò, facendo un minuscolo passo all'indietro. Mi premurai immediatamente di accorciare nuovamente la distanza, impedendole di abbassare lo sguardo.

“Questa cosa.. Cosa?”.

“Mettermi alle strette. Ho sempre saputo reagire e.. Beh, dovresti saperlo” disse, incerta. Le riservai un sorrisetto sghembo.

“Lo so fin troppo bene. I nostri battibecchi entreranno nella storia” confermai, annuendo con convinzione. Il sorrisetto che fece, pensai, significava che ero riuscito più o meno a metterla a proprio agio. Pericolo scampato. “Forza, Mitchell, torniamo a casa, è tardi”.

 

La buonanotte, piuttosto imbarazzante, consistette in un bacio sulla guancia, interrotto da un colpo di tosse di Kayla, che trasformò il saluto in una debole stretta di mano.

Premurandomi di non fare rumore, aprii la porta di casa. La mia attenzione nel non fare il minimo rumore degna di ninja, in realtà, non servì a molto: seduti sul divano, c'erano i miei genitori, intenti a sorseggiare del tè e a vedere un poliziesco.

“Bentornato a casa, tesoro” mi salutò mia madre, sorridendomi. “Com'è andata?”.

“E'.. Andata. Domani pomeriggio ci rivediamo” la informai, dandole un bacio sulla guancia e sorridendo a mio padre.

“A colazione ci racconterai tutto con calma, vero?”. Annuii.

“Certamente. Ora se non vi dispiace andrei a riposare..”.

: - Sapete, avrei una decina di anni di sonno da recuperare -.

“Non ti preoccupare! Ci vediamo domani mattina. Sogni d'oro”.

“Sogni d'oro a voi” conclusi, salendo velocemente le scale e raggiungendo la mia stanza. Dopo essermi liberato delle scarpe e della giacca, mi stesi a letto, troppo stanco per raggiungere l'armadio ed indossare il pigiama. Chiusi semplicemente gli occhi, addormentandomi con l'immagine di Kayla stampata in mente.

 

Straccio la terza lettera, lanciandola nel cestino accanto all'armadio, il cui interno ha un insopportabile odore di chiuso.

Non funzionerebbe. Non con queste parole” dico, rassegnato.

Continuo a scrivere una cascata di parole che non mi convincono, esattamente come le precedenti. Chissà a che cosa sto pensando quando accartoccio l'ennesimo pezzo di carta e manco il contenitore della spazzatura. Sconsolato, mi lascio cadere sul letto. Sono inquieto, è più che palese.

Improvvisamente, alla mia sinistra compare un uomo intorno alla cinquantina, alto esattamente come me, dalla corporatura media e dei capelli corti di un castano chiaro. Gli occhi sono dello stesso colore dei miei. Il mio sguardo si abbassa leggermente incrociando, al mignolo della mano sinistra, un anello che porto sempre con me. Ho la sensazione che gli occhi stiano uscendo dalle orbite. Quello sono.. Sono io..

Buongiorno, Richie” mi saluta, sorridendomi. Solo ora realizzo che, fino a quel momento, ho guardato un ragazzino del liceo che cercava disperatamente di scrivere una lettera di senso compiuto. Io sono solo un esterno che sta assistendo alla scena.

Sono.. Un tantino confuso” ammette il sottoscritto. Comincio a soffrire di crisi di identità, decisamente.

Non ti preoccupare. Hai presente quella storia in cui i fantasmi del passato, del presente e del futuro fanno visita ad un uomo malvagio? Ecco, diciamo che la situazione è un po' la stessa, solo che ci sono solo io, che poi sei tu a cinquantatré anni, che ti farò vedere ciò che è accaduto in quei 10 anni”. Se i miei occhi erano spalancati, ora si sono direttamente trasferiti dalla mia faccia e stanno progettando di cambiare continente.

Tutto questo non è possibile”.

Ed essere catapultati nel futuro lo è?” chiede il Richie di cinquantatré anni, che ridacchia. “Ora, guarda un po' che cosa sta facendo quel ragazzino di diciassette anni”.

Qualcuno bussa alla porta. Il giovane si alza e raggiunge la soglia. Girando la maniglia, rivela una Kayla dall'espressione affranta, al contempo innervosita. Mi sporgo in avanti perché la tentazione di prendere in mano la situazione è davvero troppo forte, ma l'uomo mi prende per il polso e mi costringe a starmene al mio posto.

Kayla, io..”. Il ragazzino si rende conto che Kayla non è da sola. Ad aiutarla con le valigie e con le stampelle, c'è un facchino con la divisa dell'hotel, di un verde marcio.

La signorina Mitchell sostiene che lei, nella sua valigia, abbia qualcosa che le appartiene”.

C'era bisogno di scomodare un dipendente dell'albergo e portarsi dietro le valigie?” chiedo, spiazzato, guardando il cinquantatreenne con aria confusa. Si porta un indice alle labbra, come per dirmi di fare silenzio.

Perché dev..”. Il diciassettenne viene interrotto da Kayla stessa.

C'è stata un'emergenza a casa. Devo tornare con il prossimo volo”.

Ha gli occhi lucidi” noto, avvicinandomi a lui; tanto nessuno dei tre può vedermi. Quando il ragazzo si volta verso la valigia e si china per aprirla, una lacrima solca la sua guancia, per poi cadere sulla maglia rossa. “Dannazione, perché non le dai la lettera? Dalle quella maledetta lettera, Sambora!” esclamo. Vorrei scuoterlo. Vorrei prendere tutti quei fogli accartocciati e metterli nelle mani di Kayla, che, in religioso silenzio, osserva ogni movimento del suo migliore amico. “Perché non fa niente?” chiedo in tono arrabbiato.

Glielo stai urlando perché stai guardando le cose con il senno di poi, Richie” mi replica l'uomo, schiarendosi la voce.

La risposta mi spazientisce ancor di più. La mia versione da liceale prende tra le mani un asciugamano di un giallo ocra. Sia lui che Kayla sanno che, in realtà, quello appartiene a me e che quella di Kayla era stata solo una tattica per avvisarmi del fatto che se ne sarebbe andata.

Grazie della collaborazione” dice il facchino, che si avvia verso l'ascensore.

Kayla, io vorrei.. Vorrei darti una cosa”. Il giovane riapre tutti i fogli che non sono riusciti a centrare il cestino e che giacciono lì, sulla moquette. Quando trova quello giusto, forse quello con meno errori grammaticali e con frasi che hanno un vago senso logico, corre verso la porta, ma Kayla se n'è già andata.

Adesso correrai giù per le scale, ma il taxi sarà già partito e vedrai i suoi capelli attraverso il finestrino. Lei si guarderà indietro solo quando tu sarai tornato nella hall e penserà che non hai fatto il minimo sforzo per attirare la sua attenzione”.

E poi? Poi che cosa è successo? Non posso aver gettato la spugna senza aver tentato di rimettermi in contatto con lei” replico, mangiandomi la pellicina dell'indice della mano destra, gesto spontaneo nei miei momenti di paura o confusione.

Per saperlo.. Ci vediamo domani notte”.

 

Mi svegliai nel cuore della notte, grondante di sudore. Accesi la luce per cercare qualcosa con cui asciugare il mio viso e non riuscii a trattenere un urlo quando vidi che, sul fondo del letto, c'era quell'asciugamano.


Nota dell'autrice:

Ebbene, ho approfittato della mia febbre per abbandonare i libri e dedicarmi completamente alla nostra 'amata' FF. Spero che possiate perdonare questi miei ritardi, ma la routine è ricominciata e lo sapete meglio di me :/

Ringrazio le mie fedeli Valentine, Diletta, Ilaria, Marzia e Chiara.

Ringrazio chi ha aggiunto la storia alle seguite:

_BrianneSixx

_chiaretta78

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_KeepSmiling

_Lady Phoenix

_ValeTrilli

__ILoveRnR_

__Runaway_

_Vicky

 

Alle preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli (che l'ha anche inserita tra le ricordate :3 <3)


E non scordiamo le persone che hanno avuto la pazienza di recensire i precedenti capitoli, alias:

_chiaretta78

_Lady Phoenix

_GioTanner

_DadaOttantotto

_ _Vicky_

_CarrieLaRocker


Alla prossima!


Rosie

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Capitolo 11
*** A piece of paper ***


“Richie, questa cosa sta diventando davvero, davvero inquietante” commentò Cameron, scuotendo la testa, allibita quasi quanto me. Inutile dire che, dopo aver ritrovato quell'asciugamano, non riuscii a chiudere occhio. Per questo motivo ero arrivato nell'albergo dove risiedeva la nostra manager-martire-costumista alle 7 circa, rischiando, giustamente, di essere linciato.

“Dire che sono terrorizzato è dire poco. E se avessi un tumore al cervello e mi stessi immaginando tutto? A questo punto non lo escluderei”.

: - Anche perché sono a mala pena sicuro che 2 + 2 faccia 4. Perché fa 4, giusto? -.

“E come spiegheresti il fatto che anche io vedo l'asciugamano che hai in mano?” domandò la ragazza, indicando il panno. Preso dallo sconforto, sospirai profondamente e misi ambedue le mani sul viso. Avevo bisogno di una spiegazione razionale per quell'assurda situazione. “Credo che dovresti vedere Kayla”.

: - Kayla -.

“E se la evitassi finché il 'me cinquantatreenne' non mi spiega per bene cosa è successo?”. La vidi fare no con la testa.

“Non credo che sia una buona idea. Avete passato una bella serata, no? E tanto per tenere una conversazione con lei non ti serve sapere davvero cosa vi è successo dopo Parigi. Uscite, parlate. Sorprendila, Richie. Qualsiasi cosa sia accaduta, devi sorprenderla. Qualsiasi pasticcio tu abbia combinato, dimostrale che a lei ci tieni ed è sempre stato così, perché mi rifiuto di credere che non ti sia mancata nemmeno un po', anche se, con me, non ne hai mai parlato” constatò. Annuii.

“Quindi per sorprenderla cosa dovrei fare?”. 
“Comincia con l'andare a trovarla anche se non vi siete dati appuntamento. Poi.. Pensa a quale sia il suo punto debole e sfruttalo”. Appena concluse la frase, un'idea sfiorò la mia mente, facendomi sorridere.

“Ho bisogno di un favore, Cameron. Credo che solo tu possa aiutarmi”.

: - Mitchell, ti stupirò, ti stupirò eccome -.

 

Dopo aver atteso solamente due secondi alla porta di casa di Kayla, comparve una giovane donna con i capelli raccolti in una coda di cavallo, una larga maglia grigia e dei pantaloncini neri. Notai che, sulle unghie dei piedi nudi, c'era dello smalto blu, nonché il suo colore preferito.

A giudicare dalle occhiaie e l'espressione stanca e ancora un po' sbigottita dal sonno, doveva essersi svegliata da poco. Mi osservò confusa per qualche istante, poi si schiarì la voce.

“Richie che.. Che ci fai qui?”. Si strinse tra le spalle: faceva freddo ed il fatto che fosse di fronte alla porta aperta non la aiutava di certo. Infatti, indietreggiò un poco.

“Sono venuto per chiederti se ti va di fare un giro” spiegai brevemente, sorridendole, nel vago tentativo di convincerla ad accettare.

“Perché no.. Tra quante ore dovremmo tornare?”.

“48, 72.. Non ne ho ancora idea”. Esitò.

“Di che giretto si tratta?”.

“Mitchell, non posso dirtelo: sì o no?” insistetti. Comparve un'espressione corrucciata sul suo volto, al contempo pensierosa. In effetti, oggettivamente, quanto doveva essere masochista una persona per fidarsi di me?

“Accomodati in soggiorno mentre mi preparo. Serve una valigia?”. Sulle mie labbra si fece largo un sorriso soddisfatto.

“Credo che una borsa per portare un cambio basterà ed avanzerà” le risposi, varcando la soglia e chiudendomi la porta alle spalle.

“D'accordo. Il caffè è sul tavolo, serviti pure” disse infine, per poi dirigersi verso la sua camera. Raggiunto il soggiorno, fui accolto da un delizioso profumo di caffè e marmellata all'albicocca e mi resi conto che l'arredamento era sempre lo stesso, eccezion fatta per una mensola sulla quale c'erano, occhio e croce, una decina di foto. Mi avvicinai e presi tra le mani una cornice argentata, all'interno della quale c'era una fotografia di Kayla accanto ad un ragazzo apparentemente della sua età, dai capelli corti ed arruffati, castani. Il giovane le teneva una mano sul fianco destro ed entrambi si stavano scambiando un sorriso complice, di fronte ad una spiaggia. Mentre uno strano bruciore di stomaco cominciava a farsi spazio sino alla mia gola, riappoggiai la fotografia. Gettai un'occhiata a quella accanto e, quando vidi che quel sorriso complice si era appena trasformato in un bacio, mi resi conto che il bruciore di stomaco non era altro che gelosia. Il suono dei passi di Kayla mi distrasse e, in qualche modo, mi risvegliò anche dai miei pensieri. Mi avvicinai al tavolo ed in fretta e furia versai solo un goccio di caffè in una tazzina azzurra con varie scritte colorate, fingendo di essermi seduto lì da chissà quanto tempo.

“Eccomi qui, sono pronta” annunciò ella, con indosso una maglia a maniche lunghe di colore nero fino alle spalle, per poi schiarirsi sempre più sulle maniche, fino a diventare bianca ai polsi. Alle gambe portava un classico paio di jeans grigi con una piccola catenella d'argento che pendeva da due passanti laterali. Delle immancabili scarpe da ginnastica ricoprivano i suoi piedi minuti e sottili, come il resto del corpo.

I suoi capelli non erano più raccolti in una coda; una cascata di riccioli scuri e ben definiti aveva raggiunto le spalle e parte della schiena. Gli occhi, contornati da un leggero tratto di matita nera, mi osservavano curiosi.

“Complimenti per il caffè, era molto dolce” dissi, mentendo spudoratamente, siccome non l'avevo nemmeno sfiorato con le labbra. Arcuò il sopracciglio destro.

“Ma lo zucchero non era nemmeno a tavola, mi ero dimenticata di dirti che è nella credenza di fianco al”.

“Di fianco al calorifero. Me lo ricordo”. Stupita, mi sorrise.

“Hai la memoria di un elefante” constatò, prendendo la tazza che avevo appena poggiato al centro del suo apposito piattino di ceramica. Accennai una risatina, felice di aver trovato un altro lato positivo nell'essere stato catapultato lì da un momento all'altro. “Allora, dove andiamo?”.

“Fingi di fidarti ancora di me, come mi hai detto ieri sera a cena”. Ancora non sapevo per quale motivo ci tenessi ad avere una continua conferma della sua approvazione, del suo affetto, del suo perdono, della sua fiducia. Quest'ultima in maniera particolare era la cosa che mi importava maggiormente in quel determinato momento. Come se ogni mia azione necessitasse di un suo 'sì' per essere legittimata. Per infondermi tranquillità, in un universo parallelo nel quale tutto era assurdamente diverso dalla realtà da cui provenivo.

“Diciamo che, in parte, non devo nemmeno fingere. Coraggio, usciamo da qui”.

 

Dal finestrino dell'aereo, le case sembravano solo dei piccoli puntini insignificanti, intervallati da ampie zone verdi o da strisce di cemento grigio.

“Non me la racconti giusta, Sambora. Il fatto che tu mi abbia impedito addirittura di vedere la destinazione in aeroporto è piuttosto sospetto. Per non parlare dei tappi nelle orecchie per evitare gli altoparlanti. Da chitarrista professionista vuoi intraprendere la carriera di rapitore?”. Feci una di quelle risate che sembrano alleggerire lo stomaco, ma che, a lungo andare, fanno venire una fitta inspiegabilmente dolorosa al fianco, oltre che le lacrime agli occhi e la gola secca.

“Nulla di simile, Mitchell. Spero soltanto che questo viaggio possa farti piacere. Adesso ci conviene riposare..” suggerii, anche se la proposta era piuttosto egoistica, dato che io non avevo chiuso occhio e avrei voluto approfittare di quelle ore di volo. La vidi annuire e le rivolsi un sorriso, per poi appoggiare la testa sul sedile ed incrociare le braccia al petto, pronto a partire nel mondo dei sogni.

