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“Vedo che ti sei abituata signorina Sun” Il capo mi guardava con aria
soddisfatta, poi si rivolse al signor J: “Tu! Non aiuti mai la signorina Sun e
dovresti essere il suo collega?! Se continui così o ti licenzio o ti mando ai
piani più bassi!” Io difesi subito il signor J: “No,no,no,no! Capo! Mi sta
aiutando benissimo e poi ha trovato una prova importante! Sto bene con lui, non
licenziatelo!” lui mi rispose che ogni mio desiderio per lui è un onore
realizzarlo e ci mandò via dalla stanza.
Io mi chiamo Jane, Jane Sun, ho quattordici anni e sono un’investigatrice di
alto livello, mi annoio facilmente, ho risolto ventisei casi con il mio collega
Fill Jonson, il così detto il signor J che ha diciotto anni; sinceramente i casi
li risolvo subito io senza l’aiuto di Fill ma, ormai sono abituata a stare con
lui quindi... non voglio che lo licenzino! Voi penserete che è impossibile
avere un lavoro a soli quattordici anni, che sono così intelligente, che non ho
bisogno di un collega che però devo avere accanto, che ho risolto ventisei casi
e che mi annoio facilmente ma, vi spiego tutto quanto subito: all’elementari,
in seconda, mi hanno subito fatta andare alle medie perché sapevo praticamente
tutto, alle medie, in prima, mi hanno mandato alle superiori e lì in terza mi
sono laureata; quindi ho cominciato a fare il detective a undici o dodici anni
e sono l’investigatrice più giovane e intelligente del mondo!
“Grazie signorina Sun.” Io guardai Fill un po’ imbarazzata ma dopo urlai dandogli
un pugno: “Ti ho sempre detto che mi devi chiamare Jane! Poi ti dico sempre che
per me è un piacere difendere gli altri!” Lui mi guardò spaventato e poi scappò
via. Sarà andato a chiedere un caso: fa sempre così.
Andai nel mio ufficio a bere una tazza di the e, non feci neanche in tempo a
sedermi che Fill aprì la porta e urlò che aveva trovato un caso difficilissimo.
Io guardai la cartella del caso che Fill mi aveva dato e c’era scritto: “Nome
della vittima: Jessica Nose, una ragazza fidanzata e un’attrice famosa; Causa
del decesso: accoltellata e sparata alla testa; Sospettato: Kim Flower la
protagonista di “Stelle di Amore”; Testimoni: Jack Summer che dice di aver
visto l’imputata accoltellare la vittima facendola cadere a terra: non ha visto
nessuna pistola; Jim Tomarrow che dice di aver visto l’imputata entrare nella
camera e sparare alla vittima ma il coltello era già conficcato nella testa;
Mina Nine che ha visto l’imputata entrare nella stanza e chiudere a chiave la
porta senza che nessuno entrasse: dopo è uscita con una pistola in mano; Prove:
solo un divano macchiato di sangue, una pistola e un coltello”
“Ovvio, gli assassini sono Jack Summer e Jim Tomarrow”
affermai.
Lui esclamò un forte: “Cosa?!”
Io mi misi a spiegare: “Ho detto che sono Jack Summer e Jim
Tomarrow! Ti lavi le orecchie di mattina? Adesso ti spiego: il signor Summer
dice di aver visto l’imputata accoltellare la vittima e per poi farla cadere a
terra ma non ha visto la pistola e per questo... questa testimonianza
contraddice quella di Mina Nine!”
Il mio collega esclamò nuovamente: “Cosa?! Va bene che ti
vanti di essere la più intelligente però, non ti sembra di esagerare?”
“Nient’affatto! Il testimone dice di aver visto l’imputata
accoltellare la vittima ma Mina Nine dice che la porta è stata chiusa a chiave
dopo essere entrata! Riguardo a Jim Tomarrow vale la stessa cosa perché anche
lui non avrebbe potuto vederla! Quindi possiamo concludere che la signora Nine
ha visto entrare Jack Summer travestito dalla protagonista di “Stelle di Amore”
mentre il signor Tomarrow era già nella camera nascosto dietro al divano e,
quando l’ha accoltellata, è arrivato il signor Summer chiudendo la porta a
chiave e ha lasciato il vestito a Jim Tomarrow il quale se n’è andato quando
Summer ha sparato! Così Jim ha lasciato il suo complice lì che poteva fare da
testimone. Ecco fatto il tuo caso “difficilissimo” risolto senza vedere né la
foto dei testimoni o averli interrogati!” risposi.
Fill non aprì bocca e rimase di pietra. Io me ne andai
dall’ufficio perché ormai si era fatta notte e dormii.
Mi svegliai di colpo alle 5:00 di mattina e chiamai Fill al telefono e gli
dissi che era una cosa urgente e di svegliarsi, poi gli dissi che ci dovevamo
incontrare alle 5:30 in ufficio.
All’ora data ci incontrammo: “Ci deve essere un motivo!
Perché ha ucciso la vittima? Ci deve essere un movente...” esclamai
preoccupata.
“Hai ragione ma, perché mi hai chiamato a quest’ora?
Potevamo parlarne tranquillamente in ufficio alle 9:00!” replicò Fill.
“Non c’è tempo! Il processo in tribunale inizierà alle 8:00!
E senza un movente il signor Summer e il signor Tomarrow non saranno dichiarati
colpevoli! Ma che movente ci sarebbe...”
Lui mi rispose con aria incredula: “Scusa, solo perché non
c’è un movente tutto il tuo ragionamento non avrebbe senso? Beh, forse lo so io
il movente; ho cercato su internet e ho trovato questa...”
Fill mi passò un foglio su cui c’era scritto che la
protagonista di “Stelle di Amore” aveva due fidanzati un tempo.
