Lover You Should've Come Over

di Sophie Hatter
(/viewuser.php?uid=16304)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pictures Steal Our Memories ***
Capitolo 2: *** Quiet Doubts ***
Capitolo 3: *** Out Of Time ***
Capitolo 4: *** Still In Your Past ***
Capitolo 5: *** Always On My Mind ***
Capitolo 6: *** Sometimes Everything Is Wrong ***
Capitolo 7: *** That's All I Ask ***
Capitolo 8: *** That Was Just A Dream ***
Capitolo 9: *** What Went Wrong ***
Capitolo 10: *** We All Fall In Love Sometimes ***
Capitolo 11: *** We Can't Fix What's Broken ***
Capitolo 12: *** Could It Be Worse? ***
Capitolo 13: *** What's Going On ***
Capitolo 14: *** It's Never Over ***
Capitolo 15: *** How I Miss You ***
Capitolo 16: *** I Used To Live Alone Before I Knew You ***
Capitolo 17: *** The Man Who Loves You ***
Capitolo 18: *** So I'll wait for you... and I'll burn ***



Capitolo 1
*** Pictures Steal Our Memories ***


Breve nota di inizio: Questa è una ff dedicata interamente a Rory e Jess. l'ho iniziata quando ancora nutrivo un qualche genere di speranza, quando ancora nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto dopo la 6.08, né che Milo sarebbe tornato nella puntata che avrebbe finito per decretare la completa fine delle mie illusioni lit. i fatti avvengono tre anni dopo la sesta serie; Rory è tornata a Yale e si è laureata, e ora ha il lavoro che ha sempre sognato; Jess vive a Philadelphia e si sente finalmente a casa, in pace con sé stesso, dopo così tanto tempo passato a tormentarsi con il ricordo dell'unica persona che abbia mai amato. li riunisce un caso, un caso che li avvicina e li allontana, che crea occasioni di idillio e di nostalgia, e altre di rabbia e rancore sordo a causa di innumerevoli problemi mai risolti. è la mia ultima ff su di loro, l'ultima che conserva ancora le tracce di una passione distrutta.
avvertenza: i titoli dei capitoli sono tratti da spezzoni e espressioni di canzoni. ancora una volta, il mio ringraziamento va agli artisti che amo, in particolare Sam Phillips, Wilco, Counting Crows, R.E.M., Joseph Arthur, Coldplay, Damien Rice, e Jeff Buckley, a cui nuovamente è ispirato il titolo della fic.


Un volantino. Che dovrebbe farsene di un volantino? Questa ragazzina vestita da punk va in giro a distribuirne a bizzeffe. L'avranno pagata bene allora. Mah, rimane il fatto che lui non è un tipo da volantini. Non li colleziona per casa, questo è poco ma sicuro.
E che importa, alla fine decide di dargli un'occhiata. Giusto per vedere di che altra idiozia si tratta. Poi lo getterà nel primo cestino che gli capita mentre va a trovare i ragazzi in stamperia.
Lo sguardo si posa sopra quel pezzo di carta ripiegato. Con la coda dell'occhio fa attenzione a non andare addosso a nessuno. Poi ecco che può leggere con più attenzione, è un volantino sgargiante, con una band sullo sfondo. E' l'invito ad un concerto. Non costa nemmeno tanto il biglietto. Ma ci sono pochi gruppi che per lui vale la pena andare a sentire. Questi non li ha mai sentiti nominare. Non ha nessuna buona ragione per tenere quel volantino, ma non ha niente da fare e lo apre. Non gli importa se anche tra pochi passi lo getterà nel cestino.
Un nome bizzarro, mai sentito, annunciano un concerto di tre ore in cui suoneranno vecchie cover e brani inediti per chiudere in bellezza. Il repertorio non gli dispiace, effettivamente. Ricorda tanto la musica che gli faceva compagnia a Stars Hollow. Ma questi chi sono? Da dove vengono? Perché mai lui dovrebbe spendere una certa cifra per andare a sentirli?
Si infila il volantino nella tasca della giacca, senza più pensarci. Era da tanto che non andava a sentire qualcuno suonare, e se avesse appurato che poteva valerne la pena avrebbe raccolto qualche informazione al riguardo. Il luogo in cui era prevista la serata lo conosceva, forse era un po' fuori mano per la zona della città che frequentava lui ma non gli era ignota, non aveva mai faticato nell'imparare a conoscere bene le grandi città.
Ormai dopo qualche isolato percorso non si ricorda più di essersi tenuto il volantino in tasca. La sua mente è già da un'altra parte. Philadelphia lo fa riflettere in modo così profondo che quasi non guarda la strada che percorre. Viene piacevolmente assalito da quel sereno caos, da quell'aria di vita che pervade la metropoli, e ogni volta pensa che è contento di aver cambiato città. New York era troppo piena di ricordi. E ormai la conosceva troppo bene. Era tempo di allontanarsi. Di distaccarsi fisicamente e spiritualmente da tutto. Doveva dimostrare a sé stesso che era capace di ricominciare.
E ci era riuscito alla grande. Nuovi amici, nuova vita, quel libro che tanto l'aveva coinvolto. Non aveva mai pensato sul serio di poter scrivere qualcosa. E invece, era successo, ci si era messo a lavorare, aveva iniziato a convogliare tutta la fervida creatività del suo cervello in un progetto sensato. Aveva avuto la sua possibilità di riscatto. C'era stato un periodo in cui non gliene fregava più niente, in cui era disposto a subirsi le critiche di tutti, era frustrato ma non sentiva il bisogno di controbattere, evidentemente se lo dipingevano in un certo modo poteva anche darsi che fosse davvero così, e che quei pochi che invece pensavano - o avevano pensato - il contrario, in realtà fossero quelli che avevano torto.
Ma dopo un po' ne aveva avuto abbastanza. Se nessuno in un dato luogo era disposto a considerare veritiero il suo cambiamento, allora tanto valeva cercare un posto che lo facesse sentire più appagato. E solo così era riuscito a risollevarsi. Doveva a Philadelphia più di quanto non avrebbe mai creduto, in effetti.
Di nuovo stava quasi per mancare il semaforo giusto. Eppure, lungo il suo percorso era l'unico a cui doveva ricordarsi di girare a destra. La sua mente ormai vagava senza controllo. Non riusciva più a concentrarsi sulla realtà. Philadelphia gli aveva riempito la testa di speranze, di sogni che mai avrebbe creduto di avere.
Ora a ventiquattro anni si sentiva più giovane di quando ne aveva diciassette. Tutti quei pesi, quelle responsabilità, quei ruoli da interpretare erano spariti. Era soltanto sé stesso, ora, e la gente lo conosceva per quello che era. E nessuno lo guardava storto perché si prendeva la briga di dire quello che pensava. Era una cosa di cui non gli era mai importato molto, ma dopo un po' diventava seccante.
E invece, ora finalmente era riuscito a lavarsi via di dosso Stars Hollow e tutti i ricordi a lei connessi. Il suo clima soffocante e la sua aria d'inferno lo avevano perseguitato per troppo tempo. Ma Philadelphia lo aveva fatto rinascere, e quando molto tempo fa si era ritrovato ad Hartford non si era fatto prendere da nessuna cupa nostalgia. Quell'esperienza era rimasta chiusa nei suoi ricordi come una scappatella fuori dal mondo, una specie di ritorno al passato nelle sue nuove vesti. Nonostante fossero passati quasi tre anni, conservava quel momento dentro di sé con una strana serenità. Non si era mai soffermato ad analizzare il possibile significato che quell'episodio poteva aver avuto per lui.
E in fondo, non aveva importanza. Quello non era più il suo mondo. Ora viveva lì, e lì era felice. Lì si era realizzato.
Ecco che riprende la vita di tutti i giorni, relegando i ricordi al loro spazio dentro il suo subconscio. Non si fa più tante domande sulla vita. Ora sa quello che è, e sa che non vuole più diventare nessun altro, perché non ci sarà più bisogno di chiedergli di essere migliore per poter aspirare a raggiungere i suoi obiettivi.

***
Solo una foto.
Non sa come sia stato possibile che sia capitata nelle sue mani. Non sapeva nemmeno della sua esistenza. Sa solamente che un secondo prima si era seduta sul tappeto di casa Kim e aveva iniziato a parlare con Lane, erano state prese da un improvviso attacco di nostalgia dei vecchi tempi e avevano intavolato una vivace discussione sul liceo, sul diploma, sul ballo di fine anno e sulle vecchie conoscenze di Stars Hollow. Era da tanto che non tornava a casa. Il nuovo lavoro l’ha assorbita completamente, e finalmente fa quello che da tempo desiderava fare, viaggiare di continuo. Ha dovuto faticare per avere quel posto, fare domanda in diverse sedi giornalistiche, dimostrare che valeva qualcosa. Ma alla fine ci è riuscita, ha iniziato a realizzare il suo sogno. Ha assimilato ogni critica, ha dato fondo a tutte le sue risorse per mettercela tutta e migliorare. Ma ogni tanto la nostalgia di casa torna, anche se sente quasi tutti i giorni sua madre. Le manca la vita di quegli anni, le ore sui libri, le lotte con Paris alla Chilton, il caffè da Luke, le innumerevoli feste di Stars Hollow, le cene del venerdì sera dai nonni, le chiacchierate con Lane, e soprattutto casa sua. Anche se la linea telefonica la tiene ancora sottilmente ancorata a sua madre. Anche se sa che ora ci vive felice con Luke, e che lei ormai deve cercarsi un altro posto, che dia spazio alla sua nuova vita.
Ricordare quei bei tempi le fa apparire un largo sorriso sul volto. Forse perché all’epoca era fiera di sé stessa, di come riusciva a gestire le cose, mentre poi, una volta allontanatasi da casa, aveva iniziato a non esserlo più molto. Aveva avuto bisogno di una spinta decisiva per andare avanti.
Parlano di tutto e di tutti, lei e Lane, di come fossero buffi tutti quanti con quelle toghe, di tutti gli stratagemmi che Lane era costretta ad inventarsi per andare a suonare nel garage di Rory, di come fosse indecisa lei nello scegliere fra Harvard e Yale, ma non parlano di lui, e non capisce perché. Ed ecco che poi salta fuori la sua foto.
Non c’è solo lui, in realtà è soltanto in secondo piano, sul lato estremo. Non guarda l’obiettivo, è seduto al banco, immerso in uno dei suoi libri. Rory rimane ferma per diversi secondi a osservare quella foto, e nonostante voglia sforzarsi di riconoscere anche gli altri, continua ad osservare ogni suo dettaglio. Cerca di leggere il titolo del libro sulla copertina, ma la scritta è troppo piccola e sfuocata e le fanno male gli occhi. Si sofferma sulla sua maglietta dei Distillers. Poi si accorge che è rimasta immobile per troppo tempo e che Lane si è accorta di tutto.
"Non voleva mai farsi fotografare, sai" le dice, mentre Rory evita di alzare gli occhi e sostenere la sua occhiata indagatrice- "Non gli piaceva. Ci prendeva per scemi o ci ignorava. Ma eravamo sempre in giro a scattare foto e alla fine in una l’abbiamo beccato, per sbaglio. Credo non l’abbia mai saputo, altrimenti ci avrebbe bruciato il rullino."
L’ombra di un sorriso le offusca il volto. In effetti, lei non ha neanche una foto di loro due insieme. Non perché le abbia gettate, ma perché non ha mai avuto il coraggio di chiedergli che gliene facessero una. Sapeva che odiava le fotografie. Non aveva senso forzarlo a fare qualcosa che detestava.
"Beh, non so cosa avesse da lamentarsi tanto. In fondo, non è venuto male, qui. Aveva paura di non essere fotogenico? Non me lo ricordavo così vanitoso."
Lo attacca scherzosamente, così, per riderci sopra. Perché è un modo per esorcizzare i discorsi seri su di lui. Non vuole parlarne, altrimenti sa che salterà fuori di nuovo tutta la storia, e lui tornerà ad invadere i suoi ricordi sotto le spoglie del ragazzo che le ha spezzato il cuore.
"Non lo so, però faceva molta attenzione a tenersene fuori. Qui evidentemente era troppo preso dal suo libro."
"Non riesco a capire qual è."
"Non ti ricordi che cosa stava leggendo in quel periodo?"
"Leggeva talmente tanto, come faccio a ricordarmelo."
"Già, è vero."
La pausa di silenzio le mette paura. Non vuole parlare di lui. Non vuole rovinare il momento sostenendo un discorso serio. Lei e Lane sono lì per divertirsi, per rivangare vecchi ricordi in modo da ravvivare il loro legame di amicizia. Lane non sa che l’ultima volta che si sono incontrati è stato tre anni fa ad Hartford, non sa che è stato lui a scuoterla a sufficienza perché tornasse a Yale. Non sa che gli deve tutto, tutto quello che è diventata ora. Ormai l'ultima immagine che ha di lui non è più quella sull'autobus della scuola, ora il suo ricordo ha trovato pace dentro di lei. Ha sentito tante volte il desiderio di ringraziarlo ma poi non è mai riuscita a farlo, né ha mai trovato la forza di mettersi a cercare un mezzo pratico per farlo. Quanta distanza c’è fra Stars Hollow e Philadelphia? Quanta fra Philadelphia e il resto del mondo?
Non ha mai osato cercarlo. Sapeva che era il suo turno, lui era venuto da lei ad Hartford a rompere il ghiaccio. Ma lei non ha mai osato. E quasi le sembra di avvertire uno strano senso di rimorso per tutto questo. Ma la sensazione che ormai le loro vite siano del tutto separate è diventata troppo forte e ha prevalso su tutto.
"Allora, dove eravamo rimaste?"
Il sorriso ritorna ad occuparle il volto, scacciando via ogni constatazione nostalgica. La conversazione con Lane riprende rapidamente. L’amica non si sofferma ulteriormente su di lui, ha già capito che lei non vuole parlarne. Non che non possa, ma le manca la voglia. Quell’incontro ad Hartford è un’esperienza solo sua, che è rimasta chiusa nel suo cuore per troppo tempo perché ora riesca a confidarla a qualcuno.
La sera arriva presto. Sentono che giù di sotto la signora Kim sta chiudendo il negozio. Lei deve prepararsi per la serata con sua madre e sa già che le ci vorrà del tempo. Lane inizia a rimettere a posto le foto, dentro quello scatolone da cui probabilmente non usciranno più ancora per molti anni, finché i ricordi non si saranno affievoliti di nuovo e loro due non sentiranno il bisogno di rinfrescarli un’altra volta.
"Vuoi tenerla?" Indecisione e un pizzico di disagio traspaiono da quella domanda. Rory si gira e guarda la foto. Poi sposta lo sguardo su Lane. È in imbarazzo per quello che si sente spinta a fare ma sa che Lane capirà, e non ingigantirà la cosa facendole strane domande sul perché della sua scelta.
"Sicura?"
"Certo, in fondo era il tuo ragazzo, non il mio, e ho altre mille foto del resto della classe. E poi, considera i lati positivi: quando avrai una figlia potrai sventolarle sotto il naso questa foto e dirle guarda come si dava da fare la tua mamma con i bei ragazzi!"
Sorride. Il senso dell’umorismo è ciò che apprezza di più in queste situazioni. E lei e Lane sono della stessa pasta. Pensa che quella è un’ottima scusa ma poi si corregge e si dice che non ha bisogno di scuse. Non c’è niente di male nell’essere uscita per un anno con un bel ragazzo. Perché in fondo, inutile negarlo, era davvero un bel ragazzo. Non c’è niente di male finché nessuno sa cosa c’è sotto.



nota: la citazione del titolo viene da "Love And Kisses" di Sam Phillips.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Quiet Doubts ***


intro

“Sai” dice Lane mentre ingoia un altro boccone di frittelle- “Il cibo di Luke è una delle poche cose che è cambiata a Stars Hollow dall’ultima volta che ci sei tornata. Ora è anche più buono di prima.”
“Sì, è vero. Sarà tutto merito di mia madre.”
“Di sicuro, lei è la sua principale fonte di ispirazione.”
“E pare che riesca sempre ad ispirarlo bene.” Dice Rory sorridendo, mentre ripulisce il piatto fino alle ultime briciole rimaste.
“Già. Tutti pensavano che dopo il matrimonio Luke si sarebbe fatto prendere dai doveri familiari e avrebbe trascurato il suo lavoro al locale, invece riesce ancora a gestirlo ottimamente.” Un sorriso le illumina il volto a quel pensiero. Lei e sua madre erano sempre state una famiglia, anche da sole; ma da quando non era più una bambina Rory aveva inziato a capire molte più cose, e a chiedersi se sua madre avrebbe mai trovato l'uomo per lei. Era stato uno strano percorso quello che l'aveva condotta a Luke.
“Pare che Emily non gli dia troppi problemi, sai.”
“No, è davvero una bambina intelligente. Pensa che sa già a memoria Willy Wonka e Pippi Calzelughe.”
“Davvero?”
“Sì, mia madre ha già interrotto la fase dei cartoni animati quando lei aveva otto mesi. Diceva che era già pronta per passare a cose più elevate.”
“Di questo passo diventerà un genio. E parla già un sacco.”
“Sì, per avere solo un anno e mezzo è veramente incredibile quante parole sappia. Ogni tanto mamma me la passa al telefono quando mi chiama, e se fosse per lei non si staccherebbe più dalla cornetta.”
“E tu quanto prendi parte alla conversazione?” Rory si stringe nelle spalle.
“Praticamente parla solo lei.” Entrambe ridacchiano divertite. Dopo un po’ Luke si avvicina al loro tavolo con la torta di mele. Rory lo guarda estasiata, sapendo che non ha mai mangiato così bene come quel giorno.
“Oh, grazie, Luke, come facevi a sapere che volevo proprio quella?”
“Infatti non lo sapevo, ho solo tirato a indovinare.”
“Beh, ci hai azzeccato in pieno! Proprio l’altro giorno dicevo alla mamma quanto mi mancava la tua torta di mele. Non se ne trovano in giro di torte come questa. Ehi, aspetta un momento, non è che è stata la mamma a spifferare tutto?” Luke sorride.
“Ormai mangiate ininterrottamente qui da una vita, mi sono fatto una vaga idea dei vostri gusti alimentari. Non che siano poi così difficili, divorate praticamente qualsiasi cosa…”
“Non preoccuparti, diamo sempre il meglio di noi solo quando pranziamo da te.”
“Mi sento davvero lusingato.” Sorride di nuovo e si allontana. Lane guarda Rory con aria sognante, pensando a che strana e divertente famiglia si ritrovi.
“Lei gli assomiglia moltissimo.”
“A chi, a Luke?”
“Già. Ha le stesse espressioni, lo stesso carattere. Ma secondo me crescerà bella come te e Lorelai.”
“Anche la nonna da giovane era molto bella.”
“Deve essere un vizio di famiglia. Ma come l’ha presa quando ha saputo che Lorelai aveva chiamato Emily come lei?”
“Diciamo che è rimasta paralizzata dallo shock per più di due giorni. Sembrava aver perso la sua loquacità. Ha decisamente battuto ogni record, sia di quando le hanno detto che si erano sposati in Spagna partendo senza dirlo a nessuno, sia di quando mamma le ha detto che era incinta. Quando l’abbiamo portata in ospedale a vederla non è riuscita a trattenersi ed è scoppiata in lacrime.”
“No! Davvero?!”
“Sì, era terribilmente commossa.”
“Cosa avrei dato per vederla.”
“Io per fortuna sono riuscita a non perdermi almeno quella scena.” Rory sospira. Ogni tanto la nostalgia per la vita di famiglia le piomba addosso improvvisamente e la attanaglia con rimorsi amari. Ha una sorellina piccola e non può vederla crescere perché è dall’altra parte del mondo per lavoro, ha una madre che adora e a cui non può più stare vicino come faceva prima. Sente la mancanza del loro rapporto simbiotico, ancora di più di quando andava a Yale. Allora sapeva che le bastava guidare per qualche ora per tornare da lei se avesse avuto bisogno del suo aiuto. Ora invece le sarebbe toccato prendere uno o due aerei.
“È bello essere di nuovo qui.”
“Già, tutti sono sorpresi di vederti.”
“Mancavo da così tanto?”
“Non ti facevi più vedere da queste parti da quasi due mesi, ormai.”
“Lo so, è che non torno a casa tanto spesso… quando non sono in Europa sono a New York alla sede del giornale e il tempo mi sfugge davvero tra le mani… mi dispiace di non essere molto presente.”
“Non ci pensare. Hai la tua vita, la vita che hai sempre sognato, e devi godertela.”
“Sì, lo so.” Si sofferma a pensare che in ogni caso vorrebbe tanto avere un compromesso dalla vita. Viaggia per il mondo nei posti che adora di più, ma la gente che più le sta a cuore è rimasta lì a Stars Hollow, e non riesce mai a soffocare la nostalgia che prova per una vita che ormai ha esaurito gli anni in cui doveva essere vissuta. Spesso si chiede se ha fatto proprio tutto quello che poteva fare quando era lì, se non ha trascurato qualcuno incoscientemente, e si rattrista per giorni ripensando a quanto ha fatto soffrire sua madre quando aveva ancora la possibilità di viverle vicino.
“Allora, come pensi di passare l’estate?”
“Non ho molte ferie a disposizione, non mi è rimasto più di un mese.”
“I tuoi datori di lavoro sono proprio dei tiranni.”
“Sì, lo so. Ma questi sono i prezzi da pagare.”
"Andrai da Justin?"
"No, non credo. In fondo, non eravamo proprio insieme. Siamo usciti durante il periodo in cui io ero a New York per un paio di mesi, ma poi sono ripartita e abbiamo finito per non sentirci più. In effetti, la mia vita sentimentale è un disastro da gestire in una situazione del genere."
"Consolati, ora finalmente sei tu quella che arriva e poi se ne va spezzando i cuori dei ragazzi." Rory rimane a fissare Lane per un secondo, spiazzata. Sicuramente ha detto quella frase senza pensarci. Sicuramente non voleva fare riferimenti. È lei che non può fare a meno di cogliere un significato nascosto in ogni discorso.
"Che c’è? Ho detto qualcosa che non dovevo dire?" La guarda, e sembra leggermente preoccupata. No, sa che non l'ha detto apposta.
"No, no, figurati, stavo solo... pensando."
"Senti, perché non provi a richiamarlo? Adesso puoi prenderti una pausa."
"Lo so, ma non è giusto che io faccia così." Continua a sentirsi piena di rimorsi per il modo in cui è costretta a gestire queste situazioni. Non è da lei. E' un comportamento incostante ed egoista. E lei non vuole più esserlo. Se c'è una cosa che ha tentato di fare da quando era tornata a Yale era stato cancellare il fantasma di quello in cui si era trasformata e da cui Jess l'aveva tirata fuori.
ma non era su di lui che doveva concentrarsi ora.
"Lo so anch'io che non è giusto, ma ora la tua vita è questa, e lo sai che i lati positivi sono di più di quelli negativi. Vedrai che troverai un modo per gestire anche questo."
Neanche stessero parlando di affari. Ancora più di quanto non fosse naturalmente portata a fare, era costretta a gestire razionalmente le sue storie d'amore. Senza rimpianti, senza attaccamenti al passato. Alle volte era decisamente frustrante.
"Tu che farai durante le vacanze?"
"Oh, finalmente siamo riusciti ad organizzare una tourneè decente, lo sai? Abbiamo contattato molti locali in diverse città dei dintorni, staremo via tutte le vacanze facendo il giro della costa, andremo a Boston, New York, Philadelphia, addirittura Miami!"
"Mi sono persa tutta la vostra ascesa."
"Abbiamo fatto un sacco di strada, davvero. Adesso suoniamo regolarmente nei locali della zona. Hanno scritto anche una recensione su di noi, roba da non credere."
"Sì, l'avevo letta." Sorride, ricordando il momento in cui poco tempo fa le era capitato per caso tra le mani l'articolo. Era rimasta così sorpresa che si era subito annotata di chiamare Lane in serata, appena avrebbe raggiunto la rilassante vasca da bagno dell'albergo. Ma poi era stata interrotta da un'altra sfilza di telefonate di lavoro e i suoi propositi di congratularsi con l'amica avevano finito per svanire nel nulla.
Alle volte si chiedeva come potesse non sentirsi in colpa per tutto questo. Era praticamente impossibile per lei.
"Sarà una bella tourneè."
"Già, non vedo l'ora. Viaggeremo su un pullmino che ha rimediato Zach. Sono davvero elettrizzata."
"Quando partite?"
"Fra una settimana. Dovrò cominciare a fare i bagagli molto in anticipo, sono talmente indecisa su cosa portarmi dietro..."
"Ti darò una mano, se vuoi."
"Oh, grazie. Mi piacerebbe che venissi anche tu, sai." Quella frase la coglie di sorpresa.
"In tourneè con voi? E che ci farei?"
"Potresti scrivere un articolo, come in Almost Famous. Sai quanto sarebbe divertente. Verresti a conoscenza di tutti i nostri segreti più nascosti..." Mentre Lane fantastica, lei rimugina. Ironia della sorte, Almost Famous era uno dei film preferiti di Jess. Si chiede perchè tutto quanto deve ricondurla a pensare a lui. Probabilmente il rimpianto di non aver più avuto il coraggio di cercarlo in tre anni. Le duole ammetterlo, ma si sente in colpa. Sia per lui che per sé stessa. In fondo, chissà, se fossero tornati amici... cosa ci sarebbe stato di male?
"Non lo so, Lane. Stai davvero dicendo che potrei seguirvi in una tourneè?"
"Ma certo. I ragazzi non avrebbero nulla in contrario. Ovviamente solo se vuoi."
La proposta è strana, e immagini insolite si formano nella sua mente. Immagina come potrebbe essere, e la fantasia prende il sopravvento. Sicuramente si divertirebbe a viaggiare in un pullmino sgangherato. Ha sempre amato i viaggi alla buona, come girare l'Europa con un sacco a pelo e lo zaino in spalla. In qualche modo, la proposta la attira.
"Ci penserò su." risponde infine, decidendo di rimandare la riflessione. Ora la torta di mele aspetta solo che lei la mangi, e lei non può certo deluderla.

***
"No, non li conosco."
"Nemmeno io."
"Sono bravi, fidatevi. Io sono andati a sentirli ieri sera, dovevo organizzare una serata alla mia ragazza e non sapevo che accidenti fare, poi ho sentito che in un locale vicino a casa sua suonavano questo genere di musica e ho deciso di portarcela, tanto a lei piace. Non è stato così male come pensavo."
"Ma chi sarebbero esattamente?"
"Mah, una piccola band del Connecticut. Si stanno facendo strada, ho sentito che sono in tour in alcune città qui in giro per qualche mese."
Jess annuisce, poi si rinchiude nei suoi pensieri. In fondo, potrebbe anche andarci. Gli farebbe bene. Sta prendendo i suoi impegni un po' troppo sul serio ultimamente. I suoi ritmi di vita sono sopportabili, e piacevoli, ma continui ed incalzanti. Ogni giorno c'è qualcosa da fare, si alterna fra due lavori e la scrivania, dove poco a poco sta prendendo forma il suo nuovo libro. Nessuno dei suoi amici lo sa ancora, chiederà loro di pubblicarlo quando ormai sarà finito e avrà potuto rivedere con calma tutto quanto. Se glielo dicesse adesso comincerebbero le pressioni, e lui per il momento vuole prendersela comoda. Non c'è scopo di lucro in quello che fa. Lo fa solo perché finalmente ha trovato il mezzo per incanalare e dare spazio a quelle emozioni che di giorno in giorno sentono il bisogno di sfociare in qualcosa.
"Allora, Jess, che ne dici? Ci andiamo?"
"Guarda che è domani sera. Non prenderti troppo tempo per pensarci." Sorride, incrociando le braccia.
"Dovete sempre starmi con il fiato sul collo, eh?"
"Hai per caso intenzione di andarci da solo?"
"Mi vengono in mente un paio di compagnie più piacevoli della tua, Jeff." Gli altri ridono. Ci hanno fatto l'abitudine alla sua ironia dissacrante.
"Beh, in ogni caso, tieniti quell'invito."
"Tranquillo, non lo userò come fazzoletto di carta."
Il cellulare inizia a squillare insistentemente nella tasca della sua giacca. Non ha idea di chi sia, ma suppone sia meglio rispondere, anche se di solito nessuno lo chiama mai a quell'ora. Tranne una persona.
"Ciao, zio." Ovviamente.
"Mi fa piacere constatare che diventi sempre più educato."
"Tu invece stai peggiorando, ormai non mi saluti neanche più." Sente la risata di Luke all'altro capo, e si allontana un po' dai suoi amici, in modo da avere almeno una conversazione privata. Raggiunge la scrivania, la oltrepassa, apre la finestra e esce sul balcone, mentre il vento gli scompiglia i capelli.
"Tutto bene?"
"Incominciamo con l'interrogatorio? Sì, sto bene, ho sempre il mio lavoro, sono molto impegnato, non mangio schifezze e guardo sempre la strada prima di attraversare."
"Jess."
"Queste cose dovresti cominciare a dirle a tua figlia, lo sai."
"Ma dai, non mi dire, ti ricordi ancora della sua esistenza."
"E come potrei dimenticarmene, mi ci fai parlare al telefono ogni volta che chiami!"
"Scommetto che non sai neanche più quanto manca al suo..."
"Vediamo, sette mesi, undici giorni, quattordici ore e... oh scusa, mi sfugge il conto dei secondi al momento..." Si diverte sempre a prendere in giro suo zio, ma lui ogni volta fa fatica ad ammettere che gradisce. In quel momento, però, a giudicare dal pesante silenzio sembra che non abbia proprio gradito per niente.
"Che c'è ora?"
"Sei mancato al suo scorso compleanno."
"Sì, lo so, ma non potevo fare altrimenti. E poi sono venuto sei giorni dopo a trovarla. E non dirmi che ha già rotto il mio regalo, era così carino."
"Non è questo il punto, Jess."
"Insomma è ancora intero o no?"
"Non lo so, ma il fatto è che quella è stata l'ultima volta che ti sei fatto vedere. Ti rendi conto che sono passati cinque mesi?"
"Devo per caso ricordarti che lavoro dalla mattina alla sera?"
"Ma dico, è tua cugina, e io sono tuo zio, e dato lo stretto grado di parentela dovresti mostrare un minimo di interessamento!"
"Intendi per te o per Emily?"
"Per tutti e due, accidenti. Sono cinque mesi che non ti fai vedere."
"Questo l'ho capito, non ho certo bisogno che me lo ripeti." risponde, bonario, ma evidentemente per Luke non è giornata, pensa mentre stacca leggermente il telefono dall'orecchio per non essere assordato dal suo tono di voce.
"Smettila di scherzare, hai dei doveri verso la tua famiglia, perché fino a prova contraria io sono ancora la tua famiglia, e nel caso non lo avessi ancora realizzato ho anche una figlia, una bimba bellissima che mi ruba sempre i cappellini da baseball, e sinceramente sono stufo di mandarti le sue foto, perché io spendo i soldi del fotografo e tu non muovi un dito per venirmi incontro..."
"Zio, ho capito."
"E poi, dovrebbe farti piacere vedere la tua famiglia ogni tanto, ormai te ne stai lì a Philadelphia in compagnia della tua nuova vita ma questo non significa che per forza io e Emily dobbiamo esserne tagliati fuori..."
"Zio. Calmati. Non è che non sono più venuto perché non avevo più voglia di venire. Giuro, ho avuto da fare sul serio, in questo periodo più che in altri."
"Ma adesso c'è l'estate, e si suppone che tu abbia delle ferie."
"Infatti. Lascia fare a me. Ti prometto che verrò presto."
"Quantifica il presto."
"Fra due settimane al massimo, ok?" Per fortuna che non aveva ereditato la pignoleria da suo zio, o il suo carattere sarebbe risultato decisamente pessimo.
"Ok. Fallo per Emily, se non vuoi farlo per me. Ha bisogno di vedere sia te che Rory, ogni tanto."
"Come sta ora?"
"Chi?"
"Rory." Ormai non si fa più problemi a chiederglielo.
"Bene, lavora tantissimo, come al solito. E' sempre in viaggio da una parte all'altra dell'Europa. Adesso è via con Lane, si sta godendo le vacanze."
"Bene."
Si rasserena, era da un po' che voleva chiedergli di Rory. Giusto per assicurarsi che stesse bene. Ormai ha sue notizie tramite Luke da tre anni a questa parte. Ogni volta un senso di strano disagio lo invade, e pensa che tutta questa situazione non è normale, che se volessero informarsi l'uno dell'altra dovrebbero sentirsi di persona, senza intermediari. Ma ormai ci ha fatto l'abitudine. E' andata avanti così da quando Luke l'ha informato che aveva ripreso ad andare a Yale, e aveva anche avuto la mezza idea di andare al suo diploma per farle le congratulazioni, ma poi ci aveva ripensato e non se l'era sentita. Per un motivo o per l'altro, le cose tra loro non erano state mai chiarite. Quel giorno che l'aveva rivista ad Hartford, aveva avvertito un'insolita serenità quando si erano accordati per parlare fuori dalla portata della signora Gilmore. Ma alla fine l'occasione era sfumata in un'accesa discussione, e questo ormai sembrava essere destinato a ripetersi ogni volta. Ci aveva pensato, e aveva raggiunto la conclusione che forse era meglio lasciarle vivere quel giorno senza sconvolgimenti. Più volte aveva pensato di chiedere a Luke il suo numero di cellulare per chiamarla. Ma ogni volta aveva desistito. Perché più il tempo passava più gli sembrava che ormai entrambi vivessero vite separate, che non avevano più a che fare l'una con l'altra, e che se si fossero risentiti il peso di tutte le cose che avevano da raccontarsi e il disagio per tutto il tempo trascorso senza mai essersi sentiti avrebbe condizionato negativamente tutto quanto. Aveva rinunciato, era vero. Ma le cose stavano come stavano, e ora lui aveva la sua vita e lei la sua. Sull'ombra di un possibile recupero di un qualche rapporto amichevole pesava fin troppo la lontananza, che fosse geografica o semplicemente spirituale.
Si stringe nelle spalle, sospirando.
"Ora sei contento? Ti ho detto che verrò."
"Hai promesso, ricordatelo."
"Se anche me lo scordassi non mi lasceresti tregua."
"Va bene, allora ci conto."
"Zio... non avrai bisogno di chiamare ogni giorno per farmelo presente."
"Ti servono soldi per il viaggio?"
"No, figurati, posso arrangiarmi da solo."
"Va bene."
Il momento del commiato è sempre quello più difficile.
"Saluta Emily e Lorelai."
"Certo, non preoccuparti."
"Allora ciao."
"Ciao."
La conversazione si chiude, e lui comincia a prepararsi all'idea. Dovrà pianificarsi le ferie, fare i bagagli. Non ha idea di quanto resterà, una settimana forse. Ha voglia di vedere Emily, e ha voglia anche di vedere Luke. Vuole bene a suo zio, anche se lui fa di tutto per fargli notare che non lo dimostra. Ma finalmente, sa di avere qualcosa che non ha mai avuto. Ha una famiglia su cui contare. E non può proprio nascondere di non esserne felice.



nota: la citazione del titolo viene da "Tell Her What She Wants To Know" di Sam Phillips.

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Out Of Time ***


intro

Alla fine, l'amore per l'avventura aveva preso il sopravvento. La passione cinematografica e letteraria si era impadronita di lei, il suo capo si era mostrato favorevole alla possibilità che lei scrivesse un articolo una band in tourneè e le aveva dato la spinta necessaria a continuare. Era più forte di lei: non era riuscita a fermare il sovraffollarsi di quelle immagini nella sua testa. Il fatto che non avesse mai avuto un'evidente propensione per imparare a suonare uno strumento non significava che non fosse appassionata della musica dal vivo, delle emozioni di un concerto sul palcoscenico, e che non provasse il desiderio di vivere almeno per una volta quelle emozioni da vicino. I ricordi di un film si sovrapponevano alle emozioni e suscitavano in lei un'energia e un'instancabilità che non credeva potessero durare così a lungo dentro di lei. La scelta si era timidamente affacciata alle porte della sua coscienza non appena era rientrata in casa. Il sorriso sulle labbra, l'eccitazione, l'euforia, potevano significare solo una cosa: aveva voglia di andare. Lorelai l'aveva capito subito. L'impulsività di quella scelta l'aveva inizialmente spaventata e spinta a riflettere, ma sua madre l'aveva spronata ad andare. Era un'occasione unica, le aveva detto. Ed era vero. E inoltre lei voleva darsi da fare per riallacciare i rapporti con Lane, che negli ultimi tempi erano stati un po' sommersi da tutti gli impegni e i viaggi di lavoro ed erano stati sormontati da quella vita intensa e affannata che l'aveva catturata dopo il college. Ma si era sentita in colpa. Aveva solo un misero mese di ferie, e aveva una famiglia che vedeva soltanto ad intervalli di tempo molto lunghi. Mentre prima tutto il suo mondo era lì. A Stars Hollow. Ora non aveva più una casa come quella, né l'avrebbe mai avuta.
"Vai" le aveva detto Lorelai. Lei aveva patteggiato. Avrebbe seguito Lane e gli altri per due settimane, fino a Philadelphia, dopodiché avrebbe preso un autobus- un vero autobus- e sarebbe tornata a casa, per passare le restanti due settimane con la sua splendida famiglia, di cui faceva ancora parte dopotutto. Anche se il padre di Emily non era il suo. Anche se Emily era sua sorella solo a metà. Non aveva importanza. Luke l'aveva vista crescere, e non solo le aveva fornito gli alimenti per anni e anni della sua vita, ma le era stato vicino, ed era stato vicino a sua madre. Non aveva importanza che grado di parentela li unisse.
E ora, si avvicinavano all'ultima tappa del suo viaggio. E' da ore che ci pensa, da quando sono partiti a notte fonda e lei non è riuscita ad addormentarsi nemmeno rigirandosi da una parte all'altra continuamente per cercare di trovare una posizione più favorevole. Il suo cervello lavora troppo, non c'è niente che possa fare per frenarlo. Pensa, e continua a non raggiungere una conclusione. Si dice che è il senso del dovere, unito al senso di colpa. I ricordi hanno iniziato a riaffiorare, e senza aver capito come ci era arrivata aveva finito per mettersi a confrontare mentalmente il Jess che era venuto a trovarla ad Hartford con quello che l'aveva frequentata per due anni a Stars Hollow. Sì, ovvio, era sempre lui. Ma non aveva più percepito l'asprezza del suo carattere ostinatamente chiuso. Non aveva mai cambiato improvvisamente discorso, era sempre stato diretto e sincero, senza sfociare nella sua tipica aggressività. Per la prima volta si sorprende di tutto questo, per la prima volta ritorna indietro e cerca di recuperare quel ricordo che ha sempre cercato di escludere dalla sua mente: la sua proposta folle. Il risentimento e la paura ora non la soffocano più. E capisce. Capisce che anche lì era stato sincero senza aggredirla. Ripensa alle sue risposte e si sente ancora più in colpa, capisce che era lei dalla parte del torto. Avrebbe potuto parlare con calma, analizzare la situazione, chiarirgli le idee, mostrargli la sua posizione. No. Aveva dovuto inconsciamente ripagarlo di quel giorno su quell'autobus, in cui lui non le aveva detto che stava andando via per sempre, lasciandole dentro una ferita indelebile. Si sente ancora più ingrata di quanto non si sentisse già, ed è terribile. Corre in avanti con la mente, e rivede di nuovo il momento dell'incontro ad Hartford. La sua gentilezza, la sua franchezza e la sua evidente dimostrazione che era venuto lì solo per aiutarla la lasciano spiazzata all'interno di quel confronto. Qualcosa evidentemente non quadra. Avrebbe avuto tutte le ragioni di essere arrabbiato con lei. Di voler fargliela pagare, magari. Di mostrarle il suo risentimento. Perché invece si era comportato nel modo esattamente opposto, come se lei non avesse mai pronunciato quel no senza spiegazioni? Con il volto corrucciato, ritorna con la mente a quando era tornata da quell'estate a Washington, dopo averlo baciato al matrimonio di Sookie. Il giorno al supermercato. L'incontro che stava cercando di evitare da giorni. Quanto le aveva fatto pesare di non essersi mai fatta sentire, e di essersi rimessa con Dean anche dopo quello che era successo tra loro? Quanto aveva ostentato i suoi evidenti tentativi di farla ingelosire e farla uscire allo scoperto una volta per tutte?
La situazione non quadrava per niente. Non poteva aver finto solo perché gliel'aveva chiesto Luke. E' stato sincero, lo sa, e lei ne è rimasta così piacevolmente sorpresa. Eppure, mai come in questo momento si è posta dei dubbi al riguardo. Ma si rende conto che non può trovare una risposta. Ormai non condividono più le loro vite. Ormai sono due estranei, hanno intrapreso strade diverse da quelle che li accomunavano. E si rende conto che, come lei ha vissuto la sua vita, lui avrà fatto altrettanto con la sua. Si rende conto di essere una stupida. Lei sta pensando da mesi a ringraziarlo per quello che ha fatto, ma per lui quello sarà stato solo un momento. L'aveva aiutata in nome della loro vecchia amicizia, per una questione di puro altruismo. Tutto qui. La vita di Jess non era più intrecciata alla sua, ora viveva in un'altra città, con altra gente intorno, e lei non era sicuramente più al centro dei suoi pensieri. Ed era questo il motivo per cui avevano finito per non sentirsi più neanche una volta. Quello che poteva essere un riavvicinamento aveva finito per rivelarsi soltanto un momento sporadico in cui lei aveva avuto bisogno di aggrapparsi a qualcuno per risollevarsi e lui era stato così gentile da assecondarla. Non era più il ragazzo che l'aveva guardata bloccandosi a metà per fare un respiro profondo, le aveva detto "ti amo" e poi era fuggito via in macchina. Ora stava bene anche senza di lei.
Gelosa? No di certo. Irritata? No, per niente. A disagio con quei pensieri? E perché dovrebbe esserlo? Ma la paura subentra di nuovo. Ha paura di introdursi fisicamente nella nuova vita di Jess e sentirsi terribilmente fuori posto in essa, di rendersi veramente conto che lei non ne fa più parte. Cosa può essere abbastanza forte da permettere loro di superare tutta quella distanza ormai?

***
Jess rientra in casa, distrutto ma sereno dopo un'altra intensa giornata di lavoro che l'ha tenuto impegnato fino a tardi. Nonostante tutto, anche se la sua vita è comunque una normale esistenza lavorativa immersa nella routine, questa routine è piacevole da vivere, e non lo scoraggia mai. Non c'è mai noia mortale in quello che fa tutti i giorni, e sa benissimo che non avrebbe mai potuto sperare di avere qualcosa di meglio dalla vita dopo tutto quello che gli era capitato fino a quando aveva deciso di trasferirsi. La tranquillità immota del suo appartamento lo rassicura. Vive nel suo adorato disordine, spesso casa sua diventa il punto di ritrovo del suo gruppo di amici, le serate passate in compagnia sono tante, e nonostante questo ha il suo spazio, ha i suoi momenti di riflessione.
Sorridendo, risponde all'impulso del momento e si avvia velocemente verso la camera. con destrezza infila un cd nello stereo e fa partire la musica, poi, sentendosi improvvisamente stanco, si lascia cadere sul letto. Ovviamente non gli interessa se è tardi e i vicini brontolano. Si rende conto di non essere un perfetto coinquilino e uomo di casa, ma quello è un difetto che pensa proprio di non correggere mai; non può rinunciare ad addormentarsi con la musica.
Mentre la stanza si riempie degli accordi di "Wish you were here" e lui chiude gli occhi, lasciando che la stanchezza prenda il sopravvento, sono tante le cose che gli tornano in mente, la sua memoria è affollata dalle immagini di Emily, e della faccia che poteva avere suo zio mentre parlava con lui al telefono, il solito, inguaribile, irritabile zio che gli aveva sempre rotto amabilmente le scatole, e della sua ultima domanda, ora si chiede per un attimo che cosa stia facendo Rory, che piega abbia preso la sua vita negli ultimi tempi. Le palpebre gli pesano sugli occhi e intorno è buio, e ormai non ha più intenzione di frenare i suoi pensieri...