“Prima posso chiederti una cosa?”. Riaprii gli occhi e la osservai. “Perché sei ricomparso, mi hai cercata e.. E ora questo?”. Le parole giuste arrivarono da sole, senza nemmeno ponderarci troppo.

“Perché mi sei mancata, Kayla. Mi sei mancata da morire”.

 

Bentornato, Richie!”. Mi gratto la testa dolorante e realizzo di essere davanti al me di cinquantatré anni.

Dovremmo trovarci dei soprannomi..”.

Tu sarai Richie ed io Rich. Oh, e quel ragazzetto di diciassette anni lo chiameremo 'il diciassettenne in crisi'” risponde, indicandomi il giovane me alle prese con la chitarra. L'ha appena buttata sul letto di camera sua e si è passato le mani nei capelli più e più volte, nervosamente.“Eri messo piuttosto maluccio”. Il 'diciassettenne in crisi', non appena mia/nostra (Dio, che situazione... non trovo un aggettivo) madre ha lasciato la stanza, si attacca al telefono, componendo il numero di casa Mitchell. Lo avevo imparato a memoria a furia di chiamarla..

'Rich' batte le mani e, un secondo dopo, ci ritroviamo in una stanza divisa a metà: da una parte c'è 'il diciassettenne in crisi' e dall'altra Kayla, che, sentito il suono del telefono, inizia a correre verso di esso.

Ma come hai fatto?” chiedo, mentre una parte di me risponde: “Smetti di farti delle domande su queste cose, sorridi, annuisci e non aspettarti spiegazioni razionali”.

Dopo te lo spiego, adesso guarda lo spettacolo” risponde, estraendo dalla giacca un sacchetto di pop-corn che inizia a mangiare beatamente, sotto il mio sguardo perplesso e rassegnato.

Kayla, nella sua camicia da notte di un rosa pallido, alza la cornetta, avvicinandola all'orecchio. Ha gli occhi rossi e contornati da occhiaie scure.

Pronto?”. Il ragazzo dall'altro capo ci mette un pochino a rispondere. Deglutisce più volte, si tortura le mani, mentre la cornetta è appoggiata sulla sua spalla.

Kayla, sono Richie. Sei in casa? Devo venire da te”.

Richie, è notte. Non è il caso” dice freddamente.

Rich, non è successo altro dopo la partenza di Kayla? Non è che ho combinato qualche altro casino prima di questa telefonata?”. L'uomo scuote la testa e capisco che, per capire meglio, devo rimanere in religioso silenzio.

Non mi interessa, sono soltanto le 11. Mi devi qualche spiegazione, non pensi?”. E' buffo che, in quel momento, ero stato proprio io a chiedere delucidazioni a lei.

Il mio sguardo si sposta sulla ragazza. Come se avesse perso le forze da un momento all'altro, si adagia lentamente sulla sedia accanto al telefono. Le iridi diventano lucide e capisco immediatamente che quegli occhi si stanno riempiendo di lacrime, che ricaccia indietro strizzando le palpebre. “Kayla?”. Non risponde, anzi: la ragazza riattacca, lasciando cadere la cornetta come se fosse diventata bollente. Scoppia in un pianto liberatorio e rimane lì, su quella seggiola ricoperta da un tessuto rosa ed oro.

Lancio un'occhiata a Rich, che batte ancora le mani. Spariscono le due camere e ci ritroviamo nel giardino, perfettamente curato, della villetta di Maya e Kayla. Arriva il diciassettenne in crisi, con una chitarra classica con tanto di tracolla. Come nelle migliori storie d'amore, raccoglie due sassolini che getta contro il vetro della camera di quella che, sicuramente, tra due millesimi di secondo vorrà ucciderlo.

Comincia a strimpellare una melodia e, dopo i primi quattro accordi, mi rendo conto che è la strofa di una mia canzone, anche se non capisco bene quale..

 

'Ogni canzone alla radio è su di noi, stasera.

O forse sono le parole che rendono tutto così difficile da dimenticare.

I ricordi sono dei flashback che tornano da me,

Sono i momenti che non dimenticheremo.

Se scorre cattivo sangue tra di noi, o se ci sono sensazioni non dichiarate

Non dire una parola, stringimi e basta'.

 

L'hai scritta a posta per lei mentre eravate a Parigi. O meglio: mentre tu eri a Parigi” mi spiega Rich, ascoltando la melodia insieme a me. Kayla spalanca la finestra prima che inizi il ritornello.

Che diamine stai facendo qui?!” chiede, sia sorpresa che arrabbiata, oltre che infreddolita.

Apri la porta?”.

Sei impazzito? Sono le 2. Sparisci, prima che qualcuno chiami la polizia”.

Kayla, apri questa porta!” insiste lui, reggendo lo sguardo. La ragazza torna in casa, dopo un confortante: “Ti ammazzo, stavolta lo faccio sul serio”. Dopo mezzo minuto – bisogna tener conto che non ha fatto pace con la sua caviglia – spalanca la porta di casa. “Dobbiamo parlare” ripete il diciassettenne, che varca la soglia senza nemmeno aver chiesto il permesso.

Di che cosa?”.

Perché sei andata via così? Che cosa è successo?”.

Round 1. 3, 2, 1, che lo scontro abbia inizio!

Perché non sopportavo l'idea di rimanere lì a Parigi con un falso e cinico come te, ecco perché. Soddisfatto?”.

Non me la racconti giusta, Mitchell. Credi che non capisca quando menti o meno? Si parlava di un'emergenza familiare: per aver chiesto l'autorizzazione a tornare nel New Jersey, devi aver fornito una motivazione più valida di questa, alla professoressa” continua il giovane, senza mai guardare altrove: ogni espressione di Kayla ed ogni sua reazione lo avrebbero aiutato a capire quando sarebbe stata sincera o meno.

Io non posso fare altro che mangiarmi le unghie e sperare che vada tutto per il verso giusto.

Richie, se non mi vuoi credere va bene lo stesso. La verità è questa: mi fai schifo, come essere umano e come qualsiasi altra cosa. Sei falso ed indossi la maschera di un alter ego di seconda mano, visto e rivisto. Io non ti voglio vedere. E dato che a Parigi potrò tornarci quando voglio durante le vacanze, non avendo motivi per restare, ho chiesto a mia sorella di fare una telefonata per chiedere di farmi tornare a casa immediatamente”. E' furiosa e respira in maniera alterata. Inspira profondamente e si schiarisce la voce, che ha alzato troppo per i gusti delle sue corde vocali. Il suo interlocutore rimane in silenzio. Forse stavo decifrando le parole o non riuscivo a rendermi conto che le avesse pronunciate realmente. Kayla espira nuovamente e riprende a parlare “Gradirei che tu lasciassi casa mia e che non mi contattassi più. E' l'ultimo favore che ti chiedo”.

: - Avanti, dille che non sei per niente d'accordo. Perché non vuoi dirle addio, giusto? -.

Il ragazzo abbassa la testa. Dopo aver annuito un paio di volte, si dirige verso la porta, poggia la mano sulla maniglia, la gira ed abbandona la villa, con una chitarra tra le braccia e delle lacrime sulle gote.

 

“Richie.. Siamo arrivati. Allora la nostra famosa destinazione era Londra..”. La voce di Kayla mi riportò alla realtà. Aprii gli occhi e mi ritrovai di fronte al suo viso. “Dai, alzati dormiglione. Abbiamo una città da visitare”. Deglutii più volte per sbarazzarmi di quella fastidiosa sensazione creata dalla bocca impastata dal sonno. Lasciato il mio posto, mi portai una mano sulla tasca posteriore dei jeans, dalla quale estrassi un foglio piegato in quattro.

: - Non ricordavo di avere qualcosa in tasca... -.

Lessi, prima distrattamente, poi con più attenzione. Mi portai una mano al petto, perché il battito cardiaco aveva ricominciato ad andare alla velocità che voleva.

 

'Ogni canzone alla radio è su di noi, stasera.

O forse sono le parole che rendono tutto così difficile da dimenticare.

I ricordi sono dei flashback che tornano da me,

Sono i momenti che non dimenticheremo.

Se scorre cattivo sangue tra di noi, o se ci sono sensazioni non dichiarate

Non dire una parola, stringimi e basta'.


Nota dell'autrice:

Ta daaaaaaa. Eccoci qui anche con questo capitolo! *sorriso smagliante, rovinato da un cespuglio di insalata tra i denti*

Diciamo che, come al solito, ho voluto complicare le vite ai nostri personaggi.. Che cosa è successo dopo che Richie ha abbandonato casa Mitchell? E perché è stata scelta proprio Londra come destinazione di questo strano viaggio? E chi è quel ragazzo del quale Richie è così tanto geloso? Lo scoprirete nella prossima puntata!


Un ringraziamento speciale e dal profondo del cuore ad Angelica, che ha letto tutti i capitoli di questa storia, oltre che quelli di If that's what it takes. Insomma, dire che la adoro immensamente è dire poco. Poi, come al solito, ringrazio Vale_Trilli, Ilaria, Diletta e Marzia. 


Ringrazio poi chi ha aggiunto la storia alle seguite:

_BrianneSixx

_chiaretta78

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_KeepSmiling

_Lady Phoenix

_ValeTrilli

__ILoveRnR_

__Runaway_

_Vicky

 

Alle preferite:

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli (che l'ha anche inserita tra le ricordate :3 <3)


E non scordiamo le persone che hanno avuto la pazienza di recensire i precedenti capitoli, alias:

_chiaretta78

_Lady Phoenix

_GioTanner

_DadaOttantotto

_ _Vicky_

_CarrieLaRocker


Ci leggiamo alla prossima!


Rosie

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Capitolo 12
*** "Nice" to meet you ***


L'aria di Londra ha un non so che di magico. Le persone, il paesaggio, le voci, i suoni dei clacson, i profumi. 

 Sistemandomi per bene una grossa borsa nera sulla mia spalla sinistra, feci segno a Kayla di attraversare la strada. 

Cameron, grazie alle sue conoscenze e la sua inesauribile (ne siamo proprio sicuri?) pazienza, era riuscita a prenotare una stanza in un hotel non molto lontano da noi e anche dalla destinazione-sorpresa, ovvero il concerto di Bruce Springsteen, l'artista più amato dalla ragazza al mio fianco. 
: - Mi auguro che sia ancora il tuo cantante preferito, altrimenti posso dire addio ad ogni possibilità di riconciliazione -.
Come una bambina curiosa che strattona un genitore perché possa risolverle qualche dubbio, Kayla tirò la manica della mia giacca e mi riservò un'occhiata che sembrava dire 'Ti scongiuro, dimmi per quale motivo siamo qui!'. Scoppiai a ridere e scossi la testa.
"Mitchell, coraggio, un po'  di autocontrollo!" esclamai, divertito da questa sua voglia di sapere a tutti i costi. Pensai immediatamente alla fatica che avevo fatto a tenerle la benda sugli occhi qualche mese, cioè, qualche anno fa. La curiosità era sicuramente una delle tante sfaccettature che contraddistinguevano il suo carattere, spesso imprevedibile, spesso mansueto, spesso criptico.
"Potrei denunciarti, sai?". 
"Ma finiscila" replicai, pizzicandole il fianco: odiava che lo facessi, era il suo punto debole, dato che, la maggior parte delle volte, finiva per accasciarsi a terra ridendo. Non accadde solo perché era troppo impegnata a vendicarsi: mi tirò una ciocca di capelli e tolse un ciondolo che avevo avuto al collo fino a quel momento, ma non l'avevo mai analizzato con attenzione. Assomigliava al simbolo di superman, quanto meno il contorno in oro bianco, ma all'interno la S (o era un fulmine?), in oro giallo, aveva tutt'altra forma.
Con uno scatto felino, corse dietro di me, proprio quando ero sicuro di essere riuscito a prenderla tra le braccia e bloccarla. 
"Mancata, vecchietto che non sei altro!" esclamò, facendomi la linguaccia ed iniziando a correre. 
"Ah, è una sfida a tutti effetti allora". Mi tirai su le maniche e tentai di raggiungerla. E mi resi conto che, come tutte le volte in cui parlavamo o stavamo insieme, le persone attorno a noi, che in quel momento ci guardavano con un'aria tra lo stupito ed il preoccupato, sembravano scomparire nel nulla. 
"Non mi prenderai!" strillò, svoltando a sinistra e scomparendo dalla mia vista solo per qualche istante. Era minuta ed al mio confronto pareva sempre indifesa, questo era vero, ma era mille volte più veloce del sottoscritto. Quando Kayla riapparve nel mio campo visivo, la vidi dall'altro lato della strada, che non potei attraversare a causa del semaforo rosso. "Ci vediamo nel parco, mezza calzetta!" mi urlò, addentrandosi nel St. James's Park. 
"Questa me la paghi, Mitchell" mormorai tra me e me, con un sorriso - ebete - stampato sulle labbra. Dopo essermela presa col semaforo, che divenne verde dopo un minuto buono, mi guardai attorno e strizzai gli occhi per il sole accecante, cercando quella ragazza pestifera con lo sguardo. "Non puoi essere andata così lontana, disgrazia della mia vita". Imboccai una stradina ricoperta di ghiaia bianca e, d'un tratto, vidi nero. Percepii il calore di un respiro nell'incavo del mio collo e sussultai.
"Indovina chi sono". Mi voltai di scatto e Kayla smise di stare sulla punta dei piedi. Mi rivolse un sorriso da canaglia di professione e si morse il labbro inferiore. 
"Sei un incubo, ecco chi sei!" risposi, con tono palesemente sarcastico, e mi riappropriai del ciondolo. Altro pizzicotto nel fianco sinistro. Se lo meritava, dopotutto.
Entrambi ricominciammo a respirare normalmente, ripresi dalla corsa a perdifiato tra i poveri londinesi, ai quali avevamo sconvolto la quiete pomeridiana.
"Ma se sei venuto tu a cercarmi, di che ti lamenti?". 
Colpito e affondato.
"Touchè. Coraggio, andiamo a cercare l'hotel. Sono le 5 e mezza e dobbiamo uscire alle 8" la informai, tanto per stuzzicarla e scatenare in lei una curiosità mille volte maggiore di quella che già avesse. 
Spazientita, mi lanciò un'occhiataccia, mentre io tentavo di ricordarmi le informazioni che una gentile signora anziana mi aveva dato fuori dall'aeroporto per raggiungere l'albergo. 
"Raggiungi Tothill Street e poi imbocca Broadway alla tua sinistra. A metà strada entra a Caxton Street e buona permanenza, giovani sposini!".
Tralasciando l'ultima parte, a quanto pare ci toccava attraversare tutto il parco per arrivare all'Ermin's hotel. 
"Signorina, si prepari per una lunga camminata" le comunicai, preso dallo sconforto per qualche istante. Si mise entrambe le mani nelle tasche e si spostò al mio fianco.
"Tanto ormai devo rassegnarmi al fatto che non torneremo più a casa" commentò, con tono drammatico. Ridacchiai e la spintonai scherzosamente.
Ad est del ponte, potemmo vedere l'omonimo lago del parco. Sullo sfondo si ergevano alti palazzi bianchi e grigi che fungevano da cornice per quella magnifica vista. 
"Hai così poca fiducia nel sottoscritto?". Il suo sorriso, dapprima sereno e spensierato, tornò ad essere indeciso e sforzato. 
"Dopo che ci siamo detti quelle cose, a Parigi, e dopo che ti sei presentato a casa mia, quella notte.. Mi sono data della stupida per chissà quanto tempo. Speravo scioccamente di poterti cambiare, ma una parte di me sapeva che era un desiderio egoistico, perché non c'era niente di sbagliato da cambiare in te. Però.. Però sai come sono fatta: testa dura e carattere più mutevole del tempo. Mi resi conto che il problema non è mai stato nel fidarsi o meno, nell'amare o meno, nell'impegnarsi o meno. Il problema era che mi fidavo troppo, amavo troppo, mi impegnavo troppo e soffrivo cento volte di più. Per questo motivo ti dico che sì, mi fido, ma relativamente. Non perché sei tu, non per ciò che è accaduto, ma perché non stanca di collezionare delusioni e chiuderle in un cassetto. Mi fido superficialmente, amo superficialmente e cerco di aspettarmi sempre il peggio dalle persone. E non voglio nemmeno che la gente fraintenda il mio modo di pensare: voglio chiarire subito come agisco e come penso, perché io per prima non voglio essere all'altezza delle aspettative di qualcuno, qualunque egli sia, per poi deluderlo". 
: - Quanto mi sarebbe piaciuto potertene parlare prima, Kayla. Quanto mi sarebbe piaciuto cambiare, non deluderti, essere la persona della quale avevi bisogno in mezzo alle cheerleaders amanti della tirannide e della manipolazione dei coetanei -.
Preferii rimanere in silenzio. Codardia e terrore in una sua reazione negativa si sovrapposero, creando confusione ed indecisione.
Tenne lo sguardo sulle foglie adagiate tra la ghiaia, forse per nascondere gli occhi. 
"Siamo arrivati" esordii io, spezzando quel silenzio assordante. Indicai l'hotel che, solo dall'esterno, sembrava un albergo a dieci stelle. 
"Sei una rockstar, Richie: per due giorni puoi permetterti tranquillamente una stanza là. Poche storie e piantala di scocciarmi, che sono le sette di mattina" mi aveva detto Cameron, facendomi deglutire rumorosamente dopo avermi comunicato l'esistenza di una cifra esorbitante che non pensavo potesse esistere realmente (e, soprattutto, che potessi raggiungere in un'unica vita).
"Non posso crederci.." commentò lei, spalancando gli occhi, mentre un facchino ci stava venendo incontro.
"Sì, lo so, è un posto meraviglioso e..". Non feci in tempo a concludere la frase che, quello che doveva essere il facchino, baciò Kayla sulle labbra, per poi riservarle un sorriso carico di dolcezza. La ragazza si ritrasse, per poi intrecciare le dita della sua mano con quelle del giovane alla sua destra.
"Richie, questo è Alexander, il mio fidanzato ed anche il proprietario di questo albergo". 
: - Aspettate, fermi. Cos'è questo suono? C'è un terremoto in corso? La terra sotto i miei piedi si sta sgretolando? Non è che, per caso, qualcuno è disposto a spararmi o ghigliottinarmi o qualsiasi altra cosa? Si accettano proposte per un omicidio rapido ed indolore! -.
L'uomo, dalla carnagione ambrata, il fisico scolpito ed alto un paio di centimetri più di me, mi strinse la mano. Per un secondo temetti che me la stesse frantumando. 
"Molto piacere. Tu sei?". Mantenetti lo sguardo, cercando di non lasciar trasparire il dolore causato da quella stretta. Le sue intelligenti iridi nere mi stavano scrutando attente.
"R-Richie. Mi chiamo Richie". 
"Bene, Richie. Mi racconterete per bene cosa ci fate qui. Ora entriamo, forza!". I due si allontanarono, una mano sul fianco, la testa di Kayla appoggiata alla sua spalla. Rimasi immobile per qualche istante, con espressione apatica.
: - Cameron, te lo giuro: ti ucciderò -. 