“Così si risolverebbe tutto, ovvero che i due fidanzati che
aveva prima hanno saputo che si era fidanzata di nuovo e poi l’hanno uccisa.”
Io mi rivolsi a lui dicendo con un sorrisetto: “Dopo tutto non sei male Fill:
mi hai aiutata, grazie e da questo foglio alla difesa.”
Così io e Fill andammo nelle nostre case a dormire per sole
3 ore.
Mi alzai alle 8:00 e andai subito in ufficio ma, con mia grande sorpresa il
capo ci chiamò (ancora) nel suo ufficio: che cosa vorrà mai ancora quell’uomo
di mezza età?
Io e Fill andammo in ufficio ma, questa volta il capo non ha sgridato Fill,
anzi, ha dato una medaglia a me e a lui perché avevamo risolto il caso insieme
e non come tutte le altre volte che risolvevo solo io i casi! Per me
questa medaglia era la ventisettesima, per Fill, invece, la prima.
Fill saltava dalla gioia e andò nel suo ufficio e, ecco che vide un morto sopra
la sua sedia.
Non si mise ad urlare di paura, fece finta di niente e,
toccò l’arma del delitto. Così la polizia arrivò sulla scena del delitto e
videro Fill con in mano l’arma. Qualcuno aveva chiamato la polizia e non era
affatto lui.
Lo arrestarono, lui si spaventò a morte e, allora, si mise a
urlare: “Noooooooooo! Non sono stato io! Lasciatemi, mi stavo per sedere; mi
sono dimenticato di mettermi i guanti, volevo solo analizzare l’arma del
delitto!”
Io guardai subito Fill; lo guardai da lontano e lo salutai
lievemente con la mano sorridendo; lui ci rimase di sasso e non urlò più perché
pensava che io l’avrei salvato invece l’ho solo salutato.
Cominciai le indagini mezz’ora dopo; prima di tutto iniziai a guardare la scena
del crimine: l’ufficio dell’imputato.
All’inizio i poliziotti non mi fecero passare ma, quando
mostrai a loro il mio distintivo, si scusarono e mi lasciarono andare a
guardare i fatti. Analizzai prima di tutto l’arma del delitto: un pugnale, come
immaginavo aveva le impronti digitali di Fill; ma la guardai meglio e vidi del
sangue non sulla lama ma sul manico dell’arma. Io feci finta di niente e non
dissi nulla alla polizia perché, altrimenti, avrebbero continuato a fare foto
per mostrarla come prova e se la sarebbero presa tutta per sé, così possono
prendersi loro il merito di averla trovata come prova: questo mi da sui nervi
perché io l’ho trovata non loro.
Guardai in seguito vicino a dove era il cadavere e notai del sangue con una
forma “strana”: aveva due ovali, uno in orizzontale e l’altro in verticale
tutti e due attaccati.
Sulla scena del delitto per ora non trovai più nulla così andai al Centro di
Detenzione a trovare Fill.
Arrivai al posto e chiesi a un poliziotto se potevo parlare con il signor Fill
Jonson: un imputato non ancora colpevole; lui mi guardò e disse: “Oh, ma lei è
la signorina Sun! Mi scusi per non averla riconosciuta subito! A proposito io
mi chiamo Nigel Black, il poliziotto del Centro di Detenzione. Oh che scortese,
non potrei mai rivolgergli la parola senza il suo permesso! Il fatto è che
volevo chiederle: potrei chiederle un autografo?” Io annuì sorridendogli e gli
risposi: “Certamente, perché no? Lei è molto gentile signor Black! E, come fa a
conoscermi? Di solito nessuno mi riconosce dicono sempre “Ah, ma lei è
quell’attrice famosa?” e io ogni volta gli rispondo che sono un’investigatrice
non un’attrice.”
Lui si mi se a ridere: “Lei ha proprio il senso
dell’umorismo signorina Sun! A proposito, vuole bere questa tazza di the verde?
E’ molto buono e naturale!” Io gli risposi subito di sì e mi bevvi quella tazza
di the, dopo il signor Black mi mostrò la strada per andare da Fill e io mi
incamminai.
Arrivai da Fill e cominciai a parlargli: “Allora, in quale pasticcio ti sei
cacciato questa volta? Lo so già: hai visto un cadavere, non hai reagito e ti
sei messo a esaminare l’arma del delitto ma, ecco che arriva la polizia che tu
non hai neanche chiamato, poi tu mi hai visto e io ti ho salutato sorridendo.
Giusto? Adesso dimmi tutto quello che è successo che io non so” Fill mi guardò
con aria molto strana, poi cominciò a parlare: “Allora... hai mancato dei
piccoli particolari, l’arma del delitto, prima che io la prendessi in mano, era
a terra e solo il manico era sul sangue della vittima-”
Io lo interruppi
facendogli vedere la mano che significava “Stop” e pensai: “Ecco la
spiegazione della macchia di sangue con la forma “strana”!”poi gli feci cenno di continuare e lui
riprese a parlare: “Poi la presi in mano ma, proprio quando mi accorsi di non
avere i guanti, arrivò la polizia e mi prese vedendomi con il pugnale in mano.
Fine della storia.”
Chiesi subito a Fill se dopo che aveva preso in mano l’arma
del delitto l’avesse pulita, ma lui scosse la testa e affermò che la lama era
già pulita.
Io pensai, pensai e ripensai, e, alla fine esclamai: “Fill!
Ho capito chi è l’assassino ed è…” Stavo per dire il nome dell’assassino quando
cominciò a girarmi la testa: continuava a girarmi poi sentii Fill gridare, lo
vidi, poi cominciai a vedere la sua ombra, poi la forma e infine, svenni.
