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Sperduta in mezzo agli alberi, poco fuori dalla
città, c’è una piccola villa circondata da un grande giardino.
A
prima vista sembra una normalissima casa di campagna: i muri erano bianchi con
qualche finestra qua e là; il tetto, rosso e spiovente, era a punta; i fiori che
la circondavano erano colorati e di varie specie, tra le quali tulipani,
papaveri e margherite. Tutto era perfettamente normale, o così sarebbe stato se
non fosse stato per…
“BOOM!!
La piccola lucertola che sonnecchiava al sole sul
muretto fuori dal giardino scappò via veloce, mentre i proprietari della villa
uscivano all’aria aperta. Quando la porta si spalancò un’enorme nube di fumo si
dissolse nell’aria e i due ragazzi si appoggiarono tossendo ad una delle colonne
che sorreggevano la tettoia della veranda.
“Non è possibile!”
esclamò il ragazzo. Aveva lunghi capelli rossi fissati col gel, che erano
rimasti alti e appuntiti come se l’esplosione non ci fosse stata. I suoi occhi
erano leggermente truccati, in uno stile gotico-punk
che metteva in risalto il colore verde delle iridi.
“Trentanove” disse,
in risposta, la ragazza. Si tolse la polvere di dosso e lo fissò con aria
divertita.
“Cosa?” chiese lui,
senza capire. Lei si aggiustò i codini biondi che portava sulla
testa.
“Trentanove volte che
sbagliamo” spiegò.
“Grazie, senza di te che
tieni il conteggio dei nostri errori non sarei sopravvissuto, Larxene. Sul serio, mi sei
indispensabile” ribatté
sarcastico.
“Guarda che non è colpa
mia se la formula non va avanti. Ci stiamo lavorando sopra da più di
un mese, senza risultati, e mancano solo cinque settimane alla consegna. Che vuoi fare?” s’informò
guardandolo. L’altro si
passò una mano tra i capelli e sospirò, sconsolato.
“Non lo so, davvero non lo
so” ammise.
“Axel, forse ci
serve semplicemente un giorno di vacanza” propose Larxene.
Lui strinse i denti e rimase
zitto.
Entrambi avevano ventisei anni e lavoravano per una
ditta farmaceutica. Stavano studiando una nuova formula contro l’invecchiamento
precoce delle cellule cerebrali, e avevano tempo fino a settembre per
prepararla, solo che, dopo sei settimane dall’inizio del contratto, non erano
ancora riusciti a fare niente.
Axel
lavorava di giorno e studiava di notte per capire dove sbagliavano, ma non
comprendeva, e questo lo faceva imbestialire.
All’epoca delle superiori si era diplomato con il
massimo dei voti, ed era riuscito a laurearsi con quasi due anni di anticipo
rispetto al programma grazie alla sua fantastica memoria fotografica. In poco
tempo riusciva senza sforzo ad imparare un intero libro a memoria, gli bastava
solo guardare la pagina e fermare ad alta voce le parole più
importanti.
“Senti, ormai è tardi, tra
poco farà buio. Finiamola qui, per
oggi, e domani riposiamoci” ripeté Larxene. Al contrario del suo amico, lei aveva sudato sette camice per laurearsi, ma alla fine ce l’aveva fatta.
Adesso stava facendo un tirocinio con Axel, suo
vecchio amico d’infanzia, nonché compagno di scuola.
“Ma non c’è più tempo per
riposarci!” si ribellò lui. La ragazza sbuffo.
“Senti, non ho una
giornata di relax da quasi due mesi, sono stanca, affaticata, sporca, sudata e
affamata. Tu
fammi lavorare ancora per stasera e io mollo tutto e vado a fare la
parrucchiera, ci siamo capiti? Inoltre farebbe bene anche a te staccare un po’:
non avevi le occhiaie da quando tua madre ti fece stare sveglio tutta la notte
per evitare che tu morissi avvelenato nel sonno dopo che avevi ingerito mezzo
litro di colla liquida. Sei in condizioni pessime, fattelo
dire” lo sgridò. Axel
sbuffò.
“Ma è il mio
lavoro! Non mi
è mai capitato in tutta la mia vita di non sapere come fare per creare un
composto! Tra tutte le materie in cui eccellevo, la chimica era quella migliore,
e mi fa incazzare rendermi conto che non so come andare avanti in una
formula!” esplose.
“Stai andando fuori di
testa!” gli fece notare Larxene. Il ragazzo si
accasciò sul prato e guardò volare una farfalla.
“Stiamo parlando solo di
domani, vero?” chiese dopo un minuto di lungo silenzio. Lei si
illuminò.
“Il tuo è un sì?”
domandò speranzosa.
“Mpf” rispose semplicemente lui. Prendendola per
una risposta affermativa, la ragazza iniziò a saltellare felice e lo
abbracciò.
“Evviva! Domani si dorme!”
esultò.
Axel
rise di gusto e la fissò controluce.
“Quando ridi sei più carina” osservò. Larxene sorrise e lo guardò divertita.
“Io sono SEMPRE carina,
amico, ricordatelo”
“Tranne quando sembri
un’arpia, certo” annuì lui.
“Ma che stronzo! Vogliamo
parlare di te e del tuo trucco emo?”
“Non è emo! E’ gotico,
ignorante” si
infiammò.
“Sì, sì,
certamente” lo assecondò l’altra.
“Chiedilo al tuo
ragazzo. Mi
pareva che fosse interessato ai tuoi ombretti, quando è venuto l’ultima volta.
Chissà che anche lui…” non
riuscì a terminare la frase, che Larxene gli era
saltata alla gola.
“Non lo dire nemmeno per
scherzo!” lo minacciò stringendolo. Era seria, si vedeva benissimo, ma
Axel non riuscì a trattenersi dal
ridere.
“Non è mica un male,
sai?” la prese in giro.
“Guarda che non sono mica
tutti come te” gli fece presente. Si alzarono entrambi e si tolsero i
lunghi camici da lavoro.
“Ehi, mi spieghi una
cosa?” chiese Larxene.
“Dimmi”
“Come mai i camici dei
chimici sono bianchi mentre i nostri sono neri?” s’informò entrando in
casa.
“Perché il capo sono io e
decido io il colore” rispose Axel.
“Ah, certo” disse,
sconsolata, lei.
“Senti, visto che domani
siamo in vacanza, ti va se chiamo Demyx? Mi manca, sono cinque giorni che
non lo vedo” lo implorò
poi.
“Fai
pure. Ho proprio bisogno di un bel fisico da guardare” concesse. A Larxene ci volle
qualche secondo per capire cosa intendesse.
“Non ti azzardare”
lo minacciò.
“Uh, che
paura! Ora sì che sembri una strega!”
esclamò il ragazzo, entrando in bagno. Si chiuse la porta alle spalle e si mise a ridere
sentendo gli improperi che l’amica gli stava lanciando.
Con quelle urla in sottofondo, si spogliò e si guardò
allo specchio. “Dovrei fare un po’ di palestra” considerò. Iniziò
a togliersi il trucco e poi si infilò sotto la doccia.
In lontananza sentì Larxene
al telefono con il suo ragazzo e sorrise tra sé e sé. “Speriamo che
domani vada tutto bene. Quasi quasi faccio vedere alla strega I Segreti Di Brokeback Mountain. Probabilmente mi
ammazza” pensò.
Sì, perché nonostante vivessero insieme e fossero
molto amici da decenni, Axel e Larxene non stavano insieme.
Non perché lei l’avesse respinto o perché lui non
l’amasse, no.
Semplicemente perché, con i suoi bicipiti, il suo
metro e ottanta e i suoi capelli rosso fuoco, AxelFlame era gay.
Roxas
aveva quasi diciotto anni, e avrebbe iniziato l’ultimo anno di superiori di lì a
breve. Era piccolo, con il fisico piuttosto minuto, e i tratti del viso molto
dolci e delicati. I morbidi capelli biondi erano ritti sulla testa, e si
muovevano con il vento caldo. Da bambino veniva spesso scambiato per una
femmina, ma non se la prendeva più di tanto e continuava a farsi gli affari
suoi.
Aveva un fratello, Sora, il quale, al contrario di
lui, era più robusto e alto. Non aveva ancora capito come questo potesse essere
successo, visto che erano gemelli, però la genetica a volte è strana, e quindi
aveva smesso di domandarselo.
In effetti, le differenze tra di loro era molte:
Sora non solo era più alto e robusto, ma aveva anche
lunghi capelli castani che gli davano un aria molto allegra e solare e i suoi
occhi erano blu intenso, quasi come il cielo di prima mattina, mentre Roxas aveva delicati occhi celeste chiaro e i capelli biondo
acceso.
Ma le differenze non erano solo fisiche: i due
avevano caratteri completamente opposti. Il primo era allegro e divertente,
molto immaturo sotto tanti aspetti, e odiava con tutto sé stesso studiare (infatti al momento era a casa a recuperare le materie
insufficienti); l’altro aveva un temperamento più tranquillo e docile, si
arrabbiava di rado e solo se stuzzicato. A scuola aveva nove a tutto, e riusciva
perfettamente a unire il divertimento con il dovere.
Nonostante questo, però, i due si volevano molto bene
e non avevano alcun problema a convivere, contrariamente a molte altre coppie di
fratelli.
Adesso, Roxas era seduto
all’ombra di un grande albero, a frescheggiare. Si era
trasferito per l’estate a casa dei nonni perché i suoi amici erano andati tutti
al mare e i suoi genitori erano occupati con l’albergo di
famiglia.
Non che lì ci fossero molti svaghi, però c’erano
calma e tranquillità, e questo lo faceva rilassare. Inoltre, poco lontano da
casa, c’era una strada sterrata che serpeggiava intorno alle piante nel bosco e
che fungeva perfettamente da pista di allenamento per lo
skate.
Ogni giorno il ragazzo prendeva la tavola e andava a
provare nuove mosse, cercando di scansare i pini e di saltare sopra ai massi.
Era frequente che tornasse a casa polveroso e sudato,
con qualche taglio qua e là, e sua nonna lo sgridava ogni
volta.
“Mi farai morire di
crepacuore!–diceva- se tu ti facessi male sul serio, io cosa direi a tua
madre?” gli gridava. Lui non aveva ancora capito se la sua
preoccupazione era quella che lui si ammazzasse o che dovesse affrontare la
figlia. Quando ci pensava bene, propendeva per la seconda, ma solo perché
conosceva la donna: sua madre era quella che, quando lui e Sora avevano rotto il
vaso che c’era nella hall dell’albergo con una pallonata, aveva continuato a
urlare e sbraitare facendoli sentire piccoli, piccoli. Se qualcosa non le andava
bene o se la deludevi, inveiva contro di te fino a perdere la
voce.
“Nonna, io vado!”
gridò Roxas dal cortile, con
in mano lo skate. Lei si affacciò.
“Anche
oggi?
Ma non ti sei allenato abbastanza?” cercò di fermarlo.
“No” rispose
semplicemente lui.
“Potresti fare altro,
non credi?” tentò ancora. Ogni volta la stessa storia. Il ragazzo
sbuffò.
“Del tipo?” chiese.
Sua nonna rimase zitta e lui prese il momento e si avviò.
“Ci vediamo dopo” la
salutò, agitando una mano.
“Aspetta!” lo
richiamò lei. Adesso iniziava ad innervosirsi.
“Che c’è?” domandò
in malo modo. La donna iniziò ad attorcigliarsi le mani, nervosa.
“Senti, sta’ attento, va
bene?
Ho sentito al meteo che oggi ci sarà un temporale, e non
vorrei che tu ne venissi sorpreso mentre sei in giro” lo avvertì.
“Oh. Grazie, nonna,
tornerò presto” promise con un sorriso, che lei
ricambiò.
“Allora
divertiti” lo salutò.
Un po’ di senso di colpa lo pervase per un istante,
ma scomparve subito: in fin dei conti non andava mica a drogarsi, ubriacarsi o a
prostituirsi, giusto?
Si mise la tavola da skate sotto i piedi e partì a
tutta velocità verso il sentiero.
“Ahia!” esclamò,
quando cadde a terra e un sasso gli lacerò il polpaccio. Strinse i denti e
ricacciò indietro le lacrime, cercando di non piangere. Che
dolore!
Si controllò la ferita a denti stretti, tentando di
non gridare: era parecchio
profonda.
Era finito con le ruote dello skateboard sopra un
ramo, ed era stato scaraventato a terra, dove un sasso appuntito lo aveva
tagliato. Sua nonna lo avrebbe ucciso, di questo era
sicuro.
Si mise a sedere sotto un albero per avere un po’ di
ombra e cercò di pulirsi come meglio poteva il graffio. Solo a sfiorarlo sentiva
un dolore acuto. “Perfetto! Mi ci mancava solo questo!”
pensò
arrabbiato. Mancava circa un mese all’inizio della
scuola e questo significava che c’era poco tempo per trovare qualcosa di
spettacolare per la gara.
L’ultimo giorno di lezioni, infatti, lui e Hayner, dopo un litigio piuttosto acceso (come solito),
avevano deciso di sfidarsi con lo skate per finire quella
disputa.
Erano nemici da quando avevano cinque anni e lui e i
suoi amici lo avevano preso in giro perché sembrava una bambina. Non se l’era
mai presa per quell’errore, ma la faccia tosta e il modo in cui gliel’avevano
detto lo avevano fatto arrabbiare. Continuavano da quasi quattordici anni a
litigare e sfidarsi, ma erano sempre alla pari, e ormai questo non andava più
bene. Durante l’ultimo anno di liceo dovevano obbligatoriamente decidere chi dei
due era il migliore, o sarebbe stato un problema per la sua salute
mentale.
Lui e Sora avrebbero fatto squadra in un percorso a
ostacoli che avrebbe preparato Riku, il migliore amico
di suo fratello, nonché giudice di gare. Sarebbe stato un due contro due, con la
regola che chi cade viene squalificato. Se avesse continuato in questo modo,
il primo a esser buttato fuori sarebbe stato lui.
Si fasciò alla meglio la gamba con un fazzoletto e si
alzò, provando ad appoggiarsi a terra. Bruciava un po’, ma per il momento poteva
andare.
“Forza, continuiamo”
disse, salendo di nuovo sulla tavola.
Axel e
Larxene avevano passato tutta la mattina oziando e
mangiando patatine davanti al televisore. Si erano goduti tre film d’amore e un
thriller, poi il ragazzo si era alzato, stiracchiandosi.
“Devo tendere i
panni” disse, andando alla lavatrice a prendere il
bucato.
“Guarda che più tardi ci
sarà un temporale, non so se ti conviene” lo avvertì l’amica. Lui fissò
il cielo, limpido e azzurro, e rise.
“Certamente” la
assecondò.
“Axel, sono
seria. Nel primo pomeriggio pioverà molto forte” ripeté, sfogliando una rivista di
moda.
“E come lo sapresti, di
grazia?” si prese gioco di lei.
“Lo sento” rispose,
alzando le spalle. Lui rimase un secondo basito.
“Lo… senti?” chiese incuriosito.
“Sì. Se annuso l’aria
posso sentire perfettamente l’odore dell’elettricità” spiegò. Dopo un primo momento di incredulità, il ragazzo
rise forte.
“Logico,
scusami! Come
ho fatto a non pensarci prima? Tu annusi l’elettricità” ripeté divertito.
“Miscredente, fai come
vuoi, ma poi non ti lamentare se i tuoi panni sono bagnati come quelli di un
pesce rosso” lo avvertì. Axel ci pensò un
attimo.
“I pesci rossi non hanno i
vestiti” le fece presente, uscendo di casa con la tinozza in
mano.
“Lo dici tu”
ribatté Larxene, quando lui fu fuori portata
d’orecchio.
Quando il sole iniziò a scomparire, Roxas si chiese se per caso non fosse in giro da più di
quello che pensava, poi alzò lo sguardo al cielo. Minacciose nuvole nere si
erano addensate sopra la sua testa, facendo presagire un temporale di quelli coi
fiocchi. Fermandosi di botto, il ragazzo si sentì paralizzare: i tuoni lo
spaventavano non poco.
Come richiamato dal suo pensiero, un lampo squarciò
il cielo e il rimbombo lo fece sobbalzare. Si strinse lo skate al petto e cercò
di rientrare prima di prendere tutta l’acqua, ma la pioggia iniziò a cadere e si
ritrovò bagnato come un pulcino in meno di un secondo.
“E la nonna me lo aveva
anche detto!” si ricordò, maledicendosi.
Era piuttosto lontano da casa, con lo skate ci aveva
messo circa venti minuti per arrivare lì se non di più, visto che aveva
continuato ad allontanarsi mentre si allenava. Rientrare con quella pioggia era
fuori discussione. “E’ fuori
discussione anche rimanere qui, però: durante i temporali si deve stare lontani
dagli alberi, lo dicono tutti che attirano i fulmini. Non voglio fare la fine del pollo arrosto” considerò.
Decise di continuare lungo il sentiero su cui si
stava allenando, invece di tornare indietro, tenendo un passo piuttosto sveglio
nonostante la ferita. I capelli, di solito sparati sulla testa e appuntiti, gli
ricaddero sulla faccia, appiccicandosi sopra agli occhi e sulle guance. “Così sembro un
emo” pensò. Si scansò la frangetta e
continuò a camminare, ignorando il dolore e il freddo.
Ecco, se c’era una cosa che odiava di quel posto, era
che quando pioveva la temperatura si abbassava notevolmente anche d’estate.
Rabbrividì quando il vento soffiò e si strinse nella maglietta bianca. Com’era
possibile che in così poco tempo fossero almeno dieci gradi meno di prima che
iniziasse a piovere? Ma fisicamente si poteva fare?
Starnutì e maledisse tutta quell’acqua. “La nonna mi
ammazza”
“T’oh, piove”
commentò Larxene quando l’acqua iniziò a scrosciare.
Axel la fissò.
“Ok, questo è strano”
decise. Lei sorrise e si batté il naso con l’indice un paio di
volte.
“Io te l’avevo
detto” gli ricordò. Il ragazzo incrociò le braccia.
“Non è possibile. Da
scienziato quale sono, ti dico che non è possibile che tu sapessi del temporale,
a meno che tu non abbia guardato le previsioni del tempo”
“Non guardavo la
televisione da un mese e mezzo, e lo sai. Con quanto mi fai
lavorare, non mi rimane quasi nemmeno il tempo per lavarmi” gli fece presente.
“E quindi? Come hai
fatto?”
“Te l’ho già detto: ho
annusato l’aria ed ho sentito l’elettricità. Non ci posso mica
fare niente se con me funziona così”
rispose. Axel rimase zitto e si mise a pensare,
confuso.
Mettendosi a sedere sul divano, Larxene decise di divertirsi e aspettare qualche minuto
prima di ricordarglielo.
Fece girare la bustina del tè dentro alla tazza che
teneva in mano, osservando l’acqua colorarsi di ocra, poi si schiarì la
voce.
“Ehi, scienziato”
lo chiamò. Il ragazzo grugnì in risposta.
“Ti disturbo se ti dico
una cosa?” domandò, ridendo sotto i baffi.
“Sì, e parecchio”
rispose lui in malo modo. Gli dava noia il fatto che ci fosse qualcosa che non
si spiegava.
“Ok” accettò lei.
Poi, senza riuscire a contenersi, parlò di nuovo.
“Tu ti sei laureato in
anticipo perché sei un mezzo genio, con una memoria di ferro, dico bene?”
chiese.
“Sì, e allora?”
ribatté lui, irritato. Larxene
rise.
“Niente, mi stavo solo
chiedendo quando ti saresti ricordato dei panni che hai lasciato fuori
stesi” rispose.
Imprecando, Axel corse
fuori dalla porta per recuperare i vestiti.
Roxas
continuava a camminare senza meta. Sapeva che stava per allontanarsi dal
boschetto che contornava il sentiero perché gli alberi erano sempre più radi, ma
non aveva la più pallida idea di dove si trovasse. La pioggia era diminuita e i
tuoni avevano smesso di rimbombare già da un po’, però i suoi vestiti erano
sempre molli zuppi, così come i suoi capelli e qualsiasi altra parte del suo
corpo. Non era stata una grande idea quella di allontanarsi da casa, soprattutto
visto che, una volta asciutto, avrebbe dovuto
rientrare. Come glielo spiegava a sua nonna che si era perso a causa del panico?
L’unico che sapeva della sua paura dei temporali era suo fratello, e lui non
avrebbe fatto niente affinché gli altri ne venissero a conoscenza. Si vergognava
da morire di questo, anche perché gli sembrava una fobia da bambini, ma non
riusciva a superarla.
Scorse in lontananza una casetta, e si chiese se non
fosse un miraggio. Il taglio sul polpaccio aveva continuato a pulsare mentre
camminava, protestando per tutto il tempo in cui aveva camminato, ma lo ignorò.
Accelerò un po’ il passo per avvicinarsi alla costruzione e vedere se era
abitata e, nel caso, chiedere di poter usare il telefono per chiamare i suoi e
rassicurarli sulle sue condizioni.
“Perché diventa tutto
sfocato?” si chiese, iniziando a barcollare. Il freddo e l’acqua gli
erano entrati nelle ossa e si sentiva stanco e affaticato. La testa gli girava e
aveva le guance in fiamme.
“N-no, non ora… non
svenire” si disse, incitandosi. Gli bastava fare solo qualche altro
passo…
Axel
era rientrato in casa di malumore, con i capelli bagnati, i panni in mano
completamente molli e i vestiti che aveva indosso zuppi. Aveva continuato a
imprecare e a maledire Larxene fino a quando non era
entrato in doccia e si era lavato con l’acqua calda.
“Lo vedi, signor genio,
che anche tu hai le tue debolezze?” lo prese in giro l’amica, entrando in
bagno mentre lui si metteva lo shampoo.
“Mi perseguiti anche
mentre mi lavo? Guarda che potrei dirlo a Demyx”
“Fai pure, tanto di te non
è geloso.
Tu sei come una sorella, per me, e io di certo non mi vergogno
a vederti nudo” rispose con un’alzata le
spalle. Il ragazzo alzò
gli occhi al cielo e scosse la testa, arrendendosi.
“Comunque sta iniziando a
smettere, se esci velocemente puoi vedere il tuo tanto amato tramonto” lo
avvisò, ancora con la tazza del tè in mano.
“Sono molle, e fuori è
freddo. Solo un idiota uscirebbe così” le
fece presente.
“E’ per questo che te l’ho
detto” rise Larxene.
Veloce come una pantera, Axel prese l’asciugamano e glielo tirò dritto in
faccia.
Qualche minuto dopo, quando uscì dalla doccia, il
ragazzo guardò fuori dalla finestra. Forse, se si fosse asciugato almeno
addosso, avrebbe potuto affacciarsi in veranda e godersi il
tramonto.
Era una fissa che aveva sin da piccolo, quella del
crepuscolo: si metteva seduto sul cornicione della finestra e guardava il sole
scomparire, aspettando il momento in cui tutto si sarebbe colorato di rosso
fuoco. Era per quello che aveva tinto i suoi capelli di quel
colore.
Quando si era trasferito lì, due anni prima, aveva
subito notato che il sole, scomparendo dietro alle cime degli alberi, creava un
gioco di luce quasi magico, con i raggi che sembravano quasi psichedelici quando
venivano tagliati dai tronchi per poi uscire dal bosco con una forma sempre
diversa.
Mandando al diavolo i capelli molli, s’infilò una
tuta e si mise un asciugamano intorno alla testa, per poi
uscire.
Si beò della vista di quel tramonto, fin quando il
sole non fu quasi tutto sotto l’orizzonte. Sentiva il vento freddo sferzargli le
guance e ascoltava in un silenzio assoluto i rumori della foresta: gli uccellini
che cinguettavano, cercando di asciugare le proprie piume; le foglie che si
muovevano; un ramo che si spezzava; dei passi un po’ zoppicanti che risuonavano
sul ghiaino. “Passi zoppicanti?” si chiese. Abbassò lo sguardo e
vide un’ombra nera camminare incerta uscendo dal bosco, indefinita perché il
sole dietro la rendeva sfocata. Sembrava un’apparizione
divina.
Non fece in tempo a stupirsene, che quell’ombra cadde
a terra, svenuta.
Ci mise solo un secondo ad
affiancare quella figura e a voltarla. Aveva i capelli bagnati sul viso, ma
sicuramente era una ragazza.
“Larxene! LARXENE!” gridò. Si tolse l’asciugamano dai capelli e lo mise
intorno alla svenuta per coprirla. Tremava di freddo ed era completamente
bagnata, sicuramente era stata sorpresa dal temporale.
L’amica uscì di casa e lo vide inginocchiato a terra
con quel fagottino stretto in braccio e si preoccupò.
“Mio Dio,
Axel! Che diavolo è quello?” domandò
impaurita.
“Credo sia una ragazza che
si è persa.
Portiamola dentro, ha bisogno di essere asciugata e
curata” spiegò.
“Quella
cosa? In
casa nostra? Ma sei scemo?” chiese riluttante Larxene, seguendolo mentre apriva la
porta.
“No, sono solo un po’ più
altruista di te” rispose in malo modo. La ragazzina che teneva al petto
ebbe un sussulto quando la poggiò sul divano e gli stese le gambe e fu solo in
quel momento che lui vide il taglio profondo che aveva sul
polpaccio.
“Cavolo, dev’essere stata
un’esperienza poco felice per la nostra amica”
commentò.
“La tua amica, se permetti” lo
corresse Larxene, imbronciata. Lui sospirò.
“Senti, puoi essere
altruista una volta ogni tanto e renderti conto che esistono altre persone oltre
a te in questo vasto mondo?” la implorò.
“Lo so che ci sono, ma non
mi sembra il caso di prendere in casa nostra una sconosciuta solo perché è
svenuta e bagnata” ribatté.
“E ferita” aggiunse
lui. Lei storse le labbra e si avvicinò alla figurina, schifata. Le bastò solo
un istante per capire che c’era qualcosa che non andava.
“Senti, facciamo una cosa:
io la porto in bagno, e tu la lavi un po’, naturalmente togliendole i vestiti,
sennò non serve. Nel frattempo
preparerò la camera degli ospiti” decise Axel,
alzandosi. Larxene non
sapeva se ridere o piangere, e così lo guardò male.
“Perché devo farlo
io?” chiese.
“Perché è una ragazza, di
certo non posso farlo io” le fece presente. Il ragazzo prese in braccio
il fagotto e si diresse verso la vasca.
“Axel, posso dire una
cosa?”
“Senti, Larxene, per una
volta aiutami e non fare storie. Non puoi sempre pretendere di essere la
principessina del reame! Ti ho detto che la laverai, e la
laverai” la
interruppe.
“Sì, ma…” provò a
ribattere lei, ma non fu ascoltata.
“Niente ma! Dopo che sarà
asciutta in un letto con la gamba fasciata me lo dirai, ora non
lamentarti”
“Sì, va bene,
però…”
“La smetti di
ribattere?” si spazientì lui, fermandosi di botto a
guardarla.
“Questa ragazza ha bisogno
di aiuto, e non possiamo certo metterla a dormire bagnata e sporca
com’è. Lei è
una femmina, giusto? E tu sei una femmina, ci siamo? Quindi
devi farlo tu, memorizzato?”
ordinò. Larxene incrociò
le braccia e lo guardò acida.
“Il tuo ragionamento non
farebbe una piega, genio, se
solamente quello non fosse un maschio e tu non mi stessi chiedendo di
spogliarlo!” gridò.
Roxas aveva visto una macchia rossa avvicinarsi a
lui, e si era sentito sollevato: alla fine aveva trovato qualcuno. Ma il
sollievo non lo aiutò a fare altri passi, e la gamba ferita aveva ceduto,
facendolo cadere. Una volta a terra non si era più alzato, soprattutto perché
gli mancavano le forze: era stato sotto alla pioggia con quindici gradi di
temperatura per più di un’ora e mezzo e la testa iniziò a girare. Non aveva mai
avuto una salute di ferro, quindi non si sarebbe stupito se si fosse procurato
un malanno di qualche specie.
Aveva sentito delle braccia forti sollevarlo da terra
e avvolgerlo in qualcosa di caldo e asciutto e si era appoggiato al petto
accogliente del suo salvatore. Si era addormentato in pochi secondi,
sfinito.
Adesso, dopo dodici ore di sonno continuo, si
risvegliò in un letto che non era il suo, in una camera che non gli era
familiare.
Aprì gli occhi e vide tutto il mondo attorno a sé
sfocato.
“Ohhh…” gemette,
portandosi una mano alla testa. Fece per alzarsi, ma non aveva forze e ricadde
sul cuscino con un morbido *puf*.
“Buongiorno, bella addormentata” lo salutò una voce. Si guardò
intorno per capire da dove venisse, e vide una ragazza bionda con due codini
sulla testa che erano acconciati in modo buffo e originale: sembravano le
antenne di una mantide religiosa.
“B-buongiorno…”
sussurrò lui, imbarazzato. Lei si alzò dalla sedia su cui era seduta e si
avvicinò a lui, andando a toccargli la fronte con la mano.
“Direi che la febbre è
abbassata, ma non sei ancora guarito” dedusse dalla
temperatura.
“Dove sono?” chiese
in un soffio. Sentiva gli occhi pesanti, ma non voleva
riaddormentarsi.
“A casa mia, mi pare
logico” rispose lei, divertita. Avrebbe quasi riso, se non fosse stato
così male.
“Come ti chiami?”
domandò lei.
“Roxas… Roxas Key”
rispose, sussurrando sempre di più.
“Prima che tu ti
riaddormenti, ce la fai a darmi un indirizzo o un numero di casa dove posso
trovare i tuoi? Sei qui da un
pezzo, non vorrei che si spaventassero” provò a
chiedergli lei.
Il ragazzo fece uno sforzo sovrumano per non cedere
al sonno prima di aver finito di darle il numero di casa dei nonni, poi chiuse
gli occhi e dormì per le quattro ore successive.
Axel non aveva fatto altro che darsi dello stupido.
Come aveva potuto ingannarsi così, pensando che il ragazzino fosse una femmina?
Quando gli aveva tolto per bene i capelli dal viso, aveva notato subito che non
poteva avere dubbi sul suo sesso, eppure prima era così
sicuro…
Quando lo aveva spogliato, per qualche ragione, era
rimasto subito abbagliato dalla bellezza del fisico dell’ospite, soffermandosi
più del dovuto a lavargli il corpo, poi si era ripreso ed era arrossito. Ma che
stava facendo? Ma era matto? Come minimo quella era considerata violenza
sessuale su minore!
Lo aveva rivestito con le mani tremanti, poi gli
aveva bendato il taglio. Era meno profondo di quello che aveva pensato, ma
comunque piuttosto grande.
Solo a quel punto si era accorto che il ragazzo aveva
la febbre, così lo aveva coperto e gli aveva messo una pezza bagnata sulla
fronte per far abbassare la temperatura.
“Come sei premuroso con il
nostro ospite” aveva scherzato Larxene.
“Sono solo gentile”
ribatté lui, continuando a passare il panno sul viso del
ragazzo.
“Immagino. È gentilezza quella
che hai nei pantaloni?” gli tirò una frecciatina
lei, indicandolo nel basso ventre. Axel abbassò lo sguardo e vide che aveva
ragione.
“Puoi darmi il cambio un
attimo?” l’aveva implorata. Lei era scoppiata a ridere e si era messa al
suo posto.
“Magari non imbiancarmi
casa” lo aveva preso in giro.
“Fottiti” aveva
risposto lui, arrabbiato. Si era chiuso in bagno e si era fatto una doccia
fredda per far diminuire la tensione, e aveva iniziato a battere la testa contro
le piastrelle del muro. Com’era possibile che un ragazzino come quello gli
provocasse una tale eccitazione?
Adesso, ancora sveglio nonostante fossero le sei del
mattino, era seduto a tavola con una tazza piena di caffè fumante e la testa tra
le mani. Nel giro di due ore avrebbe dovuto mettersi a lavorare in laboratorio,
ma non era riuscito a chiudere occhio perché continuava a fare fantasie da
maniaco pervertito su un bambino.
“Si è svegliato per
qualche minuto, adesso ho un nome e un numero di telefono, almeno”
annunciò Larxene, entrando in cucina. Si stiracchiò e poi si accasciò esausta
accanto all’amico.
“Ti ha detto come si
chiama?” chiese Axel, incuriosito. Lei lo guardò e poi
annuì.
“Roxas Key”
rispose.
“Se mi dai il numero, chiamo
i suoi genitori” si offrì lui. La ragazza gli passò il
foglio.
“Non sono sicura che alle
sei del mattino qualcuno ti risponda, però” gli fece
presente.
“Quando tuo figlio scompare,
stai sveglio anche tutta una settimana”
Roxas riaprì gli occhi alle dieci e mezza. Intontito
da tutte le ore di sonno, ci mise un po’ a ricordarsi cos’era successo, poi
schizzò a sedere come una molla. “Mia nonna mi ammazza” pensò. Si guardò intorno
alla ricerca di quella ragazza bionda che lo aveva accudito, ma non c’era
nessuno e andò nel panico. “Oddio, e adesso che faccio?” si chiese, sull’orlo
delle lacrime.
In quel momento la porta si aprì e comparve un
ragazzo alto e muscoloso con un vassoio in mano. Rimase vagamente sorpreso
quando lo vide sveglio.
“Oh, buongiorno” lo
salutò, posando la roba sul comodino. Si tolse un guanto nero e gli mise una
mano sulla fronte.
“Non mi sembri più caldo,
credo che la febbre sia passata” considerò. A quel contatto, Roxas per
qualche motivo arrossì e il suo cuore si mise a battere
forte.
“Chi sei
tu? Dov’è l’altra ragazza?” domandò, nel
panico più totale.
“Io sono
Axel. Capito?
Axel. Memorizzalo e tienilo a mente. Larxene è giù a lavorare,
le ho dato il cambio io”
spiegò.
“Axel…” ripeté a
bassa voce. Il rosso non poté fare a meno di pensare che, detto da lui, quello
sembrava il nome più bello del
mondo.
“E tu sei Roxas,
invece. Dico bene?”
chiese.
“Sì, mi chiamo Roxas
Key” annuì lui. L’altro rise.
“Davvero tu ti chiami? Di solito sono gli altri che chiamano me,
ma se tu ti chiami da solo fai pure” lo
prese in giro. Lui arrossì
violentemente e abbassò il capo, zittendosi. Notando il suo disagio, Axel si
sedette sul letto.
“Un po’ di ironia,
forza! In fin dei conti me la merito, ti ho salvato la vita” gli fece presente. Aveva ragione, su questo non c’erano dubbi, però
non riusciva a parlare sapendolo così vicino.
“Comunque, ti ho portato la
colazione. Tè
e biscotti. Fossi in te mi preparerei velocemente, ho chiamato
a casa tua e tra poco verranno i tuoi a prenderti” lo avvertì. Roxas sgranò gli occhi.
“Mia nonna mi
ammazzerà” rispose lui, portandosi le mani alle tempie. Axel rise e si
alzò.
“Niente omicidi in casa mia,
è la regola.
Se cercherà di farti qualcosa, la fermerò io” promise. Senza riuscire a dire altro, il biondino abbassò lo
sguardo sulle coperte e iniziò a giocare con un bordo.
“Adesso ti lascio
solo. Là a
destra c’è un bagno, i tuoi vestiti sono sulla sedia. Quando
sei pronto scendi” disse il più grande,
chiudendosi la porta alle spalle.
Una volta che si fu assicurato di essere
completamente da solo, Roxas sospirò.
Sapeva di essere gay da quando aveva iniziato a
fissare il sedere a Riku, il migliore amico di Sora, e si era chiesto come
sarebbe stato toccarlo. Non aveva detto niente a nessuno, soprattutto perché se
ne vergognava, ed era riuscito a non innamorarsi mai dei suoi compagni di
classe, così da evitare che qualcuno si insospettisse.
Adesso, però, si sentiva terribilmente attratto da
Axel, e questo lo metteva a disagio. Lo aveva visto per sì e no dieci minuti e
già avrebbe voluto che lui lo baciasse e lo stendesse dolcemente sul
letto.
