Screaming to the stars

di lispeth_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dark angel, white demon ***
Capitolo 2: *** Jasmine's fragrance ***
Capitolo 3: *** Heaven can wait ***
Capitolo 4: *** Slow dancing ***
Capitolo 5: *** Emptiness ***
Capitolo 6: *** You are the night-time fear ***
Capitolo 7: *** Screaming to the stars ***
Capitolo 8: *** Out of control ***
Capitolo 9: *** Turning into a monster and eating us alive ***



Capitolo 1
*** Dark angel, white demon ***


Aveva riempito la pagina del quaderno con il suo nome senza nemmeno conoscerlo. Sapeva solo che era nuovo e che tutti lo stavano fissando mentre la professoressa continuava a parlare di un certo Shakespeare ormai morto da troppo tempo. I suoi capelli erano biondissimi quasi bianchi. I suoi occhi erano neri come la pece. Roxanne non aveva fatto altro che fissarlo per tutta la lezione  quasi come se non potesse farne a meno, forse era quell’alone di novità che lo ricopriva a suscitare la sua curiosità; altrimenti non ci sarebbero state altre spiegazioni plausibili a riguardo. Che cosa sapeva di lui? Veniva dal Texas e aveva la sua età. Le informazioni non erano passate oltre a questo, il mistero di quel ragazzo rimaneva ancora invalicabile perfino dalla lingua lunga di Cheryl che sapeva tutto di tutti, senza che nessuno le avesse mai parlato davvero.
Ciò che la attirava così tanto era la sua stravanganza in confronto al contorno degli studenti attorno a lui. Quel genere di stranezza Roxanne la conosceva molto bene. Lei stessa era considerata “strana” dalla società e da chiunque la vedesse per strada. A dare il loro contributo erano i vestiti che indossava, sicuramente nessuno si sarebbe mai vestito come lei. Quel giorno indossava una gonna lunga color cioccolato e una maglietta verde scuro quasi lunga quanto la gonna; unico elemento brillante nel suo vestiario era una lunga collana con un pendaglio a forma di piuma. Era color oro ed era l’unica cosa che sua madre le aveva regalato prima di andarsene per sempre, conservava quel cimelio gelosamente, non lo aveva mai prestato a nessuno. Scrisse ancora una volta “Adrian” sul suo quaderno pensando che fosse stupido inventarsi un nome di sana pianta invece di chiederglielo direttamente,  ma nessuno aveva il coraggio di parlare con quel ragazzo. Era così calmo eppure tutti avevano paura di lui. Quel giorno indossava una felpa troppo grande per il suo esile corpo e i jeans sembravano essere troppo strappati per essere stati acquistati in quello stato.
E se si fosse veramente chiamato Adrian? Roxanne aveva un sesto senso, riusciva sempre a intuire ogni cosa, ogni particolare nel carattere di una persona che stava analizzando.
Per quel ragazzo era stata la stessa cosa. Lo aveva guardato un secondo negli occhi e il nome Adrian le si era scritto praticamente davanti agli occhi, come un’insegna luminosa. I suoi occhi urlavano quel nome ogni volta che il suo sguardo viaggiava per la stanza incontrando inevitalbilmente quello di Roxanne.
Quegli occhi le gelavano il sangue. Sembrava che in un attimo potessero graffiarti dentro come piccoli pezzi di vetro impossibili da rimuovere. Ti ferivano per poi fuggire ancora dall’altra parte dell’aula senza nemmeno preoccuparsi del danno commesso. Gli occhi del serial killer.

La campanella la fece sobbalzare, nemmeno si era accorta che fosse passato tutto quel tempo. Si alzò lentamente aspettando che Renee la raggiungesse; era la sua amica di sempre, si conoscevano dalle elementari per poi essersi incontrate ancora una volta al liceo. Ed ora erano all’ultimo anno. Tanto studio, diploma, ballo di fine anno e infine futuro. Quel futuro ancora troppo lontano eppure così vicino che le faceva pulsare le vene delle gambe ogni volta che ne sentiva parlare.
Roxanne non aveva mai avuto un buon rapporto con il futuro. Aveva sempre sognato di diventare come Lara Croft da piccola. Sognava di indossare pantaloncini corti e una canottiera striminzita e viaggiare per il mondo, in luoghi che nessuno mai aveva osato passarvici. Sognava di essere coraggiosa come la sua eroina ma probabilmente non era mai uscita dal suo guscio protettivo diventato ormai con gli anni troppo spesso. Invalicabile perfino dai sogni.
E così aveva smesso di sognare, di desiderare e perfino di piangere. In un attimo si era trasformata nel cadavere di sua madre senza effettivamente essere morta.
“Certo che sei l’allegria a persona questa mattina, il tuo sorriso illumina la stanza” disse Renee avvicinandosi quasi saltellando su se stessa. Roxanne ammirava la spontaneità di Renee, era sempre felice qualunque cosa le capitasse e non si lasciava attaccare dai problemi. Che grande fortuna sarebbe stata avere quel lato di Renee, almeno Roxanne non avrebbe dovuto gestire la sua vita in mezzo alle preoccupazioni.
“Mi sono svegliata dalla parte sbagliata del letto questa mattina...può capitare” rispose Roxanne raccogliendo i suoi libri sotto braccio. Si voltò verso il suo banco e lui non c’era. “E’ sparito” esclamò quasi come se ne fosse davvero stupita, in fondo non poteva certo pretendere che stesse lì per tutto il giorno ad aspettarla.
“Chi è sparito?”
“Il ragazzo che era seduto all’ultimo banco, quello con i capelli biondissimi...”
“Ah Adrian Kain dici? Bè effettivamente si muove quasi come uno spettro, non lo noti nemmeno quando arriva in classe” disse Renee sorridendo mentre Roxanne  fissò incredula l’ultimo banco vuoto.
Non era possibile.Era successo di nuovo. Roxanne era riuscita ad intuire il suo nome senza nemmeno chiederglielo. A volte era spaventata da quel suo strano potere. Anche se non sapeva se era un vero e proprio potere o semplicemente coincidenza.
La prima volta le era successo quando era ancora piccola. Aveva quattro anni quando era amica di Ginevrè Johnson, la ragazza più adorabile del quartiere. Era conosciuta da tutti come la bambina dai capelli rossi. I suoi capelli sembravano dipinti da un pittore che aveva esagerato con le pennellate. Illuminati dal sole sembrano proprio fatti di fuoco, eleganti fiamme che ballavano a tempo del vento primaverile. Roxanne adorava quella bambina, era gentile con tutti e le portava sempre del buon pane con la marmellata di pesche. Non aveva mai mangiato così tanto come in quel periodo. Era colpa di sua madre che sotto farmaci non riusciva nemmeno ad alzarsi dal letto. Così Roxanne era sempre insieme a Ginevrè e lei la considerava quasi come fosse sua sorella maggiore.
Era bastata una gita in montagna e una piccola frana a distruggere quella fata dai capelli rossi. In un attimo scomparve nel vuoto quasi come stesse volando. Ma fu perduta per sempre. Il brutto di quella vicenda fu il fatto che Roxanne sapesse già tutto. Aveva sognato quell’evento la notte prima, ma non ci aveva dato peso. Un corvo stava inseguendo Ginevrè nel bosco, furiosamente strappava pezzi di capelli rossi. Ginevrè urlava di dolore e tentava invano di liberarsi. Ad un certo punto il corvo riuscì a prenderla per il collo e la trascinò in un dirupo facendole perdere l’equilibrio. Roxanne si era svegliata sudata ma non aveva dato peso a quel sogno, fino al giorno dopo. Il giorno della scomparsa di Ginevrè.
Da quel momento Roxanne capì di non essere una ragazza normale, come i suoi genitori lo avevano capito ancora ai suoi primi anni di vita.

 
******
 
“Hai intenzione di tornare sulla terra, Roxi?” le chiese Renee riportandola alla realtà. La figura di Ginevrè ingoiata dal vuoto scomparve nel nulla e ritornarono i colori ingialliti dell’aula.
“Scusa mi capita spesso in questi giorni”
“Diciamo che ti capita da quando ti conosco” disse Renee alzando gli occhi al cielo. Conosceva Roxanne dalla prima elementare e non era mai cambiata. Capelli castano scuro e due ciocche rosa. Non aveva mai capito il perchè di quelle ciocche rosa quando Roxanne odiava quel colore, ma le donavano  ancora a diciotto anni.
“Oggi non posso fermarmi a pranzo, devo tornare a casa... c’è Noah” disse Roxanne dicordandosi del suo odioso fratellino piccolo non ancora del tutto autosufficiente. Da quando sua madre era morta, Roxanne aveva preso il suo posto poichè il padre James, avvocato, non era quasi mai in casa e lavorava tutto il giorno. Quindi il compito di accudire il fratellino Noah di sette anni spettava sempre alla povera Roxanne che aveva rinunciato a regolare la sua vita per aiutare gli altri.
Dopo aver lasciato Renee all’entrata della scuola, Roxanne si diresse verso casa a passo svelto quasi come se qualcuno la stesse seguendo. Arrivò davanti alla porta d’entrata in cinque minuti con il fiatone, si appoggiò allo stipite della porta appena pensando a quanto fosse stupida ad avere paura. Di che cosa aveva paura poi? Chi poteva mai seguirla?
“Che ci fai appoggiata alla porta?” chiese Noah con la sua solita curiostià da bambino, a volte Roxanne non sopportava le sue continue domande. Alla sua età Roxanne non era così curiosa di conoscere il mondo, preferiva rimanere nell’ombra con le proprie certezze.
“Niente, perchè non ti fai gli affari tuoi?” chiese Roxanne entrando in casa e dirigendosi immediatamente in cucina. Voleva preparare velocemente il pranzo. Non vedeva l’ora di chiudersi in camera ed immergersi nel suo mondo. Osservò rosolare due hamburger nella padella per poi servirli a tavola. Noah si accontentava sempre dei miseri pranzi preparati dalla sorella, si accontetava di tutto e non pretendeva mai di più. Roxanne pensava che Noah fosse l’unica persona al mondo soddisfatta della propria vita. Pensandoci tutti desideravano qualcosa in più per arrivare a una perfezione di vita irraggiungibile. Questo desiderio sembrava essere assente in Noah. Ma forse era il fatto che avesse ancora sette anni.
“Papà cena con noi questa sera?” chiese Noah con i suoi suoi innocenti occhi azzurri.
“No lavora fino a tardi”
“Anche questa sera?”
“Lavora fino a tardi ormai da tre anni Noah” disse Roxanne quasi scocciata nel rispondere a quelle semplici domande. Lei non odiava suo padre, ma odiava il suo modo di reagire alla morte della madre. Anzichè stare con la sua famiglia, si era buttato a capofitto nel lavoro senza darsi un attimo di respiro. Tutto per dimenticare. Perchè voleva dimenticarla? La sua morte non era certo stato un dispetto.
Eileen Mills era morta circa tre anni prima a causa di un cancro al seno. Lentamente quella macchiolina nera all’interno del suo corpo aveva spento  tutto il suo entusiasmo, la sua generosità e il suo buon profumo di cocco tra i capelli. Si era portata via il suo sorriso. Perfino la luce che brillava negli occhi ogni volta che raccontava una storia.
Roxanne amava sua madre, come Eileen amava sua figlia. Era l’unica a pensare che sua figlia fosse del tutto normale e che non avesse alcun difetto. Con lei accanto Roxanne sperava di poter raggiungere quella normalità tanto desiderata. Invece la vita le aveva teso quel tranello portandosela via con se, disperderla nell’aria e cancellarne l’esistenza.
Roxanne si era accorta anche di come fosse cambiato suo padre dopo quel giorno. Perfino lui aveva smesso di credere nei sogni e nei desideri. Aveva versato tutte le sue lacrime all’ospedale prosciugando tutta la sua riserva. Da quel giorno non aveva più pianto, quasi come se niente fosse così profondo da toccare il suo nuovo ego bello, pulito e inattaccabile.


 
******
 
Il pranzo finì nel completo silenzio, si sentiva tichettare solamente i piatti che venivano riposti nella lavastoviglie. Noah corse fuori dalla stanza per andare ad esercitarsi al pianoforte, mentre Roxanne raggiunse la sua camera sotto le note di “Moonlight” di Beethoven.
Distesa nel letto, Roxanne Holmes cominciò a pensare a quanto fosse triste la sua vita. Reclamava in continuazione la normalità senza mai riceverla. Avrebbe preferito essere parte di una di quelle famiglie che non avevano nulla da chiedere siccome avevano già tutto. No, non stava desiderando di essere ricca. Stava semplicemente desiderando una famiglia normale, con problemi normali. Ciò che le era stato dato invece non aveva assolutamente niente di normale: un padre troppo assente, un fratello chiacchierone e troppo intelligente, una madre morta per una malattia che veniva curato quasi ogni giorno e una continua oppressione nel cuore di Roxanne che non tardava a raggiungerla ogni volta che varcava la soglia di casa. Si sentiva perennemente sospesa su un filo. Barcollava a causa del vento di parole che le ronzavano nella testa senza che lei riuscisse a decifrarle. Sarebbe caduta? O un giorno avrebbe raggiunto quell’equilibrio tanto desiderato? Era strano, ma si sentiva terribilmente sola a diciotto anni. Ogni volta che raggiungeva il suo letto e cominciava a fissare il soffitto troppo bianco pensava a quanto fosse infelice,nonostante avesse una migliore amica, un padre che non rompeva troppo le scatole e un fratellino che nonostante fosse troppo logorroico a volte le dava dei consigli davvero intelligenti. Era sola perchè? Che cosa mai poteva mancarle nella sua vita?
Chiuse gli occhi oscurandosi dal mondo sotto le note del suo cantante preferito. Si trovava in una foresta. Gli alberi erano talmente  fitti da coprire interamente il cielo ma una strana luce le faceva da guida. Era bianca e invogliava Roxanne a seguirla. Gli alberi si spostavano al suo passaggio ma quella luce era sempre troppo lontana per essere raggiunta. Roxanne era accaldata e stanca, era stufa di camminare invano. Ma un rumore alle sue spalle la fece proseguire. Era sicura che qualcuno la stesse seguendo così accellerò il passo fino quasi a correre. La luce era sempre troppo lontana e il suo inseguitore sembrava essere sempre più vicino, riusciva perfino a sentire il suo respiro caldo sul collo. Nel momento in cui si sentì afferare il braccio Roxanne pensò di essere finita per sempre. Ma quando si girò rimase immersa in quegli occhi neri,come gli abissi più profondi del mare. Adrian Kain stava scalfendo i suoi occhi e lei non aveva alcuna intenzione di fuggire. Nonostante provasse dolore Roxanne non voleva abbassare lo sguardo. I suoi occhi gocciolavano sangue. Avrebbe potuto resistere per mesi nonostante stesse soffrendo, ma Adrian scomparve, proprio come aveva fatto quella mattina a scuola.
Roxanne si svegliò improvvisamente notando di star piangendo, le lacrime sostituivano le gocce di sangue del sogno.

 
 
******

“Ho bisogno di te” quelle poche parole riuscirono a convincere Sawyer Levine a raggiungere casa Holmes in meno di tre minuti. Nonostante fossero passati tre anni e mezzo, Sawyer amava Roxanne come il primo giorno, peccato che per Roxanne non fosse la stessa cosa. Suonò il campanello in preda al panico, non era solito ricevere messaggi del genere da parte di Roxanne. Aveva paura che le fosse successo qualcosa di grave.
Fu lei ad aprire immediatamente la porta.
“Ehi che cosa è successo?” le chiese immediatamente in preda al panico, sperava tanto che Roxanne non avesse deciso di rinunciare alla loro relazione. Pensare a Sawyer senza Roxanne, era come pensare a un uccello senza ali.
“Ho fatto un brutto sogno e avevo bisogno di parlarne con qualcuno” Roxanne si stupiva delle sue stesse parole. Aveva davvero chiamato Sawyer per uno stupido sogno? Effettivamente quegli occhi erano stati capaci di gelarle il sangue nonostante Roxanne si sentisse ardere in ogni parte del corpo. Sawyer rimase spiazzato per qualche secondo e accolse tra le braccia il corpo esile di Roxanne senza dire assolutamente niente. Sentiva il suo respiro contro il suo petto e le lacrime che le scorrevano dagli occhi attraverso la sua felpa.
“Andiamo in camera tua dai” disse improvvisamente prendendole la mano  e raggiungendo la camera di Roxanne. Chiuse la porta alle sue spalle e guardò negli occhi la ragazza che amava più di ogni altra cosa al mondo. Si stava chiedendo il perchè lei non provasse la stessa cosa per lui? Che cosa avrebbe dovuto fare?
Vedere però quegli occhi nocciola inumiditi dalla paura gli fecero cambiare completamente idea, lei aveva bisogno di lui e lui avrebbe fatto di tutto per aiutarla.
Roxanne si distese nel letto a pancia in su riprendendo a fissare il soffitto.
“Potresti venire qui?” gli chiese voltandosi verso di lui ancora in piedi davanti alla porta chiusa. Lui lentamente si sedette sul letto per poi stendersi accanto a lei. Roxanne si sentiva al sicuro ogni volta che Sawyer la teneva tra le sue braccia. Sawyer era un porto sicuro. Sawyer era ciò che la vita le aveva regalato per buona condotta, anche se non era abbastanza da farle esplodere il cuore. Quello che provava per Sawyer purtroppo non era quell’amore che Roxanne desiderava tanto trovare. Le sue dita le attraversarono i capelli cancellando ancora una volta quei pensieri indesiderati. Erano in crisi, ma lui era venuto lì per lei. Senza alcuna esitazione. Perchè Sawyer non poteva entrarle nel cuore?
-Sarebbe stato tutto più facile- pensava Roxanne mentre chiudeva ancora una volta gli occhi.
Si pentì di averlo fatto. Non appena chiuse le palpebre rivide ancora una volta quegli occhi predatori che le toglievano il fiato. Volevano ucciderla. Ma lei era accanto al suo angelo dai capelli neri quella volta. Finchè era tra le braccia di Sawyer quel demone bianco non avrebbe potuto farle del male.
“Sono contenta che tu sia qui” sussurrò all’orecchio destro di Sawyer sorridendo appena,sentendo che quelle parole esprimevano realmente il suo stato d’animo.
“Anche io” rispose Sawyer voltandosi verso quella pelle lattea troppo fragile appoggiando lentamente le sue labbra per paura di farle male. Quel piccolo bacio sulla sua fronte fece scomparire gli occhi di Adrian Kain e finalmente Roxanne si addormentò  in un sonno senza sogni.

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Capitolo 2
*** Jasmine's fragrance ***


Keep in mind. We're under the same sky, and the night's as lonely for me, as for you.


