Somebody That I Used To Know

di ___MoonLight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue - Hotter ***
Capitolo 2: *** Rainy Day ***
Capitolo 3: *** I was waiting for you, dumbass ***
Capitolo 4: *** Bad Rain ***



Capitolo 1
*** Prologue - Hotter ***


Prologue
-
Hotter

 

 
 
Il caldo soporifero di Buenos Aires entrava soffocante dalla finestra affacciata sul caos della città; Clint si chiese perché avesse anche solo pensato di farsi una doccia con tutta quell’umidità: aveva l’impressione di inghiottire acqua ad ogni respiro.
L’agente si accasciò letteralmente sul letto, liberandosi anche dell’asciugamano e prendendo grandi boccate d’a... acqua. Stava per invocare un boccaglio.
Il soffitto pieno di venature di muffa era quasi interessante, tanto che rimase a fissarlo inerte per quasi un minuto prima di chiudere esausto gli occhi.
Il ronzio penetrante di una zanzara gli risuonò in un orecchio; con un gesto stanco della mano cercò di scacciarla, ma quella tornò ancora più decisa a non lasciarlo riposare.
Clint sbuffò: odiava quella città. Odiava la folla che rendeva più difficile individuare i suoi obbiettivi, odiava quel dannato caldo spossante e appiccicoso, odiava il cibo iperpiccante che lo obbligava a bere ancora e... odiava quelle fottute zanzare! Il rumore della sua mano contro il muro fu un suono celestiale.
 
“Presa.” un ghigno un po’ sadico si dipinse sul suo volto mentre si godeva il momento interrotto puntualmente dal trillo del suo palmare.
 
Con un’espressione a dir poco stravolta scollò la mano dal muro, strofinandola senza ritegno sul lenzuolo per poi trascinarsi fino alla tasca della sua divisa abbandonata per terra. Alla sola vista della divisa nera si sentì soffocare.
Fissò imbambolato lo schermo, pregando un qualunque Dio che Fury lo spedisse in Canada. Tra gli orsi. Disperso in mezzo al ghiaccio.
 
Si riscosse dal suo sogno di freddo e rispose con la sua solita professionalità:
 
-Agente Barton.-
 
-Già stanco, Hawkeye?-
 
“Bastardo.”
 
-Riposato e fresco come una rosa, signore.- mentì spudoratamente, facendosi aria con la mano.
 
-Immagino... meglio così, sarai pronto per la tua nuova missione.-
 
Clint alzò gli occhi al cielo: finalmente via di lì. Non poteva crederci...
 
-Per inciso: ottimo lavoro a Buenos Aires.-
 
-Grazie, signore. Almeno la sauna è servita a qualcosa.-
 
 Ci fu un silenzio inquietante dall’alto capo del telefono.
Infatti, non poteva crederci.
 
-La tua presenza è richiesta a Delhi. Parti con il primo volo: abbiamo una missione interessante per te.- chiuse la comunicazione.
 
Una serie di dati incominciò a scorrere sul palmare davanti ai suoi occhi assonnati mentre con un gesto di resa raccattò i vestiti ed inziò a rivestirsi, lentamente.
Imballò la sua attrezzatura e gettò il resto delle sue cose nella valigia che chiuse velocemente, esasperato. In dieci minuti era già fuori l’appartamento.
Controllò di nuovo il palmare, corrucciato, ma il suo volto si distese man mano che leggeva.
Qualcuno lo urtò mentre passava e captò un brandello del suo discorso con una ragazza:
 
-... y que calor, señorita!-
 
Sogghignò appena.
 
“Esattamente.”
 
 

***

 
 
Una folata di vento gelido si insinuò sotto al cappotto facendola rabbrividire.
Natasha si tirò su il colletto di pelliccia apparentemente inutile contro quel freddo atroce. Amava Mosca, ma sapeva diventare detestabile.
Continuò a camminare intirizzita tra le strade appena spalate della città, dove la neve continuava a posarsi inesorabile ricoprendole a poco a poco.
La sagoma del Cremlino si stagliava sopra i tetti bianchi delle case, nel cielo plumbeo.
Il ticchettio regolare dei tacchi sull’asfalto ghiacciato era l’unico suono per le strade deserte: nessun altro aveva osato avventurarsi all’esterno, e forse a ben ragione, ma non era riuscita a privarsi di una passeggiata per la sua città natale una volta conclusa la missione.
Era esattamente come la ricordava: grigia, fredda ed intrisa di ricordi, troppi ricordi...
In verità voleva andarsene al più presto.
Per una volta i suoi desideri furono esauditi all’istante: il cellullare vibrò nella sua tasca, discreto come sempre.
 
-Agente Romanov.-
 
-Vi ricevo.- rispose più glaciale del solito, muovendo appena le labbra. Si fermò in un vicolo, riparandosi dal vento tagliente.
 
-C’è un nuovo incarico. Prendi il primo aereo per Delhi. Tutti i dettagli ti sono già stati inviati.
Buon lavoro.-
 
Natasha capì che si riferiva anche alla missione appena conclusasi a Mosca e sorrise appena, soddisfatta.
Fissò un’ultima volta il cielo grigio della sua città e si avviò a passi rapidi all’aeroporto.

 
 
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Note delle Autrici:

Iron Man non ci bastava... anche qui volevamo rompere un po' le palle XD Non spoileriamo nulla per ora, ma è evidente ciò che succederà... per la vostra gioia, speriamo. Ci sembra di aver mantenuto i personaggi IC ma se vedete qualche OOC battete un colpo *e vennero fucilate*
Grazie a chiunque leggerà/recensirà.

