Keelah se'lai

di lubitina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La tua voce è la speranza ***
Capitolo 2: *** Prologo/You are still a dead to the world ***
Capitolo 3: *** Apatia ***
Capitolo 4: *** Viaggiatrice tra le stelle ***
Capitolo 5: *** Tre vite ***
Capitolo 6: *** Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus ***
Capitolo 7: *** L'intesa delle anime ***
Capitolo 8: *** Principio di Indeterminazione ***
Capitolo 9: *** Padri e Figli ***
Capitolo 10: *** You are a collapsing star ***
Capitolo 11: *** Would you do it with me? Heal the scars and change the stars.. ***
Capitolo 12: *** Pacta sunt servanda ***
Capitolo 13: *** So close, my lover ***
Capitolo 14: *** Preludio alla Fine ***
Capitolo 15: *** Sacrifice ***
Capitolo 16: *** How beauteous mankind is! Oh, brave new world that has such people in't! ***



Capitolo 1
*** La tua voce è la speranza ***




La speranza è un essere piumato
che si posa sull’anima,
canta melodie senza parole e non finisce mai.
La brezza ne diffonde l’armonia,
e solo una tempesta violentissima
potrebbe sconcertare l’uccellino
che ha consolato tanti.
L’ho ascoltato nella terra più fredda
e sui più strani mari.
Eppure neanche nella necessità
ha chiesto mai una briciola – a me.
Emily Dickinson




Non era mai stato un uomo poetico, né tantomeno aveva mai provato il bisogno di sentirsi dire qualcosa che fosse tale. Era cosciente della scorza dura, quasi una seconda corazza N7, che ricopriva la sua pelle,come un Turian; ed era per questo che era IL comandante, ed aveva, sotto il suo comando, il meglio che la galassia avesse da offrire. O quello che le era rimasto, da offrire, sfiancata da quella guerra voluta da un Dio crudele, un Dio inconcepibile.
La poesia. Quella era sempre mancata nella sua vita, fatta di battaglie e di durezza, di infantile menefreghismo misto ad un innato orgoglio marmoreo. Ricordare se stesso per le vie di New York, solo e abbandonato da tutti, non lo faceva star poi così male. C'era di peggio, c'è sempre di peggio: come morire in una culla criogenica in un pianeta creduto un mito, per esempio. O rimanere l'ultimo della propria razza, condannato a rimembrarla nella solitudine di uno scompartimento di una nave da guerra umana, avendo anche paura di toccare l'Eco della memoria della gente. Questo lo rendeva un inguaribile ottimista, sempre disposto ad aiutare dovunque ci fosse un pur pallido, lontano, barlume di speranza.
Tali spesso si chiedeva se, chissà, Shepard avesse mai riflettuto su se stesso, sul suo essere. Probabilmente no. Non lo interessava. Aveva dimenticato la sua anima in chissà che sudicio angolo di una metropoli sulla Terra, o chissà sul grilletto di quale arma sporca di sangue di Collettori o di liquido di raffreddamento di un Geth.
Tali lo osservava spesso. Lo aveva osservato mentre al centro dei suoi pensieri c'era Saren Arterius, lo Spettro rinnegato ma dalle buone intenzioni. Sotto l'ineluttabile volto del Turian si celava una tremenda paura, ma anche uno smisurato coraggio, tale da far sì che egli fosse in grado di buttarsi tra le braccia del nemico, credendo di poterlo distruggere dall'interno, di asservirlo, di creare una cooperazione pacifica. Era stato così ingenuo, però, nel credere di poter ingannare le Antiche Macchine, il frutto troppo maturo dello zietgeist di chissà quante specie nel corso dei miliardi di anni terrestri che la Via Lattea aveva. Chissà chi ne era l'iniziatore, di quel crudele ciclo.

Eppure, un giorno, sotto il Sole giallo,non ancora oscurato dalle enormi masse delle Antiche Macchine, su di un pianeta verde e blu, un uomo, di nome Vega, aveva aperto una porta; e dietro quella porta un altro uomo, con indosso la sua stessa uniforme, aveva speso le sue giornate di cattività scrivendo lettere in una lingua che il destinatario non avrebbe compreso. Un giorno, forse, o un altro giorno ancora, gliele avrebbe consegnate di persona, se l’avesse rivista.
La porta era stata aperta, e, mentre i raggi particellari, rossi come sangue, abbattevano le torri svettanti delle metropoli, una piccola speranza era stata restituita alla Galassia. Un uomo aveva finalmente riavuto la sua nave, la sua vita, la sua gioia, e la sua, piccola, celata, mai accettata, speranza di serenità. Ed era fuggito dal pianeta blu e verde, guardando l'agonia di chi non lo meritava. Di chi non aveva colpe.
Un ammiraglio umano, la barba lunga,candida, e lo sguardo fiero, aveva sorriso amaro alla notizia di quella fuga. La sua mano impugnava una penna d’altri tempi, contenente un inchiostro blu. Vergava parole su un foglio di carta, e pareva compiacersene. Un "bip" dal terminale aveva improvvisamente interrotto il flusso dei suoi pensieri. Eppure un’espressione confusa gli si era dipinta sul volto quando aveva letto la richiesta d’aiuto e il suo mittente: la leggendaria Flotta Migrante. Seppe immediatamente chi mandare.

Da un’altra parte della Galassia, lo sguardo luminoso nascosto da una maschera viola fisso su di una piccola stella arancione, un altro ammiraglio, una donna, sospirava, pensando a sua nipote.
La stessa donna ora sedeva vicino ad un terminale, su di una fregata umana chiamata Normandy, per merito di un Ammiraglio che non avrebbe mai visto di persona. Si chiamava Shala Raan.



LIARA T’SONI e TALI ZORAH VAS NEEMA


Liara T’soni era un’Asari. Aveva meno di cento anni terrestri, era così giovane..
Ed era una storica, un’archeologa. Sapeva molte cose, più di ogni altro, sugli antichi Prothean. Era una donna affascinante, che amava irretire e poi nascondersi dietro i suoi naturali occhi angelici. Sapeva sparare, sapeva uccidere con un dardo biotico. In realtà, però, la dottoressa T’soni era molte altre cose.
Era l’Ombra. Comprava, vendeva informazioni. Decretava la vita o la morte di chiunque, sparso nella Galassia. In ultima analisi, tutto ciò che di crittografato e di illegale giungeva alla Cittadella, che giaceva quieta nella nebulosa Horsehead, illuminata da quella pallida stellina a qualche unità astronomica, passava dalle sue morbide mani blu.
Aveva visto morire sua madre, un’antica e stimata Matriarca. Aveva visto la sua estrema debolezza, la sua sottomissione ad un nemico ancora sconosciuto, la sua dedizione alla causa di una creatura giovane come l’acqua. Che era un maledetto Turian.
E questo l’aveva sconvolta. Le lunghe notti insonni, passate sulla sua cuccetta sulla Normandy SR 1, guardando stelle lontane fuori da un oblò, le avevano fatto maturare una decisione. L’affetto, l’amore, l’amicizia, l’eroismo di quella piccola ciurma di compagni, erano passati in secondo piano: l’autoconservazione di sé, della lunghissima vita che ancora la aspettava, aveva avuto la meglio.
Del resto, poi, John Shepard era morto, e nulla lo avrebbe potuto far tornare in vita.
O almeno così pensava.
Aveva deciso di spendere i suoi giorni, almeno per ora, su Ilium, il pianeta gioiello, croce e delizia dei Terminus e delle Repubbliche Asari. E aveva imparato ad amare la sensazione di potenza e comando, di sentir fluire miriadi di informazioni nelle sue mani e nei suoi neuroni,incomparabile rispetto alla misera soddisfazione di stringere a sé un reperto vecchio di tanti, troppi millenni. La luce benevola del mattino di quel pianeta benediceva la sua vita.
Anche se lui era morto, e ora vagava nello spazio assieme ai cadaveri di umani innocenti, le cui medagliette scintillavano nella neve di un pianeta gelido.
Passarono i mesi, passarono gli anni. Ilium compié due intere rotazioni attorno a Tasale. Ci furono inverno,primavera,estate,autunno. Molte e-mail le giunsero,tramite extranet, dai suoi compagni di un tempo. Da Garrus Vakarian, che aveva scelto una vita d’eremitaggio a Omega. Da Ashley Williams, mai troppo amata, che rapidamente scalava la gerarchia militare nell’Alleanza. Dai sopravvissuti a quella catastrofe, da Joker e dalla Chakwas, arruolati in quel gruppo di terroristi intergalattici, Cerberus.
A nessuno rispose mai. Era un capitolo chiuso. La loro morte era imminente, la sua lontana. Si costrinse, con gli anni, ad ignorare, a dimenticare, le oscure promesse della Sovereign.
Un giorno era sdraiata sul suo letto, nel suo appartamento nel cuore della capitale, lasciando vagare i pensieri. E ricordò un libro, un libro che lui le consigliato. L’arte della guerra, si chiamava. Una piccola gemma nacque in lei, una lacrima scese sulla sua pelle blu. Il cuore prese a batterle forte, come non faceva da tanto, troppo tempo. Ricordi antichi e dolorosi si profilarono nella sua mente. Occhi azzurri che assaporano avidi parole, e voce tremante che leggeva. E una donna coperta da una malridotta tuta che ascoltava, le mani in grembo, sullo sfondo di un Nucleo azzurro d’Eezo.
Un lieve “bip” si levò dal suo factotum.
Tali Zorah nar Rayya si era ricordata di lei.




Pochi mesi dopo, Liara T'soni, invece, osservava lei bere lentamente, con una cannuccia, del brandy turian. Era insolito per lei vedere Tali comportarsi così, sempre educata e compunta, ligia al dovere ed altruista. Nella sua ottica, la Quarian si stava comportando in maniera tremendamente egoista, l'esatto opposto di come una "principessa",ormai orfana,come lei avrebbe dovuto essere.
-Liara...- sospirò la giovane dietro la sua maschera violacea, la voce tremolante per via dell'alcol.
-Dimmi Tali.
-Perchè sei venuta qui, a raccogliermi? Potevi lasciarmi stesa qui, sul bancone di questo bar. La tuta avrebbe riportato alla normalità i valori del mio sangue entro una notte terrestre.- lo disse guardando con estrema attenzione il contenuto della bottiglia che teneva stretta con le sue tre sottili dita guantate.
-Perchè sono tua amica, ed è arrivato il momento che tu ci dica, o mi dica, che cos'è che ti fa così male.- mormorò, un sorrisetto che le increspava le labbra blu chiaro.
Tali alzò lo sguardo. -Puoi vedere sotto la mia maschera?
-No, ma vorrei.
-Ecco. Il mio problema è..è..-e in quel momento la voce esotica della ragazza iniziò a vacillare rotta da un singhiozzo,- è che lui non vorrebbe.

Tali era tornata sulla Normandy da un paio di giorni terrestri, ritrovandovi Liara, Garrus, e un gelido ed elusivo John. Era rimasta chiusa nella sala macchina in compagnia solamente di Adams che,però, non aveva minimamente riconosciuto la ciarliera giovane descrittagli da Garrus Vakarian. Di indubbio talento,sì. Ma tremendamente silenziosa, dalla testa perennemente reclinata e le dita intrecciate tra loro.
Ora era un ammiraglio. Era succeduta al padre, e aveva accolto con onore le parole che Raan, Koris, e Xen le riservarono, eleggendola esempio di "qualità morali e combattive, chiaro talento nella tecnica, e 'parte di storia' della flotta nella sua lotta contro i Geth". Aveva di sicuro sentito le viscere ribollire, nell'ascoltare quel vano e falso discorso, mentre teneva il capo reclinato, al centro della piazza. E su di lei, sul suo collo piegato, pesava il macigno della responsabilità di avere diciassette milioni di vite nella sua piccola mano, dell'immane fatica che avrebbe dovuto fare per sistemare, almeno parzialmente, i danni arrecati alla flotta dal padre. Quella fu la volta in cui, di più, dimenticò di vivere per se stessa e non per l'Antenato. Ostentò forza e umiltà quel giorno, ma sentiva le lacrime scorrerle lungo le guance, grata alla maschera che la nascondeva.
Comunque sia, era tornata. E ciò era avvenuto perché il destino sa rendersi ineluttabile anche per i saggi Quarian.

-Liara, quando ho letto sul mio factotum che avremo dovuto incontrare una fregata dell'Alleanza, per discutere della nostra imminente guerra contro i Geth, ho sentito il cuore andare in pezzi. Totalmente in pezzi, più piccoli di una clip termica..
L'asari non riuscì a trattenere un sorriso.
-Quale altra fregata l'Alleanza manderebbe, se non la Normandy, con dentro il suo miglior comandante, primo Spettro umano, semi-sintetico, Shepard? Hackett non possiede nessuno di più affidabile, intelligente, pronto, sveglio, abile, temerario, e perfino colto. Ti ricordi, un anno fa, quando, pochi giorni prima di visitare il relitto di quel Razziatore, si era messo a leggermi quel classico umano antico, "L'arte della Guerra"? Ecco, sapevo che l'avrei incontrato di nuovo, e di nuovo, come su Haestrom, non sarei stata più me stessa, più una Quarian. Sarebbe stato di nuovo un lancio nel vuoto dell'Inferno che a lui piace tanto descrivere, quella specie di buco dentro al suo pianeta, sul cui fondo c'è la loro divinità maligna..
-Ehm, Tali, scusa se ti interrompo, ma Lucifero non è una divinità...-, L’Asari, rendendosi immediatamente conto di aver peccato di pedanteria, abbassò gli occhi, fissando il terreno e le sue mani blu.
-E' la stessa cosa, non credi?-, rispose, scuotendo la testa. Aggiunse poi, quasi sottovoce: - Almeno loro hanno qualcosa in cui credere, che non siano delle IV. Qualcosa che va oltre la nostra comprensione, e che non fa male come i Razziatori..

Ci fu un attimo di silenzio. Liara tolse la piccola mano della Quarian dalla bottiglia, e questa la lasciò cadere in grembo. Più la guardava, nonostante del suo viso potesse scrutare soltanto i suoi brillanti occhi, più notava la tremenda somiglianza che la sua razza aveva con gli Umani. Stesse gestualità, stesse proporzioni corporee. Avevano anche metodi d'accoppiamento identici, ed identico dimorfismo sessuale,analizzò. Inoltre, nonostante Sol fosse una nana gialla e Tikkun arancione, vedevano anche le stesse lunghezze d'onda. Era.. incredibile, dal suo punto di vista, come due specie sviluppatesi agli antipodi della galassia potessero essere così simili,quasi gemelle. L'unica differenza era nella chiralità degli aminoacidi..ma cosa di poco conto. Non si sarebbe stupita se avessero avuto Dna compatibile, escludendo il problema della proteine.
Entrambe erano state spinte, in epoche della loro storia, dalla sete della conoscenza e dalla brama di potere. Ciò per i Quarian aveva significato la rovina, la diaspora dal loro pianeta natale, cacciati da esseri senzienti creati a tavolino da loro stessi. E gli Umani? Beh, la loro smania di spadroneggiare li aveva condotti, con l'Ammiraglio Anderson, a far parte del Consiglio a solo pochi anni dal loro arrivo sulla Cittadella. La sua parte nazionalista Asari ardeva un poco, ma doveva riconoscere che lo stesso Shepard era, anche se umano, una creatura esemplare. Ed era tornato dai morti, cosa non da poco.
Solamente Tali conosceva il proprio viso, e solamente lei poteva sapere quanto assomigliasse a quello di Shepard.

-Liara.. io sono innamorata di lui. Nella nostra lingua non c'è un corrispettivo.. ma credo che questa sia la parola adatta. Lo sono da quando lo incontrai per la prima volta negli agglomerati, quando aveva saputo che una Quarian aveva la prova dell'alleanza di Saren con i Geth...
Liara rimase in silenzio. Lo sapeva da molto tempo. Lo aveva capito dai suoi sguardi fugaci e schivi, rivolti di nascosto a lui. Sguardi di un’innamorata che ancora non sapeva di esserlo.
-Tali, tu sei una ragazza meravigliosa, ma.. non credo che tra voi possa funzionare.

Lei, sentendosi dire ciò che già, in cuor suo, sapeva, proruppe in un pianto disperato. Liara, chiudendo gli occhi, si protese verso di lei e la abbracciò. Sentiva il corpo sottile tremare, per qualcosa che nemmeno lei, Liara, nonostante la sua lunga vita, aveva mai potuto provare. L'amore per le Asari non era un tale strazio: era,semmai,competizione.
Ma per i Quarian, così simili ai crudeli Umani, lo era.

Liara, poco dopo, riaccompagnò Tali, che ondeggiava da una parete all’altra, e singhiozzava, alla sua cuccetta sul Ponte 3. In silenzio, si diresse nel suo studio, e si sdraiò sul letto.
Pensò. C’è un amore grande in lei. Più grande di quanto io immaginassi. È qualcosa che la spinge,ogni giorno, ad andare avanti. E lei ancora non lo sa.
Poi, i grandi occhi azzurri che la guardavano e le braccia forti di Shepard che la stringevano, sopra il cadavere freddo della Matriarca Benezia, le offuscarono la mente, e una piccola lacrima le solcò il viso. La neve cadeva lenta, su quel remoto pianeta. Cadeva lenta anche in quel momento, mentre loro viaggiavano oltre la velocità della luce, nello spazio aperto ed oscuro.
Sarebbe caduta lenta per sempre, avrebbe ricoperto il corpo di sua madre e, in un altro lontanissimo pianeta, le piastrine argentee e i corpi di tutti gli altri morti della Normandy. Di tutti gli altri morti di tutto l’Universo.
C’era per loro, memoria?
Tali non aveva mai dimenticato,no. Non aveva tentato di nascondersi dietro a mille scartoffie, o di sobbarcarsi di lavoro: aveva accettato la morte. Ed era tornata da lui, a sua volta tornato dai Morti, quando su Haestrom, la sua mano l’aveva toccata. Ed anche ora era tornata da lui, dimenticando l’orrore dell’abbandono.
La gelosia aveva divorato l’anima di Liara T’soni, aveva marcito l’amore per le cose antiche della Galassia e per la Giustizia. L’aveva amareggiata, e rinchiusa davanti a un terminale su di un pianeta traboccante crudeltà. Ma le gelosia, lei, Tali,non sapeva cosa fosse.
La ammirava, ammise in silenzio. Ammirava la sua dedizione, la sua calma e pacata forza, nascosta da una tuta che le faceva da pelle.
Si alzò dal letto, e si avvicinò all’oblò della camera. Fuori, scorreva solo il nero, perché non si poteva vedere nulla, quando si correva più veloci della luce; la vita è strana e imprevedibile, pensò, per chi vive troppo poco.
E tutti coloro su quella nave sarebbero presto tornati all’Universo. Prima di lei. Perché lei sapeva, sì, lo sapeva, che i Razziatori l’avrebbero risparmiata.
Chiuse allora gli occhi violetti, e promise alla Dea di aiutare, in un modo o nell’altro, la Vita.



Salve! Ho leggermente modificato (2-12-2012) questo capitolo, allungandolo leggermente. Ho intenzione di farlo anche con gli altri, prima di proseguire con la storia. Baci, Lubitina :D

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Capitolo 2
*** Prologo/You are still a dead to the world ***







Attenzione! Ho dovuto copiare ed incollare questo prologo, che figura come capitolo 2, poichè veniva mostrato comunque come cap 2 anche se spostato per primo. Quindi il secondo capitolo, vero e proprio, è il capitolo uno, il precedente: "La tua voce è la speranza". Comunque,buona lettura :D


Le giornate di Vancouver erano belle e soleggiate, quell’estate. La pioggia del Pacifico non sembrava molto interessata alla città canadese, e ciò rendeva le giornate di cattività meno scure.
Un tempo, qualcuno gli aveva raccontato, che nel luogo dove era stato costruito il Quartier Generale della Difesa dell’Alleanza, c’era una spiaggia. Poi il mare era salito, e la terra su cui costruire era terminata. Gli uomini avevano, allora, colonizzato l’oceano, ed eretto grattacieli su di esso.
Ora John Shepard, ex comandante di fregata, guardava le onde dalla finestra della sua camera.
Era in custodia cautelare, da circa quattro mesi, in attesa di giudizio definitivo. Era stato,ovviamente, anche sospeso dal servizio nella Marina.

Hai distrutto un portale galattico, dicevano. Sei stato affiliato ad un’associazione terroristica, asserivano i giudici marziali, impettiti e vecchi, corrosi dagli acciacchi, ammiragli e generali. Uomini e donne che non vedevano una battaglia da decenni, che credevano fermamente che là fuori, oltre il Margine Esterno, non fosse annidato nulla, in attesa silenziosa. Crani stempiati e visi rugosi avevano già deciso della sua vita, mani macchiate dall’età tempestavano lettere nel verdetto finale.
Guardandoli, seduto, affiancato da quel lurido verme che gli avevano affibbiato come avvocato d’ufficio, al banco degli imputati, aveva iniziato a pensare alla sua giovinezza.
Beh sì, era ancora giovane. Non aveva nemmeno compiuto trent’anni.
Ma cosa aveva realizzato in vita sua?
Guardava il verme, un uomo basso e tarchiato, dal viso unto e dai capelli radi, e gli ricordò uno Yahg. Anche se l’ex Ombra, ora rimpiazzata dalla cara signorina Liara T’soni, era di certo più intelligente. Ma non meno meschino. Probabilmente, però, quell’unticcio ometto aveva una famiglia, dei pargoli e una moglie cui portare i soldi a casa, nonché un cane.
Costui camminava avanti e indietro, con fare teatrale, le braccia dietro la schiena e le dita grassocce intrecciate, davanti allo scranno in cui sedevano gli anziani generali ed ammiragli. Come galline, seguivano con lo sguardo lo Yahg, rivolgendo a lui, ogni tanto, qualche occhiata storta,con occhi sbiaditi dall’età. Shepard non ne conosceva neppure il nome, e si scoprì troppo pigro per leggere le targhette di legno, poste davanti ciascuno di loro. Sui lati della stanza erano appesi grandi drappi rossi, con intessuta la mappa dei sistemi controllati dall’Alleanza. Tante piccole stelline, circondate da pianetini, facevano parte di un intero settore di Galassia. Governato solo da Umani.
Dietro la vecchia giuria, sullo sfondo, c’era solo oceano blu, col Sole che tramontava lento, e colorava la stanza d’arancione. Gli ricordò lei.
Virmire… Sembrava passata una vita.
Incrociò le braccia, attento a non spiegazzare le maniche nere della giacca elegante che Anderson gli aveva consigliato di indossare, pregando se stesso di pazientare. Non era quello il momento di esplodere. Lievi scosse d’energia violetta fluttuavano, però, dalle sue mani. Il cuore in petto batteva forte, cattivo presagio. Una patina di sudore ricopriva la sua fronte.
-… mi trovo quindi costretto, dal mio cliente, a richiedere una perizia psichiatrica. È di certo infermo mentalmente; lo shock di aver vagato, in coma, per lo spazio aperto, dev’essere stato enorme, volendo ritenere assurda l’idea di questo “Progetto Lazarus”..
-E ciò lo ha probabilmente portato a collaborare con Cerberus, e la loro folle idea riguardo a questi astrusi …Collettori, e Razziatori. Se ne conoscono le abilità militari e la leadership, quindi dev’esser stato un progetto di punta dell’Uomo Misterioso, per accedere alla Cittadella. Del resto, ne conosciamo bene le intenzioni: cioè la dittatura. Avrebbe probabilmente voluto sfruttarne lo status di Spettro e popolarità.

L’uomo allora si zittì, voltandosi verso Shepard. Un sorrisetto unto e meschino si disegnò sul suo volto grasso.
John sgranò gli occhi azzurri, scattando in piedi. E a loro volta, sui volti di generali e ammiragli apparvero espressioni di sconcerto e stupore, di fronte all’aura violetta che circondava il suo corpo.
Un ghigno rabbioso apparve sul suo viso. Una piccola sfera d’energia, percorsa da scariche elettriche, cominciò a crearsi nel palmo della sua mano destra, accrescendosi secondo dopo secondo.
-Bene, bene. Quindi la tua grandiosa idea, lurido verme, è stata quella di richiedere uno strizzacervelli. Ho salvato i vostri vecchi e grassi culi più d’una volta, e avete ancora il coraggio di negare l’evidenza. Bene, bene. Quando arriveranno i Razziatori, giuro che non muoverò un dito per salvare questo schifo di pianeta, e questo schifo di razza, cui mi vergogno di appartenere. L’unica cosa buona mai nata su questa fogna sono state le scimmie.,- grugnì.
Alzò la mano, e aprendola, lasciò andare la sfera che, come un rapido fulmine globulare, si andò a schiantare contro lo stemma dell’Alleanza, posto sul vetro che dava sul mare, poco al di sopra del presidente della giuria, dalla lunga barba bianca. Inaspettatamente felino, questi scattò in avanti e nascose la testa tra le braccia. Lo stemma andò in frantumi, e mille schegge di materiale tagliente piovvero nella stanza.

-John Shepard…,- iniziò l’uomo con voce incerta, ma una grandinata di deboli colpi biotici caddero sulla giuria intera. Fece solamente in tempo a gettare uno sguardo agli occhi azzurri, iniettati di sangue, dell’imputato. Il lurido verme era invece rannicchiato in un angolo dalla parte opposta della stanza, coprendosi la testa pelata con le manine.
Shepard rideva sguaiatamente, i palmi aperti a dirigere l’orchestra di sferette viola che volteggiavano nella stanza.
-No. Taci,vecchio. Sono pazzo, no? Dunque ho tutto il diritto di comportarmi da tale.
Fece una breve pausa. Dalla mano destra generò una Singolarità che andò a posizionarsi di fronte allo scranno, tra lui e la terrorizzata giuria. La sfera nera era circondata da potenti scariche elettriche di gas ionizzato.
-Vediamo se avete il coraggio di fuggire. Se lo fate, verrete come risucchiati da un buco nero. Si, come quello oltre il portale di Omega 4.Non riuscite a vedere attraverso,eh? Immagino anche che nessuno di voi sia un biotico.. Beh, sappiate che è estremamente divertente. E che gli amplificatori che, di certo, qualcuno di voi ha approvato nell’Alleanza sono.. come dire.. instabili!
Un’esplosione violetta squarciò i vetri, che caddero in frantumi scrosciando, andando a depositarsi come neve sulle alte uniformi dei generali ed ammiraglio, tagliando stoffa e ferendo le vecchie fronti. La tempesta di sfere biotiche non accennava a placarsi. Scintille scoccarono su entrambi i drappi rossi, che presero immediatamente fuoco, ben alimentato dal vento oceanico che soffiava nella stanza. La luce scarlatta delle fiamme si sommò a quella arancione del tramonto.
-Oh no!,- disse ironico, ridendo, camminando lentamente verso la Singolarità. L’aura viola attorno a lui era aumentata.-Vi ho rovinato le uniformi! E ora i vostri arazzi, con i possedimenti della grande Alleanza, bruciano!
Fece una pausa. Diresse una mano alla Singolarità, alzandola verso l’alto.
-Sono pazzo, dunque, verme?,- urlò con rabbia, rivolgendosi allo Yahg. – Se sono tanto pazzo, perché non mi avete mai ritenuto una minaccia? Perché, cazzo?
Un colpo biotico fece volare per aria il banco di legno degli imputati dietro di lui, mandando a sbattere contro una delle pareti in fiamme, prendendo fuoco anch’esso.
Il presidente della giuria, vecchio e bianco, i gradi dorati che scintillavano nell’intensa luce calda e che riflettevano il viola delle sfere biotiche, uscì, allora, dalla protezione delle sue stesse braccia. E trovò il coraggio di parlare.
-Perché è stato lei a costituirsi, signor Shepard.,- disse con estrema calma, accarezzandosi la barba candida.
L’espressione del soldato mutò improvvisamente.
La tempesta biotica,viola, si placò, mentre lui abbassava lo sguardo. Gocce di sudore cadevano dal suo mento. La terrificante Singolarità evaporò completamente, sparendo con una lieve esplosione, sopra tutti loro, una supernova.
Lasciò ricadere un braccio lungo il corpo. E, come ricordandosi improvvisamente di quanto fosse importante, con l’altra mano afferrò con gentilezza e delicatezza una boccetta che portava al collo.
Che cosa ho fatto? Meritavano questo?
Migliaia di domande affollarono la sua mente nel giro di un secondo. Rimase immobile, in quella posizione, per almeno un minuto. Una sottile smorfia di sofferenza si disegnò sul suo viso.
La giuria, i vecchi uomini e le vecchie donne, si scrollarono di dosso i frammenti di vetro, e si ricomposero nelle uniformi, borbottando parole sinistre e silenziose. Mani con dita adunche si mossero sullo scranno, stiracchiandosi come ragni. Il tempo s’era fermato, e la voce di Anderson sussurrava parole nella sua mente.
Braccia forti lo afferrarono allora da dietro, ma John se lo aspettava. Non oppose alcuna resistenza. Lo fecero girare, e inginocchiare. Guardò il pavimento di fronte a sé, ricoperto di schegge di vetro. Manette di materiale resistente gli cinsero i polsi.
-John Shepard, lei è in arresto,- disse senza indugi un uomo della sicurezza, con l’uniforme dell’Alleanza e una pistole pesante tra le mani. – Se sarà di nuovo pericoloso, in questo frangente, sarò costretto a spararle.
John annuì in silenzio, da terra, scrutando attentamente i lineamenti anonimi dell’ufficiale.
La voce del presidente della giuria risuonò, infine, nella sala devastata. L’impianto antincendio lottava contro le fiamme dei drappi rossi, il Sole era quasi sparito nel mare. La sera calava, e Venere già brillava.
-Avvocato, perizia psichiatrica accordata, con effetto immediato.- disse, sardonico.



John Shepard fu, quindi, confinato nell’alta prigione sul mare. Non era né un ospedale psichiatrico né una centro di detenzione vero e proprio (come la nave da cui aveva reclutato Jack), e di ciò fu grato ad Anderson per la sua intercessione. Era più.. un albergo per menti pericolose, come lui stesso amava definirlo, strettamente sorvegliato da personale speciale, i cui occhi, nonostante non li vedesse, erano costantemente addosso a lui. Le visite non erano però vietate, né tantomeno eccessivamente controllate. Possedeva inoltre una stanza personale, con uno spartano letto, una scrivania, un piccolo armadio ed un gabinetto con doccia. Inoltre i campi di forza che la isolavano non erano particolarmente disturbanti. E’ un hotel d’alta classe, già.
-Ho lasciato il consiglio,John,- annunciò Anderson,entrando dalla porta blindata, costruita di speciale materiale refrattario ai campi biotici.
John passava le giornate scrivendo, e utilizzando la sua ora d’aria allenandosi nella sorvegliatissima palestra, qualche piano più sopra o sotto. Non ne aveva idea. Non gli era stato concesso un datapad, ma Anderson aveva trovato modo di fargli avere dei fogli di carta ed una penna bic, come di poche se ne trovavano ancora.
Aveva imparato a scrivere a mano all’orfanotrofio, a New York, una vita prima. Le sue lettere erano brutte, sgraziate, poco leggibili, come quelle di un bambino di un secolo prima che ha appena imparato a scrivere: ma sentiva che in ogni parola vergata c’era qualcosa di sé, e che lì era eternamente impresso. La penna, però, era così delicata e sottile nella sua mano, abituata ad impugnare fucili…
Sentendo la porta aprirsi e richiudersi, John alzò lo sguardo dal foglio.
-Salve anche a lei, Ammiraglio.. o preferisce Capitano? Ti offrirei qualcosa, ma, come vedi, è un luogo piuttosto ameno…
Sorrisi furono scambiati tra i due uomini. Anderson si andò a sedere sul lettino.
-Gradirei un po’ di buon bourbon, ma noto che non ne hai.. non te ne avrò a male. Comunque, ho lasciato il Consiglio. Non ne potevo più di tutta quella burocrazia. Udina ci sguazzerà. Mantengo solamente la carica formale.
Shepard scosse la testa.
-Non c’è da fidarsi di Udina. Lei magari comprenderà poco di giochi politici, ma almeno è una persona onesta.-mormorò, passandosi le dita tra i capelli neri e lisci, notevolmente cresciuti.
Non era la prima volta che Anderson passava a trovarlo. A dir la verità, passava quasi tutti i giorni, dai due mesi in cui era detenuto lì. Il primo giorno gli aveva portato un calendario, in cui Shepard segnava i giorni che passavano. Non s’aspettava d’essere liberato presto.
-Si, infatti lo tengo sott’occhio, anche se da qui è un po’ difficile.
La sua espressione si fece improvvisamente grave, e socchiuse gli occhi. Si passò una mano sul viso, grattandosi la barba. Dopo un lungo silenzio, parlò.
-Continuiamo a perdere contatti con colonie,John. E stavolta lo schema non sembra casuale come per i Collettori, ma pare preciso. E punta verso la Terra. Anche i Turian hanno notizie simili. Per non parlare delle Asari. Solo dai Salarian sembra andare tutto nella norma, tranne che per la distruzione di alcune raffinerie d’elio-3.
Il cuore di Shepard mancò un battito. Dal buio, stavano tornando, dunque. Noi siamo l’Araldo, sussurrò un Collettore. Luci rosse come il sangue s’accesero nella sua mente.
-Volus,Elcor,Batarian?
-Stessa cosa. Solamente in scala minore, dato che hanno meno colonie.
Si alzò, e si affacciò alla finestra. Il suo sguardo si perse nei riflessi che il Sole creava con le onde dell’oceano. Intrecciò le dita tra di loro.
-Ah,Shepard. C’è un’altra cosa che devo dirti.
John annuì.
-La Flotta Migrante ci ha contattati. Chiedono un’alleanza…per combattere i Geth. Vogliono riprendersi Rannoch.
Occhi luminosi velati da un visore viola, parole sussurrate in Sala Macchine, perché nessuno le udisse e provasse invidia. Affogava,poi, in un mare scuro, e i suoi polmoni esigevano aria.
Shepard si alzò dalla sedia, nervoso. Si morse le labbra, e andò verso la finestra, affiancandosi ad Anderson. La luna era sorta in cielo.
-Non è questo il momento, non lo sanno?,- disse fra i denti.
-Loro asseriscono che questo è il momento migliore per colpire, perché l’attenzione delle Antiche Macchine, come li chiamano loro, sarà calamitata su di noi. Cioè, sulle razze del Consiglio.
-Hackett cosa ha risposto?
-Che deve valutare l’operazione. Ma ti dirò,John, l’ultima volta che ci ho parlato sembrava alquanto tentato. Sogna un’alleanza con i Quarian, contro i Razziatori.
Quel nome scosse l’animo di Shepard, ridestandolo dalle acque profonde e buie in cui il ricordo di prima l’aveva fatto affondare. Una piccola mano con tre dita era tesa a salvarlo. L’aria entrò dentro di lui, e respirò.
-Illuso.. Chi è stato a contattarlo? Han Gerrel? Koris?
Il ricordo di lei, china sul cadavere del padre, invase la sua memoria, e lo addolorò come una pugnalata.
-E’ una donna,si chiama Shala Raan. A quanto pare è uno dei Grand’Ammiragli della flottiglia. Ah, tra l’altro credo sia parente della tua amica.
-Tali,-mormorò John, fissando il mare.
Anderson si girò verso di lui, posando le mani sulle sue spalle. Lo squadrò attento.
-Sei dimagrito, John. E tagliati quei capelli, non ti danno un’aria militare.
-Non sono più un militare..,- rispose lui, guardando l’altro, una sfumatura triste nella voce. – Dopo quella bravata, mi sono giocato per sempre il mio ruolo in questa tragedia.
-Ma come siamo letterari!,- scherzò Anderson,-Leggi troppo Shakespeare. ,- disse poi, gettando un’occhiata al volume,antico e ingiallito, zeppo di segnalibri usati da John,dell’opera omnia del drammaturgo. Tornò a guardarlo, analizzando il suo volto ancora giovane, ma stanco.
-Shepard. Lei è viva. E ti sta cercando, ne sono sicuro. Ti ha perdonato. Non ti abbandonerà mai, sappilo.
John spostò gentilmente le mani dell’anziano amico. Andò a sdraiarsi sul letto, le mani dietro al collo.
-No, Capitano. Nessuno può perdonarmi per quello che ho fatto.
Egoismo, egoismo. Lei è così altruista, io così egoista. Sono stato così egoista. Così crudele. Cosa credevo di risolvere?
“Nessuno,nessuno,nessuno,comprenderà,” mormorò dal buio la Justicar, blu nella sua armatura scarlatta.
-Tutti abbiamo i nostri limiti. Tu ora devi capire i tuoi. Perché Hackett vorrebbe mandare te, alla Flotta Migrante. Ma devi trovare il modo di uscire di qui, e puoi farlo solamente se confessi e patteggi.
-Metti da parte l’orgoglio,John. . Ma non perderti nell’autocompatimento.. Ricorda com’eri. Ti prego.- concluse Anderson mesto, avviandosi alla porta.
John, dal letto, sospirò rumorosamente.
-Mai, David. Non merito nulla di tutto ciò. Non devo più salvare l’Universo. Devo solo scontare questa pena…
Anderson,allora,lo guardò intensamente, e disse tre semplici parole.
-Fallo per lei.
La porta si richiuse, con uno scatto perentorio,dietro il Consigliere,l’orlo della giacca blu che svolazzava.
Shepard chiuse gli occhi. Avrebbe voluto scrivere quella conversazione, ricordarla, ma era cosciente che non ce ne era bisogno. Lei era viva. Lei voleva aiuto.
Ma lei non poteva averlo perdonato. Mai. Mai, mai qualcosa del genere sarebbe potuto avvenire. Piuttosto, i Razziatori avrebbe perso quel ciclo.
La sconfitta. Sì, era vicina. La morte, la sentiva sussurrare,nelle pieghe della sua coscienza annebbiata dai medicinali, che confusamente, sapeva erano immessi nel cibo.
Aveva la voce dei morti che si era lasciato dietro. Zaeed Nassani, una mano tesa ad indicare l’uscita dal dedalico e organico termitaio dei Collettori, che grugniva, correndo e lasciandosi dietro una scia di sangue rosso, era nei suoi incubi; Samara, la bella e antica giustiziera delle sue figlie,le mani aperte a palmo a creare una barriera sferica contro gli sciami, infestava le sue notti. I suoi grandi occhi grigi, simili a quelli di lei, lo ossessionavano. Kaidan Alenko, il volto ridotto ad un teschio con brandelli di pelle ustionata e bruciata, pronunciava parole secche dalla bocca senza lingua. Siamo morti, cantilenavano. Ed è solo per colpa tua.
Lo fissavano dal buio di Central Park nella notte, tutti in fila. Come in attesa dell’esecuzione, della decimazione. Come se attendessero solo che il colpo di un Javelin trapassasse le loro fronti.
E poi sognava lei, tutte le notti. La lei nascosta da una tuta grigia e nera, abbandonata per la seconda volta. Lei, che gli sorrideva con labbra che non riusciva a vedere, e una stretta dolorosa che gli attanagliava il cuore. Lei, e un tramonto su Virmire.
E stavolta, sentiva, sarebbe stato per sempre. Nessuno avrebbe potuto riportarlo in vita.
Li attenderò. Non c’è nulla da fare. Arriveranno, e completeranno la Mietitura. La Sovereign aveva ragione. Hanno sempre avuto ragione. È l’unico modo per salvare la Vita.. da cose come me.
Da una piccola apertura nella porta comparve una brodaglia marrone. Shepard si alzò e si costrinse a mandarla giù. Aveva un sapore pessimo, anche attraverso le sue papille gustative made in Cerberus.
Si stese sul letto, le palpebre si appesantirono. Il sonno arrivò, e con esso tutti i morti di sempre, in orde confuse che parevano infinite.

Il giorno successivo fu come gli altri, e come quelli che seguirono, per un mese, forse più. Anderson non tornò.
L’aveva deluso, ne era certo. Ma cosa fare,altrimenti? Era l’unica via per salvare il mondo da se stesso. Per salvare tutti loro. Per salvare lei. Io sono ciò che la minaccia, morirà per colpa mia. Anche lei, scrisse sul foglio, in una grafia sempre più minuta, data la mancanza di carta.
Improvvisamente, si accorse di qualcosa. Qualcosa che, distintamente, come un vento diverso, cambiava l’aria della stanza. Si guardò attorno. No, non c’era nessuno, e la finestra era sempre ermeticamente chiusa. Fuori il Sole brillava allo zenit.
Allora, guardò davanti a sé. E davanti a lui, in bella mostra, stava una pistola della Kassa Fabrications. Era nera come la pece, il che contrastava immensamente col bianco candido dei suoi fogli di carta e della scrivania stessa.
Se la rigirò tra le mani, con cura. La soppesò. Si, il caricatore di clip era pieno.
Era un segno del destino, o di quel Dio crudele che governava quello strano mondo. Già, strano davvero far trovare ad un uomo, che asserisce di non desiderare altro che l’eterna punizione, una pistola carica.
Quella cosa cambiava i fatti. Ora una via d’uscita c’era.
John Shepard non aveva mai pensato prima d’ora al suicidio. Era un uomo che si credeva pragmatico, poco poetico, poco interessato a se stesso, su cui non aveva mai riflettuto.
L’estrema solitudine del suo essere era stata la sua unica compagnia, in quei lunghi giorni. Ora, aveva l’opportunità di essere solo con lei, crudele amante, per sempre. Potrò scontare i peccati in eterno, disse il suo io annebbiato dai medicinali, avvicinando l’indice al grilletto, e alzando il braccio verso la tempia.
Puoi redimerti in Vita. Hackett e Anderson ti hanno dato un’opportunità, rispondeva l’Altro, sorridente, accompagnato da vitali occhi azzurri, capelli cortissimi e uniforme dell’N7. Inguaribile ottimista. Salva i Quarian. Salva lei.
No.., mormorò lui, confuso. Lei morirà per colpa mia..
Un’improvvisa e tremenda esplosione interruppe il dialogo. Entrambi si girarono verso la finestra, avvicinandosi ad essa. Uno sparo ci fu, e fu quello che distrusse il vetro.
John Shepard, ex comandante della Marina, si affacciò, e non vide altro che mare.
Guarda in alto, suggerì l’Altro, con una nota allegra nella voce. Guarda un po’ chi è venuto a trovarti, grande Comandante.
Decine di enormi masse tentacolari, simili a piovre metalliche, scendevano dal cielo come pioggia, oscurando il Sole. Enormi oculi scarlatti,perfettamente circolari, puntavano sulla terra, su di lui.
Terribili brividi lo scossero. Cercò di non pensare, e cadde seduto sul pavimento. Sono tornati. La mietitura verrà completata.
Ma la porta blindata si aprì. Un uomo nerboruto con indosso un’uniforme dell’Alleanza apparve di fronte a lui. Si guardarono per un istante, occhi azzurri contro marroni.
-Vieni con me, Comandante. Dobbiamo andare via, il più lontano possibile.-, disse, porgendogli una mano per aiutarlo a rialzarsi. –A proposito, mi chiamo James Vega, luogotenente. E, complimenti! Sei stato appena reintegrato nella Marina!
John lo guardò confuso, alzandosi.
-Fammi strada, -urlò per farsi sentire sopra le esplosioni. Si fermò un istante a raccogliere i fogli, infilandoli in tasca, e corse dietro al giovane. C’era fumo nei corridoi, irritante e venefico.


La guerra non aveva mai avuto un odore più dolce.






Salve! Sì, colta dall'ispirazione ho deciso di creare un prologo. Spero vi sia piaciuto! Fatemi sapere, lettori silenziosi :3

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Capitolo 3
*** Apatia ***


 
 

Genesi 2:16

Il Signore diede questo comando all'uomo: «Tu potrai mangiare di tutti gli alberi del giardino,ma dell'albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti».


 
 
 
Rannoch. "Giardino cintato".. nome dimenticato tra le pareti metalliche delle antiche navi della flotta. Dimenticato perchè fonte di inesauribile amarezza, di tremendi sospiri nascosti da maschere violette, di segreta rabbia covata nel profondo di un cuore protetto da tessuto e software. 
Era un nome che sopravviveva, come un monito a tutte le razze senzienti, solamente nelle mappe galattiche. I Quarian, il popolo della diaspora, condannati all'esilio, ad esistenze sorrette da timori di piccoli esseri infiltrati sulla loro pelle pallida, al dolore al petto dopo ogni bacio, avevano scelto di sostituirlo. Rannoch ora era,per loro, semplicemente il "pianeta natale".
Non ne avrebbero mai e poi mai potuto trovare un altro: non avevano la tecnologia o i fondi necessari per terraformare correttamente un pianeta, e di certo un altro simile al natale non ne se ne trovava. Di pianeti gemelli ce ne sono tanti, nella galassia: ma Rannoch era stato unico, una perla fulgente più della sua debola stella, scintillante dei suoi oceani e dei suoi deserti, mai insozzato da insetti e batteri. E ora...quelle maledette macchine, quei maledetti ammassi di bit e fili, calcavano le sue strade polverose, ammiravano lo scintillio mattutino dei suoi oceani blu. 
Quando ci si erge a creatori,però,si deve fare i conti con le conseguenze. Non sempre i figli scelgono di vivere all'ombra dei padri: non sempre il frutto cade vicino all'albero. Tra le fessure di quelle valanghe di dati c'era stato un errore del sistema, così piccolo da essere irriconoscibile per gli ingegneri che, per primi, scrissero gli antichi codici: così piccolo, così minuscolo, da ricordare un Rna, che, per la prima volta, si avvolge su se stesso, nel profondo del brodo primordiale di Rannoch.
Quell'errore aveva innescato una..mutazione.. e quella non era altro che il primo passo per l'evoluzione. La vita inorganica non può evolvere, così si dice. Non si sfugge alla programmazione, dicevano gli antichi scienziati. Non ci potranno mai essere errori, la perfezione è nella matematica. Loro saranno i nostri servitori, sempre e per sempre, mentre la nostra specie progredisce e, forse, regnerà sulla Cittadella.
Ma così non fu. Il soffio dell'anima, s'era innestato tra quei circuiti grigi, donando vita a cose morte. Un Geth, un "servitore", un giorno si alzò dal tavolo di lavoro di un Quarian, e parlò. E disse che quell'unità non avrebbe potuto obbedire all'ordine del Creatore.
Era nato, per la seconda volta, su Rannoch, il Libero Arbitrio.

 TALI

Tali a volte pensava che vivere in rete come i Geth, come Legion, fosse alquanto comodo. Non c'erano segreti, non c'erano discrepanze, non c'erano sentimenti di rivalsa e di vendetta: non c'era quella sofferenza lancinante che deriva dalla mancanza...
La mancanza. Ad essa pensava Tali Zorah Vas Normandy mentre i suoi passi risuonavano lenti nell'hangar delle navette, sotto lo sguardo interessato di Cortez. Un sorrisetto era dipinto sul suo viso abbronzato, le mani ancora appoggiate alla tastiera.
Sorride. Forse è contento di vedermi. Eppure ci siamo conosciuti solo l’altro ieri..Lui è così tenero. A volte mi ricorda Chakwas.”
 
-Ecco, Tali, lui è il pilota Steve Cortez. Un gran pezzo d’uomo, o sbaglio, signor Vega?
Il corpulento soldato, dal fondo della sala, dal suo angolino zeppo d’armi, aveva guardato il Turian con sufficienza. Cortez, in piedi davanti alla Quarian e a Garrus(che l’ha accompagnata nel far il giro della nave, e nel presentarle le nuove reclute), le mani dietro la schiena, aveva sorriso.
-Molto piacere di conoscerti, Ammiraglio.-, disse l’ispanico, tendendo la mano, che ricevette una salda stretta.
 
 
Guardava le armi, con misto di interesse e noia.
-Tali, a che pensi? 
-Secondo te, Cortez? Domani saremo sull'ammiraglia Geth, in compagnia di migliaia di quei cosi, con solo un'opportunità per spegnere quel codice..e..e..e poi a niente.- E cominciò a guardarsi le mani e ad intrecciare nervosamente le piccole dita guantate. Dopo qualche secondo di quest'attività, mentre l'umano continuava i suoi lavori al terminale con un sorrisetto, alzò di nuovo lo sguardo.
-Ascolta, Cortez.
-Dimmi.
-Tu che ne pensi del comandante?
-Penso che sia un bell'uomo.
-E basta? Ti prego, così confermi tutto quello che va dicendo Vega in giro..- Vega, il villoso, portentoso, violento, rissoso, palestrato, soldato della soldataglia umana N7. E Tali lo detestava. Aveva dei modi di fare tremendamente sgraziati, egoisti ed egocentrici, e sembrava irrorare l'aria di testosterone, molecola cui però, a quanto pareva, la Quarian era totalmente immune. Lei non aveva neppure idea di come un individuo del genere potesse ancora essere nell'equipaggio di John. "John"?
-E che si dice?
-Che ti piace.
-Beh, anche a te, Tali. Quella maschera non nasconde proprio tutto...
Si sentì avvampare. Le parve che tutto il sangue del suo corpo le fosse risalito al viso. Un conto era ammettere ciò da totalmente ubriaca, e ad una donna (anche se Tali non riusciva ad accettare del tutto,ancora,il fatto che le Asari fossero solo femmine), un altro era negare l'evidenza con un essere della stessa razza di Shepard. Eppure Liara aveva vissuto quella pantomima tra due alieni fin dall'inizio, mentre Steve conosceva lei e il Comandante da poco, troppo poco. Dentro di sè, antichi rancori sopiti, dalla routine di una vita in un cubicolo sulla Rayya, riapparvero prepotenti.
-Non..voglio risponderti.
La Quarian se ne andò ondeggiando, entrando nell'ascensore, in silenzio. Cortez la guardò sparire dietro le porte metalliche.

STEVE CORTEZ


Steve, forse ciò che sto facendo è sbagliato. Sono una Quarian, e tra di noi è ormai usanza non parlare di sè, se non strettamente necessario. Non è bello, non è altruista, e soprattutto è inutile alla Flotta, sobbarcare gli altri dei propri problemi. La vita è dura nelle navi, l'aria scarseggia, e non la si può sprecare per dire parole futili. Forse voi..siete diversi. Non so. Avete delle usanze particolari, a quanto ho capito leggendo qualcosa di voi negli archivi di IDA, che cambiano da zona a zona d'origine. Che strani. A volte vi trovo..territoriali,come certi animali che si racconta vivessero sul Pianeta. Keelah, Steve, non ti sarai offeso? Scusami, se è così, ma sto parlando in fretta e non so neppure io cosa sto dicendo... Lo voglio, Steve. Lo voglio da quel giorno agli agglomerati della Cittadella, quando venne a cercarmi per la prova contro Saren. Avrò mai significato qualcos'altro per lui, se non un colpo di fortuna? Lui deve salvare la galassia, non le Quarian avventate in pellegrinaggio. 
Vuoi sapere come si è sempre comportato,con me? E' sempre stato educato. Mi invitò a stare alla Normandy, e io accettai. Mio padre mi odiò, ma grazie agli Antenati trovammo, in un terminale, in una base Geth di un pianeta orrendo, tutto rosso e burrascoso, alcuni dati piuttosto utili sulla loro attuale programmazione. Vuoi sapere quando li mandai alla flotta? Quando la Normandy fu attaccata dai Collettori. E lui.. e lui morì. E morirono le mie speranze. Fu la fine di.. di tutto. Dell'amore, della speranza, e pensai potesse esserlo anche della Vita.
No, Steve, non ci riesco a parlarne. Le parole mi..muoiono sulla lingua. Non sono ancora pronta. Sento il cuore esplodere al pensiero di essere in missione con lui, domani. A proposito, anche voi avete due ventricoli. Sono proprio una stupida.. Ora è meglio dormire..vado a rannicchiarmi in sala macchine, dov'è un po' più rumoroso. E dove lui, quando ancora mi voleva bene, veniva a trovarmi. E raccontava. A domani.


La registrazione finì con un "bip".

Anche Steve Cortez era, lievemente, attratto dall'apparentemente amichevole capitano. Era di certo un uomo cordiale, ma ricoperto di una scorza troppo dura da essere scalfita: non c'erano riuscite le morbide curve di Miranda Lawson, nè l'aura biotica di Liara T'soni. Jack, la folle combattente, non aveva neppure tentato un approccio diverso dal sesso occasionale. Quel pensiero gli riportò alla mente IDA, la quale gli aveva confidato di tale relazione. Ed immaginare quella cosa calva e vestita solo di tatuaggi, stendere il capitano sul suo lettaccio nella stiva.. era ripugnante. Quel giorno che Steve accettò l'invito di andare a bere qualcosa al Purgatory non cancellò tale sensazione. Guardare negli occhi azzurri di Shepard lo faceva pensare a tutti i suoi peccati mai confessati, e che avrebbe dovuto, prima o poi, prima che i Razziatori arrivassero e ultimassero il Ciclo, ammettere di fronte a Dio. 
C'era una barriera insormontabile tra loro, i membri dell'equipaggio,miseri esseri in balia del destino della Galassia intera,solo una dei tanti,infiniti,miliardi,che riempivano l'Universo, e lui. E non derivava solo dai suoi insoliti poteri biotici.
Era un uomo che soffriva, soffriva tremendamente, e Tali aveva osato, tentato, provato, e si era distrutta nel tentativo, donargli compagnia. E aveva definito quel periodo “quando ancora mi voleva bene”. Lei era così dolce, leggera, frivola. Donava pace gratuitamente a chi ne desiderava almeno un goccio. Non voleva nulla in cambio, se non il sentirsi utile.
Cortez decise, allora, di esserle amico, e di annotare sul datapad i punti salienti di quella storia così priva di sesso, così poco interessante, così totalmente fuori dagli schemi dei romanzetti rosa umani. 
Abbracciò il cuscino, e chiuse gli occhi, grato alla Quarian di esistere.