Arrossì violentemente rendendosi conto di quei
pensieri, e si concentrò sul cibo per evitare un’erezione.
Ci mise solo dieci minuti a prepararsi, poi scese le
scale e arrivò in salotto. Non era enorme, però piuttosto accogliente: c’erano
un divano, un enorme tavolo di legno, una televisione, un tappeto rosso fuoco
(probabilmente di Axel) e un camino. Un arredamento semplice, ma
simpatico.
Si guardò intorno, ma non vide nessuno, così si
sedette e aspettò. Larxene non ci mise molto a fare la sua
comparsa.
“Ma guarda, il bambino sperduto. Ben
alzato” lo salutò. Aveva
delle occhiaie profonde sotto agli occhi, e sembrava non avesse dormito per
niente. Era colpa sua?
“Buongiorno” rispose
semplicemente lui.
“Tua nonna sarà qui a
momenti, non sarà una lunga attesa. Noi siamo in
laboratorio a lavorare, quindi non possiamo farti da balie, mi spiace” lo avvertì acida.
“Non ho bisogno di una
balia, non ho due anni!” s’infervorò lui. La ragazza lo fissò sorridendo
e portò un dito alla guancia.
“Ah,
no? E quanti
ne hai? Tre?” chiese
antipaticamente.
“Ne ho quasi diciotto, se
permetti” rispose. Larxene spalancò gli occhi.
“Che
cosa? Sul serio?” domandò
incredula. Sembrava molto
più piccolo.
“Sì, sul serio”
ribatté lui. Lei rimase zitta e andò a versarsi un bicchiere d’acqua prima di
tornare al lavoro.
“Comunque non fare danno,
ok? Non mi va di dover pulire dopo aver lavorato tutto il giorno” si raccomandò.
“Sì, sì” promise
Roxas, solenne.
La vide sparire dietro ad una porta azzurra e si
accoccolò meglio sul divano.
Sperò con tutto sé stesso che sua nonna arrivasse
il prima possibile.
Axel uscì dal laboratorio sudato e stanco quasi
un’ora dopo e si stupì di vedere Roxas ancora lì. Era accoccolato sul divano,
con le gambe tirate al petto, e lo sguardo perso nel vuoto. Non era sicuro che
si fosse accorto che lui era lì, così si schiarì la voce per farsi sentire. Il
ragazzino sobbalzò, sorpreso.
“Tua nonna non è ancora
arrivata?” gli domandò, dirigendosi verso la
cucina.
“No, probabilmente sta
aspettando che torni mio nonno per poter prendere la macchina. Di solito lui la
mattina va in giro a portare i fiori ai suoi clienti e torna verso l’ora di
pranzo” spiegò. L’uomo si riempì un bicchiere d’acqua e ne portò uno
anche a lui.
“Avete una serra?”
s’informò, sinceramente incuriosito. Roxas annuì.
“I miei nonni amano i fiori
e ne hanno fatto la loro vita” rispose.
“E i tuoi? Che lavoro
fanno?” continuò a indagare Axel.
“Hanno un albergo in città
che offre anche servizi come massaggi, terme, idromassaggi… una SPA, in
definitiva” “Capisco” commentò l’altro.
Si mise a sedere vicino a lui e sorseggiò l’acqua, beandosi di quel momento di
riposo.
“Invece tu cosa
fai?” chiese a un certo punto il ragazzo.
“Sono un chimico
farmaceutico” gli disse. Nel vedere lo sguardo confuso dell’ospite, rise
divertito.
“In pratica faccio ricerche
sui nuovi medicinali e ne creo alcuni io stesso” lo
aiutò.
“Aah, ora è chiaro”
esclamò Roxas, sorridendo. Poi lo squadrò per qualche secondo, indeciso se fare
la domanda che gli era venuta in mente.
“Ma tu non sei… insomma,
non sei piccolo per esserti già specializzato nella creazione delle
medicine?” chiese titubante. Arrossì subito dopo aver terminato la frase
e abbassò lo sguardo.
“Teoricamente sì, ho solo
venticinque anni, però mi sono laureato piuttosto giovane e, nel giro di un
anno, sono stato capace di diventare farmacista a tutti gli effetti”
rispose. Notò l’imbarazzo del ragazzino e sorrise.
“Guarda che non me la sono
presa” cercò di tranquillizzarlo. Lui rimase a fissare il
pavimento.
Axel fu tentato, per qualche strana ragione, di
abbracciarlo e calmarlo, ma si impose di star fermo. Prese un altro sorso di
acqua e guardò il soffitto.
“Invece tu quanti anni
hai?” gli domandò.
“Tra poco ne compirò
diciotto” confessò lui. L’uomo sgranò gli occhi. Sul serio quel cosino
piccino sarebbe diventato maggiorenne di lì a breve?
“Capito” rispose. I
pensieri che gli erano venuti in mente nel sapere questo erano talmente
maliziosi che fece fatica a non cercare di sedurlo lì e subito. “Cazzo, Axel,
datti una calmata” si sgridò da solo.
In quel momento si sentì qualcuno che bussava alla
porta e il padrone di casa si alzò ed andò ad aprire.
Roxas lo seguì, convinto che fosse sua nonna, invece
entrambi rimasero allibiti nel trovarsi di fronte un ragazzo biondo con i
capelli a spazzola.
“Demyx? Che diavolo ci fai
tu qui?” lo accolse il rosso. Un po’ imbarazzato, il nuovo arrivato fece
una risata isterica.
“Eheh, io… ecco… sì,
insomma…” iniziò a balbettare. Confusi, gli altri due lo fissarono e
attesero.
Solo quando abbassò lo sguardo il biondo si accorse
che c’era un ospite e, vedendolo vicino ad Axel, divenne
rosso.
“Oddio, mi dispiace! Non
sapevo che avessi un nuovo compagno!” esclamò stupito.
Roxas ci mise qualche secondo a capire cosa
intendesse, mentre l’uomo strinse i denti arrabbiato.
“Che cazzo dici,
Demyx?!” gli urlò contro. Il ragazzino divenne rosso come un pomodoro e
arretrò di qualche passo, lasciando che quei due se la vedessero da
soli.
“Scusami, avevo creduto
che lui… sì insomma, che voi…”
“Sei venuto qui per rompere
le palle o hai un motivo serio?” lo aggredì l’altro.
Ricordandosi il motivo della sua visita, lui tornò
serio.
“Dovrei parlarti di una
faccenda importante, ma senza Larxene intorno” ammise. Come evocata dalle
sue parole, la donna apparve dal laboratorio. Nel vederlo, s’illuminò e gli si
lanciò in braccio.
“Ciao amore!” lo
salutò, baciandolo.
Senza essere visto da loro, Axel si voltò verso Roxas
e fece il gesto di vomitare. Per evitare di fare figuracce, il ragazzo si girò e
rise silenziosamente.
“Come mai sei venuto anche
oggi? Lo sai che dobbiamo lavorare!” gli chiese
smielata.
“Mi mancavi tanto,
topolina” le rispose.
“Ohh, anche tu mancavi a
me!” ribatté lei. Nel frattempo, gli altri due stavano rischiando di
andare i coma diabetico.
Non riuscendo a sopportare altra zuccherosità, il
rosso si mise in mezzo e li divise.
“Sì, tutti mancavano a
tutti, felice che vi siate ritrovati” disse. Larxene
sbuffò.
“Sei una zitella
acida” lo accusò.
“Ognuno ha i suoi problemi,
che ci vuoi fare? Oggi a me domani a te” la prese in giro. Lei strinse i
denti e incrociò le braccia come i bambini.
Si sentì nuovamente bussare alla porta e Axel andò ad
aprire.
“Buongiorno!”
esclamò un uomo alto, anche lui biondo. “Oh,
no…” pensò il rosso.
“Luxord?” si
stupirono sia Demyx che Larxene.
“In persona!
Sorpresi?” si presentò lui. Roxas iniziava a sentirsi piuttosto a disagio
in quella casa, e pregò con tutto sé stesso che arrivasse qualcuno ad
aiutarlo.
Nel frattempo, il padrone di casa era sull’orlo di
una crisi nervosa.
“E tu, invece, cosa ci fai
qui?” domandò, portandosi una mano dietro la testa.
“Sono venuto per vedere
la mia sorellina, no? Ho anche portato un’amica” rispose.
Una ragazzina mora dai dolci occhi celesti apparve
dietro di lui.
“Xion?” esclamò il
più piccolo.
“Roxas?” esclamò a
sua volta lei, vedendolo.
Si misero tutti a parlare: Larxene salutò il fratello
che, a sua volta, salutò il cognato; il ragazzino si mise a discutere con la sua
amica, stupendosi di trovarla lì e chiedendole come stava; Luxord, superati i
convenevoli, si presentò a Roxas, il quale, imbarazzato, strinse la mano sia a
lui che a Demyx, che si scusò per la figura patetica di cinque minuti
prima.
Axel, che già era arrivato al limite massimo di
sopportazione quando avevano bussato alla porta la prima volta, pensò che tutta
quella situazione fosse alquanto surreale e demenziale e decise di porre fine a
tutto questo.
“Ok, adesso basta!”
gridò. Tutti si girarono verso di lui stupiti.
“Sentite, in teoria l’unico
ospite che ha una motivazione valida per essere qui è Roxas, il quale, comunque,
sta aspettando che sua nonna lo venga a prendere per tornare a casa. Quindi mi
sorge spontanea una domanda: tutti gli altri non invitati che diavolo ci fanno
in casa mia?!” esplose. Sembrava quasi che andasse in fiamme dal
nervoso.
Suonarono al campanello un’ulteriore volta e Axel
andò ad aprire con espressione truce.
“Non vogliamo più nessuno
scocciatore!” urlò, spalancando la porta.
L’espressione spaesata della nonna del ragazzo lo
fece sentire un idiota.
“M-mi scusi, forse ho
sbagliato casa” balbettò la donna.
“No, veramente è
giustissima!” si mise in mezzo Roxas. Vedendolo, lei gli andò incontro e
lo strinse forte.
“Mio Dio, meno male stai
bene!” esclamò sollevata. Lui si lasciò abbracciare, ignorando gli altri:
sapeva di averle dato una bella preoccupazione.
“Lei deve essere la
signora con cui ho parlato stamani alle sei. Piacere” si mise in mezzo
Larxene, tendendole la mano. La donna la strinse e la fissò con
gratitudine.
“Non smetterò mai di
esservi grata per aver salvato e curato mio nipote!” le disse.
La ragazza rimase un po’ basita e imbarazzata, poi
sorrise.
“Nessun problema, siamo
stati felici di aiutarlo” rispose.
“Bugiarda, bugiarda,
bugiarda!” gridò Axel nella sua mente.
“Chi è l’altro inquilino
che l’ha aiutata?” domandò, impaziente di ringraziarlo.
Il rosso, imbarazzato per la triste figura fatta poco
prima, alzò la mano.
Come se si fosse dimenticata completamente del fatto
che lui le aveva urlato contro non più di cinque minuti addietro, lo abbracciò
forte.
“La sua amica mi ha
detto che è stato lei a trovare mio nipote. Grazie per averlo ospitato”
disse.
Goffamente, lui dette un’amichevole patta sulla
schiena alla donna, che si staccò.
“Nonna, forse è meglio se
ora andiamo” suggerì Roxas.
“Sì, tuo nonno ci sta
aspettando qua fuori e tuo fratello è appena arrivato a casa, non vorrei che si
preoccupasse più del necessario” annuì lei.
“Che cosa? Sora è già
arrivato? Ma doveva venire la prossima settimana!” esclamò lui.
Lo sguardo della signora s’indurì, facendolo
rabbrividire.
“Se tu non ti fossi
perso non si sarebbe spaventato e avrebbe aspettato” gli ricordò.
Capendo che era meglio star zitto, Roxas chiuse la
bocca.
Dopo che la macchina dei Key si fu allontanata dal
vialetto, tutti e cinque gli altri rientrarono in casa.
Axel, ancora piuttosto arrabbiato per tutto il tempo
prezioso che stava perdendo per colpa loro, li fissò tutti con sguardo
accusatore.
“Adesso, se non vi è di
troppo disturbo, potreste spiegarmi uno alla volta come mai mi avete invaso la
casa?” chiese con un tono di voce piuttosto
inquietante.
“Noi siamo venuti solo
per una visita di un paio di giorni. Zia mi ha affidato Xion fino a domenica e
l’ho portata qui per farle salutare Larxene” disse
Luxord.
“A me mancava la mia
topolina” rispose Demyx.
“Che dolce che sei”
esclamò la bionda, abbracciandolo.
Axel si massaggiò le tempie, iniziando ad avere un
certo mal di testa per tutta quella situazione.
“Fatemi capire bene: tutti
voi rimanete qui a dormire?” domandò.
“Ma certo che rimangono
qui a dormire, che domande idiote fai? Anzi, mettetevi tutti a sedere, vi
preparo da mangiare!” decise la sua migliore amica. Lui si arrese
all’evidenza e sospirò sconfitto.
“E va bene, vado a togliermi
il camice. Se mi dai anche il tuo, lo porto in laboratorio” disse
sconsolato.
La ragazza si tolse l’indumento e glie lo passò,
mettendosi poi ad armeggiare in cucina.
Axel si chiuse la porta della stanza alle spalle e si
appoggiò al muro con le mani. Non sapeva se prendersela di più con sé stesso per
aver aperto a tutti quei debosciati o con Larxene perché non prendeva sul serio
il loro lavoro.
Qualcuno bussò.
“Mi fai entrare?”
gli chiese Demyx, facendo capolino.
“Sei già dentro,
idiota” gli fece presente lui. Richiudendosi la porta alle spalle, il
ragazzo sospirò sollevato.
“Bene, qui non ci sente
nessuno” esclamò. Axel lo guardò truce, ma lui parve non rendersene conto
e sorrise.
“Volevo chiederti una
cosa” iniziò, per poi fermarsi subito.
“Parla” lo spronò il
rosso, sedendosi.
“Ecco, che ne pensi di
questo?” gli domandò, tirando fuori dalla tasca un astuccio piccolo e
quadrato, proveniente dalla gioielleria di paese.
L’uomo l’aprì, stando molto attento a maneggiarlo con
cura, e vide al suo interno un piccolo anello con un diamante a forma di rombo
sopra.
“Cos’è?” s’informò,
senza capire.
“Un anello, mi sembra
chiaro” gli rispose Demyx, alzando le spalle. Axel si trattenne dal
dargli un pugno.
“Intendevo dire: a che cosa
ti serve?” riformulò la frase.
“Oh! Beh, vorrei
regalarlo a Larxene e chiederle se… sì, insomma,
se…”
“Se vuole sposarti?”
lo aiutò. Il ragazzo arrossì e annuì scuotendo la testa, e l’altro
sorrise.
“E bravo il mio
Demyx!” esclamò.
“Dici che le
piacerà?” chiese titubante.
Lui ricontrollò le fattezze del gioiello e poi chiuse
la scatolina.
“Ne sono sicuro!” lo
tranquillizzò. Sollevato, l’altro si accasciò sulla sedia e si stampò in faccia
un sorriso ebete.
“Meno male, avevo paura
che non ti piacesse” ammise.
“Escludendo che non deve
piacere a me, ma a lei, secondo me è proprio un pensiero carino”
disse.
“E’ vero che deve
piacere a lei, ma i vostri gusti sono praticamente gli stessi e non sarei stato
tranquillo se tu avessi disapprovato” confessò.
“Approvo in pieno,
invece!” assicurò Axel.
Dietro di loro si aprì la porta e si affacciò Xion,
un po’ imbarazzata.
“Larxene dice di venire a
tavola perché tra cinque minuti mangiamo” sussurrò, per poi scappare
via.
“Quella ragazza ha
qualche problema?” domandò Demyx, confuso. L’altro alzò le
spalle.
“Solo un po’ di timidezza,
niente che non si possa risolvere con un po’ di alcool” rispose.
Axel aveva deciso di arrendersi a quella situazione e
adeguarsi, così si era messo a preparare le stanze degli ospiti, rifacendo i
letti e cambiando gli asciugamani nei vari bagni (ognuno aveva il suo). Quando
arrivò al letto dove aveva dormito Roxas, notò subito che la sua tavola da skate
era rimasta lì. Per qualche motivo il suo cuore si mise a battere veloce e lui
sorrise come un ebete.
“Quindi dovrà tornare per
riprenderlo” ragionò ad alta voce.
“Chi dovrà riprendere
cosa?” gli chiese una voce alle sue spalle. Lui sobbalzò, voltandosi
lentamente: Larxene aveva le braccia incrociate al petto e lo stava guardando
sorridendo.
“R-Roxas ha lasciato qui
della roba, più tardi lo chiamo per dirglielo” rispose incerto. Non era
mai stato bravo a nascondere qualcosa all’amica e aveva paura che lei indagasse
un po’ più a fondo.
“E questo ti rende
felice?” domandò infatti.
Axel deglutì, senza sapere come spiegarle quella
sensazione di vuoto allo stomaco che sentiva da quando aveva visto il
ragazzino.
“N-no, figurati”
negò, ma la sua voce lo tradiva e chiunque si sarebbe accorto che stava
mentendo.
“Ehi, non è mica un male
se, dopo anni e anni, finalmente ti piace qualcuno” lo rassicurò lei,
togliendosi l’espressione maliziosa e sorridendo affettuosa. Lui sbuffò e
strinse la tavola tra le mani, iniziando quasi a tremare.
“Axel” lo chiamò
lei, dolcemente. Gli mise una mano sulla spalla e lo fece girare: sapeva cos’era
che lo rendeva così preoccupato, e voleva stargli accanto.
“Ti va di
parlarne?” s’informò. Ritrovando il suo carattere insolente e sarcastico,
lui si scansò.
“Nonc’è niente di cui parlare, stai tranquilla. Ora fammi finire
qui, devo rifare il letto e aggiustare un po’ il bagno” disse,
scomparendo nella toilette.
Larxene non era molto affettuosa, né la si poteva
definire particolarmente attratta dai rapporti interpersonali, ma Axel era il
suo migliore amico e la faceva soffrire vederlo in quelle condizioni. Doveva
decisamente fare qualcosa per lui.
“ROXAS!” esclamò
Sora, quando il fratello rincasò. Si gettò tra le sue braccia, iniziando a
stringerlo forte, quasi strozzandolo. Nel cercare di rimanere in equilibrio, il
ragazzo si sbilanciò sulla caviglia malridotta e gemette.
“Scusami, non volevo
farti male!” gli disse il castano, lasciandolo
andare.
“N-no, non è niente”
lo tranquillizzò l’altro. Si era dimenticato del taglio, anche perché, se
camminava, non bruciava più. Sua nonna entrò in casa e si mise subito le mani
sui fianchi.
“Signorino, direi che
stai per passare un enooorme guaio” lo avvertì.
Ben consapevole di esserselo meritato, lui abbassò la
testa e aspettò la sfuriata.
“Ma ti rendi conto? Ti
avevo anche avvertito di non uscire perché ci sarebbe stato un temporale, ma tu
non mi hai dato ascolto! Sei così testardo, delle volte! E se non ti avessero
trovato? Se tu fossi rimasto nel bosco? Se fossero stati dei delinquenti?
Se…”
“Nonna, per favore
smettila con tutti questi se. Hai
ragione ad essere arrabbiata, ma ora è passata, no? Forse dovresti essere felice
che Roxas è tornato a casa, non pensi?” la bloccò Sora.
Dagli occhi della donna iniziarono a scendere grosse
lacrime che le bagnarono tutte le guance. Si avvicinò al biondo e lo
abbracciò.
“Che avremmo fatto se tu
ti fossi fatto male sul serio?” gli chiese.
Non essendo abituato a tali esternazioni di affetto,
il ragazzo rimase immobile, senza sapere cosa fare. Da dietro la spalla della
nonna, suo fratello gli fece segno di abbracciarla e lui ubbidì, stringendola
forte.
“Stai tranquilla, va tutto
bene” la rassicurò. Rimasero fermi così per un tempo indefinito, poi lei
tirò su col naso e sorrise.
“Adesso vai in camera,
Larxene mi ha detto che hai avuto un po’ di febbre. Riposati e più tardi ti
preparerò qualcosa da mangiare” ordinò.
Ubbidendo diligentemente, Roxas si avviò verso la sua
stanza, seguito da Sora. Solo quando furono soli, si misero entrambi a ridere
forte.
“Caspita, deve essersi
spaventata davvero tanto” considerò il biondo.
“Ci siamo preoccupati
tutti. Non hai dato notizie di te per ore e ore, e se non fosse stato per quei
due chissà cosa ti sarebbe capitato” gli rispose
l’altro.
“Non l’ho fatto di
proposito! Quando ha iniziato a tuonare mi sono spaventato e sono andato nel
panico” si scusò. Raccontò al fratello tutto quello che era successo per
filo e per segno, facendogli vedere anche il taglio.
“Accidenti, è parecchio
profondo!” esclamò quello, nel vederlo. Lui annuì.
“Dovrei cambiare la
fasciatura, non so quando mi è stata fatta. Axel mi ha solo detto che mi ha
medicato” continuò.
“Se mi aspetti qui un
secondo, vado a prenderti le bende senza farmi vedere da nonna. Non sono sicuro
che sia salutare che lei sappia anche della ferita” propose il
castano.
“Sì, in effetti non hai
tutti i torti” gli dette ragione suo fratello.
Sora scomparve dietro la porta, stando ben attento a
non farsi scoprire, e lasciò Roxas solo a pensare. Si stese sul letto a fissare
il soffitto e stese la gamba, sospirando di sollievo.
Stranamente, l’unica cosa che gli veniva da pensare
era Axel: i capelli rossi di Axel; il camice nero di Axel; il trucco bellissimo
di Axel; le braccia forti e muscolose di Axel; gli occhi verde intenso di
Axel…
Si scompigliò i capelli disperato, nella speranza che
quel ragazzo si togliesse dalla sua mente e lo lasciasse in pace, ma era da
quella mattina, quando aveva incrociato il suo sguardo, che non faceva che
sentirsi emozionato. Emotivamente non era possibile affezionarsi a qualcuno in
meno di cinquanta parole, cavolo! L’unico che conosceva che riusciva a legare
con tutti anche solo con un semplice “ciao” era Sora, ma lui era un caso a
parte: da piccolo faceva amicizia anche con le lucertole che sonnecchiavano al
sole davanti casa, per cui non faceva testo.
“Ecco qua, bende,
cerotti e acqua ossigenata!” esclamò il castano, vittorioso, rientrando
in camera. Si sedette vicino al fratello e si mise a medicare la ferita,
pulendola con cura e attenzione. Roxas non pensava che fosse così
bravo.
“Certo che hai fatto
pratica quando io non c’ero” commentò infatti. Sora alzò le
spalle.
“Sai che mi faccio male
spesso, soprattutto quando esco con Riku e ci sfidiamo alla lotta con i bastoni,
per cui devo sapere come curare tagli, graffi e affini. Che ne pensi, andrà bene
così?” gli chiese, spostandosi. Alla caviglia del biondo c’era una
fasciatura pressoché perfetta, né troppo stretta né troppo
larga.
“Direi proprio di
sì” lo rassicurò, muovendo un po’ il piede.
“Fossi in te ci metterei
sopra i pantaloni, almeno la nonna non la noterà. Con quanto è apprensiva, ci
mancherebbe anche che lo scoprisse, così ti chiude in casa un mese e non
possiamo allenarci con lo skate” commentò. Roxas rise forte, divertito.
Suo fratello lo fissò senza capire.
“Che c’è?”
domandò infatti.
“Niente, solo che non ti
facevo tanto sveglio!” lo prese in giro l’altro. Sora gli si gettò
addosso iniziando a fargli il solletico.
“Ah no? Vediamo se
riesci a liberarti!” lo sfidò, mettendosi a ridere con lui. Entrambi
caddero a terra, rotolando per la stanza e continuando a lottare
affettuosamente. Nessuno dei due voleva fare male al fratello, così cercavano
solamente di farsi il solletico.
“Ok, o… ok, mi
arrendooo!” gridò Roxas a un certo punto. Era bloccato a terra, con le
mani ferme sopra la testa e rideva come un matto.
“Chiedo pietà!”
implorò tra le lacrime. Sora si mise a cavalcioni su di lui e lo guardò con aria
trionfante.
“Dì che sono il più
forte!” ordinò.
“Non lo dirò mai” si
rifiutò il biondo. Lui partì con un altro attacco di
solletico.
“Oddio, ahahahah, va bene,
va bene! Sei… sei il più forte!” ammise, tra una risata e
un’altra.
“E sono anche il più
bello”
“E sei anche il più…
ahahahah, almeno smetti di torturarmi mentre parlo, altrimenti non ce la
faccio!” lo implorò.
“Dillo!”
“E sei anche il più
bello!” sputò fuori il biondo, cercando di non ridere. Soddisfatto, il
castano si alzò e lo lasciò a terra a recuperare le forze.
“Ti… uff… ti odio!”
gli disse, con gli addominali doloranti per lo sforzo.
“No, non è vero, tu mi
vuoi bene” lo corresse l’altro. Senza farsi vedere, Roxas gli fece la
linguaccia.
“Axel, pensavo… dato che
tanto per i prossimi due giorni non lavoreremo, ti va di organizzare una cena
con tutti i nostri amici?” propose Larxene. Il ragazzo, che stava
preparando il caffè per tutti gli ospiti, la guardò male.
“Tradotto? Chi vorresti
invitare?” le domandò, timoroso. Tanto la risposta la sapeva
già.
“Beh, avevo pensato che
qui siamo io, tu, Demyx, Luxord e Xion, per cui potremmo sentire anche Xemnas,
quel matto di Marluxia, Zexion –anche se non penso verrà-, Laxaeus –che tanto
starà zitto da una parte-, il prof. Vexen, Xigbar e Xaldin –che vengono in
coppia come solito- e… e…”
“E Saix, vero?”
completò lui. La ragazza annuì con un groppo in gola e fissò di sbieco l’amico,
aspettando una qualsiasi reazione da parte sua. Lui, semplicemente, scrollò le
spalle.
“Per me va bene, non ho
problemi di alcun tipo, ormai l’ho superata” le
assicurò.
“Sei sicuro che sia
ok?” chiese. Axel le sorrise e poi le fece segno di sì col
pollice.
“Sono grande e vaccinato,
sono certo che sopravvivrò. Però ti occuperai di tutto tu”
disse.
“Che cosa? Devi
aiutarmi!” si ribellò lei.
“Ma nemmeno per idea! Tua la
proposta, tue le responsabilità. Io, anche se tu non ci sarai, starò tutto il
giorno in laboratorio a lavorare. Qualcuno deve pur farlo, visto che stasera
verrà anche il professore e dovremo sopportare una serie di domande infinite sul
progresso degli studi. Almeno non dovrò mentire, dicendo che non sono riuscito
ad andare avanti nemmeno oggi” spiegò. Larxene mise il broncio e incrociò
le braccia.
“Sei perfido” lo
accusò. Il rosso prese la sua tazza di caffè fumante e le dette un bacio sulla
testa.
“Ricordati, streghetta, che
se fai queste espressioni ti verranno le rughe. Ci vediamo più tardi” la
salutò, dirigendosi verso il laboratorio.
Continuò a sorridere fin quando la porta non fu
sigillata alle sue spalle, poi sospirò e una tristezza strana s’impossessò di
lui. Avrebbe voluto dirle che no, non gli andava bene che Saix andasse a cena da
loro, soprattutto dopo tutto quello che era successo.
Non provava più nulla nei suoi confronti, solo tanta
rabbia. Non gli importava niente che avesse un altro o che si fosse preso gioco
di lui, la cosa che lo mandava letteralmente in bestia era che non aveva avuto
il coraggio di andare da lui e scusarsi. Aveva fatto finta di niente, uscendo
tranquillamente con il loro gruppo di amici e continuando a sfotterlo anche dopo
che lo aveva pregato di non farlo.
Simise
a mescolare le provette senza nemmeno controllare cosa stava unendo, creando
così una gigantesca esplosione.
Roxas si era svegliato allegro e pimpante. Fuori
c’era il sole, tirava un po’ di vento fresco e lui e suo fratello quel
pomeriggio sarebbero usciti ad allenarsi con lo skate.
Si mise a sedere sul letto, stiracchiandosi, poi
lanciò il cuscino in faccia a Sora.
“Ehi, svegliati
pigrone!” lo chiamò, scendendo. Il ragazzo grugnì e si girò dall’altra
parte, facendolo ridere.
“Andiamo, alzati! Ieri la
nonna ha detto che portava i croissant con la cioccolata. Vuoi che me li mangi
tutti io?” lo minacciò, infilandosi le ciabatte. Come punto da qualcosa,
il castano si tirò su velocemente, schizzando fuori dalle
coperte.
“Quella più grossa è
mia!” gridò correndo.
Roxas trattenne una risata e lo seguì con calma, ben
sapendo che non gli avrebbe mai finito le brioche.
Quando arrivò in sala da pranzo, si sedette vicino al
fratello e si versò un po’ di latte.
“Nonno e nonna?”
domandò guardandosi intorno.
“Non lo fo, quando fono
fffeso non f’era neffuno” rispose l’altro. Lo fissò
disgustato.
“Per favore, evita di
parlare con la bocca piena. Ho avuto una panoramica della tua colazione e ne
facevo volentieri a meno” lo sgridò nauseato. Sora
deglutì.
“Non c’è nessuno in
giro, penso che siano andati a fare le consegne”
“Anche la nonna? Non va mai
in giro con nonno”
“Che ti devo dire? Forse
avevano tanti fiori da distribuire ed è andata ad aiutarlo” suppose il
castano. Roxas non ne era molto convinto, ma si mise silenziosamente a mangiare,
prendendo un piccolo morso di croissant alla volta mentre suo fratello ne
ingurgitava più di metà con un solo boccone.
“Quando ci siamo
preparati andiamo a fare uno giro sullo skate? Ne ho un disperato
bisogno” chiese Sora, bevendo il latte.
“Sì, anche perché dobbiamo
allenarci. Giuro che, se Hayner vince, mi taglio i capelli a zero”
promise.
“Che cosa? Nooo!”
si ribellò l’altro, schifato. Teneva moltissimo ai suoi capelli e pensava fosse
un sacrilegio anche solo sfiorarli.
“Si chiama modo di
dire” spiegò il fratello, scuotendo la testa.
“Ah” disse
solamente il castano, arrossendo.
Finirono di mangiare e si vestirono velocemente,
pettinandosi e lavandosi i denti il più in fretta
possibile.
“Ho un bisogno assurdo
di volare sulla tavola!” esclamò Sora, correndo in camera a prendere lo
skate.
“Forza, vai a prendere
la tua, ci troviamo in giardino” gli ordinò, ben sapendo che il biondo la
teneva in garage.
Solamente in quel momento Roxas se ne rese conto:
quando era arrivato a casa di Axel lui aveva in mano lo skateboard, ma il giorno
prima, quando era tornato dai suoi nonni, lui non l’aveva recuperata. “Oh, cristo…” pensò. Rimase fermo in mezzo alla
stanza, con gli occhi chiusi.
“Ehi, qualche
problema?” gli chiese il castano, preoccupato.
“La mia tavola è da
Larxene” sussurrò il biondo, dandosi un colpo sulla fronte con le
mani.
“Cheee? Significa che
oggi non ci alleniamo?” si lamentò il fratello.
“No, peggio: significa che
io devo tornare da Axel!” ragionò, col cuore in
gola.
Controvoglia, si sedette in giardino ad aspettare che
sua nonna tornasse per chiederle il numero di casa Flame.
“Sicuro, non disturbi. Ci
vediamo alle sei, ok?” stava dicendo Larxene, sorridendo sotto i baffi.
Quando chiuse la comunicazione praticamente rideva come una matta. Demyx la
circondò con le braccia e le posò un bacio sul collo.
“Come mai così
felice?” le chiese.
“Ti ricordi Roxas? Quel
ragazzino che abbiamo aiutato un paio di giorni
fa?”
“Certo, il biondino che
credevo stesse con Axel”
“Esatto. Ho voglia di
divertirmi un po’, stasera” disse criptica.
Tutti gli invitati alla cena arrivarono a casa Flame alle cinque e mezzo, ora che aveva indicato Larxene. Aveva proposto di stare un po’ in veranda a parlare
per poi spostarsi all’interno per mangiare. Non era così elettrizzata da quando
Axel l’aveva suggerita al professor Vexen per quello studio dei medicinali come sua assistente
personale.
In realtà, era quasi più emozionata pensando al fatto
che Roxas stava per arrivare e che lei avrebbe fatto
una gigantesca sorpresa al suo migliore amico. Odiava che lui stesse ancora male
per quell’idiota di Saix, anche perché lui non
meritava il suo dolore, quindi era decisa a fare il possibile perché ritrovasse
un po’ di armonia.
“Sono arrivati!”
gridò Demyx, vedendo le macchine apparire dal
vialetto.
Uno dopo l’altro gli otto invitati entrarono in casa,
e tutti si scambiarono baci e abbracci affettuosamente.
“Larxene,
tesoro, sei un fiore!” la salutò Marluxia. I
suoi capelli rosa si notavano da lontano, così come il suo ego gigantesco, ma
lei gli voleva bene.
“Grazie, grande capo,
anche tu non stai male” lo ricambiò sorridendo.
Passò i dieci minuti successivi a salutarli uno per
uno: Xemnas e la sua pelle abbronzatissima anche
d’inverno; Xigbar e Xaldin,
che ormai erano inseparabili; Laxaeus, il gigante che
stava sempre zitto; l’emoZexion, che era venuto sorprendendo tutti quanti; il
professor Vexen; e infine, il menefreghista Saix.
“Ho messo il tavolino
circolare in giardino, ci sono già le bevande per l’aperitivo se volete”
li istruì.
“C’è l’alcool?”
s’informò Luxord.
“In quantità
industriali” rispose lei, serafica.
“Allora andiamo a bere,
gente: ho bisogno di ubriacarmi!”
Roxas
stava andando a casa di Axel con Sora. Aveva insistito
affinché lui lo seguisse, anche perché proprio non ce la faceva ad andare là da
solo, aveva troppa… cosa? Paura? No, forse è meglio dire che era emozionato al
pensiero di rivedere il ragazzo.
“Sono simpatici, questi
tuoi amici?” domandò suo fratello mentre erano in macchina. Li stava
accompagnando il nonno, che però non aveva smesso di tossire da quando erano
partiti.
“S-sì, diciamo di
sì” rispose lui, poco convinto.
“Ehi, bambini, siamo
arrivati, la casa è quella” li avvisò l’uomo, indicando la
villa.
Il biondo notò subito che c’erano un sacco di persone
intorno all’edificio e questo non fece altro che accrescere la sua tensione.
Però Larxene gli aveva detto che non c’erano problemi
se andava.
“Caspita, devono essere
ricchissimi!” esclamò Sora.
Il nonno si fermò e li fece
scendere.
“Vi aspetto qui, ok?” chiese. Loro annuirono e si avviarono
insieme verso quel gruppo di persone urlanti.
Roxas
si zittì automaticamente quando furono praticamente in mezzo a tutta quella
gente: come suo solito, non era capace di parlare tranquillamente in presenza di
troppe persone, gli veniva l’ansia.
“Ehi, ciao
ragazzino!” lo salutò la padrona di casa facendosi largo tra gli
incitati.
“Scusami, forse è meglio se
torno domani…” disse a bassa voce. Lei rise e
gli dette una pacca sulla schiena.
“Ma figurati, vieni
pure! Axel ha il tuo
skate, vado a chiamarlo!” lo
rassicurò.
Il biondo rimase in mezzo a una decina di sconosciuti
e cercò con la mano il braccio del fratello, che però non trovò. Si guardò
intorno allarmato: dov’era Sora?
“Xion! Guarda, ci sei anche tu! Che ci fai qui?” lo sentì
parlare.
“Sono qui dai miei
cugini, ieri ho anche incontrato tuo fratello. Come mai siete
tornati?”
