This Is Us (2011)

di mamogirl
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** *Prologo* ***
Capitolo 2: *** * Primo Capitolo - I Still Need You* ***
Capitolo 3: *** * Secondo Capitolo - Back To The Day When I Met My Life * ***



Capitolo 1
*** *Prologo* ***


Prologo

 

 

 

 

 

Era una limpida giornata di fine agosto, il cielo azzurro era così limpido da sembrare un’infinita distesa di acqua cristallina, nemmeno una nuvola bianca osava far capolino e l’unica punta di colore differente era il giallo del sole, splendente e radioso.
Lexington, Kentucky, era una tipica città del Sud degli Stati Uniti: gli immensi campi di grano, intervallati dalle fattorie e cascine, circondavano il centro vero e proprio, moderno con i suoi alti grattacieli e con i quartieri graziosamente abbelliti con casette dagli steccati bianchi e giardini perfettamente curati attorno.
La jeep nera percorreva la strada sterrata che costeggiava uno dei tanti appezzamenti di terra coltivata ed il suono di musica rock che usciva dallo stereo contrastava fortemente con l’atmosfera tipicamente country; nonostante ormai considerasse quelle terre una seconda casa natale per lui, il ragazzo che guidava l’auto non si sarebbe mai trasformato in un perfetto campagnolo, jeans sbiaditi ed una camicia a quadretti rossi come capi abitudinali. Sul suo volto si dipinse un’espressione disgustata al solo pensiero mentre, alzando un immenso polverone di terra, svoltava in una stradina privata.
La sua destinazione era quasi giunta, ancora qualche metro e poi avrebbe raggiunto la casa nella quale avrebbe trascorso i giorni seguenti.
Alexander McLean, meglio conosciuto come semplicemente Aj, adorava ritornare in quell’angolo quasi dimenticato dalla modernità, era quasi una seconda casa per lui e l’atmosfera che si respirava era davvero un toccasana per la sua sempre fremente necessità di normalità. Cresciuto solamente con la madre, un padre che lo aveva abbandonato quando era troppo piccolo per capire quello che stava succedendo, A.J. aveva sempre invidiato la perfetta armonia della famiglia Littrell.
Ma il motivo della sua presenza non era una semplice vacanza, anche se Aj lo avrebbe desiderato più di qualsiasi altra cosa.
Il gruppo aveva ufficialmente preso un “periodo di pausa”, così la loro addetta stampa aveva scritto sul comunicato stampa inviato a tutti i canali mediatici per informare le fans, in modo da permettere ad ognuno di coltivare piccoli progetti per conto proprio.  
La decisione non era stata presa così a malincuore, ultimamente stavano andando avanti solamente per inerzia e cantare ed esibirsi sembrava essere diventato solamente un obbligo da compiere e non più un divertimento come avrebbe dovuto sempre essere.
Nessuno sapeva il reale motivo dietro a quella decisione, però.
O, meglio, qualcuno aveva incominciato ad insinuare che l’improvvisa carriera solista di Nick avesse a che fare con la loro pausa ma pochi avrebbero potuto supporre il cataclisma che quella decisione aveva creato.
A volte, pensò Aj mentre finalmente giungeva di fronte al portico della casa, avrebbe voluto prendere a calci il biondino per come si era comportato.
E di certo, non stava parlando dell’album fine a se stesso! Fosse stata proposta anche lui quell’offerta, l’avrebbe accettata senza tanti complimenti.
No, stava parlando di come Nick aveva fatto saper loro di quel progetto.
Registrare un album in fretta e furia e senza poter contare sull’appoggio dei suoi amici, nascondere loro quel progetto per poi lanciare la bomba nella prima riunione in cui avrebbero dovuto affrontare il discorso sul prossimo album del gruppo.
Certo, non era quello il motivo per cui metà gruppo ce l’aveva con Nick. Forse, l’unico che era rimasto semplicemente deluso era Howie ma questo anche perché lui era il diplomatico del gruppo, non prendeva mai le parti di qualcuno.
Kevin era furioso e la rabbia nascondeva alla perfezione quanto si fosse sentito tradito, soprattutto nella fiducia che aveva riposto nel più giovane. Il peggior crimine ai suoi occhi era infrangere una promessa, a maggior ragione se questa coinvolgeva la famiglia.
Lui?
Lui si sentiva preso tra l’incudine ed il martello: da una parte, si sentiva anche lui tradito, più che altro perché per il nuovo album del gruppo aveva già in mente due o tre progetti che, adesso, sarebbero andati nel dimenticatoio. Dall’altra, invece, non voleva prendere parti, nonostante dalla sua riabilitazione, lui e Brian si fossero legati in un’amicizia che, solo ora, capiva quanto fosse preziosa.
Già, perché ciò che i media ed i fans non sapevano era che Brian e Nick erano una coppia... o, meglio, lo erano stati fino a qualche mese prima.
Quando quei due avevano confessato la loro relazione, nessuno di loro si era sentito sorpreso o particolarmente shockato. Sembrava un passaggio naturale per un’amicizia che era sempre apparsa molto più profonda di quanto lo fosse realmente. Forse sì, i primi tempi era stato un po’ strano vederli più affettuosi del solito, scambiarsi gesti come carezze e baci, per non parlare di tutte le volte che qualcuno li sorprendeva in atteggiamenti che andavano oltre al casto e puro bacio.
Ma erano durati tanto, quasi tre anni, prima che un tifone si abbattesse su di loro, un tifone di nome Carter.
Ed esattamente come quando uno reale attraversava una città lasciando dietro solo cumuli di distruzione e detriti, il tornado Carter aveva lasciato un cuore spezzato.
Ecco il motivo per cui Aj era lì a Lexington.
Dopo l’ennesima telefonata andata a vuoto, lui, Kevin e Howie avevano deciso che era ora di rimettere un po’ di buon senso nella testa di Brian e di spingerlo fuori dalla tana di dolore in cui si era rinchiuso da mesi. Sarebbe stata un’impresa titanica, su questo non erano stati sollevati dubbi, visto l’alto livello di testardaggine ed ostinazione che aveva sempre contraddistinto Brian.
A mali estremi, estremi rimedi.

 

______________________________________________

 


