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di N3trosis
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Treno in partenza. ***
Capitolo 2: *** In arrivo alla prima stazione. ***



Capitolo 1
*** Treno in partenza. ***


Le luci al neon si accendono con uno scatto metallico, illuminando l’enorme rimessa per le carrozze della metropolitana. Enormi scatole di metallo e lamiera, montata su bulloni arrugginiti e ruote capaci di mordere il ferro. E’ mattina presto, la giornata per molti ancora non è cominciata… ma non per tutti. Una lunga fila di vagoni si muove, prima lentamente, poi sempre più svelta, come a destarsi da un lungo sonno. Il rumore delle rotaie morse a freddo è tremendo, ma nessuno è li per sentire quel grido solitario.
 
Il grande serpente di metallo si snoda nell’oscurità, imboccando un tunnel di servizio per sbucare nella prima stazione.
Sorrido, sotto il mio cappuccio nero. La stazione è deserta… ma come ho già detto, per molti la giornata non è ancora iniziata.
Ma non per tutti. Non per me.
Scelgo accuratamente il vagone. Uno di quelli in coda, ma nemmeno l’ultimo… eccolo. Il mio preferito… un imponente graffito copre buona parte della fiancata, raffigurando un insieme di colori che sicuramente, per il proprio autore, avevano un qualche significato.
Varco la soglia scavalcando quel piccolo vuoto fra la banchina e il gradino.
Il vagone non è ancora illuminato. Meglio così. Mi accomodo su uno dei seggiolini di plastica verde, uno di quelli trasversali che da la schiena al finestrino. Molti, trovando i vagoni vuoti, si mettono appositamente in testa, dove i sedili, di metallo, nuovi, sono singoli, appartati… soli. E se proprio deve scegliere uno di quelli trasversali, si mette di lato, schiacciato contro la porta, come a volersi assicurare che affianco a lui, nel peggiore dei casi, si sieda una singola persona.
No. Io mio siedo volutamente in centro. Davanti a me, una fila identica di sedili mi squadra, presto ospiteranno i sederi dei miei compagni di viaggio.
Le luci si accendono con un ronzio, e io posso sistemarmi meglio sul mio sedile. Accanto a me, poggiato a terra, c’è il mio Bagaglio. E’ grosso e ingombrante, ma riesco sempre a infilarlo nel piccolo spazio fra il sedile e la fiancata, in modo che svetti sopra di me.
Ora il locale è ben illuminato, sorrido. Il motore si riaccende, comincia a scaldarsi… le porte si aprono, i primi passeggeri cominciano a salire.
Sorrido, infilandomi alle orecchie un paio di auricolari bianchi, sotto il cappuccio nero. Non sono collegati a niente, ma la gente tende a non fare caso a te se pensa che non puoi ascoltarla.
Il primo a salire è un uomo anziano, sulla settantina. Bel vestito, cappello, occhiali da vista e barba bianca ben curata… sembra appena uscito da un telefilm.
“Mi… mi scusi… gli ultimi posti come sono?” mi domanda. Vi ho già detto che tutti inizialmente vogliono i posti davanti? E’ anche perché nessuno vuole stare in fondo. In fondo le luci sono sempre un po’ più buie, i posti sono sempre un po’ più disagiati, l’aria più pesante. E’ tutta suggestione. Pensiamo che, in fondo, ci vadano i peggiori. La malagente. Quella che non vuoi avere, come compagna di viaggio. Lo pensano tutti… anche la malagente. Non si siede nessuno, in fondo… solo chi non vuole farsi notare. Come quest’uomo.
Mi accorgo che non guarda me, ma il Bagaglio dietro di me. Gli sorrido. “Vada pure. In questo treno siamo tutti uguali.” Lui mi sorride nervosamente, fa un cenno col capo e si avvicina al fondo del vagone.
 