Una macchina aveva appena varcato i cancelli di ferro. Era il momento di farsi avanti e fare quello per cui era venuto fin lì, per cui si era fermato ad aspettare dietro quel muro. Ripensò per un breve istante che l'ultima volta che era entrato in quella casa l'aveva fatto esibendo un occhio nero e facendo saltare i nervi a Rory, che credeva che avesse di nuovo fatto a botte con Dean. Quante di quelle volte gli era passato per la testa che se Rory si preoccupava così tanto del fatto che lui potesse picchiare il suo ex ragazzo era solo perché in fondo credeva anche lei che Dean non fosse capace di difendersi. Sorrise ripensandoci. Ormai quelli erano tempi passati, e lui era ben lontano dal far ripetere una scena come quella. Tutto sommato, si sentiva sereno. Strano, e anche un po' fuori posto, ma sereno. Meno fuori posto dell'ultima volta che aveva messo piede in casa Gilmore senior, comunque.
Fece un respiro profondo e avvicinò la mano al cancello di ferro. Con cautela lo aprì e scivolò dentro il varco, si voltò per riaccostarlo, e solo dopo qualche secondo alzò la testa e vide Rory in piedi nel vialetto, accanto alla macchina, che lo fissava come se avesse visto un fantasma.
"Jess." Era così strano sentirla di nuovo pronunciare il suo nome in quel modo. Sorrise dentro di sé. Dopo tutti quegli anni, era ancora capace di stupirla.
"Hey."
"Hey." Rimase fermo a farsi contemplare dalla sua occhiata sbalordita per qualche secondo. Osservò l'ombra di un timido sorriso dipingersi sul suo volto, mentre lo fissava con i suoi grandi occhi azzurri, e lui fissava lei, analizzandola attentamente. Era cambiata, diversa da come la ricordava. Meno altezzosa dell'ultima volta. Nei suoi occhi c'era solo una genuina sorpresa, l'evidenza di una tempesta emotiva causata dal suo arrivo decisamente inaspettato, ma senza traccia di scontrosità o di risentimento. Continuò a fissarla, senza abbassare lo sguardo.
"Io... " cominciò lei, ma si bloccò subito. "Scusa. Questa non era certo una frase."
"Ho colto il senso." sorrise, camminando verso di lei. Era tornata tardi, anche se non gli era costato quel granché rimanere lì appostato in attesa del suo arrivo. Probabilmente era appena tornata da una serata con i suoi amici. Chissà che gente frequentava ora. Gli sembrava così strano non sapere più quasi nulla di lei.
"Che ci fai qui?" Molto diverso dal tono con cui l'aveva detto l'ultima volta che si erano visti.
"Ho un nuovo lavoro. Mi apposto davanti ai posteggi delle macchine." Scherzò, divertito dalla situazione. Lei sorrise, con un sorriso sincero, genuino, come non ne aveva più visti sul suo volto da tanto, tanto tempo.
"E ti pagano bene?"
"Sì, ma l'orario è pessimo."
Si guardarono, e il silenzio cadde per l'ennesima volta. Dentro di sé lui era stranamente divertito. Sentiva di avere in pugno la situazione. Si accorse che Rory faceva fatica a sostenere il suo sguardo, non se l'aspettava, ed era contento di averla colta di sorpresa. Così era tutto molto meno complicato. Si sentiva più sicuro sul come condurre il gioco.
"Jess..." cominciò lei, esitante.
"Va tutto bene, sono in città per lavoro." la rassicurò in fretta. Lei sembrò distendersi, e recuperare un po' l'uso della parola.
"Come sapevi dove trovarmi?"
"Me lo ha detto Luke." Aveva ancora le sue fonti, nonostante da un anno voglia ormai lasciarsi alle spalle Stars Hollow. "Gli ho fatto vuotare il sacco, anche se non era sicuro che fosse la cosa migliore."
"Non ti preoccupare." disse lei, sorridendo. "Ti trovo bene. Non sei cambiato tanto in questi anni."
"Sì, ti trovo bene anch'io." Il suo complimento sorprendentemente sincero meritava una risposta adeguata, in fondo. Poi si preparò ad arrivare al punto. "Lo so che tutto questo potrà sembrare un po' strano, ma c'era qualcosa che volevo dirti. Mostrarti, a dire il vero." Era un mezzo per colmare il vuoto di quegli anni, mostrarle quello che aveva fatto. Non perché volesse vantarsene, non aveva mai avuto bisogno di vantarsi agli occhi di Rory perché lei l'aveva sempre visto in un modo molto diverso da come lo vedevano gli altri. No, era solo che nonostante la voglia di lasciarsi alle spalle Stars Hollow ormai aveva deciso di rivederla e non poteva dimenticare. Non poteva ignorare tutte le loro discussioni sui libri e il modo in cui l'argomento li aveva sempre appassionati, spingendoli al confronto, al dialogo. Quella era una cosa che riguardava solo loro. Sentiva di dover inevitabilmente metterne a parte Rory.
Vide il suo sguardo vagare nervosamente verso una finestra, e immediatamente capì che c'era qualche problema, qualcosa che poteva metterla a disagio.
"Posso tornare un'altra volta, se vuoi." Si offrì gentilmente. Non aveva certo intenzione di metterla nei guai.
"No, no, è solo che siamo un po' troppo in vista qui. Voglio dire, la sua finestra è proprio lì." La guardò senza capire.
"Di chi?"
"Oh, mia nonna." Spiegò lei. Jess si chiese da quando Emily Gilmore controllava la vita della nipote in modo così restrittivo.
"Vuoi entrare?" Non si aspettava pienamente che avrebbe avuto il coraggio per fargli quell'invito.
"Sei sicura?"
"Certo, non ti preoccupare. Soltanto, fai attenzione. Ha il sonno molto leggero."
Certo che avrebbe fatto attenzione. Era un maestro in queste cose, lui. Si apprestò a seguire Rory senza farle momentaneamente altre domande. Una volta dentro, avrebbero avuto tutto il tempo per parlare. Per ora, tutto sommato, era soddisfatto di come stavano andando le cose. Nessun grande imbarazzo, nessun rifiuto, nessun blocco né da parte di Rory né da parte sua. Quasi incredibile, da un certo punto di vista, ma tentare di superare gli ultimi screzi e di comportarsi ancora civilmente era un grande passo per entrambi, in quel momento.



nota: la citazione del titolo viene da "Out Of Time" di Sam Phillips.

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Still In Your Past ***


“Io e te facciamo schifo. Siamo sempre a mangiare.”
“Di questo passo trasformeremo il pulmino in cassonetto dei rifiuti molto prima di essere arrivati a Philadelphia.” Lo sguardo inizia a vagare nervosamente da un lato all’altro dell’autobus, cerca un punto di fuga, una distrazione, ma il paesaggio le sfugge sotto gli occhi senza fermarsi un attimo, e non le offre un momento di tregua per fermarsi e riflettere, per respirare e recuperare l’autocontrollo. Si sente come se stesse per affrontare il momento cruciale della sua indecisione, l’occasione del suo riscatto definitivo dal suo precedente fallimento: è riuscita a risollevarsi, ma se non è riuscita a dimostrare la sua riconoscenza, è soltanto un’ingrata redenta. Fino a quel momento è stata talmente assorbita dalle sue aspirazioni e dai suoi impegni che è riuscita a ricacciare il rimorso dentro di sé e a riversarsi sugli sforzi fatti per rimettersi in pari e diplomarsi entro i termini previsti, e poi sulla lotta ingaggiata per ottenere il lavoro che voleva. Ma ora che si è finalmente presa una vera vacanza e ha lo spazio per riflettere sulle sue scelte, si rende conto che si sta avvicinando troppo alla sua occasione per lasciarsela sfuggire.
“Che succede, Rory?” Le parole la scuotono improvvisamente e lo sguardo smette di cercare sollievo invano nelle immagini sfuggenti che scorrono oltre il finestrino.
“Niente. È solo che… mi chiedevo quanto manca per arrivare a Philadelphia.”
“Ah, certo, penso manchi ancora un’ora, più o meno.”
Rory annuisce, e il silenzio cala mentre Lane la osserva con attenzione.
“Rimaniamo cinque giorni. Vero?”
“Già.” Annuisce di nuovo, le sembra stupido provare a prolungare quella conversazione forzata. L’urgenza di confidarsi preme contro la sua gola per uscire, mentre il cervello si adopera per ricacciarla in fondo.
“Philadelphia ha più di un milione e cinquecentomila abitanti, lo sai?”
Stavolta tocca a Lane annuire. L’ombra della sua espressione perplessa lascia chiaramente a intendere che non ha idea di dove lei voglia arrivare. L’indugio la trattiene; è ovvio che non può saperlo, dato che non conosce i fatti. Solo Luke e sua madre sanno, ma lei ha insistito per archiviare la faccenda e non ha più tirato fuori l’argomento neanche per caso, neanche quando ha raramente sentito nominare Jess da Luke.
“Stavo pensando… secondo te c’è qualche possibilità matematica che in una città così grande due persone si incontrino per caso? Voglio dire, in una metropoli, con milioni di abitanti…”
“Sì, credo ci siano probabilità molto scarse. Ma penso dipenda anche da che luoghi si frequentano.”
“Cioè, pensi che sarebbe più facile incontrarsi in una lavanderia pubblica piuttosto che a un concerto?”
“C’è tanta gente che va ai concerti. Certo, dipende tutto da… per caso speri di incontrare qualcuno ad un concerto?”
“No, no, non cerco di incontrare nessuno. Volevo solo… solo ringraziare.”
“Chi, il buon Dio?”
“No, un… uno scrittore.”
“Vorresti ringraziare uno scrittore?”
“Sì, l’idea era quella.”
“Uno scrittore che vive a Philadelphia?”
“Sì, credo, dovrebbe viverci… ancora.”
“Ah, davvero? E’ famoso? Che cosa ha scritto?”
“Un libro.”
“Solo uno?”
“Non… non lo so, ma me ne ha mostrato solo uno.”
“Te l’ha mostrato? Mio dio Rory, conosci davvero uno scrittore?”
“Sì, ecco, lo conoscevo… molto bene.”
“Ma che fortuna, e chi te l’ha presentato?”
“Nessuno in particolare.”
“Ah, ma quindi… no, non dirmi che uscivate insieme! Perché non me l’hai detto? Vi siete frequentati per molto? E adesso, vi vedete ancora? Come hai fatto a conoscerlo?”
Il momento della verità sta iniziando a ritardare troppo. Ormai, il suo nome insiste troppo dentro di lei, le riempie la mente ed è già sulle sue labbra.
“Jess.”
“Cosa?”
“E’ Jess.”
“Il suo nome è Jess? No, aspetta… tu intendi Jess… Jess?” Ecco, ormai è troppo tardi per rimangiarsi tutto. Deve essere improvvisamente sbiancata in volto.
“N- no. Sì.”
“Sì o no?”
“S- sì.”
“Jess ti ha presentato uno scrittore?”
“No, no… non… stavo parlando di Jess.”
“Quindi vuoi ringraziare Jess?”
“Ehm…questa era l’idea.”
“E Jess ora è uno scrittore?”
“Beh, ha scritto un libro.”
“Davvero? Ha davvero scritto un libro?” Lane è sorpresa almeno quanto lei da quella notizia. Con la differenza che forse però non conosceva abbastanza Jess da sapere che lui aveva sempre avuto il potenziale per farlo, per far convergere tutta la sua intelligenza in qualcosa di costruttivo. Non può scordarsi quanto lei stessa lo avesse incoraggiato a trovare la sua strada.
“E’ un bel libro.”
“L’hai letto?”
“Sì, me l’ha portato lui.”
“E’ venuto di persona a portartelo?! Ma quando? Com’è successo?”
“Oh, un bel po’ di tempo fa. Io ero ancora dai miei nonni, lui era ad Hartford per lavoro e ci siamo incontrati.”
“Per caso? O vi siete sentiti prima?”
“No, a dire il vero non ci eravamo mai sentiti, ma lui aveva parlato con Luke.”
“Oh. E non era… arrabbiato?” Rory apre la bocca per rispondere, ma nessun suono articolato riesce ad uscire per comporre quello che pensa. Ci ha riflettuto appena poco tempo prima, e ancora non è riuscita a darsi una risposta.
“Probabilmente avrebbe avuto ragione di esserlo.” dice infine quasi sottovoce, Lane sa a che cosa si sta riferendo.
“E quindi, avete parlato?”
“Sì, ma non… esattamente non abbiamo chiarito. Era tutto molto strano. Voglio dire, lui era gentile, io ero troppo stordita dalla sorpresa per rendermi conto di tutto, e poi c’è stato un pasticcio con Logan, e non siamo riusciti a… parlare in modo chiaro di quello che era successo l’ultima volta.” Lane la guarda in silenzio. Sa che se non volesse andare avanti lei non insisterebbe. E’ sempre stata una buona amica. Ma ormai si è compromessa. Non può più tirarsi indietro. Deve iniziare a raccontare, tornare con la mente a quei momenti che nonostante gli anni passati sono ancora fissi nella sua memoria, immobilizzati all’interno di ricordi di solito così affollati e confusi, e deve tirare fuori quei dubbi che ormai non la lasciano dormire, perché non ne può più di essere sola ad affrontare quella situazione.

***
Apre gli occhi improvvisamente, e per un attimo avrebbe voglia di girarsi dall'altra parte e rimettersi a dormire. Ha appena cercato di recuperare le numerose ore di sonno perse la notte prima per sbrigare alcune commissioni di lavoro. Il libro gli è scivolato dalla mano ed è caduto sul dorso. Hemingway. Lei non era mai riuscita ad apprezzare particolarmente Hemingway, pensa mentre sorride un pochino e tenta di aprire definitivamente gli occhi. Poi decide di alzarsi, ma si blocca. Si ricorda che stava sognando. Detesta svegliarsi all'improvviso e non ricordarsi più che cosa stava sognando, è una cosa che gli dà estremamente sui nervi, perché poi più tenta di scervellarsi per ricordarselo, più il ricordo gli sfugge dalle mani, perdendosi nell'oblio. Odia non ricordarsi più certi dettagli, all'apparenza così insignificanti, ma che possono tormentargli la coscienza per giornate intere. Leggermente irritato contro il suo stesso sistema cerebrale, che sceglie sempre di escludere proprio quello che poi gli vorrebbe far ricordare, si solleva sui gomiti, sbatte le palpebre e guarda l'orologio. E' tardi. Deve prepararsi in fretta. C'è il concerto. Deve andare. Ora che ci pensa, odia anche la fretta, e odia il fatto che gli altri gli facciano sempre notare quando è in ritardo.

"Luke mi ha accennato qualcosa."

Si ferma, e rallenta i movimenti dopo aver aperto il cassetto. Quand'è che ha detto quella frase esattamente? Gli è balzata in mente così, all'improvviso, un eco di qualcosa che aveva appena finito di ricordare, e che gli sembra di aver già detto. In quale episodio, non riesce proprio a ricordarselo. Eppure gli sembra così reale. Meglio non pensarci sopra più di tanto, è inutile, il suo cervello ha deciso di staccare la spina e di rifiutarsi di collaborare. Odia che gli vengano in mente cose come quelle, frammenti di episodi che non sa più se appartengono alla realtà o a un banalissimo sogno.
Prende una maglia dal cassetto. Non ha voglia di vestirsi. E' solo un concerto, e non gli passa neanche per la testa di potersi vestire diversamente da come fa per andare al lavoro tutti i giorni. Nella sua vita non esistono le occasioni speciali. Esiste solo quello che ha voglia di mettersi.
Mentre si sta cambiando, si blocca di nuovo.

"Mi sto solo prendendo una piccola pausa."

E' riuscito a focalizzare un'altra frase. E subito un'immagine gli compare davanti agli occhi: Rory. E' stato quando lui era ad Hartford, quando avevano parlato, quando erano riusciti a ristabilire una sorta di dialogo civile tra di loro, quando tutto quello che era successo di spiacevole tra loro due gli era sembrato essersi cancellato, dando a entrambi un attimo di respiro per potersi comportare come se semplicemente non si vedessero da tanto tempo e non avessero mai avuto occasione di sentirsi.

"Allora, Jess, tu dove abiti adesso? Voglio sapere qualcosa di te, uomo del mistero."

Buffo che l'avesse chiamato proprio così. Sì, è vero, lui era sparito. Aveva troncato ogni contatto. Ma aveva effettivamente avuto le sue buone ragioni. Non c'era niente di male nel voler ricominciare a vivere.

"Sei nervosa?"
"Un pochino. E' passato tanto tempo."
"Beh, anch'io sono un po' nervoso."
"Bene, allora non sono da sola."


Nervoso. Era davvero come avrebbe dovuto sentirsi, tutto considerato? Sì, era il caso di lasciar perdere il resto. Aveva solo fatto un favore a Luke. Aveva solo tentato di dare una mano a una persona a cui aveva sempre tenuto, anche se ormai era soltanto aggrappato ad un ricordo lontano e non ad una persona in carne ed ossa. Tutto sommato, glielo doveva. Aveva sbagliato lui come l'aveva fatto lei, non c'era stato verso di uscirne fuori andando avanti ad insistere, tutto si era sistemato solo tentando di comportarsi da persone adulte.

"Allora, non volevo venire qui solo per parlare. Volevo mostrarti qualcosa."
"Giusto. Me l'avevi detto."
"E pensavo che se non te l'avresti mostrato di persona non ci avresti creduto."


Già, e chi ci avrebbe mai creduto. Lui, Jess Mariano, uno scrittore. Grazie a lei. Grazie a quello che era successo tra loro. Con gli appigli e gli incoraggiamenti che lei in passato gli aveva dato, si era convinto a tentare. Non l'avrebbe mai fatto se non l'avesse mai conosciuta, se qualcuno non gli avesse mai dato fiducia, senza considerarlo un fallito, un egoista. Qualcuno al mondo aveva creduto davvero che lui potesse dare qualcosa agli altri, che lui avesse delle potenzialità, e che le stesse soltanto sprecando. Era stato un grande passo avanti, riconoscerlo.

"Hai scritto un libro."

Il tono in cui l'aveva detto lo aveva sorpreso. Non credeva che si sarebbe dimostrata così entusiasta dei suoi risultati. Era tornato indietro, era tornato da lei, solo perché sapeva che la Rory che conosceva, la Rory con cui lui aveva probabilmente vissuto la parte più intensa della sua vita, sarebbe scoppiata di gioia se l'avesse saputo. Sul momento, non si era sentito molto sicuro di quello che faceva. Non sa perché. Forse perché l'ultima volta che l'aveva vista lei gli era sembrata diversa. Troppo fredda, troppo distante. Ma alla fine, dopo tutto lo sconforto che era seguito da quell'episodio, si era rassegnato. Era stata colpa sua. In fondo, se l'era andata a cercare. Lui se n'era andato. Lui l'aveva lasciata. Lui aveva dato il via alla catena.
E adesso, non è più tempo di pensarci. Deve andare a un concerto. Deve divertirsi. Ogni tanto ci ripensa, a lei, ogni tanto cerca di aggiustare mentalmente quei piccoli dettagli che non quadrano, cerca di darsi delle spiegazioni, ma è andata come è andata, non c'è nient'altro da aggiungere. Ogni tanto la sogna, come evidentemente gli è successo adesso.

"Non ce n'è bisogno. So che è un buon lavoro. Jess, hai un'intelligenza così brillante. Lo sapevo che se ti fossi seduto un attimo e avessi smesso di agitarti avresti potuto fare qualcosa del genere. Lo sapevo."

In fondo, era bello ricordarla così. Come quando gli diceva che era felice per lui, come quando si preoccupava di lui. Era stata una regressione piacevole, tutto sommato. Non avrebbe mai creduto che avrebbe finito per rimpiangere i momenti in cui ancora non stavano insieme.

"Volevo soltanto mostrartelo, e dirti... e dirti che non avrei mai potuto farlo senza di te."

Glielo doveva. Sapeva di doverglielo. E aveva fatto la sua parte. Aveva pagato il suo debito. L'aveva ringraziata, era riuscito a dire grazie anche a lei, come aveva fatto con Luke molto tempo fa. Gli era sempre riuscito difficile profondersi in manifestazioni di riconoscenza, ma glielo doveva. E ora, c'è qualcosa di nettamente diverso rispetto a come si sentiva dopo che era andata a trovarla al campus: adesso era in pace con sé stesso. Aveva fatto quello che doveva fare, per una volta.
E' tardi. Prende i soldi, le chiavi, si infila la giacca, è ora di andare. Altrimenti, arriverà in ritardo per l'ennesima volta. Certi difetti non si riescono proprio a correggere.

nota: la citazione del titolo viene da "Hummingbird" dei Wilco.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Always On My Mind ***


Un'occhiata di sfuggita al palco non attira immediatamente la sua attenzione. Poi però ritorna mentalmente su un dettaglio di quell'immagine fugace, un paio di occhiali rotondi e una ragazza dai tratti asiatici, si blocca un momento, poi si gira, guarda meglio e la riconosce. E' Lane. Come è possibile?
"Ma io li conosco." dice, riprendendosi dallo stupore.
"Mica avevi detto di non averli mai sentiti nominare?"
"Sì, ma quando andavo a sentirli io non avevano questo nome. Anzi, a dire la verità non avevano proprio nessun nome."
"Non mi dire... dove suonavano?"
"In un paesino del Connecticut, dove abita mio zio. Ci ho vissuto per un paio d'anni."
"Com'era?"
"Un postaccio." I ricordi di Stars Hollow riemergono dalla sua memoria e gli invadono la mente. Le prove nel garage, la festa, la penombra di una camera da letto... quanti anni sono passati. Per quanto tempo si era maledetto a causa di quell'episodio. Una volta spintosi a quel punto, non aveva più potuto tornare indietro.
Fece una smorfia ironica. Dopo sei anni, era ora di smetterla con i rimpianti. Non avrebbe mai potuto vivere a Stars Hollow in eterno, in ogni caso. E non gli avrebbe neanche fatto bene. Avrebbe finito per rimanere lo stesso ragazzino strafottente e insoddisfatto e non avrebbe mai ottenuto una vera occasione di riscatto. Invece, ora che ha avuto questa possibilità, deve esserne solo grato.
"Beh, ne hanno fatta di strada."
"Sì, a quanto pare."
"Dai, portaci a conoscerli durante la pausa."
"Non so neanche se mi riconosceranno, sono anni che non li vedo."
"E dai, Jess."
"Avete intenzione di tormentarmi per tutta la sera?" Il tono scherzoso che ha usato gli fa dimenticare le possibili preoccupazioni. In fondo, si tratta di Lane, e lo sa che è la migliore amica di Rory, ma in quel momento lei è solo la batterista della band, e lui è solo uno dei tanti che ha pagato per sentire il concerto.
"Ok, va bene." L'unica cosa che può fare ora è acconsentire. Il pensiero di rievocare il suo passato gli procura uno strano senso di disagio e di sospensione, di incompletezza, ma poi nell'aria risuona il primo accordo di "Should I stay or should I go", e decide di concentrarsi solo sulla musica.

***
E' la terza sera che si siede al bancone del bar che ospita il concerto di Lane e si guarda intorno, godendosi la musica. E' la terza sera che spera di incontrare per caso Jess, dirgli almeno grazie e poi sparire di nuovo. Sa che vuole farlo, ma non ne ha i mezzi, e comincia a temere di non avere neanche sufficienti speranze. Magari sa del concerto ma ha deciso di non andarci. Magari è venuto una o due sere fa e lei, per quanto si sia guardata bene in giro e abbia provato a cercarlo in mezzo alla gente, non l'ha visto. Magari abita dall'altra parte della città e non sa nemmeno che c'è un concerto. Dio, Philadelphia è una metropoli. Ha milioni di abitanti. Le probabilità reali che riesca ad incontrarlo sono veramente deludenti.
Osserva la sala con uno sguardo d'insieme, rassegnata. Dopo quella, mancherà ancora una serata, e poi Lane e gli altri riprenderanno il viaggio, mentre lei prenderà un autobus e tornerà a Stars Hollow, per passare il resto delle sue vacanze con sua madre, Luke e Emily. Non resterà per sempre a Philadelphia, non se lo può permettere. Per un attimo, prova ad immaginarsi come sarebbe passare tutte le sue giornate a girovagare in una metropoli, sperando di incrociare Jess nei suoi lunghi e disperati percorsi...
"Ciao." Si volta sobbalzando. Solo un attimo dopo realizza di non aver riconosciuto la voce.
"Scusa... mi hai spaventata... ti serve qualcosa?" dice, osservando il ragazzo che le si è seduto di fianco.
"No, volevo solo salutarti." Nonostante si senta un'idiota non può fare a meno di fissarlo con aria attonita.
"Perché?"
"Semplice, perché ti ho vista qui da sola e ho pensato di essere carino."
"Oh." Lo osserva di sottecchi. Avrà all'incirca la sua età, un anno in meno al massimo. E' piacevole di viso, dai tratti lineari, e sorride continuamente. Probabilmente l'ha vista lì da sola e ha pensato di attaccare bottone.
"Ti piace il concerto?"
"Sì, molto. Sono dei miei amici che suonano."
"Davvero? Fagli i complimenti, allora." Rory si accorge che il suo sguardo è caduto sul suo bicchiere vuoto.
"Vuoi un altro drink? Te lo pago volentieri." Lei gli sorride con aria consapevole.
"Ti farebbe piacere se mi ubriacassi?"
"Cercavo solo di essere gentile per farti una buona impressione." O cercava solo di ingannarla con quel suo sorriso disarmante.
"Non è un po' troppo evidente la fregatura in un'offerta di questo genere?"
"Ti assicuro che non è una cosa che faccio di solito."
"Ah davvero? E che cosa fai di solito?" Il senso dell'ultima speranza le dà improvvisamente il coraggio necessario per rischiare e spingersi oltre. Un ragazzo della sua età. Un ragazzo di Philadelphia. Dovrà pur avere degli amici.
"Che cosa ti piacerebbe che facessi?" Tutta quella voglia di compiacerla non la incanta, ma deve stare al suo gioco.
"Non, so, per esempio... leggi?"
"Abbastanza."
"Scrivi?"
"No, direi che non è il mio campo."
"Quindi non ti interessi neanche all'attività editoriale?"
"Sai che non mi hai neanche detto come ti chiami?" Esibisce un mezzo sorriso, leggermente contrariata.
"Rory. Mi chiamo Rory."
"Rory, eh? Un diminutivo, suppongo."
"Sì, il mio vero nome è Lorelai." Il ragazzo annuisce mentre lei lo fissa in silenzio.
"Oh, certo." Si riscuote lui, dopo qualche secondo. "Piacere, David." Rory gli stringe la mano, mentre lui le sorride per l'ennesima volta. Jess non sorrideva quasi mai. E' un pensiero come tanti che le è passato per la testa in quel momento, ma le rimane impresso. Pensa al suo ultimo sorriso triste in quella camera mentre di sotto era in corso una festa a cui lui non voleva venire. Pensa che è stata tutta colpa sua. L'aveva obbligato a venire. L'aveva forzato a stare in mezzo a tutte quelle persone elettrizzate per l'imminente diploma, e lui era esploso. Si sentiva un fallimento mentre lei lo fissava sorridendo come una stupida senza capire, poi la frustrazione di fronte a lei, ignara di tutto, era aumentata a dismisura e aveva preso il sopravvento, e ora era tutto svanito e rimaneva solo una rabbia ovattata, un rimpianto evanescente, e l'immagine di lui che si allontanava da quella casa dandole le spalle.
"Allora... sei di qui, Rory?" Sospira. Deve rimanere nel mondo reale.
"No, sono del Connecticut. E tu?"
"Io sono di qui invece." Forse può ancora fare un ultimo tentativo. Sa che è subdolo, e sa che sta solo tentando di spremere informazioni utili da quel povero ragazzo, ma sa anche che vuole trovare Jess. Non può perdere questa occasione. Chissà quando le ricapiterà di tornare a Philadelphia.

***
Lentamente, procedendo in testa al suo gruppo di amici, si sta avvicinando al palco. Gli basta un sospiro per prendere in mano la situazione, e sa già cosa fare, e come farlo.
"Ciao Lane." Quanti anni sono passati? Abbastanza perché la ragazza lo guardi come se avesse appena visto un fantasma.
"Jess?" Lui fa un mezzo sorriso, mentre lei lo fissa a bocca aperta. Ne è proprio passato di tempo.
"Complimenti, ti ricordi ancora come mi chiamo." Lei si preoccupa di chiudere la bocca.
"Scusa, è che... non pensavo, ecco, io non sapevo..."
"Che cosa, che vivo qui? O che ogni tanto mi faccio anche vedere in giro?"
"Accidenti, no, è solo che non mi aspettavo di vederti..."
"Sai, sono più sorpreso io di vederti qui... non credevo che gli abitanti di Stars Hollow osassero uscire dalla loro campana di vetro." Lo dice in tono scherzoso, mentre tempo fa ci avrebbe messo tutto il rancore e il sarcasmo possibili in una frase del genere.
"Beh, come vedi abbiamo fatto strada."
"Siete in tourneé?"
"Sì, per tutta l'estate."
"Beh, benvenuta a Philadelphia, allora."
"Grazie." Lo sguardo di Lane comincia a vagare nervosamente da una parte all'altra dell'ampio locale. Jess la osserva perplesso, sembra quasi che la sua comparsa le abbia provocato un attacco di nevrosi.
"Non sto organizzando un attentato nel locale, Lane." le dice, riscuotendola dal suo momento di panico.
"Oh, sì, certo, scusami. Allora, come ti sembra il concerto?" Quel tono fin troppo euforico gli fa chiaramente sospettare che ci sia qualcosa che non va. Quando si tratta di riconoscere una persona che nasconde qualcosa, lui si sente come dotato di un radar.
"Molto carino, e se non ti disturba, i miei amici volevano conoscervi..."
Non riesce a proseguire oltre.

"Adesso è via con Lane, si sta godendo le vacanze."

E' via con Lane. Lane è a Philadelphia. Vuol dire che anche Rory è lì. Dio, come ha fatto a dimenticarselo? Luke non gli aveva spiegato nei particolari dove fossero in viaggio e perché, ma la sua memoria l'aveva completamente rimosso fino a quel momento. E ora è tutto chiaro. Ora tutto quadra. Lane stava cercando di individuare Rory. Rory è lì dentro. Non può essere.
Si riscuote dai suoi pensieri, i suoi amici stanno chiacchierando con i ragazzi della band, Lane è impegnata nella conversazione, nessuno sta facendo particolare attenzione a lui. Se Rory è lì, deve trovarla. Deve almeno salutarla. Sarebbe da idioti non farlo. Sono passati tre anni dall'ultima volta che si sono visti, e se ora sa di poterla incontrare, non vede l'utilità di doverla evitare. Per tre anni ha chiesto notizie di lei a Luke, senza riuscire più a intromettersi direttamente nella sua vita. Ora però è diverso. Ora non si tratta di andare di nuovo a trovarla, facendo chilometri solo per vederla. Ora sono nello stesso posto, nello stesso locale. E' un caso, ma deve saperlo sfruttare. Anche se non sono amici, né fidanzati, anche se effettivamente non ha idea di cosa siano loro due in quel momento. Ma almeno lo sono stati: sono stati amici, sono stati insieme. Non può ignorare una considerazione di questo peso. E nemmeno vuole. Si accorge che ora vuole solo trovarla, vederla e poterle finalmente parlare faccia a faccia.
Si getta ancora qualche occhiata intorno, poi, furtivamente, si allontana dal gruppo, si mischia alla folla e inizia a cercare i suoi occhi azzurri in mezzo a tutte quelle facce anonime.

***
Dio. Eccola. Non si aspettava di ritrovarsela così bruscamente davanti agli occhi. Si ferma, e per un attimo non esiste più tutta la gente che gli passa di fianco frettolosamente e lo urta alzando la voce per farsi sentire nel casino generale. C’è solo lei, più adulta, più eterea, più donna dell’ultima volta che l’ha vista.
Quando era andato a trovarla ad Hartford era ancora una ragazzina. Ora ha l’aria matura, un po’ più sicura di sé, ma sempre con quella piccola goccia di timidezza che le colora le guance. Parla, e sorride lievemente, e per un attimo si sente come molti anni fa, quando la incrociava per strada mano nella mano con il suo ragazzo e fremeva, pieno di amarezza, perché anche se si rifiutava di ammetterlo avrebbe voluto essere lui lì con lei in quel momento, poter passare tutto il suo tempo insieme a lei senza che la gente mormorasse alle loro spalle, senza che lei si dovesse preoccupare della gelosia di Dean e della disapprovazione di sua madre, senza che lui dovesse ogni volta inventarsi una scusa per vederla e parlarle. Ora respira lentamente, trattenendo dentro di sé la maggior parte dell’aria. È troppo concentrato su di lei per respirare. Poi capisce che non può. Vorrebbe andare da lei ma non può. Vorrebbe tentare di chiudere di nuovo quella distanza, vorrebbe ritrovare la serenità di quei momenti in cui era finalmente da solo con lei e poteva farla ridere e guardarla mentre rideva e sentirsi un po’ fiero di sé stesso perché era riuscito a catturare la sua attenzione, ma capisce che quella è solo l’ombra di un passato che non esiste più. Quella che sta davanti a lui non è più la Rory a cui lui ha proposto di scappare da una finestra per sedersi su una panchina e fissarsi le scarpe. Non è più una ragazzina dolce e un po’ ingenua, è una donna, una donna bellissima che lui non conosce più, non sa più niente di lei, non ha appigli, non ha scuse stavolta per intromettersi nella sua pacata conversazione con un altro. Dannazione. C’è sempre qualcuno di mezzo. Vorrebbe semplicemente chiederle come sta, ma con che faccia tosta pensa di poterle comparire davanti dopo tre anni che non la vede e dirle semplicemente ciao? L’ultima volta era diverso. L’ultima volta, l’aveva fatto per il suo bene. Perché era in crisi, perché qualcosa non andava, perché lei aveva un problema e lui era ricomparso semplicemente per darle una mano. Ci aveva provato, a colmare quel vuoto… e quell’idiota del suo ragazzo si era dovuto mettere in mezzo. Ma ora basta. È inutile scaricare tutta la sua frustrazione su qualcun altro. Sono le circostanze che giocano contro di loro, e lui non può farci niente. Non ha mai creduto nel destino, né in qualsiasi altra forza superiore che possa muovere la sua vita secondo un piano preordinato, ma vede che questa è semplicemente la realtà dei fatti, e avrebbe dovuto accettarla già molto tempo fa: è stata colpa sua, in fondo. Lui ha mollato. Lui ha gettato la spugna per primo. Lui ha preferito scappare. Ha tentato di rimediare, e lei gli ha fatto capire che ormai era troppo tardi. I primi tempi ha provato ad odiarla per questo, ma si è accorto che non ci riusciva. E ora non rimane più niente se non una vecchia e sepolta traccia di quella passata amarezza. In fondo, le ha sempre sconvolto la vita, forse è più giusto che ora non lo faccia.
Improvvisamente, si accorge di essere spaventato da tutto questo. Non le ha più pensato con particolare intensità durante quel periodo, ha solo dimostrato di preoccuparsi di sapere come stava di tanto in tanto, ma per il resto è andato avanti, ha colto le occasioni che la vita gli offriva, senza perdere tempo a rincorrere quelle che ormai erano andate perse per sempre. E ora sta lì come un idiota a riflettere su qualcosa che non esiste. Smorza lo slancio che lo ha quasi sopraffatto qualche secondo fa. Lei è lì per Lane. Non per qualcun altro. E quel ragazzo, chissà chi è. Potrebbe essere chiunque tranne suo marito. Altrimenti, Luke gliel’avrebbe detto se si fosse sposata, sorride ironicamente tra sé. O forse no? Si fida di suo zio, ma l’argomento Rory è sempre stato così delicato. Sospira, buttando finalmente fuori tutta l’aria che ha trattenuto. Non ha importanza. La verità è che non se la sente di intromettersi di nuovo nella sua vita, tutto qui. Basta così, non vuole più restare, stacca lo sguardo da lei e da quel ragazzo, si gira, rintraccia Jeff, Eddie, Ian e gli altri, e senza pensarci più sopra si dirige verso di loro, pronto ad annunciare che è stanco e vuole andare a casa.

nota: la citazione del titolo viene da "Round Here" dei Counting Crows".

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Sometimes Everything Is Wrong ***


“Oh. Quindi non conosci nessuno in quel campo?”
“No, direi che non ne sono un grande frequentatore.”
“E che libri leggi di solito?” Il ragazzo si stringe nelle spalle.
“Classici.”
“Non sei mai andato a caccia di qualche scrittore sconosciuto?”
“Può darsi, qualche volta.”
“Sai, io mi sono particolarmente appassionata a un libro pubblicato da una piccola casa editrice di qui, non so se puoi averne sentito parlare…”
“Senti, perché non mi porti a conoscere la band? Sarebbe fantastico.” Fissa gli occhi nei suoi, e lei blocca sul nascere un’espressione di profondo disappunto. Sta cercando di distrarla, forse ha insistito troppo. Forse sarebbe ora di lasciar perdere. È chiaro che probabilmente non ha neanche la più pallida idea di chi sia Jess, e lei non può spremerlo ulteriormente. Quel ragazzo sta solo pensando al modo migliore di concludere la serata.
“Va bene, andiamo.” dice, dipingendosi in faccia un sorriso allegro. Si alza e si accerta che lui la segua, poi incomincia a farsi largo tra la folla, fino a raggiungere il palco.
“Lane” chiama, vedendo l’amica sul bordo del palco che scruta la folla dall’altro lato.
“Lane!” Finalmente, la sente, si gira e la raggiunge in fretta.
“Senti, Lane, volevo presentarti…”
“Rory!” La guarda con più attenzione, una strana concitazione le esplode sul volto, gesticola e per di più l’ha interrotta di punto in bianco.
“Che succede? Zach ha perso la voce?” chiede, ma Zach arriva, la saluta e David subito si introduce da solo, tenendolo occupato.
“Rory…” Lane la prende per una mano, la fa avvicinare, si abbassa in ginocchio per poterle parlare a distanza ravvicinata.
“Rory, è qui, devi trovarlo subito!”
“Chi?”
“Jess!” Senza che lei lo voglia lo shock le si dipinge sul volto, e rimane a bocca aperta, gli occhi spalancati.
“Dove… come… quando l’hai visto?”
“È venuto qui appena qualche minuto fa con i suoi amici, poi io mi sono messa a cercarti ma non ti vedevo in giro…”
“E adesso dov’è finito?”
“Non lo so, è sparito, non lo so!”
“Oddio.” Lane la aiuta a salire sul palco, e tutte e due si mettono a sondare freneticamente la sala con lo sguardo.
“Pensi che in due abbiamo più probabilità di individuarlo?”
“Non ne ho idea, se almeno avessi fatto caso alla direzione in cui è andato… Rory! Rory, sta uscendo dall'ingresso principale! Svelta, devi rincorrerlo! Muoviti, Rory!”
Non se lo fa ripetere un'altra volta. Salta giù dal palco, e subito inizia a farsi largo tra la folla a suon di spintoni. Non può lasciarsi sfuggire questa occasione. Non può. Vuole raggiungerlo, sorprenderlo, dirgli che è lì, che l’ha visto uscire dal locale e che si è messa a rincorrerlo come una stupida, che voleva dirgli grazie per l'ultima volta, perché grazie a lui la sua vita ha preso la piega che lei aveva sempre voluto che avesse… la calca continua a premere contro di lei, è impossibile andare più veloce di così, sente le persone intorno che la opprimono e la ostacolano, sa che non è certo il momento giusto per farsi prendere dal panico ma non riesce a fare altrimenti, dà spinte più forti, si chiede se stia andando nella direzione giusta, e finalmente raggiunge l’uscita. Si precipita fuori, schivando gli ultimi ostacoli, ecco, ora è in strada, si guarda intorno, prima a destra e poi a sinistra, è impossibile che sia già sparito dalla sua vista, poi lo vede, lo riconosce, quella è la sua camminata, i suoi pantaloni larghi, i suoi capelli, è già piuttosto lontano, ma deve provarci. Il panico è talmente tanto che si mette a correre.
“Jess!” il grido non le esce con la dovuta forza, è debole, smorzato dai rumori del traffico. Eccolo, deve solo raggiungerlo, ancora un piccolo sforzo, si è fermato, è sempre più vicino…
Il tempo che lei impiega a darsi lo slancio per raggiungerlo, lui è già salito in macchina e ha messo in moto. Rory si blocca di colpo, mentre il cuore le batte all'impazzata. Ansima, frena la sua foga, si piega sulle ginocchia e rimane ferma per qualche secondo ad osservare la macchina che se ne va via.
È tutto inutile. Non può correre così veloce.

***
“Ehi, dov’eri finita?” Si accorge che non ha ancora finito di riprendere fiato. Meglio cercare di far finta di niente.
“Oh, ero solo corsa a recuperare la borsa, Lane mi ha detto che mi aveva cercato il suo capo sul suo numero, e poi sono andata fuori a telefonare perché qui dentro non si sentiva niente.” Con il tempo è diventata piuttosto brava a mentire a persone che non la conoscono bene.
“Pensavo fossi scappata via.” sorride lui. Rory lo guarda, e un po’ si sente in colpa. Dopotutto le sembra un bravo ragazzo. E lei si è dimostrata una perfetta manipolatrice.
“No, non ti preoccupare. Non volevo certo perdermi la fine del concerto.” gli risponde, sorridendogli di rimando.
“Neanche per colpa di una telefonata di lavoro?”
“Assolutamente. Mi tolgono già tutte le altre gioie della vita.” dice scherzosamente.
“Allora è vero che lavori tanto.”
“Certamente. Perché, ho forse la faccia di una che passa le sue giornate sul divano dell’ufficio insieme a una tazza di caffé? La tazza di caffé c’è sempre, ma non c’è nessun divano, te lo posso assicurare.”
Per fortuna, con il rumore di sottofondo non si sente che un po’ ansima ancora.
“Sai che non mi hai ancora detto che lavoro fai?”
“Sono una giornalista. Faccio la corrispondente estera.”
“Allora viaggi molto.”
“Moltissimo. Non sto praticamente mai ferma.”
“E ora, lavori o sei in vacanza?”
“Entrambe, direi. Lane mi ha proposto di seguirli per parte della tournee, e io ho proposto al mio capo di presentargli un articolo su di loro alla fine dell’estate.”
“Una perfetta conciliazione.”
“Sì, come in Almost Famous. L’hai mai visto?”
“Quello con Kate Hudson? No, a dire la verità no.”
“Guardalo, te lo consiglio vivamente. Io sono stata costretta a vederlo tante di quelle volte che ormai lo so praticamente a memoria.”
“Mi dici che è un bel film ma che per vederlo ti hanno dovuta costringere. Dove sta il trucco?”
“No, no, mi piace, davvero. È solo che…” Si rende conto che non riesce a parlare di lui con disinvoltura. Per un attimo, fa una fatica enorme per superare quel blocco, come l’aveva fatta per pronunciare quel “sì, uscivamo insieme” di fronte a Logan.
“È solo che un mio amico non poteva mai fare a meno di guardare questo film, e passavamo molto tempo insieme, e così ho finito per rivederlo almeno una ventina di volte.”
“Beh, se è possibile esserne così presi, credo proprio che lo guarderò.” Lei abbozza un sorriso, ma per qualche ragione non se la sente più di proseguire quella conversazione. Si rende conto che qualcosa non va. Sarà stato anche un caso, ma mai prima d’ora ha parlato di Jess con un estraneo, anche solo per riferirsi a qualcosa che facevano insieme, o per raccontare una storiella divertente e alleggerire la conversazione. È stata ben attenta a non farlo mai. Questo perché lui non fa più parte della sua vita, e perché le sembra stupido mettersi a parlare di lui con disinvoltura come se si trattasse di una persona che conosce da sempre. Ormai con lui non condivideva più niente, non era il numero da circo che lei poteva tirare fuori quando non aveva niente di meglio di cui parlare. Non si è mai persa nel rivangare il passato che lo riguarda neanche quando le capita di parlare con Lane dei tempi del liceo, chiedendosi che fine possa aver fatto questo o quell’altro. È come se su Jess ci fosse una specie di censura, e si sente quasi ridicola a pensarlo. Non è possibile che si sia ridotta così, in fondo è stato solo uno dei suoi ragazzi, e non è neanche stato quello che è durato più a lungo. Per un attimo non capisce perché debba tirare in ballo tutti questi problemi quando si tratta di lui. Poi si ricorda, per chissà quale strana associazione mentale, di quando sua madre le ha raccontato quello che una volta le ha rivelato Luke: al primo appuntamento con Nicole lui aveva parlato solo di lei. E all’epoca l’argomento era proibito: chiunque si azzardava ad insinuare che ci fosse qualcosa tra loro veniva subito zittito con un’occhiataccia da parte di uno dei due. Mai che ne avessero parlato tra di loro. Eppure, la gente sapeva, tutti avevano già capito tutto, solo loro due si ostinavano a negare.
Beh, questo è un altro discorso. Sua madre e Luke si erano sposati. Lei e Jess si erano lasciati tanto tempo fa.

