A love wishpered to the moon

di Thewarblers
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: The Diary ***
Capitolo 2: *** What's Perfection's name? ***
Capitolo 3: *** Hate ***
Capitolo 4: *** His name ***
Capitolo 5: *** My Autumn ***
Capitolo 6: *** Voices ***
Capitolo 7: *** Fire ***



Capitolo 1
*** Prologo: The Diary ***


 
“Sarebbe questo il posto dove dovremmo passare il dopo ballo?” chiese Hannah osservando quella che si poteva definire una catapecchia a ridosso di una piccola collina.
“Esatto!” esclamò Cameron soddisfatto “E’ abbandonata, nessuno che ci disturberà, e poi è lì dove io e i ragazzi nascondiamo l’alcool”
La ragazza buttò un ultimo sguardo infastidito alla casa davanti a lei. Una volta doveva essere possente ed abitata da gente ricca, data la grandezza e i contorni eleganti che si stavano sgretolando come il legno chiaro che la ricopriva.
Salì le scale che portavano all’entrata tenendosi il vestito da sera con una mano, cercando di non farlo rovinare seguendo i suoi amici che chiacchieravano riguardo al fumo che si erano procurati. Non era stata la serata perfetta che si era sempre immaginata fosse il suo ultimo ballo al liceo.
Lasciata dal suo cavaliere pochi minuti prima di essere eletti re e reginetta, punch non corretto e musica schifosa. Per fortuna i suoi migliori amici avevano architettato quella che avevano chiamato “Vodka night”, e anche se era in una vecchia casa abbandonata, sempre meglio di niente.
 
Entrarono in quello che si poteva definire un ampio salotto. Le torce che avevano portato illuminavano la stanza, scoprendo tappeti di polvere che ricoprivano il pavimento. L’arredamento era semplice, ma si vedeva che dietro c’era una grande cura dei dettagli, data dalle tende pregiate e i quadri appesi al muro.
Nonostante l’ambiente risultasse privo di qualsiasi interesse, Hannah non potè non osservare le fotografie in bianco e nero che predominavano i mobili antichi.
Si soffermò su un dipinto enorme che raffigurava una famiglia sorridente. Evidentemente quella che aveva abitato la casa tanti anni prima.
“Direi che ci possiamo sistemare qui” affermò Cameron sedendosi sul tappeto grande e polveroso.
“Pronti con le birre?” chiese impaziente Bryan mentre da un mobile tirava fuori delle bottiglie
Ne passò una a ognuno di loro e Hannah la prese riluttante. Non amava molto bere, sapeva che dopo si sarebbe sentita male ma si sedette anche lei sul tappeto accettando una sigaretta.
Osservò per un po’ i suoi amici. Alyssa stava bevendo del liquido trasparente preso da chissà dove. Stephen il suo ragazzo la incitava a prenderne altro. Cameron stava baciando la sua ragazza, Kimberly. Bryan era sdraiato sulle cosce di Sammi fumando una canna, mentre lei gli accarezzava i capelli. E Jordan stava letteralmente per scopare Paige sul divano.
“Io vado a fare un giro” disse, sicura che nessuno la stesse ascoltando prendendo una torcia.
Uscì dal salone e si ritrovò in un corridoio stretto e lungo con molte porte. Le pareti erano costellate di fotografie e dipinti. Alla fine il corridoio svoltava sulla destra e dove c’era una grande porta chiusa. Spinta dalla curiosità l’ aprì facendo forza sulle braccia per quanto fosse pesante, e con uno scricchiolio si ritrovò in una stanza enorme, quasi il doppio del salotto.
Al centro dominava un pianoforte a coda bellissimo. Si avvicinò cautamente come per paura che svanisse e accarezzò i tasti di avorio. Non ne uscì nessun suono.
Si guardò intorno. Librerie di legno scuro circondavano quella meraviglia e facevano compagnia a delle poltrone in pelle sistemate davanti un grande camino. Sopra di esso si trovava un altro dipinto, raffigurante un ragazzo riccio intento a suonare il pianoforte. Si perse ad osservare l’espressione tranquilla che aveva, gli occhi chiusi e il sorriso sulle labbra. Era il ragazzo del dipinto del salotto e doveva avere più o meno la sua età.
Non potè non pensare con tutta se stessa che fosse bellissimo.
Si avvicinò alla libreria più vicina scorrendo con le mani sui libri impolverati. Riconobbe autori che aveva studiato a scuola come Benjamin Franklin, Brackenridge, Hawthorne, Dickinson, Shakespeare e Emily Bronte. Scrittori italiani e nomi in tedesco che non sapeva leggere. Dovevano essere dei lettori appassionati dato che l’intera stanza era ricoperta di volumi di diversa grandezza.
Ne prese uno che segnava scritto “L’antologia di Spoon River” e lo aprì. Cominciò a leggere le prime righe sedendosi su una delle grandi poltrone, illuminata dai raggi della luna che flebile accarezzava il suo volto attraverso la grande finestra. Sfogliò la seconda pagina e un fogliettino cadde per terra e fini sotto la poltrona. Hannah si piegò per prenderlo quando con la mano sfiorò qualcosa di liscio e fine che somigliava tanto a un filo. La curiosità la travolse e si abbassò del tutto sdraiandosi per terra. Una cordicella bianca, quasi invisibile pendeva ciondolando pigramente. La guardò per un momento e poi tirò. Quasi si spaventò quando con un tonfo un libro di pelle rossa cadde da.. sotto la poltrona? Evidentemente c’era una specie di doppio fondo.
Prese il volume accarezzandone la pelle smunta dal tempo, era liscia e morbida.
Con una mano levò la polvere che si era depositata sopra. Un’incisione color oro segnava un nome Blaine Anderson.
Aprì lentamente la prima pagina, rimettendosi comoda tra i cuscini soffici e lesse:
 