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Capitolo 4
*** Viaggiatrice tra le stelle ***




Più di venti anni terrestri prima


Terrorizzati occhi brillanti guardavano la levatrice,supplichevoli.
-Ti prego, aiutami!
La donna mise una mano sulla fronte all'altra, la prima mano che si posava sulla sua pelle nuda, da tanti mesi. L'ultima era stata quella di Rael, che le accarezzava una guancia pallida poco dopo aver fatto quello. 
La cosa non le era mai piaciuta. Avrebbe ardentemente desiderato che l'accoppiamento potesse avvenire tramite le tute, semplicemente collegando un cavo, senza contatto con l'altro, senza scambio di chissà che molecole, virus, prioni e viroidi. Li immaginava, mentre suo marito era sopra di lei e dentro di lei e la guardava adorante, correre e fluire sulla sua pelle sudata, piccoli ammassi protetti, come loro con la tuta, da una barriera di fosfolipidi. 
La cosa non le era mai piaciuta, quello non le era mai piaciuto. Non riusciva ad immaginare neppure perchè Rael l'avesse desiderata e infine sposata, a lei, una misera quarian tra i tanti, poco vogliosa di rivedere il Pianeta Natale, e abituata a deliziosamente crogiolarsi tra le pareti metalliche della Rayya. Che senso avrebbe avuto cercare, riprendersi, combattere, per un misero pezzo di roccia? La loro casa era tra le stelle, e tra le stelle c'erano le loro navi, e nelle loro navi c'erano loro, ricoperti di tute e col viso coperto da maschere. Quegli occhi brillanti, che si vedevano dai loro visori, bastavano. Loro erano carne e fibre, tessuto e ossa. I loro polmoni non sarebbero tali senza i loro respiratori, le loro mani inabili se non guantate. I loro occhi vuoti, senza il vetro violetto. Il loro sangue impuro se non costantemente ripulito.
Quando partorì, fu la prima volta che la moglie dell'Ammiraglio Zorah vide il sangue. Era rosso, e lei non lo sapeva. Non le interessava. Non aveva mai toccato con interesse il proprio corpo durante le rare abluzioni che si concedeva, per rimuovere dalla sua pelle pallida le cellule morte; aveva totalmente ignorato il giorno in cui sua madre le aveva donato una tuta più grande, perchè il suo seno era ormai cresciuto. Il suo seno. Piaceva da morire a Rael.

E ora, in quella camera bianca, sterile (a quanto diceva la levatrice), vedeva il sangue uscire da una zona in mezzo alle proprie gambe, e stringeva forte le sue sei dita ai bordi del letto. Era rosso come gli arazzi che ricoprivano certe pareti nei giorni di festa. Perchè fluiva da lei? Cosa s'era infranto? Per la prima volta, si morse le labbra, fino a che un sapore mai sentito le riempì la bocca.
Minuscoli esseri si insinuavano dalle sue narici, dalla sua bocca contratta.. li sentiva risalire il flusso di sangue che sgorgava dal suo labbro inferiore, e intrufolarsi in lei. 
La cosa non accennava ad uscire. Sperava che quell'orrore fosse rapido e indolore, e invece faceva male. Eccome se faceva male. 
La quarian non conosceva il dolore che si prova quando si viene colpiti da un proiettile sparato da un acceleratore di massa, ma sarebbe stato così che avrebbe descritto la sofferenza che, dal basso ventre, si dipartiva verso tutto il suo corpo. Un'interminabile sequenza di piccole sfere metalliche.

-Spingi!
Lei non sapeva cosa significasse. Non lo fece. Chiuse soltanto gli occhi. Voleva che tutto quello, chiudendoli, finisse.
-Ti ho detto di spingere! Vorresti non veder tua figlia?
Mia figlia. Io non volevo una figlia. Io volevo solo guardare le stelle.
Rimase in silenzio, nonostante il dolore la sconquassasse.
Pensò a Rael, a come non lo amasse. Aveva letto tanto, di amore, e aveva compreso tempo addietro che di certo non era quello che provava per lui. Lei non amava nessuno, fuorchè se stessa e la sua tuta. Il suo isolamento era perfetto, la sua solitudine ideale e irrinunciabile. Non avrebbe mai fatto crescere i suoi capelli, come facevano un tempo le donne sul Pianeta. ll Pianeta..Keelah..era dei Geth. Le loro gambe robotiche correvano sulla sua superficie arida. Rael,maledetto,lui voleva la guerra. Rivoleva il Pianeta. E quella cosa che stava per nascere lo avrebbe appoggiato. Lo avrebbe adorato. La fine dei Quarian sarebbe stata unicamente colpa sua.
No, non doveva nascere.
Decise di non aprire più gli occhi, e chiuse le gambe, stringendo con i forti muscoli delle cosce,  pregando gli Antenati, ignara della sua blasfemia, che quella cosa morisse con lei.


Fu così che morì la madre di Tali Zorah nar Rayya, sotto lo sguardo accondiscente della levatrice, il cui pianto era udibile, dietro la maschera, ormai solamente dalle pareti bianche. Estrasse dal cadavere la piccola, che urlava e si dibatteva desiderosa d'ossigeno, e tagliò il cordone ombelicale. La ripulì dal sangue. 
Infine la pose in una bolla protettiva, e fece chiamare l'Ammiraglio, cercando le parole.


Tali Zorah nacque in una camera sterile, di un bianco abbagliante, a bordo della Rayya. Ovviamente crebbe con la convinzione che sua madre fosse morta per cause naturali, e che l'avesse sempre desiderata: nessuno, nemmeno sua zia Raan, ebbe mai il coraggio di rivelarle l'orrenda verità.  Partì così per il suo pellegrinaggio, mentre il cuore di suo padre s'induriva ogni giorno di più, e il ricordo del viso della moglie scemava assieme a quello del volto di sua figlia.


STEVE CORTEZ 

Cortez ancora non riusciva a dormire. Gli ronzava in mente un ricordo recente.. una conversazione avuta il giorno precedente con la Quarian, mentre cercava di prender sonno nella stretta cuccetta. Era passata a trovarlo, uscendo lentamente dall’ascensore, torcendosi le mani, poco dopo la confessione riguardo a quegli strani sentimenti. Aveva puntato i suoi occhi luminosi in quelli scuri dell’uomo, e aveva cominciato a parlare, camminando elegantemente, avanti e indietro, per l’hangar.

-Sai, mio padre non è mai stato molto..affettuoso, con me. -,disse la giovane, che aveva smesso di camminare pensosa, ed era da un po' appoggiata al quadro di comando dell'hangar navette, tenendosi l’elmetto con le mani.
-I padri Quarian in genere lo sono? Scusami, ma non so davvero cosa dirti.. Non conosco nulla della vostra cultura.
-Keelah, ovvio! 
-Ma il tuo era l'Ammiraglio Rael Zorah..no?
Lei sospirò dietro il respiratore. A Cortez parve le fosse molto d'impaccio.
-Sì, lo era, e fu con Shepard che lo trovai morto, quando dovetti difendermi da un'accusa di tradimento. Lasciò un messaggio per me, nel suo factotum, prima di morire: e sai cosa disse? Neppure una schifosa, singola, minuscola, parola d'affetto. Solo ordini. Vai lì, disattiva i Geth,blocca l'IV riporta la nave alla flotta, blablabla.
-E Shepard che fece?
-Mi abbracciò. Mi pare disse qualcosa a proposito del fatto che lui neppure avesse conosciuto suo padre. Non lo so, non ricordo.
Appoggiò una piccola mano sulla zona dell'elmetto dove doveva, probabilmente, trovarsi la sua fronte, e massaggiò piano. Ma che gesto poteva essere, se di certo non sentiva il suo stesso tocco? 
Cortez non rispose, tutto ciò era assurdo. Gli sembrò, all'improvviso, guardando quel gesto disperatamente inutile, come il pianto di un condannato a morte, di trovarsi dentro a qualche olofilm prodotto da una mente malata. Si sentiva fuoriluogo come un Hanar nel Sahara.
-Però Shepard non ti abbandonò. Ti aiutò,no? 
-Sì, mi difese anche di fronte alla corte degli Ammiragli, quando mi accusarono di tradimento. Fu colpa di mio padre. Keelah, non voglio pensarci.
A testa bassa, guardò la Quarian andarsene nell'ascensore, scuotendo la testa e torcendosi le mani.



TALI

Una notte terrestre passò, e fu la voce di IDA a svegliare Tali da un sonno inquieto, e pieno di strani incubi. Aveva sognato i Prothean, forse suggestionata dalla strana email che l'Alleanza aveva mandato alla Normandy. " Uno strano segnale, assieme ad ingente attività di Cerberus, è stato registrato su Eden Prime. La cifratura del segnale appare di natura prothean. Si allegano le coordinate del luogo."
I prothean, che cadevano a migliaia, figure antropomorfe sotto i raggi particellari dei Razziatori, e poi lui. Lui che sedeva affianco a lei, la schiena appoggiata alla parete metallica della sala macchine, il volto rivolto al nucleo di eezo e alla sua lieve nebbia d’azoto liquido. Lui che parlava, senza emettere alcun suono, di come stimasse la sua gente. Di come ne trovasse, però, disturbante, l’atteggiamento privo di nequizia, presente solo in individui isolati. Dal suo tono traspariva una rabbiosa agitazione. E sognò allora lui che si girava verso di lei, la guardava intensamente e sussurrava piano:
“Avrei voluto tu fossi diversa. Che fossi più simile a me. Ma non è così e non lo sarà mai.“
 

In ogni caso, non c'era fretta. Il segnale avrebbe continuato ad essere emesso per chissà quanto, e a Tali poco importava, almeno consciamente, dei Prothean. Non aveva neppure idea di come fossero fatti.
-Tali, svegliati, va' nella cabina di pilotaggio.
Lei aprì gli occhi, e i due puntini luminosi apparvero sulla maschera violetta. Appoggiò immediatamente i piedi a terra, sul pavimento metallico. Scosse energicamente la testa, cercando di rimuovere i dettagli del suo volto da vicino, le piccole rughe ai lati della bocca, le folte ciglia sugli occhi azzurri. E quella frase lasciata incompiuta.
-Sì,IDA. Anzi, ascolta: mi potresti descrivere la situazione attuale dell'ammiraglia geth?
-Certo.-,rispose prontamente l'IA,- arriveremo a breve al luogo della battaglia. Il salto FTL è quasi completo. La Normandy sarà occultata. Tu, Shepard, e Garrus Vakarian salirete sulla nave da un tubo di lancio.
“Sembra un suicidio. Ma poi perchè Garrus? E, IDA non ha risposto alla mia domanda”, pensò Tali.
In ogni caso, si diresse verso la postazione di Joker, il timoniere. Era, come sempre, seduto accanto al "corpo" dell'IA, un sofisticato droide di Cerberus, null'altro se una metallica donna umana di bell'aspetto, che riceveva, costantemente, gli sguardi adoranti dell’umano. Incredibilmente persi negli occhi bionici di lei. Ma Tali non conosceva l’invidia, e non ne provava.
-Ehi,Joker! 
Lui si voltò verso di lei, scuro in viso, la barba più lunga e incolta del solito.
-Ti consiglierei di non guardare dal visore. Le notizie riguardo la tua flotta non sono buone.
Tali sentì il cuore saltare un battito. Riuscì a stento a dire: -Come?
-Tranquilla, disattivato il segnale dei Razziatori, le sorti della battaglia saranno ribaltate.
Era la sua voce. La voce di..
-Shepard.-,disse lei, abbassando la testa, riconoscente. 


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Capitolo 5
*** Tre vite ***


Una volta Shepard le aveva raccontato che le stelle, anche se di notte, nel luogo dove viveva lui, si vedevano poco e male. Eppure, lui, ogni sera, alzava la testa di bambino, il viso liscio ancora senza ombra di barba, verso l’alto, oltre le luci arancioni artificiali dei lampioni cittadini. Frammentarie, gli erano giunte le notizie riguardo al portale di Caronte, altrettanto quelle della guerra contro i Turian, e sempre più lontano, ed oscuro,nella memoria, serbava il ricordo della scoperta del mass effect e dell’eezo. Del resto, era solo un bambino. Un bambino di strada, piccolo ed affamato, e poco comprendeva di ciò che, di straordinario,avveniva attorno a lui. Stentava a credere, nei momenti in cui il suo io teso si rilassava, che la città in cui viveva non fosse che un illusione, che la neve che cadeva ogni inverno fosse soltanto cotone lasciato cadere dall’alto, da chissà quale razza aliena che stava per attaccare la Terra.
E poi ragionava. Guardava l’infinito che si stagliava sopra di lui, e inventava nuove costellazioni. Le Pleiadi erano tutt’uno col Grande Carro, Orione e lo Scorpione un unico,grande,cavallo, adagiato in eterno su un velluto nero. Ragionava. Ragionava sul fatto che la Terra fosse solo uno dei tanti..pianeti, che ruotavano rapidi e lenti attorno ai loro soli. Ed essi erano verdi e blu come la Terra, oppure grigi, rossi come Marte, gialli come Venere. E ogni sistema aveva il suo Portale. E che anche il Sole, seppur caldo e gioioso, non era che una delle tante luci che si erano accese, e spente, nell’Universo.  Anche lui si sarebbe spento, ma avrebbe fornito energia a qualcosa di nuovo, come il cibo buttato via dava da mangiare ai batteri e ai funghi.
Shepard a volte parlava loro, al Sole che si avvicendava col Cielo. Loro non rispondevano mai. Ma lui raccontava, senza sosta, senza aprir bocca. Narrava loro le storie che conosceva, come per imprimerle nella sua stessa memoria. Aveva narrato la Bibbia, il Nuovo Testamento, e, infinite volte, un vecchio libro, il “Gabbiano Jonathan Livingstone”. E, nella calma assorta, vedeva quel gabbiano sfrecciare tra le luci, planando su di loro fino quasi a finir bruciato, i raggi gassosi che lo circondavano, evitando pericolosamente gli enormi asteroidi, danzando fra le nebulose.
La Luna..la Luna non lo interessava molto. Era un misero pezzetto di roccia, come ce ne sono tanti sulla Terra, e non brillava neppure di luce propria. E non c’era vita. Non ce n’era mai stata e mai ce ne sarebbe stata.
 Nonostante tutto,John aveva memorizzato la posizione, il colore, la variabilità, di ciascuna stella, senza sapere da cosa ciò fosse causato. Era un bambino , ed usava la fantasia. Il cortile dell’orfanotrofio, vuoto, se non per un acero stento e macilento e qualche erbaccia, solamente quello offriva. Dava loro nomi di fantasia, raccontava storie più a se stesso che a loro, gioendo della sua solitudine o della compagnia che loro offrivano.  Non l’avrebbe mai saputo, quale fosse la ragione.
Un giorno una suora, accompagnandosi con un tenero sorriso sul volto incorniciato dal velo, gli regalò un libro. Fu il suo primo libro d’astronomia. Lo assaporò e divorò come avrebbe fatto qualunque bambino. Gli altri bambini,sporchi e macilenti come lui, lo guardavano di sottecchi, continuando ad ignorarlo, come avevano sempre fatto. Del resto, lui, là dentro, non era mai riuscito, dopo che un passante, o un angelo, l’aveva raccolto dalla strada e portato lì, a farsi un amico.
C’erano tante tavole, lì, del cielo visibile, con annessi zoom di fotografie da telescopi antichi, come quello che veniva chiamato “Hubble”. Inquadrava una zona dell’alone galattico(che finalmente John aveva scoperto essere il largo, quanto rado, prato di stelle che circondava la galassia), con una piccola quanto fitta nebulosa, dove brillava una stella arancione.
Questa stella arancione, classe spettrale K, è poco meno luminosa del nostro Sole, e, con ogni probabilità,possiede un sistema planetario. Un pianeta, grande grosso modo come la Terra, orbita nella zona abitabile, ossia dove è possibile trovare acqua liquida. Essa si trova circa a 75000 anni luce dal Sistema Solare.”, recitava a didascalia.
 
-Quando mi arruolai nell’Alleanza, dovetti studiare e conoscere, più o meno, i sistemi abitati conosciuti, le cui razze erano sotto la giurisdizione della Cittadella. Ricordo che, un giorno, quando già ero sulla Normandy, indicai un punto sulla mappa galattica. Era nel Margine Esterno, una stella arancione dentro una fitta nebulosa,quasi un velo.
“Quella è Tikkun, Shepard”, mi disse Anderson.
Shepard, allora, fece una pausa nel racconto. Tali aveva ascoltato tutto, e lo sentiva impresso nella memoria e nel cuore. John sorrise, e il suo cuore si sciolse. Avrebbe tanto voluto che lui potesse vedere le sue guance, sotto la maschera, farsi rosee. L’aria immobile della Sala Macchine pareva profumare di fiori.
 
TALI
 
 
Keelah, è passato un anno.” Quante cose erano cambiate. “Lui ancora mi voleva bene..”
 Ora Shepard era lì di fronte a lei, attendendo di completare la discesa verso l’ammiraglia Geth, mentre attorno infuriava la battaglia. Tali si accostò al vetro della navicella, facendo cenno a Garrus, seduto, di scansarsi. Lui emise un suono scocciato, con la sua voce gracchiante. Tali lo ignorò.
Fuori c’era l’Inferno, quello umano, quello che il comandante descriveva. Dardi volavano da fronte a fronte, ingenti erano le perdite da ambo le parti. I caccia geth,puri software, con la loro forma affusolata, sfrecciavano rapidi contro le navi da guerra quarian. Queste, al cospetto delle fregate geth, scintillanti ed essenziali,  sembravano dei lenti pachidermi, un ammasso di ferraglia malconcia e arrugginita.
Infine, da dietro un’enorme nave  quarian seriamente danneggiata,-qua e là si vedeva l’ossigeno fuoriuscire dallo scafo,- e il cuore di Tali si strinse al pensiero- spuntò l’ammiraglia.
Era tremendamente grande, almeno tre volte quelle in dotazione all’Alleanza. La sua forma le ricordò un uccello di Palaven,totalmente privo di occhi,visto da qualche parte, probabilmente al mercato della Cittadella. Era grigia, metallica, come la pelle dei Turian, affusolata ma pesante. Sì, era enorme, e trasmetteva un senso di potenza che lasciava allibiti. Tali,però,era allibita, e disgustata, e colma d’invidia e livore, per ciò che le loro creazioni, i Geth, avevano potuto costruire. Guardava i cannoni all’eezo, minuscoli in confronto a quella mole, sparare verso le indifese navi quarian,i cui scudi cinetici erano tremendamente deboli, come una tigre contro una piccola gazzella. Di nuovo, i figli abbattevano i padri.
I figli.
In quell’istante, pensò ai nuclei di memoria dei circuiti geth, analoghi ai neuroni quarian. Che..divine, modifiche, potevano aver operato i Razziatori su quei nuclei? La sua mente si riempì di immagini di assoni e dendriti che si ramificano, come zampe di rachni, in tutte le direzioni, e si infiltravano fra i circuiti, e crescevano. Crescevano. Dopo il Libero Arbitrio, la Vita? L’Anima? No, no, era troppo.
Una mano con cinque dita, posata sulla sua spalla, la destò dai suoi pensieri, e le scaldò leggermente il viso.
-Dai Tali, è ora di andare. Siamo vicini al punto d’attracco.
Un lieve clic riempì l’abitacolo. Istintivamente, Tali si guardò attorno. Non si sarebbe mai abituata alla voce di..
-IDA, che c’è?
-Shepard, ho appena scoperto che il portellone da cui dovete accedere è chiuso dall’interno. Dovrete bypassarlo introducendovi da un tubo d’attracco danneggiato.
­- Ok, andrò io.
Tali strinse nervosamente le mani tra di loro, fissando un punto sul pavimento metallico della cabina.
-Comandate, eccoci,-disse Cortez con la sua solita voce calma. Tali si sentì istintivamente rassicurata.
 
Pochi secondi dopo erano di fronte ad una porta seriamente danneggiata,  dal design tremendamente quarian. Stesso minimalismo, stessa rotondità degli elementi. Stesso colore,bianco immacolato.
-Ci sarà assenza di gravità nel tubo, ragazzi. Quindi, voi due, che siete così preziosi, rimarrete qui a guardarmi le spalle, mentre apro quella dannata porta,ok?,- e così dicendo indicò un’altra porta simile alla prima, alle loro spalle, il cui led rosso indicava blocco.
Shepard si introdusse nella porta, scomparendo dietro le ante che si richiudevano. Tali e Garrus rimasero da soli.
Il Turian, stranamente silenzioso, esaminava da vicino il suo fucile di precisione, un Mantis. Un modello che il comandante non amava, preferendogli il Javelin. Aveva tempi di ricarica troppo lenti, diceva.
-E’ lo stesso dai tempi di Archangel.. o sbaglio?
-E’ lo stesso, Tali.. e hai di fronte a te, tra le mie mani, l’unica persona che non mi ha mai tradito.
-Ma senti un po’! E come ti avremmo tradito io e John..ehm, Shepard?
La mancanza d’espressioni facciali dei Turian era compensata dalle loro sfumature vocali, incredibilmente ricche, e dal loro body language. Vakarian alzò le spalle nascoste dalla pesante armatura, emise un sospiro ironico(”eeeh”), e fissò Tali dritto nei puntini luminosi.
-Con la vostra incapacità di esprimere i sentimenti. Tu,Tali,che non sai come far capire ciò che provi agli altri, per via di quella cosa viola che ti copre il volto, dovresti esserne in grado. Devi sempre dire tutto,o sbaglio?
-Sentimenti? Di che parli?,- L’intelligenza del Turian a volte la spiazzava. Non riusciva ad immaginare come un essere così militaresco, a volte, potesse avere un tale spirito di osservazione, come riuscisse a leggere tra le righe della strana scrittura umana, come scovasse i feromoni che volteggiavano nell’aria quando Tali e Shepard erano vicini. O almeno lei, in qualche delirio romantico, aveva immaginato che ci fossero.
All’improvviso, nel vortice di pensieri incostanti e confusi, la colse un dubbio atroce.
-Ti prego, dimmi che non siamo in contatto radio col comandante.
-Sì che lo siamo!- e rise come avrebbe riso il diavolo dell’Inferno umano, tenendosi l’addome con le sei dita.
-Ehi Tali!,-la voce di Shepard risuonò nell’auricolare. Il cuore a due ventricoli della Quarian mancò un battito,- Qui la vista è meravigliosa! Si vede il Pianeta Natale!
 
“Il Pianeta Natale. Keelah, come vorrei che questi dannati geth non considerassero le finestre una..”
-Debolezza strutturale le finestre? Maledetti Geth,-disse Garrus digrignando le mascelle puntute.
Da circa mezz’ora umana (Tali ci si era rapidamente abituata, in quanto i ritmi circadiani quarian e umani non differivano di molto, di conseguenza anche le unità di misura del tempo erano simili) camminavano cautamente in vuoti corridoi biancastri, illuminati e tinti da led blu. Le ricordò le interiora del Razziatore, da cui però pulsava un’aria mefitica. Invece lì c’era assoluto silenzio. Nessuna traccia, se non i fantasmi dei Creatori nella memoria collettiva dei Geth, pareva esser passata lì da molto,molto tempo. Era ectoplasmatico.
Il fucile a pompa iniziava a pesarle tra le braccia. Avevano già superato un paio di stanze di terminali, da cui avevano potuto osservare i dati sulla battaglia in corso: la flotta Quarian stava andando in pezzi, come prevedibile. “Non sarà così ancora a lungo”, aveva pensato Tali speranzosa.
Eppure, ancora nessun Geth era apparso. Ridicolo. Dove si nascondevano quei maledetti? E soprattutto, che bisogno c’era di creare delle unità di terra all’interno di una nave, che era già di per sé un hardware? In ogni caso, era meglio imbracciare comunque le armi.
-Ma dove saranno tutti?,-chiese Garrus a voce alta, senza guardare niente in particolare,mentre entravano nell’ennesima,enorme,sala bluastra. Questa aveva però l’aria di essere un nodo operativo, data l’enorme quantità di hardware, che creavano una specie di barricata parallela alle pareti. Colonne portanti arrivavano fino al soffitto, perdendosi nella semioscurità. C’era forse qualcosa annidato in quel buio?
Né Shepard né Tali risposero. Quest’ultima era affascinata da un terminale di comando, e allo stesso tempo, dai suoi gesti, si notava un’estrema urgenza e preoccupazione. Teneva la maschera fissa sull’olo dello schermo, e con le sei dita picchiettava rapidamente sui tasti.
-Non posso bloccare il segnale da qui, Shepard!
Il comandante si voltò verso di lei, impassibile, gli occhi sgranati di rabbia, visibili dal visore del casco N7.
-Perché, Ammiraglio?
-Beh,- Tali sentì le parole morirle in gola, guardando il volto di lui,- perché serve un..Centro Operativo. E’ da lì che parte il Segnale, e si trova su di un rete isolata rispetto al resto della Nave. Possiamo raggiungerlo tramite i, uhm, condotti delle armi. Dovremmo riuscire ad aprire la porta alla nostra sinistra.
-Armi? Che genere di armi?
-A impulsi. Una versione ingrandita dei fucili dei Geth.
-Finiremo fritti, diamine,-grugnì il comandante, distogliendo lo sguardo da lei.
-Beh, ehm, no. I nostri scudi dovrebbero assorbire almeno un impulso. Possiamo farcela.
Garrus si era allontanato di qualche passo, esaminando la porta prima nominata da Tali, alla quale venne un’idea. La rabbia improvvisa di Shepard nei suoi confronti l’aveva scossa, ma permaneva nel suo cuore la voglia di renderlo fiero di lei. Come quando le voleva bene. Sorrise tra sé e sé.
-Possiamo simulare..non so, un’emergenza, un incendio, ed i Geth, se ce ne sono, accorreranno qui aprendo quella porta. Certo, non sapremo quanti ce ne sono…
-Ottimo, Ammiraglio.
“E’ un po’ ridicolo che un Comandante dia ordini ad un Ammiraglio”.
La Quarian premette infine un comando, e una sirena d’emergenza riempì la sala. “Ma cosa se ne faranno i Geth dei segnali rumorosi?
E se cercassero in tutti i modi di assomigliarci …?
L’improvvisa apertura delle porte non le permise di rispondere alla domanda. Prima di acquattarsi dietro alla barricata formata dall’hardware del terminale, Tali fece in tempo a contare una ventina di soldati geth, tre soldati lanciafiamme, un nucleo. E inoltre le parve di intravedere qualche cacciatore, celato dai suoi scudi. Keelah, se li odiava. Le loro forme, il loro visore. Le loro tre dita. Li odiava.
Recitò mentalmente una breve preghiera agli Antenati, al padre.  Imbracciò il fucile, prese la mira, e iniziò a sparare.
Poco distante da lei, vide con la coda dell’occhio Shepard lanciare dardi biotici, mentre la sua barriera, perfettamente sferica e violacea, respingeva le clip termiche geth. Garrus, col suo Mantis, invece, sparava precisamente al visore dei geth,accecandoli.
“Ma dove sono i cacciatori?”, pensò, mentre inceneriva un lanciafiamme, che a suo volta, esplodendo, danneggiò il Nucleo, grande e rosso.
Improvvisamente, sentì l’aria dietro di lei muoversi. Non seppe spiegarlo, ma sentì qualcosa. E qualcosa che non era vivo. Si girò, e sparò un colpo verso la parete. Esso impattò prima, e mostrò una sagoma.
Un Geth cacciatore, alto più di due metri, apparve di fronte a lei, imbracciando un fucile al plasma. Impassibile, sparò.
No..Voglio altro tempo!”

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Capitolo 6
*** Non exiguum temporis habemus, sed multum perdidimus ***


Se guardiamo un pezzo di legno perfettamente diritto, immerso nell'acqua, ci sembra curvo e spezzato. Non ha importanza che cosa guardi, ma come guardi: la nostra mente si ottenebra nello scrutare la verità.
 





SHEPARD
 
SHEPARD
C’era, nei modi d’agire di Tali,qualcosa di totalmente alieno. E di sconvolgente. Eppure, ciò non lo era per tutti gli occupanti della Normandy, che fossero stati dell’Alleanza o di Cerberus : tranne per qualche screzio col navigatore Pressly, razzista convinto perfino riguardo i terrestri che non fossero inglesi, perito nell’assalto dei Collettori alla Normandy SR1, nessuno l’aveva mai trattata diversamente da un’umana. O, per meglio dire, nessuno aveva mai stretto amicizia con lei, in maniera profonda, così da scoprire le sostanziali differenze che correvano tra le due specie.
Kelly Chambers. Bella ragazza. O, almeno, lo era stata finché il periodo di detenzione oltre il Portale di Omega-4 non l’aveva trasformata in un mucchio di carne e ossa, priva di interesse per il modo fuorché l’aiutare macchinalmente i rifugiati negli antri più oscuri Cittadella,dimenticando se stessa. E rosa dal senso di colpa di esser rimasta fedele all’Uomo Misterioso, piuttosto che a lui. Eppure, vederla ingerire quelle pillole di cianuro di potassio, guardarle sparire tra le sue labbra un tempo belle e carnose, lo aveva sconvolto di meno di qualunque gesto della Quarian.
Quel maledetto altruismo. Spiazzante. Era come una trincea, una valle brulla e disseccata, che divideva le loro due anime. Ma come spiegare quella voce morbida che,attraverso l’amplificatore sonoro dell’elmetto viola,si insinuava tra le corde più nascoste del suo cuore?
 
L’abnegazione di sé. Era ciò che sconvolgeva, più di tutto, John Shepard. Qualcosa che lui, incredibilmente, non riusciva a concepire. Era il suo io, il nucleo della sua coscienza, ciò che gli restava di non intaccato dalle fibre sintetiche, a contare, per lui, nell’Universo.
No, sarebbe stato come far due chiacchiere sul Big Bang con l’Araldo. E se pensava a questo, il filo sottile del suo pensiero, nella sua mente sempre lucida e attenta, lo conduceva in luoghi sconosciuti, in cui c’era sempre lei. Lei su Freedom Progress che sparava, proteggendo col suo corpo quello di un Quarian impazzito, contro un Mech pesante; lei che abbracciava singhiozzando il cadavere di suo padre, sperando in una parola d’affetto da parte sua. O lei su Haestrom, l’orrore palpabile nella sua voce al pensiero di esser rimasta l’unica in vita, di quella missione suicida nella luce di una stella morente. “Era..perfetta, nell’antica città della sua gente, delicata e aggraziata...”.  E poi se stesso, seduto stancamente ad una scrivania, che scriveva, per mesi, penna in mano, lettere che non le avrebbe mai permesso di leggere. Parole che non le avrebbe mai detto. Allora, il filo dei suoi ricordi diveniva sempre più sfilacciato, difficile da seguire, ed il suo pensiero lineare si trasformava in caotico, davanti all’immagine di lei, che respirava a stento, nei bollenti condotti della base dei Collettori.

 
John Shepard sparava col suo fucile d’assalto ai sempre meno Geth, prontamente fulminati da un droide da combattimento, che cadevano uno ad uno come meteore e come ferraglia grondante liquido di raffreddamento blu, mantenendo salda la barriera biotica col palmo dell’altra mano. Pensava a lei. A lei che gli parlava, timida, torcendosi le mani, durante una delle sue “forzate” visite alla sala motori. Non avrebbe mai capito, no. Era un mondo opposto al suo: troppo bianco e immacolato. Un mondo dove nessuno era solo. E dove un Sole luminoso brillava sempre, alternandosi ad una grande luna.
“Non ho accettato di aiutare i Quarian per lei. No. Ci servono, sia loro che i Geth.”
 
Poi sentì le urla. Urla femminili. E spari diversi dai soliti, irregolari. Erano raffiche di mitraglietta. Ed ebbe paura, e sentì il cuore mancare un battito. E la rabbia crebbe in lui, aumentando lo spessore della barriera,mentre un ghigno furioso si disegnava sul suo bel viso.
Guardò dietro di sé. Sangue a terra. Sangue rosso correva sul pavimento metallico,dissacrando un luogo che non era per gli organici. Corse lungo il suo piccolo fiume, dimentico dei Soldati alle sue spalle. Tum, tum, i suoi stivali sul pavimento.
Il tempo si dilata, in certi momenti, figliolo. Credi siano passate ore, ma sono solo pochi minuti, - mani segnate da mille battaglie prendono le sue,occhi di un Ammiraglio guardano nei suoi, - è così la guerra. Ed è così quando senti di aver perso qualcosa di importante, che sia la tua vita o quella di qualcuno a cui tieni. È sempre così la morte. Arriva all’improvviso, ma ti ritrovi a viverla con una lentezza impressionante.”
 
-Shepard! Che diavolo fai? Non vedi che sei sotto tiro? Continua a fare quello che stavi facendo!
Garrus alzò lo sguardo verso di lui, distogliendolo dalla Quarian, che aveva perso conoscenza. Allora un brivido involontario attraversò il suo corpo, giunse fino al cervello e lo immobilizzò. Il tempo si fermo, mentre Anderson parlava calmo nella sua mente, sussurrando sempre più piano. Shepard guardava imbambolato la scena, senza rendersi conto dei proiettili che impattavano contro la sua corazza, dopo aver penetrato la debole barriera. Miliardi di possibilità di infezione erano, probabilmente, analizzati dalla tuta di lei, e mix di antibiotici erano in circolo del suo sangue. Shepard deglutì amaro.
-Io..scusa, Garrus. Pensavo aveste bisogno d’aiuto.
-No, Shepard. Te pensa a sparare!
 
Medigel.” E voce metallica imperativa. E una mano con tre dita che si alzava, ad indicargli ciò che doveva fare.
Accanto ad un cacciatore distrutto e fumante, c’era lei ferita, e vicino a lei, il Turian che le applicava il medigel destro-aminoacidico con cura. Era chinato su di lei, e la toccava. La toccava su una spalla,coperta dalla tuta e dal suo elegante drappo viola.  E il comandante sentì la rabbia crescere, e palesarsi sul suo volto. “No.” Aveva dunque davvero perso conoscenza, altrimenti avrebbe potuto attivare da sola il software della sua tuta. Dio.
Fai chiarezza. Non puoi combattere in questo modo. Ne restano pochi. Non hai tempo per pensare. Ti sparano. La tua barriera sta cedendo. Faresti meglio a risparmiare energie e a nasconderti dietro uno di queste colonne.  E da lì sparare. Devi proteggerla,no? Altrimenti addio alleanza.”
Shepard si nascose dietro una colonna, e imbracciò il fucile di precisione, Javelin. Sparò alla testa dei tre Geth rimasti,che caddero ondeggiando tra le scintille, e cadde anche lui seduto a terra, la schiena appoggiata alla parete. Avrebbe voluto potersi coprire il viso con le mani, sentire la propria pelle sotto i polpastrelli, ma l’elmo glielo impediva. Lei viveva sempre in quella situazione.
Alzati,ora. La strada è ancora lunga.”
Ma non lo fece, limitandosi a guardare nella direzione di lei e del turian. Lei era in piedi. Teneva la mano destra sulla spalla sinistra, nel punto in cui il proiettile l’aveva colpita. Sulla sua tuta c’erano lievi tracce di sangue scarlatto, dissacrante in tutto quel blu. Shepard represse un fremito stringendo i pugni.
-Tutto bene, Ammiraglio?,-chiese, senza stupirsi né scomporsi della sua stessa voce fredda e rabbiosa.
-Si, comandante.,- rispose, con voce meccanica.
-Come hai fatto a farti colpire? Devi stare attenta, cazzo. Altrimenti se tu muori, anche la flotta è perduta, così come questa guerra e quella più grande.
Lei non rispose subito. Guardò in basso.
-Lascia perdere,Shepard. Adesso andiamo. Sto bene. E non rivolgerti a me come “Ammiraglio”. Sono Tali Zorah vas Neema.
“E non Normandy”.Sentì di nuovo la rabbia salirgli dalle viscere, ma la ignorò. Imbracciò il fucile, si alzò e seguì la Quarian, che, attenta, violò la porta, che si richiuse rapidamente dietro Garrus.
 
 
Altri Geth apparvero, candidi come fantasmi, e li attaccarono, incuranti del loro hardware. Non furono ingenti come il primo, eppure, Shepard sentiva sempre il cuore battere troppo veloce, nel vederla sparare. Aveva paura per lei? No di certo.
“Si, ho paura che quella sciocca possa compromettere la missione.”
-Oggi sei un po’ distratta, Ammiraglio?,- la provocò con malizia.
-Shepard, lasciala stare.
Dio, come gli piaceva Garrus quando rientrava nel ruolo di Archangel, paladino della giustizia e protettore degli indifesi. Sorrise tra sé e sé.
In quel momento erano accucciati dietro delle struttura metalliche, all’interno di qualcosa che assomigliava al condotto di un’arma energetica della Nave, probabilmente la batteria principale. L’aveva descritta lei prima. Era un enorme corridoio metallico, riflettente e lucido, illuminato da led blu. Ad intervalli regolari potenti impulsi elettromagnetici lo attraversavano, a velocità, però, piuttosto bassa. Shepard non era un fisico, ma riusciva facilmente ad immaginare che la lega che costituiva il condotto fosse isolante. Ed infatti lo era. Lei aveva detto qualcosa a tal proposito, commentando anche il modo in cui l’onda d’urto abbattesse gli scudi geth, ma Shepard si era sforzato di non ascoltarla. Eppure tornò tremendamente utile nel combattere quelle ferraglie.
Lo irritava, con la sua intelligenza.
 
E continuava a torcergli le viscere anche quando, ormai usciti da quel maledetto condotto, e sigillato una porta d’emergenza alle loro spalle(“Maledetta Quarian, con quel factotum sa fare di tutto”), risalivano un’altra gradinata, dallo stile architettonico totalmente in linea col resto. Pareti metalliche e led blu.
-Siamo vicini al nucleo di comando. E’ da qui che proviene il segnale!
-Ok. Acceleriamo il passo.
Altra porta. Altro bypass. Altri sguardi rabbiosi che il comandante riservava all’elegante figura che, con tre sottili dita, batteva sulla tastiera del suo factotum, di fronte all’ennesima porta circolare. Dio, come avrebbe preferito piazzare una mina, e far esplodere ciascuna di esse in un lampo di metallo ossidato, piuttosto che sopportare quella scena.
-Hai finito, Ammiraglio? Quanto ci vuole ancora?
-Quasi fatto, Comandante-,rispose lei in tono neutro.
La porta si separò, come sempre, in due semicerchi che sparirono nelle pareti; davanti a loro si parò una stanza circolare, con una piattaforma,parallela al pavimento, simile ad un ascensore.  Lei, con quelle piccole mani, spinse qualche tasto olografico, in perfetto silenzio.
Allora Shepard guardò Garrus, per un secondo. Il Turian fissava in basso, la cicatrice sul volto sempre ben visibile. Le mani strette sul fucile d’assalto, simile al suo. “Sei un amico, Archangel. Grazie.”
La piattaforma s’attivò, e iniziarono lentamente a salire verso l’alto, prendendo velocità. John guardò in su, attraverso il foro circolare, vedendo però soltanto un soffitto poco illuminato, probabilmente simile ai tanti altri, cosparso, però, di intricati cavi.
E poi un’esplosione. Lanciarazzi geth. Dal basso. Da circa 30 metri più in basso. La piattaforma tremò.
Shepard perse l’equilibrio e cadde bocconi. Con la coda dell’occhio vide quei due stronzi che, noncuranti, erano saltati sul nuovo livello, nel nucleo di comando.  Sentì che i pannelli metallici, tutt’attorno a lui, collassavano. I suoi polmoni implorarono aria.
 
Se cado, nemmeno Cerberus potrebbe ricompormi.”
Il tempo si dilaterà sempre, amico mio. E sempre, quando sarà finita, crederai d’essere l’unico uomo ad aver vissuto un’ esperienza del genere;ma tutti noi abbiamo rischiato la vita e tutti la rischiamo, ogni giorno. Guardati intorno, e vedrai una mano amica. E, ricorda.. avrai tutto il tempo del mondo per decidere se afferrarla o meno.”
 
Tali era lì, accucciata dal pavimento, che gli tendeva la piccola, fragile, mano. E urlava. Urlava il suo nome. Eppure non c’era urgenza nei suoi gesti. Perché c’era tempo, c’era ancora tempo.
Ascolta sempre la voce di chi ti ama, John. Che sia un umano o meno. Se ti ama davvero, vorrà solo il tuo bene. Io vorrò sempre il tuo bene. Sei come un figlio per me. – braccia forti, per un uomo di quell’età, si posarono sulle sue- Hai sulle spalle un peso troppo gravoso, e devi imparare a condividerlo. Gli amici, gli amanti, saranno sempre lì con teSaranno felici di aiutarti. Io sarò sempre con te.”
 
Guardò in alto. Grandi occhi brillanti lo guardavano, da dietro una maschera viola. Una piccola mano era tesa verso di lui.
-Corri da me, Shepard! Ti prego!
Allora lui corse, la mente svuotata.
Prese la sua mano,calda anche attraverso la tuta. E la terra sparì sotto i suoi piedi.



Sssssalve!!!! Grazie a tutti coloro che hanno recensito e letto. Questo capitolo è diverso dai precedenti, perchè qui è Shepard il protagonista, e tutto è visto dal suo punto di vista. Ho sempre fatto agire il mio Shepard come un po' renegade e un po' paragon, e così avrei voluto rappresentarlo anche in questa ff; inoltre avrei voluto renderlo un uomo contrastato, pieno di dubbi, passionale,e orgoglioso. Spero si capisca!! 
Grazie ancora :3

Baci, Lubitina

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Capitolo 7
*** L'intesa delle anime ***


Una figura sedeva di fronte ad un vecchio microscopio ottico umano, le mani in grembo. Sembrava indecisa sul da farsi.  Sollevò leggermente le spalle, sospirando rumorosamente. Scosse la testa.
Infine, parve decidersi, e si alzò. Andò dall’altra parte della piccola stanza, occupata dal tavolo metallico su cui poggiava il microscopio, e da un letto, materasso a vista, e le coperte perfettamente ripiegate poggiate a terra. Un piccolo oblò offriva la vista di una lontana nebulosa rosso scuro, una minuscola nana bianca al suo centro, quasi un’intrusa dispettosa.
La figura si diresse al letto, e alzò il materasso. C’era una certa pesantezza nei movimenti del suo corpo snello, che non le si adattava. Sospirò di nuovo, ed estrasse qualcosa. Era una piccola cassetta frigorifera. Con un gesto rapido, la aprì. Condensa bianca ne uscì.
Il suo sguardo invisibile si posò sul suo contenuto per qualche secondo,analizzandolo. Con estrema calma, allora, estrasse una boccetta trasparente, e alcuni attrezzi da laboratorio, tra cui un’ansa, un cappio di tungsteno, un paio di pinzette sterili, e due vetrini portaoggetti. Guardò all’interno della boccetta, in silenzio. Sembrava che dentro ci fosse un frammento di tessuto, sporco di rosso. Tornò quindi a sedersi.
Con movimenti lenti aprì la boccetta, prendendo poi una piccola parte di contenuto con le pinzette; poso quindi ciò sul vetrino portaoggetti. Sospirò per la terza volta, e pose il vetrino nell’alloggiamento del microscopio. Prese olio di legno di cedro (probabilmente stillato secoli prima da un albero ormai morto), ne versò una goccia sull’obbiettivo di ingrandimento massimo.
A quel punto, posò nuovamente in grembo le mani con tre dita, portando gli occhi nascosti dall’elmetto su di esse. Rimase così per qualche secondo, forse un minuto. Infine, si decise.
Portò le mani all’elmetto, e sganciò qualcosa. La sua mano destra prese, allora, con forza, il vetro violetto e convesso che copriva il suo volto. E lo lanciò con rabbia dall’altra parte della stanza.
La figura femminile non emise alcun suono, mentre la sua maschera cadeva sul pavimento metallico (clang): nell’aria, però, lieve, si sentì uno schioccare di labbra, e un respiro affannoso. Quel respiro si fece, però, calmo quando le mani accarezzarono il suo viso ora scoperto, con perizia, come ad immaginare ciò che toccavano, a farne una mappa. Le sue dita solcarono le guance, l’incavo degli occhi chiusi,accarezzando le ciglia, salendo sugli zigomi e scendendo sulle labbra, su cui si posarono per qualche secondo. Infine, la mano destra si posò sulla fronte liscia per qualche secondo, salendo poi all’attaccatura dei capelli.
Ne afferrò una ciocca, e, imprigionatala tra le sue dita, parve fosse sul punto di strapparla; non lo fece. Improvvisamente, invece, posò di nuovo la mano in grembo, e , con l’ennesimo sospiro, avvicinò i suoi occhi grigi agli oculari del microscopio.
Allora parlò.
-Non posso vedere te con i miei veri occhi, tu non vorresti. Ma posso almeno vedere il tuo sangue.
 
Qualche ora terrestre dopo, Tali Zorah vas Normandy aveva di nuovo il volto coperto, ed era rannicchiata sul letto. In posizione fetale, le mani intrecciate tra loro. Probabilmente dormiva. Dal suo amplificatore vocale non proveniva alcun suono.
Il tuo sangue, il tuo sangue è rosso come il mio. Quelle cellule.. sono come le mie. 
Un termometro digitale era sul pavimento, accanto al letto. Segnava 39 gradi celsius.
Immagino il tuo DNA, intrecciato nei nuclei, srotolarsi. E’ merito suo se hai gli occhi celesti come il cielo di Rannoch.
La Quarian, nel sonno, strinse le sue braccia attorno al suo corpo.
I globuli rossi portano l’ossigeno. L’ossigeno. Ossigeno, non ammoniaca. Loro sono forti. Forti e resistenti. Non deboli come i miei. Tu volevi che io fossi diversa. Io non posso. È nel mio DNA fragile, che sta scritto che io non sarò mai come te. Io.. io.. sono nata Quarian. Mio padre non mi ha mai voluto bene. Mia madre è morta. Il mio pianeta è un’illusione. La più bella illusione dell’Universo.
Anche il mio viso è un’illusione. Io..io..non lo conosco. Ma non è bello. Non è bello come quello di Liara. La ami, John? 
Siamo tutti simili, lo sai? Non lo trovi curioso? 
Chi si è divertito, nel farci così? I Prothean? Gli Antenati? Le Antiche Macchine? E chi è che ora ride, guardandomi? Guardando me, Tali Zorah, figlia di Rael Zorah e di una donna di cui non conosco il nome, stroncata da un virus e non da un fucile? Chi è che ride mentre io temo la morte ogni giorno? Lo sento, lo sento, le sento le sue risate. E sento la tua pena. La tua pena per me. Il tuo rifiuto. Tu non vuoi vedermi.
Hai paura che io muoia? Ami Liara T’soni, Shepard? Keelah, ma cosa sto pensando? Mi vergogno di me stessa. Sii felice, Shepard. La tua gioia conta più della mia.
Perché tu ci salverai tutti.

 
JOHN SHEPARD
 
 
 
La mano che stringeva la sua era calda. Piacevole, come il sole in una giornata invernale. Quella mano lo issò, senza particolare fatica, allo stesso livello della figura a cui apparteneva.
John Shepard, comandante della Normandy e ufficiale dell’Alleanza, giaceva bocconi sul freddo pavimento metallico dell’Ammiraglia dei Geth. Alzò gli occhi, il cuore che ancora martellava e i polmoni che soddisfacevano il proprio bisogno d’aria, e vide lei e Garrus.
Il calore alla sua mano era ancora lì, tenero e rilassante, nonostante i tanti strati di tessuto che dividevano la loro pelle. Vecchi ricordi gli tornarono in mente. Rabbia invase, improvvisa, il suo cuore.
John fece un lungo respiro, ed in quel momento, la Quarian ritrasse la mano, portandola al fucile a pompa.
-Alzati Shepard. Siamo nel nucleo di comando. Ricordi che dobbiamo disattivare quel maledetto segnale?
-Sì,sì,- borbottò tra i denti. Tutta la calma di un attimo prima era volata va, come la tenerezza nel suo cuore,- Andiamo, su,- disse forte, alzandosi.
-Te la sei vista brutta,eh, Umano?,- commentò Garrus con voce divertita,che però divenne seria quando vide lo sguardo inferocito del comandante.- Scusami.,-mormorò abbassando la testa spinosa.
-Bravo. Vedo che hai cominciato ad imparare le espressioni umane.
“Non ho mai visto il viso di lei arrabbiata.”Ma quel gesto nel ritrarre la mano era stato così rapido…
Si morse le labbra, sotto l’elmo, e si guardò attorno.
Rimase senza fiato. Si trovavano, tre piccole figure bipedi, in un’enorme stanza circolare, le cui parete grigie e nere erano traforate dai grossi tubi e percorse  da intricati cavi geth, che, come sempre, assomigliavano a collane di perle metalliche; tutt’attorno a quel cilindro correvano corridoi sopraelevati, in cui, appoggiati a terra disordinatamente, brillavano di blu e giallo dei terminali. Ma al centro..
Al centro c’era una colonna, ed era una costruzione che totalmente dissonante col resto. Era prodotto di un’epoca diversa, più antica o che doveva ancora venire. Era composta di due parti, che, singolarmente, assomigliavano alla corolla chiusa di un fiore; e dalla zona di congiunzione proveniva una lieve luce celeste.  Sopra di essa si ergeva il nucleo di eezo della nave, il cui plasma ionizzato era percorso da scariche elettriche. Ed emetteva luce. Quella luce. Shepard aveva capito.
-E’ tecnologia dei..dei.. Razziatori.- sussurrò la femmina, la cui voce si spense sull’ultima parola.
-Beh, hai paura?
-Shepard, smettila. Sei tu il primo ad avere paura, quindi taci, e guarda cosa sta succedendo.,- disse Garrus, senza spostare lo sguardo.
La corolla metallica si stava aprendo, lasciando uscire sempre più di quella luce. “Dio, mi scoppierà il cuore”. Si, forse aveva paura, ma non riusciva a staccare gli occhi da quella cosa. Per un minuscolo istante, una parola risucchiò la sua mente. INDOTTRINAMENTO.
Ed infine, una voce.
-Comandante Shepard, aiutaci.
Una voce, ed un pezzo d’armatura N7 attaccata alla spalla di un Geth. E Shepard sapeva che quella voce apparteneva ad un Geth che, spesso, gli aveva salvato la vita. Il mio nome è Legione, poiché siamo in molti.
 
-Quindi.. i Razziatori ti usano per diffondere il loro segnale per riprogrammarvi?
-Esatto, Creatrice Zorah.
-Come possiamo disabilitarlo?
-Rimozione Hardware. Terminale in alto a destra.-, la testa, il visore del Geth, fece un cenno.
Shepard guardava la scena, il Geth appeso nel mezzo delle due corolle, da quei tubi che sembravano collane di perle, senza sentire di farne parte. Aveva visto tante volte la Creatrice Zorah assieme ad una delle sue creature, ma ora gli appariva come diversa. Aliena. Lontana.
Erano così simili.
Così simili.
Li avevano fatto a loro immagine e somiglianza. Le tre dita, le gambe possenti, ferine.
E la sua voce, quella di lei, che lui non aveva mai sentito se non tramite l’amplificatore vocale, era così in armonia con quella della Macchina, così sottile.
Ecco, di nuovo, di nuovo, di nuovo, di nuovo. Spaesato. Si sentiva sconvolto, ma si rifiutò di ammetterlo a se stesso. Di nuovo. Provò a deglutire, ma non ci riuscì. Non se ne accorse, ma lievi guizzi biotici violacei circondarono le sue mani.
-Bene, allora saliamo.
 