Si svegliarono uno nelle braccia dell’altro. Roxanne non aveva mai avuto un risveglio così perfetto da quando sua madre era morta. Forse era di quello che aveva bisogno. Aveva bisogno di Sawyer nonostante continuassero ad allontanarsi e a ritrovarsi. Aveva paura di perderlo e lo avrebbe impedito.  Amava Sawyer più di se stessa anche se non aveva mai ammesso la sua dipendenza estrema per lui.
Aprì lentamente gli occhi per abituarsi alla luce di un nuovo giorno e si trovò il volto di Sawyer perfettamente incorniciato dai raggi solari. Avrebbe voluto vedere che effetto producevano i suoi occhi azzurri colpiti dalla luce diretta solare, ma in quel momento stava dormendo profondamente. Pareva un angelo, un bellissimo angelo caduto dal cielo solo per proteggerla.
Improvvisamente si trovò a sorridere senza un motivo principale, era solamente felice di essere insieme a lui dopo tutto quel tempo passato solamente a discutere. Problemi futili dei quali Roxanne avrebbe fatto benissimo a meno ma che continuavano a riaffiorare nella loro relazione.
Quella mattina però era troppo bella per sporcarsi con parole senza senso e dette in modo troppo brutale. Era una splendida mattinata di Novembre, i signori Lancaster si stavano preparando per l’arrivo di Dicembre con lucette e campanellini natalizi e Naja, il gatto, era attaccato al termosifone.
Roxanne si alzò lentamente dal letto per paura di svegliare il suo ragazzo e si avvicinò alla finestra per guardare il cielo. Grigio e con un sottile strato di nuvole, queste comunque non impedivano al sole di fare capolino nella deserta città di Gwenton, un minuscolo puntino in mezzo all’America settentrionale. Una volta aveva provato a cercare la sua città su Google maps rimanendo sbalordita dal “nessun risultato trovato” che le comparve a tutto schermo.
Era bello essere  una città sconosciuta. La non presenza dei turisti rendeva tutto tremendamente silenzioso e tranquillo, quella solitudine che Roxanne aveva sempre amato soprattutto per scrivere le sue poesie, un piccolo vizio che aveva iniziato da quando era molto piccola. Era stata colpa di sua nonna Adele, quando un Natale aveva deciso di regalarle un libro di poesie di Emily Dickinson. Rimasta meravigliata da quelle splendide parole aveva voluto immediatamente  imitarla, e così dopo due giorni aveva già scritto metà del suo quaderno di versi. Le uscivano senza freno. Un fiume in piena di emozioni che desideravano essere solamente trascritte su un foglio bianco solitario.
E poi si era innamorata del suo migliore amico. Sawyer era sempre stato il ragazzo perfetto per lei ma non l’aveva mai riconosciuto. Quando gli aveva aperto il cuore però era troppo tardi: lui si era messo insieme ad un’altra ragazza alla quale aveva giurato amore eterno. Quella notte se la ricordava perfettamente, aveva scritto poesie con le lacrime con la consapevolezza di avere il cuore spezzato e di aver perso per sempre il suo migliore amico. Si era trovata a credere di nuovo nelle favole, nella speranza che il vero amore avesse la meglio su tutto ma dopo un anno le speranze crollarono insieme ai pezzi del suo cuore ridotto  a cenere. Il motivo del ritorno di Sawyer sembrava essere ancora sconosciuto allo stesso, le aveva spiegato che aveva sentito solamente la necessità della sua presenza e il lieto fine si era creato senza nemmeno aver scritto l’inizio della favola.
“Sei sempre stata bellissima la mattina, come diavolo fai?” le chiese il suo ragazzo alle sue spalle. Si voltò per guardarlo ancora con il viso leggermente addormentato per poi sorridergli.
“Sei sempre stato terribilmente melenso, come diavolo fai?”
“Siamo di buon umore spero?”
“Si grazie a te”
“Allora propongo di fare colazione insieme da qualche parte prima” si alzò dal letto e si infilò le scarpe che la sera prima aveva riposto ordinatamente vicino alla porta della sua camera. Roxanne era ancora in pigiama e non aveva nessuna voglia di uscire di casa ma decise di accontentare per una volta il suo ragazzo e cercò qualcosa da mettersi. Mise sottosopra il suo armadio già in disordine per poi trovare qualcosa di carino ma che nello stesso momento la tenesse al caldo per poi uscire di casa.
Andarono al solito bar della città, l’unico dove servivano ciambelle fritte e caffè possibilmente separate. Roxanne ne prese una alla fragola con stelline di cioccolato sopra e se la gustò tutta intera senza aver paura di quante calorie stesse ingerendo in quel momento. Sawyer si limitò a un semplice caffè e a un cornetto senza niente dentro. Restò a guardare per tutto il tempo senza dire niente per poi sospirare leggermente.
“Allora è tutto a posto tra di noi?” chiese improvvisamente poggiando la sua mano su quella ancora sporca di cioccolato di Roxanne. Lei rimase leggermente interdetta da quella domanda, non sapeva che cosa rispondere. Sapeva solo che dalla sera precedente qualcosa era ancora cambiato tra loro due, come se la magia fosse ritornata.
“Si per il momento si” disse con un sorriso sincero ricevendone uno di conseguenza dal suo ragazzo prima che le sue labbra toccassero le sue in un bacio di sfuggita ma che le migliorò completamente la giornata.  Le sue labbra sapevano ancora da caffè zuccherato con il dolcificante.
“Non pensi che dovrei andare a scuola?”
“Magari oggi potresti saltare le lezioni siccome sei con me”
Roxanne non aveva voglia di andare a scuola quel giorno anche se la professoressa di storia aveva deciso di fare un compito in classe tanto per valutare il grado di imbecillità dei suoi compagni corso. Poteva benissimo saltarlo siccome era la più brava della classe. E poi c’era Sawyer quel giorno che era appena tornato dal suo viaggio a Parigi e aveva messo fine a quell’assurda relazione a distanza fatta di telefonate su skype e email frettolose.
“Ok dai mi hai convinta ma domani vado a scuola sia chiaro” le disse  minacciandolo con il dito indice e uno lo sguardo più maligno che potesse fare. Ricevette solamente un sorriso e una carezza alla mano che tolse immediatamente la sua rigidità.
Poteva amare così tanto una persona? Probabilmente quello non era vero amore, ma un affetto profondo verso una persona che ricambia i suoi stessi sentimenti e a Roxanne bastava quello. Non le serviva altro in quel campo sapendo che non avrebbe potuto permettersi di più.
Finirono la loro colazione con tutta la calma del mondo per poi lasciare una lauta mancia al cameriere che ringraziò con un largo sorriso.
Passeggiarono lungo il viale mano nella mano guardando le foglie ingiallite cadere dagli alberi, ancora non erano del tutto spogli.
“Hai visto il ragazzo nuovo?” chiese improvvisamente Sawyer continuando a guardare minaccioso il cielo leggermente inscurito rispetto al loro risveglio. Roxanne sapeva che si riferiva ad Adrian, il ragazzo che cercava a tutti costi di dimenticare anche se non riusciva a capire perché il suo ragazzo fosse così curioso riguardo al suo arrivo.
“Si è nel mio stesso corso di storia, ieri si è diciamo presentato alla classe con tre parole, niente di più” disse cercando di evitare tutta quella parte riguardante i suoi occhi neri che l’avevano talmente spaventata da tormentarla perfino nei sogni.
“Mi è parso solamente sospetto, ieri l’ho visto uscire dalla tua scuola che nascondeva qualcosa sotto la giacca con fare curioso”
“Devi sempre metterti a guardare ogni singola persona che esce dalla mia scuola?”
“E’ il mio passatempo preferito siccome sei sempre l’ultima ad uscire”
“Ma scusa ieri non mi sei venuto a prendere a scuola”
“Io intendevo l’altro ieri infatti prima ancora che lo incontrassi”
“Come facevi a sapere che era lui?”
“Capelli biondi platino, occhi neri, orecchino sul sopracciglio destro …penso che non passi così inosservato”
“In effetti su questo hai pienamente ragione” disse ridacchiando pensando che il look di quel ragazzo sicuramente non poteva passare inosservato a nessuno. Si chiese se tutte le persone provenienti dal Texas avessero quell’aspetto così stravagante.

“E’ inconcepibile che quella racchia progetti di rovinarmi la vita, insomma io non le ho fatto assolutamente niente”  annunciò Renee al suo specchio mentre si dava una controllata alle sopracciglia.
“Andiamo è solamente un compito di storia. Quanto può essere andato male?” chiese Roxanne ormai esasperata nel sentire tutti quegli insulti rivolti verso la sua unica insegnante preferita della scuola.
“Un disastro, ho risposto solamente a una domanda su quindi…su quindici? E’ un completo disastro. Ho chiesto perfino a quello nuovo di farmi copiare e si è limitato solamente a ridere di me.” Incrociò le braccia al petto ancora però insoddisfatta del suo lavoro.
“Hai chiesto ad Adrian di copiare da lui?”
“Era l’unico presente nei paraggi e poi dopo un’ora aveva già risposto a tutte le domande”
“Ma a quanto pare non è poi così gentile con il prossimo”
“Io pensavo che rimanesse abbagliato dal mio fascino, come succede ad ogni uomo sulla terra con un po’ di cervello”.
Roxanne roteò gli occhi pensando a quanto egocentrismo ci potesse stare nel corpicino esile di Renee. Non era capace di fare altro: parlava sempre e solamente di se stessa. Ogni tanto mostrava una certa attenzione verso gli altri ed era la parte alla quale Roxanne si aggrappava ogni volta che stava male. Contare su Renee però non era sempre una giocata sicura, siccome passava la maggior parte del tempo fuori di casa per alcune sue faccende sconosciute a chiunque.
“Pensi che non gli possa piacere?” chiese shoccata la bionda voltandosi verso l’amica. Non era mai successo nel giro di cinque anni di scuola superiore che a qualcuno non piacesse Renee, era geneticamente dimostrato che le ragazze come lei potessero avere qualsiasi cosa volessero con un semplice battito di ciglio.
“Penso solo che abbia gusti diversi, diciamo alternativi” disse Roxanne pensando a quale ragazza potesse essere il tipo di Adrian Kain. Scosse la testa in preda al ricordo dei suoi occhi e si sforzò a ricordare gli occhi azzurri del suo ragazzo, quelli che erano in grado di farla completamente  rilassare dopo una tempesta mentale.
“Tu e Sawyer siete ritornati insieme?”
“Non ci eravamo lasciati”
“Oh andiamo continuate a mollarvi e a rimettervi insieme alla velocità della luce, non mi stupirei se fra cinque minuti vi lasciaste di nuovo”
Roxanne non fece nemmeno in tempo a guardare male l’amica quando un boato interruppe la loro conversazione. Veniva da fuori dalla finestra della camera alla quale le due ragazze accorsero immediatamente. Un ragazzo dal passo svelto lasciò immediatamente la via correndo. Indossava una felpa nera con il cappuccio alzato fino a coprire quasi tutto il suo volto.  Nella sua fuga si era lasciato sfuggire due bidoni della spazzatura completamente rivoltati.
Chi poteva mai essere? E perché era appostato davanti a casa sua?
“Sembra che i guardoni siano proprio di tutte le età” disse Renee ritornando alla sua routine davanti allo specchio. Per Roxanne invece quello non era semplice guardone, sospettava che fosse qualcosa di altamente losco ma non voleva esagerare come sempre e si limitò a dimenticare quello che era successo lasciandosi travolgere dalla parlantina senza freno della sua amica.
“Come è andata a scuola?” chiese suo padre senza nemmeno guardala in faccia. Il suo sguardo ceruleo come quello di Noah era sempre perennemente puntato su quello stupido Blackberry. A volte Roxanne si chiedeva se davvero a suo padre importasse quello che faceva nella vita. Testò la sua attenzione facendogli un gestaccio esplicitò che suscitò la ridarella del fratellino più piccolo. Suo padre non si smosse dal suo lavoro di scorrimenti e pigiamenti dei tasti del suo telefonino.
“Ah niente di particolare, oggi ho saltato quattro lezioni su cinque ho scopato in bagno con Sawyer e…oh sono incinta” disse Roxanne tentando ancora una volta di catturare l’attenzione del padre che non sentii alcuna parola che aveva proferito sua figlia.
“Sono contento” disse solamente tanto per far vedere che nonostante non avesse ascoltato era ancora vivo. Roxanne si alzò direttamente dal tavolo con uno scatto lasciando il piatto della cena mezzo vuoto e andò direttamente in camera sua. Non aveva voglia di discutere anche quella sera con suo padre. Non c’era verso. Lui aveva sempre ragione mentre lei rimaneva sempre nella parte del torto qualsiasi fosse l’argomento della discussione.
Digitò il numero di Sawyer per parlare con qualcuno prima che iniziasse a piangere per la rabbia. Ma lui non rispose, il telefono squillò a vuoto per dieci volte per poi interrompersi ed ecco che le sue lacrime cominciarono a bagnare il lenzuolo viola del suo letto. Si sentiva incredibilemente sola in quel momento. Le mancava sua madre. Le mancava come le accarezzava i capelli mentre ascoltava i suoi problemi. Avrebbe dato qualsiasi cosa per poterle parlare anche solamente per cinque minuti.
Improvvisamente decise di uscire. Prese la giacca nera e se la infilò mentre scendeva le scale.
“Esco” disse senza aspettarsi una vera e propria risposta e in un attimo si ritrovò nel freddo buio di Novembre. Camminò a lungo senza avere una meta precisa. Sentiva i piedi bruciare sull’afalto. Fumavano in contrasto con il freddo dell’aria. Si avvicinò al giardino di una casa attirata dal suo profumo. Era il suo preferito. Profumo di gelsomino che viaggiava nell’aria. Di chi era quel giardino? Sarebbe stata lì per sempre in mezzo a quel profumo così familiare. Lo usava spesso sua madre ed ogni volta che Roxanne lo sentiva la faceva sentire un po’ a casa, come se sua madre non se ne fosse mai andata. Le luci del giardino si accesero. Qualcuno l’aveva vista. Iniziò a correre diretta verso la strada principale uscendo dalla visuale del proprietario della casa.
Due occhi neri fissarono la corsa della ragazza dai capelli castani.

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Capitolo 3
*** Heaven can wait ***


Here’s a song 
For the nights i think too much
Heaven can wait up high in the sky 
 


Sawyer non rispose per due giorni. Nessun messaggio, nessuna chiamata. Niente di niente. E Roxanne ormai sembrava aver perso le speranze di poter contattare il suo ragazzo.
Dov’era finito? Perchè non la chiamava?
Si sforzava di ricordare se avesse fatto qualcosa di sbagliato per farlo sparire in quel modo, ma non c’era niente nei suoi cassetti della memoria che potesse giustificare questa improvvisa uscita di scena.
Quella mattina la ragazza si trascinò a scuola senza trucco e senza essersi pettinata. Era a pezzi ed era stanca di aspettare. Gli altri però non sembrarono notare quel cambiamento, solo Renee guardò l’amica con gli occhi sbarrati non appena varcò la soglia dell’aula di scienze.
“Che cosa hai fatto ieri sera? Hai bevuto rum fino alle cinque del mattino? Altrimenti non mi spiego questa tenuta da barbona che non dorme”
“Ero troppo stanca per pensare a truccarmi tutto qui”
“Oh si certo come se mettessi i pantaloni della tuta ogni giorno”
“Insomma Renee che diavolo devo dirti? Sawyer non si fe sentire da due giorni e non ho la più pallida idea di dove sia sparito senza dirmi niente” senza di lui era in preda al panico, quasi come se le fosse stata strappata via una parte di sè. Si lasciò andare nel suo banco lanciando il libro di scienze sul banco con un tonfo che non svegliò nessuno dal torpore mattuttino. C’era troppo silenzio. Quell’assenza di rumore impediva a Roxanne di concentrarsi sulla mitosi e la meiosi. Le parole del professore erano mute, qualcuno aveva deciso di pigiare il pulsante del telecomando per togliere il volume.
C’era qualcosa di strano. Tutti sembravano essere interessati all’ultima fila. Renee continuava a guardarsi alle spalle a intervalli di dieci secondi. Che cosa c’era mai di così interessante? Roxanne si avventurò lentamente verso gli ultimi banchi e vive nuovamente quei occhi neri. Adrian Kain era vicino a Cheryl chiacchiera-facile ed erano in atteggiamenti più che intimi. Roxanne sbuffò rigirandosi verso la lavagna pensando a quanto fossero stupidi i suoi compagni di classe. Perchè mai dovevano essere così interessati al nuovo arrivato? Era una persona normale come tutte giusto? Perchè tutto quell’interesse?
Erano domande che nemmeno Roxanne non riusciva a rispondere, in fondo una settimana prima era stata lei a fissare il nuovo arrivato per un’ora intera.
Ma c’era qualcosa di sbagliato in tutto quello? Quel ragazzo aveva qualcosa di losco che riusciva a incantare chiunque lo avesse visto. Si girò ancora incrociando il suo sguardo e per un attimo rimase ad ammirare lo scintillio del piercing che aveva sul sopracciglio sinistro.
Cheryl sembrò turbata nel vedere il suo compagno di giochi disattento da sé.
Chi cavolo si credeva di essere quella? Perché stava guardando il suo Adrian? Quelle domande mentali sarebbero esplose fuori dalla sua bocca come fiamme di rabbia nei confronti di Roxanne Holmes, la ragazza che stava con il ragazzo più bello della città ma che non aveva niente di speciale.  Certo non si poteva considerare Roxanne brutta ma Cheryl si sentiva sicuramente più bella di lei.
Cheryl era fatta così. Pretendeva che tutta l’attenzione fosse incentrata solamente su di lei, voleva che tutti pendessero dalle sue labbra. La popolarità la faceva sentire protetta nonostante non avesse niente per la quale poteva essere ammirata. I suoi difetti erano troppi perfino da elencare dalla sua lingua troppo lunga. Era stata l’unica ragazza ad aver avuto il coraggio di avvicinarsi al nuovo  arrivato. Le ci era voluto un bel bicchierino di vodka nascosto sapientemente in una bottiglietta di thè non trasparente per riuscire ad essere così sfacciata e ad Adrian non era dispiaciuto affatto. Anzi, aveva apprezzato che una ragazza finalmente avesse deciso di rivolgergli la parola anche se avrebbe preferito parlare con la ragazza dai capelli rossi che in quel momento si era voltata per guardarlo.
Sapeva il suo nome: Roxanne, un nome così azzeccato per i suoi capelli porpora più che castani eppure così poco incline alla sua personalità. Sembrava di vedere il suo opposto. Pareva così fragile da essere spazzata via solamente con una folata di vento. La ragazza non li permise di procedere nell’osservare il suo  viso leggermente puntellato di lentiggini che si voltò immediatamente a guardare il professore.
“Ti sei distratto?” gli chiesi Cheryl leggermente innervosita.
“Può capitare anche a uno come me” disse Adrian  con un sorriso smagliante spostando una leggera ciocca di capelli dietro all’orecchio della ragazza che ebbe un leggero sussulto. 
“Stavi guardando Roxanne Holmes non credermi stupida”
“Non posso guardare nessuno adesso?”
“Preferirei che non guardassi lei” Cheryl era leggermente indispettita, nominava quel nome con un tono differente, quasi fosse un insulto costretta a sputare fuori. La tensione le si leggeva negli occhi nocciola, la pupilla le si ingrandiva leggermente quando era arrabbiata con qualcosa.
“Che mai avrebbe potuto farti quella ragazza innocente?”
“Innocente? Stiamo scherzando? Non chiamarla in quel modo. Ti assicuro che non lo è affatto” i suoi occhi erano ormai diventati quasi del tutto neri.
“Come vuoi, eviterò di guardarlo se questo più ti aggrada principessa” il suoi sorriso annesso alla frase fece calmare del tutto Cheryl che riprese a giocare con i suoi capelli corvini. Era così facile per Adrian: un sorriso, alcune parole rubate a qualche romanzo e le ragazze erano ai suoi piedi senza nemmeno aggiungere altro. Avrebbe preferito avere qualche altra abilità, a volte essere terribilmente affascinati poteva stancare. Poteva avere tutte le ragazze che voleva ma non poteva avere l’amore, era la maledizione del karma. L’eccesso in qualcosa in contrasto con l’assenza dell’altro.  Si torturò il piercing sul sopracciglio pensando alla superficialità della ragazza che aveva accanto. Era assurdo il genere umano. La complicatezza della vita era troppo complessa per essere capita da certe persone, ad alcune come a Cheryl piaceva pensare che la vita fosse fin troppo facile se guardata da occhi perfettamente truccati e contornati da ciglia finte. Con il tempo avrebbe capito che non erano così le regole ed Adrian lo aveva capito fin troppo presto. Gli era dispiaciuto crescere così in fretta, per la prima volta nella sua vita avrebbe voluto tornare indietro nel tempo e ricominciare da capo. Desiderava la libertà di un tempo, la possibilità di poter farsi vedere in giro senza avere rimorsi. Era per quel motivo che aveva deciso di trasferirsi in quella nuova città insieme alla sorellina Annaleigh. Desiderava cambiare aria come tutti e vedere volti nuovi e magari la possibilità di innamorarsi di nuovo.
No, quello lo voleva evitare oppure sarebbe successo di nuovo.
La storia non doveva ripetersi.
Non in quella città.
Non con quella ragazza.

