La rosa di ghiaccio

di FloEvans
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Chiave ***
Capitolo 3: *** Destino ***
Capitolo 4: *** La storia di Emiliana ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


1,Prologo

Prologo

 
La notte correva impetuosa e buia sulle colline di Ginosa. Quella sera sembravano gridare vendetta al vento che noncurante le frustava e gli alberi dalle alte fronde si muovevano in una convulsa danza. Le nuvole dense rendevano lo scenario ancor più buio rilasciando la violenta pioggia che con eleganza si precipitava sul terreno. Tutto taceva meno che un leggero rumore di passi di una donna correva nell’oscurità. Un mantello le copriva il volto e lasciava intravedere solo due candide ciocche bionde.
E’ troppo veloce” pensò disperata la donna. Il suo petto danzava su e giù per l’affanno e il cuore le batteva forte, quasi a voler scappar via. Si guardò indietro e impulsivamente accarezzò il pugnale sotto il mantello. Lui era sparito, ma riusciva ad avvertire la sua presenza. Il silenzio avvolse la donna che aveva tutti i sensi allerta: un passo a tradire il suo nemico e la donna si ritrovò faccia a faccia con una sagoma in ombra. Con rapidità estrasse il pugnale, ma la sagoma incappucciata fu più veloce di lei. Alzò il braccio con forza e trafisse la donna con una lama insolitamente luminosa. La donna gemette di dolore e si gettò in ginocchio.
La sagoma dell’assassino si chinò su di lei bisbigliando: “Posso salvarti, renderti immortale!” la sua voce maschile era fredda e solo ad udirla incuteva una paura paralizzante.
Pensa, sconfiggere la morte, essere padrona del tempo, immortale!” continuò la sagoma “devi solo unirti a me” concluse offrendo una mano alla donna. Lei alzò il volto con le ultime forze rimaste. Avvertiva un dolore mai provato e il freddo si allacciò al suo corpo privandola lentamente della vita. La ferita provocata dal pugnale bruciava come mille lame roventi. A quel punto, il cappuccio cadde dal capo della donna rivelandone il bel viso. Due occhi verdi guardavano la morte con coraggio mentre le labbra piene si aprirono “Mai mi unirò a te! Bastardo!” gridò la donna accogliendo il suo destino con orgoglio e coraggio.
Sul volto semicoperto dell’aggressore si dipinse la rabbia e con velocità  piantò il coltello nel cuore della donna che si accasciò con il viso rigato dalle sue ultime lacrime. L’assassino guardò per due minuti la sagoma priva di vita di lei e poi, con noncuranza, estrasse il pugnale dal suo petto. Lo guardò affascinato, come se fosse un oggetto raro e assai interessante. Poi notò il sangue che imbrattava il pugnale e disgustato pulì la lama con l’orlo del suo abito.
Povera sciocca” guardò ancora il volto della donna scuotendo il capo “quale spreco” sospirò ancora guardandola con intenso desiderio “Sarebbe stata una guerriera ideale per il mio mondo”  parlò ancora tra se con voce fredda.
Quella voce fredda di chi non ama e non è amato.
Peccato” concluse camminando sul corpo senza vita della donna e poi sparì tra gli alberi. Di nuovo tutto taceva e solo un tuono gridò al cielo la sua dannata rabbia. Quella rabbia che solo una vita volata via può provocare. Quel dolore che nessuno colmerà mai.

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Capitolo 2
*** Chiave ***


2chiave
  1. Chiave

 Null’altro siamo che non parte del gioco,
muoviamo su una scacchiera di giorni e notti;
ad ogni mossa un pezzo cade preso,
la partita continua mentre noi veniamo riposti.
Omar Khayam
Due mesi dopo…


