Giudizio

di rossellina
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1 ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2 ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3 ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4 ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5 ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6 ***
Capitolo 7: *** Capitolo 7 ***
Capitolo 8: *** Capitolo 8 ***
Capitolo 9: *** Capitolo 9 ***
Capitolo 10: *** Capitolo 10 ***
Capitolo 11: *** Capitolo 11 ***
Capitolo 12: *** Capitolo 12 ***
Capitolo 13: *** Capitolo 13 ***
Capitolo 14: *** Capitolo 14 ***
Capitolo 15: *** Capitolo 15 ***
Capitolo 16: *** Capitolo 16 ***
Capitolo 17: *** Capitolo 17 ***
Capitolo 18: *** Capitolo 18 ***
Capitolo 19: *** Capitolo 19 ***
Capitolo 20: *** Capitolo 20 ***
Capitolo 21: *** Capitolo 21 ***
Capitolo 22: *** Capitolo 22 ***
Capitolo 23: *** Capitolo 23 ***
Capitolo 24: *** Capitolo 24 ***
Capitolo 25: *** Capitolo 25 ***
Capitolo 26: *** Capitolo 26 ***
Capitolo 27: *** Capitolo 27 ***
Capitolo 28: *** Capitolo 28 ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1 ***


 Avvocato Whitlock, a lei la parola– disse il giudice aprendo il fascicolo.

-Grazie Vostro Onore. Chiamo a deporre il mio assistito, il signor Cullen- disse l'avvocato.

Edward Cullen, ventisette anni, occhi verde smeraldo, capelli bronzei e spettinati, carnagione chiara, barba accennata e fisico da urlo, si alzò dal tavolo degli imputati e si diresse alla sedia accanto al scrivania del giudice.

-Signor Cullen, ci vuole raccontare gli avvenimenti di venerdì scorso?- Chiese l'avvocato Jasper Whitlock, un principe del foro appena trentenne, biondo e occhi azzurri. Nulla da invidiare a Cullen in fatto di prestanza fisica.

-Lo scorso venerdì sono uscito con due vecchi amici di liceo e di college- rispose Cullen.

-I due sono presenti in quest'aula?- domandò l'avvocato.

-Sì- fece di rimando Cullen –sono Mike Newton e Ben Chevy, lì seduti-

-Continui signor Cullen- esortò l'altro.

-Ci siamo incontrati a casa di Newton per vedere una partita di football e bere birra. Finita la partita abbiamo deciso di uscire e andare in qualche pub a tirare tardi- proseguì Edward.

-Quante birre avevate bevuto a testa?- volle sapere Jasper.

-Sono sicuro di averne bevute almeno quattro. Quelle degli altri non le ho contate- rispose l'imputato.

-E poi cosa avete fatto dopo aver bevuto e aver visto la partita?-

-Siamo andati in un pub appena fuori la zona universitaria di Seattle. Joe's mi pare si chiamasse il locale. Siamo entrati e abbiamo ordinato dell'altra birra e abbiamo giocato a freccette-

-Poi?- chiese l'avvocato come se sentisse per la prima volta quella storia.

-Mentre io e Mike continuavamo a giocare, Ben si è allontanato per andare a prendere altre birre per tutti e tre. Quando è ritornato era in compagnia di una ragazza. Dopo ce l'ha presentata come Angela Weber.- rispose Cullen guardandolo negli occhi.

-Signor Cullen, lei conosceva già la signorina Weber?-

-Subito il nome non mi diceva nulla. Poi ho realizzato che anche lei era una studentessa del liceo in cui andavamo anche noi a Forks-

-Come faceva a non riconoscerla signor Cullen? Avevate pur sempre frequentato lo stesso liceo in una cittadina di provincia come Forks!- chiese con meraviglia Jasper.

-Bè … Angela è più piccola di me. Di un anno almeno. Ricordo che era la figlia del pastore, ma con la mia famiglia non ho mai frequentato la chiesa locale. E a scuola, e fuori, frequentavamo altre persone. Non ci siamo mai neanche parlati credo.- rispose Edward con sincerità.

-E poi cosa ci può ancora raccontare di quella sera?- incalzò l'avvocato.

-Io e Mike siamo usciti per fumarci una sigaretta. Mentre eravamo all'esterno, un ragazzo ci ha offerto delle sigarette. Le nostre le avevamo lasciate a casa di Mike. Ricordo che Mike ha detto sì e poi ce le siamo accese. Poco dopo ci hanno raggiunti anche Ben e Angela- Edward si interruppe e guardò Jasper. Questi gli fece segno con la mano di continuare.

-A me girava la testa e ho visto Mike dondolare avanti e indietro. Poi l'ho visto appoggiare le mani sul petto di Angela come se cercasse di non cadere e Ben stringerla per la vita, forse per sorreggerla. Poi ho cominciato a sentire delle urla e qualcuno che mi spingeva da una parte sbattendomi contro il muro. Ricordo delle forti luci e dei poliziotti che mi parlavano ma non riuscivo a capire molto di quello che dicevano. So di essermi svegliato il giorno dopo in una cella-

-Quindi lei non ricorda nulla di quello che è successo all'esterno del locale?- domandò Jasper a conferma.

-No, nulla- rispose Edward.

-Non ricorda nulla di quello che ha detto o fatto alla signorina Weber in quella circostanza?- insistette Jasper.

-No. Nulla di nulla- enfatizzò Edward

-Il giorno, quando si è svegliato in cella, cosa le hanno detto?-

-Mi hanno detto che ero in arresto per tentato stupro-

-E poi?-

-Poi mi hanno schedato, fatto le analisi delle urine e interrogato-

-Cosa è risultato dalle analisi?-

-Avevo fumato cocaina senza saperlo-

-Ha tentato di stuprare la signorina Weber?-

-No! Assolutamente no! Non mi sono neanche avvicinato a lei!-

-E' vero che l'ha molestata verbalmente?-

-Sinceramente non ricordo. Mi sembrava di essere staccato dal mio corpo in quel momento. E se ho detto qualcosa non l'ho detto con l'intenzione n'è di offendere lei n'è di offendere nessun altro.-

-Vuole aggiungere qualcosa?- chiese Jasper

Edward volse per la prima volta lo sguardo verso Angela Weber. La guardò con tenerezza. -Voglio solo chiedere scusa a chiunque perchè se ho detto qualcosa di spiacevole o ho fatto qualcosa di spiacevole. Non era mi intenzione offendere nessuno in quella circostanza. Non avevo mai fumato niente di diverso dalle sigarette prima di allora. Se non fosse stata per la droga e per le troppe birre bevute sono sicuro che non ci troveremmo qui. Mi dispiace veramente di non essermi comportato da uomo-

Edward volse poi lo sguardo al di là dei suoi amici e vide sua madre che stringeva la mano di suo padre.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2 ***


 

Buonasera a tutte! E' stata una sorpresa vedere che avete apprezzato questa storia. Ne sono veramente felice. E anche le recensioni … grazie di cuore! Ho deciso di postare un nuovo capitolo. Siamo ancora agli inizi della storia . Sto ancora delineando i personaggi e la trama. Vi lascio al capitolo. Buona lettura e grazie a tutte!

 

 

CAPITOLO 2

 

Bene. Riprendiamo- esordì il giudice. -Signor Whitlock ha terminato con il suo assistito?-

-Si, signor giudice- rispose educato.

-Bene, la parola all'accusa. Avvocato Dwyne, prego-

-Grazie signor giudice. Ma lascerò fare alla mia assistente, l'avvocato Swan- rispose Phil Dwyne.

-Per lei va bene avvocato Whitlock?- chiese il giudice.

-Nessun problema- rispose questi.

-Bene, procediamo. Prego signorina Swan- e così dicendo il giudice si accoccolò sulla sua poltrona.

-Signor Cullen, lei sostiene che della sera in questione si ricorda poco o nulla. Soprattutto degli avvenimenti di cui è accusato. Esatto?- iniziò lei.

-Esatto. Soprattutto dal momento del pub a quando mi sono risvegliato in cella.-

-Esattamente, lei sa di cosa è accusato?-

Edward guardò un attimo Jasper e questi gli rispose con un cenno di assenso.

-Si. Sono accusato di molestie verbali, di favoreggiamento in tentato stupro e di tentato stupro.-

-E lei sostiene di non aver fatto consapevolmente nulla di quello che le si accusa perchè sotto l'effetto di alcool e stupefacenti, giusto?-

-E' la verità-

L'avvocato Isabella Swan, bruna ventiseienne, si avvicinò al banco dell'accusa e prese dei fogli.

Ne passò uno all'avvocato Whitlock e mentre raggiungeva la scrivania del giudice, disse:

-Questi sono i verbali controfirmati di chi si trovava al pub quella sera. Signor Cullen, vorrei che lei leggesse a questa corte quello che hanno dichiarato alcuni testimoni in merito agli eventi di quella sera. La prego di leggere la parte evidenziata.- e così porse alcuni fogli a Edward.

-Ho visto il ragazzo biondo e quello moro (Mike e Ben nda) che cercavano di abbracciare la ragazza.- Edward iniziò a leggere. -Prima lei rideva poi improvvisamente cercava di scansarli ma loro le si stringevano sempre più addosso. E quando ha cominciato ad urlare mi sono avvicinato per vedere se aveva bisogno di aiuto e ho visto che si teneva le mani sui seni e il moro aveva la sua maglietta strappata fra le mani. Sono accorsi altri ragazzi e abbiamo bloccato i due. E poi è uscita una barista che ha subito aiutato la ragazza che nel frattempo era caduta a terra in lacrime. Poi sono arrivati i poliziotti.-

-Bene signor Cullen. Ora legga la parte evidenziata nel secondo foglio.-

-C'era il ragazzo dai capelli rossi che diceva cose orribili. Le diceva che sapeva con certezza che lei aveva avuto rapporti con tutta la squadra di football del liceo e aveva messo in giro la voce che lui era impotente perchè era l'unico con cui non era stato. Le ha dato della puttana più volte e che era una persona che non meritava di stare su questa terra perchè era brutta e con il tempo era anche peggiorata. Era vomitevole. Non sarebbe stata neanche decente per divertirsi. Un morto sarebbe stato meglio.-

Edward terminò di leggere il secondo foglio.

-Mi dica signor Cullen. Lei non ha visto cosa stavano facendo i suoi amici?-

-A me sembrava che si stessero sorreggendo uno con l'altro.-

-Sapeva quali erano le loro intenzioni?-

-No, altrimenti li avrei fermati-

-Anche sotto l'effetto di alcool e droga?-

-Avrei cercato di fare qualcosa, anche solo chiamare aiuto. Se pensavo le volessero fare male, avrei cercato di fare qualcosa per fermali.-

-E invece che fermarli, ha ben pensato di insultare una ragazza che stava per subire violenza?-

-Obbiezione!- saltò dalla sua sedia Jasper -Non ho ancora capito dove vuole arrivare l'avvocato dell'accusa. E poi il signor Culler non era in sé in quel momento-

-Ed è proprio qui che voglio arrivare!- rispose Isabella rivolgendosi al giudice – Se mi permette di continuare su questa linea avrà fra poco chiaro del perchè-

Il giudice guardò prima Jasper e poi Isabella. -Respinta- sentenziò. -Prosegua avvocato ma arrivi al dunque velocemente-

-Grazie.- e poi rivolgendosi ad Edward – Signor Cullen, si ricorda di quando era al liceo?

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Capitolo 3
*** Capitolo 3 ***


Salve a tutte! Dire che vi ringrazio è poco. Grazie che apprezzate la mia storia e grazie per i preziosi suggerimenti. Come avrete notato, i miei capitoli non sono molto lunghi, per questo ho deciso di postare un paio di volte alla settimana. Non mi dilungo ulteriormente. Buona lettura!

 

CAPITOLO 3

 

-Si, mi ricordo- rispose Edward e qualcosa di indistinto gli fece accapponare la pelle della schiena.

-Si ricorda che tipo di studente era al liceo?-

-Obbiezione!- disse Jasper – cosa c’entra questo con le accuse mosse al signor Cullen!-

-Perché il signor Cullen sta mentendo- rispose Isabella guardando Edward negli occhi. Edward cominciò a sudare freddo.

-Respinta- affermò il giudice.

-Signor Cullen- proseguì Isabella –o lei è dedito all’uso di stupefacenti dal liceo o è una persona che è dedita a molestie verbali e non solo dal liceo. Quale delle due è la giusta?-

Edward non rispose subito. Non sapeva che dire perché sapeva che una delle due era la verità. Guardò per un attimo i suoi genitori e vide suo padre, con la faccia più dura del marmo, circondare le spalle di sua madre che aveva le lacrime agli occhi.

-Signor Cullen- continuò Isabella – si ricorda di quando, al liceo, in sala mensa più volte ha fatto presente alla mia cliente, la signorina Weber, e non solo a lei, che era una persona dall’aspetto orribile. Che, cito testimonianze dell’epoca ed utilizzando un linguaggio meno scurrile del suo, “una fossa biologica era migliore, sia nell’aspetto che nell’odore. Che nessuno l’avrebbe neanche pagata per farci sesso?-

Silenzio. Edward abbassò lo sguardo.

-Signor Cullen, faceva uso di sostanze stupefacenti in quel momento?-

Silenzio.

-E’ vero che durante le lezioni di ginnastica lei, il signor Newton e il signor Chevy, entraste nello spogliatoio delle ragazze e cercaste di importunare proprio la mia cliente mentre era sotto la doccia?-

Silenzio.

-Ed è vero che fu “allontanato” dalla sua stanza al college per essere trasferito in un altro dormitorio perché continuava a importunare le ragazze di altre stanze?-

Silenzio.

-Signor giudice, quando uso la parola “importunare” è un eufemismo che indica la dichiarata volontà del signor Cullen e degli altri due imputati di voler abusare di alcune ragazze, contro il volere di queste che, nel caso, sono disposte a venire a testimoniare nei confronti degli imputati-

Edward continuava nel suo mutismo e a tenere gli occhi bassi.

Isabella continuava a guardarlo e fare domande.

-Signor Cullen, sto aspettando una risposta. Ha tutto il diritto di replicare alle mie affermazioni se sono errate- sentenziò Isabella continuando a guardarlo.

Edward alzò gli occhi e vide suo padre accompagnare sua madre fuori dall’aula. Quando la porta si chiuse, loro non si era girati prima di uscire. Era solo. Solo con le sue colpe. Solo.

Per la prima volta in vita sua decise di essere coraggioso da solo.

-Quella sera- iniziò Edward guardando in basso –avvenne tutto per caso. Cogliemmo solo l’attimo che ci si presentò. Mentre eravamo nel pub, notammo una faccia nota, Angela. Ben partì con l’intenzione di parlarle. E quando li vedemmo arrivare assieme pensammo che ci saremmo divertiti con lei. C’eravamo anche scambiati il nostro segnale abituale per queste cose. Tutti e tre sapevamo che quella sera avremmo fatto sesso con lei. Non era l’alcool a guidarci. Sapevamo cosa stavamo per fare. L’avevamo già fatto altre volte.-

-Avevate già fatto altre volte cosa, signor Cullen?- domandò Isabella.

-Cercare di obbligare una ragazza a fare sesso con uno di noi. Lo faceva solo uno dei tre così la ragazza non poteva dire di essere stata violentata perché se no sarebbe stato stupro di gruppo. Ma quella sera avevamo fumato, cosa che non facevamo mai.- disse mesto Edward.

-E’ vero che ha inveito contro la mia cliente?- volle sapere Isabella.

-Sì. E l’ho fatto anche quando eravamo al liceo. L’ho sempre fatto con le ragazze.-

-Signor giudice- si alzò Jasper –chiedo una sospensione dell’udienza per poter parlare con il mio cliente-

-Accordata. Visto le ultime dichiarazioni, i tre imputati vengano condotti in celle separate fino alla prossima udienza. Avvocati, accomodatevi nel mio ufficio- disse il giudice alzandosi dalla sua sedia.

Anche Edward si alzò e guardò Isabella dritto negli occhi. La guardò con dolore. E poi fu accompagnato da una guardia insieme agli altri in cella.

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Capitolo 4
*** Capitolo 4 ***


CAPITOLO 4

 

Quando Jasper arrivò, trovò Edward seduto in angolo della cella, con la testa fra le ginocchia, le braccia a ripararlo.

Edward volse appena lo sguardo per vedere chi stesse entrando e poi tornò nella sua posizione di difesa.

-Ok, non ti sto a dire che sei stato un vero coglione a parlare senza che ne sapessi nulla e soprattutto perché non mi hai detto tutto! Sono il tuo avvocato cazzo! A me dovevi dire come erano andate le cose veramente. Mi hai mentito Edward!- sibillò Jasper.

Edward alzò il capo e lo appoggiò alla fredda parete alla sua sinistra.

Chiuse gli occhi e disse:

-Se ne sono andati-

-Chi?-

-Mamma e papà. Se ne sono andati senza neanche guardami-

Jasper continuava a guardarlo tacendo. Sapeva che era il momento delle confessioni. Edward ne aveva bisogno. E lui, come suo avvocato, suo amico, suo cognato, l’avrebbe ascoltato. Probabilmente non avrebbe più potuto fare nulla per lui; la prigione era ormai una garanzia. Ma poteva ascoltare e conoscere per la prima volta l’Edward che aveva davanti. Un uomo distrutto dai suoi stessi comportamenti.

-Non mi sono laureato, e li ho delusi. Ho sempre vissuto alle spalle della mia famiglia, e li ho delusi. Ho consapevolmente fatto del male, e li ho delusi. Ma non so se sono deluso io del mio comportamento. Non so se quello che provo in questo momento è delusione-

Silenzio. Poi Edward si volse verso Jasper.

-Se puoi, di ai miei genitori che mi dispiace. Qualunque cosa succeda non voglio che intervengano in nessun modo. Voglio essere solo in questa cosa e anche per quello che succederà poi-

-E’ la tua famiglia Edward, non ti abbandonerà-

-Lo faranno e a ragione. Ero tutto per mia madre. Anche più di Alice. Lei non verrà più e voglio che sia così. Non dire niente se non ti chiederanno niente-

-Edward ora sei sconvolto ecco perché parli così. Vedrai che saranno lì alla prossima udienza- disse Jasper.

-Si, sono sconvolto. Sto realizzando quello che ho fatto. Non saranno lì la prossima volta ma se dovessi sbagliarmi, falli allontanare. Non li voglio lì.-

-Edward, ascolt …-

-Jasper promettilo! Tieni lontano mia madre e mio padre da quell’aula la prossima volta. In qualunque posto mi spediscano, impediscigli di venirmi a trovare. Te lo chiedo da amico e da cognato. Tieni lontano la mia famiglia da me- disse Edward accorato.

Jasper non potè fare a meno di assentire con la testa e uscì dalla cella.

 

Il giudice si accomodò e:

-Bene. Alla luce delle dichiarazioni del signor Cullen, sono pronto a emettere la sentenza. Prima però vorrei far partecipe gli imputati del mio profondo disgusto nei loro confronti. Ragazzi giovani che meriterebbero di essere messi in carcere a vita. Siete paragonabili ai peggiori criminali di guerra. Avete consapevolmente offeso, umiliato, discriminato delle persone che non avevano nessuna colpa se non quella di trovarsi sul vostro cammino. Siete veramente un disonore per il genere umano-

Il giudice guardò i tre imputati.

-Signor Chevy e signor Newton. Questo è un procedimento arbitrale e non ho intenzione di giudicarvi io per il reato di tentato stupro. Per questo rimetto il giudizio al tribunale penale. Sarete giudicati da un giuria che spero non abbia pietà di voi ma che vi condanni al massimo della pena-

Poi si rivolse al tavolo dell’accusa.

-Signorina Weber. Mi dispiace imporle di rivangare certi ricordi, ma la prego di essere coraggiosa così come lo è stata durante questo processo. Sarà mia premura far avere al tribunale penale tutta la documentazione prodotta e una mia memoria in merito all’arbitrato così da non doverla coinvolgere troppo. Sinceramente non so come comprendere cosa ha passato e cosa sta affrontando ora. Posso solo immaginarlo e sono sicuro che la mia immaginazione non si avvicini neanche alla realtà. Mi dispiace dal profondo. Confido che l’accusa porti ulteriori testimonianze di altre ragazze per incriminare gli imputati-

Gli avvocati dell’accusa annuirono.

Il giudice proseguì.

-Agenti, prendete in custodia il signor Newton e il signor Chevy. Fino all'inizio del processo decreto che rimangano in cella senza possibilità di uscire su cauzione. Prego, procedete-

Due agenti si avvicinarono e ammanettarono i due, per poi scortarli fuori dall'aula.

Poi il giudice si rivolse ad Edward.

-Signor Cullen. Dei tre certo lei non è il migliore. Ma ha parlato. E spero lo farà anche al processo contro i suoi amici. Per lei emetterò sentenza. La condanno a due anni per il reato di favoreggiamento in tentato stupro e molestie. Verrà rinchiuso in un carcere di minima sicurezza.-

Il giudice uscì dall’aula. 

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Capitolo 5
*** Capitolo 5 ***


Per prima cosa, vorrei ringraziare tutti voi. Ringrazio chi ha recensito, per chi sono tra i preferiti, i ricordati,i seguiti e chi legge.

Poi vorrei scusarmi per le inesattezze; non sono pratica di leggi e tribunali né italiani e né stranieri.

Non mi dilungo oltre. Solo … buona lettura!

 

CAPITOLO 5


 

Jasper si era svegliato presto quel venerdì mattina. Quel giorno non aveva nessun appuntamento in studio, quindi aveva optato per fare ciò che rimandava da ormai troppo tempo. Non si era vestito con particolare cura; un jeans scuro e una polo acqua marina gli sembrarono perfetti. Aggiunse le sneakers nere e una giacca dal taglio classico. Si guardò allo specchio e pensò che sembrava si un avvocato, ma appena uscito da Harvard. Alice sarebbe stata orgogliosa di come si fosse abbigliato.

Fece colazione con calma. In casa era da solo. Alice era andata a trovare i suoi genitori a Forks e lui l'avrebbe raggiunta nel pomeriggio appena terminato il suo impegno. Aveva un importante viaggio da fare ed era meglio mettersi in marcia.


 

Ed ora Jasper si trovava nel parcheggio davanti al carcere. L'alta recinzione di filo spinato incuteva un po' di timore. Ma ormai era lì e doveva entrare.

Erano passate due settimane da quando il giudice avevo decretato che Edward scontasse la sua pena in un carcere di minima sicurezza. Era stato mandato a Port Angeles, dove si trovava una struttura appena rimodernata poco fuori la zona portuale.

Per tutto il tragitto, Jasper aveva pensato cosa dire ad Edward.

Quest'ultimo non si era mai fatto sentire e né aveva richiesto la visita del suo avvocato. In genere è quello che fanno tutti i detenuti appena rinchiusi per sapere cosa si può ancora fare. Ma Edward no. Aveva mantenuto la sua linea. Doveva scontare la sua pena e non voleva più nessuno di loro.

Jasper si era più volte chiesto se era ancora il suo avvocato. Formalmente Edward non aveva fatto rinuncia alle sue prestazioni. Forse non voleva proprio tagliare i ponti con la sua famiglia.

Forte di questo pensiero, suonò alla portone blindato d'ingresso e si presentò alle guardie di sicurezza e fu fatto accomodare all'accettazione.


 

-Buongiorno, sono l'avvocato Whitlock. Vorrei parlare con il mio cliente. Edward Cullen.- disse Jasper alla guardia che stava dietro la parete divisoria di vetro antiproiettile.

L'agente digitò qualcosa sulla tastiera del pc e poi si rivolse a Jasper:

-Non ci risulta nessuna richiesta di incontro con il signor Cullen.-

-Lo so, ma è una cosa urgente. Essendo il suo legale non ci dovrebbero essere problemi a presentarmi senza preavviso.-

-Assolutamente no. Gli avvocati si possono presentare anche nel cuore della notte se necessario.- ribattè l'agente -Comunque dovrà attendere l'arrivo del suo assistito. Manderò subito qualcuno a recuperarlo. Se vuole accomodarsi nella stanza 3.-

-Grazie.- rispose Jasper oltrepassando la porta in metallo che nel frattempo gli avevano aperto. Poi oltrepassò il metal detector e fece passare anche la sua borsa. Pur essendo un carcere di minima sicurezza, era normale essere scansionati per evitare di far entrare armi o oggetti contundenti.

Passato l'esame, Jasper si accomodò nella sala 3 e aspettò.

Dopo dieci minuti, due guardie entrarono conducendo un Edward molto trasandato e in manette.

-Perchè è ammanettato?- chiese Jasper con stupore.

-Il signorino fa il difficile. Non voleva venire da lei. L'abbiamo dovuto trascinare con la forza. Se vuole un consiglio, meglio che rimanga ammanettato al tavolo- disse uno degli agenti.

-Si, lo penso anch'io- disse Jasper.

Dopo aver ammanettato Edward al tavolo, i due agenti uscirono.

Jasper scrutò Edward con minuzia. Era spettinato e aveva profonde occhiaie. Sembrava che non si facesse la barba da svariati giorni e forse non si lavava neanche da svariati giorni. La tuta arancione che indossava, dotazione del carcere, era sgualcita e anche macchiata.

Jasper ne rimase turbato. Di solito Edward era molto attento alla sua persona, quasi maniacale. “No”, pensò Jasper “non va affatto bene”.

Edward era seduto ma era molto nervoso. Non riusciva a far star ferme le gambe e i suoi occhi vagavano per tutta la stanza senza mai soffermarsi su Jasper.

-Come stai Edward?- chiese Jasper. Improvvisamente tutto quello che aveva pensato di dirgli gli sembrava fuori luogo.

-Perchè sei qui? Il processo sta per iniziare?- rispose Edward eludendo la sua domanda.

-Sì, tra due settimane. Ho parlato con il signor Dwyne, l'avvocato dell'accusa, secondo lui non ci sarà bisogno della tua testimonianza perchè il memoriale del giudice del procedimento arbitrale è sufficiente. La difesa dubito che ti voglia a testimoniare. Rischieresti di peggiorare la situazione degli altri due.-

-E perchè sei qui allora?- rispose Edward con isteria.

-Perchè sono tuo amico?- domandò Jasper con supponenza.

-Non ho amici-

-Invece si, ne hai uno. E hai anche una famiglia che è molto preoccupata. Alice ed Emmett vogliono sapere come stai. Continuano a chiedermi se ti ho sentito. Ma in due settimane non ho mai ricevuto una tua chiamata. Hai tutto il diritto di parlare con il tuo avvocato anche tutti i giorni se vuoi. Ma tu niente. Ed il fatto che oltre ad essere il tuo avvocato, sono anche tuo amico mi ha spinto a prendere l'iniziativa-

Edward trasse un profondo respiro e disse:

-Non conosco nessuna Alice e nessun Emmett-

Ok Edward” pensò Jasper “se vuoi fare l'idiota mi metterò alla tua altezza. Sei ammanettato e quindi mi devi per forza ascoltare”

-Da quando ti sei dato dal melodramma? Smettila Edward!-

-No, smettila tu! Non ti ho chiesto di venire e non dovevi venire. Non ti voglio qui. Non voglio nessuno qui. La mia vita non riguarda più nessuno di voi- rispose Edward con gli occhi fuori dalle orbite e guardando per la prima volta Jasper in faccia da quando era entrato in quella stanza.

-Ok, la smetto solo dopo che ti avrò detto quello per cui sono venuto. Sei un idiota. Hai sbagliato e stai pagando. E quando uscirai di qui pagherai ancora. Soprattutto continuerai a fare i conti con te stesso. Non vuoi avere più a che fare con la tua famiglia? OK! Ma tira fuori le palle e va davanti a loro e diglielo guardandoli negli occhi. Questo glielo devi-

Jasper ed Edward si guardarono per diversi minuti negli occhi senza dire niente. Scrutarono le loro iridi nella speranza che qualcuno dei due parlasse. Alla fine Jasper si alzò e prese la sua valigetta. Si voltò e si diresse alla porta pronto ad uscire. Mentre faceva tutto ciò pensò che probabilmente quella era l'ultima volta che vedeva Edward perchè lui non sarebbe più tornato se Edward non glielo avesse chiesto.

Stava per suonare per farsi aprire quando:

-Ho bisogno di un favore- disse Edward.

Jasper si girò.

-Ho bisogno di parlare con l'avvocato Swan-

Jasper suonò e quando la guardia gli aprì la porta, prima di uscire assentì alla richiesta di Edward.

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Capitolo 6
*** Capitolo 6 ***


CAPITOLO 6


 

Era un giovedì mattina presto, piovigginoso e freddo. Un taxi si fermò di fronte ad un complesso di uffici in centro. Ne scese una donna di mezz'età che velocemente entrò dentro un edificio attraverso una porta girevole per poi incamminarsi verso gli ascensori. Ne uscì pochi minuti dopo al sedicesimo piano.

Splendida come sempre nel suo tailleur Chanel avorio, con i capelli color caramello freschi di parrucchiere e il trucco impeccabile, la donna si fermò di fronte alle porte a vetro satinato che portavano l'indicazione dello studio legale Dwyne & Ford. Non sapeva ancora se quella era una scelta giusta. Ma ci doveva provare.

Entrò con un sorriso radioso all'interno dello studio e si avviò alla reception dove si trovavano due giovani ragazze. Una di queste le sorrise nel vederla avvicinarsi.

-Buongiorno. Come posso aiutarla?- le chiese gentilmente.

-Buongiorno. Sono Esme Cullen. Vorrei parlare con l'avvocato Isabella Swan. Non ho un appuntamento. Posso aspettare se è impegnata.- disse tutto d'un fiato.

-La faccio accomodare e vado a chiedere- rispose la ragazza.

-Grazie- fece di rimando Esme.

Si mise seduta e pensò a quanto era disperata. Disperata e nervosa al tempo stesso. Stava disperatamente cercando di apparire tranquilla per fare una buona impressione più su se stessa che su gli altri. Aveva un disperato bisogno di tranquillità. E tutto quello che era successo in quel mese l'aveva resa talmente nervosa che a volte scoppiava a piangere senza motivo. Chiedeva scusa in continuazione a suo marito per questo, e lui teneramente l'abbracciava. Ma ora non doveva sembrare né disperata e né nervosa perchè, forse, quello che stava per fare era assurdo.

Ma in tutto quel macello vedeva questa giornata come la sua unica speranza. Non lo sapeva nessuno che era lì. Né suo marito Carlisle, né i suoi figli e né tanto meno l'avvocato di famiglia, suo genero Jasper.

La ragazza sopraggiunse dopo pochi minuti seguita da un'altra persona.

-Buongiorno signora Cullen. Mi chiamo Jane e sono l'assistente dell'avvocato Swan. La signorina Swan è stata avvisata che lei è qui ma in questo momento è dovuta andare ad una riunione già programmata e ne avrà per un'ora almeno. La riceverà appena avrà finito. Vuole aspettare o preferisce ritornare più tardi?- chiese la donna.

-Preferisco aspettare- rispose prontamente Esme.

-Bene, se mi vuole seguire, la faccio accomodare nell'ufficio dell'avvocato-

Mentre Jane faceva strada, Esme chiese:

-Le avete detto che sono qui?-

-Certo signora. Bree ha parlato proprio con l'avvocato mentre ero presente anch'io. E' stata proprio l'avvocato a dirmi di farla accomodare nel suo ufficio se lei voleva rimanere ad attenderla- nel frattempo arrivarono ad un ufficio d'angolo. -Prego si accomodi. Vuole un caffè, un tè o qualche altra bevanda?- chiese cortesemente Jane.

-No grazie. Sono comoda così- rispose Esme

-Se ha bisogno, sono qui fuori. Non esiti- disse solerte Jane e uscì dall'ufficio.


 

Esme entrò e poggiò la sua borsa sul divanetto di tessuto che le si trovava proprio di fronte. Mentalmente si chiese come doveva chiamarla. Avvocato o Isabella o Bella? Doveva darle del lei? Sorrise. Le aveva sempre dato del tu e la sgridava quando era Bella a darle del lei.

Squadrò l'ufficio di Bella. Era arredato con gusto. Ma qualcosa della Bella che ricordava era lì. La parete di fronte all'entrata era per metà occupata da una grande finestra sul cui davanzale spiccavano alcune piante grasse. Erano le sue preferite perchè le ricordavano il suo periodo trascorso in Florida. Alla destra dell'entrata, la parete era occupata da una libreria a doppio angolo piena di libri. Due divanetti era posti uno di fronte all'altro si trovavano proprio al centro della stanza. Sulla parete di fronte alle librerie c'era la scrivania con due poltroncine di pelle.

Esme buttò un'occhiata alla scrivania. Sorrise pensando che era sempre disordinata quella ragazza. Ricordava ancora quando lei ed Alice studiavano assieme ed era un vero trionfo di disordine. Chissà cos'era rimasto di quella ragazza di dieci anni prima.

Nel suo pensare Esme non si accorse che qualcun altro era entrato nella stanza.

-Esme Cullen. Ho quasi paura a credere che sei veramente tu- una voce la fece girare.

-Bella … scusa … avvocato Swan. Sono proprio io, in carne e ossa- rispose Esme con un sorriso.

In quel momento entrò anche Jane:

-Isabella, signora Cullen, posso portarvi qualcosa da bere?-

-Esme?- chiese Isabella.

-Un po' d'acqua per favore-

-Acqua con ghiaccio a parte per entrambe Jane. Grazie- disse Isabella alla prima e poi rivolgendosi a Esme – prego, accomodiamoti con me sul divano-

Esme si sedette accanto a Bella e squadrò anche lei. Sorridevano entrambe. Notò quanto era donna ora, nel tailleur pantalone fumè abbinato a camicia bianca e tacco dodici.

-Come ti devo chiamare?- esordì Esme

-Tutti mi chiamano Isabella- rispose lei.

-Isabella? Posso chiederti come mai usi il tuo nome per esteso?- chiese Esme con curiosità.

-Perchè della Bella di dieci anni fa non c'è più niente-

Esme si voltò verso la scrivania: -A parte il disordine che ti contraddistingueva?-

-Ok, non c'è quasi più niente della ragazzina di allora- rispose Isabella sorridendo a quella donna che era stata come una mamma per lei.

In quel momento entro Jane e depose un vassoio con un paio di bottiglie d'acqua, un paio di bicchieri, un secchiello per il ghiaccio.

-Grazie Jane faccio io- disse Isabella e questa se ne andò chiudendo la porta dietro di sé.

-Vuoi un po' di ghiaccio Esme?-

-Si grazie-

Isabella riempì due bicchieri con acqua e ghiaccio e ne passò uno a Esme. Sorseggiarono l'acqua e poi Esme si decise a parlare.

-Sai perchè sono qui?-

-Potrei avere qualche idea al riguardo- disse Isabella.

-E una di queste idee ...- abbozzò Esme.

-... riguarda Edward- concluse per lei Isabella tranquillamente.

-La tua mi sembra più un'affermazione che una domanda. Ti aspettavi di vedermi?-

Isabella poggiò il suo bicchiere sul tavolino davanti a loro e si girò totalmente a favore di Esme.

-Ho sempre pensato che il giorno che ti avrei rivisto, mi avresti colpevolizzato per aver mandato tuo figlio in prigione. Ora che ti vedo, non so se sei qui per questo o per altro-

-Ad essere sincera non so perché sono qui- rispose Esme appoggiando anche lei il suo bicchiere.

-Ti ascolto- disse Isabella. 

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Capitolo 7
*** Capitolo 7 ***


Ciao a tutte! Eccomi qua con un nuovo capitolo. Questa settimana posterò un'altra volta. Siamo ancora in una fase iniziale, ma qualcosa si muove. Vi lascio alla lettura.


 

CAPITOLO 7


 

-Prima di tutto dimmi come stai. In fin dei conti sono passati quasi dieci anni dall’ultima volta che ci siamo viste- chiese Esme

-Sto bene- rispose Isabella.

-Adesso dove vivi?- Esme aveva bisogno di prendere tempo ed Isabella capì questa sua intenzione. Non voleva metterle fretta e rispose con calma.

-Ho un piccolo appartamento in città-

-Tuo padre è contento di averti vicino?-

-Per lui sono ancora troppo lontana. Non me lo ha detto apertamente ma se tornassi a vivere a Forks ne sarebbe molto lieto. Ma così non potrei fare il mio lavoro, di conseguenza non mi dice nulla in proposito-

-Già, Charlie ti vorrebbe ancora in casa con lui. Dopo la caduta, come stai?-

-Adesso sto bene.- rispose Isabella sperando di non dover approfondire troppo quel periodo della sua vita.

-Ricordo che dopo l'incidente, Alice ti voleva venire a trovare ma i medici non volevano altro che i familiari in reparto. Fecero un’eccezione per Carlisle perché era un collega. Tuo padre disse che era stato un incidente. Cos'era successo?- disse Esme pentendosi subito di aver introdotto un argomento così drastico.

Ma Isabella disse tranquillamente:

-Si. Non avevo studiato per il compito di trigonometria. Ed ero andata a La Push per passare il tempo fuori casa. Purtroppo pioveva e mentre ero sulla scogliera, non mi accorsi che il terreno era scivoloso. Cadere era inevitabile.- fece una pausa per bere un sorso d'acqua. -Prima di uscire dall’ospedale, decisi di andare a stare da mia madre. Lei fu ben felice di avermi a casa. E così non tornai neanche a Forks. Si occupò di tutto mia madre; andò a casa di papà a prendere le mie cose e poi partimmo per la Florida. Il sole mi avrebbe fatto bene a guarire più velocemente e così fu.-

-Adesso come stai?-

-Ho delle cicatrici che mi ricordano che era meglio se fossi andata a scuola impreparata. E che le scienze matematiche non sarebbero state il mio futuro- disse sorridendo Isabella per stemperare un po' di tristezza. -E tu? A parte questa faccenda, come va? A casa?-

-A casa va. Siamo tornati a vivere a Forks e Carlisle ha ripreso il suo lavoro all’ospedale. La tranquillità di Forks e di quel posto in particolare lo gratifica. Alice ed Emmett vivono qui a Seattle. Sono entrambi sposati. Alice con Jasper, l’avvocato di famiglia. Emmett con la sorella di Jasper, Rosalie. Sono diventata anche nonna. Emmett ha avuto un maschietto, Alec di poco meno di sei mesi. Un amore!-

Fece una pausa sorseggiando anche lei un po’ d’acqua dal bicchiere che aveva ripreso in mano.

-Non sto bene cara. E’ l’unica certezza che ho. Ogni giorno mi pongo delle domande sul perché è successo tutto questo, e dove ho sbagliato con Edward. Poi guardo Alice ed Emmett e penso che forse essere stato il primo figlio ha influito. Poi penso che non è una spiegazione logica- Esme trasse un profondo respiro.

-Bella, non so perché sono qui- e guardò la ragazza con occhi colmi di lacrime.

-Nessuno sa che sono venuta da te. Ho deciso di venire senza chiederti un appuntamento per paura che tu non volessi incontrarmi. Speravo che mi dessi la possibilità di vederci e te ne sono grata. Ma ora ho paura di aver fatto un errore a venire da te-

-Non ti avrei mai cacciato dallo studio Esme- disse dolcemente Isabella –E non hai fatto nessun errore a venire da me- e così dicendo le prese le mani. Notò che erano sudate e fredde. Esme aveva paura.

-Se ti chiedessi aiuto me lo daresti?-

-Per te o per Edward?-

-Per entrambi, ma principalmente per lui.-

-Perché?-

-Perché vorrei credere che mio figlio è migliore di quello che è apparso in quel processo. Perché spero che lui sia diverso da quello che, solo quel giorno quando lo hai interrogato, mi è realmente apparso. Ora capisco tante cose. Prima di quel giorno sono stata cieca e non ho visto fino a che punto era malvagio. Ora ne sono consapevole. Ma niente e nessuno mi farà credere che lui possa cambiare. Che possa ritornare ad essere quel bambino che correva da me con le lacrime agli occhi se cadeva dalla bicicletta e si sbucciava un ginocchio. Che prendeva in braccio Alice e la teneva lontana da Emmett per paura che lui le facesse male. Ho bisogno di credere e sperare che in lui ci sia ancora quella persona.-

-Ma ora è un uomo. E ha fatto le sue scelte.- ribattè Isabella

-Vorrei che gli fosse data una seconda possibilità.-

-L’ha già avuta una seconda possibilità, e forse anche più di una. Le ha sprecate ed è giusto che paghi per i suoi errori.- continuò Isabella.

-Lo so e non lo voglio negare. Però speravo ci fosse una possibilità per fargli scontare la sua pena in maniera più fruttuosa che dentro una cella-

-Di questo dovresti parlarne con il suo avvocato, non con me. Sono stata l’avvocato dell’accusa. Ti ricordo che l’ho mandato io in prigione.- infierì Isabella.

-Per te merita la prigione?- chiese Esme addolorata.

-Tutti e tre meritano di scontare una pena. Purtroppo solo per quel fatto ma ciò non cambia che abbiano sbagliato anche nel passato.- Isabella prese tempo. Si chiedeva come poteva evitare tanto dolore a quella donna. -Ho le mani legate Esme. Non posso improvvisamente andare dal giudice e dire “Sa, ritiro le accuse”. Sarebbe come dire che non hanno fatto volontariamente del male.-

-Ma vuoi avere le mani legate anche per motivi personali, vero Bella?-

Isabella guardò Esme. Non se la sentiva di dirle che sì, era soprattutto per motivi personali che voleva che quei tre rimanessero in carcere. Il più a lungo possibile. Senza sconti di pena.

-Edward ti ha fatto del male?- chiese la donna.

-No, ma ha fatto male a delle persone a me care. Come ad Angela e come a voi- rispose.

Isabella si alzò e si avvicinò alla finestra. Entrambe rimasero in silenzio. Chi pensando che anche provarci non avrebbe condotto a nulla e chi pensando che le cose era giusto andassero così.

Fu Esme la prima a parlare:

-Perdonami Bella se sono venuta qui da te oggi.- disse prendendo la sua borsa -Se puoi dimentica questa conversazione.- continuò avviandosi alla porta.

-Ti aiuterò Esme.- disse Isabella voltandosi -Parlerò con il suo avvocato e vedrò cos'è possibile fare.-

Esme si girò.

-Grazie. So che venendo qui ti sto chiedendo tanto e te ne sono grata-

-Ciao Esme.-

-Ciao Bella.-

Esme uscì dall'ufficio chiudendosi la porta alle spalle.

 

Isabella era appoggiata allo stipite della finestra del suo ufficio. Le braccia incrociate al petto e lo sguardo rivolto all’esterno. Non stava guardando nulla di particolare. Voleva riflettere ma non ci riusciva. Il suo cervello in quel momento era in stand-by.

-Isabella?-

Isabella si voltò e vide Jane sulla porta del suo ufficio che la guardava.

-E’ arrivato il signor Trainer. Avete un appuntamento.-

-Fallo accomodare e offrigli qualcosa. Ho bisogno di andare un momento alla toilette.-

-Certo.- Jane si fece da parte e lasciò che Isabella uscisse per prima dall’ufficio per poi andare dal signor Trainer.

Pochi minuti dopo aver fatto accomodare il cliente, Jane vide Isabella tornare nel suo ufficio. Il suo sguardo era cambiato; era tornato l’avvocato d’assalto che conosceva. 

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Capitolo 8
*** Capitolo 8 ***


Ciao a tutte! Non posso lasciarvi alla lettura del nuovo capitolo senza prima aver ringraziato tutte voi! Grazie per seguirmi, di cuore.

Come promesso, questa settimana posto tre volte. Un regalino per Pasqua.

Purtroppo non so se la prossima settimana riuscirò a postare più di un capitolo. Mi impegnerò per mantenere la mia promessa di due capitoli, ma non tiratemi nulla di marcio se non ci riesco.

Vi lascio alla lettura.

Bacioni a tutte e buona Pasqua!


 

CAPITOLO 8

 

Era venerdì e come ogni venerdì Isabella si stava recando alla clinica “Life & Nature”.

La clinica era situata in una struttura di nuova costruzione all'interno della foresta, fra Port Angeles e Forks. Era stata fondata per dare sostegno a quelle persone, per lo più giovani, che avevano problemi di alimentazione, indipendentemente che fossero obesi, bulimici, anoressici e quant'altro. Era una struttura all'avanguardia in questo genere. Non solo dal punto di vista medico ma anche emotivo. Dietologi, psicologi e personal trainer lavoravano a stretto contatto con gli ospiti per aiutarli nel loro processo di cambiamento fisico ed emotivo.

La clinica funzionava grazie ad alcune sovvenzioni statali e a quelle private, ovvero la retta per il soggiorno.

Isabella non aveva problemi con il cibo. Forse a volte si dimenticava di saltare il pasto se era molto indaffarata. Ma non aveva nessuna sindrome alimentare preoccupante. Semplicemente ci lavorava in quel posto.

Si occupava degli aspetti legali. I fondatori della clinica erano convinti che era sempre meglio avere un avvocato che controllasse tutto, soprattutto quando si trattava di salute e c'erano di mezzo anche dei minorenni.

Quando le proposero di lavorare per la “Life & Nature” non pensava ci fosse poi così tanto da fare. Invece si dovette ricredere. Non solo si occupava che ci fossero tutte le autorizzazioni per far soggiornare gli ospiti minorenni, ma anche che si mantenesse la giusta privacy per gli ospiti e per il personale che ci lavorava. Aveva dovuto imparare come funzionasse un sistema antincendio, di cosa occorreva per avere una palestra più che attrezzata. Valutava nuove proposte da parte del personale per coinvolgere gli ospiti in varie attività; recentemente le avevano chiesto di poter creare un orto. Ovviamente non si occupava degli aspetti medici, ma di quelli finanziari si. Per questo prima di assumere un nuovo dipendente anche lei ne era coinvolta.

Ed era lì che voleva arrivare. L'idea di Isabella era molto semplice. Trovare un posto per Edward alla clinica. Prima però doveva sentire il direttore della struttura, se per lui era possibile questa assunzione, e poi parlarne anche con l'avvocato Whitlock.

 

Isabella arrivò a destinazione in tarda mattinata. Si diresse direttamente dietro l'edificio principale dove si trovavano gli alloggi per i dipendenti. A lei era stata riservata una piccola casetta, tra le ultime del piccolo stradello, e vi parcheggiò davanti la sua Audi coupè nera. Adorava quella macchina. Scese dall'auto e ne estrasse il borsone dal portabagli con i cambi fino a domenica. Aveva comunque qualche vestito anche all'interno della casa.

La casa era una semplice costruzione ad un piano. Dalla porta principale si accedeva direttamente nella zona giorno, che poi era a sinistra una cucina con vista su un salottino a destra. Proprio davanti alla porta d'ingresso, c'era la porta che conduceva alla zona notte. Due camere da letto, una a destra e una sinistra, e un bel bagno con vasca e doccia fra le due camere. Per lei anche troppo grande, ma le piaceva avere spazio.

Non ci aveva messo molto ad arredarlo. Aveva “riciclato” alcuni vecchi mobili che si trovavano in garage da suo padre. Passava poco meno di tre giorni lì e non era dedita a vita mondana. Andava più che bene come sistemazione.

Aprì un po' le finestre per far cambiare aria e poi uscì per dirigersi nella struttura principale dove si trovavano gli uffici. Adesso era il momento di mettere in atto il suo piano.

 

In pochi minuti a piedi arrivò nella zona uffici della clinica. Un'ala all'entrata era stata destinata proprio a quello scopo. Prima c'era l'accettazione con la segreteria, poi l'amministrazione, una sala riunioni, il suo ufficio e quello del direttore.

-Ben arrivata cara! Come stai?- chiese la segretaria, Rachel, sua vecchia amica.

-Bene Rachel, tu?-

-Tutto bene. Ti lascio andare che Emily ti aspetta. Stasera ho bisogno di parlarti. Da me o da te?- chiese Rachel con lo sguardo emozionato.

-Da te? Non ho fatto la spesa- disse Isabella un po' mortificata.

-Vengo da te con il gelato-

-Ok- disse Isabella e si avviò all'amministrazione.

Bussò e sentì una calda voce dire -Avanti!-

-Ciao Emily!-

-Ciao Isabella, ben arrivata.-

-Grazie. Dimmi tutto cara.- disse Isabella prendendo la sedia e sedendosi accanto alla sua amica.

-Allora. Per prima cosa ho tutte le autorizzazioni da parte dei genitori per il campo del prossimo week end. Mercoledì sono venuti i gestori del campo a vedere la nostra situazione e hanno parlato sia con Jake che con il dottor Hammond. Hanno richiesto che ci siano anche un paio di medici per ogni evenienza. E' pur sempre un campo di sopravvivenza anche se lo alleggeriranno per l'occasione.-

-Jake che dice?-

-Che ci saranno un paio di medici e un paio di infermieri con tutto l'occorrente medico. Per l'organizzazione vera e propria però chiedi a Paul. Se n'è occupato lui con gli ospiti. Non ti sto a dire quanto sono emozionati.-

-Ci credo, dopo due mesi mettono per la prima volta il naso fuori dai confini della clinica. Per il resto, il trasporto e quant'altro?-

-Per il trasporto è bastata la liberatoria che hai fatto firmare. Alcuni ospiti si sono offerti di andarci con il trattore se è un problema.- disse Emily sorridendo.

-Fammi indovinare? Aro, Caius e Marcus.-

-Esatto! Renata si è offerta di far loro dei cuscini perchè stiano più comodi. Mi sa che è nato un nuovo amore.-

-Chi?- chiese sorpresa Isabella.

-Ma Caius e Renata, tesoro!-

-Non ci avevo fatto caso!- disse con finta innocenza Isabella mentre sia lei che Emily iniziarono a ridacchiare.

-Ok, vado nel mio ufficio.- disse Isabella alzandosi dalla sedia e rimettendola a posto.

-Certo. Scarica i nuovi file. Li ho finiti di aggiornare proprio poco fa.- le fece eco Emily.

-Ok.- e così dicendo Isabella uscì dall'ufficio di Emily ed entrò nel suo.

Accese il pc alla scrivania e intanto che questo si avviava andò ad aprire un po' la finestra. Una volta che il pc fu funzionante, lo collegò al suo portatile e cominciò a scaricare i file che le servivano per tenere sotto controllo l'attività della clinica.

Quando terminò si disse che “O adesso o mai più” e si alzò per andare nell'ufficio del direttore.

Bussò ma nessuno le rispose. Aprì cautamente la porta ma non c'era nessuno dentro. Ritornò da Emily.

-Emily, ho salvato i file della scorsa settimana. Se ci vuoi dare un'occhiata.-

-Certo.-

-Jake non c'è?-

-E' andato a La Push. Ha accompagnato Embry.-

-C'è qualche problema?-

-No, tesoro. Sono andati a prendere qualche pezzo di ricambio per il pick-up di Embry.-

-Ok.- e uscì dall'ufficio per entrare nel suo.

Ma lì non riusciva a starci. Le cose non stava andando come lei sperava. Perciò chiuse la finestra, scollegò il portatile, spense il pc e si riavviò all'uscita.

-Emily vado nella casetta. Se hai bisogno chiamami.-

-Certo.- le fece di rimando lei.

Passò oltre e uscì nell'atrio della clinica.

-Rachel, vado a casa. A che ora passi stasera?-

-Verso le nove di va bene?-

-A più tardi. Ciao.-

-Ciao.-

Ed uscì definitivamente dalla struttura principale.

 

Prima dell'arrivo di Rachel, Isabella lavorò alacremente ai file. Non le piaceva perdere tempo ed era innegabile che non c'era molto altro da fare lì sperduti in mezzo alla foresta. E poi si era messo anche a piovere, di certo non poteva andare in giro con l'ombrello, e non ne aveva neanche voglia.

Si fermò solo per cenare. Per questo andò nella sala mensa comune per parlare un po' anche con gli altri. Fu intercettata da Renata mentre andava al bancone a prendersi la cena a buffet.

-Signorina Swan, ben arrivata.-

-Ciao Renata. Come stai?-

-Sto bene; ho messo su un paio di chili questa settimana.- disse Renata, una biondina dagli occhi azzurri e vispi vittima dell'anoressia.

-Ottimo!- Isabella era sempre imbarazzata a parlare con gli ospiti. Chiedere come stai era per lei un gesto di cortesia. Ma chiedere come stai a una persona che sta male per il suo peso le sembrava un'ignominia. Sia Jake che il dottor Hammond le avevano detto di fare come se i loro problemi non esistessero. Doveva cercare di non soffermarsi su richieste inerenti il loro andamento, ma sviare il discorso, e così fece.

-Mi hanno detto che stai preparando dei cuscini.- le chiese Isabella.

-Oh, si!- E si illuminò tutta.

-Di che colore li hai fatti?-

-Uno verde, uno azzurro e uno rosso.- rispose Renata volgendo lo sguardo verso un tavolo in fondo alla sala.

-Uhm … rosso passione?- chiese Isabella.

-Si, rosso passione.- le fece eco Renata.

-Renata, non voglio fare la guastafeste, ma … - iniziò Isabella.

-Lo so e non facciamo niente di male. Ma quello che succederà fuori di qui quando usciremo saranno affari nostri, vero?- chiese Renata a conferma dei suoi ragionamenti.

-Si, solo vostri. Adesso dovremmo andare a cena. Ciao Renata.-

-Arrivederci.-

Ed entrambe presero le loro direzioni.

Isabella si sedette vicino ad Emily. -Jake non è ancora tornato?- le chiese guardando da un capo all'altro della tavolata riservata al personale.

-No.- Le rispose Emily e si rimise a mangiare.

Isabella estrasse il suo cellulare e digitò un veloce messaggio: “Sono arrivata e tu non ci sei. Quando arrivi?”. E lo rimise nella sua tasca dopo aver inserito la sola vibrazione. Mentre stava finendo la sua insalata, il suo cellulare vibrò.

Siamo rimasti a cena da mio padre. Non so se torniamo stanotte o direttamente domani. Ce la fai senza di me per una notte?” le rispose Jake.

Ho Rachel con me. Ci vediamo domani allora.” gli rispose.

Finito di cenare ritornò alla sua casetta e lavorò fino a quando arrivò Rachel.

Fu una serata tranquilla quella di venerdì sera fra Rachel ed Isabella. Parlarono del più e del meno e degli ultimi pettegolezzi della clinica.

Rachel era la sorella minore di Jake, il suo migliore amico. Era mora con gli occhi scuri. La pelle più scura tipica dei nativi americani di quelle zone. Era una persona molto sportiva e indossava sempre jeans e felpa e le sue immancabili Nike ai piedi.

Vivere alla clinica era un po' come vivere in un piccolo paesino dove tutti si conoscono. Quindi era bello per Rachel parlare con qualcuno che non vivesse sempre in clinica. E Isabella rispecchiava quel ruolo. Chiacchiere e gelato e poi anche Rachel se ne andò.

Rimasta sola, si fece una bella doccia calda e poi si infilò sotto le coperte.

 

-Ciao … come ti senti?- gli chiese sussurrando e inginocchiandosi vicino al suo letto.

-Mamma dice che non ho più la febbre, però mi sembra che mi sia passato un camion sopra.- le rispose lui.

-A proposito di tua madre, mi ha chiesto di portarti l'aspirina e la spremuta.- e indicò il vassoio sul comodino.

-Se ti mettevi anche l'uniforme da infermiera, avrei gradito maggiormente.- ribattè lui ridacchiando.

-Scemo!- e gli diede anche una pacca sulla spalla.

-Sarò scemo,- e la prese per un braccio -ma so che ora ho tanta voglia di baciarti.- e così dicendo la trascinò su di sè mentre si girava.

Si baciarono appassionatamente. Fu lui ad interrompere il bacio per primo:

-Devo fare il bravo prima che arrivi mia madre.-

-Veramente siamo soli in casa. E' uscita perchè doveva recuperare tutti gli altri.-

-Quindi siamo soli per un po'.- riflettè lui.

