Eyes

di ChiaKairi
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1. A boy from the sea ***
Capitolo 2: *** 2. Today, take me with you ***
Capitolo 3: *** 3. Prurito ***
Capitolo 4: *** 4.Azzurro ***
Capitolo 5: *** 5. Revelations ***
Capitolo 6: *** 6. Blond Twins ***
Capitolo 7: *** 7. Dimostrazioni ***
Capitolo 8: *** 8. Undisclosed Desires ***
Capitolo 9: *** 9. A new me ***
Capitolo 10: *** 10. Perceptions ***
Capitolo 11: *** 11. Showdown ***
Capitolo 12: *** 12. Lost in you ***
Capitolo 13: *** 13. Eden ***
Capitolo 14: *** 14. Il Primo Fratello ***
Capitolo 15: *** 15. Into his mind ***
Capitolo 16: *** 16.Cose presenti, cose passate, cose future ***



Capitolo 1
*** 1. A boy from the sea ***






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  1. A Boy from the sea.
Corri.
Niente cuffie nelle orecchie oggi, solo tu e il fruscio delle onde.
Corri.
La sabbia è morbida sotto le scarpe, ci si affonda. Si fa più fatica ma non fa niente, passo dopo passo si proseguirà.
Corri, lo senti il vento? Ormai il sole non ti brucia più le spalle e la schiena, puoi correre in libertà.
Corri. Sarà la brezza a sostenerti. Tieni gli occhi chiusi ancora un po’. Il mare è calmo, le onde vanno e vengono lente, molto più lente dei battiti del tuo cuore, ma entrambi i ritmi sono regolari. Se ti concentri, li sincronizzi.
Dei gabbiani in alto. Non ti far distrarre.
Corri. Corri.
Una gamba dopo l’altra. Il corpo ormai va da solo, libera la mente. È così piacevole… C’è silenzio, la gente è lontana, i rumori sono lontani.
Riapri gli occhi ora. Sbatti le palpebre. È buio. Quando è diventato così buio? Il sole ormai è sprofondato nell’oceano da ore. Le uniche luci che si riflettono sull’acqua sono quelle delle stelle, e di una falce di luna sospesa in mezzo a lievi nuvole sottili. Scoppi di risa, bambini che giocano.
È tutto lontano, non ti interessa. Tu corri, corri e basta.
La giornata è stata pesante. Il sole ha bruciato. Era pieno di gente ovunque, cose da fare… Ora il sudore e il sale si sono asciugati. Ora l’aria è fresca e la spiaggia deserta. Ombrelloni chiusi, niente schiamazzi. C’è solo qualche pescatore su degli scogli neri in lontananza, se guardi verso le luci del molo. Una solitaria nave al largo. Gabbiani. Sciabordare della marea. Fruscii fra le palme.
Corri, una corsa regolare.
Finalmente.

Indossava ancora la canottiera rossa con scritto in lettere bianche ‘life guard-salvataggio’. Era l’unico lavoro che si era riuscito a procurare e gli andava più che bene. Passate le scottature dei primi giorni, non c’erano stati ulteriori intoppi, solo spiagge, ombrelloni da aprire e chiudere, sdraio da piazzare e mare da guardare. C’era poi da intrattenere i clienti, in particolare bambini, vecchiette e ragazzine.
Soprattutto ragazzine.
Non che gli dispiacesse. Il fatto è che erano davvero troppe. Lo guardavano continuamente, le più audaci tentavano di farselo amico e invitarlo fuori o a fare una nuotata, gli riserbavano sferzate di capelli e ampi sorrisi. Certe erano davvero belle.
Lui sorrideva a tutti, a volte accettava, altre declinava gentilmente. Doveva lavorare, il capo se la sarebbe presa con lui se lo vedeva bighellonare.
Le ragazze erano interessanti e le loro attenzioni lo lusingavano.
Le vecchiette erano formidabili. Erano molto più dirette e civettuole delle più giovani, lo facevano morire dalle risate. Gli davano pacche sulle spalle abbronzate, dicendo “ah, così un bel ragazzo, se solo avessi qualche anno di meno!”
“Non si preoccupi signora, lei è perfetta così com’è.” rispondeva lui, sempre con il sorriso sulle labbra.
Tutto sommato, la giornata passava velocemente.
Appariva come un ragazzo gentile e luminoso. I bambini gli chiedevano consigli e gli gironzolavano attorno, un po’ come le ragazze e le vecchiette.
La realtà, era che a Minho non importava molto. Parlava poco, non cercava mai nessuno, erano gli altri a venire da lui. Viveva solo in un piccolo appartamento vicino alla spiaggia. Non raccontava mai niente di sé a tutte quelle persone con cui aveva a che fare ogni giorno. Il suo vero io, la sua vera personalità, la conoscevano in pochi. Solo uno, in realtà.
Minho era anche quel ragazzo gentile e sorridente che conoscevano tutti. Ma di certo non era solo quello.
Preferiva la solitudine. Dopo una giornata passata tra il rumore e a luce, finiva per avere estremamente bisogno di stare con se stesso, magari nel silenzio.
Gli piaceva la musica, rock principalmente. A volte, a fine giornata, si infilava le cuffie e le scarpe da ginnastica e andava a correre. Ormai conosceva i posti meno frequentati, sapeva dove andare per stare da solo. Girovagava tra le viuzze più antiche della città. Evitava il centro, i negozi, le discoteche, i ristoranti sulla spiaggia. Prendeva una stradina tra un gruppo di scogli ed andava verso il mare, tra le file di ombrelloni chiusi, inosservato.
Quella era la parte della giornata che preferiva.
Era un ragazzo sano, fortunatamente, e allo sforzo fisico era abituato. Non era mai andato in palestra, ma il suo corpo era comunque tonico e allenato, slanciato e potente. Fin da piccolo amava correre, arrampicarsi, nuotare.
E così Minho correva lungo la spiaggia notturna, un semplice pasto nello stomaco e le ali ai piedi. Non era nemmeno passato in casa a prendere l’Ipod. Era stanco, accaldato, e voleva solo ritrovare la sua pace.
O avrebbe ricominciato a pensare. Ed era meglio di no.
Canticchiò fra sé e sé e alzò il capo verso il cielo pieno di stelle. La brezza sulla nuca era davvero piacevole. Aveva intenzione di proseguire ancora per un po’, mantenendo quell’andatura regolare e tranquilla, la più rilassante. Cominciava a sudare, ma ancora non si sentiva stanco.
Non si sarebbe fermato, se non avesse sentito quel rumore.
Un rumore che stonava con il fruscio delle palme e con il bubbolio sommesso delle onde sulla riva. Troppo vicino perché potesse provenire dalla città.
Minho aprì gli occhi e si guardò intorno, incuriosito. Rallentò un po’, non capì. Continuando a guardarsi intorno, riprese la sua corsa.
Forse era stato un gabbiano che frugava tra i sassi e la sabbia, sì eccolo lì.
Mentre aguzzava la vista, una strana macchia scura sulla riva però, attirò la sua attenzione. Era qualche metro più avanti, non riusciva a vedere bene. Le onde lente la bagnavano a intervalli regolari.
Il gabbiano volò via e la macchia si mosse, impercettibilmente, ma abbastanza perché Minho riuscisse a vederne meglio i contorni, nella penombra sotto la luna.
“Cosa…” mormorò nel buio. Il suo cervello ci mise qualche secondo a capire, ma appena lo fece, Minho inchiodò sul posto, spalancò i grandi occhi castani e poi si gettò in avanti.
 
Minho corse veloce come un gatto, balzando fra i cumoli di sabbia e pietre.
“Yah! Yah, mi senti?” gridò mentre si avvicinava. Con uno scivolone si piegò sulle ginocchia per esaminare il corpo che giaceva sulla riva, a pancia in giù.
Era esile e minuto, i capelli biondi che brillavano alla luce della fioca della luna. Indossava solo dei pantaloncini strappati e lisi, inzuppati di acqua di mare. Minho chiamò ancora, ma non ricevendo nessuna risposta, afferrò il corpo per le ascelle e lo portò più su, dove l’acqua non poteva più raggiungerli.
Era un bambino.
“Che ti è successo, dannazione…” sussurrò digrignando i denti mentre tentava di girarlo, in modo da poterlo guardare in viso.
E il corpo si mosse ancora. Delle mani gelide si aggrapparono ai suoi avambracci, lasciandolo sbigottito. Poi il bambino alzò il capo, e un’infinità di emozioni e pensieri attraversarono Minho in quell’unico secondo in cui i loro sguardi si incrociarono.
Inizialmente considerò l’ipotesi che fosse una femmina, perché a prima vista i suoi lineamenti e il suo viso gli apparvero troppo dolci e delicati per essere quelli di un maschio. Poi però riconsiderò il suo corpo, e le sue forme gli confermarono che doveva per forza trattarsi di un ragazzo.
Aprì la bocca per parlare, ma l’inquietudine lo sommerse: il bambino tremava violentemente, e aveva un’espressione feroce, quasi furente che gli storpiava il viso. I capelli zuppi gli si erano incollati alla fronte e gli gocciolavano sul volto.
Avrebbe voluto chiedergli se stava bene ma nessun suono uscì dalle sue labbra quando vide gli occhi del bambino. Questi, prima di un semplice nocciola chiaro, con un guizzo che illuminò la notte scura, divennero per un solo istante, color ghiaccio.
 E Minho gelò. Gelò fino al midollo, avvertì una fitta acuta in un punto indefinito del suo cervello, come se un pungiglione gli si fosse conficcato in profondità. Chiuse gli occhi ed emise un gemito strozzato, ritraendosi dalla presa del bambino. Cadde all’indietro sui sassi, ma non appena il contatto visivo con quegli occhi di ghiaccio si annullò, anche la puntura svanì, in un lampo, come se non fosse mai esistita.
Sbalordito, il ragazzo riaprì gli occhi con cautela, la bocca ancora spalancata in un gesto di stupore.
Il bambino biondo aveva lasciato ricadere il capo in avanti, mentre, dopo essersi messo carponi, tentava di alzarsi. Era evidente che la forza delle sue gambe e delle sue braccia non gli sarebbe bastata, quindi Minho si gettò verso di lui, d’istinto, per sostenerlo.
Senza mai alzare lo sguardo, il bambino si aggrappò nuovamente alle sue braccia. Minho gli guardò le mani. aveva dita lunghe e sottilissime, segnate da solchi profondi nella pelle, come se fosse stato in acqua per ore. Stavano per diventargli viola.
“Dio, che ti è successo?” riuscì finalmente ad esclamare. Il bambino continuò a tremare in maniera incontrollabile, solo un respiro affannoso e rantoli uscirono dalle sue labbra.
“Dove sono i tuoi, dove abiti? Come sei finito qui?” il ragazzino biondo alzò di nuovo lo sguardo e Minho ebbe l’istinto di ritrarsi di nuovo, ma i suoi occhi erano… normali. Scuri.
In pochi secondi, le palpebre del bambino si richiusero pesantemente e Minho sentì il peso del suo corpo tra le braccia.
Era svenuto. Minho lo sorresse, mentre si accovacciava sulla sabbia. Gli serviva un momento per riprendere fiato.
Si guardò attorno, in cerca di altre persone o di una borsa o… qualsiasi cosa che potesse dargli informazioni sul ragazzo. Non c’era nulla.
“Non è piovuto dal cielo”, sussurrò tra sé e sé. Allora guardò il mare. Non c’era stato nessun naufragio nelle vicinanze, ne era sicuro.
Assurdo.
Tornò a concentrarsi sul bambino. Lo teneva tra le braccia, il busto appoggiato sulle sue ginocchia. Osservandolo meglio, spalancò nuovamente gli occhi quando si rese conto di aver commesso un errore.
Non era affatto un bambino. Era giovane, molto, di sicuro più di lui, ma era comunque un ragazzo. Era troppo alto, i tratti troppo ben definiti, l’espressione troppo seria per essere un bambino.
Ora aveva il capo che penzolava all’indietro. Minho gli scostò una ciocca bionda dal viso e poggiò due dita sul suo collo per sentire le pulsazioni.
Regolari.
Forse era arrivato in tempo. Doveva assolutamente asciugarlo e portarlo al caldo.
Pensò di chiamare un’ambulanza e si tastò nelle tasche dei pantaloncini che indossava sopra al costume. Non aveva nulla con sé, a parte le chiavi di casa. Portarlo all’ospedale più vicino a piedi sarebbe stato troppo scomodo e non aveva i soldi per un taxi.
Stupido,si disse. Lui e la sua solita smania di isolarsi, gli stava bene. Imprecò e strinse la presa sul giovane. Il ragazzo non si mosse mentre lui si alzava e correva via, il ragazzino in braccio, seguendo le sue stesse orme sulla sabbia ma ripercorrendo la strada all’indietro molto più velocemente che all’andata.
Per fortuna è magro, pensò mentre poggiava i piedi con cautela sugli scogli scivolosi per uscire dalla spiaggia. Tornato in strada, si tuffò nelle viuzze del paese ignorando gli sguardi incuriositi di alcuni ragazzi mezzi ubriachi, finché non giunse al portoncino del suo palazzetto. Aveva i muscoli in fiamme e il fiato grosso.
Lottò per trovare le chiavi di casa nelle tasche dei pantaloni senza far cadere il ragazzo, poi, dopo esserselo issato nuovamente in spalla, aprì la porta con una spinta e finalmente entrò nel piccolo appartamento. Boccheggiando, adagiò il giovane sul divanetto del salotto. Accese tutte le luci e chiuse la porta.
Corse nella sua camera da letto e spalancò l’armadio, buttando per aria alcuni vestiti e scatoloni. Ne estrasse una coperta pesante, e tornò in salotto. La gettò sul ragazzino, avvolgendolo come meglio poteva, e iniziò a strofinargli le braccia e il busto. Continuò per parecchi minuti fino a quando i tremiti che lo scuotevano iniziarono a diminuire. A quel punto, ascoltando nuovamente le pulsazioni e il suo respiro farsi più regolare, si rilassò. Faceva abbastanza caldo in casa, non ci avrebbe messo molto a riscaldarsi. Le sue dita stavano già cominciando a tornare normali, anche se le sue labbra avevano ancora un colorito bluastro.
Quando l’aveva visto lì sulla riva aveva pensato al peggio, ma era ancora vivo. Era soltanto stato in acqua un po’ troppo. Sì, doveva essere così.
Si sedette al bordo del divano e si passò una mano fra i capelli madidi di sudore.
“Oddio.” Esalò.
E adesso?
Senza mai smettere di sfregare il ragazzo, si allungò verso il tavolino al centro della piccola stanza e afferrò il suo zaino. Ne estrasse un cellulare e lo accese. Impaziente, non appena prese la linea, scelse un numero tra la lista e chiamò.
Squillava.
Minho ringhiò quando dall’altra parte si attardavano a rispondere.
“E dai…”
“Ma ti ha dato di volta il cervello? Che cazzo fai, sei impazzito?”
“E’ un’emergenza.”
“Sono le due di notte Minho! Cazzo! ”
Già le due. Oops.
“Posso dormire almeno quelle poche notti in cui non devo lavorare?”
“Hai sentito che ti ho detto?”
“Non m’interessa! Tu sei pazzo, questa poi… l’ho sempre detto che…”
“Jonghyun, mi ascolti? Ti ho detto che è un’emergenza!”
Kim Jonghyun, era sempre stato così. Impulsivo, rumoroso, egocentrico. Una testa calda. Ma era il migliore amico di Minho, e forse l’unica persona al mondo che lo capiva veramente. E in assoluto l’unico di cui Minho si fidava.
Il ragazzo dall’altra parte della cornetta non ribatté e Minho proseguì.
“Ero a correre, ho trovato un ragazzino disteso sulla spiaggia… ancora non ci credo.”
“Prendeva il sole di notte?”
“No, non fare l’idiota per favore… è svenuto, non sono riuscito a capire da dove venisse. Sembra che sia stato in acqua parecchio.”
“Sei in ospedale?” chiese Jonghyun, la voce che si faceva meno impastata. Cominciava a svegliarsi.
“No… l’ho portato a casa mia.” Minho scoccò uno sguardo al ragazzo addormentato sul divano. “Non sembra così grave e…”
“Non avevi dietro la borsa.”
Già.
“Tu sei fuori.”
“Non so che fare. Secondo me sta già meglio ma… che faccio, aspetto che si sveglia?”
“Hai guardato se è ferito?”
Minho si diede un pugno sulla fronte. Con tutte quelle coperte non si era fermato a guardarlo per bene. Anche se non gli era sembrato che sanguinasse o robe simili, era meglio controllare. Lo scoprì per un attimo e sbirciò sotto le coperte.
Aveva qualche graffio e alcuni lividi ma si accertò che fossero superficiali. Avrebbe anche dovuto mettergli addosso qualcosa di pulito, quei pantaloncini erano ridotti male.
“Qualche graffio, non è niente.” Disse tenendo il telefono con la spalla.
“Choi Minho. Sei inaffidabile.”
“Kim Jonghyun, non è che tu sia il massimo riguardo ad affidabilità.” Un risolino.
“Yah! Lascialo riposare ancora un po’, quando vedi che si è ripreso fagli un bagno caldo. Si sveglierà e il mistero sarà risolto.”
“Ok.” Minho sospirò. “Spero non si arrabbi quando si sveglia.”
“Perché dovrebbe?” Minho si schiarì la voce, a disagio. Sì infatti, perché aveva come… timore del ragazzino? Era una cosa stupida.
“Niente, mi era sembrato arrabbiato ma era buio, non lo so.”
“Appena sai qualcosa, chiamami. Vengo domani mattina presto.”
“Grazie.”
“Bye.”  Jonghyun riattaccò.
Minho si ritrovò di nuovo solo. Anche se…
 Non del tutto.
C’era uno strano ragazzino biondo avvolto in una coperta nel bel mezzo di agosto che dormiva sul suo divano.
“Ottimo.”
Come se non avesse avuto già abbastanza problemi.

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Ok, finalmente ho compiuto il grande passo! Postato primo capitolo XD
Che dire, grazie a Rory per la sua collaborazione e il suo incoraggiamento.

A inizio capitolo una foto dal mare e il nostro bel protagonista :)
Che l'avventura abbia inizio!
Loove...
Chiara

 

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Capitolo 2
*** 2. Today, take me with you ***



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2. Today, take me with you


Attese qualche ora, ma il ragazzo non si mosse. Lo scoprì di minuto in minuto, mano a mano che la sua pelle riprendeva colore. Minho al solo pensiero di essere avvolto in quelle coperte con il caldo che faceva si sentiva soffocare. Gironzolò per casa inquieto, sentendosi impotente. Avere un estraneo addormentato in salotto lo destabilizzava. Era quasi mattino ormai. Guardò dalla finestra e vide i raggi del primo sole filtrare fra i rami delle palme.
Notte in bianco,pensò seccato. Tornò dal ragazzino e si inginocchiò a guardarlo in viso, il mento appoggiato agli avambracci incrociati sul divano.
“Da dove sei sbucato, eh? Bah.” Si rialzò e si decise. Forse un bagno caldo l’avrebbe davvero fatto svegliare più in fretta. Voleva solo capire chi era, così avrebbe potuto riportarlo a casa e tutto sarebbe tornato alla normalità.
Prese un paio di pantaloncini blu e una t-shirt a caso dal suo armadio e se li mise sotto braccio. Gli sarebbero stati larghi molto probabilmente, ma, oh  beh, quello era ciò che aveva.
Prese di nuovo in braccio il ragazzino e lo portò in bagno, accendendo la luce con una spallata. Anche tenere qualcuno in quel modo lo metteva a disagio, era una sensazione nuova per lui. Il giovane aveva un odore di sale e di mare. Lo spogliò di quello straccio che aveva e lo immerse nell’acqua calda della vasca, sollevato dal fatto che il sapone nascondesse il suo corpo.
Incredibile, il ragazzo non aveva fatto una piega e continuava a dormire tranquillo. Minho guardò il suo petto che si alzava ed abbassava, sentendo le palpebre pesanti per il sonno perso. Prese una spugna e gliela passò sulle braccia, impacciato.
“Sbrigati a svegliarti.” Gli disse, come se le sue parole potessero avere il ben che minimo effetto.
Gli pulì le spalle e i capelli dal sale e dalla sabbia, poi passò al viso. La sua mano si fermò a mezz’aria mentre scrutava alla luce i suoi lineamenti.
Ora che era addormentato, si erano distesi e rilassati completamente.
È bello.
Non poté fare a meno di pensarlo. Non aveva mai pensato niente del genere che riguardasse un ragazzo, ma davvero fu la prima cosa che gli venne in mente quando lo guardò. Aveva occhi a mandorla dalle lunghe ciglia, labbra sottili e rosee, naso arrotondato, una linea del mento molto dolce e un pomo d’Adamo appena abbozzato poco più sotto.
Minho deglutì. Si riscosse e gli passò velocemente la spugna sul viso, il più delicatamente possibile. Poi lo riprese in braccio, lo asciugò e lo portò sul suo letto nella stanza affianco. Mentre gli infilava i pantaloncini e la t-shirt grigia, guardò il suo corpo il meno possibile, ma non poté fare a meno di notare alcuni particolari: aveva il ventre piatto, e in generale era magro, ma non scheletrico, aveva un corpo sottile ma ben definito. La sua pelle era bianchissima, ma ora le sue labbra e le sue guance erano tornate ad essere di un bel rosa. Mentre gli allacciava i pantaloncini, notò le ossa sporgenti del bacino.
Si sbrigò a finire.
Sì, i vestiti gli erano decisamente larghi. Non aveva né la stazza né il fisico di Minho.
Il giovane sbuffò e tornò in salotto, deciso a togliersi da davanti quel viso inquietante. Sprofondò in una poltrona accanto al divano e chiuse gli occhi, gettando il capo all’indietro.
Sonno.
Era ancora troppo agitato per dormire. Gli faceva anche male la schiena, dopo averlo portato in braccio, svestito e rivestito per tutto quel tempo. E il giorno dopo doveva lavorare.
Imprecò di nuovo.
Impiegò le ore successive per lavarsi, fare colazione e riprendere le forze. Si era appena appisolato sul divano –o così gli sembrava-, quando un bussare familiare alla porta gli annunciò l’arrivo di Jonghyun. Fece una smorfia e guardò l’ora: erano già le otto.
Aprì la porta e tornò a sedersi, senza degnarlo di uno sguardo.
“Che faccia.” Commentò il giovane.
Jonghyun era l’esatto contrario di Minho.
Minho era alto? Jonghyun decisamente non lo era. Minho amava il silenzio e la tranquillità? Jonghyun portava sempre rumore, ilarità e disordine. Entrambi però avevano fisici muscolosi, Jonghyun perfino più di Minho perché andava in palestra. Era anche più abbronzato. Aveva degli occhi grandi ed espressivi che gli illuminavano il volto, la sua espressione era sempre arguta. I capelli corti e neri erano all’insù, lo facevano somigliare ad un porcospino.
Jonghyun viveva con la sorella poco lontano. Si conoscevano da quando erano bambini.
“Sicuro di non essere tu quello che ha appena rischiato di affogare?”
“Sonno.” Disse solo Minho, tornando al divano e chiudendo gli occhi.
“Su su su, non è il momento adesso, muoviti.” Lo prese per un braccio e lo trascinò in piedi, verso il corridoio.
“Jong…”
“Allora? E’ sveglio?” Minho fece un’altra smorfia. Diede uno strattone e si liberò dalla stretta di Jonghyun per condurlo in camera. Si appoggiò allo stipite della porta con le braccia incrociate e gli indicò il letto con un gesto del capo. Jonghyun osservò con degli enormi occhi da cucciolo spalancati, poi soffocò un risolino.
“Ma che gli hai messo.”
“Sono vestiti miei, che cosa dovevo mettergli?”
Minho cominciò a pentirsi di averlo chiamato. L’amico avanzò e si accovacciò ai piedi del letto, osservando.
“Sicuro che sia un maschio?”
“Direi di sì. L’ho lavato io, sai.”
“Uhhh…” lo canzonò Jonghyun riserbandogli un sorriso sghembo. Minho represse l’istinto di picchiarlo.
“Bellino però. Quanti anni avrà?”
“Non lo so… sedici?”
“Mmm…”
Jonghyun si rialzò e tornò dall’amico. Entrambi avevano gli occhi puntati sul ragazzo addormentato.
“Non ti ha detto niente quando lo hai trovato?”
Minho scosse il capo. Improvvisamente ricordò la strana sensazione di gelo che aveva provato non appena il giovane lo aveva toccato per la prima volta, e poi… quel guizzo nei suoi occhi, doveva esserselo immaginato.
“E non aveva niente con sé?”
“Niente di niente. Sembrava fosse uscito da una conchiglia, così, dal nulla, puf!” Minho si spostò dallo stipite e con passi lenti e strascicati tornò in salotto. Jonghyun ridacchiò del suo gesto stizzito.
“Raramente ti ho visto così, senza la situazione perfettamente sotto controllo. È divertente, sai?”
“Mi fa piacere.” Rispose Minho, lugubre. “Io devo andare al lavoro. Come faccio?” Jonghyun si accarezzò il mento, pensieroso.
“Strano che non si sia ancora svegliato. Comunque io oggi inizio alle sei.” Minho si voltò sospettoso.
“Rimarresti tu? Come mai questa generosità?”
“Ti vedo in difficoltà.” Un sorriso incredibilmente luminoso si aprì sul volto felino di Jonghyun.
“Farò in modo di tornare un po’ prima del solito allora.” Si decise Minho. Sarebbe stata dura convincere il capo, ma era l’unica soluzione. Sperava che il ragazzo si sarebbe svegliato prima del suo ritorno.
Raccolse lo zaino e si apprestò ad uscire.
“Grazie, ci vediamo dopo.” Jonghyun lo spinse fuori con delle sonore pacche sulle spalle.
“Goditela, baby! Cosa c’è in frigo?” …
 
Un altro sbadiglio.
Oggi se qualcuno affogasse sotto il mio naso, non me ne accorgerei.
Per fortuna il mare era ancora calmo. E il suo cellulare non aveva squillato. Non ancora.
“Tutto tace!” sospirò, dopo aver controllato il telefono per l’ennesima volta.
 
“Minho-oppa! Ti va un gelato?”
“Grazie Yuri, oggi non posso.” La ragazza sembrò contrariata. Si aggiustò il cappello di paglia e disse: “Oh, sarà per un’altra volta allora.”
“Certo.” Un ampio sorriso di Minho, e la ragazza arrossì e se ne andò tranquilla. Il giovane tornò a sistemare le sdraio e ad accumularle in ordine in un angolo della spiaggia.
“Minho-ssi! Fai tu il conto al signore?” il proprietario della spiaggia, da quando l’aveva trovato a pomiciare con una ragazza, non lo mollava un secondo.
Minho scattò e corse alla cabina del bagnino per conteggiare i soldi del cliente che aveva appena finito la sua vacanza. Mentre salutava garbatamente, scoccò un’occhiata all’orologio nel bar all’entrata della spiaggia.
Erano già le sei e un quarto. Corse dal capo.
“Hai ancora due ore di lavoro, dove vuoi andare?”
“Lo so, gliel’avevo chiesto stamattina, se lo ricorda?”
“Ricordo che eri in ritardo, quello sì.” Minho si morse la lingua.
“Ho davvero un problema a casa oggi, non posso proprio…”
“Va bene, va bene.” e lo congedò con un gesto della mano. Minho si inchinò e schizzò via più veloce che poteva.
 
Jonghyun era dovuto andar via, gli aveva lasciato un biglietto sul portone.
 
‘sei in ritardo come al solito, io devo andare ma lui dorme ancora.
Vai a fare la spesa, sembra la casa di un morto di fame.
-Jonghyun.’
 
Tutti i passanti, probabilmente, avevano letto il messaggio. Minho si chiese perché dovesse avere un migliore amico tanto idiota, strappò via il bigliettino e lo accartocciò. Girò la chiave nella toppa e appena entrò in casa, capì subito che c’era qualcosa che non andava.
Rumori sospetti dalla cucina.
Minho chiuse cautamente la porta alle sue spalle e, con passo felpato, attraversò il salotto e il corridoio per andare in cucina. Non appena vi si affacciò, notò il disordine che vi regnava. Sedie non al loro posto, scaffali aperti e…
“Yah!”
Il ragazzino biondo si voltò di scatto, una scatola di biscotti in mano e la bocca ancora piena. Aveva i capelli ondulati spettinati sulla fronte e la t-shirt troppo larga gli ricadeva molle lungo i fianchi, una spalla scoperta. Minho inchiodò e i due si squadrarono. Si sentì montare la rabbia quando notò lo sguardo di sfida e diffidenza che gli riserbò il ragazzo. Fece un respiro profondo e con passi lenti si avviò verso di lui. Il giovane indietreggiò.
“Quando ti sei svegliato?”
Nessuna risposta. Masticava piano. Minho chinò leggermente la testa di lato. No, non aveva sedici anni. Di più.
Occhi troppo profondi, zigomi troppo pronunciati.
“Beh? Come ti senti?” il ragazzino, improvvisamente, smise di fissarlo. Distolse lo sguardo e la sua espressione divenne indifferente. Si scostò dalla mensola nella quale aveva trovato i biscotti e si andò a sedere sul ripiano del lavandino, guardandosi intorno.
Minho era sbalordito. All’improvviso gli venne un sospetto.
“Non è che non parli coreano? Mm? Do you speak English? Cinese? Giapponese? Ajimemashite?”
Il ragazzo gli scoccò un’occhiata infastidita, poi tornò ai suoi biscotti. Stava per finire la scatola.
Minho si grattò la nuca con una mano.
“Come sei finito sulla riva ieri notte?” quando ancora non ricevette la minima attenzione, si alterò. Gli poggiò una mano sulla spalla come per scuoterlo, ma senza aggressività, solo con stizza.
Il ragazzino ebbe una reazione esagerata, balzò giù dal ripiano e corse dall’altra parte della stanza, come se la mano di Minho lo avesse scottato. Riprese a fissarlo con occhi truci.
“Bwo? Che paura hai, mica ti mangio…” gli disse il ragazzo, sempre più in imbarazzo. Lo sguardo gli si posò sulla pelle lattea della sua spalla, dove la maglietta scivolava sempre più giù.
“Aigoo, Jonghyun ha ragione… hai bisogno di vestiti.” Quando il ragazzino si accorse che Minho non aveva nessuna intenzione di avvicinarsi di nuovo, sembrò rilassarsi.
“Mi dici almeno come ti chiami?” il ragazzo sembrò pensarci su. Gli fece un gesto con la testa.
“Che? Io?” voleva che Minho gli dicesse il suo nome.
Ma guarda questo.Pensò Minho. Gli aveva fatto perdere una nottata di sonno, gli aveva rubato l’unica cosa commestibile che gli era rimasta in casa e ora pretendeva di dettar legge. Incrociò le braccia.
“Senti, io non so chi tu sia. Ti ho portato qui perché non sapevo che altro fare, ma questa è casa mia, non è che puoi fare come ti pare.”
Il ragazzo sbuffò, gettò il pacco di biscotti da una parte. Si guardò intorno, come se avesse ancora fame. Fece per aprire un altro cassetto ma Minho fu più veloce.
“Yah! Ancora?” il ragazzino scattò all’indietro per evitare un ulteriore contatto.
“Ok ok, guarda, quella è la porta se te ne vuoi andare, non ti chiederò nient’altro basta che te ne vai, ok?” Minho percorse a passi veloci il corridoio e aprì il portoncino di casa, mentre il ragazzetto si affacciava dalla cucina per seguirlo con lo sguardo.
Improvvisamente la sua espressione si fece seria. Lo vide deglutire un paio di volte, poi tornò in cucina.
Minho lo seguì mentre si andava ad accucciare per terra, in uno piccolo spazio tra il tavolino e il frigorifero. Si allacciò le braccia sottili attorno alle gambe e vi nascose il viso, prendendo profondi respiri.
Il cuore di Minho fece male. Qualcosa scattò in lui, un ricordo lontano che lo fece rabbrividire.
Guardò il ragazzino accucciato.
“Che ti è successo…” ripeté, mentre gli si sedeva di fianco, non troppo vicino da spaventarlo di nuovo. Dopo qualche istante, il ragazzo tirò su col naso e si asciugò gli occhi umidi di lacrime.
Sembrò lottare per darsi un contegno. Rifece quel gesto con la testa.
“Io mi chiamo Minho. Choi Minho.” Rispose a voce bassa.
Lui annuì. Un sorriso mesto. Allungò una mano e gli toccò il volto.
Minho sobbalzò. Non si aspettava un tale gesto, e nonostante la delicatezza di quella carezza sulla sua guancia, fu lui a ritrarsi, questa volta.
Si riscosse subito e si scusò.
Il ragazzino sorrise ancora, le guance piene che si colorivano. E Minho si ritrovò a sorridergli di rimando.
Non è normale che io abbia paura di te, vero? Sei solo un ragazzino...
Minho si alzò e si pulì le ginocchia con le mani.
“Allora, vediamo. Ti servono vestiti e… cibo. Direi che quello serve anche a me in realtà…” sentiva lo stomaco brontolare. Il ragazzino rise, e per la prima volta Minho sentì la sua voce. Aveva un tono dolce che lo rassicurò.
“Vuoi venire?” gli porse una mano, come per aiutarlo ad alzarsi. Lui esitò.
“Se non ti va, puoi aspettarmi qui. Non ci metterò molto.” Il ragazzino sembrò rilassarsi.
“Ok allora.” Gli sorrise Minho. Corse in salotto e afferrò la borsa. “Ci metto un attimo!”
 
Avrò preso la misura giusta?Si chiese Minho, lo zaino in spalla, un sacchetto in una mano e la scatola bollente di una pizza nell’altra.
Il sole e l’aria aperta gli avevano fatto bene. Si era schiarito le idee e aveva riflettuto.
Allora.
Prima di tutto, non aveva la benché minima idea di cosa stesse facendo, quindi ipotizzò di essere impazzito. Il Choi Minho che conosceva avrebbe sbattuto fuori di casa quell’estraneo già da un pezzo. Non sopportava che si invadesse il suo spazio personale. Non ci aveva mai portato nemmeno una delle sue ragazze là dentro, figuriamoci.
Secondariamente, stava spendendo tempo e soldi per nulla. Non sapeva nemmeno come si chiamasse. Cosa voleva da lui, poi? Non parlava neanche! Non era muto, visto che l’aveva sentito ridere, semplicemente era così maleducato da non volergli rispondere.
Però non aveva esitato a fare i porci comodi in casa sua.
Bene.
Dopo queste prime elucubrazioni, Minho ebbe un attimo di distrazione perché si mise a scegliere due paia di pantaloncini, un costume e altre due t-shirt per il ragazzino, tentando di basarsi su se stesso e azzeccare la taglia giusta per lui. Per fortuna quando l’aveva trovato, aveva su le scarpe.
Finita questa operazione, si ripeté di nuovo il concetto  basilare del suo ragionamento: doveva essere pazzo.
Rispose al saluto di alcune ragazze sul lungo mare senza vederle, mentre andava verso il ristorante.
Se davvero fosse diventato pazzo, probabilmente però non se ne sarebbe reso conto, quindi tutto quell’arrovellarsi doveva essere l’indizio che, forse, non aveva ancora perso completamente la ragione.
Ma allora che diavolo stava facendo?
E tornò al punto di inizio.
C’erano due strade ora: la prima era che fosse diventato davvero pazzo e quindi Amen. La seconda, era che quel ragazzino gli faceva pena.
Ecco, questa sì che era una soluzione!
Raddrizzò le spalle, soddisfatto.
Doveva essere così. Aveva temuto così tanto che fosse morto, quando lo aveva trovato riverso sulla riva, che ora, mentre lo vedeva sveglio e con quell’aria da animale ferito, gli faceva pena e stentava a cacciarlo senza almeno accertarsi che avesse ritrovato la via di casa.
Con la sensazione di aver risolto l’arcano, e il sollievo nel comprendere che il suo cervello ancora funzionava e le sue azioni avevano ancora un minimo di logica, Minho entrò nel ristorante e la porta emise uno scampanellio.
Andò direttamente al bancone d’ingresso e vi si accasciò sopra, sacchetto e tutto. Salutò la cassiera.
“Jonghyun?”
“Te lo chiamo.” Il ragazzo spuntò dalla porta laterale che portava ai tavoli pochi minuti dopo, aggiustandosi la tenuta da cameriere. Anche sul lavoro, in quel ristorante abbastanza antiquato, non perdeva il suo sorriso sornione e la sua aria disordinata.
“Annyong!” esclamò a Minho. “Novità?”
“Prima di tutto, voglio una pizza, sto morendo di fame.” Jonghyun si voltò verso le cucine e urlò l’ordinazione.
“Secondo, si è svegliato.” Gli occhi di Jonghyun si spalancarono.
“Era ora! E dunque? Chi è?”
“Saperlo.”
Minho gli raccontò velocemente cosa era successo mentre Jonghyun frugava curioso nel sacchetto per vedere cosa gli aveva comprato. Ascoltate le sue parole, con aria solenne, gli posò una mano pesante sulla spalla.
“Amico mio. Guardami negli occhi. Dimmi la verità. Sei sicuro che quello non sia tuo figlio?” Minho lo spinse all’indietro mentre quello sghignazzava.
“Bah! Avrà due o tre anni meno di me!”
“Sei sempre stato un bambino precoce.” Questa volta rise anche Minho e si portò una mano al volto. La pizza era pronta.
“Te l’ho fatta extra-large, così dai da mangiare anche a lui. Domani si va a fare la spesa però, neh?”
“Neh.”
 
 
Lo trovò che guardava fuori dalla finestra del salotto, curioso. Era salito in ginocchio sulla poltroncina e scrutava verso il mare, lo sguardo fisso sulle alte palme che si muovevano al vento.
Doveva essere lì da un po’, perché il sole gli stava imporporando le guance. Appena sentì la porta richiudersi, ebbe un sussulto e si voltò a sedere.
La pizza bastò per tutti e due e finalmente la loro fame sembrò placarsi. Il ragazzino non gli riserbò più molte attenzioni, più che altro gironzolava per la casa guardandosi intorno oppure tornava alla finestra.
Minho lo lasciò fare, seguendolo con lo sguardo.
Gli chiese ancora come si chiamasse e quanti anni avesse, ma le labbra del giovane rimanevano serrate. Con un sospiro, gli disse che lui andava a dormire, e si gettò sul suo letto.
In fondo non era tenuto a fargli da balia. E poi aveva davvero sonno.
 
Il suo risveglio non fu dei migliori. Se lo ritrovò davanti, ad un passo dal suo naso. Balzò a sedere e si portò una mano ai capelli, i battiti del cuore accelerati.
“Che fai? Hai intenzione di farmi venire un infarto?” lui sorrise lievemente, continuando a fissarlo. Non si era mosso.
Irritato, Minho si alzò e si andò a vestire. Non gli andava che lo osservasse mentre era solo in costume. Gettatosi una t-shirt addosso, tornò in cucina per fare colazione.
Poi si ricordò che i biscotti erano finiti e doveva fare la spesa. Aprì il frigo –vuoto- e bevve un po’ di latte. Il ragazzino aspettava che gli passasse la bottiglia.
“Te ne do un po’ se mi dici come ti chiami.” Il ragazzo biondo aggrottò la fronte e spinse le labbra in fuori, spalancando gli occhi a mandorla.
Oddio, che carino.
Minho attese ancora un po’, poi sbuffò e gli porse il latte.
 
Costringerlo a vestirsi non fu facile. Minho imprecò parecchie volte prima di convincerlo a fargli cambiare gli abiti. Non voleva più togliersi quella t-shirt larga e sgualcita che Minho gli aveva cacciato addosso due giorni prima. Quando finalmente entrambi furono pronti e pettinati, il ragazzo moro non riuscì a farsi sfuggire un sorriso di soddisfazione mentre ammirava la maglietta nera a mezze maniche e i pantaloncini che aveva comprato.
“Perfetto” gli disse, e gli diede un buffetto sul capo. Lui lo fulminò con lo sguardo ma si riprese subito. Minho invece indossò una canottiera.
Visto all’aperto, sotto la luce tiepida del sole mattutino, vestito così, era un’altra cosa. Il ragazzo era più basso di Minho ma il suo fisico asciutto e i capelli dorati lo rendevano davvero… piacevole a vedersi.
Minho notò altre stranezze nel suo comportamento, durante il breve tragitto che fecero fianco a fianco. Aveva timore di attraversare la strada e il rombo delle moto e delle macchine lo inquietava. Guardava poco le persone, era attirato più dal cielo, dalle palme e dagli animali che incontravano: passerotti, piccioni, qualche cane al guinzaglio e alcuni gabbiani che gracchiavano in alto, volando verso il mare. Era una bella giornata e non c’erano nuvole in cielo. Il sole avrebbe scottato.
Jonghyun li aspettava nella piazzetta vicino alla spiaggia dove lavorava Minho, li salutò da lontano con la mano.
“Wow, che cambiamento!” esclamò non appena li vide. Minho ebbe l’istinto di fermarlo quando Jonghyun fece per dare una pacca amichevole sul braccio del ragazzo più piccolo, ma inaspettatamente il giovane non si ritrasse e l’accettò con un dolce sorriso.
“Jonghyun, tu che non stai mai zitto… vedi di farlo parlare.” Gli disse mentre si avviavano insieme verso il supermercato, il misterioso ragazzo biondo in mezzo ai due.
“Ok! Piacere, Kim Jonghyun.” Con grande sorpresa di Minho, il ragazzino gli strinse la mano. L’amico si mise le mani dietro alla nuca, e così iniziò a camminare con la sua andatura sbilenca, come faceva di solito.
E intanto parlava. Parlava del più e del meno, di sé, si prendeva in giro e prendeva in giro Minho, suscitando le risate di tutti e tre.
Quando c’è lui, sono sempre a mio agio.Pensò Minho, e per l’ennesima volta fu felice di avere al fianco il suo migliore amico.
Il ragazzo ascoltava, un lieve sorriso sulle labbra ma gli occhi lontani, come se fosse in un altro mondo. Anche Jonghyun arrivò a fargli alcune domande, ma quando non ricevette mai risposta non si diede per vinto. Continuò a camminare e parlare come se niente fosse, con la sua allegria di sempre.
Giunti al supermercato, il ragazzino sembrò prima stupito dal cambiamento di temperatura causato dal condizionatore, poi i suoi occhi brillarono e cominciò a gironzolare da solo, le mani dietro alla schiena, osservando e toccando tutto.
“Si comporta come un bambino.” Bofonchiò Minho mentre lui e Jonghyun riempivano il carrello con la spesa.  
“Ma dai, è tenero.”
“Vorrei solo sapere come è finito qui… e perché non parla.” In realtà c’erano molte più cose che avrebbero voluto sapere. Ormai la curiosità di capire chi fosse quella strana creatura, si acuiva di ora in ora.
Minho ripensò ai momenti concitati di quando l’aveva salvato, e lo sfiorò l’idea di raccontare all’amico del guizzo che gli era sembrato di vedere nei suoi occhi e del dolore alla testa. Poi si disse che Jonghyun l’avrebbe preso in giro per sempre per quella sciocchezza, quindi non aprì bocca.
“Ehi, Minho…” sentì un buffetto dell’amico sul braccio. Quando si voltò, entrambi lasciarono perdere il carrello e si gettarono verso il ragazzino biondo che stava per far cadere ingenuamente una pila di scatolette di tonno al centro del supermercato.
 
Jonghyun offrì un gelato al nuovo arrivato e questo accettò con un sorriso. Dopo essere tornati a casa a sistemare la spesa, Jonghyun si congedò dall’amico e anche il giovane muto lo salutò con un gesto della mano. Minho si mise le mani sui fianchi.
“Ok ragazzino, adesso io devo andare al lavoro.” si chinò leggermente e gli appoggiò un braccio sulle spalle, il più delicatamente possibile. “Lavoro in quella spiaggia con gli ombrelloni arancioni, li vedi, oltre quella grossa palma?” il ragazzo guardava fuori dalla finestra, allungando il collo.
“Bene. Puoi venire con me se vuoi e… bighellonare lì intorno mentre io lavoro. Sempre che tu non combini pasticci.” Si affrettò ad aggiungere. “Oppure puoi rimanere qui ad aspettarmi. O ancora meglio, potresti tornare a casa tua, neh? Ti ci accompagno.”
Gli occhi del ragazzo non si staccarono dall’orizzonte, ma improvvisamente tutto il suo essere si incupì, e Minho sentì freddo.
Che strano,si disse mentre reprimeva un brivido. Vedendo che il ragazzo non si muoveva, ebbe l’istinto di allontanarsene. Fingendo indifferenza quindi, decise di lasciarlo lì e avviarsi verso la porta.
“Ok, fai come vuoi, io vado. Annyong…”
Era già praticamente fuori, quando una voce sottile lo raggiunse.
“Hyung.” Si voltò di scatto. Doveva aver sentito male.
“C… come?”
“Hyung, io… non ho altro posto dove andare.”
Vide le labbra del ragazzo muoversi e non gli sembrò nemmeno vero, dopo tutte quelle ore di silenzio.
Dopo lo stupore iniziale, quelle poche parole lo colpirono come una doccia fredda: non se ne sarebbe andato, non ancora, perché non sapeva dove andare. Minho gettò a terra la borsa, le chiavi e quant’altro per raggiungere il ragazzino.
“Ma… ma perché sei qui allora? Che ti è successo?” lui sospirò. Minho notò che non sbatteva le palpebre.
“Hyung. Portami con te oggi.”