La mattina illuminò prepotente la mia stanza buia e la luce del sole accarezzò leggera i miei occhi chiusi. Gli aprii leggermente per cercare di ritornare alla realtà. Erano due mesi che facevo lo stesso sogno, volevo liberarmene, ma lui continuava prepotente a tornare. Mi alzai dal letto infilando le pantofole e avvolgendomi nel piumone depositato in un angolo della mia stanza. Respirai il suo profumo denso di ricordi e cercai di cacciar dentro le lacrime. Chissà quando mi sarebbe passata la nostalgia di lei. Guardai fuori la finestra pensierosa.
L’alba nasceva tranquilla dopo un'altra notte tempestosa illuminando ogni cosa. La cittadina fatta di vecchie case e prati ricchi d’erba e grano si svegliò lasciando intravedere già le prime anziane signore che, dopo una notte d’insonnia, uscivano fuori i balconi per innaffiare le piante con cura. I vecchietti seduti alle verdi panchine  confabulavano tra loro osservando ogni macchina passare ed ogni persona mentre le prime saracinesche si aprivano rumorose e la città prendeva vita sotto i miei occhi.
Mentre andavo in cucina a prepararmi il caffè, pensai che la casa in cui abitavo era vecchia e piccola, ma in fin dei conti accogliente. L’avevo fittata dopo la morte di mia madre e abitavo lì da due mesi.  Da mia madre avevo ereditato la casa, oggetti personali vari e una scatola. Su di essa aveva scritto il mio nome, ma da quando seppi del suo omicidio non avevo più messo piede in quella casa e né mai aperto la scatola da lei lasciatami. Non capivo ancora come una donna di appena cinquant’anni, che amava la vita come lei, avesse potuto preparare il testamento. Insomma, nessuno si sveglia la mattina con la voglia di scrivere le proprie ultime volontà se sta bene! E mia madre era sana come un pesce.
La polizia stava ancora indagando su chi fosse l’assassino, ma lui non aveva lasciato tracce. “L’omicidio perfetto” l’avevano soprannominato i giornali.
La memoria mi riportò a quella mattina tempestosa.
Dormivo tranquilla nel letto assaporando già mentalmente il buon caffè che mi aspettava. Ero li, al calduccio, quando il telefono squillò. Il cuore fece un salto ed io sentii dentro me che qualcosa era andato storto. Smisi di ripensarci, invasa dalla rabbia e dal dolore per una morte rubata.
Due pugnalate. Mia madre era stata assassinata con due pugnalate. E i margini delle ferite lasciate dalla lama erano bruciate, quasi come se il pugnale fosse rovente.
Da quel giorno tutto era cambiato. Io ero cambiata. Non vivevo più. Passavo i giorni tra caffè e televisione, ignorando costantemente il pacco contenente i lasciti di mia madre che giaceva sul pavimento.
Afferrai la tazza di caffè bollente e mi strinsi ancora nel piumone, domandandomi da cosa dipendesse quella voglia di tenermi a debita distanza da quello scatolone. Era forse la paura di rivivere mia madre? Mi ero rifugiata nell’apatia, nel desolante nulla e ogni emozione era un colpo basso per la mia bolla di calma apparente ma non potevo rimanere così, sospesa nell’oblio. Così presi coraggio e mi avvicinai alla scatola.  Quel pacco era stato preparato da mia madre con mesi di anticipo, quasi come se sapesse cosa le sarebbe successo. L’avevo custodito riparandolo dagli occhi della polizia, che aveva profanato con le indagini e assurde insinuazioni le ultime volontà di mia madre. Mi inginocchiai dinanzi alla scatola tastandone la superficie, feci scivolar via la polvere finché non riemerse la calligrafia di mia madre:
Per Debora – IMPORTANTE
Sorrisi nel riconoscerla, una prova indelebile dell’esistenza della mamma. Una lacrima bagnò il mio viso ed io non mi sforzai di ripulirla. Mi morsi il labbro per l’agitazione e con mano tremante afferrai il pezzo di nastro adesivo mezzo sollevato che chiudeva lo scatolone. Con il cuore che aveva la chiara intenzione di volar via sollevai di poco il nastro, ma qualcuno bussò alla porta. Mi guardai attorno furtiva come se mi avessero appena scoperta a rapinare una banca.
Chi è?” domandai guardando la porta.
Sono Alba, dai aprimi!”  rispose una voce familiare dietro la porta.
Notevolmente seccata mi diressi verso la porta ben consapevole di non essere presentabile. Chissà, magari si sarebbe spaventata del mio aspetto da cavernicola e sarebbe andata via! Aprii la porta e guardai in faccia la mia collega e migliore amica. Nei suoi occhi da cerbiatta si dipinse quello sguardo compassionevole che picchiettava sempre sui miei nervi.
Ciao, entra” dissi senza entusiasmo.
Da quanto non metti un po’ d’ordine?” mi chiese guardandosi attorno. Mi voltai di scatto a guardare Alba con profonda indignazione, ma lei stava già prendendo la roba depositata da giorni sul divano. La osservai mentre scorrazzava da un lato e l’altro del salotto: Alba era bella, alta e aveva lunghi capelli neri e due occhi marroni incantevoli.
Che ci fai qua?” domandai porgendole un po’ di caffè mentre si voltava a guardarmi e afferrava la tazza.
Sono venuta a salvarti, ragazza mia!” rispose bevendo e scrutandomi dalla testa ai piedi.
Non ho bisogno di essere salvata” le feci notare mentre con il piede spostai in un angolo la scatola di mia madre in modo che Alba non la vedesse.
A me non sembra, insomma: guardati!” esclamò indicandomi “Sei messa malissimo!”
Grazie dell’incoraggiamento! Perché, visto che ci sei, non mi pianti un coltello nel cuore?” domandai sarcastica mentre lei mi guardava con aria imbronciata.
Come puoi sostenere che stai bene? Non esci da mesi, non fai altro che rotolarti nella tua disperazione! Hai lasciato persino il lavoro!” 
La guardai, aveva ragione e non potevo negarlo.  Avevo un bel lavoro da bancaria, ma mancavo ormai da due mesi e senza nessuna giustificazione precisa, non mi avrebbero mai ripresa.
Alba colse al volo il mio momento di riflessione e disse
Devi tornare la Debora di sempre” mi prese per mano e mi portò allo specchio: la mia immagine mi colpì come una frustata. I miei capelli color cioccolata ricadevano lungo la schiena scompigliati e privi di una forma precisa, i miei occhi, arrossati e impauriti, mi fissavano dal loro blu mare e la mia figura alta e formosa si perdeva nell’ampio pigiama macchiato. Dove ero finita?
Tua madre non avrebbe mai voluto vederti così” continuò asciugandomi una lacrima dal volto. Aveva maledettamente ragione! Mi voltai verso di lei e l’abbracciai. Il mio cuore batté più veloce nel riconoscere il fatto che forse potevo riavere la mia vita. Mi staccai da Alba che sorrideva compiaciuta.
Ok, proverò a riprendermi” ammisi dandole una pacca sulla spalla.
No, non ci proverai! Tu ci riuscirai!” mi incoraggiò ancora. Annuii con il capo, ancora poco convinta, ma con un piccolo barlume di speranza.
Oggi tu vieni con me!” esclamò all’improvviso facendomi sobbalzare.
Dove?” domandai sentendo la pigrizia impadronirsi del mio corpo.
A riaverti!” esclamò come se fosse una cosa ovvia.
Non ho alcuna intenzione di uscire oggi” risposi allontanandomi da lei per gettarmi sul divano. Sì, era giunta l’ora di riprendere possesso della mia vita, ma quella non era la giornata ideale per farlo.
Dai, ti prego!” disse Alba sfoderando a tradimento il suo sguardo più dolce e supplichevole.
No, no, no! Non se ne parla, Alba. Ho bisogno di altro tempo! Non dico mesi, ma almeno un giorno!” risposi incrociando le braccia con forza. Ero decisa a rimanere più che mai sul divano e né Alba, né le sue grandiose idee mi avrebbero mai staccata da casa mia!
Trenta minuti dopo ero nella sua macchina.
Ci divertiremo sta’ tranquilla!”
Alba guidava con aria divertita mentre io guardavo contrariata Ginosa andar via e la mia casa allontanarsi. Mi ero pettinata decentemente e avevo indossato una comoda tuta: in confronto  al mio precedente abbigliamento, mi sentivo in abito da sera!
Alba mi portò a Taranto e nel tragitto non facevo altro che pensare a quel che avevo lasciato a casa. L’idea di aprire lo scatolone impolverato diventava stranamente –dopo tutto il tempo per cui l’avevo ignorato- sempre più attraente e quindi neanche una bella passeggiata tra negozi poteva distrarmi dall’idea. Per tutto il giorno girai per le strade fingendomi interessata, comprai addirittura una maglietta per tenere contenta Alba, che non si arrendeva all’idea che in quel momento lo shopping non era una delle mie priorità.
Prendiamo due caffè e due cornetti al cioccolato!” esclamò Alba ad un cameriere, seduta con me al tavolo di un bar, mentre io rimuginavo sullo scatolone: avevo bisogno di parlarne con qualcuno, ma  non sapevo se confidarmi con lei. Alba non aveva mai tradito la mia fiducia, ma era giusto raccontarle di questo? La osservai ancora mentre guardava felice come una pasqua le buste contenenti i suoi numerosi acquisti. La conoscevo da anni ormai e per quanto a volte potesse sembrare superficiale lei non lo era affatto, forse confidarsi poteva essere la cosa migliore. Stavo per parlare ma lei mi precedette