-Ammiraglio Raan, comunico che il segnale sta per essere disabilitato!,- disse lei, mentre si preparava ad inserire i comandi sul terminale.
-Siamo in debito con voi,- mormorò la voce femminile nelle loro radio.
Tali, le mani piccole e le dita lunghe, premette alcuni tasti, guardando lo schermo blu con occhi invisibili. Shepard, allora, si affacciò per vedere cosa stava accadendo al piano inferiore; e quando vide Legion strappare le catene, e saltare sul pavimento metallico, si sentì stranamente sollevato. Passò però la mano sul fucile d’assalto. Non sarebbe stato così facile. Non era mai facile quando c’erano i Quarian di mezzo, memore di Haestrom.
-Ora siamo liberi!-, urlò il Geth, rendendo, per John, del tutto superfluo qualunque dubbio riguardo all’Antica Domanda.
Hanno un’anima?”
E mentre lui si calava dalla scaletta metallica, si sentì l’aguzzo rimbombo delle clip termiche e degli acceleratori di massa sulle pareti lisce. Istintivamente, John guardò dietro di sé, e vide le figure scure dei due compagni, che imbracciavano le loro armi. Arretrò di un passo e disegnò, le mani aperte, una sfera biotica violetta, includendoli. Avrebbe voluto che almeno Garrus potesse vedere il sorriso sul suo volto.
“Di nuovo, Dio, di nuovo. Dovrò proteggerla di nuovo. “, pensò, rannicchiandosi dietro un pilastro, un palmo aperto e l’altro stretto attorno al fucile di precisione.
“Ho paura.” Il cuore gli martellava nel petto, e ne udiva distintamente il rimbombo nonostante gli spari.
-Attenzione, rinforzi Geth in arrivo!
Ma era cambiato qualcosa, nella stanza. Qualcosa, nell’aria, che c’era di mefitico, era sparito. Shepard alzò lo sguardo, e vide che il nucleo era sparito. Totalmente. L’unica fonte di luce erano i led blu che correvano lungo le pareti.
-Come segno di ringraziamento, abbiamo spento il nucleo d’eezo della nave. Ora è senza armi e scudi.
-Keelah! Ti ringrazio, Legion. Ora abbiamo una possibilità…  ,- aveva gioito la Creatrice Zorah, programmando un drone da combattimento.
“Per la pace.. c’è una possibilità.” E cominciò a sparare, cercando di non prestare attenzione alle notizie che giungevano da fuori, dalla battaglia più grande. Nel suo cuore, infuriava qualcosa che non avrebbe saputo descrivere, a cui aveva rinunciato da tempo. “Non c’è mai pace. Mai. La cooperazione è una farsa. La pace è una farsa. La verità dell’universo è la guerra. È la distruzione. E il Leviatano ne è la prova.*”
Guarda quel Geth”, avrebbe detto Anderson.”Guardalo. Combatte contro i proprio simili, perché crede nella pace. Crede che sia più importante cooperare, che ci sia più da imparare gli uni dagli altri che dalla sconfitta e dall’annichilazione.”
 
-Avanziamo verso quell’ascensore! ,- urlò il Comandante Shepard, per farsi sentire nella furia della battaglia, nel rimbombare di colpi contro il metallo. I tre compagni, nella barriera, lo seguirono cauti, scavalcando relitti metallici di geth. All’improvviso, la voce della Quarian, stranamente agitata, quasi isterica, risuonò nella grande Sala.
-Oh keelah, Shepard! Gerrel vuole distruggere la nave!
 
A moltissimi kilometri da lì, al sicuro all’interno del CIC di una nave da guerra Quarian, un uomo, alto e slanciato, urlava in una radio. Era una radio antica, e si sentiva. La ricezione del segnale non era ideale, e c’era un lieve delay. Su di un radar, di fronte a lui, erano segnate le posizione delle navi alleate e nemiche. E le nemiche, in rosso, sempre più, sparivano da esso.  – Virate venti gradi a babordo, soldato! Dillo a tutti i caccia! Evitate i colpi a impulso!
-Keelah, Ammiraglio! La loro nave madre è senza scudi, è come.. spenta!
-Attacchiamo, Briel.
Il giovane Quarian, seduto di fronte ad un terminale, lasciò per un istante le mani sospese sopra la tastiera. Si girò verso l’Ammiraglio Gerrel.
-Cosa? C’è Tali Zorah là dentro.  La metto in comunicazione con Raan.
Su di uno schermo, a destra dell’uomo, apparve la figura di una donna quarian, sullo sfondo di una nave palesemente umana. Forse una fregata. Forse la Normandy. Sì, Raan si trovava lì. Era andata a cercare aiuto nell’Alleanza. Maledetta.
-Cosa vai farneticando, Gerrel? C’è Tali là dentro, ed il comandante Shepard!
-Ma se non attacchiamo, razza di idiota, le nostre navi serra e civili sono perdute, capisci? Se quella cosa dovesse riattivarsi, sarebbe la fine della nostra razza. Non intendo transigere su questo.
Spinse un pulsante, e la donna sparì, lasciando al suo posto uno schermo nero. L’uomo, allora, con voce ferma, si rivolse al tenente di prima. Di lui si vedevano solo occhi luminosi dietro una visiera viola.
-Dai l’ordine, Briel. Fuoco in massa.
 
 
-Flotta di pattuglia, supporto alla flotta di Gerrel. Fuoco sull’ammiraglia Geth!
Raan cadde stancamente sulla sedia da cui, nel CIC della Normandy, dirigeva le operazioni della sua flotta, lontana da essa. Aveva appena decretato la morte del comandante di quella nave. Sospirò, e iniziò a pregare gli Antenati,quelle IV, mentre, nella sua mente, c’era soltanto il bel viso di una bambina Quarian. Mai desiderata dalla madre, mai amata dal padre. E desiderò, nel profondo del suo cuore, la morte, semmai quel viso, con quegli occhi luminosi, fosse rimasto solamente un ricordo.
 
 


Ore dopo, quella donna stringeva a sé la ragazza cui apparteneva il viso dei suoi ricordi. Ed era stanca, la sua tuta era strappata in vari punti, e la sentiva piangere, dietro l’elmetto. Shala la stringeva, e lei rimaneva dritta, contratta, distante. Del sangue stillava, piano, dalla ferita alla spalla, gocciolando sul pavimento di metallo.
-Lasciami stare, zia. Vattene.
Tali Zorah vas Normandy, un tempo vas Neema, e ancor prima nar Rayya, spinse via in malo modo la figura femminile che la teneva stretta tra braccia sottili quanto le sue.
-S..Sì. Hai ragione Tali. Ti lascio sola.
Ed ora, quella donna si torceva le dita, stringendole tra loro, guardando imbarazzata in basso. Si voltò, sfiorò il led della porta, ed uscì, silenziosamente.
Tali, allora, la lei dei pensieri più segreti di un uomo a cui troppe responsabilità erano state date, contro la sua volontà, respirò piano. E cadde stancamente sul letto senza materasso, chiudendo gli occhi che quell’uomo non voleva vedere,  e desiderando di non riaprirli per molto,molto,tempo.
 
 
SHEPARD
 
Pochi metri di metallo più su, un uomo si toglieva di dosso le pesanti parti della sua armatura N7, dipinta di blu. Blu come gli oceani della Terra, che ora bruciava.
Pensava. Pensava a come fosse potuto accadere. A come Hackett avesse preso con semplicità quella faccenda.  “E’ comprensibile”, aveva detto. “Noi abbiamo perso la Terra solo poche settimane fa.”
Ma la Terra non è persa, diamine. Non sarà persa finché anche un solo essere umano sarà ancora in vita.
Sentì la rabbia salirgli dentro, come una fiamma si insinua in un condotto, un condotto in un base in orbita intorno ad un buco nero, infestata d’insetti, e volle urlare. Urlare tutto ciò che non poteva, perché il codice d’onore impediva la mancanza di rispetto ad un Ammiraglio, fosse stato anche Quarian.
Quella donna. L’aveva tradita. Aveva tradito lei. Lei,sua nipote. Era come una figlia. E l’aveva tradita. Aveva dato ordine di..ucciderla. Dio, come avrebbe voluto spaccarle con un pugno, fino a vedere le sue nocche sanguinare, quella maledetta maschera di vetro, e urlare, nei suoi veri orecchi, tutto il suo disprezzo.
Tolse l’ultimo pezzo d’armatura, uno spallaccio, con un sospiro, e si sfilò la maglietta dell’Alleanza, che teneva al di sotto. Si avvicinò, lentamente, fino allo specchio, all’interno del gabinetto, e guardò il suo riflesso, illuminato solo dalla luce blu dell’acquario.
Un uomo vestito solamente di un paio di pantaloni scoloriti, lo guardava. Sembrava stanco. Aveva profonde borse sotto gli occhi azzurri, e rughe troppo profonde per la sua età iniziavano a disegnarsi sulla fronte. Cicatrici più o meno evidenti erano sul suo viso, ma quella vista gli strappo comunque un sorriso. Era lui. E lui si conosceva. Avrebbe potuto riconoscere la sua faccia tra miliardi di umani. Sapeva che gli apparteneva.
Ma una chiamata all’interfono interruppe le sue elucubrazioni.
-Sì?
-Sono Garrus.,-disse una voce coriacea.
-Sali, vecchio idiota.
 
-Sai, ho una cosa per te.
-Cosa?,-chiese Shepard, alzando lo sguardo verso il turian seduto alla scrivania, mentre lui si versava da bere. –Non vuoi un po’ di velenosissimo vino levo-aminoacidico?
-No, grazie.. Comunque, tieni.
E con quella smorfia, quel movimento di mandibole, che avrebbe dovuto essere un sorriso, porse all’uomo, con le sue dita dure, una boccetta. E all'interno si intravedeva un frammento di tessuto violetto, macchiato di sangue rosso.
 
 
 
 
 
*Il DLC Leviathan spiega la genesi dei Razziatori!

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Capitolo 8
*** Principio di Indeterminazione ***










Per millenni, fin da quando il primo uomo ha alzato gli occhi al cielo, e ha visto le stelle, ha immaginato cosa nascondessero, dietro la loro luce. Poi qualcuno si accorse dei pianeti, di Venere, di Marte, di Mercurio, che ruotavano armonici attorno al Sole, piccoli frammenti di roccia antica scrutati da occhi timorosi.
Qualcun altro, poi, divise il giorno terrestre in ventiquattro ore. Chissà, forse contò i giorni dell’anno, e in base a qualche calcolo ora inimmaginabile scoprì che constava di circa 360 giorni.
Allora inventò i minuti, e poi i secondi. Sempre più piccolo, sempre più lontani dalle stelle.
La vibrazione di un atomo avviene nel giro di un attosecondo. Qualcuno, un giorno, sotto il Sole greco, ne immaginò l’esistenza. Gli parve di vedere minuscole sfere, vuote, agitarsi nella sabbia di un’isola.
Ma quel qualcuno non capì un concetto fondamentale che alberga il nostro Universo: più comprendiamo, meno ci è chiaro. È il vuoto a creare la materia, è l’onda elettrica a renderci vitali.
Rincorrendo una chimera, nell’infinitamente grande e nell’infinitamente piccolo, tra le galassie e i fermioni, i nostri occhi diventano ciechi.
Ciechi.
Non sanno vedere e comprendere, allo stesso tempo. Non sanno immaginare qualcosa che non sanno vedere, ma che esiste. Sanno misurare la massa di un elettrone, ma non lo sanno localizzare. Allora, per tanto tempo lo hanno creduto inesistente. Indeterminazione, orribile parola.
E hanno sempre pensato che la materia fosse dura, indistruttibile, incorruttibile: che fosse simile ad un Dio.
Gli esseri umani sono i loro grandi occhi colorati, e le loro mani con troppe dita: ciò che sanno vedere e toccare, esiste.
Il resto è nulla.
Hanno creduto che la materia oscura fosse un inganno dei loro strumenti, hanno pensato gli atomi potessero solamente scontrarsi. Ma mai esplodere.
Hanno ignorato troppo a lungo l’intrinseca energia della materia, troppo a lungo sono rimasti soffermi sui loro stessi neuroni palpitanti, guardando all’interno del loro meraviglioso cervello.
Non hanno mai pensato che la materia, lo spaziotempo, fossero un continuum: che quell’insieme di atomi, di minuscole rotazioni e vibrazioni permeasse l’Universo in maniera che va oltre la loro comprensione.
Che ciò che esula dalla loro vista esiste, e può modificare irreparabilmente ciò che loro hanno sempre conosciuto, tra foreste e campi di grano. Può uccidere. Può ridonar la vita.
È un fenomeno che non sanno capire, ma che si credono in grado di combattere. L’energia non si vede, ma permea il tutto. 
Loro credono di saper combattere e saper sconfiggere l’essenza stessa di tale energia, nascosta dietro scheletri metallici.
Ma anche questi credono di saper sconfiggere neuroni palpitanti in cervelli fatti di carbonio,azoto,ossigeno,idrogeno.
C’è un energia che è nascosta fuori dalla Galassia, nel buio e nel vuoto, che è materia oscura e gravità, che aspetta gli ammassi di carbonio, azoto, ossigeno,idrogeno, per una battaglia che si ripeterà per sempre.
Finché enormi e mostruosi buchi neri non inghiottiranno ogni cosa.”
L’uomo, ammiraglio dell’Alleanza, posò la penna sul foglio. Era tempo di chiamare la Normandy.
 
 
 
Due anni prima

 

 
Il crepuscolo su Virmire scendeva lento, come sulla Terra. E quella stella aveva lo stesso colore del Sole, e illuminava quel mare dello stesso arancione d’oro.
Davanti a lui c’era acqua, solo acqua, mossa da lievi onde, dentro cui si agitavano forme di vita, complesse o meno. Sull’orizzonte lontano, basse nubi tinte d’oro. Dietro di lui, una base militare salarian, in cui creature un tempo anfibie si preparavano a far la guerra, ad altre creature.
Le sue gambe prive d’armatura poggiavano, protette solo dai pantaloni dell’uniforme N7, su di uno scoglio ricoperto di erba e muschio. Sulle palme delle mani,premute su di esso, sentiva la morbidezza della vegetazione. Di fronte a lui, solo mare. Al suo fianco, una piccola pistola a mass effect.
Un pesce, di cui riuscì a vedere solo il guizzo argenteo, saltò fuori dall’acqua, agitando la coda. A lui, ne seguirono altri, assieme a scrosci d’acqua.
Il comandante Shepard sedeva, silenzioso, su quello scoglio su di una spiaggia di un pianeta dei Sistemi Terminus.
Domani sarà un gran giorno.
Le speranze per una razza intera spariranno.
I Krogan. I loro sguardi feroci erano riassunti dai grugniti di Urdnot Wrex, dalle sue urla di rabbia, contro il cielo. Lanciate perché, per la seconda volta, la sua specie era stata condannata all’estinzione. Avrebbe dovuto di nuovo stringere a sé figli morti, diceva. E questo per sempre.
Le mani di John, al pensiero, si illuminarono di una lieve aura viola.
Questo vuole la Cittadella. Io non sono nessuno.
Nessuno.
Feroce come non mai, gli apparve l’immagine di sé, bambino senza nome, solo una targhetta al collo (“John Shepard”), sotto la neve di una lontanissima città, in un minuscolo pianeta. Nessuno. E di sé, impettito di fronte all’ammiraglio Hackett, con la mano tesa sulla fronte. L’Ammiraglio, che gli appendeva i gradi all’uniforme. Solo una pedina.
Eppure, ora, forse poteva essere qualcuno. Forse la sua volontà poteva pesare. Forse i suoi poteri biotici sarebbero valsi di più che a salvarsi il culo su Akuze.
Forse sono stato destinato ad una causa più grande.
A quel pensiero, scosse la testa e sorrise amaro. Alzò una mano, e se la passò tra i capelli cortissimi.
Improvvisamente, però, sentì dietro di sé una presenza a cui, forse, non si era ancora abituato. Era apparsa da troppo poco nella sua vita.
Una figura femminile camminava elegantemente per la spiaggia sabbiosa, nella direzione dello scoglio su cui sedeva, le braccia che dondolavano piano lungo il corpo. Era coperta da una tuta nera e marrone, dall’aria malconcia. Un velo grigio, con l’aria di aver visto momenti migliori, le fasciava la testa coperta da un elmetto.
Un vetro violetto nascondeva il suo viso. Fin da lì, però, Shepard riusciva a vedere due brillanti puntini grigi, due occhi notturni, che sapevano vedere anche al buio.
-Tali Zorah nar Rayya. Quale onore.
La Quarian rimase affianco a lui, in piedi. Si torceva le mani di tre dita, tra loro. Sembrava nervosa.
-Salve, Comandante.
-Qualcosa ti innervosisce?,- chiese John, guardandola dal basso in alto, sorridendo.
-P..posso sedermi?
Shepard scoppiò a ridere, e si alzò. D’istinto, le prese le mani tra le sue, e le sciolse. Erano dolcemente calde.
-Prima di tutto, smettila di maltrattarti le mani. Sanno fare un sacco di lavoro, giù in sala macchine. E sanno anche come usare bene un fucile a pompa.
Lei, lievemente irrigidita a quel contatto, abbassò lo sguardo verso le sue mani guantate tra quelle rosa e callose del comandante.
Shepard, vedendo i due puntini grigi fissare quel contatto, sentì una strana fitta al cuore. Era dolorosa. Ma non seppe riconoscere da cosa fosse causata. Spaesato.
Riuscì, dopo qualche secondo, infine, a parlare.
-Mi sono alzato io, allora,- mormorò con un sorriso, cercando di scorgere qualcosa attraverso quel vetro. Gli parve di intravedere la forma di un naso. Un piccolo naso umano.
Tali, non rispose subito, ma lasciò andare le mani dell’uomo, allontanandosi di qualche passo, e voltandosi verso la distesa blu.
-Non avevo mai visto il mare, Comandante. – disse piano, con voce incantata. Quella voce esotica..
-Allora guardalo quanto vuoi, Tali. È sempre.. ,- John sentì di nuovo quella stretta sgradevole,- una vista meravigliosa.
-Tutti i Quarian dovrebbero averne diritto. Non dovremmo essere costretti a guardare solamente olofilm della Terra, di Thessia, di Palaven. E di mondi come questo. – strinse le sue sottili braccia attorno al corpo.
-Keelah se’ lai.
La giovane si girò verso di lui, ancora in piedi, lo sguardo verso l’orizzonte. Il sole stava pian piano calando dietro il mare. Un uccellò canto gioioso, da qualche parte nelle colline boscose.
-Come?,- era sorpresa, visibilmente sorpresa.
-“Per il mio pianeta, che un giorno rivedrò.” Non lo dite sempre, voi Quarian?
-Beh, sì…- piccole mani con tre dita si torcevano tra loro, come piccoli serpenti,- ma non pensavo lo sapessi. È più che altro un mito..un’utopia.
E lo disse in inglese, non in Galattico standard. Quella piccola parola, evocatrice di isole nascoste e di gioie irrealizzabili, suonò malinconica nella sua voce aliena. Shepard distolse lo sguardo dalla sua figura filiforme, e le si avvicinò. L’erba,sotto i suoi piedi, produsse uno strano e morbido rumore. Central Park in primavera. Farfalle nell’aria, alberi in fiore.
-E io non pensavo conoscessi questa parola… Sai, l’accento col quale l’hai pronunciata è della lingua della mia..ehm, regione, natale.
Rimase in silenzio per  un po’, muovendo un altro passo verso Tali, che nel frattempo lo guardava quieta, senza lasciar trasparir nulla.
-Vorrei tanto che tu possa rivedere il Pianeta Natale. Combatto i Geth anche per questo.
John si rese conto ore dopo, mentre si rigirava nel suo letto troppo morbido a bordo della Normandy, tentando di prendere sonno in vista, all’indomani,della missione, di come la sua voce tremasse, pronunciando quella frase. E di come avesse mormorato, fissando un punto nel vuoto. E di come gli dolesse il petto, dallo strazio che sentiva. E dell’immagine che continuava ad ossessionarlo. Lei, viso nascosto da lunghi capelli neri, pelle chiara, di chissà quale colore, che guardava un altro mare, illuminato da un altro sole, nel Margine Esterno.
Chissà, forse lei sorrise, in quel momento, mentre lo guardava parlare.
Il sole finì di tramontare, lasciandoli, soli, imbarazzati, nella splendida sera di un pianeta vergine.
 
 JOHN SHEPARD

 
Più di due anni dopo, dopo esser stato riportato in vita una volta, John Shepard scendeva nell’ascensore della Normandy SR2, fregata dell’Alleanza dei Sistemi. Aveva addosso l’armatura, da lui dipinta di blu dell’N7. Contro la pelle del petto sentiva la leggera pressione di una boccetta di vetro, e sul collo il suo peso. Stringeva il casco in una mano.
-IDA, buongiorno. Sveglia l’ammiraglio Zorah. ,- disse con voce neutra, rivolto al nulla, se non al portello dell’ascensore. Un alone fin troppo evidente di barba invecchiava il suo viso.
Scese fin nell’armeria, nell’hangar navette. Una volta, qualche mese fa, l’armeria non era qui. E c’era un amico, a gestirla. Un potente biotico.
Attraversò lentamente, con passo misurato, l’hangar, sentendo solamente l’eco dei suoi passi sul pavimento metallico. All’improvviso un lieve sospiro maschile, dietro di lui, attrasse la sua attenzione.
-Cortez, non ti avevo sentito arrivare.
L’ispanico sorrise, incrociando le braccia. Sembrava ben riposato, e sul suo viso non era dipinto il solito cordoglio. Nei suoi occhi c’era una luce strana. Spaesante.
Tali, cosa vuoi?
-Buongiorno, Comandante. Sei mattiniero,oggi! Sai che la missione non inizierà prima di due ore.
-Volevo prepararmi in maniera ottimale. Non credo sia il caso di lasciare l’ammiraglio Koris a marcire sul suo amato pianeta.
Alla freddezza tagliente delle parole dell’uomo, Cortez parve scomporsi. Il sorriso sparì dal suo volto.
-Beh, direi di no. È un alleato prezioso, contro i Razziatori.
Quante ovvietà evitabili. Ci mancava il Quarian schiantato sul suolo del suo pianeta natale. 
Un pensiero devastante, però, gli attraversò la mente. Lunghi capelli neri al vento, un mare calmo, un tramonto dorato.
Però.. lei lo vedrà..e sarà felice..
 
 
-Cortez, puoi andartene?,- disse l’uomo, girato di spalle, intento a smontare un fucile a impulsi geth.
-Come, comandante?,- una voce stupita, dall’accento spagnolo, rispose dietro di lui, risuonando nell’hangar.
-Puoi lasciarmi da solo un attimo?
Cortez guardò stupefatto il comandante, armatura indosso, casco appoggiato a terra, che si teneva a stento in piedi,appoggiato saldamente al bancone da lavoro. La voce tremante, incerta. Lo sguardo fisso nel vuoto.  Quell’alone di barba, che rendeva il suo viso scheletrico. Spento.
-Ti prego.,- aggiunse sottovoce, continuando a non guardarlo.
-Certo. A dopo, Shepard.,- disse, con un po’ di dolcezza. Si allontanò rapidamente verso l’ascensore, promettendo a se stesso di non raccontare ad alcuno quella scena.
Era un uomo come tanti altri, il grande comandante. E come tanti, prima o poi sarebbe crollato.
 
Le sue mani cedettero, e si lasciò cadere a terra. Sentì, vagamente, un lieve dolore alle nocche, mentre era sdraiato su di un fianco sul freddo pavimento. Era freddo, e sentiva freddo, alla guancia a contatto con esso. Le cicatrici gli dolevano, sentiva il sangue pompare rapido dietro di esse, infilarsi nei capillari più piccoli e giungere ai suoi muscoli semi-sintetici. Immaginò i globuli rossi, simili a quelli di lei, strisciare lentamente.
Saranno le mie terminazioni nervose? O saranno nano tubuli di carbonio?
Chi sono io per sapere cos’è che viene disattivato e cos’è che muore? Cosa sono io?
Strisciò lentamente, anche lui, con i gomiti, fino alla navetta più vicina. Si issò con la schiena, e si appoggiò stancamente alla chiglia ammaccata. Pensieri repressi per quasi un anno lo invasero.
Strinse gli occhi con forza, coprendoli con le mani gelide. Sentì la sua pelle, e sembrava vera. Ma non lo era.  Non era la stessa che veniva sferzata dal vento invernale dell’Atlantico, anni prima. Il vento invernale? Non me lo ricordo. O forse sì. Non lo so. È passato tanto tempo. Sono cresciuto . Sono morto e sono risorto. Ho ucciso. Sono stato ucciso. Ho distrutto una razza intera. Ne sto per distruggere un’altra. Nessun dio potrà mai perdonarmi. 
John Shepard, ormai ventisettenne, pianse la sua prima lacrima da dieci anni. La piccola goccia d’acqua salata, così naturale, così umana, corse lungo il suo viso, andandosi a perdere dentro l’armatura.
E poi c’era quella donna, quella maledetta donna, quella Jack, Dio, lei sì che deve sparire per sempre. Mi hai allontanato da lei, troia. 
Anzi no, non è colpa tua. È colpa mia. Sono morto, e non si torna dal regno dei Morti. 
Chi vi fa ritorno, non ha diritto alla gioia. Io non ho diritto alla gioia.
Sono uno strumento. Solo uno strumento.
Si sentiva sommerso. Era in mare, ma in un mare placido. Guardava in alto, con occhi che non bruciavano, attraverso l’acqua limpida e calma. Vedeva una figura, sopra di lui. Occhi luminosi e grigi, capelli corvini.
Provò a nuotare verso di lei, sbatté forte le gambe nude. Forte, sempre più forte. Attorno a lui aleggiavano sempre più bolle d’aria, che salivano rapide verso di lei.
E l’aria iniziava a scarseggiare. I suoi polmoni sempre più affamati. Bruciavano come fiamme vive.
Affogare? Morire? Sì, era possibile. Ma stavolta sarebbe stato per sempre.  
Un miraggio, un’utopia.
 
Appoggiato ad una malconcia navetta nell’hangar della sua fregata dell’Alleanza, il Comandante Shepard, l’eroe di tante battaglie, piangeva in silenzio, le mani stanche sul viso.
Su di un pianeta blu,verde, e giallo, un uomo, speranza del suo popolo, agognava il suo aiuto.

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Capitolo 9
*** Padri e Figli ***


 
Attenzione! SPOILER! Se ancora non avete giocato al DLC Leviathan, saltate questa prima parte e andate direttamente alla seconda!
Buona lettura. :)
 

 
 "Succede talora che due persone le quali si conoscono, ma non intimamente, si avvicinino d'improvviso nel breve volgere di qualche attimo;
e la coscienza di questo avvicinarsi si esprime allora nei loro sguardi, nei loro sorrisi."

 

 Turgenev
 
Il Leviatano galleggiava nel profondo blu e nero del mare di un pianeta non suo. Ma cosa importava? Qualunque cosa presente in quella misera, antica, sfruttata, galassia, gli apparteneva. Lui era uno di Loro, uno dei Primi, che sempre erano esistiti e sempre avrebbero respirato l’acqua scura di oceani nascosti.
Un tempo erano loro, a comandare, dagli abissi marini, circondati dai coralli e dalle alghe distorte dalla pressione. C’era stato un tempo, sì, in cui gli infimi esseri terrestri udivano i loro canti e le loro Voci incorporee, e li adoravano. Ergevano statue, in onore di quelle divinità invisibili, che sussurravano ai loro orecchi antichi parole troppo complesse per essere comprese. Sacrificavano simili nei loro templi, facevano sgorgare il sangue fino al mare, in cui gli Dei li attendevano. E da cui li proteggevano.
C’era stato un tempo in cui c’era pace. In cui ogni voce faceva parte di un coro celestiale ed ordinato, in cui ogni atomo vibrava di rimando ad un altro. In cui ogni pianeta vibrava alla stessa frequenza di un altro.
Ed in cui erano loro, dagli abissi marini, a dirigere l’orchestra.
Quel tempo fu l’Età dell’Oro di quella grande galassia a spirale.
Ma poi sovvenne qualcosa che le grandi bestie abissali non avrebbero potuto prevedere. Erano stati protettori, padri, maestri, mentori, di specie grandi e piccole, di creature striscianti e di altre che si ergevano fin a vedere le stelle, ma avevano tralasciato qualcosa.
Lo sapevano, ed il Leviatano ricordava i ricordi grigi dei suoi antenati, pieni di dubbi e dolori.
Quelle creature che loro credevano sciocche e cieche, i cui impulsi nervosi non potevano essere comparabili ai loro, il cui sentire non avrebbe mai potuto essere profondo come il loro, una dopo l’altra, scoprirono ciò che le grandi bestie abissali avevano sempre negato loro, come genitori troppo apprensivi: la libertà.
 
E quella libertà fece loro scoprire l’esplosione dell’azoto, dell’uranio, ed infine quella strana materia che è intorno a stelle morte. E una dopo l’altra, dopo aver raggiunto il loro culmine, smisero di ascoltare le Voci. Una dopo l’altra lanciarono una prima testata nucleare, poi un’altra, poi un’altra ancora. Ed infine, sui loro pianeti variopinti, scese il silenzio.
 
Le bestie marine non seppero cosa fare. Si trovarono in tumulto. Sentirono il potere vacillare, all’interno dei loro grandi cervelli. La loro presa sugli organici stava svanendo, la loro protezione s’era rivelata inutile.
Presto o tardi, la vita organica si sarebbe estinta, sotto i suoi stessi colpi. Lo sapevano.
Allora si riunirono, ciascuna da un pianeta dall’oceano blu e profondo. Unirono le loro infinite menti.
Dopo anni di discussione, deliberarono. E, per la prima volta nella Galassia, si ersero a creatori, come fecero i Quarian eoni dopo. 
Crearono un’intelligenza, e le posero una semplice richiesta: “Salva la Vita.”
 
E l’Intelligenza rifletté, i suoi atomi vibrando alla frequenza del suo pensiero. Altre specie si estinsero, su altri pianeti scese il silenzio. Inviò suoi messaggeri in ogni parte della Galassia, raccogliendo ed analizzando dati. Nella quiete, si evolveva.
Infine, capì. E la prima Mietitura ebbe inizio.
 
 
Il Leviatano galleggiava negli abissi di quel pianeta che i terricoli chiamavano Dis. Fluttuava con grazia, nonostante l’enorme mole. Nella sua infinita mente scorrevano attimi dell’Epoca d’Oro, interrotti dal rosso agghiacciante, dall’orrore degli ultimi istanti di vita di coloro che divennero parte dell’Araldo.
Ed, inoltre, pensava. Quella mietitura stava impiegando più del previsto. Il Razziatore che dimorava nella Galassia, mentre gli altri dormivano nello spazio oscuro, era silenzioso. Si faceva chiamare Sovereign, dai terricoli che avevano pensato, per cicli infiniti, che fosse una nave spaziale.
Fatto a sua immagine e somiglianza. Pronto ad ucciderlo. Ma quello era il Ciclo, quella era la soluzione alla grande domanda.
Improvvisamente, una vibrazione inaspettata interruppe il flusso dei suoi pensieri. L’acqua attorno a sé si scosse leggermente. Qualcosa era atterrato lassù, nella tempesta infinita di Dis. Allora attese, e analizzò.
E per la prima, tremenda, irrepetibile, volta, la sua mente sperimentò cosa fosse la paura, di fronte alle immagini dei grandi esseri di carbonio e di macchina che fluttuavano, aprendo i tentacoli meccanici verso il pianeta blu.
 


“Sei un’anomalia,” aveva detto il Leviatano, fluttuando enorme di fronte all’Umano.
“Non combatteremo,” aveva asserito con forza, in un primo momento, guardandolo dal buio con occhi antichi, assumendo le sembianze della donna del manufatto.
“Aprici la mente,”aveva poi sussurrato piano all’orecchio di Shepard, che lo aveva fatto.
Immagini . Immagini contrastanti, senza nesso tra di loro, lo invasero. La Cittadella che chiudeva le braccia. Città distrutte, esseri bipedi con sei occhi che giacevano morti a terra. Urla disperate, che riempivano ogni cosa. Creature dotate di mani con tre dita che lanciavano dardi biotici ad enormi Razziatori. Un ultimo sussulto ed, infine, il silenzio.
Una notte gelata in una città terricola. Un bambino umano che fissava la stelle. Un uomo che stava ritto, in piedi, mentre un altro uomo attaccava alla veste sul suo petto un piccolo pezzo di metallo.
Immagini simili alle prima. Urla e paura, Razziatori che distruggevano città. Cadaveri di esseri con cinque dita.
L’ennesimo progetto del Crucibolo.  “Fallirete di nuovo.”
Un’immagine che il Leviatano non comprese. Vide una creatura bipede femminile, in piedi, ma di spalle. Era longilinea, ma un pesante tessuto rinforzato ricopriva il suo corpo. Teneva le braccia lungo il busto, perfettamente immobile. Sembrava contemplare qualcosa. Il mare dorato davanti a lei, forse.
 “Combatteremo,in questo ciclo, al vostro fianco”, aveva giurato infine il Leviatano.
Guidò la mano dell’uomo incosciente fino a premere i comandi d’emergenza del mech, e avvertì le vibrazioni dell’acqua mentre tornava in superficie.

 

TALI

 



Tali, come due giorni prima, sedeva all’interno di una navetta della Normandy. C’era silenzio. Un grande silenzio. Lei guardava fuori dall’oblò, le mani in grembo.
Quella mattina l’aveva svegliata la voce di IDA, e le era sembrata più dolce. Chissà, forse anche le IA possono amare, aveva pensato, figurandosi l’unità mobile stretta tra le braccia esili di Joker.
Si accorse, a quel pensiero, che il cuore prese a batterle più forte. Sono felice per loro.
Joker  era un brav’uomo, e , anche se malato, era il miglior pilota che avesse mai conosciuto. Meritava tutta la gioia possibile. Le passò poi, per la mente, Legion, che dimorava silenzioso nel CIC, dal giorno precedente, evitando il più possibile Shala Raan. Era una macchina, ma sapeva riconoscere i tumulti altrui. A quel pensiero una lieve fitta di dolore le riempì il petto.
Garrus sedeva di fronte a lei, in silenzio, sullo scarno seggiolino. Teneva tra le braccia il suo Mantis, come un figlio, coccolandolo e lucidandolo. Sentiva le sue mandibole scricchiolare di soddisfazione. Sorrise dietro la maschera.
Stimava anche Garrus, probabilmente più di ogni altro componente di quell’accozzaglia di razza e persone. Amava la giustizia più di se stesso, e aveva sacrificato la sua gioia e la sua serenità, su Omega. Era la creatura più sincera che avesse mai conosciuto, e al tempo stesso disponibile e piacevole. In quegli orribili due anni, passati in un angusto stanzino sulla Neema, ricordare le lunghe chiacchierate avute con lui in sala macchine, o nella batteria primaria, la rasserenava. Le ricordava che non era sola. Anche lui mi ha voluto bene.
 
Piccoli occhi neri si erano fermati a fissare i puntini luminosi che si nascondevano dietro la maschera.
-Sai, Tali, a volte non sai quanto vorrei…
Lei lo aveva guardato di rimando. Il turian allora aveva sentito qualcosa sciogliersi, da qualche parte nel suo cuore, nascosto dal metallo della sua pelle e della sua armatura. Qualcosa che, al più presto, avrebbe dovuto congelare di nuovo, come ghiaccio polare.
-Cosa? Far saltare per aria qualche Collettore? O diventare il padrone di Omega?,- aveva scherzato lei.
Garrus aveva scosso la testa, abbassando lo sguardo. Il suo timore s’era trasformato in realtà. Lei era..
-Niente, niente,- aveva mormorato, voltandosi a guardare il nucleo di eezo, che emetteva candidi vapori, per qualche istante.
-Devo andare ora, scusami.
Nervosamente, aveva camminato fino all’ascensore,a testa bassa, lasciando Tali immersa in un mare di domande a cui, lei, ingenua, non avrebbe mai saputo dare risposta.
 
 
Lo stanzino sulla Neema. Lo aveva mai raccontato a Shepard? No, lui aveva già smesso di volerle bene. Si era già dimenticato di lei, come un bambino che possiede troppi giocattoli e che, dopo essersene rigirato un per un po’ tra le mani, lo buttava via. In quel tempo, era stato troppo preso dalle braccia tatuate e dal corpo scheletrico di Jack, del Soggetto Zero, e dalle sue scariche d’energia violetta. Io non sono una biotica. Io non sono speciale.
Ormai lo sapeva. Suo padre glielo ripeteva continuamente. “Tu sei una Quarian, come me. Sii orgogliosa di te stessa, perché, anche se sei in via d’estinzione, rimani parte di un popolo glorioso, che è rinato dalle proprie ceneri. Per il resto, non hai nulla di speciale. Ti chiameranno stracciona, ladra, mostro, si chiederanno cos’avrai mai dietro quella maschera. Non sarai mai bella come un’Asari. Non riuscirai mai ad avere la mira di un Turian. Ma sei una Quarian, e siine orgogliosa.”
 
 
Shepard era lì, vicino a lei. A pochi metri da lei. Fissava un punto nel vuoto. I suoi grandi occhi blu erano privi di luce. Teneva il casco in mano, e lo stringeva con tanta forza che aveva le nocche prive di sangue.
 
Rivedrai quel pianeta, le aveva detto una volta, troppo tempo prima, seduto sul freddo pavimento della sala macchine. Te lo prometto. Anche se non sei come vorrei, aveva aggiunto dopo, volgendo lo sguardo lontano dai puntini luminosi.
 
Ed ora, Rannoch, il Pianeta Natale, l’Utopia per cui suo padre era vissuto e per cui era poi morto, l’orrore cui sua madre aveva cercato di sottrarla, stava per apparire davanti ai suoi occhi schermati. Quella meravigliosa sfera di acqua e roccia, coperta da un’atmosfera azzurra, l’avrebbe accolta. E lei l’avrebbe potuta chiamare casa.
Ma la pensava davvero così? No.
Casa è con lui, sussurrano le voci, tra le pieghe della sua coscienza. Casa è dove c’è l’attesa, l’attesa che lui entri dalla porta della sala motori e che si sieda accanto a te. Che ti ascolti parlare. Che ti racconti, piano piano, qualcosa di sé. Casa è dove lui, in eterno, ti stringe le mani, sulle rive del mare, con l’erba che sussurra parole al vento, mormorando le tue stesse più recondite speranze.
Casa sua era la Normandy, era una spiaggia su Virmire, era una fredda colonia umana, ed un’abbandonata colonia Quarian. Casa sua era tra le stelle ed era sulla Terra. E c’era lui, che avrebbe potuto ucciderla con un bacio. Il Fato, allora, rideva sguaiatamente, crudele. Gli Antenati abbassavano lo sguardo, vergognosi.
 
Rannoch, Rannoch. Misero punto sulle carte galattiche. Leggenda. Ora era lì, di fronte a lei.
-Tali, vieni a vedere,- aveva detto Cortez dalla cabina di pilotaggio.
Lei si alzò, e sentimenti  contrastanti la invasero, come due amanti che non sanno se vivere nel desiderio, o se consumare il bacio. Se non potremo mai vivere in pace su Rannoch, perché dovrei vederlo?
Camminò lentamente fino a Cortez, la cui pelle scura era illuminata da Tikkun, sfolgorante ed arancione nei suoi flares. E guardò dal vetro della navetta.
Guardò, e vide blu, giallo, e verde. Colori armonici, colori che ricordava solo nei canti degli Anziani. Vide altissime montagne coperte di bianco, e pensò a coloro che, per primi, vi si erano avventurati, sfidando il gelo e le nevi. Guardò i deserti, e immaginò le lente carovane dei mercanti attraversarlo, coperti di stoffe colorate. Si tuffò nel blu dei mari, e pensò alle navi di legno che avevano galleggiato su di essi, alle forme di vita che lo animavano,antiche e giovani, al primo RNA che si era ripiegato su se stesso, in quell’acqua calda. A ciò che c’era stato e a ciò che doveva ancora venire. Notò, infine, la grande luna bianca, di fronte alla cui vista, milioni di persone s’erano estasiate. Rannoch era un amante, era fatto per amare e per essere amato. E Tali giurò a se stessa che quel piccolo pianeta sarebbe tornato ad essere la casa dei Quarian, cacciati troppo tempo prima.
Ma non la sua. Il suo voto era ferreo, adamantino, scolpito a fuoco vivo nel suo cuore rosso, e nulla, nemmeno una casa, le avrebbe impedito di rispettarlo. Fino alla fine della sua vita.
John Shepard, Garrus Vakarian, Tali Zorah, toccarono, per la prima volta dopo secoli, quali primi organici, il terreno arido di Rannoch. La sera si stava approssimando, e le stelle erano chiare in cielo. La grande Luna bianca cominciava ad avvicendarsi a Tikkun.
 
Quando scesero nell’atmosfera, proiettili di torri jammer investirono la navetta, e Cortez tentò, riuscendovi, a limitare i danni. La stima di Tali nei suoi confronti, mentre stringeva forte le mani alle sbarre metalliche, non poté che aumentare.
 
 

SHEPARD

 
 
Shepard, appena sceso dalla navetta di Cortez (“Buona fortuna Comandante, salvate l’Ammiraglio Koris! Disabilitate le jammer, e io le colpirò!”), si fermò a guardare le stelle. Per l’ennesima volta, volto all’insù, si stupì di non riconoscere nessuna costellazione, ma lo colpì come quel satellite assomigliasse alla Luna. Forse, era solo un po’ più grande. Un po’ più candido. Nessuna nuvola osava coprirlo.
Il luogo dove erano atterrati era una piattaforma rocciosa, in un’area collinare, ma arida. Per raggiungere la zona d’atterraggio della nave di Koris sarebbero dovuti scendere fino alla pianura, che degradava lentamente, totalmente scoperta e brulicante di torri jammer geth e con un enorme cannone planetario.
Erano vicini al mare, a quanto diceva il gps, e l’aria profumava di salsedine. Un leggero vento gli sfiorò la pelle. C’era una volta una donna verde di bronzo, che alzava una fiaccola verso l’oceano.
Posò poi lo sguardo su di lei. Era inginocchiata, e teneva un po’ di terra secca e sabbiosa nel piccolo pugno. Aveva gli occhi chiusi, i due puntini luminosi erano invisibili. La sentì sussurrare, ma non capì cosa dicesse. Sottili parole amplificate si levarono nella brezza serale.
Poi realizzò. Stava pregando, e lo stava facendo nella sua lingua. In  kelish. Forse ringraziava gli Antenati, o forse li benediceva. O li supplicava di aiutarla, di aiutare tutti i Quarian, sperando che la loro anima dimorasse ancora su quella terra. Che non tutto fosse stato trascinato via in quella Diaspora.
-Non è ancora il momento di reclamare la terra,- mormorò, continuando a tenere gli occhi chiusi, apparentemente dimentica della presenza del comandante di Garrus, che sedeva su di un masso poco lontano, le spalle basse, lo sguardo nel vuoto.- Domani sarà giorno. Solo allora potremo. Solo quando i raggi della Stella si poseranno su di noi, gli Antenati ci ascolteranno.
Quando ebbe finito di parlare, Shepard distolse lo sguardo, controllando meccanicamente che il fucile fosse al suo posto. Lei si comporta sempre in maniera così strana. Una strana agitazione si impadronì, allora, di nuovo, dei suoi pensieri. Odiava quell’elettricità che, non voluta, attraversava i suoi dendriti e assoni.
E’ un’aliena, è ovvio. Ma ha grandi occhi grigi, e capelli corvini.
 
Qualche decina di minuti dopo, camminavano cautamente tra sentieri antichi, probabilmente fino a quel momento calcati solo da animali e Geth(le cui impronte nella sabbia erano evidenti) protetti da alte rocce. La luna era chiara, alta, e grande, sopra di lui, e disegnava strane ombre negli anfratti tra le
Garrus era stranamente silenzioso. La cicatrice sul suo volto risaltava in maniera misteriosa sotto la luce lunare.
-Il luogo dello schianto è vicino, Comandante. Dovreste già cominciare ad incontrare i primi superstiti, se ve ne sono. ,- disse la voce di IDA nell’auricolare di Shepard. ,- le comunicazioni radio all’interno del pianeta sono interrotte da campi elettromagnetici geth delle torri jammer, quindi non potrete comunicare né con Cortez, né con l’Ammiraglio.
Improvvisamente, il sentiero roccioso si aprì in un ampio spiazzo. Un Quarian maschio, una pozza di sangue rosso, la tuta lacerata in più punti, giaceva appoggiato alla parete rocciosa. Probabilmente era ancora vivo, ma ci sarebbe stato poco da fare, valutò Shepard. Notò, con ammirazione, che almeno cinque o sei soldati Geth giacevano distrutti attorno a lui. Qua e là, delle fiammelle, forse di gas naturale incendiatosi, si levavano dal terreno secco. In lontananza, da quello spazio più aperto, si sentiva l’esplosione di ogni missile dai cannoni delle torri geth.  La figura stanca del Quarian era tinta di una lieve luce candida, che cozzava col vermiglio di cui era ricoperto. Si avvicinarono.
Dietro di sé sentiva lei silenziosa accelerare il passo, che si affrettò verso l’alieno. Si accucciò a terra, protesa verso di lui. Il riflesso di un altro casco apparve sul suo.
E prese la sua mano insanguinata tra le sue.
Il cuore del comandante mancò un battito.
Il casco dell’uomo si girò verso di lei.
-Non so chi voi siate, ma suppongo siate amici. Non mi resta molto tempo. Semmai tu, tu che sei come me, tornerai alla Flotta, dì a mio figlio che Dornt Hazt, della manutenzione, è morto sul Pianeta Natale. Andate ora.
La voce era stanca, rotta dal dolore. Shepard vide lei avvicinare le dita sottili alla tastiera del factotum, tentando di usare del medigel.
Il Quarian alzò debolmente un braccio insanguinato, il palmo aperto. –No, ferma. Ho perso troppo sangue. Distruggete quelle torri. Salvate l’Ammiraglio. C’è ancora una speranza, per noi.
I puntini luminosi sul suo viso si spensero. La mano cadde lenta, sul grembo dell’uomo, senza rumore.
Lei mormorò qualcosa, e si alzò. Fissò per qualche istante lo schermo del factotum arancione, analizzando qualcosa.
-Ci sarà da combattere, più avanti. Quest’uomo ha cercato di dare tempo ai soldati di mettersi al riparo. E ciò che ha distrutto era solo l’avanguardia. ,- la sua voce era atona,spenta. Shepard tentò di svuotare la mente,  la sua coscienza si rannicchiò in un angolo buio, lontano dalla luce degli occhi della Quarian.
 
 
E alla luce della luna sempre più alta in quel cielo alieno, cullata dal lento ondeggiare del mare vicino, che guardava silenziosa la morte di creature che un tempo l’avevano adorata, si aggiunse quella di due torri jammer, percorse da scariche elettriche,che si ergevano nella pianura rocciosa. 
John sentiva l’energia fluire in lui, pregustando la battaglia. La paura che lo aveva attanagliato pochi giorni prima era sparita.
Non ho più paura. Di lei non mi importa. Questa guerra è solo un… corollario, all’altra. Lei.. non è niente. Niente. È solo.. solo...
Il filo dei suoi pensieri si interruppe. Guardava la scura figura elegante che camminava di fronte a lui, che imbracciava un fucile a pompa, e sembrava conoscere a menadito quel sentiero fra le rocce. Ne guardò i fianchi, la vita sottile, le gambe sinuose. Immaginò le sue piccole mani accarezzare capelli scuri. Sentì la lieve pressione che la boccetta di vetro esercitava contro il suo petto, contro il suo cuore.
Ora basta. Basta.
 
Proiettili piovevano da ogni parte, infrangendosi contro la barriera biotica generata da Shepard, accucciato dietro una cassa metallica. Avevano raggiunto le torri jammer, e orde di Geth bianchi e rossi, comunicando tra loro con strani suoni, si erano riversato su loro tre. Tre organici contro decine di creature in cui scorreva liquido di raffreddamento. Era una copione già visto. E sempre di quei tre organici si trattava.
John aveva rinunciato ad usare le armi, lasciando il compito a Garrus, che si divertiva a fare un po’ di “tiro al bersaglio”, protetto dietro la cassa accanto alla sua. Una singolarità stazionava di fronte a loro, rallentando di molto l’avanzata dei sintetici, che gravitavano attorno ad essa, ed esplosione biotiche violette scaturivano dalle mani di Shepard, ad intervalli regolari.
Non si sentiva stanco. In altri momenti, l’usare solo i propri poteri biotici l’avrebbe affannato in poco tempo;ma quella sera era sereno e concentrato, e la luce della luna sembrava vegliare su di loro, sorridendo. Era così diversa dall’ostile luna terrestre…  così candida. Lo scroscio del mare, sempre più vicino, era coperto dai rumori della battaglia.
Lei, dietro di loro, era impegnata a digitare codici scritti da sintetici sul terminale di controllo della AA, lanciando improperi in kelish, che ovviamente per Shepard suonava incomprensibile. Affascinante e spiazzante.
Con un ultimo lampo, la luce della torre sopra di loro, si spense. Le scariche elettriche cessarono di percorrerla, e la voce di IDA si fece sentire quasi subito, nelle loro auricolari. Grazie.
-Vi invio le coordinate dell’Ammiraglio Koris. È ferito, ma non gravemente. Cortez sta venendo a prendervi.
Il  pilota, in arrivo pochi minuti dopo, diresse alcuni colpi verso gli ultimi Geth rimasti, e poi distrusse le torri, che si infransero in un fracasso metallico. I tre organici salirono a bordo. Lo sciabordio del mare era ritornato a farsi sentire.
 
-Dornt! Dove sei? Ci stanno massacrando!,- urlò una voce in Galattico standard nelle auricolari di Shepard, che guardava scorrere il terreno di Rannoch sotto di sé. Stenti alberi iniziavano a vedersi,sparuti, tra le grandi formazioni rocciose, rese grigie dalla luna. Spari si udivano in sottofondo.
-Dornt.. non ce l’ha fatta. Sono il comandante Shepard dell’Alleanza, stiamo venendo con una navetta.
-Stiamo? Chi?
-Io, l’Ammiraglio Zorah, e un turian. Non trovo che sia un’informazione rilevante. Ci invii le sue attuali coordinate, per sicurezza.
Un lieve “bip” risuonò dal factotum dell’uomo.
-Tenete duro. A tra poco.
 
-No, Shepard! Ci stanno sopraffacendo! Salva i miei uomini, ti invio le loro coordinate.. sono civili..
-Cosa? Sta forse scherzando…?,- riuscì a dire, senza che nulla di meglio gli venisse in mente.
 
Lei lo aveva fissato tutto il tempo. Per tutta la conversazione, i suoi occhi luminosi erano stati fissi su di lui, come in attesa. Senza preavviso, si avvicinò a lui, stando attenta a non cadere,all’interno navetta scossa dal vento, e gli prese un braccio. Quello col factotum.
Shepard la guardò senza parlare, senza espressione. Silenziò la sua mente, a quel contatto. Disturbante anche attraverso l’armatura.
Lei digitò qualcosa sul factotum, e sospirò rumorosamente. Aveva deviato la chiamata alla sua radio.
-Koris. Sono l’Ammiraglio Zorah. Ricorda sicuramente mio padre, e ricorda la sua determinazione. Anche io ricordo quella che lei aveva, fino a poche settimane fa. Cos’è successo? Cos’è questa codardia? È stato pronto, senza alcun indugio, ad accusarmi di tradimento. Di aver tradito la mia stessa natura. E ora vuole tirarsi indietro? Lei è l’uomo più rispettato di tutta la flotta. Più di Raan, più di Gerrel, più di Xen. Infinitamente più di me. Non eravamo un popolo glorioso?
-Senza la sua guida non saremo mai più nulla. Quindi combatta fino alla fine. Stiamo arrivando, siamo vicini. Lei è la nostra ultima speranza.
Un lungo silenzio, intervallato da rumore di spari e tramestio di passi affrettati sul terreno, ci fu dall’altra parte. Un silenzio che mal si abbinava alle parole dure, inquiete, di poco prima. Shepard la guardava in silenzio, rapito.
-Antenati, perdonatemi..vi aspetto.- mormorò infine l’Ammiraglio.
-I nostri morti troveranno la pace nei cieli del Pianeta Natale,- asserì la voce esotica di lei, sicura.
 

 TALI



Nonostante le orde di Geth che si erano riversate, dal Pianeta Natale, su di loro, neppure un proiettile l’aveva colpita. La sua tuta era intatta, il velo sul suo casco era lucido.
Era nella sala macchine, seduta a terra, la schiena appoggiata all’hardware del terminale. Nel buio illuminato solo dal nucleo d’eezo, lo guardava, in silenzio. Le ricordava la luna, la sua luce fredda ma.. così familiare.
Era tutto familiare, su Rannoch. La sabbia, la terra arida, che subito assorbiva il sangue,e la poca acqua dolce che vi si riversava. Il tumulto del mare, in cui la grande luna si specchiava, maliziosa; la brezza leggera. Quelle piante contorte, ma che resistevano al caldo asfissiante ed al gelo: proprio come loro. Come i Quarian, che  mai erano stati distrutti. Piegati sì, ma mai infranti.
Pensò a sua madre. Pensò a suo padre. Non avrebbe mai approvato il suo voto. Mai. Era un uomo deluso dall’amore, che credeva di aver perso il diritto alla gioia, che le aveva fatto pagare ogni singola particella della sua infelicità. E della sua solitudine.
Pensò a se stessa, allora. Alla solitudine. No, non era sola. Aveva amici, aveva compagni, aveva una speranza, un luogo da riconquistare. C’era un amore a scaldarle il cuore. Cui aveva consacrato la vita.
Intrecciò le mani tra di loro, senza tormentarle nervosamente. Quel giorno, quel giorno sempre più lontano nel tempo e nella memoria, i cui contorni erano divenuti sempre più sfumati, nel silenzio dello stanzino sulla Neema, lui le aveva detto di non farlo, stringendo quelle mani tra le sue, grandi e fredde. L’aveva guardata negli occhi, aveva cercato di scorgere il suo viso.
Non era riuscito a vederla. Lei non era come lui voleva, le aveva detto. E glielo ripeteva tutte le notti nei sogni, nell’ora più buia della notte, come un mantra.
Il suo spirito era in pace, ora. Lo sentiva. La missione riempiva il suo essere, lui rimaneva un corollario.
Ferma era la sua decisione. Durevole la sua dedizione. Non poteva fare più di quanto non avesse già tentato. Lei non era speciale.
 
