Alfred in Wonderland

di Cali F Jones
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. Late {Ritardo} ***
Capitolo 2: *** 2. Brothers {Fratelli} ***
Capitolo 3: *** 3. Opium {Oppio} ***
Capitolo 4: *** 4. Intermezzo ***
Capitolo 5: *** 5. Tea {Tè} ***



Capitolo 1
*** 1. Late {Ritardo} ***


1. Late {Ritardo}


-Al, ti dispiacerebbe smetterla di giocare con quel gatto e darmi una mano?-
Alfred sbuffò scocciato: ma perché Matthew doveva continuamente assillarlo così? A volte era ancora più rompiscatole di Inghilterra!
-Perché non ti rilassi un po', Mattie? Dai, vieni, andiamo a fare due tiri a baseball!- esclamò il giovane americano, strattonando il fratello per un braccio. L'altro si liberò velocemente dalla presa e lo rimproverò: -Alfred! Lo sai che sei in ritardo con il lavoro! Ho accettato di darti una mano a mettere tutto in ordine a patto che anche tu facessi qualcosa e non passassi l'intero pomeriggio sul divano ad oziare. Perciò adesso smettila e datti da fare. Non vorrai un altro richiamo da parte del tuo capo?-
Alfred rimase un poco scioccato a vedere suo fratello rispondergli così a tono. Di solito, lui era quello tranquillo e pacifico, che non si alterava mai per niente. Eppure quel giorno sembrava così dannatamente serio. Che cosa gli aveva preso? Alfred sospirò e fece per uscire dalla stanza, quando la voce del fratello lo fermò: -Hey! Si può sapere dove hai intenzione di andare?-
-Vado fuori a prendere una boccata d'aria-.
-Al, abbiamo del lavoro da fa...- Non fece in tempo a finire la frase che l'altro se n'era già andato, richiudendosi la porta alle spalle. -Idiota!-.

Ma perché erano tutti sempre così nervosi? Non riusciva a capirlo; non potevano essere tutti come lui? Non sarebbero mai andati lontano a preoccuparsi così tanto. Era come se stessero correndo una maratona, che stessero giocando una partita tutti contro tutti. Una volta arrivati a destinazione, cosa avrebbero ottenuto? E, soprattutto, c'era una destinazione?
I piedi di Alfred affondavano nel manto erboso estremamente morbido. Lui era una delle nazioni più giovani. Eppure non capiva: perché gli altri si affannavano così tanto? In fondo, non era meglio godersi la vita? Alzò gli occhi al cielo, beandosi per qualche minuto di quell'infinito mare azzurrino che si apriva sopra la sua testa in tutta la sua bellezza e maestosità. I suoi occhi cristallini sembravano essere diventati tutt'uno con quel cielo primaverile. Una leggera brezza soffiò, portando con sè il profumo dei primi fiori che cominciavano a sbocciare sugli alberi. Alfred chiuse gli occhi, lasciandosi cullare dal vento che gli smuoveva leggermente i ciuffi biondi.
-Mezzogiorno? È già mezzogiorno? Sono in ritardo! Sono tremendamente in ritardo!-
Una voce improvvisa distrasse il giovane americano, costringendolo a spalancare gli occhi. Chi aveva parlato? Si guardò attorno. Nessuno. Eppure...eppure lui aveva sentito una voce. Sembrava quasi...
-Devo sbrigarmi, devo sbrigarmi!-
Giappone! Sì, era sicuramente lui! Ma...dov'era?
Continuando a scrutare l'orizzonte con occhi fessurizzati, America si portò una mano a grattarsi la nuca con perplessità, quando, ad un tratto, sentì qualcosa scivolargli in mezzo alle caviglie. Abbassò lo sguardo, ritrovandosi letteralmente senza parole. Lì, che cercava di districarsi tra le sue gambe e l'erba fin troppo alta c'era un piccolo coniglio. Ma ciò che maggiormente stupì America fu il fatto che questi...aveva le sembianze di Giappone! Lo squadrò per qualche secondo: era un coniglio, su questo non c'era dubbio! Aveva il pelo bianco, due lunghe orecchie che si facevano spazio in mezzo ad una chioma nera a caschetto ed indossava uno yukata color blu baltico.
-Sono in ritardo! Sono tremendamente in ritardo!- ripetè, iniziando a correre in mezzo all'erba.
-A-Aspetta!- lo richiamò indietro Alfred, prendendo ad inseguirlo quando si rese conto che i suoi richiami non avevano effetto alcuno -Giappone! Aspetta!-
Ma il piccolo coniglio seguitava a balzare a destra e a manca, diringendosi velocemente verso la grande quercia nel bel mezzo del giardino. America correva affannosamente dietro di lui, cercando di raggiungerlo. Giunto in prossimità della quercia, lo vide fermarsi, infilare una mano all'interno dello yukata ed estrarne un piccolo orologio da tasca.
-Oh cielo! Come sono in ritardo!- esclamò ancora il coniglio, riprendendo a saltellare agilmente attorno alle radici della pianta. Alfred lo seguì ancora, finché non lo vide infilarsi in un buco, probabilmente la sua tana, scavato in precedenza. "Ma....cosa..." pensò un po' titubante il giovane, scrutando l'apertura nera che si apriva sotto i suoi piedi. Era troppo piccola affinché lui potesse passarci e, probabilmente, il coniglio si era già dileguato. Ma...dannazione! Era identico a Giappone!
Con un sospiro un po' deluso, Alfred si voltò, facendo per andarsene, ma, ad un tratto, il pavimento sotto ai suoi piedi tremò. La terra iniziò a frantumarsi sotto il suo peso. Allungò le mani in avanti, dimenandosi e cercando un qualsiasi appiglio, ma invano. Il terreno sotto ai suoi piedi crollò e il giovane americano venne letteralmente inghiottito dalla voragine.
Mentre precipitava in caduta libera in quel lungo tunnel che sembrava non finire mai, i suoi pensieri andarono da tutt'altra parte. Aveva già sentito una storia simile, di una bambina che, inseguendo un coniglio con orologio e panciotto, si era ritrovata in un mondo sotterraneo insieme ad alcuni strani personaggi. Era una storia che, quando era piccolo, Inghilterra gli leggeva spesso. Evidentemente a lui piaceva molto e non sembrava mai annoiarsi quando il più piccolo lo implorava di leggergli ancora quella favola. Ma...un momento? Come si chiamava quella storia? Qual era il titolo? Dannazione, eppure una volta la conosceva così bene! Ad un tratto, come un fulmine a ciel sereno, l'illuminazione arrivò: Alice nel Paese delle Meraviglie. Ma certo! Come aveva fatto a dimenticarsene?
La caduta proseguiva ormai da diversi minuti. Possibile che quel tunnel non avesse mai fine? Ma quanto stava andando in profondità?
Mano a mano che precipitava, la luce naturale del giorno si era fatta sempre più lontana, diventando ben presto un puntino irraggiungibile. Il buio più totale avvolgeva il giovane, impedendogli di capire dove si trovasse e, soprattutto, per quanto ancora sarebbe caduto nel vuoto. Era una sensazione a dir poco angosciante. Ad un certo punto, dopo un altro paio di minuti in caduta libera, sotto di lui iniziarono a profilarsi diverse sagome e, a giudicare dal pavimento in mattonelle rosse e bianche che di lì a poco avrebbe fermato la sua caduta, doveva essere giunto al capolinea. Atterrò sul pavimento sbattendo violentemente la schiena.
-Aaah, merda!- mormorò, un poco intontito, cercando di mettersi a sedere e massaggiandosi con una mano la zona dolorante. Dove cavolo era finito?
Si guardò attorno con aria circospetta. Era una stanza, non esageratamente grande e completamente vuota. Le pareti sembravano fare tutt'uno con il pavimento in mattonelle bianche e rosse. Una sola di queste era occupata da una porta in legno d'ebano, all'apparenza piuttosto pesante, mentre sulle altre erano appesi dei quadri. Tre, per l'esattezza. Uno per parete.
Appoggiando entrambe le piante dei piedi a terra e fornendosi una spinta con i palmi, si drizzò in piedi ed iniziò a scrutare i tre quadri. Sulla parete frontale rispetto alla porta in legno vi era una tela. Nessun disegno, nessuna scritta, Nessuna cornice. Una semplice tela bianca. Alfred rimase a fissarla per qualche secondo, sperando, magari, di scorgervi qualche gioco di luce o qualche illusione ottica, ma nulla. Dopo circa un minuto, decise di lasciar perdere e si diresse verso la parete destra. Il dipinto ivi appeso, incorniciato in un semplice riquadro in legno malamente intagliato, rappresentava due persone, un uomo e una donna, in abiti tipici dei nativi americani. Il ragazzo scrutò quei volti, le loro rughe, ogni singolo dettaglio. Era come se li avesse già visti da qualche parte, ma non riusciva a ricordarli. Più si sforzava, più nella sua mente la loro immagine diventava soffusa, meno nitida. Sospirò, decidendosi infine per l'ultima parete. Osservò il quadro. Era circondato da una cornice d'argento con qualche sporadica decorazione in ottone. L'immagine al suo interno lo fece per un momento rabbrividire. Era un ragazzo, identico a lui. Aveva lo stesso colore degli occhi, dei capelli, gli stessi tratti del viso. L'unica differenza era la sua espressione: sul suo volto non era possibile leggere nient'altro se non rabbia, odio, frustrazione. Sentimenti, quelli, che non avevano mai veramente e profondamente toccato Alfred, nemmeno nei momenti più difficili. Ma lui...sì, lo riconosceva. Riconosceva quel volto così simile al suo, riconosceva l'ira nei suoi occhi, riconosceva quella divisa grigia.
Allungò una mano verso la tela, boccheggiando, cercando di proferire una parola che, però, timidamente rimaneva lì, introppolata. E, così com'era nata, gli morì in gola quando una voce alla sue spalle lo sorprese.
-Alice! Alice! Sei tornata!-
Fratello.