Brian non sapeva che giorno fosse, non sapeva nemmeno se fosse mattina, pomeriggio o sera. La prima cosa che aveva fatto non appena tornato a casa, era stato tirare tutte le tende affinché la luce del sole non entrasse. Lo sentiva come un affronto, che bisogno c’era di stare lì tutto sorridente quando il suo mondo era appena entrato in un eclissi perenne?
Era stanco, stanco di essere puntualmente ferito ogni qualvolta lasciava cadere le sue difese.
Che idiota era stato a pensare che tra lui e Nick potesse esserci qualcosa di più duraturo che una semplice e passeggera cottarella.
Ed ora, mentre il ragazzo che aveva amato si trovava dall’altra parte dell’oceano, magari impegnato a divertirsi con ragazze e ragazzi che si offrivano in cambio di cinque minuti di fama, lui era lì, rinchiuso in una camera a cercare di trovare il primo pezzo per rimettere insieme il suo cuore.
Ironico era il pensiero che era riuscito a sopravvivere per più di venticinque anni con un soffio al cuore – no, due per la precisione – ma non riusciva a trovare la forza per ricominciare dopo essere stato tradito in quel modo.
Stringendosi ancora di più nella coperta, Brian non era sorpreso che il freddo che sentiva dentro si stesse lentamente trasferendo anche alle altre parti del suo corpo.
Continuava a chiedersi dove avesse sbagliato, forse era stato troppo protettivo nei confronti di Nick?
Ma lui era il maggiore, era suo il compito di guidarlo e di mostrargli la strada giusta da prendere, era suo il dovere di proteggerlo da chiunque volesse approfittarsi di lui. E, nel mondo dello spettacolo, gli squali erano molto bravi a nascondersi dietro la maschera di amici e Nick... Nick era davvero ingenuo, si fidava delle persone senza fermarsi a chiedersi se ci fosse qualcosa sotto.
Era lì che aveva sbagliato?
Era per quel motivo che Nick si era sentito obbligato a mentirgli e fare tutto di nascosto?
Le lacrime, che aveva pensato ormai si fossero esaurite, ricominciarono a bruciare dentro gli occhi.
Anche se aveva esagerato, anche ammesso che avrebbe dovuto trattare Nick più come il suo partner e non come un bambino, non meritava quello che aveva dovuto subire in quei mesi: nottate trascorse a chiedersi dove andasse e che cosa facesse, dubbi che poi si trasformavano nella paura che gli fosse successo qualcosa e che nessuno poteva aiutarlo.
Quante volte gli aveva chiesto dove andasse?
Quante volte lo aveva pregato, supplicato, di dirgli che cosa stava succedendo, che cosa gli stava succedendo, ma aveva ricevuto come risposte solamente bugie.
E tutto per cosa?
Per un album solista?
Aveva davvero buttato via ciò che avevano costruito solamente per un album?
Valeva così poco?
Glielo aveva anche spedito, era stato Kevin a portargli quel semplice cd, chiedendogli di almeno dargli una possibilità.
Ma quel cd era rimasto sul suo comodino, ancora impacchettato, mentre lui pensava a come disfarsene: lanciarlo dal tetto? Saltarci sopra? Metterlo nel microonde? Passarci sopra con la macchina?
Ma non era mai riuscito a sbarazzarsene, dicendosi che un giorno avrebbe dovuto ascoltarlo perché lì dentro, in quelle canzoni, fra note e melodie, c’era il suo Nick, c’era la spiegazione di quelle notti in cui non erano insieme, quelle ore di cui lui non sapeva nulla.
Pensieri, desideri, speranze e rimorsi erano racchiusi tutti in quelle canzoni e, quando la rabbia non lo consumava fino a farlo tremare, Brian era tentato di aprirlo e, se non ascoltarlo, almeno leggere i testi.
Almeno leggere la piccola nota allegata.
Nemmeno quella era riuscito ancora a leggere, ogni lettera scritta in quella calligrafia che conosceva fin troppo bene riportava a galla il dolore e la nostalgia.
Perché sotto tutta quella matassa ingarbugliata di sentimenti, Brian sentiva la mancanza di Nick.
Prima di essere diventati amanti, prima di essere diventati l’uno il compagno dell’altro, loro due erano migliori amici ed ora, più di tutto, Brian aveva bisogno di quella.
Aveva bisogno della loro amicizia.
Non riusciva a concepire il fatto che non si sentissero da più di due mesi o che, per la prima volta, Brian non sapesse che cosa Nick stesse facendo in quel momento.
Dov’era?
Era impegnato in un’intervista, si stava esibendo o stava semplicemente cercando di recuperare energie per il prossimo concerto?
Stava pensando a lui? O lo aveva già dimenticato, come aveva fatto con tutte le persone che aveva escluso dalla sua vita?
Tutto quel turbinio di pensieri, così contrastanti tra loro, lo stavano facendo impazzire, aumentando la dolorosa pressione sulle sue tempie.
Come si metteva in pausa il cervello?
Nemmeno quando era addormentato, sembrava esserci sollievo per la sua anima tormentata. Continuava a rivivere tutte quelle notti ed a immaginarsi tutto ciò che avrebbe potuto fare per non arrivare fino a quel punto, ad essere miserabilmente solitari l’uno lontano dall’altro.
Certe notti – o mattine, non se n’era mai reso conto – digitava il suo numero ma riattaccava appena dopo uno squillo.
Codardamente, aveva paura se Nick avesse risposto.
O, forse, era il suo orgoglio che parlava, che gli urlava che era Nick a doverlo cercare.
E, sotto quelle urla, c’era la voce sibillina che gli sussurrava che non l’avrebbe mai fatto perché per lui era stato solamente un gioco.
“Oh santissimo, sei per caso diventato un vampiro?”
Stancamente, Brian alzò la testa oltre la coperta e fu sorpreso di intravedere, nel buio, la figura più che riconoscibile di Aj.
Come se non avesse importanza, Brian si voltò dall’altra parte.
“Oh, quanto siamo maturi.”
Brian bofonchiò qualcosa ma Aj non lo ascoltò minimamente, dirigendosi verso la finestra e spalancando le tende. L’oscurità venne spazzata via dalla luce del sole che finalmente poté entrare in quella stanza in tutta la sua maestosità.
“Il sole è alto nel cielo, gli uccelli cinguettano felici.”
Brian si nascose ancora di più sotto le coperte.
Aj non si scompose e, dopo aver aperto completamente le finestre, si voltò e, dopo essersi avvicinato al letto, prese il piumone – solo Brian poteva usare il piumone in piena estate! – e lo gettò per terra, scoprendo l’amico.
“Almeno ti sei fatto la doccia.” Commentò ironico sedendosi sul bordo.
“Che diavolo ci fai qui?” domandò seccamente Brian, sempre tenendo la schiena voltata. Era stupido, lo sapeva, ma non voleva che Aj notasse quanto gonfi e rossi fossero i suoi occhi. Probabilmente, già lo sospettava ma Brian voleva mantenere un minimo i dignità.
“Nessuno aveva più tue notizie.”
“Forse perché non volevo parlare con nessuno.”
“O forse perché volevi semplicemente annegare nella tua malinconia?”
Quel commento accese qualcosa in Brian, qualcosa differente dalla lenta apatia che lo aveva avvolto in quei giorni. “Ed anche se fosse? – ribatté accigliato. – Siamo in pausa, posso fare ciò che voglio.”
“Ciò non ci impedisce di preoccuparci.”
“Sto bene.” mentì Brian, utilizzando quella difesa che aveva perfezionato ad arte durante gli anni.
“Palle. Se saresti bene, non ci sarebbero pile di giornali davanti alla tua porta d’ingresso o il desolante deserto nel tuo frigorifero.”
Brian aprì la bocca per ribattere, sulla punta della lingua parole piccate su come i primi giorni si fosse dato da fare, tutto pur di non pensare e riflettere e dar voce al suo cuore spezzato: non appena arrivato, aveva incominciato a pulire tutta casa, complice anche il fatto che non ci veniva quasi mai; e, quando ogni superficie aveva iniziato a brillare e luccicare, era passato a mettere in ordine il giardino, estirpando erbacce e piantando nuovi fiori e piante. Ma poi, trascorsa una sola settimana, si era ritrovato con l’aver fatto già tutto il possibile ed immaginabile e non aveva più niente che potesse tener a bada la sua mente. Perché quando sei completamente esausto, quando hai dato fondo a tutte le tue energie, tutto ciò che ti importa è dormire e recuperare energie, mettendo a tacere le vocine della tua mente.
Ritrovandosi senza nessun appiglio, senza nessuna coperta in cui nascondersi, la realizzazione di ciò che lo aveva portato lì aveva colpito Brian come un’onda che all’improvviso si abbatte sulla spiaggia e distrugge tutto ciò che incontra sulla sua strada.
E, esattamente come un castello di sabbia, lui era crollato.
“Brian, capisco che quello che ti ha fatto Nick è difficile da superare ma rinchiuderti come un eremita non ti aiuterà ad andare avanti.”
Brian alzò gli occhi al cielo, un’espressione insofferente sul volto. Ecco perché era fuggito via, ecco perché si era nascosto lontano da tutti e da tutto.
Come potevano altre persone capire ciò che gli era successo?
Loro non c’erano stati quelle notti in cui aveva lasciato solchi sul pavimento mentre aspettava una chiamata o un messaggio e l’ansia attanagliante che potesse essere successo qualcosa.
Loro non avevano convissuto con la paura di chiedere se ci fosse qualcun altro o se fosse lui il terzo incomodo.
Che cosa ne potevano sapere, quindi?
“Tu non sai proprio niente.”
Il rumore delle lenzuola che si spostavano avvertirono dell’avvicinamento di Aj ancor prima di sentire una mano posarsi sulla sua spalla.
“E’ vero. – ammise Aj in un sospiro, il tono di voce aveva perso qualsiasi punta di sarcasmo. – Non so proprio niente. Quindi, perché non mi racconti come stanno le cose?”
“A che serve? Non puoi cambiare ciò che è successo.”
“Ma può aiutare te.”
“Oh, davvero? Non ho bisogno di aiuto.”
“Ho usato anch’io questa frase e ti dico per certo che è un’emerita cavolata. -  Ribatté Aj. - Allora ascoltami. Non so come ci si senta nei tuoi panni ma so come si sente Nick in questo preciso momento. Ho combinato tanti di quei casini nelle mie relazioni che sono ormai diventato un esperto. – Aj si interruppe, lanciando un’occhiata a Brian per vedere se almeno quelle parole lo avevano colpito ed avevano catturato la sua attenzione. Non era difficile intuire ciò che aveva ferito maggiormente il ragazzo e che cosa ancora lo faceva soffrire ed il fatto che lui sapesse come si sarebbe comportato Nick dall’altra parte dello stato lo metteva nella posizione di aiutare l’amico. Brian non si era ancora voltato ma la rigida posizione delle spalle gli faceva intuire che lo stava ascoltando e che stava aspettando che lui continuasse. – So come ci si sente ad avere il peso della consapevolezza di aver rovinato tutto, di aver tradito la fiducia dell’unica persona che si fidava di te così ciecamente da non aver mai posto limiti o confini. Probabilmente, ogni minuto libero lo passa fissando il telefono e combattendo l’istinto di chiamarti, pregarti di perdonarlo e di riprenderti nella sua vita. Ma si vergogna. Si vergogna di averti ferito così profondamente per uno stupido album, di aver avuto paura nel parlartene e di averti fatto credere che ti stava tradendo. Ed è arrabbiato. Arrabbiato con se stesso, perché vorrebbe essere qui a lenire le tue ferite ma... beh, l’orgoglio è una brutta bestia da combattere.”
All’inizio, Brian rimase in silenzio.
Lentamente, poi, si voltò. In quegli occhi azzurri c’era così tanta sofferenza che Aj si sentì fisicamente male per lui. Poche persone si rendevano conto di quanto fosse facile ferire il cuore di Brian, perché una volta che il ragazzo lasciava cadere le sue difese, dava tutto se stesso ed anche oltre, se era necessario. E con Nick... beh, con Nick, non si era tirato indietro ed aveva messo in gioco ogni minima parte del suo cuore.
Solo qualche mese prima del fattaccio, Brian gli aveva confidato che stava seriamente pensando di parlare con i suoi della sua sessualità e del suo rapporto con Nick. Quel semplice fatto dimostrava quanto credesse in quella relazione.
E Nick... Nick era cresciuto, era maturato. Almeno fin quel maledettissimo giorno. Eppure, anche in quella decisione scriteriata, si poteva leggere una maturazione, una voglia di trovare una propria strada senza la guida dei suoi fratelli maggiori. La voglia di dimostrare, a se stesso ed all’uomo che amava, che era pronto per prendersi responsabilità e parte del peso dei problemi sulle sue spalle.
Ed aveva appena imparato la prima e più importante lezione: ogni azione ha la sua conseguenza e bisogna accettarla, positiva o negativa che fosse.
La voce di Brian si fece strada tra i pensieri di Aj. “Perché lo ha fatto? Perché mi ha mentito? Pensava davvero che gli avrei impedito di registrare? – Lacrime di rabbia incominciarono a scendere mentre la forza di quei sentimenti si riversava nelle sue guance, un netto contrasto con quel colorito bianco che sapeva solo di malattia. - Mio Dio, sono orgoglioso di lui! Sono orgoglioso del fatto che abbia voluto provare a volare con le sue ali ed avrei voluto essere lì, a congratularmi con lui ogni volta che terminava una canzone o semplicemente rassicurarlo.”
Aj si ritrovò spaesato da quelle parole.
Oh, certo che non erano quelle che si era aspettato di sentire ma, dentro di sé, avrebbe dovuto aspettarselo.
“Aveva così poca fiducia in me? Che cosa sono? Un mostro che lo avrebbe rinchiuso in camera perché invidioso del suo successo? E’ vero, a volte sono troppo protettivo nei suoi confronti ma voglio solo difenderlo! E’ un crimine?”
“No, Brian, no.”
“E allora perché lo ha fatto?” mormorò Brian, stringendo le ginocchia al petto ed appoggiandovi sopra il mento.
“Tu lo ami ancora?”
Non ci fu bisogno di attese o minuti per riflettere.
Nonostante tutto, il suo cuore continuava a battere per Nick.
Lo sguardo si alzò ed in quegli occhi, improvvisamente più lucidi e non a causa delle lacrime, Aj ebbe la sua risposta ancor prima di sentire quella semplice sillaba pronunciata con tanta determinazione.
“Sì.”
Aj ne era certo, come era anche certo che, se qualcuno avesse fatto la stessa domanda a Nick, anche lui avrebbe risposto allo stesso modo.
L’unico modo per rimettere insieme un cuore spezzato era ricongiungerlo con la sua parte mancante. Insieme, si sarebbero guariti a vicenda.
E Brian era molto più facile da convincere, forse perché perdonare qualcuno che ami è più semplice che perdonare se stessi.
“Ed allora, invece di annegare nei tuoi dolori, perché non fai l’uomo maturo e lo perdoni?”
Brian guardò l’amico mentre pensieri contrastanti convergevano fra loro: da una parte, avrebbe voluto continuare a rimanere chiuso lì, con la certezza sì della sofferenza ma con la speranza che Nick potesse ritornare da un momento all’altro. Se fosse andato da lui e Nick lo avrebbe rifiutato? Poteva sopportare quella vergogna? Ma dall’altra... dall’altra sentiva di impazzire, voleva solo ritornare in quelle braccia che, molto più spesso di quanto si potesse immaginare, lo avevano sorretto e gli avevano offerto un nascondiglio. Sentiva la mancanza di tutto, del corpo di Nick allacciato al suo, il confortante silenzio mentre lui leggeva un libro e Nick dormiva con la testa appoggiata sul suo stomaco...
Perdonare.
Sorpreso, Brian si accorse che era qualcosa di cui non doveva nemmeno perdere tempo ed energie per rifletterci sopra.  
“L’ho già fatto. - Ammise ad alta voce, un timido sorriso sul suo volto. – Non significa che tutto è dimenticato ma... non lo odio.”
Il solito sorriso sornione di Aj bastò come risposta. “Bene, allora che ne dici di farti una bella doccia mentre io vedo di recuperare qualcosa da mangiare e scoprire in che città si trova ora Nick?”
“E se non vuole vedermi?” chiese Brian incerto.
Con una scrollata di spalle, Aj cancellò quel pensiero. “Peggio per lui, no? – scherzò prima di tornare serio. – Lo hai visto in qualche intervista?”
Brian scosse la testa: aveva provato ma non appena il ragazzo era apparso sullo schermo, la stretta attorno al suo cuore si era fatta più forte ed aveva dovuto spegnere.
“Ha la tua stessa espressione, gli occhi di chi ha perso la cosa più importante nel suo mondo e sta cercando di cavarsela come meglio può. Forse... soffre più di te perché ha il peso di aver rovinato tutto, di aver causato la tua sofferenza.”
“Non è tutta colpa sua. – ammise Brian. – Ci sono tante cose che avrei potuto fare o dire senza arrivare a quel punto. Quel giorno... quel giorno, avevamo accumulato troppa tensione, troppe frasi non dette e siamo scoppiati. Abbiamo reagito con il nostro orgoglio ferito e l’unica cosa che avevamo in mente era far soffrire l’altro.”
Con la punta dell’indice, incominciò a seguire le linee disegnate sulla coperta. Ricordava ancora il giorno in cui l’aveva vista in un negozietto e di come aveva mormorato ad alta voce che con quella coperta di lana avrebbe sofferto meno il freddo. Qualche giorno dopo, tornato a casa, si era ritrovato sul portico una scatola con un semplice biglietto: “per tutte quelle notti in cui non potrò scaldarti.”
“E’ giunto il momento di chiarirvi. E non succederà se tu rimani chiuso in casa.”
Brian ascoltò il chiacchierio dell’amico mentre vagava da una parte all’altra della camera raccogliendo vestiti e fazzoletti di carta usati. Aj che metteva in ordine era un evento così raro ed unico che sembrava, in quel momento, la cosa più divertente del mondo.
Per la prima volta da giorni, oh così tanti giorni, una risata incominciò a solleticargli la gola ed era una sensazione così differente dai groppi brucianti colmi di singhiozzi e dolore. Alzandosi, si lasciò per un attimo scaldare il viso dal sole che entrava dalla finestra, sorpreso di come ora gli sembrasse così naturale che splendesse.
Fu in quel momento che Brian avvertì la prima fitta.
All’inizio, non ci diede molta attenzione, era abituato ad avere qualche dolorino soprattutto quando era sotto stress.
Ma quando una seconda seguì la prima, lievemente più dolorosa, Brian capì immediatamente che qualcosa non andava.
“Jay.”  Richiamò l’amico mentre la mano sinistra, istintivamente e come d’abitudine, andò a massaggiare la cicatrice sul petto.
Ma Aj non lo sentì la prima volta, impegnato in chissà quale faccenda in bagno.
Brian chiuse gli occhi, cercando di prendere lunghi respiri tra una fitta e l’altra. Sapeva che non era un infarto ma questa consapevolezza portava una serie di domande e di incertezze che aumentavano il suo panico.
“Jay.” Provò a richiamare una seconda volta, con tono più alto.
“Non posso credere che il tuo shampoo sia alla vaniglia e... – Aj si bloccò a metà strada, la bottiglia di shampoo che teneva in mano scivolò dalla sua stretta. Annullò con pochi ma lunghi passi la distanza fra loro due, il suo cuore che batteva più velocemente nel vedere Brian, pallido, e con un respiro che non preannunciava nulla di buono.
“Ehi, ehi... che cosa hai?” gli domandò, appoggiando il palmo della mano sulla guancia: scottava ed era anche sudata, quel sudaticcio tipico di quando sei malato.
Quali erano i sintomi di un infarto? Dolore al petto, okay. Ma poi?
“Ti fa male il braccio?”
Brian riaprì gli occhi. “No, non è un infarto.”
“Okay. Prossima domanda: devo chiamare un’ambulanza?”
Brian scosse la testa. Per un attimo, pensò che stesse semplicemente esagerando. Non dormiva decentemente da giorni e poteva a malapena mettere insieme un pasto decente con quel poco che aveva mangiucchiato in quel periodo, forse era per quello che non si sentiva bene.
“Devo chiamare qualcuno? Perché, lasciatelo dire, non hai una bella cera.”
Abbozzò un debole sorriso. “Sempre gentile nei complimenti, vero?”
“Ordinaria amministrazione. Dovresti esserci abituato. – ribatté Aj, ricambiando il sorriso. – Seriamente, vuoi che chiamo Kevin?”
“No, non potrebbe comunque fare nulla. Oltre a farmi una predica su quanto poco mi sia preso cura di me stesso.”
“Oh, su questo non ci sono dubbi!” scherzò Aj, anche se entrambi sapevano che non era molto lontano dalla verità quell’affermazione.
Tra una fitta e l’altra, Brian rifletté sul da farsi: qualche anno prima, avrebbe sicuramente ignorato quei sintomi e fatto finta di niente ma... no, dopo aver rischiato la vita, preferiva dover visitare uno di quegli orribili ospedali piuttosto che andarci su una barella, come qualche volta era successo.
“Credo sia meglio se mi accompagni in ospedale. Giusto per stare tranquilli, probabilmente mi rimanderanno indietro con qualche raccomandazione idiota.”
“Lasciamolo dire a loro, okay? – rispose Aj. – Ti serve una mano ad alzarti?”
Sulle prime, Brian rifiutò, orgogliosamente voleva usare quelle poche energie rimaste per poter andare in macchina con un minimo di dignità. Ma quando lo fece e si accorse che le sue gambe lo avrebbero retto per meno di pochi secondi, accettò volentieri la mano che Aj gli stava offrendo senza dire parola.
Il tempo sembrava muoversi alla velocità della luce mentre loro due scendevano lentamente le scale. Aj aveva la sensazione che il suo cuore, da un momento all’altro, potesse esplodere fuori dal tanto che batteva furiosamente e tutto ciò che avrebbe voluto fare era prendere in braccio Brian e portarlo direttamente in macchina.
Ma l’amico non gliel’avrebbe permesso, nemmeno se fosse stato in punto di morte.
“Posso sentire i tuoi pensieri. – lo interruppe Brian. – Non sto per morire.”
“Beh, scusami se mi preoccupo quando continui a tenere una mano sul petto e fai fatica a respirare.” Ribatté sarcastico Aj.
“E’ solo stress.”
“Da quando sei un medico?” domandò Aj, inarcando il sopracciglio.
“Oh, non sai che ho una laurea in medicina?” scherzò Brian.
“Bri, sapere a memoria ogni singolo episodio di ER non equivale ad essere degli esperti!”
Brian si lasciò sfuggire une debole risata ma che si trasformò quasi immediatamente in tosse, lasciandolo ancora di più senza fiato. Aj accelerò il passo, ormai erano quasi vicini alla macchina. Sempre sostenendo il peso – seppur leggero – di Brian, Aj cercò le chiavi della macchina, maledicendosi per la sua abitudine di chiuderla sempre anche quando era impossibile che potesse venir rubata.
Finalmente, dopo averle fatte cadere, Aj recuperò le chiavi ed aprì la portiera del passeggero, aiutando Brian ad entrare. Brian appoggiò una mano sulla portiera per sostenersi e staccò l’altra dall’amico.
“Jay, calma. – gli disse guardandolo negli occhi. – Non è niente di grave quindi stai tranquillo.”
Aj sorrise nervosamente, liberando un respiro che non sapeva nemmeno che aveva trattenuto.
“Non dovresti essere tu quello in preda al panico ed io quello che ti deve rassicurare?”
Gli angoli ai lati della bocca di Brian si curvarono in un sorriso, debole ma forte nella convinzione che tutto sarebbe andato per il meglio. “Forse in un’altra vita, Jay.”
Aj mormorò qualcosa di incomprensibile, più probabilmente una delle tante imprecazione in spagnolo che Howie gli aveva insegnato, e chiuse la portiera dopo essersi assicurato che Brian fosse comodo.
Maledizione, perché era successo quando c’era solo lui e non quando sarebbe giunto anche Kevin?
Di certo, il maggiore era molto più qualificato nell’affrontare situazioni d’emergenza come quella mentre lui si sentiva come se stesse sull’orlo di una crisi di panico.
Calmarsi sembrava così miracolosamente irraggiungibile ma doveva provarci.
Si sedette davanti al volante e accese il motore.
“Jay, mi dai una mano? Non riesco ad allacciarla da solo.”
Aj si voltò e vide Brian cercare di allacciarsi la cintura di sicurezza.
“Stai scherzando, vero?”
Brian inclinò la testa, lo sguardo serio faceva netto contrasto con il pallore.
“Non stai scherzando. - Mormorò Aj sbalordito. – Fai fatica a respirare e ti preoccupi per la cintura?”
Aggiunse mentre lo aiutava nell’intento.
“I poliziotti qui sono abbastanza  ligi nei loro doveri e... beh, vorrei arrivare in ospedale tutt’intero.”
“Divertente.” 
Solo quando aveva già ingranato la marcia, Aj si ricordò che non sapeva esattamente dove fosse l’ospedale centrale di Lexington.
“Non è difficile. – gli disse Brian, intuendo la ragione per cui si era bloccato a metà strada del vialetto – L’ospedale è fuori dal centro cittadino e...” non riuscì a terminare la frase, una fitta, più forte di quelle precedenti, bloccò l’accesso e l’uscita dell’aria.
Dio, Dio, faceva maledettamente male!
Chiuse fortemente gli occhi, le mani si strinsero in un pugno così serrato che le unghie si conficcarono nella pelle nonostante la loro cortezza, un doloroso palliativo dalle fitte che continuavano incessanti a colpire il suo petto.
Cercò freneticamente la levetta per abbassare il sedile, forse alleviando un po’ di pressione sarebbe riuscito a respirare... ma la mano non riusciva a trovarla, era come se fallisse ogni qualvolta trovava qualcosa che assomigliava ad una leva ma che poi risultava essere tutt’altro. O non essere niente.
Nelle orecchie, sentiva solamente il battere sempre più velocemente; sapeva quello che stava succedendo, il suo cuore pompava il sangue il più velocemente possibile per sopperire alla mancanza di ossigeno.
Che cosa gli stava succedendo? Si era sentito bene fino a quella mattina, non aveva avuto più nessun problema dal giorno dell’operazione, perché stava tornando tutto adesso?
Lacrime di frustrazione e rabbia si mischiarono a quelle colme di sofferenza fisica ed a quelle che cercavano di far uscire tutta la paura.
“Brian, Brian!”   
La voce che lo stava chiamando assomigliava a quella di Nick, era come una sirena che lo allietava con la promessa che, se lo avesse seguito, avrebbe trovato ad attenderlo solamente il nulla. Niente sofferenza, niente dolore, niente sensazione di stare per affogare, anche se non c’era acqua che riempiva i suoi polmoni.
Voleva seguirla ma c’era un’altra voce, molto più ferma, che cercava di strapparlo da quella soave tentazione.
Cercò di appigliarsi a quella richiesta, per riemergere da quel mare di oscurità nel quale stava scomparendo.
“Brian! Maledizione! – stava urlando Aj mentre il suo piede spingeva sempre di più sul pedale dell’acceleratore. – Non farmi questi scherzi!” Erano trascorsi pochi minuti da quando erano saliti in macchina e, improvvisamente, la situazione si era capovolta, ruzzolando verso il peggio: Brian era impallidito, più di quanto non lo fosse già prima di partire. Ora assomigliava ad uno di quelle comparse nel video di Thriller, solo che non era cerone.
Era tutto maledettamente reale.
Ma Aj poteva tenere testa a tutto, ignorare quel respiro affannato o quanto era forte la stretta della mano di Brian attorno alla sua maglietta, ma non... non se Brian avesse perso conoscenza.
Lì era sicuro che avrebbe perso quel poco controllo che gli era rimasto.
“Nick.”
Il sussurro era quasi inudibile tra il rumore del traffico ed i clacson ma Aj lo udì perfettamente. Spostando l’attenzione dalla strada davanti a lui, voltò lo sguardo verso l’amico. Brian lo stava guardando, negli occhi una lucidità che lo metteva a disagio.
Come era quel detto?
Ah sì, la calma prima della tempesta.
“Alex. – lo richiamò Brian, usando quel nomignolo che raramente Aj accettava. Solo lui poteva usarlo e solo quando la situazione era davvero importante. – Per favore, chiama Nick.”
Per poco Aj non andò contro la macchina alla sua sinistra.
Non era stata la richiesta in sé a sconvolgerlo così tanto, soprattutto dopo che Brian aveva confessato di amare ancora Nick. No, era stato il tono, privo di qualsiasi affanno, deciso e determinato nonostante fosse un flebile sussurro, a lasciargli una brutta sensazione nello stomaco.
Sembrava l’ultima richiesta prima di soccombere, gesto così poco incline ad una persona che non si era mai arresa davanti agli ostacoli.
“Ehi, potrai chiamarlo una volta che ti diranno che è solamente stress.”
Il silenzio era come un intruso fra i due ragazzi. Nervoso, Aj lanciò un altro sguardo a Brian, alternando l’attenzione tra lui e la strada. Brian non aveva abbassato lo sguardo, anche se si vedeva che stava lottando con tutte le sue forze rimaste per non lasciarsi andare nel mare di oscurità che lo aspettava.
Ma la sofferenza era là, rendeva lucide le iridi diventate improvvisamente grigie. Era una nuvola bianca che stava oscurando tutto l’azzurro, esattamente come in quelle belle giornate estive dove all’improvviso scoppia il temporale.
“Per favore. – lo pregò Brian. – Chiamalo.”
La mano che Aj teneva sul cambio si spostò e coprì quella di Brian.
Per un lungo momento, le dita di Brian strinsero quelle di Aj, una stretta forte in cui aveva cercato di trasmettere all’amico parole di conforto, di rassicurazione su quello che stava per succedere e che non poteva più combattere.
“Andrà tutto bene.” sussurrò Aj, la voce bloccata da un groppo alla gola.
Brian gli sorrise ed Aj si illuse che le sue parole fossero vere, che tutto sarebbe andato per il meglio.
Erano anche quasi arrivati all’ospedale, se il cartello che aveva appena sorpassato era esatto.
Ma la stretta di Brian divenne sempre debole fin quando non cessò del tutto e l’unica cosa che li teneva ancora legati erano le dita di Aj strette attorno alle sue.
Aj focalizzò tutta la sua attenzione sulla guida, aumentando al massimo la velocità e superando chiunque gli fosse davanti.
E, per la prima volta da tempo immemore, si ritrovò a pregare.

 

 

 



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Spazio Autrice:

Prima vi debbo delle spiegazioni. Come avrete intuito, questo é il restyling completo di "This Is Us", la mia prima storia nel mondo Backstreet e la mia prima dopo tre anni in cui mi ero bloccata. A quel tempo, non sapevo che cosa fosse lo slash e, di certo, mai avrei pensato di poterlo scrivere.
Ma, esattamente come adesso, ero delusa dal fatto che il 99% delle fictions nel fandom italiano avessero un unico schema: fan che va al concerto/soundcheck/backstage o in qualunque altro posto ed incontra uno dei ragazzi (guarda caso sempre e solo Nick) e tutta la trama era incentrata su come poter finire nelle lenzuola di Carter. Niente thriller, niente approfondimento sul legame che unisce i ragazzi, niente conflitti e, soprattutto, niente maturazione dei personaggi. =_=
Così, anche ispirata da meravigliose storie nel fandom americano, mi sono buttata in quest'avventura. 
Ed ora, eccomi qua a scrivere della meravigliosa storia d'amore fra Nick e Brian! lol
Da quella storia ne é passata di acqua sotto i ponti e, come autrice, sono migliorata davvero tanto. Quello stile non mi appartiene, quei personaggi erano semplicemente delle bozze e non avevo dato spazio alla caratterizzazione ed alle descrizioni. Quando la scrissi, volevo solamente pubblicarla prima che l'ispirazione mi abbandonasse e si nota la celerità con cui é stata scritta.  
Per cui, mi sembrava giusto dare a quella storia una nuova veste ma non me la sento di cancellarla. Perché rappresenta il mio punto di partenza e ci sono affezionata. =)
Si nota già subito quanto sia diversa anche la trama stessa: ho tenuto qualche elemento ma la narrazione sarà differente, si alternerà tra presente e passato e, anche per la fine, ho in mente qualcosa di totalmente diverso. =)
Questo prologo doveva essere più lungo ma, a man mano che scrivevo, mi sono accorta che era impossibile pubblicarlo nella sua totalità. 
Ecco perché l'ho diviso. 
Infine, voglio davvero fare un ringraziamento a tutti coloro che, esplicitamente o implicitamente, mi hanno seguito in questa mia avventura da quel lontano giorno: chi commenta ogni capitolo ed é fonte inesauribile di supporto per tutti quei momenti che vorrei abbandonare tutto; chi mette le mie storie tra i preferiti , i seguiti e da ricordare, anche senza lasciare un commento. Significa che, in qualche modo, ciò che scrivo vi ha lasciato un segno e di ciò ne sono enormemente riconoscente. O chi, semplicemente, legge in silenzio.
Grazie a tutti! Mi rendo conto di scrivere storie che escono dalla norma di questo fandom e... sì, a volte mi dispiace che le mie storie non vengano lette perché trattano slash e non una storia romantica tra la fan di turno che si fa Nick. Nulla contro chi scrive queste ma io preferisco raccontare una storia esattamente come se fosse un libro, scrivere qualcosa di originale che possa interessare ed attrarre, fare mille congetture e teorie su che cosa possa succedere o meno. E, se anche rimarrò con le mie due fedeli lettrici, beh... sarà comunque valsa la pena. <3 

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Capitolo 2
*** * Primo Capitolo - I Still Need You* ***


Primo Capitolo

 

 

 

 

 

 

