Le insicurezze di un'anatroccola

di REAwhereverIgo
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Casa Stevens ***
Capitolo 2: *** Un nuovo anno ***
Capitolo 3: *** Non sei simpatico ***
Capitolo 4: *** Il quaderno rosso ***
Capitolo 5: *** Ricattatore!! ***
Capitolo 6: *** Segreti malcelati ***
Capitolo 7: *** Fuga ***
Capitolo 8: *** Un sabato sera interessante ***
Capitolo 9: *** La storia si sposta: Emma e Laura ***
Capitolo 10: *** I disastri delle sorelle Stevens 1: il primo appuntamento di Laura ***
Capitolo 11: *** I disastri delle sorelle Stevens 2: ripetizioni di matematica ***
Capitolo 12: *** I disastri delle sorelle Stevens 3: il recupero del quaderno rosso ***
Capitolo 13: *** Che eri un’idiota lo sapevo, ma… ***
Capitolo 14: *** La maledizione finisce qui! ***
Capitolo 15: *** Un professore duro da combattere ***
Capitolo 16: *** Una mattinata stancante ***
Capitolo 17: *** Finalmente una soluzione per Emma ***
Capitolo 18: *** Ricordi perduti ***
Capitolo 19: *** Vicino a Natale ***
Capitolo 20: *** Vigilia di Natale con sorpresa ***
Capitolo 21: *** La lettera di Rea ***
Capitolo 22: *** Emma e Laura agenti segreti ***
Capitolo 23: *** Rapimento ***
Capitolo 24: *** Botti di capodanno ***
Capitolo 25: *** I problemi ti attaccano alle spalle ***
Capitolo 26: *** Brutte notizie il primo dell’anno ***
Capitolo 27: *** Attesa ***
Capitolo 28: *** Disastro ***
Capitolo 29: *** Fa male… ***
Capitolo 30: *** Cercare Rea ***
Capitolo 31: *** Il sogno ***
Capitolo 32: *** Racconti ***
Capitolo 33: *** Forse un giorno… ***
Capitolo 34: *** E adesso? ***
Capitolo 35: *** Paura ***
Capitolo 36: *** Le insicurezze dell’anatroccolo ***



Capitolo 1
*** Casa Stevens ***


                                              Casa Stevens

Rea era una normalissima liceale che doveva iniziare l’ultimo anno di superiori.

Non era tra le migliori della classe, questo è certo, però riusciva a cavarsela grazie alla sua memoria, e, in qualche modo, non aveva mai avuto problemi ad arrivare a fine anno senza dover frequentare i corsi estivi. Il suo motto scolastico era “se riesco a prendere la sufficienza andando a vela, chi me lo fa fare di studiare?”. Così la si vedeva china sui libri quando proprio non era riuscita a stare attenta in classe o non si ricordava nemmeno la materia di cui avrebbe dovuto sapere il programma.

Non era molto alta, ed era anche piuttosto in carne. Odiava completamente il suo corpo.

Le piacevano solo i capelli, morbidi e di colore ramato, per il resto avrebbe volentieri fatto a cambio con chiunque. Era piena di lentiggini ed era goffa e imbranata per colpa della sua insicurezza.

Ogni volta che faceva qualcosa finiva sempre per rendersi ridicola cadendo o dicendo cose senza senso, ed era per questo che si vergognava di sé stessa.

Pensava di non essere brava in niente, di non essere simpatica e di non essere bella, e questo le procurava un grande dolore.

Aveva solo due grandi passioni, la scrittura e il canto, ma in entrambe si sentiva sempre molto insicura. Teneva nascoste le sue doti per paura di essere giudicata male o presa in giro, e si premurava sempre di controllare di essere da sola quando provava una qualsiasi canzone.

Avrebbe tanto voluto uscire allo scoperto e farsi sentire da tutti, fare di quest’amore per la musica il suo mestiere e vivere solo di quello, potersi scrivere i testi e poi cantarli su un palco senza tremare come una foglia anche solo al pensiero.

Rea! Mi vieni ad aiutare un attimo?” la chiamò sua sorella.

Spegnendo di mala voglia l’mp3, la ragazza si alzò dal letto e uscì dalla sua camera.

Che succede?” domandò sbadigliando.

Sono sexy con questo vestito?” rispose l’altra. Lei alzò gli occhi al cielo e scosse il capo.

Sai che sei un caso perso?” le fece presente. Con un sorriso smagliante, sua sorella la fissò.

Perché?” chiese ingenuamente.

Lascia perdere” disse.

Ecco, avere un fisico e un’autostima come quella di sua sorella le avrebbe fatto comodo. Era alta e slanciata, con lunghi capelli neri e lisci. Continuava a ripetere ad ogni ora del giorno quanto fosse sexy e bellissima, facendo ridere tutti i suoi familiari.

Vuoi un po’ di rossetto per uscire?” le propose, avvicinandosi minacciosa. Rea spalancò gli occhi e arretrò spaventata.

Ma nemmeno per idea!” rispose. Odiava i trucchi. Per una nervosa come lei, poi, che si strofinava gli occhi ogni poco, erano una tortura.

Dai, solo un pochino!” la implorò. Senza rendersene conto, indietreggiando si era chiusa al muro, e non poteva più scappare.

Ti prego no!

Te ne metto poco, promesso” sorrise l’altra. Rea strinse gli occhi e aspettò di sentire il rossetto premerle sulle labbra, ma la porta fu spalancata e una biondina piccolina entrò.

Che diavolo state facendo?” domandò incuriosita.

Mi vuole truccare!” piagnucolò la rossa, in direzione dell’altra sorella. Questa si sedette sul letto.

Se non vuole, non insistere Emma” la sgridò bonariamente. Lei abbassò il make up e la guardò tristemente.

Perché?chiese depressa.

Perché non la puoi costringere” rispose lei. Rea approfittò del momento per sgusciare sotto al braccio della mora e nascondersi dietro all’altra.

Laura, proteggimi” implorò.

Comunque un po’ di trucco non ti farebbe male” considerò.

Ma come? Mi tradisci anche tu? Sei crudele!” disse la rossa. Emma rise.

Te l’avevo detto” gongolò.

E poi io non vengo con voi stasera!” fece presente. Le sue sorelle spalancarono gli occhi.

Che cosa? Perché?” chiesero insieme.

Perché non ho voglia” rispose lei con un’alzata di spalle.

Ma non puoi non uscire! È sabato, dobbiamo divertirci!” s’infuriò Emma.

Lo so, e hai ragione, ma non sto molto bene e se uscissi sarei solo di peso” spiegò.

Certo che sei una palla” si lamentò Laura. Rea sorrise e la guardò.

Voi andate e divertitevi, ci vediamo quando tornate. Vi aspetto alzata e mi faccio raccontare tutto nei minimi dettagli per penitenza, va bene?” propose. Le due si fissarono e poi annuirono, un po’ deluse.

Allora a dopo” le salutò la ragazza, uscendo dalla stanza di sua sorella e chiudendosi nella sua.

 

Quando fu rimasta sola, Rea uscì da camera e sbirciò in giro. Fece il giro di tutte le stanze per essere sicura che non ci fosse nessuno, poi tirò un sospiro di sollievo.

Amava quella famiglia allargata, non avrebbe potuto considerarsi più fortunata di così.

Lei non era figlia genetica dei coniugi Stevens: sua madre era la sorella della madre di Emma e Laura, ma fin da piccole erano sempre state insieme.

Quando aveva più o meno quattro anni, per colpa di un incidente d’auto i suoi genitori erano morti, e lei era rimasta sola. Durante il funerale sua zia le era andata vicina e, con gli occhi pieni di lacrime, le aveva spiegato gentilmente che sua mamma aveva nominato suoi tutori lei e il marito. Alla sua fanciullesca domanda “Che significa tuttori?”, la donna aveva riso e aveva risposto dicendo che si sarebbero occupati di lei prendendola a vivere con sé.

Aveva continuato a chiamarli “zii” per un po’, rimanendo sempre in disparte anche quando Emma e Laura la spronavano a giocare con loro nonostante avessero passato insieme tutta la vita, poi si era abituata a quel clima un po’ strano ed aveva iniziato a dire “mamma” e “papà”. Dopo tredici anni, ormai, li considerava a tutti gli effetti suoi genitori, anche perché non si ricordava quasi più quelli veri. Ne aveva sentito la mancanza come tutti i bambini, ma era così piccola quando erano morti che il dolore era passato senza lasciare traccia. Ogni tanto quasi si sentiva in colpa nei confronti della loro memoria, poi, però, si ricordava di quanto sua madre amasse la sorella e sorrideva pensando che, da qualche parte, lei la stesse osservando e fosse felice per lei.

Per quanto riguardava Emma e Laura, invece, erano un caso molto particolare.

Avevano la stessa età, ma non erano gemelle. Sua zia aveva avuto Laura a gennaio, felice di avere una bambina in casa e convinta di volerne solo una. Nel giro di un paio di settimane, però, aveva avuto una sorpresa un po’ improvvisa: era rimasta nuovamente incinta.

Non sapeva che potesse succedere, per questo non si era protetta, e lì per lì lei e il marito erano stati un po’ titubanti: tenere o no il nuovo nascituro?

Solo quando aveva rischiato un aborto spontaneo per colpa di una caduta dalle scale aveva deciso di volere con tutta sé stessa il bambino, così si era fatta in quattro per stare dietro alla neonata e alla gravidanza.

Con un mese di anticipo sulle previsioni, Emma si era presentata in un soleggiato giorno di inizio ottobre.

Tutte e tre, quindi, avevano ormai diciotto anni (tranne la mora, che doveva compierli nel giro di due settimane), e stavano per iniziare l’ultimo anno di liceo. Che cosa avrebbero fatto una volta finito, era ignoto.

Persa in quei pensieri, Rea non si era accorta di star sorridendo. Provava un profondo affetto per le sue sorelle, così come lo provava per i suoi genitori, e si sentiva un po’ in colpa a tenere loro nascosti i suoi manoscritti e le sue canzoni, ma non riusciva proprio a cantare davanti ad altri.

Per evitare di pensarci, si mise a preparare una crostata per le ragazze. Conoscendole, quando fossero tornate, avrebbero sicuramente avuto fame.

 

Non mi diverto, Emma” si stava lamentando Laura, seduta su una panchina.

Nemmeno io” ammise l’altra.

Sapere che Rea non è uscita mi fa sentire in colpa, e per questo non mi godo l’uscita. Forse dovremmo rientrare” spiegò la bionda. Sua sorella sospirò.

Hai ragione, però non è giusto” si lamentò.

Lei non vuole uscire e noi non ci godiamo la serata. Che palla!” continuò. L’altra le dette un piccolo colpo su una spalla.

Smettila, lo sai com’è fatta: è un tipo introverso e non ama particolarmente uscire fino a tardi il sabato sera. Lei non è te” la sgridò.

Lo so, però…” provò a controbattere.

Niente però, torniamo a casa” decise Laura.

Controvoglia, entrambe si alzarono e cominciarono a camminare. Dopo pochi minuti, la bionda si ricordò di una cosa.

Ehi, hai notato che Rea tiene una pila di quaderni nascosti in camera?” chiese a Emma.

Davvero?” si stupì lei.

Hai uno spirito di osservazione moooolto spiccato” la prese in giro.

Come potrei sapere una cosa simile? Sta chiusa in quella stanza per metà della giornata e non dice mai cosa fa!” ribatté.

E’ vero, ma io sono entrata lì dentro l’altro giorno, quando mi ha chiamata perché voleva che l’aiutassi a chiudere il vestito che la mamma le ha comprato per il matrimonio di nostra cugina e che si stava provando. Mentre si guardava allo specchio ho notato che sopra la scrivania c’erano quattro quaderni aperti con una penna in mezzo. Le parole erano scritte molto fitte. Conoscendola, non sono di sicuro i compiti per le vacanze” dedusse.

Anche perché quelli glie li ho fatti copiare io la settimana passata” ricordò Emma.

Esatto. Secondo te cosa nasconde?” s’incuriosì Laura.

Secondo me niente. Saranno stati appunti scolastici” minimizzò la mora, con un’alzata di spalle.

Mmmh” rifletté l’altra, poco convinta.

Quando giunsero in prossimità della loro abitazione, entrambe si immobilizzarono.

Cos’è questa musica?” domandò la bionda.

Non saprei, sembra che venga da casa nostra” rispose sua sorella. Videro dalla finestra Rea che tirava fuori dal forno una crostata alla nutella e la poggiava sul tavolo.

Sta cantando?” si stupirono.

Io non sapevo nemmeno che avesse il senso del ritmo!” aggiunse Emma.

Rimasero ferme a sentirla cantare per un bel pezzo, rapite dalla sua voce, poi entrarono in casa.

Presa alla sprovvista e impaurita dall’irruenza delle due, Rea rimase con la bocca spalancata e gli occhi sgranati. Il cuore prese a batterle all’impazzata.

C-che ci fate voi qui?” domandò titubante.

Stavamo tornando a casa e…

… ti abbiamo sentita cantare!” dissero terminando l’una la frase dell’altra.

La rossa rimase un secondo immobile, completamente pietrificata, poi corse a nascondersi in camera sua, seguita dalle sorelle.

Si chiuse dentro a doppia mandata, con la tachicardia, e le sentì battere i pugni alla porta.

Aprici!” le urlarono.

NO! Andate via!” rispose lei, imbarazzata. Nessuno avrebbe dovuto sentirla, nessuno!

Rea, ti prego!

Perché ci hai tenuto nascosta una cosa come questa?

Quanto tempo è che canti?

Vieni fuori!” iniziarono a torturarla con domande e frasi, finendo per farla arrabbiare.

Sparite di qui! Non dovevate ascoltarmi, andatevene!” gridò, iniziando a piangere.

Noi non ci muoviamo!” decisero le due ragazze, rimanendo ferme e continuando a bussare. Rea si sentì come un animale in gabbia.

 

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Capitolo 2
*** Un nuovo anno ***


                                            Un nuovo anno

Ringraziando tutti i santi esistenti di avere la camera al piano terra e, quindi, di poter uscire dalla finestra senza sfracellarsi al suolo, Rea aprì le persiane e si calò nel giardino, andando a nascondersi dietro ad un cespuglio. Se fosse rimasta un altro minuto nella sua stanza, sarebbe esplosa: Emma e Laura continuavano ancora a cercare di farle aprire la porta e non erano intenzionate a desistere.

Sedendosi con le gambe strette al petto, la ragazza cercò di fermare il panico che l’aveva assalita e di pensare razionalmente: adesso che si faceva?

Avrebbe potuto dire che stava solo canticchiando una canzoncina, ma era una bugia: quando era sola, tirava fuori tutta la voce che aveva nei polmoni e non si fermava fin quando non si sentiva stanca. Inoltre, sapeva che le sue sorelle non l’avrebbero bevuta.

Forse, allora, poteva inventarsi che aveva lo stereo acceso. “Peccato che noi non abbiamo lo stereo” si ricordò. L’unica soluzione possibile le pareva che fosse espatriare, a questo punto.

Si mise a passeggiare sul marciapiede che c’era subito fuori dal suo giardino, quando una moto arrivò a tutta velocità e la superò. Le passò così vicino da spaventarla, facendole lanciare un grido.

Ma sei pazzo?!” gridò in direzione del motociclista. Non pensava che l’avrebbe sentita; non pensava che si sarebbe fermato; ma soprattutto, non pensava che sarebbe tornato indietro.

Bloccandosi per la paura, Rea si accorse della scemenza fatta. Questa serata va di male in peggiopensò.

Il centauro si stava avvicinando pericolosamente e la ragazza si mise a fare i calcoli per capire quanto ci avrebbe messo a rientrare in casa prima che lui arrivasse, ma le sue gambe erano immobili e lei non riusciva quasi nemmeno a respirare. Ora mi picchia, o mi rapisce. O, peggio, mi ammazzasi disse in preda alla paura. Si sentivano storie del genere ogni giorno al telegiornale: ragazze violentate e poi uccise per una minima stupidaggine.

Stava per mettersi a urlare quando il motociclista si tolse il casco, e lei spalancò la bocca dallo stupore: sotto quell’affare c’erano un viso splendido e due occhi neri come il petrolio che la fissavano.

Chiedo scusa per averti fatta spaventare” le disse, portandosi una mano dietro la testa.

Ehm…” Rea non sapeva nemmeno che dire. Aveva il cuore che batteva forte.

Tutto ok?” le domandò, vedendola immobile. La ragazza si riscattò e si allontanò.

Se tu fossi passato solo un centimetro più vicino al marciapiede, mi avresti tagliato un polso!” lo sgridò arrabbiata.

Mi dispiace, sul serio, non credevo di essere così stretto con gli spazi. Puoi perdonarmi?” le chiese, sfoderando un sorriso a sessantaquattro denti. I suoi modi di fare la fecero, se possibile, irritare ancora di più: ma da dove usciva fuori questo tipo?

Gli sciocchi come te non si perdonano, anzi dovrebbero sparire dalla faccia della terra!” rispose. Non sapeva nemmeno lei da dove le uscisse tutta quella sicurezza.

Il ragazzo rise di cuore e appoggiò il casco alla moto.

Hai la lingua che taglia, lentiggine. Sarà il caso che io stia attento” la prese in giro.

Come mi hai chiamata?” si arrabbiò Rea, diventando rossa da capo a piedi.

Non mordere, lentiggine, non voglio che ti venga un infarto per colpa mia” le assicurò. La ragazza si avvicinò di un passo e lo fissò.

Potrei benissimo chiamare i carabinieri e farti arrestare per tentato omicidio, lo sai?” lo avvisò.

Ma davvero? Io non ti conosco, non so chi tu sia né dove vivi. Stavo solo passando con la mia moto per strada. Se tu chiamassi i carabinieri, non solo io farei in tempo a fuggire, ma tu passeresti per la visionaria che pensa che tutti ce l’abbiano con lei” rispose lui, avvicinandosi a sua volta. Rea lo studiò e poi scosse la testa.

Mi stai già antipatico, motociclista dei miei stivali” decise. Fece per allontanarsi, ma lui la richiamò.

Ehi, lentiggine, stai attenta a dove cammini” si raccomandò ridendo.

Va’ al diavolo!” rispose lei. Che tipo.

 

Rientrò in casa senza nemmeno pensare al perché ne fosse uscita, e subito fu assalita dalle sorelle. Maledicendo mentalmente quell’idiota per averla distratta, fu costretta a mettersi a sedere davanti alla torta che lei stessa aveva preparato e a subire le domande delle due.

Allora? Da dove viene quella voce?” iniziò Emma.

Soprattutto, perché nasconderla?” continuò Laura.

Fatevi gli affari vostri” rispose lei, arrossendo e abbassando lo sguardo.

Ma questa è una dote che devi tirare fuori!” s’infiammò la mora, battendo una mano sul tavolo. Rea sobbalzò e la fissò.

Ma quale dote e dote? Stavo cantando una canzone e basta” minimizzò.

E basta? Stavi cantando in maniera divina!” le fece presente. Ecco, lo sapeva: non era stupida, si rendeva conto delle sue doti, però non voleva che altri sapessero (soprattutto le sue sorelle) perché le conosceva e sapeva che avrebbero fatto di tutto per tirare fuori la sua voce davanti ad un pubblico. Il solo pensiero le faceva venire la nausea.

Non è niente, sul serio! Cantate anche voi quando ascoltate qualcosa che vi ispira, perché io vengo messa sotto accusa e voi no?” provò ad argomentare una debole difesa.

Io sono stonata” rispose Laura.

E io non ho una bella voce” concluse Emma. Non poteva dar loro torto, avevano ragione entrambe, però doveva trovare un appiglio per uscire da quella situazione.

E io non sono brava. Discorso chiuso. Vi va una fetta di crostata?” disse velocemente, con un sorriso finto stampato in volto.

Discorso chiuso un cavolo!” si arrabbiarono le ragazze. Rea sapeva che stava per cedere, lo sentiva dentro.

Da quand’è che sai di essere così brava?” le domandò Laura. Provò a resistere, tentò con tutta sé stessa ma, alla fine, si arrese.

Evitò di fissarle mentre parlava, soprattutto perché non sopportava quegli sguardi curiosi e affamati di notizie.

Avevo tre anni, credo, quando ho iniziato a imparare le canzoni e a cantarle. Non ricordo un periodo in cui io sia stata senza musica, anzi penso che sia stata più presente di tante altre cose nella mia vita. Canto ogni tanto, quando voi non ci siete, così, solo per sfogarmi” spiegò con un’alzata di spalle.

E perché non ce l’hai mai detto?” chiesero all’unisono.

La ragazza strinse le labbra in una smorfia contrariata.

Io non so cantare davanti a qualcuno. Mi viene l’ansia e mi sento come se avessi la bocca impastata e le labbra secche. La voce si soffoca in gola e ho la nausea

Che schifo” commentò Emma. Rea rise.

Adesso lo sapete, quindi finiamo qui il discorso. Non mi va di parlarne” disse poco dopo.

Ma…” provò a ribattere la mora, ma Laura la fermò.

Va bene, basta così” accettò.

Mentre la ragazza si voltava per prendere un coltello per tagliare la torta, la bionda fece l’occhiolino alla sorella e sorrise, colpevole.

 

 

Sono già stanca il primo giorno di scuola” disse Rea, accasciandosi sul banco.

A chi lo dici. Mi sono dovuta svegliare alle sette per essere pronta in tempo” rispose Emma. Lei la guardò male.

Quello solo perché sei lenta a prepararti. Io mi sono alzata con mezz’ora di ritardo rispetto a te ed ero pronta dieci minuti prima” la provocò.

L’importante è che ce l’abbia fatta” ribatté la mora.

Come fate a prendervi in giro già di prima mattina? Io non mi ricordo nemmeno come mi chiamo!” domandò Laura, con la testa appoggiata alle mani e gli occhi semi-chiusi.

Siamo più sveglie di te” rispose Rea, ridendo.

In quel momento arrivò il professore di fisica e matematica, che sbatté il registro sulla cattedra per richiamare l’attenzione dei ragazzi.

Buongiorno e buon inizio anno a tutti” li salutò, sorridendo. Dal suo aspetto tutto si sarebbe potuto dire tranne che sembrasse un insegnante di matematica: era alto e muscoloso, con i capelli castani e gli occhi verde-celeste. Qua e là aveva qualche ruga, ma non gli si poteva negare il fascino evidente che emanava. Si era guadagnato la stima dei ragazzi quando si era presentato solo come “Professor Jason”, senza cognomi o formalità. Praticamente gli davano del tu e ci parlavano come se fosse uno studente anche lui.

Emma ne era innamorata da due anni, ma il fatto che lui fosse un professore la fermava ogni volta dal dire qualcosa di più intraprendente che gli potesse far capire il suo interesse. Non vedeva l’ora che arrivasse la fine della scuola per poterci parlare per bene e vedere se riusciva a combinare qualcosa.

Adesso facciamo l’appello” annunciò, prendendo in mano il foglio con i nomi degli alunni. Rea aveva notato subito che c’era un banco vuoto proprio dietro di lei, ma non avrebbe saputo dire di chi era: tutti i ragazzi che aveva in classe da quattro anni erano lì, si era ripetuta tutto l’elenco in testa due volte per esserne sicura. Che ci fosse qualcuno di nuovo?

Stevens?” chiamò il professore. Tutte e tre alzarono la mano e si fecero vedere.

Com’è sexy!” sussurrò Emma, seduta accanto a lei. Laura alzò lo sguardo al cielo e le fece segno di smetterla. Erano tutte e tre nella stessa fila, messe l’una vicina all’altra, e non facevano altro che parlottare quando i professori spiegavano. Rea si era accaparrata il posto accanto alla finestra, così da poter osservare la strada e farsi venire qualche idea per una storia. Era bloccata da quasi un mese, e questo la faceva sentire costretta.

Ah, scusatemi, abituato all’elenco dell’anno scorso non avevo visto un nome nuovo: c’è Fabio Daniels?” chiese Jason, scrutando la classe. I ragazzi si guardarono attorno, e Rea fissò automaticamente il banco vuoto dietro di sé.

Dev’essere uno molto responsabile, se manca già il primo giorno” commentò Rea.

Sono qui!” disse una voce che proveniva dalla porta.

Sentire la voce, girarsi di scatto e riconoscerlo fu tutt’uno, così come incrociare il suo sguardo e sentire la tachicardia assalirla.

Bene, allora direi che ci siamo tutti. Prendete i quaderni, quest’anno cominciamo subito con le spiegazioni dei nuovi concetti” annunciò Jason.

Mentre il nuovo arrivato si sedeva, Rea abbassò la testa e pregò chiunque fosse lassù che lui non l’avesse riconosciuta. Quel gesto fece solamente in modo che lui la fissasse curioso e sorridesse.

Ma guarda chi c’è qui! Buongiorno, lentiggine” la salutò. Lei strinse i denti e lo ignorò.

Cercare di mimetizzarti con il banco non farà in modo che io non ti veda, lo sai?” le fece presente, togliendosi il giacchetto di pelle.

Non voglio che tu non mi veda, ti sto solo ignorando” rispose.

E perché mai? Abbiamo avuto un bellissimo momento l’altra sera” la prese in giro lui.

Lascia stare” rispose la ragazza. Fabio rise forte, attirando subito l’attenzione della classe e facendo fermare la spiegazione del professore.

Qualche problema, Daniels?” chiese, incuriosito.

No, no, mi scusi” rispose, trattenendo la risata. Jason tornò alla sua equazione e lo ignorò, mentre Rea si mise a far finta di prendere appunti.

Emma e Laura, non capendo cosa stesse succedendo, si scambiarono uno sguardo confuso.

 

 

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Capitolo 3
*** Non sei simpatico ***


Non sei simpatico

Quando suonò la prima ora, Rea cercò di pensare a un qualsiasi modo per far sì che il motociclista non la torturasse, ma non ce ne fu bisogno: il gruppetto di galline che ogni classe che si rispetti possiede fu intorno al ragazzo in tre secondi netti.

“Piacere, io sono Ginevra” si presentò la prima.

“Io sono Matilde” continuò la seconda.

“E io Maria” concluse la terza.

Rea alzò gli occhi al cielo e si tranquillizzò: un ragazzo che piaceva a loro non sarebbe mai potuto piacere a lei. E soprattutto, un ragazzo che si faceva incantare da loro non poteva sicuramente innamorarsi di lei. Appreso questo, si godette la scena con Laura e Emma al suo fianco che la fissavano male.

Ehm, ehm” si schiarirono entrambe la voce e lei si girò. Nel vedere il loro sguardo, Rea rimase sorpresa.

Che c’è?” domandò, fissando le sopracciglia alzate delle sorelle.

Lo dovremmo chiedere noi a te” le rispose Laura.

E perché mai?” si stupì.

La bionda, semplicemente, indicò il motociclista.

Ah, per quello! Niente, mi ha quasi ammazzata l’altra sera, quando voi mi stavate torturando per sapere della musica. Ero scappata dalla finestra e lui mi ha superata in moto, quasi staccandomi un braccio. Tutto qui” spiegò.

Tornò a fissare quelle tre che si mangiavano Fabio con gli occhi.

Le dava leggermente noia che esistesse qualcuno come loro, a cui piacevano solamente i bellissimi e fichissimi. Se le immaginava già che discutevano su chi avrebbe dovuto farselo per prima, e le venne la nausea.

Fortunatamente i suoi pensieri furono interrotti dalla professoressa di inglese, e lei si concentrò sulla spiegazione.

 

 

Sentite, io ho già bisogno di vacanze. Stasera si esce senza storie, capito?” decise Emma.

Decisamente” annuì Rea.

Sicuramente” confermò Laura.

Si misero a parlottare sul programma di sabato quando si avvicinò a loro Johan.

Mi posso aggregare?” domandò.

La bionda si zittì e arrossì violentemente, mentre le altre due cercarono di trattenersi dal ridere.

Johan era loro amico da sempre, più o meno. Rea lo ricordava da quando si era trasferita in casa Stevens e ci aveva legato subito. Tra le tre sorelle era la più maschiaccio e non aveva fatto fatica ad appassionarsi a videogiochi, fumetti e arrampicate sugli alberi. Certo, anche Laura era fanatica di quelle cose, però non si allontanava mai dai trucchi e dallo shopping, mentre lei non riusciva a sopportarli. Sotto questo aspetto, stava meglio con i ragazzi che con le ragazze.

Sì, certamente” rispose lei. La bionda era rimasta zitta e Emma si mise a ridere, prendendosi una gomitata nelle costole.

Che fanno?” chiese Johan indicandole con il mento.

Le stupide” rispose Rea ridendo.

Laura si era innamorata del ragazzo otto anni prima, quando lui l’aveva riportata a casa dopo che si era fatta male cadendo dalla bicicletta. Si era sbucciata un ginocchio e si era messa a piangere e lui, trovandola in quelle condizioni, se l’era caricata sulle spalle e l’aveva accompagnata. Fondamentalmente lei non si era fatta nulla, però in quel momento aveva avuto un batticuore forte e non voleva assolutamente scendere da lì. Quando era arrivata a casa, Johan l’aveva salutata e se n’era andato.

Solo dopo Rea e Emma si erano rese conto che lei stranamente si zittiva quando il ragazzo era in giro e non avevano impiegato molto a fare due più due.

Ehi, a proposito, più tardi vado in libreria a comprare un nuovo manuale per i videogame. So che tu volevi andarci per comprare qualcosa di qualcuno, andiamo insieme?” le propose, sorridendo.

Qualcosa di qualcuno è l’Amleto di Shakespeare, idiota! Comunque vengo volentieri, così mi fai vedere il manuale” accettò.

Sentì Laura irrigidirsi al suo fianco, ma, quando Johan fu andato via, si voltò con un gigantesco sorriso stampato in faccia.

Sono un genio!” esultò. Entrambe la fissarono senza capire.

Perché quelle facce confuse?” domandò senza perdere il buonumore.

Perché non abbiamo ben capito la tua genialità” rispose Emma. Rea si sedette meglio e la fissò.

Ok, allora cerca di ragionare come ho ragionato io. Laura non riesce a parlare con Johan perché si vergogna, giusto?

E l’unica delle tre che sa fare un discorso serio con un ragazzo sono io, mi segui?

Penso di sì

Ecco. Quando è con voi sicuramente non parlerebbe mai dei suoi problemi di cuore, però…

Però se voi foste soli sicuramente ti direbbe qualcosa!” esclamò Emma, afferrando il punto.

Esattamente!” confermò lei, soddisfatta.

Io non ho capito” sussurrò Laura, imbarazzata. Le altre due la guardarono ridendo, divertite dalla sua ingenuità.

Ho intenzione di chiedere al tuo principe azzurro se per caso sta pensando a qualcuna in questo momento” le spiegò Rea, continuando a ridere.

Non sono sicura di volerlo sapere” ammise la bionda, un po’ impaurita.

Vedendo la titubanza della sorella, la ragazza le fece l’occhiolino.

Fidati di me: vi metterete insieme in quattro e quattr’otto” promise.

Quel pomeriggio, dopo aver lasciato Emma e Laura a casa a prepararsi con il programma di tornare a prenderle con Johan dopo essere stati in libreria, Rea uscì di casa felice e sicura di sé. Niente poteva rovinarle il primo sabato libero dopo l’inizio della scuola e, soprattutto, niente avrebbe dovuto rovinarle il piano perfetto ideato per capire se al ragazzo piacesse sua sorella. O quasi.

 

 

Tu non stai bene” commentò Johan.

Perché?” domandò Rea, fissandolo curiosa.

Lui, semplicemente, indicò la pila enorme di libri che aveva in mano e la guardò alzando un sopracciglio.

Che c’è? Sono solo un paio di volumi” si giustificò lei, arrossendo.

Un paio di volumi? Sono almeno otto!” esclamò l’altro.

Dettagli” minimizzò la ragazza, avvicinandosi alla cassa.

Teneva gli acquisti in braccio e non vedeva benissimo dove andava, così finì per inciampare su uno scatolone. Si preparò allo schianto prima ancora di aver toccato terra e chiuse gli occhi, aspettando l’impatto. Due secondi dopo, si rese conto che qualcuno l’aveva fermata a mezz’aria e adesso la stava reggendo.

Grazie Johan che mi ha…” ma si bloccò, vedendo che l’amico le era davanti e non dietro.

Figurati, lentiggine” rispose una voce dietro di lei. Rea s’irrigidì e alzò lentamente lo sguardo.

Ciao” la salutò Fabio. La ragazza cercò di divincolarsi, ma lui le tenne ferme le braccia.

Si usa dire grazie quando qualcuno ci salva la vita” le fece presente. Lei quasi ringhiò.

Non ho intenzione di ringraziare uno come te” rispose.

E io non ti lascio” ribatté lui. Rea iniziò a muovere i piedi tentando di pestarlo, con il solo risultato di farsi imprigionare una gamba tra le sue. Lui si avvicinò al suo orecchio.

Dimmi grazie e puoi andare” ripeté. Sentì il suo respiro sul collo e le vennero i brividi.

Perché vuoi sentirtelo dire?” domandò, rimanendo lucida a fatica.

Perché è buona educazione” disse semplicemente. La ragazza strinse i denti e abbassò la testa.

Grazie, va bene?” urlò arrabbiata.

Benissimo” rispose lui. La tirò su e le liberò braccia e gamba, facendole ritrovare l’equilibrio.

Sei uno stronzo, posso dirtelo?” lo offese Rea, guardandolo in faccia. Fabio rise.

Puoi dirmelo, ma non me ne curo. Personalmente, penso che tu mi abbia giudicato fin troppo in fretta, lentiggine

E smettila di chiamarmi con questo soprannome idiota!” gridò.

Perché? A me piace! E poi è simpatico” le spiegò.

A me, invece, non piace, e poi non è simpatico. Anzi, TU non sei simpatico!” rispose.

Il ragazzo le si avvicinò ad un orecchio.

Prima o poi cambierai idea su di me” le sussurrò. La sorpassò e se ne andò, mettendosi le mani in tasca.

N… Non accadrà mai!” gli urlò dietro, sentendosi avvampare. Rimase a fissare il punto dove lui era sparito fin quando Johan non le schioccò le dita davanti agli occhi e la riportò alla realtà.

Quello non era il nostro nuovo compagno di corso?” domandò.

Sì, era lui” rispose la ragazza, recuperando i libri da terra.

Oh. Siete intimi, vedo” commentò lui. Rea lo guardò male.

Nemmeno per idea” negò.

Io li detesto i bellimbusti come quello là” gli fece presente. Poggiò i volumi sul banco e tirò fuori il portafoglio.

Quant’è?” chiese alla commessa. Lei sorrise.

Niente, signorina” le disse.

Che cosa?” domandò la ragazza, pensando di aver capito male.

Quel ragazzo che se n’è appena andato ha lasciato detto di non farla pagare e che tornerà più tardi per saldare il conto” le spiegò. Rea si sentì morire.

Sta scherzando?

No di certo. Mi ha detto di darle questo, se può servire” le passò un foglietto scritto con grafia composta e elegante. Accetta il regalo in segno di scuse per l’altra sera. Buona lettura lentiggine!

Io lo uccido” commentò, stropicciando il pezzo di carta.

 

 

Quella sera fu intrattabile per tutto il tempo. Stette zitta quasi completamente, rispondendo male se qualcuno le faceva qualche domanda. Emanava influssi negativi da tutti i pori.

Ma le è successo qualcosa?” chiese Emma a Johan.

Il suo ragazzo le ha pagato i libri e a lei non va giù” spiegò lui. Le sue sorelle la fissarono.

IL SUO RAGAZZO?!” esclamarono sorprese. Rea strinse i denti e lanciò a tutti e tre un’occhiata fulminante.

NON.E’.IL.MIO.RAGAZZO!” rispose, scandendo bene ogni parola.

Ma di chi stiamo parlando?” domandò Laura.

Del nuovo arrivato, Daniels” le disse l’amico.

Ah, il motociclista! Ho visto la sua moto parcheggiata sotto scuola quando siamo uscite. Dovevate vedere la faccia di Ginevra quando gli ha chiesto se l’accompagnava a casa e lui, con sguardo di superiorità, le ha detto che sulla sua moto ci sale solo lui. Credevo che l’avrebbe accoltellato” rise Emma.

Rea, senza farlo notare a nessuno, si sentì stranamente sollevata nel sapere ciò. Magari, per una volta, esisteva un ragazzo abbastanza intelligente da non farsi abbindolare dai modi di fare di quelle tre ochette.

Comunque, se è stato così gentile da pagarti i libri, perché non lo ringrazi, invece di comportarti da zitella inacidita quale sei?” le domandò Laura, ridendo.

Perché pensa di poter comprare la mia simpatia

Ma va’! secondo me si voleva scusare e basta

E di cosa?!

L’hai detto tu che ti ha quasi staccato un braccio l’altra sera!” le ricordò Emma.

Sì, ma non bastava dirmi scusa se ho tentato di ammazzarti?” chiese Rea, esasperata.

Sai, penso che tu sia troppo orgogliosa” commentò Johan.

Io non sono orgogliosa!” ribatté lei.

E permalosa” aggiunse Laura.

Non è vero, io…

E acida!” rincarò Emma.

Avete finito di insultarmi? Sono abbastanza arrabbiata già così!” esclamò, stanca di quell’interrogatorio. Rimasero tutti zitti per un minuto intero, che sembrò interminabile.

Senti, se proprio ti dà tutta questa noia che lui ti abbia pagato i libri, un modo c’è perché tu ti metta in pari” le disse, sospirando, la mora.

Cioè?” domandò lei, rincuorata.

Restituiscigli i soldi, semplicemente. Glie li fai trovare sul banco lunedì mattina e siamo tutti felici” spiegò. Rea s’illuminò.

Emma, sei un genio!

 

 

In camera sua, quella sera, scrisse un biglietto e lo sigillò in una busta con i soldi.

Non mi piace accettare regali dagli sconosciuti. Ecco qua quello che ti devo, non voglio avere debiti, con te soprattutto. Smettila di torturarmi!

Rea

 

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Capitolo 4
*** Il quaderno rosso ***


 

Il quaderno rosso

Il lunedì mattina, soddisfatta di sé stessa, Rea arrivò in classe con cinque minuti di anticipo rispetto al solito e mise la busta sul banco di Fabio.

Aspettò che arrivassero le sue sorelle e poi si mise a parlottare con  loro.

Come ogni lunedì, alla prim’ora avevano matematica e Emma era completamente sconnessa. Era l’unica materia che non riusciva a seguire perché fissava costantemente il sedere del professore.

Guarda che stai sbavando” le sussurrò Rea. La ragazza si riscosse e la fissò infastidita.

Non mi disturbare mentre m’immagino una possibile relazione con Jason” le soffiò.

Scusami” la prese in giro.

Piuttosto, hai parlato con Johan, alla fine?” s’informò la mora.

Anche Laura, sentendo il nome dell’amico, si interessò alla discussione.

Rea si morse la lingua, ricordandosi la promessa fatta a sua sorella, e le fissò entrambe con sguardo colpevole. Emma roteò gli occhi.

Te ne sei dimenticata, vero?” le domandò.

Forse un pochino” ammise lei. Entrambe le ragazze sospirarono sconsolate.

Mi dispiace!” sussurrò.

Ma mi sono arrabbiata per la storia dei libri e non ci ho più pensato” si scusò.

A te l’amore non fa bene” commentò Emma. Rea avvampò e la fissò con sguardo truce.

Non è amore!” negò.

Con fare di superiorità, lei alzò le spalle.

Sì che lo è, e di quelli a prima vista. Credo che si chiami colpo di fulmine” spiegò.

Io ti uccido” le promise.

Rea, Emma, Laura, per favore! Fate attenzione a questo passaggio, è importante! Se lo perdete, dopo non riuscirete a capirci più nulla” le richiamò Jason. Tutte e tre lo guardarono.

Scusa” dissero all’unisono.

Abbassarono la testa e si misero a prendere appunti per rimediare alla figuraccia fatta. O almeno, le due sorelle lo fecero.

Rea, invece, quella mattina aveva portato a scuola il suo quaderno di appunti per le storie che le venivano in mente e, mentre tutti gli altri studiavano, iniziò a segnare le ultime idee per il romanzo.

 

 

All’una, quando suonò la campanella di uscita, la ragazza si alzò così in fretta dalla sedia che tirò un calcio allo zaino, facendo finire tutto a terra: astuccio, diario, libri e quaderni si riversarono sul pavimento.

Emma e Laura si misero a ridere e, invece di aiutarla a recuperare il tutto, si diressero verso la porta.

Ti aspettiamo fuori!” le gridarono.

Potreste aiutarmi, invece” ribatté lei, contrariata.

Questa è la punizione per esserti dimenticata la promessa fatta” risposero.

Maledicendole in sei lingue diverse, Rea iniziò a posare sul banco il materiale per poi aggiustarlo per bene in cartella. Era un tipo spreciso, però ci teneva a sapere che il diario e l’astuccio erano nella tasca piccola, i libri e i quaderni in quella grande e le fotocopie nelle tasche laterali.

Quando ebbe finito di raccogliere le cose, si alzò per infilarle nello zaino, ma si trovò faccia a faccia con due occhi neri e intensi che la fecero spaventare.

Oddio!” esclamò, indietreggiando. Fabio rise nel vedere la sua espressione terrorizzata e si appoggiò con le mani al banco dietro di sé.

Mi hai fatto paura!” lo sgridò.

Se sei una fifona non è colpa mia

Lei lo ignorò e tornò ad aggiustare il materiale in cartella, cercando di non fare caso al battito del suo cuore.

Rimasero in silenzio per mezzo minuto, nel quale la classe si svuotò completamente.

“Ehi, Fabio, ti aspettiamo qui fuori, va bene?” cinguettò Ginevra. Lui la fissò con gli occhi freddi e fece un gesto col mento, come a dirle “Fa’ un po’ cosa ti pare, non mi interessa”.

Lei rimase immobile e strinse la bocca. Rea avrebbe riso volentieri, se tutta quella situazione non l’avesse fatta sentire a disagio.

Seppe di essere rimasta sola con lui quando lo sentì scendere dal banco e avvicinarsi a lei.

Credo che questa sia tua” le disse, riconsegnandole la busta con i soldi.

No, è quello che ti devo per i libri che ho comprato l’altro giorno. Tieniteli” rispose. Fabio lanciò il denaro sul suo banco e la fissò con aria di sfida.

Non ho intenzione di prenderli e, per quanto mi riguarda, rimarranno qui” decise. Rea si voltò, trovandoselo a pochi centimetri. Nonostante sentisse le gambe molli, resse il suo sguardo.

Non voglio avere debiti con te, te l’ho scritto nella lettera mi pare” ringhiò. Il ragazzo le prese il mento tra le dita e le alzò la testa.

Ti sto chiedendo scusa. Abbiamo iniziato col piede sbagliato e voglio rimediare” le spiegò. Sentiva chiaramente i battiti del cuore rimbombarle nelle orecchie, e si chiese cosa sarebbe successo se si fosse avvicinata un po’ e l’avesse baciato. Sì, brava, bell’idea! Lui è bello, tu no, sicuramente si sta solamente divertendo disse una vocina nella sua testa. A quell’ipotesi le salirono le lacrime agli occhi e si scostò con prepotenza da lui.

Smettila di prendermi in giro” sussurrò senza fiato. Fabio rimase un attimo sconcertato da quella risposta, soprattutto perché Rea aveva lo sguardo ferito.

Ma guarda che io…” provò a spiegarsi, ma lei lo superò e corse fuori dalla classe con lo zaino aperto.

Il ragazzo, stupito, non si mosse per qualche secondo, poi vide la busta con i soldi ancora sul banco e, accanto, un quaderno un po’ malridotto.

E questo?” si chiese. Aprì la prima pagina per controllare il nome, ma non c’era scritto niente nell’intestazione, così girò anche la seconda.

Le insicurezze dell’anatroccolo” lesse.

Dopo un paio di righe, il suo viso s’illuminò.

 

 

Quando fu al sicuro in camera sua, Rea si accasciò a terra e si mise a piangere. Nemmeno lei sapeva perché, ma era il suo modo per combattere il groppo alla gola che le era salito quando si era trovata così vicina a Fabio. Se ci ripensava, le veniva ancora il fiatone e le gambe minacciavano di cederle.

Calmati, calmati, calmati, calmati” si ripeteva come un mantra.

Se le sue sorelle l’avessero vista in quelle condizioni, sicuramente l’avrebbero torturata con domande e frasi maliziose, finendo per farla confessare. Ma confessare cosa, poi?

Certo, il ragazzo era bello, e questo poteva far venire la tachicardia a chiunque.

Va bene, era anche piuttosto affascinante, con la voce profonda e sensuale.

Ok, ammettiamo anche che il fatto che le desse più attenzioni di quante ne desse a quelle tre oche la faceva stare bene. Ma questo non contava niente!

Sì, certo” disse ad alta voce. Non era brava nemmeno a mentire a sé stessa.

Comunque, anche se era attraente e non le era affatto indifferente, non poteva e non doveva lasciarsi ammaliare dai suoi modi.

Lo sapeva come si comportavano quelli come lui: prendono in giro le ragazzine che, come lei, sono bruttine e insignificanti, cercando di intorpidire la loro mente con complimenti e attenzioni e poi, una volta che se le sono fatte, le scaricano come fossero sacchi di rifiuti. Se si ricordava di quanto i suoi compagni di classe l’avevano presa in giro quand’era piccola e di quanto aveva pianto… NO! Non doveva assolutamente caderci ancora.

Si alzò, decisa a scrivere un altro po’, e si avvicinò alla sua cartella.

Aprì la cerniera e si mise a cercare il quaderno rosso che usava come blocco notes, ma si accorse subito che non c’era. Fu assalita dal panico: dov’era?

Uscì di corsa dalla sua stanza, facendo irruzione in quella di Emma, che sobbalzò.

Rea! Che diavolo, vuoi farmi morire giovane?” le chiese.

Dimmi che hai preso il mio quaderno rosso, ti prego, ti supplico, dimmi che ce l’hai tu!” la implorò. La ragazza, notando il terrore della sorella, controllò nello zaino, ma poi scosse la testa.

Mi dispiace, ma non ce l’ho io” rispose.

In prenda al panico più completo, lei scappò in camera di Laura, aprendo la porta con un colpo. La bionda, occupata a disegnare con la musica nelle orecchie, non se ne accorse subito.

Rea le diede un colpo su una spalla, e lei sbaffò sul foglio, lanciandole uno sguardo truce.

Che vuoi?” domandò arrabbiata.

Per caso, tra i tuoi quaderni vari, ce n’era un mio rosso?” s’informò. La bionda si rimise le cuffie nelle orecchie e si piegò di nuovo sull’album da disegno, cercando di cancellare l’errore.

No, non c’è. Ora vai al diavolo e lasciami disegnare” le intimò.

Buttata fuori dalla stanza, la ragazza si accasciò a terra e si mise a piangere disperata. Se qualcuno avesse trovato i suoi appunti sarebbe stata completamente finita.

 

 

Arrivò a scuola il mattino seguente con le occhiaie. Aveva tolto ogni cosa dagli scaffali di camera sua, aveva guardato sotto al letto, si era perfino messa a pulire nei cassetti della scrivania, ma non aveva trovato nulla. L’ansia non le aveva permesso di dormire, e si era ridotta a qualche minuto di dormi-veglia poco prima che la sveglia suonasse.

Hai un aspetto terribile” considerò Emma, tirando fuori il correttore dalla borsa.

Che vuoi fare con quel coso?” le domandò Rea, poco fiduciosa.

Ti rendo presentabile” le rispose l’altra. Dato che non aveva le forze per opporsi, si fece mettere il trucco sotto agli occhi, nascondendo in qualche modo i segni neri.

Ecco, va già meglio” disse soddisfatta sua sorella.

Laura non le parlava perché era ancora arrabbiata per lo schizzo della sera prima. Era un angelo sotto molti aspetti, ma se si trattava di disegni cambiava completamente personalità.

Se non fosse stata così stanca, Rea si sarebbe scusata.

La professoressa di chimica entrò in classe e si mise a sedere alla cattedra, iniziando a spiegare senza nemmeno fare l’appello.

L’anatroccolo, anche quando diventa cigno, non acquista la sicurezza in sé stesso che avrebbe avuto se fosse stato bello fin da piccolo. Essendo cresciuto con la sicurezza di essere brutto e odiato da tutti, continuerà a portarsi dietro questa convinzione anche da grande, sentendosi goffo e inutile, solo in questo mondo.

I pulcini che erano cresciuti con lui l’avevano preso in giro così tante volte che l’anatroccolo aveva finito per accettare passivamente quelle cattiverie, convincendosi della veridicità di quegli insulti. Non importa quanto un anatroccolo diventi cigno, il suo carattere impaurito non cambierà con la trasformazione” le sussurrò una voce all’orecchio.

Sollievo. Nausea. Paura. Terrore. Tutte queste emozioni colpirono Rea, che si girò lentamente.

Ciao, lentiggine” la salutò Fabio.

C-come sai… come h-hai…” la sua domanda rimase a metà, incapace di terminarla.

Il ragazzo sorrise e si mise le mani dietro la testa.

Sono un mago” rispose. Le mani della rossa iniziarono a tremare, rivelando il nervosismo che si era impossessato di lei.

Ti prego… ti scongiuro, dimmi come….?

Penso, ed è solo un’idea, che questo sia tuo” le disse, alzando il quaderno rosso che aveva perso il giorno precedente.

 

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Capitolo 5
*** Ricattatore!! ***


Ricattatore!

Rimase impietrita a fissare il suo blocco, stretto nelle mani del ragazzo, e si sentì morire.

Ecco, la cosa peggiore che poteva capitarle era successa, adesso poteva anche andare a casa e suicidarsi.

Dove l’hai trovato?” sussurrò. Fabio sorrise e mise in cartella il quaderno.

E’ un mio segreto, tu non te ne preoccupare” le rispose.

Rea avrebbe volentieri cancellato dalla faccia del ragazzo quell’espressione soddisfatta lanciandogli contro l’astuccio, ma capiva, anche in quel momento di panico, che non sarebbe stata una mossa saggia.

Restituiscimelo” ordinò, cercando di mostrare una sicurezza che non aveva.

No, per il momento lo terrò io, poi si vedrà” decise lui. La rossa strinse i denti e cercò di rimanere tranquilla, evitando di sputargli.

Dimmi cosa vuoi per ridarmelo e lo avrai” promise. Fabio sembrò quasi considerare l’idea di avanzare una qualche richiesta, poi rise sommessamente.

Che ne dici se ne parliamo dopo la scuola, magari a pranzo?” le propose.

Eeeh?” esclamò lei, dimenticandosi di dirlo a bassa voce. La professoressa la guardò male.

“Stevens, qualche problema?” domandò. Rea arrossì sotto gli occhi divertiti di tutti.

N-no, semplicemente sono riuscita a capire quel passaggio che non mi tornava” rispose imbarazzata. La donna addolcì leggermente l’espressione sul viso e tornò a concentrarsi sull’esercizio.

Sai, lentiggine, se non ti controlli un po’ rischi che il tuo segreto venga a galla. Fidati di me: è meglio se ne parliamo fuori di qui” le sussurrò Fabio, notando che Maria stava ascoltando la loro conversazione. La ragazza strinse i denti e cercò di arrivare indenne alla fine della giornata scolastica.

 

 

Ho fame, non vedo l’ora di arrivare a casa!” esclamò Laura, facendo lo zaino.

Mamma stamani mi ha detto che ci faceva trovare pronte le lasagne. Buone!” la informò Emma.

Rea, che adorava la pasta al forno della madre, rimase zitta. Nessuna delle sue sorelle aveva seguito lo scambio di battute tra lei e Fabio perché entrambe stavano cercando di seguire la spiegazione e, a parte per  il momento in cui lei aveva urlato, non le avevano minimamente prestato attenzione.

Andiamo, dai” la spronarono. Lei tergiversò un secondo e guardò di sottecchi il ragazzo, che la stava aspettando pazientemente appoggiato al muro. Strinse i denti e prese un bel respiro.

Non vengo con voi a casa, ho… ho… ho altro da fare” balbettò. Tutte e due la fissarono con occhi sgranati: in quattro anni di scuola era la prima volta che non tornava a casa con loro.

E dove vai?

Con chi, soprattutto?!” le domandarono. Iniziò a rigirarsi le mani con fare nervoso e le guardò supplicante.

Sentite, poi vi racconto tutto, lo giuro, ma ora non fatemi parlare” le implorò. Aveva notato che Maria, Ginevra e Matilde le stavano ascoltando con fare molto interessato, nonostante cercassero di non essere viste.

Laura si scambiò un’occhiata confusa con la sorella e alzò le spalle.

Ok, come vuoi, ci vediamo dopo” la salutò.

Che cosa?  Ma io lo voglio sapere ora!” si ribellò Emma. La bionda la trascinò via e la fulminò con lo sguardo, zittendola.

Rea sospirò sollevata, ma si rese subito conto della situazione instabile in cui si trovava e l’ansia l’assalì di nuovo.

Andiamo?” le chiese Fabio, avvicinandosi con calma. Lei annuì, incapace di parlare. Sentiva il viso andarle a fuoco e la rabbia possederla se pensava che la stava ricattando.

Mentre erano in corridoio, furono fermati dalle tre ragazze che prima stavano origliando la conversazione.

“Ehi, guarda un po’! Andate a pranzo insieme, oggi?” chiese Matilde.

Lui rimase zitto e la fissò con un sopracciglio alzato, mentre Rea scosse la testa e sorrise agitata.

No, figurati! È che Fabio ha… degli appunti che mi servono di matematica e mi ha proposto di passarmeli, solo che li ha a casa e sto andando a prenderli” inventò sul momento.

“Ma scusami, Emma non è bravissima in matematica? Non te li può dare lei?” fece presente Maria.

Lei si dette dell’idiota e deglutì a vuoto, senza sapere cos’altro dire.

“Visto che li dai a lei, perché non li presti anche a noi?” propose Ginevra.

“Già, così magari ci dai anche altri appunti, visto che noi non siamo molto brave a prenderli. Quelli che scrivevi oggi nell’ora di chimica per esempio” la sostenne la prima.

Nel frattempo, Maria si era avvicinata allo zaino che Fabio teneva sulla spalla destra e si era messa ad armeggiare con la cerniera.

“Mi fai vedere cosa hai scritto, così controllo per bene quali pagine mi mancano?” gli chiese.

Il ragazzo le lanciò uno sguardo truce e si spostò bruscamente, facendole male alla mano con il movimento della cartella piena di libri. Lei lanciò un gridolino e arretrò, poi si controllò il dorso: era rosso.

“Ma sei scemo?!” gli chiese con la voce isterica. Entrambe le sue amiche iniziarono a chiederle come stava, se aveva bisogno di ghiaccio… esagerarono terribilmente quando le dissero che forse doveva andare al pronto soccorso.

Tocca ancora le mie cose senza chiedermelo e giuro che la prossima volta farò sul serio” la minacciò. Prese Rea per un braccio e la trascinò fuori dalla scuola, ignorando gli sguardi allibiti degli altri studenti.

Solo quando furono piuttosto lontani la lasciò andare e la guardò sorridendo triste.

Scusami, non avrei voluto che tu assistessi” le disse. La ragazza rimase zitta. Nel vedere la sua titubanza, lui si portò una mano alla testa e si scompigliò i capelli, nervoso.

Sul serio, mi dispiace. Mi sono arrabbiato e non ho ragionato” si scusò ancora. Gli venne il dubbio che lei volesse fuggire, invece scosse semplicemente la testa.

Se lo sono meritate, tranquillo” lo rassicurò. Quando la guardò, lei aveva un grosso sorriso soddisfatto stampato sul volto, e la prima cosa che il ragazzo pensò fu che le donava.

Non sei arrabbiata?” le chiese.

Arrabbiata? Perché hai trattato male quelle tre? Figuriamoci! Io non le posso sopportare, mi vengono i nervi se penso a quanto sfruttano il loro potenziale fisico per raggirarsi tutti i ragazzi nel raggio di cinquanta chilometri! È una cosa spregevole e avvilente, soprattutto per chi appartiene al genere femminile” rispose. Non aggiunse di proposito il piccolo dettaglio che lei non avrebbe mai potuto sfruttare i maschi solo perché era brutta. Non voleva umiliarsi fino a quel punto.

Sospirando di sollievo, Fabio ritrovò la sua faccia tosta.