Lima,Ohio. 17 Ottobre 1940”

 

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Capitolo 2
*** What's Perfection's name? ***


NdA:Vorrei precisare alcune cose così che la lettura possa essere più facile. Prima di tutto il Blaine della mia storia ha diciassette anni, è di una famiglia abbastanza ricca molto cattolica e ha studiato in casa. Sono importanti queste precisazioni perché lo stile di scrittura che uso è molto antiquato anche per gli anni ’40. Ma (sì c’è un ma) Blaine scrive così perché è stato educato da vecchi insegnanti bigotti che parlano come se fossero usciti da un romanzo della Bronte. E poi perché mi piace pensare che il nostro Blaine sia un bravo ragazzo che parli come altri tempi.
Enjoy!!
 
 


Lima, Ohio. 17 Ottobre 1940                                                       


Mi sento strano, confuso. Come se stessi commettendo un errore gravissimo.
Sporco, logoro. Mi sento sbagliato dentro, fino alle ossa. Ma non è stata una cosa che ho potuto decidere, semplicemente è accaduta. 
Ero in chiesa come ogni Domenica con la mia famiglia, seduti ai nostri posti privati proprio vicino alla croce, quando mi sono girato e l’ho vista. La creatura più meravigliosa mai conosciuta. 
La sua bellezza mi ha ammutolito, non credevo potesse esistere qualcuno capace di incantarti. 
La pelle bianca come la porcellana più pregiata, gli occhi azzurri, grandi distese d’acqua. 
I capelli chiari, germogli di grano che brillano al sole. 
La sue labbra, morbide curve eleganti. 
Sedeva nella fila accanto a poca distanza da me, tenendo le mani sul grembo e recitando a memoria il rosario del giorno, con un sorriso un po’ distorto. Fosse un ghigno? 
Ho osservato il suo intero per tutta la funzione. Non riuscivo a togliere lo sguardo da quella figura. I miei occhi finalmente si beano della bellezza. Ma non mi è permessa una cosa simile. Non mi è permesso sentire lo stomaco chiudersi in una morsa d’acciaio. Non mi è permesso voler urlare la sua meraviglia. Semplicemente il mio cuore non ha permesso di battere così velocemente. Il peccato che trasuda dai miei pensieri è segno di abominio. La vergogna che provo nel sentirmi sperare alcune cose non è degna nemmeno del più vile degli uomini. Non è mai successa una cosa simile. Non è mai accaduto che mi permettessi di voler desiderare una persona così ardentemente. Di volerla stringere tra le braccia e baciare quella rosa che è la sua bocca. Ma cosa più spregevole: verso un ragazzo. Mi sento profanato da me stesso. Cosa mi prende? Spero che la notte possa purificarmi. 
 
 

                                                                                                                                                                                                                                                             Lima, Ohio. 18 Ottobre1940                                                       


E’ notte fonda, i segreti nell’inchiostro di questa penna sono visibili solo alla luna silenziosa. Lei custodirà i miei pensieri.
Non posso far conoscere agli altri quello che ho nei meandri della mente, cosa penserebbero di me? Deluderei la mia famiglia. Il loro primogenito che pensa a un ragazzo. Mio padre mi caccerebbe di casa, se non peggio. Oggi è venuto come al solito Frate Gregory a farmi lezione. Studio in casa, mio padre dice che così non sono tentato dal peccato come i miei coetanei. Ma a me non piace studiare con il Frate è un vecchio bacucco che crede che la salvezza dell’anima sia nelle mani di Dio. E anche se questa è la fede custodita nella Bibbia, credo che uno si possa salvare solo con le proprie forze.
Una volta gli ho chiesto se invece di credere in Dio non sarebbe meglio affidarmi alle mie consapevolezze. Si è messo a urlare ed’è scappato via dicendo che mai nessuno lo ebbe offeso così tanto. Mio padre si infuriò moltissimo, dicendo che avevo disonorato il povero vecchio. Ma credo che invece si sia sentito disonorato lui. Mi ha ordinato di andargli a chiedere scusa e confessare i miei peccati. Ma non ebbi molto da dire, io non sono un peccatore. 

Mentii.
Il Frate Gregory ha sempre qualcosa da dire su di me da quel giorno. Oggi ad esempio mi ha fatto una ramanzina perché alla mia età non ho ancora una ragazza come promessa sposa “Eppure tuo padre conosce molte brave famiglie con belle fanciulle” ha detto, infatti gli ho comunicato che sarebbero venuti a cena il signor Febray e consorte, con la loro figlia. Si è tranquillizzato e mi ha sorriso.
Io non capisco. Sono quasi tre sere che vengono a cena da noi. La signora Febray mi fa un sacco di complimenti dicendomi che sono un bravo ragazzo, molto bello ed educato. E sarei sicuramente un buon marito. E lo stesso fa mia madre con la loro figlia, Quinn, lodandole la bravura con il filatoio. E’ vero è bella e molto educata forse anche intelligente ma non mi interessa. Non mi è mai interessata e adesso ancor di meno. Nessuna ragazza prima presentatami mi ha mai interessato.
I loro occhi non sono come quelli del ragazzo di ieri. Il loro portamento non è elegante come il suo.
Le loro labbra non sono come la primavera, fresche e rosee. Come invece sono quelle del misterioso fanciullo a cui non sono in grado di dare un nome. 