I Still Need You

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

La telefonata era arrivata all’improvviso, squarciando la tranquillità di quel giorno in casa Richardson.
A distanza di ore da quel primo squillo, Kevin ricordava ancora come niente avesse preannunciato un così tale tornado mentre lui e Kristin, seduti ancora al tavolo della colazione, discutevano se fosse il momento o meno di allargare la famiglia.
Appena aveva sentito la voce terrorizzata di Aj, la prima cosa a cui aveva pensato era che il ragazzo fosse nei guai, che fosse ricaduto nel vizio dell’alcohol e che gli servisse aiuto per cercare un nuovo centro di riabilitazione. Era pur sempre Aj, dopotutto, e mai Kevin avrebbe potuto pensare che il problema sarebbe stato alzato da suo cugino e non da lui.
Anche se, avrebbe dovuto prevederlo. Conosceva Brian, conosceva in che condizioni si riduceva quando era giù di morale. No, aveva sottovalutato la situazione e, esattamente come l’ultima volta, aveva preferito non vedere ed ignorare i primi segnali di cedimento ripetendosi che Brian era forte.
Ripetendosi che poteva rimettere insieme i pezzi del suo cuore senza nessun’altra conseguenza.
Ecco perché, quando erano poi arrivate quelle parole, frammentarie tra singhiozzi e i rumori di sottofondo,  Kevin aveva sentito il suo cuore fermarsi per un secondo, un lungo ed interminabile attimo in cui si era ritrovato poco più che ragazzo, lontano da casa mentre suo padre stava morendo e nessuno voleva dirgli come stava, solo che doveva tornare a casa il più presto possibile. Quello stesso sentimento di impotenza era ritornato prepotentemente a galla mentre, distratto perché già alla ricerca delle chiavi della sua macchina, ascoltava Aj gridargli di raggiungere immediatamente l’ospedale di Lexington.
Ed era quello che aveva fatto, infrangendo ben più di un limite di velocità, e si era ritrovato all’ingresso di un ospedale che conosceva a memoria senza avere idea di dove doveva andare. Una parte del suo cervello aveva l’informazione necessaria ma non riusciva a farla passare oltre il muro che lo shock aveva creato nella sua mente.
Brian era in ospedale. E non per un semplice controllo o perché, con la sua solita abitudine di saltare da ogni superficie, il ragazzo si era fatto male. No, lo era per qualcosa di più grave e Kevin poteva solo pregare che non c’entrasse ancora il suo cuore.
“Kevin!”
Kevin si girò di scatto nel sentirsi chiamato e vide Aj correre verso di lui.
“Sai qualcosa?”
“No, nessuno mi dice nulla perché non sono un famigliare. Ho provato a chiamare Jackie ma non risponde nessuno a casa.” Rispose Aj, sollevato nel vedere l’amico.
Le due ore di attesa si stavano lentamente facendo sentire sul suo sistema nervoso ed insieme stava crescendo il desiderio di annegare tutto in una bottiglia di Jack Daniels. La sala d’aspetto in cui lo avevano accompagnato non appena si erano accorti a chi si trovavano di fronte, e chi era il ragazzo che avevano appena portato in una delle sale d’emergenza, era minuscola e dopo aver camminato in lungo e largo per tutto il perimetro, Aj aveva incominciato a sentire come se le quelle pareti si stessero chiudendo su di lui.
Così aveva deciso di uscire da quel cubicolo in cui era stato rinchiuso ed aveva tentato di usare le sue tecniche di persuasione con l’infermiera ma continuavano a rimbalzarlo da una parte all’altra, adducendo scuse come il fatto che non sapevano ancora niente, che i dottori si stavano occupando di Brian e che doveva solamente aspettare ed avere fede.
E, mentre era ancora lì ad urlare, aveva notato la figura di Kevin spaesata.
“Che cosa è successo?”
Aj si passò una mano fra i capelli, cercando di ricollegare tutto insieme. “Quando sono arrivato, Brian era a letto, le finestre tutte oscurate e credo che non si fosse mosso da quella posizione da giorni. Ma, a parte essere completamente distrutto, stava bene. Abbiamo parlato e... – si lasciò sfuggire una risata amara. - ... lo avevo anche convinto ad andare a parlare con Nick! ed è lì che tutto è crollato. Ha incominciato ad avere delle fitte al petto e faceva fatica a respirare. Gli ho domandato se dovessi chiamare un’ambulanza, ero terrorizzato che potesse essere un infarto, ma lui ha detto che era esagerato ma che un salto in ospedale era comunque una buona idea.”
Kevin accigliò lo sguardo. “Se Brian decide di andare di sua volontà in ospedale, significa che sapeva già che era qualcosa di grave.”
“Nonostante tutto, cercava di rassicurarmi. – mentre Aj raccontava, i due ragazzi si spostarono nella sala d’attesa, dove sarebbero stati più tranquilli. – Incredibile! Ad ogni modo, a metà strada ha perso conoscenza ed ammetto di essere entrato nel panico più completo, tant’è che ho anche fatto un’inversione ad U non propriamente legale.”
Kevin si lasciò cadere sulla poltrona dietro di lui e nascose dietro le mani. Mentalmente, cercava di rassicurarsi sul fatto che non fosse niente di grave, che molto probabilmente Brian non si era preso cura di se stesso in quelle ultime settimane ed era crollato. Ma il luogo in cui si trovavano... portava semplicemente troppi brutti ricordi per potersi aggrapparsi ad una speranza.
“Kev... c’é... c’è un’altra cosa.” Mormorò Aj.
Kevin alzò lo sguardo e lo voltò verso l’amico, anche lui sedutosi ed in quel momento impegnato a mangiucchiarsi nervosamente un’unghia.
“Prima... prima di perdere conoscenza, Brian mi ha chiesto un favore.”
“Dimmi che non è qualcosa del tipo “sto per morire e questi sono i miei ultimi desideri.”!
Aj scosse la testa. “Mi ha chiesto di chiamare Nick.”
Prima che Kevin potesse rispondere, ed erano tante le cose che avrebbe voluto dire soprattutto riguardo a Nick, il rumore di passi destò la sua attenzione. Sulla porta, era apparso uno dei dottori che si stava occupando di Brian e Kevin riconobbe subito l’uomo dietro la mascherina ed il camice.
“Dr. Wesley.” Pronunciò, alzandosi in piedi. Si avvicinò e tese la mano per stringere quella dell’uomo che, nel frattempo, si era tolto la mascherina e mostrava un sorriso, seppur attenuato da linee di apprensione.
Il dr. Wesley, responsabile del reparto di cardiologia dell’ospedale, era un uomo alto e con un fisico asciutto, merito anche delle ore passate a correre. Kevin ricordava ancora la prima volta che lo aveva incontrato, anche se all’epoca i capelli erano di un folto color nero mentre ora qualche filo grigio incominciava a farsi strada ed a farsi notare: era stato lui, ancora solo uno studente di cardiologia, a spiegargli qual era il problema di suo cugino, senza usare tutti quei paroloni che aveva udito dagli adulti e di cui aveva compreso poco o niente.
Già la sua sola presenza, servì a rincuorarlo sul fatto che Brian fosse in più che buone mani.
“Stavo facendo una visita in reparto quando è arrivato Brian e, visto che conoscevo la sua cartella clinica, ho deciso di seguire il suo caso.”
“Come sta?”
“Non è il suo cuore. – fu la prima tranquillizzazione che diede il medico. – Ma non è ancora fuori pericolo.”
“Ma diceva di avere dolore al petto.” Obiettò Aj.
“Comunemente, si associa il dolor al petto come sintomo di qualche problema cardiaco. Nella maggior parte dei casi è così ma, a volte, il problema risiede in altri organi. In questo caso, i polmoni.”
“Polmoni?”
“Sì. Stiamo ancora finendo tutti gli accertamenti per determinare quanto sia grave ma non ho dubbi sul fatto che si tratti di un embolia polmonare. In poche parole, si tratta di un coagulo di sangue che, dopo essersi staccato dalle vene, è andato ad ostruire il polmone, in questo caso quello sinistro.”
“Che cosa ha causato tutto ciò?”
“Questa è una bella domanda. Una delle cause è il sottoporsi ad interventi chirurgici ma l’ultimo risale a qualche anno fa quindi lo escluderei a priori. E con Brian... beh, sono ormai abituato ad aspettarmi qualsiasi cosa. A volte, esistono casi che sono davvero l’eccezione alla regola.”
“Ma si riprenderà, vero?” Domandò Aj.
“Noi speriamo di sì, anche se sarà una lotta abbastanza difficile. C’è il cuore da tenere sotto controllo, un’infezione che speriamo di battere il più velocemente possibile e...”
“Un’infezione?” Lo interruppe Kevin.
“Sì. Una banale e comunissima influenza ma deduco che Brian non si sia preso moltissimo cura di se stesso ultimamente. E’ disidrato e malnutrito e questi due fattori hanno abbassato notevolmente le sue difese immunitarie, rendendolo molto più fragile nel combattere l’infezione. Per ora, è l’ultimo dei nostri problemi ma potrebbe diventare fondamentale nel caso dovessimo operare se non riuscissimo a sciogliere il coagulo.”
“Non avrei mai dovuto lasciarlo da solo.” Mormorò Kevin sottovoce, rendendosi conto di quanto grave fosse la situazione.
“Kevin, l’embolo sarebbe sopraggiunto anche nel caso non ci fosse stata l’infezione. L’importante è che sia curabile. E Brian è un guerriero, lotterà e noi gli daremo una piccola mano.”
In silenzio, il dottore lasciò qualche minuto affinché parole e spiegazioni prendessero senso e significato all’interno dei due ragazzi. Avrebbe potuto usare paroloni scientifici, dilungarsi in spiegazioni su quali trattamenti stavano utilizzando e quanti altri avessero deciso di non attuare. E, forse, non appena si fossero ripresi dallo shock, lui avrebbe potuto anche farlo. Ma ora, l’importante era far comprendere bene l’entità della situazione.
“Posso vederlo?” Domandò Kevin.
La mano del Dr. Wesley si posò sul ginocchio di Kevin, un gesto semplice ma di altrettanto conforto, non quello finto e plastico che aveva visto fin troppe volte. “Certo ma non aspettarti molto. Per non mettere sotto troppo stress il cuore, abbiamo optato per intubarlo quindi tra gli antibiotici, i sedativi ed i medicinali che gli stiamo dando per sciogliere il coagulo, Brian rimarrà incosciente per molto tempo.”
“Non importa.”
Dr. Wesley annuì con il capo prima di voltarsi verso Aj. “Essendo in terapia intensiva, di norma solamente ai parenti stretti sono permesse visite... - Aj, e anche Kevin, sembrò essere sul punto di ribattere ma l’uomo continuò prima di essere interrotto. - ... Ma so anche che voi ragazzi siete come una famiglia quindi farò un’eccezione e vi lascerò il permesso.”
“Grazie.” Lo ringraziò Aj.
Il dottore si prolungò su tutte le precauzioni che avrebbe dovuto prendere, molte delle quali Kevin conosceva già fin troppo bene. Ma lo lasciò parlare, conscio che Aj non era così afferrato su quelle informazioni.
Voleva solo vedere Brian, assicurarsi con i suoi occhi che fosse ancora vivo o, anche se illudendosi, sperare che fosse solamente uno scherzo di pessimo gusto. 

 

Kevin seguì l’infermiera lungo il corridoio, il suono delle loro scarpe contro il pavimento era l’unico udibile. Niente era cambiato in quell’ospedale, le pareti erano dello stesso colore azzurro pallido di vent’anni prima, le piastrelle erano le stesse caselle bianche che si era divertito a contare ma di cui ora non rammentava più il numero esatto e l’odore di anestetico aleggiava perennemente, nonostante i vasi di fuori sui davanzali delle finestre e le piante all’ingresso.
Molto probabilmente erano finte.
La stanza di Brian era l’ultima alla fine del corridoio, la massima privacy che potevano garantirgli.
La parte pratica di Kevin stava già organizzando tutto ciò che avrebbe dovuto fare, le telefonate da fare, il comunicato stampa da comporre perché, in qualche modo, le loro fans sapevano sempre che cosa accadeva nelle loro vite; avrebbe dovuto far chiamare qualche guardia di sicurezza e spostare tutti i suoi appuntamenti per... già, per quanto tempo?
L’incertezza, il non sapere, era qualcosa che lo destabilizzava sempre. Doveva avere sotto controllo tutto, avere risposte a qualsiasi domanda e piani secondari se il primo non avesse avuto esito positivo.
Ma quando entrava in gioco la salute, tutti i suoi programmi andavano all’aria: non c’era certezza, era solo una continua attesa in un limbo tra buone e cattive notizie e speranze che venivano tenute in vita da una tenue fiamma.
Quando fu davanti alla porta di Brian, Kevin rimase immobile, paralizzato dalla sua stessa paura.
Si sentiva trasportato a vent’anni prima, quando era solo un bambino e veniva a trovare Brian.
La prima volta, sua madre si era assicurata che dicesse a Brian quanto gli avesse voluto bene perché suo cugino se ne stava andando. La seconda, invece, era stata una settimana dopo, con Brian mezzo addormentato a causa degli antibiotici che gli raccontava di come, una volta che lo avessero fatto uscire da quella gabbia, avrebbe partecipato alle selezioni per la squadra di calcio. Oh, e ricordava anche quanto ci fosse rimasto male quando zia Jackie glielo aveva impedito categoricamente per il suo cuore.
“Se ha bisogno di qualcosa, basta che schiacci il pulsante alla destra ed un’infermiera sarà subito qui. – la voce della donna riportò Kevin al presente. – Può rimanere per quanto tempo desidera.” Con quell’ultima raccomandazione, Kevin venne lasciato da solo, la porta spalancata ma ancora incapace di muovere un passo.
La stanza era piccola, le tapparelle completamente abbassate ed il letto sembrava essere troppo grande per quella camera. Differenti macchinari emettevano suoni ad alternanza ma erano un suono confortante, una testimonianza che Brian stava lottando e, fintanto che erano forti e stabili, Kevin poteva pretendere che Brian stesse semplicemente recuperando tutte le ore di sonno perse in quei mesi.
Si avvicinò lentamente al letto, aspettandosi da un momento all’altro che Brian saltasse in piedi urlandogli che lo aveva svegliato.
Invece, tutto rimase immerso in quell’innaturale silenzio. La figura immobile di Brian sembrava quasi sommersa da quanto era grande il letto. Per anni, Brian aveva costruito l’immagine di qualcuno invincibile, sempre attivo, sempre saltellante da una parte all’altra del palco o con in mano un pallone da basket. Sempre frenetico, sempre alla ricerca di qualcosa da fare.
Persino quando dormiva, Brian non riusciva a stare fermo: si girava e rigirava, si attorcigliava attorno alle coperte, lanciava cuscini... ogni mattina, la sua camera era sempre un campo di battaglia.
Faceva senso vederlo, invece, così fermo: immobilità e Brian erano due poli opposti, qualcosa che non avrebbe mai dovuto accadere.
“Ehi, piccolo gnomo.” Esordì Kevin mentre prendeva posto sull’unica sedia accanto al letto. Prese la mano di Brian nella sua, sorpreso all’inizio di quanto fosse calda ma poi si ricordò che aveva la febbre, gli unici momenti in cui la temperatura della sua pelle diventava qualcosa di accettabile a livello umano.
Si aspettava una risposta, una battuta, ma l’unico suono fu quello del respiratore.
“Una cosa positiva c’è, posso usare questo nomignolo senza che tu ti arrabbi.”
Lo stesso rumore, niente ribattute piccate sulle sue sopracciglia.
“Cristo, Brian! Perché non hai chiamato nessuno? Perché devi sempre fare di testa tua prima di ammettere che avevi bisogno? – Quante volte aveva fatto quel rimprovero a Brian? Tante, troppe... e... e aveva seriamente pensato che aver Nick a fianco potesse farlo cambiare, che potesse finalmente comprendere che chiedere aiuto non era una dimostrazione di debolezza ma... Già. Nick lo aveva portato lì, forse non direttamente perché non era stato lui a causare l’embolo ma tutto il resto? Era per colpa sua se Brian si era rinchiuso in casa senza rispondere alle loro telefonate e in una completa apatia. - Lo odio, lo sai? Lo odio per quello che ti ha fatto, per tutte quelle notti che dovevo rassicurarti che no, non era morto e che, forse, si era dimenticato di ricaricare la batteria del cellulare. Lo odio perché mi aveva giurato che non ti avrebbe fatto soffrire ed io ci ho creduto. Ma, soprattutto, odio la consapevolezza che è l’unico per te. E’ un cretino, su questo non ci sono dubbi! – lasciò che una piccola risata uscisse fra le lacrime, lacrime che si erano stabilite all’interno della sua gola. – Ma ti ama e ti rendeva felice, più di quanto ti abbia mai visto.”
La mano che non stringeva quella immobile di Brian andò a scostare dei ciuffi dalla sua fronte, riccioli biondi troppo lunghi da come solitamente il cugino li portava ma che Nick adorava: diceva sempre che era quasi un sacrilegio recidere quei riccioli da angelo.
Eppure, dopo averli tagliati il giorno dopo l’infatua riunione, Brian li aveva fatti ricrescere lo stesso.
“Hai terrorizzato Aj, lo sai? Quel povero ragazzo era seriamente convinto che stessi per morire fra le sue braccia. Dovrai inventarti qualcosa di grande per farti perdonare.” Kevin sapeva che stava blaterando cose senza senso ma era l’unico modo che conosceva per non lasciare che il silenzio lo opprimesse. Ma era troppo... troppo aspettarsi una battuta.
Si alzò, non riuscendo a rimanere un altro secondo in quell’innaturale silenzio. “Lo sai che non sono molto amico degli ospedali. E mi conosci, devo far qualcosa o impazzisco. Andrò a fare telefonate, soprattutto la più importante. Ma tu devi prometterti che non farai il pigrone ed utilizzerai queste ore per dormire. Sembra strano dirlo, ma rivoglio il mio cuginetto iperattivo.”
Si alzò e poi si piegò quel tanto che bastava per lasciare un veloce bacio sulla fronte di Brian, prima di uscire da quella stanza.    
La prossima volta che vi avrebbe rimesso piede, non sarebbe stato solo.


 

 

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Era strano il posto dove si trovava Brian.
Era come trovarsi in un oceano, galleggiare a fil d’acqua senza avere la remota paura di affondare e rimanere soffocati.
Non sentiva la forza di gravità agire sul suo corpo, così leggero da sembrare invisibile, come se nemmeno appartenesse a lui.
Ovunque si trovasse, vi era silenzio attorno a lui ma era confortante. Era una muta melodia che lo cullava, una soffice voce che gli consigliava di addormentarsi, lasciarsi andare e, finalmente, riposare.
Non ricordava come fosse arrivato in quel luogo, non ricordava i momenti antecedenti al calare dell’oscurità attorno a lui. Forse avevano importanza ma, se fosse stato così, di sicuro se li sarebbe ricordati.
Nick lo prendeva sempre in giro per la sua capacità di ricordarsi qualsiasi avvenimento, anche quello più piccolo e, per qualcuno, inutile. Ma lui ribatteva sempre prontamente che nessun fatto poteva considerarsi futile se ti aveva cambiato, anche solo in minima parte.
Brian.
Qualcuno lo stava chiamando ma la voce era così soffusa che a fatica riusciva a distinguerla.
Ehi, piccolo gnomo.
Kevin. Indubbiamente, colui che lo aveva appena chiamato con quel nomignolo, altri non poteva essere che suo cugino. Sapeva quanto odiava quel soprannome e, nonostante ciò – o forse proprio per questo – non perdeva occasione per usarlo.
Se avesse avuto le forze, Brian si sarebbe svegliato e gliene avrebbe dette quattro, magari attenendo dal suo infinito libro su come prendere in giro le folte sopracciglia.
Ma non lo avrebbe fatto.
Era stanco, esausto, privato di qualsiasi energia, come in uno di quei videogiochi che Nick adorava tanto: ma lì, in quella sorta di realtà, non c’erano punti speciali che potessero ricaricare le sue batterie.
E poi... perché lasciare quella specie di paradiso?
Non c’era nessuno dall’altra parte ad aspettare con impazienza il suo risveglio.
Lui non c’era ad aspettarlo, fingendo di non essere preoccupato ma tenendo il telefono a pochi centimetri da lui.
Come se fosse stato richiamato dalle sue stesse parole, dai suoi stessi pensieri, delle braccia si strinsero attorno a lui. Non se ne spaventò perché aveva riconosciuto a chi appartenevano quelle braccia, aveva riconosciuto l’inconfondibile profumo che solo Nick aveva.
Dormi, Bri – bear.
Brian pensò che a Kevin non avrebbe dato fastidio se lui avesse continuato a dormire.
Non molto, solo riposare gli occhi un po’, assaporare ancora la sensazione unica di essere fra le braccia di chi amava, anche se solo per un illusorio momento.
La voce di Kevin era scomparsa, forse aveva capito che era lui era stanco e voleva dormire?
Con quei pensieri, Brian seguì la voce di quella sirena che aveva le sembianze ed il profumo di Nick.