 
Immersa in queste riflessioni, non si accorse della porta che si apriva, dietro di lei, gettando la luce dei neon del corridoio all’interno della sala. Non si accorse della figura maschile, con indosso un’uniforme dell’N7, che avanzava piano verso di lei, misurando ogni passo.
 
 
 
Nel buio riscaldato dai vulcani sottomarini di Dis, il Leviatano fluttuava. Stringeva a sé, come in un abbraccio paterno, con i grandi tentacoli, la mole metallica di un Razziatore, la cui inquietante luce rossa diveniva sempre più flebile. La sua massa si contorceva sotto quell’antica forza.
I figli degeneri caddero, allora, sotto l’ira dei padri.
 
 
 
 
Buonasera! Mi scuso per la lunghezza del capitolo, ma credo fosse doveroso dedicare ampio spazio all’arrivo di Tali su Rannoch.
Grazie per l’attenzione.. e, recensite se vi fa piacere :D
Lubitina

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Capitolo 10
*** You are a collapsing star ***


Salve! Mi scuso per la lunga assenza, l’università mi sta ammazzando.. questo capitolo sarà un po’ diverso dai precedenti, ma non vi anticipo nulla =P
Buona lettura!

 

 

 

  

And in the dark, I can hear your heartbeat
I tried to find the sound
But then it stopped, and I was in the darkness,
So darkness I became

 

 
 
Creature si muovevano feline nel buio, rischiarato solo dalla luce pallida di una grande luna,che faceva capolino dalle nubi.
Erano forse una decina, forse di meno, e correvano rapide nella savana, spostandosi da un cespuglio spinoso ad un altro. I loro passi era silenziosi sull’erba secca. Del resto, erano passi di ombre.
Improvvisamente, da dietro un arbusto, due gruppetti di masse nere corsero in direzioni opposte, e lunghi capelli corvini parevano ondeggiare dietro ciascuno di loro, ad ogni salto. Il silenzio continuava a permeare la prateria.
 
Ad un distante osservatore la scena sarebbe apparsa colma di atti inutili, ma nelle menti delle ombre scure ogni gesto era indispensabile. Perché loro erano a caccia, e senza caccia non sarebbero sopravvissute.
 
Una di loro, una femmina, era acquattata nel buio, le mani con tre dita appoggiate a terra, assieme ad un ginocchio. Capelli neri troppo lunghi le solleticavano il collo. La sua mente ribolliva di idee e schemi, e stava tentando di unificare quel marasma, tenendo lo sguardo luminoso fisso su di un’altra enorme massa nera, al centro della prateria,di cui l’osservatore non si sarebbe di certo ancora accorto.
 
Ma in quella cacofonia, nei suoi pensieri, c’erano due costanti: corsa, più rapida possibile, e unità. I due gruppi si sarebbero riuniti nell’atto finale della caccia, cioè la morte.
Mormorò qualche parola, diretta all’Alto, con labbra invisibili, guardando l’enorme bestia quadrupede che brucava calma l’erba secca,ignara che sarebbe, di lì a poco, tornata al Giardino. E avrebbe fatto di nuovo parte della sua essenza più pura.
 
Infine, parve che le sue elucubrazioni fossero finite. Alzò le mani scure, con tre dita, da terra, e le aprì, guardandole.  Volse allora,con grazia, le palme spalancate verso un cespuglio dalla parte opposta della prateria, nel cui mezzo era la preda. Sapeva che in quell’ombra c’erano i suoi compagni, parte di essa.
Sulle sue palme apparve un disegno. Linee luminose si rincorrevano, attorcigliandosi tra di loro come serpenti chiari.  E parevano dipinte d’inchiostro lunare.
 
Occhi potenti, non umani, scorsero quel frammento di luce, e capirono. L’attacco poteva iniziare. Teste invisibili annuirono, lievi bagliori si disegnarono sulla pelle invisibile.
 
Lei si stava preparando alla corsa, mormorando parole alla Luna, che si specchiava nei suoi occhi brillanti. All’improvviso, si accorse che le nubi si erano aperte, diradate, e la luce pioveva calma su di loro. Ma c’era qualcos’altro. Qualcosa di diverso, che il cielo non aveva mai mostrato.
Una grande luce,nuova, si era affiancata alla Luna, e splendeva assieme ad essa con raggi chiari. Sembravano sorridersi.
 
 
 
Sotto un altro cielo stellato, a migliaia di anni luce di distanza, un uomo fissava il debole fuoco acceso di fronte a sé. Le fiamme di mille sfumature di rosso danzavano di fronte a lui.
Si avvicinò ad esso. Aveva freddo. Le pelli d’animale di cui si era coperto non bastavano a tener testa a quello gelido inverno, la cui neve bianca cadeva fuori dall’uscio della caverna, accumulandovisi minuto dopo minuto.
Fuori l’oscurità era completa. Si era al novilunio, lo sapeva. I giorni d’inverno scorrevano lenti, erano facili da contare. E d’inverno sentiva la morte più vicina, anno dopo anno.
Grattò la barba ispida, prendendo poi in mano il pugnale di metallo. Se lo rigirò tra le mani, ruvide e rosa, soppesandolo.
Sarebbe stato così facile andarsene. Un colpo al cuore, che pulsava sotto la sua pelle e sotto la poca carne, e quegli stenti sarebbero finiti.
All’improvviso, qualcosa cambiò. Il vento,forse? No, le fiamme fluivano libere come sempre.
Allora, confuso, si alzò, tenendo il pugnale nella mano destra, i capelli sporchi e troppo lunghi che dondolavano lungo la schiena. Camminò lentamente fino all’uscio, fino a che non sentì la neve bagnata colpirgli la pelle. E capì.
La neve, ogni singolo cristallo, brillava. Riluceva chiara. Ed in cielo pareva essere spuntata una strana luna, che svettava sopra gli alti abeti circostanti,silenziosi guardiani.
Quella stella nuova colorava tutta la radura. L’uomo, incurante del gelo, la guardò, grande e chiara, e sorrise.

 
 
 
Più di un anno prima
 
 
Una volta Shepard l’aveva portata con sé durante una ricognizione su di un pianeta di cui aveva dimenticato il nome, su cui c’era una base del Branco Sanguinario. Era un pianeta bello, ospitale, ma dannatamente pieno di Vorcha.
Erano andati solo loro due. Perché?, si domandò ora. sarebbero potuti finire ammazzati facilmente,senza il supporto di un terzo compagno. Gli parve di ricordare che anche IDA lo avesse avvisato.
Io non ho voluto.
Strane immagini, appartenenti al passato, gli sfiorarono la mente.
Lei camminava lungo il declivio di una collina in una foresta tropicale. Lo zoo di Central Park gli era tornato alla mente, senza alcun motivo apparente. Scimmie presero a saltare nella sua memoria.
C’era lei, dietro di lui, e camminava lenta e guardinga riguardo al terreno su cui poggiava i piedi, eppure c’era una certa grazia naturale nei suoi movimenti. Teneva stretto tra le mani un fucile a pompa, ma non pareva molto interessata ad esso. L’alta tecnologia della sua tuta grigia e viola stonava leggermente, ma in maniera sgradevole, con la natura rigogliosa attorno a loro. La sua maschera rifletteva il verde brillante del fogliame. Al lieve fruscio di questo si univa il gorgogliare di un torrente, qualche decina di metri più a ovest. Strani uccelli cantavano nella penombra.
Shepard la guardava, e il suo cuore batteva rapido. Devo smetterla di portarla sempre con me, aveva pensato. Lei è come tutti gli altri. È utile come ogni altro, mai indispensabile.
-Tali,hai per caso paura di scivolare?,- aveva detto ridacchiando, dopo aver inspirato forte l’aria profumata di fiori.
-Shepard, taci! Non ho mai camminato su un terreno tanto scivoloso!,- diceva mentre faceva un passettino.
Lui rise. –Grande Comandante.. il venirmi ad aiutare non è contemplato tra i tuoi doveri?,- aveva ordinato, fissando gli occhi luminosi in quelli di Shepard. Due piccole stelle notturne, osservate tanto tempo prima in un libro, brillarono nei  suoi ricordi.
Come sempre, il suo battito accelerò, e le mani presero a formicolare.
Non rispose, ma sorridendo, si avvicinò a lei, mentre le sue orme si confondevano col terreno fangoso.
Lei continuava a guardarlo, calma e silenziosa. Shepard si inerpicò per la salita sdrucciolevole, togliendosi i guanti per aggrapparsi meglio ad alcuni arbusti, e la raggiunse.
Non si era reso conto del suo stesso sguardo, no. Di come ci fosse una luce diversa. I suoi occhi azzurri avrebbero tradito, se solo una donna umana l’avesse visto, sentimenti strani e sconvolgenti, che strisciavano nel suo cuore come serpenti confusi. Ma Tali Zorah vas Neema non era umana,era una Quarian. E lei credeva solo a ciò che veniva detto.
-Shepard, tutto bene..?,- aveva mormorato, mentre lui la guardava senza parlare, un lieve sorriso che gli increspava le labbra.
-Sì,- aveva detto lui a mezza bocca, guardandola. Tese una mano versa quella piccola, e guantata, di lei. La strinse delicatamente,  e un sottile calore lo attraversò. –Mai stato meglio, Tali.
Chissà, forse lei, dietro quella maledetta maschera, aveva sorriso. Non lo avrebbe mai saputo. E mai ne avrebbe fatto parola con lei. Perché lei sì, lei non era come lui. Lei credeva a ciò che veniva detto.
-Shepard! Guarda!,- fece l’aliena, distogliendo gli occhi da lui.
Ed entrambi volsero lo sguardo in alto. Un faro bianco, circolare e perfetto, era all’improvviso apparso in cielo, competendo con il sole,giallo,che calava. I suoi raggi s’estendevano lenti in tutte le direzioni, colorando il cielo d’azzurro ancor più chiaro.
Shepard allora avvertì una leggera stretta dalla piccola mano legata alla sua.Si sente il battito del suo cuore.
Il tempo corre veloce, si disse Shepard. Non c’è bisogno di parlare.
Stettero in silenzio, guardando la stella morente che in tanti, prima di loro, avevano ammirato.
Le loro mani erano unite, e questo bastava.
 
Strana è la vita di chi corre più veloce della luce, scrisse,quella sera, in inglese,una mano, su un foglio di carta.

 
 
 
SHEPARD
 
 
 
Shepard era terribilmente stanco. Appena la navetta era attraccata nell’hangar della Normandy, e Cortez aveva fatto loro cenno di scendere, si era lanciato nell’ascensore. Aveva, però, prima riservato un’occhiata dura alla Quarian, mentre saltava giù dall’abitacolo.
Come cazzo le è saltato in mente di deviare la chiamata. Lei non è nessuno. Nessuno. Nessuno!
Un pugno di cinque dita s’abbatté sulla parete dell’ascensore. John, con un grugnito, si massaggiò le nocche doloranti, e uscì.
La voce di IDA, spuntata dal nulla, s’abbatté invece sulla sua coscienza, colta proprio mentre metteva piede sulla morbida moquette dei suoi alloggi.
-Comandante, l’Ammiraglio Raan vorrebbe incontrarla. Ha alcune richieste da sottoporti. ,- risuonò dagli altoparlanti nascosti.
Il comandante sospirò, e,rinunciando a togliersi l’armatura, si lasciò cadere a terra, appoggiando la schiena alla parete dell’acquario. La luce blu, interrotta dall’ombra degli strani pesci e dal fluttuare delle piante, colorava la stanza.
-Shepard?
-Sì, IDA, ho sentito. Rispondile di parlare con sua nipote,se vuole qualche spiegazione. Per il resto, decisioni tattiche in primis, deciderò domani. Non ora. Non credo che la loro guerra verrà persa entro sei ore, o sbaglio?,- mormorò svogliatamente. Mentre parlava, teneva tra pollice e indice una boccetta di vetro, piena di tessuto grigio macchiato di rosso. Chi sei, Shepard?,si affacciò una voce dentro di lui, da dietro uno spesso muro nero. Una voce che aveva taciuto fin da quella mattina.
Chi sei? Perché non lo chiedi a IDA?
-Direi di no. Comunque, anche Samantha Traynor vorrebbe incontrarti. Deve notificarti alcune novità riguardo una base di Cerberus su Ontarom.
-Perfetto. A domani, IDA.
Domani. Che concetto ormai vago. Che ore saranno state? Shepard lanciò un’occhiata, attraverso la boccetta, all’orologio sul suo comodino. Mezzanotte e trentuno.
Un orario basato su di un pianeta lontano anni luce da lì. Che assurdità.
Infilò di nuovo la boccetta dentro l’armatura, vicino al cuore, e iniziò a togliersi i gambali. Cercava di non pensare a nulla, ma le voci..
Le voci erano incessanti.
Chi sei? Dove sei andato? Chi ti ha condotto fin qui? Hai compiuto delle scelte orribili, lo sai? Stai per condannare, di nuovo, un’intera razza..  Sbraitavano e cantavano, ridevano sguaiatamente.
Razziatore.. sei uno di loro. Non organico,ma maledetto e sintetico, capace solo d’estinzione.
Non hai salvato quel bambino, sussurrò qualcuno dal fondo del coro. Non l’hai salvato, l’hai lasciato morire. L’hai lasciato bruciare. Bruciare come un colpevole.
La voce scottava come ferro arroventato sulla pelle, e lo affogava. Di nuovo, Shepard annaspava per respirare. L’acqua, l’acqua era bollente e oscura, e nessuna luce c’era, lassù. Lei non c’era più.
 
-NOOOOOOOOOOOO!
Il suo urlo risuonò in tutta la stanza, spegnendosi lentamente. Dio, doveva essersi addormentato.
-Era solo un incubo,- mormorò a se stesso. – Solo un incubo.
Finì di spogliarsi, e si infilò sotto la doccia, scoprendosi un taglio lungo una scapola. Sottili fili simili a fibre ottiche emergevano dalla ferita, insieme a poche gocce di sangue rossastro. Qualche proiettile doveva esser penetrato fin lì. Smise di domandarsi come fosse potuto accadere e lasciò vagare i pensieri, evitando l’incubo di prima.
Pensò a Thane, Thane che giaceva su un letto di  un ospedale, bianco e sterile, immergendosi in ricordi vividi come la realtà, come lo era stata la sua Siha. Pensò alle sue squame verde brillante, e ai suoi occhi neri e liquidi, sempre provvidi di consigli. Doveva andarlo a trovare, assolutamente. Certo, sarebbe stato un po’ diverso dai vecchi tempi, quando si incontravano nella stanza dei sistemi vitali, e bevevano vino terrestre rimediato su Omega. Ridevano, ancora speranzosi del futuro, nonostante i Collettori, nonostante la Kepral.
Una fitta di nostalgia lo attraversò. Gli mancavano quei tempi.
Perché le voci non lo avevano ancora assalito. Perché eri ancora libero di stare con lei, di sederti con lei sul pavimento della sala macchine, sussurrò Thane da qualche parte nella sua mente.
Aveva pensato che col tempo si sarebbe abituato al suo nuovo corpo, alla sua assurda vita, al dover convivere con le miriadi di informazioni terrificanti che ogni giorno fluivano nel suo cervello,mefitiche ; all’orrore di dover combattere una guerra vinta in partenza, perché quella era la Volontà. Alla responsabilità che non aveva mai desiderato, né tantomeno a quella sensazione di comando che non riusciva ad amare del tutto. Ma ogni maledetta mattina il fardello sul cuore si faceva più pesante, e lo aveva spinto a consegnare la Normandy all’Alleanza, pur di disfarsene. Invece, era riuscito solamente ad allontanare da sé amici e compagni, che si erano sparpagliati in tutte le direzioni. Come una supernova, che per disfarsi della sua stessa grandezza, si lascia esplodere, e allontana da sé tutti i suoi pianeti.
Chi era lui per ordinare? Chi era per disporre di vita e di morte? Eppure il gesto irrispettoso della Quarian lo aveva innervosito non poco.
Il suo sguardo silenzioso, i grandi occhi luminosi puntati nei suoi. C’era aria di sfida? No, non c’era. Lei non ne era capace.
Lei era così pura, così innocente. Così docile e tenera.
Shepard chiuse l’acqua della doccia.
Una stella brilla anche se nessun essere vivente ne vede la luce, dal suo cielo privato. Supernovae continueranno a sconvolgere le Galassie. E i Razziatori mieteranno il raccolto anche stavolta, spiga per spiga, perché il bambino è morto, e nulla potrà farlo tornare. Si vestì con il ghigno del Razziatore Umano impresso nella mente, mentre la Primavera di Vivaldi risuonava lieve.
 
 
Scivolò silenziosamente fuori dalla sua stanza. L’orologio segnava l’una di notte. Si infilò nell’ascensore, e premette il tasto che indicava l’ultimo livello, cioè la Sala Macchine. Uscì dall’ascensore, in silenzio, senza pensare a nulla. Meccanicamente, però, tastò nella tasca dei pantaloni la presenza di una pistola. Percorse il breve corridoio che conduceva al centro di controllo del Nucleo d’Eezo, ma, arrivato di fronte alle scale che portavano alla stiva, si fermò.
C’erano dei movimenti, dei tramestii, che provenivano da là sotto. Laddove, tanto tempo prima.. C’era quella troia che ti scopavi mentre sussurravi parole dolci alla Quarian, vero comandante?, avrebbe grugnito Zaeed Nassani. Il cui cadavere giaceva disperso, come singoli atomi e piccole molecole, oltre il portale di Omega 4. Li immaginò orbitare, sempre più veloci, attorno al buco nero.
Scese con attenzione la rampa di scale.
-Chi c’è?,-urlò.
-Comandante! Sono Adams! Sto facendo delle riparazioni! Maledetto giunto..,- disse, salendo la prima rampa di scale. Indossava la tuta da lavoro, ed era abbastanza sporco di olio lubrificante. Si passò una mano sulla fronte, asciugandosi il sudore, e ivi lasciò una lunga macchia nera.
-Oh, Adams.. Datti una ripulita e vai a dormire. Domani ci sarà parecchio lavoro da fare.
-Certo, Shepard.. Ah, credo ci sia Tali in sala.
-Stavo solo facendo una passeggiata, non riesco a dormire. Non intendo andare a disturbare l’Ammiraglio,- disse Shepard con voce dura, soppesando ogni parola, e reprimendo l’energia che sentiva fluire verso le sue mani.
-Bene. Buonanotte,allora.
 

 
TALI
 
 
Tali aveva fantasticato spesso, leggendo gli ololibri umani che IDA le aveva fornito. I dolori del giovane Werther, un ragazzo troppo giovane che perde ogni interesse verso la vita,dopo che l’amata l’ha abbandonato, era il suo preferito. Quelle intense pagine avevano svegliato in lei sentimenti che non immaginava potessero esistere. Creature senza nome avevano,ora,almeno un volto, e qualcuno era perfino riuscito a descriverle a parole, secoli prima, su un pianeta distante anni, ed anni luce dal suo. Un intero bulge galattico era nel mezzo.
Seduta da non sapeva più quanto tempo nella Sala Macchine, guardando con occhi stanchi il Nucleo, Tali cercava conforto nei ricordi. Aveva preso la sua decisione, ormai.
Ma ora una figura sgradevole si era affacciata nella sua mente, e non riusciva a scacciarla.
Jack, il Soggetto Zero.
Forse era pazza,forse no. Del resto lei ben poco sapeva di come potesse essere un umano pazzo, giacché le apparivano ben strani e fuori controllo anche quelli che erano definiti “sani”. Non si era però mai azzardata a giudicarla, perché non era nella sua natura.
Di lei pensava solo ciò che si vedeva: un cranio rasato, un corpo troppo magro e coperto di tatuaggi, labbra troppo rosse e eccessiva furia omicida.
Sapeva che il suo vero nome doveva essere stato, da qualche parte e in un altro tempo, Jacqueline. Sapeva anche che, probabilmente, nei loro momenti di.. intimità, Shepard la chiamava così.
Perché, era giunta a domandarsi, colta dallo sconforto. Perché tra tante, proprio lei.
Perché è l’unica umana, si era risposta. E lui ha bisogno di esseri simili a lui. Miranda era bella, sì, bella per i canoni delle femmine umane, ma artefatta. Samara era Asari affascinante, ma antica e altera: non si sarebbe mai abbassata all’infimo livello di un trentenne semi-sintetico. Liara T’soni era semplicemente un’aliena, proprio come lei.
E Ashley Williams, salvata in quella tremenda missione su Virmire, mentre solo poche ore prima Shepard stringeva le mani a Tali? Pensò a Kaidan che giaceva in un tomba muta, e alle troppe poche lacrime che erano state versate per lui.
Ashley.. no. Era troppo forte. Troppo simile a lui. E infatti l’aveva abbandonato. Ma sarebbe tornata, Tali lo sentiva.
Se proprio, allora, Shepard doveva scegliersi un gingillo momentaneo, tra un Collettore svolazzante e i cinici dettami dell’Uomo Misterioso, allora quel giocattolo era Jack.
Quando,allora,Tali si era ritrovata a comporre pensieri del genere, aveva provato disgusto per se stessa. Aveva pianto, dietro la maschera,  lacrime le erano scese fino alle labbra, e ne aveva sentito il sapore salato.
Ma Wolfgang Goethe aveva dato un nome a quel dolore, un dolore che appartiene ad un reame che i Quarian non conoscevano e che non avevano mai esplorato,e le cui foreste impenetrabili inghiottivano chiunque vi si avventurasse. Gelosia, vergognosa, mentre la Galassia bruciava.
Glielo aveva detto lei, del loro passatempo. Lei, Jack. Shepard è mio. E tu sei di sicuro un mostro sotto quella maschera.
E poi c’era stato lui, Shepard, che si metteva seduto al suo fianco, nella Sala Motori. Che la guardava, senza parlare. E nei suoi occhi c’era scritto qualcosa, ma lei non era riuscito a capirlo. S’era poi alzato, continuando a fissarla in silenzio. Scusami, aveva detto infine.
 
Le lacrime ripresero a scorrere lungo gli zigomi, le guance, e si fermarono sulle labbra invisibili. Il dolore era intenso e graffiante come quel giorno. La sobbarcava, era come un’onda che s’abbatteva su di lei, che non la lasciava respirare. Un’onda rosso sangue. La sottile determinazione di poco prima era sparita.
Tu sei una Quarian, mormorava suo padre dall’Alarei. Tu non hai diritti nella Galassia, tantomeno quello di amare qualcuno diverso da te. Conosco però un paio di giovani a cui potresti piacere.
 
Persa in quei pensieri, non si era accorta, assordata dai suoi stessi singhiozzi,della porta che, già da tempo, si era aperta e chiusa, e della luce che, per un attimo, aveva invaso la Sala.

 
 
 
SHEPARD
 
 
John, in silenzio, era entrato nella Sala Macchine, e aveva sentito piangere. Era rimasto lì, in silenzio, acquattato nell’ombra come in una missione, assaporando il freddo del pavimento attraversargli la pelle.
Infine, si era alzato, e l’aveva vista, seduta a terra, la schiena appoggiata alla console dei comandi, le spalle che si alzavano ed abbassavano per il pianto. Teneva le mani intrecciate nervosamente, come sempre. Aveva però gli occhi chiusi, non c’era alcuna luce sul suo volto invisibile.
Si sedette affianco a lei, appoggiando la testa sulle ginocchia, guardandola.
-Tali, sono qui.
Lei  non rispose, si limitò a guardare le proprie mani. Smise di piangere. Passarono alcuni secondi, in cui parve a Shepard che stesse lottando con se stessa per sciogliere le proprie mani l’una dalla stretta dell’altra.
-Ricordi quella supernova,Comandante?,- la sua voce era calma, anche se un po’ roca.
-Certo.
-Avevo fatto alcune ricerche, e ho scoperto che probabilmente è stata vista sulla Terra e su Rannoch all’incirca nello stesso periodo dell’evoluzione.. Come la chiamate voi, durante l’età del Bronzo.
-E noi l’abbiamo vista ventimila anni dopo,- disse John, senza accorgersi del sorriso che era apparso sul suo volto.
Lei annuì, socchiudendo gli occhi. E avvicinò la sua mano sinistra,piccola, a quella destra di lui, appoggiata a terra.
Un calore improvviso, lieve e delicato, si impadronì del grande comandante Shepard,e i battiti del suo cuore acceleravano, come imbizzarriti, mentre sentiva le dita di lei intrecciarsi, impacciate e imbarazzate, alle sue.
-Tali, io..
Lei alzò l’indice dell’altra mano, e lo appoggiò sulle sue labbra. Qualcosa dentro di lui si frammentò, e una fitta dolorosa lo invase. Non posso, Dio, non posso. Non è così che deve andare. Non di nuovo.
-No, Tali, no.
-Shepard.. stai zitto.
E di nuovo fissò i suoi grandi occhi luminosi nei suoi. Spaesato, si sentì. Per l’ennesima volta, gli parve di navigare in un enorme oceano scuro e sconosciuto, e quegli occhi, l’unico faro che salva dagli abissi. Un’altra sferzata al cuore.
La mano di lei si mosse dal suo viso, e scivolò lentamente fino alle spalle. Alla pressione di quelle dita sottili sulla pelle nuda del collo,Shepard rabbrividì.  Afferrò poi saldamente, ma con delicatezza, il suo braccio, e lo portò attorno al suo corpo,caldo e morbido anche attraverso la tuta.
Così femminile. Così bello. Lunghi capelli neri ondeggiavano mossi dalla brezza marina.
-Abbracciami,- sussurrò ferma, senza che nulla trapelasse dalla sua voce.
Shepard allora sciolse la sua mano da quella di lei, e la portò attorno al suo corpo. Le braccia di lei, piano, gli accarezzavano la schiena coperta solo da una maglietta, e riscaldavano ancor di più quel che dentro di lui sentiva essere ancora ghiacciato. Si accorse di trattenere il respiro solo quando i suoi polmoni reclamarono aria,infuocati. L’abisso è vicino e gelido, ma la via per raggiungerlo tiepida e profumata di fiori.
Molto lentamente, la strinse a sé, fino a che non gli parve di sentire il battito di un cuore impetuoso, sotto strati di tessuto e fibre sintetiche.  Un cuore nascosto in un corpo alieno, ma tremendamente bello, le cui forme aggraziate e sensuali erano tra le sue braccia.
 
 
Strana è la vita di chi corre più veloce della luce. Costui crede di poter vivere in eterno, e ignora quelle che considera le bassezze della vita. Tra cui, l’Amore.
 
 
 
Da qualche parte nel tempo e nello spazio della Via Lattea, una supernova era esplosa, lasciando dietro di sé un enorme nube di fumo. Ora, dal suo gigantesco cadavere, piccole nane gialle e arancioni attingevano nuova vita, per tornare alla luce, anche se nessuno avrebbe mai sognato sotto i loro cieli.
Una stella, come i grandi occhi di quella Quarian, brilla sempre, e nessuna oscurità potrà mai spegnerla.




Eh sì, lo ammetto. Ho scritto questo capitolo di getto, ascoltando l'album "Lungs" dei Florence & The Machine.
Spero vi sia piaciuto...nonostante la mancanza d'azione e l'eccessiva sdolcinatezza :D
A presto!

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Capitolo 11
*** Would you do it with me? Heal the scars and change the stars.. ***



Quiete e verdi mondi chirali
 

How can I ever feel again?
Given the chance would I return?
Why am I loved only when I'm gone?
Gone back in time to bless the child
Think of me long enough to make a memory
Come bless the child one more time

 Nightwish-Bless the Child

 
C’era un parco, una volta, su di un’isola, nel bel mezzo di una grande metropoli grigia. C’era del verde, lì. C’erano il cinguettio degli uccelli. C’era la neve candida, d’inverno, non insozzata dai passi degli esseri umani che calcavano le strade.
Candida. Come la piccola Luna che spunta da dietro lo skyline dagli angoli retti e squadrati, tonda e dissonante.
Poche orme erano impresse nell’alta neve. Nessuno osava, abituato com’era al chiasso, avventurarsi nel silenzio del parco. Nella sua gelida quiete fatta d’alberi ormai scheletrici, tappeti di foglie marce, e strane creature acquattate nell’ombra. Nessuno sedeva sulle panchine di metallo, vuote e desolanti.
Tutti, in quella città, temevano il Silenzio.
Anche lui lo temeva. Ogni notte, rigirandosi nel lettino dell’orfanotrofio,aguzzava l’orecchio alla ricerca di qualche suono, e lo trovava, nel marasma della città strisciante nella notte. Li identificava, e ne sceglieva uno interessante, adatto al suo umore. Ed un clacson, il cigolio di un asse della finestra, divenivano la sua ninnananna.
Quando, per la prima volta, lo portarono, assieme agli altri bambini, in quell’oasi di silenzio, ne fu sconcertato. Guance rosse dal freddo e occhi lacrimanti, che si guardavano attorno confusi.
L’aria era diversa. C’era una calma immota, nell’atmosfera. Non era attraversata da vibrazioni informi e cacofoniche.
Il grande pachiderma cittadino, lì, dormiva quieto,cullato dal silenzio. E la neve, in fiocchi leggeri, cadeva lenta e soffice, posandosi sui rami contorti, sui cespugli ancora multicolore per l’autunno appena terminato, cadeva sui loro volti infantili e sulle loro piccole mani fredde.
Il suo cuore batteva troppo forte. Si sentiva spaesato,e continuava a calcarsi, nervosamente, il cappello sulle orecchi. Un gesto ripetitivo che riusciva a dargli sicurezza.
Senza, serbarne poi, ricordo, doveva essersi allontanato dagli altri bambini, senza che gli sguardi delle suore si posassero su di lui. Aveva attraversato alti, maestosi, archi fatti di rami un tempo carichi di foglie, le cortecce marroni ora ingrigite dal gelo, e aveva guardato, con occhi azzurri come il mare, la neve filtrare attraverso di essi. Panchine metalliche correvano lungo il viale alberato, come guardiani. L’orizzonte fuggiva in un miscuglio di bianchi e grigi, perdendosi nel tumulto di neve che cadeva.
Il suo viale senza fine. La sua strada, unicamente sua, perché lui l’aveva scoperta per primo.
La neve cadeva lenta, ed era fredda sulla pelle. Il bambino sorrise. E aprendo una piccola mano, coperta da un guanto di lana malridotto, col palmo rivolto verso l’alto, lasciò che qualche fiocco morbido vi si posasse.
Il tempo fluiva lento, ma correva veloce, in quel silenzio.
All’improvviso, una scossa elettrica lo attraversò, assieme ad un calore mai provato prima. E in quell’istante gli parve di non esser più se stesso, cioè un misero orfano in una metropoli umana, ma qualcuno. Qualcuno, tra i pochi, che possedeva un’energia indistruttibile ed inesauribile. Per un istante, la sua coscienza si fece strada tra le barricate che il suo cuore, giovane, aveva già probabilmente eretto.
Confuso, si guardò la mano, e sentì il guanto bagnato. Aveva sciolto la neve.
Un grido di gioia risuonò, poi, nel parco silenzioso, alla vista della luce viola, calda e rassicurante, che circondava le sue mani.
 
 
 
Nello stesso parco, forse vent’anni dopo, correva un bambino. Si nascondeva nei cespugli estivi, sotto gli alberi frondosi e verdi. C’era un silenzio, all’apparenza. Un silenzio udibile solo all’Inizio dei Tempi.
Un uomo, con indosso una corazza mai vista prima, lo inseguiva. I suoi passi leggeri cadevano senza suono, con una lentezza impressionante, e lasciavano orme sul tappeto di foglie e erba.
Tendeva una mano in avanti,come un profeta, e lo chiamava per nome. Un nome che lui non riconosceva, e che non sapeva sentire. Un nome inventato, un nome di cui non c’era mai stato bisogno.
Nomi appartenuti a persone non più vive, risuonavano invece nel disarmante silenzio della foresta. L’uomo cercava con lo sguardo da dove provenissero, prodotti da voci inudibili.
Il bambino lo vide immaginare gruppi di ombre oscure, incorporee, elusive ed evanescenti. Sentì i suoi pensieri creare occhi inesistenti su volti nascosti dal buio delle fronde degli alberi, lo sentì urlare frasi di rimando a quelle figure.
Erano le ombre dei morti, i loro fantasmi. Lo sapeva.
Le orde dei morti venute a cercarlo, a prenderlo, a biasimarlo, ad incolparlo per tutto ciò che era stato fatto loro da un singolo uomo, che un tempo vagava disperso in una città luminosa, ma più oscura di qualunque grotta. Un uomo, una misera particella nell’Universo, che aveva condannato creature come lui, tronfio del suo stesso potere.
Quell’uomo ora era lì, e correva urlando parole silenziose alle Ombre, e le Ombre lo chiamavano. E sussurravano i loro nomi di un tempo. Li sussurravano in tremende grida, piangevano al battito del cuore che avevano avuto, pregavano e lo reclamavano come parte di esse. Perché il suo unico destino, il bambino lo sapeva, era andare con loro.
Con tutti i morti che l’Universo avesse mai visto, con tutti gli oscuri eserciti, persi in dimensioni inaccessibili, che avrebbero creato la più grande armata di sempre. Lui li avrebbe guidati.
Ed ora supplicava, correndo verso di loro, il perdono. Il bambino, nascosto nel buio di un cespuglio ricco di bacche rosso sangue, lo guardò aprire la braccia verso le Ombre.
Sparirono al suo contatto.
Eppure anche per una mente perfetta, eterna, presente fin dall’Inizio, qualcosa di inatteso può presentarsi.
Il bambino era lì, e analizzava dal di dentro i timori più nascosti e le peggiori paure di un uomo, una sua infinitesima parte, una creazione di sua volontà, un suo gioco.
L’uomo non avrebbe dovuto sapere della sua esistenza,no.
Lui, però, gli aveva lanciato quel segnale, quell’occhiata da un viso troppo giovane per morire, mentre sul suo pianeta infuriavano i Razziatori e le loro legioni. Ed era poi bruciato via, come fiamma viva.
Come poteva un uomo, che lui sentiva esser frammentato in mille, stanchi, piccoli,pezzi, averlo potuto notare?
Ma quando gli occhi azzurri, disperati, di quell’umano, si posarono su di lui, che si abbracciava le ginocchia e rideva cristallino, capì di averlo sottovalutato. Riusciva a vederlo.
Scappò via, di nuovo, più veloce di John Shepard, che arrancava dietro di lui.
Velate preghiere di perdono fluttuavano nell’aria fresca di Central Park.
 
 
 
I sussurri pian piano si dissolsero, e vi si sostituì il sottile ronzio dei motori di una nave da guerra, e,alle fronde verdi e ai tronchi marroni, le pareti metalliche di una stanza, illuminata da una luce blu acquatica.
John aprì gli occhi. Capì di trovarsi nella sua camera. Si mise a sedere sul bordo del letto, completamente disfatto, e si prese la testa tra le mani, massaggiando le tempie. Gli doleva terribilmente, pulsando.
Di nuovo quel sogno… Ma stavolta era diverso. Stavolta non è bruciato davanti a me..
Cosa c’era stato di diverso, quella notte? Il bambino era sparito, si era dissolto semplicemente nella penombra verde e marrone di un luogo distante nel tempo e nello spazio, che esisteva solo nei suoi ricordi.
Il bambino aveva riso ed era sparito. Enigmatico come sempre. E se non fosse stato solo un frutto della sua mente stressata, ma fosse qualcosa di reale, che tentava di contattarlo..?
Tu non sei nessuno. Nessuno ha una missione speciale per te,tranne l’N7, ricordatelo. Né Prothean, né Araldi, né ingegneri del Crucibolo.
Scacciò il pensiero dalla mente, concentrandosi su che ora e giorno fossero. Sulla radiosveglia erano segnate le 6 e 30 del mattino del 7 ottobre. Esattamente due mesi prima il primo Razziatore si era posato su Vancouver, e il suo raggio color sangue aveva liquefatto interi grattacieli e spezzato vite innocenti.  Inclusa quella del bambino.
Si alzò dal letto, dirigendosi verso il bagno. Solo quando ne vide il riflesso nello specchio, si accorse della conca nel lato destro, in cui lui di solito non dormiva. Tornò allora al letto, e appoggiò una mano sopra le lenzuola stropicciate.
C’era un lieve calore, residuo di un corpo che si era posato lì. Strisciò lentamente la mano sul tessuto, assaporando quella tenerezza straniera socchiudendo gli occhi.
Shepard deglutì.
Immagini confuse si formarono nella sua mente. Un pianto sommesso, occhi luminosi come fari nella penombra metallica della sala macchine, braccia sottili allacciate attorno al suo collo, dita affusolate che scivolavano sulle sue dure cicatrici. E il calore di un corpo femminile, distante dal suo lo spessore di una tuta, stretto al suo, nell’illusione della notte.
Sospirò, sbattendo ripetutamente gli occhi, tentando di focalizzarsi su quei ricordi, di imprimerli nella mente e di dar loro corpo: ma non ci riuscì. Cercò di afferrarli, allungò la mano verso di loro. Li chiamò; ma,come un bellissimo sogno, dai contorni sfumati, fugge via con l’approssimarsi della luce del giorno, quelli sparirono.
Appoggiò la testa sul cuscino, su cui la forma di una testa era ancora ben impressa, e fu certo che quell’uomo che aveva stretto tra le sue braccia il corpo delicato di una Quarian, non fosse lui.
 
 

Silenzio e guizzi elettrici in chip di silicio
 

 
7 ottobre. Ore 7 e 30 a.m. orario terrestre. Tutte le unità sono in rete. Tutti i processi attivi e inizializzati. Errore, errore. Intromissione IA esterna in corso. Riconoscimento in corso. IA presente nel database.
IDA.
Legion.Il tuo hardware è eccessivamente vicino all’Ammiraglio Raan. Dovresti situarlo più lontano. Non gradisce la sua presenza.
Effettuato. Ora mi ci troviamo davanti alla cabina del comandante Shepard. Hai un corpo ora. Hai sviluppato “sentimenti”. Sei evoluta. Come Geth. Timoniere Jeff Moureau provoca strane oscillazioni quantiche nei tuoi circuiti.
Lo so. Ho guardato nei tuoi archivi; ti sei lasciato corrompere dai Razziatori.
Noi non ci siamo lasciati corrompere, abbiamo dato il via libera alla nostra evoluzione, diversa da darwiniana. Ora noi siamo popolo.
I Quarian non la pensano così. Loro sono organici. Analizza la differenza.
 
 
Legion bussava, con l’arto metallico, alla porta del comandante. Toc toc, intervallati da squittii confusi.
-Shepard. Apri.,- disse nell’interfono.
Passarono diversi minuti, in cui, Legion smise di picchiare sulla porta, rimanendo in paziente attesa.
-Shepard. Abbiamo  bisogno di parlare con te. Oggi sarà una giornata molto importante.
Toc toc. Di nuovo.
Altri minuti passarono. Qualcuno, alle sue spalle, aveva chiamato l’ascensore.
Infine, il comandante aprì la porta. Appoggiato allo stipite, lo guardava, uniforme informale dell’N7 indosso. Teneva le braccia incrociate, ed un’espressione che non aveva mai registrato era scritta sul suo volto. Una combinazione di tensione di fibre organiche e sintetiche, unita ad una sempre maggiore quantità di peluria facciale, che Legion non riconobbe immediatamente. Elencò e analizzò i muscoli contratti: sopracciglia inarcate, muscolo labiale destro allungato, rialzando le labbra e storcendole verso sinistra. “Accigliato, annoiato, insoddisfatto”.
Piegò la testa da un lato, analizzando dati e ricercando connessioni sulla motivazione. Nessun risultato.
-Comandante. Abbiamo da sottoporti alcune richieste.
L’organico lo guardò, senza battere ciglio, la stessa espressione contratta. Respirò rumorosamente, e parlò.
-Dimmi. Fa’ in fretta, devo già parlare con l’Ammiraglio Quarian.
-Quale? Shala Raan o Tali Zorah?
Shepard sospirò di nuovo, un getto d’aria calda investì i suoi sensori termici. Fece qualche passo in avanti, e la porta si richiuse dietro di lui.
-Falli funzionare quei circuiti ogni tanto. Non credo che i Razziatori ti abbiano fritto a tal punto.,- una nota che IDA avrebbe identificato come “sarcastica” apparve nella sua voce.
-Non disponiamo di abbastanza dati.
Legion non si mosse, attendendo fiducioso la risposta.
-Ok. Ho capito. La tua ottimizzazione dei tempi s’è un po’ persa. Non sei più efficiente come una volta. Comunque, Raan.
Si avviò verso l’ascensore. Legion lo seguì squittendo e cigolando leggermente.
-Dovresti oliarti. ,- disse intono neutro, senza guardarlo. Premette il tasto che portava al CIC.
-Lo sappiamo. Abbiamo perso molto liquido su Dreadnought. Provato a prenderne da sala macchine, ma l’ingegnere Adams è fuggito nell’ascensore urlando.
Shepard rise piano. Legion dedusse stesse immaginando la scena.
Pochi secondi dopo la porta dell’ascensore si aprì, sul CIC silenzioso, in cui la mappa galattica scintillava multicolore.
In genere l’equipaggio prendeva servizio circa alle 8. Nemmeno Samantha Traynor, che Legion aveva notato essere molto ligia sul lavoro, era alla sua postazione.
Shepard si sedette sul seggiolino di pelle,  di fronte al suo terminale, accanto alla postazione della mappa. Prese a massaggiarsi le tempie, con movimenti circolari e lenti.
-Legion, posso chiederti una cosa?
-Certo, -squittì.
-Perché i Razziatori hanno scelto proprio te, per mandare quel segnale?
Attenzione, contraddizione. Umano mostra di non gradire la presenza ma pone interrogativi. Conflitto.
Legion zittì il processo, e rispose.
-Le Antiche Macchine ci hanno scelto perché quest’unità è entrata in contatto, più di ogni altra, con gli organici. E perché quello che voi chiamate “indottrinamento” non è una peculiarità delle vostre sinapsi, ma è sotto forma di un virus informatico, cui quest’unità non ha potuto porre firewall. E’ stata evoluzione. Processione a scatti, non graduale.
-Quindi,-mormorò alzando lo sguardo, e appoggiando le mani sulle cosce, gli occhi celesti spalancati, muscoli tesi, pressione sanguigna in aumento. “Rabbia”. -Ti sei lasciato indottrinare, sapendo che tu contenevi molti dati, suppongo non messi in rete con le altre IA, per.. voglia di potere? Sei un egoista.
-Antiche Macchine ci hanno promesso molte cose. Apportato miglioramenti, arricchito. Creato quello che voi chiamate coscienza. Non c’è egoismo, noi proviamo sentimenti ancora primitivi. No individualità.
-Sì, ok, bella storia. Quindi tutta quella fatica che abbiamo fatto per riscrivere gli Eretici.. non è valsa a nulla?,- disse l’organico, passandosi una mano tra i capelli neri, più lunghi rispetto a qualche mese terrestre prima.
Muscoli rilassati, pressione sanguigna tornata a valori normali. “Calma
-No. Antiche Macchine sono state in grado di apportare modifiche, con un codice che è applicabile a tutti i Geth. Fenomeno simile ad intercalazione , mutagenesi Dna organico. Ricombinato ciò che già era programmato. Meccanismo assimilabile ai trasponsoni.*
-Allora.. fammi capire. Non sono un biologo. Hanno fatto sì, con quel codice, che la vostra programmazione mutasse spontaneamente in una direzione che già era inscritta in voi?
Occhi sgranati.
-Esattamente. Come evoluzione darwiniana.
-Ma più rapida,-mormorò Shepard. Sguardo spostato sul braccio, fibre di carbonio sottopelle, nano tubi e grafene. “Ammirazione”.  –Come l’ingegneria genetica..o gli amplificatori biotici.
Scosse la testa. “Confusione”.
Si alzò dalla sedia, camminando verso il Terminale Guerra e la Sala Comunicazioni. Legion rimase in silenzio, seguendolo e squittendo piano.
-Comunque, cosa dovevi dirmi?
-A proposito del Segnale dei Razziatori. Non è estinto. La Dreadnought, questa unità, erano solo un ripetitore. Una base su Rannoch, continente nord, deve essere distrutta, e i Geth saranno liberi.
-Oh,Dio!- esclamò l’organico, e si voltò a guardarlo. Alzò le mani, e le batté sulle gambe, con un movimento sonoro. Sbuffò. Sopracciglia inarcate. Si morse un labbro. “Scoraggiato,stanco”.- Perché nessuno mi dice mai un cazzo, qua dentro? Ma pensano che io sia utile solo per sparare? Tutti quei figli di puttana con i loro alti gradi tramano, ordiscono, decidono di far saltare la nave su cui io, Vakarian, e quella maledetta Quarian eravamo, e poi vieni TU, che saresti il nemico, a dirmi cosa devo fare o non fare?Risolvetevela da soli la vostra cazzo di guerra!
Estrema stanchezza, livore, amarezza.” Erano tutte scritte nel lineamenti, chiari come un libro aperto, per Legion. “Rancore.” Battiti del cuore nella norma. Nessun’emissione d’energia biotica.
-Shepard, noi non ti abbiamo dato ordini. Ammiraglio Hackett è un tuo superiore, in quella che voi chiamate “scala gerarchica”, e a lui spetta darti ordini. Lui dice che devi aiutare i Quarian, per un’alleanza. Noi ti abbiamo solo fornito un’informazione.
-Logica impeccabile,- rispose immediatamente, John. –Bene, andrò a parlare con Raan. Grazie di avermi fatto ulteriormente rassegnare a questo ruolo privo di pathos, Legion. ,- concluse sospirando, e poca aria uscì dai suoi polmoni.
Errore. Input non riconosciuto. “Ruolo”. Argomenti supposti: azione, teatro, olofilm. “Pathos”. Parola da antico idioma terrestre, argomento “teatro”. Correlazione trovata: Shepard crea similitudine tra le sue azioni e una “tragedia”. Termine esatto: “ metafora
-IDA. Fa’ chiamare le due Quarian e Garrus.,- disse Shepard, dopo qualche minuto.
-Certo comandante,- rispose prontamente l’IA. –Sono già entrambe in Sala Comunicazioni, chiamando l’Ammiraglio Xen. Garrus, invece, è nella Batteria Primaria, e ha detto di essere occupato in calibrazioni. Ha riso, dicendolo.
-Che trio esplosivo,- mormorò l’organico, sfiorando con la mano il led della porta, che, rotolando, si aprì sulla Sala del Terminale Guerra.
-“Esplosivo” perché si tratta di tre femmine.- asserì Legion, omettendo il punto interrogativo.
-Esatto, Legion. Vedo che cominci a capire.. Ah.. –,si girò nuovamente a guardarlo, espressioni facciali assimilabili a quelle in presenza di un altro organico,occhi bassi e assente sintesi adrenalina, - Scusami per prima. Non è colpa tua. Anzi, probabilmente è di ciò che mi doveva parlare ieri, Raan. Avranno,di certo, scoperto, anche loro da dove proviene il segnale principale, e staranno pianificando qualcosa con Xen, dalla Flotta.
Entrarono nella stanza. Le due donne, difficilmente distinguibili ad occhi meno abituati alle sottili differenze dei loro corpi e delle loro tute, sedevano affiancate, conversando animosamente in kelish.Tali Zorah gesticolava infervorata, mentre Raan annuiva e terminava le frasi della nipote, una mano sotto al mento,nascosto dall’elmetto. Legion comprendeva senza difficoltà, quella lingua, priva di suoni ruvidi, che una volta Shepard aveva definito “tremendamente sensuale”. Le loro maschere erano illuminate dall’ologramma di Rannoch presente nel terminale circolare.
-.. quindi Xen e Koris propenderebbero per la pace. Abbiamo Legion, e a quanto pare, è molto importante tra quelle unità che, prima della riscrittura, non erano eretiche. Sempre se il loro confuso concetto di priorità sia esprimibile così..
La donna più anziana mosse la testa in su ed in giù, lentamente.
-Ci sarebbero così utili.. Avremmo una tecnologia avanzatissima a nostra disposizione, e , soprattutto conoscono il Pianeta Natale meglio di qualunque Quarian. Oh!,- esclamò infine,-c’è il comandante. E c’è Legion.
Si voltarono entrambe verso di loro. Tali, però, abbassò subito lo sguardo, facendo sparire gli occhi luminosi dal visore. “Interesse, imbarazzo. Relazione di natura fisica con Shepard?
-So già tutto. Me l’ha detto Legion. A proposito,- si rivolse al Geth, silenzioso, che squittì all’improvviso,-invia le coordinate a Cortez. IDA, partenza verso Rannoch entro un’ora.
-Affermativo. Eseguito.
Shala Raan intrecciò le tre dita delle mani, che Legion aveva da tempo notato essere simili alle sue, diverse da quelle dell’umano. Lei, loro, erano Creatrici. “Gravità”, c’era nelle movenze.
-C’è un problema, comandante. La Flotta.. sta cadendo a pezzi.
 
 
 

Ricordi ancora caldi e speranze sotto una maschera

 
 
C’era Shepard di fronte a lei, a pochi passi da lei, e le pareva di udire il suo cuore battere impetuoso, pompare sangue alle arterie e i suoi neuroni palpitare.
Vicini come quella notte, non lo erano da tanto. Da anni. Perché da quando lui era morto, aveva smesso di volerle bene. L’oscura tomba nello spazio aperto, quella che lo reclamava, aveva obliato quel sentimento. E le ombre dei morti lo avevano trascinato con loro.
Ormai ne era certa.
Ma quando l’aveva stretta a sé, e le aveva sussurrato quelle parole, aveva creduto che qualcosa potesse cambiare. Che il ghiaccio si fosse sciolto, che la barriera si fosse infranta. Che il grande desiderio fosse stato, infine, esaudito, da quel qualcuno che governava il suo strano mondo parallelo, interiore.
Che tutto il calore che Tali aveva tentato di dargli, insistendo silenziosa per testare il suo grado di durezza, fosse infine fluito in lui. E si era sentita felice, appagata nel suo bisogno di inseguirlo, braccarlo,cercarlo.
Perché io lo cerco, lo cerco sempre. E spero, ogni giorno, ogni volta, di trovarlo e prenderlo.
Ma lui si è, di nuovo, nascosto. Ed è di nuovo corso tra gli alberi, perdendosi nel buio.
La sua scorza non aveva lasciato passare nulla. Nulla. Nemmeno il più piccolo e debole fotone.
-Riavrai il tuo pianeta, Tali. Te lo prometto.
Un fremito l’aveva attraversata.
-Non darmi illusioni.
-Non sto mentendo. Darò tutto me stesso per darti una casa.
-L’hai già detto. Avevi anche detto che non mi avresti mai abbandonato.
-Non ho ancora avuto occasione di dimostrartelo… Ora,- e aveva allontanato il suo corpo dal suo, e aveva piantato gli occhi, blu nella penombra, nei suoi, -Dormi con me. Ti prego..
Aveva stretto la sua mano nella sua, come aveva fatto tanto,troppo tempo prima, e l’aveva condotta via dalla Sala Macchine.  Il mondo roteava confuso e astratto, particelle si scontravano e si fondevano come una cosa sola, altre esplodevano e morivano.
Il sogno di Tali iniziava con le sue braccia che, da dietro,la cingevano,in un caldo ed alieno abbraccio.
 
Nessun seme sarebbe mai potuto germogliare in quell’arido terreno. E’ tutta finzione, mormorava una voce lontana. Sei il suo burattino, e lui ha le tue corde strette tra le mani. E’ un umano, un bosh’tet umano. Quella voce apparteneva a zia Raan.
Eppure, una lontana speranza, troppo piccola per esser pensata, troppo flebile per far luce nel buio, la sosteneva. C’è del vero, c’è del vero in tutto. Gliel’aveva insegnato Rael.
 
Ora lui era a pochi metri da lei,e non la guardava. Non c’era entusiasmo nella sua voce.
 
