Lover You Should've Come Over di Sophie Hatter (/viewuser.php?uid=16304)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Pictures Steal Our Memories ***
Capitolo 2: *** Quiet Doubts ***
Capitolo 3: *** Out Of Time ***
Capitolo 4: *** Still In Your Past ***
Capitolo 5: *** Always On My Mind ***
Capitolo 6: *** Sometimes Everything Is Wrong ***
Capitolo 7: *** That's All I Ask ***
Capitolo 8: *** That Was Just A Dream ***
Capitolo 9: *** What Went Wrong ***
Capitolo 10: *** We All Fall In Love Sometimes ***
Capitolo 11: *** We Can't Fix What's Broken ***
Capitolo 12: *** Could It Be Worse? ***
Capitolo 13: *** What's Going On ***
Capitolo 14: *** It's Never Over ***
Capitolo 15: *** How I Miss You ***
Capitolo 16: *** I Used To Live Alone Before I Knew You ***
Capitolo 17: *** The Man Who Loves You ***
Capitolo 18: *** So I'll wait for you... and I'll burn ***
Capitolo 1 *** Pictures Steal Our Memories ***
Breve nota di inizio: Questa è una ff dedicata interamente a Rory e Jess. l'ho iniziata quando ancora nutrivo un qualche genere di speranza, quando ancora nessuno sapeva cosa sarebbe accaduto dopo la 6.08, né che Milo sarebbe tornato nella puntata che avrebbe finito per decretare la completa fine delle mie illusioni lit. i fatti avvengono tre anni dopo la sesta serie; Rory è tornata a Yale e si è laureata, e ora ha il lavoro che ha sempre sognato; Jess vive a Philadelphia e si sente finalmente a casa, in pace con sé stesso, dopo così tanto tempo passato a tormentarsi con il ricordo dell'unica persona che abbia mai amato. li riunisce un caso, un caso che li avvicina e li allontana, che crea occasioni di idillio e di nostalgia, e altre di rabbia e rancore sordo a causa di innumerevoli problemi mai risolti. è la mia ultima ff su di loro, l'ultima che conserva ancora le tracce di una passione distrutta.
avvertenza: i titoli dei capitoli sono tratti da spezzoni e espressioni di canzoni. ancora una volta, il mio ringraziamento va agli artisti che amo, in particolare Sam Phillips, Wilco, Counting Crows, R.E.M., Joseph Arthur, Coldplay, Damien Rice, e Jeff Buckley, a cui nuovamente è ispirato il titolo della fic.
Un volantino. Che dovrebbe farsene di un volantino?
Questa ragazzina vestita da punk va in giro a distribuirne a bizzeffe. L'avranno
pagata bene allora. Mah, rimane il fatto che lui non è un tipo da volantini. Non
li colleziona per casa, questo è poco ma sicuro. E che importa, alla fine
decide di dargli un'occhiata. Giusto per vedere di che altra idiozia si tratta.
Poi lo getterà nel primo cestino che gli capita mentre va a trovare i ragazzi in
stamperia. Lo sguardo si posa sopra quel pezzo di carta ripiegato. Con la
coda dell'occhio fa attenzione a non andare addosso a nessuno. Poi ecco che può
leggere con più attenzione, è un volantino sgargiante, con una band sullo
sfondo. E' l'invito ad un concerto. Non costa nemmeno tanto il biglietto. Ma ci
sono pochi gruppi che per lui vale la pena andare a sentire. Questi non li ha
mai sentiti nominare. Non ha nessuna buona ragione per tenere quel volantino, ma
non ha niente da fare e lo apre. Non gli importa se anche tra pochi passi lo
getterà nel cestino. Un nome bizzarro, mai sentito, annunciano un concerto di
tre ore in cui suoneranno vecchie cover e brani inediti per chiudere in
bellezza. Il repertorio non gli dispiace, effettivamente. Ricorda tanto la
musica che gli faceva compagnia a Stars Hollow. Ma questi chi sono? Da dove
vengono? Perché mai lui dovrebbe spendere una certa cifra per andare a
sentirli? Si infila il volantino nella tasca della giacca, senza più
pensarci. Era da tanto che non andava a sentire qualcuno suonare, e se avesse
appurato che poteva valerne la pena avrebbe raccolto qualche informazione al
riguardo. Il luogo in cui era prevista la serata lo conosceva, forse era un po'
fuori mano per la zona della città che frequentava lui ma non gli era ignota,
non aveva mai faticato nell'imparare a conoscere bene le grandi città. Ormai
dopo qualche isolato percorso non si ricorda più di essersi tenuto il volantino
in tasca. La sua mente è già da un'altra parte. Philadelphia lo fa riflettere in
modo così profondo che quasi non guarda la strada che percorre. Viene
piacevolmente assalito da quel sereno caos, da quell'aria di vita che pervade la
metropoli, e ogni volta pensa che è contento di aver cambiato città. New York
era troppo piena di ricordi. E ormai la conosceva troppo bene. Era tempo di
allontanarsi. Di distaccarsi fisicamente e spiritualmente da tutto. Doveva
dimostrare a sé stesso che era capace di ricominciare. E ci era riuscito alla
grande. Nuovi amici, nuova vita, quel libro che tanto l'aveva coinvolto. Non
aveva mai pensato sul serio di poter scrivere qualcosa. E invece, era successo,
ci si era messo a lavorare, aveva iniziato a convogliare tutta la fervida
creatività del suo cervello in un progetto sensato. Aveva avuto la sua
possibilità di riscatto. C'era stato un periodo in cui non gliene fregava più
niente, in cui era disposto a subirsi le critiche di tutti, era frustrato ma non
sentiva il bisogno di controbattere, evidentemente se lo dipingevano in un certo
modo poteva anche darsi che fosse davvero così, e che quei pochi che invece
pensavano - o avevano pensato - il contrario, in realtà fossero quelli che
avevano torto. Ma dopo un po' ne aveva avuto abbastanza. Se nessuno in un
dato luogo era disposto a considerare veritiero il suo cambiamento, allora tanto
valeva cercare un posto che lo facesse sentire più appagato. E solo così era
riuscito a risollevarsi. Doveva a Philadelphia più di quanto non avrebbe mai
creduto, in effetti. Di nuovo stava quasi per mancare il semaforo giusto.
Eppure, lungo il suo percorso era l'unico a cui doveva ricordarsi di girare a
destra. La sua mente ormai vagava senza controllo. Non riusciva più a
concentrarsi sulla realtà. Philadelphia gli aveva riempito la testa di speranze,
di sogni che mai avrebbe creduto di avere. Ora a ventiquattro anni si sentiva
più giovane di quando ne aveva diciassette. Tutti quei pesi, quelle
responsabilità, quei ruoli da interpretare erano spariti. Era soltanto sé
stesso, ora, e la gente lo conosceva per quello che era. E nessuno lo guardava
storto perché si prendeva la briga di dire quello che pensava. Era una cosa di
cui non gli era mai importato molto, ma dopo un po' diventava seccante. E
invece, ora finalmente era riuscito a lavarsi via di dosso Stars Hollow e tutti
i ricordi a lei connessi. Il suo clima soffocante e la sua aria d'inferno lo
avevano perseguitato per troppo tempo. Ma Philadelphia lo aveva fatto rinascere,
e quando molto tempo fa si era ritrovato ad Hartford non si era fatto prendere
da nessuna cupa nostalgia. Quell'esperienza era rimasta chiusa nei suoi ricordi
come una scappatella fuori dal mondo, una specie di ritorno al passato nelle sue
nuove vesti. Nonostante fossero passati quasi tre anni, conservava quel momento
dentro di sé con una strana serenità. Non si era mai soffermato ad analizzare il
possibile significato che quell'episodio poteva aver avuto per lui. E in
fondo, non aveva importanza. Quello non era più il suo mondo. Ora viveva lì, e
lì era felice. Lì si era realizzato. Ecco che riprende la vita di tutti i
giorni, relegando i ricordi al loro spazio dentro il suo subconscio. Non si fa
più tante domande sulla vita. Ora sa quello che è, e sa che non vuole più
diventare nessun altro, perché non ci sarà più bisogno di chiedergli di essere
migliore per poter aspirare a raggiungere i suoi obiettivi.
*** Solo
una foto. Non sa come sia stato possibile che sia capitata nelle sue mani.
Non sapeva nemmeno della sua esistenza. Sa solamente che un secondo prima si era
seduta sul tappeto di casa Kim e aveva iniziato a parlare con Lane, erano state
prese da un improvviso attacco di nostalgia dei vecchi tempi e avevano
intavolato una vivace discussione sul liceo, sul diploma, sul ballo di fine anno
e sulle vecchie conoscenze di Stars Hollow. Era da tanto che non tornava a casa.
Il nuovo lavoro l’ha assorbita completamente, e finalmente fa quello che da
tempo desiderava fare, viaggiare di continuo. Ha dovuto faticare per avere quel
posto, fare domanda in diverse sedi giornalistiche, dimostrare che valeva
qualcosa. Ma alla fine ci è riuscita, ha iniziato a realizzare il suo sogno. Ha
assimilato ogni critica, ha dato fondo a tutte le sue risorse per mettercela
tutta e migliorare. Ma ogni tanto la nostalgia di casa torna, anche se sente
quasi tutti i giorni sua madre. Le manca la vita di quegli anni, le ore sui
libri, le lotte con Paris alla Chilton, il caffè da Luke, le innumerevoli feste
di Stars Hollow, le cene del venerdì sera dai nonni, le chiacchierate con Lane,
e soprattutto casa sua. Anche se la linea telefonica la tiene ancora sottilmente
ancorata a sua madre. Anche se sa che ora ci vive felice con Luke, e che lei
ormai deve cercarsi un altro posto, che dia spazio alla sua nuova
vita. Ricordare quei bei tempi le fa apparire un largo sorriso sul volto.
Forse perché all’epoca era fiera di sé stessa, di come riusciva a gestire le
cose, mentre poi, una volta allontanatasi da casa, aveva iniziato a non esserlo
più molto. Aveva avuto bisogno di una spinta decisiva per andare
avanti. Parlano di tutto e di tutti, lei e Lane, di come fossero buffi tutti
quanti con quelle toghe, di tutti gli stratagemmi che Lane era costretta ad
inventarsi per andare a suonare nel garage di Rory, di come fosse indecisa lei
nello scegliere fra Harvard e Yale, ma non parlano di lui, e non capisce perché.
Ed ecco che poi salta fuori la sua foto. Non c’è solo lui, in realtà è
soltanto in secondo piano, sul lato estremo. Non guarda l’obiettivo, è seduto al
banco, immerso in uno dei suoi libri. Rory rimane ferma per diversi secondi a
osservare quella foto, e nonostante voglia sforzarsi di riconoscere anche gli
altri, continua ad osservare ogni suo dettaglio. Cerca di leggere il titolo del
libro sulla copertina, ma la scritta è troppo piccola e sfuocata e le fanno male
gli occhi. Si sofferma sulla sua maglietta dei Distillers. Poi si accorge che è
rimasta immobile per troppo tempo e che Lane si è accorta di tutto. "Non
voleva mai farsi fotografare, sai" le dice, mentre Rory evita di alzare gli
occhi e sostenere la sua occhiata indagatrice- "Non gli piaceva. Ci prendeva per
scemi o ci ignorava. Ma eravamo sempre in giro a scattare foto e alla fine in
una l’abbiamo beccato, per sbaglio. Credo non l’abbia mai saputo, altrimenti ci
avrebbe bruciato il rullino." L’ombra di un sorriso le offusca il volto. In
effetti, lei non ha neanche una foto di loro due insieme. Non perché le abbia
gettate, ma perché non ha mai avuto il coraggio di chiedergli che gliene
facessero una. Sapeva che odiava le fotografie. Non aveva senso forzarlo a fare
qualcosa che detestava. "Beh, non so cosa avesse da lamentarsi tanto. In
fondo, non è venuto male, qui. Aveva paura di non essere fotogenico? Non me lo
ricordavo così vanitoso." Lo attacca scherzosamente, così, per riderci sopra.
Perché è un modo per esorcizzare i discorsi seri su di lui. Non vuole parlarne,
altrimenti sa che salterà fuori di nuovo tutta la storia, e lui tornerà ad
invadere i suoi ricordi sotto le spoglie del ragazzo che le ha spezzato il
cuore. "Non lo so, però faceva molta attenzione a tenersene fuori. Qui
evidentemente era troppo preso dal suo libro." "Non riesco a capire qual
è." "Non ti ricordi che cosa stava leggendo in quel periodo?" "Leggeva
talmente tanto, come faccio a ricordarmelo." "Già, è vero." La pausa di
silenzio le mette paura. Non vuole parlare di lui. Non vuole rovinare il momento
sostenendo un discorso serio. Lei e Lane sono lì per divertirsi, per rivangare
vecchi ricordi in modo da ravvivare il loro legame di amicizia. Lane non sa che
l’ultima volta che si sono incontrati è stato tre anni fa ad Hartford, non sa
che è stato lui a scuoterla a sufficienza perché tornasse a Yale. Non sa che gli
deve tutto, tutto quello che è diventata ora. Ormai l'ultima immagine che ha di
lui non è più quella sull'autobus della scuola, ora il suo ricordo ha trovato
pace dentro di lei. Ha sentito tante volte il desiderio di ringraziarlo ma poi
non è mai riuscita a farlo, né ha mai trovato la forza di mettersi a cercare un
mezzo pratico per farlo. Quanta distanza c’è fra Stars Hollow e Philadelphia?
Quanta fra Philadelphia e il resto del mondo? Non ha mai osato cercarlo.
Sapeva che era il suo turno, lui era venuto da lei ad Hartford a rompere il
ghiaccio. Ma lei non ha mai osato. E quasi le sembra di avvertire uno strano
senso di rimorso per tutto questo. Ma la sensazione che ormai le loro vite siano
del tutto separate è diventata troppo forte e ha prevalso su tutto. "Allora,
dove eravamo rimaste?" Il sorriso ritorna ad occuparle il volto, scacciando
via ogni constatazione nostalgica. La conversazione con Lane riprende
rapidamente. L’amica non si sofferma ulteriormente su di lui, ha già capito che
lei non vuole parlarne. Non che non possa, ma le manca la voglia. Quell’incontro
ad Hartford è un’esperienza solo sua, che è rimasta chiusa nel suo cuore per
troppo tempo perché ora riesca a confidarla a qualcuno. La sera arriva
presto. Sentono che giù di sotto la signora Kim sta chiudendo il negozio. Lei
deve prepararsi per la serata con sua madre e sa già che le ci vorrà del tempo.
Lane inizia a rimettere a posto le foto, dentro quello scatolone da cui
probabilmente non usciranno più ancora per molti anni, finché i ricordi non si
saranno affievoliti di nuovo e loro due non sentiranno il bisogno di
rinfrescarli un’altra volta. "Vuoi tenerla?" Indecisione e un pizzico di
disagio traspaiono da quella domanda. Rory si gira e guarda la foto. Poi sposta
lo sguardo su Lane. È in imbarazzo per quello che si sente spinta a fare ma sa
che Lane capirà, e non ingigantirà la cosa facendole strane domande sul perché
della sua scelta. "Sicura?" "Certo, in fondo era il tuo ragazzo, non il
mio, e ho altre mille foto del resto della classe. E poi, considera i lati
positivi: quando avrai una figlia potrai sventolarle sotto il naso questa foto e
dirle guarda come si dava da fare la tua mamma con i bei
ragazzi!" Sorride. Il senso dell’umorismo è ciò che apprezza di più in
queste situazioni. E lei e Lane sono della stessa pasta. Pensa che quella è
un’ottima scusa ma poi si corregge e si dice che non ha bisogno di scuse. Non
c’è niente di male nell’essere uscita per un anno con un bel ragazzo. Perché in
fondo, inutile negarlo, era davvero un bel ragazzo. Non c’è niente di male
finché nessuno sa cosa c’è sotto.
nota: la citazione del titolo viene da "Love And Kisses" di Sam Phillips. |
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Capitolo 2 *** Quiet Doubts ***
intro
“Sai” dice Lane mentre ingoia un altro boccone di
frittelle- “Il cibo di Luke è una delle poche cose che è cambiata a Stars Hollow
dall’ultima volta che ci sei tornata. Ora è anche più buono di prima.” “Sì, è
vero. Sarà tutto merito di mia madre.” “Di sicuro, lei è la sua principale
fonte di ispirazione.” “E pare che riesca sempre ad ispirarlo bene.” Dice
Rory sorridendo, mentre ripulisce il piatto fino alle ultime briciole
rimaste. “Già. Tutti pensavano che dopo il matrimonio Luke si sarebbe fatto
prendere dai doveri familiari e avrebbe trascurato il suo lavoro al locale,
invece riesce ancora a gestirlo ottimamente.” Un sorriso le illumina il volto a
quel pensiero. Lei e sua madre erano sempre state una famiglia, anche da sole;
ma da quando non era più una bambina Rory aveva inziato a capire molte più cose,
e a chiedersi se sua madre avrebbe mai trovato l'uomo per lei. Era stato uno
strano percorso quello che l'aveva condotta a Luke. “Pare che Emily non gli
dia troppi problemi, sai.” “No, è davvero una bambina intelligente. Pensa che
sa già a memoria Willy Wonka e Pippi
Calzelughe.” “Davvero?” “Sì, mia madre ha già interrotto la fase dei
cartoni animati quando lei aveva otto mesi. Diceva che era già pronta per
passare a cose più elevate.” “Di questo passo diventerà un genio. E parla già
un sacco.” “Sì, per avere solo un anno e mezzo è veramente incredibile quante
parole sappia. Ogni tanto mamma me la passa al telefono quando mi chiama, e se
fosse per lei non si staccherebbe più dalla cornetta.” “E tu quanto prendi
parte alla conversazione?” Rory si stringe nelle spalle. “Praticamente parla
solo lei.” Entrambe ridacchiano divertite. Dopo un po’ Luke si avvicina al loro
tavolo con la torta di mele. Rory lo guarda estasiata, sapendo che non ha mai
mangiato così bene come quel giorno. “Oh, grazie, Luke, come facevi a sapere
che volevo proprio quella?” “Infatti non lo sapevo, ho solo tirato a
indovinare.” “Beh, ci hai azzeccato in pieno! Proprio l’altro giorno dicevo
alla mamma quanto mi mancava la tua torta di mele. Non se ne trovano in giro di
torte come questa. Ehi, aspetta un momento, non è che è stata la mamma a
spifferare tutto?” Luke sorride. “Ormai mangiate ininterrottamente qui da una
vita, mi sono fatto una vaga idea dei vostri gusti alimentari. Non che siano poi
così difficili, divorate praticamente qualsiasi cosa…” “Non preoccuparti,
diamo sempre il meglio di noi solo quando pranziamo da te.” “Mi sento davvero
lusingato.” Sorride di nuovo e si allontana. Lane guarda Rory con aria sognante,
pensando a che strana e divertente famiglia si ritrovi. “Lei gli assomiglia
moltissimo.” “A chi, a Luke?” “Già. Ha le stesse espressioni, lo stesso
carattere. Ma secondo me crescerà bella come te e Lorelai.” “Anche la nonna
da giovane era molto bella.” “Deve essere un vizio di famiglia. Ma come l’ha
presa quando ha saputo che Lorelai aveva chiamato Emily come lei?” “Diciamo
che è rimasta paralizzata dallo shock per più di due giorni. Sembrava aver perso
la sua loquacità. Ha decisamente battuto ogni record, sia di quando le hanno
detto che si erano sposati in Spagna partendo senza dirlo a nessuno, sia di
quando mamma le ha detto che era incinta. Quando l’abbiamo portata in ospedale a
vederla non è riuscita a trattenersi ed è scoppiata in lacrime.” “No!
Davvero?!” “Sì, era terribilmente commossa.” “Cosa avrei dato per
vederla.” “Io per fortuna sono riuscita a non perdermi almeno quella scena.”
Rory sospira. Ogni tanto la nostalgia per la vita di famiglia le piomba addosso
improvvisamente e la attanaglia con rimorsi amari. Ha una sorellina piccola e
non può vederla crescere perché è dall’altra parte del mondo per lavoro, ha una
madre che adora e a cui non può più stare vicino come faceva prima. Sente la
mancanza del loro rapporto simbiotico, ancora di più di quando andava a Yale.
Allora sapeva che le bastava guidare per qualche ora per tornare da lei se
avesse avuto bisogno del suo aiuto. Ora invece le sarebbe toccato prendere uno o
due aerei. “È bello essere di nuovo qui.” “Già, tutti sono sorpresi di
vederti.” “Mancavo da così tanto?” “Non ti facevi più vedere da queste
parti da quasi due mesi, ormai.” “Lo so, è che non torno a casa tanto spesso…
quando non sono in Europa sono a New York alla sede del giornale e il tempo mi
sfugge davvero tra le mani… mi dispiace di non essere molto presente.” “Non
ci pensare. Hai la tua vita, la vita che hai sempre sognato, e devi
godertela.” “Sì, lo so.” Si sofferma a pensare che in ogni caso vorrebbe
tanto avere un compromesso dalla vita. Viaggia per il mondo nei posti che adora
di più, ma la gente che più le sta a cuore è rimasta lì a Stars Hollow, e non
riesce mai a soffocare la nostalgia che prova per una vita che ormai ha esaurito
gli anni in cui doveva essere vissuta. Spesso si chiede se ha fatto proprio
tutto quello che poteva fare quando era lì, se non ha trascurato qualcuno
incoscientemente, e si rattrista per giorni ripensando a quanto ha fatto
soffrire sua madre quando aveva ancora la possibilità di viverle
vicino. “Allora, come pensi di passare l’estate?” “Non ho molte ferie a
disposizione, non mi è rimasto più di un mese.” “I tuoi datori di lavoro sono
proprio dei tiranni.” “Sì, lo so. Ma questi sono i prezzi da
pagare.” "Andrai da Justin?" "No, non credo. In fondo, non eravamo proprio
insieme. Siamo usciti durante il periodo in cui io ero a New York per un paio di
mesi, ma poi sono ripartita e abbiamo finito per non sentirci più. In effetti,
la mia vita sentimentale è un disastro da gestire in una situazione del
genere." "Consolati, ora finalmente sei tu quella che arriva e poi se ne va
spezzando i cuori dei ragazzi." Rory rimane a fissare Lane per un secondo,
spiazzata. Sicuramente ha detto quella frase senza pensarci. Sicuramente non
voleva fare riferimenti. È lei che non può fare a meno di cogliere un
significato nascosto in ogni discorso. "Che c’è? Ho detto qualcosa che non
dovevo dire?" La guarda, e sembra leggermente preoccupata. No, sa che non l'ha
detto apposta. "No, no, figurati, stavo solo... pensando." "Senti, perché
non provi a richiamarlo? Adesso puoi prenderti una pausa." "Lo so, ma non è
giusto che io faccia così." Continua a sentirsi piena di rimorsi per il modo in
cui è costretta a gestire queste situazioni. Non è da lei. E' un comportamento
incostante ed egoista. E lei non vuole più esserlo. Se c'è una cosa che ha
tentato di fare da quando era tornata a Yale era stato cancellare il fantasma di
quello in cui si era trasformata e da cui Jess l'aveva tirata fuori. ma non
era su di lui che doveva concentrarsi ora. "Lo so anch'io che non è giusto,
ma ora la tua vita è questa, e lo sai che i lati positivi sono di più di quelli
negativi. Vedrai che troverai un modo per gestire anche questo." Neanche
stessero parlando di affari. Ancora più di quanto non fosse naturalmente portata
a fare, era costretta a gestire razionalmente le sue storie d'amore. Senza
rimpianti, senza attaccamenti al passato. Alle volte era decisamente
frustrante. "Tu che farai durante le vacanze?" "Oh, finalmente siamo
riusciti ad organizzare una tourneè decente, lo sai? Abbiamo contattato molti
locali in diverse città dei dintorni, staremo via tutte le vacanze facendo il
giro della costa, andremo a Boston, New York, Philadelphia, addirittura
Miami!" "Mi sono persa tutta la vostra ascesa." "Abbiamo fatto un sacco di
strada, davvero. Adesso suoniamo regolarmente nei locali della zona. Hanno
scritto anche una recensione su di noi, roba da non credere." "Sì, l'avevo
letta." Sorride, ricordando il momento in cui poco tempo fa le era capitato per
caso tra le mani l'articolo. Era rimasta così sorpresa che si era subito
annotata di chiamare Lane in serata, appena avrebbe raggiunto la rilassante
vasca da bagno dell'albergo. Ma poi era stata interrotta da un'altra sfilza di
telefonate di lavoro e i suoi propositi di congratularsi con l'amica avevano
finito per svanire nel nulla. Alle volte si chiedeva come potesse non
sentirsi in colpa per tutto questo. Era praticamente impossibile per
lei. "Sarà una bella tourneè." "Già, non vedo l'ora. Viaggeremo su un
pullmino che ha rimediato Zach. Sono davvero elettrizzata." "Quando
partite?" "Fra una settimana. Dovrò cominciare a fare i bagagli molto in
anticipo, sono talmente indecisa su cosa portarmi dietro..." "Ti darò una
mano, se vuoi." "Oh, grazie. Mi piacerebbe che venissi anche tu, sai." Quella
frase la coglie di sorpresa. "In tourneè con voi? E che ci
farei?" "Potresti scrivere un articolo, come in Almost Famous. Sai
quanto sarebbe divertente. Verresti a conoscenza di tutti i nostri segreti più
nascosti..." Mentre Lane fantastica, lei rimugina. Ironia della sorte, Almost
Famous era uno dei film preferiti di Jess. Si chiede perchè tutto quanto
deve ricondurla a pensare a lui. Probabilmente il rimpianto di non aver più
avuto il coraggio di cercarlo in tre anni. Le duole ammetterlo, ma si sente in
colpa. Sia per lui che per sé stessa. In fondo, chissà, se fossero tornati
amici... cosa ci sarebbe stato di male? "Non lo so, Lane. Stai davvero
dicendo che potrei seguirvi in una tourneè?" "Ma certo. I ragazzi non
avrebbero nulla in contrario. Ovviamente solo se vuoi." La proposta è strana,
e immagini insolite si formano nella sua mente. Immagina come potrebbe essere, e
la fantasia prende il sopravvento. Sicuramente si divertirebbe a viaggiare in un
pullmino sgangherato. Ha sempre amato i viaggi alla buona, come girare l'Europa
con un sacco a pelo e lo zaino in spalla. In qualche modo, la proposta la
attira. "Ci penserò su." risponde infine, decidendo di rimandare la
riflessione. Ora la torta di mele aspetta solo che lei la mangi, e lei non può
certo deluderla.
*** "No, non li conosco." "Nemmeno io." "Sono
bravi, fidatevi. Io sono andati a sentirli ieri sera, dovevo organizzare una
serata alla mia ragazza e non sapevo che accidenti fare, poi ho sentito che in
un locale vicino a casa sua suonavano questo genere di musica e ho deciso di
portarcela, tanto a lei piace. Non è stato così male come pensavo." "Ma chi
sarebbero esattamente?" "Mah, una piccola band del Connecticut. Si stanno
facendo strada, ho sentito che sono in tour in alcune città qui in giro per
qualche mese." Jess annuisce, poi si rinchiude nei suoi pensieri. In fondo,
potrebbe anche andarci. Gli farebbe bene. Sta prendendo i suoi impegni un po'
troppo sul serio ultimamente. I suoi ritmi di vita sono sopportabili, e
piacevoli, ma continui ed incalzanti. Ogni giorno c'è qualcosa da fare, si
alterna fra due lavori e la scrivania, dove poco a poco sta prendendo forma il
suo nuovo libro. Nessuno dei suoi amici lo sa ancora, chiederà loro di
pubblicarlo quando ormai sarà finito e avrà potuto rivedere con calma tutto
quanto. Se glielo dicesse adesso comincerebbero le pressioni, e lui per il
momento vuole prendersela comoda. Non c'è scopo di lucro in quello che fa. Lo fa
solo perché finalmente ha trovato il mezzo per incanalare e dare spazio a quelle
emozioni che di giorno in giorno sentono il bisogno di sfociare in
qualcosa. "Allora, Jess, che ne dici? Ci andiamo?" "Guarda che è domani
sera. Non prenderti troppo tempo per pensarci." Sorride, incrociando le
braccia. "Dovete sempre starmi con il fiato sul collo, eh?" "Hai per caso
intenzione di andarci da solo?" "Mi vengono in mente un paio di compagnie più
piacevoli della tua, Jeff." Gli altri ridono. Ci hanno fatto l'abitudine alla
sua ironia dissacrante. "Beh, in ogni caso, tieniti
quell'invito." "Tranquillo, non lo userò come fazzoletto di carta." Il
cellulare inizia a squillare insistentemente nella tasca della sua giacca. Non
ha idea di chi sia, ma suppone sia meglio rispondere, anche se di solito nessuno
lo chiama mai a quell'ora. Tranne una persona. "Ciao, zio."
Ovviamente. "Mi fa piacere constatare che diventi sempre più educato." "Tu
invece stai peggiorando, ormai non mi saluti neanche più." Sente la risata di
Luke all'altro capo, e si allontana un po' dai suoi amici, in modo da avere
almeno una conversazione privata. Raggiunge la scrivania, la oltrepassa, apre la
finestra e esce sul balcone, mentre il vento gli scompiglia i capelli. "Tutto
bene?" "Incominciamo con l'interrogatorio? Sì, sto bene, ho sempre il mio
lavoro, sono molto impegnato, non mangio schifezze e guardo sempre la strada
prima di attraversare." "Jess." "Queste cose dovresti cominciare a dirle a
tua figlia, lo sai." "Ma dai, non mi dire, ti ricordi ancora della sua
esistenza." "E come potrei dimenticarmene, mi ci fai parlare al telefono ogni
volta che chiami!" "Scommetto che non sai neanche più quanto manca al
suo..." "Vediamo, sette mesi, undici giorni, quattordici ore e... oh scusa,
mi sfugge il conto dei secondi al momento..." Si diverte sempre a prendere in
giro suo zio, ma lui ogni volta fa fatica ad ammettere che gradisce. In quel
momento, però, a giudicare dal pesante silenzio sembra che non abbia proprio
gradito per niente. "Che c'è ora?" "Sei mancato al suo scorso
compleanno." "Sì, lo so, ma non potevo fare altrimenti. E poi sono venuto sei
giorni dopo a trovarla. E non dirmi che ha già rotto il mio regalo, era così
carino." "Non è questo il punto, Jess." "Insomma è ancora intero o
no?" "Non lo so, ma il fatto è che quella è stata l'ultima volta che ti sei
fatto vedere. Ti rendi conto che sono passati cinque mesi?" "Devo per caso
ricordarti che lavoro dalla mattina alla sera?" "Ma dico, è tua cugina, e io
sono tuo zio, e dato lo stretto grado di parentela dovresti mostrare un minimo
di interessamento!" "Intendi per te o per Emily?" "Per tutti e due,
accidenti. Sono cinque mesi che non ti fai vedere." "Questo l'ho capito, non
ho certo bisogno che me lo ripeti." risponde, bonario, ma evidentemente per Luke
non è giornata, pensa mentre stacca leggermente il telefono dall'orecchio per
non essere assordato dal suo tono di voce. "Smettila di scherzare, hai dei
doveri verso la tua famiglia, perché fino a prova contraria io sono ancora la
tua famiglia, e nel caso non lo avessi ancora realizzato ho anche una figlia,
una bimba bellissima che mi ruba sempre i cappellini da baseball, e sinceramente
sono stufo di mandarti le sue foto, perché io spendo i soldi del fotografo e tu
non muovi un dito per venirmi incontro..." "Zio, ho capito." "E poi,
dovrebbe farti piacere vedere la tua famiglia ogni tanto, ormai te ne stai lì a
Philadelphia in compagnia della tua nuova vita ma questo non significa che per
forza io e Emily dobbiamo esserne tagliati fuori..." "Zio. Calmati. Non è che
non sono più venuto perché non avevo più voglia di venire. Giuro, ho avuto da
fare sul serio, in questo periodo più che in altri." "Ma adesso c'è l'estate,
e si suppone che tu abbia delle ferie." "Infatti. Lascia fare a me. Ti
prometto che verrò presto." "Quantifica il presto." "Fra due
settimane al massimo, ok?" Per fortuna che non aveva ereditato la pignoleria da
suo zio, o il suo carattere sarebbe risultato decisamente pessimo. "Ok. Fallo
per Emily, se non vuoi farlo per me. Ha bisogno di vedere sia te che Rory, ogni
tanto." "Come sta ora?" "Chi?" "Rory." Ormai non si fa più problemi a
chiederglielo. "Bene, lavora tantissimo, come al solito. E' sempre in viaggio
da una parte all'altra dell'Europa. Adesso è via con Lane, si sta godendo le
vacanze." "Bene." Si rasserena, era da un po' che voleva chiedergli di
Rory. Giusto per assicurarsi che stesse bene. Ormai ha sue notizie tramite Luke
da tre anni a questa parte. Ogni volta un senso di strano disagio lo invade, e
pensa che tutta questa situazione non è normale, che se volessero informarsi
l'uno dell'altra dovrebbero sentirsi di persona, senza intermediari. Ma ormai ci
ha fatto l'abitudine. E' andata avanti così da quando Luke l'ha informato che
aveva ripreso ad andare a Yale, e aveva anche avuto la mezza idea di andare al
suo diploma per farle le congratulazioni, ma poi ci aveva ripensato e non se
l'era sentita. Per un motivo o per l'altro, le cose tra loro non erano state mai
chiarite. Quel giorno che l'aveva rivista ad Hartford, aveva avvertito
un'insolita serenità quando si erano accordati per parlare fuori dalla portata
della signora Gilmore. Ma alla fine l'occasione era sfumata in un'accesa
discussione, e questo ormai sembrava essere destinato a ripetersi ogni volta. Ci
aveva pensato, e aveva raggiunto la conclusione che forse era meglio lasciarle
vivere quel giorno senza sconvolgimenti. Più volte aveva pensato di chiedere a
Luke il suo numero di cellulare per chiamarla. Ma ogni volta aveva desistito.
Perché più il tempo passava più gli sembrava che ormai entrambi vivessero vite
separate, che non avevano più a che fare l'una con l'altra, e che se si fossero
risentiti il peso di tutte le cose che avevano da raccontarsi e il disagio per
tutto il tempo trascorso senza mai essersi sentiti avrebbe condizionato
negativamente tutto quanto. Aveva rinunciato, era vero. Ma le cose stavano come
stavano, e ora lui aveva la sua vita e lei la sua. Sull'ombra di un possibile
recupero di un qualche rapporto amichevole pesava fin troppo la lontananza, che
fosse geografica o semplicemente spirituale. Si stringe nelle spalle,
sospirando. "Ora sei contento? Ti ho detto che verrò." "Hai promesso,
ricordatelo." "Se anche me lo scordassi non mi lasceresti tregua." "Va
bene, allora ci conto." "Zio... non avrai bisogno di chiamare ogni giorno per
farmelo presente." "Ti servono soldi per il viaggio?" "No, figurati, posso
arrangiarmi da solo." "Va bene." Il momento del commiato è sempre quello
più difficile. "Saluta Emily e Lorelai." "Certo, non
preoccuparti." "Allora ciao." "Ciao." La conversazione si chiude, e lui
comincia a prepararsi all'idea. Dovrà pianificarsi le ferie, fare i bagagli. Non
ha idea di quanto resterà, una settimana forse. Ha voglia di vedere Emily, e ha
voglia anche di vedere Luke. Vuole bene a suo zio, anche se lui fa di tutto per
fargli notare che non lo dimostra. Ma finalmente, sa di avere qualcosa che non
ha mai avuto. Ha una famiglia su cui contare. E non può proprio nascondere di
non esserne felice.
nota: la citazione del titolo viene da "Tell Her What She Wants To Know" di Sam Phillips. |
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Capitolo 3 *** Out Of Time ***
intro
Alla fine, l'amore per l'avventura aveva preso il
sopravvento. La passione cinematografica e letteraria si era impadronita di lei,
il suo capo si era mostrato favorevole alla possibilità che lei scrivesse un
articolo una band in tourneè e le aveva dato la spinta necessaria a continuare.
Era più forte di lei: non era riuscita a fermare il sovraffollarsi di quelle
immagini nella sua testa. Il fatto che non avesse mai avuto un'evidente
propensione per imparare a suonare uno strumento non significava che non fosse
appassionata della musica dal vivo, delle emozioni di un concerto sul
palcoscenico, e che non provasse il desiderio di vivere almeno per una volta
quelle emozioni da vicino. I ricordi di un film si sovrapponevano alle emozioni
e suscitavano in lei un'energia e un'instancabilità che non credeva potessero
durare così a lungo dentro di lei. La scelta si era timidamente affacciata alle
porte della sua coscienza non appena era rientrata in casa. Il sorriso sulle
labbra, l'eccitazione, l'euforia, potevano significare solo una cosa: aveva
voglia di andare. Lorelai l'aveva capito subito. L'impulsività di quella scelta
l'aveva inizialmente spaventata e spinta a riflettere, ma sua madre l'aveva
spronata ad andare. Era un'occasione unica, le aveva detto. Ed era vero. E
inoltre lei voleva darsi da fare per riallacciare i rapporti con Lane, che negli
ultimi tempi erano stati un po' sommersi da tutti gli impegni e i viaggi di
lavoro ed erano stati sormontati da quella vita intensa e affannata che l'aveva
catturata dopo il college. Ma si era sentita in colpa. Aveva solo un misero mese
di ferie, e aveva una famiglia che vedeva soltanto ad intervalli di tempo molto
lunghi. Mentre prima tutto il suo mondo era lì. A Stars Hollow. Ora non aveva
più una casa come quella, né l'avrebbe mai avuta. "Vai" le aveva detto
Lorelai. Lei aveva patteggiato. Avrebbe seguito Lane e gli altri per due
settimane, fino a Philadelphia, dopodiché avrebbe preso un autobus- un vero
autobus- e sarebbe tornata a casa, per passare le restanti due settimane con la
sua splendida famiglia, di cui faceva ancora parte dopotutto. Anche se il padre
di Emily non era il suo. Anche se Emily era sua sorella solo a metà. Non aveva
importanza. Luke l'aveva vista crescere, e non solo le aveva fornito gli
alimenti per anni e anni della sua vita, ma le era stato vicino, ed era stato
vicino a sua madre. Non aveva importanza che grado di parentela li unisse. E
ora, si avvicinavano all'ultima tappa del suo viaggio. E' da ore che ci pensa,
da quando sono partiti a notte fonda e lei non è riuscita ad addormentarsi
nemmeno rigirandosi da una parte all'altra continuamente per cercare di trovare
una posizione più favorevole. Il suo cervello lavora troppo, non c'è niente che
possa fare per frenarlo. Pensa, e continua a non raggiungere una conclusione. Si
dice che è il senso del dovere, unito al senso di colpa. I ricordi hanno
iniziato a riaffiorare, e senza aver capito come ci era arrivata aveva finito
per mettersi a confrontare mentalmente il Jess che era venuto a trovarla ad
Hartford con quello che l'aveva frequentata per due anni a Stars Hollow. Sì,
ovvio, era sempre lui. Ma non aveva più percepito l'asprezza del suo carattere
ostinatamente chiuso. Non aveva mai cambiato improvvisamente discorso, era
sempre stato diretto e sincero, senza sfociare nella sua tipica aggressività.
Per la prima volta si sorprende di tutto questo, per la prima volta ritorna
indietro e cerca di recuperare quel ricordo che ha sempre cercato di escludere
dalla sua mente: la sua proposta folle. Il risentimento e la paura ora non la
soffocano più. E capisce. Capisce che anche lì era stato sincero senza
aggredirla. Ripensa alle sue risposte e si sente ancora più in colpa, capisce
che era lei dalla parte del torto. Avrebbe potuto parlare con calma, analizzare
la situazione, chiarirgli le idee, mostrargli la sua posizione. No. Aveva dovuto
inconsciamente ripagarlo di quel giorno su quell'autobus, in cui lui non le
aveva detto che stava andando via per sempre, lasciandole dentro una ferita
indelebile. Si sente ancora più ingrata di quanto non si sentisse già, ed è
terribile. Corre in avanti con la mente, e rivede di nuovo il momento
dell'incontro ad Hartford. La sua gentilezza, la sua franchezza e la sua
evidente dimostrazione che era venuto lì solo per aiutarla la lasciano spiazzata
all'interno di quel confronto. Qualcosa evidentemente non quadra. Avrebbe avuto
tutte le ragioni di essere arrabbiato con lei. Di voler fargliela pagare,
magari. Di mostrarle il suo risentimento. Perché invece si era comportato nel
modo esattamente opposto, come se lei non avesse mai pronunciato quel no senza
spiegazioni? Con il volto corrucciato, ritorna con la mente a quando era tornata
da quell'estate a Washington, dopo averlo baciato al matrimonio di Sookie. Il
giorno al supermercato. L'incontro che stava cercando di evitare da giorni.
Quanto le aveva fatto pesare di non essersi mai fatta sentire, e di essersi
rimessa con Dean anche dopo quello che era successo tra loro? Quanto aveva
ostentato i suoi evidenti tentativi di farla ingelosire e farla uscire allo
scoperto una volta per tutte? La situazione non quadrava per niente. Non
poteva aver finto solo perché gliel'aveva chiesto Luke. E' stato sincero, lo sa,
e lei ne è rimasta così piacevolmente sorpresa. Eppure, mai come in questo
momento si è posta dei dubbi al riguardo. Ma si rende conto che non può trovare
una risposta. Ormai non condividono più le loro vite. Ormai sono due estranei,
hanno intrapreso strade diverse da quelle che li accomunavano. E si rende conto
che, come lei ha vissuto la sua vita, lui avrà fatto altrettanto con la sua. Si
rende conto di essere una stupida. Lei sta pensando da mesi a ringraziarlo per
quello che ha fatto, ma per lui quello sarà stato solo un momento. L'aveva
aiutata in nome della loro vecchia amicizia, per una questione di puro
altruismo. Tutto qui. La vita di Jess non era più intrecciata alla sua, ora
viveva in un'altra città, con altra gente intorno, e lei non era sicuramente più
al centro dei suoi pensieri. Ed era questo il motivo per cui avevano finito per
non sentirsi più neanche una volta. Quello che poteva essere un riavvicinamento
aveva finito per rivelarsi soltanto un momento sporadico in cui lei aveva avuto
bisogno di aggrapparsi a qualcuno per risollevarsi e lui era stato così gentile
da assecondarla. Non era più il ragazzo che l'aveva guardata bloccandosi a metà
per fare un respiro profondo, le aveva detto "ti amo" e poi era fuggito via in
macchina. Ora stava bene anche senza di lei. Gelosa? No di certo. Irritata?
No, per niente. A disagio con quei pensieri? E perché dovrebbe esserlo? Ma la
paura subentra di nuovo. Ha paura di introdursi fisicamente nella nuova vita di
Jess e sentirsi terribilmente fuori posto in essa, di rendersi veramente conto
che lei non ne fa più parte. Cosa può essere abbastanza forte da permettere loro
di superare tutta quella distanza ormai?
*** Jess rientra in casa,
distrutto ma sereno dopo un'altra intensa giornata di lavoro che l'ha tenuto
impegnato fino a tardi. Nonostante tutto, anche se la sua vita è comunque una
normale esistenza lavorativa immersa nella routine, questa routine è piacevole
da vivere, e non lo scoraggia mai. Non c'è mai noia mortale in quello che fa
tutti i giorni, e sa benissimo che non avrebbe mai potuto sperare di avere
qualcosa di meglio dalla vita dopo tutto quello che gli era capitato fino a
quando aveva deciso di trasferirsi. La tranquillità immota del suo appartamento
lo rassicura. Vive nel suo adorato disordine, spesso casa sua diventa il punto
di ritrovo del suo gruppo di amici, le serate passate in compagnia sono tante, e
nonostante questo ha il suo spazio, ha i suoi momenti di
riflessione. Sorridendo, risponde all'impulso del momento e si avvia
velocemente verso la camera. con destrezza infila un cd nello stereo e fa
partire la musica, poi, sentendosi improvvisamente stanco, si lascia cadere sul
letto. Ovviamente non gli interessa se è tardi e i vicini brontolano. Si rende
conto di non essere un perfetto coinquilino e uomo di casa, ma quello è un
difetto che pensa proprio di non correggere mai; non può rinunciare ad
addormentarsi con la musica. Mentre la stanza si riempie degli accordi di
"Wish you were here" e lui chiude gli occhi, lasciando che la stanchezza prenda
il sopravvento, sono tante le cose che gli tornano in mente, la sua memoria è
affollata dalle immagini di Emily, e della faccia che poteva avere suo zio
mentre parlava con lui al telefono, il solito, inguaribile, irritabile zio che
gli aveva sempre rotto amabilmente le scatole, e della sua ultima domanda, ora
si chiede per un attimo che cosa stia facendo Rory, che piega abbia preso la sua
vita negli ultimi tempi. Le palpebre gli pesano sugli occhi e intorno è buio, e
ormai non ha più intenzione di frenare i suoi pensieri...