Aveva deciso di ignorarlo completamente. Occhio non vede cuore non duole giusto? Quella tecnica sembrò bastare a Roxanne per tutta la mattinata di lezione fino a quando Cheryl non decise di avvinarsi al suo banco quasi di soppiatto. Appoggiò violentemente le mani sul legno rovinato dal tempo facendola sobbalzare.
“Allora Roxanne come stai oggi? Ho sentito dire che stai entrando in depressione. Bè guardando come sei vestita ci credo eccome. Che cosa ti è successo poverina?” la voce di Cheryl era terribilmente noiosa e tendente all’ironico. Roxanne l’avrebbe definita più che altro maligna, tutto quello che usciva dalla sua bocca non erano altro che bugie e letame.  E pensare che una volta erano migliori amiche. All’asilo erano inseparabili e si dicevano ogni cosa. La scomparsa di Eileen però aveva cambiato così tanto Roxanne da allontanarla da Cheryl che prontamente si era trovata un gruppetto di sostegno che non aveva niente a che fare con la personalità della ragazzina.
“Oh ciao Cheryl mi sembrava di aver sentito puzza di vomito. E’ un piacere vederti oggi sai? Comunque non sono affatto depressa e se lo fossi non sarebbero certo affari tuoi. Quindi perché non mi fai un favore e vai a ficcare la lingua in gola al nuovo arrivato?” aggiunse un sorrisetto acido che avrebbe allontanato chiunque. Purtroppo Cheryl era fin troppo competitiva in quelle gare di botta e risposta.
“Sono contenta che il mio profumo ti piaccia, piace molto anche ad Adrian. Sai quel ragazzo che hai fissato per tutto il primo giorno? Oh si, a lui piaccio io befana.”
“A quando le nozze?”
“Oh non fare la sfacciata. Chi è morto questa volta? Solitamente indossi quella felpa quando è morto qualcuno, stavolta a chi è toccato? A tuo padre o al piccolo Noah?”
Un tonfo fece cadere per terra Cheryl che iniziò a frignare come una bambina. Roxanne l’aveva colpita in pieno naso e non faceva altro che sanguinare.
”Non ti permettere più di dire una cosa del genere, sono stata chiara?” la ragazza dai capelli castani con riflessi rossi sembrava essere infuocata dalla rabbia. Nessuno si era mai permesso di dirle quelle parole e non le importava di aver fatto del male a Cheryl. Il suo veleno non aveva alcun effetto su di lei tranne quando si tirava in ballo il suo piccolo fratellino Noah. Alzò le mani al cielo in segno di resa quando il professore entrò nell’aula puntandole immediatamente le mani addosso. Prese i suoi libri e andò direttamente in presidenza dove ci era finita una volta per aver preso a calci la macchinetta del caffè non intenzionata a darle il resto dei suoi soldi. Si sedette sulla morbida sedia color antracite e aspettò impaziente che la professoressa Roxton entrasse nell’ufficio.
Erano cambiate delle cose in quella stanza. La scrivania in mogano non era più ricoperte di cornici di famiglia o di statuette di ottone. Il tavolo era glabro, lucido e sopra vi era appoggiato solamente il telefono. Dov’erano finite le foto dei figli di Miss Roxton? Quella di suo figlio Alec in groppa a un cavallo bianco era sparita nel nulla per non parlare di quella di sua figlia Selene sotto all’albero di Natale.
“Che cosa hai fatto questa volta?” la voce della professoressa fece sobbalzare Roxanne. Si divertivano a farla spaventare? Non si era nemmeno accorta che Evrin Roxton fosse alle sue spalle. Quel giorno indossava una gonna di jeans e una camicia bianca, non amava vestirsi troppo elegante come facevano i suoi colleghi. Era uno dei motivi per cui Roxanne adorava quella professoressa, era talmente spontanea e luminosa da farti sorridere non appena entrava in una stanza. La considerava come una madre mancata e sapeva che quel sentimento era ricambiato dalla stessa.
“Ho picchiato Cheryl. Ma è colpa sua, non fa altro che fare la stronza con me”
“Sappiamo tutti che la signorina Graham non è certamente una grande amica di tutti ma questo non ti autorizza a spaccarle il naso”
“Ma…”
“Niente ma mi toccherò sospenderti per due giorni solamente perché devo fare bella figura. Se fosse per me ti chiederei di darmi il cinque per la prontezza di spirito e la buona mira”
“Ok accetto i due giorni di sospensione”
“E?”
“E non colpirò mai più in faccia Cheryl Graham e nemmeno in altre parti del corpo” Evrin guardò la ragazza con fare soddisfatto e annuì leggermente. Si sedette dall’altra parte della scrivania per poi guardarla attentamente.
“E’ successo qualcosa di grave? Mi sembra di vederti più pallida del solito”
“Oh niente di importante il mio ragazzo non si fa sentire da due giorni e sono leggermente preoccupata ma niente di grave”
“Dovrei parlarne con mia sorella sicuramente sono andati da qualche parte” Evrin era la zia di Sawyer, le sorelle Roxton però non erano così unite da parlare ogni giorno.
“Oh non preoccuparti non serve che chiami Sarah, semplicemente si sarà stufato di me. Non è la prima volta che succede”
“Voi ragazzi di adesso. Non vi capirò mai”
“Posso andare adesso?” chiese insistente Roxanne alzandosi dalla poltroncina. Voleva andare via da quel posto in più fretta possibile. Continuava a pensare che Sawyer fosse semplicemente a casa sua con una bella sorpresa che aveva preparato in quei due giorni facendola preoccupare per niente. Magari era così o magari era solamente la proiezione del paradiso nella vita reale.
“Come stai veramente Roxanne?” le chiese improvvisamente una voce amica, cavata fuori dall’oblio che poteva chiamare a suo malgrado la sua vita. In quel momento voleva saltare addosso alla Miss Roxton ed abbracciarla. Aspettava quella domanda da tempo, ma nessuno, nemmeno Sawyer, si era mai azzardato a chiederle. Forse avevano paura di una sua possibile reazione esagerata per non parlare di qualche crollo emotivo. La credevano una pazza? Una bomba ad orologeria che non poteva nemmeno essere sfiorata con lo sguardo?
Fece un lungo respiro come le aveva insegnato sua madre prima di affrontare un discorso di qualsiasi genere. Il trucco era quello di concentrarsi solamente sul respiro per qualche secondo per poi cavar fuori le parole adatte alla situazione.
Come stava veramente? Ci doveva pensare così tanto?
Si sentiva come se improvvisamente avesse perso se stessa e non fosse più in grado di recuperarsi. Correva nella sua stessa direzione ma la vera Roxanne continuava a sfuggirle.
“Mi sento terribilmente vuota, si lo so sembra strano dirlo alla mia età ma è terribilmente così. Ci ho riflettuto per tanto tempo, volevo evitare questa mia condizione ma…non sento niente. Quasi come se qualcuno mi avesse tolto il cuore in un colpo senza che me accorga” sentì la mano di Evrin sulle sue spalle, lentamente la portarono a respirare normalmente. Non si era nemmeno accorta di essersi agitata troppo nel parlare, aveva un groppo alla gola che non la faceva respirare.
“Calmati Roxanne! E’ una cosa comune a voi tutti giovani, per quello che posso sapere è che una fase passeggiera. E non te lo dico per farti stare tranquilla con quattro balle, te lo dico perché è la verità. Ti basterà trovare la persona giusta che riesca a dare un senso alla tua vita, tutto quello che devi fare è aspettare ed essere te stessa. Il paradiso può attendere”
Stranamente quelle parole, dopo tutte  le altre bugie, la fecero calmare all’istante. Era d’accordo pienamente con Evrin. La situazione era sua e doveva smetterla di piangersi addosso come una bambina di cinque anni. Almeno non si era beccata un “andrà tutto bene” che ormai le ronzava nell’orecchio come un moscerino fastidioso. Odiava quando le persone si credevano veggenti e avevano la faccia tosta di predire il suo futuro.
Insomma come diavolo facevano a sapere che sarebbe andato tutto bene? Per caso avevano contatti con il destino o con chi cavolo gestiva il mondo?
“Ti ringrazio, ora però è meglio che torni a casa”
“Certamente salutami Noah e va a letto direttamente, hai seriamente bisogno di dormire un bel po’”
Fece un sorriso ad Evrin ed uscì dalla presidenza piacevolmente sollevata da quella chiacchierata finalmente sincera.
Uscita da scuola stava già cominciando a tramontare il sole. Non si era accorta che fossero già le cinque del pomeriggio. Il gelido silenzio di casa sua ormai non sembrava più farle lo stesso effetto come quel bigliettino lasciato svogliatamente sul tavolo che annunciava che Noah era andato da un suo amico a dormire sembrò mutare il suo sguardo assente.


Quella notte Roxanne urlò il nome di Adrian Kain nel sonno.

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Capitolo 4
*** Slow dancing ***


What if this storm ends?
And leaves us nothing

 


L’amore era in stretto contatto con l’egoismo. Innamorarsi di qualcuno comporta che la persona interessata ricambi a tutti i costi i tuoi sentimenti. Pura pretesa, pura violenza. Perchè strappare via un cuore senza permesso?
Magari sarebbe stato più facile pensare all’amore a qualcosa di diverso. Poteva pensarlo come qualcosa di un colore puro, intattaccabile e leggero. Ma tutto quello che in quel momento provava non era altro che un enorme peso in quel buco al posto del cuore. Roxanne si sentiva sprofondare nel momento in cui quel giorno tornò a casa sua. Bastò una semplice chiamata per rendersi conto di quanto quel peso fosse straziante.
Sawyer non era partito da nessuna parte. Era stato attaccato da qualcosa o qualcuno ed era in fin di vita all’ospedale. Quale meschina persona aveva osato colpire il suo cuore? L’avrebbe pagata di certo su questo ne era totalmente sicura.
Aveva parlato con Sarah Graham in lacrime. Poche parole uscirono dalla sua bocca troppo impegnata a singhiozzare per il proprio figlio. Avevano trovato il ragazzo al parco, dietro a un fottuto albero dove poteva essere visto da chiunque eppure era rimasto lì per un giorno e mezzo. Da solo, al buio e senza alcuna protezione. Quello che non si riusciva a capire era che cosa lo avesse colpito. Sarah non sapeva assolutamente niente, suo figlio le era ancora precluso viste le sue gravi condizioni.
Roxanne aveva preso immediatamente le sue cose ed era corsa immediatamente all’ospedale.
L’Angel Place Hospital, un nome una garanzia, occupava gran parte della cittadina con il suo imponente palazzo alto tre piani. Sembrava essere l’unico edificio moderno costruito per dispetto dal sindaco della città cancellando per sempre il verde del parco precedente. Roxanne frequentava quel parco con sua madre prima che fosse tutto cancellato da fondamenta profonde e alti muri in pietra.
Si fermò di fronte alla grande porta in vetri scorrevole pensando all’ultima volta che era entrata in quel posto. Lì era stata ricoverata ed era morta lo stesso giorno sua madre. Tante anime erano ancora racchiuse in quelle quattro mura: anime di angeli che non erano in grado di raggiungere il paradiso perché strappate alla vita troppo presto.
“Roxanne finalmente sei arrivata” Sarah la stava aspettando fuori dall’edificio, trucco colato per le lacrime e un orrendo giubbotto rosa confetto che probabilmente aveva comprato nel negozio di vestiti usati.
“Sono arrivata il più presto possibile, si sa qualcosa?” quella domanda fece scoppiare Sarah in un pianto rumoroso che fece girare tutte le persone presenti nel parcheggio dell’ospedale.
“E’ ancora dentro…ma non si sa ancora niente. Non vogliono farmelo vedere… oh il mio povero figlio” disse a fatica per poi premere il suo viso bagnato sulla giacca di lana di Roxanne. Le bastarono cinque minuti per sfogarsi dopo di che si staccò tirando su con il naso e tirando un leggero sorriso di speranza.
“Andrà tutto bene, sicuramente si rimetterà in questi giorni, non c’è bisogno di essere così pessimisti riguardo a questa situazione”
“Sono sicura che tu abbia ragione Roxanne, se non ci fossi tu probabilmente impazzirei”
Entrarono insieme in ospedale. Un  via e vai di persone. Traffico di urla e suoni. C’era qualcosa di dannatamente tragico in quel posto, era come vedere per la prima volta la morte e madre natura in faccia collaborare insieme. In quel posto morivano e nascevano persone nello stesso momento. Sorrisi e pianti nello stesso momento, era come assistere all’apocalisse. Sawyer si trovava nel reparto di terapia intensiva nonostante non avesse assolutamente niente che non andava, era solamente incosciente e tutti speravano che presto aprisse di nuovo gli occhi. Roxanne più di tutti sperava che ritornasse da lei il più fretta possibile, non aveva mai avuto così bisogno di lui come in quel momento. Aveva paura di non poter più rivedere i suoi occhi cerulei, era come essere senza cielo. Si sedettero su delle panche troppo scomode per appartenere ad una sala d’aspetto. E il tempo passo con lenti rintocchi, il suo cuore sembrava procedere più velocemente di quelle lancette di legno. La paura pulsava nelle vene e premeva contro il suo cuore. Per quanto tempo avrebbero dovuto aspettare? Più i minuti passavano e più Roxanne perdeva la speranza di poter rivedere il suo Sawyer. La vita aveva deciso di prenderla in giro, le aveva disposto di due unici punti di riferimento a breve scadenza: sua madre era morta in un attimo e in quel momento la morte svolazzava tra i capelli corvini di Sawyer.
Un agente di polizia dopo aver continuamente stressato invano Roxanne e Sarah cominciò a passeggiare avanti e indietro per la stanza tenendo le mani dietro alla schiena: secondo lui quello che era successo a Sawyer non era stata una semplici coincidenza era stato sicuramente qualcuno che aveva intenzione di colpirlo da tempo, altrimenti non avrebbe organizzato tutto nei minimi dettagli.
Finalmente un camicie bianco si avvicinò alle due donne, l’espressione del dottore non dava sicuramente speranza o forse era semplicemente il suo umore giornaliero dopo aver fatto troppi turni notturni.
“Lei è la madre di Sawyer Levine giusto, la signora Graham?” chiese con un tono basso e serio. Aprì la sua cartellina scribacchiando qualcosa di illeggibile per poi puntare lo sguardo negli occhi di Roxanne nell’attesa di una risposta.
“Si sono io. Come sta mio figlio? Si rimetterà” incalzò immediatamente Sarah cercando comunque di contenere la sua troppa e giusta agitazione.
“Suo figlio sembra essere fuori pericolo, ha subito una commozione celebrare ma nulla di così grave. L’unico problema incorso è la sua incoscienza, ma potete comunque entrare nella stanza” disse scansandosi dalla porta dietro di sé.
Stanza 222.
In mezzo a quattro mura celesti si trovava il letto di Sawyer Levine immerso in un sonno a piccoli respiri. Qualcosa premette contro il cuore di Roxanne non appena lo vide immobile in mezzo a quelle lenzuola bianche. Sarah, come c’era da aspettarsi, si mise a piangere nonostante la cera di suo figlio non fosse così male.  Roxanne invece si avvicinò immediatamente a lui posando le dita sulle sua labbra leggermente schiarite, sembrava avesse freddo e le labbra si fossero improvvisamente congelate. Perfino le sue mani erano fredde e la sua pelle era leggermente ruvida a causa di piccoli tagli infieriti da una mano nemica.  Pareva ugualmente un angelo immerso in quel profondo sonno incosciente.
Roxanne si lasciò sprofondare nella poltrona vicino alla finestra e si mise a guardare fuori anche se l’oscurità celeva qualsiasi cosa, qualche puntino di luce proveniente dalle finestre delle case rendeva tutto molto natalizio, nonostante fosse ancora Novembre.
“Sarah hai bisogno di riposarti, vieni qui..questa sedia è molto più comoda. Controllerò io se Sawyer si risveglia”, la donna ormai sopraffatta dalle troppe lacrime sembrava che stesse per crollare da un momento all’altro. Si vedeva che era da giorni che non dormiva e sinceramente Roxanne non aveva voglia di vedere nessuno svenire. Accompagnò Sarah alla sedia che chiuse immediatamente gli occhi.
“Grazie Rox, sei veramente un angelo” disse con un sospiro per poi addormentarsi immediatamente. Era strano per lei essere paragonata ad un individuo celeste, in fondo non aveva mai creduto in Dio e non aveva mai fatto nulla che potesse ripulire per sempre la sua condotta. L’angelo era sempre stato Sawyer solo per il suo aspetto in fondo gli angeli non esistevano. Se ci fossero stati in quel momento avrebbero aperto gli occhi del suo ragazzo e tutto sarebbe andato realmente per il meglio senza aver la necessità di mentire a sè stessi.  La stanza entrò improvvisamente nel silenzio precedente, si sentivano solamente i respiri incostanti di Sarah che stava lottando contro un incubo contro la perfezione dei sospiri di Sawyer sdraiato sul suo letto. Una dolce melodia che lentamente portarono Roxanne a raggiungere il mondo dei sogni tenendo la mano di Sawyer.