“Lo skateboard di Roxas è rimasto qui e siamo venuti a riprenderlo”
spiegò ridendo. Li vide parlare senza problemi e si chiese come diavolo facesse
lui a sentirsi così a suo agio tra gente sconosciuta.
“Ehi, e tu chi
sei?” gli chiese una voce alle sue spalle. Si voltò e vide un uomo con
una benda sull’occhio fissarlo incuriosito.
“Ah-ehm… io sono
Roxas” rispose, tendendo la
mano.
“Non mi ricordo questo
nome.
Sei nuovo del gruppo?”
domandò.
“No, sono qui per
riprendere…”
“Xigbar, non mi
mettere sotto inchiesta l’ospite! È qui per Axel e basta!” lo sgridò
Larxene, tornando in
giardino.
“Veramente sono qui per il
mio skate” precisò lui.
“Che ha Axel, ergo sei qui per lui. Forza, è in
laboratorio che finisce di lavorare, seguimi” gli ordinò.
Anche se controvoglia, il biondo le andò dietro senza
fiatare, sentendo la bocca asciutta.
“Ecco a voi il nostro
laboratorio!” lo presentò lei, aprendo una porta. Dietro c’era una stanza
non molto più grande della cucina ma decisamente più ingombra: provette, fiale,
contenitori di varie forme e dimensioni erano disposti in modo disordinato (o
così pareva) sui vari scaffali. C’era un lieve puzzo di
bruciato.
“Scienziato, c’è qui Roxas!” esclamò Larxene.
Axel
spuntò da dietro un enorme mobile bianco. Sorrise non appena lo
vide.
“Ehilà, Roxas! Come stai?” lo accolse sorridente. La sua migliore amica lo aveva avvertito solo un
minuto prima dell’arrivo del ragazzo e lui sapeva benissimo che l’aveva fatto
apposta. Se avesse avuto tempo, l’avrebbe strozzata, ma ormai tanto valeva fare
finta di nulla.
“Bene,
grazie. Sono qui solo per riprendere lo skate” disse.
“Lo so, infatti la tua tavola è di sopra, al sicuro in camera mia.
Con la casa invasa da dodici persone, ho dovuto salvarla” lo informò. “Camera sua?!” pensò il
ragazzino, sentendo il cuore battere velocemente al sol
pensiero.
“Bene, io vi lascio
soli. Ci vediamo tra poco” li salutò Larxene, uscendo dal laboratorio.
“Scusa il disordine, ho
avuto qualche problema con un paio di elementi incompatibili tra loro
e…”
“Sono esplosi?”
suppose il biondo.
“Esatto, facendo un gran
baccano e tanto fumo. Diciamo che non sono molto fortunato
ultimamente” si scusò
ridendo. Si tolse camice e guanti, appendendoli a un gancio
al muro e rimanendo con un paio di jeans strettissimi e una maglietta rossa
attillata. “Oddio!”
“Vieni, ti restituisco ciò
che è tuo” lo guidò, uscendo dalla stanza.
Si sentiva il vociare delle tredici persone fuori
dalla casa anche con la porta chiusa e Roxas si sentì
a disagio a pensare che erano lì dentro da soli. Magari
avrebbero potuto… “NO!”
Entrò nella camera dove si era svegliato la mattina
precedente e vide il suo skate appoggiato al muro.
“Ecco qua!” esclamò
Axel, chinandosi per prenderla. “Che bel sedere…”
“A te” gli disse
passandogliela.
Il biondo sorrise e la strinse tra le mani,
riconoscente.
“Grazie, vi ho disturbati
proprio molto in questi giorni” commentò, un po’
imbarazzato.
“Figurati, l’abbiamo fatto
volentieri” minimizzò il rosso, con un gesto della mano. Lo fissò negli
occhi, rimanendo incatenato a quel verde acceso che sembrava quasi
finto.
“Ehm… sssì, forse è meglio andare” suggerì Axel, riscuotendosi. Roxas
sobbalzò, preso alla sprovvista, e annuì. Era fin troppo facile perdere il senso
della realtà con quell’uomo intorno, doveva stare attento.
“Ehi, rimaniamo qui a
cena!” esclamò Sora quando uscì di casa.
“Cosa?” chiese il
biondo, andando nel panico.
“Sì, Larxene mi ha chiesto se volevano mangiare qui e io ho
domandato a nonno se andava bene. Ci ha dato il
permesso, viene a riprenderci più tardi!” spiegò
felice. L’altro strinse i
denti e cercò di non cedere alla tentazione di ammazzarlo su due
piedi.
“Che… bellezza”
disse, sputando fuori le parole.
“Ragazzi, abbiamo due
ospiti in più! Salutateli
tutti!” gridò Larxene,
passando un bicchiere di aperitivo anche a loro.
“Benvenuti!”
urlarono tutti all’unisono. Il castano mandò giù in un solo sorso la bevanda,
mentre Roxas iniziò a berla poco per
volta.
“Buona!” commentò
il gemello.
Furono presentati alla combriccola al completo.
Andando in ordine di comparizione: Xemnas era quello
abbronzato e super fico; Saix era quello sfigurato;
Vexen era il professore matto; Laxaeus era il gigante silenzioso (metteva paura); Zexion era l’emo egocentrico;
Marluxia era quello con i capelli rosa, l’ombretto e
decisamente gay; Xaldin e Xigbar erano la coppia affermata (ma quanti gay c’erano in
quel gruppo?); Demyx era il ragazzo di Larxene (che Roxas aveva già consociuto), mentre Luxord suo
fratello; Xion la cugina. Infine c’era Axel, che gli fece l’occhiolino, vedendolo un po’ in
difficoltà.
“Stai tranquillo, se hai
bisogno ti aiuto io” gli sussurrò in un orecchio quando riuscì ad
avvicinarlo. Lui lo ringraziò con lo sguardo.
Si misero a sedere dopo aver bevuto un bel po’ di
aperitivo e metà dei commensali era già brilla. Il ragazzo ringrazio la sua
capacità innata di reggere l’alcool e sorrise, poi guardò il fratello e un po’
della sua positività scomparve: Sora era praticamente ubriaco e stava
intrattenendo Xion e Demyx
con discorsi assurdi riguardo alla scuola, facendoli ridere di cuore. scosse la testa sconsolato e si chiese come avrebbe fatto a
spiegare a sua nonna come mai aveva preso la sbornia.
“Allora, Roxas, che cosa fai tu?” gli chiese Marluxia sorridendo.
“Studio” rispose
lui, secco.
“Che classe
fai? La prima superiore?” lo prese in
giro Xigbar.
“Veramente tra un mese
inizio la quinta, ma grazie per l’arguta osservazione” lo freddò,
guardandolo male. L’uomo rise.
“Hai la lingua
tagliente, ragazzino, mi piaci!” si complimentò.
“E dopo che farai?”
domandò, seriamente interessato, Axel.
“Non lo so, ho molte idee,
ma anche tanti dubbi. Probabilmente
scienze o medicina” rispose con un’alzata di
spalle.
“Sul serio?” si stupì
il rosso. Lui arrossì e annuì.
“Ma pensa tu che
casualità” commentò una voce fredda e distaccata. Lui si girò verso Saix con i brividi sulla schiena.
“Anche tu uno
scienziato? Anche il nostro
amato Axel studia chimica, sai?” gli fece presente.
“Sì, lo so” rispose,
intimidito da quella voce glaciale.
“Potreste lavorare
insieme, non credi? Sarebbe così… divertente” lo stuzzicò. Il ragazzino rimase immobile mentre quelle parole,
che di per sé non significavano nemmeno più di tanto, rimanevano sospese
nell’aria.
“Saix, se devi aprire
quella boccaccia solo per dire fesserie, allora sta’ zitto!” gli intimò
il rosso, fulminandolo con lo sguardo. Roxas ringraziò
che ci fosse lui perché, contro quell’uomo sfigurato, non avrebbe saputo come
comportarsi.
Quando la tensione fu svanita e lui non li
considerava più, il rosso lo fissò con sguardo
supplichevole.
“Ti chiedo di perdonarlo, ha
un carattere un po’… uhm… non ho aggettivi al momento ma ti prometto che ne
troverò” si scusò. Quel sorriso gentile fu una ricompensa più che
generosa e lui ricambiò.
“Niente,
figurati”
La serata passò piacevolmente e anche lui si lasciò
andare, bevendo un po’ di vino e spumante. Non sapeva dire se ci fosse altro, ma
ogni tanto qualcuno gli riempiva il bicchiere e lui lo
svuotava.
Alle undici e mezzo suo nonno non era ancora andato a
prenderlo e lui iniziava a preoccuparsi. Sora era ormai in casa mezzo svenuto da
più di un’ora e tutti gli altri invitati erano ubriachi. Se li avesse visti in
quella compagnia li avrebbe chiusi in casa a vita.
In aggiunta, anche lui si sentiva un po’ brillo e non
riusciva quasi a tenere gli occhi aperti.
“A-Axel…”
chiamò, biasciando un po’ il nome. Non si era nemmeno reso conto che lo stava
portando in camera a dormire.
“Che c’è?” gli chiese
il ragazzo, posandolo sulle lenzuola, accanto al fratello.
“Devo chiamare mio…
nonno” balbettò. Sentiva gli occhi chiudersi.
“Ci penso io, stai
tranquillo” gli assicurò.
“Shai, sei gentile… a
mala pena mi conosci e mi aiuti taaanto… mi piasci” gli disse, iniziando a perdere i sensi. Il rosso sorrise e gli posò un bacio sulla
fronte.
“Anche tu mi piaci, piccolo Roxas” sussurrò,
fissandolo. Stava succedendo qualcosa di strano, se ne rendeva conto: aveva
passato con quel ragazzino non più di sei ore e si sentiva legato a lui in modo
indissolubile. Era come un filo legato doppio alle loro vite, che li univa senza
scampo. Scosse la testa per quei pensieri assurdi, uscendo dalla camera per
lasciarlo dormire. Spense la luce e si chiuse in laboratorio: avrebbe passato
un’altra nottata in bianco, di questo era sicuro.
"Chiedo
scusa per la buffa coppia Xaldin-Xigbar, ma è un'idea
nata da quella mente malata di mia sorella minore... quando giochiamo insieme a
Kingdom Hearts li scambia sempre e ieri, quando stavo
scrivendo questo capitolo, mi ha detto "porca puzzola (testuale), io non li
sopporto... Rea, nella tua yaoi
falli mettere insieme, per favore, almeno se dico l'uno o l'altro è la
stessa!" e quindi ecco qui la neonata coppia più assurda degli ultimi dieci
anni! Perdonatemi il colpo di matto, ma mi ha fatta troppo ridere e mi è
piaciuta l'idea... un bacio a tutti, a presto"
Roxas
si svegliò di soprassalto, sudato e spaventato, e si guardò intorno. Dov’era?
Appoggiò una mano sulla fronte e scosse la testa, cercando di focalizzare gli
ultimi eventi per ricordarsi qualcosa.
“Basta alcool per
me” decise, pensando a tutto il vino ingerito durante la cena. Suo
fratello russò sonoramente e lo fece sobbalzare, così che riuscì a darsi una
collocazione spazio-temporale e un po’ di lucidità si fece spazio nella sua
testa. Aveva avuto un bell’incubo, comunque, se era riuscito a svegliarlo: di
solito dormiva senza problemi fino a quando la sveglia non suonava, per cui
doveva essere stato terribile.
Si alzò dal letto, cercando di evitare di svegliare
Sora, e scese in cucina per prendersi un bicchiere d’acqua. Ne aveva decisamente
bisogno.
Fece il più piano possibile, scansando come in una
danza stramba tutte le persone addormentate a terra: nella penombra riconobbe
Marluxia sdraiato sul divano, Xigbar e Xaldin abbracciati a
terra e Vexen con ancora una bottiglia di vino bianco
in mano. Non si era reso conto che la festa avesse preso quella piega, la sera
precedente.
“Ehi, buonasera Roxas” lo salutò Axel
quando entrò in cucina. Lui arrossì.
“Ciao” ricambiò, un po’ nervoso. “Riprenditi!” si sgridò.
“Come mai sveglio a
quest’ora?” gli domandò, con in mano un
bicchiere d’acqua.
“Avevo sete e sono
sceso. Mi dispiace averti disturbato” si
scusò. Il rosso gli passò
la propria tazza e se ne versò un’altra.
“Nessun disturbo, piccolo
Roxy” lo tranquillizzò.
“Ehi, non sono così
piccolo!” si ribellò il ragazzino, infiammandosi. L’altro rise e si
avvicinò, toccandogli la testa.
“Rispetto a me sì,
vedi? Tu sei molto più basso, mi arrivi solo all’altezza del…” ma si fermò, con i battiti
accelerati.
“Del cuore” completo
il biondo, percependo il corpo massiccio di Axel
terribilmente vicino al suo.
Dopo un lungo istante di imbarazzo, il più vecchio si
schiarì la voce.
“Magari non ti va, e ti
capirei, visto che sono le tre e mezzo del mattino, ma… hai voglia di venire in
laboratorio con me? Ultimamente soffro
d’insonnia e non ho altro modo per passare la notte che non sia lavorare” gli propose, sorridendo.
“Perché
no? Ormai sono sveglio” accettò lui,
felice.
Era insensato, innaturale e anche piuttosto delirante
che lo volesse così vicino dopo il poco tempo che si conoscevano, ma non ce la
faceva, era più forte di lui: si sentiva protetto quando era con Axel. Forse era perché lo aveva salvato, o forse perché era
terribilmente alto e attraente, ma ciò non cambiava il sentimento che stava
nascendo nei suoi confronti. E Roxas ne era
fottutamente spaventato.
“Ecco
qua! Ci sei già stato prima, quindi non ti farò fare un tour per
mostrarti la disposizione delle cose” disse il
rosso, infilandosi il camice nero e i guanti.
“Posso averne uno anche
io?” gli chiese lui, indicando la sua divisa.
“Certo, ma non sono sicuro
che ci siano della tua taglia” lo prese in giro
divertito.
“Ah-ha. Non sei simpatico” ribatté, un po’
infastidito.
In effetti, non c’erano camici della sua stazza, o
erano troppo lunghi o erano troppo larghi. Alla fine optò per un vestito un po’
più lungo ma che non gli impediva di usare le mani.
“Bene, adesso mettiti anche
i guanti.
Non vorrei che ti bruciassi con l’acido” lo istruì, indicandogli un
cassetto. Roxas ubbidì e poi tornò vicino a lui.
“Ok, a questo punto… di
preciso in cosa consiste il tuo lavoro?” s’informò. Axel si mise le mani sui fianchi e iniziò a indicare una
serie di fiale e contenitori.
“Unisco questi componenti e
creo medicine.
In realtà il processo è un po’ più complicato di così, ma non
mi va di annoiarti con tante questioni superficiali sull’argomento” ammise, scompigliandosi i capelli in quello che il
ragazzino considerò essere il gesto più sexy e eccitante a cui aveva assistito
negli ultimi diciotto anni.
“Ehi, ci sei?” lo
richiamò l’uomo, agitandogli una mano davanti agli occhi. Lui
sobbalzò.
“Sì, scusami!”
rispose, imbarazzato. “Datti un contegno,
cavolo!”
“Comunque non… non mi
annoi. A me piace, la chimica, è intrigante” gli assicurò, interessandosi ai liquidi colorati
rinchiusi nelle fiale.
“Questi sono composti,
vero? sì, insomma, non sono elementi puri” domandò.
“Esatto. Qualcuno di essi è già fatto perché
conosco a memoria i procedimenti della formula, almeno fino a metà. È da lì che mi blocco e non so più come continuare e questo, fidati,
è un enorme problema”
spiegò.
“Fammi vedere” disse
Roxas. Era più una richiesta, che un ordine, e Axel fu felice che lui si interessasse al suo lavoro.
Inspiegabilmente, si mise a sorridere mentre seguiva i vari passaggi fino al
punto in cui si bloccava.
“Ecco, ora che il composto
fuma siamo al momento in cui non so più come continuare” annunciò un’ora
dopo. Dalla piccola finestra aperta che c’era sulla parete si vedevano ancora le
stelle, ma il cielo iniziava a tingersi di lillà.
“Le hai provate
tutte?” chiese il biondino, comprensivo.
“Tutte, senza escluderne
una. Ho memorizzato tutte le formule compatibili e non con il composto,
ma non sono in grado di capire dove è che sbaglio” ammise frustrato.
“Sai, la mia insegnante di
chimica dice sempre che gli elementi, anche quando sembra che non si possano più
fondere tra loro, creano un nuovo modo per sorprenderci, facendoci scoprire
nuove, bellissime creazioni. È per questo che io
amo questa materia, quella donna riesce a coinvolgerti anche se non vuoi” spiegò.
“Cavolo, deve essere in
gamba” commentò Axel
sorpreso.
“Lo
è. Inoltre mi
raccomanda sempre di non dare niente per scontato. Insomma,
anche se sembra che la formula sia impossibile, un modo per proseguire c’è
sempre” lo incoraggiò. Il rosso
sorrise.
“Sai, piccolo Roxas, sei una fonte
infinita di sorprese” lo adulò. Il ragazzo arrossì.
“Figurati” minimizzò
alzando le spalle.
“Sono serio, mi piace il tuo
modo di pensare” confermò di nuovo. Gli dette una leggera spinta con la
mano, ridendo, ma il biondo, che non se l’aspettava, scivolò
all’indietro.
Nel vedere che lo stava facendo cadere, Axel si sporse sul tavolo per recuperarlo, ma spinse
inavvertitamente un flacone pieno zeppo di carbonato di calcio contro il
contenitore della formula, ed entrambi si ruppero,
mescolandosi.
I
due ragazzi rimasero immobili per un lunghissimo momento, incapaci di parlare
dalla paura: nessuno dei due aveva la più pallida idea di che cosa sarebbe
potuto succedere in quel momento.
“Non… non esplode”
notò Roxas.
“E non si è
annullato” commentò l’altro, stupito. Si avvicinarono al liquido sul
tavolo e Axel ne prese un campione per studiarlo. Lo
mise in un vetrino che poi bagnò con l’acqua e lo posizionò sotto al
microscopio.
“Che succede?”
s’informò il biondo, nervoso. Axel rimase zitto per un
po’, senza sapere che cosa rispondere.
“Funziona”
sussurrò.
“Come?” chiese
l’altro, non avendolo sentito.
“Sta
lavorando!
Cioè, i due elementi non si scontrano ma lavorano
insieme!” esclamò
soddisfatto. Abbracciò
stretto il ragazzino, scompigliandogli i capelli.
“E…
ehi! Mi fai male!” si lamentò lui,
nonostante ridesse, contagiato dalla felicità
dell’altro.
“Dobbiamo rifare tutto
quanto, e vedere cosa succede. Mi dai una mano?” gli chiese.
“E me lo
chiedi? Mettiamoci al lavoro!” decise Roxas, iniziando a passare gli strumenti
all’uomo.
Alle sei del mattino, dopo praticamente tre ore
ininterrotte di lavoro, i due si accasciarono a terra, appoggiandosi alla
parete, sfiniti.
“Non posso credere che la
formula sia quella giusta” continuava a ripetere Axel, scuotendo la testa,
“Giuro che se lo dici
un’altra volta te la faccio ingoiare” disse il
ragazzino.
“Eppure non posso smettere
di ripetermelo ad alta voce per convincermene! Tu non puoi sapere
quanto tempo sono stato dietro allo studio di quest’affare, senza che
funzionasse, e ora mi capiti tu all’improvviso e mi dai la soluzione come se
nulla fosse!” esclamò.
“Io non ti ho dato un bel
niente, sei tu cheti sei schiantato contro la fiala di carbonato, e poi non ti
sono capitato all’improvviso” s’impermalì Roxas.
“Sei svenuto davanti casa
mia, all’improvviso. Come lo chiami tu?”
“Coincidenza”
“Allora sei stato una
magnifica coincidenza. Devo aver fatto del
bene in un’altra vita se, incontrandoti, ho risolto il problema che da più di un
mese non mi faceva dormire”
commentò. L’altro arrossì
e si tirò un ginocchio al petto.
“Ehi, me la togli una
curiosità?” gli domandò.
“Dimmi
pure”
“Come mai il camice che usi
tu è nero?” chiese curioso. Axel rise forte.
“Perché il bianco è troppo
normale. Sì, insomma, io ti sembro un chimico dentro gli schemi? A me piacciono
la particolarità e il coraggio di uscire fuori dalle righe, e ho pensato che
scegliere questo colore invece di quello standard perché è più
speciale”
“Speciale?”
“Sì. È diverso e quindi speciale. Essendo solo mio dato che tutti indossano camici bianchi, lo rende
una cosa unica e insostituibile”
spiegò.
“Diverso per te significa…
speciale?” si stupì Roxas.
“Certo. Per te no?” gli chiese.
“Non saprei, non ci ho mai
pensato” rispose.
“E poi, essendo io diverso
dagli altri miei colleghi, ho decisamente bisogno di qualcosa che mi
differenzi”
“Perché saresti
diverso?”
“I miei capelli e il trucco
non ti hanno fatto capire niente?” il biondo
arrossì.
“Ah, diverso in quel
senso” capì. Iniziò a girarsi nervosamente le mani e si morse un
labbro.
“Ti crea dei
problemi?” si preoccupò Axel.
“No, no, figurati!”
si affrettò a tranquillizzarlo.
“Sicuro? Mi sembri
nervoso” notò.
“N-no, è… niente, non
importa” balbettò, appoggiandosi al muro e chiudendo gli
occhi.
“Ehi, Roxas?” lo chiamò l’uomo, girandogli la faccia verso
di sé. Oddio, quegli occhi verde smeraldo! Poteva morire ora, sul
serio.
“S-sì?”
rispose. Si avvicinò con le labbra alle sue e vi posò un dolce e casto
bacio.
“Grazie” sussurrò,
allontanandosi. Il ragazzo rimase con gli occhi spalancati per la sorpresa e il
cuore a mille. Non riusciva nemmeno a respirare.
Axel
si alzò e gli tese una mano.
“Sono le sei e mezzo, sono
stanco e affaticato. Ti va una bella tazza di caffè con un
paio di brioche? Offro io” gli
propose. Lui
sorrise.
“Perché no? Andiamo al bar
a prenderli?”
“Festeggiamo
qualcosa?” domandò Larxene, quando entrò in
cucina e vide la tavola apparecchiata per tredici persone con tazze, croissant e
caffè per tutti.
“Sì, il fatto che, da oggi,
tu ed io siamo ufficialmente in vacanza” esclamò Axel, sorridente. Lui e Roxas
avevano già mangiato e il ragazzo era al piano di sopra, intento a svegliare
Sora e Xion.
“Eh? Mi prendi in
giro?” chiese lei
scettica.
“No. Stanotte sono riuscito, finalmente, a
completare la formula e ho già chiamato la casa farmaceutica. Domani porto il tutto in laboratorio da loro e poi ci pagheranno un
bonus per il tempo risparmiato”
spiegò.
“Come diavolo hai
fatto?”
“Ho avuto una…
spinta” rispose criptico, ridendo.
“Non credo di aver
capito” ammise l’amica.
“Fa’ niente, anzi meglio
così” commentò lui.
Praticamente in contemporanea, tutti gli ospiti di
casa Flame entrarono in cucina e borbottarono un
assonnato “buongiorno” mettendosi a tavola.
Ci volle poco perché la villa si rianimasse di mille
voci, ma stavolta Axel non ne era infastidito, anzi
gli faceva piacere che tutta quella gente rallegrasse un po’ la sua vita.
Soprattutto Roxas.
Come evocato dai suoi pensieri, il ragazzino entrò in
cucina, seguito dal fratello e dall’amica, entrambi sbadiglianti, e gli sorrise. Lui gli fece posto nella sedia accanto alla sua,
ma il biondo scosse la testa e si sedette vicino a Sora. In risposta al suo
sguardo confuso, gli strizzò l’occhio e si mise un dito sulla
bocca.
Il rosso capì: per il momento era più divertente
tenere la cosa segreta.
Mi
piaceva l'idea del tramonto, anche perché mi ha fatto venire i brividi nel gioco
358/2, per cui ho voluto metterci il dialogo tra loro due... penso sia una delle
parti più belle (evitando di nominare la fine quando Xion sparisce... *piange*)... quindi voglio sottolineare che
quella parte di storia non è mia ma dei creatori del gioco Kingdom Hearts 385/2! Tutto qui, buona lettura, Rea
Un
tramonto speciale
I
due fratelli Key tornarono a casa prima di pranzo. La nonna li aveva chiamati
per avvertire del suo arrivo e loro si fecero trovare fuori casa ad aspettarla
come dei bravi bambini.
“Non ho un aspetto
troppo distrutto, vero?” chiese Sora, che continuava a stropicciarsi gli
occhi. Quando si era alzato a mala pena si ricordava il suo nome da quanto aveva
bevuto la sera precedente.
“Questa è la quinta volta
che me lo chiedi in sette minuti. Ti ho già detto che
se la smetti di strofinarti la faccia non sembri uno che ieri sera ha preso una
sbornia colossale” ripeté Roxas, scocciato.
“Non ho preso una
sbornia colossale” si ribellò il castano. Lui lo guardò
male.
“Ah, no?” gli chiese sarcastico.
“Beh, forse ero un po’
brillo, ma non ero ubriaco!” rispose.
“Immagino. E dimmi, ti ricordi
di quando hai provato a baciare Xion?” s’informò, con un sorriso
malvagio. Sora
arrossì.
“I-io cosa?!” esclamò sorpreso. Il biondo trattenne a stento una
risata mentre suo fratello correva in casa a chiedere alla ragazza se era vero.
Axel, che stava aspettando con loro la nonna, lo
guardò severo.
“Non è mai successo”
disse. L’altro rise forte.
“Lo so, ma non ho
resistito” ammise, guadagnandosi un cenno di
dissenso.
In quel momento videro la macchina dei Key arrivare
dal vialetto.
“Immagino che dobbiamo
salutarci” ragionò Roxas, un po’ contrariato.
L’altro sorrise e lo fissò.
“Per adesso, ma spero che ci
rivedremo… presto” ammise. Il biondo strinse le labbra, poi si aprì in un
bellissimo e radioso sorriso.
“Me lo prometti?”
chiese. Axel vacillò un attimo sotto quello sguardo
bellissimo.
“Facciamo così: domani
pomeriggio, verso le cinque, verrò a prenderti a casa”
propose.
“Sul serio?” esclamò
il ragazzino, felice.
“Lo
giuro. Tu
fatti trovare pronto fuori dalla porta e sali in macchina senza chiedere niente.
Memorizzato?” domandò,
facendogli l’occhiolino.
“Memorizzato”
rispose.
“Di preciso, mi spieghi di nuovo perché esci con un uomo?”
domandò Sora per la dodicesima volta. Dopo essersi vendicato sul fratello
facendogli il solletico fino a quando non riusciva più nemmeno a parlare per le
lacrime, il castano aveva iniziato a ricordare qualche discorso della sera
precedente e, in particolar modo, aveva focalizzato quanto
Roxas e Axel fossero
stati vicini e di quanto il gemello sembrasse stranamente attratto dall’uomo,
così gli era venuto qualche dubbio. La verità era che il biondo non aveva ma
confessato nemmeno a lui di essere gay, soprattutto perché se ne vergognava
terribilmente.
“E’ un
amico. Tu esci con Riku, io esco con Axel” rispose
nuovamente. Sora si
avvicinò al suo volto e iniziò a muoverlo con le mani, fissandolo per
bene.
“Che diavolo fai?”
esplose Roxas, dopo cinque minuti di quello
stropicciamento.
“Mmmmh… tu mi
nascondi qualcosa” decise dopo un po’. Il biondo arrossì prepotentemente
e si staccò.
“Non è vero, lo sai che ti
dico tutto”
“E allora dimmi la vera
ragione per cui esci con quel tipo” ribatté il castano, incrociando le
braccia. Era diventato fin troppo furbo negli ultimi tempi e questo metteva in
difficoltà l’altro: dirlo o non dirlo?
“Uff, e va bene.
I-io…”
“Ragazzi, è pronto il
pranzo, venite a mangiare!” li chiamò la nonna dalla cucina. Roxas sorrise raggiante per essere stato inconsapevolmente
salvato e corse fuori dalla stanza.
“Ehi,
fermati!
Non puoi fuggire così!” si
ribellò Sora, andandogli dietro. Arrivarono in sala da pranzo rincorrendosi e
facendo baccano, e quasi si schiantarono contro il tavolo.
“Benedetti ragazzi, mi
farete morire di infarto prima o poi” li sgridò la donna, sobbalzando
quando li sentì arrivare.
“Ahahahah,
scusaci” dissero insieme, sedendosi.
Entrambi notarono subito che mancava
un’apparecchiatura e si guardarono confusi.
“Ma… e
nonno?
Non pranza con noi?” chiese il
castano, mettendo in bocca un pezzo di carne senza nemmeno
tagliarlo.
“Ehm… no, oggi aveva da
fare… delle consegne, sì” rispose la donna, tremando
impercettibilmente.
“Ma all’ora di
pranzo? Di
solito si ferma proprio per mangiare tutti
insieme” considerò l’altro
nipote, fissando schifato il fratello ingurgitare la
bistecca.
“Lo so, ma era una
consegna speciale e doveva farla subito. Voi non vi
preoccupate e divertitevi” li rassicurò,
sorridendo e cercando di essere più tranquilla
possibile. Roxas non le credette, ma decise
di non chiedere altro e finì il suo pranzo in silenzio.
Quando lui e suo fratello uscirono di casa per andare
ad allenarsi con lo skate, si mise a rimuginare sugli ultimi avvenimenti,
cercando di capirci qualcosa: prima la nonna andava con il marito a consegnare i
fiori, scomparendo per metà giornata, poi l’uomo non si presentava a casa
all’ora di pranzo e lei sembrava terribilmente triste per qualcosa… che diavolo
stava succedendo?
“Attento!” gridò
Sora, un attimo prima che lui si schiantasse contro un albero. Sentì un forte
dolore alla testa e poi cadde a terra, con il viso rivolto verso
l’alto.
“Oddio!” esclamò
il castano, correndogli accanto. Lo schiaffeggiò leggermente per farlo
riprendere, poi, vedendo che non dava segni di vita, andò a prendere la
borraccia con l’acqua dalla bora e gliela versò tutta
addosso.
“Aiuto!” urlò Roxas, mezzo affogato.
“Dimmi che non sei
morto!” lo implorò il gemello, scuotendolo.
“Fe-fe-fermo!” lo implorò il biondo, sentendo la testa
scoppiare.
“Respiri! E parli! Quindi
stai bene!” esultò l’altro, stringendoselo al
petto.
“Sora, sei tu a non stare
bene!” commentò, cercando di divincolarsi. Quando fu riuscito a
staccarselo di dosso, si toccò la fronte: c’era un bel taglio poco sopra le
sopracciglia, messo in obliquo.
“Bene, ci mancava anche
questa. Io devo smettere di pensare quando vado sullo skate” commentò sconsolato.
“Direi proprio di
sì” confermò il gemello, aiutandolo ad alzarsi. Ebbe un po’ di
difficoltà, soprattutto perché la botta era stata gigantesca, ma si rimise in
piedi e cercò di stabilizzarsi.
“Tutto ok?” gli
domandò Sora, preoccupato. Lui annuì.
“Forse se torniamo a
casa è meglio” suggerì.
“No, dobbiamo
allenarci.
Non voglio che Hayner vinca la
gara” si rifiutò. Stava per salire di nuovo sullo skate, ma gli
vennero le vertigini e sarebbe di nuovo caduto se il fratello non l’avesse
sorretto.
“Roxas, hai
bisogno di stenderti” gli fece presente.
“Allora io sto fermo, ma
almeno tu continua!” propose disperato. Quella gara lo stava torturando,
sul serio: si sognava la notte il risultato e non era mai
positivo.
Si sedette su una roccia a fissare Sora fare lo
slalom perfettamente e si sentì invidioso: sotto tantissimi aspetti era molto
meglio di lui. Perché? Era più allegro, più spigliato, più divertente ed era
sempre circondato da amici. Delle volte si domandava come facessero ad essere
fratelli. I suoi occhi si rattristirono nel pensare che fosse mille volte meglio
e promise a sé stesso che in quella gara avrebbe dato
il massimo per far vedere che anche lui poteva farcela.
“Ci vediamo dopo!”
salutò Roxas, uscendo di casa e avviandosi sul
vialetto.
“Ehi, aspetta!”
lo fermò Sora.
“Che
c’è?”
“Tu non mi hai ancora
finito il discorso di ieri” gli ricordò, un po’
arrabbiato. Il biondo arrossì.
“Non è niente, sul
serio. Siamo amici e usciamo come amici”
rispose.
“Sei sicuro che sia
tutto qui?
Che non ci sia qualcosa di più… profondo?” domandò, sinceramente
interessato. Lui strinse i pugni, ma sorrise.
“Fidati, se ci fosse te lo
direi” gli assicurò.
“Me lo
giuri?”
“Te lo giuro” disse,
sapendo di star mentendo alla persona a cui voleva più bene. Il castano sorrise
felice.
“Allora ok, non ti
disturbo più. Divertiti” si raccomandò, rientrando in
casa.
Roxas
si sedette sul muretto di cemento bianco che chiudeva il giardino e attese. Dopo
nemmeno cinque minuti, Axel arrivò con un pick up nero e si fermò davanti a lui.
“Ehilà, piccolo Roxas!” lo salutò,
sorridente.
“Non mi chiamare
piccolo!” lo sgridò, salendo sul fuoristrada.
“Ma lo sei!” lo prese
in giro il rosso, mettendo in moto e partendo.
“Lo so, ma tu non
sottolinearlo ogni volta!” gli chiese, imbronciato.
“Come
vuoi. Però è un soprannome carino” lo
assecondò l’altro. Lui
sbuffò e incrociò le braccia.
“Allora? Che hai fatto in
questi due giorni?” gli chiese l’uomo, girando
ad un incrocio ed immettendosi nella strada
provinciale.
“Ho portato all’azienda
farmacologica la formula che abbiamo creato e poi ho fatto un giro in città con
Larxene” rispose con un’alzata di
spalle.
“Capito”
Roxas
non si sentiva così emozionato da quando aveva avuto come regalo di compleanno
la sua prima tavola da skate, a sei anni. Il cuore gli rimbombava nelle
orecchie, battendo forte alle costole e facendogli quasi
male.
“Dove andiamo?”
chiese per smorzare la tensione.
“No, no, no, no, no, non ci
siamo. Ti
ricordi cosa ti avevo detto l’altro giorno? Sali in macchina e
non fare domande” rispose Axel, soddisfatto.
“Ma…”
“Niente ma, è una
sorpresa” lo interruppe.
“Nemmeno un piccolissimo
indizio?”
“Nemmeno quello”
annuì il rosso.
Il ragazzino incrociò le braccia e aprì il finestrino
per sentire il vento sulla pelle e fare in modo di calmarsi un po’.
“Comunque, se può farti
stare meglio, siamo quasi arrivati” assicurò, svoltando a sinistra. In
quel momento un profumato odore di salsedine arrivò al naso di Roxas, che si guardò intorno per vedere
dov’erano.
“Ehi, ma quello è
l’oceano!” esclamò, indicando una gigantesca distesa di acqua brillante.
Axel rise e annuì, poi entrò in una stradina sterrata
in salita.
“Ma come, non andiamo in
spiaggia?”
“No, molto meglio”
rispose, cambiando marcia.
Continuarono a salire per altri cinque minuti, poi si
fermarono in uno spiazzo ricoperto d’erba da cui si vedeva la
baia.
“Va bene, ora siamo
arrivati” annunciò l’uomo, scendendo dal pick
up. Roxas lo seguì.
“Qui?” domandò un
po’ confuso.
“Esatto” annuì
l’altro.
“Ma qui non c’è
niente”
“Ehi, fidati di me,
memorizzato?” lo tranquillizzò Axel, salendo
sulla parte posteriore della macchina e sedendosi sul tettuccio. Il biondo lo
emulò, mettendosi vicino a lui: da lì avevano una stupenda visione del golfo e i
raggi del sole riflettevano l’acqua creando un gioco di luce
fantastico.