Ma avrà mai nome la perfezione?
 


Hannah smise di leggere. Cercò di immedesimarsi in Blaine, che doveva essere molto confuso. Nonstante lei vivesse nel 2012 l’omosessualità era ancora pregiudicata, lei lo sapeva bene. Suo fratello era Gay, e solo Dio sa quante volte sia stato sbattuto contro gli armadietti. Ma nel 1940 a diciassette anni (Hannah suppose l’età dalle foto) doveva essere impossibile capire, o semplicemente accettarsi. Anche perché in quell’epoca tutto gridava abominio riguardo l’amare un altro uomo se anche tu lo eri. La storia la incuriosiva molto, voleva sapere il nome dello splendido ragazzo descritto.
Prese un respiro e girò pagina.                                                                                

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Capitolo 3
*** Hate ***


Lima, Ohio. 22 Ottobre 1940
 
Non posso più negarlo. Non faccio altro che pensarci, a lui. Non faccio altro che alzarmi la mattina e sperare di vederlo. Al mercato, in piazza, alla posta, dal fabbro. Ma non succede. E non credo sia normale provare tristezza per una cosa del genere. Perchè non ho niente a che vedere con quel ragazzo. Non ho nessun legame e non dovrei nemmeno sperare di averlo. E’ sbagliato.
C’è una così tale confusione in me, che davvero, non riesco a pensare. E’ come se tutto quello cui credevo  fosse stabile e normale nella mia vita, mi avesse girato le spalle, avesse corso via veloce da me impedendomi di seguirla. Lasciando posto a mille dubbi, mille quesiti a cui non so dare una risposta.
Ho solo bisogno di qualcuno da amare forse? E mi butto sul primo che capita? Ma maledizione! Perché proprio a me? E’ colpa sua. Non ho mai visto nessuno più bello e intrigante. Magari non l’avessi mai visto!. Sarebbe tutto più semplice. Sarebbe più consono.
Non lo conosco, eppure mi tormenta i pensieri, mi impedisce di stare tranquillo.
Cosa posso fare? Non lo so.
E non posso dirlo a nessuno. Perché nessuno capirebbe. Non lo capisco nemmeno io. E’ una cosa solo mia, di certo troppo grande per poterla contenere, per questo ne sto parlando qui. Questo diario terrà nascosto questa.. cosa,  forse per sempre. Da quando però l’ho visto, sono cambiato. Non fisicamente. Ma dentro, c’è una sorta di crudele disgusto che scorre nelle vene. Si infrange come un’onda e mi travolge. Provare attrazione per un ragazzo. Che storia è mai questa! E mi accorgo che non faccio altro che chiudermi in me stesso. Cercando di convincermi che è solo un momento passeggero. Un errore dovuto al fatto che sono giovane e che voglio capire questi sentimenti che stanno nascendo. E non riesco nemmeno più a guardare il mio riflesso nello specchio, mi sento sporco al pensiero che quello che vedo nei miei occhi è l’ombra di qualcosa di nuovo che sta nascendo in me. E la cosa mi terrorizza.
 
Due giorni fa è venuto il medico a casa, si è messo a parlare con i miei genitori, e si sono chiusi nella loro camera. Sono stati chiusi per ben due ore. E così nei giorni successivi. Mi incuriosiscono queste visite, ma non sono affar mio. Stamattina mia madre non è venuta con noi dalla famiglia Febray per il pranzo, è andata a casa della nonna e del nonno, a Westerville. E la cosa mi ha stupito dato che non ci rechiamo lì da quattro anni.
Le ho chiesto il perché, ma non mi ha risposto.

Tornati a casa dopo pranzo mi sono chiuso nella Biblioteca dove ci sta il pianoforte a coda. Sono rimasto lì fino all’ora di cena. Sfiorare i tasti d’avorio mi rilassa, il suono che produce non mi fa pensare.. cosa che ho fatto troppo ultimamente. La musica è il mio diversivo. L’esca delle preoccupazioni che mi affollano la testa. Prendono voce con lei, e si sfogano. Compongo anche. E’ un bell’esercizio per mantenere l’orecchio allenato, come dice il mio professore, il signor Shuster. Ma se devo ammetterlo, mi serve anche per esprimere me stesso. Quando sono preoccupato o ho solo bisogno di schiarirmi le idee, compongo. Ci sono mille segreti nascosti tra le note, non se ne accorge mai nessuno. Solo l’autore conosce ogni singola storia di uno spartito. E’ una cosa meravigliosa. Essere a conoscenza di qualcosa che nessun’altro può comprendere. Ti fa sentire speciale.
Sono stanco, vado a dormire.
 