***
"Allora... vuoi che ti riaccompagni a casa?"
"Non c'è problema, aspetto Lane e gli altri e poi vado con loro. Il nostro albergo non è molto lontano." Sa di essere scortese, ma non è proprio dell'umore giusto per farsi rimorchiare.
"Senti, Rory..." Si gira e lo fissa con impazienza, ha solo voglia di andare a casa, si sente piena di amarezza per quel fallimento plateale e non ha più voglia di parlare, ma si costringe a frenarsi e ad ascoltarlo.
"Credi che potrò rivederti di nuovo?"
Rimane in silenzio per diversi secondi. Potrebbe dire di sì. Potrebbe porre le basi di una conoscenza reciproca. Ci sarebbero modi per vedersi anche se lei lavora così tanto e non rimane mai in uno stesso posto per più di un paio di settimane, era già riuscita a cavarsela per qualche periodo con diversi altri ragazzi conosciuti qua e là. Non era la prima volta che le capitava una cosa del genere. Bene o male, da quando aveva intrapreso quell'intensa vita lavorativa, tutte le sue relazioni si erano basate più sull'occasionalità che sull'impegno. Non poteva mai dare risposte certe, questo lo sapeva. Ma non voleva neanche essere costretta a vivere in isolamento dal resto del mondo. Poteva dirgli di sì, e non ci avrebbe rimesso niente.
"Io... io non lo so, a dire la verità sarebbe un po' complicato. Non capito molto spesso da queste parti." La risposta le esce prima che possa aver preso una decisione definitiva. Non sa perché, ma non se la sente. Lei è lì per uno scopo. Non è lì per divertirsi. Non sta collezionando ragazzi in giro per l'America, e la frustrazione di quel momento è troppo elevata per farle avere la voglia di impegnarsi con qualcuno.
"Mi dispiace." aggiunge.
"Vuoi dire che non te la senti?"
"Sarebbe ipocrita se ti dessi una risposta certa... io viaggio un sacco, sento di rado persino i miei amici... non vorrei darti una delusione, ecco."
"C'è già qualcun altro?"
Che insinuazione brillante. Effettivamente dal suo comportamento può sembrare che stia solo cercando una scusa per svincolarsi da un ragazzo con cui non vuole uscire per qualche motivo preciso. Le sue scuse suonano vaghe e campate in aria persino alle sue stesse orecchie. Ma non capisce perché lo stia facendo davvero.
"Non... non è questo il punto, è solo che... mi dispiace."
"Capisco. Posso almeno chiamarti qualche volta?"
"Se vuoi..."
Prende una penna dalla borsetta e gli scrive il numero del suo cellulare.
"Non sono molto reperibile quando vado all'estero."
"E' un modo carino per dirmi di non chiamarti?"
Quella situazione la sta mettendo fin troppo alle strette. Non capisce proprio. Non può essere per Jess. E' solo che deve trovarlo. E ha appena perso una delle poche occasioni che poteva avere. Non riesce a concentrarsi su nient'altro in quel momento.
"Scusami, davvero. Devo andare."
"Certo. A presto, Rory."
Non può reggere oltre quella situazione. Si sente un verme. Ha appena scaricato un ragazzo incontrato per caso e che per di più non aveva alcun buon motivo per essere scaricato. E' carino, gentile di modi, ci si conversa bene, ha un carattere piacevole, si è dimostrato anche piuttosto comprensivo in quella situazione difficile, e lei non capisce che cosa deve andarsi a cercare ogni volta. Ma ormai sa che non se la sente. E' una questione di umore del momento, ma comunque non se la sente. Il carico emotivo di quella serata ha raggiunto una vetta massima che non può ulteriormente forzarsi a superare. Magari risponderà alle sue telefonate, se in futuro la chiamerà. Ma ora vuole solo andarsene da lì, sciogliersi i capelli, togliersi il trucco, indossare un pigiama e poter essere libera di maledirsi mentre fa finta di dormire.

***
Ora che è rintanato fra le mura sicure del suo appartamento, per la prima volta Jess si sente a disagio immerso in tutta quella solitudine. Il vuoto e il silenzio gli pesano addosso e collaborano con i sottili sensi di colpa che hanno iniziato ad invaderlo durante il breve viaggio di ritorno. C'era bisogno veramente di andarsene così? Era così tragica la situazione? Davvero non poteva fare uno sforzo e passare a salutare Rory? Non c'era bisogno di trascinarla via, bastava anche che fingesse di averla intravista per caso in mezzo alla folla e che si fosse avvicinato un attimo, sorpreso di averla trovata lì. Non sarebbe stato così inappropriato. Insomma, se Luke non gli avesse accennato al fatto che lei era in vacanza con Lane, lui avrebbe avuto tutte le ragioni per stupirsi di vederla a Philadelphia, nonostante il gruppo che suonava fosse quello di Lane. Non era un'implicazione così ovvia che ci fosse lì anche lei. Cerca di mandare definitivamente al diavolo tutti quei pensieri opprimenti e fastidiosi, ma la sua mente comincia a perdersi in ipotetiche fantasie su come avrebbe potuto andare a parlare con Rory senza interromperla troppo. Avrebbero anche potuto mettersi d'accordo per vedersi un altro giorno, anche solo per parlare, anche se erano tre anni che non si sentivano. Che importanza aveva? Non si era fatto troppi problemi nell'andare a parlare con Lane, eppure lei non la vedeva da molto più tempo. Perché tutte quelle assurde complicazioni? Perché aveva sentito così necessario il dover andarsene subito da lì, piantando addirittura in asso i suoi amici, quando il concerto non era ancora finito e lui aveva pagato per andare a sentirlo?
E' tardi per chiederselo. Deve guardare avanti. Tra un po' deve andare a trovare Luke. E' il caso che inizi ad organizzarsi un po' prima dell'ultimo minuto.

nota:la citazione del titolo viene da "Everybody Hurts" dei R.E.M.

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** That's All I Ask ***


La serata è riuscita a spossarla psicologicamente. È stanca e vorrebbe solo andare a dormire, per svegliarsi il mattino dopo e poter fingere di non aver mai fatto una sciocchezza del genere. Era ovvio, avrebbe potuto pensarci. Era stata stupida a pensare di poterlo raggiungere. Era abbastanza improbabile che fosse venuto a piedi.
Eppure, detesta ammetterlo, ma per qualche secondo ci ha davvero sperato. Mentre correva presa dalla foga del momento la sua mente aveva già elaborato una o due possibili frasi da rivolgergli per spiegargli il motivo per cui l’aveva rincorso come una furia. Era riuscita a prepararsi a quel momento entro pochi secondi, indipendentemente dal fatto che avesse avuto o meno ancora fiato una volta che fosse riuscita a raggiungerlo. Aveva sempre avuto un’andatura veloce. Entra in camera e si cambia sbattendo con astio i vestiti su una sedia. Lane probabilmente la sta già guardando con aria preoccupata da un bel po’ di tempo. Non sa se dovrebbe darsi una calmata o no; è troppo frustrante che sia andata in quel modo. Ha avuto la sua occasione a portata di mano, e ora non deve certo sperare che si ripeta. Dannazione. Non ha mai avuto così tanta sfortuna.
"Dai, Rory. Se vuoi cercarlo possiamo inventarci qualche altro modo."
Sospirando, si gira, e tutta la sua rabbia svanisce quando guarda Lane. E' lì per lei, si sta preoccupando per lei, si offre addirittura di aiutarla. Di solito ha sempre dovuto affrontare da sola il "problema Jess": a sua madre lui non piaceva, Lane in quel periodo era presa da Dave, e tutta la città in un certo senso la guardava storto. Aveva sopportato sulle proprie spalle il peso di quella storia e tutta la tristezza che era seguita dalla sua fine. Non era mai riuscita ad aprirsi veramente con qualcuno riguardo a lui, a spiegare come si sentiva quando erano insieme, o quando lui le faceva male, o quando era stata lei a fargliene. Non aveva mai avuto problemi a parlare degli altri che c'erano stati. Non sa cosa pensare di tutto questo, ma sa che è tempo di provare a rompere quel silenzio.
"Lane, io... non so davvero cosa fare." Ed è vero. Non può sperare di incontrarlo di nuovo per caso in quella città immensa.
"Ascolta, non è crollato il mondo."
"Ma non mi ricapiterà mai più un'occasione del genere. E io me lo sono fatto scappare."
"Che cos'è successo esattamente?" Sospira, sentendosi nuovamente una stupida.
"L'ho rincorso, ci ho provato, ma prima che l'avessi raggiunto è salito in macchina e se n'è andato chissà dove."
"Beh, almeno sai che non abita in questa zona."
"Sì, ma non stiamo parlando di Stars Hollow. Siamo in una città enorme con un sacco di appartamenti e citofoni e locali e negozi..."
"Lo so, ma Jess dovrà pur avere una casa." Rory si stringe nelle spalle, tirandosi la coperta sulle gambe.
"E come faccio a trovarla?"
"Per esempio, guardi sull'elenco telefonico." Apre la bocca per dire qualcosa, ma è troppo sorpresa. Che stupida. Perché non ci ha pensato prima? Era così elementare.
"Lane, sei un genio!" La abbraccia forte, sentendo che forse ha ancora una speranza.
"Non esagerare."
"E' perfetto! Credi che ne avranno una in albergo?"
"Ma certo, basta andare giù nella reception a chiedere."
"Giusto." Si sbarazza delle coperte e fa per alzarsi in piedi, ma si sente trattenere per un braccio.
"Ehi, ehi, Rory, dove hai intenzione di andare?"
"Beh, tu mi hai detto che alla reception..."
"Sì, ma io non intendevo adesso, intendevo fra un po'! Sono le cinque di mattina!"
"Ma il portiere c'è lo stesso."
"Rory... anche volendo, non puoi telefonare a Jess o andare a trovarlo alle cinque di mattina."
Il sorriso le svanisce dal volto con immediatezza.
"Già, è vero."
"Siamo tutti stanchi morti, adesso. Dormici su. Domani hai tutto il giorno per sfogliarti la guida telefonica."
"Sì, hai ragione. Va bene. Buona notte, Lane."
"Notte, Rory."
Rassegnata ad attendere almeno qualche ora di sonno prima di portare a termine il suo progetto, si infila a letto, sospirando. Deve pensare prima di agire. Deve darsi una calmata. E' vero che Jess non scappa, ma lei ha ancora due giorni prima di andarsene da lì. Due giorni, vale a dire quarantotto ore. Saranno più che sufficienti per trovare il numero o l'appartamento di Jess. Ha ancora qualche mezzo per rintracciarlo, e poi forse potrà raccontargli la figuraccia che stava per fare stanotte. Ha voglia di rivederlo, di farlo ridere un pochino. Non importa quello che dirà. O sì? Un momento. Con che scusa gli si presenterà sotto casa o alzerà la cornetta per chiamarlo?
"Lane?"
La sente bofonchiare e poi girarsi verso di lei.
"Sì?"
"Secondo te dovrei chiamarlo per chiedergli se mi rilascia un'intervista?"
"Mica lo volevi ringraziare?"
"Sì, ma mi sentirei un'idiota a dirgli ciao, ti ho chiamato per dirti che grazie a te sono tornata al college, mi sono laureata e ora faccio la vita che volevo."
"E allora, digli semplicemente che eri in città e che hai pensato di rintracciarlo perché ti andava di vederlo."
"Ma potrebbe essere equivoco."
"Rory, quando lui è venuto a trovarti ad Hartford e ha aspettato per ore sotto casa dei tuoi nonni che tu rincasassi, tu cos'hai pensato?"
"Io... ecco, non ho pensato niente, ero troppo sorpresa per averlo rivisto..."
"Fidati, la situazione ora non è diversa. Sono tre anni che vi vedete. Anche lui sarà troppo sorpreso per pensare a qualcosa."
"Sì, hai ragione. Scusa, ora ti lascio dormire."
Si sdraia di nuovo sotto le coperte, rimuginando su quello che Lane le ha appena detto. Non sa cosa fare. Non è pienamente convinta. In fondo, lei era sorpresa perché l'ultima volta non si erano lasciati in modo molto amichevole, eppure lui era tornato a cercarla. Ora la situazione non era esattamente la stessa. Era più contorta, e Jess era sempre stato molto intelligente, chissà cosa avrebbe potuto pensare.
"Lane..."
"Sì?"
"Che cosa ti ha detto quando vi siete visti?"
"Quasi niente. Voleva presentare me e gli altri ai suoi amici. Ha tirato fuori un paio delle sue battute. Se ti può consolare, in tutto questo tempo è sicuro che non abbia perso la sua ironia."
Sorride, sentendosi improvvisamente e inspiegabilmente fiera di lui.
"Sì, lo so."
Lascia che il silenzio le scorra dentro per qualche secondo. Poi si accorge che l'ansia di sapere tutto e subito è troppa.
"Lane?"
"Rory, la guida telefonica non se la mangia nessuno." Tace per un secondo, incerta.
"Ok. Scusa."
Forse è il caso che si dia una calmata, e che aspetti domani mattina. Lane ha ragione, non c'è fretta. Le case non si muovono, le persone non scappano e le guide telefoniche non vengono divorate. Deve riuscire a sfruttare al meglio l'occasione. E sicuramente non ci riuscirà senza aver chiuso occhio per tutta la notte.

***
Scende nella hall con ancora la maglia del pigiama addosso.
Vuole un caffé. Vuole una guida telefonica. E' già da considerarsi un miracolo se è riuscita a dormire per cinque o sei ore. Ora però non ce la fa più. Ha provato a riaddormentarsi anche se è relativamente tardi, ma è stato più forte di lei. Vuole togliersi il dubbio e rimediare al pasticcio che ha combinato ieri il più in fretta possibile.
Entra ed esce dalla sala da pranzo nel giro di un paio di minuti. Ora si sente abbastanza sveglia. Può incominciare. Deve incominciare.
Chiede una guida telefonica. Gliela danno. Subito individua con lo sguardo un posto tranquillo per cercare in fretta un maledetto indirizzo. Si sistema seduta su una poltrona poco lontana dalla porta d'ingresso, riparata in una nicchia in cui è poco probabile che qualcuno la disturbi. Ecco, ora le mani cominciano a sfogliare quelle pagine con una foga che lei non riesce a trattenere o a frenare in qualche modo. Nel più profondo del suo inconscio si sente una stupida per l'ennesima volta, spiazzata dal fatto che non sa cosa dirà quando prenderà in mano il telefono per comporre quel numero. Pensa di optare per una chiamata. E' più sicuro. Probabilmente ha una segreteria, e può eventualmente lasciargli un messaggio. Invece, se andasse sotto casa sua così, di punto in bianco, rischierebbe di rimanere fuori dalla porta per ore dopo aver suonato invano il citofono un paio di volte. E' meglio così, si dice. Lo spiazzerà di meno se lo chiama, come prima cosa. Ricorda come si era sentita lei quando l'aveva visto entrare dal cancello di casa dei suoi nonni, e decide che forse è più conveniente anche per lei usare il telefono.
Ha saltato la pagina. Che stupida. Torna indietro rapidamente, poi si mette a cercare. Sente una strana foga crescere dentro mentre aspetta di leggere il suo nome da un momento all'altro. Ma arrivata alla fine di quei nomi ha potuto appurare che sull'elenco non c'è nessun "Jess Mariano". No, un momento. Non è possibile. Lui abita ancora a Philadelphia. Si è fatta dare l'elenco più aggiornato che ci sia in giro. Non è dannatamente possibile che lui non ci sia. L'ha visto, era sicura che fosse lui, Lane gli ha anche parlato, è certa che viva ancora lì. Non ci sono possibilità che non sia così. Eppure, il suo indirizzo non è su quel dannato elenco.
Effettivamente, deve costringersi ad ammettere che è plausibile. Potrebbe aver cambiato casa da poco, potrebbe vivere da un amico, potrebbe avere un appartamento in affitto. Ci sono tante ragioni sensate per fornirsi una spiegazione.
Nonostante questo, comincia a sentirsi lentamente assalire dal panico.
Era la sua ultima speranza.
E ora, che accidenti può fare per rintracciarlo?
Si accascia sulla poltrona, passandosi una mano sulla fronte. E' finita, basta, non può più fare niente. E' tutto inutile. Ha sfruttato ogni sua risorsa disponibile. Evidentemente è destinata a non trovare Jess. Ad essere punita per tutte le volte che l'ha lasciato andare, che si è comportata da persona insensibile, che non è stata a sentirlo, credendo di essere dalla parte della ragione. Pare che tutto, d'un tratto, si stia ribaltando. Le viene in mente la corsa disperata fatta quella notte per tentare di raggiungerlo, e le viene in mente lui, a Stars Hollow, che la rincorreva in piazza pregandola di fermarsi...
Tutto si è rovesciato. Ora lei sta iniziando a pagare.
Non è possibile. Non importa se sono in una metropoli; sono nello stesso posto, per la prima volta dopo anni. Non è possibile che tutte le sue speranze debbano svanire così. Ci dev'essere un altro modo per rintracciarlo. Comincia a pensare di poter chiamare qualche negozio che vende vecchi dischi di musica punk e dare una sua descrizione sommaria, per sapere se possono darle qualche informazione... potrebbe provare a fare un elenco sommario di tutti i posti che potrebbe frequentare, sempre che abbia mantenuto le sue vecchie abitudini... o potrebbe affigere volantini per tutta la città...
Un momento. Lei ha un numero d'ufficio. Jess lavora. Jess dovrà avere un posto di lavoro dove sia possibile rintracciarlo.
Ma quale? Ha sempre cambiato così tanti mestier da quando lo conosce... diceva sempre che era bravo a farsi assumere, ed era vero... ha sempre saputo fare di tutto... possibile che quando è venuto a trovarla ad Hartford non le abbia detto che cosa...
Ma certo. Certo che gliel'ha detto. Il libro. Le copie. La stamperia. Aveva detto che lavorava alla stamperia. Se non si sbaglia, aveva detto che si trattava di una piccola stamperia in proprio.
Le sue mani riprendono a sfogliare freneticamente la guida. Trova l'elenco delle stamperie. Seleziona lentamente solo quelle che non le sembrano dei grandi magazzini. Prende carta e penna e si segna i numeri di telefono di quelle che ritiene più idonee per restringere la sua cerchia.
Ora forse può ricominciare a pensare a che cosa dire quando troverà il posto giusto.

***
Suona il telefono. Non ha voglia di andare a rispondere.
"Eddie, sei tu il più vicino" dice, stiracchiandosi sulla sedia.
"Non è vero, il più vicino è Jeff"
Jeff è in piedi vicino al bancone.
"Jeff!"
"Non ho abbastanza forze per spostarmi più di così."
"Oh, accidenti, guardate che poi mettono giù!"
"E va bene!" Non ha altra scelta, si raddrizza, si sporge in avanti e arriva al telefono. Solleva la cornetta e si prepara a ricevere gli insulti di chi ha dovuto lasciar squillare il telefono tutto quel tempo prima di ricevere una risposta.
"Pronto?"
Una frazione di secondo piena di silenzio esitante accoglie la sua risposta.
"Buongiorno, mi scusi, ho chiamato per avere un'informazione, cioè, non è molto pertinente come informazione, effettivamente non è qualcosa che ci si dovrebbe aspettare di sentire alzando la cornetta in una normale mattina come questa, e so che avete tutto il diritto di mantenere la privacy sui vostri impiegati, ma sappia che se le chiederò gentilmente di avere informazioni non è perché sono un'agente dell'FBI..."
"Rory?" Silenzio. La sua attonita sorpresa è cresciuta sempre di più man mano che lei pronunciava ogni sillaba di quel discorso sconnesso. Sente un sospiro all'altro capo del telefono.
"Sto cercando Jess Mariano, per favore." Sorride.
"Sono io."
"Sì, l'ho capito un po' troppo tardi per evitare di fare una figuraccia."
"Ho sempre avuto una voce irriconoscibile al telefono?"
"No, no, è solo che... volevo essere sicura di evitare la figuraccia che invece ho finito per fare." Sente la sua risata, breve, colorata da un tocco di nervosismo, ma sincera. Per un attimo gli si allarga il cuore.
"Allora, come mai tutto questo mistero?"
"In che senso?"
"Non so, chiami qui, chiedi di me... si vede che tutte le altre volte in cui l'hai fatto negli ultimi tempi dovevo essere andato a farmi un giro." Scherza bonariamente sulla questione, giusto per sdrammatizzare una situazione che altrimenti diventerebbe troppo tesa e imbarazzante. E' passato tanto di quel tempo.
"Volevo semplicemente ricordarti che mi avevi promesso un seguito al tuo libro, e ho chiamato per dirti che sei parecchio in ritardo." Gioco efficace, quello di evitare le risposte dirette alle domande. E' sempre stata la sua specialità, ma non c'è da stupirsene se anche Rory ne fa uso in quel momento.
"Beh, sai com'è... ho bisogno dei miei tempi."
"Ma io sto aspettando da tanto."
"Dovresti prendere le cose con più calma. Dove sei?"
"Oh, in giro."
"E' una risposta un po' vaga, lo sai? Potrebbe voler dire che sei a Parigi, in Siberia o sotto il mio ufficio." La sente esitare prima di rispondere. Quasi senza volerlo, è riuscita a metterla alle strette. Ora non ha molte vie d'uscita.
"Ci sei andato abbastanza vicino."
"Con quale delle tre?"
"Beh, sono a Philadelphia."
"Davvero?" Il finto tono sorpreso gli riesce piuttosto bene. Forse perché non è sorpreso soltanto a metà. Sa che lei è lì, ma non si aspettava che lei lo chiamasse, dopo che l'incontro casuale di ieri è miseramente fallito.
"Esatto."
"Per lavoro?"
"No, mi sto godendo le vacanze."
"Oh, bene. Mi fa piacere sapere che hai tempo libero per chiamarmi."
"Sì, ecco... di solito io... beh, lascia perdere. E' solo che... mi fermo qui un altro paio di giorni..."
"Mmm."
"E avevo pensato... di chiamarti, ecco."
"Hai sempre avuto ottime facoltà logiche."
"E tu hai sempre avuto ottime capacità di commentare tutto quello che dico." Distende le gambe, cercando di rilassarsi. E' proprio curioso di sentire che cos'ha da dirgli.
"Allora, sei tanto impegnato al lavoro?"
"Dipende."
"E... dipende da cosa?"
"Da cosa hai intenzione di chiedermi dopo che io ti avrò dato una risposta."
"Questo non è valido. Tu dovresti prima rispondermi, e poi stare a sentire la mia proposta."
"Ma se la tua proposta non fosse di mio gradimento, sarei sempre pronto ad inventarmi una scusa."
"Come posso rendere di tuo gradimento la proposta di un semplice pranzo?"
"Dicendomi che me lo offrirai?"
"Jess!"
"E va bene... fammi scegliere il posto allora. Se mi dovessi affidare a te, potremmo finire in guai seri."
"Ti fidi sempre ciecamente delle mie capacità."
"Non è per cattiveria, è che qui sei una novellina come lo eri a New York, e senza i miei consigli avremmo finito per mangiare da schifo anche quella volta."
L'associazione a quell'episodio gli è uscita spontaneamente, ma probabilmente è stata una mossa un po' azzardata. Insomma, quelle erano circostanze davvero particolari. Lui era ritornato a New York, frustrato e con uno strano senso di nostalgia che poteva chiaramente essere imputato solo a lei. D'altra parte, lei era piombata a New York senza preavviso dopo quella telefonata, marinando la scuola e trascurando perfino il diploma di sua madre, cosa che lui non avrebbe mai creduto possibile vederle fare. Era stata un'autentica sorpresa. Un po' come quella telefonata di adesso.
"E va bene, dimmi tu dove allora."
"Dove stai per ora?"
Dopo che lei gli ha dato l'indirizzo, comincia a pensare a qualche posto carino in zona in cui non debbano spendere una fortuna per mangiare qualcosa di decente. Le idee scarseggiano; a un certo punto, decide di cambiare piano d'azione.
"Senti, lascia perdere e fidati di me. C'è un posto vicino a casa mia dove mangio spesso, anche se è un po' lontano da dove sei tu ne vale la pena. Passo a prenderti in macchina io per l'una, ok?"
"Ok."
"Allora a dopo."
"Jess?"
"Sì?"
"Cerca di essere puntuale." Doveva immaginare che gliel'avrebbe detto.
"Questo è un colpo basso, lo sai?" le dice ridendo.
"Stavo solo mettendo le mani avanti."
"Farò del mio meglio." cerca di rassicurarla.
"Non preoccuparti, è tutto quello che ti chiedo."
La telefonata si chiude, e gli ci vuole qualche secondo per realizzare quello che è appena successo. Lui e Rory. Al telefono. Quando per tre anni lui ha continuato a chiedere notizie di lei a Luke. Quando dopo la fine della loro storia c'erano state solo telefonate mute. Quando sembrava che non ci fosse più nessun legame tra di loro. Si accorge di sentirsi strano. E' una cosa talmente insolita da sembrargli quasi innaturale. Ma deve ammetterlo. E' contento. E' contento che per una volta lei abbia supplito alla sua incapacità di farsi avanti. Si era preparato a non rivederla più dopo l'altra sera, dopo che aveva perso quell'unica occasione di parlarle di nuovo dopo anni. Ora lei ha compiuto la mossa che mancava per fare quest'ultima prova: deve tentare. L'occasione è troppo grande. Deve tentare per sapere se c'è ancora un minimo rapporto recuperabile. In fondo, è stato così stupido buttare tutto all'aria. Prima di stare insieme erano amici. E il minimo che potesse accadere di positivo era che tornassero amici. Soprattutto, che lo facessero di persona, agendo consapevolmente. Accidenti, erano adulti ormai, il tempo dell'imbarazzo adolescenziale doveva essere già passato da un pezzo.
Solleva lo sguardo e si dà d'improvviso un'occhiata intorno. Si è accorto che il silenzio è calato improvvisamente. Osserva con aria sospettosa i suoi amici, uno alla volta, mentre si rimettono a fare apertamente finta di niente.
"Beh? Che c'è? Siete tutti così invidiosi?" Gli altri ridacchiano, mentre lui si prepara a tornare al lavoro.
"C'è che potresti cacciarti in qualche guaio, amico." gli dice Eddie, allungandogli un pacco di scartoffie da compilare.
"Ho tutto sotto controllo." risponde, senza problemi. Poi solleva ancora per un attimo lo sguardo prima di chinarsi sulle carte.
"Domani vado a comprarvi dei tappi per le orecchie. Potrebbero tornarvi inaspettatamente utili la prossima volta che mi chiama qualcuno." dice, divertito, poi guarda l'orologio. Deve pensare a come impiegare al meglio quell'ora e mezza senza distrarsi troppo.

 

nota: la citazione del titolo viene da "That's All I Ask" di Jeff Buckley.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** That Was Just A Dream ***


Detesta ammetterlo. Detesta anche solo pensarci. Ma in realtà è terribilmente nevrotica. La tensione cresce in modo inevitabile mentre scende le scale di corsa. Aveva troppa fretta addosso per prendere l'ascensore. Si sente ridicola, e pensa a quello che direbbe la gente se la potesse vedere in quel momento. "Sembri una ragazzina al primo appuntamento." Che diamine. Quello non era un appuntamento. Era solo... solo un incontro programmato. Un pranzo amichevole. Un'occasione per trovarsi insieme e parlare un po'. Qualsiasi definizione possibile, insomma, tranne quella di appuntamento.
Accidenti, deve darsi una calmata. È a posto. Si è preparata per un’ora. Non deve andare ad intervistare un senatore europeo, deve solo uscire con Jess. L’ha fatto per quasi un anno, in passato. Per di più, non è niente di impegnativo, è solo un pranzo. È solo perché glielo deve. Non c’è bisogno che stia lì a riflettere su cosa gli dirà per ringraziarlo. Sa che deve farlo e basta. E sarà meglio per lei che ci riesca, perché non avrà una terza occasione per poterlo fare.
Scende, finalmente è fuori, sul marciapiede, ad aspettare, ed è riuscita ad essere puntuale come sempre. Ovviamente, lui non si vede. Ridacchia tra sé. È sempre stato il suo enorme difetto, quello dei ritardi. L’aveva fatta penare non poco, e neanche avrebbe potuto contare tutte le volte che aveva maledetto il suo gel e i suoi capelli.

“Un giorno di questi prendo un paio di forbici, vado da Luke, salgo in casa senza che lui se ne accorga, mi nascondo dentro l’armadio e poi di notte esco e glieli riduco in un modo tale che non oserà farsi vedere in giro per un paio di mesi.” Aveva detto una volta a sua madre, una di quelle tante sere passate in casa ad aspettarlo.
Cosa strana, che le dovesse sempre capitare di ricordare i suoi difetti peggiori, insieme ai loro problemi mai risolti. Come se quella storia fosse stata l'elemento più tragico della sua vita. Al diavolo, non era vero. Era felice con Jess. Sapeva di esserlo, perché tutte le volte che qualcosa era andato storto e che per l'ennesima volta non ne avevano potuto parlare, poi lei andava da lui con aria risoluta e decisa ad arrabbiarsi e a farglielo pesare, ma alla fine non ci riusciva mai. Aveva qualcosa che l'aveva sempre catturata. Forse era lo sguardo che le riserbava. Sempre così diverso dalle occhiate che lanciava a chiunque altro. O forse era per il modo in cui la faceva sentire. Sempre come se fosse sull'orlo di un abisso. Oltrepassato un certo limite, aveva il terrore di cadere di sotto, e di non smettere mai di precipitare. Ma se rimaneva in bilico su quell'orlo sottile, sentiva di essere ancora viva, sentiva che tutto sommato lui era lì a tenerle la mano per impedirle di cadere, anche se lei era talmente terrorizzata dall'idea da dimenticarsi quasi che lui fosse lì. La sua stretta alle volte si allentava. Alle volte era quasi inesistente. Ma c'era sempre stata, almeno fino al giorno in cui non se n'era andato. Lì probabilmente era davvero precipitata.
Non aveva più avuto un ragazzo per un anno. Un anno intero. Si era sentita terribilmente sola. Come se tutti la guardassero dall'alto in basso. Come se lei fosse troppo distante dal resto del mondo. Aveva impiegato tutte le sue energie per concentrarsi a fondo sullo studio e sul non cadere in depressione, tanto da trasformarsi completamente. Basta rischi. Basta buttare via la sua vita, basta infischiarsene di tutti gli altri per poi uscirne come ne era uscita con Jess. In effetti, non era veramente arrabbiata con lui, avrebbe anche potuto arrivare a capirlo. Aveva cercato di allontanarlo definitivamente semplicemente perché non voleva più sentirsi sull'orlo di un precipizio, senza essere sicura che lui rimanesse a fianco a lei per impedirle di cadere e non se ne andasse di nuovo.
Improvvisamente si sente triste a ripensarci. Sente di essere stata crudele. Non riesce a capire fino in fondo tutta questa loro incapacità di comunicare: avrebbe potuto spiegargli le sue ragioni con calma, come era abituata a fare. Non capisce perché tutto sia dovuto andare in un modo in cui lei non avrebbe sicuramente voluto che andasse.
L'ennesima macchina che percorre la strada piuttosto trafficata finisce per fermarsi sul ciglio del marciapiede, esattamente davanti a lei. Il finestrino si abbassa e compare Jess seduto al posto di guida. Controlla l'orologio: l'una e tre minuti. La cosa la sorprende non poco. Decide di avvicinarsi. Lui la saluta con un cenno del capo.
"Hey."
"Hey." rimane sul bordo del marciapiede, fissando Jess dal finestrino abbassato. Le suona strano pensare che quello è il suo ex ragazzo. Non sa perché.
"Non sei tanto in ritardo." gli dice, dondolandosi leggermente con le mani infilate nelle tasche dei jeans. Jess si stringe nelle spalle.
"Potrei anche essere migliorato." le dice.
"Non so se ci avrei scommesso."
"Effettivamente, non credo che qualcuno si sarebbe mai azzardato a farlo." Jess sorride ironicamente. Certo, nessuno avrebbe mai scommesso su di lui, nemmeno adesso. Il resto della gente di cui non gli importava un bel niente poteva continuare pure a vederlo come un fallito. Per quanto riguardava lei invece... lei era stata l'unica che in passato era andata oltre questo ammasso di apparenze, insieme a Luke. E nonostante tutto aveva cercato di ricordarglielo, quando era andato da lei per mostrarle il libro. Qualcun altro gli avrebbe riso in faccia. A lei invece brillavano gli occhi.
"Allora... tutto bene?"
"Sì, tutto bene."
Lo sguardo di Rory rimane incatenato a quello di Jess. E per un attimo non riesce a distoglierlo. Le sembra che la fissi con un'aria insolita, strana eppure familiare, intensa, diretta, e la colpisce, la blocca, come faceva quando la osservava dal bancone di Luke, o dall'altra parte della strada, quando lei gli passava davanti con Dean...
"Rory?"
"Uh?"
"Non sono venuto in macchina per fermarmi qui a consumare la benzina."
"Oh, sì, certo, scusami."
Si riscuote, con gesti rapidi si avvicina, apre la portiera, si infila nell'auto e si allaccia la cintura. Si gira, e vede che Jess la guarda con un sorrisetto divertito.
"Non volevo metterti tutta questa fretta." Lei gli restituisce un sorriso imbarazzato.
"Figurati, è solo che..."
"Tranquilla, non ti sto portando al patibolo." Gli scocca un'occhiata in tralice. E' così maledettamente sicuro di sé. Ha un'espressione serena, da lui non traspare nessun turbamento, nessun senso di straniamento, o di nervosismo, e lei intanto si arrovella il cervello chiedendosi perché non è capace di fingere, di nascondere, di mascherare tutto questo scompiglio che la situazione le ha causato.
"Allora, posso partire con l'interrogatorio?" le chiede lui.
"Che cosa vuoi sapere?"
"Prima di tutto, che cosa ci fai qui." Non sarebbe credibile se non glielo credesse. Deve fingere al meglio per cercare di scordarsi il mesto fallimento dell'altra sera.
"Oh, beh, sai, sono tornata a Stars Hollow dopo tantissimo tempo, sono andata a trovare Lane, abbiamo parlato, abbiamo guardato un sacco di-- beh, non ha importanza-- e poi lei mi ha detto che sarebbe andata in tournee con il suo gruppo, sai, hanno fatto strada ultimamente, parecchia strada a dire il vero, e volevano farsi conoscere un po' fuori dalla zona, e quindi mi sono chiesta perché non potessi prendermi una vacanza, sai, ormai non ho molto tempo per andare in vacanza, e quindi ci ho pensato, e alla fine ho deciso che non era poi così male come idea, ho fatto le valigie e sono partita con loro su un pullmino sgangherato, come in Almost Famous, e la tournee comprendeva anche Philadelphia, e quindi eccomi qui."

"Stai farneticando."

Senza pensarci due volte, fa di tutto per cacciare via quella vocina dalla sua testa. Non è vero niente. Non è vero. Se si impegna, può riuscire ad essere perfettamente calma.

"Parla più piano" si dice, poi torna a guardare la strada.
"Wow. E come hai trovato il numero? Luke ultimamente va in giro a distribuire informazioni su di me a tutti?" lei ride.
"No, no. Anche se... oddio, forse avrei fatto prima a chiamare Luke e a chiederlo a lui, il numero."
"Perché, cos'è successo? Non dirmi che sei andata alla polizia!"
"No, ma l'unica cosa che mi è venuta in mente è stato chiedere un elenco telefonico in albergo e cercare il tuo numero di casa, ma il tuo numero di casa a dire il vero non c'era, e allora non sapevo più cosa fare, e poi mi sono ricordata che tu mi avevi detto che lavoravi in una stamperia, e ho pensato che se tanto stavano aspettando il seguito del tuo libro avrebbero ancora tue notizie, e allora ho guardato i numeri delle stamperie, ovviamente eliminando quelle che mi sembravano troppo grandi, poi ho fatto un po' di telefonate e sono riuscita a rintracciarti."

"Con calma, parla con calma."

"In effetti, credo che Lane mi odierà quando le porteranno il conto delle telefonate."
"Non ci hai azzeccato proprio subito, allora."
"No, direi che non ho mai avuto fortuna in questo genere di cose. Arrivata a un certo punto avevo paura che qualcuno mi sbattesse il telefono in faccia."
"Se gli facevi dei discorsi così avvincenti..."
"Ehi, questo è un colpo basso." dice, squadrandolo con aria fintamente truce. Lui sorride e la guarda di rimando.
"Lo so. Ma eri divertente."
"Non sarei altrettanto divertente se finissimo spiaccicati contro un palo della luce." Jess riporta gli occhi sulla strada, scuotendo la testa. Lei e quella sua fissa del guardare davanti quando si guida. Effettivamente, però, ripensandoci non aveva tutti i torti. La prima volta che l'aveva portata a fare un giro in macchina ne era uscita con un braccio rotto.
"Gli incidenti non sono divertenti."
"Scherzi. Con tutto quel sangue."
"E tutta quella gente che ti si accalca intorno impedendoti di arrivare all'ambulanza piuttosto per mettersi a ficcare il naso."
"I tuoi rapporti con le masse non sono migliorati affatto." scherza lei, toccando un tasto piuttosto dolente.
"Direi per niente, anzi." conferma lui.
"Ma ora hai un pubblico di lettori, se qualcuno ti indica per strada strillando e poi ti ferma e ti chiede un autografo non puoi demoralizzarlo con una delle tue battute!"
"Molto semplicemente, non rilascio autografi."
"Non ci posso credere. Hai scritto un libro e non rilasci autografi?!"
"Esattamente, e per di più la mia faccia non è conosciuta se non da una ristretta cerchia di persone."
"Ma così nessuno ti potrà mai fermare per strada urlando e farti i complimenti per il tuo libro!"
"Non è il genere di popolarità a cui aspiro."
"Ma Jess, il libro è bello. Sul serio. Non dirmi che non ti fa piacere sentirtelo dire."
"Dipende esclusivamente da chi me lo dice." La gola gli si stringe. Perché gli è uscita quella frase? No, non va bene. Così si sta allargando troppo. Deve fare marcia indietro e tornare sul terreno neutrale.
"Voglio dire, se una ragazzina isterica sul punto di svenire venisse a tessermi le lodi del mio libro, non morirei dalla voglia di sentire la sua opinione."
Una piccola, microscopica pausa, quasi insignificante. Una pausa in cui aveva sentito che la tensione cominciava a risalirle lungo lo stomaco. Era stata una pausa di poco conto, magari doveva soltanto concentrarsi sulla strada. Magari aveva spezzato il discorso per un attimo senza motivo. Non era più l’epoca dei complimenti velati, di quelle frasi apparentemente buttate a caso che erano riuscite a farle decidere di marinare la scuola e prendere un autobus per New York, riuscendo clamorosamente a mancare al diploma di sua madre.
“Sarebbe comunque un tuo dovere.” dice, tentando di riprendere il discorso.
“Ma io non sono uno scrittore affermato.”
“Questo non toglie che tu sia un bravo scrittore.”
“Ma l’hai letto davvero il mio libro?” le dice lui, sorridendo. Rory lo guarda con aria scettica.
“Potrei citarti i passi più belli a memoria.” Jess scoppia a ridere.
“Oh, davvero? Rory, guarda che io non sono Ginsberg!”
“Che importa.” ribadisce lei, quasi offesa. Rideva di lei. Della sua ingenuità. Della sua incapacità di distacco. Accidenti, ma l’ha sempre fatto. Perché adesso deve sentirsi così per quell’affermazione evidentemente improntata sullo scherzo?
“Guarda, il posto è quello lì.” Richiama la sua attenzione dandole un colpetto sul braccio. Invece di guardare fuori dal parabrezza, si ferma inebetita ad osservare per qualche secondo la sua mano che si riposa sul cambio.

“Adesso basta” si dice, decisa a comportarsi normalmente.
“Sembra carino.” dice, osservando finalmente il locale che Jess le ha indicato.
“In genere il cibo è meglio che da altre parti, tranne quando il cuoco è di cattivo umore.” Lei sorride.
“Mi ricorda qualcuno.”
“Già, credo che dovrei farli mettere in società, lui e Luke. Farebbero un gran bell’affare. Sperando ovviamente che i loro giorni di cattivo umore non coincidano mai.”
Jess parcheggia con disinvoltura davanti al ristorante, una casupola bassa, di dimensioni modeste, ma con un paio di aiuole intorno e l’aria curata. Casa sua è proprio dietro l’angolo, eppure ci ha messo un po’ prima di notarlo. Dopo, ha cominciato a venire lì talmente spesso che qualche volta, mentre scriveva il suo libro, gli hanno anche permesso di rimanere lì delle ore a buttare giù un sacco di appunti disordinati. Ci aveva messo parecchio a riordinare le idee e a decidere su che cosa volesse concentrarsi. Non aveva mai detto a nessuno però che mentre cercava di incanalare la sua vena creativa in una direzione precisa protestando perché pretendeva che al juke box mettessero i Clash e non quella robaccia, aveva spesso pensato alla possibile espressione di Rory se mai le fosse capitato di trovarsi di fronte all’opera completa. Alla fine, quel libro era stato anche un po’ l’elemento di pacificazione tra loro. Aveva sancito, per lo meno, la fine del rancore, dei litigi, aveva allontanato quell’orribile ricordo di quel giorno a New Haven. E, ripensandoci dopo essere stato ad Hartford a trovarla, aveva concluso che forse aveva davvero fatto bene a mettersi seduto a un tavolo a scrivere un libro.