*Angolo dell'autrice*
Bene bene bene, ecco il primo capitolo. Temo di essermi fatta in vena di qualcosa (forse Frappuccini, non lo so) per aver trovato l'idea di scrivere una roba del genere. No, seriamente, non chiedetemi come mi è venuta!
Comunque sia, al momento la storia sembra quasi una favoletta, ma più avanti si volgerà molto di più sul genere introspettivo. Spero che il primo capitolo vi sia piaciuto. Recensite, mi raccomando, voglio sapere cosa ne pensate. Aggiornerò presto (:
Grazie per aver letto!
Cali ~

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Capitolo 2
*** 2. Brothers {Fratelli} ***


2. Brothers {Fratelli}


-Alice! Alice! Sei tornata!-
A quelle parole, Alfred si voltò di scatto. Chi aveva parlato? La stanza era vuota, completamente, a parte quei quadri appesi alle pareti.
Improvvisamente, si accorse che la porta era socchiusa ed una fievole luce proveniva dalla stanza accanto. Vi si avvicinò e, con la sua forza, non fu difficile spalancare quel portone in legno. Davanti ai suoi occhi si presentò un paesaggio idilliaco. L'erba era verde smeraldo, baciata dal sole e una leggera brezza soffiava, scuotendo appena le fronde degli alberi. Il soffice manto erboso era cosparso di fiori di campo di tutti i tipi e colori e i loro profumi si mescolavano creando un delizioso aroma che stuzzacava giocosamente le narici e ballava una danza leggiadra con tutti e cinque i sensi. Poco lontano, scorreva un fiumiciattolo dall'acqua cristallina in cui nuotavano spensierati alcuni pesci dalle squame argentee. Non poteva giurarci, ma se il paradiso fosse esistito, doveva sicuramente essere un posto del genere.
Alfred rimase letteralmente senza parole a quella vista, perdendosi momentaneamente con lo sguardo all'orizzonte. Si incamminò, ammirando quella meraviglia bucolica, quando, ad un tratto, quella voce ancora lo ridestò.
-Alice!-
Si guardò ancora attorno. Nessuno. Ma che diavolo stava succedendo?
-No, tu non sei Alice.-
-Sì, invece! Sei proprio Alice!-
Le voci erano due. Poteva scommetterci la testa. Molto simili ed entrambe con uno strano accento, ma erano due. E Alfred le aveva già sentite. Eccome se le aveva già sentite!
-Feliciano! Romano!- esclamò, vagando velocemente con lo sguardo alla ricerca dei volti familiari dei due italiani.
-Come mi hai chiamato?-
Per un momento, Alfred non rischiò un infarto. Tra le fronde di un albero a lui vicino spuntò il volto di Romano. Era esattamente come lo ricordava: perennemente corrucciato, la fronte corrugata in un'espressione di costante cipiglio. Ma come poco prima con Giappone, anche stavolta qualcosa sconvolse non poco l'americano. I capelli -compreso il ricciolo che contraddistingueva i due fratelli italiani- e gli occhi ambrati erano quelli di Romano, ma il resto del corpo assomigliava proprio a quello di un gatto. Era ricoperto di una pelliccia piuttosto folta, di un colore corvino con sfumature violacee. Alfred lo osservò agitare la coda per poi sparire di nuovo tra le foglie.
-Aspe...-
Non fece in tempo a richiamarlo indietro che subito il gatto ricomparve sulla sua spalla destra, facendolo sussultare. Ma stavolta c'era qualcosa di diverso in lui. Era ancora un gatto, quello sì, ma l'espressione facciale era più rilassata, un largo sorriso copriva quasi interamente il suo volto, mentre teneva gli occhi socchiusi. I capelli erano di un colore diverso rispetto a quelli del gatto visto pochi istanti prima, leggermente più chiari e anche il ricciolo si trovava sulla parte opposta del capo.
-Feliciano!- chiamò ancora America.
Ma questi scomparve, così com'era apparso. Indi, riapparve a qualche metro di distanza, ancora con le sembianze di Romano.
-Romano! Feliciano! Cosa ci fate qui?-
-Perché mi chiami così?- fu la secca risposta.
-È il vostro nome, no?-
-Vostro?-
-Tuo e di tuo fratello.-
-Io non ho nessun fratello.-
Indi, con un agile balzo tornò a nascondersi dietro il tronco di un albero.
L'altro gatto riapparve mentre si dimenava in mezzo alle caviglie di Alfred.
-Veh...io non ho nessun fratello, Alice.-
L'americano sbuffò con un sorriso sornione.
-Davvero credete di darmela a bere? E comunque, mi chiamo Alfred, non Alice.-
-Alfred...Alice...posso comunque chiamarti Al. Che differenza c'è?- domandò ancora l'altro gatto, ricomparendo adagiato su un tronco spoglio. America abbassò lo sguardo. Quello che faceva le fusa in mezzo alle sue caviglie era scomparso. Di nuovo. Ormai si stava stancando di questo giochetto.
-E va bene, adesso basta. Voi due...- esclamò in tono deciso, additando il gatto. Ma questi scomparve e ricomparve l'altro fratello in quella presa in giro che troppo malamente stavano portando avanti.
-Ah merda! La volete smettere?- così dicendo, Alfred si lanciò su Feliciano, afferrandolo prima che potesse scappare di nuovo e tenendolo ben stretto.
-Aaaaah, fratellone!- piagnucolò -Salvami! Salvami! Fratellone!-
Sul viso di Alfred andò dipingendosi un sorriso soddisfatto, mentre l'altro gatto, ancora nascosto tra i rami dell'albero, riempiva di insulti il fratello minore. Ormai conscio del fatto che il loro scherzetto era andato in fumo, Romano fece di nuovo la sua comparsa e, finalmente, Alfred potè vedere entrambi gli italiani contemporaneamente.
-Ah ah! Lo sapevo!-
Romano si imbronciò maggiormente e riprese ad insultare a ruota libera il minore.
-È tutta colpa tua, coglione! Non ci avrebbe mai scoperti se non avessi pianto!-
-Ma...fratellone! Ho avuto paura!-
-Stupido! Coglione!-
-No, fratellone, non piangere!-
-Stai zitto!-
L'americano sospirò, roteando gli occhi verso l'alto in un gesto di esasperazione.
-Scusate,- fece per richiamare la loro attenzione -vi dispiacerebbe dirmi dove mi trovo e come faccio per tornare a casa?-
I due fratelli si scambiarono un'occhiata interrogativa. Forse era stata fatta loro una domanda alla quale davvero non sapevano rispondere.
-Dovresti saperlo dove sei...- risponse il più grande.
Ma che cavolo? Come faceva a saperlo? Aveva solo seguito un dannato coniglio che assomigliava a Giappone...Ah! Il coniglio! A proposito, dov'era finito?
-Stavo seguendo un coniglio, lo avete visto? Indossa uno yukata blu e porta con se un orologio da tasca.-
-Ah, il Bianconiglio! Ah ah, non impari mai, vero Al?-
A quelle parole, gli occhi del giovane americano si fermarono dritti su quelli ambrati del gatto. Cosa voleva dire?
-Anche la prima volta che sei venuto qui hai seguito il Bianconiglio.-
Prima volta? Alfred non era mai stato in un posto del genere, se ne sarebbe sicuramente ricordato. Eppure, perché parlava di questa fantomatica 'prima volta'?
-Io non sono mai stato qui...-
-Davvero?- questa volta fu il più giovane dei due fratelli a parlare, quel gatto che ancora l'americano reggeva in mano. Delicatamente lo posò a terra, non sembravano avere cattive intenzioni e, ora che li aveva scoperti, non sarebbero più andati avanti con il loro giochetto snervante.
-Al,- lo richiamò Romano -il Bianconiglio è andato da questa parte, vieni.-
Alfred lo seguì in religioso silenzio, lasciandosi guidare da quel gatto che, a quanto pareva, sembrava saperne più di lui. Feliciano saltellava allegramente da tutte le parti, inseguendo una farfallina bianca che, esausta, cercava di riposare contro il tronco degli alberi.
I tre proseguirono per un sentiero, quando il bosco cominciò ad infittirsi. Sopra le loro teste, il cielo cristallino sparì, coperto dall'intrecciarsi caotico di centinaia e migliaia di rami spogli. Nessuna luce vi filtrava e l'aria diventava sempre più pesante, quasi umida. Respirare diventava difficile, impossibile. Incredibilmente faticoso. L'erba aveva lasciato il posto alla terra leggermente smossa. Grosse radici spuntavano dal terreno, assumendo forme strane e pericolose per chiunque vi posasse i piedi.
-Dove...dove mi state portando?- domandò Alfred, ritrovandosi con il fiatone, costretto a respirare a bocca aperta.
-Stiamo cercando il Bianconiglio, no?- rispose atono Romano, come se quella improvvisa variazione climatica non lo toccasse minimamente.
-È una mia impressione o questa ha tutta l'aria di essere una palude?-
Il gatto non rispose, proseguendo impassibile nella sua marcia. Dopo diversi minuti, quando una leggera nebbia aveva cominciato a sollevarsi, ruppe finalmente il silenzio.
-Come facevi a sapere che siamo due fratelli?-
-Semplicemente, vi conosco. Tu sei Romano e lui è tuo fratello, Feliciano.-
-Perché insisti col chiamarci così?-
-Così come?-
Ancora una volta, non rispose alla domanda, ma Alfred ebbe come l'impressione che la cosa avesse a che fare con i loro nomi. D'altronde, ora che ci rifletteva bene, prima l'avevano chiamato Alice. Non fece in tempo a formulare sotto forma di domanda i suoi pensieri che ancora il gatto che proseguiva a pochi passi di distanza cambiò argomento.
-Dimmi, Al, tu hai un fratello?-
-Un fratello? Sì, certo...-
-Uno solo?-
E all'americano sovvenne improvvisamente quel dipinto che aveva visto nella stanza dove era atterrato, quello con il ragazzo nella divisa grigia. Anche lui, in fondo, era suo fratello, eppure...
Sospirò profondamente, stringendo la mano destra a pugno. Sul volto di Romano si dipinse un ghigno soddisfatto a quell'esitazione. Evidentemente, lui sapeva. Tutti sapevano.
Velocemente, il gatto balzò sul ramo di un albero, seguito a ruota dal fratello minore. Alfred lo seguì con lo sguardo un po' perso. Un momento! Non aveva intenzione di lasciarlo lì da solo?
-Continua per questa strada, Al. E fai attenzione al fumo. Potrebbe causarti delle interessanti...-
America rimase con gli occhi sbarrati, attendendo, come un cane affamato che aspetta di essere cibato, che quella strana creatura finisse la frase. Ma essa svanì nel nulla, con una sonora ed inquietante risata che risuonò per qualche secondo nella tetra foresta, per poi dissolversi nel nulla. Il silenzio tornò a regnare sovrano. Un silenzio spaventoso, così terribilmente agghiacciante.
...allucinazioni.

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Capitolo 3
*** 3. Opium {Oppio} ***