 
 
Lima, Ohio. 23 Ottobre 1940
 
Stamane mi sono svegliato con una strana sensazione. Una sensazione che rassomigliava vagamente all’impazienza. A lungo ho cercato di comprenderne il motivo, fino a quando non mi sono reso conto che era talmente ovvio che mi sfuggiva. E’ per via di domani. E’ domenica, c’è la messa.
C’è lui.
E nonostante io non possa fare altro che sperare che la notte passi il più in fretta possibile, una strana preoccupazione non mi abbandona. Forse se domani lo rivedo, capisco che è stato solo un attimo di debolezza. Perché deve essere stato così. Un semplice errore dovuto alla poca luce che filtrava dalla finestra. Magari basterà sbattere le ciglia per accorgermi che non esiste nessun ragazzo dalle sembianze divine a pochi passi da me. E non avrebbe avuto senso tutto questo affannarsi. Mi farò una bella risata e ricomincerò a respirare. Ma è inutile prendersi in giro. Sono talmente in ansia, che rabbrividisco.



NdA questo capitolo è così corto che mi vergogno di me stessa. Comunque, bando alle ciance.. è un capitolo di passaggio. Non estramente importante. Era per sottolineare l'estrema disorientatezza (?) che Blaine ha. Insomma, la sua intera vita è stata sconmbussalata. Si sente attratto da un ragazzo, e lui è stato educato col fatto che non è normale.
Devo dire che il mio migliore amico mi ha aiutato molto con questo capitolo. L'ho un po' costretto a ripensare quando ha scoperto di essere attratto dai ragazzi, e mi ha detto che si sentiva quasi schifato da se stesso. Confuso e sbagliato. Ma alla fine dopo molte domande, ha capito di essere orgoglioso di quello che è. E lo sono anche io, Porcellana <3
Nel prossimo capitolo si entrerà nel fulcro della storia. Spero solo che dopo questo vorrete ancora leggerla *piange disperata* . 
Che dite, nel prossimo capitolo Blaine rivedrà questo misterioso ragazzo?

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Capitolo 4
*** His name ***


Lima, Ohio. 24 Ottobre 1940
 
 
L’ansia mi consumava corrodendomi le ossa fino a farle diventare come polvere. L’agitazione faceva battere velocemente il mio cuore, come dei cavalli al galoppo. Oggi avrei avuto le mie risposte. Con passo lento e calibrato mi diressi verso i nostri soliti posti, osservando attentamente le persone che si affrettavano ad accomodarsi per la funzione. C’erano volti stanchi, volti anziani, volti sorridenti, volti annoiati. Ma non il suo. Lui non era lì.
Rimasi quasi spaventato dall’idea che non si presentasse, rendendo tutto meno reale e più simile a brutto incubo. Avendo passato la settimana precedente a crogiolarmi nella disperazione, se davvero ci fosse qualcosa di sbagliato in me, che sia per un valido motivo. Il prete cominciò a parlare di quanto Gesù fosse vicino a nostri cuori, di come vedesse la purezza in essi e ti sollevasse dai dubbi. Sorrisi beffardo al fatto che lui evidentemente non sapesse nemmeno metà delle cose che il mio cuore custodisce. Se fosse così, mi ritroverei irremovibilmente già tra le fiamme ardenti dell’ Inferno. Il tempo passò e la rassegnazione prese posto alla tristezza e ben presto mi ritrovai ad ascoltare, senza veramente farlo, il sermone sulla purezza di spirito. Dopo quasi due ore la messa finì, e con gli occhi spenti mi diressi all’uscita. Ormai sconfitto e deluso dal Destino.
Ma ci fu un bagliore, un qualcosa che non seppi spiegare che mi fece voltare e il respiro mi si spezzò nei polmoni. Potevo sentire l’aria cambiare odore al suo passaggio, potei ammirare come la luce riflettesse nei suoi occhi, impallidendo. Occhi troppo luminosi anche per il sole. Rimasi semplicemente lì, sulla soglia. Improvvisamente nessuno aveva importanza, niente sembrava esistere, se non Lui. Repressi la tentazione di avvicinarmi, di chiedere il suo nome, di piangere per quanto fosse bello. Ma mi avrebbe preso per un folle. Cosa che evidentemente sono, perché non riuscii a togliere lo sguardo dalla sua figura. L'assenza di difetti che contemplai fin dal primo momento che lo vidi, fu come una nuova ondata di sensazioni mai provate prima. Mi colpì come uno schiaffo, e non trovai nulla di orribile in quello che vidi. Lo osservai come si diresse verso il piccolo cancello, insieme agli altri fedeli che tornavano a casa. I movimenti fluidi e precisi dei suoi fianchi, le gambe lunghe e snelle mi fecero girare la testa per un momento che parve inesistente. Tutto in lui sembrava gridare "perfezione". All’improvviso il ragazzo meraviglioso si girò, non so come, non so perché, non so quando. So solo che i suoi occhi ghiaccio si scontrarono con i miei. Tutto intorno parve immobile. Ci fissammo per un secondo. Imbarazzato abbassò gli occhi, e poi sparì dalla mia vista. E non lo vidi più.
 