Perfetto, ora che abbiamo chiarito direi che dobbiamo discutere del pagamento del tuo quaderno. Magari davanti a una pizza” disse. Solo al sentir nominare il suo blocco, Rea tornò nervosa e tesa come una corda di violino. Solamente ora si ricordava come mai era con lui.

Non potremmo, invece, parlarne subito e salutarci?” propose speranzosa. Il ragazzo rise e le dette un piccolo colpo sul naso con l’indice.

No, mia cara lentiggine” negò. Poi si avvicinò un po’ di più.

Per me è una situazione troppo favorevole per non approfittarne” sussurrò. Rea non sapeva se era più forte il desiderio di allungarsi e baciarlo o quello di dargli un pugno sul naso.

Comunque, lo seguì, docile come un cagnolino. Non sapeva nemmeno dove stavano andando, non stava minimamente considerando la strada. Nella sua testa risuonava un allarme rosso, che le intimava di stare lontana da lui qualsiasi cosa succedesse.

Era un ragazzo. Era bello. Era affascinante. Non aveva nemmeno la più insignificante possibilità che si interessasse a lei e che si innamorasse, per cui tanto valeva stringere i denti e combattere contro il batticuore che le offuscava il cervello quando erano insieme. Non era sicuramente la prima volta che cercava di soffocare i suoi sentimenti prima ancora che nascessero, giusto? Ci aveva provato con Roberto (anche se quella cotta era durata per mesi), poi ci era riuscita con Giacomo e, infine, doveva esserne capace con Fabio.

Siamo arrivati” le annunciò lui, riportandola alla realtà. Si trovavano davanti ad una piccola paninoteca, con l’insegna colorata e divertente. Trasmetteva allegria.

Il ragazzo le fece strada, aprendo la porta ed entrando.

Mamma!” gridò, andando verso il bancone. Rea quasi ebbe un infarto.

Papà!” continuò a chiamare. Due signori sorridenti e con l’aria stanca apparvero dalla cucina.

“Fabio, come mai arrivi così tardi oggi? Ti aspettavamo almeno mezz’ora fa” lo accolse la donna, abbracciandolo.

Ho avuto qualche problema con delle compagne di scuola, niente di importante” minimizzò lui.

“Hai fame? Ti cucino qualcosa al volo” gli chiese l’uomo.

Veramente siamo in due” fece notare il ragazzo, indicando Rea. I suoi genitori la squadrarono, mettendola piuttosto in imbarazzo.

S-salve” balbettò lei in saluto.

“E’ la tua ragazza?” s’informò il padre. Lei si sentì avvampare.

No!” esclamò senza pensarci. Si rese conto solo dopo della gaffe fatta e si zittì, fissando interessata il pavimento. Dal canto suo, Fabio rise.

No, figurati. È una mia amica. Dobbiamo parlare di un progetto scolastico e l’ho portata qui a pranzo. Per voi non è un problema, vero?” spiegò.

No di certo! Mettiti pure comoda, cara, noi arriviamo subito!” le promise la madre, sorridendo calorosa. Era così rassicurante che lei si sentì quasi a suo agio. Quasi.

Il ragazzo la raggiunse dopo aver posato lo zaino dietro al bancone e si sedette accanto a lei.

Allora, cosa ti va di mangiare?” le chiese, facendo finta di consultare il menù.

N-non ho molta fame… in realtà vorrei che chiudessimo subito la faccenda del quaderno. Ti prego, restituiscimelo! Sono disposta a tutto per riaverlo” lo implorò. Sapeva di non essere brava nelle trattative, ma era troppo preoccupata per avere un piano serio in mente.

Fabio posò il menù sul tavolo e si appoggiò con la testa sulle mani, incrociandole sotto al mento. Sorrise.

Ma davvero? Senti, senti, dev’essere piuttosto importante” iniziò a prenderla in giro.

Lo è, ed è per questo che tu non avresti dovuto vederlo” confermò lei. No, decisamente non aveva la faccia da poker.

Quindi posso chiederti un prezzo alto per restituirtelo. Interessante” ragionò. Rea fu assalita dal panico, ma non ribatté perché il padre del ragazzo andò da loro a portare una gigantesca pizza fumante.

“Ecco, questa potrete dividerla. Penso che ne basti una sola, ma se vi serve altro chiamateci” disse. Strizzò l’occhio alla rossa.

“So che non avete ordinato niente, ma questa è la specialità della casa e ci siamo permessi di portarvela comunque” si scusò. Lei rise.

Si figuri, anzi vi ringrazio” rispose.

L’uomo si allontanò e Fabio si mise a tagliare il cibo.

Che buon odore” commentò Rea, annusando l’aria.

Lo so. questa è la pizza migliore dei dintorni” la avvertì.

Lo dici solo perché questo posto è tu…” non riuscì a finire la frase, perché lui le aveva infilato un enorme pezzo di pizza calda in bocca. Quasi si strozzò per la sorpresa, ma poi sgranò gli occhi.

Cavolo, è buonissima!” esclamò, cercando di non fare troppo danno con la mozzarella fusa che le cadeva dalle mani.

Te l’avevo detto” le fece presente lui, soddisfatto.

 

Venti minuti dopo, entrambi si erano più che saziati.

Con lo stomaco pieno posso pensare meglio ad una richiesta come pagamento per il tuo quaderno” disse.

Senti, sul serio: dimmi ciò che vuoi e giuro che farò di tutto” lo implorò.

Sai che potresti essere sfruttata sessualmente, con una promessa simile?le chiese malizioso, avvicinandosi pericolosamente. Rea arrossì e indietreggiò con la sedia.

Non… non ho intenzione di scambiare con te favori sessuali!” esclamò. Fabio la fermò, tirando a sé la seggiola e sussurrando.

Perché no?” domandò serio.

F-Fabio… che diavolo stai insinuando?” balbettò. “Allontanalo, allontanalo, allontanalo, allontanalo…

Non so. Tu che dici?” ribatté. Era sempre più vicino, ma fu solo quando sentì il suo respiro sulle labbra che lei dette un colpo con le mani al tavolo per spostarsi. Sorpreso, il ragazzo le lasciò andare la sedia, che si inclinò pericolosamente all’indietro.

Presa alla sprovvista, Rea percepì tutto il suo corpo ribaltarsi con la seggiola, ma, fortunatamente, qualcosa la fermò. Sentì una specie di colpo sulla sua schiena, poi la caduta si arrestò.

Ma che…?” aprì gli occhi e vide Fabio che, per evitare che lei si facesse male, aveva allungato una mano, recuperando la sedia a pochi centimetri da terra, ma facendola battere sul suo polso. Nonostante lo schianto, strinse i denti e resse sia lei che il mobile, cercando di non farle sentire quanto avrebbe volentieri urlato dal dolore.

La ragazza si alzò velocemente quando capì cos’era successo, consapevole di non essere una piuma e che un colpo del genere al braccio, per quanto forte uno potesse essere, doveva fare male.

Maledizione, potevi lasciarmi cadere!”. Si inginocchiò accanto a lui e gli spostò un poco la maglietta: dove aveva preso la botta era tutto livido e gonfio, e, quando provò a muoverlo leggermente, lo sentì mugolare.

Sei un idiota” lo accusò. Fabio sorrise mentre lei andava dai suoi genitori a prendergli un po’ di ghiaccio.

“Cos’è successo?” sentì chiedere da sua madre. Rea spiegò a grandi linee l’accaduto, sorvolando sui loro discorsi e sul perché si era spinta indietro.

Tutti e tre gli andarono intorno poco dopo, controllandolo, ma fu solo la ragazza a rimanere lì per reggergli la busta con i cubetti.

Ti sei fatta niente?” s’informò lui, cercando di non gemere dal dolore.

Io?” chiese lei, senza capire.

” confermò. Rea arrossì e scosse la testa.

No, grazie” rispose.

Meglio così” commentò Fabio, sorridendo. La ragazza cercò di non badare a quello che stava provando in quel momento, sperando con tutta sé stessa che fosse solo l’agitazione del momento e non altro.

Scusami” disse improvvisamente l’altro.

Eh?” esclamò la rossa.

Non volevo essere scortese, prima. Mi piace quando diventi rossa e volevo vedere le tue guance infiammarsi sotto le lentiggini” ammise ridendo.

Sei un idiota” lo accusò, premendo apposta un po’ più forte sul livido per togliergli dalla faccia quel sorriso ebete.

Ngh, fai piano!” gemette lui. Allentò un po’ la pressione e si mise a sedere vicino a lui, tenendo il suo braccio sulle gambe.

Comunque ero seria. Favori sessuali esclusi, io sono disposta a qualsiasi cosa per riavere il mio quaderno” esordì.

Perché?” le chiese Fabio. Rea distolse lo sguardo e fissò il muro.

Se qualcuno leggesse quel romanzo, diventerei lo zimbello della scuola. Nemmeno Laura o Emma sanno di questo, ed è bene che rimanga un segreto. Anche tu devi stare zitto, ti scongiuro” spiegò.

Il ragazzo lasciò cadere la testa indietro e guardò il soffitto.

Qualsiasi cosa?” domandò.

Qualsiasi cosa” confermò lei. Abbassò gli occhi e la fissò intensamente.

Allora dovrai essere la mia schiava personale per un’intera settimana”.

 

 

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Capitolo 6
*** Segreti malcelati ***


Segreti malcelati

Andiamo?” la chiamò Fabio, quando lei ebbe finito di fare sia la propria che la sua cartella.

Arrivo” rispose sospirando. Laura e Emma li fissarono incuriosite, morendo dalla voglia di sapere come mai lei lo seguisse tanto docilmente.

Mi aiuteresti a mettere la giacca? Ho dei problemi con il polso” le domandò, mal celando un sorriso divertito. Rea si sentì in colpa per una frazione di secondo, poi si ricordò che lui la stava ricattando e mise il broncio.

Dopo la sua richiesta assurda, sua madre aveva insistito per portarlo al pronto soccorso, dato che il polso non voleva sgonfiare e che lui non riusciva a muovere la mano. Aveva invitato anche la ragazza ad andare con loro, ma lei aveva elegantemente rifiutato, dicendo che non le piacevano gli ospedali. In realtà, sperava che Fabio cambiasse idea e le chiedesse qualcos’altro, anche dei soldi, pur di non dover cedere a quel ricatto stomachevole. Purtroppo, nonostante le sue richieste, lui l’aveva chiamata quella sera sul cellulare (come avesse fatto a trovare il numero non l’aveva ancora capito) per dirle che gli avevano fasciato il polso dicendogli che se lo era slogato e che doveva tenerlo fermo per dieci giorni.

Sembra fatto apposta, vero?” domandò.

In che senso?” chiese lei, senza capire.

Invece di una settimana, starai con me per tutto il periodo in cui avrò le bende, così che mi aiuterai. Sarai la mia infermiera personale” decise, usando di proposito un tono sensuale e malizioso.

Naturalmente, questo rimarrà un segreto solo tra me e te, non dovrai dirlo nemmeno alle tue sorelle” le ricordò.

Stai tranquillo, io non ho assolutamente intenzione di far sapere a qualcuno del tuo sporco ricatto” gli assicurò. Fabio rise.

Non lo chiamerei ricatto ma scambio di favori

Tu mi hai rubato il quaderno! Non è uno scambio perché l’unico che ci guadagna sei tu!” gli urlò Rea, arrabbiata.

Dettagli” aveva minimizzato.

L’aveva salutata col dire che si sarebbero visti  l’indomani a scuola per decidere per bene come strutturare le loro giornate.

Erano già passati quattro giorni, nei quali la ragazza aveva più volte avuto l’istinto di strozzarlo con le sue mani. Le aveva fatto svolgere i suoi impegni domestici, facendole pulire la sua stanza (peraltro già splendente), lavare i piatti e fare il bucato. Rea non pensava che anche i maschi facessero quelle cose, ma finché si trattava solo di questo poteva farcela. Il suo problema era che non solo aveva dovuto fare uno scambio di posto con Johan, che prima era accanto a Fabio e ora era accanto a Emma, ma doveva stargli appiccicata per aiutarlo a scrivere e a fare la cartella ogni santo giorno. Non vedeva l’ora che quella settimana finisse per potergli stare alla larga almeno il sabato, e, dato che era venerdì, doveva aspettare solo altre ventiquattro ore.

Oggi non ho niente da farti fare: le faccende domestiche le hai già finite ieri e non ci hanno dato compiti di alcun genere” le disse il ragazzo mentre andavano verso la paninoteca. Pranzavano lì insieme e poi andavano a casa sua.

Quindi posso andare via?” gli domandò speranzosa. Aveva bisogno di parlare con Laura e Emma, che vedeva pochissimo: tornava così tardi la sera, che cenava e andava direttamente a dormire, stremata. Tanto non doveva studiare, visto che faceva i compiti nel pomeriggio con lui.

No, affatto. Ho bisogno che tu faccia una cosa per me, poi puoi andartene” le rispose.

Una sola? È una sciocchezza! Dimmi tutto” disse felice.

Fabio sorrise e la fissò.

Voglio che tu mi prometta che sabato e domenica sarai solo mia” sussurrò, facendola fermare. Come sempre quando la guardava con quegli occhi neri e intensi, il cuore di Rea prese a battere all’impazzata.

Ma sabato sera volevo uscire, e domenica avevo promesso a Emma e Laura che studiavamo insieme per il test di matematica di lunedì!” si ribellò lei.

E invece farai esercizi con me e domani verrai a cena a casa mia” decise.

C-cosa?” esclamò la ragazza. Fabio rise nel vederla arrossire e le accarezzò una guancia.

Esatto. Consideralo un appuntamento vero e proprio, visto che saremo soli” le consigliò ammiccante.

E… e se non volessi?” suggerì.

Dovrei rendere pubblico il tuo quaderno. E tu non vuoi che succeda, vero?” domandò. Rea deglutì e si sentì costretta a fare qualcosa che non doveva fare.

Va bene, verrò da te” accettò, abbassando la testa. Il ragazzo si chiese se non stesse esagerando, ma la prospettiva di poter stare da solo con lei, senza scocciatori o senza che fosse impegnata a fare le sue faccende era troppo allettante.

La guardò andare via senza nemmeno pranzare, sperando che andasse tutto per il meglio.

 

 

Rea rincasò distrutta. Aveva i nervi a fior di pelle e un’enorme voglia di urlare. Laura e Emma quasi non le parlavano più perché si erano arrabbiate quando l’avevano vista spostarsi di banco dietro di loro, e lei non sapeva più che inventarsi per fare in modo di scusare la sua assenza. Se avesse detto anche una sola parola sul ricatto, avrebbero capito che aveva qualche segreto e questo avrebbe peggiorato ancor di più la situazione.

Come richiamate dai suoi pensieri, le sue sorelle apparvero nell’ingresso, stupite nel vederla rientrare così presto.

E tu che ci fai qui? Credevamo fossi da Fabio” la accolsero. La ragazza strinse i denti e si chiese come fare, poi si stampò un sorriso sulla faccia e le guardò tranquilla.

Oggi il suo polso stava meglio e non aveva bisogno di me per dargli una mano nelle faccende di casa, quindi sono venuta via” rispose. Tutte e due sorrisero maliziose mentre lei si toglieva il giacchetto.

Quindi oggi possiamo metterti sotto torchio e  sapere come mai, da martedì, non fai altro che stargli appiccicata!” esultò Laura. Le era passata l’arrabbiatura del disegno già dal giorno dopo che era successo e quasi non se ne ricordava più.

Preferirei di no” commentò storcendo la bocca. Sapeva benissimo che non avrebbero mollato la presa finché non avesse cantato come un fringuello, ma almeno ci stava provando.

Invece sì!” decise Emma. La presero di peso e la fecero sedere in cucina, mettendosi davanti a lei con le mani appoggiate sul tavolo.

Dicci come…” “…quando…” “…dove…” “… e perché…” “…tu e Fabio siete sempre insieme!” le dissero all’unisono. La ragazza si morse l’interno della guancia per evitare di confessare tutto.

Quando martedì sono andata a pranzo con lui si è fatto male per colpa mia e mi sento in dovere di aiutarlo fin quando non potrà muovere il polso” rispose. Con le bugie era pessima, ma così stava riuscendo a dire una mezza verità, quindi era più semplice.

E come mai siete usciti insieme martedì?” fu la domanda successiva. Rea si sentì avvampare, ma rimase zitta senza confessare.

Allora?” la incalzarono. Non parlare, non parlare ripeteva una voce dentro di lei.

Guarda che se lo chiediamo a lui, sono sicura che risponderà” la minacciò Emma.

Non credo proprio che lo farà, ma apprezzo l’impegno” rispose, ringraziando il fatto che anche lui voleva tenere segreto il motivo dei loro incontri.

Per cui diccelo tu!” s’infiammò Laura. Inventati qualsiasi cavolata, ma non dire del quaderno!

Beh, lui aveva… aveva gli appunti di chimica che io non riuscivo a seguire e si è offerto di prestarmelo, ma siamo dovuti andare a prenderli a casa sua” iniziò.

Poi io sono inciampata e lui, per recuperarmi, ha battuto il polso, slogandolo” inventò.

E perché non chiedere a me gli esercizi? Ti deve interessare proprio tanto se rifiuti i miei per i suoi” rise la mora.

Lui non mi piace! Non mi interessa per niente” negò la rossa, sentendo il cuore accelerare i battiti.

Certo, come no?” la prese in giro la bionda.

Ehi, potresti chiedergli se domani sera esce con noi!” propose Emma, sorridendo. A quelle parole, lei si ricordò dell’appuntamento e abbassò la testa.

N-non penso che uscirò… domani” balbettò.

Perché?” le chiese Laura. Ma porca §@#%*

Perché… perché… ecco, ho mal di gola e sapete che non posso assolutamente perdere la voce dato che mi alleno a cantare ogni volta che posso. Essendo già poche, non posso sprecarle perché sono fioca, quindi, onde evitare di prendere freddo, preferisco rimanere a casa” spiegò. Fa’ che funzioni!

Oh. Ma noi avevamo programmato già di andare in discoteca!” le disse tristemente la più alta.

Lo so e non so dirti quanto mi spiace, ma voi andate e divertitevi comunque” rispose.

Sei sicura? Se vuoi spostiamo la cosa alla prossima settimana e rimaniamo in casa con te” propose l’altra, generosa.

No, no, figurati!” si affrettò a tranquillizzarla lei. Nel vedere gli sguardi allibiti della sorella capì di essere stata anche troppo affrettata.

Mi sentirei in colpa se voi non vi godeste l’unico giorno libero che abbiamo a disposizione per causa mia, quindi andate e non pensate a me, io starò bene” rimediò.

Rimasero zitte tutte e due, capendo che c’era qualcosa di più profondo che Rea non aveva confessato.

 

 

Devi darci una mano, Johan” esordì Emma, il mattino dopo, parlando col ragazzo. Lui la fissò con gli occhi spalancati.

A far cosa?” domandò confuso.

A capire che diavolo sta combinando nostra sorella! Con te parla, si confessa, magari ti dice anche che cosa succede” rispose. I suoi occhi si rattristarono.

Da sabato passato ci siamo a mala pena detti ciao. Sembra talmente presa dal suo nuovo amico che non considera più noi tre” le fece presente.

Lo so, ma tu sei quello che le è più vicino, le sei più intimo anche di noi, quindi ti prego, almeno chiedile il vero motivo per cui non esce stasera!” lo implorò. Johan sospirò e si passò una mano tra i capelli.

Posso provarci, ma non assicuro niente. Laura, tu che ne pensi?” le chiese. La ragazza, in tutto questo discorso, era stata zitta a fissare estasiata i suoi capelli biondo cenere e i suoi occhi azzurrissimi, e non si era accorta che lui  le stava parlando.

Ehi, bella addormentata, ci sei?” la chiamò, agitandole una mano davanti agli occhi. Lei sobbalzò e arrossì.

Eh? Cioè, sì… cioè…” iniziò a balbettare frasi sconnesse e senza senso, esasperando la sorella, che sospirò arrendendosi.

Certo che sei proprio strana” commentò Johan, fissandola.

Scusami, stavo pensando ad altro” disse mesta.

I tre decisero che il ragazzo avrebbe parlato a Rea durante la ricreazione. Tutti e tre sperarono vivamente di riuscire a venire a capo di tutta quella faccenda.

 

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Capitolo 7
*** Fuga ***


Fuga

Rea pensava e ripensava a soluzioni possibili per evitare di dover fuggire, ma non ne trovava: ormai aveva detto a Laura e Emma che stava a casa per motivi di salute, anche se non sapeva proprio come loro avessero potuto berla visto che lei non aveva MAI il mal di gola. O aveva avuto una fortuna sfacciata o loro non le avevano creduto e le avevano detto di sì solo perché le volevano bene.

Era ancora sovrappensiero quando Johan si sedette sul suo banco, facendola sobbalzare.

Ehilà, come va?” le chiese sorridendo. Se rifletteva su ciò che stava facendo su commissione delle sorelle Stevens gli veniva il magone, quindi preferiva non farlo.

Rea sorrise stanca.

Bene, per il momento tutto ok. Tu?” rispose. Lui alzò le spalle.

Come al solito: scuola, casa, videogames… conosci benissimo i miei ritmi” le ricordò.

Già, non hai una vita privata particolarmente proficua” lo prese in giro. Johan le dette una piccola spinta.

Tu, invece, sei molto attiva sul piano sentimentale, ho notato” disse, buttando l’esca. La ragazza arrossì.

Fidati, non è proprio vero” gli assicurò, guardando altrove. Lui notò che il suo sguardo si era leggermente rattristato e la fece girare verso di sé.

Ehi, qual è il problema?” domandò. Rea fu tentata di dirglielo, ma vide Fabio rientrare in classe in quel momento e cambiò idea.

Nessun problema, sono solo stanca. Ho un po’ di mal di testa, non mi sento troppo bene” lo tranquillizzò. Sapeva di mentire e sapeva che lui lo aveva capito, ma pregò dentro di sé che non dicesse niente.

Va bene, se ne vorrai parlare io ci sarò” le promise, tornando al suo posto.

Jason entrò in classe e iniziò a scrivere alla lavagna gli esercizi in preparazione al compito, ma lei non lo ascoltava: si sentiva in colpa nei confronti del suo migliore amico.

Controllò che il suo compagno di banco non le prestasse attenzione e scrisse un messaggio su un biglietto.

Alle quattro, tieniti il cellulare vicino. NON far leggere il messaggio a Emma e Laura o giuro che ti prendo a calci nelle chiappe!

 

Qui parla la segreteria telefonica del più bel ragazzo della città. Chi è?

Ma devi avere una risposta sempre più deficiente ogni volta che ti chiamo?

Sono un ragazzo creativo

Avrei usato la parola pirla, ma come vuoi

Ah-ha, simpatica. Allora?

Allora cosa?

Mi hai detto che mi avresti chiamato, quindi devi dirmi qualcosa, no?

Ah, sì, giusto. Prima, però, ho bisogno di fare un patto

Uff,il solito?

Bravo, sei perspicace

Va bene, un segreto per un segreto: tu mi dici una cosa tua e io te ne dico una mia

Perfetto, ora possiamo parlare senza problemi. Almeno credo. Aspetta, guardo se le mie sorelle sono qui fuori ad ascoltare, è un discorso problematico

Che è, un segreto di stato?

Quasi! No, non c’è nessuno, via libera. Anche se… sai una cosa? Sarebbe meglio parlarne a voce!

Non me lo dire, ti prego non…

Quanto ci metti a venire qui e entrare dalla finestra?

 

 

Fai piano, dannazione!

Rea, non è così semplice! Mi sto infilando in camera tua di nascosto, già questo è terribile. Perché non posso passare dalla porta come tutti?

Te lo spiego tra un minuto, tu entra e stai zitto” la ragazza tirò Johan nella sua stanza e poi socchiuse leggermente la porta per essere sicura che Emma e Laura non fossero intorno.

Tutto bene, sono a prepararsi per uscire con te stasera” gli assicurò.

Guarda che per me non ci sono problemi, io sarei entrato dall’ingresso” le fece presente. Lei sbuffò e li chiuse dentro a chiave.

Loro non devono sapere! Hanno già scoperto della musica, non posso farmi scoprire un’altra volta” disse tristemente.

Ok, ora mi sono perso ufficialmente” esclamò il ragazzo, confuso.

Rea prese un enorme respiro e lo fissò.

Hai promesso: un segreto per un segreto, ricordi?” chiese. Lui annuì.

Beh, il fatto è che…” la ragazza si mise a spiegare dall’inizio: canto, Fabio, litigata, libri, soldi, quaderno e ricatto. Johan non disse una parola fino a quando non fu sicuro che le avesse finito, poi aprì la bocca. Ma la richiuse un attimo dopo.

Dì qualcosa!” lo spronò l’amica.

Non so, mi sembra una cosa stupida da nascondere” commentò.

Scherzi? Sarebbe terribile se qualcuno ne venisse a conoscenza” esclamò, tremando alla sola idea.

E perché?” le chiese.

Perché sono i miei segreti: nei romanzi che scrivo ci metto quello che sento profondamente, le paure che ho e le mie insicurezze. Se si sapesse… oddio, non voglio pensarci!

Vuoi nasconderti per tutta la vita?

No, solo fino a quando non sarò sul letto di morte

Ah, certamente” la assecondò. Rimasero entrambi zitti, come succedeva spesso quando c’era un problema che nessuno dei due sapeva come risolvere.

Tocca a te” esordì Rea a un certo punto.

Cosa?

Segreto per segreto. Cosa mi nascondi?” indagò. In realtà non pensava che lui avesse qualcosa da nascondere sul serio, ma lo capì quando distolse lo sguardo e arrossì.

Oddio, ma c’è davvero qualcosa che non mi hai detto? Parla, parla, parla!” lo incalzò, sedendosi sul letto con le gambe incrociate.

N-non è niente, è solo un pensiero che mi ronza in testa ultimamente” minimizzò Johan.

Allora esprimi il pensiero

Beh, c’è… c’è una persona che negli ultimi mesi mi… insomma…” balbettò.

Ti interessa?” lo aiutò Rea. Il ragazzo annuì.

E chi è?

E’…” ma non le disse niente, perché qualcuno bussò alla porta della sua camera e lei sobbalzò.

Chi è?” chiese, facendo cenno all’amico di stare zitto.

Ma che domande idiote fai? Siamo noi!” rispose Emma. Lei mimò un “Ma porca di quella…

Arrivo, un attimo!” esclamò. In tutta fretta fece nascondere Johan sotto al letto, cercando di fare meno rumore possibile.

Oh, ci sei?” la chiamò Laura.

Sì, ero sotto le lenzuola che mi riposavo, un secondo!” rispose. Mise le coperte in modo che nascondessero la visuale del pavimento, poi aprì la porta.

Eccomi!” disse, sorridendo e cercando di sembrare più stanca possibile.

Come stai?” le chiese la mora, entrando.

Meglio, ma ho mal di testa e non riesco quasi a stare in piedi

Quindi stasera non verrai?

No, non voglio rischiare di ammalarmi sul serio” spiegò, tossendo per finta.

Peccato, la signorina qui voleva chiederti se parlavi con Johan” rise Emma. Laura arrossì.

Smettila! Lo sai che odio questi giochi stupidi!” le ricordò.

Quanto la fai lunga! Rea è la migliore amica del ragazzo che ti piace, che male c’è se gli fa un paio di domande?” domandò retoricamente.

La rossa, nel frattempo,  si mordeva la lingua e cercava di pensare a un modo per zittirle.

Preferisco che le cose vadano avanti da sole. Se gli piaccio la situazione si evolverà da sé” affermò soddisfatta la bionda.

Va bene, poi ci parlerò. Non è che potreste lasciarmi da sola, adesso? Ho sonno e sono stanca, mi sa che ho anche un po’ di febbre” le implorò, spingendole verso la porta.

Ok, noi tra poco andiamo a chiamare il principe azzurro. Riposati, va bene? A domani” la salutò Emma.

Buon riposo” le augurò Laura.

Rea chiuse a chiave la porta, aspettando di sentire i passi sparire nel corridoio, poi si abbassò sotto al letto e fece uscire Johan.

Simpatiche le tue sorelle” commentò, sorridendo.

No, senti tu devi far finta di niente…

Starai scherzando, spero!” la bloccò lui, sgranando gli occhi. Lei gli prese la faccia tra le mani e lo costrinse a fissarla negli occhi.

Johan, non ti azzardare a fare lo stronzo con mia sorella!” lo minacciò.

Che cosa? Ma non voglio fare…

Promettimelo: promettimi che non farai niente di male e che non dirai niente di quello che hai sentito un minuto fa” ordinò.

Perché dovrei?” le domandò spostandosi.

Perché lei se lo tiene dentro da anni e, se tu le dicessi che non è ricambiata, morirebbe!” spiegò.

Appunto, quindi fammi spiegare e…

Stalle lontano!” esclamò.

Rea, tu dovresti ascoltarmi! Porca miseria, sto cercando di dirti che io sono innamorato di Laura!” gridò.

Shhhh! Che diavolo urli?!” lo zittì, mettendogli una mano sulla bocca. Rimase ferma ad ascoltare i suoni del corridoio.

Ma sei scemo? Sei qui come clandest… aspetta, aspetta, aspetta, ripeti!” disse, guardandolo. Lui mugolò qualcosa, ancora bloccato dalla sua mano, che lei prontamente tolse.

Saresti la ragazza perfetta, se mi ascoltassi ed evitassi di picchiarmi quando sbaglio qualcosa” ragionò Johan.

A te piace Laura?” gli chiese la ragazza, incredula.

Beh, non mi è indifferente, ecco” ammise lui. Rea gli si gettò al collo.

Io ti adoro” commentò, stringendolo felice.

 

 

Johan se ne andò mezz’ora dopo, poco prima che anche Emma e Laura uscissero. Rea aspettò che in casa non ci fosse nessuno, poi andò in camera a cambiarsi per la serata.

Che mi dovrei mettere? Sono costretta ad andare da Fabio anche se non voglio” disse ad alta voce. Aprì l’armadio e prese una semplice camicia blu con un paio di jeans.

E gli stivali bassi. Non vorrei cadere mettendomi i tacchi” parlava da sola quando era nervosa. Ed ora era molto nervosa.

Aprì la porta di casa, poi si fermò: se qualcuno l’avesse vista uscire di lì sarebbe stato un problema. Tornò in camera e spalancò la finestra. Si sentì terribilmente in colpa mentre si incamminava di soppiatto verso il luogo di incontro.

 

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Capitolo 8
*** Un sabato sera interessante ***


 

Un sabato sera interessante

Rea stava a testa bassa e cercava di non farsi notare dai passanti. Fabio le aveva detto che l’avrebbe aspettata dove si erano incontrati la prima volta (“Dici dove mi hai praticamente investita?” aveva chiesto lei), quindi ora stava dirigendosi là.

Anche se cercava disperatamente di mantenere la calma, tutta quella situazione le faceva tremare le mani, la rendeva terribilmente nervosa. Perché lui voleva passare il sabato sera con lei? Non era abbastanza ricattarla? Forse voleva far ingelosire una delle tre del gruppetto delle oche. O forse, voleva solo prendersi gioco di lei. Quel pensiero la colpì come un coltello, facendola fermare. Se fosse stato tutto un trucco per umiliarla? Non sarebbe stata la prima volta, Rea se ne ricordava fin troppo bene.

Effettivamente, l’unico motivo per cui lui poteva volere un appuntamento era quello di umiliarla, e allora lei promise a sé stessa che, qualsiasi cosa fosse successa, avrebbe mantenuto un profilo freddo e distaccato. Era l’unico modo che aveva perché le persone non la ferissero.

Vide Fabio appoggiato alla sua moto che giocava col portachiavi e rimase senza fiato notando la sua incontestabile bellezza: gel nei capelli per tirarli indietro; giacca di pelle attillata; pantaloni di jeans strettissimi; guanti da motociclista; stivali neri con qualche borchia. Temette di svenire sul colpo e si stupì di come il suo corpo si stesse praticamente muovendo da solo, andando svelto verso di lui. Si impose di rallentare il passo e si avvicinò con calma.

Buonasera, lentiggine” la salutò il ragazzo, aprendosi in uno smagliante sorriso.

Non iniziare subito con questo soprannome idiota” lo sgridò, incrociando le braccia. Lui si alzò in tutto il suo metro e ottanta e la sovrastò.

Come desidera, principessa” rispose. Rea arrossì e sbuffò.

Invece di fare il broncio, mettiti questo. Ho visto passare Emma e Laura dieci minuti fa, forse è meglio se ci muoviamo” la istruì, passandole un casco.

Aspetta… andiamo in moto?!” gli chiese, sorpresa.

Certo, mica l’ho portata giusto per lasciarla qui a riposare

Ma tu hai un polso che non funziona!” si ribellò lei, indicando il suo braccio.

E allora? Posso tranquillamente guidare. E poi casa mia non è lontana, ci metteremo solo un paio di minuti” minimizzò.

Quindi potevi anche venire a piedi

Certo, ma non volevo togliermi il divertimento di vederti arrabbiata” la prese in giro, fermandole il mento tra l’indice e il pollice.

Ah-ha, simpatico” ribatté lei, scansandosi.

Un po’ contrariato, Fabio salì sulla moto e l’accese.

Forza, sali. Non abbiamo tutta la notte… o quasi” le ordinò. Lei ubbidì docilmente, poi lo guardò male.

Cosa vorresti insinuare con quel quaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaah!!!!!!” non le aveva fatto finire la frase ed era partito dando gas fino in fondo.

Ora muoio, ora muoio, ora muoio!” ripeteva Rea, stringendosi con forza al suo petto.

Se stai zitta rallento” le gridò Fabio da davanti.

Non aprirò più bocca finché non entriamo in casa, ma vai piano!” promise. Lui rallentò, ridendo forte, fino quasi a fermarsi.

 

Una volta che furono arrivati, la ragazza scese barcollando.

Volevi amm…” lui le mise un dito sulle labbra e sorrise.

Hai promesso, ricordi? Fino a che non saremo dentro non potrai parlare” le fece presente. Provò a ribellarsi, ma la sua mano rimase ferma finché lei non si calmò e incrociò le braccia al petto.

Brava bambina” si congratulò, dandole una leggera patta sulla testa.

Si mise ad armeggiare con le chiavi, aprendo la porta e cercando di nascondere il sorriso ebete che aveva sulla faccia al pensiero che lei sarebbe stata tutta sua per una sera.

Fatto” annunciò, spalancando la porta. Quando vide che Rea si era avviata verso l’entrata, si mise in mezzo per bloccarla.

Non puoi entrare” la fermò.

Che cosa? Perc…” la zittì di nuovo, avvicinando il proprio viso al suo.

Devi pagare pegno per farmi spostare” le disse. La ragazza sbuffò, scocciata.

Rimasero in silenzio per un po’, poi lei si spazientì e gli fece segno con la mano che il tempo stava passando e non ce la faceva più ad aspettare.

Voglio un bacio” decise infine. Rea spalancò gli occhi e aprì la bocca per controbattere, ma Fabio fu più veloce e le prese la faccia con le mani, costringendola a guardarlo negli occhi.

Se non me lo dai tu me lo prenderò io” l’avvertì sussurrando, ma la ragazza era immobile, paralizzata dalla situazione. Lo fissava terrorizzata, aveva paura sul serio che la baciasse, e lui ebbe un attimo di esitazione.

Sto scherzando” disse poi, allontanandosi. La sentì respirare forte, come se per tutto quel tempo fosse rimasta col fiato sospeso, e la vide rilassarsi notevolmente. Cavolo, lo doveva odiare proprio tanto!

Vieni, la cena si fredderà” la invitò ad entrare, precedendola.

Quando furono in casa, Rea gli dette un fortissimo pugno sulla spalla e lo fissò infuriata.

Tu non sei normale!” urlò, puntandogli un dito contro.

Ehi, che ho fatto ora?” le chiese, massaggiandosi il punto dove lo aveva colpito.

Non si baciano le ragazze senza che lo vogliano!” lo sgridò, dandogli un’altra botta.

Ti ho già detto che stavo scherzando, mi pare” le ricordò, scansando un ulteriore colpo in partenza.

E stai fermo mentre ti picchio!” gli ordinò, facendolo ridere.

Nemmeno morto!” rispose lui. La ragazza si tranquillizzò solo quando sentì nell’aria il profumo di cibo e il suo stomaco brontolò.

Invece di sprecare le tue forza per inutili capricci come quello di menarmi, potresti apparecchiare mentre io finisco di cucinare” le suggerì Fabio, andando in cucina.

Tu mi hai invitata e io devo apparecchiare?!” chiese stupita.

Sei qui come ospite, ma sei ancora sotto il mio controllo, quindi devi decisamente apparecchiare” rispose il ragazzo.

Grazie, sei proprio un galantuomo” ribatté lei, iniziando a cercare tovaglia e stoviglie per preparare la tavola.

 

 

Nel frattempo, Laura  e Emma erano in pizzeria con un radioso Johan, che non aveva fatto altro che sorridere da quando si erano incontrati.

Hai parlato con Rea?” gli chiese la mora, addentando un pezzo di pizza. Lui perse un po’ del suo sorriso, ripensando al discorso fatto quel pomeriggio.

N-no, non ne ho avuto l’occasione” rispose, un po’ incerto. La ragazza sbuffò.

Sono curiosissima! Come mai non ci dice nulla su tutta questa storia? Eppure lei ci ha sempre raccontato tutto!” si lamentò, appoggiando la testa su una mano.

Magari ce lo dirà quando si sentirà in grado di farlo” suggerì sua sorella, timidamente.

Esatto!” le dette manforte Johan, illuminandosi. Lei arrossì e fissò il piatto.

Sì, però non è mica giusto! Siamo le sue sorelle, non si dovrebbe vergognare!” continuò a dire l’altra.

Dai, Emma, lasciala respirare: se e quando vorrà, ci troverà pronte ad ascoltarla” cercò di tranquillizzarla Laura. In quel momento il campanello della porta tintinnò e si girarono tutti e tre verso l’ingresso.

Oddio, ma quello è…

Ehi, prof!” gridò Johan, sbracciandosi. Jason alzò gli occhi dal cartello del menù e lo salutò con un grosso sorriso.

Buonasera, ragazzi! Cosa fate di bello?” li salutò, avvicinandosi a loro. La mora si stampò in faccia il miglior sorriso che sapeva fare e lo fissò con occhi da pesce lesso, risultando piuttosto ridicola.

Niente, ceniamo e poi andiamo in discoteca” rispose Laura.

Emma, c’è qualcosa che non va?” si preoccupò lui, notando la sua espressione. La ragazza, incantata, non rispose.

Emma?” la richiamò. Sua sorella le dette una gomitata nello stomaco per farla riprendere e lei sobbalzò, stringendosi le costole.

Ahia!” si lamentò.

Lei, invece, cosa fa qui?” chiese Johan, per tirare fuori da quella situazione imbarazzante l’amica.

Fuori da scuola dammi pure del tu” rise l’altro.

Ok, mi sc… cioè, scusami

Comunque sono venuto a prendere la pizza, vado a mangiarla a casa e poi preparerò i vostri compiti per lunedì” spiegò con un’alzata di spalle.

Perché non si mette qui con noi? Non c’è molta gente, se ordina subito riuscirà ad essere servito prima che noi finiamo la nostra cena” lo invitò il ragazzo. Jason lo fissò con un finto cipiglio severo.

Ti ho detto di darmi del tu” lo sgridò bonariamente, per poi ridere di gusto.

A voi va bene, ragazze, se mi siedo con voi?” domandò a Emma e Laura.

La mora rimase ferma immobile, incredula di avere tanta fortuna, mentre l’altra si trattenne dal ridere.

Certamente, sarà divertente” rispose per entrambe.

 

 

Wow, certo che sei proprio bravo a cucinare, da te non me lo sarei mai aspettato” commentò Rea a fine pasto. Con lo stomaco pieno e un po’ di alcool nelle vene, era più rilassata e non si sentiva più a disagio come quando era uscita di casa.

Sono un ragazzo pieno di sorprese” rispose Fabio, sorridendo soddisfatto. Le versò un altro po’ di acqua nel bicchiere, poi si alzò a prendere il dolce.

Gelato o fragole?” le domandò. Si fissarono per un secondo.

Entrambi” decisero insieme ridendo.

Tirò fuori la frutta e la vaschetta al cioccolato e li mise in tavola, tornando, poi, a prendere le coppette e i cucchiaini.

Io voglio tante fragole” esclamò Rea, guardando con occhi deliziati quelle piccole cosine rosse. Sembrava una bambina davanti l’albero di natale.

A me piace di più il gelato, in verità” commentò Fabio. Lei sorrise raggiante.

Perfetto, no?” gli chiese. Quello era, probabilmente, il primo vero sorriso che lei gli faceva da quando si erano conosciuti e questo lo fece vacillare un pochino.

Sì, è… è perfetto” annuì, balbettando.

Qualche problema?” s’informò la ragazza, vedendolo incerto.

No, è solo che mi ci vuole un po’ di concentrazione per far scongelare il gelato. Sembra di marmo” rispose lui, ritrovando la sua sicurezza. Rea lo fissò incuriosita.

Se lo dici tu

Passarono l’ora successiva parlando un po’ di tutto, dalla scuola ai propri hobby, ma la ragazza cercò con tutta sé stessa di evitare l’argomento “scrittura”.

Fu solo quando ebbero finito di riporre le stoviglie che lui la fissò intensamente.

Perché scrivi se poi non vuoi che la gente lo sappia?” le domandò. “Eccoci” pensò lei, incupendosi subito.

Non è un argomento di cui mi piace parlare, in realtà” ammise in una muta richiesta.

Se non ne parli non ti libererai mai da questo peso, però” le fece presente.

Aveva ragione, se continuava a nascondere ciò che era sarebbe esplosa di lì a poco.  E lui era lì ad ascoltarla: forse si poteva confidare.

Io…” voleva iniziare, lo voleva con tutta sé stessa, ma si bloccò, colpita da un improvviso ricordo lontano nel tempo. “Hai promesso: non cederai” si ricordò.

Io devo andare, mi dispiace” si scusò, andando a prendere il giacchetto e dirigendosi verso la porta.

Cosa? No!” si ribellò lui, seguendola.

Davvero, non posso dire niente, non posso proprio” continuava a ripetere.

Rea?” la chiamò il ragazzo, sperando che si fermasse. Lei aprì la porta, pronta ad andarsene, ma lui la fermò, abbracciandola da dietro.

Non voglio che tu te ne vada in queste condizioni” le sussurrò all’orecchio. Il cuore della ragazza si mise a battere velocemente, stordendola per un attimo.

Mi dispiace, ma non posso rimanere. Fai cosa vuoi del mio quaderno, io non sono brava a fingere e mentire” gli disse, cercando di divincolarsi. Se possibile, lui se la strinse ancora di più al petto, bloccandole ogni possibile mobilità.

Non mi lasciare arrabbiata” la supplicò.

F-Fabio…” balbettò lei, incapace di dire altro. Il ragazzo le posò un delicato bacio sul collo, facendola rabbrividire.

Giura che non ce l’hai con me e ti lascio andare” promise. La voltò verso di sé, guardandola negli occhi.

Fidati, non sono arrabbiata con te” gli assicurò. “Ce l’ho con me” aggiunse mentalmente.

Ma è meglio se torno a casa, adesso” terminò. Fabio fece scorrere le braccia sulle sua, arrivando a prenderle le mani.

Se non te la senti, domani non venire a studiare qui. Sei liberata dall’accordo” le disse, un po’ triste.

Rea, che aveva creduto fin dall’inizio che a sentire quelle parole si sarebbe sentita libera, percepì un senso di colpa ingiustificato pervaderla e quasi si pentì di essere stata tanto ingiusta nei suoi confronti.

Grazie” rispose, lasciando un bacio sulla sua guancia. Corse verso casa col cuore in tumulto e il giacchetto tra le mani, mettendosi a piangere senza un motivo serio.

 

 

Una volta che fu rientrata in casa, si mise in pigiama e si coricò. Verso l’una le sue sorelle bussarono alla sua porta, ma un cerchio gigantesco si era formato intorno alla sua testa, quasi impedendole di muoversi.

Rea? Ci sei?” la chiamarono, eccitate. Lei le fece entrare barcollando, per poi stendersi di nuovo sul letto.

Hai un aspetto terribile” considerò Emma, mettendole una mano sulla fronte.

Cavolo, ma tu scotti!” esclamò. Laura, prontamente, andò a prenderle il termometro e una borsa col ghiaccio, per poi posargliela sulla testa.

C-com’è… com’è andata?” domandò, sorridendo flebilmente.

La mora, nonostante le sue condizioni, le fece un raggiante sorriso.

Indovina un po’ con chi abbiamo cenato?

 

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Capitolo 9
*** La storia si sposta: Emma e Laura ***


La storia si sposta: Emma e Laura

La domenica pomeriggio, anche volendo, Rea non sarebbe potuta andare da Fabio: il termometro segnava implacabile trentotto e mezzo di febbre e non accennava a diminuire, così lei era ferma a casa con mal di testa e nausea.

Parleremo con Jason, domani, e gli diremo che hai l’influenza” le assicurò Emma.

Io non sono come te, se anche perdo un paio di giorni di scuola non ne faccio un dramma” ribatté lei flebilmente.

Comunque sentiremo quando dovrai recuperare il compito, noi adesso andiamo a studiare. Riposati” la salutò la mora, chiudendosi la porta alle spalle.

Allora? Come sta?” le chiese Laura, alzando gli occhi dagli appunti di matematica che aveva davanti.

Male, che domande fai?” rispose lei, sedendosi al tavolo.

Di sicuro sta meglio di noi! Io non ce la faccio proprio a studiare questa roba, mi fa venire l’orticaria!” si lamentò la bionda, scompigliandosi i capelli.

Anche a me, ma non ne possiamo fare un dramma! Dobbiamo passare con una media piuttosto alta, lo sai benissimo, altrimenti niente università!” la sgridò. La sorella si fece piccola, piccola sotto al suo sguardo.

Lo so, ma ho la testa altrove” si giustificò in un pigolio. Emma alzò gli occhi dal libro e li puntò maliziosi su di lei.

Tipo a Johan?” le domandò. Arrossì.

Lo sapevo! Sai, ieri sera mi sembrava moooolto interessato a te! Magari è scoccata la scintilla anche per lui!” suppose, iniziando subito a parlare a raffica.

Secondo me dovresti subito agire, prima che l’attrazione si spenga! Fossi in te ci parlerei domani, dopo il compito, e gli chiederei se ha voglia di venire qui a studiare! Io, tanto, mi chiuderei in camera e Rea è malata, per cui rimarreste da soli!” le consigliò. Le si erano illuminati gli occhi e Laura rise.

Emma non era la persona più romantica del mondo, anzi era una di quelle ragazze che non credono né nell’amore eterno né nell’amore disinteressato: per lei amare qualcuno significava in primis esserne attratti fisicamente. Nonostante questo, e nonostante negasse qualsiasi collegamento con l’amore zuccheroso, era una sognatrice e le piaceva fantasticare sugli amori degli altri piuttosto che sui propri. Il fatto era che, se le piaceva qualcuno, agiva e basta e non aveva il tempo di assaporare quell’emozione dell’attesa che, invece, distingueva le sue sorelle, e così facendo cancellava a prescindere ogni possibile desiderio nato durante il corteggiamento. Almeno fino a quando non aveva conosciuto Jason.

Non le erano mai piaciuti gli uomini più grandi di così tanti anni, soprattutto perché non pensava che potesse nascere qualsiasi sentimento tra due persone con tanta differenza di età, però con lui era stato un colpo di fulmine, uno squarcio nel cielo, il cambiamento di una vita. Si sentiva emozionata come una bambina ogni volta che lo vedeva e no, non era uno di quegli amori per una figura irraggiungibile. Prima o poi lui sarebbe stato suo. Nel senso buono del termine, s’intende.

Laura, invece, era completamente l’opposto di Emma. Più grande parlando di mesi ma più piccola fisicamente, era dolce e introversa. Si apriva solo nei suoi disegni manga, dove metteva tutta la sua creatività, ma per il resto non riusciva mai a dire la sua senza pensarci mille volte sopra.

Quando le piaceva qualcuno non lo diceva mai fin quando non le tiravi fuori le parole di bocca con la forza, quasi costringendola. Mai nemmeno una volta si era dichiarata, anche perché si vergognava. Sotto questo aspetto era quasi peggio di Rea.

Le piaceva sognare l’amore, ma, come Emma, non credeva in quello eterno e infinito, nonostante i loro genitori fossero la prova che, anche dopo più di venti anni, si poteva continuare ad amarsi indubbiamente. Johan era il suo ideale di principe azzurro: dolce, con gli occhi azzurro mare, i capelli biondi e leggermente ritti grazie al gel, con una capacità di aiutare gli amici incomparabile. Era generoso e altruista e non esitava a venire da te quando necessitavi. In segreto, era sempre stata gelosa del rapporti che aveva con la sorella, ma si rendeva conto che, se fosse stato il suo migliore amico, quel sentimento che le scaldava il cuore non sarebbe mai nato.

Emma, vola più basso. Non mi è sembrato così diverso dal solito, forse solo un po’ più… aperto?” ragionò.

Ma se ti è stato attaccato come una cozza anche in discoteca!” ribatté la mora.

E tu come te ne saresti accorta se continuavi a dire il mio Jason ha cenato con noi!?” la fulminò.

Io mi accorgo di tutto, cara, e so che Johan ti mangiava con gli occhi!” rispose l’altra, con fare superiore.

Senti, rimettiamoci a studiare che forse è meglio” suggerì la bionda, scuotendo la testa. Tanto, quando sua sorella faceva così, era inutile qualsiasi tentativo di dissuaderla.

 

 

Il lunedì mattina, subito dopo aver consegnato il compito di matematica, entrambe le ragazze Stevens si accasciarono sul banco.

Io non ci voglio credere” si lamentò Emma.

Non dirlo a me” rispose Laura.

Abbiamo studiato per quattro ore di fila, fatto esercizi su esercizi, ripetuto le formule almeno cento volte e, nonostante questo, il compito è stato impossibile. Come minimo ho preso quattro” disse sconsolata.

Tu dici sempre così e poi riesci ad arrivare all’otto senza problemi. Giuro, ti prenderei a pugni quando succede così” la bionda scosse la testa e tirò fuori dallo zaino i libri di inglese per l’ora successiva.

Comunque, hai notato che Johan è tornato accanto a Fabio?” considerò Emma, fissando i due ragazzi.

Sai, ci avevo fatto caso, ma credevo fosse solo una coincidenza visto che Rea è a casa malata” annuì l’altra, abbassando la voce.

Mmh… no, il tuo ragazzo non fa mai niente per sbaglio. Se ha un pregio, è proprio quello di pensare bene prima di agire

Non è il mio ragazzo, intanto, e poi, secondo me, la fai tanto lunga per niente. E’ solo un posto a sedere, in fondo

Tu sei così ingenua! Ok, adesso fissali intensamente: non noti un po’ di ostilità nei confronti di Fabio?” le fece presente. Laura li osservò e sgranò gli occhi.

In effetti, Johan sembra intirizzito come una statua di marmo” notò, dando ragione alla mora.

Deve essere successo qualcosa che noi non sappiamo! Ma perché ultimamente tutti ci tengono nascoste le cose? Non lo sopporto!” si lamentò, sbattendo una mano sul banco e facendo sussultare la sorella.

Calmati! Se fai così ti vengono le rughe!” la riprese.

Non mi interessa! Rea, Fabio e Johan stanno tramando qualcosa e io odio essere tenta fuori. Per cui, a ricreazione, parleremo col nostro nuovo compagno di classe” decise.

Perché lo dici al plurale?” domandò, intimorita, la bionda.

Tu verrai con me” le ordinò.

Cosa? Ma nemmeno morta! A me non importa di indagare sulle vite degli altri, non sono una vecchia pettegola come te!” si ribellò Laura.

Si tratta di nostra sorella, quindi è una questione che ci riguarda, indiscutibilmente. Non pensi anche tu?” le chiese, sorridendo soddisfatta del proprio ragionamento.

L’altra, non sapendo che rispondere, rimase zitta e si interessò inspiegabilmente alla lezione di inglese.

Quando suonò la campanella, entrambe andarono da Fabio, un po’ intimorite soprattutto perché non sapevano cosa chiedergli di preciso.

Po… possiamo parlarti?” chiese Emma, un po’ incerta. Lui la fissò curioso.

Certo, dimmi pure” rispose.

Ecco, ci chiedevamo… ultimamente giri molto intorno a Rea, però lei non ci dice niente su cosa sta succedendo e… sì, insomma…

Vuoi sapere se stiamo insieme?” la aiutò. Annuirono tutte e due. Le fece avvicinare, facendo loro segno di essere caute, poi sussurrò al loro orecchio.

Non è un problema vostro” disse. Si allontanò, lasciandole lì, basite e incredule.

Sei un maleducato!” gridò la mora, arrabbiata. Il ragazzo si fermò.

Se Rea non vi vuole dire niente, perché dovrei farlo io che a mala pena vi conosco? Per quanto mi riguarda, avete la stessa fiducia di tutti gli altri in questa classe, per cui direi che non ho intenzione di dirvi delle mie situazioni sentimentali” spiegò con un’alzata di spalle.

Benissimo, ma non fare l’arrogante saccente”. Fabio si avvicinò a loro a mise la mani sul proprio banco.

Sarò anche arrogante e presuntuoso, ma voi siete poco intelligenti. Prima di fare una domanda del genere a uno sconosciuto, avreste potuto parlare di qualsiasi altra cosa e non essere così dirette. Mi stanno antipatiche le persone che ti fanno domande sulla tua vita privata, soprattutto quando non sanno quasi come ti chiami. Arrivederci” le salutò, lasciandole zitte a fissarlo.

 

 

Stevens Emma” chiamò Jason, restituendo i compiti. Tremante, la ragazza si alzò e andò a prendere il foglio, sotto lo sguardo deluso del professore.

Mi aspettavo molto di più da te” le sussurrò, lasciandole il doppione in mano. Lei spalancò la bocca, incredula.

Q-q… qua… quattro?” soffiò, in preda all’ansia.

Poteva andarti peggio, no?” cercò di consolarla Laura.

Peggio? Cosa c’è peggio di un quattro a matematica in quinta superiore?

Un tre?” suggerì lei. La sorella la fulminò e si zittì.

Come hai fatto tu a prendere sei? Domenica ci capivi meno di me negli appunti!chiese disperata. La bionda arrossì un po’ e lanciò uno sguardo fugace a Johan.

Beh… sì, insomma…

Ti ha suggerito?

Mi ha proprio passato tutti gli esercizi” ammise.

E perché non me li hai passati?” la aggredì. Lei si fece piccola, piccola.

Ci ho provato! Quando ti ho chiamato eri così impegnata a cancellare e rifare il primo problema che mi hai liquidato dicendomi che dovevi fare il tuo compito e non potevi aiutarmi!” le ricordò.

Dannazione, è vero!” ammise Emma.

Comunque è recuperabile, no? Tanto Rea deve rifare il compito lunedì prossimo, chiedi a Jason se puoi recuperarlo con lei” le propose. La mora scosse la testa.

In tre giorni non potrei mai farcela. Sentirò se ci sono i corsi di recupero pomeridiani e seguirò quelli” disse sconsolata.

Come vuoi” la assecondò Laura.

Passarono tutta l’ora successiva in silenzio, ognuna persa nei propri pensieri.

La bionda continuava a fantasticare su Johan, il quale non aveva fatto altro che sorriderle e strizzarle l’occhio da quando erano usciti sabato sera.

Emma, invece, si dava ininterrottamente della stupida per aver sbagliato quel compito in modo così eclatante e, quando suonò la campanella, si avvicinò al professore.

Jason, posso… posso parlarti un attimo?” lo implorò. Lui annuì, già sapendo cosa la ragazza volesse chiedergli.

Uscirono di classe e si misero in un angolo a parlare.

Io… uff, non avevo mai fatto un discorso del genere a un professore, comunque ho bisogno di aiuto nello studio della matematica” ammise con fatica.

Sì, penso anche io che sia meglio. Mi sono stupito non poco del risultato del tuo test, anche perché non avevi mai avuto problemi nella mia materia né in nessun’altra e credo che sia solo questo argomento a darti qualche difficoltà” ammise l’uomo.

Quindi cosa posso fare?” gli chiese disperata. Aveva spalancato gli occhi tristi e si era quasi messa a piangere, e Jason, incredibilmente, si ritrovò a pensare che erano proprio di un bel colore. Rimase un attimo imbambolato a fissarla, senza sapere di preciso cosa rispondere, poi si schiarì la voce.