 

 

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Le ore del giorno si erano sfumate una nell’altra e presto il sole aveva dato spazio alla luce della luna.
Kevin non si era nemmeno accorto di quanto tempo fosse trascorso, impegnato in mille chiamate: aveva rintracciato gli zii e aveva detto loro quanto era successo, quali erano le condizioni di Brian e la sua prognosi. Poi era toccato a Howie e da lì, una telefonata aveva tirato l’altra fino a quando era sicuro che il suo orecchio si sarebbe staccato per il troppo uso.
Ma mancava ancora quella più importante.
Kevin si spostò fin quando non fu davanti alla finestra e lo sguardo si perse nel verde del parco circostante.
Nick.
Non sentiva il ragazzo da quel giorno, aveva lasciato che il suo rancore interferisse con il sentimento che li legava: era stato quasi un padre per Nick e lo aveva ferito quel comportamento. Si era aspettato più lealtà, si era aspettato onestà, si era aspettato, come sempre, che Nick venisse da lui per un consiglio. Invece non lo aveva fatto, aveva nascosto a tutti ciò che stava facendo e si era ritrovato ingarbugliato in una situazione più grossa di lui. Più di tutto, era deluso: deluso che Nick avesse creduto a ciò che gli era stato, come era possibile che lui avesse creduto che lo avrebbero abbandonato perché voleva provare a camminare sulle sue gambe? Le sirene di progetti solisti erano suonate per tutti e sarebbe stato da ipocrita ammettere che tutti e cinque vi avevano fatto un pensierino: era qualcosa di naturale come lo era anche il supporto che chiunque di loro avrebbe dimostrato se qualcuno di quei pensieri si fosse realizzato.
Era stato più facile arrabbiarsi per quello che aveva fatto a Brian piuttosto che concentrarsi sul proprio orgoglio ferito.
Ed ora... ora avrebbe dovuto ingoiare quell’orgoglio mentre digitava quei numeri.
Uno squillo, due, tre, quattro... “Avanti Nick, rispondi.”
Sei, sette, otto prima di essere deviato alla segreteria telefonica. Kevin chiuse la telefonata e riprovò a chiamare ma ottenne la medesima risposta.
Odiava dover lasciare quel messaggio in segreteria ma era la sua unica opzione possibile.
“Nick, sono Kevin. Scusa se ti lascio questo messaggio ma... Brian è in ospedale e... se puoi liberarti... Devi venire. Chiamami appena controlli la segreteria.”
Chiuse il telefono e lo lanciò sulla poltrona: la sala d’attesa privata di terapia intensiva era un po’ più accogliente di quella in cui erano stati confinati quella mattina. C’era un divanetto non troppo scomodo per poterci dormire qualche ora, due poltroncine ai lati dell’unica finestra mentre una semplice scrivania, con due sedie, completava l’arredamento. Qualche quadro addobbava le pareti di un lieve verde, così chiaro che si poteva confondere con l’azzurro mare.
“Ho pensato che il caffè fosse di fondamentale importanza. Ho come l’impressione che rimarremo tutti qui stanotte.” Anche se Kevin non avesse visto il riflesso di Howie nella finestra, la sua voce l’avrebbe risvegliato dal suo tepore in cui sembrava essere ricaduto dopo aver chiuso la telefonata.
“Aj?”
“E’ ancora con Brian. Gli do il cambio tra un’ora. - Rispose Howie mentre gli allungava uno dei bicchieri di carta, un stanco sorriso sul volto. – Jackie e Harold saranno qui tra qualche ora.”
Erano tutti lì, senza che nessuno avesse avanzato pretese. Nessuno aveva chiesto loro di rimanere, era stata una volontaria decisione.
Ed il motivo era uno solo, un qualcosa che non avevano mai voluto parlare ad alta voce: l’ultima volta, avevano abbandonato Brian, avevano dato retta ai loro manager che li avevano costretti ad andare ad una stupida cerimonia a Montecarlo mentre una delle persone più importanti si trovava su un lettino, lo sterno aperto mentre cercavano di rimettere in sesto il suo cuore.
Erano tutti lì tranne uno.
Ma quello era qualcosa che potevano risolvere.
Kevin ne era sicuro: avrebbe smosso mari e monti ma, una volta che Brian fosse stato fuori pericolo ed un minimo lucido ed attento, il primo volto che avrebbe visto sarebbe stato quello della stessa persona che ora si stava prendendo cura di lui nel mondo onirico.

 

 

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Dall’altra parte dell’oceano, in una camera all’ultimo piano di un albergo del centro di Londra, Nick Carter aveva sentito il telefono squillare ma era troppo stanco per allungare la mano e farlo smettere, rispondendo o gettandolo dall’altra parte della stanza. In tutta onestà, quell’ultima opzione era ancor più attraente della prima, considerando che chiunque lo stesse chiamando fosse semplicemente un giornalista, una fan pazzoide che aveva ottenuto il suo numero in modi poco ortodossi o sua madre che voleva un nuovo assegno per chissà quale sventura.
Sapeva che avrebbe dovuto alzarsi, tra qualche ora doveva essere in un set di un programma televisivo di cui nemmeno ricordava il nome.
Tanto, che cosa importava?
Gli avrebbero fatto le stesse e ripetitive domande, a cui lui avrebbe risposto con un finto sorriso.
Ma la band si è sciolta? Tornerete insieme? Che cosa è successo tra te e Brian?
Brian.
Il nome, anche solo pensato, procurò la consueta fitta al cuore e Nick si accoccolò ancor più in se stesso, sperando in qualche modo di poter sfuggire a quel dolore. Ma non c’era rifugio, non c’era niente che potesse annullare quel vortice che, piano piano, stava divorando la sua anima.
Aveva buttato via la cosa più importante per un misero sogno, un misero e fottutissimo sogno che nemmeno si stava realizzando perché l’album stava andando male, perché ancora la gente lo vedeva come “quello di quella boyband” e lo mettevano a confronto con Timberlake e su quanto lui ne fosse solamente una sbiadita copia.
Ma... ma non aveva fatto tutto quello solo per se stesso, solo per potersi dire: guarda che cosa sei riuscito a fare. Parte delle ragioni che lo avevano spinto ad accettare quel diabolico compromesso – “ti offriamo la possibilità di fare un disco solista ma a condizione che tu lo faccia ora e senza dirlo agli altri” – era per dimostrare a Brian che non era più il ragazzino irresponsabile che non sapeva badare a se stesso. Voleva dimostrargli che poteva anche smettere di prendersi così costantemente cura di lui.
Forse, in linea di principio, il ragionamento era stato anche in qualche modo giustificabile ma...
No, niente poteva giustificare quello che aveva fatto.
Aveva ferito Brian in più modi, a volte inconsciamente e, molto più spesso, conscio di quale ferita avrebbe lasciato sul ragazzo. Le ore di angoscia, colme di una preoccupazione che passava dal chiedersi se lui fosse ancora vivo o se, più semplicemente, si stava lasciando toccare da qualcun altro, erano il segno più evidente sul suo viso e di quanto, quel loro amore, era diventata l’arma più letale.
Lui aveva provato, aveva cercato di porre rimedio ma sempre con scarsi risultati. Perché, una volta trovatosi immischiato in quella ragnatela, non aveva saputo trovare il modo per liberarsi: ogni volta che era lì, davanti ad un Brian che gli supplicava di dire la verità, le parole si formavano sulle sue labbra ma poi, sempre lì, morivano. Brian si sarebbe arrabbiato, infuriato perché era stato quasi costretto a pensare a chissà quale segreto quando, alla fine dei conti, si trattava solo di un album. Per quale motivo, dunque, parlare quando il risultato sarebbe stato lo stesso? Tentennava, prendeva tempo, si confortava da solo dicendosi che era solo questione di tempo e che, non appena il disco sarebbe stato pronto, avrebbe raccontato tutta la verità, chiedendo perdono e dedicandogli ogni minima nota in quelle canzoni che parlavano di loro, raccontavano i loro sogni e parte di quei sentimenti che lui provava per Brian. Solo una parte, sì, perché ciò che provava per il ragazzo era difficile, se non impossibile, essere raccontato tramite sillabe e frasi.
Quell’album, quelle canzoni ed anche quel titolo narravano di loro: le loro gioie, le loro promesse ma anche le loro lacrime.
Nick si mise seduto e si passò una mano fra i capelli cercando di dar loro una parvenza normale ma non si mosse di alcun centimetro. Gli occhi si erano posati su quella foto che si portava dietro ovunque andasse, quella foto che ormai aveva ben quattro anni e che era l’inizio di tutto. La prese fra le mani, sorridendo nel rivedersi in quel ragazzino che abbracciava Brian, un Brian decisamente più magro. Non che ora fosse ingrassato, ma quel viso rammentava a chiunque lo guardasse il momento in cui era stata scattata quella foto, ovvero qualche giorno dopo l’essere uscito dall’ospedale per l’operazione al cuore.
Prima e dopo l’operazione, così Nick poteva dividere la loro storia. Prima, Brian aveva insistito per rifiutare qualsiasi sua avances, adducendo scuse che erano solo palliativi per nascondere la vera ragione, ovvero la paura di addentare qualcosa per poi essere costretto a lasciarla andare. Dopo... beh, il dopo operazione era stato il preludio del paradiso, anche se non era stato proprio facile. Ma avevano superato quel primo ostacolo ed il futuro era sembrato solamente una discesa perché... se erano riusciti a superare lo spauracchio della morte, tutto il resto sembrava essere solo una di quelle ombre che tanto ti spaventano da piccoli quando stai per andare a letto e tutto ti sembra minaccioso.
Per Nick, l’incubo peggiore era stato il venire allo scoperto con gli altri, specialmente con Kevin: già si era immaginato di venir divorato, dopo esser stato smembrato molto lentamente. Invece, il maggiore lo aveva solo fissato, quasi al limite del squadrarlo come se avesse una vista a raggi x, e l’unica cosa che aveva detto era stata la richiesta di una promessa.
La promessa di non fargli mai del male.
Ma io sono famoso per spezzare sempre le promesse, no?
Buttò sul letto la foto e, ancora una volta, ignorò il telefonino che vibrava come un indemoniato. Chiunque fosse, che andasse al diavolo! Non voleva parlare con nessuno, non voleva vedere nessuno.
Voglio solo rivedere Brian.
Una vocina dentro di lui gli rammentò che poteva rivederlo, omettendo quel piccolo particolare che non sapeva dove era andato a cacciarsi.
Ma Brian avrebbe accettato di vederlo?
Non si vedevano da quel lontano giorno. Oh, aveva ancora nelle orecchie le sue parole, le loro urla mentre si lanciavano dietro i peggiori insulti e recriminazioni. Non gli piaceva essere messo all’angolo, non gli piaceva che gli si mostrasse in modo così palese tutti i suoi errori e Brian... Brian lo sapeva ed aveva utilizzato quella carta per fargli del male. Una sorta di vendetta che non aveva appagato nessuno dei due.
C’erano stati dei litigi, esattamente com’era normale all’interno di una coppia, ma gli avevano sempre risolti. O, meglio, Brian li aveva sempre risolti perché mai perdeva la pazienza di fronte ai suoi atti da melodrammatico: lo osservava silenziosamente, lo lasciava sfogare e poi, una volta svuotato, lo faceva ragionare.
Non questa volta.
Questa volta toccava a lui muovere il primo passo verso la riappacificazione. Questa volta doveva dimostrare di essere cambiato, doveva dar prova di quella maturazione che tanto aveva usato come alibi per giustificare il suo atteggiamento.
Al diavolo il tour, al diavolo apparizioni ed interviste! Alla resa dei conti, perdere un contratto non valeva nemmeno un bricciolo se paragonato alla perdita di qualcosa di più importante. Di qualcuno di ben più importante.
L’aver accettato ciò riportò, dentro le sue vene, una vitalità ed un’energia che erano sempre state assenti in quelle settimane. Era come se il suo corpo si fosse risvegliato da quel torpore di sofferenza che lo aveva avvolto: sentiva di poter respirare di nuovo, sentiva il suo cuore battere ad una velocità che non aveva mai più provato da quel lontano giorno.
Agendo con veloci scatti, quasi come se avesse paura di perdere minuti preziosi, riprese in mano il cellulare, pronto a chiamare l’unica persona che poteva sapere dove era Brian.
Kevin.
E proprio di Kevin erano le chiamate perse. Il display del telefonino lo informava che aveva anche un messaggio nella segreteria.
Digitò il numero e poi si mise in attesa, lo sguardo che si guardava in giro per la stanza alla ricerca dei suoi vestiti. Appena terminato quel compito, avrebbe chiamato l’aeroporto e prenotato il primo aereo.
Ma le parole del messaggio lo bloccarono sui suoi passi, così come fermarono qualsiasi attività del suo corpo.
“Nick, sono Kevin. Scusa se ti lascio questo messaggio ma... Brian è in ospedale e... se puoi liberarti... Devi venire. Chiamami appena controlli la segreteria.”
C’era un errore.
Ci doveva essere un errore.
Brian è in ospedale.
No, no, no, no... non poteva essere!
Con sempre più crescente agitazione, premette il pulsante per riascoltare il messaggio ma le parole erano sempre le stesse, la tensione nella voce di Kevin era quella che non lasciava spazio alle dubbie interpretazioni. Lo riascoltò una terza volta, la speranza si affievoliva ad ogni parola ma, quella volta, fece più attenzione ai rumori di sottofondo: voci metalliche si confondevano in uno strano silenzio, un’aria che si respirava solamente in un ospedale. Mio Dio, allora era tutto reale, non era un incubo!
Con dita tremanti, digitò il numero di Kevin.
“Nick, meno male, finalmente!”
“Che cosa è successo? Perché Brian è in ospedale?”
Kevin evitò, almeno inizialmente, di rispondere alle domande di Nick. “Dove ti trovi?”
“A Londra.”
“In quanto riesci ad essere qui?”
“Qui, esattamente, dove sarebbe?”
“Lexington.”
E così Brian era ritornato a casa. Era così ovvia come cosa che Nick non ci aveva mai pensato quando si era chiesto dove lui si fosse nascosto  quando era tornato nella loro casa ed aveva trovato solo la desolazione ad aspettarlo. Perché, anche se Brian si era portato via lo stretto necessario, era come se un tornado fosse passato di lì ma, invece che portarsi dietro oggetti e lasciare dietro di sé distruzione, aveva portato via la vita: non c’era luce, non c’era calore e, soprattutto, quelle stanze erano troppo silenziose.
Non c’era Brian e si sentiva la sua assenza.
Così, quando gli era stato proposto di fare un mini tour promozionale in Europa, Nick non aveva pensato nemmeno per un minuto di rifiutare; d’altronde, che cosa lo teneva legato lì? Niente e lui era troppo vigliacco per cercare Brian ovunque si fosse nascosto e chiedergli perdono. Non lo meritava, non meritava una seconda possibilità e, quella consapevolezza, era il macigno sul cuore che gli impediva di vivere.
“Sei sicuro che sia la scelta migliore? Brian non...”
“E’ lui che ti vuole. - Rispose Kevin senza dargli nemmeno il tempo di finire la sua frase. - O, meglio, ha detto di chiamarti. Ma non ha mai avuto il tempo di aggiungere qualcos’altro e... Nick... Nick, lui ti ama ancora.”
“Non ho mai smesso nemmeno io.” Ammise Nick, in modo così naturale come se avesse appena ammesso di respirare. Per lui, amare Brian era proprio come quella funzione meccanica che gli permetteva di vivere. Ed, esattamente come non si poteva volontariamente smettere di respirare, nemmeno lui riusciva ad imporre al suo cuore di smettere di battere per il biondino.
“So che sei preoccupato che non ti abbia perdonato o che sia ancora adirato con te, Nick. Ma lo conosci, lo conosci meglio di chiunque altro. Sai che ti ha già perdonato. Sai che era solo l’orgoglio ancore ferito a fermarlo dal chiamarti.”
Le parole di Kevin avevano senso. Elaborate nel suo cuore, lì dove continuava ad ardere la fiducia completa nei sentimenti di Brian, quelle parole erano una verità che già sapeva. Ma la sua mente, fredda in una logica che non ammetteva l’irrazionalità delle emozioni, portava alla luce obiezioni che lui non poteva non prendere in considerazione e che, esattamente come un cancro, silenziose cancellavano ogni qualsiasi certezza rimasta, lasciandolo in un mare di dubbi.
“Stava venendo da te. Stava venendo per risolvere tutto, per ricominciare dall’inizio.”
Non doveva toccare a Brian chiedere perdono. Non doveva essere lui a ringoiare l’orgoglio e tornare con la coda fra le gambe, chiedendo di cancellare gli ultimi mesi e ripartire dall’unica cosa che non era mai cambiata.
Il loro amore.
E dire che lui stava anche per fare! Com’era crudele e sadico il destino! Ti spingeva a prendere coscienza dei tuoi errori, ti spingeva a porvi rimedio ma, quando ti apprestavi a farlo, ti poneva di fronte all'amara constatazione che era ormai troppo tardi. Forse aveva appena perso l’occasione più importante della sua vita, l’unica che avrebbe davvero dimostrato quanto ancora amasse Brian e quanto era disposto a cambiare pur di riaverlo con sé. Pur di sentire la sua voce, colma di emozione, pronunciare due parole che valevano quanto il mondo.

“Nick, ora più che mai ha bisogno di te. Non importa ciò che vi siete detti, non importa che non vi parlate più da mesi. Tutto questo, potete risolverlo appena si rimetterà.”

“Quindi non è grave? Cioè... se tu mi dici che si riprenderà...” domandò Nick, appigliandosi a quel piccolo barlume di speranza.

“Non sono un medico, Nick. – Rispose Kevin. – Ma hanno escluso qualsiasi problema al cuore e, questo, è già un sospiro di sollievo.”
Ma Nick non ebbe mai tempo di ringraziare qualsiasi divinità che stesse sorvegliando su Brian. Ogni attimo di risposta gli venne strappato via dal suono acuto di un allarme in sottofondo, il grido smozzato di... Aj? Non riuscì bene a capire chi avesse urlato ma aveva sentito, chiare e distinte, le parole codice blu provenienti da una voce metallica, seguite da oh no, vanno in camera di Brian affinché la speranza venne spezzata come se fosse un fragile filo di cristallo.
La telefonata cadde così com’era cominciata, il suono della linea occupata smorzava il silenzio che si era creato attorno a Nick.
Dio, ti prego, no!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

___________________________________________________

Son tornata! Wow, non lo credavate possibile? lol 
In realtà, avrei dovuto occupare il mio tempo con una storiella natalizia ma... riguardando i miei file mi sono accorta che, a questo capitolo, mancava davvero poco quindi... perché non terminarlo? Meglio finire una storia che iniziarne un'altra senza sapere se mai la finirò, no? 
Uno dei motivi per cui ritardavo con questo capitolo riguarda la parte medica. Volevo essere sicura di non aver scritto castronerie  e, se anche Nick usa Google (cioé... Googly! lol) per quando non sa il significato di Inconsolable, perché noi autrici non dovremmo usarlo per verificare ciò che scriviamo? A volte, leggo di quelle cose che non stanno né in cielo né in terra (e nemmeno nella Terra di mezzo XD) e non volevo che ciò accadesse anche con la mia. 
Sono stata sadica, lo so! E, pensare che questo finale non era nemmeno previsto! Vi era in programma tutta un'altra parte (che sarà il prossimo capitolo) ma poi, scrivendo... ho pensato: "wow, é fenomenale come finale!" quindi ecco il sadismo servito! E chi sta leggendo Unbreakable sa che, in questo periodo, sono molto sadica! (Zachy <3)
Insomma, tutto ciò per dirvi Buone Feste, siate br... ehm, siate sadici! E ringrazio, come sempre, le mie fedelissime che mi seguono in qualsiasi avventura decida di intraprendere, che mi riempiono sempre di complimenti anche quando non li merito e che mi danno quella spinta a non abbandonare mai la scrittura! <3 Vi voglio bene! 
Ringrazio anche chiunque legga senza mai commentare (però un pensierino, ogni tanto, potreste lasciarlo! Non mordo, sono carina e coccolosa!), tutte coloro che mettono le mie storie tra i preferiti, le seguite o da ricordare. 
E sempre viva la slash! 
Alla prossima,
Cinzia

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Capitolo 3
*** * Secondo Capitolo - Back To The Day When I Met My Life * ***


Secondo Capitolo

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

Even when you fall apart, 
I'll pick up your bloodstained heart
And darling I'll follow you down to the ground

 

 

 


 

 1998

 

 

 