Tornato a casa, non pranzai nemmeno. Saziato completamente da quella visione. Chiusi gli occhi, scoprendo che ricordavo esattamente come i suoi fianchi si muovevano gentili. Un calore nuovo si insinuò nel mio stomaco, al pensiero di come sarebbe stato sfiorare il suo corpo con le mani.
La cosa che feci subito dopo, mi sconvolge ancora adesso.
Mi vergogno ancora al pensiero di quello che provai una volta finito. Mi hanno sempre insegnato che il toccarsi va trattato con distanza e avversione. Non si fa, è peccato. Oltraggiare il proprio corpo solo per darsi piacere è spregevole. Ma non potevo fare altrimenti, la mia mente continua a essere invasa da quella pelle candida, da quel viso angelico e da quel corpo perfetto.
Non lo nascondo più, sono irreparabilmente attratto da quel fanciullo.
 
 
Lima, Ohio. 25 Ottobre 1940
 
Questa mattina mi svegliai completamente sudato, con le mani che pizzicavano e un pulsare al linguine. Non ci misi molto a capire il motivo. La notte precedente fu agitata e imbarazzante. Il ragazzo senza nome fu ospite di sogni proibiti e alquanto espliciti. Non fu difficile continuare quello che scoprii era la cosa che il mio corpo bramava di più. Dovetti solo fare attenzione a non farmi sentire e pulire le lenzuola. Verso le undici tornò il medico a casa nostra, i miei genitori mi chiesero cortesemente di andare al mercato a comprare della legna per il fuoco. Rimasi stupito un momento. Potevano benissimo andarci i collaboratori domestici, ma mio padre mi fece capire da un eloquente occhiata che voleva rimanere solo a casa con la mamma e il medico. Dato che mia sorella era a lezione di cucito dalla suora, mi diressi verso la piazza da solo. Mi beai dell’aria fresca di Ottobre che mi pizzicò bonariamente il viso per tutto il tragitto verso la bottega del falegname, dove comprai due casse di legna.
Evidentemente mi sottovalutai troppo perché una volta uscito dal negozio e giunto al centro della piazza inciampai contro qualcosa e mi cadde tutto per terra. Imprecando verso nessuno in particolare non mi accorsi che qualcun altro mi stava aiutando.
Delle mani pallide e lisce mi porsero dei ciocchi rotolati più in la.
Due occhi come il cielo d’estate mi guardarono curiosi.
La bocca delicata e rosea era curvata in un sorriso divertito.
Era Lui.
Ero sconvolto. Averlo così vicino mi paralizzò il sangue.
Ma la cosa che mi scioccò di più, fu la sua voce. Più volte avevo immaginato il suo tono ma dovetti ricredermi presto. Una voce cristallina, pura e fresca mi invase l’udito.
Se gli angeli potessero parlare avrebbero la sua voce.
Fu anche quello un secondo, un attimo di stordimento in cui mi chiese se stessi bene. Non feci in tempo a rispondere che un uomo lo chiamò. Mi sorrise di nuovo e se ne andò.
Rimasi lì, consapevole di una cosa fondamentale. Sapevo chi era, sapevo il suo nome.
Kurt.
Si chiama Kurt.

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Capitolo 5
*** My Autumn ***


Lima, Ohio. 28 Ottobre 1940
 
Spesso gli uomini si domandano cosa voglia dire essere felici. E non sempre hanno una risposta, anche se essa è sotto i loro occhi. E quando finalmente si accorgono di averla allora si spaventano, perché basta loro un piccolo gesto, una parola, una situazione sbagliata e la felicità scompare, lasciando posto alla tristezza e, a volte, alla rabbia. Ma per me la felicità è sempre presente. Anche sotto ai più cupi dei sentimenti non se ne va mai. E basta esattamente un piccolo gesto, una parola, una situazione sbagliata a farla emergere. Ed’è così che mi sento. Felice. Sapere finalmente il suo nome ha reso le mie giornate più vive. Sembrerà una cosa stupida, inutile, ma per me significa molto. Perché adesso la mia felicità non ha solo un volto, una voce e un corpo, ha anche un nome. Kurt. Ed’è il nome più giusto che abbia mai avuto il piacere di apprendere. Ma nonostante le cose adesso, per me, sembrino più semplici c’è sempre qualcosa che le rende più difficili. Ed’è proprio Kurt ad essere il fulcro dei problemi. Perché non posso. Non posso dire a nessuno che il mio cuore batte per lui. Non posso dire al mondo che sono attratto in modo incontenibile verso un ragazzo. Non oso immaginare cosa accadrebbe. Ed’è una cosa che mi fa infuriare molto. Ma nonostante tutto riesco a trovare in questo buio che mi sto portando dietro uno sprazzo di luce, ed’è esattamente Kurt ad esserla. La mia luce.
 
Oggi è stata una giornata decisamente.. noiosa. Il mio professore privato, Frate Gregory, ha promosso un nuovo metodo di studio, approvato solo da lui e dalla dottrina chiusa di mio padre. Non mi fa più aprire i libri di letteratura, accuratamente nascosti sotto al mio letto, ma passa le ore a farmi leggere la Bibbia con dovizia e costanza. Lodandone i contenuti come se fosse solo quella l’unica fonte di informazione che debbo ricevere. Non lo sopporto. Mi sento soffocare da tutti questi insegnamenti bigotti e medievali. L’unica cosa che condivido è il messaggio di amore e lealtà che Gesù insegna agli uomini. Vivere in pace con se stessi porta inevitabilmente a un approccio sereno con gli altri, che bisogno c’è di pecca minare il resto? Se una passione è troppo travolgente da attenuare, o da contenere (come nel mio caso) è necessario proprio designarla come abominio? L’amore è così difficile da trovare, perché giudicare chi lo fa come preferisce?
Inoltre sono un po’ preoccupato del fatto che il medico non fa altro che andare e venire da casa nostra. Sta ore rinchiuso con i miei genitori e poi se ne va, senza salutare, senza una spiegazione, senza un perché. Ma non sono affari miei, come più di una volta mi è stato precisato alle mie insistenti domande.
 