“Caspita!” esclamò
il ragazzino, spalancando la bocca. L’altro
sorrise.
“E non hai ancora visto il
meglio” gli assicurò. Tirò fuori dalla borsa che aveva con sé due
ghiaccioli.
“Vuoi?” gli
offrì.
“Sì, grazie” annuì
Roxas, prendendone uno. Si misero a mangiarlo in
silenzio, beandosi di quella visuale, fin quando il sole non iniziò a colorare
di rosso e arancio tutto il paesaggio. Fu in quel momento che avvenne: l’acqua
cristallina del golfo si accese come una fiamma, assorbendo il rosso fuoco del
tramonto e riflettendolo tutto intorno a sé. I raggi del sole furono spediti in
ogni direzione, battendo contro la sabbia e le rocce
bianche.
“Wow!” esclamò il
biondo, spalancando gli occhi e sporgendosi verso quello
spettacolo.
“Te l’avevo detto,
no?” gli ricordò Axel, felice che gli
piacesse.
“E’… è… wow!” disse,
incapace di trovare delle parole adatte. L’uomo rise.
“Ehi, Roxas, scommetto che non sai perché il tramonto è
rosso” suppose. Il ragazzino lo fissò.
“Sai, la luce è formata da
molti colorie il rosso è quello in
grado di arrivare più lontano” spiegò. L’altro gli tirò una piccola
spinta e rise.
“E chi te l’ha
chiesto?
Sapientone!” lo prese in
giro. Entrambi si misero a
ridere senza un vero motivo, solamente felici di essere lì
insieme.
“Sai, forse è ora che
rientriamo.
Non vorrei che i tuoi nonni si preoccupassero” propose Axel, scendendo
dal tettuccio.
“Penso di sì” annuì
Roxas, un po’ contrariato. In realtà non voleva
andarsene, gli piaceva stare con lui. Lo metteva di
buonumore.
L’uomo si rese conto che lo aveva rattristato, così
si avvicinò a lui e lo baciò teneramente.
“Ehi, non fare facce tristi,
chiaro?” lo sgridò affettuosamente, tenendo la
sua faccia con le mani. Il biondo sorrise e si sporse
per appoggiargli le labbra sulle sue.
“Se fare facce tristi mi
ripaga così, direi che ne vale la pena” rispose
ridendo.
Axel
rientrò a casa con uno di quei sorrisi ebeti che solo l’amore può far nascere
sul viso e parcheggiò nel vialetto, sulla destra, come
sempre.
Tutti gli ospiti se n’erano andati, tranne Demyx, Xion e Luxord, che avrebbero ripreso la via di casa tra quella sera
e la mattina dopo. O così credeva.
Non fece in tempo a tirare le chiavi fuori dalla
tasca che un Demyx affranto e quasi in lacrime uscì di
casa e lo sorpassò senza nemmeno salutarlo, salendo in macchina e andando via a
tutta velocità.
Axel
rimase un attimo sorpreso, poi sentì Larxene che
parlava con il fratello e la cugina ed entrò. L’aria che trovò in salotto era
piuttosto pesante: la ragazza stava camminando su e giù sul tappeto rosso che
lui aveva comprato tempo addietro e si mangiava le unghie (non era mai un buon
segno quando succedeva), mentre gli altri due erano seduti sul divano che la
guardavano incerto. Luxord si illuminò quando lo
vide.
“Eccoti,
finalmente!” lo accolse, sorridendo. Già questo lo
inquietò.
“Cos’è successo?”
chiese incuriosito. Il biondo fissò la sorella,
insicuro sul da farsi, poi fu Xion a rompere quel
silenzio.
“Demyx le ha
fatto una proposta di matrimonio” disse. Axel
si mise una mano tra i capelli.
Un’ora prima.
Larxene stava facendo il bucato quando il suo fidanzato la
prese da dietro, abbracciandola.
“Salve,
signorina.
Che state facendo?” le chiese,
baciandola sulla testa.
Lei rise e si voltò, dandogli un vero bacio.
“Niente, aspettavo
te” rispose. Il ragazzo sorrise e la strinse a sé., sentendo il cuore
battere forte pensando alla richiesta che stava per
fargli.
“Senti, po… possiamo parlare da soli?” le chiese, tremando.
Lei si staccò e gli sorrise.
“Ma siamo già soli”
gli fece notare.
“Intendevo in un posto
che non fosse davanti alla lavatrice” le spiegò. La ragazza non capì, ma
annuì e lo portò al piano di sopra, dove c’erano le stanze degli
ospiti.
“Qui va bene?”
s’informò, entrando in una camera.
“Sì, qui… qui è
perfetto” rispose, insicuro.
Lei si sedette sul letto e lo fissò incuriosita,
attendendo, ma Demyx non voleva saperne di iniziare e
rimase zitto a fissare il pavimento, giocando con la scatolina dell’anello che
aveva in tasca.
“Allora? Che succede?” gli chiese, impaziente. Lui sobbalzò, quasi si fosse dimenticato della sua
presenza, e rise imbarazzato.
“Allora, io volevo…
cioè, volevo sapere…” balbettò. Furono subito interrotti dallo squillo
del telefono, e Larxene andò a rispondere
velocemente.
“Pronto?” disse. Si
mise a parlare concitatamente con qualcuno a poi riattaccò
sorridente.
“Era solo Aqua, che mi chiedeva se stasera volevamo andare a cena da
lei e Terra.
Ti va?”
propose.
“Sì, certo” annuì
Demyx, senza praticamente averla
sentita.
“Per cui possiamo
riprendere il discorso più tardi” decise la ragazza, uscendo di
camera.
“Cosa? N-no!” si ribellò lui, andandole
dietro.
“Dobbiamo
prepararci!
Sono quasi le sette, e io devo cambiarmi” gli fece presente, entrando in
bagno.
“Ma è meglio se parliamo
ora” ripeté il biondo da fuori la porta. Lei si affacciò e
sorrise.
“Allora lasciami fare la
doccia, poi mi dici” ordinò, dandogli un veloce bacio sulla guancia. Il
ragazzo si accasciò a terra, sconsolato.
“Eccomi, sono
pronta!” annunciò Larxene, entrando in salotto.
Demyx era seduto sul divano con
in mano un bicchiere di acqua e stava cercando di
calmarsi.
“Ah,
benissimo.
Quindi, dicevo…” iniziò,
sorridendo ansioso. Lei lo
fermò di nuovo.
“Cambiati, abbiamo meno di
un’ora per andare” disse, indicandogli le scale.
“Che cosa? Ma mi avevi
detto che…”
“Sta’ zitto e va’ di sopra
a renderti presentabile!” ripeté con un tono che non ammetteva repliche.
Il ragazzo era basito, ma ubbidì.
Mentre era in camera che si cambiava, si mise a
prendere a pugni un cuscino per la frustrazione: possibile che non lo
ascoltasse? Era così insignificante, per lei? Magari, invece, era colpa sua che
ne faceva una questione di stato: se si fosse mosso, avrebbe potuto farle la
proposta.
Rincuorato, si cambiò il più velocemente possibile, e
si precipitò di sotto dove, con suo grande scorno, trovò Luxord e Xion, che erano appena
rientrati da una passeggiata. “E che cazzo!”
pensò.
“Oh, finalmente sei
pronto.
Prendiamo un aperitivo tutti insieme e poi
andiamo” annunciò Larxene, alzandosi e andando in
cucina.
“Non è che potremmo…
parlare?” le chiese Demyx, iniziando a
spazientirsi.
“Tesoro, abbiamo tutta la
notte per parlare, che fretta hai? Adesso prendiamo
l’aperitivo” gli
rispose. Lui strinse i
pugni.
“Perché, nonostante ti
abbia detto che è una cosa importante, non vuoi ascoltarmi?” domandò
irritato.
“Perché le tue cose
importanti sono stupide” spiegò la ragazza, pentendosene un momento dopo.
Il biondo spalancò gli occhi, incredulo.
“Ah, ma
davvero?
Sono troppo più importanti le tue, ovvero lo shopping, la
stupidissima chimica e Aqua!” le rinfacciò, gridando.
“Scusami, non volevo dire
che sono stupide in generale… intendevo dire che sono stupide per me”
cercò di correggersi lei, facendo peggio.
“Ma senti, senti che
cosa viene fuori da una mia semplice richiesta” si stupì Demyx, ridendo isterico. Larxene
si arrabbiò.
“Ascolta, ora
basta. Non
volevo dire ciò che ho detto, ho sbagliato a formulare la frase. Non farne un dramma”
esclamò.
“Forse per te non è un
dramma, ma per me si” le fece presente l’altro.
“Se per me non è un
dramma, non vedo perché dovrebbe esserlo per te” ribatté
lei.
“Perché mi hai
ferito!” esclamò il biondo.
“Ma non
volevo!”
“Eppure l’hai fatto! E
non trovare scuse idiote, tu pensavi ciò che hai
detto”
“No che non lo
pensavo!”
“Sì, sì lo pensavi,
altrimenti non lo avresti ripetuto una seconda volta” la accusò. Larxene strinse le labbra e poi
esplose.
“Ok, forse lo penso sul
serio, però sul serio, amore, ci sono cose che tu reputi importanti e non lo
sono affatto!”
“Non chiamarmi amore,
NON LO FARE!” gridò, isterico, Demyx. Non era mai andato fuori di testa, non una volta che
avesse perso la pazienza, ma si sentiva ferito e deluso. La ragazza rimase
allibita da quel comportamento, e capì che forse aveva
esagerato.
“Va bene, mi dispiace, ma
calmati!” disse.
“No! Non mi calmo, e non dirmi di farlo!
Sei una… un… sei una stronza!”
esclamò infine, quasi sull’orlo delle lacrime.
“Non ti interessano le
cose che reputo importanti perché per te esisti solo tu! Sei un’egocentrica
bambina viziata che non sa fare altro che guardarsi allo specchio e volere tutto
ciò che può come i bambini!”
“Ehi, vacci piano con le
offese!”
“Ma dico ciò che penso,
no? Come hai fatto tu, per cui non è sbagliato! E sai cos’altro penso? Penso che
ho avuto una fortuna sfacciata a non riuscire a
parlare, tutto sommato!”
“Ma che diavolo dici? Di
cosa avrai mai voluto parlarmi di così importante?”
“Di questo!”
urlò, tirando fuori di tasca l’astuccio con dentro l’anello. Quando lo vide,
Larxene si immobilizzò e il cuore prese a batterle
forte in petto.
“T-tu
volevi…”
“Sì, volevo chiederti di
sposarmi, ma è stato meglio così! Se non sono
abbastanza importante per te, allora tanto vale che me ne vada!” gridò, rimettendosi in tasca il gioiello e andando
verso la porta.
“Fermo, Demyx, non ho mai detto che non sei importante” si
ribellò lei, aggrappandosi al suo braccio per farlo
rientrare.
“Hai detto che non ti
interessano le cose che per me sono importanti, quindi non mi reputi importante.
È un ragionamento che anche io riesco a fare!”
“Ragiona un secondo! Se
non fossi stato importante per me non starei con te da anni!”
“Non mi
interessa.
Non voglio più sentirti dire niente” disse, facendola staccare da
sé. Lei si ritirò e lo
fissò arrabbiata.
“Benissimo, allora
vattene!
Sii felice con qualcuno stupido tanto quanto te!” gli augurò.
“Bene!” esclamò
lui.
“Bene!” ripeté lei,
volendo avere l’ultima parola.
Il ragazzo uscì e sbatté la porta, cercando di non
piangere fin quando non fu abbastanza lontano perché nessuno lo
sentisse.
Axel
era rimasto zitto mentre Xion parlava, a guardare
Larxene camminare nervosamente in
su e in giù per la stanza. Teneva le mani stese lungo il corpo, con i
pugni chiusi strettissimi, e la bocca strinta.
“Poi sei arrivato
tu” concluse la mora. Lui la fissò, poi tornò con gli occhi
all’amica.
“Sei un’idiota, lo
sai?” le chiese, senza mezzi termini. Lei si bloccò con lo sguardo
furioso.
“E’ colpa sua, non
mia! È lui l’idiota, è lui quello che se n’è andato!” ribatté, infuriata. Il rosso si alzò e la
fronteggiò.
“No, la stupida sei tu che
non fai altro che vedere te stessa, e sei così orgogliosa da non riuscire ad
ammettere che hai ferito l’unica persona sulla faccia della terra in grado di
starti accanto!” la sgridò.
“Senti, se sei qui per
farmi la paternale puoi andare al diavolo!” urlò Larxene, in preda a una crisi nervosa.
“Non voglio farti la
paternale, lo sai! Ma non posso usare vie traverse per dirti che, se non torni
indietro sui tuoi passi e gli chiedi scusa, perderai la cosa più bella della tua
vita!”
“Che cosa ne sai, tu? Che diavolo ne sa uno come te, che
ha amato una volta sola?” lo accusò la bionda,
iniziando a dargli pugni sul petto. Axel non disse niente, ma la strinse a sé, aspettando che si
calmasse.
“Che ne sai di che
significa?” domandò di nuovo, più flebilmente. Si appoggiò a lui e si
mise a piangere.
“Voleva sposarmi… voleva
sposarmi” ripeteva come impazzita.
“Shh, va tutto
bene” le assicurò il rosso, accarezzandole i capelli. Lei si aggrappò
alla sua maglietta e rimase lì in lacrime per i venti minuti
successivi.
“Se stai così male perché
non vai da lui?” le chiese il rosso, quando si fu calmata. Xion e Luxord li avevano lasciati
soli per gentilezza e ora erano al piano di sopra a fare le
valigie.
“Perché non posso”
rispose Larxene, tirando su col
naso.
“Che diavolo significa che
non puoi?”
“Che… che
non…”
“Non balbettare, mi fai
venire i nervi” la riprese. Lei arrossì e si contorse le
mani.
“Io non so farlo”
sussurrò infine.
“Cosa?”
“Io non so chiedere
scusa!” ammise. Axel rise forte e la guardò
divertito.
“Non sai chiedere
scusa? Santo
Dio, Larxene, lui è il tuo uomo! Non deve interessarti
se sai farlo o no, ma solo quanto tieni a lui e al vostro rapporto. È questo che importa” le
disse.
“Lo so, ma non l’ho mai
fatto, non ho idea di come funzioni. E se non mi
riprendesse?”
“Ma
chi? Demyx? Quello è così idiota che ti
prenderebbe con sé anche se tu gli spaccassi in testa un vaso e lo tradissi
contemporaneamente” le
rispose.
“Non parlare così del mio
Demyx, capito?” s’infiammò la ragazza. Il rosso
la fissò e le prese le mani.
“Tu vuoi che lui torni con
te, giusto?” le chiese serio. Lei
annuì.
“E allora alza il culo,
prendi la macchina e vai a implorare perdono in ginocchio” le consigliò,
facendole l’occhiolino. La bionda guardò fuori dalla finestra e ci pensò su un
attimo.
“Stasera non posso”
disse infine. Axel era già pronto a sgridarla, ma lei
lo fermò.
“Anche se io non me ne
ricordavo, prima di avere un impegno con me, Aqua e
Terra, Demyx doveva andare da sua
nonna. Era per questo che se ne doveva andare prima di Luxord e Xion” spiegò.
“E se lui è da lei io non
voglio certamente disturbarli. Si vedono così poco
che non mi sembra giusto”
concluse.
“Va bene, questa scusa te la
posso anche passare, ma domani la prima cosa che farai sarà alzare codeste chiappette da modella che ti ritrovi e portarle dal tuo
amore. Memorizzato?”
ordinò. Lei annuì,
sorridente.
“Bene. Vuoi un
abbraccio?” le propose. Larxene lo fissò
disgustata.
“Mai!” esclamò,
ridendo. Lui la strinse comunque e lei lo ricambiò, felice di avere un amico
così.
Tirò su col naso e poi ci
pensò.
“Adesso parliamo di te e
del piccoletto” decise, staccandosi. Il rosso
arrossì.
“Di quale
piccoletto?” chiese, facendo finta di niente.
“Axel” lo riprese lei, con un tono da
mammina.
“E va bene, scusami. Che
cosa vuoi sapere?”
“Non ne ho idea. Che cosa
è successo? Come ti senti?”
“In realtà, per il momento è
successo molto poco. Ci siamo baciati
quando ho trovato la formula per la prima volta e oggi pomeriggio la seconda, ma
nient’altro”
raccontò.
“Ma per te è già
importante, vero?” gli chiese. Conosceva quello sguardo di trasporto che
aveva.
“Non so dirti quanto o
perché, però sì, ne sono già preso da morire. Roxas è… non
te lo so spiegare nemmeno io! Il fatto è che mi sembra di aver trovato qualcuno
diverso rispetto ai soliti scemi con cui sto. È intelligente,
è simpatico, è carino e… non lo so!” spiegò, un
po’ confuso. Larxene rise e gli mise una mano su una
guancia.
“E vuoi
rischiare?
Sì, vuoi impegnarti sul serio?” domandò, preoccupata. Axel ci pensò su un
attimo.
“Penso di
sì. È il momento di dimenticare Saix e andare
avanti” rispose
sorridendo.
“Allora ti auguro tutta la
fortuna possibile” concluse la ragazza, alzandosi e andando a salutare
Luxord e Xion.
Passarono tre giorni prima che Larxene si decidesse
ad andare da Demyx per parlare. Preferiva dire così, che andava a “parlarci”
piuttosto che ammettere che andava a chiedere perdono. Anzi, che andavano a
chiedere perdono. Sì, perché, non sapendo di preciso come doveva fare, aveva
implorato Axel di accompagnarla e rimanere lì almeno per i primi venti minuti,
giusto per darle una mano se si trovava in difficoltà.
“E che è, il mio
ragazzo?” aveva provato a ribattere lui.
“No, ma io sono la tua
migliore amica, quindi me lo devi” gli aveva detto.
“Io non ti devo proprio
niente!” si era ribellato.
“Sì, invece! Dai, ti
prego! Farò tutto quello che vuoi se vieni con me, anche se l’esito della
discussione fosse negativo” promise. Il ragazzo la guardò
male.
“Tutto?” le domandò.
Lei annuì
“Qualsiasi cosa”
ripeté.
Così, adesso, erano entrambi sul pick up di Axel che
andavano da Demyx per chiarire la situazione. In realtà il rosso si sentiva
piuttosto a disagio ad andare dal ragazzo della sua migliore amica con lei per
farli riappacificare quando lui non era nemmeno in casa al momento della
discussione. La sua presenza lì era paragonabile a quella di un gatto dentro un
frigorifero, più o meno.
“Ecco, sta qui, nella
traversa sulla destra” lo istruì Larxene, indicando una stradina stretta
e piena di automobili parcheggiate. Lui si fermò prima di
entrare.
“Stai scherzando?” le
chiese.
“No,
perché?”
“Secondo te io rischio di
rovinare il mio pick up infilandomi in quella sottospecie di corridoio un po’
più largo?” domandò retorico.
“Cosa vorresti fare,
lasciarmi qui e parcheggiare lontano?”
Cinque minuti e cinquecento metri dopo, Axel chiuse
la macchina e si diresse verso il vicolo in cui Larxene gli aveva detto abitava
Demyx. Al numero nove, si era raccomandata.
“Ma tu guarda cosa mi tocca
fare per amicizia” si lamentò ad alta voce.
“Ehi, adesso parli da
solo?” lo prese in giro una voce dietro di lui. Si voltò di scatto,
sorpreso di vedere lì Roxas, e sorrise.
“Che ci fai tu qui?”
gli chiese. Era felice di vederlo, davvero, davvero
felice.
“Sono venuto a fare la
spesa con nonna e Sora” rispose, indicando le buste che aveva in
mano.
“Ah, in pratica fai la brava
massaia” rise il rosso.
“Disse quello che guarda
tramonti sulle colline come Heidi” gli fece il verso.
Si avvicinò a una macchina da cui spuntavano un paio
di gigantesche scarpe scure e passò i sacchetti all’interno, poi chiuse lo
sportello.
“Beh, li guardo solo quando
sono in buona compagnia, in realtà” confessò, facendogli l’occhiolino.
Roxas arrossì.
“Me l’immagino. Per cui
deduco che tu ci sia andato con qualcun altro negli ultimi tre giorni”
disse, guardandolo un po’ arrabbiato.
“Ehi, non sarai mica geloso,
vero?” lo prese in giro Axel. Lui distolse lo sguardo e evitò di
rispondere.
“La verità è che non mi sono
fatto sentire perché Larxene ha litigato con Demyx e non si parlano da quando io
sono tornato a casa dopo averti riportato a casa. Sono qui perché l’ho portata
da lui per chiarire la questione, ma ho dovuto parcheggiare in capo al mondo
dato che il biondino ha avuto la brillante idea di abitare in una strada che è
larga più o meno quanto l’ingresso di casa mia” spiegò, avvicinandosi a
lui.
L’avrebbe baciato, sul serio, se non fosse arrivata
sua nonna in quel momento, nascosta da due gigantesche buste della
spesa.
“Sora, Roxas, venite ad
aiutarmi, per faaaaaaah!” stava per scivolare con tutto ciò che aveva
comprato, ma Axel fu più veloce e riuscì a farle ritrovare l’equilibrio,
reggendo i sacchetti da sotto.
“Grazie!”
sussurrò, avvicinandosi alla macchina, sorretta dal rosso.
“Si figuri” rispose
lui. Nel sentire una voce che non era di nessuno dei due nipoti, si affacciò per
vedere chi fosse il gentile ragazzo che l’aveva aiutata.
“Ma lei è il signor
Flame” esclamò, sorpresa. Il ragazzo rise.
“Mi chiami solo Axel”
le disse, aprendole laportiera
dell’auto. Lei posò tutto quanto sul sedile posteriore, vicino a Sora, e poi lo
fissò sorridente.
“Grazie mille per
l’aiuto” ripeté.
“Non lo dica troppe volte,
non ho fatto niente di che” la rassicurò con un gesto della
mano.
“Sono seria, invece: se
non fosse stato per lei sarei caduta portandomi dietro chissà quanti soldi di
spesa. Mi ha salvata” disse con un tono quasi disperato. C’era qualche
problema di cui Roxas non gli aveva parlato?
“Non importa, io ho solo
mosso un passo” minimizzò. Scese un silenzio imbarazzato, nel quale il
biondino cercava di non parlare per evitare gaffe e la donna si teneva le mani
al petto, respirando affannata.
“Adesso vado, Larxene mi
aspetta per andare da Demyx. Ci vediamo” li salutò
voltandosi.
“Aspetti!” lo
fermò la nonna.
“Sì?”
“Senta, le va di venire a
cena da noi stasera? Preparerò la pizza e mi andrebbe di ringraziarla in qualche
modo, visto che è stato gentile prima con mio nipote e poi con me” gli
propose. Axel non se la sentì di rifiutare, nonostante Roxas gli facesse segno
di no da dietro le spalle della signora. Sarebbe stato
divertente.
“Sì, perché no? Molto
volentieri” accettò. Il ragazzino lo fissò, prima incredulo poi
arrabbiato, e gli fece il segno di strozzarlo con le mani senza essere visto da
nessuno.
“Allora ci vediamo dopo.
Chieda anche alla sua amica se vuole venire, vi aspettiamo” lo salutò,
salendo in macchina. Il rosso mimò al biondo con le labbra un “ci vediamo dopo, piccolo Roxy”, ma lui gli fece la
linguaccia, seguendo la nonna.
Quando partirono, lui si avviò verso casa di Demyx
per raggiungere Larxene.
“Sei solo un
bambino!”
“Io? Il bambino sarei
io? Sei tu che mi hai detto che non te ne frega niente di
me!”
“Queste parole non sono
mai uscite dalla mia bocca”
“Ma andiamo! Hai
esplicitamente detto che le mie cose per te non sono
importanti!”
“Solo alcune. Come i
fumetti o i videogiochi! Cosa vuoi che me ne freghi a me se il tuo eroe dei
manga è morto o se sei riuscito a superare un livello in uno stupidissimo gioco
per la playstation?”
“Ma sono cose che fanno
parte del mio essere così! Quindi se per te non sono importanti loro non lo sono
nemmeno io”
“Tu devi avere il cervello
di un cetriolo per fare questi discorsi”
“I cetrioli non hanno il
cervello!”
“Precisamente! Ma ti
ascolti quando parli?”
“Mi ascolto più di
quanto non faccia tu, tranquilla! E non mi dire che non ho capito perché mi fai
arrabbiare!”
“Tanto ora non lo sei,
vero? Stiamo litigando, se non te ne sei accorto, e tu stai facendo discorsi
senza senso”
“Senti da che
pulpito”
Axel trovò la porta aperta ed entrò senza chiedere il
permesso, sicuro di non sbagliarsi: fin dalla strada si sentivano le loro voci
arrabbiate gridare.
“Salve” salutò. I due
non parvero aver sentito niente.
“Cosa vorresti dire, che
io faccio discorsi senza senso?”
“Sì, brava, intendevo
dire proprio questo”
“Mi fai quasi ridere,
davvero. Ah-ah-ah, visto?”
“Smettila di fare la
prima donna e scendi dal piedistallo, baby”
“Scusa, cosa hai detto?
Ripetilo un po’ se ne hai il coraggio!”
Stavano urlando come due matti, e Axel provò a
inserirsi di nuovo.
“Ehilà, mi sentite?”
disse, e fu ignorato di nuovo.
“Sei una prima donna e
vuoi essere sempre al centro dell’attenzione. Egocentrica!” ripeté il
biondo. Infuriata, Larxene prese in mano un libro dal tavolo e lo tenne sopra la
sua testa.
“Demyx, non
sfidarmi!” lo minacciò.
“Non mi fai
paura!” la sfidò. Il rosso vide l’amica prendere la rincorsa con il
volume e cercò di mettersi in mezzo.
“FERMA!” gridò. Sentì
il colpo fendere l’aria, ma ormai era già a metà percorso e fu preso in piena
testa da un libro contenente ottomila canzoni diverse con annessi accordi.
L’ultima cosa che pensò fu che avrebbe dovuto farsi gli affari suoi, invece di
farsi convincere a dispensare favori idioti a delle persone
idiote.
“Axel? Mi senti?”
una voce femminile lo stava chiamando. Cercò di mettere a fuoco, ma non riusciva
nemmeno ad aprire gli occhi.
“Spero per te che non
sia morto, sennò uccido anche te”
“Ma no che no è morto! È
solo svenuto. Mi sa che ci sono andata troppo pesante con
quell’affare”
“Trovi?”
“Giuro che se non la
smettete di litigare vi prendo per il collo e vi butto giù dalla
finestra” furono le prime parole che il ragazzo riuscì a dire prima di
focalizzare la stanza attorno a sé.
“Axel! Dio mio, stai
bene!” esclamò Larxene, smettendo di passargli uno straccio bagnato sulla
testa.
“Più o meno” rispose,
aprendo del tutto gli occhi e mettendosi a sedere con un gemito. Si toccò la
ferita sulla sommità del capo e ritrasse subito la mano, sentendo bruciare
tutto.
“Non sanguina, vero?”
domandò preoccupato.
“No, no, hai solo un
gigantesco bernoccolo” lo tranquillizzò Demyx.
“Ah, allora tutto a
posto” ironizzò lui. Li guardò male entrambi.
“Mi spiegate che diavolo
stavate facendo? Sono entrato in casa con soli dieci minuti di ritardo rispetto
a lei e ho trovato la terza guerra mondiale, con annessi bombardamenti –che,
naturalmente, ho subito solo io- . Ma vi sembra un comportamento da persone
mature?” domandò. I due abbassarono gli occhi,
imbarazzati.
“Non è colpa mia”
esclamarono insieme.
“Ma guardatevi! Sembrate due
bambini che litigano per un giocattolo! Ma vi rendete conto?” li
sgridò.
“Se continuate così giuro
che picchio entrambi” minacciò. Rimasero zitti tutti e due per un minuto
buono.
“Mi dispiace”
disse Demyx.
“Anche a me”
affermò Larxene, imbarazzata.
“Eravamo venuti qui per
risolvere, non per peggiorare le cose. Io rimarrò qui a fare da arbitro, quindi
voi ora mettetevi a tavola e parlate da persone civili” ordinò,
alzandosi.
La stanza gli girò intorno per un secondo, poi riuscì
a stabilizzarsi e li prese per i gomiti, facendoli sedere con la forza su due
sedie.
“Iniziamo dalle
donne” annunciò.
“Che cosa? Perché?”
si ribellò Larxene. Lo sguardo di Axel non ammise repliche e lei abbassò lo
sguardo.
“Cosa devi dire al tuo
ragazzo?” le chiese come un padre che dice al figlio di scusarsi con la
vicina perché le ha rotto i fiori con una pallonata.
“Scusami” sussurrò
lei, arrossendo.
“Non ti abbiamo
sentita”
“Scusami! Va bene ora?
Sono stata un’idiota, perché non dovevo dirti quelle cose offensive, e mi
dispiace!” esclamò quasi gridando. Il rosso fece una faccia soddisfatta e
si avvicinò a Demyx.
“Tu, invece, devi dirle
qualcosa?” domandò. Lui scosse la testa, guadagnandosi un colpo sulla
nuca.
“Te lo chiedo ancora: hai
niente da dirle?”
“Non sono io che devo
dire qualcosa! È lei che mi ha offeso” fece presente. Altro
colpo.
“La smetti di
picchiarmi?” lo implorò, massaggiandosi la testa.
“No, finché non le dici che
ti dispiace e che la perdoni”
“Ma…” provò a
ribattere, ma Axel alzò di nuovo la mano e lui si bloccò.
“Va bene, d’accordo, lo
faccio. Larxene, scusa se sono fuggito via in quel modo brusco e sì, ti perdono
per quello che mi hai detto” declamò, tenendo d’occhio il braccio teso
del rosso.
“Davvero? Insomma,
torniamo… torniamo insieme?” chiese lei, speranzosa. Demyx vide nei suoi
occhi che era sincera e annuì.
Rimasero tutti in silenzio per un po’, poi i due
fidanzati si gettarono l’uno nelle braccia dell’altro.
“Amore!” “Tesoro!” esclamarono all’unisono, abbracciandosi e
baciandosi.
Axel uscì di casa lasciandoli soli prima di venire
preso da vomito convulso e si avviò verso la macchina.
Mentre camminava, si toccò il bernoccolo e
rabbrividì.
“E il problema è che non
posso nemmeno tornare a casa. Piccolo Roxy, aspettami”
disse.
“Perché sei così
agitato? È solo una cena!” chiese Sora al fratello. Il biondo non aveva
fatto che camminare su e giù per la stanza da quando erano rientrati, aspettando
con ansia e timore il momento in cui il rosso fosse
arrivato.
“Non mi fare domande a cui
non ti posso rispondere!” rispose, mordendosi un labbro. Il gemello
sbuffò e incrociò le braccia.
“Certo che sei proprio
uno stronzo” disse. Roxas si immobilizzò.
“Cosa?” domandò,
sperando di non aver sentito bene.
“Sei uno
stronzo!” ripeté Sora.
“Nonostante tu abbia
giurato e spergiurato fissandomi negli occhi che non mi avresti mai nascosto
niente, stai evitando di dirmi i tuoi segreti e questo mi fa arrabbiare”
spiegò.
“Ma non ti nascondo
nulla” provo a ribattere lui. Capì subito che non serviva a niente e che
mentire stava solo facendo soffrire il gemello, così respirò
profondamente.
“Ok, forse qualcosa che non
ti ho detto c’è, ma…” esitò un attimo, col cuore a mille. E se non
l’avesse accettato? Se si fosse schifato? Decise di rischiare nonostante
tutto.
“Promettimi che non mi
giudicherai male, ok?” implorò.
“Promesso”
rispose Sora.
“Va bene, ecco, il fatto è
che… insomma, Axel mi… Axel mi… mi…”
“Piace?” suggerì
il castano, incrociando le gambe sul letto. Lui annuì e si aspettò un commento
di disgusto o disprezzo, ma l’altro rimase zitto.
“Non… non dici
niente?”
“Che devo dire? Sto
aspettando che tu mi dica cosa mi nascondi” rispose. Roxas spalancò la
bocca, incredulo.
“Te l’ho detta!”
esclamò.
“Ah, davvero?
Probabilmente non ero attento. Ripetila”
“Mi piace
Axel!”
“Sì, questo l’avevo
capito da me, ora dimmi il segreto”
“Ma è
questo!”
“Cioè che sei innamorato
del porcospino? Oh, e io che pensavo chissà che”
“C-che significa? Tuo
fratello ti dice di essere gay e tu reagisci così?” si stupì il biondo.
L’altro alzò le spalle.
“E come dovrei reagire?
Sei una persona innamorata di un’altra persona. Non ci vedo il problema”
rispose. Poi ci ripensò.
“Aspetta, ma tu ti sei
fatto tanti problemi per dirmi una cosa del genere?” domandò incredulo.
Sentendosi un idiota, Roxas annuì arrossendo. Sora rise
forte.
“Ma non ce n’è bisogno!
Non vedo come mai vergognarsene! Solo perché siete due
maschi?”
“Beh…
sì!”
“E allora? Il mondo è
bello perché è vario, sei sempre mio fratello, mica cambia qualcosa!”
esclamò. Il biondo ci penso su un attimo e sorrise.
“Hai ragione. E io ti
voglio un sacco di bene!” disse abbracciandolo.
Passarono l’ora successiva parlando un po’ di tutto:
dall’amore allo skate, senza preoccuparsi di essere giudicato l’uno dall’altro.
Alle otto Axel arrivò con il suo pick up e scese,
vestito con una camicia bianca e un paio di pantaloni neri strappati sul
ginocchio.
Roxas si sentì felice come non mai e scese di corsa
per andare ad accoglierlo.
Capitolo 11 *** Una divertente serata in casa Key ***
Una
divertente serata in casa Key
Il suo cuore ebbe un sussulto quando se lo ritrovò
davanti, fresco di doccia, con i capelli profumati di gel e i vestiti da punk
qual era. Dalla finestra l’aveva visto, ma non avrebbe creduto che fosse COSI’
fico, una volta che l’avesse avuto davanti.
Cercò di non dar a vedere quanto si sentisse
emozionato e lo raggiunse sorridente.
“Ehi, piccolo Roxy!” lo salutò, scompigliandogli i
capelli.
“Cosa ti dico
sempre? Non chiamarmi piccolo” gli ricordò
il biondo, riaggiustandosi.
“Ma lo
sei. E poi ti svelo un segreto” disse,
abbassando la voce.
“A me i piccoletti
piacciono” gli sussurrò nell’orecchio, facendolo
rabbrividire.
“Axel! Ben arrivato!” lo accolse la nonna, uscendo di casa con le mani
sporche di sugo.
“Buonasera, signora
Key” ricambiò lui, facendosi abbracciare.
“Vieni,
accomodati pure. Non abbiamo una casa grande quanto la tua, ma
è abbastanza accogliente” si scusò,
trascinandolo all’interno. Roxas
li seguì, ancora scosso dai brividi.
“Ecco, mangeremo in
salotto.
Mio marito non c’è per… affari urgenti, ma noi bastiamo,
giusto?” chiese un po’
incerta. Il ragazzo
sorrise a trentadue denti.
“Meglio pochi ma
buoni!” confermò. Si sedette a tavola e fu subito seguito dai due
fratelli. Il biondo si mise vicino a lui, mentre l’altro
davanti.
Quando la nonna fu tornata in cucina, Sora fissò male
Axel.
“Mi raccomando”
lo minacciò. Il rosso non capì.
“Scusa?” chiese
confuso.
“Non fare doppi giochi o
idiozie simile, capito? Se fai del male a
Roxas ti picchio” lo
avvertì. Lui
rise.
“Guarda che sono
serio!
È mio fratello e gli voglio bene, per cui niente cuori
infranti” ripeté.
“Va bene, va
bene. Non ti scaldare” lo
calmò. Il biondo era
rimasto allibito da quelle parole e stava per tirare una forchetta nella mano a
Sora, ma fu fermato dalla mano di Axel.