Mi svegliai in ospedale priva di sensi, vidi Fill accanto a
me che mi guardava negli occhi; non lo riconobbi. Poi mi cominciò a spiegare
tutto: chi ero, come si chiamava, il caso e tutte le altre cose.
Io capii subito di cosa stese parlando. Mi guardai un dito,
lo misi sulla fronte, lo pigiai ed esclamai: “Accidenti! Non mi ricordo il nome
dell’assassino! Devo subito capirlo!”
Andai vicino a un muro dell’ospedale e continuai a sbatterci
contro la testa (apposta) per cercare di ricordarmi le cose. Fill cercò di
fermarmi ma non ci fu verso. Dopo mezz’ora però smisi di farlo e diventai rossa
in faccia pensando: “Stupida, stupida, stupida sono maledettamente stupida! Chi
era?! Fino a 3 ore fa ricordavo tutto! Che scema! Ok, devo mantenere la calma;
prima di tutto devo pensare: chi mi ha fatto perdere i sensi? Devo pensarci in
fretta, perché da lui riuscirò a ricavare l’assassino. Mmh…”
Prima di tutto mi venne un’idea, un’idea stupida e iniziale,
quella di andarmene dall’ospedale per indagare; mentre pensavo notai che Fill
era scomparso: i poliziotti lo avranno riportato in carcere.
Per scoprire chi mi aveva fatto perdere i sensi era meglio
andare al centro di detenzione visto che è lì che sono svenuta; arrivata, capii
subito chi fosse stato: il signor Nigel Black, facendomi bere la tazza di the.
Ordinai subito alla polizia di arrestarlo ma, non lo
trovarono: era scappato. Allora diedi un altro ordine alla polizia, quello di
andare all’aeroporto di Londra, il più vicino.
Dopo due ore lo trovarono finalmente e lo sbatterono un
prigione; andai da Fill e lui mi ordinò: “Quello è l’assassino! Su sbrigati a
liberarmi!” Io gli feci notare il mio dito che si muoveva a destra, poi a
sinistra per cinque volte mentre finiva la frase ed esclamai: “Quello era solo
il complice, l’assassino sei tu ovviamente, non è vero…”
Andai vicino a lui e toccai la sua testa. Era morbida,
troppo morbida, sembrava una maschera, infatti lo era!
“…Jack Summer?”
Lui ci rimase di sasso mentre io, intanto, gli tolsi la
maschera sorridendo compiaciuta.
La polizia venne
appena le dieci il segnale prima che l’assassino fuggisse; lo presero e videro
che era proprio il signor Summer vestito da Fill.
Dei giornalisti arrivarono (non si sa come) e mi fecero delle
domande una di queste era: come avevo capito chi fosse il vero imputato.
“Prima di tutto quando ho saputo dell’omicidio, ho fatto delle
ricerche dei criminali scappati. Vidi in prima pagina una foto di Jack Summer e
mi ritornò in mente il precedente caso, così era il primo sospettato” Cominciai
a rispondere.
“Quando i poliziotti mandarono Fill in prigione, c’era anche Nigel
con loro che scambiò l’imputato con l’assassino.
Poi, quando andai a trovareFillin prigione, un poliziotto di nome
Nigel Black, mi fece un discorso su di me e, infine, mi ha proposto una tazza
di the verde; sapevo con certezza che Nigel mi avrebbe fatto qualcosa, ma di
sicuro non mi voleva far perdere i sensi: voleva uccidermi.
Per questo motivo prima di andare al centro di detenzione mi ero
presa (per sicurezza), una pillola fatta apposta per non morire, così accettai
e bevvi quel buonissimo the, inconsapevole di cosa mi sarebbe successo.
In seguito il poliziotto mi portò dall’imputato che mi raccontò
tutto quello che era successo nei minimi dettagli; quando cominciai a svenire
notai che, alla fine dell’urlo Fill aggiunse: “[…] Penso sia morta!”
Così ebbi proprio la certezza che fosse il signor Summer, poi
svenni.
All’ospedale feci finta di
non ricordare niente quando il carcerato mi guardò negli occhi appena sveglia.
L’ho fatto per ricavargli più informazioni, ovviamente.
Infatti mentre mi spiegava chi fossi e della mia indagine aggiunse
testuali parole: “[…] Allora sei andata al centro di detenzione e hai
incontrato un poliziotto…”mi
feci questa domanda tra me e me: come faceva a sapere che avevo incontrato un
poliziotto? Allora lì ho capito tutto quello che vi ho spigato.
Ovviamente feci finta di pensare cose del tipo “Stupida!”
perché lui ci cascasse vedendo la mia faccia.
Sono sicura che Fill sia nello sgabuzzino del centro di
detenzione, controllate e dopo portatelo a casa sua a riposarsi!
Un ultima cosa, se volete sapere il movente ve lo dico ora, il
movente per uccidere la vittima era solo di farmi prendere quel caso così che
dopo io andassi al centro di detenzione, prendessi la tazza di the e morissi.
Il movente per uccidermi? Ho sbattuto in carcere lo scorso caso il
signor Summer per un altro omicidio.
Non ho altro da dirvi!”
Infine andai a casa a dormire: ormai erano le 3:00 passate.
Capitolo 4 *** Un nuovo ragazzo, un nuovo nemico ***
Quarto Capitolo: Un nuova ragazzo, un nuovo nemico
Quarto Capitolo: Un nuova ragazzo, un nuovo
nemico
Io
ero nel mio ufficio, lì, da sola, seduta su una sedia a guardare fuori dalla
finestra: ormai era mezzanotte passata.
Sentii dei passi e, pensando fosse Fill, non mi voltai a
guardare ma domandai: “Cosa ci fai qui, di sera a tarda notte?”