***
“Cos’hanno di buono?”
Che razza di stupida. È lì con Jess, l’unica occasione che ha di rivederlo dopo anni e sapendo che poi non lo rivedrà per altro tempo, e tutto quello che sa fare è tirare fuori queste maledette frasi banali.
“Beh, fanno degli hamburger più che decenti, con molta, molta roba sopra-- se hai parecchia fame per te è l’ideale, sempre che tu non abbia perso il tuo appetito.”
“Mi prendi in giro per caso?” dice lei, allungandogli un pugno sul gomito.
“Non mi permetterei mai, finiresti per sbranare anche me.”
“Ti avviso, non ho problemi a diventare improvvisamente cannibale.”
“Allora sarebbe meglio che cambiassi tavolo. Cosa ne dici, vado a sedermi vicino al tizio nevrotico con gli occhiali o uso quella vecchietta là in fondo per farmi da scudo umano?” Rory ride, come non rideva da mesi. Sarà colpa del troppo stress dei suoi ritmi lavorativi. O della mancanza che ha sentito per un buon caffè negli ultimi posti in cui è stata.
“Cerca di rendermi piacevole il pranzo, e vedrò di non divorarti.” si guardano, lui inarca il sopracciglio.
“Qualche suggerimento?”
“Potresti dirmi se il caffè qui è buono.”
“Sì, non è male.”
“Perfetto. Mi serve assolutamente un buon caffè. Ultimamente quelli che ho bevuto erano tutti disgustosi.” Rory annuisce soddisfatta. Si guarda intorno un attimo, ma si sente addosso gli occhi di Jess e, come per una sorta di attrazione magnetica, è costretta a voltarsi di nuovo verso di lui.
“Immagino che non sia tutto qui.” le dice, con un’occhiata complice in cui lei si perde. È la paura che la fa riemergere. La paura di quello che le sta succedendo. Le sembra di aver perso ogni minima quantità di autocontrollo.
“Oh, beh, se preferisci potrei passare al mio turno di interrogatorio.”
“Ma io non avevo ancora finito!” protesta Jess, ridendo.
“Colpa tua. Ormai il tempo è scaduto. Tocca a me.” insiste lei.
“Se ci tieni tanto… prego.” Ecco. Ora si rende conto che non sa assolutamente da dove cominciare.
“Beh, tanto per cominciare… sei più tornato a Stars Hollow qualche volta?”
Jess corruga un momento la fronte prima di risponderle. Non si aspettava quel genere di domanda. Si era già preparato a rispondere a quesiti più generici e abituali. E per un attimo, gli sorge spontaneo chiedersi il perché, e pensare di chiederlo a Rory. Ma decide di stare al gioco. In fondo, stanno facendo finta di parlare con naturalezza di quello che hanno fatto in tutto il tempo in cui non si sono mai visti né sentiti. E se non giocassero secondo quelle regole, quel momento, lì, nel ristorante, loro due insieme, da soli, dopo così tanti anni, suonerebbe troppo strano per funzionare. Meglio che funzioni invece.
“Allora, credo di essere tornato un paio di volte in due mesi appena Emily era nata, Luke addirittura all’inizio aveva paura di farmela tenere in braccio, da non credere…” Rory ride, divertita.
“Sì, anche mia madre quando era in ospedale e io sono arrivata voleva che prima di toccarla mi decontaminassi in una camera asettica. Continuava a farmi discorsi su quanti batteri mi si attaccano addosso tutte le volte che viaggio in aereo. E quindi, dato che ero appena tornata dall’aeroporto di Hartford, non ne voleva sapere.” Anche Jess ride. E Rory si accorge che le brillano gli occhi a vederlo ridere. È così contenta che sia felice, sereno, che non abbia più dentro di sé quel tormento aspro che gli dava quasi sempre quell’aria cupa quando viveva a Stars Hollow. Soffriva sempre tanto per lui, quando lo vedeva triste o arrabbiato. E si accorgeva di soffrire il doppio quando realizzava di non sapere come poteva consolarlo senza farlo arrabbiare ancora di più. Alle volte era difficile amarlo.
“Scusami, vai avanti.” gli dice, accorgendosi di averlo interrotto.
“Figurati. Poi credo di essere andato a trovarla altre tre o quattro volte… una volta per il suo compleanno, anche se sono riuscito ad andare solo con una settimana di ritardo e credo che Luke me la farà pagare a vita…”
“Oh, sì, me lo ricordo bene. Io e mamma volevamo origliare una delle vostre telefonate per sentire che cosa ti avrebbe detto. Poi però lui ci ha scoperte e ci ha cacciate via.” Ridono ancora, insieme, come avevano fatto diverse volte in passato. Quelle sane risate intelligenti che riusciva a fare solo con lui.
“I geni del ficcanaso arrivano direttamente dall’eredità di tua nonna, suppongo.”
“Oh, sì, ci potrei giurare.”
“Comunque, in teoria sarei dovuto andare qualche altra volta in questo periodo… ma in cinque mesi sono sempre stato pieno di lavoro e non sono mai riuscito a liberarmi.”
“Sei diventato un uomo impegnato.”
“Purtroppo sì, ma mi sono trovato una bella casa in questa zona e ho intenzione di comprarmela, prima o poi. Alla lunga gli affitti costano.”
“Anche gli alberghi.”
“Probabilmente di più.”
“Sì, per fortuna di solito non passo mai più di due settimane nello stesso posto.”
“Beh, allora sei impegnata anche tu.”
“Sì, parecchio. Ed è anche per questo che io…”
Ecco, non riesce a finire la frase che arriva la cameriera con gli hamburger. Dannazione. Sembra che tutta la sfortuna del mondo sia stata attirata su di lei in quei giorni.
Rimane a guardare l’hamburger per diversi secondi senza dire niente.
“Hai deciso sul serio di darti al cannibalismo?” Rory solleva lo sguardo, spiazzata.
“Oh, no, penso… che cambierò idea. Non ho tanta voglia di mangiarmi anche la vecchietta. È troppo stagionata per i miei gusti.”
Jess ride di gusto. Poi inizia ad affettare l’hamburger, e vede che Rory lo segue a ruota.
Mettono in bocca il primo pezzo e alzano lo sguardo mentre masticano in contemporanea. Si fissano negli occhi e quasi scoppiano a ridere tutti e due.
Ed è così strano.
Jess non è cambiato molto, in fondo. Ha solo l’aria più adulta, un diverso taglio di capelli, ed è uno scrittore. Ma rivede il suo viso sereno e si sente allargare il cuore. Anche se non le ha detto niente di quello che fa ora, del perché non ha problemi, di chi ha contribuito a fargli dimenticare quello che lei gli ha fatto passare.
Rory non riesce a definire la situazione. Ci ha provato, ci ha pensato fino allo stremo, ma non ne ha idea. Non può saperlo, è al di là delle sue facoltà di previsione del futuro. Non stanno insieme, questo è ovvio. Non si odiano, ormai lo stato dell’ostilità l’hanno superato, se così si può dire, anche se non ne hanno esattamente parlato. Non si possono definire amici, dato che per tre anni non si sono mai parlati, e la prima volta che si sono visti tre anni fa non si erano più parlati per un anno e mezzo, e si erano separati in modo decisamente brusco e poco amichevole.
Ora invece stanno seduti in un ristorante di Philadelphia a parlare in modo gentile, divertendosi e scherzando insieme. È assurdo che le sembri così anomalo. In fondo, prima di mettersi insieme erano amici. Lo erano. Per forza. Altrimenti cosa erano?
“Sai” dice, spezzando il silenzio- “è strano che non ci siamo mai beccati a Stars Hollow. In fondo, io torno una volta al mese, di solito.”
“Sarà che il destino non è dalla nostra parte.” scherza lui, noncurante. Per poco Rory non scuote la testa. Conosce tutti i modi migliori per sviare un discorso.
“Già… altrimenti non avrei dovuto ridurmi a chiamare dodici stamperie.”
“E io non avrei dovuto ridurmi ad aspettare la tua telefonata.”
“Beh, non pretendevo che tu avessi poteri di veggenza.” Accidenti. Deve stare attento a quello che dice. Probabilmente è ancora più vigliacco non ammetterlo con lei. Ma se non lo saprà mai eviterà di ripensare troppo spesso di essersi ridotto a prendere una decisione e poi pentirsene, e per di più per una persona che non vedeva da tre anni.
"In effetti, non credo di potermi autodefinire un supereroe."
"Hai fatto comunque qualcosa per qualcun altro ogni tanto."
"E infatti hanno deciso di dedicarmi un monumento nella piazza di Stars Hollow."
"Jess!"
"Probabilmente ho aiutato Luke ad avere un servizio più veloce ai tavoli del suo locale per i due anni in cui ci ho lavorato. Anche se non ci giurerei, probabilmente se la cava meglio da solo."
"Jess..."
"...ho riparato il tetto di casa vostra, certo, quella è stata di sicuro un'azione molto nobile. E poi ti ho aiutato a ritrovare il braccialetto di Dean, anche se, è vero, in realtà ce l'avevo io." Rory sgrana gli occhi, osservandolo stupita.
"Veramente ce l'avevi tu?" Lui inarca un sopracciglio.
"Non dirmi che non l'avevi sospettato."
"No, davvero, io non..."
"Beh, se vuoi vederla in altri termini, ho impedito che tu lo perdessi. Ti era caduto sul ponte il giorno dell'asta dei cestini, quel giorno in cui io mi sono divertito così tanto a umiliare il tuo ragazzo"- mentre lo dice esibisce un sorrisetto di soddisfazione leggermente maligna che non riesce proprio a reprimere- "e poi quando l'ho visto per terra l'ho raccolto e me lo sono messo in tasca."
Rory lo guarda con un sorriso represso a metà. E' contento di vedere che riesce ancora a farla ridere. Erano quei momenti in cui non si sentiva un fallito, quando la guardava e vedeva che tutto sommato lei sembrava contenta di trascorrere del tempo insieme a lui. E si diceva che forse era comunque arrivato a qualcosa.
"Poi, vediamo, ti ho offerto una cena per dodici persone sgraffignata direttamente dalle riserve di Luke, anche se avevo tutto l'interesse nel farlo--"
"Sai, non avrei mai sospettato neanche questo."
"Allora eri proprio cieca."
"Oh, beh, non avrei mai pensato che... sì, eri gentile con me mentre con tutti gli altri eri intrattabile, e credimi, questo non poteva che farmi piacere..."
"...allora avevi capito."
"Dopo quel giorno ho iniziato a sospettare fortemente, diciamo. Ma senza rendermene conto davvero fino a un certo punto."
"Sei sempre stata troppo modesta e con troppo senso del dovere." Lei sorride. Si rende conto che in quel momento non c'è imbarazzo, né tensione. Eppure, non stanno semplicemente rivangando i vecchi tempi in modo freddo e distaccato. Ne parlano con una certa allegria nostalgica che in lei non stenta a riconoscere e che le sembra di avvertire anche nei sorrisi fugaci di Jess.
"Magari ho semplicemente deciso di fare finta di niente."
"Fingevi bene, allora."
"Quando voglio ne sono capace."
Non esattamente ogni volta che lo vuole, però.
"Comunque, credo di averti fatto il più grande favore della tua vita quando ti ho salvato dall'irrigatore." Lei per un attimo abbassa lo sguardo e si morde il labbro, tentando di calmarsi, poi lo rialza e si accorge che sta esattamente rivivendo quel momento. Gli sguardi così intensi che si erano scambiati, la conversazione su un tono neutrale, le solite domande di rito pronunciate con tono vagamente allusivo, gli sforzi per mantenere un'aria tranquilla e distaccata, la sensazione che il tempo non fosse mai passato...
Abbassa gli occhi di nuovo. La tensione è troppo forte in quel momento per poterla sostenere.
"Sai, in realtà il favore più grande non me l'hai fatto bagnandoti completamente da capo a piedi... me l'hai fatto quando sei venuto ad Hartford."
"Perché ti ho dato una copia del libro gratis?" Dannazione alla sua dannata ironia.
"Perché mi hai fatto tornare a scuola, stupido" dice, con forza, alzando lo sguardo e fissandolo con determinazione, pronta a non farsi sfuggire un suo singolo movimento.
Jess la guarda per un po', serio in volto. La guarda e riesce solo a pensare a quanto sia stupenda in quel momento. Ha ritrovato qualcosa che aveva perso tanto tempo fa: la sua Rory. La Rory diciassettenne che era riuscito, forse, a far innamorare, e che aveva fatto seriamente innamorare lui di lei. Una Rory che non aveva più creduto possibile ritrovare: ormai usciva con i miliardari, spassandosela con ragazzi che guidano le porsche. Viveva un'altra vita in un altro mondo. E ora è lì, seduta di fronte a lui, è sparito tutto, l'aria altezzosa, quella da ricca ragazzina viziata, quella da adulta distante. E' soltanto la sua Rory. Quella che non credeva più di poter riavere. E per un attimo non gliene frega di capire che cosa sono lì a fare, se sono amici o meno, se potranno ritornare ad esserlo o meno.
Sorride quasi impercettibilmente, gettando un'occhiata oltre il vetro della finestra alla sua sinistra. Poi lo sguardo torna su di lei.
"Senti... ti va di vedere la casa? Non è grandissima, ma c'è abbastanza spazio per starci in piedi in due." Eccolo, di nuovo con i suoi bruschi cambi di argomento.
"Sì, certo." risponde di getto, senza averci pensato, senza essersi presa una piccola, microscopica pausa per rifletterci. Sta decisamente impazzendo.
"Va bene. Allora andiamo."
Pagano, e si avviano all'uscita senza dire più una parola. Il momento di riflessione è doveroso in queste condizioni, pensa Rory con ironia. Poco prima, non poteva giurarlo, ma le era sembrato che lo sguardo di Jess quando lo aveva ringraziato in quel modo contorto si fosse improvvisamente illuminato. Non sapeva perché. Non credeva di poterlo capire. E in fondo, lui non gliel'avrebbe mai detto. Non aveva mai creduto davvero di potergli tirare fuori tutto quello che gli passava per la testa, neanche quando stavano insieme. Aveva sempre tenuto una buona dose dei suoi pensieri soltanto per sé, senza condividerli con nessuno. E forse questa era una delle tante cose che l'aveva affascinata di lui: la sua riflessività enigmatica, quel non capire mai davvero che cosa gli passasse per la testa, quell'ansia nel provare ad indovinarlo ogni volta. E ora basta. Lo spettacolo deve continuare. Salirà in casa sua, vedrà l'appartamento, e riprenderanno i loro divertenti e neutrali discorsi, in cui niente deve essere preso sul serio, in cui non si deve mai eccedere, in cui non sono ammesse le interpretazioni oscure. Tutto si svolge alla luce del sole, anche se forse è solo un bellissimo sogno.

nota: la citazione del titolo viene da "Losing My Religion" dei R.E.M.

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** What Went Wrong ***


 

"Promettimi di non prendermi in giro."
"Lo prometto, a meno che non mi sia proprio impossibile trattenermi."
"Questa non è una promessa."
"Ah no?"
"Esatto." risponde lui fermandosi su uno degli ultimi gradini e voltandosi verso di lei. "O accetti le condizioni o ti lascio fuori di casa." le dice guardandola con aria decisa. Con un timido sorriso lei si perde di nuovo nei suoi occhi.
"Senza nessuno a farmi compagnia?"
"Certo. Al massimo posso ti passo un libro da sotto la porta, oppure facciamo conversazione da una parte all'altra del muro."
"Se non sbaglio mi hai invitata per vedere la casa, non per ammirare soltanto la porta d'ingresso."
«Allora potrei scattare delle foto e passarti quelle da sotto la porta.» Le sorride fuggevolmente un’ultima volta, poi si gira e sale gli ultimi gradini. Lei lo segue, mentre ride silenziosamente e scuote la testa. Le è sempre piaciuto conversare con lui, costruire quei dialoghi interminabili fatti di rapide botte e risposte, intrisi di una forte carica ironica, quasi una sfida d’intelligenza. Ricorda il giorno in cui l’ha conosciuto: uno strano ragazzo di poche parole che le aveva da subito dato l’impressione di essere circondato da un’aura di grande potenziale intellettivo. Era uno sicuro di sé, uno che dava l’aria di avere un carattere forte e schivo allo stesso tempo. Sembrava essere uno a cui non importava andare d’accordo con tutti, uno nella cui cerchia rientrava soltanto un ristretto numero di persone che lui considerasse degne di stima da parte sua. Non che si desse delle arie di superiorità; non l’aveva mai fatto. Ma lui era diverso. Lui non apparteneva a quella cittadina ottusa. Non era nato e cresciuto in una campana di vetro. Quando aveva scoperto che leggeva così tanto per lei era stato un vero colpo. Finalmente qualcuno che la capiva, che capiva che cosa volesse dire appassionarsi ai libri. Finalmente qualcuno che non si annoiava a sentirla parlarne e che non la guardava come se venisse da un altro pianeta solo perché divorava quantità industriali di libri ogni anno. Lui aveva capito e apprezzato una delle sue parti migliori. Era qualcosa che non poteva facilmente svalutare.
«Allora, mi fai entrare?» gli chiede, avvicinandoglisi mentre lui armeggia con la serratura.
«Solo se prometti di non fiatare.»
«Perché?»
«Ho fatto un enorme castello di carte sul tavolo, e ti sarei grata se non me lo facessi crollare.»
«Va bene, non fiaterò.»
La serratura scatta. Jess gira la maniglia e spinge in avanti la porta. Movimenti così meccanici e ripetitivi che ora sembrano aver assunto l’aria di un insolito rituale. Mette un piede e poi un altro dentro casa e cerca l’interruttore sulla parete per illuminare la stanza. Si gira a cercare Rory, si sofferma sul suo sguardo incuriosito, che a poco a poco si fa meravigliato. La vede entrare in casa sua senza dire una parola.
«Non era vero che avevi un castello di carte sul tavolo, bugiardo» gli dice lei, guardandolo e scoppiando a ridere mentre gli allunga un colpetto sul braccio.
«Beh, era solo un trucco per farti stare zitta.» Lei gli lancia un’occhiata truce. «Sai com’è, non è facile riabituarsi a sentirti parlare per così tanto tempo di seguito. Avrei dovuto riassumerti a piccole dosi.»
«La prossima volta ti iscriverò a un corso preparatorio.» Jess abbozza un sorriso mentre la osserva percorrere la stanza, fare un giro intorno al tavolo, fermarsi vicino all’angolo della cucina e dirigersi poi verso il divano e la libreria.
«Posso arrogarmi il diritto di rubartene uno?» dice lei, scorrendo i titoli dei libri con attenzione.
«E con quale motivazione?»
«Beh, se non ricordo male la prima volta sei stato tu a rubare un mio libro.»
«Ma poi te l’ho ridato.»
«Questo non vuol dire che tu non me l’abbia rubato.»
«Se te l’avessi davvero voluto rubare non te l’avrei restituito.»
«Ah, allora era solo una strategia per attaccare bottone.»
«Non avevo bisogno di scendere così in basso» risponde lui, ridendo. Lei continua ad osservare la sua collezione.
«Posso vedere la tua stanza?» gli chiede poi improvvisamente.
«Non aspettarti il letto a baldacchino.» le risponde lui, ironico. Poi le fa un cenno con il capo, e la guida nell'altra stanza della casa. Non c’è molto lì dentro. Un armadio, uno scrittoio, un’altra libreria più piccola, un sacco di pile di cd. Eppure, ha un'aria piacevolmente vissuta.
«Sai che ti invidio decisamente?» gli dice lei, voltandosi di nuovo a guardarlo. Lui la squadra sorpreso.
«Perché?»
«Praticamente non ho una casa. Sono sempre in giro, mai in un posto fisso. Non posso portarmi dietro neanche la metà di tutti i tuoi cd, per non parlare dei libri. Sono tutti accumulati in scatoloni enormi che ingombrano la mia vecchia camera di Stars Hollow.»
Una strana malinconia la sta assalendo. Jess la osserva abbassare le spalle, lasciando ricadere le braccia lungo i fianchi. Forse un tempo le si sarebbe avvicinato cingendola con le braccia e le avrebbe sfiorato il naso con il suo, tentando di farla sorridere.
In quel momento, invece, può soltanto parlarle tenendosi a debita distanza.
«Probabilmente non ci crederai, ma potrei dire che ti capisco.» comincia, facendo vagare lo sguardo nella stanza. «Quando mi sono trasferito per la prima volta a Stars Hollow mi sono dovuto arrangiare a portarmi dietro soltanto un sacco pieno di roba. E non era certo tutta la mia roba. Poi non ho avuto molta tregua. Avanti e indietro da New York, poi la California, poi ancora New York… diciamo che adesso che sto qui spero di essermi sistemato definitivamente. Non riuscirei più a impacchettare tutti questi libri, e non ho intenzione di lasciarli in eredità a qualcuno.»
L’abbozzo di un sorriso le si disegna sul volto. Forse qualcosa è riuscito a fare.
«E comunque, hai una famiglia da cui andare.»
«Già. Mia madre non ha mai smantellato la mia stanza. È sempre lì. Ogni volta che torno, devo solo disfare le valigie.»
«Non credo che tua madre butterebbe mai via qualcosa di tuo.»
«Fosse per lei non butterebbe via neanche i vestiti che non tocca più da anni!»
«Sarà che è affezionata ai tarli. Può darsi che le tengano compagnia.»
«Sì, probabilmente ci parla di notte mentre Emily dorme.» Lui sorride.
«Emily prenderà delle brutte abitudini.»
«Ci puoi giurare. Chissà quanto litigheranno Luke e la mamma per decidere come tirarla su.»
«Parecchio, da quello che ho potuto vedere. Luke pretende che non mangi caramelle e altre schifezze del genere, e tua madre un giorno mi ha confessato che avrebbe voglia di metterle il caffè nel biberon solo per fargli un dispetto.» Entrambi scuotono la testa. È così strano, ora, fare parte della stessa famiglia, trovarsi a condividere esperienze e ricordi che li uniscono in un modo nuovo e diverso.
«Però devono divertirsi parecchio.»
«Questo sicuramente. Mi piacerebbe poterne vedere di più di scene del genere.»
«Adesso non arriverai a dirmi che rimpiangi Stars Hollow.» Jess le esibisce un ghigno.
«Non mi azzarderei mai.»
«Ci avrei giurato.»
«Io su di te invece non ci giurerei.»
«Sì, ok… alle volte mi mancano. Voglio dire, sono contenta di quello che faccio… è solo che…»
«E’ normale, Rory.» Lei lo guarda con gratitudine, poi sembra improvvisamente incuriosirsi.
«Sicuro che non ti manca niente?»
«Niente, a parte gli irrigatori.» Lei ride. Lui si accorge che quell’allusione potrebbe essere fraintesa.
«Non ci sono molti giardini qui.» corregge il tiro.
Rory annuisce lentamente. Poi si siede sul letto, con uno dei suoi libri in mano. Mentre lo sfoglia, Jess la osserva. Il modo in cui scosta le pagine, in cui si aggiusta i capelli dietro l’orecchio, in cui scorre con gli occhi sul testo riga dopo riga... il modo in cui gli fa ricordare così tante cose d'improvviso...
Squilla il telefono. Per un attimo rimane immobile.
Forse dovrebbe rispondere.
«Scusa un attimo.»
Rory lo osserva con curiosità mentre si avvicina al comodino, solleva la cornetta del cordless, preme un tasto e risponde.
«Pronto?» lo sente dire, e lei lo fissa con aria interrogativa reclinando la testa su una spalla.
«Oh ciao.» Ha sorriso, salutando come se parlasse con qualcuno che non sentiva da un po’ di tempo, o che per lo meno non si aspettava che chiamasse.
«No, non stavo facendo niente di particolare.» Lo osserva ridere. «No, non mi hai disturbato, davvero.» Parla in tono confidenziale, scherzoso. Magari è un vecchio amico.
«Beh, se devo essere sincero non mi ricordo esattamente quando ci siamo visti l’ultima volta.»
Lo osserva fare qualche passo verso la porta che divide la camera dalla stanza d’ingresso. Forse non vuole che lei ascolti. Forse è una telefonata personale. Forse deve parlare di cose private. Forse…
«Non lo so, dovrei guardare.» Lo sente dire, mentre si allontana con apparente noncuranza. Poi ride leggermente. «Sì, lo so che sono sempre impegnato. Dovrò pure pagarmi l’affitto in qualche modo.»
Forse è una donna.
«Me lo segnerò da qualche parte. Sì, d’accordo, ci penserò. Poi ti faccio sapere.»
Rory sposta lo sguardo sulla parete. È bianca, vuota, e il suo sguardo si fa vacuo, offuscato da un velo, e qualcosa le blocca la gola, e la mente. Non vuole più pensare. Non vuole più pronunciare un solo suono. Si rende conto che non vorrebbe mai essere venuta lì per sentire quella telefonata. Si rende conto che in quel momento si sente una stupida.
Quando lui rientra in camera ha solamente il coraggio di gettargli un’occhiata di sfuggita.
«Scusami, evidentemente oggi sono molto richiesto.» Le scappa un sorrisetto amaro.
«Allora ho avuto fortuna a prenotarti per prima.» Lo sguardo di Jess saetta verso di lei, e la squadra con aria interrogativa per un lungo secondo.
«Mi dispiace se ti ho trascurata per qualche secondo.» le dice, in tono scherzoso.
«Hai anche tu i tuoi affari da sbrigare, perché ti ritieni in dovere di giustificarti con me?»
Letteralmente si è espressa con la massima educazione possibile, ma prima che potesse frenarsi si rende conto di aver pronunciato quella frase con un sarcasmo non poco tagliente. Jess la osserva con un sincero sconcerto di fronte a quella reazione irrisoria.
«Invece a quanto pare sembra che tu senta il bisogno del mio massimo risentimento.»
«Perché?»
«Perché mi stai rispondendo come se ti avessero appena rovesciato addosso un caffè.»
«Nessuno mi ha rovesciato addosso un caffè.»
«Era un modo di dire, Rory.»
«Sì, lo so.»
«E allora, spiegami perché sei così irritata da non riuscire più neanche a cogliere l’ironia.»
«Non dire sciocchezze.»
«E tu non prendermi in giro.»
Jess incrocia le braccia, esasperato. Fissa gli occhi su di lei con aria di sfida, e vede che Rory non riesce a sostenere il suo sguardo. È impossibile. È assurdo. Dopo tutti questi anni passati cercando di non pensarle troppo. Incredibile, non può davvero essere gelosa. Ora, così, d’improvviso, quando fino alla sera prima non si sarebbe mai aspettato di rivederla, quando fino a quella mattina non si sarebbe mai aspettato di sentire la sua voce, di venire a sapere che aveva fatto una decina di telefonate inutili per rintracciarlo, che voleva invitarlo fuori a pranzo solo per poterlo vedere.
Non è possibile. Non è vero niente.
«Mi spieghi perché la cosa ti infastidisce?»
«Non capisco di che cosa parli.» sbotta lei. Incredibile. È davvero stupida. Non solo è riuscita a lasciare che questa situazione la irritasse, ma ha anche dimostrato una bravura impeccabile nel farlo trasparire. Inutile, non è mai stata brava a fingere.
«Senti, se non avessi voluto che rispondessi al telefono, sarebbe stato meglio specificarlo prima.» Infuriata, Rory gli lancia un’occhiata gelida.
«Non ho nessun problema con il telefono, io.» risponde lei, spostandoci sopra lo sguardo. Jess la squadra con un’occhiata critica.
«Certo che no, lo stai fissando come se volessi incenerirlo con lo sguardo.» Rory stacca immediatamente gli occhi dal cordless, li riporta su Jess e poi li fissa sul pavimento.
«Non ce l’ho con il telefono.»
«Se vuoi ti do il permesso di picchiarlo, magari così ti sfoghi.»
«Jess!»
«Dimmi.»
«Smettila.»
«Ma io non sto facendo niente.»
«Non direi.»
«Che cosa ho fatto, Rory, ho intrattenuto una persona al telefono rubandoti trenta secondi del tuo preziosissimo tempo?»
«Non ti ho detto che mi ha dato fastidio che tu abbia risposto.»
«E allora, spiegami in base a quale agente atmosferico il tuo umore è cambiato improvvisamente.»
«Ah, è inutile.» sbotta lei, voltandosi verso la parete bianca. Completamente bianca. Cerca un punto di fuga su quella parete. Vorrebbe non trovarsi lì, a fronteggiare quella rabbia improvvisa che l’ha travolta senza spiegazione, e che continua a confonderla e a pressarla perché trovi una spiegazione razionale a quella rabbia, che invece pare non esserci.
Deve pensarci. Deve capire. Non è possibile che sia tutto immotivato.
Jess la guarda in silenzio, mentre lei cerca di evitare il suo sguardo. Rory incontra i suoi occhi per un solo, breve attimo. E rimane bloccata.
Quello sguardo, quell’aria sfacciata.
Qualcosa che ha già conosciuto tanto tempo fa.
Il ballo era stato l’apice di tutto questo. Il ballo di Stars Hollow. La maratona di ballo.
Un’espressione di sfida dipinta sul suo volto. Il suo braccio intorno alle spalle di un'altra. La sua rabbia, impossibile da contenere, aveva trovato l'unico sfogo nel denigrarlo fino all'eccesso.
E, alla fine, tutto era risultato così evidente che non aveva più potuto mentire.
"Sai, anche tu non mi avevi detto di Logan quando sono venuto a trovarti."
"Pretendevi forse che non mi rifacessi una vita dopo che te ne sei andato?"
"Certo che no, e non vedo perché invece tu pensi di poterlo pretendere da me."
Impietrita, si accorge di non avere più la forza di lottare. Vorrebbe soltanto chiudersi da sola in un bagno e rimanere a riflettere fino a spaccarsi la testa, per capire che cosa diavolo la sta prendendo in quel momento. E nello stesso tempo capisce che ha paura di scoprirlo. Che non vuole. Che non è giusto, e non è pensabile. Forse è meglio fare finta di niente. Forse è meglio tentare di ignorare tutto quanto.
“Ok, forse non è il caso di continuare questa conversazione.”
“Solo un’ultima domanda.”
“Cosa c’è ancora?”
“Vorrei che mi illuminassi.”
“A proposito di cosa?”
“Sai, te la sei presa, ti sei arrabbiata, hai cominciato a fare battute, mi hai rinfacciato un paio di cose, ma hai fatto tutto da sola. Spiegami come ci sei riuscita.” La fissa, inesorabile, e lei si sente braccata, senza vie d’uscita. Cosa accidenti pretende che lei gli spieghi? Non vuole spiegare niente, non vuole capire, non vuole soprattutto che lui capisca. Si sente terribilmente vulnerabile in quel momento, e vorrebbe soltanto fuggire dal suo sguardo inquisitorio.
“Ho per caso intralciato i tuoi piani?”
“Cosa?!” Un’aria attonita ed incredula si fa strada sul volto di Jess.
“Ti ho rovinato un appuntamento? A che fase ti ho interrotto? Ha il tuo numero di casa, ti chiama a quest’ora, parlate con disinvoltura… pare che tu sia già passato a un grado di conoscenza piuttosto intima…”
“Rory, ma che accidenti stai dicendo?”
“Che bisogno hai di rinfacciarmi di Logan? Non ti facevi vedere da più di un anno!”
“Se non mi sbaglio, dall’ultima conversazione che abbiamo avuto sembrava che tu non mi avessi esattamente implorato di restare.”
“Questo è un colpo basso.”
“E il tuo è solo un tentativo di rigirare la situazione.”
“No, affatto, io…”
“E invece sì, Rory. Andava tutto bene fino a poco fa, e poi per non so quale strana ragione ti sei messa a farneticare per una stupida telefonata e pretendi di avere un controllo sulla mia vita!”
“Io non pretendo proprio niente!”
“E allora spiegami per quale motivo ti sei messa a dare i numeri.”
Si guardano, e i secondi passano. Cade il silenzio, e cade su di loro il peso di tutte quelle parole non dette, e di tutte le occasioni sprecate in cui avrebbero potuto chiarire tutto quello che c’è stato tra loro. Non è mai successo, invece. L’ondata dei sentimenti che li ha trasportati è sempre stata troppo forte per poter essere frenata dalla ragionevolezza. Quel rinfacciarsi cose così vecchie, che ormai entrambi pensavano di essersi lasciati alle spalle… è troppo da sopportare. Rory è costretta a cedere e ad abbassare lo sguardo.

“Non era così che doveva andare.”
Lo pensa, ma non lo dice. Le parole le si formano nella mente, le analizza una per una, ma poi al momento di aprire la bocca e farle uscire si accorge di sentirsi ancora una stupida. Inutile illudersi tanto. Altre persone sono entrate nella vita di Jess, altre persone gli hanno dato quello che lei non ha saputo dargli. Altre persone l’hanno reso felice. E lei non fa più parte di quella cerchia ormai da molto tempo.
“Si è fatto tardi, devo andare.” La voce si incrina, le parole si smorzano, e non sa nemmeno se lui ha capito quello che ha detto, perché tutto le è uscito fuori con una tale fatica da risultare soltanto un sussurro mezzo soffocato. Non può sopportare quella tensione per un minuto di più. Così tante volte gli ha rinfacciato la sua subdola abilità di cambiare improvvisamente discorso quando veniva attaccato a proposito di un argomento scomodo. Beh, lei ha perfettamente imparato dal maestro, a quanto pare.
Si alza dal letto, prende la giacca, e senza lasciargli la possibilità di dire qualcosa in risposta cammina velocemente verso la porta, la apre ed esce da casa sua, sul pianerottolo. La sua mano si blocca per un solo istante sulla maniglia mentre riaccompagna la porta chiudendosela alle spalle.
Vorrebbe che lui la fermasse. Lo sa, lo sente. Ma non succederà. Ha di nuovo superato i limiti. Ha di nuovo sbagliato tutto con lui, lasciandosi trascinare da qualcosa che non è nemmeno riuscita a comprendere fino in fondo.
E ora, per il suo bene e per quello di Jess, è giusto che lei se ne vada.
Scende le scale mentre la sua ultima immagine si rifiuta di cancellarsi dalla sua mente. È sfuocata, priva di particolari ben definiti. Forse perché prima di andarsene gli ha soltanto gettato un’occhiata di sfuggita. Però non c’era odio in lui. Solo una triste confusione che la fa sentire ancora più colpevole.
Jess si siede sul letto, lentamente. Si chiede se quella è l’ennesima fine. Probabilmente sì. Non c’è niente da fare per rimediare alla loro incapacità di comunicare. Qualcosa di invalicabile li ha sempre tenuti distanti dai chiarimenti, dalle discussioni razionali.
Ancora una volta, Rory non ha capito niente, e lui non è stato in grado di spiegarglielo. Come era successo la notte della festa. Come era successo quel giorno al campus. Come è sempre successo tra loro e come, evidentemente, è sempre destino che succeda.

nota: la citazione del titolo viene da "In The Sun" di Joseph Arthur.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** We All Fall In Love Sometimes ***


Un passo. Un altro. Un ultimo tratto da percorrere. Poi le resterà solo da suonare al portone, fare le scale e nel frattempo inventarsi qualcosa da dire.
Ci ha pensato per tutto il pomeriggio e la sera precedenti, e ha passato l'ultimo concerto di Lane a Philadelphia quasi tutto chiusa in bagno per timore di essere abbordata di nuovo.
Non aveva proprio la forza psicologica per perdere tempo a scaricare un altro giovanotto altolocato. Doveva riflettere. Si era accorta che non riusciva ad evitare di farlo, perciò si era presa una pausa dal resto del mondo e aveva smesso di fare qualsiasi cosa che non fosse pensare. Altrimenti, come accadeva sempre quando aveva troppe distrazioni intorno, avrebbe finito per non arrivare a capo di un bel niente. Ma la situazione necessitava di una soluzione efficace.
Una telefonata, era stata la prima cosa che le era venuta in mente. Delle semplici scuse, un monologo affrettato che lui non avrebbe avuto il tempo di interrompere. E poi, avrebbe potuto rimanere in silenzio, in attesa di sentire la sua reazione, oppure, nel caso l'imbarazzo fosse stato troppo da sostenere, avrebbe potuto semplicemente salutarlo e riattaccare. Bel piano d'azione, ma suonava come troppo studiato e innaturale. Se avesse finito come al suo solito per pronunciare un discorso parlando a macchinetta senza quasi respirare non avrebbe dato esattamente l'impressione che voleva dare. Voleva davvero scusarsi con Jess. Ma era necessario trovare il modo migliore per farlo.
Per non parlare poi di tutta la paura che aveva di terminare il discorso e di non sentire altro che un forzato silenzio all'altro capo del telefono.
Era un incubo che l'aveva perseguitata giorno e notte dopo quella telefonata ricevuta dalla California. Dopo che con le lacrime agli occhi aveva sussurrato in una cornetta tutto quello che in realtà avrebbe voluto poter dire a voce a Jess. Non appena ci aveva ripensato aveva sentito il cuore bruciarle. Quante volte, sfuggendo senza volerlo al suo rigido autocontrollo, si era ritrovata a pensare che avrebbe voluto che si fossero parlati, che si fossero detti addio l'uno davanti all'altra, che si fossero potuti guardare negli occhi per un'ultima volta con la consapevolezza che non avrebbero più potuto stare insieme, e che quella era la fine, una fine che era destino che arrivasse. Forse le avrebbe messo di più il cuore in pace. E invece, aveva parlato con un telefono muto, riversando in quel discorso tutti i sentimenti repressi fino a quel momento, per poi rimanere per un secondo ad ascoltare il silenzio che faceva riecheggiare le sue parole, e infine riattaccare, con le lacrime agli occhi.
No. Non era neanche lontanamente pensabile. Doveva considerarla soltanto come la sua ultima possibilità. Non desiderava affatto rivivere quei momenti.
E così aveva scartato il telefono.
Una lettera. Semplice, chiara, messa giù con la dovuta calma, priva di ostacoli espressivi, senza intoppi, in cui avrebbe potuto riversare tutta sé stessa senza timore di sbagliare. Presa dalla foga del momento aveva anche preso in mano penna e taccuino per iniziare a buttare giù qualche riga.
Ma si era fermata al solito "caro Jess". Come aveva fatto per tutta l'estate trascorsa a Washington. Come aveva fatto quando aveva finito per indugiare troppo e per perdere la sua occasione. E anche in quel momento ha indugiato. La sua mano si è fermata sul foglio e la sua mente si è rifiutata di collaborare. Ogni frase che le veniva in mente le sembrava inutile o stupida, o troppo poco adatta alle circostanze. E poi, si è fermata un attimo a rifletterci meglio. Cosa avrebbe fatto una volta che anche fosse riuscita a finirla? Sarebbe andata sotto casa di Jess e gliel'avrebbe infilata nella casella della posta? Patetico. O sotto la porta di casa? Ancora più patetico. Ripensa a Jess, a come le sorrideva ogni tanto ieri. Si, è vero, non sorride mai molto. Ma ieri sembrava contento, prima che lei facesse scoppiare tutto quel putiferio. Si era comportata da perfetta idiota, aveva sprecato l'unica occasione che aveva avuto di rivederlo dopo tre anni passati a pensare se chiamarlo o meno.
L’unico modo giusto per riparare era stargli davanti e chiedergli scusa di persona. Glielo doveva, era necessario che lo facesse, e che superasse una volta per tutte le sue paure idiote. Anche se l’imbarazzo la terrorizzava, anche se il sentirsi mancare le parole quando gli stava di fronte la terrorizzava, anche se avrebbe preferito di gran lunga comunicare tramite un mezzo intermediario in modo da poter conservare appieno la lucidità necessaria a fare le cose per bene.
Poi ripensa a come si sentirebbe se dovesse andarsene senza averlo salutato. Lasciare le cose così, irrisolte, in malo modo, quando per tanti anni ha sempre pensato di essergli immensamente grata per quello che ha fatto.

“Forse… forse ci rivedremo in un momento migliore.”