“Ti prometto su quanto ho di
più caro che non lo ferirò in alcun modo. Fidati se ti dico che
gli voglio bene quanto te, forse di più”
promise.
“Più di me è
impossibile, ma voglio crederti. Però vi terrò
d’occhio” lo avvertì.
In quel momento la nonna rientrò in stanza e tutti si
zittirono, ma Roxas non poté fare a meno di sentire il
cuore battere all’impazzata pensando a quello che Axel
aveva appena detto: ci teneva sul serio così tanto a lui?
“Vanno bene pasta al
forno e salsicce alla brace?” domandò la donna, mettendo sul tavolo una
pentola fumante.
“Certamente. Io sono un amante
delle salsicce” rispose il rosso, facendo
l’occhiolino agli altri due, che si trattennero dal
ridere. Lei, non avendo
capito, fece un sorriso tirato e si mise a servire la
cena.
Quando finirono di mangiare, Sora si mise a giocare
con la playstation, mentre Roxas aiutò la nonna a
mettere a posto. Fu seguito a ruota da Axel, che
sparecchiò la tavola e asciugò le pentole.
“Non devi aiutarci, sei
un ospite” lo rimproverò la signora Key, cercando di togliergli di mano
l’asciughino.
“Lo so, ma siete stati così
gentili ad invitarmi e così cerco di sdebitarmi” rispose, alzando il
panno e mettendolo fuori dalla portata della donna.
“Ma per
favore!
Ci hai salvati due volte, prima mio nipote e poi me, quindi
siamo noi a doverci sdebitare” protestò,
arrendendosi e tornando all’acquaio per finire di
lavare.
“Ma si figuri, non è stato
niente di che” minimizzò lui.
“In effetti, ci hai
ospitati per più di una volta, quindi dovremmo trovare un modo per
ricambiare” ammise Roxas, passandogli i piatti
da asciugare. Senza farsi sentire dalla donna, Axel
gli strizzò l’occhio e poi sussurrò di nuovo.
“Se vuoi puoi trovarlo tu il
modo per ripagarmi” gli suggerì.
Il biondo avvampò e abbassò lo sguardo. Ma che gli
era preso quella sera? Lo voleva veder morire agonizzante dal batticuore? Era
crudele a farlo arrossire così.
Terminarono le pulizie e tornarono in salotto, dove
Sora continuava imperterrito a giocare al suo videogame.
“Guarda che avresti potuto
aiutare” gli fece presente il fratello, dandogli un colpo in
testa.
“C’eravate già voi, io
non vi sarei servito. Comunque
ahia” si lamentò.
“A stare davanti a questi
cosi diventi pure ritardato” osservò Roxas,
alzando gli occhi al cielo con fare drammatico.
“Meglio questi dei libri
di scuola.
Tu studieresti anche di notte”
ribatté il castano, senza distogliere lo sguardo dallo
schermo.
“Perché io tengo al mio
futuro e voglio diventare bravissimo” spiegò il ragazzino, senza
arrabbiarsi.
“Ah, io avevo creduto
che tu lo facessi perché sei un secchione e basta” lo prese in giro Sora.
A quel punto suo fratello si arrabbiò.
“Ripetilo se hai il
coraggio” lo sfidò, iniziando a dargli piccoli ceffoni dietro la
nuca.
“Ahia! Mi fai male,
Roxas” esclamò,
cercando di ripararsi con la mano.
“Chiedimi scusa”
ordinò.
“No”
“E io ti stacco la spina
della play” decise. Fortunatamente era più
mingherlino e più veloce del castano, e riuscì ad arrivare al filo che collegava
il gioco alla corrente prima di lui, strappandolo.
La console si spense con un bruttissimo suono, e Sora
lo guardò a bocca spalancata.
“Come hai osato?”
domandò, iniziando ad avvicinarsi a lui con passo
minaccioso.
“Così impari a darmi del
secchione” rispose l’altro, allontanandosi.
“Io. Ti. Ammazzo!” gridò, prima di gettarglisi contro. Ridendo, Roxas iniziò a
correre per tutta casa, scansando abilmente il tavolo e le sedie e mettendole in
mezzo alla strada del fratello. Solo quando questo fu a un passo da lui,
entrambi furono presi per la maglietta e sospesi a
mezz’aria.
“Ma che
diavolo…?”
“Ora basta” annunciò
Axel, stanco di vederli giocare come due bambini
piccoli.
“Lasciami
andare!” protestò Sora, arrabbiato.
“Prometti di fermarti e non
cercare più di picchiare questo qui?”
“Prometto” giurò
lui. Il rosso lo lasciò andare e lui cadde a terra con le
ginocchia.
“Potevi usare un po’ di
tatto!” protestò, alzandosi.
“Non mi andava”
rispose l’uomo, con un’alzata di spalle.
“Perché lui se ne va e io
rimango qui, penzoloni come una salsiccia?” domandò Roxas
contrariato. Axel se lo caricò sottobraccio
come un sacco di patate, stupendolo: ma quanto era forte?
“Perché tu vieni con
me” spiegò, aprendo la porta.
“Cosa? Dove?” si stupì lui.
“Qui fuori. È una bellissima
serata e non mi va di sprecarla guardando voi due rincorrervi come gatto e
topo”
“E perché mi porti in giro
come se fossi una zavorra?”
“Perché mi
diverte”
Il biondo sbuffò e incrociò le
braccia.
“Andate da qualche
parte?” chiese la nonna, arrivando dalla cucina.
“No, non si preoccupi, ci
mettiamo solo qui davanti a guardare il cielo” rispose Axel, sorridendole. Lei ricambiò il sorriso e si mise a fare
altro. Aveva uno sguardo che al rosso piacque poco, e, quando posò gentilmente
Roxas a terra una volta arrivati in giardino,
sospirò.
“C’è qualcosa che non mi hai
detto?” indagò. Il ragazzino lo guardò stralunato.
“Del
tipo?”
“Non lo so, tua nonna mi
sembra… triste, ecco” spiegò. Anche gli occhi del biondo si incupirono,
ma scrollò le spalle e lo guardò impassibile.
“Non lo so che cosa le
succede. Sono
un po’ di giorni che lei e mio nonno ci tengono nascosto qualcosa. Non capisco cosa, ma non sono così scemo da non rendermene conto,
solo che mi fa paura domandarlo”
rispose. Axel comprese che non era un argomento utile per iniziare un
discorso con lui, quindi si sdraiò sull’erba e si mise a fissare le stelle.
Roxas si stese accanto a lui,
sorridendo.
Intorno a loro scese il silenzio, rotto solo dal
canto delle cicale in sottofondo.
“Mi dici una cosa?”
chiese il più piccolo.
“Mmh” annuì l’altro.
“Cosa ti è preso
stasera?
Non hai fatto altro che prendermi in giro e lanciarmi
frecciatine” indagò. L’uomo trattenne una risata.
“Volevo vedere come reagivi
a qualche innocua provocazione. Non ti avrò messo in
difficoltà spero” rispose, girandosi su un
braccio e guardandolo negli occhi.
“N-no,
figurati” negò il biondo, imbarazzato. Sì, l’aveva messo in difficoltà e
molto, visto che le provocazioni erano a sfondo sessuale e lui non ci era
abituato.
“Meglio
così. Anche perché sarebbe un peccato”
commentò, accarezzandogli una guancia per poi scendere sul suo
collo. Quel contatto fece
eccitare Roxas, che sentì il sangue fluire
direttamente nel basso ventre. Strinse gli occhi cercando di pensare ad altro:
allo skate, alla scuola, ai compiti a… a…
“Axel…”
sussurrò, allontanando la sua mano.
“Sì?” rispose a bassa
voce lui.
“Fermo” sputò fuori
con fatica. L’altro si immobilizzò all’istante, ma rimase vicinissimo al suo
viso.
“Perché?”
“Perché mia nonna è in casa
e se esce e ci vede così intimi dà di testa” rispose, mettendosi a
sedere. Il rosso rise e tornò nella posizione iniziale, con il viso rivolto al
cielo e le braccia incrociate sotto alla testa.
“Senti, ti va di fare una
cosa pericolosa?” gli propose il più grande.
“Del tipo?” domandò
il biondo un po’ preoccupato.
“Io adesso me ne
vado. Tu
aspetta un’ora e poi vieni giù dalla finestra, tanto è al primo piano, non
dovresti farti del male. Io ti aspetterò quaggiù al buio, poi andremo a guardare
le stelle per tutta la notte. Ci stai?” spiegò. Roxas ci pensò un bel
pezzo prima di decidere.
“Se mi rompo un braccio ti
picchio col gesso, però” rispose. Axel
rise.
“Rischierò”
“Sora mi copri tu
allora?”
“Certamente. Se la nonna
chiede qualcosa farò in modo che non si renda conto di nulla” promise di nuovo.
“Grazie mille, non saprei
come fare senza di te. Io vado,
buonanotte” lo salutò.
“Divertiti” gli
augurò il fratello. Lui aprì la finestra e si sedette sul cornicione, poi guardò
sotto di sé. Non era così alto in effetti. Strinse gli occhi e deglutì, un po’ impaurito.
“Ci facciamo mattina se non
ti lasci cadere” lo prese in giro Axel da
sotto. Quando era arrivato?
“Va’ via, mi metti
ansia!” gli sussurrò.
“No, rimango qui a
guardarti” rispose il rosso, appoggiandosi al muretto e
fissandolo.
“Benissimo, fa’ come ti
pare” disse Roxas irritato.
Cercando di evitare di pensare che lui lo stava guardando ininterrottamente, il ragazzo si dette la
spinta e saltò di sotto. A metà discesa si rese conto che sarebbe atterrato
male, e imprecò dentro di sé.
“Ehi, non così!”
esclamò Axel, andandogli sotto. Lui gli atterrò
dolcemente in braccio, senza sapere come fosse successo.
“Principessina, va bene
cadere tra le braccia del bellissimo e fortissimo principe azzurro, ma così si
esagera” lo prese in giro, ridendo. Lui gli dette un pugno sulla spalla e
scese dalle sue braccia, rosso in viso.
“Mi sembra che stasera tu
sia venuto solo per sfottermi” osservò, guardandolo con le braccia
incrociate.
“Non era nei miei programmi,
ma è divertente, sì” rispose, iniziando a
camminare.
Roxas
sbuffò e lo seguì, un po’ controvoglia.
“Dove andiamo?”
chiese.
“A vedere le stelle, te
l’avevo già detto. Non mi ascolti molto, mi pare”
“Sì che ti avevo ascoltato,
ma qui siamo in campagna. Insomma, una volta che anche mia nonna è andata a
dormire e le luci saranno spente, potremo vederle anche dal mio
giardino”
“Ti sembro il tipo che si
mette a guardare le stelle nel giardino di casa? Mi
offendi!”
“Ehi, porcospino rosso
rubino, non ti innalzare!” lo sfotté. Un secondo dopo inciampò in un
sasso, sbattendogli contro: si era fermato di botto.
“Volevi ammazzarmi? Perché
ti sei fermato?”
“Come mi hai chiamato, scusa?”
“Porcospino rosso
rubino. È quello che sei!”
ripeté. Axel si girò e lo strinse tra le braccia, cercando di
soffocarlo.
“Rimangiatelo, piccolo Roxy!” gli ordinò, scompigliandogli i capelli e
ridendo. Il ragazzino cercò di divincolarsi e iniziò a muovere le gambe
all’indietro.
“No!” rispose,
ridendo a sua volta.
“Sei malefico!” lo
accusò il rosso, continuando a tenerlo fermo.
“Anche tu!” ribatté
il biondo, riuscendo finalmente a staccarsi. Nel fare ciò rimase impigliato col
braccialetto d’argento che Sora gli aveva regalato mesi prima al suo
giacchetto.
“Ma porca…” iniziò a
imprecare, cercando di toglierlo.
“Certo che sei una specie di
disastro ambulante tu. Fermo, lascia fare a
me” consigliò, mettendosi ad armeggiare con il
braccialetto.
“Non è vero, non lo
sono” ribatté poco convinto.
“Sì, lo
sei. E quando sei con me lo sei di più, dato che sei nervoso” confermò Axel, liberandolo
finalmente.
“Io non sono
nervoso!”
“Senti ma tu controbatti a
tutto quello che dico? Non potresti solo darmi ragione una volta?”
“No, non sarebbe così
divertente” lo scimmiottò, ridendo.
“Che vipera!” lo
accusò il rosso.
Ripresero a camminare in silenzio, cercando di
trovare uno spiazzo in cui mettersi a guardare il cielo in pace. Possibilmente
senza sassi che potessero far inciampare Roxas.
“Qui va bene?”
s’informò il più grande, quando arrivarono in una specie di
radura.
“Sì, certamente”
annuì l’altro, sdraiandosi.
L’altro gli si mise accanto ed entrambi iniziarono a
parlare delle stelle.
“Se ne vedranno di
cadenti?”
“Siamo un po’ fuori tempo,
ma forse sì.
Osserviamo” suggerì Axel.
Attesero per un bel pezzo prima di vederne una, che
lasciò una scia luminosa lunga e splendente.
“Ehi, eccola!”
esclamò Roxas, con gli occhi brillanti. Si mise a
sedere e chiuse gli occhi, esprimendo un desiderio.
“Perfetto, io il mio l’ho
deciso. Tu?” domandò, aprendo di scatto gli
occhi. Si ritrovò il viso
di Axel a un centimetro dal suo, il suo sguardo verde
intenso incollato nel suo.
Che quel bacio era diverso dagli altri, Roxas lo aveva capito da subito. I primi due erano stati
dolci, gentili, per niente affrettati, mentre quello… cavolo! Gli faceva girare
la testa, si sentiva frastornato dalla passione che Axel ci stava mettendo. Deglutì, cercando di riprendere
fiato, ma l’altro non lo fece quasi respirare, si staccò un attimo e riprese
subito a torturargli le labbra.
“A-Axel… che… che
fai?” sussurrò, un po’ impaurito e un po’
eccitato dalla situazione.
“Sono cose che non si
chiedono, si sentono e basta” gli rispose l’altro.
“Ma se vuoi un aiuto per
capirlo allora ti accontento” proseguì.
“Eh?” domandò lui,
ma il rosso lo prese per i polsi, che fermò a terra, e gli salì sopra,
sorridendo, poi riprese a baciarlo. Roxas sentiva il
cuore battere nelle orecchie e il sangue fluire tutto nel suo basso
ventre.
Quando l’uomo si appoggiò al suo bacino sentì la sua
erezione premere contro il cavallo dei pantaloni ed esitò un
secondo.
“Ma salve” lo salutò
sorridendo. Il biondo arrossì e cercò di tirarsi su, ma l’altro lo tenne fermo a
terra.
“C-che dia… diavolo
fai?” chiese sospirando.
“Davvero non l’hai ancora
capito?” lo prese in giro, baciandolo sul mento. Certo che l’aveva
capito, ma stentava a crederci.
Prima che potesse ribattere qualsiasi cosa, Axel iniziò a scendere, passandogli la lingua sul collo e
liberandogli le mani. Roxas rimase fermo, incredulo,
senza sapere cosa fare, senza sapere come comportarsi.
Il rosso si mise ad accarezzargli il petto e passò i
palmi sui suoi lievi addominali, per poi scendere sotto al tessuto della
t-shirt.
A
quel contatto il biondo gemette, sentendo il cervello sconnettersi
completamente. O quasi.
“N-no, Axel fermo!” esclamò, spalancando gli occhi. L’uomo
si bloccò, preoccupato.
“Che
c’è? Qualche
problema?” chiese, realmente interessato. Roxas arrossì e distolse lo sguardo.
“Ti ho fatto male o dato
fastidio in qualche modo?”
“No! Figurati, non è per
questo, è solo che… che… sì, insomma, io non ho mai… ehm…”
“Questa è la tua prima
volta?” dedusse il rosso, accarezzandogli una guancia. Il ragazzino
annuì, sempre evitando di incrociare quegli occhi verdi come lo
smeraldo.
“Ehi?” lo chiamò il
rosso, prendendogli il viso con le mani e costringendolo a
fissarlo.
“Guardami” gli
ordinò. Lui si arrese a quel tocco, incapace di
respingerlo.
“Non voglio fare niente che
non vuoi fare anche tu, intesi?” lo avvertì. Il biondo sgranò gli
occhi.
“Non ho detto che non
voglio!” si affrettò a precisare. Poi arrossì
ancora.
“Ho solo detto che non… non
so come si fa” ammise. Axel lo accarezzò, per
poi baciarlo.
“Non avere paura, ti
prometto che ti aiuto io” giurò.
“E non farà… non farà
male?” domandò Roxas
preoccupato.
“All’inizio un po’ sì, ma
poi giuro che ti piacerà da morire”
“Promesso?” si
assicurò, guardandolo ansioso.
“Piccolo Roxy, ricorda una cosa: devi sempre fidarti di me.
Memorizzato?”
“Memorizzato” annuì
il biondo.
Da quel momento e per l’ora e mezza successiva, non
riuscì quasi più a proferire parola.
“Tu hai mai detto ai tuoi
genitori di essere gay?” stava chiedendo Roxas,
appoggiato al petto di Axel, un po’ di tempo
dopo.
“Non ne ho mai avuto
bisogno. Insomma, mi trucco da quando avevo tredici anni, non credo che ci
sia molto da dire, no?” rispose lui,
sorridendo.
“Dev’essere stato
facile, allora” immagino il biondo, sospirando.
“In realtà no. Papà non
voleva un figlio omosessuale e mia madre… beh, lei è un personaggio. La vedevo
poco perché lavorava come attrice in teatro, quindi viaggiava spesso. Quelle
volte che ci incontravamo per caso in soggiorno mentre lei finiva di truccarsi
per uscire mi diceva che non le importava molto se mi piacevano gli uomini o le
donne, bastava che non le tornassi malato di AIDS”
“Che famiglia
simpatica” commentò il ragazzino, ridendo. Anche Axel si mise a ridere, un po’
nostalgico.
“In compenso ho trovato
persone meravigliose al di fuori di lì. Larxene in primis, con il suo
carattere un po’ particolare, e poi anche Demyx, e
tutta la banda di matti che c’era a cena con noi l’altra sera” disse.
“Anche Saix, vero?” indagò Roxas.
A quel nome l’uomo si irrigidì un po’.
“Sì, anche… anche Saix. Ma lui appartiene a
un’altra epoca della mia vita”
rispose.
Il biondo si girò su un braccio e lo fissò,
appoggiando la testa sulla mano.
“Racconta” lo spronò, davvero interessato. Axel
sospirò e fissò le stelle.
“Andavo alle superiori,
facevo l’ultimo anno. Lui era più grande di me, ma continuava
a venire al liceo perché era stato bocciato, anche se non ne ho mai conosciuto
il motivo. All’epoca si faceva chiamare Isa, anzi, credo che sia il suo nome di
battesimo. Forse dopo si vergognava e l’ha cambiato, chissà. Fatto sta che un
giorno si fermò a parlarmi e diventammo molto amici. Eravamo inseparabili.
Passai il più bell’anno di scuola mai vissuto, e iniziai ad innamorarmi di lui.
Era bello, era forte, era intelligente e poi non mi giudicava per quello che
ero, né era geloso della mia memoria fotografica. Alla fine glielo dissi, quando
ormai eravamo diplomati e pronti per l’università. E sai cosa rispose? Me lo immaginavo, e devo dire che mi
interessi anche tu. Immaginati la felicità. Fu lui a
prendermi la verginità, non te lo voglio nascondere, anche perché non sarebbe
giusto” ammise. Si fermò, ricordando.
“E
poi? Cos’è successo?” chiese ancora Roxas, curioso.
“Poi, una volta avuto ciò
che voleva, si è alzato dal letto… mi ha fissato… e mi ha detto le persone come te, che si fanno trasportare
dalle emozioni, mi danno il voltastomaco. Grazie per aver fatto il tuo
dovere”
Il biondo spalancò la bocca dallo stupore. Nel vedere
quell’espressione attonita, Axel
rise.
“Già, proprio
così. Il tuo dovere”
ripeté. Erano passati sei
anni e, nonostante questo, gli faceva venire una rabbia indescrivibile
ripensarci.
“Ma come si può?”
domandò il ragazzino.
“E’ uno stronzo, che vuoi
farci?
Comunque io ho cercato di evitarlo per qualche tempo, ma lui usciva con noi, con
il nostro gruppo di amici, e non me la sentivo di rinunciare agli altri per
colpa sua. Non era giusto, capisci? Così ho fatto buon viso a cattivo gioco e ho
ingoiato la bile che usciva quando lo vedevo. E oggi sono qua,
con te” concluse. Roxas era ancora
furibondo.
“Come puoi riuscire a stare
vicino a lui dopo quello che ti ha fatto,
scusa?” l’aggredì. Alla gelosia iniziale si era sostituita una rabbia
cieca per chi aveva maltrattato quel ragazzo. Anzi, no: il suo
ragazzo.
“Ehi, calmati
tigre! Non è
niente, ormai è passato. Quello che conta in questo istante è
che io sia qui, a stringere te tra le braccia”
lo tranquillizzò, abbracciandolo forte e facendoselo stendere sul
petto.
Il ragazzino cercò di stabilizzare i respiri
affannati, ma non ci riusciva. Era infuriato.
“Stai tremando” gli
fece presente Axel, trattenendo una
risata.
“Perché non è
giusto!” rispose lui, stringendosi al suo petto.
“Che cosa?” domandò
il rosso, guardandolo di sottecchi.
“Che tu sia stato trattato
così. È una cosa da animali e da stronzi”
spiegò.
“Lo so, ma non possiamo
farne un dramma. È una cosa del passato, è successa
tanto tempo fa. Il tempo va avanti, le persone cambiano e i dispiaceri si
superano. Se rimaniamo troppo attaccati a eventi superati non riusciremo mai a
goderci l’attimo. Imparalo, piccolo Roxy” gli suggerì, dandogli
un piccolo colpetto sulla fronte con l’indice.
“Forse hai ragione, ma la
rabbia e il dolore rimangono, no?”
“Forse all’inizio sì, ma poi
te ne dimentichi. È come una ferita: all’iniziò brucia,
ma solo se la lasci stare poi va via, altrimenti, se la
tocchi continuamente, sanguinerà per sempre e lascerà una cicatrice indelebile.
Non voglio nessuna cicatrice sul mio bellissimo corpo
scultoreo” decise. Roxas gli dette un
piccolo pugno nello stomaco.
“Non ti elevare, bellimbusto” lo sgridò allegramente. Axel rise e lo guardò divertito.
“Per stare vicino a un Dio
serve un altro Dio, non lo sapevi? Per cui se io ho il
fisico di una divinità, tu sei una divinità per proprietà transitiva” lo istruì.
“Ah, certo, mi scusi
tanto!” lo prese in giro il biondo. L’altro, a quelle parole, si rotolò
sopra di lui e lo bloccò.
“Ehi, non mi provocare, tigrotto” lo avvertì. Il ragazzino, scosso
dalle risate, lo fissò.
“Sennò che mi fai, porcospino rosso rubino?” lo sfidò. Il rosso
iniziò a fargli il solletico sui fianchi, facendolo ridere come un
matto.
“No,
fermo! Ahahahah, fermo, fermo! Non respiro! Ahahahah!” esclamò, piangendo.
“Chiedimi scusa”
ordinò.
“Se lo faccio come mi
ricompensi?” gli chiese, cercando di recuperare
fiato.
“Così” risposeAxel,
avvicinandosi a lui e baciandolo. Gli leccò le labbra e iniziò a mordicchiargli
la lingua, facendolo sospirare.
“Può essere un ottimo
argomento di discussione” ammise Roxas,
ricambiandolo con la stessa moneta. L’uomo sentì l’eccitazione crescere: quel
ragazzino era un pericolo per la sua sanità mentale. E per il decoro pubblico,
visto che lo induceva a cadere in tentazione ogni volta.
“Vuoi riprovarci?”
gli propose, mordendogli dolcemente il lobo dell’orecchio. Non attese nemmeno
che il biondo annuisse: gli tolse la maglietta e si lasciò
trasportare.
Quando videro albeggiare in lontananza, i due si
alzarono e si rivestirono.
“Se mia nonna sapesse che
ho dormito fuori, mi ucciderebbe”
“Ma tu non hai DORMITO
fuori. Al massimo hai passato la notte fuori, ma di dormire non se n’è
parlato” gli fece presente Axel, chiudendosi la camicia. Roxas pensò che fosse una
grave perdita per il mondo intero che lui coprisse quegli addominali così forti
e belli e… ok, Key, datti un contegno!
“Giusto, ma darebbe di
testa comunque. Te l’immagini la scena? Sì, scusami, ho passato tutta
la notte steso in un prato a guardare le stelle e a fare l’amore col mio ragazzo
e…” a quelle
parole arrossì e chiuse la bocca. L’uomo rise e lo fissò.
“Ripetilo” gli chiese
divertito.
“No” borbottò lui,
chiudendosi la zip dei pantaloni.
“Dai, ripetilo” lo
spronò, abbracciandolo da dietro. Roxas strinse i
pugni, imbarazzato.
“E’ stato un flash,
scusami” disse.
“Ti scusi per quale
ragione?”
“Per aver detto… quella
cosa”
“Che sono il tuo
ragazzo? Perché, non è la verità?” domandò
Axel, voltandolo verso di sé. Il biondo lo fissò confuso.
“Io non lo
so. lo sei?” chiese a sua
volta.
“La domanda l’ho fatta prima
io, quindi devi rispondere tu. Se vuoi te la rendo più semplice: vuoi che lo
sia?”
Il ragazzino distolse lo sguardo e iniziò a giocare
col bracciale del fratello.
“Beh, se a te fa piacere
esserlo… sì, insomma, a me piacerebbe che tu lo fossi”
ammise.
“Allora considerati
fortunato” gli consigliò l’uomo, lasciando la
presa.
“Perché?”
“Perché non avrei accettato
un no come risposta quando ti avessi chiesto di
diventare il mio ragazzo, per cui sei fortunato visto che non dovrò
costringerti” spiegò. Roxas
rise.
“Immagino quali sarebbero
stati i tuoi metodi di persuasione” lo prese in giro. Axel lo fissò.
“Mi stai sfidando
ancora? Credevo ne avessi avuto abbastanza”
commentò sorpreso.
“Che
cosa? Ma non
intendevo dire quello! Certo che sei un pervertito, eh?” lo riprese.
“Non posso fare altrimenti
con te vicino.
Mi ispiri sesso, tigre” ammise
con un’alzata di spalle. A
quelle parole il ragazzino avvampò.
“M-ma… ma ti sembrano
cose da dire?” lo aggredì.
“E’ la pure e semplice
verità. Io non dico mai bugie, memorizzalo”
rispose.
“Comunque non si
dice!”
“Cosa? Che mi
ecciti?”
“Smettila di
dirlo!”
“Quanto sei puro e
casto! Quasi, quasi mi trovo l’amante” lo
stuzzicò. Scansò
velocemente un suo pugno nello stomaco e si mise a ridere quando lui lo guardò
con occhi furibondi.
“Sei uno stronzo, AxelFlame” l’accusò
facendogli una linguaccia. Per calmarlo, lui si avvicinò ad
abbracciarlo.
“Scusami” disse. Lo
baciò sulla testa e attese che smettesse di tenergli il broncio. Alla fine,
anche Roxas si mise a ridere.
“Che bastardo”
commentò, tirando una ciocca di capelli rossi all’altro.
“Ehi, non si tocca la mia
acconciatura.
Se vuoi stare con me ricordatelo” gli consigliò.
“Perché? È così morbida” chiese il ragazzino, perdendosi ad accarezzargli i
capelli. Era un movimento
ipnotico per entrambi, che si interruppe solo quando l’uomo lo
baciò.
“Stai fermo, o non mi
trattengo e tu non torni più a casa” lo fermò.
“Perché? Mi rapisci?” domandò lui, annebbiato
dall’emozione.
“Sì, e ti porterei via con
me. E un
giorno lo farò, ma non ora o tua nonna mi ammazza. Andiamo,
devi risalire in casa” gli
ricordò. La magia si
spense e lui rientrò bruscamente nella realtà.
“Forse hai ragione”
ammise. Ripresero a camminare mano nella mano, rimanendo in silenzio per tutto
il viaggio.
“Tutto ok? Niente ossa
rotte?”
“Guarda che non sono così
impedito”
“Ah no? Ma guarda, pensavo
il contrario”
“Come siamo spiritosi
stasera, vero?”
“Stoscherzando, lo sai. Ti chiamo
domani… cioè, tra un paio d’ore. Dormi bene, piccolo Roxy” lo salutò Axel, facendogli l’occhiolino. Sparì alla vista entrando nel bosco dove, suppose
il ragazzino, c’era la sua macchina.
Si tolse i vestiti e si mise in pigiama, entrando
sotto le coperte. Suo fratello fece una specie di basso rumore con la gola,
simile a quello di un maiale, poi si girò nel letto e tornò a
dormire.
Roxas
sorrise, ripensando alla sera precedente, e il suo cuore si mise a battere
all’impazzata. Forse aveva rinunciato a una nottata di sonno, ma di certo ne era
valsa la pena.
Capitolo 13 *** Un’ambulanza alle otto di mattina ***
Un’ambulanza
alle otto di mattina
Roxas aprì un occhio, svegliato da un suono che non
gli era affatto familiare. Cercò di riaddormentarsi, ma Sora lo svegliò
preoccupato e con uno sguardo che non gli aveva mai visto in vita
sua.
“Alzati! Dobbiamo andare
dalla nonna” lo chiamò.
“Che succede? Perché tutta
quest’ansia?”
“Il nonno si è sentito
male, ha avuto una crisi respiratoria. Lo stanno portando in ospedale!”
rispose. A quelle parole il biondo, che si sentiva ancora intontito dal poco
sonno, si alzò e corse giù dal letto, raggiungendo l’entrata. Parcheggiata sul
vialetto c’era un’ambulanza e tre uomini stavano trasportando l’uomo sulla
barella per farlo salire nel retro. Sua nonna piangeva silenziosamente, da una
parte, e li guardava portare via il marito.
“Che succede?”
chiese Roxas, impaurito.
“Tesoro, non ora”
rispose lei.
“Che. Diavolo. Sta.
Succedendo?” ripeté lui, arrabbiato.
Anche se non si vedevano molto per il lavoro che
svolgeva suo nonno, loro due erano sempre stati molto attaccati. Avevano un
carattere molto simile, timido e chiuso per certi versi, ironico e divertente
per altri, e c’era sempre stato un legame speciale tra di
loro.
“Signora, noi portiamo suo marito in ospedale. Vuole
venire con noi o preferisce rimanere con i ragazzi?” le chiese un
volontario.
“Rimango qui. È bene se
spiego ai miei nipoti la situazione” rispose. L’uomo annuì e salì
sull’ambulanza, che poi partì a tutto gas con la sirena
accesa.
“Nonna, esigo subito di
sapere cosa cazzo succede qui!” la aggredì il biondo. La donna gli tirò
uno schiaffo forte, che lo fece quasi perdere l’equilibrio, poi rientrò in
casa.
“Non si dicono le
parolacce davanti a me” lo sgridò, prima di chiudersi la porta alle
spalle. Lui rimase fermo, allibito, con una mano sulla guancia pulsante. Se si
comportava così doveva essere qualcosa di serio, per forza. Quindi avevano avuto
ragione lui e Axel quando avevano detto che nascondeva
qualcosa.
La seguì all’interno dell’abitazione e si sedette
accanto a Sora a tavola. Lei portò loro un piatto di latte e biscotti, poi gli
si mise di fronte e sospirò.
“Ragazzi, c’è una cosa
che non vi abbiamo detto” ammise. Tutti e due rimasero zitti, senza
toccare la colazione.
“Qualche mese fa, circa
verso marzo, vostro nonno si sentì male. Un dolore forte ai polmoni, crisi
respiratoria e tosse fortissima. Andammo in ospedale e lo tennero lì un paio di
giorni per gli accertamenti” iniziò a spiegare. Gli occhi le si
riempirono di lacrime, ma le cacciò indietro, imponendosi di essere
forte.
“Il resoconto non fu per
niente buono e abbiamo scoperto che lui è malato… ha un… un…” non
riusciva a dirlo,tanto era il
dolore che le provocava.
“Ha un tumore,
vero?” l’aiutò Roxas. L’aveva capito già da quando aveva iniziato a
raccontare, senza sapere come mai se lo immaginasse. Lo sapeva e
basta.
“Sì, purtroppo sì. E
anche grave, ormai esteso a gran parte dei polmoni. All’inizio pensavamo che
sarebbe riuscito a curarsi, ma poi ha cominciato a tossire sempre più spesso e
sentiva dolore sempre più acuto. Nelle ultime settimane era spesso fuori casa
perché andava in ospedale per farsi controllare. Ormai non gli è rimasto più
molto tempo” confessò. I due fratelli rimasero paralizzati a quella
notizia, immobili.
“Perché non ce l’avete
detto prima?” chiese Sora.
“Non volevamo farvi
preoccupare. Non vi sareste comportati nello stesso modo se aveste saputo che ha
una malattia terminale e non vi sareste goduti l’estate. Questa è l’ultima
vostra estate da liceali e volevamo che fosse come è sempre stata, senza
pensieri. Non pensavamo che avrebbe avuto un’altra crisi, e temo che lui… che…
lui…” la signora Key si mise a piangere e fu scossa da singhiozzi forti.
Anche gli occhi dei gemelli si riempirono di lacrime e entrambi
l’abbracciarono.
“Lui non tornerà a
casa” sputò alla fine.
“Nonna, non fare
così” la consolò il biondo, piangendo con lei.
“Ci siamo noi con
te” le assicurò il castano. Tutti e tre rimasero fermi in quella
posizione per non si sa quanto tempo prima che il telefono
squillasse.
“Pronto?”
“Ciao tigre. Come va?”
“Oh, Axel… ciao”
sussurrò Roxas, spento.
“Ehi, cos’è successo?”
“Nulla, non ti
preoccupare”
“Invece mi preoccupo! Sei il mio ragazzo e mi preoccupo per
te” gli fece presente il
biondo attese qualche istante prima di scoppiare in
lacrime.
“Axel, ti prego… posso
venire da te?”
Mezz’ora dopo era a casa Flame, seduto sul divano con
le ginocchia strette al petto.
“Roxas, mi dispiace”
disse il rosso una volta che ebbe terminato di raccontare.
“Anche a me” rispose
lui, fissando il vuoto. Non era riuscito a rimanere a casa, ma tanto non sarebbe
servito a niente: i suoi genitori erano andati in ospedale e Sora aveva
accompagnato la nonna. Avrebbe tanto voluto andarci anche lui, ma non riusciva a
pensare che suo nonno era in un lettino anonimo, praticamente in coma, e che non
si sarebbe risvegliato mai più. Solo immaginarlo lo faceva
piangere.
Vedendo le sue lacrime, l’uomo lo strinse forte al
petto.
“Perché deve succedere a
lui? Magari non ci ho passato molto tempo insieme negli ultimi mesi, ma gli
voglio bene, non voglio che muoia!” esclamò, aggrappandosi alla sua
camicia.
“Perché lascia la nonna da
sola? Lei non ce la può fare, ormai è vecchia ed ha passato tutta la vita con
lui. Non riuscirà ad andare avanti se non c’è”
continuò.
“Shh, Roxas, shh… va tutto
bene. Si sistemerà tutto” lo tranquillizzò Axel.
“Perché deve
morire?” gli chiese il ragazzino, con gi occhi pieni di lacrime. Lui ci
pensò un attimo, poi sospirò.
“Ti dirò la verità, io non
ce l’ho una risposta. Studio le medicine e la loro funzione ma non so come ma
poi la gente muore lo stesso. Però posso assicurarti che ti starò accanto e non
ti lascerò” promise. Il biondo tirò su col naso e poi appoggiò la faccia
al suo petto.
“Vuoi andare in ospedale? Ti
accompagno io” gli propose. Lui annuì, e si alzò.
Lo seguì fin dentro al pick up, ma poi lo ignorò per
tutto il viaggio.