Sunset In The Darkness aka Light&MoonRay

P.S.: Ci trovate 
qui: _Lightning_ e qui: MoonRay

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Capitolo 2
*** Rainy Day ***


Chapter 1
-
Rainy Day

 
 
La pioggia sferzava senza sosta gli oblò dell'aereo che traballava pericolosamente mentre iniziava la sua discesa sull'aeroporto di Nuova Delhi.
Un sussulto più violento degli altri fece svegliare Clint di soprassalto, convinto di essere stato appena attaccato da qualcuno e sbattuto contro un muro.
Si rilassò quando vide che l'unica minaccia al momento era l'atterraggio, che si preannunciava tutt'altro che facile.
Alzò gli occhi al cielo: quando aveva chiesto un po' di "fresco" non intendeva certo quello, ma ultimamente niente andava per il verso giusto, quindi non stette troppo ad autocompatirsi e si limitò a riporre gli occhiali da sole in una tasca dello zaino, preannunciando molti, grigi giorni senza la minima traccia di sole: era la stagione dei monsoni, dopotutto.
Nel mezzo minuto che impiegò a scendere dall'aereo e a salire sulla navetta si inzuppò fino al midollo, e si scrollò infastidito la giacca fradicia, sentendosi immerso in un brodo. Iniziava a rimpiangere Buenos Aires.
Sbrigò rapidamente le pratiche burocratiche, mostrando tranquillallmente un passaporto, ovviamente falso, e uscendo direttamente dall'aeroporto per prendere un taxi: non doveva recuperare alcun bagaglio, dato che tutto ciò di cui aveva bisogno era contenuto nel suo capiente zaino, compreso il suo arco iper-leggero con annesse frecce e faretra progettati per sfuggire al controllo dei metal detector aeroportuali.
Rassegnato a rimanere fradicio, aspettò sotto la pioggia che un taxi si facesse vivo, scrutandosi attorno oltre la muraglia d'acqua per accertarsi di non essere seguito, come se fosse possibile.
Finalmente riuscì a ripararsi dentro un'auto gialla e, accompagnato dalla parlantina del tassista in un inglese stentato, si impegnò per tutta la durata del viaggio verso il Settore 16 della città a strizzarsi i vestiti grondanti e a sbirciare il palmare per riaccertarsi della sua missione e della sua area d'azione.
A quanto gli avevano inviato, c'era un monolocale libero nel Blocco E, probabilmente di proprietà della S.H.I.E.L.D., nel quale avrebbe alloggiato durante il suo breve soggiorno. Non osò pensare alle sue condizioni: vivere nelle favelas di Buenos Aires era stato alquanto scomodo, ma dopo la sua ultima esperienza in una città indiana sapeva che poteva essere molto peggio.
Aveva la netta impressione che quella missione si sarebbe rivelata un incubo.
 
 

***

 
 