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Buongiorno :)
Ho una mezz'ora libera e ho pensato di postare anche il secondo capitolo, così mi impratichisco e mi porto avanti. Tanto la mia 'supervisor' l'ha già visionato e corretto ieri kekeke...
Questa volta aggiungo una foto di Minho e del suo migliore amico (nonchè mio bias), Jonghyun!
Byeee
Chiara

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Capitolo 3
*** 3. Prurito ***


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3. Prurito
 


Dopo il loro primo, breve scambio di battute, il giovane era ripiombato nel suo silenzio imperscrutabile. Minho l’aveva tempestato di parole e di domande, ma non aveva più ricevuto nessuna reazione. Alla fine, aveva deciso di non insistere. Avevano già fatto un gran passo avanti.
Aveva subito mandato un messaggio a Jonghyun:
 

Mi ha parlato, anche se non ha detto molto.
Lo porto in spiaggia con me.’

 

Non sapeva perché, ma sentiva come se avesse conquistato una piccola vittoria. Si rese conto che se il ragazzo avesse rivolto la parola prima a Jonghyun che a lui, beh… forse si sarebbe leggermente irritato.
In fondo era lui ad averlo trovato, se lo meritava.
Erano sensazioni stupide, ma Minho non poteva fare a meno di pensarci.
Così come non poteva fare a meno di notare, come il ragazzo si irrigidisse al suo fianco mano a mano che procedevano verso la spiaggia.
“Ehi, che hai?” gli chiese dolcemente, mentre attraversavano la strada. Il ragazzo deglutì.
“Il mare.” Sussurrò.
“Che ha il mare.”
Non ci fu risposta fino a quando i due raggiunsero il bar che dava accesso alla spiaggia. Minho salutò la barista e i clienti come faceva sempre, con un sorriso. Tutti gli chiesero chi fosse il ragazzo con lui, non l’avevano mai visto nei dintorni.
Era un suo amico, appena arrivato. Notando gli sguardi curiosi della gente mentre giungevano in spiaggia, Minho per la prima volta si sentì a disagio. Perché lo guardavano così?
Abbassò anche lui lo sguardo sul ragazzo, e capì. Era teso e aveva gli occhi sbarrati.
Imprecò e velocemente, lo prese per un braccio e lo trascinò in una cabina vuota, lontano da occhi indiscreti. Lui si era lasciato guidare, come se stesse lottando con se stesso per mantenere un minimo di contegno.
Gli appoggiò le mani sulle braccia per guardarlo negli occhi.
“Ehi, rilassati ok? O tutti penseranno male.”
“Io…” non poté continuare.
“Nessuno ti farà del male qui. Qualunque cosa ti sia successo, ora è passato e… e ci sono io adesso.”
Come gli era uscita? Si sentì avvampare. Per fortuna in cabina era buio.
Non era bravo con le parole e quelli erano i patetici risultati.
Invece, inspiegabilmente, sembrò sortire un certo effetto sul ragazzino. Guardò Minho come se lo vedesse per la prima volta e finalmente, sembrò concentrarsi davvero su di lui. Piano, riprese a respirare regolarmente. Minho sorrise rincuorato e gli diede una carezza sui capelli.
“È tutto ok. Andiamo?”
I loro occhi si incontrarono di nuovo, e l’espressione del ragazzino era seria, matura. Annuì.
Insieme uscirono dal buio della cabina, verso il sole.
 
Non me ne importa niente.
Questo avrebbe voluto dire Minho alle signore che gli raccontavano dei loro nipotini e dei loro figli, di come crescevano, di come andavano a scuola e dei loro intrighi familiari.
Invece Minho sorrideva e annuiva, qualche commento ogni tanto, fino a che le signore non si stufavano. Con Yuri, Jessica e Luna invece non fu altrettanto tollerante: disse loro che aveva da fare e corse su verso gli ombrelloni, con la scusa di condurre dei clienti al loro sdraio.
Dio, che strazio.
Non sapeva per quale motivo ma non vedeva l’ora che quella giornata finisse. Tentava di stare a riva il meno possibile, per mantenersi verso il bar. A volte era riuscito a vedere una matassa di capelli biondi gironzolare fra i tavoli e fra i gruppetti di bambini che giocavano a nascondino.
Scoprì che non si sentiva sicuro quando era troppo lontano e non lo aveva sott’occhio.
Desiderava profondamente che quel ragazzino uscisse dalla sua vita, ma non ci teneva a vederlo sparire così come era arrivato, senza una spiegazione. Voleva prima capirci qualcosa di più.
Verso le due, andarono a mangiare insieme al bar: un’insalata e un gelato. Il sollievo di Minho nel vedere che era ancora nei paraggi, apparentemente tranquillo, fu immenso. In generale Minho gli raccontò di quanto si era annoiato, poi si azzardò a fargli una domanda.
“Allora, che hai visto? Ti piace qui?”
“Il mare non si sente, ci sono troppe strilla, la radio, le macchine… e se evito di guardare in quella direzione posso immaginarmi di essere lontano.” Era la frase più lunga che gli aveva mai sentito pronunciare e lo lasciò di stucco. Il semplice fatto che avesse deciso di rispondergli lo lasciò a bocca aperta. Non riuscì a trattenersi e gli diede un buffetto sulla testa. Risero. Gli sembrò un sorriso più sincero, più luminoso.
Mentre tornavano a casa, il ragazzetto lasciava dondolare le braccia mentre camminava. Sembrava che la tensione che aveva accumulato in quei giorni si stesse trasformando in curiosità.
Minho decise di deviare e fargli attraversare il parco cittadino. Non che fosse molto grande, ma era comunque un luogo piacevole, ricco di alberi e di arbusti rigogliosi. C’erano anche i giochi e le altalene per i bambini e in alto, oltre le fronde degli alberi, galleggiavano placidi i gabbiani. Insieme passeggiarono per i vialetti ciottolosi del parco, mentre Minho gli raccontava delle sue scorazzate con Jonghyun per la città. Provò anche a parlargli delle ragazze che aveva avuto, di come aveva conquistato Kristal su quella panchina e di come aveva baciato per la prima volta Seohyun dietro quell’albero laggiù. Sinceramente si sentiva in imbarazzo a parlare così apertamente delle sue avventure amorose con uno sconosciuto, ma alla fine si lasciò andare, dato che per lui non erano poi così importanti e il suo compagno di passeggiata sembrava ascoltarlo divertito ma non con particolare interesse.
“Dai però, non è divertente se parlo solo io! Non potresti fare uno sforzo?” gli chiese dopo un po’.
Ma il ragazzino sembrò attirato da qualcos’altro: una bambina saltellava nella loro direzione, una manina appesa alla gonna della madre e un vestitino ampio che le svolazzava attorno. La bambina -avrà avuto cinque o sei anni-, canticchiava.
Minho rimase stupito nel vedere come gli occhi del ragazzino si illuminarono nel vederla, e quando lui e la bambina si incontrarono, anche lo sguardo di lei si incollò a quello del ragazzo, la bocca aperta in un’espressione di stupore e la canzoncina che gli moriva in gola.
Una mano di lui le sfiorò una ciocca dei lunghi capelli ondulati e Minho lo sentì sussurrare: “Che bei riccioli che hai…”
La bambina si illuminò e quasi iniziò a strattonare la madre. Lo sguardo del giovane era già altrove mentre proseguivano, ma Minho si girò a guardare la bambina che spariva alle loro spalle: non riusciva più a staccare gli occhi dal ragazzino biondo e lo seguì fino a quando la madre non la costrinse a svoltare in un piccolo sentiero laterale, verso l’uscita del parco.
 
Più stava con lui, più capiva che era strano. Non era un qualcosa di evidente, come quando si incrocia una ragazza dai capelli azzurri o un uomo con qualche caratteristica fisica particolare. Era solo… una sensazione. Lieve, quasi impercettibile, ma sempre presente.
Ecco sì, era qualcosa che sentiva, non qualcosa che vedeva. A volte nemmeno la notava più, lo guardava e gli sembrava una persona del tutto normale. Però poi notava nuovamente come alcune persone, non tutte, lo osservavano per strada, ed ecco che quella sensazione ritornava, un pensiero pungente, che lo manteneva in leggera allerta. Era come un prurito.
Un prurito in una parte non ben definita del corpo, quindi tu provi a grattarti ma non sai bene dove e finisci col non risolvere niente. Lo guardavano sì, più che altro era strano come qualcuno stesse parlando e improvvisamente avesse perso il filo del discorso mentre lui gli passava accanto. Oppure gli era capitato di vedere qualche faccia nota che, invece di salutarlo come faceva di solito, rimaneva zitta a guardare lui, ignorando il mezzo inchino di Minho. A volte gli sembrò di essere trasparente, con quel ragazzo al fianco.
Allora tornava ad osservarlo e si incupiva.
Che aveva di così speciale? Lui non ci vedeva niente. Non era certo più bello, non che non lo fosse, anzi, ma non capiva come poteva catturare così facilmente l’attenzione di tutti. Forse era semplicemente una faccia nuova, e quindi era naturale chela gente lo scrutasse.
Si strinse nelle spalle e proseguì. Quando giunsero ad una piccola piazzetta con una fontana tonda nel mezzo e delle panchine tutte attorno, il ragazzo corse verso gli zampilli d’acqua e si fermò lungo il bordo ricoperto di fiori, come se non avesse mai visto niente di simile. Con trepidazione, provò a toccare uno spruzzo limpido. Finì per bagnarsi il naso, e rise. Minho scosse il capo, rassegnato e si sedette a guardarlo, le braccia abbronzate aperte e appoggiate lungo lo schienale della panchina. Il ragazzino stette lì a guardare i getti ondulati salire fino al cielo, bagnandosi le dita di tanto in tanto. Dopo alcuni minuti, la sua attenzione fu catturata da un’ape che gironzolava fra i fiori ai piedi della fontana. La seguì e si accovacciò, mentre l’animaletto giallo volava via. Allora Minho poggiò i gomiti sulle ginocchia e tentò di capire cosa diavolo stesse guardando.
Annoiato, si alzò e lo raggiunse. Si sentiva un idiota, lì piegato, e sperò di riuscire a portarlo via il più presto possibile.
“Che cavolo ti sei messo a fissare adesso?” il ragazzo gli prese un lembo della maglietta, e glielo tirò. Minho seguì il suo sguardo. Stava osservando degli ampi fiori gialli, dai colori vivaci.
“Sono fiori.”
“Sì. Per te, sono solo fiori. In fondo lo sono per tutti, non è vero?” Minho rimase sbigottito.
“Bwo?”
“Per te sono solo fiori, per me sono molto di più.” il ragazzo si voltò a guardarlo, e Minho si sentì come trapassato dai suoi occhi nocciola. Deglutì. Il più piccolo gli prese una mano e gliela appoggiò delicatamente sulla corolla del fiore più vicino. Minho ebbe un brivido, non per il contatto con la pianta, ma per le dita del ragazzino. Dopo tutta quella giornata di sole, erano ancora fresche.
“Loro hanno una vita, sono molto più vivi di quanto lo sia io. Loro sono veri. Sono fiori. Io cosa sono, hyung?”
Il ragazzo non respirava più. C’era qualcosa di terribilmente sbagliato in quelle parole, stonavano rispetto al viso angelico e giovane che aveva davanti. Era terrificante. Non poté fare a meno di allontanare la mano.
Il ragazzo più giovane sbatté le palpebre e quello sguardo che sembrava penetrarlo fino al midollo scomparve.
“Tu sei tu… e i fiori sono fiori. Che c’è di male?” chiese, come se fosse la cosa più naturale da dire. Il ragazzo sembrò divertito. Si rialzò, e Minho con lui.
“Non lo so hyung. So solo che mi piacerebbe essere un fiore. Uno grande, come quelli, oppure come uno di quelli laggiù.” E indicò dei cespugli con dei fiorellini viola. Riprese a camminare e si lasciarono la piazzetta alle spalle.
“Che sciocchezza. I fiori non parlano, se ne stanno lì, immobili e fragili. Io non vorrei essere così, non mi piacerebbe venire schiacciato così facilmente.”
“Lo so. Tu vorresti essere così forte da non doverti mai piegare, vero?” quell’affermazione lo colpì, perché in effetti Minho era proprio così: esigeva molto da se stesso, e non sopportava le sconfitte o le indecisioni. Aveva imparato a cavarsela da solo, non con poca fatica, e metterlo in difficoltà non era cosa facile ormai. Difficilmente perdeva la calma o si lasciava sopraffare dalle emozioni… a differenza di Jonghyun.
“No, io non vorrei essere così debole, è vero.”
“Cosa ti fa pensare di essere più forte di quel fiore, hyung?” chiese il ragazzo, le mani dietro alla schiena mentre camminava tranquillo, pochi passi avanti a lui.
“Beh… tutto.” Che doveva rispondergli? Si guardò gli avambracci robusti e abbronzati mentre il più giovane rise.
“Io non intendo forte nel fisico, Choi Minho…”
Minho si fermò, infastidito nel sentirsi chiamare per nome e senza onorifici.
“Yah, chi ti credi di essere? Mi stai insultando?”
“No!”fece una pausa. “Tu mi piaci.”
E Minho sentì che era sincero.
Di nuovo quel prurito, quella sensazione strana.
 
Tornarono a casa senza parlare, il ragazzo di nuovo con gli occhi di chi non è sulla terra, Minho perso nei suoi pensieri. Quando entrarono, Minho andò in cucina.
“Le vuoi due uova?” non si aspettava che gli rispondesse. Si mise a spadellare mentre il ragazzo tornava alla finestra, il mento appoggiato al davanzale.
Mentre accendeva il fuoco, gli venne l’ennesima curiosità.
“Perché mi chiami hyung? Come fai a sapere che sono più grande di te?” disse a voce alta, per farsi sentire nell’altra stanza.
“Perché lo sei.” Si voltò di scatto e lui era lì, seduto al tavolo della cucina.
“Ma che ne sai…” borbottò, tornando alle uova. “Quanti anni hai tu, scusa?”
“Diciannove.”
Bingo. Aveva ragione.
“Sì, decisamente puoi chiamarmi hyung. Io ne ho ventuno.”
“Lo so.” Minho decise di non replicare e non farsi troppe domande. Era meglio smetterla di farsi domande.
Non lo ascoltare, ignora le sue stranezze, è solo un ragazzino in crisi adolescenziale un po’ ritardata.
Servì le uova con del formaggio e prosciutto. Quando finirono, il ragazzino parlò ancora.
“Grazie hyung.” Minho lo guardò di sottecchi ma non rispose. Poi il ragazzo si alzò, girò attorno al tavolo e gli prese il mento con una mano. Il più grande lasciò cadere la forchetta dalla sorpresa, mentre il giovane gli avvicinava le labbra ad un orecchio.
Troppo vicino, sistemi di allarme attivati.
“Lo vuoi ancora sapere il mio nome?”
“S… sì.” Il biondo lo lasciò andare e si mise a sparecchiare, portando i piatti e le forchette al lavandino.
Dannazione. Si maledisse Minho, sentendo che il suo cuore aveva di nuovo accelerato i battiti.
“Mi chiamo Lee Taemin.”
Lee Taemin. Lee Taemin.
“E’ un bel nome.” E riprese a mangiare.
“Anche il tuo, hyung.”
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Ed eccoci con il terzo capitolo :)
Abbiamo fatto un passettino in avanti, non trovate?
All'inizio del capitolo, una foto di Choi Minho e uno dei fiori che ha visto Taemin. Ce n'erano di così belli al mare!
Byeee
Chiara

 

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Capitolo 4
*** 4.Azzurro ***


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4.Azzurro 

 

 Lee Taemin, diciannove anni. Folti capelli biondi, fisico esile e asciutto, aria trasognata. Nessun amico o parente che lo conoscesse nelle vicinanze, niente documenti e niente oggetti personali con sé. Nessun posto dove andare.
Era tutto quello che Minho era riuscito a scoprire su di lui in quei quattro giorni.
“Taemin, la smetti?” sbottò.
Lo stava colpendo con una stupida pistola ad acqua e gli spruzzetti lo facevano rabbrividire. Era tornato al lavoro con lui e, a fine giornata, l’aveva ritrovato con un ragazzetto sulle spalle e una moltitudine di altri bambini al seguito, mentre scorazzavano tra gli scivoli e le altalene della spiaggia.
“Simpatico il tuo amico, Kai non ha fatto che parlare di lui oggi.” Disse una giovane mamma andando a riprendersi suo figlio.
“Sì, sembra che stia bene coi bambini.” Le rispose Minho.
Forse perché si comporta esattamente come uno di loro.
“Hyung, dove mangiamo oggi?” gli chiese Taemin mentre uscivano dalla spiaggia, il sole che iniziava a calare oltre la linea dell’orizzonte, sprofondando nel mare.
“Da Jonghyun.” Taemin sembrò approvare. L’amico li accolse allegramente e fu così felice nell’apprendere che ora il più piccolo parlava, e rispondeva a quasi tutte le domande che gli venivano poste… purché non riguardassero il suo passato, la sua identità e il suo arrivo lì.
“Allora, quanto hai intenzione di restare?” gli chiese il ragazzone moro mentre finivano la pizza. Taemin si rabbuiò e Minho trattenne il fiato.
“Non lo so… io devo aspettare.”
“Aspettare che?” chiese Minho senza riuscire a trattenersi. Taemin lo guardò, indeciso. Sorrise e i suoi occhi tornarono vacui. Jonghyun scoccò un’occhiata interrogativa all’amico e lui scosse il capo.
Non ne aveva la minima idea.
Jonghyun finì il turno verso le undici e decise di accompagnare i due ragazzi sulla via di casa. Giunti vicino al lungomare, Minho si fermò.
“Io vado a correre. Ne ho bisogno.” Jonghyun annuì subito. Sapeva quanto l’amico si rilassasse correndo. Solo passando qualche mezz’ora da solo, con l’esercizio fisico, riusciva a liberare la mente.
“A lui è sempre piaciuto correre prima di andare a dormire.” Spiegò Jonghyun a Taemin, notando gli occhi stupiti del ragazzino.
“Posso venire?” Minho ridacchiò.
“Non so se riusciresti a starmi dietro.”
“Ti aspetto. Vai e poi torni.”
“Uhm… sicuro? C’è il mare e non ci sono rumori adesso. Non ci sarà nessuno in spiaggia.” Taemin rabbrividì.
“Va bene lo stesso.” Minho era perplesso. Guardò Jonghyun, che si strinse nelle spalle.
“Se vuoi ti faccio compagnia io.” Si propose. “Non è tardi.”
Taemin non ebbe niente in contrario, e i tre si avviarono verso il lungomare.
 
La sagoma di Minho si allontanava nell’oscurità, rasentando le onde del mare. Taemin le osservava: sembravano tante mani dalle dita lunghe che tentavano di allungarsi il più possibile lungo la sabbia per raggiungerlo e… ghermirlo.
Ma lui e Jonghyun erano seduti giusto qualche centimetro troppo in là, sui sassi, perché le onde della calma marea potessero sfiorarli. Jonghyun osservava quel ragazzo e si era fatto stranamente silenzioso.
La sua vicinanza lo rendeva malinconico, nonostante riuscisse a mascherarlo bene.
“Yah…” sussurrò, guardando la sabbia che gli scorreva via dalle dita aperte. “Non essere così teso, mi metti ansia.”
“Mianhe, hyung.” Gli sembrava che Taemin fosse in ascolto. Come se scrutasse le onde più lontane in attesa di qualcosa.
“Minho… vi conoscete da molto?” chiese poi. Jonghyun si raddrizzò stupito dell’interesse del ragazzino.
“Beh si… da quando eravamo vicini di casa, da bambini.”
“E lui… com’è, secondo te?” Jonghyun sbuffò e ci pensò su, poi ridacchiò.
“Lui è tante cose.” Nel buio, vide le labbra sottili di Taemin allargarsi in un sorriso. “E’ un amico. Ne abbiamo passate tante insieme… è come un fratello. E ha sofferto. Ma ora sta bene. Ha una nuova vita.” Taemin sospirò a lungo e chiuse gli occhi.
“Mi dispiace.”
“Per cosa?”
“Che abbia sofferto.” Jonghyun si sdraiò sul terriccio e mise le mani dietro alla nuca.
“Tutti soffriamo, chi più chi meno.” Taemin sembrò riscuotersi e si voltò a guardarlo.
“E tu invece hyung? Che mi dici di te?” Jonghyun sghignazzò.
“Che c’è da dire, sono come tu mi vedi.”
“E’ vero… mi piace stare con te. La tua mente è limpida.” Jonghyun si rialzò.
Che cosa strana da dire. Sentì come un principio di mal di testa, ma passò subito. Si ridistese, tranquillo.
 
“Perché non parlavi?”
“Non sapevo se potevo.”
“Che significa?”
“Ho fatto una promessa. Ma va bene così.”
“Sei strano.” Taemin rise. “Quando ci dirai da dove sei sbucato fuori?”
“Uhm…” silenzio.
“Allora?”
“Quando sarete pronti, o forse mai. Chi lo sa? Non avevo mai capito cosa significasse l’incertezza. Adesso non sono più sicuro di niente.”
“Beh, una cosa la sappiamo.” Taemin si voltò incuriosito.
“Da qualunque posto tu venga, non mi sembra che ti dessero molto da mangiare, visto che mangi come un lupo da quanto ho potuto constatare.” Risero, Taemin così di gusto che sembrava non riuscisse più a smettere.
“Cavolo se corre veloce, è già arrivato fino al molo e ritorno?” chiese Jonghyun balzando in piedi. Taemin si voltò e si scostò una ciocca di capelli biondi dal viso mentre l’ombra scura e familiare di Minho correva verso di loro, le lontane luci arancioni della città alle spalle.
 
Minho prese il posto di Jonghyun al fianco di Taemin mentre l’amico tornava a casa, lasciandoli soli. Aveva ancora un po’ di fiatone e si era tolto la maglietta, il petto che si abbassava e alzava leggermente. Mentre scrutava il cielo in cerca di stelle, sentiva lo sguardo di Taemin su di sé. Lui invece fissava un punto poco distante. Era lì che lo aveva visto per la prima volta, riconosceva il posto.
“Non credi che sia un po’ scortese il tuo comportamento?” chiese senza guardarlo. Aveva pensato.
Di nuovo.
“Non lo so. Tu dici?”
Sfacciato.
“Io capisco che tu sia in difficoltà… ma se non hai perso la memoria, non vedo perché tu non debba raccontarmi cosa ti è successo. Potresti essere chiunque, capisci? Un ricercato! Potresti aver ucciso qualcuno, che ne so…” Taemin rideva.
“Non credi nemmeno tu a quello che dici.”
“Non mi inganni con quella faccia da angelo.” Si squadrarono. Minho aveva gli avambracci appoggiati alle ginocchia aperte, gli addominali ben definiti erano semi illuminati dalla luna. Taemin sembrava un cucciolo in confronto a lui, le gambe incrociate e le sottili braccia nude.
“Hyung, è normale che tu abbia paura di me.” Minho avvampò.
“Ma sei impazzito?”
“No. Io lo vedo come eviti di guardarmi. Ma sta tranquillo hyung, è tutto ok. Io ti capisco se vuoi mandarmi via.” Minho si sentì punto nell’orgoglio dal tono suadente che aveva usato. Lo prese per lo scollo della t-shirt e lo avvicinò.
“Sei solo un ragazzino. Adesso spiegami perché dovrei avere paura di te.” Taemin non sembrava per nulla intimidito. Sorrideva, ma era un’espressione amara.
“Perché tutti ne hanno, non c’è posto per me qui.” Minho ripensò agli sguardi che la gente riserbava a Taemin.
“Non è vero, i bambini ti adorano, non ti mollano un attimo.”
“Perché loro non hanno niente da nascondere.” Minho lo lasciò andare, profondamente turbato.
“Io non ho paura di te. Sei uno sciocco se lo pensi. Voglio solo che tu te ne vada e mi lasci in pace.”
“Potrei farlo. Dovrei.”
“Fallo allora.”
“Non sei l’unico ad avere paura in questo momento.”
“Spiegami perché, allora.” Taemin si voltò a guardarlo, con dolcezza. Alzò una mano come già Minho l’aveva visto fare e gliela posò su una guancia. Accarezzò piano e il ragazzo si costrinse a non muoversi. Poi le dita lievi di Taemin si spostarono di un solo centimetro verso le sue labbra e le sfiorarono. A quel punto Minho non resistette più e si scostò.
“Che fai…”
“Il mare è rumoroso. È terrificante. Mi rimbomba nella testa, non ce la faccio più. Andiamo via.” Il ragazzino biondo si alzò e prese a salire lungo la spiaggia deserta, verso gli scogli da cui si accedeva alla strada. Minho accorse poco dopo e lo prese per un braccio prima che potesse scivolare. I loro sguardi si incrociarono.
“Vorrei tanto poterti dire tutto hyung, ma è meglio così. Voglio… voglio tenerti con me ancora per un po’. Solo un altro po’…”
“Dai, muoviti.” Minho non mollò la presa e lo aiutò a saltare da uno scoglio appuntito ad uno più piatto.
Quando giunsero sulla strada, lo lasciò e si accorse che doveva aver stretto troppo.
“Taemin.” Lui si voltò. Di nuovo quello sguardo serio e quegli occhi penetranti.
Prurito.
“Va bene se rimani. Prendi… prenditi il tempo che vuoi. Non ti chiederò più niente.”
E un sorriso rischiarò la sera, una luce nemmeno paragonabile a quelle artificiali dei lampioni e dei negozi.  Perfino più bella e brillante dell’opaco candore lunare.
 
Fin dalle prime ore del mattino, non appena ebbe messo piede fuori di casa, Minho capì che quella sarebbe stata una giornata no.
“Stai attento, mi vuoi ammazzare?” gridò, il cuore che gli martellava nel petto: una macchina scura era sfrecciata ad un passo dal suo naso mentre attraversava sulle strisce e per un pelo non l’aveva travolto.
“Minho-ssi, tutto bene?” gli chiese un cliente della sua spiaggia, la moglie e i figli sbalorditi al seguito. Minho annuì. Sì, ma c’era mancato poco.
Al lavoro si annoiò parecchio, era metà settimana e non c’era molto da fare. Una nuova ondata di villeggianti sarebbe giunta in città solo fra qualche giorno, e Minho si ritrovò a controllare il mare seduto sul suo piedistallo a riva. Le onde si erano alzate dalla notte prima e ora la schiuma bianca si riversava ovunque, scivolando fino alla prima fila di ombrelloni. I bagnanti non si spingevano troppo in là, rimanendo a riva. I bambini urlavano lasciandosi travolgere dalle onde e Minho teneva gli occhi aperti, suonando di tanto in tanto il fischietto quando qualche ragazzo si spingeva troppo lontano o quando un bambino sfuggiva ai genitori. Verso metà pomeriggio, un bimbetto finì per sbaglio con la testa sott’acqua, spinto da un cavallone, Minho si gettò giù dalla sua seggiola e andò personalmente a ripescarlo, tirandolo dolcemente per una manina. Mentre il bambino piangeva disperato, la madre lo andò a riprendere, costernata. Si era girata solo un attimo a scambiare due parole con un’amica e il bimbo era caduto. Minho sorrise e disse che non c’era niente di cui preoccuparsi, cose che capitano.
La noia lo catturò nuovamente verso sera, tanto che quando vide una ragazza dai lunghi capelli ondulati e un cappello di paglia in testa camminare verso di lui, si scoprì rincuorato.
Yuri lo tenne occupato per quasi un’ora, chiacchierando e ridendo mentre l’acqua del mare ogni tanto le lambiva le gambe snelle. Quando lo salutò, andandosene con le sue amiche, notò come anche loro gli lanciassero i soliti sguardi interessati, iniziando subito a bisbigliare.
 
Era sudato fradicio. Si fece una doccia prima di lasciare la spiaggia. Mentre l’acqua fresca gli scorreva tra i capelli e lungo il corpo, Minho sospirò di sollievo.
E pensò a Taemin. Ormai erano passate quasi due settimane da quando lo aveva trovato. Da quando Minho non faceva più domande, stare con lui si stava rivelando interessante e alquanto piacevole. Il ragazzino biondo era diventato più allegro, meno pauroso. Stava iniziando ad orientarsi e cominciava a conoscere la città. A volte veniva ancora con Minho in spiaggia, ma in generale preferiva tenersi lontano dal mare, rimanendo sulla terra ferma. Gironzolava da solo per il mercato, buttava l’occhio nei negozi e osservava tutto. Quando aveva fame, o tornava da Minho o faceva un salto al ristorante di Jonghyun, se sapeva che era di servizio.
Spesso lo aveva lasciato di stucco, con i suoi strani discorsi, e a volte gli occhi bruni di Taemin sembravano ancora vacui, come la sua mente fosse lontana, ma in generale il ragazzo si era comportato in maniera quasi normale.
La sera dormiva sul divano e non si era mai lamentato. Sembrava avere sempre fame ma si accontentava di qualsiasi cosa. Aveva addirittura fatto qualche amicizia, anche se le ragazze non si intrattenevano mai troppo a lungo con lui. Era come se ne fossero attratte ma al contempo intimidite.
Quella mattina Minho lo aveva lasciato a casa, uscendo senza svegliarlo. Gli aveva detto di non aver riposato bene le notti scorse, quindi il ragazzo aveva pensato di lasciarlo stare. Si sarebbero visti quella sera. Minho si stava quasi abituando ad averlo attorno. Non era una presenza ingombrante, era piuttosto silenzioso e si muoveva leggero, con fluidità, spesso non lo sentiva nemmeno arrivare. Più di una volta gli aveva riservato un dolce sorriso quando era tornato dalla spiaggia stanco e accaldato, e scambiare qualche battuta con il più piccolo lo aveva subito fatto sentire meglio. Avevano anche iniziato a prendersi in giro e punzecchiarsi: Minho era troppo alto e somigliava a una rana, con quegli occhi grandi, mentre Taemin era completamente privo di muscoli. Debole come una pulce.
 
Camminava verso casa, guardandosi in giro. Taemin non aveva un cellulare ma trovarsi al momento opportuno non era mai stato un problema. Di solito era il ragazzo più piccolo a trovarlo, intercettandolo vicino casa o in qualche viuzza.
Svoltò in una strada laterale, allontanandosi dal centro. Era una via curiosa e antica, dalle pareti strette e dalle case spioventi. Qualche donna aveva steso i panni ad asciugare e la strada era umida in certi punti. Il sole era seminascosto dietro ai vecchi muri, e la luce che rimbalzava sui mattoni gettava riflessi rossicci lungo la stradicciola.
Minho pensava già alla cena di quella sera quando notò che davanti a sé, sotto i suoi piedi, si allungava un’ombra. Alzò lo sguardo e si trovò davanti un uomo di mezza età, abbronzato, in tipica tenuta da mare. La strada era stretta e Minho continuò ad avanzare. L’uomo lo guardava e non si mosse. Aveva i capelli brizzolati e le mani dietro alla schiena.
“Buonasera.” Si azzardò Minho. Lo aveva quasi raggiunto. Forse lo conosceva… aveva un sorrisetto beffardo sul volto che non prometteva niente di buono.
“Sera, Choi Minho.” Ecco sì, probabilmente si conoscevano. Anche se a Minho quel viso non diceva assolutamente niente. Si fermò, dato che l’uomo non accennava a spostarsi.
Fu un attimo. Minho finì con la schiena al muro, mentre lampi bianchi gli esplodevano sotto le palpebre chiuse, a causa del forte impatto.
Mantenne gli occhi serrati, il cuore che batteva all’impazzata. In pochi secondi però, il peso dell’uomo scomparve dal suo petto e lui si afflosciò lungo i mattoni ruvidi.
Si guardò intorno cautamente. Era solo.
Incredulo e ancora frastornato, si rialzò e raccolse lo zaino.
Chi era quel pazzo?Percorse le ultime vie che lo separavano da casa lentamente, chiedendosi come quell’uomo potesse conoscere il suo nome.
Decisamente una giornata no.
 
Ma ancora non era finita.
Trovò Taemin al suo solito posto, sulla poltrona, le guance arrossate dal sole e gli occhi nocciola luccicanti. Non appena il ragazzino notò la sua aria truce, gli chiese cosa fosse successo.
“Niente, a parte il fatto che stamattina quasi mi investivano, in spiaggia mi sono annoiato a morte e un pazzo scatenato mi ha sbattuto contro un muro e poi è corso via.” Minho contò sulle dita mentre si gettava sul divano. Taemin corse da lui e si sedette sul pavimento.
“Aspetta… ti ha spinto contro un muro?”
“Non lo so, mi ha chiamato per nome e in un attimo mi sono ritrovato contro il muro. Poi è scappato via.” Taemin sembrò preoccupato. “Che c’è?”
“Come faceva a conoscere il tuo nome.”
“Non ne ho idea.”
Il ragazzino biondo esitò.
“Hyung… non l’hai guardato negli occhi, vero?” Minho ci rifletté un attimo, poi sbottò: “No, non credo, è accaduto tutto in un attimo… perché?” Taemin annuì, rabbuiandosi.
Senza aggiungere altro, tornò a guardare il mare dalla finestra. La sua espressione però era cambiata.
 
Quella notte, Minho venne svegliato da Taemin che parlava nel sonno. Sentì prima dei leggeri lamenti, che si trasformarono ben presto in parole strascicate. Di mala voglia, balzò giù dal letto. Si passò una mano sul collo sudato mentre, scalzo, entrava in salotto.
“Tae…” il ragazzino biondo aveva le labbra semiaperte e dormiva a pancia in su, il ventre piatto che si abbassava e alzava velocemente al ritmo del suo respiro. Aveva i capelli biondi appiccicati alla fronte e a Minho venne in mente la prima notte che l’aveva portato a casa sua. Posò un ginocchio a terra e glieli scostò, tentando di svegliarlo.
“Shh, Taemin è…”
“Hyung hyung no, no, non ce la faccio da solo non mi mandare…”
“Taemin non ti mando da nessuna parte, è solo…”
“Hyung affogherò, ti prego non voglio… vieni con me… vieni… no… no!” prima che Minho potesse dire o fare qualsiasi altra cosa,Taemin aprì gli occhi di scatto e lui sobbalzò. Gli strinse una spalla e il ragazzino si voltò a guardarlo. Non appena lo vide, sembrò tornare in sé e si passò una mano sul volto sudato.
“Ehi… stavi urlando.”
“Mianhe… sembrava così vero.” Nella penombra, Minho vide che aveva gli occhi lucidi. Una lacrima gli sfuggì e rotolò giù lungo la sua tempia, per perdersi tra i capelli. Il ragazzino andò subito ad asciugarla.
“Hai ancora paura che io ti mandi via?” gli chiese Minho con dolcezza. Taemin scosse la testa. “E allora cos’era, mh?”
“Tu sai cosa significa rimanere soli, vero?” chiese improvvisamente, gli occhi fissi sul soffitto. Minho rabbrividì e dei ricordi tremendi gli passarono per la mente, in un lampo.
Una porta che sbatte, grida di donna, grida di uomo. Un borsone sulle spalle, le lacrime che scendono. Tonfi.
Ti prego, non le fare del male.
Dei capelli neri, una mano li afferra.
Via, di corsa, nella notte fredda e silenziosa. Ti prego, non le fare del male.
Io non ce la faccio più. 
Sospirò e tornò subito calmo.
“Sì, so cosa significa.” Gli sorrise. “In questo probabilmente, ci somigliamo.” Taemin annuì e si voltò su un fianco.
“Come hai fatto a sopportarlo? La paura, come te la sei scrollata di dosso?” Minho rifletté.
“Il tempo mi ha aiutato. E poi… io avevo Jonghyun.” Taemin sorrise nel sentir pronunciare quel nome.
“Sei stato fortunato hyung.”
“Lo so.”
Silenzio. Poi, un sussurro.
“Vorrei tanto che tornasse.” Minho sentì il contatto con la pelle umida di Taemin mentre il ragazzino si sporgeva dal divano e gli allacciava le braccia al collo, posando il mento su una sua spalla. Per un istante, il ragazzo più grande smise di respirare.
Altri ricordi. Quando è stata l’ultima volta che ho abbracciato qualcuno così…
Piano, si mise in ginocchio e ricambiò la stretta. La pelle sulla schiena di Taemin era liscia…
“Io non ho nessuno adesso. Non so se sarò in grado…” la mano di Minho salì lungo la nuca del più piccolo, fino a che non sentì fra le dita i suoi capelli biondi.
“Non… non è vero che non hai nessuno.” la voce gli era uscita insicura. Se la schiarì. “Io sono qui. E anche Jonghyun lo è.” Si affrettò ad aggiungere, sentendosi in imbarazzo. Taemin si rilassò fra le sue braccia e nascose il viso nell’incavo del suo collo.
“Grazie hyung. È che…” Minho sentì le labbra del ragazzino muoversi a contatto con la sua pelle. “io ho sempre avuto solo lui. Solo io e lui, e basta. E adesso che non c’è…” un lieve singhiozzo, altre lacrime. “non so che fare.”
“Chi è lui, Taemin?”
“E poi c’è anche un’altra cosa. Sarei già dovuto partire, subito, ma da quando ho incontrato te non me la sento più. Forse è meglio se lo aspetto ancora un po’, eh hyung? Con te sono al sicuro adesso.”
“Shh…” Minho non sapeva che dire e non osava muoversi. I ragionamenti di Taemin erano impossibili da seguire, quindi si limitò a passargli le dita tra i capelli, tentando di calmarlo. Passarono i minuti, e il più piccolo sembrò acquietarsi. Per un momento, Minho pensò che si fosse addormentato, ma invece decise di parlare ancora.
“Mi dispiace per quello che ti è successo oggi. D’ora in poi farò più attenzione. Io posso farcela, almeno in questo, so che posso.” Minho sciolse l’abbraccio per guardare il ragazzino negli occhi. Taemin ricambiò lo sguardo, stupito.
“Cosa significa?”
Lee Taemin abbassò lo sguardo, come faceva sempre quando non aveva intenzione di rispondere alla domanda che gli era stata fatta, ma questa volta Minho non aveva la benché minima idea di cedere.
Lo teneva per le spalle e lo scrollò.
“No Taemin, adesso basta. Sono successe cose strane e se tu ne sai qualcosa è ora che parli. Subito.” Il ragazzino sembrò in trappola, tentò di scostarsi ma Minho lo tenne ben fermo.
“Hyung… io non so niente…”
“Non mentire.”
“Intendevo solo dire che…”
“Taemin. Guardami. Chi era quell’uomo?”
“Non lo so hyung.”
“Cosa significa che farai più attenzione?”
“Che non lascerò che ti accadano altre cose brutte.”
“E perché dovrebbero accadermi?”
Il pomo d’Adamo di Taemin si abbassò e rialzò velocemente.
“Non capiresti.” Minho sentì montare la collera. Lo spinse giù sul divano e torreggiò su di lui, le mani ben piantate sulle sue spalle.
“Non sono uno stupido. Adesso parla.” Taemin gli rivolse uno sguardo da animale ferito.
“Ti prego…”
“Una macchina mi ha quasi travolto e un uomo mi ha importunato oggi, un uomo che non ho mai visto e che mi chiamava per nome. Avrò il diritto di sapere.”
“Lo so hyung… ma ti prego non insistere.”
“No Taemin, ora…”
Le parole di Minho gli morirono in gola quando Taemin lo guardò di nuovo negli occhi. Era impossibile sbagliarsi, a quella distanza: le sue iridi erano azzurre, con delle sottili striature bianche che si irradiavano dalla pupilla nera. Minho si sentì risucchiare.
“Scusami hyung, perdonami, non posso fare altrimenti.”
Un dolore lancinante alla testa. Ghiaccio tagliente che si faceva strada.
L’ultima cosa che sentì, furono le labbra morbide di Taemin che sfioravano le sue.
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Buonasera... è stata una DURISSIMA giornata... ma fortunatamente è andato tutto bene.
Per distrarmi un po', posto!
Ad inizio capitolo, il Taemin che si ritrova davanti Minho appena sveglio :)

 

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Capitolo 5
*** 5. Revelations ***


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5.Revelations
 

Che sogno assurdo.
Al solo ricordarlo, sentiva le guance riscaldarsi.
Mai nemmeno pensata una cosa del genere. Se lo avesse saputo Jonghyun, sarebbe morto dalle risate… e lui dalla vergogna.
Ma come mi è venuto in mente.
Un raggio di sole si infiltrò tra le sue palpebre e Minho si costrinse ad aprire gli occhi. Il letto scricchiolò.
“Buongiorno! Sei in ritardo!”
“Perché non mi hai svegliato…”
“Pensavo lo sapessi che era tardi.”
“Tae… levati.” Taemin scostò il viso dal letto e lo lasciò scendere. Per un attimo, a Minho sembrò che gli girasse la testa.
“Che c’è?”
“Niente… un sogno del cavolo.”
“Cioè?”
Quasi lo preferivo quando non parlava.
“Ho detto che era del cavolo, non c’è bisogno di essere tanto curiosi.”
“Dimmi almeno chi riguardava!”
Te.
“Il cane che avevo da piccolo.”
“Non è vero, bugiardo, tu non avevi cani da piccolo.”
“E tu che ne sai?”
“Beh… non me ne hai mai parlato.”
“Ma se non sai niente di me?” Taemin si imbronciò.
“Non è vero.”
“Sì che è vero.” Il ragazzino spinse le labbra in fuori e gonfiò le guance. Minho gli accarezzò la testa.
“E dai… fammi mangiare che sono già le otto e un quarto.”
 
Dal giorno in cui Minho aveva sognato che Taemin lo baciasse, tutto sembrò scorrere tranquillo nella sua vita. Lavoro, poi fuori con Jonghyun. Qualche gelato con Yuri e nient’altro. Non aveva nemmeno più avuto il tempo di pensare. La spiaggia era sempre gremita di gente e il capo lo rendeva indaffarato: lasciava a lui i compiti più pesanti e a Minho toccava tener pulita la spiaggia, andare avanti e indietro con ombrelloni e quant’altro e accertarsi che i bambini non distruggessero tutto.
Era mercoledì e mancava un’oretta alla fine del suo turno. Il sole era ancora alto oltre la linea blu che contornava l’oceano.
Sentì una mano che gli si posava su una spalla.
“Annyeong!”
“Oh, Yuri.” La ragazza bionda era raggiante, i capelli raccolti in una coda di cavallo. Non aveva il cappello in testa. “Dove hai lasciato il cappello?” la ragazza lo ignorò.
“Quando finisci?”
“Che ore sono?”
“Sette e un quarto.”
“Allora fra tre quarti d’ora, se tutto va bene.”
“Ti aspetto in centro. Solito posto.” Strano che fosse così diretta. Di solito era più timida.
“Ehm…”
“A dopo.” Non gli diede il tempo di replicare. Minho fece spallucce.
Ok.
 