3. Opium {Oppio}


Quel gatto. Quello stupido maledettissimo ammasso di pelo. Anzi, quei due maledettissimi ammassi di pelo. Dove diavolo lo avevano mandato? Alfred continuò a camminare lungo quel sentiero tortuoso. Il terreno sotto i suoi piedi diventava via via sempre più irregolare. Inciampò un paio di volte in alcune grosse radici, tuttavia riuscì sempre a non rovinare a terra, riprendendo immediatamente l'equilibrio. Doveva fare attenzione, quel posto poteva diventare veramente pericoloso. Lunghe schiere di alberi spogli lo accompagnavano nel suo percorso mentre una leggera foschia iniziava a salire, rendendo l'aria ancora più pesante di quanto già non fosse. Una goccia di sudore gelida rigò la fronte del giovane americano, mentre con occhi fessurizzati cercava di scorgere la fine di quella foresta in lontananza. Ma nulla. L'odore pungente di acqua stagnante iniziò a mescolarsi ad un nuovo tipo di aroma, forte, penetrante, fastidioso, ma quasi quasi piacevole. Sì, sembrava qualcosa di esotico ed il solo effluvio in lontananza era in grado di mandare chiunque su un altro pianeta, viaggiando su una sottile nuvola di grigia foschia.
Alfred sentiva le palpebre farsi sempre più pesanti, passo dopo passo. Barcollò leggermente, andando a sbattere una spalla contro il tronco di un albero. Che cosa gli stava succedendo? Cercò di alzarsi. La vista divenne offuscata, i contorni si persero, così come i colori tetri che lo circondavano. Tutto sembrò sparire in un largo anfratto dai toni nerastri. Sentì in lontananza delle voci ridere. Poi quelle risate infantili e giocose divennero urla. Urla sempre più acute, terribili, strazianti. Il ragazzo cadde in ginocchio. Si portò entrambe le mani alle orecchie e, in quel momento, un brivido di orrore gli percorse la schiena: le sue dita, i suoi palmi erano completamente ricoperti di sangue. Un vivo rosso cremisi gli colorava le mani. Qualcosa di caldo gli sfiorò gli zigomi. Percorse la traiettoria della mandibola, ricadendo, goccia singola, sull'avambraccio. Sangue. Piangeva sangue. La vista annebbiata si era ora dipinta di rosso. Il cuore in gola, gocce di sudore freddo gli bagnavano la fronte. L'aria mancava, respirava affannosamente per l'agitazione. Di chi era quel sangue? Abbassò la testa con orrore crescente, mentre scorgeva sul proprio petto una profonda ferita che lo scalfiva. Il liquido rosso sgorgava a fiumi, la t-shirt in brandelli. Lanciò un grido carico di paura e disperazione, mentre con uno sforzo sovrumano si drizzava in piedi. Prese a correre. La vista ancora obnubilata, le forze ormai mancanti ed una radice che sembrava preferire un diverso destino per lui. Rovinò a terra e scivolò per qualche metro lungo uno scoscendimento, graffiandosi e tagliandosi i lembi di pelle scoperta. Terminata la caduta e vinto dal dolore, chiuse gli occhi. La respirazione in petto rallentò progressivamente il suo ritmo. Sempre più lenta, sempre più piano...

-Non hai mai fumato oppio, non è vero?-
Alfred sbattè velocemente le palpebre. Una. Due. Tre volte. Schiuse le labbra, cercando di catturare quanta più aria possibile, ma la fitta coltre di fumo gli impediva di respirare normalmente. Si portò una mano davanti al viso e scoprì con immenso stupore che il sangue era sparito. Si toccò il petto, nessuna ferita. Tuttavia, i suoi vestiti avevano qualcosa di strano. Che fine aveva fatto la sua t-shirt con la stampa di una bandiera americana, i suoi jeans di una qualche sottomarca pseudo-sconosciuta e le sue inseparabili converse? Indossava ora una camicia bianca con sopra un gilet rosso dalle rifiniture dorate, un paio di pantaloni piuttosto eleganti, di un colore simile all'ambra e un paio di scarpe all'apparenza piuttosto costose. Per un momento, temette di essere finito nelle sgrinfie di Inghilterra; a quell'inglese scorbutico non erano mai andati bene gli abiti che si sceglieva lui.
-È la prima volta che vedo un tale macello a causa di un'allucinazione, aru.-
Finalmente Alfred realizzò di non essere solo. Si drizzò a sedere con uno scatto, ma subito la cortina di fumo che aleggiava sulla sua testa lo fece tossire ripetutamente. Non aveva mai potuto sopportare il fumo!
Strizzò gli occhi, ancora un poco stanchi, cercando di mettere a fuoco la figura che gli parlava. La prima cosa che colpì la sua attenzione era il luogo in cui si trovava. Sembrava quasi una radura, ma era disseminata di funghi dalle dimensioni spropositate -alcuni parevano addirittura dei veri e propri alberi- e papaveri. Ovunque posasse l'occhio, il suo sguardo veniva catturato dal rosso vivo dei papaveri in fiore.
-A...Allucinazione?- bofonchiò Alfred, sventolando una mano all'aria, come a voler crearsi uno spiraglio pulito in mezzo a tutto quel fumo.
-Oh, sì, hai avuto una gran brutta allucinazione, aru. Non preoccuparti, capita a tutti la prima volta che fumano. I tuoi vestiti erano ridotti brandelli, mi sono preso la libertà di cambiarteli, aru.-
In quel momento, Alfred finalmente vide il suo interlocutore. Era adagiato comodamente sul cappello di un fungo. Il suo corpo, di un colore bluastro, assomigliava molto a quello di un bruco, ma i suoi lineamenti e la folta chioma castana, legata in una coda, che gli ricopriva il capo, ancora una volta, ricordarono al giovane americano di un personaggio che ben conosceva.
-Yao? Sei tu?-
-Non so di cosa tu stia parlando, aru.-