“Allora? Come sta Sawyer?” chiese Renee con la sua solita fretta, non era una ragazza capace di aspettare. Era più forte di lei, voleva sapere tutto e subito. Un po’ come lo era la madre di Roxanne ma con un’incredibile dolcezza che avrebbe convinto chiunque a darle qualcosa.
“Non si è ancora svegliato ma sembra che sia stabile per il momento”
“Ma sono passate tre settimane”
“Lo so Renee quanto tempo è passato ma non sono certo io che decido quando svegliarlo” rispose Roxanne leggermente irritata. Erano passate tre settimane dall’ultima volta che Roxanne era entrata in quell’ospedale, aveva la strana sensazione di portare sfortuna al quel posto. Veniva però informata ogni giorno da Sarah sui nuovi sviluppi del figlio che non sembravano mai essere differenti di giorno in giorno.
“Scusa Rox, non volevo farti arrabbiare. Sono solamente preoccupata per lui”
“Non ti preoccupare so come sei fatta. Sono solo leggermente più nervosa del solito e mi arrabbio facilmente”sbattè fuoriosamente l’anta del suo armadietto e si diresse immediatamente nel bagno delle ragazze senza dire niente all’amica.
Stavano cadendo lacrime dai suoi occhi.
Per un attimo credette di non star guardando il suo riflesso allo specchio.
Eppure era lei. Stessi capelli rosso mogano. Stessi occhi nocciola.
Era solamente più pallida, e la maglietta che indossava sembrava essere troppo grande per lei ma non si sarebbe cambiata per una stupida dimenticanza delle taglie da parte del padre nei suoi regali di compleanno. Si raccolse i capelli in una coda di cavallo cancellando i segni umidi che segnavano le sue guancie. Non aveva intenzione di piangere davanti a tutti. Era un segno di debolezza. Della resa alla realtà.
“A quanto pare dovrei  diventare una veggente” disse una voce stridula alle sue spalle. Non dovette nemmeno girarsi per capire che dietro di lei c’era Cheryl. In qualunque modo quella ragazza aveva intenzione di rovinarle la vita, ma Roxanne non riusciva a capire che gusto ci trovasse nella sofferenza. Lottavamo per la pace e altre stronzate eppure esistevano ancora persone che si nutrivano delle disgrazie altrui.
“Non capisco di che parli”
“Oh ma come no? Sto parlando di quello che è successo a Sawyer, pensando che capitasse a Noah in effetti ma a quanto pare ho semplicemente sbagliato persona”
“Sono felice che tu abbia trovato la tua aspirazione lavorativa per il futuro ora vattene o cuciti la bocca”
“In fondo questo è un bagno pubblico. Se non hai voglia di ascoltarmi non devi fare altro che andartene tu”  fu un invito che Roxanne accettò di buon grado sforzandosi di non rispondere alle cattiverie di Cheryl. In fondo non ne valeva la pena e non aveva voglia di tornare in presidenza ed autocommiserarsi con Evrin. 
Uscì dalle mura della scuola e trovò un posto abbastanza appartato nel cortile della scuola.
Chiunque aveva un posto preferito dove poter nascondersi solamente per riflettere. Certo non tutti trovavano quella sorta di paradiso interiore all’interno del recinto della scuola ma per Roxanne era una semplice panchina rossa. Da lì si poteva vedere il fiume e il suono leggero dell’acqua che scorreva riusciva sempre a rilassarla. Si sdraiò immediatamente fissando il cielo stranamente troppo grigio nonostante non ci fossero nuvole.
“Credevo che qui non ci venisse mai nessuno” disse improvvisamente una voce che la fece sobbalzare. Quel giorno le persone avevano la mania di spuntare all’improvviso per sfizio. Roxanne si alzò di scattò dalla panchina e voltò lo sguardo da dove proveniva la voce.
Rimase paralizzata per qualche secondo dalla paura.
Quegli occhi.
Adrian Kain.
Riprese un po’ di proprio autocontrollò e scosse le spalle come se fosse stata percorsa da un leggero brivido.
“In realtà sono l’unica a venire qui”
“Ahm bè allora vorrà dire che me ne andrò sembri una persona molto territoriale” disse il ragazzo inspirando il fumo dalla sigarette e ributtandolo fuori lentamente dalla bocca. Leggere figure si formarono nell’aria per poi scomparire nel cielo grigio come il fumo. Una lenta danza diretta indefinito.
La sigeretta poi finì a terra pestata da una converse ormai piena di buchi. Roxanne alzò semplicemente un sopraccigliò sbalordita dalla lentezza dei movimenti di Adrian.
“Comunque io sono Adrian” disse lentamente scandendo il suo nome come se avesse una strana pronuncia. Magari proveniva da qualche paese europeo. Qualcosa che aveva a che fare con la scandinavia, avrebbe sicuramente giustificato il colore dei suoi capelli. Ma in scandinavia non avevano gli occhi azzurri?
Stava decisamente fantasticando troppo sulla provenienza di quel ragazzo soprattutto perchè non avendo ancora risposto alla sua presentazione la stava fissando dall’altro al basso.
“Sono Roxanne. Sai ho appena visto Cheryl in bagno magari potresti raggiugerla” quella sua affermazione scaturì una leggera risata che increspò le labbra di Adrian in un modo decisamente troppo sexy per appartenere ad un umano.
“Credi che mi interessi davvero qualcosa di quella gallina dalla bocca troppo larga. Certo non è male a letto ma decisamente non sono fatto per stare con una come quella”
“E questo lei lo sa?”
“C’è bisogno che lo sappia? In fondo non fa altro che guardarsi allo specchio. Magari l’unica cosa che fa quando mi guarda negli occhi e osservare il suo riflesso nelle mie iridi” mise le mani in tasca per poi passarsi lentamente la lingua sul labbro inferiore. Roxanne ebbe un vero e proprio brivido che le percorse tutta la schiena. Quel ragazzo aveva qualcosa di sinistro ma nello stesso momento di affascinante. Era come una calamita posta nella profondità marina: ne eri attratto ma sapevi che per raggiungerlo dovevi per forza morire annegato.
“In fondo non sono affari miei. Cheryl nemmeno la sopporto, quindi dovrei essere felice di vedere star male anche lei ogni tanto”
“Ma tu non sei quel genere di persona giusto?”
“Mi conosci per caso? Non mi sembra davvero”
“Ti ho osservata e ho tentato di farmi uno schema mentale sulla tua personalità. Sai non è difficile comprendere stato d’animo e tendenza di una persona”
“E tu saresti una sorta di psicologo giusto?”
“Stai soffrendo. E non è una di quelle sofferenze di non potersi comprare un paio di scarpe nuove per mancanza di paghetta, tu stai soffrendo realmente. E sicuramente per il ragazzo di cui parla tutto il corso di storia”
Roxanne si alzò immediatamente e puntò uno sguardo cattivo in direzione di Adrian.
Chi diavolo si credeva di essere? Era venuto nel suo posto e si azzardava a psicanalizzarla? Che avevano le persone di quella città? Non erano in grado di farsi gli affari loro e non sapendo che cosa fare decidevano di entrare nella sua vita.
“Non hai niente di meglio da fare?”
“E’ un mio difetto ma in fondo non devo starti per forza simpatico” disse facendo scintillare il piercing che portava al sopracciglio. Il suo sorriso era agghiacciante, proveniva per caso dall’inferno? Adrian aveva proprio l’aspetto del diavolo tentatore.
“Giusto” disse Roxanne prima di scomparire. Si mise a correre. Corse per tanto forse troppo tempo e si fermò quando non aveva più fiato.

Quella notte sognò Sawyer finalmente sveglio. Ma c’era qualcosa di diverso nel suo aspetto.
I suoi occhi erano cambiati. Avevano un colore diverso.
Occhi neri.

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Capitolo 5
*** Emptiness ***


 

I’m falling apart, I’m barely breathing
In your name I find meaning
I’m barely holdin’ on to you

Tre settimane di inferno.
Un giorno per rimediare a tutto.
Era esattamente  il ventisei novembre quando Sawyer Levine riaprì gli occhi completamente solo nella stanza. Era come risvegliarsi da un lungo sonno e non ricordarsi nemmeno a che ora si era andati a letto. Poco tempo dopo era arrivata Sarah con un sorriso sulle labbra e poi arrivò anche Roxanne con un permesso per uscire prima da scuola. Improvvisamente tutte le persone a cui teneva erano attorno a lui. Tutte tranne per un poliziotto premuto contro il muro opposto. Lo fissava come se stesse aspettando il momento più indicato per fargli delle domande per un evento che nemmeno si ricordava.
“Come ti senti?” gli chiese Roxanne preoccupata prendedogli delicatamente la sua mano.
“Un po’ intontino e dolorante ma sicuramente sopportabile, sono stato peggio. Sono felice che tu sia qui”
“Anche io, ma sono più felice che tu ti sia svegliato. Mi hai fatto stare in pena per tre settimane tonto e mi hai fatto andare male il compito di spagnolo” disse con un sorriso divertito. Era bello vederla sorridere in quel modo, non aveva idea di quante ne aveva passate in quelle tre settimane ma ora lui era con lei e non l’avrebbe fatta mai più preoccupare in quel modo.
“Sei la più brava della classe in spagnolo sicuramente saprai come recuperare”
“Oh finalmente qualcuno che me lo dice, mi sei mancato tantissimo Saw”
“Ti sono mancato solo per questo?” disse con uno dei suoi soliti sorrisetti di lato capace di far impazzire perfino un uomo etero. Roxanne però sapeva che quel sorriso era riservato solamente a lei e questo la faceva sentire la donna più importante al mondo.
“Lo sai che mi sei mancato per tutto, e non ho intenzione di dirtelo altrimenti alimenterei il tuo ego contenuto, non vorrai diventare come tuo fratello?”
“Non diventerò mai come lui” le strinse la mano  dimenticando per un attimo tutto quello che faceva da cornice a quella stanza. Aveva voglia di rimanere così per sempre nonostante non fosse possibile. Infatti quel momento venne immediatamente interrotto dal poliziotto alle spalle dei capelli rossicci della sua ragazza. Il suo aspetto era serio forse per colpa della barba tagliata alla perfezione nei minimi dettagli. Tamburellava nervosamente una penna su un block notes dalla copertina nera e sospirava in continuazione.
“Sawyer Levine? Volevo farle qualche domanda sull’accaduto. Non ci vorrà molto, le prometto che dopo la polizia la lascerà in pace almeno per qualche settimana” era un poliziotto giovane, la pistola che teneva sulla cintura era troppo lucida per essere stata usata almeno una volta.
“Le spiegherò tutto in poche parole agente. Mi ricordo solamente di essere passato puramente per caso al parco della città e poi di essermi svegliato steso a terra dietro a un cespuglio. Tutto quello che c’è nel mezzo: buio totale. Non ho la minima idea di quello che sia successo, nel caso che qualcuno mi avesse colpito alla testa non me ne ricordo nemmeno il viso. Non mi ricordo nemmeno di essere stato colpito!” Sawyer sembrava essere leggermente stressato della presenza dell’agente Hammond. Il suo cognome brillava su una targhetta color oro posizionata perfettamente sulla sua camicia color cachi. Dimostrava ventotto anni, non di più e non di meno, sicuramente era la sua età reale. Non aveva la fede al dito e il suo occhio sinistro sembrava essere più grande di quello destro. Roxanne scosse la testa perché stava analizzando troppo l’agente anziché interessarsi al suo ragazzo.
“Ok nel caso si ricorda di qualche altro dettaglio passi pure nel mio ufficio” appoggiò un bigliettino color panna sul comodino accanto al letto di Sawyer e se ne andò immediatamente salutando solamente con un cenno della testa.
“Simpatico”
“Stava facendo solamente il suo lavoro…è un peccato che io non ricorda assolutamente niente di quello che è successo”
“Non devi sforzarti a farlo sei già abbastanza rincoglionito di tuo”
“E’ bastata una settimana per farti diventare ironica?”
“E’ bastata una settimana per farmi totalmente impazzire senza di te”
“Alla settimana di mia assenza possiamo rimediare appena uscirò da questo ospedale puzzolente”


La monotona routine poggiava ancora pesantemente sulla vita di Roxanne. Sawyer era tornato ma tutto sembrava essere differente. Era teso per qualsiasi rumore  e non riusciva a dormire. Lo sentiva muoversi da un lato all’altro durante la notte. Si sentiva totalmente inutile nella sua situazione. Cosa poteva far per farlo stare meglio? Non riusciva nemmeno a capire di che cosa avesse realmente bisogno. Ogni volta che tentava di parlare con lui la respingeva in maniera violenta quasi come se improvvisamente fossero diventati estranei.
Dov’era finito il Sawyer che voleva rimediare al tempo perso? Dov’erano finiti i suoi sorrisi?
Roxanne si accorse troppo tardi che l’ospedale non gli aveva portato lo stesso ragazzo, quello non era affatto il ragazzo del quale era innamorata. Quel cuore non doveva affatto battere dalla paura.  Ma nonostante tutto lei sperava ancora. Era sicura che tutto sarebbe tornato alla normalità, c’era bisogno solo un po’ di tempo perché tutto si stabilizzasse.
Quella mattina era andata a scuola a piedi rifiutando il passaggio d’obbligo di Sawyer che sembrava preferisse rimanere nel suo letto a dormire. L’aria era pungente e sbatteva contro le sue guance. Se c’era una cosa che detestava era camminare da sola. Aveva sempre la sensazione di essere osservata da qualcuno nel suo cammino . Quel silenzio stradale poi le stava dando troppo la possibilità di pensare, pensare troppo la faceva star male anche perché i suoi pensieri non appartenevano certo a una giovane donna della sua età.
Un’ombra sembrava seguirla e riusciva a percepire un respiro pesante alle sue spalle. Il suo cuore cominciò a battere immediatamente ma non tardò a voltarsi immediatamente indietro. Nessuno produceva quel suono eppure lei era sicurissima che qualcuno la stava seguendo. Accelerò il passo, mancava poco per arrivare alla strada principale.
Battito per battito, le sue scarpe ticchettavano sull’asfalto in modo frenetico.
Quel respiro profondo tornò alle sue spalle come un’oscura presenza.
Improvvisamente Roxanne si fermò di colpò.
“Dai vieni fuori, non mi piace essere inseguita dalle ombre” disse voltandomi indietro e parlando con il vento gelido. Una figura incappucciata comparve da dietro l’angolo. Si muoveva lentamente eppure era scossa da leggeri spasmi. Stava ridendo, il suo inseguitore stava ridendo alle sue spalle. Sapeva che era un maschio dal modo in cui era vestito. Felpa grigia di una squadra inglese, jeans strappati nei punti strategici e delle converse tirate a lucido color nero.
“E’ così divertente per te a quanto vedo, ma sai non ho intenzione di essere presa in giro da nessuno” stranamente tutta la paura precedente era scomparsa.
Il cappuccio grigio mostrò quel volto che disturbava i suoi sogni. Si trovò nuovamente faccia a faccia con Adrian Kain.
“Credi davvero che ti stia seguendo?”
“Così sembrava”
“Andiamo alla stessa scuola, è probabile che prendiamo la stessa strada per arrivarci, non ci hai mai pensato?”
“Questo non cambia il fatto che ti sei messo a correre anche tu”
“Volevo solamente avvertirti di stare tranquilla non sono certo un maniaco” disse in sua difesa. E Dio se aveva ragione, gli avrebbe dato ragione anche se le avesse detto che stava rincorrendo una farfalla. Ma quel sorriso, cavolo se quel sorriso era in grado di farti perdere il lume della ragione. Roxanne scosse lievemente la testa per mantenere la concetrazione sul presente. Una volta con i piedi a terra ancorati all’asfalto fece una strana smorfia che doveva sembrare dispiaciuta ma nello stesso momento disgustata.
“Sei nervosa per qualcosa?” le chiese improvvisamente cercando di puntare i suoi occhi notte nei suoi. Lei tentava invano di sfuggirgli ma improvvisamente fu catturata dalle sue funi.
“Si ma certamente non ne parlo con te, in fondo non ti conosco nemmeno” incrociò le braccia al petto in segno di difesa ma sapeva per certo che era una barriera troppo sottile in contrasto con quell’anima che non aveva ancora un colore.
“Bè potresti conoscermi meglio mentre camminiamo verso scuola o hai ancora paura che possa farti qualcosa?”
Roxanne si mise a camminare senza nemmeno rispondergli ma non aveva però negato che non volesse parlarne con qualcuno. Adrian la seguì senza nemmeno esitare e in pochi secondi si posizionò al suo fianco con le mani in tasca e il cappuccio nuovamente tirato sopra ai suoi capelli biondi. Non parlarono per tanto tempo, entrambi fissarono un punto davanti a sè e continuarono a procedere nella loro direzione. Mancava ancora molto per arrivare a scuola e Roxanne non faceva altro che rimproverare sè stessa per non aver accettato il passaggio di Sawyer per raggiungerla. In quel momento sarebbe già stata tra quelle quattro mura e non sarebbe stata costretta a parlare con un ragazzo che non aveva ancora del tutto decifrato. In fondo che cosa sapeva di lui? Sapeva solo il suo nome, cognome e da dove veniva. Per il resto era buio, un completo buio di mistero che avrebbe spinto alla curiosità chiunque.
“Se vuoi comincio io. Allora mi chiamo Adrian Kain, sono della vergine, vengo dal Texas e mi sono appena trasferito nonostante non avessi alcuna voglia di cambiare nuovamente aria...ma sono stato costretto dal nuovo lavoro di mio padre e mia sorella sembra essere felice di vivere qui”
“Hai una sorella?”
“Si più piccola, si chiama Annaleigh,è l’unica donna di casa e nonostante abbia solo dodici anni si fa sentire anche troppo”
Per un secondo Adrian sembrò essere un ragazzo come tutti gli altri. Con una vita normale e che non aveva assolutamente niente di pericoloso. Improvvisamente la sua anima si era colorata di un azzuro intenso che rispecchiava la serenità del cielo di quella mattina.
“Anche io ho un fratello più piccolo, si chiama Noah”
“So anche che tua madre è morta...e mi dispiace ma penso di capirti perchè anche io l’ho persa quando avevo dieci anni”
“Come diavolo fai a saperlo?”
“Cheryl parla troppo ricordi? E non fa altro che parlare di te...è come dire ossessionata da te”
“Dovrebbe darsi una calmata quella ragazza”
“E’ quello che penso anche io... ma mi dà l’idea che lei rimarrà per sempre così, sembra una di quelle ragazze fatte a stampino come le barbie e che oltre a tagliarle i capelli non puoi fare altro per cambiare il loro aspetto sia esterno che interno”
Eppure Cheryl una volta era diversa. Era la migliore amica di Roxanne e parlavano di qualsiasi cosa come se fossero realmente sorelle. Qualcosa aveva cambiato la loro amicizia e lentamente Cheryl aveva preso una strada tutta per sè. Il problema aveva un nome: Sawyer. Quel ragazzo del quale Cheryl era cotta ma che non la degnava di uno sguardo, e dal momento in cui lui aveva dimostrato interesse per Roxanne tutto era finito.
In poco tempo era anche arrivato l’odio, quello che ti faceva ardere dentro fino a bruciarti completamente. E quando tutto era ormai ridotto a cenere veniva sostituito dalla freddezza dell’indifferenza. Una volta voleva bene a Cheryl, in quel momento avrebbe preferito vederla sotto a un treno in corsa. Non sarebbe stata una fine adatta a tutte quelle cattiverie che nell’ultimo periodo erano uscite dalla sua bocca nei confronti di Roxanne.
“Il tuo nome è molto orecchiabile”
“Mia madre era fissata con Mouline Rouge quando sono nata”
“Ecco dove ho già sentito quel nome....Rooooxanne” si mise a canticchiare quella canzone che la madre di Roxanne cantava in continuazione mentre preparava la cucina. Era sempre perennemente sporca di farina e si metteva a ballare da sola con il frullino in mano. Lo faceva oscillare a tempo di una musica solamente nella sua testa e finiva sempre per bruciare qualcosa. Adrian sicuramente era più intonato di sua madre  anche se non conosceva tutte le parole della canzone.  Era buffo pensare che quel ragazzo non fosse così perfetto come invece dimostrava il suo aspetto, la cosa appariva buffa ai suoi occhi e si mise a ridacchiare leggermente vergognandosi spudoratamente della sua risata. Coprì la bocca con la mano sperando di attenuare il suono prodotto dalla sua ridarella.
“Non nascondere la tua risata è adorabile”
Quel piccolo complimento fece comparire del rossore sulle guance di Roxanne, prontamente nascoste dall’enorme sciarpa di lana fatta da sua nonna.
“E questo doveva essere una sorta di complimento?”
“Bè forse. Non sono uno che fa molti complimenti alle persone, tendo a dire la verità”.  Era strano come le sue labbra si muovessero così armonicamente. Perfino la sua voce sembrava essere troppo perfetta. Una sinfonia di toni uniti perfettamente  tra loro. Poteva sicuramente diventare la sua canzone preferita. Al solo pensiero Roxanne iniziò a scuotere la testa per smetterla di pensare a una cosa del genere. Adrian Kain era fuori dalla sua portata perché lei stava con Sawyer, il suo ragazzo perfetto. Adrian lo sarebbe stato per qualcun’altra che non sarebbe stata lei.
“Non sembri una persona che tiene molto a dire la verità, hai mentito a Cheryl o no?”
“Ma lei non è una persona che conta?”
“A quindi io sarei una persona che conta?”
Non ricevette mai risposta a quella sua domanda. Non appena l’edificio scolastico si presentò davanti ai loro occhi la figura di Adrian scomparve così come era apparsa, quasi come se non ci fosse mai stato nessuno al fianco di Roxanne.
Si sentiva terribilmente scossa. Non sapere quella risposta le premeva in continuazione contro il cuore con profondi tonfi da toglierle il fiato. Si lasciò scoraggiare e riprese a camminare tirando un lungo respiro per farsi coraggio. Raggiunga l’aula di inglese trovò la tristezza del banco vuoto al suo fianco: Renee quel giorno non sarebbe venuta perché aveva preso l’influenza. Nel momento in cui però si era rassegnata a rimanere da sola qualcuno occupò il posto al suo fianco e riuscì a capirlo dal profumo di Dolce&Gabbana che produceva quella persona: Adrian.
“Io penso che ti sottovaluti, vali molto di più di quello che credi e il tuo ragazzo dovrebbe fartelo capire” rimase leggermente sotto shock nel sentire quelle semplice parole. Da quando Adrian pensava a quello? E poi come faceva a sapere che lei era una persona che contava quando non la conosceva nemmeno?
“Ti sbagli e comunque non parlare male di Sawyer”
“Ah è così che si chiama allora…almeno saprò a chi ruberò la ragazza” Roxanne si voltò verso di lui rimanendo per poi secondi agganciata al suo sguardo. Credeva di aver cambiato idea sul suo conto, e invece con quelle poche parole Adrian si era dimostrato proprio quel ragazzo che aveva osservato i primi giorni di scuola.
Rimasero in silenzio per tutta la lezione.
Gomito contro gomito.
Era strano come i loro respiri fossero così sincronizzati. A Roxanne faceva venir rabbia avere qualcosa in comune con quel bastardo.
Aveva deciso: odiava Adrian Kain e non avrebbe mai cambiato idea.