Pensò che Yuri avesse preso la decisione di dichiararsi e considerò la questione. Era una bella ragazza, dai grandi occhi marroni e dallo sguardo dolce. Si conoscevano da mesi ormai, e non era mai stata sgarbata o insistente con lui. Aveva accettato con pazienza tutti i suoi rifiuti. Se si fosse trattato di qualcun’altra, non sarebbe stato così accondiscendente, ma siccome che era lei, decise di andare all’appuntamento.
Se si fosse davvero dichiarata, Minho le avrebbe detto che gli ci voleva ancora qualche tempo per pensarci su. D’altra parte era un uomo, e Yuri non aveva proprio niente che non andasse. Però, soprattutto dopo l’arrivo di Taemin, Minho non se la sentiva di allacciare relazioni serie con altre persone. Il suo spazio personale era già stato invaso abbastanza.
Dubbioso, camminò per le vie del centro fino a raggiungere il negozio di gelati dove solitamente andava con lei. Yuri già lo aspettava, due gelati in mano. Gliene porse uno e insieme iniziarono a camminare.
Fu una chiacchierata estremamente normale e rilassata. Yuri rideva e si affacciava ai negozi come al solito, Minho la accompagnò volentieri, le mani nelle tasche dei pantaloncini e lo zainetto in spalla. Quando arrivarono alla fine del vialone centrale a traffico limitato, prima che tornassero in strada, Yuri improvvisamente lo prese per un lembo della maglietta.
“Vieni?”
“Dove?”
“Devo dirti una cosa.”
Ci siamo,penso Minho. La seguì oltre la strada e poi svoltarono a sinistra, passando sotto una piccola strada dal tetto a volta nella quale non si erano mai avventurati. Minho sapeva che portava ad un piccolo canale cittadino e poi a delle vecchie piazzette più silenziose, senza negozi. Ben presto raggiunsero il corso d’acqua e Minho dovette abbassarsi per passare sotto ad un’altra corta galleria.
“Dai!” gli disse Yuri, portandosi la coda di cavallo su una spalla, mentre lo aspettava all’uscita. Sbucarono in una prima piazza circolare semideserta, il pavimento era fatto di rozze mattonelle bianche che, un tempo, avrebbero dovuto formare un disegno, oramai pressoché indecifrabile. Yuri quindi deviò e lo condusse in una stradina laterale.
“Ma dove stiamo andando?” le chiese Minho, sempre più curioso. Yuri si limitò a sorridergli.
La strada divenne dissestata e alla fine le piastrelle sparirono, lasciando il posto a terra e dei radi cespuglietti d’erba. Minho si guardò intorno e scoprì che erano sbucati su una specie di collinetta. Dovevano essere in alto, vicino alle colline, perché si vedeva il mare e le vie della città che si diramavano sotto di loro. Il sole filtrava tra le ampie foglie di una palma che si ergeva sulla sporgenza. La strada terminava in una scarpata, irta di rocce. Yuri era a pochi passi dalla fine della collinetta e lo guardava, le mani dietro la schiena e la gonna leggera che le svolazzava attorno, sospinta dalla brezza.
“Attenta, è un bel volo da lì.” Yuri si guardò un secondo alle spalle.
“Vero?”
Nessuno dei due parlò per alcuni istanti e Minho iniziò a sentire una punta di imbarazzo.
“Perché mi hai portato qui?” chiese. Yuri gli si avvicinò.
“Perché volevo stare un po’ sola con te… lontano da tutto.” Minho annuì.
“Capisco…” la ragazza gli prese una mano e lui la lasciò fare.
“Minho-ssi… io ti piaccio?” gli scoccò un’occhiata provocante, che lo spiazzò. Non aveva mai visto quello sguardo in lei.
“Yuri, non mi fraintendere, tu sei una bellissima ragazza, sei…”
“O sì o no.”
“Beh… sì. Ma...”
“Bene allora.” La ragazza gli poggiò le mani sul petto e lentamente, iniziò a farlo girare. Minho indietreggiò un poco, a disagio.
“Yuri…” la ragazza si alzò sulla punta dei piedi e per un momento Minho pensò che lo volesse baciare, ma si fermò a metà strada.
“E dimmi… il ragazzo che da un po’ vive con te… ti piace?” per un attimo, Minho temette di aver sentito male.
“Cosa?”
“Quel ragazzo biondo… è bello, vero? Ti piace?”
“No! Cioè… sì ma… che c’entra ora scusa?” non ci capiva più niente. Si scostò un poco ma Yuri gli era sempre troppo vicina.
“Quindi ti piace. A chi non piacerebbe. Lui è perfetto, non è vero?” continuò la ragazza, le mani sempre appoggiate sulla t-shirt di Minho. “Bel corpo, pelle soffice… non sembra una angelo, Minho-ssi?”
Minho non sapeva più che fare. Era così stupito che per un soffio non si accorse di essere sul bordo della scarpata. Sentendo il vento farsi più forte e una strana sensazione di vuoto sotto di sé, il ragazzo si voltò e rimase inorridito nel vedere che stava giusto per mettere un piede nel vuoto. Vide tutti quei massi appuntiti e la vegetazione che cresceva incontrastata e, con un balzo, spinse Yuri in avanti e si allontanò.
“Yah!” gridò sbalordito alla ragazza. Lei rideva e si teneva la pancia con le mani. “Yah! Per un pelo non mi buttavi giù!” La ragazza si asciugò una lacrima e riprese fiato.
“Sei un codardo, Choi Minho! E uno stupido.” Il ragazzo deglutì a fatica.
“Yuri, sicura di stare bene? Non sei tu oggi.” Aveva smesso di ridere e la frangia le era ricaduta sugli occhi.
“E’ meglio se lo lasci perdere, quel ragazzino. Lui non ti riguarda. Non ti appartiene.”
“Ti sei innamorata di Taemin?” chiese Minho, poco convinto. Lei rise ancora.
“Lui è mio.”
La ragazza si piegò per prendere in mano la borsetta che aveva lasciato cadere poco prima. Ne estrasse un tagliacarte e la lama catturò subito i raggi del sole. “Adesso sparisci.”
Minho era terrorizzato. Il suo cervello smise di funzionare e mentre Yuri si avvicinava, gli sembrava di avere dei tronchi d’albero al posto delle gambe.
Corri!
Non fece in tempo a muoversi, ci fu un fruscio d’erba alle sue spalle e un guizzo di folti capelli biondi gli comparve davanti agli suoi occhi.
Taemin aveva il fiatone e volse le spalle a Minho per fronteggiare la ragazza.
“Smettila! Lui non c’entra niente!” non appena la voce forte e sicura del ragazzo risuonò fra di loro, Yuri si arrestò.  Minho non respirava.
Il coltello le scivolò dalle mani e cadde fra l’erba e il terriccio con un tonfo sordo. Minho sbirciò oltre le spalle di Taemin e vide che la ragazza sbatteva le palpebre, come se non si ricordasse più dove fosse. Poi riprese a camminare, e a passi lenti oltrepassò Taemin, Minho e quindi scomparve dietro di loro, nella stradina buia.
Il ragazzo moro era grondante di sudore. Le gambe gli cedettero e si inginocchiò, tentando disperatamente di calmarsi. Taemin gli posò subito una mano sulle spalle e gli alzò il mento.
“Hyung! Sta tranquillo, era solo un modo per spaventarti. Sono arrivato in tempo però, hai visto?” sembrava allegro. Minho imprecò mentalmente.
“Cazzo… se fossi arrivato un po’ prima mi avresti fatto un favore.” Taemin lo aiutò ad alzarsi.
“Vieni hyung, andiamo a casa.”
 
Una doccia fredda. Gelata.
Era stanco morto. E gli tremavano ancora le mani.
Chiudi gli occhi e datti un contegno,Choi Minho.
Acqua che scorre ovunque, che si infiltra tra i capelli, fra le dita, sul viso.
Respira. Quel ragazzino mi deve delle spiegazioni, dannazione.
Per un momento gli era sembrato di essere capitato in un film dell’orrore. Quell’atteggiamento di Yuri, la coda di cavallo nera che le svolazzava alle spalle, le sue parole… Quel ‘ti piace?’ continuava a rimbombare nella sua testa ed era semplicemente insopportabile.
È stato tremendo.
Jonghyun. Aveva bisogno di lui. E subito. Ma prima… prima avrebbe dovuto affrontarlo. Niente più scuse, niente più silenzi. Questa era troppo grossa.
A malincuore, uscì dalla vasca e dall’acqua fresca che lo avvolgeva. Prese un asciugamano e se lo passò tra i capelli neri, poi se lo allacciò in vita e uscì, chiedendosi che atteggiamento avrebbe dovuto usare.
Taemin era fuori dal bagno, lo aspettava. Aveva le spalle appoggiate al muro e un’aria pensosa.
“Non posso dirti tutto ma tenterò di darti un’idea. Promettimi solo una cosa.”
“Spara.”
“Io non ti farò del male, quindi per favore, per favore hyung, non mi cacciare fuori di casa.” Il tono supplichevole del ragazzo lo fece sorridere ma si trattenne e rimase serio.
“Ti caccio se non mi dici che sta succedendo e perché improvvisamente una delle mie migliori amiche ha tentato di buttarmi giù da una rupe.”
Temin era teso, Minho quasi poteva sentire il suo cervello che lavorava. “Niente bugie.”
“No, niente bugie.” Si guardarono negli occhi e Minho incrociò le braccia muscolose, in attesa.
“Prometti che non ti spaventerai.”
“Dio, Taemin…”
Più di così…
“Prometti!” il ragazzino era irremovibile. Minho alzò una mano e mostrò il palmo.
“Prometto.”
Bah.
“Io non sono come tu mi vedi.” Lo disse velocissimamente, dopo aver preso un gran respiro.
“Eh?” Minho rimase interdetto.
“Tu credi che gli uomini siano tutti uguali, ma…”
“No, non credo che siano tutti uguali.”
“Nel senso… certi hanno determinate caratteristiche diverse dagli altri, è vero, ma io ho… delle particolarità che diciamo sono solo mie.” Minho rimase sbalordito da quanto Taemin soppesasse ogni parola.
“Ancora misteri? Vuoi parlar chiaro? Che c’è, sai volare o… sei un vampiro? Ti piace il sangue?” Minho rise, ma quando notò che Taemin continuava a guardarlo come se provasse pena per lui cominciò a preoccuparsi. “Sei un vampiro?” balbettò. Non sapeva più che pensare.
“No hyung.” Minho non poté trattenere un sospiro di sollievo.
“E allora cosa?”
“Vedi, io ho un passato un po’ particolare…”
“Se per questo anche io.”
“Sì ma io di più, credimi.” Minho gli credette. “In pratica, sono sempre vissuto in isolamento e… questa è la prima volta che vedo com’è il mondo. Il vostro, mondo.”
“Sei nato in un convento?” tentò di indovinare Minho. Taemin rise.
“Qualcosa del genere, ma molto meno piacevole.”
“Capito.”
“Sono scappato.”
“Per questo eri là mezzo morto sulla spiaggia?”
“Esatto.”
“Oh, che bello. Comincio intravedere un certo filo logico nel tuo discorso.”
“Temo che ti deluderò adesso, hyung.” Minho si preparò.
“Sono pronto.”
“Non ti spaventare…”
“No, dai, spara!”
“Io sento i pensieri delle persone.”
 
Lo disse così velocemente che Minho fece fatica ad afferrare le parole, poi Taemin strizzò gli occhi come se stesse per arrivargli uno schiaffo.
“Taemin?”
“Neh…”
“Cosa vuol dire che senti i pensieri delle persone.” Minho tentò di rimanere il più calmo possibile.
“E’ la verità hyung. Non sempre, nel senso, non è una cosa che avviene in automatico ma se voglio, posso.” Minho scoppiò a ridere.
Rise e rise e rise, come se avesse appena visto la cosa più divertente della sua vita.
“Mi… mi stai prendendo in giro vero? Ragazzino…”
“No, temo di no.”
“Dimostramelo.” Taemin deglutì.
“E’ meglio se evitiamo esperimenti per ora.”
“Non ti credo.”
“Libero di farlo.” Si squadrarono. Minho fece qualche passo avanti e indietro, come se stesse facendo un ragionamento complesso.
“Metti anche che tu non stia mentendo. Per assurdo ovviamente.” Si affrettò ad aggiungere. “Questo non spiega il perché Yuri si sia comportata così oggi.”
“Invece sì. Sia quell’uomo di cui mi hai parlato, sia la tua amica… erano sotto il controllo di qualcuno che ha la mia stessa capacità.” Minho si fermò.
“Continua.”
“Poter conoscere i pensieri degli altri, sentire cosa provano le persone… potrebbe sembrare divertente, no? Si capisce chi si ha davanti in un solo istante.”
“Non è divertente.” Si intromise Minho. “E’ terribile.”
Taemin lo guardò con serietà e gli occhi gli si velarono di una leggera malinconia.
“Hai ragione. Infatti lo è. È la mia condanna.” Il ragazzino scivolò lentamente lungo la parete e lì si sedette, le ginocchia strette al petto come se avesse freddo.
“Origliare i pensieri e le emozioni di qualcuno in quel modo è violare la sua anima, è tradire. È meschino e disgustoso.” Continuò Minho. Era spaventato.
Molto. E per mascherare a Taemin e a se stesso la sua paura, preferiva attaccare. Alla fine, era ciò che pensava.
“Lo so, lo so…” sussurrò Taemin. La voce gli si spezzò. “Non ho scelto io di essere così.”
“Che è successo a Yuri?” domandò Minho, notando che il ragazzino stentava a proseguire.
“Qualcuno è entrato nella sua mente, ha scrutato nel suo essere e ha preso il controllo di lei. Si può fare, se la persona non è preparata o se la sua identità è debole. E’ facile. Ma non preoccuparti, lei starà bene e non si ricorderà nulla, così come quell’uomo che ti ha aggredito. Al massimo, ci si sveglia il giorno dopo con un bel mal di testa.” Taemin tirò su col naso e sorrise, con amarezza.
Minho scosse il capo e si sedette vicino al ragazzino.
“Non posso crederci, ma comincio a pensare che quello che dici abbia un senso…”
Eppure quello scintillio negli occhi di Yuri, quel modo di muoversi non suo… sembrava davvero che qualcuno la guidasse, le dicesse cosa dire e fare. Sembrava fuori di sé.
“Una cosa simile non è possibile.”
“Non farlo allora, non sei obbligato. Anzi, se non ci credi, sarai più al sicuro.”
“Chi la… la comandava? E cosa voleva da me?” chiese Minho. A quel punto, tanto valeva chiarirsi ogni dubbio.
“Chi mi ha reso così… ora mi rivuole. Io sono scappato ma lui può sentirmi perché la mia mente, gli appartiene. Ho tentato di proteggerti in questi giorni, ma deve aver capito lo stesso. Probabilmente sa che sono con te ora, e ti vuole spingere a cacciarmi, così che io sia di nuovo da solo e quindi più debole. Vuole costringermi a tornare. Sa che la solitudine è ciò che mi spaventa di più.”
“Perché si serve di altri? Non potrebbe semplicemente… fare con me ciò che ha fatto con Yuri?” Minho non sapeva che parole usare, gli sembrava di parlare una lingua sconosciuta.
“No, non può perché ci sono io.”
Minho attese ulteriori spiegazioni.
“Quando ti ho visto la prima volta ho guardato dentro di te. Non ho potuto farne a meno, perché ero sfinito e avevo paura che lui ti governasse. Non ho scavato a fondo, credimi, giusto un istante per capire chi eri. Ora so riconoscere la tua coscienza e la proteggo.”
“Come… come uno scudo?”
“Esatto. Deve usare altri mezzi per farti fare ciò che vuole, e ti assicuro che questo lo renderà più crudele. Non ama non poter ‘vedere’ le persone.”
Minho appoggiò la testa al muro e chiuse gli occhi. Si sentiva stranamente calmo.
Era davanti ad un’assurdità, ad un qualcosa che la sua mente nemmeno concepiva. Stava capitando proprio a lui. Era orribile, era spaventoso, qualcuno aveva guardato dentro la sua testa! …eppure era calmo.
“E Jonghyun? Se ciò che dici è vero, lui è in pericolo.”
“No, sto tenendo sott’occhio anche lui e non dovrebbe accadergli niente. E poi… Jonghyun è diverso.”
“In che senso?”
“Beh… la sua mente non è come quella degli altri. Penso che non si farebbe comandare tanto facilmente.”
“Vero.”
“E poi è semplice. La sua anima somiglia a quella dei bambini. Per governare la coscienza di una persona, si fa presa sui suoi lati deboli, sui segreti, su ciò che uno nega di sé. Jonghyun non nasconde niente.”
Minho capiva. “Senti… io non ho nessuna intenzione di obbligarti a fare nulla che tu non voglia. E credimi, farò di tutto perché tu rimanga coinvolto il meno possibile. Ma non ti posso nascondere che se stai con me, cose come quella di oggi potrebbero accadere di nuovo. Io sarò lì, certo, non lascerò che ti faccia del male, anche perché a lui non importa niente. Però, ora che sai… sarai automaticamente più recettivo. Se decidi di credere a quello che ti ho appena detto, la tua mente comincerà a lavorare in modo diverso, se poi stai a contatto con me sarà ancora più facile. Più sei consapevole delle capacità che può avere il cervello umano, più sarai esposto a lui, così come lo sono io. Sta a te scegliere. Io non ti biasimerei se tu decidessi di continuare la tua vita e tornare quello che eri. Sei ancora in tempo.”
Minho ascoltò le parole di Taemin. Poi si prese qualche minuto per riflettere.
C’erano ancora delle cose che non capiva.
“Perché sei fuggito? Perché non sei libero di agire come vuoi? Tu puoi difenderti. Non sei in pericolo.”
“Io posso oppormi fino ad un certo punto. Ho diciannove anni, e non avevo mai visto un'altra persona a parte… beh, non si può dire che io sia vissuto in libertà. Non posso dirti tutto, ma comprenderai che lui ha ancora molto potere su di me.”
“Chi è lui?”
“Questo è meglio che tu non lo sappia.”
“Cos’altro posso sapere allora?”
“Non dovresti sapere nulla. Tutto ciò che ti ho detto, è contro di te, perché più sai e più io ti trascino con me in questo incubo quindi… ti prego, non chiedere altro.”
Minho annuì.
“Ti basti sapere che io non dovrei essere qui. Ricorda la scelta che devi fare. Ti lascio solo.”
Taemin si alzò e sparì.
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Sera a tutti! Ed eccoci che siamo arrivati alla prima, vera svolta in questa storia. Le domande sono ancora tante, ma questo è comunque un grande passo, non trovate?
Fiori diluvia e devo dire che la pioggia, in momenti come questi, mi ha sempre dato sollievo.
E quindi, anche stasera, aggiorno!
Il banner l'ho fatto io, non sono una grande grafica, non ho mai graficato, io sono più per le cose che si muovono (video) XD Comunque ho fatto del mio meglio. La foto di sottofondo è mia, dal mio amato mare.
A presto!
 

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Capitolo 6
*** 6. Blond Twins ***



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6. Blond Twins



Un’ora, due ore, tutta la notte.
Per quanto tempo sei rimasto seduto lì?
Il ticchettio dell’orologio da muro arriva fino a te dal salotto.
Che situazione.
Mai in tutta la tua vita avresti pensato ad una cosa del genere, mai.
Mai.
Quanto sa lui di te? Fino a dove si è spinto, quella notte in cui è piombato nella tua vita e ha sconvolto ogni tua certezza?
Occhi di ghiaccio.
Non ti era più venuto in mente. Avresti dovuto chiederglielo.
C’erano così tante domande da fare… quasi quasi vai a prendere un foglio e le scrivi, così non te le dimentichi e fai ordine.
Ma no, non puoi sapere. Meglio non sapere.
È un gioco pericoloso, e a te non è mai piaciuto giocare.
‘…quel ragazzino biondo che vive con te da un po’ di tempo… ti piace?’
Un brivido.
Sì, mi piace. Mi ricorda me stesso quando ero solo al mondo e avevo paura.
E allora vai, affronta le cose di petto e buttati in questa follia. Affogherai? Può essere. Tanto che senso ha avuto la tua vita fino ad oggi? Che valore ha avuto la tua esistenza?
Sei solo una maschera. Era destino che cominciassero a formarsi delle crepe, e che qualcuno riuscisse a guardarci attraverso.
Certo, non avresti mai pensato che sarebbe accaduto così, con uno strano ragazzino biondo che ti si intrufola nella testa, ma comunque…
E da quando l’hai visto, poteri mentali o no, Taemin ci si è ficcato in quella testa, eccome. Non è più passato un giorno senza che tu pensassi a lui.
Alla sua camminata fluida, alla sua leggerezza. Al suo tocco fresco. Al suo sorriso dolce, alle sue battute argute, alle sue stranezze incomprensibili. Ai suoi occhi.
Nocciola però.
A quelli azzurri è meglio non pensare.
 
“Tae…” Minho lo svegliò con dolcezza, muovendogli un braccio. Il ragazzo si alzò subito sui gomiti.
“Ho capito quella cosa del fiore, sai?”
“Quale?” chiese Taemin, stropicciandosi gli occhi.
Che carino.
“Quando mi hai chiesto se ero così sicuro di essere più forte di un fiore. Non lo sono, perché un fiore non pensa, e quindi non può essere controllato, mentre io sì. Non mi serve a niente la forza se non posso decidere io come usarla.” Taemin gli sorrise.
“Che ti avevo detto, è inevitabile. Già vedi le cose in modo diverso. Vedi te stesso, in modo diverso.”
“Forse non mi conosco.”
“Nemmeno io so chi sono. Magari sono solo un burattino. Un niente.”
“Che dici se lo scopriamo insieme, chi siamo?”
“Hyung…”
“Non penso che sia così terribile, no? Capire.”
“La verità potrebbe essere devastante. E te lo dico io, che ho visto dietro tutte le menzogne che si crea la gente.”
“Taemin. Tu non mi dai l’aria di uno che la sa lunga.”
Risate silenziose nella notte.
“Sono pur sempre un ragazzino.” Minho gli diede una carezza sulla testa. Stava diventando una specie di abitudine.
“Pensavo… secondo te ci conviene spiegarla a Jonghyun? Tutta questa storia?”
“Come vuoi. Decidi tu. Le stesse cose che ho detto a te, valgono per lui.”
“Allora aspettiamo ancora un po’. Vediamo un po’ come va.”
“Ok.”
“Dai, torna a dormire.”
“Allora… hai deciso?” gli chiese poi il più piccolo, esitante.
“Sì. Torna a dormire.”
“Grazie. E scusa. Per tutto.”
“Shh.”
“Ti voglio bene hyung.”
“Anche io. Dormi.”
 
Erano passate esattamente quattro settimane da quando Minho aveva trovato Taemin disteso sulla riva, semi-cosciente.
C’erano ancora tante di quelle domande che gli affollavano la testa, mentre lo guardava mangiare, in silenzio. Erano nel bar d’ingresso alla spiaggia, Taemin portava alle labbra la forchetta, gli occhi che guizzavano intorno, luminosi e vivaci. E Minho lo osservava, in silenzio.
Notò che aveva l’abitudine di dare un colpetto col capo per spostare le ciocche di capelli biondi che gli ricadevano sul viso, di tanto in tanto. Guardava le sue labbra, rosee mentre masticava. Dovevano essere morbide.
Nel suo sogno erano così.
Guardava anche le sue guance. Nonostante fosse così magro, non erano affatto incavate. Erano tonde e lisce.
Perfette.
Aveva dei polsi strettissimi. Si chiese come doveva essere, allacciare una mano intorno a quei polsi. Il pensiero gli sembrò così strano, così sbagliato, che arrossì leggermente.
Non aveva mai guardato in quel modo nessuna ragazza, e il pensiero lo spaventò.
“Hyung?”
Minho si riscosse. Si stiracchiò e guardò altrove.
“A che pensi?”
“Perché non provi a guardare.” Non lo disse in modo serio, voleva più che altro prenderlo in giro. Taemin però non sorrise. Abbassò il capo sul piatto e iniziò a ravanare con la forchetta. Minho gli sfiorò il mento e gli fece rialzare il viso.
“Scherzavo, scemo.”
“Umpf.”
“Pessima battuta, ok.”
A cosa pensavo.
Vediamo.
Domande. Tantissime domande.
Taemin, dov’è questo fantomatico posto in cui sei stato allevato? E con chi? Sei rimasto davvero tutto solo, per diciannove anni? E come sei scappato? Come sei finito su quella spiaggia? Chi è lui? Perché i tuoi occhi diventano azzurri? O era solo uno strano riflesso di qualcosa? Ma di cosa… e perché sei rimasto qui con me? Cosa faremo adesso? Cosa stai aspettando, mentre i tuoi occhi guardano il mare, da lontano… perché lo vedo sai, che aspetti qualcosa. E quei brutti sogni che hai? Sogni ancora che io ti butti fuori di casa, dopo tutto quello che ci siamo detti? O forse non sono io, lo hyung che chiami ogni notte…
Taemin.
“Taemin.”
“Mmm?” aveva la bocca piena di riso. Minho allungò una mano e gli tolse un chicco che era rimasto a lato delle sue labbra.
“Eri sporco.” Il ragazzino sorrise e riprese a mangiare.
“Sai Minho, la signora della panetteria in centro…”
“Quale, quella vicino alla piazza?”
“Sì, quella… è simpatica. L’altro giorno mi ha regalato una brioche.”
“Ecco perché sapevi di nutella dopo.” Taemin spalancò gli occhi.
“Si sentiva?”
“Hai voglia.”
“Dall’alito?” Minho annuì.
“Fuu… perché non me l’hai detto?”
“Non è che devo starti a controllare come i bambini, potrai mangiarti una brioche senza chiedere il permesso.”
Da quando si conoscevano, a Minho era sempre sembrato di essere una sorta di ‘protettore’ o qualcosa del genere. Taemin gli sorrise.
“So che ormai ci tieni a me e ti piace sapere cosa faccio.”
“Bah.” Sbottò il ragazzo. Dopo tutti i silenzi e i misteri…
Beh sì, preferiva sapere almeno quelle piccole cose di lui. Lo faceva sentire più tranquillo.
“Non ti preoccupare hyung, sai già gran parte dei miei segreti.”
“Mi stai leggendo nella testa?” chiese di botto Minho, preoccupato da come quel ragazzino riuscisse a intuire i suoi pensieri e i suoi sentimenti. Taemin rise ancora.
“No! Ma ti vedo in faccia.”
“Uhm.”
“Se lo stessi facendo te ne accorgeresti, te lo assicuro.” Minho lo guardò torvo ma decise di non proseguire. Incrociò le braccia sul petto nudo e riprese a guardarlo.
Che caldo.
“Stasera vado a correre, va bene? Ho i muscoli tesi e devo rilassarmi.”
“Ok! Ti farò com…”

“Taemin?” il ragazzino si era come bloccato a metà parola, le labbra ancora aperte. Era immobile, la forchetta sul piatto, solo gli occhi guizzavano da una parte all’altra, e per un momento a Minho parve…
“Hyung!”
“Cosa? Che c’è?” Minho si alzò dalla sedia, in allerta. Sentiva il sudore scendergli lento dalle tempie.
“C’è qualcosa di strano.”
“Dove? Chi è?”
Doveva esserci qualcuno attorno a loro. Poteva essere quella signora vicino al bancone? O quel ragazzino seduto poco distante? No, forse era la ragazza…
Minho si sentiva mille occhi azzurri addosso, occhi come quelli che aveva Yuri mentre non era in sé.
“Dove.” Chiese ancora, in preda all’agitazione. Anche Taemin si era alzato, ma era rivolto verso la strada.
“Non è qui. Lasciami guardare.”
Minho rimase immobile. Mentre lo sguardo di Taemin viaggiava lontano, non ci furono più dubbi per lui: nei suoi occhi baluginava uno scintillio azzurro ghiaccio.
Mentre Taemin usava il suo… potere, i suoi bellissimi occhi nocciola diventavano di quel colore freddo e terrificante.
No, a Minho non piacevano per niente.
Il ragazzino batté le palpebre e le sue iridi tornarono normale.
“E’ Jonghyun.” Disse solamente. A Minho non servì altro. Imprecò e uscì dal bar di corsa, gridando alla cassiera: “Torno dopo!”
“Aspetta!” si voltò perché Taemin lo raggiungesse.
“Dov’è?”
“Aspetta, è meglio se rimaniamo insieme. Da così lontano ancora non so esattamente com’è la situazione.”
“Va bene.”
“E’ di qua, vieni.”
Mentre correva dietro a Taemin, i suoi occhi erano di nuovo azzurri. Era come se sfiorasse con lo sguardo ogni persona che aveva attorno, orientandosi di conseguenza. Non aveva un’andatura regolare, a volte scartava di lato, altre si fermava per poi riprendere con decisione.
A Minho importava solo di Jonghyun. Non voleva affatto che gli succedesse qualcosa di simile a quello che era accaduto a lui… o peggio, non voleva che nessuno prendesse il controllo del suo amico.
“Merda!” gridò, quando Taemin si fermò, si voltò e tornò sui suoi passi.
“Si stanno muovendo, faccio fatica a mantenere il contatto con la mente di Jonghyun.” Si giustificò Taemin.
“Si stanno? Ma quanti sono?” Taemin correva e basta.
Jonghyun c’era sempre stato quando lui aveva bisogno. Il solo pensiero di averlo trascinato di nuovo nei suoi casini lo faceva sentire incredibilmente colpevole. Minho era furioso.
“Ho capito!” esclamò Taemin all’improvviso, nel bel mezzo di un incrocio. Una macchina gli suonò e il ragazzino riprese a correre.
Erano ormai parecchio lontani dal centro e dal mare. Si erano addentrati nella cittadina fino a raggiungere un grande parcheggio, che si ergeva sotto il sole cocente del pomeriggio. Le pareti erano grigie e vi si entrava attraverso una passerella che saliva a chiocciola nell’edificio, portando ai vari piani colmi di auto parcheggiate.
“Sono là dentro?” chiese Minho.
“Sì, secondo piano.”
Il ragazzo più grande non se lo fece ripetere due volte. Scattò in avanti e con un balzo superò la sbarra che bloccava l’accesso alle macchine sprovviste di biglietto, salendo la ripida passerella d’ingresso.
All’interno era buio. Quando il ragazzo giunse al secondo piano, gridò: “Jonghyun!” e il nome dell’amico rimbombò nell’edificio.
Suoni metallici.
A destra, oltre quella fila di macchine.
Quando Minho giunse nello spiazzo leggermente illuminato dal sole che filtrava da alcune finestrelle, la scena che si trovò davanti lo spiazzò: c’era Jonghyun, seduto con la schiena contro una macchina blu impolverata, gli occhi spalancati e il fiato grosso. Gli colava un rivolino di sangue dallo zigomo ma sembrava stare bene.
Davanti a lui, c’erano tre ragazzi, dei caschi bianchi da motociclisti in testa, guanti e dei bastoni in mano. le loro moto erano parcheggiate poco lontano, alle loro spalle. Tra i motociclisti e il suo amico, c’era un ragazzo biondo, i capelli tagliati in modo strano, rasati da un lato e un lungo ciuffo sulla fronte. Indossava dei pantaloncini bianchi e una t-shirt grigia, in spalla uno zainetto logoro. Aveva le mani sui fianchi e sbatteva un piede, come se fosse infastidito.
“Via!” gridò con voce squillante, indicando più o meno dove si trovava Minho. I motociclisti indietreggiarono, lasciando cadere i bastoni. Il ragazzo biondo fece un altro passo avanti e li fulminò con lo sguardo.
Aveva un taglio d’occhi e dei lineamenti decisamente particolari, che lo facevano assomigliare ad un gatto. Per un istante, Minho pensò che aveva qualcosa che gli ricordava Taemin: era molto bello.
I tre caschi bianchi si decisero a fuggire, salirono sulle loro moto e si lanciarono verso l’uscita, tanto che Minho dovette scartare di lato per evitarli.
Sentendo i motori che si allontanavano, Minho corse verso Jonghyun, ma il ragazzo biondo si frappose fra di loro. Aveva ancora le mani sui fianchi e lo squadrò con un’espressione per niente amichevole.
“Tu. Choi Minho.”
Il ragazzo moro deglutì.
Un altro che sa il mio nome, niente di buono.
“Stavo cercando te e invece ho incrociato lui.” Indicò Jonghyun che ancora non si era azzardato a muoversi.
“Siete molto amici? Vi avevo scambiati. Beh, d’altra parte è stata una fortuna. Quei tizi lo avrebbero fatto a pezzi.”
“Yah!” Jonghyun strillò, con voce per niente convincente. Intanto il ragazzo biondo era occupato a sistemarsi il ciuffo, ravviandolo con le mani.
“Allora? Dov’è Taemin?” chiese come se fosse la cosa più naturale del mondo. Minho si guardò intorno.
Non era ancora arrivato, lui aveva corso più veloce.
“Non lo avrai, smettetela con questa stupida storia, tutti voi!” il biondo si guardò in giro.
“Eh? Noi chi?”
“Voi voi! Non capite che qualcun altro vi sta facendo il lavaggio del cervello? Torna in te!”
Il ragazzo lo guardò con occhi spalancati, poi scoppiò a ridere. Minho ringhiò e decise di agire. Dopo che Yuri era scoppiata a ridere, era successo il finimondo e non poteva permettere che accadesse ancora davanti a Jonghyun. Inoltre era così arrabbiato, i muscoli così tesi che non vedeva l’ora di fare qualcosa. Scattò in avanti e fece per saltare addosso al ragazzo.
“No, no Minho lui no!” era la voce di Taemin alle sue spalle.
Minho inchiodò con un pugno già alzato che stava per calare sul ragazzo. Guardò Taemin che era appena arrivato da dietro la fila di auto, boccheggiante.
“Hyung!” gridò il ragazzino. Ma non stava guardando Minho.
È lui.
Gli occhi del ragazzo biondo brillarono. Lasciò cadere lo zainetto e corse verso Taemin mentre il ragazzino faceva lo stesso. Minho notò che il nuovo arrivato aveva un andamento aggraziato ma diverso da quello di Taemin.
I due si incontrarono a metà strada e si abbracciarono così stretti che Minho rimase a bocca aperta. Taemin alzò le gambe e le allacciò attorno alla vita del ragazzo, nascondendo il volto sul suo collo.
Intanto ripeteva “Hyung… hyung!” l’altro ricambiava baciandogli i capelli e le braccia, tutto ciò che riusciva a raggiungere.
Turbato, Jonghyun distolse lo sguardo. Si piegò e si passò un braccio dell’amico attorno alle spalle.
“Stai bene?”
“Bene è una parola grossa! Cazzo… che diavolo succede?”
“Non lo chiedere a me.”
 
Quando i due sciolsero l’abbraccio –molti minuti dopo- Taemin si rassettò la t-shirt e si voltò verso di loro, gli occhi lucidi e un sorriso che Minho non gli aveva mai visto in faccia prima di allora.
“Minho! Jonghyun! Lui è Kim Kibum!” i due ragazzi si guardarono. “E’ mio fratello!”
“Bwo?” esclamò Jonghyun. “Voi due…” li indicò. “Beh, in effetti qualche somiglianza c’è.”
“Non siamo fratelli di sangue.” Rispose Kibum con aria placida. “Ma siamo comunque fratelli.”
“Siamo cresciuti insieme, non è vero Hyung?” disse Taemin. Si era aggrappato con una mano alla canottiera dell’altro e non gli staccava più gli occhi di dosso. Era come stregato.
“Sì, è così.” Kibum gli sorrise ancora, accarezzandogli i capelli sulla nuca. Minho notò che erano più o meno alti uguali. E avevano lo stesso colore di capelli.
Anche la stazza era simile, ma Taemin era più esile. Kim Kibum era completamente privo di muscoli, esattamente come il ragazzino, aveva gli zigomi affilati e gli occhi penetranti. I jeans bianchi che indossava erano strettissimi.
“Taemin, è lui che aspettavi?” chiese Minho, istintivamente.
Finalmente, gli occhi del più piccolo tornarono su di lui. Ma solo per un istante, perché tutta la sua attenzione era catalizzata dal ragazzo al suo fianco.
“Sì. Sapevo sarebbe venuto a prendermi. Sapevo non mi avrebbe lasciato solo.”
“Come potrei…” Kibum gli diede un leggero bacio sulla fronte e Taemin chiuse gli occhi, estasiato.
Bah.
“Hyung, questi sono Minho e Jonghyun. Sono loro che mi hanno salvato e mi hanno fatto compagnia tutto questo tempo.”
Kibum si voltò a guardarli, o meglio… Minho si sentì sezionato da quegli occhi felini. Ma poi il viso del ragazzo si distese in un bel sorriso e si avviò verso di loro. Strinse la mano ad entrambi e si inchinò.
“Grazie, per esservi presi cura di lui. Speravo che incontrasse qualcuno come voi. È stato fin troppo fortunato.” Poi si rivolse direttamente a Minho e il ragazzo sostenne il suo sguardo.
“Da come hai reagito poco fa… sai qualcosa, vero? Su di noi.”
Minho sentì lo sguardo interrogativo di Jonghyun. Annuì.
“Taemin.” Continuò Kibum. “Perché l’hai detto a questo umano?”
Umano?Minho spalancò gli occhi, incredulo.
“Aww, hyung! Non essere così…” Taemin gli strattonò un braccio. “Loro sono miei amici. Sono importanti. Non chiamarli come lui, sai che mi da fastidio.” Kibum sbuffò.
“Scusa, hai ragione, è l’abitudine.”
“U… umano?” balbettò Jonghyun. Minho gli poggiò una mano su una spalla, per rassicurarlo.
Avrebbe voluto essere rassicurato anche lui. Quel ragazzo non gli piaceva.
Per niente.
“Comunque, perché gliel’hai detto? Non ci eravamo messi d’accordo diversamente? Tu non dovresti nemmeno essere ancora qui.” Continuò Kibum, ignorandoli.
“Lo so… non potevo partire da solo. E poi quando sono arrivato qui e…” Taemin rivolse uno sguardo fugace a Jonghyun “e ci siamo lasciati, io ero stremato hyung. Sarei morto se non ci fosse stato Minho.”
Adesso non esagerare.
“Capisco.”
“E poi sapevo, sapevo ce l’avresti fatta ad arrivare.”
Perché gli sorride così. A me non ha mai sorriso così.
“E poi io mi sono affezionato hyung, davvero. Non voglio…”
“E poi, e poi…” Kibum accarezzò una guancia di Taemin e lo prese per mano.
“Ho capito Tae, non c’è bisogno di altre spiegazioni.” Si rivolse a Minho. “Grazie ancora per averlo salvato.”
“Non è stato niente, solo un caso… stavo facendo jogging sulla spiaggia quando l’ho trovato. Era stato molto tempo in acqua e aveva freddo ma… l’ho scaldato facilmente.” Spiegò Minho.
“Capisco. Beh, grazie comunque per averlo tenuto con te.”
“Ehm… scusate…” la voce flebile di Jonghyun. Tutti si voltarono a guardarlo. Il ragazzo si passò il dorso di una mano sul sangue rappreso dello zigomo. “Mi dispiace interrompervi ma… mi spiegate che sta succedendo? Mi sembra di non capirci niente… chi erano quei pazzi che mi hanno colpito e portato qui?”
“Hai ragione Jjong…” ammise Minho, mettendogli un braccio sulle spalle. Poi si rivolse a Taemin.
“Credo che sia ora anche per lui di sapere.”
“Non dovresti sapere niente nemmeno tu, invece.” Ribattè Kibum, calmo ma deciso.
“Lo so. Ma è un mese che ci succedono cose strane, capisci… noi abbiamo il diritto di avere spiegazioni.”
“Posso fare in modo che nessuno di voi due ricordi niente. Noi ce ne andremo presto, quindi…” Minho osservò il volto di Taemin rabbuiarsi, ma il ragazzino non parlò.
Al solo pensiero di avere qualcuno dentro la testa, Minho sentì un brivido freddo lungo la schiena.
“No, non serve dimenticare. E anche Jonghyun penso che preferisca capire, piuttosto che dimenticare tutto, vero?” il ragazzo annuì, gli occhi enormi.
Kibum esitava.
“Non ci cambia niente, hyung. Ormai, lui sa già.” Il ragazzo biondo guardò Taemin per un attimo e il suo volto si addolcì.
“Va bene. Rimane solo un problema in sospeso.” Kibum si passò una mano fra i capelli. “Io non ho un posto dove stare.”
“Ah, non guardate me! Io non ho più spazio, già Taemin dorme sul divano! Il mio è un appartamentino, non un albergo.” esclamò Minho, mostrando i palmi delle mani in segno di resa.
“Beh… mia sorella è via col suo ragazzo quindi…” di nuovo tutti si voltarono verso Jonghyun. “Kibum potrebbe stare a casa mia.”
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Buongiorno ragazzi!
Sono felice di annunciare che ho passato il mio primo test universitario, quindi, per festeggiare, aggiorno!
Spero che mi stiate ancora seguendo, la storia inizierà presto ad entrare nel vivo e gli eventi si susseguirano velocemente, d'ora in poi. Come vedete, è entrato in gioco un nuovo, fondamentale personaggio! (Key <3)
Continuate a seguirmi!
Chuuu
Chiara
 

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Capitolo 7
*** 7. Dimostrazioni ***