La verità è che non ci era abituato. Non aveva mai
avuto lutti in famiglia o perdite gravi nelle amicizie, aveva sempre vissuto
nell’infantile idea che la morte era qualcosa di lontano da lui. Dava per
scontato coloro che amava: sua madre, suo padre, i nonni, Riku, Xion, Axel,
Sora… facevano parte della sua vita e nessuno poteva portarli via. O almeno così
credeva.
Adesso, però, chiuso in quel fuoristrada, mentre
andava in ospedale, si rese conto che non riusciva a sopportare quel
dolore.
“Siamo arrivati,
tigre” lo chiamò il rosso, posandogli una mano sulla guancia. Lui
sobbalzò e lo fissò, quasi non si fosse accorto di
dov’erano.
“Te la senti?”
s’informò.
“Devo andare. I miei sono
tutti lì e io, anche solo pensando che potevo scappare, sono stato un codardo.
Però ti prego… vieni con me” lo implorò. Axel gli dette un lieve bacio
sulle labbra.
“Non ti lascio,
memorizzato?” promise.
“Grazie”
La camera dove avevano messo suo nonno era una
semplice camera d’ospedale: due letti bianchi, una flebo lì vicino, un bagno e
un televisore vecchio tipo messo su una mensola attaccata al
muro.
Erano tutti lì: sua madre, suo padre, Sora e sua
nonna. Non mancava nessuno. Quando entrò, seguito da Axel, tutti gli occhi si
puntarono su di loro, ma lui continuò a stringere la mano del rosso, nonostante
le occhiate incuriosite del padre.
“Scusatemi per il
ritardo” disse, sedendosi vicino al fratello. Lui gli sorrise stanco, poi
tornò a fissare il nonno.
“Novità?” chiese,
per rompere il silenzio. Sua madre scosse la testa.
“Dicono che probabilmente non si risveglierà più. È
in coma farmacologico e lo terranno così per fare in modo che non senta il
dolore. Pare che abbia sofferto tanto e noi non c’eravamo… io non c’ero” spiegò,
iniziando a piangere. Il marito la strinse, cercando di alleviare un po’ quella
sofferenza, ma anche lui era provato. Il fatto era che il signor Key era amato
da tutti, non si poteva non volergli bene: si era occupato prima della figlia,
poi anche del genero quando non avevano casa, e tutte le estati stava dietro ai
nipoti. Mostrava sempre un sorriso di comprensione anche quando avevi fatto
qualche danno e riusciva a dare affetto a tutti, nessuno escluso. Come mai era
proprio lui a doversene andare?
“Non possiamo fare
niente?” domandò.
“No, Roxas. I medici
dicono che è meglio così: se ora si svegliasse soffrirebbe troppo”
rispose Sora. Lui lasciò la mano si Axel e abbracciò il fratello, che
ricambiò.
“Adesso dobbiamo solo
aspettare…”
Un paio d’ore dopo i due erano davanti alla
macchinetta del caffè per prendere qualcosa da bere. Non che ce ne fosse
bisogno, era solo per poter occupare almeno dieci minuti fuori da quella stanza
che sapeva di morte lontano un chilometro.
“Senti, se vuoi andare a
casa vai pure. Almeno per oggi io rimarrò qui con la mia famiglia, quindi non
penso che sia indispensabile che tu rimanga qui” disse il biondo,
sorseggiando un tè bollente.
“Tu hai bisogno di
me?” gli chiese il suo compagno, fissandolo intensamente. Avrebbe voluto
dire di no, fare la persona forte e farlo andare via per il suo bene, ma non ce
la face.
“Sì, io ho bisogno di
te” ammise.
“Allora resto fin quando non
andrai via anche tu” decise. Non se la sentiva di mollarlo lì, indifeso
com’era. In realtà non aveva conosciuto suo nonno, ma da come gliene aveva
parlato doveva essere una persona in gamba. E lui doveva soffrire in modo
terribile in quel momento.
Dal fondo del corridoio videro arrivare Sora, con gli
occhi lucidi e le mani tremanti.
“Roxas, la nonna ha
detto che, se vuoi, puoi tornare a casa” gli disse.
“Perché solo io e non
voi?”
“Perché lei sa. Si è
resa conto di come state insieme e ha detto che se almeno uno di noi riesce a
trovare un po’ di sollievo al di fuori di qui, sarà un bene per tutti”
spiegò.
“Non ho capito”
ammise il ragazzino.
“Se tu esci con Axel, o
comunque ti fai portare a casa, poi dopo sarai in grado meglio di noi di
prenderti cura della casa e, magari, di rallegrarci un po’. So che ti sembra
pazzesco, ma credo che abbia ragione” rispose. Lui riuscì a capire cosa
intendesse il fratello e ci pensò su.
“Forse… forse è meglio, sì.
Allora noi andiamo e vi preparo la cena, così, quando rientrate, avrete qualcosa
da mangiare” decise.
“Non credo che qualcuno
avrà voglia di cenare” gli fece presente Sora. A Roxas si riempirono gli
occhi di lacrime.
“Lo so, ma è la cosa più
normale che mi viene in mente” ammise triste. Il castano lo abbracciò
forte,poi sorrise
stanco.
“Ci vediamo dopo”
lo salutò rientrando nella camera.
Axel, in tutto questo discorso, era rimasto in
disparte. Si sentiva un intruso in tutto quel dolore, ma, per qualche motivo,
stava soffrendo con loro. Aveva percepito la disperazione della famiglia di
fronte a quella notizia di morte imminente e si rendeva conto che lui, nella sua
di famiglie, non aveva mai avuto un amore così infinito né per qualcuno né da
parte di qualcuno.
“Vieni con me?” gli
chiese Roxas, prendendolo per mano.
“Non ti lascio”
promise.
Nel tragitto fino alla macchina rimasero zitti,
ognuno perso nei propri pensieri.
“Guarda, guarda chi si vede” commentò una voce dietro
di loro un attimo prima che salissero sul pick up. Si voltarono nel medesimo
istante e videro un Saix vestito di bianco arrivare lentamente verso di loro. Il
biondo fu subito assalito da una rabbia cieca.
“Che cosa vuoi?”
chiese in malo modo.
“Niente di che, mi stavo
solo chiedendo quando foste diventati così intimi” rispose mellifluo.
Aveva un tono di voce lento ma preciso, freddo e
calcolato.
“Fatti gli affari
tuoi” intimò il ragazzino. Lui rise divertito, ma aveva una risata così
metallica che gli fece venire la pelle d’oca.
“Mi piace il tuo modo di
fare, sai? Devi essere una tigre. Soprattutto in certe… situazioni”
commentò. Quella frase fece irrigidire Axel, che si mise in mezzo e lo guardò
male.
“Vattene Saix, questo non è
un bel momento” ordinò.
“Me lo immagino. Allora
aspetterò che lo sia e vedrò come si comporta il tuo amichetto. Mi
incuriosisce” lo avvertì.
“Ti avverto: se ti azzardi
anche solo a toccarlo con una mano io ti ammazzo. Ci siamo capiti?” lo
minacciò.
“Come siamo aggressivi.
Stavo scherzando e basta” lo tranquillizzò, voltandosi. Poi sorrise senza
essere visto.
“O forse no”
aggiunse. Roxas si pietrificò a quelle parole e trattenne il respiro
involontariamente. Solo quando l’uomo fu del tutto scomparso alla sua vista
riuscì a respirare con calma e ad aggrapparsi ad Axel.
“Non mi piace. Non mi piace
per niente” ammise, tremante.
“Non ti preoccupare: finché
sei con me non può succederti nulla” gli promise il rosso,
abbracciandolo.
“Mi porti a casa? Ho
bisogno di dormire” lo implorò, sentendo la testa
pesante.
Quando arrivarono a casa Key, entrambi erano ancora
molto scossi da quello che aveva detto Saix e non
riuscivano ad aprire bocca. Roxas era stanco,
affamato, triste, depresso e tutte le altre emozioni negative che potevano
esistere. Non si era nemmeno reso conto che era rientrato, almeno finché Axel non lo abbracciò e gli accarezzò la
testa.
“Ehi, tutto bene?”
gli chiese. A quel punto gli occhi del biondo si infiammarono e lui lasciò
uscire tutta frustrazione che aveva ingoiato fino ad
allora, iniziando a dare pugni sul petto al rosso.
“No, non va bene, non va
bene niente!
Mio nonno è in ospedale e sta morendo, i miei non reagiscono e hanno spedito me
a casa a fare da brava massaia mentre loro rimangono tutti
insieme lì, a controllare che lui non muoia da solo! Se non bastasse
tutto ciò, il tuo ex pazzoide e schizofrenico sta cercando non so cosa e ce l’ha
con me e, fattelo dire, incute paura. E io non so che devo fare! Non so come
cazzo comportarmi con nessuno perché non mi sono mai trovato in una situazione
simile, perché sono stanco, perché non voglio affrontare un lutto! Non sono
pronto, non adesso! È troppo presto, mio nonno è troppo giovane e non deve
andarsene! Non deve…” si
sfogò, continuando a picchiare Axel, che non emise un
gemito.
Alla fine si aggrappò alla sua camicia come se fosse
l’ultima ancora di salvezza nell’universo e scosse la
testa.
“Non ce la faccio da
solo! Mio
fratello è più maturo di me in questo senso, perché tutti gli vogliono bene e ha
qualcuno su cui contare, mentre io sono… io sono solo un’ombra dietro di lui!
Non ho amici, non riesco ad essere allegro e simpatico come lui, e devo essere
forte e maturo perché lui non lo è. È così infantile
che mi chiedo spesso come faccia per andare avanti, mentre io mi sforzo per
piacere agli altri, per non essere lasciato da parte! E ora, invece, sono qui e,
per quanto tu possa essere con me, mi sento infinitamente solo. Axel non ce la
faccio” ammise. Nonostante tutti colpi che gli aveva dato nello
stomaco, lui lo abbracciòignorando il dolore.
“Lo so che è difficile,
tesoro. So che
vorresti essere con loro, ma Sora ha ragione a dire che tu sei l’unico che può
fare qualcosa qui. Se fai vedere loro che esiste un po’ di normalità nonostante
ciò che vi sta succedendo, magari sorrideranno. Guardami” gli ordinò gentilmente, alzandogli il
viso. Gli occhi celesti e
lucidi di Roxas incrociarono quelli verdi dell’uomo,
in un momento di infinita tranquillità.
“Non devi dire che ti senti
lasciato indietro. Non devi dirlo mai. Tu e Sora siete due
fratelli, ognuno col proprio carattere speciale, e non sei solo. Mai lo sei e
mai lo sarai, capito? Io ci sono, sono proprio accanto a te,
memorizzato?” disse. Il ragazzino annuì e poi si staccò da
lui.
“Forse è meglio se preparo
qualcosa da mangiare” decise, andando verso la
cucina.
Mentre camminava le poche ore di sonno, il digiuno e
tutto il pianto si fecero sentire e lui cadde a terra inginocchiato, sentendo la
testa girare.
“Non… non mi sento
bene…” sussurrò.
Un paio d’ore dopo si risvegliò nel suo letto, in
camera, e si chiese che cosa diavolo fosse successo. Si mise a sedere e si
guardò intorno: aveva solo sognato? Suo nonno non era davvero in ospedale in fin
di vita? E Saix non aveva davvero mostrato intenzioni
poco buone nei suoi confronti?
“Ehi,
buongiorno.
Finalmente ti sei svegliato”
gli disse Axel. Quella scena gli sapeva di dèjà
vu.
“Sì, credo di sì”
rispose lui, confuso. Si mise in piedi e raggiunse il rosso, che gli mise una
mano sulla fronte per sentire se era caldo.
“Devi aver avuto un semplice
mancamento causato dallo stress” decise, sorridendo
preoccupato.
“Quanto tempo è passato da
quando sono svenuto?” s’informò lui.
“Credo non più di due
ore”
“Che
cosa? Quindi
sono quasi le cinque del pomeriggio?!Dovevo far trovare qualcosa da mangiare ai miei, sono già
tornati?” si agitò.
“No,
tranquillo.
Non c’è ancora nessuno. E poi tu non ti fidi dime” lo prese
in giro Axel.
“Come? Perché?” si stupì lui, calmandosi
all’improvviso.
“Pensavi che sarei rimasto
due ore senza fare nulla? Mi offendi!” disse teatralmente.
“E cosa avresti
fatto?”
“Ho preparato un po’ di
insalata di riso per tutti. Non si rovinerà se rimarrà nel frigo
per un po’, così avete la cena pronta e, nel caso, anche il pranzo di domani.
Per lo meno questo problema è superato” spiegò. A Roxas si riempirono gli
occhi di lacrime e si gettò tra le sue braccia.
“Grazie” sussurrò,
riconoscente.
“E, naturalmente, io rimarrò
qui con te.
Almeno fino a quando mi ci vorrai” concluse sorridendo. Attese pazientemente che smettesse di piangere e
poi gli passò un fazzoletto che aveva in tasca.
“Forza, andiamo giù, mi è
sembrato di sentire una macchina. Probabilmente i tuoi
sono arrivati” gli ordinò, spingendolo verso il
piano inferiore.
In effetti, nel momento in cui entravano nel
corridoio, videro Sora e la nonna aprire la porta, ma dei suoi genitori nemmeno
l’ombra.
“Mamma e papà?”
chiese il biondo, prendendo premurosamente il giacchetto della
donna.
“Sono rimasti con
nonno. I
medici hanno detto che il tumore è più esteso di quello che dovrebbe e che non
ha molto tempo. Se siamo fortunati sopravvivrà una decina di
giorni, ma non di più” spiegò il fratello,
spento. Quelle parole gli
fecero male, molto male. Così poco tempo?
“Noi abbiamo fatto un po’
di riso freddo… cioè, Axel ha fatto il riso, io non ho
potuto” annunciò, facendoli mettere a sedere in
cucina.
“Grazie, tesoro, ma io
non ho fame” rispose la nonna con un sorriso stanco.
In realtà nemmeno lui ce l’aveva, ma doveva farsi
vedere forte. Aveva ragione il suo compagno nel dire che doveva riuscire a farli
stare meglio. Era quello più maturo e poteva farcela. Per il loro
bene.
I
sette giorni successivi furono un susseguirsi di turni per rimanere sempre
accanto al nonno, per riuscire a stargli accanto nel caso fortuito in cui,
almeno per un’ultima volta, avesse aperto gli occhi.
Roxas
si stupiva di sé stesso: riusciva a piangere silenziosamente e a sfogarsi quando
era lontano dalla famiglia, così che loro, quando rientravano a casa, trovavano
un sorriso gentile ad accoglierli. Aveva deciso di non andare quasi mai in
ospedale, se possibile, perché in questo modo qualcuno che preparava il pranzo e
si occupava delle faccende domestiche c’era. Era il suo unico modo per rendersi
utile.
Axel,
dal canto suo, non lo lasciò un attimo nemmeno per dormire. Dato che tanto ormai
tutti sapevano della loro relazione (anche se il padre non l’aveva presa
benissimo), la nonna decise che il nipote avesse bisogno del compagno vicino,
così gli aveva chiesto di rimanere da loro almeno fino a che non fosse tutto
passato. Felice di poterli aiutare, il chimico si era stabilito temporaneamente
in casa Key, e si era messo a dare una mano a Roxas
per quanto riguardava l’accudire i suoi
parenti.
Una mattina, mentre il biondo stava riposando,
telefonò a casa per sentire come stava Larxene. Era
sempre così occupato con il ragazzino e con tutta quella storia che si era
dimenticato di chiamarla.
“Pronto?” rispose lei,
assonnata.
“Buongiorno, qui parla Axel, il bellissimo farmacista che hai l’onore di avere come
coinquilino. Come va?”
“Guarda, ascoltare i tuoi deliri egocentrici appena sveglia
mi mancava. Tutto bene, qui è tutto tranquillo. Almeno
fino a quando non torno Demyx si è trasferito da noi,
così non sono sola”
“Bene, sono felice per voi
che tutto sia tornato normale”
“Ti sento stanco, Axel. Come
procede da te?”
“Non bene, purtroppo. Roxas fa del suo meglio per dare coraggio agli altri, ma
sono tutti distrutti. Nonno Key doveva essere una bellissima persona e il fatto
che se ne stia andando sta facendo crollare chiunque”
“E tu come stai? Immagino sia difficile sopportare una
situazione simile”
“Lo è, non lo nascondo, ma
devo aiutarlo. Tu non immagini cosa significhi vedere il dolore della persona
che ami e sapere che non puoi fare niente per alleviarlo anche solo quel tanto
che basta per farlo smettere di piangere”
“Ti sento stanco”
“Non troppo, ho faticato
molto di più nel periodo che lavoravamo per la formula”
“Emotivamente? Non ci
credo”
“Lasciamo perdere. Sapevo
che sarebbe stato difficile, quindi non voglio lamentarmi. Anche perché io ho
deciso di rimanere qui con Roxas, e non me ne pento.
Sarei un vile se non lo facessi”
“Cavaliere senza macchia e senza paura, per
intenderci”
“Simpatica. No, sul serio,
mi fai morire dal ridere”
“Cercavo solo un modo per
sdrammatizzare”
“Non ti scervellare, o i
tuoi bellissimi neuroni si suicideranno. Piuttosto, non
abbiamo quasi più parlato da quando tu e Demyx avete
fatto pace. Che mi dici? Si parla ancora di matrimoniooppure l’idea è stata
abolita?”
“In realtà volevo parlartene una volta che tutto questo
fosse finito. Avrei una richiesta per te”
“Oh,
sentiamo”
“Ecco, mi… insomma, hai impegni per
il ventuno marzo?”
“E mi fai una domanda simile
il trentuno agosto? Che vuoi che ne sappia io che impegni ho tra sette
mesi”
“Bene, se non ne hai non ne
prendere”
“Significa che vi
sposate?”
“Sì!”
“Ma è fantastico! Finalmente
ti sei decisa a dire di sì a quel povero ragazzo! Raccontami
tutto!”
“Beh, dopo aver… uhm… diciamo fatto pace…”
“Non scendere nei dettagli,
grazie”
“Sì, infatti. Comunque, dicevo, dopo che ci siamo
riappacificati ci siamo messi a parlare e io gli ho chiesto se era serio, quando
aveva detto di volermi sposare. Demyx è arrossito, poi
si è girato verso il comodino e ha tirato fuori l’astuccio dell’anello e mi ha
detto no, non
ERO serio, SONO serio, guardandomi con
quegli occhi a cucciolo che solo lui sa fare”
“Non mi ricordavo che tu
fossi così melensa”
“Sei tu che sei una zitella acida. Comunque il resto
immaginatelo”
“Sai una cosa? Sono proprio
felice per voi!”
“E, a proposito del matrimonio, volevo anche farti un’altra
richiesta”
“Ah, sul
serio?”
“Già. Io vorrei che tu fossi il mio
testimone”
“………..”
“Axel?”
“Davvero vuoi che lo faccia
io?!”
“Certo, sennò non te lo
chiedevo!”
“Larxene, io… sì!
Cavolo, certo che ti faccio da testimone!”
“Meno male, temevo che avresti
rifiutato l’idea!”
“Scherzi? È un onore! Sei la
mia migliore amica ed è il modo migliore che ho di rimanerti vicino nel tuo
giorno più felice!”
“Grazie”
“Ehi, non ti sarai mica
commossa?”
“Io? figurati!”
“Non lo devi nascondere a
me, non ti giudico mica”
“Non ti nascondo proprio niente! un’ultima cosa, poi ti lascio andare. Senti se vuole venire
anche Roxas, mi farebbe piacere”
“Sei lungimirante! Hai così
fiducia in noi?!”
“Spiegati perché non ho
capito”
“Sei sicura che tra sette
mesi saremo ancora insieme?”
“Allora no, non ho fiducia in voi. Ho fiducia nel modo in
cui vi guardate, come se esisteste solo voi due, ho fiducia nel rapporto che
avete creato e nel fatto che ci siete per sostenervi. Perché sono convinta che,
anche se ora sei tu ad aiutare lui, quando ci sarà bisogno lui aiuterà te. Siete due parti di una mela, ecco”
“Larxene?”
“Sì?”
“La felicità ti rende
melensa!”
“Come sei cattivo! E io che mi ero sforzata per fare un
discorso serio una volta ogni tanto!”
“Sto scherzando. Anche io la
penso come te, quindi gli riferirò il messaggio. Salutami Demyx”
“Va bene. Ciao, a presto”
Mancavano ormai solo quattro giorni al compleanno dei
gemelli. Nessuno aveva molta voglia di festeggiare, ma la nonna, pur di trovare
un po’ di normalità in quel periodo così terribile, pose comunque la
questione.
“Facciamo almeno una
piccola cena tra di noi. Solo noi sei”
“Sette” la
corresse Sora. Lei lo fissò senza capire.
“Ho contato
male?”
“No, ma inviterei anche
Kairi. È la mia ragazza, in fondo, e mi piacerebbe che
ci fosse”
“Ok, allora solo noi
sette.
Avanti!” li
spronò. Roxas non se la sentiva di negarle quel piccolo piacere,
così annuì sorridendo.
“Certo, a me sta
bene” rispose.
In quel momento i genitori dei due ragazzi
rientrarono: la madre aveva gli occhi gonfi e stanchi, mentre il padre la
sorreggeva. E fu un istante: tutti i presenti in casa
compresero.
Il funerale fu celebrato due giorni dopo, sotto al
sole cocente delle due. A nessuno di loro interessava il caldo, nemmeno lo
sentivano tanto era forte il dolore. Rimasero tutti uniti, semplicemente in
silenzio, e attesero che un po’ di quella sofferenza passasse.
Gli bastava anche il minimo, giusto quel poco perché
riuscissero ad uscire da quello stato di trance che si era impossessato di loro
e potessero tornare ad una vita pressoché normale.
Axel
aveva deciso di tornare a casa perché pensava che fosse un modo per rispettare
il dolore dei Key. Era un dolore che non gli apparteneva e si sentiva un intruso
a starsene lì impalato come un palo della luce senza far
niente.
Furono giorni difficili soprattutto per la nonna, che
non parlava più e si rifiutava di mangiare. Aveva gli occhi infossati dal pianto
e le mani le tremavano costantemente. I due gemelli temevano in ogni momento una
crisi isterica, un crollo di nervi o una reazione talmente terribile da
lasciarla quasi senza fiato. Si era tenuta tutto dentro, non aveva più aperto
bocca con nessuno dalla morte del marito e non dava segni di volerlo
fare.
“Sai, forse sarebbe meglio
che reagisse” disse una mattina Roxas.
“Sì, penso anche
io. Se continua così esploderà dal dolore” gli dette ragione Sora.
“Esatto. E non credo che il
nonno avrebbe voluto che noi ci chiudessimo nella nostra sofferenza. Siamo in
cinque a piangere per lui, ed è giusto che ci sosteniamo”
“Sì, ma cosa possiamo
fare?
Non possiamo certo andare da lei e scuoterla finché non
parla” esclamò il
castano. L’altro lo fissò,
con un mezzo sorriso sulla faccia.
“Ti ho detto di
no” lo fermò, prima che l’idea si facesse strada in
lui.
“E perché? Tanto vale
provare, giusto?”
“NO!”
Mezz’ora dopo i due erano al piano di sotto, dove la
donna stava seduta a guardare il giardino. Le si misero
accanto e stettero zitti per un po’, scambiandosi occhiate impacciate. Alla fine
fu Roxas a iniziare il discorso.
“Nonna? Mi senti?” la chiamò. Lei non distolse lo sguardo dalla
finestra.
“Nonna, almeno guardami
mentre parlo” le disse dolcemente. La donna posò lo sguardo su di lui,
con gli occhi spenti e grandi.
“Ok, non è una cosa
semplice da dire, ma ci proverò comunque” esordì. Prese fiato, ma lei
ruotò di nuovo la testa verso il prato e poi indicò un punto immaginario che
solo lei vedeva.
“Lì” disse
semplicemente. I nipoti rimasero un attimo
basiti.
“Era lì che si metteva
tutti i giorni quando eravamo da soli e voi eravate a casa, in
città.
Piantava i fiori e poi mi sorrideva, agitando una mano in segno di saluto. Come
si fa quando siamo bambini e si vuol far vedere ai genitori che siamo stati
bravi in qualcosa. È sempre stato lì, in quell’esatto punto,
per gli ultimi trent’anni” spiegò, con le
lacrime agli occhi. Magari
i due ragazzi non avevano fatto nulla, ma dato che lei si apriva era già
qualcosa.
Attesero che continuasse, in religioso
silenzio.
“Sapete, non sono mai
stata sola.
Ho conosciuto vostro nonno quando ero piccolissima, avrò avuto sette anni e lui
dieci o undici, non mi ricordo. Era il figlio di amici di famiglia e ci odiavamo
cordialmente. Non faceva che farmi i dispetti, litigavamo ogni due parole, e non
facevamo che tirarci i capelli e picchiarci nel fango. So che sembra un cliché,
ma è vero, piano, piano quell’odio si trasformò in qualcosa di diverso, di più
bello e dolce. Se lui non c’era io mi sentivo sola e se io non c’ero lui si
sentiva incompleto. Ma non ce lo saremmo detti mai, nemmeno sotto tortura. Poi
un giorno rimanemmo a casa da soli mentre i nostri genitori erano fuori e non
ricordo nemmeno il motivo per il quale noi non eravamo andati con loro. Eravamo
così impacciati e dolci, mentre non riuscivamo a parlare perché eravamo
imbarazzati. Alla fine fu lui a fare il primo passo: ero in piedi in cucina che
sciacquavo un piatto in cui avevo mangiato un pezzo di torta di mele di mamma e
lui mi baciò dolcemente. Io avevo tredici anni, lui pochi di più, e da allora
non ci siamo più separati. E ora io sono sola” concluse, mettendosi a
piangere. Roxas e Sora la abbracciarono e cercarono di
consolarla.
“Non lo sei,
nonna.
Non sei sola” le disse il
castano.
“Non riesco a vivere qui,
ragazzi, proprio non mi è possibile concepire di rimanere in una casa dove ho
così tanti ricordi di lui. Mi risulta
straziante anche solo pensarci”
ammise. Sembrava così
piccola e indifesa.
“Allora vieni a stare da
noi, vieni a vivere in città” suggerì il biondo, scambiandosi un’occhiata
col fratello, che annuì.
“Lì non saresti sola, ci
saremmo sempre noi” confermò.
“Non
posso. Io
non ho mai vissuto in città, non saprei nemmeno da dove iniziare. E poi questa è casa nostra!” si
ribellò debolmente.
“Però proprio tu hai detto
che ti fa soffrire vivere qua”
“Sì, ma andarmene… non lo
so se ne sono capace”
“E allora cosa vuoi
fare?” le domandò Roxas, sedendosi sul tappeto
e fissandola con i suoi occhi celesti come il mare.
“Non lo so, tesoro,
sinceramente non lo so” rispose lei.
“Appunto. E noi, dopodomani, ce ne torniamo a
casa. Vuoi rimanere da sola per i prossimi dieci mesi, se non
di più, visti gli esami?” la
fulminò. Ogni tanto si
rendeva conto di essere inappropriato, ma non riusciva a trovare mezze misure e
non sapeva fare altrimenti.
La nonna lo guardò come se avesse appena ricevuto uno
schiaffo.
“Non… non mi ricordavo
che voi tornaste a casa così presto” balbettò.
“Appunto. Ma non possiamo rientrare a scuola la
settimana prossima sapendo che tu stai così. Quindi ti prego,
vieni con noi” la
implorò.
“Ci penserò, Roxas… ti prometto che ci penserò”
Axel
aveva deciso di fare ai fratelli Key una sottospecie di festa a sorpresa, anche
se, più che una festa, era una cena tra lui, Sora, Larxene, Demyx, la ragazza di Sora
e Roxas. Forse si sarebbero aggiunti anche Luxord e Xion, ma non lo sapeva
con certezza.
In realtà ciò che cercava di fare era solo di far
trovare un po’ di pace e normalità a quei due ragazzi per una sola serata, in
modo che, una volta rientrati a casa, avessero la forza per vincere quella
benedetta gara di skateboard nonostante quello che avevano passato nelle ultime
settimane. Si erano comportati fin troppo bene, più che come due adolescenti
avevano affrontato la cosa da adulti fatti anche se non lo erano e si meritavano
una piccola pausa.
“Ha chiamato Luxord e mi ha detto che viene. Però c’è un
problema” gli disse Larxene mentre finiva di incartare i regali per i
Key. Lui la fissò
scuotendo la testa.
“Strano. Non abbiamo mai
problemi, noi”
commentò.
“Di che si tratta?”
s’informò. Vide la bionda fissare il pavimento
imbarazzata.
“Beh, il fatto è che ieri
parlava con Xigbar, che gli ha domandato cosa facesse
domani sera e lui si è lasciato scappare che veniva qui per la festa di Roxas e Sora. Al che Xigbar gli ha
detto che si univa volentieri se poteva, e logicamente avrebbe portato anche
Xaldin. Luxord ha detto di
sì con la sua solita faccia a schiaffi, ma Xaldin ha
detto che per domani avevano un impegno con Marluxia e
Zexion, e che non possono abbandonarli. Come sai,
Zexion fa scuola da Vexen,
che l’ha saputo e l’ha detto a Laxaeus…”
“Fammi indovinare: Laxaeus era a giro con Xemnas come
sempre quando gli è stato chiesto e ci dobbiamo portare appresso anche
lui”
“E Saix, che si è appiccicato a Xemnas come una cozza allo scoglio” terminò lei. A
quel nome Axel alzò lo sguardo e la guardò
male.
“Saix non ci entra in
casa mia” disse risoluto. Dopo l’esperienza all’ospedale non voleva che
si avvicinasse mai più a lui o a Roxas per i dieci
secoli successivi.
“Lo so, ma come possiamo
fare?
Diciamo a tutto il gruppo di non venire perché tu non ci vuoi uno solo di loro?
Se si arrabbiano hanno ragione” gli fece presente Larxene.
“Ma porca troia, quello ha
molestato il mio ragazzo!” si ribellò lui.
“Sì, ma non puoi chiudere
tutto il mondo fuori per proteggerlo. Stagli semplicemente accanto! Sono sicura che non avrà il coraggio di fare del male a nessuno,
almeno non per il momento e non sotto gli occhi di tutti” lo tranquillizzò la
ragazza.
“Ne sei
certa?”
“Al cento per
cento” confermò. Lui lasciò da parte i pacchetti e si avvicinò a
lei.
“Lo sai che cosa si dice di
coloro che sono sicuri di ciò che dicono?” le
chiese.
“No”
“Ecco, quindi non ripetere
mai più di essere sicura al cento per cento. Chi lo è, è un
imbecille” la informò.
“Sei un bastardo, AxelFlame” lo accusò,
imbronciandosi.
“Lo so, e mi adori per
questo. Ma fidati, dopo quanto è accaduto all’ospedale, non mi posso fidare di
Saix”
“Non ti dico di fidarti,
ti dico solo di non escludere tutti i nostri amici per colpa
sua! Ci sto io con lui, sarò la sua ombra e, se farà qualcosa di
sbagliato, lo prenderò a bastonate nel capo fin quando non morirà” promise. Il ragazzo rise forte.
“Me lo
prometti?”
“Te lo
prometto”
“E allora che festa enorme
sia” concesse lui, con un sospiro.
“Dove andiamo?”
chiese Sora per la duecentesima volta. Kairi era
arrivata a casa loro con la sua bellissima macchina nuova (che si era pagata con
i risparmi di sei mesi di lavoro) e li aveva prelevati senza dire una parola.
Aveva naturalmente chiesto il permesso alla signora Key e poi li aveva bendati,
sorridente.
“Ti giuro che se non smetti
di chiedermelo ti lascio qui” lo minacciò ridendo.
“Gira a sinistra”
le disse una voce di ragazza. I due fratelli sobbalzarono e si guardarono
intorno impauriti.
“Chi altro c’è in questa
macchina oltre a noi?” chiese Roxas.
“Ma come, non mi
riconosci?” rise lei. Sì, era una voce familiare, ma no, non la
riconosceva.
“Sinceramente?”
rispose lui.
“Qui va bene?”
domandò Kairi, imboccando un vialetto un po’
dissestato.
“Sempre dritta per cento
metri, poi siamo arrivati” confermò la voce.
“Dove andiamo?”
tentò di nuovo Sora.
“La vuoi
piantare?
Mi fai venire l’ansia!”
esplose il fratello.
Rimasero tutti zitti per un minuto, poi la rossa spalancò la
bocca.
“Oddio, ma è
quello? Ma è… è gigantesco!”
esclamò. Probabilmente
Roxas fu l’unico a prendere il doppio senso nel
discorso, e si mise a ridacchiare.
“Sì, l’edificio è
quello” annuì l’altra. La macchina si fermò dieci secondi dopo, e le due
ragazze scesero per prendere sottobraccio i fratelli.
“Seguite senza fare
domande” ordinò Kairi.
“Ma…” provò a
ribattere Sora.
“Senza fare domande”
scandì lei per bene, guidandolo nella strada.
Gli altri due rimasero indietro, per libera scelta
del biondo.
“Xion, siamo da Axel, vero?” chiese, sorridendo. La moretta rise
sommessamente.
“Quando l’hai
capito?”
“Quando ho associato la tua
voce al tuo viso” ammise lui.
“Sta’ zitto e fingiti
sorpreso” gli suggerì sottovoce la ragazza, quando entrarono in
casa.
A
entrambi furono tolte le bende e un grido di “Buon compleanno!” si spanse per la
stanza, insieme a coriandoli e stelle filanti. Sobbalzarono nel vedere tanta
gente a quella festa a sorpresa, e risero di felicità.
“Cavolo!” esclamò
Sora, sinceramente colpito. Il rosso si avvicinò a loro
e fece l’occhiolino.
“Un diciottesimo si
festeggia sempre e comunque, non importa con quanto
ritardo. E poi voi due, domani, tornate a casa, quindi questa era l’ultima
occasione per farlo”
disse.
Roxas
aveva gli occhi lucidi di commozione.
“Siete tutti qui… per
noi?” chiese incredulo.
“Io sono qui solo per la
torta” ammise Demyx
ridendo.
“Sta’ zitto, chitarrista da strapazzo” lo prese in giro
Luxord.
Passarono i venti minuti successivi a scartare i
regali, poi si spostarono tutti in giardino, dove avevano mangiato la prima
volta.
“Finché è caldo dobbiamo
usufruirne” spiegò Larxene, con un grosso
sorriso.
Aveva preparato il barbecue con la carbonella e
l’alcool, e Axel si mise lì davanti con la carne per
iniziare a cuocere la cena.
“Sei tu il cuoco di turno?” lo aveva preso in giro
Xemnas.
“Lo sai che amo il
fuoco” aveva risposto lui ridendo.
Erano tutti così tranquilli e rilassati, allegri e
spensierati, che Roxas e Sora per qualche gloriosa ora
si dimenticarono del nonno e dei loro problemi.
Si sedettero a capotavola e si misero a parlare con
gli invitati, ridendo e scherzando con loro fino a quando le lacrime quasi non
gli impedirono di parlare.
“Signori, la cena è
pronta” annunciò il rosso, portando a tavola la
carne.
“Era ora!” esclamò Xigbar,
affamato. Si servirono tutti due volte, finendo completamente la scorta di carne
per ventidue che Larxene aveva preso, lungimirante,
nonostante fossero solo in sedici.
“Quindi domani rientrate?” chiese Marluxia a Roxas.
“Sì, tra pochi giorni
ricomincia la scuola e dobbiamo ancora fare lo shopping annuale per rifornirci
di roba” spiegò.
“Tesoro, se ti serve qualcosa in città chiamami” gli
disse, strizzando l’occhio. Axel rise ma si mise in
mezzo, minaccioso.
“Guarda che lui è
mio” gli fece presente, con un tono minaccioso e divertito allo stesso
tempo.
“Lungi da me l’idea di togliertelo” lo prese in giro
l’altro, ridendo con lui.
Si respirava un’atmosfera tranquilla e rilassata:
tutti erano felici. Il biondo riuscì finalmente a pensare che, piano, piano,
stavano tornando alla normalità nonostante
tutto.