Il presunto Fill non rispose, rimase in silenzio,
avanzando.
“Ah, che scema, tu non sei Fill…” la persona si fermò di
colpo e stette ferma ad ascoltare.
“…quando mai la smetterai di pedinarmi…” mi alzai dalla
sedia e cominciai a camminare verso la persona, vidi un volto giovane e da
teppistello, aveva dei capelli bruni ed era un ragazzo alto e anche un po’
carino, ma non era una persona come tutte le altre.
“…fratello?”
Il ragazzo mi guardò con aria imprecisa, sembrava che non
sapessi chi fossi poi dopo si è messo a formulare frasi senza senso, per poco
me ne stavo andando per quanto mi annoiassi.
“Sei sempre la solita, sorellina, io vengo qui e tu non mi
saluti nemmeno? Molto scortese da parte tua”
“Vieni al dunque” replicai io.
Cominciò a spiegare: “Conosci la mia fidanzata? E’ morta”
“Al mondo ci sono sempre persone che muoiono, ogni minuto
che passa, non posso salvarle tutte” risposi.
“Non mi riferivo a questo, voglio che tu risolva un caso
per me” “MAI” dissi io mentre parlava.
Lui si avvicinò e mi sussurrò qualcosa, qualcosa che mi
terrorizzò. Stetti immobile, come se qualcuno mi avesse ghiacciata: mio
fratello era l’unico che riusciva a farmi questo effetto.
Dopo caddi a terra con le gambe che non mi sentivo più,
come se non facessero più parte del mio corpo.
“Che ne dici…ora ci stai?”
~~~~~~
Fill dormiva, nessuno avrebbe potuto svegliarlo dal quanto
dormiva, tranne la sua sveglia che, proprio alle 8:00 in punto suonò.
Come tutte le mattine Fill si alzò dal letto, andò in bagno,
fece colazione, si vestì e andò al lavoro perfettamente in orario ma, quando
arrivò in ufficio, sentiva che c’era qualcosa di strano, di insolito: io non
c’ero.
Dopo un’ora arrivai, Fill mi andò subito in contro per
darmi la solita tazza di the mattutino ma, non ero sola: c’era mio fratello con
me.
“Come va ragazzo? Io mi chiamo Jack, tu come ti chiami?”
chiese mio fratello, rozzo come sempre; Fill mi guardò ma io, da quando ero
entrata in ufficio guardavo il pavimento, quindi non ricambiai lo sguardo con
lui.
“Io mi chiamo Fill, Fill Jonson, chiamami pure o Fill o J”
rispose un po’ offeso visto che non lo degnai di uno sguardo, ma comunque
sorrise.
Poi presi la parola e, sempre guardando in basso riferii:
“Mi spiace Fill ma, tu non sarai più il mio collega da ora in poi.” Dissi io a
Fill con aria fredda e indifferente.
“Ma, come mai così di colpo? Non mi guardi neanche in
faccia, come faccio a sapere se stai dicendo la verità? Dai, non è che hai so-“
strinsi i pugni, quindi strinsi anche la mia gonna visto che ero con le braccia
distese verso la schiena, delle lacrime mi scesero sulle guance e caddero sul
pavimento, la mia testa guardava sempre lì e interruppi Fill urlando: “Se ho
detto così è così! Non lo capisci?! Sono il tuo capo quindi devi eseguire i miei
ordini se non vuoi essere licenziato quindi stai zitto per favore e accetta la
realtà!”
Mi misi a piangere però non lo feci notare a nessuno perché
appena finii la frase corsi in bagno e stetti lì per dieci minuti: cinque
minuti per piangere e cinque minuti per non far vedere che avevo pianto, poi
uscii dal bagno con la testa in basso e vidi Fill che mi aspettava.
“Jack ti aspetta nel tuo ufficio, se vuoi dopo discutiamo”
“Non chiamarlo per nome!” replicai alzando la voce. “Poi,
non sono più una tua collega, smettila di parlarmi in modo amichevole, da
adesso mi dovrai dare del LEI e chiamarmi per cognome!”
Fill mi guardò sbalordito mentre io, intanto, mi diressi
verso l’ufficio, entrata in quella stanza vidi mio fratello: lo guardai, poi lo
presi dalla maglietta senza guardarlo negli occhi e dissi sottovoce: “Perché…
perché mi hai fatto fare quelle cose? Perché?! Poi ti chiedi perché ti odio?”
Lui mi guardò come se dicesse Io sono il superiore, smettila di rompermi le
scatole o finirà male, poi mi fece vedere una siringa ma non me ne fregò
minimamente così gli diedi un pugno.
“Questo è per quello che mi hai fatto ieri sera” poi glie
ne diedi un altro.
“Questo è per come mi hai trattata” poi gli diedi il terzo
e ultimo pugno.
“E questo… questo è per avermi fatto comportare male con
Fill!”
Stavo per correre via quando lui mi prese il braccio e
esclamò: “Forse dimentichi qualcosa, il TUO caso” poi mi fece rivedere la
siringa e questa volta me la infilò nel braccio e la pigiò.
Che stupida pensai.
~~~~~~
Un Salto
nel Passato:
La sera
prima
Lui si avvicinò e
mi sussurrò: “Se non lo fai finirai per farti del male, e io non voglio”
“Non me ne frega niente” risposi io sempre a sottovoce.
“Bene e se facessi del male anche a delle persone a te
care?” replicò sempre anche lui sussurrando, poi mi pizzicò qualcosa: una
siringa.
Stetti immobile, come se qualcuno mi avesse ghiacciata: mio
fratello era l’unico che riusciva a farmi questo effetto con quella maledetta
siringa.