-Si, cosa ti va di fare?- chiese lei.

-Cosa posso fare?- le chiese lui.

-Tutto.- rispose lei.

E ricominciarono a baciarsi. Piano piano i vestiti cominciarono a volare per tutta la stanza fino a che entrambi non furono nudi uno di fronte all'altro.

-Non ti sentivi spossato per l'influenza?- gli chiese lei maliziosamente.

-Non con te nuda nel mio letto.- le rispose accarezzandole una guancia. -Se non te la senti, mi posso anche fermare.-

-No.- E così dicendo lei lo baciò e lui ricambiò.

Cominciò ad accarezzarla dappertutto. Lei ancora non sapeva cosa fare. Era la prima volta che era nuda e stava con un uomo nudo. Si sentiva imbarazzatissima e molto imbranata. Ma lui fu delicato nell'indicarle a gesti cosa fare e riuscì a farla rilassare. La toccò nei punti giusti e aspettò che fosse lei a chiederle di più. E quando iniziò a toccarla sul clitoride per farle raggiungere più piacere, lei inarcò la schiena allargando le gambe e offrendosi tutta.

Lui non voleva che raggiungesse subito l'orgasmo. Voleva allungarle il piacere il più possibile e così usava lentamente le sue dite nel suo punto più sensibile.

Ma anche lui aveva voglia, era da troppo tempo che non faceva sesso. Continuando a baciarla le si sdraiò sopra, le prese le gambe per portarle attorno alla sua vita e cominciò a muovere il bacino per farla godere ancora. La stimolava con la punta del suo membro e quando lei cominciò a mugolare lui si fermò.

-Voglio farti venire con me dentro.- le disse e si allungò ad aprire il cassetto del comodino e a prendere un preservativo.

Lei non disse nulla. Apriva e chiudeva gli occhi come quando sai di doverti svegliare ma non ne hai voglia. Ma la sensazione era diversa. Le batteva forte il cuore e aveva una specie di voglia inespressa da soddisfare: l'orgasmo che aspettava di esplodere.

Il ragazzo si riposizionò fra le sue gambe -Se ti faccio male dimmelo, ok?-

Lei mugugno un si e lui iniziò ad entrare in lei molto lentamente. Era la prima volta per lei, una delle tante per lui. Ma sapeva come comportarsi. Delicatamente affondò piano piano fino a trovare una resistenza. Si fermò e guardò la ragazza sotto di lui negli occhi e la baciò. Le passò una mano sotto la vita e la fece appena alzare per andare incontro al suo membro.

Un lieve dolore e poi più niente. Solo piacere. Lui si muoveva dentro di lei e lei non sapeva che fare, se urlare o trattenersi tutto dentro.

-Lasciati andare.- le disse lui.

E lei si lasciò andare.

 

Isabella si svegliò di soprassalto. I capelli appiccicati alla fronte per il sudore e il cuore che batteva velocemente. Si alzò per andare in cucina e prese una bottiglia d'acqua dal frigo. Si attaccò direttamente al collo e bevve avidamente.

-Solo un sogno. Solo uno stupido sogno.- disse sussurrando fra sé e sé mentre cercava di respirare normalmente.

Ma dentro di sé sapeva che non era uno stupido sogno.

Aveva sognato la prima volta che aveva fatto l'amore con Edward.

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Capitolo 9
*** Capitolo 9 ***


Ciao a tutte! Prima di tutto chiedo scusa per non aver risposto alle recensioni. A mia discolpa devo dire che ho messo davanti la stesura del capitolo.

Per il resto, so che sono ripetitiva ma se non ringrazio chi mi segue, mi sento in colpa per non averlo fatto.

Ciao!

 

CAPITOLO 9

 

Erano le sei di sabato mattina quando Jake entrò nella piscina della clinica. Dall'esterno si era accorto di alcune luci accese ed era andato a controllare. Ma fu una sorpresa per lui vedere una persona che nuotava con foga. Si avvicinò al bordo della vasca e riconobbe la figura di Isabella. E per lui fu ancora una sorpresa maggiore scoprire che era lei la nuotatrice, perchè Isabella non entrava in acqua, che fosse di mare o di piscina, da dieci anni.

-Hei!- le disse lui quando anche lei si accorse della presenza del suo amico.

-Ciao Jake!- lo salutò calorosamente Isabella.

-Come mai qui?- chiese lui cercando di tenere a freno la sua curiosità.

-Ti devo parlare.- disse lei uscendo dall'acqua.

-Stai eludendo la mia domanda?- chiese sempre più curioso.

Lei gli sorrise, imbarazzata nel non sapere cosa rispondere, e si infilò l'accappatoio.

 

Isabella e Jake si trovavano nel salotto della casetta di lei. Adesso lei indossava una comoda tuta dopo essersi lavata dal cloro e asciugata. Lui era comodamente sdraiato sul suo divano con i piedi sul tavolino e si stava gustando la colazione che aveva portato dalle cucine della clinica.

-Dimmi tutto.- iniziò lui dopo aver ingurgitato mezzo muffin ai mirtilli in un sol boccone.

-Qui alla clinica abbiamo bisogno di un aiuto?- iniziò lei.

-A Embry servirebbe qualcuno capace. A chi pensavi?- chiese lui.

-Magari qualcuno che non ha esperienza, ma che ha tanta voglia di imparare. Da mettere a lavare i piatti, a dare lo straccio, cose semplici.- continuò lei.

-Senza esperienza è un po' difficile. Già c'è molto da fare, se poi gli dobbiamo anche insegnare un mestiere … - prosegui Jake.

-... qualcuno che in questo momento è in difficoltà e per cui un qualsiasi lavoro, … qualunque tu voglia … sarebbe … sarebbe importante!- tentò di formulare lei.

-E' la prima volta che non trovi le parole. Che succede Isabella?- si insospettì lui.

-Qui facciamo tanto solo per una categoria di persone, potremmo cercare di aiutare anche qualche altra categoria, non trovi?- provò lei facendo la svenevole.

-Isabella Swan, la faccia da cucciolo bastonato con me non attacca. Quindi parla!- Jake era passata in modalità voce ferma e autoritaria.

-Ok. Per fartela breve. Ci sarebbe un detenuto che deve scontare due anni. Essendo in un carcere di minima sicurezza, potrebbe terminare di scontare ciò che gli resta della detenzione in una struttura ad utilità sociale come questa. Avresti degli sgravi fiscali per questa assunzione.- disse lei tutto d'un fiato.

-Potrebbe essere interessante. Ovviamente per propormelo hai già controllato gli aspetti legali e sai che questo scambio può essere fattibile.- riflettè Jake -Ma perchè è dentro?-

-Molestie verbali e favoreggiamento in tentato stupro.- rispose lei sinceramente.

-Wow!- fece di rimando l'altro. -Questo è proprio il posto ideale per lui. Starà in mezzo a persone emotivamente fragili.-

-Non devi metterlo con i ragazzi. Se per te è un problema, troverò un'altra soluzione.-

-Non sto dicendo questo, però ci devo riflettere bene prima di decidere per il sì.-

Stettero un po' in silenzio.

-Perchè per te è così importante questa persona?- chiese Jake.

-Non è importante. Ho fatto una promessa ad una persona che avrei cercato una diversa soluzione al carcere.-

-Chi sono queste persone? Le conosco?-

-Forse.- disse tergiversando Isabella.

-Chi?-

Isabella stette in silenzio torturandosi il labbro inferiore.

-Isabella?-

-Prometti di non arrabbiarti e comunque prima di dire qualunque cosa conterai almeno fino a cento?- implorò lei.

-Isabella Marie Swan!-

-Oh! Jacob Black! Anche tu non avresti detto di no a Esme!- sbottò finalmente Isabella.

Jake strabuzzò gli occhi e diventò paonazzo.

-Cazzo no! CAZZO NO! EDWARD CULLEN NO!!!- urlò Jake.

 

Jake, imperterrito, continuava a camminare avanti e indietro per il salottino della casetta di Isabella. Borbottava parole incomprensibili e ogni tanto si fermava e la guardava con rimprovero. Poi si decise.

-Ci penserò seriamente e cercherò di essere il più obiettivo e imparziale possibile solo se mi dirai la verità.- disse lui.

-Che verità?- chiese lei.

-Non ci provare. Sai cosa intendo. Prendere o lasciare.- e le tese la mano.

Lei titubò un po' prima di stringergliela. Poi prese un profondo respiro, per trovare tutta la forza necessaria e, per paura, guardò fuori dalla finestra.

-Sapevi che io ed Edward avevamo iniziato a frequentarci?- chiese Isabella.

Jake rispose con un gesto di diniego ma lei non lo vide perchè ancora girata verso la finestra. E poi la sua non era una domanda a cui si aspettava una risposta. Stava, per la prima volta, tirando fuori tutto. E lo voleva fare velocemente.

-Circa un paio di mesi prima dell’incidente, cominciò a corteggiarmi. Edward Cullen che si accorgeva di me? Ero al settimo cielo. L’avevo sempre amato. Credo di essermi innamorata di lui dall'asilo-.

Isabella si voltò verso il suo interlocutore, guardandolo in viso.

-Un pomeriggio venne a casa mia. Mi chiese se mi andava di uscire con lui a prendere un gelato. Andammo a Port Angeles. Ridemmo, scherzammo e mangiammo il gelato. Mi riportò a casa e mi salutò con un bacio sulla guancia. Il giorno dopo, a scuola, neanche mi guardò. Pensai si fosse trovato male in mia compagnia e non sapeva come dirmelo. Quando ritornai a casa era lì ad aspettarmi. Ci sedemmo in veranda a parlare. Mi disse che aveva bisogno di tempo perché non sapeva come comportarsi. Non voleva farmi soffrire e la sua indifferenza a scuola era solo per difendermi dalle malelingue. Ovviamente gli credetti subito e non ci pensai due volte a bermi ogni parola che usciva dalla sua bocca. Mi sentivo voluta da lui e avrei sopportato ogni cosa. Prima di andarsene mi diede un dolce bacio sulle labbra. Il mio primo bacio.-

Isabella si fermò un attimo per asciugarsi una lacrima.

-Così cominciammo a vederci di nascosto. Fuori dalla scuola e fuori dalle nostre amicizie. Ci ignoravamo in pubblico e ci baciavamo in privato. Facemmo anche l’amore. Ero oltre il settimo cielo. Uscivo con il ragazzo che amavo, mi baciavo con l’uomo che amavo, facevo l’amore con l’uomo che amavo. E poi venne quel giorno. Era il tredici marzo. Edward non si accorse della mia presenza mentre stava rivelando i particolari intimi dei nostri incontri. Stava riscuotendo la sua parte. Avevano fatto una scommessa sul fatto che si sarebbe portato a letto una ragazza a scelta tra le più sfigate della scuola. Era toccato a me. Aveva fatto un video con i nostri rapporti e lo stava mostrando con il suo cellulare ai suoi compagni di squadra proprio per far vedere che era tutto reale. Non mi ero accorta di essere stata ripresa. Mi allontanai da loro e scappai da scuola. Andai nell’unico posto che conoscevo per stare tranquilla: la scogliera a La Push. Piansi tutte le lacrime che avevo e di quel momento ricordo che sentivo come se la natura mi fosse vicina. Il vento sferzava rabbioso e il mare era in burrasca. In più aveva iniziato a piovere forte. Non so cosa mi scattò dentro, ma volevo unirmi a quella furia per dividere il mio dolore con loro. Ricordo solo di aver sentito male e poi più niente fino a quando mi sono svegliata in ospedale a Seattle.-

 

 

 

Il lunedì successivo all'incontro fra Edward e Jasper, quest’ultimo era nel suo ufficio che ancora rimuginava in merito a quella specie di conversazione avuta con Edward. Si stava chiedendo cosa passasse per la testa di quello stupido. Perché voleva vedere l’avvocato Swan? Perché gli aveva chiesto di parlare con l’avvocato dell’accusa che lo aveva mandato dritto dritto in carcere? Anche se Edward non voleva, lui sarebbe stato presente all’incontro. Doveva conoscere cosa c’era dietro la mente malata di suo cognato. Perché attendere oltre? Primo passo parlare con Isabella Swan.

Prese il telefono e compose il numero interno della sua segretaria.

-Sara? Ho bisogno del numero dell’avvocato Isabella Swan presso lo studio “Dwyne & Ford”.-

-Certo avvocato. Gliela chiamo?- chiese lei

-No, dammi solo il numero e poi ci penso io.- risposi di rimando.

-Certo avvocato. E’ arrivato il suo prossimo cliente. Lo faccio passare?-

-Si certo. Il numero me lo dai appena mi libero.-

Chiuse la comunicazione e dopo pochi attimi entrò la signora Truman.

 

-Arrivederci signora Truman. Le farò sapere la data dell’incontro con l’avvocato di suo marito quanto prima.- disse Jasper alla signora che si era rivolta a lui per la causa di divorzio.

-Aspetterò sue notizie.- rispose di rimando la donna facendo gli occhi dolci al bell’avvocato. E se ne andò sculettando.

Jasper alzò gli occhi al cielo.

-Sara, il numero dell’avvocato Swan.-

-L’avvocato Swan ha chiamato mentre lei era impegnato. Mi ha dato il suo numero diretto.-

-Ha chiamato qui?-

-Si. Ecco il numero.- rispose solerte l’impiegata.

-Grazie.- Jasper si rifugiò nel suo ufficio chiudendosi la porta alle spalle.

Si sedette alla scrivania e guardò il post-it giallo con il numero. “Perché Isabella Swan ha cercato di contattarmi?” si chiedeva. “Perché a pochi giorni dalla richiesta di Edward di vederla?”. C’era qualcosa che gli sfuggiva e doveva sapere. Questa cosa andava oltre un processo per molestie e un altro per tentato stupro. C’era qualcosa che riguardava Edward e in questa cosa c’entrava anche Isabella. Come e perché lo avrebbe scoperto. Compose il numero.

-Isabella Swan.- disse una voce di donna dall’altro capo dell’apparecchio.

-Sono Jasper Whitlock.- si presentò Jasper.

-Piacere di sentirla. Arrivo subito al dunque. Ho necessità di parlare con lei, possibilmente di persona.- propose Isabella andando dritta al punto.

-Mi sembra un’ottima idea. Che ne dice domani a pranzo?- fece di rimando Jasper.

-Le va bene da Volterra’s alle tredici e trenta?-

-Conosco il posto. Prenoto io per entrambi.-

-Perfetto. A domani signor Whitlock.-

-A domani signorina Swan.-

Domani avrebbe avuto più chiara la situazione.


 

Il giorno dopo, un trepidante Jasper pieno di curiosità, occupava un tavolo del ristorante italiano Volterra’s. Aveva richiesto un tavolo d’angolo, possibilmente dietro un separé. Voleva privacy per parlare con Isabella Swan. E quel posto l’offriva, insieme ad un’ottima cucina. Se la Swan aveva proposto proprio quel ristorante, anche lei cercava un posto tranquillo per conversare. Jasper era in anticipo e quando vide arrivare Isabella, anch’ella in anticipo, ne fu lieto.

Jasper si alzò dal tavolo per ricevere la ragazza e la salutò con una stretta di mano.

-Buongiorno signorina Swan.-

-Buongiorno signor Whitlock.- rispose cordialmente e si accomodarono a sedere.

Arrivò il cameriere per prendere le ordinazioni di bevande.

-Sarei già pronta anche per ordinare il pranzo.- disse Isabella.

-Ottimo, anch’io.-

-Una caprese e acqua.- disse lei.

-Trenette al pesto e acqua.- disse lui.

-Perfetto.- disse il cameriere allontanandosi.

 

-Che ne dice di passare al tu? Posso chiamarti Isabella?- iniziò Jasper.

-Certamente, Jasper.- disse Isabella prendendo il tovagliolo e posandoselo in grembo. -Ti starai domandando perchè ti ho contattato.- continuò lei.

-Ho pensato che in previsione del processo, avessi necessità di qualcosa dal mio cliente.- mentì Jasper che in realtà non stava più nella pelle dalla curiosità.

-In realtà non ti ho telefonato per il processo.- ed Isabella si interruppe perchè giunse il cameriere con le bevande.

-E' un discorso molto lungo e cercherò di fartelo breve. Vorrei che mi ascoltassi fino alla fine prima di decidere di alterarti, alzarti dalla sedia e andartene.-

-Addirittura mi dovrei arrabbiare fino a tal punto? Adesso sono curioso.- rispose Jasper e pensò tra sé che sì, c'era molto di più di quello che sapeva.

-Due giorni fa è venuta a trovarmi nel mio studio Esme Cullen.- iniziò Isabella e Jasper sussultò a quella notizia. -Da lei ho saputo che sei il marito di Alice. E' sempre così pazza schizzata?-

-La conosci?- la curiosità ora non aveva più freni.

-Direi che ci conosciamo dall'asilo. Conosco tutta la famiglia Cullen praticamente dalla nascita. Però i dettagli magari li rimandiamo ad un altro momento.- Isabella si interruppe per bere un sorso d'acqua. Sentiva la bocca eccessivamente riarsa, neanche stesse discutendo una causa difficile pensò. -Come ti stavo dicendo Esme è venuta da me per parlare un po' di Edward. Probabilmente sai meglio di me come si sente per questa situazione. E' venuta per chiedermi aiuto.-

-Non è soddisfatta dei miei servizi legali?- domandò un po' piccato Jasper.

-Questo dovresti chiederlo a lei. Non abbiamo mai parlato di te in termini professionali.-

-E allora che aiuto ti ha chiesto?- non mi piace essere all'oscuro delle cose pensò Jasper.

-Mi ha chiesto aiuto per Edward. Vorrebbe trovare una soluzione per far sì che sconti la sua pena ma non in carcere.-

-E perchè non è venuta da me?-

L'intervento provvidenziale del cameriere con le loro portate fu un momento per tirare entrambi il fiato e le somme di quella breve conversazione.

-Direi di pranzare e continuare dopo se per te va bene. Sto morendo letteralmente di fame.- propose Isabella.

-E mi lasci sulle spine?- la rimproverò Jasper.

-Solo per qualche boccone. Promesso.-

-Ok. Buon appetito.- e inforcò una trenetta.

Pochi bocconi dopo Jasper non ce la faceva più. Continuava a rimuginare sulla sua pasta senza veramente apprezzarla.

-Jasper, ci sono delle cose che non posso dirti. Sono cose personali accadute molto tempo fa, ai tempi del liceo. Se vorrà te ne parlerà Alice o Edward, o anche Esme anche se ne dubito molto perchè è fin troppo discreta. Il motivo per cui ti ho contattato è perchè ho promesso ad Esme che avrei dato una mano ad Edward. Ma non posso farlo perchè sono l'accusa. Però posso aiutarti nel far sì che la sua detenzione sia migliore ed appoggiarla.-

-Terminiamo di pranzare e poi mi dirai cosa hai in mente.-

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Capitolo 10
*** Capitolo 10 ***


Piccole note in fondo al capitolo. Buona lettura!


 

CAPITOLO 10


 

Alla fine del pasto, Jasper si sentiva più tranquillo. La cucina del Volterra's era sempre un toccasana per il suo umore. Ma questa volta c'era qualcosa di più. Forse poteva aiutare Edward.

-Dimmi tutto Isabella.-

-Conosci la clinica “Life & Nature” che si trova tra Port Angeles e Forks?-

-Si, ne ho sentito parlare. E' una clinica per chi ha problemi di alimentazione se ricordo bene.-

-Esatto. Diciamo che “mi hanno incastrata” per seguire gli aspetti legali della clinica. E' gestita da un mio carissimo amico, Jacob Black.-

-Cosa centra Edward con una clinica come quella? Non ha problemi di alimentazione che io sappia.-

-No, però a Jacob serve personale. Potrebbe essere che ci abbia parlato e che sarebbe disposto ad assumere un detenuto.-

-Nell'ipotesi che Edward accetti, cosa ti fa credere che il giudice decida favorevolmente a questa assunzione.-

-Perchè c'è una legge dello stato di Washington che permette ad alcune categorie di detenuti di essere spostati dagli istituti di correzione a dei certi centri di pubblica utilità come può essere appunto la “Life & Nature”. Se tu presentassi una domanda di richiesta di trasferimento di detenzione, potrei approvarla. Il giudice non avrebbe nulla da obiettare. O se obiettasse saremmo entrambi pronti a smorzare ogni sua remora. Ovviamente la possibilità che gli venga negato questo trasferimento è tangibile. Ma perchè non provarci?-

Jasper guardò Isabella.

-Edward ha chiesto di vederti.- esordì questi.

-Come?- chiese Isabella presa alla sprovvista.

-Alcuni giorni fa mi sono presentato da lui per sapere come stava. Non si era fatto sentire dal giorno del giudizio. Prima che me ne andassi ha detto che aveva bisogno di parlarti. Di cosa non lo so e vorrei saperlo anch'io. Ti aiuterò con Edward se lui accetterà di farsi aiutare. Però voglio essere presente a tutto e voglio conoscere i fatti. Non voglio essere all'oscuro di niente. Ogni informazione la tratterò da avvocato; né da amico e né da familiare. Prendere o lasciare.- così dicendo Jasper porse la mano a Isabella.

-Andata.- rispose lei stringendo la sua mano.

-Direi di incominciare, allora.- disse Jasper

-Ok.- confermò Isabella.


 

Alcuni giorni dopo l'incontro con Isabella, Jasper si trovava a Forks. Era una domenica in cui, per miracolo, splendeva un tiepido sole. Forks era rinomata per essere uno dei luoghi più piovosi degli States.

Quando arrivano a casa Cullen, lui ed Alice erano gli ultimi a giungervi.

Emmett e Rosalie, insieme al piccolo Alec, erano già arrivati il giorno prima per passare il week end alla villa così da dare la possibilità al piccolino di respirare un po' d'aria pulita.

Rosalie era la sorella gemella di Jasper. Entrambi biondi con gli occhi azzurri, avevano però due caratteri diametralmente opposti. Rosalie, dall'apparente puzza sotto il naso, indossava solo una maschera per nascondere la sua naturale diffidenza. Jasper era più riflessivo.

Poi c'era Emmett che non era proprio un Cullen anche se ne portava il cognome. Era il cugino di Alice ed Edward ed era stato adottato alla morte della madre avvenuta dopo il parto. La madre di Emmett era la sorella maggiore di Esme e quando rimase incinta, non disse mai chi era il padre naturale. Anche perchè non lo conosceva. Era solo un ragazzo incontrato sulla spiaggia una notte d'estate. Non avrebbe mai saputo come rintracciarlo. E quando Elenoire, così si chiamava la madre di Emmett, subito dopo il parto entrò in coma per un aneurisma celebrale e poi in seguito morì, Esme e Carlisle decisero di adottare il neonato lasciandogli comunque il cognome della madre ed aggiungendo il cognome Cullen.

In quel periodo Esme era al settimo mese di gravidanza, aspettava Edward. Avere due figli così vicini di età non la demoralizzò, tant'è che dopo la nascita di Edward, rimase incinta praticamente subito di Alice. Tre figli in appena due anni: Esme era eccezionale.

Emmett conobbe Jasper al primo anno di università. Erano compagni di stanza a Yale. Jasper voleva diventare avvocato ed Emmett ingegnere meccanico. Un giorno si presentò alla loro porta "Jasper dai lunghi capelli e dalla gonna inguinale" così come Emmett amava definire Rosalie. Cadde ai suoi e non si è ancora rialzato da quella posizione. Venera la moglie come una dea, senza contare che adora il loro figlio alla follia.

Poi c'era Alice. Ragazza tutto pepe esperta di moda e fanatica dello shopping. Fu lei a corteggiare Jasper e a convincerlo che era la sua donna ideale. E aveva ragione perchè erano insieme da quando Alice frequentava l'ultimo anno di liceo e Jasper il primo anno di college. Gelosa all'inverosimile, faceva paura anche a distanza. Nessuna al college si avvicinava a Jasper per paura di ritorsioni.

Quando c'erano tutti, la casa era un vero inferno. Di sicuro non andavano a Forks per cercare intimità; sarebbe stato impossibile. Però era bello ritrovarsi tutti uniti a ridere e a scherzare davanti al barbeque.

 

Il loro arrivo trascorse tranquillo fra una battuta stupida di Emmett e un pianto di Alec.

All'ora di pranzo si sedettero tutti in veranda a pranzare. Oggi cucinava Carlisle. O meglio, ci provava. Per quanto era bravo come dottore, per quanto lui e la cucina erano due entità agli antipodi. E l'aiuto provvidenziale di Emmett, cuoco per passione, era sempre ben gradito.

Il pasto procedette senza nessun intoppo. Parlarono di un po' di tutto, tranne che di Edward.

Al momento di sparecchiare, Alice ed Esme si presero il compito di lavare i piatti mentre Rosalie era intenta a cercar di far dormire un riottoso Alec.

-Saranno i denti.- azzardò Carlisle.

-O l'averlo fatto dormire fino a mattina inoltrata come ha fatto il suo cara papà contravvenendo alle mie istruzioni. Ci sarà un motivo se ti avevo chiesto di svegliarlo . Se non dorme adesso, poi ci pensi tu a tranquillizzarlo quando ritorniamo a casa stasera.- disse Rosalie fulminandolo con gli occhi.

-Patata bella, amore mio.- cercò di rabbonirla Emmett. -Lo cambierò anche se ce ne sarà bisogno.-

-Le ultime parole famose.- gli fece di rimando Rosalie prendendo il bambino e portandolo nella loro stanza.

-Non mi ha creduto, vero?- chiese Emmett con la faccia da cucciolo.

-No!- gli dissero gli altri scoppiando a ridere.

Alice iniziò ad impilare i piatti mentre Esme stava andando in cucina a portare i bicchieri.

-Tesoro, aiuto io tua madre. Tu riposati, fai quattro chiacchiere con tuo padre.- le disse Jasper prendendole dalle mani la pila dei piatti.

Lei lo guardò con sospetto.

-Cosa devi dire a mamma?-

-Niente amore. Sto solo cercando di rendermi utile.-

-Non sei meglio di Emmett come attore, caro mio. Cosa le devi dire? Si tratta di Edward?- e anche Carlisle si avvicinò a loro.

Né Esme e né Carlisle gli avevano chiesto più niente dal giorno della confessione di Edward. Era un argomento tabù in loro presenza.

Solo Alice ed Emmett avevano chiesto informazioni e Jasper si era trincerato dietro un no comment per questioni professionali.

-Amore, fidati di me. Ok?-

Alice fece di sì con il capo e Jasper fuggì letteralmente dalla veranda prima di cedere agli occhi da cerbiatto che aveva messo su sua moglie. Lei sapeva come ottenere ciò che voleva, quando voleva.

-Esme, ho portato i piatti.- esordì entrando in cucina e posandoli sulla penisola.

-Grazie, caro.- ed Esme si mosse fuori dalla cucina. -Vado a prendere il resto.-

-Aspetta.- e la trattenne parandosi davanti a lei -Ti devo parlare. L'altro giorno ho parlato con Isabella Swan.-

 

Esme si sedette su uno sgabello accanto alla penisola in cucina.

-Sei arrabbiato con me?- chiese Esme.

-No. Un po' infastidito perchè mi sono sentito scavalcato. Ti avrei aiutato senza problemi, lo sai.- rispose Jasper cercando di non far trasparire quel po' di risentimento che provava.

-Mi sento come se sbagliassi su tutti i fronti.- Esme sembrava sul punto di piangere, anche se i suoi occhi non erano umidi. Jasper pensò che forse non aveva più lacrime da versare.

-Pensandoci dopo, hai fatto la cosa giusta. Però avrei voluto saperlo prima che mi arrivasse la telefonata di Isabella. Potevi parlarmene.- disse Jasper accomodandosi anche lui sullo sgabello di fronte a lei.

-Ancora non so perchè sono andata da Bella. Forse volevo impietosirla. O forse no. Non lo so Jasper, non lo so veramente. Volevo far qualcosa e in quel momento mi sembrava la cosa più adatta.-

-Bella?-

-Sì, è così che abbiamo sempre chiamato Isabella in famiglia. Ha la stessa età di Alice.-

-Sì, anche lei mi ha detto che vi conosce praticamente da sempre. Anche se non è scesa nei dettagli. Un giorno li saprò?-

-Ci sono delle cose che non posso dirti, altre che posso e altre che non conosco. Dovresti chiedere a Alice, erano molto amiche. Anche con Emmett andava molto d'accordo. Forse qualcosa potrebbe dirti anche … Edward.- e disse il nome del figlio in un soffio -Ma quello che mi preme è sapere cosa vi siete detti, se posso saperlo anch'io.-

-Abbiamo parlato del vostro incontro e delle tue richieste. Isabella ha avuto un'ottima idea che se va in porto dovrebbe permettere ad Edward di uscire dal carcere anche se dovrà svolgere un lavoro sotto vigilanza.-

-Vuoi dire che potrebbe tornare a casa?-

-In realtà no. Non potrebbe tornare a vivere con voi o da solo, ma potrebbe vivere in una struttura senza sbarre né cancelli. Avrebbe un lavoro e quindi uno stipendio. Sarebbe poi più facile per lui tornare alla vita che aveva prima e forse trovare un impiego anche quando avrà scontato la sua condanna.-

-E questo quando potrebbe essere? Quando tornerà in libertà?- Esme era su di giri. Un barlume di speranza nei suoi occhi verdi, come quelli del figlio.

-Non lo so Esme. Insieme ad Isabella stiamo approntando tutti i documenti necessari. Dovrà firmarli anche Edward ma sai quant'è testardo. In questo momento ce l'ha con se stesso e si vuole auto punire. E dovremo fare una grande opera di convincimento per fargli cambiare idea.-

-Se vuoi ci parlo io.- propose Esme con gli occhi umidi. Quelle non erano lacrime di dolore, ma di speranza.

-No. Non vuole incontrarvi per ora.-

-E come pensi di fare allora?-

-Andrò a fargli visita con Isabella. Ha chiesto di vederla. Magari con lei potremmo riuscire nell'intento.- Jasper sospirò prima di continuare. -Esme, voglio essere sincero con te. Ci sono due ostacoli da affrontare. Il primo è Edward; se non lo convinciamo, non possiamo fare nulla. E se lo convinciamo, il secondo problema sarà il giudice che lo ha condannato. Se lui ritiene che Edward non sia un soggetto idoneo, non potremmo fare più nulla se non che lui esca dal carcere alla scadenza naturale della detenzione.-

-Ma il tuo istinto cosa ti dice Jasper?- non fu Esme a parlare, ma Carlisle. Si voltarono entrambi verso la porta e videro Carlisle, Alice ed Emmett.

-Da quanto siete lì?- chiese Esme.

-Abbastanza da aver ascoltato tutta la conversazione, tesoro.- le rispose Carlisle avvicinandosi e cingendole le spalle con un braccio.

-Allora? Qual è la tua opinione al riguardo?-

-La mia opinione è che molto probabilmente Edward lo convinciamo, ma con il giudice sarà molto dura. Il giudice Noth è uno tosto, l'avete notato anche voi in aula. Per lui il carcere è il luogo ideale per espiare i propri peccati. Ci stiamo preparando a controbattere ogni obbiezione che muoverà e avere l'avvocato dell'accusa dalla nostra parte potrebbe esserci utile.-

-Quindi Bellina farà la differenza?- disse Emmett

A quell'ulteriore nomignolo Jasper inarcò le sopracciglia -Mi piacerebbe sapere la storia che vi lega a Isabella.- disse non nascondendo più la curiosità.

-Amore, quando la senti dille che è invitata a cena. E se non viene la porto a fare shopping. Faremo una cena a casa nostra così ti racconteremo un po' di cose.- intervenne Alice.

-Ok Alice, ma prima risolviamo questa cosa. Comunque sì Emmett, Isabella potrebbe fare la differenza nel far uscire Edward dal carcere. Abbiamo il suo totale appoggio ed è per questo che stiamo lavorando assieme per far si che tutto sia in ordine.-

-E quando andrete da Edward?- stavolta fu il turno di Carlisle.

-Mercoledì pomeriggio.- rispose Jasper.

-E se tutto va bene.- iniziò Esme con voce speranzosa -dove andrà a stare quando uscirà di prigione?-

-Non posso dirvelo. Noi possiamo proporre un posto che sappiamo già disposto a prenderlo. Ma sarà il giudice a convalidare il posto del trasferimento. Potrebbe anche decidere per un altro tipo di lavoro in un altra città.-

-Quindi mercoledì pomeriggio …- iniziò Emmett.

-... andremo da Edward e gli faremo la proposta. Se l'accetterà, gli faremo firmare i documenti e poi faremo richiesta di incontro con il giudice.-

-E se non accetta?- chiese Alice.

-Non pensiamo al peggio ora.- disse Carlisle e Jasper fu stupito da questo atteggiamento. -Jasper ci terrai informati?-

-Sì.-

Un urlo disumano li fece tutti sobbalzare.

-Ok. Io vado a nascondermi. Se Rosalie vi chiede dove sono, sono partito per Marte.- disse Emmett sbiancando.

Tutti risero di cuore, forse per la prima volta in quel mese. Ci voleva proprio la macchietta di Emmett per stemperare quel momento di atroce speranza.

 

Il mercoledì seguente

 

-Tesoro, tutto bene?- chiese Carlisle.

-Certo, perché?- rispose Esme.

-Perché sei ferma su quella pagina del libro da almeno venti minuti.- gli rispose dolcemente.

Esme sospirò.

-Oggi è mercoledì.- disse lei.

-Già. Stai aspettando una telefonata da Jasper?- chiese lui.

-Sei arrabbiato perché sono andata da Bella?- chiese lei con timore.

-No. Avrei voluto solo saperlo e non ti avrei impedito nulla.-

-Ma?- chiese lei perché sentiva dal suo tono di voce che non le aveva detto tutto.

-Ma.- disse Carlisle e si fermò a guardare fuori dalla finestra.

Esme rispettò il suo silenzio continuando a guardarlo anch’'ella in silenzio.

-Durante l’'interrogatorio, ce l'’avevo con mio figlio. Mi sono chiesto dove ho sbagliato con lui. Mi sono sentito un fallito come padre e l’'ho veramente odiato. Ha avuto tutto quello che potevo dargli e quello era il modo in cui ci ripagava? Non volevo più avere a che fare con lui.- iniziò Carlisle e fece una pausa. Forse stava cercando le parole adatte a dire quello che provava alla moglie. O forse cercava delle parole educate. Ad ogni modo, quella era la prima volta, dopo un mese, che parlavano apertamente di Edward.

-Solo recentemente ho realizzato che è mio figlio. E anche se ha sbagliato, non voglio abbandonarlo al suo destino. O almeno non sarà una mia decisione voler chiudere con lui. Avevo pensato di parlarne con Jasper.-

-Lo hai fatto? Dico parlare con Jasper-. fece lei.

-No. Non sapevo da che parte iniziare. E tu sei andata da Bella.- le disse Carlisle sorridendole.

-Saresti andato da lei a parlarle?-

-Ci avevo pensato ma avevo scartato subito l’idea. Dopo dieci anni non avrei saputo come comportarmi. Com’'è ora?-

-E'’ disordinata come allora.- iniziò Esme –-Ma credo non ci sia più niente della Bella che conoscevamo.-

-Cosa intendi dire?- chiese curioso Carlisle.

-Non è stato un incidente.- disse solo Esme.

 

Durante il pranzo, in casa Cullen regnava il silenzio. Quasi non toccarono cibo. La tensione dell’'attesa era palpabile nell'’aria.

-A che ora devi andare al lavoro oggi?- chiese Esme quando il silenzio era troppo.

-Oggi non ci vado. Ho preso un giorno di ferie.- rispose Carlisle continuando a guardare il suo piatto di pasta.

-Come mai? Hai delle commissioni da fare?-

-Ho bisogno di stare con mia moglie oggi. Ho voglia di starle accanto, magari abbracciati sul divano con una ciotola di pop corn a vedere un film.- e disse ciò alzando lo sguardo per incontrare quello dell’'amata.

-Giulietta e Romeo?- propose lei.

-Non è un film un po'’ triste per un giorno come oggi?-

-Chissà, forse deprimendomi prima, starò meglio dopo.-

-Sai che a volte sei strana?- chiese allegoricamente lui -–Però ti amo anche per questo!- disse infine.

-Grazie amore.-

Nel pomeriggio si sistemarono in salotto, sul divano, proprio come proposto da Carlisle. Una ciotola di pop corn e una di patatine. Proprio come due adolescenti.

-Pronta per il film?- chiese Carlisle sedendosi.

-Certo! Ho preso anche i kleenex.- rispose lei.

Carlisle fece partire il film e strinse la moglie in un abbraccio. Lei si accoccolò sulla sua spalla.

Mentre il narratore introduceva la storia, Esme disse:

-Andrà tutto bene, vero?-

Carlisle non seppe cosa rispondere. E gli si strinse il cuore a vedere la propria compagna di vita con le lacrime agli occhi. E non stava piangendo per il film.

Quando il dvd si stoppò, le ciotole erano intatte e nessuno dei due si era mosso dal divano. Nessuno dei due aveva guardato realmente il film, troppo presi a pensare cosa stava succedendo in quel momento in un carcere di Port Angeles. L'’attesa del non sapere era snervante.

 

La cena si prospettò come il pranzo. Silenziosa e frugale. Il silenzio era rotto solo dal rumore delle stoviglie usate per assaggiare un po'’ di cibo. Non si sentiva neanche il vento; la natura era silenziosa.

Verso le 20 suonò il telefono di casa. Prima di rispondere entrambi si guardarono.

-Pronto?- disse Esme.

-Sono Jasper.- risposero dall’'altro capo dell'’apparecchio –-Spero tu sia seduta.-

Cattivo segno pensò Esme. Sta prendendo tempo. E si mise seduta stringendo la mano di Carlisle.

-Dimmi tutto senza nessun giro di parole.-

Tirò un profondo sospiro.


 

Prometto che prima o poi risponderò alle recensioni. Non me ne vogliate se ritardo.

Anche stavolta vi lascio un po' sulle spine; però spero apprezziate il fatto che mi sto impegnando a fare dei capitoli un po' più lunghi.

L'appellativo che Emmett usa nei confronti di Rosalie (patata bella, amore mio), lo utilizza il mio compagno con me. Non ricordo di averlo letto in nessun'altra fan fiction, quindi spero di non fare torto a nessuno nell'usarlo.

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Capitolo 11
*** Capitolo 11 ***


Le vostre “minacce” hanno sortito l'effetto di anticipare un capitolo. Vi lascio ancora in sospeso, ma qualcosa in più l'avete su cui rimuginare.

Ci vediamo in fondo. BUONA LETTURA!!!

 

 

CAPITOLO 11

 

Per non farsi scoprire, Jasper e Isabella lavorarono da casa e si scambiarono tutte le informazioni via mail. Così quando si incontrarono nel parcheggio del carcere, erano due comuni avvocati che avevano chiesto udienza con un detenuto.

Ufficialmente Isabella, dopo una richiesta ufficiale di Jasper, stava andando da Edward per chiarire alcuni punti della sua deposizione.

Mentre si incamminarono verso l'ingresso, Jasper disse:

-Alice ti vuole a cena. Minaccia di portarti a fare shopping se non vieni.-

Isabella rise.

-Non posso rifiutare perchè so che mi verrebbe a prendere anche in aula se non accettassi. Però facciamo dopo aver sistemato questa faccenda. Ok?-

-Certo. Naturalmente aspettati la famiglia al gran completo!-

Isabella assentì continuando a ridere.

Le porte si aprirono e loro entrarono; espletarono le formalità e furono fatti accomodare in una stanza.

Edward era già lì. Jasper notò che si era fatto la barba e aveva tagliato i capelli molto corti. Sembrava fresco di doccia e la divisa che indossava era pulita. Contrastava nettamente con la stessa persona che gli si era presentata davanti appena una settimana prima. Appariva molto più propenso a ricevere visite e a parlare anche se:

-Avevo chiesto di vedere Bella non anche te.- protestò.

-Dovevo infierire ancora un po' quel giorno in aula.- disse Isabella sedendosi di fronte ad Edward. -magari ti avrebbero mandato in un carcere di massima sicurezza dove ti avrebbero insegnato le buone maniere.-

-Voglio parlarti da sola.-

-Sono sola. C'è il tuo avvocato e lui è come se non vedesse, non parlasse, non sentisse. Allora, cosa devi dirmi di così importante da non aspettare che termini la tua vacanza al Gran Hotel?-

-Mi stai prendendo in giro?-

-Oh!- fece Isabella ritraendosi con finto stupore sulla sedia -Mi hai scoperta!-

-Dieci anni fa non mi avresti mai parlato così.- rispose Edward mostrando il suo sorriso migliore.

-Dieci anni fa ho capito che avevi un cervello che ti risiedeva in mezzo alle gambe. Recentemente ho scoperto che ora non hai neanche quello.-

Jasper stava assistendo a quel siparietto pensando che sì, Isabella avrebbe fatto la differenza.

-Dai Edward, stupiscimi.- lo incalzò Isabella.

-Volevo chiederti scusa, ma non so se ne valga più la pena.- disse Edward cercando di sfidarla.

-Bene. Terminato con le stronzate passiamo alle cose serie. Allora Jasper mi passeresti i documenti per favore?-

A Jasper, spiazzato da quel repentino cambio di rotta, occorse qualche secondo per aprire la sua portadocumenti ed estrarne i fogli necessari.

-Non ti interessa sapere per cosa volevo chiederti scusa?- chiese improvvisamente Edward. Aveva perso il suo vantaggio, non riusciva più ad ammaliare Bella. Perchè?

-Sinceramente no.- rispose lei.

 

-Allora Edward. Stiamo cercando di tirarti fuori di qui. Naturalmente non sarai libero, ma non avrai più la residenza in questo posto.- iniziò Isabella.

-E perchè fate questo? Non ve l'ho chiesto.-

-Tu no, ma tua madre sì.-

-Lascia fuori mia madre da questa storia!- sibillò Edward alla volta di Isabella.

-Dovevi pensarci prima di fare delle cazzate Cullen. Per una volta taci e cerca di svegliare quell'unico neurone che ti è rimasto se ci riesci.- ribattè Isabella.

-Ci proverò. Ma tu scandisci bene le parole.-

-Farò del mio meglio. Dunque. C'è la possibilità di fare richiesta di trasferimento di detenzione. Praticamente potresti scontare quello che ti resta in una struttura che si occupa di persone svantaggiate, o con problemi psichici o fisici. Se la cosa ti interessa vado avanti.-

-Se non mi interessasse?- “cara Bella” pensò Edward “non ti voglio dare soddisfazione”.

-Ce ne andiamo.- “caro Edward” pensò Isabella “non mi incanti più”

-Nell'ipotesi che mi interessi ...- Edward lasciò volutamente la frase a metà.

Isabella lo guardava e taceva.

Jasper guardava entrambi e taceva.

Edward guardava Isabella e taceva.

Passarono così alcuni minuti finchè Edward sbuffò:

-Ok, se mi interessa cosa devo fare?-

-Bè … se riesci a collegare quel mezzo neurone che ti resta con il muscolo del braccio, dovresti mettere delle firme.-

-Comincio ad odiarti.- disse Edward.

-Resto in vantaggio di dieci anni!- gli rispose Isabella.

Sì, pensò Jasper, Isabella fa la differenza.

 

-Non firmo nulla senza che mi spieghiate qualcosa.- rispose stizzito Edward.

Jasper guardò Isabella e lei iniziò:

-Lavorerai per una clinica che si occupa di malattie alimentari.-

-Non voglio lavorare e soprattutto con gli elefanti.-

-Ottimo.- e così dicendo Isabella iniziò ad impilare tutti i documenti.

Si alzò dalla sedia e si mise sotto braccio la sua borsa e raccolse i fogli. Jasper fece altrettanto senza battere ciglio né dire una parola.

Edward li guardava ad occhi sgranati, si sentiva improvvisamente muto e non riusciva a capire se era tutta una montatura o stavano facendo sul serio.

Entrambi si girarono e si avviarono alla porta, suonando per farsi aprire.

Edward era ancora lì che li guardava in silenzio. Non stavano bluffando realizzò.

La porta si aprì ed entrambi uscirono. La porta si richiuse.

Si aprì una porta dietro ad Edward. Una guardia era venuto a prenderlo.

-Ho dimenticato di dire una cosa molto importante al mio avvocato. Potete farlo tornare indietro?- stava iperventilando. Il suo era panico puro.

La guardia lo guardò un attimo e disse ad un’'altra di andare a vedere se l’'avvocato poteva tornare indietro.

Non sapeva di preciso cosa pensare. Aveva un milione di pensieri che gli vorticavano nella testa. Andavano dall'ora d’aria, al pranzo di natale dell'anno prima. A Jasper che se ne andava, al libro che stava leggendo nella biblioteca del carcere.

Dopo un tempo interminabile in cui pensò che non avrebbe più avuto nessuna possibilità per uscire dal carcere, Jasper entrò da solo. Questi si fermò davanti alla porta chiusa senza fare ulteriori passi per avvicinarsi alla tavola e sedersi di fronte ad Edward. Rimase lì, impalato, con la sua ventiquattrore che pendeva dalla mano destra.

Edward aspettava che dicesse qualcosa ma il silenzio, interrotto solo dal ticchettio dell’'orologio a parete, stava diventando insopportabile.

-Dimmi qualcosa.- elemosinò Edward.

Jasper sollevò le spalle. Non aveva nulla da dire. O meglio l’'aveva ma come consigliatogli da Isabella, non doveva dire nulla perché doveva fare tutto Edward. Era una sua decisione.

-Fammi firmare quei fogli.- disse Edward cominciando a perdere la pazienza.

Jasper lo guardò con le sopracciglia alzate ed Edward capì di aver esagerato. Lo stavano aiutando e lui faceva il sostenuto.

-Per favore, vorrei firmare i documenti.- disse Edward con tono più remissivo.

Jasper si avvicinò al tavolo. Vi poggiò la valigetta e l’'aprì. Prese i fogli e una penna. Li mostrò alla guardia che ancora non si era spostata dalla porta che conduceva al complesso carcerario vero e proprio. Questa fece un cenno di assenso.

Si spostò di fianco ad Edward e gli porse la penna. Indicò con l’'indice della mano destra dove doveva firmare nei vari fogli.

Terminata l’'ultima firma, Jasper prese la penna dalla mano di Edward e raccolse tutti i documenti; ritornò alla sua valigetta e sistemò tutto al suo interno. La chiuse, si girò, suonò ed uscì. Tutto questo senza parlare.

Edward rimase a guardare la porta chiusa.

-Cullen, andiamo- lo esortò la guardia. Edward si alzò e fu ricondotto nella sua cella.

 

 

Era passata una settimana da quando Jasper ed Isabella si erano presentati al carcere.

Una settimana in cui Edward non aveva avuto notizie di alcun genere.

Una settimana in cui aveva avuto modo di riflettere su tutta la faccenda.

Sua madre era intervenuta per far si che lui uscisse dal carcere. Aveva scomodato Jasper ed Isabella per questo. E loro avevano provveduto. Doveva lavorare, ma lui non aveva mai realmente lavorato. Neanche sapeva da dove si cominciava a lavorare. Non aveva mai eccelso a scuola, ma dubitava che quello che sapeva di storia e di matematica gli sarebbero serviti per lavorare.

Cosa avrebbe dovuto fare in quel posto?

Cucinare? Aveva visto sua madre e sua sorella preparare i pasti, ma mai ci aveva prestato attenzione. Lui non aveva mai cucinato per nessuno, piuttosto le sue ragazze le portava fuori a cena.

Pulire? Quando era al college, ci pensava una donna a pulire il suo appartamento. A casa non sapeva se se ne occupava sua madre o una persona esterna.

Poi cosa avrebbe potuto fare in una clinica per ciccioni?

E poi perché proprio in una clinica per ciccioni!

Insomma un figo come lui in mezzo a dei cessi! Perché essere ciccioni è essere anche degli sfigati e cessi.

 

Edward osservò una crepa nell’angolo in alto a destra rispetto al suo letto.

Era da un mese dentro quel carcere. Dormiva in uno stanzone con altre diciannove persone. Ma per la prima volta in un mese iniziò a pensare perché si trovasse lì.

L’unica sua certezza era che aveva deluso i suoi genitori in tutto. Ventisette anni di delusioni. L’avrebbero mai perdonato? Sua madre probabilmente sì se era andata da Jasper e da Isabella. Suo padre? Questo non lo sapeva.

Cosa avrebbe fatto una volta uscito di lì? Effettivamente non sapeva fare nulla di concreto. L’unica cosa che gli era sempre riuscita bene era fare sesso. Forse poteva prestarsi come accompagnatore.

Accantonò quel pensiero. Di sicuro alla clinica avrebbe imparato qualcosa. Se poi quel qualcosa non gli avrebbe permesso di vivere come voleva, poteva sempre ripiegare per qualcosa di più piacevole che sporcarsi le mani.

Certo, avrebbe fatto così. E sarebbe stato lontano dalla sua famiglia per non dargli ulteriori dispiaceri.

 

Ma quando mi vengono a prendere per uscire da questo posto?” si chiese Edward mentre suonava la campanella che annunciava l’ora d’aria.

Le ore d’aria erano sempre un momento piacevole. Per quanto fosse piacevole vivere costantemente con altre persone e sotto sorveglianza.

Aveva legato con qualche altro detenuto. Nulla di che perché lo consideravano un novellino. Il reato per cui era dentro era considerato di poco conto da chi era li per tentato omicidio o per spaccio. Per quanto avesse sbagliato, c’erano persone che meritavano più di lui di stare lì dentro. Quindi, a maggior ragione, era giusto che lui uscisse per andare in un posto migliore rispetto agli altri.

C’erano stati anche momenti in cui aveva avuto paura. Non era abituato a non avere privacy. Dormire con altre persone era stato un shock. Le prime notti non riusciva a dormire per paura che gli facessero del male; i fatti di cronaca di nonnismo e di violenza su altri detenuti erano noti. Poi si era tranquillizzato.

In quel mese era passato dalla fase di rifiuto della sua nuova condizione, al desiderio di rinascita. Dalla voglia di essere solo, al desiderio di avere il sostegno della sua famiglia.

Non aveva molto da fare lì dentro. Le giornate erano tutte uguali. Poteva tranquillamente andare in biblioteca quando voleva: non era molto fornita ma qualche classico non gli dispiaceva rileggerlo. L’ora d’aria era fatta per stare nel cortile del carcere. Un po’ di palestra all’aria aperta e qualche partitella a basket con gli altri erano routine.

Quel giorno si mise in un angolo del cortile, seduto su una panchina, a guardare gli altri giocare a basket. Le guardie erano sempre di vedetta sui camminamenti del muro perimetrale, e controllavano i detenuti dall’alto.

-Cullen! Edward!- si sentì chiamare. Si guardò attorno e notò un paio di guardie con delle buste in mano. Stavano distribuendo la posta. Chi poteva scrivergli?

-Eccomi.- rispose avvicinandosi.

-Tieni. Questa è la convocazione per andare dal giudice domani. Devi essere pronto per le otto di mattina.- gli disse l’agente consegnandogli una busta voluminosa.

-Grazie.- rispose prendendo la busta e ritornando a sedersi sulla panchina.

L’aprì e lesse. Non diceva niente di particolare, solo che si doveva presentare l’indomani davanti al giudice Noth, che era poi quello che lo aveva spedito lì dentro.

Questo cosa significava? Che non bastava aver firmato tutti quei documenti per uscire di lì?

Domani l’avrebbe saputo.

 

La sera, da solo sotto la doccia, continuò a rimuginare perché non poteva essere più semplice uscire da lì. Si fece anche la barba. Voleva essere più che presentabile in aula il giorno dopo. Pensò anche a cosa doveva portarsi dietro per il giorno dopo. Non possedeva praticamente nulla in carcere. Il suo vestito che aveva usato per le udienze, era nel magazzino del carcere insieme all’orologio, al cellulare e al portafogli. Tutto quello che gli serviva per l’igiene personale, era dato dalla struttura stressa ed era monouso. Il giorno dopo gli avrebbero consegnato tutti i suoi effetti personali per andare in aula? O almeno così sperava perché non voleva ritornare lì per riprendere le sue poche cose. “Perché domani me ne andrò per non tornare più, vero?” si chiese Edward improvvisamente pauroso del domani. Forse il giudice lo avrebbe rispedito lì dentro fino alla fine dei due anni di condanna. Sentì un attacco di panico farsi prepotente, ma cercò di scacciarlo. Doveva essere ottimista.

Chissà se ci sarà anche mamma domani?” si chiese mentre si asciugava e si rivestiva. Era un mese che non la vedeva e un po’ aveva voglia di rivederla. L’ultima volta stava piangendo silenziosamente. E quell’immagine lo perseguitava ancora.

 

 

Facendo parte della categoria di chi è in carne, purtroppo ho avuto l'occasione di conoscere delle persone che veramente ritengono che chi ha problemi di peso siano una razza a sé. Gli appellativi che ho usato, non vogliono essere una cattiveria nei confronti di nessuno, però ho cercato di rendere il probabile pensiero di chi discrimina chiaro.

E sperando di essere stata chiara in questo post scriptum, aspetto le vostre opinioni.

CIAO E BUON WEEK END!!!

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Capitolo 12
*** Capitolo 12 ***


GRAZIE a chi mi ha recensito: gaccia, bedw, Alice_Nekkina_Pattison, Delena8790, maria50, Stella del Sud, gmarci, LaylaLaRed, sene, vampirellawolf, dafne46, Celin, mammaio, shannara, hermione851, fede710, kiish e _robsten_ (spero di non aver dimenticato nessuno).

GRAZIE alle 33 persone per cui la mia storia è tra le preferite.

GRAZIE alle 11 persone per cui la mia storia è tra le ricordate.

GRAZIE alle 133 persone per cui la mia storia è tra le seguite.

UN ENORME GRAZIE DI CUORE.

 

CAPITOLO 12

 

Edward non dormì granchéquella notte. E il giorno dopo, mercoledì, non si sentiva affatto stanco. Sperava con tutte le sue forze che fosse una buona giornata.

Dopo una colazione frugale, alle 7.30 fu fatto accomodare in una stanza dove poté cambiarsi. Il suo cellulare, con l’orologio e il portafogli, furono consegnati ad una guardia in una busta. Li avrebbero poi consegnati a chi lo avrebbe preso in carico, gli spiegarono.

Alle 8.00 si sedette sul bus, insieme ad altri, per essere accompagnato al tribunale.

Alle 9.30 scendeva dal bus e fu preso in carico da un agente e condotto in un’aula.

Si sedette al banco della difesa. In quel momento era solo con la guardia che stava di piantone.

 

Si accorse dell’arrivo di Jasper solo quando questi posò la sua valigetta sul tavolo.

-Ciao.- disse Edward.

-Ciao.- rispose Jasper e si sistemò a sedere.

-Perchè siamo qui?- chiese Edward.

-Il trasferimento di detenzione deve essere convalidato dal giudice che ti ha mandato in carcere. E' la prassi.- fece Jasper.

-Ma è tutto a posto?-

-I documenti presentati sono in ordine. Manca la firma del giudice.- gli spiegò Jasper.

Dopo pochi minuti entrò Isabella seguita a ruota da Jacob Black.

"Che ci fa quello qui?" pensò Edward guardando l'uomo.

Jasper si avvicinò ad Isabella e Jacob e parlottarono fittamente e a bassa voce. Lui non riusciva a sentire cosa si dicevano di preciso, ma percepì una nota di disappunto da parte di Jasper perchè era presente anche Black. Anche a lui dava fastidio la sua presenza.

Entrò una signora e si accomodò di fianco alla scrivania del giudice. Una persona bizzarra nell'abbigliamento. Cardigan verde pisello e gonna rosso mattone. Portava degli occhiali allungati e uno chignon tratteneva i capelli praticamente bianchi.