Axel e
Larxene, nonostante avessero cercato di divertirsi il
più possibile, erano sempre stati con un occhio puntato su Saix. Non piaceva a nessuno dei due il modo in cui l’uomo
fissava Roxas, soprattutto visti gli sviluppi della
situazione. Fortunatamente, il ragazzino non si era reso conto di nulla e
continuava a divertirsi come se niente fosse, il che rendeva tutto più semplice
per i due, che non dovevano dare spiegazioni.
Verso le undici Marluxia,
ubriaco, si alzò in piedi.
“Dato che siamo tutti qui per festeggiare i gemelli e
dato che entrambi sono fidanzati, propongo che entrambi scambino un bacio con i
rispettivi partner. E intendo un bacio vero, non di quelli a stampo” disse. Tutti
e due si guardarono e arrossirono.
“E’ imbarazzante”
si ribellò Sora. Kairi rise.
“Dai, cosa vuoi che
sia? Non è mica la fine del mondo” lo
tranquillizzò, mettendogli una mano sulla sua. Il castano, rassicurato, si sporse sul tavolo e la
baciò mentre tutti gli altri applaudivano divertiti.
“Bravi!” gridavano, ridendo. Rimasero incollati per
un’eternità, persi nel loro mondo, almeno finché Vexen, irritato, sbuffò.
“Ha detto un bacio, non che vi dovete accoppiare qui”
commentò. I due ragazzi si scollarono arrossendo, e poi si misero a ridere con
tutti gli altri.
“Adesso anche il piccolo Roxas deve
farlo!” affermò Demyx, ubriaco quanto e se non
più di Marluxia. Il biondo arrossì e fissò Axel.
“Non sono sicuro che sia
una buona idea” rispose. Il rosso stava per dargli ragione, ma una voce
lo fermò.
“Allora significa che
non siete così uniti, se ti vergogni a baciare il tuo ragazzo in
pubblico” ragionò Saix col suo tono lento e
calcolato.
“Ma non è per
questo!” ribatté lui, arrabbiato.
“Allora facci vedere,
dai. Siamo tutti curiosi” lo
sfidò.
“Bene!” accettò. Si
voltò verso Axel e lo tirò per la cravatta, quasi
facendogli male, e baciandolo con quanta forza aveva in corpo. Non voleva darla
vinta a quella specie di avvoltoio, e, per farlo arrabbiare ancora di più, si
issò a cavalcioni del compagno, che rimase immobile di fronte a tanta
intraprendenza.
“Ehi, va bene che siamo tutti maggiorenni, ma datevi
un contegno” rise Marluxia. Roxas si staccò e si voltò verso Saix, che aveva la faccia inespressiva ma gli occhi
iniettati di sangue.
“Un brindisi alle felici coppiette!” esclamò
qualcuno, alzando il bicchiere, seguito a ruota dagli altri. In quel trambusto
nessuno vide che l’uomo si era alzato ed era entrato in casa, chiudendosi dietro
la porta.
“Non dovremmo tornare a
casa?” chiese Sora verso mezzanotte.
“No, ho chiesto a vostra
nonna se potevamo dormire fuori e ha accettato, quindi rimaniamo qui e torniamo
a casa domani. Anche perché io mi
sento piuttosto brilla e non credo di essere in grado di guidare” ammise Kairi.
Il castano rise e le accarezzò i capelli.
“Bene, io inizio a
sparecchiare, se qualcuno vuole aiutarmi” esordì Axel, lanciando uno sguardo più che eloquente verso Roxas, che si affrettò ad alzarsi.
“Ci penso io”
rispose, prendendo due piatti in mano.
Una volta che furono entrambi dentro, il rosso lo
guardò con un’aria minacciosa e incrociò le braccia.
“Non devi dirmi
niente?” gli chiese. Il biondo distolse lo sguardo.
“No” negò, per niente convinto.
“Ma davvero?” lo
prese in giro l’altro. Lui mise le mani in tasca,
imbarazzato.
“E va bene: mi
dispiace!” esplose dopo un minuto di silenzio.
“Vorrei che tu mi spiegassi
come mai una performance del genere” lo implorò l’uomo, appoggiandosi con
una mano al tavolo in cucina.
“Mi dà sui nervi quello là,
ok? È così schifosamente viscido!”
“E
nient’altro?”
“N-no” rispose, arrossendo più del dovuto.
Axel gli andò vicino e gli alzò il viso, così da
poterlo fissare negli occhi.
“Sicuro?” chiese.
Roxas rimase incatenato a quel verde
smeraldo.
“Nessuno deve permettersi
di dirmi che tu ed io non siamo uniti. Nessuno. Soprattutto uno come quello”
confessò. Si sentiva uno stupido a dirlo ad alta voce, ma era la
verità.
Il rosso rimase stupito da quella dichiarazione, ma
sorrise e lo baciò teneramente.
“Sei proprio uno
scemo” lo prese in giro.
“Perché?”
s’infervorò l’altro, staccandosi e mettendo il broncio. Lui lo
abbracciò.
“Non deve interessarti ciò
che gli altri pensano di noi, ma ciò che tu pensi di
noi. Vuoi sapere cosa penso io?” gli
propose, accarezzandogli la testa. Il biondo annuì, sentendo il cuore battere
forte.
“Io penso che ti amo” ammise, tremando leggermente. Ecco il momento
della verità: o la va o la spacca.
“Axel?” lo
chiamò Roxas, staccandosi di quel poco che bastava per
guardarlo.
“S-sì?” rispose
lui, incerto.
“Ti amo anche io”
disse il biondo, sorridendo. Si sporse sulle punte per baciarlo e, per un
istante, il resto non contò più.
Tavola sparecchiata. Mezzo gruppo ubriaco. L’altro
mezzo addormentato.
Axel e
Roxas risero nel vederli in quelle condizioni e
portarono in cucina gli ultimi piatti.
“Certo che i tuoi amici
sono proprio forti” commentò il biondo, divertito.
“Sono anche i tuoi
amici” gli fece presente l’altro.
“Che cosa?” si stupì
lui, sgranando gli occhi.
“Beh, sono qui per te,
giusto? Prima
che per Sora sono venuti qui per il tuo compleanno, quindi significa che ti
vogliono bene. Per cui sono anche tuoi amici, ormai” ragionò. Il ragazzino non ci aveva mai pensato, ma sorrise
capendo che l’altro aveva ragione.
“Già, è vero”
ammise. Non aveva mai avuto amici stretti, anche perché si trovava in difficoltà
nel parlare con persone che non conosceva, quindi gli era scomodo fare amicizia.
Le uniche persone che fino ad allora aveva considerato
amiche erano Sora, Kairi perché stava con Sora, Xion perché era simile a lui e… e
basta.
“Comunque, cambiando
discorso… ti devo dare una cosa” esordì Axel,
posando l’asciughino con cui aveva finito di lavare i bicchieri e
guardandolo.
“Cosa?” chiese lui,
senza capire.
“Lo vedrai da
solo. Vieni con me” lo prese per un
braccio e lo trascinò fuori dalla cucina.
“Ehi, posso camminare da
solo!” protestò il biondo, cercando di
divincolarsi.
“Oh, beh, se ne sei
convinto” rispose lui, lasciandolo. Dato che non se l’aspettava, quando
il rosso lasciò la presa Roxas si sbilanciò
all’indietro e cadde a terra.
“Potresti essere un pochino
più dolce, ogni tanto?” lo implorò, massaggiandosi il
sedere.
“Uhm, no, non posso”
lo prese in giro l’altro, ridendo.
“Sei una serpe” lo
accusò, alzandosi in piedi.
“Sì, ma mi ami, quindi vado
bene anche così” commentò l’uomo, salendo le scale.
Un po’ dolorante, il ragazzino lo seguì, incuriosito
da tanta segretezza.
Una volta in camera, Axel
si chiuse la porta dietro alle spalle e Roxas sorrise
malizioso, avvicinandosi felino come un gatto.
“Guarda che se mi volevi
portare qui, bastava chiederlo” gli disse, ridendo.
“Come sei
pervertito!” lo accusò il rosso, fingendosi offeso. Il ragazzino mise le
mani sui fianchi e lo guardò.
“Dimmi che non ci hai
pensato pure tu e rimangio ciò che ho detto” lo sfidò. Il rosso cercò di
trattenersi,ma poi rise e lo
guardò.
“Ok, diciamo che nei miei
piani c’è anche quello, ma non è il motivo principale per cui ti ho portato
qui” ammise.
“Oh. E allora che devi
darmi?” chiese il biondo,
incuriosito.
L’uomo si avvicinò al comodino e aprì il cassetto,
tirando fuori un piccolo pacchetto celeste, con un grosso fiocco
dorato.
“Questo” rispose,
passandogli la scatola.
Con mani tremanti, Roxas si
sedette sul letto e lo aprì.
“Oh dio!” esclamò,
con gli occhi che brillavano. Fece uscire dal piccolo astuccio un braccialetto
d’oro con un piccolo ciondolo a forma di stella, che pendeva
tintinnando.
“Ma è… è
bellissimo!” commentò con gli occhi lucidi. Guardò Axel, che si era messo accanto a lui, e quasi pianse di
gioia.
“Ti piace?” gli
chiese l’uomo, sorridendo.
“Axel, non so… è
stupendo!” balbettò emozionato.
“Mi fa piacere”
rispose l’altro, sorridendo. Il biondo si gettò tra le sue braccia e lo
abbracciò forte.
“Sei la cosa migliore che
mi sia mai capitata” ammise, ridendo tra le lacrime. Il rosso lo baciò,
facendolo stendere sul letto.
“Penso di poter dire la
stessa cosa” ribatté, baciandolo dolcemente.
“Vado a chiamare gli
altri. Non mi sembra giusto che dormano fuori al freddo” disse Roxas,
alzandosi.
“Mmmh, no,
dai. Rimani un altro po’ qui con me” si
ribellò Axel, stringendolo per la vita e riportandolo
sotto alle coperte. Il
ragazzino rise.
“Ma non possiamo lasciarli
là fuori!” gli fece presente.
“Peggio per loro,
giusto? Guarda come stiamo bene noi due qui sotto” commentò il rosso.
“Sei
malefico”
“Non troppo, solo il
giusto” minimizzò.
“Sì, ma dato che c’è anche
quello scemo di mio fratello fuori, collassato sul tavolo, mi sembra appropriato
farlo rientrare in casa, che dici?”
“Che
rottura! Dì la verità, ti interessa più di loro che di me” lo accusò teatralmente
l’uomo.
“Certo che sei un bambino
se ti ci metti!” osservò Roxas, continuando a
ridere.
“Sì, è tutta questione di
allenamento.
Non puoi sapere quanto mi ci è voluto a diventare così” rispose l’altro, ridendo con
lui.
“Torno subito, il tempo di
scendere, chiamarli, salire le scale e spogliarmi di nuovo” giurò il
biondo.
“Promesso?”
“Promesso”
“Allora va bene, ma se entro
cinque minuti non torni vengo a prenderti per un braccio, memorizzato?”
lo minacciò. Il biondo scese veloce e si rivestì.
“Ok, capito”
rispose, correndo giù per le scale.
Axel
rimase con le braccia incrociate dietro la testa a fissare il soffitto,
sorridendo come un cretino. È proprio vero che l’amore ti
rincoglionisce.
Sentì un rumore, e la porta cigolò lievemente, ma lui
non si voltò.
“Due minuti e
mezzo. Complimenti per la velocità, Rox…” le parole gli morirono in bocca quando vide Saix, in piedi alla porta, che lo fissava con un mezzo
sorriso.
“Aspettavi me?”
gli chiese.
“Che. Diavolo. Vuoi?” ribatté lui, sedendosi.
“Niente di che, ero qui
che girellavo e vi ho sentiti ridere, così sono venuto a vedere se la festa
poteva esserci anche per me” rispose tranquillo. Mentre parlava era
entrato nella stanza e si era chiuso la porta alle spalle. Quel gesto non sfuggì
ad Axel, che si irrigidì.
“Vattene via, Isa” lo
minacciò.
“Altrimenti?”
“Altrimenti ti prendo a
pugni finché quel ghigno che hai sulla faccia non scomparirà del tutto”
spiegò il rosso. Saix rise freddamente e si avvicinò
al letto.
“Fallo” lo
sfidò.
“Sai che potrei, l’ho già
fatto con altri”
“Sì, ma con me non ci
sei mai riuscito” gli ricordò.
“Potrei benissimo cominciare
ora, non scherzare col fuoco” lo avvertì. L’uomo rise e si avvicinò a
lui.
“Sai che questo mi
ricorda qualcosa?” gli disse, accarezzandogli una
guancia.
“Vattene” intimò
dando un colpo alla sua mano.
“Mi fai venire la
nausea” aggiunse schifato.
“Così mi fai male al
cuore” si ritirò Saix.
“Non sono molto sicuro che
tu ne abbia uno” ribatté Axel.
“Dipende dai punti di
vista.
Comunque se proprio non mi vuoi significa che me ne vado” decise.
Il rosso tirò un sospiro di sollievo e si rilassò,
abbassando la guardia, ma fu un errore.
Roxas
stava salendo le scale, senza preoccuparsi di fare piano. Tutto il gruppo era
rincasato e si era accasciato sul tappeto a dormire, senza avere la forza di
alzarsi da lì per arrivare al piano di sopra da quanto alcool aveva
bevuto.
“Eccomi!” annunciò
un attimo prima di spalancare la porta ed entrare nella camera del
rosso.
Si bloccò nel vedere che Saix era steso sopra Axel e lo
stava baciando.
“C-che
succede?” balbettò Roxas, immobile. Saix si staccò e sorrise malvagio, mettendo su
un’espressione innocente e falsa come una banconota da sette
euro.
“Oh, no, non pensavo che
saresti tornato così presto” disse. Axel stava
cercando di divincolarsi e vide nitidamente negli occhi del biondo l’emozione
del tradimento farsi strada in lui.
“No, non è come
pensi!” esclamò. L’altro lo teneva ancora fermo con le braccia e si tolse
da sopra di lui.
“Scusami, piccolo Roxy,
non volevo” disse l’uomo, facendo finta di essere dispiaciuto. Quel
nomignolo fece rabbrividire il ragazzino, che sentì le lacrime pungergli gli
occhi.
“Ma cosa cazzo dici, brutto
deficiente?
Lasciami andare!” gridò il
rosso, disperato. Lui
ubbidì, ma Axel si tirò su troppo tardi, ormai il
biondo era già scappato via.
Prima di andargli dietro cercò i vestiti, che erano
finiti sotto al letto, poi si voltò verso Saix.
“Tu, lurido bastardo, stammi
lontano da ora e per sempre” lo minacciò. Questo rise, poi gli accarezzò
una guancia.
“Perché, non ti è
piaciuto?” gli chiese languido. Ingoiando la
nausea che lo aveva assalito, il rosso gli prese il polso con la mano e lo
fermò.
“Io te lo giuro, se ti
azzardi a toccare me o il mio ragazzo un’altra volta o anche solo ad avvicinarti
a noi ti spezzo le ossa una per una. Capito?” lo minacciò.
“Non dire
così.
In fin dei conti tra di noi c’è qualcosa, no?” tentò di nuovo l’uomo, avvicinandosi per
baciarlo. Axel esitò un secondo solo, poi il suo pugno si abbatté
sullo stomaco di Saix, che non fu abbastanza veloce da
fermarlo. Rimase piagato in due, spezzato dal dolore, e lanciò uno sguardo di
puro odio verso Axel, che
ricambiò.
“Sì, c’è qualcosa: si chiama
disprezzo” ammise il rosso.
“Sei un idiota se pensi
che quel ragazzino sia fatto per te” disse l’altro, cercando di
provocarlo. Purtroppo, accecato dalla rabbia, lui abboccò
all’amo, e gli sferrò un calcio in una gamba, che si piegò dolorosamente,
facendo gridare Isa.
Roxas,
intanto, era corso al piano di sotto, andando a schiantarsi contro Larxene. Aveva gli occhi lucidi e il fiato corto, e la fissò
come se non la vedesse.
“Ehi, che succede?”
chiese lei. Si era appena svegliata per il dolore al collo dovuto alla posizione
strana con cui si era addormentata e aveva ancora i sensi
appannati.
“Di sopra… loro due…
non…” il ragazzino si mise a balbettare frasi senza senso, disperato, e
la superò con una spinta, scomparendo fuori dalla porta.
Incuriosita, la donna salì le scale e sentì dei
gemiti provenire dalla stanza di Axel.
“E’ permesso?”
chiese entrando. Rimase allibita nel vedere la scena che aveva davanti: il rosso
torreggiava sopra a Saix, che si teneva con le mani
una gamba e aveva un labbro sanguinante.
“Axel, che cazzo
fai?” gridò, lanciandosi sull’amico e fermando un ulteriore colpo verso
la figura tremante accasciata a terra.
“Questo stronzo… fammelo
ammazzare!” rispose. Anche se non capiva di che parlava, Larxene continuò a tenere fermo l’uomo, facendo una certa
fatica.
“Ma sei scemo?” gli
chiese, col fiato corto.
“Lascialo fare, Larxene, non preoccuparti” le disse Isa, guardandola
con gli occhi che sembravano quelli di un matto.
“Che diavolo dici, brutto
deficiente?
Cosa hai fatto a Axel?” lo accusò lei, lottando contro l’amico per fare in
modo che non partisse con un ulteriore colpo.
“Niente, un semplice
bacio non è niente” rispose lui, innocentemente. A quel punto la donna
fece due più due.
“Brutto figlio di…”
sussurrò.
“Lasciamelo uccidere,
fammelo distruggere!” continuava a gridare l’altro, ancora
immobilizzato.
“NO! Non capisci? Vuole questo. Ti prego, calmati e va’ a cercare Roxas” lo
implorò. Nel sentire quel
nome, il rosso si calmò.
“Roxas…” ripeté,
come in trance.
“No, Roxas!” esclamò, staccandosi da Larxene.
“Dov’è andato?” le
chiese.
“Non lo so, è fuggito di
sotto. Se avessi saputo cosa stava succedendo lo avrei fermato!” si giustificò lei. Axel corse fuori dalla
stanza e scese le scale, mentre lei rimase lì con Saix, a fissarlo schifata.
L’uomo rise soddisfatto.
“Non importa se gli
correrà dietro, tanto lui non gli crederà” commentò, alzandosi.
Nonostante il dolore alla gamba, riusciva a stare in piedi quasi
perfettamente.
“Sai, mi sono sempre
chiesta cosa ci avesse trovato in te, sei anni fa, Axel. Come mai fosse così attratto da te.
E la risposta mi è sempre incomprensibile” iniziò a dire la donna, con un tono
impersonale. Isa la fissò
schifato.
“Cosa vuoi che me ne
importi di ciò che ti chiedi tu?” la aggredì.
“Sta’ zitto!” gridò
lei, arrabbiata. L’uomo chiuse la bocca.
“La verità è che io non ti
ho mai sopportato. Tu mi fai vomitare, cordialmente. Sei
un viscido schifoso che nella vita trova piacere solo nel far soffrire gli
altri. Tu non hai un cuore” lo
accusò, avvicinandosi.
“Ma ciò che a me fa
piacere, adesso, è che tu hai perso” esultò, sorridendo soddisfatta.
Saix si irrigidì.
“Non ho perso, non perdo
mai. Quei due non possono parlarne, non dopo che Roxas ha creduto che Axel l’abbia
tradito” ribatté
serio.
“No, tu non puoi capirlo,
ma in realtà, anche se forse al momento Roxas si
sentirà sfiduciato, prima o poi comprenderà e ascolterà Axel. Tu puoi provarci quando vuoi, ma non
servirà a niente. E sai cos’altro non ti servirà a
niente?” chiese. Lui la fissò schifato.
“Tornare
qui. Tu
azzardati anche solo a mettere un solo piede nella nostra proprietà e ti giuro
quant’è vero che mi chiamo Larxene che ti uccido io a
colpi di fucile scusando la cosa come irruzione in proprietà privata. Capito?” lo
minacciò.
Per la prima volta, Saix
non seppe cosa controbattere e lei sorrise.
“Bene, vedo che hai
capito.
Qual è la porta per andare via lo sai, giusto?” chiese, indicandogli
l’uscita.
Roxas
si era nascosto nel bosco, nello stesso punto in cui era svenuto la prima volta
che era arrivato a casa Flame.
Quello che aveva visto doveva avere una spiegazione
logica, per forza! Axel non poteva averlo fatto di
proposito, lui era nauseato da Saix!
Eppure lo stava baciando… sì, ma lo stava anche
spingendo via.
Piangendo silenziosamente si portò le gambe al petto
e si strinse nelle braccia, sentendosi minuscolo.
“Roxas! Roxas!” si sentì chiamare in lontananza dal rosso, ma non
fiatò. Non ce la faceva ad
affrontare la questione ora, era scosso.
“Dannazione, dove
sei?” gridò Axel, cercandolo ovunque. Si fece
ancora più piccolo, ringraziando che fosse notte e che il buio lo nascondesse, e
continuò a rimanere fermo fin quando l’altro non sospirò.
“Lo so che mi senti, ne sono
certo! Quindi
ascoltami: io non ho mai baciato Saix, capito? È lui
che ha baciato me, e devi fidarti! Ti ho già raccontato quello
che è successo tra di noi, quindi credimi se ti dico che io cercavo di
respingerlo e basta!”
spiegò.
In quel momento l’uomo uscì di casa e, anche da
lontano, il ragazzino vide nitidamente il volto ferito e la camminata
zoppicante. Lui e il rosso si scambiarono un’occhiata di odio profondo, poi se
ne andò alla macchina e ripartì sgasando.
Anche Larxene uscì e mise
una mano sulla spalla dell’amico, che la guardò triste.
“Prima o poi ti ascolterà,
dagli tempo” gli assicurò.
“Mi crede uno
stronzo” rispose lui, tristemente.
“No, non lo
crede. È
solo confuso. Vieni dentro, ora, è tardi” gli consigliò, seguendolo all’interno della
casa.
Roxas
era ancora fermo, incapace di decidere. Eppure non avrebbe dovuto metterci così
tanto, giusto? Insomma, se Saix era conciato in quel
modo sicuramente era colpa di Axel che lo aveva
picchiato, per cui perché tanta esitazione? Non aveva
senso.
Il giorno lo sorprese poco dopo, o almeno così parve
a lui. Era rimasto tutta la notte fermo tra gli alberi
e si sentiva infreddolito. Si alzò, asciugandosi gli occhi, e tornò in casa,
dove, sperò con tutto sé stesso, avrebbe trovato Kairi e Sora già pronti per
tornare via.
“Allora mi raccomando,
fateci sapere come è andata la gara” disse Larxene, abbracciando i gemelli.
“E tu facci sapere se
hai bisogno di qualcosa prima del matrimonio” le ricordò il
castano.
“Promesso” rispose
lei, sorridendo. Roxas distolse lo sguardo quando si
trattò di salutare Axel e fissò il
pavimento.
“Ci vediamo in giro”
borbottò.
“Ti chiamo” gli
promise il rosso.
“Non importa,
davvero” ribatté lui, ricacciando indietro le
lacrime.
“Ma io voglio farlo”
s’impuntò l’altro.
“Allora
fallo. Tanto
tu vivrai qui, giusto? Per cui non ci vedremo spesso come ora,
dato che io sto in città” ragionò il
biondo.
“In macchina non mi ci
vorranno più di dieci minuti per arrivare da te ogni volta che mi vorrai
vicino” gli assicurò l’uomo, voltandogli la testa.
“Ma adesso non ti
voglio. Non
per il momento, almeno. Devo capire… cosa significava per te
ieri sera” ammise il ragazzino, sull’orlo delle
lacrime. Solo lui, Axel e Larxene sapevano cos’era
successo e nessuno aveva idea di dove Saix fosse
finito.
“Come
vuoi. Ma quando avrai capito che è stato quello stronzo a baciare me e che
io amo solo te, allora ti prego, una chiamata falla” lo implorò, distrutto. Lui annuì, senza avere la forza di aprire bocca, e
seguì il fratello in macchina.
Kairi
mise in moto sorridente e ripartì salutando tutti con la
mano.
“Mi sono proprio
divertita” commentò quando furono in strada.
“Anche io” disse
Sora, sorridendo. Roxas rimase zitto e il castano si
voltò a guardarlo.
“Tu no?” gli
chiese. Solo allora si accorse che il biondo stava piangendo
silenziosamente.
“Ehi, che
succede?” chiese preoccupato. L’altro scosse la
testa, come per dire “Non importa, ora passa”, ma lui non ci credette.
“Che problema
c’è?” ripeté, ma ricevette ancora solo silenzio.
“Puoi fermarti un
secondo?” domandò alla ragazza, che annuì e accostò. Scese di macchina e
raggiunse il fratello sul sedile posteriore.
“Roxas, cosa
c’è?” disse ancora. il biondo lo guardò e si
gettò tra le sue braccia.
“Sora, che cosa devo
fare?” chiese disperato, singhiozzando. Stupito
da questa reazione, poté solamente rimanere fermo ad
abbracciarlo.
“Qualsiasi cosa sia ti
aiuto io, non preoccuparti. Lo affronteremo
insieme” cercò di
tranquillizzarlo.
“Quindi quel Saix vi aveva già dato fastidio” disse Kairi, seduta con i fratelli Key sul sedile posteriore della
macchina.
“Sì, purtroppo sì”
annuì il più piccolo, tirando su col naso.
“Però, se mi hai detto che
Axel lo odia, qual è il
problema?”
“Che si stavano baciando. E
io non so se credergli quando mi dice che non voleva”
“Ok, e posso anche darti
ragione su questo, soprattutto perché è successo meno di dieci ore fa e tu sei
ancora scosso, ma non pensi che lasciarlo andare così sia stupido?”
chiese Sora.
“Non ho lasciato
nessuno!” ribatté Roxas.
“Ma così sembra,
però” gli fece presente il castano. A quelle parole lui si bloccò,
colpito nel segno.
“Sai, Sora ha
ragione.
rischi che Axel creda che tu
voglia lasciarlo, e secondo me non è giusto. Si vede da come
vi guardate che per lui esisti solo tu e viceversa, per cui, quando ti sarà
passata l’arrabbiatura e la tristezza, faresti meglio a chiarire la questione,
no?” suggerì Kairi,
comprensiva.
“E se lui non volesse
aspettarmi?”
“Ti aspetterà,
fidati. Tu gli credevi quando ti ha detto di amarti?” gli domandò.
“Certo!” rispose
lui, sicuro.
“Quindi non è cambiato
nulla anche se quel verme ha fatto in modo che tu pensassi il
contrario.
Sono sicura che dentro di te sai già che è stata tutta
una macchinazione di Saix e che lui non ti tradirebbe
mai” affermò la ragazza, convinta. Roxas strinse le labbra, poi annuì.
“Sì, lo
so. E so anche che dovrei richiamarlo subito” ammise. Lei sorrise.
“No, non subito. Adesso
torniamo a casa di vostra nonna e prepariamo tutto ciò che serve per rientrare.
Io ho bisogno di una doccia, sinceramente. Quando sarete a casa vostra, in
città, potrai chiamarlo”
“Ma tu hai detto
che…”
“Sì, lo so cosa ho detto,
ma se lo fai soffrire un po’ è meglio. Con gli uomini
funziona sempre” gli svelò
soddisfatta. A quelle
parole Sora la guardò arrabbiato.
“Ma lo fai anche con me
quando litighiamo?” le chiese.
“Certamente!”
confessò lei.
“Sei crudele!” la
accusò, imbronciandosi.
Il fratello rise di gusto nel vederli battibeccare
così e si sentì subito meglio.
“Nonna, sei sicura di non
voler venire con noi? Staresti meglio e
noi ti staremmo accanto quando ne avrai bisogno”
provò a convincerla Roxas, per l’ennesima
volta. Lei scosse la
testa.
“Per il momento
no. Ho
bisogno di tempo per digerire la morta del nonno, poi mi rialzerò. Non sono mai stata sola, ma posso farcela” rispose. Il ragazzo sospirò
esasperato.
“Mamma, i gemelli hanno ragione: non sei più molto
giovane e potresti avere bisogno di aiuto. Stando qui da sola non sei al
sicuro” provò anche la figlia.
“Come siete
noiosi!
Io sono forte, non vi provate a dire il contrario, quindi
rimango a casa mia!” si arrabbiò la donna,
facendo ridere tutti.
“Come vuoi. Se cambia idea basta che tu ci
chiami e noi correremo da te, capito?” accettò.
“Capito. Ma adesso andate,
o tuo marito chiamerà me per sapere se vi ho rapiti” li sgridò, abbracciandoli uno per uno per
salutarli.
“Ciao nonna” dissero
in coro tutti e due.
Mentre stavano per uscire lei richiamò Roxas.
“Qualche problema?”
le chiese lui.
“No,
figurati.
Solo volevo sapere… Axel verrà a
trovarti a casa?”
s’informò. Il ragazzo
s’incupì, ma fu solo un attimo e poi sorrise.
Quando entrò nella sua stanza, dopo due mesi di
assenza, Roxas si sentì vagamente nostalgico. Posò lo zaino e la borsa con tutta
la roba che si era portato dietro a terra e si buttò letteralmente sul
letto.
“Casa dolce casa”
commentò. Ripensò alle parole di Kairi e al suo suggerimento e prese in mano il
cellulare. “Lo chiamo?” si chiese. Scorse la
rubrica fino a trovare il suo nome, ma non dette il via alla telefonata. Rimase
semplicemente lì, immobile, a fissare lo schermo. “Che
cosa potrei mai dirgli? Mi sento un verme” pensò scoraggiato. In quel
momento suo fratello entrò, senza bussare, e si lanciò sul letto accanto a lui,
quasi cadendogli sullo stomaco.
“Ma sei scemo?!” lo
sgridò il biondo, scansandosi.
“No, sono Sora”
rispose lui, ridendo.
“Guarda che non faceva
ridere” lo riprese.
“A me sì” ribatté
l’altro. Rimasero zitti per un po’ a fissare il soffitto.
“Allora? Come stai
adesso? Hai già chiamato Axel?” gli chiese il
castano.
“No, non ce la faccio. Mi
sento uno stupido per aver dubitato di lui” rispose
sconsolato.
“Non sei uno stupido.
Oddio, forse un pochino sì, ma nemmeno più di
tanto”
“Sempre
gentilissimo”
“Sai cosa intendo. Tutti
avrebbero reagito come te, quindi non devi preoccuparti per questo. L’unica cosa
che ti rende stupido è il fatto che non ci hai pensato subito, altrimenti
avresti capito che quell’uomo stava facendo tutto solo per puro tornaconto
personale. Come si chiama, Saix, giusto? Quindi non te ne devi fare una colpa,
basta che tu adesso sia sicuro di ciò che Axel prova per te e, soprattutto, di
ciò che tu provi per lui” lo consolò. Roxas rimase zitto, poi
sospirò.
“Sora?”
“Sì?”
“Ma tu chi sei e che cosa
ne hai fatto di mio fratello?” lo prese in giro,
ridendo.
“Come sei
cattivo!” lo accusò l’altro, salendogli sopra e facendogli il
solletico.
“Sei tu che sei troppo
maturo per i miei gusti” ribatté il biondo, cercando di
liberarsi.
“Sì, certamente. Adesso
te lo faccio vedere io!” esclamò il fratello.
Rotolarono nel letto come due bambini, facendo la
lotta un po’ per finta e un po’ per davvero. Tutto si sarebbe aggiustato, in
qualche modo.
Almeno, Roxas lo sperava tanto.
Il giorno prima della gara, finalmente, il biondo si
decise a premere invio sul cellulare e a chiamare Axel. Aveva le mani che
tremavano e si sentiva impaurito come non mai. “Uno
squillo…. Due squilli…” al decimo squillo partì la segreteria telefonica,
e lui rimase un po’ deluso, ma decise di parlare comunque.
“Salve, qui è Axel Flame che parla. Lasciate un messaggio dopo
il segnale e vi richiamerò… sempre se mi state simpatici” disse la
voce registrata. Il ragazzo rise forte, poi si zittì mentre aspettava il bip che gli diceva di poter
parlare.
“Ehi, ciao Axel! Sono io…
cioè, sono Roxas. Forse dovevo chiamarti prima, ma sai, siamo rientrati e…
abbiamo avuto da fare. Comunque volevo… volevo sapere se ti va di venire a
scuola domani. Cioè, non a scuola nel senso entrare in classe, ma nel piazzale.
Io e Sora sfidiamo la banda di Hayner e mi piacerebbe che tu ci fossi. Sai, ho
bisogno di parlarti, perché dobbiamo chiarire. E io devo chiederti scusa. Potrei
chiedertelo anche qui, ma non mi sembra adatto. Allora, se vieni richiamami,
terrò il cellulare acceso anche stanotte. Ciao” disse. Poi ci
ripensò.
“Aspetta! Dimenticavo una
cosa: ho messo il tuo bracciale, quello con la stella, e spero che mi porterà
fortuna. Quasi mi sembra che tu sia con me, almeno. Ok, adesso ho finito
davvero. Ciao” salutò, chiudendo la conversazione. Sospirò per cercare di
calmare i battiti e di far fermare la mano tremante, poi si accasciò sul
tavolo.
Sentì un rumore venire dalla porta e alzò lo sguardo
incuriosito.
“Oh, ciao papà” esclamò, sorridendo. L’uomo lo guardò un secondo, poi scosse la testa e
uscì dalla stanza, lasciando Roxas basito. Aveva fatto qualcosa? Lo aveva ferito
in qualche modo?
“Ehi, papà, che
c’è?” lo richiamò, alzandosi. Lui non rispose e andò in camera, dove si
chiuse.
“Papà!” disse di
nuovo il ragazzo, bussando. Non rispose nessuno.
Tornò in cucina, sconsolato, e si sedette di
nuovo.
“Ciao tesoro” lo salutò la madre, appoggiando le
buste della spesa sul tavolo.
“Ciao mamma”
ricambiò lui tristemente. La donna lo fissò.
“C’è qualche problema?” si preoccupò, accarezzandogli
i capelli.
“Non lo so, dimmelo tu.
Papà non mi ha nemmeno salutato, praticamente è da quando siamo tornati che mi
evita. Ho fatto qualcosa di male?” chiese sconsolato. Lei si morse un
labbro e distolse lo sguardo.
“No, figurati. Sarà solo stanco per il lavoro e non
si sente bene” ipotizzò, tentando di consolarlo.
“Ma con Sora ci parla,
però. Sembra che ce l’abbia con me” ribatté lui.
“Perché mai dovrebbe essere arrabbiato con te?
Secondo me sei tu che vedi problemi dove non ci sono” lo
tranquillizzò.
“Sicura?”
“Certo. Ora forza, lavati le mani e apparecchia, tra
mezz’ora mangiamo” gli disse sorridendo.
Rincuorato, il ragazzo si alzò e andò in bagno per
lavarsi, lasciando la madre ferma a fissare la porta. “Questa cosa non finirà
bene” pensò.
Durante la cena l’unico che parlò fu Sora, che non
fece altro che raccontare della sua giornata.
“E poi Kairi e io siamo
andati al parco, dove c’era Riku, e siamo stati tutto il pomeriggio sul pontile
a fissare l’acqua del lago. In realtà, Riku mi ci ha quasi spinto” ammise
ridendo. Quando parlava del suo migliore amico e della sua ragazza, gli si
illuminavano gli occhi e diventava incredibilmente allegro. Poteva essere
successo di tutto, ma in qualche modo il pensiero di quei due lo
rianimava.
“Ah, Roxas, ho anche
visto Hayner. Mi ha detto che domani ci stracceranno con lo skate, ma io gli ho
risposto che saremo noi a stracciare loro. Ho fatto bene?”
chiese.
“Hai fatto
benissimo” annuì lui, convinto.
“Bene. E poi non voglio
fare brutta figura di fronte a Kairi. Ha detto che verrà a vedermi. Axel
viene?” s’informò. Nel sentire quel nome al padre cadde la forchetta di
mano e fece rumore quando si schiantò nel piatto. I gemelli si voltarono a
guardarlo, confusi.