Senti, ci sono dei corsi pomeridiani qui a scuola, pensati apposta per chi ha problemi nelle varie materie. Se vuoi posso chiedere se me ne fanno tenere uno per chi ha preso l’insufficienza nel compito e farti assistere per chiarirti le idee” propose. Emma si illuminò.

Davvero? Faresti questo per me?” domandò speranzosa. L’uomo si rese conto che la situazione poteva prendere una brutta piega, ma sorrise dolcemente.

Per te… e per tutti gli altri” rispose.

Un po’ dell’allegria della ragazza se ne andò, ma quando lo vide andare via il sorriso tornò più splendente che mai.

 

Questa è Rea!! Ok, lei non vorrebbe che mettessi questo link, ma non resisto!! Ciao ciao!! Emma http://www.youtube.com/watch?v=NeYGXUTKa7c&feature=plcp

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Capitolo 10
*** I disastri delle sorelle Stevens 1: il primo appuntamento di Laura ***


 

I disastri delle sorelle Stevens 1: il primo appuntamento di Laura

 

Il sabato mattina Laura e Emma erano sedute sul banco (no, non AL banco ma proprio Sul banco) con in mano la colazione e stavano discutendo su cosa fare quella sera. Rea era ancora costretta a casa e stavano pensando di rimanere con lei a guardare un bel film.

In quel momento un nervosissimo Johan le salutò, avvicinandosi a loro.

Buongiorno!” disse la mora, sorridendo.

Ciao” sussurrò la sorella, avvampando improvvisamente.

S… ehm… salve a tutte e due! Che fate di bello?” s’informò, cercando di dissimulare l’imbarazzo.

Stavamo pensando a cosa fare stasera. Abbiamo lasciato sola Rea così spesso che ci sentiamo in colpa e probabilmente rimarremo in casa con lei. Tu? Che programmi hai?” rispose Emma, ben sapendo che Laura non sarebbe stata capace di creare una frase così lunga in risposta al ragazzo.

Oh, niente io… cioè, in realtà avevo un’idea ma… sì, insomma… ehm…” lui iniziò a balbettare, sentendosi piuttosto ridicolo. Fu solo grazie allo spirito di osservazione della mora che si salvò.

Ehi, ma guarda, là c’è Roberto. Scusatemi, vi lascio soli un attimo!” disse, strizzando l’occhio a Johan senza farsi vedere dalla sorella. Scomparve in corridoio e non si rivide fino al suono della campanella.

A questo punto i due ragazzi erano rimasti per la prima volta insieme senza qualcuna delle sorelle Stevens intorno, e questo li fece agitare. Laura sentiva le guance in fiamme e le mani sudate.

Allora… stasera anche tu rimarrai con Rea a casa?” le chiese lui, per rompere il silenzio.

Penso… penso di sì, non ho altri programmi, almeno al momento” rispose.

Già” disse l’altro. Cadde di nuovo il silenzio tra loro.

Senti, pensavo… ti… ti va di venire a mangiare una pizza con me?” sputò fuori lui tutto d’un fiato. La bionda rimase allibita, senza sapere cosa rispondergli e lo fissò con gli occhi sgranati.

Io?” domandò incredula. Johan rimase un secondo perplesso.

S-sì… cioè, solo se vuoi” puntualizzò.

Laura si aprì in un enorme sorriso che le passava da orecchio a orecchio, poi annuì.

Molto volentieri!” esclamò. Anche il ragazzo sorrise, sollevato.

Benissimo, allora vengo a prenderti verso le…

Sette e mezzo?” propose lei.

Perfetto!” confermò lui, scendendo dal banco. Vide Emma che li spiava dalla porta e sorrise.

A dopo” la salutò, lasciandole un bacio sulla guancia.

In quel momento suonò la campanella e la mora rientrò in classe, facendo finta di niente.

Scusami, c’era Roberto in corridoio e sono andata a salutarlo” disse, mascherando (male) un sorrisetto soddisfatto.

Sei una bugiarda e so che muori dalla voglia di chiedermi che ci siamo detti” la riprese la bionda, sorridendo apertamente. Sua sorella crollò e si attaccò al suo braccio.

Ok, è vero, quindi ti prego, ti scongiuro, dimmi che finalmente vi siete mossi!” la implorò, disperata. L’altra voleva tenerla un po’ sulle spine ma, non riusciva a contenere la felicità.

Sì! Ce l’abbiamo fatta!” sussurrò euforica, cercando di non farsi sentire da Johan.

Jason entrò in classe in quel momento, facendo zittire tutti.

Dopo voglio sapere tutti i particolari” mimò Emma con le labbra, strizzando l’occhio a Laura.

 

 

Io lo sapevo già” stava dicendo Rea quel pomeriggio, mentre le sue sorelle parlavano a raffica di questo appuntamento.

Come lo sapevi già? Che significa?” le chiese la più piccola, sorpresa.

Diciamo che avevo parlato con Johan, in un modo o nell’altro, e mi aveva chiesto di non dire niente per fare una sorpresa a Laura” rispose, sorridendo. “O, comunque, qualcosa di simile” pensò.

Quindi tu, brutta Giuda, sapevi già che lui voleva chiederle un appuntamento… e non mi hai detto nulla? Sei una perfida!” la accusò Emma, mettendo il broncio.

Avevo promesso! Lo sai che le nostre promesse sono sacre, anche tu sei stata tirata dentro i nostri accordi una volta. Ricordi? Un segreto per un segreto! È così che funziona con noi!” le fece presente la rossa, scrollando le spalle.

Sì, lo so come fate voi due” confermò esasperata. Poi un lampo di genio.

Però, se la vostra formula è un segreto per un segreto, significa che anche tu gli hai confessato qualcosa, giusto?” ragionò. Rea si sentì morire.

Non sono affari tuoi. Ora pensiamo ad aiutare Laura a prepararsi: se deve essere pronta per le sette e mezzo, visto che sono già le tre e un quarto, dobbiamo metterci subito al lavoro” esclamò, distogliendo l’attenzione da sé. Odiava quando le persone indagavano su cose che lei non aveva detto, soprattutto perché, sotto pressione, non era assolutamente in grado di stare zitta. Crollava come un castello di carta e si malediceva per la settimana seguente di aver raccontato qualcosa alle sue sorelle. La torturavano fino alla morte dopo aver saputo.

Comunque, sia lei che Emma si misero di buona lena e prepararono Laura minuziosamente: i capelli furono piastrati e ci misero sopra dei brillantini argentati che risaltavano il suo biondo naturale; le fecero mettere un vestito nero e bianco con la gonna larga, che non accentuava la sua bassezza (quando Rea aveva fatto quel commento, la bionda le era quasi saltata al collo); un paio di scarpe col tacco nero la faceva più slanciata; la truccarono in modo leggero ma visibile, in modo che non risultasse volgare ma dolce. Alla fine, dopo tre ore di preparazione, entrambe la fissarono soddisfatte: era stato un lavoro coi fiocchi.

Sei perfetta” commentò Emma, sorridendo.

Un amore” confermò Rea. Lei fece un giro su sé stessa davanti allo specchio e rimase piacevolmente stupita dal suo aspetto.

Mi piace!” affermò felice. A questo punto, la parte più semplice della serata era stata superata. Ora non restava che aspettare Johan, ma mancava un’ora al suo arrivo. Che fare per ammazzare il tempo?

Vi va obbligo o verità?” propose la mora.

Decisamente no” rifiutò la rossa, scuotendo la testa. Odiava quel gioco perché tanto ci rimaneva sempre fregata, in un modo o nell’altro.

Perché?” domandò triste.

Perché sei un killer, quando si tratta di questo gioco stupido, e non ho voglia di farmi ammazzare da te” le rispose. Lei si zittì, incrociando le braccia.

Perché non parliamo di qualcosa? Vi prego, fatemi distrarre, se penso che tra un’ora io… io… oddio, chiamo Johan e gli dico che non esco!” esclamò Laura, entrando nel panico.

Cosa? No!” la fermarono le sorelle, togliendole di mano il cellulare.

Ridatemelo! Non posso uscire con lui, non ce la faccio!” si lamentava la bionda.

Stai aspettando questo momento da anni, ormai! Non puoi tirarti indietro adesso!” la incoraggiò Emma.

Esatto! Inoltre lui mi ha detto che gli piaci proprio tanto e quindi non devi buttare a monte tutto quanto per paura!” continuò Rea.

Ma è un disastro! Che succederebbe se l’appuntamento andasse male? Noi siamo tutti amici, se litigassimo sarebbe imbarazzante! Preferisco mantenere un’amicizia” decise, allungandosi per recuperare il telefonino.

E noi dovremmo stare ferme, per poi sentirti lagnare ogni giorno per i prossimi dieci anni perché ti sei lasciata scappare quel ragazzo? Ma nemmeno morte!” rispose la rossa, infilandosi il cellulare nella felpa gigantesca che aveva indosso per tenersi al caldo.

Restituiscimelo!” ordinò.

No” disse lei. Laura si fermò e respirò un paio di volte, cercando di calmare il respiro.

Ok, va bene, adesso sono tranquilla. Restituiscimi il cellulare e io giuro che non chiamerò Johan” promise. Le sue sorelle si fissarono e poi scossero la testa.

Te lo renderò quando il ragazzo sarà qui e tu non potrai disdire” decisero insieme.

 

 

Johan, puntuale come un orologio svizzero, si presentò a casa loro con una scatola di cioccolatini, che la ragazza appoggiò sul tavolo.

Grazie, non dovevi!” disse, sinceramente colpita, lui sorrise imbarazzato.

Non è niente” rispose. Rimasero fermi a fissare il pavimento, entrambi agitati, per un paio di minuti, poi le altre due, stanche del loro tergiversare, si misero in mezzo.

Ehi, è tardi, vi conviene andare o non troverete posto!” esordì Rea.

Sì, e poi noi dobbiamo metterci in pigiama a guardare un bel film, quindi andatevene!” ordinò Emma, spingendoli fuori.

Divertitevi!” gridarono insieme, chiudendo la porta.

Laura fissò il suo accompagnatore.

Scusale, lo sai come sono fatte” disse scuotendo la testa. Johan rise.

Figurati, mi è sempre piaciuto il vostro rapporto. È forte” la tranquillizzò. Poi le tese il braccio e la invitò a prenderlo.

Allora… come va?” le chiese, iniziando a sentirsi imbarazzato.

Come al solito: scuola, sorelle rompiscatole… lo sai, no?” rise lei.

Sì, conosco la vostra famiglia” ammise il ragazzo, ridendo con lei.

Si misero a conversare delle cose più stupide possibili, parlando senza problemi del più e del meno.

Durante la cena non fecero altro che ridere e scherzare.

E poi avresti dovuto vedere come l’ha fissato! Lo avrebbe volentieri preso a pugni” stava raccontando Johan.

Ci credo, Maria odia quando qualcuno, specialmente se è un ragazzo, la umilia. Ma tu come mai lo sai?

Ero alle macchinette a prendere da bere con Alberto quando tutto ciò è successo. Tua sorella avrebbe voluto volentieri scomparire!” rispose.

Beh, dopo una cosa del genere, l’avrei voluto anche io” ammise Laura, continuando a ridere come una matta. Mentre si asciugava le lacrime, dette per sbaglio un colpo alla coca cola con la mano, e questa si versò tutta addosso al ragazzo, sporcandogli i jeans e la camicia.

Oddio, mi dispiace!” esclamò, rialzando il bicchiere. Lui era rabbrividito a causa dei cubetti di ghiaccio contenuti nella bevanda e si stava pulendo con un tovagliolo.

Non ti preoccupare. Sono cose che capitano” la tranquillizzò.

Scusami, scusami, scusami!” ripeteva lei, mortificata. Prese un pezzo di carta e iniziò ad asciugargli la maglietta, tamponandolo.

Ehi, ehi, ehi, ferma! Non è così grave!” le assicurò, vedendola dispiaciuta.

Lo so, ma voglio rimediare!” rispose, continuando a passargli il fazzoletto sul petto. Solo in quell’istante si rese conto della vicinanza del suo corpo e le mani iniziarono a tremargli leggermente. Alzò lo sguardo incrociando i suoi bellissimi occhi azzurro cielo e rimanendone ipnotizzata.

Johan si avvicinò piano con le labbra, ma, all’ultimo momento, per qualche strana ragione, Laura si scansò, evitando il bacio. Aveva il cuore a mille, ma non sapeva dire come mai si fosse spostata.

F-forse… credo che sia meglio se torni a casa e ti cambi, non puoi andare in giro in queste condizioni” suggerì, con la voce tremante. Il ragazzo, ancora basito, annuì meccanicamente.

 

 

La lasciò sulla porta di casa senza nemmeno dirle un semplice “ciao” e se ne andò, piuttosto cupo in viso. Lei si mise a battere la testa alla porta, rimproverandosi per la sua stupidità.

Complimenti, davvero brava” disse ad alta voce, cercando le chiavi nella borsetta, senza trovarle.

Bene, benissimo” esclamò irritata. Suono il campanello, aspettando che le sue sorelle andassero ad aprirle. Ci volle un po’ prima che un’assonnata Rea spalancasse la porta, stupita.

E tu che ci fai a casa alle dieci e un quarto?” le chiese. Lei la sorpassò.

Non mi va di parlarne, ho solo voglia di farmi un bagno lunghissimo e di dormire fino a domani. Buonanotte” rispose scontrosa.

Ehi, è già finito l’appuntamento?” domandò Emma, arrivando nell’ingresso.

La rossa la fissò confusa e alzò le spalle.

 

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Capitolo 11
*** I disastri delle sorelle Stevens 2: ripetizioni di matematica ***


I disastri delle sorelle Stevens 2: ripetizioni di matematica

Laura si rifiutò di andare a scuola il lunedì mattina, mentre Rea rientrò, felice di poter finalmente uscire di casa dopo una settimana di reclusione. Fece attenzione a non incrociare Fabio se non necessario e rimase tutto il tempo attaccata a Emma.

Questa, intanto, stava pensando a come chiedere a Jason delle ripetizioni, ma si sentiva vagamente imbarazzata. Lei non si sentiva mai imbarazzata e questo la faceva arrabbiare. Cosa gli faceva quell’uomo per renderla così… così?

Ehi, la campanella è suonata! Sbrigati se vuoi parlare con il tuo amato!” la richiamò sua sorella, dandogli un colpetto sulla spalla.

Eh? Dove?” chiese lei, sobbalzando. Si era fissata con lo sguardo al muro e non aveva sentito la fine della lezione.

In corridoio” le rispose lei, indicandole la porta.

La mora si alzò e quasi corse fuori dalla classe per raggiungere il professore.

Jason!” lo chiamò col fiatone.

Sì?” disse lui, fermandosi di botto. Fu sorpreso di vedere proprio Emma Stevens andargli dietro e attese pazientemente che riprendesse fiato per sentire cosa doveva dirgli.

Ehi, non è una grande corsa dalla classe a qui, non devi essere particolarmente allenata se sei già così stanca” cercò di smorzare quell’attesa in qualche modo, per non dover stare in silenzio a fissarla.

Lo so, ma… lasciamo perdere. Comunque, volevo sapere quando iniziano i corsi di recupero” domandò.

Quali corsi di recupero?

Le lezioni che avevi detto servivano per il compito di matematica” gli ricordò.

Ah… ah, sì! Certo, scusami, ero un secondo andato con la testa. Comunque ho già parlato con il preside, che mi ha autorizzato a farne uno mercoledì pomeriggio. Se vuole, può venire anche tua sorella, che ha saltato l’ultimo test e che stamani non ha potuto farlo perché era rimasta indietro con le lezioni” le rispose.

Bene, glielo dirò” assicurò Emma.

Allora ci pensi tu ad avvertire tutti i tuoi compagni?

Certamente!

 

 

Allora siamo d’accordo?

Sì, ma vai!

Oddio, forse avrei dovuto dirlo a qualcun altro…

Ti muovi? Se qualcuno dice qualcosa ci pensiamo noi!

Ma…

Senti, è il nostro regalo per il tuo compleanno, adesso muovi quelle chiappe secche e sode e vai da Jason!

Ok, ok, ma non ti arrabbiare!

Emma uscì di casa e si diresse verso la scuola. Il corso ci sarebbe stato dalla tre alle cinque. Avrebbe dovuto essere triste perché doveva fare due ore in più di lezione il giorno del suo compleanno, invece, grazie a quei due geni di Laura e Rea, avevano escogitato un modo meraviglioso per far sì che lei rimanesse sola con Jason: quando le aveva avvertite dei corsi di recupero, subito la rossa aveva annuito dicendo

Bene, allora questa cosa non dovrà uscire da qui!”, spiegandole che, se non avesse avvertito gli altri ragazzi, l’unica a presentarsi al corso sarebbe stata lei.

E, se uno dei nostri compagni ribatte, noi diremo che tu lo avevi annunciato in classe stamani, ma loro, troppo impegnati a fare altro, non avevano sentito

Certo, ma sarebbe normale che voi due mi deste ragione: siete le mie sorelle!

Infatti chiamerò Johan e Fabio e gli chiederò di reggerci il gioco” aveva subito detto Rea, inventandosi una scusa al momento. Laura sussultò lievemente sentendo pronunciare il nome del ragazzo.

Per essere una che odia le bugie, sei piuttosto brava” si era spaventata Emma.

Lei le aveva fatto l’occhiolino e le aveva esposto i dettagli del suo piano: essendo l’unica ad andare a ripetizione ed essendo sola con Jason, entro un’ora si sarebbero entrambi stancati di fare matematica ma, visto che l’aula era prenotata per due ore intere, sarebbero rimasti lì a parlare del più e del meno.

Da cosa nasce cosa, poi sta tutto a te” le aveva sorriso. “Dico bene, Laura?” aveva chiamato la sorella. La bionda era in stato catatonico dal sabato sera e loro non avevano ancora ben capito cosa fosse successo. In realtà, Rea aveva provato a parlare anche con Johan ma lui si era chiuso in un silenzio totale e non riusciva a fargli confessare l’accaduto.

Adesso però, entrata in un’aula completamente vuota, Emma si sentiva piuttosto piccola e insignificante. Come poteva aver pensato anche solo per un attimo che quel piano avrebbe funzionato? Non ce la poteva fare: lui era un professore e lei una studentessa, e le due cose non andavano molto d’accordo.

Buongiorno ragaz… oh!” Jason entrò in fretta e furia, con qualche minuto di ritardo rispetto all’orario previsto, e si sorprese non poco di vedersi davanti solo la Stevens più piccola.

Buon pomeriggio. Come mai ci sei solo tu?” le chiese. Un po’ imbarazzata, lei alzò le spalle come per dire “Non lo so proprio” e si sedette al primo banco davanti alla cattedra.

Non importa, vorrà dire che dimezzeremo l’orario di lezione ma sarà più intenso, così potrai andare a casa prima. Va bene?” propose, stranamente emozionato.

” rispose lei, sentendosi già mancare il respiro. Lui le si sedette accanto e si mise direttamente a scriverle sul quaderno e lei sentì la sua vicinanza riscaldarla. Anche quello le bastava: anche solo stare lì, con Jason vicino che le spiegava passaggio per passaggio ciò che non aveva capito andava bene. Non le importava più di provarci o vedere se ci sarebbe mai potuto essere un futuro, l’importante era il qui e l’adesso. Tutto il resto poteva anche andare al diavolo.

Esatto, adesso hai capito!” si complimentò il professore, vedendo che aveva completato l’esercizio alla perfezione. Si allontanò da lei e si sedette alla cattedra, poi la fissò un secondo.

Ok, devo proprio chiedertelo: com’è possibile che tu abbia preso quattro al compito? Conosci le regole a memoria e capisci al volo i passaggi. Non ha un senso” le chiese, confuso.

Emma chiuse gli occhi, stringendoli, poi li riaprì e sorrise.

Probabilmente ero poco attenta durante la spiegazione in classe e non ero stata bene dietro al procedimento, quindi non lo avevo capito appieno” rispose, celando i suoi veri pensieri. “Ero così occupata a fissarti quel sedere perfetto che del seno e del coseno me ne importava meno che della crisi finanziaria del Madagascar

Allora la prossima volta prestami più attenzione, così non dovrai sprecare un intero pomeriggio qui a scuola” le consigliò. Lei rise.

Sì, forse hai ragione. Ma… in fondo non mi dispiace passare il compleanno qui” ammise infine. “Ok, l’ho detto

Oggi è il tuo compleanno?” s’informò Jason.

Sì. Da oggi sono ufficialmente maggiorenne” rispose allegra. Lui sorrise.

Allora dovremmo festeggiare! Ti va se ti offro un dolce in pasticceria? Non sarà molto, ma…

Sì!” esclamò Emma, senza farlo finire.

Cioè, insomma… molto volentieri” si corresse, arrossendo.

 

 

Jason era un professore modello: aveva ottimi rapporti con gli studenti, si divertiva nel suo lavoro, cercava sempre di spiegare per bene i passaggi meno chiari con tecniche sempre più semplici, in modo che anche chi aveva difficoltà potesse arrivarci. Mai un richiamo, mai un problema, mai un’assenza.

Ciononostante, adesso si rendeva conto che, seduto in un bar con una tazza di cioccolata calda davanti e una studentessa per la quale nutriva qualcosa più che semplice affetto, stava mettendo in pericolo la sua integrità morale e professionale.

E le tue sorelle, Rea e Laura, cosa ti hanno regalato?” le chiese, iniziando a bere la sua bevanda. Aveva fatto aggiungere panna extra perché venisse dolce come piaceva a lui.

Ancora non lo so, mi hanno detto che me lo daranno stasera” rispose lei, pensandoci. Quando l’uomo allontanò dalle labbra la tazza, lei rise forte vedendo che gli erano rimasti i “baffi” intorno alla bocca.

Che c’è?” si preoccupò lui.

Hai… sei tutto sporco!” lo prese in giro, indicandolo.

Ops” esclamò il professore, prendendo un tovagliolo. Iniziò a pulirsi, facendo peggio e scatenando l’ilarità della ragazza.

Fermo, fermo, fermo, lascia fare a me” suggerì Emma, avvicinandosi. Non voleva essere un gesto malizioso, né una provocazione, ma quando fu col fazzoletto a poca distanza dalle sue labbra e con il viso vicinissimo al suo, non riuscì a trattenersi.

Ecco, la panna è tutta qui” disse, lasciando un bacio proprio sopra alla sua bocca.

L’uomo rimase immobile, deglutendo a fatica e sentendosi terribilmente attratto da quel gesto, ma si impose di respingerla.

Rendendosi conto di cosa aveva fatto, la ragazza arrossì e si sedette di nuovo al suo posto, con le mani in grembo.

I-io… scusami, non volevo…” disse imbarazzata.

Credo che sia meglio se torniamo a casa” propose Jason, alzandosi. Lei annuì, conscia di aver rovinato un bellissimo pomeriggio.

Quando ebbero pagato, entrambi si avviarono nella stessa direzione.

Emma voleva dire qualcosa ma la sua mente era come congelata e non riusciva a pensare. Come poteva fargli capire che era dispiaciuta da morire?

Senti, non…

Non importa, può capitare” la fermò lui, sorridendo.

Come?” domandò lei, incerta di aver capito bene.

Facciamo finta di niente, ok? Sono cose che capitano” la tranquillizzò, continuando a camminare come se niente fosse. La ragazza lo seguì, un po’ confusa, in silenzio.

Erano ormai quasi arrivati, quando si mise a piovere. Non fece nemmeno quel piccolo accenno che di solito c’è prima di un temporale, l’acqua iniziò a cadere subito a scroscio, facendoli bagnare in pochissimo tempo.

Cavolo, dobbiamo trovare un riparo!” esclamò Jason, parandosi la testa con le mani.

Casa mia è a pochi passi, se corriamo riduciamo il danno al minimo!” gridò Emma per sovrastare il rumore della pioggia. Entrambi si avviarono a passo svelto verso l’abitazione degli Stevens.

 

Rea, Laura, sono a casa!” chiamò la ragazza, entrando. Era molle del tutto, completamente fradicia, ma fortunatamente il bagno era contiguo all’ingresso. L’uomo la seguì, scuotendosi sul tappeto d’ingresso.

Permesso” disse educatamente, ma nessuno rispose. La mora, insospettita, chiamò di nuovo, ma non rispose nessuno.

Strano, non ricordavo che avessero detto di uscire” pensò ad alta voce.

Aspettami qui, vado un secondo a cambiarmi per non fare bagnato a giro e poi torno. Intanto tu togliti almeno il giacchetto” lo istruì, infilandosi nella toilette.

Rimasto solo, Jason riuscì finalmente a respirare senza problemi. Aveva capito che quella ragazza era una fonte di problemi quando l’aveva fissata negli occhi qualche mattina prima a scuola. Oddio, se ci ripensava aveva ancora i brividi. Non poteva e non doveva cedere a quella… cosa che stava nascendo nel suo cuore verso di lei. Emma era zona proibita. Stop!

Tutti quei buoni propositi andarono a farsi benedire quando lei uscì dal bagno con un asciugamano legato in testa e il pigiama addosso.

Mi sono dovuta mettere la prima cosa che ho trovato, scusami per l’abbigliamento” disse, indicandosi imbarazzata.

N-niente” balbettò lui, un po’ a disagio. Lei si spostò dall’entrata della stanza.

Ecco, ti lascio asciugare, intanto cerco qualcosa nella camera di papà per farti cambiare mentre i tuoi vestiti asciugano” lo avvisò, andando verso la fine del corridoio.

Ma non importa, mi bastano solo dieci minuti e un buon ombrello” cercò di fermarla, ma ormai lei era andata.

Si chiuse la porta del bagno dietro, ma non a chiave, e si tolse la maglietta. La strizzò dentro alla vasca e poi si lavò la faccia per calmarsi un secondo.

Emma, intanto, era entrata nella stanza dei suoi e stava cercando una felpa del padre. “Forse nell’armadio” pensò. Quando aprì il mobile, vide Rea e Laura chiuse dentro che si nascondevano e lanciò un urlo, subito soffocato dalla mano di una della due.

Zitta, vuoi che si preoccupi?” le chiese la rossa.

Che cavolo ci fate qui dentro?” domandò infuriata.

Ci siamo tolte dalla circolazione per non disturbare. Tieni questa e vai!” le ordinò la bionda, passandole una maglietta.

Ma…

VAI!” dissero all’unisono.

Un po’ scossa, lei tornò in corridoio e sorrise. Certo che aveva proprio due sorelle idiote.

Bussò alla porta del bagno, ma non ottenne risposta.

Jason?” chiamò. Ancora silenzio. Aprì la porta e lo vide a torso nudo davanti al lavandino che si asciugava il viso.

Oh, scusami, io ero venuta a portarti solo questo” disse mortificata, allungandogli la felpa. Lui si voltò sorpreso.

Figurati, nessun problema. Grazie” la tranquillizzò, col suo solito sorriso dolce. Emma fece per avvicinarsi a lui e farlo rivestire, ma scivolò sulla condensa dell’acqua calda che si era formata sul pavimento e rischiò di finire a terra.

Waaa!” gridò.

Attenta!” esclamò l’uomo, recuperandola per un braccio e tirandola verso di sé.

Lo sentì stringerla al petto e tenerla ferma lì, anche quando ormai si era riequilibrata. “Troppo vicina a questi muscoli nudi” si disse.

Ah-ehm… gr-grazie” disse, puntandosi con le mani sugli addominali per allontanarsi. “Brutta mossa, ragazza” pensò di nuovo. Le sue mani si mossero da sole, accarezzando incantata quel corpo così bello e…

Emma… ferma” sussurrò Jason, riportandola alla realtà. Lei sobbalzò e si staccò, arretrando.

Mi dispiace! Scusami” esclamò imbarazzata.

Attratto da quel suo sguardo dolce e confuso, l’uomo le prese il viso tra le mani e la baciò, lasciandola completamente ammutolita. Aveva ceduto, alla fine.

Lei ricambiò, stupita ma felice, e si alzò sulle punte dei piedi per tirarselo contro. Fu solo a quel punto che il professore si rese conto di ciò che succedeva e la allontanò.

Questo è sbagliato, non posso” le disse, lasciandola andare e rimettendosi la sua maglietta. Emma non riuscì nemmeno a muoversi dal bagno mentre lui usciva e sbatteva la porta di casa quasi fuggendo.

Rea e Laura entrarono molti minuti dopo e si stupirono di vederla in piedi in lacrime.

Emma!” esclamarono insieme, avvicinandosi.

Lei non disse niente, non ne aveva quasi la forza. Semplicemente si lasciò abbracciare e, per la prima volta in diciotto anni, pianse fino a sentirsi sfinita.

 

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Capitolo 12
*** I disastri delle sorelle Stevens 3: il recupero del quaderno rosso ***


I disastri delle sorelle Stevens 3: il recupero del quaderno rosso

Rea aveva resistito una settimana intera prima di decidere di andare a parlare con Fabio. Lui non le aveva mai rivolto la parola e lei era in pena per il suo quaderno: che ne aveva fatto? Non l’aveva mai nominato, né si era mai preoccupato di restituirglielo, e ora, dopo sei estenuanti giorni di attesa da quando era rientrata a scuola, si era costretta ad andare a casa sua per riprenderselo.

Si sentiva in ansia e terribilmente stupida mentre marciava incerta verso la sua abitazione e aveva un terribile presentimento. Sembrava che in quei giorni le sorelle Stevens fossero affette da qualche terribile maledizione che le faceva comportare in maniera assurda: prima Laura che rifiutava un bacio da Johan dopo avergli versato tutta la bibita addosso (Rea era riuscita a far parlare l’amico dopo diversi ricatti e scambi di favore) e poi Emma, che non solo tentava di sedurre il professore in una pasticceria, ma poi lo baciava quando lui era mezzo nudo nel suo bagno. Decisamente c’era qualcosa di terribilmente inquietante in tutto ciò. E dire che lei non era una di quelle che credevano nella sfortuna.

Quando fu davanti alla porta di casa di Fabio, ebbe un attimo di esitazione: non era più molto sicura di voler entrare e affrontarlo. Si ricordò di come si erano salutati l’ultima volta e si sentì in colpa. “Forza e coraggio, devi solo riprenderti il blocco” s’incoraggiò. Suonò il campanello e attese.

Chi è?” domandò una voce dal citofono.

S-sono Rea” rispose, deglutendo. Ci furono trenta secondi di silenzio prima che la porta si aprisse, poi un Fabio stranamente spento si affacciò.

So già perché sei qui” le disse sospirando. La fece entrare e quel posto le mise addosso una certa tristezza, inspiegabile ai suoi occhi.

Vado a prendere il tuo quaderno in camera, aspetta un minuto” la avvertì, scomparendo nel corridoio. Rea si portò le mani sopra al petto e cercò di calmare i respiri. “Conta: uno… due… tre…

Ecco qua, tieni” esordì il ragazzo, rientrando in stanza e passandole il blocco. Evitò di guardarla negli occhi e questo le dette un po’ di fastidio.

Grazie” rispose lei, irrigidendo inconsciamente il tono della voce.

Di niente” ribatté lui. Nessuno dei due disse niente per i due minuti successivi, poi fu lei a rompere quel silenzio rumoroso che la stava facendo impazzire.

Forse è meglio se vado” ipotizzò, avviandosi verso la porta. Lui la seguì e gliel’aprì.

Scusa per il disturbo” lo salutò. Era quasi uscita quando lui richiuse la porta e rimase a testa bassa con una mano appoggiata sulla maniglia. Rea era confusa.

C’è qualche problema?” gli chiese. Il ragazzo continuò a rimanere zitto, poi si voltò a guardarla: i suoi occhi nerissimi erano spaesati, e i capelli, che gli ricadevano sulla fronte, gli mettevano in ombra il viso, rendendolo quasi spaventoso.

Io l’ho letto” esordì poi, allontanandosi dalla porta e avvicinandosi a lei. La ragazza indietreggiò.

Cosa?” domandò.

Quel quaderno. In queste due settimane dopo il nostro appuntamento l’ho letto tutto. Prima non ne vedevo l’utilità, poi tu sei fuggita e mi sono chiesto se, per capirti, non avrei potuto usare quegli appunti strani. Quella sei tu, vero?” l’aggredì, continuando ad avvicinarsi.

I-io?

Tu sei l’anatroccolo della storia, sei la piccola indifesa che non riesce a stare dietro agli altri” Rea andava sempre più indietro, spaventata da quello sguardo. Temeva da tempo che prima o poi avrebbe fatto il collegamento, era il suo incubo più grande.

Ci può anche provare: può correre per raggiungere i suoi fratelli, ma non ci riesce, inciampa ogni volta che prova ad aumentare il passo. E piange. Piange tanto, l’anatroccolo, implorando qualcuno perché l’aiuti, e rimane fermo, pietrificato, ad aspettare. Solo un giorno, quando ormai il suo corpo si è trasformato, si alza, ormai stanco di essere sempre solo, e cammina col suo passo, a testa bassa, cercando di evitare gli sguardi altrui. È aggressivo per quanto riguarda chi entra nel suo perimetro vitale, ma non lo fa apposta: ha così paura che il suo precario equilibrio mentale venga sconvolto che è il suo solo modo per reagire. Alla fine, non si è nemmeno accorto di essere diventato un bellissimo cigno, gli basta solo continuare ad andare avanti nella vita, facendo meno rumore possibile per non essere più ferito recitò a memoria. Quelle parole la fecero rabbrividire e salire le lacrime agli occhi.

Fabio, basta” lo implorò con voce tremante.

Il cigno continua a nascondersi e a stare a testa bassa per tutta la vita, purché senza soffrire. Si annulla e tanto gli basta per convincersi di stare bene. Ed evita il coinvolgimento emotivo con gli altri.

Fin da piccolo, infatti, chi lo avvicinava lo faceva solo per prenderlo poi in giro. Lo illudevano. Gli facevano credere di accettarlo nonostante la sua diversità per poi distruggerlo pezzo dopo pezzo. E le sue lacrime non servivano a niente per avere un po’ di pietà: è per questo che il suo cuore si è corazzato e adesso rifiuta chiunque per qualunque motivo continuò.

Basta, basta, basta!” gridò Rea, senza avere la forza per sentire altro.

Quell’anatroccolo sei tu, vero?” le domandò implacabile. Continuava a spingerla verso il muro, dove lei si bloccò poco dopo.

Tu hai davvero così tanta paura? Sei davvero convinta di quello che scrivi?” continuò. La ragazza si portò le mani alle orecchie, ormai piangendo disperata.

Dimmelo! Dimmi che non sei tu e ti mando via, ma dimmelo!” le ordinò Fabio, prendendola per i polsi. Lei scosse la testa e lo fissò con occhi disperati.

SMETTILA, ADESSO BASTA!” gridò, col fiatone.

Sono io, sono io, SONO IO!” ammise, con soddisfazione dell’amico.

Io sono quell’anatroccolo e sì, ero convinta di ogni singolo, insignificante dettaglio che ho descritto. E lo sono tutt’ora: un cigno, per quanto esteticamente bello, cerca di allontanare tutti solo per frustrazione. E io, che non sono nemmeno bella, cosa dovrei fare?” gli chiese retoricamente.

Per le persone come me, che non possono permettersi di sperare in qualcosa che non troveranno mai, cosa rimane? Io non sono bella, né esteticamente né interiormente, e soffro in maniera così esponenziale per questo che mi ritrovo a chiedermi come possa sopportare questo dolore senza implodere. Passo ore a dirmi che potrei farcela, che prima o poi troverò chi mi apprezza e mi ama per questa cosa orrenda che sono, ma non ci riesco, non ho più la forza di sperare e poi piangere di nuovo perché mi ho sognato tanto e i miei sogni si sono infranti!” rispose. Fabio sbatté un pugno al muro e la fissò.

Ma allora sei del tutto idiota!” concluse.

Sei completamente deficiente!” continuò.

Perché?” chiese lei furiosa.

No, perché devo chiedertelo io: perché sei fuggita quando abbiamo toccato l’argomento scrittura? Come mai fuggi dal tuo essere te stessa, meravigliosa come sei?

Io non sono meravigliosa! Non lo sono mai stata! Ero un’impedita a scuola, sempre quella diversa, sempre a sentirmi dire che non ero come gli altri. Ero brutta quando siamo entrati alle medie, se possibile più di ora, e me lo sentivo ripetere spesso e con insistenza. Ero e sono tuttora una ragazza che si è stufata, che non riesce più ad alzarsi dal letto senza sentirsi pesante e scoraggiata. Io sono questo, non sono meravigliosa!” gridò. Ormai le lacrime non smettevano di scendere, erano come un fiume in piena e nessun argine riusciva a fermarle.

Quindi è per questo che mi hai respinto? Che ti rifiuti di uscire dal tuo guscio? Hai solo fottutamente paura!” la accusò.

Sì. Sì ne ho, e molta! E quelli come te, i bellissimi e impossibili che vengono braccati dalle ochette come quelle tre idiote di classe nostra, per le persone come me sono off limits!

Ma ti ascolti? Li senti i tuoi discorsi deliranti?

Non sono deliranti, sono sensatissimi” affermò convinta. Aveva abbassato il tono di voce e ora stava guardando fisso a terra, debole e fragile.

Io non riesco a fidarmi di te perché tu sei un ragazzo bellissimo. L’ho fatto, una volta, di dire ad una persona che scrivevo. Sai cos’è successo? Mi ha detto che non dovrei farlo perché sono un’inutile incapace, e che non dovrei quasi nemmeno esistere. Il giorno dopo, arrivata a scuola, tutti avevano letto una mia storia e mi prendevano in giro. Era così umiliante e straziante che non ricordo nemmeno come ho fatto per rialzarmi. Da lì in poi non mi sono più fidata nemmeno di Emma e Laura. Ho il mio diario, nascosto in camera in un cassetto, ma non riesco nemmeno a essere sincera con me stessa

E questo cosa c’entra con me?

La persona di cui mi sono fidata era il ragazzo di cui mi ero innamorata. Era bellissimo e ricordo che era dolce e gentile con me. Io ero una studentessa delle medie che credeva nel principe azzurro un po’ per tutte le donne e mi sembrava così simile al mio ideale che non mi ero mai chiesta se fosse sincero o no. Mi baciò, sai? Fu il mio primo bacio. Oggi posso ringraziare che si fermò al bacio, ma per me era così importante e bellissimo che non passarono che un paio di giorni e io gli avevo detto di tutti i miei segreti, dalla scrittura al canto. La mattina dopo, quando arrivai a scuola, tutti ridevano e mi guardavano e lui urlò in mezzo alla classe che ero una ragazzina stupida, che non sapevo fare niente, che gli avevo creduto. Per me è un dolore anche solo ricordare, ma ogni notte mi sogno il mio corpo e poi sogno quello di tutti gli altri e mi chiedo come mai io non riesca ad essere come voi, a stare bene con me stessa. Sarebbe così bello. Dopo sei arrivato tu, e sei stato prepotente e arrogante ma io non voglio che tu mi entri nella vita più di quanto abbia già fatto! Se ti facessi entrare poi mi faresti male!” continuò disperata. Nemmeno lei si era resa conto di avere tutti quei pensieri, nemmeno lei si era accorta che la sua sofferenza era tale, ma aveva parlato in modo automatico, senza freni. Era qualcosa che doveva confessare, altrimenti sarebbe scoppiata. Alzò lo sguardo e lo fissò, tra le lacrime, poi strinse gli occhi.

Per cui, ti prego, vattene prima che io soffra come ho già sofferto!” lo implorò. Fabio rimase allibito di fronte a quest’ammissione di dolore, a questa richiesta rumorosa, ma non si mosse e la strinse ancora un po’ di più al muro.

Se tu fossi stata solo un capriccio non mi sarei sforzato tanto” disse infine, senza guardarla.

Se avessi voluto prenderti in giro non avrei tenuto il quaderno per me” continuò. Rea aprì gli occhi di colpo quando lui l’abbracciò, incredula.

Se tu non mi interessassi non sarei qui, confuso e triste, a chiederti una possibilità” terminò, stringendola forte. La ragazza era stupita, e, in cuor suo, pregava affinché tutto quello fosse vero, ma poi si dette della stupida, e cercò di allontanarsi.

Non posso” lo respinse, più allibita di lui nel dire quelle parole.

Se lo facessi ti darei la possibilità di farmi male, di usarmi a tuo piacimento fin quando non ti verrò a noia e mi butterai via come fossi un giocattolo vecchio. Io non mi sono trasformata in cigno, purtroppo, sono rimasta un piccolissimo anatroccolo, ma non voglio lo stesso che le persone abbiano il potere di ferirmi” disse. Gli occhi del ragazzo si infuriarono e lui iniziò a dare pugni al muro, impazzito, facendola gridare di paura.

Perché. Non. Ti. Fidi?!” urlò.

Fabio, tu sei pazzo! Fammi andare via!” esclamò Rea, impaurita, cercando di uscire da quella posizione.

No! Non te ne vai, non posso farti scappare così!” negò lui, avvicinandosi. Messi in quel modo, lui sembrava più alto del normale, quasi gigantesco rispetto alla sua statura piccola.

Ti prego, fammi tornare a casa!” lo implorò la ragazza.

NO!” gridò Fabio. La prese con le mani e la alzò di qualche centimetro, baciandola. Era un bacio conteso tra la disperazione e la voglia di farle passare la paura, di darle un po’ di speranza in qualche modo, di aiutarla, di farla alzare.

Rea rimase ferma, immobile, in silenzio, stupita, poi lo spintonò dandogli un colpo nello stomaco e facendolo arretrare.

Lo fissò un attimo, senza sapere che cosa dire o fare, poi strinse il quaderno al petto a scappò via, lontana da lui e lontana da quella casa, lasciandolo fermo lì, tremante e senza fiato.

Perché era così cocciuta e testarda? Perché non voleva credergli? E soprattutto, perché lui sentiva così male nel pensarci? Non si conoscevano che da poche settimane, eppure la amava. No, non gli piaceva, ne era innamorato profondamente. E, se anche era irrazionale, non gli interessava.

Se n’era accorto quando lei l’aveva fissato impaurita la prima volta che aveva provato a baciarla, in una muta di richiesta di non farlo, e ne aveva avuto la sicurezza quando l’aveva abbracciata implorandola di restare. Non serviva un genio per capire che era sincero, ma lei non voleva vederlo. O proprio non ci riusciva.

Rimase fermo, con le mani abbandonate lungo il corpo per un tempo indeterminabile, poi si mosse verso il telefono. Fece il numero di casa Stevens e attese.

“Pronto?” rispose una voce allegra.

Pronto, buongiorno, avrei bisogno di parlare con Rea. Sono un suo compagno di classe” disse.

“Mi dispiace, ma mia figlia non è ancora tornata. Penso che rientrerà a breve, se mi lascia un nome la faccio richiamare” spiegò la donna, ma lui aveva già attaccato. Poteva cercarla solo in un altro posto.

 

 

Non sapeva dove era, né come ci era arrivata, ma sapeva che aveva continuato a piangere fin quando la testa non le era girata così forte da farla cadere a terra. Rimase inginocchiata sul prato del parco, incapace di alzarsi, terribilmente debole. Non poteva rientrare in quelle condizioni, tutti si sarebbero accorti che stava male, ma non poteva nemmeno stare fuori casa tutta la notte.

In quel momento qualcuno le mise una mano su una spalla.

Vieni con me, ti porto al caldo” disse.

 

Davanti a una tazza di tè fumante e al fuoco scoppiettante del camino, Rea si sentì subito meglio. Almeno fisicamente.

Aveva continuato a fissare un punto indefinito sul tavolo, stringendo la coppa tra le mani e tremando impercettibilmente, almeno finché lui non le schioccò le dita davanti.

Penso di essermi guadagnato delle spiegazioni” le fece presente.

Ti ho trovata al parco e ti ho adottata, quindi ripagami dicendo qualcosa” chiese. Lei parve non sentirlo, e continuò a fissare la tovaglia con gli occhi semi-aperti.

Porca miseria, REA! Riprenditi!” la sgridò. La ragazza alzò lo sguardo con gli occhi in lacrime.

Johan, posso dormire da te stanotte? Non riesco a rimanere sola” lo implorò.

 

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Capitolo 13
*** Che eri un’idiota lo sapevo, ma… ***


Che eri un’idiota lo sapevo, ma…

Non era la prima volta che Rea rimaneva a dormire da Johan. I loro genitori erano molto amici e sapevano che tra i due non sarebbe mai potuto nascere niente, così erano tranquilli quando succedeva. All’inizio capitava solo quando crollavano addormentati l’uno sul divano dell’altro mentre guardavano un film, poi la cosa era diventata ufficiale quando la ragazza aveva iniziato a passare nottate intere giocando alla playstation e finendo per fare le quattro del mattino con l’amico.

Con l’andare del tempo entrambi erano cambiati e, dati gli sviluppi fisici dell’adolescenza, non avevano più dormito insieme di comune accordo, ma passare la notte da sola era una prospettiva spaventosa per Rea, che si sentiva debole e svuotata. Rientrare significava spiegare la situazione a Emma e Laura e non poteva farlo. Non capiva nemmeno perché si sentisse così inerme, ma, stretta nel pigiama di Johan, con le gambe al petto e le braccia intorno alle ginocchia, le sembrava di essere tornata a quando, anni prima, era accaduto quell’episodio terribile.

La realtà era che si sentiva una deficiente: non era la sola a cui era successo, lo sapeva benissimo. Lo aveva sempre saputo. Così come aveva sempre saputo che non era giusto precludersi la possibilità di felicità perché, sette anni prima, un bastardo si era comportato in modo orrendo con lei. Di contro, però, sapeva che poteva risuccedere e si ricordava, come se fosse accaduto in quel momento, la sensazione di nausea che l’aveva colpita: era umiliazione allo stato puro, vergogna di essere sé stessi, voglia di strapparsi di dosso quel corpo e quella personalità terribili. Odio contro il proprio io.

Quando era tornata a casa dopo aver sentito quelle cose si era messa a gridare con quanto fiato aveva in gola, pregando di morire per non dover più essere Rea. Era così che aveva iniziato a detestarsi, a voler essere qualcun altro, e così si era costruita, giorno per giorno, quella personalità fredda e distaccata che le serviva da muro. Se era la Rea forte ad essere presa in giro lei non lo sentiva perché non era altro che una corazza protettiva. Era un modo per non soffrire.

Ma ogni tanto quell’armatura veniva meno, lo sapevano benissimo Laura e Emma, che la vedevano fredda per la maggior parte dei casi e poi capitava che si ritrovavano davanti una sorella dolcissima con i bambini, pronta ad aiutarti se ne hai bisogno, capace di piangere anche per un film idiota. Non capivano come potesse essere reale una cosa del genere, ma non se lo chiedevano più.

L’unico che lo sapeva, benché non avesse mai fatto domande, era Johan. Lui sì che  c’era sempre stato e che aveva aspettato il momento in cui tutte le difese dell’amica sarebbero venute meno.

Sai, io penso che tu sia un’idiota. Cioè, lo sapevo anche prima che lo sei, ma direi che ne ho avuto la conferma” esordì, dopo aver chiamato gli Stevens per avvertirli che la ragazza avrebbe dormito fuori. Lei non lo sentiva nemmeno, continuava a piangere silenziosamente, senza sapere come smettere.

Come hai fatto a trovarmi?” gli chiese dopo un po’, sussurrando. Johan si passò una mano tra i capelli e sospirò.

La verità è che mi ha chiamato Fabio, dicendomi una buona parte della storia, e chiedendomi disperato di farti tornare a casa. Non sapevo di preciso dove tu potessi essere, ma non abitiamo in un paese grande e trovarti non è stato così difficile. È bastato seguire le lacrime a terra” provò a sdrammatizzare, senza successo. Vederla in quelle condizioni era uno strazio anche per lui.

Senti, ti scongiuro, almeno con me parlane!” la implorò dopo un po’.

Io non… non ho niente di cui parlare” rispose con fatica. Anche pronunciare qualche semplice parola la faceva soffrire. Sentiva un dolore al petto, come se le avessero strappato il cuore a suon di frustate.

No, certo. Sei in stato semi-catatonico e stai piangendo da un’ora e mezza, ma va tutto bene” si irritò Johan. Si mise a camminare su e giù per la stanza, poi si avvicinò a lei e la scosse forte.

Cazzo, Rea, riprenditi!” la chiamò. Lei non reagì, ma i suoi occhi, già gonfi di lacrime, cominciarono a piangere ancora di più.

Johan, aiutami!” gridò, gettandosi verso di lui e abbracciandolo. I singhiozzi iniziarono a scuoterla fortemente, come se un’enorme scossa le stesse passando attraverso la spina dorsale, e il ragazzo la strinse forte a sé.

Shh, tranquilla. Ci sono io per te” le assicurò, accarezzandole i capelli.

 

 

Quella notte non dormirono molto. Per tranquillizzarla, il biondo le raccontò per filo e per segno com’era andato l’appuntamento con Laura e le raccontò della sua frustrazione nell’essere stato respinto. Rea, sdraiata sul materasso che avevano messo a terra, lo fissò.

Io non credo che volesse respingerti, sai?” disse.

Ha rifiutato di baciarmi. Cos’altro voleva fare? Bere tè e pasticcini?

No, semplicemente ha avuto paura. Con lei capita spesso, anche se non capisco come mai. È una specie di autodifesa: quando si trova davanti quello che vuole fa un paio di passi indietro e rinuncia. È un modo perché questo un giorno non possa lasciarla. Io lo faccio in maniera esagerata, ma sono convinta che, se tu le dessi un’altra possibilità, non si tirerebbe indietro” gli assicurò.

Sei sicura? Non credo di reggere un altro rifiuto” ammise il ragazzo, storcendo la bocca.

Al cento per cento. La conosco, e so che è innamorata di te, per cui penso che fosse solo un po’ impaurita. Come tutti di fronte a qualcosa che non conosciamo, in fondo” lo rassicurò. Rimasero zitti a fissare il soffitto, poi lui si alzò.

Senti, io mi annoio, ma non mi va di dormire” esordì sorridendo. Lei ricambiò il sorriso.

Stelle?” chiese.

Stelle” annuì, prendendo due felpe dal cassetto.

Rea si mise quella grigia e andò ad aprire la finestra, cercando di fare più piano possibile.

Avevamo sette anni la prima volta che l’abbiamo fatto, ricordi?” le sussurrò Johan, seguendola mentre si arrampicava sull’albero di fronte ai vetri.

Certo che me lo ricordo: ti sei quasi schiantato contro un ramo sporgente, rischiando un occhio” lo prese in giro lei, continuando a salire. L’unica cosa in cui non cadeva era l’arrampicata sugli alberi: aveva due anni quando iniziò ad aggrapparsi alle piante a casa della nonna per recuperare le ciliegie mature e aveva imparato i trucchi del mestiere dopo qualche ginocchio sbucciato e un paio di ossa rotte.

 Sei simpatica. No, sul serio, mi fai morire dalle risate” gli rispose il ragazzo, sarcastico. Lei rise e saltò sull’enorme ramo che c’era sulla cima, sedendosi e lasciando il posto a lui affinché la affiancasse.

Il ragazzo si sdraiò con i piedi penzoloni e la testa sulle sue gambe e si mise a fissare il cielo.

Sai, me lo sono sempre chiesto” esordì dopo un po’.

Cosa?” domandò Rea, beandosi del vento freddo sul viso.

Da dove nasca la tua paura di aprirti davvero. Anche con me non sei mai stata del tutto sincera. Mi hai nascosto per parecchi anni il tuo talento nello scrivere e nel cantare”. Non era davvero arrabbiato, forse solo un po’ deluso.

Non l’ho fatto apposta. Non sai quante volte avrei voluto parlarne con te, Emma e Laura. Dirvi tutto e smetterla di tenermi tutto dentro, anche solo per liberarmi da questo peso, ma non ci riuscivo. Era scattato dentro di me un meccanismo di autodifesa che non mi ero nemmeno accorta di aver installato e sono diventata questo. Johan, ti giuro, tu non sai quanto mi odio per essere così autocommiserativa” ammise, iniziando ad accarezzargli i capelli.

Non dovresti” le disse lui.

Invece si. Quando penso di aver trovato una sottospecie di equilibrio decente, succede qualcosa che me lo distrugge e rimango con in mano un sacco di nulla. Poi mi do della stupida e mi odio più di prima. C’è un rapporto di odio puro nei miei confronti da parte mia, sai? È come se, inconsciamente, io sperassi che, usando questo disprezzo, prima o poi riuscirò a venirne fuori. È un circolo vizioso pericoloso” spiegò, fissando le stelle.

Pensavo che continuando a dirmi che non mi sopportavo, un giorno sarei cambiata perché non riuscivo più a vivere con me. Invece ho solo chiuso gli occhi a qualcosa che non volevo vedere, a una sofferenza che non pensavo di avere dentro. È terribilmente difficile prendere coscienza di ciò” concluse. Johan si sedette e la fissò, appoggiandosi con le mani al tronco.

Se tu non fossi un’idiota patentata, lo avresti capito anni fa che non va bene essere così duri con sé stessi. Tu non usi l’autocritica per farti del bene, ma per darti dolore. Sei un’emo delle emozioni!” disse. Rea rise.

Cos’è, un neologismo?

No, è la verità. Invece di tagliarti fuori, ti tagli dentro ed è quasi peggio. Come puoi sopportarlo? Come riesci a vivere sapendo che domani ci sarai di nuovo tu a ferirti implacabilmente?” le domandò. La ragazza rimase sorpresa, senza sapere che rispondere.

Il nemico peggiore di noi siamo noi e se non riusciamo a sconfiggerci finiamo col distruggerci” disse. Rea si mise a piangere silenziosamente, poi rise imbarazzata.

Pensavo di non avere più lacrime” ammise, asciugandosi le guance. Johan si avvicinò a lei con la mano e le accarezzò il viso.

Se tu non ti accetti non potrai mai essere felice” le fece presente. Lei smise di ridere e abbassò lo sguardo.

Lo so. Io so che hai ragione, so che dovrei amarmi un po’ di più, darmi la possibilità di sperare in una me stessa migliore. Lo so, me lo ripeto ogni giorno. E, anche se dirò una cosa terribile, io ho paura di non meritarmela, quella felicità. Per voi è così facile, così naturale riuscire ad essere semplicemente voi stessi che mi chiedo spesso come mai per me non funziona così, e mi sono fatta una teoria: per me emo delle emozioni, come mi chiami tu, non esiste un modo per stare in pace senza dolore un giorno intero. Solo per ventiquattro ore. Non me lo merito, semplicemente” spiegò.

Le arrivò uno schiaffo in pieno viso, stupendola.

Ma che…?

Se lo pensi sul serio non sei solo un’idiota, ma sei anche del tutto ritardata!” le gridò Johan, arrabbiato.

Ognuno di noi ha dei problemi, fa parte della vita, ma arrivare a dire che non meriti la felicità è da masochisti” disse. La prese per le spalle.

Guardami bene, Rea Stevens: tu sarai felice, devi esserlo! E se non ce la farai da sola ti aiuterò io! Ma non dire più scemenze simili!” ordinò. Lei rimase ferma e aspettò che quelle parole le entrassero in testa, poi lo abbracciò.

Johan, ti prego… almeno tu non lasciarmi” lo implorò.

 

 

Secondo te nelle stelle c’è scritto sul serio il destino?” domandò la ragazza, vedendo che in lontananza il sole iniziava a sorgere.

Non lo so proprio. Secondo te?” rispose l’amico, mezzo assonnato.

Sì, secondo me sì. Io posso vedere il mio, ogni tanto

Sul serio? E per me che c’è scritto?” la prese in giro lui, chiudendo gli occhi e rimanendo steso sulle sue gambe.

C’è scritto: Johan, brutto pigrone, non ti addormentare su un albero a sei metri di altezza che sennò cadi e muori!” rise la rossa, dandogli un colpetto sulla testa.

Lo so, ma sono stanco. Sono le sei del mattino, andiamo a dormire?” la implorò.

Sì, forse è meglio rientrare” concesse Rea.

Scesero dall’albero e attraversarono la finestra, tornando in camera. Si stesero sul materasso e chiusero gli occhi, rannicchiandosi sotto le coperte.

Eri seria, prima?” chiese il biondo. Lei lo fissò.

Riguardo a cosa?

Al fatto che tu vedi il tuo destino guardando le stelle” le spiegò. La ragazza scrollò le spalle.