Dopo caddi a terra sulle ginocchia, con le gambe che non mi
sentivo più, come se non facessero più parte del mio corpo.
“Che ne dici…ora ci stai?”
domandò di nuovo mio fratello.
Stavo tremando dalla paura, poi
ripresi il comando delle gambe e mi alzai, la mia mente però, non apparteneva
più a me, sembravo ubriaca, infatti, mi aveva drogata.
“Certo, Jack” risposi io, anzi,
quella non ero io, era un’altra persona che si impadronì del mio corpo.
“Bene, allora che ne dici se
magari…” cominciò a sbottonarmi la mia camicetta.
“Un suo desiderio per me è un ordine”
risposi stupidamente io cominciando a fare la stessa cosa con lui.
Di notte mi svegliai, io, non
drogata e vidi in che guaio mi fossi cacciata, all’inizio non capivo niente ma
dopo ho preso gli abiti e me ne sono andata.
Per strada (era ormai tarda notte),
mio fratello mi chiamò e mi comunicò: “Non ti ricordi cosa era successo prima?”
Io ripensai a cosa mi aveva detto
prima di essere stata drogata: “Cosa dovrei fare?”
“Semplice, stai con me e non dire
a nessuno che sei mia sorella e risolvi il mio caso” rispose.
“Non ci penso nemmeno! Non ti
approfitterai più di me come hai fatto prima!” urlai.
Lui mi rispose che aveva messo
una bomba in casa Fill, io gli chiesi come avesse fatto Segreti del mestiere
rispose lui; allora di cambiai idea e accettai ma dopo lui aggiunse: “Ah,
un ultima cosa, non devi più essere collega di Fill o gli succederà peggio di
una bomba, una morte lenta e dolorosa” poi chiuse la chiamata.
Fill,
il mio collega, subito dopo la nostra litigata, andò fuori a fumarsi una
sigaretta, cosa che non aveva mai fatto o pensato di fare cosa del genere,
forse era solo sotto shock, molto probabilmente voleva licenziarsi.
Mentre
percorreva la strada di casa sua vide una ragazza in bici che gli andò addosso.
“Scusi
signore non vole-” la ragazza smise di parlare perché non era mica la prima
volta che vedeva quella persona, infatti lei era sua sorella.
Era
una ragazza con i capelli rossi, alta, fisico, seno e tutta la faccia sono
perfetti; indossava dei pantaloni strappati e una tuta da ginnastica
considerando che stava andando in bici, non poteva mettersi abiti scomodi, e
chi può darle torto?
“Ah,
ciao «J minuscola»” salutò Fill con il nomignolo che gli aveva dato perché lei
era la sorella maggiore; sì, LA sorella maggiore, la sorella che faceva
l’attrice e, guarda a caso, stava cercando proprio Fill.
“Mi
puoi aiutare con un caso?” chiese lei.
“Stop”
Fill interruppe la sorella.
“Primo,
è così il modo di salutare per bene? «Ciao, mi aiuti con un caso?» che razza di
sorella sei tu? E per l’ultima volta, non provare più a chiamarmi «J
minuscola»! Poi, sei arrivata in ritardo, mi sono appena dimesso” rispose
seccato.
Gli
chiese il perché, lui le rispose tristemente dicendo che io non volevo più
lavorare con lui.
“Sei
cretino o cosa? Jane è molto intelligente e non prende iniziative senza senso.
Era tutto normale oggi? Non ti sei accorto di niente di strano? Se la risposta
è sì, corri subito in ufficio e chiedile insistente cosa c’è che la turba, fai
l’uomo, Fill!”
Sì,
per una volta, sua sorella lo chiamò Fill. Sembrava un miracolo visto che già
da quando erano piccoli lo chiamava «J minuscola» quindi, per come si ricorda,
era la prima e unica volta che disse il suo vero nome, non un nomignolo, il suo
nome. Questo fece sollevare il morale a Fill però dopo neanche un secondo si
rattristò perché non si ricordava niente di strano di oggi in particolare, solo
che io ero strana, nient’altro, quindi, rispose facendo cenno di no con la
testa.
Fill
si rincamminò per la strada che stava percorrendo, la sorella invece, un po’
delusa, sollevò la bici con l’intento di andarsene quando Fill si ricordò di
una cosa, o forse qualcuno, ora che ci pensava bene, quella mattina c’era
qualcuno con me, qualcuno che non si era mai fatto vedere, qualcuno che era
venuto solo prima d’ora e che non mi aveva mai fatto arrivare in ritardo. Quel qualcuno
c’entrava sicuramente qualcosa, così, corse dalla sorella e la abbracciò.
Era
un abbraccio che durò pochi secondi ma sua sorella capì che Fill aveva
ricordato cosa c’era di strano in ufficio, ed era molto fiera di questo.
“Grazie”
sussurrò Fill alla sorella, così dopo si incamminò correndo all’ufficio per
seguire il consiglio di sua sorella.
Mio
fratello è proprio innamorato pensò
lei, guardandolo correre da lontano.
~~~~~~
Fill
arrivò in ufficio, corse nella mia stanza ma, ormai era troppo tardi, vide Jack
che mi infilava la siringa, essendo una stanza a vetri, senza entrare dalla
porta, Fill spaccò il vetro, mi prese e si mise davanti a me.
“Come
hai osato toccarla?” Chiese lui a Jack seriamente.
“Non
posso? E’ la mia fidanzata dopo tutto, lasciala andare ora” rispose maleducato,
mio fratello.
Un
piccolo brivido mi salì sopra la schiena, stavo tremando.
Jack
questa volta non mi aveva drogata ma mi aveva usata, mi aveva usata come cavia,
infatti questa era una roga non ancora conosciuta e lui mi usava come cavia,
ecco perché lo odio.