Il trillo penetrante della sveglia gli trapanò un timpano, facendolo scattare a sedere all'istante, frastornato.
Mise a tacere quell'aggeggio infernale e guardò di sfuggita la finestra spalancata, convinto di scorgere le prime luci dell'alba, ma al loro posto colse il riflesso caotico di migliaia di luci e uno spicchio di cielo d'inchiostro schermato da lanterne colorate e gocce di pioggia. Erano le dieci di sera e, prevedibilmente, pioveva a dirotto. Sbadigliò, maledicendo il fuso orario e il suo orologio biologico che faceva le bizze. Nell'ultimo mese aveva fatto il giro del mondo almeno tre volte e si sentiva totalmente scombussolato, nonché privato di un centinaio di ore di sonno.
Il suo umore si risollevò al pensiero della missione che lo aspettava: forse valeva la pena farsi in quattro, data la posta in gioco.
Animato da una nuova vitalità, balzò giù dal letto e iniziò a indossare con cura la sua divisa, attento a stringere al massimo ogni singolo laccio ma facendo in modo di avere la massima libertà di movimento. Calzò gli anfibi da combattimento e strinse il pugno per verificare la presa dei guanti, che aderirono perfettamente alla sua mano.
Sentì la sua concentrazione e la tensione dei suoi muscoli salire ad ogni passaggio, mentre si calava completamente nel suo ruolo e cominciava a percepire il mondo attorno a sé non più come un ammasso di oggetti e persone, ma come ostacoli e bersagli, proprio come’era abituato a fare.
Strinse con mosse decise i paraginocchia e indossò lo smanicato, tirando la zip fino al collo e sentendosi molto più protetto ora che aveva un centimetro e mezzo di kevlar a proteggere il suo corpo. Assicurò anche una piccola semiautomatica nella fondina accando alla faretra, giusto per sicurezza. Buttò un occhio all'ora: le dieci e un quarto. Aveva tutto il tempo per sciogliersi un po'. Passò i successivi quindici minuti a fare stretching e allungamenti, sentendosi man mano più elastico e pronto all'azione. Infine impugnò fulmineo l'arco e lo aprì con un gesto secco e calcolato, già in posizione di tiro, una freccia immaginaria incoccata e pronta a scattare.
Soddisfatto, mise a tracolla la faretra high-tech e selezionò con mosse sicure le frecce tradizionali, dotate però di rampino.
Indossò gli occhiali a visione notturna e la stanza sembrò illuminata a giorno; saltò agile sul davanzale e scrutò il suolo gremito di folla più di venti metri sotto; il muro d'acqua rendeva difficile calcolare le distanze e mettere bene a fuoco, ma gli occhiali lo aiutavano almeno in parte.
Premette un piccolo pulsante sulla stanghetta e un reticolo virtuale si srotolò nel suo campo visivo, segnalando con precisione la natura e i dettagli di ogni singola cosa su cui spostasse la sua attenzione e ridefinendo i contorni degli edifici.
Sorrise appena: adorava le tecnologie Stark.
Saltò sul tetto opposto, ad appena due metri di distanza, e atterrò senza rumore, accovacciato. La pioggia batteva incessante sulle sue spalle, inzuppandogli i capelli, ma scivolava dai vestiti idrorepellenti. Lesse rapido le informazioni che scorrevano in un angolo, riguardanti il suo obbiettivo: doveva dirigersi verso la Banca Centrale, da dove Atal Avanindra sarebbe uscito a breve. Apprese così che era un uomo d'affari probabilmente in contatto col gruppo dei Dieci Anelli, a cui forniva armi e finanze. Seguiva un elenco interminabile di altri crimini e malefatte minori che si interruppero al calare della sua attenzione e furono sostituite dalle indicazioni per raggiungere la banca.
Un altro flusso di dati riguardanti la sua missione secondaria e le modalità per concluderla cominciò a scorrere in basso, ma Clint lo scacciò con un secco battito di palpebre, lasciando nella sua visuale esclusivamente l'indicatore che l'avrebbe guidato per i tetti di Delhi.
Scattò in una rapida corsa, attento a tenersi negli angoli più bui e meno in vista mentre saltava e scivolava da un tetto all'altro e soprattutto a non perdere l’equilibrio sull'infida patina bagnata dei cornicioni. L'acqua gli sferzava il viso e gli solleticava le braccia, ma mantenne la stessa andatura per tutto il percorso, accompagnato dal lieve sciacquio dei suoi anfibi nelle pozzanghere.
Giunse senza intoppi alla banca, leggermente ansimante per la corsa e zuppo fino al midollo. Si acquattò dietro un tubo su un tetto a poche decine di metri dalla terrazza-bar della banca, cinque o sei metri più in alto rispetto alla sua posizione.
Scrutò per qualche istante l'edificio di vetro lucido e immacolato che si affacciava su delle palazzine diroccate e, appena più in là, sulle baracche che erano la casa di quasi metà dei cittadini. Fece una smorfia: le cose non cambiavano molto anche andando all'altro capo del mondo.
Tornò a concentrarsi sull'edificio in sé, pizzicando appena la corda dell'arco per saggiarne la tensione. Si mise in posizione di tiro e incordò l'arco, strizzando appena un occhio. Scoccò la freccia, che a metà della sua parabola verso la terrazza di aprì in un rampino che si arpionò alla ringhiera, collegata da una robusta corda al suo arco. Clint si lanciò nel vuoto senza esitare dopo aver premuto il pulsante di trazione, che lo sollevò nell'aria mentre si dava la spinta verso il terrazzo.
Atterrò con un po' troppo slancio e piegò le ginocchia per attutire l'impatto, un'altra freccia già pronta a partire contro qualsiasi aggressore.
La zona era libera.
Si rialzò rapido e si affacciò sull'altro lato: l'uscita secondaria della banca all'undicesimo piano, quella che portava al parcheggio sopraelevato, era in piena vista, e le persone che entravano e uscivano erano perfettamente visibili, anche se molto piccoli. Gli bastò socchiudere le palpebre per ingrandire leggermente la visuale e distinguerli meglio.
Si preparò all'attesa, la mano destra che tamburellava sull'impugnatura dell'arco e la sinistra che rigirava una freccia normale tra le dita.
Trattenne il fiato quando finalmente, dopo quasi venti minuti d'attesa sotto la pioggia battente, Avanindra uscì dalla porta, segnalato da un cerchietto rosso sulla sua testa in parte coperta  da un ombrello.
Tolse gli occhiali, ora solo d'impiccio, e incoccò rapidissimo la freccia, già pronto a scagliarla precisamente nella testa del bersaglio. Era un tiratore infallibile e a quella distanza, poi, era impossibile sbagliare. Stava per lasciare la corda quando un movimento fulmineo accanto alla vittima lo distrasse per un istante. Immobilizzò la mano un istante prima di far partire il dardo e digrignò i denti, frustrato. Qualcuno si era frapposto tra lui e l’obbiettivo; possibile che proprio in quel...
Alzò appena un sopracciglio, piacevolmente sorpreso nel riconoscere anche da quella distanza la sagoma che adesso parlava concitata con la sua vittima, che però non sembrava realmente interessata alle sue argomentazioni e sembrava volerla scacciare via.
Senza perdere un istante, Clint premette un altro pulsante sull'arco, che si accartocciò velocemente fino a formare la base di una rudimentale ma precisissima balestra, in cui inserì un minuscolo dardo dalla punta più piccola di mezzo centimetro.
Non aveva tempo per prendere seriamente la mira, così catalizzò tutto se stesso nell'istinto quando fece partire l'arma, che perse l'asta a metà della sua traiettoria.
La punta del dardo si conficcò precisamente nel collo della ragazza, che scostò i capelli rosso scuro da quel punto come infastidita, ma non allarmata. Il dolore doveva essere stato come quello di una puntura d'insetto, e di insetti ce n'erano a milioni in India.
Staccò la stanghetta degli occhiali, rivelando un auricolare, e lo infilò nell'orecchio, riuscendo a sentire la conversazione che si stava svolgendo decine di metri più sotto con assoluta chiarezza, grazie al sistema GPS e al microfono inseriti nel dardo.
Ascoltò con estrema attenzione, a occhi chiusi, un sorriso appena accennato che si allargava sul suo volto.
I due si salutarono rapidamente dopo aver raggiunto un accordo, ognuno per la sua strada, e Clint seguì con lo sguardo la ragazza, segretamente compiaciuto.
Avanindra poteva ritenersi al sicuro... per ora.
Quel bersaglio era decisamente più interessante.

 

***

 
Natasha si sfregò stizzita i capelli, fradici e incollati alla fronte. Era a Delhi da appena due giorni e già la detestava.
Si passò sovrappensiero una mano sul collo, dove un altro maledetto insetto l'aveva punta, e seguì Avanindra che si avviava tranquillo verso il parcheggio. Era stato facile ingannarlo, e il fatto che fosse un verme incredibilmente attratto da ragazze molto più belle e giovani di lui aveva giocato a suo favore. Adesso doveva solo aspettare un paio d'ore, e poi ucciderlo prima che potesse posare le sue viscide mani su di lei.
Niente di più facile.
Uscì dalla banca a passo veloce, rinunciando a prendere un ombrello quando vide che si era alzato un forte vento: dopotutto era alloggiata a poca distanza da lì.
Si mischiò al fiume di gente che percorreva la strada in modo caotico e disordinato, sentendo un fastidioso prurito alla nuca, come se qualcuno la stesse osservando.
Si girò appena, ma dietro di lei c'era solo un'anziana coppia; rialzò di scatto lo sguardo, ma anche i tetti erano deserti.
S'incupì, perplessa, e rimase all'erta finchè non raggiunse il suo rifugio, ma non notò nulla di sospetto, così entrò nel palazzo un po' fatiscente decisamente più rilassata, diretta al piccolo appartamento al settimo piano.
La prima cosa che fece non appena entrata fu di tirare la tenda della finestra sulla strada dopo aver buttato un'occhiata sospettosa all'esterno. Riconfermata l'assenza di minacce si impose di rilassarsi e iniziò a prepararsi: dopotutto, aveva un appuntamento.