Sì, era proprio Yao.
-Dici che ho avuto un'allucinazione? E...aspetta un momento! Dove sono i miei occhiali?- esclamò Alfred, guardandosi attorno in preda al panico.
-Ce li ho io, aru.- rispose il bruco, mentre con fare svogliato girava e rigirava tra le sue molteplici zampette gli occhiali del giovane.
Alfred allungò un arto per afferrare Texas, ma il bruco prontamente scivolò indietro, sottraendosi alla sua presa.
-Ha ha, stai buono, Al.-
-Chi ti ha detto come mi chiamo?-
-Sei Alice, no? Ti riconosco dalla prima volta che sei venuto, aru. Ti ricordi di me?-
-Sinceramente? Neanche un po'.-
A quell'affermazione, il bruco parve offendersi. Scagliò via gli occhiali di Alfred, il quale, dopo qualche insulto, si precipitò a riprendere, e si adagiò ancora più comodamente sul suo fungo. Afferrò una lunga pipa che fino a quel momento era rimasta deposta al suo fianco ed iniziò ad inspirare ed espirare il fumo a larghe boccate.
-Comunque sia...- riprese il ragazzo, sistemandosi gli occhiali sul naso -dovrei ricordarmi di te, Brucaliffo?-
Il volto di Yao si illuminò quando fu pronunciato quel nome.
-Allora vedi che ti ricordi!-
-È solo il nome di un personaggio di una favola!-
-Complimentati con lui, ha un gran bel nome, aru!- proferì ancora il Brucaliffo, inspirando ancora del fumo.
"Dovrebbe smetterla di fumare quella roba, gli sta dando di volta il cervello" pensò tra se e se il ragazzo. Allontanò appena la faccia, cercando, per quanto fosse possibile, di evitare la prossima folata di fumo che sarebbe uscita dalle labbra raggrinzite del bruco.
-Abbiamo combattuto delle guerre per l'oppio, lo sai, Al? E ora tu lo disprezzi così...-
-Già, mi sono sempre chiesto se Inghilterra avesse davvero bisogno della droga per vedere i suoi amici immaginari.-
-Allora? Che ne dici?-
-Che dico riguardo a cosa?-
-All'oppio. Ti è piaciuto? Devi averne fumato involontariamente un bel po' per ridurti in quello stato, aru.-
Alfred ripensò alle allucinazioni che aveva avuto poco prima. Ricordava il sangue che gli colava lungo gli avambracci e sugli zigomi, le urla che rimbombavano continuamente contro le pareti del suo cervello, la ferita sul petto che bruciava. A ripensarci, poteva sentire di nuovo i muscoli fremere, le gambe tremare, poteva sentire ogni fibra del suo corpo lacerarsi, come una corda troppo tesa che si affievolisce fino a spezzarsi del tutto.
-È stato uno schifo- commentò secco, senza degnare di uno sguardo il Brucaliffo.
Questi aspirò ancora dalla sua pipa.
-Ah, davvero? Però hai cominciato a ricordare, no?-
-Ricordare? Cosa dovrei ricordare?-
-Quelle urla che sentivi...- fece una pausa, alzando lo sguardo verso il cielo ancora coperto dai rami secchi degli alberi -te le ricordi, non è vero?-
Alfred sentì un tonfo al cuore. Come faceva a sapere? Sì, quelle urla, le ricordava. Ma c'era qualcosa che lo bloccava, che gli impediva di associarle ad un volto, ad una situazione. Tutto ciò che quelle urla gli ricordavano era un'informe macchia di colore. Poi vedeva il sangue. Il pianto di un bambino. Ancora sangue. E infine silenzio. Questo era quanto riusciva a ricordare, quanto quella droga perversa e ammaliatrice riuscì a fargli rimembrare.
-Forse...- continuò il bruco, come se gli avesse letto nella mente -dovresti provare un altro po', magari ricorderai meglio.-
E improvvisamente, senza che l'altro ebbe il tempo di obiettare o scansarsi, gli soffiò in faccia tutto il fumo che fino a quel momento aveva trattenuto in bocca. Alfred fu di nuovo avvolto in una fitta coltre, iniziò a tossire convulsamente, cercando in ogni modo di evitare di inspirare.
Le gambe presero a dolergli, si inginocchiò. Ad un tratto un grido d'orrore gli attraversò il cervello, come la lama di un pugnale.
-AAAAARGH!!- urlò in preda al dolore, mentre disperatamente si reggeva la testa con le mani.
America...America...ti prego...
Digrignò i denti e serrò gli occhi, mentre le dita affondavano nei capelli, stringendoli e tirandoli con forza, quasi a voler strapparli.
America...ti prego...non farlo...non...
-BASTA! FALLO SMETTERE!- gridò ancora. Cadde di fianco e, come in preda a delle convulsioni, prese a dimenarsi, disteso a terra, accompagnando le urla che penetravano violentemente il suo cranio con altre della medesima intensità. Alcune lacrime presero a scendere dai suoi occhi arrossati.
Ad un tratto, la voce sparì. Tutto sparì. Aprì gli occhi e vide sopra di sè i rami degli alberi che si smuovevano, scossi dal vento. In quel momento, intravide un tratto di cielo grigio, coperto da pesanti nuvole nere. Un lampo improvviso lo squarciò e il boato risuonò nella foresta.
-Oh! Devo muovermi, sono in ritardo, in un terribile ritardo!-
Quella voce! Il Bianconiglio!
Alfred scattò in piedi e finalmente rivide quel curioso animale con le sembianze di Giappone. Stavolta non gli sarebbe sfuggito. Questi riprese a balzare, inoltrandosi nuovamente nella foresta.
"Maledetto!" pensò America, storcendo le labbra in una smorfia di rabbia, per poi prendere ad inseguirlo.
-Al!-
A quel richiamo, il ragazzo si voltò nuovamente verso il Brucaliffo che ora lo guardava con occhi pietosi.
-Al, non puoi sfuggire dal tuo passato.-
Sospirò, indi, senza salutare, gli diede le spalle e si rimise all'inseguimento del coniglio. In lontananza, quella voce lo richiamava.
-Sta cominciando a piovere! Mettiti un cappello, aru!-