Aveva avuto tre anni per decidere quale fosse quel momento migliore. Aveva fatto la sua scelta. E poi, come un’idiota, aveva rovinato tutto, per una spinta emotiva momentanea che avrebbe potuto benissimo controllare e reprimere, ed era stato tutto così assurdo, loro due di nuovo a litigare, dopo tutti quegli anni, ancora a rinfacciarsi le cose tenute dentro fino a scoppiare, ancora a provocarsi con tutta la forza possibile, ancora a tirare fuori gelosie ingiustificate. Ma tutta la colpa era stata sua. Non aveva nessun diritto di intromettersi nella vita di Jess, non dopo che vi era ripiombata così di colpo dopo tre anni. Era un diritto che non può certo pretendere di arrogarsi nemmeno in qualità di ex ragazza.
Si rende conto che tutto questo le fa inaspettatamente male. Le considerazioni a mente fredda, la valutazione dei torti e delle ragioni, l’analisi oggettiva di quello che è successo le provoca un moto di vana irritazione, un desiderio lontano che tutto non sia come in realtà è. Si rende conto di odiare tutto questo. Odia essere l’ultima arrivata. Odia pensare che non può difendersi, che non può giustificare in alcun modo il suo comportamento. E forse, odia anche il fatto che lui abbia un’altra, e che lei non ne sapesse niente.
Non che dovesse dirglielo lui di sua iniziativa. Ha ragione. Nemmeno lei gli aveva detto di Logan, quando si erano visti tre anni fa. Eppure, aveva lasciato che lui rovinasse quell’inaspettato momento in cui avrebbero potuto parlare e chiarirsi. Si era sentita a disagio come non mai quando lui le aveva proposto di unirsi a loro. Tecnicamente non avrebbe potuto dire di no. Era il suo ragazzo. Ma Jess… era Jess. Era tornato per lei. Perché era preoccupato. Era venuto a trovarla. Quante volte in tutti quegli anni le si è allargato il cuore a ripensarci.
Non può odiare il fatto che lui abbia un’altra. È giusto così. Hanno intrapreso strade diverse già da molto tempo, e il suo probabilmente è solo un moto egoistico. Sarebbe stupido credere che lui fosse rimasto lì a Philadelphia senza fare niente ad aspettare che lei andasse da lui. Non dopo quello che è successo. No. Si era giocata tutto ormai molto tempo fa.
E ora, è arrivata davanti al portone. Le sue valigie sono già pronte e sistemate sul letto dell’albergo. Lane, Zach, Brian e Gil stanno facendo i bagagli e si preparano a riprendere il viaggio, mentre lei ha nella tasca della giacca il biglietto del pullman per Hartford. Sua madre sa già per che ora venirla a prendere. Il pullman parte fra tre ore, e lei ha soltanto un’ultima occasione per rimettere le cose a posto.
Si blocca, mentre la sua mano si solleva di qualche centimetro per cercare il citofono. Poi di colpo si riabbassa. Può darsi che Jess non sia in casa. Potrebbe essere al lavoro, o in giro. Lei potrebbe essere venuta lì per niente. E poi, improvvisamente si rende conto di non sapere cosa dire. Gravissimo. Assolutamente gravissimo.
“Beh, scusami se sono tornata così, senza avvisare…” inizia a dire tra sé. Poi si blocca.
“Forse sarebbe meglio cominciare dicendogli ciao.” Non può aggredirlo con la foga dell’imbarazzo.
E poi…
“Beh, vedi, ieri non è andata esattamente come speravo che andasse, non che speravo che succedesse qualcosa, no, non devi pensarlo neanche lontanamente, volevo soltanto che tutto andasse bene tra noi, senza che ci fosse qualche obiettivo preciso, non sono venuta da te con un piano, solo che ero in città, e non ci vedevamo da anni, e pensavo che in fondo avrebbe potuto farti piacere, ok forse alla fine della giornata dato come si è concluso il nostro incontro non avrai proprio pensato che ti ha fatto piacere, ma in fondo è stata tutta colpa mia, ecco…”
No, così non va. Non va affatto. Sta farneticando, come al solito. E non gli sta neanche di fronte. Il solo pensiero riesce a mandarla totalmente in confusione. Non può presentarglisi di fronte in quelle condizioni. Non può spiegargli quello che vuole in modo così penoso. Riderebbe di lei. E lei finirebbe per arrabbiarsi. Di nuovo.
Non può farlo, non così.
Prima deve darsi una calmata. Poi forse può ritentare. Sa che deve farlo, ma non può farlo sapendo già in partenza che peggiorerà ancora di più le cose tra loro.
Si volta e scende i gradini, allontanandosi dal palazzo. Le servono cinque, dieci minuti per tranquillizzarsi, per riprendere la calma e per farsi un’idea di quello che gli potrà dire.
“Stupida, stupida”. Non ha molto tempo. Deve riuscire a parlargli in fretta. Altrimenti dopo lei tornerà a Stars Hollow e lui rimarrà lì a pensare a quanto lei sia stupida. O forse, a non pensarle affatto. Di nuovo, si accorge che elaborare queste considerazioni la fa sentire male. Eppure è la verità. Deve conservare un minimo di realismo.
Alza lo sguardo, e di fronte a lei c’è quel piccolo ristorante in cui lui l’ha portata ieri. Ripensa a quella conversazione, e a quanto accidenti sono stati bene. In quel momento, le sembrava che Jess fosse felice lì con lei, anche se esplicitamente, come al solito, non le aveva detto niente di preciso. Ma era sempre stato un aspetto di lui che la affascinava. Quel modo che aveva di non esprimersi mai direttamente, di sviare i discorsi troppo seri, di pilotare le conversazioni su argomenti apparentemente insignificanti, mentre poi le sue occhiate, i suoi gesti, il suo modo di parlarle, erano tutt’altro che superficiali.
Improvvisamente si accorge che vuole entrare lì dentro.
Apre la porta, si guarda intorno, adocchia un tavolino nell’angolo e ci si dirige subito, poi si siede e appoggia i gomiti sulla superficie fredda di metallo. Vuole soltanto rimanere lì per un po’, allentare la tensione, ripensare alla giornata precedente senza rimpianti almeno per una volta e cercare così di sentirsi meno sotto pressione. Appoggia la borsa sul tavolo, e invece di sentirsi meglio le sembra di stare per crollare. Non voleva rovinare tutto. Non voleva. Dannazione.
Apre la borsa e recupera il cellulare, compiendo un gesto automatico. Rimane a fissarne lo schermo per diversi secondi, poi, improvvisamente, spinta da un bisogno immediato, compone il numero di sua madre.
“Tesoro, ciao.” la sua voce allegra la accoglie quasi immediatamente.
“Ciao mamma.” risponde lei, e per un attimo la voce le si incrina.
“Che c’è? Hai mal di gola?”
“No, non è niente…”
“Davvero, se hai mal di gola dimmelo. Sono piena di sciroppi per la gola. Luke ne ha comprati talmente tanti che potrei rivenderli all’ingrosso.”
“Mamma…”
“Ce ne sono per tutti i gusti, non fare complimenti. Lo preferisci alla fragola, ai frutti di bosco, o a quell’orrido sapore di dentifricio per bambini?”
“Mamma, non mi serve nessuno sciroppo.”
“Non dirmi che vuoi le pastiglie! Sei crudele, lo sai che le pastiglie non ce le ho, Emily è ancora troppo piccola per riuscire a mandarle giù, e così vorresti obbligarmi ad uscire di casa con questo caldo e percorrere agonizzando tutta la strada fino alla farmacia…”
“Mamma, NON-HO-MAL-DI-GOLA.”
“Oh, scusa, mi era sembrato.”
“Ti sbagliavi.”
“Che è successo, ti è scesa la voce? Lane ti ha fatto cantare a squarciagola sul palco qualcuno dei loro pezzi? Lo so che è un’esperienza unica, ma poi il mattino dopo non riesci neanche ad aprire la bocca per sbadigliare…”
“No, non è questo.”
“Sei di poche parole, che succede?”
“Succede che stai elaborando tutte le tue ipotesi senza lasciarmi fiatare.”
“Oh, davvero?”
“Già.”
“Beh, potresti interrompermi mettendoti a parlare a macchinetta… senza respirare, sai, come ti aveva insegnato Paris…”
Lei fa un debole sorriso, ma in quel momento non trova la forza di rispondere.
“Tesoro? Che succede?”
“Mamma…”
“Hai perso il pullman?”
“No, ce l’ho fra un paio d’ore.”
“Hai perso il biglietto allora.”
“No, il biglietto ce l’ho.”
“Non sei riuscita a chiudere la valigia?”
“Quello di solito lo fai tu.”
“Perché di solito so che ci sei sempre tu a salvarmi dal mio catastrofico disordine. Senza di te i vestiti salterebbero fuori dalle mie valigie urlando in una strana lingua e aggredendomi senza che io abbia il tempo di difendermi.”
“Lo so che ti manco.”
“E io so che sai leggere fra le righe.”
“Mi manchi anche tu.”
“Quindi, è tutto un attacco di nostalgia?”
“No, è che…”
“Hai deciso di darti al rock ‘n’ roll e di non tornare più a casa?”
“No, mi sono divertita in tour, ma vedrai che tra poco sarò lì con voi.”
“Ora mi sento sollevata. Allora, dimmi qual è il problema.”
“Che problema?”
“Non lo so, sputa il rospo.”
“Il rospo è Jess.”
“Ma davvero, e se lo baci cosa fai, si trasforma nel principe azzurro?”
“Era un modo di dire.”
“Sì, lo so. Scherzi a parte, che c’entra Jess? Oddio, è vero, ora sei a Philadelphia… non mi dire che l’hai incontrato… è una città così grande…”
“E’ successo di peggio.”
“Cioè?”
“L’ho visto per caso a uno dei concerti di Lane, non sono riuscita a raggiungerlo in tempo e quindi ho deciso di chiamarlo, e per farlo ho dovuto sfogliare un intero elenco telefonico e fare decine di chiamate prima di trovarlo, dopodiché in modo assolutamente impeccabile sono riuscita a rovinare tutto.”
“In che senso?”
“Non lo so, è stato… mi sono comportata da stupida.”
“Stupida stupida?”
“Sì, e perfino patetica.”
“Una combinazione invidiabile.”
“Gli ho fatto una scenata perché mentre eravamo in casa sua lo ha chiamato una ragazza…”
“No, scusa, frena un secondo, mi sono persa qualche passaggio… che ci facevate a casa sua?” Rory avverte immediatamente l’intonazione di sospetto.
“Assolutamente niente.” Si sente terribilmente in imbarazzo.
“Ti ci ha trascinato con la forza?”
“No, mamma, eravamo usciti a pranzo.”
“Uh. E di chi è stata l’idea?”
“Mia.”
“Ah.”
“Mamma…”
“Sì?”
“Non prendertela con me per questo.”
“E perché dovrei?”
“Perché… lo so cosa pensi di Jess, e conosco benissimo il tuo tono da Jess.”
“Il mio tono da Jess?”
“Sì, appena ne parliamo tu cambi tono di voce.”
“Davvero?”
“Sì, e ti metti anche a rispondere a monosillabi.”
“Questo non è vero.”
“Oh, sì che lo è.”
“In ogni caso… non ce l’ho con te.”
“Sul serio?”
“Sì. È solo che non me l’aspettavo. Insomma, non vi vedete da tanto, e stando a quello che sapevo non vi siete neanche sentiti di recente… lui chiede sempre di te quando viene qui ma tu non mi hai mai accennato a qualcosa…”
“Davvero chiede sempre di me?” esclama, a bocca aperta. Si preoccupa ancora per lei. Si interessa di sapere come sta. E lei non l’ha mai saputo. Tipico di lui, ma ora che lo sa si sente ancora più in colpa per quello che ha fatto, e un moto di tenerezza la pervade senza che lei possa controllarlo…
“Non credevo che avesse tutta questa importanza.” Rimane in silenzio per un secondo.
“No, certo che no.”
“No cosa, no non credevi o no non ha importanza?”
“Lascia perdere.”
“Ok… allora, come mai vi siete visti?”
“Beh, ecco… io ho pensato di chiamarlo, perché volevo ringraziarlo di tutto…”
“Cioè?”
“Sai, la storia di Yale… se non fosse stato per lui, non so quanto altro tempo ci avrei messo a rendermi conto che avevo fatto una sciocchezza…”
“L’ho ringraziato anch’io per quello, sai?”
“Davvero?”
“Sì… diciamo che l’ho fatto a modo mio, ma… l’ho fatto, questo è l’importante.”
“Mamma, che gli hai detto?”
“Oh oh, questo tono inquisitorio sull’argomento Jess non lo sentivo da parecchi anni ormai.”
“Era solo una curiosità.”
“Mmm. Beh, vai avanti.”
“Ho pensato che non sarebbe stata una cattiva idea se ci fossimo visti, ecco… sai, in fondo lui abita qui…”
“Ma Philadelphia è una metropoli.”
“E’ per questo che hanno inventato gli elenchi telefonici.”
“Quindi?”
“Quindi, lui è passato a prendermi… siamo andati a mangiare insieme, ci siamo trovati bene e così lui mi ha proposto di salire a vedere la casa…”
“Perfetta conclusione di un appuntamento coi fiocchi.”
“Non era un appuntamento. Era una semplice uscita fra amici.”
“Perché, voi due siete amici?”
“Non proprio amici amici…” poi si ricorda per un attimo di una frase che aveva detto a sua madre un po’ di anni fa, rispondendo alla stessa domanda…
“…diciamo amichetti.”
“Uhm.”
“Non brontolare in modo scettico.”
“Non sto brontolando in modo scettico.”
“E invece sì. Tanto non sarebbe comunque successo niente. Sono passati troppi anni, e ormai mi ha dimenticata… altrimenti non sarebbe stato al telefono con un’altra.”
“Tesoro, è perfettamente normale che si sia rifatto una vita.”
“Lo so, lo so, è assurdo, ma non so cosa mi è preso, prima che potessi rendermene conto la cosa mi ha fatto saltare i nervi, e ho rovinato tutto quanto…” Sospira, passandosi una mano fra i capelli.
“E ora, dammi la tua diagnosi.”
Anche Lorelai sospira all’altro capo del telefono.
“Tesoro, lo so che è solamente una banale frase di circostanza, ma tutti ci innamoriamo almeno una volta nella vita… con Jess ti è successo, perché per quanto mi rodessi a doverlo ammettere, era così evidente che l’avevo capito subito, ancora prima che vi metteste insieme… eri innamorata persa di lui, ed era così frustrante e allo stesso tempo così bello, perché, per come stavano le cose, innamorandoti di lui hai seguito totalmente il tuo cuore, e non hai fatto una scelta razionale e calcolata.” Sorride, e per un attimo sente salirle un groppo alla gola. Sentire sua madre dirle quelle cose la fa commuovere improvvisamente.
“Lui non era il ragazzo perfetto per te, Dean lo era, senza dubbio, ma tu ti sei innamorata di Jess. Questo era un dato di fatto che nessuno ha mai potuto negare neanche volendolo. E poi lui ti ha ferita, probabilmente l’hai anche odiato per questo, ma ora sono passati tanti anni, l’ultima volta che vi siete visti siete riusciti a ritrovarvi da amici, ed è naturale che ora, di una storia che ti ha coinvolto così tanto, tu rimanga attaccata ai ricordi più belli che ne hai.” Con forza, si impone di ricacciare quel groppo dentro la sua gola, mentre tutte le immagini di loro due insieme le scorrono davanti agli occhi senza sosta.
“In questo momento, è altrettanto normale che quei ricordi siano più vivi dentro di te. Io l’ho visto diverse volte, dopo che io e Luke ci siamo sposati ed è nata Emily, e so che se ora dirò quello che sto per dire il cielo si aprirà e l’apocalisse sconvolgerà il mondo, ma è cambiato, quel ragazzo è cambiato davvero.”
“Sentirlo dire da te è in assoluto il giudizio più imparziale che si possa avere.” risponde lei, mentre il suo sorriso si allarga e lei si sente stranamente felice.
“Lo so. È assurdo, e sento già i tuoni, e un terremoto sta squassando la casa, ma è così. È sempre Jess, questo è vero, ma è... cambiato. Non ti saprei dire in cosa esattamente. Ma è cresciuto, è maturato. All’epoca si sentivano decisamente gli influssi della sua tormentata adolescenza. Ora siamo sempre riusciti ad avere una conversazione normale, e questo è tutto dire.”
“Già, visto e considerato che non lo fa più per fare un piacere a me…”
“Quel ragazzo ha fatto tanto per te, Rory. A modo suo continua a farlo ancora adesso. Ed è possibile che, rivedendolo e trovandoti bene insieme a lui, siano riaffiorati più che dei ricordi…” Un tuffo al cuore accompagna quelle parole.
“Che cosa vuoi dire?”
“Che forse sei ancora legata a lui.”
“Questo è assurdo.”
“Ma non impossibile.”
“Non è vero, non c’entra.”
“Rory, lui è stato importante per te.”
“Stai esagerando.”
“Era evidente, tesoro. Per lui hai fatto cose che per altri non hai mai fatto. È inutile negarlo, è stato importante e a maggior ragione non è finita nel migliore dei modi, vi siete lasciati quando ancora tu eri innamorata persa di lui e questo non ha certo giovato alla situazione di adesso.”
“Ma mamma, sono passati sei anni, non è possibile, non è vero, io non posso, cioè, non posso permettermelo, e poi non lo vedevo da anni, abbiamo passato insieme poche ore, non è…”
“Rory, calmati.” Respira. Deve respirare. Deve smetterla di agitarsi così.
“Non c’è niente di male.”
“Sì invece. Non deve succedere…”
“Se è per questo, non doveva succedere nemmeno quando vi frequentavate. L’hai baciato quando stavi ancora con Dean. Quella era la prima cosa che non doveva succedere.”
“Sì, lo so, ma era diverso, ero più giovane, eravamo ragazzi, ci vedevamo spesso…”
“Tesoro, la cosa non deve spaventarti. Altrimenti peggiorerai ancora di più la situazione.”
“Non sono spaventata.”
“No, hai ragione, sei soltanto terrorizzata.”
“E’ la stessa cosa.”
“Appunto. Tu hai paura, e non dirmi di no perché ti conosco. Tutto è possibile. Anche questo. Jess ha sempre avuto questa… questa forte influenza su di te.”
“Lui non mi ha affatto influenzato.”
“Non intendo questo, intendo dire che il solo vederlo ti ha sempre mandato fuori di testa, ora non stupirti perché è successo di nuovo nonostante non vi vedeste da tre anni.” Sospira. Stavolta è un sospiro carico di involontaria rassegnazione. Sua madre ha ragione. Non può negarlo. È così evidente, ormai.
“Ho rovinato tutto, mamma.”
“Hai solo espresso in modo sbagliato cose che ti pesava tenere dentro.”
“Non capisco.”
“Se gli hai fatto una scenata perché era al telefono con un’altra, c’è una sola diagnosi che posso farti: eri gelosa.”
“Ma non ne ho diritto!”
“Questo non conta minimamente. Succede, succede sempre. Neanche io avevo diritto di essere gelosa di Rachel o di Nicole, se è per questo, e oltretutto io e Luke non eravamo mai neanche stati insieme. Capisci quello che intendo?”
Riluttante, sa che le tocca ammetterlo.
“Sì, lo capisco.”
“Considerando come stavano le cose con Jess, e considerando come reagisci tu di fronte a queste cose, tutta questa situazione è perfettamente normale.”
“Sì, lo so.”
“Bene, abbiamo fatto un passo avanti.”
“Non prendermi in giro.”
“Guarda che quando un malato riconosce di essere ammalato i medici organizzano un festino.”
“Mamma.”
“Ok, ok, come non detto. Ora che cosa vorresti fare?” Rory si torce le mani.
“Vorrei chiedergli scusa, dirgli che non succederà mai più, che la mia è stata una reazione totalmente esagerata e immotivata e che se vuole può scegliere di non essere arrabbiato con me per il resto della sua vita.”
“Bene. Allora diglielo.”
“Ma…”
“Niente ma. Ti capisce benissimo, ti ha sempre capita. Se anche verrai presa dall’emozione e gli parlerai in latino, fidati, capirà.”
“Sei sicura?”
“Sicurissima. E per piacere, non farmelo difendere ancora perché poi finirò per farci l’abitudine.” Ride, contenta di sentirglielo dire, e contenta di aver chiamato sua madre. La sua migliore amica. Quella che la ascolta sempre, e che sa sempre darle i suggerimenti migliori, e starle vicino anche se sono a chilometri di distanza.
“Ti voglio bene, mamma.”
“Io di più.”
“No, non vale, io di più!”
“No, di più io!”
“Non è vero, bugiarda, di più io!”
“Adesso riattacco, e comunque di più io!”
“No, io!”
“Vai da Jess… di più io!”
“No…” prima che potesse finire la frase, lei ha riattaccato. Ritenendo che sia meglio evitare di parlare con un telefono spento, Rory chiude la comunicazione e rimette il cellulare nella borsa. Poi si ferma un attimo, appoggiando la guancia sul palmo della mano. Si accorge solo dopo qualche secondo che sta sorridendo. Ora è decisa. Sa che vuole farlo, e si sente pronta. Sua madre le ha dato la carica.
Con gesti decisi, si riabbottona il cappotto, prende la borsa e si avvia verso l’uscita. Apre la porta, con rapidità, la richiude alle sue spalle e poi guarda davanti a sé…
Jess è fermo sui gradini, esattamente di fronte a lei. A bocca aperta, lo fissa per qualche secondo, troppo sorpresa per dire qualcosa, troppo impegnata ad osservare la sua espressione seria e immobile, gli occhi fissi su di lei.

nota: la citazione del titolo viene da "We All Fall In Love" di Jeff Buckley.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** We Can't Fix What's Broken ***


 

Più continua fissarlo scioccata più si sente un'idiota. Non era esattamente il suo obiettivo quello di ritrovarselo davanti all'improvviso, ma non può neanche farsi prendere da un blocco totale. Forse dovrebbe dirgli qualcosa.
"Ciao." Estremamente complicata come frase. Sembra aver perso ogni facoltà lessicale.
"Non credevo che questo posto ti fosse piaciuto così tanto da ritornarci." dice lui, leggermente incerto. Rory si stupisce non poco nel non avvertire traccia di intonazioni ironiche nella sua voce. Sembra piuttosto impreparato ad affrontare la situazione, forse non quanto lo è lei, ma almeno un pochino.
"Ehm... a dire la verità, ero venuta a cercarti." Lo sguardo di Jess si fa incuriosito.
"Davvero?"
"Sì, ecco, non che ci tenessi a perseguitarti, ma prima di partire volevo dirti un paio di cose." Lui si stringe nelle spalle.
"Ok, ti ascolto." Quell'apparente indifferenza riesce quasi a bloccarla per un istante, e sembra schernirla più ancora che un'eventuale risposta ironica. Ma sa che deve farlo. Deve tirare fuori a tutti i costi qualche dannata parola per evitare che la pianti in asso e se ne vada in quello stesso momento.
"Senti, io, non so bene da dove cominciare, non mi sono scritta un discorso o cose simili..."
"Beh, non siamo alla cerimonia dei diplomi."
"Sì, hai ragione. Volevo soltanto farti presente un paio di cose che non ti potrò più dire una volta che me ne sarò andata, e anche dopo che le avrò dette non so se avrai ancora voglia di rivedermi, perché per come mi sono comportata ieri a casa tua dovresti decidere tu che genere di punizione mi merito, ma ho comunque voluto fare un tentativo per tentare di sembrarti una stupida meno di quanto te lo sia sembrato ieri..."
Jess reclina la testa, osservandola monologare mentre per un momento una strana nostalgia gli fa contorcere involontariamente lo stomaco.
"Ok, respira però." La guarda sorridere, imbarazzata ma anche leggermente meno tesa. Non era molto sicuro di volerla mettere a suo agio fino a un secondo fa.
“Oh, sì, certo. Scusami.”
“Non c’è mica bisogno che ti scusi.”
“Sì, lo so, è solo che…”
“Scusa tu se ti ho interrotto.”
“Scherzi, mi hai salvato da una morte certa per autosoffocamento.”
Sorridono, ed entrambi si rendono conto di aver ritrovato quel momento di conversazione piacevole che sembravano avere perso ieri.
"Beh, quello che volevo dire, era che non volevo sembrarti una stupida, non in quel modo almeno, non volevo arrivare a farti una scenata e arrabbiarmi per un motivo che non ha ragione di esistere, e lo so che potrà sembrarti falso e ipocrita che il giorno dopo io venga a scusarmi dopo che ieri non mi sono trattenuta dal dire cose orribili, ma volevo soltanto che sapessi che mi dispiace davvero, e che spero non ricapiti più, se mi darai un'altra possibilità di provartelo..."
Non capisce perché, ma comincia a sentirsi in imbarazzo quasi quanto lei. Ha passato tutto il tempo successivo al loro incontro a cercare di non pensare a quello che era successo prima che lei se ne andasse, ma il pensiero non gli aveva voluto dare alcuna tregua. Se appena allentava per un attimo il controllo sul proprio flusso di coscienza, ecco che iniziavano le domande sul perché lei si fosse arrabbiata così per una telefonata, su tutte le possibili ragioni che avrebbe potuto avere per farlo, sul fatto che obiettivamente il suo comportamento era stato decisamente anomalo, sul perché avesse dovuto dimostrare gelosia nei suoi confronti dopo tutti quegli anni che non si vedevano, su quanto gliene importasse realmente che lei si fosse dimostrata gelosa, su quanto, a fine giornata, fosse ancora convinto di avere ragione. Perché aveva ragione, non c'era modo di dimostrare il contrario. Aveva smesso tempo fa di farsi illusioni: lui e Rory avevano iniziato già da parecchio a percorrere strade completamente opposte, con scarsissime speranze che si incrociassero di nuovo come una volta. Ne aveva preso atto, e aveva ricominciato a vivere cercando di riacquistare un po' di serenità. Ci era riuscito brillantemente, e ne era anche soddisfatto. Non aveva mai avuto dubbi. E ieri aveva passato l'intera giornata a lambiccarsi il cervello per un problema che non avrebbe dovuto porsi. Assurdo.
E ora lei è lì, aspettando che lui le dica qualche cosa. Forse si aspetta di sentirsi dire che la perdona, che non è più arrabbiato con lei. Non lo è mai stato. Tutto quello che ha avuto in testa fino a quel momento è stata solo una grande confusione. E in quel momento si rende conto che forse è meglio non sprecare altro tempo a rifletterci sopra.
"Tanto, prima o poi finiremmo per rivederci lo stesso, non credi?" Lei lo guarda interdetta.
"Cioè, vuoi dire che non te ne importa niente?"
"No, non era questo che intendevo."
"E cosa allora?" Sospira, non gli piace fare discorsi seri. Ma in quel momento critico deve pur cercare di fare uno sforzo.
"Beh, nel senso che non possiamo fare finta di ricominciare da capo, questo sì che sarebbe ipocrita."
"Che cosa intendi?"
"Che tanto certe cose non le riaggiusteremo mai, Rory." Lei abbassa gli occhi, in silenzio.
"Sì, hai ragione. Mi dispiace."
"Non c'è da dispiacersi, per un motivo o per l'altro è stata colpa di tutti e due." Incrocia le braccia, facendo vagare lo sguardo intorno a sé. "Se avessimo avuto una di quelle storie sdolcinate e senza problemi, avremmo finito per lasciarci per motivi meno gravi, non ci sarebbe stato niente in sospeso, e magari adesso saremmo amici per la pelle." Lei fa un debole sorriso. Jess sospira, preparandosi a continuare.
"La verità è che non lo siamo, e non so nemmeno se lo saremo mai."
"Sì, lo so che non ci vedevamo da tre anni, e credimi, avrei voluto chiamarti tante volte per ringraziarti, ma io..."
"...per una serie di motivi non l'hai fatto, e sono sicuro che ti sarai già chiesta da sola quali siano stati. Non ho intenzione di organizzare una seduta psichiatrica di coppia per tentare di risolvere i nostri problemi. Non fa per me."
"Già, ci avrei scommesso." Sorride lei.
"Beh, comunque, è molto probabile che finiremo per rivederci. Insomma, Luke e Lorelai andiamo a trovarli tutti e due."
"Sarebbe imbarazzante se dovessimo vederci e non parlarci per una storia magari vecchia di mesi."
"Non voglio fare finta di niente per quieto vivere, Rory. E' già successo che ci incrociassimo e non ci rivolgessimo la parola, e non voglio stare qui a perdere tempo per decidere di chi era la colpa."
"Certo."
"Quindi, non ho intenzione di stare qui a sentire le tue scuse." Sostiene senza battere ciglio la sua occhiata incredula.
"Come?! Jess, ti ho detto che mi dispiace, cosa vuoi che faccia di più?"
"Assolutamente niente."
"Cioè, non ti importa che mi dispiaccia o meno?"
"Credimi, è soltanto un problema tuo." Rory sembra non capire. Lo guarda come se avesse detto qualcosa di inverosimile. Come se le stesse parlando in un'altra lingua. Lui non si scompone. Sa quello che dice, e sa dove vuole arrivare. Non ha intenzione di prolungare il discorso.
Lei non sa cosa dire. Ma non vuole spiegarle, non ora. La conosce, e sa perfettamente perché gli si è presentata davanti con l'intenzione di ritrattare tutto quanto. Ma lui deve porsi le sue domande, non quelle di Rory.
"Bene. Allora vedrò di risolverlo."
"Sì, forse dovresti."
Imperturbabile, ricambia il suo sguardo interdetto e silenzioso, fino a che lei non decide di dargliela vinta.
"Ciao, Jess. A presto, spero.” Le fa un mezzo sorriso.
“Lo spero anch’io.”

***
In quel momento si sente come se fosse rinchiusa in una stanza isolata, completamente sola, anche se in realtà è circondata da altre persone che occupano posti simili al suo su quell’autobus diretto ad Hartford. Ha salutato Lane ed è partita mentre loro finivano di caricare la roba sul pullmino. Quasi sicuramente l’amica non si è accorta di nulla. Ha saputo reggere il gioco piuttosto bene, e in ogni caso non aveva voglia di parlarne. Non sa nemmeno cosa racconterà a sua madre una volta che sarà a casa, e che dopo averla intrattenuta con le recensioni di tutti i concerti della band di Lane lei finirà per chiederle qualcosa al riguardo. È ovvio che succederà. Magari glielo vorrà chiedere appena la vedrà, ma si tratterrà vedendo che lei non accennerà all’argomento di propria volontà. Adora sua madre anche per quello. Sa che il momento giusto per parlare di qualcosa con lei è quando lei decide di volerne parlare. È sempre stata infinitamente comprensiva da questo punto di vista, non l’ha mai assillata spinta dalla curiosità, le ha sempre lasciato i suoi tempi per rielaborare le cose anche se era preoccupata. E sicuramente ora lo sarà. Quando l’ha chiamata era in stato di crisi, è inevitabile che sia in pensiero per lei.
Gliene parlerà, sicuramente. Ma non subito. Deve pensare a come spiegarle, e per il momento non ha ancora trovato un modo. Non riesce neanche lei a realizzare pienamente quello che è successo. Sembra di essere tornati ai vecchi tempi. Rory che non capisce Jess. Non era una cosa così insolita all’epoca. Spesso certi suoi comportamenti o certe sue frasi le restavano poco chiare, e lui non collaborava nemmeno quando lei gli chiedeva esplicitamente di spiegargli. Forse era colpa sua. Forse era troppo stupida per uno così intelligente come Jess. O forse non faceva abbastanza collegamenti logici. Ma rimane il fatto che, di chiunque fosse la colpa, certe cose di lui non le capirà. Non che non lo conosca. In fondo si sono capiti alla perfezione fin da quando si erano incontrati per la prima volta. Ma Jess è fatto così. E' la persona più imprevedibile che conosca, nessuno è mai stato capace di stupirla così ripetutamente come ha fatto lui. Ogni volta che pensava di aver capito tutto quello che gli passava per la testa, il secondo dopo tutte le sue previsioni venivano ampiamente smentite. Era sempre stato così, e ancora adesso, evidentemente, la situazione non è cambiata.
Ora è sola con i suoi pensieri su quel pullman, svuotata di ogni energia vitale, solo un'apatica rassegnazione sembra pervaderla.
Non sa nemmeno se si rivedranno di nuovo.

***
Jess si distende sul letto senza pensarci due volte. Non si sente stanco. Ha soltanto bisogno di un momento per tentare di svuotarsi la mente e di piantarla con i soliti dubbi.
E' stufo di doverci sempre ricascare in piena regola. Non è giusto che ogni volta Rory riesca ad incasinargli l'esistenza. Fino a due giorni fa avrebbero potuto benissimo essere definiti due perfetti estranei.
Ha giocato come al solito a sembrare perfettamente tranquillo. E' una parte che gli riesce incredibilmente bene. E' riuscito a non lasciarsi andare troppo nemmeno quando tre anni prima è andato a trovarla, e certe ferite potevano essere ancora in fase di rimarginazione. L'ha soltanto ringraziata per i bei momenti che gli aveva saputo dare, e le ha soltanto chiesto di parlare, niente di più. Si è comportato in modo perfettamente coerente; non si vedevano da un anno, si erano lasciati in una situazione decisamente non molto amichevole e l'unico modo per tentare di riallacciare un rapporto è stato fare finta di ripartire da zero. Non ha preso a pugni quell'idiota del suo ragazzo solo perché ha collezionato fin troppe esperienze in quel campo, oltre al fatto che ormai ha imparato ad essere completamente superiore a certe provocazioni. Erano provocazioni da idioti. E lui non si abbassa al livello degli idioti.
L'unico rimpianto che si è concesso è stato il constatare che Rory non era più quella che era un tempo. E che questo cambiamento le aveva portato solo guai. Non solo perché stava con un cretino. Mollare Yale, non parlare con sua madre per mesi, vivere dai suoi nonni quando sapeva quanto Lorelai fosse già in conflitto con loro, erano azioni sconsiderate, egoistiche, affrettate e soprattutto enormemente incoerenti. Quando hanno parlato, certo, è stato un po' come tornare indietro. Ma l'immagine di lei che era risultata da quel complesso quadro non era certo quello che lui si aspettava di trovarsi davanti. Quando Luke lo aveva chiamato aveva pensato a qualsiasi altra cosa, ma non a problemi di quel genere. Stentava quasi a credere che la sua Rory si fosse trasformata in una ragazzina viziata ed egoista.
E ieri ci è ricascato di nuovo. Parlarle dopo così tanto tempo, sentirla raccontare del suo lavoro, della sua vita, di Lorelai e Luke, vedere come le brillavano gli occhi, sentirla addirittura ringraziarlo per quello che aveva fatto, è stato assolutamente incredibile. Coincideva perfettamente con quello che aveva sempre pensato di veder diventare Rory: una donna splendida, realizzata, matura, ma con ancora quelle sfumature del suo carattere che l'avevano fatto innamorare. La timidezza che le colorava le guance, quel radicato e profondo altruismo che la portava a preoccuparsi sempre di tutti, la forza d'animo che sapeva tirare fuori nelle situazioni peggiori, il suo vitale senso dell'umorismo. Perfino l'impulsività che l'ha sopraffatta nell'ultimo momento. In pochi casi aveva visto Rory arrabbiarsi. E aveva amato anche il suo farneticare incontrollato.
Quello che detesta è che, ancora per l'ennesima volta, si sono bloccati di fronte ad un ostacolo. La sua reazione, è costretto ad ammetterlo, lo ha totalmente spiazzato. Non si aspettava uno scatto di gelosia come quello. Conosce Rory. Sa che ha una grande capacità di autocontrollo. Le cose le sfuggono solo quando non ce la fa più a tenerle dentro. Ed è riuscita soltanto a gettarlo nella più profonda confusione. Non c'era una motivazione valida per quello che è successo. Però è successo. Dannazione, è successo di nuovo.
Quando se l'è ritrovata davanti al locale, ha subito previsto che cosa aveva intenzione di dirgli. Ma non ce l'ha fatta a dirle che potevano tranquillamente fare finta che quell'episodio spiacevole non si fosse mai verificato e che loro due potessero stringersi la mano e tornare tranquillamente amici. Ci sarebbero stati troppi argomenti da evitare, troppe ipocrisie, troppe falsità. Forse davvero le dispiaceva di essersi arrabbiata, perlomeno per il fatto che la giornata non si era conclusa nel migliore dei modi. Ma per il resto, c'erano troppi dubbi, troppe cose che ancora rimanevano in sospeso. Il suo ennesimo farneticare era stata la prova che neanche lei era perfettamente convinta e consapevole di quello che gli stava chiedendo di fare.
Ci ha riflettuto per un'intera giornata, ed è arrivato alla conclusione che c'è ancora qualche problema tra di loro, che non tutti i contrasti sono stati superati o appianati. Non pretende certo di poterli risolvere tutti, ma non se la sente di fare finta di niente.
Se si rivedranno di nuovo, la prossima volta potranno affrontare la cosa con più calma.

***
"Ciao mamma!"
"Ciao Rory!" dice Lorelai esibendosi nella sua vocetta da bambina che le riesce sempre così bene, mentre muove la manina di Emily in segno di saluto. Rory afferra la borsa e si precipita giù dal pullman, gettandosi fra le braccia della madre.
"Ok, ora tentiamo di ricomporci, altrimenti qualcuno ne esce soffocato."
"Oh, è vero, scusami piccola." Rory prende in braccio Emily, sorridendo.
"Stai attenta. Ora ha imparato a sputare dritto negli occhi delle persone."
"Mamma!!!"
"Volevo solo metterti in guardia, ci sono stati spiacevoli incidenti con Taylor tutte le volte che è venuto a trovare Luke al locale, e Kirk ormai non osa più neanche avvicinarsi a casa nostra."
"Oh, quindi non c'è più nessuno che ti sistema l'antenna parabolica?"
"Non so proprio come farò a sopravvivere."
"Chiudi in gabbia questa peste quando hai bisogno di Kirk."
"La tua cara sorellina arriva dappertutto. Sarebbe capace di scivolare tra le sbarre e arrampicarsi sul tetto."
"Si vede che ha preso da te."
"Oh, no, non direi. L'avversione per Kirk e Taylor viene tutta da Luke."
"Già, ma eri tu la maestra delle fughe ad effetto."
"Può darsi."
Si sorridono entrambe. E' così contenta di essere tornata.
"Allora, com'è andato il viaggio?" le chiede Lorelai prendendole la valigia e avviandosi con lei verso la macchina.
"Oh, decisamente noioso. Però sono riuscita a finire Come vola il corvo di Ann Marie MacDonald."
"Sei stata veloce."
"Non tanto, mentre ero in giro con Lane e gli altri non avevo molto tempo per leggere. Sai, aiutare ad organizzare, fare da supporto morale, da truccatrice e anche da critica musicale... è un lavoro impegnativo."
"Beh, a giudicare dall'aria che hai mentre ne parli direi che ti sei divertita comunque."
"Oh, certo. Brian ha rischiato per un paio di volte un collasso asmatico ma alla fine ce la siamo cavata per il meglio."
"Bene." Lorelai annuisce. Di riflesso annuisce anche lei. Dopo qualche secondo passato a guardarsi in silenzio, anche Emily accenna un movimento in su e in giù con la testa. Rory ridacchia tra sé e sale in macchina con la bimba.
"Allora, com'era Philadelphia?" Lei si stringe nelle spalle.
"C'era qualche posticino carino."
"E anche qualche ragazzo carino, magari?"
"Mamma..."
"Ok, ok, volevo soltanto sapere." Rory guarda fuori dal finestrino, mentre i momenti passati là le scorrono velocemente nella testa.
"Un ragazzo mi ha abbordato a uno dei concerti." dice poi.
"No, davvero? Allora vedi che Philadelphia non era poi così male!"
"Probabilmente gli andava solo di divertirsi."
"E in che modo ha tentato di divertirsi?"
"Non lo so, si è solo seduto di fianco a me e ha iniziato a parlarmi e a farmi domande, voleva offrirmi da bere ma gli ho fatto notare che avrebbe solo giovato alla sua causa."
"Allora vedo che hai imparato la lezione."
"Non sono più così ingenua, mamma." Afferma, compiaciuta.
"Insomma, ti ha abbordato."
"Sì. Non era poi così male, era... piacevole."
"Intendi piacevole detto in senso estremamente caritatevole e gentile per non cadere nell'insulto o perché lo pensi davvero?"
"No, non voglio essere così cattiva... in fondo, ha seguito il corteggiamento in piena regola... abbiamo avuto una conversazione piuttosto lunga, mi ha fatto compagnia, mi ha accompagnato da Lane, mi ha chiesto se avrebbe potuto rivedermi..."
"Oh, qui la cosa si fa interessante."
"Beh, non c'è molto altro di interessante da sapere. Gli ho detto che non ne ero per niente sicura e alla fine gli ho solo lasciato il mio numero."
"Tesoro, sei diventata una sciupamaschi in piena regola."
"Non è vero, non sono una sciupamaschi!" replica lei, leggermente indispettita.
"Avevi a portata di mano un ottimo partito e l'hai scaricato senza molti complimenti. Si vede che ormai sei proprio una donna in carriera."
"Non mi sono comportata da donna in carriera. Viaggio talmente tanto... come avrei potuto promettergli qualcosa?"
"Non voglio farti prediche di nessun tipo. E' ovvio che ti saresti impegnata a fondo solo se si fosse trattato di qualcosa per cui valeva la pena farlo. Ti conosco, so che è così."
"Già."
La sua mente corre al momento in cui è corsa alla reception dell'albergo a chiedere una guida telefonica, a tutte le pagine sfogliate freneticamente, a tutte le pessime figure fatte durante tutte quelle telefonate. Il significato dell'espressione impegnarsi a fondo non avrebbe potuto avere una dimostrazione migliore, pensa mentre le sfugge un sospiro e il paesaggio di Hartford continua a scorrere sotto i suoi occhi.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** Could It Be Worse? ***


"Mamma... ci siamo."
"Bene... sei sicura di essere nelle giuste condizioni psicologiche per affrontarlo?"
"Sì, non rischio svenimenti né attacchi epilettici."
"Volevo solo essere tranquilla." Sua madre le sorride, con il suo solito sorrisetto allegramente ironico, e lei tenta di sentirsi a suo agio. In qualche modo deve farcela.
Si siedono sul suo letto. Lei si sistema la gonna del vestito estivo, poi alza lo sguardo, leggermente insicura. Sua madre ha sollevato il polso e sta controllando l'orologio. Rory la guarda perplessa, ma lei non le bada minimamente per qualche secondo.
"Bene, a partire da ora hai a disposizione tre minuti esatti per il tuo sfogo completo di lacrime e sospiri durante il quale prometto solennemente di non interromperti e fare commenti, e sono ammessi anche gli insulti, se necessari."
"Che cosa ti fa pensare che io sia nelle condizioni di dover ricorrere agli insulti?" le chiede, sorpresa.
"Non lo so, forse i tuoi occhi tristi?"
"Io non ho gli occhi tristi."
"No, li hai avuti per tutta la giornata precedente."
"Non è affatto vero."
"Rory, ti conosco, lo so che non sei più una bambina, ma anche quando Emily si imbrattava con lo yogurt a tavola tu sorridevi per un po' e poi tornavi a fare l'espressione che avevi sempre quando all'asilo i bambini prepotenti ti rubavano i tuoi giochi preferiti." Rory la guarda a bocca aperta.
"Tu sei pazza."
"E tu neghi l'evidenza."
"Io... non è vero, non c'è nessuna evidenza da negare!"
"Penso proprio che l'evidenza si sia molto arrabbiata a sentirti dire addirittura che non esiste."
"Mamma..."
"Bene, dato che ora mi ha chiesto di provarti che lei esiste e convertire la tua anima miscredente, raccontami che cosa è successo con Jess." Rory sospira, rassegnata. Non può obbligare sua madre a rinunciare ai suoi giochetti. Ma sa che le sono utili a non prendere tutto troppo sul serio.
"Beh... allora..."
"Aspetta, devo far ripartire il cronometro." la interrompe Lorelai. Rory le lancia un'occhiataccia mentre lei armeggia con quel maledetto orologio.
"Bene, puoi andare."
"Grazie mille." le risponde in tono ironico.
"Su, su, guarda che scade il tempo." Rory scuote la testa. Non c'è proprio niente da fare.
"Va bene. Hai presente quando abbiamo terminato quella nostra telefonata ieri mattina? Ecco, avevo appena messo via il telefono, mi ero alzata e avevo deciso di andare subito da Jess per parlargli, ho aperto la porta del locale in cui ero e sono uscita, e prima di poter fare un passo fuori mi sono trovata davanti Jess."
"Oh, beh, devo ammettere che avete sempre avuto una perfetta sincronia voi due."
"Il posto era sotto casa sua, era quello dove mi aveva portato fuori a pranzo il giorno prima."
"Anche tu però te le vai a cercare."
"Mamma, in questi tre minuti era previsto che parlassi solo io."
"Due minuti e mezzo."
"Grazie tante."
"Va bene, va bene, sto zitta."
"Fantastico. Allora, ero un po' sorpresa, a dire il vero, cioè, non mi aspettavo di trovarmelo davanti in quel momento, sai com'è, io avevo pensato di andare a trovarlo a casa, e invece si vede che in casa non aveva niente da mangiare e aveva deciso di andare lì a pranzo piuttosto che andare a fare la spesa, tornare a casa e cucinare, in effetti avrebbe risparmiato un sacco di tempo..."
"Stai divagando."
"Sì, sì, ok. Allora, senza perdere tempo a chiedergli perché fosse lì, gli ho detto che volevo scusarmi e che mi dispiaceva, che se lui non era arrabbiato potevamo anche ricominciare da capo e fare finta che quello spiacevole episodio non fosse mai successo, e quindi, gliel'ho detto, perché in fondo non siamo ancora diventati telepatici, e lui mi ha ascoltato, e non mi sembrava affatto arrabbiato, se fosse stato arrabbiato mi avrebbe sicuramente fatto qualche battutina sarcastica, e invece, non ne ha fatte, almeno non con il tono da ti sto prendendo in giro perché sono arrabbiato e mi stai facendo perdere tempo perché tanto non ti voglio più vedere, sembrava, non lo so, confuso, impreparato forse, come se gli stessi dicendo qualcosa che lui non era pronto a sentire, o forse non era semplicemente pronto a trovarmi lì, non lo so... e poi... poi mi ha detto che tanto avremmo finito per rivederci comunque, ma che lui non voleva che facessimo pace solo per evitare di litigare o di non parlarci davanti agli altri, e che quindi non voleva stare a sentire le mie scuse, perché il fatto che mi dispiacesse per come mi ero comportata era soltanto un problema mio e non suo."
Sua madre la guarda con aria impensierita.
"Finito?"
"Finito. Poi ci siamo salutati e io me ne sono andata."
"Mmm."
Rory rimane in sospeso a fissare sua madre, mentre lei appoggia la guancia nell'incavo della mano sinistra.
"Allora?"
"Allora cosa?"
"Non lo so, dammi un giudizio, un parere, un suggerimento, qualsiasi cosa!" le dice mentre sua madre si mette a giocherellare con una ciocca di capelli.
"Tu dove speravi di arrivare?"
"Beh, pensavo che potessimo tornare amici, nel senso, non che prima lo fossimo, però pensavo che se avessimo risolto quel problema avremmo potuto continuare a frequentarci senza imbarazzo o rancore, e mi sarebbe piaciuto recuperare un rapporto con Jess, insomma, al di là di tutto quello che è successo di spiacevole comunque mi sono sempre trovata bene con lui, eravamo pur sempre amici prima di metterci insieme... perché fai quella faccia?" Lorelai sembra sul punto di scoppiare a ridere.
"Amici? Tu e Jess?"
"Sì, hai un termine migliore per definirlo?"
"Sì, ce l'ho, ed è calamite."
"Mamma!"
"Stai attenta, la signora evidenza si sta arrabbiando."
"Ma io non stavo con lui."
"Uhm, sì, in effetti quello è stato uno dei triangoli più interessanti e problematici della storia di Stars Hollow."
"Va bene, lasciamo perdere questo aspetto della questione." conclude, esasperata.
"Come vuoi."
"Benissimo. Allora, diciamo che prima di metterci insieme io e Jess eravamo amici, o meglio, se preferisci, ci frequentavamo da amici, e ci trovavamo bene insieme, parlavamo di tante cose, eravamo affiatati..."
"Sì, molto affiatati." commenta Lorelai ridacchiando. Rory prende un cuscino e glielo tira addosso.
"Posso trovare il modo di dirti che volevo che tornassimo amici senza che tu esploda in risate isteriche?"
"Sì, scusa tesoro." Lorelai si ricompone in un attimo, cercando di tornare seria.
"Allora. Dicevi che ti avrebbe fatto piacere tornare... amici."
"Già."
"Amici che non hanno calamite incorporate." Rory scuote la testa, alzando gli occhi al soffitto.
"Beh, mi sembrava buona come idea."
"Sì, anche a me. Tanto, ormai lui ha la sua vita, e io la mia, non vedo perché dovrei voler insistere per avere chissà cosa, ho imparato la lezione dopo quello che è successo e non ho intenzione di far ricapitare una cosa del genere..."
"Ma una volta è capitata."
"Sì, ma gli ho chiesto scusa. Gli ho detto che mi dispiace. Cos'altro avrei dovuto fare?"
"Capire perché è successo."
"Ma se non so neanche..."
"Rory, un'idea te la sarai fatta. Ci avrai pensato."
Rimane in silenzio. Non sa se vuole dirlo. Sa che c'è un'unica spiegazione plausibile per il suo comportamento, ma non vuole, non vuole tirarla fuori. Significherebbe ammettere troppe cose che non crede neanche siano vere. Alza lo sguardo verso sua madre, smarrita.
"Dammi la tua diagnosi." le chiede.
"Allora, ci sono due possibilità: la prima, è che, come ti avevo già detto, tu sia tornata a provare qualcosa per Jess, potrebbe essere anche qualcosa di molto piccolo, ma comunque sufficiente a farti ingelosire nei confronti delle persone che frequenta. E quindi, forse potrei anche arrivare a intravedere il perché lui possa averti detto che non voleva fare pace e chiudere qui la cosa. Forse era solo un modo per farti riflettere, per farti magari ammettere che non ti sei scordata del tutto di lui, e che di questo devi prenderne atto e non fare come avete fatto un bel po' di anni fa... era così evidente che vi piacevate, Rory, ma nonostante questo tu ci hai messo molto prima di decidere di dichiararti in modo esplicito."
"E la seconda?" Lorelai esita, guardando preoccupata la figlia.
"La seconda, è che tu sia una di quelle persone che pretende di vantare la più completa possessività sulla gente, che prova gelosia verso un proprio ex soltanto per il fatto di non essere più al centro dei suoi pensieri, il che si riconduce tutto al solo squallido bisogno di sentirsi importante per qualcuno, non importa chi, manifestando evidenti segni di egocentrismo." Lorelai osserva il volto di Rory farsi ancora più pallido. Sospira, scuotendo la testa. "E se posso essere sincera fino in fondo, non potrei mai sospettare neanche per un attimo che tu possa essere una persona del genere."
Rory sospira, non sa cosa dire. Non si azzarda ad elevarsi al grado a cui sua madre ritiene che lei sia. Per un certo periodo della sua vita si è comportata in un modo che neanche lei avrebbe mai creduto possibile, eppure l'aveva fatto. Tutti gli aggettivi peggiori le calzavano a pennello in quei momenti: ingrata, egoista, insensibile, vigliacca, irresponsabile, viziata e stupida, incredibilmente stupida. Ancora adesso ripensandoci non poteva fare a meno di non sentirsi in colpa. Aveva mandato a monte il miglior rapporto che avesse mai coltivato nella sua vita: quello con sua madre. Era stato un comportamento da perfetta idiota. Si era allontanata da lei, e non solo da quando aveva lasciato Yale. Già da prima. Quando aveva cominciato a diventare quella che Jess aveva rinnegato senza mezzi termini dicendole "questa non sei tu". E aveva ragione. Dio, quanto aveva ragione. E lei non era stata capace di arrivarci da sola. Lei, quella che tutti lodavano per la sua brillante intelligenza. E intanto, Jess l'aveva rivista dopo più di un anno e aveva capito subito tutto quanto. Grazie a quella dannata gelosia aveva di nuovo rovinato tutto quanto con lui. Come poteva Jess biasimarla se lei voleva provare a ricominciare?
"Mamma, io... io non so davvero cosa pensare."
"Ti basta sapere come la penso io."
"Sì, ma..."
"Rory, lo so che la cosa ti spaventa non poco, ma potrebbe sempre esserci una soluzione."
"Magari invece ti sbagli." Lorelai la osserva preoccupata.
"Che vuoi dire?"
"Che forse... forse io non sono come tu pensi che io sia... forse sono davvero un'egoista... insomma, io..." Non ha la forza per andare avanti. Non vuole ricordare quei momenti. Tutto quello che le ha fatto passare.
"Tesoro, no." Lorelai si protende subito verso di lei e la stringe in un abbraccio protettivo. "E' stata una fase, una fase che tutti prima o poi sono destinati ad attraversare, ma ora ne sei uscita nel modo migliore. Ne sono certa."
Non riesce più a dire niente. Non è mai stata capace di non sentirsi colpevole di fronte alla prospettiva di dover deludere sua madre. Lo sapeva, in fondo, lo sapeva anche mentre sistemava la sua roba in quella casetta in piscina, e lei era lì, dall'altra parte di quel vetro, a guardarla. Aveva pianto per tutta la notte.
"Comunque, ora non so nemmeno quando rivedrò Jess, quindi forse non è neanche il caso di porsi il problema."
"In ogni caso faresti meglio ad essere preparata."
"Sì, forse..."
Il suono del campanello la interrompe bruscamente.
"Luke, vai tu?" grida Lorelai per farsi sentire.
"Emily mi sta aggredendo con la sua bambola mutilata e tu mi chiedi anche di andare ad aprire?"
"E' un giocattolo, non un poltergeist!"
Pausa. E' chiaro che in quel momento Luke sta esalando il suo solito sospiro di esasperazione.
"E va bene." Brontolando, lo sentono procedere con un gran trambusto attraverso il salotto, fino a che non arriva alla porta. Rimangono entrambe in attesa, con la normale curiosità di un giorno d'estate. La voce di Luke viene a mancare per qualche secondo.
"Che diavolo ci fai qui?" Gli sentono dire, la voce carica di un'enorme nota di stupore.
"Sbaglio o eri stato tu a minacciarmi di morte nel caso non fossi venuto a trovarvi?" Rory si sente raggelare. Smette di respirare per qualche secondo, e riesce solo a rimanere lì immobile.
Lorelai la guarda con aria cupa.
"Ti giuro che io non ne sapevo niente."