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7. Dimostrazioni



Spiegare tutta la faccenda a Jonghyun e convincerlo del fatto che non lo stessero prendendo in giro, fu una questione decisamente spinosa. Rimasero seduti nel salotto di Minho per più di un’ora, squadrandosi. Decisero di iniziare subito a spiegargli che Taemin e Kibum potevano vedere nella mente delle persone, leggerne i pensieri, sentirne i sentimenti e capire la personalità di ciascuno con un solo sguardo. Potevano anche individuare la posizione di una persona, una volta che sapevano distinguere la sua mente da quella di un altro. Era così che Taemin era riuscito a localizzare Minho e Jonghyun quando questi erano in pericolo, perché rimaneva in contatto con le loro coscienze e percepiva il loro terrore e la loro angoscia.
Così anche Kibum aveva sentito, attraverso la mente di Taemin, il suo forte collegamento con un certo Choi Minho e col suo amico Kim Jonghyun. Ed era sempre così, seguendo le tracce della coscienza di Taemin da lontano, che si era imbattuto nella mente familiare di Jonghyun mentre cercava di rintracciare il ‘fratello’.
Credere a tutto questo, per Jonghyun, fu un’impresa titanica.
Fu un’ora di botta e risposta continua fra lui e Kim Kibum. Minho e Taemin si lanciavano occhiate torve, intervenendo di tanto in tanto e tentando di convincere Jonghyun. Il caldo era asfissiante nonostante le finestre aperte, ed entrambi si sentivano stanchi. Minho si passò una mano sul viso mentre Jonghyun gridava: “La vedi questa? Si chiama scatola cranica. Sai cosa c’è qui dentro? Cervello, materia grigia. Non ci sono pensieri. Quelli sono il risultato dell’attività sinaptica e dei neuroni. Nessuno e dico nessuno, può pretendere di poter leggere qui dentro come in un libro! Sapere prima dov’è una persona o chi è o cosa sta sentendo poi… è assurdo! Ed è assurdo che tu ci creda, mi meraviglio di te!”
“Senti hyung… per l’ennesima volta… ti dico che è vero…” mormorò Minho.
“E’ così! Sennò come ti spieghi quei tre che ti hanno assalito? Li ha mandati lui!” ribatté Taemin, infervorandosi.
“Ma chi sarebbe questo fantomatico lui? Eh? Un alieno? Voldemort? Colui Che Non Può Essere Nominato?”
“Calmati…” gli disse Minho.
“No. Noi lo chiamiamo semplicemente Maestro.” Rispose Kibum inaspettatamente. Minho drizzò le orecchie perché nemmeno lui sapeva niente di quest’uomo da cui Taemin era fuggito.
“Si è sempre fatto chiamare così, quindi non sappiamo la sua vera identità. La sua mente è più forte di qualsiasi altra. È lui che ci ha resi così, quindi capirete che per il Maestro è facile oscurare la sua vera identità o personalità. Non credo esista nessuno con un tale controllo sulla psiche umana.”
“Abbiamo provato tante volte a contrastarlo… ma è sempre stato impossibile. Voler penetrare la sua mente è come tentare di spostare una montagna a mani nude. Ci è costato molto provarci.” Si intromise Taemin, a voce bassa.
“Il Maestro ci ha scelti quando avevamo solo pochi mesi di vita. Non sappiamo chi siano i nostri genitori o quali siano le nostre origini, non sappiamo nemmeno se lui abbia modificato le loro o menti e li abbia costretti a lasciarci o se ci abbia davvero trovato in degli orfanotrofi, come sostiene.” Continuò Kibum. “Questo vale per me e un altro ragazzo. Per Taemin invece è stato diverso.”
“Hyung, non c’è bisogno che…”
“Se devo raccontare, è giusto che sappiano tutto.” Ribattè Kibum. “Taemin è stata colpa mia.”
“No, non è vero…”
“Invece sì. Il Maestro mi ha mostrato attraverso un immagine mentale la personalità di un bambino, e mi ha anche fatto vedere come sarebbe diventato. Anche io ero solo un bambino all’epoca. Dopo avermi mostrato Taemin, mi ha chiesto se mi piaceva. Io ho risposto di sì, senza pensarci. Era una bella mente, gentile, luminosa. Eppure apparteneva ad un bambino sfortunato, perché lui mi ha detto che i suoi genitori erano morti in seguito ad un incidente d’auto e che era rimasto solo.”
“Questo è vero. Io me lo ricordo, l’incidente. È solo un flash di luce perché ero molto piccolo… ma lo ricordo.” Disse Taemin.
“Beh, io non pensavo che stesse cercando qualcun altro oltre a me. Invece, girovagando tra le menti del mondo, aveva trovato Taemin. E ne era ormai ossessionato.” Kibum fece una pausa, come se ricordare fosse doloroso per lui. “Se io avessi detto che no, quel bambino non mi interessava, il Maestro avrebbe dimenticato la questione. Ne sono certo, perché me l’ha rivelato lui. Dice che si fidava cecamente di me e che non gli serviva nessun altro. Nel suo piano originario non era previsto un altro allievo. E invece io ho detto che mi piaceva. E quando mi ha mandato a prenderlo, non ho opposto nessuna resistenza. Ero giovane e ignorante, non avevo mai visto niente al di fuori di quel luogo dove lui ci teneva, Volevo solo poter uscire. Andai dove il Maestro mi indicò, conquistai le menti di chi aveva conosciuto il bambino e delle inservienti dell’orfanotrofio dove lo avevano mandato da pochi giorni, dopo l’incidente… e lo portai da lui.” Kibum sospirò e prese una mano di Taemin. “E’ colpa mia se ora è qui, in questo inferno. Se lui ora è così.”
“Non avresti potuto fare altrimenti. Non è colpa tua.”
“Sono stato superficiale ed egoista. Ma io sono un po’ così, non è vero Taemin?” un sorriso pungente si formò sulle labbra di Kibum.
“No hyung. Non più. Tu sei tutt’altro.” Kibum sospirò e ritrovò il suo contegno, il ciuffo che gli copriva un occhio felino.
“Ad ogni modo, così sono andate le cose. Siamo cresciuti con il Maestro, senza mai lasciare l’isola che lui si era scelto come dimora. Fin da bambini ci ha insegnato i segreti della mente. Come sfruttarli a nostro piacimento. Ci ha addestrati, perché imparassimo ciò che lui sapeva dalla nascita, per puro istinto. Per questo è superiore, oltre che per il fatto che ha alle spalle molti anni di esercizio più di noi.”
“Quest’uomo… volete dire che sa leggere nella mente dalla nascita? E che è grazie a lui che avete imparato anche voi come fare?” chiese Minho, che era rimasto col fiato sospeso per tutto il racconto.
“Esatto. Lui ci ha resi così.” Rispose Kibum.
“Ma perché?”
“Ci sono diversi motivi.” Kibum sospirò di nuovo, l’espressione seria. “La solitudine è difficile da sopportare, per chiunque. Il Maestro è sempre vissuto da solo, per studiare i suoi poteri e capire come incrementarli. Dopo anni passati con se stesso, girando il mondo per testare le sue capacità sulla gente, si è ritrovato completamente privo di qualsiasi contatto umano, e questo lo ha spaventato. Anche il fatto di essere diverso, l’ha sempre reso un emarginato. Prima o poi, le persone si accorgevano che aveva qualcosa di strano. Quindi ha deciso di istruire qualcuno in modo da non essere più l’unico.”
“Vedere nell’anima della gente fa sentire potenti, ma rende anche schiavi.” Spiegò Taemin. “Capisci quanto le persone siano false e disgustose. Quanto non ci sia niente di vero.”
“Tutta questa conoscenza è difficile da sostenere, se si è soli.”
Minho annuì. Gli occhi di Taemin erano sempre velati da una malinconia lontana, una tinta amara che ormai aveva imparato a conoscere bene.
Ecco cos’era. Era il sapore della solitudine, della diversità. Erano degli occhi di bambino inquinati da una conoscenza che nessun uomo avrebbe mai dovuto avere.
“Il Maestro, come lo chiamate… è un’aberrazione. Un mostro.” Disse Minho, con parole dure. Taemin ebbe un sussulto, come se fosse stato colpito da una sberla. Kibum, che gli sedeva affianco, lo strinse a sé con un braccio.
“Se la pensi così, anche noi lo siamo, perché siamo uguali a lui.” Spiegò Kibum, asciutto.
“Ma… no, voi siete scappati.” Tentò di rimediare Minho, dispiaciuto.
“Sono diciannove anni che viviamo… che sopravviviamo con quel mostro. Il nostro dono è una condanna. E il Maestro, non è stato certo magnanimo con noi.” Una mano di Taemin si strinse a pugno. Non era più in quella stanza, i suoi occhi erano distanti. “Ci sono stati momenti in cui eravamo affascinati dal Maestro. È un uomo intelligente, chi mai più di lui poteva ridurci ad ascoltarlo, a credere ad ogni sua parola come se si trattasse di verità divine… il Maestro per noi era tutto. Era il mondo.”
“E’ stato Kibum a ribellarsi per primo.” Affermò Taemin all’improvviso. “Ha capito il marcio che c’era sotto e mi ha aperto gli occhi. Mi ha mostrato i suoi ricordi di quando era bambino, prima che venisse preso dal Maestro.”
“Vedete, per quando possano sembrare perfetti i suoi ragionamenti, per quanto la sua forza mentale possa essere devastante… a lungo andare, si notano dei buchi, delle storture in ciò che dice il Maestro. Inevitabilmente.” Tentò di chiarire Kibum, gesticolando in maniera animata. “Erano anni che bevevamo ogni sua parola ed ogni suo gesto senza mai porci domande, ma poi… tutto era così chiaro!”
“Le persone cambiano, non sono sempre le stesse, così anche la loro personalità può cambiare, con il tempo, con il succedere delle cose.” concluse Taemin. Era come se si completassero le frasi a vicenda, come se la loro mente fosse un tutt’uno.
“Se una persona ha commesso un errore, le tracce di quell’errore rimangono nella sua personalità. Ma non per questo quell’individuo deve per forza essere giudicato solo perché porta in sé i segni di quel dolore passato.” Continuò Kibum. “Vi faccio un esempio: se una persona ruba una mela, fa qualcosa che non dovrebbe fare. Potrebbe succedere che il senso di colpa per aver rubato quella mela renda la sua anima oscura. Ma se il ladro avesse agito solo perché aveva fame? O se fosse stato l’unico furto mai commesso nella sua intera vita? Voi direste che quella persona è cattiva o malvagia solo per quell’unico avvenimento? Ora ho usato l’esempio di una mela per semplificare, ma la verità è che tutti commettiamo errori, e tutti abbiamo segreti nascosti dentro di noi, cose che vorremmo che non si sapessero. Non per questo siamo persone orribili e da cancellare dalla faccia della terra come ci ha sempre fatto credere lui.”
“No.” Sussurrò Minho. “Un singolo errore non fa una persona.”
“Esatto! È proprio questo che intendevo. Il Maestro ci mostrava solo i lati negativi, istruendoci su come sfruttarli a nostro piacimento per arrivare a controllare meglio gli altri. Siamo cresciuti con l’idea che tutto è male e niente è come sembra. Ma non poteva essere così, vero Taemin?”
“No… l’anima di un uomo è molto più complessa. E poi c’erano i bambini! Crescendo, quando abbiamo iniziato a prendere possesso dei nostri poteri, a imparare, ci siamo messi a cercare da soli. E ogni volta riuscivamo a spingerci più in là con la mente, a trovare più persone da analizzare. E i bambini hanno catturato subito la nostra attenzione. La maggior parte di loro era del tutto innocente. Nessuna ombra da sfruttare, nessun desiderio inconfessabile. Sarebbe stato impossibile comandarli con la mente, anche per lui. Semplicemente perché non c’era niente di male in loro. E a volte succede anche con i più grandi. Come con Jonghyun, ad esempio.”
“Che?” il ragazzo saltò su. Era rimasto in silenzio fino ad allora, rapito dalle parole dei due ragazzi biondi.
“Non hai segreti da nascondere, nessuna particolare paura, nessuno scheletro nell’armadio. La tua anima è difficile da controllare per noi.”
“Scusa, ma tu che ne sai?” Taemin rise.
“Una sera sulla spiaggia, mentre parlavamo e Minho era a correre. Mi sono permesso di dare un’occhiata. Ma è stato solo un istante, e solo per sicurezza. Una veduta generale sul tuo essere in pratica, un po’ come ho fatto con Minho.” Jonghyun deglutì a fatica.
“Non ci credo…”
“Come siete riusciti a scappare?” chiese Minho. Kibum prese la parola.
“Come dicevamo prima… le persone cambiano. E noi siamo cambiati. Ma il Maestro non se ne è accorto, non subito per lo meno. Il suo controllo sulle nostre azioni e sui nostri pensieri quindi, è diminuito senza che lui se ne rendesse conto. Per questo abbiamo pensato di poter scappare da lui. L’isola su cui siamo cresciuti è al largo di questa costa. Nessuno la conosce, perché il Maestro ha fatto in modo che non ci si possa avvicinare, nemmeno per sbaglio. Semplicemente, nessuno si ricorda della sua esistenza. Non è molto grande, ed è ben protetta. Ho deciso di mandare avanti Taemin perché lui… lo stava consumando. Con me è sempre stato più crudele, ma la personalità di Taemin è più fragile della mia e quindi… ho temuto che potesse cedere.”
“Io… non ce la facevo più. La sua presenza era diventata nauseante. Non potevo più respirare.” Disse Taemin, in un sussurro quasi impercettibile. Kibum gli accarezzò una spalla mentre il più piccolo parlava.
“Il Maestro è possessivo con tutti noi, ma con me è sempre stato diverso. È convinto che noi gli apparteniamo, ma io… io devo essere solo suo. Avevo sempre le sue mani addosso, soprattutto dopo che io e Kibum abbiamo iniziato a porci delle domande e contestare il suo pensiero. Era soffocante.”
“L’ho mandato via, mentre il Maestro dormiva, schermando la mente di Taemin in modo che non si accorgesse che lui si stava allontanando. Nel sonno, sono riuscito a nasconderlo. L’unico modo era mandarlo a nuoto, sperando che poi qualcuno lo trovasse. Ho guidato i suoi movimenti fino a quando ho potuto, -Taemin non sa nuotare-, ma poi il Maestro ci ha scoperto. Questo è il risultato.” Kibum si voltò e alzò velocemente la canottiera: Minho distolse lo sguardo e inorridì quando intravide una lunga linea violacea che andava dalla spalla sinistra dei ragazzo fino al suo fianco destro, macchiando la pelle lattea.
“Dio…” esalò Jonghyun.
“Non è niente. L’importante è che Taemin era lontano e ormai, con il mare di mezzo, per lui è difficile costringerci a tornare. Io sono riuscito a fuggire solo qualche giorno fa, perché la sua pressione mentale su di me è aumentata ovviamente, dopo la fuga di Taemin. Ma sono più forte. Ho sfruttato un’altra sua lievissima distrazione… e ora sono qui. Per fortuna sono riuscito a condurre da me una barchetta di pescatori. Non mi andava di nuotare fino a riva.” Taemin e Kibum si sorrisero.
Per un minuto, nella stanza ci fu silenzio.
Troppe cose, troppi pensieri.
“E questa è tutta la storia, la vera storia, caro Kim Jonghyun, che tu ci creda o no.”
 
“Quindi quegli uomini erano controllati da questo ‘Maestro’. Ma perché adesso ce l’ha con me e Minho?” chiese Jonghyun, esitante.
“Sì. Non so cosa abbia in mente di preciso, ma di sicuro non ci lascerà andare così. Non ci lascerà mai.” Rispose Kibum, perfettamente calmo. “Non si allontana mai dall’isola, ed ora che siamo lontani e che siamo forti, non può controllarci fisicamente, ma in un confronto faccia a faccia ci annienterebbe comunque. Vuole solo farci tornare, ed in fretta. I bersagli più vicini e più vulnerabili ora, siete voi. Ma per fortuna il nostro Taeminnie vi ha tenuto d’occhio a quanto vedo.” Taemin rise, mentre Kibum lo stringeva.
“Loro sono miei amici, non lascerei che nessuno gli facesse del male.” Spiegò il più piccolo.
A Minho si strinse il cuore.
Con che coraggio si poteva fare una cosa del genere a delle persone… a dei bambini. Non osava immaginare cosa avevano dovuto passare quei due.
Anche lui ne aveva sopportate tante da piccolo, ma forse loro lo superavano.
“Prove. Datemi prove.” Sbottò improvvisamente Jonghyun. Era tornato il sorriso sornione sulle sue labbra, lo sguardo malandrino.
“Lo squarcio sulla mia schiena è una prova sufficiente, non trovi?” ridacchiò Kibum. I due si fulminarono, tanto che Minho ebbe paura che se si fosse trovato in mezzo ai loro sguardi, sarebbe morto carbonizzato.
“No. Tu non mi piaci, Kim Kibum. Ci sono mille modi in cui potresti essertela procurata, e tutti e mille sarebbero più credibili di questa storia che ci vuoi rifilare. Dammi la prova dei tuoi strabilianti poteri e ti crederò.”
“Vedi Jonghyun… se usiamo la nostra mente lui se ne accorge, e saprà più con chiarezza dove siamo e su chi la usiamo. Per questo è meglio di no.” intervenne Taemin, notando l’irritazione del suo amico.
“Non mi interessa, tanto l’hai detto anche tu no? Ormai ci ha trovati.” Rispose Jonghyun.
Cocciuto.
“Ascolta Jjong…” tentò Minho, ma quello non gli diede il tempo di aprir bocca.
“No, ascoltami tu. Di me hanno detto tutte quelle fandonie, ma di te? Ti sei mai chiesto perché non hanno fatto nessun commento su di te?”
Sì, Minho se l’era chiesto. Ma aveva così paura della risposta che aveva preferito non pensarci. Minho si irrigidì.
“No Jonghyun. Questa non me la puoi fare. Non tu.” Jonghyun lo prese per le spalle, serissimo.
“Amico mio, davvero credi a ciò che dicono? Se sapessero davvero… ti assicuro che non si comporterebbero così con te.” il ragazzo lo lasciò e tornò a rilassarsi sul divano.
“Io gli credo, e va bene così.”
E invece Minho aveva paura. Una paura folle che loro lo scoprissero.
Sentì lo sguardo curioso di Taemin su di sé e si mosse sul divano, inquieto.
“Senti, io voglio le prove. Tu fai quello che vuoi. Credi anche al fatto che gli asini volino o che alla fine dell’arcobaleno ci sia una dannata pentola piena d’oro, ma io no.” Incrociò le braccia muscolose e abbronzate, risoluto.
Kim Kibum si alzò in piedi, le mani puntate sui fianchi.
“Va bene, razza di scimmione. L’hai voluto tu.” Minho soffocò una risata. Non si aspettava quella reazione.
“No, hyung dai!” lo implorò Taemin, ma Kibum lo ignorò. Anche Jonghyun si alzò in piedi, fumante. Era comunque più basso del ragazzo biondo ma entrambi erano decisamente minacciosi.
“Come mi hai chiamato, scusa?”
“Scimmione.” Minho represse un altro scoppio di risa.
“Buoni…”
“Ma da dove è uscito questo? Come osa parlarmi così poi, con quei capelli da pazzo che si ritrova?” Kibum si sistemò istintivamente il ciuffo.
“I miei capelli sono perfetti e tu sei uno scimmione. Razza di imbecille… credi davvero che uno si potrebbe inventare tutta questa storia solo per fare uno scherzo a te?”
“E che ne so, c’è tanta gente pazza al mondo! Sei da ricovero…”
“Ok, basta adesso!” Minho si alzò in piedi e, con uno sforzo di coraggio, si mise tra i due. “Non è il caso eh…”
“Vuole una prova, la avrà! Che c’è di tanto difficile?”
“Hyung, è meglio di no…” ripeté Taemin.
“Sono pronto!” esclamò Jonghyun, e guardò Kibum negli occhi. Poi scostò Minho con un braccio.
“Anche io.”
“Hyung! Bah…” Taemin si risedette con un gesto di stizza. Minho gli si accovacciò vicino.
“E adesso?”
“Razza di bambini testardi…” brontolò Taemin.
Con grande sorpresa di Minho, gli occhi di Kibum divennero da marroni ad azzurri, mentre li fissava in Jonghyun come se volesse sondargli l’anima. Il ragazzo impallidì leggermente ma non si mosse.
Che coraggio.
Mentre i minuti passavano e nessuno si muoveva, una leggera smorfia di dolore si dipinse sul volto del ragazzo moro. Poi, prima che Minho potesse dire o fare qualsiasi cosa, Jonghyun imprecò e si prese la testa fra le mani, rigettandosi a sedere sul divano.
“Ah, cazzo… ho un coltello nella testa!”
“L’hai voluto tu, ora non ti lamentare. Comunque passa subito.” Anche Kibum si risedette, un’espressione soddisfatta sul viso. Minho scivolò accanto all’amico.
“Ehi, che ti ha fatto?”
“Quel bastardo… non so come sia possibile ma mi ha parlato…”
“Cosa? E che ti ha detto?”
“Che avrebbe voluto farmi fare un bel tuffo in mare, così da schiarirmi le idee, e che… che sono uno scimmione cocciuto.” A quel punto Minho, sentendo quelle parole dal suo amico, non poté soffocare una risata. Si tenne la pancia mentre scoppiò a ridere disteso sul pavimento. Jonghyun lo tempestò di pugni.
“Non ti ci mettere anche tu, dannazione! Io quello lì non ce lo voglio in casa mia!”
“Non dovrai sopportarmi molto, vedrai, e comunque mi trovo volentieri un’altra sistemazione.” Rispose Kibum, tagliente. Le sue parole, fecero tornare Minho coi piedi per terra.
“Cosa… cosa avete intenzione di fare ora? Ve ne andrete?”
“No.” Rispose Taemin.
“Sì.” Rispose Kibum.
In contemporanea.
“Oh oh…” sussurrò Jonghyun, quasi compiaciuto. Kibum lo fulminò ancora.
“Taemin, è meglio se ci allontaniamo. Siamo ancora troppo vicini a lui, capisci?”
“Non si è mai mosso dall’isola e mai lo farà hyung, quindi per ora che stiamo qui o che ce ne andiamo è lo stesso. Fino a quando non troviamo un modo per vincere su di lui, per lo meno…”
“No Taeminnie, vedi, più noi ci allontaniamo meno lui riuscirà a sentirci. Saremo più al sicuro se partiamo.”
“Sì ma cosa ne sarà di loro?”e indicò Jonghyun e Minho. “Non possiamo lasciarli così.”
“Se non saremo più con loro, anche il Maestro li lascerà in pace.”
“E se non lo facesse? Potrebbe benissimo usarli contro di noi. Appena ci allontaneremo la loro mente sarà esposta.” Kibum ebbe un’esitazione. “Se ci ritrovassimo a combattere contro di loro hyung, io non potrei fargli del male.” Kibum guardò il più piccolo per un lungo istante, poi sospirò e lo abbracciò brevemente.
“Sei troppo buono, Taeminnie. Non dovresti essere così.”
“Che vuol dire il biondone, che lui ci farebbe ammazzare senza problemi?” sbottò Jonghyun. Kibum sembrò non sentirlo. Era troppo preso a coccolare il suo ‘Taeminnie’.
Da dove esce quel nomignolo. Si chiese Minho, infastidito.
 
La loro discussione continuò fino a sera inoltrata e quando Minho guardò per caso fuori dalla finestra, si accorse che era già buio e la luna già alta.
Quel pomeriggio l’aveva sfiancato, ma era passato in un baleno.
Kibum e Taemin erano ancora raggomitolati uno vicino all’altro, sulla poltrona. Guardandoli, Minho si accorse che quando c’era l’altro ragazzo, Taemin non gli riserbava più le attenzioni che ormai era abituato a ricevere da lui.
Con frustrazione, si rese conto che la cosa gli dava fastidio.
Alzandosi, propose di andare a letto, ognuno nelle proprie case. Era stata una giornata stressante per tutti. Kibum sembrò sollevato nel sentirglielo dire. Doveva essere molto stanco. Jonghyun se ne andò con il ragazzo, imbronciato. Gli disse –con molto sarcasmo-, che si sarebbero sentiti dopo, non appena avrebbe mostrato la casa ‘al suo nuovo, graditissimo coinquilino’. Taemin e Kibum si salutarono con altrettanto calore di quanto avevano dimostrato non appena si erano ritrovati e, a malincuore, Taemin lo lasciò andare.
Minho e Taemin rimasero nuovamente soli, nel silenzio del loro appartamento. Minho si sedette pesantemente sul divano, la testa gettata all’indietro. Taemin lo guardava, in silenzio.
“Non mi avevi mai parlato di lui.” Disse Minho. Non voleva suonare sgarbato e si trattenne.
“E’ parte di me. Kibum ed io siamo le due facce della stessa moneta.”
“Questo l’ho intuito.”
“Hyung, sei arrabbiato?” Minho esitò.
Era arrabbiato?
“No. Sono solo sorpreso. E stanco.”
“Mmm.”
“Quando hai detto di essere solo… non era vero.”
“Come?”
“Non è vero che sei solo. Tu hai lui.”
“Non sapevo se mi avrebbe raggiunto in tempo.” Minho non rispose. “Anche tu non sei solo ma hai Jonghyun.” Minho avrebbe voluto replicare, ‘ma con lui è diverso’.
“Sembrate molto uniti.”
Che cosa idiota da dire.
“Beh sì… Minho.” Il ragazzo più grande alzò il viso per guardarlo. “Sei geloso?”
“Ma di chi scusa?”
“Di… di me.”
“Taemin. Che dici. Tu non sei mio. Non è che posso essere geloso.”
“Non importa se puoi o non puoi, importa se lo sei o no.”
“No, non lo sono.”
Silenzio. Taemin si accovacciò con le gambe strette al petto, come faceva sempre.
“Per me lo sei…”
“Ti dico di no!”
“A me piaci hyung, io sarei geloso se ti vedessi con qualcun altro.”
Ma se non mi hai nemmeno guardato per tutto il giorno.
“Ero geloso anche di quella tua amica, Yuri! Non mi è mai piaciuta.” Minho rise.
“Ma come?”
“Lei è innamorata di te! Ma lo so che tu non la vedi in quel modo…”
“Hai guardato nella testa di Yuri?”
“Non l’ho fatto apposta, ho dovuto, quando dentro di lei c’era anche il Maestro. O non sarei riuscito a liberarla.” Minho scosse la testa.
“Bah.”
“Io sarei geloso se tu guardassi qualcuno in quel modo, ma so che tu non pensi a lei come lei pensa a te.”
“E anche se io mi innamorassi di lei, scusa? Non ci sarebbe niente di strano.” Disse Minho.
“No, ma…”
Ma cosa?Minho si mise a guardarlo, i gomiti sulle ginocchia. Taemin si mordeva un labbro.
“Taemin. Che stai dicendo. Io sono un maschio, tu sei un maschio. Io devo stare con una donna. Che stai dicendo, diamine…” Minho tornò a rovesciare la testa sul divano.
“Maschio o femmina non conta così tanto. Sono i sentimenti che contano.”
Minho arrossì. Per fortuna era buio. Gli era tornato in mente quel dannato sogno.
Tutto troppo strano.
“Senti Taemin, non pensi che io ne abbia avute abbastanza di sorprese per oggi? Andiamo a dormire, eh?” fece per alzarsi ma il ragazzino corse da lui e si mise a cavalcioni sulle sue gambe.
“Che fai?” esclamò Minho. Lui gli prese il viso tra le mani.
“Non guarderò dentro di te, ma sappi che in questo momento vorrei davvero farlo. Tu nascondi più cose a te stesso che agli altri, ma io ti vedo lo stesso, sai?” quella frase fece perdere la testa a Minho e per un attimo non seppe più cosa fare. Rimase a guardare gli occhi di Taemin e vi si perse.
Troppo vicino.
Troppo bello.
Taemin si alzò, leggero e silenzioso come un’ombra e si diresse in bagno per mettersi il pigiama.
E Minho riprese a respirare.

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Eccoci con un nuovo aggiornamento.
Presto arriveranno nuovi personaggi, quindi non temete. Sono contenta di sapere che state seguendo la mia storia!
Vi amo :)
A presto!
Chiara
 

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Capitolo 8
*** 8. Undisclosed Desires ***


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8. Undisclosed Desires


Taemin. Taemin.
Taemin.
Quante volte aveva pensato a quel nome, nelle ultime cinque settimane?
Troppe.
Ora Minho sapeva.
Sapeva anche che non era lui che sognava, mentre in quelle notti piene di incubi chiamava uno ‘hyung’. Era Kibum. E la cosa lo infastidiva.
Così come lo infastidiva vederlo sempre scattare in piedi non appena il fratello biondo arrivava da loro, e notare tutti i piccoli gesti che si scambiavano. L’intimità,  che avevano.
Era normale che fosse così, dopo gli anni passati insieme in quell’inferno. Avevano sempre potuto contare solo l’uno sull’altro.
Era normale, ma a Minho dava comunque fastidio.
Lui l’aveva salvato dal mare, lui gli aveva dato vestiti e da mangiare quando Kibum non c’era. Stupidamente, gli sembrava di avere più diritto ad essere considerato da Taemin.
Si rendeva conto che era un’assurdità: poco più di un mese contro diciannove anni.
Ma non poteva farci niente. Gli mancavano le giornate passate in sua compagnia, quelle senza stranezze e senza misteri. Le giornate assolate, trascorse a parlare di niente e a scherzare, solo loro due.
O forse, semplicemente, gli mancava Taemin.
Averlo solo per se. Ora, quando lo sentiva chiamare uno ‘hyung’, aveva sempre timore che stesse cercando Kibum e non lui. E la maggior parte delle volte era così.
Geloso.
Non sapeva cosa significasse quella parola, non era mai stato geloso di nessuno ed esserlo per un altro ragazzo, per un amico, se così poteva definire una persona conosciuta in circostanze sospette poche settimane prima, era semplicemente assurdo.
D’altra parte, cosa non lo era oramai, nella sua vita.
 
Una settimana dopo l’arrivo di Kim Kibum, Minho venne svegliato in piena notte dalla vibrazione del suo cellulare sul comodino. Si voltò sul cuscino, senza la minima intenzione di rispondere.
Pochi minuti dopo, un sussurro lo costrinse a mettersi a sedere.
“Taemin, che fai sveglio?”
“Hyung, bussano alla porta. E’ Jonghyun, ho controllato.”
“Bwo?” Minho guardò l’orologio: faceva le cinque e venti. Imprecò e scese dal letto, scalzo, con solo i leggeri pantaloni di tela che usava per dormire.
Aprì la porta, Taemin alle sue spalle, curioso.
“Che c’è, è successo qualcosa?” chiese Minho, apprensivo. Qualche tempo addietro si sarebbe solo infuriato, ma nelle condizioni in cui erano ora aveva imparato ad aspettarsi di tutto.
Jonghyun lo guardò di sottecchi, l’aria mesta.
“Che c’è?” ripeté ancora Minho.
“Dai, fammi entrare.” Jonghyun scostò l’amico e si andò a sedere sulla poltrona. Non aveva la sua solita aria allegra e baldanzosa, si guardava le mani, mordendosi le labbra.
Minho e Taemin si guardarono con aria interrogativa e si sedettero sul divano davanti a lui.
“Allora?”
“Aspetta, sto pensando a quando sono coglione. Anzi no, non sono solo un coglione, devo essere anche completamente fuori di testa. Cazzo…” si passò le mani fra i capelli corvini, ravviandoli verso l’alto.
Minho non ricordava di averlo mai visto così.
O forse solo una volta.
“A giudicare dalla tua faccia, deve essere una roba grave.”
“Grave? Grave?! Cazzo Minho, è una tragedia!”
“E’ arrabbiato con se stesso, lo sento fino a qui.” Sussurrò Taemin ad un orecchio di Minho. Il ragazzo più grande gli rivolse un’occhiataccia. “Non sto facendo niente, ha un’aura di disperazione addosso che non puoi non notarla!”
In effetti.
“Jjong, dai, che è successo?” chiese ancora Minho, in tono dolce. L’amico lo guardò e sembrava davvero un cucciolo spaesato, con le labbra piene e gli occhi enormi.
“Non posso dirlo. Mi vergogno.”
“Non dire cavolate adesso, spara e basta.”
“No! Aspetta… dammi un minuto…”
“Jonghyun.”
“Ho fatto sesso con Kibum.”
Le bocche di Minho e Taemin si spalancarono. Poi Jonghyun, notando le facce incredule dei due amici, si coprì il viso con le mani ed emise un gemito.
“C… che hai fatto?” esclamò Minho. “Pensavo che tu lo odiassi! Non fate che litigare! Mi avete tirato scemo con i vostri cazzo di litigi, e adesso… e… e la ragazza con cui uscivi, Jessica?”
“Bah! Che c’etra lei! E’ solo un passatempo, lo sai anche tu Minho…”
Taemin emise un singulto. Minho si girò e notò che stava facendo di tutto per non scoppiare a ridere. Gli diede uno scappellotto.
“Ahi, hyung!”
“Cosa ridi?”
“Scusa è che… tutto questo è proprio da Kibum.”
“In che senso?” chiese Jonghyun, gli occhi lucidi.
“Lui è così. Vuole una cosa e se la prende.”
“E doveva volere proprio me? Ma da quando?” Jonghyun imprecò di nuovo e sprofondò nella poltrona.
“Hyung, ma come è successo?” chiese Taemin, e c’era solo divertimento nella sua voce.
“Non lo so… ci stavamo insultando come al solito e poi… bah! Ha fatto tutto lui! Il problema è che non capisco perché io non sia riuscito a fermarmi! E’ assurdo, Minho tu lo sai, io non sono gay… ragazze, a me piacciono le ragazze!”
“Decisamente.”
“Ecco… non so cosa mi è preso… Perché cazzo è così bello, eh? Con quei dannati occhi e…e le labbra! Ma le hai viste le sue labbra? Merda!” Taemin rise ancora.
“Il Maestro ha scelto bene, nel suo caso.”
Jonghyun non faceva che imprecare e Minho lo guardava con aria pensosa, massaggiandosi il mento.
Mentre l’amico parlava di occhi e di labbra, chissà perché gli era venuto subito in mente Taemin.
“Beh? E come è stato?” chiese infine. Jonghyun lo guardò sbalordito. “Che c’è? Ormai la frittata è fatta.”
“Grazie per la sensibilità e il conforto che mi stai dando, eh!” esclamò Jonghyun. “E anche tu, dovresti essere scioccato! Smettila di ridere!”
“Scusa hyung, proprio non ci riesco, mi fai morire…”
Jonghyun sospirò.
“Mi chiede se mi è piaciuto… ah! Ovvio che mi è piaciuto! Che domande del cazzo sono? Per un momento ho pensato che sarei morto da quanto mi stava piacendo! Razza di idiota…” a quel punto sorrise anche Minho.
“Hai bevuto ieri sera?”
“No! Nemmeno una goccia!”
“E allora Kibum ti piace. Fine. Non c’è bisogno di fare troppe scene.”
Jonghyun sembrò sul punto di piangere.
“A. Me. Non. Piace. Quello. Lì.” Puntò il dito contro Taemin. “E tu smettila davvero, o ti faccio smettere io.”
“Scusa, scusa hyung…”
“E’… irritante. Vuole sempre avere ragione e si crede chissà chi! Ha una lingua biforcuta, come un serpente! Non riesci a farlo stare zitto!”
“Senti da che pulpito…”
“Minho! Per favore! Io sono venuto qui per chiedere un po’ di conforto! Cavolo, tu non puoi capire come mi sento! Il mio orgoglio è morto! Se-pol-to!”
Intenerito, Minho si andò a sedere su un bracciolo della poltrona e gli mise le mani sulle spalle.
“Scusami hyung… ma se ti fa così schifo, perché l’hai fatto?”
“Ottima domanda, Tae…” rispose Minho. Jonghyun gli diede una gomitata.
“Non è che mi ha fatto schifo il farlo con lui, sono io che mi faccio schifo adesso. Ripeto, io non sono gay.”
“Non c’è bisogno di essere gay, forse non ci hai mai pensato perché in effetti non lo sei, il problema è che se ti è piaciuto, significa che Kibum ti attrae. Non è difficile come ragionamento. Semplicemente non sei gay perché ti piacciono le ragazze, ma Kibum è un’eccezione! Non ti piacciono, i maschi, ti piace Kibum.”
Jonghyun osservò Taemin per un istante.
“Tu dici?”
Il ragazzino biondo annuì e gli sorrise. Jonghyun si rilassò un po’.
“Beh, forse… forse è stato un momento di debolezza. Di sicuro non si ripeterà. Capita a tutti no? E poi… non so bene come siamo finiti sul letto, sinceramente. So solo che un momento prima gli stavo dicendo quanto era insopportabile e quanto odiassi dover divedere casa mia con lui quando, un secondo dopo, mi sono ritrovato sul pavimento con Kibum sopra che mi stava già baciando.”
“Davvero non ti ricordi?” chiese Taemin.
“Per niente.”
“Allora forse ti deve aver dato una spintarella.” E Taemin indicò una sua tempia con un dito. Gli occhi di Jonghyun si accesero.
“Dici che… quel bastardo! Ma sì certo, deve essere stato così!”
“Non fraintendermi hyung, se ti ricordi con esattezza tutto il resto… te lo ricordi?”
“Dire di sì sai, fin troppo bene!”
“Beh, allora vuol dire che ti ha solo dato… un piccolo incentivo. Niente di che, deve essere stato solo un secondo per fare in modo di coglierti di sorpresa e buttarti a terra. Tutto il resto è opera tua, mi dispiace.” Taemin sorrise sornione e Jonghyun tornò a coprirsi il viso con le mani, con un esclamazione frustrata. L’unica speranza di non aver agito di sua volontà, era svanita.
“Cavolo però, Minho! Taemin non si è mai permesso di farti una cosa simile! Ti sembra giusto?”
“Beh, magari avrebbe potuto essere un po’ più delicato…”
“Kibum è sempre diretto, non ha molta pazienza.” Lo giustificò Taemin. “E poi… se proprio vogliamo essere sinceri, anche io ho fatto una cosa più o meno simile a Minho una volta, se questo ti può consolare.”

“BWO?” Minho e Jonghyun esclamarono insieme, increduli. Taemin si morse un labbro e arrossì leggermente.
“Era prima che Kibum arrivasse e io non avevo ancora rivelato niente a Minho-hyung… ma lui insisteva e non sapevo più cosa fare. Quindi l’ho semplicemente cacciato a letto. E il mattino dopo, come avevo sperato, non si ricordava più della nostra conversazione lasciata in sospeso. Tutto qui.”
Minho sbiancò. Se la ricordava eccome quella sera, adesso che ci pensava… come aveva fatto a dimenticarsene! E quindi… anche quello non era un sogno.
Oh. Merda.
“Taemin!” Minho saltò in piedi. “Come… come ti sei permesso!”
“Scusa scusa… non avevo altra scelta! Tu sei così testardo!” Minho fece per dargli un altro scapaccione, ma vedendolo raggomitolarsi sul divano si trattenne.
“Questa non te la perdono!”
“Avanti amico, non essere così! Per lo meno non l’ha fatto per spingerti a… beh. Fare tu sai cosa.”
Ci è andato vicino, dannazione.
 Jonghyun lo afferrò per l’elastico dei pantaloni e lo fece tornare indietro, seduto sul bracciolo.
Taemin lo guardava con le labbra all’infuori e le guance gonfie.
“Smettila, le facce d’angelo non mi ingannano.” Taemin si imbronciò di più.
“Smettila ho detto!”
“Minho, ti vedo agitato… forse adesso intuisci come mi sento?” gli disse Jonghyun, allusivo.
“Nessuno di loro due doveva permettersi, questo è certo.”
“Hyung tu non è che mi avessi lasciato molta scelta… mi eri salito sopra!” la testa di Jonghyun scattò verso l’amico, sospettosa, e Minho si sentì avvampare.
Stai zitto, ti uccido.
“Volevo spiegazioni e ne avevo tutti i diritti.”
“Testardo.”
“Traditore.”
“Non è vero!”
“Basta, mi sembrate me e… quello là.” Jonghyun si mise in mezzo.
“A proposito, dove l’hai lasciato?” chiese Minho, rendendosene improvvisamente conto. Jonghyun ci pensò su, spaesato.
“Oh… nel letto. Dormiva.”
“Ma che maleducato, te ne sei andato così?” esclamò Minho.
“Che dovevo fare scusa, manco ci ho pensato!”
“Torna subito da lui, prima che si svegli!”
“Ma neanche morto io non mi ci voglio più avvicinare a quel… quel…” niente, non gli veniva la parola. “Io non ci sto più da solo con una vipera del genere!” concluse infine.
“Mi sembri un bambino che fa i capricci.” Sospirò Minho, irritato. “Muoviti!” lo spinse per le spalle ad alzarsi e lo trascinò alla porta.
“No Minho aspetta, aspetta… almeno vieni con me! Vieni con me, dai…”
“Assolutamente no, io non c’entro.”
“Non farmi tornare! Chissà cosa mi costringerà a fare!”
“Tranquillo hyung, non ti farà niente. E comunque io me ne accorgerei. Anche prima me ne sono accorto.” Jonghyun ebbe uno scatto e Minho lo trattenne dall’avventarsi verso il più piccolo.
“E non hai fatto niente? Sei rimasto lì imbambolato!”
“Mi fido di Kibum, sapevo non ti avrebbe costretto a fare niente che non fosse stato piacevole per entrambi.”
“Dannato… altro che angelo! Sono due vipere! Lo vedi Minho? Due vipere!”
“Lo so, lo so… adesso vai, eh.”
“Mi cacci via così… dopo tutti questi anni.” Minho rise e Jonghyun con lui, mentre si spintonavano, uno per chiudere la porta, l’altro per rientrare.
“Idiota. Prenditi le tue responsabilità!”
“Te ne pentirai! Ti mancherò!...”
“Sicuro.”
Minho riuscì a chiudere la porta con un tonfo e girò la chiave.
 
Era stata un’idea di Taemin ed erano andati a correre.
Tutti e quattro.
Dire che c’era un’atmosfera strana, era un eufemismo.
Jonghyun se ne stava in disparte, a tracciare cerchi sconnessi sulla sabbia. Taemin e Kibum erano seduti vicini e ridevano, persi nel loro mondo. Minho riprendeva fiato, perché ovviamente aveva corso molto più degli altri. Non appena il suo respiro tornò regolare, si sedette fra Jonghyun e Taemin.
Si sentiva già più rilassato, i muscoli meno tesi, la mente più sveglia. Era sera e non si soffocava più.
Piacevole.
Kibum si comportava come se niente fosse successo, decisamente a suo agio. Jonghyun invece faceva di tutto per ignorarlo e se ne stava zitto, per i fatti suoi.
“Yeobo… non fare così, su!” lo canzonò Kibum, ridendo ancora per la battuta appena scambiata con Taemin. Jonghyun guardò altrove.
“Dai… mica ti mangio!”
“Sparisci, lasciami in pace.”
“Jognhyun, non credi di essere un po’ tragico?” gli disse Minho, divertito.
“Tu pensa per te.” Kibum allora si alzò, pulendosi il sedere con le mani, e camminò sinuoso fino al ragazzo. Gli si inginocchiò vicino ed iniziò a parlargli piano, inclinando il viso per farsi guardare. Ma Jonghyun si rifiutava.
“E’ solo questione di tempo, ma lo sa anche lui.” Disse Taemin a Minho, mentre i due li lasciavano discutere.
“Cosa sa?”
“Che si sta innamorando di Kibum. A me Kibum- hyung l’ha detto prima, che gli piace.”
“Davvero? Non l’avrei mai pensato. Jonghyun ha avuto tante ragazze, ma non l’ho mai visto così.”
“Ancora non lo ammette a se stesso, è normale. Lo accetterà.” Minho annuì, incrociando le gambe.
“Jonghyun fa tanto il duro, ma è un pezzo di pane. Mi fa tenerezza.”
“Anche tu.” Taemin lo guardava. Minho deglutì.
“Che… che c’è?”
“Va bene! Va bene hai vinto tu, ok? Adesso puoi spostarti almeno un pochino, per favore?” gridò Jonghyun, attirando la loro attenzione. La risata cristallina di Kibum risuonò sopra il fruscio delle onde. Il ragazzo biondo gli si sedette vicino e gli poggiò la testa su una spalla, come un gatto che fa le fusa. Jonghyun, dopo qualche istante, gli passò un braccio attorno alla vita.
Minho e Taemin si ritrovarono a sorridere.
“Datemi una macchina fotografica, vi prego, questa scena davvero è strana.” Rise il ragazzo più grande.
“Perché? Io sono così felice per loro. Non c’è niente di più naturale che amarsi.” Il tono di Taemin si era fatto più profondo.
“Io non so cosa significhi. Ho avuto tante ragazze, ma non ho mai amato nessuno.”
“Nemmeno io hyung. Ma tu almeno avrai avuto i tuoi genitori, da amare.” Minho non riuscì a trattenere una risata amara.
“No Taemin… nemmeno loro.” Gli accarezzò la testa e tornò a osservare il mare, segno che quel discorso era chiuso.
“Allora dobbiamo porcelo come obiettivo: entro… uhm… tre mesi, dobbiamo avere qualcuno da amare. Ok?” Minho guardò il ragazzino e la determinazione nel suo sguardo.
“Taemin… non si può progettare una cosa del genere.”
“Sì ma, hyung, se non facciamo così non cambierà mai niente…”
“E Kibum? Tu hai lui.”
“Quello è un amore diverso, lo sai… e poi adesso Kibum-hyung ha Jonghyun.”
Minho sospirò.
“Allora, lo facciamo questo patto?” insistette Taemin, come se fosse una cosa davvero importante. Minho gli sorrise e lo attirò a sé, prendendolo per la nuca. Il ragazzino subito gli strinse le braccia sottili attorno al corpo e affondò il viso nel sua t-shirt.
“A volte mi sembri davvero un bambino…” il ragazzo biondo non si mosse.
“Io non sono come Kibum-hyung. Non sono sicuro di me stesso come lui. Vorrei tanto poter essere così…” Minho si intenerì ancora di più e gli scompigliò i capelli.
“Tu vai bene così, credimi.” Gli occhi di Taemin scintillarono nel buio.
“Grazie. Sai hyung, quando sono con te non ho nemmeno più paura del mare, adesso.” Minho sentì il ragazzino rilassarsi fra le sue braccia, sospirando profondamente. “Fa rumore, ma se c’è la tua voce riesco a distrarmi. Mi piace la tua voce.”
Minho rise, ascoltandosi. Non aveva mai pensato al suo timbro vocale. Era profondo. Gli pose le mani ai lati del viso e lo allontanò per poterlo guardare.
 “Hyung…”
“Niente onorifici.”
“Minho… io non so come dirtelo ma, credo…”
Taemin esitò un istante.
Poi si girò di scatto, e lo stesso fece Kibum, a pochi passi di distanza. Quando anche Minho e Jonghyun si voltarono, una figura avanzava verso di loro, solitaria, a passi lenti ma decisi, il capo chino.
Aveva capelli folti e lisci, era di statura media. Sembrava un ragazzo, dall’abbigliamento: una canottiera nera e dei pantaloni larghi. Minho notò che doveva essere parecchio magro, a giudicare dalla vita stretta.
“Chi…” Taemin e Kibum erano già in piedi: i loro occhi erano azzurri e scintillavano nel buio.
Con una stretta al petto, si alzò.
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Salve a tutti! Stasera mi voglio sbilanciare e aggiorno ancora!
Questa capitolo mi sta particolarmente simpatico, spero piaccia anche a voi :)
Il titolo è tratto da una canzone dei Muse.
Grazie a tutti quelli che mi stanno leggendo, lasciatemi qualche commentino se vi va!
Byeee
Chiara

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Capitolo 9
*** 9. A new me ***


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9. A new me
 

“Tu…” sibilò Taemin. Una strana inclinazione nel suo tono però, inquietò Minho: Taemin sembrava spaventato.
“Perché diavolo non l’ho sentito arrivare?” si chiese Kibum, a voce alta.
Il ragazzo si fermò a pochi passi da loro e alzò il viso, per guardarli. Aveva dei lunghi occhi a mandorla e le labbra piene.
“E’ uno di loro.” Gli sussurrò Jonghyun: erano giunti alla stessa conclusione nello stesso istante.
“Vi mischiate con gli umani, adesso? Non pensavo sareste caduti così in basso.”
“Yah!” gridò Jonghyun, facendosi avanti. Si mise al fianco di Kibum. Minho esitò, ma poi si costrinse a raggiungerlo. C’era qualcosa negli occhi ghiacciati di quel ragazzo che lo terrorizzava.
Gli occhi azzurri del giovane balenarono su ognuno di loro e poi inchiodarono Jonghyun.
“Umano… e rumoroso anche. La peggior specie.”
“Onew, cosa vuoi.” Chiese Kibum, la voce bassa e tagliente.
“Niente, fratello. Mi mancavate.”
Fratello.
Gli occhi azzurri di Onew si fissarono su Taemin e Minho lo vide rabbrividire. Aveva la mascella serrata. La cosa gli procurò un crampo allo stomaco.
“Voi mi conoscete?” chiese a Minho e Jonghyun. Aveva un’aria quasi… amichevole. Se non fosse stato per il colore innaturale degli occhi, nessuno avrebbe creduto che quel ragazzo dai tratti gentili costituisse una minaccia.
Nessuno osò rispondere.
“No? Non riesco a capirlo perché i miei amati fratellini vi stanno oscurando la mente, nel caso voi non lo sapeste.”
“Non lo sanno. E tu devi andartene subito.” Rispose Kibum.
“Come? Voi potete fare quello che volete ed io no? Avrò il diritto di farmi un giro anche io.”
Nessuno parlò. Minho guardò Jonghyun e incontrò il suo sguardo interrogativo. Onew sorrise e si scostò una ciocca dei lisci capelli dal viso, con un gesto del capo.
“Beh, tanto vale che mi presenti.” Si avvicinò a Minho e gli tese una mano. “Lee Jinki, ma chiamatemi Onew, lo preferisco. Sono il Primo Fratello. Il signorino qui è il Secondo, mentre Taemin è il Terzo. Vi credevo più informati.”
Minho non si mosse.
Non si ricordava di aver mai sentito parlare di lui…
“Basta coi giochetti, tanto sappiamo chi ti manda.” Kibum si mise tra Minho e Onew, le mani sui fianchi. Onew spostò il capo all’indietro, sorpreso. Gli posò una mano su una spalla.
“Kibum-ssi… non ti vergogni?” Kibum non si mosse. “Quando il Maestro ha sentito quello che hai fatto… è andato su tutte le furie. Per un pelo non se la prendeva con me, sono riuscito a farlo ragionare giusto in tempo.”
Minho sentì Jonghyun irrigidirsi al suo fianco.
“Ti sei divertito, con quello lì?” Onew indicò il ragazzo moro con un gesto del capo. “Sei davvero una…”
Kibum gli diede un sonoro schiaffo prima che potesse concludere. Minho ebbe uno scatto, la tensione che cresceva. Sentiva il cuore battergli all’impazzata.
Onew si allontanò di qualche passo e si massaggiò la mascella.
“…una puttana.” Jonghyun ringhiò e Minho gli poggiò una mano su un braccio.
“Io faccio quello che voglio della mia vita.” Ribatté Kibum, a denti stretti. “Sempre meglio che essere il suo burattino per l’eternità.” Onew rise.
“Perché, adesso cosa sei?”
“Non sono più suo.”
“Stupido!” un altro scoppio di risa, ma poi Onew tornò serio. “Stupidi, tutti e due. Noi siamo sempre suoi. Se siete ancora qui è solo perché il Maestro ve lo ha concesso. Ma ora, dopo quello che tu hai fatto…” scosse il capo. “Che gli adolescenti vogliano vedere il mondo è normale, ma bisogna anche che tornino a casa, alla fine. Soprattutto se rischiano di mischiarsi con cattive compagnie.” E scoccò uno sguardo allusivo a Jonghyun.
Onew tornò completamente rilassato, distolse l’attenzione da Kibum e si avvicinò a Taemin. Quando gli sorrise e gli mise una mano su una guancia, Minho lo trattenne, d’istinto, stringendogli un pugno intorno al polso.
Il solo pensiero che quel ragazzo potesse sfiorarlo, l’aveva fatto rabbrividire. Gli occhi del giovane lo inchiodarono e Minho desiderò solo fuggire il più lontano possibile. Poi, con uno spintone, Onew lo fece indietreggiare. Tornò a Taemin e gli baciò una guancia.
“Fratello… mi dispiace che lui ti abbia reso così. Vedrai, non dovrai più soffrire. Tornerà tutto come prima. Il Maestro non è arrabbiato con te… vuole solo che tu torni.”
Taemin tremava.
“Basta! Lascialo in pace.” Kibum si frappose tra i due e abbracciò Taemin, che nascose subito il viso fra le sue braccia.
“Ascoltami bene adesso Onew: noi non torneremo. Io non lascerò che quel mostro lo torturi di nuovo. Non lascerò mai più che lo tocchi, in nessun modo.” Le parole di Kibum non ammettevano repliche. La sicurezza del ragazzo diede nuova forza anche a Minho, che si riscosse e si avvicinò a lui. Sentì la mano fredda di Taemin sfiorargli il palmo, e gliela strinse, intrecciando le loro dita.
Non tremare.
Onew sospirò e drizzò le spalle, una mano sulla fronte e il volto in ombra.
“Speravo di non doverlo fare… quindi ve lo ripeto: il Maestro vuole che torniate. Subito. È già passato troppo tempo.”
“Né Kibum né Taemin mi sembrano molto intenzionati a seguirti.” Rispose Jonghyun. Aveva ritrovato la baldanza di sempre, un mezzo sorriso gli increspava le labbra. “Forse è meglio se davvero te ne vai. E dì al tuo ‘maestro’…” sottolineò la parola, con disprezzo. “di farsene una ragione.”
Onew continuava a fissare Taemin.
“Tu non sei degno nemmeno di parlare, umano. Non sei per nulla interessante. Un essere inutile.” Gli occhi azzurri di Onew, guizzarono alle dita intrecciate di Taemin e Minho. “Tu invece… Choi Minho, vero? Sarei molto curioso di dare un’occhiata a te. Sono sicuro che nascondi segreti inconfessabili, dietro quel bel viso.”
Taemin ebbe un sussulto e si liberò da Kibum. Minhò lo sentì gridare: “Ah no, non ci provare!”, prima di essere spinto con forza all’indietro, sulla sabbia.
Taemin si parò davanti a lui come aveva fatto quando Yuri aveva tentato di ucciderlo, e Kibum fece lo stesso con Jonghyun, a pochi passi di distanza. Onew, Taemin e Kibum si fissavano, ogni muscolo dei loro corpi in tensione.
C’era qualcosa di strano, nel poco spazio che li separava… Minho aguzzò la vista: era come se l’aria si muovesse in modo innaturale, come se ci fosse qualcosa di trasparente, come una…
“Che succede?” disse Jonghyun.
Kibum urlò “Ah, dannazione!” e si morse un labbro, iniziando a stringere gli occhi. Il suo viso si contorse, come se stesse provando dolore.
Un’altra manciata di secondi e cadde in ginocchio. Poi ringhiò e con uno sforzo sovrumano, si ritirò su.
Boccheggiava. Onew era concentrato, ma non sembrava per niente turbato. Minho notò che non sbatteva le palpebre. Il suo sguardo guizzò da Kibum a Taemin, e il ragazzino ebbe un brivido. Fece un passo indietro.
“No… smettila…” sussurrò.
“Taemin, non lo ascoltare!” gridò Kibum.
“Lascialo stare, lui non c’entra niente… lascialo stare!” Taemin tremava, sembrava fuori di sé.
Il sangue di Minho gli si ghiacciò nelle vene.
“Bastardo, provaci con me se hai il coraggio! E’ facile prendersela con lui!” gridò ancora Kibum. Con un ringhio di frustrazione, interruppe il contatto visivo con Onew e si voltò verso Taemin, poggiandogli una mano su una spalla. Si concentrò su di lui mentre il ragazzino sembrava completamente assorbito da Onew, senza nessuna possibilità di liberarsi dai suoi occhi ghiacciati.
“Taemin…” sussurrò Minho, in preda al panico.
Che ti succede.
Jonghyun stringeva i denti, impotente quanto lui.
“Non sei in grado di proteggerlo Taemin, lo sai anche tu… è tutta colpa tua. Arrenditi e basta.” Disse Onew, in tono calmo. “Il Maestro ve l’ha sempre detto. Gli umani rendono deboli.”
Il ragazzino biondo emise un gemito e cadde in ginocchio. Faticava a respirare.
Fu allora che Minho la sentì: era una pressione strana, lo faceva sentire nudo. Con orrore, si accorse che c’era qualcosa che premeva nella sua testa.
In preda al panico, chiamò Jonghyun, ma quello non capì. La sua stessa voce gli parve distante… le sue orecchie non funzionavano più bene.
Si rese conto che gli occhi azzurri di Onew erano ora fissi su di lui.
“No… Minho…” gli sembrò di sentire la voce di Taemin.
Minho sbatté le palpebre, tentando di liberarsi da quella oppressione. Ora sentiva freddo, gli sembrava che nevicasse, e tutto il gelo partiva da quel viso, da quel viso che oscurava tutto il resto. Sembrava dolce, ma pungente, pericoloso.
Una lama ghiacciata nella testa, che si insinuava dappertutto, sempre più a fondo, sempre più grande…
“Ora basta.” Disse Onew, una voce lontana, quasi indistinta nella sua mente.
Taemin urlò.
Gelo. Gelo ovunque.
E buio. Anche Minho urlò ma non se ne accorse.
Non provava più niente.
Non era più lui.
Capì che era sdraiato sulla sabbia perché vedeva la luna, un alone quasi impercettibile in mezzo a delle macchie scure.
Fu allora, che il mondo di Minho divenne nero, mentre la coscienza di Onew lo soffocava completamente.
 