"Sì, te lo ripeto un'ultima volta se vuoi: quella sottospecie di modello uscito da una delle migliori riviste di moda è il fidanzato di Kayla ed anche il proprietario di questo stupido hotel!". Sentii ridacchiare Cameron dall'altro capo del telefono. Se fosse stata davanti a me, l'avrei strozzata senza esitazioni.
"Sei in assoluto la persona più sfortunata che abbia mai avuto il piacere di incontrare" commentò.
"Mi vuoi dire ora come faccio?".
"Portala al concerto, fregatene del suo fidanzato e passate una bella serata. Se lei vorrà rimanere lì con Alexander.. Beh, tu tornatene a New York che i ragazzi ti cercano e non so che altre scuse inventarmi per coprirti. E poi, Richie, inventati altro per farla rimanere ad occhi spalancati: dimostrati superiore di quel bell'imbusto". Mi sedetti sul materasso e diedi un'occhiata all'orologio. Era ora di cena e, secondo la scaletta che avevo preparato, avremmo dovuto lasciare le camere entro dieci minuti per non rischiare di tardare. Bruce non aveva artisti che aprivano i suoi concerti e, se sul biglietto c'era scritto che la serata sarebbe cominciata alle otto e trenta, così sarebbe stato. 
"D'accordo. Sappi che, non appena ci vedremo, mi avvarrò della facoltà di buttarti sotto ad un treno o ad una macchina in corsa".
"Sì sì, come vuoi. In bocca al lupo, Sambora. Visto quello che ti è capitato fin'ora, ti serve decisamente". Riattaccai, irritato.
"Visto quello che ti è capitato fin'ora ti serve decisamente" ripetei, facendole il verso e storcendo il naso. Guardai la mia immagine riflessa nello specchio e mi sistemai i capelli. Indossavo una maglia di John Lennon e dei classicissimi jeans a vita alta. 
: - E pensare che fino all'altro giorno non potevi vivere senza quelle stupide tute per la pallacanestro, blu e bianche -.
Osservai un'ultima volta quel viso stranamente maturo e lasciai la stanza. In realtà avevo chiesto una suite per entrambi, composta da due camere, collegate da un'ampia sala che fungeva da soggiorno, ma Alexander aveva insistito perché la sua amata rimanesse con lui. 
Strinsi i pugni per diminuire la mia rabbia, ma dovetti ammettere che non funzionò più di tanto.
Raggiunsi la hall e mi lasciai cadere su un divanetto color panna con dei cuscini di un giallo senape, sotto alla scala che collegava l'immenso salone con il piano superiore. Nessuna scelta era stata lasciata al caso: ogni accostamento di colore, ogni incastro, ogni tonalità erano frutto di una lunga riflessione ottenuta dosando buon gusto e voglia di osare. 
"Siamo pronti per andare?". Kayla, con una graziosa camicetta di pizzo bianco ed un paio di pantaloni neri, si mise di fronte a me. Le sue iridi cangianti incrociarono le mie, rapite dal suo viso e dalla sua pelle candida.
Stavolta non riuscii a non lasciarmi sfuggire un "Sei bellissima" e mi maledii subito dopo. Del rosso comparve sulle sua guance e, probabilmente, era accaduta la stessa cosa a me. "Volevo dire.. Sì, siamo prontissimi".

Combattei ancora con la sua curiosità, ma, alla fine, riuscii a riciclare la tecnica del 'Mettiti quest'affare sugli occhi e non sbirciare o ti taglio le mani'. Funzionò, ma solo perché le dissi che le avrei offerto una pizza per il ritorno a casa.
: - Eccoci, finalmente di fronte allo stadio.. -.
"Questa è l'ultima volta che usi la tecnica del foulard, sappilo. Allora, siamo arrivati? Richie, dove sei? Mi rispondi?".
"Sono qui di fianco a te, Kayla".
Diedi i due biglietti all'addetto alla sicurezza, che ci sorrise e fece passare. 
"Che cos'è tutto questo casino?". 
Arrivati di fronte al palco, ai nostri posti riservati, slegai il nodo dopo dieci minuti scarsi: i musicisti erano entrati.
"Sorpresa, Mitchell" le sussurrai all'orecchio, sorridendo nel vedere la sua reazione entusiasta. Mi abbracciò, affondando la sua testa nel mio petto. 
"E' la cosa più bella che qualcuno abbia mai fatto per me" mi confessò, a qualche centimetro dal mio collo. La strinsi con una mano sulla schiena ed una sulla sua testa. 
"Siete pronti, londinesi?". La roca voce del cantante richiamò l'attenzione di tutti i presenti, che rimasero incantati dallo spettacolo stupefacente, dall'energia della E-Street Band, dalla loro straordinaria bravura e dai loro virtuosismi, vocali e musicali.
E con le note di She's the one, presi il coraggio che mi era mancato per tutto quel tempo. Le poggiai una mano sulla spalla perché si girasse verso di me.
"Non ti dirò 'Sono cambiato' oppure 'Non era mia intenzione fare/dire ciò che ho fatto/detto', perché a questo punto sarebbe del tutto inutile. Però non ho intenzione di deluderti. Non più. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata, Kayla. La cosa più bella..".
Mi fissò confusa per qualche istante, mentre le mie mani raggiungevano il suo viso. Ci sporgemmo in avanti, chiedendoci cosa ci trattenesse dal far incontrare le nostre labbra e, poiché nessuno dei due trovò una risposta, ci baciammo.

"E solo con un bacio
lei riempiva quelle lunghe notti estive
con la sua tenerezza, quel patto segreto che hai stipulato
allora quando il suo amore poteva salvarti dall’amarezza".

Nota dell'autrice:

Eccoci qua! Dai, sono stata 'abbbastanza' brava nel pubblicare senza lasciar passare troppi mesi dall'ultimo capitolo. Okay, forse no, ma sappiate che vi adoro immensamente! *modalità paracul on*

Come potete vedere, Richie e Kayla adesso sono molto, mooolto più incasinati di prima. "E te pareva che non complicavi le loro vite, sadica che non sei altro". I know, I know. 

Partiamo con i ringraziamenti! 

Come al solito ValeTrilli, Ilaria, Angelica (che si è iscritta a posta per me e boh.. La adoro <3), Diletta e Marzia.

Ringrazio le persone che seguono questa storia:

_Angel BJ
_BrianneSixx
_chiaretta78
_DadaOttantotto
_DodoBJ
_Fra_Rose
_KeepSmiling
_Lady Phoenix
_ValeTrilli
_ _ILoveRnR_
_ _Runaway_
_ _Vicky_

Quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_Angel BJ
_barbara83
_CarrieLaRocker
_DodoBJ
_GioTanner
_ValeTrilli
E tra le ricordate:
_ValeTrilli
_Angel BJ

Infine quegli angeli che hanno recensito uno o più capitoli:

_GioTanner
_Lady Phoenix
_ValeTrilli
_Angel BJ
_DadaOttantotto
_chiaretta78
_CarrieLaRocker
_ _Vicky_

Un bacio grandissimo a tutti, grazie davvero per il vostro sostegno :)

A prestissimo!

Rosie
 

 

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Capitolo 13
*** La resa dei conti ***


"Bel casino che abbiamo combinato". Mi guardo attorno e capisco immediatamente di essere immerso nei miei sogni. Rich mi osserva, seduto su una poltroncina blu. Ha le gambe incrociate ed un libro tra le mani, del quale non riesco a leggere il titolo. Sospiro e, dopo qualche secondo, mi rendo conto che nel mio campo visivo c'è anche un ragazzo della mia età, biondo e con degli enormi occhi di un azzurro puro. Jon.

"Che ci fa lui qui?" chiedo, confuso. Ormai dovrei smettere di spaventarmi, con tutte le cose paranormali che mi sono accadute di recente.
Il cantante accenna una risata e si avvicina a me. 
"Rich è il fantasma del passato, anche se viene dal futuro, ma io sono quello che si occupa di tutti i ricordi che hai vissuto da quando sei entrato nei Bon Jovi" mi spiega pacatamente. Mi piace il suo modo di parlare; chiunque potrebbe capire che è un leader fatto e finito. 
"Ho un'idea! Dato che la tua è stata una serata piuttosto impegnativa e che la giornata che affronterai il tuo risveglio sarà anche peggio,, prendiamoci una pausa da Kayla" propone Rich, chiudendo il volume ed alzandosi. "Facciamo un salto in quel locale, Jon?". Il biondo annuisce. 
"Aspettate, un momento, che vuol dire che la giornata che affronterò sarà anche peggio?". I due sembrano non darmi minimamente retta.
"Ci sto, Sambora. Richie, ora ti mostriamo la nostra storia.. La storia dei Bon Jovi". 
Entrambi battono le mani e ci ritroviamo in un pub affollato, pieno di ragazzi giovani. Alcuni sono al bancone a sorseggiare una birra, altri ai tavolini con un panino davanti ed una lattina di coca-cola di fianco, altri ancora, invece, stanno discutendo con il proprietario, che non sembra molto entusiasta dal fatto che stiano fumando al chiuso. Alla nostra sinistra passano Alec e Jon, quest'ultimo con dei capelli particolarmente vaporosi, "tenuti a bada" (si fa per dire) da una bandana blu. 
"Suona qui, allora?" chiede il biondo, sistemandosi su un seggiola, dopo aver ordinato due lattine di cola. 
"Esattamente. Credo che salirà sul palco tra una decina di minuti massimo. Giusto il tempo perché la  gente smetta di parlottare e trovi posto" dice il bassista, sorridendo. 
"Quando Kayla e tu non vi siete più sentiti" inizia a spiegarmi Rich, avvicinandosi al mio orecchio per farsi sentire meglio, a causa della confusione generale, "Tu ed Alec avete iniziato a fare amicizia. In realtà all'inizio tu lo 'usavi' per avere informazioni riguardo Kayla, ma visto e considerato che lui non ti diceva nulla, anche perché non sapeva nulla, tra un bisticcio e l'altro avete deciso di mettervi a suonare insieme". Mi accorgo che deve dire altro, ma non ne ha l'occasione: un dipendente del locale è appena salito sul palco, asciugandosi le mani sul suo grembiule verde, ed ha preso tra le mani il microfono.
"La nostra serata musicale sta per cominciare, gente!". Qualche applauso, un paio di fischi. Non appena torna ad esserci un silenzio relativo, il ragazzo riprende a parlare. "Vi presentiamo un giovane chitarrista di Woodbridge, Richard Sambora!". Mi sento tirato in causa e, per un secondo solo, vado in panico, pensando che debba salire sul palco.
: - Non ci farai mai l'abitudine, rassegnati -.
"Eccoti là!" esclama il Jon fantasma, sfregandosi le mani. Quello reale, invece, sta osservando il chitarrista sul palco con aria pensierosa. 
"Grazie, grazie a tutti" dice il povero sotto i riflettori, con un filo di voce. Chiunque capirebbe che è a causa di una timidezza esagerata. Si schiarisce la voce ed il microfono fischia, producendo un suono stridulo e fastidioso. La gente borbotta, poco convinta dal ragazzetto con una Fender tra le braccia. "Questa sera.. Questa sera vi suonerò un paio di pezzi di.. Dei Beatles. Dovreste conoscerli.." mormora. Sta cercando altre parole, tanto per fare un'introduzione decente, ma, nel momento in cui si rende conto di non riuscire a mettere insieme ulteriori frasi, inizia a spostare le mani sul manico di legno e cattura il pubblico, già pronto a lanciargli qualche uova addosso. 
"Dai un'occhiata all'espressione che avevo" mi sussurra il cantante, indicando la sua versione leggermente più giovane, che sta sorridendo ed ha lo sguardo di uno convinto al cento per cento della scelta che sta per fare. "Non appena ho posato i miei occhi su di te, ho capito che saresti diventato il mio chitarrista e niente e nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea". Intanto il suono della chitarra si fonde perfettamente con la voce, sicura, a differenza di qualche secondo fa. 
Gli angoli della mia bocca si inarcano in un sorriso sincero e, devo ammetterlo, anche commosso. 
"Direi di mandare avanti, che ne dite?" suggerisce Rich, che prende un telecomando e preme il tasto 'forward'. Ah, questi fantasmi moderni. Ci ritroviamo automaticamente fuori dal bar, l'esibizione è finita. 
"Ehi, Sambora". Jon si avvicina al me che, ormai, ha occhio e croce ventiquattro anni. Con una custodia nera sulle spalle, contenente il mio prezioso strumento musicale, mi volto e lo squadro. Probabilmente stavo cercando di ricordarmi se lo conoscessi o meno. I miei dubbi, però, sembrano dileguarsi quando compare anche Alec.
"Such, buonasera. Come posso aiutarvi?".
"Ti vorremmo nella nostra band. Ti ho visto suonare e.. Mi sembri fantastico. Inoltre non mi sembri uno che se la tira. Mi piaci, mi piace il tuo stile". Jon versione attuale si mette a ridere.
"Come mi atteggiavo, accidenti! Ci tenevo proprio a fare bella figura in tua presenza" commenta, scuotendo la testa. Sorrido e mi rimetto a guardare lo spettacolo.
"Ti ringrazio.. Potremmo, che so.. Potremmo fare una prova per suonare insieme, se ti va" propone l'interlocutore moro, imbarazzato per tutti quei complimenti. Il biondo annuisce vigorosamente.
"Domani mattina nel garage di casa mia? Ti ricordi dove abito, vero?" chiede Alec. 
"Certamente. A domani, allora".
"La mattina dopo hai conosciuto David e Tico e, alla prima canzone, avete capito che quello sarebbe stato il vostro destino" racconta Rich, mentre il ventiquattrenne si allontana a destra della strada e bassista e cantante dal lato opposto. Viene premuto il tasto 'stop' sul telecomando e ci ritroviamo in una stanza nera, tappezzata da fotografie in bianco e nero. Jon si avvicina alla prima parete. 
"Queste sono del primo concerto.. Queste quando il manager ci ha consegnato la prima copia del vinile di 'Bon Jovi'. Qui stavamo festeggiando a casa mia e tu ci stavi provando con mia cugina". Arrossisco e mi gratto la nuca.
"Ehm, magari non sapevo che fosse tua cugina.." cerco di giustificarmi, divagando. Il biondo mi riserva uno sguardo serio, ma al contempo giocoso.
"La prima cosa che le hai chiesto è stata 'Sei imparentata con Jon?'. Quando lei ti ha risposto di sì, hai pensato 'Un motivo in più per provarci e divertirmi nel caso in cui Jon si innervosisca!'" interviene Rich, sogghignando.
: - Sono sempre stato tremendo, allora -.
"Domani, o al prossimo pisolino, continueremo con la storia. Adesso sta suonando la sveglia nella realtà, stai per tornare a Londra" mi avverte il cinquantatreenne. 
"Io voglio anche sapere cosa è successo tra me e Kayla dopo quella discussione.." avviso, ma la mia voce diventa sempre più flebile.