Entrano altri. Mentre l’Anziano mi chiedeva dove potersi sedere, è salita una coppietta con tanto di figlioletto in fasce, un afroamericano con un paio occhiali dalle lenti blu e una signora sulla sessantina, vestita da un elegantissima pelliccia scura, con tanto di borsetta a tema. Un abito che risulta al mio sguardo piuttosto macabro.  
La coppietta si siede davanti a me, lui affianco a lei, che tiene in braccio l’altro lui. Il piccolo sta ancora dormendo.
La signora impellicciata si siede sempre sul lato opposto al mio, lanciando occhiate di astio verso di me e verso la coppietta, pensando evidentemente che il loro amore sia troppo rumoroso per lei.
Occhilini Blu si siede affianco a me. Ha i capelli raccolti all’indietro, impomatati in uno strato quasi palpabile di gel, annodati alla fine in una treccia intricata.
“Ehi scusa… ma tu l’hai fatto il biglietto?” mi chiede, con tono dubbioso. La sua voce è particolarmente musicale.
Sorrido, togliendomi una delle cuffie dall’orecchio. “No amico… questo è un treno speciale. Niente biglietti.”
Lui sorride, mostrando i denti più bianchi che abbia mai visto, e torna a immergersi nei fatti suoi. Io mi infilo nuovamente la cuffia.

-Plin Plon! TRENO IN PARTENZA PER grhhzSATE: LINEA VERDE.-
La locomotiva comincia a stridere rumorosamente, cominciando a divorare lentamente le rotaie con i suoi denti d’acciaio. I vagoni, anche il nostro, cominciano lentamente a muoversi.
 
Un'altra giornata ha inizio. Anche per me.

[Nota dell'autore: ho revisionato alcuni pezzi.]

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Capitolo 2
*** In arrivo alla prima stazione. ***


Fra una stazione e l’altra c’è sempre uno spazio di tempo durante il quale, tutti noi, siamo chiusi in un limbo. Siamo tutti estranei, dentro questo vagone, ma ci accomunano tante cose. L’odore stantio dell’aria riciclata, lo stridere dei binari sotto il peso dei vagoni, l’oscurità intermittente delle gallerie più profonde, i sobbalzi delle frenate.
Siamo tutti estranei, eppure in quel fascio di lamiere saldate assieme, siamo tutti uguali. Almeno, durante questo lasso di tempo. E’ come se entrassimo in un mondo a parte, solo nostro. Noi siamo tutta la popolazione del nostro mondo, e come tutta la popolazione del mondo, evitiamo accuratamente di entrare in contatto l’uno con l’altro. 
Occhialini fischietta nervosamente affianco a me, mentre la coppia cerca invano di far smettere il bambino di piangere. Il piccolo dormiva beatamente fino a pochi istanti prima, ma il rumore della locomotiva che divora il ferro dei binari era aumentato progressivamente. L’uomo, probabilmente il padre, lo culla con decisione senza smettere di guardare la madre. Questa ha uno sguardo triste ma sereno al tempo stesso, come se si fosse rassegnata.
 
“Volete far smettere di urlare quella … cosa?” esclama irritata la Pelliccia, la donna anziana vestita con un intera volpe scuoiata, assieme a tanti altri animaletti.
“Se fosse stata mia figlia, le avrei impartito la disciplina a suon di schiaffoni!” borbotta, guardando con astio i due. Ma questi non la sentono neanche, impegnati come sono. E forse non è che un bene.

Occhialini mi tira lievemente la manica della felpa nera, richiamando la mia attenzione. Mi tolgo per la seconda volta una cuffia, fingendo di non aver sentito nulla del rumore di quel vagone.
“Scusami, non voglio disturbarti ma… sai mica qual è la prossima fermata?”  Occhialini ha un sorriso imbarazzato, è la seconda volta che, secondo lui, interrompe la mia musica.
Ma meglio che non sappia che era proprio quella, la mia musica.
Per un attimo guardo con attenzione lo schema a linee colorate che indica il nostro tragitto. Le stazioni sono segnate come puntini bianchi lungo una lunga linea verde disegnata su di un pannello luminoso, accanto al portello. 
“La prossima stazione è… la sua.” Rispondo, indicando con sicurezza uno dei compagni di viaggio più silenziosi di tutti. E’ un omino piccolo, avvolto da una giacca smunta verde militare. Ha gli occhietti piccoli e ravvicinati, e non è per niente a suo agio, lo si può intuire senza nessun problema. Occhialini mi guarda senza capire, ma io chiudo la discussione con un sorriso e torno ad ascoltare la mia musica fantasma. E’ un tipo simpatico Occhialini… forse pensa che lo stia solo prendendo in giro, come piccola vendetta.  Infatti mi sorride in dietro e torna a fischiettare fra se e se.
 