*Angolo dell'autrice*
Terzo capitolo! Wow sto andando come un fulmine con questa storia! È la prima volta che riesco a portarne avanti una per più di due capitoli xD
Ecco, adesso la storia sta prendendo un tono un po' più "serio". Questo capitolo delle allucinazioni è molto importante per capire il seguito. Lo so, non sto lasciando molti indizi, ma non voglio rovinare il finale *w* Come avrete notato (o se non l'avete notato, ve lo dico ora io), l'ultima parola di ogni capitolo fa riferimento a quanto avverrà in seguito. Potete immaginare, quindi, chi sarà il prossimo personaggio che incontreremo, nel capitolo 5 (il capitolo 4 è un Intermezzo, molto breve, riflessioni senza molta azione, in parole povere).
Vorrei ringraziare Carol_97 e Eleanor97 (ho un fan club del 97 xD) per aver recensito e un grazie anche a tutti voi che avete messo questa storia nelle seguite o preferite (:
Al prossimo capitolo!
Cali ~

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Capitolo 4
*** 4. Intermezzo ***


4. Intermezzo


Washington, 14 aprile 1865

-Volevi vedermi, Ford?-
-Vieni avanti, Alfred.-
Il ragazzo varcò la soglia della stanza. La sua epressione seria e posata nascondeva in realtà una grande agitazione. Erano passati cinque giorni dalla fine della guerra e, da allora, loro due non avevano avuto modo alcuno di parlarsi. Era alquanto strano; prima che quella guerra cominciasse, avevano condiviso la casa, le esperienze e il sangue. Ora che uno dei due aveva prevalso sull'altro, tutto sembrava essersi spezzato, ridotto in polvere. Qualunque legame potesse esistere prima di allora si era dissolto in un cumulo di cenere. Cosa avevano fatto?
Alfred osservò attentamente lo spazio che lo circondava: era un salotto in stile liberty dalle tinte chiare. La tappezzeria che ricopriva le pareti era di un color panna un po' smunto, così come i rivestimenti delle poltrone. Di fronte alla porta d'ingresso, stranamente alta e stretta, incavato contro il muro, vi era un caminetto e, davanti a questo, la figura, voltata di spalle, di colui che era venuto ad incontrare quella sera. Questi prese una bottiglia di liquore, probabilmente whiskey, e se ne versò in un bicchiere.
-Ne vuoi?- domandò, senza mai voltarsi.
Alfred rifiutò con un "no" deciso, senza troppi complimenti.
-Ebbene, di cosa volevi parlarmi?-
-Accomodati pure.-
-Preferisco stare in piedi.-
L'altro scosse la testa, voltandosi finalmente per farsi vedere in viso dall'ospite. Alfred scrutò con estrema cura i lineamenti del suo viso, i suoi capelli biondi, i suoi occhi celesti, dietro un paio di occhiali da vista. Eppure, per quanto familiari fossero quei tratti facciali, Alfred non riuscì a riconoscerlo. Non era più il suo gemello, no. Dopo quella guerra, nessun fratello, nessun gemello. Nessun legame di sangue. Tutto distrutto.
L'altro si tolse gli occhiali, pulendoli su un lembo della giacca. Erano sempre stati due i tratti che avevano permesso di distinguere un fratello dall'altro. Alfred non portava gli occhiali, a differenza del gemello, ma, sulla sua testa, si ergeva un ciuffo ribelle che sfidava la forza di gravità, caratteristica che il fratello non possedeva. Un ciuffo e un paio di occhiali. Tolti questi, cosa rimaneva di loro?
-La guerra è finita, Alfred.-
-Già. E tu hai perso, fratello.-
-Oh, davvero? Tu credi davvero che sia finita così?- mentre parlava, sul suo viso si disegnò un ghigno. Alfred lo aveva già visto tutte le volte che si era ritrovato ad affrontarlo. Ma quella volta in particolare, un brivido gli percorse la schiena. C'era qualcosa di strano. Perché lo aveva convocato?
-Ford, smettila con tutte queste stronzate e dimmi subito...- fece Alfred, cercando di riprendere le rendini del discorso, giacché odiava lasciarsi manipolare così dal fratello. Ma, proprio in quell'istante, un grido di orrore risuonò in strada. Immediatamente un gran vociare si diffuse. Alfred scattò verso il balcone per cercare di capire cosa fosse successo. Il fratello, invece, rimaneva immobile al centro della stanza sorseggiando il suo whiskey con un sorrisetto soddisfatto stampato sul volto.
-Cos'è successo?- gridava qualcuno in strada.
-Il presidente! Presto! Correte! Hanno sparato al presidente!-
Alfred non riusciva a credere alle proprie orecchie. Seguì con lo sguardo una folla di curiosi che correva verso il Ford's Theatre. Un momento! Il presidente era andato a teatro quella sera! No...non poteva! Non poteva essere vero!
-Fermatelo! Fermatelo!- urlava qualcuno nella folla. Improvvisamente vide un uomo a cavallo scappare ed allontanarsi. -È stato lui a sparare! Fermatelo!-
Il ragazzo si voltò, tornando all'interno dell'appartamento, deciso a correre in strada a vedere cosa fosse successo. Ma il fratello gli si parò davanti, puntandogli una pistola alla testa.
-Piaciuto lo scherzetto, Alfie?-
Alfred avvampò per la rabbia, digrignando i denti e stringendo i pugni. Aveva anche lui una pistola con sè, nascosta all'interno della giacca, ma tirarla fuori in quel momento, proprio mentre era tenuto sotto tiro, non era decisamente una buona idea. Doveva approfittare di un istante di distrazione del nemico.
-Bastardo!-