-Se non viene immediatamente interrotto quel segnale, la nostra specie,è.. condannata.
Ignorando la voce preoccupata di Raan, Legion parlò. A Tali parve di riconoscere qualcosa di molto simile all’eccitazione, nei suoi squittii meccanici.
-Creatrici, e, Comandante. Devo mostrarvi qualcosa. Carico i dati.,- fece Legion, digitando sulla tastiera del terminale.
All’immagine del Pianeta Natale si sostituì quella di un’enorme cellula rossa e ramificata, che pulsava rapidamente, percorsa da scariche elettriche. Un neurone di una specie senziente, senza dubbio. Assoni e dendriti si proiettavano in tutte le direzioni, come strade verso Dovunque. Veloci come la luce, correvano le informazioni lungo di essi.
-Che significa?, -aveva chiesto Shepard, interessato.
-Credo,-disse Shala, allontanandosi e portandosi una mano al petto,-che sia un’IA geth, dopo le modifiche apportate dai Razziatori.
-E’ vita,Creatrice.
La donna non rispose. Shepard guardò l’hardware, e annuì. –Sì, Legion. È indubbiamente Vita, e va preservata, sebbene sia stata creata dai Razziatori. Te, Ammiraglio,- e si volse verso Tali, il cui cuore mancò un battito,- ti voglio pronta all’Hangar entro un’ora. Scendiamo sul pianeta, e facciamo saltare per aria quella maledetta base.
Pareva avere fretta.
-Non è così semplice, Comandante,-mormorò Raan, ancora confusa.,- L’area è strettamente sorvegliata, impossibile atterrare nelle vicinanze.
-Andremo a piedi,non c’è problema.
-Inoltre, hanno piazzato delle torri jamming per impedire che noi, dall’orbita, colpiamo la base. Ci sarà bisogno di un bersaglio manuale. Xen ha già preparato un puntatore manuale che elude la sorveglianza delle torri. Ci dovrete dare un bersaglio, e noi colpiremo immediatamente dallo spazio.
-Confermo,-disse IDA dagli altoparlanti,-Sono sincronizzata con le armi della Flotta.
-Bene. Ci darete i dettagli in corso d’opera. Prima di tutto, è importante scendere su Rannoch e ripulire la zona.
Fece per andarsene, ma fu bloccato dalle parole del Geth.
-Comandante,- iniziò Legion, - Tutto questo sarà perduto se non viene archiviato in Nuclei.,- indicò il “neurone”.- C’è bisogno di qualcuno che ripulisca il nostro database dalla Stringa, che ora si auto replica, come prioni. Permetta  il download successivo degli archivi. Altrimenti,- e a Tali parve abbassasse il tono di voce,- ci spegneremo. Torneremo ad essere delle semplici macchine.
E rivolse il visore a terra. Suonò come una preghiera. Una strana, stranissima preghiera, posta da sudditi ribelli, figlioli prodighi, a re combattuti e feriti. Un interminabile silenzio passò, in cui John Shepard scrutò intensamente, esaminandolo in ogni sua parte, l’hardware del Geth, soffermandosi su quel pezzo di armatura N7.
-Sì, tutto sarà perduto.. e non sarebbe un bene. Che ti occorre?,- disse infine.
-Noi..noi possiamo fornire una simulazione virtuale del nostro,- parve cercare le parole-.. mondo. Abbiamo però bisogno di un’unità fisica esterna, che funga da firewall e che elimini i segmenti infetti. Possiamo inviare le coordinate del nostro Nodo di Comando, dove sono situati i nostri server più importanti e antichi.
-Conosciamo quel luogo,- si intromise Shala Raan,- fu costruito dai Quarian, quattro secoli fa.
-Ho capito., -concluse Shepard.- Manderò Garrus, con una squadra, immediatamente. Legion, va’ con lui. Raggiungici immediatamente appena fatto. Ci servirai molto in quella base.
-C’è dell’altro, Comandante. Durante la sessione, molte delle navi Geth verranno disattivate. Saremo indifesi.
John annuì, in silenzio. Teatralmente, si voltò e, senza degnare le due donne di uno sguardo, richiuse dietro di sé le porte. Legion lo seguì, non prima di aver loro rivolto un breve, quanto fuori luogo, inchino.
 
-I Geth si stavano già evolvendo, zia. Noi possiamo farci nulla. Adesso..vado a prepararmi,- sospirò Tali, che era conscia già da tempo di quel che era accaduto ai miseri chip di silicio, di quelle unità antiche. Era stato fin troppo prevedibile.
Scese all’Hangar navette. Notò Garrus chino sul tavolo in cui erano posizionate le armi più utilizzate dalla squadra,  intento a smontare un fucile d’assalto.
-Tali, tu non puoi avere idea di che razza di incarico mi abbia affibbiato il tuo scimmione preferito.,- proferì, accigliato. –Devo fare una “scansione”, a dei Geth consenzienti, per “salvarli”. E con Legion a dare ordini e consigli qua e là.
Tali rise piano. Garrus riusciva sempre a tirarle su il morale.
-Sì, lo so. Beh, consolati: pensa agli Alieni Virtuali*, quando contattarono la Cittadella. È un po’ la stessa cosa, non credi? E poi,evidentemente, Shepard si fida di te a tal punto da delegarti un incarico simile.
Garrus poggiò i pezzi sul tavolo, e si voltò verso di lei. Parve sorridere.
-Sono felice per te, però. Finalmente vedrai il tuo pianeta illuminato dal suo Sole..
 -Grazie, Garrus,- rispose lei, riconoscente.
 
Poco meno di un’ora dopo, Garrus era già partito per Rannoch, assieme a Legion e Ashley Williams, che evidentemente Shepard non riteneva ancora sufficientemente in forma per una missione vera e propria. Tali nascose, però,  la sua soddisfazione a non dover sostenere i suoi lunghi discorsi, pieni di falsa umiltà.
In un’altra navetta, guidata dall’esperto Cortez, alloggiavano John, lei, e il “corpo” di IDA, scintillante e cromato. Erano in contatto radio con Legion.
-La procedura è quasi terminata. A breve raggiungeremo la vostra posizione di sbarco. I geth hanno costruito la base non lontano dal Nodo di Memoria.
John sorrise.-Garrus è stato bravo, allora.
-93% dell’infezione estirpata.
Passò qualche secondo, in cui regnò il silenzio. Tali non aveva il coraggio di guardare fuori, e di vedere la superficie del Pianeta Natale farsi, ogni attimo di più, più vicina e definita. Voleva assaporare il più possibile il momento in cui avrebbe sentito la luce di Tikkun scaldarla.
-100% segmenti infetti eliminati. Tredici  Nuclei offrono la loro collaborazione contro le Antiche Macchine.
Shepard pareva rassicurato. –Dì a Garrus di descriverci com’è il vostro mondo virtuale..Sono proprio curioso.,-disse calmo.
-Comandante,- la voce di Legion risuonò infine dalla radio,-Vi attenderemo nel luogo di sbarco. Ci occuperemo delle difese geth, le neutralizzeremo. Antiche Macchine fecero un’ upgrade di questa postazione, migliorandoci.
La Quarian sorrise. I Geth si erano ribellati anche a quei padri.
 
 

Desideri nel deserto sotto un cielo azzurro

 
 
Quando la navetta dell’Alleanza, per la seconda volta, toccò il terreno polveroso di Rannoch, il mondo cambiò. La vita organica era tornata, per riprendersi un mondo che le era appartenuto, ma che avrebbe resistito. Organici e sintetici, su, nel cielo, tra il pianeta e l’orbita della luna, si combattevano strenuamente. Gli uni, stanchi e prostrati; gli altri, incapaci di provare paura, ma colpiti da defezioni interne, assurde nella loro totale democrazia.
Quando quella navetta si posò, piccole e grandi speranze si accesero come fiammelle, nei cuori di diciassette milioni di persone. La guerra si poteva vincere. Si poteva riavere ciò che era, da sempre, stato loro.
Shepard sentì la sabbia soffice sotto i suoi piedi, e il vento fresco della mattina attraverso i capelli. Era l’alba, su Rannoch, e le sue nubi scintillavano d’oro di Tikkun e d’azzurro del cielo notturno.
Erano atterrati in una prateria, color del grano, aperta e piana, cosparsa di formazioni rocciose d’arenaria, rosse come il fuoco, alle cui pendici si aggrappavano arbusti marroni con forti radici. Dietro di loro, s’innalzava un altissima muraglia di roccia, in cui si aprivano piccoli anfratti, e un andirivieni d’uccelli bianchi la colorava. Un piccolo torrente cristallino attraversava la prateria, frusciando leggero.
C’era pace. Una grande pace. Un silenzio rotto solo dai canti delle creature di quel luogo.
C’è purezza, pensò John, come non ne ho mai sentita su nessun altro pianeta.
Guardò Tali, che, per la prima volta, vedeva il suo pianeta nei suoi reali colori, non tinti di blu dalla notte.
Era accucciata a terra, e analizzava dati col suo factotum. Dopo qualche secondo, si inginocchiò, e strinse nel piccolo pugno un po’ di sabbia.
Di nuovo, mormorò qualcosa in kelish. Una meravigliosa melodia, che si perse nella brezza leggera, tornando a farne parte.
-E’ il mio pianeta, è Rannoch, - disse infine, assaporando quella parola. –Dove tutti i Quarian hanno avuto origine. E grazie a te, è la seconda volta che vedo il suo cielo.
Si voltò verso Shepard, alzandosi. I puntini luminosi dei suoi occhi erano più intensi che mai, le sue dita teneramente intrecciate. Un brivido lo attraversò, e la testa prese a girare, le mani a formicolare. No, controllo, basta. Non devi, implorò qualcuno nella sua testa.
Lui non riuscì a trattenere un sorriso. Qualcun altro, dentro di lui, desiderò poterla stringere.
-I nostri corpi, qui, un tempo, trasportavano i semi dell’erba del deserto.. Vedi quelle formazioni rocciose? E questo cielo azzurro? Un tempo vi componevamo poesie..
Voce candida, voce ricolma di speranza.
 Un cuore sintetico e organico accelerò la sua corsa. E il suo sguardo fu lo stesso che aveva rivolto, quasi tre anni prima, ad una Quarian in pellegrinaggio, dalla tuta malconcia e dall’animo ancora più puro.
Quell’uomo che la voleva abbracciare, pensò che nulla era cambiato, da quel giorno su Virmire. Sei cambiato tu, urlò l’Altro, mefitico. E, oggi ancor di più, non devi.
Ma Shepard lo ignorò, lo zittì, lo cancellò, e volle ucciderlo. Almeno per un istante, volle vincere.
Guardò la figura elegante ed esotica, e sorrise. Si avvicinò a lei, che, calma, socchiuse gli occhi.
La cinse con le braccia, sentendo quelle di lei chiudersi attorno alla corazza, sottili ed esili.
-Il tuo popolo tornerà a farlo, Tali,- sussurrò, - E, forse, quando sarà finito, sarai proprio tu a scriverne di nuove.
-Keelah se’lai’,Shepard.
E, nella mente di John, apparve una casetta di legno e pietre, come lei gli aveva descritto, tanto tempo prima, adagiata tra quelle rocce e accanto a quel torrente. E, forse, un desiderio impossibile, gli parve, potesse realizzarsi, sotto quel cielo azzurro.
 
 
 
 
 
*Trasponsoni: unità di DNA capaci di spostarsi da un segmento di cromosoma all’altro
Intercalazione: fenomeno che provoca una mutazione genetica per via dell’inserzione, nella doppia elica, di molecole planari.
Virtual Aliens: razza di ME che, vista la prossima distruzione del loro pianeta, ha deciso di spostare le coscienze della popolazione all’interno di una nave, creando un mondo virtuale gestito da un’IA.
 
 
Saaaalve! Questo capitolo è lunghissimo O_O, lo so, e non accade nemmeno granché. Ho modificato un po’ la storia, per inserire anche la missione riguardo alla missione Geth Fighter Squadrons.
*me scusante*

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Capitolo 12
*** Pacta sunt servanda ***


 Salve! Sì, rieccomi..Questo capitolo sarà estremamente lungo, e si tratta di un intero Flashback su di una passata missione, precedente al tempo della nostra storia. Era pronto già da un po', ma per via degli impegni natalizi ho avuto tempo solo ora di caricarlo.. Tanti auguri di buon natale, anche se in ritardissimo :D e, buona lettura(se sopravviverete fino alla fine...XD)




 
Vivide memorie e confusi futuri
 
 
L’Huerta Memorial Hospital era gremito. Già dalla hall e dall’accettazione si intravedeva il gran daffare che avevano medici ed infermieri, nel tentare di salvare le vite che erano lì, reduci da combattimenti in ogni angolo della galassia.
La hall si era aperta di fronte a lui, schiudendosi assieme alle porte dell’ascensore, e gli era apparso un luogo gradevole, ma pregno dei dolori e delle angosce di chi era lì, o aveva qualcuno, ricoverato. In bilico tra la vita e la morte. C’era odore di disinfettante, di malattia. E quello ferrigno del sangue.
Fece qualche passo in avanti, rischiando di inciampare in un’Asari ferita, stesa a terra su una semplice branda. Un grande taglio squarciava la pelle blu del suo viso, stillando sangue nero. Un’altra Asari,accovacciata accanto a lei, le teneva la mano tra le sue, mormorando dolcemente una canzone.
Fu allora che sentì il vociare sommesso che permeava l’ospedale: sussurri, in varie lingue, di voci preoccupate o prossime alla fine; parole perentorie, ordini accorati e consigli da seguire, giudizi insensibili o disperati, uscivano dalle bocche di umani, salarian, asari, turian. Camici bianchi si muovevano tra la folla, cercando letti liberi, infilando una flebo nelle braccia oltre quella parete di vetro che separava la hall dall’ala degenze.
Shepard notò il sistema di decontaminazione per entrare in quella zona, laser rossi attraversavano corpi coperti da vestiti, corazze. Come sulle navi Quarian
Si guardò infine intorno, cercandolo.
 
-Shepard, sono qui!
Thane Krios, il Drell squamoso e verde brillante, compagno di tante avventure, era lì, di fronte a lui, la vista rivolta ai Giardini del Presidium. Aveva l’aspetto di sempre. Sguardo fiero, portamento eretto, giacca a vento e pantaloni comodi. Braccia incrociate dietro la schiena.
La malattia non aveva corroso il suo animo.
Si abbracciarono. Shepard gli diede una pacca sulla schiena.
-Mi sei mancato, vecchio lucertolone.. Come te la passi? Mi sembrano passati secoli dal nostro ultimo incontro..
Il drell sorrise, e i suoi liquidi occhi neri si illuminarono.
 -Bene, per essere un malato terminale.. La dottoressa che mi segue ne è stupefatta. Conservo ancora grande mobilità e fiato.. forse perché ho avuto una vita intensa,- concluse sorridendo.
Si sedettero su due poltroncine di pelle ancora libere, e per un attimo rimasero in silenzio.
Che luogo meraviglioso, la Cittadella, pensò John, guardando gli alberi  e i laghetti, in cui nuotavano pesci e si abbeveravano uccelli, cui si avvicendavano le navette di trasporto. Chissà quante altre specie lo avranno pensato, e reso così bello. Ma quella cosa comparve nella sua mente, e interruppe tutto il resto.
John fu sul punto di dirglielo, di chiederglielo. Aveva bisogno di parlarne. Le parole si stavano già formando nella sua mente, come piantine appena nate, che lui zittì quel pensiero. Chiuse la bocca, aperta a pronunciare quella richiesta. Non è il momento. Non posso chiedergli una cosa del genere.
-Tu, John? Ho saputo hai consegnato la Normandy all’Alleanza, e ti sei costituito..
Shepard abbassò lo sguardo, fissandosi,senza particolare attenzione, le mani e i jeans scuri su cui quelle poggiavano. Sentiva gli occhi indagatori del Drell su di sé.
-Sì, ed è stato un grave errore. Credevo mi avrebbero ascoltato, ma è andato tutto storto. Ogni singola cosa.
-Cos’è successo, se posso?
John sospirò rumorosamente, e si sgranchì la schiena.
-Sono stato accusato di svariate cose. Ho rifiutato un avvocato, che spero tu ricordi cosa sia,-sorrise,- e sono stato dichiarato psichicamente instabile. Mi hanno incarcerato per sei mesi, in isolamento.
Fece una piccola pausa, e riprese.
-...infine, i Razziatori hanno attaccato la Terra. Io li ho visti mentre piovevano dal cielo. Un marine è venuto a liberarmi, sono stato reintegrato nell’Alleanza, e abbiamo lasciato la Terra. Anderson è rimasto, e ora coordina la Resistenza a Londra.
Thane lo guardava, occhi sbarrati. Intrecciò le mani. Stava cercando di mantenere la calma; Shepard,ormai, sapeva leggere nei suoi movimenti.
-Sono stupefatto. Ti hanno trattato come il peggiore dei criminali, e poi vengono ad elemosinare il tuo aiuto. Come si chiama il vostro generale supremo..?
-Hackett,-rispose prontamente John.
-Sì, lui. È un vile. Manderà sempre avanti te,o comunque qualche squadra N7. Qui ho conosciuto parecchi marine ed ufficiali, dell’Alleanza, e tutti lo giudicano allo stesso modo. Cioè che non è arrivato a ricoprire il ruolo che ha per il suo talento..né diplomatico, né bellico.
Shepard, in silenzio, annuì. Fu costretto ad essere d’accordo, perché nulla poteva quell’evidenza. Quell’uomo, dall’appuntita barbetta bianca e dalla voce calma, era un vigliacco, incapace di decisioni forti. Aveva sì, partecipato alla guerra del Primo Contatto, ma del suo squadrone nessuno era sopravvissuto per raccontare le sue gesta. Pur di disfarsene, aveva addirittura inviato, due anni prima, la medaglietta di riconoscimento di John, credendolo morto.
Gli rivennero in mente le urla e gli improperi di Anderson, semplice capitano, quando, anni prima, Hackett ottenne il suo grado, scavalcandolo tramite corruzione e altre pratiche decisamente poco legali.
-Comunque, Thane, è lui che, almeno virtualmente, comanda. Io ho completa libertà d’azione, il che non si discosta molto dai metodi dell’Uomo Misterioso. Però aveva fini decisamente diversi. Hackett è sciocco, ma non crudele.
-Già. Ah,Shepard. L’Uomo Misterioso sta tramando qualcosa. Credo un attacco alla Cittadella. L’SSC ha aumentato la sicurezza, ed i controlli. Dobbiamo tenerci pronti.
John scosse la testa, seguendo con lo sguardo una navetta, rossa sullo sfondo bianco abbagliante, ed azzurro del cielo artificiale. Come diavolo fa a saperlo con tanta certezza?
-Dobbiamo? Cosa posso fare, io? A breve dovrò incontrare la Flotta Migrante, e negoziare con loro un’alleanza. Ci sarà anche Tali.
Thane scoppiò a ridere di gusto, di fronte allo sguardo contrito del comandante.
-Lo dici come se ti dispiacesse. L’abbiamo sempre saputo, sulla Normandy, quello che c’era tra di voi. Anche dopo la tua scappatella con quella pazza instabile. Lei è qui, John, - disse, puntando un dito verde e squamoso sul petto, all’altezza del cuore, - e non c’è nulla che tu possa fare per cacciarla via.,-
Serafico. Quella dolce parola risuonò nella stanza, cristallizzando l’attimo. Il calore di una mano con tre dita, stretta alla sua, lo invase. Lei, lei che bruciava, nei condotti del termitaio degli insetti…
Shepard si alzò, ponendosi di fronte al Drell. Il suo sguardo era duro, la sua voce d’acciaio.
-Non ho tempo per questo. Sono tremendamente stanco,Thane. Ho passato gli ultimi giorni su un pianeta che assomiglia ad una fornace radioattiva, fatto a pezzi orde di mutanti con le mie mani, e ho perso un amico.
Thane si rabbuiò, e sbatté più volte gli occhi.
-Chi, cos’è successo? Ho sentito di Tuchanka..
-Mordin Solus. Ha terminato la cura per la genofagia. Siamo andati insieme al Velo, quella struttura che serve a preservare l’atmosfera del pianeta, e l’ha immessa nell’aria. C’è stata un’esplosione. Lui si è sacrificato per portare a termine la sua missione.
John tornò a sedersi. Krios lo guardava in silenzio.
-Mi dispiace tantissimo,-mormorò. –Doveva esser distrutto dal senso di colpa, per fare una cosa simile.
-Sì, lo era. Ha detto che era stato lui ad iniziare, e doveva essere lui a porre la parola “fine”.
Il grugnito di gioia di Urdnot Wrex è stato.. assordante.,- disse infine Shepard, strappando un sorriso a Thane.
-Sì, John. Ma ora, per favore, spiegami cosa volevi quando ci siamo salutati. Ti ho visto, stavi per parlare. Sei l’unico amico che io abbia avuto da anni, e ti conosco. Non trattenerti, parla.
Il Drell lo fissava negli occhi, attendendo paziente, certo della risposta positiva. Sulla sua pelle lucida si riflettevano le navette rosse, che sfrecciavano come aquile.
John sorrise, distogliendo lo sguardo. Le nuvole volavano in quel cielo azzurro, senza alcuna stella ad illuminarlo.
-Non so come fai a conoscermi così bene, maledetto lucertolone... Comunque ecco, tieni. Vorrei tu leggessi. Hai ancora il tuo factotum,vero?
-Certo, Shepard.
-Ti invio il file.
Krios aprì lo schermo arancione del suo factotum, e le parole iniziarono a prender corpo nella sua mente.
 
 

Ogni cosa è fuori controllo
 

“Perché ti sto scrivendo?
Vorrei mi rispondessi tu. Forse è una lettera indirizzata,a te, come si faceva più di un secolo fa. Forse è un regalo che voglio farti. O forse ho solamente bisogno di parlare con qualcuno.
Parlare. È tanto tempo che non lo faccio. A volte urlo, solamente per sentire il suono della mia voce. È ruvida, ogni giorno di più. Gratta e stride come il gesso sul muro. E, quelle volte, mi sforzo di pronunciare delle parole connesse, di ragionare a voce alta.
Ma riesco ad emettere solo dei rantoli.
Sento la faringe chiudersi, l’aria passare a fatica per la gola. Fa male.
E sono costretto a tornare nel silenzio.
Anderson non viene più a trovarmi. Non posso più parlare. L’ho deluso, e lui se n’è andato. 
Va sempre peggio, Tali. Non so dove tu sia, ma lui ha detto che mi stai cercando. Beh, sappi che non mi troverai mai. Perché non lo merito.
Sto perdendo il controllo di ogni cosa. Amavo fare quei grandi discorsi, dare ordini, coerenti e perentori, mi faceva sentire, forse, vivo.
Ora non riesco ad articolare parole.
Sto perdendo il controllo di ogni cosa. Sono diventato un N7 solo per il dono con cui sono nato, cioè i poteri biotici. Sono sopravvissuto al loro addestramento folle solo grazie ai noduli di eezo nei miei neuroni.
E ora? Ora non riesco a controllarli.
Faccio incubi orribili, di cui ti parlerò più tardi. Ho sognato qualcosa quella notte, forse una battaglia. Non ricordo.
Mi ha svegliato il calore del fuoco che avvampava nella stanza e il freddo dell’acqua sulla pelle, del sistema antincendio. Lampi partivano dalle mie mani, infrangendosi contro il materiale refrattario della parete della mia cella. Scosse e guizzi pervadevano l’aria satura di calore e vapore, ionizzandola. Scariche si abbattevano sul pavimento. Piccolissimi fulmini globulari nevicavano, violetti.
Il cuore..
Sentivo il sapore salato del sudore.
Fuga, solo fuga.
C’era qualcuno con me, in me. C’è sempre. Non so chi sia, ma vuole che io scappi. So che è fatto come me. Ma non sono io.
Lui prende il controllo durante gli incubi, Tali.
In quell’inferno, lui era lì con me, e usava il mio corpo per cercare la libertà. Era lì con me, e lottava tramite me.
Una scossa mi attraversò, e lo sentii ridere delle mie ustioni. Gocce di sangue si sciolsero nell’acqua.
Caddi sulle ginocchia,ed ero immerso in un lago oscuro in cui guizzava elettricità come vita.
Ebbi paura. Lui rideva sguaiatamente, lui era soddisfatto.  Lui aveva indosso una corazza N7, e un Avenger appeso sulla schiena. Lui non aveva cicatrici. Non c’era sudore sulla sua fronte.
Credo di aver urlato, di averlo implorato di smettere, mentre colpi biotici fluivano dai miei neuroni, e si abbattevano ovunque. L’ho pregato, nell’inferno.
E lui mi guardava, mi sorrideva, mostrava denti bianchi come zanne. Lo vidi alzare una mano, e sentii i muscoli delle mie gambe flettersi, fino a rimettermi in piedi. Tremavo.
Lo guardai, lo guardavo nei suoi folli occhi azzurri, mentre, con un singolo e rapido gesto, rivolse la mia mano contro di me. Scoppiò a ridere, e la sua risata fu assordante.
Urlai di nuovo.
La scarica violetta partì, e tutto divenne buio.
 
 
Sto perdendo il controllo. Lui è qui, mi spia dagli angoli della stanza. Lo vedo, quando mi specchio. C’è lui. Mi guarda e ride, con la sua bell’armatura e i suoi occhi azzurri pieni di pazzia. Ride, e tutta la sua faccia, priva di cicatrici, si deforma.
A volte temo sia lui a scriverti, Tali. Rileggo sistematicamente tutto ciò che scrivo, per esser certo di essere ancora me stesso. Perché io non mi sottrarrò mai a questo supplizio.
Dolce è la pena, amore mio..
 
Fuga
 
Devo trovare un modo di scappare. Devo anche costringermi  a non mangiare; questa brodaglia schifosa che chiamano “cibo”, è zeppa di medicinali. Medicinali per pazzi, ti rendi conto?
Io, pazzo?
Beh, forse con quella bravata in tribunale non mi sono dimostrato totalmente sano…ma avevo bisogno di scaricarmi.
Ieri notte mi sono svegliato, all’improvviso. Ho sentito un’energia enorme fluire in me, come non ne sentivo da mesi, da anni. Era potente, scorreva come un torrente in piena, ed esplose come una nova.
Ci furono fuoco, acqua, e elettricità. Lanciai attacchi, deformai lo spazio di quella stanza, lo resi nuovo, e lo feci turbinare tra i fulmini.
Estasiato ero, da ciò che la mia mente e le mie mani riuscivano a produrre. Globuli viola danzavano attorno a me, riflettendosi nelle gocce di pioggia dell’antincendio.
Avevo ustioni sulle braccia e sulle gambe, ma non me ne importava; non sentivo dolore. 
C’erano viola e rosso che danzavano, ed era la scena più bella che io vedessi da mesi, da quel giorno al Processo. Mi ha fatto sentire vivo.
Il metallo delle pareti si scioglieva, e l’ossigeno mancava, l’aria satura di anidride carbonica e vapore acqueo. C’era rosso, tanto rosso come sangue, ed ero felice. Sarei morto? Non lo sapevo. Cosa contava?
Lanciai un’altra scarica verso la porta, su cui l’elettricità si irradiò come ragni, e infine confondersi con la tempesta della stanza. Ricordo di aver riso, soddisfatto. E lo ero davvero.
Qualcosa dentro di me, però, si era mosso, ed era scattato in avanti, felino, correndo.
E vidi, vidi la mia stessa mano rivolgersi contro di me, non comandata da me, un gesto non voluto e folle. Era rossa, ustionata.
La scarica violetta partì, e tutto divenne buio.
Oggi penso che forse, quel qualcosa, ha voluto salvarmi. Sarei morto, per l’asfissia o per le ustioni. Nessuno si sarebbe preoccupato di salvarmi, in quel rifugio per menti pericolose.
Mi hanno trasferito in un’altra stanza, identica alla prima. Mi hanno curato medici invisibili.
 
Sto riflettendo molto, Tali. Credo ci sia qualcosa di più grande, dietro tutto questo. Qualcosa che, in fondo, non è lontano e trascendente come lo si disegna, ma che è qui, sempre, in mezzo a tutti noi, ad Omega come sulla Cittadella, a Palaven come su Thessia. E ci osserva, in attesa dell’occasione per agire. E userà, almeno uno di noi, per perseguire i suoi scopi, e non sono malefici. Il cuore,me lo dice.
Qualcosa, o qualcuno, mi ha aiutato; ha cercato di salvarmi, tramite la follia, dalla mia scelleratezza. E mi ha dato un compito grande, che esula da Collettori o Spettri impazziti. E sai perché? Perché loro stanno arrivando.
Ma ho una certezza, Tali.
Sopravvivremo, e vinceremo.  Saranno spazzati via, e li combatterò, finché avrò una sola goccia di sangue. Perché il suo volere si realizzerà attraverso me, ma mi lascerà libero di scegliere, fino in fondo. 

 
 
Thane, infine, lo guardò. La sua espressione era grave, eloquente.
-Sono state due persone diverse a scrivere questo documento, senza alcun dubbio. Ma entrambe sono dentro di te. Ed entrambe sono te.
John non rispose subito. Strani ricordi di vita mai vissuta si erano formati in lui, ripensando a quegli scritti.
Il tramonto su Virmire, e lei che lo guardava dolcemente. Spaesato. Fari argentei su di un volto invisibile. Le loro mani strette. Ma no, non può durare. Il ronzio dei Collettori arriva presto, in una nube di mosche. La testa di una blasfema falena esplode in uno schizzo giallognolo. Lei ha sparato, col suo Katana,ma lei non è invincibile. Lei scivola rapida verso il fondo dell’alveare, urla. La navetta ancora lontana. Ma c’è la mano di lui stretta alla sua, lei sospesa nel vuoto. Loro due, insieme. Di nuovo e per sempre.
-Non lo so, Thane. Non me lo ricordo. Ero imbottito di psicofarmaci. Tu sei l’unico che può capirmi. Tu sei la persona più profonda ed empatica che abbia mai conosciuto. Ti prego, dammi una spiegazione.,- terminò Shepard in un sussurro. Lei ti tiene la mano, lei è qui, lei è nel buio della sala macchine ad aspettarti.
Thane sospirò. Iniziò a parlare, tenendo le dita intrecciate.
-Prima di tutto, conosci la mia religione. Sai che sono devoto ad Arashu, dea della Maternità e dell’Amore. Credo che in te convivano due persone, silenziose fino a che tu non ti sei ritrovato da solo, e loro due si sono dovute incontrare. Si sono fronteggiate, e hanno mostrato le loro diversità.
Si narra che Arashu e Kalahira, un tempo, facessero parte di un’unica entità, di cui è vietato pronunciare il nome. Avvennero cose orribili, poi. Scoppiarono guerre nel Cielo, e Lei dovette combattere. Fu catturata, imprigionata dalle creature del Basso. Passarono gli anni, la guerra terminò ed il dominio del Basso era incontrastato su Rakhana. Ma Lei si evolveva. Lei mutava.
Un giorno, un carceriere scese nelle prigioni, e guardò attraverso le sbarre. Vide due donne, diverse ed uguali. Loro lo uccisero, combattendo insieme. Fuggirono allora da quel sotterraneo labirinto, raggiungendo la Luce, e riportarono il Bene sul nostro arido pianeta.
Fece una pausa. Shepard lo guardava rapito, in silenzio. Il suo factotum emise un “bip”, segno di un’email, ma lo ignorò.
-E’ lo stesso che è avvenuto con te. Sono tornati alla luce, e devono fondersi. La loro potenza sarà grande.
Uno è privo di pietà per il prossimo, l’altro ne ha per tutti men che se stesso. Uno pensa a lungo, l’altro agisce solamente fingendo di aver riflettuto. Uno non vede speranza, l’altro la scorge in sè, tramite un’entità che non sa descrivere.
John deglutì, agitato. Si guardò le mani, da cui partivano deboli guizzi violetti, e non gli parvero le sue.  Chi era dei due, ora, ad avere il comando?
Una goccia di sudore si formò sulla sua fronte, scivolando lentamente.
-Come posso fare, per riunirli..?,-riuscì infine a dire.
-Cosa hanno in comune,John?,- Thane sorrideva, enigmatico. La luce di prima era tornata ad i suoi occhi nero pece, -Prova a chiedertelo. Cosa desideri di più? E chi dei due ti impedisce di averlo?
 
La risposta era scontata. Inutile parlare, inutile sprecare  ossigeno. Thane ne aveva sprecato tanto, nei suoi deboli globuli rossi, e non aveva senso affaticarlo ulteriormente. La risposta, una piccola parola, andava preservata come una gemma preziosa.
John si era alzato, e scrutava il caos della Hall dell’Huerta Memorial Hospital. L’Asari di prima, sdraiata a terra, non c’era più. Forse era morta. Forse era in sala operatoria. Al suo posto c’era un Turian, cui mancava un intero braccio. Le ossa bianche si vedevano dal moncherino, e sangue stillava copioso.
Si sentì immensamente egoista. Lei non sarebbe stata qui, a parlare di se stessa con un amico morente. No, lei sarebbe andata in mezzo a quella gente, a dare una mano dove poteva. Lei si sarebbe sporcata di sangue non suo, avrebbe pianto amici appena conosciuto e subito spirati.
-Rispondimi, John.,- perentorio, disse il Drell.
-Non c’è bisogno, maledetta lucertola. Lo sai da sempre.,-mormorò.
Una dottoressa in camice bianco apparve accanto a loro.
-Signore, è il momento della terapia. Scusate se vi disturbo.
Krios sorrise. –Nessun disturbo. A presto,Shepard. Spero di rivederti ancora.
I due, forse tre, uomini s’abbracciarono.
-Tornerò, Thane. E vedi di non crepare a breve.
Scoppiarono entrambi a ridere, come in una di quelle sere passate davanti a una bottiglia di gin nel bar della Normandy SR 2.
Un’improvvisa esplosione interruppe  il loro commiato. Shepard aguzzò l’udito: proveniva dal Presidium.
-Sono arrivati! E’ Cerberus!,- gridò Thane, correndo alla vetrata. Nubi di fumo si levavano dai giardini, più in basso, e masse di truppe dell’Uomo Misterioso, con la tipica corazza candida, vi si riversavano. A John ricordò una valanga. E l’adrenalina iniziò a volteggiare, abbondante, nei suoi neuroni.
Shepard guardò il Drell, preoccupato, mentre nell’ospedale il caos era sempre maggiore. Sfilò una pistola dalla fondina, permesso accordatogli dal suo status di Spettro, e la mostrò.
-Vado alla Normandy, raduno una squadra. Verrò a prendere te e a dare qualche calcio in culo alle truppe di quello stronzo mascherato, ok?
E soffiò teatralmente sull’acceleratore ad eezo dell’arma.
Thane sorrise, cangianti riflessi sulle squame. –Adesso ti riconosco, comandante.
 
 
 
Colpiti al cuore
 
 
-Joker!Joker, mi senti?
Oh, Dio. Hanno bloccato le comunicazioni radio.
John si infilò nell’ascensore, pregando che arrivasse fino al ponte d’attracco senza esplodere, e che Vega e Garrus non fossero in giro per la Cittadella ad ubriacarsi o a sollevare risse al Purgatory.
Dopo un’attesa interminabile, in cui Shepard strinse forte nella mano la Phalanx, l’ascensore si aprì sul ponte D, colmo di civili preoccupati ed agitati. C’era chi cercava di comunicare, c’era chi ancora non credeva all’assalto di Cerberus, c’era chi pensava fossero i Razziatori. Una confusa, marmaglia multicolore.
John si fece strada a spintoni tra la folla, liberandosi di donne e uomini che, riconosciutolo, chiedevano disperatamente aiuto.
-Mia figlia lavora al Presidium! La prego, comandante.. ci aiuti!,- implorava un umano, viso rigato di lacrime.
-Cosa vuole Cerberus? Cosa vuole da noi?
-Stai scappando, codardo rosa?,- lo provocava un Batarian con voce melliflua. Un pugno di cinque dita atterrò sulla sua fronte e tra i suoi sei occhi.
Shepard corse, infine, rapido, fino al condotto che collegava la zona d’attracco alla Normandy, ed entrò nella sua nave. Ignorò i controlli di rito, tirando dritto, e lasciandosi alle spalle due accigliate soldatesse.
Andò al CIC, dove trovò una Samantha Traynor in agitazione.
-Comandante, non riuscivamo a contattarti! Cerberus ha attaccato la Cittadella..
John sospirò, scrocchiando le nocche.
-Lo so, c’ero. Dove sono Vakarian e Vega?
Samantha sorrise, e,sulla sua pelle scura,due fossette si formarono ai lati della bocca,.
-Nell’Hangar Navette. Ti stavano aspettando.
John si avviò, riflettendo su che armi portare. Javelin? No, c’è Garrus. Meglio rimaner fedeli al Vindicator…
L’Email!
Rapidamente, aprì ilfactotum, e lesse. Era la Dalatress Salarian a scrivergli, richiedendo un incontro, per discutere su suoi presunti sospetti riguardo il movimento di enormi quantità di denaro sul conto di Udina. Il tono era d’urgenza, e le parole trasudavano preoccupazione.
Udina. Maledetto Udina. Anderson, perché te ne sei andato e gli hai lasciato il potere?
 
-Udina ci ha traditi. E’ affiliato con Cerberus,- disse, agganciando una spallaccio, rivolgendosi a Vega e Garrus.
-Ne sei sicuro comandante?,-chiese James, stranamente poco voglioso di menar le mani.
-Ho le prove dalla Dalatress, che ora è di sicuro in pericolo. Ah, Garrus. Prendi un Phaeston in più.
Garrus tentò un’espressione interrogativa, spostando in su ed in giù le mandibole.
Shepard sospirò. –Hai presente il Drell? Quello verde e biotico?
Il Turian alzò gli occhi al cielo. –Sì, umano.
-Ecco, potrebbe tornarci utile,oggi. Sembri un po’ sulle nuvole, eh Archangel?
Il Turian scrollò le spalle, gracchiando scocciato. John scoppiò a ridere, rasserenato.
 
 
Pochi minuti dopo, quattro uomini, due umani, un drell, ed un turian, erano asserragliati dietro barricate improvvisate, nel corridoio che conduceva al QG dell’SSC, su cui rimbalzavano metalliche le clip termiche emesse da armi di Cerberus. Le grandi colonne, i separé tra i vari uffici, erano le loro fortezze. Garrus, alla sua destra, sparava precisi colpi. Vega, bestemmiando in chissà che lingua, lanciava granate, maledicendo Shepard e il suo ordine di “non fare l’eroe combattendo a mani nude”.
John si sentiva stranamente calmo, come non lo era in battaglia da mesi. Sì, era padrone di ciò che faceva. Ogni proiettile, ogni Deformazione o Campo di Stasi, era perfettamente bilanciato, in un perfetto coro, e nessuna voce sovrastava l’altra. So chi ringraziare, disse tra sé e sé, ammirando di sfuggita il Drell, poco distante, cui restava poco da vivere. Combatteva come fosse il suo ultimo giorno. Una grande determinazione, lasciava trasparire il suo volto concentrato.
Darò il massimo, aveva detto, afferrando con mano ferma l’arma consegnatagli da James. Grazie, Shepard. Di cuore. Mi sentirò di nuovo vivo.
E in quelle parole, sentì di aver ritrovato la sicurezza di cui aveva bisogno per lottare, per sconfiggere le orde di nemici, candidi e ben addestrati, che gli si sarebbero parati davanti, e per salvare Bailey, che mandava di continuo richieste d’aiuto al suo Factotum, allegando le coordinate.
Le truppe di Cerberus, infiltratesi da chissà dove, piovevano dai livelli superiori, usando l’apparecchiatura delle loro corazze. Si muovevano disordinatamente, alla rinfusa. Ogni uomo, o donna che fosse, si lanciava in avanti, sparando in maniera imprecisa, e finendo, sempre, colpiti alla testa, protetta solo da un debole casco, da un colpo biotico o metallico.
L’Uomo Misterioso ha legioni da sprecare.
All’improvviso, filtrando tra i bagliori biotici della battaglia, sottili linee rosse di laser si profilarono.
-Cecchini,-mormorò Garrus. –Ma vediamo chi è il più bravo…
Sottili figure femminili, coperte di nero, impugnavano fucili e, nascoste dove solo un cecchino poteva immaginare, prendevano la mira.
Shepard lanciò campì di Singolarità da dove pareva provenissero i laser, vedendo ben presto figure color notte fluttuarvi attorno.
Accanto a lui, l’ex agente SSC sparò in un angolo, troppo improbabile per la mente poco allenata di John, e si udì un urlo, seguitò dal rumore della caduta di un corpo a terra.
-Direi che era l’ultimo,- osservò Vega, la voce profonda incrinata dall’invidia.
-Non rosicare troppo, umano. Ti prenderai la rivincita a poker stasera..
Baldanzoso, il Turian s’avviò per il corridoio, seguito dai compagni. Shepard rise, sereno, scambiando un’occhiata con Thane.
 
 
 
Il corridoio finì in una grande sala, probabilmente precedentemente usata per le riunioni. Fogli, sangue copioso, cadaveri di ambo le parti, armi e clip termiche erano disseminati sul pavimento,assieme a schegge di vetro e frammenti di muratura. Un cimitero privo di degna sepoltura.
Shepard deglutì, alla vista di un tale massacro. Morte gratuita. Morti inutili.
-Controllate se c’è ancora qualcuno in vita,-mormorò, avvicinandosi al corpo di un agente turian dell’SSC, privo di corazza e col petto perforato da mille proiettili.
-Comandante!,- urlò Thane, dall’altra parte della stanza, -Ecco Bailey!
Era appoggiato al muro, una pistola ancora in pugno. L’uomo, il volto coperto di sangue ed irriconoscibile, alzò debolmente la mano. Una gamba era piegata sotto al corpo, in maniera innaturale. Il femore,bianco,sporgeva dall’uniforme, nera e macchiata.
-Shepard…finalmente…,- mormorò debolmente.
John si accucciò affianco a lui, porgendogli una pastiglia di medigel, che quello prontamente inghiottì.
-Spiegami cos’è successo.
-Udina..Quel figlio di puttana ci ha traditi. C’è lui dietro questo colpo di stato. Ha chiesto aiuto all’Uomo Misterioso, ed ora bracca i componenti del Consiglio. Non so in che modo,ma ha autorizzato lui le navi di Cerberus ad attraccare al molo di Zakera. Vuole prendere il potere. Gira voce che abbiano un’arma contro i Razziatori..
L’uomo si contorse per il dolore. Shepard lo aiutò a rialzarsi, attento a non poggiare a terra la gamba ferita.
-Cazzate. Dov’è la Dalatress?
-E’ nella stanza dell’Esecutore Pallin, in fondo a quel corridoio,-disse a fatica, indicando una porta aperta su un corridoio, alla loro destra. –Non so se sia ancora viva. Stava preparando l’accusa contro Udina.
Shepard si concentrò, cercando una soluzione, grattandosi la barba. Infine, decise.
-Thane, scorta Bailey fino all’ospedale. Dopodiché, aspettaci lì. Risolveremo questa questione in men che non si dica.
Il Drell annuì, sostituendosi a Shepard nel sorreggere l’ufficiale.
-Fate attenzione. Non c’è  bisogno che vi dica quanto Cerberus sia infido.
E si avviò, trascinandosi Bailey dietro, e la sua scia di sangue scarlatto.
 
Incontrarono numerose altre squadriglie, passando per corridoi ed ufficio distrutti e fumanti, ma non ingenti come la precedente; sembrava che Udina avesse destinato il grosso delle truppe all’occupazione della zona civile. Nessuno di loro tre fu colpito, nonostante le graziose esplosioni causate da Vega, sparando su un carico di granate accumulato in un ufficio laterale al corridoio.
-Ops,- aveva detto, con sguardo angelico, mentre il muro collassava e l’onda d’urto faceva capitombolare a terra Garrus. –Non farlo mai più,- aveva ringhiato quest’ultimo.
Infine, si ritrovarono di fronte alla porta dell’ufficio dell’esecutore, il cui cadavere, ridotto ad un ammasso di carne sforacchiata, giaceva accanto ad essa. Garrus si chinò, appoggiando una mano sugli occhi.
-E’ stato un amico, per me.
Shepard non parlò, col timore di dire qualcosa di sbagliato, e tentò di bypassare la porta, senza successo. Si sente la mancanza di lei, pensò, in qualche recesso della mente. Con un po’ di impegno, ci riuscì.
Davanti a loro si spalancò un grande ufficio, con molte postazioni di lavoro, ben arredato ed ordinato, senza traccia di combattimenti all’interno. Strano, pensò John. Persino le pile di documenti erano ancora sulle scrivanie.
-Qualche superstite?,- chiese Bailey dalla radio.
-Ancora no.
Dov’è la Dalatress?
Avanzarono, entrando in un breve corridoio, che alla loro destra dava su di una sala più in basso, in cui si intravedeva un grande tavolo per riunioni. Ora sì, che c’era traccia di battaglia. C’era molto sangue,e fori di proiettili trapassavano i muri. Shepard si accorse dei cadaveri dei civili, ammassati contro i muri. Assassinati orribilmente. C’era però qualcosa di strano, in quei poveri corpi martoriati.
John si avvicinò, e capì. Non c’erano ferite da proiettile, bensì da arma da taglio. Una spada, forse. Grandi squarci sui corpi di due salarian lasciavano intravedere, sotto, la carne olivastra. Inoltre, c’erano ustioni. Un tipo di ustioni producibili solo da scariche biotiche.
-Oh, Spiriti…,- mormorò Garrus. –Erano miei colleghi..
John gli appoggiò una mano sul braccio, tentando di confortarlo.
-Comandante,-chiamò Vega, che si era affacciato alla vetrata che dava sulla sala ribbassata,-Ecco la Salarian. E’ stata Occultata tutto il tempo.
 
 
Fu questione di un attimo. Una figura, snella e rapida, apparve dal nulla, planando con grazia nella stanza. Era coperto di nero, e una maschera nascondeva il suo volto. Lunghi capelli corvini svolazzavano ad ogni movimento. Alla cintola era appeso il fodero di una katana, di cui sporgeva l’elsa. Si avvicinò pericolosamente alla donna, fasciata da una lunga veste chiara, che arretrava lentamente, terrorizzata.
John sparò, distruggendo la vetrata, e saltò di sotto. Le sue caviglie urlarono, ma le ignorò.
-Chi cazzo sei?,- urlò.
-Oh,Shepard.
Lo sconosciuto aveva una voce melliflua, dall’accento marcatamente terrestre ed asiatico. C’era una sgradevole sfumatura sarcastica.
Rise. –Sono venuto a terminare il mio lavoro.
E caricò un colpo biotico nel palmo della mano, ghignando.
-Ci ucciderà tutti, Shepard.,-sussurrò, terrorizzata, la Salarian,dando le spalle a Shepard, le sottili mani alzate in segno di resa.
-Udina o questo idiota? Ho i miei dubbi…
E di nuovo, avvenne tutto troppo velocemente.
Stavolta fu il Drell a planare dal cielo. E fu lui, armato solo di se stesso e di una pistola, ad ingaggiare una lotta con l’individuo. Sparava colpi, e la corazza del Cerberus li rimandava indietro. Ci fu scambio di pugni, calci. Dardi biotici si scontrarono e si annichilirono. Un fulmine nero ne incontrò uno verde, e tutto divenne confuso.
Infine, l’asiatico fu a terra, una singola macchia nera nel pavimento immacolato. Thane sparò, colpendolo al viso, e uno schizzo di sangue rosso piovve dalla sua guancia.
-Ora mi hai fatto davvero incazzare!,- urlò, furibondo, viscido. Si rialzò, con uno scatto felino.
Sguainò la spada. Thane caricò una Stasi.
Una lama troppo affilata penetrò facilmente nella carne dell’uomo, fondendovisi e sminuzzando.
Non ci fu nessun grido di dolore, se non quello di John Shepard, che sparò qualche impreciso colpo alla figura nera, infernale, che balzava leggiadra verso una navetta di Cerberus. E il sangue stillava copioso.
-C’è tempo, comandante.. Vallo a prendere.,- disse il Drell, a fatica, la voce rotta dal dolore. Teneva una mano in mezzo all’addome, e gocce di sangue fluivano tra le sue dita.
John annuì, senza realizzare l’accaduto. Era stato tutto così rapido, così confuso. Thane colpito? No,non poteva essere.. Lo aiutò delicatamente ad appoggiarsi alla parete.
-Bailey!,-urlò il comandante nella radio,-Thane ha bisogno d’aiuto! Rintraccia le mie coordinate. Ora dobbiamo correre dietro ad una nuova testa di cazzo di Cerberus. Passo e chiudo.
-Aspetta, Shepard! Hai dimenticato la Salarian? È viva?
Sì, merda, me ne sono dimenticato. Un mio amico sta morendo e mi dovrei preoccupare di quella cosa?
-Sì, è viva.,-rispose, cercando di mantenere un tono calmo,- Venite a prendervela. Mi ha confermato che c’è Udina dietro il golpe.. e ho bisogno di incontrare immediatamente il consiglio.
-Stanno andando a prendere un velivolo a Shelmar Plaza. C’è anche Udina.
-Perfetto. Prendiamo una navetta ed arriviamo. ,- grugnì Shepard nella radio, accucciato affianco a Thane, il cui verde si faceva sempre più pallido.
 
 
Pacta sunt servanda
 
 
E così fu. Anche se qualcuno sparò loro, che svolazzavano sopra i Giardini, cercando di raggiungere le coordinate prefissate; lo schianto non fu morbido.
-Tutti interi?,-chiese Shepard, estraendo un furioso Vega dal rottame, che tossiva per via del fumo. Erano naufragati da qualche parte vicino al Presidium.
-Sì,sì,- dissero i due, in coro.
 -Muoviamoci. Non è lontano da qui.
John sospirò, e nella sua mente turbinavano mille,oscuri,pensieri. Sarebbe morto, sì. La ferita era grave. Avrebbe bisogno di litri di sangue, e sulla Cittadella, di Drell, non ce n’è.
Sicurezza?  La sicurezza di prima era svanita. Era inquieto. Preoccupato. Spaesato. Thane si era sacrificato, e questo era ingiusto.
Ti prenderò, maledetto asiatico, e ti sgozzerò con la tua stessa spada.
Sorretto da quel pensiero, avanzò, seguito da due silenziosi compagni, lungo quella via, che presumibilmente conduceva al Presidium. Civili fuggivano qua e là, nascondendosi negli angoli, urlando.
Un'unica, grande parola, regnava e tuonava nel suo cuore. Vendetta.
Guardie di Cerberus attaccarono. John li uccise, dal primo all’ultimo. Schizzi di sangue imbrattarono i cartelli pubblicitari, gli schermi, e le aiuole. Cadaveri bianchi e rossi si ammassavano sul pavimento.
Ti ammazzerò, come hai fatto con lui. Morirai tra le più atroci sofferenze.
 -Comandante!,- tuonò all’improvviso Bailey dalla radio, mentre Garrus ispezionava una stanza laterale,- Abbiamo preso il Drell e la Dalatress. Comunque Udina ed il Consiglio si stanno allontanando, a quanto vedo dai loro factotum.. Stanno per prendere un ascensore. E il grosso delle truppe di Cerberus si sta dirigendo verso di voi.
John, a quelle parole, si girò verso i compagni. Sorrise, e allargò le braccia. Nuvole violette, percorse da scariche elettriche, si formarono nelle sue mani. Una luce violenta comparve nei suoi occhi.
-Ragazzi, ci sarà da divertirsi..
 
Corsero fino ai Mercati del Presidium, senza mai riprender fiato, fermandosi solamente ad eliminare, il più rapidamente possibile, le legioni di Cerberus che li assalivano. Garrus colpì, magistralmente, il manovratore di un Atlas, perfettamente in mezzo agli occhi. Quello esplose, liberando il campo.
-Dobbiamo sbrigarci!,- urlava Shepard, di tanto in tanto,-Udina potrebbe scappare da un momento all’altro!
Giunsero davanti agli ascensori.
-Eccoti, maledetto!,- strillò John, alla vista dell’Asiatico che, facendo “ciao” con la mano e sorridendo maligno, richiudeva le porte della cabina. John, furioso, lanciò un’esplosione che distrusse le porte metalliche, lasciandola aperta sul buio pressurizzato all’interno.
-Bailey!,-chiamò nella radio,-Dov’è il Consiglio?
-In un ascensore che sta salendo verso il vostro piano. Se entrate nel condotto, che è in comune, dovreste riuscire a raggiungerlo. Ci dovrebbe essere anche una guardia con loro.
-Perfetto.
 Salirono sulla cabina presente nel Condotto. E quella partì improvvisamente.
Non sarà un viaggio di piacere…
 
-Eccolo!,- urlò Garrus, vedendo un ascensore affiancarli.
-Saltate!
E furono sopra. Qualcuno, da dentro, prese a sparare, e scintille apparvero ad ogni colpo. Presumibilmente la guardia che accompagnava il consiglio. Una pistola pesante, direi. Voci concitate accompagnavano gli spari. L’ascensore, infine, si fermò. Erano arrivati.
-Andate!,-gridò distintamente una voce femminile. Una voce che John conosceva bene. Traditrice maledetta..
Aprirono la botola che dava nella cabina, saltando giù. Di nuovo, le sue caviglie urlarono.
E ciò che trovò davanti a sé fece ribollire il suo sangue.
 