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Capitolo 6
*** You are the night-time fear ***


Love your ass Adrian
Fuck me Adrian
Love Adrian’s eyes


A volte si sentiva improvvisamente scomparire dal mondo. Diventare polvere ed essere trasportata dal vento. Non riusciva più a interagire con tutto ciò che le era attorno. Tutto scorreva senza il suo intervento. Spettatrice di un mondo senza di lei. Quella mattina diventò talmente lunga da strappare man mano pezzi della speranza di Roxanne di poter riappacificarsi con Sawyer. Voleva vederlo subito, in quel momento e spiegargli come si sentiva e di quanto avesse bisogno del suo vecchio ragazzo senza tutte quelle preoccupazioni per quello che era successo. Avrebbe preferito essere da qualche altra parte piuttosto di star vicino ad Adrian Kain che non faceva altro che perforare le sue spalle con lo sguardo. La stava torturando psicologicamente e sapeva che prima o poi si sarebbe chinata alle sue ginocchia stremata.
“Pensi di riuscire a resistermi solo perchè non sei stupida come Cheryl?”la sfidò Adrian al suo fianco. Sapeva che stava sorridendo nonostante non conoscesse così tanto quel ragazzo. Eppure conosceva il tipo di tono malizioso della sua voce, lo accompagnava sempre con sorriso accattivamente che faceva cadere ai piedi qualunque tipo di ragazza.
“Tu non dovresti nemmeno parlare” disse stizzita Roxanne cercando di guardare davanti a sè la lavagna piena di nomi conosciuti e che non aveva voglia di annotare sul suo quaderno solamente pieno di scarabocchi.
Le lancette scorrevano lentamente, sembravano quasi tornare indietro. Sarebbe stato meglio se fossero davvero tornate indietro nel tempo, magari avrebbe potuto evitare l’incidente di Sawyer e lei avrebbe ancora il suo ragazzo di sempre. Il Sawyer nuovo di zecca senza alcuna ammaccatura. Chiuse gli occhi e iniziò a contare, lo faceva sempre quando aveva paura, la teneva concentrata solo sui numeri e la escludeva dai problemi esterni. In quel momento aveva paura: di poter perdere Sawyer per sempre; di non riuscire ad essere all’altezza della situazione che si sarebbe presentata dopo alcuni giorni senza di lui ma soprattutto aveva paura di cambiare idea su Adrian. Sapeva che il suo odio era debole, gli sarebbero bastate poche scalfiture da essere abbattuto solamente con un soffio. Giro lentamente lo sguardo verso il suo compagno di banco che sembrava aver ritirato le armi per qualche secondo. Si concese pochi secondi per osservarlo bene per poi tornare a guardare la lavagna.
Odialo Roxanne, odialo e basta.
Le piaceva pensare che la causa di tutti i suoi problemi fosse quel ragazzo e che semplicemente ignorandolo si sarebbe tutto sistemato. Sarebbe stato veramente troppo semplice se Adrian Kain fosse il suo unico problema.
La campanella finalmente suonò e Roxanne potè sfuggire dalle grinfie di quel ragazzo che doveva odiare. Si incamminò verso casa senza guardarsi indietro. Percorse la strada diretta guardando i suoi piedi: voleva evitare di incontrare qualcuno o di fermarsi a guardare qualcosa di curioso.
Non appena si chiuse la porta di casa alle spalle potè finalmente respirare. Stava diventando un’abitudine tornare a casa in quel modo, come se quelle quattro mura potessero veramente proteggerla dai suoi pensieri. Trovò suo fratello Noah in salotto a masticare biscotti al cioccolato con tutta la serenità del mondo. Gli scompigliò delicatamente i capelli per poi sedersi sul divano.
“Papà ha detto che non torna a casa per cena” disse il ragazzino leggermente riccio senza distogliere lo sguardo dal suo cartone preferito.
“Allora compreremo una pizza stasera che ne dici?” gli occhi di Noah si illuminarono immediatamente di gioia, adorava semplicemente quando la sorella lo viziava in quel modo solamente per colmare l’assenza del padre.
“Si, io la voglio il salame”
“Sai che il salame ti fa fare gli incubi, prenderò due belle pizze margherita e fattele bastare”
“Ok va bene mi accontento” disse per poi ritornare a fissare lo schermo del televisore.
Roxanne se ne andò in camera sua e si chiuse la porta alle spalle. In quel suo piccolo rifugio poteva finalmente sfogare la sua rabbia contro suo padre. Premette il viso sul cuscino e iniziò ad urlare con tutto il fiato che aveva.
“Che succede?” chiesi improvvisamente una voce alle sue spalle. Roxanne si alzò immediatamente dal letto e guardò verso la sua scrivania, Sawyer sedeva sulla sua sedia girevole e la guardava con due occhiaie di uno che non dormiva da un mese.
“Sawyer mi hai fatto prendere un colpo. Che diavolo ci fai in camera mia? Come sei entrato?” gli chiese con una mano sul cuore ancora agitato per lo spavento. Lentamente riprese a battere normalmente nonostante fosse ancora irrequieto nella presenza di Sawyer.
“Mi ha fatto entrare Noah, era talmente concentrato a guardare cartoni che avrebbe fatto entrare chiunque”
“Che ci fai qui?”
“Sono venuto a scusarmi” sussurrò alzandosi dalla sedia e avvicinandosi al letto. Si sedette sulla fondo del letto facendo segno a Roxanne di sedersi accanto a lui. Solo quando la ragazza fu completamente seduta iniziò a parlare.
“Mi volevo scusare del mio comportamento di questa settimana, sono leggermente stressato per quello mi è successo e il non ricordarmi nulla mi fa totalmente impazzire. Ma non ho pensato a quanto questo potesse ricadere su di te” le prese dolcemente la mano cominciando a giocare con le sue dita poi ne avvicinò il dorso alle sue labbra. Per quanto potesse arrabbiata con lui per averla esclusa dalla sua vita per un’intera settimana, quando le fu così vicino l’unica cosa che poté sentire fu un leggero formicolio che le percorse lentamente tutta la schiena.
Per quanto fosse arrabbiata con Sawyer non riuscì a dire assolutamente niente. Rimase incantata per qualche secondo a guardare quegli occhi azzurri che le chiedevano pietà.
Stupidi film. Stupidi libri. La facevano troppo facile quando si trattatava dell’amore. I problemi si annullano e il fulcro non è altro che quel sottile filo che unisce i loro cuori. E gli sbagli? Quelli venivano completamente annullati dal potere universale dei sentimenti veri. Chi la volevano dare a bere? Roxanne ogni volta che leggeva un simile affronto voleva lanciare il libro contro il muro.
Non erano altro che un mucchio di stronzate. I problemi esistevano, anche nell’amore, anzi sembravano essere ancora più difficili del solito.
Sicuramente se fosse stata un personaggio di una storia d’amore avrebbe cancellato dalla sua mente tutti quei problemi per concentrarsi solamente sul presente. Ma era impossibile. Non riusciva minimamente a dimenticare quello che era successo con Adrian, quello che era accaduto al suo ragazzo e a come veniva trattata negli ultimi giorni da Cheryl. Sarebbe peggiorato?
“Ehi Rox stai bene?” le chiese Sawyer vedendola improvvisamente sbiancata.
“Si sto bene, solamente che mi sei mancato terribilmente” disse Roxanne cercando di tenere a bada tutti i suoi problemi premendoli verso il basso del suo corpo, non dovevano disturbarle il cuore in quel momento.
Fuori dalla finestra il cane del vicino continuava ad abbaiare, il vento faceva picchiettare i rami dell’albero contro la sua finestra e il cielo rombava come se fosse in corso una guerra celeste. Nel momento in cui le labbra di Sawyer si posarono sulle sue tutto scomparve in un attimo, venne il silenzio ma il dolore rimase.

“Hai sentito? Kayla darà una festa a casa sua. Un festa in maschera ci credi?” Reneè saltellava davanti a un volantino colorato anche troppo male che annunciava la troppa necessità di essere popolare in quella scuola. Roxanne ammirava Kayla. Era la ragazza più bella della scuola e nonostante tutto non si dava delle arie e non pretendeva di essere trattata con un certo rispetto. Quell’uscita della festa in maschera però l’aveva delusa. Kayla non era fatta per delle feste in grande stile e che comprendessero l’intero istituto.
“Sembra fantastico” disse Roxanne con poco entusiasmo notando in basso a destra la clausola di invitare qualcuno dell’istituto. Nessuno di esterno? Oh un’altra festa alla quale non sarebbe andata perchè non poteva andarci con Sawyer.
“Avanti Rox non fare quella faccia. Ci vuole un certo entusiasmo in queste cose. So già che vestito mettermi, oddio ma devo trovarmi anche qualcuno”
“Io non penso che verrrò”
“Perchè no?”
“Non posso portare nessuno di esterno e siceramente non voglio trovare un rimpiazzo del mio ragazzo solamente per entrare a una stupida festa di carnevale” il suo buon umore era mutato improvvisamente. Aveva trascorso una bellissima nottata insieme a Sawyer ma tutto era stato cancellato dal sole del mattino che l’avevano costretta a lasciare il letto e a trascinarsi fino a scuola.
“Non c’è bisogno di essere così nervosi, puoi benissimo venirci con me. Non è necessario presentarci in coppia con un ragazzo” disse Reneè mostrando in continuazione il suo sorriso smagliante che avrebbe potuto convincere anche la povera Roxanne che non aveva nessuna voglia di andare a una festa. Finì per sospirare al cielo e a rinunciare al suo stupido ego.
“Ok va bene ci andremo insieme, ma smettila di guardarmi in quel modo” sembrava che stesse per scoppiare da quanto fosse entusiasta per quella notizia. Le concesse trenta secondi di euforia per poi fargliela contenere per tutto il resto della mattinata.
A pranzo non si parlò d’altro. Vestiti, trucchi, maschere e naturalmente scarpe. Reneè dimenava in aria il suo pezzo di pane senza l’intenzione di mangiarlo mentre il vassoio di Roxanne faceva invidia al ciccione nel tavolo accanto. Peccato che lei non avesse tanta fame. Era più preoccupata per lo sguardo di Adrian Kain dall’altra parte della stanza. Il suo braccio circondava la spalla di Jennifer Rivers, ma il suo sguardo era costantemente puntato verso Roxanne come se sapesse esattamente quanto le desse fastidio essere osservata da qualcuno. Stava lì nella sua posizione da padrone dal mondo stuzzicando con la lingua la cannuccia del suo bicchere. Disgustata da quello spettacolino, Roxanne si alzò in piedi di scatto e senza dire niente a Reneè se ne andò nel bagno delle donne dove sapeva non l’avrebbe mai raggiunta. Si lavò la faccia ripetutamente senza paura di far colore il trucco o qualcos’altro di completamente assente sul suo viso. Perfino le pareti del bagno risvegliavano quel nome.
Adrian Kain ha il sedere più bello del mondo.
Adrian Kain scopami.
Occhi di Adrian Kain siete miei. Avrebbe preferito che quella sfortuna capitasse a qualcun’altra. Avrebbe ceduto quell’oscurità a chiunque. Almeno avrebbe ripreso a dormire tranquillamente. La sue notti sarebbero tornate normali. Frugò nel suo zaino in cerca di un pennarello indelebile che premette contro il muro come se volesse inciderlo.
Adrian Kain sei la paura della notte.
Scrisse senza pensarci quelle parole e rileggendole la fecero stare ancora più male. Schiena contro il muro e le lacrime cominciarono a coprire il suo viso mentre si sedeva a terra sul pavimento bagnato e con la testa tra le mani. Voleva uscire da quell’incubo. Da quella meravigliosa gabbia d’oro.
Improvvisamente il suo viso si bagnò di lacrime di paura. Era spaventata che potesse succedere qualcosa di irreversibile. Non comprendeva da dove derivasse tutta quella inquietudine, ma aveva la stessa sensazione come quella la notte prima della morte della sua amica di infanzia.
Tutto quello che poteva fare non era altro che alzarsi da terra lavare nuovamente il viso dal sapore dell’incertezza ed entrare nei corridoio della scuola ingorgato da troppe persone.
“Eccoti, dove diavolo eri finita?” Renee sembrava essere preoccupata per la sua amica, non l’aveva mai vista in quello stato tranne quando le aveva raccontato della morte della madre. Le sue labbra all’epoca erano talmente tremanti da non riuscire a far uscire le parole giuste. Tutto quello che ricevette come risposta dall’amica rossiccia fu un solito “tutto bene” prima che scomparisse nuovamente in mezzo alla folla.

Sentiva il suo profumo nell’aria, l’avrebbe riconosciuto fra mille, eppure non riusciva a vederla. Sentiva il suo respiro, ma il suo viso rimase ancora celato. Un frastuono colpì la porta del bagno ed eccola che apparve in tutto il suo splendore. La sua pelle lattea faceva venire voglia di toccarla per non parlare dei suoi capelli rossicci che risplendevano anche sotto alla misera luce al neon del bagno. Adrian fissava Roxanne Holmes scrivere violentemente il suo nome sul muro del bagno e poi la vide piangere. Rimase qualche minuto in quelle condizioni come se fosse spaventata da qualcosa di invisibile o che forse solamente lei riusciva a vedere e poi improvvisamente se ne andò proprio come era arrivata.
Adrian uscì dal suo nascondiglio e andò immediatamente ad indagare. Lentamente percorse il suo nome scritto in diverse calligrafie fino a trovare la sua. Rimase interdetto nel leggere la parola “paura” accanto al suo nome. Il sopracciglio bucato con il piercing si alzò leggermente sorpreso e la bocca si increspò in un leggero sorriso. Un amaro sorriso di vittoria che solo lui poteva capire.
Mani in tasca e fu di nuovo fuori dal bagno delle ragazze dove si nascondeva per spiare come un maniaco. Percorse velocemente il corridoio zig zigando tra gli studenti con estrema maestria. Sapeva esattamente dove trovarla, nonostante non la conoscesse affatto.
La trovò in quella panchina sul retro della scuola. Quel luogo dove si erano parlati per la prima volta. Adrian si avvicinò con passo lento e con una sigaretta spenta in bocca.
“Sembra che non sia una giornata speciale per tutti” disse il biondino sedendosi accanto a lei lentamente. La ragazza sussultò nel sentire la sua voce come lui sperava ma non si voltò nella sua direzione.
“Devi andartene” disse con una voce ferma continuando a fissare la rete di confine della scuola. Quel suo atteggiamento lo fece ridacchiare divertito, da quando le dava gli ordini?
“Oh e sentiamo, perché dovrei andarmene?”
“Perché non sopporto la tua presenza”
“Potresti semplicemente andartene tu non credi? Io non ho voglia di spostarmi, sono appena arrivato, e non capisco che cosa mai ti ho fatto per ricevere un simile trattamento”
La ragazza sospirò. La sua mano tremava come una foglia battendo sul legno della panchina.  Il  ragazzo si accese la sigaretta inspirando una dose di nicotina per poi buttare fuori il fumo dalla bocca. Sfiorò la sua mano inavvertitamente sentendo quanto fosse fredda. Fu un toccò veloce ma intenso. Sentì una leggera scossa attraversargli tutto il braccio.
“Non dovresti essere qui” gli disse improvvisamente scostandosi una ciocca di capelli dietro all’orecchio scoprendo una parte del suo collo. Adrian ne fu talmente invitato da avvicinare leggermente  il suo viso a quella parte leggermente scoperta vicino alla clavicola.
“E perché mai?” le chiese soffiandole sul collo.
Lei sapeva esattamente quello che stava cercando di fare. Stava puntando sul suo fascino solamente per trattarla come tutte le altre ragazze della scuola. Non si sentivo di certo superiore alle altre, ma non era di certo una puttana da esposizione come lo erano certe ragazze della sua età. Sentire il suo respiro sul collo però, la fece stare in estasi per tre secondi esatti. Riuscì addirittura a contarli mentalmente prima che lui si allontanasse di nuovo da lei con il suo solito sorrisetto soddisfatto.
“Ti avevo chiesto di lasciarmi in pace”
“Ma non ne ho voglia” le disse nuovamente troppo vicino a lei perché potesse pensare razionalmente. Quel ragazzo era un pericolo pubblico. Un diavolo tentatore  che sapeva fare fottutamente il suo lavoro. Era impossibilitata ad agire, come se fosse inchiodata su quella panchina. Quella sua immobilità le costò caro quando sentì le sue labbra sfiorarle il collo. La loro traiettoria seguiva un punto preciso, passando da dietro al suo orecchio destro fino ad arrivare alla sua clavicola. Doveva resistere, doveva pensare ad altro. Si mise a contare i suoi respiri leggermente accelerati, la aiutarono a ritrovare lentamente se stessa.
Il sangue riprese a circolare nelle sue mani che finirono direttamente sul viso di Adrian. Un tonfò colpì il ragazzo che non lo smosse nemmeno di un centimetro. Non servirono parole per esplicitare lo stato d’animo di Roxanne.
Era fuori di sé per l’imbarazzo e per il comportamento insistente del ragazzo.
“Stammi lontano o potrebbe finire male” gli disse senza sapere nemmeno quello che diceva. Quello che disse infatti fecero solamente ridere di gusto il ragazzo. Dio se la sua risata era malvagia e angelica nello stesso momento.
“Davvero? Che mi faresti?” chiese con aria di sfida aggiungendo come accessorio il suo ghigno personale. Le diede comunque via libera per andarsene, le sue mani erano levate in aria in segno di una resa temporanea e Roxanne ne approfittò per andarsene prima che le sue guance prendessero lo stesso colore dei suoi capelli.
E come ogni volta aveva perso la sfida contro Adrian. Ancora una volta era scappata senza riuscire ad agire e quella volta aveva perfino concesso al mostro di avvicinarsi troppo a lei, quasi come se ormai non fosse più capace di difendersi.
Dov’era finita? Chi era?