 
 
 
 
È così, che si muore?
Probabile.
O per lo meno deve essere qualcosa di molto simile.
È freddo, e buio.
Non c’è più lui, a dare un senso. Niente ha un senso, perché tu non esisti più.
Sei solo.
Anzi no, non sei.
Qualcuno che non è, per forza è solo.
Solo col nulla.
 
Un fischio nella testa.
Freddo.
Aprire gli occhi… ah sì, eccoli gli occhi.
No aspetta, fa troppo male.
Fate smettere questo dannato fischio…
 
Dov’è, dov’è la lama?
È ancora nella testa?
“Non fare così…”
“No… è colpa mia… poteva…”
“Shh…”
Taemin.
Quel nome gli era familiare.
Chi è che parla…
Fate silenzio, devo capire se è ancora nella mia testa…
 
Che strano.
Sembra quasi di avere ancora un corpo.
Adesso provo a vedere se trovo le mani…
Ah si ecco, un dito. È un letto, quello sotto di me?
“Minho?”
Quella voce…
“Hyung! Hyung si è mosso! Minho…”
“Mmm…”
“Svegliati, fai uno sforzo… per favore…”
Ma fa male.
Uno scossone.
“Avanti Minho!”
Jonghyun.
Onew. Dov’era Onew?
Ah, la testa…
Quell’urlo…
“T… Taemin. Come sta Taemin…”
“Hyung, hyung sono qui!”
Una mano.
 
Minho aprì lentamente gli occhi, molto lentamente.
Gli pulsava la testa così forte che il dolore era accecante. Anche se non era nulla in confronto alla lama.
Li aveva tutti addosso, gli oscuravano la visuale: Taemin davanti, Jonghyun appoggiato alle sue spalle e dall’altro lato Kibum.
Erano lacrime, quelle sulle guance di Taemin?
Provò a toccarle.
“Perché…”
“Mi dispiace! E’ tutta colpa mia, non sarei mai dovuto rimanere! Minho…”
“Basta! Ormai è successo, è inutile piangere.” Kibum lo prese per le spalle e lo fece spostare.
Rimase Jonghyun.
“Che…?” balbettò Minho. Tentò di mettersi a sedere e la testa gli rimbombò. Strinse i denti.
“Bentornato.” Gli disse Jonghyun. “Sono lieto di informarti che il nostro caro Onew si è fatto un bel giro nel tuo cervello, contento?”
Minho soppresse un conato di vomito. Sentiva i singhiozzi sommessi di Taemin da qualche parte, dietro le spalle di Jonghyun.
“Come ti senti?”
“Mmm…”
“Di merda, ho capito.”
“La testa…” Jonghyun indietreggiò un poco e da una sua spalla spuntò Kibum.
“Ci dispiace Minho, c’era il Maestro a comandarlo e quindi era più forte di quanto ci aspettassimo. Non siamo riusciti a proteggerti gran che.”
“Tranquillo… voi state bene?” Kibum annuì, guardandolo dolcemente. Minho fece viaggiare lentamente lo sguardo sul suo corpo, per accertarsi di essere ancora intero e che tutto si muovesse come doveva. A parte l’emicrania, sembrava tutto a posto.
“Che è successo?”
“Onew ha frugato ben bene nella tua testa, ha parlato un po’ attraverso di te e poi se ne è andato. Il Maestro gli ha ordinato così e ci ha dato tre giorni di tempo per tornare.”
“E se non lo farete?”
Kibum non rispose subito.
“E’ ovvio no? Manderà di nuovo il fratellino e allora saranno guai.” Esclamò Jonghyun. Si tirò su dal capezzale di Minho e si buttò in un angolo. Al suo posto comparve Taemin, gli occhi pieni di lacrime.
“E’ colpa mia…”
“Ah, di nuovo! Taemin la pianti?” sbottò Kibum.
“Avevo così paura che ti facesse del male! Se non ci fossi stato io, Kibum avrebbe resistito! Invece Onew ha trovato i miei punti deboli e ha iniziato ad attaccare solo me… è stato un gioco da ragazzi oltrepassarmi per entrare nella tua mente, così spaventato com’ero! Sono uno stupido.”
“Va tutto bene, dai non piangere…” gli disse Minho. Non che avesse molta forza per parlare.
“Adesso loro sanno tutto di te. Stai attento, Minho.” Gli disse Kibum, guardandolo negli occhi.
Tutto.
Bel problema.
Batté un pugno sul letto e imprecò. Guardò Jonghyun, che ricambiò con un’occhiata mesta.
“Ne parliamo dopo, ok? Adesso riposati e fatti passare il mal di testa.” Disse Kibum, rialzandosi. Jonghyun salutò Minho con un sorrisetto, mentre Taemin veniva trascinato via dal fratello.
Il ragazzino non smetteva di piangere.
“Aspetta… lascialo.” Kibum gli rivolse uno sguardo interrogativo, poi capì e lasciò il polso di Taemin.
“Poco, devi dormire.” Si raccomandò il biondo, poi lui e Jonghyun li lasciarono soli, nella penombra della camera di Minho.
Il ragazzo batté una mano sul letto, accanto a sé, facendo segno a Taemin di sedersi. Gli pulsava la testa e se apriva la bocca temeva che non sarebbe riuscito a reprimere un conato.
“Minho…” il ragazzino  gli si gettò addosso, stringendo forte la sua t-shirt con le mani.
“Dai… calmati adesso. Non è niente.” Le spalle di Taemin erano scosse da tremiti.
Rimasero così per qualche minuto. Poi il più piccolo tirò su col naso e si scostò.
“Scusa, ti ho bagnato la maglietta.” Minho sorrise, continuando a passargli una mano tra i capelli, sulla fronte.
“Tranquillo.”
“Mi dispiace.”
“Non è colpa tua.”
“Avrebbe potuto farti fare qualsiasi cosa. Mi  è sembrato di morire.”
“Voleva solo spaventarti. Non dargliela vinta così facilmente.” Taemin alzò piano lo sguardo.
“Se avesse deciso di far sì che tu mi ammazzassi… te l’avrei lasciato fare, hyung. Giuro che ti avrei lasciato fare qualsiasi cosa, purché lui non ti facesse del male.”
Il cuore di Minho si strinse.
“Non dirle nemmeno per scherzo, queste cavolate.” Gli diede un bacio sulla fronte, d’istinto. “Hai capito?” Taemin continuava a stringere le mani sulla sua maglietta, stropicciandola.
“Aveva ragione Kibum: dovevamo andarcene, subito. Cancelleremo i vostri ricordi e vi lasceremo in pace, per sempre.”
Le mani di Minho si strinsero attorno ai polsi del più piccolo, il cuore che aumentava i battiti. Ed erano esattamente come se li era sempre immaginati: sottili e fragili.
“Taemin. Adesso guardami, ok? Guardami. Io non voglio dimenticarti. Non voglio, è chiaro? Non ti permettere. E non voglio nemmeno che voi ve ne andiate. Penseremo a qualcosa. Insieme.”
“Hyung… quella macchia scura che ho visto dentro di te… lo so che c’è, non ho potuto fare a meno di vederla. Ora loro sanno esattamente di cosa si tratta. Io non voglio che tu mi dica niente, ma sappi che la useranno contro di te in ogni modo. Faranno leva sul tuo passato, per conquistarti. Il Maestro è in grado di legare a sé una persona per sempre, in modo che non possa mai più opporsi al suo volere. Ti prego, ti prego non lasciarti prendere da lui. Non potrei sopportarlo.”
Minho lasciò andare i polsi di Taemin e prese un respiro profondo.
Forse è giunto il momento.
Se ne andava della sua vita, e di quella di Taemin… forse era meglio se provava a superarlo. Forse se ne parlava con lui…
Davvero voglio rivelarlo a…
A chi.
Chi sei tu per me?
Gli prese il viso tra le mani.
“Taemin, tu ti fidi di me?”
“Certo hyung.”
“E che persona sono, secondo te?”
“Sei intenso.” Minho si allontanò, incuriosito. Il più piccolo non aveva avuto la minima esitazione.
“In che senso?”
“Tutto ciò che fai, lo fai con il cuore. Perfino i tuoi occhi sono intensi, hyung. Dal tuo sguardo si capisce che hai sofferto, e anche se fai l’indifferente per te ogni piccola cosa è importante. Cerchi qualcosa che ti manca. La cerchi mettendoci tutto te stesso.”
Nel sentire quelle parole, gli occhi di Minho divennero lucidi.
Davvero lo capiva così a fondo?
“Prima che arrivassi tu, la mia vita era senza senso.” Taemin abbassò lo sguardo e arrossì. “Mi hai dato qualcosa per cui lottare. Il tuo modo di pensare, di vedere il mondo… è bello. Voglio imparare anche io, a vedere le cose in modo diverso. Voglio diventare un altro.”
“Tu sei già un altro.” Rimasero a guardarsi, soppesando l’importanza delle parole che si erano appena scambiati. Poi le labbra di Minho si mossero, e tutto uscì fuori, come un torrente che non si può arginare.
“Mio padre era un violento. Gli unici ricordi di lui sono di quando picchiava mia madre. Quando non ce l’ho fatta più, ho provato ad uscire da quell’incubo attraverso la droga. Volevo solo scomparire. Se non ci fosse stato Jonghyun, ci sarei riuscito.” Minho si massaggiò un avambraccio, provando un brivido.
Ricordi lontani, brutte sensazioni.
“Non l’ho mai raccontato a nessuno. È la prima volta che le parole ‘padre’ e ‘droga’ escono dalle mie labbra.” Sorrise amaramente. “Alla fine lo hanno arrestato, mio padre. E grazie a Jonghyun, sono riuscito ad uscirne. Ho cambiato città e vita, ed ora sono qui. Ho seguito colui che mi ha salvato, e che continua a sostenermi. Se sono così come mi vedi, e non con il cervello spappolato dalla droga… è solo grazie a Kim Jonghyun. E quell’ombra che hai visto… è grande perché io continuo ad avere paura. Di me. So di essere debole, anche se non l’ho mai ammesso. Temo che se riprovassi quella paura che avevo da ragazzino, probabilmente non avrei la forza di combatterla, come non la ebbi allora.” Minho si fermò, per respirare.
Non gli sembrava vero di stare dicendo quelle cose.
Era una strana sensazione.
Si sentiva la testa sempre più pesante. Chiuse gli occhi per un attimo e cacciò indietro i fantasmi che minacciavano di assalirlo, e che per tanto tempo aveva rinchiuso negli angoli più bui del suo cuore.
Li riaprì quando sentì Taemin che lo abbracciava.
“Due deboli, possono diventare forti.” Gli sussurrò il ragazzino. “Non sei più quello che eri, Minho.”
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Seraaa! Sto crollando dal sonno ma voglio postare questo capitolo, che è importante ma precede qualcosa di ancora più cruciale, qualcosa che tutti aspettate XP
Sappiate che siamo al giro di boa! Abbiamo superato la metà della fanfic. Allora, come vi è sembrato questo viaggio fino a qui? Spero sia stato piacevole. D'ora in poi, non ci sarà più nessuna possibilità di tornare sui propri passi....
Concludo dicendo ancora una volta GRAZIE RORY CHAN, TI ADORO. Grazie per tutti i commenti, per le correzioni, per la gentilezza e per aver detto che sei orgogliosa di me e che tutto quello che faccio è bello. Ti voglio bene, davvero...
BUONA SERATA...
<3
Chiara

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Capitolo 10
*** 10. Perceptions ***



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10. Perceptions
 

Le lacrime avevano iniziato a rigargli le guance, calde, rilassanti.
Piacevoli.
Minho stringeva a sé il corpo di Taemin, con tutta la forza che aveva, senza curarsi di nient’altro.
Era di nuovo quel ragazzino impaurito, ma ora poteva piangere. Poteva guardare avanti.
“Adesso lo sai anche tu. Adesso capisci chi sono veramente.”
“Sì hyung. Grazie.” Minho rise e sciolse l’abbraccio, con tenerezza. Si sentiva stremato ma leggero.
Leggero come non lo era mai stato. Anche le lacrime di Taemin avevano smesso di scorrere, ma i suoi occhi continuavano a brillare.
Dio, quanto sei bello.
“E adesso?”
“Combatteremo, e ce la metteremo tutta. Non ti lascerò andare, Taemin.” Più ripeteva quel nome, più se ne appropriava, come se potesse legare a sé la persona solo chiamandola per nome.
“Non voglio che tu debba soffrire ancora a causa mia.”
“E io non voglio che tu debba tornare da quel mostro.  Quello che ti è successo, non è giusto.”
“Nemmeno quello che è successo a te.”
“Infatti. Farò in modo che tu possa iniziare a vivere.”
“Voglio vivere con te.” Disse il ragazzino, di getto. Minho si ritrovò spiazzato ed esitò.
“Mi dispiace hyung, mi dispiace ma non so più come fare. Comincio a pensare che tu non provi lo stesso ma, non ce la faccio ad aspettare… potrebbe essere l’ultima occasione, capisci?” e mentre parlava, il viso di Taemin gli si avvicinava sempre di più.
Quelle labbra…
“Scusami Minho… io proprio devo…”
Troppo vicino, non c’era più tempo per parlare. Le dita sottili del più piccolo si strinsero fra i capelli sulla nuca di Minho ed entrambi chiusero gli occhi.
Un bacio. Un bacio vero.
Minho non poteva crederci.
La sensazione di calore, di completezza che provò nel baciare le labbra soffici di Taemin non l’aveva mai provata in tutta la sua vita, mai, con nessuna ragazza o con nessun’altro essere che potesse esistere su quel pianeta.
Era qualcosa di unico.
Si dimenticò perfino dell’emicrania, da tanto si sentì appagato nel sentire le labbra di Taemin muoversi contro le sue. E in un momento perse la testa.
Ne voglio di più, non te ne andare.
Con le mani lo trasse più vicino, ancora un po’, prendendolo per la vita. Poi si insinuò sotto la sua maglietta, e la schiena del più piccolo divenne subito calda, grazie alle sue carezze.
Non aveva più fiato. Dischiuse le labbra, solo per respirare un istante, ma Taemin si staccò.
“No, no…” lo riacciuffò subito per la nuca, e rieccole, quelle labbra. Vi soffiò dentro l’aria che aveva appena preso, in un lungo sospiro.
Il più piccolo si sciolse fra le sue braccia, Minho sentiva la pelle d’oca che gli increspava la schiena, mentre vi faceva scorrere le dita. La cosa lo fece sorridere.
E Taemin si staccò ancora.
Appena quella sensazione di morbidezza svanì, Minho ritornò a sentire il dolore alla testa. Si rese conto di avere ancora le mani sotto la maglietta di Taemin e avvampò. Le tolse di scatto.
Il più piccolo aveva il fiato grosso.
“Scusa, io…” Taemin scosse la testa. Aveva una mano sulle labbra.
Cazzo, ho perso il controllo.
“Finalmente.”esalò il ragazzo biondo. “Non sai da quanto volevo farlo.”
“D… davvero?”
“Ma tu sembravi non capire. Tante di quelle volte sono stato tentato di fare quello che ha fatto Kibum con Jonhyun. Avevo una paura folle che tu mi spingessi via e non volessi più vedermi.”
“Solo un pazzo ti spingerebbe via. Forse non ti rendi conto di quanto sei bello.”
“Io mi faccio schifo. E comunque tu sei più bello.” Taemin gli sfiorò uno zigomo. “Capelli neri e morbidi, occhi scuri… perfetta curva del naso… labbra piene… collo… spalle…” la mano di Taemin scendeva, leggera, quasi impercettibile. Ma Minho rabbrividì lo stesso. “pettorali… cuore.”
Lì il più piccolo si fermò e appoggiò la mano, con tutto il palmo e le dita bene aperte. “Questa è la parte che preferisco.” Minho non riuscì a trattenersi e lo baciò di nuovo, rapidamente. Taemin rise, sorpreso. “Chi ha un cuore così bello, me lo dici? Sempre gentile…” un altro bacio. “Sempre pronto per gli altri.”
“Basta, o non rispondo più di me.” Minho lo baciò ancora, mentre rideva.
Sei tu, quello meraviglioso.
Si guardarono e tornarono ad abbracciarsi.
“Se fosse grazie a tutto quello che ho passato fino ad ora che sono giunto a te, lo rivivrei cento volte e direi che ne è valsa la pena.”
Gli occhi di Minho si riempirono nuovamente di lacrime per la dolcezza di quelle parole. Lo strinse più forte.
“Ti starò vicino e insieme ce la faremo. Fosse l’ultima cosa che faccio.”
 
 
“Allora, chi vuole incominciare?”
Il tono di Jonghyun era allegro e pieno di energia.
“Meno male che c’è lui che tira su il morale a tutti.” Sussurro Taemin all’orecchio di Minho.
“Bah… crede che sia un gioco?”
No, non era un gioco. Era una cosa importante, forse una delle più importanti che Minho avesse mai fatto, e aveva davvero una brutta sensazione addosso: la paura di non esserne all’altezza. Ora avevano un piano, e lui e Jonghyun ne erano l’anello portante.
Tre giorni.
Avevano solo tre giorni di tempo, per imparare ciò che Taemin e Kibum avevano appreso durante praticamente tutta la loro vita. Dovevano mettere da parte le loro indecisioni, le loro convinzioni, le loro titubanze. Dovevano aprire le loro menti e capire. Capire come difendersi… e come proteggere i ragazzi che avevano al fianco. Quello, era l’unico modo.
Era una conclusione a cui erano giunti insieme, tutti e quattro. Poche parole erano state spese, erano stati più gli occhi a parlare. E alla fine, avevano deciso.
Da soli si è deboli, ma se le menti si uniscono… le sorti della partita possono cambiare radicalmente. Dopo che Taemin si era isolato, nella sua apprensione, e aveva tentato di combattere Onew da solo, avevano perso. Se invece avesse unito la sua coscienza a quella di Kibum, invece che perdersi in se stesso, forse avrebbero avuto più chance. E se alle loro due forti menti avessero dato il loro sostegno anche Jonghyun e Minho, allora c’era davvero la possibilità di batterli.
O almeno così speravano.
Era l’unico modo. L’unica speranza.
Taemin era stato il solo ad opporsi, ma le sue obiezioni erano presto state placate. Capiva anche lui che non avevano un piano alternativo, anche se questo comportava coinvolgere del tutto Jonghyun e Minho. Doveva solo imporsi di essere più forte, e sperare. Metterci tutto se stesso e sperare.
Per la sua vita.
Per Minho.
“Bene, iniziamo con un po’ di teoria.” Erano nel salotto dell’appartamento di Jonghyun e avevano fatto spazio, spingendo il tappeto, le sedie, il tavolino e il divano lungo le pareti e lasciando uno spiazzo nel mezzo. Jonghyun e Minho sedevano vicini, da una parte, a gambe incrociate, Taemin e Kibum gli stavano di fronte.
“Prima di tutto, è essenziale riuscire a sentire.” Spiegò Kibum. Taemin annuiva, serio. “Ora voglio che mi diciate cosa sentite attorno a voi. Prima Jonghyun.”
Il ragazzo spinse le labbra in avanti e si guardò intorno, concentrato.
“Mmm… il rumore delle macchine, e dei bambini per strada. Viene dalla finestra.” La indicò. “Poi ci sono gli uccellini che cantano e… qualche gabbiano. Oh, e poi la mia voce ovviamente.”
Kibum non disse nulla e passò la parola a Minho.
“Sento le stesse cose, e anche il vociare della gente, in strada. È come un fruscio, continuo. Confuso. E sento anche dei passi, al piano di sopra.”
“Ok, tutte cose giuste.” Disse Kibum. “Peccato che vi siate concentrati solo sul senso dell’udito. Il verbo ‘sentire’, non ha anche altri significati?” Jonghyun e Minho si guardarono. “Ad esempio, non sentite caldo?”
“Ah!”
“Certo…”
“Bene. Ora ditemi altre cose che ‘sentite’.”
“Il pavimento, liscio e fresco.” Rispose Jonghyun rapidamente.
“Qualche soffio di vento che entra dalla finestra e la canottiera attaccata alla pelle. E il sudore.” Minho si passò una mano sulla fronte.
“Esatto.” Rispose Kibum. “Ora chiudete gli occhi. C’è un’altra cosa che potete sentire. Voglio vedere se riuscite ad arrivarci da soli. Avanti, chiudi! Chiudi e non ti muovere, stai immobile. E senti.”
Minho e Jonghyun eseguirono, perplessi.
Le macchine… le voci… no, non era quello. Caldo.
“Respirate, e ascoltate…”
“Il cuore, che batte.” Sussurrò Minho, pochi istanti dopo.
“Va bene concentrarsi su se stessi, ma prova ad esplorare l’esterno. È qualcosa che non potete non notare.”
Minho.
Per un pelo il ragazzo non aprì gli occhi. Gli sembrava di aver sentito… eppure non era un suono.
No, che assurdità.
“E’ qualcosa che vi condiziona. Avanti ragazzi…”
Mi condiziona.
Non sarei così, se non ci fosse.
Forse… beh, era troppo ovvio, troppo scontato.
Jonghyun non parlava.
Aspetta, aspetta…
Niente rumori, niente sensazioni fisiche. Qualcosa di esterno.
Minho aprì gli occhi.
Non gli veniva in mente nient’altro.
“Io sento… sento Jonghyun accanto a me e so che voi mi state guardando.” Senza volerlo, incontrò gli occhi di Taemin e quello si illuminò di un bellissimo sorriso.
“Bravo hyung!” anche Kibum gli sorrise.
“Ma certo, è la vostra presenza, vero?” disse Jonghyun.
“Esatto, la parola giusta è proprio presenza.” Annuì Kibum. “Non è una cosa facile da capire. Siete stati bravi ad arrivarci subito. Bene, ora vi spiego. La presenza di una persona è qualcosa che si avverte d’istinto, quasi in automatico. Questa capacità di avvertire l’altro però, non è affatto istintuale, ma è una capacità della nostra mente. Si può affinarla fino a riuscire a riconoscere qualcuno senza vederlo, basta imparare a riconoscerne la mente, la coscienza. Ogni persona è così diversa, da questo punto di vista, che è impossibile sbagliarsi. Certi individui possono somigliarsi nel fisico, nel modo di parlare o di muoversi, ma vi assicuro che se voi riuscirete a percepirli con la mente, niente vi potrà più ingannare.”
Minho deglutì.
Ora arrivava il difficile.
Taemin si schiarì la voce e iniziò a parlare, come se recitasse a memoria un libro.
 
“Conosci quel suono simile ad un tintinnio, che si percepisce in un posto molto silenzioso? Alcuni dicono che si tratta di una illusione uditiva causata dalla non possibilità dell’orecchio umano di percepire vibrazioni al di sotto delle frequenze sensoriali. Questo, è completamente sbagliato. Quel tintinnio, copre qualcosa. Se sei intelligente, paziente, e magari anche un po’ fortunato, sarai in grado di sentire oltre il tintinnio.
 Quello che sentirai, saranno voci che si sussurrano l’una all’altra. Si zittiranno presto, ma con la pratica diventerà più facile captare e capire ciò che dicono. Allora sentirai cose del passato, cose presenti e cose future. Comunque, devi stare attento. Perché non esiste nulla, come una voce priva di corpo. E quando tu inizierai a notarle, loro inizieranno a notare te.”
 
Mentre Taemin parlava, le labbra di Kibum si muovevano insieme alle sue, sillabando quelle stesse parole. Minho e Jonghyun erano rimasti paralizzati, come se stessero ascoltando una melodia lontana che non lasciava scampo, se non quello di rimanere in silenzio e ascoltare.
“Questo è ciò che ci ripeteva sempre il maestro, ogni giorno, quando eravamo bambini.” Spiegò Taemin. “Ed è il modo più semplice per spiegare la questione della percezione delle varie menti. Perché in effetti, all’inizio è esattamente così.”
 
 
Inizieremo con degli esperimenti, per vedere quanto siete recettivi. In base a quello, poi proseguiremo.” Spiegò Kibum.
Si misero a coppie, Taemin con Minho e Jonghyun con Kibum.
Minho vide con la coda dell’occhio che i due ragazzi al suo fianco si sorridevano.
Guardò Taemin e non poté trattenersi dal sorridere nemmeno lui.
Il più piccolo gli mise una mano sugli occhi e glieli chiuse.
“Adesso concentrati.”
Facile a dirsi.
“Prova a vedere se mi senti.”
Pochi istanti e Minho, percepì qualcosa di familiare. Ricordando quella pressione, anche se stavolta era così lieve che non se ne sarebbe accorto, se non fosse stato lì ad aspettare, sobbalzò all’indietro.
“Ehi…” rise Taemin. “Sei troppo teso.” Minho si maledisse e borbottò un rapido ‘scusa’. “Prova a descrivere com’è la mia mente.” Lo guidò, dopo che ebbe richiuso gli occhi.
Minho questa volta si trattenne e lasciò che la coscienza di Taemin accarezzasse la sua. Trasse respiri profondi e si costrinse a non muoversi.
“E’ fresca. E leggera. Gentile.”
“Bene. Ora guarda. Però fai presto, perché non è piacevole avere qualcuno nella testa per troppo tempo.” Minho si agitò mentre combatteva per mantenere la concentrazione e non perdere il contatto con la mente di Taemin.
“Non… non so come fare.”
“Vieni più vicino. No, non con il corpo.”
Minho non sentiva più niente. Solo quel fresco che si avvicinava. Vi si gettò, d’istinto, e una serie di immagini e sensazioni esplosero sotto le sue palpebre.
Noia, noia. una profondissima noia. incertezza.
Rabbia.
Il viso di un uomo, di mezza età.
Allontanati… non mi toccare.
Poi un sorriso familiare, irruento.
Kibum.
Tanta dolcezza, tanto affetto.
Il nero, di nuovo, e il dolore.
Dolore ovunque, insopportabile, basta, voglio che smetta…
Freddo e mare. Il mare è terrificante.
Acqua ovunque, e non c’è più lui, non c’è nessuno, e i muscoli bruciano.
E poi… speranza.
E Choi Minho. E nient’altro.
Minho senti di nuovo premere sulla sua coscienza, con forza. Senza sapere cosa fare, spaventato, subito si ritrasse e tornò in sé, aprendo gli occhi.
Aveva le labbra aperte, in un’espressione incredula.
“Cazzo.”
Taemin lo fissava, il mento sul palmo di una mano, tranquillo. Gli occhi gli tornarono nocciola mentre Minho lo guardava.
“Allora? Com’è.”
“Tremendo.”
Taemin rise.
“Ho visto me stesso… da fuori. Cioè. Nei tuoi ricordi.”
“Sei bravo. Non hai un minimo di discrezione. Dovevi frugare così in là?” Minho inghiottì in silenzio. Non sapeva neanche lui cosa aveva fatto.
“Kibum, lui è molto recettivo.” Affermò Taemin voltandosi. Kibum, seduto alle sue spalle, aspettò qualche secondo a rispondere: era preso con Jonghyun, che aveva gli occhi chiusi e la fronte aggrottata.
“Bene, si vede che lo stare con te l’ha aiutato. Inconsapevolmente, ha già iniziato a sentire di più.”
“Come va Jonghyun-hyung?”
“Un caprone.”
“Yah!”
“E’ troppo concentrato su di sé e non sente. Ma lo farò svegliare io.”
“Yah…” Jonghyun abbassò lo sguardo, mesto. Kibum lo prese per il mento e gli diede un leggero bacio sulle labbra, mentre il ragazzo avvampava. Minho rise. Incontrò lo sguardo di Taemin e i due ripresero a fronteggiarsi, le ginocchia incrociate che si sfioravano.
“Adesso che mi hai sentito, mi riconoscerai. Proviamo a parlare ancora un po’ con la mente, così consolideremo il contatto. Poi invertiamo le coppie, e dovrai sentire anche Kibum. E poi Jonghyun. Questo sarà l’obiettivo di oggi: conoscerci e saperci percepire, anche a distanza.”
“Io già ti riconoscerei ad occhi bendati.” Sussurrò Minho. Taemin gli scoccò uno sguardo sorpreso. “Vediamo se capisci cosa sto provando adesso.”
“Accetto la sfida.” Sorrise Taemin, un sorriso che Minho non gli aveva mai visto: sicuro, audace.
In questo momento, vorrei solo baciarti.
 
Le ore passarono veloci e gli sfuggirono di mano, senza che nemmeno se ne accorgessero. Si dimenticarono addirittura di mangiare, mentre erano così persi l’uno nella mente dell’altro da dimenticare se stessi. Capire così nel profondo, poter scrutare fra le esperienze vissute, le paure e i desideri degli altri, era per Minho e Jonghyun un’esperienza indescrivibile.
Kibum e Taemin li bersagliarono di esercizi ed esperimenti, per testarli e per far sì che loro comprendessero come utilizzare la propria mente per mantenere il contatto e percepire l’altro.
Era stancante e devastante.
Il mal di testa cresceva di minuto in minuto, mentre si scambiavano e si esercitavano a respingere la pressione delle menti di Kibum e Taemin, o provavano a capire cosa volessero dirgli in quel momento.
“Dio, basta. Non ce la faccio più.” esalò improvvisamente Jonghyun, non appena Taemin era passato oltre le deboli difese mentali del ragazzo, prendendo il controllo su di lui per un secondo e neutralizzando i suoi sforzi.
Minho non lo sentì. I suoi occhi erano fissi in quelli sfrontati di Kibum, mentre tentava con tutte le sue forze di resistere. Gli sembrava di stare per essere schiacciato da un sasso.  Ringhiò.
La lama si avvicinava.
Si costrinse a respingerla, e ce la stava quasi facendo. Poi una gocciolina di sudore gli solleticò la schiena, Minho la notò, si distrasse e fu travolto.
Cadde all’indietro, con un brivido.
La lama si ritrasse subito, ma fece male comunque.
Imprecò.
Kibum gli si sdraiò sopra per un attimo, mostrandogli il suo sorriso pungente.
“Peccato!”
Si ritrasse e andò a parlottare con Taemin.
“Quei due ci uccideranno.” Gli disse Jonghyun.
“Allora? Riproviamo o stiamo qui a perdere tempo?” esclamò Minho, andando a prendere Kibum per un braccio e rimettendolo a sedere, mentre quello protestava, offeso.
Ce l’avrebbe fatta, ne andava del suo orgoglio.
 
Jonghyun e Kibum dormivano sul pavimento, il ragazzo biondo raggomitolato contro il petto dell’altro. Minho guardava i loro corpi muoversi al lento ritmo del loro respiro.
Era stanco. Era riuscito a evitare gli attacchi di Kibum una sola volta, ma il ragazzo sospettava che lui avesse ceduto per noia. Era sempre stato un tipo competitivo, e non si dava pace. Nemmeno Jonghyun aveva raggiunto risultati migliori, ma la cosa non lo rassicurava affatto. Lo rendeva ancora più agitato.
“Minho-hyung.” Il sussurro di Taemin. Si voltò su un fianco per guardarlo, nel buio del salotto, la finestra ancora aperta da cui filtrava l’aria fresca della sera. “Non preoccuparti. Avete già fatto tanto.”
“E se non fosse abbastanza?”
“Doveva andare così. Va bene lo stesso.”
“No Taemin, no. Devo riuscirci.”
Ma tre giorni sono così pochi… se avessimo solo un po’ più di tempo.
Taemin gli diede un buffetto sul petto.
“E ci riuscirai, te l’ho detto. Sei bravo, sei sveglio. Però devi dormire, o domani non sarai in forze.”
“Hai ragione. Devo riposare. Forse dovrei andare a fare una corsa, mi sento nervoso.” Temin gli mise un dito sulle labbra.
“Se vuoi, ti do una mano io ad addormentarti.” Sentendo il suo tocco, Minho sospirò e chiuse gli occhi.
Sì.
Sentì la mente di Taemin premere contro la sua e non si oppose. Inaspettatamente, fluì leggera e veloce, pervadendolo e lasciandolo in uno strano stato di dormiveglia. Sentì i muscoli distendersi.
Taemin.
Una leggera vibrazione, come un tocco di vento. Lo sentiva.
Voglio davvero farcela.
Lo so. Dormi adesso.
Dormire, dormire…
Mi devi aiutare.
Shh.
Minho provò a nuotare in quel mare di silenzio e tranquillità che lo stava avvolgendo, ma non aveva più la concentrazione né la determinazione per farlo. La stanchezza ebbe il sopravvento e si addormentò, mentre la coscienza di Taemin si ritirava silenziosamente.  
 
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Buongiorno a tutti e buona domenica! :)
Rieccomi con un nuovo capitolo. In banner potete ammirare i due diversi lati di Taemin, quello con gli occhi azzurri, legato alle sue capacità mentali, e quello dagli occhi nocciola che tutti conosciamo.
Bene, dal prossimo capitolo aspettatevi un po' di angst. Ma non disperate! In tutte le grandi avventure, bisogna soffrire per crescere. E' la vita, no?
Secondo voi come proseguiranno le cose? Fate i vostri ragionamenti. E ovviamente, ditemi come vi è sembrato il capitolo!
Grazie a tutti quelli che mi hanno commentato, vi prego continuate a leggere!
<3
Chiara

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Capitolo 11
*** 11. Showdown ***


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11. Showdown



Minho non andò al lavoro. Disse di essere malato.
Ma in fondo, chi se ne importava. Ci avrebbe pensato poi.
Con suo grande sollievo, facevano progressi, entrambi. La loro determinazione e la loro voglia di farcela, gli permise di imparare in fretta e di diventare più forti.
La sera del secondo giorno, decisero di avventurarsi per la città e provare qualcosa di più difficile. Fino ad allora, le loro menti si erano esercitate solo con persone conosciute. Kibum e Taemin avevano anche  mostrato loro la mente oscura e nebulosa del Maestro: un mix di forza, convinzione, solitudine e altre mille indefinibili sensazioni, impenetrabili come l’acciaio. A parte questo, non si erano mai cimentati con degli estranei.
Minho e Jonghyun erano curiosi e nervosi. Gli sembrava di stare per fare qualcosa di profondamente sbagliato, come rubare. Avevano anche timore di cosa avrebbero potuto sentire, ma era necessario. E poi c’erano Kibum e Taemin con loro.
Si diressero nel centro della cittadina, brulicante di vita. Erano circondati da centinaia di persone, che passeggiavano fra i negozi ancora aperti e si avviavano verso le colline, dove c’erano le discoteche.
Si fermarono accanto ad un negozio di scarpe e si mischiarono ad un gruppo di persone che guardava la vetrina, come se niente fosse.
“Ok, aprite la mente come vi abbiamo insegnato ed esplorate. Il primo che riesce a trovarci, vince!” esclamò Kibum, iniziando a saltellare all’indietro, allontanandosi e portando con sé Taemin.
“Mi raccomando, dieci minuti di attesa e non si parte fino a quando non siete sicuri di essere sulle tracce giuste. Vietato cercare con gli occhi! Unico strumento concesso…” e si toccò una tempia.
Poi i due si dileguarono fra la folla. Presto avrebbero preso direzioni diverse.
Minho e Jonghyun si guardarono e iniziarono a tenere d’occhio l’orologio sul campanile davanti a loro.
“Beh, ci siamo. Mi sembra di essere tornato a scuola, l’ora della verifica di fine anno.”
“Matematica era tremenda.” Ammise Minho, le spalle appoggiate al muro e le braccia conserte.
“Anche chimica. Non ci ho mai capito niente.”
Silenzio.
“Siete perfetti insieme, voi due.” Il capo di Jonghyun scattò.
“Yah! Non mi prendere in giro.”
“Sono serissimo. Sai che non ho un gran senso dell’umorismo.”
“Uhm.”
“Kibum è tosto.”
“Lo so. Non c’è niente da fare, s’è bevuto il mio cervello. Addio.” Minho rise.
“Che schifo!”
“E’ così che mi sento quando mi guarda. Risucchiato.”
“E’ piacevole, vero?”
“Non riesco a farne a meno. Da una parte lo vorrei picchiare, dall’altra…”
“Vorresti fare sesso con lui tutto il giorno.” Questa volta gli arrivò una gomitata nello stomaco e Minho si piegò. Gli diede una spinta.
“Non dirlo nemmeno per scherzo, hai capito? Piantala.”
“Scusa! Quanto sei suscettibile.”
“E’ successo solo quella volta. Tento di non pensarci. Voglio solo che lui possa… possa essere se stesso, senza il peso di tutto questo sulle spalle. Si sente responsabile per Taemin. Quando siamo soli, la sera, non fa che parlare di lui. Ed è sempre triste. È diverso da come lo vedi di giorno.” Minho si stupì nell’apprendere che Kibum non era sempre quel ragazzo sfrontato e sicuro di sé.
“Capisco.” Jonghyun alzò le braccia e intrecciò le dita dietro alla nuca.
“Mancano cinque minuti.” Gli fece notare Minho.
“Davvero pensi che stiamo bene insieme? Nel senso che ci completiamo, o qualcosa del genere?” Minho ci pensò su.
“Sì. Direi di sì.”
“Meno male.”
“Sei innamorato?”
Silenzio.
“Forse.”
Io ho baciato Taemin. Ma non so cosa provo per lui.
“È… spaventoso. Sentirsi così.” Continuò Jonghyun.
“Così come?”
“Come se il tuo cervello andasse sempre in una direzione sola. Così preso. Ci conosciamo da pochissimo e mi sembra di non poter più fare a meno di lui. I suoi occhi sono tutto quello che vedo. Da lì si capisce ogni cosa, sai?”
“Lo so.”
“A volte sembra un maleducato, egoista, scorbutico, egocentrico, insopportabile… beh in fondo lo è.” Minho rise. “Però poi lo guardi negli occhi e vedi che c’è di più. Capisci cosa intendo?”
Minho capiva.
“E tu invece?”
Sentì su di sé lo sguardo scrutatore dell’amico e si ritrovò a disagio. Incrociò le braccia come se niente fosse.
“Io che?”
“Beh… tu come stai? In generale…” stava evitando la questione.
“Bene, Jjong. Sta tranquillo.” Gli mise una mano su una spalla.
“Sei teso?”
“Un po’.”
“Non ti preoccupare. Ce la faremo.” Minhò serrò la mascella e annuì. C’era questa strana inquietudine che non lo abbandonava…
“E con Taemin?” continuò Jonghyun. Minho gli rivolse uno sguardo interrogativo. “Nel senso… come va con lui?”
“Normale, perché?”
“Niente, pensavo che…” i rintocchi del campanile della piazza sovrastarono la sua voce. “Sono le undici.” Jonghyun gli diede una pacca su una spalla e si staccò dal muro. “Che facciamo, andiamo?”
“Sì. Ma dove.”
“Beh, proviamo a capirlo.”
Non appena si concentrarono e aprirono le loro menti verso il mondo esterno, un’esplosione di voci e sensazioni li invase, inarginabile, incontrastabile. Minho si portò una mano alla tempia e si ritrasse, fuggendo.
“Dio, che casino!” esclamò Jonghyun. “Vattene via, ragazzina non mi interessi. Anche tu, tizio sconosciuto… io devo trovare quel dannato Kim Kibum.” Non si era sottratto alle voci, frugava tra la folla.
Minho fece un respiro profondo e decise di seguire il suo esempio. Si costrinse a sentire ancora.
Gli ci volle qualche minuto per riuscire a distinguere qualcosa in quel caos. Si concentrò su se stesso prima, per non perdersi, e poi iniziò a scartare. Alcuni pensieri lo stupirono, altre sensazioni –una ragazzina ansiosa, un ragazzo che vuole solo divertirsi- lo disgustarono, e se ne scostò subito. Si muoveva sempre più velocemente, saltando di coscienza in coscienza, lasciandosi trasportare. I minuti passarono.
È come cercare un ago in un pagliaio.
“Eccoti! Bingo!” esclamò Jonghyun alle sue spalle, e Minho per poco non si distrasse quando lo sentì che si allontanava, di corsa.
Dove sei.
Altri minuti, perché la lancetta di quel dannato orologio si muoveva così in fretta?
Poi un brivido.
Una coscienza fresca, dolce, guizzò.
Aspetta, dov’era…
Eccola. Lontana, lontanissima. Era una luce così fievole, in mezzo a quei mille colori che gli esplodevano davanti. Minho fece qualche passo, in quella direzione.
E se non fosse lui? No…
Non si sarebbe più sbagliato. Era impossibile. Impossibile confondersi.
E iniziò a correre.
 