Una macchina
aveva appena varcato i cancelli di ferro. Era il momento di farsi avanti e fare
quello per cui era venuto fin lì, per cui si era fermato ad aspettare dietro
quel muro. Ripensò per un breve istante che l'ultima volta che era entrato in
quella casa l'aveva fatto esibendo un occhio nero e facendo saltare i nervi a
Rory, che credeva che avesse di nuovo fatto a botte con Dean. Quante di quelle
volte gli era passato per la testa che se Rory si preoccupava così tanto del
fatto che lui potesse picchiare il suo ex ragazzo era solo perché in fondo
credeva anche lei che Dean non fosse capace di difendersi. Sorrise ripensandoci.
Ormai quelli erano tempi passati, e lui era ben lontano dal far ripetere una
scena come quella. Tutto sommato, si sentiva sereno. Strano, e anche un po'
fuori posto, ma sereno. Meno fuori posto dell'ultima volta che aveva messo piede
in casa Gilmore senior, comunque. Fece un respiro profondo e avvicinò la mano
al cancello di ferro. Con cautela lo aprì e scivolò dentro il varco, si voltò
per riaccostarlo, e solo dopo qualche secondo alzò la testa e vide Rory in piedi
nel vialetto, accanto alla macchina, che lo fissava come se avesse visto un
fantasma. "Jess." Era così strano sentirla di nuovo pronunciare il suo nome
in quel modo. Sorrise dentro di sé. Dopo tutti quegli anni, era ancora capace di
stupirla. "Hey." "Hey." Rimase fermo a farsi contemplare dalla sua
occhiata sbalordita per qualche secondo. Osservò l'ombra di un timido sorriso
dipingersi sul suo volto, mentre lo fissava con i suoi grandi occhi azzurri, e
lui fissava lei, analizzandola attentamente. Era cambiata, diversa da come la
ricordava. Meno altezzosa dell'ultima volta. Nei suoi occhi c'era solo una
genuina sorpresa, l'evidenza di una tempesta emotiva causata dal suo arrivo
decisamente inaspettato, ma senza traccia di scontrosità o di risentimento.
Continuò a fissarla, senza abbassare lo sguardo. "Io... " cominciò lei, ma si
bloccò subito. "Scusa. Questa non era certo una frase." "Ho colto il senso."
sorrise, camminando verso di lei. Era tornata tardi, anche se non gli era
costato quel granché rimanere lì appostato in attesa del suo arrivo.
Probabilmente era appena tornata da una serata con i suoi amici. Chissà che
gente frequentava ora. Gli sembrava così strano non sapere più quasi nulla di
lei. "Che ci fai qui?" Molto diverso dal tono con cui l'aveva detto l'ultima
volta che si erano visti. "Ho un nuovo lavoro. Mi apposto davanti ai posteggi
delle macchine." Scherzò, divertito dalla situazione. Lei sorrise, con un
sorriso sincero, genuino, come non ne aveva più visti sul suo volto da tanto,
tanto tempo. "E ti pagano bene?" "Sì, ma l'orario è pessimo." Si
guardarono, e il silenzio cadde per l'ennesima volta. Dentro di sé lui era
stranamente divertito. Sentiva di avere in pugno la situazione. Si accorse che
Rory faceva fatica a sostenere il suo sguardo, non se l'aspettava, ed era
contento di averla colta di sorpresa. Così era tutto molto meno complicato. Si
sentiva più sicuro sul come condurre il gioco. "Jess..." cominciò lei,
esitante. "Va tutto bene, sono in città per lavoro." la rassicurò in fretta.
Lei sembrò distendersi, e recuperare un po' l'uso della parola. "Come sapevi
dove trovarmi?" "Me lo ha detto Luke." Aveva ancora le sue fonti, nonostante
da un anno voglia ormai lasciarsi alle spalle Stars Hollow. "Gli ho fatto
vuotare il sacco, anche se non era sicuro che fosse la cosa migliore." "Non
ti preoccupare." disse lei, sorridendo. "Ti trovo bene. Non sei cambiato tanto
in questi anni." "Sì, ti trovo bene anch'io." Il suo complimento
sorprendentemente sincero meritava una risposta adeguata, in fondo. Poi si
preparò ad arrivare al punto. "Lo so che tutto questo potrà sembrare un po'
strano, ma c'era qualcosa che volevo dirti. Mostrarti, a dire il vero." Era un
mezzo per colmare il vuoto di quegli anni, mostrarle quello che aveva fatto. Non
perché volesse vantarsene, non aveva mai avuto bisogno di vantarsi agli occhi di
Rory perché lei l'aveva sempre visto in un modo molto diverso da come lo
vedevano gli altri. No, era solo che nonostante la voglia di lasciarsi alle
spalle Stars Hollow ormai aveva deciso di rivederla e non poteva dimenticare.
Non poteva ignorare tutte le loro discussioni sui libri e il modo in cui
l'argomento li aveva sempre appassionati, spingendoli al confronto, al dialogo.
Quella era una cosa che riguardava solo loro. Sentiva di dover inevitabilmente
metterne a parte Rory. Vide il suo sguardo vagare nervosamente verso una
finestra, e immediatamente capì che c'era qualche problema, qualcosa che poteva
metterla a disagio. "Posso tornare un'altra volta, se vuoi." Si offrì
gentilmente. Non aveva certo intenzione di metterla nei guai. "No, no, è solo
che siamo un po' troppo in vista qui. Voglio dire, la sua finestra è proprio
lì." La guardò senza capire. "Di chi?" "Oh, mia nonna." Spiegò lei. Jess
si chiese da quando Emily Gilmore controllava la vita della nipote in modo così
restrittivo. "Vuoi entrare?" Non si aspettava pienamente che avrebbe avuto
il coraggio per fargli quell'invito. "Sei sicura?" "Certo, non ti
preoccupare. Soltanto, fai attenzione. Ha il sonno molto leggero." Certo che
avrebbe fatto attenzione. Era un maestro in queste cose, lui. Si apprestò a
seguire Rory senza farle momentaneamente altre domande. Una volta dentro,
avrebbero avuto tutto il tempo per parlare. Per ora, tutto sommato, era
soddisfatto di come stavano andando le cose. Nessun grande imbarazzo, nessun
rifiuto, nessun blocco né da parte di Rory né da parte sua. Quasi incredibile,
da un certo punto di vista, ma tentare di superare gli ultimi screzi e di
comportarsi ancora civilmente era un grande passo per entrambi, in quel
momento.
nota: la citazione del titolo viene da "Out Of Time" di Sam Phillips. |
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Capitolo 4 *** Still In Your Past ***
“Io e te
facciamo schifo. Siamo sempre a mangiare.” “Di questo passo trasformeremo il
pulmino in cassonetto dei rifiuti molto prima di essere arrivati a
Philadelphia.” Lo sguardo inizia a vagare nervosamente da un lato all’altro
dell’autobus, cerca un punto di fuga, una distrazione, ma il paesaggio le sfugge
sotto gli occhi senza fermarsi un attimo, e non le offre un momento di tregua
per fermarsi e riflettere, per respirare e recuperare l’autocontrollo. Si sente
come se stesse per affrontare il momento cruciale della sua indecisione,
l’occasione del suo riscatto definitivo dal suo precedente fallimento: è
riuscita a risollevarsi, ma se non è riuscita a dimostrare la sua riconoscenza,
è soltanto un’ingrata redenta. Fino a quel momento è stata talmente assorbita
dalle sue aspirazioni e dai suoi impegni che è riuscita a ricacciare il rimorso
dentro di sé e a riversarsi sugli sforzi fatti per rimettersi in pari e
diplomarsi entro i termini previsti, e poi sulla lotta ingaggiata per ottenere
il lavoro che voleva. Ma ora che si è finalmente presa una vera vacanza e ha lo
spazio per riflettere sulle sue scelte, si rende conto che si sta avvicinando
troppo alla sua occasione per lasciarsela sfuggire. “Che succede, Rory?” Le
parole la scuotono improvvisamente e lo sguardo smette di cercare sollievo
invano nelle immagini sfuggenti che scorrono oltre il finestrino. “Niente. È
solo che… mi chiedevo quanto manca per arrivare a Philadelphia.” “Ah, certo,
penso manchi ancora un’ora, più o meno.” Rory annuisce, e il silenzio cala
mentre Lane la osserva con attenzione. “Rimaniamo cinque giorni.
Vero?” “Già.” Annuisce di nuovo, le sembra stupido provare a prolungare
quella conversazione forzata. L’urgenza di confidarsi preme contro la sua gola
per uscire, mentre il cervello si adopera per ricacciarla in
fondo. “Philadelphia ha più di un milione e cinquecentomila abitanti, lo
sai?” Stavolta tocca a Lane annuire. L’ombra della sua espressione perplessa
lascia chiaramente a intendere che non ha idea di dove lei voglia arrivare.
L’indugio la trattiene; è ovvio che non può saperlo, dato che non conosce i
fatti. Solo Luke e sua madre sanno, ma lei ha insistito per archiviare la
faccenda e non ha più tirato fuori l’argomento neanche per caso, neanche quando
ha raramente sentito nominare Jess da Luke. “Stavo pensando… secondo te c’è
qualche possibilità matematica che in una città così grande due persone si
incontrino per caso? Voglio dire, in una metropoli, con milioni di
abitanti…” “Sì, credo ci siano probabilità molto scarse. Ma penso dipenda
anche da che luoghi si frequentano.” “Cioè, pensi che sarebbe più facile
incontrarsi in una lavanderia pubblica piuttosto che a un concerto?” “C’è
tanta gente che va ai concerti. Certo, dipende tutto da… per caso speri di
incontrare qualcuno ad un concerto?” “No, no, non cerco di incontrare
nessuno. Volevo solo… solo ringraziare.” “Chi, il buon Dio?” “No, un… uno
scrittore.” “Vorresti ringraziare uno scrittore?” “Sì, l’idea era
quella.” “Uno scrittore che vive a Philadelphia?” “Sì, credo, dovrebbe
viverci… ancora.” “Ah, davvero? E’ famoso? Che cosa ha scritto?” “Un
libro.” “Solo uno?” “Non… non lo so, ma me ne ha mostrato solo
uno.” “Te l’ha mostrato? Mio dio Rory, conosci davvero uno
scrittore?” “Sì, ecco, lo conoscevo… molto bene.” “Ma che fortuna, e chi
te l’ha presentato?” “Nessuno in particolare.” “Ah, ma quindi… no, non
dirmi che uscivate insieme! Perché non me l’hai detto? Vi siete frequentati per
molto? E adesso, vi vedete ancora? Come hai fatto a conoscerlo?” Il momento
della verità sta iniziando a ritardare troppo. Ormai, il suo nome insiste troppo
dentro di lei, le riempie la mente ed è già sulle sue
labbra. “Jess.” “Cosa?” “E’ Jess.” “Il suo nome è Jess? No, aspetta…
tu intendi Jess… Jess?” Ecco, ormai è troppo tardi per rimangiarsi tutto. Deve
essere improvvisamente sbiancata in volto. “N- no. Sì.” “Sì o no?” “S-
sì.” “Jess ti ha presentato uno scrittore?” “No, no… non… stavo parlando
di Jess.” “Quindi vuoi ringraziare Jess?” “Ehm…questa era l’idea.” “E
Jess ora è uno scrittore?” “Beh, ha scritto un libro.” “Davvero? Ha
davvero scritto un libro?” Lane è sorpresa almeno quanto lei da quella notizia.
Con la differenza che forse però non conosceva abbastanza Jess da sapere che lui
aveva sempre avuto il potenziale per farlo, per far convergere tutta la sua
intelligenza in qualcosa di costruttivo. Non può scordarsi quanto lei stessa lo
avesse incoraggiato a trovare la sua strada. “E’ un bel libro.” “L’hai
letto?” “Sì, me l’ha portato lui.” “E’ venuto di persona a portartelo?! Ma
quando? Com’è successo?” “Oh, un bel po’ di tempo fa. Io ero ancora dai miei
nonni, lui era ad Hartford per lavoro e ci siamo incontrati.” “Per caso? O vi
siete sentiti prima?” “No, a dire il vero non ci eravamo mai sentiti, ma lui
aveva parlato con Luke.” “Oh. E non era… arrabbiato?” Rory apre la bocca per
rispondere, ma nessun suono articolato riesce ad uscire per comporre quello che
pensa. Ci ha riflettuto appena poco tempo prima, e ancora non è riuscita a darsi
una risposta. “Probabilmente avrebbe avuto ragione di esserlo.” dice infine
quasi sottovoce, Lane sa a che cosa si sta riferendo. “E quindi, avete
parlato?” “Sì, ma non… esattamente non abbiamo chiarito. Era tutto molto
strano. Voglio dire, lui era gentile, io ero troppo stordita dalla sorpresa per
rendermi conto di tutto, e poi c’è stato un pasticcio con Logan, e non siamo
riusciti a… parlare in modo chiaro di quello che era successo l’ultima volta.”
Lane la guarda in silenzio. Sa che se non volesse andare avanti lei non
insisterebbe. E’ sempre stata una buona amica. Ma ormai si è compromessa. Non
può più tirarsi indietro. Deve iniziare a raccontare, tornare con la mente a
quei momenti che nonostante gli anni passati sono ancora fissi nella sua
memoria, immobilizzati all’interno di ricordi di solito così affollati e
confusi, e deve tirare fuori quei dubbi che ormai non la lasciano dormire,
perché non ne può più di essere sola ad affrontare quella
situazione.
*** Apre gli occhi improvvisamente, e per un attimo
avrebbe voglia di girarsi dall'altra parte e rimettersi a dormire. Ha appena
cercato di recuperare le numerose ore di sonno perse la notte prima per sbrigare
alcune commissioni di lavoro. Il libro gli è scivolato dalla mano ed è caduto
sul dorso. Hemingway. Lei non era mai riuscita ad apprezzare particolarmente
Hemingway, pensa mentre sorride un pochino e tenta di aprire definitivamente gli
occhi. Poi decide di alzarsi, ma si blocca. Si ricorda che stava sognando.
Detesta svegliarsi all'improvviso e non ricordarsi più che cosa stava sognando,
è una cosa che gli dà estremamente sui nervi, perché poi più tenta di
scervellarsi per ricordarselo, più il ricordo gli sfugge dalle mani, perdendosi
nell'oblio. Odia non ricordarsi più certi dettagli, all'apparenza così
insignificanti, ma che possono tormentargli la coscienza per giornate intere.
Leggermente irritato contro il suo stesso sistema cerebrale, che sceglie sempre
di escludere proprio quello che poi gli vorrebbe far ricordare, si solleva sui
gomiti, sbatte le palpebre e guarda l'orologio. E' tardi. Deve prepararsi in
fretta. C'è il concerto. Deve andare. Ora che ci pensa, odia anche la fretta, e
odia il fatto che gli altri gli facciano sempre notare quando è in
ritardo.
"Luke mi ha accennato qualcosa."
Si ferma, e
rallenta i movimenti dopo aver aperto il cassetto. Quand'è che ha detto quella
frase esattamente? Gli è balzata in mente così, all'improvviso, un eco di
qualcosa che aveva appena finito di ricordare, e che gli sembra di aver già
detto. In quale episodio, non riesce proprio a ricordarselo. Eppure gli sembra
così reale. Meglio non pensarci sopra più di tanto, è inutile, il suo cervello
ha deciso di staccare la spina e di rifiutarsi di collaborare. Odia che gli
vengano in mente cose come quelle, frammenti di episodi che non sa più se
appartengono alla realtà o a un banalissimo sogno. Prende una maglia dal
cassetto. Non ha voglia di vestirsi. E' solo un concerto, e non gli passa
neanche per la testa di potersi vestire diversamente da come fa per andare al
lavoro tutti i giorni. Nella sua vita non esistono le occasioni speciali. Esiste
solo quello che ha voglia di mettersi. Mentre si sta cambiando, si blocca di
nuovo.
"Mi sto solo prendendo una piccola pausa."
E'
riuscito a focalizzare un'altra frase. E subito un'immagine gli compare davanti
agli occhi: Rory. E' stato quando lui era ad Hartford, quando avevano parlato,
quando erano riusciti a ristabilire una sorta di dialogo civile tra di loro,
quando tutto quello che era successo di spiacevole tra loro due gli era sembrato
essersi cancellato, dando a entrambi un attimo di respiro per potersi comportare
come se semplicemente non si vedessero da tanto tempo e non avessero mai avuto
occasione di sentirsi.
"Allora, Jess, tu dove abiti adesso? Voglio
sapere qualcosa di te, uomo del mistero."
Buffo che l'avesse chiamato
proprio così. Sì, è vero, lui era sparito. Aveva troncato ogni contatto. Ma
aveva effettivamente avuto le sue buone ragioni. Non c'era niente di male nel
voler ricominciare a vivere.
"Sei nervosa?" "Un pochino. E' passato
tanto tempo." "Beh, anch'io sono un po' nervoso." "Bene, allora non sono
da sola."
Nervoso. Era davvero come avrebbe dovuto sentirsi, tutto
considerato? Sì, era il caso di lasciar perdere il resto. Aveva solo fatto un
favore a Luke. Aveva solo tentato di dare una mano a una persona a cui aveva
sempre tenuto, anche se ormai era soltanto aggrappato ad un ricordo lontano e
non ad una persona in carne ed ossa. Tutto sommato, glielo doveva. Aveva
sbagliato lui come l'aveva fatto lei, non c'era stato verso di uscirne fuori
andando avanti ad insistere, tutto si era sistemato solo tentando di comportarsi
da persone adulte.
"Allora, non volevo venire qui solo per parlare.
Volevo mostrarti qualcosa." "Giusto. Me l'avevi detto." "E pensavo che se
non te l'avresti mostrato di persona non ci avresti creduto."
Già, e
chi ci avrebbe mai creduto. Lui, Jess Mariano, uno scrittore. Grazie a lei.
Grazie a quello che era successo tra loro. Con gli appigli e gli incoraggiamenti
che lei in passato gli aveva dato, si era convinto a tentare. Non l'avrebbe mai
fatto se non l'avesse mai conosciuta, se qualcuno non gli avesse mai dato
fiducia, senza considerarlo un fallito, un egoista. Qualcuno al mondo aveva
creduto davvero che lui potesse dare qualcosa agli altri, che lui avesse delle
potenzialità, e che le stesse soltanto sprecando. Era stato un grande passo
avanti, riconoscerlo.
"Hai scritto un libro."
Il tono in
cui l'aveva detto lo aveva sorpreso. Non credeva che si sarebbe dimostrata così
entusiasta dei suoi risultati. Era tornato indietro, era tornato da lei, solo
perché sapeva che la Rory che conosceva, la Rory con cui lui aveva probabilmente
vissuto la parte più intensa della sua vita, sarebbe scoppiata di gioia se
l'avesse saputo. Sul momento, non si era sentito molto sicuro di quello che
faceva. Non sa perché. Forse perché l'ultima volta che l'aveva vista lei gli era
sembrata diversa. Troppo fredda, troppo distante. Ma alla fine, dopo tutto lo
sconforto che era seguito da quell'episodio, si era rassegnato. Era stata colpa
sua. In fondo, se l'era andata a cercare. Lui se n'era andato. Lui l'aveva
lasciata. Lui aveva dato il via alla catena. E adesso, non è più tempo di
pensarci. Deve andare a un concerto. Deve divertirsi. Ogni tanto ci ripensa, a
lei, ogni tanto cerca di aggiustare mentalmente quei piccoli dettagli che non
quadrano, cerca di darsi delle spiegazioni, ma è andata come è andata, non c'è
nient'altro da aggiungere. Ogni tanto la sogna, come evidentemente gli è
successo adesso.
"Non ce n'è bisogno. So che è un buon lavoro. Jess,
hai un'intelligenza così brillante. Lo sapevo che se ti fossi seduto un attimo e
avessi smesso di agitarti avresti potuto fare qualcosa del genere. Lo
sapevo."
In fondo, era bello ricordarla così. Come quando gli diceva
che era felice per lui, come quando si preoccupava di lui. Era stata una
regressione piacevole, tutto sommato. Non avrebbe mai creduto che avrebbe finito
per rimpiangere i momenti in cui ancora non stavano insieme.
"Volevo
soltanto mostrartelo, e dirti... e dirti che non avrei mai potuto farlo senza di
te."
Glielo doveva. Sapeva di doverglielo. E aveva fatto la sua
parte. Aveva pagato il suo debito. L'aveva ringraziata, era riuscito a dire
grazie anche a lei, come aveva fatto con Luke molto tempo fa. Gli era sempre
riuscito difficile profondersi in manifestazioni di riconoscenza, ma glielo
doveva. E ora, c'è qualcosa di nettamente diverso rispetto a come si sentiva
dopo che era andata a trovarla al campus: adesso era in pace con sé stesso.
Aveva fatto quello che doveva fare, per una volta. E' tardi. Prende i soldi,
le chiavi, si infila la giacca, è ora di andare. Altrimenti, arriverà in ritardo
per l'ennesima volta. Certi difetti non si riescono proprio a
correggere.
nota: la citazione del titolo viene da "Hummingbird" dei Wilco. |
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Capitolo 5 *** Always On My Mind ***
Un'occhiata di sfuggita al palco non attira
immediatamente la sua attenzione. Poi però ritorna mentalmente su un dettaglio
di quell'immagine fugace, un paio di occhiali rotondi e una ragazza dai tratti
asiatici, si blocca un momento, poi si gira, guarda meglio e la riconosce. E'
Lane. Come è possibile? "Ma io li conosco." dice, riprendendosi dallo
stupore. "Mica avevi detto di non averli mai sentiti nominare?" "Sì, ma
quando andavo a sentirli io non avevano questo nome. Anzi, a dire la verità non
avevano proprio nessun nome." "Non mi dire... dove suonavano?" "In un
paesino del Connecticut, dove abita mio zio. Ci ho vissuto per un paio
d'anni." "Com'era?" "Un postaccio." I ricordi di Stars Hollow riemergono
dalla sua memoria e gli invadono la mente. Le prove nel garage, la festa, la
penombra di una camera da letto... quanti anni sono passati. Per quanto tempo si
era maledetto a causa di quell'episodio. Una volta spintosi a quel punto, non
aveva più potuto tornare indietro. Fece una smorfia ironica. Dopo sei anni,
era ora di smetterla con i rimpianti. Non avrebbe mai potuto vivere a Stars
Hollow in eterno, in ogni caso. E non gli avrebbe neanche fatto bene. Avrebbe
finito per rimanere lo stesso ragazzino strafottente e insoddisfatto e non
avrebbe mai ottenuto una vera occasione di riscatto. Invece, ora che ha avuto
questa possibilità, deve esserne solo grato. "Beh, ne hanno fatta di
strada." "Sì, a quanto pare." "Dai, portaci a conoscerli durante la
pausa." "Non so neanche se mi riconosceranno, sono anni che non li
vedo." "E dai, Jess." "Avete intenzione di tormentarmi per tutta la sera?"
Il tono scherzoso che ha usato gli fa dimenticare le possibili preoccupazioni.
In fondo, si tratta di Lane, e lo sa che è la migliore amica di Rory, ma in quel
momento lei è solo la batterista della band, e lui è solo uno dei tanti che ha
pagato per sentire il concerto. "Ok, va bene." L'unica cosa che può fare ora
è acconsentire. Il pensiero di rievocare il suo passato gli procura uno strano
senso di disagio e di sospensione, di incompletezza, ma poi nell'aria risuona il
primo accordo di "Should I stay or should I go", e decide di concentrarsi
solo sulla musica.
*** E' la terza sera che si siede al bancone del
bar che ospita il concerto di Lane e si guarda intorno, godendosi la musica. E'
la terza sera che spera di incontrare per caso Jess, dirgli almeno grazie e poi
sparire di nuovo. Sa che vuole farlo, ma non ne ha i mezzi, e comincia a temere
di non avere neanche sufficienti speranze. Magari sa del concerto ma ha deciso
di non andarci. Magari è venuto una o due sere fa e lei, per quanto si sia
guardata bene in giro e abbia provato a cercarlo in mezzo alla gente, non l'ha
visto. Magari abita dall'altra parte della città e non sa nemmeno che c'è un
concerto. Dio, Philadelphia è una metropoli. Ha milioni di abitanti. Le
probabilità reali che riesca ad incontrarlo sono veramente deludenti. Osserva
la sala con uno sguardo d'insieme, rassegnata. Dopo quella, mancherà ancora una
serata, e poi Lane e gli altri riprenderanno il viaggio, mentre lei prenderà un
autobus e tornerà a Stars Hollow, per passare il resto delle sue vacanze con sua
madre, Luke e Emily. Non resterà per sempre a Philadelphia, non se lo può
permettere. Per un attimo, prova ad immaginarsi come sarebbe passare tutte le
sue giornate a girovagare in una metropoli, sperando di incrociare Jess nei suoi
lunghi e disperati percorsi... "Ciao." Si volta sobbalzando. Solo un attimo
dopo realizza di non aver riconosciuto la voce. "Scusa... mi hai
spaventata... ti serve qualcosa?" dice, osservando il ragazzo che le si è seduto
di fianco. "No, volevo solo salutarti." Nonostante si senta un'idiota non può
fare a meno di fissarlo con aria attonita. "Perché?" "Semplice, perché ti
ho vista qui da sola e ho pensato di essere carino." "Oh." Lo osserva di
sottecchi. Avrà all'incirca la sua età, un anno in meno al massimo. E' piacevole
di viso, dai tratti lineari, e sorride continuamente. Probabilmente l'ha vista
lì da sola e ha pensato di attaccare bottone. "Ti piace il concerto?" "Sì,
molto. Sono dei miei amici che suonano." "Davvero? Fagli i complimenti,
allora." Rory si accorge che il suo sguardo è caduto sul suo bicchiere
vuoto. "Vuoi un altro drink? Te lo pago volentieri." Lei gli sorride con aria
consapevole. "Ti farebbe piacere se mi ubriacassi?" "Cercavo solo di
essere gentile per farti una buona impressione." O cercava solo di ingannarla
con quel suo sorriso disarmante. "Non è un po' troppo evidente la fregatura
in un'offerta di questo genere?" "Ti assicuro che non è una cosa che faccio
di solito." "Ah davvero? E che cosa fai di solito?" Il senso dell'ultima
speranza le dà improvvisamente il coraggio necessario per rischiare e spingersi
oltre. Un ragazzo della sua età. Un ragazzo di Philadelphia. Dovrà pur avere
degli amici. "Che cosa ti piacerebbe che facessi?" Tutta quella voglia di
compiacerla non la incanta, ma deve stare al suo gioco. "Non, so, per
esempio... leggi?" "Abbastanza." "Scrivi?" "No, direi che non è il mio
campo." "Quindi non ti interessi neanche all'attività editoriale?" "Sai
che non mi hai neanche detto come ti chiami?" Esibisce un mezzo sorriso,
leggermente contrariata. "Rory. Mi chiamo Rory." "Rory, eh? Un diminutivo,
suppongo." "Sì, il mio vero nome è Lorelai." Il ragazzo annuisce mentre lei
lo fissa in silenzio. "Oh, certo." Si riscuote lui, dopo qualche secondo.
"Piacere, David." Rory gli stringe la mano, mentre lui le sorride per l'ennesima
volta. Jess non sorrideva quasi mai. E' un pensiero come tanti che le è passato
per la testa in quel momento, ma le rimane impresso. Pensa al suo ultimo sorriso
triste in quella camera mentre di sotto era in corso una festa a cui lui non
voleva venire. Pensa che è stata tutta colpa sua. L'aveva obbligato a venire.
L'aveva forzato a stare in mezzo a tutte quelle persone elettrizzate per
l'imminente diploma, e lui era esploso. Si sentiva un fallimento mentre lei lo
fissava sorridendo come una stupida senza capire, poi la frustrazione di fronte
a lei, ignara di tutto, era aumentata a dismisura e aveva preso il sopravvento,
e ora era tutto svanito e rimaneva solo una rabbia ovattata, un rimpianto
evanescente, e l'immagine di lui che si allontanava da quella casa dandole le
spalle. "Allora... sei di qui, Rory?" Sospira. Deve rimanere nel mondo
reale. "No, sono del Connecticut. E tu?" "Io sono di qui invece." Forse
può ancora fare un ultimo tentativo. Sa che è subdolo, e sa che sta solo
tentando di spremere informazioni utili da quel povero ragazzo, ma sa anche che
vuole trovare Jess. Non può perdere questa occasione. Chissà quando le
ricapiterà di tornare a Philadelphia.
*** Lentamente, procedendo in
testa al suo gruppo di amici, si sta avvicinando al palco. Gli basta un sospiro
per prendere in mano la situazione, e sa già cosa fare, e come farlo. "Ciao
Lane." Quanti anni sono passati? Abbastanza perché la ragazza lo guardi come se
avesse appena visto un fantasma. "Jess?" Lui fa un mezzo sorriso, mentre lei
lo fissa a bocca aperta. Ne è proprio passato di tempo. "Complimenti, ti
ricordi ancora come mi chiamo." Lei si preoccupa di chiudere la
bocca. "Scusa, è che... non pensavo, ecco, io non sapevo..." "Che cosa,
che vivo qui? O che ogni tanto mi faccio anche vedere in giro?" "Accidenti,
no, è solo che non mi aspettavo di vederti..." "Sai, sono più sorpreso io di
vederti qui... non credevo che gli abitanti di Stars Hollow osassero uscire
dalla loro campana di vetro." Lo dice in tono scherzoso, mentre tempo fa ci
avrebbe messo tutto il rancore e il sarcasmo possibili in una frase del
genere. "Beh, come vedi abbiamo fatto strada." "Siete in tourneé?" "Sì,
per tutta l'estate." "Beh, benvenuta a Philadelphia, allora." "Grazie." Lo
sguardo di Lane comincia a vagare nervosamente da una parte all'altra dell'ampio
locale. Jess la osserva perplesso, sembra quasi che la sua comparsa le abbia
provocato un attacco di nevrosi. "Non sto organizzando un attentato nel
locale, Lane." le dice, riscuotendola dal suo momento di panico. "Oh, sì,
certo, scusami. Allora, come ti sembra il concerto?" Quel tono fin troppo
euforico gli fa chiaramente sospettare che ci sia qualcosa che non va. Quando si
tratta di riconoscere una persona che nasconde qualcosa, lui si sente come
dotato di un radar. "Molto carino, e se non ti disturba, i miei amici
volevano conoscervi..." Non riesce a proseguire oltre.
"Adesso è
via con Lane, si sta godendo le vacanze."
E' via con Lane. Lane è a
Philadelphia. Vuol dire che anche Rory è lì. Dio, come ha fatto a
dimenticarselo? Luke non gli aveva spiegato nei particolari dove fossero in
viaggio e perché, ma la sua memoria l'aveva completamente rimosso fino a quel
momento. E ora è tutto chiaro. Ora tutto quadra. Lane stava cercando di
individuare Rory. Rory è lì dentro. Non può essere. Si riscuote dai suoi
pensieri, i suoi amici stanno chiacchierando con i ragazzi della band, Lane è
impegnata nella conversazione, nessuno sta facendo particolare attenzione a lui.
Se Rory è lì, deve trovarla. Deve almeno salutarla. Sarebbe da idioti non farlo.
Sono passati tre anni dall'ultima volta che si sono visti, e se ora sa di
poterla incontrare, non vede l'utilità di doverla evitare. Per tre anni ha
chiesto notizie di lei a Luke, senza riuscire più a intromettersi direttamente
nella sua vita. Ora però è diverso. Ora non si tratta di andare di nuovo a
trovarla, facendo chilometri solo per vederla. Ora sono nello stesso posto,
nello stesso locale. E' un caso, ma deve saperlo sfruttare. Anche se non sono
amici, né fidanzati, anche se effettivamente non ha idea di cosa siano loro due
in quel momento. Ma almeno lo sono stati: sono stati amici, sono stati insieme.
Non può ignorare una considerazione di questo peso. E nemmeno vuole. Si accorge
che ora vuole solo trovarla, vederla e poterle finalmente parlare faccia a
faccia. Si getta ancora qualche occhiata intorno, poi, furtivamente, si
allontana dal gruppo, si mischia alla folla e inizia a cercare i suoi occhi
azzurri in mezzo a tutte quelle facce anonime.
*** Dio. Eccola. Non si
aspettava di ritrovarsela così bruscamente davanti agli occhi. Si ferma, e per
un attimo non esiste più tutta la gente che gli passa di fianco frettolosamente
e lo urta alzando la voce per farsi sentire nel casino generale. C’è solo lei,
più adulta, più eterea, più donna dell’ultima volta che l’ha vista. Quando
era andato a trovarla ad Hartford era ancora una ragazzina. Ora ha l’aria
matura, un po’ più sicura di sé, ma sempre con quella piccola goccia di
timidezza che le colora le guance. Parla, e sorride lievemente, e per un attimo
si sente come molti anni fa, quando la incrociava per strada mano nella mano con
il suo ragazzo e fremeva, pieno di amarezza, perché anche se si rifiutava di
ammetterlo avrebbe voluto essere lui lì con lei in quel momento, poter passare
tutto il suo tempo insieme a lei senza che la gente mormorasse alle loro spalle,
senza che lei si dovesse preoccupare della gelosia di Dean e della
disapprovazione di sua madre, senza che lui dovesse ogni volta inventarsi una
scusa per vederla e parlarle. Ora respira lentamente, trattenendo dentro di sé
la maggior parte dell’aria. È troppo concentrato su di lei per respirare. Poi
capisce che non può. Vorrebbe andare da lei ma non può. Vorrebbe tentare di
chiudere di nuovo quella distanza, vorrebbe ritrovare la serenità di quei
momenti in cui era finalmente da solo con lei e poteva farla ridere e guardarla
mentre rideva e sentirsi un po’ fiero di sé stesso perché era riuscito a
catturare la sua attenzione, ma capisce che quella è solo l’ombra di un passato
che non esiste più. Quella che sta davanti a lui non è più la Rory a cui lui ha
proposto di scappare da una finestra per sedersi su una panchina e fissarsi le
scarpe. Non è più una ragazzina dolce e un po’ ingenua, è una donna, una donna
bellissima che lui non conosce più, non sa più niente di lei, non ha appigli,
non ha scuse stavolta per intromettersi nella sua pacata conversazione con un
altro. Dannazione. C’è sempre qualcuno di mezzo. Vorrebbe semplicemente
chiederle come sta, ma con che faccia tosta pensa di poterle comparire davanti
dopo tre anni che non la vede e dirle semplicemente ciao? L’ultima volta era
diverso. L’ultima volta, l’aveva fatto per il suo bene. Perché era in crisi,
perché qualcosa non andava, perché lei aveva un problema e lui era ricomparso
semplicemente per darle una mano. Ci aveva provato, a colmare quel vuoto… e
quell’idiota del suo ragazzo si era dovuto mettere in mezzo. Ma ora basta. È
inutile scaricare tutta la sua frustrazione su qualcun altro. Sono le
circostanze che giocano contro di loro, e lui non può farci niente. Non ha mai
creduto nel destino, né in qualsiasi altra forza superiore che possa muovere la
sua vita secondo un piano preordinato, ma vede che questa è semplicemente la
realtà dei fatti, e avrebbe dovuto accettarla già molto tempo fa: è stata colpa
sua, in fondo. Lui ha mollato. Lui ha gettato la spugna per primo. Lui ha
preferito scappare. Ha tentato di rimediare, e lei gli ha fatto capire che ormai
era troppo tardi. I primi tempi ha provato ad odiarla per questo, ma si è
accorto che non ci riusciva. E ora non rimane più niente se non una vecchia e
sepolta traccia di quella passata amarezza. In fondo, le ha sempre sconvolto la
vita, forse è più giusto che ora non lo faccia. Improvvisamente, si accorge
di essere spaventato da tutto questo. Non le ha più pensato con particolare
intensità durante quel periodo, ha solo dimostrato di preoccuparsi di sapere
come stava di tanto in tanto, ma per il resto è andato avanti, ha colto le
occasioni che la vita gli offriva, senza perdere tempo a rincorrere quelle che
ormai erano andate perse per sempre. E ora sta lì come un idiota a riflettere su
qualcosa che non esiste. Smorza lo slancio che lo ha quasi sopraffatto qualche
secondo fa. Lei è lì per Lane. Non per qualcun altro. E quel ragazzo, chissà chi
è. Potrebbe essere chiunque tranne suo marito. Altrimenti, Luke gliel’avrebbe
detto se si fosse sposata, sorride ironicamente tra sé. O forse no? Si fida di
suo zio, ma l’argomento Rory è sempre stato così delicato. Sospira, buttando
finalmente fuori tutta l’aria che ha trattenuto. Non ha importanza. La verità è
che non se la sente di intromettersi di nuovo nella sua vita, tutto qui. Basta
così, non vuole più restare, stacca lo sguardo da lei e da quel ragazzo, si
gira, rintraccia Jeff, Eddie, Ian e gli altri, e senza pensarci più sopra si
dirige verso di loro, pronto ad annunciare che è stanco e vuole andare a
casa.
nota: la citazione del titolo viene da "Round Here" dei Counting Crows". |
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Capitolo 6 *** Sometimes Everything Is Wrong ***
“Oh.
Quindi non conosci nessuno in quel campo?” “No, direi che non ne sono un
grande frequentatore.” “E che libri leggi di solito?” Il ragazzo si stringe
nelle spalle. “Classici.” “Non sei mai andato a caccia di qualche
scrittore sconosciuto?” “Può darsi, qualche volta.” “Sai, io mi sono
particolarmente appassionata a un libro pubblicato da una piccola casa editrice
di qui, non so se puoi averne sentito parlare…” “Senti, perché non mi porti a
conoscere la band? Sarebbe fantastico.” Fissa gli occhi nei suoi, e lei blocca
sul nascere un’espressione di profondo disappunto. Sta cercando di distrarla,
forse ha insistito troppo. Forse sarebbe ora di lasciar perdere. È chiaro che
probabilmente non ha neanche la più pallida idea di chi sia Jess, e lei non può
spremerlo ulteriormente. Quel ragazzo sta solo pensando al modo migliore di
concludere la serata. “Va bene, andiamo.” dice, dipingendosi in faccia un
sorriso allegro. Si alza e si accerta che lui la segua, poi incomincia a farsi
largo tra la folla, fino a raggiungere il palco. “Lane” chiama, vedendo
l’amica sul bordo del palco che scruta la folla dall’altro lato. “Lane!”
Finalmente, la sente, si gira e la raggiunge in fretta. “Senti, Lane, volevo
presentarti…” “Rory!” La guarda con più attenzione, una strana concitazione
le esplode sul volto, gesticola e per di più l’ha interrotta di punto in
bianco. “Che succede? Zach ha perso la voce?” chiede, ma Zach arriva, la
saluta e David subito si introduce da solo, tenendolo occupato. “Rory…” Lane
la prende per una mano, la fa avvicinare, si abbassa in ginocchio per poterle
parlare a distanza ravvicinata. “Rory, è qui, devi trovarlo
subito!” “Chi?” “Jess!” Senza che lei lo voglia lo shock le si dipinge sul
volto, e rimane a bocca aperta, gli occhi spalancati. “Dove… come… quando
l’hai visto?” “È venuto qui appena qualche minuto fa con i suoi amici, poi io
mi sono messa a cercarti ma non ti vedevo in giro…” “E adesso dov’è
finito?” “Non lo so, è sparito, non lo so!” “Oddio.” Lane la aiuta a
salire sul palco, e tutte e due si mettono a sondare freneticamente la sala con
lo sguardo. “Pensi che in due abbiamo più probabilità di
individuarlo?” “Non ne ho idea, se almeno avessi fatto caso alla direzione in
cui è andato… Rory! Rory, sta uscendo dall'ingresso principale! Svelta, devi
rincorrerlo! Muoviti, Rory!” Non se lo fa ripetere un'altra volta. Salta giù
dal palco, e subito inizia a farsi largo tra la folla a suon di spintoni. Non
può lasciarsi sfuggire questa occasione. Non può. Vuole raggiungerlo,
sorprenderlo, dirgli che è lì, che l’ha visto uscire dal locale e che si è messa
a rincorrerlo come una stupida, che voleva dirgli grazie per l'ultima volta,
perché grazie a lui la sua vita ha preso la piega che lei aveva sempre voluto
che avesse… la calca continua a premere contro di lei, è impossibile andare più
veloce di così, sente le persone intorno che la opprimono e la ostacolano, sa
che non è certo il momento giusto per farsi prendere dal panico ma non riesce a
fare altrimenti, dà spinte più forti, si chiede se stia andando nella direzione
giusta, e finalmente raggiunge l’uscita. Si precipita fuori, schivando gli
ultimi ostacoli, ecco, ora è in strada, si guarda intorno, prima a destra e poi
a sinistra, è impossibile che sia già sparito dalla sua vista, poi lo vede, lo
riconosce, quella è la sua camminata, i suoi pantaloni larghi, i suoi capelli, è
già piuttosto lontano, ma deve provarci. Il panico è talmente tanto che si mette
a correre. “Jess!” il grido non le esce con la dovuta forza, è debole,
smorzato dai rumori del traffico. Eccolo, deve solo raggiungerlo, ancora un
piccolo sforzo, si è fermato, è sempre più vicino… Il tempo che lei impiega a
darsi lo slancio per raggiungerlo, lui è già salito in macchina e ha messo in
moto. Rory si blocca di colpo, mentre il cuore le batte all'impazzata. Ansima,
frena la sua foga, si piega sulle ginocchia e rimane ferma per qualche secondo
ad osservare la macchina che se ne va via. È tutto inutile. Non può correre
così veloce.
*** “Ehi, dov’eri finita?” Si accorge che non ha ancora
finito di riprendere fiato. Meglio cercare di far finta di niente. “Oh, ero
solo corsa a recuperare la borsa, Lane mi ha detto che mi aveva cercato il suo
capo sul suo numero, e poi sono andata fuori a telefonare perché qui dentro non
si sentiva niente.” Con il tempo è diventata piuttosto brava a mentire a persone
che non la conoscono bene. “Pensavo fossi scappata via.” sorride lui. Rory lo
guarda, e un po’ si sente in colpa. Dopotutto le sembra un bravo ragazzo. E lei
si è dimostrata una perfetta manipolatrice. “No, non ti preoccupare. Non
volevo certo perdermi la fine del concerto.” gli risponde, sorridendogli di
rimando. “Neanche per colpa di una telefonata di lavoro?” “Assolutamente.
Mi tolgono già tutte le altre gioie della vita.” dice scherzosamente. “Allora
è vero che lavori tanto.” “Certamente. Perché, ho forse la faccia di una che
passa le sue giornate sul divano dell’ufficio insieme a una tazza di caffé? La
tazza di caffé c’è sempre, ma non c’è nessun divano, te lo posso
assicurare.” Per fortuna, con il rumore di sottofondo non si sente che un po’
ansima ancora. “Sai che non mi hai ancora detto che lavoro fai?” “Sono una
giornalista. Faccio la corrispondente estera.” “Allora viaggi
molto.” “Moltissimo. Non sto praticamente mai ferma.” “E ora, lavori o sei
in vacanza?” “Entrambe, direi. Lane mi ha proposto di seguirli per parte
della tournee, e io ho proposto al mio capo di presentargli un articolo su di
loro alla fine dell’estate.” “Una perfetta conciliazione.” “Sì, come in
Almost Famous. L’hai mai visto?” “Quello con Kate Hudson? No, a dire
la verità no.” “Guardalo, te lo consiglio vivamente. Io sono stata costretta
a vederlo tante di quelle volte che ormai lo so praticamente a memoria.” “Mi
dici che è un bel film ma che per vederlo ti hanno dovuta costringere. Dove sta
il trucco?” “No, no, mi piace, davvero. È solo che…” Si rende conto che non
riesce a parlare di lui con disinvoltura. Per un attimo, fa una fatica enorme
per superare quel blocco, come l’aveva fatta per pronunciare quel “sì,
uscivamo insieme” di fronte a Logan. “È solo che un mio amico non poteva
mai fare a meno di guardare questo film, e passavamo molto tempo insieme, e così
ho finito per rivederlo almeno una ventina di volte.” “Beh, se è possibile
esserne così presi, credo proprio che lo guarderò.” Lei abbozza un sorriso, ma
per qualche ragione non se la sente più di proseguire quella conversazione. Si
rende conto che qualcosa non va. Sarà stato anche un caso, ma mai prima d’ora ha
parlato di Jess con un estraneo, anche solo per riferirsi a qualcosa che
facevano insieme, o per raccontare una storiella divertente e alleggerire la
conversazione. È stata ben attenta a non farlo mai. Questo perché lui non fa più
parte della sua vita, e perché le sembra stupido mettersi a parlare di lui con
disinvoltura come se si trattasse di una persona che conosce da sempre. Ormai
con lui non condivideva più niente, non era il numero da circo che lei poteva
tirare fuori quando non aveva niente di meglio di cui parlare. Non si è mai
persa nel rivangare il passato che lo riguarda neanche quando le capita di
parlare con Lane dei tempi del liceo, chiedendosi che fine possa aver fatto
questo o quell’altro. È come se su Jess ci fosse una specie di censura, e si
sente quasi ridicola a pensarlo. Non è possibile che si sia ridotta così, in
fondo è stato solo uno dei suoi ragazzi, e non è neanche stato quello che è
durato più a lungo. Per un attimo non capisce perché debba tirare in ballo tutti
questi problemi quando si tratta di lui. Poi si ricorda, per chissà quale strana
associazione mentale, di quando sua madre le ha raccontato quello che una volta
le ha rivelato Luke: al primo appuntamento con Nicole lui aveva parlato solo di
lei. E all’epoca l’argomento era proibito: chiunque si azzardava ad insinuare
che ci fosse qualcosa tra loro veniva subito zittito con un’occhiataccia da
parte di uno dei due. Mai che ne avessero parlato tra di loro. Eppure, la gente
sapeva, tutti avevano già capito tutto, solo loro due si ostinavano a
negare. Beh, questo è un altro discorso. Sua madre e Luke si erano sposati.