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Capitolo 7
*** Screaming to the stars ***


I'm watching you.


“Non capisco dove diavolo mi stai portando” disse ridacchiando Roxanne mentre giocava con le ciocche dei suoi capelli. Era seduta al posto del passeggiero sulla macchina di Sawyer ed era da più di mezzora che continuava a canticchiare sapendo benissimo di essere stonato come una campana.
“Non ho intenzione di dirti nulla finchè non saremo arrivati, un po’ di pazienza Holmes” disse con un sorriso contunando a guardare la strada. Avevano superato il bosco della città e si stavano avvicinando al lago. La stava per caso portando in spiaggia?
“Ti rendi conto che fra poco potrebbe piovere? Non credo che sia una buona idea andare a fare una gita al lago” disse Roxanne tanto per rompere le scatole. Sawyer sapeva quanto fosse curiosa. La stava facendo rodere nel sapere dove la stava portando.
“Non ti sto portando al lago e poi non sta per piovere. Oh insomma la vuoi finire di lamentarti come se fossi una bambina di due anni?”
“Non mi sto affatto lamentando. E’ da più di mezzora che guidi senza dire assolutamente niente. Dovresti almeno allietare il mio viaggio e non lasciarmi nel silenzio in modo che roda maggiormente nella mia estrema curiosità”
“Oh l’avete sentita? Roxanne Holmes con le sue parole sputate da un vocabolario” disse ridacchiando Sawyer urlando come se avesse un pubblico che lo potesse sentire. Si trovò una manata non troppo forte da parte della sua ragazza che inziò a ridere di gusto come non aveva mai fatto.
Con Sawyer stava bene, ed era bello che le cose fossero tornate come un tempo. Come se non fosse successo nulla. Come se Adrian Kain improvvisamente fosse sparito dalla faccia della terra e non turbasse più i sogni di Roxanne. Il sole era alto nel cielo picchiettato da nuvole minacciose, ma esso resisteva ugualmente emanando una luce soffocata che illuminava gli occhi di Sawyer. Erano dannatamente perfetti. Chiunque si sarebbe innamorato di lui solamente guardandolo negli occhi. Ognuno di noi poteva possedere qualcosa di perfetto no? Roxanne lo guardò assorta come se fosse davanti a una statua di un dio greco, ne ammirava i suoi particolari. Adoravo il modo in cui muoveva nervosamente la mandibola quando cambiava le marce, ma soprattutto amava quelle piccole rughette espressive che si formavano agli angoli dei suoi occhi quando erano colpiti dalla luce del sole.
“A che cosa pensi?” le chiese improvvisamente voltandosi verso di lei. Sorrise piegando la bocca di lato aspettando la sua risposta per poi curvare il volante leggermente a destra.
“Niente pensavo che fossi bello”
“Bello? Mhm questo vuol dire che ti piaccio?”
“Dai lo sai che voglio dire. Smettila di fare lo stupido”
“Tu sei bella. E detta così sembra che sia un bambino delle elementari, ma davvero penso che tu sia la ragazza più bella e fantastica che abbia mai conosciuto” si lasciò sfuggire quel piccolo complimento fuori dalla sua portata solamente per vedere quel leggero rossore sulle gote di Roxanne. La prima volta che l’aveva vista era diventata rossa nel momento stesso in cui i loro sguardi si erano incrociati. Era strano come lei sembrava fosse imbarazzata nel guardarlo allo stesso modo in cui lo era lui nell’osservarla di nascosto ed essere scoperto.
“Non posso rispondere a una frase del genere quindi smettiamola qui” disse la rossa con un sorriso imbarazzato mettendosi a guardare fuori dal finestrino come faceva sempre quando non sapeva che cosa dire. Percorsero in silenzio l’ultimo pezzo di strada ascoltando solamente il rumore del motore della macchina e l’aria che sbatteva contro il parabrezza. Una piccolo sentiero malfatto a destra della strada principale ed erano arrivati. Sawyer parcheggiò la macchina nel migliore dei modi nonostante non ci fosse una vera e propria strada.
“Oh che bello mi hai portata in un deserto. Che cosa romantica” disse Roxanne scendendo dalla macchina e chiudendo la portiera con un gesto secco dimenticandosi che doveva essere più delicata con la macchina del suo ragazzo. Ricevette uno sguardo ammonitore da Sawyer che decise di non rispondere ancora e di prenderle la mano. Il sole cominciava a tramontare all’orizzonte e le nuvole cominciarono a tingersi di rosso. Lentamente schiarirono fino a quando il buio invase la radura completamente deserta.
“Guarda” disse Sawyer indicando il cielo dove aveva fatto capolino la luna quasi del tutto piena. La cosa sorprendente era come si vedessero perfettamente tutte le stelle. Conosceva qualche nome sconnesse ma non sapeva individuarle in mezzo a quell’ammasso di luci. Era uno spettacolo meraviglioso e si arrabbiò nel pensare che tutto ciò che avesse a che fare con Sawyer fosse così dannatamente perfetto.
“E’ meraviglioso Sawyer, mi stupisce questo tuo slancio romantico. Devi farti perdonare qualcosa?” gli chiese di sottecchi guardandolo con fare sospetto. Solitamente il suo ragazzo non le faceva mai sorprese del genere, se si parlava di cioccolatini era una cosa che faceva ogni mese ma un simile gesto non era mai successo.
“Volevo semplicemente farti vedere questo posto, ci vengo spesso quando devo pensare, e soprattutto quando ho la benzina” disse conun largo sorriso inclinando nuovamente il collo verso l’alto per guardare le stelle. Solitamente quelle piccole lucine distante ti facevano quell’effetto. Sotto alla loro perfezione ti spuntavano nella testa milioni di domande riguardanti la tua vita e ciò che ne stavi facendo. Roxanne non si stupì del fatto che Sawyer venisse spesso in quel posto.
“E a che cosa pensi in questo posto?”
“A tutto quello che non sopporto nella mia vita, a quello che possiedo , a quello che vorrei avere, a quello di cui ho bisogno. Urlo alle stelle,loro stranamente sembrano ascoltare più delle persone”
“Che cosa? Urli alle stelle”
“Si lo faccio spesso. Urlo quello che non mi sta bene o semplicemente quello che sento dentro di me e non provare a dire che è una cosa da finocchi, sono serio su questa cosa”
“Non lo stavo pensando. E’ insolito ma stranamente più intelligente rispetto ad altre scelte che fanno alcuni miei amici, o almeno i pochi amici che ho”
“Quindi avresti qualcosa da dire?” le chiese avvicinandosi lentamente a lei e sfiorandole la mano sinistra. La percorse un leggero brivido a quel contatto e non potè fare a meno di sorridere.
“Non avere paura...urlalo alle stelle” disse con un ampio sorriso. Cosa la stava incoraggiando a fare? Roxanne guardò prima Sawyer e poi le stelle. Non aveva niente da dire in quel momento, ma sicuramente in futuro ci sarebbe stato qualcosa da dire. Qualcosa da far sapere al mondo ma che in quel momento era ancora intrinseco dentro di sè. Decise comunque di fare un urlo tanto per liberare la frustazione di quei giorni, per poi ridere di sè stessa.
“Non posso credere di star urlando in mezzo al nulla”
“A quanto pare non sei poi così normale Roxanne Holmes”
“Questo solo perchè sono innamorata di un certo Sawyer Levine” disse avvicinandosi irruentemente alle sue labbra. Era da giorni che desiderava quel contatto e non ne aveva mai avuto l’occasione. E nel momento stesso in cui sentì Sawyer ricambiare il suo bacio capì che era tornato. Il vecchio Sawyer era di nuovo accanto a lei e nessuno gliel’avrebbe portato via.
“Wow dovrei portarti qui più spesso” disse sorridendo Sawyer passando lentamente una mano sul viso della sua ragazza. Adorava la sua pelle lattea chiazzata da adorabili lentiggine tanto odiate dalla stessa.
“Questo era solo perché mi andava, non abituartici” ribatté Roxanne diventando immediatamente rossa come un peperone. Due anni che erano insieme e lei si imbarazzava ancora a baciarlo. Sawyer ridacchiò divertito e cominciò a camminare verso la macchina.
“Credi che potremmo rimanere ancora un po’ qui?” gli chiese Roxanne facendo svolazzare i suoi capelli rossicci al vento mentre lo rincorse. Il sorriso di Sawyer fu una risposta più che affermativa ma decisero di entrare in macchina per non prendere troppo freddo.
“Mia madre diceva sempre che le stelle sono anche in grado di esaudire i desideri. Meglio delle candeline sulla torta di compleanno” disse Roxanne sorridendo amaramente. Appoggiò la testa sulla spalle del suo ragazzo e si lasciò invadere dal ricordo di sua madre, il modo in cui allargava gli occhi quando era sorpresa e quella bellissima fossetta che le si formava sulla guancia quando sorrideva.
Poteva mancarle così tanto una persona tanto da desiderare uno scambio di vita?
Sentì il braccio di Sawyer che le circondava le spalle. Quella macchina era impregnata del suo profumo che la faceva sentire terribilmente a casa.
“Quindi mi basta venire qui ogni volta che mi serve qualcosa?” chiese Sawyer solamente per sdrammatizzare la situazione. Il suo intento fu fondato nel momento stesso in cui comparve un sorriso tra le labbra di Roxanne, iniziò a ridacchiare.
“Non funziona così, sarebbe troppo facile” disse dandogli un leggero pizzicotto sulla guancia. Fintamente lui urlò di dolore e cominciò a farle il solletico sulla gambe sapendo che lo soffriva tantissimo.
“Spiegami come funziona allora” disse smettendo di minacciarla prima di trovarsi una sberla dritta in faccia.
“E’ un po’ come Babbo Natale, te lo devi meritare”
“Non dirmi che credevi in Babbo Natale” disse Sawyer con un sopracciglio alzato.
“No assolutamente ma era per fare un esempio insomma!” rispose accigliata “Chi mai crederebbe a un ciccione che fa il giro del mondo su una slitta trainata da renne voltanti?”
“Magari certe persone ci credono come tu credi nelle stelle”
“Non è la stessa cosa”
“Certo che lo è! Sono entrambi credenze … tu credi nelle stelle, tuo fratello Noah crede in Babbo Natale”. Roxanne rimase leggermente dubbiosa su quella frase. In fondo Sawyer aveva ragione, erano pure credenze ma era anche la sua unica credenza. Non aveva mai creduto in niente: aveva escluso Dio, il destino, la Befana, la fatina dei denti dalla sua lista di stronzate mangia soldi e l’unica cosa che le era rimasta era proprio quella riguardante le stelle, quella storiella che le raccontava sempre sua madre prima di andare a dormire. Almeno le stelle si vedevano, erano reali davanti ai loro occhi. Qualcuno aveva mai visto Babbo Natale in carne e ossa? E non si intende affatto il vicino di casa che si veste di rosso e si attacca una barba bianca finta solamente per impressionare i bambini del vicinato.
“Mi dispiace” disse improvvisamente Sawyer credendo di aver fatto arrabbiare la sua ragazza. Roxanne sorrise e si voltò verso di lui.
“Non sono arrabbiata scemo. Dai, godiamoci questi ultimi minuti di stelle … si sta avvicinando una tempesta” disse guardando il cielo scuro e quelle bellissime luci minacciate da una coltre scura che lentamente le inghiottiva ad una ad una.
Quella massa scura le ricordava tanto gli occhi di Adrian Kain.


“Credi che papà tornerò a casa per cena?” le voce di suo fratello Noah la fece sobbalzare. Era completamente assorta nella lettura del suo libro da non accorgersi che il sole era calato ormai da un pezzo. Erano le otto della sera e suo padre non era ancora tornato. Si limità a sbuffare e a sbattare il suo libro sul tavolino accanto al divano.
“Suppongo che anche questa sera dovremmo cenare solo noi due” affermò la ragazza dopo aver provato inutilmente a chiamare il padre. Teneva sempre spento il cellulare la sera, anche se non ne aveva un motivo fondato. Aveva per caso intenzione di avvertire i suoi figli del suo rientro in ritardo? Ma ormai Roxanne non ci sperava più, aveva perso il suo rapporto con il padre da quando era morta sua madre. Aprì il frigo trovando solamente un cespo di insalata e una confezione di uova andate a male. La dispensa era nella medesima condizione.
“Bene direi che si mangia pizza anche questa sera” annunciò Roxanne al fratellino che cominciò a saltare per tutta la casa. La pizza lo metteva sempre di buon umore, ma era ancora un ragazzino. Lo entusiasmava qualsiasi cosa. Chiamò la pizzeria d’asporto e ordinò due belle pizze, le più costose che possedevano nel menù tanto per spillare un po’ di soldi al padre.
“Perché papà non torna mai per cena?” gli chiese improvvisamente Noah con due occhioni da cerbiatto ferito. Roxanne avrebbe potuto rispondergli in vari modi. Si era fatta molte teorie sulla questione “lavoro fino a tardi”. La prima includeva una bella segretaria dai capelli biondi e dagli occhiali appoggiati sulla punta del naso ma non era di certo una bella scusa da raccontare al fratellino. La seconda includeva il fatto che forse realmente il suo lavoro lo stava prosciugando fino a quando avesse avuto respiro. La terza e quella più probabile era che odiava entrambi i suoi figli anche se Roxanne pensava che suo padre ce l’avesse solamente con lei. Ogni volta che mangiavano insieme finivano sempre per litigare come una coppia di sposati, erano troppo diversi l’uno dall’altra e suo padre era troppo egocentrico per pensare alla madre. Era quello che a Roxanne dava così fastidio. A suo padre non era mai importato niente della moglie. Non era scesa nessuna lacrima al suo funerale, come se fosse stata una liberazione per lui. Da quel giorno infatti non era mai stato in casa per più di cinque ore di fila, ma ormai Roxanne cominciava a farci l’abitudine.
“Ha solo troppo lavoro, ma vedrai che prima o poi riuscirà a rimettersi in pari. Passerà più tempo con noi” disse scompigliando i capelli bronzei del fratellino che sorrise di rimando rimettendosi a guardare la televisione. Il campanello squillò due volte di seguito. Le pizze erano arrivate. Roxanne prese i soldi dal barattolo di biscotti di porcellana e aprì la porta. Il fattorino era più alto di lei e la sua faccia svogliata faceva trasparire che amasse il suo lavoro.
“Pizze, sono tredici dollari”
“Tredici dollari per due pizze? Questo è un affronto”
“Ah non dimenticarti la mancia, non mi diverto certo a venire fino a questo paesello imbucato”
“Bello è il tuo lavoro” disse Roxanne infilandogli in mano una banconota da venti dollari e sbattendogli la porta in faccia sbiascicando un “tieniti il resto”. Non aveva certo voglia di mettersi a litigare con il fattorino della pizza, gli bastava già suo padre per farla innervosire. Poggiò le pizze fumanti sul tavolo della cucina in un attimo Noah aveva preso la sua pizza cominciando a mangiarla avidamente sporcandosi di pomodoro.
“Noah un po’ di educazione” disse Roxanne poggiandosi le mani sui fianchi, ma non servì a niente, suo fratello era già arrivato a metà pizza e la sua maglietta era completamente impregnata di pomodoro rosso. Sembrava che avesse squartato un corpo azzannandolo con i denti.
Il campanello squillò di nuovo. Tre colpi di seguito e poi silenzio. Era strano non poteva essere di nuovo il fattorino e non si aspettava nessuna visita. Corse alla porta aprendola immediatamente senza trovare nessuno. Il buio della notte non mostrava alcuna presenza sul loro pianerottolo solamente un biglietto faceva capolino sul tappetto d’entrata. Era un piccolo bigliettino poggiato sulla w della scritta “welcome”. Un piccolo foglietto strappato da un quaderno a righe. Ciò che fece sbiancare Roxanne furono le parole scritte su di esso. Erano due parole.
Due semplici parole che la uccisero.
Ti osservo.
Scritte nero su bianco in stampatello maiuscolo.
“Chi è Rox?” chiese Noah dalla cucina mentre stava masticando l’ultimo pezzo di pizza.
“Nessuno Noah, non è nessuno” disse Roxanne chiudendo immediatamente la porta alle sue spalle e appoggiandosi con la schiena. Improvvisamente aveva il fiatone e il suo cuore andava a mille.
Chi aveva scritto quel biglietto? E perché la stavano osservando. Le venne improvvisamente voglia di scappare e di andare a casa di Sawyer dove sapeva essere al sicuro ma non poteva lasciare suo fratello a casa da solo, quindi tornò in cucina con un sorriso finto tra le labbra e il biglietto accartocciato nella sua mano destra. La sua pizza finì direttamente in frigo promettendo a suo fratello che l’avrebbe mangiata il giorno dopo. Messo a letto Noah, fece il giro di tutta la casa assicurandosi che fosse tutto chiuso per bene. Per un secondo le sembrava aver visto qualcosa nel cespuglio davanti alla finestra della cucina ma si era dimostrato essere il gatto del vicino.
Roxanne andò nel suo letto e chiuse gli occhi con una domanda che le premeva ancora il cuore.
Chi diavolo le stava facendo avere tutta quella paura?
Sperava solo che fosse uno scherzo del figlio del suo vicino, si aggrappò a quella convinzione per addormentarsi in una notte piena di incubi.