Il sussurro si levò nell’oscurità.
“Io...”
Due dita si posarono su quelle labbra, bloccando le parole che avrebbero terminato quella frase.
“No.”
Altre le allontanarono. “Perché?”
“Non sai che cos’é. Non puoi saperlo.”
L’obiezione venne accolta dal silenzio, come se questa fosse riuscita a distruggere tutto quel castello di dichiarazione che voleva solamente essere ascoltata. O essere accettata.  
Due respiri, uno in contrapposizione dell’altro.
Due battiti, entrambi rapidi e celeri.
“Sì che lo so.”
Non riusciva a vederlo ma immaginò il triste sorriso curvare gli angoli della bocca mentre quelle stesse dita, che prima aveva cercato di porre fine a quel discorso, ora carezzavano la guancia. “Sì che lo so. – Ribadì con più fermezza. – Ti amo.”
La carezza si bloccò di colpo e, qualche istante più tardi, solo l’aria continuò a posarsi sopra la sua pelle. Non si era allontanato, percepiva ancora la sua presenza in quella stanza, ma quei pochi centimetri di distanza erano come un’insormontabile barriera.
“Non... non puoi...” Un mormorio balbettato, quasi forzato a ricacciare indietro la gioia nell’udire quelle parole.
Si riavvicinò, questa volta bloccando le mani con le sue per impedirgli di fuggire. Non glielo avrebbe più permesso. “Sì che posso. E so che lo fai anche tu.”
“Non...”
“Non dire che non posso amarti. Né che sto scambiando l’amicizia per qualcosa di più profondo. Sai che non è così, sai che quello che provi per me corrisponde in egual modo a ciò che provo io.”
La fronte si appoggiò alla sua e fu come se qualcuno avesse acceso una luce che illuminava solo loro. Ora poteva vedere, ora si stava rispecchiando in quegli occhi tra l’azzurro ed il grigio, lucidi per delle lacrime che sgomitavano per uscire e posarsi sulle loro dita intrecciate.
“Non siamo in una favola. Non... nessuno ci garantisce il lieto fine.”
“E’ per questo? Hai paura che ti spezzerò il cuore?”
“No.”
“Hai paura che tu spezzerai il mio?”
“No.”
“Ed allora... perché?”
Lo vide mordicchiarsi il labbro, socchiudere gli occhi in un gesto di esasperazione, come tutte quelle volte che lo aveva tormentato per una risposta che nessuno, se non lui, poteva dargli. Lo aveva messo alle strette, accerchiato in un angolo dal quale non poteva fuggire se lui non glielo permetteva. Il tempo dei balletti, di quei passi in avanti e poi indietro, era ormai scaduto: si erano corteggiati, si erano persi l’uno nell’altro per attimi che erano durati un’eternità e che, nonostante tutto, erano sempre sembrati troppo veloci; si erano rifugiati dietro le loro maschere, mai una parola in più, mai una frase che avrebbe potuto scombussolare quel fragile filo in cui a malapena riuscivano a stare in equilibrio.
Se uno avesse saltato, anche l’altro avrebbe dovuto farlo.
Se uno fosse caduto, anche l’altro l’avrebbe seguito.
Ma potevano farlo insieme, potevano prendersi per mano e spiccare il volo verso ciò che pazientemente li stava aspettando.
Anche se sembravano essere su due mondi completamente opposti.
“Non posso legarti in qualcosa che non ha futuro. Sei ancora giovane, hai tutta la vita davanti. Perché dovresti sprecare del tempo con me quando non so nemmeno se...” La voce si spezzò, incurvandosi in un singhiozzo che uscì strozzato. Era una semplice parola, cinque lettere che pesavano quanto una condanna. Ed era così, era la peggiore delle condanne in quel momento perché era l’unico ostacolo che gli impediva di gettare al vento tutto il suo senso morale e logico e lasciare che le emozioni guidassero la ragione.
“Se muori? E’ questo che ti ferma? Quella minuscola possibilità...”
“Non è minuscola!”
“Sì che lo è!”
“No, non lo é. Non puoi cancellarla solamente perché a te non piace.”
“Okay, ho paura. E’ questo che mi vuoi sentir dire? – Aspettò il cenno di assenso, prevedibile quanto quell’espressione crucciata. – E forse è anche per questo che voglio stare con te. Se ti dovesse succedere qualcosa, se mai questi dovrebbero essere gli ultimi mesi, voglio essere al tuo fianco. Voglio avere dei ricordi a cui aggrapparmi e non torturarmi con le ondate di rimorso per non averci nemmeno provato.”
Lo sguardo si abbassò, incapace quasi di sostenere un altro così ricco di ottimismo e promesse che, come soavi sirene, lo stavano attraendo da quello che ormai era solo un insieme bieco di nubi.
“Non saranno ricordi, saranno coltellate che ti ricorderanno ogni giorno che cosa hai perso. Non voglio rovinarti la vita.”
“E come? – Domandò, la fronte crucciata mentre si annullava la distanza fra di loro. – Come potresti rovinarmi la vita?” Non si scoraggiò. Non sapeva da dove stava nascendo tutto quel coraggio ma, forse, era lo spauracchio di vedersi sfuggire tutto dalle dita a spingerlo a non arrendersi, a distruggere una per una tutte le mura che si trovava erette davanti e, semplicemente, a non arrendersi.
Con le dita, alzò il mento del ragazzo e silenziò qualsiasi obiezione con le sue labbra, appoggiandole sulle sue su quello che sarebbe diventato il loro primo bacio. Tenere carezze mentre finalmente assaggiava quel sapore unico, soffici tocchi mentre la tensione si scioglieva, lasciando solamente spazio al piacere che stava sempre di più crescendo. Azzardò a sciogliere l’intreccio delle mani, lasciando libere le sue di circondare quel corpo e spingerlo ancora di più contro il suo, necessitando di ogni contatto. Se non fosse stato risucchiato da quel vortice di emozioni, avrebbe quasi gioito quando anche l’altro ragazzo portò le mani attorno a lui, allacciandole dietro il collo mentre le dita si infilavano dentro i capelli. Era il bacio più perfetto che avesse mai provato, non c’era niente che stonava in quell’incontro: era quasi come se fossero stati creati apposta per quei momenti, quando solo dei stupidi vestiti erano l’unica cosa che li separavano dal essere completamente un’unica cosa, inscindibile in due differenti ed indipendenti alveoli.
Si staccarono, riprendendo fiato ed ossigeno. Senza parlare, solamente continuando a tenersi stretti mentre il silenzio ritornava a cullarli, quella volta con meno terrore rispetto a come la serata e quella conversazione era incominciata.
Ne era sicuro, sì. Era stata la scelta migliore affrontare così di petto la situazione, nonostante tutta quell’incertezza che gravitava attorno al ragazzo. E, forse, era proprio quello il motivo per cui non voleva aspettare nemmeno un secondo. quell’amore, quella relazione, poteva diventare l’unica certezza a cui si potevano aggrappare in quel vortice di avvenimenti così veloci e così destabilizzanti.
Due respiri: uno lento, l’altro più rapido, quasi intrappolato in un panico.
“No, no... scusami...”
Rumore di vestiti che si muovevano, l’improvvisa mancanza di contatto fisico.
“Che succede?”
“Non posso. Non ora. Non posso farti questo, Nick.”
L’oscurità venne rischiarata da un fascio di luce, la porta che si apriva e poi si richiudeva velocemente, facendo scomparire dietro di sé l’ombra di un amore che stava sfuggendo via.
Nick continuò ad osservare la porta, quasi come se con la sola forza del pensiero, Brian potesse riapparire. Forse, se si concentrava abbastanza, poteva succedere. Invece, tutto continuava a rimanere nel buio e tutto ciò che poteva fare era aggrapparsi a quel profumo che ancora aleggiava nell’aria, alla sensazione di quelle labbra sulle sue, a carezze che forse, ora, non avrebbe mai più ricevuto.
Brian gli aveva donato un pezzo di se stesso, quell’angolo della sua anima che pulsava solo con il suo battito e, più veloce di un secondo, glielo aveva strappato via, nascondendosi ancora in quelle mura che lui pensava di aver distrutto prima.
Eppure, ciò che Nick non poteva sapere era che Brian ancora stava dietro quella porta, la schiena appoggiata contro, maledicendo se stesso per essersi lasciato andare sotto la forza di quei sentimenti e, nello stesso tempo, odiando con tutto se stesso quel suo cuore che voleva arrendersi.

 
 

_______________________________

 

 

 

Maggio 1998

 

 

 

 

Nick aveva la mano ben salda attorno alla maniglia ma qualcosa lo bloccava dal girarla ed aprire così la porta.
Aveva paura. Temeva ciò che avrebbe trovato al di là di quella soglia, impaurito di trovarsi di fronte quelle immagini che lo avevano tormentato più quel giorno si avvicinava.
Non doveva essere lì.
Nessuno di loro doveva essere lì, per stupide e fredde motivazioni dettate dal denaro. Avevano dovuto abbandonare un quinto di loro nel momento di più bisogno e non era stata nemmeno una loro scelta.
A quell’ora, avrebbe dovuto essere a Montecarlo. E ci sarebbe andato se, poco prima di consegnare il suo passaporto, qualcosa lo aveva bloccato. Era stato come se qualcuno lo avesse preso a pugni nello stomaco, così forte che non riusciva nemmeno più a formulare un minimo respiro, nemmeno il più semplice inspirare ed espirare. Quel qualcuno era il pensiero, nelle sembianze di Brian, che quello poteva essere l’ultimo momento in cui avrebbe potuto vederlo ancora vivo, il cuore che batteva sì con quel ritmo irregolare ma pur sempre... pur sempre continuava a pompare il sangue e l’ossigeno.
Così, l’aveva fatto. Con Kevin che gli urlava mentre lo rincorreva, era corso fuori dall’aeroporto per poi ricordarsi che non era quella la sua direzione perché Brian non si trovava in quella stessa città ma era a casa, in Kentucky.
Ed ora eccolo lì, davanti alla porta di una stanza di ospedale, indeciso se entrare oppure scappare in ritirata. Perché, per quanto volesse essere lì, per quanto l’unica cosa che gli importava era assicurarsi che lui vivesse, non riusciva ad aggrapparsi all’immagine che lo avrebbe aspettato dietro quell’ostacolo. Non riusciva e nemmeno voleva rendersi conto di quanto fragile Brian poteva essere, svestito della sua armatura di eroe, senza quella forza che lo aveva attirato quel primo giorno che lo aveva visto.
Prese un lungo respiro, scacciando via – o, almeno, tentando – qualsiasi pensiero negativo. Non poteva abbandonare ora, non quando aveva combinato tutto quel casino solo per essere al fianco di Brian. Perché era questo ciò che facevano le persone che si amavano, stare l’uno al fianco dell’altro nei momenti di crisi, dar loro un appoggio quando non erano sicuri di poter continuare e poi osservarli riprendere il loro cammino, fianco a fianco. Ed era quello ciò che lui doveva fare. Se voleva avere un’opportunità, se voleva che Brian credesse che lo amasse così tanto quanto lui lo amava, doveva superare le sue paure e dimenticare che, fino a quel momento, i ruoli erano stati sempre ben distinti.
Ci aveva impiegato del tempo, forse sprecato inutilmente, ma alla fine aveva compreso quel rifiuto. E non perché Brian non lo amava e non voleva star con lui. No, era tutto l’esatto opposto, lo amava così tanto da saper rinunciare a lui per non sconvolgerlo, per non distruggere quell’equilibrio che c’era tra loro. 

“Nick... non so nemmeno perché ti sto chiamando. Ma è notte e non riesco a dormire, mi spaventa ciò che mi aspetta domani. Ecco, ora non so nemmeno perché te lo sto dicendo. Ma... se dovesse succedere qualcosa, non voglio che tu rimanga con il dubbio. Ti amo, da quel primo sorriso in un aeroporto gremito di gente dove tutto ciò che riuscivo a vedere eri te. Avrei voluto essere più coraggioso, avrei voluto tenerti anche se non era giusto. Perché non lo è, perché se domani dovesse succedere qualcosa, avrei portato via con me anche il tuo cuore e non potevo permetterlo. Nick, tu sei nato per amare. Ti é naturale quanto respirare, quanto vivere. Non lasciarti morire, non smettere mai di farlo nemmeno se io non sono più qui.” 

Aveva pianto. All’inizio, Nick nemmeno se ne era accorto. Aveva continuato ad ascoltare quel messaggio che Brian aveva lasciato nella sua segreteria fino a quando poteva recitare a memoria ogni singola parola e pausa. Se ne era reso conto, di piangere, solo quando aveva provato una sensazione di bagnato sulle sua mani e, abbassando lo sguardo, aveva osservato una goccia cadere e morire sopra la sua pelle.
Solo in un secondo momento, forse al quarantesimo riascolto, si era accorto che quella dichiarazione era a metà, che Brian aveva solamente parlato della possibilità che lui non superasse l’operazione.
Forse era anche per quel motivo che ora si trovava lì, a nemmeno due ore dal momento più cruciale di tutta la sua vita. Era da egoisti voler desiderare di sapere se avrebbe una possibilità nel caso tutto andasse come doveva andare?
Prima di perdere il coraggio, Nick girò la maniglia ed entrò nella stanza.
Era ormai automatico, un istinto primordiale, quello dei suoi occhi di cercare immediatamente la figura di Brian come prima cosa e non fu difficile in una camera in cui il ragazzo era l’unico occupante.
A volte, Nick si domandava se sarebbe mai giunto il giorno in cui il suo cuore non avrebbe più fatto i salti mortali non appena vedeva Brian. Era come essere colpiti da una scarica elettrica, il battito che si alzava a mille e la bocca che, all’improvviso, diventava quasi un arido deserto. Sarebbe mai arrivato il giorno in cui non si sarebbe sentito affogare in quell’azzurro mare? O avrebbe mai trovato totalmente normali quelle labbra? O il modo con cui il suo viso si illuminava anche con il più piccolo ed insignificante dei sorrisi?
Nick sperava, più fortemente di qualsiasi altro suo desiderio, che non arrivasse mai quel giorno; anzi, che nemmeno potesse esistere una dimensione alternativa in cui tutto il suo essere non venisse influenzato dalla mera presenza del maggiore.
“Ti sei sbagliato. – Pronunciò a bassa voce, avvicinandosi al letto. – Non sono nato per amare semplicemente. Sono nato per amare te.”
Per qualche secondo successivo, niente poté essere udito se non il battito di Brian, calmo e normale nel suo irregolare ritmo. All’occhio di un estraneo, il ragazzo poteva sembrare semplicemente addormentato, racchiuso in un sonno che lo tenesse lontano dalle paure e dal peso di un’operazione al cuore che si avvicinava sempre più velocemente. Ma Nick sapeva andare oltre all’apparenze, non per altro che erano migliori amici ed avevano progettato insieme quella sorta di recita, in modo da evitare di essere messi in mezzo in inutili discussioni; Brian non stava dormendo, stava semplicemente tenendo gli occhi chiusi, le dita strette in un pugno di nervi e tensione che si rifletteva anche sul viso, la fronte aggrottata in linee che lo facevano invecchiare e rendeva ancor più pallida la sua carnagione.
Si sedette sulla sedia lasciata vuota a fianco del letto, cercando di sciogliere quella tensione che rigidamente teneva le dita di Brian aggrappate al lenzuolo bianco. Il movimento destò Brian, anche se ci impiegò qualche secondo per accorgersi della presenza di qualcuno oltre a lui nella stanza.
“N... Nick? -  La sua voce uscì roca, secca come se non l’avesse usata da ore. Dovette sbattere più volte le palpebre, tutto intorno a lui sembrava essere sfocato e con una lieve ombra biancastra che sfumava i contorni di qualsiasi cosa. – Non sei un’allucinazione, vero?”
“Vorresti che lo fossi?”
“Non so. Forse, vorrei che fosse un’allucinazione tutta questa situazione.”
“Non so se deluderti o meno ma non lo sono. Sono qui, sul serio.”
“Perché?”
“Dopo... dopo quella telefonata, come credi che potessi rimanere miglia e miglia di distanza?” Rispose Nick, un’incrinatura in quella voce che voleva cercare di rimanere ferma.
Brian rimase in silenzio mentre la sua mente si liberava delle reti del calmante in cui era rimasta imbrigliata. “Oh, quel messaggio.”
“Non dirmi che ora lo neghi.”
“No, no, no. – Esclamò Brian. – Solo che... avresti dovuto sentirlo quando eri già lontano.”
“Ed allora avresti dovuto registrarlo stamattina.”
“Ho perso un po’ il conto delle ore. E’ uno dei misteri degli ospedali. Quando ci entri, è come se entrassi in un’altra dimensione dove il tempo non scorre. Tutto è statico, niente cambia.”
Nick avrebbe potuto pensare che quelle frasi così filosofiche fossero causate da chissà quale medicina stava viaggiando nelle sue vene ma no, quello era il suo Brian, il ragazzo che un momento poteva farti la perfetta imitazione di Paperino e, un secondo dopo, donarti una perla di saggezza come se fosse la cosa più naturale di questo mondo. Strinse le dita che aveva fra le mani, soffiandoci sopra per riscaldarle. Nemmeno quello cambiava, il costante freddo che Brian sentiva in qualsiasi luogo.
“Hai... hai dimenticato una parte. Non mi hai detto che cosa potrebbe succedere se superi l’operazione.”
Brian non rispose subito, lasciandosi qualche secondo per scegliere le parole giuste mentre il suo sguardo si posava su quell’intreccio. Ogni volta che tentava di protestare contro i suoi sentimenti verso Nick, bastava osservare quanto perfette fossero le loro mani congiunte per far cadere ogni alibi: età, morale, vita o morte, niente aveva più senso, niente era più forte di quella perfezione d’incastro, quasi come le loro dita fossero state create apposta per cercarsi ed unirsi. Nick lo riscaldava, Nick gli dava forza; al suo fianco, non c’era niente che non potesse affrontare, niente diventava troppo pericoloso se era per il bene di quel ragazzo.
“In quel caso, spero di non aver rovinato tutto. Spero di poter recuperare tutte le occasioni che abbiamo perso in questi mesi.”
“Non te ne serviranno tante. Una sarà più che sufficiente.”
“Volevo solo proteggerti.”
“Da cosa?”
“Dalla sofferenza. Da me, credo. – Brian alzò lo sguardo, sperando di poter ricacciare indietro una lacrima. – Non volevo farti vedere quanto spaventato fossi. Sono il tuo eroe e volevo che continuassi a vedermi in quel modo. E... e se davvero non mi dovessi svegliare, non volevo che tu vivessi nel mio ricordo, incapace di riaprirti a qualcuno perché l’assenza ti soffocava.”
Il discorso non faceva una piega e Nick aveva intuito che era sempre stato quello la forza che era stata capace di tener lontano Brian da lui, nonostante tutto. Qualsiasi fosse la situazione, Brian pensava sempre prima a lui e poi a se stesso ed era quello che Nick amava maggiormente in lui e sperava, un giorno, di essere capace di imitare alla perfezione. Non voleva essere egoista, non voleva diventare una di quelle persone fredde nell’animo che pensavano solo al proprio divertimento e piacere: aveva provato, oh, se aveva tentato di dimenticare quei sentimenti per il maggiore in modi non propriamente ortodossi. Ed era anche stato piuttosto semplice, visto che ragazzi e ragazze si offrivano con tale facilità che Nick a volte dubitava che lo facevano perché erano attratti da lui e non, più semplicemente, dalla fama che lo accompagnava. Con Brian... no, con Brian sapeva che non ci sarebbero mai stati dubbi sulla natura dei suoi sentimenti.
Anche in quel momento, in quella strana situazione in cui nessuno dei due voleva trovarsi, l’unica luce che illuminava gli occhi di Brian era rivolta verso di lui, riflesso di un’emozione e sentimento che cercava di battere più forte di quel cuore che fra poco sarebbe stato messo a posto. Come poteva Nick avere dubbi sulla natura di quella luce?
Infatti, non ne aveva.  
Infatti, era lì insieme a lui invece che su di un aereo a torturarsi se tutto sarebbe andato per il meglio e ad andare in panico ogni volta che suonava il cellulare.
Forse diciotto anni erano troppo pochi per diventare all’improvviso l’eroe di chi eroe lo era stato per molto tempo e, forse, non era ancora pronto per prendersi quel carico di responsabilità e preoccupazioni che Brian si era sempre portato sulle spalle, senza mai lamentarsene. Ma c’era tanto altro che poteva fare per r dimostrargli che era serio, che di quella relazione voleva esserne partecipe e non solo per l’aspetto fisico. C’era tanto che poteva fare o dire per prendersi cura della parte più perfetta della sua anima.
Alzò la mano e scostò alcuni riccioli dalla fronte di Brian, lasciando poi che le dita accarezzassero la pelle scendendo fino alla guancia, dove una solitaria lacrima era riuscita a scivolar via senza che nessuno la notasse.
Brian si strinse in quella carezza, ogni minimo dubbio era stato ormai cancellato. Forse sbagliava, forse stava solamente permettendo alla sofferenza di preparare il suo territorio per il futuro ma niente di tutto quello aveva più importanza.
Fra pochi minuti, un dottore sarebbe apparso su quella porta per portarlo in una sala operatoria. E, per quanto avesse fede e fiducia che tutto sarebbe andato per il meglio, la paura in quel momento stava prevalendo su di lui e sul suo controllo. E se quelli fossero stati i suoi ultimi momenti? L’ultima carezza, l’ultima volta in cui avrebbe potuto sperimentare che cosa significava essere amati da Nick.
A quell’unica lacrima ormai cancellata via ne seguirono altre mentre un singhiozzo tentava di sfuggire via.
“Ehi, Bri, dai...” Mormorò Nick, sporgendosi verso di lui. Le labbra cercarono di portare conforto e rassicurazione insieme alle dita ma quelle lacrime non smettevano di scivolare via. Davanti a lui, Brian stava crollando ed era come se qualcuno gli fosse entrato dentro e stesse giocando con il suo stomaco, attorcigliandolo fino a quando non potesse più respirare. Era anche quello l’amore? Sentirsi fisicamente male di fronte alla sofferenza del proprio amato?
I singhiozzi riecheggiarono in quella stanza, il battito ancora irregolare che veniva scandito in ogni suo minimo ed impercettibile cambiamento si alternavano in un’armonia che Nick avrebbe voluto silenziare con un solo sguardo. Forse, non il battito. Perché anche se aritmico, anche in quella successione che non era normale, era pur sempre un battito, un segno che Brian continuava a vivere.
Passarono minuti, passarono secondi e poi ancora minuti fino a quando quelle lacrime terminarono il loro tragitto, esaurendosi fra le labbra, le mani di Nick ed il cuscino. Il contatto fra i due ragazzi non si era mai interrotto, quasi come esistesse una sottile linea che li aveva sempre uniti e che non si era spezzata nonostante il rifiuto e la distanza.
“Scusa.” Tra il pianto ed i medicinali ancora in corpo, Brian era pronto a lasciarsi trascinare via dalla stanchezza, sperando che l’oscurità potesse fornirgli un riparo sicuro da tutti quei pensieri. Ma era impossibile sfuggire alla paura perché era sempre lì, in ogni angolo.
E se non mi risvegliassi dall’oscurità? E se venissi confinato nel buio per sempre?