Seguirlo, non era affatto facile. Continuava a cambiare direzione, a muoversi, a mischiarsi. Ma Minho era determinato e non si sarebbe lasciato distrarre. Il suo obiettivo era uno solo.
Si sentiva come un animale che bracca una preda, facendosi strada tra l’erba alta. Si infilava tra la gente con agilità, accorciando la loro distanza ad ogni passo. Poteva percepire la lieve pressione della mente di Taemin, che ogni manciata di minuti controllava dov’era. Ora sì che lo sentiva.
Come aveva fatto a non accorgersene prima. Per un breve momento percepì anche Kibum, poi lui si allontanò, come scottato, e sparì. Minho lo lasciò andare, non era lui che stava cacciando. Non si rendeva nemmeno conto di dove stesse andando, correva e basta. Ripassò anche dalla piazza dell’orologio, senza accorgersene.
Frustrato, si spinse più in là e lo toccò con la mente.
Ti vuoi fermare, dannazione.
Lo contrastò, quando Taemin provò ad attaccarlo. Nel frattempo, lo stava raggiungendo, quindi la coscienza di Taemin desistette quasi subito e riprese a guizzare e Minho a correre.
Alla fine, si fermò. Minho emise un urletto di sollievo, perché sentiva la gola bruciargli e il fiato venir meno. Ora sìnlo percepiva con chiarezza. Si concesse il lusso di guardarsi intorno e capì dove Taemin lo stava aspettando: era dentro il suo appartamento. Mano a mano che si avvicinava, capì anche dove: se ne stava in piedi nel bel mezzo del salotto, divertito.
Minho aumentò ancora il ritmo della corsa e in pochi minuti si ritrovò a varcare la porta di casa.
Appena entrò, lo scoppio delle risate di Taemin lo accolse.
“Mostriciattolo… mi hai fatto sudare.”
“Corri veloce, ma con la testa sei lento, Choi Minho! Se non mi fossi fermato non mi avresti mai preso.” Minho si piegò sulle ginocchia, per respirare.
“Questo lo dici tu. Fammi i complimenti, piuttosto.”
“Bravo. Mi hai trovato.”
“Adesso voglio il mio premio.”
“Il premio sono io.” Minho sorrise. Gli si avvicinò e gli prese una mano.
“Mi piace.”
Si rigirò le dita piccole e sottili di Taemin fra le mani, poi le strinse. Lo prese per la nuca, piano, con dolcezza, studiando la sua espressione. Sembrava tranquillo. Chiuse gli occhi e lo baciò. Lo sentì sospirare.
Sì staccò ma rimase con le labbra a sfiorare le sue, gli occhi ancora chiusi.
“Sono felice di averti trovato. E non intendo solo stasera.” Sentì le labbra di Taemin stendersi in un sorriso. Le mani del ragazzino gli sfiorarono i fianchi, leggere.
“Anche io sono contento di averti, hyung.”
Un sussurro. Aprì gli occhi. Sentiva un piacevole calore partire da dove le mani di Taemin lo stavano toccando… lo prese meglio per il collo e gli fece alzare la testa, per baciarlo ancora.
“Ti… ti va di…” lui annuì.
Voglio capire cosa si prova… voglio vedere che effetto mi fai.
“Va bene, hyung.” Come se lo avesse sentito, gli allacciò le braccia sottili al collo e i loro corpi si avvicinarono. Minho provò un brivido. “Io lo so già che effetto mi farai. Ma va bene così.”
Minho rise e gli baciò la fronte, intenerito. Stava per lasciarsi andare…
 
Il sorriso gli morì sulle labbra, mentre lo guardava.
“Hyung?” sentendolo irrigidirsi, il ragazzino alzò il capo verso di lui, sorpreso.
“Aspetta.”
C’era qualcuno che gli voleva parlare. Era troppo distratto da Taemin, per un pelo non se ne accorgeva. Una presenza familiare nella testa, lontana…
Jonghyun.
Lo lasciò subito passare, abbassando le sue difese, e una sensazione di estrema agitazione lo avvolse. Gli venne una voglia incredibile di correre. Taemin gli strattonò la mano. Aveva iniziato ad accorgersene anche lui.
“Minho, dobbiamo…”
Portalo via!
Appena il ragazzo capì, ebbe un tuffo al cuore. Imprecò e trascinò Taemin fuori dall’appartamento, senza nemmeno chiudere la porta. Sigillò la sua mente e sentì che il ragazzo faceva lo stesso. Speravano di riuscire ad allontanarsi, invisibili, nel buio della notte... ma le loro coscienze brillavano come fari.
Inconfondibili.
Percorsero la strada dalla parte opposta della spiaggia, lontano dalle vie che portavano al centro, fino al ponte sotto la stazione. Passò il treno, sopra le loro teste, sferragliando.
Prima ancora di uscire da sotto il cavalcavia, se lo trovarono davanti.
Inchiodarono.
Un uomo sbarrava loro il passaggio: era biondo ed indossava un soprabito scuro, leggero, che contrastava con la pelle bianchissima. Il suo sguardo era di ghiaccio, i suoi capelli lunghissimi. Minho lo guardò per un attimo, a bocca aperta. L’eta dell’uomo era indefinibile. Sembrava giovane, ma i suoi lineamenti lasciavano trapelare un’esperienza degna di quella di un vecchio.
L’uomo parlò e Minho strinse la mano di Taemin così forte da fargli male.
“Finalmente, Taemin. Mi sei mancato. I figli, mancano sempre ai loro padri.”
 
 
 
 
Taemin emise un gemito strozzato, di puro terrore, mentre i suoi occhi si spalancavano. Minho gli strinse la mano e si disse che non l’avrebbe lasciata andare per niente al mondo.
L’uomo gli porse la sua di mano, allungandola verso Taemin.
“Avevi detto tre giorni, ne sono passati solo due.” Sibilò Minho.
Era pronto a difendersi, questa volta. Niente più giochetti. Anche se… il giorno dopo avrebbe voluto allenarsi ancora un po’. Non si sentiva sicuro. Ma non importava.
“E’ mezza notte. E’ già, il terzo giorno.” Allargò le braccia. “Eccomi.” Minho imprecò.
“Beh, non mi interessa. Lui non viene, né ora né mai.” Si sentiva concentrato. Riusciva a controllare i battiti del suo cuore. Questa volta era pronto…
L’uomo sorrise.
“E tu chi sei, per decidere cosa è meglio per lui, Choi Minho?”
“Non sono io a decidere. È Taemin.”
“Ma lui è mio. Non può decidere.”
“Sì che può. E per l’ultima volta, Taemin appartiene solo a se stesso.”
Una risata. Melodiosa, ma al contempo stonata.
“Ti disgusto così tanto? Non credi di essere un po’ presuntuoso, a ritenerti migliore di me? Non va bene, giudicare senza conoscere.”
“Ma io ti conosco.”
“Se per questo anche io, Choi Minho.” Odiava come pronunciava il suo nome.
L’uomo si rivolse nuovamente a Taemin.
“Il mondo è pieno di pericoli. È così meschino… tu ora non te ne rendi conto. Sei così ingenuo, figlio mio… ma io non lascerò che ti corrompano. Ti riporterò al sicuro, che tu lo voglia o no. Ora basta, Taemin.” Il ragazzino fu scosso da un brivido, poi alzò lo sguardo, lentamente.
“No. Preferisco morire.”
“Mi fa male sentirlo. Forse ti ho lasciato troppo tempo solo. Non avrei dovuto. Non importa, è colpa mia. Tornerà tutto come prima, vedrai.”
“No!” gridò Taemin, e si coprì le orecchie con le mani, picchiando la fronte contro il petto di Minho. “No, no, no…” il più grande lo circondò con le braccia.
“Ma cosa ti ho fatto di tanto terribile, Taemin, oltre che proteggerti e aprirti gli occhi alla verità?”
“Tu mi hai rovinato. Mi hai detto che tutto è cattivo e freddo, quando invece il mondo è esattamente il contrario. Mi hai fatto diventare come te, e io adesso ho sempre freddo.”
Minho ricordò quando aveva lo aveva asciugato, strofinandolo con la coperta, e poi tutti gli abbracci che si erano scambiati, per la maggio parte delle volte cercati da Taemin.
Come se avesse freddo.
“Con me non dovrai più sentire niente. Vedrai, andrà tutto bene.”
“Ma io voglio sentire…”
“Tu non capisci Taemin, vieni con me e basta.”
“Ma…”
“Non è questo il tuo posto.”
“Sta zitto! Il suo posto è un mondo dove tu non esisti!” gridò Minho, schiumante di collera. Spinse la sua mente con tutta la violenza che aveva e lo colpì, questa volta non con i muscoli, ma con un’arma più potente.
Non appena si scontrò con la coscienza dell’uomo, capì che non ce l’avrebbe fatta da solo. Non si deformava come quelle che aveva sentito in precedenza, era come buttarsi a testa bassa contro un muro di cemento. Gridò, e continuò a spingere. Tutto ciò che gli proveniva da lui, era calma. Forse un po’ di fretta, ma niente che potesse aiutarlo a trovare una crepa nelle sue difese.
La mente del Maestro, era come l’acqua di uno stagno: ferma, torbida e imperscrutabile.
Taemin gli venne in soccorso e le loro menti si unirono, per combattere insieme. Il ragazzino lo superò e lo aiutò a trovare i punti più deboli nel guscio scuro che proteggeva la mente del Maestro.
“Cosa stai cercando di fare, Taemin?” chiese l’uomo. “Lo sai, che non puoi battermi. Decido io, cosa puoi e non puoi fare.”
“Non sono più solo, adesso.” Minho e Taemin premettero insieme, e l’aria davanti a loro vibrò.
Una ruga, si formò sulla fronte del Maestro. I suoi occhi si infiammarono di collera.
“Credi che sia stato il caso, a metterti al fianco quel burattino? Credi che sia stato solo grazie alle tue forze e a quello sciocco di Kibum, che sei finito su questa spiaggia, ai suoi piedi? Io ho fatto in modo che ti vedesse! Perché è il fantoccio più debole e meschino che esista in questa misera città! Schiavo di tutto, del passato, del presente… inutile!”
Minho sentì una forza devastante schiacciarlo, quando il Maestro rispose all’attacco. Per un momento, si ritrasse, poi riprese a cercare uno spiraglio nelle sue difese.
“Codardo… falso! Quanto vale per te, la vita di uno sconosciuto, eh, Choi Minho? A te non importa di niente e di nessuno, non te ne è mai importato! Avrai ingannato mio figlio, ma non me.”
“Che diavolo dici…”
“Non appena lo hai visto, cosa hai pensato, mh? La tua priorità era quella di gettarlo fuori di casa, non è vero? Per preservare i tuoi ‘preziosi spazi’! Sei disgustoso, allontanati da lui!”
Quando pronunciò quelle parole, Minho sentì la mente di Taemin cedere leggermente. Tutto il peso si riversò su di lui e provò un dolore lancinante, che gli mozzò il fiato. Indietreggiò di qualche passo. Una serie di immagini gli squarciarono la mente, rievocate dal Maestro che frugava nel suo essere.
 
Dei colpi.
Degli schiocchi orribili.
I lamenti di sua madre che tentava di trattenersi dal gridare.
Un bambino che correva a spalancare la porta del piano di sopra, pervaso da una rabbia che non dovrebbe appartenere ad un ragazzino così piccolo.
Una schiena enorme che gli copriva la visuale su sua madre.
Gli si gettò contro, per toglierglielo di dosso.
 
“Credi che la vita sia stata dura con te. Sei tu che ti sei buttato nel baratro con le tue stesse mani, nessuno ti ha obbligato a drogarti. Eppure provavi piacere, nel farlo, non è vero? Ti sentivi forte. Non sei nessuno, Choi Minho, nessuno. Avresti dovuto essere morto tempo addietro, per quell’overdose. Il tuo amichetto non avrebbe dovuto salvarti. Un essere del genere, del tutto egoista, non merita nemmeno di sfiorarlo con lo sguardo, il mio Taemin.”
È vero, non sono niente in confronto a te.
 
Altre immagini, altri ricordi, in bianco e nero.
Una sensazione pungente, un ago nel braccio sinistro.
Piacevole, cercata, attesa sensazione…
 
Le ginocchia di Minho cedettero, ma lui si costrinse a continuare a lottare. Erano giunti in un punto di stallo, dove le forze combinate sue e di Taemin erano riuscite ad arginare la furia del Maestro. Nonostante questo, sembrava non ci fosse nessun modo per placarlo. E la testa di Minho cominciava già a far davvero male.
 
Il respiro che si faceva irregolare, non ci vedeva più bene.
Una figura che entra nella stanza, mentre  lui è sdraiato per terra. Poco tempo prima, non sapeva definire quanto, era squillato un telefono… ma non sapeva come fare a rispondere. No, non è come le altre volte, c’è qualcosa che non va…
“Minho?”
Jonghyun.
“Minho!”
 
“Sta usando energia anche per qualcos’altro.” Disse Taemin, a denti stretti. Minho si riscosse, concentrandosi sugli occhi azzurri che balenavano nel buio, davanti a sé. Doveva arginarli, o quei ricordi lo avrebbero sommerso.
Tentò di capire cosa Taemin volesse dire, e si accorse che in effetti c’era una zona della coscienza dell’uomo che sembrava distratta, più debole e inconsistente.
Una falla nel muro.
Senza esitare, iniziarono ad attaccarlo da lì. In breve tempo, un filo della sua mente si spezzò. L’uomo emise un gemito e si affrettò a richiudere la falla, concentrando i suoi occhi di ghiaccio su di loro. Minho gli si avventò contro, con un ringhio, e credette davvero che ce l’avrebbero fatta a fargli del male, ma in quel momento un’altra forza, completamente inaspettata, li travolse, colpendoli di lato. Entrambi urlarono e si ritrovarono riversi a terra, schiacciati da due menti devastanti. Minho si guardò intorno, tentando di ignorare il pulsare nelle tempie mentre lottava per schermarsi da quegli attacchi. Onew era comparso alle loro spalle, ansimante.
 
“Minho! Che cazzo hai fatto, dannazione… Mi senti?”
No. Lasciami.
Mani che lo scrollavano.
“Stai sveglio, giuro che se non stai sveglio ti prendo a schiaffi! Pronto? Ho bisogno di un’ambulanza!”
 
Onew si era subito unito al combattimento. Sentì le lame ghiacciate dei due nemici allontanarsi per scagliarsi verso Taemin e i ricordi svanirono di nuovo.
“No!” gridò, mentre riprendeva lucidità. Il ragazzino si contorse a pochi passi da lui.
“Kibum, Jonghyun!”
Non ce la faremo in due, non ce la faremo!
Sentì la coscienza di Taemin farsi piccola piccola, dopo essere stata dilaniata dalla lama.
Il terrore lo sommerse e fu la fine.
Vide Onew che sollevava di peso il corpo di Taemin, leggero e inerte come una bambola. Il Maestro gli mise una mano su una spalla, e gli fece cenno di allontanarsi. Onew prese a correre, con Taemin in braccio, mentre il Maestro lo precedeva. Minho raccolse tutta la forza che aveva per rialzarsi in piedi e inseguirli. Non vedeva bene, lampi bianchi e neri gli offuscavano la vista, sentiva dolore ovunque.
Il Maestro si fermò, prese Taemin e diede delle rapide indicazioni a Onew prima di svanire nel buio, oltre il ponte sul quale scorrevano le rotaie del treno.
Dove sono, è troppo buio!
Onew si voltò verso Minho e lo pugnalò ancora con la mente. Il ragazzo cadde. Vide gli occhi di Onew che lo guardavano, quasi con tristezza, rassegnazione…
Non farlo.
“Non sono io a decidere. Mi dispiace.”
Pochi istanti dopo, Minho percepì Kibum e Jonghyun che si avvicinavano, in fretta.
“Sono andati di là!” gridò.
I due ragazzi lo oltrepassarono, correndo più veloci che potevano, spingendo la loro mente più in là. Ma erano troppo lontani e troppo ben protetti.
La mente di Taemin… non la sentiva più.
Anche mentre sperava con tutto se stesso che li raggiungessero, Minho sapeva, in cuor suo, che non ce l’avrebbero fatta.
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Ok, scusate ragazzi, ma in questo capitolo succede di tutto, è un po' lungo. Sinceramente, non sono riuscita a tagliarlo in modo diverso.
Anyway, siamo nell'occhio del ciclone! Il titolo del capitolo, significa proprio 'resa dei conti'.
Al banner ci sono parecchio affezionata: è davvero semplice, ma quella foto di Taemin, trovata per caso tra la miriade di immagini nella mia sconfinata cartella 'SHINee', esprime in pieno l'essenza di questo capitolo, secondo me.
Beh, commenti!
baci <3

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Capitolo 12
*** 12. Lost in you ***


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12. Lost in You
 

Conosco questa stanza.
Ci sono cresciuto.
È la mia prigione.
Forse tutto ciò che ricordo, è stato solo un sogno e io non mi sono mai mosso di qui. Nulla è cambiato.
E invece è cambiato tutto.
Perché questo dolore che provo non può essere solo frutto di un sogno.
E poi lui… lui è così vero.
Così vero che mi viene da piangere.
Non voglio sentire più niente.
 
Aveva sperato, aveva assaggiato la vita… l’amore.
Non era servito. Forse era meglio così.
Per lui. Per Minho.
Forse era troppo.
Sono stanco.
“Lo so, figlio mio…”
Il Maestro gli accarezzò un fianco nudo, poi gli baciò la schiena, dolcemente.
“Adesso sei al sicuro. Dimmi solo una parola, e io farò in modo che tu non debba mai più soffrire. Farò ciò che vuoi.”
Minho.
Le lacrime scorrevano lungo le sue guance, ma lui non poteva vederlo. Gli dava le spalle. Lo sentiva mentre iniziava a baciargli le spalle, il collo.
“Sì.”
“Bene. Allora vieni qui.”
Il Maestro lo fece voltare. Taemin chiuse gli occhi. Non voleva vedere la sua faccia, come ultima cosa.
Minho.
Ho paura.
“F… farà male?”
“No.”
Bugiardo.
“Rilassati ora.” Sentì le sue mani che lo stringevano in vita, tirandolo più vicino. “Sei solo mio.”
Solo suo. Per sempre.
Non voglio più pensare.
Sapeva, che sarebbe finita così. Era pronto.
“Per sempre.”
 
 
“No light, no light in your bright blue eyes,
I never knew daylight could be so violent.
A revelation in the light of day…
You can’t choose what stays and what fades away.
And I’d do anything… to make you stay.
No light, no light…
Tell me what you want me to say.”*
 
 

Minho era solo, nella sua stanza, riverso sul letto.
Quell’incrinatura nella sua concentrazione… era perché stava aiutando Onew a tenere a bada Jonghyun e Kibum, mentre lui veniva a cercare Taemin. Li aveva tenuti separati apposta.
E ancora una volta, aveva vinto.
Kibum era devastato.
E Minho lo capiva perfettamente.
Aveva lasciato che Jonghyun lo riportasse a casa, di peso. Voleva tentare di farlo calmare.
Minho non parlava più, solo qualche cenno del capo, sì, no, va bene…
Sentiva il vuoto attorno a sé.
Nessuna presenza.
Si alzò e frugò nell’armadietto del bagno.
Prese due pastiglie per dormire, non sapeva nemmeno se erano scadute o cosa, chissà da quanto tempo erano lì…
In quel momento provava una voglia tremenda di infilarsi un ago nel braccio e… no, basta adesso.
Devo dormire, o impazzirò.
 
Jonghyun e Kibum erano in piedi, nel buio della loro stanza. Le spalle del ragazzo biondo erano scosse da profondi tremiti. Jonghyun non sapeva come fare, per aiutarlo.
“Mi dispiace. Quel bastardo… ma non finisce qui!” sentiva le dita di Kibum che gli graffiavano la schiena. “Lo riporteremo indietro, vedrai. Hai capito? Kibum, ascoltami… te lo riporto indietro. Promesso.”
“È la fine. Io non ce la faccio, Jonghyun. Io, se lui…”
“Shh! Zitto! Chiudi quella bocca, per una buona volta. Sta zitto.”
“Jonghyun… ti amo.”
Il ragazzo gli prese il viso tra le mani e gli baciò via le lacrime che gli rigavano le guance, poi gli scostò i capelli dal viso e lo baciò sulle labbra.
“Giuro che te lo riporto. Fidati di me.” Kibum annuì, e i suoi occhi felini lo trapassarono.
Facciamo l’amore.
Facciamo l’amore, facciamo l’amore…
Ci pensò intensamente, sperando che lui potesse sentirlo. Lo baciò ancora, mentre tremava. Lasciò che le sue mani scendessero lungo la schiena di Kibum, fino ai fianchi. Lui gli allacciò le braccia al collo.
“Jonghyun…”
“Mm…”
“Facciamo l’amore.”
“Sì.”
Con tutta la delicatezza di cui era capace, lo sollevò e lo portò a letto. Continuarono a baciarsi, sempre con più foga, mordendosi le labbra e respirando l’uno l’aria dell’altro. Non si staccarono nemmeno per spogliarsi della camicia, e poi dei pantaloni.
Mani ovunque, Dio, scotti.
Jonghyun torreggiava su di lui, i loro bacini e i loro petti che si univano. Lo schiacciò sotto il suo peso e Kibum gemette.
Gli prese i polsi e glieli alzò sopra la testa, continuando a muoversi sinuoso.
Non pensare a niente, a niente.
Non era mai stato così eccitato con nessuna ragazza. Solo il pensiero di farlo ancora con lui…
Gli baciò il collo, succhiando forte con le labbra carnose, poi scese più giù, fino ad un capezzolo, e glielo morse.
“Ah!”
Continuò ad accarezzarglielo con movimenti circolari, mentre con la bocca scendeva invece verso il suo addome piatto, che si contraeva a causa dei sospiri e della tensione. Gli baciò l’ombelico e poi iniziò a fare scorrere le mani lungo tutto il suo torso, fino ad afferrargli i fianchi. Lo fece inarcare contro di sé e scese più giù, per accarezzargli i glutei.
Infilò due dita sotto l’elastico dei boxer e glieli sfilò, poi riprese a baciargli l’addome. Le mani di Kibum si strinsero attorno ai suoi capelli, mentre lo spingeva più in basso.
Iniziò a mugolare mentre lo accarezzava nella sua parte più sensibile, prima solo con le mani, poi con la bocca.
Dimentica tutto, ci sono solo io adesso.
Sentendo i suoi fianchi spingersi verso l’alto e il suo respiro farsi più veloce, sempre più veloce, Jonghyun si staccò e risalì, per tormentargli le labbra.
Si allontanò solo un momento, per estrarre una bottiglietta dal comodino e cospargersi una mano di lubrificante. Tornò a baciarlo, mentre con un dito, lo penetrava.
Kibum gemette, strinse i denti e gettò il capo all’indietro quando sentì un secondo dito insinuarsi dentro di lui. Jonghyun si avventò sul suo pomo d’Adamo, sentendo il suo petto che si alzava ed abbassava ad un ritmo frenetico.
“Jonghyun…”
Lentamente, sfilò le dita e il corpo di Kibum si rilassò sul letto.
“Guardami.” Gli sussurrò. Quello aprì gli occhi e si baciarono di nuovo, a lungo, dolcemente. Poi Jonghyun scese sul suo collo. “Andrà tutto bene… ti fidi di me?” lo sentì che annuiva.
Si alzò e i loro petti si staccarono, mentre Kibum lo guardava. Jonghyun gli aprì le gambe e prese a baciargli l’interno coscia, mentre lo accarezzava.
Altri sospiri.
“Basta…” sussurrò improvvisamente Kibum, gli occhi lampeggianti di desiderio. Si mise a sedere per un attimo e lo prese per i capelli, ritrascinandolo giù con sé. Ora entrambi faticavano a respirare.
Kibum fece sì che le loro fronti sudate si scontrassero, e richiuse gli occhi, tenendolo fermo. Jonghyun sentiva il suo respiro spezzato sul viso.
“Posso?” gli chiese. Kibum lo baciò, e Jonghyun capì che era un sì.
Piano, spinse in avanti il bacino ed entrò, lentamente.
Sentì Kibum mugolare nel bacio, sempre più disperatamente, fino a che il ragazzo non poté che staccarsi per riprendere fiato. Gettò nuovamente la testa sul cuscino, prima da un lato, poi da un altro, delle nuove lacrime che gli sfuggivano dagli occhi serrati.
Jonghyun sentiva che sarebbe impazzito, da tanto era piacevole stare lì dentro. Si costrinse a non muoversi, sentendo i mugolii del ragazzo sotto di sé. Gli asciugò le lacrime con la bocca.
“Ora passa, ora passa… respira.”
E Kibum lo fece, profondamente, tentando di distendersi. Jonghyun fece una spinta di prova, e lui gemette, mentre lo sentiva aprirsi come burro al sole.
Non poteva più aspettare. Gli aprì di più una gamba, spingendola contro il materasso, e Kibum gridò. Poi iniziò a spingere, le loro fronti sempre unite.
“Ah… E’ bellissimo.” Gli disse, la vista sfocata, mentre non poteva fare altro che immergersi in quel calore. Kibum si morse un labbro, fino a che il suo corpo non si curvò verso l’alto, gli occhi spalancati e la bocca che emetteva un gemito più alto. Jonghyun capì di aver trovato il punto giusto e continuò a colpirlo lì, beandosi dei suoi lamenti, sempre più acuti. Sentì le sue mani arpionargli le spalle ampie, scorrere veloci su tutta la sua schiena fino a stringergli i glutei, per tenerlo più vicino, più in profondità, solo un altro po’… quel gesto gli fece perdere la testa. Lo prese per i fianchi e aumentò il ritmo, mentre Kibum tremava sotto di lui.
“J… Jongh… ah… non così for… ah!”
Lo sentì stringersi, mentre il suo addome si contraeva. Gli bastò toccarlo una volta, e sentì le pareti di Kibum avvolgerlo ancora di più, mentre percepiva le onde di piacere che facevano vibrare il suo intero corpo.
E anche per Jonghyun fu troppo. Si morse le labbra e affondò il capo sul petto di Kibum, mentre si riversava dentro di lui.
Calma il respiro, calmalo o il cuore scoppierà.
Nessuno dei due osò muoversi, per parecchi minuti. Poi sentì le mani di Kibum sul petto.
“Jonghyun… pesi…” si morse un labbro.
“Scusa.” Aveva lasciato il corpo di Kibum forse un po’ troppo in fretta. Ricadde al suo fianco, sbattendo le palpebre.
Poi si voltò e lo vide completamente abbandonato sul letto, il viso girato sul cuscino e i capelli sparsi. Lo prese per la vita e lo fece voltare, dolcemente. Lui si lasciò stringere, si abbandonò alle sue carezze mentre il respiro tornava regolare.
“Stai bene?” gli chiese Jonghyun, scostandogli la ciocca di capelli biondi dal viso. Kibum emise un sospiro profondo contro il suo petto. “Va un po’ meglio adesso?” sentì le labbra di Kibum baciargli poco sotto l’attaccatura del collo ed ebbe un brivido. Gli affondò una mano nei corti capelli della nuca e lo accarezzò.
“Ti amo.” Gli ripeté Kibum. Era ancora scosso da leggeri spasmi, a causa dell’intenso piacere appena provato.
“Ti amo anche io.”
“Questo non è solo l’impeto del momento, vero?”
“No, non lo è.”
“Meno male. Perché io ti ho amato dalla prima volta che ti ho sentito.”
“E fortuna che l’hai fatto.” Kibum sorrise.
“Se dici che me lo riporterai, io ti credo. Non mi deludere.”
“No, vedrai. Non ne ho nessuna intenzione.”
Perché voglio che tu sia felice.
Voglio che tu sia mio.
 
Corri.
Corri con tutto la forza che hai in corpo, fino a quando non senti i polmoni scoppiare e i muscoli bruciarti fino a non poterli più muovere.
Senti il peso del tuo corpo, senti il peso nel tuo cuore.
Ma tu sei troppo veloce, troppo veloce e corri.
Gli occhi bruciano, il mare è fastidioso. Continua ad andare e venire, andare e venire, tranquillo, sempre tranquillo, non si cura di niente e di nessuno, nemmeno di te, che invece non sai più come fare.
Corri, corri come il vento, corri. Fino a quando le ginocchia non ti cederanno.
Fa male, fa male ma è questo che vuoi.
La corsa non è abbastanza, sei troppo abituato, ci vuole qualcosa d’altro. Fermati, un impeto.
Togliti le scarpe, la camicia, getta tutto via.
Riprendi a correre, questa volta verso il mare, caldo. Il sole ha battuto tutto il giorno ed ora l’acqua è tiepida, quasi fastidiosa.
Prendi fiato e nuota, nuota più veloce che puoi.
Ora sì che i muscoli, bruciano, ora sì che fa male. Torna indietro, o poi non ne avrai più la forza. Mancano pochi metri. Stringi i denti. Rallenta. Sprofonda, lasciati andare.
È buio sotto al mare, è buio fuori dal mare.
Ti lasci cullare, ma le tue ginocchia toccano ben presto il fondo. Alzi il capo e tossisci, tossisci a lungo. Sei a riva ormai. Ancora qualche metro, carponi e poi ti sdrai sulla sabbia, a pancia in su, la bocca spalancata e i polmoni che gridano aria, aria…
Una mano sul viso.
Non correre più.
Non correre più.
 
Cosa dovrei fare io adesso.
Dimmelo, dimmelo tu.
Non ti sento da nessuna parte e ho paura.
Ho paura che proprio ora che la mia vita iniziava a prendere senso, tutto stia per sgretolarsi di nuovo.
Ora che pensavo di aver trovato la cura
Sto per avere una ricaduta, Taemin. E Jonghyun non basterà, non questa volta.
Solo ora che non ci sei, capisco.
Mi manchi.
Ma non il Taemin dagli occhi azzurri, no…
Mi mancano gli occhi nocciola.
Quelli sì, Dio li cerco ovunque e mi sembra che mi manchi l’aria.
E infatti mi manca, stando qui sdraiato come un corpo morto ad aspettare l’alba.
Rimanere senza la tua presenza, è devastante. Proprio ora che non c’è, me ne rendo conto.
E non so che fare.
Se voglio che il mio mondo non vada ancora una volta alla deriva, ho bisogno di te.
Credevo di essere guarito, credevo di potercela fare… 
Che stupido.
Ha ragione, non mi importava niente di nessuno.
Una vita vuota e silenziosa, questa sarebbe stata la mia se tu non fossi arrivato a occupare quell’immenso spazio nella mia anima.
Non capivo niente, ora capisco tutto.
Ciò che cercavo, era qualcuno con cui condividere me stesso, con cui poter essere me stesso.
Cercavo te, e quando ti ho conosciuto nemmeno me ne ero reso conto.
Jonghyun mi ha salvato dalla droga e dal dolore, tu hai salvato la mia anima dalla solitudine.
E io ora salverò te.
È il minimo che posso fare.
E ci metterò tutto me stesso.
Finalmente, qualcosa che conta davvero.

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Salve ragazzi!
Ho deciso di aggiornare, così ci togliamo questa parte un po' triste e andiamo avanti.
In questo capitolo c'è anche un po' di erotismo (quello serio XD) quindi spero non vi infastidisca.
Il titolo non è un gran che, ma comunque è preso dall'omonima canzone di Red.

*Questo è preso da una canzone di Florence + The Machine, intitolata 'No light'.
La traduzione (tradotta da me) è questa:
'“Niente luce, niente luce nei tuoi luminosi occhi blu,
non ho mai saputo che la luce del giorno potesse essere così violenta.
Una rivelazione nello splendore del giorno…
Non puoi scegliere cosa rimane e cosa svanisce.
E farei qualsiasi cosa… per farti restare.
Niente luce, niente luce…
Dimmi cosa vuoi che io dica.”
Bye!

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Capitolo 13
*** 13. Eden ***


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13. Eden

 

 
“Questa volta, ti licenzia sul serio, amico mio.”disse Jonghyun.
Sicuro.
“Farò il barbone a vita, ok? Oppure mi faccio assumere in uno di quei locali per spogliarellisti, e via.” Jonghyun sogghignò.
“Non ti ci vedo. Ma sarebbe divertente.”
“Smettetela con queste stronzate e correte.” Sbottò Kibum, mano nella mano con Jonghyun.
“Yah, Kibum-ssi… chi ti insegna queste parole?” chiese Minho, stupito.
“Jonghyun.”
“Domanda stupida, hai ragione. Venite, è di qui.”
I tre ragazzi si infilarono tra una stretta fila di ombrelloni chiusi, silenziosi e leggeri come ombre, i piedi nudi nella sabbia e addosso solo canottiere leggere e pantaloncini.
Niente coltelli o pistole nelle mani, ma non si poteva dire che fossero disarmati.
Non più.
Avevano passato tutto il giorno a progettare quel piano, che era fluito fuori dai loro cervelli con una facilità estrema, quasi che fosse la cosa più ovvia da fare in quel momento.
Sapevano anche che sarebbe stato una specie di suicidio, ma non gli importava.
Era in gioco la vita di Taemin, e di conseguenza anche la loro.
Lottavano per donare la libertà a coloro che amavano, e questo sarebbe bastato per far sì che prendessero la decisione di scalare l’Everest a mani nude.
“Eccolo.”
Un capannone sulla spiaggia. Minho cercò la porta d’ingresso di legno e afferrò la maniglia arrugginita. Tirò e si sentii uno scricchiolare sinistro, ma la serratura non si aprì. Imprecò e si frugò tra i pantaloni.
Non era andato al lavoro per cinque giorni, i tre in cui aveva imparato ad usare la mente, e poi ancora due giorni, dopo che…
Infilò una mano in tasca e ne estrasse una lunga chiave. Aprì.
La chiave, l’aveva rubata direttamente dall’ufficio sulla spiaggia del suo capo. Quello era il capannone dove teneva i suoi attrezzi e i suoi due motoscafi.
“Dio, qua ci arrestano tutti, guardate che roba!” esclamò Jonghyun una volta dentro, notando la lucentezza dei due motoscafi bianchi nel buio della notte.
“E dai Jonghyun, pensa in grande… come ci volevi andare a Eden? Non so se hai visto la brutta fine che ha rischiato Taemin facendosela a nuoto, povero bambino…”
Un ragazzino sdraiato sulla spiaggia, a pancia in giù.
Un tocco freddo e disperato.
Minho si scrollò di dosso quel ricordo e, veloce come un gatto, tolse il telone grigio che ricopriva un motoscafo. Ci balzò dentro e esaminò gli interni. Un po’ di polvere, ma sembrava tutto a posto.
Sperò con tutto se stesso che ci fosse carburante sufficiente e che partisse. Aveva visto spesso il suo capo usarlo, per il suo divertimento personale, e in effetti sembrava tenuto molto bene.
Aveva rubato anche la chiave d’avviamento del motoscafo. Con freddezza e senza che nessuno lo notasse. Come quando rubava i soldi di sua madre o di Jonghyun per la droga.
“Aiutatemi.” Disse. Trascinarono il motoscafo all’aperto e lo spinsero in mare, poi vi saltarono sopra, Minho alla guida.
“Dimmi che sei capace.”
“Sono capace.”
Un rombo e uno scossone.
“Capace nel senso che improvvisi o nel senso che l’hai già fatto prima?”
“Capace.”
Kibum e Jonghyun si ressero forte ai sedili.
 
Eden, un’isola sconosciuta nel bel mezzo dell’oceano, ampia quasi come un piccolo quartiere cittadino. Un lembo di terra semicircolare, invisibile. Da anni, nessuno la notava più, non c’erano navi o barche che se l’erano ritrovata sulla rotta e nessuno ci si era più avventurato.
Era il suo regno, ben protetto.
Era il luogo dove lui era più forte e dove poteva tutto. Non se ne allontanava mai.
“Minho… devi seguire quella direzione.”
“Più a est?”
“Sì… non siamo lontani. E, per favore, vai più veloce.”
Minho ascoltò le direttive di Kibum e le mise in pratica, come un automa. Vedeva solo nero attorno a sé e le onde scure in cui si gettava la prua affilata del motoscafo gli davano il voltastomaco. Era così concentrato che se la coscienza primitiva e innocua di un gabbiano si fosse azzardata a sfiorare la sua, se ne sarebbe accorto all’istante. Sentiva che Kibum era esattamente nella sua stessa condizione, ogni tanto incontrava i suoi occhi felini nel buio e si sentiva più sicuro.
E poi c’era Jonghyun, la sua mente si era dimostrata più tenace e irremovibile di quanto si aspettassero.
Kibum si alzò in piedi, reggendosi alle spalle ampie di Jonghyun. Il vento gli scompigliava i capelli ma il suo sguardo era fisso.
“E’ qui. Rallenta.” Gli altri due ragazzi si voltarono, aguzzando la vista.
“Dove?”
Seguirono il dito indice di Kibum. Minho, dallo spavento, inchiodò e fece spegnere il motore. Per poco non caddero in acqua.
Una montagna, che sorgeva dal mare.
“Fino ad un minuto fa non c’era, ne sono sicuro.” Esalò Minho, scusandosi.
“C’era. Se non ci fossi stato io ad indirizzarti, l’avresti semplicemente sorpassata senza vederla mai. Ma io so che c’è.”
Minho sapeva cosa fare ora. Riaccese il motore, il più silenziosamente possibile, e seguì la costa dell’isola, verso est. Piano.
Il mare era calmo, quella sera, proprio come quando era arrivato Taemin.
Quella coincidenza riempì il cuore di Minho, come un segno.
“Kibum, dov’è la spiaggia…”
“Continua. Ancora qualche metro, oltre quella scogliera.”
Passata un’altissima ed invalicabile parete rocciosa, Minho la vide. Spense di nuovo i motori, saltò giù dall’imbarcazione e la legò al possente fusto di una palma che si ergeva sulla spiaggetta, unico punto di accesso al cuore dell’isola.
“Si fermarono un attimo, per prendere dei lunghi respiri e scrutare tra la foresta scura che li circondava. Scogliere a destra, scogliere a sinistra, l’ingresso in una miriade di alberi e arbusti dalle fogge più variegate davanti a loro.
“Mi sembra di essere in un cazzo di incubo.” Sibilò Jonghyun. Minho gli strinse un avambraccio.
“Anche a me. Ma finirà presto, vedrai.”
“In un modo o nell’altro.” Aggiunse Kibum. Minho lo guardò, gli zigomi sporgenti sottolineati dalla flebile luce lunare. Era così serio, con quelle labbra carnose, e capì che Jonghyun aveva ragione. Sembrava un incubo.
Jonghyun si voltò verso Kibum e gli prese il viso tra le mani, avvicinando le loro fronti. Il ragazzo biondo chiuse gli occhi e Minho si voltò.
“Ricordati la promessa che ti ho fatto.”
“Mmm.”
“Ricordatela.”
Silenzio.
Labbra che si sfiorano.
“E adesso facci strada.” Kibum prese a camminare, passi lenti e decisi, verso la boscaglia intricata. Minho e Jonghyun lo affiancarono, iniziando a spostare con le mani le fronde che gli ostacolavano il passaggio.
Minho sentiva la presenza di migliaia di piccole creature, insetti e uccelli per lo più. Niente di familiare o di minaccioso.
Per due interi giorni, la sua mente non aveva mai smesso di spingersi lontano per cercarlo. Era rimasto tutto il tempo che poteva solo, sulla spiaggia, tentando di raggiungerlo oltre quel mare che li separava… non aveva trovato traccia di lui.
Jonghyun imprecava ad ogni passo, inciampando e sferzando l’aria sopra la sua testa, infastidito dalle foglie e dagli scricchiolii.
“Kibum” disse Minho. “perché non ci avete detto di Onew, quel giorno?”
Se ora siamo qui, è colpa sua.
“Perché Onew è perduto. Il Maestro l’ha preso anni fa, soggiogato completamente. Fa solo ciò che lui gli dice, pensa solo ciò che lui pensa.”
“Mi dispiace. Per lui.” Kibum si fermò un attimo a guardarlo.
“Anche a me.”
Mentre proseguivano, Minho ampliò la mente il più possibile, senza abbassare troppo le difese. Gli sembrava di essere di nuovo in mezzo alla folla, cercandolo. Eppure la sensazione era completamente diversa. Di nuovo non sentì altro che gabbiani e insetti.
Senza che nemmeno se ne rendessero conto, i cespugli e i rami si diradarono sopra le loro teste, poi iniziarono ad intravedere sotto i loro piedi un sentiero ghiaioso. Era quello che cercava Kibum.
Un pipistrello entrò nel campo mentale di Minho e in un secondo gli sfrecciò davanti al naso. Sentì Jonghyun sobbalzare.
“Di qua, adesso è facile.” Li rassicurò Kibum, camminando più velocemente. Minho ringraziò silenziosamente, aveva le gambe che cominciavano ad intorpidirsi.
Seguirono il sentiero che si allargò ancora di qualche centimetro, poi, improvvisamente, la boscaglia finì e lo spettacolo che si parò davanti ai loro occhi era così bello e inaspettato da togliere il fiato.
Uno spiazzo nel bel mezzo dell’isola disabitata, una sorta di radura in mezzo a tutte quelle piante selvagge. E al centro di essa, un palazzo dalle pareti bianche, di marmo, che riluceva come una gemma traslucida e si rifletteva in uno specchio d’acqua limpida. L’intera radura sembrava appartenere ad un altro mondo, la quiete e i colori che si percepivano erano così vividi che il cuore di Minho sembrò fluttuare in tutto quel candore. La forma del palazzo era triangolare, numerose finestre rettangolari ornavano le pareti mentre il tetto era costituito da una serie di cupole appuntite. Il laghetto davanti all’edificio era circolare, i bordi segnati da una fitto contorno di piante dai colori sgargianti. Quasi Minho poteva immaginarselo, un caschetto biondo accovacciato tra quei fiori, serio. Deglutì e riprese a camminare, il mento in alto, verso le finestre.
“Wow… è acqua di mare?” chiese Jonghyun osservando il riflesso della luna piena nello specchio d’acqua.
“No, è dolce. Puoi bere se vuoi.”
Minho si sentiva scoperto, ora che non c’era più la vegetazione a nasconderli. Le pareti di quel palazzo erano troppo chiare, sembravano fatte apposta per riflettere le luci delle stelle e inchiodare chiunque attraversasse il cortile.
Sembra davvero il Paradiso dell’Eden… ma in realtà è un’inferno.
“Secondo voi, sa già che siamo qui?”
“Taemin è con lui, quindi è probabile che sia distratto.” Rispose Kibum, tetro. Le unghie di Minho gli si conficcarono nel palmo, mentre stringeva un pugno per trattenere la tensione. “Ma lo saprà presto. Non appena varchiamo quella soglia.”
Aggirarono il lago al centro della radura e il nervosismo di Minho crebbe. Se avessero potuto attraversarlo, avrebbero risparmiato tempo inutile. Kibum camminava troppo lento. Non avrebbero dovuto nascondersi, o qualcosa di simile? Era davvero così scontato che quell’uomo li scoprisse?
“Minho, sta tranquillo. L’unico modo è confrontarci a viso aperto. Questa volta siamo insieme. Se non andasse nemmeno così, davvero non ci sarebbe più nulla da fare.” Gli disse Kibum. Doveva aver percepito la sua inquietudine. Quelle parole gli infusero una certa tranquillità e gli diedero una lucidità nuova. L’immensa porta d’ingresso del palazzo si avvicinava, Minho ne distingueva i contorni decorati a sbalzo e i maniglioni tondi. Quando si fermarono davanti all’entrata chiusa, sentì dall’altra parte, poco lontano, una coscienza con le difese alzate.
I tre ragazzi si guardarono.
Onew.
Kibum si fece avanti e aprì il portone d’ingresso con facilità, come se questo fosse leggerissimo e non massiccio ed impenetrabile come si aspettavano Jonghyun e Minho.
L’ingresso dell’edificio era nient’altro che un lungo corridoio, estremamente spoglio, le pareti bianche degli interni erano semplicemente decorate con dei motivi floreali in vicinanza del soffitto. Anche i pavimenti erano di candido marmo. Sembrava un luogo incontaminato.
Onew era in piedi davanti a loro, appoggiato ad una parete. Appena li vide entrare, si voltò per accoglierli con un sorriso.
“Fratello! Sapevamo saresti arrivato. Finalmente siamo di nuovo tutti a casa.”
“Che bello.” Commentò Kibum, una mano sulle ossa sporgenti del fianco destro. Onew rise.
“Il Maestro ti aspettava. Ed anche Taemin. È solo che… i due umani, non dovrebbero essere ammessi qui dentro.” Un’altra mente, oscura e gelata, guizzò tra i quattro presenti nel corridoio, per poi svanire all’istante. Gli occhi chiari di Onew brillarono.
“Oh, come non detto. Viste le circostanze, si farà un’eccezione. In fondo, vogliamo solo che Kibum torni fra la sua famiglia. Prego.”
Onew si voltò di lato e si inchinò leggermente.
Minho, Jonghyun e Kibum alzarono ogni difesa mentale in loro possesso e avanzarono.
 