Non ci leggo chissà cosa, ma le stelle mi aiutano. Insomma, se penso di non essere più in grado di andare avanti semplicemente alzo gli occhi al cielo e le fisso. Sono l’unica cosa che riesce a darmi una lieve speranza che, un domani, ci sia qualcosa di buono anche per me” rispose.

Ho capito” sbadigliò Johan.

Si addormentò poco dopo, russando e facendola ridere, mentre Rea rimase sveglia per parecchio tempo ancora.

Magari ci sarà davvero qualcosa di buono per me” sussurrò prima di chiudere gli occhi e cadere in un sonno profondo.

 

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Capitolo 14
*** La maledizione finisce qui! ***


 

La maledizione finisce qui!

Quando rientrò a casa, il pomeriggio successivo, Rea si era già arresa all’idea di dover spiegare a Emma e Laura tutto quanto. Glielo doveva, giusto?

Se le aspettava curiose, piene di domande e quasi arrabbiate perché non aveva detto tutto subito, invece, quando aprì la porta, le trovò sul divano in silenzio, una ancora in pigiama e l’altra appena uscita dalla doccia.

Sono tornata!” annunciò. Loro si girarono a guardarla, fecero un sorriso stanco e si rimisero nella stessa posizione di partenza.

Che succede?” chiede dopo essersi messa in ciabatte. Sembravano spente e stanche. Era raro vederle poltrire così durante l’anno scolastico: Emma, di solito, studiava come una matta mentre Laura disegnava per scaricare la tensione. “Forse non poltriscono. Forse non riescono ad alzarsi, semplicemente” pensò. Fece un enorme sorriso per rallegrarle e si sedette vicino a loro.

Forza, raccontatemi qualcosa! Non volete sapere come mai ho dormito da Johan?” domandò.

No, non mi interessa” rispose la bionda. Giusto, bella gaffe.

Allora vi racconto di Fabio” propose. Pur di vederle stare un po’ meglio, questo e altro.

Non importa, sono affari tuoi” disse la mora. Rea spalancò la bocca, incredula: Emma che rifiutava qualche scoop? Decisamente qualcosa non andava.

Che cosa? Mi volete dire come mai siete in queste condizioni?” sbottò alla fine. La più alta la guardò.

Non riusciamo a sopportare l’idea di aver perso l’occasione della nostra vita. Laura con Johan e io con… con Jason” le confessò.

Il tuo amico non le parla da sabato e il prof, invece, fa finta che non sia mai successo niente. Mi sento quasi usata, terribilmente svuotata” spiegò. Era straziante vederle in quelle condizioni, adesso capiva cosa aveva provato il suo amico la sera precedente.

Ma non avete perso niente! Tu hai avuto la conferma che lui è attratto da te –ti ha baciata!- e lei pure! Forza, abbiate un po’ di coraggio” le spronò alzandosi.

Non è per questo, è che siamo state in grado di rovinare tutto nonostante la situazione fosse favorevole. E adesso come possiamo fare? Ieri sera, per la prima volta dopo mesi, siamo rimaste a casa a guardare un film d’amore. D’amore! Ma ti rendi conto?” disse Laura, disperata.

Inoltre, come se tutto ciò che abbiamo passato non bastasse, tu hai trascorso la notte da Johan, probabilmente dormendo con lui!” esplose di rabbia nei confronti della sorella.

Rea rimase zitta, ma i suoi occhi si infiammarono.

Sei una stupida se pensi che te lo ruberei! Non mi interessa nulla di lui in quel senso, so che è roba tua. Mi dai così poca fiducia? Benissimo! Sappi che io non ho assolutamente intenzione di sentire le tue stupide idee su di noi”.

E, giusto per informazione, sono andata da lui perché stavo male come un cane” concluse. Andò in camera sua a passo svelto, sbattendo la porta e sedendosi in malo modo sulla sedia alla scrivania. Non era triste e nemmeno depressa: stavolta era proprio arrabbiata.

Prese in mano una bic blu e si mise a scrivere sul suo diario segreto tutto ciò che era successo nelle ventiquattro ore precedenti. Piano, piano, la rabbia scemò, lasciandole solo un senso d’impotenza di fronte al dolore delle sorelle addosso.

Ripensò a quello che le era venuto in mente sulla maledizione delle Stevens, e prese una decisione: “Maledizione o semplice sfortuna, finisce qui, adesso”.

 

Un’ora dopo rientrò in salotto. Emma e Laura erano lì a guardare la televisione, ancora sedute nella stessa posizione di prima. Si mise in piedi davanti allo schermo e bloccò loro la visuale.

Ehi!” protestarono. Lei spense tutto e le guardò, cercando di mascherare un sorriso soddisfatto.

Da oggi basta piagnistei e affini. Ora si fa come dico io!” annunciò, prendendole per un braccio.

Ferma, ma che fai?” esclamò la mora, vedendo che le spingeva verso le rispettive camere.

Al momento l’unica delle due che posso aiutare è Laura, ma poi penserò anche a te. Solo che ho bisogno di una mano: dobbiamo vestirla, truccarla e profumarla. Vai a cambiarti, tra venti minuti usciamo” le ordinò.

Ma…

Va’!” la zittì. La chiuse nella sua stanza e poi si girò verso la bionda, che era spettinata e in pigiama.

Per te mi servirà più tempo” osservò.

Che diavolo vuoi fare?” la aggredì lei, incrociando le braccia.

Non ti preoccupare, io sono esperta nel far stare meglio le persone. Sono qui per aiutare entrambe ad essere felici!” annunciò, facendole l’occhiolino.

Non sono sicura di aver capito” ammise la ragazza, confusa. Rea la spinse in bagno.

Meglio così” rise.

Si mise a pettinarla, lavarla, cambiarla e truccarla, ignorando le lievi proteste che ogni tanto sua sorella faceva.

Hai mai pensato che magari io non voglio uscire?” le fece presente.

Ci ho pensato e ho anche pensato che, se non vuoi, ti costringerò. Ti mostrerò che Johan non ha occhi che per te” rispose, sicura di sé. Laura arrossì e s’incupì.

Non mi parla dall’appuntamento, scommetto che mi odia” confessò.

No che non ti odia, stupida! Si è sentito respinto e ora è in imbarazzo nello starti accanto, ma non potrebbe mai odiarti. È innamorato di te!” le assicurò Rea, continuando a pettinarla.

Innamorato?” esclamò la bionda, incredula. Lei annuì.

Me l’ha detto lui ieri sera” confermò, sicura di sé.

Io sono pronta, che devo fare?” annunciò Emma. Si era messa un paio di jeans e una maglietta e si era legata i lunghi capelli neri in una treccia. La rossa sorrise.

Scegli un vestito carino per Laura. Deve uscire” la istruì.

 

 

Perfetto, noi ti lasciamo qui. Adesso tocca a te” disse Rea, allontanandosi dal vialetto di casa di Johan.

E se tu ti sbagliassi? Se mi odiasse davvero?” le chiese sua sorella più grande, impaurita. Lei sorrise e fece segno di vittoria con la mano.

Io non mi sbaglio mai, ricordatelo. Vuoi che rimaniamo con te almeno fin quando non aprirà la porta?” le propose. La bionda annuì, sentendosi microscopica mentre lei suonava il campanello.

Johan aprì la porta sbadigliando e con gli occhi gonfi (alla fine avevano dormito quattro ore sì e no) e si stupì nel vedere le tre Stevens sull’uscio di casa.

Salve” le salutò, incerto. Rea sorrise smagliante e indicò Laura con gli occhi.

Indovina cosa siamo venute a fare?” chiese, spingendo la sorella verso di lui.

Ehm…” balbettò il ragazzo in risposta. Lei si attorcigliava le mani dal nervoso e fissava a terra, incapace di parlare. La rossa le dette un piccolo colpo sulla testa.

Forza, parla!” le ordinò.

Emma voleva mettersi a ridere, ma si trattenne: sua cugina… ops, sorella, era proprio testarda quando ci si metteva.

I-io sono… sono qui per scusarmi… cioè, insomma, per quello che è successo sabato in pizzeria” disse, arrossendo. Johan rimase immobile a fissarla, senza sapere che dire, ma Rea lo guardò male da dietro le spalle della bionda, battendo il piede in terra. La indicò con la testa, come per dire “Rispondi, brutto idiota!” e lui si schiarì la voce, imbarazzato.

Bene, sono felice che tu sia venuta qui a dirmelo” ammise infine. Laura stava già per disperarsi dopo quella risposta fredda, ma la rossa si avvicinò a lui e lo prese per un orecchio.

Dille quello che hai detto a me stanotte” ordinò, avvicinandolo a lei.

Ahia! Mi fai male!” si ribellò, cercando di divincolarsi.

Rea, forse non ti dovresti impicciare così tanto…” provò a fermarla Emma, ma lei la fulminò con lo sguardo.

Sono due testoni, quindi adesso vi mettete qui e giuro su me stessa che, se non chiarite la questione, vi prendo a padellate in testa fin quando non sarete diventati quadrati!” li minacciò. Entrambi si irritarono a quella frase, ma ebbero troppa paura per ribattere qualsiasi cosa.

Noi ce ne andiamo a casa e vi lasciamo soli. Non voglio rivedere Laura per le prossime due ore, siamo intesi?” chiese. I ragazzi rimasero zitti.

Ho detto: siamo intesi?” ripeté. Aveva uno sguardo che non ammetteva repliche.

” risposero loro, controvoglia.

Perfetto, allora a più tardi” li salutò.

Emma avrebbe tanto voluto dirle di smettere, anche perché con quel tono faceva paura anche a lei, ma stette zitta: magari sarebbe riuscita a dare una mano anche a lei.

Intanto, Laura e Johan erano rimasti fermi a fissare le proprie scarpe, senza sapere cosa dire. Entrambi volevano esprimere di tutto, ma avevano paura e non dicevano nulla. Alla fine fu lui a rompere il silenzio.

Ascolta, mi dispiace se non ti ho parlato per tutto questo tempo, io mi sentivo… ecco…

Rifiutato?” gli suggerì lei.

Beh, sì, in effetti è così” ammise. La bionda rise amaramente e scosse la testa.

Lo so, e ti chiedo scusa. Io non… io non volevo rifiutare nessuno, te lo giuro su quanto ho di più caro. Anzi, erano anni che aspettavo il momento in cui tu ti saresti deciso a baciarmi, ma poi ti ho… ti ho visto lì e mi è preso il panico: se non fosse stato come avevo sempre sperato? Se fossi rimasta delusa? O se tu ti fossi reso conto che non mi volevi? Non so, tutte queste domande mi hanno bloccata” confessò, un po’ in imbarazzo. Johan sorrise.

Senti, ti va di fare una cosa?” le chiese. Lei alzò gli occhi e lo guardò.

Del tipo?

Allora, io adesso ti bacio, e tu mi dici che te ne pare, poi mi baci tu e ti dico che me ne pare. Va bene?” propose. Laura rise, a metà tra il divertito e il felice.

Possiamo provarci” accettò, sorridendo.

Lui si avvicinò, prendendole il viso tra le mani e portandoselo vicino, poi posò le labbra sulle sue.

Nessuno dei due avrebbe saputo dire quanto tempo rimasero incollati, ma se fosse stato per loro non si sarebbero staccati più.

Allora? Che te ne pare, sono stato all’altezza?” domandò poi, con un po’ di fiatone. Laura annuì.

Ora è il mio turno” annunciò, aggrappandosi al suo collo e unendo di nuovo le loro bocche.

 

 

Ce l’avranno fatta?” domandò Emma, mentre si toglieva le scarpe. Rea sorrise.

Sì, tranquilla. Avevano solo bisogno di una spinta” la rassicurò, mettendosi comoda sul divano. Le fece segno di sedersi vicino a lei, e la sorella si sedette.

Adesso sta a te” disse, con uno sguardo che piacque poco alla mora.

Cosa?

E’ arrivato il momento che tu risolva col tuo professore” decise, stringendosi un cuscino al petto.

No, è inutile. Come hai detto giustamente tu, è un professore e io una studentessa: sono due categorie che non vanno d’accordo unite” le spiegò sconsolata. Rea sbuffò.

Sentir dire da te che ti arrendi prima ancora di lottare è molto triste, sai? Non eri tu che dicevi che, se c’è una possibilità da parte sua, non ti arrendi finché non è tuo?” le ricordò.

Sì, ma…

E allora non ti dare per vinta! Lui ha mostrato interesse, quindi non puoi rifiutarti di provare almeno a parlarci. Non ti dico di violentarlo su due piedi o di baciarlo davanti a tutti, ma cerca una scusa per rimanere sola con Jason” la spronò.

Se lui non volesse? Se facesse di tutto per evitarmi?” chiese, impaurita.

Rea le prese le mani e la fissò negli occhi.

Emma, io te lo prometto: se tu non ce la farai, io interverrò per te” giurò.

Mi sono ripromessa che la maledizione che sembra gravare su di noi negli ultimi giorni finirà qui: niente più lacrime per le sorelle Stevens! Quindi voglio che voi siate felici e basta, non mi interessa come riuscirò ad aiutarvi, mi basta farlo. Capito?” disse.

La mora annuì e la abbracciò, senza sapere cosa dire.

 

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Capitolo 15
*** Un professore duro da combattere ***


Un professore duro da combattere

Proprio come aveva predetto Emma, Jason si rivelò difficile da trovare. Ogni volta che cercava di parlarci lui trovava una scusa per fuggire.

Rea si scervellava durante tutte le ore di scuola per trovare una soluzione, cercando di fare in modo di non insospettirlo. Se avesse capito che dietro a tutto c’era la rossa, avrebbe evitato ogni rapporto anche con lei, e questo non andava bene. Se il piano con sua sorella fosse fallito, sarebbe entrata in gioco al suo posto.

Laura, nel frattempo, non faceva altro che amoreggiare col suo nuovo e bellissimo fidanzato, e non si preoccupava troppo di star dietro ai problemi di cuore della mora, che non se la prendeva più  di tanto: nemmeno lei avrebbe voluto starci dietro se avesse potuto.

Senti, è la sesta volta che cerco di parlarci ed è la sesta volta che mi dice che deve andare in riunione, o a correggere i compiti, o a parlare con un genitore. Io mi arrendo” annunciò Emma, tornando in classe dopo la ricreazione.

Cosa? No! Mi rifiuto di farti desistere!” si ribellò Rea, battendo il pugno al banco.

Perché te la prendi tanto a cuore? Se non vuole parlarmi significa che non gli interesso, altrimenti si sarebbe già fatto sentire lui

Non è vero, e tu lo sai. Mi hai detto che è stato lui a baciarti, quindi l’unica cosa che cerca di fare è di evitare i suoi sentimenti, non te. Pensaci un attimo: tu sei una studentessa, lui un professore. Se portaste avanti una relazione probabilmente ne risentirebbe la sua carriera” spiegò.

Sì, ma non vedo perché devi fare qualcosa tu!

Perché non voglio vederti stare male” rispose.

E, se per farti felice devo inimicarmi Jason, lo farò” le promise.

Rea, sul serio, non importa. Mi basta quello che ho avuto” le assicurò.

E’ stato il più bel compleanno della mia vita nonostante il modo in cui si è concluso, quindi non devi preoccuparti per me” disse, mettendo una mano sulla sua.

Non è vero, e tu lo sai benissimo, quindi non continuare a cercare di evitare il problema. Te l’ho sempre detto, fin da quando eravamo piccole: evitare il problema e girare gli occhi non lo fa sparire, ma solo ingrandire. Ti prometto che, qualsiasi cosa accada, sarò pronta ad aiutarti” giurò.

Grazie” le sussurrò Emma. In quel momento suonò la campanella e loro si misero sedute per bene, aspettando la professoressa di inglese.

Rea sentiva dietro la testa lo sguardo fisso di Fabio, che non aveva fatto altro che osservarla da quando erano entrati in classe, ma cercò di evitarlo: prima le sue sorelle, poi si vedrà.

“Nel libro la protagonista cerca di ricattare l’uomo solo per farsi ascoltare. Se non lo facesse, lui non starebbe a sentirla e lei non riuscirebbe a parlarci. Non è cattiva, semplicemente cerca di urlare aiuto verso il suo amato” spiegò mezz’ora dopo l’insegnante.

A narrativa inglese stavano studiando i romanzi inglesi dell’ottocento e quella parte fece scattare qualcosa dentro la ragazza, che alzò la testa dal banco e ascoltò. Parola dopo parola il piano più assurdo che avesse mai architettato si formò nella sua mente e decise di metterlo in pratica già dal mattino dopo.

 

 

Buongiorno Jason” salutò, entrando in classe. Era la prima e aveva saputo dai bidelli che l’uomo era solito stare alla cattedra a leggere un libro dalle sette e mezzo fino a quando non si aprivano i cancelli della scuola e i ragazzi erano autorizzati a entrare.

Rea, buongiorno. Come mai già qui? Credevo che gli studenti non potessero venire in classe prima delle otto” la salutò. Lei scrollò le spalle e si tolse lo zaino.

Di solito è così, ma io sono amica dei bidelli. Inoltre stamani ho fatto presto e aspettare fuori al freddo di novembre non mi piaceva come idea, quindi eccomi qui” rispose.

Fece finta di niente, aprendo la cartella e tirando fuori un quaderno. Si mise a “studiare”, poi sbuffò.

Qualche problema?” le chiese Jason, alzando gli occhi dal libro che stava leggendo.

Sì, non riesco a capire filosofia e domani ho un’interrogazione. Lei sa qualcosa di questa materia?” domandò implorante. Il professore si tolse gli occhiali, appoggiandoli sul registro, e si avvicinò a lei.

Dipende. Chi state studiando?” rispose.

Kierkegaard. Sa, tutta la questione delle scelte dell’uomo” spiegò.

Sì, mi ricordo qualcosa. Prova a leggermi un pezzo dei tuoi appunti” la spronò.

Soddisfatta di quella reazione che aveva programmato, Rea scelse una parte che aveva già deciso il giorno precedente e la declamò.

Le scelte degli uomini sono impossibili da cambiare. Una volta che si è decisa una cosa, non si può più tornare indietro e questo porta ad un’angoscia esistenziale che caratterizza tutta la vita del soggetto. Le scelte davanti a cui ci troviamo sono spesso o bianche o nere: sì o no? Cambiare idea a metà della decisione può comportare della sofferenza, soprattutto se il soggetto interagisce con un altro soggetto” lesse.

Non mi sembra così complicato, giusto?” osservò Jason.

Magari non è complicato da studiare, ma da capire sì. Secondo me le scelte sono più di una e, tra il bianco e il nero, ci sono duemila sfaccettature di grigio che ci danno la possibilità di soffrire meno possibile, non pensa?” chiese. L’uomo iniziò a capire dove la ragazza stesse andando a parare e si irrigidì.

Per cui perché rovinarci l’esistenza chiedendoci se andrà bene o male? Magari andrà benino o malino, ma non per forza sarà tutto in si o in no. E poi, la parte che parla dei soggetti che interagiscono con gli altri soggetti, mi torna poco. Dato che i filosofi parlavano del vivere civile, direi che dobbiamo sempre trovare la soluzione che fa meno soffrire sia noi stessi che gli altri. Giusto?

Rea, cosa stai cercando di dirmi?” domandò il professore senza mezze misure.

Lo sa benissimo. Lei ha paura. Di cosa, lo sappiamo entrambi, ma se vuole lo dico io ad alta voce

No, non…

Teme di essersi innamorato di mia sorella. Anzi no, ho sbagliato, lei è sicuro di essersene innamorato, è questo che la spaventa. Di conseguenza la evita da due settimane intere. Questo perché non sa scegliere: lei o il suo lavoro?” continuò.

Ehi, signorina Stevens, ferma con le parole” la minacciò. Lei si alzò e lo fronteggiò.

No, deve capire che così le sta facendo male” rifiutò, scuotendo la testa.

Ascolta, quello che è successo non… non doveva succedere. In realtà non avresti nemmeno dovuto saperlo. Però è un episodio che non sarebbe mai dovuto avvenire: io sono un professore, lei…

E’ una studentessa. E quindi? Potrebbe tranquillamente dirle che aspetterà giugno e che, una volta che avrà finito l’esame e si sarà diplomata, potrete uscire insieme. E Emma smetterebbe di distruggersi l’esistenza pensandola” suggerì.

Non è quello il fatto, ma…

Altrimenti sia chiaro e le dica che non le importa niente. Che l’ha baciata solo per un capriccio momentaneo e non gliene frega niente di lei perché è una ragazzina che ha la metà dei suoi anni” ipotizzò poi. A quelle parole Jason si irrigidì.

Aspetta, io non l’ho mai pensato questo” la fermò.

E allora dica quello che pensa! Mi aiuti a far stare meglio mia sorella! Non è il suo lavoro? Stare vicino a noi studenti per capirci e farci aiutare” lo implorò. L’uomo si passò una mano tra i capelli e la guardò.

Sul serio sei convinta che non mi interessi nulla di lei?” le chiese.

No, io so che lei le sta a cuore. Lo so e basta, non mi chieda come” rispose sicura.

Appunto. Ma pensaci un secondo: io ho lavorato tanto per fare questo lavoro. Ho trentotto anni, un divorzio alle spalle, due figlie poco più piccole di voi e tutti i problemi della mia età. Voi siete così giovani, così… così piene di vita e di speranza. Da quando sono stato a casa vostra non faccio che chiedermi come mai una studentessa come Emma, che potrebbe sul serio essere mia figlia, mi abbia fatto un effetto così devastante. Come un’esplosione. Non l’ho respinta perché non volevo baciarla, al contrario l’ho respinta perché volevo baciarla. E questo non andava bene affatto. Io ti chiedo solo di capirmi e di non chiedermi di fare una scelta, perché al momento non ne sono in grado” la implorò.

Ma Emma non è più in grado di sopportare questa situazione. Lei non la vede quando è a casa, non la vede nemmeno quando cerca di nascondere le lacrime dietro un sorriso stanco. La prego, io la imploro, la smetta di ignorarla!” disse disperata.

Non posso!” esclamò Jason, irritato.

Tu cosa ne vuoi sapere? Cosa ne sai di cosa significhi avere quarant’anni ed essere innamorato di una ragazzina appena maggiorenne? Io lo so da due anni che lei è attratta da me, lo so senza che nessuno me l’abbia mai detto, ma ho evitato ogni contatto con lei proprio perché sapevo che non avrei resistito. Non mi interessano le tue preghiere perché non posso prendere una decisione ora!

Lei è solo un codardo!” lo accusò Rea, arrabbiata. Aveva gli occhi in fiamme e il suo tempo stava scadendo: doveva agire in fretta.

Io mi sono sempre fidata di lei, ho sempre avuto un enorme rispetto per il suo lavoro e per come è, ma non avevo mai capito che era un codardo. Uno schifosissimo codardo e basta!” gridò. Stava improvvisando, sperando che l’uomo non le tirasse un ceffone.

Non è così! Io so che vorrei stringere Emma e che vorrei baciarla e abbracciarla, ma non posso farle questo! Non posso lasciare che lei mi aspetti per mesi e che poi si metta con un uomo che ha la mia età!” esplose, allontanandosi e avviandosi all’uscita.

Ma se a lei non interessasse? Se lei volesse solo stare con te? Non ha importanza l’età, sono i sentimenti ciò che conta” gli ricordò Rea.

Non mi interessa, io non me la sento di farle questo” ripeté, aprendo la porta.

Non le interessa perché ha una fottutissima paura. Ma la paura si supera. E se lei non lo fa ho ragione io: è solo un codardo” disse fredda. Jason non ribatté e uscì, lasciandola sola.

La ragazza espirò: non si era nemmeno accorta che aveva trattenuto il fiato durante la discussione. Si accasciò su un banco e si portò le mani alle tempie, massaggiandosi la testa. Si sentiva distrutta, e ora aveva cinque ore di lezione da sopportare.

Uno alla volta i suoi compagni di classe arrivarono, prendendo posto ai propri tavoli, e i suoi pensieri furono sostituiti dal rumore delle chiacchiere. Laura le si sedette accanto e la avvertì che Emma non sarebbe venuto a scuola quella mattina.

Come? Dopo tutto quello che ho rischiato non viene?” si stupì lei.

Ha detto di non sentirsi troppo bene, che ti devo dire? Era uno zombie stamani” le spiegò.

Accasciandosi sul banco, Rea si chiese se tutta quella fatica avrebbe portato a qualcosa.

 

 

Quando tornò a casa trovò la sorella in pigiama sul divano con una tazza piena di panna e nutella in mano.

Stai cercando di morire di diabete?” le chiese, togliendole il dolce di mano.

Ehi, è mio!” si ribellò lei.

Non più. Allora? Come mai non sei venuta a scuola?” s’informò, passandole un fazzoletto per pulirsi.

Non me la sentivo. Non sono nemmeno sicura di voler sapere com’è andata con Jason” confessò.

Ho lanciato l’esca. Il discorso è degenerato, ma sono soddisfatta del risultato” sorrise.

Sicura?

Lui mi ha detto che gli piaci, ma ha fatto tante storie e inventato tante scuse per giustificare il fatto che ti evita. Ha paura, ma credo che sia normale” osservò.

Anche se mi ha fatto patire le pene dell’inferno. Credevo che non sarei stata in grado di parlarci per bene. Quando ho iniziato il discorso voleva scappare, ma si è trattenuto

Per cui dici che di me gli importa davvero?

Ne sono certa. Basta aspettare. Pensa che tra meno di un mese abbiamo le vacanze di Natale e, se tutto va bene, le passerai con il tuo Jason” le suggerì.

Che fortuna” commentò Emma. Accese la televisione e si mise a guardare un programma a caso, solo per riempire il silenzio che era calato.

Va beh, io adesso vado a studiare. Domani ho davvero l’interrogazione di filosofia e Laura è da Johan a prepararsi, quindi io devo fare tutto da sola” annunciò, sparendo per il corridoio.

Ok” rispose Emma.

Rea perse il segno già dopo due righe, e si mise a sperare che qualcosa accadesse affinché sua sorella ritrovasse un po’ di pace. Non l’aveva mai vista in queste condizioni.

Come se fosse stata ascoltata dalla Dea bendata, qualcuno bussò alla porta.

Vado io!” esclamò, correndo alla porta. Quando aprì, un sorriso enorme illuminò il suo volto e si scansò.

Allora, tutto sommato, non è poi così codardo

 

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Capitolo 16
*** Una mattinata stancante ***


 

Una mattinata stancante

Dopo aver parlato con Rea, Jason aveva parlato col preside chiedendo un permesso speciale per uscire prima ed era letteralmente fuggito da scuola. Le parole della ragazza rimbombavano nella sua testa, facendolo sentire uno schifo. Lei è solo un codardo! aveva ripetuto prima che la lasciasse da sola in classe.

Io non sono un codardo… io non ho paura” cercava di convincersi, ma anche lui sapeva che stava dicendo una bugia, che tutta quella situazione lo spaventava terribilmente.

Si mise a camminare nel parco, tirando calci ai sassi che si trovavano sul suo cammino e pensando.

Sul serio aveva fatto del male a Emma col suo comportamento? Eppure lui aveva agito così solo per il suo bene.

Ma perché è così difficile?” domandò ad alta voce, disperato.

Se fosse semplice non sarebbe divertente” rispose una voce dietro di lui. Si voltò, spaventato, e vide Fabio Daniels seduto sul bordo della fontana, con l’mp3 nelle orecchie e lo zaino a terra.

Fabio, non dovresti essere a scuola?” gli chiese, stupito più che arrabbiato.

Anche lei, se è per questo. Stamani non me la sentivo di fare cinque ore di lezione e sono venuto qui. Di solito i professori non entrano nel parco la mattina a quest’ora, per cui ero tranquillo che non sarei stato trovato” rispose, giocando con un legnetto e facendolo ruotare in acqua.

Jason si sedette vicino a lui e lo osservò.

Ti vedo spento” commentò dopo un po’.

Lo sono” disse il ragazzo, togliendosi le cuffie e spegnendo l’mp3.

Posso chiederti come mai?

Me l’ha già chiesto, prof” rise, prendendolo in giro.

Comunque niente di che, i soliti problemi adolescenziali che si vedono in televisione. Sa come funziona, giusto? Cotte non ricambiate, ragazze problematiche… sempre la stessa roba” spiegò. Jason sospirò.

Provo a tirare a indovinare? Parliamo di una delle Stevens?” indagò.

Sì, e immagino che lo sappia perché anche lei c’è dentro come me. Sono tre ragazze piuttosto problematiche” osservò. L’uomo rise.

Diciamo pure così, anche se, nel mio caso, il problema sono io, non lei” ammise. Solo un secondo dopo ragionò per bene sull’affermazione del ragazzo.

Tu come lo sai che sono dietro a una Stevens?” domandò preoccupato. Fabio scrollò le spalle.

Intuizione, credo. Diciamo che ho visto Emma, so come la guarda e non sono uno stupido” rispose. il professore avvampò.

Non dovrebbe essere così evidente” ribatté.

Per chi non la guarda attentamente no, non lo è. Però, anche se credo che lei lo faccia inconsciamente, si vede che le presta un po’ più attenzione che agli altri ragazzi. Insomma, magari quando chiede ad alta voce se tutti abbiamo capito, fin quando Emma non fa cenno di sì con la testa lei non prosegue. Non so se mi sono spiegato” raccontò.

Per cui si nota molto, vero?” chiese, arrendendosi. Con sua sorpresa, Fabio scosse la testa.

No. Dura tutto un secondo e i nostri compagni di classe non sono così interessati alle Stevens come lo siamo noi. In realtà, da ciò che ho notato, non sono molto integrate con i gruppetti più in, se così vogliamo chiamarli

Stai parlando di Maria, Ginevra, Matilde e il seguito?

Sì, proprio di loro. Emma, Laura e Rea non sono particolarmente amanti di quello stile di vita frivolo e stanno molto sulle loro. L’unico che è veramente loro amico è Johan, gli altri sono un contorno per la loro vita così particolare. Non penso che se ne curino molto, anzi, credo che stiano bene nella loro diversità” commentò. Aveva parlato in maniera molto matura, osservò Jason. Gli sembrava che quel ragazzino fosse più adulto della sua età. E gli sembrava che soffrisse.

Come mai tu hai notato questo? E come mai ti interessi tanto alle Stevens?” domandò. Fabio sospirò.

Io, proprio come loro, odio quella frivolezza che hanno i nostri compagni di classe e non sopporto le galline che pensano di poter far fare alle persone ciò che vogliono solo perché sbattono le ciglia. E sono stato gentile” rispose. Il professore rise.

Immagino ciò che pensi, tranquillo” disse. Anche l’altro rise.

Ecco, quindi deduco che non sia un segreto nemmeno per voi insegnanti ciò a cui mirano le ragazze come loro. Le Stevens sono… sono diverse, sono più pure, anche se questo termine non è quello più azzeccato. Sono semplicemente un’altra cosa” spiegò.

E tu sei innamorato di Rea, mi pare di capire

Purtroppo sì

Perché purtroppo?” si stupì Jason. Fabio s’incupì e lanciò il bastone nell’acqua.

E’ una storia complicata e devo dire che ci ho capito poco anche io” rispose.

Ti va di parlarne?” propose il professore. Lui ci pensò su, poi scese dalla fontana e si mise lo zaino in spalla.

Se c’è una cosa che ho imparato dal rapporto tra Rea e Johan è che, quando si rivela un segreto, dobbiamo avere la sicurezza che l’altro non lo dica in giro. Quindi facciamo un patto” decise. Jason aspettò che continuasse, senza capire.

Un segreto per un segreto: io dico a lei di Rea…

…E io dico a te di Emma” comprese, annuendo un po’ preoccupato.

Va bene, penso che farà bene a entrambi parlare di questa situazione. Ci sto” accettò, tendendogli la mano. Fabio la strinse.

Allora andiamo” annunciò.

Dove?

A mangiare. Non ho fatto colazione e sono le dieci. È ora di ricreazione

 

Mezz’ora dopo, davanti a un caffè fumante e a una brioche ripiena di crema, il ragazzo iniziò a raccontare tutta la storia di Rea a Jason, da come si erano conosciuti a quando l’aveva baciata, venendo respinto in malo modo. Anche se le aveva promesso che non avrebbe rivelato niente del quaderno né del fatto che scriveva, quella mattina disse tutto quanto, anche il particolare dell’anatroccolo. Non lo sapeva cos’era che l’aveva spinto a confessare i suoi segreti a quel professore, ma gli infondeva tranquillità e fiducia, e questo gli bastava per non farsi troppe domande.

Arrivato alla fine, Jason sospirò e prese un sorso del succo di frutta che aveva davanti prima di parlare.

Non avrei mai creduto che Rea Stevens –la stessa che stamani mi ha dato uno di quegli schiaffi morali che ti lasciano intontito per un bel pezzo- avesse un carattere così debole e indifeso. Non è quello che lascia vedere, ecco” ammise.

Se lo facesse vedere non le servirebbe una maschera per proteggersi” gli fece presente Fabio.

Giusta osservazione. Quindi voi, in pratica, non vi parlate da sabato. Oggi è venerdì, è una settimana

Esatto. Mi evita, come se avesse paura, e non ha più provato a dirmi nulla. Si è ripresa il quaderno ed è fuggita, lasciandomi in casa, tremante e confuso. Ho paura a fare qualsiasi cosa: se ci parlo rischio che mi respinga di nuovo; se la ignoro, temo che possa pensare che non la penso più, dandole ragione sulla sua teoria che io la usavo solo come un capriccio; parlare con le sue sorelle non mi sembra giusto, visto che devo risolvere con lei e lei sola. Che farebbe, professore?” chiese. Jason ci pensò un po’, poi sospirò.

Credo che io ti debba raccontare di cosa ha fatto Rea stamani a me, prima di poterti dare qualsiasi consiglio” disse.

Anche lui, proprio come aveva fatto Fabio qualche minuto prima, si mise a raccontargli di tutta la storia con Emma: partì da quando aveva capito che lei era innamorata di lui, per arrivare all’attrazione crescente che provava per la ragazza, concludendo col racconto della discussione avuta con la sorella. Più andava avanti col racconto, più si rendeva conto che quella ragazzina impertinente aveva ragione e lui aveva una fottuta paura.

E quindi, la tua dolcissima Rea mi ha schiaffeggiato come nessuno aveva mai fatto prima d’ora. È stata una cosa assurda” terminò. Fabio era ammirato.

Cavolo, quella piccoletta è una bomba!” esclamò ridendo.

Sì, beh, diciamo che avrei evitato volentieri che mi si tirasse in faccia la verità in modo così violento. Poteva usare qualche via di mezzo, ecco” ammise.

Non sarebbe stato lo stesso, però. Insomma, se non fosse stata dura con lei non avrebbe avuto tanto impatto” gli fece presente l’altro.

Vero. Comunque volevo dirti che non è tutto bianco o nero. È anche grigio. Ce ne sono mille di sfumature di grigio, me l’ha detto Rea stamani. E forse… forse ha ragione” disse sospirando.

Fabio rimase un secondo zitto, poi guardò l’ora.

Stamani uscivano prima, giusto? Noi avevamo lei all’ultima ora, per cui a mezzogiorno sono fuori. Vada da Emma” consigliò.

Non posso! Dannazione, ma perché non volete capire che è complicato? Se tu andassi da Rea dicendole che la ami e che vuoi una storia con lei nessuno ti giudicherebbe un pervertito malato. Lei non ha la metà dei tuoi anni, né è una tua studentessa!

Si fidi, se io dicessi a Rea una cosa del genere prima mi picchierebbe e poi se ne andrebbe. E comunque, io non la giudico un pervertito, se può servire” assicurò. L’uomo lo fissò stralunato.

Come?

Io non penso che lei sia un pervertito. Lei è una persona che si è innamorata di un’altra persona. Non esiste il problema se non ce lo crea lei sopra. Se conosco Emma, sono sicuro che la aspetterebbe fino a fine esami, pur di stare con lei

Ma è proprio per questo che non voglio. Lei ha diciotto anni, come potrei chiederle di aspettare un quarantenne?

Da ciò deduco che abbia ragione Rea a dire che è un codardo. Magari non ha utilizzato uno dei metodi più convenzionali del mondo per dirlo, ma non aveva tutti i torti. Cavolo, ma si guardi! Un altro uomo sarebbe già andato da lei a implorare perdono per come è fuggito

Io non sono fuggito

E come lo chiama andarsene da casa sua in tutta fretta senza dare spiegazioni?

Ehm…

Appunto. Quindi deve alzare il culo e muoversi, perché Emma è una bella ragazza. Non ha importanza l’età, oggi si accetta di tutto, ha importanza il sentimento. Lei la ama?” domandò serio. Jason rimase zitto un secondo.

Sì, che la amo!

E allora non importa altro. Fino a luglio potrete vedervi di nascosto, basterà essere bravi, e noi tutti vi aiuteremo. Però, dato che lei ha una possibilità con la sua amata, la sfrutti. Non la butti al vento” consigliò, rattristandosi. Il professore si alzò e lo guardò pieno di gratitudine: aveva ragione, doveva muoversi senza pensarci.

Prima di uscire dal bar gli mise una mano sulla spalla.

Fabio, non devi scoraggiarti mai. Rea ha bisogno di vedere che qualcuno c’è anche per lei, che non esistono solo le persone che hanno tanta cattiveria in corpo come quei ragazzi che l’hanno trattata male anni fa, quindi devi solo avere pazienza. Prima o poi capirà che sei sincero” gli assicurò.

Spero che lei abbia ragione, prof. Lo spero proprio

 

Jason era corso fuori dal bar e si era avviato a piedi verso casa Stevens. Era mezzogiorno e mezzo, sicuramente qualcuno in casa lo trovava.

Vide Laura e Johan camminare mano nella mano, segno che erano usciti da scuola, e accelerò l’andatura: non riusciva più ad aspettare.

Quando arrivò davanti alla porta dell’abitazione, si era fermato e aveva ripreso fiato, poi aveva suonato.

Rea gli aveva aperto, e poi aveva sorriso, ricambiata.

Allora, tutto sommato, non è poi così codardo” lo aveva preso in giro, spostandosi per farlo entrare.

Oppure qualcuno mi ha fatto aprire gli occhi” ammise. Lei rise, poi gli fece segno di non fare rumore e gli strizzò l’occhio.

Emma, che stai guardando?” gridò.

Un programma di cucina, perché?

Niente” rispose. Se guardava qualcosa sul cibo sicuramente non si sarebbe accorta di lui.

Gli fece cenno di seguirla e gliela indicò.

Mi raccomando, faccia piano. Una sorpresa è sempre gradita” si assicurò, salutandolo con la mano e chiudendosi in camera.

Jason si avvicinò con passo felpato alla ragazza e le mise le mani sugli occhi. Lei sobbalzò dallo stupore.

Rea, cavolo mi hai spaventata! Perché fai questi giochi stupidi alla tua età?” la sgridò. Poi con le dita sfiorò le grandi mani che la stavano tenendo bendata e il suo cuore iniziò a batterle forte in petto.

Magari sarò un po’ vecchietto, ma questi sono giochi che mi divertono sempre” rispose Jason, a un soffio dal suo collo.

 

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Capitolo 17
*** Finalmente una soluzione per Emma ***


 

 

Finalmente una soluzione per Emma

Emma si sentì senza il fiato mancare e i battiti del cuore accelerare, poi un leggero bacio sul collo la fece quasi piangere.

Ho bisogno di parlarti” disse Jason, togliendole le mani da davanti agli occhi. La ragazza le sentì scorrere sul collo fino ad arrivarle alle spalle, poi percepì il calore del suo abbraccio, che la scaldò anche dentro.

Rimasero zitti per un po’: nessuno dei due aveva il coraggio di rompere quel momento perfetto.

Di cosa hai bisogno?” chiese alla fine lei. Con suo grande dispiacere le sue mani la lasciarono, e le mancò subito quel contatto con la sua pelle, ma se lo ritrovò davanti un attimo dopo.

I-io… io voglio scusarmi con te” ammise. Lei spalancò gli occhi.

Con me?! Perché?

Per come mi sono comportato, per quello che ti ho fatto passare. Per le lacrime che hai versato per me, per il dolore che hai sofferto… per tutto” rispose.

Emma rimase allibita da quelle parole, poi lo guardò.

Ma tu… cioè, come…” fu bloccata da un suo bacio arrivato inaspettato, incredibilmente dolce e bellissimo.

O-ok, aspetta un secondo” provò a dire, ma Jason la fermò di nuovo, prendendole il viso tra le mani e tenendola stretta a sé, fin quando non ebbe più fiato e dovette staccarsi per respirare.

Mi stai togliendo il respiro” ammise la mora.

Sì, anche tu” rispose l’uomo, riprendendo a baciarla.

N-no, fermo! Stavo parlando letteralmente” lo bloccò, ridendo.

Oh, scusami” si ritirò lui, rimanendo però con una mano sulla sua guancia.

Non dicevo che mi dispiaceva” s’imbronciò lei. Jason sorrise, poi la guardò intensamente.

Come mai ti sei mosso per venire da me?” gli domandò, tornando seria.

Iniziamo da principio: sono stato un idiota, e per questo ti chiedo perdono. Non volevo farti del male, né volevo che tu pensassi che non me ne importa niente di te, però non… non potevo nemmeno starti accanto. Io sono un professore, tu…

Una studentessa. Questa frase me l’ha ripetuta Rea seimila volte negli ultimi giorni” sbuffò Emma. Lui rise sommessamente e scosse la testa.

Rea. Certo che tua sorella è proprio un tipino testardo” commentò. Lei non capì e lo fissò confuso.

Non ho capito” ammise.

Credo che tu sappia che stamani mi ha parlato, giusto?

Certo che lo so, è uscita prima apposta

Esatto. Sai anche come mi ha parlato e cosa mi ha detto?

No di certo. Mi sono rifiutata di sapere qualsiasi cosa

Ecco. È una che ci va giù pesante con le parole, mettiamola così. Mi ha fatto aprire gli occhi dicendomi delle cose piuttosto forti, ma purtroppo reali. Ed ora sono qui” spiegò. Emma rimase un secondo pensierosa.

Rea? Cioè no, aspetta… Rea ti ha convinto?” si stupì lei.

. E Fabio le ha dato una mano” confessò.

Ah, perché si parlano di nuovo?” domandò.

No, non penso. Almeno non da quello che è venuto fuori dalla discussione con lui. Ma torniamo a noi

Sì, scusami, adesso sto zitta” promise.

Comunque non devi credere che di te non mi interessi niente. Non devi farlo mai, nemmeno se ti sembrerà così. Tu sei… tu sei la cosa più importante che esista per me, qui e ora

Ma tu hai detto che non possiamo!” ribatté lei.

L’hai detto tu, poco fa. Io sono una studentessa e tu un professore, e questo non cambierà

E’ vero, ma non cambieranno nemmeno i miei sentimenti nei tuoi confronti. Se tu mi dirai di non essere pronta per avere una relazione con un uomo che ha il doppio della tua età e che, per di più, non ti può assicurare niente fino a luglio io ti capirò. Io capirò il tuo disagio e me ne farò una ragione. Al contrario, se vuoi rischiare, vuoi provarci almeno, allora io ti starò accanto. Sarò qui ogni qualvolta vorrai, ti stringerò, ti abbraccerò e farò di tutto per renderti felice” le promise.

Ma devi scegliere tu” disse.

Emma non credeva alle proprie orecchie, aveva paura di sbattere gli occhi perché temeva di svegliarsi. Non era possibile che Jason (il suo Jason) fosse sul serio inginocchiato di fronte a lei a chiederle amore. Non era plausibile.

Le vennero gli occhi lucidi per l’emozione, ma non proferì parola: preferì prenderlo per la maglietta e tirarselo contro.

Quando le loro labbra si scontrarono entrambi iniziarono a baciarsi con foga, felici, impauriti, innamorati, vogliosi… avevano bisogno l’uno dell’altro.

E, per quel momento, qualsiasi altra cosa che fosse al di fuori di loro poteva anche andare al diavolo.

 

 

Rea li aveva spiati fino in fondo, piangendo di felicità quando la sorella aveva preso la decisione migliore. Certo, non sarebbe stato tutto rose e fiori, soprattutto all’inizio, ma lei avrebbe fatto in modo che tutto andasse per il meglio. Sarebbe stata accanto a Emma e Laura per aiutarle e dar loro manforte nei momenti difficili, le avrebbe sostenute.

Decise di lasciarli soli e uscì di casa silenziosamente, sorridendo al pensiero della loro felicità.

Bene, e ora che faccio? Potrei andare da Johan… ah, no. È con Laura” iniziò a ragionare. Si mise a camminare stringendosi nel piumino. Il vento novembrino le sferzava il viso facendola rabbrividire.

In effetti, a pensarci bene, sono rimasta sola. No, niente tristezze: Emma è felice, Laura è felice, Johan è felice, Jason è felice… loro stanno bene, e devo essere allegra. Devo mostrare che anche io sono felice per loro. Devo sorridere e non… non essere egoista. Io devo… devo aiutarli, devo portare gioia nelle loro vite… devo… devo…” ma la frase fu rotta dal pianto sommesso della ragazza. Senza nemmeno rendersene conto i suoi occhi avevano iniziato a lacrimare, e non riusciva a fermarli. Non voleva piangere, davvero: avrebbe voluto semplicemente proteggere da lontano quelli che amava.

Ma lì, in mezzo alla strada grigia, in un freddo venerdì pomeriggio, si rese conto di essere rimasta sola.

Tutto sommato non volevo questo? Essere sola con me stessa. Nessuno avrebbe mai potuto ferirmi o deludermi. E allora cos’è? Cos’è questo terribile senso di oppressione che ho nel petto? Cos’è questo dolore lancinante che provo vicino al cuore? Mi fa male…” si chiese, portandosi una mano all’altezza del cuore e cercando di respirare con calma. Si sentiva oppressa, non riusciva  a prendere fiato per bene. Era come se qualcosa le ostruisse la gola, e iniziò a venirle il fiatone.

Perché sono sola? Perché non c’è nessuno qui per me? Dove sono tutti, ora che hanno la loro felicità?” domandò ad alta voce, appoggiandosi al muro. Sentiva che le gambe le stavano cedendo, iniziava a vederci sfocato.

Come mai non ho qualcuno che mi protegge come faccio io con gli altri?” continuò. Si accasciò a terra. Non si sentiva affatto bene.

Ma non dovrei… non dovrei fare questi discorsi, non dovrei essere egoista. Dovrei rallegrarmi… sono allegra… io sono felice per loro… davvero…” disse, sempre più flebilmente.

E’ per me stessa che non riesco ad essere felice” ammise.

La vista si fece sfocata e cadde a terra, senza sapere come mai. Vide un’ombra che si avvicinava e cercò di focalizzarla: era alta. Riusciva a vedere solo questo.

Signore, mi può proteggere lei?” implorò, prima di svenire.

 

“Rea? Rea, mi senti?”

Chi è che la chiamava? Dov’era?

“Rea, tesoro, apri gli occhi” mamma? Come mai la mamma mi sveglia? Non lo fa da quando avevo sei anni.

“Secondo me dovremmo chiamare un’ambulanza”  per chi?

“No, per il momento no. È solo svenuta, lo ha detto quel ragazzo”

Lei gemette, e aprì gli occhi con fatica. Vedeva tutto il mondo girarle intorno, ma piano, piano riuscì a focalizzare almeno le persone intorno a sé: mamma, papà, Emma e Laura.

C-che cosa… che cosa è successo?” domandò, confusa.

“Stai giù, tesoro, va tutto bene” la rassicurò la donna, posandole sulla fronte uno straccio bagnato.

Dove sono?

“In camera tua. Sei qui priva di coscienza da almeno un paio d’ore” rispose l’uomo.

Due ore? Ma io sono uscita di casa per lasciare soli Emma e…

Ehm, ehm!” la fermò sua sorella, schiarendosi la voce. Anche in quello stato confusionale lei capì la minaccia velata e si zittì.

Comunque che ore sono?

Le quattro, più o meno” disse Laura, controllando l’orologio.

Mamma, papà, voi dovreste essere al lavoro!” protestò, fermando la donna che continuava a passarle il panno sulla testa.

Shh, non ti preoccupare, va tutto bene. Le tue sorelle ci hanno chiamate dicendo che ti avevano portata a casa svenuta e ci siamo precipitati qui” la tranquillizzò.

Svenuta? Portata a casa? Ma che…?” vide le due ragazze scambiarsi uno sguardo preoccupato, poi tornarono a fissarla.

Probabilmente hai avuto un malore quando sei uscita e devi aver perso i sensi senza nemmeno rendertene conto. Non hai visto chi ti soccorreva, vero?” dedusse la mora.

L’ultima cosa che ricordo siete tu e…” lei le lanciò un’occhiataccia.

Comunque non ricordo altro. Ho un buco totale, come se non avessi vissuto i momenti successivi” ammise, contrariata.

“Non ti preoccupare, prima o poi ti tornerà tutto in mente. Adesso riposati, Emma e Laura rimarranno con te per il momento. Se hai bisogno chiedi a loro” le disse il padre, alzandosi e dandole un bacio sulla fronte.

Va bene, grazie papà” rispose. Vide uscire lui e la madre dalla sua stanza e poi posò lo sguardo sulle sorelle.

Cos’è successo davvero?” domandò senza mezzi termini. Loro si guardarono preoccupate e poi scossero la testa.

Noi non possiamo dirtelo” confessò la bionda.

Che cosa?” esclamò lei, mettendosi a sedere e facendo cadere il panno.

Abbiamo promesso. È stato un giuramento solenne, come quelli che fai tu: un segreto per un segreto. È un patto di sangue, lo sai” le spiegò, impaurita dalla sorella.

Ma non potete nascondermi ciò che sapete! È una cosa che riguarda me” si ribellò arrabbiata.

In realtà riguarda più noi che te, per cui tranquillizzati. Sei svenuta per strada e ti hanno riportata a casa. Fatti bastare questo perché abbiamo le mani legate, stavolta” le consigliò Emma.

Non dovrebbero esserci segreti tra di noi, lo sapete!” ribatté.

Fossi in te non lo direi, Rea, perché sei la prima a nascondere le cose” la freddò la mora, con uno sguardo che non lasciava molto spazio all’immaginazione: o stai zitta o è la volta buona che ti tiro un ceffone.

Lei chiuse la bocca e si rimise sdraiata.

Comunque, anche se non c’entra molto col discorso, ti faccio i miei auguri” disse dopo un po’.

A chi?” chiese Laura.

A lei. Finalmente hai il tuo Jason, giusto? Per cui sarai felice adesso” dedusse. Il suo tono di voce sembrava arrabbiato, ma, quando guardò la sorella, un enorme sorriso si era dipinto sul suo volto.

Chiedigli se ha voglia di mettere una buona parola per me col prof di filosofia, visto che io oggi sono uscita per lasciarvi spazio. E ora non me la sento di studiare. Anzi, se mi potete lasciare sola, ve ne sarei grata. Non mi sento molto bene” chiese gentilmente. Loro due annuirono.

Se hai bisogno di qualcosa chiama” “Non farti scrupoli” si raccomandarono prima di uscire.

State tranquille, starò bene anche da sola” assicurò. Emma strinse le labbra.

Temevo che avresti detto così” ammise criptica, uscendo dalla stanza e lasciandola da sola.

Adesso si era ricordata come mai era svenuta, ma non poteva spiegarlo a nessuno. Era stupido avere una crisi respiratoria per una cosa stupida come quella. Se le tue sorelle si fidanzano devi essere felice per loro e allegra. Devi sorridere e ascoltare i loro melensi racconti. Devi farlo. O, almeno, dovresti.

Rea si chiese come mai stesse di nuovo piangendo, e si tirò la coperta sulla testa per ripararsi dal mondo esterno. Aveva bisogno di aiuto. Aveva bisogno di qualcuno che le stesse accanto nonostante le sue stramberie e la sua lunaticità. Ne aveva bisogno davvero.

Ma il suo problema, purtroppo, era che non era in grado di dirlo ad alta voce. Non si chiede aiuto, mai. Chiedere aiuto significa dare il peso della propria sofferenza a  qualcun altro, farlo piegare per portare con te un macigno che, con un po’ di sforzo, riesci a portare anche da sola. E non è giusto farlo, non è giusto aggrapparsi ad altri. Nonostante questo, Rea non ce la faceva più.

Strinse il cuscino al petto e si addormentò, cadendo in un sonno senza sogni.

 

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Capitolo 18
*** Ricordi perduti ***


Ricordi perduti

Rea passò la notte a guardare la neve cadere, seduta sul davanzale della finestra in camera sua. Alla fine aveva dovuto mettere per forza la stella di Natale in cima all’albero e questo l’aveva un po’ rattristata: perché non riusciva a sentirlo? Perché non percepiva lo spirito natalizio come solito?

Com’era quella canzoncina che mi cantava la mamma da piccola?” si chiese, appoggiando il mento sulle ginocchia che aveva portato al petto.

Non ricordo più. Non ricordo niente” rispose, sospirando. Se c’era una cosa, oltre a Fabio, a cui aveva pensato in modo costante da dopo il suo sfogo, erano i suoi genitori veri. Sua madre in particolar modo. Le pareva di aver dimenticato dettagli importanti di quella vita ormai così lontana da lei che le potevano servire per capire. O almeno, anche solo per stare meno male.

Alla fine le venne l’idea per una storia di una pagina sola. Anzi no, non era una storia: era una lettera. Nemmeno lei avrebbe saputo dire da dove le venivano fuori le parole, fatto sta che poco dopo erano sulla carta, bianco su nero. E, finalmente, poté andare a dormire per la prima volta da giorni senza piangere.

 

 

Il mattino seguente la scuola rimase chiusa a causa della bufera di neve. E anche quella successiva. E quella dopo ancora.

Per un’intera settimana rimasero tutti a casa, genitori compresi, e si misero a fare i preparativi per il solito cenone di Natale che gli Stevens organizzavano ogni anno in casa. Venivano invitati amici e parenti stretti, tra i quali anche Johan e i suoi genitori, e tutti si divertivano sempre un sacco.

Dato che Rea era amorfa da un po’ di tempo, e dato che Laura e Emma non sopportavano più che facesse la emo delle emozioni in modo così evidente, decisero di farle trovare una sorpresa anche durante quella festa. Un pomeriggio andarono dalla mamma e si misero a parlare della scuola.

Sapevi che quest’anno abbiamo un nuovo compagno di classe?” buttò là la mora con nonchalance.

“Sì, vostra sorella mi ha detto qualcosa. Fabio Daniels, giusto?” rispose.

Esatto, proprio lui. Pare che Rea sia molto amica con lui, perché non invitiamo anche la sua famiglia?” chiese l’altra.

“Lei è d’accordo?” indagò la donna, che stava intuendo già qualcosa. Le due sorelle si guardarono per una frazione di secondo poi annuirono.

Figurati se non le va bene” risposero all’unisono. Lei si mise le mani sui fianchi e le guardò male.

“Signorine, che mi nascondete?” le aggredì. Non era una stupida, non lo era mai stata, e non le potevi nascondere mai nulla.

Nulla” dissero in fretta. Troppo in fretta.

“Certo, come non mi nascondete il fatto che vi siete fidanzate” ribatté. Entrambe si impietrirono.

Da quanto tempo lo sai?” chiese Emma, impaurita.

“Oh, andiamo tesoro! Non crederai che abbia messo il professor Jason nella lista degli invitati perché volevo offrirgli da bere” le rispose. Sorrise nel vedere la faccia basita della figlia di fronte a quell’affermazione e scosse la testa.

“Benedette ragazze, davvero mi credete così stupida?” domandò offesa.

No, ma…

“Sentite, di certo non mi fa piacere che mia figlia appena diciottenne si metta con il suo professore quarantenne, ma se è felice a me sta bene. Inoltre devo ammettere che Jason è anche un bell’uomo. Però ciò che mi dà noia e che mi ferisce è il fatto che entrambe mi avete nascosto le vostre relazioni. Anche tu, Laura” spiegò.

Io, comunque, ve l’avrei detto” confessò Emma.

“E quando?”

A luglio, dopo l’esame. Solo quando non sarò più una studentessa potrò ufficializzare la cosa, ora non posso, per cui non serviva a niente dirlo” rispose. La madre prese per buona la spiegazione e si voltò verso Laura.

“E tu che scusa hai?”

Nessuna” ammise lei, abbassando lo sguardo.