-Stai buono, Alfie. Lo sai che mi infastidisce quando alzi la voce.-
-Star buono?? Hai sparato al mio presidente! Lasciami passare!-
-Io? Ah, no, io non ho fatto proprio un bel niente. È stato quel tale a cavallo, quel John Wilkes Booth a sparare. Io sono sempre stato qui con te, mi hai visto, no?-
-È per questo che mi hai convocato? Così da avere un testimone oculare? Non la passerai liscia! Non...-
-NO! Dannazione, Alfred, perché non capisci?- esplose infine, gettando a terra il bicchiere di whiskey. Una vena sul collo prese a pulsargli, sopraffatto com'era dall'ira.
-Non capisci, razza di idiota? È la nostra occasione! Possiamo riprenderci ciò che ci spetta!-
-Ciò...che ci spetta?- bofonchiò l'altro un po' confuso. Non capiva, di che diavolo stava parlando?
-Alfred, noi eravamo una nazione sola. Poi questa guerra ci ha divisi e ora l'unica via d'uscita che ci è rimasta qual è? Ucciderci a vicenda! Ma per cosa? Io non volevo questa guerra! E scommetto che nemmeno tu la volevi! Ma non siamo noi a decidere, no? No, certo che no! È l'uomo che decide per noi! È l'uomo che se ne fotte del fatto che anche noi proviamo sentimenti, che anche noi soffriamo. A loro non importa nulla di noi! Pensano solo ai propri interessi, la nascita e la morte di una nazione non li tocca minimamente. Lo sanno, Alfred? Sanno che noi siamo fratelli? Come possono farci questo? Il tuo presidente è morto. O, se il colpo non l'ha ucciso, morirà nelle prossime ore. Non puoi farci nulla. Ma puoi cogliere il momento. Questa è la nostra occasione, Alfred! Stavolta non c'è nessuno a condizionarci, possiamo riprenderci le nostre vite, riprendere il controllo su di esse. Te lo ricordi, com'era bello quando andavamo ancora d'accordo? Loro ci hanno tolto tutto. Loro, gli uomini! Dobbiamo riprenderci quello che ci spetta di diritto!-
Mentre parlava, i suoi occhi erano diventati lucidi, il viso arrossato.
Alfred sospirò, abbassando lo sguardo. Certo che lo ricordava, certo che ricordava il tempo in cui lui e il suo gemello erano stati uniti, non avrebbe mai potuto dimenticarlo. Poi erano arrivati loro, gli uomini. Avevano cominciato ad imporre le loro idee, a comandare quei territori secondo i propri interessi, senza una volta preoccuparsi di loro, loro che erano quei territori. Era questa la condanna di essere una nazione. La tua volontà, per quanto forte e radicata fosse, non avrebbe mai vinto. Mai. Perché la nazione era fatta dagli uomini. Stupide creature. Così ingenue, così fragili, così indispensabili.
-Se non fosse per quegli uomini che tu tanto odi- mormorò Alfred -noi nemmeno esisteremmo.-
La stanza rimase per circa un minuto avvolta nel silenzio, con solo lo scoppiettare del fuoco da fare da sottofondo.
Ford sospirò, abbassando la pistola.
-Allora avanti.-
-Non ho intenzione di ucciderti, fratello.-
-È così che deve finire. Uno di noi deve morire stanotte.-
Così dicendo, aprì la canna della pistola. Non c'era polvere da sparo. Era scarica. Lo era sempre stata.
Alfred risollevò lo sguardo. No, lui non avrebbe mai aperto il fuoco su suo fratello. Infilò una mano nella giacca ed estrasse la sua arma. Alcune lacrime presero a rigargli il viso, mentre, con solennità, porgeva la sua pistola al fratello. Questi sorrise amaramente, ricevendola nelle sue mani. Si portò un arto al viso e si tolse gli occhiali, porgendoli ad Alfred.
-Tienili pure.-
Il ragazzo annuì, mordendosi un labbro.
-Alfred...-
-Sì?-
-Non dimenticarmi.-
-Non lo farò, Ford.-
-Grazie.-
-Riprenditi ciò che ti spetta, fratello.-
L'altro sorrise un'ultima volta.
Uno sparo.
Silenzio.
Solo lo scoppiettio del fuoco.

Versailles, 28 giugno 1919

-Una firma qui, Amerique.-
-Qui?-
-Oui.-
Alfred F. Jones
-Perfetto e...oh, aspetta, devi firmare con il tuo nome completo.-
-Ah, già, che stupido.-
-Sai, mi sono sempre chiesto per cosa sta la F. del tuo nome. Ora finalmente lo scoprirò.-
Il giovane americano squadrò il francese che rilasciò una risatina dopo quella frase.
Già, chissà per cosa stava quella lettera...

Alfred Ford Jones.




*Angolo dell'autrice*
Ok, il capitolo 4 doveva essere una cosa abbastanza breve e invece mi è venuto lungo come gli altri. Oh vabbè, pazienza! In questo capitolo, come avrete notato, usciamo completamente da Wonderland e torniamo nel passato di Alfred a conoscere il suo gemello, ovvero un OC che rappresenta gli Stati Confederati durante la guerra civile americana. E scopriamo anche la mia interpretazione del secondo nome di Alfred.
Le ultime righe sono un ricordo della firma del Trattato di Versailles. Quindi questo capitolo è stato praticamente un flashback, ma ha un suo perché all'interno della storia.
Ringrazio ancora una volta tutti voi che avete letto e recensito, aggiungendo alla lista di nomi anche la Ama (che con le sue recensioni mi fa sempre sentire una moderna Dante Alighieri xD) e la Marghe, la mia stalker personale (che sicuramente NON mi sgriderà perché per scrivere questa fic non ho studiato giappo asd).
Nel prossimo capitolo, riprendiamo la storia da dove l'abbiamo lasciata ;)
Cali ~

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Capitolo 5
*** 5. Tea {Tè} ***