 
 
Sedeva su una sedia ricavata direttamente dal marmo che costituiva il pavimento, vestito con pantaloni bianchi e una giacca grigia. Aveva lunghi capelli neri e un viso giovanile, nonostante le rughe attorno agli occhi e sulla fronte dimostrassero la sua età. Doveva avere un bel fisico, Minho lo notò dalle sue braccia: erano snelle e toniche. Nella stanza non c’era assolutamente nulla, se non un tavolo di legno, alcune sedie e dei fiori gialli, in un vaso sotto all’unica finestra nel locale. Alla destra del trono bianco su cui sedeva il Maestro, c’era l’unica macchia di colore presente nella stanza, così forte e contrastante da sembrare liquida: era un letto dalle coperte di velluto, ed era completamente rosso. Su di esso, sedeva Taemin, le mani bene aperte lungo i bordi, il viso completamente coperto dai capelli.
Minho lo guardò e sentì il cuore aumentare i battiti. D’istinto, ebbe la voglia di corrergli incontro, prenderlo in braccio e fuggire via, ma c’erano troppe menti a controllare la sua, troppe insidie e si trattenne. Il ragazzino era vestito con pantaloncini e una camicia dello stesso colore di quelle del Maestro e di Onew. Minho l’aveva già visto vestito così, ricordava gli stracci sgualciti che gli aveva trovato addosso la notte in cui era scappato.
Onew si sistemò in piedi al fianco sinistro del Maestro, vicino ad una sedia. Un’altra, dallo schienale più alto e più elaborato, rimase vuota vicino al letto rosso.
Kibum guardò il suo posto vuoto e avrebbe dato fuoco a tutto solo con lo sguardo, se avesse potuto.
Il Maestro alzò lo sguardo e appoggiò il mento ad una mano.
“Figlio mio, sapevo saresti arrivato presto. Il legame che ti unisce a me e ai tuoi fratelli è troppo forte perché tu riesca a stare lontano.”
“Io sono qui per riprendermi Taemin, e nient’altro.”
“Taemin!” chiamò Minho, con dolcezza. La sua voce rimbombò leggermente nella stanza. Il ragazzo raggelò, quando vide che non riceveva alcuna risposta e che Taemin non si era nemmeno mosso.
“T…Taemin?” ripetè Jonghyun, infervorato. Kibum era impallidito.
Un largo sorriso si distese sul volto del Maestro, mentre osservava la scena come se stesse studiando una vignetta divertente.
Kibum lo ignorò e si avvicinò al ragazzino seduto sul letto. Si inginocchiò davanti a Taemin, lentamente, e tentò di guardarlo in viso, scostandogli un po’ i capelli dalla fronte.
“Taemin…” Lacrime silenziose iniziarono a scendere dagli occhi di Kibum e Minho sentì la rabbia che gli annebbiava il cervello. Corse da Kibum e lo fece scostare, rudemente. Prese il suo posto e afferrò il viso di Taemin con le mani.
“Ehi, io ti vengo a prendere e tu nemmeno mi degni di uno sguardo? Che cosa…” le labbra di Minho si fermarono quando vide che gli occhi del ragazzino erano color ghiaccio, fissi. Scostò le mani, perché la sua pelle era gelata.
Si riscosse subito e non si diede per vinto. Lo scrollò per le spalle.
“Yah! Taemin-ah! Che hai?” il ragazzino batté le palpebre un paio di volte e poi alzò lo sguardo su di lui. Aveva le labbra screpolate. Inclinò leggermente la testa, come per guardarlo meglio… sembrava assente. Minho, si rese conto con orrore che sembrava non riconoscerlo.
Sentì l’istinto di abbracciarlo e lo fece, come per volerlo scaldare. Il ragazzino ebbe un sussulto e posò le mani sul petto di Minho, spingendolo lontano. Finalmente i suoi occhi vuoti si inchiodarono su di lui e Minho si sentì morire.
“Maestro, perché questo umano mi tocca? Non è bene.” Un tono pacato, quasi incorporeo, così diverso dalle mille, espressive inclinazioni di voce che il ragazzino aveva di solito.
No… questa non è la voce di Taemin.
L’uomo dai lunghi capelli sorrise e gli porse una mano. Taemin corse a prenderla, ignorando Kibum e Minho, accasciati sul pavimento. Kibum piangeva silenziosamente e Minho diede una scrollata anche a lui.
“Yah! Che è successo a Taemin?” 
“Smettila Minho! Non lo vedi?” gli rispose Jonghyun, la voce tremante, andando a staccarlo dall’altro ragazzo.
Taemin li guardava con aria innocente, le labbra semiaperte, mente si andava a sedere sul bracciolo della sedia del maestro e questo gli accarezzava un braccio, sussurrandogli all’orecchio. Fu allora che lo notò.
In quella stanza, mancava una mente. Per un momento ipotizzò che fosse protetta così bene da sembrare invisibile, ma capì subito che non era possibile.
Semplicemente, la coscienza di Taemin non esisteva e lì dove doveva esserci quella presenza familiare, c’era solo vuoto. Era come se fosse diventato una statua o un semplice oggetto senza identità.
Minho, Kibum e Jonghyun si alzarono, tornando a fronteggiare il Maestro e Onew.
“Perché non lo sento?” chiese Minho, a bassa voce.
Il capo del Maestro si alzò, con interesse.
“Hai capito, Onew? In teoria, dovremmo avere un Quarto e un Quinto Fratello davanti a noi. Oramai anche loro sanno usare la mente, te lo saresti mai immaginato?”
“Loro non sono come noi, sono solo delle brutte copie. Le cose fatte in fretta non escono mai bene, Maestro.” L’uomo rise.
“Da dove ti viene questa cattiveria, Onew? Hai ragione, ovviamente.”
“Perché l’hai fatto a Taemin! Bastardo, io ti odio!” gridò Kibum, come se si stesse trattenendo da tempo e fosse esploso in quel momento. Jonghyun gli posò velocemente le mani sulle spalle, per confortarlo, mentre questo tremava di rabbia.
Gli occhi di Onew e del Maestro si fecero duri.
“Come osi parlargli così, ti è dato di volta il cervello?” chiese Onew.
“No, ha ragione. Tuo fratello non può capire.” Lo placò il Maestro. “Taemin stava male, l’esperienza al di fuori lo aveva turbato troppo. Me l’ha chiesto lui.”
“Non è vero!”
“Ho solo esaudito i suoi desideri, ed ora potrà essere sereno per sempre, al mio fianco. Sono pronto a farti lo stesso dono, Secondo Fratello, non appena tu vorrai smettere di soffrire.”
“No! Taemin, Taemin! Dimmi che non è vero… sei uno stupido! Quante volte ti ho detto di non ascoltarlo! Dio, Taemin…” Kibum nascose il viso nel petto di Jonghyun e pianse.
“Perché Taemin è così…” chiese Jonghyun, sottovoce. Minho vide che deglutiva a fatica.
“Semplice umano: ho fatto in modo che la sua coscienza si addormentasse e gliene ho data una nuova, una mente fatta da me. Ho cancellato i suoi ricordi e ora Taemin è tornato come quando era bambino: puro, innocente e sereno.”
“Maestro… perché mio fratello piange? E perché… lui mi guarda così?” il ragazzino indicò Minho, titubante, i cui occhi spalancati non riuscivano a spostarsi da lui.
Gli ha cancellato i ricordi.
“Vedi piccolo, a volte le persone non capiscono. Credono di essere nel giusto perché ancora non sanno, cosa è meglio per loro.”
“Distruggere la vita di un ragazzino invece è buono, non è vero?” ringhiò Jonghyun. “Mi fai schifo. Non vedo l’ora di cancellarti dalla faccia della terra.”
“No! Maestro?” esclamò Taemin, una mano appesa alla camicia di quell’uomo come lo era stata una volta alla t-shirt di Minho. Lui rise e gli diede una rapida carezza.
“Non ti preoccupare. Nessuno ci farà del male qui.” Calò di nuovo il silenzio e gli occhi di Minho e Taemin si incrociarono.
“Non fa niente…” sussurrò il giovane, rivolto solo e soltanto a Taemin.
“Cosa?” chiese il più piccolo, sorpreso.
“Non fa niente, Taemin. Anche se non ricordi, sei sempre tu.” Fece qualche passo verso di lui e lentamente, così lentamente da sembrare che nemmeno si muovesse, gli sfiorò il palmo di una mano che era appoggiata su una sua coscia. “Vedrai, Taeminnie… tornerà tutto come prima. Ci siamo conosciuti una volta, ci conosceremo ancora. Ti regalerò tanti di quei fiori che nemmeno riuscirai ad osservarli bene tutti.” Il ragazzino rise leggermente.
“Come sai che mi piacciono i fiori?”
Minho si sentiva stranamente tranquillo. I battiti del suo cuore si erano calmati e la sua coscienza era vigile. Quello non era solo un guscio vuoto, ne era sicuro. Sorrise.
“Il mio Taemin…”
Ecco, ora la mano di Minho era sulla sua, piano… ancora un attimo e avrebbe raggiunto il polso…
“Io so tutto di te. Vedrai Taemin, ti piacerò. Perché già ti sono piaciuto una volta.” Sorrise nei suoi occhi azzuri. Anche se il suo volto, la sua pelle, la sua presenza non erano più quelle di prima, non poteva fare a meno di bearsi del contatto con lui…
Allargò la mente verso quel vuoto.
Il ragazzino continuò ad osservarlo, le labbra semi aperte, come incuriosito.
“Vedrai Taemin, insieme ce la faremo.”
Afferrò un suo polso e fece per trascinarlo lontano da quella sedia terrificante, quando una lama d’acciaio lo pervase. Imprecò e fu costretto ad indietreggiare, chiudendo gli occhi.
Sentì le mani di Jonghyun che lo reggevano, e quando li riaprì vide che il Maestro ora era in piedi, Onew al suo fianco, mentre Taemin aveva rizzato la schiena, sempre seduto sul bracciolo, per vedere cosa succedeva.
“Maestro, perché…”
“Non ci provare. Mai. Più.” l’uomo gli puntò un dito contro e Minho notò che era davvero alto, snello, e i capelli gli ricadevano morbidi sulle spalle. C’era qualcosa di rigido, di appuntito però nel suo aspetto, che lo rendeva terrorizzante. La presenza dolce di Taemin al suo fianco, sembrava così sbagliata, così stonata, che convinse Minho ancor più del fatto che il suo postonon fosse accanto a quell’uomo.
“E invece ci riproverò, ancora e ancora, e vedrai, alla fine te lo porterò via.”
“Maestro, io non voglio lasciarti.” L’uomo si voltò verso Taemin con sguardo dolce e lo baciò sulla fronte. Minho notò come quello chiudeva gli occhi, completamente abbandonato e fiducioso, e si sentì ribollire il sangue nelle vene.
“Non dovrai farlo, amore. Stai pure seduto.”
“Eppure… eppure lui non sembra cattivo. Non lo sembra davvero.”
“Gli uomini sono così, ricordi?”
Minho ringhiò.
“Taemin, ascoltami.” si lanciò Kibum. “Hai dimenticato tutto quello che abbiamo scoperto insieme? Come puoi non ricordati di me e di Jonghyun, della fatica che abbiamo fatto per liberarci di tutte le sciocchezze che lui ci ha messo in testa? Ti prego, non puoi arrenderti ora.” Taemin lo osservò con espressione assorta.
“Ma hyung, io non capisco. Io non sento niente. Davvero sono successe tante cose?”
“Basta, Taemin.” Intervenne Onew. Kibum lo ignorò.
“Davvero tante. E non posso credere che tu non senta niente guardando Minho. Choi Minho ti ha salvato. Nello stesso modo in cui Jonghyun ha salvato me.” Una mano di Kibum scese sul petto di Jonghyun, poi sul suo avambraccio fino ad andare a stringergli una mano.
Minho strinse ancora il pugno, sentendosi estremamente vuoto.
“Io lo guardo hyung, lo guardo ma… non sento niente. Niente…” rabbrividì.
Il Maestro gli passò un braccio sulle spalle, stringendolo a sé.
“Bravo, così… non c’è bisogno che ti sforzi. Sei ancora in convalescenza. Ma vedrai, presto starai benissimo.”
Taemin gli sorrise.
“E invece devi sforzarti.” Ribattè Minho. “Guardami! Guardami negli occhi e dimmi che non provi niente.”
Taemin eseguì, sembrò concentrarsi. L’espressione di Minho era seria, i suoi occhi castani brillavano. Ampliò la mente.
Ci sono ancora tante cose che voglio fare con te… Il nostro tempo, non è stato abbastanza. Ti voglio baciare ancora, e ancora… e voglio molto di più.
Taemin sembrò agitarsi. Iniziò a respirare più velocemente.
“C’è… c’è qualcosa che…” il Maestro gli sussurrò brevemente all’orecchio e Taemin scosse la testa. “No, è pericoloso per me. È meglio non avvicinarsi a persone oscure come lui.” Minho sorrise amaro e lasciò cadere il capo.
“Forse è vero. Io sono… testardo, egoista, impulsivo…”
“…pessimo senso dell’umorismo…” aggiunse Jonghyun. Un sorriso, involontario, spuntò sulle labbra di Taemin e Minho rizzò le spalle.
“Già. Sono tutto questo, ma so anche che ho bisogno di te, Taemin, per essere migliore. E tu adesso hai bisogno di me. E quindi non mi importa cosa pensi, cosa dirai o con che occhi mi guarderai, perché sono un dannato egoista e verrai via con me. Niente scuse questa volta, piccolo.”
I tre ragazzi si guardarono, Jonghyun, Kibum e Minho, si sorrisero un’ultima volta e poi i loro occhi brillarono e le loro menti si espansero.
L’aria vibrò di energia mentre si scagliavano contro i loro nemici.

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Sera ragazzi!
Oggi è stata una bella, impegnativa giornata, ma mi sento soddisfatta e quindi... aggiorno!
Sono stata alle prove del flash mob di Milano, domenica prossima è il grande giorno. Ritrovo sempre belle persone ^^
Beh, per quanto riguarda la storia... ci stiamo avvicinando alla conclusione! Spero non siate troppo contenti, vorrebbe dire che vi ho annoiato XP
Beh, cosa ne pensate?
Grazie a tutti quelli che hanno continuato a leggermi fino qui! Vi amo <3
Chiara

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Capitolo 14
*** 14. Il Primo Fratello ***


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14. Il Primo Fratello
 

“Allora, ci sono tante cose che vorrei fare con te. Facciamo un elenco, così non me le dimentico, ok?
Prima di tutto voglio insegnarti a nuotare. Ovviamente faremo una cosa molto graduale, in modo che tu possa perdere la tua paura del mare, poi inizieremo le lezioni. Magari all’inizio ti sentirai insicuro, ma vedrai, ci sarò io a sostenerti e alla fine ci faremo tante di quelle nuotate insieme che perderemo il conto e sarà divertentissimo. Poi so che esiste un acquario molto grande, poco lontano dalla città. Potremmo prendere il pullman ed andare a vederlo un giorno, so che è bellissimo e ci sono tantissime specie di animali acquatici, vedrai, ci sarà da ridere. Chissà, magari potremmo scattare qualche foto insieme. Non ho nemmeno una tua foto…
Poi voglio andare all’annuale festa sulla spiaggia, quella dove si accendono i lumini e li si mettono in mare. È uno spettacolo da vedere, sono sicuro che ti piacerebbe. Potremmo invitare anche Jonghyun e Kibum, così ognuno avrebbe un lumino. Ogni lumino è un desiderio, sai? Se non si spegne a causa delle onde, quel desiderio si avvera. Tu cosa vorresti?
Io lo so bene, cosa desiderare.
E poi… beh, e poi ci sarebbero tante altre cose da fare. Ti va se comprassimo un cane? Un cucciolo magari, ti piacerebbe? Sarebbe divertente portarlo in giro. Oppure un gatto? Non so che genere di animali preferisci, ma anche il gatto non sarebbe male. Certo, l’importante è stare insieme noi due, ma vedo che vai così d’accordo con gli animali e coi bambini, ho pensato ti farebbe piacere. Per quando siamo soli invece… beh, una sera torniamo a correre, solo io e te. Così ci rilassiamo e parliamo di quello che vuoi. Parliamo ancora di amore e del nostro futuro. Non c’è più bisogno che tu pensi ad un’altra casa, puoi stare con me quanto ti pare. Se mi licenziassero, potrei fare il giardiniere, che ne dici? Così ti potrei portare a casa un fiore ogni giorno.
Di notte non c’è più bisogno che dormi sul divano, mi dispiace non averci pensato prima. Puoi dormire con me, tanto nel mio letto c’è spazio e mi fa piacere se mi resti vicino. Scusa, se sei stato scomodo tutto questo tempo. Non ti sei mai lamentato quindi non ci ho proprio pensato.
Un’ultima cosa, avevo in mente. Solo se ti va, ovvio. Vorrei provare a baciarti ancora. Solo un’altra volta, non pretendo troppo, è solo per curiosità, per vedere cosa provo. Certo, non dobbiamo farlo subito, posso aspettare tutto il tempo che ti serve, e quando ci saremo conosciuti per bene vorrei baciarti. In fondo anche tu mi hai detto che desideravi farlo, eppure hai aspettato perché io non ero pronto, non davo segni di essere interessato a te. Ti sei trattenuto tu tutto quel tempo, ora lo farò io per te. Non è un problema, davvero.
Solo… Taemin. Per favore, quei tuoi occhi nocciola…
Li rivoglio.”
 
Minho continuava a parlargli, muovendo piano le labbra ma sapeva che lui era in ascolto, perché lo fissava. Il dolore alla testa, il sudore, le grida e le imprecazioni degli altri erano solo un fastidio lontano, relegati in un angolo della sua mente. Non erano fonte di distrazione per lui. Quando cadde su un ginocchio per la troppa pressione, quando la vista iniziò ad appannarsi, allora strinse i denti e continuò a parlargli, a tentare di raggiungerlo. Gli sembrava di rivolgersi ad una statua. Sperava, con le sue parole, di poter ritrovare quella scintilla familiare che era la coscienza di Taemin. Non poteva credere che fosse andata perduta per sempre, non poteva.
Il piano che avevano stabilito era il seguente: Jonghyun e Kibum si sarebbero occupati del Maestro e Onew, trattenendoli il più possibile. Minho aveva il compito di sostenerli e di portare via Taemin. Il problema, era che non si aspettavano di dover combattere anche contro il ragazzino, che ora era irrimediabilmente dalla parte del Maestro. Ancora non sembrava volerli attaccare, ma Minho sentiva la sua coscienza metallica guizzare, per controllare la situazione, pronta all’attacco.
Non sapeva se sarebbe riuscito a combattere contro di lui… In fondo, quel viso dolce era pur sempre quello di Taemin e non si sarebbe lasciato ingannare da due artificiosi occhi di ghiaccio.
“Maestro!” gridò Onew, una voce lontana, ai margini della coscienza di Minho.
Che c’è, forse stavano avendo il sopravvento? Cos’erano tutte quelle rughe e quella smorfia di dolore sul volto dell’uomo?
“No, Taemin…” il ragazzino era corso verso l’uomo dai capelli lunghi, spaventato, gli si era inginocchiato al fianco.
“Maestro, Maestro!” una nuova scarica di ferro si abbatté sulle menti di Kibum, Jonghyun e Minho, devastandoli.
Era diversa, eppure… eppure quella fiammella lontana, come se lui fosse a miglia e miglia di distanza…
Ora gli occhi del ragazzino erano furenti. Minho si sforzò di non gridare e di respingere la nuova scarica di pugnalate nella testa.
“Taemin! Ti prego non così forte… ti prego…” gemette Kibum, e la sua mente si ritrasse, ferita.
“Maestro, non lascerò che ti facciano del male.”
Minho sentì i muscoli bruciargli terribilmente, ma si costrinse a rimanere in piedi. Lo chiamò ancora, gentilmente. Il ragazzino si voltò verso di lui, come punto da uno spillo. Doveva distrarlo…
 
“La prima volta che ti ho visto sono rimasto spiazzato. Non sapevo cosa pensare di te, ero sulla difensiva, come sempre. Poi ho notato i tuoi occhi, che per un istante furono esattamente come lo sono adesso, e mi sono spaventato. Ti rendi conto, un ragazzino dolce e meraviglioso come te… eppure ho avuto paura. E tu mi hai scoperto fin dall’inizio, incredibile ma è così… tu mi hai capito fin da subito, mentre io ancora non mi conoscevo. Adesso so di essere debole, ma so anche che questa volta non fallirò.
La prima volta che mi hai parlato invece, è stato bellissimo. Mi sembrava di aver vinto alla lotteria. Volevo scoprire chi eri e tornare alla mia vecchia vita, che stupido… invece ero già così legato a te, e nemmeno me ne rendevo conto. È normale, secondo te, che mi manchi così tanto mangiare insieme? Voglio dire, alla fine mangiavamo poco e quasi sempre schifezze, eppure vederti mangiare era uno spasso. Hai sempre una gran fame, ma dove la metti tutta quella roba? E poi a tavola non smettevi mai di parlare, a volte mi tiravi scemo proprio, con le tue chiacchiere. Sembrava che ti sentissi in dovere di raccontarmi la tua giornata per filo e per segno. E poi ci sono stati quei momenti, in cui mi stupivi con le tue parole. Ogni piccola cosa per te è importante, è incredibile. Davvero, sentirti parlare è qualcosa di speciale. Hai così tanta forza…”
 
“Fai silenzio adesso, non ti sopporto!” gridò il Maestro. La sua mente toccò quella di Taemin, e il ragazzo scattò. Il legame che si era stabilito fra di lui e Minho, mentre il ragazzo più grande parlava, venne bruscamente reciso. Come se stesse eseguendo un ordine, Taemin corse oltre il letto scarlatto, fino ad una porta praticamente invisibile nella parete. La aprì, e si voltò indietro.
“Vai.” Fu l’unico, secco comando del Maestro, e gli occhi di Taemin tornarono vacui mentre si allontanava. Nessuno poté fare niente per fermarlo con la mente.
“Minho, corri!” gli gridò Jonghyun, e il ragazzo scattò. Gli faceva male il cuore ad abbandonarli, ma non aspettava altro che il loro consenso. La pressione sulla sua mente si acuì, fino a che fece fatica a muovere un passo, ma per accanirsi su di lui il Maestro stava perdendo la concentrazione. La sua difesa cedette e venne colpito da Kibum. Gridò, poi riprese il controllo e attaccò a sua volta.
“E’ dannatamente forte, dannazione!” gridò Jonghyun, frustrato. Minho si rifugiò dietro le sue difese mentali e si rimise in piedi, correndo verso la porta bianca.
“Ce la farete?” chiese, esitante.
“Per l’amor del cielo, vai da lui! Ti copriamo, vai!”
“Resistete.”
Vi prego.
 
Un terrazzino. Il vento che soffiava forte, il mare in lontananza e il bosco tutto attorno. Dovevano essere in alto.
Taemin guardava oltre l’inferriata di ferro decorato, il busto sporto verso il vuoto, poi si voltò di scatto, come un animale in gabbia. La sua sottile camicia bianca aveva gli ultimi bottoni aperti e sventolava, in balia della brezza, scoprendo un lembo di pelle vicino all’ombelico.
Era da un po’ che lo inseguiva, sgusciando di corridoio in corridoio. Il ragazzino doveva aver commesso un errore qualche rampa di scale prima, quando si era sentito braccato. Aveva il fiatone e guardò Minho con un’espressione di pure terrore negli occhi chiari.
Minho abbassò il capo.
“Mi dispiace… non voglio spaventarti.” Era tremenda, quella sensazione.
Si sentiva come se gli stesse facendo del male, e quello sguardo accusatorio lo faceva sentire ancora più colpevole. Gli si avvicinò a passi lenti, mentre lui si guardava intorno in cerca di una via di fuga.
“Stai lontano. Perché state facendo questo al Maestro?” Minho sospirò. Taemin era sempre pronto a combattere per ciò che amava.
“Perdonami, per quello che sto per fare. Ma credimi, lo faccio solo per te.” Prima che potesse sgusciare via, lo afferrò per un braccio, tirandolo verso di sé e abbracciandolo stretto, da dietro. Gli allacciò le braccia attorno al petto e non gli consentì di muoversi. Sentiva il cuore di Taemin impazzire, mentre lottava per divincolarsi, ma le braccia di Minho erano più forti.
Dopo qualche istante, si arrese. Minho affondò il viso nei suoi capelli e aspirò.
Il ragazzino, iniziò a singhiozzare e il cuore di Minho fece davvero male.
“Scusa… scusami, io…”
“Lasciami!” sentì una scarica elettrica e per un pelo non si lasciò sorprendere. Lo stava attaccando con la mente. Si nascose dietro le sue difese mentali e si rifiutò di contrattaccare. Le sue braccia rimasero dov’erano. Aspettò che l’attacco cessasse, fino a che il ragazzino non si ritirò nuovamente dentro di sé, il fiato grosso.
“Attacca… attacca se hai il coraggio! Vigliacco…” Minho riaprì gli occhi e sorrise. L’emicrania era insopportabile ora, ma non poteva farci niente…
“Taeminnie… sei sempre tu, non ci sono dubbi.” Gli sussurrò in un orecchio, mentre quello tentava di allontanare il capo il più possibile.
“Ti odio! Cosa vuoi da me?”
“Tutto.” Sentì le mani del ragazzino che gli arpionavano gli avambracci, tentando disperatamente di liberarsi. Lo strinse più forte e gli appoggiò il mento su una spalla.
“Smettila… smettila adesso. Ma non capisci? Come fai a non capire.” Taemin si fermò, il suo petto che si alzava ed abbassava in continuazione.
“Taemin… davvero non mi senti? Prova, per un solo istante a toccare la mia mente…”
“No! Mi renderai schiavo, lo so!” Minho si morse un labbro, sentendo gli occhi bruciargli.
Davvero sto facendo la cosa giusta? Sembri così lontano…
Sentì dei passi alle sue spalle e lasciò andare Taemin, poi rudemente lo prese per un polso.
Si voltò, e la coscienza del Maestro lo precedette, scagliandosi come una spada a doppio taglio nella sua testa, con una violenza devastante. Gli ci volle tutto il suo autocontrollo per non gridare e per non lasciare la presa su Taemin che si divincolava.
“Questa volta non ti lascio.” Ringhiò, sbattendo le palpebre per rimanere lucido, e contrattaccò, con tutta la forza che aveva. Il Maestro, sudato e coi capelli che gli volteggiavano attorno come serpenti, gli si scagliò contro fisicamente, stringendogli il collo con le mani e portandolo a piegarsi oltre il balcone. Minho senti il vuoto sotto di sé e combatté per respirare. Con una mano tentava di staccarsi di dosso l’uomo, mentre stringeva il polso di Taemin nell’altra. Il naso affilato e gli occhi ghiacciati del Maestro erano ad un passo dal suo viso, furenti.
“Ora mi state davvero facendo arrabbiare, tutti voi. Hai osato toccare di nuovo ciò che è mio, quindi adesso muori.
Minho gridò, perché le mani dell’uomo gli si chiusero attorno al collo e non riusciva più a respirare. Tentò di tossire ma non gli fu possibile e la sua forza venne meno. Si piegò maggiormente verso l’esterno, mentre la schiena gli bruciava. Serrò gli occhi e tentò di spingerlo via con la mente.
Ci riuscì, perché la coscienza di quell’uomo ormai era frantumata e calda, in fiamme, a causa dei ripetuti attacchi e della rabbia. Vi si gettò dentro, mentre la coltre oscura che la ricopriva era sempre più frammentata, colpendo in profondità.
Improvvisamente, un’altra coscienza si frappose fra le due, e Minho temette davvero che sarebbe stata la fine.
Era Onew.
Alzò nuove barriere, corse via, mentre Onew lo inseguiva con la mente, sempre più vicino, pressante… non poteva vederlo, ma doveva essere giunto anche lui sul terrazzino. Sentì la sua coscienza premere, come se volesse entrare e pervaderlo. Ricordò quel giorno sulla spiaggia, quando aveva preso il controllo di lui... non riusciva a concentrarsi, non respirava.
Lasciami entrare!
Delle parole chiare e decise nella sua testa.
Una speranza gli si aprì nel cuore, un dubbio, un folle, meraviglioso dubbio…
Onew.
Abbassò ogni difesa e si lasciò pervadere.
La coscienza di Onew fluì in lui come un fiume in piena, irruenta, vivace. Incredibilmente però, non lo sommerse, non lo soffocò. Non tentò nemmeno di pugnalarlo, anzi. Minho sentì una nuova lucidità, una nuova forza, come se fossero diventati un tutt’uno. Si rese conto di avere ancora le mani del Maestro attorno al collo, ritrovò la sua coscienza e contrattaccò. Incredibilmente, la mente dell’uomo cedette sotto la nuova forza dell’attacco di Minho.
Finalmente, il Maestro fu sbalzato all’indietro dal dolore dell’impatto e Minho potè nuovamente respirare. Le sue gambe cedettero, mentre tossiva e riapriva gli occhi. Taemin era ancora accanto a lui, gli occhi spalancati in un’espressione incredula.
Si rialzò, e si resse al bordo di ferro dietro a lui per non cadere. Gli girava la testa… ma non era solo quello, il pavimento gli tremava, sotto ai piedi.
Davanti a lui, Onew, con una maschera di puro odio dipinta sul volto gentile, inchiodava il Maestro con lo sguardo, mentre questo era rannicchiato sul pavimento, il viso rigato di lacrime.
“Finalmente… finalmente…” continuava a ripetere Onew.
“Che fai? Che fai!” gridò il Maestro.
In quel momento Kibum e Jonghyun irruppero sul terrazzino ma Onew li tenne lontani con un gesto della mano.
“No, lasciate che lo finisca io. Se vi immergete troppo nella sua mente, potreste non uscirne più. E poi, ho tutto il diritto di farlo.” Kibum annuì, ed esclamò: “Fai ciò che devi. Fratello.”
L’uomo si tirò i capelli e lanciò un altro urlo, poi toccò a Taemin. Minho lo resse per le spalle mentre il ragazzino cadeva in ginocchio, tenendosi la testa tra le mani.
“Onew, lui no!” esclamò vedendo il suo viso contorto dal dolore.
“Mi dispiace, è necessario. Mi sta attaccando.”
Minho gli prese il viso tra le mani.
“Taemin, lascialo... ti prego, vogliamo solo aiutarti.”
“No!”
Onew ringhiò e il ragazzino cadde svenuto al fianco di Minho, con un gemito. Il ragazzo si affrettò a prenderlo in braccio e corse da Kibum e Jonghyun. L’aria era fortissima e il palazzo stava tremando, come se qualcosa lo scuotesse dalle fondamenta. Una crepa nell’immacolato marmo bianco, si allungò sotto ai piedi di Minho.
“Che succede?” chiese Jonghyun.
“Se muore lui, anche questo posto cadrà, perché è la sua mente a tenerlo in piedi.” Rispose Kibum.
“Onew sta…” Kibum si voltò verso Jonghyun, uno scintillio d’acciaio negli occhi.
“Non era come credevo. Onew, è ancora Lee Jinki. Ci ha ingannati tutti, ed ora è così potente da poterlo sconfiggere. L’ha fatto perché sapeva. Sapeva che non ci saremmo riusciti, da soli. Ora lui è debole, e solo.”
E infatti il maestro gridava, e si contorceva, sotto lo sguardo di ferro del ragazzo.
“Non puoi farmi questo… io ti ho creato! Come è possibile… io! Fallo smettere! Io non sono così, non è vero!”
Ma Onew non smise, e una guglia appuntita cadde dall’alto del palazzo, portando con sé un pezzo del terrazzino.
La coscienza del Maestro esplose, provocando uno spostamento d’aria che li sbalzò tutti verso l’interno dell’edificio. Ci volle un momento perché si riprendessero.
Detriti sempre più grossi piovevano dalle pareti e il rumore era assordante.
Minho si rialzò, vide Taemin a pochi passi da lui, il volto sporco di polvere e di ciottoli e gli si mise sopra, prendendolo per un braccio e risollevandolo, mentre Jonghyun gli dava una mano e poi li ritrascinava tutti giù, per quelle scale che non erano più scale, verso l’uscita, in fretta o crolla tutto, attenti alla testa…!
Si voltò quando sentì un grido strozzato dietro si sé e corse indietro, per aiutare Onew a rialzarsi dopo che questo era inciampato in un pezzo di marmo caduto. Si guardarono negli occhi e Onew lo ringraziò con un gesto del capo, poi ripresero a correre, fuori, fuori, c’è troppa polvere, c’è bisogno d’aria.
E il palazzo crollò, mentre l’acqua del lago rotondo si increspava e i fiori venivano spazzati via dai detriti. Dagli alberi si alzò un nugolo di uccelli e pipistrelli che corsero via, verso la luna, mentre sotto di loro la notte tornava silenziosa e rimaneva solo un gran fumo e la terra smetteva di tremare.
 
 
 
Volavano via, il più velocemente possibile, mentre dall’isola di Eden si alzava una nube scura. Il motoscafo aveva subito parecchi danni, ma per fortuna funzionava ancora. Minho era al comando, aveva come unico obiettivo quello di portarli via, lontano. Nessuno parlava, c’erano solo il rumore delle onde, lo sferragliare del motore e i loro respiri affannati, che stentavano a calmarsi. Sentiva che tutti avevano lo sguardo fisso sull’isola, ancora increduli del fatto di essere riusciti a fuggire. Jonghyun emise un lungo gemito e si sdraiò, le mani sul viso.
“Dio! Credevo che saremmo morti tutti.” Ora c’era silenzio attorno a loro. Minho tentò disperatamente di respirare e riprendere il controllo di sé. Aveva le mani strette così forte attorno al timone che gli tremavano. Si voltò, per controllare i suoi compagni. Kibum aveva il capo di Taemin appoggiato sulle ginocchia, mentre gli scostava i capelli dal viso addormentato. Onew era seduto vicino a Jonghyun e guardava Minho. Si alzò e andò da lui, posandogli una mano su una spalla.
“Sei stato bravo.”
“Tu… come…”
Onew sorrise.
“Esatto, come ti è venuto in mente di fare una cosa del genere? Sei completamente pazzo, Lee Jinki!” esclamò Kibum, irritato. Il ragazzo dai capelli color miele sorrise ancora.
“Mi dispiace. Non è stato facile fingere di essere ancora ciò che non ero più… ma era necessario, o lui non mi avrebbe mai lasciato scoprire così tanti suoi segreti. Si fidava ciecamente.”
“Questo fa di te un impostore.” Disse Jonghyun, ancora comodamente sdraiato. Poi si alzò coi gomiti e gli rivolse un meraviglioso sorriso sghembo. “Ma ti adoro!” Onew scoppiò in una melodiosa risata.
“Grazie. Alla fine siamo sempre stati dalla stessa parte.” Si voltò di nuovo verso Minho. “Mi dispiace.” Il ragazzo scosse la testa, riprendendo a guardare davanti a sé. Averlo vicino lo rendeva ancora un po’ inquieto.
“Non fa niente. L’importante è che ora ci hai aiutati.”
“Ci siamo aiutati a vicenda. Anche io avevo bisogno di voi, per riuscirci. Siete stati il mio diversivo, la mia copertura. Grazie.”
Minho annuì e si voltò di nuovo, per gettare una rapida occhiata a Taemin. Onew se ne accorse e affiancò le sue mani a quelle del ragazzo, sul timone.
“Vai. Guido io.” Minhò deglutì a fatica e gli lasciò il comando, mentre i loro sguardi si incrociavano di nuovo, seri.
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Salve ragazzi!
Stiamo davvero giungendo alla fine manca poco. In realtà sto pensando di scrivere anche una sorta di capitolo 'bonus', ma  vedremo come si concluderà questa storia e quale sarà la vostra reazione.
Per ora, grazie mille a chi mi ha seguita fino ad ora!
Vi adoro <3

Mi permetto di fare un po' di pubblicità ai miei video anche, questi sono gli ultimi che ho fatto:

Jonghyun: http://youtu.be/kSL8bxkdO40
Jongtae: http://youtu.be/h-2Icv7Xe8A
Enjoy! <3

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Capitolo 15
*** 15. Into his mind ***


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15.Into his mind
 

Minho si inginocchiò al fianco di Kibum, sentendo le gambe molli e pesanti. Si sforzò di tenere gli occhi aperti nonostante gli lacrimassero per il mal di testa. Poggiò una mano sulla fronte di Taemin, e la sentì gelata, imperlata dal sudore. Guardò Kibum col cuore in gola.
“Spiegami. Voglio sapere.” Jonghyun scivolò al fianco di Minho, poggiandogli una mano su una spalla.
“Forse è meglio se ti spiega lui.” Rispose Kibum, a bassa voce. Minho fissò la schiena di Onew.
“Mi chiamo Lee Jinki, ma per lui ero solo Onew.” Iniziò il ragazzo, a voce alta, in modo che tutti lo sentissero. “Sono il Primo Fratello, il primo scelto dal Maestro per diventare suo allievo. Dopo di me, sono giunti Kibum e infine Taemin. Sono quello che è stato nelle mani del Maestro per più tempo. Ho acconsentito a diventare suo schiavo molti anni fa, quando ero poco più che un bambino. Da allora, la mia coscienza gli è appartenuta ed io non ho mai avuto ricordi, né volontà. Ero suo e basta.” Fece una pausa. “Credevo ciò che credeva il Maestro, pensavo ciò che lui pensava, facevo solo ciò che lui voleva. Ero convinto che anche Kibum e Taemin avrebbero presto acconsentito a lasciarsi prendere da lui… ma mi sbagliavo. D’altra parte, anche il Maestro la pensava così.”
“Come hai fatto a liberarti?” chiese Jonghyun, ansioso di sapere.
“Sono cambiato. Sono diventato un’altra persona, la mia coscienza si è modificata e quindi il suo controllo su di me è svanito, senza che lui si accorgesse di niente. È proprio qui che stava l’errore più grave del Maestro, non è vero Kibum?”
“Sì. Lui era convinto che le persone non potessero cambiare, che fossero solo una cosa, una personalità ben definita e immutabile.”
“Fortunatamente ho sentito i discorsi che facevano i miei fratelli, in segreto, e ho cominciato a capire. Non l’ho detto a nessuno, ma dentro di me qualcosa si è modificato.”
“Non sapevamo niente… non ci siamo mai accorti della tua presenza.” Disse Kibum. “Pensavamo che fossi perduto e quindi ci siamo sempre guardati da te.”
“Lo so, non ve ne faccio una colpa. Vi devo solo ringraziare, perché se tu, Kibum, non avessi iniziato a parlare con Taemin, se non aveste preso a studiare il mondo con i vostri occhi… io sarei rimasto schiavo della filosofia chiusa e fredda del Maestro per sempre.” si voltò verso di loro e sorrise.
“Onew… cosa posso fare per Taemin?” chiese Minho, quasi supplichevole.
“Chiamami Jinki. È questo il mio vero nome.” Precisò il ragazzo, gli rivolse un ultimo sguardo dolce e malinconico e tornò a guardare il mare, immerso nell’oscurità della notte.
“Quando io ho acconsentito a lasciarmi prendere dal Maestro, ho lasciato che lui cancellasse i miei ricordi e la mia vecchia personalità per plasmarne una nuova, di suo piacimento. Taemin ha fatto lo stesso, e gliel’ha lsciato fare di sua volontà. Mi dispiace, mi dispiace davvero tanto ma il Taemin che tu conoscevi, non esiste più.”
La mano di Jonghyun si strinse attorno alla spalla dell’amico, mentre questo si sentiva schiacciato da un macigno. Abbassò il capo e le lacrime, silenziose iniziarono a scorrere.
“Ma non… non può essere, lui è sempre lui, che significa che…”
“Aspetta. Non credere che sia tutto perduto.” Minho rialzò il capo, tentando di darsi un contegno. Strinse una mano attorno ad un braccio sottile di Taemin, mentre questo sembrava dormire tranquillo.
“Io sono la prova vivente che non si è mai, del tutto perduti.” Continuò Jinki, in tono pacato. “La trasformazione di Taemin è avvenuta da poco, è normale che lui appaia come un guscio vuoto. La nuova coscienza ha bisogno di tempo, per stabilizzarsi. Nella mente di Taemin ora, c’è ancora un grande caos. Inoltre bisogna considerare che il Maestro è svanito. Nella sua testa e nel suo cuore, era lui ad occupare lo spazio maggiore dopo la trasformazione, ma ora che non c’è più, lo shock per Taemin deve essere stato tremendo, come se l’intero suo mondo si fosse sgretolato in un istante.”
“Puoi… puoi salvarlo?” chiese Minho. Si stava sforzando di capire.
“No, non io. Tu.” Jinki si voltò nuovamente, per sorridergli con sguardo audace. Minho sbatté le palpebre, stordito.
“C’è un altro elemento che bisogna considerare. Il Taemin che il Maestro ha spazzato via, non era già più quello che tu hai conosciuto. Da quando si è separato da te, anche la sua coscienza è cambiata drasticamente, e nel momento in cui ha accettato di diventare il suo burattino, essa si è modificata ancora. Tu hai conosciuto il Taemin che ha creato Kibum, il ragazzino gentile e determinato che abbiamo tutti ben presente… quel Taemin, non è morto. Sta solo dormendo, da qualche parte.”
Il silenzio che seguì, espresse tutta la perplessità dei ragazzi che ascoltavano le parole di Jinki.
“Minho… proprio tu, dovresti capirmi meglio di tutti.” Sorrise il giovane. “Tu sei il Minho forte e sfrontato che fa innamorare le ragazzine, ma non sei anche il bambino solo e impaurito che ha dovuto lottare con un padre violento e con la droga? E non sei forse anche quel ragazzo gentile e determinato che ha salvato un ragazzetto biondo dalle acque del mare, una sera? Tu sei tutto questo Minho, sei tutto questo e molto di più. Forse domani sarai ancora diverso, o forse fra un anno, chi lo sa!” esclamò Jinki, allegro. “Le persone evolvono continuamente, ma ogni fase lascia un segno, niente viene del tutto dimenticato. È come una montagna, che cresce sempre di più, arricchendosi di piante, animali ed elementi, crescendo di strato in strato. Ma se non ci fossero gli strati più interni, la montagna non sarebbe mai nata e non starebbe nemmeno in piedi. Mi sono spiegato?”
“Sì.”
Adesso Minho capiva. Si asciugò le lacrime e i suoi tornarono fiammeggianti. “Dimmi come devo fare.”
“Ascoltami. Il Taemin che è stato cancellato dal maestro, l’ultimo Taemin, era quello spaventato, solo e senza speranza. Era un Taemin convinto di averti perso per sempre. Quella personalità è svanita e non tornerà più. Tutte le altre invece, sono sommerse sotto l’immenso vuoto che ora è dentro di lui, il vuoto lasciato dalla scomparsa del Maestro. Quelle altre coscienze svaniranno presto, si stanno già sgretolando, quindi devi fare in fretta. Devi andare da lui e farlo ricordare. Devi fare riemergere il Taemin che tu conosci meglio. Se riuscirai a trovarlo e a convincerlo a tornare, allora sarà tuo.”
“Non voglio che sia mio, voglio che sia se stesso.” Gli occhi di Jinki brillarono nella notte. Sospirò.
“Se riuscirai a farglielo capire, ce la farai.”
“E tornerà a ricordare?”
“Sì.”
“Tornerà ad essere quello che era?”
“Sarà diverso da come lo conoscevi, ma sarà lui.”
Minho annuì.
“Insegnami.”
 