 
Lima, Ohio. 29 Ottobre 1940
 
Certo che l’Autunno è proprio un periodo triste. L’estate sfuma di tutti i suoi colori allegri per tramutare nei più tristi dei colori: il marrone degli alberi spogli e il verde morto delle foglie che cadono. Almeno l’Inverno ha il candido colore delle neve, l’allegria frizzantina che precede il Natale e i sorrisi placidi delle persone dinanzi al focolare. Invece l’Autunno è solitudine, il vento spazza via anche il più bello dei fiori, lasciando a lui la forza e la volontà di rinascere. Ma nonostante tutto è il miglior momento per comporre, per fare musica. Questa mancanza di.. non so.. calore, si riversa nelle note permettendo di scaldarsi con il suono soave del piano. Per questo mister Shuster è più motivato e anche più stressante. Mi incita ad andare oltre ciò che ci sta fuori dalle finestre per trovare dentro di me il vero Autunno. Quello fatto di foglie che danzano, invece di crollare al suolo. Di venti impetuosi, come archi sui violini. Di pelle come il nevischio che verrà, di occhi azzurri come il cielo che sarà coperto dalla pioggia, di labbra rosse come le fragole più ambite. Di bellezza e perfezione. Di Kurt.
 
Ho suonato veramente tanto. Ci ho messo passione, cose non dette e segreti. E devo dire che il professor Shue lo ha apprezzato molto. Mi ha anche detto di presentarmi domani a casa sua, per delle lezioni extra di canto. Non sarò da solo, ma con qualcuno che non conosco. E se mi trovo bene, sono il benvenuto. L’ho trovato molto strano come invito, dato che ha sempre sostenuto che la mia voce calda e profonda poco si accosta con le altre. Ma vedremo, mi fido di quell’uomo. E’ molto saggio.
 
 
Ad Hannah tremavano le mani. I sentimenti di questo ragazzo erano come una cascata. Affascinante, incantevole. Pericolosa. C’era un’innocenza così pura nelle parole che usava, che avrebbe sconvolto chiunque. Non si era mai sentita così inerme e quasi egoista in vita sua. Quel ragazzo apprezzava la semplicità, e questa cosa la spaventava. Perché lei era sempre alla ricerca delle cose più sofisticate e maestose, non si accontentava mai e voleva sempre di più. Ancora non lo sapeva ma Blaine gli stava insegnando ad apprezzare anche la più insignificante goccia di pioggia.

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Capitolo 6
*** Voices ***


Lima, Ohio. 30 Ottobre 1940

“Quando tutto ti sembra perduto e pensi di non aver più vita in te, suona Blaine. La musica farà battere il tuo cuore.” Mio nonno mi ripeteva sempre queste parole quando mi vedeva giù di morale. Mi ha sempre sostenuto, e ci è sempre stato per me, a differenza di mio padre.
Quando ero piccolo prima di andare a letto, io e il nonno ci chiudevamo nella grande biblioteca. Lui si sedeva sulla poltrona, mi metteva sulle sue ginocchia e iniziava a raccontarmi delle storie. Parlavano tutte di un bellissimo ragazzo che aveva conosciuto quando faceva il militare. Aveva gli occhi come il carbone, mi diceva, così neri che ci potevi vedere le stelle. Si conobbero all’accademia pochi mesi prima di partire per la guerra. Era il suo migliore amico, il suo braccio destro. Ogni volta che ne parlava aveva uno strano sguardo, sembrava triste ma felice allo stesso tempo. Mi disse che era la seconda persona più importante al mondo, dopo sua figlia. Mia madre.
Mi confidò che ebbero condiviso molte cose. Cose troppo personali da potermele raccontare. E ogni volta che gli chiedevo se lo sentisse ancora mi rispondeva che non sapeva dove fosse, e i suoi occhi si facevano più grandi e lucidi. Mi fece promettere di non raccontare a nessuno del suo amico, era il nostro segreto. E io mi sentivo importante di poter conoscere qualcosa di quell’uomo, che tutti adoravano, sconosciuta al resto del mondo. Ma un giorno, quando avevo più o meno 13 anni, mio padre entrò in biblioteca tutto arrabbiato. Mi disse di andarmene in camera e si mise a urlare contro il nonno di non raccontarmi più di quel tizio, che potevo diventare strano anche io. Non capii molto il perché iniziarono a litigare, ma da quel giorno non vidi più mio nonno. E non ebbi mai il permesso di andarlo a trovare. Mi mandava regali ad ogni compleanno e festività, di nascosto. Ma mio padre scoprì pure quello e non ci sentimmo più.
Nonostante chiesi a mia madre di  portarmi a casa sua senza di nascosto, mi ordinava di dare retta a mio padre, lasciandomi a casa, mentre lei andava a trovare il suo.
So solo che è vivo, e che abita in una casa a Westerville vicino alla sua vecchia scuola privata, la Dalton. E’ l’unico genitore dei miei che conosco. Da quel che mi hanno raccontato la nonna materna morì di parto e i genitori di mio padre a causa della guerra.