5. Tea {Tè}


-Sono le cinque e tre minuti. Sei in ritardo.-
Alfred si guardò attorno, cercando di capire dove fosse finito quella volta. Ricordava quel posto, ricordava gli alberi, il sentiero, il fiumiciattolo. Era lì che era arrivato all'inizio del suo viaggio, dove aveva incontrato lo Stregatto. Ma questa volta quel luogo aveva qualcosa di strano, incredibilmente diverso.
Il manto erboso era completamente sparito, come se fosse stato dato alle fiamme, e i piedi toccavano soltanto la nuda terra. Gli alberi erano stati privati delle loro fronde; solo rami secchi dalle forme vagamente inquietanti segnavano il cielo oscurato, coperto da enormi e minacciose nuvole nere. Uno scenario piuttosto terrificante che aveva un che di post-apocalittico.
Ma com'era possibile che fosse tornato indietro? Alle sue spalle aveva appena lasciato la foresta dove aveva inseguito, o perlomeno aveva cercato di inseguire, il Bianconiglio, per perderlo di vista dopo pochi metri. La fitta boscaglia lo aveva fatto perdere e girovagare per diverso tempo; nemmeno lui sapeva ben dire se fossero passati minuti, ore o addirittura giorni. Da quando era capitato in quel posto allucinato, aveva completamente perso la percezione del tempo.
-Sono le cinque, quattro minuti e trentasette secondi. Hai intenzione di sederti a tavola o dobbiamo lasciar trascorrere un altro minuto e tre quarti prima che tu ci onori della tua presenza?-
Oh cavolo! Alfred la conosceva, quella voce. Eccome se la conosceva.
Si voltò nella direzione da cui provenivano quelle parole. Con un tono così amaro, pungente e sarcastico come nessuno, a parte lui, sapeva pronunciare.
E finalmente incontrò i suoi occhi verde smeraldo. Vide i suoi ciuffi biondi scompigliati, coperti in parte da un grosso cappello a cilindro dalle tinte rosse lucenti, e le grosse sopracciglia arruffate in un'espressione accigliata.
-Che cosa stai fissando, idiota? Siediti a tavola.-
-Arthur!- chiamò il giovane americano, avvicinandosi alla tavola. Ma ad un tratto, sentì qualcosa aggrapparsi alla sua gamba e conficcare le unghie acuminate nella sua carne. L'attacco a sorpresa spinse Alfred a lanciare un grido di dolore.
-Salope! Angleterre, il est à moi!-
Quella voce! Dannazione, solo Francia ci mancava! America abbassò la testa, scorgendo infine il suo assalitore. Era un altro coniglio, anzi, a giudicare dalla lunghezza delle orecchie e dalle dimensioni, sembrava quasi più una lepre. Ora che ci pensava bene, quella che accompagnava il Cappellaio Matto in "Alice nel Paese delle Meraviglie" era la Lepre Marzolina, no? Il pelo era marroncino, un poco arruffato. In mezzo alla folta chioma bionda tipica del francese, spuntavano le due lunghe orecchie, di cui una era costantemente piegata in avanti.
Alfred scalciò, fino a quando non si liberò di quel peso che ostinatamente si ancorava alla sua caviglia.
Nel frattempo, l'inglese ancora sorseggiava il suo tè. Infilò una mano nel panciotto verde scuro e, da una tasca interna, estrasse un orologio da tasca. Guardò l'ora e stabuzzò gli occhi. Erano le cinque, sette minuti e cinquantotto secondi. E loro dovevano ancora prendere il tè!
-Francis, basta così- ordinò, mentre con la sua tipica posatezza da british gentleman appoggiava la tazza vuota sul piattino, accingendosi a versarsene un'altra.
La lepre lanciò uno sguardo di sfida al giovane americano, indi con rapidi balzi andò a sedersi accanto al Cappellaio.
-Francis, sei davvero un maleducato.-
-Pourquoi?-
-Levati. Voglio che sia Al a sedersi accanto a me.-
Così dicendo, lanciò uno sguardo malizioso al ragazzo che, ancora in piedi, osservava quella scenetta, indeciso sul da farsi.
-Ma questo è sempre stato il mio posto, il posto d'onore.-
-Appunto. Il posto d'onore è riservato agli ospiti. Levati.-
La lepre fulminò ancora una volta l'americano; come si permetteva di rubargli il posto accanto al suo Angleterre?
Alfred si sedette accanto ad Inghilterra, osservando con attenzione i suoi movimenti. Una volta che si fu versato dell'altro tè nella tazza, vi versò del latte. Due zollette di zucchero. Era sempre il solito Inghilterra. Nemmeno in quel mondo così stralunato cambiava le sue maniacali abitudini.
-Non cambi mai, eh, Arthur?-
-Oh, ma tu senti chi parla. Le mie abitudini sono sicuramente migliori delle tue, Al. Cosa ci trovi a correre insistentemente dietro a un coniglio?-
-Quello che ci provi tu a startene qui seduto in questa landa desolata a bere tè con una lepre pervertita.-
A quel punto, l'americano vide qualcosa di diverso negli occhi di Arthur. Qualcosa che non aveva mai visto, qualcosa di nuovo. Che lo spaventò. Il suo sguardo divenne una feroce vampata di fuoco che lo incenerì nel preciso istante in cui glielo puntò addosso. Scattò in piedi, mise entrambi i palmi sotto il piano del tavolo e, con non si sa quale forza, lo rovesciò completamente, facendo precipitare a terra tutti i piatti, le vivande e le innumerevoli teiere di cui era imbandito. Francis afferrò la sua tazza di tè e si allontanò appena in tempo. Alfred, invece, rimase seduto al suo posto, con un'espressione sconvolta stampata sul volto.
-Landa desolata? Ti sembra una landa desolata?- gridò l'inglese, col viso avvampato e una vena che pulsava sul collo. Alfred osservava perplesso il moto d'ira che andava crescendo nel suo interlocutore. Cos'altro era quel posto? Lo ricordava come un paradiso terrestre ed ora...
Si voltò, lanciando un'occhiata al paesaggio. E finalmente li vide. I suoi occhi si riempirono d'orrore. A terra giacevano decine e centinaia di cadaveri. Corpi dilaniati, laghi di sangue, ventri scoperti e lasciati alla mercè dei corvi. I loro occhi, se ancora avevano la fortuna di averli, erano vitrei e si perdevano nel nulla. Le bocche semiaperte sembravano sprofondare alla ricerca di un alito di vento. Qualche arto giaceva lontano alcuni metri dal proprio corpo. Brandelli di carne e vestiti pendevano dai rami degli alberi. L'americano trattenne un conato. Cos'era tutto quell'orrore? Perché prima non l'aveva notato?
-Questa è Londra- commentò il Cappellaio, come se gli avesse letto nella mente -Quel tedesco mi bombarda giorno e notte. Ma io non voglio cedere. Sono il fottuto Impero Britannico, per dio! Con chi crede di avere a che fare?-
Sì, era sempre lui. Il fiero, orgoglioso, testardo Inghilterra. Alfred sospirò; la battaglia d'Inghilterra era stata una delle più grandi sfide che l'Europa aveva dovuto sostenere durante la Seconda Guerra Mondiale. Se non fosse stato per Arthur, per la sua resistenza contro i tedeschi...America scosse la testa. Non voleva nemmeno immaginare un'eventualità in cui a vincere non sarebbero stati loro. Così era andata la storia. Grazie al cielo.
Il Cappellaio alzò lo sguardo al cielo plumbeo, indi lo spostò su America con un lampo di malizia negli occhi.