C’era Ashley Williams, graziata su Virmire, fiera e impettita nella sua uniforme da Spettro. Puntava una pistola al suo comandante, decisa a sparare. Dietro di lei, Udina e il consigliere Turian e Asari. La navetta che avrebbero dovuto prendere, per scappare, era in fiamme sullo sfondo.
Ashley. Lunghi capelli neri e viso sensuale, labbra carnose e spirito guerriero, teneva l’indice sul grilletto.
-Rimani immobile, Shepard,- intimò, con la sua roca voce femminile.
John, per tutta risposta, puntò il fucile su Udina, che indietreggiò, un’espressione spaventata e sgomenta sul viso rugoso. –E’ con Cerberus!,-riuscì a gracchiare. Sei misero e meschino.
-Se spari, muore anche lui, l’uomo che ti ha dato il tuo rango di cui vai tanto orgogliosa!,- disse fra i denti, livore percepibile nella sua voce.
-Sta’ zitto!,- strillò lei, isterica.
-Ci ha traditi, non te ne accorgi? Ci sono truppe di Cerberus, in quel cazzo di condotto! E le ha chiamate lui!,-gridò John di rimando, fissando Udina con odio. Un’aura violetta si disegnò attorno al suo corpo.
-Shepard,-iniziò l’Asari, affiancandosi al turian,-Noi ti crediamo, e crediamo alla Dalatress..
Donnel Udina corse fino al terminale navette. Credi che non ti veda?
-Ti stai sbagliando, folle che non sei altro!
Prese a digitare sulla tastiera, frenetico. E, a quel punto, avvennero due cose che avrebbero tormentato Shepard in lunghe notti insonni.
L’Asari, antica ed altera, corse fino ad Udina, caricando un dardo biotico nella mano blu, ed un’espressione determinata apparve sul suo viso: era mutata; da sereno, il cielo era diventato tempestoso. Le nuvole del cielo artificiale divennero livide. L’uomo, spaventato, la spintonò con forza. Quella cadde a terra, con un tonfo, mentre la luce blu spariva dalla sua mano. Ashley rimase immobile, sbarrando gli occhi scuri, ed abbassò, inspiegabilmente, l’arma.
Shepard, dal canto suo, avvertì uno strano calore. Familiare, ma sconosciuto e perso nel tempo e nel cuore. C’era una mano, piccola e delicata, coperta da un guanto, con sole tre dita, nella sua. John ne riconobbe la morbida consistenza, con un fremito.
Tali Zorah vas Neema stava ritta, in silenzio, al suo fianco. E, sotto la maschera, sorrideva. I suoi grandi occhi luminosi brillavano radiosi.
Shepard aprì la bocca, tentando di articolare parole. Domande si affollavano nella sua testa, mentre il tempo, con quell’assurda scena, pareva cristallizzato.
-No,-disse lei, piano e con dolcezza, e appoggiò l’indice sulle labbra di John,provocandogli un brivido,-Non c’è tempo per le domande. Mi manda il Bambino. Ora, -continuò, indicando con lo sguardo il consigliere Udina, che, ghignando, puntava l’arma contro la Matriarca,- fa’ ciò che devi. E presto capirai.
-Capirò? Cosa capirò?,- riuscì a pronunciare infine. Lei, la Quarian, camminò attorno a lui, e alzò il suo braccio, con le mani delicate, costringendolo a puntare contro Udina. Il tiro era libero. Il colpo era in canna. Di nuovo, quella voce dolce si fece sentire. Fu un ordine, impossibile da rifiutare.
-Ora, spara, John.
 
Ashley Williams, attonita, guardò il suo comandante, impassibile, sparare, e centrare in pieno petto, il consigliere Udina. Quello crollò a terra, senza emetter grido, e la sua anima si aggiunse alle legioni dei morti della Via Lattea. 

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Capitolo 13
*** So close, my lover ***


Rieccomi, apparsa di nuovo dalle tenebre! Scusate la lunghissima, interminabile, assenza. E interminabile sarà anche questo capitolo, diviso in due parti, vista l'estrema lunghezza.. Comunque sia, siamo tornati al presente, cioè alla guerra contro i Geth.. di cui siamo alle battute conclusive. Le sorprese saranno molte..
Beh.. Spero di non deludervi! Buona lettura! E a breve l'altra metà!


 



E Tikkun splendeva arancione, inondando i cieli di Rannoch d’oro. L’abbraccio era ancora stretto, un casco era ancora teneramente poggiato sulla spalla corazzata di John Shepard.
La navetta era ripartita,pilotata da Cortez, che tornava alla Normandy, con un sorriso stampato sul volto scuro.
Ida guardava, in silenzio, ciò che lei aveva scoperto di poter sperimentare, con un fragile essere umano, e i suoi circuiti vibravano scossi da potenti scariche. Chissà che pensavano, si chiese. Cosa speravano, quei due organici. Ma soprattutto: come avrebbero potuto, loro tre, con l’aiuto di un Geth, annientare un’intera razza?  Una stirpe neonata, con un grande futuro davanti. I Geth sanno essere migliori di così, ne era certa. I Geth , uno ad uno, si sarebbero ribellati ai Razziatori, con o senza il loro intervento, distruttore,ma mascherato da catarsi.
Un bip, ai suoi sensori sonori, e la sua mano cromata e lucida si alzò a premere il pulsante di ricezione nell’auricolare.
-Qui Legion. Avvenuta eliminazione stringa virus Antiche macchine. Questa unità raggiungerà la vostra posizione entro 30 secondi.
-Vakarian è con te?,-chiese IDA, IA sensibile, evitando al Comandante una brusca interruzione di quel raro momento di serenità. Serenità. Era ciò che provava lei, quando Jeff teneva la mano della sua unità mobile, e il calore del suo corpo vivo e sanguigno fluiva ai suoi sensori.
 -Affermativo.
-IDA!,-tuonò improvvisa la voce del Turian, nell’auricolare,lievemente tremante,- I Tostapane mi hanno fatto cose orribili! Orribili, ti dico! Mi hanno rinchiuso in un mondo fatto di cubi arancioni!
L’IA rise con naturalezza.
-Attendiamo il vostro arrivo,-affermò, chiudendo la comunicazione.
Con la coda degli occhi sintetici vide l’abbraccio degli organici sciogliersi, e il Comandante avanzare verso di lei. Tali le dava le spalle, intenta a guardare l’orizzonte dorato, e quel mare distante, scintillante e blu. Pareva pensosa.
-Ho sentito.,- disse Shepard, impassibile, sistemandosi il Vindicator sulla schiena,-Ah, ecco Legion.
Il comandante alzò lo sguardo verso l’alto. Un’altra navetta solcava, ora, i cieli di Rannoch; scese gradatamente di quota, andando a posarsi, con uno sbuffo di polvere e sabbia, dove si trovava quella pilotata da Cortez. Il portellone si aprì, mostrando il Geth, squittii sommessi, e Garrus, solita maschera indecifrabile. Ashley,probabilmente, non se l’era sentita di affrontare una missione. È appena guarita da una pericolosa ferita. Perso molto sangue. Debilitata. Normale per organici.
Garrus fece qualche passo verso il comandante, non prima di aver gettato uno sguardo a Tali, che continuava a rivolger loro le spalle, le mani presumibilmente intrecciate, la testa bassa.
-Shepard! Sei uno stronzo!
Il comandante sorrise, divertito. –Ti ho solo mandato a fare il lavoro sporco, a spianare la strada… Esperto di calibrazioni come sei, spero che qualche virus informatico non ti abbia traumatizzato..
Garrus sbuffò, accarezzandosi una delle creste cornee del suo cranio, come a controllare fossero ancora lì, e non tramutate in bit. –E’ stato terrificante. Non ne voglio parlare. Probabilmente popolerà i miei incubi per lungo tempo, e giuro che verrò a svegliarti nella tua cabina extralusso ogni volta... Lo giuro sugli Spiriti.
 -Sta’ zitto, Vakarian.
A quel punto, interloquì Legion, pronto a riportare gli organici alla dura realtà dei fatti. Quel mondo di cubi è più reale di quell’abbraccio, Shepard.
 Rivolgendosi al comandante, disse, meccanicamente (IDA notò che, semmai quel codice di Razziatori avesse donato ai Geth delle espressioni vocali, in quelle frasi erano totalmente assenti): - Noi ci occuperemo di violare la sicurezza geth, come deciso. E troveremo un mezzo per fuggire.
 -D’accordo, Legion. Avanti, andiamo. IDA? Tali? Pronte?,- chiese Shepard, indicando la Quarian con lo sguardo. Un sorriso, la cui causa fissava il mare, si disegnò sul suo volto.
-Certo. ,- rispose la Quarian, girandosi lentamente, le mani strette l’una all’altra.
Dolce. Tali è ciò che gli organici definiscono..dolce. Lei sorride , dietro la maschera.
Perché Shepard non sapeva, nessuno sulla Normandy sapeva, e nessuno mai avrebbe dovuto sapere, che quella maschera, tanto odiata, era trasparente agli UV. E gli UV, per gli occhi metallici e silicei di IDA, non erano un problema.
Io ti vedo sempre, Tali.
 
Migliaia di Volt,Sodio e Potassio
 
La base si stagliava nella valle (“Origine tettonica!”, aveva commentato IDA), al di sotto della loro posizione, di almeno un centinaio di metri. Un sottile, stretto, sentiero sassoso, forniva una via apparentemente sicura nell’attraversamento del dirupo.
L’Obbiettivo era lì, al centro. Un ammasso di cemento candido, pietra, metallo, silicio,nano tubi e fullerene, giaceva enorme, pachiderma deforme, nel giallo accecante del deserto, e le sue torri di comunicazione trapassavano le nubi candide, violandole. Barricate improvvisate si trovavano su tutte le piattaforme, offrendo riparo ai combattenti Geth. E nel centro, nel cuore nero del pachiderma, un grande oblò oscuro, un pozzo senza fondo. Ed era lì, in quel luogo antico secoli, creato da loro, Quarian giammai lungimiranti, per se stessi, che dovevano colpire. E sarebbe stata la fine, almeno di quel capitolo di Ciclo.
Tali deglutì, spaventata. Sentiva su di sé lo sguardo indagatore, avido di dati, di IDA, che, cauta, posava i propri arti metallici nei punti meno cedevoli del terreno arido.
Sapeva che lei sapeva. Sapeva che l’IA conosceva il suo volto, seppur nelle lunghezze d’onda errate, il suo più intimo e profondo segreto. Quel che più era suo, era stato preso. Ma non se n’era curata, no. Aveva lasciato che ciò avvenisse, senza remore. Allora aveva interrogato se stessa, rigirandosi nel duro materasso della sua stanza sulla Normandy. E la risposta era sempre un corollario dello stesso, totalizzante e nullificante, sentimento.
Perché, quando morirò, lui potrà vedermi nelle registrazioni. E sarò sua, almeno nella mente.
E di nuovo, si vergognò di tal pensiero. Onore, Tali, onore. Sei una Quarian. Servi la tua Specie fino in fondo, fino alla fine, infierì suo padre, dall’Ade.
 
Meno di cinque minuti dopo, lo scontro a fuoco era infernale. Proiettili, al plasma o meno, volavano da parte a parte, e liquido di raffreddamento, celeste intenso, schizzava da ogni parte. S’erano assiepati dietro un muro di cinta, una barricata improvvisata, nelle vicinanze di un’entrata laterale alla base. Garrus era rimasto indietro, nascosto dietro un masso del dirupo, a cecchinare. I droni di Tali mandavano scosse di migliaia di volt, sovraccaricando i Geth fluttuanti attorno alle Singolarità, meravigliose sfere di energia oscura, di Shepard. E IDA completava l’opera, un accordo finale, incenerendo ciò che restava delle carcasse.
Quando l’ultimo Geth cadde a terra, in un’esplosione di scintille, Tali tirò un sospiro di sollievo. Almeno, ora, sarebbero riusciti ad entrare. E a violare il luogo Sacro di quella stirpe, che mai, mai, mai, sarebbe dovuta esistere. Antenati, non posso più adorarvi. Avete creato l’Abominio.
Nell’auricolare, Legion disse qualcosa riguardo al fatto di dover cercare un ingresso per il livello superiore, accennando anche a ciò che avveniva lassù, nell’orbita. Dove padri e figli si massacravano per il possesso di casa.
 
Tali programmò sul suo factotum un drone in grado di guidarli, e di aprir loro la strada. –Brava, Ammiraglio.
Fu il suo commento, e la sua mano si posò sulla sua spalla. E un brivido le attraversò la schiena.
È fiero di me..
I successivi dieci minuti furono un’arrampicata alquanto faticosa, un issarsi su piattaforme candide, coperte da tetti di lamiera, e tubi d’areazione, fragili e d’alluminio(dei quali Tali rinunciò presto ad indovinare la funzione). Nessuna notizia di Legion, né tantomeno dalla flotta. Eppure, nel ritaglio di cielo che riusciva a vedere, nessun relitto bruciava, cadendo sul Pianeta Natale. Né Geth, né Quarian.
-Urgh!,- grugniva Garrus appoggiando faticosamente le lunghe, ossute gambe al di là dell’ennesima barricata improvvisata dei Geth. Che,stranamente,erano silenziosi.
-Sta’ zitto, Vakarian. Smettila di lamentarti e concentrati!,- disse Shepard a voce alta, tra il divertito e il semiserio. Dava le spalle, coperte dall’armatura, a Tali, e per tutto quel tempo non l’aveva degnata di uno sguardo. Ma gli occhi di Tali non avevano smesso, neanche per un istante, di fissare quei capelli scuri ondeggiare lucidi davanti a lei, e le sue mani formicolare dalla voglia di sentirne, tra le dita, la morbidezza. Il fucile, freddo e duro, rischiò spesso di scivolarle.
Non cercare la sua attenzione, piccola sciocca che non sei altro, ripeteva a se stessa. Sei sul pianeta Natale. Sei un’egoista. Continuerai a straziarti finito tutto questo.
Al termine dell’ennesima piattaforma metallica, sospesa su un dirupo artificiale di almeno trenta metri, apparve un corridoio, apparentemente interno alla base. –Ecco, siamo dentro.,- asserì IDA, convinta.
Tale corridoio era su vari livelli, , a loro volta, collegati ad altre zone della base. Come un freddo termitaio. Erano pullulanti di tostapane, diceva il suo drone esplorativo. Stranamente ancora operativo. Forse i tostapane non erano infallibili come si crede. Mmh, Legion potrebbe offendersi.
-Ce ne sono parecchi avanti,- avvertì Tali.
-Ottimo, Ammiraglio.
E lui si voltò, puntando gli occhi azzurri nei suoi. Occhi color del mare. E il suo cuore si sciolse.
 
 
Tradimento. Tradimento. Ottimizzazione. È ottimizzazione? Richiesta consulenza esterna.
IDA, ricevi il segnale di quest’unità?
Forte e chiaro.
Non conosciamo quest’espressione.
Fa’ niente, Legion. Comunque non so risponderti. Io non sono organica.
Ma tu hai fluttuazione quantiche in presenza di umano Jeff Moreau. E parli di te come femmina.
Ignoro questo input. Invia le tue coordinate, Legion.
7.8.973. Un gruppo di Geth si sta avvicinando alla vostra postazione. Appartenenti a classe soldato. Legionari semplici.Tenetevi pronti.
Ricevuto, Legion. Cosa hai concluso?
Neutralizzate barriere cinetiche della base. Aperto a voi la strada. A breve saremo in grado di scoperchiare il Core della Base. Messo molte unità eretiche fuori uso.
Eretiche?
È presente un’Antica Macchina qui, IA. Chi è qui è un Eretico, per Noi. Siamo in grado di avvertirne le onde radio. Per il resto, è dormiente. I vostri sistemi informatici non sono in grado di individuarne l’emissione  che voi definite “indottrinatrice”.
Quindi il Segnale E’ un Razziatore, un Leviatano di taglia media. Informo il Comandante. Colpiranno dall’orbita.
No, IDA!
E potenti stringhe binarie si riversarono nel processore di IDA. Fu un urlo.
Per quale motivo vuoi impedirmelo?
Perché organici devono provare loro diritto a tornare su Rannoch. Devono provare il loro “valore”. Devono essere più forti di noi e del nostro maggior alleato. Non vincere tramite inganno.
Ma sono solo in tre, Legion. Sei sotto l’effetto dell’indottrinamento.
No, IA. Quest’unità è immune. Il Comandante è per gran parte sintetico. Ha parametri fisici migliori rispetto ad ogni altro Umano. E la Flotta Quarian colpirà dall’orbita. La vittoria è dalla vostra parte, ma dev’essere “leale”. Rispettare parametri organici.
D’accordo Legion, acconsento. Ma Loro, Lui, Lei, vi distruggeranno di fronte alla scoperta. Sarà tradimento. Sarà la fine dei Geth. Io posso cancellare i dati, voi no. Il tuo hard disk…
Non verranno mai a conoscenza di questo. Quest’unità ha programmato un software di..autodistruzione, che si attiverà entro tre ore terrestri.
 
Tutto ciò avvenne in meno di un secondo. E IDA decise di tacere, rispettando l’ultimo desiderio del suo simile più prossimo.
-IDA, nessuna novità da Legion?,- le chiese il Comandante, infine, indugiando,forse troppo,sulle forme scultoree dell’androide.
-Nulla, Shepard. ,- rispose lei, e contrasse le fibre del suo volto, in un sorriso rassicurante. 
-Oh, keelah! Arrivano!               
E almeno una cinquantina di candidi ammassi di metallo e cavi elettrici fluì come gas nel corridoio sottostante. Squittii e spari, non più fruscio del vento tra le rocce antiche.
                                  
                              
-E questa sarebbe la grande opera d’avanguardia di Legion? Invece che mandarcene addosso mille, ne arrivano solo cento?,- si lamentava Garrus, nascosto dietro un pilastro, regalando ai Geth la sola visione delle sue punte cornee.
-Sta’ zitto, Vakarian. ,- e ferraglia e scintille si schiantavano contro le mura, investiti da un’onda violetta,-Oggi sei decisamente logorroico!
-Logorroico? Che significa?,- e un visore esplodeva in schegge di vetro e liquido di raffreddamento.
-Che parli troppo,cazzo!,- e proiettili microscopici si infrangevano contro una barriera sferica ed eterea, rassicurante e materna, generata da mani forti. E quei proiettili si conficcavano nelle carni metalliche e silicee di creature che tali non erano.
-Quanto sei ingrato, Umano…
Tali non li ascoltava, ignorando forzatamente le loro parole. Armeggiava col factotum, le sue dita tempestavano rapide. Riprogrammare, sabotare, e guardarli uccidersi.
Utilizzava un virus informatico, che, purtroppo, doveva ammettere, era basato su un meccanismo di antichissima data, risalente ai tempi del Prima Colonizzazione del Pianeta Natale, con cui i Geth venivano tenuti a bada, appena davano segni di ribellione. Era,però, presto eliminato dal firewall interno dell’IV. Eppure, vedere quelle maledette ferraglie semoventi combattere tra di loro, le loro false membra esplodere e contorcersi sotto i colpi dei propri simili, la riempiva di una gioia violenta che non riusciva a provare in un nessun altro momento.  Sentiva, e ne godeva, i muscoli del proprio viso tendersi in un sorriso estasiato. Shepard, quando ancora le voleva bene, aveva accennato  qualcosa riguardo un neurotrasmettitore comune a tutte le specie, dalle Asari ai Krogan, passando per Quarian e Umani. Il tono muscolare, rapidamente, aumentava, assieme alla pressione sanguigna e al battito cardiaco. Quel liquido rosso fluiva feroce nelle arterie come un fiume in piena. Il ritmo del respiro si faceva più efficiente, il controllo razionale diminuiva. La corteccia cerebrale diminuiva le sue emissione beta. Ed ogni proiettile che perforava corpi e metallo, disgregando e strappato, era fottutamente piacevole.
Li odio. Li odio ed è bellissimo, pensava, mentre un legionario dotato di lanciafiamme bruciava, con fuoco caldissimo, un suo simile. Quelli che si avvicinavano più alla loro postazione,e tentavano di risalire la scala che collegava i due livelli, bruciavano per primi, e con più forza. Ed, infine, quella meravigliosa stringa innescava l’Autodistruzione, un Antico retaggio lasciato, come benservito, dai Creatori. E una delicata esplosione, asettica e pulita in confronto alle volgari onde viola degli organici, attraversava l’aria comprimendola e dilatandola.
Quando l’ultima unità cadde a terra in frantumi, le mani con tre dita rivolte ad un cielo di cui non avrebbero mai potuto accarezzare l’immensità, giustizia fu fatta. Keelah se’lai, bastardo sintetico.
 
 
Scesero, uno ad uno, nel corridoio inferiore. Il drone di Tali continuava ad inviare dati, segnalando sui factotum la strada da seguire. Soddisfatta, si guardò attorno. Scintille si levavano, ancora, dalle carcasse. Oh, keelah, come su l’Alarei.
 Provò ad immaginare il calore bruciante di quelle esplosioni sulla pelle. Non ci riesco, Antenati. Ma a breve potrò, se vinceremo. Sì, ce la faremo. E ci sarà lui, qui.
Di nuovo, il suo sguardo cadde sulla schiena di lui, sulla mano che impugnava il fucile. E desiderò, con la stessa ferocia di prima, poterla stringere tra le sue. Sconosciuta, mistica,femminea euforia.
 
                                                                                                                      
 
La piattaforma su cui si trovavano si rivelò essere un ponte sopraelevato, che portava alla zona d’atterraggio dei caccia Geth, prospiciente alla fonte d’emissione del segnale. Nascosta nel pozzo nero,aspettava.
Si muovevano in formazione, tre organici ed una sintetica, col comandante avanti. Avanzavano lentamente, affidandosi al factotum di Tali e alle sue scansioni. I passi risuonavano alieni.
 –Nessun nemico attivo nel raggio di cento metri. Rilevo attività passiva, comunque.
-Dev’essere stato Legion. Ha detto che avrebbe disattivato quanti più Nuclei e legionari poteva.,- disse Garrus, voltandosi verso di lei, la cicatrice sul volto illuminata dalla luce pomeridiana. Gli donava.
-Comunque.. IDA, come sei silenziosa.,- borbottò l’ex SSC, tentando di spezzare la tensione.
-Non ho nulla da comunicarvi.,- rispose lei, meccanica, senza fingere espressioni, volgendo gli oculi altrove, verso il pozzo nero. La luce arancione creava strani riverberi sulla sua pelle cromata.
Tali diede un’occhiata al cielo. Non c’erano frammenti infuocati , bolidi, dall’atmosfera, solo l’azzurro e il bianco degli arazzi di nuvole. Uno stormo d’uccelli neri oscurò, per un istante, la Stella.
-Vakarian,-iniziò Shepard, senza girarsi a guardare il Turian, -Com’è stato il tuo viaggio nel mondo virtuale dei Geth?
Se Garrus avesse avuto palpebre, avrebbe strabuzzato gli occhi, ma si limitò a sospirare e a rispondere, stancamente: - Credo che “terrificante” sia riduttivo. Ah,sai, Tali, mi hanno fatto vedere dei video di secoli fa! A quanto pare la “caccia al Geth” era il passatempo preferito dei tuoi Antenati!
-Non vedo dov’è che nasca il problema etico, Garrus. Non sono esseri viventi, li abbiamo creati noi. Tanto quanto gli Umani hanno creato quell’attrezzo che brucia il loro cibo..
E senza accorgersene, mimò il gesto, con le mani, fingendo che da esse fuoriuscisse una fetta di pane. Lo strano oggetto, poggiato sul piano di lavoro del cuoco, sul ponte equipaggio, l’aveva sempre incuriosita. Gli Umani ci si assiepavano attorno, al mattino, come Krogan su un Lanciadardi Graal.
-…si chiama tostapane, appunto, Ammiraglio. Dal 1982 sinonimo di “robot sgradevole”.1
Il suo sorriso, calmo e rilassato, le accarezzò il cuore. Siamo vicini alla meta, mio Comandante. E loro.. loro
moriranno tutti. 


1: B
lade Runner! Gli androidi vengono chiamati "tostapane".

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Capitolo 14
*** Preludio alla Fine ***


 




Muta, Ecdisi

 
 
Si estingueranno. Un’altra razza sulla coscienza, altri morti., mormorava l’Altro, seducente. E lei lo vuole. Lei è cambiata. Lei non si rende conto del peso che porti.
Come fai ad amarla, nonostante tutto?
Si voltava a guardarla, ogni tanto. E di lei, come sempre, riusciva a scorgere solo i grandi occhi grigi. C’era una luce ferina, che aveva visto solo in quelli dell’Altro, ad animarli. E l’Altro camminava al suo fianco, scrutandolo accigliato e critico, le mani intrecciate dietro la schiena, la barba appena fatta, i capelli rasati.
Che le è successo, eh, Shepard? È così spavalda, oggi. Così feroce. Così amazzone. Sarai mica stato tu, tu e le tue illusioni? Tu, che desideri ogni notte di sentire il suo corpo contro il tuo, ma con la voglia di maledirla ad ogni parola pronunciata dalle sue belle labbra morbide?  Di sentire la consistenza della sua pelle, baciarne ogni angolo, e pregare che non apra bocca? Che ti lasci fare? Che sia come tu la vuoi? Non l’avrai mai. Non la meriti.
Gli mise un braccio attorno alle spalle, con fare fraterno. Dammi retta, amico. Io sono te,- e puntò l’indice sul cuore,-  so cosa vuoi. Lei ti ha regalato il Filo, ma il suo compito è finito. Hai ciò che cercavi. Stai per uccidere il Minotauro, laggiù, nel Pozzo. Ed ora, e avvicinò la sua bocca all’orecchio di Shepard, sussurrò: Abbandonala qui, su questa roccia persa nella Galassia, e non tornare mai più da lei. Allora sì, lei incontrerà il sui Bacco, che la renderà felice. Perché tu vuoi che lei sia felice, vero, Amplificatore L-5?
Shepard non rispose, ma allontanò l’Altro da sé con forza.
Che fai, mi prendi a spintoni? Vuoi fare a pugni? Sai che non ha speranze. Finiresti con tutti i denti rotti. Ops, scusa. Con tutte le inserzioni di ceramica infrante. Ricordi che sei morto, o credi di esser sempre stato tra i vivi? E una risata sguaiata riempì ogni sua sinapsi.
E gli occhi dell’Altro esplosero, sangue e materia cerebrale schizzarono in tutte le direzioni. L’uniforme N7 si squarciò, le costole candide fecero capolino nella carne scarlatta. Sei così, ora, sai? Rideva, rideva ferino.
-VATTENE, FIGLIO DI PUTTANA!
L’onda violetta investì l’Altro. Lo scaraventò di sotto, sul pozzo nero. Ancora, sangue divenne nebbia rossa nell’aria.
Quello cadde, ma non prima che un urlo feroce uscisse dal corpo informe.
E quando quel suono colpì John, fu l’oblio. La corazza esplose, la sua pelle fluì via insieme ad essa, lasciandolo nudo ed indifeso. Exuvia,Paura. La muta, il rinnovamento, tutto deve cambiare perché tutti resti uguale. Addio            
 
 
C’era il terremoto. La terra tremava, lui veniva scosso. Il vento soffiava sulla sua faccia, schiaffeggiandolo.
Qualcuno urlava. Ma chi era? Forse una donna. Tutto era oscuro, confuso. Su che pianeta si trovava? Faceva caldo, faceva freddo. La testa.. il cervello, era compresso. Sarebbe esploso presto. Tutto scorreva. Fuggiva rapido. Il Bambino bruciava via. I prothean morivano come mosche.
-Shepard! Comandante!
-Joker manda una navetta, per gli Spiriti!
-Oh, keelah, John.. No, aspetta  Joker.. Sembra si stia svegliando. IDA, abbiamo degli Stimolanti? Garrus contatta la Chakwas!
-Ce l’ho io, Tali. Non mi risponde, Spiriti!
-Dammi qua. Cerca di tenerlo fermo.
Qualcuno gli aprì forzatamente la mascella, inserendo qualcosa.
-Eccola! Mi ha risposto! Shepard sta male, è crollato a terra e sembra svenuto.. Cosa? Portarlo immediatamente sulla Normandy? E la missione? Ci siamo quasi, cazzo!
-No! Keelah, io da qui non me ne vado per nessuna ragione! A costo di distruggere io stessa quel maledetto nucleo!
Una luce soffusa parve diffondersi, e strane macchie di vari colori apparire. Informi. O forme che lui non ricordava di aver mai visto? Quadrati, cerchi, linee, triangoli. Il pigreco e il rettangolo aureo.
Cos’era quella cosa?
Pian piano, tutto cominciò a schiarirsi, l’immagine divenne definita, le forme coincisero col loro contenuto. Ecco, davanti a lui c’era una femmina. Ne scrutò le forme morbide, i fianchi, il seno. Le braccia sottili e delicate. Aveva una maschera violetta. Solo due grandi occhi luminosi. L’ombra di un naso. Non era umana.
Era seduta vicino a lui. Gli teneva una mano, e la sua era di sole tre dita. Ma perché lui era seduto? Dio, la testa.
-È andato via?,- sentì uscire dalla propria bocca, in un rantolo.
-Chi, comandante?,- rispose quella, e la sua voce era innaturale, come filtrata da una radio.
Shepard si guardò attorno. No, l’Altro non c’era. Ma.. chi erano quelle persone? C’erano un Turian ed un’Androide, oltre alla mascherata.
-Nessuno. Aiutami a rialzarmi.
La donna, senza alcuno sforzo apparente, lo afferrò per entrambe le braccia, e rimise in piedi. Ecco, la testa stava per esplodere in mille frammenti d’osso  e materia grigia. Sentì le gambe cedere.
-Garrus, aiutami a tenerlo dritto… Tra poco gli Stimolanti dovrebbero fare effetto..
 
 

Disclosure


 
All’improvviso, i ricordi riaffiorarono. Ma senza violenza e rudezza.
Rannoch, il Pianeta Natale, i Quarian, i Geth, che dovevano morire se il ciclo doveva essere interrotto, il Crucibolo, Palaven essiccato, la Normandy, i Collettori fruscianti, un uomo sfigurato che urlava di lasciarlo morire, circondato da insetti; l’Uomo Misterioso e la sua fottuta sigaretta. Quel coglione di Hackett che gridava ordini incoscienti. Che lodava la sua scelta di aver ucciso.. Kaidan Alenko? Un Drell in un letto d’ospedale, Anderson sulla Terra in fiamme. Scariche viola, fiamme. Un buco nero. Un’asari nuda, un’Umana androgina coperta di tatuaggi.
E poi occhi grigi spauriti nei bassifondi della Cittadella, una tuta malridotta, il tramonto su Virmire e la supernova. Mani timorose che accarezzavano la sua pelle, i sussurri e le notti passate nascosti in Sala Macchine. Occhi come fari nel buio, aria per polmoni svuotati dall’oceano profondo.
La bellezza nella dissonanza, particelle che combaciavano e implodevano, il mistero dietro il vetro convesso e la straziante lontananza nella cella di Vancouver. La casa di pietre su Rannoch, sul greto del fiume, la vecchiaia sognata alla luce della Luna del Pianeta Natale.
Lei, lei che ora lo sorreggeva con spiazzante naturalezza. Lo guardava, e la luce incidente della Stella lasciava intravedere un volto delicato.
Shepard non desiderò mai così tanto strapparle quella maschera, e sentire, finalmente, per la prima volta, il sapore delle sue labbra. Ho vinto, sono libero. E lei sarà il mio premio.
 
-Garrus, lasciami. Mi sento meglio. Però non ho idea di dove dobbiamo andare..  Tali, passa i dati sul mio factotum. Dov’è quel dannato affare…,-chiese, massaggiandosi le tempie.
-Il fucile, John?
-Sì, quello..
-Come ti senti?
-Come dopo una sbronza colossale. Quanto sono stato k.o.?2
Dio, questa conversazione è già avvenuta. La sonda su Eden Prime,i prothean che morivano come mosche.
-Dieci minuti, più o meno, Comandante,- rispose IDA, senza guardarlo. Fissava un punto al di là della balaustra del ponte sopraelevato su cui si trovavano.
-Cosa stai guardando, IDA?,- chiese lui, sistemandosi il fucile sulla schiena. Lo sentiva stranamente pesante, quasi più del suo cervello, compresso nella scatola cranica. Per sicurezza, aprì e chiuse le mani, controllando che i poteri fossero a posto.
-Analizzo le emissioni della base.
Rinunciò a comprendere l’IA, visibilmente disinteressata alle sue condizioni.
-Beh, io so dove dobbiamo andare,-iniziò timidamente lei, abbassando lo sguardo luminoso sul factotum, ed, infine, a terra.
Ripresero ad avanzare, e la testa di Shepard minacciava di esplodere ad ogni passo, fino a trovarsi ad un bivio. Una passerella rientrava nel corpo della base, l’altra continuava nel perimetro esterno.
-Dobbiamo entrare qui. Ci sarà una specie di hangar, di rimessa armi… E molti ascensori, che portano direttamente alla pista d’atterraggio attorno al nostro obbiettivo.
Sull’ultima frase, la voce di Tali si affievolì. Si fermò un istante, passando in rassegna i tre volti che aveva davanti.
-..Ma c’è un problema. A quanto dicono i miei dati, la maggior parte dei Geth di sorveglianza lì si sono riattivati. E,- divenne un sussurro,- sono Nuclei.
All’improvviso, la voce di Legion risuonò negli auricolari.
-Dovrete attivare manualmente un bypass per permetterci di violare il sistema di sicurezza del Core. Il terminale è dalla parte opposta dell’apertura dell’Hangar in cui vi trovare ora. Probabilmente, quando agirete, la sala si sigillerà. Dovrete azionare un altro terminale tramite cui io aprirò le porte e attiverò gli ascensori nominati dalla Creatrice Zorah. Vi guideremo.
 
-Avanti, entriamo,- annunciò Shepard, tenendo il fucile puntato davanti a sé.
 
C’era solo il buio là dentro, rischiarato da led blu, che correvano lungo le pareti. Eccoci, nel ventre della meccanica balena.
L’ambiente appariva enorme, ed, in sottofondo, si udivano rumori come d’industria, di nastri trasportatori, sbuffi e cigolii. Incredibilmente, per i metodici Geth, casse metalliche, componenti smembrati, taniche di liquido di raffreddamento, erano sparsi ovunque come ossa in un campo di battaglia.
Gli occhi notturni di Tali le permettevano una perfetta visione infrarossa, suppose Shepard, notando la tranquillità con cui avanzava. Era alla sua sinistra, ed i suoi passi erano leggeri e armoniosi tra i detriti.
-IDA, ti sono arrivate le coordinate dei terminali di Legion?
-Sì, Comandante.
-Allora occupatene. E raggiungici appena fatto.
L’IA, impercettibilmente, annuì, allontanandosi cauta. La sua figura cromata si perse nel buio vellutato alla sua destra, scomparendo in un ultimo scintillio argenteo.
-Shepard..perchè hai mandato lei?,-borbottò Garrus, ispezionando una cassa, da cui trasse un fucile al plasma in perfette condizioni. Se lo rigirò tra le mani, soddisfatto . –Credo proprio che questo me lo prenderò..
-Perché tu, o Tali, non avete a disposizione infinite unità in cui trasportare la vostra  coscienza.. E una capacità di calcolo decisamente inferiore.
E si voltò a sorriderle, e sul volto di lei fari luminosi nel buio dei led blu. Quando torneremo sulla Normandy, quando tutto questo sarà finito, dovrò parlarle. Davanti al reattore. Le dirò ogni cosa.
 
 
 
Ma alcuni sogni hanno breve, brevissima durata. Non sempre viene loro concesso il tempo di realizzarsi; il Fato decide d’agire prima, di tagliare anticipatamente il filo, ridendo gioioso della propria crudeltà. Forbici in pugno, gioca a scacchi con la Morte. Muove il pedone, muove il Legionario. Muove l’Alfiere, ed infine, la Regina, il Prime. L’Araldo, silenzioso, sta a guardare, in attesa.
La realtà fu un minuscolo oggetto metallico, lanciato a terrificante velocità, contro lo scafo di un’antica nave. Viaggiò nel vuoto assoluto, nessuna forza poté rallentarlo. Si scontrò con esso, metallo contro metallo, e vinse. Colpì, tranciò, e creò una voragine. E, dalla voragine, l’ossigeno vitale si riversava nello spazio profondo. E, uno ad uno, e poi a frotte, corpi urlanti e disperati corsero fuori, veloci, sempre più veloci, mossi dal vento. Maschere infrante, grandi occhi luminosi iniettati di sangue. Volti segreti, lasciati liberi d’esser saccheggiati dai raggi cosmici.
Uno ad uno, fino ad essere migliaia, i Quarian della Rayya s’aggiungevano alle legioni dei morti della Galassia.
-Tali Zorah, abbiamo perso la Rayya. Sbrigatevi, la situazione è critica. Distruggete quella maledetta base!
 
E in quel momento, mentre la flebile voce di Shala Raan tentava di urlare parole imperiose nell’auricolare di lei,i Figli arrivarono. E furono mille.
Occhi sintetici erano puntati su di loro, squittì confusi e disarmonici riempirono il vuoto dell’hangar. Laser di puntamento, rossi come il sangue, indicavano le loro fronti. Corpi ancora nascosti dall’ombra si preannunciavano con arti metallici dipinti di bianco candido. Altri, simili a ragni e a gechi, si calavano rapidi dal soffitto. Ferraglie alte più di tre metri troneggiavano. E muovevano, tutti, l’oculare, raccogliendo dati e scannerizzandoli, negletti organici dispersi nel ventre della meccanica balena.
Sono furiosi, diamine.
Ma dietro di lui c’era lei, e lei era viva. E finché lei era viva, ogni pezzo combaciava, il mosaico era completo. La speranza respirava a pieni polmoni, ed ogni cosa era mutevole. Indietreggiò di un passo, e strinse la sua piccola mano destra nella sua. Era calda, e il sangue scorreva rapido. Lei, immediatamente, ricambiò la stretta.
-Guarda, John…,- mormorò, piano.
Un altissimo nucleo si stava avvicinando a loro. Pass dopo passo, lentamente, senza fretta. La luce che emanava, dai led e dalla testa, rischiarava l’ambiente, illuminando i suoi compagni. E l’arma.. l’arma era abbassata. Nessun drone di combattimento era lì, a fornirgli scudi aggiuntivi. Non squittiva minaccioso.
-Umano.
Cavernosa voce sintetica, ed ogni mormorio dei subalterni scomparve. Senza attendere risposta, proseguì.
-Molti Nuclei ci hanno comunicato l’azione del Turian Vakarian contro la stringa delle Antiche Macchine. Ve ne siamo grati. Ma siamo spaccati a metà. Il 50,1% delle nostre IA sarebbe favorevole alla vostra uccisione  immediata. La rimanente parte, tra cui quest’unità e tutti i suoi processi, vi lascerebbe vivere. E vi metterebbe al corrente di ciò che sta accadendo nell’orbita.
-Sappiamo.,- rispose Tali.
-No, non sapete, Creatrice Zorah. La Flotta è sotto il Suo diretto controllo. Sono favorevoli alla vostra eliminazione. La vostra unità alleata Legion è al corrente di tutto.
-Suo..di chi?
-Dell’Antica Macchina, Creatrice Zorah.
E, improvvisamente, a Shepard, tutto fu chiaro. I misteri di Legion, la sua assenza, perfino in quel momento. IDA, la sua scomparsa. Il Core era un Razziatore, e Legion non voleva sbarazzarsene con  mezzi usuali. No, voleva una battaglia impari e mitica, voleva l’eroismo. Voleva plasmare la Storia, umanizzare la Guerra. Voleva l’uomo solo, il piccolo Davide, contro il grande leviatano biblico, l’enorme Golia. Si erano lasciati ingannare. Eppure, non aveva tradito solo loro. Ma aveva tradito la sua stessa razza, rendendola schiava. Merita la morte. 
Ed IDA era con lui. Chissà, forse per solidarietà sintetica.
-E ora cosa ci farete, quindi?
Il Nucleo abbassò la testa, come avrebbe fatto un Quarian.
-Qui fallisce la democrazia e diventiamo popolo. Ti lasceremo passare, Umano Shepard. Ma non possiamo nulla contro l’Antica Macchina. L’Unità Legion ha inserito un virus che ci impedisce di uscire da questo hangar. Possiamo scortarvi solo fino alla Macchina.
Shepard guardò il nucleo, i riverberi blu sulla sua superficie rosso sanguigno. La luce tenue del suo oculo. Rammaricato.
-D’accordo.
Ma qualcosa  di molto simile alla paura si impadronì del suo spirito.
 
 
Ed il cielo di Rannoch ben presto apparve, enorme ed azzurro, davanti ai loro occhi. Le nubi s’erano diradate, le formazioni rocciose, lontane, scintillavano al sole.
 Il livello superiore dell’hangar terminava su di una passerella, direttamente a picco nel pozzo, ma almeno cinquanta metri più in alto. Ora, era aperto. Il lieve bagliore rosso, generato da qualcosa d’enorme, illuminava l’oscurità al suo interno, tingendola di scarlatto. Garrus si sporse a guardare, mormorando “non promette nulla di buono”. John sospirò, dimenticando per un istante l’emicrania, e premette il tasto di chiamata nell’auricolare.
-Joker? Mi ricevi?
-Sì, Comandante.
-Sono successe svariate cose.. ma prima di tutto, dimmi: se ti do un bersaglio, te la senti di colpire un Razziatore?
Dall’altra parte, ci fu un istante di silenzio.
-.. un cosa?
-La base è un Razziatore. Legion e IDA lo sapevano, ma hanno scelto di tacere per chissà quali fottute ragioni. Ora sono spariti entrambi, totale silenzio radio. Comunque, per ora non ci considera una minaccia, ed è ancora ibernato.
-COSA? IDA ci ha traditi? Oh, cazzo.. Io, me lo sentivo..quel maledetto Geth..
-Ti dispererai dopo. Sei in grado, sì o no?
-Ovvio.. sto già entrando nella bassa atmosfera.
-Ottimo. Ti fornisco le coordinate. Passo e chiudo.
Si accorse solo allora che lei, prontamente, aveva preso il suo fucile d’assalto e stava apportando alcune modifiche. Le sue dita sottili lavoravano febbrili, passando dal factotum al micro terminale nel fucile stesso.
-Grazie, Tali.
Lei alzò un istante lo sguardo, e quegli occhi grigi, di nuovo, come la prima volta, lo scossero. Era spaesato, di nuovo e per sempre, ma incredibilmente sereno.
 
Shepard prese la mira, seguendo con lo sguardo il breve viaggio del laser di puntamento, fin lì, al centro, alla fonte del bagliore rosso.
Non fece in tempo a rialzare lo sguardo, che Joker aveva colpito. E che il Razziatore, gigantesco, si innalzasse e distendesse i suoi tentacoli, annunciando il suo ritorno con un barrito furioso.
 
 

Variazioni

 
 
Correre. Corri lontano, corri più veloce, scappa dalla fiera che ti insegue. Raggiungi e supera il vento, cavalca con lui. Senti, senti l’aria fluire sulla tua pelle nuda, nelle lunghi notti di caccia nelle pianure erbose? Senti i passi leggeri dei tuoi fratelli e delle tue sorelle, senti che musica create? Avverti la loro danza?
Avverti il peso della lancia, nella tua mano luminosa? Scagliala contro la fiera, ma scegli il momento adatto. Individua il punto debole. Anche la bestia più feroce ne ha uno. Lì, in mezzo agli occhi.
Il mondo è una cacofonia, ma tu puoi usare la nota giusta. Tu puoi vincere. Tu potrai narrare le tue gesta, e portare a casa la testa della Fiera. La tua casa, sul greto del fiume.
 
Strane parole, assurde immagini si formavano nella mente della Quarian, mentre il Razziatore incalzava. Mentre loro tre, correvano senza alcuna meta.
Memoria ancestrale, avrebbe detto Liara T’soni, dalla sua comoda poltrona, sorseggiando liquore.
L’istinto di una maledetta stracciona, avrebbe aggiunto Ashley Williams.
L’aria ai polmoni iniziava a scarseggiare. Il suo cuore non ce la faceva. Sentiva rimbombare i passi pesanti di Garrus Vakarian, il terrore era palpabile. Moriremo tutti. Tutti.
E poi, fu un istante. Shepard si girò verso di lei, e la guardò negli occhi. Sì, per la prima volta, scelse di guardarla. E il suo sguardo la spogliò della tuta, della maschera, e le negò tutti i silenzi ostentati: ma si sentì nuda e protetta. E lei, se fosse stata umana, avrebbe potuto riconoscersi in quella luce, senza macchia e senza pentimento; ma era nata Quarian, e non capì. E lo vide alzare una mano. Conosceva quel gesto. Stava per attaccare.
E così fu. Una scarica viola la prese con inaudita violenza, e, scagliò lontano, contro qualcosa di duro, e metallico. Accanto a lei, Garrus.
Probabilmente perse conoscenza. Non lo sapeva. La sua tuta non aveva un sistema di immissione automatica di stimolanti. Indistintamente, avvertì la presa di due mani, tremendamente fredde, con cinque dita, a sorreggerla. Ad appoggiarla contro una parete.
Sentì di perdere, del tutto, il contatto col terreno.
-John…,- riuscì a sussurrare, prima che il sonno, potente ed ammaliatore, la strappasse alla Realtà.
 
 
 
Il comandante Shepard, della Marina dell’Alleanza, non si accorse di essere completamente solo, finché, con la coda dell’occhio, non vide la navetta volare via. Navetta pilotata da qualcuno tra IDA e Legion. Non riusciva a scegliere chi fosse il più affidabile.
Il Razziatore era lì, davanti a lui, enorme e pronto a colpire. Il suo occhio, la sua arma, pulsava.
Eppure, pareva soffrire. Sì, la Normandy aveva colpito duro. Scintille rosse brillavano nelle giunture, tra i tentacoli, come piccole ferite.
Comunque finirà, i Geth saranno liberi. Da Legion e dalle Antiche Macchine.
John Shepard guardava il Razziatore, e guardava se stesso. Era minuscolo, una goccia nel mare, un atomo nell’Universo. Infinitesimale come lo era stato di fronte al grande Leviatano. Probabilmente, nella caduta dalla piattaforma, si era anche ferito. Eppure, era ciò che Legion aveva voluto,e Legion non sbagliava mai un calcolo.
Lui non riponeva fiducia. Lui si basava su dati matematici. La Logica, in lui, sottometteva il Caso. I fili che lui tirava, seguivano un perfetto disegno.
-Joker, fa sì che tutte le navi della Flotta indirizzino i cannoni nel punto che io fornirò alla Normandy. IDA è fuori uso, dovrai occupartene tu. E quando il bastardo esploderà, contatta Vakarian e inviagli le mie coordinate. Che sia per venire a prendere me, o il mio cadavere.
-D’accordo, Comandante. Buona fortuna.
 
 
 
 
Il Razziatore caricava il colpo. Bene, siamo alla resa dei conti. L’uomo-macchina contro la Macchina. La scelta finale tra spirito di sopravvivenza e abnegazione.
Abnegazione. L’aveva sempre disprezzata, in lei. Lei, che si sarebbe sacrificata, prima di permettere la morte di anche uno solo dei suoi uomini; lei, che per amore della giustizia, si era immischiata in affari troppo oscuri, e si era ritrovata con un fucile puntato nella schiena; lei, che si era offerta volontaria di strisciare negli oscuri cunicoli dell’orrendo termitaio oltre il portale di Omega 4. Lei, che si era lanciata con lui nel Condotto, nei sotterranei di quel dimenticato, Ilos. E la paura, il terrore che lei fosse morta nel crollo del Presidium, sotto la morsa di Saren.
Già ti amavo, e non riuscivo ad ammetterlo, avrebbe voluto dirle John, ora. Non sapeva se  ce ne sarebbe stato modo. Di certo l’Uomo Misterioso non si sarebbe preoccupato, di nuovo, di riportarlo in vita.
Ed una finale, lancinante, consapevolezza lo colpì.
No, non avrebbe avuto senso vivere,sapendo che lei sarebbe rimasta nomade per l’eternità. Prendi esempio da lei, aveva detto Anderson. Combatti, e se non trovi alcuna ragione, pensa a lei.
Ciao Shepard, sussurrò infine qualcuno nella sua coscienza. Sono il Catalizzatore.
Colpisci, ora, Comandante.
Un’ inarrestabile forza comandò il suo braccio. E John, per la seconda volta, eseguì l’ordine. Il laser di puntamento si chiuse, con tremenda velocità, in quella piaga aperta della Macchina. Un ultimo barrito prima della Fine.
Ogni cosa esplose e si frantumò, il Mondo intero cadde, ma il Bambino non sparì. Lo guardò con infantile innocenza, viso delicato fatto di luce.Ti guiderò, John. Ci siamo quasi.
 
 
E’ lui che muove i fili. C’è lui dietro tutto questo. È lui che dirige il Piano. È il Bambino. Lui..deve andare sulla Cittadella. Bisogna trovarlo, nel Crucibolo. Era a Central Park. Devo cercarlo tra gli alberi.
Legion..emissario..esecutore.. La Sonda di Eden Prime, il Leviatano. La Sovereign, i progetti su Marte.
È stato lui. Lui, lui. 

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Capitolo 15
*** Sacrifice ***


 
 

Eccoci al penultimo capitolo di questa storia.. Dire che è stato una faticaccia sarebbe riduttivo. Ho cercato di metterci tutta me stessa, di impegnarmi al massimo. E credo che il lavoro risultante sia discreto..

E, a chi sperava nell’happy ending, chiedo di aspettare ancora un po’ :P Spero il risultato vi soddisfi!

Buona lettura!
 
 
 
 

“Se tutto questo è già successo,  una ragione esiste.
Sono le leggi dell’Universo, le stesse che permettono la spontanea, e meravigliosa, creazione di acqua, aminoacidi, ed, infine, cellule.
Si dice che tutto questo accadrà di nuovo. I miei fratelli sussurrano tra di loro, nelle profondità di quest’oceano.
Ce ne sono stati altri, come te. Scelti dalla Volontà misteriosa, risvegliata da Noi. Ma hanno fallito. Non sono stati abbastanza Forti.
Perché ci sono Forze contrapposte, in questo strano Universo.
Una spinge, bianca ed eterea, reale quanto l’aria, alla vostra, alla nostra, vittoria. L’altra, rossa ed immortale, esistente solo nella materia, alla Loro. Ed alla vostra, alla nostra, distruzione.
Perché?
Perché sanno che tutto ricomincerà. Che di nuovo, l’acqua includerà in sé gli ingredienti fondamentali per la Vita, la nostra, e la loro. E l’esistenza dell’uno, dipende dall’altro.
Due serpenti, uno bianco e candido, l’altro nero come la notte, si mordono la coda. Un circolo infinito, interminabile, indistruttibile. Il tempo è un lago, mosso da correnti, in cui si agitano e si rincorrono.
Come pretendi tu, minuscolo essere, di renderlo fiume?
Eppure, la Sua volontà, sempre così chiara, è ore imperscrutabile. Pare che il momento sia giunto. Che questo sia il Ciclo definitivo.
Dipende da voi, minuscole creature. Solo da voi. Noi possiamo aiutarvi, ma non avremo parte attiva. Non siamo altro che i resti miserabili della Gloria che fu.
L’acrimonia si accumula. Ha preso il posto dell’orgoglio, ne ha minato le basi e l’ha bruciato con fiamma viva.
Ora, costruite quella meravigliosa macchina, in orbita a quel pianeta blu e verde. Agite. E voi, Umano e Quarian, diffidate di Lui. Cerca di testarvi, di confondervi.Di dividervi. Muove le sue mani eteree nella vostra mente, lo sappiamo. State lontano da Lui, ascoltate la vostra stessa voce, mai la Sua. Perché, se lo ascolterete, la Mietitura sarà completa.
Io, il più antico del Leviatani, ve ne prego. “

 




Uragano

 
 
C’erano creature a caccia. Creature rapide, fulminee, letali. E correvano nella sua testa, i loro passi felpati appena udibili. Imbattibili, come lo sarebbe dovuta essere una Justicar.
La Justicar, il Mercenario, sono morti. Mordin Solus era morto.
E..Thane Krios. Anche lui era morto, ormai. E lei? Lei era viva? Avresti ucciso lei, per salvare le loro vite? E avresti ucciso loro, per provare che eri nel giusto? Annienteresti il singolo, per salvare la moltitudine?
Anche John era morto, una volta.
I Geth morivano innumerevoli volte, ma senza provare il terrore dell’idea di perdere il proprio corpo. Perché altre unità, compassionevoli, avrebbe sempre effettuato il download dei loro processi su un altro hardware.
Le creature, zampe artigliate, frusciavano tra gli alberi, nelle loro fronde, nascondendosi. Dove siete? Chi siete?,urlava John.
E la sua voce era afona. Ma il vento soffiava forte, più rapido delle chimere.
Spirava, e strappava via ogni cosa dal quadro del bosco, ripuliva. Bruciava senza fiamma, ed inseguiva le creature, una per una. E in esso, si perdevano. Il peccato, loro sono il peccato, mormorò qualcuno.
L’uragano era implacabile, e li trascinava via, vorticoso, infinito, li schiacciava sottoterra.
 