“Appunto. E quindi, per tornare alla vostra richiesta iniziale, ovvero se possiamo invitare i Daniels, io vi rispondo chiedendovi: per quale ragione? E, soprattutto, che c’entra Rea?”  indagò. Le sorelle si arresero e si misero comode: era una storia piuttosto lunga.

 

 

Il pomeriggio della vigilia, ovvero tre ore prima che iniziasse la festa, le tre Stevens erano davanti all’armadio a scegliere i vestiti.

Io mi vesto di rosso” aveva deciso Emma, prendendo un vestito a maniche lunghe scollato e cortissimo. Col fisico che si ritrovava, poteva permetterselo.

Io ho un tubino nero, credo che indosserò quello” aveva detto Laura, mostrando un vestito lungo che la fasciava. Invece Rea…

Io mi infilo un paio di jeans e un maglione. Non vedo perché mettersi così in ghingheri” aveva commentato. Le altre due l’avevano guardata orripilate.

Stai scherzando, spero” aveva commentato la mora, aprendo i suoi cassetti per cercare qualcosa di decente.

Ehi, non toccare la mia roba!” si era ribellata lei, tentando di fermarla.

Non ti permetterò di venire alla festa vestita come una stracciona. Quindi stai ferma e fai decidere a me il tuo abbigliamento” le aveva ordinato.

E così adesso Rea era ferma su una sedia con le sorelle intorno che le pettinavano i capelli, la truccavano e la facevano vestire come se lei fosse una bambina di due anni e loro le madri.

Io vi odio” disse loro, con sguardo furente.

Chiudi gli occhi, devo metterti l’ombretto

Non lo voglio!” si ribellò lei. Laura le aveva dato un colpo sulla testa.

Smettila di muoverti o ci rovini l’operato!” si arrabbiò. Come una bella statuina, la ragazza rimase immobile a farsi stropicciare come una bambola e, alla fine, con somma soddisfazione, Emma la fece posizionare davanti a uno specchio.

Ok, pronta? Tre… due… uno… e voilà!” annunciò. Rea aprì gli occhi spaventata e si stupì dell’effetto che le faceva vedersi per una volta vestita come una femmina.

Oddio!” commentò. Il vestito che le avevano scelto era lungo fino al ginocchio, celeste, senza scollatura (cosa positiva per lei che aveva un seno molto prosperoso). Era sobrio ed elegante, ma, abituata com’era a sentirsi a disagio in qualsiasi vestito che non fossero i suoi vecchi jeans, lei scosse la testa.

Non posso uscire da questa stanza in queste condizioni: quest’affare mette in mostra tutta la mia ciccia” disse, avvicinandosi al letto per recuperare i vestiti che aveva addosso prima del cambiamento.

Oh, no, tu non ti toglierai il vestito a meno che non siamo noi a deciderlo” ordinò Emma, fermandola.

Ci siamo date da fare per renderti irresistibile, quindi non rompere le palle e esci di qui” continuò Laura, aprendo la porta.

Ma mi vergogno!” protestò lei, cercando di nascondersi. I primi ospiti erano già arrivati e non ce la faceva a uscire e farsi vedere. Se qualcuno l’avesse giudicata male? Non aveva un bel fisico quindi nessuno l’avrebbe apprezzata.

Ti ci portiamo con la forza, allora” decisero le sorelle. La trascinarono in salotto, dove la famiglia di Johan e Jason erano già arrivati.

Non voglio!” gridava lei, facendo pressione con i piedi per fermarsi. Emma e Laura faticarono non poco per portarla dagli altri, e anche quando era lì, lei cercava di tornare indietro a nascondersi.

“Ehi, ecco le Stevens al completo!” commentò la madre del biondo, vedendole apparire.

Fatemi fuggire, lasciatemi andare” le implorava Rea, continuando a ribellarsi.

NO!” esclamarono insieme le altre due, ridendo. La spinsero nella stanza, dove entrò con gran rumore, e dove si vide puntare addosso gli occhi di tutti. Sentì le guance infiammarsi.

B-buonasera” balbettò in salutò.

“Ehi, Rea, sei elegantissima! Stai proprio bene con questo vestito” le disse il padre, abbracciandola.

Uhm, grazie” borbottò in risposta.

Per l’ora successiva loro tre furono occupate a stare alla porta per accogliere gli invitati e prendere i loro cappotti, dicendo in continuazione “Buona sera! Benvenuti” e “Buon Natale”.

Sembriamo tre portiere” commentò Laura, un po’ annoiata.

Ma lo siamo!” rispose Emma, portando in camera l’ultimo giacchetto preso. Rea si guardò intorno.

Mi pare che ci siamo tutti, giusto? Non ricordo se deve arrivare qualcun altro, ma credo che gli invitati siano arrivati” commentò. Le sue sorelle fissarono la sala e scrutarono.

No, sono convinta che qualcuno manchi” disse decisa la mora.

Ah sì? E chi deve venire?” chiese lei, innocentemente.

Ehm… già, suppongo che mamma non te l’abbia detto” dedusse la bionda, imbarazzata. Erano rimaste d’accordo che la donna ci avrebbe parlato inventandosi una scusa e l’avrebbe convinta a non fare scenate. Perché non l’aveva fatto?

Cosa doveva dirmi?” s’informò lei. Quando quelle due le nascondevano qualcosa, non era mai niente di buono.

Ma niente! Ora lo vedi” minimizzò la più alta, con un gesto della mano.

Sentite, è già tanto che io non vi abbia uccise quando mi avete addobbata come un albero di natale, con questo vestito ridicolo e i trucchi, ma sono al limite della sopportazione, per cui ve lo chiederò una volta soltanto: chi deve ancora arrivare?” ripeté. In quel momento suonarono alla porta.

Emma andò ad aprire e fece un gigantesco sorriso.

Buonasera, signori Daniels, benvenuti. Date pure a me i cappotti, la festa è in sala” li salutò.

Il cuore di Rea perse un battito e lei strinse gli occhi prima di voltarsi.

Ciao, lentiggine” la salutò Fabio.

Lo fissò per un interminabile secondo, nel quale lui le sorrise dolcemente, poi percorse il corridoio a ritroso e si chiuse in camera sua, con il fiato corto. Si appoggiò alla porta e scivolò lentamente verso il pavimento. “Questo è  un incubo” pensò.

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Capitolo 19
*** Vicino a Natale ***


Vicino a Natale

Il tempo passa per tutti, anche quando vivi la tua vita in modo molto addormentato. Magari ti scivola via dalle mani e non te ne accorgi, però passa. E Rea si era resa conto di questo quando, una mattina, si era svegliata e aveva trovato i cartoni con le decorazioni di Natale nell’ingresso.

Sua mamma stava preparando la colazione per lei e le sue sorelle e canticchiava Jingle Bells allegramente.

“Buongiorno, tesoro!” la salutò, sorridendo.

Buongiorno” rispose lei. Aveva passato le ultime settimane dopo che era svenuta in uno stato semi-comatoso, continuando ad andare a scuola, a scrivere, a cantare e a fare tutto ciò che faceva anche prima, però adesso era spenta. Non aveva più voglia di svegliarsi la mattina, di sopportare i professori, di vedere quanto Emma e Laura fossero felici con i loro nuovissimi ragazzi. Era qualcosa che non sopportava, ma non per egoismo: era solo il dover ammettere di essere sola a darle noia.

“Oggi pomeriggio tuo padre e io rimarremo a casa per iniziare a montare l’albero, va bene?” le chiese. A sua madre il Natale piaceva, era la sua festa preferita e, anche se adesso non sembrava, anche quella di Rea. Le venne un po’ di tristezza nel pensare che una volta, appena arrivava il primo dicembre, iniziava a chiedere insistentemente e ripetutamente ai suoi di fare l’albero, mettere le luci, preparare la cioccolata calda e vestirsi con maglioni pesanti che la facevano sentire protetta.

Mamma, mi dispiace, ma oggi devo andare in biblioteca. Ho un compito da fare prima delle vacanze e devo sbrigarmi” rispose. La donna si rattristò, poi sorrise.

“Allora possiamo farlo domani” propose. La ragazza la guardò affettuosa.

No, figurati. Voi preparate tutto, io cercherò di essere pronta il prima possibile” le assicurò, alzandosi e dandole un bacio sulla guancia.

“Sei sicura? A te è sempre piaciuto mettere la stella sulla punta. Lo fai sempre tu, senza non sarebbe lo stesso”

Rientrerò per mettere la stella, te lo prometto” giurò.

Mentre si chiudeva in camera e cercava i vestiti per prepararsi ad uscire, si sentì un po’ in colpa. Non voleva tornare per terminare l’albero, non ce la faceva. Si sentiva così svuotata che non ci avrebbe messo il cuore nelle preparazioni per Natale e, quindi, non sarebbe stato lo stesso.

Una volta sola, in strada, mentre andava a scuola, si chiese se fosse giusto quel suo comportamento passivo. In fin dei conti nessuno le aveva detto di essere così triste, se lo stava imponendo da sola, no? Così come si imponeva da sola il fatto di non uscire più il sabato sera dato che Emma e Laura uscivano con i loro ragazzi, o di non camminare fino a scuola con loro perché non sopportava i loro racconti dettagliati delle relazioni amorose che stavano vivendo. E, soprattutto, nessuno le aveva imposto di allontanare Fabio in modo così brusco e duro.

Non si erano più parlati, né lei lo aveva mai cercato. Vivevano due vite in parallelo, anche se Rea ogni tanto notava che lui la fissava intensamente. E si sentiva una stupida.

 

Quel pomeriggio, quando fu arrivata in biblioteca senza avere davvero qualcosa da fare, la ragazza prese il primo libro che le capitò sotto mano e si sedette in terra a leggerlo. “The last song… destino, non sei simpatico” pensò, girando la prima pagina. L’aveva già letto almeno due volte, quel libro, e tutte le volte piangeva. Era bello e commovente, e questo le piaceva, soprattutto perché era una di quelle persone che amano quando un libro o un film le coinvolgono al punto di provare empatia per i personaggi.

Ma stavolta era diverso. Rimase immobile sul pavimento della biblioteca per quattro ore, e fu una pagina sola a farla pensare. La 143, per la precisione. La tua commedia non funziona con me! Hai evitato che scoppiasse la rissa mentre gli altri volevano sangue. Sei stata l’unica ad accorgerti del bambino che aveva cominciato a piangere, e ho visto come sorridevi quando è andato via con la sua mamma. Leggi Tolstoj nel tempo libero. E ti piacciono le testuggini!” di per sé non voleva dire niente. Era solo Will che tentava di fermare Ronnie prima che scappasse. Ma Rea capì cos’era che l’aveva colpita e ne rimase allibita.

La protagonista rifiutava di vedersi, si nascondeva dietro ad una specie di armatura ironica che non la faceva ferire dagli altri. Proprio come lei. E il ragazzo, nonostante la conoscesse da meno di due giorni, l’aveva capito subito da come si comportava con gli altri. Proprio come Fabio. Ma Ronnie non voleva lasciarlo entrare nella sua vita. E Will continuava a farlo nonostante i suoi rifiuti.

“Mi scusi, signorina, deve andarsene. È scoppiata una bufera di neve e stiamo chiudendo per l’allarme maltempo” la chiamò la bibliotecaria, facendola sobbalzare.

Come? Ah, sì, mi scusi, ora vado via” rispose. Rimise apposto il libro e corse fuori dall’edificio, stupita: quel racconto era anche troppo simile alla sua storia. O almeno, i due protagonisti lo erano.

Una volta in strada si mise i guanti e la sciarpa e si avviò verso casa. Era molto tardi, saranno state le sette, e, a causa della neve, non c’era nessuno in giro. “Che palle, casa è lontanissima. Mi prenderò una polmonite” pensò, portandosi le mani alle guance per scaldarsi. Abbassò la testa affinché la neve non le sferzasse il volto con troppa forza e camminò così per un bel pezzo, prima di rendersi conto che ci stava mettendo troppo.

Dove sono?” si chiese, alzando gli occhi. Li spalancò, incredula.

Come diavolo ho fatto a finire al parco se stavo andando nell’altra direzione?” esclamò, guardandosi intorno. Doveva proprio essere sovrappensiero, non le capitava mai di sbagliare strada. Si voltò per tornare indietro e sbatté il naso contro qualcuno.

Mi scusi, non vole… oh, no” disse. Fabio la stava guardando, sorpreso e divertito.

Buongiorno” la salutò. Per qualche ragione sentire di nuovo quella voce parlarle le fece l’effetto di una stufa, la scaldò terribilmente.

Buongiorno. Arrivederci” rispose lei, superandolo. Le era mancato, questo era certo, ma non poteva cedere all’emozione, doveva riuscire a non pensarci.

Ehi, dove stai andando? Aspetta” la fermò il ragazzo, prendendola per un polso.

A casa. Dovevo rientrare ore fa, mamma mi ammazza se non torno subito” spiegò, cercando di divincolarsi.

Mi lasci andare?” domandò, guardandolo arrabbiata.

Lo farei, giuro che lo farei molto volentieri, ma casa tua è dall’altra parte” le fece presente. Rea fissò stupita la strada che stava per imboccare e si rese conto che aveva ragione: stava per ritornare verso la libreria.

Oh. Grazie, non me n’ero accorta” disse, stupita di sé stessa. Ma che le prendeva?

Figurati” minimizzò Fabio. Rimase ancora attaccato al suo braccio e lei sbuffò.

Guarda che ora puoi lasciarmi andare

Sei sicura? Non mi sembri molto attenta, oggi, e, con questa tormenta, rischi di perderti. Se vuoi ti accompagno e poi vado via” le propose.

Che? No!  rispose punta nell’orgoglio.

Guarda che non c’è niente di male nel chiedere una mano quando serve” la riprese.

E io lo faccio sempre, ma so dov’è casa mia, non ho bisogno di te” ribatté la ragazza, tirando via il braccio. Nel farlo si sbilanciò all’indietro e cadde in un cumulo di neve fresca, sbattendo la testa contro un sasso.

Ahia. Che male” si lamentò, massaggiandosi il punto dove aveva battuto. C’era un bernoccolo bello grosso.

Provò a rialzarsi, ma non aveva molto equilibrio per colpa della botta, e cadde di nuovo.

Fabio sospirò, poi la guardò sorridendo.

Meno male che non avevi bisogno di me” la prese in giro, tendendole una mano. Rea si rifiutò di prenderla, ma lui non demorse.

Te lo chiedo per favore: fatti aiutare almeno a tornare a casa” la implorò. La ragazza strinse i denti e guardò altrove, poi si aggrappò al suo braccio e si fece tirare su.

Brava la mia lentiggine” si congratulò lui, facendola appoggiare a sé. Anche dopo il colpo preso e con la testa che girava, la rossa si rese conto che non avrebbe voluto essere altrove.

Erano passate più di quattro settimane da quando erano usciti insieme; l’aveva maltrattato per poi non parlargli più, si era nascosta ed era fuggita da quello che le faceva provare. Eppure, nonostante ciò, lui la stava aiutando senza esitare, come se non avesse aspettato altro, in quei giorni, come se fosse rimasto in attesa di un suo cenno per tornare indietro ed esserle amico. Perché lo faceva?

Comunque, mi piacerebbe dirti una cosa” esordì Fabio dopo un po’. Ormai erano in prossimità della casa.

Dimmi” lo incoraggiò Rea, stretta a lui. Non sentiva nemmeno il freddo della neve sul volto, c’era lui a proteggerla.

Io volevo chiederti scusa” ammise. Lei lo fissò.

Per cosa?

Per quello che è successo a casa mia. Tu non mi hai più rivolto la parola, ma ho sperato che ci saremmo potuti parlare, prima o poi. Ciò che decidi della tua vita è una questione che riguarda solo te e non avevo il diritto di venire a farti la predica. Sono convinto che hai passato dei brutti momenti e che questi ti abbiano segnato, per cui aspetterò” promise. Si fermò davanti alla porta di casa Stevens.

Aspetterai?” domandò Rea, senza capire.

Sì, aspetterò. E prima o poi te ne dovrai rendere conto” rispose.

Ma di cosa?” chiese lei, confusa. Davvero non ci arrivava? Fabio sorrise, e si avvicinò a lei, posandole un dolcissimo bacio sulle labbra. Durò solo pochi secondi, ma bastarono perché la ragazza spalancasse gli occhi e si irrigidisse leggermente.

Ciao, lentiggine” la salutò, riprendendo a camminare.

Lei rimase ferma a guardarlo scomparire nella tormenta di neve per parecchio tempo, prima di accorgersi che non lo vedeva più.

“Rea, tesoro, finalmente sei rientrata! Vieni, abbiamo aspettato a mettere la stella perché sapevamo che ci tenevi. Ma non stare lì sotto la neve, prenderai qualcosa!” la chiamò sua madre, uscendo sul pianerottolo. Lei sobbalzò e si voltò, poi sorrise per mascherare il disagio.

Arrivo, grazie” rispose.

 

 

Signore, mi può proteggere lei?

Fabio non se l’aspettava, non immaginava che l’avrebbe trovata stesa a terra quasi priva di sensi.

Signore, mi può proteggere lei?

Né si aspettava che avrebbe detto una cosa tanto straziante. Cosa le era successo per ridurla così? Sembrava un gattino, di quelli randagi che si fanno male e poi agonizzano sul ciglio della strada.

Una volta che fu entrato in casa e che si fu scaldato, pensò di nuovo a quella sera.

Signore, mi può proteggere lei?

Era una richiesta assurda, se ascoltata da qualcuno che non sapeva come stavano le cose, ma lui aveva capito cosa stava domandando Rea, la sua Rea. Per la prima volta aveva chiesto aiuto ad alta voce, ed era stato lui ad accogliere quella richiesta.

L’aveva raccolta come si fa con i gatti e se l’era strinta al petto, poi era andato a casa Stevens. Quando Emma e Laura avevano aperto la porta e lo avevano visto con la sorella svenuta in braccio si erano subito spaventate, ma lui le aveva semplicemente sorpassate in silenzio e aveva posato la ragazza sul divano.

L’ho trovata in strada, priva di sensi, e l’ho riportata qui” spiegò senza che nessuno domandasse qualcosa.

Com’è successo?” aveva subito chiesto la mora. Le accarezzò i capelli e la fissò intensamente.

Non lo so, era già a terra quando sono arrivato io. Quanto tempo è che è uscita?” s’informò. Lei ci pensò su un attimo.

Non saprei. È rientrata da scuola a mezzogiorno e poco dopo è arrivato… ehm… comunque, non so di preciso quando è andata via, me ne sono resa conto solo poco fa, quando è tornata anche Laura” rispose.

Allora è fuori da più tempo del previsto. Io ho lasciato Jason che era più o meno quell’ora lì e, se la conosco bene, direi che tua sorella è uscita per farvi stare in pace” ragionò Fabio. Emma spalancò gli occhi.

Tu… tu sai…?

Sì, stamani il professore era con me. Pensavo che lo sapessi” le spiegò.

Non saprei, forse l’ha detto, ma ero momentaneamente sconnessa” arrossì la mora.

Comunque ora che facciamo?” domandò l’altra, coprendo Rea con una coperta di lana.

Nulla, chiamate i vostri genitori e fateli venire a casa. Io me ne vado, non voglio che lei sappia che sono stato qui” rispose il ragazzo, alzandosi.

Perché?” indagò Laura.

Perché è un tipo orgoglioso e non accetterebbe mai il fatto che abbia avuto bisogno di aiuto. Voi non ditele niente, fate finta che sia stata riportata a casa da un signore qualsiasi, ma non nominate me” ordinò.

Sì, ma…” provò a ribattere Emma.

Ascoltatemi entrambe: vostra sorella non sta bene. Non lo è mai stata, se volete saperlo, ma è troppo testarda per ammetterlo. Ha bisogno di aiuto, e voi due siete le uniche persone che possono rimanerle vicine. Non la abbandonate mai, capito? Nemmeno quando sarà lei stessa a dirvi di potercela fare” le addestrò.

Fabio, cosa sai che noi non sappiamo?” domandò Laura.

Quando sarà pronta ve lo dirà Rea, ve lo prometto. Ma voi giurate di non lasciarla mai da sola. E non la fate rimanere indietro perché ora siete fidanzate” intimò. Il suo sguardo, o forse il suo tono serio le fece annuire.

Bene, io me ne vado. E non sono mai stato qui” ricordò loro.

A ripensarci, si chiese come avesse fatto a sopportare la sua lontananza per tutto questo tempo. Era innaturale.

Signore, mi può proteggere lei? lo aveva chiesto a lui e, qualsiasi cosa fosse successo, si era ripromesso di starle vicino da lontano. Non si sarebbe mai fatta aiutare apertamente, così, da allora, ogni tanto la osservava e la seguiva, cercando di assicurarsi che stesse bene.

Non poteva fare altrimenti: non si abbandona la donna che si ama.

 

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Capitolo 20
*** Vigilia di Natale con sorpresa ***


Vigilia di Natale con sorpresa

Quando tornò in sala si era stampata un sorriso finto sul viso e si era imposta di far finta di niente: non c’era stato nessun bacio tra di loro, lui non le aveva detto di essere innamorato e lei non era rimasta zitta ad aspettare chissà che. Nulla di questo era successo

Scusatemi tutti, dovevo controllare una cosa” disse, quando le chiesero come mai fosse sparita. Si sedette a un capo del tavolo, dove stavano tutti i ragazzi, e rimase zitta per gran parte della cena: Laura amoreggiava con Johan, Emma si era messa vicina a Jason e si scambiavano occhiate incantate, e lei… beh, lei era vicina a Fabio, che ogni tanto le riempiva il bicchiere di spumante. Non si erano detti nulla, ma la colpa era prevalentemente sua, e questo lo sapeva.

Senti, per quanto riguarda il bacio, volevo sapere se…” iniziò lui.

Stai tranquillo, l’ho rimosso. Farò finta di niente” gli sorrise la ragazza, imbarazzata. L’altro scosse la testa e rise sommesso.

No, non volevo dire questo” la corresse. Rea lo fissò confusa.

Ah, no?” chiese.

No di certo. Io non voglio rimuovere le cose belle che mi accadono” confessò. Lei arrossì e distolse lo sguardo.

Volevo solo chiederti se te l’eri presa a male

Che cosa?! Ma no, figurati!” lo tranquillizzò lei. Si rese conto subito dopo che così sembrava che le fosse piaciuto. “Ma ti è piaciuto!” commentò la solita vocina in testa.

Cioè, è stato a sorpresa, ma… sì, insomma, non dico che… uff, lascia perdere” si imbronciò, incrociando le braccia. Fabio rise di gusto e la fissò divertito.

Certo che sei un personaggio, Rea Stevens” ammise.

Sì, lo so. Me lo dicono tutti: son buffa, sono impacciata, sono un disastro ambulante, sono divertente perché dico cose senza senso… lo so che sono diversa” rispose, rattristendosi.

Non intendevo diversa. Cioè, non nel senso negativo del termine” la rassicurò lui, mettendo una mano sulla sua. A quel contatto lei lo guardò e i loro occhi rimasero incatenati per un momento infinito.

Senti, facciamo un patto, ci stai?” le propose il ragazzo, facendo terminare la pressione. Lei si sentì come se le avessero tolto il calore del camino.

Del tipo?” chiese sospettosa.

Stasera è la vigilia di Natale, quindi non devi essere triste. E, dato che sono io a rattristarti, per stasera io non sono Fabio e tu non sei Rea. Siamo solo due amici che passano insieme le vacanze. Va bene?” spiegò sorridendo. Le tese la mano, aspettando che la stringesse. La ragazza ci pensò su un attimo, poi sorrise a sua volta e gli porse la sua.

Affare fatto!” decise.

 

 

La cena terminò alle undici, ma tutti si trattennero per ancora molto tempo. Era tradizione brindare allo scoccare della mezzanotte e poi rimanere tutti insieme fino a tarda notte per festeggiare il Natale.

Rea, quando ci fu il brindisi, bevve l’ennesimo bicchiere di spumante della serata e iniziò a sentire la testa girare. Aveva passato tutta la sera con Fabio, ridendo e scherzando, e non si era resa conto di aver bevuto così tanto.

Non sono sicura di stare troppo bene” ammise alla fine, sedendosi in corridoio appoggiata alla parete. Il ragazzo si mise al suo fianco.

Qualche problema?” s’informò.

La stanza gira tutta e non mi piace. Anche tu giri!” rispose. Lui rise.

Mi sa che hai bevuto abbastanza, vero?” le chiese osservandola.

Solo un po’” ammise la ragazza, mimando il gesto con le dita. Da dove erano seduti si vedeva la stella che lei stessa aveva posizionato in cima all’albero, che brillava con la luce del lampadario.

Quella è mia, lo sai?” esordì dopo un po’, indicando il gioiello. Fabio seguì il suo dito e fissò la punta.

Lo so che è tua” la assecondò. Anche da ubriaca, capì che le stava parlando come si parla a un bambino e scosse la testa.

No, non hai capito. Quella è proprio mia, mia. È personale. È un regalo di mia mamma” spiegò.

Allora sarà un regalo per te e per le tue sorelle” le fece presente il ragazzo.

No, io non ho sorelle. O almeno, non le avevo” rispose confusa.

Ma cosa dici? Ci sono Emma e Laura” le ricordò.

Sì, adesso ci sono, ma prima non c’erano” asserì lei. Ormai non si rendeva nemmeno conto di cosa diceva.

Rea, ma ti senti bene? Mi sembri piuttosto confusa” si preoccupò Fabio, facendola voltare verso di sé.

Sto benissimo, sei tu che non mi ascolti” si arrabbiò, mettendo il broncio.

Ti ascolto, ma i tuoi discorsi non hanno senso” la tranquillizzò alzandosi da terra.

Ma sì che ce l’hanno, non è complicato: prima c’erano un papà e una mamma e ora ce ne sono altri. Prima non c’erano sorelle, ora ce ne sono due. Cosa c’è di difficile?” ripeté.

Cosa vuol dire che prima c’erano una mamma e un papà e ora ce ne sono altri?” le domandò, guardandola dall’alto. Rea ci pensò un po’, con la testa pesante, poi si appoggiò al muro e fissò il soffitto.

Allora, dovrebbe essere così: io avevo due genitori, una volta, che non sono quelli che ho ora. No, questi sono i miei zii… ecco, sì, i miei zii. E poi i miei genitori, non questi, gli altri, se ne sono andati via… o sono morti, non me lo ricordo… e allora sono arrivati questi genitori che mi hanno adottata e Emma e Laura sono diventate mie sorelle” spiegò, biasciando qualche parola per colpa dell’alcool. Fabio rimase stupito da quel racconto: ma era vero?

E cosa c’entra la stella di Natale?” le chiese.

La mia vecchia mamma diceva che io ero una stellina. Che venivo da fuori, dall’universo infinito, e che sono nata in una notte di stelle cadenti, così mi ha regalato quel puntale, che però non era un vero puntale. Mia zia, che ora è mia mamma, me lo spiegò quando avevo sette anni: quella era una stella di diamanti che i miei genitori mi avevano regalato appena nata. Era il loro modo per dirmi che io sono un dono dal cielo, che sono qualcosa di preziosissimo. Per evitare che fosse sciupata i miei nuovi genitori l’hanno fatta diventare un puntale, così che io, quando è Natale, possa vederla e ricordarmi di quanto gli altri genitori mi volessero bene” rispose.

Perché proprio un puntale?” s’informò ancora il ragazzo. Rea rise.

Certo che sei proprio un curiosone, tu!” lo prese in giro. Tornò seria e ci pensò.

Comunque mi sembra di ricordare che mia zia mi avesse detto che i miei  adoravano il Natale perché è magico. Anche io amo il Natale, sai? Anche se non sembra, no,no, perché quest’anno io sono triste. Perché io quest’anno sono stata spesso a piangere” disse. Fabio si sedette di nuovo al suo fianco.

E perché sei triste?

Per colpa tua. Tu sei il mio incubo… o sogno, non lo so ancora bene. E ti odio perché mi piaci taaaanto, tanto e non so come dirtelo” ormai non era più lei a parlare, ma tutto l’alcool che aveva nel sangue.

E poi perché mi sento a disagio. Lo sai, l’unica cosa che mi ricordo della mamma era che mi chiamava stellina. Io ero brillante e calorosa come una bellissima stella. Però lei non lo sapeva, ma io lo so” continuò. Fabio non comprese e la fissò confuso.

Che cosa sai?” domandò. Rea si guardò intorno e lo fece avvicinare come se dovesse dirgli un segreto.

Le stelle non sono cose buone. No, non lo sono affatto” rispose.

Come mai?

Le stelle cadenti, che oggi sono belle perché si esprimono desideri, in realtà sono cose brutte. Lo sapevi tu che gli antichi credevano che ad ogni stella cadente si legava un avvenimento infausto? Le stelle sono le lacrime degli dei! E quindi non dovrebbero esserci! E quindi io sono capitata qui per caso, io non dovrei esserci” spiegò. Era soddisfatta del suo ragionamento e non ne pareva per niente turbata, invece il ragazzo era basito: ma le credeva davvero, tutte quelle cose, o stava parlando solo perché era ubriaca?

Rea, sei sicura di stare bene?” si preoccupò. Erano discorsi poco felici quelli che aveva appena fatto. Lei annuì, la poi la testa le girò in modo più vorticoso del solito e si accasciò su una sua spalla, iniziando a chiudere gli occhi.

Hai un odore buono” sussurrò. Lui sorrise, poi si alzò e la lasciò appoggiata alla parete.

Rientrò in sala e cercò Emma, che era a parlare con Jason sul divano.

Qual è la camera di tua sorella?” le chiese, a bassa voce. Lei lo fissò senza capire e lui indicò la ragazza addormentata in corridoio. La mora rise.

La prima stanza sulla destra passata la cucina” rispose.

Grazie. Buon divertimento” la salutò. Tornando da Rea.

La fece alzare e, nonostante le sue deboli proteste, riuscì a farla avvicinare al letto, dove la fece stendere. Le tolse le scarpe e la coprì.

Ma fa caldo! Non voglio la coperta!” si ribellò lei, scalciando.

Invece sì, o ti prenderai un malanno. Non fare la bambina, forza” la sgridò bonariamente lui.

E allora mi spoglio” decise la ragazza, iniziando a togliersi le calze.

Cosa? No, ferma!” la stoppò lui, arrossendo. Il suo sguardo ferito lo colpì.

Lo sapevo che non ti piaccio. Lo vedi che avevo ragione io a non volermi innamorare di te?” gli disse.

Rea, non è per quello…” cercò di spiegare lui, ma si sentiva impacciato.

E allora come mai non vuoi vedermi nuda? E poi ho caldo! Non posso rimanere con i vestiti!” si arrabbiò la ragazza, togliendosi tutto e rimanendo in mutande e reggiseno. Fabio distolse lo sguardo per pudore e fissò la stanza intorno a sé mentre lei si copriva. C’era un foglio scritto fitto sulla scrivania. Altre idee per il romanzo?

Si avvicinò e lo prese per vedere cos’era.

Quella è una lettera alla mia mamma!” annunciò Rea, guardandolo con gli occhi semichiusi.

Per la tua mamma?

Sì, per la mia mamma vera. Quella morta” spiegò. Si stava addormentando, e questo era un bene.

E perché le hai scritto?

Per chiederle cosa devo fare. Io non lo so più, capisci? Mi sembra di essere qui solo per qualche capriccio divino. Gli dei sono crudeli, soprattutto il dio che fa piangere gli altri e crea le stelle cadenti” commentò.

Fabio le si avvicinò a si inginocchiò vicino al suo viso, accarezzandole  la testa.

Tu sei qui perché servi a me” le disse.

Ma tu non mi vuoi. Tu ti diverti con me, ma non mi ami. Io ti amo” ribatté Rea, imbronciata. Aveva gli occhi lucidi e il ragazzo rimase stupito di fronte a questa confessione. Poi sorrise.

Lo pensi tu che non ti amo, io non l’ho mai detto” le fece presente.

Non vuoi vedermi nuda!” protestò.

Certo, perché sennò domani mi uccidi

No, io non ti ucciderei maaaai!” negò. Poi si mise a sedere.

Allora, se mi ami, ti fai dare il bacio della buona notte!” decise , prendendolo per i lembi della camicia. Lo strinse forte alle sue labbra e lo tenne fermo per un bel po’, prima di staccarsi sorridente.

Ciao Fabio!” lo salutò, cadendo con un dolce *puf* sul cuscino e chiudendo gli occhi. Si addormentò subito, respirando piano e gentilmente.

Il ragazzo rimase fermo, incredulo, con la lettera in mano, poi scosse la testa per riprendersi.

Questa ragazza è un uragano!” pensò, voltandosi per rimettere il foglio al suo posto. Il suo sguardo cadde su alcune parole sparse e la curiosità si fece strada in lui. “Non la leggere, è maleducazione” si consigliò, ma aveva ormai già iniziato e non riuscì a fermarsi fino alla fine.

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Capitolo 21
*** La lettera di Rea ***


 

La lettera di Rea

Ciao mamma,

come stai? E papà? È una domanda idiota da fare a due persone morte, me ne rendo conto benissimo, ma non so come altro iniziare questa lettera. Sinceramente non ho nemmeno ben capito come mai io vi stia scrivendo, ma mi sembra l’unico modo che ho per trovare un po’ di sollievo momentaneo.

Sai che non ho più il ricordo della vostra voce? Ci stavo pensando proprio cinque minuti fa, mentre ero seduta sul davanzale della finestra della stanza che una volta era degli ospiti, qui in casa di zia e zio. Adesso è camera mia, sai? Sì, sono sicura che lo sai già, sono convinta che per il primo periodo dopo la vostra scomparsa voi abbiate vegliato su di me. Ormai tua sorella e tuo cognato sono diventati i miei genitori effettivi, anche perché sono sempre stati tanto buoni con me, eppure mi rendo conto che qualcosa che mi manca c’è. E ciò che mi fa soffrire è che non so cosa sia.

Scrivendo questa lettera spero che io riesca a capire cosa devo trovare per essere felice, perché mi rendo conto di non esserlo affatto. E sai perché me ne rendo conto? Perché è Natale. Già, in questo momento è proprio Natale, quella festa meravigliosa che tu e papà amavate con tutto il cuore e che avete fatto adorare anche a me. Ma io non riesco ad essere felice perché siamo ormai prossimi al venticinque e non riesco a capirne il motivo.

So di essere stata una figlia orrenda, da quando siete morti. Per non piangere, per evitare di ricordarmi di voi, ho cercato di non  accompagnare la zia al cimitero ogni volta che veniva a trovarvi, così non avrei pianto. Ma, così facendo, mi sono dimenticata tutto ciò che di importante in quei quattro anni di vita che ho passato con voi mi avevate insegnato.

Ci sono pochissime cose che ricordo nitidamente: una è la tua passione per il canto. Come mi piaceva ascoltarti mentre mi cantavi la ninna nanna per farmi addormentare. Non volevo dormire solo per sentire te che ne cominciavi un’altra e continuavi a stare con me.

Ho continuato a cantare, sai? Lo faccio di nascosto perché mi vergogno. Non sono brava e, anche se lo fossi, una cantante deve essere bella ed essere una figura che sa stare sul palco, invece io sono diventata una goffa diciottenne che a mala pena sa come si fa per non cadere mentre cammina.

Un’altra cosa che ricordo è che papà leggeva molto. Mi teneva sulle gambe mentre stava leggendo un libro e mi faceva vedere le lettere, dicendomi che il modo in cui erano disposte sulla pagina era una specie di disegno che crea un’immagine bellissima. E, infatti, io ora scrivo.

Ma, anche se sembra che io scriva per ricordarmi di lui, in realtà il motivo per cui lo faccio è più egoistico: lo faccio solo perché non voglio parlare. Ok, detta così sembra che io sia una ragazzina silenziosa che sta in disparte, e, in un certo senso, è vero, però io sono un tipo molto logorroico. Parlo, parlo, parlo e parlo solo per non dover dire ciò che mi fa stare male. Non saprei mai esprimere a parole il motivo per cui ogni mattina mi alzo sempre più depressa, e non so nemmeno capirlo a pieno pensandoci e ripensandoci, e l’unico modo che ho trovato per smorzare un po’ il peso di non riuscire a parlarne è stato mettere su carta i miei problemi. Ma anche questa è una cosa che nessuno sa e che nessuno deve sapere.

Ho passato gli ultimi quattordici anni così, sai mamma? Nascondendomi da me stessa. Almeno fino ad ora.

Da quando è finita l’estate e sono tornata a scuola tutti quanti i miei segreti sono venuti fuori, uno dopo l’altro: prima Emma e Laura hanno scoperto che io canto e mi hanno subissato di domande e parole per dirmi quanto stupida io sia a nascondermi. Poi è arrivato Fabio.

Oddio, Fabio. Solo a pensarlo mi vengono i brividi. Lui è il classico tipo bello e impossibile. Ha quel fascino del tenebroso, anche se poi tenebroso non è, e, da quando ci siamo conosciuti, non ha fatto altro che entrare nella mia vita prepotentemente e dolorosamente. Prima mi ha rubato il quaderno con gli appunti del mio romanzo, poi mi ha ricattato per farmelo restituire, poi mi ha baciata a tradimento dopo avermi urlato contro (sì, proprio urlato: sembrava un pazzo) e, infine, come se niente fosse successo, l’altro giorno mi riporta a casa dopo che mi aveva trovata a giro per le strade sotto la neve e mi bacia. Così, dal nulla, facendo discorsi insensati sull’aspettarmi.

Mi fa imbestialire, sai? No, non lui, ma io. Il fatto che non riesca, per qualche strana e contorta ragione, ad aprirmi e, magari, fidarmi di lui. Io lo so che è sincero, l’ho letto nei suoi occhi mentre batteva il pugno al muro e mi gridava implorante di dargli una possibilità. Eppure non ce la faccio.

Cosa succederebbe se, un giorno, ci lasciassimo? Se un giorno lui si rendesse conto che non mi sopporta più? Oddio, è un dolore che ho già provato, che non voglio riprovare ancora. Mi ha straziata, mi ha lacerata in due, lasciandomi a terra, senza fiato, incapace di alzarmi ancora.

Sì, mamma, se tu te lo stessi chiedendo io sono innamorata di Fabio. Nessuno può sapere quanto sto male a pensare che ho una funzione nel cervello che mi impedisce di stare con lui. Eppure sono convinta che vada meglio così, che un giorno, prima o poi, troverò la felicità. E magari non con lui.

Emma e Laura, nel frattempo, si sono fidanzate. Hanno trovato l’amore, quello vero e tangibile, e io sono felice per loro. Lo sono, davvero. O forse no. Il problema è che mi sento sempre lasciata indietro. Loro hanno quell’autostima meravigliosa che serve per essere felici. Loro si vogliono bene. Perché io no? Perché io non riesco ad amarmi e accettarmi senza dovermi distruggere pezzo per pezzo? Qual è il mio problema?

Sai cosa vorrei, ora, mamma? Che tu e papà foste qui. Per ricordarmi che, anche se ve ne siete andati, mi volete bene. Anche se mi avete lasciata da sola, ci siete sempre con me.

Io so che zio e zia mi amano, e io amo loro proprio come se fossero voi, ma non lo sono e mi rendo conto di questo ogni giorno di più.

Te la ricordi la stella di diamanti che avevate comprato per me quando sono nata? Quella bellissima, che brilla davvero come una stella reale. Zia l’ha fatta diventare un puntale e la mettiamo ogni anno in cima all’albero di Natale, così mi posso ricordare di voi e di quanto mi volevate bene. E ogni anno è stato così: io la vedevo e sorridevo pensando che, almeno in un giorno dell’anno, io potevo ricordarmi di voi ed essere felice. Eppure quest’anno non ci riesco. Non riesco a fissarla senza sentire un terribile vuoto nel petto, un dolore acuto che mi spezza le gambe. Come mai, proprio adesso, io sento che voi non siete qui con me? Dove sei, mamma? Ho bisogno di voi, ho bisogno di avervi qui, di abbracciarvi.

So che sono un’egoista e basta. Ho gli zii, ho Emma e Laura, ho Johan, ho i nonni, ho tutti i miei amici, ma mi sembra che mi manchi un pezzo. Tu mi raccontavi la storia della stella che riusciva a risplendere, in un modo o nell’altro, anche attraverso l’oscurità dello spazio infinito, eppure io non riesco a splendere. Io sono una lacrima, una piccola goccia salata che cade dall’occhio degli dei. Sono una stella cadente che si spegne lentamente giorno dopo giorno.

Ho paura, mamma, la verità è questa. Ed è il motivo per cui ti sto scrivendo ora, per cui sto lanciando un grido di disperazione a te che sei morta, che mi hai lasciata qui, su questa terra, come un gattino dimenticato per strada. Magari viene adottato, gli viene dato amore, una casa, del calore, ma non si fiderà mai perché sa cosa si prova a rimanere da soli e preferisce deciderlo lui di vivere in solitudine piuttosto che affezionarsi e essere abbandonato di nuovo.

Io ho paura, e ne ho così tanta da sentirmi immobilizzata: ho paura dei sentimenti che provo per qualsiasi persona perché temo che prima o poi io debba di nuovo affrontare una perdita terribile; ho paura del fatto che non riesco ad essere felice e che è tutta colpa mia; ho paura del fatto che sono stanca e che non c’è nessuno che mi dice che va tutto bene, che posso farcela qualsiasi cosa capiti; ho paura di non riuscire più a sentire il calore che tu e papà mi davate quando mi abbracciavate.

In nottate come questa, in cui la neve cade forte e il vento soffia creando un suono simile a un urlo di dolore, io vorrei qualcuno a riscaldare anche me. Qualcuno il cui solo pensiero riesca a fare l’effetto del termosifone quando rientri dopo essere stato tanto tempo al freddo. Qualcuno che mi stringa forte e che mi rassicuri, dicendomi che non se ne andrà, che rimarrà con me fino alla fine. È questo che vorrei, mamma. Non sai quanto mi manchiate tu e papà, non sai quanto mi sento in colpa nei confronti di zio, zia, Emma e Laura, che provano a darmi affetto e io lo rifiuto. Vorrei solo riuscire ad essere una persona migliore.

 

Sta albeggiando, anche  nella tormenta riesco a vedere che il cielo si schiarisce. Devo andare. Tu dai un bacio a papà, ovunque voi siate, e mi raccomando, non abbandonatemi anche voi. Con affetto,

Rea.

 

Fabio era rimasto un’ora a leggere quella lettera, finché la madre della ragazza non era andato a cercarlo. Per evitare di farsi vedere in camera della figlia, si era nascosto dietro la porta e aveva aspettato che se ne andasse. La donna si era avvicinata a lei, le aveva accarezzato i capelli e le aveva stampato un gigantesco bacio in fronte. “Dormi bene” le aveva augurato, poi era tornata in salotto.

In quel momento la lettera che lui aveva in mano era pesata otto quintali e non riusciva a capire come mai Rea stesse tanto male nonostante tutto l’affetto che aveva intorno.

Si avvicinò a lei e la fissò.

Quale è il tuo problema?” le chiese piano. Come se l’avesse sentito, la ragazza aprì un occhio e lo fissò confusa, poi gli prese una mano.

Signore, mi può proteggere lei?” lo implorò. Di nuovo. Fabio sentì i battiti del cuore accelerare mentre lei si riaddormentava e si staccò lentamente dalla sua stretta.

Andò a cercare Emma e Laura con un bisogno impellente di parlarci. Erano le uniche due che potevano farla ragionare, di questo era sicuro.

Le trovò sedute sul divano con i rispettivi ragazzi, e si avvicinò senza dire niente. Loro sobbalzarono quando lui le prese per un braccio e le trascinò via.

Ehi, fermo!” protestò la mora.

No, vi devo parlare” si rifiutò il ragazzo, facendole entrare in cucina.

E non potevi chiedercelo?

No, non mi avreste ascoltato. Ora sedetevi” ordinò, chiudendosi la porta alle spalle. Anche se di motivi particolari per dargli ascolto non c’erano, il tono di voce di Fabio fece capire alle due che non era il caso di controbattere e si misero comode su una sedia.

Forse è bene se leggete questa” decise lui. Passò la lettera di Rea sul tavolo e loro si misero a guardarla, prima fiduciose poi, via, via, sempre più incuriosite.

Lei pensa questo?” esclamò Laura, incredula. Il ragazzo annuì gravemente.

E non solo. Ha bisogno di aiuto e tramite ciò che scrive ci manda una richiesta rumorosa. Dobbiamo fare qualcosa” spiegò.

Perché dovresti interessartene?” domandò Emma, brusca.

Sono affari miei” rispose lui, arrabbiato.

E’ nostra sorella, quindi sono anche affari nostri” gli fece presente. Fabio perse le staffe.

Certo, è vostra sorella quando vi torna comodo! Dove siete quando lei piange o quando si distrugge l’autostima perché non si sente all’altezza? Non sapevate nemmeno che scrive! E dire che vivete sotto lo stesso tetto. Belle sorelle, non stento a credere che si senta sola” sbottò. Le ragazze rimasero in silenzio, colpite da ciò, e si guardarono imbarazzate.

D’accordo, qual è il tuo piano per farla stare meglio?” domandò Laura.

Dovete prenderle i quaderni con i romanzi che ha scritto e portarli a me. Da lì in poi studieremo un piano d’azione” le istruì.

 

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Capitolo 22
*** Emma e Laura agenti segreti ***


Emma e Laura agenti segreti

Rea si svegliò con un mal di testa assurdo il pomeriggio dopo. Sì, pomeriggio, visto che erano le due. Si alzò in tutta fretta quando vide l’ora, convinta di essere l’ultima della famiglia, e invece trovò i suoi genitori e le sue sorelle ancora mezzi addormentati. Come ogni anno, sotto l’albero c’erano già i regali di tutti, così che si creava un po’ di magia natalizia e di mistero.

Da piccolo lo chiami Babbo Natale, a diciotto anni lo chiami “a mamma e papà non fa voglia di pensarci la mattina dopo aver preso una sbornia colossale e ci pensano la sera mentre sono ancora lucidi”.

Preparò la moka e mise su il caffè per tutti, così, mentre aspettava, andò a svegliare tutta la famiglia. Come ogni anno, tra parentesi.

Era sempre la prima ad alzarsi, perché le piaceva annusare l’aria natalizia prima di tutti. E, nonostante tutto, anche stavolta non fu diverso.

Si diresse prima dai suoi genitori, che salutò con un gigantesco sorriso, poi andò da Emma. La ragazza sembrava aver fatto esplodere una bomba in camera. I vestiti della sera prima erano sparsi ovunque e non si riusciva a passare senza pestare qualcosa: le calze, il maglioncino, gli scaldamuscoli per non avere freddo, la cravatta… aspetta, come?

Rea prese in mano la cravatta e la guardò trattenendosi dal ridere, poi la passò sul viso della sorella.

Mmmmh, Jason…” sussurrò lei, allungando una mano per prendere quell’affare dalle mani della rossa.

Emma, tesoro mio, se non ti svegli me la rimetto” si divertì lei, parlandole in un orecchio.

Come?” chiese la mora aprendo un occhio. Vide la sorella in piedi di fronte a lei che faceva dondolare a destra e sinistra la cravatta del professore e si tirò su con uno scatto.

Ridammela!” esclamò, arrossendo. A quel punto Rea rise forte.

Oddio, non voglio sapere cosa avete combinato voi due ieri sera” ammise.

Disse colei…” ribatté l’altra, stiracchiandosi.

Non so di che parli” ammise la rossa, guardandola confusa.

Sei scomparsa con Fabio per un tempo interminabile” le ricordò. Lei arrossì.

Io cosa?” esclamò.

Sì, fai la finta tonta. Siete stati via per una cosa tipo due ore” spiegò.

Rea sentì il cuore battere all’impazzata. “Oddio” pensò.

Emma capì che davvero non ricordava e sviò il discorso.

Gli altri sono già svegli?” chiese.

Solo Laura dorme ancora. Sul serio io e Fabio siamo scomparsi?!

Non pensarci, eri ubriaca, non vale ciò che è successo. Andiamo da Laura!” decise, alzandosi e spingendola verso la stanza della bionda.

Entrò facendo rumore e chiamando a gran voce il nome della sorella, che mugolò qualcosa e si coprì la testa con la coperta.

Giù dal letto, principessa” la chiamò, scoprendola.

Fammi dormire!” protestò lei, raggomitolandosi come un cagnolino.

No, è Natale e voglio aprire i regali” le negò la mora.

Lei cercò con le mani una ciabatta da terra e gliela lanciò nello stomaco.

Fammi dormire!” ripeté, arrabbiata. (FATTI REALMENTE AVVENUTI XD)

Mi hai fatto male!” si lamentò Emma, massaggiandosi lo stomaco.

Tu mi disturbi!” si giustificò Laura, rimanendo con gli occhi chiusi.

Ok, smettetela. Forza, mamma e papà sono già in piedi, dobbiamo aprire i regali” la chiamò Rea.

Ma è presto

Tesoro mio, sono le due e mezzo del pomeriggio” le fece presente la rossa. Lei spalancò gli occhi.

Stai scherzando?” le chiese.

No” negò l’altra.

Ma porc…” scese dal letto con velocità supersonica e si diresse verso la porta.

Ehi!” esclamò Rea, sorpresa. Fece per seguirla, ma Emma la fermò.

Andiamo a cambiarci” le disse, sorridendo.

E lei?

Lascia perdere, lo sai che è strana. Tu non preoccuparti, sarà andata a cercare il regalo di Johan, ieri sera ha detto che lo lasciava davanti casa” spiegò.

Oh, ok allora

 

 

“Questi sono da parte nostra per voi” disse il padre, passando loro tre pacchetti rosa.

Cosa sono?” chiese, curiosa, la mora.

“Aprilo e lo scoprirai” le suggerì la madre. Tutte e tre si misero a scartare il regalo, trovando all’interno un cellulare per uno, di quelli ultima generazione.

Oddio!” esclamarono all’unisono.

Sono bellissimi” sussurrò Rea, abbracciando i genitori. Si sentiva così grata nei loro confronti che le vennero quasi le lacrime agli occhi.

Passarono i venti minuti dopo aprendo i regali, e Laura e Emma, naturalmente, ne ebbero uno in più di lei da parte dei loro ragazzi. Sì, naturale. Lei le fissò, sentendosi un po’ malinconica nell’essere sola, ma era una sua scelta. Non ci lamentiamo mai delle scelte che facciamo, altrimenti passano da essere scelte a essere imposizioni.

Sorrise mentre si metteva a tavola, per la cena, ormai, visto che erano le cinque del pomeriggio, e continuò a sorridere mentre le sue sorelle andavano in camera e lei rimaneva a pulire con la madre. Se solo le avesse viste…

 

Dove ha detto che li tiene?” chiese Laura.

Tu cerca nella scrivania, io guardo nella libreria

Ma perché dobbiamo fare da spie? Noi due?

Non ti lamentare! Se ci sente ci ammazza

In silenzio si misero a cercare i quaderni dove Rea teneva i suoi appunti, svuotando i cassetti e gli scaffali. Ne trovarono sette in tutto.

Ma quanto cacchio scrive questa ragazza?” si stupì la bionda.

Adesso capisco come mai passa tanto tempo chiusa in camera dicendo di studiare e poi prende voti più bassi dei miei

Ma sta’ zitta! Andiamocene prima che ci scopra

Aspetta, il pacchetto?

Ah, sì, giusto. Era fuori, proprio dove aveva promesso che l’avrebbe messo

Allora lasciaglielo sul letto. Adesso possiamo anche andare

 

 

Rea rientrò in camera stanca. Anche se erano solo le nove e si era alzata alle due, le sembrava di essere rimasta sveglia per giorni e giorni. Si buttò sul letto e schiacciò qualcosa con la schiena. Sobbalzò dalla paura e si alzò di scatto.

Ma che ca…” posato sul materasso c’era un piccolo pacchetto, con su scritto il suo nome. “E questo?” si chiese. Lo prese in mano e lo scartò. Un bigliettino cadde sulle sue gambe mentre un quaderno celeste e una penna graziosa con intarsi complicati brillavano alla luce del lampadario.

Sorpresa! Usa questo per i tuoi appunti e magari, se ti capita, pensami. Con affetto non c’erano firme né altro, ma lo capì da sola di chi era. Si guardò intorno per vedere come potesse essere entrato in camera sua, ma la finestra era chiusa. Che ce l’avesse messo la sera  prima? No. Va bene che non si ricordava cosa fosse successo, ma un regalo l’avrebbe ricordato, giusto?

Una volta rientrata a scuola doveva parlare con Fabio, tassativamente.

 

 

Un paio di giorni dopo, mentre Rea stava studiando (sul serio), Emma e Laura uscirono di nascosto da casa. Controllarono che lei non le seguisse e poi corsero verso l’abitazione di Fabio, con in mano una busta piena di quaderni e blocchi notes.

Se lo scopre ci ammazza” commentò la bionda, guardandosi alle spalle.

Esatto, quindi muoviti!” annuì la mora, voltando l’angolo. Si trovarono il ragazzo davanti senza preavviso e si inchiodarono.

Eccovi, finalmente!” esclamò lui, sbuffando.

Non potevamo uscire prima, Rea ci avrebbe viste. Dovevamo aspettare che fosse occupata e non ci prestasse attenzione

Comunque siete in ritardo di mezz’ora” fece presente.

L’importante è che abbiamo questi” disse Laura, mostrando la busta con tutto il materiale. Fabio sorrise soddisfatto.

Bene, venite da me, perché adesso dobbiamo lavorare un po’

Noi dovremmo studiare, veramente” provò a ribattere Emma.

E dai, se anche per un giorno saltiamo non muore nessuno! Tu, poi, che hai il fidanzato professore, figurati se ti devi fare di questi problemi” la sgridò la sorella, esasperata.

Ma ci sono gli esami!

Sì, va bene, ma abbiamo altri dieci giorni per fare i compiti. Quanto stai lontano?

Cinque minuti a piedi. E preparatevi ad avere qualche novità, perché sono sicuro che Rea non vi ha raccontato tutto” sorrise. Le sorelle Stevens si guardarono confuse e lo seguirono.

 

 

Sul serio lei ha detto ciò?

Giuro. Mi ha implorato. Vostra sorella non sta bene, è distrutta emotivamente. Il fatto che non si ami non le fa bene, non riesce più a vivere con sé stessa. E non sa proteggersi, per questo l’ha chiesto a me. Dobbiamo aiutarla” spiegò, portando a tavola un vassoio pieno di biscotti.

Ma perché non ci ha mai detto che è uscita con te?

Non voleva. In realtà è colpa mia, io l’ho ricattata e l’ho costretta a venire qui, poi non le ho restituito in quaderno apposta perché volevo che tornasse. Ci credo che non voleva ricordare” ammise sentendosi un verme.

Non hai fatto male, anzi, una svolta è ciò di cui aveva bisogno” lo consolò Emma.

Magari un po’ meno brusca, ecco” commentò Laura. Tirarono fuori tutti i quaderni e li sparsero sul tavolo.

Temo che ci vorrà un po’” fece presente il ragazzo, prendendo il primo blocco. Tutti loro si divisero il lavoro e si misero a leggere. Ci impiegarono quasi tre ore per finirli tutti e riuscire a mettere gli appunti importanti su un unico quaderno.

Questa ragazza ha il problema della scrittura compulsiva, mi pare” rise la mora.

Comunque penso che ci siamo, no?” chiese Fabio, soddisfatto.

Ci siamo? Abbiamo solo appunti sparsi a destra e sinistra, recuperati come pezzi di puzzle diversi!” esclamò la bionda.

Certo che voi due siete proprio cieche come le talpe!” si irritò Fabio, mettendosi una mano sulla testa.

Ogni tanto mi chiedo se Rea non ti odi perché sei così rompi scatole” lo punzecchiò Emma.

No, mi odia perché io le sto facendo venire fuori tutto ciò da cui è scappata. Per cui, adesso, io farò in modo che lei ritrovi sé stessa. Iniziando dalla festa del trentuno

Perché proprio da lì?

Per questo” spiegò, facendo leggere loro una frase copiata da un quaderno.

Una volta compreso, loro sorrisero e annuirono soddisfatte.

 

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Capitolo 23
*** Rapimento ***


 

Rapimento

 

La difficoltà nel capire Rea stava nella sua tendenza a dire il contrario di ciò che voleva. Era triste perché le avevi tolto di bocca l’ultimo pezzo di torta? “Non importa, va bene così”. Era gelosa marcia perché le piacevi ma non voleva dirtelo? “Fai come vuoi, non sei mica il mio ragazzo”.