 

***

 
Clint fece una smorfia di disappunto quando vide che Natasha aveva chiuso la tenda della finestra, impedendogli di vedere all'interno. Rassegnato, attivò la visione termica e riprese a seguire i movimenti della donna.
Poteva ben sopportare due ore di attesa, anche con quel tempaccio, così si accucciò in una posizione comoda dalla quale poter tirare rapidamente con l'arco.
 
"Si ritorna a Budapest, agente Romanov."

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Note delle Autrici:

Siamo viveeeeeeeeeeeeeeeeeeeee! *Tono alla Frankestein, pronunciato Frankenstin XD*
Il momento cruciale si avvicina *^* Attendete fan-girl! Non rimarrete deluse... Speriamo :D *Hawkeye e Natasha si stringono forte, tremanti* 
Ringraziamo ___Nick, MissBarton90 e Rogue92 per aver recensito e chiunque abbia letto!
Al prossimo capitolo,
 
Sunset In The Darkness aka Light&MoonRay

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Capitolo 3
*** I was waiting for you, dumbass ***


Chapter 2
-
I was waiting for you, dumbass

 
 
Obiettivo: Avanindra Atal, uomo d’affari in contatto con i Dieci Anelli. Impiegato alla banca centrale di Delhi.
Accusato di pluriomicidio, traffico di droga, traffico di armi e finanze con gruppi terroristici,  favoreggiamento della prostituzione...  
Posizione: Delhi – Vicinanze Blocco E.
Obiettivo missione: Eliminazione.
 
Natasha fece scorrere rapidamente le informazioni sul palmare, assicurandosi di nuovo della sua missione. Era appena rientrata nell’appartamento dopo aver combinato l’incontro con Avanindra. Adesso doveva solo aspettare che si facesse vivo e sperare che non sorgessero complicazioni.
Uno scherzetto per lei. Facile e veloce. Entro il giorno dopo sarebbe stata assegnata ad un’altra missione.
Guardò distrattamente fuori dalla finestra: la pioggia continuava a cadere da almeno un’ora, formando una seconda cappa di umidità intorno a quella afosa città, ma alla fine un po’ di caldo era quello che le ci voleva dopo essere stata nella sua gelida Mosca.
Scacciò il pensiero della sua città natale dalle testa e rimase a fissare le piccole gocce di pioggia che continuavano a picchiettare sul vetro.
 


-Penso che oggi amerò il letto più di qualunque altra cosa...- biascicò Hawkeye poggiando la testa contro lo specchio dell’ascensore e bagnandolo con i capelli umidi.
 
Intravide le sue occhiaie sulla superficie lucida: ad ogni battito di ciglia rischiava di collassare addosso a Natasha che lo sostenava stancamente per il colletto della divisa. Le porte si aprirono con un “ding” speranzoso, e la prima idea di Barton fu quella di compiere uno scatto da velocista verso la stanza, ma il solo pensiero gli provocò delle stilettate di dolore alle gambe. Natasha gli diede un colpetto sulla spalla per riscuoterlo, e lui uscì dal suo cantuccio per seguirla trascinando i piedi mentre la seguiva per il breve corridoio mal illuminato.
Barton si riaccasciò sulla porta della loro stanza, nella quale entravano per la prima volta dal loro arrivo a Budapest. La donna lo prese di nuovo per il colletto della maglia impedendogli di schiantarsi a terra mentre apriva la porta.
 
-Clint, resisti almeno fino al...- Natasha si interruppe bruscamente nel vedere la stanza.
 
Barton non osò alzare lo sguardo.
 
-Nat, cosa c’è che non va nel letto?- mormorò disperato.
 
Sollevò finalmente lo sguardo: un brutto e vecchio letto matrimoniale.
Avevano davvero dato l’idea della “coppietta felice”?
Il receptionist si sarebbe ritrovato una freccia in un qualche luogo...
 
-Ah, capisco...- disse lui contrito.
 
Si voltò verso Natasha:
 
-Qual è il problema?- osservò varcando la soglia in stato catatonico.
 
Natasha richiuse la porta dietro di loro e prese a fissarlo con il suo sguardo freddo e minaccioso che avrebbe terrorizzato chiunque. Non lui.
 
-Io per terra non ci dormo.- disse deciso, guardando schifato la moquette consunta.
 
Natasha giocherellò tranquillamente con un coltello apparso fra le sue mani:
 
-Potremmo risolvere la cosa pacificamente.-
 
-Tutto ciò che vuoi: ma lasciami dormire.-
 
La donna sospirò, rinfoderando il coltello.
 
-Te lo concedo per la mia doccia.- annunciò accennando al letto, e iniziò a riporre meticolosamente le sue armi.
 
Hawkeye fu molto più diretto: gettò in un angolo arco e faretra, scalciò via gli anfibi mentre si toglieva la giacca ed in meno di tre secondi era in mutande e si era appropriato delle due splendide piazze del letto, sotto lo sguardo allibito di Natasha che aveva fatto appena in tempo a togliersi la cintura.
 
-Vai pure, poi ti raggiungo.- bofonchiò lui con la voce soffocata dal materasso.
 