Mi manca molto il nonno. Fu il mio primo insegnante di pianoforte. Forse è per questo che continuo a studiarlo, per sentirlo un po’ più vicino. La musica è come sangue che scorre nelle vene; il suono del piano il battito del cuore. Ma mai prima di oggi la percepii sul serio. Mai prima di oggi ne compresi il suo potente significato. La musica crea legami forti e potenti impossibili da spezzare. La musica è dolce amore.
Ed’era proprio una melodia dolcissima quella che risuonava in casa del signor Shue quando mi recai da lui per queste lezioni straordinarie. Un suono così leggero echeggiava per il corridoio; intensificandosi quando mi avvicinai alla stanza degli strumenti. Ma non fu il suono di essi che mi tolse il respiro.
Fu una voce.
Che mi fece ricordare tutte le cose più belle al mondo. Come i fiori. Se i fiori potessero avere una voce, sicuramente sarebbe quella. Era acuta ma dolce, leggera ma potente. Era puro cristallo. Mi bloccai con le mani sulla maniglia quando sentii emettere con grande facilità una nota altissima, impossibile da raggiungere. La curiosità ebbe la meglio e con il cuore che batteva forte aprii la porta. Un ragazzo mi dava le spalle ma potevo vedere il signor Shuster suonare il piano e sorridere. Quando mi vide smise e mi salutò. Colui che poco prima ebbe raggiunto il fa naturale si voltò. E due enormi occhi azzurri mi fissarono stupiti.
 
A quel punto credo di essere morto e risorto più di una volta. Perchè il mio cuore si fermò, per poi battere ancora più forte di prima. Non ci potevo credere, non poteva essere. Ma dovevo aspettarmelo. Una voce così… non ho nemmeno le parole per descrivere la sua straordinarietà, non poteva appartenere a nessuno se non all’essere più perfetto mai nato sulla terra.
Kurt.
Non so quando ripresi a respirare, forse dopo che il signor Shuster mi scosse per un braccio, leggermente preoccupato dal mio sguardo fisso e vuoto. Mi sentii uno stupido, mi sento ancora stupido. Ma lui era lì, LUI ERA DAVANTI A ME. LUI E’ REALE! Sono così felice che mi viene da piangere. Forse lo sto già facendo. Dovrei smettere, rischio di bagnare le pagine del diario. Il professore ci presentò. Conoscevo già il suo nome. Evitai di specificarlo.
Superato lo shock iniziale balbettai uno stupido e timido “ciao”. Kurt mi guardò ancora con quell’espressione di prima, le sue guancie si tinsero di un rosa che spiccava sulla sua pelle diafana, prima di sussurrare anche lui un saluto. Ci stringemmo la mano e sentii la faccia bruciare leggermente. La sua pelle era soffice e delicata. Era nuvola. Strinsi quella mano più del dovuto beandomi del calore che quel ragazzo emanava. Dopo di che Shue ci spiegò perché eravamo entrambi lì, e per tutta la lezione non ci guardammo ne parlammo più. Non provammo subito la canzone che ci aveva proposto quel giorno, ma provammo ad armonizzare le nostre voci. E ad essere sincero si univamo perfettamente. La mia voce calda e la sua cristallina si fondevano splendidamente. Sole e ghiaccio.
 
La lezione finì  dopo più di un’oretta, troppo poco tempo. Il professore e sua moglie, una giovane donna dai capelli rosso fuoco, ci accompagnarono alla porta e ci salutarono. Quando fummo entrambi fuori di casa finalmente ci guardammo di nuovo. Lui mi guardò con i suoi occhi azzurri e disse che andava verso sinistra. Rimasi deluso, io andavo totalmente dall’altra parte. Mi salutò cortesemente chiamandomi per nome. Per una volta “Blaine” assunse un tono idilliaco. Lo osservai andarsene verso casa. Se la prima volta che lo vidi lo ritenni perfetto, questo era la conferma. Il cuore prese a sfondare il mio torace.
E’ così bello da far male.




NdA: Eccomi! Sono tornata, scusate il ritardo ma ho avuto qualche problema. Dovevo aggiornare Domenica, ma non ci sono riuscita.
Spero che vi sia piaciuto il modo in cui si conoscono, diciamo, definitivimante. Scusate il pezzo sul nonno, ma sarà un personaggio molto importante (Ed'è anche uno dei miei preferiti.) 
Prossimo capitolo: Halloween! 
Fatemi sapere con un commento. Per il momento rinbrazio tutti quelli che hanno recensito e inserito la storia tra le preferite e le seguite. Mi strappate sempre un sorriso. Grazie :)
_Connie