“Andrà tutto bene.” Gli sussurrò Nick, come se fosse riuscito a leggergli nella mente. E Brian avrebbe voluto chiedergli come lo sapesse, come fosse così sicuro che tutto sarebbe andato per il meglio. Ma non lo fece. O forse, non c’era nemmeno bisogno di pronunciare quel dubbio, che aleggiava fra di loro in un velo di tensione e di ansia. Brian sapeva che avrebbe dovuto essere il contrario, come lo era sempre stato: lui che rassicurava il minore. Come sempre era stato e come sempre avrebbe dovuto essere.
“Qualsiasi cosa succeda, pensa a noi. Lotta per quell’opportunità che ti aspetta.” Le parole di Nick arrivarono direttamente lì dove più aveva bisogno di un motivo per non arrendersi.
“Ma... starai qui, vero?” Domandò Brian in un sussurro, quasi ancor spaventato che tutto quello fosse solo un sogno.
Un bacio sfiorato sulle dita che ancora si stringevano convulsamente attorno alla mano. “Dove altro potrei andare?”
“Montecarlo, per esempio. Ovunque.” Rispose Brian, incominciando a giocherellare con il braccialetto al polso di Nick.
“Preferisco rimanere qui.”
“Ne sei sicuro?”
“Sì.”
“Sei sempre stato testardo.”
“Da che pulpito.” Ribattè Nick con una punta di sorriso nei suoi occhi. In sottofondo, Brian poté udire i suoni di passi che si avvicinavano, voci confuse di dottori e famigliari e l’istinto agì prima di qualsiasi altro pensiero razionale. Con quelle poche forze rimastogli, si alzò quel poco abbastanza per lasciare che le loro labbra si incontrassero, forse per l’ultima volta. Fu esattamente come il loro primo bacio, pieno di disperata passione e di tutte quelle parole che non avevano potuto né voluto dire in quei mesi, intime promesse che entrambi volevano mantenere ma che non sapevano ancora se sarebbero riusciti a farlo. Dolcezza si mischiò con il desiderio di fondersi insieme più di quanto potessero fare in quel momento e quando si dovettero staccare, entrambi lo fecero con un gemito di sconforto.
“Mi raccomando. – Sussurrò Nick. – Se vedi una luce bianca, di qualsiasi tipo, scappa dal lato opposto.”
La risata incominciò a risalire nella gola, bollicine simili a quella dell’acqua gasata che solleticavano le corde vocali, facendole esplodere in suoni a cui non era più abituato. Un ultimo bacio, un ultimo saluto e poi Brian si trovò a percorrere il lungo corridoio sterile su una barella, lo sguardo che poteva fissare solamente le luci del soffitto che sfuggivano via lentamente al suo passaggio.
Si aggrappò a quella risata non appena sentì pizzicare gli occhi a causa delle lacrime che si stavano preparando a scendere dietro le palpebre chiuse.
Si aggrappò all’immagine di Nick che lo aspettava, non appena la paura di non ritornare più in quel corridoio incominciò a prevalere sui buoni propositi e sulla fede.
Si aggrappò a quell’ultimo bacio, e a quelle sensazioni che voleva riprovare ancora in futuro, nell’esatto momento in cui le porte si aprirono e poi si richiusero dietro di lui.
Si aggrappò a quella promessa, a quella possibilità che Nick gli avrebbe concesso una volta che il suo cuore fosse stato guarito dalle mani esperte dei dottori, prima che l’oscurità lo avvolgesse e lo spingesse al largo, dove una brezza invisibile sussurrava parole che lo facevano sentire al sicuro.
Ti amo, torna. 

 

 

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Luglio 1998

 

 


Erano trascorse sette settimane. A volte così velocemente che era sempre stata una sorpresa osservare i giorni volare via sul calendario mentre, altre, i giorni erano sembrati trascinarsi con così tanta lentezza che era quasi un miracolo quando la luna incominciava a salire in cielo e rinchiudeva il sole nel suo angolo fino a quello successivo.
I più veloci erano stati quelli subito dopo l’operazione: infermieri e medici che entravano ogni momento possibile per controllare che tutto stesse andando per il meglio, le prime ore di riabilitazione prima di essere dimesso e tornare a casa per qualche giorno. In tutta quella grande baraonda, l’unico punto fisso in quelle ore per Brian era stato Nick, che non aveva mai lasciato l’ospedale se non quando minacciato e obbligato dalla madre di Brian a riposare qualche ora. Per tutto il resto del tempo, invece, era stata la voce che gli aveva tenuto compagnia nei dormiveglia, era stato il supporto mentre muoveva i suoi primi passi così lentamente che anche una tartaruga avrebbe potuto batterlo - e doppiarlo senza nemmeno sprecare un respiro di troppo - e sue erano state le mani che lo avevano cullato quando il dolore diveniva troppo forte per essere silenziato dalla morfina. Non avevano parlato di loro né di quello che si erano confessati prima dell’operazione; come di un tacito accordo, avevano preferito lasciarlo in sospeso fra loro, sottointeso nei loro gesti o in quei minuti che rimanevano senza parole ma che venivano trascorsi semplicemente osservandosi, cercando di imparare a memoria ogni piccola espressione e gradazione di colore. Era strano perché si conoscevano da così tanto tempo che ormai non avrebbero dovuto sentirsi in quel modo, come se l’altro fosse un nuovo dipinto da scoprire o una melodia sconosciuta; Brian, soprattutto, aveva visto crescere Nick, lo aveva visto perdere quei lineamenti ancora infantili, ancora incastonati in quella età di mezzo fra l’essere bambino ed una prima forma di ragazzo, e li aveva visti diventare maturi ed adulti. Ma ora, quando si svegliava e trovava quel viso accanto a lui, si stupiva di trovare linee che non aveva mai captato prima: per esempio, quando gli occhi si aprivano e si posavano su di lui, le labbra si curvavano in un sorriso che non aveva mai notato, così timido e piccolo ma allo stesso tempo capace di trasmettergli un calore che solo lui riusciva a provare.
Nessuno sembrava essersi accorto di quel minuscolo ma così fondamentale cambiamento nel loro rapporto: la presenza di Nick non sembrava strana né così tanto fuori dal normale e neppure i genitori di Brian avevano avuto qualche dubbio sulle reali intenzioni del ragazzo dietro al proverbiale alibi: “Non saprei come fare se gli succedesse qualcosa. E’ il mio migliore amico.” Ed era vero, una parte di quel legame che ora li legavano era nato dall’amicizia, così profonda e così inspiegabile in certe situazioni ma che ora era la giustificazione più adatta per poter stare insieme.
Ma poi era giunto il giorno in cui quella scusa non aveva più garantito la sua presenza: Brian era stato dimesso e prima di rinchiudersi per settimane e settimane in un centro di riabilitazione sarebbe stato circondato dalle cure di sua madre. E Nick non se l’era sentita di interrompere quei momenti, considerato che non sapeva nemmeno come sarebbe riuscito a resistere avendo Brian accanto tutte le ore del giorno. Così, i giorni di riabilitazione erano quelli che erano trascorsi più lentamente. Distanti, chilometri e chilometri che li dividevano, Brian e Nick si ritrovavano a fissare l’orologio sperando che potesse andare più velocemente e che si avvicinasse così il momento in cui si sarebbero riuniti. Anche se non ne avevano ancora discusso perché gli attimi in cui riuscivano a parlarsi la sera, dopo che la consueta terapia di Brian era terminata ed il ragazzo ritornava nella sua camera., erano dedicati ad una sorta di corteggiamento: vi erano sussurri, vi erano promesse ma, soprattutto, c’erano parole e racconti che avevano lo scopo di legarli più di quanto già lo fossero, di avvicinarli anche se non era fisicamente possibili. Vi erano silenzi che esprimevano più di quanto consonanti e vocali avrebbero potuto fare, respiri che tenevano compagnia e li illudevano che non si trovassero sdraiati su due letti separati, diversi e lontani, ma vicini, intimi e con la pelle a stretto contatto l’uno contro l’altra. Quei minuti, quegli attimi in cui si beavano e si lasciavano affogare solamente dalla mera presenza dell’altro, erano l’unica medicina che potesse sconfiggere i pensieri di Nick, quasi soffocanti ogni volta che ripensava a quello che il ragazzo aveva dovuto affrontare e di come, fra nemmeno qualche settimana, sarebbe dovuto ritornare su un palco come se niente fosse successo. C’erano momenti in cui avrebbe voluto prendere e andare ai loro manager, mandare all’aria quei concerti che ora sembravano così futili se messi in confronto a quello che Brian aveva dovuto sopportare. Come poteva la gente essere così senza cuore? Ed era sempre Brian a confortarlo, a rassicurarlo che andava bene così, che preferiva essere su un palco piuttosto che rinchiuso ancora in quel centro dove lui era l’unico paziente al di sotto dei trent’anni. E lì, a quelle parole, Nick non faceva altro che rimanere, ancora una volta, in silenzio, stupefatto di come il maggiore potesse sempre trovare un aspetto positivo anche quando avrebbe avuto tutte le ragioni di arrabbiarsi e di recriminare.
“Che cosa dovrei recriminare, Nicky? Sono vivo, sono in salute e ho te. Ho soprattutto te, il che renderà sopportabile ogni sera, ogni viaggio e qualsiasi altra cosa.”
E poi c’erano i silenzi in cui era Nick quello che doveva prendersi la responsabilità di rincuorare Brian, troppo esausto dopo una sessione in cui aveva cercato di superare i suoi limiti in modo da non deludere nessuno. Erano le notti in cui le telefonate duravano fino alla mattina, erano i respiri che nascondevano lacrime di frustrazione e di sofferenza che Nick non poteva fare altro che cancellare solamente con le sue parole, a volte con note e melodie nella speranza che almeno quella, la musica, potesse raggiungere Brian al posto suo.
Ed ora Brian si trovava di fronte all’ingresso di casa, la mano che andava a sistemare il borsone gettato sulle spalle mentre l’altra teneva in mano un foglietto bianco su cui aveva scarabocchiato l’indirizzo. Era stata un’ispirazione, un’idea che lo aveva colpito la sera precedente mentre lui e Nick si scambiavano ennesimi ed infiniti messaggi prima di andare a letto. Una volta abbassata la suoneria per non svegliare tutta casa, Brian si era ritrovato a girarsi e rigirarsi nel letto, troppo piccolo per poter seriamente pensare a dividerlo con qualcuno ma lo stesso così grande e freddo. Ed era tutto così ridicolo, non erano più dei ragazzini che dovevano vedersi di nascosto dalla loro famiglia. Erano grandi, erano maturi e responsabili: sapevano entrambi che cosa volevano l’uno dall’altro e Nick gli aveva dimostrato che non cercava solo sesso da lui. Se avesse voluto solo quello, di certo non avrebbe fatto tutta quella fatica per continuare a cercarlo nonostante lui gli avesse richiuso la faccia, spinto da morali e più che giustificate ragioni. Ma ora che quei motivi erano stati sconfitti, che cosa li teneva lontani? Perché dovevano accontentarsi di telefonate e messaggi quando potevano spendere e trascorrere quelle ore l’uno fra le braccia dell’altro?
Ecco perché ora si trovava lì, il suono forte del mare dietro alle sue spalle che riusciva a coprire il battito, forte e regolare questa volta, del suo cuore mentre piano saliva i pochi gradini del patio. Giunto davanti alla porta, rimase qualche secondo fermo, guardandosi in giro mentre cercava di trovare le parole adatte per il suo discorso e per spiegare come mai era arrivato fino a lì. Era teso e nervoso, due sentimenti che solamente Nick riusciva a fargli provare: ogni volta che c’entrava lui, tutta la sua sicurezza cadeva come se colpita da una folata di vento e si ritrovava in balia delle insicurezze. Solo di una cosa era sicuro ed era anche la cosa più importante: il loro amore. Ci credeva così ciecamente e così stoicamente che era riuscito a mettere da parte quell’agonia di mesi separati pur di essere a quel punto, in quell’esatto spazio temporale in cui stava per chiedere e prendere di diritto ciò che gli spettava. Ciò che spettava loro. Ma a controbilanciare quella sicurezza ce n’era un’altra, molto più subdola ed infida che si insinuava fra quella allegria ed estasi per essere dove doveva trovarsi; era una piccola voce che gli rammentava che se ne avevano perso così tanto tempo era solamente sua responsabilità, era un piccolo dubbio che creava il suo nido in un angolo della sua mente, sussurrando di tanto in tanto l’incertezza che avrebbe potuto colorare ciò che Nick provava per lui. Era, soprattutto, la consapevolezza che doveva rimediare, doveva in qualche modo rimettere a posto ciò che aveva scombussolato qualche mese addietro e donare ancora a Nick quella cieca fiducia che aveva sempre riposto in lui come figura maggiore. C’era una sottile differenza, però, in quella risoluzione che era nata non appena era tornato cosciente: non potevano rimanere in quelle posizioni, altrimenti non avrebbe mai permesso a Nick di poter crescere e maturare insieme a lui. Lo avrebbe protetto, lo avrebbe difeso e fatto tutto ciò che era in suo potere affinché le preoccupazioni stessero il più lontano possibile da lui. Ma, allo stesso modo, gli avrebbe lasciato spazio per poter fare lo stesso, per essere difeso e protetto dal suo compagno.
Compagno! Già andava in là con i pensieri. Per ora, non erano niente se non due amici che stavano cercando di trovare un nuovo piano stabile per loro.
Inspirò a fondo e poi Brian alzò la mano stretta in un pugno, pronto per bussare alla porta quando questa si aprì di colpo, lasciando apparire Nick.
Brian sbatté le palpebre una, due e tre volte prima di sorridere. Era lì e non era un sogno e solo a quel pensiero tutte le ansie vennero scacciate via. Avanzò di un passo, spinto da una sicurezza che era ritornata così prepotente che Brian poteva solo lasciarla fare. Una mano andò ad appoggiarsi sul fianco di Nick mentre, alzandosi in punta di piedi per poter arrivare allo stesso livello del ragazzo. “Buongiorno.”
Come se tutta quella situazione fosse completamente normale, Nick rispose avvicinandosi anche a lui e poggiando le mani su entrambi i fianchi. “Buongiorno.” Esclamò in una voce che mandò in brividi la schiena di Brian, ancor di più quando poi le labbra di Nick si appoggiarono sulle sue.
Ci sarebbe dovuto essere imbarazzo o incertezza o anche solo un chiedersi come si dovevano comportare in quel nuovo contesto; invece erano a loro agio, c’era conforto in quell’intimità che si era creata fra loro solamente tramite telefonate e pensieri a volte accennati.
Brian ritornò a piedi ben fermi a terra. “Non mi chiedi che cosa ci faccio qui?”
Nick prese il borsone dalla sua spalla, tenendolo al sicuro con una mano mentre con l’altra spingeva Brian in casa. “Di certo, non sei qui per vedere il mare.”
“E’ pur sempre uno dei motivi sulla mia lista.”
“Ovviamente, sei qui per vedere la casa.” Aggiunse Nick, scoccando le labbra in un sorriso dal velato intento malizioso.
“Mi hai scoperto. - Rispose Brian, tenendo fede a quel batti - ribatti improvvisato. – Mi voglio assicurare che sia così meravigliosa come me l’hai descritta al telefono.”
“L’adorerai. – Affermò con piglio deciso Nick. – Posso offrirti un tour guidato?” Domandò poi, facendo risalire la mano fino a quando non fosse avvolta attorno al braccio di Brian.
“Con piacere.”
L’ingresso, in cui si trovavano in quel momento, si apriva direttamente sul salotto, un’enorme e spaziosa stanza in cui erano la luce e l’aria le regine incontrastate: dipinte del più chiaro e latteo bianco, i tre lati delle pareti erano arricchite da grandi porte – finestre che rimandavano all’interno della stanza la luce del sole combinata con l’azzurro di cielo ed oceano . Le persiane, ora aperte, erano dello stesso tono di marrone del parquet mentre, alternate, altrettante bianche tende si ingrossavano all’interno a causa della brezza che risaliva dalla spiaggia. Un piccolo tavolino di legno, di un marrone più chiaro rispetto al pavimento, si godeva la vista davanti ad una delle finestre più ampie, supportando sulla sua superficie un vaso di fiori ed un vassoio, su cui richiamavano l’attenzione dei bicchieri colorati ed una brocca di the freddo; dietro le sedie, di metallo e nere con un cuscino anch’esso bianco, un divano lungo e ad angolo reclamava la posizione di re di quel salotto, con i suoi cuscini di qualsiasi forma e dimensione e delle più varie tonalità dell’azzurro e del blu ed una coperta appallottolata sul fondo. Era inusuale quell’oggetto ma mai quanto il camino che faceva compagnia al divano e sulla cui mensola facevano bella figura una miriade di foto. Era l’unico tocco personale in un salotto che ancora stava attendendo di essere rifinito e reso più famigliare e già Brian si immaginava che cosa occorreva: non molto, giusto qualche tocco qua e là. Per esempio, quell’angolo così vuoto, su cui si era posato il suo sguardo, sembrava essere la posizione perfetta per metterci un pianoforte, lì davanti alla finestra e alla vista mozzafiato; immagini di tramonti trascorsi con lui a suonare quei tasti e Nick seduto accanto, magari intento a disegnare o a suonare la chitarra, si dipinsero nella sua mente mentre il ragazzo raccontava di come aveva quasi rotto una finestra perché non si era reso conto di quanto forte fosse la tempesta in quella zona.
“Oh, conosco quell’espressione. E’ lo sguardo di chi sta già pensando a come arredare questa stanza.” La voce di Nick arrivò da dietro le spalle, insieme al contatto fisico fra i loro due corpi. Brian si lasciò appoggiare all’indietro mentre Nick appoggiava il mento accanto al suo collo. Per qualche secondo, nemmeno riuscì a formulare un pensiero simil coerente: il respiro caldo di Nick contro la sua pelle bastava già a farlo andare a mille e più giri, anche se già quella vicinanza lo lasciava senza più niente di funzionante se non il suo corpo ed i suoi desideri. E se non si fosse trovato disperso su di una nuvola fatta solo di sensazioni e brividi, Brian avrebbe captato al volo il messaggio sottointeso a quella domanda ma, in quel momento, venne coperto da altri pensieri, ben meno casti e puri.
“Qualcosa del genere.” Riuscì solo a mormorare mentre una vampata di rosso, lo sentiva, stava colorando le sue guance.
“Beh. – Il sussurrò arrivò direttamente alle sue orecchie, carezze e brividi che scivolavano via sui suoi nervi. – Io avrei altri pensieri e desideri.” Prima di staccarsi da lui, le labbra di Nick lasciarono un veloce ma altrettanto carico di fuoco sul collo di Brian.
Sempre stretti l’uno all’altro si spostarono in avanti, verso quelle finestre che davano sulla terrazza. La casa era leggermente rialzata rispetto al livello della spiaggia così che, oltre la ringhiera di legno bianco, l’unico scenario era un dipinto di varie tonalità di azzurro, bianco e giallo. La terrazza era anch’essa ampia e sembrava essere la parte della casa più arredata, almeno fino a quel momento: all’angolo opposto di dove si trovavano, vi erano delle poltrone di vimini, bianche anch’esse, ed un tavolino; al centro faceva bella figura un imponente tavolo, largo abbastanza affinché dodici persone potessero sedersi e mangiare tranquillamente. Infine, nell’angolo alla loro destra, appoggiato contro ad un traliccio di rose e girasoli, un dondolo che sembrava perfetto per trascorrere le serate d’estate. E chissà, anche qualcuna invernale visto e considerato che in Florida non faceva così freddo come in Kentucky.
“Non sto andando troppo in fretta, vero?”
La domanda di Nick fece voltare Brian di scatto, ritrovandosi faccia a faccia con un’espressione totalmente confusa e triste su quel volto che tanto amava. Era la stessa espressione che Nick aveva avuto quando lo aveva lasciato in quella camera d’albergo, quegli stessi occhi che lo avevano seguito per settimane e settimane ora lo stavano fissando chiedendo una rassicurazione.
“Non mi hai ancora chiesto perché sono qua.”
“Non ci vuole un genio. Persino io l’ho compreso.”
“Sono venuto qui per prendermi quell’occasione. – Rispose Brian, lasciando pochissimo spazio fra loro due. – Quindi, no, non stai andando troppo in fretta. Dobbiamo recuperare, no?” L’implicazione malizioso non si perse nella brezza marina ma riuscì a unirli di nuovo, quasi come se l’unica cosa che potesse tenerli in vita fosse rimanere così, insieme.
“Brian Littrell che ci prova così spudoratamente?”
“E’ così strano?”
“Oh no, decisamente no. Anzi...”
“Andiamo.” Propose Brian, prendendo una mano fra le sue ed incominciando a spingerlo verso la scala che portava alla spiaggia.
“Dove?”
“Ma la spiaggia, ovvio! – Rispose con un’espressione divertita ed il tono di qualcosa che sembrava essere la più ovvia di quel mondo. – Andiamo a fare una passeggiata. Raramente ho avuto la possibilità di osservare il tramonto in spiaggia.”
Il messaggio era sottointeso, certo, ma era anche palpabile in quel silenzio che era seguito a quell’avverbio usato. No, non era la possibilità di passeggiare in quel particolare momento della giornata, che proprio su quel lembo di terra fra spiaggia e mare sembrava essere ancora più magico e romantico, ad esser mancata a Brian fino a quel momento. Era l’avere finalmente qualcuno a fargli compagnia mentre il sole all’orizzonte si nascondeva dietro la linea dell’infinito, avere qualcuno a cui stringersi se per caso una brezza lievemente fredda si sarebbe alzata e semplicemente avere una presenza accanto a lui, qualcuno a cui affidare i suoi pensieri anche senza esprimerli tramite parole o frasi.
“Sei sicuro?” Domandò di ribatto Nick, lasciando trapelare la preoccupazione nella sua voce.
Brian non si stizzì a quella domanda. Ed era strano perché per giorni aveva sempre sentito il bisogno di urlare ogni volta che gli veniva chiesto se era sicuro o meno di sentirsi bene, se davvero se la sentiva di fare un’attività piuttosto che un’altra. Con Nick, invece, non c’era quella frustrazione. Forse perché vedere Nick preoccupato per lui era un’altra testimonianza tangibile del cambiamento nel loro rapporto. E se volevano andare avanti, se volevano ed avrebbero dovuto dimostrare al mondo che erano fatti per stare insieme, lui doveva imparare ad appoggiarsi a Nick, a non mentirgli quando non stava bene e lasciare che si occupasse lui di qualcosa se lui non poteva. “Sì, ma se mi stanco ci sediamo.”
Nick si staccò velocemente da lui, scomparendo poi all’interno della casa per poi tornare dopo qualche secondo con la coperta, che prima era sul divano, in mano. “Di sera scende una brezza un po’ fresca.” Spiegò in poche parole mentre intrecciava le sue dita con quelle di Brian, accompagnandolo sui gradini.
La spiaggia non era così affollata di gente come Brian si era aspettato, essendo luglio e quindi estate già inoltrata; forse, erano delle nubi grigie all’orizzonte ad aver spaventato alcuni degli avventori occasionali; forse era anche il fatto che era ormai ora di cena e molti avevano dovuto abbandonare mare e sabbia per andare a fare la spesa o prepararsi per un’uscita serale. Ciò rendeva la spiaggia praticamente deserta e perfetta per loro due, liberi di potersi accarezzare senza avere troppi dubbi sul fatto che qualcuno potesse vederli.
Così incominciarono a camminare. Mano nella mano, si lasciarono alle spalle la casa e si avviarono senza una destinazione precisa, lasciandosi accarezzare dagli ultimi raggi del sole mentre l’acqua fredda dell'oceano lambiva i loro piedi, lasciando nella sabbia le loro impronte per poi cancellarle dopo il loro passaggio. Le onde creavano la melodia che faceva da sottofondo alle loro parole che disegnavano immagini di un futuro ancora da creare, intrecciandosi con vite già passate e attimi già sfuggiti via, persi per sempre oppure da cogliere ancora mentre attendevano che venissero raggiunti. Si fermarono davanti a una conchiglia e fu Brian a raccoglierla, pulendola dai granelli bagnati di sabbia e facendo riapparire un bianco tinto di sfumature rosate e dorate. La racchiuse nel pugno, girandosi di lato per recuperare Nick in modo da riprendere la loro camminata ma il ragazzo era lì, immobile ad osservarlo come lo stesse vedendo per la prima volta. O come se fosse la persona più affascinante di quel mondo, ancor più attraente delle bellezze naturali che li circondavano.
E se Nick fosse riuscito a trovare aria sufficiente per parlare, avrebbe obiettato che non c’era niente, nemmeno il più romantico dei tramonti, che potesse competere con ciò che si trovava di fronte ai suoi occhi: quei riflessi dorati che si adagiavano sulla pelle, facendola finalmente risplendere e scacciando via quel colorito che ancora rimandava a qualcosa che era doloroso per entrambi; quei riccioli che venivano scompigliati dalla brezza marina ed il sorriso, quegli angoli rossi curvati nelle più dolci linee, che lo rendevano il suo equilibrio così instabile, quasi come se fosse stato portato al centro di una marea.
“Sei stupendo.”
Brian abbasso gli occhi, le dita dei suoi piedi che disegnavano cerchi in cui l’acqua si infiltrava insieme a fili verdi. Il rossore, il caldo sul suo volto, non era più causato dal sole ma da quelle parole, una verità che aveva finito di valere la prima volta che si era visto riflesso in uno specchio. Eppure, non poteva non credere alle parole di Nick, non quando venivano pronunciate con così tanta sincerità che quella doveva essere per forza l’unica cosa vera e reale.
“Anche adesso?” Brian non aggiunse altro, non ce n’era bisogno. Non c’era bisogno di aggiungere i dettagli, di tutti quei chili scomparsi e che avevano lasciato solamente pelle ed ossa, di quei muscoli – non molti – ma di cui Brian ne era andato fiero. O di come, in piedi l’uno di fianco all’altro, Nick sembrava essere il maggiore fra i due.
“Certo. – Lo rassicurò Nick. – Anche quando sarai vecchio, con la dentiera e calvo, per me sarai l’uomo più affascinante.”
Non fu il complimento a farlo sentire il ragazzo più felice, anche se bastò per cancellare uno strato di insicurezze. Fu quell’aggettivo, quel vecchio, che lo fece sentire quasi come se si stesse librando in aria perché gli dava una consolazione, una piccola speranza che per Nick tutto quello non era un gioco ma qualcosa più importante. Qualcosa che poteva durare per anni e che li avrebbe visti crescere ed invecchiare insieme.
“Anche se non è la verità.”
“Lascia che sia io a giudicare.”
“Non è la verità perché non sarò mai l’uomo più affascinante, visto che quella persona sta di fronte a me.”
“Beh, allora vorrà dire che siamo le persone più affascinanti in tutto l’universo e che era destino che ci mettessimo insieme.” Concluse Nick.
Brian non rispose, allungò una mano e la strinse attorno all’orlo della maglietta di Nick, usandola per spingere il ragazzo contro di lui. Circondò le braccia attorno al collo e, affondando con i piedi nella sabbia, si alzò abbastanza per poter chiudere le labbra di Nick contro le sue, dando vita ad un bacio per il quale entrambi stavano anelando dal primo momento in cui si erano visti. Superato il primo attimo di sorpresa, Nick reagì a quell’azione: un braccio andò a circondare la vita, le dita che giocherellavano con il tessuto della maglietta prima di sgattaiolare sotto di essa e rincorrersi sulla schiena mentre l’altra mano si insinuò fra i capelli, spostando leggermente la testa in modo da aver miglior accesso alla bocca di Brian.
Non era come il loro primo bacio, non vi era disperazione da un lato e la consapevolezza di dovervi rinunciare subito dall’altra. Erano semplicemente loro due, due ragazzi che finalmente potevano lasciare liberi i sentimenti che bruciavano dentro di loro e fondersi in un unico grande fuoco mentre attorno a loro l’oceano continuava la sua danza ed il cielo si adornava della sua veste notturna.
Fu un semplice bacio, fu solamente amore misto a dolcezza con una punta di desiderio ad elettrizzare i nervi. Ma anche se era solo quello, era tutto ed era ancor più di quanto avessero mai immaginato potesse essere. 