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Capitolo 8
*** Out of control ***


Ciò che Roxanne non sopportava erano i negozi di abbigliamento. Non odiava i vestiti, anzi ogni volta che se ne presentava l’occasione si intrufolava in un centro commerciale prendendo tutti i capi che costavano di meno e che le stessero bene. Lei odiava le boutique, quei piccoli negozietti con gli articoli disposti come se ci si trovasse in un museo di arte contemporanea. Poi in quei posti le commesse ti stavano con il fiato sul collo per paura che tu possa rubare qualcosa ed era decisamente irritante.
Roxanne doveva un favore a Renee e così aveva deciso di accompagnarla in quel posto per i vestiti della festa in maschera alla quale non voleva nemmeno metterci piedi. Si guardò allo specchio stretta in un tubino nero che le sparava il seno talmente in alto da sfidare la forza di gravità.
“Non credo che sia il mio genere Renee, insomma vorrei almeno respirare” disse non potendo nemmeno sbuffare, ogni minimo movimento era impossibile con quella cosa addosso. Renee dal suo angolo la guardò con fare critico per poi annuire.
“Secondo me stai benissimo invece, la lunghezza è giusta”
“Ma non penso che la taglia sia giusta”
“Oh no questi abiti fasciano molto e vanno portati stretti” intervenne la commessa con il suo strano taglio corto da una parte e lungo dall’altra. Roxanne maledette ancora una volta quella donna che non aveva intenzione di farsi gli affari suoi. Rientrò nel suo camerino e si tolse quell’orrendo vestito a fatica cercando comunque di non romperlo altrimenti avrebbe dovuto spendere i suoi soldi inutilmente.
“Hai saputo con chi va Susan al ballo?” disse Renee oltre alla tendina del camerino.
“Non ne ho idea davvero” rispose di rimando Roxanne mentre lasciava il vestito sul suo appendiabiti. Susan faceva parte della corte di compagnia di Cheryl. Bionda, alta, e stupida, come tutte le ragazze che si portava dietro la sua ex migliore amica.
“Con Adrian Kain ci credi? Cheryl andrà su tutte le furie. Anzi credo che l’abbia già saputo”
Roxanne sospirò, ogni volta che cercava di dimenticarsi di quel ragazzo qualcuno doveva sempre ricacciarglielo nella testa. Era una congiura per caso?
“Non mi interessa di quello che fa Cheryl e tanto meno di quello che fa Adrian Kain” ringhiò da suo camerino dopo essersi messa un altro vestito decisamente più largo di quello precedente. Guardandosi allo specchio pensò di non essere poi così male.
“Giusto me n’ero dimenticata. Cavoli Rox con quel vestito stai proprio benissimo, anche se non ti mette in risalto il seno come quello di prima” disse Renee sbucando con la testa dentro al suo camerino, in risposta la ragazza dal capelli rossicci roteò gli occhi per poi tornare a guardare la sua figura allo specchio. Era un vero peccato che Sawyer non potesse venire alla festa, sicuramente si sarebbe divertita molto di più con lui che con la sua amica petulante. 
Era tornato ad essere strano, nonostante si fosse scusato ripetutamente del suo comportamento.  Roxanne aveva la strana sensazione che gli nascondesse qualcosa. Qualcosa che l’avrebbe allontanato da lei per sempre, o almeno quella era la sua impressione.
“Lo prendo” affermò improvvisamente la ragazza cercando di scacciare quei brutti pensieri fuori dalla sua testa.
Cento dollari spesi inutilmente finirono in un sacchetto di plastica verde. Renee volle passare anche dal negozio di scarpe per comprare qualcosa che potesse abbinarsi al suo bellissimo vestito troppo corto che aveva appena comprato. Rimasero in quell’inferno per un’ora e mezza sommerse da scarpe di ogni tipo.
Renee comprò tutto quello che le era concesso dalla sua carta luccicante d’oro che le aveva regalato il padre per il suo sedicesimo compleanno.
“Non vedo l’ora di andare al ballo” disse emozionata la ragazza dai riflessi biondi tenendosi stretta i suoi sacchetti come se contenessero dell’oro.
“Dovrei dire la stessa cosa giusto?” disse Roxanne sarcastica ricevendo uno sguardo leggermente ammonitorio dalla sua amica. La fece ridacchiare pensando a quanto fossero diverse nel valutare gli eventi della vita.
“Non vedo l’ora di andare alla festa” urlò arrivata alla sua vita voltandosi verso la bionda che prese ad applaudire come una cretina.
Roxanne fece un inchino e con un salutò si congedò oltre la porta di casa.


Era arrivato il momento di dire la verità, per quanto difficile potesse essere.
Non poteva tenerlo nascosto a lei. Non a Roxanne che si fidava ciecamente di lui. Per la prima volta nella sua vita aveva paura, più di quello che sarebbe scaturito dalla sua scelta. Attraversava  a passi lenti il vialetto di casa Holmes. Più si avvicinava alla porta d’entrata più il suo cuore prendeva a balzargli contro il petto come se volesse uscire da un momento all’altro. Voleva vomitare nel cespuglio di rose ormai appassito.
Con tre colpi alla porta scrisse il suo destino.
Fu il piccolo Noah ad aprire la porta che con un largo sorriso andò immediatamente a chiamare sua sorella.
Eccola lì. Perfetta nella sua imperfezione. Adorava come i suoi capelli fossero così naturalmente scompigliati, come adorava quei leggeri riflessi rossi che le incorniciavano il viso.
“Ehi ti va di fare una passeggiata?” le chiese mettendo le mani in tasca. Non aveva nemmeno il coraggio di varcare la soglia con quella notizia, voleva tenere Noah all’oscuro di tutto.
Roxanne annuì assicurandosi prima che suo fratello Noah andasse a letto. Prese una giacca per coprire le sue spalle nude e mi seguì nel buio della notte.
Camminavamo fianco a fianco nel più completo silenzio. Sentivo i suoi sospiri alla mia destra e sapevo che non avrebbe parlato se non lo avessi fatto io per primo. Era una ragazza testarda, ma aveva imparato ad amarla così com’era.
“Allora come è andata oggi?” chiese improvvisamente lasciando che il venticello autunnale passasse attraverso i suoi capelli lunghi. Fece una leggera smorfia piegando la bocca di lato.
“Sono andata a fare shopping con Renee. Quella donna ha intenzione di farmi vestire da puttanella da quattro soldi per una stupida festa in maschera” incrociò le braccia al petto come una bambina e puntò gli occhi verso il cielo. Quella sera non c’erano stelle, tutto era coperto da uno strato di nuvoloni neri, tanto per rendere ancora le cose più difficili.
“Rox devo dirti una cosa…non è facile da dire ma ormai è giunto il momento di farlo” prese la sua mano e la invitò a sedersi sul marciapiede accanto a lui. La sua mano era così delicatamente morbida da non sembrare nemmeno umana.
“Che succede Saw? Non fare quella faccia che mi spaventi”
“Sai che ti avevo detto che volevo cambiare qualcosa nella mia vita?”
“Si. Non fai altro che ripeterlo da due anni, credevo che avessi mollato la voglia di imparare a suonare la chitarra. Hai cambiato strumento?”
“No. Ho solo deciso di fare qualcos’altro. Lontano da qui”
“Che intendi dire?”
“Sono entrato nell’esercito. Devo andare via di qui e questo mi sembra l’unico modo sensato di farlo”.
Il silenzio ritornò improvvisamente, sembrava che Roxanne non avesse capito quello che le avevo appena detto. E la paura tornò a tormentarmi il cuore.
Sentivo il rimbombo di ogni pulsazione. Ma quello che lo faceva tremare era il silenzio della sua ragazza, quelle labbra rosee avevano sempre un’opinione pronta ad ogni situazione.
Aspettava con ansia il suo consiglio, una sua qualsiasi reazione a quello che stava per succedere.
Quel silenzio prolungato lo fece irritare. Strinse leggermente i pugni nelle tasche dei suoi pantaloni.
Stava per andarsene per chissà quanto tempo e lei non parlava. Si sentivo nello stesso tempo stupido pensando di poterla capire, capire i suoi movimenti in quel momento.
“Quindi tu te ne vai adesso?” chiese con calma portando una mano a torturarsi l’altra.
“Si, fra due giorni parto” annuì e quando rialzò la testa non la vide più al suo fianco. Stava tornando a casa a passi veloci.
“Roxanne!” urlò il ragazzo raggiungendola a prendendole il braccio. Vide le sue lacrime. Da quelle gocce che le rigavano il viso poteva vedere rabbia, disperazione e paura. Tanta paura di qualcosa a lui ancora sconosciuto.
“Non provare a fermarmi. Razza di imbecille. Perché fai una cosa del genere? Perché me lo vieni a dire esattamente due giorni prima poi?” gli chiese urlando mentre le lacrime continuavano a rigarle il viso.
“Non lo so. Non riuscivo a dirtelo”
“Oh si certo, la grande confessione del mondo. Sai che ti dico? Vattene pure in guerra o dove diavolo ti mandano, ma non aspettarti che io sia qui fra tre mesi o quanti saranno!”
“Non fare così ti prego”
“Non fare così? Sawyer come reagiresti se ti dicessi che domani parto per il Congo rischiando di morire probabilmente per una malattia contagiosa della quale non ho fatto la vaccinazione eh?” stava delirando. Non riusciva nemmeno a fare degli esempi sensati. Si sentiva talmente stupida da non riuscire nemmeno a pensare. Sawyer se ne sarebbe andato.
In tutto quel casino l’unica sua risorsa era lui e solo lui. E sarebbe partito per troppo tempo.
“Mi dispiace” disse cercando di trattenere le lacrime.
Non aveva la sua pietà, per quanto lo amasse non era d’accordo su quello che stava per andare a fare. Avrebbe rischiato la vita per una semplice sfida con se stesso. Quale sano di mente avrebbe fatto una cosa del genere? Gli sarebbe bastato un centro benessere o un bravo psicologo per sistemare la situazione.
No, lui voleva andare in guerra. Idiota.
“Vattene. Non ti voglio vedere” disse la ragazza ormai arrivata alla porta di casa sua. Si chiuse la porta alle spalle e vi poggiò la schiena. In quel momento scoppiò a piangere facendo comunque attenzione a non svegliare suo fratello. Si lasciò cadere per terra e prese il suo viso tra le mani.
Come avrebbe fatto senza di lui?
Cosa sarebbe successo? Non poteva lasciarla da sola in quel momento.
Il biglietto.
Adrian Kain.
Suo padre che non tornava a casa.
Sawyer che se ne andava.
Adrian Kain.
Era troppo da sopportare per una sola persona. Ma era quello che avrebbe dovuto fare due giorni dopo fino al ritorno del suo ragazzo. Se mai fosse tornato intero. Quel pensiero le riempì nuovamente gli occhi di lacrime.
“Rox, lo sai che ti amo. Ma non sono più lo stesso, lo hai notato anche tu. Io non voglio diventare qualcuno che non sono. Voglio essere la persona che hai conosciuto due anni fa” la voce di Sawyer passava flebile oltre la porta d’entrata. Roxanne poteva sentire le sue lacrime oltre a quel legno scuro, ma non volle aprire la porta.
“Anche io ti amo lo sai. Ma non posso sopportare tutto questo da sola”
Rimasero lì per tutta la notte. Ad ascoltare ognuno le lacrime dell’altro.
Separati da quell’unico strato di legno. La separazione più grande che poteva sopportare dal suo ragazzo. Cosa sarebbe successo quando sarebbe stato in un altro continente?
La mattina successiva, Sawyer era andato via.  L’ombra del suo dolore era ancora presente nell’aria come uno spirito maligno che tolse il respiro a Roxanne pronta per affrontare un nuovo giorno di scuola.
I suoi passi erano sordi sull’asfalto coperto di foglie ingiallite. Nemmeno la musica alle sue orecchie poteva distrarla da quello che era successo la sera prima. Quando Sawyer aveva deciso di abbandonarla.
Un gesto egoista da parte sua. Ma non poteva certo pretendere che si prodigasse per lei  in ogni suo respiro.
Una mano sulla sua spalla la fece sobbalzare. Si tolse le cuffiette dalle orecchie e vide quegli occhi ancora più spaventosi del solito.
“Certo che tu arrivi sempre nei momenti meno indicati” disse la ragazza scostandosi da colui che tormentava le sue notti. Da quando Adrian Kain era arrivato in città, la vita di Roxanne era precipitata. Poteva considerarlo un uccello del malaugurio.
“Oh ma buongiorno principessa. Come mai mi porgete questo bellissimo sorriso?” disse l’idiota platinato con quel suo sorriso perfetto da farle venire il voltastomaco.
“Non sopporto il sarcasmo mattutino”
“Ok allora la smetto subito. Per caso non hai dormito stanotte?”
“Cosa te lo farebbe pensare?”
“Le due enormi occhiaie attorno ai tuoi occhi”
“Oh grazie, non credevo che fossero così visibili” disse Roxanne cercando di aumentare il passo. Non aveva voglia di parlare con lui, non aveva nemmeno voglia di vederlo. Lui gli aveva portato via Sawyer, era colpa sua.
“Scusami. I tuoi occhi sono comunque bellissimi. Direi che sono un castano dorato” sussurrò al suo orecchio aggiungendo ancora una volta il suo sorriso scintillante. Aveva la capacità di farla incazzare e addolcire nel giro di pochi secondi, e questo le faceva paura. Non credeva fosse possibile che una persona potesse avere tutto quel controllo su di lei.
“Non credere di impressionarmi con un semplice complimento Kain, non sono come quelle ragazze che abbordi a scuola”
“Oh lo so benissimo. Ma a me piacciono le sfide”
“Dovrai impegnarti molto allora. So essere molto difficile” affermò passandosi una mano tra i capelli sciolti. Poteva sentire il suo profumo da quella poca distanza, doveva essere un fiore. Forse una rosa. Qualcosa che ad Adrian piacque immediatamente.
Considerava quella ragazza bella in modo naturale. Una bellezza fuori dal comune stereotipo della ragazza liceale. Le piaceva il modo in cui muoveva le mani mentre parlava ma soprattutto il suo sorriso che non gli aveva ancora concesso ma che aveva scorto di nascosto.
Quanto avrebbe voluto che quel sorriso gli appartenesse, almeno per un secondo.
Però aveva paura. E ammetterlo gli costava tanta fatica.
Aveva paura che nel momento stesso in cui lei si sarebbe fidata di lui, sarebbe successo di nuovo.
Quella furia l’avrebbe portata via come era successo con le altre ragazze.
Qualcosa che non riusciva ancora a controllare.
La ragazza sbuffò pensando che Adrian fosse esattamente uguale a lei. Non avrebbe ceduto fino a quando lei non avrebbe cambiato idea sul suo conto. Era una sfida che avrebbe accettato, in fondo non aveva niente da perdere.
La conversazione si concluse in quel modo, con una smorfia soddisfatta sulle labbra perfettamente disegnate del ragazzo.
All’ora di pranzo Adrian Kain aveva vinto.
Roxanne lo aveva guardato e gli aveva sorriso per la prima volta.
Ed ecco che arrivò quella sensazione.
Quella forza fuori controllo gli attraversò la mente nel momento esatto in cui quel sorriso invase le sue iridi nere.
Sarebbe inevitabilmente successo.
Ne era sicuro.


*ANGOLINO AUTRICE*
E' la prima volta che decido di intrufolarmi in uno dei miei capitoli. Di solito lascio il capitolo parlare da sè a rimango nel mio angolo a seguirne gli sviluppi. Questa volta ho deciso di intervenire per il semplice fatto che ne avevo voglia, non c'è una vera e propria motivazione per questo.
Roxanne sta mettendo in discussione sè stessa a causa dell'improvvisa partenza di Sawyer che l'ha decisamente turbata. E' casuale l'apparizione di Adrian Kain proprio in quel momento? voglio sentire qualche opinione riguardo al loro terzo incontro , se si può definirlo tale.
Di quale forza fuori controllo parla Adrian? Colpirà Roxanne stessa?
Al prossimo capitolo :3

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Capitolo 9
*** Turning into a monster and eating us alive ***


I’m only human
I’ve got a skeleton in me
but I’m not the villain, 
despite what you’re always preaching.

 


Le ore si susseguivano troppo velocemente. I minuti scorrevano rapidamente più forte dei battiti del suo cuore.
Si era resa conto che fosse inevitabile non soffrire e quindi si era lasciata travolgere dalla tempesta a testa alta, rimanendone comunque schiacciata sotto al suo peso. Strinse i pugni sul suo banco chiudendo gli occhi. Il dolore era insopportabile. Una ferita ancora aperta che non riusciva a rimarginarsi.
Si perse nei suoi pensieri per quelli che lei sembrarono secondi in realtà passarono esattamente due ore. Venne svegliata dal torpore dalla sua amica Renee che cominciò a strattonarle il braccio.
Invidiava il suo entusiasmo in quel momento. Voleva la sua leggerezza nel vivere più di ogni altra cosa invece di essere condannata al continuo dramma.
Non era nata per quello. Sua madre le aveva promesso di proteggerla in ogni istante della sua vita.
Non lo stava facendo e si sentiva in colpa ad essere arrabbiata con lei e vedeva crescere la sua bambina solamente da spettatrice muta. Roxanne provò a pensare al nulla, giusto per cancellare per qualche secondo la sua vita.
Si accorse che il giorno era arrivato.
La festa in maschera.
E pensare di andare a casa di Kayla perdendo tempo prezioso con il suo ragazzo la fece ritornare ai pensieri precedenti che cercava di cancellare.
La mattina successiva Sawyer se ne sarebbe andato alle prime luci dell’alba. Poteva considerarsi un contrasto visto che sarebbe stato un “tramonto” della loro relazione, fino al suo ritorno.
La cosa che non riusciva a sopportare era il fatto che Sawyer avesse aspettato così tanto tempo per dirle della sua decisione. Avrebbero trascorso il loro tempo in modo diverso anziché litigare.
“Oddio non vedo l’ora di infilarmi il mio vestito nuovo e far schiattare di invidia quella stronza di Cheryl” blaterò Renee improvvisamente facendo tornare l’amica al presente. Roxanne roteò gli occhi pensando che fosse la cosa più noiosa al mondo ma almeno l’avrebbe distratta dal resto. Poteva essere una soluzione vincente, ma non aveva voglia di sforzarsi troppo.
Non era asociale, non era nemmeno una ragazza tranquilla. Quello era anche il genere di festa che le piaceva, peccato che fosse spuntata nel momento sbagliato.
Si sentiva terribilmente vuota.
E non poteva più contare sull’aiuto di Sawyer. Non in quel momento.
Era come se tutte le persone attorno a lei prima o poi svanissero nel nulla. Una sorta di maledizione che si prendeva gioco di lei. E aveva deciso di tirar fuori bandiera bianca e sventolarla al mondo.
Cheryl comparve davanti alla sua strada con la sua solita andatura da supermodella zoppa.
“A quanto pare verrai anche tu alla festa di Kayla questa sera. Peccato che tu non abbia un cavaliere, in fondo chi uscirebbe mai con te?” aveva sempre la stessa voce acida. Non sarebbe mai cambiata. Come il suo modo di inclinare la testa di lato mentre aspettava una risposta alle sue provocazioni.
“Ho sentito che tu invece non ci andrai con Adrian”  rispose di rimando mantenendo il suo sguardo. Sarebbe sempre stata una battaglia aperta tra loro due. Sia Cheryl che Roxanne non avrebbero mai ammesso di essere schiocche a bisticciare in quel modo, erano troppo uguali. Nessuna delle due però l’avrebbe mai ammesso.
“Oh si l’ho lasciato io. Non era alla mia altezza” mosse i capelli corvini di lato per poi cominciare a lisciarseli con la punta delle dita. Lo faceva sempre quando era nervosa.
Roxanne l’aveva sempre messa in soggezione. Perfino quando erano amiche per la pelle alle elementari. Lei era la classica bambina con l’apparecchio che tutti prendevano in giro mentre Roxanne … oh lei era la ragazza misteriosa che decideva di mettersi a leggere un libro anziché giocare con i compagni di classe. Eppure nonostante la sua distanza era presente nei discorsi di chiunque.
Odiava i suoi capelli, il modo in cui fossero dannatamente rossicci e naturali e nonostante fosse una normalissima ragazza aveva sempre quel qualcosa in più che affascinava chiunque. Cheryl si ricordava ancora quanto aveva sofferto. Quanto aveva faticato per diventare quello che era diventata: la reginetta del ballo che tutti volevano. Ma Roxanne le rovinava sempre i piani.
Perfino Adrian era caduto nella sua trappola. E per quanto quel ragazzo non le interessasse più, non sopportava l’idea che gironzolasse attorno alla sua rivale.
Roxanne Holmes era una ammaliatrice e andava eliminata.
Sarebbe bastato un semplice colpo di pistola in mezzo agli occhi e sarebbe stata cancellata dal mondo in un secondo.
Uno sparo. Un ultimo respiro e i suoi problemi sarebbero scomparsi. Sorrise a quel pensiero ravvivandosi i capelli corvini con la mano. Dalla sua parte Roxanne non disse nulla, si limitò semplicemente a puntare i suoi occhi cioccolato in quelli altrettanto scuri della ragazza dalla gonna troppo corta.
Cheryl fece una leggera smorfia e prima ancora che la sua rivale potesse rispondere se ne andò lasciando una leggera scia del suo profumo alle spalle. Aveva ben altro a cui pensare. Susan le aveva rubato il cavaliere per la festa in maschera. Doveva sostituirlo al più presto altrimenti sarebbe andata al ballo da sola.