Fabio aveva capito ciò leggendo in contemporanea il suo diario segreto e il suo romanzo.

Emma e Laura festeggeranno il trentuno con Jason e Johan, e  io rimarrò in casa con mamma e papà. Non importa, andrà comunque bene. Mi hanno invitato con loro, ma non me la sento di fare il quinto incomodo e di aprire lo spumante a mezzanotte con loro che si sbaciucchiano e io da una parte a bere da sola. E poi, l’ultimo ha sempre troppa importanza: perché si deve festeggiare la fine? Al massimo festeggi l’inizio, quindi il primo, inoltre a me le feste in questo giorno mi mettono malinconia. Sì, decisamente è meglio se sto a casa con mamma e papà… meglio…

Questo è ciò che lei aveva scritto nel diario. Ma nel suo romanzo si contraddiceva.

L’anatroccolo cerca di sorridere perché non si vuol far vedere triste, e cerca di farsi andare bene anche ciò che non gli va. Nega che vuole qualcos’altro per semplice paura di disturbare. Più di una volta, infatti, i suoi fratelli, bellissimi pulcini color oro, hanno chiesto se gli serviva altro, ma lui negava perché non voleva assolutamente dare disturbo a qualcuno. O far pesare a loro la fortuna che hanno nell’essere meravigliosi pulcini, mentre lui è solo un insignificante anatroccolo

Quindi adesso doveva trovare il modo per portarla via di casa e farle festeggiare l’ultimo dell’anno.

Potremmo chiedere a mamma e papà se la fanno uscire comunque, e tu poi la vai a prendere alla finestra, fingendo che stia uscendo di nascosto” suggerì Emma.

A lei piacciono queste cose romantiche” aggiunse Laura schifata.

Mi sembra complicato” rifletté Fabio.

Tu hai detto che la vuoi far felice, giusto? Per cui questo è il modo migliore. Fino alle undici e mezzo sta a casa e poi tu la rapisci e la porti via. Una volta mi ha detto che la festa che preferisce è quella in cui un ragazzo la va a prendere a casa senza dirle nulla e la porta chissà dove” ricordò la mora.

Devo, però, trovare qualcosa di davvero speciale

Sono sicura che ce la farai. Sei un genio” lo rassicurò la bionda.

Lui sospirò, poi sorrise sperando che avesse ragione.

 

 

La mattina del trentuno, dopo che era stato pensato un piano ben specifico e dopo che le due sorelle Stevens erano riuscite a rientrare in casa senza che Rea se ne rendesse conto, i genitori delle ragazze furono messi al corrente del piano.

Non deve sapere niente, è troppo importante che tutto rimanga un segreto” si raccomandarono.

Ma quindi l’idea è che noi verso le undici usciamo, lasciandola qui sola…

E Fabio verrà a prenderla poco dopo, portandola a festeggiare” concluse la più alta.

“Mi sembra una bella idea, ma perché non volete dirglielo?” chiese la madre.

Perché rifiuterebbe. Mamma, te l’abbiamo già spiegato: la situazione è complicata e Rea anche di più. Non possiamo fare le cose semplici, purtroppo” sbuffò Laura.

“Ok, ok, era solo una domanda” si scusò la donna.

Quindi siamo state chiare? Alle undici fuori di casa

 

 

Siete proprio belle” commentò la rossa, ammirando le sorelle. Era vagamente invidiosa della loro autostima e del loro riuscire a mettersi i vestiti e a truccarsi senza sentirsi… sbagliate.

Perché non ti metti qualcosa di carino anche tu?” propose Emma.

E a che mi serve? Io festeggio con mamma e papà e basta, quindi non serve che indossi roba troppo particolare. Inoltre lo sai che non mi sento a mio agio vestita da donna” rispose sorridendo. Nelle ultime settimane si era costretta a sorridere, sorridere sempre nonostante tutto.

Come vuoi. Se cambi idea, sai dove si trova la roba, giusto?

Sì, tranquilla” annuì ridendo.

Suonarono il campanello due volte nei cinque minuti successivi: prima arrivò Johan con un mazzo di rose per Laura, che si gettò tra le sue braccia, seguito subito dopo da Jason, vestito con lo smoking e la cravatta (la stessa, le parve, che aveva trovato in camera della sorella la settimana prima).

Allora noi andiamo. Ciao a tutti!” salutarono le ragazze, ognuna stretta al proprio fidanzato. Dato che Emma non poteva andare troppo in giro con Jason, avrebbero festeggiato nell’appartamento del professore, così che nessuno li avrebbe visti.

Rea mantenne un sorriso cordiale stampato sul volto fino a che non le vide svoltare l’angolo, poi una solitaria lacrima le passò sul viso. Mi sono imposta di non stare più male. Non posso continuare così, sempre a piangere. Devo riuscire ad essere forte nonostante sia sola” si sgridò, asciugandosi gli occhi.

Per superare quella piccola crisi, si mise a cucinare con la madre. Non ne era capace e rovinò l’impasto della torta tre volte, ma non importava: fare quello significava non avere tempo di pensare e non avere tempo di pensare significava non stare male.

Buon appetito!” annunciò verso le otto ai genitori, che si guardavano sorridendo da quel pomeriggio presto. Mancavano solo tre ore…

 

 

“Rea, tesoro, noi dobbiamo uscire” le disse il padre alle undici. Lei, che era seduta sul divano a leggere un libro, guardò l’orologio.

Perché?” chiese tristemente.

“Ci hanno chiamati i genitori di Johan per chiederci se avevamo voglia di festeggiare con loro. Hanno detto che là ci sono tutti i loro amici e che stanno giocando a carte. Ti vuoi unire?” le propose. La ragazza scosse la testa.

No, non mi divertirei e sarei solo di peso” rispose, sorridendo.

L’uomo andò in camera e rise sottovoce.

“Se avesse detto di sì saremmo stati fregati” lo sgridò la moglie.

“La conosci anche tu, non avrebbe mai risposto affermativamente. Lo sai che non sopporta di stare con le persone più grandi” le ricordò, dandole un  bacio sulla guancia.

“Non importa, è comunque stato un terno al lotto. Forza, muoviamoci a uscire, altrimenti quello arriva e noi siamo ancora tra i piedi” lo affrettò. Lui si mise la giacca, poi guardò preoccupato la donna.

“Non è che stanotte… da soli in casa…”

“Che ti importa? Ha diciotto anni, lo sa come funziona” lo prese in giro lei.

“Ma è la mia bambina! Non voglio uscire sapendo che uno scapestrato la… la… non riesco nemmeno a dirlo!” esclamò.

Shhh! Ma che urli? Vuoi che ti senta? Tu non te ne interessare, andiamo via” ordinò sua moglie, spingendolo verso la porta.

“Ciao amore, ci vediamo più tardi” la salutarono.

Ciao, divertitevi” ricambiò lei. “Da quando se ne vanno conta un minuto” si impose. Tese l’orecchio e ascoltò la macchina andarsene, poi contò fino a sessanta nella sua testa.

Alla fine, arrivata al cinquantanovesimo secondo, lasciò andare il libro sulle gambe e si mise le mani a coprire gli occhi.

Sola” pensò, semplicemente.

 

 

Probabilmente si era addormentata. Sentiva gli occhi gonfi e la testa pesante, ma c’era un rumore rimbombante che non le permetteva di riposarsi per bene.

Alzò la testa dal cuscino del divano: quanto tempo era passato? Che ore erano? Il nuovo anno era già arrivato?

Si guardò intorno e il rumore si fece più forte. “Ma che diavolo è?” si chiese. Spaventata ma anche curiosa, si mise in piedi e andò in cucina. Sapeva che la mamma teneva il mattarello nella credenza vicino ai piatti, quindi aprì il mobile e lo prese. La prudenza non è mai troppa.

Si avvicinò al corridoio e chiuse gli occhi, ascoltando il rumore. Sapeva per esperienza che, per cercare la fonte di un suono, si dovevano eliminare tutti gli altri sensi possibili e poi muoversi solo con le orecchie. Fece un passo in avanti, si fermò. Altri due passi in avanti e ora uno sulla destra. Quando fu certa che la causa di quel rimbombo era davanti a lei rimase a occhi chiusi e respirò. “ORA!” ordinò a sé stessa. Strinse il mattarello e aprì gli occhi, fissando la finestra che aveva di fronte. L’utensile le cadde di mano dalla sorpresa.

TU?!” esclamò. Un sorridente Fabio le faceva cenno di aprirgli per farlo entrare.

Cosa vuoi?” domandò sospettosa. Il ragazzo si mise a parlare, ma non si sentiva niente, quindi spalancò le persiane e lo guardò.

Che diavolo ci fai a casa mia a quest’ora di notte?” lo aggredì, impedendogli l’entrata.

Prima di risponderti mi faresti venire dentro? Ho piuttosto freddo e sono qui da almeno venti minuti” la implorò. Aveva le labbra livide e le mani tremavano, e Rea fu impietosita. Si spostò e lo aiutò a scavalcare la finestra.

Tu non sei molto normale, lo sai?” lo accusò una volta che lo ebbe tirato dentro.

Sì, direi che l’avevo capito sette o otto anni fa” ammise lui, togliendosi il cappotto congelato e i guanti intirizziti.

Buona educazione vorrebbe che io ti offrissi una tazza di tè o una coperta calda, ma tu mi sei appena entrato dalla finestra, per cui mi scuserai se sono un po’ sospettosa e non ti accolgo con gli onori dovuti” gli disse stizzita.

Nessun problema, ci penso io a scaldarmi mentre tu ti cambi” le assicurò.

Mentre io faccio cosa?” chiese lei, alzando involontariamente il tono di voce.

Cambiati, e fai veloce che non ho tutta la notte” ripeté Fabio. Controllò l’orologio.

Per la precisione hai quindici minuti al massimo, poi dobbiamo uscire. Forza, non mi guardare con codesti occhi a cerbiatta e togliti il pigiama” ordinò. Rea incrociò le braccia.

Cerbiatta? Ma per te io sono uno zoo o una persona?” si irritò.

Poco importa. Tic-tac, il tempo corre” la prese in giro. Il ragazzo si sedette sul letto, ma lei rimase ferma.

Qualche problema?” s’informò fissandola.

Sì, un paio, ma hanno poca importanza. Quello che importa ora è che questa è camera mia e io devo cambiarmi qui. Per cui esci dalla mia stanza se vuoi che mi sbrighi!” gli urlò contro, infuriata. Lui arrossì e poi rise.

La sbornia ti è sicuramente passata, l’altra sera volevi spogliarti davanti a me. Fai veloce, mi raccomando” la salutò, chiudendosi la porta alle spalle.

Cosa?!” gridò lei, avvampando alle sue parole. Rimase da sola a fissare il punto in cui lui era sparito, poi si voltò verso l’armadio. “E ora che faccio?” si chiese in preda al panico. Non poteva uscire per l’ultimo dell’anno con i suoi soliti vestiti indosso.

Se cambi idea, sai dove si trova la roba, giusto?la voce di sua sorella le rimbombò nella testa. Respirò a fondo e poi si affacciò in corridoio: Fabio non era nei paraggi. Entrò in camera di Emma e sperò con tutta sé stessa di trovare qualcosa che le stesse bene e che non la facesse sentire una balena.

 

 

Il ragazzo controllava febbrilmente l’orologio ogni minuto: avevano solo dieci minuti prima che scoccasse la mezzanotte e dovevano arrivare a casa sua. Meno male che aveva la moto.

Ok, sono pronta” affermò Rea, apparendo in salotto. Lui si voltò.

Era l’ora, sei in ri….” La voce gli morì in gola quando la vide con lo sguardo rivolto verso il basso e le guance arrossate dall’imbarazzo: aveva addosso un lungo vestito di lana grigia e un paio di pantacollant neri, che la facevano quasi sembrare più magra. Si era truccata leggermente, mettendo in risalto gli occhi e le labbra.

Che c’è? Sto  male, vero?” domandò lei, impaurita. Fabio si schiarì la gola e scosse la testa.

No, sei… sei perfetta” balbettò. Rimase fermo a fissarla e la ragazza sbuffò.

Mi hai detto che eravamo in ritardo, giusto? Quindi muoviamoci! Mi disturba che tu mi guardi con insistenza, mi mette l’ansia!” esclamò. Camminava sugli stivali con i tacchi con passo un po’ incerto, ma, tutto sommato, con tranquillità.

Si mise la giacca a vento, prese la borsa e le chiavi e poi si mise le mani sui fianchi.

Forza, andiamo a festeggiare la morte di quest’anno

 

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Capitolo 24
*** Botti di capodanno ***


Botti di capodanno

 

Anche se non nevicava più, l’aria era davvero fredda. Rea si strinse nella giacca a vento e cercò di non pensare a come era vestita e al fatto che Fabio fosse accanto a lei.

Dove è casa mia lo sai, per cui non devo ripeterti la cartina geografica. Sali in moto e fai veloce, ti scongiuro, perché ci rimangono solo otto minuti” le disse il ragazzo, facendo accendere il veicolo. Nonostante una vocina nella sua testa le stesse sconsigliando vivamente di salirci, lei si mise a cavalcioni dietro e si strinse forte al petto di lui, sentendone il calore.

Siamo pronti?” le chiese.

. Non farmi uccidere, ok?” lo implorò.

Fidati di me” le rispose. Si mise il casco e partì a tutta velocità ma, a differenza dell’altra volta, Rea decise di non dire niente. Semplicemente aumentò la stretta e rimase a testa bassa.

Stai bene?” le gridò Fabio per sovrastare il rumore del vento.

Sì, ma voglio arrivare prima possibile” ammise.

Allora stringimi di più” le suggerì, sorridendo.

Guarda che non sei simpatico” ribatté lei, alzando un po’ gli occhi per guardarlo. Alle luci dei lampioni, a quella velocità e col casco sembrava bellissimo. “No, in realtà lo è” prima o poi la ragazza avrebbe accoppato la sua stupidissima vocina interiore.

Me l’hai già detto, quindi non c’è bisogno che tu me lo ripeta” le ricordò.

Una volta in più è meglio di una volta in meno” rise lei. Ci misero davvero poco ad arrivare davanti casa, aprire la porta e scomparirci dentro.

Muoviti” la spronò Fabio, tirandola per una mano e trascinandola in casa.

Ho i tacchi, mi ammazzo se cado!

Sei tu che te li sei messi, non te lo ha imposto nessuno” le fece presente. Rea arrossì.

Mi sembrava carino mettermi qualcosa di elegante” ammise imbarazzata. Lui si fermò di botto e si voltò a guardarla. Aveva le guance rosse e gli occhi bassi e si torturava i capelli con le dita. Adorabile.

A me saresti piaciuta comunque” le assicurò. Lei alzò lo sguardo, colpita da quelle parole, e lo fissò, divisa tra la gratitudine e la paura. Poi il ragazzo si schiarì la voce.

Spumante” si ricordò, lasciandole la mano e andando al frigo. Lei si mise una mano sul cuore per cercare di fermare il battito impazzito, ma fu inutile. Mentre Fabio cercava la bottiglia e i calici sentì nitidamente QUELLA sensazione. La odiava: arrivava sempre quando lei si sentiva emozionata e le troncava il fiato in gola. Era come quando hai un esame e non sai niente, che lo stomaco si chiude e la gola si stringe.

Ok, ecco qua. Abbiamo venti secondi precisi, sei pronta?” le chiese il ragazzo, passandole un bicchiere.

” rispose lei, leggermente tremante. Se lo sentiva fino dentro alla pancia che qualcosa stava per succedere, e non sarebbe stato niente di buono. Possibile che i problemi non facessero che inseguirla?

Ok, dieci… nove…” Fabio iniziò il conto alla rovescia, tenendo l’orologio sott’occhio. “Ciao, ciao, vecchio anno” pensò Rea, alzando il calice e aspettando lo scoccare della mezzanotte.

“…due… uno…” non servì che lo dicesse lui che il minuto era scoccato, perché il rumore festoso che si sentì fuori da casa fu un annuncio più che sufficiente.

Ecco qua, l’anno nuovo è arrivato. A noi” disse il ragazzo, facendo scontrare i bicchieri e sorridendo mentre beveva. Anche lei sorrise e si portò lo spumante alle labbra, guardandolo.

Buono” commentò lui, abbassando il suo.

Già” annuì lei. Non riusciva a mettere insieme più di due parole, si sentiva strana. Era una sensazione che, nonostante le avesse creato un groppo in gola, la scaldava. Felicità, forse? Non la provava da così tanto tempo che non avrebbe saputo riconoscerla.

Fabio finì lo spumante e appoggiò il calice sul tavolo.

Hai altri programmi per la serata oppure io poi torno a casa?” domandò Rea, riuscendo a creare una frase sensata.

Dipende da te” rispose il ragazzo, guardandola intensamente. Troppo intensamente. Lei deglutì e distolse lo sguardo.

Spiegati meglio, perché non ho capito cosa intendi” disse. “Sì che lo hai capito!” ribatté la voce in testa.

Se vuoi fuggire come Cenerentola e rifugiarti nella tua casetta dove la tua matrigna ti aspetta e le tue sorelle sono meglio di te, vai pure. Significa che farò il principe azzurro e verrò a prenderti domani con una scarpetta di cristallo. Altrimenti, se vuoi rimanere con me e, per una sola volta, rischiare un po’, possiamo trovare qualcosa da fare” le spiegò.

Non… non mi mettere davanti decisioni che sai che non posso prendere, Fabio” lo implorò. Lui si avvicinò.

Correggi il verbo” le suggerì. Rea non capì.

In che senso?

Non è vero che non le puoi prendere. Tu non vuoi prenderle, è diverso. Così come non vuoi stare con me, come non vuoi essere felice, come non vuoi vedere quanto sei speciale” la sgridò dolcemente. Lei arretrava a ogni suo passo, ma alla fine rimase schiacciata al muro, senza avere la possibilità di muoversi. Eccolo lì, il problema a cui pensava poco prima.

Ogni tanto mi domando se tu non stia meglio così. Se non ti piaccia, in fin dei conti, piangerti addosso. È più facile, vero?” le domandò. Aiuto.

No, non è più facile. È solo…

Meno complicato? Il fatto è che nascondendoti non ti esponi, e se non ti esponi non rischi di soffrire. Giusto? Ma se non ti esponi non riuscirai nemmeno a trovare la felicità” le spiegò.

Sei semplicemente una codarda” commentò. Per Rea fu come uno schiaffo in pieno viso. Si sentì malissimo.

Non è vero!” gridò arrabbiata.

Sì, lo è. Se non lo fosse, rischieresti un po’ nella tua vita

Ma tu chi sei per dirmi come vivere la mia vita? Chi te lo ha dato questo permesso?” gli chiese infuriata.

I miei sentimenti per te” rispose semplicemente.

Che sono ricambiati. Lo so che sono ricambiati. Ma non vuoi ammetterlo per paura, ergo sei una codarda” ragionò. Gli occhi della ragazza mandavano lampi di odio puro.

Fabio Daniels, stai giocando col fuoco” lo avvisò, ponendo il suo viso a un centimetro dall’altro.

Non mi fai paura” la rimbeccò lui, guardandola fisso. Forse fu la sua sfacciataggine a farla muovere, forse l’odio. O forse solo l’aver represso per troppo tempo quello che il suo cuore cercava di far uscire da mesi. Fatto sta che lo prese per il bavero della camicia e se lo tirò contro, baciandolo con tale foga da togliergli il respiro. Lo strinse a sé, possessiva, e non lo lasciò andare fino a che non fu a corto di ossigeno.

Si staccò col fiato corto e lo guardò.

Io. Non. Sono. Una. Codarda” specificò. Fabio era incredulo, ma felice, dentro di sé, di aver avuto una qualche reazione da parte sua.

Io nemmeno” rispose, prendendole il viso e tornando a baciarla.

Le loro mani si accarezzavano il volto, il collo, si cercavano. Il bicchiere che la ragazza aveva in mano si era frantumato a terra ma non poteva interessargli di meno.

A un certo punto fu lui a prendere l’iniziativa e a passarle la lingua sulle labbra, sul mento, giù fino sul collo, facendole venire i brividi in tutto il corpo. Si fermò a morderle la base del collo, e sentì il suo respiro farsi sempre più affannato.

Sei buona” le sussurrò, andando con le mani ad alzarle il vestito.

Stai attento al veleno” rispose lei, sorridendo. Lui sorrise a sua volta, poi la premette di più alla parete.

Se non mi vuoi, dillo ora e in qualche modo mi fermerò. Con molta fatica, lo ammetto, ma ci proverò” le disse affannato. La ragazza non rispose, semplicemente lo spinse leggermente per aver modo di passare e se lo tirò dietro in camera da letto.

 

A che pensi?

A una filastrocca per bambini che mi diceva mia madre quand’ero piccolissima

Per bambini? Quanti anni avevi?

Tre o quattro, non ricordo. Era la mia mamma vera”

Conosco la storia, me l’hai raccontata tu per Natale

Davvero?

Già

Basta alcool per me, ho capito

Ahahahah, te lo consiglio, sì. Parli a sproposito da ubriaca

Comunque non so perché mi è venuta in mente, è una di quelle filastrocche sceme per festeggiare l’ultimo dell’anno

Ti va di dirmela?

Davvero sei disposto ad ascoltare una filastrocca per bambini?

Perché no? È molto lunga?

No

Allora fammela sentire, dai

Rea si sedette sul letto, coprendosi pudicamente col lenzuolo, e chiuse gli occhi per concentrarsi.

Il mio pupazzo di neve si è sciolto,

c’era un bel sole e io ho pianto molto.

Ora è sparito, può darsi che dorma,

o è sempre qui ma ha cambiato forma.

Anche il pupazzo Anno Vecchio è passato,

col nuovo sole sarà già squagliato.

Lascia ricordi, qualche rimorso,

cambia la forma e diventa Anno Scorso.

Ma c’è il bambino Anno Nuovo che viene,

ha gli occhi allegri e le tasche piene

di mesi, di giorni, di ore e minuti

e questa notte anche tu lo saluti

Carina” commentò Fabio, tirandola di nuovo verso di sé e facendosela stendere sul petto. Lei chiuse gli occhi e iniziò lentamente ad addormentarsi.

Dovrei chiamare a casa per dire che non torno” disse sbadigliando.

Mando un messaggio io alle tue sorelle, tanto ho il loro numero” la rassicurò lui, baciandole la testa.

Grazie” rispose.

Di niente” minimizzò il ragazzo, sorridendo. Rimase in silenzio ad ascoltarla addormentarsi.

Fabio?” sussurrò Rea a un certo punto.

Mh?

Non farmi male” lo implorò, cadendo finalmente tra le braccia di Morfeo.

Mai” promise lui.

 

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Capitolo 25
*** I problemi ti attaccano alle spalle ***


I problemi ti attaccano alle spalle

 

Quando aprì gli occhi non ricordava dove fosse, né come c’era arrivata.

Si mise a sedere sul letto e il lenzuolo le cadde lievemente da una parte, lasciandola scoperta e facendola rabbrividire. “Ma sono nuda?” si chiese.

Sbadigliò e si stirò, poi si guardò intorno alla ricerca di qualche segno per ricordarsi cosa fosse successo. Quando vide Fabio appoggiato al cuscino che dormiva beatamente, tutte le immagini della sera precedente si riversarono nella sua testa e lei arrossì, portandosi le mani al viso. “Oddio!” esclamò dentro di sé. In quell’istante il ragazzo fece un verso strano e poi aprì assonnato un occhio.

Che ore sono, mamma?” domandò. La mise a fuoco un istante dopo.

Rea? Ah, giusto” disse, stropicciandosi gli occhi. La ragazza sentì il cuore accelerare.

Buongiorno” la salutò sorridente, baciandola. Quel contatto le fece dimenticare tutti i problemi che stavano nascendo nella sua mente e la fece rilassare.

Anche a te” ricambiò. Lui si stirò, poi sbadigliò e infine si sedette sul letto.

Ho fame” annunciò. Si tolse di dosso il lenzuolo, rimanendo nudo e facendo girare Rea, che non voleva vederlo per semplice pudore.

Ehi, non devi mica vergognarti!” la prese in giro Fabio, ridendo. Si infilò i boxer e il pigiama e poi la fissò divertito.

Hai intenzione di osservare le tende per molto tempo ancora?” domandò.

Sei vestito?!

Certo che si” la tranquillizzò. Rea sospirò sollevata e poi si voltò.

Allora mi faresti un favore?” lo implorò.

Del tipo?” chiese lui.

Mi passi i vestiti?” disse, indicando a terra l’abito che aveva la sera prima. Il ragazzo scoppiò a ridere, poi le lanciò tutto sul letto.

E adesso girati” continuò lei, facendogli segno di voltarsi col dito.

Sei seria?!” si stupì lui, sgranando gli occhi.

Certo che lo sono!” rispose, continuando a muovere l’indice. Controvoglia, fece come lei aveva detto, e la senti scendere e infilarsi i vestiti.

Tutto questo è ridicolo” commentò.

No che non lo è. È normalissimo” ribatté Rea, mettendosi le calze.

E invece no. Ti ho vista nuda, perché tutto questo pudore?” sbottò.

Perché mi vergogno, tutto qui” rispose semplicemente la ragazza.

Ieri sera non ti vergognavi” le ricordò. Lei lo colpì con un cuscino.

Maleducato!” lo aggredì. Fabio rise e la abbracciò.

Sei adorabile quando ti arrabbi, te l’ho detto?” le sussurrò. Anche lei rise e si appoggiò al suo petto.

No, ma se me lo ripeti cento volte forse ci crederò” disse. Rimasero fermi qualche secondo, poi il ragazzo sospirò.

Io ho fame, andiamo a fare colazione?” la implorò, sciogliendo l’abbraccio.

Colazione? Ma è mezzogiorno e mezzo!” rise l’altra, aprendo la porta della camera.

Va beh, colazione pranzata

O pranzo colazionato” suggerirono.

Quando entrarono in cucina trovarono i genitori di Fabio seduti a tavola con un’enorme tazza di latte e caffè davanti. Rea s’immobilizzò e arrossì violentemente.

“Oh, buongiorno” li salutò la donna, stupita. Il ragazzo imprecò mentalmente e si stampò in faccia un sorriso da poker.

Buongiorno a voi. Come è andata la festa ieri sera?” ricambiò, trascinandola su una sedia e facendocela accomodare.

“Bene. Come solito” rispose piatto l’uomo. “Mio caro Daniels, hai fatto una cazzata” pensò lui.

Prese da mangiare sia per sé che per la ragazza, poi si mise vicino e lei e iniziò a mangiare. Era sceso uno strano clima glaciale nella stanza.

“Allora, Rea, come procede?” chiese la madre, cercando di essere più gentile possibile. La nominata alzò lo sguardo e tentò con tutte le sue forze di non sembrare più impacciata di come già non era.

Bene, grazie” rispose sorridendo. Scese altro silenzio, rotto solo dal tintinnare dei cucchiai nelle tazze.

Lei deglutì e sperò con tutta sé stessa che i due signori non si arrabbiassero troppo.

Cazzo, non aveva pensato all’eventualità che fossero in casa. Eppure avrebbe potuto: in fin dei conti era loro, quell’appartamento.

Rimasero tutti zitti fino a che non ebbero finito di mangiare, poi Fabio si schiarì la gola.

Noi andiamo” annunciò alzandosi e tirandosi dietro Rea. Lei lo seguì docile.

Ci vediamo dopo” li salutò il ragazzo.

Arrivederci, signori Daniels” disse la ragazza, agitando lievemente la mano.

I due rimasero zitti a fissarli, mettendole addosso una terribile sensazione.

 

 

Ho i brividi” commentò la rossa quando furono per strada, stringendosi nel giaccone.

Per il freddo?” s’informò l’altro, guardandola. Lei scosse la testa.

Per la figuraccia fatta con i tuoi” spiegò. Arrossì solo a pensarci.

Non è niente, tranquilla. Non sono abituati a ospiti improvvisi, tutto qui” le assicurò.

Comunque non è stato il modo migliore per presentarmi stamani” commentò.

Ma va’, cosa vuoi che sia? In un modo o nell’altro se ne sarebbero comunque accorti, giusto? Per cui non c’è niente di cui preoccuparsi

Sicuro?

Al cento per cento” confermò. Rea sorrise, poi lo guardò.

Da qui in poi posso proseguire da sola. Devo passare da dietro per rientrare, non voglio farti nascondere” disse. Ormai era quasi arrivata, in fin dei conti.

Mi piacerebbe accompagnarti fino a casa, invece. Cioè, sempre se non ti dispiace” ribatté Fabio, arrossendo leggermente.

No che non mi dispiace” lo rassicurò.

Camminavano vicini, ma le loro mani non si sfioravano. Nella testa della ragazza c’erano mille mila domande: sono la sua ragazza a questo punto? Ne vale la pena? E se fosse stata una cosa da una notte e via? Sarà il tipo che si vanta con gli amici di aver fatto sesso con le ragazze?

A che pensi?” le domandò lui a un certo punto, fermando quel flusso infinito di problemi che stavano piano, piano prendendo possesso della sua mente.

A niente in particolare” mentì lei, arrotolando una ciocca di capelli con le dita.

Bugiarda” sorrise il moro, guardandola divertito.

Chi? Io?” esclamò la rossa, continuando a giocare con i capelli. Il ragazzo si fermò e la fece voltare verso di sé.

Quando sei nervosa giochi con i tuoi capelli e distogli lo sguardo, e quando dici una bugia diventi rossa” spiegò. Rea deglutì a fatica: rischiava di perdersi in quegli occhi profondi.

M-ma ero sincera. Non pensavo a nulla” cercò di ribattere. Le prese il viso tra le mani e la baciò lentamente. “Ora mi sciolgo” si disse lei, sentendo le gambe cedere.

Ok, farò finta di credercidecise Fabio, staccandosi. Rea rimase con gli occhi chiusi e il fiato corto un paio di secondi, poi abbassò lo sguardo.

Direi che questo è un saluto” dedusse. Ormai vedeva casa sua in fondo alla strada.

Penso che sia meglio, sì. Non vorrei far arrabbiare i signori Stevens” rise il ragazzo, accarezzandole una guancia.

Ok” annuì lei. Rimasero fermi così, finché la rossa non si decise a parlare.

Mi chiami?” domandò speranzosa.

Non avrai nemmeno il tempo di accorgerti che sono andato via” le assicurò, sorridendo.

La baciò un’ultima volta sulla fronte e poi la fissò scomparire nel giardino della sua abitazione.

 

 

Quando varcò la porta di casa, con sul viso stampato uno di quei sorrisi ebeti che ti danno un’aria più che mai stupida, Fabio non se l’aspettava. Né pensava che sarebbe successo.

Sono tornato” annunciò, mettendo il giacchetto all’attaccapanni.

“Puoi venire qui un momento?” lo chiamò la madre dalla cucina. Lui ubbidì tranquillo ed entrò nella stanza. Lo schiaffo che lo prese in pieno viso lo fece barcollare.

Ma che…?” si portò una mano alla guancia e guardò il padre, stralunato.

“Sei. Un. Irresponsabile” sillabò l’uomo, furibondo.

Scusami?” chiese lui, sperando di aver capito male.

“Da quando in qua porti la prima ragazza venuta a casa e la fai dormire qui?” lo aggredì. La moglie gli mise una mano sulla spalla.

“Tesoro, calmati un secondo” gli suggerì, ma lui non l’ascoltò.

La prima ragazza venuta? Intanto quella è la MIA ragazza, e poi sai benissimo che non l’ho mai fatto, per cui non vedo perché farne un dramma. Ieri sera abbiamo festeggiato e si è addormentata qui. Qual è il tuo problema?” domandò, iniziando anche lui ad arrabbiarsi.

“Tu hai fatto venire qui Rea, approfittando del fatto che noi non c’eravamo perché eravamo andati a festeggiare l’ultimo dell’anno, e ci sei andato a letto!” lo accusò.

Ok, era ufficiale: Fabio ora non capiva sul serio come mai tanta irritazione.

E anche se fosse? Cavolo, papà, ho diciotto anni, lei sta con me. Se l’ho fatta dormire qui non dovresti prendertela tanto” sbuffò.

“Ragazzino, questa è casa mia, e qui ci entra solo chi dico io. Lei mi sta simpatica, non fraintendermi, ma il tuo comportamento mi ha fatto imbestialire. Non posso fidarmi di mio figlio”

Ma allora ti sei bevuto completamente il cervello! Non era una cosa programmata, è capitato per sbaglio! Cosa avrei dovuto fare, stamani alle quattro? Rimandarla a casa da sola con tutta la gentaglia che c’è in giro? Ma ti ascolti quando parli?

“Non mi interessa! Dovevi prima chiedermelo!” continuava a ripetere l’uomo.

Sei un testone” lo accusò Fabio, incrociando le braccia.

“E tu sei in punizione, caro mio. Per un mese”

Che cosa?! Papà, questo non è giusto! L’ultima volta che mi hai messo in punizione avevo cinque anni e avevo rotto il vaso di mamma! Non mi sembra altrettanto grave aver fatto rimanere qui Rea per la notte” si ribellò lui, infiammandosi.

“Impara una cosa: questa è casa mia e qui non sei tu a comandare, ma io. Quindi non  controbattere, o peggiori la situazione” rispose freddo il padre, alzandosi e andando in camera.

Ma certo: voi decidete cosa volete, invitate chi vi pare e va tutto bene. Io faccio dormire qui la mia ragazza e vengo punito. Logico, no?chiese retorico. La donna, che era rimasta zitta tutto il tempo, strinse le labbra.

“Ha ragione lui, mi dispiace dirlo. Sei stato un irresponsabile” disse.

E perché?” si arrabbiò il ragazzo.

“Fabio, ti farò una domanda ben precisa, ma tu rispondi sinceramente senza vergognarti, ok?” ordinò. Lui annuì.

“Avete usato precauzioni? Perché io non ne ho trovate di usate in giro” gli chiese gravemente.

Il moro strinse gli occhi e il suo cuore perse un battito.

Merda

 

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Capitolo 26
*** Brutte notizie il primo dell’anno ***


Brutte notizie il primo dell’anno

 

Rea rientrò in casa camminando a cinque centimetri da terra. Si chiuse la finestra alle spalle e si guardò allo specchio: un gigantesco sorriso era stampato sul suo visino lentigginoso e la faceva risplendere. Non si era mai sentita più a suo agio con sé stessa.

Si chiese se qualcuno avesse notato la sua assenza, ma poi si rispose che no, probabilmente tutti stavano ancora dormendo. Era tradizione fare le quattro del pomeriggio a letto il primo gennaio.

Si spogliò e lasciò cadere a terra il vestito e i pantacollant, poi si mise il pigiama e si scompigliò i capelli per far vedere che si era appena alzata; infine uscì in corridoio cercando di avere la faccia più assonnata possibile. Contro ogni previsione, trovò Emma e Laura sedute a tavola con una tazza di cioccolata calda davanti e dei pasticcini con la frutta messi su di un piatto. Con loro non doveva fingere, quindi smise di sbadigliare e sorrise raggiante.

Buongiorno raggi di sole!” le salutò. Loro si voltarono a guardarla, sospettose.

Scusa come?” le chiese la mora.

La vita è proprio bella, vero?” disse sedendosi. Prese un po’ di latte scaldato dal pentolino e lo mise in una tazza, aggiungendo la polvere di cacao.

Per caso ieri sera hai fumato qualcosa? Non so… Marijuana, Hashish… il tuo cervello…  le domandò l’altra, guardandola stralunata. Non capitava mai che Rea fosse così allegra. Di buon umore, certo, ma felice mai!

No, ieri sera ero impegnata” rispose. Le ragazze adesso iniziarono a capire.

A far che? Non sei stata in casa?” esclamarono all’unisono, finte sorprese.

Fino a mezzanotte meno un quarto sì, poi sono uscita” spiegò.

Raccontaci!” le ordinò Emma, adesso davvero curiosa. Lei si sistemò meglio sulla sedia e guardò che i genitori non arrivassero, poi sorrise raggiante.

Fabio mi ha rapita” iniziò. Ci mise venti minuti a spiegare tutto, da quando le aveva bussato alla finestra a quando, quella mattina, si erano fatti sorprendere dai genitori di lui. E, per la prima volta, non nascose nessun dettaglio.

Porca miseria, Rea! Hai fatto scintille stanotte!” esclamò Laura. La mora, intanto, si era messa a ridere e aveva alzato il cinque.

Batti qui, sorella! Non potrei essere più fiera di te” disse.

Grazie, grazie, troppo gentili” rispose lei, ridendo con loro. Il suo stomaco brontolò un po’, e prese un pasticcino infilandolo in bocca

Ma quindi ora siete fidanzati?” le chiese la bionda. Lei si incupì leggermente.

Non lo so. Non gliel’ho chiesto, quindi non saprei proprio che dirti. Credo di sì, ma non ne sono sicura, ecco” spiegò, sospirando.

Ma come non ne sei sicura? Uff, ecco che torna la Rea di sempre” ribatté Emma, sconsolata.

Mi sembrava brutto domandarglielo, scusami! Avrei rotto l’incanto che si era creato

Ma quale incanto! Non è che gli chiedevi chissà che, era solo una precisazione” la sgridò. La rossa si fece piccola, piccola sotto lo sguardo infuocato della sorella.

Scusami. Lo farò più tardi, quando mi chiamerà. Così va bene?

Direi di sì” accettò la mora, tornando alla sua cioccolata.

Comunque non ti facevo il tipo che fa sesso col primo venuto” commentò Laura, innocentemente.

Rea quasi si strozzò con la bevanda a quelle parole, tossendo imbarazzata.

Ma veramente io non ho fatto sesso col primo venuto!” ribatté.

Sì invece. Io non l’avrei fatto, ma va beh” disse la bionda. Perché aveva sempre in faccia quell’espressione piatta ed era sempre così pessimista? Mai una volta che la sorreggesse, cavoli!

Scusami, tu e Johan non l’avete fatto?” s’informò. Lei arrossì lievemente e si mise a bere.

Laura?” la chiamò, cominciando a capire.

Dimmi

Non hai ancora fatto l’amore con il tuo ragazzo?” chiese, trattenendo una risata.

N-noi… beh, ecco, diciamo che… sì, non è una mancanza, insomma… ehm…” sua sorella iniziò a impappinarsi con le parole e questo significava che la rossa ci aveva azzeccato. Nel sentire ciò, Emma si rianimò.

Sul serio? Cioè, state insieme da quanto? Tre mesi più o meno? E vi siete solo baciati?” domandò stupita (e anche piuttosto schifata).

Non sono mica come te” si arrabbiò la bionda, mettendo il broncio.

Ma cavolo, abbiamo diciotto anni e gli ormoni a mille e tu lo baci e basta? Cosa fai nel resto del tempo? Giochi a Indovina chi?

Fatevi gli affari vostri! Se non voglio fare l’amore con Johan saranno problemi miei?

Ecco, hai utilizzato la parola giusta: problemi. Perché i tuoi non possono essere che problemi per rifiutare il sesso” ragionò la mora ad alta voce.

Che palle! Potrò fare come voglio? Se stamani hai intenzione di fare della mia vita sessuale una questione di stato io me ne vado. Siete proprio due rompicoglioni” sbottò Laura, alzandosi e uscendo dalla cucina. Rea e Emma si guardarono stupite.

Ma c’è qualche problema?” chiese la rossa.

Non che io sappia” rispose l’altra.

In quel momento entrarono i loro genitori nella stanza e loro si zittirono.

 

 

Pronto?

Ciao lentiggine

Oh mamma, ancora con questo soprannome? Come sei noioso

Che vuoi farci? A me piace

A me non troppo, ma sorvoliamo per questa volta

Gentile. Senti, devo parlarti di una questione importante, non è che possiamo vederci?

Certo, quando?

Ti direi subito, ma i miei mi hanno messo in punizione, quindi stasera verso le dieci. Io dirò che vado a dormire e uscirò di nascosto, in qualche modo

Ahahahah! Piccolo, lui, è in punizione come i bambini

Non sfottere, lentiggine

Un po’ per uno, scusa! Comunque va bene, dove ci troviamo?

Alle dieci e mezzo a casa tua. Fammi entrare dalla finestra

 

 

Toc-toc. Rea alzò gli occhi dal libro che stava leggendo e si tolse gli occhiali da vista che portava ogni tanto (giusto quelle poche volte che se ne ricordava).

Fabio le faceva cenno di aprirgli e quella situazione le dette un senso di dèjà vu.

Sai che l’ultima volta che ho fatto entrare qualcuno dalla finestra, nascondendolo in camera mia, non è finita molto bene?” gli chiese.

Stai parlando di ieri sera?

No, sto parlando di quando ho chiamato Johan per venire da me ed è andata a finire con lui sotto al letto nascosto da Emma e Laura

Che bella prospettiva” commentò il ragazzo ridendo. Si chiuse alle spalle le persiane e fissò la ragazza.

Buonasera” la salutò, avvicinandosi a baciarla. Rea rimase ferma e si godette quel momento problem free con gli occhi chiusi.

Anche a te” ricambiò sussurrando.

Fabio si sedette sul letto e si irrigidì leggermente, nervoso tutto d’un tratto. Lei si rese conto di quel cambiamento repentino e si avvicinò.

C’è qualche problema?” chiese preoccupata. Il ragazzo si schiarì la voce e poi la guardò, imbarazzato.

Forse uno” rispose.

Cioè?” s’informò, rimanendo per qualche motivo in piedi.

Ecco, ieri… ieri sera, quando abbiamo… sì, insomma, quando è successo…

Quando abbiamo fatto sesso” lo aiutò.

Esatto. C’è stato un piccolo, piccolissimo particolare a cui io, preso dal momento, non ho fatto caso. Una scemenza che può rivelarsi pericolosa” iniziò. Rea attese in silenzio.

Praticamente non ragionavo e mi sono dimenticato di… di…

Di?

Di fare in modo che fossimo pro… pro… credevo sarebbe stato più facile dirtelo… uff, non ho messo precauzioni” ammise tutto d’un fiato. La ragazza rimase a fissarlo, poi chiuse gli occhi, fece un grosso respiro, li riaprì e deglutì.

Forse facevo meglio a sedermi” commentò, andando a prendere la sedia che teneva alla scrivania. Rimase zitta, immobile, fino a che non fu riuscita a incanalare l’informazione.

Tu mi stai dicendo che io potrei… oh cielo!” esclamò, mettendosi una mano sulla bocca.

Ecco perché sono in punizione. Mia mamma ha svuotato il cestino in camera mia e non ha trovato nulla

Intendi dire nessun preservativo?

Esatto. Immagino che tu non prenda la pillola, giusto?

Già

Appunto. E i miei si sono arrabbiati. Erano disposti anche ad andare da un dottore, ma oggi è festa e quindi non ce ne sono

Merda” commentò Rea. Entrambi rimasero in silenzio, preoccupati e imbarazzati.

E quindi che si fa? Come ne usciamo?” chiese alla fine la ragazza. Fabio scosse la testa.

Non ne ho idea, non saprei proprio che inventarmi. Da quanto abbiamo studiato l’anno scorso, per sapere per certo se sei… incinta –questa parola praticamente la sputò fuori- dobbiamo aspettare un paio di settimane, o che ti venga il ciclo” ragionò.

Se stiamo qui ad aspettare  le mie mestruazioni ci diventiamo vecchi. Non sono mai stata puntuale, rischiamo di farci venire paura per niente” lo contraddisse.

Perfetto, aggiungiamo la beffa al danno. Mi sa che ho combinato un casino” si disperò il ragazzo, abbandonandosi sul letto.

Abbiamo” lo corresse lei, andandogli accanto. Si stese e lo fissò.

Siamo in due, no?” gli chiese, sorridendo.

Sì, ma è colpa mia. Se non ti avessi portata da me e non ti avessi sfidata, ora…

Non avrei passato l’ultimo dell’anno migliore della mia vita, né avrei mai abbattuto le mie difese. Quindi mi hai solo fatto del bene. E se ne è venuto fuori un piccolo imprevisto, ci penseremo quando sarà il momento. Fino ad allora non ci pensiamo” lo tranquillizzò, baciandolo dolcemente sulle labbra.

Sai benissimo che non riuscirò a non pensarci, vero?” le chiese, con un mezzo sorriso sul viso.

Sì, ma credo che sia meglio. Se ci stiamo a rodere troppo il fegato probabilmente non ne usciremo vivi. Sii felice e vivi la vita!” lo spronò.

Tutta questa positività da dove ti viene, scusami? Fino a ieri piangevi come una matta” la punzecchiò. Si morse la lingua un attimo dopo.

Scusa” disse.

E per cosa? Lo so che hai ragione. Ma ora è il mio turno di far star bene te, quindi su con la vita e sorridi” gli ordinò. Fabio esitò.

Andrà tutto bene?” le chiese impaurito. Rea gli prese le mani e lo fissò intensamente.

Qualsiasi cosa succeda andrà tutto bene” promise.

 

Vi metto il link dell'ultima canzone di Rea che ho pubblicato ieri! Ma lei non deve saperlo!Tanto non ci viene mai a rivedere i capitoli... http://www.youtube.com/watch?v=xRAAcxHs_KI&feature=plcp Emma

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Capitolo 27
*** Attesa ***


Attesa

 

Passarono dieci giorni, e Rea, Laura, Emma, Fabio e Johan rientrarono a scuola. Di comune accordo i due avevano deciso di non dire niente alle sorelle della possibile gravidanza, perché avevano paura che si lasciassero sfuggire qualcosa e, al momento, era l’ultima cosa che volevano.

Bentornati a tutti!” li accolse Jason, strizzando l’occhio alla mora quando entrò in classe.

Com’è bello?!” chiese lei retoricamente, perdendo subito la testa. Non c’era niente da fare: più passava il tempo e più il suo cervello friggeva quando pensava al suo “bellissimo, sexyssimo, stupendissimo ragazzo”. Ormai le sorelle avevano accettato l’idea di averla persa per sempre. Ogni tre giorni ripeteva con voce sognante che non sarebbe riuscita ad arrivare a luglio per esprimere i suoi sentimenti a tutto il mondo e per andare a spasso in giro per le strade mano nella mano con lui. Quando faceva partire quella lagna loro alzavano lo sguardo e cercavano di ignorarla.

Mentre Rea finiva, con sua somma soddisfazione, l’ultima pagina abbozzata del primissimo romanzo che aveva iniziato, e che aveva circa quattro anni, le sue orecchie captarono un pezzo di discussione dalle file accanto. Ringraziò di aver fatto cambio posto con Laura perché le aveva chiesto la finestra per poter disegnare il panorama, e allungò un po’ il collo a destra per ascoltare.

“Sì, pare che siano già un paio di mesi che va avanti questa cosa. Li hanno visti passeggiare mano nella mano e si guardavano con quell’aria da innamorati che hanno due ragazzini” disse Maria.

“Cioè, ma vi rendete conto? Un professore e una studentessa. Ma siamo matti? Ci credo che i suoi voti siano così alzati negli ultimi tempi” commentò Matilde.

“In effetti… secondo me lei lo fa solo per un motivo scolastico. Uno scambio di favori, se vogliamo chiamarlo così: lei ci va a letto e lui la promuove” ragionò Ginevra.

Rea strinse i pugni e fece per girarsi, ma una mano si posò sulla sua spalla e la bloccò. Da dietro anche Fabio aveva ascoltato e le fece segno con la testa di rimanere ferma.

Farai peggio se ti muovi” sussurrò. La ragazza chiuse gli occhi e lo ascoltò, trattenendo le lacrime.

 

 

Quelle… quelle vipere! Che stronze che saranno! Non è possibile che esistano persone simili. Emma non lo fa per sesso o per tornaconto personale, lei lo fa per amore! Non ci credo che a quest’età siamo già così crudeli da dire certe… certe cattiverie!” si sfogò durante la ricreazione. Dalla rabbia si era messa a piangere e Fabio la strinse forte a sé.

Non pensarci. Devi essere superiore e non badare loro” le consigliò.

Ma non posso! È mia sorella, devo proteggerla! Non è vero che si comporta così, mi fa male sapere che loro la pensano in quel modo” ribatté, guardandolo.

Io ti capisco, ma se intervieni peggiori la situazione e basta. Invece se rimani buona, buona da una parte non darai loro modo di pensare che ti arrabbi perché, magari, ciò che hanno detto è vero” le spiegò, asciugandole una lacrima. Rea rimase immobile e poi sbuffò.

Ti odio” esclamò. Lui rise.

Perché?

Perché so che hai ragione e che è meglio se sto zitta. Anche se io, zitta, non so starci!” ammise. Il ragazzo la baciò e poi sorrise, divertito.

Cambiando discorso, sappiamo niente su… sì, insomma… hai capito, no?” le chiese, adesso più titubante.

No, niente per il momento” rispose, portando automaticamente una mano alla pancia.

Sei in ritardo?” s’informò lui. La rossa scosse la testa.

No, però non è detto. Ormai sono passate quasi due settimane, quindi pensavo che magari potremmo… potremmo fare il test” suggerì. Fabio sospirò.

Non posso andare in farmacia a chiedere un test di gravidanza, e tu nemmeno. La farmacista ci conosce” le ricordò.

Lo so, però avevo pensato a una cosa” confessò, nascondendo un sorriso divertito. Lui alzò gli occhi al cielo e gemette.

Quando tu pensi a un piano, va sempre a finire con qualcuno che si fa male” commentò.

 

 

Scusa, ripeti un po’!

Abbassa la voce!

Porc… Rea, ma voi avete diciotto anni, per l’amor del cielo!

Lo so, siamo due deficienti e ce ne rendiamo conto, però abbiamo bisogno di prove. Non penso di essere incinta –non lo spero- ma senza un test rimarremo col dubbio altri dieci giorni. Non mi capita mai di avere un anticipo, semmai un ritardo, quindi ti prego, portaci in città e noi andremo in farmacia

E se ci vede qualcuno?

Ci metteremo poco, pochissimo. Dieci minuti, e tu rimarrai in macchina. Ti prego, Jason, sei l’unico che può darci una mano!” lo implorò. L’uomo si stropicciò gli occhi e poi la guardò.

Siete comunque due idioti, sia che il risultato sia positivo che negativo” commentò. La ragazza si illuminò.

Significa che ci aiuterai?” chiese.

Sì, lo farò” accettò. Lei si gettò tra le sue braccia, stringendolo forte.

Grazie, grazie, grazie, grazie, mille volte grazie! Sei il cognato migliore di questo mondo” esclamò felice. Fabio, che in tutto il discorso era rimasto zitto, si schiarì la voce.

Quando andiamo?” chiese.

 

 

L’appuntamento era stato fissato per il mercoledì pomeriggio. I due ragazzi non dovevano studiare, e avrebbero perso al massimo un’ora, non di più, per andare, comprare il test e rientrare.

Ma come sei malato? Che significa?

Che ho la febbre alta! Non ci vuole un genio per capirlo

Quindi mi mandi da sola a comprarlo? Io? Che mi sento male al sol pensiero?

Perché, io no?

Va bene, dai, riposati e cerca di star meglio in tempi brevi, ok? Ci sentiamo più tardi. Un bacio, a presto

Attaccò il telefono e, nello stesso istante, le arrivò il messaggio di Jason che le diceva di stare aspettandola in macchina dietro l’angolo.

Io devo uscire, ci vediamo tra un po’!” annunciò, prendendo la borsa.

E dove vai?” chiese Emma.

Ehm… esco con Fabio” inventò sul momento. La mora la fissò un po’ confusa.

Ma non aveva la febbre? Stamani a scuola stava da fare schifo” ricordò. Rea imprecò dentro di sé.

S-sì, ma vado da lui e vedo… come sta!” balbettò. Non convinse la sorella, che continuò a guardarla male, ma comunque aprì la porta.

Ci vediamo dopo!” salutò, fuggendo di casa.

Camminò a passo veloce e salì sulla macchina di Jason col cuore in tumulto.

Problemi a uscire?” chiese mettendo in moto.

Sì, la tua ragazza mi ha fatto il terzo grado. A parte questo, tutto ok” rispose.

Perché non le hai detto la verità?

Figuriamoci. Escludendo che Emma è bambinofobica, non voglio allarmare lei e Laura

Quella parola non esiste!

Dettagli. Tra quanto saremo arrivati?

Dieci minuti

 

 

Rea e Fabio erano seduti sul tappeto di camera della ragazza e stavano aspettando. Aspettavano di trovare il coraggio di fare, finalmente, quel benedetto test.

Io non ce l’ho la forza” ammise lei, alzandosi.

Figurati io” commentò l’altro, seguendola.

Ti va un pezzo di torta? L’ha fatta mia mamma” gli offrì, aprendo lo scaffale in cucina e prendendo il dolce.

Sì, mi piacciono le torte” accettò il ragazzo, sedendosi a tavola. In quel momento arrivò Emma, che li vide e si bloccò.

Torta?” le chiese la rossa, sorridendo. Lei la guardò con gli occhi sgranati, sul punto di dire qualcosa, poi decise di stare zitta e se ne andò, senza proferire parola. La sorella fissò la porta, confusa.

Avete litigato?” chiese Fabio.

Non che io sappia. Anche se, da quando sono uscita mercoledì per andare a comprare il test, si comporta in modo strano. Più tardi, magari, vado a parlarle con una tazza di cioccolato e una fetta di pane e nutella e vedo se riesco a tirarla su di morale

Servirebbe a noi qualcosa che ci tiri su di morale. Non abbiamo il coraggio di affrontare il responso di quello stupidissimo affare” osservò il ragazzo.

Senti, facciamo così, finiamo di mangiare e poi controlliamo, ok?” propose Rea.

Ok” acconsentì lui. Ma il solo pensiero di quello che il test avrebbe potuto dire lo spaventava, così si irrigidì. La ragazza se ne accorse e sorrise.

Ehi, non è tutto questo gran problema, tranquillo” gli assicurò, andandogli alle spalle.

Che fai?le chiese preoccupato. Le sue mani gli premettero le spalle, iniziando a massaggiarlo lentamente sulla cima della schiena. Quel tocco lo rilassò.

Cavolo, che bella sensazione. Sei brava” commentò, facendola ridere.

Dove hai imparato?” domandò lentamente. Le dita della ragazza premevano i punti giusti, sciogliendo la sua ansia e lasciandogli addosso solo un benessere dolce.

Non ho mai imparato. In verità non ho idea di cosa sto facendo” ammise lei.

E come fai a… a essere così… brava?” s’informò tra un sospiro e un altro.

Da piccola facevo il pane e la pizza con mia nonna, così so come si impastano gli ingredienti e come si spiana poi la base, massaggiandola con forza fino a farla diventare morbida e elastica. Il principio, più o meno, è quello anche qui” spiegò.

Allora sei una brava pizzaiola” decise Fabio, dimenticandosi per dieci minuti del bambino.

 

 

Quanto manca?

Sessantacinque secondi

Ancora?

Smettila! Mi fai venire l’ansia

Il ragazzo sbuffò e incrociò le braccia, impaziente. Stavano aspettando il campanello che dicesse loro che il tempo era finito e che il test era pronto per il responso, ma il timer del cellulare sembrava non voler squillare mai.

Hai pensato a che succederebbe se il risultato fosse positivo?” gli chiese Rea, appoggiandosi con la testa al letto.

No, perché, al momento, non mi rendo conto di poter essere padre, quindi non saprei proprio come comportarmi. Tu?

Io sì. In realtà è da quando ero piccolissima che sogno di avere una bambina bellissima che chiamerò Emi

Emi? Perché proprio Emi?

Non so. Perché è un nome dolce e simpatico, e sa di zolletta di zucchero” spiegò ridendo.

Tu non stai bene” osservò Fabio.

Mai stata, altrimenti non mi sarei messa con te” ribatté lei, con un’alzata di spalle.

Non sei simpatica” la punzecchiò il ragazzo.

Ehi, quella battuta è mia!” si arrabbiò, lanciandogli contro un cuscino. Lui rise.

Lo so, ma il copyright non c’è, quindi posso copiarti. Ha - ha” la prese in giro.

Sbruffone” lo accusò, scherzando.

Tornarono entrambi silenziosi e aspettarono zitti che il tempo passasse. Quando il timer scattò, i loro cuori persero un battito per uno.

E ora?” chiese lui, avvicinandosi al bastoncino di plastica bianco che avevano messo in terra.

E ora guardiamo” rispose la rossa, prendendogli la mano.

In cuor suo nemmeno lei sapeva cosa stava sperando.