La
sua fidanzata era morta per i suoi esperimenti, non perché è stata accoltellata
o cosa, voleva che io incolpassi qualcun altro, per questo mi ha cercata.
Caddi
a terra, continuavo a muovermi e fare cose strane, sentivo dolore, tanto
dolore… urlai, per cinque minuti che per me durarono come un’ora.
“Jane,
stai bene, Jane? Ritorna in te!” urlò Fill mentre io ancora mi muovevo,
soffrivo e non era come la droga che non ero io, ero io eccome purtroppo, per
questo era molto più doloroso; gli occhi mi cominciarono a diventare rossi, poi
gialli e tantissimi altri colori, mi sentivo soffocare ma anche
contemporaneamente pugnalare, e tutti altri possibile modi di uccidere una
persona, mi faceva sentire morta troppe volte e continuavo a chiedermi E’
così che ci si sente quando si muore? E’ così doloroso? era una sensazione di dolore, tanto,
tantissimo dolore.
“Sta
facendo effetto” disse mio fratello compiaciuto.
“Cosa
le hai fatto lurido bastardo?” urlò Fill
“Stai
calmo, tra poco finirà: è una droga che ho inventato io, l’ho inventata per far
sì che i detective soffrissero, perché? Perché mi chiedi?” mio fratello
cominciò come ad impazzire, era sempre stato così quando si innervosiva, ma
questa volta era molto peggio, era alla ricerca di sete di sangue.
“Perché
sono pazzo! Odio Jane, quindi odio i detective, questa droga l’ho fatta
pensando a lei, perché odio Jane? Non lo so! Forse perché sono pazzo!?” quindi
mi prese per i capelli e mi urlò nell’orecchio: “Hai capito?! L’ho fatta per te
questa cosa! Solo per te! Non sei felice?!”
Fill
lo prese e lo lanciò lontano da me.
Jack
cominciò a fare a botte con Fill; ad un certo punto della battaglia Fill prese
Jack e lo buttò giù dalla finestra.
Sì,
giù dalla finestra.
Dopodiché non si fece prendere dallo shock ma mi andò in
contro e mi portò subito in infermeria dove c’era un dottore.
“Curatela! Non so cosa le sia successo ma curatela!”
I dottori si misero all’opera.
Fill mi prese la mano e disse speranzoso: “Non mi lasciare,
Jane, non mi lasciare!”
“Fill” mormorai io e la mia mano non strinse più quella di
Fill, rimase molle, diciamo, come se fossi morta: in effetti Fill guardandomi,
pensava che lo ero, e non aveva tutti i torti.
Vidi
sfocato con lo sguardo la mia linea del battito del cuore: ormai era molto
debole.
“Signore,
se ne deve andare!” urlarono i dottori a Fill e lo spinsero fuori.
Una
goccia mi scese sulla guancia, arrivò fino al mentoe cadde, volevo piangere ma, non ci riuscii, riuscii solo a far
gocciolare una lacrima prima che Fill se ne andasse.
Quella
fu l’ultima volta che vidi Fill, l’ultima in tutta la mia vita.
“Cosa
dite? E’ in coma? Questa non ve la faccio pagare! Come avete osato buttarmi
fuori! Lasciatemi entrare almeno adesso!” Aprii poco gli occhi e vidi sfocato
Fill che protestava, dopodiché, li richiusi perché non riuscivo più a tenerli
aperti.
Ritorno al Passato:
Quando io e Fill ci conoscemmo
“Bene,
cercate anche in discoteca, dove era andata la vittima la scorsa sera” dissi io
al cellulare, stavo indagando su un caso, che però non riuscivo a capire:
l’imputata è una ragazza di nome Susie Jonson, incolpata di omicidio per aver
sparato ad una ragazzina, una sua fan per precisazione, dicono che è stata lei
solo perché aveva in mano la pistola, chi li capisce i poliziotti.
Susie
è un’attrice famosa, ha fatto molti Film, anche io sono una sua grande fan ma
non così tanto da farmi uccidere.
Stavo
camminando per strada quando vidi un ragazzo che sta rapinando una banca. Io
entrai subito nell’edificio: “Sgomberare l’edificio, scappate, sono una
detective!”
Poi
puntai una pistola contro di lui e alzò subito le mani, non vidi il suo viso
perché era coperto da una maschera.
Mi
avvicinai a lui e gli tolsi la cosa che aveva in testa per vedere chi fosse ed
era… il fratello di Susie Jonson! Ma che ci faceva lì a rapinare una banca?
Lui
corse davanti a me e uscì dalla porta scappando con i soldi.
“Dove
credi di andare?! Ritorna qui, non hai scampo!” Urlai io, poi mi misi ad
inseguirlo sempre con la pistola in mano.
Lo
raggiunsi, ero dietro a lui di pochi metri quindi gli sparai alla gamba; lui
continuò a correre anche se più lentamente, però svoltò l’angolo e non lo vidi
più, svoltai anche io l’angolo ma non lo vidi ancora, si era come dissolto
nell’aria.
Presi
il cellulare e comunicai: “Fuggitivo scappato, si è come… dissolto nell’aria.”
Poi
chiusi la telefonata.
Come
ho potuto farmi sfuggire un ladro con anche una gamba ferita? Sono proprio una
scema pensai io, poi mi
incamminai per andare in ufficio.
Arrivata
in ufficio vidi una persona nuova, un uomo nuovo, chiesi al capo chi fosse, lui
mi rispose che era un detective appena trasferito perché ha saputo della rapina
in banca.
Un
detective non lascerebbe un caso di omicidio per una rapina, questa persona non
è un detective, peccato che però, tutti i miei colleghi di lavoro sono così
cretini da non accorgersene.