Guarda là” parlò elettrizzata mentre nei suoi occhi una scintilla si accese.
Cosa?” chiesi guardandomi attorno.
Il tipo con la maglia nera!” fece Alba dondolando felice sul posto. Mi guardai attorno cercando il tipo con la maglia nera. Un uomo con la maglia nera, che poteva pesare più di cento kili, mangiava un crafen leccandosi le dita.
Direi che i tuoi standard sono caduti un po’ troppo in basso” commentai mentre l’uomo si soffiava rumorosamente il naso. Alba si voltò in direzione del mio sguardo.
Non lui!” disse concisa “Lui!” aggiunse indicando con il pollice un punto dietro la sua spalla destra. Alzai leggermente lo sguardo sul punto da lei indicato: un ragazzo alto si poggiava sul piano bar con aria disinvolta. Aveva l’aspetto tipico di quei ragazzi che se sei intelligente, eviti, ma era obiettivamente molto bello. I capelli neri erano folti e alcune ciocche ricadevano sulla fronte coprendo i due occhi di un colore tra il marrone e il rosso. Si passava una mano tra i capelli e persino da dove ero seduta riuscii a notare che i muscoli scolpiti adeguatamente erano ben visibili anche da sotto la maglietta.
Allora?” domandò Alba in attesa di un mio commento.
Decisamente meglio del tipo con il crafen!” le dissi e lei sorrise maliziosa.
Oh si! E’ proprio uno di quei ragazzi capaci di far svenire una centinaia di donne con un solo sguardo!” affermò mentre il cameriere ci serviva i nostri caffè e cornetti.
Beh, vacci a parlare!” le dissi dando un morso al mio cornetto. Le mie papille gustative iniziarono a ballare la samba, erano mesi che non mangiavo niente di così buono. Ultimamente mi nutrivo di patatine e cibi precotti.
No! Vacci tu!”
Quasi mi cadde la bocca per lo stupore. Assurdo, l’uomo interessava a lei ma dovevo essere io ad avvicinarlo?
E cosa dovrei dire se interessa a te?” domandai curiosa e già consapevole delle eresie che avrebbe detto
Beh, mi vergogno! Indaga un po’ per me!” rispose con aria innocente. Alzai un sopracciglio scettica, era una delle tante stupidaggini che Alba amava fare.
Beh te lo scordi! Alza quel tuo bel culetto e vacci tu!” conclusi prima che Alba dicesse qualcos’altro. Spiai di nuovo il tipo che ora si era seduto vicino al bancone. I capelli neri brillavano sotto la luce della lampada, mentre i suoi occhi guardavano annoiati attorno, finché con un guizzo improvviso balenarono su di me. Mi sentii arrossire nell’essere stata scoperta a fissarlo. Diedi un altro morso al mio cornetto contemplandolo come se fosse un opera d’arte. Alba mi tenne il broncio per tutto il tempo che restammo al bar e solo dopo essere entrate nella sua macchina ricominciò con il suo solito ciarlare.
Viaggiavamo sulla strada e il mondo scorreva fuori dai nostri finestrini: tutte le macchine che correvano con noi, contenevano delle vite. Magari l’uomo dell’auto davanti a noi, che aveva appena fatto un sorpasso troppo azzardato, stava correndo in ospedale per assistere alla nascita di suo figlio. Oppure la donna dell’auto dietro la nostra era stata appena lasciata dal suo ragazzo o magari si stava per recare all’appuntamento più importante della sua esistenza.
La vita andava avanti, pensai, non si era fermata ad attendere la mia guarigione. La vita non aspetta nessuno, sta’ solo a te saperla vivere. Mi appoggia sul finestrino ignorando Alba. No, la vita non si era fermata affatto, ero io quella ferma. Ferma nell’ultimo ricordo di mia madre, nell’ultimo attimo di felicità, nell’ultimo attimo vissuto, ma non di vita. La vita non ciondolava appesa a quello scatolone, la vita era li ed io me la stavo perdendo.
Guardai Alba parlare di una canzone e sorrisi. Si, sorrisi! Sorrisi ad Alba, alla sua folle allegria, alla voglia di vivere che aveva e che, contagiosa, era giunta anche a me. Sorrisi alla vita che non si era fermata e sorrisi a me stessa che avevo deciso di raggiungerla. Quando Alba si fermò dinanzi casa mia l’abbracciai forte.
Grazie” bisbigliai. Lei si scostò leggermente in modo da guardarmi e sorrise amorevole.
Di niente, sono qui per questo!” 
Le sorrisi ed entrai in casa sicura che da li sarebbe stato tutto migliore.
Appena varcai la soglia, comunque, mi diressi sicura dal mio caro scatolone. Mi ci inginocchiai davanti e il mio cuore riprendeva a volava veloce, più del vento, consapevole dell’importanza di ciò che i miei occhi stavano per vedere.
Le ultime volontà di mia madre erano chiuse li e gridavano da due mesi di uscire fuori.
Mi preparai a rivivere ricordi legati a quegli oggetti che, probabilmente,  mi avrebbero fatto male. Afferrai il nastro adesivo e con un colpo secco lo strappai via. Alzai lievemente il coperchio mentre la mano tremava più che mai piano, lo tolsi e lo scatolo rimase nudo ai miei occhi.
Il buio offuscava il contenuto quindi pescai un oggetto a caso: la mia mano toccò qualcosa di duro e liscio. Estrassi l’oggetto e lo guardai con attenzione. Uno specchio dalla cornice d’oro e il manico tempestato di diamanti si presentò dinanzi ai miei occhi. Quello specchio in cui tante volte avevo visto specchiarsi mia madre, questa volta rifletteva il mio viso rigato di lacrime. Quell’oggetto era sempre nella sua borsa quando usciva e non lo abbandonava mai. Aveva per lei un valore affettivo, erano generazioni che la mia famiglia si tramandava quel piccolo cimelio, e mia madre aveva scelto me per conservarlo. Lo strinsi tra le dita ricordando tutte le volte in cui si era specchiata in quel piccolo pezzetto di ricordo. Posai con cura lo specchio sul pavimento e decisi di prendere un altro oggetto. Questo era notevolmente più piccolo e soprattutto di meno valore. Una chiave dall’aria antica brillava sulle mie mani: la guardai incuriosita. Cosa apriva quella chiave?
La guardai attentamente alla ricerca di qualche indizio che mi dicesse a quale porta era destinata, ma nulla mi fu rivelato. Decisi di rovistare ancora nella scatola e trovai un vaso di creta rosso con su inciso: L’arte del fare “1913”. Quel vaso aveva abitato il salotto di casa mia per anni, ma non avevo mai notato quell’incisione sulla sua superficie.
L’ultimo oggetto era un modellino di una nave molto antica. Non avevo mai visto quel modellino in casa. Lo guardai meglio voltandolo tra le mani: le vele bianche, il timone, l’albero maestro, erano fatti con estrema precisione. Sul fianco della nave era scritto: Aurora (Taranto)
Rimasi perplessa dagli oggetti che mia madre mi aveva lasciato. Escludendo il vaso e lo specchio gli altri due oggetti erano totalmente sconosciuti. Ero più che sicura che mia madre mi avesse regalato oggetti che mi ricordassero lei, non che non avevo mai visto in vita mia. E poi, la chiave cosa apriva? Presi lo scatolone in cerca di risposte. Magari mia madre aveva lasciato una lettera che spiegava il senso di lasciarmi una chiave senza dirmi cosa apriva. Infilai la testa nello scatolone e intravidi un pezzetto di carta che giaceva sul fondo. Lo afferrai sicura di aver trovato la risposta alle mie domande, ma quel pezzo di carta non fece altro che moltiplicarle. La grafia di mia madre aveva scritto sul quel pezzetto un nome: Emiliana Serrante.
Solo un nome, nient’altro. Guardai la chiave e il pezzetto di carta. Cosa voleva dirmi mia madre? E perché pormi questo enigma invece che spiegarmi chiaramente cosa apriva quella chiave?! Sentii un moto di rabbia e disperazione e con forza mi alzai dal pavimento. Iniziai a camminare su e giù per la stanza. Mia madre era sempre stata una donna comune, non aveva mai celato alcun mistero nella sua vita, perché pormene uno alla sua morte?
Quella chiave apriva qualcosa, e qualunque cosa fosse doveva essere importante. E poi chi era Emiliana Serrante? Non ne avevo mai sentito parlare e il suo nome quindi non evocava nulla in me. Afferrai il pezzetto di carta cercando qualcos’altro oltre a un nome, ma nulla vi era tranne che esso. Presi gli oggetti che avevo trovato nello scatolone e gli misi sul tavolo della mia stanzetta, poi infilai il pigiama e strisciai sotto le coperte con il cervello che ancora ronzava cercando un nesso tra la chiave e quel nome.
 Emiliana Serrante.
Quella notte mi girai e rigirai nel mio letto, ma prendere sonno fu difficile, solo dopo alcune ore scivolai agitata tra le braccia delicate di Morfeo che mi avvolse in sogni agitati e senza senso.