Presero in mano il test e controllarono la risposta…

 

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Capitolo 28
*** Disastro ***


Disastro

 

Emi, muoviti! Dobbiamo uscire!

Mammina, guarda! Una farfalla!

E’ molto bella, ma papà ci sta aspettando, andiamo

Dobbiamo proprio? Insomma, io non ho voglia di andare a una cena lavat… lavore… uff, a quella!” la piccola mise il broncio, arrabbiata perché non sapeva pronunciare una parola più difficile, e sua madre rise.

Ma per papà è importante. Tu vuoi bene a papà?

Certo!” rispose prontamente lei. La donna si inginocchiò per essere alla sua stessa altezza.

E allora impara che ogni tanto, per le persone a cui vogliamo bene, dobbiamo sopportare qualche piccola noia. Se sarai brava stasera ti comprerò un gelato, ok?” le propose, strizzando l’occhio. Emi si illuminò.

Davvero?” chiese estasiata. Lei tese il mignolo e la piccola lo strinse col suo.

Promesso

 

 

Fabio sobbalzò e si ritrovò nella sua camera, sudato e col respiro affannato. Si portò una mano alla fronte per sentire se era caldo, magari gli era tornata la febbre, ma la sua temperatura era normalissima. Erano già due giorni che sognava Emi, e non ce la faceva più. Ogni mattino si svegliava sempre più stanco, terribilmente spossato dagli incubi. Non poteva andare avanti così.

Si alzò e andò in cucina a prendere un bicchiere d’acqua. “Certo che quel test mi ha proprio messo K.O.” pensò, sedendosi a tavola.

Rea sembrava averla presa mille volte meglio di lui, senza farsi particolari problemi, e aveva sorriso rassicurante. Visto? Tutto ok aveva commentato. Ed era anche quello che pensava lui, però non capiva come  mai non riusciva a capacitarsi del fatto che il risultato fosse stato quello. Forse si era talmente abituato, in quelle due settimane, all’idea che la bambina ci sarebbe stata sul serio che ora ne sentiva la mancanza. Ma poteva essere sul serio così? Cioè, non è che avesse molto senso come ragionamento. Guardò l’ora: le tre e cinque. Sospirò sconsolato. “Ho bisogno di sentire Rea” ammise a sé stesso. Sorrise al pensiero di una canzone che aveva sentito qualche tempo prima. Com’era?

Perché sono qui sdraiata sveglia e ti penso? Ho bisogno di dormire, domani ho da fare, ma tutte le volte che chiudo gli occhi vedo la tua faccia. Magari leggo un libro, ma tutto ciò che ottengo è continuare a pensarti […] Alla fine mi serviva solo chiamarti, so che sono le tre del mattino e che ti ho visto poco fa, ma ho ancora bisogno di sentirti, di sapere che sei qui. Non mi sembra di avere tante possibilità”

In quel momento squillò il suo cellulare e lui lo fissò sorpreso.

Pronto?

Sapevo che eri sveglio

Ah sì? E se fossi stato addormentato?

Ti saresti svegliato. Ma io sapevo che così non era, quindi va bene

E come lo sapevi, di grazia?

Non sei nel tuo letto Fabio sgranò gli occhi e si guardò intorno.

Che ne sai tu di dove sono io?

Sono fuori dalla tua finestra da dieci minuti che aspetto che tu rientri e mi apra il ragazzo schizzò in piedi e si precipitò in camera, dove Rea stava aspettando pazientemente che la facesse entrare.

Che diavolo ci fai qui?” sussurrò per non svegliare i genitori.

Sinceramente? Non lo so. Mi sono svegliata di soprassalto e avevo bisogno di vederti, tutto qui” spiegò, togliendosi il cappotto.

Tu sei matta” commentò il ragazzo, scuotendo la testa.

Sì, lo so, ma che ci vuoi fare? E poi ho avuto gli incubi, quindi non volevo rimanere sola, per il momento” ammise, arrossendo. “Anche lei?

Che genere di incubi?” s’informò lui, facendola sedere vicina a lui e abbracciandola.

Non mi ricordo. Era come una visione del futuro, ma più sbiadita” raccontò. Sbadigliò visibilmente.

Tu stai morendo di sonno” la prese in giro Fabio, sdraiandosi con la sua testa sul petto.

Per forza, sono le tre e mezzo del mattino. Posso dormire qui per un po’?” lo pregò.

Se rimetto la sveglia alle sei ce la fai a tornare a casa prima che qualcuno si accorga che te ne sei andata?” le chiese. Lei annuì, chiudendo gli occhi.

Allora dormi pure

 

 

Qualche giorno dopo, Rea era con Fabio al parco. Stavano camminando e parlando del più e del meno quando lei tirò fuori dalla borsa un quaderno e glielo passò.

Questo è un regalo” disse sorridendo. Lui la fissò senza capire.

Cos’è?” chiese aprendolo. In prima pagina, scritto in bella calligrafia con un verde speranza, c’era scritto “Prendi le mie mani”

E’ il primo romanzo che ho mai scritto. Tu sei l’unico che sa di questa mia passione, e quindi sei l’unico che può leggere il libro e dirmi se va bene. L’ho finito un paio di settimane fa” spiegò imbarazzata. Il ragazzo sorrise e la baciò.

Grazie per la fiducia” le disse.

Non è fiducia, semplicemente non so a chi altro rivolgermi” lo punzecchiò lei, rossa come un peperone.

Comunque grazie” ripeté lui. La ragazza non seppe come controbattere e si zittì.

 

 

Nel frattempo, Emma stava parlando con Laura.

Io li ho visti con i miei occhi!

Senti, io glielo chiederei. Non posso credere che Rea sia capace di fare una cosa simile, non ha senso! Lo sai quanto sia legata ai valori di amicizia e fiducia, non ti ruberebbe mai il ragazzo

Però è uscita con lui l’altro giorno. Cosa dovrei pensare secondo te?

Che aveva bisogno di ripetizioni?

Certo, immagino. Ripetizioni private, per caso?

Ascoltami, parla con lei. È nostra sorella, non farebbe mai niente per ferirci, soprattutto dopo che ha fatto tanto per aiutarci ad essere felici. Se è successo qualcosa ce lo dirà” le consigliò la bionda. L’altra sospirò.

Non riesco quasi a guardarla, tanto sono triste. Ormai non parlo quasi nemmeno con Jason, e questo mi fa stare male. Che devo fare?” chiese disperata.

Parla con entrambi. È l’unica cosa che mi sento di consigliarti

 

 

Fabio lesse il quaderno in una sola notte. Era fluido e scorrevole, e la trama piuttosto avvincente, e non voleva smettere di andare avanti. Quando lo finì, aveva gli occhi rossi e un sonno tremendo, però era felice di poterglielo riportare subito. Aveva fatto qualche correzione qua e là, togliendo un paio di colloquialismi, per il resto era perfetto. Lo sistemò in cartella, tra il libro di chimica e quello di inglese, e poi si coricò.

Il mattino seguente, arrivato a scuola, la aspettò seduto sul suo banco.

Ehi, avrei bisogno di posare la roba” lo sgridò bonariamente. Lui tirò fuori il quaderno.

Ecco a te” le disse, scendendo elegantemente. La ragazza lo nascose prontamente, imbarazzatissima.

Ma vuoi farlo vedere a tutti? È privato!” esclamò, mettendolo in cartella e sigillandola.

E’ un semplice quaderno degli appunti, che vuoi che sia?” commentò Fabio, scoccando un’occhiataccia in direzione di Maria, Matilde e Ginevra, che stavano ascoltando la conversazione.

Lascia perdere. Come ti è sembrato, piuttosto?” gli domandò Rea, iniziando a respirare più tranquillamente ora che il blocco era nascosto.

Dipende” rispose lui, sorridendo furbo. La ragazza sospirò e mise le mani sui fianchi, divertita.

Cosa vuoi per dirmelo?

Usciamo insieme oggi pomeriggio?” le propose.

Dobbiamo studiare, domani c’è compito” gli ricordò. Il moro ci pensò su un attimo.

Allora vieni da me stasera” sussurrò nel suo orecchio. Rea rise.

Va bene, Dongiovanni, ma ora dimmi che ne pensi” accettò, tirandolo per un braccio fuori dalla classe.

Lo zaino rimase sotto al banco, incustodito.

 

 

Quando le sorelle Stevens rientrarono a casa, Emma si decise, finalmente, a parlare con la rossa. Ci aveva riflettuto bene e aveva capito che Laura aveva ragione a dire che, se non ci chiariva subito, rischiava di star male per qualcosa che in realtà non esisteva, così si era preparata il discorso in testa, aveva pensato alle possibili risposte della ragazza e aveva cercato di seguire il piano alla lettera.

Rea, possiamo parlare?” le chiese, seduta a tavola. Sua sorella la guardò, poi sorrise.

Certamente, dimmi pure” accettò, mettendosi davanti a lei e aspettando.

Ecco, hai presente quando l’altro giorno sei uscita di casa per… per andare da Fabio?” le ricordò. La rossa ricollegò subito quel giorno al test, e rabbrividì, innervosendosi.

Sì, perché?” s’informò, ora un po’ meno a suo agio.

Tu mi avevi detto che andavi dal tuo ragazzo, ma eri strana e io… io non ti ho creduto” ammise. Una strana sensazione iniziò a farsi largo nella mente di Rea, che si irrigidì. “Vuoi vedere che era così strana solo perché…

E ti ho seguita” confessò. Abbassò gli occhi un istante, poi li rialzò su di lei, ferita.

Che ci facevi tu da sola con Jason?” le domandò gridando. La ragazza sospirò, poi sorrise.

Era solo per questo che tu non mi hai praticamente rivolto la parola negli ultimi giorni?” chiese sollevata. Emma la guardò stupita.

Come? Che intendi? Rispondi alla domanda!” esclamò confusa.

Non esco con il tuo fidanzato, se è questo che mi stavi dicendo” le assicurò con la sua espressione più rassicurante.

Che cosa? E perché eri con lui, allora?” la aggredì. Lei rise nervosamente, poi distolse lo sguardo.

Mi ha aiutata a fare una cosa” rispose criptica.

E cosa mai dovevi fare per chiedere aiuto a lui?” continuò a indagare. A quel punto Rea strinse le labbra come faceva quando non voleva confessare una cosa.

Beh, in realtà… mi serviva un… un…” non riusciva nemmeno a dirlo senza Fabio vicino che la sosteneva. Arrossì violentemente e Emma si arrabbiò.

Lo vedi che il vostro era un appuntamento? Stai cercando una scusa per mentire!” la accusò. Lei alzò lo sguardo.

Che cosa? No, non è vero! Chiedilo anche a Fabio, che sapeva che io dovevo andare con Jason in città” ribatté. La mora si bloccò.

In città? Che diavolo dovevate fare in città?” chiese. La rossa rimase zitta, e lei continuò a infierire.

Siete andati in un motel e avete consumato lì? O avete fatto un giro per le strade mano nella mano? Io mi fidavo di te, non puoi avermi tradito così! Sei meschina!” la accusò, sull’orlo delle lacrime. Non resistendo più, Rea si alzò e batté una mano sul tavolino.

Smettila! Non dovevo andare ad un appuntamento con Jason. È tuo, è solo tuo, e io non te lo ruberei mai! Sei un’idiota se  lo credi sul serio. Io dovevo comprare una cosa in farmacia” esclamò.

Questa è la scusa più stupida che tu potessi trovare! Anche qui c’è una farmacia, lo sai benissimo perché la farmacista è nostra amica. Perché andare in città?” domandò. La sorella sospirò sconsolata.

Perché, ovviamente, qui non potevo comprarlo o sarebbero andati a dirlo a mamma e papà. La verità è che io ho rischiato di essere… di essere incinta” ammise a denti stretti. La mora rimase allibita, in silenzio.

Scusa non ho capito bene” disse.

Mi serviva un test di gravidanza, ok? E l’unico che poteva portarmi a comprarlo era Jason, perché non avrebbe parlato. Sarebbe dovuto venire anche Fabio con noi, ma era malato e non si è potuto muovere di casa. Contenta ora? Io non ti toglierei mai dalle braccia il fidanzato” le assicurò imbronciata. Emma sentì sciogliersi il nodo che aveva avuto nello stomaco per tutto quel tempo e rise di gusto.

Meno male, temevo che, per avere delle risposte, avrei dovuto guardare di nuovo il tuo diario segreto” ammise. Un attimo dopo si maledisse, e Rea sgranò gli occhi.

Che significa di nuovo?” le chiese. Lei agitò una mano per smorzare la tensione.

Niente, figurati” rispose minimizzando. Sua sorella perse un battito quando comprese.

Tu hai… hai letto il mio diario segreto?” domandò con un tono di voce ferito.

Ma no! Cioè, forse un pochino lo abbiamo letto, ma solo per capire di cosa avevi bisogno” si scusò.

ABBIAMO?” gridò la rossa. Sentì le lacrime pungerle agli occhi.

N-no, non abbiamo, ho… io…” Emma si mise a balbettare e cercò di inventare sul momento una ragione per quello che aveva detto, ma non riuscì a dire niente che convincesse l’altra.

Siete… siete entrate in camera mia e avete tolto il mio diario… i miei segreti… non è possibile…” sussurrò distrutta.

Dovevamo farlo! Tu non ci dicevi niente, Fabio era disperato, io e Laura non sapevamo come aiutarti e questo era l’unico modo” spiegò.

Merda” pensò il secondo dopo, quando si accorse di aver confessato anche per gli altri tre.

 

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Capitolo 29
*** Fa male… ***


 

Fa male…

 

Era praticamente chiusa in camera da tre giorni. Cellulare spento, porta chiusa, finestra sbarrata e mp4 sempre nelle orecchie per evitare di sentire il mondo fuori. Usciva di lì solo per mangiare e per andare a scuola. Non riusciva quasi nemmeno a parlare da quanto stava male e si rifiutava di avere contatti con chiunque non fossero i suoi genitori. Per qualche motivo si era categoricamente rifiutata di parlare anche con Johan.

In classe stava taciturna da una parte e non rispondeva se Emma, Laura o Fabio la chiamavano; faceva il suo e poi tornava a casa. Era diventata una specie di ombra, un ricordo lontano di sé stessa.

Tutti e quattro avevano provato, in un modo o nell’altro, a parlarle, ma lei li fissava vuota e rimaneva in silenzio, per poi andarsene quando avevano finito di inventare scuse senza senso. Tanto a che serviva ascoltarli? Erano solo parole al vento.

Inoltre, come se tutto ciò non bastasse, una mattina aveva scoperto che il quaderno che aveva prestato a Fabio, quello con il suo romanzo finito, ce l’avevano Maria, Matilde e Ginevra.

Era in bagno, chiusa in un cubicolo a cercare di calmarsi, a cercare di fermare le lacrime, quando le aveva sentite parlare.

“Siamo sicure che non sia qui?” aveva chiesto Maria.

“Sì, non ti preoccupare. L’ho vista in classe cinque minuti fa a piangere” la rassicurò Ginevra.

“Comunque secondo me è stata una bastardata togliere quel quaderno dalla sua cartella. Non penso che siano affari nostri” provò a dire Matilde. A quelle parole Rea aveva allungato un orecchio ed era rimasta immobile, cercando di non fare rumore.

“Ma via, non facciamo niente di che! Stiamo solo curiosando. E poi, se devo essere sincera, a me i segreti non piacciono. Comunque ce l’ho qui, vediamo che scrive nei suoi appunti” disse la seconda. Lei iniziò ad avere dei dubbi, una specie di sensazione tremenda che partiva dalle viscere. “No, no, no, ti prego…

Prendi le mie mani. Questo avrebbe voluto urlare Chiara, fragile bambina che cadeva in un abisso infinito. Questo voleva gridare ai suoi genitori, che non si accorgevano del dolore oscuro che l’aveva completamente inglobata; questo voleva gridare ai suoi amici, che continuavano a vivere la propria vita senza rendersi conto che lei si stava trasformando, giorno dopo giorno, in un essere indefinito e silenzioso. Proprio questo voleva diventare: un’ombra che cammina tra la gente, che si mimetizza e scompare senza lasciare traccia sulla terra, che viene risucchiata nelle viscere più profonde del mondo per farsi dimenticare, per non dare più fastidio a quelli che non la sopportavano, per non dover più sentire tutto il rumore al di fuori di sé che spesso la faceva stare male. E provava a estraniarlo, a non ascoltarlo, a non udire l’urlo di dolore delle persone che le stavano attorno e che gridavano per la rabbia, la tristezza, la gioia, facendo un chiasso assordante, rimbombante e terribilmente doloroso. Prendete le mie mani e fatemi rialzare, vi prego. Questa la sua minuscola ma rumorosa richiesta di aiuto” lesse Ginevra. Rea voleva vomitare.

“A me non starà molto simpatica, però devo ammettere che sono parole belle” disse Maria.

“Forse un po’ troppo sofferenti, per i miei gusti. Ma andiamo! Chi è che vive una vita schifosa in questo modo, al giorno d’oggi?” chiese Matilde.

Io” rispose la rossa, prendendo tutto il coraggio che aveva in corpo. Tutte e tre si immobilizzarono nel vederla uscire dal cubicolo con gli occhi gonfi e le mani tremanti.

E se ti crea qualche problema il mio dolore, sono cavoli tuoi. Restituitemi. Il. Mio. Quaderno” ordinò. Ginevra le passò il blocco.

“Senti, non volevamo frugare…”

Nella mia roba? Ah, scusa, allora questo è finito nelle vostre sudice manine solo per sbaglio. O, magari, ci è volato da solo” la bloccò. I suoi occhi mandavano fiamme, ma la sua voce era precisa e calcolata.

“Scusaci” dissero all’unisono. Rea le sorpassò, poi si voltò a guardarle, ferita ma orgogliosa.

Scusaci un cazzo. Tre stronze come voi non dovrebbero leggere certe cose non perché sono private, no, ma perché siete così oche e impegnate a far vedere quanto siete belle e troie che sono parole scritte al vento per voi. E non lo potete capire che significa star male perché le vostre teste sono talmente piene di voi che non c’è spazio per altro. Avete la profondità emotiva di una forchetta da dolce. Ma non ve ne importa niente, giusto? Dovevate frugare, farvi gli affari miei e poi prendermi pure in giro. La sapete una cosa? Volete conoscere me? Benissimo: il mio ragazzo è uno stronzo, le mie sorelle anche di più, sono rimasta sola e devo affrontare i prossimi sei mesi di studio senza uno straccio di amico; mi odio; non faccio che piangere e piangere, giorno dopo giorno, perché non ricordo più né mia mamma né mio papà, e non sopporto di non riuscire a focalizzare i loro visi nella mia mente; mi nascondo da tutta una vita da persone orrende come voi e come i vostri stupidissimi amici e, come se non bastasse, non appena decido di fidarmi di una persona, questa decide di farmi soffrire. Avete bisogno di altro? Adesso sfottetemi quanto volete, non me ne importa un accidente delle vostre stronzate” urlò.

Se ne andò dal bagno lasciandole lì, basite e in silenzio, poi si mise a correre a più non posso fuori dalla scuola con le lacrime agli occhi e le gambe tremanti. Voleva solo scomparire dalla faccia della terra e non tornare più, farsi inglobare dalla strada e morire lì.

Si chiuse la porta di casa alle spalle e crollò sul pavimento, sfinita, piangente e tremendamente stanca. Era scappata da scuola; si era appena tirata dietro l’ira delle tre peggiori vipere del globo terrestre; non aveva nessuno con cui parlare per fare in modo di sfogarsi.

Fa male… questa solitudine che sento nel cuore mi strazia… che devo fare? Non mi è rimasto nemmeno un amico, nessuna persona da cui andare… provo una pena tremenda” pensò. Si trascinò in camera, dove si chiuse, e rimase seduta in terra in stato comatoso per delle ore prima che sua madre arrivasse a bussare. Ormai era buio e lei non si era nemmeno resa conto che la stanza aveva bisogno di luce.

“Rea, tesoro, stai bene? Mi hanno chiamata da scuola per dirmi che sei scappata. Che cos’è successo?” le chiese attraverso la porta. A quelle parole le lacrime, che pensava fossero ormai finite, ripresero a cadere incessanti, facendola singhiozzare forte.

“Rea?” chiamò di nuovo la donna.

Vai via, mamma, ti prego. Non voglio vedere nessuno” la implorò a bassa voce. Probabilmente lei non la sentì, perché continuò a picchiare sulla porta cercando di farla uscire di lì.

Vattene!” gridò infine, distrutta.

Va’ via di qui e non mi chiamare più!” le ordinò in malo modo. Sua madre rimase basita di fronte al suo tono.

“Ma tesoro, è ora di cena, dovrai mangiare qualcosa…”

Non ho fame. Adesso lasciami stare” rispose. E, per la prima volta, la donna comprese e se ne andò.

Se ne andò sentendo anche lei un certo dolore al cuore per sua figlia, per quella bambina che aveva accolto in casa sua. Non la poteva abbandonare, non poteva lasciarla sola di nuovo. Anche se ammetterlo le faceva male, lei lo sapeva perché non riusciva a rapportarsi con gli altri. Lo sapeva… e non poteva farci niente.

 

 

Probabilmente era notte fonda quando Rea decise di alzarsi e andare a prendere da bere. La casa era completamente in silenzio, e le luci erano tutte spente. Magari si erano dimenticati di lei e tutti continuavano a vivere la propria vita senza pensarla… e, magari, adesso poteva morire in pace. Era quello che voleva, decise infine: sparire completamente. Forse così tutto quel dolore sarebbe scomparso. C’era una canzone che lo diceva. “E l’occhio ride ma ti piange il cuore... Sei così bella, ma vorresti morire... Sognavi di essere trovata, su una spiaggia di corallo una mattina dal figlio di un pirata: chissà perché ti sei svegliata? E il mondo ride se mi piange il cuore...  Sei così bella, ma vorresti sparire, in mezzo a tutte queste facce, come se con te sparisse anche il dolore, senza lasciare tracce!”

Ma le piccole gocce salate che bagnarono le sue mani le fecero capire che non era vero, non voleva quello. Non voleva andarsene, voleva superare la sofferenza, riuscire a non essere sola almeno per una volta. Avere la forza per perdonare quelli che la facevano star male… ecco cosa voleva.

Mamma… papà… dove siete? Mi sento così sola… sto tanto male…” sussurrò. E non parlava dei suoi zii, no… stava parlando con i suoi veri genitori, quei due che l’avevano abbandonata per primi, che per primi se n’erano andati senza dirle niente. Era sempre stata sola, in fin dei conti. Era sempre stata costretta a farcela da sola, a contare sulle proprie forze senza chiedere niente a nessuno. Ma era così stanca. Perché avevano dovuto frugare tra i suoi segreti e farle questo? Perché rubarle i quaderni? Che idioti. Che stupidi.

Si sedette al tavolo e mise la testa tra le mani, cercando un modo per stare meglio, qualcosa che riuscisse, forse, a toglierle un po’ di dolore.

E poi capì. Capì che un posto dove quella sofferenza poteva essere indebolita esisteva. Era l’unico che poteva farla star meglio.

Si alzò e uscì di casa, prendendo solo il giacchetto e infilandosi le scarpe con il pigiama.

 

 

La mattina dopo, la prima che si alzò fu la signora Stevens, che mise la moka a scaldare e poi andò a svegliare le figlie. Prima si diresse da Laura, che non voleva alzarsi. La donna vide le matite e i pennarelli sparsi sulla scrivania e capì che aveva fatto le ore piccole disegnando.

“Forza, devi andare a scuola. Muoviti” la spronò sorridendo.

Altri cinque minuti” la implorò la bionda, coprendosi la testa.

“Se quando torno non ti sei ancora alzata uso il secchio d’acqua” l’avvertì, aprendo le finestre e facendo entrare il sole nella camera.

Poi andò da Emma, che aveva tenuto la musica nelle orecchie tutta la notte. Sapeva che le figlie stavano facendo del loro meglio per non pensare a quanto si sentivano in colpa nei confronti della sorella, e quello era il loro modo di esternare il dolore, ma questo non la faceva comunque stare meglio. Anzi, se possibile, era quasi peggio così.

“Tesoro, è mattino” la chiamò, scuotendola lievemente.  La ragazza aprì un occhio e sbadigliò.

Di già?” chiese assonnata.

“Sì. Forza, devi prepararti” le disse. Lei si sedette sul letto e si stirò, iniziando piano, piano a svegliarsi.

Rea e Laura sono già in piedi?” s’informò.

“Più o meno sì” rispose sua madre.

Ok, mi vesto e arrivo

La signora Stevens uscì e si diresse alla camera dell’ultima ragazza. Bussò un paio di volte alla porta, ma era chiusa dall’interno e non rispondeva nessuno.

“Rea? Rispondi” le ordinò, ma non ebbe nessun riscontro. Iniziò a preoccuparsi.

“Ehi, svegliati!” gridò, in preda al panico.

Mamma, qualche problema?” le chiese Laura, arrivando in corridoio. Emma la seguì poco dopo.

“Non mi risponde!” esclamò.

Starà dormendo. Aspetta, vado a vedere dal giardino” la rassicurò la bionda, mettendosi un paio di ciabatte e uscendo nel mattino freddo.

Rea? Su, è giorno fatto!” la chiamò col tono più solare che riusciva a fare. Quando si affacciò alla finestra, però, si congelò: nella stanza non c’era nessuno.

Rientrò di corsa, col cuore in gola.

Non è in camera!” esclamò. Sua madre e sua sorella sgranarono gli occhi.

“Non è possibile” sussurrò la donna, mettendosi a cercarla in tutta la casa.

Mezz’ora dopo la ragazza non era stata trovata, e lei si accasciò a tavola.

“Non ci credo, se n’è andata” disse, sull’orlo delle lacrime.

Mamma, aspetta a preoccuparti, intanto chiamo Johan e Fabio, poi vediamo che fare. Tu non farti prendere dal panico” la spronò Emma. La donna annuì in silenzio e lasciò che fossero le figlie ad occuparsi di tutto. Non aveva la forza di alzarsi da lì.

 

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Capitolo 30
*** Cercare Rea ***


Cercare Rea

 

I signori Stevens passarono tutta la mattina a fare telefonate a destra e manca per cercare la figlia, ma nessuno sapeva niente. Laura, Johan, Fabio e Emma erano usciti e si erano divisi, setacciando da cima a fondo tutto il paese, ma non ottennero risultati. Rea era scomparsa.

A nessuno dei sei veniva in mente un possibile posto in cui la ragazza potesse essere andata per rifugiarsi, e nemmeno Jason, che li raggiunse appena poté, fu di qualche aiuto. Sembrava scomparsa nel nulla.

“Cosa possiamo fare?” chiese la madre, disperata, camminando per la cucina senza riuscire a tranquillizzarsi.

“Per avvertire la polizia dobbiamo aspettare ventiquattro ore, altrimenti non è considerata sparizione, quindi non possiamo muoverci fino a domani mattina” ragionò suo marito, sospirando.

I ragazzi erano in stato catatonico, non riuscivano a parlare. Se ne stavano seduti sul divano ad aspettare una telefonata, colpevoli di averle causato tanto dolore. Non erano nemmeno in grado di comprendere appieno la cosa e rendersi conto che lei era scomparsa per causa loro.

Dovevamo dirle tutto subito” sospirò, sconsolato, Fabio.

Secondo te sarebbe cambiato qualcosa? Quella testona, se possibile, si sarebbe arrabbiata anche di più” commentò Laura. Teneva la mano del suo fidanzato stretta nella sua e cercava un motivo per calmarsi.

Ma forse potevamo cambiare qualcosa, ammettendo subito la colpa! E poi, nonostante sapessimo quanto stava male perché si sentiva abbandonata, ferita e delusa, nella nostra arroganza abbiamo peggiorato la situazione. Penso che se ne sia andata e con ragione” ragionò il ragazzo, prendendosi la testa tra le mani. Emma, che era rimasta zitta fino a quel momento, sbottò.

Certo, infatti! È colpa nostra se lei è un’idiota, vero? E’ colpa nostra se le piace farsi del male! Dall’inizio non faccio che pensare a quanto sia stupido che lei creda di essere stata sempre sola e abbandonata, visto che ha noi, ma non fa altro che essere compatita e compresa! Peggio per lei!” gridò.

Sua madre arrivò dalla cucina e le dette uno schiaffo in pieno viso, con le lacrime agli occhi. La ragazza rimase basita da quel gesto inaspettato, ma vide la rabbia negli occhi della donna e non ribatté.

“La stupida sei tu, Emma” le disse. Alzò lo sguardo per puntarlo nel suo.

“E’ normale che si senta abbandonata! Non ci hai mai pensato, vero? Non hai mai riflettuto sul fatto che lei è un’orfana, che i suoi genitori sono morti quando aveva quattro anni e che è sola da allora! Non lo sai, vero, che significa perdere qualcuno di così prossimo? Io me la ricordo la piccola Rea in lacrime che veniva da me durante la notte e piangeva disperata perché mamma e papà l’avevano abbandonata. E io che tentavo di non piangere, di farle vedere che andava tutto bene, e di tranquillizzarla perché no, non era vero che loro l’avevano lasciata lì per volontà, se n’erano andati perché l’aveva voluto qualcun altro. E come glie lo spieghi, a una bambina di quattro anni, che i genitori sono morti? Lo sai cosa significa? Io sento la mancanza di mia sorella ogni giorno, figurati lei” le spiegò. Emma si toccò la guancia, poi si mise a piangere disperata, gettandosi tra le braccia della madre.

Lo so!” ammise in lacrime.

Lo so che ha sempre sofferto, e non dovevo dire niente, dovevo stare zitta, così non avrebbe provato più dolore di quanto non ne provi da sola, ma non sono riuscita a pensare, non volevo! Non volevo che piangesse ancora, che pensasse di nuovo di essere sola. È colpa mia” disse. La donna l’abbracciò, stringendola forte.

“Si aggiusterà tutto” le promise. Anche Laura si avvicinò a loro, tremando, e si unì a loro. Era un dolore comune, quello di aver perso Rea, e insieme, forse, potevano sopportarlo meglio.

 

Mezz’ora dopo nessuno aveva ancora dato notizie della ragazza. Fabio sapeva che c’era un dettaglio che gli sfuggiva, qualcosa di evidente ma che non riusciva a vedere. Eppure era così semplice.

Entrò in camera sua e si guardò intorno: i vestiti erano sulla sedia; il letto era completamente fatto, segno che non aveva assolutamente dormito; i suoi quaderni erano sparsi sulla scrivania, come sempre, e un libro di poesie era aperto in terra, con il segno su una pagina tutta piegata. Prese in mano il volume e lesse.

 

Non sto pensando a niente

Non sto pensando a niente,
e questa cosa centrale, che a sua volta non è niente,
mi è gradita come l'aria notturna,
fresca in confronto all'estate calda del giorno.

Che bello, non sto pensando a niente!

Non pensare a niente
è avere l'anima propria e intera.
Non pensare a niente
è vivere intimamente
il flusso e riflusso della vita...
Non sto pensando a niente.
E' come se mi fossi appoggiato male.
Un dolore nella schiena o sul fianco,
un sapore amaro nella bocca della mia anima:
perché, in fin dei conti,
non sto pensando a niente,
ma proprio a niente,
a niente...

- Fernando Pessoa

 

Da quando in qua leggi Pessoa?” le chiese, ipoteticamente. Rimise a posto il libro, chiudendolo per bene e appoggiandolo sul letto, poi si sedette alla scrivania e sfogliò distrattamente le pagine, senza leggerle sul serio. Non gli importavano più i suoi segreti, ormai. Aveva solo peggiorato le cose nel voler entrare a tutti i costi nella sua vita, lo sapeva benissimo. Vide una poesia scritta a mano da lei sul diario.

Dieci cose che odio di te –dal film era il titolo.

Odio il modo in cui mi parli. E il tuo taglio di capelli.
Odio il modo in cui guidi la mia macchina. Odio quando mi fissi.
Odio I tuoi stupidi anfibi. E il modo in cui leggi la mia mente.
Ti odio talmente tanto che mi fa star male - E mi fa anche scrivere poesie.
Odio il modo in cui hai sempre ragione. Odio quando menti.
Odio quando mi fai ridere - ancora peggio quando mi fai piangere.
Odio quando non ci sei. E il fatto che tu non abbia chiamato.
Ma la cosa che odio di più è il fatto che io non riesca a odiarti - nemmeno lontanmente, nemmeno un po', proprio per niente.

E, subito accanto, un suo appunto. “Stupido Fabio!” sorrise nel leggere ciò, e rise di gusto nel pensarla che scriveva quella frase. Per un istante gli parve che fosse lì. “Lo vedi, a fare di testa tua? Io ti avevo avvertito di non ferirmi, idiota!” gli avrebbe detto col suo tono arrogante e arrabbiato. Gli mancava. Gli mancava più di quanto avrebbe mai potuto ammettere, più di quanto avrebbe mai potuto pensare. Lo sentiva nelle ossa.

Dove sei?” le chiese. E poi, sfogliando il diario la trovò. Trovò quel tassello mancante che aveva avuto davanti tutto il tempo. La prese e corse in cucina.

 

 

“Non è possibile” disse la signora Stevens, allontanando il foglio.

Sì, invece. Ecco dov’è, lei è qui” continuava ad affermare Fabio con convinzione.

“Ma non ha senso! Non è mai voluta venire con noi per non piangere” lo contraddisse il padre.

Pensate che potrebbe stare peggio di come sta già?” domandò retoricamente.

“No, però è comunque strano” ammise la madre.

Ascoltatemi, se ragioniamo come ragiona lei non è così strano. Rea sta male, e tutti sappiamo che il suo dolore principale, anche se non lo ammette, viene da qui. Viene da questo momento particolare della sua vita, che lei ha vissuto come qualcosa che non le appartiene davvero. E, dato che tutto parte da qui, da quest’avvenimento, è qui che lei è andata a ritrovare le risposte. Qui l’ha riportata la sua vita” spiegò. Si guardarono tutti confusi, poi la donna annuì.

“Ok, va bene, ammettiamo che sia come dici tu. Come facciamo per riportarla a casa? Lei se n’è andata di sua spontanea volontà, non credo che sia disposta a tornare così semplicemente, altrimenti sarebbe già rientrata” domandò.

Noi non faremo proprio un bel niente. Siete voi a doverci parlare, signora Stevens. Lei e suo marito, o anche solo uno dei due. Se c’è qualcuno che può capirla e aiutarla, siete solo voi due” le rispose. I due si guardarono preoccupati, ma sapevano che quel ragazzo aveva ragione.

Sospirò e si alzò.

“Va bene, ma se non la troviamo nemmeno lì cosa possiamo fare? Dove possiamo cercare?” chiese. Fabio le mise una mano sulla spalla.

Ci penseremo poi, ma io sono sicuro che lei è lì ad aspettare qualcosa. O qualcuno, non so. Forse sta solo cercando le risposte che le servono per sorridere di nuovo, o forse sta pensando a come fare per essere felice, ma io sento che lei è lì. E l’unica che può aiutarla è lei” le assicurò. La donna lo abbracciò forte.

“Sei un caro ragazzo, non importa ciò che Rea pensa. E sono sicura che perdonerà tutti voi, una volta fatta chiarezza nella sua vita” gli disse.

Lei e il marito si misero i cappotti e uscirono di casa, infilandosi nel freddo di gennaio. Lanciarono la macchina a tutta velocità sulla strada, per poi parcheggiare in malo modo davanti al gigantesco cancello di ferro. L’uomo prese la mano alla moglie.

“Spero che stia bene” ammise. Lei sorrise.

“Sono certa che sta bene, come sono certa che tornerà a casa con noi” lo tranquillizzò.

“E se non volesse? Ha diciotto anni e può decidere di andarsene” chiese preoccupato.

“Non lo farà. Sa di essere amata come e più di Laura e Emma, sta solo passando un momento in cui non regge più il dolore che ha in corpo. Ha bisogno di piangere fino allo sfinimento, stavolta con qualcuno che l’ascolti e la conforti. È di questo che nostra figlia ha bisogno” affermò convinta.

“Però lei non si considera nostra figlia” ribatté l’uomo. La signora Stevens lo guardò dritto negli occhi.

“Non mi interessa ciò che pensa, ciò che dice o ciò che fa, Rea è, è stata e sarà sempre mia figlia. L’ho promesso a mia sorella, che mi sarei presa cura di lei fino alla morte, e non intendo venir meno alla promessa fatta. Era il nostro patto di sangue: l’una per l’altra, ora e per sempre. E so che ciò che vorrebbe Valeria non è che noi lasciamo sola quella bambina che amava tanto” lo sgridò. Lui sospirò.

“Hai ragione, tesoro” ammise, baciandola lievemente. Si strinsero le mani.

“Sei pronto?” gli chiese la donna, sentendo il cuore battere forte. L’uomo annuì.

“Andiamo a riportare a casa nostra figlia” le rispose, varcando il cancello.

 

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Capitolo 31
*** Il sogno ***


 

Il sogno

 

I piedi di Rea si erano mossi da soli, lei non si rendeva quasi conto di dove stava andando. Era notte fonda, ma non aveva paura come al solito, perché, se anche le fosse successo qualcosa, non le importava. Ormai non le importava più di nulla, voleva solo trovare un modo per stare meglio.

Probabilmente era troppo presto, perché i cancelli erano ancora chiusi e non c’era nessuno nei dintorni, così si sedette sul muretto del marciapiede e attese. Faceva freddo e si strinse nel pesante giacchetto che aveva addosso. Non era l’ideale avere solo quello e il pigiama indosso a gennaio e, soprattutto, alle sei del mattino. Nemmeno il sole era ancora uscito fuori, figuriamoci.

Rimase in attesa quasi un’ora, sentendo le ossa congelarsi e la gola dolere. Forse non era stata una buona idea, in fin dei conti.

Il guardiano arrivò intorno alle sette, e sgranò gli occhi quando la vide.

“Non sei mai venuta” la salutò. Lo conosceva, per caso?

Come scusi?” chiese confusa. L’uomo le prese il viso e la guardò.

“Sapevo che prima o poi saresti arrivata. Lo avevo detto a tua zia” le spiegò. Pareva sapere chi lei fosse.

Ma mi conosce?” s’informò la ragazza, leggermente preoccupata. Il signore annuì gravemente.

“Io mi ricordo di te” rispose, lasciandola andare. Aprì un piccolo casotto e vi entrò, per poi uscirne con una coperta in mano.

“Sei congelata, mettiti questa” le disse, coprendole le spalle. Rea era stupita da tanto calore, ma non proferì parola.

“So perché sei qui, quindi seguimi” le ordinò. Non aveva senso, tutto questo non aveva nessun senso, ma la ragazza era stanca e affaticata, e non ce la faceva a controbattere.

Le pietre, alla luce della lanterna del guardiano, erano spettrali. “Bel gioco di parole” commentò la sua testa. Le parole incise sopra di esse brillavano quando loro passavano, evocando nomi di persone scomparse. C’era un senso tremendo di morte e nostalgia, lo si poteva quasi toccare con mano.

“Le tombe sono quelle” le indicò l’uomo, illuminando due lastre di marmo nero. Sopra c’erano le foto dei suoi genitori, sorridenti e spensierati. Vivi. Le venne da piangere a vederli lì, in quelle due piccole cornici bianche un po’ consumate dalle intemperie.

Si inginocchiò di fronte alle lapidi e lesse la scritta. Era la stessa per entrambi.

Qui riposano Valeria e Francesco. Amici validi, genitori stupendi e persone meravigliose. Con tutto l’affetto di questo mondo pronunciò Rea ad alta voce.

“Tua zia viene qui ogni settimana a cambiare i fiori” la informò il guardiano, indicandole i due vasi di rose che riposavano placidi vicino alle foto. Erano così belle che stonavano in quel posto.

Può lasciarmi sola?” gli chiese la ragazza, guardandolo supplicante.

“Sei hai bisogno vieni pure a cercarmi, io sono qui vicino” le rispose lui, andandosene.

Una volta rimasta sola, lei si mise a piangere.

Mamma… papà…” sussurrò con voce tremante. Dio, quanto gli mancavano. Erano un pezzo del suo cuore che si era staccato ed era rimasto lì, sepolto nel marmo. Come mai loro per primi l’avevano abbandonata? Non era giusto che una bambina di quattro anni rimanesse sola così, da un giorno all’altro.

Si sentì mancare il respiro e il cuore iniziò a batterle forte in petto. Forse stava morendo. Era il posto migliore, in fin dei conti, un cimitero. Ma non voleva. Nonostante pensasse di voler far terminare quel dolore che la stava consumando dall’interno, non voleva assolutamente morire. Doveva combattere contro sé stessa per riuscire ad arrivare almeno dal guardiano, ma non riusciva ad alzarsi in piedi.

Aiuto…” sussurrò. Strinse i denti e, con tutta la forza che aveva in corpo, aprì la bocca.

Aiutatemi!” esclamò, sperando che l’uomo la sentisse e andasse da lei. Fu l’ultimo sforzo che riuscì a fare prima di accasciarsi sulla tomba di sua madre.

 

 

Riconosceva il posto in cui si trovava. Era la sua vecchia casa, quella in cui era stata per i primi anni della sua vita. E lei era in camera sua, sdraiata nel piccolo letto rosa e bianco in cui, tante volte, aveva ascoltato sua madre cantare le ninnananne per lei. Strano però… si ricordava che fosse molto piccolo, adatto a una bambina di quattro anni. Va bene, non era proprio enorme, a diciannove anni era piuttosto piccina, ma non era possibile stare così larghi in una brandina per infanti.

Si mise a sedere e si guardò intorno, per capire come mai tutto fosse esattamente della stessa misura di allora, e gridò quando si vide riflessa nello specchio.

“Oddio mio!” esclamò. Si toccò i capelli, lunghi e sottili, e si guardò le mani, piccole e affusolate. Che diavolo, non aveva i capelli lunghi da decenni! Ormai li portava poco sotto alle spalle, non più fino a fine schiena come allora.

“Ti sei svegliata” osservò una voce dalla porta. Lei sobbalzò e si voltò spaventata.

Ma… mamma?!” chiese stupita. Era proprio lei: i capelli neri corti fino al collo; gli occhiali celesti che contornavano le iridi color nocciola, più chiare delle sue; il maglione azzurro che la faceva sembrare piccolissima al suo interno e i pantaloni rossi che cozzavano tremendamente con la maglia, ma che a Rea erano sempre piaciuti perché erano suoi, e profumavano di lei.

La donna annuì sorridendo, a aprì le braccia per accoglierla quando Rea si precipitò ad abbracciarla.

Mamma, mamma, mamma…” continuava a ripetere. Le arrivava a mala pena alla pancia, ma la stringeva forte anche se aveva solo quattro anni ed era minuscola. Non voleva più lasciarla andare.

Mamma, ho fatto un sogno terribile! Ho fatto un incubo” le disse piangendo. La donna la allontanò e si inginocchiò di fronte a lei.

“Come sei bella, tesoro mio” le rispose. La ragazza non capì quella risposta.

“Immagino che tu veda una bambina di quattro anni, vero?” le chiese sua madre, sorridendo. Lei annuì.

“Oh, piccola mia. Quanto mi sei mancata” esclamò, abbracciandola ancora.

Rea non fece domande, ma pianse aggrappata al suo collo, in silenzio.

“Ciao amore” disse un uomo, arrivando dal corridoio. Lei sgranò gli occhi e si allontanò da Valeria, che si asciugò una lacrima e la spinse verso di lui.

Papà!” esclamò la rossa, stringendo anche Francesco. Erano lì, c’erano sul serio: i suoi genitori erano vicini a lei e la stavano abbracciando, le stavano sorridendo davvero. E lei piangeva, di felicità, perché era stato tutto un sogno, lei non era un’orfana, ma aveva un padre e una madre biologici, non li aveva perduti mai.

Dopo un tempo infinito in cui tutti e tre erano rimasti in silenzio, la donna fissò il marito.

“Rea, tesoro, ci sei mancata tanto” le disse, asciugandole le guance rosee.

Ma non mi sono mossa! Però ho avuto un incubo tremendo!” ribatté lei, tirando su col naso. I due si guardarono un attimo, poi si inginocchiarono a terra per essere alla sua altezza.

“No, amore, non è così” la corresse il padre. La ragazza non capì.

Sì, è così. Io ho sognato che voi eravate morti, che io rimanevo sola e che zia e zio mi adottavano. Però stavo tanto male e volevo morire…” spiegò, sentendo formarsi un groppo in gola.

“Piccola mia, devi aver sofferto così tanto” commentò sua madre. Qualche lacrima scese dai suoi occhi, ma se le asciugò subito e tornò a sorridere.

“E ci dispiace davvero molto” aggiunse il marito, abbracciandola di nuovo. Rea si allontanò bruscamente e li guardò con gli occhi sgranati, scuotendo la testa.

No, non dovete dire così. Voi siete qui, era un incubo, non… non è successo sul serio” balbettò in preda al panico.

“Questo è un sogno, amore. Solo un sogno” le spiegò sua madre.

No! No, non lo è! Io non ho sofferto, voi non siete mai morti… io ho quattro anni…” si mise a piangere, disperata e triste.

Questo non è un sogno” sussurrò, sperandoci sul serio.

“Ci dispiace, Rea. Ci dispiace che tu abbia provato tanto dolore, e ci dispiace che tu sia rimasta sola così giovane, siamo così tristi nel pensare che hai affrontato gli ultimi quindici anni senza di noi” disse il padre. Lei si tappò le orecchie.

Non voglio sentire! Voglio che questa sia la realtà, che sia tutto vero!” gridò. Però sapeva benissimo che non era così, che tutto ciò era solo una sua fantasia. Loro erano stati strappati al suo abbraccio da un incidente, e non poteva negarlo nemmeno volendo.

Ma non lo è, giusto?” sussurrò poi, abbassando le mani. Alzò gli occhi su di loro, su suo padre e sua madre, e le lacrime le annebbiarono la vista quando loro annuirono.

Capisco” disse semplicemente. Rimase in silenzio a fissare la sua immagine riflessa nello specchio, e si sentì morire: era tutto come allora. Tutto quanto come quindici anni prima, dal suo corpo alla sua stanza. Ma era tutto finto, era tutto solo una stupidissima immaginazione della sua mente.

Quindi cos’è questo? C-come mai voi siete qui?” domandò, arrabbiata. Valeria le mise una mano sulla spalla e la fece voltare verso di sé.

“Tesoro, sei stata tu a volerci. Anche se non te ne sei resa conto, anche se hai rifiutato, in tutti questi anni, di ammettere di soffrire per noi. Questa è tua, vero?” le passò la lettera che aveva scritto il mese prima, e Rea la prese con le dita tremanti.

Voi mi avete abbandonata…” balbettò, ferita e triste. Lanciò il figlio in terra, poi li fissò.

Perché ve ne siete andati? Perché mi avete lasciata sola? Non volevo questa vita, non volevo che voi mi lasciaste, non volevo che zio e zia diventassero i miei genitori. Io volevo voi, volevo solo voi! Ma non ci siete stati… e mi siete mancati così tanto da stare male, da desiderare di raggiungervi in qualche modo. Perché dobbiamo separarci ogni volta?” gridò isterica. Se quello era un sogno avrebbe dovuto svegliarsi, lo sapeva, ma non voleva lasciarli ancora.

“Non è così” le assicurò il padre.

“Noi non avremmo mai desiderato lasciarti, e penso che tu lo sappia benissimo. Tu ci sei stata strappata via con una tale forza che non ce ne siamo nemmeno accorti, ma non ti abbiamo mai abbandonata, nemmeno una volta, nemmeno per un secondo. C’eravamo, sai? Quando sei andata per la prima volta alle elementari… quando, di notte, canticchiavi le ninnananne di quando eri bambina… quando scrivevi sul tuo quaderno i tuoi primi romanzi, e anche quando hai incontrato Fabio. Ci siamo sempre stati” le raccontò, con un sorriso malinconico sul viso immutato.

Ma io volevo abbracciarvi! Avrei voluto che tu, papà, mi stringessi quando tornavo a casa con un brutto voto, e che la mamma mi assicurasse che sarebbe andato tutto bene anche quando pensavo di non farcela… era questa la vita che volevo” ammise tra le lacrime. Si sentiva piccola davvero, adesso.

“Però avevi mia sorella e suo marito” le ricordò Valeria, sorridendo. Rea la fissò.

Ma non sono voi. Loro sono i miei zii, non sono voi. E Laura e Emma non sono mie sorelle, sono le mie cugine. Questa è la verità, questa è la realtà dei fatti. Io sono un ospite in quella casa” confessò.

“Non è vero” la rimproverò Francesco.

“Loro ti hanno amata come se tu fossi sul serio una Stevens. Come se tu fossi sul serio figlia loro, parte integrante della famiglia. E anche quando pensavi di essere sola, si sono mossi tutti per aiutarti, per non lasciarti cadere nel buio della tua disperazione. Pensaci un secondo: per quanto sbagliato, Emma e Laura si sono esposte per capire di cosa avevi bisogno per sorridere ancora” le fece presente. Ed era vero, Rea lo sapeva, ma scosse comunque la testa.

Io non voglio tornare là” disse semplicemente. Entrambi i suoi genitori sorrisero.

“Piccola mia, la vita non è semplice, questo è vero. E lo so come ci si sente a sperare di morire, per non soffrire più, per calmare quel vuoto che si ha nel petto. Non puoi capire quanto io lo abbia chiesto quando avevo la tua età. Ma ora so che non è così che funziona. Tu potresti tranquillamente toglierti la vita, questo lo sappiamo. Il tuo grido di dolore ha raggiunto anche noi. Però non faresti altro che fare del male a quelli che ti amano” la sgridò sua madre.

Io non ho qualcuno che mi ama. Le persone di cui mi sono fidata mi hanno tradita… Fabio mi ha delusa… sono sola senza di voi!” ribatté.

“E mia sorella? Suo marito? Emma e Laura ne soffrirebbero come pazze, lo sai. Se te lo diciamo noi che morire non è la soluzione migliore, devi fidarti. Non sai quanto ci sentiamo male per averti lasciata laggiù, Rea, non te ne rendi nemmeno conto. Tu eri la ragione della nostra vita, il motivo per cui sorridevamo, la bambina che tanto avevamo cercato e amato, e siamo stati portati via con violenza inaudita. Non sappiamo nemmeno dove siamo, qui, ma possiamo starti accanto nonostante tutto, e tanto ci basta. Ti abbiamo voluto così bene che non puoi nemmeno immaginare, e ti abbiamo donato questa vita che tu adesso odi, ma non devi. La vita non si odia, non si deve odiare mai, perché un giorno può capitare che ti venga tolta senza che tu abbia finito di viverla, e non sai come rimediare. Io so che questo lo capisci, perché sento che in cuor tuo sai che abbiamo ragione. Ti prego, ti imploro, non buttare al vento la tua vita” le disse sua madre. Rea si sentì tanto meschina, tanto cattiva nei confronti di tutti, che cadde a terra inginocchiata.

Mi dispiace” sussurrò, singhiozzando. Sentì il caldo abbraccio dei suoi genitori e rimase ferma fino a quando le lacrime non furono asciugate, fino a quando il pianto non lasciò spazio solo a una grande stanchezza.

Mi sento… strana…” ammise. Le forti braccia di suo padre la presero in braccio e la fecero sdraiare sul letto, coprendola con la sua profumata coperta rosa.

“Sai, sei diventata una ragazza splendida. E ci manchi sempre. Ma ricordarti che siamo con te, sempre e comunque. Non dimenticarlo mai” la salutò, scomparendo lentamente.

No, non andartene” sussurrò lei, allungando una mano.

“Siamo qui, tesoro. Non ti abbandoniamo” le promise sua madre, lasciando un dolce bacio sulla fronte.

Mamma… papà…” li chiamò, ma gli occhi le si chiudevano, e la sua stanza stava lentamente sparendo.

Vi voglio tanto bene….” li salutò, svenendo subito dopo.

 

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Capitolo 32
*** Racconti ***


 

Racconti

 

Stavolta aprì gli occhi in un luogo che non conosceva. Era una piccola catapecchia di legno, che puzzava di muffa e di vecchio.

Dove sono?” chiese.

“Ben svegliata, piccola Simons. Era l’ora che tu riprendessi conoscenza” la salutò il guardiano del cimitero. Rea sentì il cuore battere forte.

Come mi ha chiamata?” gli chiese. Erano secoli che non sentiva quel nome, l’aveva quasi dimenticato.

“Tu sei la figlia di Valeria e Francesco, giusto? La piccola Rea Simons. Mi ricordo di te, anche se non posso dire che tu ti ricordi di me” rispose. Era vero, lei non aveva idea di chi quell’uomo fosse e di come mai la conoscesse tanto bene, però, per qualche ragione, non ne era spaventata.

Lo osservò per bene: i suoi capelli radi erano bianchi, e il viso era stanco e rugoso. Aveva le mani tremanti e la postura non del tutto dritta, e il respiro faticoso di chi fuma molto ed ha, ormai, una certa età.

L’ho mai vista?” domandò la ragazza, cercando di focalizzarlo per bene. Lui rise malinconico.

“Oh sì, tesoro mio. Ma eri così piccina e indifesa che non mi stupisce che tu non mi riconosca” le rispose, mettendo a bollire un pentolino.

E quando? Come fa lei a sapere chi sono io?” continuò a chiedere.

“Avevi quattro anni ed eri così carina nel tuo vestito nero con il pizzo. Avevi i capelli legati in due codini ai lati della testa e tenevi stretta la mano di tua zia. Non piangevi nemmeno, mi ricordo che guardavi distrattamente la fossa in cui due tombe di legno stavano per essere messe e tirasti la sua gonna, indicandole, e chiedesti a lei come mai mamma e papà andavano via” raccontò. Rea sgranò gli occhi.

Lei era qui?” si stupì.

“Bambina, io lavoro qui da trent’anni. Ho visto passare da queste parti persone di ogni genere: famiglie distrutte dalla perdita di un figlio; uomini morti in solitudine al cui funerale non viene nessuno; vecchi che, arrivati alla fine della loro vita, se ne vanno in silenzio per non disturbare. Ma tu eri la prima che vedevo che rimaneva senza entrambi i genitori, che nemmeno aveva l’età giusta per capire cosa stesse succedendo. Mi sembravi così alienata, in mezzo a tutti quegli adulti che non facevano che piangere, che ti presi con me e ti portai qui” disse. La ragazza chiuse gli occhi e cercò di ricordare quella mattina, ma non ci riusciva: aveva davanti solo il momento in cui sua zia le aveva detto che l’avrebbe presa con sé.

“Ti detti un po’ di torta al cioccolato, e ti feci rimanere qui fin quando gli invitati al funerale non se ne furono andati. Sembravi non accorgerti di dove fossi e di cosa stesse succedendo

Davvero è successo tutto questo?” gli domandò Rea. L’uomo annuì.

“Sì, e tu mi dicesti una cosa buffa. Mi dicesti certo che mamma e papà sono strani. Martedì mi hanno detto che tornavano per cena e mia zia stamani diceva che non torneranno più. Pensavo che la vacanza sarebbe durata di meno” le raccontò, ridendo. La ragazza ricordava quelle parole, non le erano nuove.

E’… è vero… e lei mi rispose che non erano in vacanza, che semplicemente si erano trasformati. Adesso, invece che starti vicini e abbracciarti, ti seguiranno dall’alto, mi disse

“Sì, proprio come due angeli bellissimi” ammise il guardiano.

E io le risposi che agli angeli non avevo mai creduto. Non importa, loro saranno con te anche se non li vedrai. E un giorno, forse, potrai rivederli, aveva ribattuto” si ricordò infine.

“Esatto, piccola Simons. Provavo una tale pena a pensare che tu, così giovane, fossi rimasta orfana, e volli dirti qualcosa che ti aiutasse a non stare male. Dopo non ti ho più vista. Tua zia è venuta ogni settimana a portare i fiori sulla tomba della sorella, e ogni volta piangeva disperata. Quanto sente la mancanza di Valeria. Ogni volta mi dice che, guardando te, vede la sua sorellina, vede lo stesso sguardo dolce ma aggressivo che aveva lei. E dice che sei stata una benedizione, perché tu l’hai fatta andare avanti dopo che lei è morta” spiegò. Spense il pentolino e mise in due tazze l’acqua calda, aggiungendoci, poi, due bustine di tè.