Natasha alzò un sopracciglio e si avviò senza commentare al minuscolo bagno, seguita con la coda dell’occhio da Hawkeye finché non chiuse la porta dietro di lei.
Approfittò della sua assenza per sfilarsi anche i boxer e per spalmarsi felicemente sul letto fresco.
Soppesò le due opzioni che aveva di fronte: “doccia&Nat” o “letto&sonno”.
La prima era molto più invitante, concluse prima di crollare addormentato.
Non sapeva quanto tempo fosse passato, ma quando si risvegliò si ritrovò magicamente per terra, a pancia all’aria, nudo. E con Natasha che torreggiava su di lui, avvolta unicamente nell’asciugamano.
 
“Oh, no... stai buono, tu.” pensò irritato, lanciandosi un’occhiata “a sud”.
 
-Ti ho aspettato, idiota.- commentò risentita Natasha, prima di lasciar cadere con nonchalance l’asciugamano e sdraiarsi sul letto senza pudore, come sempre con lui,  coprendosi solo con il lenzuolo.
 
Hawkeye rimase perplesso per qualche secondo cercando di connettere quello che aveva appena visto –probabilmente le porte del Paradiso, nel suo stato attuale- con le sue possibili conseguenze... estremamente piacevoli, doveva ammettere.
 
“Letto&Nat.” quella combinazione gli piaceva.
 
Barton  si insinuò sotto le coperte, scivolando accanto a lei; fece scorrere una mano lungo il suo fianco e le baciò passionalmente il collo.
La donna si voltò verso di lui, cercando le sue labbra e facendo aderire il suo corpo al proprio.
 
“Budapest... meravigliosa Budapest.”


 
Si riscosse improvvisamente dai suoi pensieri quando un piccolo lampo nel cielo illuminò per un istante i tetti davanti a lei.
Doveva incominciare a prepararsi.
 
 

***

 
 
Bussarono alla porta. Tre colpi brevi, uno lungo, due brevi, come concordato: era Avanindra.
Natasha si raddrizzò all’istante a sedere sul letto, controllando contemporaneamente che il bracciale al polso sinistro fosse ben chiuso. Cercò a tentoni la pistola con il silenziatore nascosta dietro la testiera del letto per ogni evenienza: non si sarebbe fatta trovare impreparata.
Scivolò silenziosamente verso la porta e sbirciò dallo spioncino: il volto flaccido di Avanidra ricambiò il suo sguardo. Represse una smorfia disgustata: a volte le piaceva “giocare con la preda”, ma in quel caso decise che avrebbe semplicemente chiuso la questione nel modo più rapido possibile.
Schiuse la porta quel tanto che bastava per far entrare l’uomo, di certo non poco, e lo fissò con sufficienza, nascondendo il suo ribrezzo dietro la sua maschera glaciale.
Atal non si degnò neanche di rivolgerle la parola e prese immediatamente a sciogliersi la cravatta e a liberarsi della giacca.
Natasha si accigliò appena, degradando quel verme al livello più basso della catena alimentare.
Si adagiò con mosse lente sul letto, fissandolo languidamente.
Dentro di sé l’aveva già massacrato almeno dodici volte ed ucciso cinque. Quel lavoro sarebbe stato una vera soddisfazione, soprattutto se avesse anche solo osato sfiorarla. Poteva cominciare dalle mani...
Lui si portò davanti a lei con un sorrisetto per niente rassicurante e prese a slacciarsi la cintura, sfilandosela.
 
“Non credo proprio.” pensò schifata.
 
Prima che potesse fare altro gli tolse la cintura dalle mani e si alzò dal letto con fare suadente, legandogli la cintura sugli occhi e portandosi alle sue spalle, cercando di toccarlo il meno possibile e facendogli credere che quello fosse l’inizio di un qualche giochino erotico. Niente di più sbagliato.
Natasha sfoderò con un gesto fluido lo stiletto, mantenendo l’altra mano sulla spalla di Avanindra, come per stuzzicarlo, mentre in realtà lo teneva fermo per piantargli l’arma nel mezzo della schiena e per non farlo cadere in avanti. Rafforzò la presa sulla spalla e strinse i denti, sferrando un colpo preciso e letale in mezzo alle scapole.
L’uomo emise un respiro spezzato quando l’aria gli uscì di colpo dai polmoni, e rimase a braccia spalancate, con la testa inarcata all’indietro in un muto grido di dolore.
Natasha fece per sfilare il pugnale dal corpo, ma la punta rimase infissa in qualcosa di...
 
“Kevlar. Merda.”realizzò troppo tardi la donna, e i suoi sensi agirono prima della sua mente: si abbassò di colpo e rotolò all’indietro, schivando il fendente di Avanindra che, ben lontano dall’essere morto, aveva sguainato un coltellaccio e si era girato nel tentativo di colpirla.
 