-Lo sai, Al, che hai proprio una bella testa?-
-C-Cosa?!-
-Oh sì, quando la Regina te la taglierà, chiederò di averla io per provare i miei cappelli.-
A quelle parole, un brivido di orrore percorse la schiena dell'americano. Lentamente, ancora sotto lo sguardo ambiguo dell'inglese, si alzò dalla sedia. Doveva andarsene in fretta. Non sapeva bene il perché, ma quell'Arthur in versione Cappellaio Matto lo inquietava non poco.
-Oh, mais non. Hai voluto il mio posto, adesso sarebbe da maleducati andarsene così- esclamò la Lepre, balzando giù dal proprio sgabello ed avvicinandosi agli altri due, mentre ancora nelle zampe reggeva la sua tazza di tè. Anche nei suoi occhi c'era qualcosa di vagamente preoccupante. Una luce diversa dal solito. Perversa. Tremendamente, orribilmente perversa.
Alfred fece qualche passo indietro. I due si avvicinarono ancora. Al che decise di scappare. Si voltò ed iniziò a correre con tutta la forza che aveva nelle gambe. Alle sue spalle, risuonava una risata convulsa e malata. E ad un tratto la sua corsa venne fermata. Qualcosa gli afferrò la caviglia destra, facendolo rovinare a terra. Indi anche la sinistra fu catturata. Alfred cercò di liberarsi, dimenandosi, ma quando vide ciò che lo tratteneva il cuore gli balzò in gola: uno dei cadaveri che infestava quel luogo sinistro lo tratteneva, protendendosi con mani scheletriche e conficcando le lunga dita affusolate nella carne dell'americano. Tutta l'incredibile forza del ragazzo sembrava essere improvvisamente sparita, quando un altro di quei cadaveri lo afferrò per i polsi, tenendoglieli dietro la schiena.
-Chi ti ha insegnato queste maniere?- domandò il Cappellaio con nonchalance, avvicinandosi al ragazzo ormai immobilizzato.
-Non impari mai, non è vero, Al?- continuò per poi chinarsi in avanti e poggiare le sue labbra su quelle dell'americano che, incredulo, cercava invano di sottrarsi a quel bacio. Ma tutti i suoi sforzi erano inutili. Arthur divorava famelicamente le sue labbra, esplorando con la lingua ogni anfratto della sua bocca. Pochi secondi dopo si staccò ed un sorrisetto soddisfatto si dipinse sul suo viso.
-Dolce- commentò.
La Lepre fissava i due con gli occhi che brillavano.
-Ora tocca a me, Angleterre. Je veux une bise. Une bise! Une bise!-
La Lepre chiuse gli occhi, pronto a ricevere il suo bacio. Il Cappellaio chiuse la mano, pronto a sferrare il suo pugno. Francis volò a qualche metro di distanza, ruzzolando nella polvere. La tazza di tè che teneva tra le zampe fece per precipitare al suolo, ma prontamente l'inglese l'afferrò al volo, senza versare nemmeno una goccia.
-Sarebbe un peccato sprecare questo delizioso tè. E tu, Al, ne sai qualcosa a proposito, vero?-
Alfred, ancora intontito da quel bacio improvviso ed apparentemente senza significato, improvvisamente si ridestò. Il tè. Ora ricordava!
L'inglese colse il lampo di luce negli occhi dell'americano e accennò un sorriso sornione. Certo, come poteva non ricordare?
-Ti ho fatto un cappello apposta, tutto per te- disse, mentre alle sue spalle uno degli innumerevoli cadaveri dilaniati si avvicinava reggendo un copricapo indiano ricoperto di piume colorate. Lo posò sulla testa di Alfred e si allontanò.
-Vedi che, se lo vuoi, sei un ragazzo sveglio, Al? Ti ricordi, non è vero? Quel giorno, a Boston...-
America sollevò lo sguardo. Come avrebbe potuto dimenticare? Quel giorno, il giorno in cui tutto ebbe inizio. Quel 16 dicembre del 1773.
Arthur alzò il braccio che ancora reggeva la tazzina. Lentamente girò il polso. L'odore dolce del tè invase l'aria circostante. Il liquido giallastro scivolò dalla tazza, sino a cadere tra le piume del copricapo. Le gocce presero a seguire i tratti facciali dell'americano. Un rigolo di tè gli percorse la rima buccale. Con la lingua, il ragazzo assaggiò la bevanda. Poi sorrise. Aveva capito cosa stava succedendo. Quella era la vendetta di Inghilterra. Ancora non aveva superato la sua Indipendenza.
Alfred puntò gli occhi celesti su quelli smeraldini dell'altro. Infine li vide colmarsi di lacrime. Sempre il solito, vecchio Inghilterra.
Ma ora basta. Quella pagliacciata era andata ben oltre l'accettabile.
Con un paio di strattoni decisi liberò sia mani che piedi e si rialzò. Al contrario, il Cappellaio cadde in ginocchio, ancora in lacrime. Quella scena...dannazione! Perché il suo passato lo perseguitava a quel modo? Ora capiva perché era legato. Ora capiva anche il bacio. Inghilterra non voleva lasciarlo andare.
-No, Arthur,- disse America, togliendosi il copricapo e lasciandolo cadere nella polvere -non ti chiederò mai scusa per ciò che ho fatto, per l'Indipendenza. Sono ancora convinto che quella sia stata la decisione più giusta che abbia mai preso in vita mia e non me ne pentirò mai. Non sono più una tua colonia.-
Indi diede le spalle all'inglese che ancora singhiozzava convulsamente.
-Al! Al!- chiamò. Ma lui non si girò.
-Al! Torna indietro! Torna da me! Merda! Perché sta accadendo di nuovo? Bastardo! Al! Tu eri mio! MIO!-
Il giovane si allontanò, ignorando il pianto di Arthur. Doveva proseguire quello strampalato viaggio, doveva far luce su molte cose, soprattutto sul suo passato. Si avviò verso un sentiero che si districava ancora una volta in una fitta boscaglia. Ma, prima di immergervisi, si bloccò e, senza voltarsi, disse: -Arthur, ti prego, smettila di vivere nel passato.-
Il pianto dell'inglese si interruppe. Abbassò lo sguardò ed un nuovo sorriso sarcastico e carico d'odio si formò sul suo viso.
-Corri, Al, corri. Tanto perderai la testa. Vogliamo scommettere?-



*Angolo dell'autrice*
Ooook, allora, scusate se questo capitolo ci ha messo così tanto ad essere pubblicato. È che al momento mi sto dedicando ad altre storie ed avendo iniziato anche l'università il tempo e la voglia scarseggiano. Ma come vedete non mi sono dimenticata! Purtroppo sono indietro anche a rispondere a tutte le recensioni. Per questo spero non me ne vogliate çAç Portate pazienza, oltre agli impegni, sono una persona terribilimente pigra, sappiatelo. Perciò ne approfitto qui e ringrazio tutti per le recensioni che avete lasciato, non sapete quanto mi fa piacere sapere che questa storia è apprezzata! *w*
In questo capitolo ho inserito un bacio UkUs che, a conti fatti, ci stava. Con un Arthur così malizioso cosa volevate a suggellare il "legame" tra i due? Per i fan non-UsUk, tranquilli, questa è la prima e ultima scena simile che troverete in questa fic. Quindi da ora in poi, leggete in pace xD
Vi ringrazio ancora tantissimo per le recensioni *_* Anche se non vi rispondo o se ci impiego una vita per farlo, sappiate che le leggo sempre e mi rendono felicissima! Grazie <3
Alla prossima
Cali ~

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