Mal di testa e confusione riempirono immediatamente la mia testa. Mi passai una mano sul viso e strizzai gli occhi. Accantonai quel sogno e decisi di concentrarmi solo ed esclusivamente sul mio presente. 
Kayla, il bacio, la fine del concerto, il silenzio imbarazzante nel tragitto stadio-hotel e la buonanotte fredda e distaccata, come tra due estranei. 
"Che cosa ho combinato.." borbottai, sedendomi e poggiando la schiena alla spalliera del letto. Realizzai che l'oggetto che mi aveva svegliato non era una sveglia, bensì il telefono. Balzai giù dal materasso ed afferrai la cornetta, pregando che fosse Kayla.
"Sì?".
"Signor Sambora, ci sono quattro ragazzi che la stanno aspettando nella hall". 
: - Quattro ragazzi? Oh, no.. -.
"Due biondi e due con i capelli scuri, tutti e quattro che sembrano essere usciti da una lotta con i leoni?" azzardai, sicuro che la risposta sarebbe stata affermativa. 
"Sì, signore. Esattamente come li ha descritti lei, signore". Tirai un lungo respiro. 
"Dica loro di attendermi, sarò là tra cinque minuti" conclusi, per poi riattaccare. Prima di incontrare Kayla avevo bisogno di schiarirmi le idee e, se quelli erano i miei migliori amici, allora sarebbero stati in grado di aiutarmi. Era vero: io non sapevo praticamente nulla su Jon, David, Tico ed anche Alec, ma per quegli scapestrati ero sicuramente come un libro aperto. 
Indossai le stesse cose della sera precedente, eccezion fatta per la maglia; ne indossai una bianca con un cerchio giallo al centro, al quale abbinai un gilè nero. Di sicuro non era il massimo dell'eleganza e non ero nemmeno sicuro che l'abbinamento c'entrasse qualcosa col blu dei jeans, ma il mio aspetto, in quel momento, era decisamente l'ultimo dei miei problemi.
Chiusi la porta dietro di me, stancamente, e raggiunsi l'ascensore. Nell'arco di qualche secondo, le porte si spalancarono sulla hall, rivelando i quattro 'che sembravano essere usciti da una lotta con i leoni' (con i leoni come vincitori, ovviamente). 
"Richie!" esclamò Dave, avvicinandosi e dandomi una pacca sulla spalla. "Sei sparito e ci siamo preoccupati! Cameron ha detto che c'erano dei problemi a casa, ma Joan ci ha detto che eri partito a Londra e quindi ti abbiamo raggiunto". 
: - Grazie mille, mamma -.
"Tranquilli, sono vivo e vegeto" risposi io, forse con un tono poco convincente. Jon scosse la testa.
"Hai le occhiaie e quel sorriso è il più falso che sia mai comparso sulla tua faccia. Sputa il rospo, King of Swing. Che ti succede?". 
: - Dannazione, deve conoscermi fin troppo bene questo ragazzo -.
"Va bene, d'accordo.. Ve ne parlerò.. Ma non qui".

"Quindi.. Tu non ti ricordi assolutamente niente degli ultimi dieci anni?" chiese Tico, confuso più che mai. David stava cercando di capire se fossi serio o se stessi scherzando. Non mi stupii più di tanto, Cameron aveva la stessa espressione.
"Eccetto alcuni episodi per via.. Per via di alcuni sogni" risposi, massaggiandomi le tempie. 
"E'.. Strano" commentò Alec, sorseggiando dell'acqua frizzante da una bottiglietta di plastica. 
"Ora, veniamo al problema meno strano di tutti, ovvero Kayla" dissi io, cercando di far focalizzare il gruppo sulla cosa che, francamente, mi preoccupava maggiormente. Se non avessi potuto rimediare ai miei errori? Se l'avessi persa per sempre? Avrei sprecato dieci anni e mi sarei pentito fino alla morte per non aver voluto schierarmi dalla sua parte sin dall'inizio.
"Dici che sarebbe troppo strano se cercassi di parlarle io?" propose il bassista, in memoria dei vecchi tempi.
"Mh.. Credo che sarebbe infastidita e basta se intervenisse qualcun altro. La faccenda si è fatta troppo delicata e, inoltre, mi ha detto che non si fida più di nessuno, per non essere ferita..". Ripensare a quel dialogo mi riportò al bacio, alle sue labbra ed alla scossa provocata dal nostro contatto. Scacciai quell'immagine dalla mente e tornai alla realtà. 
"Richie, ora tu devi chiamarla o farla chiamare dalla hall, devi parlarle e dirle che la ami dalla notte dei tempi" disse Jon, camminando avanti ed indietro, mentre nella sua testa stava prendendo in considerazione ogni eventualità, ogni possibilità, ogni conseguenza delle azioni che avrei compiuto.
"Ma.. Alexander..".
"Alexander lo investiamo e facciamo anche retromarcia, così non soffre troppo" saltò su David, ripreso dallo shock (e non lo biasimo) della mia Odissea personale.
"Non mi importa se alla fine sceglierà lui.." mormorai, per niente convinto delle mie parole. "Mi importa che sappia ciò che provo e che lo sappia una volta per tutte" e, questa seconda parte, era vera. 
"Allora, che stai aspettando? Forza, vai alla reception e mettiti in contatto con lei" mi spronò Tico, con una voce cavernosa che mi diede la sicurezza di cui avevo disperatamente bisogno. Annuii e lasciai la mia stanza.
: - Kayla Mitchell, è il momento della resa dei conti -.

Nota dell'autrice:

Bene, ragazzi, eccoci qua! Ammetto che questo capitolo non è il massimo.. Fate finta che sia una sottospecie di capitolo di transizione per quello che, invece, di novità ne conterrà davvero, davvero tante.

Un grazie immenso a ValeTrilli, Angelica, Diletta, Marzia e Ilaria.


Ringrazio poi le fantastiche persone che seguono questa storia:

 

_Angel BJ

_BrianneSixx

_chiaretta78
_DadaOttantotto
_DodoBJ
_Fra_Rose
_KeepSmiling
_Lady Phoenix
_ValeTrilli
_ _ILoveRnR_
_ _Runaway_
_ _Vicky_

Quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_Angel BJ
_barbara83
_CarrieLaRocker
_DodoBJ
_GioTanner
_ValeTrilli
E tra le ricordate:
_ValeTrilli
_Angel BJ

Infine quegli angeli che hanno recensito uno o più capitoli:

_GioTanner
_Lady Phoenix
_ValeTrilli
_Angel BJ
_DadaOttantotto
_chiaretta78
_CarrieLaRocker
_ _Vicky_

 

 


Ci leggiamo presto, bonjoviani!


Rosie

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Capitolo 14
*** Will you fight for me? ***


"Allora, stai per fare un passo importante, eh, ex diciassettenne disperato?". 

"Com'è possibile che tu sia qui?" chiedo a Rich. O sono svenuto in ascensore, o.. O non lo so, mi arrendo, con questa roba paranormale ne ho fin sopra le orecchie. 

"Ehi, amico, io sono un fantasma, posso comparire quando e dove voglio! Solo che era più comodo venirti a trovare mentre dormivi. Sai com'è, di giorno anche noi abbiamo da fare".

"Per esempio?" chiedo, incrociando le braccia al petto. 

"Beh.. Per esempio... Oh, toh guarda, una monetina!". No, vi prego, non ditemi che mi ridurrò così. O forse già sono in queste condizioni, ma non me ne rendo conto? Uhm..

"Sbaglio o mi dovevi dire cos'è accaduto dopo la discussione con Kayla?". Sorride.

"Giusto. Dopo questo episodio, però, non ce ne sono altri. Pronto?". Assento ed il fatidico telecomando ci riporta alla sera del litigio. Kayla ha appena chiuso la porta ed è stata raggiunta da Hilary. Stavano facendo un pigiama party, allora.. 

"Perché sei stata così cattiva?" le chiede l'amica, un po' scombussolata ed assonnata. La ragazza non risponde e le si fionda tra le braccia, distrutta e palesemente provata. Hilary le passa una mano sulla schiena, cercando di infonderle più tranquillità possibile. 

"Non voglio che mi cerchi, quando la settimana prossima mi trasferirò. Se non mi chiamerà, allora lo dimenticherò e non dovrò stare male.." spiega, a fatica, tra un singhiozzo e l'altro. 

"Ma così starà male lui, tesoro.. E vorrà chiarimenti e come pretendi che non si sentirà in colpa e non farà di tutto per parlarti di nuovo?". La sua interlocutrice si asciuga le lacrime con il polsino della vestaglia che ha indosso. 

"Si renderà conto che non gli importa..".

"No, non dire così.." mormoro, avvicinandomi. Mi volto verso Rich. "Non c'è nessun modo perché lei possa sentirmi?". Fa di no con la testa ed io torno a guardare la ragazza.

"Si accorgerà che sono stati solo due mesi insulsi e.. E poi ha Katy, no?". 

"Kayla, ma non ho te. Capisci la differenza?". E, ancora, pronuncio inutilmente parole che non la raggiungeranno mai.

"Io e Maya ci rifaremo una vita là.. Lui non ne farà parte e non può fare niente per tornarci".

"Mi sottovaluti un po' troppo.. Sono andato dal New York a Woodbridge solo per ripescarti, Mitchell".

"Tu promettimi una cosa, Hilary: se dovesse chiederti qualcosa, digli che non sai nulla e che, in ogni caso, non puoi parlare. A qualunque costo, a qualsiasi ricatto. Non voglio che sappia dove sono. Quando tornerò, lui si sarà scordato e sarà troppo arrabbiato o umiliato per rivolgermi la parola". Hilary annuisce.

"Se è quello che vuoi, rispetterò la tua richiesta. Ma, se fossi in te, ci ripenserei..". Kayla sembra non averla sentita. Fa le spallucce e si stringe tra le braccia.

"Andiamo a dormire. è tardi".

Rich le osserva mentre salgono le scale. Io finalmente ho capito il perché di quelle parole e che, nonostante abbia avuto un valido motivo per dirmi quelle cose a Parigi, le sue azioni sono state dettate dalla paura di ferire uno dei due.

: - Dimenticare, eh? Speravi davvero che sarebbe stato il modo migliore per mettere la parola 'fine' a tutto? Ah, Kayla.. -.

"Ora, vedi di fare attenzione alle parole che dirai alla tua amata, perché, da quelle, dipenderà il nostro futuro" mi avvisa, con aria paterna. 

"Fammi l'in bocca al lupo, Sambora". Mi scompiglia i capelli ed accenna un sorriso.

"Buona fortuna, bluesman. Ci vediamo nel futuro". 

 

Scesi dall'ascensore e, dirigendomi verso il bancone della reception, mi resi conto che non c'era nessuno. Istintivamente guardai l'orologio, ma non mi sembrava così presto, anzi, non lo era proprio. 

: - Ma dove accidenti è andato il dipendente che mi ha fatto chiamare dalla band? -.

Non riuscendo ad aspettare, varcai la soglia dell'unica porta aperta collegata alla hall, nella speranza di trovarvi qualcuno a cui rivolgermi. Subito dopo aver notato che su ogni mobile c'erano minimo minimo trenta rose bianche, un violino cominciò a suonare una melodia cullante. Dietro al musicista, sulla parete, venne proiettata una scritta rosa, alla lettura della quale dovetti deglutire rumorosamente. 

'Will you marry me?'.

"Stop, stop!" esclamò una voce, appartenente a nientepopodimeno che Alexander. Un Alexander tutto tirato a lucido, con tanto di completo elegante, nero, con una camicia bianca ancora profumata di ammorbidente. Dal taschino sbucava un bellissimo fiordaliso appena sbocciato. "Vi sembra la signorina Mitchell, per caso? Spegnete il proiettore, dannazione!". I tecnici ed il violinista non ebbero il coraggio di fiatare. La voce dell'uomo li aveva zittiti ed immobilizzati. Incuteva parecchio timore da arrabbiato. "Richie, perdonami davvero, ma, come hai intuito, questa è una mattina un po' particolare". Si passò una mano tra i capelli e fece un lungo respiro. Io, scosso ed incapace di dire qualcosa, annuii appena, giusto per fargli capire che le sue parole, purtroppo, avevano raggiunto le mie orecchie. 

: - Vuole sposarla. Lui vuole sposarla -.

Per qualche secondo pensai di aver sbagliato tutto, di aver sbagliato ad andare nel New Jersey, a cercarla, a portarla qui, a baciarla. E, più ci pensavo, più mi maledicevo per avermi permesso di innamorarmi di lei. La gelosia ed il dolore sono orribili, mi dissi, per poi comprendere che, alla fin fine, erano le stesse cose che Kayla aveva provato quando eravamo al liceo. Da questo punto di vista, potevo ammettere di essermeli meritati entrambi. 

"Probabilmente arriverà tra parecchi minuti, il concerto è finito tardi, è tornata in stanza verso l'1".

Sarebbe stato in grado di renderla felice? Sarebbe stato in grado di darle ciò di cui aveva bisogno, ovvero tutta la dolcezza possibile ed immaginabile? Questi quesiti non avrebbero mai trovato risposta. 

: - Tu saresti in grado di renderla felice, Richie? Saresti in grado di darle la dolcezza che merita? -. Il mio dialogo interiore era appena cominciato e, di sicuro, non mi avrebbe schiarito le idee. Eppure, eppure quella era la cosa di cui avevo più bisogno, insieme a Kayla. Non riuscire a ragionare mi rendeva inerme, vulnerabile ed inutile, più di quanto già lo fossi. 

"In ogni caso voglio che sia perfetto. Ormai stiamo insieme da cinque anni. Insomma, è tanto tempo e credo che sia arrivato il momento adatto per fare questo passo. Tu che ne pensi?".