Lei e Jess si erano lasciati tanto tempo fa.
*** "Allora... vuoi che
ti riaccompagni a casa?" "Non c'è problema, aspetto Lane e gli altri e poi
vado con loro. Il nostro albergo non è molto lontano." Sa di essere scortese, ma
non è proprio dell'umore giusto per farsi rimorchiare. "Senti, Rory..." Si
gira e lo fissa con impazienza, ha solo voglia di andare a casa, si sente piena
di amarezza per quel fallimento plateale e non ha più voglia di parlare, ma si
costringe a frenarsi e ad ascoltarlo. "Credi che potrò rivederti di
nuovo?" Rimane in silenzio per diversi secondi. Potrebbe dire di sì. Potrebbe
porre le basi di una conoscenza reciproca. Ci sarebbero modi per vedersi anche
se lei lavora così tanto e non rimane mai in uno stesso posto per più di un paio
di settimane, era già riuscita a cavarsela per qualche periodo con diversi altri
ragazzi conosciuti qua e là. Non era la prima volta che le capitava una cosa del
genere. Bene o male, da quando aveva intrapreso quell'intensa vita lavorativa,
tutte le sue relazioni si erano basate più sull'occasionalità che sull'impegno.
Non poteva mai dare risposte certe, questo lo sapeva. Ma non voleva neanche
essere costretta a vivere in isolamento dal resto del mondo. Poteva dirgli di
sì, e non ci avrebbe rimesso niente. "Io... io non lo so, a dire la verità
sarebbe un po' complicato. Non capito molto spesso da queste parti." La risposta
le esce prima che possa aver preso una decisione definitiva. Non sa perché, ma
non se la sente. Lei è lì per uno scopo. Non è lì per divertirsi. Non sta
collezionando ragazzi in giro per l'America, e la frustrazione di quel momento è
troppo elevata per farle avere la voglia di impegnarsi con qualcuno. "Mi
dispiace." aggiunge. "Vuoi dire che non te la senti?" "Sarebbe ipocrita se
ti dessi una risposta certa... io viaggio un sacco, sento di rado persino i miei
amici... non vorrei darti una delusione, ecco." "C'è già qualcun
altro?" Che insinuazione brillante. Effettivamente dal suo comportamento può
sembrare che stia solo cercando una scusa per svincolarsi da un ragazzo con cui
non vuole uscire per qualche motivo preciso. Le sue scuse suonano vaghe e
campate in aria persino alle sue stesse orecchie. Ma non capisce perché lo stia
facendo davvero. "Non... non è questo il punto, è solo che... mi
dispiace." "Capisco. Posso almeno chiamarti qualche volta?" "Se
vuoi..." Prende una penna dalla borsetta e gli scrive il numero del suo
cellulare. "Non sono molto reperibile quando vado all'estero." "E' un modo
carino per dirmi di non chiamarti?" Quella situazione la sta mettendo fin
troppo alle strette. Non capisce proprio. Non può essere per Jess. E' solo che
deve trovarlo. E ha appena perso una delle poche occasioni che poteva avere. Non
riesce a concentrarsi su nient'altro in quel momento. "Scusami, davvero. Devo
andare." "Certo. A presto, Rory." Non può reggere oltre quella situazione.
Si sente un verme. Ha appena scaricato un ragazzo incontrato per caso e che per
di più non aveva alcun buon motivo per essere scaricato. E' carino, gentile di
modi, ci si conversa bene, ha un carattere piacevole, si è dimostrato anche
piuttosto comprensivo in quella situazione difficile, e lei non capisce che cosa
deve andarsi a cercare ogni volta. Ma ormai sa che non se la sente. E' una
questione di umore del momento, ma comunque non se la sente. Il carico emotivo
di quella serata ha raggiunto una vetta massima che non può ulteriormente
forzarsi a superare. Magari risponderà alle sue telefonate, se in futuro la
chiamerà. Ma ora vuole solo andarsene da lì, sciogliersi i capelli, togliersi il
trucco, indossare un pigiama e poter essere libera di maledirsi mentre fa finta
di dormire.
*** Ora che è rintanato fra le mura sicure del suo
appartamento, per la prima volta Jess si sente a disagio immerso in tutta quella
solitudine. Il vuoto e il silenzio gli pesano addosso e collaborano con i
sottili sensi di colpa che hanno iniziato ad invaderlo durante il breve viaggio
di ritorno. C'era bisogno veramente di andarsene così? Era così tragica la
situazione? Davvero non poteva fare uno sforzo e passare a salutare Rory? Non
c'era bisogno di trascinarla via, bastava anche che fingesse di averla
intravista per caso in mezzo alla folla e che si fosse avvicinato un attimo,
sorpreso di averla trovata lì. Non sarebbe stato così inappropriato. Insomma, se
Luke non gli avesse accennato al fatto che lei era in vacanza con Lane, lui
avrebbe avuto tutte le ragioni per stupirsi di vederla a Philadelphia,
nonostante il gruppo che suonava fosse quello di Lane. Non era un'implicazione
così ovvia che ci fosse lì anche lei. Cerca di mandare definitivamente al
diavolo tutti quei pensieri opprimenti e fastidiosi, ma la sua mente comincia a
perdersi in ipotetiche fantasie su come avrebbe potuto andare a parlare con Rory
senza interromperla troppo. Avrebbero anche potuto mettersi d'accordo per
vedersi un altro giorno, anche solo per parlare, anche se erano tre anni che non
si sentivano. Che importanza aveva? Non si era fatto troppi problemi nell'andare
a parlare con Lane, eppure lei non la vedeva da molto più tempo. Perché tutte
quelle assurde complicazioni? Perché aveva sentito così necessario il dover
andarsene subito da lì, piantando addirittura in asso i suoi amici, quando il
concerto non era ancora finito e lui aveva pagato per andare a sentirlo? E'
tardi per chiederselo. Deve guardare avanti. Tra un po' deve andare a trovare
Luke. E' il caso che inizi ad organizzarsi un po' prima dell'ultimo
minuto.
nota:la citazione del titolo viene da "Everybody Hurts" dei R.E.M. |
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Capitolo 7 *** That's All I Ask ***
La serata è riuscita a spossarla psicologicamente. È
stanca e vorrebbe solo andare a dormire, per svegliarsi il mattino dopo e poter
fingere di non aver mai fatto una sciocchezza del genere. Era ovvio, avrebbe
potuto pensarci. Era stata stupida a pensare di poterlo raggiungere. Era
abbastanza improbabile che fosse venuto a piedi. Eppure, detesta ammetterlo,
ma per qualche secondo ci ha davvero sperato. Mentre correva presa dalla foga
del momento la sua mente aveva già elaborato una o due possibili frasi da
rivolgergli per spiegargli il motivo per cui l’aveva rincorso come una furia.
Era riuscita a prepararsi a quel momento entro pochi secondi, indipendentemente
dal fatto che avesse avuto o meno ancora fiato una volta che fosse riuscita a
raggiungerlo. Aveva sempre avuto un’andatura veloce. Entra in camera e si cambia
sbattendo con astio i vestiti su una sedia. Lane probabilmente la sta già
guardando con aria preoccupata da un bel po’ di tempo. Non sa se dovrebbe darsi
una calmata o no; è troppo frustrante che sia andata in quel modo. Ha avuto la
sua occasione a portata di mano, e ora non deve certo sperare che si ripeta.
Dannazione. Non ha mai avuto così tanta sfortuna. "Dai, Rory. Se vuoi
cercarlo possiamo inventarci qualche altro modo." Sospirando, si gira, e
tutta la sua rabbia svanisce quando guarda Lane. E' lì per lei, si sta
preoccupando per lei, si offre addirittura di aiutarla. Di solito ha sempre
dovuto affrontare da sola il "problema Jess": a sua madre lui non piaceva, Lane
in quel periodo era presa da Dave, e tutta la città in un certo senso la
guardava storto. Aveva sopportato sulle proprie spalle il peso di quella storia
e tutta la tristezza che era seguita dalla sua fine. Non era mai riuscita ad
aprirsi veramente con qualcuno riguardo a lui, a spiegare come si sentiva quando
erano insieme, o quando lui le faceva male, o quando era stata lei a fargliene.
Non aveva mai avuto problemi a parlare degli altri che c'erano stati. Non sa
cosa pensare di tutto questo, ma sa che è tempo di provare a rompere quel
silenzio. "Lane, io... non so davvero cosa fare." Ed è vero. Non può sperare
di incontrarlo di nuovo per caso in quella città immensa. "Ascolta, non è
crollato il mondo." "Ma non mi ricapiterà mai più un'occasione del genere. E
io me lo sono fatto scappare." "Che cos'è successo esattamente?" Sospira,
sentendosi nuovamente una stupida. "L'ho rincorso, ci ho provato, ma prima
che l'avessi raggiunto è salito in macchina e se n'è andato chissà
dove." "Beh, almeno sai che non abita in questa zona." "Sì, ma non stiamo
parlando di Stars Hollow. Siamo in una città enorme con un sacco di appartamenti
e citofoni e locali e negozi..." "Lo so, ma Jess dovrà pur avere una casa."
Rory si stringe nelle spalle, tirandosi la coperta sulle gambe. "E come
faccio a trovarla?" "Per esempio, guardi sull'elenco telefonico." Apre la
bocca per dire qualcosa, ma è troppo sorpresa. Che stupida. Perché non ci ha
pensato prima? Era così elementare. "Lane, sei un genio!" La abbraccia forte,
sentendo che forse ha ancora una speranza. "Non esagerare." "E' perfetto!
Credi che ne avranno una in albergo?" "Ma certo, basta andare giù nella
reception a chiedere." "Giusto." Si sbarazza delle coperte e fa per alzarsi
in piedi, ma si sente trattenere per un braccio. "Ehi, ehi, Rory, dove hai
intenzione di andare?" "Beh, tu mi hai detto che alla reception..." "Sì,
ma io non intendevo adesso, intendevo fra un po'! Sono le cinque di
mattina!" "Ma il portiere c'è lo stesso." "Rory... anche volendo, non puoi
telefonare a Jess o andare a trovarlo alle cinque di mattina." Il sorriso le
svanisce dal volto con immediatezza. "Già, è vero." "Siamo tutti stanchi
morti, adesso. Dormici su. Domani hai tutto il giorno per sfogliarti la guida
telefonica." "Sì, hai ragione. Va bene. Buona notte, Lane." "Notte,
Rory." Rassegnata ad attendere almeno qualche ora di sonno prima di portare a
termine il suo progetto, si infila a letto, sospirando. Deve pensare prima di
agire. Deve darsi una calmata. E' vero che Jess non scappa, ma lei ha ancora due
giorni prima di andarsene da lì. Due giorni, vale a dire quarantotto ore.
Saranno più che sufficienti per trovare il numero o l'appartamento di Jess. Ha
ancora qualche mezzo per rintracciarlo, e poi forse potrà raccontargli la
figuraccia che stava per fare stanotte. Ha voglia di rivederlo, di farlo ridere
un pochino. Non importa quello che dirà. O sì? Un momento. Con che scusa gli si
presenterà sotto casa o alzerà la cornetta per chiamarlo? "Lane?" La
sente bofonchiare e poi girarsi verso di lei. "Sì?" "Secondo te dovrei
chiamarlo per chiedergli se mi rilascia un'intervista?" "Mica lo volevi
ringraziare?" "Sì, ma mi sentirei un'idiota a dirgli ciao, ti ho chiamato
per dirti che grazie a te sono tornata al college, mi sono laureata e ora faccio
la vita che volevo." "E allora, digli semplicemente che eri in città e
che hai pensato di rintracciarlo perché ti andava di vederlo." "Ma potrebbe
essere equivoco." "Rory, quando lui è venuto a trovarti ad Hartford e ha
aspettato per ore sotto casa dei tuoi nonni che tu rincasassi, tu cos'hai
pensato?" "Io... ecco, non ho pensato niente, ero troppo sorpresa per averlo
rivisto..." "Fidati, la situazione ora non è diversa. Sono tre anni che vi
vedete. Anche lui sarà troppo sorpreso per pensare a qualcosa." "Sì, hai
ragione. Scusa, ora ti lascio dormire." Si sdraia di nuovo sotto le coperte,
rimuginando su quello che Lane le ha appena detto. Non sa cosa fare. Non è
pienamente convinta. In fondo, lei era sorpresa perché l'ultima volta non si
erano lasciati in modo molto amichevole, eppure lui era tornato a cercarla. Ora
la situazione non era esattamente la stessa. Era più contorta, e Jess era sempre
stato molto intelligente, chissà cosa avrebbe potuto
pensare. "Lane..." "Sì?" "Che cosa ti ha detto quando vi siete
visti?" "Quasi niente. Voleva presentare me e gli altri ai suoi amici. Ha
tirato fuori un paio delle sue battute. Se ti può consolare, in tutto questo
tempo è sicuro che non abbia perso la sua ironia." Sorride, sentendosi
improvvisamente e inspiegabilmente fiera di lui. "Sì, lo so." Lascia che
il silenzio le scorra dentro per qualche secondo. Poi si accorge che l'ansia di
sapere tutto e subito è troppa. "Lane?" "Rory, la guida telefonica non se
la mangia nessuno." Tace per un secondo, incerta. "Ok. Scusa." Forse è il
caso che si dia una calmata, e che aspetti domani mattina. Lane ha ragione, non
c'è fretta. Le case non si muovono, le persone non scappano e le guide
telefoniche non vengono divorate. Deve riuscire a sfruttare al meglio
l'occasione. E sicuramente non ci riuscirà senza aver chiuso occhio per tutta la
notte.
*** Scende nella hall con ancora la maglia del pigiama
addosso. Vuole un caffé. Vuole una guida telefonica. E' già da considerarsi
un miracolo se è riuscita a dormire per cinque o sei ore. Ora però non ce la fa
più. Ha provato a riaddormentarsi anche se è relativamente tardi, ma è stato più
forte di lei. Vuole togliersi il dubbio e rimediare al pasticcio che ha
combinato ieri il più in fretta possibile. Entra ed esce dalla sala da pranzo
nel giro di un paio di minuti. Ora si sente abbastanza sveglia. Può
incominciare. Deve incominciare. Chiede una guida telefonica. Gliela danno.
Subito individua con lo sguardo un posto tranquillo per cercare in fretta un
maledetto indirizzo. Si sistema seduta su una poltrona poco lontana dalla porta
d'ingresso, riparata in una nicchia in cui è poco probabile che qualcuno la
disturbi. Ecco, ora le mani cominciano a sfogliare quelle pagine con una foga
che lei non riesce a trattenere o a frenare in qualche modo. Nel più profondo
del suo inconscio si sente una stupida per l'ennesima volta, spiazzata dal fatto
che non sa cosa dirà quando prenderà in mano il telefono per comporre quel
numero. Pensa di optare per una chiamata. E' più sicuro. Probabilmente ha una
segreteria, e può eventualmente lasciargli un messaggio. Invece, se andasse
sotto casa sua così, di punto in bianco, rischierebbe di rimanere fuori dalla
porta per ore dopo aver suonato invano il citofono un paio di volte. E' meglio
così, si dice. Lo spiazzerà di meno se lo chiama, come prima cosa. Ricorda come
si era sentita lei quando l'aveva visto entrare dal cancello di casa dei suoi
nonni, e decide che forse è più conveniente anche per lei usare il
telefono. Ha saltato la pagina. Che stupida. Torna indietro rapidamente, poi
si mette a cercare. Sente una strana foga crescere dentro mentre aspetta di
leggere il suo nome da un momento all'altro. Ma arrivata alla fine di quei nomi
ha potuto appurare che sull'elenco non c'è nessun "Jess Mariano". No, un
momento. Non è possibile. Lui abita ancora a Philadelphia. Si è fatta dare
l'elenco più aggiornato che ci sia in giro. Non è dannatamente possibile che lui
non ci sia. L'ha visto, era sicura che fosse lui, Lane gli ha anche parlato, è
certa che viva ancora lì. Non ci sono possibilità che non sia così. Eppure, il
suo indirizzo non è su quel dannato elenco. Effettivamente, deve costringersi
ad ammettere che è plausibile. Potrebbe aver cambiato casa da poco, potrebbe
vivere da un amico, potrebbe avere un appartamento in affitto. Ci sono tante
ragioni sensate per fornirsi una spiegazione. Nonostante questo, comincia a
sentirsi lentamente assalire dal panico. Era la sua ultima speranza. E
ora, che accidenti può fare per rintracciarlo? Si accascia sulla poltrona,
passandosi una mano sulla fronte. E' finita, basta, non può più fare niente. E'
tutto inutile. Ha sfruttato ogni sua risorsa disponibile. Evidentemente è
destinata a non trovare Jess. Ad essere punita per tutte le volte che l'ha
lasciato andare, che si è comportata da persona insensibile, che non è stata a
sentirlo, credendo di essere dalla parte della ragione. Pare che tutto, d'un
tratto, si stia ribaltando. Le viene in mente la corsa disperata fatta quella
notte per tentare di raggiungerlo, e le viene in mente lui, a Stars Hollow, che
la rincorreva in piazza pregandola di fermarsi... Tutto si è rovesciato. Ora
lei sta iniziando a pagare. Non è possibile. Non importa se sono in una
metropoli; sono nello stesso posto, per la prima volta dopo anni. Non è
possibile che tutte le sue speranze debbano svanire così. Ci dev'essere un altro
modo per rintracciarlo. Comincia a pensare di poter chiamare qualche negozio che
vende vecchi dischi di musica punk e dare una sua descrizione sommaria, per
sapere se possono darle qualche informazione... potrebbe provare a fare un
elenco sommario di tutti i posti che potrebbe frequentare, sempre che abbia
mantenuto le sue vecchie abitudini... o potrebbe affigere volantini per tutta la
città... Un momento. Lei ha un numero d'ufficio. Jess lavora. Jess dovrà
avere un posto di lavoro dove sia possibile rintracciarlo. Ma quale? Ha
sempre cambiato così tanti mestier da quando lo conosce... diceva sempre che era
bravo a farsi assumere, ed era vero... ha sempre saputo fare di tutto...
possibile che quando è venuto a trovarla ad Hartford non le abbia detto che
cosa... Ma certo. Certo che gliel'ha detto. Il libro. Le copie. La stamperia.
Aveva detto che lavorava alla stamperia. Se non si sbaglia, aveva detto che si
trattava di una piccola stamperia in proprio. Le sue mani riprendono a
sfogliare freneticamente la guida. Trova l'elenco delle stamperie. Seleziona
lentamente solo quelle che non le sembrano dei grandi magazzini. Prende carta e
penna e si segna i numeri di telefono di quelle che ritiene più idonee per
restringere la sua cerchia. Ora forse può ricominciare a pensare a che cosa
dire quando troverà il posto giusto.
*** Suona il telefono. Non ha
voglia di andare a rispondere. "Eddie, sei tu il più vicino" dice,
stiracchiandosi sulla sedia. "Non è vero, il più vicino è Jeff" Jeff è in
piedi vicino al bancone. "Jeff!" "Non ho abbastanza forze per spostarmi
più di così." "Oh, accidenti, guardate che poi mettono giù!" "E va bene!"
Non ha altra scelta, si raddrizza, si sporge in avanti e arriva al telefono.
Solleva la cornetta e si prepara a ricevere gli insulti di chi ha dovuto lasciar
squillare il telefono tutto quel tempo prima di ricevere una
risposta. "Pronto?" Una frazione di secondo piena di silenzio esitante
accoglie la sua risposta. "Buongiorno, mi scusi, ho chiamato per avere
un'informazione, cioè, non è molto pertinente come informazione, effettivamente
non è qualcosa che ci si dovrebbe aspettare di sentire alzando la cornetta in
una normale mattina come questa, e so che avete tutto il diritto di mantenere la
privacy sui vostri impiegati, ma sappia che se le chiederò gentilmente di avere
informazioni non è perché sono un'agente dell'FBI..." "Rory?" Silenzio. La
sua attonita sorpresa è cresciuta sempre di più man mano che lei pronunciava
ogni sillaba di quel discorso sconnesso. Sente un sospiro all'altro capo del
telefono. "Sto cercando Jess Mariano, per favore." Sorride. "Sono
io." "Sì, l'ho capito un po' troppo tardi per evitare di fare una
figuraccia." "Ho sempre avuto una voce irriconoscibile al telefono?" "No,
no, è solo che... volevo essere sicura di evitare la figuraccia che invece ho
finito per fare." Sente la sua risata, breve, colorata da un tocco di
nervosismo, ma sincera. Per un attimo gli si allarga il cuore. "Allora, come
mai tutto questo mistero?" "In che senso?" "Non so, chiami qui, chiedi di
me... si vede che tutte le altre volte in cui l'hai fatto negli ultimi tempi
dovevo essere andato a farmi un giro." Scherza bonariamente sulla questione,
giusto per sdrammatizzare una situazione che altrimenti diventerebbe troppo tesa
e imbarazzante. E' passato tanto di quel tempo. "Volevo semplicemente
ricordarti che mi avevi promesso un seguito al tuo libro, e ho chiamato per
dirti che sei parecchio in ritardo." Gioco efficace, quello di evitare le
risposte dirette alle domande. E' sempre stata la sua specialità, ma non c'è da
stupirsene se anche Rory ne fa uso in quel momento. "Beh, sai com'è... ho
bisogno dei miei tempi." "Ma io sto aspettando da tanto." "Dovresti
prendere le cose con più calma. Dove sei?" "Oh, in giro." "E' una risposta
un po' vaga, lo sai? Potrebbe voler dire che sei a Parigi, in Siberia o sotto il
mio ufficio." La sente esitare prima di rispondere. Quasi senza volerlo, è
riuscita a metterla alle strette. Ora non ha molte vie d'uscita. "Ci sei
andato abbastanza vicino." "Con quale delle tre?" "Beh, sono a
Philadelphia." "Davvero?" Il finto tono sorpreso gli riesce piuttosto bene.
Forse perché non è sorpreso soltanto a metà. Sa che lei è lì, ma non si
aspettava che lei lo chiamasse, dopo che l'incontro casuale di ieri è
miseramente fallito. "Esatto." "Per lavoro?" "No, mi sto godendo le
vacanze." "Oh, bene. Mi fa piacere sapere che hai tempo libero per
chiamarmi." "Sì, ecco... di solito io... beh, lascia perdere. E' solo che...
mi fermo qui un altro paio di giorni..." "Mmm." "E avevo pensato... di
chiamarti, ecco." "Hai sempre avuto ottime facoltà logiche." "E tu hai
sempre avuto ottime capacità di commentare tutto quello che dico." Distende le
gambe, cercando di rilassarsi. E' proprio curioso di sentire che cos'ha da
dirgli. "Allora, sei tanto impegnato al lavoro?" "Dipende." "E...
dipende da cosa?" "Da cosa hai intenzione di chiedermi dopo che io ti avrò
dato una risposta." "Questo non è valido. Tu dovresti prima rispondermi, e
poi stare a sentire la mia proposta." "Ma se la tua proposta non fosse di mio
gradimento, sarei sempre pronto ad inventarmi una scusa." "Come posso rendere
di tuo gradimento la proposta di un semplice pranzo?" "Dicendomi che me lo
offrirai?" "Jess!" "E va bene... fammi scegliere il posto allora. Se mi
dovessi affidare a te, potremmo finire in guai seri." "Ti fidi sempre
ciecamente delle mie capacità." "Non è per cattiveria, è che qui sei una
novellina come lo eri a New York, e senza i miei consigli avremmo finito per
mangiare da schifo anche quella volta." L'associazione a quell'episodio gli è
uscita spontaneamente, ma probabilmente è stata una mossa un po' azzardata.
Insomma, quelle erano circostanze davvero particolari. Lui era ritornato a New
York, frustrato e con uno strano senso di nostalgia che poteva chiaramente
essere imputato solo a lei. D'altra parte, lei era piombata a New York senza
preavviso dopo quella telefonata, marinando la scuola e trascurando perfino il
diploma di sua madre, cosa che lui non avrebbe mai creduto possibile vederle
fare. Era stata un'autentica sorpresa. Un po' come quella telefonata di
adesso. "E va bene, dimmi tu dove allora." "Dove stai per ora?" Dopo
che lei gli ha dato l'indirizzo, comincia a pensare a qualche posto carino in
zona in cui non debbano spendere una fortuna per mangiare qualcosa di decente.
Le idee scarseggiano; a un certo punto, decide di cambiare piano
d'azione. "Senti, lascia perdere e fidati di me. C'è un posto vicino a casa
mia dove mangio spesso, anche se è un po' lontano da dove sei tu ne vale la
pena. Passo a prenderti in macchina io per l'una, ok?" "Ok." "Allora a
dopo." "Jess?" "Sì?" "Cerca di essere puntuale." Doveva immaginare che
gliel'avrebbe detto. "Questo è un colpo basso, lo sai?" le dice
ridendo. "Stavo solo mettendo le mani avanti." "Farò del mio meglio."
cerca di rassicurarla. "Non preoccuparti, è tutto quello che ti
chiedo." La telefonata si chiude, e gli ci vuole qualche secondo per
realizzare quello che è appena successo. Lui e Rory. Al telefono. Quando per tre
anni lui ha continuato a chiedere notizie di lei a Luke. Quando dopo la fine
della loro storia c'erano state solo telefonate mute. Quando sembrava che non ci
fosse più nessun legame tra di loro. Si accorge di sentirsi strano. E' una cosa
talmente insolita da sembrargli quasi innaturale. Ma deve ammetterlo. E'
contento. E' contento che per una volta lei abbia supplito alla sua incapacità
di farsi avanti. Si era preparato a non rivederla più dopo l'altra sera, dopo
che aveva perso quell'unica occasione di parlarle di nuovo dopo anni. Ora lei ha
compiuto la mossa che mancava per fare quest'ultima prova: deve tentare.
L'occasione è troppo grande. Deve tentare per sapere se c'è ancora un minimo
rapporto recuperabile. In fondo, è stato così stupido buttare tutto all'aria.
Prima di stare insieme erano amici. E il minimo che potesse accadere di positivo
era che tornassero amici. Soprattutto, che lo facessero di persona, agendo
consapevolmente. Accidenti, erano adulti ormai, il tempo dell'imbarazzo
adolescenziale doveva essere già passato da un pezzo. Solleva lo sguardo e si
dà d'improvviso un'occhiata intorno. Si è accorto che il silenzio è calato
improvvisamente. Osserva con aria sospettosa i suoi amici, uno alla volta,
mentre si rimettono a fare apertamente finta di niente. "Beh? Che c'è? Siete
tutti così invidiosi?" Gli altri ridacchiano, mentre lui si prepara a tornare al
lavoro. "C'è che potresti cacciarti in qualche guaio, amico." gli dice Eddie,
allungandogli un pacco di scartoffie da compilare. "Ho tutto sotto
controllo." risponde, senza problemi. Poi solleva ancora per un attimo lo
sguardo prima di chinarsi sulle carte. "Domani vado a comprarvi dei tappi per
le orecchie. Potrebbero tornarvi inaspettatamente utili la prossima volta che mi
chiama qualcuno." dice, divertito, poi guarda l'orologio. Deve pensare a come
impiegare al meglio quell'ora e mezza senza distrarsi troppo.
nota: la citazione del titolo viene da
"That's All I Ask" di Jeff Buckley. |
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Capitolo 8 *** That Was Just A Dream ***
Detesta ammetterlo. Detesta anche solo pensarci. Ma in
realtà è terribilmente nevrotica. La tensione cresce in modo inevitabile mentre
scende le scale di corsa. Aveva troppa fretta addosso per prendere l'ascensore.
Si sente ridicola, e pensa a quello che direbbe la gente se la potesse vedere in
quel momento. "Sembri una ragazzina al primo appuntamento." Che diamine.
Quello non era un appuntamento. Era solo... solo un incontro programmato. Un
pranzo amichevole. Un'occasione per trovarsi insieme e parlare un po'. Qualsiasi
definizione possibile, insomma, tranne quella di appuntamento. Accidenti,
deve darsi una calmata. È a posto. Si è preparata per un’ora. Non deve andare ad
intervistare un senatore europeo, deve solo uscire con Jess. L’ha fatto per
quasi un anno, in passato. Per di più, non è niente di impegnativo, è solo un
pranzo. È solo perché glielo deve. Non c’è bisogno che stia lì a riflettere su
cosa gli dirà per ringraziarlo. Sa che deve farlo e basta. E sarà meglio per lei
che ci riesca, perché non avrà una terza occasione per poterlo fare. Scende,
finalmente è fuori, sul marciapiede, ad aspettare, ed è riuscita ad essere
puntuale come sempre. Ovviamente, lui non si vede. Ridacchia tra sé. È sempre
stato il suo enorme difetto, quello dei ritardi. L’aveva fatta penare non poco,
e neanche avrebbe potuto contare tutte le volte che aveva maledetto il suo gel e
i suoi capelli.
“Un giorno di questi prendo un paio di forbici, vado
da Luke, salgo in casa senza che lui se ne accorga, mi nascondo dentro l’armadio
e poi di notte esco e glieli riduco in un modo tale che non oserà farsi vedere
in giro per un paio di mesi.” Aveva detto una volta a sua madre, una di
quelle tante sere passate in casa ad aspettarlo. Cosa strana, che le dovesse
sempre capitare di ricordare i suoi difetti peggiori, insieme ai loro problemi
mai risolti. Come se quella storia fosse stata l'elemento più tragico della sua
vita. Al diavolo, non era vero. Era felice con Jess. Sapeva di esserlo, perché
tutte le volte che qualcosa era andato storto e che per l'ennesima volta non ne
avevano potuto parlare, poi lei andava da lui con aria risoluta e decisa ad
arrabbiarsi e a farglielo pesare, ma alla fine non ci riusciva mai. Aveva
qualcosa che l'aveva sempre catturata. Forse era lo sguardo che le riserbava.
Sempre così diverso dalle occhiate che lanciava a chiunque altro. O forse era
per il modo in cui la faceva sentire. Sempre come se fosse sull'orlo di un
abisso. Oltrepassato un certo limite, aveva il terrore di cadere di sotto, e di
non smettere mai di precipitare. Ma se rimaneva in bilico su quell'orlo sottile,
sentiva di essere ancora viva, sentiva che tutto sommato lui era lì a tenerle la
mano per impedirle di cadere, anche se lei era talmente terrorizzata dall'idea
da dimenticarsi quasi che lui fosse lì. La sua stretta alle volte si allentava.
Alle volte era quasi inesistente. Ma c'era sempre stata, almeno fino al giorno
in cui non se n'era andato. Lì probabilmente era davvero precipitata. Non
aveva più avuto un ragazzo per un anno. Un anno intero. Si era sentita
terribilmente sola. Come se tutti la guardassero dall'alto in basso. Come se lei
fosse troppo distante dal resto del mondo. Aveva impiegato tutte le sue energie
per concentrarsi a fondo sullo studio e sul non cadere in depressione, tanto da
trasformarsi completamente. Basta rischi. Basta buttare via la sua vita, basta
infischiarsene di tutti gli altri per poi uscirne come ne era uscita con Jess.
In effetti, non era veramente arrabbiata con lui, avrebbe anche potuto arrivare
a capirlo. Aveva cercato di allontanarlo definitivamente semplicemente perché
non voleva più sentirsi sull'orlo di un precipizio, senza essere sicura che lui
rimanesse a fianco a lei per impedirle di cadere e non se ne andasse di
nuovo. Improvvisamente si sente triste a ripensarci. Sente di essere stata
crudele. Non riesce a capire fino in fondo tutta questa loro incapacità di
comunicare: avrebbe potuto spiegargli le sue ragioni con calma, come era
abituata a fare. Non capisce perché tutto sia dovuto andare in un modo in cui
lei non avrebbe sicuramente voluto che andasse. L'ennesima macchina che
percorre la strada piuttosto trafficata finisce per fermarsi sul ciglio del
marciapiede, esattamente davanti a lei. Il finestrino si abbassa e compare Jess
seduto al posto di guida. Controlla l'orologio: l'una e tre minuti. La cosa la
sorprende non poco. Decide di avvicinarsi. Lui la saluta con un cenno del
capo. "Hey." "Hey." rimane sul bordo del marciapiede, fissando Jess dal
finestrino abbassato. Le suona strano pensare che quello è il suo ex ragazzo.
Non sa perché. "Non sei tanto in ritardo." gli dice, dondolandosi leggermente
con le mani infilate nelle tasche dei jeans. Jess si stringe nelle
spalle. "Potrei anche essere migliorato." le dice. "Non so se ci avrei
scommesso." "Effettivamente, non credo che qualcuno si sarebbe mai azzardato
a farlo." Jess sorride ironicamente. Certo, nessuno avrebbe mai scommesso su di
lui, nemmeno adesso. Il resto della gente di cui non gli importava un bel niente
poteva continuare pure a vederlo come un fallito. Per quanto riguardava lei
invece... lei era stata l'unica che in passato era andata oltre questo ammasso
di apparenze, insieme a Luke. E nonostante tutto aveva cercato di
ricordarglielo, quando era andato da lei per mostrarle il libro. Qualcun altro
gli avrebbe riso in faccia. A lei invece brillavano gli occhi. "Allora...
tutto bene?" "Sì, tutto bene." Lo sguardo di Rory rimane incatenato a
quello di Jess. E per un attimo non riesce a distoglierlo. Le sembra che la
fissi con un'aria insolita, strana eppure familiare, intensa, diretta, e la
colpisce, la blocca, come faceva quando la osservava dal bancone di Luke, o
dall'altra parte della strada, quando lei gli passava davanti con
Dean... "Rory?" "Uh?" "Non sono venuto in macchina per fermarmi qui a
consumare la benzina." "Oh, sì, certo, scusami." Si riscuote, con gesti
rapidi si avvicina, apre la portiera, si infila nell'auto e si allaccia la
cintura. Si gira, e vede che Jess la guarda con un sorrisetto divertito. "Non
volevo metterti tutta questa fretta." Lei gli restituisce un sorriso
imbarazzato. "Figurati, è solo che..." "Tranquilla, non ti sto portando al
patibolo." Gli scocca un'occhiata in tralice. E' così maledettamente sicuro di
sé. Ha un'espressione serena, da lui non traspare nessun turbamento, nessun
senso di straniamento, o di nervosismo, e lei intanto si arrovella il cervello
chiedendosi perché non è capace di fingere, di nascondere, di mascherare tutto
questo scompiglio che la situazione le ha causato. "Allora, posso partire con
l'interrogatorio?" le chiede lui. "Che cosa vuoi sapere?" "Prima di tutto,
che cosa ci fai qui." Non sarebbe credibile se non glielo credesse. Deve fingere
al meglio per cercare di scordarsi il mesto fallimento dell'altra sera. "Oh,
beh, sai, sono tornata a Stars Hollow dopo tantissimo tempo, sono andata a
trovare Lane, abbiamo parlato, abbiamo guardato un sacco di-- beh, non ha
importanza-- e poi lei mi ha detto che sarebbe andata in tournee con il suo
gruppo, sai, hanno fatto strada ultimamente, parecchia strada a dire il vero, e
volevano farsi conoscere un po' fuori dalla zona, e quindi mi sono chiesta
perché non potessi prendermi una vacanza, sai, ormai non ho molto tempo per
andare in vacanza, e quindi ci ho pensato, e alla fine ho deciso che non era poi
così male come idea, ho fatto le valigie e sono partita con loro su un pullmino
sgangherato, come in Almost Famous, e la tournee comprendeva anche
Philadelphia, e quindi eccomi qui."
"Stai
farneticando."
Senza pensarci due volte, fa di tutto per cacciare via
quella vocina dalla sua testa. Non è vero niente. Non è vero. Se si impegna, può
riuscire ad essere perfettamente calma.
"Parla più piano" si dice,
poi torna a guardare la strada. "Wow. E come hai trovato il numero? Luke
ultimamente va in giro a distribuire informazioni su di me a tutti?" lei
ride. "No, no. Anche se... oddio, forse avrei fatto prima a chiamare Luke e a
chiederlo a lui, il numero." "Perché, cos'è successo? Non dirmi che sei
andata alla polizia!" "No, ma l'unica cosa che mi è venuta in mente è stato
chiedere un elenco telefonico in albergo e cercare il tuo numero di casa, ma il
tuo numero di casa a dire il vero non c'era, e allora non sapevo più cosa fare,
e poi mi sono ricordata che tu mi avevi detto che lavoravi in una stamperia, e
ho pensato che se tanto stavano aspettando il seguito del tuo libro avrebbero
ancora tue notizie, e allora ho guardato i numeri delle stamperie, ovviamente
eliminando quelle che mi sembravano troppo grandi, poi ho fatto un po' di
telefonate e sono riuscita a rintracciarti."
"Con calma, parla con
calma."
"In effetti, credo che Lane mi odierà quando le porteranno
il conto delle telefonate." "Non ci hai azzeccato proprio subito,
allora." "No, direi che non ho mai avuto fortuna in questo genere di cose.
Arrivata a un certo punto avevo paura che qualcuno mi sbattesse il telefono in
faccia." "Se gli facevi dei discorsi così avvincenti..." "Ehi, questo è un
colpo basso." dice, squadrandolo con aria fintamente truce. Lui sorride e la
guarda di rimando. "Lo so. Ma eri divertente." "Non sarei altrettanto
divertente se finissimo spiaccicati contro un palo della luce." Jess riporta gli
occhi sulla strada, scuotendo la testa. Lei e quella sua fissa del guardare
davanti quando si guida. Effettivamente, però, ripensandoci non aveva tutti i
torti. La prima volta che l'aveva portata a fare un giro in macchina ne era
uscita con un braccio rotto. "Gli incidenti non sono
divertenti." "Scherzi. Con tutto quel sangue." "E tutta quella gente che
ti si accalca intorno impedendoti di arrivare all'ambulanza piuttosto per
mettersi a ficcare il naso." "I tuoi rapporti con le masse non sono
migliorati affatto." scherza lei, toccando un tasto piuttosto dolente. "Direi
per niente, anzi." conferma lui. "Ma ora hai un pubblico di lettori, se
qualcuno ti indica per strada strillando e poi ti ferma e ti chiede un autografo
non puoi demoralizzarlo con una delle tue battute!" "Molto semplicemente, non
rilascio autografi." "Non ci posso credere. Hai scritto un libro e non
rilasci autografi?!" "Esattamente, e per di più la mia faccia non è
conosciuta se non da una ristretta cerchia di persone." "Ma così nessuno ti
potrà mai fermare per strada urlando e farti i complimenti per il tuo
libro!" "Non è il genere di popolarità a cui aspiro." "Ma Jess, il libro è
bello. Sul serio. Non dirmi che non ti fa piacere sentirtelo dire." "Dipende
esclusivamente da chi me lo dice." La gola gli si stringe. Perché gli è uscita
quella frase? No, non va bene. Così si sta allargando troppo. Deve fare marcia
indietro e tornare sul terreno neutrale. "Voglio dire, se una ragazzina
isterica sul punto di svenire venisse a tessermi le lodi del mio libro, non
morirei dalla voglia di sentire la sua opinione." Una piccola, microscopica
pausa, quasi insignificante. Una pausa in cui aveva sentito che la tensione
cominciava a risalirle lungo lo stomaco. Era stata una pausa di poco conto,
magari doveva soltanto concentrarsi sulla strada. Magari aveva spezzato il
discorso per un attimo senza motivo. Non era più l’epoca dei complimenti velati,
di quelle frasi apparentemente buttate a caso che erano riuscite a farle
decidere di marinare la scuola e prendere un autobus per New York, riuscendo
clamorosamente a mancare al diploma di sua madre. “Sarebbe comunque un tuo
dovere.” dice, tentando di riprendere il discorso. “Ma io non sono uno
scrittore affermato.” “Questo non toglie che tu sia un bravo
scrittore.” “Ma l’hai letto davvero il mio libro?” le dice lui, sorridendo.
Rory lo guarda con aria scettica. “Potrei citarti i passi più belli a
memoria.” Jess scoppia a ridere. “Oh, davvero? Rory, guarda che io non sono
Ginsberg!” “Che importa.” ribadisce lei, quasi offesa. Rideva di lei. Della
sua ingenuità. Della sua incapacità di distacco. Accidenti, ma l’ha sempre
fatto. Perché adesso deve sentirsi così per quell’affermazione evidentemente
improntata sullo scherzo? “Guarda, il posto è quello lì.” Richiama la sua
attenzione dandole un colpetto sul braccio. Invece di guardare fuori dal
parabrezza, si ferma inebetita ad osservare per qualche secondo la sua mano che
si riposa sul cambio.
“Adesso basta” si dice, decisa a comportarsi
normalmente. “Sembra carino.” dice, osservando finalmente il locale che Jess
le ha indicato. “In genere il cibo è meglio che da altre parti, tranne quando
il cuoco è di cattivo umore.” Lei sorride. “Mi ricorda qualcuno.” “Già,
credo che dovrei farli mettere in società, lui e Luke. Farebbero un gran
bell’affare. Sperando ovviamente che i loro giorni di cattivo umore non
coincidano mai.” Jess parcheggia con disinvoltura davanti al ristorante, una
casupola bassa, di dimensioni modeste, ma con un paio di aiuole intorno e l’aria
curata. Casa sua è proprio dietro l’angolo, eppure ci ha messo un po’ prima di
notarlo. Dopo, ha cominciato a venire lì talmente spesso che qualche volta,
mentre scriveva il suo libro, gli hanno anche permesso di rimanere lì delle ore
a buttare giù un sacco di appunti disordinati. Ci aveva messo parecchio a
riordinare le idee e a decidere su che cosa volesse concentrarsi. Non aveva mai
detto a nessuno però che mentre cercava di incanalare la sua vena creativa in
una direzione precisa protestando perché pretendeva che al juke box mettessero i
Clash e non quella robaccia, aveva spesso pensato alla possibile espressione di
Rory se mai le fosse capitato di trovarsi di fronte all’opera completa. Alla
fine, quel libro era stato anche un po’ l’elemento di pacificazione tra loro.
Aveva sancito, per lo meno, la fine del rancore, dei litigi, aveva allontanato
quell’orribile ricordo di quel giorno a New Haven. E, ripensandoci dopo essere
stato ad Hartford a trovarla, aveva concluso che forse aveva davvero fatto bene
a mettersi seduto a un tavolo a scrivere un libro.
*** “Cos’hanno di
buono?” Che razza di stupida. È lì con Jess, l’unica occasione che ha di
rivederlo dopo anni e sapendo che poi non lo rivedrà per altro tempo, e tutto
quello che sa fare è tirare fuori queste maledette frasi banali. “Beh, fanno
degli hamburger più che decenti, con molta, molta roba sopra-- se hai parecchia
fame per te è l’ideale, sempre che tu non abbia perso il tuo appetito.” “Mi
prendi in giro per caso?” dice lei, allungandogli un pugno sul gomito. “Non
mi permetterei mai, finiresti per sbranare anche me.” “Ti avviso, non ho
problemi a diventare improvvisamente cannibale.” “Allora sarebbe meglio che
cambiassi tavolo. Cosa ne dici, vado a sedermi vicino al tizio nevrotico con gli
occhiali o uso quella vecchietta là in fondo per farmi da scudo umano?” Rory
ride, come non rideva da mesi. Sarà colpa del troppo stress dei suoi ritmi
lavorativi. O della mancanza che ha sentito per un buon caffè negli ultimi posti
in cui è stata. “Cerca di rendermi piacevole il pranzo, e vedrò di non
divorarti.” si guardano, lui inarca il sopracciglio. “Qualche
suggerimento?” “Potresti dirmi se il caffè qui è buono.” “Sì, non è
male.” “Perfetto. Mi serve assolutamente un buon caffè. Ultimamente quelli
che ho bevuto erano tutti disgustosi.” Rory annuisce soddisfatta. Si guarda
intorno un attimo, ma si sente addosso gli occhi di Jess e, come per una sorta
di attrazione magnetica, è costretta a voltarsi di nuovo verso di
lui. “Immagino che non sia tutto qui.” le dice, con un’occhiata complice in
cui lei si perde. È la paura che la fa riemergere. La paura di quello che le sta
succedendo. Le sembra di aver perso ogni minima quantità di
autocontrollo. “Oh, beh, se preferisci potrei passare al mio turno di
interrogatorio.” “Ma io non avevo ancora finito!” protesta Jess,
ridendo. “Colpa tua. Ormai il tempo è scaduto. Tocca a me.” insiste
lei. “Se ci tieni tanto… prego.” Ecco. Ora si rende conto che non sa
assolutamente da dove cominciare. “Beh, tanto per cominciare… sei più tornato
a Stars Hollow qualche volta?” Jess corruga un momento la fronte prima di
risponderle. Non si aspettava quel genere di domanda. Si era già preparato a
rispondere a quesiti più generici e abituali. E per un attimo, gli sorge
spontaneo chiedersi il perché, e pensare di chiederlo a Rory. Ma decide di stare
al gioco. In fondo, stanno facendo finta di parlare con naturalezza di quello
che hanno fatto in tutto il tempo in cui non si sono mai visti né sentiti. E se
non giocassero secondo quelle regole, quel momento, lì, nel ristorante, loro due
insieme, da soli, dopo così tanti anni, suonerebbe troppo strano per funzionare.