***
Jess sta lì, sulla porta di casa Gilmore, con una borsa da viaggio in mano, a fissare suo zio. E Luke fissa lui di rimando. Con la piccola differenza che sulle sue labbra non è dipinto il suo sorrisetto compiaciuto, ma un'espressione di autentico stupore. Incrocia le braccia, senza scomporsi.
"Vuoi farmi mettere le radici?"
"No, no, certo che no... è che non ti aspettavo, tutto qui..."
"Beh, l'effetto sorpresa fa parte del mio fascino." gli risponde, in tono fortemente ironico. Gli mancava prendere in giro suo zio.
"Se me l'avessi detto, avrei potuto sistemarti il divano."
"Zio, non ha bisogno di cure particolari, non è traumatizzato dalla mia presenza, e se te lo stai chiedendo sì, sono anche capace di metterci le lenzuola da solo."
"Non parlarmi come se non capissi quello che dici."
"Infatti zio, non ho mai dubitato della tua intelligenza." Gli scappa un sorrisetto e Luke gli lancia un'occhiataccia. Appoggia la borsa a terra e si china appena in tempo per non ricevere in faccia un maialino di peluche.
"Dillo con più convinzione la prossima volta." Gli risponde lo zio, ridendo.
"Tu intanto dammi le lenzuola."
"Jess, non c'è bisogno che tu ti dia così tanto da fare."
"Ok, se preferisci posso usare il tappeto. Oppure il letto della bambola di Emily... dici che ci entro?" Luke lo guarda scuotendo la testa.
"Tu sei proprio un caso disperato."
Ride a sentirselo dire. Non credeva che tornare lì avrebbe potuto davvero farlo sentire a casa. Aveva odiato Stars Hollow per tutto il tempo in cui ci aveva vissuto. Aveva intrattenuto rapporti conflittuali con la maggior parte degli abitanti, compresa Lorelai. E nemmeno con suo zio era mai stato tutto perfetto. Erano frequenti le litigate, le incomprensioni, le critiche, le difficoltà. Quando era arrivato odiava tutto e tutti di quel posto. Eppure, quando ormai aveva iniziato a rassegnarsi all'idea che avrebbe potuto vivere lì per parecchi anni, per lo meno fino a quando non fosse diventato maggiorenne, aveva iniziato a fare l'abitudine a certi aspetti di quella nuova realtà, e uno di questi era il rapporto con suo zio. Era sempre stato piuttosto conflittuale, ma alla fine avevano avuto i loro momenti. E ora, entrambi possono definirsi soddisfatti di quello che hanno ottenuto.
"Emily dov'è?"
La bimba gli sbuca immediatamente alle spalle, aggredendolo con un mestolo. Jess si mette a rincorrerla, Luke sorride a guardarli, poi, d'improvviso, s'incupisce leggermente.
"Jess."
"Sì?" Si gira verso lo zio, incuriosito da quel tono serio.
"Ecco, penso che... credo di doverti dire una cosa."
Si rialza dal pavimento, mettendoglisi di fronte. Incrocia le braccia e aspetta. Aspetta, e l'aria preoccupata di suo zio non gli fa sorgere buoni presentimenti.

***
Rory sospira.
"Forse dovremmo farci vedere." dice, rassegnata. Sa che non c'è alternativa. Jess è lì. E' lì, e non è certo venuto a fare un salutino sbrigativo. Abita a Philadelphia ormai, non sopra il locale di Luke. E' diverso. E' ben diverso. Probabile che sia lì per una delle sue visite. Probabile che sia venuto lì senza neanche immaginare che l'avrebbe trovata da loro. Probabile che nessuno gliel'abbia detto, e che ora stia proprio per scoppiare il più grande pasticcio della storia... mio dio. Perché, perché non gliel'ha detto? Perché non gli ha detto che sarebbe andata da Luke e da sua madre una volta partita da Philadelphia? E' sicura che non sarebbe mai venuto lì sapendo di trovarci lei, non dopo quello che è successo tra loro. Non ha mai avuto la tendenza a complicarsi troppo la vita.
Magnifico. E ora? Cosa fa? Cosa deve fare? Uscire da quella stanza, stamparsi in faccia un sorriso forzato, andare di là e accoglierlo con stupore e distaccata cortesia, come se non fosse successo niente, come se niente avesse importanza, tutto pur di non mostrare segni evidenti di quello che ha passato con Luke, con Emily e perfino con sua madre, che ormai sa tutto ma che non deve sapere quanto realmente la cosa l'ha sconvolta... Oppure, potrebbe fuggire, correre verso la porta sul retro, o fuori dalla finestra, o anche dal camino, qualunque cosa, e chiedere a sua madre di coprirla finché lei non fosse riuscita a darsi una calmata facendo due passi e schiarendosi le idee? E poi? Tornare lì, deve farlo per forza. E' arrivata prima lei del resto. E anche se le balenasse in mente la folle idea di voler prendere tutte le sue cose e partire di colpo, come potrebbe spiegarsi, che figura ci farebbe? No. E' assolutamente fuori questione. Deve comportarsi da persona matura, e affrontare le sue responsabilità. Sarà difficile, anzi, terribile, si sentiranno entrambi in imbarazzo, un imbarazzo enorme e spropositato, e sarà ancora più difficile comportarsi come se niente fosse, convivere con Jess nella stessa casa fino a quando non terminerà la sua visita improvvisata... e poi? Vederlo andare via, salutarlo trattenendosi dal fare o dire qualsiasi cosa di compromettente, comportarsi sempre con educazione e autocontrollo, senza mostrare segni esteriori di... Non può. Non può stare lì per sempre a pensare a che cosa deve fare. Altrimenti otterrà soltanto il risultato di destare ancora più sospetti, in tutti quanti.
"Ok, andiamo."
"Sicura?"
"Sì, per favore, non cercare di farmi venire altri dubbi."
"Va bene."
Lei e sua madre si alzano dal letto e si avviano fuori dalla stanza. In salotto non c'è nessuno. Sentono la vocina di Emily lanciare qualche gridolino felice, sentono Luke ridere, poi di colpo si blocca e richiama Jess e tutto sembra fermarsi. Lorelai e Rory sono dietro la parete.
"Che facciamo, saltiamo fuori urlando e improvvisiamo una danza maori?" sussurra Lorelai. Rory le lancia un'occhiata in tralice con l'effetto di zittirla immediatamente.
"Ok, ok, stavo solo scherzando." tenta di giustificarsi lei. Rory scuote la testa.
"Dobbiamo uscire di qui prima o poi, o tra un po' Luke svolterà l'angolo e ci vedrà qui e scoprirà che stavamo origliando."
"Noi non stiamo origliando." protesta Rory.
"E invece sì... shh!" Si mette in ascolto, Luke ha ricominciato a parlare.
"Vedi, Jess, se mi avessi telefonato prima di venire io ti avrei anche potuto avvertire, ma..."
"Ah, adesso è colpa mia? La prossima volta chiamo per prenotare il divano allora!"
"Simpatico come sempre, il ragazzo." commenta Lorelai sottovoce.
"Beh, dimmi qual è il problema. Non avete posto? Posso stare in albergo da Lorelai."
"No, non è necessario."
"E allora?"
"Ecco, è che..." Rory si sente afferrare per il polso e trascinare bruscamente in cucina, e prima che possa rendersene conto lei e sua madre hanno fatto il loro ingresso trionfale nel dubbio tentativo di togliere Luke dall'imbarazzo.
"Ciao, Luke, tutto ok qui? Io e Rory eravamo di sopra a guardare le foto di Emily... oh, ciao, Jess, sei arrivato ora? Non ti aspettavamo... Luke si sarà dimenticato come al solito, non preoccuparti, il divano lo sistemo subito..."
"Non c'è problema, grazie." Compostezza, fermezza, serietà, imperturbabilità, solo una lieve punta di ironia, tutto qui. Non si è scomposto di un millimetro. Rory spalanca gli occhi.
"E comunque, se è un problema per voi avere troppa gente in casa posso tornare un'altra volta." Non era la reazione che si aspettava, no. Non esattamente.
"Assolutamente no, non ti preoccupare. Rimani pure. Fa sempre piacere avere qualcuno in più con cui parlare."
"Bene. Ora, zio, mi dai il permesso di appendere almeno la giacca?"
Segue Luke fino all'attaccapanni. Lei riesce solo a fissarlo mentre le volta le spalle, sempre più allibita. Non uno sguardo storto o sorpreso, non una parola di stupore. Solo una perfetta e impeccabile calma. Non sa davvero che cosa sia peggio in quel momento, se la sua agitazione, il suo sconcerto, la sua mancanza di autocontrollo o la perfetta padronanza di sé che Jess sta dimostrando in quel momento.
Vuole parlargli. Sa che deve farlo. Deve almeno dargli una spiegazione, anche se non spera di averne una da lui.
Si allontana da sua madre, che nel frattempo è impegnata con Emily. Si sporge nell'anticamera e prima che se ne accorga Luke l'ha già superata per andare a prendere le lenzuola. Jess è rimasto indietro. E' lì, le mani affondate nelle tasche dei soliti jeans larghi, i capelli in disordine, l'aria leggermente assorta. Sa che sta avvampando ma si costringe a muovere qualche passo verso di lui. Quando si accorge di lei, Jess si volta e la guarda negli occhi, senza esitazioni.
"Ciao."
"Ciao."
Osserva Rory far vagare lo sguardo intorno per cercare di sentirsi meno in imbarazzo. Quasi gli scappa un sorriso, ma si trattiene appena in tempo.
"Senti, volevo solo dirti, che mi dispiace se è capitato che... beh, insomma... io non sapevo che tu..."
"Tranquilla, non l'ho deciso da molto. E' che Luke mi aveva... minacciato per venirlo a trovare, e allora, qualche giorno fa ho deciso di fare i bagagli. Tutto qui."
Osserva Rory bloccarsi. Riesce a rimanere lì in perfetta calma cercando soltanto di capire cosa le passa per la testa, sotto tutta quell'enorme confusione.
"Beh, in ogni caso, mi spiace di non averti avvisato... magari preferivi..."
"Guarda che per me non c'è problema."
"In ogni caso, prima o poi sarebbe successo."
"Già. Odio dover dire che te l'avevo detto, ma..."
"Me l'avevi detto. Già."
Annuiscono entrambi. Jess incrocia le braccia, lei riesce soltanto a torcersi le mani.
"Bene. Comunque, se per te non ci sono problemi..."
"...assolutamente."
"Benissimo, allora..."
"Potremmo toglierci dalla porta, tanto per cominciare." suggerisce. Rory lo guarda interdetta.
"Certo. Andiamo."
Dannazione. Dove le trova tutte le parole adatte nel momento adatto, mentre lei è così presa dal tentare di evitare i silenzi imbarazzanti che finisce per dire cose assolutamente stupide e fuori luogo? Dove trova tutta la forza di rimanere serio, di non farsi prendere dalla tensione per quello che è successo tra loro neanche una settimana prima, per come potranno affrontare la situazione adesso che non hanno vie di scampo, per tutto quello che incombe su di loro e che la schiaccia sotto un presentimento decisamente poco allegro?
Non ha il coraggio di voltarsi e guardarlo per cercare una risposta. Non ha il coraggio di dover constatare ancora una volta che Jess è capace di non far precipitare la situazione mille volte meglio di lei.

 

nota: la citazione del titolo viene da "Fix You" dei Coldplay.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** What's Going On ***


 

 

E' tutto così assurdo.
Jess lì. A Stars Hollow. A casa sua. Tutto sembra così incredibilmente assurdo perché non si è mai trovata in circostanze simili: sua madre, Luke, Emily... e Jess. Come una famiglia. Suona estremamente strano, ma è così. E non c'è niente di anormale nel fatto che una figlia trascorra le vacanze dalla madre o che un nipote passi per qualche giorno a trovare suo zio.
No davvero, è soltanto la sua sconfinata immaginazione che le sta mettendo addosso la paura di trovarsi in tali frangenti. Del resto, anche se Jess avesse chiamato per dire che sarebbe venuto a fare una visita, lei avrebbe dimostrato per l'ennesima volta di essere codarda e immatura se avesse deciso di partire improvvisamente spinta da quella notizia. Sarebbe stato soltanto l'ennesimo gesto ignobile compiuto nei confronti di sua madre.
Si ferma davanti alla porta della sua camera. Appoggia una mano sullo stipite, quasi aggrappandosi, e ascolta i battiti del suo cuore. Le fa quasi male, e non ha idea di come calmarsi.
Perfetto. Se deve andare avanti così per tutto il tempo che Jess passerà da loro, può anche andare direttamente a buttarsi nel lago.
Odia l'agitazione. E tutto questo la sta mettendo in agitazione. Ed è una cosa che non sopporta. Non sopporta di doversi sentire così... di nuovo.
Entra in camera, lentamente, misurando i passi. Lo sguardo vaga nella stanza, ma non trova niente con cui distrarsi. Sospira e si siede sul letto, pensando. Pensa che è da un sacco di tempo che non si sentiva battere il cuore in quel modo. Non vuole fermarsi a ricordare quando sia stata l'ultima volta che ha provato una sensazione simile, perché ha paura di quello che potrebbe scoprire. Sa soltanto che è passato molto tempo. Forse troppo. E forse si rende conto che era da tempo che si aspettava di sentirsi così di nuovo. E invece, non accadeva niente. Affrontava tutto quanto con estrema tranquillità. Ogni imprevisto era sempre sotto controllo. Non certo come ora. Jess rientra perfettamente nella classifica degli imprevisti, e lei non si sta dimostrando capace di controllarlo.
Abbraccia il cuscino, senza sapere che altro fare. Prova a immaginarsi come sarà per qualche settimana con Jess lì da loro. Pranzi e cene in famiglia, numerosi incontri per casa tentando di comportarsi normalmente... e poi, la notte, sua madre e Luke di sopra con Emily, e lei al piano di sotto con Jess. Si sente quasi prendere dal panico.
"Rory! Vieni a darmi una mano!"
Sussulta. E' solo sua madre. Si rende conto che non può andare avanti così. Lui è rimasto perfettamente calmo quando le ha parlato, senza scomporsi minimamente. Bene, se ci riesce lui può riuscirci anche lei. Deve riuscirci anche lei. Sta diventando una questione di rivincita.
«Eccomi!» si alza dal letto ed esce da camera sua con più determinazione di quando vi è entrata. Vacilla mentre attraversa il salotto… lui è lì. Sta parlando con Luke, in tono sommesso, tenendo in braccio Emily. E pensare che non ha mai sopportato i bambini. Sorride. È sempre stato come Luke: è rimasta così sorpresa quando sua madre le ha detto che avrebbero avuto un bambino. Ma quando era andata a trovarli, Luke aveva le lacrime agli occhi. Era al settimo cielo, e con Emily era sempre stato splendido. Incredibile come la gente può cambiare di fronte a un avvenimento così importante.
Sta per passare oltre e raggiungere sua madre in cucina, ma qualcosa la blocca in quella posizione, seminascosta dallo stipite della porta mentre osserva Emily tirare qualche pacca sulla spalla a Jess per attirare la sua attenzione. Vede Jess volgere gli occhi verso di lei, fissarla con un mezzo sorriso e un finto sguardo scettico, mentre la bimba scoppia a ridere, e anche Jess ride, mentre la scarica in braccio a Luke. Lei protesta vivamente, e Luke alza gli occhi al cielo.
"Possibile che ogni volta che arrivi tu si dimentichi di chi è suo padre?"
Jess si stringe nelle spalle.
"E' già abbastanza strano che mi dia confidenza."
"Vero, dato che non ci sei mai."
"Mi aspetta un secondo round?" Luke gli getta un'occhiataccia.
"Ti salvi solo perché è quasi pronto da mangiare." gli dice, poi si allontana verso la cucina mentre lui e Emily si scambiano una serie di linguacce. Non riesce a trattenersi e scoppia sommessamente a ridere.
"Adesso mi osservi di nascosto?" Pessimo errore. Cerca di inventarsi qualcosa da dire mentre si stacca dallo stipite e gli si avvicina molto lentamente.
"Non credevo fossi davvero tu quello che ho visto." Lui si stringe nelle spalle.
"Sono diventato discretamente bravo a trasformarmi."
"E cambi anche colore?"
"Mi ci vuole ancora un po' di pratica."
"Capisco."
Rimangono lì, immobili, a fissarsi per qualche istante. Per qualche attimo, si sono sorprendentemente comportati in modo normale, facendo finta di niente, riprendendo a scherzare come se niente fosse. Poi, nel momento in cui lei apre la bocca per dire qualcosa e Emily sferra un attacco alle gambe di Jess tentando inutilmente di farlo cadere a terra, lui si china verso di lei per farle il solletico e lei richiude immediatamente la bocca e a passi tesi e veloci attraversa il salotto, trovando finalmente rifugio in cucina.
Lorelai si gira verso di lei, squadrandola da capo a piedi.
"Ci hai messo tanto." le fa notare, con un sinistro tono inquisitorio.
"Sono stata inghiottita da un buco nero davanti alla mia stanza." risponde lei, con apparente noncuranza.
"No, non mi dire!" Afferra i piatti, mettendosi ad apparecchiare.
"Se non fosse stato per i miei superpoteri, non sarei più arrivata in tempo nemmeno per cena."
"Meno male che ti ho trasmesso qualcosa di utile, allora."
"Già, anche se devi ancora spiegarmi come si fa a tornare indietro nel tempo e ad incenerire le persone con lo sguardo."
"Se non vi conoscessi, direi che state architettando qualcosa." interviene Luke, appoggiando una padella fumante sul tavolo.
"Jess, muoviti!" grida poi.
"Emily si rifiuta di uscire da sotto il divano."
"Lasciala lì, se ha fame viene da sola a mangiare."
"Eh no, tesoro, non ho intenzione di riscaldarle questa brodaglia." Lorelai si alza da tavola precipitosamente, gettando un'occhiata disgustata al semolino che Luke ha preparato per la bambina.
"Non è brodaglia, è quello che mangiano tutti i bambini della sua età!" le grida lui di rimando.
"Sì, tutti i bambini che alimentati in questo modo sviluppano una prevedibile avversione per il cibo!"
"Ha un anno e mezzo, non può mettersi a mangiare cinese!"
"Ma i maccheroni riesce già a masticarli!"
"Lorelai!"
Non fa in tempo ad abbassare gli occhi sul piatto, sorridere e risollevarli per evitare di incontrare lo sguardo di Jess, per l'ennesima dannatissima volta.
E' seriamente pensabile che possa riuscire ad andare avanti così? Ogni suo minimo gesto o atteggiamento la fa sentire terribilmente inadeguata, come se con lui avesse sbagliato tutto e stesse sbagliando anche ora, tentando di comportarsi normalmente davanti a tutti. Per quanto può sostenere ancora un ruolo del genere?
"Ti rendi conto che non potete sperare di andare d'accordo sull'educazione alimentare di Emily, vero?" gli sente dire, rivolto a Luke.
"Piantala, Jess." ribatte Luke, scuro in volto.
"Avreste dovuto dividervi i compiti. Tu potevi limitarti a farle collezionare le figurine del baseball."
"Dato che sei così tanto in vena di elargire consigli matrimoniali, perché non ci scrivi su uno dei tuoi libri?"
"Non ho certo intenzione di occuparmi di argomenti così noiosi." risponde Jess, sedendosi a tavola in modo decisamente rilassato.
"Un giorno ci cascherai anche tu." Rory spostò istintivamente lo sguardo verso Jess: sarebbe stato incredibile vederlo sposato e con dei bambini, un giorno. L'idea che avrebbe potuto decidere di sistemarsi e di costruirsi una famiglia la fece sentire ancora più a disagio.
"Tu sei troppo sicuro di te, zio."
"No, sei tu che lo sei troppo di te. Nessuno può permettersi di farla franca. Arriva un giorno in cui ogni persona sente nominare nella sua vita la parola matrimonio, e in quel momento viene automaticamente firmata la sua condanna a morte." Rory sorride lievemente. E' da quando sono tornati dalla luna di miele che Luke espone periodicamente i suoi funerei giudizi riguardo alla vita coniugale.
"Bene, allora mi preparerò a fuggire ogni volta che sentirò pronunciare la prima sillaba."
Luke gli getta un'occhiata decisamente scettica mentre il nipote prende in braccio Emily che sta correndo verso di lui con la sua andatura buffa. Lorelai li raggiunge poco dopo e insieme si mettono ad aspettare che Luke li serva.
Rory alza gli occhi dal piatto dopo aver mandato giù i primi bocconi, affamata. Luke e sua madre si stanno lanciando le loro solite scherzose occhiate di disapprovazione, mentre Jess sembra totalmente preso da Emily. Nessuno fiata. Nessuno sa cosa dire.
"Allora, Rory... il tour di Lane com'è stato?" Per un attimo, cerca di impiegare tutte le sue forze per non farsi andare di traverso il boccone che stava masticando. E' evidente che Luke non sa niente di quello che è successo tra lei e Jess, e per una volta riesce ad apprezzare la discrezione di sua madre.
"Ehm..." Ora però deve necessariamente inventarsi qualcosa. "Tutto bene, hanno avuto delle performances molto buone più o meno dappertutto. Lane le prime sere era un po' nervosa, ma è decisamente diverso suonare in un vero locale con un vero pubblico invece che negli oratori."
"Già, penso proprio di sì. E tu, ti sei divertita?"
"Sì, certo. Mi hanno dato anche il permesso di scrivere un articolo su di loro."
"Come in Almost Famous."
"Esatto." Sapeva che ci avrebbe pensato. Era inevitabile.
"Con la piccola differenza che però non ho tutti questi pesanti segreti da rivelare su di loro.»
«Può darsi. Comunque suonavano bene.»
«Sì, vero? Ero sicura che ti sarebbero piaciuti.»
«Sei andato a sentirli anche tu, Jess?» chiede Lorelai. Improvvisamente, il suo sguardo pietrificato si fissa su Rory, altrettanto immobile. Qualcosa non quadrava. Lui sa che lei era lì, ma credeva che lei non si fosse accorta di lui…
Accidenti.
«Suonavano bene… un po’ di anni fa. Adesso non ne ho idea…» Possibile che non fosse capace di fare attenzione a quello che diceva? E possibile che Rory l’avesse visto al concerto e non fosse riuscita a dirgli niente, proprio come aveva fatto lui?
«Beh, hanno cambiato il chitarrista.» asserisce lei, in tono vago.
«Ah, sì, certo.»
Mentre raccoglie il cibo dal piatto, Rory gli getta un’occhiata furtiva. È certa di essere paranoica. Ma quella piccola esitazione è riuscita a insospettirla, e ora non può fare a meno di chiedersi se Jess si sia accorto che lei era al concerto di Lane prima che si incontrassero il giorno dopo e che lei glielo dicesse.
Decisamente qualcosa non quadra.

***
è incredibile, davvero incredibile che non riesca a dormire. Ha passato tutto il giorno a cercare di evitarlo, con l’aiuto e la complicità di sua madre, che l’ha portata in giro per Stars Hollow con la scusa di far prendere aria ad Emily al momento più opportuno, lasciando lui e Luke a casa a lavare i piatti. Si sono ritrovati solamente per cena, e una telefonata di lavoro le ha fornito il pretesto per alzarsi prima del previsto. Si è chiusa in camera a lavorare all’articolo sulla band di Lane e non ne è più uscita fino a quando non ha sentito cessare tutti i rumori di sottofondo. Dopodichè, con una certa tranquillità ha cercato di mettersi a dormire. Erano le due di notte, e gli occhi le si erano terribilmente arrossati per aver passato tutte quelle ore a scrivere e cancellare.
Forse è il caso di prendere un po’ d’aria. Le sembra di soffocare, è riuscita ad addormentarsi per risvegliarsi quasi subito, e la sua stanza comincia a diventare opprimente. Vuole soltanto tornare a respirare, a sentirsi tranquilla per almeno qualche secondo, a farsi tornare il sonno necessario per rimettersi a dormire di nuovo. Il mal di testa comincia a farsi sentire. L’insofferenza si acuisce ogni secondo che passa, e sente che esploderà se non esce subito da lì.
Fuori, fuori da quella camera. Ha bisogno di riflettere, di sentire l’aria leggera della notte scorrerle addosso. Ha bisogno di alzarsi e sgranchirsi le gambe, anche solo per provare a sciogliere la tensione con una camminata.
Getta via le coperte, si passa una mano tra i capelli e arranca verso la porta. Ecco, ora l’ha aperta e può finalmente uscire da lì. Muovendosi con passi incerti, mentre la testa le gira e fa quasi fatica a reggersi in piedi e orientarsi contemporaneamente nel buio, si dirige a tentoni verso la porta d’ingresso, le basta anche solo raggiungere il portico, ma evidentemente non si è mossa con sufficiente cautela perché dopo qualche passo ha già pesantemente urtato contro un tavolino.
“Accidenti”
Soffocando qualsiasi altro tipo di imprecazioni, si appoggia alla superficie di legno, espirando. Il dolore al fianco è piuttosto forte. Si concentra, inspira, aspetta che passi e che non sia più così insopportabile come nel momento immediatamente successivo all’urto. Ha sobbalzato per il rumore provocato dallo scontro con il tavolo e ci ha sbattuto contro anche il gomito… il massimo della furbizia. Dovrebbe stringersi la mano da sola.
Oddio. Sente qualcosa—qualcuno—muoversi sul divano. Jess. Accidenti. Dorme lì. Era quasi riuscita a scordarselo, sveglia com’era in quel momento. Un altro dei pochi eletti che hanno conosciuto il divano di casa Gilmore. Comincia a pregare con tutto il cuore che non si sia svegliato, chiedendosi da dove accidenti le è venuta l’idea di attraversare il salotto al buio con la stupida pretesa di uscire a prendere un po’ d’aria.
Ormai è a metà dell’opera, e non avrebbe senso tornare indietro. La sua vista sta anche cominciando ad abituarsi di più al buio. Ora basta solo fare un po’ di attenzione, e nessuno si accorgerà di niente.
Con lo sguardo fisso sulla sagoma indistinta di Jess sdraiato sul divano, inizia a staccarsi dal tavolino, prosegue, affianca il divano, l’ha quasi superato…
Era troppo bello per essere vero, e prima che possa arrivare alla porta, il suo piede sinistro è inciampato in uno dei giocattoli di Emily, il suo equilibrio ha rischiato seriamente di annullarsi e farla cadere a terra, il dolore è ancora più lancinante di prima e ha fatto una confusione davvero eccezionale.
“Chi diavolo…”
Il cuore le si blocca all’istante. Ce l’ha fatta, davvero brava. L’ha svegliato. Quando stava solo cercando di scappare da lui.
Magnifico. E ora? Ora non riesce a dire niente, è bloccata in quella posizione idiota, senza luce per vedere dove andare, senza il coraggio di rivelarsi e completare la sua bellissima figura.
Purtroppo c’è il trucco.
C’è l’abat – jour sul tavolino di dietro al divano, e Jess è riuscito ad arrivarci e ad accenderla in pochi secondi. Rory stringe gli occhi, sentendosi accecata nonostante la luce non sia affatto forte. Si passa una mano sul volto, spera di svegliarsi da quell’incubo e di ritrovarsi nel suo letto, ma tutto quello che riesce a vedere è Jess semisdraiato sul divano che la fissa con aria interrogativa.
“Volevi uccidermi nel sonno?”
quasi lo odia in quel momento. Riesce ad essere ironico anche appena sveglio. Non riesce proprio a capire come fa, e la cosa la fa andare sui nervi. E come se non bastasse, non sa in che modo giustificarsi senza apparire un’idiota.
“Scusa, io non… volevo solo uscire. Ecco, non è che volevo uscire in pigiama e andare a fare un giro per Stars Hollow alle tre di notte, volevo solo uscire sul portico e rimanerci. Non rimanerci nel senso di restare lì tutta la notte, solo… solo per prendere un po’ d’aria.”
Jess annuisce, lentamente. Risentire i suoi tipici giri di parole colmi di imbarazzo riesce quasi a fargli scappare un sorriso. È incredibile che cosa esca dalla sua bocca quando si sente messa alle strette. E il fatto che il suo sguardo non riesca a stare fermo su un punto fisso, in aggiunta al rossore quasi violento che le ha colorato le guance, tende a fargli credere che l’essere a torso nudo non la aiuti affatto.
Che doveva farci, è estate e fa caldo, un caldo insopportabile a volte.
E non era certo previsto che Rory piombasse lì nel bel mezzo della notte.
“E adesso cosa pensi di fare?”
“Scavare una buca e seppellirmici dentro. Mi saresti utile se avessi una vanga da prestarmi.”
Sorrisero, chinando lo sguardo.
“Mi dispiace, non avevo previsto di inciampare per ben due volte.”
“Se l’avessi saputo avrei potuto liberarti la strada.”
“Almeno avrei evitato di svegliarti.”
“Non fa niente, mi fa sempre piacere ricevere visite di notte.”
Jess la guarda, e capisce che vuole sbloccarsi da quella posizione. Capisce che non dovrebbe farlo e che non ce n’è motivo, e che non ha proprio idea di come la cosa possa attenuare l’imbarazzo del momento, ma decide di mandare tutto al diavolo non appena si accorge di non avere altre idee.
“Beh, volevi andare fuori?”
“Io? Oh.. sì, scusa, vado.”
“Ti accompagno.”
Rory non può fare a meno di rivolgergli un’occhiata attonita.
“Tanto quando ritornerai in camera sbatterai di nuovo contro qualcosa, e a meno che tu non abbia un paio di tappi per le orecchie finirai per svegliarmi un’altra volta.”
“Mi stai dando dell’imbranata?” La guarda divertito e si stringe nelle spalle.
“Prova a indovinare.” Le dice, poi si alza dal divano, si infila una maglietta e si dirige verso la porta, mentre Rory lo segue, scuotendo la testa. Un sorriso le si dipinge sulle labbra, e per un solo folle attimo si ritrova a pensare che è contenta di averlo svegliato.

 

nota: la citazione del titolo viene da "Cannonball" di Damien Rice.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** It's Never Over ***


La lieve brezza notturna la fa leggermente rabbrividire mentre si siede sui gradini del portico. Jess fa altrettanto, poi per un attimo piomba un silenzio che nessuno dei due sa come riempire.
"Mi dispiace di averti svegliato."
"Me l'hai già detto."
"Sì, scusami."
"Rory, smettila di scusarti." le dice in tono sereno, con un lieve sorriso. Lei sembra piuttosto imbarazzata dalla situazione. Forse avrebbe fatto meglio a tornare a letto.
Ma ormai era tardi.
"Te l'ha detto Lane, vero?" lei si volta con aria sorpresa.
"Cosa?"
"Che ero al suo concerto."
"Oh. Beh, sì, diciamo che... è stata lei a farmelo notare." risponde, e un lieve sorriso le si disegna sulle labbra mentre fa scorrere lo sguardo sui gradini.
"Eri troppo impegnata per guardarti intorno, eh?"
"Cosa? Oh, no, quello non è il mio ragazzo... è solo uno che mi ha abbordato mentre ero al bancone a guardarmi intorno e..." Si blocca un momento, e Jess si accorge di quello che si è fatto scappare.
"Aspetta un attimo. L'hai visto insieme a me?"
"Fa un po' freddo, vuoi che vada a prenderti una coperta?"
"Jess."
"Che importanza ha?"
"Cosa?"
"Che ti abbia visto o no."
Accidenti a lui. Ci voleva così poco a tenere la bocca chiusa.
"Perché avresti potuto venire a salutarmi."
"Non volevo disturbarti." le risponde, in tono ironico. Gli brucia così tanto essersi comportato da perfetto idiota quella sera.
"Allora la tua rabbia nei miei confronti non era giustificata."
"La situazione era ben diversa." risponde, cupo. Non ha voglia di litigare. Non ha voglia di rientrare in una discussione che non li porterà da nessuna parte.
"Beh, certo, quella era la tua ragazza." commenta lei, in tono sarcastico.
"Che ne sai tu?"
"Che vuol dire che ne so io?"
"Sei ricomparsa dal nulla dopo tre anni e pretendi anche di sapere tutto di me?"
"Io credevo che..."
"Forse sei saltata alle conclusioni un po' troppo di fretta." Distoglie lo sguardo da lei, mentre cerca di frenare l'impulso di fuggire. Ormai la discussione è cominciata, che lui lo volesse o no, e deve imparare a giocare secondo le regole.
"Quindi non state insieme." dice lei dopo un po', incerta. Jess si stringe nelle spalle.
"Usciamo ogni tanto."
"E' una cosa seria?"
"Ehi, non sto pianificando il mio matrimonio." le risponde, gettandole un'occhiata scettica. La conversazione sta scendendo sul tono da interrogatorio, e la cosa non gli piace per niente.
"Quindi, quando ti ha chiamato..."
"L'avrei rivista se non avessi avuto niente di meglio da fare." risponde bruscamente. Rory annuisce, mentre lui si maledice per quell'eccessivo slancio di sincerità.
"Insomma, è una delle tante."
"Rory, la cosa è molto semplice da capire: non ho voglia di impegnarmi." A lei scappa una risatina ironica.
"Quando mai ne hai avuta?" Jess le getta un'occhiata gelida.
"Non ti facevo così stupida." Lei si volta a guardarlo.
"In che senso?"
"Andiamo, credevo di essere stato chiaro almeno una volta con te." Lei si ferma, immobile, lo sguardo fisso nel vuoto.
"Mi dispiace."
"Non c'è bisogno che ti scusi. La vecchia storia del giudicarmi superficialmente è sempre stata in voga in questo posto."
"Jess..."
"Accidenti, Rory, non devi sentirti in dovere di dispiacerti per quello che hai detto solo perché hai ferito qualcuno per l'ennesima volta. Lo sai che non mi importa di quello che pensano gli altri."
"Una volta ti importava di quello che pensavo io." Volge lo sguardo verso di lei, e un breve sospiro gli sfugge dalle labbra.
"In un certo senso mi è servito sentirmi odiato da te. Ho imparato tanto dalla vita, ma solo tu sei riuscita a insegnarmi che cosa sia l'umiliazione." le dice, in un tono cinico e freddo che non usava più da tanto tempo.
"Ormai era finita, mi dispiaceva ma era finita, non sarei più riuscita a fidarmi di te..."
"Sì, avrei dovuto prevederlo."
Rory lo guarda, e si accorge di quanto sia inutile ogni difesa. Gli ha fatto del male, deve rendersene conto. Capisce solo ora quanto lui fosse pentito per averla fatta soffrire.
"Jess, senti..."
"Ho freddo, torno a dormire."
Prima che lei possa reagire in qualche modo, si è già alzato ed è rientrato in casa. Ogni parola di quella conversazione gli sta bruciando dentro inspiegabilmente. Tutta la situazione sta cominciando a pesare, ed è meglio che si allontani in fretta da lei prima di esplodere. Ci sono troppe incomprensioni, troppi problemi che non risolveranno mai, e tutti quei tentativi di rivangare inutilmente un passato ormai sepolto gli stanno facendo venire il voltastomaco.
Si sente afferrare per un braccio e si volta di scatto. E' faccia a faccia con lei ora, l'ha rincorso, lo vede dai suoi occhi. Una fitta gli attraversa il petto.
"Jess"
"Che c'è?" Per un momento sembra che lei non sappia cosa dire.
"Smettila di comportarti così." Lui la guarda allibito.
"Così come?!"
"Come se non mi volessi ascoltare."
"Non mi sto tappando le orecchie."
"Mi hai ignorato."
"Scusa tanto." le risponde in tono ironico. Rory lo guarda, ferita.
"Jess, accidenti, non lo capisci che mi dispiace davvero?"
"Dispiaceva anche a me, Rory."
"Lo so."
"Ma hai fatto finta di non capirlo. Tecnica efficace, eh? In teoria niente mi impedisce di usarla anche contro di te."
Rory abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro. Si sta meritando tutto questo. Se lo sta meritando fino in fondo. Non ha nemmeno la forza di arrabbiarsi. L'ha portato all'esasperazione più di una volta, e ora può soltanto accettare l'idea di meritarsi una punizione.
"Non cambia proprio niente tra di noi." Sussurra, senza il coraggio di guardarlo negli occhi.
"Che cosa intendi?"
"Questo, questa situazione. Non ho mai saputo come comportarmi con te quando eri arrabbiato con me." Jess la guarda, e gli occhi gli fanno quasi male. Non riesce a metterci durezza o freddezza in quell'occhiata. Solo un'assurda nostalgia riesce a bloccargli le parole in gola per diversi secondi.
"Neanch'io." Sospira, e l'immagine di lei, con i capelli più corti e l'odio negli occhi gli si ripresenta alla mente. Si era sentito un idiota. Cosa avrebbe potuto fare? Chiederle scusa? Comportarsi da vittima? Strisciare ai suoi piedi? Stava combattendo una battaglia persa, già da quando se n'era andato sapeva che lei non l'avrebbe mai perdonato per quello che le aveva fatto.
Sospira. Ora è tardi. Hanno ventiquattro anni, e tutto il tempo trascorso da quando stavano insieme non può essere cancellato con qualche semplice discussione.
"Mi sento un'idiota." le sente dire, mentre la osserva passarsi una mano tra i capelli.
"Se vuoi migliorare la situazione, suggerirei che mi lasciassi il braccio." osserva lui, inarcando un sopracciglio. La vede arrossire di colpo, come non faceva più da tanto in sua presenza, poi sente scivolare via la sua mano lungo il braccio, con una straniante e assurda lentezza. Giunta alla sua mano, Rory si ferma. Lui riesce solo a trattenere il fiato mentre lei intreccia le dita fra le sue.
Lo sguardo di Rory è sulle loro mani intrecciate, sembra che abbia gli occhi quasi lucidi. Rimangono in silenzio per qualche secondo.
"Sai, per quanto possa sembrare stupido, alle volte mi manchi." No. Non esiste. Non può sentirsi dire quelle cose in quel momento.
"Forse ti manca la mia metà con le ali e l'aureola." le risponde, ironicamente. Lei alza lo sguardo.
"Che vuoi dire?"
"Che finché ero buono e tranquillo ti andavo bene."
"Jess, quella parte di te non la conosceva nessuno."
"Appunto, per questo ti piacevo. Ti sentivi la privilegiata perché con te mi ero aperto e con gli altri no." Lo sguardo di Rory si indurisce.
"Io ti amavo, ed è ben diverso." Niente esitazioni, niente affermazioni in forse. Quello che era rimasto soltanto un dubbio tormentato dentro di lui per tanti anni ora era stato chiarito alla perfezione. L'aveva amato, sul serio.
"La sostanza non cambia."
"Perché credi che te la dessi vinta tutte le volte che non mi chiamavi o che mi lasciavi a casa ad aspettarti?"
"Io invece mi chiederei perché queste cose ti fanno ancora rabbia."
"Perché non le abbiamo mai risolte, Jess. E la colpa è stata tua."
"Ah, no, adesso non ricominciamo."
"Spiegami perché ti spaventa così tanto. E' passato tanto tempo ormai."
"Sai che importanza ha."
"Ha importanza! Non mi puoi accusare di arrabbiarmi ancora per queste cose quando anche tu fai la stessa cosa!" risponde lei, irata. Jess sospira.
"In ogni caso, non mi sembra che ci siano le premesse adatte per parlarne tranquillamente." Fa per voltarsi, ma lei tiene ancora stretta la sua mano, e gli impedisce di staccarsi con forza quasi disperata.
La guarda, e vede soltanto qualcosa che non vorrebbe vedere: il volto bellissimo di una ragazza che amava. L'unica che è riuscita a fargli provare un sentimento del genere. L'unica di cui ha conservato ricordi intatti, da cui non è mai riuscito a separarsi completamente.
"Rory, senti, io non volevo venire qui per fartela pagare o cose simili, è stata solo una coincidenza..."
"Sì, lo so."
Rory muove un passo verso di lui. Prova l'impulso istintivo di tirarsi indietro, ma poi si accorge di non farcela. E' come bloccato a terra.
"Mi dispiace per quello che è successo a Philadelphia."
"Me l'hai già detto."
"Sì, ma non mi sembrava che mi avessi presa sul serio."
"Mi hai sottovalutato."
"Può darsi. Ma poi ci sono arrivata."
"A che cosa?"
"Non dovevo scusarmi con te."
"Ma davvero?"
"Già." Rory sospira, e lui la guarda sorpreso. Possibile che abbia capito?
"Probabilmente ero gelosa sul serio."
"E' già l'ora della verità?" commenta, in tono ironico. Rory fissa gli occhi nei suoi, irata.
"Jess, possibile che sia così divertente interrompermi ogni secondo? Sto facendo tutti gli sforzi possibili per fare un discorso serio, e tu come al solito non collabori mai!"
La guarda, e quasi gli scappa un sorriso. Ha cercato di lottare per non rivivere mai più quelle emozioni che ha provato quando lei faceva ancora parte della sua vita, e ora si rende conto che si sta lentamente arrendendo. E' assurdo ed inspiegabile, e sa di essere un idiota nel credere inconsciamente che davvero un amore possa durare per sempre, ma per il momento sembra che ancora quello che provava per lei non si sia spento del tutto.
E' lacerante, ma è la verità.
"Che cosa c'è da ridere?" chiede lei, incerta. Accidenti. Il sorriso gli è scappato senza che se ne accorgesse.
"Che non mi hai ancora lasciato la mano." risponde, con una sfacciataggine che quasi lo spaventa. La osserva arrossire, e per un attimo si sente padrone della situazione.
"Non cambiare discorso." gli intima, tentando di apparire minacciosa. Lui si stringe nelle spalle.
"Neanche tu dovresti."
"Io... oh, accidenti, io avevo cominciato!"
Stavolta è lui a fare un passo verso di lei.
"Trenta centimetri." dice, e la paura di quella vicinanza così pericolosa riesce quasi a scomparire a quel dolce ricordo.
Rory gli lancia un'occhiata scettica.
"Devo misurarli?"
"Se non ti fidi, puoi sempre verificare." L'espressione di Rory cambia. Le brillano gli occhi, di un'intensità tale che lui è costretto per un attimo ad abbassare lo sguardo.
E' sufficiente un attimo di distrazione per essere colto di sorpresa da quello che succede in quello stesso istante. In una frazione di secondo Rory ha già annullato la distanza fra loro e ha raggiunto le sue labbra, i suoi riflessi sono troppo rallentati dallo sbigottimento per poter elaborare in tempo una qualche reazione. Mentre le sue labbra scivolano su quelle di Rory si rende conto che forse, se anche avesse potuto, non avrebbe avuto la forza di volontà necessaria per scostarsi. Non ha quasi il tempo di pensare mentre le loro labbra si schiudono e i loro corpi si avvicinano fino a premere l'uno contro l'altro, tutto quello che riesce a passargli per la testa è che ora sa di non volersi più tirare indietro, nonostante sia tutto assurdo, nonostante loro due insieme siano assurdi. E' così che avrebbe dovuto essere, sempre, per tutti quegli anni che avevano trascorso impegnati a vivere vite separate, avrebbero dovuto esserci le mani di Rory tra i suoi capelli e le sue a sfiorarle la schiena con carezze nostalgiche, avrebbe dovuto sentirla sempre stringersi a lui con una forza disperata che veniva soltanto dal cuore, avrebbe dovuto avere la possibilità di non staccarsi mai dalle sue labbra, di tenerla stretta a sé pensando che non l'avrebbe mai più lasciata andare, che perderla era troppo doloroso, che non avrebbe più potuto sentirsi completo senza di lei. Era riuscito a vivere imparando a fare a meno di lei, ma non tutto era andato per il verso giusto. Stando separati era riuscito a controllarsi nel pensarle, nel chiedere di lei, nell'immaginare come fosse la sua vita ora che lui non ne faceva più parte. Ma dopo averla rivista, tutto era crollato, tutta quella barriera che aveva faticosamente costruito in anni e anni di lontananza si era dissolta nel nulla e ora è come se non sia mai esistita, non riesce a credere di essere così debole ma è così, è davvero così e non ha la forza di opporsi a tutto questo, è davvero troppo per lui.