: - Dovrei considerarmi privo di modestia se cominciassi a pensare che solamente io potrei renderla veramente felice? Io però non sono fidanzato con lei da cinque anni. La conosco da appena un paio di mesi, se escludiamo tutti gli anni in cui l'ho vista senza mai rivolgerle effettivamente la parola -. Concluso questo pensiero, però, ne feci immediatamente un altro: l'avevo sempre osservata, terrorizzato dal fatto di non poter essere alla sua altezza. Non mi piaceva fare fatica, ero un essere fondamentalmente squallido e pigro, che si accontentava e non amava combattere. Abituarmi a stare con atleti e cheerleaders non costituiva un grande dispendio di energie, effettivamente.

  : - Ora, però, combatterei fino alla morte per lei o lascerei perdere? -.

"No" risposi, scuotendo appena la testa.

: - No, cosa? -.

"No, penso che sia il momento adatto per chiederle di sposarti".

: - Hai scelto la due, Richie. Spero che tu possa ricavare il meglio da questa scelta, anche se ne dubito fortemente -.

La mano di Alexander raggiunse la mia spalla, che colpì appena. "Grazie, amico. Ora, se puoi scusarmi, vado a ripassare il mio discorso. Sai, non voglio un semplice 'Vuoi sposarmi?'. Nah, voglio qualcosa di meglio per la mia Kayla". Delle parole si bloccarono nella mia gola, appoggiandosi stancamente sulle corde vocali e tornando da dove erano venute. Sarebbero state superflui e, a dire la verità, non me la sentivo nemmeno di proferir parola. 

: - Sposala, Alexander, ma non sarà mai la tua Kayla -.

Lasciai la stanza, con lo sguardo chino, digrignando i denti e continuando a strizzare gli occhi per scacciare pensieri che non avevo voglia di ospitare o sviluppare. Aprii la porta della mia stanza, poggiando il palmo sulla maniglia e girandola con poche forze. Jon, David, Alec e Tico si zittirono immediatamente. Quattro paia di occhi, che non vedevano l'ora che dicessi qualcosa, si puntarono su di me.

"Si torna a New York, ragazzi. Preparate i passaporti".


Nota dell'autrice:

Eccoci qui.. Capitolo scarno e poco interessante, ma che contiene una grossa novità, che sta mettendo in pericolo l'equilibrio già precario di questa coppia formata da Kayla e Richie. Cosa farà il nostro Sambora? Ha davvero deciso di arrendersi? Le vostre perplessità si risolveranno al prossimo capitolo (che sarà lungo, lo prometto).

 

E via con i ringraziamenti! Uno immenso a Ilaria-Hilary, Diletta-Cameron, Marzia-Maya, Valentina, Angelica e a DadaOttantotto e Chiaretta78 che, nonostante i problemi con computer-internet-tempo-buco nell'ozono, hanno letto comunque tutti i capitoli lasciandomi recensioni bellissime. Grazie, davvero <3


Ringrazio infinitamente chi ha inserito la storia tra le seguite:

_Angel BJ

_BrianneSixx

_Chiaretta78

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_KeepSmiling

_Lady Phoenix

_ _ILoveRnR_

_ _Runaway_

_ _Vicky_

 

Quelle che l'hanno inserita tra le ricordate:

_Angel BJ

_Vale Trilli


Ed infine quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_Angel BJ

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli

Un bacio a tutti, grazie mille per il vostro sostegno :)

Ci leggiamo al prossimo capitolo,

Rosie

 

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Capitolo 15
*** A clear conscience ***


“Sei sicuro della scelta che hai fatto?” chiese Jon, per la quinta volta nell'arco di dieci minuti. Uscii dal bagno, dopo essermi fatto una doccia rilassante, ma il suo effetto calmante durò ben poco.

“Sì, Jon, sono sicuro” risposi, sistemandomi i bottoni della camicia e mettendo un asciugamano medio nel cesto dei panni da lavare. Stava cercando di capirmi, di leggermi, di analizzarmi, ma mi promisi che, qualunque cosa avesse da dire, me la sarei lasciata scivolare addosso, senza agire. David e Tico avevano sul viso un'aria comprensiva e dispiaciuta, mentre Alec non sapeva se avvicinarsi per abbracciarmi o se contemplarmi come il tastierista ed il batterista. “E dai, ragazzi, non sono mica stato condannato a morte” replicai, in parte innervosito per quelle espressioni atterrite, come se una disgrazia terribile li stesse perseguitando. “Tutti abbiamo avuto una giornata no, giusto?”. Seguirono alcuni secondi di silenzio.

“Certamente, Richie, ma noi siamo qui per farti reagire di fronte a questo decennio no” mi disse il cantante, abbozzando un sorriso.

“Esatto, Rich. Sbaglieresti se volessi fare tutto di testa tua. Noi siamo disponibili a darti una spalla su cui piangere, a patto che asciugherai le nostre magliette da eventuali lacrime, perché sai, poi si rovinano e Cameron rovina noi ed è tutto un circolo vizioso” aggiunse Tico, ridacchiando. Non riuscii a rimanere serio e le mie labbra si incresparono in qualcosa che assomigliava vagamente ad un sorriso.

: - Com'è possibile che riescano a farmi sentire meglio anche se sono pochissimi i ricordi che riguardano tutti e cinque? -.

“Ora, tutto quello che dobbiamo fare è andare a prendere una pizza ed una bella birra che non stona mai. Poi penseremo al resto. Dobbiamo raccontarti un paio di cose e tu devi riprendere tra le braccia le tue chitarre. Credo che sentano la tua mancanza” disse Alec, spegnendo la sigaretta che stava fumando, in un posacenere di vetro al centro di un vecchio tavolino dal legno rigato su quasi tutta la superficie.

“Va bene..” mormorai, con la stessa convinzione di un prigioniero che sta per gettarsi in mezzo agli squali, costretto da un vecchio pirata spietato. Jon si avvicinò.

“Se devi salutarla, fallo. I rimpianti sono la cosa più difficile da digerire. Non sperare che col tempo diventi più facile, anzi. Tanto noi non ti mettiamo alcune fretta”. Vidi David annuire vigorosamente.

“Magari ha detto che non vuole sposarlo, quell'Alexander. Non hai detto che Kayla non voleva più fidarsi completamente, né amare totalmente?”. Il ragionamento razionale di Tico, effettivamente, non faceva una piega.

“Fingi di non aver visto quello che hai visto. Vai da quella ragazza e dille quello che dovevi dirle prima di incontrare quello scimmione con la puzza sotto al naso” insistette il tastierista. Quanto erano ostinati, accidenti. Dire di no era pressoché impossibile.

“Aspettatemi fuori dall'albergo e tirate fuori le carte di credito: avrò bisogno di alcool”.

 

Fuori dalla porta di quella camera, sentii le ginocchia traballare. Chissà se anche Kayla si era sentita così, in quel corridoio parigino. Continuare a fare paragoni mi aiutava a distrarmi dall'ansia. O almeno ci speravo.

Un colpo. Due. Nessuna risposta. Mi asciugai il sudore accumulatosi sui palmi, passandomi le mani sulla felpa grigia.

Tre. Quattro.

“Avanti”.

Tuffo al cuore, voglia di divorarsi le unghie di tutte e dieci le dita. Toccai appena la maniglia e aprii definitivamente la porta con il piede. Kayla era seduta su un divanetto blu. Non sembrava stupita dalla mia visita. Rimasi deluso dalla sua apatia, ma forse c'era una motivazione dietro.

“Come stai?” domandai, e sembrò che quelle parole avessero richiesto un enorme sforzo, da parte mia, per essere pronunziate.

“Alexander mi ha chiesto di sposarlo” disse poi. Non un 'bene', non un 'male', non un 'ho ripensato a ieri sera', ma una semplice frase lineare, diretta. Frase da un contenuto già noto al sottoscritto. Non volli rispondere: aspettavo che fosse lei ad aggiungere qualcosa. Occhi lucidi, colorito pallido. “Perché quel bacio, perché il tuo ritorno, perché questo viaggio? Perché, Richie?”.

: - O sono io che faccio cose talmente stupide da non essere capito da nessuno, o forse gli altri si aspettano le cose peggiori da parte mia, o del prossimo in generale, come nel caso di Kayla -.

“Sono svenuto, dopo la telefonata con Katy. Quando mi hai sfidato, dicendo che sarei stata la stessa persona anche dopo dieci anni da quel momento, ho perso i sensi”.

: - Ehi, fermo, che stai facendo?! -.

“E ti sembrerà assurdo quello che sto per dirti, ma.. Ma quando ho riaperto gli occhi, non ero a Parigi. Mi sono ritrovato a New York, catapultato nel 1986”. Inarcò un sopracciglio, indietreggiando appena.

“Ma di cosa stai parlando?”.

“Fammi continuare, per favore” replicai io, con pacatezza. Ripresi “Ho scoperto di far parte di una band di fama mondiale e di esserne il chitarrista. Fin qui tutto okay, ma poi, quando ho capito che tu non facevi più parte della mia vita.. No, quello di certo non potevo accettarlo”. I suoi occhi cominciarono a riempirsi di preoccupazione ed incredulità.

: - Se poi scappa a gambe levate, non dire che non ti ho avvisato, eh! -.

“La prima cosa che ho fatto è stata cercarti. Per rimediare ai miei errori, semplicemente per rivederti, per riportarti nella mia vita. Non ricordavo più nulla degli ultimi dieci anni, avevo bisogno di te come punto di partenza.. E poi, se fossi stato costretto a vivere nel 1986, non avevo assolutamente intenzione di rimanerci senza l'unica persona, appartenente al mio passato, di cui mi importa davvero qualcosa” risposi, tutto d'un fiato. Kayla mi osservava preoccupata. Non aveva mosso un muscolo.

: - Cosa dirai, ora? Che non devo ubriacarmi di prima mattina? Che ho battuto la testa? -.

Feci un piccolo passo verso di lei, che si spostò.

“E' assurdo”.

Decisi di continuare, di farla concentrare sulla parte più importante del mio discorso, che di certo non riguardava il mio allegro viaggio temporale.

“Ti ho baciata perché ho sempre voluto farlo, Mitchell. Ti ho baciata perché mi piaci, perché sei la persona migliore con la quale io abbia mai avuto a che fare. Perché ho capito che, se potessi ritornare indietro, allora.. Allora manderei a quel paese Katy, la squadra di basket, e sceglierei sempre e solo te”. Sentii che un piccolo nodo alla gola stava tentando di frenare le mie parole.

“Dovevi pensarci prima, Richie” sussurrò lei. Quanto le stava costando dire quel che aveva detto? A giudicare dalla voce così sottile e dalla rassegnazione nel suo sguardo, molto, ma forse era solo una mia impressione, un mio desiderio.

“Sei partita, senza avvisarmi. Hai voluto tagliare ogni tipo di rapporto, perché così non avremmo sentito la mancanza l'uno dell'altra” mi difesi io, con un velo di livore.

“Nemmeno credevo che l'avresti sentita, quella mancanza” rispose, sospirando e chinando il viso.

“Io ti amo, Kayla”. I suoi occhi, dapprima carichi di lacrime causate da chissà quale mix di sentimenti, si puntarono nei miei. Da lì a poco, una mano aperta raggiunse il mio viso, lasciandovi uno schiaffo sonoro. Come se avesse appena commesso un omicidio, ritrasse immediatamente la mano. Non mi aveva fatto male, in quel momento non sentivo assolutamente nulla.

“No, tu non mi ami. Tu ami i ricordi, Richie. Tu stai impazzendo a causa di quelli, stai impazzendo perché non puoi avermi, perché io devo sposarmi e perché tu, abituato ad essere accontentato alla minima richiesta, non riesci ad accettarlo” esclamò, con un tono incontrollato ed isterico. “Bella cena quella al locale di John Wayne. Bel concerto, belle passeggiate. La nostra vita ora va avanti, nelle due direzioni differenti che, giustamente, abbiamo preso a 17 anni”.

“Kayla, ma non capisci?”.

“Alexander mi ama”.

“E tu ami lui?” domandai, arrabbiato, deluso, affranto. Non ricevetti risposta.

“Torna dai tuoi amici e lasciami in pace”.

“Allora ti faccio un'altra domanda: tu ami me?”. Aprì leggermente la bocca, sorpresa dal mio quesito.

“Esci di nuovo dalla mia vita, Richie. Ti prego” bisbigliò ancora. Mi voltai verso la porta, aggrappandomi alla maniglia.

“Spero che la tua coscienza sia pulita, Mitchell. La mia, ora, lo è”.

 

Il freddo finestrino dell'aereo era in netto contrasto con la mia fronte calda, sul quale era appoggiata. I ragazzi mi avevano suggerito di tornare momentaneamente nel Jersey, giusto per fare pace con il resto del mio passato e passare del tempo con i miei genitori. Inoltre, la maggior parte dei paparazzi era convinta che i Bon Jovi fossero a New York. Un punto a nostro favore per non avere seccature tra i piedi e per poter provare i pezzi in santa pace. Avevo un grosso repertorio da imparare, dopotutto.

“Caffè?”. La voce di Jon mi riportò tra il mondo dei vivi. Scrollai le spalle e mi si sedette di fronte. “Ti offrirei qualcosa di più forte, ma in realtà saresti ancora minorenne”. Nonostante avessi apprezzato il suo tentativo di farmi accennare qualcosa di vagamente simile ad un sorriso, non dissi nulla. Era così bravo a capirmi, che avrebbe sicuramente percepito la mia gratitudine. “So che è una situazione orribile.. Ti capisco. Il problema è che per te sono passati solo un paio di giorni. Per Kayla, invece, dieci lunghi anni. E se tu nel nostro mondo non hai avuto modo di tenerti in contatto con lei, non puoi pretendere che tutto torni come speri. Sarà un pensiero pessimista e anche cinico, perché no, ma..”.

“Lo so, Jon. Ti ringrazio, ma sto bene. Ho la coscienza pulita. Le ho detto quello che avevo bisogno di dirle, ora è tutto sotto cont”.

“Non dire che è tutto sotto controllo o che stai bene. Mentire è una cosa, ma cercare disperatamente di convincersi di una scemenza simile è un'altra. Sono più che convinto che tu abbia cercato di fare il possibile e che davanti al muro che lei ha costruito tu non abbia potuto far altro che fare dietro front. Però non hai ottenuto quel che volevi ed è più che normale che tu sia in queste condizioni” mi spiegò, riferendosi probabilmente agli occhi rossi e le occhiaie da panda assonnato, per giunta.

: - Grazie, biondo. Non avrò mai bisogno di uno psicologo, finché saremo amici. E mi pare di capire che sarà così per un bel po'. Davvero un bel po' di tempo -.

“Mi ci abituerò. Devo solo fingere che io abbia vissuto quest'ultimo decennio. Un gioco da ragazzi, insomma” dissi con una punta di sarcasmo. 

“Ci siamo noi. Non ti lasciamo solo. Abbiamo foto, aneddoti, racconti, canzoni.. Tutto quello che serve per costruirti una fetta di passato abbastanza movimentato”.

L'aereo sta per atterrare. Invitiamo tutti i passeggeri ad allacciare le cinture di sicurezza, grazie”.

Eseguii l'ordine dettato dalla voce metallica dell'hostess.

“Grazie, Bongiovi”.

“E' un piacere, ex diciassettenne disperato. Davvero' un piacere” concluse, facendomi l'occhiolino.

 

Nota dell'autrice:

Finale un po' particolare, ma ormai io e mr. Mistero siamo diventati parecchio amici xD 

Anche qui sono successe delle cose non particolarmente allegre.. Abbiamo una Kayla che, se da una parte ci sembra sicura della scelta che sta per fare, sposando Alexander, dall'altra è palesemente indecisa e sofferente per il secondo addio (o arrivederci?) detto a Richie. Insomma, il tormento interiore dei due personaggi è destinato a durare anche per un po'.

 

Direi di non indugiare ulteriormente e partire con i ringraziamenti.

Uno particolare a Valentina, Diletta, Marzia, Ilaria e Angelica.