Si tolse con rabbia la cintura dagli occhi, fissandola furioso.
Natasha lo fissò dal basso, in posizione difensiva, presa in contropiede ma determinata a portarsi in vantaggio su quell’avversario inaspettato. Probabilmente Atal aveva fiutato guai dietro quell’invito decisamente insolito e si era premunito. Non aveva ovviamente immaginato di dover affrontare uno dei migliori assassini del mondo, e di certo non era in grado di tenerle testa.
Avanindra caricò un colpo scagliandosi verso di lei, deciso ad ucciderla e cantando già vittoria.
Natasha scartò di lato evitando facilmente il colpo, gli afferrò la mano armata e gli torse il polso, spezzandoglielo; il coltello non era ancora caduto a terra che il laccio nascosto nel suo bracciale affondava già nel collo di Avanindra, strangolandolo.
L’uomo emise un rantolo strozzato in cerca d’aria, ma Natasha gli fece cedere le ginocchia con un colpo preciso e gli premette il volto contro la moquette per soffocare i suoi spasmi disperati. In mezzo minuto giaceva morto ai suoi piedi.
Ritrasse il laccio e rimase in ascolto per qualche istante, ma nessun rumore ruppe il monotono scroscio della pioggia.
Si alzò in fretta, in cerca del sacco nel quale avrebbe fatto sparire il cadavere: non doveva lasciare tracce, tanto più con il giro di agganci di cui disponeva Atal.
Aveva appena mosso un passo che qualcuno sfondò con violenza la porta, e un uomo sulla trentina fece irruzione nella stanza, con un revolver in mano e un cipiglio minaccioso.
Si bloccò sulla soglia, spaesato, l’arma puntata sul corpo inerme di Atal. Spostò lo sguardo da lui a Natasha, poi di nuovo a lui. La donna rimase in guardia, non capendo chi fosse l’obiettivo del sicario, ma con un brutto presentimento.
Il sicario esitò ancora un istante, poi si aprì in un ghigno trionfante e puntò il revolver contro di lei, che si rese conto troppo tardi di essere in una posizione svantaggiosa, non avendo alcuna arma da fuoco o da lancio a portata di mano.
Fece per buttarsi sul corpo di Avanindra per recuperare il pugnale, e sentì un fragore di vetri infranti. Si voltò interdetta, già pronta a scagliare la lama, ma vide il sicario barcollare in avanti, un fiotto di sangue che gli colava lungo il collo.
Natasha lanciò uno sguardo fulmineo al vetro della finestra con un foro e un reticolo di crepe che lo circondava. Sulla parete opposta era infissa una freccia grondante di sangue.
Rimase paralizzata sul posto, gli occhi ipnotizzati dal dardo metallico, cercando di fare ordine nei suoi pensieri.
Un secondo tintinnio di vetri a pochi attimi di distanza dal precedente la distrasse e la fece balzare in piedi, mentre una freccia si conficcava nell’occhio di Avanindra. Natasha fece appena in tempo a focalizzarla che il cadavere prese fuoco.
La donna lanciò un’ultima occhiata alla finestra traforata e schizzò verso l’uscita, mentre voci concitate si levavano dalla strada sottostante.
 
 

***

 
 
“Figli di puttana.”


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Note Delle Autrici:

Yes, we are back! Again...
Ok, finita l'ora d'inglese. Rieccoci con i nostri due "piccioncini" (lescrittricinonhannocapitouncazzosuquestacoppia coffcoff *brusio di sottofondo e sguardi contrariati dei suddetti*)
Botte e sangue. E tanto altro. Chi non ama i flashback? *sguardo ammiccante alla Hawkeye* [MoonRay sviene e Light le fa aria con sguardo perso]

Ah, piccolo avviso: non abbiamo la minima idea, e non siamo riuscite neanche a trovare informazioni su cosa sia successo esattamente a Budapest, così abbiamo inventato di sana pianta. Se qualcuno vuole illuminarci su questo punto, sia lodato dall'alto dei cieli *Wesker docet* perché moriamo dalla curiosità. Anche se la nostra versione non ci sembra così improbabile... o almeno in parte.

Un grande grazie a renney, ___Nick, KeepLove_Jeremy e Rogue92 che hanno recensito gli scorsi capitoli :) (Fan di Jenner, unitevi! *Light delira*)
Beh, vi lasciamo a questi amorini (rieccochenoncapisconouncazzo coffcoff *Hawkeye incocca freccia*)
Sayonara,

Sunset In The Darkness aka Moon&Light

P.S. Il rating è arancione per un motivo... xD

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Capitolo 4
*** Bad Rain ***


Chapter 3
-
Bad Rain

 
 
 


Hawkeye strinse la presa sull’arco mentre il riflesso delle fiamme filtrava attraverso la finestra. La tentazione di piantare una freccia in testa a quei bastardi era stata troppo forte.
Intravide Nat che si precipitava verso l’uscita e si mosse a sua volta, tenendo d’occhio il capannello di gente che si era accalcato davanti al portone della palazzina.
Si bloccò un istante, notando che erano armati, poi riprese a correre sotto la pioggia incessante, scendendo il più rapidamente possibile in strada e scivolando di nascosto verso il retro dell’edificio: doveva assolutamente intercettarla prima che si trovasse circondata dagli scagnozzi di Avanindra e dei suoi oppositori. Imprecò tra i denti.
Scavalcò una recinzione metallica, fiondandosi verso le scale antincendio, e vide un’ombra muoversi furtivamente nel vicolo.
Con uno scatto provò a raggiungerla, ma quella si sottrasse alla sua presa e gli sferrò a sorpresa un pugno sul naso.
 
-Ah! Porca puttana... ma sei matta?!- imprecò con voce ovattata, accasciandosi contro il muro mentre si teneva il naso sanguinante.
 
La donna si arrestò a metà di un secondo pugno, stupita.
 
-Clint?- tentò, cautamente.
 
-Merda, mi hai rotto il naso...-
 
Prima che potesse continuare, si sentì afferrare per il bavero e sbattere contro il muro senza tante cerimonie. Hawkeye frappose l'arco fra loro due per limitare la pressione sulla sua gola. Avrebbe potuto metterla a tappeto, ma era più preoccupato per il comitato di benvenuto là fuori che per un ipotetico pestaggio da parte di Nat.
 
-Che cazzo ci fai qui?- sibilò lei furente, a pochi centimetri dal suo volto.
 
-Provo a pararti il culo, brutta ingrata.- ringhiò allora di rimando lui, opponendo resistenza alla sua stretta e sentendo il sangue che continuava a scorrergli lungo il labbro; non era molto sorpreso dalla sua aggressività: la conosceva troppo bene per aspettarsi di essere accolto a braccia aperte.
 
-Chi ti manda?- stavolta Natasha gli strappò dal volto gli occhiali, fissandolo finalmente negli occhi e aumentando la pressione sulla trachea, tanto che gli strappò un respiro affannoso.
 
Hawkeye fece per rispondere a tono, ma poi si bloccò e spalancò appena gli occhi.
 
-Nat, lasciami ora.-
 
-Non chiamarmi “Nat” e rispondi alla mia fottuta...-
 
-Nat! ora!- riprese con più veemenza, ma lei non fece una piega e si limitò a spostare la sua testa e il corpo di Clint di qualche centimetro, schivando la coltellata dell’uomo dietro di lei.
La lama si piantò a un millimetro dal viso di Clint, dopo avergli tracciato una striscia vermiglia sullo zigomo.
L’aggressore si ritrovò presto con un pugnale nel collo, sfoderato con rabbia da Natasha.
 