Andai
da lui per fargli delle domande: “Salve, io sono Jane Sun, immagino non mi
conosca visto che è di un’altra parte, allora, come si chiama?”
“Ehm,
no, non la conosco signorina, il mio nome è … ecco, mi chiamo Chris Wright!”
Rispose lui insicuro.
Pensa
che io me la bevvi? Questo qui è scemo più dei miei colleghi. Pensai io scocciata, lo fissai e notai che aveva un
proiettile nella gamba che tentava di nascondere ma feci comunque finta di niente.
“Venga
con me, le faccio vedere il suo nuovo ufficio Wright. Ah, e che lei lo sappia
che se non verrà solo una volta qui in ufficio o tradirà l’associazione, il
capo gliela farà pagare cara, ovvero lo potrebbe anche appendere i suoi piedi
ad una corda per un intero giorno così lei starebbe a testa in giù, ma se lei
verrà sempre, non c’è che da preoccuparsi” dissi io, poi mi voltai e mi misi
una mano sulla bocca per non scoppiare nelle risate perché, dalla sua faccia,
sembrava che l’avesse bevuta!
“Ok,
confesso, sono io, sono il rapinatore della banca!” Urlò, poi continuò
supplicando:
“Vi
prego non appendetemi a testa in giù per un giorno!”
Basta,
la mia bocca non ce la faceva più, non riuscivo a trattenere le risate e
scoppiai a ridere, piansi pure per il ridere!
“Certo
che sei proprio stupido…” continuai a ridere mentre lui mi fissò senza capire
cosa stesse succedendo.
“Era
tutta una cavolata! Era tutta fantasia, l’ho detto per farti sputare il rospo,
la prossima volta, ricorderai di non fuggire da Jane Sun, mai più.”
Silenzio.
Poi
tutti i miei colleghi si misero a ridere mentre il signor Jonson piangeva come
un cane bastonato e io, per la prima volta, mi unì ai poliziotti.
~~~~~~
Entrai
in una stanza: un interrogatorio.
Lì
c’era Fill che mi aspettava seduto ancora in lacrime.
Cominciai
ad interrogare.
“A
parte la sceneggiata di prima, ora cominciamo con le domande.”
“Non
parlerò” rispose prima ancora che finissi la frase.
“Signore,
se lei parla, potrà servire a salvare sua sorella probabilmente.”
“No,
peggiorerei solo le cose” replicò.
“Allora
potrei metterle una buona parola per il tribunale.”
“Non
mi importa della mia vita, ma quella di mia sorella, già da quando eravamo
piccoli, eravamo orfani e senza casa, mi presi cura sempre di lei anche se è
più grande di me, sono preoccupato per lei, non per me.”
Stetti
zitta: stava confessando senza accorgersene.
Poi
continuò: “Ho rubato quei soldi perché siamo al verde, una persona ci ha rubato
i soldi, o almeno, se noi non glieli diamo, ucciderebbe mia sorella ma lei non
lo sa, pensa il contrario.”
“Signore
chi è quest’uomo?”
Le
sue lacrime aumentarono.
“Non
posso…”
“Signore,
potrei aiutare molto sua sorella, mi creda, potrei arrestare quest’uomo.” Lo
rassicurai io.
“No,
la ucciderebbe!” Urlò.
Io
mi alzai e cominciai ad urlare anch’io: “La terremo sott’occhio, ora, la prego,
si fidi di me e la smetta di fare il bambino!”
Mi
guardò con aria impressionata, poi smise di piangere.
“E’…
Nick Blood, è anche l’assassino dell’omicidio, la prego, difenda mia sorella”
Sorrisi.
“Non si preoccupi, sorveglieremo anche lei Jonson, con sua
sorella, ora, cominceremo le indagini.”
Angolino di preavvisi, domande & Co
Solo
in questo capitolo ho fatto questo angolino, e credo che non lo faò altre volte.
L’ho
fatto per chiedere scusa del ritardo, del super ritardo.
Spero
che per il prossimo capitolo non ci metta molto, scusate di nuovo!
“Ho
sentito tutto il discorso, puoi anche non badare a quelle persone e lasciare il
cas-“
“Mai!”
risposi subito io urlando.
“Capo,
mi scusi, non so cosa mi succeda, un attimo solo, per favore.” Poi mi diedi
degli schiaffi in faccia: “Ora va tutto bene” dissi sorridendo.
Poi
presi il telefono e cominciai a chiamare i rinforzi per proteggere Fil e sua sorella
mentre il mio capo mi parlava sopra dicendo “Jane, non sei costretta a farlo,
guarda, stai tremando.”
In
effetti è vero. Stavo veramente tremando.
Blood
è uno dei più spietati assassini di tutto il mondo, il secondo credo. Come
faremo a prenderlo con le mani in sacco, non lo sapevo.
“Sarò
io stessa a proteggerli: starò sempre con loro anche di giorno, e di notte,
sarò come una sorella, cambierò nome, ma solo per questa indagine così che
Blood non sospetti niente. Sarò la sorella più piccola che è andata in collegio
per degli anni. Fate ora dei finti documenti, per favore. Intanto vado da Fill
e gli spiego il programma, sua sorella sarà scagionata e le racconteremo tutto,
ogni singolo dettaglio: deve sapere cosa sta succedendo, soprattutto, perché riguarda
lei. Capo, non provi a fermarmi.”
Il
capo mi guardò stupito, poi mi sorrise: “Sei sempre la solita Sun…”
Cominciai
ad uscire dalla porta dell’ufficio.
“Chiami
il signor Jonson per nome, è successo qualcosa fra voi due?”