 

Uno alle persone che seguono questa storia:

_Angel BJ

_BrianneSixx

_Chiaretta78

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_KeepSmiling

_Lady Phoenix

_ _ILoveRnR_

_ _Runaway_

_ _Vicky_

 

Uno a quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_Angel BJ

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli

E chi ha recensito uno o più capitoli:

_Lady Phoenix
_GioTanner
_ Vale Trilli
_Angel BJ
_CarrieLaRocker
_DadaOttantotto
_ _Vicky _
_chiaretta78

Grazie davvero, siete degli angeli <3

Ci leggiamo al prossimo capitolo, che conterrà la svolta decisiva... *la suspence sale e l'autrice fa un ghigno sadico :P*

Rosie

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Capitolo 16
*** 167 ***


In due settimane scarse avevo imparato accordi, canzoni, testi e tutto quello che avevo fatto con i Bon Jovi, perlomeno in ambito prettamente musicale. Mi rimanevano indietro i ricordi legati alla nascita e lo sviluppo della nostra amicizia, ma non ero dell'umore adatto per ascoltare storie. "Magari tra qualche giorno" continuavo a ripetere ai ragazzi, per poi fare spallucce e riprendere la chitarra tra le braccia.

Non che restassi tutto il giorno seduto sul divano, con una bottiglia di birra alla mia destra, una pizza di fronte e qualche foglio con delle note sparse a casaccio, ma ci andavo vagamente vicino. Avevo deciso di restare barricato in casa a suonare, a cantare, a stamparmi nella mente la vita che questo mio alter ego aveva costruito in questi anni, e ad abituarmici. I miei genitori sapevano semplicemente che avevo bisogno di un periodo di pausa per pensare, per riflettere e tante altre scuse poco differenti che avevo tentato di fornir loro, per giustificare la mia presenza e la mia permanenza a casa, ventiquattro ore su ventiquattro. "Dovresti uscire, sai? Jon ha chiamato stamattina. Avete litigato?" e quando non erano di Jon le telefonate, mia madre mi riferiva notizie inerenti David, Tico, Alec. Mai una volta che le sue labbra pronunziassero il nome di Kayla. Ci avevo perso le speranze e, a dir la verità, stavo iniziando ad accettare l'idea di averla persa definitivamente.

In un certo senso quello schiaffo e quelle parole mi avevano reso più facile l'incassare il colpo senza troppi patemi d'animo. Eppure c'era qualcosa che mi impediva di gettare tutto nel cestino e dedicarmi completamente al mio presente. Perché non aveva risposto quando le avevo chiesto se era me che amava? Un pazzo avrebbe risposto "Perché ama te, no?". Certo, ma io non potevo peccare di egoismo o mancanza di modestia. "E tu credi che lei sarebbe così masochista da voler sposare qualcun altro, quando è te che ama?".

Mi alzai e feci un giro in camera mia, camminando istericamente. Distrarsi, mettere a tacere questa cantilena assurda che continuava a ronzarmi nelle orecchie, ecco ciò di cui avevo bisogno.

Mi avvicinai alla scrivania e presi tra le mani un vinile di Stevie Ray Vaughan. Era un chitarrista eccezionale e lo avevo conosciuto giusto la settimana precedente, con la scusa di voler dare un'occhiata a quanto fosse mutato il panorama musicale, rispetto al '76. Aveva qualcosa, nel suo stile, che mi interessava estremamente. La tecnica, il suono pulito, la velocità, i virtuosismi mai troppo eccessivi.

Appoggiai Texas Flood sul giradischi e attesi pazientemente di sentire le note del primo pezzo, mentre tastavo i polpastrelli incalliti della mano sinistra, messa fin troppo sotto sforzo negli ultimi giorni.

"Richie, posso entrare?". Madre a ore 14. Accennai un "mh" non troppo convinto, che stava a significare "Se proprio devi, sì". Varcò la soglia con delle magliette tra le mani, appena stirate. Le mise sulla terza mensola dell'armadio dietro alla porta. Chiusa l'anta, mi scrutò, arcuando un sopracciglio. "C'è odore di chiuso. Dovresti aprire la finestra e farti una doccia" mi suggerì.

"Doccia?".

"Sì. Hai presente quella cosa fantastica che c'è in bagno, di fronte al lavandino e accanto alla lavatrice? Proprio quella" ribadì, con un velo di sarcasmo, che feci fatica a cogliere. In assenza di una mia risposta, ne approfittò per parlare ancora, ma sapevo già quali sarebbero state le domande alle quali avrei dovuto fingere di rispondere sinceramente. "Che ti succede, Richie? Te ne stai chiuso qui tutto il giorno a suonare e stai cercando di evitare i tuoi amici. Non mi hai detto più nulla.. Nemmeno su Kayla". Cercai disperatamente di non sembrare troppo scocciato da questa invasione del mio spazio. E pensare che di solito ero addirittura felice che mia madre captasse ogni mio problema, come un ripetitore con un segnale radio.

"Devo imparare delle canzoni e prepararmi per quando ricominceremo ad andare a fare concerti" spiegai pacatamente. Sperai che la conversazione potesse concludersi lì. Ero molto impegnato, d'altronde.

: - Non è vero, è una bugia. Non hai proprio nulla da fare -.

"Non hai risposto all'ultima mia osservazione, però" insistette. Era evidente che, alla fin fine, quella era l'unica cosa che le importava realmente. Che mi stessi impegnando con la chitarra era chiaro e limpido anche per uno scimpanzé stordito.

Sbuffai, come per farle capire che la cosa non mi aveva toccato più di tanto. Nonostante questo mio tentativo, vidi che mia madre era ancora in attesa di spiegazioni. Tra lei e Jon, non potevo dire chi fosse più caparbio e con un futuro nel mondo della psicologia samboriana.

"Non è andata bene. Ci sono rimasto male ma, sai com'è, i problemi d'amore ci sono sempre, no?". Sembrò insoddisfatta dalle mie parole.

"Devi esserci rimasto molto più che male, se non è andata bene proprio dopo che tu l'hai cercata, dopo tutto questo tempo".

: - Che fai, metti il dito nella piaga, mamma? -.

Ma mentre stavo prendendo in considerazione se dirle la frase appena pensata, tanto per gettarla sulla sdrammatizzazione, il campanello suonò, nello stesso istante in cui Love struck baby era terminata.

La donna al mio fianco si alzò di scatto: aveva sempre odiato far aspettare le persone fuori dalla porta.

"Vestiti e lavati i denti, Richie. E fatti anche la barba, che stai diventando una sorta di naufrago. Se è una visita per te, sappi che non dirò che sei impegnato o che stai dormendo. E' arrivato il momento di uscire di qui, prima che cominci a parlare una lingua inventata e a dormire sul tappeto". Lasciò la stanza e sentii il suono dei suoi passi mentre scendeva gli scalini. Benché non ne avessi la minima voglia, eseguii gli ordini appena ricevuti. Trascinandomi in bagno, presi la schiuma da barba e me la spalmai sul viso.

: - Dio, ma da quanto tempo è che non mi do una sistemata? Un vero e proprio naufrago, mia madre ha ragione -.

Il suono dell'acqua che usciva dal rubinetto sembrò estremamente rilassante, in quel momento. Chiusi gli occhi per un istante e sussultai quando quell'atmosfera di calma apparente venne interrotta da qualcuno che stava bussando brutalmente alla porta.

"Chi è?".

"Sei vestito?". Di chi era quella voce? Ero rimasto così tanto tempo senza vedere anima viva da aver rimosso qualsiasi cosa?

"Ehm, sì" dissi, incerto, quasi balbettando. La porta si spalancò ed una figura non troppo alta, magrolina ed apparentemente indifesa si avvicinò verso di me. "Oh, ciao Cameron" la salutai poi, dopo averla riconosciuta. Si sporse in avanti e mi guardò dall'alto verso il basso.

"Puzzi. Quel pigiama da quanto tempo ce l'hai addosso? Ti si sta screpolando tutta la fronte e.. Ma che cavolo, stai per caso cercando di diventare come Tarzan?".

"Ehi, va bene che sono messo male, ma così mi fai sembrare mille volte peggio" ribattei, prendendo tra le mani il rasoio e tornando a guardarmi, con disgusto, allo specchio. I capelli non solo erano vaporosi, ma piuttosto elettrici e crespi come non lo erano mai stati.

"Jon mi ha raccontato la triste storiella, ma a quanto pare sei stato irrintracciabile per due settimane. E meno male che mi avevi promesso di raccontarmi tutto" mi rimproverò. Nonostante si sforzasse di apparire severa e aggressiva, erano i suoi occhi a tradirla. Non era una persona cattiva e non lo sarebbe mai stata.

"Non ne avevo voglia, perdonami. Non di sentire te, ma di parlarne ancora e ancora e ancora. E' sfiancante continuare a ricordarsi che hai gettato al vento ogni chance che avevi a disposizione e credo che tu non possa darmi torto". La vidi annuire dispiaciuta.

"Ne hai un'altra, di chance, a dir la verità" replicò, sedendosi sulla lavatrice e sistemandosi con un piede sotto la coscia. Lo facevo sempre, quando ero bambino. Magari dopo una discussione con un amichetto o con i miei genitori, perché non volevano darmi la torta prima di cena. Mi divertivo a piazzarmi lì sopra e a parlare quando era accesa: la voce vibrava tutta e mi immedesimavo in un fantasma alle prime armi, pronto a spaventare a morte qualche individuo.

"No, Cam. Non intendo fare altro, dico sul serio". Volli farla breve. Sciacquai guance e mento, per poi asciugarmi il viso con un morbido asciugamano che sapeva di ammorbidente alla pesca.

"Ne sei certo?".

"Sì, Cameron. Non sono mai stato così sicuro in vita mia. Ora, se esci e mi prometti di non insistere, io mi faccio una bella doccia" aggiunsi, rimettendo l'asciugamano al suo posto. La moretta assentì nuovamente.
"D'accordo. Nel caso in cui tu voglia disgraziatamente cambiare idea.." lasciò una busta sulla lavatrice e tornò con i piedi sul pavimento. "Ci vediamo in giro, Sambora. E mi raccomando: pensaci". Chiuse la porta alle sue spalle, scomparendo dalla mia vista. Allungai la mano verso il foglio, che presi in mano. Sembrava che la carta fosse appena stata immersa in qualche profumo per donna. La scritta, che mi accinsi a leggere solo dopo aver dato un'occhiata all'estetica della busta, ingiallita per dare un effetto antico, era arzigogolata, nera, che si addiceva perfettamente a qualcosa di ufficiale.

 

 

"Siete invitati a partecipare alle nozze di Kayla Mitchell e Alexander Daniel Smith,

che si terranno sabato mattina alle ore 11.00,

nel giardino dell'Ermin's hotel, Londra".

 

 

Chissà cosa Cameron si aspettava che facessi. Quella era una partecipazione di nozze, non un'altra chance, l'ennesima, per rimediare ai miei errori. Era uno stupido invito per una stupida occasione in cui Kayla avrebbe sposato uno stupido energumeno alla moda. Ecco cos'era.

“Secondo lei probabilmente dovrei piombare nel bel mezzo della cerimonia, spalancare le porte della chiesa e urlare: 'No, Kayla, non farlo! Io amo te!', magari proprio nel momento in cui il prete dirà: 'Se qualcuno ha qualche ragione per cui non dovrei unire in matrimonio questi due giovani parli ora o taccia per sempre' o quello che è. Ma no, mia cara Cameron, scordatelo, non farò niente di tutto ciò. Ah, vedrai! Me ne starò qui, al calduccio, nella mia stanza, senza alcun rimorso, senza nemmeno la traccia di qualche senso di colpa, senza..”. Lanciai un'occhiata al calendario, poi all'orologio. Venerdì. 15.25.

“Nessun.. Rimorso..” ripetei, tirando un lungo respiro, appoggiandomi con una mano al mobile.

Mi raccomando: pensaci”.

Gettai nuovamente un'occhiata al foglio. Lo piegai a metà.

: - Accidenti a te, moretta -.

Mi sbarazzai della maglia, della canottiera bianca, sgualcita sulle spalle, e del resto dell'abbigliamento che, ormai, era sul punto di prendere vita e mettersi a lavare per conto suo.

: - Se devo combattere, tanto vale farlo fino alla fine. Se devi perdere, tanto vale farlo avendole provate davvero tutte -.

 

Indossai una camicia bianca ed un paio di pantaloni neri, il tutto preso temporaneamente in prestito da mio padre. Non volevo mettermi la cravatta o il papillon insieme ad una giacca da perfetto principe azzurro, perché non avevo la minima intenzione di partecipare alla cerimonia.

Uscii in fretta e furia, dicendo a mia madre che sarei tornato il giorno successivo e che le avrei spiegato più dettagliatamente al mio ritorno. Non potevo permettermi di perdere ulteriore tempo.

La corsa in aeroporto fu sfiancante, ma, in ogni caso, non riuscii a chiudere occhio durante il volo. Non mi importava arrivare alle due di notte, con qualche dollaro in tasca: Kayla mi aveva dato fin troppe possibilità per cambiare vita al liceo. Era giunto il momento di “ricambiare questo favore”.

Fissai l'orologio da polso, per la centesima volta nelle ultime ore. Mezzanotte. Non avendo nessun bagaglio da recuperare, non dovetti aspettare molto per abbandonare l'aeroporto di Londra e correre ancora, stavolta verso l'Ermin's hotel. Mi resi conto di ricordare piuttosto bene la strada; passai per il parco nel quale Kayla era scappata dopo avermi preso il ciondolo che portavo al collo, attraversai la strada e giunsi di fronte ad uno dei tanti negozi di souvenir della città e poi, finalmente, arrivai alla fine della lunga siepe di gelsomino, ritrovandomi dinnanzi all'entrata dell'albergo.

: - E se fosse andata a festeggiare altrove l'addio al nubilato? -.

Formulai quel pensiero nel momento in cui, alla reception, avevo appena chiesto dove fosse la stanza della signorina Mitchell.

“Se mi dice il suo nome avviso la signorina, che mi darà il permesso o meno di farla salire. E' anche piuttosto tardi, signore. E' probabile che stia riposando”.

“D'accordo, allora..”.

: - Ora cosa mi invento? -.

“Prenderò una stanza, così le farò una sorpresa domattina”. La ragazza, evidentemente stanca, annuì appena e, fatte tutte le procedure, mi fece firmare un foglio, accanto al quale poggiò la chiave della mia stanza. “152, signore”. La ringraziai e mi voltai per raggiungere l'ascensore, con aria sconsolata, dato che non avrei potuto parlare con Kayla proprio in serata. “Se le interessa così tanto” mi interruppe la dipendente, per poi continuare “La signorina Mitchell è nel suo stesso corridoio, alla 167”. Sorrisi.

: - 167 -, mi ripetei, per memorizzarlo.
“Non so come ringraziarla”.

“Si figuri. Deve farle una sorpresa per il suo compleanno, forse?”. Molto probabilmente doveva essere nuova ed anche parecchio distratta, per non aver notato l'enorme scritta all'entrata, che annunciava le nozze del proprietario dell'hotel con questa famigerata Kayla Mitchell.

Assentii, sorridendo ancora.

“Esattamente”. Sembrò entusiasta, come se toccasse a lei ricevere una visita inaspettata. Si aggiustò il nodo che teneva legati i capelli rossi e tornò a sistemare dei fogli, sbadigliando e coprendosi la bocca con la mano sinistra.

Mi preparai a salutare Maya, Hilary e chissà quali altre ragazze che stavano festeggiando la vigilia del matrimonio, cercando di prepararmi mentalmente un discorso, che, alla fine, avrei stravolto completamente nella realtà.

Respiro profondo, pugno contro il legno della porta bianca. Ormai ci ero abituato.

: - Ricordati che è comunque mezzanotte e che, se non c'è nessuno o se non ti sentono perché Morfeo sta lavorando, hai comunque un po' di tempo domani, prima della cerimonia -.

E, infatti, non ricevetti nessuna risposta. Per niente sconsolato, mi diressi verso la mia camera. Riposare mi avrebbe fatto bene e la mente di entrambi sarebbe stata più sveglia l'indomani.

Mi lasciai cadere sul letto e mi addormentai, come un bambino tra le braccia della madre.