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Capitolo 3
*** Destino ***


Destino
  1. Destino

 
Correvo nella notte mentre il cielo di nuovo imprecava tuonando e lanciando con violenza la pioggia. Non sapevo esattamente dov’ero, ma sapevo solo che il terreno era instabile sotto ai miei piedi. Correvo e sentivo il mio cuore schizzare fuori dal mio corpo. Mi stavano per raggiungere, ma non dovevano assolutamente prendermi. Una sagoma incappucciata continuava a inseguirmi e io avvertivo forti fitte di panico, ma continuavo la mia corsa contro il tempo, contro la vita stessa. Ad un certo punto inciampai in qualcosa e caddi per terra. Non riuscivo ad alzarmi e le gambe facevano male. Mi guardai intorno senza capire bene dov’ero, tutto era avvolto nell’ombra. Uno squarcio di luce illuminò improvvisamente il cielo e la persona che mi era dinanzi: la sagoma incappucciata mi aveva raggiunta e i suoi occhi brillavano di un rosso intenso. Con violenza mi afferrò il gomito e…
AAAHHH!” gridai svegliandomi sentendo il cuore battere forte. Sudavo e solo dopo una manciata di minuti capii di essere ancora nel mio letto.
Tirai un sospiro e mi sedetti sul letto. Mi tenni il capo con le mani cercando di riavermi, ma quel sogno era stato così reale che ritornare alla realtà era difficile. Piano andai in cucina e preparai il caffè. Quel sogno mi tormentava da mesi da quando mia madre era morta, ma mai il mio inseguitore mi aveva raggiunta. Decisi di mettere da parte il sogno e di prepararmi, avevo intenzione di chiedere al mio datore di lavoro di riassumermi, cosa alquanto impossibile. Dopo la doccia infilai un paio di jeans e una camicia, indossai il mio cappotto e  mi guardai allo specchio. Avevo finalmente messo in ordine i miei capelli, che avevo accuratamente stirato. Non ero certo in tiro, ma sicuramente migliore ai giorni che avevo passato in precedenza. Presi le chiavi della macchina e uscii fuori dal piccolo appartamento con l’intento di pulirlo in seguito. Attraversai il paese con l’auto mentre fuori dal finestrino la giornata dei miei compaesani si avviava.
Arrivai alla banca e parcheggiai lì di fronte, diedi un occhiata al mio volto dallo specchietto retrovisore: una maschera serena celava il mio animo irrequieto.
Uscii dall’auto e sbattei la portella, poi con un click dal pulsante delle mie chiavi la chiusi ed entrai in banca. Le ordinate sedie erano disposte dinanzi ai banconi ove erano disposte alcune delle mie colleghe che mi salutarono con un cenno del capo mentre le persone aspettavano il proprio turno in fila. Appena la folla si accorse della mia presenza si alzò nella stanza un vociferare fitto. La gente, nei piccoli paesi come Ginosa, fa del pettegolezzo una professione. Ovviamente ero l’argomento del momento! Un omicidio così misterioso, reso famoso anche dai media, e la mia totale scomparsa dalla vita di paese era un fatto abbastanza succoso per le bocche dei miei compaesani. Mi guardai attorno e notai alcuni sguardi compassionevoli, altri indignati, altri ancora diffidenti. Sbuffai sonoramente incrociando le braccia, come a rifiutare tutto quel vociferare che mi infastidiva.
Finalmente un volto mi guardò sorridendo: Alba mi stava raggiungendo. Aveva lasciato il suo sportello per raggiungermi, dove un anziano signore si lamentava già della sua assenza.
Sei qui per chiedere di riassumerti, vero?” bisbigliò inutilmente; tutti erano in un innaturale silenzio.
Sì, dov’è Domenico?” chiesi.
Nel suo ufficio, va’ prima che sia troppo impegnato per le tue suppliche”.
Le sorrisi nervosa e mi diressi lungo lo stretto corridoio che portava all’ufficio del mio direttore. Alba non riuscì ad accompagnarmi, aveva lasciato una fila enorme davanti il suo sportello per  venirmi a salutare. Arrivai dinanzi la porta in mogano con su la targa d’oro con su scritto: Direttore Domenico Avantagia.
Bussai ed attesi la risposta del mio direttore che non tardò ad arrivare.
Avanti!”
La voce profonda arrivò alle mio orecchie il mio cuore saltò. Era praticamente impossibile essere riammessa dopo la scomparsa improvvisa. Mi armai di sfacciataggine ed aprii la porta. Domenico Avantagia era seduto dietro la scrivania e mi fissava attraverso i suoi occhiali bizzarri.
Oh, prego, si sieda!” mi disse alzandosi per stringermi la mano. Obbedii e mi sedetti sulla sedia dinanzi alla scrivania.
Buongiorno” salutai. Lui continuava a fissarmi con i suoi occhi neri. Domenico Avantagia era un uomo sulla cinquantina dalla calvizie incipiente, corretto e con un pessimo gusto per l’abbigliamento. Avevo avuto molti richiami dopo la mia totale scomparsa da parte sua, ma gli avevo sempre ignorati.
Vorrei  chiederle…” iniziai cercando di distogliere lo sguardo dall’assurda cravatta con i pini ricamati.
Di essere riassunta, giusto Debora?” completò lui facendo un sorriso lurido.
Si” risposi a fil di voce.
Beh, ha svolto sempre un ottimo lavoro per noi, ed io capisco il motivo della sua assenza. Sua madre, è stato un grande dispiacere per me, ma non avrebbe dovuto mollare tutto così improvvisamente come ha fatto”.
Non accadrà più” dissi piano comprendendo l’evidente intenzione di quelle parole.
Certo, non ne dubito, ma non sarebbe giusto riassumerla. Ho già assunto un altro dipendete per colmare la sua assenza e non è giusto licenziarlo solo perché ora lei è tornata.”.
Abbassai lo sguardo, aveva ragione da vendere purtroppo.
Quindi, non posso accettare” concluse con un velo di dispiacere nel suo tono di voce.
Certo, certo. Comprendo” annuii ancora guardando i suoi bizzarri occhiali. Rimanemmo per un attimo in silenzio, avevo avuto la conferma a ciò che già pensavo, ma ora come avrei fatto? Dovevo trovare un lavoro ad ogni costo o mi sarei trovata in guai seri.
Bene, allora arrivederci” mi salutò il direttore alzandosi e offrendo la sua mano. Dopo averla stretta lievemente e risposto al saluto, percorsi  lentamente il corridoio e sentendomi terribilmente frustata lanciai un saluto veloce ad Alba ed uscii dalla banca.
Entrai svelta in macchina e poggia la testa sul volante. Ed ora? Cosa m’inventavo? Dove andavo a trovarlo un altro lavoro così ben pagato? Ero stata una vera stupida. Irritata accesi il motore e partii.
Vagavo per il paese senza alcuna meta quando ricordai il biglietto di mia madre. Emiliana Serrante. Sbuffai forte, dovevo scoprire chi fosse, ma come? Non potevo mica andare in giro chiedendo alla gente dove abitava una certa Emiliana Serrante! Come avrei fatto a trovarla? Vagavo ancora per il paese, ero in una stradina tutta in salita e completamente isolata quando un sonoro rumore mi fece spaventare. La mia macchina iniziò a fare dei salti e con un rumore assordante si spense. Spaventata cercai di riaccenderla, ma dopo diversi sfiati il motore non diede più segni di vita.
Maledizione!” imprecai uscendo dall’auto! Il vento freddo di Novembre frustò il mio viso mentre aprivo il cofano che copriva il motore. Un fumo inondò il mio viso e una puzza di bruciato mi allarmò. Mossi un po’ le mani per scacciare il fumo e rendere più visibile il motore. Lo guardai con attenzione, ma per me era come leggere un libro in aramaico antico. Probabilmente si era bruciato qualcosa, a giudicare dall’odore. Mi morsi il labbro cercando di capire cosa fosse successo, ma sapevo che era già tanto se mettevo la benzina al self service, figuriamoci aggiustare un motore. Guardai la strada davanti a me: era tutta in salita e assurdamente lontana da casa mia. Guardai la mia piccola auto con compassione, l’unica soluzione era raggiungere il meccanico più vicino per far aggiustare il motore. Percorsi tutta la salita e dopo circa quindici minuti trovai un meccanico. Vederlo fu come vedere un frigo bar nel deserto. Entrai nel locale dove una decina di auto erano parcheggiate e con lo sguardo cercai qualcuno che mi potesse aiutare. Finalmente vidi un paio di gambe spuntare da sotto un auto e dissi
Scusi”
L’uomo non rispose. Forse non mi aveva sentito, provai ad alzare la voce
MI SCUSI!”