Meglio che funzioni invece. “Allora, credo di essere tornato un paio di volte
in due mesi appena Emily era nata, Luke addirittura all’inizio aveva paura di
farmela tenere in braccio, da non credere…” Rory ride, divertita. “Sì, anche
mia madre quando era in ospedale e io sono arrivata voleva che prima di toccarla
mi decontaminassi in una camera asettica. Continuava a farmi discorsi su quanti
batteri mi si attaccano addosso tutte le volte che viaggio in aereo. E quindi,
dato che ero appena tornata dall’aeroporto di Hartford, non ne voleva sapere.”
Anche Jess ride. E Rory si accorge che le brillano gli occhi a vederlo ridere. È
così contenta che sia felice, sereno, che non abbia più dentro di sé quel
tormento aspro che gli dava quasi sempre quell’aria cupa quando viveva a Stars
Hollow. Soffriva sempre tanto per lui, quando lo vedeva triste o arrabbiato. E
si accorgeva di soffrire il doppio quando realizzava di non sapere come poteva
consolarlo senza farlo arrabbiare ancora di più. Alle volte era difficile
amarlo. “Scusami, vai avanti.” gli dice, accorgendosi di averlo
interrotto. “Figurati. Poi credo di essere andato a trovarla altre tre o
quattro volte… una volta per il suo compleanno, anche se sono riuscito ad andare
solo con una settimana di ritardo e credo che Luke me la farà pagare a
vita…” “Oh, sì, me lo ricordo bene. Io e mamma volevamo origliare una delle
vostre telefonate per sentire che cosa ti avrebbe detto. Poi però lui ci ha
scoperte e ci ha cacciate via.” Ridono ancora, insieme, come avevano fatto
diverse volte in passato. Quelle sane risate intelligenti che riusciva a fare
solo con lui. “I geni del ficcanaso arrivano direttamente dall’eredità di tua
nonna, suppongo.” “Oh, sì, ci potrei giurare.” “Comunque, in teoria sarei
dovuto andare qualche altra volta in questo periodo… ma in cinque mesi sono
sempre stato pieno di lavoro e non sono mai riuscito a liberarmi.” “Sei
diventato un uomo impegnato.” “Purtroppo sì, ma mi sono trovato una bella
casa in questa zona e ho intenzione di comprarmela, prima o poi. Alla lunga gli
affitti costano.” “Anche gli alberghi.” “Probabilmente di più.” “Sì,
per fortuna di solito non passo mai più di due settimane nello stesso
posto.” “Beh, allora sei impegnata anche tu.” “Sì, parecchio. Ed è anche
per questo che io…” Ecco, non riesce a finire la frase che arriva la
cameriera con gli hamburger. Dannazione. Sembra che tutta la sfortuna del mondo
sia stata attirata su di lei in quei giorni. Rimane a guardare l’hamburger
per diversi secondi senza dire niente. “Hai deciso sul serio di darti al
cannibalismo?” Rory solleva lo sguardo, spiazzata. “Oh, no, penso… che
cambierò idea. Non ho tanta voglia di mangiarmi anche la vecchietta. È troppo
stagionata per i miei gusti.” Jess ride di gusto. Poi inizia ad affettare
l’hamburger, e vede che Rory lo segue a ruota. Mettono in bocca il primo
pezzo e alzano lo sguardo mentre masticano in contemporanea. Si fissano negli
occhi e quasi scoppiano a ridere tutti e due. Ed è così strano. Jess non è
cambiato molto, in fondo. Ha solo l’aria più adulta, un diverso taglio di
capelli, ed è uno scrittore. Ma rivede il suo viso sereno e si sente allargare
il cuore. Anche se non le ha detto niente di quello che fa ora, del perché non
ha problemi, di chi ha contribuito a fargli dimenticare quello che lei gli ha
fatto passare. Rory non riesce a definire la situazione. Ci ha provato, ci ha
pensato fino allo stremo, ma non ne ha idea. Non può saperlo, è al di là delle
sue facoltà di previsione del futuro. Non stanno insieme, questo è ovvio. Non si
odiano, ormai lo stato dell’ostilità l’hanno superato, se così si può dire,
anche se non ne hanno esattamente parlato. Non si possono definire amici, dato
che per tre anni non si sono mai parlati, e la prima volta che si sono visti tre
anni fa non si erano più parlati per un anno e mezzo, e si erano separati in
modo decisamente brusco e poco amichevole. Ora invece stanno seduti in un
ristorante di Philadelphia a parlare in modo gentile, divertendosi e scherzando
insieme. È assurdo che le sembri così anomalo. In fondo, prima di mettersi
insieme erano amici. Lo erano. Per forza. Altrimenti cosa erano? “Sai” dice,
spezzando il silenzio- “è strano che non ci siamo mai beccati a Stars Hollow. In
fondo, io torno una volta al mese, di solito.” “Sarà che il destino non è
dalla nostra parte.” scherza lui, noncurante. Per poco Rory non scuote la testa.
Conosce tutti i modi migliori per sviare un discorso. “Già… altrimenti non
avrei dovuto ridurmi a chiamare dodici stamperie.” “E io non avrei dovuto
ridurmi ad aspettare la tua telefonata.” “Beh, non pretendevo che tu avessi
poteri di veggenza.” Accidenti. Deve stare attento a quello che dice.
Probabilmente è ancora più vigliacco non ammetterlo con lei. Ma se non lo saprà
mai eviterà di ripensare troppo spesso di essersi ridotto a prendere una
decisione e poi pentirsene, e per di più per una persona che non vedeva da tre
anni. "In effetti, non credo di potermi autodefinire un supereroe." "Hai
fatto comunque qualcosa per qualcun altro ogni tanto." "E infatti hanno
deciso di dedicarmi un monumento nella piazza di Stars
Hollow." "Jess!" "Probabilmente ho aiutato Luke ad avere un servizio più
veloce ai tavoli del suo locale per i due anni in cui ci ho lavorato. Anche se
non ci giurerei, probabilmente se la cava meglio da
solo." "Jess..." "...ho riparato il tetto di casa vostra, certo, quella è
stata di sicuro un'azione molto nobile. E poi ti ho aiutato a ritrovare il
braccialetto di Dean, anche se, è vero, in realtà ce l'avevo io." Rory sgrana
gli occhi, osservandolo stupita. "Veramente ce l'avevi tu?" Lui inarca un
sopracciglio. "Non dirmi che non l'avevi sospettato." "No, davvero, io
non..." "Beh, se vuoi vederla in altri termini, ho impedito che tu lo
perdessi. Ti era caduto sul ponte il giorno dell'asta dei cestini, quel giorno
in cui io mi sono divertito così tanto a umiliare il tuo ragazzo"- mentre lo
dice esibisce un sorrisetto di soddisfazione leggermente maligna che non riesce
proprio a reprimere- "e poi quando l'ho visto per terra l'ho raccolto e me lo
sono messo in tasca." Rory lo guarda con un sorriso represso a metà. E'
contento di vedere che riesce ancora a farla ridere. Erano quei momenti in cui
non si sentiva un fallito, quando la guardava e vedeva che tutto sommato lei
sembrava contenta di trascorrere del tempo insieme a lui. E si diceva che forse
era comunque arrivato a qualcosa. "Poi, vediamo, ti ho offerto una cena per
dodici persone sgraffignata direttamente dalle riserve di Luke, anche se avevo
tutto l'interesse nel farlo--" "Sai, non avrei mai sospettato neanche
questo." "Allora eri proprio cieca." "Oh, beh, non avrei mai pensato
che... sì, eri gentile con me mentre con tutti gli altri eri intrattabile, e
credimi, questo non poteva che farmi piacere..." "...allora avevi
capito." "Dopo quel giorno ho iniziato a sospettare fortemente, diciamo. Ma
senza rendermene conto davvero fino a un certo punto." "Sei sempre stata
troppo modesta e con troppo senso del dovere." Lei sorride. Si rende conto che
in quel momento non c'è imbarazzo, né tensione. Eppure, non stanno semplicemente
rivangando i vecchi tempi in modo freddo e distaccato. Ne parlano con una certa
allegria nostalgica che in lei non stenta a riconoscere e che le sembra di
avvertire anche nei sorrisi fugaci di Jess. "Magari ho semplicemente deciso
di fare finta di niente." "Fingevi bene, allora." "Quando voglio ne sono
capace." Non esattamente ogni volta che lo vuole, però. "Comunque, credo
di averti fatto il più grande favore della tua vita quando ti ho salvato
dall'irrigatore." Lei per un attimo abbassa lo sguardo e si morde il labbro,
tentando di calmarsi, poi lo rialza e si accorge che sta esattamente rivivendo
quel momento. Gli sguardi così intensi che si erano scambiati, la conversazione
su un tono neutrale, le solite domande di rito pronunciate con tono vagamente
allusivo, gli sforzi per mantenere un'aria tranquilla e distaccata, la
sensazione che il tempo non fosse mai passato... Abbassa gli occhi di nuovo.
La tensione è troppo forte in quel momento per poterla sostenere. "Sai, in
realtà il favore più grande non me l'hai fatto bagnandoti completamente da capo
a piedi... me l'hai fatto quando sei venuto ad Hartford." "Perché ti ho dato
una copia del libro gratis?" Dannazione alla sua dannata ironia. "Perché mi
hai fatto tornare a scuola, stupido" dice, con forza, alzando lo sguardo e
fissandolo con determinazione, pronta a non farsi sfuggire un suo singolo
movimento. Jess la guarda per un po', serio in volto. La guarda e riesce solo
a pensare a quanto sia stupenda in quel momento. Ha ritrovato qualcosa che aveva
perso tanto tempo fa: la sua Rory. La Rory diciassettenne che era riuscito,
forse, a far innamorare, e che aveva fatto seriamente innamorare lui di lei. Una
Rory che non aveva più creduto possibile ritrovare: ormai usciva con i
miliardari, spassandosela con ragazzi che guidano le porsche. Viveva un'altra
vita in un altro mondo. E ora è lì, seduta di fronte a lui, è sparito tutto,
l'aria altezzosa, quella da ricca ragazzina viziata, quella da adulta distante.
E' soltanto la sua Rory. Quella che non credeva più di poter riavere. E per un
attimo non gliene frega di capire che cosa sono lì a fare, se sono amici o meno,
se potranno ritornare ad esserlo o meno. Sorride quasi impercettibilmente,
gettando un'occhiata oltre il vetro della finestra alla sua sinistra. Poi lo
sguardo torna su di lei. "Senti... ti va di vedere la casa? Non è
grandissima, ma c'è abbastanza spazio per starci in piedi in due." Eccolo, di
nuovo con i suoi bruschi cambi di argomento. "Sì, certo." risponde di getto,
senza averci pensato, senza essersi presa una piccola, microscopica pausa per
rifletterci. Sta decisamente impazzendo. "Va bene. Allora
andiamo." Pagano, e si avviano all'uscita senza dire più una parola. Il
momento di riflessione è doveroso in queste condizioni, pensa Rory con ironia.
Poco prima, non poteva giurarlo, ma le era sembrato che lo sguardo di Jess
quando lo aveva ringraziato in quel modo contorto si fosse improvvisamente
illuminato. Non sapeva perché. Non credeva di poterlo capire. E in fondo, lui
non gliel'avrebbe mai detto. Non aveva mai creduto davvero di potergli tirare
fuori tutto quello che gli passava per la testa, neanche quando stavano insieme.
Aveva sempre tenuto una buona dose dei suoi pensieri soltanto per sé, senza
condividerli con nessuno. E forse questa era una delle tante cose che l'aveva
affascinata di lui: la sua riflessività enigmatica, quel non capire mai davvero
che cosa gli passasse per la testa, quell'ansia nel provare ad indovinarlo ogni
volta. E ora basta. Lo spettacolo deve continuare. Salirà in casa sua, vedrà
l'appartamento, e riprenderanno i loro divertenti e neutrali discorsi, in cui
niente deve essere preso sul serio, in cui non si deve mai eccedere, in cui non
sono ammesse le interpretazioni oscure. Tutto si svolge alla luce del sole,
anche se forse è solo un bellissimo sogno.
nota: la citazione del titolo viene da "Losing My Religion" dei R.E.M. |
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Capitolo 9 *** What Went Wrong ***
"Promettimi di non prendermi in giro." "Lo prometto,
a meno che non mi sia proprio impossibile trattenermi." "Questa non è una
promessa." "Ah no?" "Esatto." risponde lui fermandosi su uno degli ultimi
gradini e voltandosi verso di lei. "O accetti le condizioni o ti lascio fuori di
casa." le dice guardandola con aria decisa. Con un timido sorriso lei si perde
di nuovo nei suoi occhi. "Senza nessuno a farmi compagnia?" "Certo. Al
massimo posso ti passo un libro da sotto la porta, oppure facciamo conversazione
da una parte all'altra del muro." "Se non sbaglio mi hai invitata per vedere
la casa, non per ammirare soltanto la porta d'ingresso." «Allora potrei
scattare delle foto e passarti quelle da sotto la porta.» Le sorride
fuggevolmente un’ultima volta, poi si gira e sale gli ultimi gradini. Lei lo
segue, mentre ride silenziosamente e scuote la testa. Le è sempre piaciuto
conversare con lui, costruire quei dialoghi interminabili fatti di rapide botte
e risposte, intrisi di una forte carica ironica, quasi una sfida d’intelligenza.
Ricorda il giorno in cui l’ha conosciuto: uno strano ragazzo di poche parole che
le aveva da subito dato l’impressione di essere circondato da un’aura di grande
potenziale intellettivo. Era uno sicuro di sé, uno che dava l’aria di avere un
carattere forte e schivo allo stesso tempo. Sembrava essere uno a cui non
importava andare d’accordo con tutti, uno nella cui cerchia rientrava soltanto
un ristretto numero di persone che lui considerasse degne di stima da parte sua.
Non che si desse delle arie di superiorità; non l’aveva mai fatto. Ma lui era
diverso. Lui non apparteneva a quella cittadina ottusa. Non era nato e cresciuto
in una campana di vetro. Quando aveva scoperto che leggeva così tanto per lei
era stato un vero colpo. Finalmente qualcuno che la capiva, che capiva che cosa
volesse dire appassionarsi ai libri. Finalmente qualcuno che non si annoiava a
sentirla parlarne e che non la guardava come se venisse da un altro pianeta solo
perché divorava quantità industriali di libri ogni anno. Lui aveva capito e
apprezzato una delle sue parti migliori. Era qualcosa che non poteva facilmente
svalutare. «Allora, mi fai entrare?» gli chiede, avvicinandoglisi mentre lui
armeggia con la serratura. «Solo se prometti di non
fiatare.» «Perché?» «Ho fatto un enorme castello di carte sul tavolo, e ti
sarei grata se non me lo facessi crollare.» «Va bene, non fiaterò.» La
serratura scatta. Jess gira la maniglia e spinge in avanti la porta. Movimenti
così meccanici e ripetitivi che ora sembrano aver assunto l’aria di un insolito
rituale. Mette un piede e poi un altro dentro casa e cerca l’interruttore sulla
parete per illuminare la stanza. Si gira a cercare Rory, si sofferma sul suo
sguardo incuriosito, che a poco a poco si fa meravigliato. La vede entrare in
casa sua senza dire una parola. «Non era vero che avevi un castello di carte
sul tavolo, bugiardo» gli dice lei, guardandolo e scoppiando a ridere mentre gli
allunga un colpetto sul braccio. «Beh, era solo un trucco per farti stare
zitta.» Lei gli lancia un’occhiata truce. «Sai com’è, non è facile riabituarsi a
sentirti parlare per così tanto tempo di seguito. Avrei dovuto riassumerti a
piccole dosi.» «La prossima volta ti iscriverò a un corso preparatorio.» Jess
abbozza un sorriso mentre la osserva percorrere la stanza, fare un giro intorno
al tavolo, fermarsi vicino all’angolo della cucina e dirigersi poi verso il
divano e la libreria. «Posso arrogarmi il diritto di rubartene uno?» dice
lei, scorrendo i titoli dei libri con attenzione. «E con quale
motivazione?» «Beh, se non ricordo male la prima volta sei stato tu a rubare
un mio libro.» «Ma poi te l’ho ridato.» «Questo non vuol dire che tu non
me l’abbia rubato.» «Se te l’avessi davvero voluto rubare non te l’avrei
restituito.» «Ah, allora era solo una strategia per attaccare
bottone.» «Non avevo bisogno di scendere così in basso» risponde lui,
ridendo. Lei continua ad osservare la sua collezione. «Posso vedere la tua
stanza?» gli chiede poi improvvisamente. «Non aspettarti il letto a
baldacchino.» le risponde lui, ironico. Poi le fa un cenno con il capo, e la
guida nell'altra stanza della casa. Non c’è molto lì dentro. Un armadio, uno
scrittoio, un’altra libreria più piccola, un sacco di pile di cd. Eppure, ha
un'aria piacevolmente vissuta. «Sai che ti invidio decisamente?» gli dice
lei, voltandosi di nuovo a guardarlo. Lui la squadra
sorpreso. «Perché?» «Praticamente non ho una casa. Sono sempre in giro,
mai in un posto fisso. Non posso portarmi dietro neanche la metà di tutti i tuoi
cd, per non parlare dei libri. Sono tutti accumulati in scatoloni enormi che
ingombrano la mia vecchia camera di Stars Hollow.» Una strana malinconia la
sta assalendo. Jess la osserva abbassare le spalle, lasciando ricadere le
braccia lungo i fianchi. Forse un tempo le si sarebbe avvicinato cingendola con
le braccia e le avrebbe sfiorato il naso con il suo, tentando di farla
sorridere. In quel momento, invece, può soltanto parlarle tenendosi a debita
distanza. «Probabilmente non ci crederai, ma potrei dire che ti capisco.»
comincia, facendo vagare lo sguardo nella stanza. «Quando mi sono trasferito per
la prima volta a Stars Hollow mi sono dovuto arrangiare a portarmi dietro
soltanto un sacco pieno di roba. E non era certo tutta la mia roba. Poi non ho
avuto molta tregua. Avanti e indietro da New York, poi la California, poi ancora
New York… diciamo che adesso che sto qui spero di essermi sistemato
definitivamente. Non riuscirei più a impacchettare tutti questi libri, e non ho
intenzione di lasciarli in eredità a qualcuno.» L’abbozzo di un sorriso le si
disegna sul volto. Forse qualcosa è riuscito a fare. «E comunque, hai una
famiglia da cui andare.» «Già. Mia madre non ha mai smantellato la mia
stanza. È sempre lì. Ogni volta che torno, devo solo disfare le
valigie.» «Non credo che tua madre butterebbe mai via qualcosa di
tuo.» «Fosse per lei non butterebbe via neanche i vestiti che non tocca più
da anni!» «Sarà che è affezionata ai tarli. Può darsi che le tengano
compagnia.» «Sì, probabilmente ci parla di notte mentre Emily dorme.» Lui
sorride. «Emily prenderà delle brutte abitudini.» «Ci puoi giurare. Chissà
quanto litigheranno Luke e la mamma per decidere come tirarla
su.» «Parecchio, da quello che ho potuto vedere. Luke pretende che non mangi
caramelle e altre schifezze del genere, e tua madre un giorno mi ha confessato
che avrebbe voglia di metterle il caffè nel biberon solo per fargli un
dispetto.» Entrambi scuotono la testa. È così strano, ora, fare parte della
stessa famiglia, trovarsi a condividere esperienze e ricordi che li uniscono in
un modo nuovo e diverso. «Però devono divertirsi parecchio.» «Questo
sicuramente. Mi piacerebbe poterne vedere di più di scene del
genere.» «Adesso non arriverai a dirmi che rimpiangi Stars Hollow.» Jess le
esibisce un ghigno. «Non mi azzarderei mai.» «Ci avrei giurato.» «Io su
di te invece non ci giurerei.» «Sì, ok… alle volte mi mancano. Voglio dire,
sono contenta di quello che faccio… è solo che…» «E’ normale, Rory.» Lei lo
guarda con gratitudine, poi sembra improvvisamente incuriosirsi. «Sicuro che
non ti manca niente?» «Niente, a parte gli irrigatori.» Lei ride. Lui si
accorge che quell’allusione potrebbe essere fraintesa. «Non ci sono molti
giardini qui.» corregge il tiro. Rory annuisce lentamente. Poi si siede sul
letto, con uno dei suoi libri in mano. Mentre lo sfoglia, Jess la osserva. Il
modo in cui scosta le pagine, in cui si aggiusta i capelli dietro l’orecchio, in
cui scorre con gli occhi sul testo riga dopo riga... il modo in cui gli fa
ricordare così tante cose d'improvviso... Squilla il telefono. Per un attimo
rimane immobile. Forse dovrebbe rispondere. «Scusa un attimo.» Rory lo
osserva con curiosità mentre si avvicina al comodino, solleva la cornetta del
cordless, preme un tasto e risponde. «Pronto?» lo sente dire, e lei lo fissa
con aria interrogativa reclinando la testa su una spalla. «Oh ciao.» Ha
sorriso, salutando come se parlasse con qualcuno che non sentiva da un po’ di
tempo, o che per lo meno non si aspettava che chiamasse. «No, non stavo
facendo niente di particolare.» Lo osserva ridere. «No, non mi hai disturbato,
davvero.» Parla in tono confidenziale, scherzoso. Magari è un vecchio
amico. «Beh, se devo essere sincero non mi ricordo esattamente quando ci
siamo visti l’ultima volta.» Lo osserva fare qualche passo verso la porta che
divide la camera dalla stanza d’ingresso. Forse non vuole che lei ascolti. Forse
è una telefonata personale. Forse deve parlare di cose private. Forse… «Non
lo so, dovrei guardare.» Lo sente dire, mentre si allontana con apparente
noncuranza. Poi ride leggermente. «Sì, lo so che sono sempre impegnato. Dovrò
pure pagarmi l’affitto in qualche modo.» Forse è una donna. «Me lo segnerò
da qualche parte. Sì, d’accordo, ci penserò. Poi ti faccio sapere.» Rory
sposta lo sguardo sulla parete. È bianca, vuota, e il suo sguardo si fa vacuo,
offuscato da un velo, e qualcosa le blocca la gola, e la mente. Non vuole più
pensare. Non vuole più pronunciare un solo suono. Si rende conto che non
vorrebbe mai essere venuta lì per sentire quella telefonata. Si rende conto che
in quel momento si sente una stupida. Quando lui rientra in camera ha
solamente il coraggio di gettargli un’occhiata di sfuggita. «Scusami,
evidentemente oggi sono molto richiesto.» Le scappa un sorrisetto
amaro. «Allora ho avuto fortuna a prenotarti per prima.» Lo sguardo di Jess
saetta verso di lei, e la squadra con aria interrogativa per un lungo
secondo. «Mi dispiace se ti ho trascurata per qualche secondo.» le dice, in
tono scherzoso. «Hai anche tu i tuoi affari da sbrigare, perché ti ritieni in
dovere di giustificarti con me?» Letteralmente si è espressa con la massima
educazione possibile, ma prima che potesse frenarsi si rende conto di aver
pronunciato quella frase con un sarcasmo non poco tagliente. Jess la osserva con
un sincero sconcerto di fronte a quella reazione irrisoria. «Invece a quanto
pare sembra che tu senta il bisogno del mio massimo
risentimento.» «Perché?» «Perché mi stai rispondendo come se ti avessero
appena rovesciato addosso un caffè.» «Nessuno mi ha rovesciato addosso un
caffè.» «Era un modo di dire, Rory.» «Sì, lo so.» «E allora, spiegami
perché sei così irritata da non riuscire più neanche a cogliere
l’ironia.» «Non dire sciocchezze.» «E tu non prendermi in giro.» Jess
incrocia le braccia, esasperato. Fissa gli occhi su di lei con aria di sfida, e
vede che Rory non riesce a sostenere il suo sguardo. È impossibile. È assurdo.
Dopo tutti questi anni passati cercando di non pensarle troppo. Incredibile, non
può davvero essere gelosa. Ora, così, d’improvviso, quando fino alla sera prima
non si sarebbe mai aspettato di rivederla, quando fino a quella mattina non si
sarebbe mai aspettato di sentire la sua voce, di venire a sapere che aveva fatto
una decina di telefonate inutili per rintracciarlo, che voleva invitarlo fuori a
pranzo solo per poterlo vedere. Non è possibile. Non è vero niente. «Mi
spieghi perché la cosa ti infastidisce?» «Non capisco di che cosa parli.»
sbotta lei. Incredibile. È davvero stupida. Non solo è riuscita a lasciare che
questa situazione la irritasse, ma ha anche dimostrato una bravura impeccabile
nel farlo trasparire. Inutile, non è mai stata brava a fingere. «Senti, se
non avessi voluto che rispondessi al telefono, sarebbe stato meglio specificarlo
prima.» Infuriata, Rory gli lancia un’occhiata gelida. «Non ho nessun
problema con il telefono, io.» risponde lei, spostandoci sopra lo sguardo. Jess
la squadra con un’occhiata critica. «Certo che no, lo stai fissando come se
volessi incenerirlo con lo sguardo.» Rory stacca immediatamente gli occhi dal
cordless, li riporta su Jess e poi li fissa sul pavimento. «Non ce l’ho con
il telefono.» «Se vuoi ti do il permesso di picchiarlo, magari così ti
sfoghi.» «Jess!» «Dimmi.» «Smettila.» «Ma io non sto facendo
niente.» «Non direi.» «Che cosa ho fatto, Rory, ho intrattenuto una
persona al telefono rubandoti trenta secondi del tuo preziosissimo
tempo?» «Non ti ho detto che mi ha dato fastidio che tu abbia
risposto.» «E allora, spiegami in base a quale agente atmosferico il tuo
umore è cambiato improvvisamente.» «Ah, è inutile.» sbotta lei, voltandosi
verso la parete bianca. Completamente bianca. Cerca un punto di fuga su quella
parete. Vorrebbe non trovarsi lì, a fronteggiare quella rabbia improvvisa che
l’ha travolta senza spiegazione, e che continua a confonderla e a pressarla
perché trovi una spiegazione razionale a quella rabbia, che invece pare non
esserci. Deve pensarci. Deve capire. Non è possibile che sia tutto
immotivato. Jess la guarda in silenzio, mentre lei cerca di evitare il suo
sguardo. Rory incontra i suoi occhi per un solo, breve attimo. E rimane
bloccata. Quello sguardo, quell’aria sfacciata. Qualcosa che ha già
conosciuto tanto tempo fa. Il ballo era stato l’apice di tutto questo. Il
ballo di Stars Hollow. La maratona di ballo. Un’espressione di sfida dipinta
sul suo volto. Il suo braccio intorno alle spalle di un'altra. La sua rabbia,
impossibile da contenere, aveva trovato l'unico sfogo nel denigrarlo fino
all'eccesso. E, alla fine, tutto era risultato così evidente che non aveva
più potuto mentire. "Sai, anche tu non mi avevi detto di Logan quando sono
venuto a trovarti." "Pretendevi forse che non mi rifacessi una vita dopo che
te ne sei andato?" "Certo che no, e non vedo perché invece tu pensi di
poterlo pretendere da me." Impietrita, si accorge di non avere più la forza
di lottare. Vorrebbe soltanto chiudersi da sola in un bagno e rimanere a
riflettere fino a spaccarsi la testa, per capire che cosa diavolo la sta
prendendo in quel momento. E nello stesso tempo capisce che ha paura di
scoprirlo. Che non vuole. Che non è giusto, e non è pensabile. Forse è meglio
fare finta di niente. Forse è meglio tentare di ignorare tutto quanto. “Ok,
forse non è il caso di continuare questa conversazione.” “Solo un’ultima
domanda.” “Cosa c’è ancora?” “Vorrei che mi illuminassi.” “A proposito
di cosa?” “Sai, te la sei presa, ti sei arrabbiata, hai cominciato a fare
battute, mi hai rinfacciato un paio di cose, ma hai fatto tutto da sola.
Spiegami come ci sei riuscita.” La fissa, inesorabile, e lei si sente braccata,
senza vie d’uscita. Cosa accidenti pretende che lei gli spieghi? Non vuole
spiegare niente, non vuole capire, non vuole soprattutto che lui capisca. Si
sente terribilmente vulnerabile in quel momento, e vorrebbe soltanto fuggire dal
suo sguardo inquisitorio. “Ho per caso intralciato i tuoi piani?” “Cosa?!”
Un’aria attonita ed incredula si fa strada sul volto di Jess. “Ti ho rovinato
un appuntamento? A che fase ti ho interrotto? Ha il tuo numero di casa, ti
chiama a quest’ora, parlate con disinvoltura… pare che tu sia già passato a un
grado di conoscenza piuttosto intima…” “Rory, ma che accidenti stai
dicendo?” “Che bisogno hai di rinfacciarmi di Logan? Non ti facevi vedere da
più di un anno!” “Se non mi sbaglio, dall’ultima conversazione che abbiamo
avuto sembrava che tu non mi avessi esattamente implorato di
restare.” “Questo è un colpo basso.” “E il tuo è solo un tentativo di
rigirare la situazione.” “No, affatto, io…” “E invece sì, Rory. Andava
tutto bene fino a poco fa, e poi per non so quale strana ragione ti sei messa a
farneticare per una stupida telefonata e pretendi di avere un controllo sulla
mia vita!” “Io non pretendo proprio niente!” “E allora spiegami per quale
motivo ti sei messa a dare i numeri.” Si guardano, e i secondi passano. Cade
il silenzio, e cade su di loro il peso di tutte quelle parole non dette, e di
tutte le occasioni sprecate in cui avrebbero potuto chiarire tutto quello che
c’è stato tra loro. Non è mai successo, invece. L’ondata dei sentimenti che li
ha trasportati è sempre stata troppo forte per poter essere frenata dalla
ragionevolezza. Quel rinfacciarsi cose così vecchie, che ormai entrambi
pensavano di essersi lasciati alle spalle… è troppo da sopportare. Rory è
costretta a cedere e ad abbassare lo sguardo.
“Non era così che doveva
andare.” Lo pensa, ma non lo dice. Le parole le si formano nella mente, le
analizza una per una, ma poi al momento di aprire la bocca e farle uscire si
accorge di sentirsi ancora una stupida. Inutile illudersi tanto. Altre persone
sono entrate nella vita di Jess, altre persone gli hanno dato quello che lei non
ha saputo dargli. Altre persone l’hanno reso felice. E lei non fa più parte di
quella cerchia ormai da molto tempo. “Si è fatto tardi, devo andare.” La voce
si incrina, le parole si smorzano, e non sa nemmeno se lui ha capito quello che
ha detto, perché tutto le è uscito fuori con una tale fatica da risultare
soltanto un sussurro mezzo soffocato. Non può sopportare quella tensione per un
minuto di più. Così tante volte gli ha rinfacciato la sua subdola abilità di
cambiare improvvisamente discorso quando veniva attaccato a proposito di un
argomento scomodo. Beh, lei ha perfettamente imparato dal maestro, a quanto
pare. Si alza dal letto, prende la giacca, e senza lasciargli la possibilità
di dire qualcosa in risposta cammina velocemente verso la porta, la apre ed esce
da casa sua, sul pianerottolo. La sua mano si blocca per un solo istante sulla
maniglia mentre riaccompagna la porta chiudendosela alle spalle. Vorrebbe che
lui la fermasse. Lo sa, lo sente. Ma non succederà. Ha di nuovo superato i
limiti. Ha di nuovo sbagliato tutto con lui, lasciandosi trascinare da qualcosa
che non è nemmeno riuscita a comprendere fino in fondo. E ora, per il suo
bene e per quello di Jess, è giusto che lei se ne vada. Scende le scale
mentre la sua ultima immagine si rifiuta di cancellarsi dalla sua mente. È
sfuocata, priva di particolari ben definiti. Forse perché prima di andarsene gli
ha soltanto gettato un’occhiata di sfuggita. Però non c’era odio in lui. Solo
una triste confusione che la fa sentire ancora più colpevole. Jess si siede
sul letto, lentamente. Si chiede se quella è l’ennesima fine. Probabilmente sì.
Non c’è niente da fare per rimediare alla loro incapacità di comunicare.
Qualcosa di invalicabile li ha sempre tenuti distanti dai chiarimenti, dalle
discussioni razionali. Ancora una volta, Rory non ha capito niente, e lui non
è stato in grado di spiegarglielo. Come era successo la notte della festa. Come
era successo quel giorno al campus. Come è sempre successo tra loro e come,
evidentemente, è sempre destino che succeda.
nota: la citazione del titolo viene da "In The Sun" di Joseph Arthur. |
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Capitolo 10 *** We All Fall In Love Sometimes ***
Un passo. Un altro. Un ultimo tratto da percorrere. Poi
le resterà solo da suonare al portone, fare le scale e nel frattempo inventarsi
qualcosa da dire. Ci ha pensato per tutto il pomeriggio e la sera precedenti,
e ha passato l'ultimo concerto di Lane a Philadelphia quasi tutto chiusa in
bagno per timore di essere abbordata di nuovo. Non aveva proprio la forza
psicologica per perdere tempo a scaricare un altro giovanotto altolocato. Doveva
riflettere. Si era accorta che non riusciva ad evitare di farlo, perciò si era
presa una pausa dal resto del mondo e aveva smesso di fare qualsiasi cosa che
non fosse pensare. Altrimenti, come accadeva sempre quando aveva troppe
distrazioni intorno, avrebbe finito per non arrivare a capo di un bel niente. Ma
la situazione necessitava di una soluzione efficace. Una telefonata, era
stata la prima cosa che le era venuta in mente. Delle semplici scuse, un
monologo affrettato che lui non avrebbe avuto il tempo di interrompere. E poi,
avrebbe potuto rimanere in silenzio, in attesa di sentire la sua reazione,
oppure, nel caso l'imbarazzo fosse stato troppo da sostenere, avrebbe potuto
semplicemente salutarlo e riattaccare. Bel piano d'azione, ma suonava come
troppo studiato e innaturale. Se avesse finito come al suo solito per
pronunciare un discorso parlando a macchinetta senza quasi respirare non avrebbe
dato esattamente l'impressione che voleva dare. Voleva davvero scusarsi con
Jess. Ma era necessario trovare il modo migliore per farlo. Per non parlare
poi di tutta la paura che aveva di terminare il discorso e di non sentire altro
che un forzato silenzio all'altro capo del telefono. Era un incubo che
l'aveva perseguitata giorno e notte dopo quella telefonata ricevuta dalla
California. Dopo che con le lacrime agli occhi aveva sussurrato in una cornetta
tutto quello che in realtà avrebbe voluto poter dire a voce a Jess. Non appena
ci aveva ripensato aveva sentito il cuore bruciarle. Quante volte, sfuggendo
senza volerlo al suo rigido autocontrollo, si era ritrovata a pensare che
avrebbe voluto che si fossero parlati, che si fossero detti addio l'uno davanti
all'altra, che si fossero potuti guardare negli occhi per un'ultima volta con la
consapevolezza che non avrebbero più potuto stare insieme, e che quella era la
fine, una fine che era destino che arrivasse. Forse le avrebbe messo di più il
cuore in pace. E invece, aveva parlato con un telefono muto, riversando in quel
discorso tutti i sentimenti repressi fino a quel momento, per poi rimanere per
un secondo ad ascoltare il silenzio che faceva riecheggiare le sue parole, e
infine riattaccare, con le lacrime agli occhi. No. Non era neanche
lontanamente pensabile. Doveva considerarla soltanto come la sua ultima
possibilità. Non desiderava affatto rivivere quei momenti. E così aveva
scartato il telefono. Una lettera. Semplice, chiara, messa giù con la dovuta
calma, priva di ostacoli espressivi, senza intoppi, in cui avrebbe potuto
riversare tutta sé stessa senza timore di sbagliare. Presa dalla foga del
momento aveva anche preso in mano penna e taccuino per iniziare a buttare giù
qualche riga. Ma si era fermata al solito "caro Jess". Come aveva
fatto per tutta l'estate trascorsa a Washington. Come aveva fatto quando aveva
finito per indugiare troppo e per perdere la sua occasione. E anche in quel
momento ha indugiato. La sua mano si è fermata sul foglio e la sua mente si è
rifiutata di collaborare. Ogni frase che le veniva in mente le sembrava inutile
o stupida, o troppo poco adatta alle circostanze. E poi, si è fermata un attimo
a rifletterci meglio. Cosa avrebbe fatto una volta che anche fosse riuscita a
finirla? Sarebbe andata sotto casa di Jess e gliel'avrebbe infilata nella
casella della posta? Patetico. O sotto la porta di casa? Ancora più patetico.
Ripensa a Jess, a come le sorrideva ogni tanto ieri. Si, è vero, non sorride mai
molto. Ma ieri sembrava contento, prima che lei facesse scoppiare tutto quel
putiferio. Si era comportata da perfetta idiota, aveva sprecato l'unica
occasione che aveva avuto di rivederlo dopo tre anni passati a pensare se
chiamarlo o meno. L’unico modo giusto per riparare era stargli davanti e
chiedergli scusa di persona. Glielo doveva, era necessario che lo facesse, e che
superasse una volta per tutte le sue paure idiote. Anche se l’imbarazzo la
terrorizzava, anche se il sentirsi mancare le parole quando gli stava di fronte
la terrorizzava, anche se avrebbe preferito di gran lunga comunicare tramite un
mezzo intermediario in modo da poter conservare appieno la lucidità necessaria a
fare le cose per bene. Poi ripensa a come si sentirebbe se dovesse andarsene
senza averlo salutato. Lasciare le cose così, irrisolte, in malo modo, quando
per tanti anni ha sempre pensato di essergli immensamente grata per quello che
ha fatto.
“Forse… forse ci rivedremo in un momento
migliore.”
Aveva avuto tre anni per decidere quale fosse quel momento
migliore. Aveva fatto la sua scelta. E poi, come un’idiota, aveva rovinato
tutto, per una spinta emotiva momentanea che avrebbe potuto benissimo
controllare e reprimere, ed era stato tutto così assurdo, loro due di nuovo a
litigare, dopo tutti quegli anni, ancora a rinfacciarsi le cose tenute dentro
fino a scoppiare, ancora a provocarsi con tutta la forza possibile, ancora a
tirare fuori gelosie ingiustificate. Ma tutta la colpa era stata sua. Non aveva
nessun diritto di intromettersi nella vita di Jess, non dopo che vi era
ripiombata così di colpo dopo tre anni. Era un diritto che non può certo
pretendere di arrogarsi nemmeno in qualità di ex ragazza. Si rende conto che
tutto questo le fa inaspettatamente male. Le considerazioni a mente fredda, la
valutazione dei torti e delle ragioni, l’analisi oggettiva di quello che è
successo le provoca un moto di vana irritazione, un desiderio lontano che tutto
non sia come in realtà è. Si rende conto di odiare tutto questo. Odia essere
l’ultima arrivata. Odia pensare che non può difendersi, che non può giustificare
in alcun modo il suo comportamento. E forse, odia anche il fatto che lui abbia
un’altra, e che lei non ne sapesse niente. Non che dovesse dirglielo lui di
sua iniziativa. Ha ragione. Nemmeno lei gli aveva detto di Logan, quando si
erano visti tre anni fa. Eppure, aveva lasciato che lui rovinasse
quell’inaspettato momento in cui avrebbero potuto parlare e chiarirsi. Si era
sentita a disagio come non mai quando lui le aveva proposto di unirsi a loro.
Tecnicamente non avrebbe potuto dire di no. Era il suo ragazzo. Ma Jess… era
Jess. Era tornato per lei. Perché era preoccupato. Era venuto a trovarla. Quante
volte in tutti quegli anni le si è allargato il cuore a ripensarci. Non può
odiare il fatto che lui abbia un’altra. È giusto così. Hanno intrapreso strade
diverse già da molto tempo, e il suo probabilmente è solo un moto egoistico.
Sarebbe stupido credere che lui fosse rimasto lì a Philadelphia senza fare
niente ad aspettare che lei andasse da lui. Non dopo quello che è successo. No.
Si era giocata tutto ormai molto tempo fa. E ora, è arrivata davanti al
portone. Le sue valigie sono già pronte e sistemate sul letto dell’albergo.
Lane, Zach, Brian e Gil stanno facendo i bagagli e si preparano a riprendere il
viaggio, mentre lei ha nella tasca della giacca il biglietto del pullman per
Hartford. Sua madre sa già per che ora venirla a prendere. Il pullman parte fra
tre ore, e lei ha soltanto un’ultima occasione per rimettere le cose a
posto. Si blocca, mentre la sua mano si solleva di qualche centimetro per
cercare il citofono. Poi di colpo si riabbassa. Può darsi che Jess non sia in
casa. Potrebbe essere al lavoro, o in giro. Lei potrebbe essere venuta lì per
niente. E poi, improvvisamente si rende conto di non sapere cosa dire.
Gravissimo. Assolutamente gravissimo. “Beh, scusami se sono tornata così,
senza avvisare…” inizia a dire tra sé. Poi si blocca. “Forse sarebbe meglio
cominciare dicendogli ciao.” Non può aggredirlo con la foga dell’imbarazzo. E
poi… “Beh, vedi, ieri non è andata esattamente come speravo che andasse, non
che speravo che succedesse qualcosa, no, non devi pensarlo neanche lontanamente,
volevo soltanto che tutto andasse bene tra noi, senza che ci fosse qualche
obiettivo preciso, non sono venuta da te con un piano, solo che ero in città, e
non ci vedevamo da anni, e pensavo che in fondo avrebbe potuto farti piacere, ok
forse alla fine della giornata dato come si è concluso il nostro incontro non
avrai proprio pensato che ti ha fatto piacere, ma in fondo è stata tutta colpa
mia, ecco…” No, così non va. Non va affatto. Sta farneticando, come al
solito. E non gli sta neanche di fronte. Il solo pensiero riesce a mandarla
totalmente in confusione. Non può presentarglisi di fronte in quelle condizioni.
Non può spiegargli quello che vuole in modo così penoso. Riderebbe di lei. E lei
finirebbe per arrabbiarsi. Di nuovo. Non può farlo, non così. Prima deve
darsi una calmata. Poi forse può ritentare. Sa che deve farlo, ma non può farlo
sapendo già in partenza che peggiorerà ancora di più le cose tra loro. Si
volta e scende i gradini, allontanandosi dal palazzo. Le servono cinque, dieci
minuti per tranquillizzarsi, per riprendere la calma e per farsi un’idea di
quello che gli potrà dire. “Stupida, stupida”. Non ha molto tempo.
Deve riuscire a parlargli in fretta. Altrimenti dopo lei tornerà a Stars Hollow
e lui rimarrà lì a pensare a quanto lei sia stupida. O forse, a non pensarle
affatto. Di nuovo, si accorge che elaborare queste considerazioni la fa sentire
male. Eppure è la verità. Deve conservare un minimo di realismo. Alza lo
sguardo, e di fronte a lei c’è quel piccolo ristorante in cui lui l’ha portata
ieri. Ripensa a quella conversazione, e a quanto accidenti sono stati bene. In
quel momento, le sembrava che Jess fosse felice lì con lei, anche se
esplicitamente, come al solito, non le aveva detto niente di preciso. Ma era
sempre stato un aspetto di lui che la affascinava. Quel modo che aveva di non
esprimersi mai direttamente, di sviare i discorsi troppo seri, di pilotare le
conversazioni su argomenti apparentemente insignificanti, mentre poi le sue
occhiate, i suoi gesti, il suo modo di parlarle, erano tutt’altro che
superficiali. Improvvisamente si accorge che vuole entrare lì dentro. Apre
la porta, si guarda intorno, adocchia un tavolino nell’angolo e ci si dirige
subito, poi si siede e appoggia i gomiti sulla superficie fredda di metallo.
Vuole soltanto rimanere lì per un po’, allentare la tensione, ripensare alla
giornata precedente senza rimpianti almeno per una volta e cercare così di
sentirsi meno sotto pressione. Appoggia la borsa sul tavolo, e invece di
sentirsi meglio le sembra di stare per crollare. Non voleva rovinare tutto. Non
voleva. Dannazione. Apre la borsa e recupera il cellulare, compiendo un gesto
automatico. Rimane a fissarne lo schermo per diversi secondi, poi,
improvvisamente, spinta da un bisogno immediato, compone il numero di sua
madre. “Tesoro, ciao.” la sua voce allegra la accoglie quasi
immediatamente. “Ciao mamma.” risponde lei, e per un attimo la voce le si
incrina. “Che c’è? Hai mal di gola?” “No, non è niente…” “Davvero, se
hai mal di gola dimmelo. Sono piena di sciroppi per la gola. Luke ne ha comprati
talmente tanti che potrei rivenderli all’ingrosso.” “Mamma…” “Ce ne sono
per tutti i gusti, non fare complimenti. Lo preferisci alla fragola, ai frutti
di bosco, o a quell’orrido sapore di dentifricio per bambini?” “Mamma, non mi
serve nessuno sciroppo.” “Non dirmi che vuoi le pastiglie! Sei crudele, lo
sai che le pastiglie non ce le ho, Emily è ancora troppo piccola per riuscire a
mandarle giù, e così vorresti obbligarmi ad uscire di casa con questo caldo e
percorrere agonizzando tutta la strada fino alla farmacia…” “Mamma,
NON-HO-MAL-DI-GOLA.” “Oh, scusa, mi era sembrato.” “Ti sbagliavi.” “Che
è successo, ti è scesa la voce? Lane ti ha fatto cantare a squarciagola sul
palco qualcuno dei loro pezzi? Lo so che è un’esperienza unica, ma poi il
mattino dopo non riesci neanche ad aprire la bocca per sbadigliare…” “No, non
è questo.” “Sei di poche parole, che succede?” “Succede che stai
elaborando tutte le tue ipotesi senza lasciarmi fiatare.” “Oh,
davvero?” “Già.” “Beh, potresti interrompermi mettendoti a parlare a
macchinetta… senza respirare, sai, come ti aveva insegnato Paris…” Lei fa un
debole sorriso, ma in quel momento non trova la forza di rispondere. “Tesoro?