“Prendi questo. Non so quanto tu sia stata fuori casa al freddo, ma mi sei sembrata piuttosto congelata” le disse. Rea prese la bevanda e si scaldò, tenendola tra le dita infreddolite.

Grazie” rispose. Rimasero in silenzio per un po’, ognuno perso nei propri pensieri.

La zia stava male, per il fatto che io non l’accompagnassi?” chiese infine la ragazza.

“Non le faceva piacere che tu perdessi il ricordo dei tuoi veri genitori, ma sapeva che era la cosa giusta per te. Tu sei sempre risultata molto matura per la tua età, o almeno così mi dice lei, e tutti sanno che ciò che decidi per la tua vita è ciò che è giusto per te. Lei ha sempre rispettato il tuo modo di porti davanti al dolore” spiegò. Rea si sentì cattiva per aver pensato di essere sola al mondo, e le veniva voglia di scappare da lì e tornare a casa. Casa… cavolo, da quanto tempo mancava di casa?

Devo rientrare!” esclamò all’improvviso, scendendo dalla brandina. Il guardiano la fissò.

“Scusa, non ho capito” ammise.

Che ore sono?” domandò la ragazza.

“Le quattro e mezzo, più o meno” rispose. Lei sbiancò.

Del… del pomeriggio?” chiese. L’uomo annuì.

Sono uscita di casa dodici ore fa! I miei si saranno preoccupati! Cavolo, sono un’idiota” spiegò, infilandosi il cappotto.

Aspetta, ragazzina. Fuori fa freddo, e presto sarà buio. Se hai pazienza di aspettare un’ora ti ci riporto io” la fermò lui, prendendola per un braccio. Rea s’immobilizzò, combattuta, però poi pensò che tanto ormai aveva fatto il danno, quindi tanto valeva prendere la palla al balzo e non rimanere fuori a meno due gradi in pigiama.

Ok, va bene” accettò.

 

 

I signori Stevens cercarono la ragazza in tutto il cimitero, ma non la trovarono. Si divisero, anche, per riuscire ad avere una possibilità in più di ritrovarla, ma non ci riuscirono. Alla fine, quando tornarono a casa, erano disperati e scoraggiati.

Laura e Emma li aspettavano trepidanti, preoccupate e speranzose.

Allora? Dov’è Rea?” chiesero non appena i genitori furono in casa. Loro si guardarono e scossero sconsolati la testa, guardandole affranti.

Non è possibile!” esclamò Fabio, arrabbiato.

“Noi abbiamo guardato ovunque, ma lei non era lì” spiegò la madre, sedendosi sul divano, distrutta. Il ragazzo s’infuriò.

Sono certo che sia andata là! Me lo sento” ribatté.

“Probabilmente ti sei sbagliato. Apprezziamo il tuo aiuto, ma, purtroppo, anche questa traccia è svanita” gli disse il padre. Non era plausibile, che Rea non fosse al cimitero.

Scusatemi” salutò uscendo di casa. Si mise a correre e nemmeno lui sapeva come mai. Semplicemente correva verso di lei, verso la sua ragazza.

 

 

Comunque è stato molto gentile, sul serio. Grazie per avermi accudita” stava dicendo la rossa al guardiano mentre lui chiudeva i cancelli.

“Figurati, piccola Simons” minimizzò lui. Lei strinse le labbra e ci pensò su un attimo.

Senta, posso chiederle un favore?” domandò.

“Certo, dimmi”

Io… io non sono una Simons da quindici anni ormai. E, per quanto questo mi faccia soffrire, devo lasciar andare quella me stessa. Per cui, se non le è troppo difficile, potrebbe chiamarmi piccola Stevens o… o solo Rea?” lo pregò imbarazzata. L’uomo rise e annuì.

“Non preoccuparti, me ne ricorderò” le assicurò. L’ultimo lucchetto scattò, e il cimitero cadde nel più profondo silenzio.

Mette i brividi” commentò la rossa, tremando. Il sole, ormai, era caduto oltre l’orizzonte, e il vento le sferzava i capelli.

Sa quanti gradi sono?” s’informò, cercando di scaldarsi con le mani.

“Meno tre, meno quattro, più o meno. Non preoccuparti, piccola Sim… ehm, piccola Stevens, tra poco ti riporto a casa” le rispose rassicurante. Lei sorrise e si strinse il cappotto addosso.

Salirono sul furgoncino bianco dell’uomo e rimasero fermi per qualche minuto.

“Posso fartela io, ora, una domanda?” le chiese il guardiano. La ragazza annuì.

“Perché sei scappata di casa? Come mai sei venuta qui proprio adesso?” s’informò. Rea si rabbuiò.

Mi sono… mi sono successe delle cose, negli ultimi giorni. Cose che mi hanno fatto perdere completamente la bussola. Non vedevo più né chi ero né cosa volevo, così mi sono interrogata e ho pensato che qui potevo trovare delle risposte. Loro… i miei genitori io non li ricordavo più e avevo bisogno di vedere una volta ancora i loro volti. Per cui sono uscita dalla mia stanza, mi sono messa le scarpe e il giacchetto e sono corsa qui. Il resto lo sa” raccontò, sorridendo.

“E adesso hai trovato ciò che cercavi?” indagò l’uomo. Rea sospirò.

Non lo so. Ho capito sicuramente che non posso vivere così. Ho bisogno di altro dalla mia vita e da me stessa. Sa, può sembrarle strano, ma prima, quando ero svenuta… io li ho visti, mamma e papà” confessò, arrossendo. Si sentiva una scema a dire una cosa simile.

Erano preoccupati per me e per quello che sto facendo. E avevano ragione” ammise. Il guardiano rimase zitto e aspettò sorridendo.

Io non… non devo rimanere attaccata a loro. Sono e rimarranno i miei genitori e io li vorrò accanto per sempre, ma… ma non ci sono più. Lo so fin troppo bene. E, anche se io, in questo momento, vorrei solo morire per tutto il dolore che sto provando, io devo… devo vivere. Me l’hanno regalata loro, la vita, e non posso sprecarla a piangere” comprese. L’altro rise forte.

“Sai, comprendere che devi tenere stretta con le unghie e con i denti la vita mentre sei in un cimitero è una cosa piuttosto insolita, anche se non del tutto incomprensibile. Sei una ragazza strana, piccola Stevens, ma mi piace il tuo modo di pensare. Non tutti sarebbero fuggiti alle quattro del mattino per andare a trovare delle tombe, in pigiama per giunta” commentò. Anche lei fu contagiata da quella risata, e, tra le lacrime, riuscì a sentire quel peso tremendo che la soffocava evaporare dal suo cuore e dissolversi nell’aria.

In quel momento iniziò a piovere, e il parabrezza fu appannato dalle gocce d’acqua.

“Strano, le previsioni del tempo non davano temporali, in giornata” disse il guardiano.

A gennaio non è così strano, giusto? Anzi, è quasi assurdo che non nevichi” rispose Rea. Misero in moto i tergicristalli e liberarono il vetro dalla pioggia.

“Chi è quel matto?” esclamò l’uomo, indicando qualcuno davanti al cancello. Stava gridando qualcosa, ma con il rumore dell’acquazzone che rimbombava sulla macchina non sentivano.

Ehi! Ehi, tu!” gridò il signore, affacciandosi dal finestrino.

La figura si voltò e si avvicinò.

Deve aprirmi il cancello, devo trovare una persona” disse. Rea sgranò gli occhi.

Fabio?” chiese stupita. Il ragazzo la mise a fuoco e sospirò di sollievo. Fece il giro della macchina e aprì la portiera, tirandosi la ragazza addosso e abbracciandola senza dire niente.

Lo sapevo che eri qui” sussurrò solamente.

 

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Capitolo 33
*** Forse un giorno… ***


Forse un giorno…

 

Quando aprì la porta di casa e la varcò, zuppa e tremante, Rea fu circondata dalla sua famiglia, che l’abbracciò e la coccolò per un po’.

Molto umilmente, lei si spostò indietro e li guardò uno ad uno.

Scusatemi, non volevo andarmene” disse imbarazzata. Sua madre la strinse forte.

“Non mi interessa, quel che conta è che tu sia tornata da noi” la tranquillizzò.

Vedere che c’erano tutti le fece tremare il cuore: Laura, Emma, i suoi genitori, Johan, Jason e… e Fabio. Si era autoinvitato in macchina del guardiano del cimitero e si era fatto portare lì, per poi scortarla fino all’ingresso, quasi temesse che fuggisse di nuovo via. L’aveva abbracciata e tenuta stretta a sé per un tempo indescrivibile, senza parlare, senza quasi respirare. Si erano staccati solo quando l’uomo aveva fatto loro presente che erano molli come pulcini e li aveva fatti salire al riparo. A quel punto li aveva riportati a casa.

Adesso il ragazzo stava in disparte, aspettando di poter salutare tutti e tornare dai suoi. Aveva decisamente bisogno di dormire.

“Tu…” lo chiamò la signora Stevens. Lui si spaventò e sobbalzò.

Sì?” rispose.

“Tu me l’hai ritrovata” disse tremante, abbracciandolo. Fabio rimase fermo mentre la donna lo stringeva, e sorrise dentro di sé al pensiero che, forse, una giusta l’aveva fatta.

 

 

Un paio d’ore dopo Rea era sdraiata nella vasca da bagno con l’acqua calda che le arrivava al collo. Sentì il gelo nelle ossa sciogliersi e sospirò appagata. Meglio di così non c’era niente, decisamente.

Qualcuno bussò alla porta, ma lei era troppo impegnata a godersi il suo bagno per rispondere. Bussarono ancora, stavolta più insistentemente, e lei gemette.

Fatemi dormire!” mugolò.

Dalla porta apparvero Laura e Emma, entrambe con un’espressione piuttosto dispiaciuta sul viso. La ragazza aprì un occhio, ma non si mosse.

Possiamo… ti possiamo parlare?” le chiesero, sedendosi a terra.

Adesso?” ribatté lei, sentendo il relax scomparire poco a poco.

Prima è, meglio è” commentò la mora. Rea si sedette più composta e sospirò sconsolata. Addio bagno in pace.

Ditemi tutto” concesse. Si coprì pudicamente il corpo con la schiuma del sapone per non far vedere le proprie rotondità e le fissò incuriosita.

Noi… noi volevamo chiederti scusa” iniziò la bionda, guardando altrove.

Sì, per tutto quello che è successo” continuò l’altra.

Non volevamo farti del male, non volevamo che tu soffrissi per causa nostra! Eravamo in buona fede quando abbiamo preso i tuoi quaderni” giurò Laura.

L’unica cosa che stavamo cercando di fare era darti una mano per farti smettere di piangere. Stavi male e non sapevamo cosa fare per aiutarti, così Fabio ha avuto l’idea di leggere ciò che scrivevi per vedere se potevamo trovare qualche indizio e capire ciò che volevi. Non eravamo in cattiva fede!” affermò Emma. Rea aspettò che entrambe avessero finito con le scuse, poi trattenne una risata e immerse la testa nell’acqua. Le sue sorelle si fissarono senza capire.

Ehi, tutto ok?” chiese la bionda.

Lei alzò all’improvviso il capo schizzandole entrambe e riempiendole di schiuma e ridendo come una matta nel vedere le loro facce attonite.

Mamma mi ammazzerà, però non potevo non farlo!” esclamò.

Sei diventata un po’ scema, per caso?” domandarono le due all’unisono.

No, no, lo sono sempre stata! È troppo divertente essere un po’ scemi” rispose.

Ok, è ufficiale: ti sei bevuta il cervello” decise Emma. Rea sorrise, poi tornò seria.

Lo so che non avete mai voluto ferirmi, l’ho capito, sapete? Ma ci sono dei momenti in cui ho preferito non ammettere che mi volevate bene e mi è tornato più comodo vedere solo quello che mi andava. Ho perdonato tutti voi, e sono riuscita, in qualche modo, a perdonare anche me stessa” spiegò.

In che senso?

Sapere che non volevate farmi male ma vedere solo il pianto che avevo sprecato a causa vostra era semplice e ho pensato di essere sola al mondo. Voi mi avevate tradito, Fabio mi aveva delusa, Johan lo sapeva… essere da sola è stato molto semplice. Voi siete sempre state qui anche quando io non lo riconoscevo e anche mamma e papà… io devo smetterla di comportarmi come se tutte le disgrazie fossero mie, e forse, un giorno, accetterò tutta me stessa senza problemi. Anche questa parte di me masochista e inconcludente ha il suo valore, e quando l’avrò trovato non soffrirò più senza motivo” raccontò. E lo pensava davvero, ciò che diceva. Pensava ad ogni singola parola che la sua bocca aveva pronunciato. Infine, sorrise e si asciugò una lacrima.

Quindi sono io che devo chiedere scusa a voi per come mi sono comportata. Non ve lo meritavate” concluse. Emma e Laura si guardarono per un secondo, poi si buttarono su di lei e la infilarono con la testa sott’acqua.

Troppa serietà non ti si addice!” risero, prendendola in giro. E andava bene così, andava bene che loro non la prendessero sul serio. Questo le andava bene.

 

 

Alla fine aveva capito come avevano fatto a rintracciarla. Fabio, come suo solito, aveva frugato tra le sue cose e aveva trovato la lettera per sua madre, così da ricollegare i tasselli e capire che era al cimitero. Quell’idiota. Quante volte avrebbe dovuto dirgli che non doveva mettersi a cercare nella sua roba? Probabilmente fino allo sfinimento.

Ma era il suo bello, quello. Lui fin dall’inizio era entrato nella sua vita senza che lei lo volesse, con prepotenza, con forza, con violenza, fino a lasciarla senza fiato. Era questo il motivo per cui l’amava. Ed era questo il motivo per cui, adesso, lei era a casa sua, con una tazza di cioccolato davanti, a parlargli.

Aveva deciso di affrontare la questione un paio di giorni prima, quando era tornata a scuola. Dopo la ramanzina infinita di Jason, che si era preoccupato quanto le sue sorelle, aveva capito che non poteva più continuare a comportarsi da bambina viziata ed egoista, e aveva fatto una lista di cose da cambiare. La prima di tutte, il suo rapporto con Fabio.

Non sarà una cosa semplice da dirti” lo avvertì, sorridendo mesta. Il ragazzo rimase in silenzio ad aspettare.

Ecco, so di essermi comportata male. Anzi no, male è un eufemismo. Sono stata una stronza, una perfetta idiota che non ha fatto altro che fuggire di fronte ai suoi sentimenti per te. E ti ho fatto soffrire tanto, continuando a ferirti anche quando tu non te lo meritavi. Per questo mi scuso, e ti chiedo di perdonarmi, se puoi” iniziò.

E poi voglio anche ringraziarti per essermi venuto a cercare al cimitero. Hai continuato a credere che io ero lì anche se gli altri non mi avevano trovata, hai corso sotto la pioggia pur di raggiungermi, e ti sei quasi preso una bronchite per me, quindi grazie, mille volte grazie per il tuo aiuto” continuò. Si bloccò e si rigirò la tazza tra le mani, esitando.

C’è altro?” le chiese il ragazzo. Lei annuì.

I-io… io ho deciso di cambiare, Fabio. Di cambiare me stessa e questo mio carattere tremendo che mi ritrovo. Questo volermi fare male sempre e comunque non ha fatto altro che nuocere chi mi sta intorno e chi mi ama, la mia famiglia, i miei amici… tu… e non voglio più ferire nessuno. Per questo ho parlato con i miei genitori, e abbiamo deciso che è meglio per me se mi allontano per un po’ e vedo se riesco ad essere più matura quando torno” rispose. Lui si sentì morire.

Che significa? Te ne vai?” domandò.

Sì. Mia nonna si è offerta di ospitarmi, e starò da lei per i prossimi sei mesi, nei quali studierò per prendere il diploma in città. Una volta che avrò terminato gli esami, però, tornerò” spiegò. Sorrise, cercando di trasmettergli quanto più calore poteva, e trattenne una lacrima che minacciava di scendere.

Devo riuscire a capire ciò che di meglio c’è per me, e devo riuscire a farlo nonostante tutto. Non mi sto allontanando da voi, ma devo vedere la mia situazione con più obbiettività, e qui non posso farlo. Grazie a te ho capito che io voglio scrivere, che voglio che questa diventi la ragione della mia vita, quindi ho bisogno di riuscire a prendere coraggio e farmi avanti nella mia vita

E non puoi farlo qui?” le chiese.

No. Se non me ne andassi continuerei ad aggrapparmi a voi, e questo è sbagliato. Devo riuscire a trovare la mia strada senza dipendere da nessuno, né dalla mia famiglia né da te. Voglio essere felice nonostante tutto e tutti, per poi tornare ed essere una Rea migliore, che sorride sempre ed è appagata da ciò che ha. Ho perso fin troppo tempo a nascondermi dietro ad un dito, e questo non va bene assolutamente” rispose. Fabio sentiva le sue parole, ma non ne prendeva il senso.

Quindi sei qui per dirmi addio” comprese. La ragazza rise forte, poi scosse la testa.

Mi dispiace, sono forte ma non fino a questo punto” disse.

E allora perché sei venuta?” la aggredì.

Sono qui per chiederti un favore” spiegò. Lui rimase basito e la fissò.

Un favore?” ripeté.

Sì. Non so se mi ci vorranno cinque mesi soli o qualcosa di più per tornare, ma sicuramente entro settembre sarò di nuovo qui. L’ho promesso a me stessa, e non mi tirerò indietro. Per cui, in questo lasso di tempo in cui saremo separati, ti prego di… di aspettarmi” lo implorò. Sentiva le guance infiammate per quella domanda, e aspettò col cuore che batteva forte una risposta da parte di Fabio.

Ma lui rimase zitto a guardarla. I loro occhi si incrociarono per un tempo infinito prima che si alzasse e la andasse vicino.

Tu. Sei. Matta” esclamò, fissandola intensamente. Rea si sentì morire.

O-ok, scusami… non pensavo fosse una richiesta tanto assurda, mi dispiace” disse. Sorrise per mascherare quella piccola fitta di dolore al cuore e si alzò.

Allora non preoccuparti. Ci rivedremo presto, ok?” lo salutò. Fabio la fermò per un polso e la abbracciò, tenendola stretta proprio come aveva fatto quando l’aveva trovata al cimitero.

Non me lo dovevi nemmeno chiedere di aspettarti, l’avrei fatto comunque. Sarò qui, proprio dove mi lasci” le promise. Alla ragazza caddero un paio di lacrime di felicità, e lo strinse a sua volta, poi rise e tirò su col naso.

Mi ero ripromessa di non piangere, ma non ce l’ho fatta” ammise divertita. Si allontanò da lui e lo fissò riconoscente.

Giuro, entro settembre sarò di nuovo a casa. Questi mesi passeranno prima che tu te ne renda conto” promise.

Senza di te saranno eterni, ma, se ti serve per essere felice, non ti fermerò” ribatté sorridendo.

Rea fece per uscire di casa, poi si voltò allegra.

Ah, mi sono dimenticata una cosa” annunciò, tornando indietro.

Cosa?” chiese lui, senza capire. La ragazza si sporse sulle punte e gli dette un bacio, per poi staccarsi lentamente.

Non mi tradire ora, ok?” lo minacciò con gli occhi divertiti.

E tu non dimenticarti di me” la rimbeccò. Lei si mise il cappotto e poi gli strizzò l’occhio prima di andarsene.

Non preoccuparti, non accadrà. Purtroppo io ti amo, e questo mi impedisce di scordarti” gli assicurò, chiudendosi la porta alle spalle. Fabio ci mise un po’ a interiorizzare quelle parole.

Che cosa?!” esclamò una volta capito. Corse in strada e si guardò intorno per cercare di vederla, ma ormai era sparita e non poteva andarle dietro. Fece un gigantesco respiro.

Rea, ti amo!” gridò in mezzo alla via. Una signora che passava di lì sobbalzò a quell’urlo e lo fissò male, ma lui rideva come uno scemo e non se ne curò.

Tornò in casa e accese la tv.

Adesso doveva trovare qualcosa da fare per i sei mesi successivi.

 

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Capitolo 34
*** E adesso? ***


E adesso?

 

Rea si trasferì un paio di giorni dopo. Uscì di casa sorridendo, cercando di nascondere le lacrime, e salì in macchina della nonna senza guardarsi indietro.

Quando avrò il diploma tornerò e andremo insieme all’università” aveva promesso alle sue sorelle. In realtà, Emma e Laura non avevano ben capito cosa fosse successo o come mai lei stesse andando via, ma non avevano chiesto niente e avevano deciso semplicemente di sostenerla.

E così, senza che se ne rendesse conto nessuno, passarono tre mesi.

Le due Stevens avevano continuato a studiare senza sosta per gli esami, una in un modo e una in un altro.

Emma faceva sessioni infinite di ritiro in casa di Jason, alternando baci e amore a crisi isteriche.

Non so nulla, non so nulla, non so nulla, non so nulla!” ripeteva ininterrottamente. L’uomo ringraziava di amarla e la sopportava, in qualche modo, senza strozzarla.

Posso ripeterti un’altra volta il programma di chimica?” gli chiese un pomeriggio, dopo tre ore di lettura del programma.

Ancora? Ma lo sai a memoria” le rispose, disperato, il professore. Era steso sul divano, arreso, ormai, alla sua furia isterica.

No, non so nulla!” ripeté la ragazza, disperata. Era sull’orlo di una crisi nervosa, e si vedeva benissimo. Jason, allora, la tirò con sé sul divano e la baciò profondamente.

Tranquillizzati, amore” le disse. Emma mise il broncio e si appoggiò con la testa al suo petto.

Ho paura. Manca un mese all’inizio degli esami e mi sembra di non aver studiato abbastanza. Inoltre temo che le persone possano pensare che io sono avvantaggiata perché sto con te” ammise. L’uomo sgranò gli occhi.

Ma se non lo sa nessuno!” esclamò. La mora sospirò.

Siamo bravi, ma non così bravi. C’è chi lo sa, purtroppo, anche se siamo stati attentissimi” lo riprese, dandogli un buffetto sul naso.

Bene, la mia vita professionale è andata a farsi benedire” si auto compianse il professore.

Ma va’! Nessuno vorrebbe danneggiarti, sei troppo amato tra gli studenti. Solo il fatto che ti presenti col nome e non con il cognome ti fa amare” gli assicurò.

Speriamo” ribatté Jason.

La ragazza posò un dolce bacio sul suo mento e poi sorrise.

Ti sei messo il dopobarba che ti ho regalato per Natale?” gli chiese.

Forse” rispose lui, vago. Risero entrambi.

Comunque i programmi li sai, i concetti pure. Quale è il problema? Perché tanta ansia?” indagò il professore.

Perché non mi posso permettere di sbagliare. Se c’è una cosa di cui sono sicura e di cui sono sempre stata sicura è ciò che voglio fare dopo il liceo, e io voglio diventare una dottoressa. Non posso assolutamente passare la maturità con meno di ottanta punti su cento. Per cui devo essere perfetta” spiegò sconsolata.

Davvero vuoi entrare a medicina?” si stupì l’uomo.

Sì. È l’unico sogno che ho da sempre. Sono una ragazza volubile, e cambio idea spesso, ma questo è rimasto con me da quando ero piccola” confessò.

Ho capito

Jason le baciò i capelli, poi sorrise.

Significa che mi fai fare gli straordinari, quest’estate?” le domandò. Emma lo guardò senza capire.

In che senso?

Sa, signorina Stevens, io sono un professore di matematica laureato in fisica e chimica. Quindi posso aiutarla. Ma, naturalmente, il mio aiuto ha un prezzo” spiegò malizioso. La mora si sedette a cavalcioni su di lui.

E quale è questo prezzo?” gli chiese.

Non saprei. Tu che mi offri?” s’informò lui, lasciandosi baciare.

Il libro di chimica cadde a terra mentre Emma rispondeva a modo suo.

 

 

Laura e Johan, intanto, erano impegnati a fare altro. Tipo passare interi pomeriggi a guardare i cartoni animati giapponesi in televisione. Ogni tanto alla bionda veniva in mente che le sue sorelle l’avrebbero uccisa se avessero saputo che non facevano niente di più particolare, ma evitava di pensarci per non sentirsi una stupida.

Un pomeriggio di inizio giugno erano sui libri da un’ora quando il ragazzo sbuffò e si alzò.

Basta, facciamo una pausa” disse. Lei non poteva essere più d’accordo di così, e lo seguì il salotto, dove si sedettero abbracciati a guardare la tv.

Rimasero in silenzio per un po’, ridendo quando succedeva qualcosa di divertente. Laura si sentiva stranamente nervosa. Era la prima volta che sentiva il cuore battere all’impazzata solo stando vicina a Johan da quando si erano messi insieme otto mesi prima.

Qualche problema?” le chiese lui, vedendo il suo disagio.

Eh? No, no!” si affrettò a rispondere, ridendo isterica. Il ragazzo la fissò senza farsi convincere.

Davvero? Sembri preoccupata” notò.

Nooo, figurati!” minimizzò. Lui rimase fermo e guardarla con i suoi occhi azzurri come il mare, perforandola quasi. Erano sempre stati così profondi?

C-che c’è?” domandò la bionda, imbarazzata.

Dimmi che problema hai” le ordinò.

Nessuno” assicurò, continuando a diventare sempre più rossa. E fu quello a tradirla.

Vedendo che era imbarazzata, Johan capì che c’era qualcosa che lei non aveva detto, e la bloccò con le mani dietro la testa e il volto vicinissimo al suo. Laura, che non se l’aspettava, sentì il cuore volarle in gola e sgranò gli occhi.

Mi dici che ti prende oggi?” ripeté il biondo per l’ennesima volta. Lei non riusciva più a pensare, più nemmeno a respirare. Quello era il suo incubo: quella era una posizione tremendamente sensuale e provocante. E non era sicura di riuscire a controllare la situazione.

Non è nulla, ti dico!” ripeté sicura. Il ragazzo si avvicinò ancora e mise le mani sui suoi fianchi per fermare qualsiasi suo tentativo di fuga.

Sei certa? Perché mi sembri terrorizzata da me” sussurrò Johan sulle sue labbra. Lo era. Era terrorizzata davvero. Ma quanto era invitante quella situazione, però!

Al cento per cento” assicurò, baciandolo. Il ragazzo si appoggiò sui palmi per evitare di schiacciarla, ma non si mosse, anzi cercò di approfondire quel contatto e passò le labbra sul suo collo. Laura rabbrividì.

Fermo” disse. Lui alzò il viso e la guardò.

S-scusa, se non vuoi…” rispose mesto. Si allontanò da lei arrossendo e si irrigidì.

No, non volevo dire… non è che non… insomma, non è che non ti voglio!” cercò di rimediare la ragazza.

Non importa, va bene così” le assicurò, sorridendo tristemente.

No che non va bene!” ribatté lei. Ecco il discorso che le faceva paura. “Dai, puoi farcela” si spronò.

L-la verità è che… insomma, io ho un po’ di… di…” balbettò. Il respiro non era più regolare da un pezzo, ormai, ma non importava.

Non hai mai fatto…?” le chiese. Lei scosse la testa.

Ma vorresti…?” domandò di nuovo. Stavolta lei annuì.

Allora vieni con me” decise Johan, prendendola per una mano. E Laura lo seguì senza dire una parola.

 

 

Tu cosa farai dopo il liceo?” le chiese il ragazzo, accarezzandole un braccio.

A me piace disegnare” disse vaga. Il biondo le lanciò un’occhiataccia.

Ti ho chiesto cosa farai, non cosa ti piace fare ora” le fece presente.

Farò medicina, credo” rispose. Non ci credeva nemmeno lei in quello che diceva, si vedeva lontano un chilometro.

Sei sicura?” insistette.

Sì. Perché?” s’informò lei.

Da dove partire? A scuola non era una cima, intanto. Poi lei odiava tutte le materie scientifiche. Inoltre tutti sapevano che lei avrebbe voluto fare la mangaka, era risaputo. Infine nessuno, e non lo pensava per cattiveria, sarebbe mai andato da un dottore come lei. Quando parlava sembrava un po’ sciocca, non dava molta sicurezza alle persone per quanto riguardava la sua affidabilità.

Niente, così” minimizzò Johan, lasciando cadere il discorso.

E se non entrassi vorrei fare la veterinaria” continuò Laura. Pure?

Qualcosa di non scientifico?” domandò il ragazzo.

No, niente” negò lei. Però sospirò nel dire questa frase, segno che non era assolutamente vero. Come mai non diceva la verità? Perché non ammetteva di non voler fare scienze all’università?

Se tu dovessi decidere così, su due piedi?” s’informò. La bionda ci pensò un attimo.

Forse disegnerei. Mi piacerebbe tanto, mi ci diverto” rispose.

E perché non lo fai comunque?

Perché non dà un lavoro. Cioè, se disegno nessuno mi assicura che troverò lavoro, per cui tanto vale buttarsi nella medicina” spiegò.

Ah

E tu? Che farai?” indagò, ora, lei.

Probabilmente studierò letteratura o filosofia. Mi piacerebbe tanto diventare professore” rispose sorridendo.

Davvero? Non pensavo che ti piacesse l’italiano” esclamò Laura.

Già, infatti i miei nove sono regalati” la rimbeccò lui. La ragazza rise.

Scusa, è vero” ammise. Rimasero abbracciati ancora un po’ prima di decidere di rivestirsi e tornare in cucina per studiare.

Una volta di nuovo sui libri, però, Johan non riuscì a concentrarsi. Continuava a pensare alle sue parole e al fatto che era una cosa triste che non seguisse i suoi sogni per puro interesse finanziario. Era squallido.

Quando la salutò e si chiuse la porta alle spalle si rese conto che l’unica persona che avrebbe voluto sentire al momento era Rea. Aveva bisogno di sentire le sue parole di conforto e qualche consiglio per aiutare Laura. Ma lei non c’era ormai da più di tre mesi, e ne sentiva tremendamente la mancanza. Però non ce la faceva a resistere, voleva un po’ di conforto. In fin dei conti aveva rispettato il suo volere fin troppo, ora era il momento di infrangere la promessa e chiamarla.

Non era mai stato uno che rispettava le decisioni degli altri, tutto sommato, pensò sorridendo.

 

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Capitolo 35
*** Paura ***


 

Paura

 

Pronto? Chi parla?

Indovina!

Johan? Perché mi hai chiamato con lo sconosciuto?

Non sapevo se mi avresti risposto, così ho preferito non rischiare

Vedo con piacere che ti fidi di me. A te avrei risposto, sei il mio migliore amico, non ti chiuderei mai il telefono in faccia, razza di idiota

Ahahahah, meglio così. Allora? Come te la passi?

Bene. Gli esami sono alle porte e studio parecchio

Stai parlando con me, non con tua madre

Ok, sinceramente? Mi sono impegnata a scrivere e ho finito il mio libro. Praticamente non ho nemmeno ricontrollato il programma scolastico e tra venti giorni abbiamo la prima prova. Sono nel panico più totale e non so come fare

A questo credo di più. Quindi tra poco torni?

Entro un mese e mezzo. Però non dirlo a nessuno, voglio fare una sorpresa

Bocca cucita. Lo sai che non dico mai niente di ciò che mi dici tu

Hai ragione, però per sicurezza facciamo come solito, ok? Un segreto…

Va bene, lo so. E, infatti, ti avevo chiamata per un’altra ragione

Sul serio? Raccontami

Si tratta di Laura, e temo che ci vorrà un po’

Mi metto comoda

 

 

Cosa posso fare per aiutarla?

Niente

Come niente?

Il punto è questo: lei è una testona. Io l’ho sempre vista disegnare, fin da quando era bambina, e non credo che vorrebbe mai fare altro. Però teme di non essere all’altezza delle aspettative di mamma e papà se non fa qualcosa che lei considera, forse, più dignitoso. La realtà è che ha solo paura di inseguire il suo sogno perché teme di non farcela. Come me. Però io ce la sto mettendo tutta perché non voglio diventare, un giorno, uno di quegli adulti frustrati che hanno fatto qualcosa perché era più comodo. Non è mai sicuro inseguire un sogno, lo so da sola, e se lo capisse sarebbe più felice. È un terno al lotto ammettere di voler fare qualcosa che ci sembra impossibile e lei, semplicemente, non vuole rischiare. E questo mi ha sempre resa triste perché mi dispiace vedere che non si sente all’altezza di un’aspettativa che non esiste. Nessuno ha mai voluto che lei fosse diversa da come è di solito, però vuole dimostrare qualcosa, più a sé stessa, temo, che agli altri

Ma dovrà capire prima o poi che non c’è bisogno di essere diversi da sé stessi per essere accettati!

Sì, quando si renderà conto che ha sprecato tanti anni a cercare di diventare qualcosa che non è

Devo aiutarla, Rea! Devo riuscire a starle vicino e a farle inseguire il suo sogno

Lo pensavo anche io, una volta, ma poi ho capito che non ha bisogno di questo. Ha bisogno di sapere che la sosteniamo, per cui non fare niente che possa farla arrabbiare, capito Johan?

……

Johan…

Va bene! Non le imporrò niente!

Bravo. Faresti solo peggio

Sei cambiata. Ma non sono sicuro che sia in meglio

Ahahahah, è sicuramente in meglio. Ora ti saluto, domani abbiamo ripasso generale del programma e devo almeno fare finta di studiare. Temo che mia nonna si sia resa conto che non mi sono impegnata molto ultimamente, e non vorrei che si arrabbiasse. Se hai bisogno non ti fare scrupoli a chiamarmi. Magari senza lo sconosciuto

Ti tartasserò di messaggi, tranquilla

Perfetto. Ah, Johan?

Sì?

Mi sei mancato. È stato bello risentirti

 

 

Nonostante quello che gli aveva consigliato Rea, però, il biondo decise di parlare con Laura. L’aveva invitata a casa per studiare e si era preparato il discorso da farle. Si sentiva in dovere di dirle che sbagliava a non inseguire il suo sogno, ecco tutto.

Ehilà, sono arrivata” si annunciò la ragazza, entrando in cucina. Aveva trovato la porta aperta e non aveva chiesto permesso. Come sempre.

Salve” la salutò, dandole un veloce bacio sulle labbra. La fece sedere e le servì dei biscotti al cioccolato, sapendo che lei ne andava matta, poi si mise vicino a lei. Rimase rigido a fissarla, e la bionda si rese conto che c’era qualcosa che non andava. Lo vedeva imbarazzato e si sentiva imbarazzata a sua volta.

Qualche problema?” chiese alla fine. Johan si schiarì la voce.

N-no, figurati. Ho solo una domanda… insignificante” rispose lui.

Dimmi, ti ascolto” lo spronò Laura. Il ragazzo esitò, poi sospirò.

Senti, te lo ricordi il discorso dell’altro giorno? Quando parlavamo dell’università?

Sì, certo che me lo ricordo

Ok, la domanda è questa: tu sei sicura di voler avere una carriera in medicina?” sputò fuori alla fine. Lei si bloccò.

C-certo” balbettò in risposta. Gli occhi azzurri del ragazzo si piantarono nei suoi e la fecero rabbrividire.

Sul serio? Insomma, sei certa di voler fare una vita in cui non farai che studiare scienze, chimica, matematica, fisica, anatomia, numeri, formule…” iniziò a torturarla, dicendo le parole a raffica. La bionda strinse i denti e lo ascoltò solo fino a un certo punto, poi batté il pugno sul tavolo.

Fermo!” esclamò. Johan rimase con la bocca aperta a fissarla, aspettando.

Cosa vuoi che ti dica?” lo aggredì, infuriata.

Non saprei. La verità?

La verità? E cioè? Sentiamo, illuminami su qual è la verità

Che tu non la vuoi quella vita. Dimmi se sbaglio: tu sei un’artista, ami disegnare, sei sempre con la testa tra le nuvole, ti piacciono le cose irrazionali e incomprensibili. Secondo quale strano ragionamento dovresti voler fare medicina?” domandò. Laura strinse i pugni.

Perché i miei vogliono questo. Vogliono che io sia brava e che io non li deluda. Quindi non posso fare altro!” rispose. E quella verità fece male anche a lei perché ad alta voce non se l’era mai detta.

Te l’hanno detto loro?” chiese Johan. La ragazza rimase ferma, immobilizzata. Gliel’avevano mai detto?

Per quanto ne so io loro non ti costringono, giusto? Insomma, sarebbe insensato che facessero fare a Rea ciò che vogliono e a te no, sbaglio forse? Quindi cosa vuoi dimostrare?

Niente, io non voglio dimostrare niente!

Sicura? Perché sembra che tu voglia far vedere di potercela fare anche se nessuno te l’ha chiesto!

Smettila, dannazione! Chi sei tu per giudicarmi? Tu non lo sai che significa essere me!” urlò, al limite di sopportazione. Forse era questa la reazione che Rea temeva.

Io non sono intelligente come Emma. O coraggiosa come Rea. Non ho mai studiato disegno o arte in generale. Come posso anche solo pensare di andare dietro a un sogno come questo se non ho né la preparazione né la forza per farlo? Fare un’università come medicina e diventare un chirurgo mi dà più sicurezza nella vita e nel mio futuro” spiegò. Johan scosse la testa, orripilato.

Credevo che tu fossi diversa, sai? Credevo che tu amassi inseguire il tuo sogno. Perché io lo so che tu vuoi solo disegnare. Però no, hai troppa paura vero e allora nasconditi e diventa un’adulta frustrata e delusa dalla vita. Io ci ho provato a farti ragionare” disse sconsolato. Laura tremò lievemente, poi lo guardò.

Tu non capisci, vero? Se non ce la faccio rischio di inseguire qualcosa e farmela poi sfuggire dalle mani. No, non penso di volere questo” ribatté.

E cosa vuoi? Far finta di amare la medicina e diventare una dottoressa malfidata?” l’aggredì.

NO! Io voglio disegnare, ho sempre voluto quello, ma le persone pensano che io sia una buona a nulla e non posso…

Chi? Chi è che lo pensa?” la interruppe lui. La ragazza si bloccò, senza sapere che rispondere.

C-chi? B-beh…” balbettò. Non le veniva in mente nessuno.

Noi non lo pensiamo, non l’abbiamo mai pensato. I tuoi nemmeno. I professori non credo. Quindi chi è che ti considera una buona a nulla?” chiese di nuovo. Lei abbassò gli occhi e trattenne le lacrime.

Io” rispose infine.

Cosa?

Io mi considero una buona a nulla, capito? Io odio il fatto che non sono brava a scuola, non sono coraggiosa e non sono in grado di ammettere che questa vita non la voglio! Sei contento adesso?” domandò. Alla fine il pianto era venuto da solo, senza che lo avesse sentito prima.

Johan l’abbracciò, e la fece piangere.

Non potrei mai essere contento se tu sei infelice. Ed è per questo che voglio starti accanto. Sono sicuro che nessuno ti considererà una buona a nulla, noi ti sosterremo tutti. Fidati di me, non ti mentirei mai” assicurò. La baciò e Laura penso che forse sì, aveva ragione. Che magari poteva farcela. Che probabilmente si sarebbe dimostrata capace di qualcosa se avesse inseguito quel desiderio, piuttosto che costringendosi a fare qualcosa che non voleva, anzi che odiava.

Se non ci riesco?” domandò tristemente.

Io ti sosterrò, ora e fino in fondo. E anche Emma e Rea, ne sono certa. Per cui non avere paura di ammettere che vuoi fare qualcos’altro, nessuno ti giudicherà mai male se inseguirai il tuo sogno” rispose.

 

 

Il mese di giugno fu un mese assurdo per tutti quanti. Le tre Stevens, chi in un modo, chi in un altro, studiarono e si impegnarono al massimo per l’esame, così come Johan e Fabio. Nessuno dei cinque ebbe molte occasioni di sentirsi e vedersi, soprattutto perché Emma voleva prendere il massimo possibile, Laura era distratta da tutto e stava china sui libri per poche ore al giorno, Rea scriveva per la maggior parte del tempo, Johan pensava alle vacanze e Fabio a Rea. Ormai mancava poco al suo ritorno, i cinque mesi erano passati.

Nonostante questo, la maturità arrivò e passò per tutti con velocità impressionante e di lei nessuna traccia. Aveva chiesto anche alle sorelle, ma nessuna pareva sapere niente. Era semplicemente scomparsa.

Aveva saputo che era passata con 70/100, mentre le altre due con 85/100 (con non poca delusione, Emma) e 60/100 (la più grande), e che aveva in atto un qualche piano per il futuro. Si era informato anche con Johan, ma a metà luglio tutti andarono a godersi le meritate vacanze e lui si ritrovò solo, in casa, mentre i suoi erano al lavoro, ad aspettare una qualche notizia. Non che si sarebbe mosso, non poteva perché il ristorante rimaneva aperto fino a ottobre, però gli dava noia che lei non desse sue notizie.

E così luglio terminò, portandosi dietro anche il mese successivo.

Ormai le speranze di rivederla si erano ridotte ai minimi storici.

 

 

Fu solo una mattina di fine agosto che Fabio ebbe di nuovo delle notizie da Rea. E furono proprio le sue sorelle a portargliele.

Arrivarono Emma e Laura poco prima che lui uscisse per andare a pranzo a portargli un pacchetto.

Questo è per te” gli sorrise la mora.

E anche questo” concluse la bionda, passandogli una lettera.

Che roba è?” domandò lui, confuso. Loro si sorrisero e si misero un dito sulle labbra.

Abbiamo promesso. Ciao Fabio!” risposero, andando via.

Come? Ehi, ferme!” esclamò il ragazzo, non capendo. Rientrò in casa e aprì il pacchetto. Un grosso volume rosso con un disegno giallo sopra apparve dalla carta marrone che lui aveva appena strappato e il suo cuore fece un balzo. Non lesse nemmeno una riga della lettera: s’infilò le scarpe e corse via.

 

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Capitolo 36
*** Le insicurezze dell’anatroccolo ***


Le insicurezze dell’anatroccolo

Le insicurezze dell’anatroccolo

 

Ci hai messo più del previsto: sette minuti e quarantacinque secondi. Ti sei un po’ impigrito?” lo accolse Rea, aprendo la porta prima che lui bussasse. Aveva un enorme sorriso stampato in faccia e si vedeva che stava bene, adesso. Era completamente diversa.

Allora? Non mi dici niente?” lo prese in giro. Fabio aprì la bocca, poi la richiuse.

Non credevo che il mio regalo ti avrebbe fatto quest’effetto” rise la ragazza, prendendolo per mano e facendolo entrare in casa. Non fece in tempo a chiudersi la porta alle spalle che lui l’aveva baciata con foga, passione e così tanta necessità da farle girare leggermente la testa. Gli passò le braccia intorno al collo e se lo tirò contro, sentendosi davvero a casa adesso.

Sei in ritardo” le disse, quando riuscì a staccarsi.

No, sono puntualissima: entro settembre sono tornata. Ricordi? Oggi è il trenta agosto e io… io volevo farmi un bel regalo di compleanno” ammise. Lo allontanò leggermente, divertita nel vedere la sua espressione confusa, e sorrise.

Cosa?

Sì, mio caro. Oggi io compio gli anni. Ecco perché solo oggi ti ho fatto arrivare quel libro, volevo farti una sorpresa” spiegò. Si sedette sul divano e gli fece segno di raggiungerla.

Però, se l’avessi saputo, ti avrei comprato qualcosa” ribatté il ragazzo, contrariato.

Non volevo che tu mi comprassi niente. Mi offendi se mi ritieni tanto materialista. Sapevo che, se tu avessi ricevuto oggi il pacchetto, saresti corso qui da me, così ho deciso di fartelo portare solo stamani, almeno saresti stato il mio regalo a me per il mio compleanno” disse felice. Fabio si sedette vicino a lei e le passò un braccio intorno alle spalle per stringerla: era davvero lì, era davvero la sua Rea. Quasi non ci credeva.

Allora come sono andati questi mesi da sola?” le domandò. Lei sorrise.

Direi bene. Posso ufficialmente annunciare che ho ritrovato me stessa. Ho lavorato ininterrottamente sul mio libro e su me stessa, andando avanti col primo e correggendo l’altra, così che, una volta arrivata agli esami, già ero un’altra persona. Non solo sorridevo quasi sempre, ma vivevo la vita in modo più leggero, più divertente. Sarei potuta rientrare già a luglio, sai?” lo informò.

E perché non sei tornata?” chiese lui, arrabbiato. Rea si accoccolò sul suo petto e sospirò.

Perché avevo fatto un salto nel buio e dovevo aspettare una risposta. Intorno a aprile, quindi per Pasqua, mia nonna mi ha portata in libreria per farmi scegliere qualcosa da comprarmi come regalo. Stavo girando per gli scaffali enormi, altissimi, e guardavo tutti quei nomi, tutte quelle parole, e volevo che qualcuno passasse tra i mobili, come facevo io, a cercare un libro scritto da me. Poco dopo, parlando con una delle commesse del negozio che aveva visto il mio interessamento per più di un articolo, è venuto fuori che la casa editrice che li forniva stava cercando nuovi autori da pubblicare. Se vuoi, mi porti un tuo operato e io lo do al direttore, mi ha detto. E io l’ho fatto. Siamo andate con mia nonna a parlare direttamente con il capo e lui mi ha assicurato che avrei avuto una risposta entro poco

E quindi perché ci hai messo tanto?

Perché i risultati sono arrivati venti giorni fa. Alla casa editrice era piaciuto il mio manoscritto e volevano pubblicarlo. Inizialmente sono quasi svenuta, poi ho cercato di non vomitare, infine ho pianto dalla gioia. La prima stampa, che è stata di poco più di centomila copie, è finita solo ieri l’altro, e io ho avuto qualche pezzo omaggio. Uno è quello che ho portato a te” rispose. Fabio ragionò su quelle informazioni, poi la guardò.

Quindi adesso sei una scrittrice affermata?” la prese in giro. Rea rise.

Ci provo. Ho anche trovato una buona scuola per studiare i metodi di scrittura, così che possa migliorare sempre. E la buona notizia è che è a soli venti minuti di macchina da qui” spiegò.

E tu ci andrai in pullman?” domandò il ragazzo. Lei si batté una mano sulla fronte.

Che stupida, mi sono dimenticata di dirtelo! Indovina chi ha preso la patente e, da oggi, ha la macchina?” disse soddisfatta. Tirò fuori di tasca un mazzo di chiavi e glielo fece tintinnare davanti. Lui sgranò gli occhi.

Sul serio?!” esclamò incredulo.

Già. Mamma e papà mi hanno regalato un’auto per il compleanno. E, a proposito, che ore sono?” gli chiese, alzandosi.

Le due e un quarto, perché?” Rea lo prese per un braccio.

Muoviti, dobbiamo andare” ordinò, facendolo uscire da casa.

Dove?!

Alla mia festa. Siamo in un ritardo tremendo!

 

 

Mezz’ora dopo erano al ristorante, con più di un’ora di ritardo sul programma. Emma e Laura la guardarono male, poi risero e l’abbracciarono.

Scusate per l’orario, ho avuto un paio di problemi e non ho fatto in tempo!” disse la ragazza ai presenti. Tutti annuirono e poi tornarono ai propri impegni. Non erano molti, giusto una decina, però erano le persone più importanti per lei: i suoi genitori; le sue sorelle; Johan; Jason; i genitori di Johan; Fabio.

Non fu un compleanno sfarzoso, anche perché lei odiava le cose troppo pompose, e tutti si divertirono. I grandi stavano da un lato del tavolo, parlando di cose loro, e i ragazzi (con Jason annesso) stavano dall’altro lato. Rea si sentiva al centro dell’attenzione e questo le piaceva. Era una sensazione splendida, avvertire l’affetto che provavano per lei, e quello era il regalo più bello di tutti.

Alla fine della festa, prima della torta, la ragazza si alzò e li fissò ad uno ad uno.

Ciao a tutti! Intanto voglio ringraziarvi per essere qui e per avermi fatto questa festa, sia di bentornata che di compleanno. È davvero una cosa stupenda” iniziò. Alzò il bicchiere in segno di brindisi e tutti bevvero.

“Poi volevo annunciarvi un paio di buone notizie che, spero, vi faranno piacere. Intanto voglio fare un brindisi e Emma e Laura, che sono entrati all’università! Emma, finalmente, è immatricolata a medicina e Laura, invece, è entrata all’accademia delle belle arti, dove studierà disegno. In bocca al lupo a entrambe!” annunciò, sorridendo. Tutti gli invitati applaudirono e alzarono i bicchieri.

Inoltre anche io, che in questi mesi sono scomparsa, ho trovato la mia strada. Mentre ero da mia nonna ho fatto leggere i miei manoscritti a una casa editrice, la quale ha deciso di pubblicarmi. Questo è il prossimo libro che vedrete sugli scaffali delle librerie!” esclamò, tirando fuori dalla borsa il volume. Rosso con il disegno di un pulcino giallo sopra, i caratteri luccicanti spiccavano sulla copertina: Le insicurezze dell’anatroccolo.

La verità è che ci sto lavorando da mesi e mesi, per non dire anni, ma solo ora ho trovato il coraggio di uscire allo scoperto e farlo leggere a qualcuno. Sono così felice di questo che non potevo aspettare altro a dirvelo!” ammise, ridendo. Tutti quanti si complimentarono con lei, abbracciandola e baciandola, e Rea sorrise.

La torta arrivò poco dopo, e sua madre mise le candeline sulla panna.

Esprimi un desiderio” le disse Fabio, stringendole la mano. Lei lo fissò, così bello e dolce, e si chiese se avesse sul serio altri desideri. Guardò tutte le persone che aveva intorno, dalle sue sorelle a Jason; i suoi genitori, che l’avevano sempre sostenuta anche se lei non lo aveva mai ammesso; Johan, che era da sempre il suo migliore amico e le aveva dato qualche schiaffo morale quando le serviva; Emma e Laura, che avevano iniziato il percorso per raggiungere i propri sogni con due meravigliosi uomini al loro fianco; e poi fissò le sue dita intrecciate con quelle del ragazzo che amava, vedendosi con occhi diversi, più belli, più sicuri. Sorrise e spense le candeline.

Cosa hai chiesto?” le domandò subito lui.

E’ un segreto” rispose Rea, sorridendo. E la verità è che lo era davvero, un segreto. Il suo. E non aveva desiderato niente, alla fine, perché non ne aveva bisogno. Si era persa. Si era lasciata. Aveva abbandonato quelli che amava. Era caduta. Aveva voluto morire, in più di un’occasione. Si era nascosta. Aveva pianto. E poi si era risvegliata, dandosi uno schiaffo, spronandosi, accettandosi e, infine, amandosi. Ce l’aveva fatta senza desideri, senza chiedere niente a nessuno. Ce l’aveva fatta perché sapeva che esistevano persone disposte a credere in lei e in ciò che sapeva fare, e, forte di questo, lei era riuscita ad alzarsi e affrontare la vita senza più piangere, senza più farsi male. Questo era il desiderio più grande che avrebbe mai potuto esprimere.

 

 

Scommetto che non leggerai mai questa lettera. Se ti conosco bene, prima aprirai il pacchetto e poi correrai via, lasciando la busta sigillata sopra il tavolo. In caso contrario, ciao Fabio! Sono proprio io, Rea. E, finalmente, sono rientrata.

In realtà sono a casa da ieri, ma non ho avuto il tempo di venire da te perché sono stata sommersa di domande dai miei, e mi sembrava brutto scappare così, subito il primo giorno, quindi eccomi qui, con circa venti ore di ritardo dal mio rientro.

So già che il tuo esame è andato bene e che frequenterai economia. Mi sono tenuta informata tramite Johan e Jason, anche se li sentivo molto poco. Tu, invece, non hai notizie di me da mesi, quindi ecco qua le ultime novità:

intanto sono passata benissimo all’esame, e ora non metterò mai più piede in un liceo. Ciò mi rende felice in maniera vergognosa  e indecente (quando sono tornata a casa dopo l’orale, mi sono messa a saltare per il salotto e sono scivolata, finendo sul gatto di mia nonna, che mi ha graffiato un braccio. Lasciamo perdere gli insulti di nonna nei miei confronti, non sei ancora pronto ad affrontare questo discorso), e questo mi porta al secondo punto, cioè la mia nuova scuola. Ho trovato un’accademia di scrittura che mi permette sia di studiare letteratura che di migliorarmi a scrivere, e questo solo grazie a te che mi hai spronato a uscire allo scoperto. Infatti, forte della fiducia che hai in me, ho proposto il mio libro, “Le insicurezze dell’anatroccolo” a una casa editrice e, indovina un po’? L’hanno accettato! Ti racconterò meglio quando verrai da me, però sappi che nel pacchetto c’è una copia del volume già stampata e con la dedica (con tutto il mio amore!). Già sai chi è l’anatroccolo e come si comporta. Hai letto più di metà romanzo prima ancora che io lo avessi finito, quindi sarai curioso di sapere come l’ho concluso. Beh, non sarà un’idea particolarmente geniale, ma alla fine l’anatroccolo si trasforma in cigno. Lo so che detta così e molto monotona come cosa, però fammi spiegare: da pulcino, si era sempre visto come una specie di errore di madre natura, ricordi? E, anche quando la sua forma fisica era mutata, dentro si sentiva sempre bruttissimo. Non importava quanto i suoi fratelli gli ripetessero che era bellissimo, la sua autostima era tremendamente distrutta. Ecco come finisce:

“Succede tutto così, per caso, quando una mattina l’anatroccolo si sveglia e si rende conto che ha di nuovo gli occhi gonfi. Gonfi di lacrime,gonfi di tristezza, gonfi di disperazione… e non ce la fa più. Con quanto fiato ha in gola si mette a gridare, a implorare il cielo di ucciderlo, di far finire questa tortura che è la sua vita, ma il cielo gli risponde in modo inaspettato, assurdo, terribilmente doloroso. Lo fa vivere. Gli apre gli occhi e gli fa vedere che la vita c’è anche per lui, anche per quel piccolo anatroccolo che crede di essere. E sono proprio gli altri pulcini che glielo dicono. Stanchi di sentirlo piangere, pieni di rabbia per non riuscire a farlo stare meglio, si mettono lì e lo confortano, gli ricordano che esiste ancora quell’amore che non pensava di meritare per colpa della sua natura di errore. Però non è un errore, non lo è mai stato, e lo capisce. E poi piange, di nuovo, ma stavolta di sollievo, di gratitudine. Diventa cigno internamente. Si fissa nello specchio dell’acqua e vede un nuovo anatroccolo, più bello, più sicuro, più tutto! Si ama, per la prima volta, e ama gli altri, ama i suoi fratelli, ama i suoi genitori, ama questa vita che fino a poco prima disprezzava. E la ama perché non gli serviva un bell’aspetto per essere felice, non gli era mai servito. Ciò che davvero serve per vedersi cigni è fissarsi allo specchio e riuscire ad accettarci per come siamo, a vedere che persone stupende possiamo essere. E questo, il piccolo anatroccolo, alla fine l’aveva capito

Ti piace? Che dici, troppo scontato? Però è vero, io l’ho capito grazie a voi, e ve ne sono talmente grata che non posso esprimerlo a parole. Quindi ti dico arrivederci, perché tanto tra poco sei qui da me e potrò stringerti dopo tutti questi mesi. Quanto mi sei mancato, Fabio! Ho bisogno di vederti!

Tua, ora e per sempre (spero),

Rea

P.S.: dimenticavo! Muoviti ad arrivare, c’è la mia festa di compleanno tra mezz’ora e se facciamo tardi Emma esce di testa. Vuole mangiare la torta! A tra poco!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Allora, prima di tutto devo ammettere che è stato un dramma concludere questa storia, soprattutto perché mi sono affezionata ai personaggi e perché, in più di un'occasione, le situazioni descritte erano reali!

Ringrazio tutti sul serio, siete stati così tanti a preferire/recensire/seguire/ricordare la mia storia che mi sono commossa... Il grazie più grande va a Emma, che oramai è la mia fan/amica/manager numero1... Senza di lei non sarebbe stato lo stesso...

Subito dopo ringrazio la piccola Laura, che, anche se ora è impegnata, mi sostiene sempre...

Un ringraziamento particolare va a Brillantina 10,  ely1 e rpmw93, che hanno recensito praticamente tutti i capitoli, ma anche a aerith94, love93, domi_51, christine_loguart, luciarossana, Gonetoosoon, secretdream, che hanno lasciato un commentino o più!

Infine ringrazio Fabio, quello vero, perché alcune cose me le ha fatte pensare lui col suo comportamento da pazzoide...

Grazie a tutti voi che avete seguito le Stevens in questo racconto...

Un bacio a tutti, Rea

 

 

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