Salve” disse una voce alle mie spalle. Mi voltai, un uomo dalla tuta da lavoro blu con il viso tutto sporco mi salutò.
Ho avuto un guasto alla mia auto, è a quindici minuti da qui. Magari potreste, per favore, darle un occhiata”.
L’uomo arricciò il naso come se fosse seccato e poi diede un pugno sul cofano dell’auto dove si nascondeva il suo collaboratore che mi aveva ignorata.
Il collaboratore uscì da sotto l’auto e togliendosi le auricolari si alzò
Quei dannati aggeggi!” imprecò l’uomo mentre il ragazzo con uno straccio si puliva il volto.
Il ragazzo dai capelli neri e occhi di un unico marrone che avevo visto il giorno prima a Taranto si presentò dinanzi a me. La tuta da lavoro slacciata e la maglia dalle maniche arrotolate mostravano due braccia ben muscolose.
Cosa c’è?” domandò lui all’uomo.
C’è una cliente” rispose indicandomi “devi andare ad aggiustarle l’auto”.
Il ragazzo mi guardò e inclinando leggermente la testa chiese “Dov’è l’auto?”
Mi segua” risposi semplicemente.
Lui prese la cassetta degli attrezzi e mi seguì. Per metà del tragitto entrambi rimanemmo in silenzio poi, a pochi metri dall’auto, mi chiese “Cos’è successo all’auto?”.
Beh, camminavo e ad un certo punto ha fatto un brutto rumore e si è spenta!” spiegai velocemente guardando dritto dinanzi a me.
Ancora il silenzio regnava durante il tragitto fino alla mia auto ferma.
Qui, sembra che sia tutto nella norma!” esclamò il meccanico guardando il motore
Non è possibile, la macchina non parte più e poi puzzava di bruciato e…” risposi io
Prova ad accendere il motore” mi disse. Entrai in macchina borbottando, se non si accendeva prima perché doveva accendersi ora, ma appena girai la chiave l’auto si accese come se niente fosse. Rimasi a bocca aperta.
Come…”
Ha visto signorina? Nulla è rotto!” parlò il meccanico avvicinandosi al finestrino.
Ma… si è spenta all’improvviso e… il fumo…” balbettai imbarazzata. Il meccanico mi guardò scettico e  si allontanò per mettersi di fronte l’auto e chiudere il cofano.
Saranno i folletti del motore!” bisbigliò divertito.
Mi prendeva in giro, era lampante. Lo guardai torva e fui tentata di premere l’acceleratore e investirlo, ma un soggiorno in carcere non era il massimo.
Mi riporti all’officina, ho altro lavoro da svolgere” disse entrando nella macchina. Un altro moto di rabbia per la sua arroganza e goffamente feci partire l’auto.
Era rotta! Dal motore usciva fumo, ne sono più che certa!” dissi più a me che a lui.
Certo, come no!” rispose.
Lei non mi crede, ma era così!”
Il ragazzo rise come se avessi appena detto una barzelletta. Arrivati all’officina mi fermai e il meccanico andò via.
Grazie comunque, arrivederci” lo salutai
Arrivederci, Debora”
Mi voltai di scatto verso lui, ma era già andato via. Non avevo mai detto come mi chiamavo, come faceva a saperlo? Guardai l’officina sospettosa, mentre nella mia mente si affollavano domande su domande. Come faceva a sapere come mi chiamavo? Cos’altro sapeva? Guardai meglio l’officina e quasi mi venne un colpo, accanto all’officina si ergeva un altro edificio, una libreria:
Libreria Serrante: dal 1950
Cercai di rallentare la caduta della mia mascella per lo stupore e uscii subito dall’auto.  
Entrai nella libreria composta da alti scaffali in legno, avrei quasi apprezzato il calore che emanava quel locale ma in quel momento non era possibile,il gelo avvolgeva le mie vene. Attenta ad ogni movimento mi guardai attorno. Dietro il bancone soggiornava un uomo di media altezza e dai capelli brizzolati che mi guardava cortese.
Le serve qualcosa?” mi domandò sorridendomi. Lo osservai attentamente.
Cerco Emiliana Serrante” risposi e nel pronunciare quelle parole avvertii una lieve scossa. L’uomo mi guardò meglio e si soffermò sui miei occhi, il suo sorriso svanì lentamente.
Eccoti qui, Debora” disse mentre sul suo viso si allargava un altro tipo di sorriso più curioso. Nell'avvertire il mio nome il cuore fece un salto mentre la paura diveniva sempre più antagonista della mia curiosità.
Percorri quelle scale e prendi la prima porta a destra. Emiliana ti sta aspettando”
Aspettando? Qualcosa nel suo tono mi fece rabbrividire, ma decisi di fidarmi delle sue indicazioni. Percorsi la scala a chiocciola sentendo il mio cuore martellare, forse uno dei misteri della morte di mia madre stava per essere svelato. I gradini cigolavano sotto i miei piedi mentre il mio respiro si affannava per il panico. Giunsi in un corridoio dai mobili antichi che emanavano lo stesso calore dell'atrio e poi, con mano incerta, avvicinai il pugno alla porta che mi aveva indicato. Ero davvero pronta a scoprire ciò che era accaduto quella maledetta notte? Qualsiasi cosa fosse successa in quella stanza,ero consapevole, avrebbe cambiato la mia vita. Deglutii e bussai forte su quella porta scura.
Chi è?” domandò una voce dall’interno della stanza. Silenziosa entrai ritrovandomi dinanzi ad una signora anziana che sedeva su una sedia a dondolo.
Sei tu, Debora” disse sorridendomi lievemente.
Come…?” balbettai.
I tuoi occhi, come quelli di Amanda”.
Sei…” iniziai.
Emiliana” rispose. Era una donna di media altezza e poteva avere all’incirca sessant’anni. I capelli grigi erano raccolti in una morbida treccia e nascondevano alcune ciocche nere.
Sei così cresciuta, bambina mia. Che orrenda cosa, la morte di tua madre, ma d'altronde, era inevitabile.” Rimasi immobile senza cogliere il senso delle sue parole. Si alzò a fatica dalla sedia e rimasi ad osservarla mentre cercava qualcosa, alla fine la trovò ed estrasse, dalla libreria a muro, un libro dall’aria molto antica.
Sto per rivelarti una cosa che sconvolgerà la tua vita per sempre, cara mia. Sei pronta a sapere la verità sul mondo che ti circonda, su tua madre, sulla tua identità?” Il mio cuore tremò e non risposi. Emiliana aprì il libro ed io mi avvicinai incuriosita ad essa ignara del fatto che da quel momento in poi il mio destino sarebbe cambiato per sempre. Emiliana si sedette mostrandomi il libro ingiallito e pieno d’immagini accompagnate da didascalie lunghissime e scritte a mano. La prima immagine era un ritratto di una donna bruna e, a giudicare dall’aspetto, poteva esser vissuta nell’antico Egitto. Non riuscii a leggere nulla della didascalia accanto, perché Emiliana prese a sfogliare il libro e, per ogni pagina, vi era una foto diversa. Era come un viaggio nel tempo, attraverso dei volti.
Tutto iniziò nell’antico Egitto.” parlò Emiliana guardandomi negli occhi, non ricambiai lo sguardo, ero troppo presa dal susseguirsi delle immagini del libro.
Ghasan era un sacerdote all’epoca egizia. Aveva sette figli tutti dalla stessa moglie, alla quale era devoto. Nulla sembrava poter spezzare la loro unione tranne che Amore stesso. Quell'amore irrazionale, folle, che coglie all'improvviso e che Ghasan trovò negli occhi di una umile contadina. La donna si chiamava Anbar ed egli l'amo come non aveva mai fatto, ma quell'amore così bello quanto maledetto era destinato a morire.” Emiliana socchiuse gli occhi presa dal racconto che per me non aveva alcun senso.
Anbar, si ammalò gravemente e morì giovane. Quando, il sacerdote Ghasan ,seppe della sua morte perse il senno e decise di riportare Anbar nel regno dei vivi. Ma, nel fare questo il Dio della morte, Anubi, adirato dall’ avaro desiderio di Ghasan , inviò trenta demoni per sterminare la sua stirpe. Ghasan, cercò inutilmente di nascondere la sua famiglia, ma tutto ciò che aveva di più caro morì. Così anche lui si tolse la vita, in una notte di pioggia, sperando di raggiungere la sua amata Anbar. L'amore di Anbar e Ghasan aveva donato vita ad una bambina,Hadiya.
Della sua nascita il sacerdote Ghasan non seppe mai nulla e ciò permise alla bambina di nascondersi dai demoni rimasti sulla terra per terminare il loro compito, ed eliminare la stirpe di Ghasan per sempre. La bambina venne cresciuta dalla sorella della madre, che scoprì l’amore segreto tra sua sorella e il sacerdote e la maledizione che aveva ereditato la piccola. Così Hadiya venne educata come una guerriera, una cacciatrice!”