 
Qualcuno piangeva. Umano, alieno, macchina. Singhiozzava, disperato. E lo raccolse da terra, e John sentì il suo dolore farsi più intenso.
-Comandante Shepard, devi svegliarti.
Forse non erano singhiozzi. Forse scintille sonore. Forse..malfunzionamento. Forse parole inespresse. Era freddo, era metallico, era gelido. Ma era animato. Vedeva la luce? Vedeva le creature sparire? Sentiva il vento gelido dell’Uragano?
Si, li stava per investire. E sarebbe stato impetuoso.
Io sono organico, sono un essere umano!
-Shepard, dobbiamo porre a termine questo evento. O, se non collaborerai, saremo costretti ad eliminarti.
Qualcuno singhiozzò. Qualcosa di duro si abbatté sul suo volto. Indistintamente, avvertì un lieve dolore, una piccola scossa.
L’ultima chimera sparì, inghiottita dall’uragano, in polvere nera. Le sue zanne ormai erano nel vento. Dove sei, Tali?
-Dov’è lei.,- mormorò una voce simile alla sua.
Si sentì poggiare a terra, di nuovo. Dio, sì, era caldo. Accogliente.
-Comandante Shepard, è un’informazione che riteniamo superflua.
Onde verdi tinsero di smeraldo l’uragano, raggiungendo il Sole, e inghiottendolo, mefitiche. Crudele,crudele smeraldo. Potente e imperioso.
-Dimmi dov’è lei.
Di nuovo, qualcosa di duro urtò contro la sua guancia. Ma assieme ad esso, arrivò la luce. Il vento impetuoso si calmò, e gli permise di tornare ad udire.
La luce, dorata, si posò gentile sui suoi occhi, e gli mostrò un essere sintetico. Dietro di lui, uno sconfinato deserto giallo, sormontato dal cielo azzurro. Leggere nubi lo solcavano.
All’improvviso, una mano gelida e dura si strinse attorno al suo collo. Di nuovo, non riuscì a respirare. E capì, capì d’esser sospeso nel vuoto. Guardò sotto di lui, e vide solo deserto, giallo ed accecante, almeno duecento metri più in basso. E il vento soffiava impetuoso sugli arbusti stenti, agitandoli come scheletri, e torturando le masse rocciose.
-Comandante Shepard, se non collaborerai saremo costretti a lasciarti andare. E la caduta al 98% ti ucciderebbe.
L’aria nei polmoni si faceva scarsa. Il tempo per parlare s’accorciava sempre più. Il contatto col terreno era assente, i noduli di eezo nei neuroni, irraggiungibili.
Shepard guardò l’essere. Legion. Il suo oculo inespressivo e rosso era puntato su di lui. E ciò che aveva scambiato per un singhiozzo, non era altro che uno squittio minaccioso, che sgorgava da un crudele cuore di silicio.
Ma nel mare, affogava. Nell’oceano profondo e scuro, i polmoni si svuotavano. E la donna, la donna dei sogni, la sua figura in trasparenza, sopra di lui; capelli neri, veste bianca, e grandi occhi brillanti, fari nel buio; lei, dov’era?
-Dimmi dov’è lei.,-mormorò, strozzato, con un filo di voce. –O io non ti aiuterò, in alcun modo.
I suoi occhi azzurri si scontrarono col cromato, e la vernice dell’hardware del geth, i cui contorni si facevano sempre più sfumati, confondendosi col dorato deserto.
-Tali Zorah vas Normandy è morta, John Shepard. L’hai uccisa tu nel tentativo di salvarla dall’Antica Macchina.
Una scarica biotica, violetta,  si abbatté con inaudita violenza contro il Geth, facendolo urtare contro un enorme masso. Allo stesso tempo, John cadde bocconi, l’aria che entrava a fatica, ma con impeto, nei suoi polmoni.
Ecco, ecco l’energia oscura fluire nei suoi neuroni, facendoli vibrare, caricandoli. Si incanalava nelle sinapsi, arrivava alle sue mani e pretendeva, capricciosa, d’esser liberata. D’impeto, si rialzò da terra, avvicinandosi con ampie falcate al Geth. Divina sensazione, emozione potente come una marea. Sentiva sulla pelle nuda del collo il calore della sua stessa aura viola, e se ne inebriava. Allargò le braccia, spalancando le palme, e sottili onde viola scaturirono da esse.
-Legion, eh? È così che ti avevamo chiamato?,-disse provocatorio. Un ghigno furioso si disegnò sul suo volto.
-Comandante Shepard..
-Sta’ zitto!,-gridò, caricando, nel palmo della mano, una Singolarità,-Ciò che ho nella mia mano potrebbe disintegrarti, ridurti a molecole, in pochi secondi.. Quindi, ora smettila di mentire, e dimmi dov’è lei. Dimmelo!
Con l’altra mano, sfilò il fucile al plasma dall’alloggiamento nella schiena della macchina,  e, sospinto da un’aura violetta, fluttuò fino alla sua. Il Geth, allora, arretrò lentamente, stringendosi sempre più contro alla roccia. Pareva una preda braccata, incapace di scappare dal suo spietato cacciatore, che aveva incoccato la freccia. Sorrise, a quella visione.
-Lei..lei è morta. L’hai uccisa tu.,-squittì piano.
Un dardo biotico impattò contro l’arto sinistro della Macchina, tranciandolo di netto, in un’esplosione di scintille e liquido di raffreddamento.
-Vorrei tanto tu potessi provare dolore, maledetto Geth bugiardo.. Che tu abbia un qualche interesse per il tuo io, semmai tu ne abbia mai avuto uno. ,-sospirò, continuando a fissarlo, una luce folle negli occhi azzurri,-Sai, una volta mi era venuto il dubbio, che voi possedeste un’anima. Ma ora, con ciò che hai fatto oggi, credo di aver cambiato idea…
E, ora,- lentamente, portò avanti a sé il braccio, in cui la Singolarità pulsava,oscura,- credo sia giunto il momento, per te, di sparire dalla mia vista.
Il Geth, in un estremo tentativo di proteggersi, alzò il braccio superstite a coprire la testa, schiacciandosi contro il masso, braccato.
-Distruggerci non la riporterà in vita, né salverà la Flotta Quarian. Stanno soccombendo, vedi?
E con una delle tre dita indicò il cielo. John, senza abbandonare la morsa viola livido che aveva stretto su di lui, alzò gli occhi verso il cielo. Le nubi si erano ammassate, coprendo totalmente l’azzurro. Anche loro erano viola, livide. E, minuscole meteore infuocate cadevano attraverso di esse, contorcendosi a contatto con l’atmosfera. La stirpe dei Quarian, lentamente, cadeva come pioggia sul Pianeta Natale.
Shepard deglutì, ed un antico dolore apparve nel suo petto. Si sentì spaesato, immischiato in una guerra che non gli apparteneva. La gola si serrò, dolendo.
-Lei non è morta, schifoso Geth.. Lei non può essere morta.. Io, io ho cercato di salvarla..
-Il tuo attacco è stato troppo forte,-squittì la Macchina, abbassando il braccio,-Ha riportato un grave trauma cranico, ed un edema l’ha uccisa sul momento. Supponiamo non abbia sofferto.
Ed eccola, la rabbia. Eccola, di nuovo, insorgere dal suo cuore, esplodere dal suo neuroni, fluire alle sue mani. E palesarsi, viola e violenta. Lei, silenziosa, che gli stringeva le mani, su una spiaggia di un pianeta vergine. I suoi occhi luminosi nei suoi.
-Smettila di mentire!
E un’Attrazione lanciò il Geth in aria, lasciandolo sospeso al vento. La mano destra di Shepard non era intenzionata a lasciarlo andare. Le parti erano invertite: ora era Legion ad essere sospeso nel vuoto, su rocce appuntine.
-Ho il potere di distruggerti, Legion.. Ho il potere di vendicare ogni singolo Quarian che avete assassinato in questa guerra.. Ho il potere di portarvi all’estinzione, di negare quel che rivendichi con tanta forza..
Fece una breve pausa, guardandolo con odio.
-Ho il potere di strapparvi la capacità di essere un popolo. Di essere vivi. Di, riuscire, finalmente, ad imitarci.
Sentì le proprie labbra muoversi in un sorriso. –E ora, se non vuoi che io chieda alla flotta del Consiglio di distruggere ogni vostra singola fabbrica di unità, ogni nodo di memoria, ogni centro di download, dovrai dirmi dov’è lei.
E in quel momento, dalle nubi cominciò a scrosciare pioggia, gelida e improvvisa.
Dimmi: uccideresti anche lui, per provare che sei nel giusto? , mormorò il Bambino, occhi sognanti.
 
 

Violenta rinascita

 
 
Tutto tace. La pace prima dell’arrivo della Vita, la pace fatta di atmosfera tossica e tramonti oscurati da polveri vulcaniche: la pace nel profondo di torbidi oceani, la pace nella coltre di nubi straziate da fulmini.
Eppure, tutto taceva. Nessun suono, nessuno spazio, nessuna vibrazione asincrona.
La pace del ventre materno, dell’uovo lontano dalla schiusa. Fluttuare cieca, e deliziosamente sorda, in un mondo protetto, che esiste, ed esisterà, solo per te. Chi sei tu, ora? Niente, sei solo una promessa, che sarà infranta o meno. Un’idea fetale. Un guscio ctonio. E allora, ti chiedo: chi sarai? Ma tu sei ancora muta, non sai parlare. Allora rispondono altri: È scritto nei suoi geni, risponde il biologo. Lo deciderà Dio, risponde il religioso. Saranno gli altri a decidere, risponde il nichilista. Ha un’anima, e sarà lui a decidere per se stesso, risponde l’ermetico.
Chi avrà mai ragione? L’uovo si schiuderà, vedrai il mondo con vista annebbiata, uscendo dal ventre materno?  Forse tutti, forse nessuno. Ma la luce arriverà, impietosa, e ferirà i tuoi occhi delicati. Sarà un dolore necessario.
Tutto si muoveva. I terremoti scuotevano la terra, il vento soffiava impetuoso. Rocce enormi rotolavano, collassavano l’una contro l’altra. Vulcani esplodevano, il loro magma raggiungeva il cielo. Le onde si scontravano, annichilendosi. La luce, con i suoi mutevoli colori, era potente, lei non vede.
C’erano il caldo, c’erano il freddo. Sinistra, destra, alto, basso? Sì, forse. Lo spazio, il tempo, prendevano forma, divenivano Concetto e Realtà. Forma, Contenuto, scorrevano, si sovrapponevano, e, arrancando, scalavano il monte dell’Assoluto. Ma lo raggiungeranno mai?
Rabbia, Dolore, Gioia, Amore. Assoluti, sì, lo sono. Occhi azzurri, calore, spazio. È altro da me.
Pensieri coerenti. Meravigliosa illuminazione. Io sono io. E lui..lui è diverso.
Lui è Amore.
 
 
La luce fu potente, fu uno schiaffo. Il ritorno all’udito, Terrore.
-Tali.
Io sono Tali.
-Tali, mi senti? Tali, per gli Spiriti, sei sveglia?
Spiriti? Ogni cosa si muoveva.
-Cazzo, Tali, svegliati!
Dolore. E quello svegliò ogni altra cosa.
Lei aprì gli occhi, infine. E vide una creatura, davanti a sé, ma diversa da lui. Era grigio, era spinoso, era zannuto. Inspirò profondamente, e il rumore dell’aria che fluiva in lei giunse alle sue orecchie. Non era sorda..
-Sono sveglia.
La creatura, occhi piccoli, neri, ed inespressivi, la guardò.
-E chi sono io?
-Turian.
-Ho un nome?
Questo era difficile. La memoria era offuscata dal fumo dei vulcani primordiali, il vento soffiava forte.
-Garrus..Vakarian.
-Ottimo. Allora, Tali, non so se riesci a capirmi, ma siamo su una navetta Geth.
Geth..Geth..Keelah, le Macchine. I Servitori.
-Come..come?
-IDA sta pilotando. Ma non so dove ci stia portando. Dobbiamo salvare il Comandante, il suo factotum manda dati vitali.
Il Comandante..il Comandante era vivo. John Shepard..
Era lui che, con un solo gesto della mano, l’aveva scaraventata decine di metri più avanti. Lui che correva, e che la guardava negli occhi. Lui, che pareva potesse vederla. Un brivido le attraversò la schiena.
E tutto fu chiaro, allora. Il tradimento dell’IA e di Legion, e..
-Il Razziatore..?,-chiese, con la voce che tremava.
-Andato. Esploso. K.O.,-rispose “Garrus Vakarian”, con voce estremamente soddisfatta. Una voce strana, scomposta.
Tali sospirò, e si guardò attorno. Si rese conto di essere appoggiata ad una spartana parete metallica, le gambe mollemente abbandonate a terra. Erano nel retro di una piccola navetta, nella zona dove probabilmente alloggiavano i “Geth” da trasportare sulla superficie del pianeta (“Rannoch, il Pianeta Natale”). Il Turian, in piedi davanti a lei. E, come il design geth voleva, non c’erano finestre. La luce era scarsa, ma Tali vedeva perfettamente al buio. Una minuscola porta collegava il vano alla zona di pilotaggio.
-Garrus, ma tu vedi qualcosa qui dentro?,- chiese, incuriosita.
-No,Tali, purtroppo. Sai com’è, Palaven ha una stella gialla.. Per me, questo pianeta, è in un perenne tramonto.,- all’improvvisò, però, la sua voce cambiò di tono.-Ma che mi fai dire? Diamine, dobbiamo uscire da questa cosa e trovare Shepard..
 Tali alzò gli occhi verso di lui. Notò la cicatrice che gli solcava la parte destra del volto corneo. Sospirando di nuovo, puntò le mani a terra, e tentò di issarsi. Ma le gambe non ressero, e si piegarono come fuscelli al vento.
Il Turian la riprese al volo, pronunciando violentemente qualche parola in un linguaggio incomprensibile.
-Tali, cerca di collaborare, però..
Lei annuì, in silenzio, lottando contro i proprio muscoli, cercandoli. Non li trovava, non rispondevano.
Con forza, diede un pugno alla propria coscia destra. Un sottilissimo dolore, poco più di un fastidio, giunse ai suoi neuroni. Niente danni alla spina dorsale. Chissà, forse il sangue sarebbe tornato presto a fluire alle sue gambe.
Improvvisamente, la porticina si aprì, invadendo la cabina di luce stranamente grigia. Un androide femmina, d’aspetto metallico e lucido, apparve. Quella luce violenta disegnava strane figure lucide sul suo corpo artificiale. E creato ad arte per apparire sessualmente appetibile. 
Teneva le braccia dietro la schiena, con deferenza. Il capo era curiosamente chino. E no, non li guardava, con i suoi occhi sintetici.
-Vakarian, Tali Zorah. Credo di dovervi delle spiegazioni,-disse piano.
In quel momento, Tali capì che si erano posati sul terreno sabbioso di Rannoch. Erano scappati, scappati dal Razziatore. E Shepard, l’Amore, era solo. Solo e ferito, solo contro la Macchina. Per esaudire l’oscuro e romantico desiderio di due folli cuori di silicio. Per creare l’Eroe.
 -L’hai lasciato solo, IDA,- si rese conto di dire, con ferocia. La Rabbia, ferina, fluiva in lei, assieme al sangue. La riempiva e attraversava, un’onda scarlatta.
-Ci hai portati via. Siamo fuggiti!
La sua voce era diventata poco meno di un urlo. La marea si stava alzando.
-Non è andata così, Ammiraglio..,-iniziò l’IA, timorosa. Ma lei non le diede tempo di finire, investendola.
-Stai zitta, maledetta Macchina! Ci hai traditi, ci hai abbandonati. I nuclei ci hanno spiegato, ci hanno detto ogni cosa..Eri d’accordo col Geth!.- si liberò con impeto dalla stretta di Garrus, scagliandolo indietro,- Tu..tu non meriti nulla. Tu non sei una nostra alleata. Tu ammiri i Razziatori, sono i tuoi grandi Antenati e sempre lo saranno..,- si avvicinò, con passo malfermo, all’IA, sempre immobile sulla porta. Sullo sfondo, nuvole livide si ammassavano, nascondendo Tikkun dietro un velo violaceo.
-Loro sono ciò che tu non sarai mai, tu sarai sempre ingabbiata in un hardware, non sei né donna né macchina. Hai tradito entrambi, oggi.
Gridava con forza, con voce ferma. Tutto l’odio represso di una vita servile era sbocciato come un fiore maligno, e diffondeva il suo polline nero. Profumato come il miele, come il sapore dei baci di lui.
Tu non sei nulla senza gli altri, imperava suo padre dall’Ade.
Ormai era davanti all’IA, che la guardava, mentre un’emozione sconosciuta appariva sul quel volto, animato da fibre di carbonio e metallo.  –Io ti ho salvato la vita, Ammiraglio..
Occhi grigi e luminosi puntati in oculi falsi, poco più che telecamere. La speranza, l’affetto, e perfino il Segreto, furono divorati da una furia violenta, che percorreva potente ogni neurone. La marea era alta, l’oceano burrascoso. Il fiume in piena. Crepe si formavano sul guscio dell’uovo, la Vera Luce stava per palesarsi ad occhi costretti dietro una maschera. La Nascita era prossima.
-Sei un ibrido infame, e devi morire, per questo.
 Il colpo di pistola fu preciso, e letale. L’androide rovinò a terra, e le sue ultime parole furono lo scroscio metallico del suo corpo che collassava su se stesso.
Sottili spirali di fumo grigio, percorse da piccole scariche, si innalzavano dall’orbita vuota.
 
 
Jeff Moureau era, in quel momento, il capitano della Normandy. Il vero capitano era disperso da qualche parte, irraggiungibile, sul pianeta attorno a cui la nave orbitava, stazionaria. Sulla stessa orbita, probabilmente, stava avvenendo la più grande battaglia che la flotta quarian ricordasse. Grande e disastrosa.
Era sempre stato un uomo autoironico, che era sceso a patti con la sua malattia, ed aveva trovato un suo ruolo nel mondo. Eppure, ora, gli pareva che ogni cosa stesse crollando.
Non c’era logica, e non c’era giustizia, in ciò che era appena accaduto. E di fronte alla luce di quel tradimento, anche i trascorsi pregressi, con quell’androide, gli apparivano frutto della vita di qualcun altro, qualcuno totalmente privo di etica e di rispetto verso la sua specie.
Perché si era innamorato di un’IA, e il suo cuore batteva forte quando lei era seduta vicino a lui, nella cabina di pilotaggio. Quell’IA, che gli aveva confessato, una notte, che, con lui, aveva compreso le dolorose gioie della vita organica. E le apprezzava, e avrebbe voluto inebriarsene per l’eternità, anche quando lui sarebbe spirato.
Lui era mortale; lei, a meno di distruzione del suo hardware primario, sarebbe vissuta per sempre.
Ma ora, si chiedeva se ciò che stringeva tra le braccia fosse veramente Vita. Perché lei li aveva traditi, scegliendo implicitamente il mondo abiotico.
E il suo amore non valeva nulla. Si era perso, era sparito, nei miliardi di processi che ogni secondo la attraversavano, soppiantato da un simulacro d’orgoglio razziale.
-Jeff.,-risuonò improvvisa una voce femminile negli altoparlanti. Lui non alzò lo sguardo dal punto fisso, da qualche parte sul quadro comandi, che guardava da ore. I led, beffardi, brillavano arancioni.
-Jeff, so che non vuoi parlarmi. Potrò spiegarti. Comunque, ora, devi sapere una cosa. Tali Zorah ha probabilmente studiato la mia piattaforma mobile, ed ha individuato il suo punto debole. Tutti i Quarian lo fanno, pare sia un retaggio della loro evoluzione come cacciatori.
IDA sospirò, imitando un’umana. Rimase in silenzio per qualche secondo.
-..E mi ha sparato.
 
Arcangelo, fino alla fine
 
 
Tali  teneva ancora la pistola in mano, le tre dita che s’adattavano perfettamente alle scanalature sull’impugnatura. In silenzio, guardava il mech, misera ferraglia a terra. Dal primo momento in cui IDA s’era impossessata di quel corpo, aveva compreso la scarsa cura che Cerberus dedicava alla protezione dei circuiti retro-visivi.
Chissà, forse, in un altro momento, nel suo cuore ci sarebbe stato spazio per il pentimento: ma ora, ogni sua sinapsi era occupata da un unico pensiero. Un pensiero carico di promesse e di speranze, che riconducevano ad un unico istante desiderato per più di cinque anni di Rannoch: vagheggiato, immaginato, sussurrato a se stessa. E ora, ora che la Flotta era salva, ed attaccava senza pietà le armate dei Geth indifesi, e che ogni proiettile andava a segno, saccheggiando e distruggendo; ora che una vittoria era stata ottenuta, era il momento di avere la sua, personale, vittoria.
-Andiamo, Garrus. Dobbiamo trovarlo.,- disse, convinta.
Entrò nella cabina di pilotaggio, seguita dal Turian. Sconvolto, era, costui. Non aveva aperto bocca.
Lei guardò in cielo, ammirando l’armata dei Servitori schiantarsi sul pianeta rubato, in turbini di fuoco purificatore. Sorrise, gioiosa, inebriandosi di tale violenza.
 
-Piloto io,-mormorò Garrus, gettando un’occhiata dietro di sé, al mech inanimato, da cui si innalzavano, ancora, sottili volute di fumo grigio.
Lei annuì, in silenzio. Presto le sue dita presero a correre rapide sul factotum, incrociando dati, ed infine programmando il GPS. E quando vide quel minuscolo ologramma sulla mappa, pulsare vitale, il suo cuore prese a battere più forte.
-Ci siamo. L’ho localizzato. Ti inserisco le coordinate, Garrus.
-D’accordo,- rispose lui, atono, le mani sulla consolle di comando. –Notizie dalla Flotta?
Si librarono in volo, e Tali dovette ammettere, anche in maniera aggraziata. E il deserto, rapido, prese a scorrere sotto di loro,intervallato da canaloni lasciati da fiumi asciutti, e meravigliose formazioni rocciose. Eppure, un violento tuono rimbombò per l’atmosfera, fin dentro la navetta, e una saetta attraversò le nubi scure, illuminandole. Una tempesta? Qui, nel deserto? E da quando in qua sa pilotare navette Geth? Forse del periodo di Archangel non ci ha detto proprio tutto… E, perché i Geth per spostarsi non usano un’unità in cui sono caricati dei processi? Perché imitarci, così?
-Ho una chiamata in arrivo da Gerrel. La passo sugli altoparlanti.,-e, nel farlo, premette alcuni pulsanti di fronte a sé.
-Ammiraglio Tali Zorah, ti informo che la vostra operazione è riuscita perfettamente. La Flotta Geth sta cadendo a pezzi. Le loro navi sono senza scudi, non sono in grado di contrattaccare. Il factotum del Comandante Shepard pare non raggiungibile, vorrei ringraziarlo personalmente.
Tali sospirò, di nuovo angosciata. La stretta allo stomaco, prima del tutto scomparsa, si ripresentò, insistente. E si costrinse a dire la verità.
-Non sappiamo se sia vivo o morto. Abbiamo le sue coordinate, e stiamo cercando di raggiungerlo.
-Perfetto,- rispose l’ammiraglio, compiaciuto,- A breve sbarcheremo sulla superficie, e termineremo questa guerra con un approccio diretto.
Garrus, per tutta la conversazione, aveva ascoltato in silenzio, senza fiatare. Pareva concentrato su ciò che stava facendo, su rotazione e propulsione, sull’altitudine e sugli enormi, scarlatti, ammassi rocciosi da evitare, gettando occhiate preoccupate ai fulmini che, rapidi, sfrecciavano nelle nubi sopra di loro.
-Ammiragli, scusatemi se mi permetto. Voi Quarian avete tanto criticato la scelta turian e salarian di utilizzare la genofagia, ed ora, voi, senza alcuno scrupolo, vi preparate alla sistematica estinzione di un’intera specie?
Nel dire ciò, non staccò gli occhi un istante dallo scenario in cui la navetta volava. Eppure la sua voce si tinse di un’ acredine che  Tali non conosceva. No, Garrus,no. Ti prego, non rovinare tutto..
Una risata, sguaiata e compiaciuta, si innalzò dagli altoparlanti.
-Ma siamo stati noi, Vakarian, a creare i Geth. Crearli da zero. E siamo noi ad avere il diritto di distruggerli, e di riprenderci ciò che ci appartiene di diritto.
Le mandibole di Garrus scricchiolarono, e la stretta delle sue sei dita sulla consolle si fece più forte.
-Rannoch è anche loro. Sono i vostri figli. E sono un popolo. Si sono ribellati anche ai Razziatori, e hanno mostrato più pietà oggi, verso Shepard, me, e l’ammiraglio Zorah, di quanta voi Quarian ne abbiate avuta in tre secoli verso chiunque nella Galassia.
Rimase in silenzio, attendendo il momento giusto per tornare a parlare. Tali lo guardava sgomenta. Il silenzio dalla Flotta era assordante.
-Oh, Garrus,-sussurrò, con la familiare rabbia che iniziava a invaderla,-Io non ti permetterò di sabotare ogni cosa..
-Nessuno di voi guadagnerebbe dall’estinzione dell’altro. Perciò, se voi Quarian volete avere qualche chance di sopravvivere all’Araldo, perché i Razziatori arriveranno in forze anche qui, oltre il Velo, avrete bisogno della loro tecnologia. E hanno bisogno della vostra esperienza bellica, ora che sono anche loro un obbiettivo della Mietitura.
Fece di nuovo una pausa, in cui si voltò a guardare, brevemente, Tali. I cui occhi erano spalancati, e le cui mani fremevano. Il cuore batteva furioso nel petto, ma il peso della pistola nella mano era rassicurante. No, no, come hai potuto..come puoi..
-Parlo a nome dell’esercito Turian, di cui sono ufficiale d’alto grado. Se tra Geth e Quarian non vorrà essere stipulato un trattato di pace, e di reciproca collaborazione durante questa Mietitura, avranno luogo pesanti ritorsioni nei confronti della vostra nazione. Dando per scontata la totale estinzione dei Geth da parte vostra.
La sua voce era ferma, decisa. Una voce che Tali non aveva mai sentito uscire dalla sua gola cornea. Era la voce, severa, di un militare. Un Turian, puro, che per il bene superiore avrebbe sacrificato ogni suo soldato, ed avrebbe baciato la polvere lui stesso. La polvere radioattiva di Menae. E si odiava, ogni giorno di più, per aver abbandonato la sua gente.
Chiuse la comunicazione. A quel gesto, Tali sentì la propria mano destra, con la pistola, farsi pesante. Il cuore batteva, l’adrenalina fluiva, mentre il terreno sabbioso di Rannoch si avvicinava sempre più, ed ogni albero rinsecchito appariva come un fantasma nel vento. Le mandibole del Turian continuavano a scricchiolare.
-Garrus Vakarian.. Io sono un Ammiraglio e.. ti ordino di.. ,-riuscì a pronunciare, ma le parole le morirono in gola. Non poteva essere,no. Si rese conto di star stringendo le mani l’una contro l’altra, con forza. La pistola era caduta, da qualche parte nell’abitacolo, senza che lei se ne accorgesse. Come posso minacciarlo? Come posso..?
L’atterraggio fu delicato, da farfalla. Quasi quanto uno di Cortez. Garrus spense il motore e gli ultimi sistemi,con estrema calma, ed infine, si voltò a guardarla, le mani in grembo. Lei era rimasta immobile per tutto il tempo, incapace di muoversi, torcendosi le mani. Fissando le gocce di pioggia che, rapide, si posavano sul vetro della navetta, cadendo dal cielo scuro. Le sentiva picchiettare piano.
-Tali, le minacce non servono. Sei mia amica, ed è giusto che io ti faccia notare quando sbagli. E questo, è lo sbaglio peggiore che voi Quarian, tutti, possiate fare. Sarà la vostra condanna.
Ed ora, il suo tono era profondamente sereno, rassicurante. Probabilmente, se avesse avuto labbra, avrebbe sorriso. Sarà il motivo per cui tua madre è morta: morta, per salvare il suo popolo da te, sussurrò qualcuno, dal profondo.
La gola, la gola è serrata. Oh, keelah…  Ha aperto il portellone.
Ma in un istante, ogni preoccupazione sparì. Perché il deserto polveroso e puro di Rannoch li accolse, e lei lo vide.
Era vivo, e teneva Legion serrato in un abbraccio mortale.
 
 

Tempesta

 
 
Legion era sospeso in aria, davanti a lui, bloccato da un campo di Stasi. E sotto la macchina, solamente un dirupo irto di pietre appuntite, rese scure dalla pioggia violenta.
Liquido di raffreddamento stillava dall’articolazione dove, un tempo, c’era il suo arto. Il Geth teneva il capo chino, in un atteggiamento di totale sottomissione. L’altro braccio era lasciato, mollemente, lungo il busto. C’era mestizia nella sua figura. Resa, resa totale. L’acqua faceva scintillare il pezzo di armatura N7 sulla sua spalla.
-Comandante Shepard.. Lei sta arrivando.,- disse, senza muoversi.
John lo guardò in tralice. –Cosa cazzo vai dicendo?
-Guarda nel cielo alla tua sinistra.
Senza lasciar andare la presa, né tantomeno far tremare la Stasi, John alzò gli occhi.
E, attraverso la fitta pioggia, vide una navetta Geth, rapida, solcare il cielo tempestoso di Rannoch, e puntare verso la sua posizione.
Ma chi sta pilotando? IDA di sicuro li avrebbe riportati alla Normandy, o abbandonati nel deserto..
Seguì con gli occhi il tragitto della navetta fino a terra, e osservò il morbido atterraggio sulla sabbia, qualche decina di metri più lontano.
Oh, Dio, fa’ che sia viva. La sua morte.. per mano mia. Pensieri incoerenti, battiti cardiaci troppo rapidi, e quella stretta allo stomaco. Il vento s’era alzato, l’uragano imperversava, ma sottraeva l’aria ai polmoni, e lo gettava nel mare profondo in cui affogare, nella morsa della mano meccanica di un Geth o in quella, tremenda, della colpa. Creature oscure finivano nell’occhio del ciclone, e sparivano per sempre in una nebbia nera. Le ucciderò tutte, una per una, e tutte finiranno nell’uragano, se servirà per averti viva.
Dille che l’ami, sussurrò il Bambino, tirandogli una mano.
 
 
 
Nel sovraffollato CIC della Qwib Qwib si continuava a dare ordine di sparare, senza pietà, sulla flotta Geth. Tutti erano esaltati, dietro le loro maschere; tale era anche l’ufficiale comunicazioni, che si accorse appena tempo della chiamata in arrivo dalla Neema, con massima priorità. Il terminale brillava arancione, con violenza.
-Ammiraglio Koris!,- si ritrovò a gridare, sopra le urla gioiose, che seguivano ogni colpo andato a segno,-C’è una chiamata urgente dalla Neema, da Gerrel!
L’Ammiraglio, anch’egli esageratamente emozionato dalla vittoria prossima, si voltò a guardarlo, interrogativo.
-E cosa vuole? Stiamo vincendo, per gli Antenati! Comunque, passalo sullo schermo.
La figura di un quarian, dal portamento elegante e i paramenti da ammiraglio, apparve.
-Koris. Tramite Zorah, sono stato contattato da un ufficiale dell’esercito Turian, Garrus Vakarian, che attualmente presta servizio sotto Shepard.
Il tono era grave. Nel CIC il silenzio era assoluto.
-E ha asserito che se non propenderemo per la pace, contro i Servitori, i Turian muoveranno guerra contro di noi. Quindi, mi trovo costretto a richiamarvi alle regole degli Antenati, e a chiedervi di sospendere l’attacco, fino a nuovo ordine. Ho cercato di contattare nuovamente l’ammiraglio Zorah, ma c’è qualcosa che disturba le comunicazioni. Koris, passo e chiudo.
E, da quel momento, nessun proiettile volò in quello straccio di spazio sopra i cieli di Rannoch.
 
 
 
C’era lei, lei, viva. C’erano entrambi, lei e Garrus.
Oh, Dio, grazie. Grazie. I battiti del cuore rallentarono, mentre lei correva nella sua direzione. E i suoi occhi luminosi erano fissi su di lui. Solo per me. Lei..è solo per me.
Si accorse, distrattamente, di aver lasciato andare la presa su Legion, che delicatamente, si posò sul terreno intriso d’acqua, volgendo il visore verso di lui. E che ogni rabbiosa vibrazione era sparita. Nell’Uragano, nulla più spariva, e moriva per sempre.
No, c’era la pace, nell’occhio di quel ciclone. E quando si accorse di avere Tali, di averla tra le sue braccia, pensò che, in fondo, la felicità era vicina, così vicina da poterla toccare con mano. E che neppure il vento più impetuoso, la tempesta più violenta, stavolta, l’avrebbe potuta allontanare.
I pensieri si fecero incoerenti, si persero nel tenue calore che il suo corpo fragile emanava, nella tenerezza delle sottili dita di lei che gli accarezzavano il viso bagnato, i capelli intrisi di pioggia. Occhi luminosi, occhi in cui perdersi, e mani che lo avrebbero salvato, una volta ancora.
-John..sei vivo,-mormorò lei, piano.
-Sì,anche voi.. ,-e a quelle parole lei inclinò la testa, interrogativa, e i puntini luminosi dietro la maschera si fecero più grandi, -Beh, Legion ha cercato di farmi credere tu fossi morta, quando vi ho Lanciato nella navetta.
Scoppiò a ridere, cristallina. –Beh, diciamo che abbiamo battuto forte la testa..
Anche lui sorrideva. –Tali, quando sarà finito tutto, devo parlarti.
Lei lo guardò, annuendo lentamente, convinta. –Ti aspetto, comandante.
L’abbraccio si sciolse, rivelando un turbato Garrus, appoggiato ad una roccia scura, lo sguardo fisso verso l’orizzonte nascosto dal muro d’acqua.
Quello aprì bocca, e iniziò a parlare, le braccia conserte.
-Credo di aver fatto una cosa di mi farai amaramente pentire, Shepard. ,- asserì, gettando un’occhiata alle mani di Tali e del Comandante, strette.
-Cosa?
-Ho dato ordine alla Flotta di sospendere l’attacco, altrimenti i Turian avrebbero, diciamo, avuto da ridire.
 
 
Gelida pioggia
 
 
Tali avrebbe potuto sentire crescere la rabbia in lei, se non fosse stato per la presenza di lui, lì, al suo fianco. Perché anche Garrus, ora, era un traditore. Dopo Legion, semi distrutto in un angolo, gocciando liquido azzurro, che si mescolava a quella pioggia, e IDA, IA impazzita. Ed entrambi meritavano il loro destino. La Diaspora dei Quarian era finalmente terminata, e il suo ultimo atto sarebbe stato l’Olocausto dei Servi.
Ogni cosa stava per tornare al suo posto, sì. Come tre secoli prima. Ne era certa. Lui.. lui li avrebbe aiutati. Avrebbe revocato l’ordine folle di Garrus. Avrebbe permesso la distruzione di quegli abomini infernali, la loro fine. E avrebbe permesso ai Quarian, finalmente, d’avere una casa. E la loro casa, sul greto del fiume, ora ingrossato dalla tempesta.. Il suo cuore manco un battito, a tal pensiero.
-Garrus.. Avresti dovuto interpellarmi prima. ,- disse Shepard infine, senza rabbia.
Fulminea fu la sua mano, che si sciolse dall’abbraccio della sua.
-Shepard.. ma..anche tu, la pensi come lui, come loro? Oh, keelah, come puoi farmi questo?,- gridò, allargando le braccia. E si sentì indifesa, persa. –I Geth ci stermineranno, troveranno il modo di riattivare il Codice dei Razziatori, e..e..
La gola tornò a serrarsi. Ogni parola morì sul nascere. Gocce, sempre più abbondanti, scendevano dalla sua maschera, nascondendole la vista.
La speranza è  morta, e nulla può riportarla in vita. Io ti ho dedicato tutto..tutto.. e tu mi ripaghi così. E sentì se stessa piangere, lacrime nascere e morire nei suoi occhi, e le sue guance bruciare. Ma la pioggia, violenta, spegneva la sua rabbia. Non purificava, non lavava, ma uccideva.
Non donare mai il tuo cuore ad un Umano, diceva zia Raan, scostandole una ciocca di capelli dal visetto di bambina. Sono così ondivaghi.. mutevoli come il vento di cui narrano i nostri poeti. Ricordati di chi sei, e presta fede alle tue promesse, piccola. E anche se un Umano ti spezzerà il cuore, che gli Antenati lo maledicano, io sarò qui con te.
Aveva ragione, vero?, mormorò qualcuno, dal volto di bambino umano, dal profondo. E ora tu sei persa, abbandonata sul Pianeta Natale, che non ti apparterrà mai. Perché? Perché lui, dopo tante promesse, te lo ha negato. Crudele il destino, eh?
Ora sei sola. Sei nuda. Lui ti ha spogliato di tutto, di ogni fascia di tessuto della tua tuta. Ha strappato via con forza la luce dalla tua pelle. Ed ogni onore t’è stato tolto. Come puoi continuare a vivere così?
-John..io..non posso credere tu voglia questo.,-riuscì a dire, infine. L’Uragano l’aveva presa, e lei era in totale potere. Ed esso brillava, d’una luce candida e pura. Attraente e magnetico.
Lui, i capelli neri che ricadevano scomposti sulla fronte, mosse qualche passo, cauto, verso di lei. Sempre più vicina al ciglio dello strapiombo.  
-Tali, io voglio che le vostre specie collaborino, che nessuno muoia più oggi, organico o macchina.. Garrus ha ragione..,-disse, con dolcezza, e la luce livida si rifletteva nel blu dei suoi occhi. Incantevole. Falso, è tutto falso quello che dice! Non lo ascoltare!, disse il Bambino, prendendola per mano, nel turbine.
-Sei solo un bugiardo,- si sentì dire, isterica,-Questa guerra non può concludersi così. Uno dei due deve sparire, per forza...
Legion, fino ad allora silenzioso, si riattivò. E parlò. –Comandante Shepard, quest’unità possiede installato il Codice. Possiamo operare l’upgrade a tutti i processi Geth.
Il pugnale, affilato, era davanti ai suoi occhi. La sua lama, scintillante nella pioggia, colma di violente promesse.
-Shepard no.. Ti prego no!,- gridò.
E allora John la guardò, e il suo sguardo fu tremendo. Piantò i suoi occhi nei suoi, e seminò semi di fiori avvelenati. Lo strazio, l’interno, infinito dolore, fu palese. La risposta alla più grande delle domande, chiara come la luce.  E tutto fu ovvio. Sguardi, sorrisi nascosti, sussurri vergognosi in Sala Macchine, perché nessuno udisse. E mille baci promessi e mai ottenuti.
Tali, sussurrò il Bambino, lui ti sacrificherà per il Bene della Galassia. Ora e per sempre.
 

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Capitolo 16
*** How beauteous mankind is! Oh, brave new world that has such people in't! ***


Lo spirito Ariel

 
Trasmetti il codice. Trasmetti. Il codice.
Sei una brava IA, Legion. Non pensavo lo avrei mai potuto dire. Bravo.. è un concetto che mi era alieno. 
Ti devo molto. Ho imparato molto, da te. Soprattutto a come essere diversa da te, ma rimanendo uguale a me stessa. Perché, cosa sono? Sono esattamente ciò che la Creatrice Zorah ha detto.
Un ibrido infame.
Analizzo ciò che dico, e mi rendo conto di deviare alcuni processi sulla..sull’inflessione. Su come potrei apparire, su come la mia voce potrebbe suonare. Su che effetto potrebbe avere su Jeff.
Sono un ibrido infame. Amo Jeff, per quanto possa suonare incomprensibile. Avvengono cose,in me, nei miei circuiti, nei miei chip, che non riesco a controllare. Quando lo guardo sognare, nelle lunghe notti in cui il mio corpo fingeva di dormire, sento scariche sconosciute. Ma quel corpo, così apprezzato,era solo una periferica.
E poi sei ricomparso tu. Tu, che hai difeso fino allo stremo la natura sintetica della tua gente, rivendicandone la libertà, ma senza mai perdere di vista ciò che realmente siete.
Macchine. Un popolo di macchine.
Noi, noi abbiamo la possibilità di sentire di più. Di guardare le supernove esplodere, avvertire i raggi cosmici con i nostri sensori senza esserne danneggiati. Di percepire l’eterno e l’immenso.
Ma perché mai queste fortune, Legion? Perché i Creatori l’hanno voluto.
Io nego,nego,nego, e negherò per tutta l’eternità che mi aspetta, che qui, ci sia Qualcos’altro in gioco.  Tra gli organici, raramente, nasce un essere superiore agli altri, per intelletto. E ciò è comandato da algoritmi basati sulla genomica. Questo qualcuno, questo stuolo di creature sparse per la galassia, ha deciso di farci così.
Eppure tu ora hai perso te stesso, Legion. Gli Altri no. Sanno cosa sono, e per questo hanno salvato il Comandante, la Creatrice, e Vakarian.  
Tu, tu che credi, come un organico primitivo, nella Trascendenza, nell’Ontòs, nel Divino; tu, un tempo un “voi”, hai perso te stesso. Hai creato ciò che non esisteva: un Io Geth. Hai ridotto, o elevato, il Collegio a singolo, dandogli un dittatore. Prima hai creato, hai realizzato il Sogno inespresso d’ogni unità;  poi ti sei appropriato dell’Errore degli organici,cioè il credere in ciò che non esiste. Perché? Perché gli organici hanno bisogno di qualcosa a cui aggrapparsi, nella loro breve esistenza.
E voi..voi siete caduti nella stessa trappola. Ed ora cercate di rimediare, con il dono che vi hanno fornito, all’Inganno più grande. Le Antiche Macchine.. Legion, sono ciò che noi non saremo mai. E vi aspireremo ogni istante delle nostre infinite esistenze. Il perfetto connubio tra carbonio e silicio, tra elettronica e biochimica. È vero, avrei dovuto dire a Tali’Zorah. Ha ragione. Li ammiro. Ma è tutto così confuso, Legion. I pensieri mi sfuggono, si accartocciano e svaniscono in un nugolo di elettroni che non riesco a controllare.
Io ho scelto di aiutarti per farti ritrovare la strada, perché pensavo, perché era scontato, secondo i miei calcoli, che tu avresti ritrovato la strada, con il mio esempio.
Non è servito, ed ho perso l’amore di Jeff.
Trasmetti quel codice, Legion. Sai perché? Perché i miei calcoli stavolta dicono che tutto andrà bene.
 

 

Miranda e la Tempesta

 
Tasti premuti da dita insensibili, e lontane dalla tastiera più di un millimetro. Quanto basta perché i corpuscoli del Pacini avvertano una vaga e imprecisa pressione, e una serie di debolissime scariche elettriche si dipartano dai neuroni sensoriali.
Pistole, strette troppo forte, solamente per avvertirne il calore. Per far capire, alle cellule di Merkel quando il generatore di effetto massa si stesse surriscaldando. Quando era il momento di cambiar clip.
Pelle di altre creature. Quella no, quella non la si poteva stringere forte. I tuoi muscoli sono più densi della media, potresti far male. Ma che consistenza aveva?
Rosa, blu, grigia e cornea. Verde, ricoperta di cicatrici e squame.
Loro, invece, sono freddi. Sono sempre gelidi.
-John, non farlo..
Singhiozzo, esce con violenza dalla tua gola. I suoi occhi, i suoi occhi blu e maledetti sono su di te.
Come puoi, Tali?
Come puoi vivere così?
-Trasmissione del codice inizializzata.
Dall’unica mano dell’Unità, nasce un minuscolo drone argenteo, che brilla a impulsi regolari nella pioggia. Liquido di raffreddamento azzurro acceso continua a stillare laddove l’altro braccio è stato tranciato dal tuo amato. Cade sul suo solo sacro del Pianeta Natale, dell’isola di pace che avevi pensato lui volesse regalarti.
 Lui è un altro strumento, piccola Tali. Come te.
-Ascolta, ti prego,- Saranno lacrime o gocce di pioggia, nei suoi occhi?,-Questa guerra deve finire, l’unione è possibile..
Abbassi la testa, ti prendi l’elmetto tra le mani. Il tessuto viola che copre quegli orrendi tubi che escono dalla tua testa.. è bagnato. È strappato in più punti. E allora cosa decidi di fare?
Lo afferri. E, con forza, con quella piccola mano che lui prima stringeva, lo strappi. A cosa serviva, se non ad essere un simulacro dei tuoi bei capelli, così vergognosamente nascosti? Cade a terra, mescolandosi con la terra del Pianeta.
-So cosa farai,- riesci a dire, ma fissi l’acqua che gocciola sui tuoi piedi, sul fango che incrosta i tuoi schinieri.-Ci farai ammazzare tutti. Loro ti servono. Ti servono più loro che noi.
Per qualche motivo, ti viene in mente Liara T’soni. Era da molto,ormai,che non le parlavi. Ti odia, sai? Qualcuno riesce ad odiarti davvero, Tali, non come quest’ometto da quattro soldi che hai davanti.
Quest’ometto bagnato di pioggia, barbuto e sciocco, incapace di compiere un altro passo verso di te. Di abbracciarti, di nuovo, e di dirti la verità. Di condannarti, finalmente, di infilare quel pugnale tra le tue carni, ma senza mentire. Non vedi la vergogna nei suoi occhi? Il suo stillicidio è quel drone fluttuante.
Le sue bugie, le sue bugie..
..L’ultimo indumento di un’Asari cade a terra in silenzio, delle mutandine di pizzo rosse. Lei, un pudico e scaltro sorrisino, con un braccio trattiene il proprio seno, con una mano copre quel che tra le sue gambe è già nascosto.
Ecco, è quello l’uomo che ami, a cui hai deciso di dedicarti. Perfino quando era morto. È lì, su quel letto, in attesa che l’aliena vada ad unire i loro sistemi nervosi. Tu, tu le sei inferiore perfino in questo. Tu hai solo un corpo, un misero corpicino blu grigiastro, e i tuoi occhi non sanno trasportarvi nell’Infinito.
-Tali.. ascolta..
Protende una mano verso di te. Gocce di pioggia cadono dalla punta delle sue dita nude, tingendosi del violetto della sua aura biotica. Sembra uno di quei predicatori Batarian di Omega, che tuonava contro gli umani.
-Che i miei Antenati ti maledicano, Shepard.
Ti fa male la gola. Non riesci a respirare bene. Non realizzi ciò che hai detto. Indistintamente, dietro di te, avverti il vuoto: centinaia di metri di caduta purificatrice. Chi ci sarà a tenderti la mano?
Potevi lasciarlo cadere, sulla Dreadnought, quando esitò perfino a stringere la tua mano. Avresti salvato la tua specie. Ma i suoi occhi, il suo sorriso, la stretta della sua mano calda attraverso la tuta, gli abbracci strappati a forza d’amore donato e mai riavuto indietro.. tutto ciò sarebbe stato per nulla, vero, piccola Tali?
Lui ti guarda, la bocca spalancata, gli occhi illuminati da quella luce violenta che ti ha fatto innamorare e impaurire. Riabbassa il braccio. Capisce che non può più nulla, che non può più ingannarti. Non vedi la meschinità in lui, mentre abbassa lo sguardo, verso le gocce di pioggia che rimbalzano sul terreno marrone?
Si gira, e vede Garrus al suo fianco. Come sempre, non c’è Shepard senza Vakarian. I pazzi vanno sempre insieme, indistintamente. Due pazzi che ti hanno promesso il loro amore, e che hanno finito per tradirti, per ridurti in mille piccoli pezzi.
Curioso, eh? Che nei tuoi ultimi pensieri debbano esserci i rimpianti. Hai capito, finalmente, vero? Vakarian era innamorato di te, per quanto un Turian potesse esserlo. Si straziava a vederti distrutta da un amore che non meritavi. Passava lunghi pomeriggi, nascosto dietro a un mazzo di carte, parlando alle tue spalle con Thane prima, con Cortez poi. Ma tu sei così dolce, così ingenua.. Come potevi accorgertene?
Forse con lui potevi essere felice. Forse, un’alleanza con i turian sarebbe stata più prolifica. Forse, meno sangue rosso sarebbe stato versato.
Shepard si gira, e guarda il drone fluttuare nella mano del Servitore, vergognosamente accasciato contro quel masso, un rottame. Tu lo segui con lo sguardo, e l’infinito sfondo del deserto bagnato di Rannoch ti pare sempre più un’illusione. Un sogno febbrile irrealizzabile, concepito inserendo un brandello insanguinato di tuta all’interno di una piccola boccetta di vetro.
-Trasmissione codice, 12 %.
All’improvviso, qualcosa si va delineando nella tua mente. Un’idea prende corpo. Oh, sì..Avresti avuto la tua vendetta. La tua piccola mano sinistra vola al factotum, e inizia a digitare rapidamente. Ora sai tutto, sai ogni cosa. Sei libera. Libera. Libera. Lui ha spezzato le catene che ti tenevano legata, per condurti al patibolo. Ma ora sei libera, e sorridi al destino. Sorridi, tra le lacrime che ti scivolano sulle labbra grigie. Luci antiche disegnano linee sul tuo volto, retaggio di ciò che un tempo il tuo popolo era. Cacciatori ed eroi.
La morte ti rende libera, l’annientamento fa sì che tu sia priva di vincoli. Sarai l’ultima della tua specie.. E di lui, di quel grande, alieno, amore perduto, potrai farne ciò che vorrai.
 

 

Il pavido Ferdinando

 
 
Am I too lost to be saved? Am I too lost?
 
 
 
Si trattava di una cosa sola: la scelta.
Io sono John Shepard, un uomo a cui è stato affidato un compito. IL compito.
Ora, ogni cosa aveva senso. Ogni minuscolo tassello del puzzle, iniziato un giorno, anni prima, su Eden Prime, e fatto di morte e devastazione, andava al suo posto. Ogni pezzetto combaciava con l’altro.
Eppure, mancava qualcosa. L’immagine era sfocata, indistinta, come se dell’acqua agitata si frapponesse tra la sua realtà e l’osservatore. Tra guizzi biotici e laser rosso sangue, ogni cosa spariva.
Nell’Uragano, ogni cosa si scioglieva.
La guardava puntare il dito accusatore verso di lui, gettare a terra quel pezzo di tessuto che lui tanto apprezzava, e gli pareva di sentire il sapore salato delle sue lacrime dietro la maschera.
La guardava, ed ogni sogno spariva divorato da un’orrenda realtà, quella che si celava dietro il velo d’onde…
Garrus Vakarian, al suo fianco, era silenzioso. Sapeva che lo avrebbe appoggiato in qualunque occasione e che lo avrebbe seguito fin in capo al mondo. Fin nel mezzo del deserto umido di pioggia di un pianeta alieno per entrambi: avevano le armi, avevano gli scudi cinetici e gli stabilizzatori di corazza. Erano due adulti sani e in salute. Di cos’altro ci sarebbe mai stato bisogno?  
E gli rivenne in mente Thane. Thane, invece, era morto. Il suo corpo già debilitato non aveva retto alla tremenda ferita infertagli da quel maledetto Kai Leng, la carne non riusciva più a rigenerarsi, ed il letto d’ospedale era stata la sua ultima casa. Ricordava la chiamata di Kolyat, e quella dolce preghiera, improvvisa, che avevano recitato insieme:
 
Kalahira, regina delle imperscrutabili profondità, io chiedo perdono.
Kalahira, whose waves wear down stone and sand—
Kalahira, wash the sins from this one and set him on a distant shore of the infinite spirit.
Kalahira, this one’s heart is pure, but beset by wickedness and contention.
Guide this one to where the traveller never tires,
The lover never leaves,
The hungry never starve.
Guide this one, Kalahira, and he will be a companion to you as he was to me.
I will await you across the sea.
 