-Signori,- iniziò la donna con la voce stridula -accomodatevi ai vostri posti. Entra il giudice Noth.-

Tutti si spostarono ai loro posti e Jasper fece segno ad Edward di alzarsi.

Entrò il giudice e si accomodò a sedere. E tutti si rimisero a sedere.

-Buongiorno.- esordì il giudice -Siamo qui per decidere sul trasferimento di detenzione del signor Cullen.-

-Si signor giudice.- esordì Jasper alzandosi dal suo posto. -Come vede c'è una struttura disposta ad accettare il mio cliente e farsi carico del residuo della sua detenzione. Il signor Black, direttore della struttura, è qui per entrare nel ...-

-Ho capito signor Whitlock.- lo interruppe il giudice.

-Signorina Cope.- si rivolse il giudice all'assistente. -Prego non verbalizzi.-

La signorina Cope si ricompose al suo posto.

-Vediamo di capirci bene.- disse il giudice rivolto agli altri. -Ho letto le vostre richieste e ho visto che tutti i documenti sono in regola. Ma la mia domanda è un'altra. Cosa sta succedendo?-

-In che senso signor giudice?- chiese Jasper spiazzato.

-Isabella.- le si rivolse il giudice. -Ti conosco da quando andavi all'università ed eri una delle mie più brillanti studentesse. Hai sempre aberrato le ingiustizie e perseguitato persone proprio come Cullen. Adesso spiegami perchè hai cambiato idea.-

Jasper guardò Isabella esterefatto ed Edward guardò in basso.

 

-Signor giudice, posso parlare?- esordì Jake per interrompere il momento di silenzio che si era venuto a creare.

-Lei è il signor Black, giusto?- chiese il giudice.

-Sì.- rispose Jake.

-Bene, sentiamo lei per primo. Oggi non usciremo da quest’aula senza aver ascoltato tutti.- minacciò il giudice.

-Dirigo la clinica “Life & Nature” …- iniziò Jake.

-Salti le presentazioni. E’ tutto scritto qui.- lo interruppe il giudice mostrandogli il voluminoso fascicolo. -So di cosa stiamo parlando. Voglio sapere perché dovrei trasferire il signor Cullen e non un altro.-

-Ok. La mia motivazione per far venire Cullen alla clinica è di far capire quanto stronzo patentato è a tutti quanti.- disse Jake.

-Obiezione!- esordì Jasper. -Non si può permettere di insultare il mio assistito!-

-Stia zitto Whitlock.- lo ammonì il giudice. -Niente è a verbale fino a quando lo dico io. E questa è una conversazione pre-giudizio. Tutti voi potete esprimermi come volete in questo momento se questo mi servirà a capire le vostre motivazioni.-

Il giudice fece una pausa fino a quando Jasper non si rimise a sedere.

-Mi dica signor Black. Come ha intenzione di procedere per dimostrare la sua tesi?-

-Conosco Cullen da quando eravamo bambini. E’ sempre stato un arrogante pieno di sé. Il rispetto per le persone neanche sapeva cosa fosse e, essendo dentro per questo, direi che non è per nulla cambiato in questi anni che ho avuto il piacere di non averci a che fare. Ora mi è stato chiesto di assumerlo e lo voglio fare perché so che non resisterà molto da noi. Gli do massimo un mese prima di ritornare ad essere il bieco individuo che conoscevo. Sarà con mio immenso piacere venire poi da lei e dirle di risbatterlo dentro e buttare via la chiave.- disse Jake tutto soddisfatto.

-Isabella.- le disse il giudice. -Hai qualcosa da aggiungere?-

-No.- rispose lei.

-Signor Whitlock, ora può parlare.- disse il giudice.

-Grazie signor giudice.- e così Jasper si alzò. -Diversamente dal signor Black conosco Edward da meno tempo. Non posso e non voglio giudicare il suo passato. Ammetto di conoscerlo poco perché lo vedo solo in certe occasioni come le feste comandate, essendo io il marito di sua sorella. Non so molto di quello che era e di quello che è. Se è così “spregevole” come mi è stato dipinto, credo che comunque debba avere una possibilità di dimostrare di essere migliore. Forse la clinica “Life & Nature” non è proprio il posto ideale perché si occupa di un’altra tipologia di problemi. Ma penso che essere a contatto con persone disagiate, indipendentemente dal motivo del loro disagio, possa essere un punto di partenza per vedere se Edward è recuperabile o meno. Se non lo è, sarò il secondo dopo il signor Black a chiedere che venga reincarcerato. Se invece si dimostra anche solo un minimo migliore di ora, se farà dei progressi nei confronti di altre persone problematiche, sono convinto che con il tempo sarà una persona diversa.- Jasper stette in silenzio qualche secondo e poi si sedette.

-Isabella?- le disse il giudice dopo un paio di minuti di silenzio. -Hai qualcosa da aggiungere?-

-No.- rispose lei.

-Bene. Signor Cullen tocca a lei.- gli rivolse l’invito il giudice.

Edward si trovò spaesato a quella richiesta.

-Non ho nulla da dire.- gli disse lui.

-Le consiglio di dire il suo pensiero. Ora come ora la rimanderei dritto in carcere e tutto il lavoro fatto per farla uscire andrà sprecato.- obiettò il giudice.

Edward prese un bel respiro e si alzò.

-So meglio di chiunque altro in questa stanza che persona sono. Probabilmente sono peggio di quello che hanno detto. Posso cambiare come spera Jasper? Non lo so. Resterò la stessa persona o sarò peggio di come dice Black? Probabile. Perché dovrebbe farmi uscire? Non lo so. Ho capito di aver sbagliato e forse non è una giustificazione valida dire che ho sempre fatto così e non so fare diversamente. Però è l’unica che posso darle, perché non ne conosco altre.- e si sedette.

-Direi che lei è il meno confuso di tutti signor Cullen.- e si rivolse a Isabella -Resti solo tu Isabella. Cosa hai da dirmi?-

-Niente.-

Il giudice guardò un momento fuori dalla finestra dell’aula.

-Ok.- disse a Isabella. -Dimmi perché devo fare uscire Cullen.-

-Non lo deve far uscire.-

-E perché hai collaborato con il signor Whitlock allora?-

-Sono stata obiettiva. Ho messo da parte le mie idee su di lui e ho valutato i pro e i contro. Dopo una lista interminabile di contro, i pochi pro mi hanno indotta a fare tutto questo.-

-Quali sono i pro?- chiese il giudice.

-Non ce ne sono.- rispose sinceramente Isabella.

-In base a questo, dovrei rifiutare la vostra richiesta.- disse il giudice.

Il giudice Noth guardò tutte le persone che erano sedute.

-Sospendo l'udienza per mezz'ora.- e così dicendo si alzò e uscì dall'aula.

 

Nell'aula tutti rimasero immobili per un po'.

Jake fu il primo a rilassarsi; estrasse il suo cellulare per accenderlo e controllare se ci fossero dei messaggi. Ne trovò alcuni per delle questioni riguardo alla clinica.

Isabella si appoggiò allo schienale della sedia, chiuse gli occhi e si premette due dita all'apice del naso.

Jasper emulò Jake e controllò il suo cellulare. L'avevano cercato Alice ed Esme. Volevano sapere.

Edward guardava Isabella. Si stava chiedendo perchè aveva fatto tutto questo se poi pensava che doveva restare in carcere. E poi la guardò diversamente. Notò che le donava quel completo giacca e pantaloni scuro. La camicia rosa chiaro esaltava il suo incarnato. Era leggermente truccata. Il lucidalabbra aggiungeva un tocco in più alle sue labbra già piene. Improvvisamente gli venne voglia di baciarle. Chissà com'erano? E che tacchi indossava! Saranno stati almeno dieci centimetri! Edward realizzò che Isabella era diventata una donna, con una professione ben avviata, magari con un uomo accanto e forse dei figli.

Se l'avesse rivista fuori, in altre circostanze, forse ci avrebbe anche provato. Ci avrebbe provato anche se fosse stata sposata. Poi quel pensiero lo fece rabbrividire; non si trovava in un'aula di tribunale proprio perchè si comportava da idiota con le persone? Forse ogni tanto doveva pensare prima di agire. Sì, se fosse uscito da lì, avrebbe prima pensato e poi agito si ripromise.

-Jasper?- chiese Edward. -Quanto tempo è passato?-

-Circa venti minuti.- gli rispose Jasper sapendo già cosa voleva sapere. -Il giudice Noth è abbastanza puntuale. Se dice mezz'ora, sarà questione di cinque minuti in più al massimo.-

-Ma perchè ha chiesto del tempo?-

-Deve decidere se accettare o meno la nostra proposta.-

-Non capisco. All'inizio ha detto che aveva già tutti i documenti. Non aveva già deciso?-

-Probabilmente aveva già deciso. L'incontro era solo per convalidare o meno la decisione che aveva già preso.-

-Per te cosa deciderà?-

-Sarò sincero.- sospirò Jasper. -Non posso sapere cosa avesse già deciso il giudice. Di certo le sue parole e il suo modo di porsi non erano di buon auspicio. Quello che è stato detto qui, non credo che aiuterà molto.-

-Quindi ritornerò in carcere?- le speranze di Edward si fecero piccole piccole.

-Ascoltami Edward.- Jasper cercò di essere il più rassicurante possibile. -Da quando sei entrato in carcere mi sono subito messo al lavoro per cercare di tirarti fuori magari chiedendo una riduzione della pena. Oppure una revisione del processo. Mi stavo dando da fare insomma. Poi c'è stata questa opportunità. Se non dovesse andare, farò sicuramente qualcos'altro. Ok?-

-In piedi.- annunciò la signorina Cope sedendosi alla sua postazione; dietro di lei entrò il giudice.

-Prego signorina Cope.- disse il giudice e quest'ultima si preparò a verbalizzare. -Appoggio il trasferimento di detenzione. Il signor Cullen svolgerà un lavoro da definirsi presso la clinica "Life & Nature". La tipologia del lavoro verrà concordata con l'assistenza dell'avvocato Whitlock e sarà comunque confacente alle abilità del signor Cullen.-

Edward avrebbe voluto mettersi a ballare in quel momento da quanto era contento. Probabilmente anche Jasper dal colorito rossastro delle guance: stava trattenendo la contentezza perchè tutto stava andando per il meglio.

-Però ...- continuò il giudice. -Signor Cullen lei sarà sotto la custodia della signorina Swan.-

E tutti sgranarono gli occhi.

-Cosa?- chiese Isabella stupita.

-Avvocato Swan, lei farà da garante al signor Cullen. Nei giorni in cui lui dovrà lavorare alla clinica, lui alloggerà alla clinica e lei sarà libera di risiedere dove più le è comodo per il suo lavoro. Quando il signor Cullen non sarà al lavoro, lei se lo dovrà portare dietro.- spiegò il giudice.

-Dietro dove? In ufficio? A casa?- chiese un'Isabella sempre più sbalordita.

-Esatto. Dovrà trovarmi qualche pro per questo trasferimento, non trova? Entro la fine del mese voglio una relazione scritta da parte sua, da parte del signor Black e da parte di uno psicologo in cui mi spiegate il tipo di organizzazione che avete scelto, il tipo di lavoro, come si comporta il signor Cullen quando è alla clinica e quando non lo è, e come procede il suo recupero.-

Il giudice fece una pausa.

-Signor Cullen, questa è una grande opportunità per lei, spero se ne renda veramente conto. Comunque terrò un posto riservato in carcere per lei.-

-Grazie signor giudice.- disse Edward.

-Signorina Swan, può prendere in carico il signor Cullen.- e così dicendo, il giudice uscì dall'aula.


 

-Avvocato Swan.- la chiamò la signorina Cope. -Deve firmare questi documenti.- e le mise davanti una discreta pila di fogli.

-Signor Cullen.- disse la signorina Cope.- Anche lei deve firmare gli stessi documenti. Se si vuole avvicinare.-

A quella richiesta Edward si alzò per andare allo stesso tavolo di Isabella e si sedette nella sedia accanto.

-Signorina, lei firmi qui.- e così dicendo la signorina Cope le indicò dove firmare. Prese il primo documento firmato e lo passò ad Edward. -Signor Cullen, lei apponga la sua firma sotto quella dell'avvocato.-

In pochi minuti sbrigarono le pratiche.

-Signor Cullen.- iniziò la signorina Cope. -Ha degli effetti personali da ritirare dal carcere?-

-No.- rispose Edward. -Li ha la guardia che mi ha accompagnato in aula.-

E mentre diceva questo, la guardia in questione si avvicinò poggiando sul tavolo la busta con le poche cose di Edward.

-Perfetto. Potete andare.- la signorina Cope prese in mano i documenti e si avviò all'uscita.

Isabella raccolse i suoi documenti e li mise nella sua portadocumenti.

-Andiamo.- disse solo.

Entrambi si alzarono e si diressero all'uscita in religioso silenzio.

Appena fuori dall'aula, trovarono ad attenderli Jasper e Jake.

-Mi spiegate cos'è successo là dentro?- chiese Jake.

-Lo vorrei sapere anch'io Jake.- gli rispose Isabella.

-Propongo di pensarci e di trovarci nel pomeriggio nel mio studio.- intervenne Jasper. -Che ne dite?-

-Per me va bene.- disse Jake.

-Chiamo in ufficio e poi ti dico Jasper.- ed Isabella estrasse il suo cellulare e si avviò all'uscita del tribunale.

Jake si mosse subito dietro di lei.

-Cullen! Muoviti!- lo riprese Isabella.

Jasper mise una mano sulla spalla di Edward per invitarlo a seguire gli altri.

-E' andato tutto bene.- gli disse sorridendogli.

-Già.- rispose Edward sorridendo.


 

Il gruppetto si ritrovò nel parcheggio del tribunale.

-Salve Bree, sono l'avvocato Swan.- disse Isabella al cellulare. -Mi passeresti Jane se è libera per favore?-

Mentre attendeva di parlare con la sua assistente, Isabella aprì la sua auto. Edward rimase sorpreso dal mezzo. Non si aspettava una così bella macchina.

-Ciao Jane, tutto bene in ufficio?-

In silenzio attesa la risposta dall'altra parte

Tutto bene Isabella. Il signor Trainer ha telefonato per spostare l'appuntamento di oggi pomeriggio. E' dovuto andare fuori città per un lavoro urgente”

-Ottimo. Avrei altri appuntamento oggi?-

No.”

-Jane oggi pomeriggio allora non vengo. Ho un problema da risolvere.-

Il caso Cullen?-

-Si. Ci vediamo domattina per la riunione settimanale. Comunque se hai bisogno sono reperibile al cellulare-

Certo. Ad ogni modo stasera prima di uscire ti chiamo per dirti se ci saranno dei cambiamenti per domani.”

-Grazie Jane. A più tardi.-

A più tardi.”

-Ok Jasper. Per oggi sono libera.- disse Isabella dopo aver riagganciato al cellulare.

-Non so voi, ma io comincio ad avere fame.- disse Jake passandosi una mano sullo stomaco.

-Bè, potremmo andare a pranzo e parlare a tavola.- propose Jasper. Nel frattempo il suo cellulare prese a squillare. Guardò il mittente. -Scusatemi.- e si allontanò per rispondere.

-Proposte dove andare a pranzo?- chiese Jake.

-Fate voi.- rispose Isabella.

-Se vogliamo sbrigarci potremmo andare al Mc Donald's.- propose Jake.

-Aspettiamo Jasper e poi decidiamo.- fece Isabella.

Edward ancora non aveva parlato da quando erano usciti dal tribunale. Aveva ascoltato i loro discorsi ma non era intervenuto. Guardò Jasper che camminava avanti e indietro poco distante da loro e rispondeva a monosillabi al suo interlocutore. Guardò Isabella che sembrava più sul punto di scoppiare come una bomba che tranquilla come voleva apparire. Guardò Jacob ma non percepì nessun sentimento da parte sua.

Jasper si avvicinò a loro e passò il suo cellulare a Jacob.

-Esme ti vuole parlare.- disse semplicemente. Edward rimase sorpreso di questa cosa.

Jacob si allontanò quel tanto che bastava per avere un po' privacy. Dopo poco ritornò dal gruppetto per riconsegnare il cellulare al legittimo proprietario.

-Avevo proposto il Mc Donald's se non vogliamo perdere troppo tempo. Che dite?- fece Jake.

-A quest'ora è troppo affollato e non potremmo parlare liberamente.- riflettè Jasper. -C'è un ristorante cinese vicino al mio studio. Ha delle salette private. Se vi va bene telefono per prenotare.-

Tutti acconsentirono.


 

Ve lo aspettavate tutto questo?

Pensavate che Edward uscisse o no dal carcere?

Fatemi sapere cosa ne pensate, sono curiosa delle vostre opinioni.

A presto! 

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Capitolo 13
*** Capitolo 13 ***


Ciao a tutte! Da quello che mi avete scritto nelle vostre recensioni, direi che nello scorso capitolo sono riuscita a stupirvi. Chissà se ci riuscirò anche in questo?

Vi lascio alla lettura. Alla prossima!

 

CAPITOLO 13

 

Erano al ristorante cinese. Edward era arrivato con l'auto di Isabella, mentre Jasper aveva portato Jacob con la sua. Adesso erano seduti ad una tavolo da quattro. Edward e Isabella erano uno di fianco all'altro. Davanti ad Isabella sedeva Jacob, di fianco a lui e quindi di fronte ad Edward c'era Jasper.

Avevano lasciato l'onore di ordinare ad Edward. E così lui ordinò ciò che più gli piaceva e sperava gradissero anche gli altri. Partì con una selezione di antipasti caldi, con prevalenza dei ravioli alla piastra con tutti i ripieni che erano nel menù. Riso alla cantonese e spaghetti con verdure. Pollo alle mandorle e gamberetti in agrodolce.

Assaggiò un po' di tutto. O meglio spazzolò tutto perchè per lui erano tutti sapori nuovi. Ormai era assuefatto alla cucina del carcere.

Notò che gli altri commensali non parlarono molto durante il pasto. Aveva capito che quel pomeriggio erano più o meno liberi dai loro impegni. Quindi rimanere a tavola a conversare non sarebbe stato un problema.

E così fu che il momento del dolce, divenne anche il momento dei chiarimenti.

 

-Dunque Jacob.- iniziò Jasper. -Hai già pensato alle mansioni per Edward?-

-Pensavo di affiancarlo al nostro manutentore, Embry Call.- rispose Jake e poi si rivolse ad Edward. -Comunque Edward se sai fare qualcosa di particolare, posso vedere di inserirti in qualche altro contesto.-

-Tipo?- gli chiese Edward.

-Avremmo bisogno di un altro personal trainer. Oppure hai una qualche laurea che possa tornarci utile tipo in psicologia o in dietologia?- Jake si stava divertendo un mondo a prenderlo in giro. Anche se non lo sapeva con certezza, sperava che Edward fosse rimasto il nulla facente figlio di papà che non aveva concluso niente nella vita.

-No. Non sono laureato. E non so niente di palestre e attività connesse.- gli confermò Edward con mestizia. Sapeva che l'intenzione di Jacob era quella di metterlo in difficoltà e non solo in quel momento. Di sicuro avrebbe trovato l'occasione di farlo anche alla clinica. Non si meritava di essere umiliato in pubblico, ma non voleva farci nulla in quel momento. Forse un giorno si sarebbe preso la rivincita nei confronti di Black.

-Cosa intendi per manutenzione?- chiese Jasper per aiutare Edward in quel momento di imbarazzo.

-Embry si occupa principalmente della gestione delle aree comuni. Da aggiustare un interruttore, al giardino della clinica. Credo che non serva una laurea per cambiare una lampadina. Sarà un lavoro faticoso che lo porterà a stare principalmente all'aria aperta.- e poi guardò Edward con un sorriso sardonico. -Te la senti Edward?-

-Si.- fu la risposta secca di quest'ultimo.

-Bene.- e Jasper alzò il braccio per richiamare l'attenzione del cameriere. -Direi che una questione è sistemata.-

 

-Allora Edward.- disse Jake dopo aver finito di bere il suo caffè -Prima al telefono parlavo con tua madre. Ti sta già preparando la stanza alla clinica.-

-Davvero?- chiese Edward non sapendo cosa altro poteva chiedere, tipo perchè sua madre avesse parlato con Jacob e non con suo figlio.

-Sì.- gli rispose Jasper. -In effetti è all'opera da giovedì scorso.-

-Jasper si è lasciato scappare dove avevamo chiesto che fossi trasferito.- disse Isabella con una sorrisetto.

-In effetti quando le ho telefonato per dirle che avevi firmato i documenti, ho anche capito da dove Alice avesse imparato tutta quell'astuzia nel farmi fare ciò che vuole. Esme e i suoi parenti cominciano a farmi paura.- disse Jasper.

Edward sorrise a quella confidenza.

-Comunque.- continuò Jake. -Esme mi ha chiamato per chiedermi dove pensavo di sistemarti nel caso fosse andato tutto secondo i piani. Quando ho cominciato a spiegarle quale sarebbe potuto essere il tuo alloggio, mi ha stoppato e mi ha dato appuntamento per il giorno dopo. E puntuale il giovedì mattina era lì con tanto di metro, blocco per appunti, penna e un capo cantiere.-

Jake scosse un momento la testa al ricordo di Esme e del suo entusiasmo. Era vero quello che le aveva detto una volta Isabella; non potevi dire di no a quella donna.

-Appena entrati in quella che doveva essere la tua stanza, si è girata verso di me e ha detto: “ma qui non ci sta nulla! Ho un appartamento intero da spostare!”.-

-Come un appartamento intero?- chiese Edward curioso.

-Hai presente che ti stava preparando una casa quando dovevi ritornare da Chicago?- gli chiese Jasper ed Edward annuì. -Ecco, i tuoi avevano preso un appartamento in affitto e tua madre l'aveva già arredato. Mancava solo la tua roba.-

-E' vero, ci sarei dovuto andare a vivere la settimana dopo il mio arresto.- si ricordò Edward.

-Esatto.- proseguì Jasper. -I tuoi avevano pensato che mantenere una casa in affitto senza nessuno che ci vivesse non sarebbe stato economico, ma non sapevano dove sistemare i mobili nuovi. Così quando mi è sfuggito che avevamo proposto la clinica come tua destinazione, ha ben pensato di portare lì tutte le tue cose.-

-Ma...- e fu il turno di Isabella. -Jake aveva pensato a una tua sistemazione con altri dipendenti in una delle case più grandi. Ed Esme avrebbe sfruttato solo una parte del mobilio nuovo. Così mi ha chiesto se poteva sostituire i mobili che avevo nel mio alloggio con i nuovi. E non le ho potuto di no. Quindi da giovedì ci sono gli operai che smontano, tinteggiano e rimontano.-

-E adesso ci sono gli operai che stanno spostando la tua stanza da una casa all'altra.- continuò Jake. -Mi ha comunque detto di riferirti che le tue cose te le lascia imballate in camera tua. Quelle te le sistemi da solo.-

-Ho voglia di vedere mamma.- disse Edward con nostalgia.

-Quando sarete pronti, vi rivedrete.- gli disse Jasper mettendo la sua mano sulla sua per confortarlo. -Hanno bisogno di tempo, ma ti assicuro che sapere che non sei più in carcere per loro è motivo di sollievo.-

Edward assentì a quell'affermazione.

-Bene.- disse Jake alzandosi dal tavolo. -Io devo andare. Voglio arrivare per cena in clinica.-

-Si, è il caso di muoversi.- disse Isabella alzandosi anch'ella. E fu seguita dagli altri.

Una volta pagato il conto, si ritrovarono fuori dal ristorante.

-Isabella.- Jasper. -Posso parlare un momento in privato con Edward?-

-Certo.- e sia lei che Jake si spostarono più in là.

 

Jasper si avvicinò alla sua auto e ne aprì il baule.

-Esme ha pensato di farti avere un po' di cose per i primi giorni.- e così dicendo estrasse un valigia di medie dimensioni.

-Come stanno?- fu la risposta di Edward mentre prendeva la valigia e la metteva a terra.

-Non voglio risparmiarti nulla.- sospirò Jasper. -Per loro è stato un duro colpo. All'inizio hanno cercato di andare avanti come se non fossi mai esistito. Ma quando ci trovavamo tutti a Forks, si sentiva che non erano felici.-

-Ho paura.-

-Non sta a me dirti come ti devi sentire. E non posso neanche darti dei consigli. Come ti dicevo prima, quando sarete pronti farete un passo verso l'altro. Ma fino a quel momento cerca di non fare cazzate.-

Mise una mano sulla spalla di Edward.

-Mi hai capito? Basta cazzate.- e gli diede uno scrollone. -Ancora non mi sono fatto un'idea del perchè il giudice abbia accettato il trasferimento dopo quello che è venuto fuori oggi in aula. Di sicuro non si tratta di fiducia. Se fossi stato io il giudice, a quest'ora saresti tornato dentro.-

-Quindi non hai neanche una teoria bislacca in cui possa crogiolarmi?-

-No Edward.- e così dicendo si mise entrambe le mani in tasca e si appoggiò alla sua auto. -So solo che ci sono tante questioni che riguardano il passato tuo, della tua famiglia e di Isabella che si stanno reintrecciando. Forse il giudice ha visto questo e ha pensato che fosse un'opportunità. Non lo so.-

Edward lo guardava come se parlasse in un'altra lingua.

-Edward, tu ti ricordi di Isabella e di quando andavate al liceo?-

-Poco. Ricordo che ogni tanto studiava con Alice.-

Adesso fu il turno di Jasper guardarlo come se venisse da un altro pianeta.

-Che c'è?- chiese Edward.

Jasper non volle dare voce ai suoi pensieri.

-Edward fammi un favore. Visto che dovrai essere seguito anche da uno psicologo, cerca di parlare anche del periodo che eri un liceale. Non sono un strizzacervelli, ma forse parlare di quel periodo, potrebbe aiutarti. Ok?-

-Va bene Jasper. Lo farò.-

E così dicendo si abbracciarono come due fratelli che non si vedevano da tempo.

-Ciao Jasper.- ed Edward prese la maniglia della sua valigia e si incamminò verso Isabella.

-Ciao Edward.- e restò a guardarlo. -E' l'inizio della tua nuova vita. Non buttarla nel cesso.- fu l'augurio che Jasper disse fra sé e sé.

 

Durante la conversazione tra Jasper ed Edward, anche Isabella e Jake parlarono degli accadimenti di quella mattina.

-Allora.- iniziò Jake. -Che ne pensi?-

-Non lo so. Se la sincerità paga, avrei preferito mentire in aula.- rispose Isabella guardando verso l'asfalto.

-Vuoi sapere cosa ne penso io?-

-No.-

-Penso che il giudice ti abbia fatto un favore.-

-Se ti dicevo si te ne stavi zitto?-

-Assolutamente no.- le rispose Jake appoggiandosi all'auto di lei e guardando in direzione degli altri che stavano parlando.

-Aveva chiesto a Jasper di vedermi.-

Jake la guardò soltanto.

-Quando sono andata in carcere ha detto che voleva chiedermi scusa. Di cosa non lo so, non l'ho voluto sapere.-

-Di sicuro non ti voleva chiedere scusa di essere stato stronzo con te. Secondo me non si ricorda neanche di te.-

-Lo penso anch'io. Infatti credo volesse chiedermi più scusa per le sue azioni di quella sera nei confronti di Angela e di essere finito in carcere per quello.-

Isabella osservò Jasper passare una valigia ad Edward.

-Ho chiesto io al giudice di farlo venire in clinica.- disse Jake.

-Cosa?- chiese stupita Isabella.

 

Il giorno precedente

 

-Buongiorno. Cerca qualcuno?- disse Jake all'uomo in completo blu scuro che si trovava davanti alla porta di ingresso della clinica. Gli ricordò un po' Mr. Big, l'amore di Carrie Bradshaw in “Sex and the City”, il telefilm che guardava sempre con sua sorella e con Isabella.

-Buongiorno. Sto cercando Jacob Black.- rispose questi.

-Sono io.-

-Salve, sono il giudice Noth.- e gli porse la mano.

-Salve.- e Jake gliela strinse. -Prego, la faccio accomodare nel mio ufficio.-

-Preferirei parlare restando all'aperto se non le dispiace.-

-Certo. Mi faccia solo avvisare che sarò fuori.-

-La aspetto.-

E così Jake sparì all'interno della clinica per uscirne dopo un paio di minuti.

-Prego.- disse Jake. -Da questa parte.-

-Perfetto.-

-Non mi aspettavo una sua visita.- disse Jake dopo che si trovarono all'esterno della struttura principale. Si stavano dirigendo verso la zona fitness.

-La sua lettera mi ha incuriosito. Subito avevo pensato di convocarla nel mio ufficio ma poi ho preferito fare un salto per vedere questo posto.-

-Che ne pensa?-

-La sua è una domanda ambigua.- rispose il giudice dopo un paio di minuti mentre imboccavano una stradina ghiaiata.

-A cosa pensava mi riferissi?-

-Se vuole sapere cosa penso di questo posto, ritengo che sia ben tenuto. Ho preso informazioni sulla vostra attività. Le cose vi vanno bene e siete fra i migliori nel vostro campo. Avete del personale di alta qualità e i giudizi in merito al vostro operato sono tutti favorevoli.-

-Fin qui non mi ha detto nulla che già non sapevo.- rispose Jake fermandosi.

-Invece la sua lettera mi ha aperto a nuove riflessioni.- ribattè Noth fermandosi accanto a lui.

-Questo è l'alloggio di Isabella quando viene qui. In genere è qui il venerdì e riparte la domenica sera o il lunedì mattina a seconda degli impegni che ha a Seattle.-

-Perchè mi ha condotto qui?- il tono di Noth era quello di chi vuole sapere le cose come stanno e subito.

-Quando si entra in terapia, qualsiasi problema uno abbia, la prima cosa che ti chiedono è di ammettere che hai un problema. Si dice che chi lo ammetta, è a metà del percorso di guarigione. Isabella ha un problema, che si chiama Edward Cullen. Ma non l'ha ancora ammesso a sé stessa e tanto meno agli altri. Anch'io ho un problema con la stessa persona e un paio di altre persone che lavorano qui hanno un problema sempre con quella persona.-

-Se il signor Cullen crea tutti questi problemi, allora dovrebbe stare dov'è.- rifletté il giudice.

-Anche Cullen ha un problema. E si chiama Edward Cullen.- ribattè Jake.

-Cullen è un problema per sé stesso?- adesso il giudice sembrava confuso.

-Probabilmente per lui la fame nel mondo è il nome di un nuovo cocktail da bersi la domenica a cena. L'inquinamento e l'effetto serra sono cose che neanche lo sfiorano. I problemi che un individuo può avere non sono niente in confronto ai suoi. E forse il suo problema più grande è se quella sera si scoperà una bionda o una mora.-

-E lei pensa che farlo venire qui, lo aiuterà?- chiese scettico Noth.

-Credo che se verrà qui, sarà costretto ad aprire gli occhi. Primo perché lavorerà, verbo a lui sconosciuto. E poi sarà a contatto con persone che lo toccheranno nel profondo con le loro problematiche.-

-Cosa le fa credere che questo cambiamento in meglio avvenga?- stavolta il giudice sembrava meno scettico.

-Non lo credo, lo spero.-

-Non ho capito se lo spera solo per Cullen o anche per la signorina Swan e per lei?-

-Lo spero per tutti.-

-Quindi se accettassi la richiesta di trasferimento, lei come pensa di agire?- chiese Noth girandosi per tornare verso l'ingresso principale.

-Per questo ho bisogno di un aiuto supplementare da parte sua.- gli rispose Jake affiancandolo.

-Sarebbe?- chiese Noth.

 

Il giorno dopo, in un parcheggio davanti ad un ristorante cinese di Seattle.

 

-Ho chiesto io al giudice di farlo venire in clinica.- disse Jake.

-Cosa?- chiese stupita Isabella.

-Sì. Gli ho detto che tra voi due c'erano dei conti in sospeso. Sistemarli avrebbe fatto bene ad entrambi e lui mi ha ascoltato e mi ha dato ragione.-

-Perchè?-

-Quel giorno, quando mi hai detto la verità, ho capito una cosa. Tu hai bisogno di tornare a vivere. Bella.- e Jake notò il suo sussulto. Non la chiamava Bella da tanto tempo. -Ho scritto una lettera al giudice e ieri si è presentato alla clinica. Abbiamo parlato di te e di lui. Gli ho chiesto io che tu ne avessi la custodia.-

-Perchè?- lo interruppe Isabella.

-Per le stesse motivazioni che ho detto al giudice. Lui ti ha fatto male e non lo sa neanche ora cosa ha combinato nel suo passato nei tuoi confronti. E' ora che tu gli restituisca il favore. Ne hai l'occasione. Certo, avrei preferito accompagnarlo su quella scogliera e buttarlo giù, ma questo al giudice non l'ho detto. Però tu puoi portarlo sulla scogliera della sua ignoranza e farlo cadere nel mare del dolore che ha provocato agli altri. Io di mio posso infierire tutti i giorni, ma tu devi spingerlo con un bel calcio.-

-Perchè?- richiese Isabella.

-Le tue cicatrici racchiudono un cuore che sembra morto. Fallo tornare a vivere, per tutti quelli che ti vogliono bene, ma soprattutto per te stessa. Non puoi andare avanti così. Stai morendo di dolore. E lo sai. Non so se sfogarti con lui sarà la soluzione definitiva, ma sarà un inizio.-

-Sono già morta.-

-No. Se lo fossi, avresti detto no ad Esme.-

-Non si può dire di no ad Esme.- gli rispose guardandolo.

-Tu l'avresti fatto.- le disse Jake guardandola dritta negli occhi. -Ma qualcosa, o qualcuno, ti ha fatto dire si. Adesso devi dire di si a te stessa. E ne hai l'occasione perchè hai quasi due anni per affrontare la tua morte personale.- e così dicendo indicò Edward.

-Anche l'idea di farci vivere sotto lo stesso tetto è stata una tua idea?-

-Potrei aver accennato qualcosa.- le rispose rimettendosi dritto. Edward si stava avvicinando a loro. -Direi che ci vediamo nei prossimi giorni.- e così dicendo si allontanò verso la sua auto.

Isabella aprì il bagagliaio della sua auto ed Edward vi sistemò la sua valigia. Poi entrambi salirono in auto e in silenzio si diressero verso l'appartamento di Isabella. 

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Capitolo 14
*** Capitolo 14 ***


Stavolta sono stata brava e ho risposto a tutte le recensioni, per questo mi faccio i complimenti da sola. Un po' di autostima non fa mai male.

Questo è un capitolo un po' così, di transizione. Inizia l'avventura di Edward fuori dal carcere e insieme ad Isabella.

Vi lascio alla lettura.

Bacioni a tutte!

 

P.S. Grazie Paride!

 

 

CAPITOLO 14

 

Era giovedì mattina. Edward guardò il suo orologio al polso e notò che erano appena le 7.00.

Si era svegliato sentendo una porta chiudersi. Aveva subito aperto gli occhi e si era reso conto di non essere nel dormitorio del carcere: mancava la macchia d'umidità sopra la sua testa e la crepa nell'angolo era sparita.

Realizzò di essere nell'appartamento di Isabella, disteso sul suo divano dove aveva appena passato la sua prima notte da uomo libero. Perché era così che si sentiva. Libero. Per la prima volta da più di un mese si sentiva libero e non gli importava nulla del fatto che fosse ancora sotto custodia. Rifletté che la sera prima, mentre si stava facendo la doccia e si lavava i denti, la porta era chiusa. La privacy! Quanto gli era mancata!

Mentre il suo cervello si riattivava pensando al suo nuovo status, sbirciò oltre la spalliera del divano e notò Isabella, in tuta, che entrava in bagno. I suoi lunghi capelli castani, era fermati in una coda di cavallo alta. Hai piedi calzava un paio di scarpe da ginnastica; probabilmente era andata a correre.

Quando lei si chiuse la porta alle spalle, lui si mise a sedere sul divano ed iniziò a guardarsi attorno.

L'appartamento di Isabella non gli appariva grandissimo. Da dove era seduto, Edward notò che l'ingresso dava direttamente sul salotto. La porta d'entrata si trovava nell'angolo a destra. Tenendo la destra, si vedeva la cucina a vista sul salotto. Di fronte al divano c'era una grande mobile con il televisore e una porta finestra, probabilmente c'era un terrazzo. Sulla parete di fronte alla cucina c'erano due porte. In una, la sera precedente era sparita Isabella, probabilmente era la sua camera. Nell'altra non sapeva cosa c'era. Poi c'era un'altra porta nella parete dietro il divano; era il bagno.

Edward si alzò dal divano e aprì le imposte della finestra. Trovò un bel terrazzo su cui affacciavano altre due porte finestre. Una, quella alla sua sinistra, era quella della cucina. L'altra era la stanza “misteriosa”. Si affacciò alla ringhiera del terrazzo; sotto al palazzo c'era un bel parco. Più in là di vedeva l'attracco dei ferryboat. Era una mattinata serena quella, con poche nuvole.

-Buongiorno.- Edward si voltò colto alla sprovvista. Isabella si trovava di fronte a lui con un accappatoio di spugna bianco da cui spuntavano le gambe inguainate in un paio di pantaloni bianchi e calzettoni rosa.

-Buongiorno.- rispose Edward. -Spero non ti dispiaccia se ho aperto la finestra.-

-Hai fatto benissimo.- rispose lei avvicinandosi. -Adoro aprire le finestre di prima mattina. E' una mia abitudine.-

Entrambi guardarono il panorama, troppo imbarazzati per parlare.

-Preparo la colazione.- disse Isabella staccandosi dal suo fianco. -Hai preferenze?-

-Qualunque cosa tu prenda, per me va bene.- rispose Edward seguendola in cucina.

Guardò Isabella che prendeva una tovaglia da un cassetto per stenderla su un lato della penisola che guardava il salotto. Poi aprì il frigo.

-Ho la confettura di albicocche e quella di frutti di bosco.- e così dicendo le prese per posarle sul ripiano. -Puoi prendere le fette biscottate? Sono dietro la seconda antina in alto.-

-Certo.- rispose Edward

Intanto lei, sempre dal frigo, prese il latte e un brick di succo d'arancia.

-Caffè?- chiese Isabella.

-Sì, grazie.- rispose Edward.

-Le tazze sono qui sopra.- disse Isabella preparando la caffettiera.

Edward le prese e le sistemò con le altre cose.

-Latte?-

-No, grazie.-

Isabella prese la sua tazza e ci versò il latte e poi si accomodò su uno sgabello. Anche Edward si sistemò accanto a lei e iniziarono a fare colazione in silenzio.

Solo quando il caffè fu pronto, Isabella si decise a rompere i convenevoli:

-Stamattina devo andare in ufficio. Dovrai venire con me.-

Edward assentì solo con la testa. Non sapeva bene cosa rispondere a quell'affermazione. Nella sua testa si chiedeva cosa avrebbe fatto in quei giorni che avrebbe passato con Isabella e quando sarebbe andato alla clinica.

-Ci staremo poco.- rispose lei come leggendogli nella mente. -Ho una riunione e alcune cose da sbrigare. Nel pomeriggio sono libera e pensavo di partire per la clinica.-

-E poi ritorni subito a Seattle?- chiese Edward timoroso di trovarsi solo in un posto nuovo e ostile con Black che lo controllava.

-No, resterò fino a domenica.- rispose lei. -In genere parto il venerdì mattina e rientro la domenica sera. Ti darò una mano a sistemarti e ti farò conoscere un po' di persone che lavorano in clinica.-

-Come mai ci stai così tanto in quel posto?- le chiese pensando che forse aveva problemi con il cibo. Eppure aveva fatto una ricca colazione.

-Perchè ci lavoro. Sono il legale della clinica e praticamente ogni week end lo passo a fare da supervisore a tutte le attività.-

-Quindi ogni week end comunque ci vedremo?- chiese Edward per conferma.

-Sì. E seguiremo gli ospiti nelle attività che fanno fuori dalla clinica. Lo scorso week end abbiamo partecipato ad un campo di sopravvivenza. Sembrava di essere dei campeggiatori più che dei sopravvissuti in cerca di salvezza.- e sorrise.

Era bella quando sorrideva, pensò Edward. Le si creavano delle fossette agli angoli della bocca: deliziose! E quelle labbra sembravano così soffici. Avrebbe voluto baciarle. “Non fare cazzate” gli tornò in mente quello che gli aveva detto appena il giorno prima Jasper. E accantonò quel pensiero.

-Vatti a preparare intanto che io sistemo qui.- gli disse Isabella.

-Ok.- e così dicendo Edward si avviò alla valigia che aveva aperto di fianco al divano e prese ciò che gli serviva per cambiarsi.

Andò in bagno e si fece la doccia e la barba. Fece tutto con calma e si rivestì anche con calma. Quando ritornò in salotto, andrò dalla sua valigia e cominciò a frugarci dentro per vedere cosa sua madre gli aveva messo dentro. Tre paia di jeans, due camicie, quattro magliette, biancheria di riserva, due paia di scarpe da ginnastica, un accappatoio e una felpa. In uno degli scomparti trovò il caricabatteria del suo cellulare e in altro un quaderno e una penna. “Chissà perchè mamma ci ha messo questo?” si chiese. E poi lo aprì. Nella prima pagina sua madre aveva scritto:

 

Scrivere è leggere in sé stessi.

 

A mio figlio, da sua madre.

 

Non aveva mai tenuto in diario quando era ragazzo. Forse poteva iniziare ora. “Perchè no” si disse. In fin dei conti sarebbe stato confinato e forse non avrebbe avuto molto da fare dove era diretto per i prossimi due anni.

 

-Sei pronto?- gli chiese Isabella distogliendolo dai suoi pensieri.

-Si.- Si alzò e mise il quaderno nella tasca del giubbotto.

E si avviarono alla porta d'ingresso.

 

 

Erano in auto. Si stavano dirigendo all’ufficio di Isabella.

Edward stava rimirando l’auto:

-Hai una bella macchina.-

-Sì. E’ un vezzo. Mi piacciono le auto sportive.- gli confessò Isabella.

-Capisco. Anche a me piacciono molto, anche se preferisco le Volvo.- Edward ripensò alla sua auto. Chissà se era ancora a casa dei suoi genitori; ricordava che quella sera era stato Ben ad andarlo a prendere ed insieme erano andati a casa di Mike.

-Si.- disse Isabella. -Ricordo che avevi una Volvo argentata al liceo.-

-Già.- rispose Edward con un sorriso. -Tu che macchina avevi?- chiese poi.

-Un pick up rosso- disse Isabella dopo aver preso un sospiro. E guardò per un momento fuori dal suo finestrino.

Edward la guardò per un attimo e si fece coraggio:

-Posso guidare?-

-No. Sei un detenuto; hai le stesse restrizioni e le stesse libertà che avevi in carcere.- rispose Isabella, con durezza.

Il suo tono fece desistere Edward dal chiedere quali cose poteva fare o meno, ma ripensando alle parole appena dette, capì che era ancora in carcere, con l’unica differenza che non c’erano sbarre alle finestre.

Il resto del viaggio trascorse nell’assoluto silenzio. Il traffico non era molto intenso e raggiunsero il centro in poco meno di mezz’ora. Parcheggiarono nel parcheggio interno dell’edificio che ospitava lo studio “Dwyne & Ford”.

Dopo che scesero dall’auto, per la prima volta Edward notò l’abbigliamento di Isabella. Oggi aveva un tailleur nero pantaloni aderente. Sembrava di sartoria da quanto le calzava bene. Sotto la giacca indossava una maglia dal collo alto bianca. Ai piedi calzava un paio di scarpe nere lucide con tacco alto. Non era molto alta, realizzò Edward, ma aveva un bel fisico. I capelli, lasciati sciolti sulle spalle, ondeggiavano ad ogni suo passo.

Entrarono nell’ascensore e salirono fino al piano dello studio.

Si avviarono per il corridoio e varcarono le porte a vetro.

-Buongiorno Bree. Buongiorno Victoria.- disse Isabella alle due ragazze che erano dietro il bancone della reception. Entrambe la salutarono e squadrarono il ragazzo che la seguiva.

Isabella si inoltrò per un corridoio. Su un lato e sull’altro si aprivano delle porte. Verso la fine del corridoio svoltarono a destra per trovarsi un ampio locale alla loro destra e un’altra serie di uffici sul lato sinistro.

Isabella continuava a fare strada fino a quando le si affiancò una ragazza bionda con una minigonna a metà coscia e i tacchi ancora più alti di quelli di Isabella.

-Ciao Isabella.- le disse la donna.

-Ciao Jane.- le rispose Isabella entrando in una stanza.

-Cullen?- chiese Jane indicando il ragazzo in jeans e camicia che la seguiva.

-Si.- e si fermano tutti e tre all’interno dell’ufficio dell’avvocato. -Edward, ti presento Jane, la mia assistente.-

-Salve.- rispose Jane tenendo le mani occupate da dei fascicoli.

-Buongiorno.- rispose Edward educato.

-Volete un caffè?- chiese Jane.

-Per me no Jane.- e così dicendo Isabella si accomodò alla sua scrivania.

-Neanche per me, grazie.-

-Bene.- e Jane uscì dall’ufficio chiudendosi la porta alle spalle.

-Edward.- lo chiamò Isabella. -Puoi accomodarti sui divani. Tra poco ho una riunione e un paio di telefonate da fare. Non dovrei essere impegnata per tutta la mattina.-

-Ok.- disse semplicemente Edward e si accomodò sul primo divano.

Per una buona mezz’ora Isabella ebbe da fare con Jane. Stavano discutendo su alcuni documenti che mancavano per una causa di divorzio. Jane si sarebbe dovuta occupare di recuperare tutto per lunedì pomeriggio. Stavano parlando quando qualcuno bussò alla porta di Isabella.

-Sala riunioni.- disse semplicemente una ragazza dai capelli rossi. Edward ricordò di averla vista quando erano entrati nello studio; era una delle due ragazze della reception.

-Ok, io vado.- disse Isabella. -Jane puoi occuparti tu di lui mentre sono in riunione per favore?-

-Certo.- rispose Jane aprendo la porta. -Signor Cullen, se ha bisogno di qualcosa sono qui davanti.-

-Grazie.- disse Edward.


 

Dopo circa un’ora, Isabella si avvicinò alla scrivania di Jane.

-Com’è andata la riunione?- chiese l’assistente.

-Bene. Mi hanno confermato di seguire il caso Trainer. L'avvocato della moglie è Jasper Whitlock.- rispose Isabella.

-Vuoi che te lo chiama e fissi un appuntamento?-

-Sì, ma non prima di martedì pomeriggio. Oggi pomeriggio vado a Forks.-

-Allora è vero? Hai la sua custodia?-

-Già. Per fortuna il giudice ha sentenziato che possa vivere alla clinica. Sarebbe stato problematico portarmelo dietro al lavoro.- Isabella lanciò un'occhiata alla porta del suo ufficio. -Ti ha dato problemi?-

-Nessuno. Non ha mai chiesto niente e tutte le volte che ho sbirciato era seduto sul divano a scrivere.-

Isabella sollevò un sopracciglio per la momentanea sorpresa.

-Jane, ho bisogno della documentazione del caso Stanley. Dovrò seguirlo insieme a Banner.-

-Chiederò a Chelsea di farmi una copia del fascicolo così da dartelo prima che tu vada via. A che ora pensi di partire?-

-Tra un'ora circa.-

-Glielo chiedo subito.-

-Chiedile se preferisce farmi le fotocopie o vuole scannerizzare tutto. Se non ce la fa con così poco preavviso, può inviarmi tutto via mail anche dopo che sono andata via. Il portatile me lo porto dietro.-

-Ok, sento e ti faccio sapere.- e così Jane prese il suo telefono per parlare con Chelsea ed Isabella si avviò alla porta del suo ufficio.

Quando entrò, Edward alzò appena lo sguardo per poi riabbassarlo sul quaderno che teneva sulle gambe. Nessuno dei due parlò. Isabella proseguì fino alla sua scrivania e si mise seduta a controllare un fascicolo prima di consegnarlo a Jane per l'archiviazione.

Dopo quasi un'ora, in cui l'unica a parlare fu Isabella con un paio di colleghi, entrò Jane con una pila di fogli in mano.

-Questa è una copia del fascicolo Stanley- disse, ed Isabella prese il fascicolo per metterlo dentro la sua borsa.

-E' stata velocissima.-

-Banner sapeva già di dover condividere con qualcuno il caso e così aveva già fatto preparare il tutto.-

-Bene.-

-L'appuntamento con l'avvocato del caso Trainer è per mercoledì mattina alle undici. La sua segretaria mi manderà già la loro documentazione. Vuoi che te la inoltri poi?-

-Sì grazie. La nostra gliel'hai già mandata?-

-No. Aspetto lunedì quando ho tutto. Così ci diamo un'occhiata insieme prima.-

-Perfetto. Se siamo a posto, andrei.- ed Isabella si alzò dalla sedia e chiuse la sua borsa.

-Sì, comunque se ho bisogno ...- iniziò Jane.

-... ho il cellulare e il pc acceso.- terminò per lei Isabella e si avviò alla porta.

-A lunedì Isabella. Signor Cullen.- e Jane si congedò.

-Andiamo Edward?-

-Sì- rispose questi che si era già alzato ed era pronto per uscire.

Ed infatti entrambi si incamminarono facendo il percorso a ritroso per uscire dallo studio “Dwyne & Ford”.


 

Quando Edward ed Isabella arrivarono all'auto di lei, si erano fatte ormai le tredici.

-Che ne dici di andare a pranzo?- propose Isabella.

-Per me va bene.- rispose Edward.

Mentre Isabella imboccava l'uscita del parcheggio, Edward disse:

-Vorrei poterti offrire io il pranzo, ma non ho contanti con me.- E così dicendo estrasse il suo portafogli dalla tasca posteriore destra, per poi aprirlo e controllarlo. -Però ho la carta di credito!- disse con un sorriso.

-Che è bloccata.- gli fece di rimando Isabella.

-Come?- stupito chiese Edward.

-E' la norma. Il tuo conto e stato congelato. Anche se avessi a disposizione milioni di dollari, non puoi utilizzarli fino a che non avrai terminato di scontare la tua pena.-

-Non sono abituato a farmi offrire qualcosa da qualcuno, soprattutto da una donna.- disse Edward sbuffando. -Sono frustrato.-

-Potremmo fare così. Per questo pranzo mi devi un favore.- disse Isabella.

-Quale?-

-Ancora non lo so. Però te lo ricorderò a tempo debito. Ci stai?-

-Andata- ed Edward le porse la mano che Isabella, un po' titubante, strinse appena.


 

-A te la scelta.- disse Isabella.

-Già mi offri il pranzo, almeno scegli tu dove pranzare.- ribattè Edward.

-No, no! Andiamo dove vuoi.-

-Anche in un posto come il Volterra's?-

-Ottimo, così il favore che ti posso chiedere è più grande.- disse ridendo Isabella.

-Mi sono fregato con le mie mani.- sbottò Edward sprofondando nel sedile del passeggero.

Parcheggiarono l'auto e fecero i pochi passi che li separavano all'entrata del ristorante.

Quando entrarono furono accolti dal maitre:

-Buongiorno e benvenuti al Volterra's. Avete prenotato?-

-No. Siamo in due, quando è disponibile un tavolo?- chiese Isabella.-

-Controllo.- e il maitre scorse la lista delle prenotazioni.

-Isabella? Edward?- Una voce di uomo alle loro spalle li fece voltare.

Alice e Jasper, a braccetto, erano appena entrati anche loro nel ristorante. I due fratelli si guardarono intensamente, pietrificati sulle loro posizioni ma entrambi con gli occhi lucidi.

-Anche voi a pranzo qui?- chiese Jasper per sbloccare quel momento di puro pathos.

-Stanno controllando se c'è posto.- disse Isabella. I due fratelli continuava a guardarsi come se non ci fosse nessun altro in quel momento in quel luogo. -Non abbiamo prenotato.-

-Ma noi si.- rispose Jasper. -Magari possiamo chiedere se il nostro tavolo può diventare da quattro.-

Pur essendo in quattro, la conversazione era solo fra due. Alice ed Edward stavano vivendo una specie di dialogo silenzioso fatto di uno sguardo talmente intenso che sembrava si stessero radiografando a vicenda. Era talmente intimo il loro modo di guardarsi che sembravano rinchiusi in una bolla dove a nessuno era permesso entrare, e comunque nessuno avrebbe voluto intromettersi.

Isabella e Jasper si avvicinarono al maitre per chiedere se era possibile fare un unico tavolo. Per fortuna fu possibile e così Jasper prese per mano Alice e la condusse al tavolo seguendo il maitre. Isabella si avvicinò ad Edward:

-Vuoi andare in un altro posto?- gli chiese.

Lui la guardò riscuotendosi ma non le rispose.

-Capiranno se non vuoi stare con loro adesso.- provò Isabella.

-No. Andiamo.- e le fece segno di seguire gli altri.


 

Il maitre li fece accomodare ad un tavolo quadrato. Quando Isabella ed Edward arrivano al tavolo, Jasper aveva già fatto accomodare Alice e teneva una sedia spostata per far sedere Isabella alla sinistra di quest' ultima. Dopo che Isabella si fu seduta, anche Jasper si sedette ma di fronte a sua moglie così da lasciare l' unico posto libero alla destra di Alice per Edward.

-Bene.- disse Jasper. -Cosa prendiamo?-

-Ho voglia di guardare un po' il menù.- disse Isabella lanciando un'occhiata alla volta di Edward. -In genere prendo sempre la caprese, ma ho voglia di cambiare stavolta.-

-Ottimo suggerimento Isabella.- le fece eco Jasper. -Voglio provare anch'io qualcosa di diverso dal solito.-

E così dicendo sia Jasper che Isabella si immersero nell'impegnativa lettura del menù del Volterra's.

Sia Alice che Edward non avevano ancora proferito parola in presenza l'una dell'altro. Ma prima o poi avrebbero dovuto dire qualcosa, anche solo per ordinare.

Arrivò il cameriere per prendere le ordinazioni. Isabella e Jasper si guardarono per un momento e fu quest'ultimo a parlargli:

-Non siamo ancora pronti per ordinare. Nel frattempo ci può portare da bere per tutti. Acqua sia naturale che frizzante, grazie.-

Dopo che il cameriere si fu allontanato con l'ordinazione delle bevande, fu la volta di Isabella intervenire per sbloccare il mutismo:

-Alice? Divideresti con me i ravioli ai funghi?-

A sentirsi chiamare, Alice alzò lo sguardo per trovare gli occhi sereni dell'amorevole marito. Il suo sorriso d'incoraggiamento la convinse a parlare rivolgendosi ad Isabella:

-Sì.- fu la sua risposta. -Ma ho voglia anche di spiedini di gamberi, ma una porzione per me è esagerata.-

-Ti aiuto io Alice.- e finalmente anche Edward si sbloccò.

-Non so cosa scegliere fra i primi.- disse Jasper.

-I loro tortelli di patate sono molto buoni.- consigliò Edward.

-Proverò quelli allora.- disse Jasper facendo finta di rifletterci su. -Come secondo invece ... invece ...-

-Penso che prenderò un contorno di verdure alla griglia.- disse Isabella.

-Due.- fece Jasper chiudendo il menù.


 

Dopo che il cameriere portò le bevande e dopo che ebbero ordinato, ci fu tutto il tempo per parlare un po'.

-Alice è da tanto che non ci vediamo!- provò Isabella. -Come stai?-

-Bene.- rispose Alice guardando di sottecchi Edward.

-Hai poi fatto la scuola di moda?- Isabella continuò a cercare di farla aprire. Si rendeva conto che era uno shock per tutti questo pranzo. Soprattutto perché non era stato preventivato e cercava di andare a braccio nella speranza di smuovere un po’ gli animi.

-Sì.- rispose laconica Alice.