Cacciatrice?” domandai perplessa.
Sì, cacciatrice di Demoni” rispose. La guardai scettica, ma paziente continuai ad ascoltarla.
Finché tutti i demoni non saranno riportati nel mondo degli inferi, la stirpe di Ghasan non avrà mai pace !” Terminò Emiliana posando lo sguardo sul libro che ora ritraeva un uomo degli anni 60’.
E con questo cosa vorresti dire?” domandai guardando il libro.
Da Hadiya il compito di cacciare i demoni si tramanda di generazione in generazione, fino ai giorni nostri” rispose Emiliana girando la pagina del libro e guardandomi dritta negli occhi. Guardai la pagina ed il cuore si fermò per un istante nel vedere la foto nel libro. Una donna bionda mi guardava con i miei stessi occhi, mia madre sorrideva dalla foto. Guardai Emiliana spaventata, il mio cervello stava automaticamente collegando tutti i punti e il mistero si stava rapidamente svelando sotto i miei occhi. Ecco perché tutti quei sogni , quella sensazione che spesso avevo di essere osservata, ma tutto ciò non poteva essere possibile.
Mi stai dicendo che …” iniziai ma Emiliana mi interruppe annuendo con il capo.
Sei tu l’ultima erede di Ghasan, tu sei una cacciatrice di demoni”
La guardai ed automaticamente indietreggiai spaventata dalle sue parole.
Non è possibile!” dissi.
Fidati, non sono pazza, credimi.”
No no, lo sei!” risposi sconvolta allontanandomi un po' da Emiliana
Tua madre è stata uccisa da un demone, per questo i margini della sua ferita sono bruciati, per questo lei mancava per settimane, cacciava demoni!” parlò Emiliana alzandosi dalla sedia per raggiungermi.
No!” esclamai io.
Credimi, hai anche tu la traccia.” continuò a parlare Emiliana
La traccia?” domandai mentre lei si avvicinava a me.
La traccia!” esclamò sfilandomi la sciarpa e toccandomi una piccola voglia che avevo sulla nuca.
No, non è vero!” gridai e scappai via da quella stanza, lasciando Emiliana sola a gridarmi:
Tornerai, ben presto! Non puoi scappare al tuo destino, lui ti prenderà!”
Percorsi le scale e mi precipitai alla porta del negozio correndo via. Entrai in macchina e accesi il motore velocemente, per poi partire a tutta velocità.
No, non può essere vero! Era solo una maniaca che collezionava foto!
E allora come poteva sapere di mia madre? O della mia voglia sul collo? E del mio nome!
Non ne ho idea, ma di certo non sono una cacciatrice di demoni e neanche mia madre lo era mai stata!
Interruppi il mio monologo interiore per cercare nella borsa le chiavi di casa di mia madre: avevo bisogno di risposte e quale posto migliore? Rovistai un po’ nella borsa ed entusiasta le tirai fuori mostrandole come un trofeo, ma la ricerca delle chiavi aveva rubato troppa concentrazione alla guida. Infatti appena tornai con gli occhi sulla strada mi accorsi troppo tardi che dinanzi a me c’era un uomo. Cercai di frenare, ma la mia macchina non fu agile come speravo e lo travolse in pieno. Urlai con tutte la voce che avevo quando vidi il suo corpo spiaccicarsi sul mio vetro fracassandolo. Fermai l’auto e spaventata scesi non sapendo cosa fare. Il corpo sul mio vetro non dava segni di essere ancora vivo e il mio cuore batteva così forte da fare male. Mi guardai attorno cercando qualcuno che mi potesse aiutare, ma non c’era nessuno. Mi accorsi che stavo sanguinando quando, asciugandomi gli occhi, la mia mano si sporcò di sangue.
Aiuto!” gridai senza riuscire a riflettere, volevo solo che l’uomo sulla mia auto si alzasse. Cercai di pensare e ricordai di avere un cellulare. Spaventata corsi verso l’auto ed afferrai la borsa. Cercai il mio cellulare senza alcun successo per poi ricordarmi di averlo in tasca. Lo afferrai e composi il numero 118, stavo per chiamare quando notai che il corpo dell’uomo era sparito. Mi guardai attorno, ma non vi era nessuno tranne me in quella strada buia. La paura si fece strada in me, avevo appena investito un uomo che ora era sparito. Continuai a guardarmi intorno quando una mano fredda mi afferrò per il collo sollevandomi da terra. Guardai in faccia il mio aggressore dagli occhi rossi, il volto bianco e la bocca spalancata in un sorriso maligno. Cercai di gridare, ma la paura era tale da riuscire ad immobilizzare anche le mie corde vocali.
L'ultima Ghasan!” esclamò una voce profonda e maligna.
Ghasan? No, non poteva essere!
Guardai ancora il volto dell’aggressore, che perdeva sempre più i suoi tratti umani, e capii che ero spacciata. Cercai di divincolarmi, ma possedeva una tale forza da fermare ogni mio movimento. Strinse forte la presa sul mio collo e l’aria iniziò a mancare. Più stringeva la mano e più diventava rovente. Rideva compiaciuto ed io cercavo di divincolarmi sempre più, quando un rumore mi salvò la vita. Appena l’essere lo udì smise di stringere la mia gola e si voltò lasciandomi e scappò via ringhiando e scomparendo nel nulla pochi metri lontani da me. Mi guardai attorno cercando la fonte del rumore, ma non vi era più nessuno. Corsi nella macchina e scappai da quel posto.
Giunsi a casa di mia madre ansimando e piangendo. Non capivo cosa succedeva, prima Emiliana Serrante, poi l’aggressione. Poggiai la testa sul volante lasciandomi travolgere dalle lacrime di paura mentre il vento freddo di Novembre entrava nell’auto dal grosso buco che il corpo di quell’ essere aveva creato sul mio vetro. Cercai di calmare il mio respiro e uscii dall’auto correndo verso la porta di casa di mia madre. Era una casa molto grande e antica, nell’ingresso i ritratti e i vecchi mobili erano impolverati e nel salone il caminetto spento dava un aria morta ad ogni cosa. Nulla era cambiato, i tappeti, i mobili, l’odore erano sempre gli stessi, eppure tutto non era più come prima, ero io ad essere cambiata. Mi sedetti sul divanetto del salotto osservando il grosso tappeto dinanzi il caminetto, quante ore di fantasia e gioco avevo passato da piccola in quel esatto punto. Socchiusi gli occhi e quasi riuscii a sentire l’odore dei biscotti proveniente dalla cucina di mia madre mentre io studiavo sdraiata su quel caldo tappeto. Non riuscii a capire cosa provavo davvero ad essere di nuovo li, tutto era impolverato e buio, ma era pur sempre casa mia. Ero triste, spaventata, felice, rabbiosa ma soprattutto nostalgica. Mi ricordai di sanguinare e guardai la mia mano percorsa da un profondo taglio da sinistra verso destra. Uscii dal salotto e mi recai nel bagno dove erano ancora depositate le asciugamani. Ne presi una nella quale avvolsi la mia mano sanguinante. Rimasi seduta ad osservare il nulla cercando di trovare il coraggio di entrare nella stanza accanto al bagno. Ero consapevole dei ricordi che avrebbero inevitabilmente aggredito la mia mente, ma era fondamentale. Così sospirai ed entrai nella stanza di mia madre. Mi recai alla finestra ed aprii le persiane facendo si che un po’ di luce toccasse le pareti di quelle mura, mi voltai e vidi il grande letto in cui mia madre ogni notte dormiva sola. Avevo perso mio padre quando avevo solo due anni, e i miei ricordi di lui erano pochissimi e molto vaghi. Ricordavo i giochi che facevo con lui e la felicità nel vederlo ritornare dal lavoro la sera. Quel pensiero mi fece sentire ancora peggio, ero sola. Guardai il comodino di mia madre che era pieno di gioielli, foto e lampade. Presi una foto dal comodino che ritraeva lei e una bambina di circa cinque anni abbracciate. Sorrisi a me stessa da piccola e a mia madre che giovane mi baciava sulla guancia. Mi guardai attorno e notai che il vecchio armadio di mia madre aveva un anta aperta. L’anta che era sempre stata bloccata, misteriosamente, questa volta lasciava mostrare il suo contenuto. Mi avvicinai cauta all’armadio in cui un grosso specchio splendeva dinanzi a me. Non vi erano ripiani o oggetti in quella parte dell’armadio, solo un grandissimo specchio animato dal mio riflesso. Notai che infilata nella toppa dell’anta vi era una chiave e capii. L’anta era perfettamente funzionante,non era mai stata bloccata, mia madre aveva nascosto la chiave, ma a quale scopo? Mi avvicinai allo specchio e lo esaminai meglio, non era completamente attaccato al muro, ma sul lato destro vi era una cerniera come se quello specchio fosse una porta. Afferrai il bordo e curiosa tirai un po’, lo specchio si mosse di poco, ma non si aprì. Ero più che convinta che dietro quello specchio ci fosse qualcosa d’importante, che mia madre mi aveva nascosto. Continuai a tirare lo specchio cercando di rimuoverlo dal fondo dell’armadio, ma fu quasi inutile. Guardai meglio lo specchio e notai che nell’angolo superiore vi era un piccolo segno quadrato. Mi allungai per toccarlo e notai che quel pezzo di specchio era leggermente rialzato. Tastandolo arrivai all’angolo superiore del quadratino e lo afferrai tirandolo via. Quel quadratino di specchio si aprì e mi mostrò una serratura dall’aria molto antica. Il mio cuore fece un balzo ed io arretrai, come sospettavo quello specchio era una porta. D'improvviso tutto fu chiaro e corsi nella macchina e per arrivare a casa mia, quindici minuti dopo ero tornato davanti allo specchio, con la chiave che mia madre mi aveva lasciato, pronta a scoprirne i suoi segreti. Infilai nella toppa la chiave e la girai sicura di ciò che stavo facendo, meritavo delle risposte. Si udì uno scatto e lo specchio si aprì. Dietro quello specchio vi era una stanza buia di cui non sapevo neanche l'esistenza. Entrai, la curiosità aveva vinto la paura già da un po', in quel buio opprimente. L'aria puzzava di polvere e il silenzio regnava imperterrito e misterioso. Ogni passo che facevo in quella stanza era un passo in più verso la verità, non sulla morte di mia madre, ma sulla sua vera identità. Ad un certo punto un dubbio atroce risalì alla mia coscienza, era l'identità di mia madre che stavo per scoprire o la mia? La risposta giunse da sé quando finalmente trovai un interruttore e accesi la luce. Nel silenzio i miei battiti erano udibili, forti e ben scanditi. Dinanzi a me vi era una scrivania, dove giaceva un pezzetto di carta. Raggiunsi di corsa il tavolo dall'aria instabile e afferrai la carta riconoscendo subito la grafia con cui era stata riempita.
Per Debora
Sotto il foglio vi era una pietra smeraldo incorniciata da oro. Era grande circa sette centimetri e dall'aria preziosa. Mi sedetti sulla sedia che era accanto al tavolo e contemplai la pietra. Non riuscii a capire perché mia madre l'avesse lasciata a me e non l'avesse messa nello scatolone. La pepita brillava sotto la flebile lampada e mi abbagliava con la sua verde lucentezza. Nella pietra distinsi il riflesso del mio viso confuso. Alzai il capo guardandomi intorno, ma la stanza sembrava non custodire altro. Poi improvvisamente mi sentii osservata e strinsi più forte la pietra nella mano. Mi voltai di scatto e gridai dalla paura nel ritrovare un volto barbuto e bianco come il latte che mi fissava vuoto. Dopo pochi istanti capii che era una bizzarra statua a mezzo busto. Mi avvicinai contemplandola, doveva essere Ghasan, il responsabile di quel che stava accadendo. Lui, la persona che forse aveva rovinato la mia vita, che aveva causato la morta di mia madre... La rabbia prese il sopravvento sferrai un pugno, con la mano che non sanguinava,dritto sul suo volto.
Cazzo!” gemetti stringendomi la mano dolorante, che stupida, avevo davvero intenzione di ferire una statua?!
Sentii un rumore e scattai subito. La testa di Ghasan si era voltata all'indietro e all'improvviso le pareti si voltarono come una scena di un film. Le nude pareti vennero rimpiazzate da librerie colme di libri, scaffali pieni di …
Armi?!” esclamai mentre la mia mascella inferiore raggiungeva il pavimento.
Li scaffali erano colmi di armi di ogni genere: balestre, pistole, pugnali, fucili...
Mi avvicinai sentendomi come in casa di un killer e afferrai la balestra. Alla punta della grande freccia,che era caricata sull'arco di legno,vi era una fialette di liquido incolore. Tutte le armi erano caricate allo stesso modo da fialette dello stesso liquido. Estrassi una fialetta dalla pistola e togliendone il tappo respirai il suo aroma. Era nient'altro che acqua. Ma perché caricare armi così letali di acqua? Non riuscivo a capire, eppure sentivo la soluzione alla mia domanda ciondolare sulla mia testa e all'improvviso la consapevolezza di quel che era accaduto mi cadde addosso. La fialetta sfuggì alle mie mani e cadde a terra infrangendosi in mille pezzi.
Contro un demone quale arma migliore dell'acqua santa?
Era tutto vero. Mia madre era una cacciatrice di demoni e io lo ero appena diventata! Mi appoggia alla parete e scivolai lentamente lungo di questa fino a ritrovarmi seduta per terra. Sentii una morsa allo stomaco e un senso di rabbia nei confronti di mia madre o semplicemente verso il destino. Era quindi quello il mio disegno? Il progetto che Dio aveva fatto per me? Rendermi un mezzo per distruggere il male dal mondo? Ripensai alla mia vita prima della morte di mia madre, ero una ragazza comune, che amava la compagnia ed era felice di essere se stessa. E ora? Sentivo solo che il mondo si era opposto a me e alla mia felicità. Il destino mi aveva appena imposto la sua folle danza. Potevo scappare , ma il destino è egoista e ciò che vuole prende senza chiedere. Oppure potevo sfidarlo sfacciatamente e lanciarmi nella sua danza. La paura si sostituì ad un emozione molto simile alla grinta e alzandomi per terra accettai la sfida. Debora, la cacciatrice di demoni!