“Qualche problema,
papà?” chiese il castano.
“No… nessuno” rispose lui, freddo. Fu a quel punto
che Roxas iniziò ad avere dei dubbi.
“Mi chiedevi se Axel verrà
a vederci” gli ricordò il fratello.
“Ah, sì, giusto. Allora?
L’hai chiamato dopo la festa?”domandò, realmente incuriosito.
“Sì, l’ho chiamato”
ammise lui. Vide il padre irrigidirsi con la coda dell’occhio e comprese il
problema.
“Ti ha
risposto?”
“Certamente” disse.
Poi decise di avere la conferma ai suoi sospetti.
“In fin dei conti è il mio
ragazzo” aggiunse.
La reazione arrivò nel giro di un solo secondo:
l’uomo sbatté il tovagliolo sulla tavola e si alzò come una furia, andando a
chiudersi di nuovo in camera. A quel punto il biondo fissò la madre,
furente.
“Nessun problema, eh? Meno
male che non c’era nessun problema!” la aggredì. La donna sospirò e poi
lo guardò addolorata.
“Ok, forse un piccolo problema ce l’ha, ma non
volergliene” lo implorò.
“Cos’è, gli fa schifo avere
un figlio gay?” chiese arrabbiato.
“Non è questo! Santo cielo, Roxas, non dire una cosa
simile. Solo che tu sei arrivato in ospedale con quel tipo, l’hai fatto stare a
casa di tua nonna, non ci hai detto niente… tuo padre è un po’ confuso, tutto
qui” provò a difenderlo.
“La nonna sapeva benissimo
chi Axel fosse, è lui che mi ha salvato quando mi son sentito male nel bosco, è
lui che mi ha accudito. Quindi non ce lo vedo il problema nel fatto che io
l’abbia fatto stare con me mentre il nonno moriva”
“Però tu capiscilo… insomma, accettare che tu sia…”
esitò e, se possibile, il biondo si infuriò ancora di più.
“Cosa c’è, mamma, non
riesci nemmeno a dirlo? Sono gay, capito? G A Y!” gridò. Lei sobbalzò
quando lui sillabò la parola e si portò involontariamente una mano al
petto.
“Anche a te fa schifo,
vero?” la accusò.
“Roxas, fermo”
provò a tranquillizzarlo Sora, ma lui batté una mano sul
tavolo.
“Sapete cosa fa schifo a
me? Che se fosse arrivato Sora, magari con una ragazza che non fosse Kairi, e
l’avesse fatta stare in camera con noi mentre eravamo in ospedale, questa
discussione non sarebbe mai avvenuta. E sai perché? Perché lui è etero. Mamma,
lo sai quanto io contavo sull’appoggio tuo e di papà?” le chiese. La
donna rimase immobile.
“Lo sai?” domandò a
voce più alta.
“No, non lo so. Dimmelo tu, forza” lo
inviò.
“Ci contavo tantissimo. E
ora capisco come mai io avessi tanta vergogna di me stesso: perché voi due, che
siete le persone a me più vicine, non mi avete mai apprezzato. Lo sapevate che
ero gay, l’avete sempre saputo, ma avete sempre cercato di non vederlo fino a
che la cosa non è stata evidente” la accusò.
“Ok, adesso smettila, ragazzino” disse lei, alzandosi
in piedi.
“No, non la smetto! Avete
problemi nel fatto che Axel è il mio ragazzo? Benissimo, ma sono problemi
vostri. E sei quell’uomo deve dire qualcosa, che me lo dica in faccia!”
gridò. La donna gli dette uno schiaffo e lui si zittì, incredulo. Si toccò il
punto dove lo aveva colpito, come se avesse paura che non fosse
vero.
“Non ti azzardare mai più a dire una cosa del genere,
capito?” lo minacciò.
“Maipiù
devi parlare di noi in questo modo, e non devi nemmeno avere la faccia tosta di
dire che non ti abbiamo mai accettato. Sì, lo sapevamo che eri gay, ma no, non è
vero che ti abbiamo disprezzato” ammise. Roxas rimase in silenzio, a
guardarla.
“Tuo padre non è arrabbiato con te perché sei
omosessuale. Non potrebbe mai esserlo, sei comunque suo figlio. Tuo padre è
arrabbiato con te perché tu non hai avuto il coraggio di venire da noi per dirci
che finalmente ti eri accettato per ciò che sei, senza vergognartene. Si è
sentito ferito perché hai preferito arrivare da noi in un momento delicato come
quello mano nella mano con un ragazzo mai visto né sentito, e non ce l’hai
nemmeno presentato come il tuo
ragazzo, per noi poteva essere chiunque. Ha dovuto spiegarcelo tua nonna chi
lui fosse. Ti sembra giusto nei nostri confronti?” gli chiese. Il biondo strinse
le labbra e si impose di non piangere.
“Allora? Rispondimi!” gli ordinò la madre. Lui
continuò a stare zitto, e lei fece una lieve risata amara.
“Sai che ho ragione, vero? Per quanto mi riguarda
sono d’accordo con tuo padre, quindi non mi sentirò in colpa se prenderò le sue
difese d’ora in poi. Ma tu pensala come ti pare, in fondo siamo stati noi che ti
abbiamo disprezzato per tutti questi anni” concluse, andandosene dalla
cucina.
Sora rimase in silenzio finché non sentì la porta
della camera dei genitori chiudersi, poi si voltò cautamente verso
Roxas.
“Stai bene?” gli
chiese preoccupato.
“No, per niente”
rispose lui.
Quella notte non dormì bene, per niente. Axel non
l’aveva richiamato, i suoi non si erano fatti vedere, era in pensiero per la
gara con lo skate e, come se non bastasse, una volta che si era calmato suo
fratello gli aveva detto che, probabilmente, avevano ragione mamma e papà nel
dire che aveva avuto poco tatto.
Alle quattro del mattino si alzò, sconsolato, e andò
in cucina per prendere un bicchiere d’acqua.
Trovò il frigorifero aperto e quell’immagine gli
dette una sensazione di dèjà vu.
“Anche tu ancora sveglio?” gli chiese il padre, senza
nemmeno alzare lo sguardo dal cassetto dei dolci.
“Già” rispose lui,
allungandosi verso la credenza per prendere un bicchiere.
Rimasero in silenzio per qualche minuto, poi l’uomo
sospirò e alzò la testa.
“Forse dovremmo parlare”
esordì.
“No, non dobbiamo dirci
niente” negò Roxas, avviandosi verso la sua camera. Lui lo fermò,
trattenendolo per un braccio.
“Ok, allora ti faccio semplicemente i miei auguri per
domani. Siate bravi tutti e due” disse. Il ragazzo si voltò a guardarlo, poi
esitò.
“Grazie” rispose
infine. Il padre sorrise.
“Fatevi valere” si raccomandò.
Il biondo rimase immobile con gli occhi bassi, poi
alzò lo sguardo.
“Scusa papà”
esclamò, abbracciandogli la vita. Si era sentito un verme quando sua madre gli
aveva spiegato come mai loro fossero arrabbiati con lui, e gli era difficile
ammettere che aveva ragione, ma non ammetterlo avrebbe solo peggiorato le
cose.
“E di cosa?” gli domandò l’uomo,
ridendo.
“Mi dispiace di non avervi
detto niente, io me ne vergognavo” si scusò.
“Tu non devi vergognarti di quello che sei. Per noi
sei sempre stato speciale, e se ami gli uomini o le donne non ci interessa. Ma
non devi nasconderti mai” lo sgridò bonariamente.
“Hai ragione” ammise
Roxas, annuendo con la testa. Il padre ci lasciò sopra un bacio affettuoso e poi
lo guardò.
“E ora vai a dormire, capito? Domani devi essere in
forma!” si raccomandò. Asciugandosi gli occhi lucidi, lui
sorrise.
Il mattino dopo Sora e Roxas sembravano due zombie.
Nonostante si fossero preparati per tre mesi consecutivi a questo momento,
adesso si sentivano insicuri e incapaci.
“Andrà tutto
bene” disse il castano, cercando di convincere sia sé stesso che il
fratello.
“Faremo una figura
meschina”ribatté il biondo, depresso.
“Oh, forza! Un po’ di spirito!” li sgridò la madre,
sbuffando.
“Dovete essere forti e sicuri di voi stessi” li
incoraggiò, senza successo. I due ragazzi uscirono di casa con l’umore sotto i
piedi e lo skate in mano.
“Axel ti ha
richiamato?” s’informò Sora, per non pensare alla
gara.
“No. O è molto arrabbiato o
se ne infischia” rispose il fratello, deprimendosi ancora di più.
Sospirarono entrambi quando arrivarono davanti al cancello d’ingresso della
scuola.
“Ce la possiamo
fare” disse il più grande.
“Speriamo”
“Che fate, avete paura perdenti?” li chiamò qualcuno
dietro alle loro spalle. Si girarono entrambi,
arrabbiandosi.
“Buongiorno” li salutò.
“Hayner” sputarono
all’unisono. Lui rise.
“Non consumate il mio nome” rispose
altezzoso.
“Stai tranquillo, meno ti
nominiamo meglio stiamo” gli assicurò Roxas.
“Siete pronti a perdere, femminucce?” gli chiese,
sorpassandoli.
“Sarai tu a perdere,
pallone gonfiato” disse Sora.
“Non penso proprio. Io e Seyfer ci siamo allenati
ogni giorno da quando sono finite le lezioni e vi assicuro che le nostre figure
sono spettacolari” li informò.
“Anche noi ci siamo
allenati, quindi non abbiamo paura” ribatté il
biondo.
“Sono proprio curioso, sapete? Magari potrei
divertirmi, invece di annoiarmi come ogni volta”
“Hayner, ti consiglio di
sparire se non vuoi che faccia diventare la tua faccia una gemella del
ciottolato della scuola” lo minacciò il castano.
“Che paura! Tremo tutto. A dopo, perdenti” li salutò.
Lo guardarono entrare nell’ingresso dell’edificio, poi si scambiarono
un’occhiata eloquente.
“Giuro che lo faccio
cadere dallo skate a suon di bastonate in testa” disse il più grande.
L’altro rise.
“Se hai bisogno di una
mano, non esitare a chiamarmi”
Axel si era depresso per bene da quando Roxas era
tornato a casa e aveva aspettato che il suo cellulare squillasse ogni singolo
giorno. Praticamente era diventato tutt’uno col divano. Alla fine nemmeno
Larxene lo sopportava più.
“Chiamalo tu!”
aveva sbottato una mattina.
“Non posso! Gli ho promesso
che non l’avrei fatto!” rispose lui.
“Sì, ma così sei
insostenibile! Sembri uno zombie con i capelli”
“Sempre di grande conforto,
eh” si arrabbiò.
“Sul serio, sei in
condizioni pietose. Almeno mandagli un messaggio” gli suggerì. Un
messaggio, in effetti, non è una telefonata, quindi non andava contro alla
promessa che gli aveva fatto.
“Sì, questo posso
farlo” annuì felice. Si toccò la tasca posteriore dei pantaloni, dove
solitamente teneva il cellulare, ma il suo cuore perse un battito nel sentire
che era vuota.
“Merda” sussurrò,
alzandosi di scatto.
“Qualche problema?”
gli chiese la bionda, avvicinandosi a lui.
“Sì! Il mio telefonino non è
dove dovrebbe essere” esplose il ragazzo, iniziando a togliere tutti i
cuscini dal divano e lanciandoli in aria.
“Che diavolo
significa?” lo aggredì lei.
“Che lo tengo sempre in
tasca ma non c’è più! E se Roxas mi ha chiamato, io non gli ho risposto”
sipegò.
“Stai scherzando, vero?
Cioè, tu sei rimasto su codest’affare seduto per tutto questo tempo aspettando
che lui ti facesse uno squillo e tu hai perso il telefono?”
ricapitolò.
“In parole povere”
ammise Axel.
“Ma allora sei
completamente deficiente!” esclamò Larxene, aiutandolo a cercare il
piccolo Nokia.
Misero sottosopra il salotto, senza trovare niente, e
si guardarono.
“Dove l’hai visto l’ultima
volta?” gli chiese la bionda.
“Non lo so! lo tengo sempre
in tasca!” rispose l’altro.
“Magari ti è caduto quando
ti sei messo il pigiama ieri” suppose lei,
pensandoci.
“Andiamo a vedere in camera,
allora” decise il rosso.
Mentre salivano le scale, la donna continuava a
parlare ininterrottamente.
“Giuro che se c’è anche
solo mezza telefonata di Roxas su quel coso io ti prendo a padellate in testa
fino a quando i tuoi capelli ritti non diventeranno lisci come quelli di
Vexen” lo minacciò. Axel rise, divertito da quella minaccia
particolare.
“Se ci riesci ti danno il
premio nobel per la pazienza” le rispose.
“E poi mi mettono in
carcere per averti ammazzato” concluse lei.
Spalancarono la porta di camera e si misero a cerca
sotto al letto e dentro le coperte, finché Larxene non alzò il braccio,
vittoriosa.
“Trovato!” esclamò.
Il rosso si precipitò da lei, con le mani tremanti.
“Ci sono chiamate?”
chiese. La ragazza controllò.
“Niente chiamate”
rispose. Lui sospirò deluso.
“Ma c’è un messaggio in
segreteria telefonica” annunciò. A quelle parole l’uomo gli tolse
bruscamente il telefono di mano e fece il numero della
segreteria.
“Hai un
messaggio. Vuoi ascoltarlo?” gli
chiese la solita vocina metallica. Lui premette uno e
attese.
“Ehi, ciao Axel! Sono io… cioè, sono Roxas. Forse dovevo
chiamarti prima…….”
“Ci siamo. Siete pronti?” chiese Riku avvicinandosi
ai fratelli Key quando suonò la campanella di fine
lezione.
“No” risposero
sconsolati i due.
“Sentite, vedete di non fare figuracce. Non mi va di
fare l’arbitro in una sfida in cui vince quello strafottente di Heyner” li
avvertì. Sora lo guardò male.
“Hai scommesso contro di
lui, vero?” chiese sospettoso.
“Certamente” ammise lui, con il suo atteggiamento
sicuro di sé.
“Per cui, se non volete restituirmi tutto ciò che ho
puntato, vi conviene fargli il culo, a quello” minacciò. Roxas sospirò e si
accasciò sul banco.
“Ehi, tutto
bene?” gli chiese il fratello.
“Per niente” rispose
lui.
“Non ti ha chiamato,
vero?” comprese. Scosse la testa tristemente.
“Ci siamo noi con te,
non ti preoccupare” lo consolò.
“Non è la stessa cosa, ma
grazie” disse sorridendo a fatica.
“La gara inizia tra cinque minuti, andiamo” annunciò
Riku.
“Vai
piano!”
“Non ce la faccio se
diminuisco la velocità”
“Non ce la fai nemmeno se
ti ammazzi”
“Che palle, fidati di
me”
“Non mi pare il
caso”
“Ok, come vuoi. Io tanto non
rallento”
Axel e Larxene stavano volando con la macchina per
strada. Avevano di gran lunga superato il limite di velocità, ma era tardi e non
sarebbero riusciti ad arrivare in tempo alla gara.
“Comunque ti faccio
presente che è solo colpa tua. Se tu non avessi perso il cellulare non staremmo
viaggiando a centoventi verso la scuola” gli ricordò la
bionda.
“La smetti di ripeterlo? Mi
fai venire i nervi”
“Anche a me fa venire i
nervi sapere che la mia vita è appesa a un filo e che tu stai bruciando quel
filo con il gas!”
“Ecco, vedo il
parcheggio”
“La sfida consiste in un percorso a ostacoli da dover
superare in non più di cinque minuti. Conquista più punti chi fa più acrobazie.
Se un concorrente cade è squalificato e la squadra avrà quindici punti di
penalità e trenta secondi di tempo in meno per finire il percorso. Se qualcuno
si ferma è fuori. La coppia che avrà il punteggio più alto vince. Pronti?” disse
Riku, con in mano la bandierina gialla che segnalava la
partenza.
“VIA!” gridò.
Roxas e Sora partirono a tutta velocità, mettendo
subito in pratica alcuni tricks su
cui si erano allenati con i massi nel bosco a casa della nonna. Il percorso era
disseminato di pali, cunette e buche, alcune delle quali anche piuttosto
profonde.
“Ci conviene
evitarle” esclamò il castano, indicandone una. In quel momento Hayner
entrò in quella di medie dimensioni e ne uscì posandosi con la mano sul bordo e
alzando lo skate in aria, tenendolo con i piedi. Un applauso esplose dagli
spettatori.
“Non credo che potremmo
vincere, così” ribatté Roxas, preoccupato. Saltò sopra una cunetta,
girandosi a 360° e atterrando perfettamente equilibrato. Tante cadute avevano
prodotto qualcosa, almeno.
Anche stavolta ci fu un bell’applauso, ma non era
soddisfatto.
“Fai fare a me la
prossima acrobazia” gli chiese Sora, ricevendo l’appoggio del compagno.
Si lanciò sorridendo verso uno dei pali e si fermò a un centimetro da esso,
inclinando all’indietro la tavola e facendola girare sotto ai propri piedi. Poi
fece un salto piuttosto alto, tenendosi con una mano alla sbarra di ferro e con
l’altra tirò indietro la tavola, andando a piegarsi con le gambe quasi fino alla
schiena, per poi riatterrare con grazia dall’altra parte.
“Sei un mito!”
esclamò Roxas, ammirato. Lui rispose mostrando il pollice in alto e
sorridendo.
“Sono tutti qua, quindi
penso che la sfida si svolga qui” disse Axel, cercando di vedere
all’interno della pista. Larxene sbuffò.
“Perché sono venuta anche
io?”
“Perché mi vuoi bene.
Aiutami a passare” la implorò.
“Sora, ci provi tu a fare
la buca più grande?” gridò il biondo. In quel momento Seyfer ci entrò
dentro, sorridendo strafottente, ma Hayner si arrabbiò nel vedere che il
compagno gli stava per rubare la scena e gli andò dietro.
“Ma sono scemi?”
esclamarono insieme i fratelli. Si avvicinarono alla fossa e continuarono a
ruotarle intorno, sapendo che fermarsi significava essere squalificati, e
fissarono all’interno.
“Fammi spazio, devo essere io il vincitore!” stava
gridando il biondino.
“Se mi vieni dietro così rischiamo di farci male”
ribatté l’altro, preoccupato. Senza ascoltarlo, l’altro lo superò e uscì da là
dentro facendo una specie di giro contorto su sé stesso e atterrando con
grazie.
“Oh, no!” gridò Seyfer. Fece una brusca manovra per
scansarlo e cadde rovinosamente a terra.
“Oh, ma che peccato! Abbiamo un eliminato, signore e
signori. Seyfer, sei pregato di allontanarti da lì” disse Riku. Il ragazzo prese
lo skate sottobraccio e, zoppicando leggermente, se ne andò dalla pista. Nello
stesso istante, Hayner concluse il percorso.
“Adesso i fratelli Key sono i soli rimasti in gara.
Hanno un vantaggio di quarantacinque secondi sugli sfidanti, ma un punteggio
minore. Ce la faranno a finire in tempo?” declamò
l’arbitro.
Sora e Roxas si guardarono.
“Io vado alla fine, tu
fai la buca” urlò il castano. L’altro sbiancò.
“Non ne sono
capace!” esclamò.
“Sì, puoi farlo. Dai,
guadagniamo terreno e vinciamo” lo spronò. Il biondo si sentì
morire.
“Eccolo, lo vedo!”
esultò Axel, arrivando sul bordo del percorso. Vide il ragazzino muoversi
ansiosamente intorno a una fosse scavata in terra e
sorrise.
“Forza Roxas!” gridò
per farsi sentire. Lui voltò lo sguardo e incrociò i suoi occhi
verdi.
“Puoi farcela!” lo
incoraggiò.
A
quel punto, il biondo chiuse gli occhi e si fermò con lo skate in bilico
sull’inizio della buca, sperando che non si trattasse di fallo. Strinse il
ciondolo del braccialetto tra le mani e respirò.
“Ora” sussurrò.
Lasciò andare il peso in avanti e le ruote della tavola si appoggiarono sulla
parete accidentata della fossa. Si dette la spinta col corpo, abbassando la
testa e prendendo velocità. “Non schiantarti, non
schiantarti” si ripeteva.
Quando iniziò a risalire, il cuore gli andò in gola,
chiuse gli occhi, stringendoli fino a farseli lacrimare.
“Forza Roxas!”
gridarono all’unisono Axel, Larxene e Sora.
Lui percepì il terreno allontanarsi dalla base dello
skate e iniziò a girare su sé stesso, tenendo le braccia incollate al
corpo.
“Uno… due… tre!” esclamò Riku, contando le
giravolte.
Il ragazzo atterrò dolcemente e si avviò a tutta
velocità verso la fine.
“Dai! Veloce!” urlavano tutti.
Aveva due secondi per tagliare il traguardo. Nello
stesso momento, lui, Axel e Sora chiusero gli occhi, pregando di
farcela.
I
fratelli Key rientrarono in casa distrutti. Trascinavano i piedi a terra e
sbadigliavano sonoramente. I loro genitori li aspettavano in ansia e andarono
loro incontro quando li sentirono chiudere la porta.
Nel vederli in quelle condizioni, il loro sorriso si
spense sulle labbra.
“Non è andata bene?” chiese il padre. I due si
guardarono, poi Roxas si tolse lo zaino, sospirando.
“Ecco…” rispose.
Dallo zaino tirò fuori un gigantesco trofeo, con uno skate argentato posto in
cima.
I
signori Key lo fissarono confusi, poi si aprirono in un grandissimo
sorriso.
“Ce l’avete fatta!” esclamarono, abbracciandoli.
Ridendo per lo scherzo ben riuscito, i figli li abbracciarono
felici.
“Li abbiamo
stracciati” ammisero contenti.
Quella sera, uscirono per festeggiare la meritata
vittoria.
“Per cui qual è la tua
decisione?”
“Io ti credo. Non è una
decisione, è un dato di fatto. Tu mi hai detto di fidarmi, tempo fa, ed è ciò
che voglio fare”
“Per cui ti sei deciso a
capire che quello è una serpe?”
“Diciamo di
sì”
“Quindi tutto a posto.
Bene” Axel si mise le mani in tasca e guardò altrove, mentre Roxas
aspettava un segnale che gli facesse capire che era felice della sua
decisione.
“Ma se tu non vuoi darmi
un’altra possibilità per farti vedere che mi fido, lo capisco” aggiunse
cauto.
“Cosa? No, non volevo dire
questo” esclamò il rosso.
“Allora dì qualcosa”
lo spronò. L’uomo rimase zitto.
“Non sono mai stato bravo a
parole, purtroppo” rispose sorridendo.
“Per cui rimaniamo qui a
guardarci negli occhi per i prossimi giorni?” sbuffò il biondo. Axel gli
prese il viso tra le mani e lo baciò appassionatamente.
“No, io avevo altre idee per
farti capire la mia felicità” spiegò.
“Sei un pervertito. Un
porcospino pervertito” lo accusò Roxas, ridendo.
Rise anche lui e lo fece salire in
macchina.
“Hai problemi a rimanere da
me a dormire?”
“Ma figurati! Domani è
domenica, non devo mica alzarmi presto”
“Meglio così. Non ho
intenzione di farti riposare molto, comunque” lo avvisò, guardandolo
malizioso. Mise in moto e il ragazzino scosse la testa
divertito.
“Sì, io ci sono. Devo
solo trovare le scarpe. Tu?”
“Io mi sono vestito e
profumato un’ora fa. Stiamo aspettando tutti te!”
“Mi dispiace, sto
arrivando!”
“Axel ci ammazza se
facciamo tardi. E Larxene ci tira dietro una delle
panche della chiesa”
“Lo so, lo so. Kairi è già arrivata?”
“Sono
qui!”
“Ok, eccomi. Vado bene?”
“Togliti la maglietta dalle
mutande, Sora”
“Ops”
“Ecco, ora può quasi andare
bene. Forza, sbrighiamoci, o quei due ci decapitano”
“Ma guarda chi si rivede! I gemelli Key! Quanto tempo!”
“Ciao Luxord. Siamo arrivati con
un po’ di ritardo ma ci siamo” lo salutò Roxas.
L’uomo rise.
“Non vi preoccupate, il ritardo è l’ultimo dei nostri
problemi” rispose.
“In che senso?”
chiese il biondo, senza capire.
“La sposa ha qualche… chiamiamolo problema tecnico,
va’”
“Del
genere?”
“Ansia da prestazione. Sta facendo la respirazione
rilassante con Axel al piano di sopra ma è piuttosto
preoccupata”
“Sono certo che si
tranquillizzerà presto” affermò Sora.
Nel frattempo….
“Non ci
vado”
“Ci
risiamo”
“Se sbaglio qualcosa? Se
lui non è quello giusto e mi lascia dopo un anno da oggi perché non mi
sopporta?”
“State insieme da secoli, se
non ti ha ancora lasciata non ti lascia più”
“E se cado e rovino il
vestito?”
“Poco male, non lo metterai
mai più”
“Se mi dimentico la
promessa?”
“Improvvisi. Ti riesce tanto
bene”
“Ho voglia di
vomitare”
“Il bagno è fuori dalla
stanza, subito a dritto”
“Però ho anche
fame”
“Al massimo posso darti una
banana”
“Non sei divertente, Axel”
“A me ha fatto
ridere”
Larxene si sedette accanto a lui, poi si alzò, poi si
sedette ancora e si rialzò di nuovo.
“Mi stai facendo venire il
mal di testa, tesoro” le disse.
“Ho paura” ammise
lei, guardandolo con gli occhi grandi.
“E’
normale. Stai
per sposarti, in fin dei conti! Però devi superare la paura. Forza! Ci stanno aspettando tutti al piano di sotto” la spronò.
“Se inciampo nel
vestito?”
“Dato che ti porterò io
all’altare, ti prometto che non cadrai” le
assicurò.
“Ma se cadi anche
tu?”
“Allora rideremo insieme e
andremo verso Demyx. Forza, fiorellino. Dobbiamo andare” le disse
ancora. Si alzò e le tese
il braccio, ma Larxene non lo
prese.
“Ti scongiuro, stammi
vicino”
“Fino in fondo”
promise.
Le note della marcia nuziale di Wagner partirono un
attimo prima che le porte della chiesa si spalancassero, lasciando entrare la
sposa e il suo testimone. Dato che i genitori di lei non c’erano più, Axel aveva accettato con piacere di scortarla fino
all’altare per darla in sposa a Demyx, che era teso
come una corda di violino. Stava in piedi, dritto come un palo della luce, fermo
immobile.
“C’è chi è più nervoso di
te, vedi?” sussurrò il rosso all’amica in un
orecchio.
“Forse non vuole più
sposarmi” rispose lei, terrorizzata.
“Se così fosse, ti giuro che
lo prendo e lo infilo nel forno a diecimila gradi” le
assicurò.
Quando arrivarono dallo sposo, l’uomo lascò andare
Larxene e lo guardò male.
“Te la cedo, ma prenditene
cura” lo minacciò. Lui sorrise e annuì.
“Ora e per
sempre” promise.
Sora e Kairi volteggiavano
leggiadri sulla pista da ballo, mentre gli sposi erano a sedere al tavolo
centrale sotto agli occhi di tutti. Accanto a loro stavano i testimoni e i
compagni dei testimoni, tutti piuttosto allegri.
“Ma il brindisi non
dovrebbe essere fatto prima delle danze?” chiese Roxas, un po’ confuso.
“Sì, ma tuo fratello non
stava nella pelle. Inoltre, di solito i primi ad aprire i
balli sono gli sposi, mentre stavolta sono stati tutti piuttosto anarchici e si
sono precipitati in pista. Che ci vuoi fare? I nostri amici
sono particolari” rispose Axel, ridendo.
“Se la metti così, allora
va bene”
Erano entrambi vestiti in smoking e cravatta, ma non
riuscivano più a sopportare il caldo di marzo. Avevano voglia di togliersi tutto
e mettersi in pigiama, almeno si sarebbero riposati.
Per stare dietro ai preparativi del matrimonio tutti
quanti avevano dormito molto poco nelle ultime
settimane, soprattutto perché ogni volta qualcosa non andava bene. Prima il
vestito, poi i fiori, poi la musica troppo noiosa, poi il prete incapace… alla
fine Axel aveva chiuso in casa Larxene e aveva finito i preparativi con l’aiuto degli
amici: Marluxia si era occupato delle decorazioni,
Demyx e Xigbar della musica,
Luxord aveva trovato il parroco, Roxas, Sora, Kairi e Xion si era impegnati a tenere occupata la sposa, Vexen e Xemnas avevano aggiustato
i posti al ristorante e gli altri avevano posizionato i regali in un angolo
della sala.
“Se fuggissimo di
qui?” propose il biondo, sussurrando.
“Non posso, sono il
testimone” gli ricordò il compagno, ridendo.
“Che palle” rispose
mettendo il broncio.
In quel momento Demyx e
Larxene si alzarono per ringraziare tutti gli ospiti e
fare un brindisi in loro onore, così iniziò la serie infinita delle persone che
andavano al microfono per proporre un brindisi agli sposi.
“Vai anche tu?”
chiese Roxas ad Axel.
“Credi che mi toglierei
questo divertimento?” ribatté lui, facendogli
l’occhiolino.
Prese il suo bicchiere di spumante e si avviò sul
palco, lanciando uno sguardo divertito verso i due amanti.
“Buonasera a tutti, io sono
AxelFlame, il
testimone.
Ma credo che tutti voi mi conosciate, giusto?” si presentò. Un applauso partì da fondo la sala e si sparse
ovunque.
“Grazie, mi fa piacere
vedere che sono amato anche qui. Oggi siamo tutti qui riuniti per questi
due ragazzi, Demyx e Larxene, e per fare loro le nostre felicitazioni. Ma vorrei farvi capire cosa non è stata la preparazione di questo
matrimonio” annunciò. Fece un cenno a un cameriere, che spense le luci, e
poi un proiettore si accese, mandando immagini fatte non si sa quando sulla
parete bianca.
“Le ultime cinque settimane
per me e per gli amici stretti di questi due sono state davvero da
suicidio. La
sposa ha cambiato idea mille volte su tutto –e vi assicuro che convincerla a non
cambiare la torta, già ordinata, solo perché la voleva rosa e aveva detto
celeste a due giorni dal matrimonio è stata un’impresa-, per non parlare della
crisi isterica avuta tra ieri sera e stamani. Tesoro, sapevo
che eri nevrotica, ma non credevo così tanto”
iniziò. Larxene lo fulminò con lo sguardo.
“Ma la sposa è scusata: ha
tante cose a cui pensare e tanti problemi a cui far fronte, per cui un po’ di
ansia si può anche comprendere. Ciò che ha fatto ridere me e tutti
quelli che sono stati dietro all’organizzazione di questa giornata così speciale
è stata la crisi di panico dello sposo manifestatasi lunedì. Io e Luxord stavamo finendo di parlare col parroco e abbiamo
visto Demyx iniziare a correre su e giù per tutta la
navata, gridando a squarciagola Ommioddio, mi devo sposare! Noooooooooooo”
raccontò. Tutti i presenti si
misero a ridere di gusto mentre il sopra citato tentava di scomparire sotto al
tavolo.
“Vi giuro che recuperarlo e
farlo calmare è stata un’impresa in cui ci siamo cimentati io e il fratello
della sposa, aiutati da Marluxia e Xigbar” concluse, ridendo con gli altri. Mentre
parlava le immagini si erano susseguite sulla parete, inquadrando Larxene, Demyx, il disastro fatto
con i fiori quando Axel ci era caduto sopra, chi
preparava la musica che faceva finta di suonare l’organo come un pazzoide e
tanti altri piccolissimi scorci di quei giorni così
surreali.
Alla fine, lui tornò serio.
“Ma, nonostante tutti, oggi
siamo davvero qui a celebrare questo matrimonio
assurdo. E
sono felice di aver assistito a tutto, sia le cose belle che quelle brutte,
aiutando quando necessario. Sono felice perché adesso posso brindare a questa
meravigliosa coppia e dire con orgoglio che io c’ero quando è nata e ci sarò
sempre, qualsiasi cosa accada, per aiutarla. E voglio che tutti e due sappiate
che vi starò vicino anche quando non sembrerà, perché vi voglio bene.
Soprattutto a te, Larxene. Sei la mia migliore amica
e, anche ora che sei sposata, lo rimarrai per sempre. Quindi
un brindisi per la vostra felicità!” esclamò
alzando la coppa. La
ragazza era commossa e mimò con le labbra un “Grazie” nella direzione dell’amico, che le fece
l’occhiolino.
“Bel discorso” si
complimentò Roxas quando Axel tornò a tavola.
“Grazie” rispose lui,
sorridendo.
“Rimanete qui a
dormire?” chiese il rosso quella sera ai fratelli Key, Kairi, Luxord e Xion.
“Sì, penso che sia
meglio. Rientrare in queste condizioni sarebbe un’impresa” rispose il biondo, guardando Sora mezzo addormentato
e Xion completamente
ubriaca.
“Ok, tanto ormai conoscete
questa casa, quindi non vi devo nemmeno dire niente” ragionò l’uomo,
togliendosi la cravatta.
Gli ospiti si dispersero, ognuno chiudendosi in
camera: le ragazze in una, i ragazzi in
un’altra.
“Io vengo con te”
annunciò Roxas, seguendolo nella sua
stanza.
“Mi dispiace, sono troppo
stanco per quello” si scusò Axel, buttandosi
sul letto.
“Come sei
malvagio!
Non dormo con te solo per il sesso” s’incupì il ragazzo, sedendosi accanto a
lui.
“Ah,
no? Pensavo di sì” lo prese in giro il
rosso, ridendo.
Si misero entrambi in pigiama e si stesero sotto alle
lenzuola.
“Senti, posso… posso farti
una domanda?” chiese il biondo, imbarazzato. L’altro lo guardò,
appoggiando la testa su una mano e girandosi su un fianco.
“Dimmi
pure”
“Ecco, tu prima hai detto
tante belle cose. Che nonostante le difficoltà è stato
bello stare vicino a Larxene e Demyx, e che sei felice di questo. E mi
chiedevo… se un giorno dovesse… dovesse succedere a te di trovarti al posto
degli sposi… saresti felice comunque di tutti i problemi?” balbettò. Axel ci
pensò.
“Certo”
rispose.
“Perché?”
“Perché è dalle difficoltà
che si vede l’unione della coppia. Insomma, se fosse tutto facile, non si
potrebbe dire quanto davvero i due tengano l’uno all’altro. Ma
se anche attraverso le difficoltà riescono a rimanere uniti, allora saremmo
sicuri che non si lasceranno più”
spiegò.
“Capisco” disse
Roxas. L’uomo attese che continuasse, aveva capito che
voleva chiedere qualcos’altro, ma il ragazzino rimase
zitto.
“Devi dirmi
altro?”
“No… beh, una curiosità ce
l’ho, in realtà”
“Spara”
“Ok. Tu ci hai mai pensato
al matrimonio? In generale, intendo. Insomma, essendo gay non puoi sposarti, per
cui mi chiedevo se…”
“Se desiderassi comunque
unirmi ufficialmente a te, un giorno?” lo aiutò. Il biondo
arrossì.
“Non per forza a me,
ecco” lo corresse. Axel lo
abbracciò.
“Ma è te che voglio, per
cui, se mai ci penserò, sarà solo con te” chiarì. Lui sprofondo nel suo
petto, lasciandosi cullare dal suo calore e dalle sue braccia
muscolose.
“Quindi ci hai mai
pensato?”
“No, in verità
no. Mi basta
averti così, per cui non voglio complicarmi la vita con inutili domande. E a te basta così?”
s’informò. Roxas annuì sorridendo.
“Tu mi sei sempre
bastato” rispose.
“Ciò che importa è
quello” sorrise Axel.
Lo tenne stretto finché non sentì il suo respiro
tranquillizzarsi e comprese che si era addormentato. Lasciò un bacio sulla sua
testa.