-Isabella?- la chiamò Jasper. -Stamattina la mia segretaria mi ha detto che avremo un appunto mercoledì prossimo.-

-Il divorzio del signor Trainer.- rispose lei.

-Già.- e Jasper lanciò un’occhiata agli altri commensali di quel tavolo. Alice aveva gli occhi che guardavano l’interessante tovaglia. Edward ogni tanto guardava sua sorella e non proferiva parola.

-Comunque la mia assistente ti farà avere tutto entro martedì mattina.- disse Isabella.

-Come vi siete conosciuti?- chiese Jasper.

-Come ho conosciuto il signor Trainer?- chiese Isabella trasalendo.

-No. Come vi siete conosciuti tu e la famiglia Cullen.-

A quella richiesta Alice alzò di scatto la testa per guardare il marito in viso. Anche Edward spostò la sua attenzione alla volta di Jasper.

-Bè …- iniziò Isabella un po’ impacciata. -Con Alice ci conosciamo dall’asilo. Eravamo nella stessa sezione perché abbiamo la stessa età. Poi le nostre madri divennero amiche e così ci vedevamo anche fuori dall’asilo.-

-Quindi vi conoscete tutti da anni?- chiese Jasper guardando in direzione della moglie e di Edward.

-Esatto.- ma fu Isabella a rispondere.

-Com’era Alice da bambina?- chiese Jasper.

-Jazz, tesoro.- sussurrò la moglie. -Non importunare Bella con storie noiose.-

-Perché?- chiese Jasper. -Volevo solo sapere qualcosa di più e magari di diverso da quello che mi hanno raccontato i tuoi.- e poi, rivolgendosi ad Isabella. -Come mai Alice ti ha chiamato Bella?-

-Era il diminutivo del mio nome che usavamo quando eravamo piccole.-

-Nessuno più ti chiama Bella?- chiese Alice.

-No. Tutti usano il mio nome completo.- le rispose Isabella.

Quella strana conversazione fu interrotta dall’arrivo del cameriere con i primi piatti.

Dopo i convenevoli di buon appetito, tutti si accinsero a gustare le loro pietanze. Era una tavolata molto silenziosa la loro. E questo ostracismo continuò anche per i secondi piatti e per il caffè. Il massimo del dialogo fu chiedere com’era il cibo che stavano mangiando.

-Chiediamo il conto?- chiese Jasper.

-Jasper.- disse Edward. -Pagheresti anche per noi per favore? Poi te li rendo quando potrò.-

-Così niente favore.- mormorò Isabella.

-Come?- Chiese Alice.

-Data la situazione, avrei offerto io e poi sarebbe stato in debito con me di un favore.- spiegò Isabella.

-Quale favore?- volle sapere Alice.

-Non lo so ancora.- rispose semplicemente Isabella.

-Io si!- disse entusiasticamente Alice dopo un momento di riflessione.

-Quale?- fu la richiesta di Isabella.

-La cena.- disse solamente Alice. Sapeva che Isabella e Jasper erano consci a cosa si riferisse.

-Che cena?- chiese allora Edward sentendosi estromesso dalla conversazione.

-Alice aveva proposto una cena con Isabella e con tutta la famiglia.- spiegò Jasper.- E' stato quando ho parlato con i tuoi di quello che stavamo facendo per farti uscire.-

-Quindi.- proseguì Alice guardando Edward dritto negli occhi. -Chiunque paghi, come favore dovrai venire anche tu a cena.-

-Alice ...- Edward era in imbarazzo. -Io … Non so se ...-

-Ottima idea.- disse Jasper.

-In effetti quando non lavori, dovresti stare con me.- fu la volta di Isabella. -Quindi se vado da loro a cena, tu dovresti seguirmi.-

-Organizzerò qualcosa alla villa.- disse Alice prendendo il suo cellulare. -Per mamma non ci dovrebbero essere problemi.- e iniziò a controllare l'agenda del telefonino.

-Isabella?- chiese Alice. -Se facciamo un week-end? Potreste stare qualche giorno con noi.- disse speranzosa.

-Sia io che Edward ci dovremmo organizzare con il lavoro alla clinica.- le rispose.

-Lasciami il tuo numero che così ci mettiamo d'accordo.- sembrava che Alice fosse impegnata nel preparare un party presidenziale.

Chiesero il conto ed uscirono dal ristorante.

Si salutarono nel parcheggio come dei normali conoscenti.

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Capitolo 15
*** Capitolo 15 ***


Perdono … Perdono … Perdono!

Scusate se non mi sono fatta sentire in questi giorni ma ero in vacanza. Come potevo dire di no al mio amore quando mi ha proposto una vacanza last minute in Sicilia.

Per fortuna il capitolo era quasi pronto e quindi posto oggi. Non so se riuscirò postare un'altra volta questa settimana, ma dalla prossima farò di tutto per essere regolare come promesso.

Scusate se non ho risposto a nessuna recensione, ma le ho lette e vi ringrazio per il vostro supporto.

Tanti bacioni ai dolci cannoli siciliani!

 

CAPITOLO 15

 

Giovedì. Nell'auto di Isabella

 

-In un modo o nell'altro, dovrò incontrare la mia famiglia.- proruppe Edward infastidito.

-E' un problema?- gli chiese Isabella.

-No. Ma non voglio essere obbligato a vederli quando volete voi.-

-Parlerò con Jasper per chiedergli di frenare Alice e di aspettare che sia tu a decidere quando andare. Però non ti prometto niente. Potremmo trovarceli tutti nel salotto di casa senza preavviso.- tentò Isabella con ilarità.

Ed Edward accennò un sorriso per quel tentativo.

-Conosci talmente bene Alice da sapere che con lei non riusciresti a spuntarla.-

-Così mi confermi che non è cambiata molto in questi anni che non l'ho frequentata.-

Dopo un breve silenzio, Edward disse:

-Da quello che ho capito eravate molto amiche, ma non ricordo molto di te.-

Isabella guardò fuori dal finestrino. Purtroppo lei si ricordava fin troppo bene di lui.

-Non c'è stata mai occasione di vederci.- disse Isabella. Dalla sua voce era sparita ogni traccia di cortesia.

Edward non rispose.

 

Giovedì. Nell'auto di Jasper

 

Quando vuole, il silenzio sa essere veramente fastidioso. Neanche la radio accesa, su una stazione country, riusciva ad entrare in quella cortina silenziosa. Pur essendo fianco a fianco, sembrava esserci un muro fra Alice e Jasper. Jasper conosceva Alice abbastanza bene da sapere che quella che aveva messo su era un'espressione che non aveva mai visto. L'aveva vista innamorata, arrabbiata, dolce, furiosa, tenera e dura. L'aveva vista sorridere, piangere, solidale, caparbia. Ma mai aveva visto quell'espressione sul suo viso. Era rigida, impossibile da leggere.

-Come li hai trovati?- chiese Jasper per cercare di capire cosa pensasse delle persone con cui avevano appena condiviso un paio d'ore.

-So che non l'hai fatto apposta.- gli rispose Alice guardando imperterrita davanti a se.

-Dici il pranzo?- chiese Jasper invece guardando il suo profilo. Il cenno affermativo di Alice lo fece proseguire. -Non sapevo che sarebbero andati a pranzo anche loro da Volterra's.-

Il silenzio ripiombò nell'auto. E durò fino a quando Jasper si fermò davanti al loro palazzo.

-Ci vediamo stasera.- disse Alice scendendo senza neanche salutarlo con un bacio.

 

Giovedì pomeriggio. A casa di Isabella


 

Isabella aprì la porta del suo appartamento ed entrò seguita da Edward.

-Prima di andare sistemo il salotto.- disse lei poggiando le sue borse vicino all’entrata.

-Ti aiuto.- si offrì Edward e la seguì.

Dopo aver aperto le finestre, entrambi si adoperarono per sistemare il letto provvisorio di Edward. Piegarono le lenzuola per portarsele dietro, così se non avevano biancheria da letto alla clinica, Edward avrebbe potuto dormire sul divano della casetta.

Edward scoprì anche la stanza misteriosa. Era lo studio, ma Isabella gli disse che avrebbe provveduto a sistemarlo così che anche lui avesse un letto per dormire quando si trovava a Seattle.

In un paio d’ore sistemarono il salotto e si prepararono per andare alla clinica.

Prima di uscire da Seattle, però si fermarono in un centro commerciale a fare un po’ di spesa.

-Continuo a sentirmi frustrato perché devi pagare tutto tu.- disse Edward mettendo il broncio come un bambino.

In quel frangente, ad Isabella fece tenerezza perché gli ricordò il bambino altruista che era quando erano piccoli. Ricordava che sia lei che Alice lo avevano ribattezzato il principe azzurro, non tanto perché ne erano innamorate, ma perché le difendeva sempre. Per un momento si chiese se da qualche parte, sepolto in quel corpo d'uomo, ci fosse ancora quel bambino.

Esme sperava di si. Lei ne dubitava.

-Non preoccuparti di questo ora. Vedrò di farti sboccare il conto.- rispose lei spingendo il carrello nella corsia dell’igiene personale. -Così quando andrai a fare la spesa, potrai comprarti ciò che ti occorre senza chiedere prestiti a nessuno.-

-Quindi anche per andare a fare la spesa mi devi accompagnare?-

-In teoria si. Però forse puoi andarci anche accompagnato da Jake se io non ci sono. Chiederò.-

Terminarono di fare la spesa e quando uscirono si avviarono alla clinica.


 

Giovedì sera. Casa di Alice a Jasper


 

-Amore!- disse Jasper entrando in casa. -Sono tornato!-

Nessuno gli rispose e pensò che Alice era fuori. Si diresse così in camera per cambiarsi.

Rimase interdetto nel vedere sua moglie seduta sulla poltroncina con lo sguardo rivolto alla finestra. La sera era già calata ma la stanza era rischiarata dalla luce del lampione alla sinistra della finestra.

-Alice?- la chiamò con un filo di voce.

-Perché?- chiese solamente lei.

-Non lo so amore.- rispose Jasper avvicinandosi. -Non lo so veramente.-

E abbracciò la moglie scossa dai singhiozzi. E continuò a cullarla portandola sul loro letto per tutto il tempo che lei pianse.


 

Giovedì sera. Clinica.


 

Era quasi notte quando Isabella posteggiò la propria auto davanti al piccolo giardino della sua casetta.

-Eccoci arrivati.- disse Isabella scendendo dall'auto.

Edward assentì solo con la testa, chiudendo lo sportello. Era annoiato dal viaggio. Non avevano conversato molto lungo il tragitto. Si sentiva a disagio a parlare con Isabella.

-Per me è come la prima volta entrare qui dentro.- disse Isabella aprendo l'uscio. -Da quando è passata tua madre, non so come sia cambiata questa casa.-

-La mia stanza? Qual è?- chiese Edward quando entrambi furono dentro.

-A sinistra.- Ed Isabella indicò oltre la porta del reparto notte.

Edward si incamminò seguendo l'indicazione ed entrò in quella che sarebbe stata la sua stanza per i prossimi tempi. Riconobbe subito il gusto di sua madre in quella camera. Il letto non era fatto, ma decise che per quella notte poteva andare bene anche così; un cuscino e una coperta era sufficienti. Poggiò la borsa ai piedi del letto e si girò sentendo bussare: Isabella era sulla soglia.

-Vuoi che ti aiuti a fare il letto?-

-No. Ci penserò domani.-

-Allora direi di sistemare tutto domani.- disse lei girandosi ed entrando nella sua stanza.

Edward la seguì. -Hai un cuscino e una coperta da prestarmi?-

Isabella si diresse al suo armadio e lo aprì. Cercò fino a trovare ciò che le serviva.

Edward notò che il suo letto era fatto.

-A domattina.- disse Isabella porgendogli quello che le aveva chiesto.

-Notte.- disse Edward ed uscì dalla stanza.

 

Venerdì mattina. Seattle.

-Buongiorno.- disse Jasper vedendo sua moglie entrare in cucina con gli occhi ancora arrossati. Aveva stretto a sé Alice per tutta la notte durante il suo pianto. Non avevano parlato. L’aveva solo consolata.

-Giorno- biascicò Alice andando verso la macchina del caffè.

Jasper la guardò di sottecchi per tutto il tempo in cui si prese il caffè e si avvicinò alla finestra della cucina per guardare fuori. Era interdetto nella voglia di chiederle come stava. Non pensava fosse una buona idea, però era preoccupato. Sapeva solo che quel pianto notturno era dovuto a suo fratello, ma il perché ancora gli era precluso.

-Sento le tue rotelle lavorare.- disse Alice ancora rivolta verso il giardino.

-Fanno tutto questo rumore?- chiese Jasper cercando di alleggerire l’imbarazzo.

-No. Ma forse spero che tu mi chieda cosa mi è successo.- e girò il capo per guardarlo. -So che sei preoccupato.-

-Mi preoccupo quando hai l’influenza.- disse Jasper avvicinandosi anch’egli alla finestra. -Dopo una notte passata a piangere sono eccessivamente angosciato.-

-Non c’è una motivazione perché ho pianto.- ed Alice si fermò un attimo. -So solo che ieri a pranzo ero felice e arrabbiata allo stesso tempo. Ho visto Edward dopo più di un mese. Lo so che abbiamo passato anche più tempo senza vederci, ma sapere che era in mezzo a dei delinquenti … lui non è un delinquente. Ha sbagliato? E chi non sbaglia mai in vita sua.-

Alice fece un’altra pausa e Jasper ne approfittò.

-Da amico e da cognato, vederlo in carcere è stato orribile. Da avvocato, meritava di essere punito.-

-E se fossi stato un giudice?-

-Avrei agito come il giudice Noth.- disse Jasper dopo averci pensato.

-Non ci vuole più vedere, vero?-

-Quando era in carcere no. Probabilmente si vergognava. Ora ha bisogno di tempo.-

-Rivoglio mio fratello.- disse Alice con le lacrime agli occhi.

Jasper stette zitto. Aveva paura ad esprimere il suo pensiero. Sua moglie, e tutta la sua famiglia, non meritavano di sapere cosa realmente pensasse.

-Sento di nuovo le tue rotelle girare veloci.-

-Non me lo chiedere Alice.- disse Jasper accorato. -Per favore!-

-Per favore Jasper.-

-No.- disse dopo un sospiro. -Credo che quando finirà la sua condanna, se ne andrà.-

-Da cosa lo deduci.-

-Quando era a Chicago, si faceva sentire solo perché aveva bisogno di soldi. In un anno che è stato via non è mai tornato a casa. Cosa ti fa pensare che ora, che imparerà a fare qualcosa e quindi a guadagnare, decida di restare?-

-Ma siamo la sua famiglia!-

-Che sa di aver deluso!-

-Quindi abbiamo due anni per convincerlo a restare.- riflettè Alice. -Quando viene Isabella da noi, anche lui deve venire.-

-Convincerlo? Ti ricordo che è tuo fratello. Alice, tu sei caparbia, ma Edward lo è altrettanto. E poi non puoi obbligare Isabella a frequentarvi tutti i week-end. Ha un lavoro che non può trascurare.- e alzò una mano per interrompere l’inizio di una protesta di Alice. -E non puoi andare sempre da loro. Ci sarà un regolamento da rispettare, tanto per i pazienti, quanto per il personale.-

-Cosa stai cercando di dirmi esattamente?-

-Lascia che sia lui a decidere. Dagli la possibilità di scegliere quando incontrarvi.-

-E se non lo farà mai?-

-Non pensare al peggio ora.- e Jasper avvolse un braccio attorno alle spalle di Alice. -Sono ancora il suo avvocato e ogni tanto posso andare a vedere come gli vanno le cose. Potrei approfittarne per sondare le sue decisioni.-

-A mamma cosa dico?-

-Gli diremo tutto assieme.- e Jasper la baciò.


 

Venerdì mattina. Clinica. Casa di Jacob.


 

-Isabella è già arrivata.- disse Embry affacciandosi alla porta del bagno.

-L’hai già vista?- chiese Jake cospargendosi il viso di schiuma da barba.

-No. C’è anche il detenuto che mi dicevi?-

-Sicuramente.-

Jake iniziò a redersi.

-E’ la cosa più sexy che ti ho mai visto fare.- disse Embry posizionandosi dietro le sue spalle.

-Pensavo che fosse la seconda.- e gli sorrise guardandolo nello specchio.

Ed Embry gli diede un pizzicotto sulle natiche prima di uscire dal bagno. Dopo poco si riaffacciò vestito.

-Non vedo l’ora di conoscere il mio nuovo aiutante.-

-Embry …- iniziò Jake sciacquandosi il viso dopo essersi rasato. -C’è una cosa che devo dirti.-

-Dimmi che questo ragazzo assomiglia a Brad Pitt! Ti prego!-

-No … lui è … non so se te lo ricordi …-

-Lo conosco?-

-Sì, lo conosci. O almeno dovresti conoscerlo.-

-Non sarà il tuo ex vero?- chiese Embry. -Dimmi che non è James!-

-No. Non è James.-

-Jake, amore, mi stai facendo preoccupare. Chi potrà mai essere da spaventarti tanto a dirmelo!- disse Embry abbracciandolo. -E poi entro oggi lo scoprirò, giusto?-

-Sì …- iniziò Jake.

-Facciamo così.- lo interruppe Embry. -Non dirmelo.-

-No Embry, è meglio che te lo dica prima che tu lo veda. Potresti arrabbiarti molto.-

-Chi sarà mai questo ragazzo misterioso che mi può far arrabbiare così tanto?- disse Embry scherzando e grattandosi pensieroso il mento.

-Edward Cullen.- soffiò Jake.

Embry lo guardò per un attimo prima di girarsi su sé stesso ed uscire dalla loro casa.


 

Venerdì mattina. Clinica. Casa di Isabella.


 

Edward entrò in salotto con indosso una tuta. Isabella era al pc seduta al tavolo da pranzo.

-Buongiorno.- disse stropicciandosi gli occhi ancora assonnati.

-Giorno.- rispose Isabella. Edward notò che portava gli occhiali. -Ho fatto il caffè.-

-Grazie.-

-Per la colazione, andiamo nella sala mensa comune.- disse lei continuando a guardare il suo pc.

-Non restiamo qui?- chiese Edward sorseggiando il caldo liquido nero.

-No. Si cerca di rispettare i pasti tutti assieme.-

-E la cucina a cosa ti serve?-

-Se arrivo tardi e ho fame. Solo i dipendenti possono fare la spesa e cucinare per loro stessi. I pazienti invece utilizzano la mensa. Ma è utile per loro vedere che anche noi seguiamo delle regole.-

-Quindi dovrò andare in mensa quando non ci sei?-

-Si. Però avrai un tavolo riservato con gli altri dipendenti.- spiegò Isabella. -Gli ospiti invece hanno dei tavoli a loro riservati. Ma sarete tutti nella stessa sala.-

-Ci sono altre regole che devo sapere?- disse Edward poggiando la tazza nel lavandino.

-Ci sono quelle della clinica; ti farò avere una copia del regolamento.- Isabella si girò verso di lui. -E poi ci sono le regole di questa casa.-

-E sarebbero?-

-Devi mantenere pulito e ordinato quando non ci sono. Alla tua biancheria ci pensi da solo; ti farò vedere dov’è la lavanderia. Non puoi invitare nessuno senza che lo sappiamo io o Jake.-

-Hai paura che mi possa portare qualcuna mentre non ci sei?- disse tagliente Edward.

-No. Non voglio finire nei guai perché ti comporti da irresponsabile.- gli rispose a tono Isabella. -Adesso preparati che andiamo in mensa.- ed Isabella si alzò per andare nella sua stanza.

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Capitolo 16
*** Capitolo 16 ***


Salve a tutte! Eccomi qua con un nuovo capitolo.

Un doveroso grazie a tutte voi che mi seguite.

Dopo aver scoperto l'omosessualità di Jacob ed Embry, oggi aggiungo un nuovo tassello a questo inizio di avventura di Edward alla clinica.

Datemi credito per qualche capitolo ancora, e poi sarà tutto più pepato!

Buona lettura.

Ciao!


 

CAPITOLO 16


 

Venerdì mattina. Clinica. Sala comune.

 

Isabella ed Edward percorsero a piedi la distanza fra la casetta e l’edificio principale. Quando entrarono nella sala comune, calò il silenzio dettato nel vedere un nuovo soggetto che entrava in quel luogo. Tutti si girarono a guardare Edward che, seguendo Isabella, si diresse al tavolo riservato al personale. Isabella si fermò dietro a Jake.

-Vi presento Edward Cullen.- disse lei a tutti quelli presenti.

Edward fece un cenno di saluto a tutta la tavolata.

Jake si girò guardando Edward. -Lavorerai con Embry.- ed indicò un ragazzo a lui vicino che lo guardò con ostilità.

Isabella intervenne. -In questi giorni vi conoscerete; ti farò fare il giro della struttura.- e si accomodò a sedere ad un capo del tavolo dove c'erano due posti liberi.

Anche Edward si accomodò accanto a lei. Sbirciò oltre Isabella per vedere un po’ le facce. Jacob stava parlando con una ragazza di fronte a lui. Mora con gli occhi scuri. Carina pensò. Notò che Embry continuò a guardarlo di sottecchi con fare accusatorio. Solo un’altra persona lo guardava con astio senza abbassare gli occhi quando i loro sguardi si incontrarono: una ragazza mora, con una vistosa cicatrice sul lato destro del viso. Quello sguardo lo mise in soggezione.

-La colazione è al tavolo. Mentre il pranzo e la cena sono a buffet.- gli spiegò Isabella.

-Qual è il caffè?- chiese Edward guardando le varie caraffe sul tavolo

-Non c’è.-

-Perché?-

-E’ una di quelle bevande abolite per la dieta.- gli spiegò il signore davanti a lui. Era un uomo sulla cinquantina, con due occhialini alla John Lennon e i capelli bianchi e corti.

-Lui è il dottor Hammond.- intervenne Isabella. -E’ il responsabile sanitario della clinica.-

-Salve.- disse Edward.

-Ben arrivato.- gli rispose di rimando per poi continuare a mangiare.

-Puoi mangiare quello che voi ma con moderazione.- gli disse Isabella.

Edward la guardò interrogativo.

-Dobbiamo dare il buon esempio.- spiegò il dottor Hammond. -Sono qui per imparare a mangiare. Vedere chi ti insegna un certo stile di vita, è dimostrare che credi prima di tutto in quello che spieghi. E poi è utile anche per noi perché questo ci aiuta a stare bene fisicamente.- Hammond lo guardò negli occhi. -Certo, abituarsi ad una cucina fatta prevalentemente di cibi integrali e verdura, all’inizio non è il massimo. Ma vedrai che ti adatterai.-

-E se poi hai ancora fame, hai sempre la cucina di casa per prepararti qualcosa.- consigliò Isabella.

-Tu la usi?- le chiese Edward.

-Soprattutto quando arrivo tardi.- e bevve un sorso di succo d’arancia. -Comunque domani se vuoi andiamo a fare un po’ di rifornimenti.-

-Domani?-

-Si. Oggi pensavo di aiutarti a sistemare le tue cose e poi di farti fare un giro.-

-Bè. Ragazzi ci vediamo dopo.- disse Hammond. -Jake ti aspetto in ambulatorio.- e si alzò per uscire.

-Arrivo.- disse Jake. -Embry? Ti organizzi tu con Isabella ed Edward?-

-Sì.- soffiò solamente in risposta.

 

Piano piano la sala mensa iniziò a svuotarsi. Rimasero in pochi al tavolo del personale.

-Io sono Rachel.- disse la ragazza che parlava prima con Jacob avvicinandosi ad Edward.

-Rachel è la segretaria.- disse Isabella. -Mentre lei è Emily, l’amministratrice.- ed indicò la ragazza con la cicatrice.

-Piacere di conoscervi.- rispose Edward.

-Isabella.- disse Emily. -Quando puoi, ho bisogno di te in ufficio.-

-Oggi pensavo di aiutare lui ad ambientarsi …- iniziò Isabella per poi notare lo sguardo di Emily che non ammetteva un no come risposta.

Anche Edward lo notò. -Preferisco andare da solo a casa e iniziare a sistemarmi. Quando hai finito poi facciamo il giro.- propose Edward.

-Ok. Emily, vado a casa a prendere alcune cose e poi ci vediamo da te.-

-A dopo.- e uscì senza salutare.

Anche gli altri si dileguarono dopo aver salutato.

-Andiamo?- chiese Isabella.

-Sì- disse Edward ed insieme uscirono.


 

Isabella ed Edward entrarono in casa.

-Non so quanto tempo ci metterò in ufficio.- disse Isabella con tono di scuse.

-Non ti preoccupare. Se devo imparare a fare da solo, tanto vale iniziare.- cercò di sdrammatizzare Edward. -Magari dopo mi dici se ho fatto bene.-

-Ok.- e ognuno si diresse nella sua stanza.

-Edward?- lo chiamò dalla soglia della porta della camera di lui. -Vado. Se non torno, per le 13 cerca di essere di nuovo in mensa per il pranzo.-

-Certo. A più tardi.- e si tuffò in uno scatolone.


 

Isabella arrivò alla clinica e si diresse direttamente nel suo ufficio. Si mise subito al lavoro e dopo un'ora sentì bussare alla sua porta.

-Avanti!-

Da dietro la porta comparve la figura di Jake.

-Potresti venire in sala riunioni?-

Isabella si alzò e passò oltre Jake che era rimasto sulla soglia. Si diresse alla sala riunioni seguita dal suo amico e vi entrò. Lui chiuse la porta alle sue spalle.

Seduti al tavolo c'erano Embry, Emily e Rachel.

-Qual è il problema?- chiese Isabella sedendosi.

-Cullen.- disse Embry.

-Perchè?- chiese stupita Rachel. -Mi sembra così carino e a modo!-

-Stagli lontana!- la ammonì Jake.

-Smettila di fare il fratello maggiore! Non sono più una bambina!- precisò Rachel.

-Basta!- fu l'avvertimento di Isabella. -Procediamo con ordine.-

-Ok. Inizio io.- proruppe Jake. -Io, Emily ed Embry conosciamo Cullen da sempre.-

Isabella li guardò ad occhi sgranati. -Pensavo che solo tu ...- e si interruppe quando Jake alzò la mano per farla tacere.

-Prima di tutto vorrei scusarmi per non avervi detto che era Cullen quello che sarebbe venuto a lavorare qui.- e guardò sia Embry che Emily. -Non so perchè ve lo taciuto.-

Ci fu un lungo momento di silenzio. Nessuno sapeva come andare oltre.

-Mi spiegate qualcosa?- chiese Rachel.

-Cosa sai?- le chiese Emily.

-Niente! Io neanche lo conoscevo fino a questa mattina.- disse Rachel. -Ed ora mi ritrovo ad una riunione di questa società segreta per cospirare contro Edward!-

-Quello che sentirai,- disse Jake. -e che sentiremo, dovrà rimanere solo fra noi.-

-Lo giuriamo col sangue?- chiese Rachel.

-Rachel!- la redarguì Jake. -E' una cosa seria!-

-A me sembra una stronzata!- e sbattè una mano sul tavolo. -Insomma guardaci! Siamo in cinque in questa stanza da ormai un quarto d'ora e l'unica cosa che abbiamo detto è … niente!- fece una pausa. -Lo conoscete e io no. E allora? Anch'io conosco delle persone che voi non conoscete. Non per questo prima di presentarvele vi faccio giurare di non dire niente.-

-Ti ricordi quando stavo con Sam?- le chiese Emily.

-Sì.- rispose lei.

-Fu Sam a farmi questo.- ed indicò la cicatrice lungo il lato destro del viso.

-Ma avevi detto che ...- la interruppe Rachel.

-Quando Sam scoprì di avere un fratello omosessuale.- iniziò Embry. -Si infuriò perchè per lui era un disonore. Si accanì e cercò di farmi male con il suo coltello da caccia. Ma ...-

-... intervenni io.- proseguì Emily. -E nel mettermi in mezzo mi prese in viso.-

-E questo cosa c'entra con il nostro incontro?- chiese Rachel

-Un giorno eravamo alla spiaggia e arrivarono alcuni ragazzi di Forks.- iniziò Jake. -Tra loro c'era anche Cullen. Fu lui a dire a Sam che Embry era gay e da lì si scatenò tutto.-

-Fui cacciato di casa e se non fosse stato per Jake non so dove sarei ora.- Embry.

-Ed io lasciai Sam.- Emily.

-E tu cosa c'entri?- chiese Rachel rivolta ad Isabella.

-Io ero una delle tante che si era fatto a Forks.-

-Quindi è qui perchè voi vi possiate vendicare?- chiese Rachel.

Nessuno rispose.


 

Dopo la riunione, Isabella tornò alla casetta.

-Come va?- chiese lei affacciandosi alla porta della camera di Edward.

-Non lo so!- disse disperato. -Sto cercando di capire dove va tutta questa roba!-

-Vuoi una mano?-

-Grazie!-

-Hai guardato se c'era scritto qualcosa sugli scatoloni?-

-Si e ho tirato fuori quello che c'era dentro ma ora non so dove va tutto.-

Isabella si guardò un po' attorno. -Direi che tua madre a messo ogni scatolone davanti a dove devi riporre le cose.-

-Cioè?-

-Qui c'è scritto biancheria letto e in questo biancheria bagno. E sono davanti a queste ante dell'armadio.- e aprì le ante. -Direi che pensava che questo fosse il posto migliore per metterle.- E poi si spostò per aprire le altre ante. -Sì, direi che è il posto ideale perché ci sono solo mensole. Qui davanti cosa c'era?-

-Questi con scritto camicie, pantaloni.-

-E la roba sul letto?- e notò che era l'intimo.

-Erano nelle scatole lì davanti.- ed indicò la cassettiera.

-Tu sistema lì, che io metto a posto qui.-

E così, insieme, sistemarono tutto. Quando finirono, si accorsero che era passata da un pezzo l'ora del pranzo. Non si erano preoccupati di guardare mai l'ora.

-In casa non credo ci sia molto da mangiare.- si scusò Isabella. -Se ti accontenti di un piatto di pasta, provvedo subito.-

-Ti aiuto, così mi insegni.-

-Non sai cucinare?- chiese meravigliata.

-No.- ammise sconfitto lui.

Isabella gli insegnò a cuocersi un piatto di pasta. E poi gli insegnò anche a sistemare la cucina. Gli fece vedere i prodotti per pulire e dov'era la lavanderia. Gli consigliò anche quali prodotti usare per lavare. Edward cercò di prendere appunti ed era proprio buffo nel tentare di districarsi fra flaconi per biancheria e flaconi per pulizia.

Si fece quasi sera che non avevano fatto il giro. Ma erano soddisfatti.

-Il giro me lo fai fare domani. Adesso ho di nuovo fame.-

-Ormai è ora di cena. Mi faccio una doccia e poi andiamo.-

-Ok.-


 

La cena, fu una cosa tranquilla. Isabella spiegò ad Edward come funzionava il buffet.

-Cosa si fa la sera qui?- chiese lui.

-Ognuno si dedica a cosa più gli piace.- rispose lei. -Ci sono degli studenti fra gli ospiti, la sera sono impegnati nei compiti. Poi c'è chi parla con il proprio personal trainer. Chi si riposa, chi sta nella propria stanza. Questa è una specie di piccola città.-

-Tu cosa fai?-

-Lavoro se ho dell'arretrato o lo passo con qualche amico a fare delle chiacchiere.-

-Uscite mai voi che potete?-

-Poco. Il nostro, … o meglio il loro lavoro li tiene occupati sette giorni su sette. Quando vengo qui magari c'è da fare per organizzare qualche cosa e quindi siamo sempre impegnati.-

-Cioè?-

-Per esempio recentemente abbiamo organizzato un campo di sopravvivenza. Sono gli ospiti a fare delle proposte e poi se ne discute. Una sera come questa può essere appunto dedicata a parlare di cosa si può organizzare o meno. Una volta deciso, interviene il personale per richiedere le autorizzazioni ed organizzare il tutto. Succede spesso che ci si riunisca la sera per vedere a che punto si è e per decidere tutti assieme se le proposte poi possono diventare fattibili.-

-E il campo di sopravvivenza com'è stato?-

-Un vero divertimento. Ma il lavoro che c'è dietro è stato immane.-

-Perchè?-

-Abbiamo circa una sessantina di ospiti che vanno dall'anoressia all'obesità. Un campo di sopravvivenza vero e proprio prevede di autogestirti tutto da solo. Invece per loro è diventato una scuola di tecniche di sopravvivenza e di una notte all'agghiaccio. Anche se poi c'erano un paio di chitarre attorno al fuoco.-

-Quindi non una cosa seria.-

-Invece è molto seria. Prima di confermare il campo, agli ospiti è stato riferito il tipo di attività proposte per le loro limitazioni. Loro hanno fatto le loro controproposte. Su loro richiesta, i gestori del campo sono venuti qua per spiegare la teoria della sopravvivenza. Hanno fatto domande su come si potevano organizzare. Alla fine il campo è stato mettere in pratica ciò che aveva imparato. Quindi c'era chi si occupava di recuperare la legna per il fuoco, chi ha costruito i ripari per la notte e chi ha pensato al cibo. Anche se avevamo le scorte, alcuni sono andati in giro in cerca di funghi.-

-Adesso cosa stanno organizzando?-

-Un orto.-


 

-Allora Edward!- disse Rachel avvicinandosi a lui e a Isabella seduti su uno dei divani del salotto della sala comune. -Come ti sembra qui?-

Isabella sapeva che Rachel non avrebbe detto dell'incontro della mattinata. Non era da lei intromettersi. Rachel era così; lei si risolveva i suoi casini e gli altri si sarebbero risolti i loro.

-Per ora mi sono sistemato in casa. Per il resto mi guarderò in giro domani.- disse Edward.

-E poi da lunedì diventerai un membro effettivo dello staff.- disse Rachel. -Vero Embry?- chiese al ragazzo che sopraggiungeva in quel momento alle spalle di Isabella ed Edward.

-Cosa ho fatto stavolta?- chiese Embry.

-Niente.- gli rispose Rachel ridacchiando. -Stavo semplicemente dicendo ad Edward che da lunedì sarà uno dei nostri.-

-Già.- disse solamente Embry.

-Embry pensavo.- cominciò Isabella. -Domattina ho molte cose da fare in ufficio. Se intanto gli fai vedere di cosa ti occupi?-

-Domattina non mi accompagni tu?- chiese Edward un po' spaurito.

-Lo so che ti avevo detto così. Ma mi è arrivato del materiale urgente dallo studio e in più ho molte cose da fare qui. Pensavo quindi di dedicare la mattinata al mio lavoro e poi il pomeriggio andiamo in città a fare la spesa. E poi domenica ti presento tutti.-

-Per me va bene.- disse Embry. -Intanto conoscerai un po' di gente.-

-Ok.- disse Edward.

-Bene. Domattina alle 8 ci vediamo in mensa per la colazione e dopo iniziamo il giro.- disse Embry alzandosi. -A domani.- ed uscì.

-Anch'io devo andare.- disse Rachel. -Domattina mi devo alzare presto. Notte Isabella. Notte Edward.- e dopo aver ricevuto lo stesso augurio, anche lei uscì.


 

-Stasera niente riunione?- chiese Edward dopo qualche minuto di silenzio fra loro.

-Direi di no.- rispose Isabella. -Potrei sbrigare un po' di lavoro a casa.- abbozzò guardando un punto imprecisato del pavimento.

-Vengo con te. Guardo un po' di tv se non ti da fastidio.-

-No. Al massimo lavorerò in camera.-

-Sicura? Se sei più comoda in sala ci vado io in camera e mi leggo qualcosa.-

-Vediamo dopo.-

E si alzarono anche loro per tornare alla casetta.



 

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Capitolo 17
*** Capitolo 17 ***


Bene! Altro capitolo. Posto con un giorno d'anticipo.

Dalle recensioni emerge che volete sapere come mai Edward non si ricordi Isabella. Presto lo saprete. Portate un po' di pazienza.

Per il resto, qualcosa si sta scaldando.

Vi lascio alla lettura e fatemi sapere cosa ne pensate!

Bacioni a tutte!

 

 

CAPITOLO 17

 

Sabato mattina. Clinica.


 

Edward si svegliò e notò di avere Isabella appoggiata alla sua spalla. Si erano addormentati sul divano e lei continuava a dormire beata con la bocca socchiusa.

Che male può fare un bacio?” si domandò girandosi appena e avendo le labbra di lei a portata di bocca.

Per un momento gli tornarono in mente le parole di Jasper: “Non fare cazzate”. Ma un bacio non era una cazzata, se era lieve e appena accennato. Sicuramente lei non se ne sarebbe accorta perché sentiva ancora il suo respiro regolare e caldo sfiorargli il profilo.

Lentamente piegò il capo nella sua direzione e riuscì a sfiorarle. Lei non si mosse e lui titubò nell’essere più intraprendente. Voleva sentire se erano morbide come aveva immaginato. Ma se lei si fosse svegliata percependo ciò che lui voleva fare, cosa sarebbe successo? Meglio non sfidare la sorte. Ma quelle labbra erano troppo invitanti e molto adagio si riavvicinò e riuscì a sfiorarle nuovamente, ma per qualche attimo in più. Erano morbide.

Dopo pochi minuti decise che quella situazione era troppo. Il suo amico si stava svegliando, come tutte le mattine. E quella vicinanza non era molto salutare per lui. Decise quindi di svegliare Isabella.

-Isabella?- sussurrò. Lei si mosse appena mugugnando qualcosa che assomigliava ad una protesta.

-Hey!- ritentò. -Ti verrà male al collo!-

Isabella aprì lentamente gli occhi e le ci volle un pochino per capire dove si trovava.

-Oh, scusa!- disse sbattendo le palpebre. -Mi sono addormentata sulla tua spalla.-

-Ci siamo addormentati sul divano.- rispose benevolo Edward.

Isabella adocchiò l’orologio sulla parete di fianco a loro. -Sono le 6.-

-Si, è ancora presto per la colazione.-

Isabella si alzò di scatto dal divano improvvisamente sveglia. -Vado a farmi una corsa.- e si diresse a passo spedito nella sua stanza.

Edward si mise meglio seduto sul divano e si stropicciò gli occhi. Riflettè un momento sul comportamento di Isabella; appariva nervosa da quella situazione. Forse si era accorta dei baci che le aveva dato e stava riflettendo se se li era sognati o meno. Mentre era nel pieno di queste elucubrazioni, Isabella ritornò in sala indossando una tuta e scarpe da ginnastica.

-Vado.- e così si avviò alla porta. -Non mi aspettare per la colazione.- ed uscì richiudendosi la porta alle spalle.

Edward si appoggiò allo schienale del divano e sospirò. Guardò con estremo interesse il soffitto prima di decidersi ad alzarsi. Aprì un po’ le finestre di casa; si ricordava che ad Isabella piaceva far cambiare l’aria la mattina presto. Si diresse poi nella sua stanza per andare a prendere dei vestiti per cambiarsi e poi proseguì per il bagno.

Se la prese con calma in bagno. Si fece la barba e una doccia fredda per calmare il suo amico; era l’unico modo che in quel momento gli andava. Era più di un mese che non faceva sesso, riflettè, e se continuava così, avrebbe dovuto trovare un modo migliore per dare soddisfazione al suo amico … e anche a sé stesso.


 

Erano da poco passate le sette quando decise di uscire di casa per andare in mensa. Isabella gli aveva detto di non aspettarla, e lui non poteva fare altro. Quando arrivò, la sala mensa era già affollata. Proseguì verso il tavolo del personale e si sentì osservato nel suo cammino.

-Ciao Edward!- la voce squillante di Rachel lo fece sorridere.

-Ciao Rachel.- le rispose.

-Sei solo?- chiese lei buttando un occhio alle sue spalle.

-Sì, Isabella è andata a correre. Mi ha detto di non aspettarla.-

-Siediti qui con noi, così intanto ti presento qualcuno.- e gli indicò una sedia alla sua sinistra.

Mentre si sedeva, Rachel proseguì con le sue intenzioni ed indicò due persone che stavano proprio di fronte a loro. -Loro sono James e Victoria. Sono due personal trainer e tutor di alcuni ospiti.-

Si scambiarono un saluto di cortesia.

-Lei è Lauren, è una degli infermieri. E lei è Jessica, la nostra dietologa.- ed indicò due persone alla sua destra.

Anche con loro ci fu uno scambio di saluti.

La colazione passò tranquilla. Rachel era una vera macchinetta e le piaceva molto parlare. Edward si concentrò su altro per non stare ad ascoltarla e lei non lo disturbò mai.

Quando finirono di mangiare, si alzarono entrambi.

-Sai Edward.- disse lei. -Per stasera avevo proposto a Jake di uscire e andare a Port Angeles in un nuovo pub che hanno appena aperto. Ci verresti?-

-Non so se …- iniziò in imbarazzo Edward.

-Se vuoi lo chiedo io ad Isabella se ne ha voglia, così vieni anche tu.- gli propose.

Edward la guardò senza dire nulla.

-So della tua situazione.- chiarì.

-Chi lo sa?-

-Non siamo in molti a saperlo. Io, Jake, Embry, Emily e il dottor Hammond. Nonché i soci.-

-E gli altri?-

-Non credo che lo sappia nessuno oltre a noi.-

Edward continuò a guardarla come se volesse chiederle qualcosa, ma non ne aveva il coraggio.

-Per quel che mi riguarda, il motivo per cui sei qui è solo affar tuo. Ok?-

Edward assentì con la testa.

-Andiamo?- una voce alle sue spalle lo fece voltare. Era Embry.

-Sì.- e si avviarono all’uscita.

 

Edward ed Embry avevano visto dove si trovavano tutte le strutture e cosa c’era da fare.

Si fece l’ora di pranzo. Entrando nella sala mensa, Edward notò che Isabella lo precedeva nella fila per il self-service.

Quando anche lui ebbe riempito il suo vassoio, si diresse al tavolo. Il posto di fronte ad Isabella era vuoto e vi si sedette.

-Com'è andato il giro con Embry?- chiese lei inforcando una foglia di insalata.

-Bene.- rispose Edward versandosi l'acqua. -Questo posto è immenso.-

-Avremo molte cose da fare.- gli fece presente Embry che era seduto al suo fianco.

-Allora stasera tutti al pub.- disse Rachel seduta alla sinistra di Isabella.

Edward guardò Isabella. -Solo se ne hai voglia.- specificò lei.

-Sì!- rispose con entusiasmo. -Ma dobbiamo anche andare a fare la spesa.-

-Potremmo andarci nel tardo pomeriggio e poi ci incontriamo con gli altri al pub.-

-Pizza?- chiese Embry

Isabella guardò Edward in attesa in un suo cenno d'assenso. Il suo capo e la sua bocca non si mossero in tal senso, ma gli occhi tradivano questa voglia.

-Ok.- disse lei per entrambi.

-Parliamone dopo.- intervenne Jake dal fianco di Embry.

 

Dopo pranzo, Isabella accompagnò Edward in giro per la struttura principale. Quando si trovarono nella zona uffici, incontrarono anche gli altri.

-Stasera a che ora?- chiese Rachel sempre più entusiasta.

-In pizzeria per le 20.- suggerì Jake.

-E poi al pub.- disse Embry. -Domani non abbiamo molto da fare e quindi possiamo fare tardi.-

-Noi ci troviamo direttamente in pizzeria.- disse Isabella. -Andiamo al centro commerciale a fare la spesa.-

-Alla Bella Italia?- chiese Rachel.

-Ok.- fu la risposta univoca.

Edward non parlò mai anche se presente, ma fu ben felice di vedere che gli sguardi che gli rivolsero non erano più ostili.

 

Verso le 16 Isabella ed Edward partirono per Port Angeles.

Arrivati al centro commerciale, si diressero all'interno del supermercato.

-Cosa posso prendere?- chiese Edward.

-Quello che vuoi. Tieni anche presente che se ti dimentichi qualcosa, poi te la posso portare la prossima settimana quando ritorno.-

-Cosa mi consigli?- le chiese guardandosi un po' attorno.

-Prendi quello che ti andrebbe da mangiare quando sei solo. In genere prendo dei gelati e delle schifezze.-

Riempirono il carrello con cibi non proprio adatti ad una clinica per malattie alimentari.

Finita la spesa, andarono in libreria.

-In clinica non c'è una vera biblioteca, quindi se ti piace leggere approfittane.- gli riferì Isabella.

Gironzolarono un po' per i vari scaffali.

Edward trovò un paio di titoli interessanti.

-Ti piace Kay Scarpetta?- gli chiese Isabella notando il libro che aveva in mano.

-Non ho mai letto un libro di Patricia Cornwell.- le rispose Edward chiudendo il libro dopo aver letto il riassunto della trama nella sovracopertina.

-Se vuoi ti presto tutta la collezione da leggere.-

-Li hai letti tutti?-

-Dal primo all'ultimo. Alcuni sono a casa in clinica. Se vuoi li puoi leggere.-

-Si, volentieri.- e poi Edward diede un'occhiata al suo orologio. -A che ora dobbiamo andare.-

-Possiamo anche avviarci.- rispose lei controllando anche il suo. -Staranno per arrivare.-

E così recuperarono le sporte della spesa e si diressero all'uscita.

 

Arrivati alla pizzeria, non fecero in tempo ad uscire dall'auto che furono investiti dal ciclone Rachel.

-Che bello! Che bello! Che bello!- continuava a ripetere.

-Rachel calmati!- Le ripeteva Jake ma con poca convinzione.

-Sei sicuro che siamo fratelli?-

-Perchè?-

-Come può una splendida ragazza piena di vita come me essere così strettamente imparentata con un musone bradipo come te?!-

-Lo dico a papà che pensi di essere stata adottata.-

-... e io gli dico che martedì hai preferito andare a pescare e gli hai detto che avevi molto da fare alla clinica, invece di andare a trovarlo!-

-Ci rinuncio.- e Jake si voltò dall'altra parte per andare alla porta del ristorante.

Tutti stavano per scoppiare a ridere.

-Fratellone ti adoro!- e gli corse dietro per saltargli in spalla.

Tutti risero e si avviarono verso l'ingresso.

 

La cena in pizzeria passò in tranquilla. Dopo poco che si sedettero, si aggiunsero anche Embry ed Emily. Rachel continuava a tenere banco con la sua spensieratezza e questo fece star bene un po' tutti. La prima impressione di Edward quando si sedette al tavolo della clinica fu di ostilità nei suoi confronti. Ora si sentiva un po' parte di quel gruppetto che era stato costretto ad accettarlo. Si vergognava delle motivazioni per cui era obbligato a stare lì, ma nessuno gli aveva chiesto niente. Nessuno aveva espresso un giudizio, o almeno lui non lo sapeva. A pensarci ora, neanche con Isabella aveva avuto modo di parlare di quello che era successo. Si era limitato a subire passivamente gli eventi di quei giorni senza chiedere il perchè. Forse un giorno ci sarebbe stata occasione, ma ora si voleva godere quel momento di allegria.

 

Arrivarono al pub che erano quasi le undici. Il locale era già pieno di ragazzi. Rachel avevo spiegato che era un disco pub, quindi fin tanto che c'era musica sarebbero stati lì. Non gli dispiaceva tirare tardi dopo più di un mese di orari forzati, però il ricordo di quello che era successo in un pub di Seattle, un po' lo intimorì.

Il locale era ampio; la zona del pub era piena di tavoli separati da delle staccionate, era un po' in stile country, anche se mancavano le balle di fieno e i cappelli da cow-boy alle pareti. La zona disco era dietro una parete e ci si accedeva da un paio di porte che solo quando si aprivano lasciavano entrare il rumore della musica.

Quando fecero il loro ingresso, Edward si guardò un po' attorno. Ad un secondo giro di perlustrazione, notò una persona che lo osservava. Difficile notare quell'uomo moro alto quasi due metri che gli si stava avvicinando. Edward allarmato guardò in direzione di Isabella che non si era accorta di nulla perchè stava parlando con Emily. Fu infatti quest'ultima ad accorgersi del suo sguardo e dare di gomito ad Isabella per richiamare la sua attenzione su Edward. Quando lei lo guardò, girò lo sguardo con quello di Edward e in quel momento venne investita dall'uomo.

-Non ci posso credere!- gli urlò l'uomo all'orecchio. -Sei proprio tu!-

-Sì, Emmett.- e lei gli strinse le braccia al collo con quanta forza aveva.

Solo quando il loro abbraccio caloroso si interruppe, Emmett si rivolse ad Edward.

-Ogni tanto i tuoi casini portano a qualcosa di buono.- gli disse tendendogli la mano e portandolo al suo petto per un abbraccio.

-Come mai qui?- chiese Emmett.

-Una serata di svago.- fu la risposta di Isabella.

-Siete solo voi due?-

-No, siamo con altri.-

-Allora facciamo un unico tavolo.- ed Emmett si girò cercando di richiamare l'attenzione di qualcuno.

-Emmett.- intervenne Edward. -Non so se sia il caso senza aver prima chiesto agli altri.-

-Ragazzi, ci sarebbe un tavolo direttamente nell'area disco...- si intromise Rachel. -Ciao! Io sono Rachel!- disse rivolgendosi ad Emmett.

-Io Emmett. Il fratello di questo qui.- ed indicò Edward.

-Ottimo! Facciamo un unico tavolo!- e Rachel sparì seguita da Emmett.

-Edward, non sapevo che c'era ...- iniziò Isabella scusandosi.

-Domani non è la giornata dei genitori alla clinica, vero?- chiese lui un po' alterato.

-No. E' il prossimo week-end.-

-Mi prendi in giro?-

-No. Un week-end al mese è dedicato all'incontro con i familiari, ma solo quelli degli ospiti. Il prossimo è quel week-end.-

-Isabella non ce l'ho con te … ma l'altro giorno mia sorella, oggi mio fratello …-

-Lo so che vuoi decidere tu quando incontrarli.- lo interruppe Isabella. -Ma ci troviamo vicino a Forks, dove guarda caso vivono i tuoi. Cosa avresti fatto se oggi ce li fossimo incontrati al centro commerciale?-

-Dove vuoi andare a parare?-

-Se vuoi isolarti dalla tua famiglia, fino alla fine dovrai rimanere chiuso entro i confini della clinica. Ma se vuoi vedere un po' di quello che c'è anche fuori, devi mettere in conto la probabilità di incontrare qualche tuo familiare.-

-Stranamente queste probabilità sono molto alte in questi giorni.-

-Sai dove vado quando sono in ferie?-

-No.-

-A Forks. E a meno che tu non ti rinchiuda in casa mia, le probabilità di incontrare i tuoi genitori in giro saranno maggiori. E ti ricordo che dove vado io, devi andare tu e non ho intenzione di stare in clausura per farti un favore.-

-Quindi hai organizzato per farci incontrare.-

-Credi quello che ti pare. Non vi vedevo da dieci anni e improvvisamente siete entrati nella mia vita. E' stato uno shock per me quanto per te. Quindi fammi il piacere di non rompere.-

-Perchè se no che fai? Mi rispedisci dentro?-

-No. Ma posso chiedere che sia qualcun'altro ad averti come palla al piede.- e così rispondendo si incamminò nella direzione dove aveva visto sparire Rachel ed Emmett.

-Sono contento che Isabella stia tirando fuori le unghie.- Edward si girò per vedere chi aveva parlato. Jacob.

-Non mi chiedi il perchè? Te lo dico lo stesso.- e gli si parò davanti per guardarlo dritto negli occhi. Era un po' più alto di Edward. -Sei uno stronzo. E lei se ne sta rendendo conto. Ma non ti preoccupare. Ha delle persone che le parano le spalle, che tu non hai. E con quelle stesse persone ci avrai a che fare tutti i giorni.-

-Cos'è? Una minaccia?- chiese Edward stringendo i pugni e reprimendo la voglia di fare a cazzotti.

-No è una promessa.- e Jake lo sovrastò avvicinandosi di più e guardandolo con odio. -Devi sputare sangue per quello che hai fatto. E te lo farò sputare. Sarà mia premura farti sentire peggio che in galera.-

-Sto pagando per quello che ho fatto!-

-Sicuro? E per le vite che hai rovinato prima hai avuto l'assoluzione?-

-Non so di cosa stai parlando!-

-Tranquillo! Ho tutto il tempo per rinfrescarti la memoria.-

-Bene!- disse Rachel ponendo le mani sul petto dei due per farli separare. -Se avete finito di fare a gara a chi a più testosterone, gli altri ci aspettano al tavolo.-

 

Una volta in sala disco, Edward notò che oltre ad Emmett, c'erano Alice, Rosalie e Jasper. Stavolta andò meglio e riuscì ad abbracciare tutti i suoi familiari. Per sua fortuna, la musica era già alta e quindi era impossibile parlare.

Rachel riuscì a convincere tutti a buttarsi in pista.

Stavano ballando, quando notò come si muoveva Isabella ballando. Era sexy e glielo diceva anche il suo amico dentro i jeans. La mattina aveva osato molto nel baciarla, ma da come si erano messe le cose, forse tentare di farci sesso era escluso. Forse avrebbe potuto, senza dare nell'occhio, provarci con qualche altra ragazza lì e farsi una sveltina nel bagno.

Con nonchalance si girò su se stesso alla ricerca di una probabile preda ma trovò gli occhi ostili e infuocati di Jacob Black che lo guardavano quasi ad intuire le sue intenzioni. Vicino a Jacob c'era Jasper che lo guardava con la stessa intensità e gli sembrava che i suoi gli parlassero dicendogli le stesse cose.

Ok. Non solo Isabella aveva delle guardie del corpo, anche tutte le ragazze li presenti ne avevano. Tanto valeva non girarsi verso Emmett prima di trovarsi con le spalle al muro.

 

-Stasera facciamo un gioco.- esordì lo dj. -Appena smetto di parlare giratevi di 180 gradi e la prima persona che vi trovate davanti sarà il vostro partner per la prossima canzone. Pronti? Giratevi!-

Edward sentì qualcuno che lo spingeva e si trovò Isabella proprio di fronte. Lei si guardò un po' intorno come alla ricerca di qualcuno ma tutte le persone attorno a loro era già strette in un abbraccio. Ed erano tutte coppie.

Le porse la mano che lei accettò con un velo di titubanza e si avvicinarono mentre partirono le note di “Romeo and Juliet” dei Dire Straits.

I capelli di lei, lasciati sciolti sulle spalle, gli sfiorarono la mano che teneva alla base della sua schiena. Il suo profumo, floreale, era eccitante. Chiuse gli occhi aspirandolo. Cercò di avvicinarla maggiormente a sé e sentì il suo corpo aderire al suo. Anche il suo amico dei piani bassi se ne accorse ed anche lei perchè si irrigidì un momento. Poi si lasciò andare ed Edward, aprendo appena gli occhi, notò che lei li aveva chiusi. Ballarono così, stretti, in una loro bolla dove l'unica cosa che sentivano era una nenia lontana che non seguivano nel dondolarsi.

Solo quando la musica cambiò timbro, si risvegliarono dalla loro intimità per venire catapultati nel mondo di Lady Gaga. Si guardarono restando ancora abbracciati e fu Isabella a staccarsi per prima.

Si allontanò di qualche passo per poi girarsi e andare al tavolo.

Edward rimase in pista, solo e con qualcosa che gli mancava.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo 18 ***


Senza volerlo, ho creato un toto scommesse. Più la storia va avanti, più mi chiedete di riverlarvi come mai Edward non ricordi niente del suo passato. So che sono cattiva ma sappiate solo che, prima di quanto avevo previsto, vi svelerò questo mistero. Abbiate pazienza ancora qualche capitolo.

Vi lascio al prossimo capitolo.

Vi abbraccio tutte!

 

CAPITOLO 18

 

Domenica. Clinica “Life & Nature”.

 

-Jake sei sveglio?- sussurrò Rachel.

-No.- mugugnò lui.

-Dai svegliati!- continuò Rachel scuotendolo.