Che succede?” “Mamma…” “Hai perso il pullman?” “No, ce l’ho fra un paio
d’ore.” “Hai perso il biglietto allora.” “No, il biglietto ce
l’ho.” “Non sei riuscita a chiudere la valigia?” “Quello di solito lo fai
tu.” “Perché di solito so che ci sei sempre tu a salvarmi dal mio
catastrofico disordine. Senza di te i vestiti salterebbero fuori dalle mie
valigie urlando in una strana lingua e aggredendomi senza che io abbia il tempo
di difendermi.” “Lo so che ti manco.” “E io so che sai leggere fra le
righe.” “Mi manchi anche tu.” “Quindi, è tutto un attacco di
nostalgia?” “No, è che…” “Hai deciso di darti al rock ‘n’ roll e di non
tornare più a casa?” “No, mi sono divertita in tour, ma vedrai che tra poco
sarò lì con voi.” “Ora mi sento sollevata. Allora, dimmi qual è il
problema.” “Che problema?” “Non lo so, sputa il rospo.” “Il rospo è
Jess.” “Ma davvero, e se lo baci cosa fai, si trasforma nel principe
azzurro?” “Era un modo di dire.” “Sì, lo so. Scherzi a parte, che c’entra
Jess? Oddio, è vero, ora sei a Philadelphia… non mi dire che l’hai incontrato… è
una città così grande…” “E’ successo di peggio.” “Cioè?” “L’ho visto
per caso a uno dei concerti di Lane, non sono riuscita a raggiungerlo in tempo e
quindi ho deciso di chiamarlo, e per farlo ho dovuto sfogliare un intero elenco
telefonico e fare decine di chiamate prima di trovarlo, dopodiché in modo
assolutamente impeccabile sono riuscita a rovinare tutto.” “In che
senso?” “Non lo so, è stato… mi sono comportata da stupida.” “Stupida
stupida?” “Sì, e perfino patetica.” “Una combinazione
invidiabile.” “Gli ho fatto una scenata perché mentre eravamo in casa sua lo
ha chiamato una ragazza…” “No, scusa, frena un secondo, mi sono persa qualche
passaggio… che ci facevate a casa sua?” Rory avverte immediatamente
l’intonazione di sospetto. “Assolutamente niente.” Si sente terribilmente in
imbarazzo. “Ti ci ha trascinato con la forza?” “No, mamma, eravamo usciti
a pranzo.” “Uh. E di chi è stata
l’idea?” “Mia.” “Ah.” “Mamma…” “Sì?” “Non prendertela con me per
questo.” “E perché dovrei?” “Perché… lo so cosa pensi di Jess, e conosco
benissimo il tuo tono da Jess.” “Il mio tono da Jess?” “Sì, appena ne
parliamo tu cambi tono di voce.” “Davvero?” “Sì, e ti metti anche a
rispondere a monosillabi.” “Questo non è vero.” “Oh, sì che lo è.” “In
ogni caso… non ce l’ho con te.” “Sul serio?” “Sì. È solo che non me
l’aspettavo. Insomma, non vi vedete da tanto, e stando a quello che sapevo non
vi siete neanche sentiti di recente… lui chiede sempre di te quando viene qui ma
tu non mi hai mai accennato a qualcosa…” “Davvero chiede sempre di me?”
esclama, a bocca aperta. Si preoccupa ancora per lei. Si interessa di sapere
come sta. E lei non l’ha mai saputo. Tipico di lui, ma ora che lo sa si sente
ancora più in colpa per quello che ha fatto, e un moto di tenerezza la pervade
senza che lei possa controllarlo… “Non credevo che avesse tutta questa
importanza.” Rimane in silenzio per un secondo. “No, certo che no.” “No
cosa, no non credevi o no non ha importanza?” “Lascia perdere.” “Ok…
allora, come mai vi siete visti?” “Beh, ecco… io ho pensato di chiamarlo,
perché volevo ringraziarlo di tutto…” “Cioè?” “Sai, la storia di Yale… se
non fosse stato per lui, non so quanto altro tempo ci avrei messo a rendermi
conto che avevo fatto una sciocchezza…” “L’ho ringraziato anch’io per quello,
sai?” “Davvero?” “Sì… diciamo che l’ho fatto a modo mio, ma… l’ho fatto,
questo è l’importante.” “Mamma, che gli hai detto?” “Oh oh, questo tono
inquisitorio sull’argomento Jess non lo sentivo da parecchi anni ormai.” “Era
solo una curiosità.” “Mmm. Beh, vai avanti.” “Ho pensato che non sarebbe
stata una cattiva idea se ci fossimo visti, ecco… sai, in fondo lui abita
qui…” “Ma Philadelphia è una metropoli.” “E’ per questo che hanno
inventato gli elenchi telefonici.” “Quindi?” “Quindi, lui è passato a
prendermi… siamo andati a mangiare insieme, ci siamo trovati bene e così lui mi
ha proposto di salire a vedere la casa…” “Perfetta conclusione di un
appuntamento coi fiocchi.” “Non era un appuntamento. Era una semplice uscita
fra amici.” “Perché, voi due siete amici?” “Non proprio amici amici…” poi
si ricorda per un attimo di una frase che aveva detto a sua madre un po’ di anni
fa, rispondendo alla stessa domanda… “…diciamo amichetti.” “Uhm.” “Non
brontolare in modo scettico.” “Non sto brontolando in modo scettico.” “E
invece sì. Tanto non sarebbe comunque successo niente. Sono passati troppi anni,
e ormai mi ha dimenticata… altrimenti non sarebbe stato al telefono con
un’altra.” “Tesoro, è perfettamente normale che si sia rifatto una
vita.” “Lo so, lo so, è assurdo, ma non so cosa mi è preso, prima che potessi
rendermene conto la cosa mi ha fatto saltare i nervi, e ho rovinato tutto
quanto…” Sospira, passandosi una mano fra i capelli. “E ora, dammi la tua
diagnosi.” Anche Lorelai sospira all’altro capo del telefono. “Tesoro, lo
so che è solamente una banale frase di circostanza, ma tutti ci innamoriamo
almeno una volta nella vita… con Jess ti è successo, perché per quanto mi
rodessi a doverlo ammettere, era così evidente che l’avevo capito subito, ancora
prima che vi metteste insieme… eri innamorata persa di lui, ed era così
frustrante e allo stesso tempo così bello, perché, per come stavano le cose,
innamorandoti di lui hai seguito totalmente il tuo cuore, e non hai fatto una
scelta razionale e calcolata.” Sorride, e per un attimo sente salirle un groppo
alla gola. Sentire sua madre dirle quelle cose la fa commuovere
improvvisamente. “Lui non era il ragazzo perfetto per te, Dean lo era, senza
dubbio, ma tu ti sei innamorata di Jess. Questo era un dato di fatto che nessuno
ha mai potuto negare neanche volendolo. E poi lui ti ha ferita, probabilmente
l’hai anche odiato per questo, ma ora sono passati tanti anni, l’ultima volta
che vi siete visti siete riusciti a ritrovarvi da amici, ed è naturale che ora,
di una storia che ti ha coinvolto così tanto, tu rimanga attaccata ai ricordi
più belli che ne hai.” Con forza, si impone di ricacciare quel groppo dentro la
sua gola, mentre tutte le immagini di loro due insieme le scorrono davanti agli
occhi senza sosta. “In questo momento, è altrettanto normale che quei ricordi
siano più vivi dentro di te. Io l’ho visto diverse volte, dopo che io e Luke ci
siamo sposati ed è nata Emily, e so che se ora dirò quello che sto per dire il
cielo si aprirà e l’apocalisse sconvolgerà il mondo, ma è cambiato, quel ragazzo
è cambiato davvero.” “Sentirlo dire da te è in assoluto il giudizio più
imparziale che si possa avere.” risponde lei, mentre il suo sorriso si allarga e
lei si sente stranamente felice. “Lo so. È assurdo, e sento già i tuoni, e un
terremoto sta squassando la casa, ma è così. È sempre Jess, questo è vero, ma
è... cambiato. Non ti saprei dire in cosa esattamente. Ma è cresciuto, è
maturato. All’epoca si sentivano decisamente gli influssi della sua tormentata
adolescenza. Ora siamo sempre riusciti ad avere una conversazione normale, e
questo è tutto dire.” “Già, visto e considerato che non lo fa più per fare un
piacere a me…” “Quel ragazzo ha fatto tanto per te, Rory. A modo suo continua
a farlo ancora adesso. Ed è possibile che, rivedendolo e trovandoti bene insieme
a lui, siano riaffiorati più che dei ricordi…” Un tuffo al cuore accompagna
quelle parole. “Che cosa vuoi dire?” “Che forse sei ancora legata a
lui.” “Questo è assurdo.” “Ma non impossibile.” “Non è vero, non
c’entra.” “Rory, lui è stato importante per te.” “Stai
esagerando.” “Era evidente, tesoro. Per lui hai fatto cose che per altri non
hai mai fatto. È inutile negarlo, è stato importante e a maggior ragione non è
finita nel migliore dei modi, vi siete lasciati quando ancora tu eri innamorata
persa di lui e questo non ha certo giovato alla situazione di adesso.” “Ma
mamma, sono passati sei anni, non è possibile, non è vero, io non posso, cioè,
non posso permettermelo, e poi non lo vedevo da anni, abbiamo passato insieme
poche ore, non è…” “Rory, calmati.” Respira. Deve respirare. Deve smetterla
di agitarsi così. “Non c’è niente di male.” “Sì invece. Non deve
succedere…” “Se è per questo, non doveva succedere nemmeno quando vi
frequentavate. L’hai baciato quando stavi ancora con Dean. Quella era la prima
cosa che non doveva succedere.” “Sì, lo so, ma era diverso, ero più giovane,
eravamo ragazzi, ci vedevamo spesso…” “Tesoro, la cosa non deve spaventarti.
Altrimenti peggiorerai ancora di più la situazione.” “Non sono
spaventata.” “No, hai ragione, sei soltanto terrorizzata.” “E’ la stessa
cosa.” “Appunto. Tu hai paura, e non dirmi di no perché ti conosco.
Tutto è possibile. Anche questo. Jess ha sempre avuto questa… questa forte
influenza su di te.” “Lui non mi ha affatto influenzato.” “Non intendo
questo, intendo dire che il solo vederlo ti ha sempre mandato fuori di testa,
ora non stupirti perché è successo di nuovo nonostante non vi vedeste da tre
anni.” Sospira. Stavolta è un sospiro carico di involontaria rassegnazione. Sua
madre ha ragione. Non può negarlo. È così evidente, ormai. “Ho rovinato
tutto, mamma.” “Hai solo espresso in modo sbagliato cose che ti pesava tenere
dentro.” “Non capisco.” “Se gli hai fatto una scenata perché era al
telefono con un’altra, c’è una sola diagnosi che posso farti: eri
gelosa.” “Ma non ne ho diritto!” “Questo non conta minimamente. Succede,
succede sempre. Neanche io avevo diritto di essere gelosa di Rachel o di Nicole,
se è per questo, e oltretutto io e Luke non eravamo mai neanche stati insieme.
Capisci quello che intendo?” Riluttante, sa che le tocca ammetterlo. “Sì,
lo capisco.” “Considerando come stavano le cose con Jess, e considerando come
reagisci tu di fronte a queste cose, tutta questa situazione è perfettamente
normale.” “Sì, lo so.” “Bene, abbiamo fatto un passo avanti.” “Non
prendermi in giro.” “Guarda che quando un malato riconosce di essere ammalato
i medici organizzano un festino.” “Mamma.” “Ok, ok, come non detto. Ora
che cosa vorresti fare?” Rory si torce le mani. “Vorrei chiedergli scusa,
dirgli che non succederà mai più, che la mia è stata una reazione totalmente
esagerata e immotivata e che se vuole può scegliere di non essere arrabbiato con
me per il resto della sua vita.” “Bene. Allora diglielo.” “Ma…” “Niente
ma. Ti capisce benissimo, ti ha sempre capita. Se anche verrai presa
dall’emozione e gli parlerai in latino, fidati, capirà.” “Sei
sicura?” “Sicurissima. E per piacere, non farmelo difendere ancora perché poi
finirò per farci l’abitudine.” Ride, contenta di sentirglielo dire, e contenta
di aver chiamato sua madre. La sua migliore amica. Quella che la ascolta sempre,
e che sa sempre darle i suggerimenti migliori, e starle vicino anche se sono a
chilometri di distanza. “Ti voglio bene, mamma.” “Io di più.” “No, non
vale, io di più!” “No, di più io!” “Non è vero, bugiarda, di più
io!” “Adesso riattacco, e comunque di più io!” “No, io!” “Vai da Jess…
di più io!” “No…” prima che potesse finire la frase, lei ha riattaccato.
Ritenendo che sia meglio evitare di parlare con un telefono spento, Rory chiude
la comunicazione e rimette il cellulare nella borsa. Poi si ferma un attimo,
appoggiando la guancia sul palmo della mano. Si accorge solo dopo qualche
secondo che sta sorridendo. Ora è decisa. Sa che vuole farlo, e si sente pronta.
Sua madre le ha dato la carica. Con gesti decisi, si riabbottona il cappotto,
prende la borsa e si avvia verso l’uscita. Apre la porta, con rapidità, la
richiude alle sue spalle e poi guarda davanti a sé… Jess è fermo sui gradini,
esattamente di fronte a lei. A bocca aperta, lo fissa per qualche secondo,
troppo sorpresa per dire qualcosa, troppo impegnata ad osservare la sua
espressione seria e immobile, gli occhi fissi su di lei.
nota: la citazione del titolo viene da "We All Fall In Love" di Jeff Buckley. |
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Capitolo 11 *** We Can't Fix What's Broken ***
Più continua fissarlo scioccata più si sente un'idiota.
Non era esattamente il suo obiettivo quello di ritrovarselo davanti
all'improvviso, ma non può neanche farsi prendere da un blocco totale. Forse
dovrebbe dirgli qualcosa. "Ciao." Estremamente complicata come frase. Sembra
aver perso ogni facoltà lessicale. "Non credevo che questo posto ti fosse
piaciuto così tanto da ritornarci." dice lui, leggermente incerto. Rory si
stupisce non poco nel non avvertire traccia di intonazioni ironiche nella sua
voce. Sembra piuttosto impreparato ad affrontare la situazione, forse non quanto
lo è lei, ma almeno un pochino. "Ehm... a dire la verità, ero venuta a
cercarti." Lo sguardo di Jess si fa incuriosito. "Davvero?" "Sì, ecco, non
che ci tenessi a perseguitarti, ma prima di partire volevo dirti un paio di
cose." Lui si stringe nelle spalle. "Ok, ti ascolto." Quell'apparente
indifferenza riesce quasi a bloccarla per un istante, e sembra schernirla più
ancora che un'eventuale risposta ironica. Ma sa che deve farlo. Deve tirare
fuori a tutti i costi qualche dannata parola per evitare che la pianti in asso e
se ne vada in quello stesso momento. "Senti, io, non so bene da dove
cominciare, non mi sono scritta un discorso o cose simili..." "Beh, non siamo
alla cerimonia dei diplomi." "Sì, hai ragione. Volevo soltanto farti presente
un paio di cose che non ti potrò più dire una volta che me ne sarò andata, e
anche dopo che le avrò dette non so se avrai ancora voglia di rivedermi, perché
per come mi sono comportata ieri a casa tua dovresti decidere tu che genere di
punizione mi merito, ma ho comunque voluto fare un tentativo per tentare di
sembrarti una stupida meno di quanto te lo sia sembrato ieri..." Jess reclina
la testa, osservandola monologare mentre per un momento una strana nostalgia gli
fa contorcere involontariamente lo stomaco. "Ok, respira però." La guarda
sorridere, imbarazzata ma anche leggermente meno tesa. Non era molto sicuro di
volerla mettere a suo agio fino a un secondo fa. “Oh, sì, certo.
Scusami.” “Non c’è mica bisogno che ti scusi.” “Sì, lo so, è solo
che…” “Scusa tu se ti ho interrotto.” “Scherzi, mi hai salvato da una
morte certa per autosoffocamento.” Sorridono, ed entrambi si rendono conto di
aver ritrovato quel momento di conversazione piacevole che sembravano avere
perso ieri. "Beh, quello che volevo dire, era che non volevo sembrarti una
stupida, non in quel modo almeno, non volevo arrivare a farti una scenata e
arrabbiarmi per un motivo che non ha ragione di esistere, e lo so che potrà
sembrarti falso e ipocrita che il giorno dopo io venga a scusarmi dopo che ieri
non mi sono trattenuta dal dire cose orribili, ma volevo soltanto che sapessi
che mi dispiace davvero, e che spero non ricapiti più, se mi darai un'altra
possibilità di provartelo..." Non capisce perché, ma comincia a sentirsi in
imbarazzo quasi quanto lei. Ha passato tutto il tempo successivo al loro
incontro a cercare di non pensare a quello che era successo prima che lei se ne
andasse, ma il pensiero non gli aveva voluto dare alcuna tregua. Se appena
allentava per un attimo il controllo sul proprio flusso di coscienza, ecco che
iniziavano le domande sul perché lei si fosse arrabbiata così per una
telefonata, su tutte le possibili ragioni che avrebbe potuto avere per farlo,
sul fatto che obiettivamente il suo comportamento era stato decisamente anomalo,
sul perché avesse dovuto dimostrare gelosia nei suoi confronti dopo tutti quegli
anni che non si vedevano, su quanto gliene importasse realmente che lei si fosse
dimostrata gelosa, su quanto, a fine giornata, fosse ancora convinto di avere
ragione. Perché aveva ragione, non c'era modo di dimostrare il contrario. Aveva
smesso tempo fa di farsi illusioni: lui e Rory avevano iniziato già da parecchio
a percorrere strade completamente opposte, con scarsissime speranze che si
incrociassero di nuovo come una volta. Ne aveva preso atto, e aveva ricominciato
a vivere cercando di riacquistare un po' di serenità. Ci era riuscito
brillantemente, e ne era anche soddisfatto. Non aveva mai avuto dubbi. E ieri
aveva passato l'intera giornata a lambiccarsi il cervello per un problema che
non avrebbe dovuto porsi. Assurdo. E ora lei è lì, aspettando che lui le dica
qualche cosa. Forse si aspetta di sentirsi dire che la perdona, che non è più
arrabbiato con lei. Non lo è mai stato. Tutto quello che ha avuto in testa fino
a quel momento è stata solo una grande confusione. E in quel momento si rende
conto che forse è meglio non sprecare altro tempo a rifletterci
sopra. "Tanto, prima o poi finiremmo per rivederci lo stesso, non credi?" Lei
lo guarda interdetta. "Cioè, vuoi dire che non te ne importa niente?" "No,
non era questo che intendevo." "E cosa allora?" Sospira, non gli piace fare
discorsi seri. Ma in quel momento critico deve pur cercare di fare uno
sforzo. "Beh, nel senso che non possiamo fare finta di ricominciare da capo,
questo sì che sarebbe ipocrita." "Che cosa intendi?" "Che tanto certe cose
non le riaggiusteremo mai, Rory." Lei abbassa gli occhi, in silenzio. "Sì,
hai ragione. Mi dispiace." "Non c'è da dispiacersi, per un motivo o per
l'altro è stata colpa di tutti e due." Incrocia le braccia, facendo vagare lo
sguardo intorno a sé. "Se avessimo avuto una di quelle storie sdolcinate e senza
problemi, avremmo finito per lasciarci per motivi meno gravi, non ci sarebbe
stato niente in sospeso, e magari adesso saremmo amici per la pelle." Lei fa un
debole sorriso. Jess sospira, preparandosi a continuare. "La verità è che non
lo siamo, e non so nemmeno se lo saremo mai." "Sì, lo so che non ci vedevamo
da tre anni, e credimi, avrei voluto chiamarti tante volte per ringraziarti, ma
io..." "...per una serie di motivi non l'hai fatto, e sono sicuro che ti
sarai già chiesta da sola quali siano stati. Non ho intenzione di organizzare
una seduta psichiatrica di coppia per tentare di risolvere i nostri problemi.
Non fa per me." "Già, ci avrei scommesso." Sorride lei. "Beh, comunque, è
molto probabile che finiremo per rivederci. Insomma, Luke e Lorelai andiamo a
trovarli tutti e due." "Sarebbe imbarazzante se dovessimo vederci e non
parlarci per una storia magari vecchia di mesi." "Non voglio fare finta di
niente per quieto vivere, Rory. E' già successo che ci incrociassimo e non ci
rivolgessimo la parola, e non voglio stare qui a perdere tempo per decidere di
chi era la colpa." "Certo." "Quindi, non ho intenzione di stare qui a
sentire le tue scuse." Sostiene senza battere ciglio la sua occhiata
incredula. "Come?! Jess, ti ho detto che mi dispiace, cosa vuoi che faccia di
più?" "Assolutamente niente." "Cioè, non ti importa che mi dispiaccia o
meno?" "Credimi, è soltanto un problema tuo." Rory sembra non capire. Lo
guarda come se avesse detto qualcosa di inverosimile. Come se le stesse parlando
in un'altra lingua. Lui non si scompone. Sa quello che dice, e sa dove vuole
arrivare. Non ha intenzione di prolungare il discorso. Lei non sa cosa dire.
Ma non vuole spiegarle, non ora. La conosce, e sa perfettamente perché gli si è
presentata davanti con l'intenzione di ritrattare tutto quanto. Ma lui deve
porsi le sue domande, non quelle di Rory. "Bene. Allora vedrò di
risolverlo." "Sì, forse dovresti." Imperturbabile, ricambia il suo sguardo
interdetto e silenzioso, fino a che lei non decide di dargliela vinta. "Ciao,
Jess. A presto, spero.” Le fa un mezzo sorriso. “Lo spero
anch’io.”
*** In quel momento si sente come se fosse rinchiusa in una
stanza isolata, completamente sola, anche se in realtà è circondata da altre
persone che occupano posti simili al suo su quell’autobus diretto ad Hartford.
Ha salutato Lane ed è partita mentre loro finivano di caricare la roba sul
pullmino. Quasi sicuramente l’amica non si è accorta di nulla. Ha saputo reggere
il gioco piuttosto bene, e in ogni caso non aveva voglia di parlarne. Non sa
nemmeno cosa racconterà a sua madre una volta che sarà a casa, e che dopo averla
intrattenuta con le recensioni di tutti i concerti della band di Lane lei finirà
per chiederle qualcosa al riguardo. È ovvio che succederà. Magari glielo vorrà
chiedere appena la vedrà, ma si tratterrà vedendo che lei non accennerà
all’argomento di propria volontà. Adora sua madre anche per quello. Sa che il
momento giusto per parlare di qualcosa con lei è quando lei decide di volerne
parlare. È sempre stata infinitamente comprensiva da questo punto di vista, non
l’ha mai assillata spinta dalla curiosità, le ha sempre lasciato i suoi tempi
per rielaborare le cose anche se era preoccupata. E sicuramente ora lo sarà.
Quando l’ha chiamata era in stato di crisi, è inevitabile che sia in pensiero
per lei. Gliene parlerà, sicuramente. Ma non subito. Deve pensare a come
spiegarle, e per il momento non ha ancora trovato un modo. Non riesce neanche
lei a realizzare pienamente quello che è successo. Sembra di essere tornati ai
vecchi tempi. Rory che non capisce Jess. Non era una cosa così insolita
all’epoca. Spesso certi suoi comportamenti o certe sue frasi le restavano poco
chiare, e lui non collaborava nemmeno quando lei gli chiedeva esplicitamente di
spiegargli. Forse era colpa sua. Forse era troppo stupida per uno così
intelligente come Jess. O forse non faceva abbastanza collegamenti logici. Ma
rimane il fatto che, di chiunque fosse la colpa, certe cose di lui non le
capirà. Non che non lo conosca. In fondo si sono capiti alla perfezione fin da
quando si erano incontrati per la prima volta. Ma Jess è fatto così. E' la
persona più imprevedibile che conosca, nessuno è mai stato capace di stupirla
così ripetutamente come ha fatto lui. Ogni volta che pensava di aver capito
tutto quello che gli passava per la testa, il secondo dopo tutte le sue
previsioni venivano ampiamente smentite. Era sempre stato così, e ancora adesso,
evidentemente, la situazione non è cambiata. Ora è sola con i suoi pensieri
su quel pullman, svuotata di ogni energia vitale, solo un'apatica rassegnazione
sembra pervaderla. Non sa nemmeno se si rivedranno di
nuovo.
*** Jess si distende sul letto senza pensarci due volte. Non si
sente stanco. Ha soltanto bisogno di un momento per tentare di svuotarsi la
mente e di piantarla con i soliti dubbi. E' stufo di doverci sempre ricascare
in piena regola. Non è giusto che ogni volta Rory riesca ad incasinargli
l'esistenza. Fino a due giorni fa avrebbero potuto benissimo essere definiti due
perfetti estranei. Ha giocato come al solito a sembrare perfettamente
tranquillo. E' una parte che gli riesce incredibilmente bene. E' riuscito a non
lasciarsi andare troppo nemmeno quando tre anni prima è andato a trovarla, e
certe ferite potevano essere ancora in fase di rimarginazione. L'ha soltanto
ringraziata per i bei momenti che gli aveva saputo dare, e le ha soltanto
chiesto di parlare, niente di più. Si è comportato in modo perfettamente
coerente; non si vedevano da un anno, si erano lasciati in una situazione
decisamente non molto amichevole e l'unico modo per tentare di riallacciare un
rapporto è stato fare finta di ripartire da zero. Non ha preso a pugni
quell'idiota del suo ragazzo solo perché ha collezionato fin troppe esperienze
in quel campo, oltre al fatto che ormai ha imparato ad essere completamente
superiore a certe provocazioni. Erano provocazioni da idioti. E lui non si
abbassa al livello degli idioti. L'unico rimpianto che si è concesso è stato
il constatare che Rory non era più quella che era un tempo. E che questo
cambiamento le aveva portato solo guai. Non solo perché stava con un cretino.
Mollare Yale, non parlare con sua madre per mesi, vivere dai suoi nonni quando
sapeva quanto Lorelai fosse già in conflitto con loro, erano azioni
sconsiderate, egoistiche, affrettate e soprattutto enormemente incoerenti.
Quando hanno parlato, certo, è stato un po' come tornare indietro. Ma l'immagine
di lei che era risultata da quel complesso quadro non era certo quello che lui
si aspettava di trovarsi davanti. Quando Luke lo aveva chiamato aveva pensato a
qualsiasi altra cosa, ma non a problemi di quel genere. Stentava quasi a credere
che la sua Rory si fosse trasformata in una ragazzina viziata ed egoista. E
ieri ci è ricascato di nuovo. Parlarle dopo così tanto tempo, sentirla
raccontare del suo lavoro, della sua vita, di Lorelai e Luke, vedere come le
brillavano gli occhi, sentirla addirittura ringraziarlo per quello che aveva
fatto, è stato assolutamente incredibile. Coincideva perfettamente con quello
che aveva sempre pensato di veder diventare Rory: una donna splendida,
realizzata, matura, ma con ancora quelle sfumature del suo carattere che
l'avevano fatto innamorare. La timidezza che le colorava le guance, quel
radicato e profondo altruismo che la portava a preoccuparsi sempre di tutti, la
forza d'animo che sapeva tirare fuori nelle situazioni peggiori, il suo vitale
senso dell'umorismo. Perfino l'impulsività che l'ha sopraffatta nell'ultimo
momento. In pochi casi aveva visto Rory arrabbiarsi. E aveva amato anche il suo
farneticare incontrollato. Quello che detesta è che, ancora per l'ennesima
volta, si sono bloccati di fronte ad un ostacolo. La sua reazione, è costretto
ad ammetterlo, lo ha totalmente spiazzato. Non si aspettava uno scatto di
gelosia come quello. Conosce Rory. Sa che ha una grande capacità di
autocontrollo. Le cose le sfuggono solo quando non ce la fa più a tenerle
dentro. Ed è riuscita soltanto a gettarlo nella più profonda confusione. Non
c'era una motivazione valida per quello che è successo. Però è successo.
Dannazione, è successo di nuovo. Quando se l'è ritrovata davanti al locale,
ha subito previsto che cosa aveva intenzione di dirgli. Ma non ce l'ha fatta a
dirle che potevano tranquillamente fare finta che quell'episodio spiacevole non
si fosse mai verificato e che loro due potessero stringersi la mano e tornare
tranquillamente amici. Ci sarebbero stati troppi argomenti da evitare, troppe
ipocrisie, troppe falsità. Forse davvero le dispiaceva di essersi arrabbiata,
perlomeno per il fatto che la giornata non si era conclusa nel migliore dei
modi. Ma per il resto, c'erano troppi dubbi, troppe cose che ancora rimanevano
in sospeso. Il suo ennesimo farneticare era stata la prova che neanche lei era
perfettamente convinta e consapevole di quello che gli stava chiedendo di
fare. Ci ha riflettuto per un'intera giornata, ed è arrivato alla conclusione
che c'è ancora qualche problema tra di loro, che non tutti i contrasti sono
stati superati o appianati. Non pretende certo di poterli risolvere tutti, ma
non se la sente di fare finta di niente. Se si rivedranno di nuovo, la
prossima volta potranno affrontare la cosa con più calma.
*** "Ciao
mamma!" "Ciao Rory!" dice Lorelai esibendosi nella sua vocetta da bambina che
le riesce sempre così bene, mentre muove la manina di Emily in segno di saluto.
Rory afferra la borsa e si precipita giù dal pullman, gettandosi fra le braccia
della madre. "Ok, ora tentiamo di ricomporci, altrimenti qualcuno ne esce
soffocato." "Oh, è vero, scusami piccola." Rory prende in braccio Emily,
sorridendo. "Stai attenta. Ora ha imparato a sputare dritto negli occhi delle
persone." "Mamma!!!" "Volevo solo metterti in guardia, ci sono stati
spiacevoli incidenti con Taylor tutte le volte che è venuto a trovare Luke al
locale, e Kirk ormai non osa più neanche avvicinarsi a casa nostra." "Oh,
quindi non c'è più nessuno che ti sistema l'antenna parabolica?" "Non so
proprio come farò a sopravvivere." "Chiudi in gabbia questa peste quando hai
bisogno di Kirk." "La tua cara sorellina arriva dappertutto. Sarebbe capace
di scivolare tra le sbarre e arrampicarsi sul tetto." "Si vede che ha preso
da te." "Oh, no, non direi. L'avversione per Kirk e Taylor viene tutta da
Luke." "Già, ma eri tu la maestra delle fughe ad effetto." "Può
darsi." Si sorridono entrambe. E' così contenta di essere
tornata. "Allora, com'è andato il viaggio?" le chiede Lorelai prendendole la
valigia e avviandosi con lei verso la macchina. "Oh, decisamente noioso. Però
sono riuscita a finire Come vola il corvo di Ann Marie
MacDonald." "Sei stata veloce." "Non tanto, mentre ero in giro con Lane e
gli altri non avevo molto tempo per leggere. Sai, aiutare ad organizzare, fare
da supporto morale, da truccatrice e anche da critica musicale... è un lavoro
impegnativo." "Beh, a giudicare dall'aria che hai mentre ne parli direi che
ti sei divertita comunque." "Oh, certo. Brian ha rischiato per un paio di
volte un collasso asmatico ma alla fine ce la siamo cavata per il
meglio." "Bene." Lorelai annuisce. Di riflesso annuisce anche lei. Dopo
qualche secondo passato a guardarsi in silenzio, anche Emily accenna un
movimento in su e in giù con la testa. Rory ridacchia tra sé e sale in macchina
con la bimba. "Allora, com'era Philadelphia?" Lei si stringe nelle
spalle. "C'era qualche posticino carino." "E anche qualche ragazzo carino,
magari?" "Mamma..." "Ok, ok, volevo soltanto sapere." Rory guarda fuori
dal finestrino, mentre i momenti passati là le scorrono velocemente nella
testa. "Un ragazzo mi ha abbordato a uno dei concerti." dice poi. "No,
davvero? Allora vedi che Philadelphia non era poi così male!" "Probabilmente
gli andava solo di divertirsi." "E in che modo ha tentato di
divertirsi?" "Non lo so, si è solo seduto di fianco a me e ha iniziato a
parlarmi e a farmi domande, voleva offrirmi da bere ma gli ho fatto notare che
avrebbe solo giovato alla sua causa." "Allora vedo che hai imparato la
lezione." "Non sono più così ingenua, mamma." Afferma,
compiaciuta. "Insomma, ti ha abbordato." "Sì. Non era poi così male,
era... piacevole." "Intendi piacevole detto in senso estremamente
caritatevole e gentile per non cadere nell'insulto o perché lo pensi
davvero?" "No, non voglio essere così cattiva... in fondo, ha seguito il
corteggiamento in piena regola... abbiamo avuto una conversazione piuttosto
lunga, mi ha fatto compagnia, mi ha accompagnato da Lane, mi ha chiesto se
avrebbe potuto rivedermi..." "Oh, qui la cosa si fa interessante." "Beh,
non c'è molto altro di interessante da sapere. Gli ho detto che non ne ero per
niente sicura e alla fine gli ho solo lasciato il mio numero." "Tesoro, sei
diventata una sciupamaschi in piena regola." "Non è vero, non sono una
sciupamaschi!" replica lei, leggermente indispettita. "Avevi a portata di
mano un ottimo partito e l'hai scaricato senza molti complimenti. Si vede che
ormai sei proprio una donna in carriera." "Non mi sono comportata da donna in
carriera. Viaggio talmente tanto... come avrei potuto promettergli
qualcosa?" "Non voglio farti prediche di nessun tipo. E' ovvio che ti saresti
impegnata a fondo solo se si fosse trattato di qualcosa per cui valeva la pena
farlo. Ti conosco, so che è così." "Già." La sua mente corre al momento in
cui è corsa alla reception dell'albergo a chiedere una guida telefonica, a tutte
le pagine sfogliate freneticamente, a tutte le pessime figure fatte durante
tutte quelle telefonate. Il significato dell'espressione impegnarsi a
fondo non avrebbe potuto avere una dimostrazione migliore, pensa mentre le
sfugge un sospiro e il paesaggio di Hartford continua a scorrere sotto i suoi
occhi. |
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Capitolo 12 *** Could It Be Worse? ***
"Mamma... ci siamo." "Bene... sei sicura di essere
nelle giuste condizioni psicologiche per affrontarlo?" "Sì, non rischio
svenimenti né attacchi epilettici." "Volevo solo essere tranquilla." Sua
madre le sorride, con il suo solito sorrisetto allegramente ironico, e lei tenta
di sentirsi a suo agio. In qualche modo deve farcela. Si siedono sul suo
letto. Lei si sistema la gonna del vestito estivo, poi alza lo sguardo,
leggermente insicura. Sua madre ha sollevato il polso e sta controllando
l'orologio. Rory la guarda perplessa, ma lei non le bada minimamente per qualche
secondo. "Bene, a partire da ora hai a disposizione tre minuti esatti per il
tuo sfogo completo di lacrime e sospiri durante il quale prometto solennemente
di non interromperti e fare commenti, e sono ammessi anche gli insulti, se
necessari." "Che cosa ti fa pensare che io sia nelle condizioni di dover
ricorrere agli insulti?" le chiede, sorpresa. "Non lo so, forse i tuoi occhi
tristi?" "Io non ho gli occhi tristi." "No, li hai avuti per tutta la
giornata precedente." "Non è affatto vero." "Rory, ti conosco, lo so che
non sei più una bambina, ma anche quando Emily si imbrattava con lo yogurt a
tavola tu sorridevi per un po' e poi tornavi a fare l'espressione che avevi
sempre quando all'asilo i bambini prepotenti ti rubavano i tuoi giochi
preferiti." Rory la guarda a bocca aperta. "Tu sei pazza." "E tu neghi
l'evidenza." "Io... non è vero, non c'è nessuna evidenza da
negare!" "Penso proprio che l'evidenza si sia molto arrabbiata a sentirti
dire addirittura che non esiste." "Mamma..." "Bene, dato che ora mi ha
chiesto di provarti che lei esiste e convertire la tua anima miscredente,
raccontami che cosa è successo con Jess." Rory sospira, rassegnata. Non può
obbligare sua madre a rinunciare ai suoi giochetti. Ma sa che le sono utili a
non prendere tutto troppo sul serio. "Beh... allora..." "Aspetta, devo far
ripartire il cronometro." la interrompe Lorelai. Rory le lancia un'occhiataccia
mentre lei armeggia con quel maledetto orologio. "Bene, puoi
andare." "Grazie mille." le risponde in tono ironico. "Su, su, guarda che
scade il tempo." Rory scuote la testa. Non c'è proprio niente da fare. "Va
bene. Hai presente quando abbiamo terminato quella nostra telefonata ieri
mattina? Ecco, avevo appena messo via il telefono, mi ero alzata e avevo deciso
di andare subito da Jess per parlargli, ho aperto la porta del locale in cui ero
e sono uscita, e prima di poter fare un passo fuori mi sono trovata davanti
Jess." "Oh, beh, devo ammettere che avete sempre avuto una perfetta sincronia
voi due." "Il posto era sotto casa sua, era quello dove mi aveva portato
fuori a pranzo il giorno prima." "Anche tu però te le vai a
cercare." "Mamma, in questi tre minuti era previsto che parlassi solo
io." "Due minuti e mezzo." "Grazie tante." "Va bene, va bene, sto
zitta." "Fantastico. Allora, ero un po' sorpresa, a dire il vero, cioè, non
mi aspettavo di trovarmelo davanti in quel momento, sai com'è, io avevo pensato
di andare a trovarlo a casa, e invece si vede che in casa non aveva niente da
mangiare e aveva deciso di andare lì a pranzo piuttosto che andare a fare la
spesa, tornare a casa e cucinare, in effetti avrebbe risparmiato un sacco di
tempo..." "Stai divagando." "Sì, sì, ok. Allora, senza perdere tempo a
chiedergli perché fosse lì, gli ho detto che volevo scusarmi e che mi
dispiaceva, che se lui non era arrabbiato potevamo anche ricominciare da capo e
fare finta che quello spiacevole episodio non fosse mai successo, e quindi,
gliel'ho detto, perché in fondo non siamo ancora diventati telepatici, e lui mi
ha ascoltato, e non mi sembrava affatto arrabbiato, se fosse stato arrabbiato mi
avrebbe sicuramente fatto qualche battutina sarcastica, e invece, non ne ha
fatte, almeno non con il tono da ti sto prendendo in giro perché sono
arrabbiato e mi stai facendo perdere tempo perché tanto non ti voglio più
vedere, sembrava, non lo so, confuso, impreparato forse, come se gli stessi
dicendo qualcosa che lui non era pronto a sentire, o forse non era semplicemente
pronto a trovarmi lì, non lo so... e poi... poi mi ha detto che tanto avremmo
finito per rivederci comunque, ma che lui non voleva che facessimo pace solo per
evitare di litigare o di non parlarci davanti agli altri, e che quindi non
voleva stare a sentire le mie scuse, perché il fatto che mi dispiacesse per come
mi ero comportata era soltanto un problema mio e non suo." Sua madre la
guarda con aria impensierita. "Finito?" "Finito. Poi ci siamo salutati e
io me ne sono andata." "Mmm." Rory rimane in sospeso a fissare sua madre,
mentre lei appoggia la guancia nell'incavo della mano
sinistra. "Allora?" "Allora cosa?" "Non lo so, dammi un giudizio, un
parere, un suggerimento, qualsiasi cosa!" le dice mentre sua madre si mette a
giocherellare con una ciocca di capelli. "Tu dove speravi di
arrivare?" "Beh, pensavo che potessimo tornare amici, nel senso, non che
prima lo fossimo, però pensavo che se avessimo risolto quel problema avremmo
potuto continuare a frequentarci senza imbarazzo o rancore, e mi sarebbe
piaciuto recuperare un rapporto con Jess, insomma, al di là di tutto quello che
è successo di spiacevole comunque mi sono sempre trovata bene con lui, eravamo
pur sempre amici prima di metterci insieme... perché fai quella faccia?" Lorelai
sembra sul punto di scoppiare a ridere. "Amici? Tu e Jess?" "Sì, hai un
termine migliore per definirlo?" "Sì, ce l'ho, ed è
calamite." "Mamma!" "Stai attenta, la signora evidenza si sta
arrabbiando." "Ma io non stavo con lui." "Uhm, sì, in effetti quello è
stato uno dei triangoli più interessanti e problematici della storia di Stars
Hollow." "Va bene, lasciamo perdere questo aspetto della questione."
conclude, esasperata. "Come vuoi." "Benissimo. Allora, diciamo che prima
di metterci insieme io e Jess eravamo amici, o meglio, se preferisci, ci
frequentavamo da amici, e ci trovavamo bene insieme, parlavamo di tante cose,
eravamo affiatati..." "Sì, molto affiatati." commenta Lorelai ridacchiando.
Rory prende un cuscino e glielo tira addosso. "Posso trovare il modo di dirti
che volevo che tornassimo amici senza che tu esploda in risate
isteriche?" "Sì, scusa tesoro." Lorelai si ricompone in un attimo, cercando
di tornare seria. "Allora. Dicevi che ti avrebbe fatto piacere tornare...
amici." "Già." "Amici che non hanno calamite incorporate." Rory scuote la
testa, alzando gli occhi al soffitto. "Beh, mi sembrava buona come
idea." "Sì, anche a me. Tanto, ormai lui ha la sua vita, e io la mia, non
vedo perché dovrei voler insistere per avere chissà cosa, ho imparato la lezione
dopo quello che è successo e non ho intenzione di far ricapitare una cosa del
genere..." "Ma una volta è capitata." "Sì, ma gli ho chiesto scusa. Gli ho
detto che mi dispiace. Cos'altro avrei dovuto fare?" "Capire perché è
successo." "Ma se non so neanche..." "Rory, un'idea te la sarai fatta. Ci
avrai pensato." Rimane in silenzio. Non sa se vuole dirlo. Sa che c'è
un'unica spiegazione plausibile per il suo comportamento, ma non vuole, non
vuole tirarla fuori. Significherebbe ammettere troppe cose che non crede neanche
siano vere. Alza lo sguardo verso sua madre, smarrita. "Dammi la tua
diagnosi." le chiede. "Allora, ci sono due possibilità: la prima, è che, come
ti avevo già detto, tu sia tornata a provare qualcosa per Jess, potrebbe essere
anche qualcosa di molto piccolo, ma comunque sufficiente a farti ingelosire nei
confronti delle persone che frequenta. E quindi, forse potrei anche arrivare a
intravedere il perché lui possa averti detto che non voleva fare pace e chiudere
qui la cosa. Forse era solo un modo per farti riflettere, per farti magari
ammettere che non ti sei scordata del tutto di lui, e che di questo devi
prenderne atto e non fare come avete fatto un bel po' di anni fa... era così
evidente che vi piacevate, Rory, ma nonostante questo tu ci hai messo molto
prima di decidere di dichiararti in modo esplicito." "E la seconda?" Lorelai
esita, guardando preoccupata la figlia. "La seconda, è che tu sia una di
quelle persone che pretende di vantare la più completa possessività sulla gente,
che prova gelosia verso un proprio ex soltanto per il fatto di non essere più al
centro dei suoi pensieri, il che si riconduce tutto al solo squallido bisogno di
sentirsi importante per qualcuno, non importa chi, manifestando evidenti segni
di egocentrismo." Lorelai osserva il volto di Rory farsi ancora più pallido.