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** How I Miss You ***


Rory è ancora aggrappata a lui dopo diversi secondi. Non l'ha spinto via bruscamente, non è fuggita lasciandolo lì come un idiota, non ha avuto crisi di coscienza di nessun tipo. Stenta a crederci. Come è possibile? Come è possibile che sia stata lei a fare la prima mossa e che non sia affatto preoccupata o spaventata per tutto quello che sta succedendo?
La bacia ancora, intensamente, cercando di non pensare. La stringe a sé con forza, quasi con disperazione, vorrebbe convincersi che è tutto un sogno perché forse sarebbe più facile uscirne. Sentirla ancora sua per qualche breve istante riesce a provocargli talmente tanto sconcerto che è costretto a interrompere quel bacio, a respirare, ad appoggiare la fronte contro la sua mentre il loro abbraccio si scioglie lentamente...
Apre gli occhi, e si accorge che non sa cosa fare. Rory tiene le mani sulle sue spalle. Lui si sente morire mentre le accarezza i capelli. Tutte le sicurezze che si è costruito attraverso anni e anni di tentativi per dimenticarla sono riuscite ad andare in fumo in pochi secondi. Incredibile. Era partito così bene. Quando l'aveva rivista per la prima volta era riuscito a contenere l'emozione, a comportarsi in modo imperturbabile. E ora invece al suo primo pericoloso avvicinamento era crollato come niente.
Come può essere contento e non farsi problemi, come può pensare che tutto andrà bene solo perché l'ha ritrovata dopo tutti quegli anni sapendo di non averla mai dimenticata, e che ogni inconveniente si dissolverà nel nulla solo perché sono riusciti a fare un passo avanti? E' impossibile crederlo realisticamente, tutto questo è più forte di lui.
Cosa avrebbero fatto ora? Si sarebbero seduti sul divano a discutere dei loro problemi mai risolti, cercando di arrivare ai punti cruciali e di stabilire di chi era la colpa, per poter smettere di accusarsi a vicenda una volta per tutte? Avrebbero deciso di riprovarci? Sarebbero andati da Lorelai e Luke a dar loro la lieta notizia, incuranti di tutte le obiezioni che avrebbero sollevato? E poi? Come avrebbero potuto pretendere di instaurare una relazione, anche ammettendo di ignorare tutti i precedenti? Lui vive a Philadelphia, lei viaggia per il mondo per metà anno e per l'altra metà lavora a New York...
Assurdo. E' semplicemente assurdo pensare di potersi di nuovo mettere in gioco in una storia seria. Dopo tutta la sofferenza che l'unica storia veramente seria della sua vita è riuscita a causargli, e a causare agli altri. Con Rory aveva compiuto un danno irreparabile. Era andato tutto a rotoli, non solo il suo rapporto con lei, ma anche la sua situazione e quella con Luke. Si era fatto sfuggire tutto quanto di mano. Come può rischiare di nuovo sapendo a che cosa stanno andando incontro? Ci saranno sempre gli stessi problemi, le stesse discordie mai risolte.
Rory solleva lo sguardo, incontra i suoi occhi, e Jess si sente mancare. Riesce ancora a smarrirsi dentro le sue iridi celesti, senza possibilità di controllo. Il suo sguardo disarmante ha ancora il potere di togliergli la parola, e di mandare in frantumi ogni riflessione facendogli soltanto venire voglia di baciarla di nuovo.
"Tutto ok?" chiede lei, quasi intimidita. Non ha la baldanza da seduttrice che avevano tutte le altre ragazze con cui è uscito. Non sta intimamente esultando per essere riuscita a conquistarlo, lui che sembra sempre così irraggiungibile.
Si accorge che non sa che dire. Tutte le parole che ha previsto di pronunciare gli si sono bloccate in gola, mentre la memoria gli viene meno. Riesce solo a scuotere lievemente la testa, distogliendo a malincuore lo sguardo da lei.
"Niente." mormora, e si sente uno schifo. Tutti lo elogiano per il suo cambiamento prodigioso, per come ora lui si identifichi sempre di meno nel ragazzo disadattato che si esprimeva a monosillabi di diversi anni fa. Ma in quel momento, ancora una volta, l'incapacità di comunicare sorge di nuovo e distrugge tutto quanto, e lui viene soltanto travolto, senza trovare la forza per poter reagire.
"Jess." Ora il suo sguardo è preoccupato. E ha ragione. Ha così incredibilmente ragione da farlo sentire ancora più male.
"Rory, io..."
"Ho... ho fatto qualcosa di sbagliato?"
"No! No..." La guarda, con aria disperata. Non può permettersi di lasciarla andare così, senza fare niente. La attira di nuovo verso di sé, la stringe in un abbraccio attraverso il quale vorrebbe poterle dire tutto quello che non gli esce fuori a voce. Le appoggia delicatamente la testa sulla sua spalla, vuole solo trascorrere qualche minuto così, stringendola e basta, vuole avere il tempo necessario per pensare a cosa dire, per cercare disperatamente una via d'uscita in tutto quel disastro.
Ok, deve provarci. Deve soltanto fare un bel respiro e buttarsi. Non importa se non ne uscirà un discorso dotato di una perfetta arte retorica. Deve soltanto parlarne con lei.
"Jess, io credo di doverti spiegare..."
"No, io ti devo spiegare." Deve farlo. Non può trascorrere altro tempo ad illudersi di essere nel paese delle favole. Deve scendere dalle nuvole e tornare con i piedi per terra. Si scosta da lei e si prepara a parlarle.
"Rory, non lo so dove potrà portarci tutto questo... voglio dire, non so neanche perché l'hai fatto... se è stata solo nostalgia, o una pazzia momentanea..."
Solleva lo sguardo, e vede che gli occhi di Rory sono pieni di lacrime. Il panico comincia ad assalirlo. Se ha già sbagliato in partenza, dove può pretendere di arrivare?
"Tu mi conosci, lo sai che non lo avrei fatto se..."
"Rory, io non ti conosco più ormai." Quell'affermazione gli esce con un tono di voce quasi spaventato. Incredibile. Si sta davvero facendo prendere dal panico.
"Ci siamo lasciati da tantissimo tempo, fino a qualche giorno fa non ti vedevo da tre anni, e l'ultima volta che ci siamo incontrati è stata solo un'occasione sporadica... abbiamo vissuto separati per troppo tempo, siamo adulti ora, siamo cambiati entrambi, io non sono più così sicuro che..."
"Ma non è così semplice!"
"No, infatti, non lo è. Sei ancora tu... quella che io..." Si ferma, non ha idea di che accidenti dire. La ama o la amava? O l'ha sempre amata? E' una parola troppo forte, che ha sempre avuto il terrore di usare a sproposito... come può ora dirle qualcosa di cui non è sicuro o non dirle qualcosa che invece lei dovrebbe sapere?
"...insomma, non sei un'estranea per me. Ma non posso essere sicuro di tutto. In fondo, ti sei pentita una volta di essere stata con me, sarebbe da stupidi pensare che non potrebbe risuccedere..."
Guarda Rory. Sembra che trattenga a stento le lacrime. Perché, perché deve sempre sbagliare tutto quanto? Perché per una volta non può riuscire ad esprimersi come vorrebbe? Perché dannazione, perché quel blocco che ha lottato così tanto per superare deve ancora far sentire le sue influenze ora? Forse perché il superarlo non gli è servito a niente. Forse perché non ha ottenuto niente andando da lei e dicendole che la amava, anni fa. E' innegabile che si sia trattato di un pesante fallimento. Ed è stata tutta colpa sua, alla fine.
"Spiegami da dove hai tratto tutte queste conclusioni. Sei per caso in grado di leggermi nella mente? Con quale incoraggiamento ti senti autorizzato a presupporre tutte queste cose riguardo a me?" gli dice, con un'amarezza nella voce che riesce a farlo crollare.
"Io non voglio presupporre proprio niente. Accidenti Rory, io sto solo cercando di..."
"Che succede qui?"
Magnifico. In quel momento, l'unica cosa che manca a quell'idilliaco quadretto è soltanto Lorelai. Dannazione. Sarebbe bastato non alzare troppo il tono di voce...
"Niente, mamma, Jess voleva solo una coperta in più, e io..."
"Sono di sopra, adesso vado a prenderne una."
Lorelai risale velocemente le scale, e lui riesce soltanto a gettare un'occhiata inquisitoria a Rory. Ma lei evita prontamente il suo sguardo, e non si volta verso di lui neanche per un secondo. Jess si sente mancare. Non ce l'ha fatta. Ha di nuovo rovinato tutto, e ora non può più fare niente per evitarlo.
Lorelai è di ritorno in pochi secondi. Gli porge la coperta, riserbandogli un'occhiata decisamente sospettosa, che ormai non vedeva rivolta a lui da secoli. In ogni caso, sostiene il suo sguardo con aria imperturbabile, senza battere ciglio. Per quanto le riguarda, non sono affari suoi, e il fatto che Rory abbia scelto di mentire momentaneamente a proposito lo conferma.
Lorelai torna di sopra, ancora sospettosa. Bene. Forse può fare ancora un tentativo. Deve solo fare un bel respiro, voltarsi e cercare di spiegarsi meglio...
Ma Rory gli ha già voltato le spalle ed è sparita in camera sua, chiudendo la porta con un clangore sordo.
Fissa quella porta per un numero interminabile di secondi, e si accorge di non sapere cosa fare. Cerca di riprendere a respirare. L'unica possibilità che gli rimane è quella di tornare a letto, anche se sa che non riuscirà a dormire.
Non importa. Ormai non ha più importanza. Può solo tornare a sdraiarsi sul divano, spegnere la luce e maledirsi silenziosamente.

***
Fuggire era l'unica soluzione in quel momento, continua a ripetersi. Anche se ora la tensione e il dolore le impediscono di trovare un qualsiasi metodo per addormentarsi e smettere di pensargli.
L'ha praticamente rifiutata. Le ha detto che non se la sente. Era... sembrava spaventato, spaventato all'idea di poter davvero ricominciare.
Una fitta al cuore la costringe a rigirarsi nel letto. E' incredibile perfino per lei pensare che avrebbero potuto davvero rimettersi insieme. Incredibile pensare che lei lo volesse davvero, tanto da fare la prima mossa per chiudere la distanza persistente fra loro...
Ne era rimasta sorpresa, ma non terrorizzata. Perché in fondo l'aveva sempre saputo. Tutto era rimasto quieto a livello del suo inconscio fino al momento in cui era esplosa in quella scenata di gelosia. Da lì in poi, le insinuazioni di sua madre, le sue fitte nostalgiche, il suo continuo pensare a lui avevano fatto il resto. Aveva iniziato ad accettarlo passivamente ancora prima di poter pensare di combatterci contro usando come arma la sua forza di volontà, come aveva tentato di fare anni prima, quando stava con Dean. Aveva già sperimentato l'inefficacia di questa tecnica, e per qualche strana ragione persino la forza di volontà le era venuta meno. Più di una volta, da quando era tornata a casa, si era involontariamente ritrovata a pensare a come avrebbe potuto essere ritrovare una persona con cui era stata tanti anni fa. E ogni volta, una strana forza la assaliva, al pensare che questa persona era Jess. Qualcosa che le faceva comparire un dolce sorriso sulle labbra, che le faceva brillare gli occhi e dimenticare per un attimo che avrebbe anche potuto non rivederlo mai più. Quando aveva parlato con sua madre, il subdolo dubbio che in realtà il suo fosse solo un moto di possessività egoistica si era insinuato in lei e l'aveva quasi gettata nel panico, ma poi lui era arrivato, così, all'improvviso, e il violento tuffo al cuore aveva spazzato via tutto in un attimo.
La sua imprevedibilità. E' anche questo che amava di lui. Non ne ha mai incontrati di ragazzi così, capaci di rivelare un tale numero di sfaccettature caratteriali. Jess nessuno potrebbe vantarsi di conoscerlo veramente. Ogni volta che qualcuno arriva a credere di sapere tutto di lui, ecco che con qualche nuova sorpresa si rivela ancora capace di stupire, nel bene o nel male. Non si può includere in una qualche categoria di persone. Lui è soltanto... soltanto Jess.
Non ha mai avuto un altro ragazzo così.
Ripensa con amarezza a tutti i momenti in cui tra loro le cose avrebbero potuto risolversi. Per una ragione o per l'altra, non era mai successo. Dopo che lui se n'era andato, aveva cominciato a pensare che il destino avesse soltanto voluto suggerirle qualcosa, e cioè che quella non era la strada adatta a lei. Perciò, invece di consumarsi per la sua perdita, era andata avanti, esercitando un forte controllo mentale su di sé per impedirsi di rimpiangerlo in alcun modo. Era arrivata al punto di essere quasi indifferente al suo pensiero. Poi però lui era tornato. Era tornato e lei aveva pregato che se ne andasse presto. Si era imposta di essere arrabbiata con lui. L'aveva fatta soffrire davvero questa volta, e non era giusto che lei gliele desse sempre tutte vinte come succedeva quando litigavano. Doveva capire che lei non era disposta a farsi trattare in quel modo. Era stata dura. Con tutte le sue forze. E lui le aveva detto che la amava, rivelandosi ancora una volta talmente imprevedibile da riuscire a spiazzarla completamente.

"Sai, ho pensato molto a questo momento, davvero. Che mi direbbe Jess se dovessi rivederlo, insomma, se n'è andato senza un biglietto, senza nemmeno una parola, niente. Ed è passato un anno. Non una telefonata, il nulla. Quindi probabilmente non sapevi come giustificarti, non è vero? Ho immaginato centinaia di situazioni e centinaia di frasi che avresti potuto dire e ti confesso che in questo momento sono molto curiosa di sapere dove diavolo andrai a parare."

Sorride ironicamente, sentendosi ridicola. Con tutta l'immaginazione che si era sforzata di tirare fuori per immaginare quelle centinaia di situazioni e di frasi, quello che alla fine si era presentato davanti non le era passato nemmeno per l'anticamera del cervello. Sentirsi dire "ti amo" da Jess era proprio qualcosa a cui non avrebbe mai nemmeno pensato, figuriamoci scommetterci sopra.
Eppure, non era stata capace di farselo bastare. L'orgoglio, il rancore e la voglia di risollevarsi da quella pietosa reputazione che le si era costruita intorno avevano fatto il resto.
Ma l'aveva ferito. L'aveva ferito consapevolmente, pensando che se l'avesse fatto Jess non sarebbe tornato mai più e lei avrebbe potuto smettere di combattere contro sé stessa e contro di lui.
Si ritrova incredibilmente a pensare che forse l'ha ferito ancora di più di quanto non avesse fatto lui con lei andandosene da Stars Hollow. Per quella fuga c'erano delle ragioni, che lei avrebbe potuto finire per accettare e capire. Per il suo rifiuto capriccioso non c'erano ragioni. Non per il modo in cui l'aveva fatto, almeno.
Non si meritava che Jess tornasse da lei un anno e mezzo dopo con il sorriso sulle labbra, parlandole civilmente. Non se lo meritava, e sa anche che ora è giusto che lui si sia tirato indietro. Anche se inizialmente avrebbe voluto mettersi a gridare pur di smentirlo. Perché l'ultima colpa è stata sua. Se si fosse decisa a cercarlo prima, se avessero parlato durante tutti questi anni invece di andare avanti a trascinarsi dietro vecchi problemi mai risolti, se fossero riusciti a riallacciare un legame di amicizia piuttosto stabile, ora lui non dovrebbe sentirsi tanto spaventato da tirarsi indietro, e lei non sarebbe così disperata.
Lei è stata la prima a soffrire, ma anche la prima a guarire. La ferita di Jess è quella più recente. E tutto questo intreccio di torti e di colpe le sta facendo venire voglia di scappare via da tutto e da tutti. E' mai possibile che tutto debba per forza essere così complicato? Non esiste una pietra abbastanza grande da porre sopra i loro problemi per far sì che entrambi se ne dimentichino? Devono essere necessariamente condannati a dibattersi per sempre fra il riesumare le vecchie sofferenze e il non riuscire a comunicare correttamente per risolverle?
Ma in quel momento non ha voglia di parlare. Ha solo voglia di piangere. Piange silenziosamente, così che nessuno la senta, piange per riempire il vuoto che il sonno non riesce a colmare.
Un vuoto che solo l'assenza di Jess le ha sempre lasciato dentro.

***
Gli sembra veramente di essere tornato a un po' di anni fa, mentre cammina per le strade senza tempo di Stars Hollow di mattina presto. Tante volte aveva scelto la scappatoia di una passeggiata per distrarsi dai problemi che lo assalivano continuamente. Il posto non gli dava esattamente la pace visiva, pieno com'era di tutte quelle casette dipinte, di quelle insegne strambe, di quei giardini impeccabili, ma almeno l'aria fresca sulla faccia era meglio della costrizione di quattro mura.
Sa che per Rory svegliarsi e trovarselo davanti sarebbe un peso. Ha solo scelto il momento migliore per sparire momentaneamente. Nonostante tutto, non se la sente di sentirsi puntare addosso lo sguardo inquisitorio di Lorelai e quello minaccioso di Luke. E' arrivato da appena un giorno, e bene o male ha comunque diritto a una certa tranquillità.
"Jess!"
No, a quanto pare non ne ha proprio diritto. Si volta, prendendo fiato, preparandosi ad affrontare l'uragano. Il tono di voce con cui Lorelai l'ha richiamato non sembrava molto amichevole.
"Jess."
"Ho sentito."
"Sarà meglio per te che tu ora apra bene le orecchie."
"Basta che non alzi troppo la voce, c'è gente che dorme."
"Non fare lo spiritoso con me." Sospira, esasperato, preparandosi ad affrontare la sfuriata in arrivo.
"Che accidenti è successo con Rory?" Guarda Lorelai, infuriata, e assume di colpo un'aria incredula.
"Non dirmi che non lo sai." replica, in tono scettico.
"Lo saprei, se a quest'ora non fosse in viaggio verso New York."
Rimane un secondo in silenzio, spiazzato da quella rivelazione. Non era quello che si aspettava di sentire.
"Cosa è andata a fare a New York?" chiede, confuso.
"Ha detto che ha ricevuto una telefonata urgente di lavoro e che probabilmente dovrà stare via per un po'."
"E allora? Non sono mica il suo capo."
"Jess, quando è andata via aveva le lacrime agli occhi. Voglio sapere subito che cosa è successo ieri notte."
"Prova a pensare alla cosa peggiore che ti viene in mente che riguardi me e lei." Vede Lorelai riflettere, per poi sbiancare all'istante.
"Complimenti, siete stati silenziosi, allora. Quando mi sono alzata io vi eravate già rivestiti..." Forse ha esagerato un po'.
"No, no, aspetta, non intendevo esattamente quello."
"Spero tu sia stato attento, perché in questo momento mi sto sentendo male..."
"Lorelai, ci siamo solo baciati."
"Ah." Non saprebbe dire chi dei due è più a disagio in quel momento. Entrambi evitano di guardarsi in faccia per qualche secondo.
"Avete litigato?" chiede Lorelai.
"Diciamo che ci hai interrotti proprio sul più bello." Sente lo sguardo della donna su di sé, preparandosi all'ennesima accusa.
"Che le hai fatto, Jess?"
"Vedo che le vecchie frasi cominciano a farsi risentire."
"Sto solo cercando di capire perché mia figlia se n'è andata in lacrime dopo averti baciato."
"Io... io non lo so, va bene? Lo saprei se avessi potuto portare in fondo la conversazione."
"Ora non dare la colpa a me."
"Io non... al diavolo."
Supera Lorelai di scatto, diretto a passo veloce verso casa Gilmore, senza voltarsi indietro.
"Dove vai ora?"
"A riprenderla!"
Non gli importa se Lorelai non si fida di lui. Non gli importa se tutto il mondo è contro di loro. Deve andare da lei. Deve farlo immediatamente.

 

nota: la citazione del titolo viene da "If You Knew" di Jeff Buckley.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** I Used To Live Alone Before I Knew You ***


Non si è soffermato neanche per un secondo a riflettere sull’effetto che gli fa tornare a New York dopo tanto tempo. In circostanze normali, sarebbe stato assalito da una serie di ricordi confusi, che lo avrebbero portato inconsciamente a comparare la sua vita di un tempo con quella di adesso. Ma non c’è tempo per tutto questo, e lui sta soltanto guidando con agitazione svoltando a ogni incrocio nella direzione che gli permetterà di arrivare alla sua meta. Luke gli ha dato l’indirizzo, dopodiché non ha perso un solo secondo. E' soltanto salito in macchina e ha guidato senza fermarsi fino a New York, su una strada che aveva già fatto tante volte in passato. L'impulso di andare da lei lo spinge ancora una volta a fare cose che non ha mai fatto per nessun altro. Non si è mai sprecato ad inseguire la gente. Tantomeno le ragazze. Non ne aveva mai bisogno. Eppure, quando si tratta di lei sembra sempre che ogni sua regola di vita venga rapidamente infranta senza problemi.
Non ha ancora idea di come poter rimettere le cose a posto, e ha volutamente evitato di pensarci per tutto il viaggio. Ha soltanto cercato di tenere impegnato il cervello cambiando stazione radio ogni secondo, tenendo gli occhi incollati sulla strada consumata dalle ruote della macchina. Il salto da un canale radiofonico all'altro nel disperato tentativo di trovare qualche cosa di suo gradimento ha seriamente compromesso i suoi nervi, ma quando ha iniziato a intravedere i grattacieli di New York l'ansia ha iniziato a trasformarsi in determinazione, e finalmente ora è riuscito a trovare l'indirizzo. Spera seriamente che Rory sia lì, altrimenti sarà meglio prepararsi psicologicamente all'idea di dover setacciare l'intera metropoli.
Vuole solo trovarla, deve assicurarsi che stia bene. Non si aspettava che scappasse. Ma ieri sera le circostanze gli hanno impedito di chiarirsi per l'ennesima dannatissima volta, e le successive ore di insonnia sono state solo un arco di tempo in più per sprofondare di nuovo dentro il baratro delle incomprensioni mai chiarite.
La situazione ormai rischia di precipitare. E' soltanto l'accumulo di una serie di cose di cui non hanno mai parlato, sulle quali hanno soltanto tratto conclusioni separatamente l'uno dall'altra. Non c'è mai stata l'occasione di un confronto, e lui sa, dentro di sé, di averne sempre avuto paura. Forse tutte le fughe, tutti i silenzi, tutte le rassegnazioni erano per quello. Forse è soltanto troppo tardi.
Scende dalla macchina appena ha trovato parcheggio, ricordandosi a malapena di chiudere a chiave. A passi affrettati si dirige verso il palazzo. Apre il portone principale con le chiavi che gli ha dato Luke. In realtà gliele ha estorte, lo zio non era molto d'accordo sul fatto che lui se le portasse dietro, ma l'emergenza imminente alla fine gli aveva fatto cambiare idea. E' necessario avere ogni mezzo a disposizione per convincere Rory a tornare indietro.
Sale le scale, velocemente. Terzo piano, gli ha detto Luke. Gli sembra di impiegarci un eternità prima di raggiungere il pianerottolo. Ma prima che possa pensarci è già alla porta. Bussa senza pensarci due volte.
Rory sussulta di colpo. E' la mattina di un giorno d'estate, la maggior parte della gente è al lavoro o in vacanza, in teoria anche lei dovrebbe essere da una delle due parti, e qualcuno viene a bussare a casa sua. Sarà un vicino di casa. Eppure credeva di essere rientrata senza far rumore. Forse la televisione è troppo alta. Forse è entrata sbattendo la porta, o ha buttato il sacchetto della colazione nell'ingresso...
Scuote la testa. Non ha voglia di aprire. Non ha voglia di vedere nessuno. Vuole soltanto essere lasciata in pace.
Bussano di nuovo.
Non ha nemmeno la forza psicologica necessaria per alzarsi. E non è nelle condizioni migliori per affrontare conversazioni di nessun tipo. Vuole soltanto essere lasciata in pace insieme al suo caffè.
“Rory!”
Si volta di scatto istintivamente. Sente bruciarle gli occhi. Perché è lì? È venuto a cercarla? Beh, ovvio che è venuto a cercarla. Ma qualche ora fa sembrava che di lei non ne volesse più sapere.
“Rory, accidenti, vuoi aprire questa porta?”
Singhiozza, con lo sguardo fisso sulla maniglia. Sa che vorrebbe alzarsi, ma poi pensa che forse è meglio lasciargli credere che non ci sia, per andare avanti per tutto il resto della giornata a pentirsi di ogni sua singola azione, senza trovare la forza di rimediare…
Sente una chiave girare nella toppa, sussulta di nuovo, si alza in piedi di scatto. In pochi secondi di panico Jess ha già aperto la porta e le sta di fronte, fermo sull’ingresso.
Cerca di trovare qualcosa da dire, ma la sorpresa la ammutolisce per diversi secondi.
“Chi ti ha dato le chiavi?”
Lo guarda mentre le si avvicina, è ancora bello come quando l’ha baciato questa notte. È ancora capace di sconvolgerla anche solo incrociando il suo sguardo.
“Le ho estorte a Luke, anche se non era molto d’accordo.”
“Come facevi a sapere che non ti avrei aperto?”
“Una banalissima intuizione.”
“Certo. Del resto, sei sempre stato intelligente.”
“Dopo che sei scappata via senza una parola non ci voleva molto a prevederlo.”
Rory rimane in silenzio, contrariata. Si sente improvvisamente presa da un blocco. Non vuole spiegare, non vuole fargli pensare che sta male per lui. Può superarlo da sola, come ha fatto anche le altre volte.
“Allora… volevi tornare a casa con un pigiama di riserva?” Rory arrossisce, accorgendosi di essersi dimenticata di quel piccolo dettaglio. Appena era rientrata in casa si era accorta che i vestiti, anche se leggeri, le pesavano addosso. Aveva tirato fuori un paio di pantaloncini corti e un top da notte e se li era infilati in fretta, raccogliendosi i capelli sulla nuca con non molta cura. Effettivamente, in quel momento non deve avere proprio un bell’aspetto.
“Volevo solo avere la televisione tutta per me.” risponde, stringendosi nelle spalle. Meglio mantenere quella conversazione su un tono poco serio.
“Potevi andare da Babette.”
“Volevo evitare che il suo nuovo gatto mi graffiasse come l’ultima volta che sono entrata in casa sua.”
“Potevi portarti dietro una gabbia.”
“E dove la trovavo?”
“Non lo so, i negozi di Taylor vendono qualsiasi cosa…” Sorride mentre lo guarda.
“Ti ricordi ancora tutto così bene di Stars Hollow?”
“Beh, diciamo che è un posto che lascia il segno.”
“Più di New York?”
“Molto più assurdo di New York.”
“E dai, non dirmi che in una metropoli non hai mai visto cose assurde.”
“Mah, forse a Stars Hollow ero attratto dagli gnomi da giardino proprio perché qui non se ne vede nemmeno l’ombra.” Ride inevitabilmente ripensando a quella vecchia storia.
“Babette era sconvolta lo sai?”
“Non avevo idea che si trattasse del suo bene più prezioso.”
“Ha passato l’intera settimana successiva a inveire contro di te.”
“Peccato che non l’abbia mai fatto quando ero nei paraggi, mi sarei potuto fare qualche risata.”
“Non dirmi che vedere Kirk da Luke per tutto il giorno non ti faceva ridere.”
“No, mi lasciava solo più scioccato di quanto già non fossi.”
“Era tanto terribile?”
“Assolutamente, mi sentivo male all’idea di essere capitato in un posto di svitati.”
Sorride, chinando lo sguardo.
“Alle volte non sembravi proprio così triste però.”
“Perché per lo meno c’era qualcuno che sapeva chi è Hemingway.”
“Il fatto che non sia mai riuscita a mandarlo giù non influisce?”
“Conoscerne il nome era già un passo avanti.” Risponde Jess, stringendosi nelle spalle. Mentre su di loro piomba il silenzio, si rende conto di quanto tutta quella situazione sia assurda.
“Hai avuto qualche incubo stanotte?”
“No, non credo di aver dormito molto.”
“Ti sei sentita male?”
“No.”
“Ti sei svegliata e Luke ti aveva preparato una colazione che non ti piace?”
“Jess, si può sapere dove vuoi arrivare?”
“Vorrei arrivare ad avere una motivazione per cui tua madre mi ha inseguito per tutta Stars Hollow per ripropormi la stessa domanda di rito di un po’ di anni fa.”
“Non dirmi che ti ha chiesto che cosa mi avevi fatto.”
“Non te lo dirò, e sorvolerò anche sul suo tono minaccioso e vagamente omicida.”
“Oh mio dio.” Tutto ciò che riesce a fare in quel momento è mettersi le mani nei capelli. Jess la guarda, chiedendosi se sarà necessario un paio di pinze per farle tirar fuori la verità.
“Rory.”
Lei alza la testa, sprofondando nel suo sguardo. Si sente colmare di disperazione. Non sa più cosa fare. Forse non c’è niente da fare. Forse è solo un segno, un segno che non sono destinati ad essere felici insieme. Hanno attraversato un sacco di situazioni terribili. E ora sono lì, ancora legati da qualcosa che rappresenta la loro vita e la loro condanna.
“Io… ti capisco se credi di non sapere più chi sono.”
Jess fa per dire qualcosa, ma poi lei prosegue.
“Ti giuro che alle volte me lo sono chiesta anch’io.”
“È normale, è passato troppo—“
“No, non è questo il punto.”
“E allora qual è? Continui a girarci intorno, Rory.”
“Invece sono perfettamente immobile.”
“Lo sai che cosa intendo.”
“Sì, ma forse è meglio non saperlo.”
“Bene, allora rispediscimi a casa dalla tua mammina inferocita, ma sappi che mi avrai sulla coscienza…”
“Io… mi dispiace, Jess.” La guarda, sembra sul punto di scoppiare in lacrime.
“Cosa?” Lei alza la testa.
“Sei diventato sordo per caso?”
“No, ma tu non concepisci la possibilità che io non riesca a stare dietro ai tuoi discorsi sconnessi.”
“Ti sto solo dicendo che mi dispiace.”
“Per cosa?”
“Per tutto, tutto… dopo che sei andato in California sentivo tanta gente dirmi che per me in fondo era un bene, che sarei stata meglio, che non avrei più rischiato di subire delle influenze negative, e invece mi è soltanto crollato tutto addosso…”
“Capita a tutti.”
“No, tu non capisci. Io… mi sono trasformata in una persona orribile… mi sono comportata in un modo che non avrei mai ritenuto possibile…”
“Senti, non c’è bisogno che tu ti senta in colpa per avermi detto di no.”
“Quella è stata solo una parte… una minima parte… ho ferito tutte le persone a cui tenevo di più… mia madre, tu…”
Gli esce una risata ironica.
“Rory, tu non tenevi più a me, era evidente.”
“Io… io non sapevo quello che facevo in quel momento.”
“Dobbiamo per forza tornare a parlarne?”
“Non ne abbiamo mai parlato, Jess, e forse questo è il problema più grande…”
“Ci sarà un motivo se non ce n’è mai stata l’occasione.”
“Ti sto dicendo che mi dispiace.”
“Ti ho sentito.”
“Ma non mi stai prendendo sul serio.”
“Dopo che sono passati cinque anni?!”
“Perdonami se i miei processi mentali sono così lenti.”
“O se hai avuto l’illuminazione solo ora.”
“Jess, ho passato tre anni a chiedermi perché mi avessi aiutata a tornare a Yale senza portarmi rancore per niente, la mia non è stata un’illuminazione.”
“Non ne usciremo più, lo sai questo, vero?”
“Se tu mi ascoltassi ne saremmo già usciti.”
“Rory, non è così facile, come fai a voler pretendere di risolvere tutto chiedendomi scusa?”
“Certo, hai ragione, meglio starsene in silenzio e fare finta di niente, così poi quando la situazione precipita nessuno ci capisce più niente.”
Si ferma, stringendo i pugni. Sta andando tutto storto. Non c’è un modo per riaggiustare le cose.
“Perché mi hai baciato?”
“Potrei farti la stessa domanda.”
“Il piccolo dettaglio è che hai cominciato tu.”
“L’altro piccolo dettaglio è che tu pretendevi già di sapere perché l’avevo fatto, quindi non capisco proprio per quale motivo me lo stai chiedendo.” La fissa, tentando di frenare l’esasperazione. Era comunque illusorio sperare di poter risolvere tutto senza un litigio.
“Ho solo fatto delle supposizioni.”
“Che hai clamorosamente sbagliato, complimenti.”
“Bene, allora spiegami in che cosa consisteva il mio errore.”
Rory rimane in silenzio per qualche secondo, ad osservarlo. Lo sa il perché l’ha fatto. E sa anche perché continua ad avere quel terribile blocco ogni volta che si tratta di spiegarglielo.
“Io l’ho fatto… perché volevo farlo.” Jess le lancia un’occhiata scettica.
“Davvero chiara come risposta.”
“Sei tu che mi hai accusato di averlo fatto in un momento di mancanza di lucidità mentale.”
“Va bene, allora cerchiamo di fare un passo per volta… perché volevi farlo?”
“Accidenti, Jess, devo proprio spiegarti tutto?”
“Sei tu che sostieni la necessità di chiarirci… bene, non vedo spunto migliore per cominciare.”
Il silenzio la assale di nuovo. Accidenti, deve farcela. Non può essere così difficile.
“Perché volevo farlo.”
“Almeno hai capito.”
“Certo che ho capito, lasciami spiegare.”
“Non aspetto altro.”
“Bene.”
Forse è sufficiente non guardarlo negli occhi.
Forse farà meno male.
O sarà meno difficile.
“Io… io non ce l’ho con te… e nemmeno mi sono lasciata prendere da qualche istinto primordiale… e non volevo semplicemente farlo perché siamo stati insieme e ne sentivo il diritto…”
“Fantastico, abbiamo già escluso diverse opzioni.”
“Jess, smettila.”
“Perché?”
“Perché mi dai sui nervi.”
“E allora non lasciarmi parlare.”
“Va bene, come vuoi! L’ho fatto perché rivedendoti mi sono resa conto che tu per me sei stato importante, e lo sei ancora, perché non so cosa mi è preso ma a Philadelphia ho fatto di tutto per poterti rivedere e non l’ho fatto solo perché volevo essere educata e dirti grazie, c’è stato qualcosa che mi ha spinto, qualcosa che mi ha fatto esplodere mentre eri al telefono con un’altra, e ti giuro che se mi fosse stata davanti avrei voluto tirarle un pugno…”
“Vedi, sei diventata violenta in questi anni.”
Gli getta un’occhiata fulminante, e si accorge che più si arrabbia più il sorriso sul volto di Jess si allarga. Sembra che si diverta proprio a farla uscire fuori dai gangheri.
“Ti giuro che lo volevo. E non credo ci sia una spiegazione razionale. Mia madre mi ha messo paura. Mi ha detto che o ero gelosa, e quindi provavo ancora qualcosa per te, oppure ero una di quelle persone orribili che pretendono di avanzare pretese possessive sulle persone a cui sono legate…”
Jess si sente invadere dalla tenerezza. Il fatto che si sia posta dei dubbi sul perché abbia fatto quella scenata e sulle motivazioni che possano averla spinta, dimostra che è davvero pentita per come si è comportata in passato, e che forse l’essere andato da lei tre anni fa l’ha fatta tornare ad essere sé stessa in qualche modo.
“Però poi quando sei arrivato non provavo gelosia. Ero soltanto… non lo so. Disperata forse. Avrei voluto che tra noi le cose non stessero così.”
Jess sospira, annuendo leggermente. Capisce perché Rory sta facendo tutta quella fatica. Lo capisce e lo condivide, e gli sembra sempre più incredibile che la prima opzione proposta da Lorelai possa davvero essere quella reale, ma il dubbio ormai sta per provocare il crollo di tutte le sue sicurezze.
Forse, rivedendola è tornato a non essere più un semplice fantasma del passato. Forse, può essere che davvero quello che l’ha spinta sia qualcosa di vivo e reale, e non un semplice sentimento nostalgico…
“Mi manchi, Jess.”
Le parole le escono con difficoltà, mentre il groppo alla gola si fa più acuto, e quasi impossibile da trattenere, nonostante stia lottando con tutte le sue forze per mantenere il controllo.
“E credimi se ti dico che mi dispiace.”
La voce le si incrina. Si porta una mano alla bocca, e sente che le gambe stanno per cederle. Ormai non ha più dubbi. Ci è riuscito davvero. L’ha fatta innamorare di nuovo, le ha fatto vivere degli attimi che non si alimentano solo dei bei ricordi, ma di tensioni e di emozioni che ha provato per qualcosa che le sta accadendo in questi momenti.
“Ok, ti credo.”
Non riesce a dire altro. Rory fa un passo verso di lui. È disperata, non lo guarda negli occhi. Cerca solo il contatto con il suo corpo, gli appoggia la testa sulla spalla, si rannicchia sul suo petto, stringe la sua maglietta, e lui la cinge con le braccia, inebriato dal calore del suo corpo.
La stringe forte. Può soltanto stringerla forte in quel momento. Rivuole soltanto la sua Rory, e tutta la paura che ha provato durante la notte si perde in qualcosa che ogni volta che lei gli sta vicino riesce sempre a sommergerlo senza controllo.
E lei vuole soltanto che la tenga stretta a sé. Vuole poter credere che non è tutto perduto in quel momento.

 

 

nota: la citazione del titolo viene da "Hallelujah" di Jeff Buckley.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** The Man Who Loves You ***


Il film è finito. Per l'ultima parte sono rimasti entrambi in silenzio. Di colpo Jess si riscuote e, con un gesto automatico, guarda fuori dalla finestra: è buio pesto.
Bel lavoro. E adesso? Doveva riportare Rory a Stars Hollow, e invece hanno trascorso tutto il giorno nel suo appartamento di New York in compagnia di cibo cinese e videocassette.
Luke sarà infuriato. Lorelai avrà già affilato i coltelli. Eppure sa che deve tornare a Stars Hollow, e deve tornarci con Rory. Deve solo riuscire a dirglielo, e cercare di minimizzare il danno dell'altra notte.
"Rory, senti..."
"Rimani qui." Si volta a guardarla spiazzato.
"Come?!"
"Jess, non vivo in un ripostiglio, c'è spazio per tutti e due."
"E tu credi che io abbia fatto tutta questa strada per aumentare l'odio di tua madre contro di me?"
"Non ti odierà."
"Non ci giurerei."
"Lo sai che non fa sul serio."
"Ah sì? Potevi avvertirmi allora, così avrei evitato di spaventarmi stamattina davanti alle sue minacce..."
Rory si lascia cadere sul divano, svuotata di ogni energia. Non ne può più di litigare in continuazione. Sa soltanto che non ha ancora la forza per tornare a Stars Hollow e affrontare la situazione. Si sente una vigliacca, ma sa di non farcela.
"Jess, per favore, io non me la sento."
"Di fare cosa?"
"Di tornare a casa, adesso."
"Date le circostanze forse dovrei averne paura più io di te."
"Può darsi, ma me ne sono andata perché avevo bisogno di stare un po' da sola e chiarirmi le idee, e ora..."
"La tua idea di solitudine implica che ci sia anch'io a dormire in casa tua?"
"Preferisci tornare a Stars Hollow a mani vuote? Equivarrebbe a firmare la tua condanna a morte."
La situazione è altamente compromettente. In ogni caso, è lui a perdere. Fuori è buio, e lui è stanco per aver passato la notte precedente quasi completamente insonne. Forse sarebbe meglio non rimettersi al volante, ottenendo anche di rimandare la sua condanna di un giorno.
Guarda Rory, incerto. Lei non fa niente per incoraggiarlo o smentirlo. Non riesce a dire altro. Sa soltanto che vuole che rimanga. Ne ha bisogno in quel momento più che mai.
Jess sospira, rassegnato. Si tratta solo di dormire lì. Non dovranno affrontare discorsi imbarazzanti, né altro. Lei in camera, lui sul divano... in qualche modo poi se la sbrigherà con Luke e Lorelai.
"Passami il telefono."
Compone il numero, rassicurato dal fatto che dopotutto non dovrà subito affrontarli faccia a faccia.
"Pronto?"
"Zio, rimango a New York stasera."
"Cosa... come?"
"Non torno a Stars Hollow, tutto qui."
"No, scusami, chiami ora, dopo aver fatto stare me e Lorelai in pena per un'intera giornata, non ci dici niente di come sta Rory né tantomeno se l'hai trovata o se la stai ancora cercando, e tutto quello che sai dire è che stanotte ti fermi a New York?!"
"Mi fa piacere sentire che hai recepito il messaggio."
"Vuoi davvero farmi arrabbiare?"
"Zio, secondo te dove potrei mai fermarmi a dormire?"
"Ci vivevi tu a New York, io non voglio nemmeno provare a immaginare..."
"Se ti dicessi che sono a casa di Rory ti risparmierei qualche incubo stanotte?"
"Bene, grazie per avermi informato del fatto che almeno uno di voi due è sano e salvo."
"Ah, sì? E sentiamo, Rory dove pensi che sia?"
"Trovarla era compito tuo."
"E secondo te se non l'avessi trovata me ne starei qui tranquillo a casa sua?"
"Allora l'hai trovata."
"Deduzione impeccabile."
"Potevi dirlo subito."
"Diciamo che volevo divertirmi un po'."
"Beh, per me non è stato affatto divertente."
"Lo immaginavo. Bene, allora adesso che vi ho messo il cuore in pace andrei a dormire..."
"No, no, aspetta." Sospira, preparandosi alla predica.
"Cosa c'è?"
"C'è che ho visto casa di Rory, e non riesco proprio a immaginare dove tu possa dormire."
"Forse nel corso del tuo esame ti è sfuggito il divano."
"Mi sembrava un po' troppo piccolo per te."
"Allora farò in modo di rimpicciolirmi."
"Perché non ti sei messo in macchina qualche ora fa?"
"Ero troppo impegnato a studiare un modo per riuscire a dormire sul divano."
"Da chi è partita questa proposta?"
"Suona tanto come una domanda retorica la tua."
"Jess, spero tu non abbia intenzione di..."
"Ecco, se credi di sapere già la risposta risparmiati di chiedermelo."
"Ti avverto, non fare sciocchezze."
"Accidenti, avevo già in mente di organizzare un festino..."
"Jess."
"Zio, come devo fartelo capire che sono perfettamente in grado di non farvi preoccupare?"
"Trattandosi di Rory, non lo sei mai stato."
"Bene, allora se preferisci non credermi sulla parola e passare una notte insonne insieme a Lorelai, tanto piacere. Salutami Emily."
"Jess..."
"Buonanotte."
Rimette il telefono al suo posto mentre una sgradevole sensazione di fastidio continua a pesargli addosso.
Al diavolo, non ha intenzione di farle niente. Eppure ogni volta è così... ogni volta lui è il colpevole e lei la povera innocente. Lui è quello che è capace di plagiarla mentalmente, di traviarla, di farla essere quello che non è. Come se Rory con lui non fosse mai stata sé stessa. Assurdo, perché anni fa l'aveva osservata spesso mentre stava in mezzo agli altri, circondata dalla gente, soprattutto con Dean, e gli era quasi sembrato che davanti alla gente Rory recitasse un ruolo, quello della ragazza perfetta, che le calzava perfettamente, e che lei interpretava in modo eccezionale, ma pur sempre un ruolo. Sempre così controllata, posata, tranquilla, gentile. Lui era riuscito a tirare fuori la parte meno perfetta di lei. L'imbarazzo di fronte alle sue affermazioni spudorate, il senso di colpa quando Dean li sorprendeva insieme anche se di fatto non stavano facendo niente di male, l'indecisione quando si era trattato di scegliere fra il ragazzo perfetto e il teppista ribelle, la rabbia di fronte a certi suoi atteggiamenti poco rispettosi nei suoi confronti, la passione che aveva iniziato a tirare fuori con lui quando stavano da soli... tutte cose che l'intera città di Stars Hollow non aveva mai conosciuto, nonostante avesse seguito la sua crescita di anno in anno da quando lei e Lorelai erano arrivate lì. E questo, secondo l'opinione comune aveva il significato di averla traviata.
Certe volte la gente è proprio superficiale.
Si volta verso Rory. Ora deve preoccuparsi soltanto di loro due.
"Tutto sistemato, almeno fino a domani." Lei gli sorride timidamente.
"Potevi dirglielo che era stata una mia idea."
"E togliergli il loro divertimento principale? Fidati, passeranno la notte a studiare i modi migliori per darmi una morte lenta e dolorosa."
Lei sorride ancora, mentre il dolce sospetto che abbia tentato implicitamente di proteggerla si fa strada in lei e le fa allargare il cuore.
"Ti faciliterò la fuga, nel caso decidano di attuarne qualcuno."
"Grazie." Anche lui le sorride lievemente. Prima che possa sopraggiungere l'imbarazzo, ha già pensato a un modo per salvare entrambi.
"Per caso hai qualche altro cuscino?"
"Oh... sì, certo."
Rory sparisce di corsa nell'altra stanza, e lui può finalmente rilassarsi un attimo e tentare di sciogliere la tensione. La stanchezza sarebbe capace di farlo crollare addormentato in pochi istanti, ma in realtà dubita che ci riuscirà veramente. I troppi pensieri contribuiscono sempre a tener sveglio il cervello, in casi come questi, e nemmeno il sonno è in grado di sopraffarli.