-Stai male?-

-No.- rispose confusa lei.

-Embry sta male?-

-Perchè dovrei stare male?- chiese Embry assonnato.

-Se non è morto nessuno e non stiamo andando a fuoco, ne parliamo domani.- e Jake si girò dall'altra parte. Sentì il materasso muoversi, segno che Rachel se ne stava andando.

Non appena la luce si accese, Rachel si rituffò sul letto fra i due occupanti.

-Rachel!- abbaiò Jake.

-Smettila! E' importante!- gli fece di rimando Rachel infilandosi sotto le coperte.

-Vattene! Ho sonno! Voglio dormire!-

-Ti vuole dire di ieri sera.- intervenne Embry.

-Cos'è successo? Qualcuno ti ha importunato? Hanno cercato di farti del male?- Adesso Rachel aveva tutta l'attenzione di Jake.

-Si tratta di Isabella e di Edward.-

-Ne parliamo domattina.- e Jake si rimise sdraiato cercando una posizione comoda.

-Certo che come fratello sei proprio un disastro.- tentò imbronciata.

-Vedi di arrivare al sodo.- e Jake si mise seduto.

-Ho bisogno del tuo aiuto per farli mettere assieme.-

-Tu sei pazza!-

-Perchè?-

-Stanne fuori, Rachel. Non sono affari tuoi e nemmeno miei!-

-Ma sono così carini assieme!- disse con sguardo sognante. -Sono sicura che con una bella spinta capirebbero quanto già si amano!-

-Primo non si amano perchè Isabella odia Edward.- iniziò Jake.

-Sei tu che odi Edward.- disse Rachel.

-Ti assicuro che i sentimenti di Isabella nei confronti di Edward non sono amorevoli.-

-Come fai a saperlo? Hai la sfera di cristallo?-

-Lo so perchè ne ho parlato con lei.-

-Non è una giustificazione sufficiente.-

-Quindi mi avrebbe mentito?-

-Se lei mente a sé stessa, di rimando mente a te e a chiunque altro. Ma gli occhi non mentono. Gli occhi di Isabella non dicono di odiare Edward.-

-Adesso sei tu che hai la sfera di cristallo? O hai la vista a raggi X?-

-Nessuna delle due cose, ma sono molto brava ad osservare.-

-Ok, illuminami!-

-Hai visto come ballavano ieri sera? Erano da soli su quella pista.-

-A me sembrava ci fosse molta altra gente.-

-Hai notato come ballava Isabella? L'avevi mai vista ballare così?-

-No.- Jake.

-In effetti era molto sensuale.- riflettè Embry. -Molti ragazzi la guardavano e non solo perchè è una bella ragazza, ma ieri sera era diversa.-

-Hai fumato?- gli chiese Jake.

-Non divaghiamo.- li riportò al presente Rachel. -Embry ha ragione. Ho sentito più di un apprezzamento da parte dei ragazzi in sala. E poi hai visto quando hanno ballato in coppia?-

-Era un gioco e loro due si sono trovati in coppia.-

-Sbagliato!- disse Embry e Jake lo guardò stranito.

-Potrei aver, inavvertitamente certo, dato una spintarella ad Edward per girarsi proprio verso Isabella. Certo, il fatto che ci fossero già delle coppie che erano composte è stato un caso fortuito che ha permesso che loro ballassero assieme.- a Rachel si illuminarono gli occhi.

-Ti ho visto. Un vero colpo da maestro!- ridacchiò Embry.

-Ma che c'entri tu con questa storia?- chiese Jake ad Embry.

-Dopo quando me ne vado ne parlate, adesso concentrati su di me e sulle mie intenzioni.- lo richiamò Rachel.

-Le tue intenzioni ti porteranno solo a rovinare la tua amicizia con Isabella e anche la mia se ti do retta.-

-Il solito catastrofista.- e Rachel mise il broncio incrociando le mani al petto. -Sei sicuro di essere gay?-

-Dio mio! Se ieri sera avessi bevuto, avrei un mal di testa più leggero di quello che mi stai facendo venire tu!-

-No! Sul serio. Sei sicuro di essere gay?- ed Embry ridacchiò alla domanda di Rachel. -Perchè ti comporti come un uomo etero.-

-Perchè i gay come si comportano?-

-Sono molto sensibili, non come noi donne certo, ma hanno una sensibilità particolare. Prendi Embry.- e lo indicò. -Lui ha capito subito quali erano le cose ti cui ti volevo parlare e non ha fatto tutta questa scenata. Adesso potevamo già aver finito di parlare ed essere ognuno nel proprio letto.-

-Ok. Dimmi il tuo piano.-

-Non c'è nessun piano. Vorrei solo che tu facessi in modo che loro due si vedessero spesso. Ogni tanto potresti dare ad Edward qualche giorno di vacanza così dovrebbe stare con Isabella. E poi trovare il modo che passino più tempo assieme quando sono qui perchè lui potrebbe fare qualche lavoretto d'ufficio invece che fuori con Embry.-

-Tutto qui?- chiese Jake e Rachel assentì con la testa. -Bene, torna a dormire.- e si ridistese.

-Notte.- e si alzò dal letto per uscire dalla loro camera dopo aver spento la luce.

 

-Dormi?-

-No.-

-Che c'entri in questa storia?-

-Credo che Rachel abbia ragione.-

-Anche tu! Sicuro di non aver fumato?-

-Sto parlando seriamente.- ed Embry si girò nel buio a favore di Jake. -Sono convinto anch'io di quello che dice Rachel.-

-Isabella ha dei conti in sospeso con Edward.-

-Che non vuol dire odiarlo, ma solo che gli è ostile. Sei tu che lo odi.-

-Cullen è una testa di cazzo.-

-Ma perchè lo odi?-

-Per quello che ha fatto alle persone a cui voglio bene, come te, come Isabella, come Emily.-

-Ma a te cosa ha fatto?-

-Te l'ho appena detto. Vi ha fatto del male e quindi ha fatto del male anche a me.-

-E' un male di rimando. Non puoi odiarlo perchè ha detto a Sam che sono gay. Forse dovresti essergliene grato perchè mi ha tolto un peso dicendolo al posto mio.-

-Ma quello che è successo dopo ...-

-... sarebbe ugualmente successo. Sam avrebbe cercato ugualmente di uccidermi per la vergogna. E se Emily si è trovata in mezzo è stato una casualità. Emily avrebbe lasciato Sam lo stesso se mi avesse ferito o peggio ucciso.-

-Mi stai dicendo che non è colpa di Cullen quello che è successo?-

-Ti sto dicendo che le parole di Edward hanno anticipato i tempi. Jake, se Sam avesse saputo di me perchè mi trovava a letto con un uomo, credi che non avrebbe reagito nello stesso modo?-

-Quindi non dovrei odiare Cullen solo perchè ha anticipato i tempi e non è colpa sua se tu non hai più rapporti con la tua famiglia?-

-No, ma dovresti odiarlo perchè ha fatto qualcosa a te e non ad altri.-

-Perchè odi Edward?- gli richiese dopo un momento di silenzio.

-Ho capito di essere gay quando ho scoperto di esserne innamorato.- soffiò Jake.

-Notte Jake.- ed Embry si adagiò accanto a lui per addormentarsi con un braccio che gli cingeva la vita.

 

 

-Isabella, quando parti?- le chiese il dottor Hammond.

Si trovavano a pranzo nella sala mensa comune. Alcuni di loro, quelli che la sera precedente erano usciti, avevano saltato la colazione per poi ritrovarsi all'ora del pasto.

-Domattina, subito dopo la riunione.- gli rispose cordialmente Isabella.

Edward guardò di sottecchi Isabella. Domattina sarebbe partita; si sarebbero salutati prima o dopo che lui avrebbe iniziato il suo lavoro alla clinica? Improvvisamente il tempo gli sembrava poco.

-Non ci sarò alla riunione di domani. Comunque ti volevo chiedere se il prossimo week-end era un problema se vengono i miei figli con i nipoti.-

-Certo che no dottor Hammond. Lo sa che è il week-end dei familiari e possono venire anche quelli dei dipendenti.-

-Lo so, ma preferisco sempre chiederlo. Avete già in mente qualcosa?-

-In realtà sì.- intervenne Rachel. -Con Paul pensavamo a dei giochi da fare a squadre. Può partecipare chiunque.-

-I miei nipoti si divertiranno come al solito.- disse ridendo il dottor Hammond.

-Speriamo sia bel tempo così possiamo stare all'aperto. Sarà di sicuro l'ultimo week-end prima della brutta stagione. Poi ci dovremo inventare qualcosa da fare al chiuso.- rispose un po' scocciata Rachel.

Rachel era seduta davanti ad Edward.

-Sai Edward, ieri sera parlavo con Alice. Pensavamo di vederci uno di questi giorni.-

Edward rimase basito da quella rivelazione.

-Viene qui lei?- chiese timoroso lui.

-Non lo so. Ci sentiremo per accordarci.- rispose lei guardandolo negli occhi.

Il silenzio calò fra i due.

-Edward cosa ti va di fare oggi?- chiese Isabella per distrarlo.

-Quello che vuoi.- le rispose per poi guardare il suo piatto di pasta.

Per il resto del pranzo Edward non parlò con nessuno. E nessuno si prese il disturbo di parlargli.

 

-Non sono più abituata a ballare fino a tarda notte.- disse Isabella sprofondando sul divano dopo essersi tolta le scarpe.

Edward era rimasto appoggiato al tavolo della cucina.

-Come funziona il week-end dei familiari?- chiese lui.

Isabella pensò subito di chiedergli il perchè di quella domanda. Ma passò oltre.

-Agli ospiti è “vietato” parlare con i loro familiari se non in determinate situazioni. Hanno degli obiettivi da raggiungere e al pari arrivano dei privilegi. Uno di questi è poter telefonare ai propri familiari. Però è importante che sappiano che i loro si interessano. Così ogni ultimo week-end del mese è dedicato ai loro incontri. I parenti parlano anche con noi per sapere se ci sono problemi, come vanno le cose.-

-E partecipano anche i familiari dei dipendenti?-

-Alcuni si. Vedi quelli del dottor Hammond. Da quando è vedovo si è dedicato totalmente al lavoro. I figli gli portano i nipoti in queste occasioni. Non sempre perchè uno dei suoi figli vive in Italia e viene una volta l'anno. Ma gli altri vengono quasi ogni mese.-

-Quindi basta solo invitare chi si vuole?-

-Adesso proprio te lo devo chiedere. Perchè mi fai queste domande?-

-Se volessi chiedere ai miei di venire, posso?-

-Per me non ci sono problemi, ma devo chiedere anche a Jake.-

-Perchè devi chiedere anche lui?-

-Primo perchè è direttore della clinica. Secondo deve avvisare i tuoi del tipo di struttura e del tipo di comportamento da tenere. Certo, tuo padre è un medico e di sicuro non ci sono problemi ed Esme è già stata qui e quindi sa come vanno le cose. Ma non posso scavalcare Jake. Come hai notato anche tu, il dottor Hammond ha chiesto, di sicuro prima a Jake, e poi a me se c'erano problemi a far venire i suoi figli e nipoti.-

-Mi stai dicendo che non darebbe il permesso ai miei genitori di venire.-

-Non ti sto dicendo questo. Questi week-end sono fatti principalmente per gli ospiti. Quando vengono i familiari dei dipendenti, gli si chiede di partecipare alle attività per far vedere agli ospiti che c'è altro fuori dalla clinica. E' per questo che ci si raffronta prima perchè non tutti sono pronti alla realtà che incontreranno.-

Edward si sedette sul divano. -Ho voglia di vedere i miei. E mi piacerebbe che venissero la prossima settimana.-

-Ti senti pronto?-

-No, ma ho una settimana per prepararmi.-

Isabella si alzò e si infilò le scarpe. -Andiamo da Jake.-

 

-Ciao ragazzi, entrate!- Rachel. Sempre allegra.

-C'è Jake?- chiese Isabella.

-Sì.-

-Che succede?- disse Jake avvicinandosi.

-Ti dobbiamo chiedere una cosa.-

-Ditemi.-

-Se il prossimo week-end, quello dei familiari, venissero anche i Cullen, è un problema?-

-No.- rispose Jake senza pensarci.

Isabella guardò Edward con un gran sorriso.

-Vado a chiamarli subito per sapere se possono venire.- ed uscì di casa.

 

-Isabella posso parlarti?- le chiese Jake.

-Certo, dimmi.-

-Sediamoci qui.- e si sedette sui gradini del portico.

-Com'è andata ieri sera?- chiese lui.

-Direi bene. C'eri anche tu.-

Jake la guardò. -Sai cosa intendo.-

-L'ho baciato.-

-Ieri notte?-

-No, l'altra sera. Eravamo sul divano, lui guardava la tv e io lavoravo al pc. Poi si è addormentato. Ho spento la tv , il pc e le luci e me ne stavo andando a letto. Poi mi sono avvicinata e gli ho dato un bacio in bocca.- con entrambe le mani Isabella si spostò i capelli indietro. -Poi mi sono appoggiata a lui per sentire il suo calore e mi sono addormentata. Mi ha svegliato lui la mattina e sono scappata per andare a correre.-

-E ieri sera?-

-E' stato bellissimo stare fra le sue braccia.-

-Ti stai rinnamorando di lui?-

-Credo di non aver mai smesso di amarlo. Ma non posso permettermi debolezze. Non più.-

-Cosa pensi di fare ora?-

-Lo voglio solo aiutare e poi quando saranno passati questi due anni, ognuno per la sua strada.-

-In questo lasso di tempo possono cambiare molte cose. E anche le persone possono cambiare.-

-Da quando sei così ottimista su di lui?-

-Non gli permetterò di farti più del male.- e Jake le cinse le spalle con il suo braccio e l'avvicinò a sé depositando un bacio sulla sua fronte. -Ma non ti permetterò di autoimpedirti di amare di nuovo.-

-Cosa ti fa pensare che sia l'uomo giusto per me? Potrei non essere la donna giusta per lui!-

-Non lo penso e non lo so. Ma promettimi una cosa. Non fare cazzate. Ma se proprio devi, dimmelo che le facciamo assieme. Ok?-

-Ok!-

 

Isabella rientrò in casa che Edward era ancora al telefono. -Certo mamma. Poi ci sentiamo dopo che gli ho parlato e ti faccio sapere. Ciao- e riappese.

-Sicuramente loro ci saranno. Mi chiedeva se possono venire anche Alice ed Emmett e i loro compagni.-

-Tu cosa hai risposto?-

-Che avrei dovuto prima chiedere. Le ho spiegato un po' come vanno le cose e ha detto che aspetta una mia telefonata prima di chiederlo agli altri.-

-Per me va bene.-

-Lo chiederò a Jake più tardi.-

-Vuoi che lo faccia io?-

-No grazie. Mi devo abituare a fare da solo da domani.-

-Domani … se dovessi avere bisogno, chiedi a Jake e comunque fammi sapere se ti devo portare qualcosa quando ritorno nel fine settimana.-

-Certo.- Edward guardava Isabella, aveva voglia di baciarla e di stringerla a sé come la sera precedente.

-Bene.- Isabella si sentì imbarazzata dallo sguardo di lui. -Vado in camera a preparare le mie cose per domani.-

 

In realtà, Isabella si stese poi sul suo letto dopo essersi chiusa la porta alle spalle. Sapeva già che per preparare le sue cose ci avrebbe messo poco tempo, ma non se la sentiva di stare con Edward in quel momento. Quegli occhi, verdi come smeraldi, le mandavano le sinapsi in tilt. In tempo si era accorta che avrebbe voluto buttarsi fra le sue braccia e sulle sue labbra.

Uscì dalla sua stanza poco prima dell'ora di cena. Trovò Edward sdraiato sul divano che leggeva “Postmortem”.

-Ti piace?-

-Molto.-

-Cercherò di portarti gli altri la prossima volta che vengo.-

-Grazie. Prima o poi mi sdebiterò. Promesso.-

 

Quando furono in mensa per la cena, Edward ebbe modo di parlare con Jacob della possibilità di avere tutta la sua famiglia il fine settimana successivo. Jacob non ebbe nulla da ridire al riguardo. Gli disse solo che se venivano, dovevano partecipare alle attività che stavano creando per l'occasione.

La serata volse al termine tranquilla. E un altro giorno alla clinica “Life & Nature” stava finendo.

Il giorno successivo, sarebbe stato un nuovo inizio per alcuni di loro.


 

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Capitolo 19
*** Capitolo 19 ***


Solo poche parole. GRAZIE A TUTTE!!!

Buona lettura


 

CAPITOLO 19


 

Il lunedì mattina, subito dopo colazione, Isabella salutò Edward e gli augurò buon lavoro. E dopo la riunione del mattino, si diresse a Seattle.

Non si sentiva pronta a lasciarlo da solo, riflettè mentre era in auto, ma non poteva fare altrimenti. Il suo lavoro l'attendeva.

Il lunedì sera, il cellulare di Isabella prese a squillare. Era Edward che le voleva raccontare com'era andato il suo primo giorno di lavoro. Anche se stanca, Isabella non sentì la pesantezza di quella giornata mentre parlavano.

Martedì fu Isabella a telefonare ad Edward. Parlarono per quasi un'ora della loro giornata.

Mercoledì fu il turno di Edward. E giovedì fu Isabella a chiamarlo.

Non si erano messi d'accordo, ma quando si chiamavano, ognuno dei due era pronto a parlare mettendo da parte quello che stavano facendo.

Quei giorni passarono frenetici ma veloci.

Arrivò il venerdì. Isabella aveva alcune cose da sbrigare in ufficio e poi sarebbe partita per la clinica. La borsa con le sue cose già pronta in auto, uno scatolone con tutti i libri della Cornwell che aveva nel suo appartamento di Seattle nel portabagli e una lista della spesa che avrebbe provveduto a depennare appena uscita dall'ufficio.

Ma i suoi piani furono rivoluzionati da una riunione improvvisa dello staff che si sarebbe tenuta alle cinque del pomeriggio.

Telefonò ad Edward per dirgli che avrebbe tardato per colpa della riunione. Si sarebbe messa in marcia subito dopo. Per fortuna, prima della riunione ebbe il tempo di fare gli acquisti preventivati.

 

Venerdì notte. Clinica.

 

Isabella parcheggiò davanti alla casetta che era quasi mezzanotte. La riunione era stata più lunga del previsto e molto stressante. Ma non ci voleva pensare ora. Voleva solo dormire e rilassarsi prima del week-end che sapeva, per esperienza, essere comunque impegnativo.

Dall'auto prese solo la sua borsa e le buste della spesa. Al resto ci avrebbe pensato domattina.

Aprì la porta di casa cercando di fare meno rumore possibile. Non voleva svegliare Edward. Ma come mise piede all'interno, la luce del salotto si accese ed un Edward assonnato con in dosso solo un paio di pantaloni da tuta le si presentò davanti.

-Scusa. Non volevo svegliarti.- disse lei appoggiando le buste sul tavolo e distogliendo lo sguardo da quel corpo paradisiaco.

-In realtà non stavo proprio dormendo. Cercavo di stare sveglio per sentirti arrivare.-

-Perchè?-

-Per essere sicuro che saresti arrivata sana e salva.-

-Avevi paura che mi succedesse qualcosa?-

-Di notte non sai mai chi ti incontri per la strada!-

-Non dirmi che credi alle storie sulle creature della notte?-

-Dylan Dog e Kay Scarpetta insegnano!- E risero entrambi.

-Sistemo queste cose e poi vado a letto.-

-Ti aiuto.-

 

Sabato. Clinica.

 

La mattina passò veloce. Tutti, soprattutto gli ospiti che sapevano dell'arrivo dei loro familiari, erano su di giri. Senza contare che alcune persone dello staff, come Rachel, erano talmente euforiche che riuscirono a contagiare anche gli altri.

Si fece l'ora di pranzo quando i primi visitatori arrivarono. Fra questi c'era la famiglia Cullen al gran completo.

Scesero da due auto. Nella prima c'erano Jasper, Emmett, Alice, Rosalie e il piccolo Alec. Nella seconda Carlisle ed Esme.

Edward aveva chiesto ad Isabella di essergli vicino in quel momento. Lei aveva accettato di buon grado anche perchè, per la prima volta da quando si erano rincontrati, quella era un'occasione di gioia.

Il saluto tra fratelli e cognati fu semplice. Solo il piccolo Alec fece un po' di storie perchè non conosceva Edward. Aveva sette mesi e non lo aveva mai visto. Invece con Isabella fu amore a prima vista e volle starle in braccio.

L'incontro tra padre e figlio fu freddo. Atteggiamento comprensibile per chi sapeva la storia. Una stretta di mano fu il massimo della calorosità.

Ben altra storia fu il ritrovarsi con la madre. Edward le si avvicinò e la prese tra le sue braccia. Piansero entrambi, senza parlare.

 

Dopo il pranzo, tenuto nella sala comune, tutti si spostarono in giardino per le attività organizzate da Rachel e da Paul.

Era una bella giornata di sole, come poche ce ne sono in quella parte dello stato di Washington. E questo fece felice soprattutto chi si era impegnato a preparare i giochi.

A tutti fu chiesto di partecipare per contribuire maggiormente a creare delle squadre diversificate.

C'era stata la corsa nei sacchi, e la caccia al tesoro che aveva tenuto banco fino all'ora della merenda.

Il pomeriggio stava trascorrendo tranquillamente. Durante la merenda Isabella si soffermò nel patio antistante l'entrata della struttura principale. In mano un bicchiere d'acqua.

-A cosa stai pensando?- le chiese Jake avvicinandosi e sedendosi nella sedia di fianco alla sua.

-A ieri e alla riunione che ho avuto allo studio.-

-Novità?-

-Alla “Dwyne & Ford” sono talmente entusiasti del mio lavoro che mi hanno offerto di diventare socia dello studio.-

-Ma è fantastico! Hai accettato ovviamente.-

-No, se divento socia mi devo trasferire a New York. Oppure ritorno a Vancouver nel mio vecchio studio.-

-E cosa hai intenzione di fare?-

-Qualunque cosa scelga, mi devo adoperare per trovarti un sostituto.-

-Invece no se decidi di rimane finchè non trovi qualche studio in zona.-

-Vuoi che rimanga?-

-Esatto. So che quando sei venuta era una specie di esperimento a termine. Ma ora ci sei indispensabile. Vedi anche tu che quando ci sei, sei sempre molto impegnata. Restare qui a lavorare sarebbe ottimo per noi e anche per te. E poi pensa a tuo padre che sa che non sei sola in una città lontana.-

-Grazie Jake, ci penserò seriamente. Ho ancora tempo per decidere.-

-Cosa ti trattiene dall’accettare la mia proposta?-

-Adoro il mio lavoro e adoro dibattere in aula. Se accettassi la tua proposta non farei proprio quello che ho sempre sognato.-

-Quindi devi scegliere tra tre offerte …-

-Solo tra due. Tra New York e voi.-

-Qualunque cosa tu scelga, avrai il mio appoggio.-

 

Il pomeriggio stava volgendo al termine. Gli ospiti erano intenti a preparare la mensa per la cena. Alcuni familiari sarebbero partiti subito dopo la cena, altri sarebbero tornati l'indomani e altri, che non avevano potuto essere presenti il giorno che si stava concludendo, sarebbero venuti il giorno successivo, domenica.

Isabella si era rinchiusa nel suo ufficio dopo la chiacchierata con Jake. Era stata interrotta un paio di volte da alcuni genitori che volevano parlarle.

Subito dopo cena, lei ed Edward salutarono i Cullen che tornarono a Forks. Si sarebbero ripresentati il giorno dopo. Esme aveva chiesto, ed ottenuto, il permesso da Jake di poter pranzare il giorno dopo nella casetta con la sua famiglia. Isabella non ebbe nulla da obiettare; si sarebbe portata il lavoro in ufficio così non li avrebbe disturbati ma Esme le fece promettere di essere presente.

Dopo poco il rientro di Isabella in casa, sopraggiunse Edward che aveva finito di aiutare Paul ed Embry a sistemare in giardino.

-Ti sei divertito?- gli chiese Isabella.

-Sì, molto. Rachel e Paul sono molto bravi ad organizzare. E poi ho visto tutti molto contenti di vedere i loro parenti.-

-E tu sei contento di aver visto i tuoi?-

-So che non posso tornare indietro, ma ho visto mia madre serena dopo molto tempo. Per la prima volta da quando sono andato a vivere fuori casa, sa dove sono e che non mi caccio nei guai.-

-Stai realizzando il sogno di ogni mamma.-

-Come mai tuo padre non c’era?-

-Si trova in difficoltà in queste giornate. E’ un po’ un orso in certe occasioni. Però anche lui sa che sono vicina a casa e che non mi metto nei guai quando sono qui.-

Poi, dopo un momento di silenzio, Isabella disse: -Che facciamo? Iniziamo a preparare ora per domani o domattina?-

Si guardarono un attimo. -Domattina.- dissero all’unisono.

 

Domenica. Clinica.

 

Isabella ed Edward si erano alzati presto e avevano già preparato tutto per l’arrivo dei Cullen.

Mancavano solo le cibarie alle quali avrebbe provveduto Esme.

Poco prima di mezzogiorno, le stesse auto del giorno precedente si fermarono davanti al giardino della casetta.

Ne scese il generale Esme che diede subito disposizioni per portare tutto in casa. Per l’ora di pranzo furono tutti seduti al tavolo della cucina/sala della casetta che chiacchieravano allegramente.

Per il dolce, li raggiunsero Rachel, Embry e Jake.

 

Il pomeriggio lo trascorsero insieme agli altri nel grande giardino davanti alla struttura principale. Stavolta non erano stati organizzati veri e propri giochi; quindi ognuno era lasciato libero di fare cosa più gli piaceva.

Alcuni si sistemarono all’ombra degli alberi e altri invece si sdraiarono sull’erba al sole. Alcuni stavano gironzolando per la proprietà ed altri era intenti a chiacchierare sotto il patio.

Tutto era più che tranquillo. Fino a che …

-No! Mettimi giù!- Gridò Renata colpendo ripetutamente Caius alla schiena. Se l’era caricata in spalla e la stava facendo volteggiare.

Tutti iniziarono a ridere per quella scena finchè Emmett non decise di parteciparvi prendendo di peso sua sorella Alice.

-Emmett! Giuro che ti uccido!-

-Si! Si! Poi facciamo i conti.- disse ridendo lui.

Jasper cercò di intromettersi per fermare suo cognato e ci riuscì.

-Certo che siete dei guastafeste!- li rimproverano Caius ed Emmett. E con uno sguardo d’intesa, Caius rincorse Renata per riprenderla in braccio, Jasper si caricò Alice ed Emmett riuscì ad acciuffare Isabella appena in tempo. Si unirono anche Paul con Rachel, Embry con Jessica e Jake riuscì a coinvolgere Lauren. Stavano tutti ridendo a più non posso e molti ospiti li imitarono. Era diventata una specie di lotta con le ragazze sulle spalle. Senza volere, avevano creato un vero motivo di divertimento.

 

Quando Emmett decise di poggiare Isabella a terra, qualcosa di nuovo accadde.

Ad Isabella si alzò la maglietta che indossava e lei prontamente si ricompose.

Lei non ci fece caso, ma tre persone notarono quello che si celava sotto quella maglia a maniche lunghe.

Edward fece una faccia strana, una smorfia, anche se non sembrava impressionato da quello che aveva visto.

Una veloce occhiata di Carlisle prima ad Isabella e poi ad Edward fece insospettire Esme.

Anche Carlisle si accorse di essere stato notato dalla moglie mentre guardava l’una e l’altro.

 

Il pomeriggio e la sera trascorsero tranquilli e i visitatori dovettero tornare alle loro case.

 

-Quando organizziamo una cena da noi?- chiese Esme ad Isabella.

-Ti faccio sapere per tempo come ci organizziamo.- le rispose Isabella sciogliendosi dal suo abbraccio.

-Se ci riuscite perché non restate un week-end alla villa? Potresti vedere tuo padre.-

-E’ da un po’ che non riesco a vederlo in effetti.-

-E’ quello che mi ha detto proprio l’altro giorno quando me lo sono incontrato per Forks.-

-Controllo gli impegni e ti faccio sapere quanto prima. Promesso.-

-Fammi sapere presto. Edward fai il bravo.- lo rimproverò bonariamente.

-Si, mamma- e le diede un bacio sulla guancia.

I Cullen salirono sulle loro auto e si avviarono all’uscita.

 

-Quando ritorni a Seattle?- chiese Edward ad Isabella mentre stavano andando a piedi alla casetta dopo aver salutato gli altri.

-Domattina sul tardi. Devo essere in ufficio per martedì.-

Proseguirono in silenzio fino a quando entrarono in casa.

-Allora.- chiese Isabella. -Che mi dici di questi due giorni?-

-Andiamo veramente dai miei?-

-Tu ci vuoi andare?-

-Sì. Vorrei parlare con loro di quello che è successo in questi mesi. Per quanto sia, qui non possiamo avere la privacy necessaria.-

-Allora organizzeremo presto.-

-Grazie Isabella. Un giorno spero di sdebitarmi.-

-In realtà c’è già una cosa che potresti fare.-

-Tipo?-

-Embry ha detto che te la cavi bene con le piante.-

-Quindi?-

-Sistemeresti il giardino qui fuori? Io sono negata!-

Edward rise. -Vedrò cosa posso fare, ma sto ancora imparando. Mi farò insegnare da Embry.- e risero insieme.

 

Domenica sera. Direzione Forks. Auto di Carlisle ed Esme.


 

In auto ogni tanto Carlisle buttava un occhio in direzione di Esme. Lei fece finta di nulla continuando a guardare il panorama fuori dal finestrino. Era ormai calato il buio.

-Non hai niente da chiedermi amore?- chiese Carlisle.

-Riguardo a cosa tesoro?- Esme fece finta di cadere dalle nuvole.

-Mi sembrava che avessi notato una serie di sguardi oggi pomeriggio.-

-Si, ho notato.-

-E?-

-Non mi è piaciuto essermi sentita confusa.-

-Prima dimmi cosa hai capito.-

-Non ho capito nulla. Ho solo visto mio figlio fare una faccia strana quando ha visto le cicatrici che ha Isabella. E tu che guardavi entrambi.-

-Cosa intendi per faccia strana?-

Esme lo guardò. Adesso non capiva il senso di quelle domande, ma stette al gioco del marito.

-Sembrava coinvolto. Come se gli ricordassero qualcosa. Ed è qui che nasce la mia confusione. In quel periodo loro due neanche si parlavano.-

-Ed è qui che ti sbagli. Erano più che amici perchè stavano insieme.-

-Cosa?-

-Ti dirò la parte della storia che conosco. Ok?-

Esme rispose solo con il capo.

-Dopo che trovarono il corpo di Isabella e la portarono all'ospedale, Edward venne da me. Mi chiese il favore di fargliela vedere quanto prima e senza che nessuno sapesse nulla. Quando gli chiesi il perchè, mi spiegò che era la sua ragazza da poco tempo e visto che nessuno sapeva di loro, voleva che restasse ancora un segreto. Almeno fino a quando Isabella non si fosse ripresa.-

Carlisle azzardò un'occhiata in direzione di Esme. Stava assimilando le sue parole guardando avanti, senza battere ciglio come una maschera di cera.

-E così cercai di fargliela vedere il più possibile. Ti ricordi che diceva di voler studiare in biblioteca la sera? In realtà lo accompagnavo in terapia intensiva. Lui restava lì con lei a tenerle la mano e a parlarle. Quando la spostavamo per l'ossigeno-terapia, Edward si occupava di disinfettarle le ferite dentro la camera iperbarica.-

-Isabella non mi ha detto nulla di quel periodo quando ne abbiamo parlato poco tempo fa.-

-Non ne sa nulla perchè era incosciente; era sotto sedativi. Non poteva ricordare perchè non le permettevamo di svegliarsi per non farle provare dolore.-

-E perchè tu non mi hai detto nulla?-

-Edward me lo aveva fatto giurare. Avrebbe detto tutto quando lei fosse stata meglio.-

-E perchè poi non hai detto niente quanto si è ripresa?-

-Perchè lei si è rifiutata di parlare con noi e mi ha chiesto di allontanarmi perchè non mi voleva come medico. Ha fatto di tutto per andarsene da Forks quanto prima, anche contro il parere degli altri dottori.-

-Edward come la prese?-

-Piuttosto male. Sai anche tu che non è mai stato uno stinco di santo, ma peggiorò. Ricordi che quasi venne espulso da scuola? E che quando era all'università invece di studiare, faceva altro?-

-Sì.-

-Credo che fosse il suo modo per dire che si sentiva abbandonato da lei. E quando oggi ha rivisto le cicatrici, penso che abbia ripensato a qual periodo.-

-Cosa credi che succederà ora? Si rimetterà nei guai?-

-Mi augurò di no. Ma cercherò di parlare con lui al più presto.-

Ed imboccarono il vialetto d'ingresso della villa.

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Capitolo 20
*** Capitolo 20 ***


Salve a tutte! Posto oggi perchè la prossima settimana non so se ci riuscirò. Quindi eccomi qua con un lungo capitolo, che poi sarebbero il 20 e il 21 uniti.

Vorrei ringraziare nuovamente tutte le persone che mi seguono, in primis, ma senza nulla togliere a nessuno, a chi mi recensisce. Anche se non vi rispondo praticamente mai, le vostre opinioni mi hanno fatto passare un il blocco del pseudo-scrittore e di questo vi sono eternamente grata.

Detto questo, termino con i miei sproloqui e vi lascio alla lettura.

P.S. Per la gioia di molte di voi, siamo arrivate al dunque. Si scoprirà perchè Edward non ricorda nulla.

 

CAPITOLO 20

 

Lunedì mattina. Clinica.


 

-Buongiorno.- disse Edward in direzione di Isabella che era seduta al tavolo della cucina con il portatile aperto.

-Giorno a te.- gli rispose.

Era adorabile con quegli occhiali. La montatura nera risaltava sul suo incarnato diafano. E quelle labbra, rosse di natura, lo invogliarono ad avvicinarsi per baciarla. Ma si trattenne allontanandosi per quanto gli era possibile in quella stanza.

-Mi faccio una doccia e poi vado a fare colazione.- disse Edward. Aveva bisogno si di una doccia, ma per smorzare i bollenti spiriti del suo amico … e suoi.

-Ti aspetto se vuoi.-

-Va bene.-


 

Dopo poco si trovarono insieme agli altri nella sala comune.

-Isabella quando ritorni a Seattle?- le chiese Jake.

-Credo dopo pranzo. Volevo sistemare un po’ casa dopo ieri.-

-Faccio io stasera.- si propose Edward.

-Non ti preoccupare. Fare le pulizie mi rilassa.- gli rispose lei benevola.

Quello sguardo, fra i due, non passò inosservato a molti della tavolata.

-Prima di andare, avrei bisogno di parlarti.- li interruppe Jake.

-Certo.- disse riscuotendosi Isabella. -Mi fermo subito se vuoi.-

-Cerco di passare da te più tardi.-

-Vieni pure quando vuoi, sono in casa. Al massimo ci sentiamo se ho finito.-

-Ok. A dopo.- e Jake si alzò. -Ciao a tutti.- ed uscì.

-Anch’io vado.- disse Isabella alzandosi. -Ci vediamo. Ciao!- ed uscì anche lei.


 

Embry, Paul ed Edward era all’esterno che stavano sistemando i tavoli e le sedie che erano rimaste all’aperto la sera prima. Infatti il giorno prima era stata una bella giornata e molti si erano fermati fino a notte a chiacchierare all’aperto. Adesso stava però minacciando di piovere copiosamente, e quindi i tre si stavano adoperando per ricoverare tutto quanto prima.

Fecero appena in tempo a portare tutto in magazzino quando un violento acquazzone si abbattè sulla clinica.

-Direi che se continua così abbiamo poco da fare oggi.- riflettè Embry guardando fuori dal portone del magazzino.

-Volevi fare legna?- gli chiese Embry.

-Sì, sarebbe ora di iniziare a sistemare il bosco.- gli rispose. Poi guardò Edward. -Prima dell’arrivo della brutta stagione, sistemiamo una parte del bosco e così facciamo della legna per il riscaldamento. In genere noi ci occupiamo di sfoltire gli alberi e poi portiamo tutto nella rimessa vicino alla caldaia. Li gli ospiti poi sistemano la legna.-

-Volevi iniziare oggi?- gli chiese Edward.

-Sì, se smette di piovere così forte. Nella foresta si lavora anche se piove, anche perché se aspetti che faccia bel tempo, non ci vai mai. Quindi direi di rimandare per stamattina e di decidere subito dopo pranzo.-

-Allora vado ad aiutare in cucina.- disse Paul e correndo uscì dal magazzino.

-Questo è uno di quei momenti in cui ci possiamo rilassare.- disse Embry. -Quindi se vuoi tornare a casa, vai tranquillo. Ne parliamo a pranzo.-

-E se continua a piovere così forte anche oggi pomeriggio?- gli chiese Edward con curiosità.

-Vedremo. Questo lavoro è fatto anche di pause. In genere lavoreremo molto all’aperto e quindi il tempo influirà. Magari sabato e domenica lavoreremo come dei matti perché è bel tempo e ci tireremo avanti.-

-E quando nevica?-

-Manutenzione interna. Quest’anno si pensava di imbiancare gli uffici e i dormitori dei maschi.-

-E quella cos’è?- chiese Edward indicando una struttura un po’ diroccata.

-Sarebbe la serra. Quando aprirono questo posto, alcuni ospiti si dedicarono alla coltivazione di piante. Si pensava di rimetterla a posto per preparare le piante per l’orto che faremo l’anno prossimo.-

-Isabella mi ha parlato dell’orto. E mi ha anche chiesto se sistemo il giardino di fronte a casa. Le hai detto tu che me la cavo con le piante?-

-Si, ho notato che hai una buona mano. Secondo me hai il pollice verde.-

-Quando ero piccolo aiutavo spesso mia madre in giardino.-

-Potrebbe essere una cosa di cui ti potresti occupare. Quando venni a lavorare qui, fu il mio primo lavoro. Odiavo stare li dentro al chiuso.-

-Non so se sono poi così bravo.-

-Non ti preoccupare ora. Prima di tutto è da sistemare tutta la struttura della serra. Poi vedremo come organizzarci. Intanto ne parlo con Jake così già comincio ad evitare quel lavoro.-

-Ok. Quindi se per ora qui abbiamo finito …-

-Vai pure se vuoi. Ci vediamo a pranzo e decidiamo per il pomeriggio.-

Edward si avviò verso casa ed Embry chiuse il magazzino.


 

-Ciao!- disse Edward affacciandosi alla porta della camera di Isabella.

-Ciao.- rispose lei colta di sorpresa. -Già di ritorno?-

-Sì, sta piovendo a dirotto ed Embry ha deciso che per stamattina non si fa nulla. Vedrà poi dopo pranzo.- e si guardò un po' attorno. -Che stavi facendo?-

-Sto sistemando la mia stanza e poi passavo al resto della casa.-

-Ti aiuto così facciamo prima.-

-Non preferisci riposarti?-

-Non sono stanco. Vado a pulire la mia, di camera.- e fece dietro front per entrare nella sua camera.

In poco tempo sistemarono tutta la casa. Appena in tempo affinchè il cellulare di Isabella squillasse.

 

-Pronto?-

-Isabella, sono Jane.-

-Ciao, Jane. Dimmi tutto.-

-Ho una buona notizia da darti. Stamattina si è presentato in studio il signor Trainer. Era accompagnato dalla moglie. Hanno deciso di riprovare a stare assieme. Però mi ha chiesto se puoi fargli un contratto ad ok nel caso si lasciassero di nuovo.-

-Cosa hai risposto?-

-Che ne avrei parlato con te e poi gli avrei fatto sapere. Comunque la signora Truman-Trainer vuole che venga coinvolto il suo avvocato. Vuoi che lo chiami per fissare un nuovo appuntamento?-

-No, ci penso io. Gli devo parlare anche di altro. Comunque mantieni l'appuntamento di domani. Poi ti faccio sapere se spostarlo.-

-Ti conviene spostarlo direttamente perchè domani il signor Ford sarà alla clinica e vuole parlare con te e con Black.-

-Cosa?-

-Hai capito bene e questa è la cattiva notizia.-

-Sai perchè viene qui?-

-In realtà no. Ho chiesto anche alla sua assistente ma non mi ha saputo dire molto se non che c'è aria di cambiamenti ai vertici.-

Silenzio.

-Isabella, ci sei?-

-Sì. Stavo riflettendo. Forse è per via della riunione di venerdì.-

-Puoi dirmi qualcosa?-

-Sì, mi hanno offerto di diventare socia, ma a patto che vada a New York.-

Edward, che pur non volendo non potè fare a meno di ascoltare, tese maggiormente l'orecchio.

-Ma è fantastico! Cosa hai risposto?-

-Che ci avrei riflettuto.-

-Ok. Visto che stai lì almeno fino a tutto domani, hai bisogno di qualcosa?-

-No, ho del lavoro da sbrigare e poi ho ancora il fascicolo Stanley da finire di studiare.-

-Se ho bisogno di qualcosa ti faccio sapere e se ci sono novità ti telefono.-

-Grazie Jane. Ci sentiamo. Ciao.- e riappese.

 

-Non ho potuto fare a meno di ascoltare.- disse Edward cercando di scusarsi. -Ti hanno proposto di andare a New York?-

-Sì. Mi hanno offerto di diventare socia dello studio. A condizione che mi trasferisca nel loro studio di New York.-

-Accetterai?-

-Non lo so. Ho ancora un po' di tempo per decidere.-

-Ma se te ne vai, chi verrà al tuo posto qui?-

-E' una delle questioni che mi assillano. Ne ho parlato anche con Jake e lui mi ha proposto di venire a lavorare qui fino a quando non trovo un altro studio in zona.-

-E non hai accettato?-

-No. Qui ho iniziato per fare un favore a Jake. Però mi porta via molto tempo e a me piace fare l'avvocato che va in aula.-

-E … io … se te ne vai … - balbettò Edward.

-Ti sto tenendo in considerazione perchè non so se posso portarti con me a New York.-

-Cioè?-

-Sei qui perchè lo stato di Washington permette questo scambio. Non so se lo stato di New York permette altrettanto. E se lo permettesse dovrei prima trovarti un posto simile a questo in cui stare. Non è così semplice. Forse è più facile che ti faccia da garante Jake o chi mi dovrebbe sostituire.-

Edward non rispose.

-Adesso non pensiamoci troppo. Neanche io ci voglio riflettere più di tanto fino a quando non mi daranno un ultimatum per scegliere. Ok?-

Edward disse si solo con la testa.

 

Arrivò l'ora di pranzo e si trovarono tutti in sala mensa comune.

-Scusami Isabella se non sono riuscito a passare.- le disse Jake.

-Non importa. Starò qui fino a domani. E oggi pomeriggio ne approfitto per sbrigare un po' di lavoro in ufficio.-

-Allora ci vediamo dopo da me.-

-Edward.- intervenne Rachel. -Tu che fai oggi pomeriggio?-

-In realtà non so, dipende da Embry.-

-Oggi sei libero.- disse Embry. -Tra poco ricomincerà a piovere più di questa mattina.-

-Ti va di darmi una mano ad archiviare dei documenti?- le propose Rachel.

-Ok.-

 

Edward era impegnato a sistemare dei documenti che gli aveva dato Rachel. Lo aveva fatto accomodare nell'ufficio di Isabella.

Isabella era nell'ufficio di Jake.

-Ieri sera mi ha chiamato Richard Ford.- esordì Jake.

-Viene qui domani.- ribattè Isabella sedendosi di fronte a lui.

-Come fai a saperlo?- la interrogò.

-Stamattina mi ha chiamato la mia assistente dallo studio. Tra le cose che mi doveva dire è che domani sarebbe venuto il signor Ford alla clinica per parlare con me e con te.-

-Non sono molto entusiasta che il capo arrivi con così poco preavviso a farci visita.-

-Ma è tutto in ordine. Di cosa ti preoccupi?-

-Ho una strana sensazione.-

-Raccontami.-

-Dopo che mi hai detto della proposta che ti hanno fatto, ho pensato che non solo fosse perché sei un bravo avvocato, ma anche perché siamo amici.-

-Ma il mio è sempre stato un comportamento impeccabile mi sembra.-

-Certo. Ma il motivo di avere un legale presente era di imparzialità nella conduzione della clinica. Con questo non voglio dire che tu non sia stata imparziale, ma con te potevo parlare liberamente cosa che forse non avrei fatto se ci fosse stato un estraneo.-

-Quindi secondo te è perché non mi vogliono più qui?-

-Ti hanno voluto premiare. Ford non è una persona che accetta soci nei suoi studi così facilmente. Però al contempo penso che ti voglia fuori da qui.-

-Ok. Consideriamo la tua ipotesi.- ed Isabella appoggiò i gomiti sulla scrivania di Jake. -Se non mi vogliono più qui, allora anche la tua proposta di farmi restare non avrebbe più senso.-

-Ma te l’ho fatta prima della telefonata di Ford.-

-Noi lo sappiamo, ma lui no. Pensi che dovremmo fargli una proposta alternativa quando lo vedremo domani?-

-Non lo so Isabella. Vorrei che tu rimanessi qui, veramente.-

-Ti direi di non pensarci troppo fino a che non parliamo con Ford. Ma so che non lo farai.-

-Se è per quello, neanche tu.-

-Forse dovrei accettare e basta, oppure tornare a Vancouver.-

-E con Edward come farai?-

-Sto esaminando vari scenari. Di sicuro a Vancouver non lo posso portare. A New York sto controllando le leggi in merito alla sua situazione. Restano il rientro in carcere o che tu ne diventa il garante.-

-Questa storia mi piace sempre meno.-

-E ti piacerà di più quando scoprirai che ti sei fatto delle seghe mentali per nulla.-

-Quando ritorni a Seattle?-

-Perché?-

-Passi troppo con mia sorella e ti sta contagiando con il suo ottimismo. Non mi piace.-

Ed Isabella rise.


 

Rientrò nel suo ufficio e vide Edward che le stava dando le spalle. Era intento a sistemare dei documenti nello schedario.

-Rachel ti ha arruolato?-

-Mi ha chiesto se potevo darle una mano e ho pensato che piuttosto che stare in casa a guardare la tv, meglio qui e vedere un po’ di gente.-

-Allora cercherò di non di disturbarti.-

-Non è un lavoro molto impegnativo.-

-Ma non sai come diventa Rachel se non trova quello che cerca perché hai sbagliato a metterlo in ordine.-

-Cioè?-

-Hai presente il diavolo? Bene, lui scappa quando Rachel si infuria.-

-Cercherò di stare attento, allora.-

Restarono in silenzio per il resto del tempo. Isabella lavorò al pc ed Edward continuò il suo lavoro di archiviazione.

Il telefono di Isabella prese a squillare mentre lei era da Emily. Quando ritornò con una serie di fogli in mano, vide la chiamata e telefonò.

-Ciao Jasper.- disse lei. Edward drizzò le orecchie.

-Ciao Isabella. Hai saputo di Trainer e della Truman?-

-Sì, mi ha chiamato la mia assistente stamattina. Ti avrei chiamato tra poco per decidere il da farsi.-

-Pensavo di predisporre un contratto standard e poi ci possiamo vedere con calma verso fine settimana.-

-Per me va bene se non ci vediamo domani. Ho già chiesto che ti venga recapitata una proposta, modificala come meglio credi e poi ne parliamo noi. Magari la sottoponiamo a loro dopo che ci siamo accordati noi due.-

-Direi che va bene. Allora aspetto una tua bozza e poi ci lavoro su.-

-Poi ti volevo parlare anche di altro. Ho controllato per lo sbocco dei fondi di Edward.- stavolta Edward decise di uscire dall’ufficio di Isabella. Isabella lo guardò uscire e chiudersi la porta alle spalle.

-Sì, anch’io ho verificato. Presento io i documenti necessari.-

-Sì … ok.- disse lei guardando la porta chiusa.

-Tutto bene?-

-Sì, scusami. E’ che c’era Edward nel mio ufficio ed è uscito proprio mentre parlavo di lui.-

-Siete a Seattle?-

-No, alla clinica. Penso di ritornare mercoledì o giovedì a Seattle.-

-Che ne dici se ne parliamo una sera a cena? Alice mi sta martoriando!-

-Ok. Ma verrei sola, però.-

-E se ci vedessimo questo fine settimana a villa Cullen? Così accontenteremo Esme e poi facciamo firmare i documenti ad Edward.-

-Mi sembra un’ottima proposta. Lasciami prima verificare alcuni impegni e poi ti faccio sapere.-

-Ok. Per ora non dico nulla né ad Alice e né ad Esme. Aspetto che mi dici qualcosa tu.-

-Ci sentiamo Jasper. Ciao.-

-Ciao.- Ed entrambi riattaccarono.


 

Isabella tornò al suo lavoro. Edward non entrò più, ma lei notò che un paio di volte passò di fronte ai vetri del suo ufficio.

Isabella bussò all’ufficio di Jake.

-Posso chiederti una cosa?- gli chiese dopo aver avuto l’invito ad entrare.

-Dimmi.- disse lui senza sollevare gli occhi dai fogli che stava esaminando.

-Se questo week-end vado a Forks, con Edward, ci sono problemi?-

-Se non li hai tu, io non ne ho.-

-Ok.- e stava chiudendo la porta quando: -Dillo anche ad Embry.-

Tornando nel suo ufficio, Isabella incontrò Edward.

-Vieni un momento da me.-

Edward la seguì.

-Perché sei uscito quando parlavo di te con Jasper?-

-Preferisco sapere le cose alla fine.- disse Edward quasi con ostilità.

-Ok.- gli rispose guardandolo negli occhi. -Questo week end probabilmente andiamo a casa dei tuoi.-

-Ok. Devi dirmi altro?-

-No.-

Edward uscì.“Perché fa così?” si chiese Isabella.


 

A cena Isabella informò anche Embry delle intenzioni di quel week end. Mentalmente si ripromise che solo il giorno dopo, a conclusione dell’incontro con Ford, avrebbe deciso non solo per quel fine settimana, ma anche per il resto.


 


 

Martedì. Clinica “Life & Nature”.


 

Il signor Ford arrivò a metà mattinata accompagnato dal suo autista e da un assistente.

Dopo i vari saluti con alcuni dipendenti, il signor Ford, Jake ed Isabella si accomodarono nella sala riunioni.

-Volete sapere perché vi ho chiesto di vederci oggi, giusto.- non era una domanda quella del signor Ford. Ma solo una premessa.

-Come già saprete, ad Isabella è stato proposto di diventare socia delnostro studio a New York.- e guardò entrambi per stoppare sul nascere eventuali interruzioni da parte loro. -Quando l’ho saputo, ho riflettuto molto prima di venire qui a parlarvene. So che non le è stata fatto un’adeguata controproposta e quindi eccomi qua. Ho pensato di chiederle di restare a Seattle e di continuare il lavoro qui. Diventando ovviamente socia.-

Il sospiro di sollievo di Jake non passò inosservato.

-Mi dica signor Black.-

-Avevo chiesto ad Isabella se fosse interessata a restare qui.-

-E lei cosa ha risposto signorina Swan?-

-Che ci avrei pensato. Non sapevo della sua controproposta e pensavo di dover decidere fra la clinica e l’avvocatura.-

-Ma ora che sa di questa proposta, cosa accetterebbe?-

-Sinceramente stavo valutando New York. Adesso devo riflettere nuovamente.-

-Signorina Swan quando venne qui, contro il parere di molti ho sorvolato sulla vostra amicizia perché sapevo che entrambi avreste gestito tutto in modo professionale. Ed eccellentemente mi avete dato ragione. Ma è anche un’eccellente avvocato e non voglio perderla e tanto meno desidero che qualcuno dei miei le si trovi davanti in aula. Vorrei evitare che qualcuno le faccia una proposta migliore della nostra o che torni a Vancouver. Se è una questione di denaro, sono qui per trattare. Se è una questione di prestigio, avrà ciò che vuole. Lei è un elemento molto importante sia per il mio studio che per questa clinica e non voglio perderla per nessun motivo.-

Isabella lo guardò ad occhi sgranati. Neanche nelle sue previsioni più rosee aveva immaginato una cosa del genere. E dall’atteggiamento di Jake, anche lui era dello stesso parere.

-Resta con noi, Isabella?-

-Penso di sì.- soffiò appena in risposta.

-Non è proprio la risposta che mi aspettavo. Ad ogni modo, si prenda questa settimana di ferie se vuole e se i suoi impegni glielo permettono. Pensi a cosa vuole e me lo faccia sapere. L’aspetto a New York per valutare il tutto.-

-Non so che dire.-

-Dica solo che mi chiamerà presto per dirmi se vuole rimanere qui o andare a New York.-

-Lo farò.-

Ford si alzò. -Vi saluto. Aspetto una sua telefonata.- ed uscì dalla sala riunioni.

Isabella e Jake erano ancora seduti come due ebeti, quando irruppero sia Rachel che Emily, seguiti a breve distanza da Embry.

-Allora che vi ha detto?- chiese Rachel curiosissima.

-Mi ha proposto di diventare socia a Seattle e di restare qui a lavorare.- rispose Isabella ancora sorpresa. Edward comparve sulla soglia accennando un sorriso.

-E tu hai accettato?-

-No, non lo ha fatto.- rispose per lei Jake.

Isabella lo guardò.

-Perché no?- chiese Rachel.

Isabella la guardò e notò che Edward non era più sulla porta.


 

Stava nuovamente piovendo molto forte ed Isabella entrò in casa trafelata dalla corsa. Edward comparve sulla soglia della porta del reparto notte, con le braccia conserte.

Si guardarono per alcuni momenti, che sembrarono ore.

-Così te ne vai.- proruppe Edward.

-Non ho ancora deciso.-

-Jacob ti conosce molto bene. Ha detto che non resterai qui.-

-In realtà non ho ancora deciso cosa farò.-

-Quindi te ne vai.- confermò Edward girando su sé stesso.

Ok, adesso basta” pensò Isabella e lo seguì fin dentro la sua camera.

-Si può sapere che problema hai?-

-Nessuno.- rispose lui sedendosi sul letto.

-Invece sì! Adesso parli!-

-Ti ho già detto che non ho nessun problema.-

-Edward non provare a prendermi per il culo.-

-Sono stanco. Voglio dormire.- e si sdraiò per tirarsi le coperte fin sopra la testa.

Isabella gli tolse di dosso le coperte in malo modo.

-Vattene!- ringhiò lui.

-No! Dimmi cosa ti prende e poi ti lascio stare!-

-Ho detto di andartene!-

-Non sei nella posizione di darmi ordini!-

-Certo! Rimandami pure in carcere! Così non sarò più una palla al piede! E sarai di nuovo libera di andare dove vuoi!- le urlò contro.

-Ma che stai dicendo?-

-Vattene Bella! Vattene come hai fatto dieci anni fa!- Edward aveva gli occhi fuori dalle orbite.


 

-Edward … io … - balbettò confusamente.

Edward si alzò e si diresse in sala seguito da Isabella. Lui si appoggiò al tavolo.

-Cosa ti trattiene stavolta?-

Lei continuava a guardarlo confusa.

-Dieci anni fa sei uscita dall'ospedale senza salutare nessuno. Né me e né Alice. Eppure io ero il tuo ragazzo ed Alice la tua migliore amica.-

-Ma tu … come … - inutile. Isabella non riusciva a fare un collegamento logico.