Sospira, scuotendo la testa. "E se posso essere sincera fino in fondo, non
potrei mai sospettare neanche per un attimo che tu possa essere una persona del
genere." Rory sospira, non sa cosa dire. Non si azzarda ad elevarsi al grado
a cui sua madre ritiene che lei sia. Per un certo periodo della sua vita si è
comportata in un modo che neanche lei avrebbe mai creduto possibile, eppure
l'aveva fatto. Tutti gli aggettivi peggiori le calzavano a pennello in quei
momenti: ingrata, egoista, insensibile, vigliacca, irresponsabile, viziata e
stupida, incredibilmente stupida. Ancora adesso ripensandoci non poteva fare a
meno di non sentirsi in colpa. Aveva mandato a monte il miglior rapporto che
avesse mai coltivato nella sua vita: quello con sua madre. Era stato un
comportamento da perfetta idiota. Si era allontanata da lei, e non solo da
quando aveva lasciato Yale. Già da prima. Quando aveva cominciato a diventare
quella che Jess aveva rinnegato senza mezzi termini dicendole "questa non sei
tu". E aveva ragione. Dio, quanto aveva ragione. E lei non era stata capace di
arrivarci da sola. Lei, quella che tutti lodavano per la sua brillante
intelligenza. E intanto, Jess l'aveva rivista dopo più di un anno e aveva capito
subito tutto quanto. Grazie a quella dannata gelosia aveva di nuovo rovinato
tutto quanto con lui. Come poteva Jess biasimarla se lei voleva provare a
ricominciare? "Mamma, io... io non so davvero cosa pensare." "Ti basta
sapere come la penso io." "Sì, ma..." "Rory, lo so che la cosa ti spaventa
non poco, ma potrebbe sempre esserci una soluzione." "Magari invece ti
sbagli." Lorelai la osserva preoccupata. "Che vuoi dire?" "Che forse...
forse io non sono come tu pensi che io sia... forse sono davvero un'egoista...
insomma, io..." Non ha la forza per andare avanti. Non vuole ricordare quei
momenti. Tutto quello che le ha fatto passare. "Tesoro, no." Lorelai si
protende subito verso di lei e la stringe in un abbraccio protettivo. "E' stata
una fase, una fase che tutti prima o poi sono destinati ad attraversare, ma ora
ne sei uscita nel modo migliore. Ne sono certa." Non riesce più a dire
niente. Non è mai stata capace di non sentirsi colpevole di fronte alla
prospettiva di dover deludere sua madre. Lo sapeva, in fondo, lo sapeva anche
mentre sistemava la sua roba in quella casetta in piscina, e lei era lì,
dall'altra parte di quel vetro, a guardarla. Aveva pianto per tutta la
notte. "Comunque, ora non so nemmeno quando rivedrò Jess, quindi forse non è
neanche il caso di porsi il problema." "In ogni caso faresti meglio ad essere
preparata." "Sì, forse..." Il suono del campanello la interrompe
bruscamente. "Luke, vai tu?" grida Lorelai per farsi sentire. "Emily mi
sta aggredendo con la sua bambola mutilata e tu mi chiedi anche di andare ad
aprire?" "E' un giocattolo, non un poltergeist!" Pausa. E' chiaro che in
quel momento Luke sta esalando il suo solito sospiro di esasperazione. "E va
bene." Brontolando, lo sentono procedere con un gran trambusto attraverso il
salotto, fino a che non arriva alla porta. Rimangono entrambe in attesa, con la
normale curiosità di un giorno d'estate. La voce di Luke viene a mancare per
qualche secondo. "Che diavolo ci fai qui?" Gli sentono dire, la voce carica
di un'enorme nota di stupore. "Sbaglio o eri stato tu a minacciarmi di morte
nel caso non fossi venuto a trovarvi?" Rory si sente raggelare. Smette di
respirare per qualche secondo, e riesce solo a rimanere lì immobile. Lorelai
la guarda con aria cupa. "Ti giuro che io non ne sapevo
niente."
*** Jess sta lì, sulla porta di casa Gilmore, con una borsa
da viaggio in mano, a fissare suo zio. E Luke fissa lui di rimando. Con la
piccola differenza che sulle sue labbra non è dipinto il suo sorrisetto
compiaciuto, ma un'espressione di autentico stupore. Incrocia le braccia, senza
scomporsi. "Vuoi farmi mettere le radici?" "No, no, certo che no... è che
non ti aspettavo, tutto qui..." "Beh, l'effetto sorpresa fa parte del mio
fascino." gli risponde, in tono fortemente ironico. Gli mancava prendere in giro
suo zio. "Se me l'avessi detto, avrei potuto sistemarti il divano." "Zio,
non ha bisogno di cure particolari, non è traumatizzato dalla mia presenza, e se
te lo stai chiedendo sì, sono anche capace di metterci le lenzuola da
solo." "Non parlarmi come se non capissi quello che dici." "Infatti zio,
non ho mai dubitato della tua intelligenza." Gli scappa un sorrisetto e Luke gli
lancia un'occhiataccia. Appoggia la borsa a terra e si china appena in tempo per
non ricevere in faccia un maialino di peluche. "Dillo con più convinzione la
prossima volta." Gli risponde lo zio, ridendo. "Tu intanto dammi le
lenzuola." "Jess, non c'è bisogno che tu ti dia così tanto da fare." "Ok,
se preferisci posso usare il tappeto. Oppure il letto della bambola di Emily...
dici che ci entro?" Luke lo guarda scuotendo la testa. "Tu sei proprio un
caso disperato." Ride a sentirselo dire. Non credeva che tornare lì avrebbe
potuto davvero farlo sentire a casa. Aveva odiato Stars Hollow per tutto il
tempo in cui ci aveva vissuto. Aveva intrattenuto rapporti conflittuali con la
maggior parte degli abitanti, compresa Lorelai. E nemmeno con suo zio era mai
stato tutto perfetto. Erano frequenti le litigate, le incomprensioni, le
critiche, le difficoltà. Quando era arrivato odiava tutto e tutti di quel posto.
Eppure, quando ormai aveva iniziato a rassegnarsi all'idea che avrebbe potuto
vivere lì per parecchi anni, per lo meno fino a quando non fosse diventato
maggiorenne, aveva iniziato a fare l'abitudine a certi aspetti di quella nuova
realtà, e uno di questi era il rapporto con suo zio. Era sempre stato piuttosto
conflittuale, ma alla fine avevano avuto i loro momenti. E ora, entrambi possono
definirsi soddisfatti di quello che hanno ottenuto. "Emily dov'è?" La
bimba gli sbuca immediatamente alle spalle, aggredendolo con un mestolo. Jess si
mette a rincorrerla, Luke sorride a guardarli, poi, d'improvviso, s'incupisce
leggermente. "Jess." "Sì?" Si gira verso lo zio, incuriosito da quel tono
serio. "Ecco, penso che... credo di doverti dire una cosa." Si rialza dal
pavimento, mettendoglisi di fronte. Incrocia le braccia e aspetta. Aspetta, e
l'aria preoccupata di suo zio non gli fa sorgere buoni
presentimenti.
*** Rory sospira. "Forse dovremmo farci vedere."
dice, rassegnata. Sa che non c'è alternativa. Jess è lì. E' lì, e non è certo
venuto a fare un salutino sbrigativo. Abita a Philadelphia ormai, non sopra il
locale di Luke. E' diverso. E' ben diverso. Probabile che sia lì per una delle
sue visite. Probabile che sia venuto lì senza neanche immaginare che l'avrebbe
trovata da loro. Probabile che nessuno gliel'abbia detto, e che ora stia proprio
per scoppiare il più grande pasticcio della storia... mio dio. Perché, perché
non gliel'ha detto? Perché non gli ha detto che sarebbe andata da Luke e da sua
madre una volta partita da Philadelphia? E' sicura che non sarebbe mai venuto lì
sapendo di trovarci lei, non dopo quello che è successo tra loro. Non ha mai
avuto la tendenza a complicarsi troppo la vita. Magnifico. E ora? Cosa fa?
Cosa deve fare? Uscire da quella stanza, stamparsi in faccia un sorriso forzato,
andare di là e accoglierlo con stupore e distaccata cortesia, come se non fosse
successo niente, come se niente avesse importanza, tutto pur di non mostrare
segni evidenti di quello che ha passato con Luke, con Emily e perfino con sua
madre, che ormai sa tutto ma che non deve sapere quanto realmente la cosa l'ha
sconvolta... Oppure, potrebbe fuggire, correre verso la porta sul retro, o fuori
dalla finestra, o anche dal camino, qualunque cosa, e chiedere a sua madre di
coprirla finché lei non fosse riuscita a darsi una calmata facendo due passi e
schiarendosi le idee? E poi? Tornare lì, deve farlo per forza. E' arrivata prima
lei del resto. E anche se le balenasse in mente la folle idea di voler prendere
tutte le sue cose e partire di colpo, come potrebbe spiegarsi, che figura ci
farebbe? No. E' assolutamente fuori questione. Deve comportarsi da persona
matura, e affrontare le sue responsabilità. Sarà difficile, anzi, terribile, si
sentiranno entrambi in imbarazzo, un imbarazzo enorme e spropositato, e sarà
ancora più difficile comportarsi come se niente fosse, convivere con Jess nella
stessa casa fino a quando non terminerà la sua visita improvvisata... e poi?
Vederlo andare via, salutarlo trattenendosi dal fare o dire qualsiasi cosa di
compromettente, comportarsi sempre con educazione e autocontrollo, senza
mostrare segni esteriori di... Non può. Non può stare lì per sempre a pensare a
che cosa deve fare. Altrimenti otterrà soltanto il risultato di destare ancora
più sospetti, in tutti quanti. "Ok, andiamo." "Sicura?" "Sì, per
favore, non cercare di farmi venire altri dubbi." "Va bene." Lei e sua
madre si alzano dal letto e si avviano fuori dalla stanza. In salotto non c'è
nessuno. Sentono la vocina di Emily lanciare qualche gridolino felice, sentono
Luke ridere, poi di colpo si blocca e richiama Jess e tutto sembra fermarsi.
Lorelai e Rory sono dietro la parete. "Che facciamo, saltiamo fuori urlando e
improvvisiamo una danza maori?" sussurra Lorelai. Rory le lancia un'occhiata in
tralice con l'effetto di zittirla immediatamente. "Ok, ok, stavo solo
scherzando." tenta di giustificarsi lei. Rory scuote la testa. "Dobbiamo
uscire di qui prima o poi, o tra un po' Luke svolterà l'angolo e ci vedrà qui e
scoprirà che stavamo origliando." "Noi non stiamo origliando." protesta
Rory. "E invece sì... shh!" Si mette in ascolto, Luke ha ricominciato a
parlare. "Vedi, Jess, se mi avessi telefonato prima di venire io ti avrei
anche potuto avvertire, ma..." "Ah, adesso è colpa mia? La prossima volta
chiamo per prenotare il divano allora!" "Simpatico come sempre, il ragazzo."
commenta Lorelai sottovoce. "Beh, dimmi qual è il problema. Non avete posto?
Posso stare in albergo da Lorelai." "No, non è necessario." "E
allora?" "Ecco, è che..." Rory si sente afferrare per il polso e trascinare
bruscamente in cucina, e prima che possa rendersene conto lei e sua madre hanno
fatto il loro ingresso trionfale nel dubbio tentativo di togliere Luke
dall'imbarazzo. "Ciao, Luke, tutto ok qui? Io e Rory eravamo di sopra a
guardare le foto di Emily... oh, ciao, Jess, sei arrivato ora? Non ti
aspettavamo... Luke si sarà dimenticato come al solito, non preoccuparti, il
divano lo sistemo subito..." "Non c'è problema, grazie." Compostezza,
fermezza, serietà, imperturbabilità, solo una lieve punta di ironia, tutto qui.
Non si è scomposto di un millimetro. Rory spalanca gli occhi. "E comunque, se
è un problema per voi avere troppa gente in casa posso tornare un'altra volta."
Non era la reazione che si aspettava, no. Non esattamente. "Assolutamente no,
non ti preoccupare. Rimani pure. Fa sempre piacere avere qualcuno in più con cui
parlare." "Bene. Ora, zio, mi dai il permesso di appendere almeno la
giacca?" Segue Luke fino all'attaccapanni. Lei riesce solo a fissarlo mentre
le volta le spalle, sempre più allibita. Non uno sguardo storto o sorpreso, non
una parola di stupore. Solo una perfetta e impeccabile calma. Non sa davvero che
cosa sia peggio in quel momento, se la sua agitazione, il suo sconcerto, la sua
mancanza di autocontrollo o la perfetta padronanza di sé che Jess sta
dimostrando in quel momento. Vuole parlargli. Sa che deve farlo. Deve almeno
dargli una spiegazione, anche se non spera di averne una da lui. Si allontana
da sua madre, che nel frattempo è impegnata con Emily. Si sporge nell'anticamera
e prima che se ne accorga Luke l'ha già superata per andare a prendere le
lenzuola. Jess è rimasto indietro. E' lì, le mani affondate nelle tasche dei
soliti jeans larghi, i capelli in disordine, l'aria leggermente assorta. Sa che
sta avvampando ma si costringe a muovere qualche passo verso di lui. Quando si
accorge di lei, Jess si volta e la guarda negli occhi, senza
esitazioni. "Ciao." "Ciao." Osserva Rory far vagare lo sguardo intorno
per cercare di sentirsi meno in imbarazzo. Quasi gli scappa un sorriso, ma si
trattiene appena in tempo. "Senti, volevo solo dirti, che mi dispiace se è
capitato che... beh, insomma... io non sapevo che tu..." "Tranquilla, non
l'ho deciso da molto. E' che Luke mi aveva... minacciato per venirlo a trovare,
e allora, qualche giorno fa ho deciso di fare i bagagli. Tutto qui." Osserva
Rory bloccarsi. Riesce a rimanere lì in perfetta calma cercando soltanto di
capire cosa le passa per la testa, sotto tutta quell'enorme confusione. "Beh,
in ogni caso, mi spiace di non averti avvisato... magari
preferivi..." "Guarda che per me non c'è problema." "In ogni caso, prima o
poi sarebbe successo." "Già. Odio dover dire che te l'avevo detto,
ma..." "Me l'avevi detto. Già." Annuiscono entrambi. Jess incrocia le
braccia, lei riesce soltanto a torcersi le mani. "Bene. Comunque, se per te
non ci sono problemi..." "...assolutamente." "Benissimo,
allora..." "Potremmo toglierci dalla porta, tanto per cominciare."
suggerisce. Rory lo guarda interdetta. "Certo. Andiamo." Dannazione. Dove
le trova tutte le parole adatte nel momento adatto, mentre lei è così presa dal
tentare di evitare i silenzi imbarazzanti che finisce per dire cose
assolutamente stupide e fuori luogo? Dove trova tutta la forza di rimanere
serio, di non farsi prendere dalla tensione per quello che è successo tra loro
neanche una settimana prima, per come potranno affrontare la situazione adesso
che non hanno vie di scampo, per tutto quello che incombe su di loro e che la
schiaccia sotto un presentimento decisamente poco allegro? Non ha il coraggio
di voltarsi e guardarlo per cercare una risposta. Non ha il coraggio di dover
constatare ancora una volta che Jess è capace di non far precipitare la
situazione mille volte meglio di lei.
nota: la citazione del titolo viene da "Fix You" dei
Coldplay. |
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Capitolo 13 *** What's Going On ***
E' tutto così assurdo. Jess lì. A Stars Hollow. A
casa sua. Tutto sembra così incredibilmente assurdo perché non si è mai trovata
in circostanze simili: sua madre, Luke, Emily... e Jess. Come una famiglia.
Suona estremamente strano, ma è così. E non c'è niente di anormale nel fatto che
una figlia trascorra le vacanze dalla madre o che un nipote passi per qualche
giorno a trovare suo zio. No davvero, è soltanto la sua sconfinata
immaginazione che le sta mettendo addosso la paura di trovarsi in tali
frangenti. Del resto, anche se Jess avesse chiamato per dire che sarebbe venuto
a fare una visita, lei avrebbe dimostrato per l'ennesima volta di essere codarda
e immatura se avesse deciso di partire improvvisamente spinta da quella notizia.
Sarebbe stato soltanto l'ennesimo gesto ignobile compiuto nei confronti di sua
madre. Si ferma davanti alla porta della sua camera. Appoggia una mano sullo
stipite, quasi aggrappandosi, e ascolta i battiti del suo cuore. Le fa quasi
male, e non ha idea di come calmarsi. Perfetto. Se deve andare avanti così
per tutto il tempo che Jess passerà da loro, può anche andare direttamente a
buttarsi nel lago. Odia l'agitazione. E tutto questo la sta mettendo in
agitazione. Ed è una cosa che non sopporta. Non sopporta di doversi sentire
così... di nuovo. Entra in camera, lentamente, misurando i passi. Lo sguardo
vaga nella stanza, ma non trova niente con cui distrarsi. Sospira e si siede sul
letto, pensando. Pensa che è da un sacco di tempo che non si sentiva battere il
cuore in quel modo. Non vuole fermarsi a ricordare quando sia stata l'ultima
volta che ha provato una sensazione simile, perché ha paura di quello che
potrebbe scoprire. Sa soltanto che è passato molto tempo. Forse troppo. E forse
si rende conto che era da tempo che si aspettava di sentirsi così di nuovo. E
invece, non accadeva niente. Affrontava tutto quanto con estrema tranquillità.
Ogni imprevisto era sempre sotto controllo. Non certo come ora. Jess rientra
perfettamente nella classifica degli imprevisti, e lei non si sta dimostrando
capace di controllarlo. Abbraccia il cuscino, senza sapere che altro fare.
Prova a immaginarsi come sarà per qualche settimana con Jess lì da loro. Pranzi
e cene in famiglia, numerosi incontri per casa tentando di comportarsi
normalmente... e poi, la notte, sua madre e Luke di sopra con Emily, e lei al
piano di sotto con Jess. Si sente quasi prendere dal panico. "Rory! Vieni a
darmi una mano!" Sussulta. E' solo sua madre. Si rende conto che non può
andare avanti così. Lui è rimasto perfettamente calmo quando le ha parlato,
senza scomporsi minimamente. Bene, se ci riesce lui può riuscirci anche lei.
Deve riuscirci anche lei. Sta diventando una questione di
rivincita. «Eccomi!» si alza dal letto ed esce da camera sua con più
determinazione di quando vi è entrata. Vacilla mentre attraversa il salotto… lui
è lì. Sta parlando con Luke, in tono sommesso, tenendo in braccio Emily. E
pensare che non ha mai sopportato i bambini. Sorride. È sempre stato come Luke:
è rimasta così sorpresa quando sua madre le ha detto che avrebbero avuto un
bambino. Ma quando era andata a trovarli, Luke aveva le lacrime agli occhi. Era
al settimo cielo, e con Emily era sempre stato splendido. Incredibile come la
gente può cambiare di fronte a un avvenimento così importante. Sta per
passare oltre e raggiungere sua madre in cucina, ma qualcosa la blocca in quella
posizione, seminascosta dallo stipite della porta mentre osserva Emily tirare
qualche pacca sulla spalla a Jess per attirare la sua attenzione. Vede Jess
volgere gli occhi verso di lei, fissarla con un mezzo sorriso e un finto sguardo
scettico, mentre la bimba scoppia a ridere, e anche Jess ride, mentre la scarica
in braccio a Luke. Lei protesta vivamente, e Luke alza gli occhi al
cielo. "Possibile che ogni volta che arrivi tu si dimentichi di chi è suo
padre?" Jess si stringe nelle spalle. "E' già abbastanza strano che mi dia
confidenza." "Vero, dato che non ci sei mai." "Mi aspetta un secondo
round?" Luke gli getta un'occhiataccia. "Ti salvi solo perché è quasi pronto
da mangiare." gli dice, poi si allontana verso la cucina mentre lui e Emily si
scambiano una serie di linguacce. Non riesce a trattenersi e scoppia
sommessamente a ridere. "Adesso mi osservi di nascosto?" Pessimo errore.
Cerca di inventarsi qualcosa da dire mentre si stacca dallo stipite e gli si
avvicina molto lentamente. "Non credevo fossi davvero tu quello che ho
visto." Lui si stringe nelle spalle. "Sono diventato discretamente bravo a
trasformarmi." "E cambi anche colore?" "Mi ci vuole ancora un po' di
pratica." "Capisco." Rimangono lì, immobili, a fissarsi per qualche
istante. Per qualche attimo, si sono sorprendentemente comportati in modo
normale, facendo finta di niente, riprendendo a scherzare come se niente fosse.
Poi, nel momento in cui lei apre la bocca per dire qualcosa e Emily sferra un
attacco alle gambe di Jess tentando inutilmente di farlo cadere a terra, lui si
china verso di lei per farle il solletico e lei richiude immediatamente la bocca
e a passi tesi e veloci attraversa il salotto, trovando finalmente rifugio in
cucina. Lorelai si gira verso di lei, squadrandola da capo a piedi. "Ci
hai messo tanto." le fa notare, con un sinistro tono inquisitorio. "Sono
stata inghiottita da un buco nero davanti alla mia stanza." risponde lei, con
apparente noncuranza. "No, non mi dire!" Afferra i piatti, mettendosi ad
apparecchiare. "Se non fosse stato per i miei superpoteri, non sarei più
arrivata in tempo nemmeno per cena." "Meno male che ti ho trasmesso qualcosa
di utile, allora." "Già, anche se devi ancora spiegarmi come si fa a tornare
indietro nel tempo e ad incenerire le persone con lo sguardo." "Se non vi
conoscessi, direi che state architettando qualcosa." interviene Luke,
appoggiando una padella fumante sul tavolo. "Jess, muoviti!" grida
poi. "Emily si rifiuta di uscire da sotto il divano." "Lasciala lì, se ha
fame viene da sola a mangiare." "Eh no, tesoro, non ho intenzione di
riscaldarle questa brodaglia." Lorelai si alza da tavola precipitosamente,
gettando un'occhiata disgustata al semolino che Luke ha preparato per la
bambina. "Non è brodaglia, è quello che mangiano tutti i bambini della sua
età!" le grida lui di rimando. "Sì, tutti i bambini che alimentati in questo
modo sviluppano una prevedibile avversione per il cibo!" "Ha un anno e mezzo,
non può mettersi a mangiare cinese!" "Ma i maccheroni riesce già a
masticarli!" "Lorelai!" Non fa in tempo ad abbassare gli occhi sul piatto,
sorridere e risollevarli per evitare di incontrare lo sguardo di Jess, per
l'ennesima dannatissima volta. E' seriamente pensabile che possa riuscire ad
andare avanti così? Ogni suo minimo gesto o atteggiamento la fa sentire
terribilmente inadeguata, come se con lui avesse sbagliato tutto e stesse
sbagliando anche ora, tentando di comportarsi normalmente davanti a tutti. Per
quanto può sostenere ancora un ruolo del genere? "Ti rendi conto che non
potete sperare di andare d'accordo sull'educazione alimentare di Emily, vero?"
gli sente dire, rivolto a Luke. "Piantala, Jess." ribatte Luke, scuro in
volto. "Avreste dovuto dividervi i compiti. Tu potevi limitarti a farle
collezionare le figurine del baseball." "Dato che sei così tanto in vena di
elargire consigli matrimoniali, perché non ci scrivi su uno dei tuoi
libri?" "Non ho certo intenzione di occuparmi di argomenti così noiosi."
risponde Jess, sedendosi a tavola in modo decisamente rilassato. "Un giorno
ci cascherai anche tu." Rory spostò istintivamente lo sguardo verso Jess:
sarebbe stato incredibile vederlo sposato e con dei bambini, un giorno. L'idea
che avrebbe potuto decidere di sistemarsi e di costruirsi una famiglia la fece
sentire ancora più a disagio. "Tu sei troppo sicuro di te, zio." "No, sei
tu che lo sei troppo di te. Nessuno può permettersi di farla franca. Arriva un
giorno in cui ogni persona sente nominare nella sua vita la parola matrimonio, e
in quel momento viene automaticamente firmata la sua condanna a morte." Rory
sorride lievemente. E' da quando sono tornati dalla luna di miele che Luke
espone periodicamente i suoi funerei giudizi riguardo alla vita
coniugale. "Bene, allora mi preparerò a fuggire ogni volta che sentirò
pronunciare la prima sillaba." Luke gli getta un'occhiata decisamente
scettica mentre il nipote prende in braccio Emily che sta correndo verso di lui
con la sua andatura buffa. Lorelai li raggiunge poco dopo e insieme si mettono
ad aspettare che Luke li serva. Rory alza gli occhi dal piatto dopo aver
mandato giù i primi bocconi, affamata. Luke e sua madre si stanno lanciando le
loro solite scherzose occhiate di disapprovazione, mentre Jess sembra totalmente
preso da Emily. Nessuno fiata. Nessuno sa cosa dire. "Allora, Rory... il tour
di Lane com'è stato?" Per un attimo, cerca di impiegare tutte le sue forze per
non farsi andare di traverso il boccone che stava masticando. E' evidente che
Luke non sa niente di quello che è successo tra lei e Jess, e per una volta
riesce ad apprezzare la discrezione di sua madre. "Ehm..." Ora però deve
necessariamente inventarsi qualcosa. "Tutto bene, hanno avuto delle performances
molto buone più o meno dappertutto. Lane le prime sere era un po' nervosa, ma è
decisamente diverso suonare in un vero locale con un vero pubblico invece che
negli oratori." "Già, penso proprio di sì. E tu, ti sei divertita?" "Sì,
certo. Mi hanno dato anche il permesso di scrivere un articolo su di
loro." "Come in Almost Famous." "Esatto." Sapeva che ci avrebbe pensato.
Era inevitabile. "Con la piccola differenza che però non ho tutti questi
pesanti segreti da rivelare su di loro.» «Può darsi. Comunque suonavano
bene.» «Sì, vero? Ero sicura che ti sarebbero piaciuti.» «Sei andato a
sentirli anche tu, Jess?» chiede Lorelai. Improvvisamente, il suo sguardo
pietrificato si fissa su Rory, altrettanto immobile. Qualcosa non quadrava. Lui
sa che lei era lì, ma credeva che lei non si fosse accorta di
lui… Accidenti. «Suonavano bene… un po’ di anni fa. Adesso non ne ho
idea…» Possibile che non fosse capace di fare attenzione a quello che diceva? E
possibile che Rory l’avesse visto al concerto e non fosse riuscita a dirgli
niente, proprio come aveva fatto lui? «Beh, hanno cambiato il chitarrista.»
asserisce lei, in tono vago. «Ah, sì, certo.» Mentre raccoglie il cibo dal
piatto, Rory gli getta un’occhiata furtiva. È certa di essere paranoica. Ma
quella piccola esitazione è riuscita a insospettirla, e ora non può fare a meno
di chiedersi se Jess si sia accorto che lei era al concerto di Lane prima che si
incontrassero il giorno dopo e che lei glielo dicesse. Decisamente qualcosa
non quadra.
*** è incredibile, davvero incredibile che non riesca a
dormire. Ha passato tutto il giorno a cercare di evitarlo, con l’aiuto e la
complicità di sua madre, che l’ha portata in giro per Stars Hollow con la scusa
di far prendere aria ad Emily al momento più opportuno, lasciando lui e Luke a
casa a lavare i piatti. Si sono ritrovati solamente per cena, e una telefonata
di lavoro le ha fornito il pretesto per alzarsi prima del previsto. Si è chiusa
in camera a lavorare all’articolo sulla band di Lane e non ne è più uscita fino
a quando non ha sentito cessare tutti i rumori di sottofondo. Dopodichè, con una
certa tranquillità ha cercato di mettersi a dormire. Erano le due di notte, e
gli occhi le si erano terribilmente arrossati per aver passato tutte quelle ore
a scrivere e cancellare. Forse è il caso di prendere un po’ d’aria. Le sembra
di soffocare, è riuscita ad addormentarsi per risvegliarsi quasi subito, e la
sua stanza comincia a diventare opprimente. Vuole soltanto tornare a respirare,
a sentirsi tranquilla per almeno qualche secondo, a farsi tornare il sonno
necessario per rimettersi a dormire di nuovo. Il mal di testa comincia a farsi
sentire. L’insofferenza si acuisce ogni secondo che passa, e sente che esploderà
se non esce subito da lì. Fuori, fuori da quella camera. Ha bisogno di
riflettere, di sentire l’aria leggera della notte scorrerle addosso. Ha bisogno
di alzarsi e sgranchirsi le gambe, anche solo per provare a sciogliere la
tensione con una camminata. Getta via le coperte, si passa una mano tra i
capelli e arranca verso la porta. Ecco, ora l’ha aperta e può finalmente uscire
da lì. Muovendosi con passi incerti, mentre la testa le gira e fa quasi fatica a
reggersi in piedi e orientarsi contemporaneamente nel buio, si dirige a tentoni
verso la porta d’ingresso, le basta anche solo raggiungere il portico, ma
evidentemente non si è mossa con sufficiente cautela perché dopo qualche passo
ha già pesantemente urtato contro un tavolino. “Accidenti” Soffocando
qualsiasi altro tipo di imprecazioni, si appoggia alla superficie di legno,
espirando. Il dolore al fianco è piuttosto forte. Si concentra, inspira, aspetta
che passi e che non sia più così insopportabile come nel momento immediatamente
successivo all’urto. Ha sobbalzato per il rumore provocato dallo scontro con il
tavolo e ci ha sbattuto contro anche il gomito… il massimo della furbizia.
Dovrebbe stringersi la mano da sola. Oddio. Sente qualcosa—qualcuno—muoversi
sul divano. Jess. Accidenti. Dorme lì. Era quasi riuscita a scordarselo, sveglia
com’era in quel momento. Un altro dei pochi eletti che hanno conosciuto il
divano di casa Gilmore. Comincia a pregare con tutto il cuore che non si sia
svegliato, chiedendosi da dove accidenti le è venuta l’idea di attraversare il
salotto al buio con la stupida pretesa di uscire a prendere un po’
d’aria. Ormai è a metà dell’opera, e non avrebbe senso tornare indietro. La
sua vista sta anche cominciando ad abituarsi di più al buio. Ora basta solo fare
un po’ di attenzione, e nessuno si accorgerà di niente. Con lo sguardo fisso
sulla sagoma indistinta di Jess sdraiato sul divano, inizia a staccarsi dal
tavolino, prosegue, affianca il divano, l’ha quasi superato… Era troppo bello
per essere vero, e prima che possa arrivare alla porta, il suo piede sinistro è
inciampato in uno dei giocattoli di Emily, il suo equilibrio ha rischiato
seriamente di annullarsi e farla cadere a terra, il dolore è ancora più
lancinante di prima e ha fatto una confusione davvero eccezionale. “Chi
diavolo…” Il cuore le si blocca all’istante. Ce l’ha fatta, davvero brava.
L’ha svegliato. Quando stava solo cercando di scappare da lui. Magnifico. E
ora? Ora non riesce a dire niente, è bloccata in quella posizione idiota, senza
luce per vedere dove andare, senza il coraggio di rivelarsi e completare la sua
bellissima figura. Purtroppo c’è il trucco. C’è l’abat – jour sul tavolino
di dietro al divano, e Jess è riuscito ad arrivarci e ad accenderla in pochi
secondi. Rory stringe gli occhi, sentendosi accecata nonostante la luce non sia
affatto forte. Si passa una mano sul volto, spera di svegliarsi da quell’incubo
e di ritrovarsi nel suo letto, ma tutto quello che riesce a vedere è Jess
semisdraiato sul divano che la fissa con aria interrogativa. “Volevi
uccidermi nel sonno?” quasi lo odia in quel momento. Riesce ad essere ironico
anche appena sveglio. Non riesce proprio a capire come fa, e la cosa la fa
andare sui nervi. E come se non bastasse, non sa in che modo giustificarsi senza
apparire un’idiota. “Scusa, io non… volevo solo uscire. Ecco, non è che
volevo uscire in pigiama e andare a fare un giro per Stars Hollow alle tre di
notte, volevo solo uscire sul portico e rimanerci. Non rimanerci nel senso di
restare lì tutta la notte, solo… solo per prendere un po’ d’aria.” Jess
annuisce, lentamente. Risentire i suoi tipici giri di parole colmi di imbarazzo
riesce quasi a fargli scappare un sorriso. È incredibile che cosa esca dalla sua
bocca quando si sente messa alle strette. E il fatto che il suo sguardo non
riesca a stare fermo su un punto fisso, in aggiunta al rossore quasi violento
che le ha colorato le guance, tende a fargli credere che l’essere a torso nudo
non la aiuti affatto. Che doveva farci, è estate e fa caldo, un caldo
insopportabile a volte. E non era certo previsto che Rory piombasse lì nel
bel mezzo della notte. “E adesso cosa pensi di fare?” “Scavare una buca e
seppellirmici dentro. Mi saresti utile se avessi una vanga da
prestarmi.” Sorrisero, chinando lo sguardo. “Mi dispiace, non avevo
previsto di inciampare per ben due volte.” “Se l’avessi saputo avrei potuto
liberarti la strada.” “Almeno avrei evitato di svegliarti.” “Non fa
niente, mi fa sempre piacere ricevere visite di notte.” Jess la guarda, e
capisce che vuole sbloccarsi da quella posizione. Capisce che non dovrebbe farlo
e che non ce n’è motivo, e che non ha proprio idea di come la cosa possa
attenuare l’imbarazzo del momento, ma decide di mandare tutto al diavolo non
appena si accorge di non avere altre idee. “Beh, volevi andare
fuori?” “Io? Oh.. sì, scusa, vado.” “Ti accompagno.” Rory non può fare
a meno di rivolgergli un’occhiata attonita. “Tanto quando ritornerai in
camera sbatterai di nuovo contro qualcosa, e a meno che tu non abbia un paio di
tappi per le orecchie finirai per svegliarmi un’altra volta.” “Mi stai dando
dell’imbranata?” La guarda divertito e si stringe nelle spalle. “Prova a
indovinare.” Le dice, poi si alza dal divano, si infila una maglietta e si
dirige verso la porta, mentre Rory lo segue, scuotendo la testa. Un sorriso le
si dipinge sulle labbra, e per un solo folle attimo si ritrova a pensare che è
contenta di averlo svegliato.
nota: la citazione del titolo viene da "Cannonball" di
Damien Rice.
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Capitolo 14 *** It's Never Over ***
La lieve brezza notturna la fa leggermente rabbrividire
mentre si siede sui gradini del portico. Jess fa altrettanto, poi per un attimo
piomba un silenzio che nessuno dei due sa come riempire. "Mi dispiace di
averti svegliato." "Me l'hai già detto." "Sì, scusami." "Rory, smettila
di scusarti." le dice in tono sereno, con un lieve sorriso. Lei sembra piuttosto
imbarazzata dalla situazione. Forse avrebbe fatto meglio a tornare a
letto. Ma ormai era tardi. "Te l'ha detto Lane, vero?" lei si volta con
aria sorpresa. "Cosa?" "Che ero al suo concerto." "Oh. Beh, sì, diciamo
che... è stata lei a farmelo notare." risponde, e un lieve sorriso le si disegna
sulle labbra mentre fa scorrere lo sguardo sui gradini. "Eri troppo impegnata
per guardarti intorno, eh?" "Cosa? Oh, no, quello non è il mio ragazzo... è
solo uno che mi ha abbordato mentre ero al bancone a guardarmi intorno e..." Si
blocca un momento, e Jess si accorge di quello che si è fatto
scappare. "Aspetta un attimo. L'hai visto insieme a me?" "Fa un po'
freddo, vuoi che vada a prenderti una coperta?" "Jess." "Che importanza
ha?" "Cosa?" "Che ti abbia visto o no." Accidenti a lui. Ci voleva così
poco a tenere la bocca chiusa. "Perché avresti potuto venire a
salutarmi." "Non volevo disturbarti." le risponde, in tono ironico. Gli
brucia così tanto essersi comportato da perfetto idiota quella sera. "Allora
la tua rabbia nei miei confronti non era giustificata." "La situazione era
ben diversa." risponde, cupo. Non ha voglia di litigare. Non ha voglia di
rientrare in una discussione che non li porterà da nessuna parte. "Beh,
certo, quella era la tua ragazza." commenta lei, in tono sarcastico. "Che ne
sai tu?" "Che vuol dire che ne so io?" "Sei ricomparsa dal nulla dopo tre
anni e pretendi anche di sapere tutto di me?" "Io credevo che..." "Forse
sei saltata alle conclusioni un po' troppo di fretta." Distoglie lo sguardo da
lei, mentre cerca di frenare l'impulso di fuggire. Ormai la discussione è
cominciata, che lui lo volesse o no, e deve imparare a giocare secondo le
regole. "Quindi non state insieme." dice lei dopo un po', incerta. Jess si
stringe nelle spalle. "Usciamo ogni tanto." "E' una cosa seria?" "Ehi,
non sto pianificando il mio matrimonio." le risponde, gettandole un'occhiata
scettica. La conversazione sta scendendo sul tono da interrogatorio, e la cosa
non gli piace per niente. "Quindi, quando ti ha chiamato..." "L'avrei
rivista se non avessi avuto niente di meglio da fare." risponde bruscamente.
Rory annuisce, mentre lui si maledice per quell'eccessivo slancio di
sincerità. "Insomma, è una delle tante." "Rory, la cosa è molto semplice
da capire: non ho voglia di impegnarmi." A lei scappa una risatina
ironica. "Quando mai ne hai avuta?" Jess le getta un'occhiata gelida. "Non
ti facevo così stupida." Lei si volta a guardarlo. "In che
senso?" "Andiamo, credevo di essere stato chiaro almeno una volta con te."
Lei si ferma, immobile, lo sguardo fisso nel vuoto. "Mi dispiace." "Non
c'è bisogno che ti scusi. La vecchia storia del giudicarmi superficialmente è
sempre stata in voga in questo posto." "Jess..." "Accidenti, Rory, non
devi sentirti in dovere di dispiacerti per quello che hai detto solo perché hai
ferito qualcuno per l'ennesima volta. Lo sai che non mi importa di quello che
pensano gli altri." "Una volta ti importava di quello che pensavo io." Volge
lo sguardo verso di lei, e un breve sospiro gli sfugge dalle labbra. "In un
certo senso mi è servito sentirmi odiato da te. Ho imparato tanto dalla vita, ma
solo tu sei riuscita a insegnarmi che cosa sia l'umiliazione." le dice, in un
tono cinico e freddo che non usava più da tanto tempo. "Ormai era finita, mi
dispiaceva ma era finita, non sarei più riuscita a fidarmi di te..." "Sì,
avrei dovuto prevederlo." Rory lo guarda, e si accorge di quanto sia inutile
ogni difesa. Gli ha fatto del male, deve rendersene conto. Capisce solo ora
quanto lui fosse pentito per averla fatta soffrire. "Jess, senti..." "Ho
freddo, torno a dormire." Prima che lei possa reagire in qualche modo, si è
già alzato ed è rientrato in casa. Ogni parola di quella conversazione gli sta
bruciando dentro inspiegabilmente. Tutta la situazione sta cominciando a pesare,
ed è meglio che si allontani in fretta da lei prima di esplodere. Ci sono troppe
incomprensioni, troppi problemi che non risolveranno mai, e tutti quei tentativi
di rivangare inutilmente un passato ormai sepolto gli stanno facendo venire il
voltastomaco. Si sente afferrare per un braccio e si volta di scatto. E'
faccia a faccia con lei ora, l'ha rincorso, lo vede dai suoi occhi. Una fitta
gli attraversa il petto. "Jess" "Che c'è?" Per un momento sembra che lei
non sappia cosa dire. "Smettila di comportarti così." Lui la guarda
allibito. "Così come?!" "Come se non mi volessi ascoltare." "Non mi sto
tappando le orecchie." "Mi hai ignorato." "Scusa tanto." le risponde in
tono ironico. Rory lo guarda, ferita. "Jess, accidenti, non lo capisci che mi
dispiace davvero?" "Dispiaceva anche a me, Rory." "Lo so." "Ma hai
fatto finta di non capirlo. Tecnica efficace, eh? In teoria niente mi impedisce
di usarla anche contro di te." Rory abbassa lo sguardo, mordendosi il labbro.
Si sta meritando tutto questo. Se lo sta meritando fino in fondo. Non ha nemmeno
la forza di arrabbiarsi. L'ha portato all'esasperazione più di una volta, e ora
può soltanto accettare l'idea di meritarsi una punizione. "Non cambia proprio
niente tra di noi." Sussurra, senza il coraggio di guardarlo negli
occhi. "Che cosa intendi?" "Questo, questa situazione. Non ho mai saputo
come comportarmi con te quando eri arrabbiato con me." Jess la guarda, e gli
occhi gli fanno quasi male. Non riesce a metterci durezza o freddezza in
quell'occhiata. Solo un'assurda nostalgia riesce a bloccargli le parole in gola
per diversi secondi. "Neanch'io." Sospira, e l'immagine di lei, con i capelli
più corti e l'odio negli occhi gli si ripresenta alla mente. Si era sentito un
idiota. Cosa avrebbe potuto fare? Chiederle scusa? Comportarsi da vittima?
Strisciare ai suoi piedi? Stava combattendo una battaglia persa, già da quando
se n'era andato sapeva che lei non l'avrebbe mai perdonato per quello che le
aveva fatto. Sospira. Ora è tardi. Hanno ventiquattro anni, e tutto il tempo
trascorso da quando stavano insieme non può essere cancellato con qualche
semplice discussione. "Mi sento un'idiota." le sente dire, mentre la osserva
passarsi una mano tra i capelli. "Se vuoi migliorare la situazione,
suggerirei che mi lasciassi il braccio." osserva lui, inarcando un sopracciglio.
La vede arrossire di colpo, come non faceva più da tanto in sua presenza, poi
sente scivolare via la sua mano lungo il braccio, con una straniante e assurda
lentezza. Giunta alla sua mano, Rory si ferma. Lui riesce solo a trattenere il
fiato mentre lei intreccia le dita fra le sue. Lo sguardo di Rory è sulle
loro mani intrecciate, sembra che abbia gli occhi quasi lucidi. Rimangono in
silenzio per qualche secondo. "Sai, per quanto possa sembrare stupido, alle
volte mi manchi." No. Non esiste. Non può sentirsi dire quelle cose in quel
momento. "Forse ti manca la mia metà con le ali e l'aureola." le risponde,
ironicamente. Lei alza lo sguardo. "Che vuoi dire?" "Che finché ero buono
e tranquillo ti andavo bene." "Jess, quella parte di te non la conosceva
nessuno." "Appunto, per questo ti piacevo. Ti sentivi la privilegiata perché
con te mi ero aperto e con gli altri no." Lo sguardo di Rory si
indurisce. "Io ti amavo, ed è ben diverso." Niente esitazioni, niente
affermazioni in forse. Quello che era rimasto soltanto un dubbio tormentato
dentro di lui per tanti anni ora era stato chiarito alla perfezione. L'aveva
amato, sul serio. "La sostanza non cambia." "Perché credi che te la dessi
vinta tutte le volte che non mi chiamavi o che mi lasciavi a casa ad
aspettarti?" "Io invece mi chiederei perché queste cose ti fanno ancora
rabbia." "Perché non le abbiamo mai risolte, Jess. E la colpa è stata
tua." "Ah, no, adesso non ricominciamo." "Spiegami perché ti spaventa così
tanto. E' passato tanto tempo ormai." "Sai che importanza ha." "Ha
importanza! Non mi puoi accusare di arrabbiarmi ancora per queste cose quando
anche tu fai la stessa cosa!" risponde lei, irata. Jess sospira. "In ogni
caso, non mi sembra che ci siano le premesse adatte per parlarne
tranquillamente." Fa per voltarsi, ma lei tiene ancora stretta la sua mano, e
gli impedisce di staccarsi con forza quasi disperata. La guarda, e vede
soltanto qualcosa che non vorrebbe vedere: il volto bellissimo di una ragazza
che amava. L'unica che è riuscita a fargli provare un sentimento del genere.
L'unica di cui ha conservato ricordi intatti, da cui non è mai riuscito a
separarsi completamente. "Rory, senti, io non volevo venire qui per fartela
pagare o cose simili, è stata solo una coincidenza..." "Sì, lo so." Rory
muove un passo verso di lui. Prova l'impulso istintivo di tirarsi indietro, ma
poi si accorge di non farcela. E' come bloccato a terra. "Mi dispiace per
quello che è successo a Philadelphia." "Me l'hai già detto." "Sì, ma non
mi sembrava che mi avessi presa sul serio." "Mi hai sottovalutato." "Può
darsi. Ma poi ci sono arrivata." "A che cosa?" "Non dovevo scusarmi con
te." "Ma davvero?" "Già." Rory sospira, e lui la guarda sorpreso.
Possibile che abbia capito? "Probabilmente ero gelosa sul serio." "E' già
l'ora della verità?" commenta, in tono ironico. Rory fissa gli occhi nei suoi,
irata. "Jess, possibile che sia così divertente interrompermi ogni secondo?