“Ma che giornata di merda...”pensò Barton tastandosi il taglio sul volto, finalmente libero dalla stretta di Natasha e con lo sguardo fisso sulla dozzina di uomini che adesso sbarravano l’uscita del vicolo.
 
Sembravano decisi a farli fuori...
Non ebbe neanche bisogno di guardare Nat: incoccò tre frecce e le scagliò, impalando contemporaneamente tre uomini, mentre lei ne abbattè altri due con i coltelli a farfalla.
Clint incordò con ostentata lentezza un’altra freccia, e gli uomini indietreggiarono involontariamente di un passo; l’arciere non potè trattenere un sorrisetto compiaciuto, che si spense all’istante quando sentì le sirene della polizia in avvicinamento. Non potevano permettersi di scontrarsi con dei poliziotti.
 
-La prossima volta che vuoi “pararmi il culo” evita di portare la tua banda di amichetti.- commentò tra i denti Nat.
 
-Amichetti? Dico, ma li hai visti?- Hawkeye si girò risentito verso di lei, scagliando nel frattempo una freccia che si conficcò nello stomaco di un nemico che aveva appena sfoderato la pistola.
 
-Non voglio guai con la polizia: se scoprono l’intervento dello S.H.I.E.L.D. solleveranno un polverone.- lo ignorò Nat.
-Noi due risolveremo più tardi. Ora andiamocene.- tagliò corto, facendogli cenno di coprirla.
 
Clint si limitò ad annuire mentre le luci rosse e blu delle auto si riflettevano sui muri del vicolo. Nat scattò verso la recinzione metallica, scalandola agilmente, e in pochi secondi fu dall’altra parte.
Barton era impegnato a contenere la banda armata, adesso più numerosa di prima, che aveva iniziato a sparargli contro. Al contrario dei suoi, nessun colpo andò a segno.
Aveva abbastanza frecce per abbatterli tutti, e soppesò quell'idea un istante di troppo: una squadriglia di poliziotti fece irruzione nel vicolo, e molti componenti della banda mafiosa si diedero alla fuga, aprendogli un varco per fuggire ma esponendolo al tiro degli sbirri.
 
-Clint!- la voce di Nat lo raggiunse sopra il coro di urla e sirene e, dopo aver assestato l’ultimo dardo, iniziò a scalare la recinzione a tempo di record.
 
Una detonazione squarciò l’aria un istante prima che saltasse dall’altra parte, ed un dolore lancinante al fianco lo colpì.
Barcollò per un istante sul tubo metallico, ma riuscì a darsi la spinta per cadere dall’altra parte.
Rovinò a terra urtando il fianco ferito e trattenne un lamento tra i denti mentre si rialzava all’istante, un po’ sbilenco. Natasha lo spinse di nuovo in avanti, evitando che un proiettile trapassasse la testa. Fece per girarsi per controllare la situazione, ma Clint la afferrò per un braccio costringendola a voltarsi.
 
-Seguimi! Corri, cazzo, corri!- la incitò, rimettendosi in piedi più faticosamente di lei e zoppicando verso l’angolo del vicolo, finalmente fuori tiro.
 
Corsero il più velocemente e il più lontano possibile, finchè le sirene non furono solo un eco lontano dietro di loro.
Clint si accasciò contro un muro, ansimante. Erano arrivati nei pressi del suo appartamento, il primo luogo sicuro a cui era riuscito a pensare.
Natasha si fermò non sentendo più il rumore dei suoi passi e si voltò.
Hawkeye inspirò bruscamente, tentando di parlare, ma aveva la gola secca nonostante fosse bagnato fradicio e non ci riuscì. Si strinse il fianco e riuscì finalmente ad articolare parola:
 
-Sopra...- indicò con un gesto vago i tetti, –vai sopra.-
 
Nat lo raggiunse a passo marziale con la sua solita espressione fredda e lo aiutò a raddrizzarsi, facendolo appoggiare a forza a lei e notando con preoccupazione il pallore innaturale del suo volto striato di sangue. Lui cercò di sottrarsi, ma Natasha fece una lieve pressione sulla ferita e lo costrinse a camminare.
 
-Andiamo sopra. Idiota.-
 
 

***

 
 
Erano al sicuro. Per ora.
Clint tirò un sospiro di sollievo un po' stentato, stringendosi il fianco intriso di sangue.
Non era una ferita troppo profonda, visto che il proiettile lo aveva colpito di striscio, ma sanguinava abbondantemente e si sentiva girare la testa: doveva stendersi al più presto, e sperare che Nat fosse d'umore abbastanza buono per aiutarlo a curarsi. Ne dubitava.
Si era appena adagiato sul letto sfatto che si sentì afferrare per il retro della divisa e fu sbattuta di schiena a terra.
Ogni briciolo d'ossigeno rimastogli in corpo schizzò via dai suoi polmoni, lasciandolo a boccheggiare sul pavimento con la schiena inarcata e la ferita che sembrava aver preso fuoco.
Nat lo fissava dall'alto, più minacciosa che mai. Quella scena aveva un che di familiare, ma era abbastanza sicuro che le somiglianze si sarebbero fermate lì. Purtroppo.
Fece uno sforzo per tirarsi a sedere, ma Natasha lo inchiodò a terra, un pugnale premuto sulla sua giugulare.
 
-Te lo chiedo ancora: cosa ci fai qui?- scandì lentamente, gli occhi ridotti a due fessure.
 
Hawkeye sentì il suo peso che gravava sulla ferita e trattenne un grido strozzato.
 
-Te l'ho detto- ansimò, strizzando gli occhi per il dolore, -ero il tuo agente di supporto in incognito, dovevo...- la pressione della lama sulla sua gola troncò il resto della frase.
 
Una goccia di sangue stillò lungo il filo dell'arma e Clint si ritrasse istintivamente, ottenendo solo di essere schiacciato ancor di più contro il terreno.
 