-Ammetto che quel giorno, in aula, subito non ti ho riconosciuta anche se avevi qualcosa di familiare. Ma dopo che hanno fatto il tuo nome, ho capito chi eri. Ero felice ed incazzato allo stesso tempo.-

-Perchè?-

-Perchè? Ero felice perchè ti vedevo sana. Non ho saputo più nulla di te. Eri come sparita dalla faccia della terra. E poi ero incazzato perchè ti avevo di fronte e non potevo dirti quanto ci hai fatto soffrire in questi anni.-

-Soffrire?-

-Ho sempre pensato che il primo ragazzo che avesse fatto soffrire Alice, l'avrei ucciso con le mie mani. Ma non avrei mai pensato che la prima persona che la facesse stare male fosse proprio la sua migliore amica.-

Si guardarono e anche se i tono si erano placati, la tensione però era ancora molto alta.

-Ma perchè poi non mi hai detto nulla?-

-Ho preferito continuare a fare finta di non ricordarmi di te, di Jacob e di tutti gli altri.-

-Perchè?-

-Era più semplice continuare a passare da stronzo.-

-Prima … hai parlato di ...- Isabella aveva le lacrime agli occhi e questo non aiutava nel farsi capire. Neanche lei riusciva a capire cosa voleva chiedergli.

Edward le venne incontro.

-Quel giorno, il 13 marzo, ti cercai per tutta la scuola. Tutti i giorni ti tenevo d'occhio anche se tu non te ne accorgevi. Ma non riuscivo a trovarti, eppure avevo sentito il tuo pick-up quando arrivasti. Uscì nel parcheggio e non lo vidi più. Allora pensai che avessi dimenticato qualcosa ed eri tornata a casa a prenderlo e così venni lì. Ma di te non c'era traccia. Forse eri già sulla strada del ritorno e non ci eravamo incrociati, avevo pensato. Quando ritornai a scuola, in tempo per la seconda ora, non c'eri ancora.- Edward si sedette al tavolo. -Volevo venire a cercarti, ma la bidella mi vide e mi fece entrare. Per tutte le ore successive, aspettavo solo di vederti comparire per i corridoi, ma nulla. Quando arrivai in mensa, aspettai. Ricordo che guardavo in continuazione la sala e saltai l'ora di biologia per cercarti sbirciando in tutte le aule. Di te nulla. Quando tornai a casa, non potevo venire da te perchè Emmett aveva bisogno della macchina. Passai il pomeriggio a far finta di studiare ma ero preoccupato. Non avevi un cellulare e quindi non potevo chiamarti. Verso sera chiamò Charlie per sapere se eri da noi e ti eri dimenticata di dirglielo. Alice disse che non ti aveva vista tutto il giorno. E se prima era preoccupato, dopo ero nel panico. Dov'eri? Emmett non era ancora tornato e quindi non potevo uscire a cercarti. Papà uscì per il turno di notte e io non potei più uscire quando rientrò Emmett. Ero in punizione per il compito di storia andato male. La notte dormì malissimo e la mattina dopo nostra madre ci avvisò che ti avevano trovata sugli scogli a La Push. Eri in pericolo di vita, anzi disperavano di salvarti. Ti portarono a Seattle finchè non ti stabilizzarono e poi ti riportarono a Forks perchè ti volevano curare con l'ossigeno-terapia. Papà si prese cura personalmente di te. Gli chiesi di poterti vedere e gli raccontai di noi. Mi aiutò e tutte le sere venivo in terapia intensiva, ti tenevo la mano e ti parlavo della giornata a scuola, di Alice e di tutto quello che vedevo. Per farti guarire prima, decisero di portarti in camera iperbarica ed io mi feci insegnare a medicarti mentre eri dentro.-

-Tu cosa?-

-Ti disinfettavo le ferite. Quelle stesse ferite che ora sono diventate le cicatrici che ho visto l'altro giorno.-

-Come hai fatto a vederle?-

-Ti si è alzata la maglia quando Emmett ti ha messo giù domenica dopo la lotta sulle spalle.-

-Eri sempre in ospedale?-

-Sì. C'ero anche la prima volta che ti svegliasti.-

-Ma la prima persona che ho visto è stata mia madre!-

-Avevano deciso di diminuire le dosi dei farmaci per vedere come reagivi al dolore. Quella sera apristi gli occhi, mi sorridesti e biascicasti qualcosa che assomigliava al mio nome. Poi ricadesti nel torpore dei farmaci. Lo dissi a mio padre. Dopo un paio di giorni riprendesti conoscenza e in quel momento c'era tua madre.-

-E dopo me ne andai.-

-Dopo venne da me mio padre e mi disse che in un paio di giorni ti avrebbe trasferito in Florida. Lo avevi cacciato dalla tua stanza dicendo che non lo volevi come dottore e che non volevi avere più nulla a che fare con nessuno di noi. Nessuno dei due capì il perchè di quella reazione. Ma per quelle due notti, io venni da te. Eri sedata e quindi non potevi saperlo, e mio padre stava fuori a controllare che nessuno entrasse. L'ultima sera mi sdraiai accanto a te e dormì con te. Volevo mi rimanesse il tuo odore.- Edward prese un respiro. -Speravo che il tuo allontanarti fosse solo una scusa perchè magari ti vergognavi delle cicatrici che ti sarebbero rimaste o qualcosa del genere. Invece non sei più tornata e non abbiamo più saputo nulla.-

-Edward non so che dire.-

-Mi hai abbandonato. Non hai avuto pietà dei sentimenti. Perchè?-

-Per il video.-

-Che video?-

-Quella mattina, ti vidi che mostravi un video ai tuoi amici. Stavi raccontando dei nostri rapporti.-

-Non era un video di noi, ma uno preso da internet.-

-E la scommessa?-

-E' vero, c'era una scommessa. Ma non ho mai riscosso nulla. E se lo avessi fatto mi ero ripromesso di donare i soldi ad una qualche associazione di beneficenza.-

Isabella si sedette sul divano tirandosi i capelli.

-Cazzo! Mi sono buttata per niente!-

-Cosa vuol dire ti sei buttata?- Edward le fu subito accanto e la costrinse ad alzarsi prendendola per le braccia. -Cosa stai dicendo? Ti sei buttata dalla scogliera?- le chiese alzando il tono di voce.

-Edward mi stai facendo male!- disse cercando di liberarsi.

-Cazzo! Dimmi che non hai mai fatto una cosa del genere!- la strattonò ulteriormente. - DIMMELO!- le urlò in faccia.

Isabella riuscì a liberarsi dalla presa e si fiondò fuori casa. Nel scappare, era riuscita a prendere le chiavi dell'auto. Stava per aprire lo sportello, quando da dietro Edward le impedì di aprirlo.

-Non andartene!- fu il suo appello accorato. -Non scappare un'altra volta da me!- Isabella sapeva che in quel momento Edward stava urlando, ma il rumore della pioggia che cadeva molto forte, forse come mai prima d'ora, fece apparire la sua voce come un sussurro.

Le lacrime, che a stento era riuscita a trattenere in casa, sgorgarono copiose e dolorose. Se avesse parlato con Edward invece di scappare, forse sarebbe stato diverso. Se si fosse fermata sulla scogliera, forse la sua vita sarebbe stata diversa. Se avesse … forse … si era sempre imposta di non iniziare così ogni suo pensiero da quando si era risvegliata. Ma forse, se avesse deciso diversamente, ora non sarebbero lì, sotto una pioggia battente e fredda, a decidere.

Ma a decidere di cosa?

Di cercare di vivere.

Per una volta seguì l'istinto, o semplicemente il cuore, e si buttò fra le braccia di Edward che ancora le impediva di salire in auto, e pianse tutte le lacrime che in dieci anni si era impedita di versare.

Dal canto suo, Edward la strinse a sé, come faceva anni prima, e le continuava a sussurrare che lui c'era.

Per quanto tempo stettero sotto la pioggia nessuno dei due fu in grado di dirlo. Ma arrivò un momento in cui entrambi tremarono. Edward la prese in braccio e la portò di peso in casa. Senza dire nulla la condusse in bagno, aprì l'acqua della doccia, la spogliò e si spogliò ed entrarono fra le pareti calde della doccia. Si aiutarono a vicenda ad insaponarsi per togliersi da dosso l'odore della pioggia, e forse delle amare confessioni. Quando Edward chiuse l'acqua, fu il primo ad uscire dalla doccia e prese due teli da bagno e due accappatoi. L'aiutò ad asciugarsi e le fece indossare l'accappatoio e poi fece lo stesso con sé stesso. La prese per mano e l'accompagnò nella camera di lei. Aprì l'armadio e prese una grossa coperta che poi stese sul letto. Tolse l'accappatoio ad Isabella e la fece stendere nuda sotto le coperte e poi fece anche lui la stessa cosa.

Spense la luce, l'abbracciò e le diede un bacio sulle labbra. Ed insieme, scaldandosi a vicenda, si addormentarono.


 

Che ne pensate? Fatemi sapere!

Ciao a tutte e alla prossima

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Capitolo 21
*** Capitolo 21 ***


Buona lettura. Baci a tutte!


 

CAPITOLO 21


 

Mercoledì mattina. Clinica “Life & nature”.


 

Isabella si svegliò. Aprì un occhio per adocchiare la finestra, fuori era ancora buio ma non sentiva più il rumore della pioggia. Arrischiò un'occhiata alla sua sveglia: segnava neanche le sei. Cercò di fare mente locale riguardo agli eventi del giorno prima. Lei ed Edward avevano iniziato a parlare del loro passato; sicuramente della parte più dolorosa, quella che aveva scoperto appartenere ad entrambi. Si sentì stringere attorno alla vita e realizzò di non essere sola nel letto. Quella notte avevano dormito assieme, nudi. Avvertì il respiro regolare di lui; probabilmente stava ancora beatamente dormendo. Ma qualcuno era più che sveglio, almeno da quello che sentiva sulla sua schiena.

Isabella cercò di girarsi senza svegliarlo. Quando ci riuscì, Edward mugugnò qualcosa di incomprensibile. Stette così fra le sue braccia, assaporando il suo calore e il suo odore di uomo. Si chiese cosa sarebbe successo quel giorno. Ne avrebbero parlato ancora? Dopo quello che le aveva detto il giorno prima, non era più sicura di quello che aveva sempre pensato di lui in quegli anni.

Decise di alzarsi. Quella posizione non le avrebbe permesso di ragionare lucidamente. Lentamente si scostò da quelle braccia calde e da quel corpo invitante. Riuscì a scendere dal letto senza far movimenti bruschi e, dopo aver raccolto un accappatoio per terra, si diresse in bagno.

Quando accese la luce, rimase un momento accecata. E poi tutto le venne alla mente. Soprattutto il pianto a dirotto sull’ampio petto di Edward e la doccia insieme.

Si lavò la faccia ed uscì dal bagno. Sbirciò un attimo nella camera; Edward era placidamente addormentato.

Si avvicinò alla porta d’ingresso e l’aprì. Venne investita dall’aria gelida del mattino che stava nascendo ma non se ne curò molto. Quel freddo l’avrebbe aiutata a schiarirsi le idee.

E così Edward le era stata vicino mentre era incosciente in ospedale. E le aveva curato, materialmente curato, le ferite durante la terapia. E non aveva fatto un video di loro due, ma lo aveva scaricato da internet. Forse lo aveva fatto solo per mettere a tacere la scommessa. E i soldi che avrebbe ricavato dalla scommessa li avrebbe dati in beneficenza.

Perché uno come lui, che fare sesso con ogni ragazza disponibile era una fede accertata al liceo, si era sentito abbandonato dalla sua ragazza? Lei si era sentita la sua ragazza e lo considerava il suo ragazzo, ma non aveva mai ipotizzato il contrario.

Si era sbagliata sul conto di Edward. Questo era un dato certo.

Ma quanto si era sbagliata? Il suo essersi sentita tradita era reale o se l’era immaginato? Sapeva con certezza che mentre stavano assieme, lui aveva avuto rapporti con altre ragazze. Ma era ancora una certezza?

Dio che casino!” mormorò appena passandosi una mano sul viso. Ma ora aveva ancora senso sentirsi traditi, arrabbiati, delusi del passato? Forse no. Se ci avesse messo una pietra sopra, sarebbe stato possibile tornare ad essere due comuni persone? Forse no, ma ci potevano provare. O ci poteva provare perché di quello che frullava nella testa di Edward, per lei era un’incognita.

Era uscita fuori di casa, a piedi nudi e con indosso solo l’accappatoio. Non si accorse di essere arrivata in fondo alla breve scalinata e di essersi messa a sedere sui gradini ancora umidi dalla pioggia. Rabbrividendo, decise di tornare dentro.

Ritornò in camera dove Edward stava ancora dormendo. Si tolse l’accappatoio e delicatamente gli si stese accanto. Prima di avvicinarsi troppo, pensò fosse meglio scaldarsi un po’. Ma non fece in tempo a scaldarsi che il suo compagno di letto le si avvicinò e la strinse a sé.

-Hei!- le disse dandole un bacio sulla guancia.

-Hei!- rispose lei stringendosi nel suo abbraccio.

-Sei stata via parecchio.-

-Eri sveglio?-

-Da quando ti sei girata verso di me.-

-Scusa, non volevo svegliarti.-

-E’ stato bello svegliarsi sentendoti muore fra le mie braccia.-

Isabella non sapeva cosa rispondergli così stette zitta.

-Ti ho messo in imbarazzo?-

-No. E’ solo che mi sembra tutto così strano.-

-Penso di capire questa stranezza.- disse lui portandosela sul petto. -Ne parleremo, ma con calma. Ok?-

-Va bene.-

Ed Edward la baciò. Non era un bacio come quelli che ricordava, ma molto più passionale e anche un po’ disperato. Quando si staccarono erano entrambi senza fiato.

-Forse ho esagerato.-

-Non ricordo che nessuno mi abbia mai baciato così prima d’ora.-

Stavolta fu il turno di Edward stare zitto.

-Che c’è?- chiese lei.

-Vorrei chiederti con quanti uomini sei stata in questi anni, ma non so se voglio realmente saperlo.-

-Ci andremo con calma, Ok?-

-Va bene.-

Ed Edward se la accoccolò meglio sopra di sé.

Isabella si irrigidì appena sentendo il corpo di Edward svegliarsi.

-Scusa.- disse lui mortificato.

Isabella ridacchiò.

-Non ridere! Potresti ferirci nell’orgoglio!-

Lei non riuscì più a trattenere le risate. Lui capovolse le posizioni ed Isabella smise subito di ridere. Ma fu Edward a ridacchiare.

Le diede un bacio, profondo e pieno di sensualità. Le fece venire i brividi accarezzandole i fianchi e giù, fino alle cosce. Il membro di lui premeva vicino all’intimità di lei che si stava bagnando. Erano entrambi eccitati.

Fu Edward a fermarsi. E le diede un bacio a stampo. Anche se non poteva vederlo, sapeva che la stava guardando. Le diede un altro bacio e se la riportò accanto cingendola per le spalle. Restarono così fin quando la luce del giorno iniziò a rischiarare la camera.


 

Venne anche l'ora di doversi alzare. Senza parlare, si prepararono ad uscire. Quando furono all'ingresso, prima di aprire la porta, Edward la sorprese prendendola tra le braccia. Restarono così per un po'.

-Vorrei rimanere così, oggi.- si lamentò lui con la faccia da bambino imbronciato.

Isabella aveva sempre adorato quel suo modo di fare e sorrise a quel pensiero.

-Ho voglia di tenerti tra le mie braccia e di parlare di questi anni.- disse lui posandole un bacio sulla punta del naso.

-Troveremo il tempo.-

-Cosa devi fare oggi?-

-Ho del lavoro da sbrigare. Poi devo chiamare Jane allo studio e sentire come sono sistemata con gli appuntamenti. In base a quello che mi dice, organizzo un paio di cose con Jasper, tra cui anche quella di passare il week-end a Forks.-

-Sarai impegnata tutto il giorno in ufficio quindi?-

-Sì, e tu tutto il giorno fuori visto che ha smesso di piovere.-

-Uffa!-

-Ci vedremo stasera. Ok?-

-Andiamo.- disse Edward sciogliendo l'abbraccio. -Se arriviamo tardi, Embry spazzola tutto e non ci lascia più niente.-

Isabella rise ed insieme si avviarono in sala mensa.


 

Mentre erano al tavolo, Embry fece presente che quel giorno sarebbero stati tutto il tempo nel bosco e che aveva fatto preparare dei panini. Edward rimase deluso dal fatto che non avrebbe rivisto Isabella per pranzo, e le lanciò un'occhiata malinconica, ricambiata da lei. Questo non sfuggì ad alcune persone attorno a loro.

Quando Embry, Paul ed Edward si alzarono, quest'ultimo riuscì in una carezza sfuggevole verso Isabella. Un gesto appena accennato ma carico di sentimento. Il loro sguardo indugiò l'uno verso l'altra. Per quanto fosse stata una cosa fugace, anche questo non sfuggì a certi occhi presenti.


 

Isabella era da poco nel suo ufficio. Stava esaminando alcuni vecchi documenti risalenti alla fondazione della clinica, quando sentì bussare.

-Avanti.- ed alzando gli occhi, in fila entrarono Rachel, Emily e Jake.

-Mi sono dimenticata di qualche riunione?- chiese lei non capendo il perchè della loro presenza nel suo ufficio.

-Abbiamo indetto una riunione d'emergenza.- le rispose Rachel.

-A che proposito?- Isabella fece mente locale ripercorrendo eventuali problemi che avrebbe potuto sottovalutare. Ma non gli venne in mente nulla al riguardo.

-Tu ed Edward.- disse Emily.

-Cioè? Ha combinato qualcosa e non mi avete detto niente?-

-No. Voi due avete combinato qualcosa e non ci avete detto niente.- Rachel.

-Non capisco.- ma stava cominciando a sudare freddo.

-Cos'erano quegli sguardi languidi che vi mandavate a colazione?- le chiese Rachel.

-E perchè vi siete accarezzati cercando di non far veder nulla?- fu il turno di Emily.

Isabella non parlava perchè non sapeva che dire.

-Ci potete lasciare soli?- chiese Jake venendole in soccorso.

-Ma vogliamo sapere!- disse Rachel.

-Dopo vi richiamo. Promesso.- fu la risposta di Jake continuando a guardare Isabella.

Emily e Rachel uscirono chiudendosi la porta alle spalle.


 

-Cosa mi racconti?- chiese Jake sedendosi sulla sedia davanti alla scrivania di Isabella.

-Cosa vuoi sapere?- chiese lei per prendere tempo, anche se ora, da sola con lui, si sentiva più a suo agio rispetto a un paio di minuti prima.

-Quello che vuoi.-

-Ieri sera abbiamo parlato e mi ha dato la sua versione dei fatti di quello che successe allora.-

-Vuoi entrare nel dettaglio?-

-Il video non era di noi perché lo aveva scaricato da internet e della scommessa non ha riscosso nulla.-

-Gli hai creduto?-

-Mi sembrava sincero, quindi direi di si. Gli ho creduto.-

-Sei molto ottimista nei suoi confronti.-

-Mi ha detto che era con me ogni sera in terapia intensiva. Era suo padre a farlo entrare. E stava con me anche in camera iperbarica. Senza contare che sa che avevo cacciato Carlisle dalla mia stanza quando mi sono risvegliata. Si ricordava di date e di fatti. Ha detto che si è sentito abbandonato quando me ne sono andata.-

-Hai pensato al fatto che forse vuole farti sentire in colpa?-

-A che pro?-

-Non lo, ma è Cullen. Lo stronzo pretenzioso “tutte le ragazze ai miei piedi”.-

-In dieci anni forse è cambiato. Non credi?-

-Non ne sono così sicuro. Soprattutto se penso al motivo per cui è costretto a stare qui da noi.-

-Ok. Ti do atto che ha qualche problema. Ma perché dirmi che improvvisamente si ricorda di tutti e che aveva dimenticato apposta per passare da stronzo?-

-Si ricorda di noi?-

-Si, anche se non siamo entrati nel merito di nessuno.-

-Che altro ti ha detto?-

-E’ rimasto sconvolto quando gli ho rivelato che mi sono buttata dalla scogliera.-

-Non è una cosa facile da digerire. Non lo è stata per me, figuriamoci per lui se ha capito che lo hai fatto per colpa sua. E poi cosa è successo?-

-Volevo andarmene ma me lo ha impedito. Mi ha detto di non scappare nuovamente da lui. E alla fine abbiamo dormito assieme … nudi.-

-Che intenzioni avete ora?-

-Di parlare. Con calma, parleremo.-

-Tornerete insieme.-

-No, Jake. Quello proprio no.-

-Perché? Se lo hai perdonato e gli hai creduto, potresti anche tornarci assieme.-

-Nessuno dei due, nel bene e nel male, è più quella persona di allora.-

-Mi sembrava di aver capito che lo ami ancora.-

-Amo l’Edward che aveva diciassette anni. L’Edward che ne ha ventisette, per me è un estraneo.-

-Però non precludi il futuro.-

-Non voglio pensarci ora. Prenderò le cose come vengono senza rifletterci troppo.-

-E per il resto che farai?-

-Ti riferisci al lavoro?-

-Si.-

-Accetterò la proposta e resterò a Seattle.-

-Così gli starai accanto.-

-Così vi starò accanto. Non ho scelto in funzione di lui. Continuo sulla linea che mi ero data quando decisi di lasciare Vancouver.-

-Bene, ne sono felice. Io andrei se non hai altro da dirmi.-

-Ti prometto che se ho bisogno di un consiglio, verrò da te.- disse Isabella dopo un momento.

-Va bene. Io vado.-

E come Jake uscì dall’ufficio di Isabella, Rachel ed Emily si precipitarono dentro.

-Allora?- dissero all’unisono.

-Abbiamo parlato del passato e continueremo a farlo.-

-E del futuro cosa avete detto?-

-Nulla. L’unica cosa, è che ora resterò qui e quindi vedrò come vanno le cose.-

-Vi teniamo d’occhio.- fu la minaccia di Emily e di Rachel mentre uscivano.


 

-Ciao Jane. Sono Isabella.-

-Ciao, come va?-

-Tutto bene. Adesso ti dico tutto. Ieri è venuto il signor Ford e mi ha proposto di diventare sì socia, ma devo decidere se andare a New York o restare a Seattle.-

-Cosa hai deciso?-

-Ufficialmente nulla. Ufficiosamente rimango a Seattle. Ho bisogno che mi prenoti un volo per la prossima settimana per New York per parlarne con Ford. Senti dalla sua assistente quando è meglio e organizza tutto.-

-Prenoto per uno?-

-Sì, per uno. Ho impegni questa settimana in ufficio o posso sbrigare tutto dalla clinica?-

-Ci sarebbe la riunione di venerdì in agenda. Che fai?-

-Potresti informarti se è per la distribuzione di nuovi casi? Così mi organizzo.-

-Certo. Ti chiamo quando so l’ordine del giorno. C’è altro?-

-Si. Hai mandato la bozza di contratto all’avvocato Whitlock?-

-Ieri pomeriggio.-

-Me ne invii una copia anche a me, per favore?-

-Certo. Per il caso Stanley hai bisogno di qualcosa?-

-No. Sono ancora indietro. Sai quando ci sarà la prima udienza?-

-Chiederò con Chelsea e poi ti faccio avere il calendario.-

-Se c’è un incontro la prossima settimana, tienine conto per prenotare il biglietto per New York.-

-Ok. Ti organizzo e poi ti invio una copia dell’agenda.-

-Ci sentiamo più tardi allora.-

-A dopo. Ciao.-

-Ciao.-


 

Isabella lavorò fino all’ora di pranzo e poi si diresse in sala mensa. Non chiese nulla quando vide che mancavano Embry, Paul ed Edward; pensò che probabilmente erano impegnati e avrebbero pranzato fuori.

Il pomeriggio ritornò in ufficio e lavorò fino all’ora di cena. E quando ritornò in mensa, stavolta i tre erano seduti al tavolo.

Durante la cena non ebbero modo di parlare molto. Ogni tanto si lanciavano qualche sguardo che non passò inosservato, ma con reazioni diverse. Per esempio Rachel sorrideva e aveva gli occhi a cuoricino. Mentre Jake li mandava in gloria.

Poco prima di alzarsi, venne al loro tavolo uno degli ospiti. Era l'ambasciatore di un gruppo che aveva delle proposte per l'orto. Jake chiese ad Embry se poteva assistere, quest'ultimo lo chiese anche ad Edward.

Isabella invece decise di ritirarsi in cosa per continuare a lavorare, almeno fino al rientro di Edward pensò fra sé.


 

Erano le undici passate quando Edward fece ritorno a casa. Isabella si era addormentata sul divano con il portatile sulle gambe. Edward glielo tolse, lo chiuse e la prese in braccio per depositarla sotto le coperte. Solo quando le tolse le scarpe, lei abbozzò a svegliarsi.

-Dormi.- le sussurrò.

Lei biascicò qualcosa di incomprensibile per poi girarsi dall'altra parte. Le diede un bacio sulla guancia ed uscì dalla sua stanza.


 

Isabella si svegliò al frastuono di un tuono. Era notte inoltrata notò guardando la sua sveglia che segnava le tre.

Un altro tuono e sentì l'iniziò della pioggia.

Si alzò per controllare che tutto fosse chiuso, ma si accorse di non essere sola in casa perchè sentì dei rumori. Subito pensò ad un ladro e quando accese la luce, la figura di Edward le comparve davanti.

-Perchè hai una pantofola in mano?- le chiese.

-Ho sentito un rumore.- rispose Isabella sentendosi stupida per la sua arma da difesa.

-Saranno stati i tuoni.-

-O forse tu ...-

-E mi volevi affrontare con una pantofola?!- stava cercando di non ridere.

-Uffa! Antipatico!- e mise il broncio.

Edward rise avvicinandosi e la prese tra le sue braccia. Lei si lasciò abbracciare e ricambiò cingendogli la vita allacciando le braccia dietro la schiena di Edward. Poi le diede un bacio sulle labbra.

-Perchè ti sei alzata?-

-Volevo controllare che fosse tutto chiuso.-

-Abbiamo avuto la stessa idea.-

Rimasero ancora un po' abbracciati fino a quando Isabella non sbadigliò.

-Stai dormendo in piedi. Andiamo a letto.- fu la proposta di Edward.

-Ma sto bene così!- protestò.

Edward la prese su di peso e la portò nella sua camera e dopo averla deposta nel letto le si sdraiò accanto. L'abbracciò.

-Così stiamo bene entrambi.- e si riaddormentarono cullati dalla melodia della pioggia e dei tuoni.


 

Giovedì. Clinica “Life & Nature”.


 

-‘Giorno.- biascicò Edward stiracchiandosi.

-Sonno.- fu la risposta di Isabella rannicchiandosi su sé stessa e nascondendo il capo sotto le coperte.

Edward si girò di fianco, verso Isabella e le accarezzò la schiena da sopra le coperte. Lei, dal canto suo, si rilassò e si riaddormentò. Lui non ebbe cuore di svegliarla e delicatamente scese dal letto per andare in bagno. Sbirciò fuori dalla finestra e notò che stava piovendo copiosamente. Con calma si fece la doccia e la barba.

Quando uscì dal bagno per andare in camera sua a vestirsi, un’Isabella più che assonnata, con i capelli arruffati e che si sfregava gli occhi, lo oltrepassò. Era buffa, ma anche tenera pensò Edward.

Senza dire nulla, lei si diresse in bagno.

Edward sentì che si stava facendo la doccia. Avrebbe voluto essere lì dentro con lei ad insaponarle la schiena, come l’altra sera. Qualcuno reagì a qui pensieri ma cercò di non pensarci più e si vestì pensando a cosa avrebbe fatto oggi.

Era pronto per uscire di casa, ma aspettò che anche Isabella lo fosse. In fin dei conti era ancora presto per la colazione, mancava poco più di mezz’ora.

Isabella uscì dal bagno in accappatoio, sicuramente più sveglia di quando ci era entrata.

-Buongiorno!- disse Isabella.

-Giorno!- le rispose Edward e le si avvicinò per darle un bacio sul naso.

Isabella pensò che era un bel modo per iniziare la giornata. Anche se avrebbe preferito quella labbra sulle sue e quelle mani che cingevano i suoi fianchi, sotto l’accappatoio e non sopra. Sentì un improvviso calore salirle alla faccia. Di sicuro divenne rossa.

-Perché stai arrossendo?- le chiese Edward.

-Sarà il cambio di temperatura dalla doccia calda a questa più fresca.- improvvisò lei.

-Vatti a vestire. Ti aspetto per andare in mensa.-

Ed Isabella si diresse in camera sua.

Dopo pochi minuti ne uscì vestita e pronta per la colazione.


 

Si diressero velocemente verso la struttura principale perché stava ricominciando a piovere. Appena furono sotto il portico, si fermarono.

-Mi sei mancata ieri sera.- disse Edward poggiandosi allo stipite della porta d’ingresso.

-Ho provato ad aspettarti ma mi sono addormentata sul divano.-

-Magari stasera …-

-Stasera no. Nel pomeriggio torno a Seattle.-

-Perché?-

-Domattina alle 9.00 ho una riunione in studio. Parto oggi così non rischio di arrivare tardi. E dopo la riunione torno qui.-

-Quindi domani sera ci rivediamo.-

-Si. Prima che mi dimentichi, ti devo dire di questo week-end.-

-Sembra una cosa seria.-

-Per fortuna che ho un’assistente efficiente così sono riuscita ad incastrare tutto.- disse Isabella aprendo la porta della clinica perché sentiva freddo. -Oggi pomeriggio parto e mi fermo a fare la spesa se hai bisogno di qualcosa. Stasera preparo tutto per domani. Dopo la riunione torno qua. Poi andiamo a Forks.-

-Andiamo dai miei?-

-Si, ci aspettano già domani sera, anche se li ho avvisati che dipende dall’orario che farò in studio. Comunque sabato e domenica siamo dai tuoi. Domenica pomeriggio torniamo in clinica. E dopo ritorno a Seattle. E ci vediamo il prossimo week-end.-

-E se vengo con te a Seattle?-

-Quando?-

-Oggi. E poi domani andiamo direttamente a Forks.-

-Ti annoieresti domani in studio.-

-No, se ci sei tu.-

-Edward, già non ci sarai per due giorni. Ed Embry so che ha da fare. Almeno da quello che mi ha detto l'altro giorno. Magari verrai a Seattle quando anch’io avrò meno da fare. Ok?-

-Va bene.- disse cercando di nascondere la delusione.

-Ho fame. Andiamo a fare colazione.- disse Isabella entrando in mensa.


 

Isabella arrivò nel suo appartamento di Seattle nel tardo pomeriggio. Quella sera avrebbe dovuto lavorare al caso Stanley perchè il martedì mattina successivo si sarebbe dovuta recare in aula per la prima udienza. Per cena decise di andare al take-away cinese vicino a casa. Rientrò a casa, cenò e lavorò fino a tardi.

Il venerdì mattina, in studio, il tempo passò velocemente. La riunione dello staff fu impegnativa e poi ne seguì una privata tra lei e l'avvocato Dwyne, il responsabile dello studio a Seattle. Lui fu ben felice di sapere della sua volontà di rimanere con loro e di continuare il lavoro che stava già facendo.


 

Il pomeriggio ebbe modo di organizzarsi e scappare quanto prima dall'ufficio e in poco tempo fu alla clinica. Recuperò Edward e si diressero a Forks. Destinazione casa Cullen.


 

-Ben arrivati!- fu il giubilo di Esme quando Isabella parcheggiò davanti alla villa. Isabella fu la prima ad essere abbracciata e poi toccò ad Edward.

-Per ora siamo solo noi.- disse la padrona di casa. -Tra poco rientra Carlisle e verrà anche Charlie per cena.-

-Esme non ti dovevi disturbare.- cercò di protestare Isabella.

-Nessun disturbo tesoro. Mi fa piacere che venga anche tuo padre.- ed Esme le si avvicinò con fare cospiratorio. -In realtà la mia segreta speranza è che poi tuo padre si porti mio marito a pesca uno di questi giorni.-

-Perchè?- chiese Edward.

-Credo sia la crisi di mezz'età.- riflettè Esme. -Può fare il nonno solo nel week-end e ti garantisco che gli altri giorni sta diventando un pantofolaio.-

-Chi sta diventando un pantofolaio?- chiese Carlisle entrando in quel momento nel salone.

-Tu, tesoro.- fu la risposta della moglie dandogli un bacio a fior di labbra.

-Lo so che mi ami ancora.- la redarguì lui bonariamente.

Nella stanza risero tutti.

-Bene Edward.- disse la madre. -Datti da fare e porta su i vostri bagagli. Vi ho sistemati nelle stanze che erano tue e di Emmett. Spero non vi dispiaccia dividere il bagno per questi giorni, ma la camera degli ospiti è in ristrutturazione.-

-Non c'è problema Esme.- disse Isabella.

-Bene cara. Mentre Edward si occupa delle valigie, ti va di darmi una mano in cucina?-

-Certo.- ed insieme sparirono nell'altra stanza.

-Vuoi una mano?- si offrì Carlisle.

-No. Si tratta solo di due borsoni. Ce la faccio da solo.-

-Allora vado a mettermi comodo. Ci rivediamo tra poco.

-Ok.- ed ognuno dei due prese una direzione diversa. 

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Capitolo 22
*** Capitolo 22 ***


Nuovo capitolo. Scusate gli errori ma l'ho scritto di getto.

Buona lettura.

 

P.S. Alice_Nekkina_Pattison, scrivendo ho pensato a te!

 

CAPITOLO 22

 

Venerdì sera. Casa Cullen

 

-Charlie, vuoi ancora un po' di arrosto?- gli chiese Esme.

Stava per dire di sì, quando vide lo sguardo di Isabella e sentì su di sé anche quello di Sue.

Erano in sei attorno al tavolo della sala da pranzo di casa Cullen. A capo tavola c'era Carlisle, che di fronte aveva Esme. Alla sua destra Isabella ed Edward. Alla sua sinistra Sue e Charlie.

-No, Esme. Grazie ma lascio un posto per il dolce.-

Al dolce ci aveva pensato Sue. Sapendo che c'era Isabella aveva fatto una torta al cioccolato, la sua preferita.

La cena passò tranquilla.

Dopo cena gli uomini si accomodarono in salotto e le donne si accordarono per sistemare la sala da pranzo e la cucina.

 

In salotto.

 

-Un digestivo, Charlie?- gli chiese Carlisle e avvicinandosi al mobile dei liquori.

-Meglio di no.- ed indicò la cucina.

-Capisco.- disse Carlisle accondiscendente.

-Edward?-

-No grazie papà.-

Charlie si schiarì la voce. -Devo dire che sono rimasto sorpreso da questo invito.-

Edward e Carlisle lo guardarono come per invitarlo a continuare.

-Non mi aspettavo di vedere mia figlia ospite qui. E mi chiedevo come mai.-

Edward e Carlisle si guardarono.

-Vedi Charlie ...- iniziò Carlisle.

-Sono sotto custodia detentiva e il mio garante è Isabella.- terminò Edward togliendo dall'imbarazzo il padre e chiarendo subito la sua posizione.

-Perchè?-

-Isabella non le ha detto nulla?- chiese sorpreso Edward.

-No, non parla mai del suo lavoro con me.-

-Bè, per farla breve, devo scontare due anni e il giudice ha deciso di mandarmi alla clinica “Life & Nature” e di essere sotto la responsabilità di sua figlia.-

Charlie lo guardò grattandosi il mento.

-Non voglio sapere cosa hai combinato. Ma se vivi con mia figlia si.- gli intimò Charlie più con tono da padre che scopre la figlia a baciarsi con un ragazzo, che con tono da poliziotto.

-Quando è alla clinica dividiamo la stessa casa.- disse sincero Edward. -Se è a Seattle per lavoro, resto alla clinica. Se non lavoro, la devo seguire.-

-E questo per due anni?-

-Sì.-

-E in clinica chi ti controlla quando non c'è mia figlia?-

-Jacob Black e altri responsabili.-

Charlie continuò a guardarlo. Edward provò ad immaginare i suoi pensieri. Forse rifletteva se fare una visita a Jacob nell'immediato futuro.

-Sai Charlie.- divagò Carlisle. -Credo che Esme ti voglia convincere a portarmi a pesca con te.-

-Pensavo di darmi alla caccia invece.- e guardò Edward che sbiancò.

 

In cucina.

 

-Esme il tuo arrosto è delizioso.- si complimentò Sue.

-Grazie! Ma devo dire che stavolta mi è venuto meglio del solito.-

-Ecco la tovaglia e i tovaglioli.- disse Isabella entrando di cucina. -In sala da pranzo è tutto in ordine.-

-Vi ringrazio dell'aiuto.- e prese dalle mani di Isabella la biancheria.

-Sediamoci un po'.- propose. -Volete un caffè?-

-Solo un po' d'acqua.- disse Sue.

-Isabella.- esordì Esme imbarazzata. -Quando ho invitato Charlie e Sue, sono rimasti colpiti dal fatto di sapere che saresti stata nostra ospite.-

-In effetti non ho ancora detto a mio padre di Edward.- rispose Isabella colpevole.

-Perché? Cosa c’è tra te ed Edward?- chiese Sue curiosa.

Prima di parlare, Isabella aspettò un cenno da Esme. Non tardò ad arrivare un gesto affermativo con il capo.

-Solo una questione legale. Ne sarò il garante per un po’.-

-Questo significa che vivete assieme?-

-In realtà lui vive alla clinica. Condividiamo del tempo lì e fuori quando non sono a Seattle per lavoro.-

-Ma perché … - iniziò Sue.

Isabella la stoppò alzando una mano. -So che mi stai per chiedere perché ne sono il garante, ma non intendo entrare nel merito della questione. Sia per motivi professionali che di privacy. Se vuole, sarà lui a parlartene.-

-A proposito della clinica.- disse Sue capendo che doveva cambiare discorso o stare in silenzio. -Sai se Jake ha parlato con Leah?-

-Non mi ha detto nulla. Di cosa dovevano parlare?-

-Si è appena laureata e voleva fare domanda di tirocinio li se c’era posto.-

-Si è laureata? Quella vipera che non dice mai nulla!- disse Isabella infervorata. -Devo assolutamente congratularmi con lei ma solo dopo essermi vendicata che non me lo ha detto.-

-Lo so, ci sono rimasta anch’io quando me lo ha detto. E pensa che l’ho saputo solo la mattina della discussione della tesi.-

-Questa me la paga, anzi ce la paga quando lo dirò a Jake.-

Proseguirono ancora un po’ con chiacchiere leggere fino a quando Sue disse che si era fatto tardi e che era ora di andare.

Dopo essersi salutati, Charlie e Sue uscirono e se ne andarono.

 

Restarono solo Carlisle, Esme, Edward ed Isabella.

-E’ stata una serata di sorprese.- disse Carlisle sedendosi su uno dei divani bianchi del grande salotto di casa sua. Invitò gli altri a fare altrettanto. E se Esme gli si sedette accanto, Isabella si posizionò sulla poltrona di fianco a lui, mentre Edward andò verso l’altro divano di fronte ai suoi genitori.

-Pensavo che avessi detto di me a tuo padre!?- Edward si rivolse ad Isabella.

-In realtà no. Non ce n’è stata l’occasione. Non avrei comunque tardato molto a dirglielo perché prima o poi dobbiamo andare a casa sua e anche da Sue.-

-Non sapevo che tuo padre e Sue avessero una relazione.- si intromise Esme.

-Sono molti anni che si frequentano. Anche se è solo da poco che sono ufficialmente usciti allo scoperto.-

-Ne sei contenta?-

-Sì. Sue è stupenda e i suoi figli sono un po’ i fratelli che non ho mai avuto.-

-Vi vedete spesso?-

-Negli ultimi anni purtroppo poco. Tra l’università e il lavoro, i tempi si sono ridotti. Ma abbiamo passato delle belle estati insieme.-

-Isabella, mi sono sempre chiesto una cosa.- disse Carlisle dopo aver ascoltato i discorsi tra le due donne. -Come mai sei tornata a Seattle?-

-Per lavoro. Diciamo che sono in prestito per un periodo per seguire alcune acquisizioni.-

-Acquisizioni?-

-Sì. Il mio campo di specializzazione è diritto industriale. Alcune aziende clienti dello studio “Dwyne & Ford” e di quello da cui provengo, hanno deciso di fondersi. E così mi hanno mandato qua per seguire la fusione.-

-Poi ritornerai a? Dove stavi prima di tornare?-

-A Vancouver.-

-Tornerai a Vancouver?-

-No. Mi è stato offerto di diventare socia dello studio di Seattle. E ho deciso di accettare.-

A quella notizia, ad Edward gli si illuminarono gli occhi e abbozzò un sorriso.

-E lascerai il lavoro alla clinica?-

-Neppure. Fra i soci della clinica c’è il signor Ford, socio dello studio. Vuole che rimanga a Seattle proprio per continuare a seguire anche la clinica.-

-Ne sei contenta?-

-Si, è una sistemazione che mi piace. E’ ormai un anno che lavoro in questo modo. Ci saranno solo più responsabilità.- rispose alzando le spalle come se non fosse poi questa gran cosa.

-E come mai, con la tua specializzazione, quel giorno eri in aula?-

Ecco, adesso quel discorso non piaceva a molti, ma prima o poi era da affrontare. Con un profondo sospiro Edward si appoggiò allo schienale del divano. Notò lo sguardo di sua madre che divenne improvvisamente triste. Mentre quello del padre era tutto rivolto ad Isabella che non si scompose a quella richiesta.

-Angela venne da me per chiedermi consiglio a quale avvocato rivolgersi. Allora non sapevo cosa era successo. Solo quando andammo dall’avvocato Dwyne e raccontò la storia, vennero fuori anche i dettagli e quindi che conoscevo anch’io le stesse persone. Dwyne decise di accettare Angela come cliente e di seguire personalmente la causa. Poi mi chiese di intervenire ed accettai.-

-E ti sei trovata in aula.-

-E mi sono trovata in aula.- e con questo, sembrò che sia Isabella che Carlisle avessero messo la parola fine a quell’argomento.

 

Isabella era distesa a letto. Non stava proprio dormendo. La sera prima erano andati a letto relativamente presto e si sentiva riposata. Sentì una presenza nella stanza e poi avvertì una lucina aggirarsi furtiva nel buio. Quando realizzò che non stava dormendo e che quello che percepiva era reale, allora concretizzò di non essere sola. Accese la luce di soprassalto e si trovò davanti Alice con una pila in mano.

-Che stai facendo?- le ringhiò più sveglia che mai.

-Hai solo una borsa?-

-Sì Alice, ho solo una borsa. Dormo qui due giorni e ho preso quattro cambi di vestiti e due pigiami.-

-E i tacchi? Li hai?-

-Alice!- la avvertì a voce sostenuta.

-Suppongo che non ti sei portata dietro l’intimo adeguato.-

-Alice!- ribadì alzando ancora un po’ la voce.

-Dobbiamo assolutamente andare a fare shopping nel pomeriggio.-

-ALICE! VA A QUEL PAESE!- gridò Isabella esasperata.

-Secondo te cosa mi dovrei portare dietro per andare a quel paese?-

-Che succede?- chiese Edward entrando dalla porta del bagno e vedendo la scena delle due ragazze.

-Portati quello che vuoi, basta che te ne vai!- disse Isabella non badando alla richiesta di Edward.

-Vada per lo shopping nel pomeriggio.- disse Alice uscendo dalla stanza di Isabella. -Ciao Edward.- e si chiuse la porta alla spalle.

Edward guardò interrogativamente Isabella.

-Tua sorella è una psicopatica!-

-Ti ho sentito!- si sentì la voce di Alice fuori dalla porta e poi la sua risata mentre stava scendendo le scale.

 

Sabato. Casa Cullen.

 

-Sarete impegnati tutta la mattina?- chiese Alice.

Erano tutti in cucina attorno al tavolo a fare colazione. Conversando, era venuto fuori che Alice aveva costretto Jasper a partire appena uscito dall’ufficio, ed erano arrivati a Forks a tarda notte.

-Perché?- chiese Jasper ancora un po’ assonnato.

-Volevamo andare a fare un po’ di shopping con Bella … - provò Alice a fare gli occhi da tenero cucciolo.

-Vedremo se c’è tempo.- disse Isabella. -Abbiamo molte cose da fare.-

-Già ti tiri indietro?- Alice.

-Ci possiamo andare quando siamo a Seattle con più calma.- cercò di mercanteggiare Isabella.

-La prossima settimana sei a New York.- affermò Alice con sicurezza.

-Come fai a saperlo?- chiese meravigliata Isabella. Anche gli altri a tavola ne rimasero colpiti.

-Me l’ha detto Rachel.-

-State diventando peggio di due pettegole.-

-Lo so che mi vuoi bene.-

-Comincio ad avere dei dubbi al riguardo.-

Tutti risero a quel battibecco perché li riportò indietro di qualche anno, quando Alice ed Isabella erano amiche.

Solo una persona rimase interdetta di fronte a quella scenetta. Una persona che non capiva il perché di quella confidenza dopo tutti quegli anni, dopo aver visto il dolore dell’abbandono sulla faccia di Alice. Edward.

 

La mattinata trascorse tranquilla. Carlisle lasciò il suo studio a disposizione di Isabella e di Jasper. Entrambi ne approfittarono per portare a termine il lavoro che avevano a mezzo e che poi avrebbero discusso con i signori Truman-Trainer. Insieme controllarono anche i documenti per lo sblocco dei fondi di Edward e li fecero firmare anche al diretto interessato.

Quando arrivarono Emmett insieme a Rosalie e al piccolo Alec, fecero una pausa per salutare i nuovi arrivati.

Era ormai l’ora di pranzo quando entrambi furono soddisfatti del lavoro fatto e si diressero in giardino dove la famiglia Cullen si stava rilassando al probabile ultimo tiepido sole dell’anno.

Il piccolo Alec stava giocando con il nonno e il papà. Alice e Rosalie erano su due sedie a sdraio a chiacchierare. Mentre Esme dirigeva Edward nello spostare alcuni grossi vasi.

Jasper si avvicinò ad Emmett e si misero a chiacchierare di sport.

Isabella si avvicinò alle ragazze.

-Bella.- la informò Alice. -Si pensava di organizzare una giornata di shopping a New York.-

-Ci vado per lavoro. Non so se avrò tempo per svagarmi.-

-E quanto ci starai?- chiese Rosalie.

-Parto mercoledì mattina e ritorno giovedì sera.-

-Mi piacerebbe fare qualche giorno a New York. Non solo per lo shopping.- disse Rosalie. -Mi piacerebbe portare Alec in aereo per la prima volta e fargli vedere qualcos’altro oltre i ferry boat di Seattle e la foresta di Forks.-

-Ma allora organizziamo!- disse Alice tutta contenta. La sua gioia non passò inosservata ed anche gli altri si avvicinarono per sentire i discorsi delle ragazze.

-Cosa proponi?- chiesero Isabella e Rosalie.

-Qualche giorno di svago. Un week-end magari. Che ne dite?-

-Decidiamo già la data.- propose Rosalie.

-Devo controllare.- disse Isabella.

-Ma se non sai neanche quando!- la rabbonì Alice.

-Non dipende da me. Devo controllare per Edward.-

-Pensavo che non essendo in carcere, avesse maggiore libertà.- si informò Rosalie.

-In realtà non è così. Solo perché non vive in carcere, ha le stesse limitazioni di un detenuto. Ecco perché devo controllare le restrizioni che ha. E comunque, per sicurezza, preferisco chiedere al giudice prima di portarlo fuori dallo stato di Washington.-

-E questo quando potresti chiederglielo.-

-Lunedì darò istruzioni alla mia assistente per chiederglielo.-

-Ma secondo te cosa dirà?- Alice.

-Non ci dovrebbero essere problemi. In fin dei conti è stato stabilito che mi deve seguire al di fuori del lavoro. E New York non è fuori dalla giurisdizione statunitense.-

-Allora è possibile?- chiese Alice speranzosa.

-Vorrei che non lo fosse per non essere costretta a girare sui trampoli per le strade della grande mela.-

-Ma si tratta di shopping!- disse Alice quasi sconvolta.

-Si tratta di spendere per vestiti che probabilmente non avrò l’occasione di mettere mai.-

-Ma sei sempre così seriosa con quei tailleur pantaloni!-

-Sono comoda e professionale.-

-Uffa! Mai una soddisfazione con te!- e mise il broncio.

-Ti ho concesso il tacco 10 se non 12 tutti i giorni.- provò a rabbonirla.

-Ok, vada per qualche nuovo capo da sfoggiare in ufficio.-

-Vedi che un compromesso lo troviamo sempre!- e risero.

 

Il pomeriggio lo passarono a Forks, in giardino, a chiacchierare e a pianificare un’uscita per fare compere. Isabella era riuscita a convincere Alice ad andarci in un periodo meno convulso per il lavoro.

Per la serata si diressero all’unico ristorante della città: il Lodge. Ed anche la serata scemò tranquilla e senza nessuno scossone.


 

Sabato notte. Casa Cullen.

 

-Isabella stai dormendo?- chiese Edward inginocchiandosi di fianco al letto. Era entrato dalla porta del bagno che condividevano. Isabella dormiva nel letto che era prima di Emmett, mentre Edward si era sistemato nella sua vecchia stanza al di là del bagno.

-Che succede?- chiese lei tenendo gli occhi chiusi. Edward poteva vederla in viso perchè non aveva tirato le tende prima di andare a letto e quindi filtrava un po' di luce della luna che rischiarava la nottata.

-Niente.-

-E allora perchè mi hai svegliato?-

-Volevo parlarti.-

-Dimmi.-

-Se vuoi dormire, ne parliamo domani.-

-Se mi hai svegliato, vuol dire che ne vuoi parlare adesso.-

-E' che mi sembri arrabbiata!-

-Non sono arrabbiata, sono assonata. Le mie capacità intellettive non sono tutte connesse al momento.- e si tirò a sedere. -Di cosa volevi parlarmi?-

Edward si preparò a parlare dopo un profondo sospiro. -Sono rimasto sorpreso dal rapporto che ho visto tra te ed Alice.-

-A cosa ti riferisci?-

-Al fatto che non sembra che siano passati dieci anni dall'ultima volta che vi siete viste e parlate.-

-Cosa vuoi sapere?-

-Quello che ti va di raccontarmi.-

-Parto da quando sono andata via da Forks. Ok?- e gli fece segno di sedersi sul letto.

-Ti ascolto.- e si accomodò di fianco a lei.

-Andai con mia madre in Florida per un breve periodo. Poi mi trasferii in California da mia nonna che viveva vicino a Los Angeles. Li fui ricoverata in una clinica che si occupa di riabilitazione fisica. Avevo pur sempre il bacino rotto e tutto il resto era in via di guarigione. Ad agosto anche mia madre, con il suo compagno, si trasferirono in California. Nel mentre che facevo la terapia, studiavo per poi poter fare a settembre l'esame di riparazione per poter frequentare l'ultimo anno di liceo. Lo passai e cominciai la scuola dal momento che non dovevo più stare in clinica. Dopo poco che ritornai a scuola, scrissi una mail da Alice. Le dicevo che mi dispiaceva essermene andata senza salutarla, che stavo bene e che mi sarebbe piaciuto risentirla. Dopo qualche giorno mi rispose che non se la sentiva perchè si sentiva ancora profondamente ferita. Si sarebbe fatta sentire lei dopo aver riflettuto. Poco prima di Natale mi arrivò una sua mail. Mi raccontava di aver conquistato il ragazzo più bello del mondo ed era sicura che fosse la sua anima gemella. L'aveva conosciuto perchè era il compagno di stanza di Emmett al college. Mi raccontò della scuola e dei vostri genitori. Le risposi raccontandole della mia vita in quel momento. Ogni settimana, regolarmente, ci scrivevamo del presente, dei progetti futuri e anche del passato.-

-Ti ha perdonato?-

-Tutti sapevano che ero caduta perchè il terreno era scivoloso per la pioggia. Che sono andata da mia madre per ricevere cure migliori. Anche a lei ho propinato la stessa storia. Credo che abbia pensato che il mio allontanamento sia stato solo per guarire meglio. E il fatto di averla cercata e di averle spiegato com'era stato il mio percorso di guarigione, le abbia fatto credere che non mi ero allontanata per colpa sua.-

-Quindi in questi anni vi siete sentite spesso.-

-Ci siamo sentite e ci siamo anche viste. All'inizio venivo in estate a La Push e ci incontravamo la. Poi ci siamo perse un po' di vista per la scelta dell'università. Io sono andata a Vancouver, lei a New York. Poi per la specializzazione sono tornata in California, e lei so che è andata in Italia. Mi invitò per il suo matrimonio, ma ero la damigella d'onore a quello di mia madre. Abbiamo studiato assieme un piano perchè fossi ad entrambi i matrimoni, ma non sarei riuscita ad arrivare in tempo al suo perchè era il giorno dopo quello di mia madre.-

-Non le ho mai più sentito parlare di te però.-

-Perchè era una cosa solo nostra. Per quel che ne so, solo Emmett sapeva che ci eravamo risentite. Ma con che frequenza penso non lo sapesse nessuno al di fuori di noi due.-

-E da quanto non vi vedevate quando ci incontrammo al ristorante a Seattle?-

-Un paio di mesi. Ci eravamo viste e mi aveva parlato che voleva frequentare un corso di moda etnica, mentre io le avevo detto che stava per scadere il mio termine con lo studio e che sarei dovuta tornare a Vancouver.-

-Lei quindi non sa la verità sull'incidente?-

-No.-

-Chi altri lo sa?-

-Oltre a te, lo sa Jake e uno psicologo della clinica in California.-

-Nessuno ha mai sospettato nulla?-

-In realtà i miei familiari erano vicini a capirlo. Ma la determinazione che ci ho messo a guarire, gli sforzi per mettermi in pari nello studio, il fatto che non mi fossi isolata quando sono tornata a scuola, li hanno fatti ricredere. E hanno sempre pensato che fosse stata una disgrazia.-

Restarono in silenzio per un bel po' guardando nel vuoto.

-Mi hai odiato?-

-Cosa?- Isabella non capì cosa aveva detto Edward perchè lo disse sussurrando appena. Se non ci fosse stato così tanto silenzio, non si sarebbe neanche accorta che avesse parlato.

-Ti ho chiesto se mi hai odiato.-

-All'inizio si. Anche se poi pensando e parlando con lo psicologo, ho capito che odiarti per tutto quello che mi era successo non era plausibile.-

-Cosa intendi dire?-

-Sono arrivata alla conclusione che l'unico motivo valido per odiarti era stato il tuo comportamento, anche se me lo dovevo aspettare. Eri il ragazzo più popolare della scuola, quello a cui tutte cadevano ai piedi senza che facessi nulla. Improvvisamente ti interessi di “una delle sfigate della scuola” quando il tuo terreno di caccia era fra le cheerleaders e le future top model. Quello doveva farmi insospettire abbastanza da non cedere alle tue lusinghe. Ma invece ho ceduto e ti ho odiato per avermi fatto volutamente del male. Tutto quello che è successo dopo, è stato solo per mia scelta. E l'unica persona che dovrei odiare è me stessa.-

-Ma sai che non ho mai fatto quello che pensavi.-

-Ora lo so, ma allora no.-

-E se allora fossi morta? Se non ti avessero trovato in tempo?-

-Non sono morta e mi hanno trovato in tempo.-

-Come fai ad essere così ottimista?-

-Prendo la vita così come viene.-

Stettero in silenzio ancora per un po'. Isabella si sdraiò sistemandosi sotto le coperte. Dopo poco anche Edward fece lo stesso e l'abbracciò.

Stavano per addormentarsi, quando: -Mi sei mancata.-

-Anche tu.-

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Capitolo 23
*** Capitolo 23 ***


Sono una cafona che non rispondo mai a nessuno, però vi leggo sempre e vi adoro.

Buona lettura e al prossimo capitolo.

 

CAPITOLO 23

 

Domenica mattina. Casa Cullen.


 

Edward si svegliò solleticato dai capelli di Isabella. Lei continuava a dormire placida tra le sue braccia. Era una sensazione stupenda averla così, tutta per sé, ad assaporarne il profumo dolce dei suoi capelli, il calore del suo corpo, la morbidezza della sua pelle.