 

 

 

 

Everybody keeps telling me I'm such a lucky man 
Lookin at you standin there I know I am 
Barefooted beauty with eyes that blue 
The sun shine sure looks good on you 
I swear 

 

 

 

 

Le ore si erano sfumata una nell’altra fin quando si erano accorti che era già arrivata la notte. Dalla spiaggia erano andati direttamente in un piccolo ristorante che Nick aveva scovato qualche giorno prima; Nick avrebbe voluto anche portare Brian in giro per la cittadina, pittoresca anche di giorno ma con un qualcosa di speciale durante la sera che non riusciva a spiegare e che doveva semplicemente essere vissuto. Ma era bastata un’occhiata al ragazzo, che a stento riusciva a nascondere la stanchezza, per capire che era meglio rimandare quella camminata ad un altro giorno e ritornare con calma verso casa, optando per una più tranquilla serata fra le pareti domestiche.
Così ora si ritrovavano sul grande letto della camera padronale, nessuna luce accesa se non per quel fascio che entrava dalla finestra, portandosi con sé il profumo dell’oceano e della vegetazione attorno alla spiaggia. Nell’oscurità e nel silenzio, l’esser vicini sembrava essere ancor più un’esperienza solo dettata dai sensi e decisamente più appagante: non vi era fretta, non vi era quel bisogno di dover riempire le pause con delle parole scelte a caso; bastava una mano che saliva sul braccio o un ciuffo che veniva spostato per lasciare spazio ad un bacio o anche solamente una stretta d’abbraccio per riempire di significato quei vuoti.
Brian era sdraiato a pancia in giù, in una sorta di dormiveglia di cui aveva varcato la soglia non appena aveva provato quanto morbido e comodo fosse quel letto; Nick era lì alla sua destra, poggiato su un fianco ed intento ad osservare il suo compagno.
Il suo fidanzato.
Perché, nella sua mente, il cambiamento era avvenuto nel momento in cui Brian gli aveva lasciato quel messaggio sulla segreteria telefonica: non aveva bisogno di domande, etichette o parole per definire ciò che c’era fra loro e che cosa erano l’uno per l’altro. Brian apparteneva a lui tanto quanto lui apparteneva al ragazzo. E poter pronunciare quelle parole, poter affermare a se stesso che sì, Brian era suo e lo sarebbe sempre stato perché non avrebbe permesso a niente e nessuno di dividerli, affermare tutto ciò lo faceva sentire già più grande di qualche centimetro. Non in altezza né in muscoli o chili in più. Quella grandezza poteva essere solamente misurata in quel cuore che pareva essersi gonfiato, colmo di un amore che viaggiava nelle vene e rendeva più elettrici ogni muscolo e lo faceva sentire più vivo. Sapeva di risplendere di una nuova luce, forse perché il suo stesso mondo appariva più luminoso, anche ora che solamente il blu scuro colorava ogni angolo. Nonostante ciò, bastava che si sporgesse, quel poco che bastava per appoggiare le sue labbra nell’incavo delle scapole di Brian, che un fuoco d’artificio illuminava quel contatto, facendoli sprofondare ancora di più in un’intimità che sembrava non avere confini. Di quello Nick ne era sicuro, come lo era di qualcos’altro.
“Bri?”
Brian mugugnò solamente un gemito in risposta ma voltò comunque il viso dall’altra parte, socchiudendo un occhio per osservare Nick. O, almeno, l’ombra che presumeva appartenesse a lui.
“Posso chiederti una cosa? Senza che tu la prenda male?”
Furono quelle ultime parole a destar via ogni traccia di catena che legasse Brian ancora al mondo dei sogni che stava giusto varcando in quel momento. Si alzò, mettendosi a gambe incrociate ed osservando Nick con sguardo serio, un po’ intimorito da ciò che Nick stava per domandargli. Nella penombra, lo vide mordicchiarsi un labbro e giocare con un lembo della sua maglietta; fu istintivo il gesto di allungare la sua mano ed appoggiarla sopra a quella di Nick che non riusciva a stare ferma, in movimenti nervosi.
“Non è niente di grave, te lo prometto. – Lo rincuorò Nick con un debole sorriso. – Solo che... solo che non voglio che tu la prenda come qualcosa di cui mi vergogno perché non è così e questo lo sai. Vorrei urlare al mondo che stiamo al mondo, vorrei poterti indicare e dire a tutti che sei mio, che siamo noi e che lo saremo sempre però, allo stesso modo, non voglio che gli altri lo sappiano. Non voglio, soprattutto, che avvelenino ciò che abbiamo con parole di disgusto ed espressioni di giudizio.”
“Vuoi che rimaniamo un segreto?” Domandò Brian, seguendo il filo del discorso di Nick senza tono giudicante nella sua voce.
“Oddio, detto così sembra quasi che abbiamo una relazione morbosa come in quei libri che ho trovato in camera di Howie!”
“Qualcuno potrebbe trovarla abbastanza scandalosa.”
“Ed è proprio questo il punto. Non lo è! Che cosa c’è di scandaloso? Il fatto che ti amo? O il fatto che tu ami me? Solo perché siamo due uomini allora deve essere qualcosa solamente di perverso?”
“Ehi, ehi, ehi. – Mormorò Brian, allungando un braccio in modo da abbracciare Nick, costringendolo quasi a cadere fra le sue braccia. Nick appoggiò la testa sulla sua spalla mentre Brian appoggiò il mento fra i suoi capelli, aspirandone quel profumo prima di lasciarvi un veloce bacio. – Non siamo perversi e niente di ciò che stiamo facendo può essere etichettata come morbosa. Quelli anormali non siamo noi. Noi... noi siamo solo speciali, perché abbiamo qualcosa che fa invidia agli altri.”
Nick si staccò di qualche centimetro, anche se continuò a tenere una mano appoggiata sul petto di Brian. “Non... non sei arrabbiato, quindi?”
“No, non lo sono. Anzi, volevo dirti la stessa cosa ma, come sempre, tu sei stato il più coraggioso fra i due. – Nick gli sorrise, lasciandosi accarezzare non solo dalla rassicurazione nel tono della voce ma anche da quelle dita che si erano appoggiate sulla sua guancia. – Non sono ancora pronto a condividerti con il mondo. Ho lasciato sfuggire così tanto tempo che ora voglio solamente recuperarlo e non potremo mai farlo se abbiamo gli occhi di tutti rivolti contro, pronti ad assistere alla nostra caduta esattamente come avrebbero predetto. Voglio stare con te, voglio conoscerti come e più di quanto già non lo faccia; soprattutto, voglio vedere il nostro rapporto crescere senza nessuna pressione. Solo io e te. E quando lo diremo, quando saremo pronti per il mondo esterno, saremo forti abbastanza da sopportare qualsiasi cosa ci tireranno contro, risponderemo ad ogni insulto e lasceremo scivolare via ogni offesa. Perché il nostro amore sarà stabile da andare contro una tempesta ed uscirne senza nessun danno.”
“Ti amo, lo sai?” Riuscì a mormorare Nick, ringraziando il fatto che fossero al buio e che quindi le sue lacrime potessero scivolare via senza essere viste.
“Credo di saperlo.” Rispose Brian.
“Credi?”
“Potrei.”
“Potresti?”
“Oh, qualcuno ha imparato le coniugazioni verbali.”
“Non lo sai? Mi sono anche diplomato.”
“Davvero? E ti ho festeggiato?”
“No, mi hai solo dato una pacca sulla spalla.”
“Oh, devo rimediare allora.”
“Decisamente.”
Entrambi erano ormai seduti sulle ginocchia, l’uno di fronte all’altro, così per Brian fu facile sporgersi quel poco per lasciare un veloce bacio sull’angolo destro della bocca di Nick.
“Così va bene?” Gli domandò poi, un innocente sorriso che non mascherava l’intento giocoso delle sue azioni.
“Direi che merito anche gli interessi.”
“Hai ragione, che smemorato che sono!” Come prima, Brian si sporse ancora una volta ma questa volta le sue labbra accarezzarono l’angolo sinistro della bocca di Nick.
“Tutto qui?” Protestò Nick.
“Te l’ho detto che sono sbadato.” Rispose Brian e, continuando con quel gioco, quella volta le sue labbra si posarono sulla fronte. Ma, prima di poter ritornare al suo posto, Nick lo bloccò lì in quella posizione, premendo le ditta attorno ad entrambi i polsi e catturando la bocca in quello che lui considerava un bacio degno di quel nome. Aveva perso il conto dei baci che si erano scambiati quel giorno e, francamente, nemmeno gli interessava quel mero numero; vi aveva dovuto fare a meno per giorni, settimane e mesi e ora che ne aveva la possibilità, ora che poteva davvero voltarsi e baciarlo, era come se non ne potesse più farne a meno. Una droga erano diventate quelle labbra, tanto che era certo che mantenere la sua stessa promessa di non farsi scoprire si sarebbe rivelata una missione impossibile.
“Ecco, così va meglio.” La voce di Nick uscì in un roco sussurro, tenendo le sue labbra a filo di quelle di Brian. Socchiuse poi gli occhi, abbracciando le braccia attorno al collo del ragazzo e ad ogni inspiro veniva inebriato dal suo profumo. Brian semplicemente sospirò e si lasciò avvolgere dal calore di Nick mentre la stanchezza, che prima si era ritirata mentre Nick esprimeva i suoi dubbi, ora ritornava prepotente alla luce, facendo scappare quelle poche energie che erano rimaste salde nei muscoli. Non seppe dire quanto tempo volò via da quel momento in cui la sua fronte si appoggiò sulla spalla di Nick mentre le palpebre si chiudevano lasciandolo in balia di un oceano di confortante buio, ma si rese conto che, ad un certo punto, non erano più inginocchiati l’uno di fronte all’altro ma erano sdraiati, la sua testa appoggiata metà sulla spalla di Nick e l’altra metà sul cuscino.
“Buonanotte.” Il sussurro si levò attorno a lui e se gli fosse rimasta un pizzico di lucidità mentale Brian avrebbe anche risposto a quell’augurio. Ma la sua risposta si tramutò in un gesto, quello di accoccolarsi ancora di più accanto a Nick e lasciarsi cullare via nel sonno, sicuro che almeno per quella sera gli incubi sarebbero stati al riparo, senza nessuna possibilità di uscita.   