-Non dire stronzate. Ho dato un'occhiata al tuo palmare. Che diavolo significa "Obiettivo: sorveglianza e/o eliminazione"?-
 
"Quando ha guardato il mio..."non terminò di formulare il pensiero che Natasha piantò di proposito un ginocchio sul suo fianco ferito, strappandogli un sussulto.
 
-Ti ho fatto una domanda.-
 
Clint sapeva che le doti di torturatrice della sua "compagna" erano tutt'altro che scarse, affinate in decenni di attività, e che volendo avrebbe potuto farlo soffrire come un cane per ore senza ucciderlo, ma sapeva anche che probabilmente avrebbe avuto qualche riserva nell'applicare su di lui quei metodi, così ricambiò la domanda con uno sguardo ostinato.
Fu sicuro di intravedere un sorrisetto divertito sulle labbra di Natasha, prima che gli togliesse il coltello dalla gola.
Respirò a fondo, ma prima che potesse rilassarsi sentì in un lampo di rosso la mano della donna che gli premeva con violenza sul fianco. Accecato dal dolore e dalla sorpresa, rispose con un calcio diretto al suo volto, che lei bloccò senza alcuna difficoltà; facendo leva con l'anfibio sulla sua mano, le sferrò un altro calcio con la gamba libera, costringendola a togliere la mano dalla ferita. Invece di colpirla al volto, piegò di colpo il ginocchio in una finta e la colpì allo sterno, sbalzandola all'indietro.
Cadde di schianto sulla schiena, ma riuscì a fare un keep piuttosto stentato e a balzare in piedi, appena in tempo per parare il pugno di Natasha diretto alla sua spalla.
Le intrappolò la mano nella sua e cercò di farle perdere contatto col terreno, ma quella si districò fluidamente dalla sua stretta e gli assestò una ginocchiata, ancora una volta sul fianco ferito. Nonostante il dolore, un fiotto di adrenalina gli permise di rimanere in piedi e di scambiare una rapida successione di attacchi corpo a corpo con Natasha. Era in netto svantaggio e se ne rendeva perfettamente conto: raramente riusciva ad avere la meglio su di lei in condizioni normali, figuriamoci ridotto in quello stato. Finse un cedimento e indietreggiò di un passo verso il muro, piegato in due. Come previso, lei tentò di intrappolarlo nell'angolo sferrandogli un calcio diretto alla testa, ma lui lo schivò e con una spazzata le fece perdere l'equilibrio.
Non le diede alcuna possibilità di rialzarsi: le balzò addosso e le inchiodò le braccia a terra, lottando per immobilizzarle anche le gambe; le puntò le ginocchia nello stomaco, togliendole il fiato, per poi spostarle sulle cosce e toglierle qualsiasi libertà di movimento.
Natasha si divincolò, ma lui non si mosse, stringendo i denti nel sentire la ferita che si allargava e gli inzuppava la giacca di sangue. Adesso il mondo aveva assunto una sfumatura grigiastra.
Spostò la presa ai polsi, passandola a una mano sola, e con quella libera le afferrò il viso, costringendola a guardarlo.
 
-Sono qui per tenerti d'occhio.- articolò, affannato e con la coscienza che fluttuava qua e là senza essere del tutto lucida.
 
Nat girò di scatto il volto, ma lui strinse la presa, impedendole di girarsi.
 
-Sei compromessa.-
 
A quelle parole lei spalancò gli occhi, presa del tutto di sorpresa.
 
-Lasciami. Cosa vuoi dire?- sibilò, facendo leva sul bacino per tentare di scrollarselo di dosso.
 
Hawkeye concentrò tutto il peso del suo corpo per tenerla ferma, mordendosi il labbro quando una stilettata gli punse il fianco.
 
-Neanche per sogno. E sai a cosa mi riferisco.-
 
Lei rimase in silenzio, gli occhi inespressivi come al solito.
 
In quel momento Clint ebbe l'impressione che la sua testa fosse impazzita e si fosse staccata dal corpo. Ebbe un violento capogiro e senza neanche rendersene conto gli cedettero le gambe e crollò di peso addosso a Natasha.
Lei ne approfittò all'istante, ribaltandolo di lato e facendo per metterlo KO, ma lui non fece il minimo tentativo di proteggersi o contrattaccare. Aveva gli occhi serrati e la mascella contratta, mentre si premeva d'istinto una mano sulla ferita cercando di arginare l'emorragia.
Natasha si portò al suo fianco e fece per girarlo sulla schiena, ma lui le bloccò il polso con un movimento fulmineo, alzando gli occhi nei quali brillava uno sguardo ostile velato dal dolore. La sua presa era debole, neanche lontanamente sufficiente a trattenerla: le bastò scrollare il braccio e la mano di Clint ricadde inerte mentre lo aiutava a mettersi supino. Stavolta non si ribellò, troppo impegnato a respirare lentamente per non farsi girare ancor di più la testa.
Socchiuse gli occhi rilassandosi per un istante e gli sembrò di cadere all’infinito.


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Note Delle Autrici:

Siamo imperdonabili, ce ne rendiamo conto. Questo capitolo era bello che pronto da circa... uhm, un po'. Da mesi... MESI! E noi pubblichiamo solo ora *arriva un vaso a tramortirle*
E niente, finalmente eccolo qui. E diciamo "finalmente" perché EFP si ribella al nostro volere divino (e forse alla schifezza qui sopra) non pubblicandoci i capitoli. Oh, gioia.
Alla fine, eccoci qui. Per vostra sfortuna!
Ringraziamo tanto Rogue92, KeepLove_Jeremy, Sherlock_Watson, renney e ___Nick che hanno recensito lo scorso capitolo e hanno aggiunto la storia alle seguite/preferite/ricordate :)
Thank you so much ;D
Ora ci fanculizziamo (isteria? è il caldo... =_=)

Sunset In The Darkness aka Moon&Light

P.S. Informiamo i gentili lettori che le sopra presenti figherrime *schivano vasi volanti* cambieranno il nickname in MoonLight___ perché fa figo. Epecchéssì. 
Bye bye <3

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