Se ne avesse avuto la possibilità, sarebbe rimasto così per tutto il tempo. Ma c’erano delle questioni che dovevano essere affrontate, prima fra tutte, almeno per lui, decidere che piega avrebbe preso il loro rapporto.

La sensazione che aveva avuto fin’ora era che lei non era così coinvolta come lui avrebbe desiderato. Si sentiva più lui voglioso di riprendere da dove avevano interrotto, indipendentemente dalle motivazioni. Entrambi erano stati vittima di malintesi che li avevano portati a prendere gli avvenimenti di quegli anni con diverse prospettive. Isabella così com’erano, senza pretendere nulla di più. Lui diventando una specie di sociopatico. Ma ora, che si stavano chiarendo, lui voleva di più. Ma Isabella, cosa voleva? Si sarebbe lasciata andare? In questi due anni che avrebbero dovuto per forza stare insieme, avrebbe rivisto in lui la persona di cui si era innamorata quando era una liceale? Lui sperava di sì, perché lui ne era ancora innamorato e non l’avrebbe lasciata andare così, senza lottare questa volta.

I suoi pensieri vennero interrotti dal movimento della sua compagna che stava iniziando ad agitarsi tra le sue braccia. Lui la strinse maggiormente a sé perché sapeva che una volta svegliata, sarebbe iniziata la loro giornata e non avrebbe più avuto la possibilità di abbracciarla. Soprattutto sapendo che quella sera si sarebbero salutati per vedersi solo il week-end successivo.

In quel momento avrebbe voluto che il giudice avesse deciso diversamente. Gli sarebbe piaciuto essere sempre con lei. Ma riflettendoci bene, era meglio così. Avrebbero avuto momenti di solitudine per pensare.

Era girato su un fianco e aveva la schiena di Isabella appoggiata al suo petto. Un suo braccio a cingerle la vita. Quando sentì che si mosse strusciandosi contro il suo corpo, qualche altra parte di lui prese a pulsare. E azzardò un movimento mai fatto prima. Le fece sentire la sua nascente eccitazione sfregando il suo bacino contro il fondo schiena di lei e prese ad accarezzarle la coscia.

-Uhm!- mugugnò lei soddisfatta.

Edward restò in silenzio mentre un sorriso gli nacque in volto. Continuò nella sua opera di sfregamenti leggeri fino a quando la mano di Isabella si posò sulla sua all’altezza della sua vita. Lui si fermò a quel contatto pronto al peggio. Probabilmente si sarebbe voltata e lo avrebbe schiaffeggiato. Era già pronto a ritirarsi dal letto quando lei lo sorprese prendendo la sua mano e portandosela all’altezza del pube. Per poi spingerla un po’ più giù, fra le sue gambe. Si aiutò nel movimento spostandosi in avanti, stendendosi quasi prona, in modo da poter maggiormente aprire le gambe. Edward la seguì sistemandosi meglio con il suo bacino a ridosso di quello di lei. Era calda, quasi bollente. E lui si infiammò ulteriormente.

-Uhm … - fu il lamento deliziato di lei.

-Forse ci dovremmo fermare.- disse Edward.

-Perché?- chiese lei massaggiando la mano di lui che si trovava ancora sulla sua intimità. Era bagnata e molto accaldata; lei lo poteva sentire. Ma tra la sua eccitazione e la mano di Edward c’erano le sue mutandine e i pantaloni del pigiama. E avrebbe voluto togliere quella barriera per sentire meglio la sua mano sulla sua pelle e magari sentire anche qualcos’altro di duro e pulsante.

-Potrebbe entrare qualcuno.-

-Troppo tardi.- una voce estranea a loro li fece immobilizzare all'istante e comunque fino a quando entrambi si mossero per guardarsi attorno.

Appoggiati alla parete ai piedi del letto, Alice ed Emmett li stavano guardando con occhi interrogativi la prima e maliziosi il secondo.

Nessuno proferì parola fino a quando Isabella si decise a domandare: -Da quando siete lì?-

-Abbastanza da assistere al vostro “risveglio”.- spiegò Emmett.

-Ma perché siete entrati?- solo Isabella riusciva a parlare.

-Sono venuta per svegliarti e chiederti se ti andava di fare un giro. Quando sono entrata stavate beatamente dormendo entrambi abbracciati. Così sono scesa e mi sono imbattuta in mamma che voleva sapere se anche voi vi eravate alzati. Sono riuscita a convincere tutti ad andare a fare colazione alla tavola calda a Forks ma l’unico che non ha mangiato la foglia è stato Emmett.-

-Così quando tutti sono usciti, sono entrato seguito da Alice.-

-E abbiamo assistito a … al vostro “risveglio” come l’ha chiamato Emmett.-

Ricalò il silenzio.

-Direi che se vi preparate, poi possiamo anche noi andare a fare colazione.- disse Alice prendendo per mano Emmett ed uscendo dalla stanza.

-Terzo grado?- chiese Isabella. Dopo che Alice ed Emmett erano usciti, entrambi si erano rilassati tirando un sospiro di sollievo.

-Purtroppo si.- rispose Edward.

-Direi di prepararci allora.- ed Isabella uscì dal letto.

Erano nella jeep di Emmett e si stavano recando alla tavola calda di Forks per fare colazione insieme agli altri.
Alice aveva avvisato del loro arrivo. Gli altri avevano già finito di mangiare e quindi avevano deciso di fare un giro per la città, dirigendosi verso il parco così da far giocare un po' Alec con gli altri bambini.
Quando entrarono nel locale, notarono ad un tavolo Carlisle in compagnia di Charlie.
-Ciao papà.- disse Isabella a suo padre dandogli un bacio sulla guancia. -Buongiorno Carlisle.-
Anche gli altri salutarono i due uomini al tavolo.
-Vi ho tenuto il tavolo occupato.- spiegò Carlisle. - E poi si è unito anche Charlie prima di andare al lavoro.-
-Raggiungi gli altri al parco papà?- gli chiese Alice.
-No, devo andare in ospedale. Mi hanno chiamato per un consulto.-
-Ma oggi non dovevi lavorare!- protestò la figlia.
-Sarò a casa in tempo per il pranzo tesoro.- e si alzò dandole un bacio. -Ci vediamo più tardi. Charlie alla prossima.- e gli tese la mano.
-Buona giornata Carlisle.- e gliela strinse. Poi si alzò anche lui. -Ragazzi ci vediamo. Isabella ci sentiamo.-
-Ciao papà.- e al suo saluto di lei si unirono anche gli altri.

Avevano ordinato la colazione e mentre aspettavano che arrivassero i loro piatti, sorseggiando il caffè, diedero inizio all'interrogatorio.
-Chi dei due vuole iniziare?- chiese Isabella guardando però in direzione solo di Alice.
-Se vuoi inizio io!- sogghignò Emmett. -Ma non so se poi vi piaccia quello che vi chiedo.-
-Anche perchè non avremmo niente da dire.- disse Edward.
-Neanche un dettaglio piccante? Tanto per sapere cosa succedeva sotto le coperte!-
-Emmett!- lo rimproverò Alice.
-Che c'è!- ribattè Emmett. -Anche tu ti chiedevi cosa stavano facendo prima di sentire i loro gemiti!-
-Oddio!- sussurrò Isabella diventando rossa fino alla radice dei capelli e nascondendo la faccia dietro le mani.
Edward le mise una mano sulla gamba dal momento che erano seduti vicini e poi si rivolse agli altri due: -Adesso basta Emmett. Non è successo nulla e comunque non sono affari vostri.- e dicendo così guardò principalmente Alice.
-Invece sono anche affari nostri. Sei nostro fratello e lei è una delle mie migliori amiche.- ribattè Alice.
Isabella ed Edward si guardarono e poi fu lui a parlare.
-Da qualche tempo abbiamo iniziato a parlare di noi, di quello che siamo stati e di quello che siamo ora.-
-Ma state insieme?- chiese Alice.
-No.- rispose Isabella.
-Perchè?-
-Non ne abbiamo ancora parlato.- rispose Edward.
-Però avete iniziato un altro tipo di discorso.- insinuò maliziosamente Emmett.
-Neanche Emmett.- gli rispose Edward. -Quello che pensi di aver visto è ... è ... non sono affari tuoi.- terminò non trovando altre parole.
-E dire che una volta sapevo tutto quello che facevi!- si lamentò Emmett.
-Adesso basta voi due.-
E si interruppero perchè arrivò la loro colazione.

-Bene.- disse Alice dopo che notò che tutti avevano terminato di mangiare. -Quale versione ufficiale ci volete dare?-
-Non voglio che si sappia.- disse solo Isabella. Edward la guardò dispiaciuto. -Non so come definire quello che c'è tra me e lui. Fin tanto che non ne abbiamo parlato e non abbiamo deciso, vorrei che nessuno sapesse nulla.-
Dopo questa rivelazione, Edward si sentì più tranquillo. Sentiva che c'era una piccola speranza.
-Quindi dobbiamo far finta di non aver visto nulla?- domandò Alice.
-Mettila così.- le rispose Isabella.
Alice scosse in tono affermativo la testa. Ma la sua espressione era perplessa e curiosa al tempo stesso. Non aveva accettato il fatto di non sapere cosa stava succedendo tra i due, ma lo avrebbe scoperto presto; non era certo da lei lasciar perdere!
-Alice?- Edward interruppe i suoi pensieri richiamando la sua attenzione. -Perchè non mi hai mai detto che avevi ricominciato a sentire Isabella dopo il suo incidente?- finalmente fece la domanda che gli frullava nella testa dalla notte trascorsa.
-Perchè eri al college e non ti facevi mai sentire.- disse semplicemente Alice guardandolo storto. -Perchè me lo chiedi?-
-Curiosità.- disse lui alzando le spalle.
Terminò così la loro conversazione e anche la loro colazione. Uscirono e raggiunsero gli altri al parco.

-Adesso che siamo solo noi, mi vuoi spiegare qualcosa?- chiese Emmett.
Le ragazze erano poco più in la che stavano giocando con Alec, mentre Esme stava parlando con un'altra signora.
Emmett, Edward e Jasper invece erano seduti su una panchina.
-Non c'è niente da dire.-
Jasper li guardò.
-Stamattina abbiamo sorpreso Isabella ed Edward nello stesso letto.- disse Emmett per spiegargli la situazione.
-Stanotte abbiamo parlato e ci siamo addormentati.- spiegò Edward.
-Perchè palpeggiarsi ora si chiama parlare?-
-Smettila! Ti ho già detto che non sono affari tuoi!-
-Ma miei si.- lo riprese Jasper. -Che stai combinando?-
-Niente Jasper. Ci stiamo conoscendo.-
Jasper lo guardò riflettendo. -Per ora mi basta questo, ma vi terrò d'occhio.- gli intimò.
-So quello che faccio.-
-No, non lo sai. Non siete due persone normali. Se vi scoprono, tu potresti ritornare in carcere e lei sotto inchiesta. E' una cosa seria.-
-Cosa vuoi dire?-
-Se tra voi c'è un rapporto sentimentale, si tratta di conflitto di interessi. In più noi abbiamo cercato di “pilotare” la tua uscita e ci andremmo di mezzo come avvocati e principalmente lei perchè è anche coinvolta sentimentalmente.-
-Non lo sapevo.- disse mesto Edward.
-E' per questo che ti ho detto di farti sentire per ogni cosa. Ti posso consigliare come agire. Mi stupisce che non ci abbia pensato lei.-
-Invece credo che ci abbia pensato.-
-Non mi sembra se vi hanno scoperti.-
-Si comporta come se fossimo due conoscenti e alla clinica passa sempre molto tempo con gli altri. Quando le ho proposto di andare con lei a Seattle, ha detto che dovevo stare in clinica.-
-Ok, forse ci sta provando, ma tu aiutala a non fare cazzate. Mi raccomando Emmett, non dire nulla.-
-Certo. Ma dillo anche a tua moglie.-
-Perchè?-
-E' stata lei che li ha visti per prima.-
-E' per questo che ha voluto che venissimo a Forks? -
-Sì.-
-Per un certo verso non mi preoccupo perchè so che non parlerà. Ma vorrà sapere tutto e non so cosa dirle.-
-Ci abbiamo già pensato noi.-
-Cioè?-
-Alla tavola calda. Ne abbiamo parlato e le abbiamo spiegato che non lo sappiamo neanche noi cosa c'è tra me ed Isabella.-
-Va bene. Ma non fate cazzate.-
-Ok.-

Ritornarono a casa in tempo per il pranzo.
Subito dopo Isabella ed Edward si prepararono per partire e tornare alla clinica.

Domenica pomeriggio. Clinica.

Isabella ed Edward scesero dall'auto. Edward si occupò delle borse portandole entrambe all'interno.
-La mia potevi lasciarla in auto. Prendo alcune cose e poi riparto.-
-Di già! Non resti per cena almeno?-
-Domattina devo essere in ufficio presto!- si scusò Isabella.
Edward la guardò con occhi da cucciolo e lei non resistette.
-Dobbiamo parlare.- e lo prese per mano accomodandosi sul divano.
-Si, anch'io ho delle cose da dirti.-
-Vuoi iniziare tu?-
-No, prima le donne.- e le fece l'occhiolino a cui fece seguito un sorrisetto di lei.
-Ok. Quello che è successo questa mattina, non deve più succedere.-
-Cosa?-
-Dobbiamo stare molto attenti d'ora in avanti. Per stavolta ci hanno visto Emmett ed Alice. Pensa se ci vedevano qui!-
-Di cosa ti preoccupi?-
-Del mio lavoro.-
-E di me no?-
Isabella lo guardò interdetta.
-Jasper mi ha detto che potrei tornare in carcere se ci scoprono.-
-Cosa ne sa Jasper?- e poi cambiò subito discorso. -Ne parliamo dopo di Jasper. E' vero, potresti tornare in carcere e io rischiare di essere radiata dall'albo perchè c'è conflitto di interessi.-
-Ma io non voglio che smettiamo di dormire assieme e magari di andare oltre.- si lamentò Edward.
-Non fare il bambino capriccioso. Se va tutto a puttane, poi non ci sarà più un comodo letto su cui dormire e niente più abbracci e chiacchierate notturne.-
-Perchè dici che c'è conflitto di interessi?-
-E' come se fossi privilegiato. Pensaci. Se fossi in carcere e invece di fare dei lavori pesanti, ti mandassero in biblioteca tutto il giorno perchè sei simpatico al direttore del carcere, gli altri detenuti potrebbero vendicarsi.-
-Ma non sono in carcere.-
-No, ma il giudice ha stabilito che tu stia alla clinica per lavorare e che ne puoi uscire solo quando io non lavoro. Quindi se vengo qua il week-end e lavoro per la clinica, tu devi far altrettanto.-
-Ma ho sempre lavorato!- protestò Edward. -Non vedo quale sia il problema se dormiamo assieme!-
-Il problema è che se ci scoprono, possono pensare che mi prendo delle ferie per poter passare del tempo con te, e quindi non sarebbe più una detenzione la tua.-
-Per ora ci hanno solo visto Alice ed Emmett, non mi preoccuperei.-
-Sbagliato! Ci hanno visto anche Jake, Rachel, Emily e non so chi altri.-
-Quando?-
-L'altro giorno in mensa quando mi hai accarezzato prima di uscire con Embry.-
-Quindi cosa dovremmo fare?- disse sconfitto dalla logica.
-Niente più coccole in pubblico, poche uscite se non con gli altri e limitare le uscite di solo noi due.-
Edward si sfregò gli occhi.
-E come facciamo a recuperare?-
-A recuperare cosa?-
-Tra noi due. Come facciamo a recuperare tutti questi anni se torna tutto come quando sono arrivato?-
-Non credo ci sia nulla da recuperare.-
Edward rimase molto male a quella affermazione. 
-Mi sono espressa male. Secondo me quello che c'è stato tra noi al liceo, è una storia conclusa. Adesso siamo due persone diverse, che hanno fatto delle esperienze diverse, e che si devono conoscere.-
-Quindi cancelliamo il passato?-
-Edward, pensi di essere la stessa persona di dieci anni fa?-
-Si.-
-Quindi hai ancora 17 anni, vai al liceo, e giochi ancora a pallacanestro? Vuoi ancora diventare giocatore professionista per qualche squadra della NBA?-
-No.-
-Allora sei cambiato. Non sei più il ragazzino che si faceva tutte e si sentiva un super dio. Hai fatto delle scelte come le ho fatto io. Hai portato avanti dei progetti come ho fatto io. Hai ragionato con la tua testa come l'ho fatto io. Se ora ci troviamo qui è per delle scelte fatte in questi anni e sia nel bene, che ne male, siamo cambiati entrambi.-
-La tua logica è inattaccabile.-
-Abbiamo quasi due anni da passare insieme. Il tempo c'è. Per ora abbiamo visto solo una piccolissima parte della vita l'uno dell'altra. Per quel che mi riguarda, devi scoprire ancora un sacco di miei difetti e qualche pregio. Altrettanto devo fare con te.-
-Hai pochi pregi e tanti difetti?-
-Per il 99% sono difetti.-
-Così tanti?- e risero entrambi.
-Cosa sa Jasper?-
-Stamattina al parco gli ha detto di averci visto. Ha detto di non fare cazzate e se ho bisogno di parlare con lui. Questo in breve.-
-Parlerò anch'io con Jasper e gli riporterò questa conversazione. E' giusto che lo sappia perchè è il tuo avvocato. Poi vedremo come si sviluppano le cose.- disse Isabella assorta.
-Intanto vediamo come si sviluppa questa.- ed Edward la prese di peso poggiandosela sulle ginocchia. -In casa, posso baciarti quanto voglio vero?-
-La porta è chiusa e le tende sono tirate. Direi che puoi-
E lui la avvicinò stringendola fra le braccia per poi avventarsi sulle sue labbra.

Dopo poco si salutarono.

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Capitolo 24
*** Capitolo 24 ***


CAPITOLO 24

 

Mercoledì.

 

-Pronto?- Isabella rispose al suo cellulare senza guardare chi l’avesse chiamata.

-Buongiorno!-

-Ciao!- disse al suo interlocutore con dolcezza. Aveva tutta la sua attenzione. -E’ successo qualcosa?-

-No, volevo solo salutarti prima che andassi all’aeroporto.- le disse Edward dall’altra parte. -Ti sto disturbando? Sei in ufficio?-

-No, non disturbi. Sono a casa che sto preparando alcune cose da lasciare in ufficio e poi vado all’aeroporto.-

-Tra quanto hai l’aereo?-

-Parto alle 10. Quindi ho ancora tre ore.-

-Mi chiami quando arrivi?-

-Si. Ti chiamo quando ho tempo.-

-Non è quello che ti ho chiesto. Potresti chiamarmi quando scendi e mentre aspetti il bagaglio.-

-Se sono sola, si. Altrimenti ti mando un messaggio e poi ci sentiamo in un altro momento.-

-Va bene. Almeno ci sentiamo per la buona notte?-

-Dipende.-

-Da cosa?-

-Avrei un impegno per cena con Johnny Depp ... se poi c’è anche il dopocena, non so se riuscirò a chiamarti.-

-Ah Ah Ah.-

-Edward vado. Ci sentiamo. Ok?-

-Se il signor Depp ti lascia chiamare, si.-

-Fa il bravo.-

-Sono sempre bravo. E poi stasera Jessica Alba è impegnata, quindi non ci possiamo vedere.-

-Ah Ah Ah.-

-Fa buon viaggio.-

-Baci.-

-Baci.- e riattaccarono.


 

Venerdì.


 

-Signorina Swan.- una voce d’uomo dalla parte del telefono. -Può venire nel mio ufficio?-

-Arrivo.- rispose lei solerte.

Erano già le sei di sera ed Isabella non vedeva l’ora di partire per la clinica. Quella mattina si era svegliata presto per preparare tutte le cose da portarsi dietro e aveva anche avuto modo di parlare con Edward per darsi il buongiorno e per preparare la lista della spesa da fare. Adesso, a quell’ora, con la sua portadocumenti stipata di pratiche da studiarsi per la settimana successiva, con un piede già pronto ad uscire dall’ufficio per andare al centro commerciale, dovette rivedere i suoi piani.

Pensò questo mentre procedeva per il corridoio che l’avrebbe condotta all’ufficio del titolare dello studio di Seattle: l’avvocato Dwyne. Prese un bel respiro e bussò.

-Avanti!-

-Signor Dwyne.-

-Si sieda.-

Isabella prese posto in una delle poltroncine poste davanti alla scrivania in cristallo. Il signor Dwyne la guardò sedersi.

-Com’è andato il viaggio a New York?-

-Proficuo.-

-So che ha parlato con il signor Ford non solo del fatto che diventerà socia.-

-Esatto. Per lo più abbiamo parlato del caso Stanley e delle implicazioni con un’altra fusione che stanno seguendo a New York. Il caso Carter che è seguito dall’avvocato Hobbs.-

-Come siete rimasti?-

-Con l’avvocato Hobbs ci sentiremo la prossima settimana quando ci scambieremo i verbali delle udienze preliminari. Quello del caso Stanley sarà pronto lunedì, mentre il loro non prima di venerdì perché l’udienza è stata oggi.-

-Ma i vostri appunti …-

-Ce li siamo già scambiati.-

-Come intendete procedere?-

-Per la Stanley Ltd. ho richiesto la certificazione del bilancio. Se ne occuperà Banner richiedendo al nostro commercialista un consulto ed eventualmente anche ad una società esterna. Anche Hobbs richiederà una certificazione contabile.-

-Come mai?-

-Vediamo cosa nascondono perché entrambi sospettiamo frodi nel bilancio.-

-Solita routine, insomma.-

-Esatto.-

-Le volevo parlare anche d’altro.-

-Certo.-

-Come sa sto ancora seguendo il caso Weber. Dopo una serie di ritardi, andremo in aula tra tre settimane. Avrei bisogno della testimonianza del signor Cullen. So che adesso è sotto la sua responsabilità.

-Sì, ma il suo avvocato resta Withlock. Lo avvertirò della sua richiesta.-

-Come va il lavoro alla clinica?-

-Bene, c’è sempre molto da fare e questo week-end arriveranno degli altri potenziali ospiti. Ho ricevuto le schede ieri sera.-

-Pensa di farcela a gestire tutto?-

-Certo.-

-Mi fido del suo giudizio. Spero che non trascurerà nulla quando diventerà socia.-

-Procederò come ho sempre fatto.- disse Isabella fiera.

-Bene. A lunedì.-

-Arrivederci.-


 

Erano quasi le otto di sera quando Isabella mise piede sul marciapiede di fronte allo stabile dove si trovava lo studio. L’aria di Seattle era frizzantina e già molte persone giravano per la città alla ricerca di un posto di ritrovo per la serata.

Mentre si incamminava verso la sua auto, decise di chiamare Edward. Doveva fare ancora la spesa e sarebbe arrivata troppo tardi alla clinica.

-Ciao!- rispose lui allegro.

-Ciao!- rispose lei cercando di trovare l’allegria che aveva perso.

-Quando arrivi?-

-Domani mattina...-

-Ma non dovresti essere già in viaggio?-

-In realtà sono appena uscita dall’ufficio e devo ancora andare a fare la spesa.-

-E se ci andiamo domani insieme a fare la spesa?-

-Hai presente il discorso dell’altra sera?-

-Ho presente quanto mi era piaciuto baciarti.-

-Edward!-

-Comunque Embry-uomo del meteo diceva che domattina dovrebbe piovere. Ci ha già dato la mattina libera.-

-Quindi potremmo andare a fare la spesa … Ok. Allora parto. Mi fermo per mangiare qualcosa e poi arrivo.-

-Sta attenta e non dare confidenza agli sconosciuti.-

-Sì papà. Ho sempre in borsa lo spray al peperoncino.-

-Ti aspetto.-

-A dopo.-


 

Era quasi mezzanotte quando Isabella fermò la sua auto davanti al giardino della casetta alla clinica. Edward aveva lasciato la luce sopra la porta d'ingresso accesa, così lei poté trovare agevolmente le chiavi di casa.

Quando entrò si ritrovò nell'ambiente buio e nessuno spuntò dal reparto notte.

Lei andò in camera sua per cambiarsi e poi, al buio, si diresse nella stanza attigua. Si infilò sotto le coperte, al caldo. E si addormentò.

 

Isabella si svegliò sentendo dei baci che le venivano lasciati sullo zigomo sinistro. Anche se non aprì gli occhi, sapeva che era Edward a lasciarglieli.

-Buongiorno!- sussurrò lei accennando un sorriso.

-E’ ancora notte.- le rispose lui dandole poi un lieve bacio sulle labbra.

-Perché che ore sono?-

-E’ da poco passata l’una.-

Lei si girò supina. -Allora buona notte.-

-Notte.- e lui le si sdraiò sopra per baciarla.

Fu un bacio lungo, passionale, con tanta lingua. Erano entrambi molto svegli e non mancò molto che la stanza si riempì di gemiti leggeri e di sospiri.

Edward intrufolò le mani sotto la maglietta di lei. Isabella non potè fare a meno di accarezzargli la schiena che era nuda.

Un calore improvviso, divampò fra loro. Senza separare le labbra cercarono di togliersi gli indumenti. Ma era difficile perché Isabella era stretta con le gambe e le braccia attorno al corpo di Edward. Ed Edward non aveva intenzione di allontanare le proprie mani dalle cosce che lo stringevano per la vita.

Gli ansiti aumentarono diventando veri e propri gemiti di piacere. Non si preoccuparono di essere sentiti dai vicini. I loro cuori che battevano all’impazzata, in sincrono tra loro.

Ma arrivò un momento di lucidità per entrambi. Ed anche se era buio pesto, entrambi sapevano che si stavano guardando negli occhi

Una risata soffocata scosse i loro corpi. E tanto bastò per farli riprendere da dove si erano interrotti. I pochi indumenti che indossavano non tardarono molto a volare fuori dal letto. E si trovarono nudi, uno a ridosso dell’altro, avvinghiati, nel preludio dell’amore.

Continuarono con strusciamenti di bacino, di baci umidi, di lingue che carezzavano la pelle infuocata. Erano eccitati oltre ogni modo, pronti per fare quel passo che li avrebbe portati nella dimensione dell’estasi.

-Edward …- provò a pronunciare lei. Era sicura che il suo cervello avesse mandato l’ordine alla sua bocca. Ma non era altrettanto sicura che la sua bocca avesse voglia di parlare.

Sentì il membro di lui che premeva contro la sua entrata. Voleva che entrasse, lo voleva ogni fibra del suo essere. Ma quel piccolo neurone che ancora era un po’ lucido, la spinse a riprovare a chiamarlo.

-Edward …- stavolta sentì la sua voce pronunciare il suo nome.

-Uhm … - rispose lui lasciandole una scia infuocata con la lingua lungo il collo.

Ma chi se ne frega!” pensò Isabella prendendolo per i capelli e riportando le loro bocche a contatto.

Solo quando sentì la sua entrata violarsi, ritornò lucida.

-Edward!- e lo stoppò anche cercando di fermarlo per le braccia.

-Non fermarmi!- la implorò lui. Nella sua voce un desiderio mai sentito.

-Preservativo!-

-Cazzo!- esclamò quando anche a lui gli si rianimò il neurone.

Isabella aveva ancora il pene di Edward un po’ dentro di sé. Le sarebbe bastata una piccola spinta per farselo scivolare dentro. Le mani di lui ancora sotto il suo sedere che non smettevano la pressione verso il suo bacino. Ed Isabella non accennava a disincrociare le gambe dalla vita di lui.

Si fermarono così, con il respiro che via via si stava regolarizzando. E solo quando lui spostò le mani, lei abbassò le gambe. Ma restarono ancora così, uno sopra l’altro, le loro intimità a toccarsi.

-Ti peso se sto così?- le chiese

-Non voglio che te ne vai!- gli rispose.


 

Dopo un’oretta circa erano di nuovo entrambi vestiti ma comunque distesi nel letto di Edward. Entrambi avevano fatto una doccia fredda, ma separati.

-Dormi?- chiese lei.

-No.- e sospirò. -Sto pensando alla professoressa di spagnolo del liceo.-

-Perché?- era stupefatta da un simile pensiero.

-La doccia fredda non mi è bastata.-

Una risata la scosse quando capì il perché di quella direzione. -Vado nel mio letto.- gli disse poi scostando le coperte.

Due braccia la fermarono e la portarono in una posizione ancora più vicina al corpo dell’uomo.

-Non ci provare. Non voglio che te ne vai.-

-Volevo aiutarti a rilassarti.-

-Il pensiero della signora Goff sta aiutando.-

-Forse dovevo andare direttamente nel mio letto quando sono arrivata.-

-Sarei venuto io quando me ne fossi accorto. Non sarebbe cambiato nulla.-

-E’ per quello che eri sveglio?-

-C’è stato un momento in cui ho capito di non essere solo a letto. E quando ho sentito il tuo profumo, sono stato molto contento di trovarti accanto a me.-

Edward le accarezzava le spalle.

In poco tempo si addormentarono.


 

Sabato.


 

La clinica si stava svegliando. Ed anche in una casetta ad un piano, in fondo ad una stradella ghiaiata, gli occhi si stavano aprendo al nuovo giorno.

-Ci dobbiamo proprio alzare?- fu il lamento di Isabella mentre si accoccolava maggiormente al fianco di Edward.

-Se fosse per me, preferirei restare qui.- e si girò sul lato per abbracciarla. -Ma una persona mi ha detto che devo comportarmi come se tu non ci fossi.-

-Chi è questa persona che gliene dico quattro?!-

-Appena la vedo, te la indico.-

E si baciarono.

E si baciarono ancora sotto la doccia.

E si baciarono ancora prima di uscire di casa per andare a fare colazione con gli altri in sala mensa comune.


 

Dopo la colazione, si diressero a Port Angeles per fare la spesa e anche per aver un po' di tempo solo per loro al di fuori delle mura domestiche.

-Edward! Isabella!- una voce di donna alle loro spalle, li fece voltare.

-Mamma!-

-Ciao Esme!-

-Anche voi a far la spesa qui?- chiese la donna spingendo il carrello colmo.

-Si.- rispose Edward. -Ho la mattina libera e siamo venuti a far rifornimento. Come stai? Papà?-

-Sto benissimo! Soprattutto da quando tuo padre ha deciso di andare a pescare.-

-Ti sta riempiendo il freezer?- chiese Isabella ricordando quando suo padre tornava dalle sue giornate di pesca.

-Per ora non mi lamento. Semmai ti chiederò qualche ricetta.-

-Chiedi a Sue. Fa una frittura a dir poco eccezionale.-

-Mi fai pensare che potremmo fare il prossimo week-end. Così ci saranno anche gli altri.-

-Purtroppo il prossimo week-end sarà quello dei parenti alla clinica. Non posso allontanarmi.-

-E se la facessimo da te?- propose Esme.

-Sì, ma ho un'idea migliore forse. Se aiutiamo Sue, potremmo fare una cosa in grande da proporre a tutti gli ospiti come menù o per sabato o per domenica.-

-Per me va bene.-

-Ne parlo a Jake e poi ti dico. Mal che vada facciamo solo per noi.-

-Perfetto. Ora vi lascio che devo tornare a Forks a prendere Carlisle dal lavoro.-

-Ciao mamma.-

-Ciao Esme.-


 

-Ma quando abbiamo deciso di comprare tutta questa roba?- chiese Edward guardando il carrello pieno.

-In parte è la lista che mi avevi fatto, in parte ho notato che stavano finendo dei detersivi e quindi li ho già presi.-

-Forse sbaglio qualcosa quando faccio il bucato … - riflettè Edward.

-In realtà sei nella norma, almeno per me.-

-Meno male.- e dopo che Isabella ebbe pagato il conto. -Spero che Jasper sblocchi presto i fondi così posso pagare io.-

-Non preoccuparti. Intanto tengo il conto.-


 

Tornarono alla clinica in tempo per il pranzo.

Il pomeriggio lo passarono a lavorare. Isabella nel suo ufficio. Edward nella serra che stavano ripulendo.

Il sabato sera replicarono l'esperienza della sera prima. Stavolta senza andare oltre perchè non avevano comprato i preservativi. Mentalmente entrambi si maledirono di non averci pensato.

La domenica fu tranquilla e il pomeriggio entrambi furono liberi dai loro impegni.


 

Così prima di partire per tornare a Seattle, Isabella ebbe un po' di tempo da dedicare ad Edward.

Erano sul divano che si stavano baciando. O meglio le loro bocche si stavano baciando, ma le mani stavano saggiando ogni centimetro di pelle scoperta. Le maglie erano già volate per il salotto. Restavano i jeans di entrambi ma erano già a mezza coscia.

-E' più vicino Forks di Port Angeles, giusto?- chiese Edward tra un bacio e l'altro sui seni di lei.

-Perchè?-

-Per andare a prendere i preservativi.- ansimò lui prima di darle un morso sul capezzolo sinistro.

-Port Angeles.- rispose lei inarcando la schiena quando sentì le sensazioni della lingua di lui sul suo ombelico.

-Hai ragione.- provò a ragionare lui mentre risaliva per il busto con baci e leccatine. -A Forks ci potrebbero riconoscere.-

-Non è per quello.- gli disse quando lui fu sdraiato su di lei e le loro bocche erano vicinissime. -Poi dobbiamo tornare indietro.-

-Anche da Port Angeles.-

-Ma lì ci sono gli alberghi.-

Edward la guardò maliziosamente. -Signorina Swan! Non avrei mai pensato che fossi così libertina!-

-Ci sono tante cose che non sai di me!- e riuscì a togliersi i jeans. -Ma ora sta zitto a baciami!- e gli avvinghiò le gambe al bacino.

Edward non se lo fece ripetere due volte e si fiondò sulle labbra di lei.


 

Giovedì.


 

-Domani?- le chiese Edward al telefono.

-Ho la riunione settimanale e poi vengo da te. Dovrei essere libera fino a tutto lunedì.-

-Abbiamo un giorno in più per noi?-

-Sì. E poi ho una bella notizia. Hai presente che Alice voleva andare a New York?-

-Sì.-

-Bene, ho chiesto al giudice Noth e puoi venire anche tu. Quindi pensavo che visto che devo tornare a New York per lavoro, poi potremmo organizzare il week-end che desiderava Alice.-

-E la buona notizia quale sarebbe?-

-Che verresti con me quando parto e saremmo solo noi due fin tanto che non arrivano gli altri.-

-Questa è una gran bella notizia. Potremmo girare per la città senza preoccuparci di essere visti.-

-Direi che l'idea ti piace.-

-Molto! Comunque ne parliamo agli altri sabato.-

-Certo. Hai visto tua madre in questi giorni?-

-E' qua tutte le mattine che prepara con Sue il pesce per sabato. Il dottor Hammond è entusiasta di questa cosa. Dice che cucinare con gli ospiti sarà molto utile.-

-E' un ottimo medico.-

-E poi conosce papà. Hanno fatto la specializzazione insieme a Yale.-

-Non lo sapevo!-

-Neanche io. L'ho scoperto stamattina perchè si sono salutati come due vecchi amici e ci hanno spiegato come si sono conosciuti.-

-Mi piacciono le rimpatriate!-

-Vedi di rimpatriare presto da me. Ok?-

-Sissignore! Domattina devo fermarmi a prendere un paio di cose e poi vengo da te.-

-No! Non fermarti a comprare nulla! Vieni direttamente qua e poi ci penseremo con calma lunedì o la prossima settimana!-

-Edward, c'è una cosa che ci manca e ci serve assolutamente.-

-Cosa?-

-Qualcosa che ci sarà utile quando saremo soli nella nostra casetta … - disse lei suadente.

-Prendi la scorta. Non ho intenzione di farti chiudere occhio la notte.-

-Ci conto signor Cullen.-

-Sarà mia premura mantenere la parola signorina Swan.-

-A domani. Ciao.-

-Ciao.-

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Capitolo 25
*** Capitolo 25 ***


CAPITOLO 25

 

Venerdì. Clinica.

 

Isabella arrivò che era da poco passata l'ora di pranzo. Decise quindi di prepararsi qualcosa da mangiare a casa.

Si stava accomodando a tavola con un panino, quando bussarono alla porta.

-Ciao Jake!- salutò il suo amico quando vide chi era aprendo l'uscio di casa.

-Ciao Isabella!- ricambiò il saluto caloroso. -Ti ho visto arrivare.-

-Vieni. Stavo per mangiare un panino. Vuoi qualcosa?-

-No grazie.-

-Dimmi tutto.-

-Hai saputo di domani?-

-Cosa?-

-La tua è stata un'idea fantastica. Molti ospiti hanno voluto aiutare nella preparazione del pranzo e questo li sta aiutando molto a detta dei medici.-

-E questo già lo sapevo. Me lo ha detto Edward ieri sera?-

-Edward ti ha detto?-

-Sì. Ci sentiamo tutti i giorni. C'è altro?-

-Dovrebbe?-

-Jake non ci provare a girare attorno alle cose. Hai una curiosità dimmela e se posso te la soddisfo.-

-Come va con Edward?-

-Bene.-

-Tutto qui? Nient'altro da dire?-

-Mi hai chiesto come va e ti ho risposto che va bene. Ma se mi chiedi qualcos'altro non so se ti piacerà sentire come stanno le cose.-

-Fa giudicare a me.-

-Per ora va tutto bene. Direi che siamo nella fase “tutte rose e fiori”. Parliamo tranquillamente di tutto e soprattutto di noi. Siamo molto coinvolti l'uno dall'altro.-

-E il sesso è fantastico fra voi due?-

-Non siamo arrivati ancora così avanti.-

-Come mai?-

-Niente preservativi.-

-Non lo facevo un tipo da sesso sicuro.-

-Jake!-

-Ok. Siamo un po' invidiosi lo sai?-

-Chi?-

-Io ed Embry. In fin dei conti hai “figo Cullen” tra le mani!-

-Dio mio! Fate i gay gelosi?!-

-Se il vostro rapporto continuerà a gonfie vele, saremo tutti contenti per voi. Ma se non dovesse andare, potremmo consolarlo io ed Embry ...-

-Tutto questo è per dirmi che già ci state provando?-

-Cosa te lo fa pensare?-

-Edward mi ha detto che Embry è spesso nella serra con lui. E nonostante cominci a fare freddo lavora sempre a torso nudo. Sa che voi due state assieme, ma pensa che lui ci stia provando.-

-E tu cosa gli hai detto?-

-Che forse sta soffrendo da carenza di sesso. E un bell'uomo come lui non passa inosservato.-

-Quindi non lo convinciamo a cambiare sponda?-

-No, è etero e per me è meglio così.-

-Ingorda!-

-Il prossimo lo cerco bisessuale. Ok?-

-Mi sembra un giusto compromesso. Ma torniamo alle cose serie.-

-Spara.-

-Lo ami?-

-Non mi voglio ancora pronunciare.-

-Perchè?-

-Mi piace molto stare con lui quando ne abbiamo la possibilità. Ma per dirti che lo amo devo riuscire ad accettare anche tutto. La confezione “Edward Cullen” è di più che un bel viso e di un bel corpo e di questa complicità fisica che si è creata. Abbiamo ancora del tempo da passare insieme. Del tempo in cui dovrebbe uscire il vero noi. Quando comincerò a vedere com'è in tutte le sue sfumature, allora ti saprò dire se lo amo o no.-

-Ma ora, se dovessi dirmi si o no, cosa risponderesti?-

-Sì.- disse lei con lo sguardo illuminato.

-E lui?-

-E' coinvolto, ma non so che sentimenti provi.-

Jake si alzò dalla sedia. -Torno al lavoro.-

-Sei venuto solo per sapere della mia vita sentimentale?-

-Certo! Così ho l'anteprima rispetto a Rachel.-

-Che razza di amici che mi ritrovo!-

-Ci vediamo dopo.- disse Jake avviandosi alla porta.

-Sistemo qui e poi vengo anch'io in ufficio.-

 

Isabella stava lavando le poche stoviglie usate per prepararsi il pranzo.

-Anch'io non mi voglio pronunciare.- e due braccia l'avvolsero da dietro. -Ma non dire a Jake e ad Embry che non hanno speranza di farmi cambiare sponda. Amo una mora.- e le diede un bacio alla base del collo dopo averle spostato i capelli di lato.

-Da quanto sei qui?- chiese lei appoggiando la testa all'indietro e allungando il collo perchè lui potesse aver più spazio per baciare.

-Abbastanza da sentire tutta la conversazione.-

-Non mi ero accorta che eri in casa.- era difficile cercare di ragionare quando sentiva la sua pelle scottare dai brividi di piacere causati dai baci di lui.

-Non te ne dovevi accorgere.-

Un attimo di lucidità. “Cosa?”. Si girò fra le braccia di lui e piantò i propri occhi nei suoi. “Ok, non farti ammaliare da quelle gemme verdi e … e … lussuriose. Ma come fa a trasmettere tutta quella virilità solo con gli occhi?”. -Cosa stai dicendo?- chiese lei quando ci riuscì.

-In questi giorni ho avuto modo di parlare con Jake.- le rispose prendendola per mano e conducendola al divano. -Mi ha raccontato varie cose sul vostro rapporto di amicizia. E io gli ho parlato di noi.-

-Tu e Jake siete amici?-

-No, ma abbiamo te in comune. Tanto basta per non farci la guerra.- e le diede un bacio sulla punta del naso. -Ma per tornare al discorso originario, gli ho chiesto se vi foste parlati riguardo a quello che c'è tra me e te. Lui mi ha detto che forse ne avete parlato ma che non poteva dirmi nulla. Così l'ho pregato di aiutarmi. Ovviamente sono intervenuti anche Rachel ed Embry. E la conclusione è stata che tu parlassi liberamente con Jake mentre io ascoltavo.-

-Ma non potevi chiederlo direttamente a me?-

-Sì, ma non saresti stata così chiara come lo sei stata con lui.-

-Questo non è vero!-

-Con i fatti sei molto coinvolta, tanto quanto me. Ma con le parole ti trattieni molto. E questo mi manda in confusione.-

-Edward, ascolta ...- iniziò lei.

-Aspetta.- la interruppe lui. -Tutto quello che mi hai detto fin'ora è giusto. Non siamo più le persone di dieci anni fa. Abbiamo fatto i nostri errori e li abbiamo pagati anche a caro prezzo. Abbiamo anche rischiato di perderci per sempre. Ma ora, siamo due persone che si piacciono e provano qualcosa l'uno per l'altra. Non ti sto chiedendo di stare insieme. Non ti sto chiedendo di ricominciare da dove tutto si era interrotto. Ma ti sto chiedendo di essere aperta con me. Di dire tutto quello che senti, che sia positivo o che sia negativo. Non pretendo che tu parli con me così come parli con Jake o con Rachel perchè loro ti sono vicini da tanti anni. Ma ti chiedo di sforzarti perchè ne ho bisogno. Ho bisogno di sapere cosa ti passa per la testa quando mi guardi come ora e non riesco a capire se sei d'accordo con tutto ciò che ti sto dicendo o sei combattuta per … paura forse?-

-Sono d'accordo … ma ho paura.- confessò lei interrompendo lo sguardo perchè si era adagiata sul suo petto.

-Cosa ti fa paura?- disse lui abbracciandola.

-Ho paura di crearmi delle aspettative su noi e poi che non si avverino. Ho paura che ci scoprano e che poi ci separino. Ho paura che tra noi non finirà.-

-Hai paura di stare insieme per sempre?- chiese meravigliato.

-Quando avevo una relazione, ho sempre vissuto alla giornata e fin tanto che questa andava avanti, tutto ok. E quando finiva, finiva. Ora invece devo rivoluzionare il mio modo di pensare. Per la prima volta devo pensare al domani con te, anche a fare progetti come New York. Non ci sono abituata e ho paura che se poi tra noi non funzionasse, saremmo poi costretti a stare ugualmente insieme senza provare nulla.-

-Penso di capire cosa intendi. Ma perchè non pensi all'opzione inversa?-

-Cercherò di non mettere la data di scadenza ad un noi.- disse lei dopo aver riflettuto alle parole di lui.

-Mi piacerebbe continuare il discorso, quindi propongo di parlarne stasera. Adesso devo tornare a lavorare.-

-Devi proprio?-

-Sì, primo perchè Embry mi sta aspettando nella serra a torso nudo per sapere cosa ci siamo detti. E secondo Rachel, Emily e Jake ti stanno aspettando, probabilmente nel tuo ufficio, per sapere cosa ci siamo detti.-

-Se ci impegniamo ancora un po', possiamo trovare altri argomenti di conversazione.-

-Per quanto preferirei stare qui con te a parlare anche d'altro … e magari non solo … devo andare perchè domani vogliamo far vedere come sta venendo la serra a tutti.- e le diede un bacio profondo. Quando si staccò: -E se poi non parliamo agli altri ora, stasera ci trattengono per sapere. E avevo in mente un altro modo per passare la sera con te.-

-Sarebbe?-

-Ti avevo promesso di tenerti sveglia tutta la notte, ricordi?-

-Allora andiamo!- e si alzò di scatto dal suo corpo.

Ma prima di uscire, Edward le chiese: -Quante relazioni hai avuto in questi anni?-

-Qualcuna. Perchè?-

-Importanti?-

-Una sì, abbiamo convissuto per circa tre anni a Vancouver.-

-E perchè è finita?-

-Scelte lavorative diverse.-

-Quindi il lavoro sarebbe un motivo per chiudere tra noi?-

-Così come stanno le cose, con te non sarebbe un buon motivo.-

Edward l'abbracciò. Poi le diede un bacio sulla guancia. -Andiamo?-

-Vai pure avanti. Recupero un paio di cose e poi arrivo anch'io.-

-A dopo.-

-Ciao.-

 

Il resto della giornata passò con confessioni agli amici e tanto lavoro. Edward ed Isabella si rincontrarono solo a cena. Ma entrambi furono comunque impegnati a parlare con altri degli ultimi dettagli relativi al week-end imminente.

 

Quando Isabella rientrò a casa, sentì l'acqua scrosciare nel bagno. Depositò il portatile sul tavolo della cucina e si denudò avviandosi al bagno. Quando fu dentro, entrò direttamente nel box doccia.

Lui era girato di spalle. Voltò appena il capo per vederla entrare.

Lei prese il bagnoschiuma dal ripiano e ne versò una dose direttamente alla base del collo di lui. Poi prese a spalmare tutta la schiena di lui che nel frattempo aveva appoggiato le mani alle piastrelle.

Lei continuò il massaggiò su tutta l’ampia schiena e ogni tanto con le mani andava a massaggiare le spalle, i fianchi, il sedere.

Edward prese il flacone di bagnoschiuma e si girò guardando Isabella in volto. Si versò un po’ di sapone nella mano e poi iniziò a massaggiare la schiena di Isabella. Erano viso a viso, occhi negli occhi e non tardò molto che furono anche bocca nella bocca.

Cominciava a fare caldo nel piccolo bagno. E non era solo per la temperatura dell’acqua.

Edward prese Isabella per le natiche e se la accoccolò sul bacino per poi girarsi e farle appoggiare la schiena alle piastrelle. Lei gli cinse la vita con le gambe.

L’eccitazione di Edward stava aumentando, quella di Isabella era ormai al limite. Ed esplose quando una mano maschile si spostò da un suo gluteo al suo clitoride. Non riuscì a trattenere un grido di sorpresa misto a godimento, molto erotico per l’altro che aumentò la pressione.

Bastò poco perché Isabella raggiunse l’orgasmo sostenuta da Edward. Quando cominciò a calmarsi, decise di dedicarsi al suo compagno. Intrufolò una mano fra i loro corpi iniziando a massaggiare il membro di lui. Stavolta fu lui ad emettere un verso strozzato per le sensazioni provate da quel su e giù.

-Così mi fai venire!- mormorò con la testa reclinata all’indietro.

-E’ ciò che voglio.- continuando nella sua masturbazione.

-E cos’altro vuoi?- riuscì a dire cercando di trattenersi.

-Te!- e tolse la mano per stringergli le braccia intorno al collo e baciargli la gola.

-Mi lasci così?-

-Guarda sul lavandino!-

La scostò appena per capire se diceva sul serio. Infatti aprì il box e notò sul lavandino una confezione di preservativi. Uno era già staccato dalla striscia. Bastava aprirlo. Sorrise a quel pensiero e lo prese immediatamente in mano per scartarlo. Lo indossò e riprese la sua partner in braccio. Come lei gli strinse le gambe attorno, lui guidò il suo sesso alla sua entrata ed insieme si spinsero uno verso l’altro.

Si guardarono un momento per poi baciarsi con passione, mentre entrambi si muovevano uno verso l’altro. Quel ritmo cadenzato, con l’acqua calda che scivolava fra loro, li vide protagonisti di un orgasmo intenso e prolungato.

Dopo rimasero così, ancora sotto l’acqua che li accarezzava, abbracciati.

-Scusa!- disse lui.

-Di cosa?-

-Sono venuto subito.-

-Mi sembrava fossimo venuti insieme.-

-Si, ma avrei preferito durare un po’ di più!-

-Non preoccuparti. Non ho ancora finito con te.-

-Signorina Swan!-

-Signor Cullen non faccia il finto sorpreso! Le ricordo che mi ha promesso di non farmi dormire tutta la notte! Non penserà certo che mi basti questo!-

-Uhm … mi piace la donna intraprendente …-

-Ottimo! Perché ho intenzione di non farti dormire tutta la notte!-

-Cosa vorrebbe fare ora signorina Swan?-

-Direi di uscire da qui. Tra un po’ mi vengono le branchie.-

-AhAhAhAh! Vieni che ti aiuto ad asciugarti.-

Ed uscirono dal box doccia.

 

-Hai la schiena tutta rossa.- le fece notare Edward. Isabella era china ad asciugarsi le gambe ed Edward aveva un’ottima visuale del suo corpo da dietro.

-Sarà stato aver sfregato contro le mattonelle.-

-Ti fanno male?-

-Cosa?-

-Le cicatrici.- e ne percorse un paio con l’indice destro.

Lei si risollevò e si girò. Lui continuò a guardare il suo corpo e a sfiorarne altre. Una era molto lunga e dritta, probabilmente segno di un intervento. Altre erano frastagliate e irregolari.

-No. Solo ogni tanto mi danno formicolio. Ma se le tocchi, mi fai solletico.-

-Scusa.- e ritrasse subito la mano.

Si guardarono. -Andiamo di là?- propose lei indicando la sua camera.

-Mi è venuta fame, vado a prendere qualcosa.- e si incamminò verso la sala. -Hai fame?-

-No.- e lo lasciò andare da solo in sala mentre lei si diresse nella sua camera per mettersi una tuta. Sapeva cosa era successo. Per quanto lui fosse a conoscenza di quei segni, per quanto li avessi visti aperti e sanguinolenti, per quanto li avessi curati, ora stavano diventando un problema. C’era già passata prima di allora. Ma ogni suo partner li aveva poi accettati come parte di lei, anche se con un po’ di difficoltà.

Ma forse con Edward sarebbe stato diverso. Soprattutto perchè a lui ricordavano un brutto periodo, in cui aveva sofferto forse più di lei. Aveva sperato che non fossero un problema. Tanto valeva parlarne. E sapeva per esperienza che se le avesse coperte, sarebbe stato più semplice. O almeno lo sperava.

-Edward? Tutto bene?-

-Sì.- rispose lui guardando cosa proponeva la dispensa.

-Sei sicuro?-

-Certo.- e azzardò un’occhiata ad Isabella. Un po’ si rilassò notando che era vestita.

-E perché te ne sei andato?-

-Non me ne sono andato. Mi è venuta fame e sono venuto a prendere qualcosa da mettere sotto i denti.-

-Ok. Quindi se ora vado in camera, poi vieni?-

Per tutta risposta, lui accese la televisione. Lei non disse nulla ma ritornò in camera e si vestì per uscire. Prese la sua borsa e ritornò in sala. Si diresse verso la porta d’ingresso e prese le chiavi dell’auto.

-Dove vai?-

-Esco.- e si richiuse la porta alle spalle.

Era in fondo ai gradini quando la porta si riaprì rivelando Edward che si richiudeva l’accappatoio.

-E’ tardi.-

-Non ho sonno, non ho fame e non ho voglia di guardare la tv.-

-Vuoi che venga con te?-

-No, non ti piacerebbe dove sto andando.-

-Perchè? Dove stai andando?-

-A cercarmi qualcuno con cui scopare tutta la notte.-

-Cazzo Isabella! Mi sono messo solo a mangiare qualcosa!-

-Sicuro?-

-Sì. Te l'ho detto che mi è venuta fame.-

-Riprova.-

-Cosa?-

-Riprova con una risposta più convincente.-

-Se non ti va bene, non è un problema mio.-

-Ottimo.- e salì in auto. Mise in moto, fece retro marcia e partì.

Edward restò sulla cima della scaletta a guardare l'auto scura allontanarsi. Restò così per un po', fin quando decise che forse si era spostata di poco. Magari era andata da Jake. Ritornò dentro per vestirsi per poi riuscire a controllare dove avesse parcheggiato. Ma più girava per la proprietà e più non la trovava.

 

-Edward?- si girò sentendosi chiamato. Era Jacob. -Che fai in giro a quest'ora?-

-Hai visto Isabella?-

-Ho visto la sua auto andare via. Pensavo fossi con lei.-

-No, è andata via da sola.-

-E' successo qualcosa?-

-Mi sono solo messo a mangiare ...- mormorò Edward.

-Cosa?-

-Ritornerà?-

-Direi di sì. Ma perchè è andata via senza di te?-

-Mi sono messo a mangiare dopo … - Edward si bloccò perchè non voleva raccontare i fatti suoi a Jacob.

-... che avete fatto sesso?- terminò lui. Ma Edward non rispose.

-E' un po' come la sigaretta subito dopo.- continuò Jake. -Strano però. Non è da lei.-

Edward continuava a stare zitto.

-Una volta Isabella mi raccontò una storia.-

-Dove pensi sia andata?-

-Sta zitto e ascoltami. Quando era all'ultimo anno di liceo, un giorno andò al mare. Mancava poco agli esami di fine anno. Ma trovandosi a Los Angeles, con alcune compagne di classe decisero di andare in spiaggia a studiare un po'. Quando lei si spogliò per rimanere in costume, tutti quelli attorno si bloccarono a guardarla. Per le cicatrici. Non è che le avesse tenute nascoste fino ad allora, ma per farle guarire bene, doveva stare attenta e quindi non si esponeva mai alla luce del sole. Da quel giorno non è più andata al mare e porta sempre maglie lunghe e pantaloni.-

-Si vergogna?-

-No. Sono gli altri che si vergognano.-

-Non mi sono vergognato!- rispose con veemenza Edward.

-No, ma ti sei messo a mangiare. E non hai parlato con lei.-

-Cosa le dovevo dire?-

-Quello che ti passava per la testa, qualunque cosa fosse.-

-Non è facile.-

-Credi che per lei lo sia?-

-Cosa dovrei fare ora?-

-Va a casa.-

-Tutto qui?-

-Di donne non ci capisco molto. Ma se mia sorella ha a che fare con un ragazzo, se lui non chiama, si incazza, se chiama, si incazza, se chiama ed è il momento sbagliato, si incazza. Si incazza comunque.-

-Ok. Notte Jacob.-

 

Edward era seduto sul divano di casa con la luce accesa. Erano le quattro e mezza quando i fari di un'auto fecero capolino delle finestre della sala. Isabella era tornata. Era stata via più di cinque ore. Cinque ore in cui lui aveva provato a chiamarla e lei non aveva risposto. Le aveva inviato dei messaggi, a cui lei ovviamente non aveva risposto. Voleva solo parlarle. Lei doveva solo ascoltare. Voleva dirle cosa gli passava per la testa.

Isabella entrò in casa come se non ci fosse nessuno e si diresse spedita verso la sua stanza. Edward le si parò davanti impedendole di proseguire oltre. La tenne stretta per le braccia, ma comunque libera di divincolarsi quando avesse voluto.