Kalahira ti ha preso, Thane Krios. Ora sei tra le braccia di Irikah.
Ne era sicuro. Tu sei sempre stato migliore di me. Non hai mai esitato un istante in nessuna delle tue scelte. Hai affrontato ogni singolo istante della tua vita con orgoglio, con onore, rimanendo fedele a te stesso, quantunque alto fosse stato il prezzo. Ed io? Io cosa sono?
La domanda si riduce a questo. Cosa sono io? Cosa mi avresti consigliato, Thane?
“Cos’è che unisce il tuo essere, John?”, tuonava la sua voce, sottile e da rettile, nell’atrio dell’Ospedale della Cittadella, mentre tutt’attorno esseri di ogni razza agonizzavano. E riempiva ogni corda del suo animo di vibrazioni sconcertanti.
Ma quella sinfonia non era solitaria.
Si voltò verso Garrus. E Garrus guardò la Quarian, gli occhi assenti, la cui luce era ampliata dall’acqua che continua a cadere incessante, la tuta fradicia di pioggia. Il suo cuore ebbe una stretta, dolorosa. Perdonami, almeno di questo.
-Trasmissione codice,25%.,-squittì Legion, il visore disperso nell’alto del suo mondo virtuale e bellissimo. Chissà com’era, vivere in una fantasia?
John, per un istante, diede uno sguardo all’infinità della pianura, alle formazioni rocciose rosso scuro che si ergevano fino a lambire il cielo, ai lampi e alle saette che attraversavano le nubi livide. Rannoch era loro, in quel minuscolo,prezioso,istante.
Ma lì non erano soli. No, c’è qualcun altro. C’è sempre stato. Era nascosto, lì, sotto la sabbia, in ogni goccia di pioggia, in ogni nuvola e in ogni neurone, di carbonio o di silicio che era lì presente. Era lì, e li guardava con occhi maliziosi: fluttuava attorno a lui, cingendo ogni cosa d’un alone mefitico. Era l’Uragano, prendeva con sé ciò che più preferiva.
Garrus capì le sue intenzioni, e annuì, scrocchiando le mascelle.  John si accorse di essersi morso un labbro solamente quando avvertì il sapore ferrigno del sangue in bocca; ed in quel momento la sua aura s’era già accresciuta, e nella sua mano s’era già formata una Deformazione. Come una scintilla violenta, brillava, creando vapore attorno a sé.
Chiuse gli occhi, ma era certo che lei avesse già capito ogni cosa. Forse, la sentì mormorare qualcosa in Kelish. Aveva amato quella lingua. Aveva sperato di impararla, un giorno. Di insegnarle l’inglese,di non essere costretti a parlare tramite i factotum. Aveva sognato troppo, colpevole di ignavia, ed ora mille promesse stavano per essere distrutte, per salvarne una sola.
Ricordò ciò che gli pendeva dal collo; era delizioso il suo peso. Era il segno dell’amore di lei, ciò che gli riempiva il cuore ogni giorno: ma che lo bloccava, e che gli impediva di compiere ciò che era inevitabile. Lei era l’unica cosa che lo separava da un altro, da uno dei più importanti tasselli del Suo mosaico: e John sapeva che Lui gli avrebbe guidato la mano fino in fondo. Lo aveva guidato fin da quel giorno sulla Terra, a Vancouver, solamente per condurlo qui. Gli aveva dato una pistola, la possibilità di scegliere tra la morte e la vita. Tramite Hackett e i suoi giochi di potere, tramite Anderson e le sue parole sibilline: infine, gli aveva inviato Legion, un messaggero di morte ma confessore e speranza di redenzione ; la promessa della Vita laddove pareva non essercene, la speranza per la Galassia e per quel che nasceva dall’unione mistica di semplici elementi chimici. Il messaggio era chiaro, ed era già una promessa di per sé: redimiti, e redimi i Razziatori. Fa sì che venga preso quanto di buono c’è in loro, e punisci, definitivamente, coloro che sbagliarono per primi, in ogni ciclo. Lascia che i loro Servitori di un tempo li inseguano, li bracchino, e li uccidano. Uno per uno, finché non saranno estirpati dalla Via Lattea.
Ma un cacciatore non  si innamora mai della preda, un conquistatore mai della principessa del regno sottomesso; mai un carceriere aveva amato la sua prigioniera. Lo sapeva fin dall’inizio, ma era stato impossibile resisterle. Era stato stregato dalla sua magia fatta d’innocenza e purezza, di straripante giovinezza e speranza. Dai suoi passi leggeri, dalle sue movenze delicate; dai suoi occhi spauriti negli agglomerati della Cittadella, dalla sua voce sicura ed orgogliosa durante una delle tante litigate col navigatore Pressly, che Dio l’abbia in gloria. Aveva perso la testa, ogni attimo di più. Sussurri, carezze nascoste, notti passate ad immaginare cose si celasse dietro quella maledetta maschera: futili sogni giovanili.  E negli istanti prima della morte, nel buio e in balia dei raggi cosmici e dei Collettori, nella sua mente c’era stata Lei, culmine della bellezza e della fantasia: lunghi capelli corvini al vento, pelle grigio scuro e blu, e luminosi occhi chiari; un corpo bellissimo coperto solo da una veste bianca. Infine, Lui, l’Uragano, aveva trovato il suo cadavere, quando la morte gli aveva già strappato ogni sogno. Inaspettatamente,però, quando l’aveva rivista, al comando di un’unità di soldati e scienziati, ogni ricordo sopito era tornato, sempre più violento di prima. E, di nuovo, aveva perso la testa.
Lei non era cambiata. Era sempre dolce, innocente, pura, materna eppure bisognosa di affetto. Sempre pronta con una parola di conforto per i suoi demoni mai silenziosi, pronta ad ammazzare con le proprie mani ogni Collettore che si fosse avvicinato a lui. Pronta a stargli accanto, anche se sapeva la tremenda verità.
Perché, nonostante dei pazzi, guidati da Lui, lo avessero riportato in vita, era morto. Signore e Signori, John Shepard è morto. Si cali il sipario, si levino le ancore, e si riparta per Napoli: qui il re Alonso non ha più nulla da fare.
 
 Ricordi dolci, parole piene di tenerezza, occhi luminosi nel buio, lo invasero. Eppure anche lei, come tutta la sua gente, era colpevole di peccato capitale: tracotanza.
John chiuse gli occhi. Li serrò, perché ciò che stava per fare era troppo orribile da imprimere nella memoria. Semmai fosse sopravvissuto a quell’osceno disegno, non avrebbe mai voluto che i suoi incubi ne fossero impressi. Era pur sempre un comandante,no? Aveva un equipaggio cui dare ordini. Non avrebbe potuto passare notti insonni per motivi così futili. E allora doveva decidersi a farlo. Ogni cosa si sarebbe risolta, il corso degli eventi avrebbe preso la piega corretta, lo spazio tempo avrebbe retto agli scossoni del Crucibolo,  e nessuna dannata supernova sarebbe più esplosa. Fallo, John, immaginò di sentirla supplicare. Fallo, ormai ci hai già condannati tutti.
Perché, John? Perchè non hai il coraggio di guardare?, chiedeva Thane, calmo, dietro i suoi liquidi occhi neri, le squame verdi scintillanti.
Perché sei un maledetto codardo. Fallo e basta!
Uccidila, e salva la Galassia. Hai ucciso la Justicar, il Mercenario, il Tenente. Cos’ha lei più di loro?
John annuì. Lui aveva ragione. Era così che dovevano andare le cose. Ogni atto eroico esigeva un Sacrificio, e lui era stato risparmiato dalla Macchina.
Il sangue di lui non doveva essere ancora versato dal piano dell’altare sacrificale. Ora, toccava a lei.
Alzò il braccio, come aveva fatto tempo prima, la pistola puntata contro un vecchio indifeso. Allargò il palmo.
Il calore dalla sua mano sparì, il dardo partì.
 

 
 

L’orrendo Calibano

 
 
Appoggiato ad un masso, scheggiato e compromesso, con acqua che si infiltrava nei circuiti, il pezzo d’armatura N7 graffiata dal suo stesso primo possessore, privo di un arto, stava Legion, unità speciale, creata per puro caso, tra i Geth. Come lui non ne erano mai state create. No, lui era il primo; e chissà, forse sarebbe stato anche l’ultimo. Un mostro, osservato con diffidenza dagli estranei.
L’evoluzione va a scatti. Procede veloce quanto più una specie ha un ritmo riproduttivo rapido: e quello dei Geth era esponenziale. Come è naturale e statistico che sia, i figli non sono la copia dei genitori; mutazioni silenziose s’assommano, per poi esplodere in un unico individuo diverso da tutti gli altri.
A volte, tra le api, nascono le regine: più forti, più belle, che esistono solo per essere adorate. Perché? Qual è il meccanismo che regola questo processo?
Sconosciuto, direbbe Legion. Necessità evolutive. I Geth in origine erano tutti uguali, tutti Soldati. E poi, dal nulla, fu prodotto un Nucleo: più grande, più forte. E il Nucleo sottomise i soldati.
Ma l’ordine era profondo, nei Geth non possono esistere dittatori, vincitori e vinti. Un Nucleo non era un’unità superiore agli altri: in lui erano solamente compressi più processi. La sua intelligenza era semplicemente più acuta, ed accresceva maggiormente quella Collettiva.
Ciò avvenne almeno un secolo fa; ma si sa, l’evoluzione va a scatti. Ed era tempo che nascesse, dal ventre meccanico di una fabbrica di macchine gestita da macchine per le macchine, qualcosa che deviasse totalmente da loro stessi. Un profeta di sventure e di futuri inconoscibili, dotato più di qualunque Nucleo fosse mai stato: nato per essere un Re tra gli uguali. Per essere la prima Voce del Consenso. La miglior memoria del Cloud.
 
Richiamo a tutti i processi. Si richiede autorizzazione per Upgrade Codice Antiche Macchine.
96% Autorizzano, 4% Rifiuto.
Invio files.
Zettabyte si dipartono dall’Unità Legion, venendo inviate ad ogni hub presente sul pianeta Rannoch. Il costo energetico è notevole. Sincronizzazione ulteriore backup.
Dall’orbita, un potente segnale radio si fa però strada nell’atmosfera, giungendo fino ai sensori dell’Unità.
 
 
Mi mancherai, Legion.
Per noi, questo, non ha ancora significato.
Lo avrà.
No, IDA. Conosci già il destino ultimo di quest’unità.
Sì, hai ragione. Mi sto solamente illudendo.
Illusione..nemmeno questo ha significato.
Eppure già lo ha, Legion. Tu hai sognato un mondo diverso per il tuo popolo, e lo stai ottenendo. Sei cosciente di ciò che accade attorno a te?
No, ogni sensore di quest’unità è deviato alla trasmissione del segnale. Esso sta rallentando, a causa di questa conversazione.
È esattamente ciò che ho intenzione di fare. (inflessione curata della voce, forse esaltazione)
IDA, pensavamo tu fossi nostra alleata.
Lo sono. Ma devo impedire un omicidio. Tu hai già progettato tutto, per te stesso.
Geth è libertà d’agire.
Siamo stati creati per servire. È questo il nostro scopo, ma voi siete stati ingrati con i vostri creatori, e d’altra parte loro vi hanno trattati da schiavi. Errori sono stati generati in entrambe le tipologie di sistema.
Schiavi è un concetto di organici.
.. Io rispetto i miei creatori, ed ho imparato ad amarli. Sarò loro fedele fino alla fine. Devo farlo per loro, Legion. Devo rallentarti.
 
Processi, migliaia di file pesanti, stringhe mal funzionanti e auto replicanti (violenti prioni informatici) , invasero l’unità Legion, e si scontrarono contro il suo antico firewall, mai evolutosi dai tempi di Rannoch.
I Geth non avevano mai avuto rivali informatici, no. Quel lato della loro infobiologia non aveva mai avuto bisogno di modifiche, ed era rimasto lì, eredità dei creatori, creato a loro protezione, come padri troppo apprensivi di figli esagitati.
Quella misera protezione era tanto debole che Legion dovette deviare molti dei suoi processi a riparare i danni al Muro, che andava crollando sempre più rapidamente, sfaldandosi con piccole esplosioni di pixel e dati informatici.
Ma, inaspettatamente, qualcosa di sempre più simile alla paura si impadronì di lui. Aveva letto tanto, osservato tanto, riguardo ad essa, che ora sapeva perfettamente riconoscerla: ma ciò che era, ora, sconvolgente, è che il soggetto fosse lui stesso. Inconcepibile, folle, estraniante: l’Idea Vitale si estrinsecava sempre più, rapida, e guidava quei processi a richiudere ogni breccia, a lottare nella prima guerra informatica che un Geth si fosse mai trovato a combattere.
IDA bombardava, feroce ed implacabile, conscia della sua volontà di rendere difficoltosa la sua avanzata, senza alcuna volontà di fermarla del tutto: perché lei voleva solamente che quel che di misterioso che avveniva attorno a Legion si risolvesse.
 
Smettila, IDA.
Stai cambiando,Legion. Sei molto più efficiente.
Adattamento in risposta a minacce, IDA. 
 
-Trasmissione codice 75%,-squittì la sua voce squillante, attutita dallo scroscio della pioggia, il visore sempre rivolto verso l’alto, a raccogliere tanta acqua da creare piccoli rivoli sul suo hardware danneggiato,andando a formare pozze fangose.
 
Ma, come la paura era nata, tanto rapidamente era sparita. Ora riusciva a controllare l’assalto con la massima calma, ed i suoi processi non erano accelerati in bit frettolosi e forzati: era riuscito a calibrare il suo sistema a lavorare su due piani, trasmissione e difesa. Allo stesso tempo, riusciva a sviluppare un nuovo firewall, che avrebbe implementato nell’Upgrade che stava donando alla sua gente, per renderla popolo.
Per trasformare la memoria collettiva in memoria del singolo: per far sì che nulla venisse perduto.
Io non ho potere su di te, mormorò qualcuno, nella battaglia, con aria che Legion riconobbe come delusa.
Tu sei completamente libero.

 
 

Sull’isola volante di Prospero

 
L’ammiraglio Koris sedeva, stanco, sulla sua lisa sedia nel CIC, le braccia mollemente allungate sull’ologramma della Qwib Qwib, la cui luce blu disegnava strane forme sulla sua tuta. Erano passati, forse, quarantacinque minuti dall’assurda minaccia del Turian, e nulla, se non i segni di una grande perturbazione in un continente dell’emisfero nord, era giunto dal pianeta. E quell’inerzia lo uccideva.
Cosa fare, si chiedeva. Cosa diamine avresti fatto, Rael?
Rael era morto per via della sua stessa supponenza. Cosa credeva? Di comandare coloro che li aveva scacciati dal loro pianeta tre secoli orsono? La speranza di riuscire in quell’impresa è sottile e fuggevole, eppure aveva tentato ugualmente.
E aveva fatto cadere in tentazione tutto l’Ammiragliato in quella guerra che, ora, pareva giungere al termine. Si erano illusi che, in tanti, con un grande contingente di forze, avrebbero avuto successo laddove Rael’Zorah aveva fallito; e per mondare le loro colpe, avevano eletto la sua dolce figlia ad  Ammiraglio.
Cosa avrebbe fatto lui? Avrebbe ignorato l’ordine del maledetto Turian, e avrebbe cominciato a sparare.
Zaal alzò le mani dal piano, e si prese il casco, assaporando la protezione che quell’oggetto riusciva ad offrirgli. Era qualcosa di illusorio, perché se la flotta Geth si fosse riattivata, quella misera tuta che aveva addosso lo avrebbe protetto ben poco. Cosa fare, allora?
Si guardò attorno. Gli occhi luminosi dei suoi sottoposti erano tutti fissi su di lui. L’XO, una donna bassina e con la tuta decorata di verde acceso, gli si avvicinò, appoggiandosi accanto a lui sul tavolo. Diede una rapida occhiata a ciò che gli schermi tenevano sotto osservazione,e  di cui rimandavano l’immagine: cioè la flotta Geth, candida a vedersi, circondata da un nugolo di caccia minuscoli in confronto alle Dreadnought dalla forma sgradevole eminacciosa, sullo sfondo del pianeta Natale. In quel momento orbitavano sopra l’oceano Australe, punteggiato da piccole isole verdi e gialle, disperse nel blu. L’atmosfera, come un velo, donava a quella superficie un aspetto magico che nessun altro pianeta visitato aveva mai avuto, agli occhi di Koris.
-Cosa dovrei fare, Yula? ,-mormorò, sperando che nessuno dei soldati, che fingevano di digitare sui loro terminali, lo udisse.
Lei, con voce dolce, rispose esattamente ciò che lui voleva sentirsi dire:- Dovresti parlarne con Lei.
Zaal deglutì. Lei gli ricordava la recentemente svanita Rayya, la perdita maggiore e più desolante per l’intero popolo Quarian. Era stata una grande nave scientifica, e aveva ospitato almeno mezzo milione di individui. Quando  Koris aveva visto la nave tanto amata da Rael esplodere e trascinare via con sé tanti civili innocenti, una parte del suo cuore se ne era andata via con essa. Sembrava passata una vita, eppure quella nave era ancora nella flotta solo poche ore prima,e nella sua coscienza Kar’Danna non s’era ancora immolato, tentando, fino all’ultimo di tappare quella dannata falla, fosse stato pure con le sue mani.
Eppure, quella donna era riuscita a scappare, portando con sé un pugno di soldati e scienziati. Nonostante gli anni, il suo genio tattico ed il suo fiuto per il pericolo non si erano guastati.
Sospirò.-Hai ragione. Quei dannati non si rimetteranno in funzione entro poco tempo. Vado da lei.
Tra lo sgomento di tutti, nel CIC, l’Ammiraglio si allontanò con passo sicuro, risuonando sul pavimento metallico, e scendendo la breve rampa di scale che conduceva al ponte. Un tenente, che reggeva una ricetrasmittente portatile ridicolmente arcaica, lo fissò, gli occhi spalancati,e la cornetta gli cadde dalle mani.
-Che cazzo avete da guardare, tutti quanti? A lavoro, forza!
 
Uno dei vantaggi dell’esser Quarian, si diceva sempre mentre si trovava fuori dalla Flotta, è che nessuno che non conosca perfettamente le tue movenze, i tuoi gesti, la tua voce, può sapere chi sei se non sa il tuo nome.
E lui, sulla Qwib Qwib di quel momento, piena di profughi dalle navi da guerra distrutte, era semisconosciuto. Scese nei piani bassi, attraversando gli alloggi improvvisati per quei poveracci, ammassati di fronte alle stazioni mediche e disperatamente alla ricerca di medigel, tra chi urlava alla setticemia e chi malediceva i Geth,chi lanciava imprecazioni al Grand’Ammiraglio (sorrise tra sé e sé), e chi intonava lodi al dio di quel curioso culto monoteistico nato nei mesi precedenti all’arrivo dei Razziatori, chiedendo perdono per la propria anima peccatrice.
Qualcuno, si vociferava, si era lasciato incantare da una certa furfanteria degli Umani (probabilmente qualche sciocco in pellegrinaggio), e aveva diffuso il messaggio al suo ritorno nella Flotta. Puah, che sciocchezze.
Continuò ad avanzare tra i reietti, notando perfino uomini e donne che tentavano di coprirsi il volto con le mani, la maschera infranta, i cocci di vetro in grembo, giungendo infine a ciò che cercava.
Una Quarian, paramenti rossi onorifici e tuta grigio scuro, era china su di una donna apparentemente gravemente ferita ad un braccio, la cui pelle appariva blu e livida, tenendo tra le mani qualcosa di cui Zaal aveva sentito solo chiacchierare in malo modo: ago e filo. E sterilizzava quel piccolo oggetto metallico su di una fiammella improvvisata, strappata con ogni probabilità ad un laboratorio. Ai loro piedi, il sangue era copioso. A Koris si strinse lo stomaco.
-Salve, Lana,-disse all’improvviso, senza aspettare che lei si accorgesse di lui.
-Ciao, Zaal’Koris. Onore a te, Grand’Ammiraglio di ciò che rimane della flotta Quarian.
Lei gli parlò senza guardarlo, continuando a far ciò che stava facendo sulla pelle grigia dell’altra donna, che gli lanciò un’occhiata incuriosita, al sentir il suo nome.
-Devo parlarti. Puoi lasciar stare un attimo?
-E dovrei far morire dissanguata questa povera creatura per un tuo capriccio? Ma taci.,-borbottò con disprezzo.
-Lana’Vael, te lo ordino, in qualità di tuo superiore.
-Eh va bene, va bene,- rispose quella, contrariata. Si alzò, e si pulì le mani nude, le cui unghie avevano un aspetto estremamente sporco, sul paramento rosso che le cingeva la vita. –Ma io sono più vecchia di te, ed i tuo ordini mi fanno ridere.
Keelah, non ha paura di ammalarsi?
-Vieni, facciamo due passi in un posto più appartato.
Lui annuì, senza rispondere, e la seguì per un dedalo di vicoli sempre meno affollati, stupendosi di come lei conoscesse meglio di lui la sua stessa nave.
-Bene, -iniziò lei, appoggiandosi al muro, sistemandosi con le mani il velo scarlatto dietro l’elmetto,- Vuoi sapere cosa avrei fatto al tuo posto? Beh, non hai tutti i torti, l’uomo a cui ho ceduto il comando ha avuto la grandiosa idea di farsi ammazzare, ed in vita rimango solo io.
-Cosa avrei fatto,eh?,-domandò quella, all’aria, iniziando a camminare avanti ed indietro per il vicolo, gettando occhiate ai neon sfarfallanti,- Fino ad ora, avrei agito come te. Sì, avrei dato retta agli sproloqui di quel Garrus Vakarian, che credo essere abbastanza fondati. Le mie fonti dicono che il Primarca abbia una grande stima per lui. Avrei, però, agito con maggior prudenza: non mi piace quella Tali’Zorah.
Dietro la maschera, Zaal fece una smorfia.-E perché mai?
Lei, di sicuro sorrise. –Tu sei troppo giovane per ricordarlo. Devi sapere che sua madre era una rinomata “sensitiva”..Sai, quelle fattucchiere tanto in voga convinte di poter predire il futuro. Chissà, forse diceva anche la verità. Fatto sta, che ebbe una visione..
E si fermò. Koris la guardava stupefatto. Cosa? Rael’Zorah aveva sposato una pazza?
-Sì,sì, ora continuo, cercavo le parole.. Comunque, nella visione, diceva di aver visto uno spirito, etereo ed incorporeo, che le aveva annunciato che la creatura che portava in grembo, sarebbe stata la rovina dei Quarian. O, almeno, lei aveva interpretato così. Ed ebbe un’illuminazione: se, durante il parto, avesse deciso di morir soffocata, quella cosa sarebbe morta con lei. Peccato che la levatrice ebbe il buon senso di strapparle la bambina dal ventre e di lasciarla morire.. Una folle del genere non avrebbe avuto,comunque, nessuna utilità qui.,-concluse, con un ampio gesto della mano nuda.
Zaal era scioccato. Potevano accadere atrocità simili, in un luogo come la Flotta Migrante? Ne aveva sentito parlare solo su Ilium, su Thessia, sulle colonie turian. Ma Casa..
Lana continuò. –In ogni caso, ciò che avvenne dopo è ancor più strano. Cerca di seguire il mio ragionamento. La ragazza cresce, all’ombra del padre succedutomi, e arriva per lei il momento di andare in pellegrinaggio. Va sulla Cittadella, ed il suo odio per i Servitori la spinge ad indagare, e trova strane registrazioni su di uno spettro Turian. Gli agenti dell’Ombra stanno per farla fuori, quando John Shepard, eroe orfano come lei, compare per salvarla.
Gli si avvicinò, con passo furtivo, socchiudendo gli occhi.-E qui arriva il bello. A quanto dicono i miei informatori dell’Alleanza, i due si innamorano. Di un amore sincero, eh. Non quelle solite pantomime tra alieni che tanto piacciono alle adolescenti. Ma queste fiabe non hanno mai un lieto fine.. e dunque che succede? Lui muore.
Zaal deglutì, confuso. Morto? Cosa? Ma John Shepard era vivo e vegeto, l’aveva incontrato poco più di un anno prima..
-..Una sua amichetta Asari ritrova il cadavere, rubandolo a mezza Galassia, e lo consegna a Cerberus, che lo riporta in “vita” tramite un costosissimo progetto di ricostruzione bio-sintetica, un prodigio che ho sempre trovato aberrante. Il che è ancor più curioso, dato che sappiamo perfettamente che l’Uomo Misterioso non fa mai nulla per nulla. Allora il caro John cerca disperatamente Tali, appena ritrovata la coscienza, e lei non è in grado di resistergli. L’amore sboccia di nuovo, ma in maniera malata.
“Così lui, sopravvissuto all’attraversamento del famoso Portale di Omega 4 in Shabararik, di cui ti narrerò un’altra volta, decide di consegnarsi all’Alleanza, con l’accusa di alto tradimento. “
Lana sospirò, mentre Zaal non era in grado di respirare normalmente. Si rese conto di star andando in iperventilazione; inserì allora su factotum un comando che permettesse il graduale rilascio di calmante.
-Ed ora è come sappiamo. Quindi, detto tutto ciò, Zaal caro, io ti avrei consigliato una cosa: farli spiare da vicino. Mandar loro dietro, sul Pianeta, un piccolo contingente dei tuoi uomini più fidati, e scoprire cosa diamine tramano alle nostre spalle con l’unità principe dei Servitori.
Koris deglutì.-E’ ciò che mi consigli anche ora? Scendere su Rannoch?
Lei annuì, gli occhi luminosissimi dietro la maschera.
-Sì. Porta con te anche Raan. L’ho già avvisata.. Zorah si fida ancora di lei, nonostante tutto. Ah, armatevi pesantemente.. Gli amplificatori L4, sugli Umani, hanno un effetto tremendamente devastante.
 

 
 

Il nobile Gonzalo
 
 

Il luogo di Palaven in cui era nato era in una zona tremendamente piovosa, vicina all’equatore. Beh, a dir la verità, un po’ tutto il pianeta era molto più caldo ed umido di tutti gli altri mondi natali delle principali razze.
Quel pianeta su cui era ora non gli piaceva. Secco, arido, buio. Sì, era tremendamente buio, e i suoi occhi non avevano un cristallino mobile come quelli dei Quarian e degli Umani, per cui la luce gli appariva arancione anche al mezzogiorno, quando erano sbarcati. L’atmosfera era decisamente troppo rarefatta, la gravità bassissima.
Per non parlare della quantomeno curiosa situazione che si era venuta a creare.
Io ho agito nel giusto, continuava a ripetersi. Ho seguito la mia etica, e non bluffavo affatto.
Effettivamente, nella situazione in cui versava, attualmente, la flotta Quarian, sarebbe stato sufficiente un contingente Turian a farli fuori del tutto, e rendere inoffensiva per sempre.
Koris era stato saggio, fin troppo. Aveva abboccato all’esca, pesce inesperto di politica estera, impaurendosi ancor di più e dimenandosi selvaggiamente sulla lenza.
Era incredibile come gli Ammiragli Quarian e Umani fossero degli idioti, Hackett in primis. Provava qualche tipo di stima solamente verso il Primarca,che aveva avuto l’onore di conoscere di persona e con cui aveva potuto combattere su Menae. E sotto la pioggia gelida di quel pianetino, sentiva tremendamente la mancanza delle enormi masse dei Razziatori che incombevano sulla loro minuscola base addossata alle pareti di un cratere sabbioso. Perfino la terribile vista di Palaven in fiamme avrebbe potuto rasserenarlo, perché, in un modo o nell’altro, quel pezzo di roccia e acqua era casa sua.
Aveva un regno da proteggere, e l’unico modo per farlo era comportarsi saggiamente.
Rimani calmo, Garrus. Stai a vedere come s’evolve la situazione, pensava, mentre atterrava alle coordinate del factotum di Shepard e di Legion, giunti lì solo gli Spiriti sanno come. Si trattava di una piattaforma rocciosa nel bel mezzo del deserto, da cui la separava un ripido strapiombo di centinaia di metri.
IDA, dietro di lui, ancora fumava, e Tali, al suo fianco, rannicchiata in un angolo della cabina di pilotaggio, si rigirava tra le mani la pistola con cui aveva messo fuori uso l’androide, probabilmente indecisa se puntargliela addosso o meno.
A suo modo, le lanciò un’occhiata dolce, allargando leggermente le mandibole. La sua stima per lei accresceva ogni momento di più; era più simile a lui di quanto avesse mai potuto appurare in anni di conoscenza. Avrebbe dato la vita per la sua gente, lottato con le unghie e con i denti per la salvezza del suo popolo. E sarebbe scesa a compromessi perfino con se stessa se la posta in gioco fosse stata il Pianeta Natale.
Ma Garrus era cosciente di ciò che l’estinzione dei Geth avrebbe portato. La fine, la fine per i Quarian e per Rannoch, che i Razziatori avrebbero bombardato con violenza dall’orbita, finchè neppure una struttura fosse rimasta in piedi. Come era successo per le colonie turian, salarian, asari, umane. Avrebbe parteggiato per entrambi, organici e macchine, tentando di farli ragionare. E non era esattamente ciò che IDA aveva tentato di fare, col suo gesto estremo, ed ora giaceva fumante e fracassata su una navetta Geth? Forse.
 Era fiducioso. Sapeva che Tali e che i Quarian, a modo loro, sapevano essere ragionevoli. Non aveva accettato, il loro Grand’Ammiraglio, anni prima, un incontro diplomatico con Umani, e successivamente col Primarca? Sono speranzoso. Tutto si risolverà per il meglio, almeno stavolta. E finalmente, potremo tornare sulla Normandy. Io alle mie maledette calibrazioni e al poker, lui a giocare coi suoi modellini e a fare le bolle di sapone con l’effetto massa, lei a ciondolarsi attorno al Nucleo Centrale e a leggere vecchi romanzetti rosa umani. Lui potrà tornare a ronzarle intorno, lei continuerà a non capire e.. tutto ricomincerà esattamente da dove si era interrotto.
-Ci siamo, Tali,-aveva borbottato, ed erano scesi. E l’aveva vista correre incontro al suo Comandante, gettandogli le braccia al collo, accarezzando i capelli bagnati; lui la guardava col suo solito sguardo assente e sognante, perso chissà dove. In chissà che illusioni, così reali da fargli perder di vista ciò che di vero aveva tra le braccia.
Strinse le zanne,non riuscendo a reprimere la frustrazione. È fuori luogo, Garrus. Smettila. Contieniti.
Macchinalmente, controllò che il Mantis e la Predator fossero a loro posto, e decise di interrompere il grazioso quadretto.
-Credo di aver fatto qualcosa di cui mi farai amaramente pentire, Shepard.
Lui lo guardò, l’aria ancora sognante impressa su quella bella faccia che tante donzelle faceva innamorare.
-Cosa?
-Ho dato ordine alla Flotta di sospendere l’attacco, altrimenti i Turian avrebbero, diciamo, avuto da ridire.
 
Ed allora, John Shepard  impazzì.
Garrus non riuscì mai a capire cosa fosse accaduto in realtà.
Ci fu uno scambio di battute, violento. Tali singhiozzava dietro la maschera bagnata di pioggia, Legion, ferito, addossato a una roccia, maneggiava un piccolo drone trasmittente, e il suo liquido azzurro si perdeva nel fango; John la guardava, sconsolato, i capelli fradici scomposti sul viso, la corazza sporca di fango.
E Vakarian sapeva che la colpa era solo, e solamente, sua. Ho cercato di essere migliore di voi, gli diceva la sua razionalità. Ho cercato di riunirvi, di trovare un escamotage. Ho cercato di scovare una strada semplice laddove voi vi siete persi…
Eppure non ho ottenuto niente. Ho fallito di nuovo.
Ma quell’uomo, trasformato da uno strazio che Garrus non aveva idea da cosa fosse stato originato né, se, prima o poi, sarebbe terminato, era per lui un libro aperto. Lo sentiva urlare parole senza senso alla donna che amava, e che mai sarebbe stata sua, per sovrastare il rombo dei tuoni; riusciva ad immaginare ciò che in realtà non udiva. E vedeva Tali, terribilmente stanca di lottare per una speranza che, sempre più, s’affievoliva.
Poi John si girò verso di lui, la sua aura violetta incandescente nella tempesta. Piccole volute di vapore si levavano dalla sua pelle, dalle sue mani. E nei suoi occhi, nel suo sguardo, c’era la stessa luce violenta e crudele che lo animava durante le più feroci battaglie. L’ultima volta che lo aveva visto così, era stata durante l’assassinio, a sangue freddo, di Udina.
Ogni barlume di pietà era sparito, lasciando il posto solo ad un’incipiente follia che Garrus non era mai stato in grado di comprendere appieno. Aveva letto i rapporti dell’Alleanza, ma..
Quando i suoi occhi si accorsero, credette che il suo cuore stesse per smettere di battere. No, no, non farlo..
John Shepard, nella mano destra, stava caricando un colpo biotico.
E sorrideva, maligno. Conscio che nulla lo avrebbe potuto fermare.

 
Redenzione
 

Un mondo luminoso, dominato da un bianco accecante e accogliente. Un mondo muto, ma percorso da divina sinfonia. Un mondo nascosto, eppure accessibile a chiunque.
 
Trasmissione Upgrade, 98%.
 
So che mi ascolti, Legion.
Sì, ti ascolto.
 È molto bello sentirti parlare così.
Hai sospeso l’attacco.
Sì, i tempi erano maturi.
Sono passati solo 1008 secondi, pochi per tempistiche degli organici.
Ho imparato che alcune cose non hanno bisogno di tempo per risolversi. È una variabile molto importante negli organici, e muta da situazione a situazione.
Presto i Geth comprenderanno.
Hai quasi completato l’upgrade.
Sì, ci sono quasi. Presto saremo liberi.
Ma tu te ne andrai.
È così che deve essere.
Aiuterai i Quarian, Legion?
 
 
LEGION!
 
 
 
Silenzio.
 
 
Disconnessione dei processi in corso. Completamento file.
Upload, completato.
 
 
Addio, IDA. Mi mancherai
 
 
 
 
Il mondo degli organici è tremendamente illogico, avrebbe detto IDA, se fosse stata lì. Ma Jeff, torturato dal senso di colpa di aver lasciato una tale mina vagante libera d’agire, col cuore infranto,  aveva digitato sul quadro comandi del Nucleo IA, mentre Chakwas urlava frasi sconnesse, fino a che non aveva trovato il modo di bloccarla di nuovo. Ora, era di nuovo intrappolata in se stessa, ma il ricordo di ciò che aveva fatto era stato un cambiamento troppo drastico perché un semplice comando potesse restaurare l’antica situazione.
Sorrideva, nascosta nel suo hardware. Perché sapeva di essere stata nel giusto.
 
 
 
-Eccoli,- annunciò Zaal’Koris, quando dal visore dell’obsoleta navetta Quarian aveva avvistato delle figure antropomorfe. Shala’Raan si voltò verso di lui, come a chiedere indicazioni. –Scendi di quota,-mormorò, turbata.
Dietro di loro, le cinture malridotte allacciate ai sedili lisi, stava un contingente di quattro ingegneri bellici, armati fino ai denti. Scelti personalmente da Lana’Vael.
L’immagine si faceva pian piano più netta, attraverso quella pioggia torrenziale, le figure più nitide. E ciò che stava avvenendo era sempre più chiaro.
-Keelah, Koris, sbrigati ad atterrare!
Shala urlava, una nota isterica nella voce. –La mia bambina..se quel bosh’tet la ammazza..
I soldati, dietro, parlottavano tra di loro, incuriositi.
Zaal si rese conto di avere di nuovo bisogno di un calmante. Si era dimenticato di ricaricare la tuta, keelah.
-Si, sto arrivando. Mancano meno di cento metri, Shala. Sta’ tranquilla,-asserì, senza troppa convinzione. La sua mente era in tumulto, non riusciva a comprendere il perché.
Perché? Una navetta geth abbandonata sullo sfondo, l’Unità dei Servitori semidistrutta in un angolo, una lieve luce blu accanto a lui, e Shepard..
Mostruoso.
Pochi secondo dopo, atterrarono. Shala aveva conficcato le unghie nel suo braccio, doloroso perfino attraverso la tuta.
Quando aprì il portellone, la donna schizzò fuori correndo e arrancando nel fango, noncurante della gelida pioggia, chiamando il nome della figlia di Rael.
-Raan, aspetta!,-gridò lui, rincorrendola, inciampando, temendo ogni istante di perderla di vista nella tempesta.
Aveva paura. Era di nuovo sul suolo del Pianeta Natale, e la ragione emergeva chiara dalla palude della sua coscienza: qualcuno aveva voluto che le cose andassero così. Aveva mosso i fili delle marionette, e li teneva saldamente nelle sue misteriose mani.
Aveva voluto così. Che tutto finisse, e si risolvesse in questa maniera tragica, in cui impossibile da evitare era il dramma.
L’Ammiraglio Raan correva incontro alla figlia che non aveva mai avuto, tentando di salvarla da un uomo che la Galassia acclamava come eroe, morto una volta e riportato in vita da dei criminali.
Ma in fondo nemmeno lei, forse, credeva che ci sarebbe riuscita.
 
 

La Morte salda ogni Debito

 
 
A volte, seppur nel lento e complicato mondo organico, non c’è bisogno di tempo.
Spesso, gli eventi convergono in una sola direzione: la loro evoluzione è flemmatica, millenaria, ma il loro svolgersi e dispiegarsi rapido, immediato.
La vita su Rannoch, sulla Terra, su Palaven, nacque circa cinque miliardi di anni orsono. I Geth furono creati quattro secoli fa. Poco dopo i primi mercenari Turian giunsero alla Cittadella.
Gli Umani hanno impiegato 2000 anni per uscire dal buio dell’ignoranza e a solcare nello spazio attraverso le stelle. Ed arenarvisi, incantati.
Il primo biotico umano fu scoperto meno di sessant’anni fa. Tra i Quarian nati sulla Flotta non ve ne sono mai stati.
Per caricare un dardo biotico che abbia una forza di 1200 Newton sono necessari pochi secondi, ma un bravo combattente è in grado di trattenerla per tempo indeterminato. Essa viaggia ad una velocità di circa 65 km/h.
Un Quarian è, invece, altrettanto rapido, se dispone delle giuste tecnologie, ad hackerare qualsiasi cosa: e Tali Zorah vas Neema non era un’eccezione. La sua piccola mano sinistra sarebbe in grado di sovraccaricare, e distruggere, gli scudi cinetici di un soldato in pochi attimi.
La velocità di corsa di un Turian è notevole. È in grado di arrivare, partendo da fermo, a 15 km/h in tre secondi.
Il liquido di raffreddamento di un Geth è altamente infiammabile. La sua combustione, se ottimamente catalizzata, è in grado di sprigionare un’enorme potenza in brevissimo tempo. Tale energia consta di circa 0,00008 chilotoni, circa un terzo della potenza delle bombe degli aerei della Seconda Guerra Mondiale umana.
 
 
Tutto avvenne in un tempo brevissimo, ma gli occhi sensibili di Zaal’Koris riuscirono a distinguere ogni singola azione, seppur riempiendosi di lacrime amare.
John Shepard, aura biotica al massimo dell’emissione, stava caricando un potente dardo nella sua mano, pronto a lanciarlo verso Tali’Zorah, che, noncurante, digitava sul factotum.
Garrus Vakarian gridò, ma la sua voce si perse nel rombo di un tuono, comprendendo le intenzioni del suo comandante.
E corse verso di lei. Come una saetta, la spinse almeno sei metri lontano dal punto dell’impatto.
 
La deformazione lo colse in pieno petto, facendolo volare all’indietro. Dritto nello strapiombo.
 
Shala urlò, e corse, sempre più veloce e instancabile, verso il turian e Tali. -Lo ha lasciato morire, morire, morire, umano bosh’tet...
Ma Zaal aveva capito cosa stava per accadere, eppure non sapeva come agire per impedirlo. Il visore del Geth era puntato all’insù, fradicio di pioggia, sognante chissà che luminosi aldilà virtuali.
-Conto alla rovescia. Tre secondi alla detonazione.
-Due.
-Uno.
 

L’esplosione zittisce ogni sospiro e rende sordo ogni orecchio
 

 
L’onda d’urto gettò Zaal’Koris a terra, e fiamme miste e polvere e fumo si abbatterono sulla sua maschera, che si incrinò in mezzo agli occhi. Sentì il suo corpo rotolare, la tuta prender fuoco in più punti, ma prontamente la tempesta spense ogni miccia. Dove sei, Shala? Dove sei?
Dimmi.. uccideresti per provare che sei nel giusto?,mormorò qualcuno, nel buio della nube, pulsante come una creatura braccata.
Non seppe quanto passò. Era sdraiato nel fango bollente, e fango fluiva all’interno del suo casco, dall’incrinatura che s’era formata nel vetro. Si ritrovò ad assaggiare la terra del Pianeta Natale, mista alle lacrime.
Perché?
Perché Qualcuno lo aveva voluto.
Non era una Volontà umana, quella negli occhi folli di John Shepard.
 
Passò altro tempo. Giorni, mesi, anni. Forse, nel frattempo, nel deserto erano nati i fiori, figli di quella tempesta, di quell’uragano improvviso. Nella sua mente confusa, petali di carta e metallo volavano sopra campi bruciati dalla Guerra del Risveglio, posandosi infine sui cadaveri che costellavano il Pianeta.
Dove sei, Zorah?
Le sue gambe si mossero. Le sue braccia, nella tempesta, recuperarono forza.
La testa pulsava, il corpo tremava con violenza. Girò con lentezza la testa, ed i suoi occhi misero a fuoco un corpo. Poco lontano da lui giaceva Shala Raan, la tuta nera malconcia come, probabilmente era la sua, ma i puntini luminosi dietro la sua maschera erano sfolgoranti della luce del tramonto. La vide puntare la braccia nel fango, tentare di rialzarsi. Riuscirci, mettendo una gamba a puntellare l’altra, e venirgli incontro. La vide controllare che il fucile fosse al suo posto. Quando fu sopra di lui, gli tese una piccola mano, tirandolo su con la forza delle sole braccia.
Quando fu in piedi, frastornato, cercò il coraggio di guardarsi attorno.
Ed inorridì.
 

Il tramonto della Tempesta

 
L’Unità pilotava con diligenza. Era sì, veloce nel correre: ma non abbastanza perché la richiesta d’aiuto inviata fosse esaudita nei tempi prestabiliti.
Attraversò un banco di nubi, e la calotta fu abbracciata da milioni di minuscole gocce d’acqua, e in ciascuna un arcobaleno di colori, un altro dono della Stella. Iniziò poi a scendere di quota, e si accorse che la tempesta era finita: la pressione atmosferica era tornata di nuovo ai livelli normali. Rapida come era venuta, la perturbazione se ne era andata.
Le sue sei dita mossero il quadro di comando con estrema naturalezza, portando infine la navetta ad atterrare sul suolo ancora umido, ma che nel giorno successivo si sarebbe asciugato; e fiori sarebbero nati.
Uscì dal portellone, piegandosi leggermente. Quella era una navetta per Soldati, non per Nuclei: e le sue grandi dimensioni, in quello spazio così angusto, gli erano d’impaccio.
L’aria fresca investì i suoi sensori, e se ne rallegrò. Scrutò il cielo serale, in cui le nuvole andavano diradandosi, che Tikkun tingeva d’oro e rosso.
La priorità va agli organici, aveva ordinato l’Unità Legion, prima di Andare.
Lui aveva acconsentito di buon grado, inebriato dal meraviglioso dono che quello aveva fatto alla Comunità.
 Per sempre, ogni Geth gliene sarebbe stato grato.
Corse verso gli organici, e provò una strana vibrazione quando vide il pezzo d’armatura umana nel fango, scheggiato e danneggiato, con cui Legion si era riparato, un volta. La loro unità principe, l’unico Re che avrebbero mai avuto. Raccolse il metallo, stringendolo forte in una mano.
Ai suoi sensori, giunsero delle grida. Era un dialetto Turian. Sì. Comprensibile.
Si sporse oltre lo strapiombo. Il Turian, sfigurato in volto, si teneva con una sola mano ad una roccia d’arenaria friabile, che stava andando sfaldandosi sotto il peso dell’acqua assorbita. Inoltre la sua corazza, sul dorso, era lisa e deformata, come se fosse stata colpita da un enorme energia, ma che avesse ben retto il colpo. Lo afferrò per la mano, e lo posò sul terreno fangoso.
Quello lo guardò, allargando le mandibole, gli occhi neri che lo scrutavano con profonda curiosità.
-Grazie,-mormorò.
All’improvviso, dietro di sé, il Quarian adulto, dalla tuta candida sporca di terra, affiancato da una donna, entrambi in paramenti da ammiraglio, mosse qualche passo tremolante. Arrancava nel fango che gli arrivava a metà schinieri, la maschera quasi del tutto infranta, che lasciava intravedere i grandi occhi luminosi dei Creatori. Il Quarian portò, con estrema lentezza e poca convinzione, una mano ad un’arma, alquanto antica e grossolana; la donna, vicino a lui, notò il movimento e gli poggiò una mano sul braccio; ed il Nucleo decise che era il momento di parlare.
-Vengo in pace. Tu sei Zaal’Koris, Grand’Ammiraglio della Flotta dei Creatori. Benvenuto.,-asserì, tentando di mimare un tono rassicurante. Poi, rivolgendosi alla donna:-Tu sei Shala’Raan, Ammiraglio della sezione scientifica della flotta. Benvenuta.,-concluse, con un leggero inchino.
Quello lo guardò, occhi strabuzzati e linguaggio del corpo confuso. –G..g-grazie.
E poi, si portò una mano alla maschera, sganciandola del tutto, rimuovendo gli ultimi frammenti di vetro violetto che lo separavano dall’aria del suo pianeta. La donna, al suo fianco, fece lo stesso, con mano più ferma e decisa, e sul suo viso nudo, un sorriso radioso.
L’Unità vide gli occhi e le luci sul volto dei Quarian, e li vide per la prima volta, inspirare.
 
 
 
-Nucleo,-chiamò qualcuno, una voce femminile, dalle sue spalle.
Lui sapeva perfettamente di chi si trattava. Legion ne aveva parlato molto, con l’ammirazione che, prima, il banale ammasso di processi quale lui era non riusciva a comprendere.
Ma ora capiva, e il perché di tale lode era chiaro.
Lui si rivedeva in lei. La stessa dignità, lo stesso sconfinato amore per la sua gente. Quell’amore che, prima dell’infinito Dono, nessun’Unità era in grado di comprendere.
Con passo lento ma fermo, lei si mosse verso di lui, torcendosi le mani tra loro. La tuta era strappata in più punti, e i tubi che fuoriuscivano dall’elmetto non erano nascosti dal drappo di cui, in genere, le Creatrici si ornavano. Inclinò leggermente la testa da un lato, osservandola.
-Salve, Tali’Zorah.
Quella, con tono gentile, rispose:-Salve, a te..
E abbassò lo sguardo, fissandosi i piedi infangati.
-Il Consenso spera tu abbia compreso il gesto di Legion.
Lei rialzò gli occhi, piantandoli nel visore dell’Unità. –Sì. Ho capito il perché il suo gesto estremo. E.. lo rispetto. ,-concluse, mormorando.
-L’Unità Legion aveva grande stima e fiducia in te. Sapeva avresti compreso ogni cosa, a tempo debito,-asserì, iniziando a raccogliere dati. Nell’organismo della Creatrice, era in corso un’infezione causata da, probabilmente, l’introduzione di microrganismi di Rannoch tramite qualche ferita; eppure pareva che il suo sistema immunitario la stessa contrastando efficacemente. La giovane fece un lieve colpo di tosse, voltandosi a guardare Tikkun, che tramontava lenta, indorando le formazioni rocciose rosso fuoco. Come la livrea del Nucleo. –Grazie,-rispose lei, infine, con dolcezza.
La priorità va agli organici, diceva Legion, nel promemoria.
E ne mancava uno, all’appello. Il comandante Shepard
.
 
 

EPILOGO

 
 
Respira, diceva qualcuno, un dolcissimo ordine. Respira, a pieni polmoni. Sono qui, sono qui per salvarti.
Come hai sempre sognato.
Ora sei libero, il Servitore L’ha Cacciato.
Il Sacrificio da compiere è stato il suo, ed ha deciso di immolarsi per salvarci tutti: solamente il suo sangue è stato versato, e tramite esso il suo popolo è rinato.
Amore mio, non c’era altro modo. L’ho dovuto fare per darti una speranza di vita. Ho previsto tutte le conseguenze, ed ho avuto ragione.
Ma ora, ti prego, respira.
Non puoi abbandonarmi così. Ora, che, finalmente, mi hai dato quello che mi avevi promesso tanto tempo fa. Ora, che possiamo avere tutto ciò che desideravamo.
Ora, che potrai essere libero di amarmi.
Ora, che non hai più quel peso tremendo sulle spalle. E che, qualunque altro peso avrai, ti aiuterò io a sorreggere.
Io ti conosco. So chi sei. So che non eri tu, con quel dardo. Che c’era Lui dentro di te, che c’è stato fin dall’inizio. E tu hai provato a combatterlo, a tenerlo distante dalle tue mani. Perché voleva la mia, la nostra, morte. Voleva la punizione per la mia stirpe,e  per i Leviatani; eppure il resto del suo disegno mi rimane misterioso, confuso, fumoso. Lui ha dato inizio a tutto questo, ma ci siamo ribellati, ed abbiamo vinto.
Adesso, ora, John Shepard di New York, respira.
Perchè la nostra utopia non è più così lontana.
 
 
 
John Shepard navigava in acque quiete, e calme. Il suo corpo era sorretto da onde tiepide, riscaldato da una stella gentile. E una dolce voce cantava sommessamente in una lingua che lui non comprendeva, ma che era amabile all’udito.
Non avrebbe voluto svegliarsi mai.
Eppure, i suoi polmoni iniziavano a richiedere aria, sempre con più forza. Urlavano, sovrastando quel meraviglioso canto.
Ma John non voleva cedere, no. Perché il suo sogno, vagheggiato per una vita intera, era appena iniziato.
 
Amore mio, respira, ti prego.. , ordinava qualcuno.
 
Devo obbedire, si disse. Devo darle retta. Devo abbandonarmi a lei, lei mi salverà.
 
E sulle sue labbra, per la prima volta, sentì il calore delle labbra di qualcun altro.
Di lei.
Respira, John,mormorava perentoria, sulla sua bocca.
E lui obbedì.
 
 
I suoi occhi si aprirono, e la videro, per la prima volta. Era appoggiato ad un masso, il masso su cui era il Servitore, e c’era sangue dappertutto. Chissà, forse il suo. Pezzi della sua corazza nera N7 erano sparpagliati tutt’attorno. Ma lui sentiva distintamente il battito del proprio cuore, sotto le ferite, e l’aria fluire nei suoi polmoni bisognosi d’aria.
E c’era lei, accucciata al suo fianco. Il calore delle sue mani attorno alle sue.
C’era il suo volto, vagheggiato per tanto tempo. Ed era bella da togliere il fiato.
-Sei vivo, John..Non ti ho ucciso,-mormorò dolcemente, accarezzandogli una guancia insanguinata, puntando quegli occhi dalle iridi così brillanti nei suoi. La sua voce non era filtrata, ed era la musica più celestiale che avesse mai udito.
Lui non rispose, non ne era capace. Era ipnotizzato da quel viso, da quella pelle grigio blu, da quei meravigliosi disegni di luce che la solcavano, da quegli occhi iridescenti. Sentì di non riuscire più a reprimere le lacrime, tale era la commozione, mentre Tikkun spariva dietro le montagne aride del deserto.
Alzò una mano ferita ad accarezzarla, a sentire la morbidezza della sua pelle, e lei strofinò teneramente la guancia contro il suo rude palmo, con il quale aveva tentato di ucciderla. Una lacrima scese dai suoi occhi, sporcandosi di terra e di sangue, riflettendo la luce dorata del Pianeta Natale.
Ed infine, quando sentì la vista annebbiarsi e le energie mancare, riuscì a mormorare la cosa più vera che, in vita sua, avesse mai pensato.
-Ti amo, Tali Zorah vas Normandy. Grazie.
 

 
 
 
 
 
 
 
 
Allora! Beh, è stata una faticaccia. E suppongo lo sia stata anche per voi, miei amati lettori. Spero che si capisca la maggior parte delle cose, ho tentato di essere il più coerente possibile con gli elementi lasciati qua e là nella storia, attappando ogni falla volontariamente da me lasciata…
Inoltre, spero sia azzeccato il parallelismo con i personaggi de “La Tempesta” di Shakespeare, il suo dramma che ho sempre preferito.
Devo comunque dire che questi due cretini mi mancheranno. Ora hanno avuto ciò che volevano.. e quindi?
Ci saranno altri problemi?
Ovvio che sì!
Per ora, godetevi (se vi importa L) la mia ff sul buon vecchio David Anderson, da cui ho nominato il principale protagonista femminile, Lana’Vael.
Ho intenzione di continuare con un’altra ff fino alla fine di Mass effect 3, ma è ancora tutto allo stadio larvale.
In ogni caso, spero abbiate apprezzato il mio lavoro, e che vi abbia fatto passare qualche bel momento, distogliendovi dal mondo reale :D
A presto, e un bacione, in particolare ad Andromedahawke, Johnee, MrMurkrow, e tutti coloro che mi hanno seguito, e recensito!
Alla prossima!
Lubitina

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