Io
poi, arrossii e urlai: “ASSOLUTAMENTE NIENTE, CAPO!”
Poi
ritornai normale.
“Scusi
di nuovo, sono un po’ strana in questi giorni, arrivederci!”
Poi
uscì dalla porta salutando.
Ero
spaventata ma non facevo conto della paura di Blood, ma, piuttosto, che una
famiglia possa essere infelice: questo è il mio vero scopo, per questo ho fatto
la detective!
~~~~~~
Il
sole batteva forte mentre stavo mangiando un gelato con Fill e sua sorella;
eravamo come una famiglia da una settimana, non accennavamo neanche una volta
il caso e ci divertivamo, come se fossi veramente loro sorella.
All’inizio
Fill non la prese bene, anzi, cominciò a protestare dicendo che non voleva
essere controllato ventiquattro ore al giorno.
Al
contrario sua sorella, quando le raccontai tutto, mi abbracciò forte e mi ringraziò:
dopotutto, è colpa sua se sto indagando su questo caso.
Mi
piacque interpretare il ruolo di sorella minore, era praticamente il sogno
della mia vita vivere una vita normale, avere amici e stare con delle persone
che ti vogliano bene; questo, però, è tutto quello che mi immaginavo, prima o
poi me ne sarei andata da quella famiglia, quindi cercai di non affezionarmi
troppo.
Quando
un giorno mi svegliai in camera mia come ogni mattina, andai in salotto e…
orrore.
Vidi
un corpo sconosciuto per terra da cui traboccava sangue e sulla scena del
crimine c’era anche un’altra persona, con i capelli rossi e corti, col viso
femminile e le mani con del sangue che gocciolava sul pavimento.
Il
volto della ragazza si girò notando una presenza che potesse rovinare il suo
piano.
Era
Susie.
Rimasi
paralizzata per un attimo poi mi ripresi e cercai di tirare fuori la pistola
dal pigiama ma la signora Jonson mi fermò puntandomi una pistola che
nell’attimo si era tirata fuori da una tasca dei pantaloni.
“Se
provi soltanto a muoverti di un altro passo ti uccido.”
Mi
si avvicinò lentamente mentre caricava la pistola.
Il
cuore mi batteva forte.
Eccola
davanti a me, solo dieci centimetri ci distanziavano.
Mi
puntò la pistola alla testa.
“Cosa
intendi fare? Spifferare a tutti chi sono realmente o stare zitta zitta per poi
quando hai tempo chiamare i rinforzi? In tutti e due i casi muori.”
Quel
momento di terrore svanì.
Un
sorrisetto mi si stampò sul viso.
“Grazie
per avermi fatto ricordare una cosa”
La
ragazza mi guardò con faccia interrogativa.
Mi
misi a ridere.
“Per
tua informazione…”
Le
diedi un calcio sul mento e mi allontanai tirando fuori la pistola.
Lei
cercò di sparami ma io schivai tutti i suoi colpi.
“…sono
una detective…”
Sparai
due colpi che la sfiorarono e la distrai, in quei pochissimi secondi corsi
dietro di lei e le puntaila
pistola dietro la schiena.
“…e
non sono sola.”
Da
fuori la porta si sentivano dei calci forti e violenti e l’oggetto si spaccò
lasciando entrare tantissime persone armate.
“Getti
l’arma a terra e metta le mani dietro la testa!”
Urlò
uno di loro puntandole un fucile insieme agli altri.
La
ragazza ubbidì, un uomo armato la perquisì e infine se ne andarono portandosela
dietro puntandole continuamente le pistole.
Presi
il cellulare.
“Ospedale?
Venite subito in via Millefoglie n° 198 è questione di vita o di morte!”
E
chiusi la telefonata guardando il cadavere meravigliata.
Era
la sorella di Fill!
Ma
com’è possibile?! Era quella di prima la sorella!
Pensai
per un po’.
Ed
ecco l’illuminazione.
“Ovvio!
Chirurgia plastica!” Esultai.
Guardando
bene il viso della vittima e notando pure che Susie Jane aveva una voglia dalla
nascita sul braccio e l’assassino non l’aveva e la vittima sì sembra che sia la
signorina Jane quella che sta morendo.
“Un
attimo, Susie sta morendo?!”
In
quel momento Fill arrivò un po’ assonnato (in pigiama ovviamente) e chiese cosa
stava succedendo; io non risposi e riamasi lì a pensare e guardare il corpo ormai
praticamente cadavere finchè non si avvicinò Fill per vedere cosa mi teneva
attenta.
Vide
il corpo di sua sorella e non reagì, si morse solo il labbro.
“Ora
arriva l’ambulanza” informai io il fratello della vittima rassicurandolo anche
se ormai ogni speranza era perduta.
Le
palpebre della sorella si aprirono e Fill si piegò subito per vedere cosa
voleva dire.
“Nick….
Blood si è… travestito… ha fatto finta di essere me per far credere che fossi
io l’assassino e… se non fosse stato per Jane mi avrebbe cambiato viso
facendomi avere il suo…” disse Susie Jonson a suo fratello e nell’ultima frase
mi guardò.
Finalmente
arrivò l’ambulanza e la portarono in ospedale dove ci fu una grande attesa e in
quei minuti io e Fill ci parlammo.
“Andrà
tutto bene, tranquillo” dissi io sicura che era una bugia quel che dicevo.
“Grazie
per mia sorella.” Mi disse lui in tono freddo.
“Sai,
non è niente per noi detective…” guardai Fill senza prestare attenzione a
quello che dicevo veramente.
Lui
si buttò fra le mie braccia.
“Se
lei se ne andrà, chi starà con me?”
Mi
scese una lacrima dall’occhio che arrivò sulla spalla di Fill.