“Benvenute” disse Kayla con tutto l’entusiasmo che poteva mettere.  Il suo vestito era rosa confetto perfettamente aderente al suo esile corpicino. Una maschera di seta bianca era incorniciata dai suoi capelli biondo scuro piastrati apposta per la serata. Si divertiva ad essere ammirata ma non la considerava una cosa necessaria, anzi pensava fosse del tutto inutile. Roxanne e Renee stettero comunque qualche secondo a squadrare quella seta svolazzare ad ogni movimento della ragazza.
“Grazie” si trovò a dire Roxanne senza nemmeno accorgersene. Tutta quella situazione le sembrava assurda, ancora non riusciva a capire come si era lasciata convincere da Renee a venire a quell’insulsa festa.
I vestiti. La musica. Le persone.
Paradiso e inferno nella stessa stanza decorata di rosa e lustrini argento.
Renee adocchiò immediatamente Susan appiccicata al suo cavaliere in mezzo alla pista da ballo. Una maschera di pizzo nero copriva solamente la parte superiore del viso di Adrian Kain lasciando in bella vista la sua arma letale silenziosa. Roxanne cercò di non farci caso e decise di puntare immediatamente il tavolo degli alcolici, in realtà sperava che il punch fosse stato corretto apposta per farle mandare giù tutto quello sciroppo rosa confetto.
Dio come diavolo avrebbe fatto a resistere per tutta la notte?
La musica rimbombava nella stanza a ritmo dei fianchi di Britney Spears. Susan Reeves era aggrappata ai capelli biondi di Adrian e li arricciava con le sue dita affusolate. Guardò il ragazzo negli occhi e poi sorrise timidamente.
“Sicuramente Cheryl mi ammazzerà” affermò a voce alta.
“Per cosa?” le chiese il ragazzo premendo le sue mani sui fianchi della ragazza. Lei arrossì ancora una volta e si guardò attorno.
“Per essere venuta al ballo con te. Tu eri come dire…di sua proprietà” disse infine al suo orecchio stanca di urlare a causa della musica troppo alta.
“Non sono di proprietà di nessuno” rispose Adrian tirando un sorriso troppo perfetto per essere vero. “E comunque non credo che debba importare più di tanto di quello che pensa Cheryl” aggiunse facendole fare un giro su stessa alla sua compagna di ballo.

Un ragazzo ubriaco si scontrò parecchie volte contro Roxanne scusandosi ripetutamente. Conosceva quel ragazzo, e si stupiva di vederlo in quello stato. Nessuno si immagina un patito di chimica che fa parte della banda in una festa del genere, eppure Mark Hooper era proprio ubriaco e intenzionalmente continuava a caderle addosso come un manichino senza gamba.
“Mark perché non ti siedi e recuperi un po’ del tuo equilibrio?” sbottò la ragazza poggiandosi al muro per non cadere. Quei tacchi non le davano molta stabilità ma decise ugualmente di mandare giù tutto d’un fiato un bicchiere di punch alla frutta. Sorrise nel sentire un lieve aroma di vodka scorrerle giù per la gola.
“Scusa Roxanne è colpa del tuo vestito” biascicò il ragazzo barcollante mentre tentava di persuaderla con un sorriso decisamente calcolato male.
“Non cominciare Mark non sono dell’umore giusto. E soprattutto non con te”
“Oh e a chi ti preservi? Adrian?” chiese il ragazzo poggiando la sua mano sul fianco della ragazza rossa.
“Ma perché tutti la vedono in questo modo? Insomma è solo un nuovo ragazzo, nemmeno fosse il principe d’Inghilterra” urlò coperta comunque dalla musica assordante. Strinse il bicchiere di plastica che teneva in mano deformandolo solamente al centro. Era assurdo come quel nome comparisse nel discorso di chiunque, era quasi una maledizione incancellabile.
“Datti una calmata stavo solo scherzando” disse il ragazzo biondiccio in sua difesa, immediatamente si distanziò da Roxanne prima che potesse esplodere come un vulcano. Lei sospirò cercando di spingere fuori tutta la rabbia intrinseca che teneva dentro con scarsi risultati. In più la sua amica Renee si era appartata con un ragazzo sconosciuto della festa in un angolo della stanza.
E così era di nuovo da sola. Solo in quel momento si rese conto di esserlo davvero. Quella volta Sawyer non l’avrebbe salvata da quella situazione. E nessuno in quella stanza aveva voglia di parlare normale senza finire in un angolo della stanza ad amoreggiare o a pettegolare di qualcuno della loro scuola.
Corse verso il bagno che sapeva essere in fondo al corridoio a destra, come indicato dalla padrona di casa. Chiuse la porta alle sue spalle nel momento stesso in cui le lacrime cominciarono a scendere copiosamente sul suo viso.
Guardandosi allo specchio si vide improvvisamente diversa come una protagonista di uno splendido dramma americano che trasformavano in un telefilm. La sua vita non poteva essere diventata così tormentata dalla tristezza.
Non poteva succedere a lei. Non nello stesso istante in cui pretendeva un po’ di normalità.
Una risata al di là della porta la risvegliò dalla sua riflessione personale. Conosceva quel suono: Susan, probabilmente aveva deciso di cambiare stanza per non dare troppo nell’occhio. Roxanne aprì lentamente la porta del bagno giusto in tempo per vedere l’abito oro di Susan scomparire nella stanza di fronte assieme ad Adrian. Roteò gli occhi pensando di essere ormai stufa di fare considerazioni a riguardo e decise di tornare in mezzo alla gente, in un certo senso l’avrebbe fatta sentire meno sola. Venne immediatamente attaccata da Renee con il trucco leggermente sbavato e un sorriso sornione.
“Rox tesoro, mi dispiace averti lasciata da sola. Robert era molto carino, ma mi sono ricordata di essere venuta con te” si scusò immediatamente l’amica. Parole inutili ma che Roxanne non le avrebbe fatto pesare.
“Oh non ti preoccupare, va tutto bene” si asciugò lentamente una lacrima invisibile sperando che non fosse evidente che avesse pianto. Renee non faceva testo, lei non si sarebbe accorta nemmeno se Roxanne si fosse colorata la faccia di rosa.
“Sei sicura?” le chiese preoccupata l’amica mentre cercava con gli occhi la sua prossima vittima.
“Si sono sicurissima”
“Allora non c’è bisogno che mi preoccupi troppo. E di Sawyer che mi dici?”
Quel nome le fece sentire un tuffo al cuore. Per un secondo si era dimenticata di lui.
Che gesto egoista pensare solamente a sé stessa. Se lui l’amava al suo stesso modo probabilmente avrebbe sofferto anche lui di quella distanza, per non parlare dell’ansia della guerra.
La paura di poter morire da un momento all’altro per mano di un tuo simile.
E poi Roxanne si stupiva che la gente credesse ancora in un Dio che voleva solamente il bene dell’umanità. Avrebbe voluto chiedere a quelle persone da dove provenisse tutto quell’odio. Probabilmente non si erano chiesti dove si originasse tutto quel male. Non fece nemmeno tempo a voltarsi verso la sua accompagnatrice da vederla volare verso un nuovo ragazzo. La gente proprio non si rendeva conto quando tendeva ad esagerare.
Renee era la donna dell’esagerazione. Bisognava metterle un cartellino appeso alla maglietta che indossava ogni lunedì per rendere chiaro a tutti il concetto. Lei amava essere amata, ma era in grado di voler bene a una persona più di sé stessa. Era quel genere di persona che affermava di essere “innamorata dell’amore” pur non sapendo esattamente che cosa volesse dire. Purtroppo a volte si rinchiudeva nel suo mondo, nella sua piccola bolla colorata e piena di allegria da non accorgersi del resto del mondo. All’infuori di essa c’era Roxanne, ma ormai era abituata a quella situazione.
Non si arrabbiò con lei decidendo di lasciarla fare senza cominciare uno stupido monologo interiore riguardo la vita sociale degli adolescenti e decise di oscurarsi nuovamente a quel mondo giusto per qualche minuto. Prese lo stesso corridoio del bagno e della stanza delle meraviglie di Adrian barra Susan.
Camminava  a passo  lento con le mani dietro alla schiena senza cercando di concentrarsi sul quadro dall’altra parte del corridoio piuttosto che lasciar la sua mente al libero arbitrio.
Stava cercando in tutti i modi di non lasciarsi coinvolgere dalla propria vita nonostante fosse così complicato. Non voleva pensare a Sawyer. Non voleva pensare a suo padre, a suo fratello Noah, a sua madre che probabilmente non sarebbe stata fiera di lei, a Renee. Non voleva nemmeno menzionare nella sua mente il nome Adrian Kain, per quanto potesse essere insistentemente tentatore.
Voleva semplicemente azzerare tutto quello che aveva nella testa e ricominciare dall’inizio. Un blackout mentale.
Improvvisamente arrivò il buio.
Le luci si spensero con un rumore sordo lasciando tutti disorientati. Qualcuno urlò mentre altri si misero a ridere. La padrona di casa si faceva sentire più di tutti mentre cercava disperata il contatore delle luci illuminandosi la strada con il suo telefono cellulare. Roxanne invece se ne stava ferma nel corridoio come paralizzata.
Non aveva mai amato il buio, soprattutto quando non era certa di quello che ci fosse attorno a sé. Cominciò a respirare profondamente mentre con le mani cercava il muro sul quale appoggiarsi. Un leggero venticello caldo le sfiorò la nuca. Qualcuno era dietro di lei. Ne era sicura al cento per cento, prima non c’era quel leggero sentore di sigarette ed alcol.
“Chi sei?” chiese impaurita Roxanne non trovando una risposta alla sua domanda. Quel respiro silenzioso le faceva venire i brividi e continuava persistente a girarle attorno come un avvoltoio. Sicuramente doveva essere un ragazzo della sua scuola che voleva farle paura.
E ci era riuscito. Il cuore di Roxanne batteva talmente forte da rimbombarle nelle orecchie.
Provò a camminare in avanti tenendosi ben salda al muro del corridoio, cercò in tutti i modi di avvicinarsi alle voci della festa.
“Ci sono dei problemi tecnici, per il momento munitevi di torce, sono vicine al tavolo del buffet” disse ad alta voce Kayla cercando di riportare l’ordine come un poliziotto. A tutti vennero consegnate delle torce. La prima cosa che fece Roxanne fu quella di puntarla alle sue spalle non trovando nessuno.  Tutti i presenti ripresero le conversazioni di pochi minuti prima e parve strano non vedere presenti Adrian e Susan. Probabilmente erano ancora rinchiusi nella loro stanza privata gioendo che la luce fosse andata via. Roxanne si avvicinò alla stanza poggiando l’orecchio sulla porta curiosa di sapere quello che stavano facendo. Sfortunatamente non arrivò alcun suono oltre la porta.
“Rox che diavolo ci fai qui?” un torcia le venne puntata direttamente negli occhi accecandola per circa dieci secondi. Renee si scusò con la sua solita risatina e puntò verso il basso la sua torcia.
“Stavo facendo un giro mentre tu te ne stavi a ciondolare con la maggior parte del sesso maschile in questa stanza” disse irritata la ragazza dai capelli rossi incrociando le braccia al petto.
“Si scusa per quello ecco…”
“Non ti preoccupare ho capito benissimo. Non sono così arrabbiata”
“Perfetto allora che ne dici se ci andiamo a bere qualcosa insieme in segno della nostra amicizia?”
“Ti raggiungo” disse Roxanne per poi osservare la sua amica danzare in mezzo alla folla con la torcia puntata verso l’alto.
Tornò a guardare la porta al suo fianco e decise di aprirla fregandosene delle buone maniere. La stanza era completamente buia, come volevasi dimostrare, ma nessuno fiatò per sua improvvisa entrata in scena.
“Ehilà avete finito?” chiese in modo sarcastico la ragazza non trovando risposta. Improvvisamente venne tirata indietro e zittita da una mano posta sulla sua bocca. Era poggiata a qualcuno che la stava trattenendo e per quanto potesse divincolarsi non riuscì a liberarsi. Si arrese a quell’attacco e attese in silenzio nuovi risvolti.
“Shh sta zitta” le sussurrò una voce all’orecchio. Capì immediatamente che quello che la stava trattenendo era Adrian, ma non riusciva a capire perché mai lo stesse facendo. Lentamente la sua mano si tolse dalla sua bocca e le permise di parlare.
“Che diavolo stai facendo?” gli chiese la ragazza cercando di mantenere un tono basso.
“Non c’è tempo di spiegare dobbiamo uscire da questa casa”
“Sei pazzo per caso?”
“No, fidati”
“Fidarmi di te? Andiamo chi mai potrebbe fidarsi di te?”
Adrian fece lentamente scivolare la mano sul suo fianco facendole provare un leggero brivido. Scivolò lentamente lungo la sua gamba per poi afferrare la torcia. Il bagliore prima puntò verso il muro rosa della camera di Kayla per poi mostrare il corpo sfregiato di Susan. Roxanne volle immediatamente urlare ma venne bloccata da Adrian che cercò nuovamente di trattenerla.
“Ti ho detto di stare zitta”
Roxanne annuì non sapendo più che cosa fare. Guardava il corpo di Susan senza vita con le lacrime agli occhi. Chi mai avrebbe fatto una cosa del genere? Colpire una ragazza innocente al suo primo ballo in maschera. Una meschinità da essere punita: ma il colpevole di tutto quello chi era?
Le luci tornarono senza nessun preavviso e il sangue sul vestito oro di Susan era più visibile.
Venne liberata dalla sua presa e immediatamente si voltò verso Adrian con la camicia imbrattata di sangue. Roxanne lo guardò negli occhi senza nessuna paura sicura della sua teoria: Adrian aveva ucciso Susan, i suoi occhi erano colpevoli.
“So a cosa stai pensando. Ma non sono stato io devi credermi” disse immediatamente il platinato guardando la sua stessa camicia e pulendosi le mani del sangue della povera ragazza vittima.
“Non potrei pensare il contrario, tu e Susan eravate gli unici in questa stanza”
“Non sono stato io” incalzò immediatamente lui prendendola per le spalle e avvicinando il viso a quello della ragazza. I suoi occhi sembravano spaventati, il nero era più freddo del solito.
Sembrava essere più terrorizzata del solito. Era sicura che in quel momento non sarebbe potuta scappare.
“Roxanne!” Renee chiamò con forza la sua amica raggiungendola.  La ragazza rossa si voltò verso l’amica perdendo di vista Adrian.
“Rox stai bene?” chiese l’amica per dopo rimanere paralizzata nel vedere Susan accasciata a terra. Per un primo momento credette che avesse bevuto troppo e avesse perso i sensi. Improvvisamente si accorse del sangue, dei tagli e del fatto che non respirasse. Urlò come avrebbe probabilmente fatto anche Roxanne attirando l’attenzione di tutti. In un minuto tutti gli invitati furono dentro a quella stanza in presenza di quell’orribile misfatto.
Adrian Kain era sparito.

Era successo di nuovo e non aveva potuto impedirlo. Si sentiva debole e impotente di fronte a quel corpo senza vita. Quella povera ragazza aveva ancora una vita davanti a sé e un mostro l’aveva stroncata senza nessuna pietà. Adrian Kain correva nel buio cercando di non entrare nelle zone di luce dei lampioni.
Era tutta colpa sua e il rimorso scorreva nelle sue vene riportandolo indietro nel tempo.
In un attimo era tornato in Texas con Erin, quella ragazza dagli occhi troppo cerulei per essere reali. E ricordava come si erano spenti tra le sue braccia. Era stato fautore del suo omicidio e tutto quello che fece fu fuggire il più lontano possibile come stava facendo in quel momento.

Roxanne era ancora sconvolta. Non riusciva a respirare. Vedere una persona morta davanti ai suoi occhi non era stato esattamente come sapere morta sua madre o la sua amica di infanzia.
Continuava a passarle per la mente il fatto che l’assassino avrebbe potuto uccidere anche lei.
Al buio, dove non avrebbe potuto difendersi in nessun modo.
Magari era stato lo stesso Adrian a girarle intorno quando le luci si erano spente.
Quell’odore di sigarette. Il solo pensiero le fece provare dei brividi.
L’unica cosa del quale era certa era che l’assassino voleva uccidere Susan.
Il suo obbiettivo era lei senza ombra di dubbio.
Lo sapeva nonostante il suo cervello non potesse ancora connettere alla perfezione l’accaduto.
“Sei riuscita a vedere qualcosa?” le chiese nuovamente Renee con il suo solito modo insistente.
“Te l’ho già detto. Non ho visto niente siccome era buio, e l’assassino era dentro alla stanza” sbottò Roxanne alzandosi dalla sedia e uscendo di casa. Aveva bisogno di un po’ d’aria fresca.
Si mise a guardare le stelle leggermente coperte dalle luci provenienti dal quartiere.
Trovò una sorta di conforto nel vederle. Da quando Sawyer gli aveva mostrato il suo angolo segreto aveva cominciato ad apprezzarle di più. Poteva considerarle una sorta di angelo custode con l’impossibilità di cambiare realmente le brutte notizie.
“Caspita, è un peccato che non fossi stato invitato a questa festa” disse Sawyer alle sue spalle.
Comparve come un’apparizione dalla luce di un lampione vestito di tutto punto. Il completo nero era perfettamente abbinato alla maschera nera di pizzo che indossava. Roxanne scoppiò a piangere stufa di trattenere le lacrime.
“Ehi che succede?” le chiese il suo ragazzo preoccupato. Si lasciò andare tra le sue braccia poggiando il viso sul suo petto. Le lacrime cominciarono a scorrere sulla camicia del ragazzo. Cominciò a singhiozzare come una bambina senza freno.
“Susan, è stata uccisa e là dentro sembra una dannata scena del crimine alla C.S.I. e è possibile nella realtà una cosa del genere. Siamo degli stupidi ragazzi del liceo…” Roxanne non riuscì a proseguire nel suo delirio verbale e ricominciò a piangere a singhiozzi. Sawyer la coccolò tra le sue braccia come se stessero ballando una musica immaginaria.
Sarebbe stato bello se il suo ragazzo fosse venuto alla festa. Sarebbero stati a ballare per tutta la sera e magari non sarebbe successo nulla del genere.
Lei pensava che Sawyer fosse l’anello principale che collegasse tutti gli eventi del suo mondo e che una sua assenza creasse il caos.
Era una sua teoria e non avrebbe mai cambiato idea. Per quello aveva paura della sua partenza.
Cosa sarebbe successo durante l’assenza prolungata di Sawyer?
Il dramma si sarebbe calato nel caos. E non si sentì esagerata nel pensare che sarebbe stata la fine di tutto.

Quella sera Sawyer Levine e Roxanne Holmes dormirono insieme.
Un istante perfetto tra quattro mura tinteggiate di giallo.
Un lungo addio di ultimi baci e di lacrime sincere.
La mattina successiva Sawyer partì.
Con la sua divisa volse un ultimo saluto alla sua ragazza e si preparò alla sofferenza più lunga della sua vita.

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