 

 

 

____________

 

 

 


Il giorno seguente, il risveglio fu dolceamaro per Brian.
Dolce perché poteva svegliarsi senza avere la paura di essersi sognato tutta la giornata precedente, come se solo nei suoi sogni avesse potuto trovare il coraggio di raggiungere Nick e chiedergli, anzi prendersi, quell’opportunità che non era mai più stata nominata dal giorno dell’operazione.
Dolce perché, non appena le sue palpebre erano riuscite nell’impresa quasi olimpica di aprirsi, la prima cosa che avevano captato erano quelle braccia strette attorno a lui e dita posate con sicurezza e naturalezza sopra le sue. Così, per qualche attimo Brian si era lasciato solamente avvolgere da quelle sensazioni, lasciandole entrare dentro di lui e rinchiudendole in uno speciale cassetto dentro la sua anima. Era prezioso quello scomparto e già colmo con ogni piccolo ricordo o dettaglio che aveva più o meno un legame con Nick: dalle più piccole informazioni, quali come prendeva solitamente la colazione o se preferiva un film horror rispetto ad una commedia, fino a quelle più importanti, quei piccoli fatti che lasciavano intendere l’animo ed il cuore del ragazzo. Erano tutte incamerate dentro di lui ma, a quanto pare, erano anche inesauribili considerato che già solo in quelle ventiquattr’ore trascorse insieme, Brian aveva imparato molto più di quanto avesse già fatto nel corso degli anni: aveva imparato che Nick adorava il contatto fisico, anche se si trattava solamente di una carezza fatta con le punte delle dita; aveva imparato che sapeva apprezzare un momento di silenzio o lasciare che lui blaterasse su persone che non aveva mai conosciuto, solamente perché così poteva sentire la sua voce o ridere assieme o lasciarsi andare in commenti che duravano quasi quanto un discorso molto più serio. Più di tutto, però, Brian era riuscito ad assopire il dubbio che, una volta messi insieme, avrebbero perso la loro amicizia: era stato quello il tarlo, insieme a ben altri più vitali, a bloccarlo dall’accettare la prima richiesta in quel lontano febbraio. Nick era la persona di cui più si fidava, era la persona a cui aveva confidato tutti i suoi segreti, anche quelli che aveva nascosto dietro a falsi ricordi pur di far finta che non esistessero. Non voleva rovinare tutto ciò, non voleva cambiare ciò solamente per un gioco o per un’attrazione fisica che si sarebbe spenta dopo qualche fiammata. Invece, la loro amicizia era ancora lì, più salda e stabile di qualsiasi altra fondamenta; anzi, se doveva essere completamente sincero con se stesso, doveva ammettere che era ciò che rendeva più appagante quei momenti di silenzio, rendeva più semplice perché annullava tutte quelle spiegazioni e adattamenti che ci dovevano essere quando due persone incominciavano una vita insieme. Nel loro caso, tutto era già stato spiegato, a parte quei nuovi dettagli che rendevano anche una piccola cosa, come il dormire, un’esperienza completamente e totalmente differente.
Ma c’era l’altro lato della medaglia, quel piccolo particolare che rendeva amaro il risveglio. Perché, ufficialmente, quelle sarebbero state le ultime ore che avrebbero potuto trascorrere senza guardarsi alle spalle, senza dover misurare le parole e cercando di trattenere qualsiasi gesto che potesse essere frainteso.
Ma se c’era una cosa che aveva imparato era che il tempo era prezioso e Brian non lo avrebbe di certo sprecato perdendosi in mille rimorsi o con il broncio solamente perché lasciava potere ai pensieri negativi. Il lato positivo era stare con Nick e ciò non sarebbe cambiato nemmeno nei giorni successivi: avrebbero creato loro i momenti in cui nascondersi e dedicandoli a se stessi e a loro amore.
Era quello l’importante.
Facendo attenzione a non destare Nick, Brian si slacciò dal suo abbraccio e si allungò per stiracchiare quei muscoli ancora addormentati. Il parquet sul quale appoggiò i piedi era già caldo da quei primi raggi di sole, nonostante fossero ancora le otto di mattina, e per qualche secondo Brian rimase seduto sul bordo del letto, assaporando quella tranquillità. Sino al giorno prima, era stata tutta una corsa, con orari ben precisi da cui raramente poteva sgarrare e lo stesso sarebbe stato a partire dal giorno successivo. Eppure, non sentiva il desiderio di rimanere a letto ora che poteva, nonostante continuare a rimanere fra le lenzuola insieme a Nick era una più che tentatrice idea. 
Sempre a piedi nudi, andò alla ricerca della cucina, visto che il giorno prima Nick si era dimenticato di fargli vedere tutto il resto della casa. E non sarebbe stato difficile trovarla, essendo tutta su un unico piano e nemmeno così grande da aver bisogno di una mappa per non perdersi. Era spaziosa, era luminosa ed era il perfetto rifugio dove nascondersi. Seguì il corridoio, rinfrancato di non dover aprire porte perché le uniche presenti erano quelle dei due bagni, di cui uno subito accanto alla camera padronale. Una seconda camera era stata trasformata in studio, con ancora scatoloni che aspettavano di essere sistemati, e finalmente Brian si ritrovò nella stanza che stava cercando. Ancora al buio, avanzò fino a raggiungere la prima finestra ed aprì le persiane, facendo entrare luce e profumi: anche la cucina si apriva sul terrazzo, che solo ora Brian comprese che seguiva completamente tutto il perimetro, trasformandosi poi in quel patio da cui era entrato non appena arrivato il giorno primo. Anche questa porzione di balcone era recintata da vasi di piante e fiori che davano l’impressione di entrare direttamente in un gazebo invece che su un semplicemente ampliamento della cucina; quel piccolo spazio, poi, era arredato con un tavolo, non molto grande ma abbastanza per accogliere più di quattro persone. Le sedie, disposte a cerchio attorno ad esso, erano della stessa tonalità di marrone scuro del tavolo, con soffici cuscini bianchi sia sulla seduta che sullo schienale.
Appoggiando i gomiti sulla ringhiera, Brian rimase per qualche secondo ad osservare il panorama e solamente assaporando quella calma, considerando che la spiaggia era ancora vuota, eccezion fatta per quei pochi mattinieri che correvano sul bagnasciuga. In quel luogo era così facile dimenticare che cosa aspettava loro al di là di quei confini; in quel posto così magico era così semplice fingere di essere due ragazzi normali.
Ed era così che avrebbe trascorso quella giornata.
Si girò e tornò all’interno, iniziando subito a mettere su il caffè. Un’occhiata al frigorifero bastò per fargli capire che Nick aveva raramente mangiato lì, preferendo uscire nelle sue esplorazioni del vicinato. Il che, però, faceva fallire miserabilmente il suo piano di preparare la colazione, anche se non aveva ancora deciso se poi l’avrebbero gustata a letto o in terrazza. Forse... sul bancone Brian recuperò un foglio bianco e scribacchiò velocemente qualche frase. Non che servisse a molto, Nick era solito dormire anche fino a mezzogiorno e, almeno per quella volta, il suo proverbiale sonno andava a suo vantaggio. Con quel foglio in mano, ritornò in camera e lo appoggiò sul suo cuscino, stretto attorno alle braccia di Nick come se ne fosse il suo sostituto. Con un sorriso dipinto sul volto, stampò un bacio sulla fronte del ragazzo per poi recuperare i suoi vestiti e scomparire in bagno.
A svegliare Nick, molto tempo più tardi, fu l’aroma di caffè. E bastò solo quel dettaglio a cancellare ogni desiderio di voltarsi dall’altra parte e rimettersi a dormire: se era da solo in quella casa, chi mai poteva aver preparato il caffè? La risposta arrivò quasi subito e fu sufficiente per farlo sorridere ed allungare il braccio, cercando a tastoni il corpo di colui che aveva causato il suo risveglio: sfiorò delle dita ma queste li sfuggirono via, in sottofondo una risatina che sembrò quasi melodia alle sue orecchie.
“Nicky Nicky?” Era un tono cantileno quello che lo stava chiamando, allegria che già rendeva meno traumatico quel risveglio. Prima che le sue mani potessero ricominciare a cercare pelle ed ossa, qualcosa si appoggiò sulla sua spalla ed incominciò ad accarezzare la pelle. Non era un dito né il polpastrello, di quello Nick se ne rese conto anche se ancora mezzo addormentato.
“Nicky?”
Nick aprì un occhio e si ritrovò davanti, seppur leggermente sfocato, una strana forma di color rosso, con dei puntini gialli ed un ciuffo verde. Solo quando aprì anche l’altro occhio si accorse che quelle carezze, lungo tutta la sua spalla, erano donate da una fragola.
“Fragola? - Domandò con tono accigliato. – Come hai trovato una fragola nel mio frigorifero?”
Ancora quella risata anche se risultò essere ancor più bella visto che poteva esserne testimone visivo, trovandosi Brian a pochi centimetri da lui. “E non hai ancora visto che colazione ti ho preparato.”
“Con che cosa? Facevo sempre colazione fuori.”
“Infatti. – Rispose Brian. – E credo che tu non sappia che hai un simpatico signore che vende frutta e verdura fresca ogni mattina a nemmeno cinque minuti da casa tua.”
“No, decisamente no. E tu come hai fatto a scoprirlo?”
“Uscendo di casa?”
“Perché?”
“Perché non avevi niente da mangiare?”
“Saremmo usciti.”
“Volevo farti una sorpresa.”
“Anch’io.”
“Portandomi fuori?”
“C’è un localino molto carino e fanno il caffè migliore che abbia mai assaggiato.”
“Non sei ancora abbastanza dipendente dal caffè per poterne essere giudice.”
“Appunto per questo volevo portarti.”
Brian si girò di fianco, recuperando il vassoio che aveva appoggiato sul comodino prima di sedersi accanto a Nick e svegliarlo: due tazze fumanti di nero liquido, una coppa di porcellana (e chissà dove era riuscita a trovarla, si domandò Nick) con della frutta, pane tostato su un piatto a lato e sull’altro della marmellata. Proprio al centro del vassoio, Brian aveva posato un piccolo vaso con un unico girasole, facendo in modo che fosse rivolto verso di lui, come a sottolineare che era lui, era Nick, il sole verso cui si voltava sempre Brian.
Per ovviare il groppo che già si stava formando in gola, Nick si sporse per depositare il primo di infiniti baci del buongiorno. Già solo quel pensiero bastava per rendere migliore quella giornata.
“Per quanto ti adori, Nick, credo che faresti meglio ad andare a lavarti i denti.” Commentò Brian scherzosamente.
“Sono oltremodo ferito, Bri. Dovresti amarmi con tutti i miei difetti.” Ribattè Nick, rispondendo con la stessa arma di ironia.
“Ma io lo faccio.”
“Allora dovresti baciarmi per dimostrarmelo.”
“Prima vai in bagno.”
“Non mi ami?”
“Ti amo.”
“Ed allora baciami.”
Brian si lasciò andare ad un grosso e melodrammatico sospiro prima di adempiere a quella richiesta. Fu un bacio veloce, nonostante Nick avesse cercato di tenerlo premuto contro di lui in tutti i modi in modo che non sfuggisse alle sue labbra; alla fine, però, lo lasciò andare, tenendo sempre un braccio attorno alle sue spalle e godendosi quella colazione che era semplicemente deliziosa.
E rimasero così, semplicemente godendo la compagnia e presenza dell’altro, anche quando le tazze si svuotarono e sul vassoio rimasero piatti e ciotola vuota, depositato in un angolo sul parquet al sicuro da altri tentativi da parte di Nick di obbligare Brian a baciarlo.

 

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Nonostante Brian fosse stato in quella casa solamente per un giorno, Nick aveva già imparato quale fosse il luogo che preferiva quando aveva qualcosa per la mente o semplicemente rimanere per conto suo. Quell’intuizione si rivelò esatta quando si ritrovò ad osservare il ragazzo seduto sul dondolo, così immerso nei suoi pensieri da non accorgersi nemmeno della sua presenza.
Li aveva sempre riconosciuti quei momenti, sin dalla prima volta che si era trovato a dover affrontare un Brian che non sorrideva o che non gli rispondeva immediatamente quando gli chiedeva se potevano uscire e giocare a basket. Quelle prime volte non aveva mai saputo come comportarsi né Brian gli dava mai qualche appiglio per fargli capire che cosa passava per la sua testa; Nick ci rimaneva male, quasi come se quella fosse una conferma di quanto inutile potesse essere avere un amico che era molto più giovane e meno maturo. La svolta non era giunta troppo tardivamente, anche se Nick aveva dovuto aspettare che un anno passasse e che incominciassero a muovere i primi passi al di fuori dell’America. E una di quelle notti in qualche albergo che necessitava qualche ridecorazione – e qualche pulitina, almeno a detta di Kevin – Nick aveva scoperto che, in realtà, non era lui il motivo fondamentale per cui Brian non si confidava con lui. Perché quello, invece, il maggiore lo faceva ma solamente quando le luci erano spente e lui opportunamente già addormentato.

Non è che non mi fido di te. E’ tutto il contrario, Mi fido così tanto da non voler rovinare l’opinione che hai di me facendoti partecipe di tutte le mie paranoie. So che non sembra perché parlo sempre con tutti ma anch’io ho paura. E, più di tutto, ho paura che una volta uscite dalla mia testa, le mie parole possano sembrare le più ridicole nell’universo. Ecco perché mi confido solo quando non puoi realmente ascoltarmi.

Così gli aveva spiegato Brian quella sera in cui lui aveva semplicemente fatto finta di addormentarsi e non aveva potuto fare a meno di interrompere il maggiore mentre stava prendendo diretto accesso all’autostrada della paranoia.
E le loro confessioni, dopo quella sera, non erano cambiate. Avevano tenuto la protezione offerta dall’oscurità, che per loro era anche diventato il segno di quando qualcosa non andava o quando si aveva bisogno di tirare semplicemente fuori tutto. Ma Brian non aveva più aspettato che lui si addormentasse prima di parlare e quello era stato il primo e vero motivo per cui Nick si era innamorato del maggiore: perché, a differenza degli altri, non lo trattava come un bambino. A volte, Nick aveva l’impressione che lo tenesse su un piedistallo dal quale sarebbe stato doloroso cadere e, a volte, si sentiva solamente sommerso dalla fiducia che Brian riponeva in lui.
Quella sera era esattamente come tutte le altre. Non cambiava una virgola il fatto che avessero fatto il passaggio da amici ad amanti, forse proprio perché prima di amarsi in quel modo che Nick stesso faticava a comprendere, erano amici.
Brian aveva scelto la terrazza perché non vi erano luci, il buio era un silenzioso compagno mentre si lasciava cullare dalle onde dell’oceano e dal canto di qualche cicala nascosta fra i ciuffi d’erba. Ma solo quando Nick gli si sedette accanto si rese conto che l’oscurità era servita per nascondere anche quelle lacrime che da vicino era difficile da non notare. L’istinto lo guidò, facendogli appoggiare la mano sulla guancia e cancellando parte di quelle gocce con il pollice; un timido sorriso curvò le labbra di Brian mentre, chiudendo gli occhi, si appoggiava contro il palmo della sua mano. Altre lacrime scesero, anche se il sorriso non svanì e Nick poté solamente abbracciarlo mentre aspettava che il ragazzo parlasse.
“Mi prometti una cosa, Nick?”
Fu solo un sussurro, all’inizio, a spezzare quel silenzio così confortante.
Nick non gli rispose chiedendogli che cosa fosse quella promessa o perché glielo stava chiedendo. “Qualsiasi cosa, lo sai.” Fu ciò che disse e non era nient’altro che la verità: se avesse potuto, gli avrebbe promesso tutto ciò che gli fosse stato possibile e, romanticamente, anche quello che non lo era.
“Promettimi che saremo sempre onesti l’uno con l’altro. Non importa l’argomento, non importa ciò che potrebbe accadere ma... non lasciare che dei segreti, seppur piccoli, ci rodino fino a farci crollare.”
“Onesti. Nessun segreto.” Ripeté Nick, affermando quella promessa già fatta qualche secondo prima.
“Promettimi che mi terrai sempre testa, anche quando mi intestardisco su qualcosa che è sbagliato. Anche per la più piccola, come un banale mal di testa.”
La risata di Nick vibrò contrò la tempia di Brian, perché era lì, sul petto, che aveva appoggiato il volto.
“Non mi farai scappare. Ho già commesso una volta quell’errore e so per certo che non voglio commetterlo una seconda volta. Potrai urlarmi, insultarmi, anche picchiarmi. Ma non mi allontanerò nemmeno per un secondo.”
Le dita di Brian cercarono quelle di Nick, intrecciando ciascun dito con il suo corrispettivo: non sapeva spiegarsi perché ma adorava quell’intreccio, lo vedeva come un gesto ben molto più intimo di un semplice abbraccio. Più di tutto, vedere come naturalmente le loro dita si cercavano e si stringevano l’una all’altra lo rassicurava, lo rendeva ancor più sicuro di quel rapporto che aveva sempre desiderato. Quelle dita erano un appiglio, erano una promessa di non abbandonarlo mai nei momenti più difficili e di dare sempre calore e supporto in qualsiasi momento. Quell’intreccio era, soprattutto, la conferma che tutto era reale e che non era più completamente solo in quel viaggio.
Ecco perché, traendo forza da quel contatto, Brian poté ammettere ciò che l’aveva portato in quell’angolo.
“Ho paura. Non voglio tornare, domani. E se dovesse succedere qualcosa? E se mi dovesse accadere qualcosa sul palco? Non sono pronto, non mi sento ancora... me. Per ventitre anni ho vissuto con quel cuore, era malato, okay, ma era rassicurante. Sapevo che cosa aspettarmi, sapevo che non mi dovevo preoccupare delle fitte o dei battiti irregolari. Ma ora? Ora è tutto diverso, ora batte così forte che a volte ho paura che non sia normale, che si siano dimenticati qualche altro soffio come l’ultima volta. E non dovrei, giusto? Non dovrei sentirmi sicuro di ritornare alla mia vita? E non lo è, non è la mia vita perché ci saranno paramedici e bombole d’ossigeno ed un medico sempre presente... non è la mia vita. E ho paura. Più di tutto, ho paura di deludere: te, i ragazzi. Le fans.”
Nick non rispose immediatamente. Alzò le loro mani, voltandole in modo da avere quella di Brian rivolta verso di lui, e appoggiò le sue labbra su ciascuna nocca, lasciando il più dolce dei baci. In quel momento, Nick sapeva che non esistevano rassicurazioni in grado di cancellare quelle paure né poteva promettere che tutto sarebbe andato alla perfezione. E sapeva che non era nemmeno ciò che Brian voleva sentirsi dire: non voleva parole vuote, voleva solamente essere compreso senza nessun giudizio in sottofondo. E, forse, non si immaginava che tutte quelle parole che erano appena uscite dalle sue labbra si adattavano alla perfezione con quelle paure che stavano così comode dentro la sua anima.
“Ho paura anch’io. Ho paura di non essere all’altezza e di non sapere come e quando aiutarti. Non voglio nemmeno che tu salga quel palco e vorrei poter trattenerti qui, in questo angolo dove non hai bisogno di medici o di bombole di ossigeno. Ho paura di vederti crollare e non poterti nemmeno tenere fra le braccia. Ho paura di deluderti.”   
Brian si mise seduto, in modo da poter essere alla stessa altezza di Nick. Solo in quell’attimo si accorse che non era l’unico con le guance rigate dalle lacrime. “Insieme, Nicky.”
“Insieme.” Rispose Nick, appoggiando la fronte contro quella di Brian.
“Ogni ostacolo.”
“Ogni tempesta.”
“Insieme.”

 

 

 

 

I can't believe I finally found you baby 
Happy ever after, after all this time 
There's gonna be some ups and downs 
But with you to wrap my arms around 
I'm fine 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Oddio, ce l'ho fatta. Ho aggiornato anche "This Is Us"! 
L'avevo già spiegato nel prologo ma lo ripeto comunque: questa nuova versione si dividerà tra passato e presente, in modo da mostrare anche come sono arrivati a questo punto. 
La prima citazione è tratta da "Bloodstained Heart" di Darren Hayes mentre le ultime due da "When You Got A Good Thing" dei Lady Antebellum. 
Cinzia

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