Tutte le stazioni richiedono un certo lasso di tempo, per essere raggiunte. Non è ne un lasso di tempo lungo ne troppo breve, ma giusto, misurato al millimetro. E ogni stazione è speciale: è l’arrivo di qualcuno, il raggiungimento del tanto ambito traguardo… o semplicemente uno scalo, per cambiare treno, linea, destinazione…
Tutte le stazioni richiedono un certo lasso di tempo, tempo che per noi, è giunto al termine.
-Plim Plom… STAZIONE DI fzzzzMAGOSTA. LE PORTE SI APRIRANNO SULLA DESTRA-
Sento Occhialini imprecare, la scarica statica ha reso irriconoscibile il nome della stazione, dal messaggio chiocciato dagli altoparlanti del vagone. Sospiro, chiudendo appena gli occhi, godendomi la sensazione del treno che rallenta, la spinta in avanti che ne deriva e, perché no, anche quello dei freni che si impennano per fermare la nostra corsa.
Ma non sono solo io ad aspettare questo momento…
La donna impellicciata si alza stizzita, invenendo con voce gracchiante contro quel povero figlio, la cui unica colpa è di non sopportare la canzone del metallo.
L’uomo dalla giacca verde si alza in piedi, come un fulmine, avventandosi sulla donna e strappandole di dosso la borsetta di pelliccia. La sottile cinghia di cuoio e stoffa si lacera a una delle due estremità, lasciando cadere l’ex proprietaria donandosi come una puttana al ladro. Tutti gli occhi sono puntati sull’uomo, qualcuno si alza. Anch’io, e non so nemmeno il perché.
Le porte del vagone si aprono, come promesso, sulla destra, e l’uomo si avventa verso l’uscita.
Io sono di mezzo. Per un istante, un solo minuscolo istante, i nostri sguardi si incrociano. E allora la cerco. Cerco quella piccola scintilla d’odio, di malvagità che possa averlo spinto a una simile azione.
Ma non la trovo. Leggo solo una forte disperazione, e una paura incredibile. Ci leggo il sapore della fame e delle lacrime. Ci trovo l’amore per qualcuno a cui dover badare.
Mi sposto di lato.
Non ho trovato nulla che possa giustificare l’azione compiuta. Nulla che possa giustificare il male arrecato a un'altra persona… ma nemmeno nulla che io possa condannare. E così mi sposto di lato.
Mi sfreccia accanto, senza rallentare di un secondo. Le porte si chiudono dietro di lui con un sibilo angosciante, come la lama di una ghigliottina che cala inesorabile.
Torno a sedermi, osservando la donna ancora seduta a terra, a prima vista illesa. Il lui della Coppietta si alza dal suo sedile, affidando il pargolo al braccio della sua lei, chinandosi verso l’anziana Impellicciata chiedendole cortesemente come stava, porgendole la mano per aiutarla ad alzarsi.
La donna è in evidente stato si shock, ma riesce a rialzarsi.
“Come facevi a saperlo?” mi domanda Occhialini, questa volta senza nemmeno tirarmi la manica, o per fare qualsiasi cosa per attirare la mia attenzione. Se stessi davvero ascoltando qualcosa, non lo sentirei. Invece mi poso l’indice davanti alle labbra, sorridendo tranquilla.
Il piccolo ha smesso di piangere e si è appisolato fra le braccia della madre.
 
 
 Tutte le stazioni richiedono un certo lasso di tempo, per essere raggiunte. Chissà quanto manca per arrivare alla prossima?

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