Sto facendo tutti gli sforzi possibili per fare un discorso serio, e tu come al
solito non collabori mai!" La guarda, e quasi gli scappa un sorriso. Ha
cercato di lottare per non rivivere mai più quelle emozioni che ha provato
quando lei faceva ancora parte della sua vita, e ora si rende conto che si sta
lentamente arrendendo. E' assurdo ed inspiegabile, e sa di essere un idiota nel
credere inconsciamente che davvero un amore possa durare per sempre, ma per il
momento sembra che ancora quello che provava per lei non si sia spento del
tutto. E' lacerante, ma è la verità. "Che cosa c'è da ridere?" chiede lei,
incerta. Accidenti. Il sorriso gli è scappato senza che se ne
accorgesse. "Che non mi hai ancora lasciato la mano." risponde, con una
sfacciataggine che quasi lo spaventa. La osserva arrossire, e per un attimo si
sente padrone della situazione. "Non cambiare discorso." gli intima, tentando
di apparire minacciosa. Lui si stringe nelle spalle. "Neanche tu
dovresti." "Io... oh, accidenti, io avevo cominciato!" Stavolta è lui a
fare un passo verso di lei. "Trenta centimetri." dice, e la paura di quella
vicinanza così pericolosa riesce quasi a scomparire a quel dolce
ricordo. Rory gli lancia un'occhiata scettica. "Devo misurarli?" "Se
non ti fidi, puoi sempre verificare." L'espressione di Rory cambia. Le brillano
gli occhi, di un'intensità tale che lui è costretto per un attimo ad abbassare
lo sguardo. E' sufficiente un attimo di distrazione per essere colto di
sorpresa da quello che succede in quello stesso istante. In una frazione di
secondo Rory ha già annullato la distanza fra loro e ha raggiunto le sue labbra,
i suoi riflessi sono troppo rallentati dallo sbigottimento per poter elaborare
in tempo una qualche reazione. Mentre le sue labbra scivolano su quelle di Rory
si rende conto che forse, se anche avesse potuto, non avrebbe avuto la forza di
volontà necessaria per scostarsi. Non ha quasi il tempo di pensare mentre le
loro labbra si schiudono e i loro corpi si avvicinano fino a premere l'uno
contro l'altro, tutto quello che riesce a passargli per la testa è che ora sa di
non volersi più tirare indietro, nonostante sia tutto assurdo, nonostante loro
due insieme siano assurdi. E' così che avrebbe dovuto essere, sempre, per tutti
quegli anni che avevano trascorso impegnati a vivere vite separate, avrebbero
dovuto esserci le mani di Rory tra i suoi capelli e le sue a sfiorarle la
schiena con carezze nostalgiche, avrebbe dovuto sentirla sempre stringersi a lui
con una forza disperata che veniva soltanto dal cuore, avrebbe dovuto avere la
possibilità di non staccarsi mai dalle sue labbra, di tenerla stretta a sé
pensando che non l'avrebbe mai più lasciata andare, che perderla era troppo
doloroso, che non avrebbe più potuto sentirsi completo senza di lei. Era
riuscito a vivere imparando a fare a meno di lei, ma non tutto era andato per il
verso giusto. Stando separati era riuscito a controllarsi nel pensarle, nel
chiedere di lei, nell'immaginare come fosse la sua vita ora che lui non ne
faceva più parte. Ma dopo averla rivista, tutto era crollato, tutta quella
barriera che aveva faticosamente costruito in anni e anni di lontananza si era
dissolta nel nulla e ora è come se non sia mai esistita, non riesce a credere di
essere così debole ma è così, è davvero così e non ha la forza di opporsi a
tutto questo, è davvero troppo per lui.
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Capitolo 15 *** How I Miss You ***
Rory è ancora aggrappata a lui dopo diversi secondi. Non
l'ha spinto via bruscamente, non è fuggita lasciandolo lì come un idiota, non ha
avuto crisi di coscienza di nessun tipo. Stenta a crederci. Come è possibile?
Come è possibile che sia stata lei a fare la prima mossa e che non sia affatto
preoccupata o spaventata per tutto quello che sta succedendo? La bacia
ancora, intensamente, cercando di non pensare. La stringe a sé con forza, quasi
con disperazione, vorrebbe convincersi che è tutto un sogno perché forse sarebbe
più facile uscirne. Sentirla ancora sua per qualche breve istante riesce a
provocargli talmente tanto sconcerto che è costretto a interrompere quel bacio,
a respirare, ad appoggiare la fronte contro la sua mentre il loro abbraccio si
scioglie lentamente... Apre gli occhi, e si accorge che non sa cosa fare.
Rory tiene le mani sulle sue spalle. Lui si sente morire mentre le accarezza i
capelli. Tutte le sicurezze che si è costruito attraverso anni e anni di
tentativi per dimenticarla sono riuscite ad andare in fumo in pochi secondi.
Incredibile. Era partito così bene. Quando l'aveva rivista per la prima volta
era riuscito a contenere l'emozione, a comportarsi in modo imperturbabile. E ora
invece al suo primo pericoloso avvicinamento era crollato come niente. Come
può essere contento e non farsi problemi, come può pensare che tutto andrà bene
solo perché l'ha ritrovata dopo tutti quegli anni sapendo di non averla mai
dimenticata, e che ogni inconveniente si dissolverà nel nulla solo perché sono
riusciti a fare un passo avanti? E' impossibile crederlo realisticamente, tutto
questo è più forte di lui. Cosa avrebbero fatto ora? Si sarebbero seduti sul
divano a discutere dei loro problemi mai risolti, cercando di arrivare ai punti
cruciali e di stabilire di chi era la colpa, per poter smettere di accusarsi a
vicenda una volta per tutte? Avrebbero deciso di riprovarci? Sarebbero andati da
Lorelai e Luke a dar loro la lieta notizia, incuranti di tutte le obiezioni che
avrebbero sollevato? E poi? Come avrebbero potuto pretendere di instaurare una
relazione, anche ammettendo di ignorare tutti i precedenti? Lui vive a
Philadelphia, lei viaggia per il mondo per metà anno e per l'altra metà lavora a
New York... Assurdo. E' semplicemente assurdo pensare di potersi di nuovo
mettere in gioco in una storia seria. Dopo tutta la sofferenza che l'unica
storia veramente seria della sua vita è riuscita a causargli, e a causare agli
altri. Con Rory aveva compiuto un danno irreparabile. Era andato tutto a rotoli,
non solo il suo rapporto con lei, ma anche la sua situazione e quella con Luke.
Si era fatto sfuggire tutto quanto di mano. Come può rischiare di nuovo sapendo
a che cosa stanno andando incontro? Ci saranno sempre gli stessi problemi, le
stesse discordie mai risolte. Rory solleva lo sguardo, incontra i suoi occhi,
e Jess si sente mancare. Riesce ancora a smarrirsi dentro le sue iridi celesti,
senza possibilità di controllo. Il suo sguardo disarmante ha ancora il potere di
togliergli la parola, e di mandare in frantumi ogni riflessione facendogli
soltanto venire voglia di baciarla di nuovo. "Tutto ok?" chiede lei, quasi
intimidita. Non ha la baldanza da seduttrice che avevano tutte le altre ragazze
con cui è uscito. Non sta intimamente esultando per essere riuscita a
conquistarlo, lui che sembra sempre così irraggiungibile. Si accorge che non
sa che dire. Tutte le parole che ha previsto di pronunciare gli si sono bloccate
in gola, mentre la memoria gli viene meno. Riesce solo a scuotere lievemente la
testa, distogliendo a malincuore lo sguardo da lei. "Niente." mormora, e si
sente uno schifo. Tutti lo elogiano per il suo cambiamento prodigioso, per come
ora lui si identifichi sempre di meno nel ragazzo disadattato che si esprimeva a
monosillabi di diversi anni fa. Ma in quel momento, ancora una volta,
l'incapacità di comunicare sorge di nuovo e distrugge tutto quanto, e lui viene
soltanto travolto, senza trovare la forza per poter reagire. "Jess." Ora il
suo sguardo è preoccupato. E ha ragione. Ha così incredibilmente ragione da
farlo sentire ancora più male. "Rory, io..." "Ho... ho fatto qualcosa di
sbagliato?" "No! No..." La guarda, con aria disperata. Non può permettersi di
lasciarla andare così, senza fare niente. La attira di nuovo verso di sé, la
stringe in un abbraccio attraverso il quale vorrebbe poterle dire tutto quello
che non gli esce fuori a voce. Le appoggia delicatamente la testa sulla sua
spalla, vuole solo trascorrere qualche minuto così, stringendola e basta, vuole
avere il tempo necessario per pensare a cosa dire, per cercare disperatamente
una via d'uscita in tutto quel disastro. Ok, deve provarci. Deve soltanto
fare un bel respiro e buttarsi. Non importa se non ne uscirà un discorso dotato
di una perfetta arte retorica. Deve soltanto parlarne con lei. "Jess, io
credo di doverti spiegare..." "No, io ti devo spiegare." Deve farlo. Non può
trascorrere altro tempo ad illudersi di essere nel paese delle favole. Deve
scendere dalle nuvole e tornare con i piedi per terra. Si scosta da lei e si
prepara a parlarle. "Rory, non lo so dove potrà portarci tutto questo...
voglio dire, non so neanche perché l'hai fatto... se è stata solo nostalgia, o
una pazzia momentanea..." Solleva lo sguardo, e vede che gli occhi di Rory
sono pieni di lacrime. Il panico comincia ad assalirlo. Se ha già sbagliato in
partenza, dove può pretendere di arrivare? "Tu mi conosci, lo sai che non lo
avrei fatto se..." "Rory, io non ti conosco più ormai." Quell'affermazione
gli esce con un tono di voce quasi spaventato. Incredibile. Si sta davvero
facendo prendere dal panico. "Ci siamo lasciati da tantissimo tempo, fino a
qualche giorno fa non ti vedevo da tre anni, e l'ultima volta che ci siamo
incontrati è stata solo un'occasione sporadica... abbiamo vissuto separati per
troppo tempo, siamo adulti ora, siamo cambiati entrambi, io non sono più così
sicuro che..." "Ma non è così semplice!" "No, infatti, non lo è. Sei
ancora tu... quella che io..." Si ferma, non ha idea di che accidenti dire. La
ama o la amava? O l'ha sempre amata? E' una parola troppo forte, che ha sempre
avuto il terrore di usare a sproposito... come può ora dirle qualcosa di cui non
è sicuro o non dirle qualcosa che invece lei dovrebbe sapere? "...insomma,
non sei un'estranea per me. Ma non posso essere sicuro di tutto. In fondo, ti
sei pentita una volta di essere stata con me, sarebbe da stupidi pensare che non
potrebbe risuccedere..." Guarda Rory. Sembra che trattenga a stento le
lacrime. Perché, perché deve sempre sbagliare tutto quanto? Perché per una volta
non può riuscire ad esprimersi come vorrebbe? Perché dannazione, perché quel
blocco che ha lottato così tanto per superare deve ancora far sentire le sue
influenze ora? Forse perché il superarlo non gli è servito a niente. Forse
perché non ha ottenuto niente andando da lei e dicendole che la amava, anni fa.
E' innegabile che si sia trattato di un pesante fallimento. Ed è stata tutta
colpa sua, alla fine. "Spiegami da dove hai tratto tutte queste conclusioni.
Sei per caso in grado di leggermi nella mente? Con quale incoraggiamento ti
senti autorizzato a presupporre tutte queste cose riguardo a me?" gli dice, con
un'amarezza nella voce che riesce a farlo crollare. "Io non voglio
presupporre proprio niente. Accidenti Rory, io sto solo cercando di..." "Che
succede qui?" Magnifico. In quel momento, l'unica cosa che manca a
quell'idilliaco quadretto è soltanto Lorelai. Dannazione. Sarebbe bastato non
alzare troppo il tono di voce... "Niente, mamma, Jess voleva solo una coperta
in più, e io..." "Sono di sopra, adesso vado a prenderne una." Lorelai
risale velocemente le scale, e lui riesce soltanto a gettare un'occhiata
inquisitoria a Rory. Ma lei evita prontamente il suo sguardo, e non si volta
verso di lui neanche per un secondo. Jess si sente mancare. Non ce l'ha fatta.
Ha di nuovo rovinato tutto, e ora non può più fare niente per
evitarlo. Lorelai è di ritorno in pochi secondi. Gli porge la coperta,
riserbandogli un'occhiata decisamente sospettosa, che ormai non vedeva rivolta a
lui da secoli. In ogni caso, sostiene il suo sguardo con aria imperturbabile,
senza battere ciglio. Per quanto le riguarda, non sono affari suoi, e il fatto
che Rory abbia scelto di mentire momentaneamente a proposito lo
conferma. Lorelai torna di sopra, ancora sospettosa. Bene. Forse può fare
ancora un tentativo. Deve solo fare un bel respiro, voltarsi e cercare di
spiegarsi meglio... Ma Rory gli ha già voltato le spalle ed è sparita in
camera sua, chiudendo la porta con un clangore sordo. Fissa quella porta per
un numero interminabile di secondi, e si accorge di non sapere cosa fare. Cerca
di riprendere a respirare. L'unica possibilità che gli rimane è quella di
tornare a letto, anche se sa che non riuscirà a dormire. Non importa. Ormai
non ha più importanza. Può solo tornare a sdraiarsi sul divano, spegnere la luce
e maledirsi silenziosamente.
*** Fuggire era l'unica soluzione in quel
momento, continua a ripetersi. Anche se ora la tensione e il dolore le
impediscono di trovare un qualsiasi metodo per addormentarsi e smettere di
pensargli. L'ha praticamente rifiutata. Le ha detto che non se la sente.
Era... sembrava spaventato, spaventato all'idea di poter davvero
ricominciare. Una fitta al cuore la costringe a rigirarsi nel letto. E'
incredibile perfino per lei pensare che avrebbero potuto davvero rimettersi
insieme. Incredibile pensare che lei lo volesse davvero, tanto da fare la prima
mossa per chiudere la distanza persistente fra loro... Ne era rimasta
sorpresa, ma non terrorizzata. Perché in fondo l'aveva sempre saputo. Tutto era
rimasto quieto a livello del suo inconscio fino al momento in cui era esplosa in
quella scenata di gelosia. Da lì in poi, le insinuazioni di sua madre, le sue
fitte nostalgiche, il suo continuo pensare a lui avevano fatto il resto. Aveva
iniziato ad accettarlo passivamente ancora prima di poter pensare di combatterci
contro usando come arma la sua forza di volontà, come aveva tentato di fare anni
prima, quando stava con Dean. Aveva già sperimentato l'inefficacia di questa
tecnica, e per qualche strana ragione persino la forza di volontà le era venuta
meno. Più di una volta, da quando era tornata a casa, si era involontariamente
ritrovata a pensare a come avrebbe potuto essere ritrovare una persona con cui
era stata tanti anni fa. E ogni volta, una strana forza la assaliva, al pensare
che questa persona era Jess. Qualcosa che le faceva comparire un dolce sorriso
sulle labbra, che le faceva brillare gli occhi e dimenticare per un attimo che
avrebbe anche potuto non rivederlo mai più. Quando aveva parlato con sua madre,
il subdolo dubbio che in realtà il suo fosse solo un moto di possessività
egoistica si era insinuato in lei e l'aveva quasi gettata nel panico, ma poi lui
era arrivato, così, all'improvviso, e il violento tuffo al cuore aveva spazzato
via tutto in un attimo. La sua imprevedibilità. E' anche questo che amava di
lui. Non ne ha mai incontrati di ragazzi così, capaci di rivelare un tale numero
di sfaccettature caratteriali. Jess nessuno potrebbe vantarsi di conoscerlo
veramente. Ogni volta che qualcuno arriva a credere di sapere tutto di lui, ecco
che con qualche nuova sorpresa si rivela ancora capace di stupire, nel bene o
nel male. Non si può includere in una qualche categoria di persone. Lui è
soltanto... soltanto Jess. Non ha mai avuto un altro ragazzo così. Ripensa
con amarezza a tutti i momenti in cui tra loro le cose avrebbero potuto
risolversi. Per una ragione o per l'altra, non era mai successo. Dopo che lui se
n'era andato, aveva cominciato a pensare che il destino avesse soltanto voluto
suggerirle qualcosa, e cioè che quella non era la strada adatta a lei. Perciò,
invece di consumarsi per la sua perdita, era andata avanti, esercitando un forte
controllo mentale su di sé per impedirsi di rimpiangerlo in alcun modo. Era
arrivata al punto di essere quasi indifferente al suo pensiero. Poi però lui era
tornato. Era tornato e lei aveva pregato che se ne andasse presto. Si era
imposta di essere arrabbiata con lui. L'aveva fatta soffrire davvero questa
volta, e non era giusto che lei gliele desse sempre tutte vinte come succedeva
quando litigavano. Doveva capire che lei non era disposta a farsi trattare in
quel modo. Era stata dura. Con tutte le sue forze. E lui le aveva detto che la
amava, rivelandosi ancora una volta talmente imprevedibile da riuscire a
spiazzarla completamente.
"Sai, ho pensato molto a questo momento,
davvero. Che mi direbbe Jess se dovessi rivederlo, insomma, se n'è andato senza
un biglietto, senza nemmeno una parola, niente. Ed è passato un anno. Non una
telefonata, il nulla. Quindi probabilmente non sapevi come giustificarti, non è
vero? Ho immaginato centinaia di situazioni e centinaia di frasi che avresti
potuto dire e ti confesso che in questo momento sono molto curiosa di sapere
dove diavolo andrai a parare."
Sorride ironicamente, sentendosi ridicola.
Con tutta l'immaginazione che si era sforzata di tirare fuori per immaginare
quelle centinaia di situazioni e di frasi, quello che alla fine si era
presentato davanti non le era passato nemmeno per l'anticamera del cervello.
Sentirsi dire "ti amo" da Jess era proprio qualcosa a cui non avrebbe mai
nemmeno pensato, figuriamoci scommetterci sopra. Eppure, non era stata capace
di farselo bastare. L'orgoglio, il rancore e la voglia di risollevarsi da quella
pietosa reputazione che le si era costruita intorno avevano fatto il
resto. Ma l'aveva ferito. L'aveva ferito consapevolmente, pensando che se
l'avesse fatto Jess non sarebbe tornato mai più e lei avrebbe potuto smettere di
combattere contro sé stessa e contro di lui. Si ritrova incredibilmente a
pensare che forse l'ha ferito ancora di più di quanto non avesse fatto lui con
lei andandosene da Stars Hollow. Per quella fuga c'erano delle ragioni, che lei
avrebbe potuto finire per accettare e capire. Per il suo rifiuto capriccioso non
c'erano ragioni. Non per il modo in cui l'aveva fatto, almeno. Non si
meritava che Jess tornasse da lei un anno e mezzo dopo con il sorriso sulle
labbra, parlandole civilmente. Non se lo meritava, e sa anche che ora è giusto
che lui si sia tirato indietro. Anche se inizialmente avrebbe voluto mettersi a
gridare pur di smentirlo. Perché l'ultima colpa è stata sua. Se si fosse decisa
a cercarlo prima, se avessero parlato durante tutti questi anni invece di andare
avanti a trascinarsi dietro vecchi problemi mai risolti, se fossero riusciti a
riallacciare un legame di amicizia piuttosto stabile, ora lui non dovrebbe
sentirsi tanto spaventato da tirarsi indietro, e lei non sarebbe così
disperata. Lei è stata la prima a soffrire, ma anche la prima a guarire. La
ferita di Jess è quella più recente. E tutto questo intreccio di torti e di
colpe le sta facendo venire voglia di scappare via da tutto e da tutti. E' mai
possibile che tutto debba per forza essere così complicato? Non esiste una
pietra abbastanza grande da porre sopra i loro problemi per far sì che entrambi
se ne dimentichino? Devono essere necessariamente condannati a dibattersi per
sempre fra il riesumare le vecchie sofferenze e il non riuscire a comunicare
correttamente per risolverle? Ma in quel momento non ha voglia di parlare. Ha
solo voglia di piangere. Piange silenziosamente, così che nessuno la senta,
piange per riempire il vuoto che il sonno non riesce a colmare. Un vuoto che
solo l'assenza di Jess le ha sempre lasciato dentro.
*** Gli sembra
veramente di essere tornato a un po' di anni fa, mentre cammina per le strade
senza tempo di Stars Hollow di mattina presto. Tante volte aveva scelto la
scappatoia di una passeggiata per distrarsi dai problemi che lo assalivano
continuamente. Il posto non gli dava esattamente la pace visiva, pieno com'era
di tutte quelle casette dipinte, di quelle insegne strambe, di quei giardini
impeccabili, ma almeno l'aria fresca sulla faccia era meglio della costrizione
di quattro mura. Sa che per Rory svegliarsi e trovarselo davanti sarebbe un
peso. Ha solo scelto il momento migliore per sparire momentaneamente. Nonostante
tutto, non se la sente di sentirsi puntare addosso lo sguardo inquisitorio di
Lorelai e quello minaccioso di Luke. E' arrivato da appena un giorno, e bene o
male ha comunque diritto a una certa tranquillità. "Jess!" No, a quanto
pare non ne ha proprio diritto. Si volta, prendendo fiato, preparandosi ad
affrontare l'uragano. Il tono di voce con cui Lorelai l'ha richiamato non
sembrava molto amichevole. "Jess." "Ho sentito." "Sarà meglio per te
che tu ora apra bene le orecchie." "Basta che non alzi troppo la voce, c'è
gente che dorme." "Non fare lo spiritoso con me." Sospira, esasperato,
preparandosi ad affrontare la sfuriata in arrivo. "Che accidenti è successo
con Rory?" Guarda Lorelai, infuriata, e assume di colpo un'aria
incredula. "Non dirmi che non lo sai." replica, in tono scettico. "Lo
saprei, se a quest'ora non fosse in viaggio verso New York." Rimane un
secondo in silenzio, spiazzato da quella rivelazione. Non era quello che si
aspettava di sentire. "Cosa è andata a fare a New York?" chiede,
confuso. "Ha detto che ha ricevuto una telefonata urgente di lavoro e che
probabilmente dovrà stare via per un po'." "E allora? Non sono mica il suo
capo." "Jess, quando è andata via aveva le lacrime agli occhi. Voglio sapere
subito che cosa è successo ieri notte." "Prova a pensare alla cosa
peggiore che ti viene in mente che riguardi me e lei." Vede Lorelai riflettere,
per poi sbiancare all'istante. "Complimenti, siete stati silenziosi, allora.
Quando mi sono alzata io vi eravate già rivestiti..." Forse ha esagerato un
po'. "No, no, aspetta, non intendevo esattamente quello." "Spero tu
sia stato attento, perché in questo momento mi sto sentendo
male..." "Lorelai, ci siamo solo baciati." "Ah." Non saprebbe dire chi dei
due è più a disagio in quel momento. Entrambi evitano di guardarsi in faccia per
qualche secondo. "Avete litigato?" chiede Lorelai. "Diciamo che ci hai
interrotti proprio sul più bello." Sente lo sguardo della donna su di sé,
preparandosi all'ennesima accusa. "Che le hai fatto, Jess?" "Vedo che le
vecchie frasi cominciano a farsi risentire." "Sto solo cercando di capire
perché mia figlia se n'è andata in lacrime dopo averti baciato." "Io... io
non lo so, va bene? Lo saprei se avessi potuto portare in fondo la
conversazione." "Ora non dare la colpa a me." "Io non... al
diavolo." Supera Lorelai di scatto, diretto a passo veloce verso casa
Gilmore, senza voltarsi indietro. "Dove vai ora?" "A riprenderla!" Non
gli importa se Lorelai non si fida di lui. Non gli importa se tutto il mondo è
contro di loro. Deve andare da lei. Deve farlo immediatamente.
nota: la citazione del titolo viene da
"If You Knew" di Jeff Buckley. |
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Capitolo 16 *** I Used To Live Alone Before I Knew You ***
Non si è soffermato neanche per un secondo a riflettere
sull’effetto che gli fa tornare a New York dopo tanto tempo. In circostanze
normali, sarebbe stato assalito da una serie di ricordi confusi, che lo
avrebbero portato inconsciamente a comparare la sua vita di un tempo con quella
di adesso. Ma non c’è tempo per tutto questo, e lui sta soltanto guidando con
agitazione svoltando a ogni incrocio nella direzione che gli permetterà di
arrivare alla sua meta. Luke gli ha dato l’indirizzo, dopodiché non ha perso un
solo secondo. E' soltanto salito in macchina e ha guidato senza fermarsi fino a
New York, su una strada che aveva già fatto tante volte in passato. L'impulso di
andare da lei lo spinge ancora una volta a fare cose che non ha mai fatto per
nessun altro. Non si è mai sprecato ad inseguire la gente. Tantomeno le ragazze.
Non ne aveva mai bisogno. Eppure, quando si tratta di lei sembra sempre che ogni
sua regola di vita venga rapidamente infranta senza problemi. Non ha ancora
idea di come poter rimettere le cose a posto, e ha volutamente evitato di
pensarci per tutto il viaggio. Ha soltanto cercato di tenere impegnato il
cervello cambiando stazione radio ogni secondo, tenendo gli occhi incollati
sulla strada consumata dalle ruote della macchina. Il salto da un canale
radiofonico all'altro nel disperato tentativo di trovare qualche cosa di suo
gradimento ha seriamente compromesso i suoi nervi, ma quando ha iniziato a
intravedere i grattacieli di New York l'ansia ha iniziato a trasformarsi in
determinazione, e finalmente ora è riuscito a trovare l'indirizzo. Spera
seriamente che Rory sia lì, altrimenti sarà meglio prepararsi psicologicamente
all'idea di dover setacciare l'intera metropoli. Vuole solo trovarla, deve
assicurarsi che stia bene. Non si aspettava che scappasse. Ma ieri sera le
circostanze gli hanno impedito di chiarirsi per l'ennesima dannatissima volta, e
le successive ore di insonnia sono state solo un arco di tempo in più per
sprofondare di nuovo dentro il baratro delle incomprensioni mai chiarite. La
situazione ormai rischia di precipitare. E' soltanto l'accumulo di una serie di
cose di cui non hanno mai parlato, sulle quali hanno soltanto tratto conclusioni
separatamente l'uno dall'altra. Non c'è mai stata l'occasione di un confronto, e
lui sa, dentro di sé, di averne sempre avuto paura. Forse tutte le fughe, tutti
i silenzi, tutte le rassegnazioni erano per quello. Forse è soltanto troppo
tardi. Scende dalla macchina appena ha trovato parcheggio, ricordandosi a
malapena di chiudere a chiave. A passi affrettati si dirige verso il palazzo.
Apre il portone principale con le chiavi che gli ha dato Luke. In realtà gliele
ha estorte, lo zio non era molto d'accordo sul fatto che lui se le portasse
dietro, ma l'emergenza imminente alla fine gli aveva fatto cambiare idea. E'
necessario avere ogni mezzo a disposizione per convincere Rory a tornare
indietro. Sale le scale, velocemente. Terzo piano, gli ha detto Luke. Gli
sembra di impiegarci un eternità prima di raggiungere il pianerottolo. Ma prima
che possa pensarci è già alla porta. Bussa senza pensarci due volte. Rory
sussulta di colpo. E' la mattina di un giorno d'estate, la maggior parte della
gente è al lavoro o in vacanza, in teoria anche lei dovrebbe essere da una delle
due parti, e qualcuno viene a bussare a casa sua. Sarà un vicino di casa. Eppure
credeva di essere rientrata senza far rumore. Forse la televisione è troppo
alta. Forse è entrata sbattendo la porta, o ha buttato il sacchetto della
colazione nell'ingresso... Scuote la testa. Non ha voglia di aprire. Non ha
voglia di vedere nessuno. Vuole soltanto essere lasciata in pace. Bussano di
nuovo. Non ha nemmeno la forza psicologica necessaria per alzarsi. E non è
nelle condizioni migliori per affrontare conversazioni di nessun tipo. Vuole
soltanto essere lasciata in pace insieme al suo caffè. “Rory!” Si volta di
scatto istintivamente. Sente bruciarle gli occhi. Perché è lì? È venuto a
cercarla? Beh, ovvio che è venuto a cercarla. Ma qualche ora fa sembrava che di
lei non ne volesse più sapere. “Rory, accidenti, vuoi aprire questa
porta?” Singhiozza, con lo sguardo fisso sulla maniglia. Sa che vorrebbe
alzarsi, ma poi pensa che forse è meglio lasciargli credere che non ci sia, per
andare avanti per tutto il resto della giornata a pentirsi di ogni sua singola
azione, senza trovare la forza di rimediare… Sente una chiave girare nella
toppa, sussulta di nuovo, si alza in piedi di scatto. In pochi secondi di panico
Jess ha già aperto la porta e le sta di fronte, fermo sull’ingresso. Cerca di
trovare qualcosa da dire, ma la sorpresa la ammutolisce per diversi
secondi. “Chi ti ha dato le chiavi?” Lo guarda mentre le si avvicina, è
ancora bello come quando l’ha baciato questa notte. È ancora capace di
sconvolgerla anche solo incrociando il suo sguardo. “Le ho estorte a Luke,
anche se non era molto d’accordo.” “Come facevi a sapere che non ti avrei
aperto?” “Una banalissima intuizione.” “Certo. Del resto, sei sempre stato
intelligente.” “Dopo che sei scappata via senza una parola non ci voleva
molto a prevederlo.” Rory rimane in silenzio, contrariata. Si sente
improvvisamente presa da un blocco. Non vuole spiegare, non vuole fargli pensare
che sta male per lui. Può superarlo da sola, come ha fatto anche le altre
volte. “Allora… volevi tornare a casa con un pigiama di riserva?” Rory
arrossisce, accorgendosi di essersi dimenticata di quel piccolo dettaglio.
Appena era rientrata in casa si era accorta che i vestiti, anche se leggeri, le
pesavano addosso. Aveva tirato fuori un paio di pantaloncini corti e un top da
notte e se li era infilati in fretta, raccogliendosi i capelli sulla nuca con
non molta cura. Effettivamente, in quel momento non deve avere proprio un
bell’aspetto. “Volevo solo avere la televisione tutta per me.” risponde,
stringendosi nelle spalle. Meglio mantenere quella conversazione su un tono poco
serio. “Potevi andare da Babette.” “Volevo evitare che il suo nuovo gatto
mi graffiasse come l’ultima volta che sono entrata in casa sua.” “Potevi
portarti dietro una gabbia.” “E dove la trovavo?” “Non lo so, i negozi di
Taylor vendono qualsiasi cosa…” Sorride mentre lo guarda. “Ti ricordi ancora
tutto così bene di Stars Hollow?” “Beh, diciamo che è un posto che lascia il
segno.” “Più di New York?” “Molto più assurdo di New York.” “E dai, non
dirmi che in una metropoli non hai mai visto cose assurde.” “Mah, forse a
Stars Hollow ero attratto dagli gnomi da giardino proprio perché qui non se ne
vede nemmeno l’ombra.” Ride inevitabilmente ripensando a quella vecchia
storia. “Babette era sconvolta lo sai?” “Non avevo idea che si trattasse
del suo bene più prezioso.” “Ha passato l’intera settimana successiva a
inveire contro di te.” “Peccato che non l’abbia mai fatto quando ero nei
paraggi, mi sarei potuto fare qualche risata.” “Non dirmi che vedere Kirk da
Luke per tutto il giorno non ti faceva ridere.” “No, mi lasciava solo più
scioccato di quanto già non fossi.” “Era tanto terribile?” “Assolutamente,
mi sentivo male all’idea di essere capitato in un posto di svitati.” Sorride,
chinando lo sguardo. “Alle volte non sembravi proprio così triste
però.” “Perché per lo meno c’era qualcuno che sapeva chi è Hemingway.” “Il
fatto che non sia mai riuscita a mandarlo giù non influisce?” “Conoscerne il
nome era già un passo avanti.” Risponde Jess, stringendosi nelle spalle. Mentre
su di loro piomba il silenzio, si rende conto di quanto tutta quella situazione
sia assurda. “Hai avuto qualche incubo stanotte?” “No, non credo di aver
dormito molto.” “Ti sei sentita male?” “No.” “Ti sei svegliata e Luke
ti aveva preparato una colazione che non ti piace?” “Jess, si può sapere dove
vuoi arrivare?” “Vorrei arrivare ad avere una motivazione per cui tua madre
mi ha inseguito per tutta Stars Hollow per ripropormi la stessa domanda di rito
di un po’ di anni fa.” “Non dirmi che ti ha chiesto che cosa mi avevi
fatto.” “Non te lo dirò, e sorvolerò anche sul suo tono minaccioso e
vagamente omicida.” “Oh mio dio.” Tutto ciò che riesce a fare in quel momento
è mettersi le mani nei capelli. Jess la guarda, chiedendosi se sarà necessario
un paio di pinze per farle tirar fuori la verità. “Rory.” Lei alza la
testa, sprofondando nel suo sguardo. Si sente colmare di disperazione. Non sa
più cosa fare. Forse non c’è niente da fare. Forse è solo un segno, un segno che
non sono destinati ad essere felici insieme. Hanno attraversato un sacco di
situazioni terribili. E ora sono lì, ancora legati da qualcosa che rappresenta
la loro vita e la loro condanna. “Io… ti capisco se credi di non sapere più
chi sono.” Jess fa per dire qualcosa, ma poi lei prosegue. “Ti giuro che
alle volte me lo sono chiesta anch’io.” “È normale, è passato
troppo—“ “No, non è questo il punto.” “E allora qual è? Continui a girarci
intorno, Rory.” “Invece sono perfettamente immobile.” “Lo sai che cosa
intendo.” “Sì, ma forse è meglio non saperlo.” “Bene, allora rispediscimi
a casa dalla tua mammina inferocita, ma sappi che mi avrai sulla
coscienza…” “Io… mi dispiace, Jess.” La guarda, sembra sul punto di scoppiare
in lacrime. “Cosa?” Lei alza la testa. “Sei diventato sordo per
caso?” “No, ma tu non concepisci la possibilità che io non riesca a stare
dietro ai tuoi discorsi sconnessi.” “Ti sto solo dicendo che mi
dispiace.” “Per cosa?” “Per tutto, tutto… dopo che sei andato in
California sentivo tanta gente dirmi che per me in fondo era un bene, che sarei
stata meglio, che non avrei più rischiato di subire delle influenze negative, e
invece mi è soltanto crollato tutto addosso…” “Capita a tutti.” “No, tu
non capisci. Io… mi sono trasformata in una persona orribile… mi sono comportata
in un modo che non avrei mai ritenuto possibile…” “Senti, non c’è bisogno che
tu ti senta in colpa per avermi detto di no.” “Quella è stata solo una parte…
una minima parte… ho ferito tutte le persone a cui tenevo di più… mia madre,
tu…” Gli esce una risata ironica. “Rory, tu non tenevi più a me, era
evidente.” “Io… io non sapevo quello che facevo in quel
momento.” “Dobbiamo per forza tornare a parlarne?” “Non ne abbiamo mai
parlato, Jess, e forse questo è il problema più grande…” “Ci sarà un motivo
se non ce n’è mai stata l’occasione.” “Ti sto dicendo che mi
dispiace.” “Ti ho sentito.” “Ma non mi stai prendendo sul serio.” “Dopo
che sono passati cinque anni?!” “Perdonami se i miei processi mentali sono
così lenti.” “O se hai avuto l’illuminazione solo ora.” “Jess, ho passato
tre anni a chiedermi perché mi avessi aiutata a tornare a Yale senza
portarmi rancore per niente, la mia non è stata un’illuminazione.” “Non ne
usciremo più, lo sai questo, vero?” “Se tu mi ascoltassi ne saremmo già
usciti.” “Rory, non è così facile, come fai a voler pretendere di risolvere
tutto chiedendomi scusa?” “Certo, hai ragione, meglio starsene in silenzio e
fare finta di niente, così poi quando la situazione precipita nessuno ci capisce
più niente.” Si ferma, stringendo i pugni. Sta andando tutto storto. Non c’è
un modo per riaggiustare le cose. “Perché mi hai baciato?” “Potrei farti
la stessa domanda.” “Il piccolo dettaglio è che hai cominciato
tu.” “L’altro piccolo dettaglio è che tu pretendevi già di sapere perché
l’avevo fatto, quindi non capisco proprio per quale motivo me lo stai
chiedendo.” La fissa, tentando di frenare l’esasperazione. Era comunque
illusorio sperare di poter risolvere tutto senza un litigio. “Ho solo fatto
delle supposizioni.” “Che hai clamorosamente sbagliato,
complimenti.” “Bene, allora spiegami in che cosa consisteva il mio
errore.” Rory rimane in silenzio per qualche secondo, ad osservarlo. Lo sa il
perché l’ha fatto. E sa anche perché continua ad avere quel terribile blocco
ogni volta che si tratta di spiegarglielo. “Io l’ho fatto… perché volevo
farlo.” Jess le lancia un’occhiata scettica. “Davvero chiara come
risposta.” “Sei tu che mi hai accusato di averlo fatto in un momento di
mancanza di lucidità mentale.” “Va bene, allora cerchiamo di fare un passo
per volta… perché volevi farlo?” “Accidenti, Jess, devo proprio spiegarti
tutto?” “Sei tu che sostieni la necessità di chiarirci… bene, non vedo spunto
migliore per cominciare.” Il silenzio la assale di nuovo. Accidenti, deve
farcela. Non può essere così difficile. “Perché volevo farlo.” “Almeno hai
capito.” “Certo che ho capito, lasciami spiegare.” “Non aspetto
altro.” “Bene.” Forse è sufficiente non guardarlo negli occhi. Forse
farà meno male. O sarà meno difficile. “Io… io non ce l’ho con te… e
nemmeno mi sono lasciata prendere da qualche istinto primordiale… e non volevo
semplicemente farlo perché siamo stati insieme e ne sentivo il
diritto…” “Fantastico, abbiamo già escluso diverse opzioni.” “Jess,
smettila.” “Perché?” “Perché mi dai sui nervi.” “E allora non lasciarmi
parlare.” “Va bene, come vuoi! L’ho fatto perché rivedendoti mi sono resa
conto che tu per me sei stato importante, e lo sei ancora, perché non so cosa mi
è preso ma a Philadelphia ho fatto di tutto per poterti rivedere e non l’ho
fatto solo perché volevo essere educata e dirti grazie, c’è stato qualcosa che
mi ha spinto, qualcosa che mi ha fatto esplodere mentre eri al telefono con
un’altra, e ti giuro che se mi fosse stata davanti avrei voluto tirarle un
pugno…” “Vedi, sei diventata violenta in questi anni.” Gli getta
un’occhiata fulminante, e si accorge che più si arrabbia più il sorriso sul
volto di Jess si allarga. Sembra che si diverta proprio a farla uscire fuori dai
gangheri. “Ti giuro che lo volevo. E non credo ci sia una spiegazione
razionale. Mia madre mi ha messo paura. Mi ha detto che o ero gelosa, e quindi
provavo ancora qualcosa per te, oppure ero una di quelle persone orribili che
pretendono di avanzare pretese possessive sulle persone a cui sono
legate…” Jess si sente invadere dalla tenerezza. Il fatto che si sia posta
dei dubbi sul perché abbia fatto quella scenata e sulle motivazioni che possano
averla spinta, dimostra che è davvero pentita per come si è comportata in
passato, e che forse l’essere andato da lei tre anni fa l’ha fatta tornare ad
essere sé stessa in qualche modo. “Però poi quando sei arrivato non provavo
gelosia. Ero soltanto… non lo so. Disperata forse. Avrei voluto che tra noi le
cose non stessero così.” Jess sospira, annuendo leggermente. Capisce perché
Rory sta facendo tutta quella fatica. Lo capisce e lo condivide, e gli sembra
sempre più incredibile che la prima opzione proposta da Lorelai possa davvero
essere quella reale, ma il dubbio ormai sta per provocare il crollo di tutte le
sue sicurezze. Forse, rivedendola è tornato a non essere più un semplice
fantasma del passato. Forse, può essere che davvero quello che l’ha spinta sia
qualcosa di vivo e reale, e non un semplice sentimento nostalgico… “Mi
manchi, Jess.” Le parole le escono con difficoltà, mentre il groppo alla gola
si fa più acuto, e quasi impossibile da trattenere, nonostante stia lottando con
tutte le sue forze per mantenere il controllo. “E credimi se ti dico che mi
dispiace.” La voce le si incrina. Si porta una mano alla bocca, e sente che
le gambe stanno per cederle. Ormai non ha più dubbi. Ci è riuscito davvero. L’ha
fatta innamorare di nuovo, le ha fatto vivere degli attimi che non si alimentano
solo dei bei ricordi, ma di tensioni e di emozioni che ha provato per qualcosa
che le sta accadendo in questi momenti. “Ok, ti credo.” Non riesce a dire
altro. Rory fa un passo verso di lui. È disperata, non lo guarda negli occhi.
Cerca solo il contatto con il suo corpo, gli appoggia la testa sulla spalla, si
rannicchia sul suo petto, stringe la sua maglietta, e lui la cinge con le
braccia, inebriato dal calore del suo corpo. La stringe forte. Può soltanto
stringerla forte in quel momento. Rivuole soltanto la sua Rory, e tutta la paura
che ha provato durante la notte si perde in qualcosa che ogni volta che lei gli
sta vicino riesce sempre a sommergerlo senza controllo. E lei vuole soltanto
che la tenga stretta a sé. Vuole poter credere che non è tutto perduto in quel
momento.
nota: la citazione del titolo viene da "Hallelujah" di Jeff
Buckley. |
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Capitolo 17 *** The Man Who Loves You ***
Il film è finito. Per l'ultima parte sono rimasti entrambi in silenzio. Di
colpo Jess si riscuote e, con un gesto automatico, guarda fuori dalla finestra:
è buio pesto. Bel lavoro. E adesso? Doveva riportare Rory a Stars Hollow, e
invece hanno trascorso tutto il giorno nel suo appartamento di New York in
compagnia di cibo cinese e videocassette. Luke sarà infuriato. Lorelai avrà
già affilato i coltelli. Eppure sa che deve tornare a Stars Hollow, e deve
tornarci con Rory. Deve solo riuscire a dirglielo, e cercare di minimizzare il
danno dell'altra notte. "Rory, senti..." "Rimani qui." Si volta a
guardarla spiazzato. "Come?!" "Jess, non vivo in un ripostiglio, c'è
spazio per tutti e due." "E tu credi che io abbia fatto tutta questa strada
per aumentare l'odio di tua madre contro di me?" "Non ti odierà." "Non ci
giurerei." "Lo sai che non fa sul serio." "Ah sì? Potevi avvertirmi
allora, così avrei evitato di spaventarmi stamattina davanti alle sue
minacce..." Rory si lascia cadere sul divano, svuotata di ogni energia. Non
ne può più di litigare in continuazione. Sa soltanto che non ha ancora la forza
per tornare a Stars Hollow e affrontare la situazione. Si sente una vigliacca,
ma sa di non farcela. "Jess, per favore, io non me la sento." "Di fare
cosa?" "Di tornare a casa, adesso." "Date le circostanze forse dovrei
averne paura più io di te." "Può darsi, ma me ne sono andata perché avevo
bisogno di stare un po' da sola e chiarirmi le idee, e ora..." "La tua idea
di solitudine implica che ci sia anch'io a dormire in casa tua?" "Preferisci
tornare a Stars Hollow a mani vuote? Equivarrebbe a firmare la tua condanna a
morte." La situazione è altamente compromettente. In ogni caso, è lui a
perdere. Fuori è buio, e lui è stanco per aver passato la notte precedente quasi
completamente insonne. Forse sarebbe meglio non rimettersi al volante, ottenendo
anche di rimandare la sua condanna di un giorno. Guarda Rory, incerto. Lei
non fa niente per incoraggiarlo o smentirlo. Non riesce a dire altro. Sa
soltanto che vuole che rimanga. Ne ha bisogno in quel momento più che
mai. Jess sospira, rassegnato. Si tratta solo di dormire lì. Non dovranno
affrontare discorsi imbarazzanti, né altro. Lei in camera, lui sul divano... in
qualche modo poi se la sbrigherà con Luke e Lorelai. "Passami il
telefono." Compone il numero, rassicurato dal fatto che dopotutto non dovrà
subito affrontarli faccia a faccia. "Pronto?" "Zio, rimango a New York
stasera." "Cosa... come?" "Non torno a Stars Hollow, tutto qui." "No,
scusami, chiami ora, dopo aver fatto stare me e Lorelai in pena per un'intera
giornata, non ci dici niente di come sta Rory né tantomeno se l'hai trovata o se
la stai ancora cercando, e tutto quello che sai dire è che stanotte ti fermi a
New York?!" "Mi fa piacere sentire che hai recepito il messaggio." "Vuoi
davvero farmi arrabbiare?" "Zio, secondo te dove potrei mai fermarmi a
dormire?" "Ci vivevi tu a New York, io non voglio nemmeno provare a
immaginare..." "Se ti dicessi che sono a casa di Rory ti risparmierei qualche
incubo stanotte?" "Bene, grazie per avermi informato del fatto che almeno uno
di voi due è sano e salvo." "Ah, sì? E sentiamo, Rory dove pensi che
sia?" "Trovarla era compito tuo." "E secondo te se non l'avessi trovata me
ne starei qui tranquillo a casa sua?" "Allora l'hai trovata." "Deduzione
impeccabile." "Potevi dirlo subito." "Diciamo che volevo divertirmi un
po'." "Beh, per me non è stato affatto divertente." "Lo immaginavo. Bene,
allora adesso che vi ho messo il cuore in pace andrei a dormire..." "No, no,
aspetta." Sospira, preparandosi alla predica. "Cosa c'è?" "C'è che ho
visto casa di Rory, e non riesco proprio a immaginare dove tu possa
dormire." "Forse nel corso del tuo esame ti è sfuggito il divano." "Mi
sembrava un po' troppo piccolo per te." "Allora farò in modo di
rimpicciolirmi." "Perché non ti sei messo in macchina qualche ora
fa?" "Ero troppo impegnato a studiare un modo per riuscire a dormire sul
divano." "Da chi è partita questa proposta?" "Suona tanto come una domanda
retorica la tua." "Jess, spero tu non abbia intenzione di..." "Ecco, se
credi di sapere già la risposta risparmiati di chiedermelo." "Ti avverto, non
fare sciocchezze." "Accidenti, avevo già in mente di organizzare un
festino..." "Jess." "Zio, come devo fartelo capire che sono perfettamente
in grado di non farvi preoccupare?" "Trattandosi di Rory, non lo sei mai
stato." "Bene, allora se preferisci non credermi sulla parola e passare una
notte insonne insieme a Lorelai, tanto piacere. Salutami
Emily." "Jess..." "Buonanotte." Rimette il telefono al suo posto mentre
una sgradevole sensazione di fastidio continua a pesargli addosso. Al
diavolo, non ha intenzione di farle niente. Eppure ogni volta è così... ogni
volta lui è il colpevole e lei la povera innocente. Lui è quello che è capace di
plagiarla mentalmente, di traviarla, di farla essere quello che non è. Come se
Rory con lui non fosse mai stata sé stessa. Assurdo, perché anni fa l'aveva
osservata spesso mentre stava in mezzo agli altri, circondata dalla gente,
soprattutto con Dean, e gli era quasi sembrato che davanti alla gente Rory
recitasse un ruolo, quello della ragazza perfetta, che le calzava perfettamente,
e che lei interpretava in modo eccezionale, ma pur sempre un ruolo. Sempre così
controllata, posata, tranquilla, gentile. Lui era riuscito a tirare fuori la
parte meno perfetta di lei. L'imbarazzo di fronte alle sue affermazioni
spudorate, il senso di colpa quando Dean li sorprendeva insieme anche se di
fatto non stavano facendo niente di male, l'indecisione quando si era trattato
di scegliere fra il ragazzo perfetto e il teppista ribelle, la rabbia di fronte
a certi suoi atteggiamenti poco rispettosi nei suoi confronti, la passione che
aveva iniziato a tirare fuori con lui quando stavano da soli... tutte cose che
l'intera città di Stars Hollow non aveva mai conosciuto, nonostante avesse
seguito la sua crescita di anno in anno da quando lei e Lorelai erano arrivate
lì. E questo, secondo l'opinione comune aveva il significato di averla
traviata. Certe volte la gente è proprio superficiale. Si volta verso
Rory. Ora deve preoccuparsi soltanto di loro due. "Tutto sistemato, almeno
fino a domani." Lei gli sorride timidamente. "Potevi dirglielo che era stata
una mia idea." "E togliergli il loro divertimento principale? Fidati,
passeranno la notte a studiare i modi migliori per darmi una morte lenta e
dolorosa." Lei sorride ancora, mentre il dolce sospetto che abbia tentato
implicitamente di proteggerla si fa strada in lei e le fa allargare il
cuore. "Ti faciliterò la fuga, nel caso decidano di attuarne
qualcuno." "Grazie." Anche lui le sorride lievemente. Prima che possa
sopraggiungere l'imbarazzo, ha già pensato a un modo per salvare
entrambi. "Per caso hai qualche altro cuscino?" "Oh... sì, certo." Rory
sparisce di corsa nell'altra stanza, e lui può finalmente rilassarsi un attimo e
tentare di sciogliere la tensione. La stanchezza sarebbe capace di farlo
crollare addormentato in pochi istanti, ma in realtà dubita che ci riuscirà
veramente. I troppi pensieri contribuiscono sempre a tener sveglio il cervello,
in casi come questi, e nemmeno il sonno è in grado di sopraffarli.