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Capitolo 7
*** Fire ***


NdA: prima di iniziare a leggere, volevo scusarmi. Scusarmi se sono stata quasi tre mesi senza scrivere, senza farmi sentire o dare segni di vita. Ma sono successe molte cose. Mi sono innamorata, sono stata ricambiata (almeno credevo) e come prassi il mio cuore è stato spezzato.
Esattamente la viglia di Natale. 
Ho smesso di scrivere perchè non aveva senso "sfogarmi", diciamo, dato tutto era perfetto.. Avevo trovato il mio "Blaine". L'altra parte di me.
Ora che non c'è più, mi è presa voglia di raccontare di nuovo della Klaine.
Di riprendere questa storia piena d'amore e di dolcezza. Se la perdo io, non vuol dire che non posso farla vivere a voi, no?
Buona Lettura :)




Lima, Ohio. 1 Novembre 1940

 
“La notte delle streghe” la chiamano. La notte in cui tutti i tuoi incubi peggiori possono affiorare e venire  a cercarti, per torturarti, prenderti e trascinarti con loro nel buio più pesto. Ma come posso chiamare “buio” ciò che per me è la luce più accecante, come posso pretendere di essere portato nell’inferno quando cammino nel Paradiso?

Ieri mattina sono stato svegliato da delle voci che cantavano a capella nella mia camera. Dopo aver collegato il cervello, ed essermi reso conto che non stavo sognando, una volta aperto gli occhi mi ritrovai davanti i miei vecchi amici della Dalton, la scuola che frequentavo prima. Praticamente tutti i miei antenati di sesso maschile sono andati alla Dalton, fu un lutto allontanarsene ma era ritenuta da mio padre “troppo tentatrice”.
In ogni caso, rivedere dopo quasi due anni Wes, Nick, Jeff, Flint, Sebastian e Thad, i miei migliori amici, mi riempì di gioia come mai. Avevano addosso le solite divise Blu e rosse e solo dopo mi accorsi che Thad ne teneva una in mano; l’armadio era aperto: la mia divisa. Non mi ci volle nessun convincimento per indossarla, sono nato per quell’uniforme.
 
Iniziarono a raccontarmi, quasi facendo a gara, gli avvenimenti degli ultimi anni.
Furono all’incirca tre ore di notizie assurde, tre ore nelle quali non smisi un attimo di ridere e ricordare con quanta felicità percorrevo i loro stessi corridoi, scenari di mille avventure con i Warblers.
Mi resi conto, quasi sorprendendomi, di quanto mi mancavano. Non solo loro, ma tutto l’ambiente. Mi sentivo vivo, protetto, al sicuro. Mi sentivo a casa.
La mattina scorse così in fretta, che quasi mi venne voglia di piangere quando mi dissero che dovevano rientrare ai dormitori per pranzo. A quanto pare le misure di sicurezza si erano ristrette per colpa di David, un altro membro del coro, scoperto a infilare caramelle nelle tubature per far “piovere canditi”.
 
Il pomeriggio passò anonimo, lessi qualche libro nella speranza che arrivasse la sera, per scendere in piazza e assistere ai festeggiamenti.
 
La piazza brulicava di persone. Aspettavano tutti il grande falò annuale per questa ricorrenza. Ognuno di noi doveva prendere un rametto benedetto dal parroco e gettarlo nel fuoco, come se il male potesse estirparsi solo con una semplice fiamma.
La mezzanotte scoccò, e il primo ramoscello di sempreverde fu scagliato con rabbia da qualcuno, ingenuamente convinto che adesso la sua vita sarebbe stata purificata dai brutti dispiaceri.
Al primo scoppiettio la folla si aprì un boato e iniziò ad applaudire, agitandosi tutti per poter passare avanti. Nel tumulto, qualcuno mi spintonò e caddi avanti e mi aggrappai alla prima persona che mi ritrovai di fronte.
 
Una mano, bianca quasi quanto il vestito che il proprietario indossava, mi afferrò, salvandomi dall’impatto con il terreno.
Alzai lo sguardo, pronto a ringraziare.
Le parole mi morirono in bocca.
Il cuore si fermò. Il respiro si bloccò. Il mio cervello iniziò ad elaborare.
“Stai bene, Blaine?” dolci parole soffiate sul mio viso.
Kurt.
Non so in quel momento cosa mi passasse per la testa, perché restai per ben dieci secondi perso nel suo sguardo. Contrasto con il cielo nero. Erano trasparenti. Limpidi e puri. Se gli occhi sono davvero lo specchio dell’anima, quel ragazzo era fatto di aria. Una boccata di sana aria.
 
Ripresi a respirare.
 
Lo ringraziai e mi scusai. “Davvero, non volevo”, ma se cadere significava impattarsi con un angelo, sarei caduto ancora mille volte.
Avrei voluto dire di più, qualcosa come “Ti cerco ogni giorno nella speranza di incontrarti” oppure che aveva stravolto la mia vita senza che nemmeno sapessi il suo colore preferito. Silenziai.
Mi accorsi che mi stava salutando. Qualcuno, forse suo padre lo stava chiamando: era il suo turno.
Poi parlò, un’ultima frase prima di congedarsi del tutto.
 
Poco prima che toccasse a me, mi resi conto che non aveva senso. Non aveva senso gettare un ramo personificazione del male, quando quest’ultimonon esisteva. Non per me, non quel giorno, non in quel momento. Un angelo mi aveva appena salvato, della cenere non avrebbe potuto farlo.
Diedi il mio ramoscello ad un bambino che piangeva perché aveva perso il suo.
Tornai a casa con le parole di Kurt nelle orecchie.
“Ci vediamo presto”
Sorrisi.
Sperai.
Credetti.

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