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Capitolo 4
*** La storia di Emiliana ***


La storia di Emiliana
                                            La storia di Emiliana
La mattina arrivò in un attimo ed io non avevo chiuso occhio. C'era così tanto da scoprire. Dovevo sapere il più possibile sui demoni, non potevo liberare il mondo da una cosa che non conoscevo affatto. Perciò passai tutta la nottata a leggere tutti i libri che mia madre aveva nascosto dove non si parlava altro che di demoni, della loro origine, dei loro poteri e, soprattutto, di come eliminarli.
Un altro motivo che rese la mia notte priva di sonno era il senso di rabbia che provavo verso mia madre. Mi aveva lasciata con una missione quasi impossibile da terminare e neanche uno straccio di indizio. La grinta della sera prima aveva velocemente lasciato il posto alla confusione. Non sapevo neanche da dove iniziare la mia ricerca, ma sapevo che, se mia madre mi aveva lasciato determinati oggetti, voleva solo significare che essi celavano un indizio. Il puzzle della mia identità era quasi terminato, ma quello della mia missione no.
Novembre passava, ma io ero ad un punto morto nelle mie ricerche così come lo ero nel trovare un lavoro. Avevo consultato giornali, cercato su siti internet, chiesto ad amici, ma non trovavo nessuna occupazione. Ero stata stupida a lasciare il mio lavoro alla banca.
Una mattina particolarmente fredda gironzolavo tra le stradine con le buste della spesa quando mi imbattei nella libreria Serrante. Non avevo più messo piede in quel negozio accogliente, magari avrei dovuto dare delle scuse ad Emiliana. In fin dei conti ero scappata via come se fosse pazza. Rimasi immobile a fissare il negozietto per un po', finché non avvertii la strana sensazione di essere osservata. Mi voltai e vidi un paio d'occhi di uno strano punto di marrone che mi fissavano ardenti. Il ragazzo che mi aveva accompagnata alla mia auto quando essa sembrava rotta poggiava sul muro accanto. Aveva le braccia scoperte nonostante il freddo di quella mattina e uno strofinaccio poggiato sulle spalle muscolose. L'avrei anche valutato attraente se non fosse per quel ghigno insopportabile che aveva stampato in faccia. Sbuffai vistosamente, odiavo essere osservata! Continuai a contemplare il negozietto indecisa se entrare o meno, quando il ragazzo parlò.
Sì, dovresti entrare!”
Sgranai gli occhi e mi voltai stupita. Come faceva a sapere …
C-cosa?” balbettai voltandomi così velocemente da farmi male il collo.
Bé, prima di tutto temo che tu diventi un ghiacciolo” rispose senza abbandonare il suo stupido ghigno e avvicinandosi a me di qualche passo “e poi cercano una commessa”.
Di nuovo i miei occhi uscirono dalle orbite.
Non cerco un lavoro” mentii spudoratamente. Lui alzò un sopracciglio e rise. La sua risata era melodiosa e irritante nello stesso tempo. Come diavolo faceva a sapere che cercavo un lavoro? Si vedeva così tanto che non avevo decisamente nulla da fare?! Stavo cercando qualcosa da dire, ma un altra voce giunse alle mie spalle
Deb!”
Mi voltai lentamente, stranamente voltare le spalle a quel ragazzo era difficile. Alba mi correva incontro affannata, con il viso rosso e frustato dal vento.
Ciao” la salutai abbracciandola.
Sei sparita, non ti vedo da una vita!” mi rimproverò lei perforandomi con i suoi occhi indagatori.
Bé, ho avuto da fare” risposi a mo di scusa, ma qualcosa mi fece pensare che Alba sapeva che mentivo. Era proprio quello il problema, avevo bisogno di un impiego, mi avrebbe distratta dal fallimento della mia vita.
Cosa?” mi chiese impertinente Alba.
Ehm... si, pulire casa, cercare un lavoro, sai quel genere di cose ...” balbettai, ma Alba non mi ascoltava più. Guardava un punto alle mie spalle mordicchiandosi il labbro maliziosa. Guardai la direzione del suo sguardo e capii esattamente cosa attraeva l'attenzione di Alba. Il ragazzo dell'officina sembrava compiaciuto delle sue attenzioni, così tanto da avvicinarsi a lei a presentarsi.
Alexander” disse porgendo la mano, appena ripulita con il suo strofinaccio, ad Alba.
Lei sorrise e afferrò la sua mano.
Alba” rispose con una risatina degna di una quattordicenne. Alzai gli occhi al cielo mentre Alexander baciava la mano di Alba. Lei arrossì confusa da quel gesto di estrema,ECCESSIVA, galanteria.
Che nome insolito” commentò Alba senza smettere di sorridere.
Lui inclinò la testa e regalò ad Alba un sorriso che le mozzò il respiro.
Ho origini Egiziane” rispose “mia madre è egiziana”
Interessante” commentò Alba sorridendo smielata. Non potevo restare tra quei due, lei era troppo dolce e lui era un gran mascalzone. Non c'era un motivo preciso per la mia definizione, ma tutto di lui mi gridava che non sbagliavo sul suo conto.
Bene, io entro un attimo in quella libreria” annunciai ad Alba senza guardare Alexander.
Certo, certo” rispose Alba distratta mentre io entravo nella libreria.
Era esattamente come l'ultima volta che ero entrata, ma io ero una persona diversa. Più consapevole del mio destino e meno sicura di me stessa. Quando entrai uno scaccia pensieri vibrò suonando ed annunciando il mio ingresso. L'uomo brizzolato dietro la cassa mi guardò e sorrise gentile senza smettere di digitare sulla cassa. Rimasi ferma a guardarlo in silenzio, non sapevo cosa dire esattamente. Mentre meditavo sul da fare un anziana signora dai capelli grigi raccolti in una treccia morbida fece il suo ingresso dalle scale a chiocciola dietro il bancone. Aveva l'aria stanca, ma quando si accorse di me le sue labbra si aprirono in un sorriso dolce.
Mia cara ragazza” disse alzando un braccio per afferrarmi la mano mentre mi raggiungeva. La strinsi nella mia e dissi tremante
Mi dispiace per il mio comportamento dell'altra sera. Avrei dovuto crederti ...”
Non preoccuparti, è stata una reazione normalissima” mi interruppe indicandomi una sedia. Io mi sedetti e guardai gli occhi grigi di Emiliana. Il suo volto era segnato da rughe ma celavano un volto bello e regolare. Doveva essere stata una ragazza bellissima da giovane. Mi offrì dei biscotti ed io mi chiesi come mai mia madre non mi aveva mai parlato di lei.
Come mai sai tutte queste cose sui demoni?” chiesi senza neanche darle il tempo di sedersi. Lei sorrise ancora e si sedette accanto a me.
Bé, è una storia lunga da raccontare, ma se hai tempo...”
Annuii curiosa e lei socchiuse gli occhi tuffandosi in chissà quali ricordi.
Era l'anno 1965, avevo diciott'anni, ero poco più di una bambina, ma mi sentivo già una donna” iniziò a raccontarmi “quell'anno passai l'estate più bella della mia vita, ma tutto ciò che è bello purtroppo ha un brutto vizio: termina.
Andai a stare un po' con la mia vecchia zia acquisita, con lei non vi erano regole, amava la libertà e non la negava neanche a me. Fu un estate afosa, e il mio cuore non ha mai battuto tanto come in quei momenti. Conobbi un ragazzo bellissimo, Roberto. Me ne innamorai subito, ma lui ostentava indifferenza verso di me. Non capivo, ero giovane e, detto tra noi, anche un po' stupida. Ero una ragazza bellissima e nella mia vanità era inaccettabile rimanere indifferente ad un ragazzo.