Rory
continua a rigirarsi da una parte all'altra. Non si è mai trovata in una
situazione così. Con Jess che dorme in casa sua, di là, sul divano. Ed era stata
lei a chiedergli di restare. Continua a ripensare alla telefonata tra lui e
Luke. Dalla metà di conversazione che aveva potuto ascoltare, ne aveva dedotto
che erano volati degli avvertimenti volti a mettere le mani avanti per loro due,
nonostante nessuno sapesse che cosa era successo tra loro. Non stanno neanche
insieme, e sono ancora capaci di spaventarli come una volta. Ricorda bene le
visite di Luke al piano di sopra ogni dieci minuti, l'espressione infastidita di
Jess ogni volta che venivano interrotti e l'imbarazzo che le colorava le guance,
e ricorda bene anche la faccia che ha fatto sua madre quando le aveva detto che
pensava di avere la sua prima volta con Jess. Se avesse potuto escludere da
quella conversazione qualsiasi imbarazzo, paura o reticenza che aveva provato,
avrebbe anche potuto farsi delle sane risate. Loro due insieme, da soli nella
stessa stanza, erano capaci di mettere in allarme l'intera città. Eppure, la
questione è tornata a scottare. E' grande, adulta. Questo genere di cose sono
ormai normale prassi per la gente della sua età. Ma con Jess è sempre stato
complicato. Non ha dimenticato tutta la passione che la infervorava, che spesso
era costretta a reprimere con l'aiuto del buonsenso. Era giovane, all'epoca, le
era già costato uno sforzo non indifferente ammettere con sua madre che ci aveva
pensato. Tutte le volte che ci pensava si sentiva sconvolgere. Avrebbe potuto
farlo con Jess, perdere la sua verginità con lui. Aveva paura, un'immensa paura
di compiere quel passo, ma non aveva mai dubitato di quel pensiero, di quel
desiderio. Se avesse deciso di concretizzare quell'ipotesi, era certa che Jess
l'avrebbe fatta sentire come nessun altro avrebbe potuto fare. Lo sentiva,
quando si baciavano, quando i loro corpi si incontravano in un abbraccio. Quello
che lui non diceva a parole, spesso lo percepiva dal comportamento che aveva
verso di lei. Era ovvio che aveva avuto altre storie, ed era ovvio che
probabilmente sentiva il desiderio di farlo anche con lei, ma non gliel'aveva
mai espressamente chiesto, niente forzature, niente moti di stizza quando lei
decideva di fermarsi. Era qualcosa che andava al di là del semplice rispetto, o
del legame che aveva con lei. Per qualche strana e assurda ragione, sentiva che
se fosse successo con Jess sarebbe stato tutto splendido, anche se magari non
perfetto. Jess non avrebbe mai programmato la serata portandola a cena fuori in
un ristorante di lusso e poi in una camera da letto illuminata da mille candele.
La decisione l'aveva tacitamente lasciata tutta a lei. Quella sera alla festa
di Kyle tutto era andato storto, però. Si era sentita tradita, tutto quello che
aveva immaginato riguardo alla sua prima volta con lui era stato demolito in
pochi secondi. Non poteva credere di essersi così clamorosamente sbagliata su di
lui. Poi però, con la lucidità successiva, aveva capito. Aveva capito che c'era
qualcosa che non andava, qualcosa di serio che non andava. Jess non era solo
taciturno e scontroso quella sera. Era frustrato, triste. Avrebbe dovuto andare
via da quella festa, portarlo lontano, cercare di stargli più vicino. In ogni
caso, tutto era andato a rotoli. La magia si era rotta, e poco dopo lui se n'era
andato. Il sogno della sua prima volta si era perso in un baratro di
disillusione, e la fine di quella bella favola era stata tutt'altro che
prevedibile. Aveva deluso sua madre, sfasciato un matrimonio, distrutto
l'immagine che tutta Stars Hollow aveva di lei, quella della ragazza perfetta,
giudiziosa, riflessiva. Non era così che immaginava che sarebbe
andata. Lentamente, il sonno prende il sopravvento, le palpebre iniziano a
diventare pesanti. L'inquietudine e l'inadeguatezza che prova per aver chiesto a
Jess di dormire in casa sua mentre non stanno nemmeno insieme vengono soffocate
lentamente dal dormiveglia, mentre inizia a perdere coscienza dei propri
pensieri senza rendersene conto.
Jess rimane per un po' a fissare la
stanza immersa nella penombra, circondato dai cuscini. Dopo un po', decide di
darsi pace, e sposta lo sguardo sul soffitto, pensando a quanto sia stato idiota
a perderla anni fa. Se n'è andato perché era necessario farlo, era per il suo
bene che voleva tenerla lontana dal lato peggiore del suo carattere, per paura
di farle ancora del male come aveva già fatto, e nello stesso tempo, senza avere
il coraggio di dirglielo. Lui era cambiato. Si era sforzato di migliorare per
lei. Andarsene gli aveva giovato. Ma non era andata come sperava. Lei non ci
aveva creduto. Non era riuscito nell'unico scopo vero che aveva mai avuto nella
sua vita, stare con lei. Era stata dura da mandare giù-- probabilmente non ci
era mai riuscito. Ovvio che non ci è mai riuscito, si corregge. Altrimenti
ora non starebbe qui a dormire in casa sua senza sapere che decisione
prenderanno domani mattina. A pensarci bene, l'avrebbe direttamente mandata a
quel paese di fronte alle sue crisi di gelosia, e poi non ci sarebbe stato certo
un bacio. Quel bacio. L'aveva proprio sconvolto emotivamente, si disse con
ironia. L'agitazione e l'adrenalina l'avevano assalito talmente tanto che non
era più stato bene in grado di mantenere il pieno controllo delle sue facoltà
mentali. Non riusciva più a pensare con coerenza, non riusciva nemmeno a
concentrarsi su qualche pensiero, tutto quello che ricordava era il vuoto
mentale, l'invasione del suo cervello da parte di una serie di scariche
elettriche. Rivivere mentalmente quella scena gli dà la possibilità di
ricostuire un quadro in cui molte parti sono confuse nell'emozione. Ricorda il
gusto delle sue labbra. La consistenza del suo corpo premuto contro il suo. Le
sue mani intorno al collo, fra i capelli, lo scivolare in profondità sulla sua
bocca...
Rory si sveglia di soprassalto, si sente mancare il respiro.
Rimane immobile per qualche secondo a fissare il buio, poi di scatto di solleva
a sedere sul letto. Si passa le mani tra i capelli sciolti sulle spalle,
chiudendo gli occhi e tentando di calmarsi. Un sogno, era solo un sogno.
Qualcosa in cui si era sentita intrappolata fino all'ultimo, finché la sua forza
di volontà non era stata capace di farla ritornare cosciente e di farle aprire
gli occhi. Ha soltanto sognato, la paura incredibile che ha provato di fronte
a quelle immagini non ha motivo di esistere veramente. Eppure, continua ad
essere scossa da tutto questo, e le ci vogliono diversi secondi per fare il
punto della situazione, e ricordarsi che si trova a casa sua a New York, e che
di là c'è Jess... sì, è di là, è stato solo un sogno. Deve riuscire a farselo
entrare in testa. La situazione è davvero ironica. Gli ha chiesto di restare
perché aveva paura di rimanere da sola, di sentirsi persa, vuota, di perderlo di
nuovo, a causa della sua stupidità... ed è riuscita a terrorizzarsi da sola con
un incubo insensato. Non sa perché si sta alzando. Forse vuole solo
assicurarsi che sia davvero lì, che abbia solo sognato. Deve assicurarsene, deve
tranquillizzarsi o non riuscirà più ad uscire da quel circolo
vizioso. Stringendo le braccia intorno al corpo si avvia come in trance fuori
dalla sua camera.
Jess si sveglia di colpo, allarmato da un movimento.
Apre gli occhi. Rory è in piedi di fronte a lui, e lo guarda attraverso la
penombra. Che ci fa lì? Da quanto si è addormentato? "Tutto bene?" sussurra,
accorgendosi che lei rimane lì immobile. "Ho... credo di aver avuto un
incubo." Evidentemente la sua presenza lì non è bastata a farla sentire più
tranquilla. Si solleva a sedere sul divano, non sapendo che fare. "Mi
sento una stupida." dice lei, e forse sono entrambi a sentirsi così. Jess si
alza in piedi, incerto. "Era tanto spaventoso?" chiede. Lei riesce solo ad
annuire, sentendosi cogliere dalle vertigini. Barcolla leggermente. Jess si
avvicina a lei, senza pensarci. Le passa un braccio sulla schiena, avvicinandola
a sé. La sente tremare, scossa da un brivido. La sua pelle è calda, e il
contatto con le sue mani fredde gli dà un senso di straniante sollievo... La
guarda, inclinando leggermente la testa di lato. Sembra davvero
scossa. "C'era per caso tua madre con un cappuccio in testa e una falce in
mano?" prova ad insinuare. Rory sembra avvicinarsi leggermente. "No perché se è
così credo che la tua sia stata soltanto una premonizione..." Non riesce a
continuare oltre. La distanza fra loro si è ormai chiusa del tutto, Rory ora ha
le mani sulla sua schiena, la testa reclinata sul suo petto. Il suo cuore inizia
a battere molto più velocemente, e l'idea che Rory possa sentirlo non
contribuisce certo a farlo calmare. Viene scosso da un lieve brivido mentre
lentamente la stringe di più a sé, e la sensazione che prova riesce quasi a
farlo andare fuori di testa. La sua mano scivola sulla schiena di Rory.
Indossa soltanto quel pigiama minuto con cui gli si è trovata davanti la
mattina. Lei sembra avvicinarsi di più a lui, cercare un contatto pericoloso ma
essenziale per entrambi in quel momento. Jess non riesce a dire niente, non sa
più cosa pensare ormai. Tutto quello che riesce a fare è poggiare la fronte
contro la sua e tenerla stretta a sé cercando di farla stare
meglio. "Jess..." "Sì?" "Io..." Sente mancarle le forze. Vorrebbe
dirgli che ora sa, che ora è cosciente di tutto, che è pronta, pronta come lo
era lui quando era venuto da lei a Yale per portarla via con sé, che ha capito
tutto quanto, che non ha più paura, e che vorrebbe che per lui fosse lo
stesso... Jess le sfiora le labbra con le dita. Solo questo, poi il buio lo
invade mentre in un attimo cerca la sua bocca e la bacia. Si maledice per la sua
impulsività, rendendosi conto che così sta offrendo su un piatto d'argento a
Luke e a Lorelai l'occasione per vantarsi di aver avuto ragione su di
lui... Eppure, lei risponde al bacio. Si stringe di più a lui, aggrappandosi
alle sue spalle, e basta un attimo perché ritorni tutto quanto: la complicità,
la voglia di stare sempre attaccati, il desiderio di chiudere soltanto gli occhi
e lasciarsi trascinare via senza pensare. Si rende conto di amarla ancora.
Non è mai svanito il suo ricordo dentro di lui. Si è soltanto assopito. E ora,
lei è cambiata, ma è cambiato anche lui, e nonostante questo i loro momenti ora
coincidono, e loro sono ancora lì a baciarsi, come tanti anni fa... Lei si
solleva in punta di piedi e gli cinge il collo con le braccia, continuando un
bacio più profondo, più intenso. Forse ora è il momento. Forse è proprio da
lì che devono riprendere, da dove sono stati interrotti l'ultima volta. Solo che
ora molte cose sono cambiate... lui non la sta cercando solo per scaricare la
sua frustrazione, e lei forse non lo respingerà sentendosi tradita... Inizia
a girargli la testa quando lei gli prende il volto fra le mani, lo bacia con
passione e poi gli afferra una mano, trascinandolo lentamente verso la
camera. Sente che lo vuole davvero. In quel momento non ha paura. Non ha
paura di tradire nessuna immagine di lei, nessun'idea che gli altri si sono
fatti. Non vuole farlo per sentirsi matura, non vuole farlo perché questo
significherà essere di nuovo al sicuro dal resto del mondo... Lo vuole
soltanto perché è Jess che la sta baciando in quel momento. Lo vuole solo per
lui, per loro. Jess la solleva e la appoggia sul letto, senza mai staccare la
bocca dalla sua, quasi nell'intento di esorcizzare tutte le paure e i dubbi che
potrebbero sorgere se si fermassero un attimo a riflettere... Non gli importa
di quello che diranno gli altri. Non gli è mai importato, a maggior ragione
quando si trattava di lei. Le braccia di Rory cingono il suo torace, in un
attimo si ritrova disteso sopra di lei, premendo sul suo corpo, mentre la bacia
con ardore sempre crescente. Le vertigini lo colgono in un attimo. Si rende
conto che non può andare avanti se non è sicuro che per lei sia lo stesso. Se il
mattino dopo dovesse svegliarsi e scoprire che è stato solo un passatempo,
qualcosa di cui non era convinta... Sfila le mani da sotto di lei e si stacca
dalla sua bocca, appoggiandosi sul suo fianco, tentando di riprendere
fiato. "Scusami." riesce solo a dire. Si sente un idiota, ma poi lo sguardo
di Rory si fissa su di lui. Dopo un secondo lei si scioglie dal suo
abbraccio. "Ok." dice, in tono sommesso. Jess la guarda, spiazzato. "Ok
cosa?" "Se non ti va..." "No, no, aspetta." "Sono una stupida, non
avrei mai dovuto." "Rory guarda che io..." "Lo capisco, se non vuoi." Le
esce fuori in tono disperato, sull'orlo delle lacrime, e in quel momento si
sente morire. E' destino che tutto vada storto. "Io mi sono comportata da
perfetta idiota con te..." Tutto ritorna sempre alla radice del problema.
Jess sospira, poi le accarezza una guancia. "Anch'io mi sono comportato da
perfetto idiota con te." "Allora siamo pari." "Già." Rory trattiene il
fiato, osservandolo attraverso la penombra della camera, mentre è ancora così
vicino a lei. Poi capisce perché si è femato. I dubbi che assalgono lei,
hanno assalito anche lui... "Però vogliamo le stesse cose." dice, in un
sussurro. Sente lo sguardo di Jess su di sé, i loro occhi incatenati di
nuovo... "Al diavolo le scuse, allora." dice, e in un attimo le loro bocche
sono di nuovo l'una sull'altra, e Jess capisce. La sente. Sente che lei lo
vuole. Che ne è consapevole. Che non è tutto dettato da un momento di
follia. Sorride lievemente mentre le bacia il collo e si dedica a sfilarle
via il pigiama. Ora sente solo la sua pelle bollente, e capisce che la ama.
Non si tratta di averla come non l'ha mai avuta. E' soltanto un completamento,
un atto che in quel momento li unisce al di là di tutti i problemi ancora
irrisolti, qualcosa che gli fa ritrovare speranze che aveva perso tanto tempo
fa. Mentre le bacia la guancia arrossata e le accarezza i capelli si rende
conto di non avere mai fatto l'amore così.
Nota: la citazione del titolo viene da "I Am Trying To Brake
Your Heart" dei Wilco.
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Capitolo 18 *** So I'll wait for you... and I'll burn ***
Le palpebre gli pesano mentre cerca di aprire gli occhi. Li socchiude
immediatamente non appena si accorge di che cosa ha provocato il suo risveglio:
un fascio di luce penetra dentro la stanza dalle imposte aperte, colpendolo
direttamente in pieno viso. Una smorfia di disappunto gli altera il volto,
mentre lo coglie uno sbadiglio. Fa per stirarsi i muscoli, e improvvisamente
prende coscienza del corpo a contatto con il suo. Impietrito, fissa il soffitto,
accorgendosi di colpo che non è il soffitto di casa sua. Questo soffitto è
candido e appena dipinto, non annerito come il suo... Con una mano si sfrega
gli occhi, richiamando a sé tutte le forze che possono permettergli di far
tornare a funzionare il suo cervello. Poi i ricordi iniziano ad invaderlo come
un fiume in piena. Ricordi vividi, consistenti... è davvero successo. Decide
di alzarsi. Non vuole farsi trovare a letto come un bambino. Cercando di fare
attenzione a non svegliare Rory, scende dal letto e si dedica a raccogliere i
suoi vestiti sparsi per la camera. Cercando di capire come accidenti abbiano
potuto i suoi jeans finire sotto l'armadio, si riveste rapidamente e si avvia
verso la cucina, sentendosi invaso dal disagio di dover rispondere a certi suoi
bisogni usando roba non sua. Al diavolo, gli serve un caffé per riuscire a
svegliarsi e non gli va di scendere fuori a comprarne uno, non gli va di
staccarsi da quel posto anche se solo per qualche istante... non gli va di
lasciare Rory da sola, di rompere quel contatto, che probabilmente è soltanto un
vaneggiamento, ma abbastanza forte da impedirgli di cercare anche la maglietta,
le scarpe e il portafoglio per scendere in strada. Il caffé è pronto in
fretta. Lo manda giù di colpo, quasi ustionandosi la gola. Non gli importa. Una
specie di clangore sordo gli rimbomba nelle orecchie. Si passa di nuovo una mano
sugli occhi, tentando di svegliarsi completamente... "Ah, sei qui." E'
piombata nell'ingresso della stanza talmente in fretta da coglierlo di sorpresa.
Solleva il volto dall'incavo della mano e smette di osservare le venature del
legno del tavolo. Forse è il caso di lasciare per un attimo da parte le sue
riflessioni assurde e inconcludenti. Prova ad aprire la bocca per
risponderle, prova a pensare a un qualche commento ironico e scherzoso da farle.
Per scacciare l'imbarazzo. Per rassicurarla. Ma non gli viene in mente niente.
Il vuoto riempie la sua testa mentre tiene lo sguardo fisso su di lei ed è
soltanto capace di annuire in silenzio. Rory si torce le mani, deducendo che
non deve aspettarsi una risposta. Mentre apriva gli occhi e in fretta si
rivestiva per andare a cercarlo, era stata la paura di quell'incubo a spingerla
ad agire... un incubo che significava smarrimento, terrore, senso di colpa.
Un'enorme pugnalata al cuore. Un vuoto al suo fianco, quasi una voragine, che
mai sarebbe riuscita a colmare. "Già... che stupida..." mormora tra
sé. "Cosa?" Ha pronunciato più di un monosillabo. Probabilmente è già
qualcosa. "Niente, ero già pronta a farmi prendere dal panico e a scendere in
strada a controllare che la tua macchina ci fosse ancora." gli risponde,
sorridendo. Meglio metterla sullo scherzo. Un incubo non significa niente. Non è
stato un sogno premonitore, l'ha potuto verificare di persona in quel
momento... "Wow." Lo fissa in volto. "La cosa ti stupisce?" "No, a dire
la verità." Sente il terrore svuotarle il cuore di colpo, mentre il suo respiro
si ferma, chiuso e bloccato dentro di lei. "Beh, in ogni caso, sei stato
molto bravo a smentirmi..." "Grazie." Lo guarda sempre più
attonita. "Prego..." "Non c'è di che." Si blocca, rendendosi conto di
quanto tutto questo sia assurdo. "Hai intenzione di andare avanti così ancora
per molto?" gli chiede, incredula, riscuotendosi. "Così come?" La cosa
sembrava non toccarlo minimamente. "Così, rispondendomi a monosillabi... non
riesco a capire che cosa..." "Niente, di mattina presto sono sempre di poche
parole." Lo fissa senza riuscire ad espirare. Solo quando si accorge che sta
per implodere si ricorda di buttare fuori l'aria. Poi gira la testa,
allontana lo sguardo da lui. Le lacrime le velano gli occhi e le bloccano la
gola. Ma deve inghiottire e cercare di controllarsi. "Ci risiamo." mormora,
senza guardarlo. Era ovvio, era talmente ovvio che non riesce a capire come
abbia potuto essere così stupida da non capirlo prima. Tutto sarebbe tornato
esattamente come un tempo. Anche lui. Con il tempo si sarebbe stancato di lei,
di doverle fornire ogni minima spiegazione per il suo comportamento dato che lei
era così ottusa e non riusciva mai ad arrivarci. Si appoggia al mobile più
vicino, con entrambe le mani. Stringe con forza, fino a farsi sbiancare le
nocche. Sente la sedia strisciare sul pavimento, i suoi movimenti mentre si
alza. "Rory, senti..." "Mi spieghi perché?" Ora è lui ad essere
spiazzato, glielo legge negli occhi. "Perché cosa?" "Perché non riesco mai
a capirti? Non ho mai saputo accorgermi di quando era il momento di starti
vicino e quando invece dovevo lasciarti in pace... spiegami. Sono io che sono
invadente e ottusa, o è colpa tua?" "Rory ma che cosa..." "Forse è colpa
mia." Continuare a interromperlo riesce a darle la forza di far uscire le parole
anche se in modo stentato, tentando di vincere quel maledetto groppo alla
gola. "Quando stavamo insieme, ero arrivata ad avere la presunzione che
davvero io ero l'unica persona su questa terra che fosse capace di capirti sul
serio, di conoscerti meglio di chiunque altro. Non ho mai capito dove avessi
sbagliato per arrivare a farti scappare via da me, però forse dopo tutti questi
anni ora mi ci sono avvicinata..." "Ti prego, non dire idiozie." Il suo tono
è duro, ma non freddo e cinico... ha pronunciato una frase di senso compiuto con
una forza che la obbliga a voltarsi di riflesso, prima di aver potuto fermarsi a
riflettere su cosa fare. Lo osserva, ma lui non le restituisce lo sguardo.
Rory corruga la fronte. Ha una strana espressione, sembra quasi...
triste. "Senti, se tu davvero pensassi quello che hai appena detto allora sì
che saresti stupida." Riesce quasi a spaventarla mentre le parla così. "Non
capisco..." "Credi davvero che io me ne sia andato per colpa tua?" "Io, io
non lo so..." "Rory, per favore..." La sua voce si è quasi incrinata. Lei
riesce soltanto a fissarlo confusa. "Non è abbastanza il fatto che quella sia
stata l'unica volta in tutta la mia vita in cui mi sono sentito veramente in
colpa per quello che stavo facendo? Hai mai provato a riflettere su quanto ci
abbia messo per tornare a dirti che ti amavo?" Stringe le labbra, non sapendo
cosa dire. No, la risposta è soltanto no. Non ci ha mai pensato. La rabbia, la
sua rabbia, quella è stata l'unica cosa a cui era stata capace di pensare
dopo che l'aveva rivisto di nuovo a Stars Hollow. Rabbia per tutto. Perché lui
riusciva sempre a creare trambusto, perché la gente continuava ancora a
compatirla dopo tutto il tempo che lei aveva impiegato cercando di comportarsi
come se lui non fosse mai entrato nella sua vita, perché non aveva mai trovato
prima la forza per arrabbiarsi e si era messa a pensare che invece aveva tutti i
diritti di farlo, in fondo era stato lui ad andarsene lasciandola senza una
parola, senza una scusa, senza una spiegazione... lui l'aveva ferita. E
lei, avrebbe dovuto comportarsi come se chiunque potesse essere capace di
prendersi tranquillamente gioco di lei? No... assolutamente. Scuote la testa,
incapace di dire altro. "Accidenti, Rory, con tutti i libri che leggi, con
una laurea... non capisco se lo fai apposta o cosa..." "E io non capisco se
tu ti diverti a prendermi in giro." "Quale fra tutte le cose stupide che ho
fatto ha potuto veramente convincerti che io me ne sia andato perché non ti
sopportavo più?" "Jess, non..." Scuote la testa, sbuffando. "Hai mai provato
a metterti nei miei panni? Hai mai provato a chiederti come l'avrei presa, che
cosa avrei finito per pensare di te? Ti è mai passato per la testa il dubbio che
forse non sono capace di leggerti nella mente, che forse non avrei capito tutto
senza bisogno che tu mi spiegassi niente? Non è affatto scontato che i miei
meccanismi logici debbano per forza essere uguali ai tuoi!" "Ah, sì, e allora
secondo i tuoi meccanismi logici io sarei tornato a umiliarmi di fronte a te
solo perché in realtà avevo intenzione di mollarti di nuovo e di trarre
soddisfazione dalla tua sofferenza?!" Sente un muscolo contrarsi sulla sua
guancia. "Accetto il fatto che possa sembrarti assurdo, ma in quel momento
era così, ed è per quello che ti ho detto di no." Lo osserva spalancare gli
occhi, quasi inorridito. "Per quello?" Si sente una stupida, mentre
distoglie lo sguardo da lui. "Certo, mi chiedo come posso essere stato così
idiota da non capirlo. In effetti, con tutti quei no detti così a raffica mi
avevi precisamente esposto tutte le tue ragioni." "Smettila di fare lo
spiritoso, non è il momento." "Sì, hai ragione, dovrei cercare di esercitare
meglio la mia intelligenza, così la prossima volta riuscirò a cogliere i
sottintesi." "Jess." Tutto l'impeto che le sta montando dentro, sta cercando
disperatamente di scaricarlo aggrappandosi sempre più forte a quel
mobile. "Ok. Va bene. Avrei potuto spiegartelo. Non voglio giustificarmi, ma
ero arrabbiata, ero stufa di tutto quanto, e... e poi anche tu non mi hai
spiegato perché te ne sei andato. Siamo esattamente alla pari." "Ah, era
questo che ti interessava allora... rimettermi al mio posto. Certo, non potevi
tollerare che ti avessi ferito una volta di più..." "Senti, ti ho detto che
non sto cercando di giustificarmi, sto solo dicendo che come non mi hai dato
spiegazioni tu, così non te ne ho date io, e sì, probabilmente avremmo potuto
farlo tutti e due, però non ci siamo riusciti, nessuno dei due..." "...questo
è il problema." Finalmente, ci sono arrivati entrambi. "Sì. E' vero. E'
questo il problema. Lo è sempre stato, sempre. Lo era quando io sono tornata da
Washington e non hai capito che ormai mi piacevi tu, e che avrei voluto
dirtelo..." "Tu non me l'hai detto, e te la sei giocata. Io non sono uno che
si fa prendere in giro." "Sì, avrei dovuto prevederlo. Ma anche tu, potevi
fare uno sforzo..." "Nossignora, ero perfettamente convinto della mia
posizione." Un sorriso amaro le sfugge senza che lei possa
controllarlo. "Beh, comunque era lo stesso quando litigavamo..." "Se ti
riferisci alla storia dell'occhio nero, io te l'avevo detto che non era stato
Dean." "Se proprio vuoi ritirare ancora fuori quella storia, sappi che avevo
tutte le ragioni per dubitarne. Se tu e Dean vi foste trovati da soli un giorno
di quelli vi saresta ammazzati." "Peccato che ci fossimo già incrociati un
paio di volte prima di quell'episodio, e che nonostante le sue squallide e
ripetute provocazioni io mi fossi trattenuto in tutti i modi dal cedere alla
tentazione di rompergli il naso." "E perché non me l'hai mai detto?" Jess si
stringe nelle spalle. "Era una faccenda tra me e lui. E poi non ci avresti
creduto." "Forse, se me l'avessi raccontato, avrei potuto darti
fiducia..." "A chi, a me? Quando ancora andavo in giro con il marchio di
teppistello newyorkese? Ti prego..." "Tu che ne sai? Hai mai provato a
dirmelo?!" "No, perché davo per scontato che non ci avresti
creduto." "Ecco, bravo, lo davi per scontato. Questo è il succo della
faccenda." "Non che tu ti sia comportata in modo molto diverso con me quando
si è trattato di farmi entrare in casa dei tuoi nonni..." "Dobbiamo stare a
discutere su chi avesse cominciato e di chi fosse la colpa che sta all'origine
di tutto questo? Jess, stiamo parlando di qualcosa che è successo sei anni
fa!" "Il ricordo è ancora fresco, a quanto pare." "Perché non l'abbiamo
mai risolto veramente, ecco perché!" "Sì, in effetti ho sempre omesso di
rivelarti che in realtà l'occhio nero me l'aveva fatto un cigno." Rory lo
fissa incredula, mentre lo sconcerto si fa strada dentro di lei. "Un cigno?!"
Jess si morde le labbra, stringendo i pugni. "Sì, e non ti ho dato il
permesso di ridere." "Non sto ridendo." "Beh, sto solo mettendo le mani
avanti." "Perché non mi hai detto la verità quando avevo scoperto che non
avevi fatto a botte con Dean?" "Andiamo, Rory, già ai tuoi occhi ero
completamente sotto una cattiva luce per via di tutto quello che la gente diceva
o pensava riguardo a me, avrei dovuto ulteriormente sminuirmi ai tuoi occhi in
modo volontario? Sarei stato un idiota." "Sei stato un idiota." "Avresti
riso, e avresti comunque pensato che ero un idiota. E poi, tanto per cambiare,
saresti saltata alle solite conclusioni, e cioè che Dean non avrebbe mai fatto
una cosa del genere." "E questo da che cosa diamine l'hai dedotto?" "Era
ovvio, Rory. Hai sempre messo lui sul podio del primo posto, e io ero il secondo
classificato nel premio per il miglior ragazzo... solamente perché non c'era
nessun altro che potesse stare prima di me." Lo guarda, e si sente scoppiare
il cuore. Solo ora se ne accorge veramente... quanta poca fiducia ha in sé
stesso, quanto poco si stimi. Quanto poco fosse certo che lei volesse veramente
stare con lui e che non rimpiangesse un altro a causa dei suoi difetti. E sono
passati sei anni prima che l'abbia scoperto. "Questa è l'ulteriore conferma
che sei un idiota, Jess Mariano." "Motivo per il quale ero al fondo della
classifica." "No! Stupido, sei solo uno stupido..." Lo osserva inarcare un
sopracciglio. "Ti dà soddisfazione insultarmi in modo prolungato?" "Ti sto
solo dicendo la verità! Accidenti, Jess, io volevo stare con te... ho lasciato
un ragazzo che mi dava tutto quello di cui credevo di aver bisogno per
seguirti." A Jess esce una risata sarcastica. "Mi fa piacere che tu voglia
tentare di lusingarmi, ma non dirmi che non hai mai rimpianto Dean mentre stavi
con me, perché se ci credessi allora sì che sarei davvero un idiota." "Va
bene, forse, qualche volta avrò rimpianto qualche cosa di quello che avevo
quando stavo con Dean... ma si trattava di modi di fare, di trattarmi, non di
persone." "Che accidenti significa? Che ti saresti tenuta volentieri la mia
faccia con il suo carattere? Già, che splendida combinazione!" "Non dire
stupidaggini. Dean aveva un modo di stare con me, per cui non mi faceva mancare
niente... qualche volta litigavamo, ok, ma erano sciocchezze... e alla fine, lui
veniva sempre a chiedermi scusa." "E io no? Ah, ora capisco dove sta la
differenza." "No, non è quello, idiota. Forse se mi facessi finire i discorsi
prima di intrometterti con le tue conclusioni affrettate..." "Va bene,
prosegui pure, mettimi un cerotto sulla bocca se vuoi, ma non scriverci sopra
idiota." Gli getta un'occhiata fulminante. Lui abbassa gli occhi, sembra
dare segno di essere intenzionato a stare zitto. Rory sospira. "La differenza
tra te e Dean... consisteva nel fatto che lui era il ragazzo perfetto che tutti
invidiano e ammirano, perché ti dà qualcosa che tutti sognano... la devozione
assoluta, oltre all'amore. E io, io forse... mi sono abituata male con Dean...
perché non tutti sono come lui." Jess la fissa con sguardo duro, ma lei lo
precede. "No, aspetta. Questo non significa che lui fosse migliore di te.
Significa soltanto che mi dava qualcosa che tu invece non sei abituato a dare. E
questo non c'entra con quanto io fossi attaccata a te o a lui... perché io...
alla fine l'ho lasciato. Mi sono trovata nelle condizioni di dovere per forza
fare una scelta, e ho scelto te." "Qualsiasi cosa successa in seguito mi ha
ampiamente dimostrato che te ne sei pentita amaramente." "Io non capisco se
lo fai apposta... Jess, è evidente che tu di me e dei miei sentimenti non hai
capito un bel niente." "O forse sei tu che non ti sei capita." "Senti, se
io mi fossi trascinata dietro dei rimpianti per essere stata con te tempo fa...
non avrei mai fatto tutto quello che ho fatto in questi giorni. Non puoi
pretendere che ti dia una spiegazione per tutto... non ci riuscirei neanche se
volessi..." "Vuol dire che non sai perché l'hai fatto." "No, vuol dire che
non riesco a spiegarmi, come non riuscivo a spiegarmi razionalmente perché ti
amavo, non ci sono mai riuscita... quando mi chiedevano perché stavo bene ed ero
felice con Dean io ero capace di elencare un migliaio di ragioni... e così per
tutti gli altri, avevo sempre una spiegazione..." Jess la fissa con sguardo
serio, attento. Rimane in silenzio. Niente critiche, polemiche o obiezioni. Rory
non sa se ha il coraggio di continuare. "Non lo so, forse vuol dire che..."
Lo osserva alzarsi dalla sedia, appoggiarsi con una mano al tavolo, come per
riprendere le forze. "...che il motivo per cui io... non dipende da come ti
comporti nei miei confronti... solo... solo da come sei." Si sente ridicola per
il modo frammentario e sgrammaticato con cui si è espressa. Quello è stato il
massimo che ha potuto dare in quel momento. Se avesse potuto impugnare una penna
e scriverlo, forse sarebbe stato meglio, avrebbe avuto più capacità di controllo
razionale, di ordine... forse non è vero, forse non ci sarebbe riuscita nemmeno
provando a ragionare con calma e sistematicità... era troppo, tutto questo era
troppo. Jess non sa che dire. Non sa più niente. Non sa se fidarsi, se
sperare, se ritenere che sia meglio non ritornare sui propri passi... sa che
sarebbe capace di rinunciare a lei, di comportarsi in modo talmente masochistico
da escludere una volta per tutte dalla sua vita l'unica donna che abbia mai
amato. Non si tratta di forza di carattere, no. Si tratta solo di ridicola,
insulsa abitudine a farsi del male, di estenuante insicurezza, di sfiducia in sé
stesso e in qualsiasi persona osi avvicinarglisi per tentare di capire almeno
qualcosa di lui. Sa che potrebbe andarsene in quello stesso momento senza darle
alcuna spiegazione, come già è stato capace di fare. Perché il cercare di
spiegarsi, di capire sé stesso, di aprirsi con un'altra persona, è quello che
non è mai riuscito a fare in vita sua. Tutti lo elogiano per il suo
straordinario cambiamento, per la sua ritrovata serenità, per la sua calma
riconquistata, per aver eliminato quell'insidiosa e costante rabbia contro il
mondo intero. Forse però non è davvero così cambiato. Forse ha soltanto smesso
di lottare. Forse ha soltanto perso l'unico orizzonte della sua vita che
riusciva a dargli uno scopo concreto per andare avanti con un minimo di fiducia
nel domani. Forse si è soltanto adeguato a tutto questo, smettendo di accanirsi
contro gli altri perché non otteneva mai quello che voleva, perché non riusciva
mai ad essere all'altezza dei suoi obiettivi. Forse la sua è soltanto
rassegnazione. Si stringe nelle spalle. "In ogni caso... giusto perché tu
lo sappia..." sospira, chiude gli occhi un secondo. "...non ti ho mai odiato."
Non riesce a guardarla. Non vede le lacrime che affiorano nei suoi
occhi. "Io, io forse sì... mi dispiace." ammette Rory, mentre il groppo alla
gola si fa più stretto. "Non importa. Ne avevi tutte le ragioni." "Le ho
perse quando anch'io mi sono comportata come te... se non peggio." "Beh, alla
fine avrei dovuto prevederlo, di spiegazioni da me non ne hai avute." Rory si
passa una mano tra i capelli. "Forse... dovremmo soltanto cercare di
ricominciare da zero. Di fare finta che tutto quello che è successo prima sia
ormai qualcosa di vecchio e superato." Jess scoppia in una lieve risata
ironica. "Sarebbe il modo peggiore per ricominciare, perché mentiremmo
soltanto a noi stessi." "Ma possiamo sempre provarci..." "Rory, non ti è
bastato tutto quello che è successo in questi giorni? Non possiamo fare finta di
niente, non siamo capaci, né tu né io... hai detto tu che il nostro problema è
che non siamo mai stati capaci di dirci le cose davvero, e ogni volta abbiamo
cercato di darci delle spiegazioni personali che non hanno quasi mai coinciso
con la realtà... è da pazzi credere che potremmo riuscire a smettere di
rivangare cose vecchie di anni, per il semplice fatto che non le abbiamo mai
risolte..." "...e allora facciamolo. Risolviamole." La determinazione si fa
strada in lei, e non riesce a spiegarsi da dove provenga. Non sta più scegliendo
le parole una alla volta, facendo attenzione a tutto quello che dice... "Non
è così facile." Jess sospira. La stanchezza gli pesa addosso. "Se pretendi di
cominciare davvero così, allora..." "Vuoi che ti faccia un esempio? Bene,
allora dimmi, qual è stata la spiegazione che ti sei data per il mio
comportamento di stamattina?" "Non so, ho pensato... mi sono spaventata,
perché sembrava che tu... ti fossi già pentito di quello che è
successo..." "Ecco, vedi? Ci sei già caduta." "In che senso?" "Nel
senso che hai già tratto delle conclusioni basandoti su una tua
impressione." "Quindi mi sono sbagliata?" "Sei così sicura di aver ragione
che dubiti anche del mio punto di vista?" "No, no, io..." Lo sguardo smarrito
si fissa nei suoi occhi, poi un lampo, un impulso che viaggia diretto verso le
sue labbra. "Spiegamelo, il tuo punto di vista, allora." Spiazzato, Jess si
appoggia al tavolo. "Senti, è evidente che ieri sera eravamo troppo presi per
pensarci... però, tu hai una vaga idea di cosa faremo adesso?" "Non lo so,
potremmo tornare a Stars Hollow, e dire a Luke e a mia madre..." "Bene,
proviamo ad ignorare per un momento il bassissimo indice di gradimento che
riscuoterà la nostra rivelazione... una volta finite le vacanze, dove pensi di
andare?" Rory abbassa la testa. Inizia a capire. "Dovrò tornare al lavoro,
suppongo." "Bene, mi fa piacere vedere che sei ancora in grado di effettuare
dei ragionamenti coerenti..." "Jess. Non è divertente." "No, davvero,
stavo già per mettermi a tirare fuori i festoni e lo
champagne." "Jess..." "Cosa faremo, Rory? Il conto alla rovescia per
aspettare la fine dei nostri brevi giorni di gloria? Tu hai un lavoro a New
York, io ne ho uno a Philadelphia, per non parlare del fatto che per metà anno
viaggi per tutta l'Europa..." Rory sospira. Ecco, quello è sempre stato il
problema meno facile da risolvere. In questi anni, non aveva fatto fatica, pur
sentendosi in colpa, a scegliere... preferiva consolidare la sua carriera e
assicurarsi il futuro che aveva sempre voluto piuttosto che inseguire un uomo
qualsiasi. Aveva sempre saputo cosa fare quando quelli con cui usciva le
ponevano di fronte un'alternativa. Ora il dilemma è decisamente più acuto.
Ora si rende conto che davvero non sa cosa fare. Che non può fare tutte e due le
cose, né nessuna delle due, né l'una o l'altra... Una lacrima scivola
silenziosamente sulla sua guancia. Sa che non serve a niente piangere. Ha
sempre evitato di farlo quando sapeva che le lacrime non l'avrebbero portata da
nessuna parte. Ha sempre cercato di trattenersi, di serbare intatto il suo
contegno e il suo autocontrollo. Forse, se fa un piccolo sforzo può riuscirci
anche ora... Troppo tardi. La lacrima le sfugge anche dall'altro
occhio. Jess si avvicina a lei. Per un momento si guardano e basta. Poi lui
la stringe a sé, senza dire niente, come ha sempre fatto. Spesso non era
necessario esplicitare tutto con Jess. Quando erano vicini, così vicini, era
come se lui le parlasse attraverso i suoi gesti, e per qualche istante lei si
sentiva davvero sicura come se le emozioni che trasparivano da lui fossero state
davvero concretizzate in parole... "Senti..." dice lui, scostandola
leggermente da sé. "No. Senti tu. Non hai idea di quante situazioni simili io
abbia attraversato... è da quando ho la vita che volevo avere che finisco per
rinunciare a tutto pur di portarla avanti nel modo migliore..." "Appunto per
questo. Non ho intenzione di importi niente, anche perché in ogni caso è giusto
che..." "Proviamoci lo stesso." Jess la fissa con sguardo
attonito. "Cosa?" "Non fare finta di non aver capito... voglio che ci
proviamo lo stesso." "E come pensi di poter anche solo fare un tentativo?
Sarebbe distruttivo per tutti e due." "No. Io... non puoi chiedermi di
troncare qui perché tanto, facendo il calcolo delle probabilità, abbiamo già
potuto vedere che finirà per non funzionare. Non puoi... non ti permetto di fare
così, di tirare fuori il tuo solito pragmatismo pessimistico, non lo farai, non
mi lascerai per il mio bene e perché non vuoi che nessuno dei due soffra più per
causa dell'altro, perché io non sono disposta ad adeguarmi..." Jess la
guarda. E' così bella, con i capelli spettinati che le incorniciano il viso, gli
occhi lucidi per le lacrime, le guance bagnate, le labbra umide... La forza
di farla finita, di rassegnarsi, di gettare la spugna, non ce l'ha.
Quell'orizzonte, quello scopo... l'ha ritrovato. Dopo averlo perso per così
tanto tempo. Sa che non ne troverà mai un altro. Sa che è la sua unica
possibilità. Potrebbe dirle che non se la sente, potrebbe tirare fuori qualsiasi
scusa, potrebbe mortificarla e indurla a desistere con i suoi
ragionamenti... Allo stesso modo però potrebbe trovare una soluzione, per
quanto complicata e ardua... sarebbe solo un modo migliore di impiegare la sua
intelligenza. Non ce la fa. E' più forte di lui. Non ce la fa a scappare, di
nuovo. Non potrebbe reggerlo una seconda volta, e non potrebbe reggerlo
lei... Forse non è così difficile. Forse è sufficiente che lui smetta di
rassegnarsi ad averla persa per sempre. Forse deve smetterla, come dice lei, di
farsi coinvolgere eccessivamente dal suo "pragmatismo
pessimistico"... Sorride. In quel momento, stranamente, ne è convinto. Sente
davvero di poterci riuscire.
***Fine***
Ringrazio tantissimo tutti coloro che sono stati così gentili da
commentare e che hanno apprezzato questa fanfiction in nome dei bei vecchi tempi
di Rory e Jess.
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