 

Nota dell'autrice:

E siamo giunti fin qui.. Lo so che mi state odiando perché ho interrotto il capitolo sul più bello e che vi rimarrà un peso sullo stomaco finché non descriverò questo incontro prima delle nozze, ma.. Ma non ho giustificazioni, sono sadica *risatina malvagia, con tanto di tuoni, fulmini e chi più ne ha, più ne metta*.

Direi di non indugiare ulteriormente e di passare ai ringraziamenti.

Uno particolare a Valentina, Diletta, Marzia, Ilaria e Angelica.

 

Uno alle persone che seguono questa storia:

_Angel BJ

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_ _Runaway_

_ _Vicky_

 

Uno a quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

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E chi ha recensito uno o più capitoli:

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Ci leggiamo al prossimo - e penultimo, sigh - capitolo.

Un bacione,

Rosie

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Capitolo 17
*** Marry me, please ***


Senza troppi convenevoli e senza crearmi ulteriori problemi, mi alzai e decisi di fingere di stare andando a fare la spesa, e non a parlare con Kayla. Lei.. Lei l'avrei incontrata per caso, nel reparto cereali, come nei peggiori telefilm americani. Non badai nemmeno a sciacquarmi il viso, visibilmente provato dal viaggio e dall'orario del mio arrivo.

Credevo di essermi svegliato intorno alle cinque volte, durante quella nottata. Gettavo un'occhiata all'orologio e, vedendo che erano solamente le 2.00, piuttosto che le 3.00 o le 4.00, tentavo sconsolatamente di riprendere sonno.

Guardai il mio riflesso nello specchio. Non c'era niente di nuovo, solo delle occhiaie che mi facevano assomigliare vagamente ad un panda. Erano le 8.00 e se la cerimonia cominciava alle 11.00, significava che Kayla era già sveglia e, forse, in panico.

Osservai ogni mio singolo movimento, come se non fossi nel mio corpo e stessi guardando il tutto comodamente seduto sulla poltrona.

Mi aggiustai una ciocca di capelli, che profumavano ancora di shampoo, lo stesso che mio padre utilizzava dalla notte dei tempi. Mi sistemai il colletto della camicia, accarezzando la stoffa e togliendo da essa un filo, probabilmente appartenente al sedile dell'aereo. Ascoltai il suono dei miei passi fino all'entrata e mi piegai per “lucidare” la punta della scarpa destra, sulla quale si era adagiata un po' di polvere, in netto contrasto col nero della pelle.

: - Ora sì che sono presentabile -.

Risi tra me e me, pensando a quanto facessi schifo a mascherare il mio nervosismo. Mi mordicchiai il labbro inferiore, mentre la mia mano, appoggiata sulla maniglia, aspettava che il mio cervello le ordinasse di farmi uscire.

: - 1 -.

I denti? I denti erano puliti? Nessun residuo di insalata o qualsiasi altro cibo? Mi passai la lingua sulla dentatura curata – mia madre ci teneva e ogni due per tre mi portava dal dentista per qualche controllo -.

: - 2 -.

E l'alito? Non potevo farla svenire per via del mio alito. Con la mano sinistra raggiunsi la mia tasca. Avevo l'abitudine di portare sempre un pacchetto di mentine con me. La mia strana consuetudine si era rivelata utile.

: - 3 -.

Nell'arco di qualche istante, mi ritrovai nel corridoio, dalle pareti rosse, il soffitto dorato e la moquette della stessa tonalità dei muri, il tutto illuminato da numerose lampade di cristallo.

In meno di dieci passi avrei raggiunto quella porta costosa dal legno pazientemente lavorato. Bastava semplicemente che avanzassi.

: - Prima un piede e poi l'altro, Richie. Prima un piede e poi l'altro -, come mi ripeteva mia madre, quando mi insegnò a camminare.

Ad aprire la porta fu una Kayla con indosso una corta vestaglia di seta, rosa antico, che arrivava a coprirle metà coscia. I capelli erano ondulati e non ricci e ribelli come al solito. Evidentemente qualcuno era già intervenuto con un asciugacapelli ed una piastra. A giudicare dalla rosa bianca che aveva nella mano destra, dalla quale sporgeva un piccolo e sottile elastico dello stesso colore dei suoi capelli, stava per legare la folta chioma in uno chignon. Il fiore avrebbe dato un tocco di purezza ed eleganza in più.

Notai che gli occhi erano arrossati, esattamente come la punta del naso. Sembrava che avesse pianto fino a qualche minuto prima. Magari era semplicemente stress. Al di là delle occhiaie livide (a quanto pare non ero stato l'unico a riposare male, quella notte), il suo viso era bello come al solito. La sua era una bellezza tangibile, non fredda o irraggiungibile. Con quel leggero trucco sulle palpebre, sicuramente da aggiustare e completare, mi resi conto di quanto fosse penetrante il suo sguardo. Emanava sicurezza. Una sicurezza falsa, che ingannava chiunque, ma non me.

Incrociò le braccia, spaesata. Forse si stava chiedendo “Ancora lui? Ma quando la smetterà di darmi il tormento?”.

“Ciao, Kayla” la salutai, con voce ferma. Se voleva ingannarmi con la sua di fermezza, allora avrei usato la stessa carta del 'ho tutto sotto controllo e non mi spaventi'.. Meno male che i pantaloni erano leggermente larghi sulle ginocchia, così non avrebbe visto che stavano tremando un poco.

“Giorno a te”. Volevo che fosse lei a fare il primo passo. O meglio, il secondo; il primo l'avevo fatto io venendo a bussare a quella porta, per l'ennesima volta. Chissà se me ne sarei pentito o meno. “Devi.. Dirmi qualcosa, o..”.

Le porsi l'invito al matrimonio. Non ero sicuro che Cameron lo avesse ottenuto 'legittimamente', ma non importava.

“Sono venuto per questo”.

“Oh” disse lei, semplicemente. Annuì, fingendo di leggere con attenzione il nome suo e quello di Alexander, come se fosse una poesia impegnativa che le stava richiedendo chissà quale sforzo intellettuale. Trascorsi alcuni secondi, fu Kayla a sentirsi in dovere di parlare. “E' un po' presto per andare a prendere posto” commentò, allontanandosi dalla porta, per appoggiare la rosa su un tavolino sul quale c'erano anche un paio di chiavi ed un vaso blu. La interruppi velocemente, varcando la soglia e chiudendo la porta alle spalle. Era arrivato il momento in cui Kayla avrebbe dovuto far sì che si dissolvessero tutti i miei dubbi riguardo questa storia.

“Non sono venuto qui per assistere alla cerimonia” dissi. “Questo è proprio all'ultimo posto nella classifica dei miei pensieri” aggiunsi.

La vidi arcuare le sopracciglia, perfettamente sistemate. Le conferivano un'aria piuttosto.. Professionale e seria. Ricordava vagamente la professoressa di letteratura, sotto quel certo punto di vista. E no, non era un fatto positivo.

“Allora mi chiedo per quale motivo ti sia presentato qui”.

: - Lo faceva a posta o proprio non lo capiva? -.

Respirai profondamente, espirando a lungo l'aria che aveva riempito i miei polmoni. Dovevo fare molto attenzione alle parole giuste da dire.

“Ti ricordi cosa ci siamo detti due settimane fa?”. Camminai per la stanza, mentre lei si stava sedendo sul fondo del letto. Notai l'abito bianco, steso sul materasso. Non aveva spalline e la gonna di tulle sotto al corpetto lavorato non era per niente esagerata.

: - Deve proprio starle un incanto -. Allontanai quel pensiero: non potevo di certo permettermi distrazioni di quel tipo.

“A grandi linee sì, me lo ricordo. Perché hai preso questa brutta abitudine di scavare nel passato?” mi domandò. Sembrava realmente incuriosita.

Ignorai il suo quesito e proseguii.

“Risponderò alla tua domanda, quando tu risponderai alle due che ti ho fatto e che sono rimaste in sospeso. Dato che ti ricordi solo a grandi linee, ti rispolvererò io la memoria: tu ami Alexander, Kayla?”. Accennò una risatina imbarazzata, che mi fece innervosire. Lasciai cadere le braccia lungo i fianchi e strinsi le mani in due pugni, per scaricare il mio nervosismo improvviso.

“Non vedi?” iniziò, indicando il vestito dietro di sé. “Mi sto per sposare, Richie”.

“E questa non è una risposta” mi imposi io. “Pensa ai matrimoni combinati. Tutte quelle donne si sposavano, certo, ma quante di loro, nonostante questo, erano realmente innamorate?”.

“Questo non è un matrimonio combinato”.

“Non mi stai rispondendo”. Si morse il labbro inferiore e incrociò le mani. Due segni di timore che l'avevano sempre contraddistinta. Mi aveva raccontato che era stato così che sua madre aveva scoperto che era stata lei a rubare la marmellata appena preparata e lasciata incustodita sul bancone della cucina.

“Tieni quella domanda per te, non ti do fretta. Insomma, che razza di persona sarei se non ti lasciassi il tempo per ragionare? Anche se, insomma, per cose del genere bisognerebbe avere la risposta pronta.. Ma non importa. Chi sono io per giudicare?”. Arrossì leggermente e abbassò lo sguardo sulla moquette grigia. “Veniamo all'alto quesito. Aspetta, cos'è che ti avevo chiesto?”. Sapevo che non avrebbe detto nulla, perciò decisi che avrei condotto io il gioco. Mi avvicinai, con le mani in tasca, e guardai a terra, fingendo di essere tremendamente interessato alle mie scarpe. Dovevo interpretare la parte di quello pensieroso. “Ah, giusto. Ora ricordo”. Quando fui davanti a lei, mi abbassai appena, costringendola a puntare i suoi occhi nei miei. Quello era l'unico modo per decifrare i suoi pensieri. “Sei innamorata di me, Kayla?”. Deglutì rumorosamente e capii che se ne pentì immediatamente. Indietreggiò sul letto, convinta che servisse a qualcosa; mi sporsi in avanti, continuando a fissare le sue iridi. Le pupille cercavano di guizzare ovunque tranne che verso il mio viso. “Allora?”.

“Mi devo sposare, Richie”. Arretrò ancora.

“Sei innamorata di me?”. Appoggiai i palmi sul materasso e mi ritrovai alla stessa distanza che c'era tra di noi fino a pochi secondi prima.

“Ho detto che mi devo sposare”. Retrocedendo di altri venti centimetri, si ritrovò con la schiena contro la spalliera.

: - Sei alle strette, Mitchell -.

Gattonai, annullando di nuovo quell'eccessiva distanza e ritrovandomi ancora una volta di fronte al suo volto spaventato.

“E io ti ho chiesto: sei innamorata di me, Mitchell?”. La sua cassa toracica continuava ad alzarsi ed abbassarsi. Chissà il suo battito cardiaco che razza di velocità aveva raggiunto. Di fronte al suo ennesimo silenzio e alla sua indecisione assoluta, sapevo già quale fosse la risposta. Mi faceva male il fatto che fossimo arrivati fino a quel punto, a poche ore dal matrimonio con qualcuno che, a quanto pareva, nemmeno amava.

“Richie, io..”.

“Io?”.

“Tu..”.

“Egli, noi, voi, essi. Arriva al dunque”.

Ancora respiri alterati e occhiate imploranti, come se la stessi sottoponendo a quale atroce tortura.

: - Beh, Mitchell, mia madre mi ha raccontato che, per capire se quella è la persona giusta, bisogna sentire il solletico in gola e i brividi lungo tutta la schiena. Vediamo se così li senti -.

Finsi di stare ascoltando Bruce Springsteen e la E Street Band mentre cantavano e suonavano She's the one, come durante quel primo bacio. La dinamica fu più o meno la stessa, atmosfera a parte. Stavolta, però, da un bacio dipendevano milioni di cose.

La posta in gioco era troppo alta.

: - Li senti i brividi, Mitchell? Sono l'unico dei due che ha la sensazione di stare prendendo la scossa? Eppure, se tu sei la persona giusta per me, sarebbe inverosimile se io non fossi quella adatta a te -.

Riaprimmo gli occhi nello stesso istante. Nemmeno mi ero accorto di aver schiacciato il vestito con la gamba. Beh, se quel bacio aveva avuto l'effetto che mi aspettavo, non ci sarebbe stato il bisogno di un abito da matrimonio.

“Credi di poter rispondere alla mia domanda, ora?” sussurrai io, a qualche millimetro dalle sue labbra. Rimase in silenzio ed una lacrima solcò la sua guancia. “Se devi sposarti oggi.. Sposa me, Kayla. Sposa me”.

“Oh, Richie..”. Si asciugò lo zigomo col palmo della mano, che poggiò sulla mia spalla. “Non posso sposarti.. Senti, noi..”.

: - No, non ancora -.

“Dieci anni, Richie. Cinque dei quali sono stata fidanzata con la persona che mi ha chiesto di diventare sua moglie. Sei ricomparso e.. Non so con quali scopi, non so con quali pretese, ma mi hai stravolto la vita e io.. Io devo essere più oggettiva possibile, okay? Perché.. Perché, con qualche uscita e un paio di baci.. non si può buttare all'aria qualcosa che qualcuno ha costruito in cinque anni. E' troppo, Richie. E se tu fossi al mio posto..”.

: - Se fossi al tuo posto, sposerei la persona che hai davanti. Ma perché per me sono passati solo alcuni mesi, forse. O forse perché mi hanno insegnato a rimanere fedele a chi amo. Chissà quale delle opzioni è quella giusta -.

Le lasciai un impercettibile bacio sulla fronte, interrompendo le sue parole: non volevo sopportare altro.

“Poi chiedi a Hilary di portarmi una bomboniera. Adam è ancora ghiotto di confetti”.

 

Il cielo era coperto da nuvole scure, che minacciavano pioggia per le prossime ore. Mi aggiustai il cappello nero da cowboy che un ragazzetto mi aveva venduto a qualche metro dall'aeroporto. Aveva allestito una bancarella con i suoi amici. Sembrava di rivedere me insieme ai miei compagni di scuola, quando avevamo appena undici/dodici anni. Eravamo ragazzini ingenui che speravano di potersi acquistare chissà quanti fumetti vendendo giocattoli mezzi rotti o ai quali non davamo più attenzione.

C'erano parecchie persone, piene di valigie, zaini, borse e bagagli vari. Avevano l'aria di essere parecchio spossati. Uomini in giacca e cravatta camminavano nervosamente, attenti a non pestare i piedi a qualche turista sperduto. Mi addentrai nella calca di viaggiatori, pensando a quanto il mal di testa mi stesse scombussolando.

Non avevo avuto il tempo per acquistare un biglietto di ritorno, perciò mi toccava rimanere in fila per prendere il volo delle 10.30. E mancavano venti minuti scarsi. Mi massaggiai le tempie, mentre la fila diminuiva sempre di più.

: - Finalmente il mio turno -.

“Un biglietto per l'aereo delle 10.30”. La dipendente dai capelli rossi legati in una coda laterale annuì vivacemente.

“Richie!”. Una voce femminile richiamò la mia attenzione, ma non riuscii a capire da dove provenisse. “Richard Stephen Sambora!” urlò ancora, più forte di prima. Kayla si stava sbracciando tra la folla, cercando di superare degli omoni impegnati coi loro cellulari. “Richie!”. Probabilmente aveva capito che l'avevo notata, perché stava sorridendo.

: - No, stavolta non mi fermerò. Mi dispiace. Dovevi pensarci prima, Kayla. Se mi vuoi, sai dove trovarmi. E se ti conosco bene, non accadrà altro  -.

Presi il biglietto in mano e sorrisi alla rossa, ringraziandola. Poi, sistemandomi il cappello sulla testa, mi avviai verso il corridoio che mi avrebbe fatto salire sull'aereo.

: - Addio, Mitchell. A te e al tuo orgoglio -.

 

Nota dell'autrice:

...

Siete tutti vivi? E' un po' pesantuccio come capitolo, lo ammetto. E per tutti coloro che si aspettavano un lieto fine................................... Prima di disperarvi, aspettate l'epilogo (che pubblicherò molto, molto presto. Domani sera, massimo lunedì pomeriggio).