Jinki aveva spento il motore e si era seduto di fronte a Minho e Taemin. Jonghyun e Kibum li osservavano, seduti in un angolo, le loro mani intrecciate e i corpi vicini che si riscaldavano a vicenda nell’aria fresca della notte. Le luci della città erano lontane, l’aria calma e silenziosa. Il motoscafo dondolava leggero, sospinto piano dalle onde.
“Prima di lasciarti andare, devo spiegarti perché è meglio che lo faccia tu.” Iniziò Jinki, scostandosi un ciocca dei capelli lisci dagli occhi. Parlava in modo chiaro e pacato, i gomiti poggiati sulle ginocchia incrociate. “Io ho scavato a fondo dentro di te e anche dentro Taemin, prima che il Maestro lo cambiasse, quindi conosco i veri sentimenti di entrambi.” Gli occhi di Jinki guizzarono su Kibum e Jonghyun.
“Non ti preoccupare, dì pure quello che devi.” Lo tranquillizzò Minho, apprezzando la sua delicatezza.
“So quello che è successo tra voi. So anche che Taemin ti ama. L’unico incerto, sei tu, Minho.” Il ragazzo moro annuì, serio.
“Io ho difficoltà a lasciarmi andare ai sentimenti.” Spiegò il ragazzo. “So solo che Taemin è tutto quello che voglio e che non riesco più ad immaginare una vita senza di lui, adesso.” Jinki gli sorrise.
“Grazie, vedo che sei sincero. Sarà importante esserlo, quando parlerai con lui. Non devi ingannarlo, devi convincerlo, ricorda. Per ora è sospettoso, segue ancora scrupolosamente tutto ciò che il Maestro gli ha fatto credere. Capisci?”
“Sì.”
“Bene. Taemin è innamorato di te, e questo è il sentimento che più caratterizzava la sua anima prima che venisse travolto dalla paura e dalla disperazione. È per questo che devi farlo tu. Sarà più facile per te catturare la sua attenzione. Anche se la tua mente è inesperta, lui ha una speciale considerazione di te e se ne accorgerà, se gli parlerai usando le parole giuste.”
Minho ricordò come si era comportato Taemin poche ore prima, mentre aveva tentato di convincerlo a seguirlo, e si sentì morire.
“Come… come dovrei fare? Ho paura di non riuscire a farmi ascoltare. Non sono bravo con le parole.” Jinki gli sorrise.
“Devi fare come stai facendo con me adesso. Devi aprirti completamente, senza nascondere nulla. Taemin deve sentirti. Non con le orecchie, eh.”
“Sì, questa lezione l’abbiamo imparata.” Sorrise mesto Minho, rivolgendosi a Jonghyun che annuì, come per rassicurarlo con gli occhi.
Jinki gli pose improvvisamente le mani sulle spalle.
“Vedrai, ce la puoi fare. Rilassati e non avere fretta. Devi avere pazienza, con lui. Assecondalo. Aiutalo. Non posso dirti esattamente come dovrai agire, perché non lo posso sapere. Dovrai vedertela da solo. Ok?”
“Ok.”
“Bene. È meglio se ti sbrighi. Se entri mentre sta dormendo, sarà tutto più semplice. Vieni, sdraiati anche tu.”
Minho fece per distendersi vicino a  Taemin, ma Jonghyun corse da lui. Gli sorrise e lo abbracciò. Minho sentì che stava per commuoversi e si affrettò a spingerlo via.
“Ehi… che ti prende?”
Jonghyun si passò il dorso di una mano sul naso e gli diede una sonora pacca su una spalla.
“Muoviti amico, che non vedo l’ora di farmi una doccia. Riportalo qua e andiamocene, ok?”
“Certo.”
Minho si sdraiò e chiuse gli occhi. Sentì Kibum che gli apriva un palmo e gli metteva la mano di Taemin nella sua. D’istinto, la strinse. Respirò a fondo e sentì la coscienza di Onew premere leggermente. La lasciò passare.
Rilassati. Allungati verso di lui ed entra. Sai già come fare. Buona fortuna.
Grazie.
Ne avrò bisogno.
 
 
 
“Dio che freddo, ma non ce n’è di riscaldamento qui?” sbottò Minho, irritato. Si strofinò le braccia e si guardò intorno. Era tutto bianco.
Taemin stava a pochi metri di distanza, camminando piano, in su e in giù gli occhi azzurri persi nel vuoto.
“Che cerchi?” gli chiese.
“Non lo so… dov’è?”
“Dov’è cosa?”
“Mm… manca qualcosa. Anzi, mancano molte cose. Non riesco a capire.”
“Beh.” Minho si mise le mani su i fianchi e si guardò intorno. “In effetti manca tutto. Qui non c’è niente.”
“Come non c’è niente? Vorresti dire che sono vuoto?” Taemin sembrò irritato. Non lo guardava mai.
“Così sembri.”
“Vattene via! Mi infastidisci.”
“E perché?”
Silenzio.
“Taemin.”
“Che c’è?”
“La smetti di camminare?”
“No. Vattene via ho detto.” Il ragazzino continuò a cercare, concentrato. “Dov’è, dov’è… mi ha detto che non mi avrebbe lasciato mai e invece non c’è.” Sussurrò tra sé e sé.
“Chi, Taemin?”
“Lui. Guarda che disastro ha combinato! Lo odio. Anzi no… non è vero. Ho bisogno di lui.”
“Il Maestro?”
“Sì! Ecco. Lo conosci?” Taemin si voltò di scatto, finalmente sembrava interessato.
“Uhm… diciamo di sì.”
“Sai dov’è?”
“Non c’è, Taemin. Adesso ci siamo tu ed io.”
“Se non sai dov’è vattene, ho da fare.” Il ragazzino si voltò di nuovo, deluso. Minho sospirò e gli si avvicinò. Provò l’istinto di prenderlo per mano, ma si trattenne.
Si sedette e iniziò ad osservarlo mentre camminava, voltando la testa da una parte, poi dall’altra.
“A che pensi?”
“Ho detto di andartene, cavoli non vedi che ho da fare?”
“Yah! Ti sembra il modo di parlare al tuo hyung?”
“Non sei nessuno.”
Minho sentì una strana inquietudine montargli dentro, ma la soppresse con forza.
“Voglio aiutarti. Lascia che ti aiuti.”
“No.”
Silenzio. Minho attese.
“Sai dov’è?” ripeté Taemin dopo un po’, come se si fosse dimenticato quello che si erano appena detti.
“No Taemin… non c’è.”
“Allora vattene.”
“Non posso.”
“Perché?”
“Devo prima farti vedere delle cose.” Taemin lo guardò, scocciato.
“Tipo?” Minho gli sorrise. Si alzò.
“Mmm… vediamo. Te lo ricordi questo?” Fra i due ragazzi comparve un fiore, dai colori vivaci, sull’arancione. Un bel, grande fiore.
“No.”
La stanza tornò vuota.
“Uhm. Sei sicuro? Guardalo meglio.” Insistette Minho, e il fiore ricomparve, insieme allo zampillo di una fontana.
“Ho detto di no!” ripeté Taemin. “Però… è carino.”
“Già. Anche tu lo sei, Taemin.” Il ragazzino lo squadrò. Scomparì tutto mentre questo si voltava.
Minho si morse la lingua.
Doveva essere cauto.
Con calma.
Il ragazzino aveva ripreso ad ignorarlo e gironzolare.
“Sai dov’è?”
“No, Taemin.”
Pazienza…
“Allora perché continui a infastidirmi? Non dovresti essere qui.”
“Invece sì che dovrei esserci.” Gli occhi di Taemin lo inchiodarono e Minho si sentì scoperto, nudo.
“Perché? Non sei nessuno.”
“C’è stato un tempo, Taemin… in cui questo posto, lo vedi?” e Minho alzò le braccia, indicando il vuoto che li circondava. “Tutto questo posto… era pieno di me e te.”
“Non ti credo, io non ti conosco.” Minho gli sorrise, teneramente.
“Lascia che te lo dimostri allora.”
Taemin sembrò rifletterci su.
“Hai altro, da farmi vedere?”
Minho annuì.
Erano in una stanza ora, un piccolo soggiorno, semplice ma accogliente. Un tavolino, un divano, una poltrona, dei quadri alle pareti, i resti di una pizza sparsi in giro.
Taemin si aggirò fra il tavolino e il divano mentre Minho si sedeva sulla poltrona.
“Ti ricorda niente?”
“Cos’è?” chiese Taemin. Si sedette titubante sul divano, scostando la leggera coperta che vi era poggiata.
“Sdraiati.”
“Non mi va.”
“Dai… fallo per me.” Taemin sbuffò.
“Che palle che sei.” Con un gesto stizzito, si sdraiò, gli occhi che guizzavano in giro. Minho, veloce e silenzioso come una pantera, spense le luci e si inginocchiò sul tappeto, vicino al volto di Taemin.
“Un giorno, io e te eravamo esattamente così. Era una sera speciale… prova a vedere se te la ricordi.”
Taemin si agitò. Iniziò a respirare più velocemente.
“Io… aspetta.”
“Ho tutto il tempo che vuoi.”
“Tu… no, non eri così.” Lo guardò e sembrò vederlo davvero per la prima volta. I suoi occhi analizzarono i lineamenti di Minho per un attimo, poi lo prese per le spalle e lo fece salire sul divano, sopra di sé. Minho gli poggiò le mani ai lati del capo e attese, il cuore che gli martellava nel petto. Fece di tutto per non pesarsi troppo sul corpo del più piccolo e trattenne il fiato. Taemin si morse un labbro.
“Manca ancora qualcosa…” alzò il capo e Minho non si mosse. Le loro labbra si stavano avvicinando pericolosamente…
“No, tu mi stai prendendo in giro!” le mani di Taemin lo spinsero via, premendo sul suo petto.
In un istante, tutto tornò bianco. Stordito, Minho si ritrovò in piedi. Si guardò intorno e scoprì che Taemin era lontano, di spalle. Corse da lui, spaventato.
“Taemin!” lo chiamò. Il ragazzo non si girò. “Taemin… è tutto vero, io so che te lo ricordi!” il ragazzino si girò di scatto.
“Lasciami. In. Pace. Io sto cercando lui. Sparisci!”
“Non posso…”
“Non mi interessa, ho detto che devi andare via!” Taemin lo spinse di nuovo, con forza. Minho avrebbe voluto afferrarlo per le braccia e trattenerlo, ma si costrinse a non farlo. Lasciò che si allontanasse.
“Taemin… cerca di capire.” Le mani del ragazzino affondarono nei suoi capelli biondi.
“Cosa, cosa c’è da capire?” gridò, esasperato. “Vattene! Non voglio saperne più niente di te!”
“Allora ti ricordi!”
“No, io non ti conosco. C’è… c’è qualcosa che… non voglio più vederti, vai via.”
“Ti prego… non mi mandare via.”
Nel vuoto, risuonò una voce, supplichevole.
Hyung, non mi mandare via…’
Taemin si guardò intorno, con gli occhi spaventati. Si morse di nuovo il labbro inferiore e si andò ad accovacciare, la testa tra le mani. Minho gli si avvicinò e gli appoggiò una mano su una spalla, con tutta la delicatezza di cui era capace.
“E’ così semplice Taemin… potresti essere felice, se solo mi ascoltassi.”
“Lui ha detto che non devo più pensare, gliel’ho chiesto io. Perché adesso ci sei tu e non lui, non capisco…”
“Adesso ti senti così, sei confuso, è normale. Non avere paura, ci sono io ad aiutarti.”
“Quello che non capisco è perché devo ricordare. Non vado bene così come sono?” gli occhi di Taemin si alzarono su Minho, lucidi.
“Certo che vai bene. Tu vai sempre bene.” Le labbra di Taemin tremarono per un attimo. Si alzò e Minho lo seguì.
“C’è qualcosa. Dimmi cos’è.”
“Va bene.”
 
Si ritrovarono sulla spiaggia, in un punto familiare. Minho riconosceva le sdraio chiuse, gli ombrelloni nel buio. C’era anche la luna.
Era quella notte, non c’erano dubbi.
Taemin avanzò verso le onde del mare calmo. Alzò il capo e la brezza gli liberò il viso dai capelli. Minho osservò il suo bellissimo profilo e strinse i pugni.
“Io ero qui.”
Minho inclinò il capo. Fece per prenderlo per le spalle ma quello lo guardò male.
“Posso…?” gli sfiorò un braccio e lo fece spostare leggermente verso destra, di qualche passo.
“Ecco.”
Taemin lo fulminò e sospirò.
“E’ vero. Questo è il posto.”
Lentamente, il ragazzino si voltò verso di lui. Si guardarono.
“Cos’è successo poi? Non riesco a…”
“Non fa niente, ti aiuto io adesso.” Lo rassicurò Minho a bassa voce. “Tu eri svenuto, ricordi? È qui che ho visto la prima volta i tuoi occhi. Pensavo fossi un bambino.”
“Sì… mi hai tirato su, a riva.” Camminò piano, verso l’interno della spiaggia. “E poi ti ho visto.”
“E anche io, per la prima volta.”
Taemin annuì.
“Non ricordo come ti chiami.”
Un’altra pugnalata.
“Aspetta, non me lo dire.” una mano di Taemin salì verso la sua tempia, accrezzandogli i capelli per poi scivolare giù fino allo zigomo.
Minho sentì la fredda coscienza del ragazzo premergli nella mente. Chiuse gli occhi e si lasciò guardare.
Fece male.
Taemin esplorò con irruenza, come quella prima volta, guizzando di ricordo in ricordo.
Poi si ritrasse. Quando Minho riaprì gli occhi, il ragazzo lo fissava con occhi terrorizzati.
“Taemin…”
“No… no, basta. Basta, lasciami andare.”
“Aspetta, dimmi almeno se ti ricordi.”
“No, non voglio…”
Minho lo afferrò per un braccio, trattenendolo.
“Ascoltami un attimo, non voglio farti niente.”
“Lasciami!”
La spiaggia scomparve.
 
Il bianco li avvolse, fastidioso. Minho sospirò. Sbattè un pugno per terra, frustrato, poi si morse le nocche.
Non perdere il controllo…
“Te lo dico per l’ultima volta.” Sibilò Taemin. Minho si preparò psicologicamente all’ennesimo rifiuto. “Devi lasciarmi in pace.”
“Ho bisogno di te.”
“Non mi interessa.”
“Taemin… io, credo di amarti.”
“Anche io credo di averti amato, una volta. Ma faceva troppo male. È meglio che te ne vai.”
“Non farà più male adesso, te lo prometto.”
“Io non sento niente. Niente.
“Non è vero.”
“Ti credi tanto intelligente? Credi di sapere tutto?”
“Io?” Minho rise. “No, affatto.”
“Voglio mostrarti io qualcosa, adesso. Poi vedrai che mi darai ragione.” Taemin lo prese per un polso e lo trascinò con sé, mentre attorno a loro compariva una strada, poi un ponte, delle rotaie…
Minho deglutì a fatica.
Un’altra notte inconfondibile.
Taemin si voltò a guardarlo, stando nel buio del sottopassaggio, serissimo.
“Questo è un altro ricordo che mi è appena venuto in mente.” Spiegò il ragazzino. “Questo, è uno di quelli che fa male.”
“Mi dispiace.”
“Troppo tardi.”
“Avrei fatto qualsiasi cosa per tenerti con me, lo giuro. Non ero pronto.”
“Tu mi hai lasciato. E all’inizio nemmeno mi volevi. Sei esattamente come lui, che adesso non c’è e non so dove sia.”
“Hai ragione. Io sono qui adesso, però. Non ti lascio più.”
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Buooooooooonasera XD
Allura, rieccoci con un nuovo aggiornamento, questa volta ci ho messo un po'. Sono successe parecchie cose, capitemi: il flash mob a Milano è stato FANTASTICO, non mi sembrava di essere nemmeno in Italia, c'erano megaschermi con kpop a tutto spiano, poster e musica coreana ovunque. Siamo stati meravigliosi, modestamente XD La Korean Week a Milano è stata davvero una figata. Procede il mio 'progetto' e anche oggi sono andata in università, sto conoscendo gente e per ora è tutto ok.
Sperem XD
Per quanto riguarda la storia.... siamo davvero vicini alla fine, la sentite, che si avvicina? Come vi sembra? Questa parte è profonda ed importante, vi prego di leggerla con attenzione, tutti voi che seguite la mia storia.
Vi adoro.
Baci!
Chiara

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Capitolo 16
*** 16.Cose presenti, cose passate, cose future ***




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16. Cose presenti, cose passate, cose future
 

“Sono qui adesso Taemin, e non ti lascio più.” ripeté Minho. I due ragazzi si fronteggiarono per alcuni minuti. Passò un treno.
“Come faccio a crederti? Non so nemmeno chi sei.” Chiese infine il più piccolo, a bassa voce.
“Fidati di te stesso.”
“Non so più chi sono. Mi sento vuoto. Non so niente.”
“Non lo sei.” Minho gli si avvicinò. Alzò una mano per sfiorargli una guancia… “Ti prego. Ti prego… sforzati di ricordare quello che eri. Quello che abbiamo passato insieme.” Iniziò a piegarsi verso di lui, mentre gli accarezzava uno zigomo.
Ho troppa voglia di baciarti…
“Che fai?” gli chiese il ragazzino. Minho non si fermò.
“La prima volta che ci siamo baciati mi hai detto che era tanto che lo desideravi. Adesso lo voglio io.”
“Sì, mi ricordo quello… ma ora non sono pronto.”
“Shh…”
“No, aspetta… No!”
 
Minho sentì freddo e seppe, prima ancora di aprire gli occhi, che erano tornati nella mente vuota e bianca di Taemin. Il ragazzino lo fissava con sguardo offeso, le braccia strette attorno al busto, come per proteggersi.
“Scusami.”
“Sparisci.”
“Cosa devo fare per convincerti.”
“Niente, sparisci.”
Minho sospirò. Si sdraiò per terra, con calma, sotto lo sguardo allibito di Taemin. Chiuse gli occhi.
“Non posso andarmene, mi dispiace. Ma sparirò se vuoi. Me ne starò qui immobile. Sarà come se io non ci fossi.” Il ragazzino esitò.
“Non ti credo.”
“Vedrai. Non ti darò più fastidio.”
 
Passarono i minuti, nel silenzio più assoluto. Minho non aprì gli occhi, tanto lo percepiva benissimo. Era nella sua mente, in fondo. In un primo momento il ragazzino continuò a camminare avanti e indietro, come aveva fatto in precedenza. Poi si fermò, come se non fosse più poi tanto interessato alla sua ricerca. Si voltò verso Minho e prese ad osservarlo, da tutte le angolature possibili. Minho non si mosse, paziente. Era già stato troppo precipitoso una volta, non si sarebbe lasciato trasportare di nuovo dai suoi sentimenti.
Era la vita di Taemin, ad essere in gioco, e lui doveva solo farsi da parte.
Alla fine, il ragazzino gli si sedette a pochi passi di distanza, con le gambe incrociate e il mento appoggiato ad una mano.
“Dormi?”
“No.”
“Lo sapevo.”
Minho rise.
“Che c’è? Pensavo non volessi parlarmi.”
“Voglio sapere una cosa. Kibum… l’ho visto piangere. Perché?” Minho aprì gli occhi.
“Per te.” Ci fu silenzio.
“Non voglio che pianga. Che ho fatto di male?”
“Niente, piccolo…”
“Perché sei così gentile? Un momento sei gentile, il momento dopo mi vuoi portare via dal Maestro. Perché.”
“È difficile fartelo capire… non sono bravo con le parole.”
“Da una parte lo rivoglio. Dall’altra… è come se sentissi che forse è meglio così. Sai, che se ne è andato.”
“Lui ti impediva di essere te stesso. Ti ha rubato la libertà e ora ha portato via i tuoi ricordi.”
E ti ha allontanato da me.
“Sì… sì è vero. Non sono sicuro di voler ricordare però. Fa ancora male. Tu… sei tu che hai qualcosa che non va.” Minho sorrise, ancora. Cominciava ad intravedere il suo Taemin, in quelle strane parole. Gli ricordavano la sua innocenza.
“Io ho molte cose che non vanno.”
“No, è come se tutto il dolore che avessi provato mi impedisse di ricordare. E il dolore proviene da te.” Minho si voltò a guardarlo.
“Mi dispiace. L’ultima cosa che voglio è farti del male.”
“Eppure sei qui e stai facendo tutto questo casino nella mia testa.”
“È solo perché voglio che torni in te. Non è giusto non ricordare il passato, per quanto doloroso possa essere.”
“Dici?”
“Sì.”
“Ma io non voglio soffrire ancora.”
“Ci sarò io questa volta, e ti giuro che ti proteggerò.” Gli occhi di Taemin ebbero un guizzo. Per un momento, solo per un momento, tornarono scuri. Poi comparve attorno a loro la stanza da letto di Minho. Il ragazzo più grande era sdraiato, Taemin seduto vicino a lui.
Che mal di testa.
 “Mi ricordo questa situazione. Ma non cosa è successo dopo.” Spiegò Taemin, a voce bassa.
“Vuoi che te lo mostri?”
“Ho una sensazione strana.”
“Lasciati andare, Taemin… chiudi gli occhi e ricorda.” Il ragazzino sospirò a fondo e decise di provarci. Fece come gli era stato detto e una voce echeggiò nella stanza. La sua voce.
Scusami hyung, ma io non so proprio come dirtelo… potrebbe essere l’ultima occasione, capisci?
La fronte di Taemin si contrasse e questo schiuse le labbra, mentre le sue mani si stringevano sulle lenzuola. Silenziosamente, Minho gli si avvicinò e gli posò le mani in vita.
“Ricorda Taemin… ricorda cosa ti è successo, come sei finito qui. Ricorda Kibum, Jonghyun… ricorda me.
“Farà male, me lo sento.”
“Sarò qui a sostenerti.”
“Hyung… ho paura.”
Comincio a pensare che non provi lo stesso per me ma… potrebbe essere l’ultima occasione, capisci?
“Sì Taemin, capisco. E ti voglio anche io, non avere paura…”
“Hyung.”
Le labbra di Minho, finalmente, si unirono a quelle di Taemin. Il giovane rimase fermo un attimo, aspettando il suo rifiuto. Quando questo non arrivò, si mosse e Taemin con lui. Il bacio divenne più profondo, più disperato. Le mani del ragazzo biondo lasciarono le coperte per stringersi al suo petto e Minho lo abbracciò, sentendo il freddo che emanava la sua pelle.
Lasciò scivolare le sue labbra sul mento di Taemin, e poi sul suo collo, mentre quello ansimava leggermente. le sue mani lo presero per la nuca e lo spinsero più vicino, verso le ossa della clavicola…
“Hyung… aspetta.” Minho si costrinse a fermarsi. Sentì le mani di Taemin muoversi nei suoi capelli, poi sulle sue spalle. Si raddrizzò e lo abbracciò, come avevano fatto un tempo, prima che glielo portasse via. Il corpo di Taemin era tiepido ora. Aspettarono che i loro respiri si calmassero, poi il più giovane parlò ancora.
“Adesso me lo ricordo il tuo nome, hyung. Mi ricordo tutto.” Lo tirò leggermente per la nuca, in modo da poterlo guardare in viso.
Qualche lacrima iniziò a sfuggirgli dai lati degli occhi, Minho vide la sua gola tremare.
“No, non piangere… dai, Taemin…” gli asciugò le lacrime con i pollici, mentre gli accarezzava le guance. Taemin scosse il capo, mentre iniziava a singhiozzare.
“Choi Minho.”
“Sì, dimmi piccolo…”
“Non voglio perderti. Fa troppo male.” Minho lo baciò, con forza, poi lo guardò negli occhi.
“Non mi perderai mai più, hai capito? Tu non mi hai mai perso.”
“L’ho fatto solo perché non volevo più soffire. Pensavo fosse finita. Mi dispiace.”
“Lo so, stai tranquillo adesso. Lui non c’è più. Puoi fare quello che vuoi.”
“Posso… posso stare con te?”
“Certo che puoi.”
“Davvero?”
“Sì.”
Taemin rise, in mezzo ai singhiozzi. Affondò il viso nell’abbraccio di Minho e si lasciò stringere.
“Voglio tornare a casa. La tua.”
“La nostra.” Un altro sorriso.
“Sì. Portami a casa.”
“Appena ci sveglieremo ti ci porto.”
“E quando ci svegliamo?”
“Quando vuoi tu.”
“Davvero posso decidere io?”
“Puoi essere tutto quello che vuoi adesso, Taemin. Non c’è più nessuno a dirti cosa devi fare.” Il ragazzino si rilassò completamente, anche se le lacrime continuavano a scorrere, prepotenti, sintomo di un cuore che torna al suo posto, dei pezzi di un’anima che si ricompongono.
“Scusami hyung. È stata tutta colpa mia.”
“No, avrei dovuto proteggerti meglio.” Taemin sciolse l’abbraccio per guardarlo un attimo. Minho si commosse, mentre gli sorrideva e sentì gli occhi pizzicargli. Lo sguardo di Taemin era di nuovo nocciola, non c’era più traccia di azzurro. Era un colore caldo e accogliente, un colore che non si poteva non adorare.
“Hyung non te l’ho mai detto ma… ti amo.” Il ragazzino arrossì.
“Torniamo a casa, ti va?”
“Non vedo l’ora.”
“Prima però…” Minho chiuse gli occhi e riavvicinò le sue labbra a quelle di Taemin. Lo sentì che sorrideva. “Prendiamoci ancora un po’ di tempo per noi.”
Un bacio profondo, un sapore familiare.
“Sì hyung. Grazie.”
 
 
 
“Che diavolo è successo qui? Yah! Ragazzo! Choi Minho! Esigo delle spiegazioni!”
Minho si sentì prendere per l’elastico dei pantaloni e strinse i denti.
Ahia.
Si ritrovò la faccia scorbutica del suo datore di lavoro ad un passo dal naso, poteva vedere i pori nella pelle abbronzata e la sottile barba che ricresceva sulle guance.
“Che cosa è successo al mio motoscafo? E’ tutto rigato, sembra che si sia schiantato contro una parete di scogli!”
“M… motoscafo?” balbettò Minho con aria stupida. “Quale motoscafo?”
“Quello nel mio capannone, idiota.” E gli sventolò la chiave davanti. “Come mai le chiavi sono al loro posto e il motoscafo è ridotto in quel modo, me lo spieghi? Manca anche il carburante! Qualcuno ci si è fatto un movimentato giro notturno, ne sono sicuro, e l’unico che sa dove sono le chiavi. Sei. Tu.” Minho deglutì.
“Signore, io davvero non ne so niente, ero a casa mia a dormire e…”
“Sono tre giorni che non lo uso, potresti essere venuto una delle sere scorse, non so esattamente quale, quindi non provare a mentirmi.”
“Le giuro che non so niente!”
“Bene! Allora trovami un’altra soluzione, o dovrai pagare i danni e poi fare in modo che io non debba più vedere la tua faccia da bugiardo qui intorno, mi hai capito?”
“S… signore, se posso permettermi, anche suo figlio sa dove sono le chiavi e anche quei suoi amichetti scalmanati, magari…”
“Stai dando la colpa a mio figlio?”
“No! No certo, pensavo solo che magari…”
“Bah! Sta zitto! E’ meglio se sparisci. Sparisci! Qualunque cosa sia successa, tu non mi piaci e non mi sei mai piaciuto.”
“Mi dispia…”
“Ho detto sta zitto e sparisci! Non finisce qui. Giuro che una prova per incastrarti la trovo!”
“Spero di no, Signore.”
“Ancora parli?”
“No, no, me ne vado. Buona serata!”
“Un corno! Ragazzini…”
Minho raccolse il suo zaino, la t-shirt e corse via, un sorriso che gli si allargava sul volto.
 
Appena entrò in casa, gli arrivò un giornale in testa.
“Hyung! Ma hai detto a Jinki-hyung di non svegliarmi?”
Gettò il giornale di lato e, con un sorriso incontenibile, andò ad abbracciarlo.
“Mpppf, yah!” Taemin si divincolò, alzando il capo per parlare, ma Minho non mollò la presa. Onew sedeva per terra. Incrociò lo sguardo di Minho e i due si sorrisero.
Grazie.
“Minho-hyung! Come hai potuto lasciarmi qui da solo? Volevo vederti ma loro hanno detto di non venirti a disturbare al lavoro!”
Minho non rispose, sorrideva e basta, scompigliandogli i capelli.
“Taemin-ah…” Il ragazzino smise di divincolarsi e arrossì, sentendosi chiamare con quel tono caldo.
“Jinki.”
Il ragazzo biondo affondò le mani nelle tasche dei pantaloni larghi. I suoi occhi erano di un bel marrone scuro, e il suo viso era davvero rassicurante, tranquillo e sereno.
“Minho-goon, com’è andata la giornata? Licenziato?”
“No, non ancora.”
“Meno male. Sarebbe stata anche un po’ colpa mia.”
“Tranquillo.”
Kibum e Jonghyun sbucarono in quel momento dalla cucina, mano nella mano.
“Hai visto? È più rompiscatole di prima.” Gli sorrise Kibum, accarezzando la testa di Taemin. Minho guardò il ragazzino, sentendosi leggero.
“Meno male.”
“Allora ragazzi, che si fa stasera? Si va?” chiese Jonghyun, gli occhi scintillanti.
“Dove?” chiese Taemin, curioso.
“Si va.” Confermò Minho.
 
La spiaggia era gremita di gente, fatto insolito a quell’ora. Era buio, ma si intravedevano i visi sorridenti delle famiglie, dei bambini, mentre si predisponevano i tavoli con i lumini da accendere. Erano delle semplici barchettine rotonde, ed ognuna conteneva un piccolo cero. Non appena tutti gli scatoloni fossero stati vuoti, ognuno avrebbe preso il proprio cero e accenderlo, per poi portarlo in mare.
Minho coordinava il tutto, in qualità di bagnino della sua spiaggia. Salutava, sorrideva e stringeva mani, aspettando paziente.
Gettò di lato l’ultimo scatolone, e annunciò che i lumini erano pronti. Chiese di mettersi in fila, prima i bambini. Accese un fiammifero, e si mise in posizione.
I più piccoli iniziarono a sfilargli davanti, ansiosi di afferrare un lumino e passare da lui, che glielo accendeva toccandolo brevemente con il fiammifero.
Dopo qualche minuto, iniziarono ad arrivare i più grandi, ragazzi, genitori e nonni. La spiaggia, iniziò ad illuminarsi di un tenue chiarore arancione, mano a mano che i lumini venivano accesi. Il mare sciabordava tranquillo alle loro spalle, le voci rimanevano quiete, perché non era ancora il momento di festeggiare. Quello, era un momento di trepidazione.
Il primo che vide davanti a sé, fu Jonghyun. Quante parole si scambiarono in un unico sguardo, mentre il sorriso strabiliante dell’amico lo accecava ancora una volta.
Gli battè una mano sulla spalla mentre Minho gli accendeva il lumino.
“Grazie!” esclamò sornione il ragazzo, poi si fece da parte e alle sue spalle comparve Kibum.
Gli strinse un avambraccio gentilmente.
“Grazie.” Gli disse Kibum.
Non gli aveva ancora acceso il lumino.
“A te.”
Poi Kibum si aggrappò al suo collo e rimase un attimo in punta di piedi per sussurrargli all’orecchio: “Vedi di trattarlo bene. Te lo affido.” E sgusciò via.
Dietro di lui, seguiva Jinki.
“La fate spesso questa festa?” gli chiese, guardandosi intorno.
“Ogni anno.”
“Bello. Mi piace qui.”
“E allora rimani.”
“Non so se ci sarà posto, a casa di Jonghyun.”
“Una sistemazione te la troviamo, tranquillo.”
“Mi servirà un lavoro.”
“Si trova anche quello.”
Il lumino era acceso. Lee Jinki gli sorrise.
“Bene. Oramai, la strada sarà tutta in discesa, non è vero?”
“Sì.”
Non appena il viso docile di Jinki svanì dalla sua visuale, finalmente Minho si trovò faccia a faccia con Taemin. Si stupì nel notare che indossava la sua t-shirt grigia troppo grande, quella che gli aveva rozzamente infilato la notte in cui l’aveva trovato sulla spiaggia. Il ragazzo gli porse il suo lumino, le mani bene aperte e gli occhi che non si staccavano da Minho.
“Che c’è?” Gli chiese, malizioso.
“Niente. Guardavo.” Rispose Minho. “Dove l’hai presa quella maglietta?”
“Lo sai benissimo.”
“Voglio sentirtelo dire.”
“L’ho presa dal tuo armadio. Ha il tuo odore.”
Minho sentì una scossa percorrergli la spina dorsale.
“Mi sei mancato da morire.”
“Anche tu. Fai presto.”
Minho annuì mentre Taemin se ne andava, tirandosi su la t-shirt che gli era scesa lungo una spalla.
Scoccò un’occhiata alla fila che ancora aspettava, e decise di darsi una mossa.
 
Dopo una mezz’ora, tutti ebbero il loro lumino acceso, Minho compreso. Insieme ad altri ragazzi della spiaggia, salirono su una barca a remi e iniziarono ad allontanarsi, per posare il primo lumino fra le onde. Tutti li guardavano, trepidanti, un desiderio in ogni cuore.
Minho smise di remare e guardò la spiaggia poco lontana, e tutte quelle lucine tremolanti nella notte. Era sempre uno spettacolo emozionante, ma quell’anno era diverso. E anche Minho non era più lo stesso. C’erano quattro nuove persone che lo aspettavano a riva, persone fondamentali per la sua vita.
Ammirava Jinki per il coraggio che aveva avuto, nel rimanere solo nella tana del lupo per tutto quel tempo, recitando la sua parte, con un solo scopo in mente: aiutare i suoi fratelli quando sarebbe giunto il momento e ingannare il Maestro.
Ammirava la forza di Kibum, la sua anima arguta e la cura che aveva avuto nel prendersi cura di Taemin. Era stato lui a mettere in discussione per primo le parole che gli venivano insegnate, e questo dimostrava la sua intelligenza. Il fatto che ora stesse con Jonghyun poi, non poteva che dimostrare il suo buon cuore.
E poi c’era il suo migliore amico appunto, sempre lì, al suo fianco, come un pilastro che non cede mai.
E infine Taemin.
Posò il suo lumino con cura fra le onde, accertandosi che galleggiasse e non si spegnesse, prima di lasciarlo andare, dolcemente. Chiuse gli occhi, ed espresse il suo desiderio. I suoi compagni di barca fecero lo stesso, e dalla spiaggia si levò un lungo applauso, seguito da risa ed esclamazioni felici. I bambini corsero in acqua, qualche lumino si spense, ma nessuno si perse d’animo. Entravano nell’acqua calda di mezzanotte fino alla vita e spingevano i loro lumini affidandoli alla corrente, che li avrebbe sparsi e portati lontano. Presto il mare non sarebbe più stato oscuro come tutte le notti. Minho osservò con stupore come tutte le spiagge, lungo l’intera costa rilucevano di quell’arancio-dorato, mentre centinaia e centinaia di persone esprimevano i loro desideri e li donavano alle onde.
Toccato, remò per tornare a riva. I suoi amici ancora lo aspettavano.
“Allora, non andate?” chiese loro mentre Taemin lo prendeva per mano.
“Sì, adesso sì.” Gli rispose il ragazzino. Li accompagnò nell’acqua tiepida, scaldata dal sole che aveva battuto tutto il giorno, e li osservò mentre chiudevano gli occhi e poi, delicatamente spingevano i loro lumini il più al largo possibile, attenti a non farli spegnere.
“Fatto.” Esclamò Jonghyun. Poi si voltò verso Kibum, e nella penombra i due si baciarono. Poco lontano, intravide un familiare gruppetto di ragazze che si avvicinavano a Jinki. Riconobbe Yuri. Lui le fece un inchino, e i suoi occhi si illuminarono sotto il saluto gentile del ragazzo. Minho sorrise.
 Taemin stringeva ancora fra le mani il suo lumino. Emise un profondo sospiro, e lo lasciò andare.
Minho lo prese per le spalle e se lo tirò vicino, tirandogli su la maglietta che scivolava da ogni parte.
“Bravo.” Gli sussurrò.
“Minho hyung, voglio stare solo con te.” Quella richiesta era arrivata così diretta e sincera, che Minho non poté obiettare. Silenziosamente, i due uscirono dall’acqua ed iniziarono a risalire la spiaggia. Non avrebbero trovato la calma che cercavano lì, quella notte. Uscirono in strada e si avviarono verso il lungo mare, più deserto del solito. Oltrepassarono il centro, e tornarono, di comune accordo, alla collinetta dove Yuri aveva portato Minho quella volta in cui non era in sé. Insieme, si sedettero sul bordo dello strapiombo, e la vista che ebbero dinnanzi fu a dir poco mozzafiato: un mare di luci danzavano sotto i loro piedi, muovendosi in lunghe file disordinate dalla costa verso il mare aperto, dove il cielo e l’oceano si confondevano perché erano dello stesso colore.
Taemin appoggiò il capo ad una spalla di Minho e il ragazzo gli cinse i fianchi con un braccio, come erano soliti fare anche Jonghyun e Kibum. Sentì Taemin respirare profondamente.
“Ti amo.” Gli disse poi il ragazzino, nessuna esitazione della voce. Minho esitò, ma Taemin lo precedette ancora, e con grande forza lo baciò sulle labbra. Minho allora lo strinse, accarezzandogli il collo, e continuarono a baciarsi senza esserne mai sazi, fino a quanto Taemin non si allontanò per parlare.
“Non ti dimenticherò mai.”
“Nemmeno io, Taemin. Non te ne andare, ti prego.” Il ragazzino si morse le labbra, poi lo baciò di nuovo, e questa volta fu più intenso e le mani iniziarono a viaggiare, lungo i fianchi, nei capelli, sotto le magliette. Si staccarono di nuovo.
“Kibum vuole andare. Noi dobbiamo andare.”
“Allora vengo con te. Sono sicuro che Jonghyun verrà. Andremo tutti insieme.”
“No hyung, non è giusto, voi avete la vostra vita qui.”
“Non ho niente. Voglio venire.” Taemin sospirò e Minho gli prese il viso fra le mani. Lo baciò ancora, a fior di labbra, e chiuse gli occhi per sentire la morbidezza di Taemin e imprimerla nella sua mente.
“Ti amo.” Il ragazzo più piccolo nel sentirlo pronunciare quelle parole per la prima volta, gli si gettò al collo e strinse con una forza che Minho non credeva potesse avere.
“Hyung, non ci metteremo molto, vedrai. Vogliamo solo ritrovare l’orfanotrofio dove è iniziato tutto, per… ricostruire noi stessi, capisci? E’ difficile tornare a vivere, adesso.”
Minho annuì e gli accarezzò la schiena, sentendo la spina dorsale e le ossa dietro alle spalle. “Voglio sapere se i miei genitori sono morti davvero, o se… forse…” Taemin esitò, scuotendo il capo.
“Taemin, io spero davvero che lui abbia mentito.” Taemin sorrise.
“Grazie hyung. Tornerò subito, lo giuro. Sei tu la mia famiglia adesso.”
“Sì, lo so. Lascia solo che ti accompagni.”
“Questa è una cosa che dobbiamo fare soli, noi tre e basta. Ma vedrai, staremo via solo poche settimane e poi saremo di nuovo qui. Sarò qui.” Si guardarono negli occhi. Minho non sapeva dove mettere le mani, aveva così poco tempo e una voglia infinita di esplorare ogni singolo centimetro di Taemin…
Lo baciò e Taemin gli si abbandonò completamente.
“Andiamo a casa, vuoi?” gli chiese. Quelle parole erano troppo eloquenti, per essere fraintese. Il sorriso di Taemin si allargò nel buio. Gettò un ultimo sguardo alle luci sul mare, e sussurrò.
“Si è già avverato. Grazie…”
 
Taemin era sempre stato un passo avanti a Minho, fin dall’inizio, e anche adesso, che i due si stringevano nel silenzio della casa che avevano condiviso per tutto quel tempo, era Taemin a condurre il gioco, incoraggiandolo ad andare avanti. Minho, timoroso, gli tolse la maglietta troppo larga, ricordando le sensazioni che aveva provato quella notte, mentre gliela infilava. Sembrava passato un secolo.
Ora voleva guardarlo e niente al mondo sarebbe riuscito a distogliere i suoi occhi dal corpo esile, dai muscoli solo accennati di Taemin. Lo spinse piano verso la camera da letto, mentre si guardavano negli occhi.
“Non voglio farti male. Voglio solo farti sentire bene. Ti amo.” Disse Minho. Il più piccolo si sedette sul letto e lo trascinò sopra di sé.
“Minho… io non sono vergine. Ti fa schifo la cosa?” il ragazzo rimase un attimo interdetto, non appena comprese il significato di quelle parole scosse violentemente la testa, accarezzandogli le guance. “Scusa, dovevo dirtelo prima, ma non avevo il coraggio.”
“Non fa niente… solo, come… chi?” Taemin abbassò lo sguardo, rabbuiandosi.
“Lui. Ma non mi sono mai nemmeno eccitato con… quell’uomo, capisci? Non era niente. Era solo doloroso. Nemmeno capivo cosa fosse, all’inizio.” Taemin rabbrividì e Minho si impose il silenzio.
Il solo immaginarlo sotto le mani di quello, rischiava di mandarlo fuori di testa, ma ormai era tutto finito. Lo baciò ancora e lo fece sdraiare, mentre si metteva sopra di lui, premendo piano per non pesargli troppo.
“Non mi fa schifo. Ho accettato tante cose di te, accetterò anche questa.” Lo sentì stringergli le mani sulla schiena.
“Ti amo.”
“Anche io.”
“E non lo dico così per dire, giuro.”
Minho rise.
“Lo so. Adesso lascia che te lo dimostri.” Si tolse la maglietta, e per un attimo gli occhi di Taemin viaggiarono sul suo corpo. Il sangue iniziò a pompargli nelle vene quando sentì le mani tiepide di Taemin scorrere dalle sue spalle giù, sul petto fino agli addominali.
“Sei… sei bellissimo hyung.” Minho gli prese le mani e se le portò sul suo collo, mentre si abbassava per baciarlo e accarezzarlo in vita.
“Anche tu.”
“Non userò mai più le mie capacità. Voglio essere una persona normale. Perfettamente normale. Per poter vivere con te.”
“Ora puoi, Taemin. Ora scegli tu. Non c’è bisogno che mi dici niente. Io ci sarò.”
Con un sospiro, il più piccolo si abbandonò completamente alle mani di Minho, chiudendo gli occhi e lasciandosi spogliare, baciare, toccare…
“Hyung” esalò fra i sospiri, non appena fu pronto. Minho lo guardò con il cuore che gli batteva frenetico nel petto.
“Ho… ho il terrore di farti male.” Dichiarò Minho.
Taemin gli accarezzò le labbra con un dito.
“Com’è fare l’amore?” gli chiese, le guance arrossate.
“Non lo so Taemin.”
“Ma come… tu hai avuto tante ragazze prima di me.”
“Appunto. Prima di te, non ho mai amato nessuno. E non… non l’ho mai fatto con un ragazzo.”
“Secondo me è bello. Ho così tanta voglia di sentirti che…” Taemin si morse un labbro e lo baciò, irruento. Minho sentì il suo corpo che si irrigidiva, e capì che ne aveva bisogno. Non era più il tempo degli sguardi, dei sospiri…
Era ora di fare sul serio.
Gli accarezzò le cosce e fece in modo che lui si aprisse di più, per potersi poggiare più comodamente fra di esse. Poi gli prese le mani e le loro dita si intrecciarono ai lati della desta di Taemin, sul cuscino.
“Vedrai, ti farò stare bene. Voglio solo che tu sia felice.” Taemin annuì, gli occhi lucidi ma l’aria determinata e sicura.
“Fammi tuo. Ora che posso scegliere, voglio esserlo, finalmente. Tuo e di nessun’altro.”
Minho si spinse in avanti, dolcemente, sprofondando nel corpo di Taemin che ormai era caldo.
Espansero le loro menti per un’ultima volta, e mentre gemevano insieme, scoprirono cosa significa essere un tutt’uno, mente, anima e corpo.
Mentre le luci inondavano di dolcezza il mare, e il più profondo di quei desideri veniva esaudito.
 
 
 

“Conosci quel suono simile ad un tintinnio, che si percepisce in un posto molto silenzioso? Alcuni dicono che si tratta di una illusione uditiva causata dalla non possibilità dell’orecchio umano di percepire vibrazioni al di sotto delle frequenze sensoriali. Questo, è completamente sbagliato. Quel tintinnio, copre qualcosa. Se sei intelligente, paziente, e magari anche un po’ fortunato, sarai in grado di sentire oltre il tintinnio.
 Quello che sentirai, saranno voci che si sussurrano l’una all’altra. Si zittiranno presto, ma con la pratica diventerà più facile captare e capire ciò che dicono. Allora sentirai cose del passato, cose presenti e cose future. Comunque, devi stare attento. Perché non esiste nulla, come una voce priva di corpo. E quando tu inizierai a notarle, loro inizieranno a notare te.
 
Ma non temere: ciò che imparerai, sarà profondo e selvaggio come le onde del mare, ma non ti nuocerà.
Solo, ti darà qualcosa da amare e da proteggere.
Ti insegnerà che nella vita, non è importante vedere, ma sentire. ”
 
 
 
 
Eyes.
 
 
FINE.


 

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OK RAGAZZI, ECCOCI QUI!!!
Allora, questa storia è davvero così radicata in me, così importante, che porre la parola fine è davvero difficile. Ma che vi devo dire, ci siamo!!
Grazie a tutti quelli che hanno letto, curiosato, commentato, GRAZIE DAVVERO. Spero di non avervi annoiato e di avervi fatto sognare almeno per un po'. Sinceramente, proprio perchè fatico ad allontanarmi da questo racconto, vorrei scrivere una sorta di capitolo 'bonus' però sta a voi dirmi se vi andrebbe o no di leggerlo, sarà un semplice e corto epilogo per chiarire le ultime cose. Comunque domani inizio l'università e quindi... non so davvero, ditemi voi. Per ora metto 'completa'.
Posto perchè sono felice ed ho appena visto il full pv di Dazzling Girl, quindi diciamo che per festeggiare metto questo ultimo capitolo.
Beh che dire, fatemi sapere cosa ne pensate e.... ci sentiamo!
Un'ideuzza per una nuova ff ce l'avrei, ma tra il dire e il fare......
VEDREMO VEDREMO... XD
Grazie ancora a tutti e...... ONCE A SHAWOL, ALWAYS A SHAWOL. *si commuove*

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