Quella sua indifferenza riuscì tuttavia ad attrarmi più di quanto faceva il suo sguardo e la sua travolgente bellezza. Così lottai, finché non ottenni ciò che volevo. Io e lui vivemmo un amore segreto, ma esso bruciava più veloce di noi.” mentre raccontava improvvisamente ebbi l'immagine chiara di una giovane ragazza bella e spensierata. Quanto l'aveva cambiata il tempo. Ora le rughe celavano la sua storia tormentata, e la spensieratezza era appassita come una bella rosa.
Eravamo totalmente persi l'un dell'altro, ma c'era qualcosa che ci teneva sempre distanti. Non sapevo nulla sul suo conto. Ogni volta che chiedevo qualcosa in più sulla sua vita, lui si chiudeva in se stesso, e parlare era quasi impossibile. Spesso spariva, e non lo rivedevo per giorni, e quando ricompariva aveva sempre l'aria di essere stanco, malato. Bé, la nostra storia correva così, tra alti e bassi, era una tortura dolcissima per me. Alla fine dell'estate però accadde una cosa che cambiò tutto per sempre.” Si interruppe e lo sguardo nostalgico, che aveva avuto Emiliana mentre raccontava la sua storia, lasciò posto ad uno sguardo di rabbia e di paura.
Un giorno ritornai a casa della mia zia dopo una serata con delle mie amiche. Appena varcai la soglia di casa avvertii la sensazione che qualcosa di grave era accaduto. Entrai nel salotto e trovai mia zia, con un buco in petto, gli occhi sbarrati e vuoti e il volto sporco di sangue.
Vicino a lei c'era lui, Roberto. Aveva le mani sporche di sangue e gli occhi che un tempo erano verdi in quel momento erano di un rosso intenso.”
Fece una pausa e percepii tutto il suo dolore nel ricordare quel che era accaduto. Con il pollice si asciugò una lacrima e ricomponendosi un po' continuò
Appena mi vide non scappò via, cercò di giustificarsi. Mi raccontò che non poteva sfuggire alla sua missione, che lui era un demone, che doveva uccidere la cacciatrice e mi informò che mia zia lo era. Non credetti ad una sola parola, quel mio affascinante angelo misterioso era diventato un mostro ai miei occhi. Gli gridai addosso, cercai con tutta me stessa di fargli del male, ma lui schivava ogni mio colpo. Così dopo avermi implorato più volte di perdonarlo scappò via devastato, lasciandomi al mio straziante dolore. Come ben sai, il compito di uccidere i demoni si tramanda di padre in figlio, così mio cugino ebbe questo incarico. Quando si confidò con me ebbi quasi un colpo. Mi fece vedere la lettera che aveva lasciato mia zia a lui in cui spiegava chi fosse realmente e chi era diventato lui e credetti a tutto ciò che mi aveva detto Roberto.
Da quel momento decisi di aiutarlo e iniziai a ricercare tutto ciò che potevo sui demoni, il mio desiderio di vendetta bruciava come non mai.
Quello che allora non capivo era che ciò che volevo vendicare non era mia zia, ma il mio amore spezzato così brutalmente.”
Rimasi in silenzio per un po' stringendo i pugni.
Lui alla fine è mai tornato da te?” domandai con tutta la delicatezza possibile. Emiliana non mi guardò e con il capo basso rispose
Si, dopo ben tredici anni. Io ero ormai una donna sposata e con due meravigliosi figli.” Lanciò uno sguardo fiero all'uomo brizzolato che si stava occupando della clientela.
Tornò da me e si dichiarò pentito. Ma io avevo raccolto così tante informazioni sui demoni da sapere che non era nella loro natura il pentimento. Lo odiavo con tutta me stessa, per il male che aveva inflitto a me e ai miei cari, ma quando lo vidi non riuscii ad impedire al mio cuore di tremare come quando ci incontravamo segretamente in quella così strana estate. Ma resistetti ai bei ricordi che rievocava quel viso, e negai il mio perdono. Mi disse che aveva una dannazione, non quella di essere un demone, ma quella di avermi perso. Così quella sera, sotto i miei occhi, Roberto si uccise.”
E come?” chiesi stupita.
Si accoltellò con uno dei pugnali che la famiglia di mia zia custodiva da generazioni. Questi pugnali avevano e hanno il potere di uccidere i demoni. Sicuramente tua madre te l'avrà detto o lasciato per scritto”
Mi si formò un nodo in gola, no, mia madre non aveva scritto nulla per me. Mi sentii estremamente sola, non sapevo nulla, come facevo a essere pronta per una missione così importante. Emiliana strinse ancora la mia mano e disse tornando la signora anziana e dall'aria gentile di sempre.
Non sei sola, Emiliana. Ci sono io con te. Ti aiuterò come ho fatto con tutte le cacciatrici dall'età di diciott'anni. Non temere.”
L'abbracciai forte e finalmente mi sentii protetta come non mi sentivo più da troppo tempo. Quell'abbraccio sembrò durare un eternità, e quando ci staccammo sentii che tra me e Emiliana si era instaurato un forte legame.
Grazie, di tutto! Davvero, non so come farei senza di te. Grazie” dissi alzandomi e dirigendomi alla porta.
Di nulla ragazza mia, vieni qui quando vuoi. Considera questa vecchia libreria una seconda casa. Se hai bisogno di qualsiasi cosa, basta chiedere” disse con leggerezza. Le sorrisi mentre afferravo la maniglia della porta d'uscita.
Su di essa vi era un cartello con su scritto: CERCASI COMMESSA. Alexander aveva ragione, avrei potuto ottenere un lavoro per la libreria.
Bé, effettivamente vorrei chiedere un altra cosa” dissi guardando Emiliana che mi sorrideva cordiale
Qualunque cosa” rispose Emiliana.
Indicai il cartello e lei sorrise comprendendo ciò che volevo dire.
Considerati assunta! Ci vediamo domani mattina alle otto qui!”
Sorrisi sollevata. Finalmente un lavoro! Ringraziai ancora e uscii dal negozio.
L'aria fredda mi fece tremare e rimpiangere il caldo tepore della libreria Serrante. Alba e Alexander erano ancora fuori a chiacchierare e quando mi vide arrivare la prima esclamò
Ehi ci hai messo una vita!”
Già” ammisi aggiustandomi il mio cappello di lana.
Cosa hai fatto li dentro?” mi domandò Alba
Sono appena stata assunta come commessa nella libreria!” annunciai felice e Alba mi abbracciò forte.
Ma davvero?!” fece sarcastico Alexander. Lo guardai torva mentre lui ridacchiava. “Allora avevo ragione”
Non sopportavo il fatto che avesse ragione, e perciò decisi di ignorarlo.
Io devo proprio andare” annunciai ad Alba.
Vengo con te” cinguettò lei seguendomi senza smettere di guardare Alexander.
Allora ci sentiamo, magari un giorno usciamo insieme” parlò quest'ultimo rivolto ad Alba
Ma certo, chiamami quando vuoi!” rispose lei ammiccando. Io ebbi un conato di vomito per tutta quelle smancerie gratuita. Entrando in macchina Alba si voltò verso di me e fece ridacchiando
Ho il numero di Alexander!”
Ho un lavoro!” esclamai facendole il verso. Lei mi fece la linguaccia sapendo quanto la odiavo quando si comportava come una quattordicenne, ma cosa potevo farci, era la mia migliore amica!
Sospirai e partii con Alba al mio fianco, un nuovo lavoro, nuove informazioni e una buona dose di autostima riconquistata.

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