Finalmente (e dico finalmente perché, se fossi stata al posto di Richie, avrei ucciso Kayla al primo rifiuto.. Ma mr.Sambora ha più pazienza della sottoscritta, quindi..) il nostro Riccardo Stefano si è rifiutato di ascoltare Kayla. 'Dovevi pensarci prima'. E non ha tutti i torti.

Ma la domanda è: la signorina Mitchell andrà a trovare il nostro Richie o lascerà correre e sposerà Alexander? 

*solita musichetta che crea suspense*

 

E' il momento dei ringraziamenti!

Uno alle co-protagoniste/comparse, alias Marzia, Ilaria e Diletta (alla quale dedico questo capitolo, nella speranza che Ispy -ispirazione - si faccia viva, perché mi manca da morire leggere un suo capitolo <3) e uno a quelle martiri di Valentina (Vale Trilli) e Angelica. Grazie davvero ragazze, vi voglio un bene immenso <3

  

Ringrazio poi le persone che seguono questa storia:

_Angel BJ

_BrianneSixx

_Chiaretta78

_DadaOttantotto

_DodoBJ

_Fra_Rose

_KeepSmiling

_Lady Phoenix

_ _ILoveRnR_

_ _Runaway_

_ _Vicky_

 

e quelle che l'hanno inserita tra le preferite:

_Angel BJ

_barbara83

_CarrieLaRocker

_DodoBJ

_GioTanner

_ValeTrilli

E, dulcis in fundo, chi ha recensito uno o più capitoli:

_Lady Phoenix
_GioTanner
_ Vale Trilli
_Angel BJ
_CarrieLaRocker
_DadaOttantotto
_ _Vicky _
_chiaretta78

A presto,

Rosie

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Capitolo 18
*** Epilogo ***


"Game over, Sambora". Mi tasto la fronte, come da copione. Ormai sono abituato a sentirmi scombussolato dopo questi strani viaggi nei miei sogni. Alzo lo sguardo; eccolo lì, Rich, con le mani incrociate dietro la schiena e un'espressione atterrita. Mi chiedo se uno spirito possa avere una brutta giornata. "Game over" ribadisce, smettendo di camminare in circolo. Non sembra allegro e spensierato come al solito, e questo mi turba.

"Cosa intendi dire?" gli chiedo, con le braccia lungo i fianchi, come se non volessi più lottare, e una probabile espressione indispettita sul volto.

"Per Kayla" mi dice, come se fosse ovvio, ma ancora non capisco.

"Spiegati" lo incalzo.

"Potevi scegliere. Non sei rimasto ad ascoltarla".

"Ma certo che no" ribatto, sulla difensiva. "Mi ha rifiutato, ancora. Se proprio ci tiene, allora prenderà un aereo e verrà da me" aggiungo, convinto delle mie parole.

"Richie.. Tutte questa era una prova. E hai fallito" mi comunica. Se la sua intenzione era quella di calmarmi, beh, sta ottenendo tutt'altro effetto.

"Rich, non so come si comportano i fantasmi o come passano le loro giornate, ma se hai mai provato a parlare a qualcuno col cuore in mano, puoi immaginare quanto sia umiliante sentirsi rispondere negativamente non una, non due, ma ben tre volte". Annuisce, come per volermi dare ragione, ma non sembra molto convinto e glielo leggo negli occhi.

"Hai fallito la prova, Richie" insiste, ma io continuo a non capire e digrigno i denti, nervoso.

"Dimmi di che cosa stai parlando".

"Kayla non tornerà" mi risponde, con estrema calma. Sembra un infermiere che comunica ai parenti che il paziente non ce l'ha fatta, nonostante abbia fatto il possibile per salvarlo. Mi si stringe il cuore, mentre una vocina nella mia mente mi dice che, di fatto, dovevamo aspettarcela.

"Se fossi cambiato, allora lei.. E' colpa mia. Solo colpa mia..". Vorrei piangere, ma non sono solo e questo mi basta per trattenere le lacrime. Lacrime non di tristezza, ma che contengono tutti i miei rimpianti per non averle dato ascolto quel giorno, fuori da casa sua. Non riesco a fare altro che ripetermi: 'Se avessi fatto', 'Se avessi detto'. Non so quanto sia utile piangersi addosso, perché è troppo tardi e la consapevolezza di ciò non fa altro che peggiorare la situazione.

"E' vero. Se fossi cambiato e se le avessi dato ascolto, allora non l'avresti persa per sempre" conferma. La mia rabbia sale, ma non credo sia possibile prendere a pugni un fantasma, che ha per giunta le mie sembianze.

Scuoto la testa e cammino nervosamente in una stanza completamente bianca. Lo stomaco si sta attorcigliando e comincio a percepire un fastidioso bisogno di rigettare. 

"Quando mi sveglierò, le telefonerò. Le telefonerò e.. E le chiederò cosa doveva dirmi all'aeroporto".

"Non puoi" replica Rich. Distende le labbra in un sorriso sardonico, come se si aspettasse già le mie parole. "Game over. Ricordi? Quel che hai fatto lì, non si può aggiustare, ora. Non ti risponderebbe, non la troveresti. Non sei autorizzato a incontrarla ancora nel 1986". 

"Non è giusto!" esclamo. La mia voce richeggia per qualche secondo, poi il silenzio viene riempito dai miei respiri irregolari. "Rich". Mi avvicino a lui e punto le mie iridi nelle sue, sperando di risultare più convincente. "Devi rimandarmi lì, okay? Kayla doveva dirmi qualcosa, dannazione. Non posso credere che non prenderebbe un aereo o non alzerebbe quella maledetta cornetta per chiamarmi!". L'uomo rimane impassibile e allarga le braccia, con un'espressione di sconforto dipinta sul viso segnato da qualche ruga. 

"Io non ci posso fare niente. Anzi, se vogliamo dirla tutta, non avresti dovuto nemmeno essere catapultato nel futuro, ma tant'è. Io seguo solo degli ordini".

"E chi te li dà, questi ordini?".

"Il Destino". La risposta arriva immediata e mi sento impotente. Di nuovo. Avrei accettato di combattere contro qualche altro fantasma, ma la vedo dura discutere con qualcosa di già scritto.

 "Beh.. Ti ringrazio per averci provato" . Mi accuccio con la testa contro alla parete. Ora devo solo aspettare che io mi svegli.

Svegliarmi e vivere una vita da chitarrista di una rock band, o forse lasciarla, questo devo ancora deciderlo.

Svegliarmi e vivere con i rimorsi per il resto dei miei giorni.

Svegliarmi e accettare di vivere con la mia stupidità senza fine.

Svegliarmi e rimuginare sulla mia immaturità fino alla nausea. 

Svegliarmi e farlo senza Kayla accanto. 

"Mi devo assentare per qualche istante, Richie. Non uscire da questa stanza, mi raccomando". Annuisco. Tanto dove accidenti potrei andare? L'uomo apre la porta e sparisce dietro di essa.

Passano i secondi e passano i minuti, ma la mia versione cinquantatreenne non si fa vedere. Che cosa può essergli accaduto? 

Nonostante mi abbia chiesto esplecitamente di non lasciare la saletta bianca, con non poca indecisione giro la maniglia e varco la soglia, guardandomi attorno e cercando Rich con lo sguardo. C'è un lungo corridoio nero - in netto contrasto con la stanza nella quale sono stato fino ad ora - le cui pareti sembrano fatte di plastica, esattamente come il pavimento. Reprimo la tentazione di tornare indietro e proseguo. Alla mia sinistra c'è una porta che sembra fatta interamente d'oro massiccio. La mia curiosità sovrasta la mia inquietudine. 

: - Tanto è solo un sogno, giusto? -.

Mi ritrovo in un'enorme stanza nella quale salta subito all'occhio un grosso orologio da parete, circondato da una cornice di diamante. Accanto ad esso, una sorta di enorme televisore, sul quale si leggono dei nomi, delle date, degli indirizzi, che cambiano in continuazione, scorrendo dalla A alla Z. Mi sporgo in avanti e mi accorgo che c'è una tastiera grigia, ricoperta di polvere. Tolgo le mani dalle tasche e, fingendomi disinteressato, inizio a pigiare sui tasti, per scrivere il mio nome. Non appena premo sulla 'a' di 'Sambora', subito lo schermo diventa nero, per poi aprirsi su un documento che contiene la mia storia. Incredulo, divoro ogni parola.

Nel 1986 avvenne, nell'aeroporto londinese, l'ultimo incontro con Kayla Mitchell, amica d'infanzia. Successivamente, Richard tornò nel suo appartamento di New York, dove tentò di riconciliarsi con Alexia. 

Scuoto la testa.

: - Stiamo scherzando? No, questo non lo posso accettare -. 

Riguardo la tastiera e mi accorgo che, in alto a destra, c'è un piccolo tasto sul quale c'è scritto 'Delete'. Lentamente, avvicino l'indice della mia mano destra su di esso e, quando lo premo, osservo le ultime righe mentre si cancellano. 

"Richie, fermati!". La voce di Rich arriva troppo tardi: ogni documento inerente il 1986 è stato cancellato.

 

"Richie? Richie, a che diavolo stai pensando?".

Sbattei le palpebre. 

"Richie? Allora?". Kayla mi osservava con un sorrisetto divertito sulle labbra. Si stava tenendo in piedi con le stampelle. "Ti ho detto se ci ritroviamo giù tra dieci minuti, dopo aver svuotato le valigie".

: - Okay, un momento. Fermi tutti -.

"L-le valigie?" chiesi, balbettando.

"Sì. Le valigie.. Hai forse sbattuto la testa e non me ne sono accorta?" domandò, non sapendo se scoppiare a ridere o a piangere.

"Valigie. Ma certo. Noi abbiamo le valigie, perché..".

"Perché siamo a Parigi?" concluse la mia frase, arcuando un sopracciglio.  

"Parigi? Siamo a Parigi?". Mi ci volle un po' per realizzare ciò che era appena accaduto. "Kayla, è una notizia fantastica! Mitchell, siamo a Parigi! Ed è il 1976!". La sollevai da terra e l'abbracciai, facendole fare una giravolta, senza lasciarla. 

"L'hai realizzato solo ora?" mi chiese, ridendo e aggrappandosi al mio collo con le braccia. La appoggiai sul letto. 

"Un attimo! Non ti muovere!" esclamai, prendendo il telefono e componendo il numero di casa di Katy, che rispose dopo qualche istante. Non aveva mai saputo farsi desiderare. "Katy?".

"Amore, che succede?" mi sentii dire dall'altro lato della cornetta.

"Senti, sei la ragazza meno seria del pianeta e, devo dirtelo: sei insopportabile. La tua vocetta, i nomiglioli che mi affibbi e, cosa più snervante, la tua risatina. Oh, per non parlare della tua capacità di vedere solo ciò che sta a un palmo dalla tua faccia. Perciò, che sia chiaro: è finita. E sì, ti sto scaricando. Io, Richie Sambora, sto scaricando te, Katy capitano delle cheerleaders e ragazza più popolare della scuola!". Credevo che non lo avrei mai detto.

"Maledetto! Tu sei un...". Non volli ascoltare altro: riagganciai, mentre Kayla aveva gli occhi strabuzzati. Mi inginocchiai e le presi le mani.

"Perdonami. Perdonami se sono stato un perfetto imbecille e se ho preferito mantenere la mia immagine da atleta senza cervello. Perdonami, Kayla. Io ti amo troppo per rovinare tutto e so che, se continuassi così, ti perderei per sempre. Perciò ecco cosa ti propongo: andiamo a suonare, io e te, per qualche locale nel New Jersey. Suoniamo, facciamo musica e diciamo a tutti quanti che ci piacciono i Beatles e che io non so fare niente in cucina, specialmente i clafuntis o come accidente si chiamano. E' arrivato il momento di mostrare chi è Richie Sambora e con chi vuole veramente stare".

Avevo paura di dover sentire un 'no' come risposta. Kayla ne aveva pronunziati così tanti che, ormai, non ero più sicuro di nulla, specialmente in ambito sentimentale. 

Sembrava sinceramente commossa e la vidi sorridere appena, mentre liberava una mano dalla mia presa e la portava sul mio viso. 

"Io non so che cosa dire".

"O sì, o no. L'associazione Sambora&co vi consiglia caldamente di optare per la prima". Accennai un sorriso di incoraggiamento, più per me stesso che per la ragazza che avevo di fronte a me.

Mosse appena la testa: quello era un sì.

 

Nota dell'autrice:

E'.. E' finita. Non ci posso credere. Mi sta assalendo una malinconia assurda che non potete nemmeno immaginarvi.. Ma è sempre così, purtroppo..

Quest'ultimo capitolo l'ho scritto di getto, abbracciata alla mia calda e imbarazzante vestaglia rosa, una camomilla alla mia sinistra e un pacchetto di fazzoletti (non per le lacrime, bensì per il raffreddore) a portata di mano. 

Spero di non aver deluso nessuno di voi, con questo finale particolare e 'paranormale', come il resto della storia.


Ringrazio con tutto il cuore le persone che mi hanno accompagnata in questi capitoli, quindi:

Ringrazio Valentina - Vale Trilli - perché ha letto tutta la fan fiction anche se, inizialmente, non era nemmeno iscritta a EFP. Perché mi ha sopportata ogni volta che le rompevo le scatole su twitter, avvisandola che era arrivato un nuovo capitolo. Perché.. Perché mi ha sempre spronata a continuare e le devo tantissimo.

Ringrazio Angelica - Angel BJ - per gli stessi motivi per i quali ho ringraziato Vale, con la differenza che lei si è iscritta a posta per recensire e mettere tra le seguite - e le preferite - la mia storia. Non ci sono parole per dirle quanto bene voglio a questa ragazza, ma spero che possa intuirlo. Grazie tesoro, davvero <3

Ringrazio Ilaria e Marzia che, sebbene non abbiano letto questa FF fino alla fine, per via di impegni scolastici e non, sono dei punti di riferimento importante per la mia vita giornaliera e non solo le ringrazio per il sostegno in campo letterario, ma anche in quello 'psicologico'.

Ringrazio Diletta, alla quale mi sono ispirata per creare l'irriverente personaggio di Cameron. Le sue recensioni e i suoi complimenti mi hanno sempre dato un motivo per proseguire, per migliorare, non solo per French kiss, ma anche per molti altri miei scritti EFPIANI (licenza poetica). Grazie mille, davvero.

Ringrazio Romina - GioTanner - per le sue recensioni magnifiche. Credo che un "grazie" non sia nemmeno sufficiente per eguagliare le parole bellissime che mi ha rivolto. Detto da una scrittrice brava come lei, non posso far altro che conservare gelosamente le sue righe e ringraziarla ancora una volta.

Ringrazio CarrieLaRocker, DadaOttantotto e chiaretta78. Hanno seguito pazientemente questa storia, magari leggendo anche più capitoli alla volta perché, spesso e volentieri, quando aggiorno lascio passare veramente poco tempo tra un capitolo e l'altro ma, nonostante ciò, non mi hanno mai mandata a quel paese. Ringrazio anche voi per le bellissime parole e per l'incoraggiamento. Siete semplicemente fantastiche, non credo ci siano termini migliori per descrivere il vostro sostegno.

 

E poi ringrazio i 'lettori silenziosi', che hanno inserito la storia tra le seguite o le preferite, ma senza commentare. Sappiate che ho apprezzato tantissimo il fatto che questa storia fosse finita tra le seguite di ben 12 utenti e tra le preferite di 7. E sono felice perché ho letto nomi che già conoscevo e che già avevano espresso in questo modo il loro apprezzamento nei confronti dei miei racconti.

_BrianneSixx

_DodoBJ

_Fra_Rose

_ _ILoveRnR_

_ _Runaway_

_ _Vicky_

_barbara83

 

Scriverò ancora in questo fandom, perciò, se questa storia vi è sembrata abbastanza gradevole.. Ci leggeremo presto.

 

Un bacione e un abbraccio fortissimo, 

 

Rosie

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