Rory continua a rigirarsi da una parte all'altra.
Non si è mai trovata in una situazione così. Con Jess che dorme in casa sua, di là, sul divano. Ed era stata lei a chiedergli di restare.
Continua a ripensare alla telefonata tra lui e Luke. Dalla metà di conversazione che aveva potuto ascoltare, ne aveva dedotto che erano volati degli avvertimenti volti a mettere le mani avanti per loro due, nonostante nessuno sapesse che cosa era successo tra loro.
Non stanno neanche insieme, e sono ancora capaci di spaventarli come una volta.
Ricorda bene le visite di Luke al piano di sopra ogni dieci minuti, l'espressione infastidita di Jess ogni volta che venivano interrotti e l'imbarazzo che le colorava le guance, e ricorda bene anche la faccia che ha fatto sua madre quando le aveva detto che pensava di avere la sua prima volta con Jess. Se avesse potuto escludere da quella conversazione qualsiasi imbarazzo, paura o reticenza che aveva provato, avrebbe anche potuto farsi delle sane risate. Loro due insieme, da soli nella stessa stanza, erano capaci di mettere in allarme l'intera città.
Eppure, la questione è tornata a scottare. E' grande, adulta. Questo genere di cose sono ormai normale prassi per la gente della sua età. Ma con Jess è sempre stato complicato. Non ha dimenticato tutta la passione che la infervorava, che spesso era costretta a reprimere con l'aiuto del buonsenso. Era giovane, all'epoca, le era già costato uno sforzo non indifferente ammettere con sua madre che ci aveva pensato. Tutte le volte che ci pensava si sentiva sconvolgere. Avrebbe potuto farlo con Jess, perdere la sua verginità con lui. Aveva paura, un'immensa paura di compiere quel passo, ma non aveva mai dubitato di quel pensiero, di quel desiderio. Se avesse deciso di concretizzare quell'ipotesi, era certa che Jess l'avrebbe fatta sentire come nessun altro avrebbe potuto fare. Lo sentiva, quando si baciavano, quando i loro corpi si incontravano in un abbraccio. Quello che lui non diceva a parole, spesso lo percepiva dal comportamento che aveva verso di lei. Era ovvio che aveva avuto altre storie, ed era ovvio che probabilmente sentiva il desiderio di farlo anche con lei, ma non gliel'aveva mai espressamente chiesto, niente forzature, niente moti di stizza quando lei decideva di fermarsi. Era qualcosa che andava al di là del semplice rispetto, o del legame che aveva con lei. Per qualche strana e assurda ragione, sentiva che se fosse successo con Jess sarebbe stato tutto splendido, anche se magari non perfetto. Jess non avrebbe mai programmato la serata portandola a cena fuori in un ristorante di lusso e poi in una camera da letto illuminata da mille candele. La decisione l'aveva tacitamente lasciata tutta a lei.
Quella sera alla festa di Kyle tutto era andato storto, però. Si era sentita tradita, tutto quello che aveva immaginato riguardo alla sua prima volta con lui era stato demolito in pochi secondi. Non poteva credere di essersi così clamorosamente sbagliata su di lui. Poi però, con la lucidità successiva, aveva capito. Aveva capito che c'era qualcosa che non andava, qualcosa di serio che non andava. Jess non era solo taciturno e scontroso quella sera. Era frustrato, triste. Avrebbe dovuto andare via da quella festa, portarlo lontano, cercare di stargli più vicino. In ogni caso, tutto era andato a rotoli. La magia si era rotta, e poco dopo lui se n'era andato. Il sogno della sua prima volta si era perso in un baratro di disillusione, e la fine di quella bella favola era stata tutt'altro che prevedibile. Aveva deluso sua madre, sfasciato un matrimonio, distrutto l'immagine che tutta Stars Hollow aveva di lei, quella della ragazza perfetta, giudiziosa, riflessiva. Non era così che immaginava che sarebbe andata.
Lentamente, il sonno prende il sopravvento, le palpebre iniziano a diventare pesanti. L'inquietudine e l'inadeguatezza che prova per aver chiesto a Jess di dormire in casa sua mentre non stanno nemmeno insieme vengono soffocate lentamente dal dormiveglia, mentre inizia a perdere coscienza dei propri pensieri senza rendersene conto.

Jess rimane per un po' a fissare la stanza immersa nella penombra, circondato dai cuscini. Dopo un po', decide di darsi pace, e sposta lo sguardo sul soffitto, pensando a quanto sia stato idiota a perderla anni fa. Se n'è andato perché era necessario farlo, era per il suo bene che voleva tenerla lontana dal lato peggiore del suo carattere, per paura di farle ancora del male come aveva già fatto, e nello stesso tempo, senza avere il coraggio di dirglielo. Lui era cambiato. Si era sforzato di migliorare per lei. Andarsene gli aveva giovato. Ma non era andata come sperava. Lei non ci aveva creduto. Non era riuscito nell'unico scopo vero che aveva mai avuto nella sua vita, stare con lei. Era stata dura da mandare giù-- probabilmente non ci era mai riuscito.
Ovvio che non ci è mai riuscito, si corregge. Altrimenti ora non starebbe qui a dormire in casa sua senza sapere che decisione prenderanno domani mattina. A pensarci bene, l'avrebbe direttamente mandata a quel paese di fronte alle sue crisi di gelosia, e poi non ci sarebbe stato certo un bacio.
Quel bacio. L'aveva proprio sconvolto emotivamente, si disse con ironia. L'agitazione e l'adrenalina l'avevano assalito talmente tanto che non era più stato bene in grado di mantenere il pieno controllo delle sue facoltà mentali. Non riusciva più a pensare con coerenza, non riusciva nemmeno a concentrarsi su qualche pensiero, tutto quello che ricordava era il vuoto mentale, l'invasione del suo cervello da parte di una serie di scariche elettriche.
Rivivere mentalmente quella scena gli dà la possibilità di ricostuire un quadro in cui molte parti sono confuse nell'emozione. Ricorda il gusto delle sue labbra. La consistenza del suo corpo premuto contro il suo. Le sue mani intorno al collo, fra i capelli, lo scivolare in profondità sulla sua bocca...

Rory si sveglia di soprassalto, si sente mancare il respiro. Rimane immobile per qualche secondo a fissare il buio, poi di scatto di solleva a sedere sul letto. Si passa le mani tra i capelli sciolti sulle spalle, chiudendo gli occhi e tentando di calmarsi.
Un sogno, era solo un sogno. Qualcosa in cui si era sentita intrappolata fino all'ultimo, finché la sua forza di volontà non era stata capace di farla ritornare cosciente e di farle aprire gli occhi.
Ha soltanto sognato, la paura incredibile che ha provato di fronte a quelle immagini non ha motivo di esistere veramente. Eppure, continua ad essere scossa da tutto questo, e le ci vogliono diversi secondi per fare il punto della situazione, e ricordarsi che si trova a casa sua a New York, e che di là c'è Jess... sì, è di là, è stato solo un sogno. Deve riuscire a farselo entrare in testa.
La situazione è davvero ironica. Gli ha chiesto di restare perché aveva paura di rimanere da sola, di sentirsi persa, vuota, di perderlo di nuovo, a causa della sua stupidità... ed è riuscita a terrorizzarsi da sola con un incubo insensato.
Non sa perché si sta alzando. Forse vuole solo assicurarsi che sia davvero lì, che abbia solo sognato. Deve assicurarsene, deve tranquillizzarsi o non riuscirà più ad uscire da quel circolo vizioso.
Stringendo le braccia intorno al corpo si avvia come in trance fuori dalla sua camera.

Jess si sveglia di colpo, allarmato da un movimento. Apre gli occhi. Rory è in piedi di fronte a lui, e lo guarda attraverso la penombra. Che ci fa lì? Da quanto si è addormentato?
"Tutto bene?" sussurra, accorgendosi che lei rimane lì immobile.
"Ho... credo di aver avuto un incubo."
Evidentemente la sua presenza lì non è bastata a farla sentire più tranquilla.
Si solleva a sedere sul divano, non sapendo che fare.
"Mi sento una stupida." dice lei, e forse sono entrambi a sentirsi così. Jess si alza in piedi, incerto.
"Era tanto spaventoso?" chiede. Lei riesce solo ad annuire, sentendosi cogliere dalle vertigini. Barcolla leggermente.
Jess si avvicina a lei, senza pensarci. Le passa un braccio sulla schiena, avvicinandola a sé. La sente tremare, scossa da un brivido. La sua pelle è calda, e il contatto con le sue mani fredde gli dà un senso di straniante sollievo...
La guarda, inclinando leggermente la testa di lato. Sembra davvero scossa.
"C'era per caso tua madre con un cappuccio in testa e una falce in mano?" prova ad insinuare. Rory sembra avvicinarsi leggermente. "No perché se è così credo che la tua sia stata soltanto una premonizione..."
Non riesce a continuare oltre. La distanza fra loro si è ormai chiusa del tutto, Rory ora ha le mani sulla sua schiena, la testa reclinata sul suo petto. Il suo cuore inizia a battere molto più velocemente, e l'idea che Rory possa sentirlo non contribuisce certo a farlo calmare. Viene scosso da un lieve brivido mentre lentamente la stringe di più a sé, e la sensazione che prova riesce quasi a farlo andare fuori di testa.
La sua mano scivola sulla schiena di Rory. Indossa soltanto quel pigiama minuto con cui gli si è trovata davanti la mattina. Lei sembra avvicinarsi di più a lui, cercare un contatto pericoloso ma essenziale per entrambi in quel momento. Jess non riesce a dire niente, non sa più cosa pensare ormai. Tutto quello che riesce a fare è poggiare la fronte contro la sua e tenerla stretta a sé cercando di farla stare meglio.
"Jess..."
"Sì?"
"Io..."
Sente mancarle le forze. Vorrebbe dirgli che ora sa, che ora è cosciente di tutto, che è pronta, pronta come lo era lui quando era venuto da lei a Yale per portarla via con sé, che ha capito tutto quanto, che non ha più paura, e che vorrebbe che per lui fosse lo stesso...
Jess le sfiora le labbra con le dita. Solo questo, poi il buio lo invade mentre in un attimo cerca la sua bocca e la bacia. Si maledice per la sua impulsività, rendendosi conto che così sta offrendo su un piatto d'argento a Luke e a Lorelai l'occasione per vantarsi di aver avuto ragione su di lui...
Eppure, lei risponde al bacio. Si stringe di più a lui, aggrappandosi alle sue spalle, e basta un attimo perché ritorni tutto quanto: la complicità, la voglia di stare sempre attaccati, il desiderio di chiudere soltanto gli occhi e lasciarsi trascinare via senza pensare.
Si rende conto di amarla ancora. Non è mai svanito il suo ricordo dentro di lui. Si è soltanto assopito. E ora, lei è cambiata, ma è cambiato anche lui, e nonostante questo i loro momenti ora coincidono, e loro sono ancora lì a baciarsi, come tanti anni fa...
Lei si solleva in punta di piedi e gli cinge il collo con le braccia, continuando un bacio più profondo, più intenso.
Forse ora è il momento. Forse è proprio da lì che devono riprendere, da dove sono stati interrotti l'ultima volta. Solo che ora molte cose sono cambiate... lui non la sta cercando solo per scaricare la sua frustrazione, e lei forse non lo respingerà sentendosi tradita...
Inizia a girargli la testa quando lei gli prende il volto fra le mani, lo bacia con passione e poi gli afferra una mano, trascinandolo lentamente verso la camera.
Sente che lo vuole davvero. In quel momento non ha paura. Non ha paura di tradire nessuna immagine di lei, nessun'idea che gli altri si sono fatti. Non vuole farlo per sentirsi matura, non vuole farlo perché questo significherà essere di nuovo al sicuro dal resto del mondo...
Lo vuole soltanto perché è Jess che la sta baciando in quel momento. Lo vuole solo per lui, per loro.
Jess la solleva e la appoggia sul letto, senza mai staccare la bocca dalla sua, quasi nell'intento di esorcizzare tutte le paure e i dubbi che potrebbero sorgere se si fermassero un attimo a riflettere...
Non gli importa di quello che diranno gli altri. Non gli è mai importato, a maggior ragione quando si trattava di lei.
Le braccia di Rory cingono il suo torace, in un attimo si ritrova disteso sopra di lei, premendo sul suo corpo, mentre la bacia con ardore sempre crescente.
Le vertigini lo colgono in un attimo. Si rende conto che non può andare avanti se non è sicuro che per lei sia lo stesso. Se il mattino dopo dovesse svegliarsi e scoprire che è stato solo un passatempo, qualcosa di cui non era convinta...
Sfila le mani da sotto di lei e si stacca dalla sua bocca, appoggiandosi sul suo fianco, tentando di riprendere fiato.
"Scusami." riesce solo a dire. Si sente un idiota, ma poi lo sguardo di Rory si fissa su di lui.
Dopo un secondo lei si scioglie dal suo abbraccio.
"Ok." dice, in tono sommesso. Jess la guarda, spiazzato.
"Ok cosa?"
"Se non ti va..."
"No, no, aspetta."
"Sono una stupida, non avrei mai dovuto."
"Rory guarda che io..."
"Lo capisco, se non vuoi." Le esce fuori in tono disperato, sull'orlo delle lacrime, e in quel momento si sente morire. E' destino che tutto vada storto. "Io mi sono comportata da perfetta idiota con te..."
Tutto ritorna sempre alla radice del problema. Jess sospira, poi le accarezza una guancia.
"Anch'io mi sono comportato da perfetto idiota con te."
"Allora siamo pari."
"Già."
Rory trattiene il fiato, osservandolo attraverso la penombra della camera, mentre è ancora così vicino a lei.
Poi capisce perché si è femato. I dubbi che assalgono lei, hanno assalito anche lui...
"Però vogliamo le stesse cose." dice, in un sussurro. Sente lo sguardo di Jess su di sé, i loro occhi incatenati di nuovo...
"Al diavolo le scuse, allora." dice, e in un attimo le loro bocche sono di nuovo l'una sull'altra, e Jess capisce. La sente. Sente che lei lo vuole. Che ne è consapevole. Che non è tutto dettato da un momento di follia.
Sorride lievemente mentre le bacia il collo e si dedica a sfilarle via il pigiama.
Ora sente solo la sua pelle bollente, e capisce che la ama. Non si tratta di averla come non l'ha mai avuta. E' soltanto un completamento, un atto che in quel momento li unisce al di là di tutti i problemi ancora irrisolti, qualcosa che gli fa ritrovare speranze che aveva perso tanto tempo fa.
Mentre le bacia la guancia arrossata e le accarezza i capelli si rende conto di non avere mai fatto l'amore così.

 

 

Nota: la citazione del titolo viene da "I Am Trying To Brake Your Heart" dei Wilco.

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** So I'll wait for you... and I'll burn ***


Le palpebre gli pesano mentre cerca di aprire gli occhi. Li socchiude immediatamente non appena si accorge di che cosa ha provocato il suo risveglio: un fascio di luce penetra dentro la stanza dalle imposte aperte, colpendolo direttamente in pieno viso. Una smorfia di disappunto gli altera il volto, mentre lo coglie uno sbadiglio. Fa per stirarsi i muscoli, e improvvisamente prende coscienza del corpo a contatto con il suo. Impietrito, fissa il soffitto, accorgendosi di colpo che non è il soffitto di casa sua. Questo soffitto è candido e appena dipinto, non annerito come il suo...
Con una mano si sfrega gli occhi, richiamando a sé tutte le forze che possono permettergli di far tornare a funzionare il suo cervello. Poi i ricordi iniziano ad invaderlo come un fiume in piena. Ricordi vividi, consistenti... è davvero successo.
Decide di alzarsi. Non vuole farsi trovare a letto come un bambino. Cercando di fare attenzione a non svegliare Rory, scende dal letto e si dedica a raccogliere i suoi vestiti sparsi per la camera. Cercando di capire come accidenti abbiano potuto i suoi jeans finire sotto l'armadio, si riveste rapidamente e si avvia verso la cucina, sentendosi invaso dal disagio di dover rispondere a certi suoi bisogni usando roba non sua. Al diavolo, gli serve un caffé per riuscire a svegliarsi e non gli va di scendere fuori a comprarne uno, non gli va di staccarsi da quel posto anche se solo per qualche istante... non gli va di lasciare Rory da sola, di rompere quel contatto, che probabilmente è soltanto un vaneggiamento, ma abbastanza forte da impedirgli di cercare anche la maglietta, le scarpe e il portafoglio per scendere in strada.
Il caffé è pronto in fretta. Lo manda giù di colpo, quasi ustionandosi la gola. Non gli importa. Una specie di clangore sordo gli rimbomba nelle orecchie. Si passa di nuovo una mano sugli occhi, tentando di svegliarsi completamente...
"Ah, sei qui."
E' piombata nell'ingresso della stanza talmente in fretta da coglierlo di sorpresa. Solleva il volto dall'incavo della mano e smette di osservare le venature del legno del tavolo. Forse è il caso di lasciare per un attimo da parte le sue riflessioni assurde e inconcludenti.
Prova ad aprire la bocca per risponderle, prova a pensare a un qualche commento ironico e scherzoso da farle. Per scacciare l'imbarazzo. Per rassicurarla. Ma non gli viene in mente niente. Il vuoto riempie la sua testa mentre tiene lo sguardo fisso su di lei ed è soltanto capace di annuire in silenzio.
Rory si torce le mani, deducendo che non deve aspettarsi una risposta. Mentre apriva gli occhi e in fretta si rivestiva per andare a cercarlo, era stata la paura di quell'incubo a spingerla ad agire... un incubo che significava smarrimento, terrore, senso di colpa. Un'enorme pugnalata al cuore. Un vuoto al suo fianco, quasi una voragine, che mai sarebbe riuscita a colmare.
"Già... che stupida..." mormora tra sé.
"Cosa?"
Ha pronunciato più di un monosillabo. Probabilmente è già qualcosa.
"Niente, ero già pronta a farmi prendere dal panico e a scendere in strada a controllare che la tua macchina ci fosse ancora." gli risponde, sorridendo. Meglio metterla sullo scherzo. Un incubo non significa niente. Non è stato un sogno premonitore, l'ha potuto verificare di persona in quel momento...
"Wow." Lo fissa in volto.
"La cosa ti stupisce?"
"No, a dire la verità." Sente il terrore svuotarle il cuore di colpo, mentre il suo respiro si ferma, chiuso e bloccato dentro di lei.
"Beh, in ogni caso, sei stato molto bravo a smentirmi..."
"Grazie." Lo guarda sempre più attonita.
"Prego..."
"Non c'è di che."
Si blocca, rendendosi conto di quanto tutto questo sia assurdo.
"Hai intenzione di andare avanti così ancora per molto?" gli chiede, incredula, riscuotendosi.
"Così come?" La cosa sembrava non toccarlo minimamente.
"Così, rispondendomi a monosillabi... non riesco a capire che cosa..."
"Niente, di mattina presto sono sempre di poche parole."
Lo fissa senza riuscire ad espirare. Solo quando si accorge che sta per implodere si ricorda di buttare fuori l'aria.
Poi gira la testa, allontana lo sguardo da lui. Le lacrime le velano gli occhi e le bloccano la gola. Ma deve inghiottire e cercare di controllarsi.
"Ci risiamo." mormora, senza guardarlo. Era ovvio, era talmente ovvio che non riesce a capire come abbia potuto essere così stupida da non capirlo prima. Tutto sarebbe tornato esattamente come un tempo. Anche lui. Con il tempo si sarebbe stancato di lei, di doverle fornire ogni minima spiegazione per il suo comportamento dato che lei era così ottusa e non riusciva mai ad arrivarci.
Si appoggia al mobile più vicino, con entrambe le mani. Stringe con forza, fino a farsi sbiancare le nocche.
Sente la sedia strisciare sul pavimento, i suoi movimenti mentre si alza.
"Rory, senti..."
"Mi spieghi perché?"
Ora è lui ad essere spiazzato, glielo legge negli occhi.
"Perché cosa?"
"Perché non riesco mai a capirti? Non ho mai saputo accorgermi di quando era il momento di starti vicino e quando invece dovevo lasciarti in pace... spiegami. Sono io che sono invadente e ottusa, o è colpa tua?"
"Rory ma che cosa..."
"Forse è colpa mia." Continuare a interromperlo riesce a darle la forza di far uscire le parole anche se in modo stentato, tentando di vincere quel maledetto groppo alla gola.
"Quando stavamo insieme, ero arrivata ad avere la presunzione che davvero io ero l'unica persona su questa terra che fosse capace di capirti sul serio, di conoscerti meglio di chiunque altro. Non ho mai capito dove avessi sbagliato per arrivare a farti scappare via da me, però forse dopo tutti questi anni ora mi ci sono avvicinata..."
"Ti prego, non dire idiozie." Il suo tono è duro, ma non freddo e cinico... ha pronunciato una frase di senso compiuto con una forza che la obbliga a voltarsi di riflesso, prima di aver potuto fermarsi a riflettere su cosa fare.
Lo osserva, ma lui non le restituisce lo sguardo. Rory corruga la fronte. Ha una strana espressione, sembra quasi... triste.
"Senti, se tu davvero pensassi quello che hai appena detto allora sì che saresti stupida." Riesce quasi a spaventarla mentre le parla così.
"Non capisco..."
"Credi davvero che io me ne sia andato per colpa tua?"
"Io, io non lo so..."
"Rory, per favore..." La sua voce si è quasi incrinata. Lei riesce soltanto a fissarlo confusa.
"Non è abbastanza il fatto che quella sia stata l'unica volta in tutta la mia vita in cui mi sono sentito veramente in colpa per quello che stavo facendo? Hai mai provato a riflettere su quanto ci abbia messo per tornare a dirti che ti amavo?"
Stringe le labbra, non sapendo cosa dire. No, la risposta è soltanto no. Non ci ha mai pensato. La rabbia, la sua rabbia, quella è stata l'unica cosa a cui era stata capace di pensare dopo che l'aveva rivisto di nuovo a Stars Hollow. Rabbia per tutto. Perché lui riusciva sempre a creare trambusto, perché la gente continuava ancora a compatirla dopo tutto il tempo che lei aveva impiegato cercando di comportarsi come se lui non fosse mai entrato nella sua vita, perché non aveva mai trovato prima la forza per arrabbiarsi e si era messa a pensare che invece aveva tutti i diritti di farlo, in fondo era stato lui ad andarsene lasciandola senza una parola, senza una scusa, senza una spiegazione... lui l'aveva ferita. E lei, avrebbe dovuto comportarsi come se chiunque potesse essere capace di prendersi tranquillamente gioco di lei? No... assolutamente.
Scuote la testa, incapace di dire altro.
"Accidenti, Rory, con tutti i libri che leggi, con una laurea... non capisco se lo fai apposta o cosa..."
"E io non capisco se tu ti diverti a prendermi in giro."
"Quale fra tutte le cose stupide che ho fatto ha potuto veramente convincerti che io me ne sia andato perché non ti sopportavo più?"
"Jess, non..." Scuote la testa, sbuffando. "Hai mai provato a metterti nei miei panni? Hai mai provato a chiederti come l'avrei presa, che cosa avrei finito per pensare di te? Ti è mai passato per la testa il dubbio che forse non sono capace di leggerti nella mente, che forse non avrei capito tutto senza bisogno che tu mi spiegassi niente? Non è affatto scontato che i miei meccanismi logici debbano per forza essere uguali ai tuoi!"
"Ah, sì, e allora secondo i tuoi meccanismi logici io sarei tornato a umiliarmi di fronte a te solo perché in realtà avevo intenzione di mollarti di nuovo e di trarre soddisfazione dalla tua sofferenza?!"
Sente un muscolo contrarsi sulla sua guancia.
"Accetto il fatto che possa sembrarti assurdo, ma in quel momento era così, ed è per quello che ti ho detto di no." Lo osserva spalancare gli occhi, quasi inorridito.
"Per quello?" Si sente una stupida, mentre distoglie lo sguardo da lui.
"Certo, mi chiedo come posso essere stato così idiota da non capirlo. In effetti, con tutti quei no detti così a raffica mi avevi precisamente esposto tutte le tue ragioni."
"Smettila di fare lo spiritoso, non è il momento."
"Sì, hai ragione, dovrei cercare di esercitare meglio la mia intelligenza, così la prossima volta riuscirò a cogliere i sottintesi."
"Jess." Tutto l'impeto che le sta montando dentro, sta cercando disperatamente di scaricarlo aggrappandosi sempre più forte a quel mobile.
"Ok. Va bene. Avrei potuto spiegartelo. Non voglio giustificarmi, ma ero arrabbiata, ero stufa di tutto quanto, e... e poi anche tu non mi hai spiegato perché te ne sei andato. Siamo esattamente alla pari."
"Ah, era questo che ti interessava allora... rimettermi al mio posto. Certo, non potevi tollerare che ti avessi ferito una volta di più..."
"Senti, ti ho detto che non sto cercando di giustificarmi, sto solo dicendo che come non mi hai dato spiegazioni tu, così non te ne ho date io, e sì, probabilmente avremmo potuto farlo tutti e due, però non ci siamo riusciti, nessuno dei due..."
"...questo è il problema."
Finalmente, ci sono arrivati entrambi.
"Sì. E' vero. E' questo il problema. Lo è sempre stato, sempre. Lo era quando io sono tornata da Washington e non hai capito che ormai mi piacevi tu, e che avrei voluto dirtelo..."
"Tu non me l'hai detto, e te la sei giocata. Io non sono uno che si fa prendere in giro."
"Sì, avrei dovuto prevederlo. Ma anche tu, potevi fare uno sforzo..."
"Nossignora, ero perfettamente convinto della mia posizione." Un sorriso amaro le sfugge senza che lei possa controllarlo.
"Beh, comunque era lo stesso quando litigavamo..."
"Se ti riferisci alla storia dell'occhio nero, io te l'avevo detto che non era stato Dean."
"Se proprio vuoi ritirare ancora fuori quella storia, sappi che avevo tutte le ragioni per dubitarne. Se tu e Dean vi foste trovati da soli un giorno di quelli vi saresta ammazzati."
"Peccato che ci fossimo già incrociati un paio di volte prima di quell'episodio, e che nonostante le sue squallide e ripetute provocazioni io mi fossi trattenuto in tutti i modi dal cedere alla tentazione di rompergli il naso."
"E perché non me l'hai mai detto?" Jess si stringe nelle spalle.
"Era una faccenda tra me e lui. E poi non ci avresti creduto."
"Forse, se me l'avessi raccontato, avrei potuto darti fiducia..."
"A chi, a me? Quando ancora andavo in giro con il marchio di teppistello newyorkese? Ti prego..."
"Tu che ne sai? Hai mai provato a dirmelo?!"
"No, perché davo per scontato che non ci avresti creduto."
"Ecco, bravo, lo davi per scontato. Questo è il succo della faccenda."
"Non che tu ti sia comportata in modo molto diverso con me quando si è trattato di farmi entrare in casa dei tuoi nonni..."
"Dobbiamo stare a discutere su chi avesse cominciato e di chi fosse la colpa che sta all'origine di tutto questo? Jess, stiamo parlando di qualcosa che è successo sei anni fa!"
"Il ricordo è ancora fresco, a quanto pare."
"Perché non l'abbiamo mai risolto veramente, ecco perché!"
"Sì, in effetti ho sempre omesso di rivelarti che in realtà l'occhio nero me l'aveva fatto un cigno."
Rory lo fissa incredula, mentre lo sconcerto si fa strada dentro di lei.
"Un cigno?!" Jess si morde le labbra, stringendo i pugni.
"Sì, e non ti ho dato il permesso di ridere."
"Non sto ridendo."
"Beh, sto solo mettendo le mani avanti."
"Perché non mi hai detto la verità quando avevo scoperto che non avevi fatto a botte con Dean?"
"Andiamo, Rory, già ai tuoi occhi ero completamente sotto una cattiva luce per via di tutto quello che la gente diceva o pensava riguardo a me, avrei dovuto ulteriormente sminuirmi ai tuoi occhi in modo volontario? Sarei stato un idiota."
"Sei stato un idiota."
"Avresti riso, e avresti comunque pensato che ero un idiota. E poi, tanto per cambiare, saresti saltata alle solite conclusioni, e cioè che Dean non avrebbe mai fatto una cosa del genere."
"E questo da che cosa diamine l'hai dedotto?"
"Era ovvio, Rory. Hai sempre messo lui sul podio del primo posto, e io ero il secondo classificato nel premio per il miglior ragazzo... solamente perché non c'era nessun altro che potesse stare prima di me."
Lo guarda, e si sente scoppiare il cuore. Solo ora se ne accorge veramente... quanta poca fiducia ha in sé stesso, quanto poco si stimi. Quanto poco fosse certo che lei volesse veramente stare con lui e che non rimpiangesse un altro a causa dei suoi difetti. E sono passati sei anni prima che l'abbia scoperto.
"Questa è l'ulteriore conferma che sei un idiota, Jess Mariano."
"Motivo per il quale ero al fondo della classifica."
"No! Stupido, sei solo uno stupido..." Lo osserva inarcare un sopracciglio.
"Ti dà soddisfazione insultarmi in modo prolungato?"
"Ti sto solo dicendo la verità! Accidenti, Jess, io volevo stare con te... ho lasciato un ragazzo che mi dava tutto quello di cui credevo di aver bisogno per seguirti." A Jess esce una risata sarcastica.
"Mi fa piacere che tu voglia tentare di lusingarmi, ma non dirmi che non hai mai rimpianto Dean mentre stavi con me, perché se ci credessi allora sì che sarei davvero un idiota."
"Va bene, forse, qualche volta avrò rimpianto qualche cosa di quello che avevo quando stavo con Dean... ma si trattava di modi di fare, di trattarmi, non di persone."
"Che accidenti significa? Che ti saresti tenuta volentieri la mia faccia con il suo carattere? Già, che splendida combinazione!"
"Non dire stupidaggini. Dean aveva un modo di stare con me, per cui non mi faceva mancare niente... qualche volta litigavamo, ok, ma erano sciocchezze... e alla fine, lui veniva sempre a chiedermi scusa."
"E io no? Ah, ora capisco dove sta la differenza."
"No, non è quello, idiota. Forse se mi facessi finire i discorsi prima di intrometterti con le tue conclusioni affrettate..."
"Va bene, prosegui pure, mettimi un cerotto sulla bocca se vuoi, ma non scriverci sopra idiota." Gli getta un'occhiata fulminante. Lui abbassa gli occhi, sembra dare segno di essere intenzionato a stare zitto. Rory sospira.
"La differenza tra te e Dean... consisteva nel fatto che lui era il ragazzo perfetto che tutti invidiano e ammirano, perché ti dà qualcosa che tutti sognano... la devozione assoluta, oltre all'amore. E io, io forse... mi sono abituata male con Dean... perché non tutti sono come lui." Jess la fissa con sguardo duro, ma lei lo precede.
"No, aspetta. Questo non significa che lui fosse migliore di te. Significa soltanto che mi dava qualcosa che tu invece non sei abituato a dare. E questo non c'entra con quanto io fossi attaccata a te o a lui... perché io... alla fine l'ho lasciato. Mi sono trovata nelle condizioni di dovere per forza fare una scelta, e ho scelto te."
"Qualsiasi cosa successa in seguito mi ha ampiamente dimostrato che te ne sei pentita amaramente."
"Io non capisco se lo fai apposta... Jess, è evidente che tu di me e dei miei sentimenti non hai capito un bel niente."
"O forse sei tu che non ti sei capita."
"Senti, se io mi fossi trascinata dietro dei rimpianti per essere stata con te tempo fa... non avrei mai fatto tutto quello che ho fatto in questi giorni. Non puoi pretendere che ti dia una spiegazione per tutto... non ci riuscirei neanche se volessi..."
"Vuol dire che non sai perché l'hai fatto."
"No, vuol dire che non riesco a spiegarmi, come non riuscivo a spiegarmi razionalmente perché ti amavo, non ci sono mai riuscita... quando mi chiedevano perché stavo bene ed ero felice con Dean io ero capace di elencare un migliaio di ragioni... e così per tutti gli altri, avevo sempre una spiegazione..."
Jess la fissa con sguardo serio, attento. Rimane in silenzio. Niente critiche, polemiche o obiezioni. Rory non sa se ha il coraggio di continuare.
"Non lo so, forse vuol dire che..." Lo osserva alzarsi dalla sedia, appoggiarsi con una mano al tavolo, come per riprendere le forze.
"...che il motivo per cui io... non dipende da come ti comporti nei miei confronti... solo... solo da come sei." Si sente ridicola per il modo frammentario e sgrammaticato con cui si è espressa. Quello è stato il massimo che ha potuto dare in quel momento. Se avesse potuto impugnare una penna e scriverlo, forse sarebbe stato meglio, avrebbe avuto più capacità di controllo razionale, di ordine... forse non è vero, forse non ci sarebbe riuscita nemmeno provando a ragionare con calma e sistematicità... era troppo, tutto questo era troppo.
Jess non sa che dire. Non sa più niente. Non sa se fidarsi, se sperare, se ritenere che sia meglio non ritornare sui propri passi... sa che sarebbe capace di rinunciare a lei, di comportarsi in modo talmente masochistico da escludere una volta per tutte dalla sua vita l'unica donna che abbia mai amato. Non si tratta di forza di carattere, no. Si tratta solo di ridicola, insulsa abitudine a farsi del male, di estenuante insicurezza, di sfiducia in sé stesso e in qualsiasi persona osi avvicinarglisi per tentare di capire almeno qualcosa di lui. Sa che potrebbe andarsene in quello stesso momento senza darle alcuna spiegazione, come già è stato capace di fare. Perché il cercare di spiegarsi, di capire sé stesso, di aprirsi con un'altra persona, è quello che non è mai riuscito a fare in vita sua. Tutti lo elogiano per il suo straordinario cambiamento, per la sua ritrovata serenità, per la sua calma riconquistata, per aver eliminato quell'insidiosa e costante rabbia contro il mondo intero. Forse però non è davvero così cambiato. Forse ha soltanto smesso di lottare. Forse ha soltanto perso l'unico orizzonte della sua vita che riusciva a dargli uno scopo concreto per andare avanti con un minimo di fiducia nel domani. Forse si è soltanto adeguato a tutto questo, smettendo di accanirsi contro gli altri perché non otteneva mai quello che voleva, perché non riusciva mai ad essere all'altezza dei suoi obiettivi. Forse la sua è soltanto rassegnazione.
Si stringe nelle spalle.
"In ogni caso... giusto perché tu lo sappia..." sospira, chiude gli occhi un secondo. "...non ti ho mai odiato." Non riesce a guardarla. Non vede le lacrime che affiorano nei suoi occhi.
"Io, io forse sì... mi dispiace." ammette Rory, mentre il groppo alla gola si fa più stretto.
"Non importa. Ne avevi tutte le ragioni."
"Le ho perse quando anch'io mi sono comportata come te... se non peggio."
"Beh, alla fine avrei dovuto prevederlo, di spiegazioni da me non ne hai avute." Rory si passa una mano tra i capelli.
"Forse... dovremmo soltanto cercare di ricominciare da zero. Di fare finta che tutto quello che è successo prima sia ormai qualcosa di vecchio e superato." Jess scoppia in una lieve risata ironica.
"Sarebbe il modo peggiore per ricominciare, perché mentiremmo soltanto a noi stessi."
"Ma possiamo sempre provarci..."
"Rory, non ti è bastato tutto quello che è successo in questi giorni? Non possiamo fare finta di niente, non siamo capaci, né tu né io... hai detto tu che il nostro problema è che non siamo mai stati capaci di dirci le cose davvero, e ogni volta abbiamo cercato di darci delle spiegazioni personali che non hanno quasi mai coinciso con la realtà... è da pazzi credere che potremmo riuscire a smettere di rivangare cose vecchie di anni, per il semplice fatto che non le abbiamo mai risolte..."
"...e allora facciamolo. Risolviamole." La determinazione si fa strada in lei, e non riesce a spiegarsi da dove provenga. Non sta più scegliendo le parole una alla volta, facendo attenzione a tutto quello che dice...
"Non è così facile." Jess sospira. La stanchezza gli pesa addosso.
"Se pretendi di cominciare davvero così, allora..."
"Vuoi che ti faccia un esempio? Bene, allora dimmi, qual è stata la spiegazione che ti sei data per il mio comportamento di stamattina?"
"Non so, ho pensato... mi sono spaventata, perché sembrava che tu... ti fossi già pentito di quello che è successo..."
"Ecco, vedi? Ci sei già caduta."
"In che senso?"
"Nel senso che hai già tratto delle conclusioni basandoti su una tua impressione."
"Quindi mi sono sbagliata?"
"Sei così sicura di aver ragione che dubiti anche del mio punto di vista?"
"No, no, io..." Lo sguardo smarrito si fissa nei suoi occhi, poi un lampo, un impulso che viaggia diretto verso le sue labbra.
"Spiegamelo, il tuo punto di vista, allora." Spiazzato, Jess si appoggia al tavolo.
"Senti, è evidente che ieri sera eravamo troppo presi per pensarci... però, tu hai una vaga idea di cosa faremo adesso?"
"Non lo so, potremmo tornare a Stars Hollow, e dire a Luke e a mia madre..."
"Bene, proviamo ad ignorare per un momento il bassissimo indice di gradimento che riscuoterà la nostra rivelazione... una volta finite le vacanze, dove pensi di andare?" Rory abbassa la testa. Inizia a capire.
"Dovrò tornare al lavoro, suppongo."
"Bene, mi fa piacere vedere che sei ancora in grado di effettuare dei ragionamenti coerenti..."
"Jess. Non è divertente."
"No, davvero, stavo già per mettermi a tirare fuori i festoni e lo champagne."
"Jess..."
"Cosa faremo, Rory? Il conto alla rovescia per aspettare la fine dei nostri brevi giorni di gloria? Tu hai un lavoro a New York, io ne ho uno a Philadelphia, per non parlare del fatto che per metà anno viaggi per tutta l'Europa..."
Rory sospira. Ecco, quello è sempre stato il problema meno facile da risolvere. In questi anni, non aveva fatto fatica, pur sentendosi in colpa, a scegliere... preferiva consolidare la sua carriera e assicurarsi il futuro che aveva sempre voluto piuttosto che inseguire un uomo qualsiasi. Aveva sempre saputo cosa fare quando quelli con cui usciva le ponevano di fronte un'alternativa.
Ora il dilemma è decisamente più acuto. Ora si rende conto che davvero non sa cosa fare. Che non può fare tutte e due le cose, né nessuna delle due, né l'una o l'altra...
Una lacrima scivola silenziosamente sulla sua guancia.
Sa che non serve a niente piangere. Ha sempre evitato di farlo quando sapeva che le lacrime non l'avrebbero portata da nessuna parte. Ha sempre cercato di trattenersi, di serbare intatto il suo contegno e il suo autocontrollo. Forse, se fa un piccolo sforzo può riuscirci anche ora...
Troppo tardi. La lacrima le sfugge anche dall'altro occhio.
Jess si avvicina a lei. Per un momento si guardano e basta. Poi lui la stringe a sé, senza dire niente, come ha sempre fatto.
Spesso non era necessario esplicitare tutto con Jess. Quando erano vicini, così vicini, era come se lui le parlasse attraverso i suoi gesti, e per qualche istante lei si sentiva davvero sicura come se le emozioni che trasparivano da lui fossero state davvero concretizzate in parole...
"Senti..." dice lui, scostandola leggermente da sé.
"No. Senti tu. Non hai idea di quante situazioni simili io abbia attraversato... è da quando ho la vita che volevo avere che finisco per rinunciare a tutto pur di portarla avanti nel modo migliore..."
"Appunto per questo. Non ho intenzione di importi niente, anche perché in ogni caso è giusto che..."
"Proviamoci lo stesso." Jess la fissa con sguardo attonito.
"Cosa?"
"Non fare finta di non aver capito... voglio che ci proviamo lo stesso."
"E come pensi di poter anche solo fare un tentativo? Sarebbe distruttivo per tutti e due."
"No. Io... non puoi chiedermi di troncare qui perché tanto, facendo il calcolo delle probabilità, abbiamo già potuto vedere che finirà per non funzionare. Non puoi... non ti permetto di fare così, di tirare fuori il tuo solito pragmatismo pessimistico, non lo farai, non mi lascerai per il mio bene e perché non vuoi che nessuno dei due soffra più per causa dell'altro, perché io non sono disposta ad adeguarmi..."
Jess la guarda. E' così bella, con i capelli spettinati che le incorniciano il viso, gli occhi lucidi per le lacrime, le guance bagnate, le labbra umide...
La forza di farla finita, di rassegnarsi, di gettare la spugna, non ce l'ha. Quell'orizzonte, quello scopo... l'ha ritrovato. Dopo averlo perso per così tanto tempo. Sa che non ne troverà mai un altro. Sa che è la sua unica possibilità. Potrebbe dirle che non se la sente, potrebbe tirare fuori qualsiasi scusa, potrebbe mortificarla e indurla a desistere con i suoi ragionamenti...
Allo stesso modo però potrebbe trovare una soluzione, per quanto complicata e ardua... sarebbe solo un modo migliore di impiegare la sua intelligenza.
Non ce la fa. E' più forte di lui. Non ce la fa a scappare, di nuovo. Non potrebbe reggerlo una seconda volta, e non potrebbe reggerlo lei...
Forse non è così difficile. Forse è sufficiente che lui smetta di rassegnarsi ad averla persa per sempre. Forse deve smetterla, come dice lei, di farsi coinvolgere eccessivamente dal suo "pragmatismo pessimistico"...
Sorride. In quel momento, stranamente, ne è convinto. Sente davvero di poterci riuscire.

 

***Fine***

 

Ringrazio tantissimo tutti coloro che sono stati così gentili da commentare e che hanno apprezzato questa fanfiction in nome dei bei vecchi tempi di Rory e Jess.

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=96949