-Ascoltami e basta. Ok?- le chiese guardandola.

Lei non mosse un muscolo. Le labbra serrate, lo sguardo rivolto avanti a sé. Lui l'interpretò come un suo si.

Lui estrasse una foto dalla tasca dei jeans e gliela porse. -Questa è stata scattata una settimana prima del tuo incidente. Eri alla spiaggia con Alice, Angela e qualche altra amica. Sapevo che eri lì e ti sono venuto a vedere. E te l'ho scattata. La porto sempre con me, nel portafogli.-

Isabella guardò la foto. La ritraeva sorridente con i piedi a mollo nell'acqua marina anche se era ancora freddo. Non ricordava che ci fosse anche lui quel giorno. Le lacrime cominciarono ad annebbiarle la vista.

-Ogni volta che sto con te, per quanto mi sforzi di pensare al futuro, non posso fare a meno di pensare anche al passato. Per quanto sto bene con te, per quanto quelle cicatrici mi ricordano … - Edward si zittì un momento.

-Sono un ostacolo, Isabella. Sono un ostacolo perchè poi te ne sei andata ignorandomi. C'è stato anche un momento in cui avrei preferito fossi morta, almeno sapevo dove trovarti per dirti che sei stata una stronza colossale e anche quanto mi mancavi.-

Edward guardò Isabella che a sua volta guardava ancora la fotografia. Le lacrime libere di scendere.

-Ho bisogno di tempo. Voglio metterci una pietra sopra ma quando ti vedo nuda, ancora non ci riesco. Troppi ricordi dolorosi sono legati ai quei segni.-

-Sono dolorosi anche per me.- mormorò Isabella.

Edward la prese tra le braccia e la costrinse a guardarlo. Le baciò le guance e gli occhi, umidi per le lacrime che non cessavano di scendere.

-Ti prometto che verrà un giorno un cui saranno solo un ricordo, nulla più. Ma dammi ancora un po' di tempo. Ok?-

-La prossima volta ...-

Lui la bloccò con un bacio. -La prossima volta cercherò di non chiudermi in me stesso ma dirti cosa penso. Anche perchè proprio ieri ti ho chiesto la stessa cosa.- E le diede un altro bacio. -In questa cosa siamo in due.-

-Ci proverò anch'io Edward. Te lo prometto.-

-Andiamo a dormire.- disse lui prendendola per mano.

E così si infilarono sotto le coperte, abbracciati.

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Capitolo 26
*** Capitolo 26 ***


Sono in ritardo, ma ho preferito postare dopo che fare più capitoli e lasciarvi sulle spine troppe volte. Detto questo, ringrazio chiunque mi segua.

Buona lettura e al prossimo capitolo.

Ciao!!!

 

CAPITOLO 26

 

Sabato. Clinica.

 

Isabella si svegliò. Aprì appena gli occhi.

-Ahhh!- urlò alzandosi dal letto.

Anche Edward si svegliò a quel grido.

-Emmett!- rimproverò subito il fratello che era accovacciato vicino al comodino.

-Ma che belli!- una voce femminile.

-Ecco l'altra!- disse Edward rivolto ad Alice che era ai piedi del letto.

-Cazzo ragazzi! Mi avete fatto venire un infarto!- riuscì a dire Isabella quando si riprese.

-Ehhh! Esagerata!- la redarguì Emmett. -Non sono poi così brutto!-

-Tuo fratello è meglio!- gli rispose Isabella facendogli la linguaccia.

-Sarà anche meglio, ma comincia a deludermi.- disse Emmett ridacchiando.

-Perchè?- chiese Edward

-Un solo preservativo? Non reggi più il ritmo?-

-Come scusa?- Edward fece il finto tonto mentre Isabella diventava rossa come un pomodoro maturo.

-Sul lavandino, in bagno. C'è una scatola di preservativi e ne manca uno. Che poi è dentro la doccia.-

-Primo non sono affari tuoi. Secondo non sono affari vostri. E terzo fatevi gli affari vostri!-

-Ma ... siete vestiti?- notò Emmett.

-Ma perchè poi non dovremmo essere vestiti?- chiese Isabella.

-Niente coccole post sesso?-

-Emmett basta!-

-Alice ricordami il kamasutra la prossima volta.- e finalmente si alzò.

-Vi aspettiamo di là.- disse Alice. -Così andiamo tutti assieme.-

 

Quando Alice ed Emmett uscirono dalla stanza, Isabella ed Edward tirarono un sospiro di sollievo.

Isabella si ridistese abbracciando Edward per la vita e lui l’abbraccio per le spalle.

-Hai sonno?- le chiese dandole un bacio fra i capelli.

-Sì. Tu?-

-Sì.-

-Ma quei due ci aspettano.- precisò Isabella dopo un momento di silenzio.

-Già. Ma abbiamo ancora un po’ di tempo.- e la prese portandosela sul suo corpo.

-Sì, direi che è meglio che dormire.- e gli si mise a cavalcioni per poi baciarlo.

E si baciarono dimenticandosi di tutto e di tutti.

-Allora!- la voce tonante di Emmett.

-Cazzo Emmett!- si arrabbiò Edward. -Ma sei sempre tra i piedi?-

-Ci stanno aspettando! Le cosacce le fate stanotte!-

Isabella si alzò per dirigersi in bagno. Quando passò accanto ad Emmett lo fulminò con lo sguardo.

-Cognatina!- e le diede uno schiaffetto sul sedere.

 

-Adesso mi vesto Emmett. Non rompere.- gli disse Edward mentre il fratello entrava nella sua stanza.

-E così tu e Bellina- insinuò Emmett.

-Non cominciare con le tue ipotesi strampalate.-

-Quello che vedo è molto reale.-

-Emmett!-

-Ok, facciamo un discorso serio. Cosa sta succedendo tra voi due?-

-Niente che ti riguardi.-

Emmett lo scrutò attentamente; stava per uscire quando: -Emmett?- lo richiamò Edward. Lui si voltò senza dire nulla.

-Non chiamarla cognatina per favore. Ha bisogno di tempo. Ne abbiamo bisogno tutti e due. Non metterci fretta.-

-Ok.- ed uscì.

Quando voleva, Emmett era il più maturo di tutti loro. Avrebbe capito e non avrebbe più insinuato nulla, soprattutto in pubblico. Di questo Edward ne era certo.

 

-Ti metti quelle scarpe?- la voce di Alice la sorprese.

-Ho bisogno di stare comoda oggi.- e si allacciò le scarpe da ginnastica.

Isabella sentì il materasso abbassarsi accanto a lei.

-Andiamo?- chiese guardando Alice.

-Da quanto state insieme?-

-Non stiamo insieme.-

-Ma siete intimi mi sembra.-

-Alice non dire nulla a nessuno per favore.-

-Certo che non dico nulla, ma voglio sapere qualcosa … e anche di più.-

-Ci stiamo conoscendo.-

-In pochi mesi direi che siete andati ben oltre una semplice conoscenza.-

-E’ vero. Prima siamo andati molto di corsa. Ora abbiamo bisogno di stoppare un po’ e conoscerci come persone.-

-Mi sembra abbia senso. Qualcosa di più?-

-Andremo a New York.-

-Andiamo tutti?-

-Se volete si.-

-Quando si parte?-

-Ancora non lo so. Ci vado per lavoro e comunque devo sentire anche com’è messo Edward con il suo di lavoro. Cercherò di allungare il soggiorno per starci per qualche giorno di svago.-

-Tienimi informata che così organizzo anche con Rosalie.-

-Va bene. Adesso andiamo?-

-Se proprio non hai niente altro da dirmi … -provò Alice con il suo miglior sguardo implorante.

-Lo sai che non attacca con me.-

-Uffa! Andiamo.- e si alzarono.

 

Uscirono dalla camera di Isabella proprio mentre Edward stava uscendo dalla sua.

-Ci potreste aspettare un attimo fuori?- chiese Edward alla volta dei due fratelli.

-Ok.- ed uscirono.

-Che c’è?- gli chiese Isabella.

-Il rito della mattina.- e le sorrise per poi prenderla fra le braccia e baciarla. Lei si mise in punta di piedi per riuscire ad abbracciarlo meglio. E lui ne approfittò per approfondire il bacio.

Un colpo al vetro li fece staccare. Il braccione di Emmett apparve indicando l'orologio che portava al polso.

-Sei un rompipalle di prima categoria!- gli disse Edward quando aprì la porta.

-Anch'io ti voglio bene, fratello!- e scoppiarono tutti in una grassa risata.


 

La mattina trascorse tranquilla. Isabella aiutò in cucina, mentre Edward si dava da fare a mostrare fiero la serra, ovviamente insieme ad Embry. Arrivò anche l'ora del pranzo in cui fu proposta la famosa frittura di pesce di Sue, molto apprezzata da tutti.


 

-Charlie?- chiese Jake quando erano sotto il portico dopo aver pranzato. -Ti va di darci lezioni di pesca?-

-Cosa?- chiese stupito.

-Sì, ci sono alcuni ospiti che hanno espresso questa curiosità. Mi chiedevo se sei disposto a darci una mano.-

-Non so se … - Charlie era confuso. In genere a pesca ci andava da solo o con un paio di amici al massimo. Insegnare a pescare era una cosa diversa.

-Sarebbe una bella cosa!- intervenne Isabella. -Così potremmo rifare il campo di sopravvivenza vicino ad un lago stavolta.-

-Perchè no! Quando iniziamo?- chiese Charlie entusiasta.

-Andiamo a parlarne con gli altri.- disse Jake e insieme si diressero dentro.


 

-Ho una bella notizia Edward.- disse Jasper. -Sono riuscito a farti sbloccare i fondi, ma solo per la parte del tuo stipendio.-

-Davvero?-

-Sì. Però devi andare in banca per ritirarli e ci deve essere o Isabella o io con te.-

-Contento?- gli chiese Isabella.

-Sì! Così ti posso portare a cena e posso fare la spesa da solo!-

-La cena gliela puoi offrire a New York.- intervenne Alice.

-Ci andiamo?- chiese Rosalie.

-Facciamo anche shopping?- chiese Esme.

-Certo mamma! Neanche a chiederlo!- la sgridò bonariamente Alice.

-Alice ma non hai già un armadio … - Jasper si zittì allo sguardo furente della moglie sostenuto da ben altre tre donne.

-Comunque quando ci potremmo andare?- richiese Rosalie.

-Tra tre settimane ci devo andare per lavoro.- specificò Isabella. -Ma solo martedì mi confermano il calendario delle udienze. Poi vi faccio sapere.-

-Non prenotare nessun albergo Isabella.- le suggerì Esme. -C'è il nostro appartamento dopo possiamo stare. Lo farò sistemare per il nostro arrivo.-

-Esme, non devi disturbarti.-

-Nessun disturbo, tesoro. Nessuno ci va mai. E poi è vicino a Central Park, quindi è comodo.-

-Grazie, Esme. Non posso dire nient'altro.-

-Fammi sapere quando vai, che così faccio preparare tutto.-

-Certo. Verrà anche Edward.-

-Quindi dobbiamo venire anche noi?- chiese Carlisle.

-Certo papà. Chi ci porta le borse sennò?-

-E Alec?- Emmett sperava di poter stare a casa con il figlio.

-Verrà anche lui.- disse Rosalie. -Ovviamente anche il suo papà.-

-E anche mio marito.- ed Alice guardò Jasper molto eloquentemente.

-Prima che mi dimentichi.- intervenne Isabella. -Dwyne vuole Edward per l'udienza.-

-Per Mike e Ben?- chiese Edward.

-Sì. Ti vuole in aula ma non so se ti interrogherà.- specificò Isabella.

-Va bene. Come ci organizziamo?- chiese Jasper.

-Pensavo di portarlo a Seattle con me la prossima domenica. E visto che l'udienza c'è martedì, poi vi vedete per rivedere un po' i fatti.-

-Ottimo.- fu la sola risposta di Jasper.

Stettero ancora un po' sotto il portico a parlare della futura gita a New York.


 

-ISY!!!- un urlo di gioia li fece voltare tutti.

Un ragazzo alto, di circa sedici anni, con tanti riccioli neri in testa, si dirigeva a passo spedito verso il patio della struttura principale.

Isabella non potè fare a meno di sorridere a quella visione e gli andò incontro.

-LAU!!!- per poi abbracciarlo.

Lui la teneva in braccio e continuava a darle infiniti baci sulle guance. Lei non solo se li lasciava dare, ma li ricambiava. Erano molto intimi pensò Edward con un moto di gelosia. Una mano posata sulla sua spalla, gli fece distogliere lo sguardo da quella visione. Suo fratello gli fece no solo con la testa, ma lo sguardo era sereno.

Isabella accompagnò il ragazzo sotto la tettoia del patio.

-Vi presento Laureant Noth. Un grande amico.- disse lei tutta euforica.

Gli altri lo salutarono cordialmente.

-Ma sei sempre più alto ragazzo!- la voce di Charlie li fece girare tutti.

-Zio Charlie!- e si abbracciarono. -E tu sei sempre con più baffi e capelli bianchi!-

-Ragazzino impertinente!- e si riabbracciarono. -Come stai figliolo?-

-Bene zio. E Sue?-

-E' di la. Aspetta che ti veda.-

-Qualcuno ha bisogno di una bella rasata in testa.- la voce di Sue li fece sorridere.

-Zia Sue!- e abbracciò anche lei. -Come me li tagli tu i capelli, non me li taglia nessuno.-

-Provvederemo presto, promesso.-

-Ma che ci fai qui?- chiese Isabella.

-Mamma dice che devo dimagrire. E visto che a Vancouver non c'è niente di simile a questa clinica, mi manda da papà.-

-C'è anche tuo padre?-

-E anche mamma.-

-Buongiorno.-

Chris Noth, il giudice, fece il suo ingresso. Molti si irrigidirono a quella vista.

-Vi presento Chris. -intervenne Isabella. -Che poi è il padre di questo qui.- e si allungò per dare una scompigliata ai capelli del ragazzo.

-Salve Chris.- disse gentile Sue.

-Salve Sue, è sempre un piacere rivederla. Charlie, come sta?-

-Bene Chris, trovo bene anche lei.-

-Chris credo tu ricorda … - abbozzò Isabella.

-Sì. I signori Cullen.- e gli diede la mano. -Il signor Edward.- e diede la mano anche a lui. -E il signor Whitlock.- terminando con un'altra stretta

-Lei è è Alice Cullen.- disse Isabella. -Rosalie Whitlock ed Emmett Cullen. E lui è Alec.-

-Piacere di conoscervi.-

-Salve.- una bella signora dall'accento francese si avvicinò. Era rossa di capelli e molto elegante.

-Vi presento Victoria. La mia ex moglie.- disse Chris. E tutti la salutarono.

-Salve Isabella. Ti trovo bene.-

-Ciao Victoria. Anch'io ti trovo bene.-

Si era creata una certa elettricità tra le due donne, come se dovessero lanciarsi delle saette.

-Buonasera. I signori Noth?- intervenne il dottor Hammond.

-Sì.-

-Se mi volete seguire.-

-A più tardi.- fu il saluto di Chris e di Laureant.


 

Isabella stava andando nel suo ufficio. Aveva lasciato gli altri nella sala mensa a giocare a carte.

-Isy?- lei si girò a quel nomignolo.

-Sì Chri.-

-Posso parlarti?-

-Certo, dimmi.-

-Magari nel tuo ufficio, e se potesse venire anche l'avvocato Whitlock.- lo sguardo di lui non ammetteva repliche.

-Intanto accomodati che lo vado a chiamare.-

Dopo qualche minuto, Isabella e Jasper fecero il loro ingresso nell'ufficio di lei.

-Giudice Noth.- lo salutò Jasper.

-Oggi sono solo Chris, signor Whitlock.-

-Mi chiami Jasper.-

-Ho chiesto di vedervi perchè c'è un problema con Edward.-

-Le relazioni sul suo operato e sul suo comportamento sono positive che io sappia.- intervenne Jasper.

-Sì, ma qualcuno lo rivuole in carcere, con l'accusa di violenza.-

-Cosa?- chiese Isabella.

-Chi?- Jasper.

-Vi dico quello che so. Mi sono state richieste le trascrizioni delle udienze arbitrali. Da quello che ho capito le vogliono usare in aula al processo di Newton e di Chevy e per incriminarli tutti e tre come violentatori seriali.-

-Ma chi?- Jasper ripropose la sua domanda.

-John Dwyne.-

-Non ci posso credere!- esclamò Isabella. -Non mi ha detto nulla. Solo che lo voleva all'udienza.-

-Sta revisionando molte mie sentenze.-

-Perchè? Pensi di averlo favorito?- chiese Isabella.

-No. Anche perchè hai fatto in modo che andasse in carcere. Ma la mia scelta di giudicare solo lui e non gli altri, si vede che non gli è andata giù. E vuole che venga fatto un nuovo processo.-

-Ma a che pro?- chiese Jasper.

-Tra un anno c'è l'elezione del nuovo governatore dello stato.-

-Mira a diventare procuratore generale?- chiese Jasper.

-Sì, e deve far vedere che ha il polso di ferro.-

-Ma perchè Edward?- chiese Isabella.

-Non è mai corso buon sangue tra me e Dwyne da quando sono qui. E il fatto che ritenga che un errore non si debba pagare necessariamente con la galera, a lui non è mai piaciuto. Ho voluto avvisarvi. Per prepararvi e per prepararlo. Farà in modo che vada in carcere, ne sono sicuro.-

-Grazie Chris. Veramente.- disse Isabella.

-Mi raccomando, state attenti. Devo andare, mi aspettano.-

-Ti accompagno. Jasper mi puoi aspettare solo un minuto qui per favore?-

-Certo.-


 

-Chris … io … -

-Mi hai già ringraziato piccola.-

-Lo sai che non è quello che volevo dirti.-

-Lo so, ma dire altro non farebbe che aumentare la voglia di abbracciarti e dirti che sono felice per te.-

-Come fai ad esserlo?-

-Perchè hai gli occhi lucidi quando lo guardi. Uno sguardo che non hai mai avuto con me. Non ti sto accusando di nulla. Ci siamo lasciati prima di tutto questo.-

-Chris, ti ho amato veramente.-

-Sì, ma di un amore diverso da quello per Edward. Non fartelo portare via, e comunque non arrenderti subito se lo facessero. Ok?-

-Grazie Chris.- Isabella aveva gli occhi lucidi.

-No, piccola. Odio vederti piangere. Lo sai.- e si abbracciarono. -Per qualunque cosa, chiedi pure. Dove posso, ti aiuterò.-

-Ti voglio bene e te ne vorrò sempre.-

-Sii felice.- e le diede un bacio per poi uscire dalla porta principale.


 

Quando si girò per tornare da Jasper, notò Edward fermo sulla soglia della sala mensa.

-Edward?- disse mentre lui le si avvicinava

-Era con lui che vivevi a Vancouver?-

-Sì.-

-Ed ora?-

-Ora ci sei tu.-

Edward guardò un momento in giro e quando capì che erano soli, la baciò.

-Torniamo dagli altri?-

-Sbrigo una cosa e poi sono da voi.-

-A dopo.- e le diede un bacio a stampo.


 

-Jasper, che facciamo?-

-Ti fidi delle parole di Noth?-

-Sì. Ha sempre avuto intuito per queste cose. Se dice che cercheranno di mandarlo in carcere, ci proveranno.-

-Dovremmo dirlo ad Edward.-

-E ho bisogno di indagare su tutta questa faccenda. Mi sembra strano che Dwyne non mi abbia detto niente sapendo che avevo condotto l'interrogatorio d'accusa.-

-Ok, ma come procediamo?-

-Fino a lunedì non posso parlare con nessuno. Ma con Edward dobbiamo dirlo ora o al massimo domani.-

-Sì, ma domani. Farlo preoccupare già ora non lo trovo giusto. Comunque se ti chiede qualcosa, puoi dirgli quello che ritieni più opportuno.-

-Già, ci chiederanno cosa ci siamo detti.-

-Facciamo i vaghi. Stasera comincio a fare qualche telefonata per scoprire già qualcosa e poi domani ci aggiorniamo.-

-Bene. Andiamo di la.-


 

-Hai gli occhi rossi.- le fece notare Edward quando uscì dal bagno con il solo accappatoio addosso. -Hai pianto?-

-No, mi è entrato un po’ di shampoo negli occhi.- rispose lei abbracciandolo per nascondere poi il suo viso nel suo petto così che non notasse l’angoscia per quello che lei sapeva.

Lui la prese di peso e la depositò a sedere sul tavolo della cucina. -Uhm … mi piace il tuo odore dopo la doccia. Sai di fiori e di frutta.- le disse percorrendo con il naso il profilo laterale del suo viso fino al collo, andata e ritorno.

Lei riuscì a catturare le sue labbra e cominciò a succhiargli il labbro inferiore. Lui rispose al bacio facendole allargare le gambe così da posizionarsi fra di loro. La prese per le natiche e la spinse verso il suo corpo dove lei sentì qualcosa di duro che la fece gemere d’eccitazione.

-Edward?- sussurrò roca lei.

-Uhm?- rispose lui sul suo collo dove stava lasciando una serie di umidi baci infuocati.

-La porta.- riuscì a soffiare.

-Chiusa a chiave.- e bloccò ogni altra parola avventandosi sulle labbra.

Il gesto fece sì che lei gli allacciasse le gambe ai fianchi e lui si sporse in avanti, facendola sdraiare sul ripiano del tavolo. Continuarono a baciarsi fin tanto che le mani di lei non si intrufolarono tra i loro corpi riuscendo a sbottonare i jeans di Edward.

-Cazzo!- disse lui quando sentì le mani di Isabella intrufolarsi nei boxer.

Edward fermò le mani che lo stavano eccitando e guardò Isabella negli occhi. Lei non capiva perché lo avesse fermato ma lui le sorrise e le diede un bacio sul naso. Poi la prese in braccio facendola alzare dalla tavola e se la portò in camera depositandola sul letto. Si districò dalle sue gambe e si allontanò solo il tempo necessario di andare in bagno a prendere la scatola di preservativi.

Mentre tornava in camera, ne scartò uno e lo indossò. Adesso lo sguardo di Isabella non era più inconsapevole, ma anzi molto malizioso. Tant’è che lo prese per la maglietta e se lo attirò sopra. Lui non oppose certo resistenza, ma aprì l’accappatoio della ragazza e si posizionò fra le sue gambe. Le prese una gamba e la sollevò oltre il suo fianco e baciandola le entrò dentro in un colpo solo. Per tutto il tempo dell’amplesso, le loro bocche non si separarono mai. Quando raggiunsero il culmine, bocca nella bocca, gemettero forte insieme e poi rimasero così, abbracciati senza voler uscire uno dall’altro.

-E se domani ce ne andiamo?- chiese Edward di punto in bianco.

-Come?-

-Domani potremmo andare via per conto nostro. Solo io e te. Magari andiamo a fare un giro in spiaggia a Port Angeles.-

-Non credo che mi potrò allontanare domani. Dovrebbero venire altre persone a vedere la clinica. Se Jake ha bisogno, preferisco essere nei paraggi.-

-Giusto.- ed uscì da lei per sdraiarsi al suo fianco. Rimasero in silenzio per un po’.

-Sapevi che sarebbe venuto il giudice oggi?-

-No. So solo che in questi giorni sarebbero venuti nuovi probabili ospiti.-

-Così tu e Noth stavate insieme.-

-Sì.-

Edward si girò su un fianco per guardarla.

-Ok. Che vuoi sapere?-

-Tutto.-

-Siamo stati insieme per circa tre anni quando sono andata a vivere a Vancouver. Poi lui ha avuto l’offerta di diventare giudice ed è venuto qui. Mentre io sono rimasta in Canada.-

-Come vi siete conosciuti?-

-Era uno dei miei professori all’università. Poi l’ho perso di vista quando sono andata a fare la specializzazione all’UCLA. Quando mi trasferii a Vancouver perché avevo trovato lavoro, lo rincontrai. E poi avemmo una relazione.-

-Ti è sempre piaciuto?-

-E’ un uomo affascinante. Ha attenzioni particolari con tutti ed è molto intuitivo sui caratteri delle persone. Ha una mente brillante e con lui puoi parlare di tutto, dalla politica alle scarpe. Quando stavamo insieme, gli piaceva accompagnarmi a fare shopping e il suo gusto era impeccabile. E’ un po’ un uomo d’altri tempi, che ti apre la porta per farti passare e ti sta vicino senza soffocarti. Mi ha sempre lasciato libera di fare le mie scelte lavorative e non.-

-Lo hai amato?-

-Molto. E poi adoravo suo figlio. Quando vivevamo nella stessa casa, Laureant era praticamente sempre con noi. Ero un po’ la sorella maggiore e di questo Chris non ha mai avuto da ridire perché non mi sono mai atteggiata a matrigna.-

-Ma quando sei tornata a Seattle, vi siete rivisti?-

-Sì, è stato lui a fare il mio nome per le acquisizioni che seguivo all’inizio che sono tornata. Ci siamo rivisti per delle occasioni ufficiali ma nulla di più.-

-Se suo figlio viene qui, vi vedrete spesso.-

-Direi di sì. Ma non siamo più una coppia.-

-Sei sicura?-

-Fai il geloso?-

-No … cioè non ne ho motivo giusto? Non siamo neanche noi una coppia.-

-Sai che ogni tanto sei proprio uno stronzo!- disse Isabella dopo aver riflettuto sulle sue parole.

-Perché?-

-Ok, hai il neurone sveglio?-

-I miei neuroni sono svegli!-

-Certo, come no! Quindi insinuare che venga a letto con te solo per divertimento, è un discorso da uomo con tutti i neuroni funzionanti?!-

-Non so cosa fai quando non sei qui con me.-

-Ahhh!!! Rettifico. Mezzo neurone Cullen, mi spieghi perché dovrei scoparmi altri uomini oltre a te?-

-Perché sei una bella ragazza.-

-Ok. Ma ancora non mi hai risposto.-

-Perché sei una bella ragazza e ci saranno molti uomini che cercheranno di sedurti.-

-Specifica meglio.

-Perché sei una bella ragazza e ci saranno molti uomini che cercheranno di sedurti quando esci la sera con le amiche che hai a Seattle.-

-E questa è una giustificazione per andare a letto con altri?-

-No.-

-Quindi?-

-Sono un idiota?-

-Direi di si.- e scoppiò a ridere.

-Prima mi dai del mezzo neurone e poi ridi?- Edward era sconcertato.

-Preferisci che faccia l’offesa e vada in camera mia?-

-No.-

-Ecco, quindi prenditi i meritati insulti e stai zitto. Anzi baciami!-

E lui si fiondò sulle sue labbra.

Rifecero l’amore quella notte, altre due volte. E non parlarono più di altro.


 

Edward si svegliò nel cuore della notte. Aveva Isabella abbarbicata sul suo corpo. Era piacevole il calore che sentiva. Gli sarebbe piaciuto sentirlo sempre. Rifletté su come comportarsi con lei. La voleva e lei voleva lui. Ma ora lui voleva di più. La voleva come compagna e glielo avrebbe chiesto presto.

Si chiese se avrebbe accettato o quali obiezioni avrebbe mosso per dirgli di no.

In quel momento, in quella notte di fine ottobre, non era in grado di prometterle un futuro come uomo. Non aveva un titolo di studio e né un lavoro. Mentre lei era una professionista affermata. Forse poteva tornare all’università e prendere una qualche laurea oppure imparare un mestiere. In fin dei conti non c’era nulla di male a fare il giardiniere o il meccanico. Ma lei si sarebbe vergognata di dire poi ai suoi colleghi principi del foro: “questo è il mio ragazzo e fa il giardiniere”?

Che lui ricordasse, non era una che badava molto alle apparenze. Ma come aveva più volte sostenuto, erano cambiati. Magari ora ci teneva o forse si sarebbe sentita in imbarazzo a farsi vedere con lui.

Senza pensarci oltre, decise di svegliarla. Prima delicatamente con qualche carezza, poi con più vigore, con baci sparsi sul capo.

-Uhm … - protestò lei.

-Sei sveglia?-

-No!- ed Edward rise a quella risposta.

-Spero che mi hai svegliato per una sessione di sesso selvaggio.- ribattè Isabella

-Come sei venale!-

-Stavo sognando di fare sesso. Ovvio che mi sono svegliata con la voglia.-

-Non ti ho svegliato per fare sesso, ma se vuoi possiamo provvedere.-

-E perché mi hai svegliato? E’ presto per alzarsi!-

-Devo chiederti una cosa.-

-Dammi due minuti.- e si spostò dal suo corpo.

-Perché te ne vai?-

-Perché siamo nudi. Come posso concentrarmi su qualcosa di diverso dal tuo corpo nudo se ti sto vicino?-

-Ok, te lo concedo.-

-Dimmi.-

-Ritorniamo ad essere una coppia?-

Isabella non rispose perché colta di sorpresa. -Edward … Io …. -

-Ho riflettuto. Capisco che per te può essere un problema stare con me. Non posso garantirti un futuro e poi ora sono anche nei guai con la legge. Ma quando sarò di nuovo libero, mi cercherò un lavoro che ci possa permettere di stare insieme. Certo, non sarò un medico o un ingegnere, ma sarà un lavoro onesto.-

-Non è questo il problema.-

-Allora non ti fidi? Capisco che fino a non molto tempo fa mi sono sempre comportato da idiota, ma ora, da quando sei rientrata nella mia vita, sto cercando di cambiare per essere un uomo migliore anche per te.-

-Edward è tutto ammirevole …-

-Ma?-

Isabella accese la luce. -Vuoi prima la notizia bella o quella brutta?-

-Bella.- disse lui sedendosi e coprendosi con il lenzuolo.

-Ok.- disse lei facendo altrettanto. -Mi farebbe piacere ritornare con te. E’ vero che sei cambiato in questo periodo e mi piaci molto. Sei quasi il ragazzo di cui mi innamorai al liceo. Non mi importa se hai problemi con la legge, perché li stai risolvendo. E non mi importa se l’uomo con cui condividerò il resto della vita sia un medico o un giardiniere.-

-Quindi ti va se ritorniamo assieme?-

-Sì- e dopo Edward la prese tra le braccia per poi baciarla.

-Qual è la notizia brutta?- chiese Edward tenendola ancora tra le braccia.

Lei si staccò e si rimise a sedere. -Volevo aspettare a dirtelo domani quando ci sarebbe stato anche Jasper. Hai presente che dovrai venire a Seattle per il processo?-

-Sì.-

-Secondo Noth, Dwyne cercherà di farti tornare in carcere.-

-Perché?-

-Per una questione politica.-

-Quindi tornerò in carcere?-

-Se Noth ha ragione si. Domani con Jasper decideremo il da farsi.-

-Perché non me lo hai detto subito?-

-Perché non sapevo come affrontare il discorso. E poi senza essermi informata, non volevo subito pensare al peggio. Spero che Jasper domani ci sia più di aiuto.-

-Domani ne vorrei parlare anche con i miei familiari.-

-Certo.-

-Ho bisogno di stare un po’ da solo.- e si alzò dal letto. Dopo poco Isabella sentì la porta di casa aprirsi.

 

Domenica. Clinica.

 

La colazione passò tranquilla anche se Edward era taciturno. Lo era da quando si erano alzati.

Verso le 10 arrivò la famiglia Cullen. Edward si avvicinò a Jasper e gli chiese se poteva parlare davanti a tutti. Jasper acconsentì e si accomodarono nella casetta.

-Edward.- esordì Jasper quando si furono tutti accomodati. -Credo sia il caso di mettere al corrente tutti.-

-Si.- soffiò mesto.

-Che succede?- chiese subito Esme apprensiva.

-Con Isabella, ieri abbiamo avuto modo di parlare con il giudice Noth. Ci ha avvisati della possibilità che Edward ritorni in carcere.-

-Perché?- chiese Carlisle.

-In realtà per una questione politica. Sta girando la voce che Dwyne voglia diventare procuratore generale dello stato. Quindi sta rimettendo in discussione alcune sentenze. Una di queste è quella che vede coinvolto Edward. Da quello che ho saputo, sta puntando molto sulla sicurezza che poi è uno degli argomenti più sentiti in periodi elettorali.-

-Ma perché Edward?!- chiese Esme.

-Semplicemente vuole che venga giudicato da una giuria. Se poi la giuria convaliderà la sentenza di Noth, non ci sarà nessun problema. Ma se la giuria lo giudica più severamente, lui ci farà una figura migliore.-

-Isabella non ne sapevi nulla?- chiese Esme

-No. Sapevo solo che lo voleva al processo. Il resto l’ho scoperto solo ieri.-

-E cosa pensate di fare.-

-Sto revisionando la sentenza per vedere se Dwyne si può attaccare in qualche modo. Voglio essere pronto a controbattere.-

-Secondo me non devi fare nulla per ora.- disse Edward.

-Come?- chiese Jasper.

-Tesoro! Rischi di tornare in carcere!- Esme.

-Lo so mamma. Ma se in aula cercate subito di difendermi, siete sicuri di ottenere l’effetto desiderato? Dwyne non sa che noi sappiamo, ma se provate a controbattere, capisce che siamo stati avvisati. Non è meglio aspettare? Perchè non è detto che ci provi e che comunque richieda di rinchiudermi.-

-Potrebbe chiedere un aggravio di pena, Edward!- disse Jasper.

-Cosa proponi di fare allora? Partire in quarta e difendermi a tutto spiano senza un’accusa precisa!- ribatté Edward.

-Edward ha ragione.- intervenne Isabella. -Se parli, Dwyne chiederà un processo immediato. Invece se richiede una revisione del processo, possiamo chiedere il parere del Gran Giuri.-

-Cioè?- chiese Carlisle.

-Il Gran Giuri è un organo che da il suo parere su qualsiasi questione gli venga sottoposta. Ci sarà Jasper, ci sarà Dwyne e ci sarà anche Edward ad esporre i fatti.- specificò Isabella. -Nell’attesa del parere, Edward continuerà a vivere alla clinica e solo se ci sarà un parere negativo, si andrà al processo. Nel frattempo però si può chiedere una sospensione della pena o la revisione della sentenza. Dobbiamo solo trovare il modo di prendere tempo.-

-Ok. Però valutiamo anche la peggiore delle ipotesi.- disse Jasper. -Se Dwyne richiede l’immediata carcerazione, e il giudice accetta, che facciamo?-

-Isabella deve restare allo studio.- disse Edward.

-Perché?- disse Jasper.

-Per avere qualcuno che lavora da dentro.-

-Non credo sia possibile.- disse Isabella. -Sicuramente Dwyne farà in modo di tenermi lontana, è per questo che ci tiene molto che vada a New York. Sa della sentenza di affidamento. Penserà ad una nostra relazione o comunque ad un coinvolgimento emotivo e lo potrebbe usare come motivo per ricusarmi se mi intrometto. Mi dispiace, ma non posso fare da spia.-

-Quindi rischio di andare in carcere?- chiese Edward.

-Si. Soprattutto se decidiamo di difenderti dopo.-

-Isabella?- chiese Esme. -Ti fidi delle parole del giudice Noth?-

-Sì, mi fido.-

-Edward sta a te scegliere.- disse Jasper.

-Facciamo finta di nulla. In base a quello che succede, deciderete come difendermi.- disse Edward dopo averci riflettuto.

-Va bene.- rispose Jasper.

 

Non fu una bella domenica. Nel primo pomeriggio i Cullen se ne ritornarono a Forks. Isabella si accordò con Jasper per sentirsi nel corso della settimana.

-Ti va di venire domani a Seattle con me?- chiese Isabella quando erano a letto dopo aver fatto l’amore.

-Perché?-

-Potremmo stare insieme questa settimana.-

-Preferisco di no.-

-Ma … -

-Se torno in carcere, voglio finire la serra in tempo.-

-Ho paura di perderti.- e lo abbracciò.

-Non mi perderai. Non ho intenzione di lasciarti.-

Il silenzio piombò tra loro. Il sonno tardò ad arrivare per entrambi. La mattina successiva li vide protagonisti di un saluto veloce.

Isabella ripartì alla volta di Seattle ed Edward ritornò alla serra.

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Capitolo 27
*** Capitolo 27 ***


I miei propositi di postare due volte alla settimana sono andati a farsi benedire con i primi caldi. Purtroppo non ci riesco a mettermi davanti al pc con questo caldo e non ho neanche il condizionatore in casa.

Buona lettura e al prossimo capitolo, anche se non so quando sarà!

 

CAPITOLO 27

 

Pov. Edward

 

Sabato.

 

Rischiavo di tornare in carcere. E non perchè avessi commesso qualche reato.

No. Stavolta no.

Era per una questione politica. Che poi, cosa voleva dire questione politica? E perchè io?

Non avevo chiesto a Bella dettagli, ma mentre parlava aveva il tono convinto di chi crede in quel che dice. E le credevo quando diceva che forse sarei tornato in carcere.

Obiettivamente, forse meritavo una punizione più severa. Eravamo io, Ben e Mike quella sera. Se riflettevo sul fatto che non ero stato giudicato come lo sarebbero stati loro, per un verso potevo trovarlo giusto. Ma forse dovevano essere gli avvocati di Ben e Mike a chiedere che fossi giudicato come loro. Dwyne poteva contestare la sentenza di Noth subito e non dopo tre mesi!

 

Poi c'è Isabella.

La mia Bella.

La donna che amo e che ho sempre amato.

E che credo mi ricambi, anche se ancora non ce lo siamo detti.

 

Quello che mi spaventa è il tempo. Ora abbiamo tempo per noi, per conoscerci. Ma se torno in carcere, non ne avremo più a disposizione.

 

Poi ho paura che lei se ne vada.

Anche se diventa socia, dovrà girare per il suo lavoro. Non posso certo impedirglielo.

Ho una fottutissima paura che ripasseranno altri dieci anni prima di rivederla. Che conosca qualcuno che me la porti via.

 

Ma perchè a me?

 

Domenica.

 

OK.

Ho capito perchè è una questione politica. Ma dobbiamo agire d'astuzia e giocare d'anticipo.

Ho detto a tutti che dobbiamo fare finta di non sapere.

L'idea di Bella e del Gran Giuri mi rassicura.

Ma la vedo preoccupata.

 

Povero amore mio! Credo che anche tu sia giunta alla mia stessa conclusione. Dwyne vorrà che sia tu ad interrogarmi. Così salterà fuori la nostra relazione e potrà usarla per i propri scopi. So che sarebbe meglio lasciarti andare, ma non ci riesco. Ma forse devo abituarmi a non averti più nella mia vita, accanto a me nel letto, magari nudi dopo aver fatto l'amore. Ecco perchè non ho accettato di venire con te a Seattle questa settimana. Sarebbe stato come dirti addio, e io non voglio dirti addio. Non te l'ho detto dieci anni addietro, non ho intenzione di dirtelo ora.

 

E poi voglio realmente finire la serra. E' il mio orgoglio quel luogo. Ho trovato una cosa che mi piace fare nella vita. Ogni tanto ho sognato come sarebbe avere una serra tutta mia. Mi piacciono le piante e so di essere bravo. Potrei diventare un bravo giardiniere.

Chissà! Forse ho trovato il mio posto nel mondo.

 

E spero di avere la mia Bella con me.

 

Venerdì. Seattle.

 

Isabella ed Edward si erano sentiti più volte quella settimana; anche più volte al giorno.

Isabella, mentre era in auto e stava andando alla clinica, si sentiva il cuore pesante.

Sopratutto dopo la conversazione con Dwyne avuta proprio quella mattina.

 

-Signorina Swan, si accomodi.- le disse Dwyne dopo averle chiesto di raggiungerlo nel suo ufficio. -Si chiederà perchè l'ho fatta venire qui dopo la riunione dello staff.-

-In effetti, si.- rispose tentando di essere il più sincera possibile.

-So che martedì c'è la prima udienza del caso Stanley. Pensa che Banner se la possa cavare da solo?-

-Direi di sì, anche se i contatti con Hobbs li ho tenuti esclusivamente io.-

-Capisco.- disse Dwyne. Stettero zitti mentre questi rifletteva. -C'è l'udienza della signorina Weber quel giorno.-

-Lo so e mi dispiace non poter partecipare.-

-Cullen ci sarà?-

-Sì. Verrà accompagnato dal suo avvocato.-

-Avrei voluto averla in aula con me martedì.- disse Dwyne prendendola alla larga.

-Non credo sia possibile. Se non sbaglio gli orari delle udienze si sovrappongono e non so se siamo in tempo a chiedere uno spostamento. Perchè?-

-Vede, … credo che Cullen debba essere giudicato come i suoi amici.-

-Vuole chiedere una revisione del processo?-

-Esatto.-

Stettero nuovamente in silenzio studiandosi a vicenda.

-Non mi ha chiesto perchè voglio una revisione del processo.-

Isabella alzò le spalle. -Avrà le sue buone ragioni.-

-Ma se dovesse ritornare in carcere … -

-Che Cullen sia in carcere o sconti la pena alla clinica, a me non fa differenza.-

Dwyne la guardò ancora. -Bene. Me ne occuperò da solo.-

-Se non c'è altro, me ne andrei.- e si alzò.

-Certo.- e quando Isabella stava per uscire: -Signorina Swan?-

-Sì?-

-Vorrei che questa conversazione rimanesse tra noi. La discrezione è tenuta in grande considerazione tra i futuri soci.-

-Mi sta minacciando?-

-No, la sto avvisando.-

-Bene. Arrivederci.- ed uscì.

 

Come avrebbe potuto ora affrontare questo discorso con Edward? Doveva dirglielo perché le sue sensazioni erano pessime.

Trovava orribile basare la loro relazione su delle sensazioni, ma proprio perché teneva moltissimo ad Edward non riusciva a ragionare in modo più obiettivo.

Ma gli doveva parlare. Anche di quello che gli aveva detto Dwyne. E doveva anche dirlo a Jasper.

Si fermò sul ciglio della strada. Guardò davanti a sé senza guardare nulla in particolare. Svuotò la testa da qualsiasi pensiero. Aveva bisogno solo di un momento di stand-by.

Il suo cellulare suonò ridestandola dal suo torpore. Una veloce occhiata al display: Edward la chiamava. Sorrise al pensiero di quante volte si sentivano al giorno. E quando sapeva che lei si recava alla clinica, lui la chiamava più spesso. Era sempre in apprensione quando si doveva spostare da Seattle, e voleva sapere tutti i suoi spostamenti da quando usciva dall’ufficio, a quando entrava al centro commerciale, a quando percorreva l’autostrada. Era tenero e un po’ asfissiante al tempo stesso. Ma lei sorrideva ogni volta che lo sentiva e gli chiedeva a che punto era perché voleva che fosse da lui presto, cosa che anche lei voleva.

-Ciao!- cercò di essere serena nel salutarlo.

-Ciao! Dove sei?-

-Sono per la strada, appena fuori Port Angeles.-

-Quindi tra poco sarai qui con me!?-

-Si.-

-Hai cenato? Vuoi che ti prepari qualcosa?-

-No, non ho fame.-

-Cosa c’è che non va?-

-Niente! Perché?-

-Sei una pessima bugiarda. Non sei migliorata negli anni.-

-E dire che gli avvocati sono i migliori bugiardi!-

-Tu sei un bravo avvocato, ma sei ancora incapace di mentire. Cosa ti preoccupa?-

-Ne parliamo quando arrivo.-

-Va bene, non insisto. Ci vediamo tra poco.-

-A tra poco.-


 

Isabella restò ancora ferma in auto per un po’. “Non fartelo portare via” le aveva detto Chris. “E se lo fanno combatti”. Avrebbe fatto questo. Avrebbe combattuto per il suo amore.


 

Ripartì con una ritrovata consapevolezza di cosa voleva. Ed Edward era ciò che voleva.

Quando arrivò alla clinica, parcheggiò davanti alla casetta. Ne uscì Edward tutto sorridente. Lei gli corse incontro gettandosi praticamente tra le sue braccia. Dopo un momento di smarrimento per questa euforia, le chiese: -Ma non dovevamo stare attenti?-

-Non mi interessa. Voglio che lo sappiano tutti che stiamo insieme.-

Lui non potè far altro che abbracciarla e stringerla forte forte. Gli batteva forte il cuore a quelle parole che lo riempirono di profonda gioia.

-Vieni dentro che fuori fa freddo.- le disse amorevolmente.

E lei gli prese la mano per farsi condurre al calduccio della loro casetta.


 

La serata di venerdì la passarono solo loro due, accoccolati sul divano davanti ad un film trasmesso alla televisione. Non parlarono per nulla, le loro bocche troppo impegnate ad unirsi. Poi furono le loro mani ad unirsi e a dividersi per cercare di spogliarsi a vicenda. E quando si trovarono sul divano, nudi e ansanti, furono i loro corpi ad unirsi.


 

Isabella si svegliò sentendo il calore di Edward sulla sua schiena. Dormiva placidamente tranquillo tenendole un braccio sui fianchi e l’altro sopra la testa. Non erano più sul divano, ma bensì nel letto di lei. Si chiese quando ci erano arrivati ma non le importava poi tanto. Ripercorse la serata appena trascorsa e al pensiero di quello che avevano fatto, un languorino la percorse tutta. Si chiese come fargli capire della nascente voglia e si ricordò di quella mattina in cui si svegliarono a casa Cullen. Sorrise al pensiero che questa volta non ci sarebbero stati Emmett ed Alice ad interromperli e soprattutto erano nudi.

Delicatamente prese la mano di Edward e la portò lentamente fra le cosce. Sempre con lentezza la spostò verso l’alto ad arrivare al bacino. Quando ci arrivò, iniziò a muovere la mano di lui avanti e indietro sulla sua intimità. Era già bagnata, ma il fatto che stesse muovendo la mano di lui, la fece bagnare ulteriormente. Chiuse gli occhi per assaporare quel momento di piacere. Qualcosa di caldo e umido le baciò la base del collo, mentre qualcosa di caldo si stava indurendo dietro la sua schiena.

Lasciò la mano che ora si muoveva da sola, accarezzandola, e sentiva i suoi umori che venivano sparsi con un movimento circolatorio per tutta la sua intimità.

Cominciò a gemere sempre più forte. Prese tra le mani il membro di Edward massaggiandolo. Anche Edward iniziò a gemere. Quando stava per raggiungere l’orgasmo, Isabella fermò il suo massaggio e si concentrò solo sul suo piacere che la scosse. Edward rallentò le carezze lasciando che lei si rilassasse e poi lei lo fece sdraiare supino per poi salirgli sopra.

Quella fu una notte di pura passione.


 

Sabato. Clinica.


 

Edward si svegliò per primo e si soffermò a guardare Isabella dormire. Il lenzuolo le copriva solo le gambe. Aveva un fisico stupendo pensò, anche con quelle cicatrici. Riflettè che in quel momento non costituivano più nessun ostacolo fra loro.

Decise di alzarsi; per quanto gli sarebbe piaciuto stare tutta la mattina così, nudi, da soli in casa, li aspettava comunque una giornata di lavoro. Si diresse di conseguenza in bagno per farsi una doccia.

Mentre era sotto il getto dell’acqua immaginò che Isabella entrasse nel box doccia a fargli compagnia … “basta se no oggi non vado al lavoro” pensò poi.

Quando ritorno in camera dopo essersi fatto la doccia, in accappatoio:

-Giorno … - mugugnò Isabella con gli occhi ancora chiusi.

-Giorno a te.- e le si avvicinò per darle un bacio sulla nuca.

-E’ già ora di alzarsi?-

-Per me si.-

-Allora lo è anche per me.-

-Ti aspetto per andare insieme in mensa?-

-Si grazie.- e si sporse per baciarlo sulle labbra.


 

Quando entrambi furono pronti per andare, si guardarono intensamente negli occhi senza parlare.

-Il rito della mattina?- chiese lei speranzosa.

-Senza non potremmo uscire di casa.-

-Allora farò un po’ la preziosa … così possiamo restare ancora solo noi due.-

Lui le si avvicinò sorridendo maliziosamente. -Ad una sola condizione però.-

-Quale?-

-Se ci vengono a cercare, facciamo finta di non esserci.-

-Ci sto.-

E si avventarono uno sulle labbra dell’altro.


 

Sabato mattina. Clinica. Serra.


 

Edward era impegnato a sistemare alcune piattaforme che sarebbero poi servite per mettere a dimora le piante.

-Ci devi dire qualcosa?-

Sobbalzò quando sentì la voce di Jake che lo interrogava. Nel girarsi, oltre a Jake, c’erano anche Embry e Paul. Lui li guardò prima spaventato e poi divertito.

-Dipende da cosa volete sapere.-

-Siete una coppia?- chiese Embry

-Sì.-

-Hai intenzione di farle del male?- sempre Embry.

-Ho intenzione di renderla felice.-

-Falle del male solo una volta, e te la vedrai con noi!- lo minacciò Paul.

Edward lo guardò ad occhi sgranati.

-Ti ricordi quando ti dissi che lei aveva delle guardie del corpo e tu no?- gli chiarì Jake.

-Voglio solo che sia felice. E io sono felice quando siamo insieme.-

-Vi teniamo d’occhio.- disse Paul.

Ed uscirono lasciandolo da solo nella serra.


 

Sabato mattina. Clinica. Area uffici.


 

-Isabella?- disse Emily entrando nel suo ufficio.

-Dimmi.-

-Hai per caso il regolamento sotto mano? Ho un dubbio.-

-Si, ce l’ho qui.- e lo estrasse da un cassetto.

-Mi controlli se c’è qualcosa a proposito fra rapporti tra il personale?-

-Rapporti?-

-Sì, rapporti sentimentali.-

-Emily … -

-Avrei preferito che me lo dicessi, e non capirlo perché avete gli occhi da pesce lesso quando vi guardate. E poi quel succhiotto sul collo!-

Isabella si alzò la maglia per nasconderlo. Non se n’era accorta.

-Da cosa l’avete capito?-

-Te l’ho detto. Dagli sguardi che vi lanciate. In questi mesi sono andati dalla simpatia, all’amore, alla passione. Direi che siete il pettegolezzo preferito, e non solo della nostra tavolata.-

-Cercheremo di essere più discreti.-

-E chiudete le finestre quando fate sesso. Vi si sente!-

-Oh no!- disse Isabella diventando tutta rossa.

-Allora diventiamo zie?- disse Rachel entrando anche lei.

-No.-

-Uffa! Mai una soddisfazione!-

-Ma com’è stare con Edward?-

-Molto romantico.-

-Qualche dettaglio piccante?-

-No! Non vi dico niente! Andatevene che devo lavorare!-

E ridendo, Rachel ed Emily uscirono.


 

Sabato sera. Casetta.

 

-Che fai?- chiese Edward notando che Isabella si rimirava allo specchio.

-Sai che mi hai fatto un succhiotto sul collo?-

-Davvero?-

-Guarda!-

-Uhm … direi che è proprio un succhiotto.- e le diede un bacio sul punto rosso.

-Edward … così mi distrai … -

-E' la mia intenzione … -

-Aspetta!- e tentò di allontanarlo.

-Perchè?-

-Oggi ho avuto un colloquio con Rachel ed Emily. Siamo un po' rumorosi; assicuriamoci prima di aver chiuso tutto in casa.-

-E io ho ricevuto minacce di morte da parte di Jake, Embry e Paul.-

-Dovremmo trasferirci, così accontentiamo tutti.-

-Lo sai che sono confinato qui per due anni.-

-Però mi devi seguire quando non lavoro … e per caso domani non devo lavorare … -

-Dove andiamo?-

-Andiamo a casa mia a Seattle.-

-Adesso?-

-Perchè no? Il tempo di avvisare che domani non ci siamo. E comunque domani dovremmo partire.-

-Andiamo ad avvisare?-

-Andiamo.- e si presero per mano.

 

DRIN DRIN DRIN DRIN

Il cellulare di Isabella prese a suonare mentre stavano preparando le loro cose prima di partire per Seattle.

-Pronto?-

-Amica degenerata!-

-Ciao Alice. Come stai?-

-Benissimo! Sto preparando un omicidio.-

-Che ho fatto stavolta?-

-Venite a Seattle e non ci dite niente!-

-Alice abbiamo poco tempo.-

-Una cena in famiglia non rovinerà le vostre sessioni di sesso selvaggio.-

-Alice, aspetta … -

-Domani sera. A casa nostra. Ci siamo tutti. Puntuali alle sette.-

-Se dico di no.-

-Ti uccido. E poi uccido Edward.-

-Va bene. A domani.-

-Ottimo.- ed Alice riattaccò.

 

-Alice?- chiese Edward quando vide Isabella riporre il suo cellulare.

-Si. Aggiungi Alice alle minacce di morte. Domani sera siamo da lei a cena.-

-Ma fino a domani sera, siamo solo noi?-

-Si, siamo solo noi.- e si baciarono.

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Capitolo 28
*** Capitolo 28 ***


Ciao a tutte!

Vorrei scusarmi con tutte per non aver mantenuto le promesse fatte. Ma proprio non ce l'ho fatta: troppo caldo per mettersi al pc e scrivere. E' più forte di me.

Però non sono stata con le mani in mano. In teoria la storia è quasi finita; devo solo trascrivere in word tutto quello che è su fogli sparsi e fare le dovute correzioni.

Abbiate un po' di pazienza e se proprio dovete tirarmi qualcosa, che sia acqua gelata e anche neve se ci riuscite!

Ma tornando al motivo per cui sono qui oggi: NUOVO CAPITOLO!!!

Aspetto le vostre opinioni se vi va.

Baci, Rossellina

 

CAPILOTO 28

 

Domenica. Seattle.


 

Isabella parcheggiò la sua auto davanti al cancello della villetta di Alice e Jasper.

Quando scese, notò che in giardino c’erano Jasper, Emmett e Carlisle che giocavano con il piccolo Alec.

-Ben arrivati!- fu il giubilo di Carlisle quando vide Isabella ed Edward.

Questi ultimi due erano un po’ frastornati da tutta quell’allegria. In fin dei conti erano le prime persone che vedevano da ventiquattro ore. Infatti da quando erano partiti dalla clinica, non avevano più avuto nessun tipo di contatto con nessuno che non fossero loro stessi. Da sabato sera a domenica sera, avevano pensato solo a loro due, a stare insieme nei modi più dolci e rudi, piacevoli e lussuriosi, silenziosi e rumorosi che conoscessero o avessero mai sperimentato.

-Salve a tutti!- rispose Isabella riscuotendosi.

-Ciao!- salutò Edward.

Carlisle aprì loro il cancello.

-Le ragazze?- chiese Isabella già sentendosi fuori posto in mezzo a soli uomini.

-In cucina.- rispose Jasper.

-Vado a salutarle.- propose.

-A sinistra.- le indicò Jasper.

-Grazie.- e si avviò. Mentre entrava in casa pensò che era una bella cosa arrivare a casa dei parenti del compagno e recarsi poi in cucina a fare comunella con le altre donne di casa. Un po’ sessista come discorso, ma romantico concluse.

Non mi hai mai guardato come guardi lui” gli vennero in mente le parole di Chris, l’altro grande amore della sua vita. Non aveva mai immaginato una scena del genere con lui. Ma con Edward sì.

Mentre entrava in cucina realizzò che si sentiva a casa. Come se non si fosse mai allontanata per dieci anni da quelle persone.

-Ciao!- esordì mettendo piede nella grande cucina.

-Ciao Isabella!- la salutarono Alice e Rosalie.

-Salve cara!- disse invece Esme andandole incontro e baciandole una guancia.

-Posso aiutarvi?- disse posando la borsa su uno degli sgabelli della penisola.

-Potresti tagliare le fragole per la macedonia.- le suggerì Esme.

-Mi metto subito al lavoro.-


 

La cena fu tranquilla. Gustarono tutto con voracità. Ci fu anche un piccola simpatica gara fra gli uomini a chi si ingozzava di più di carne alla griglia; naturalmente vinse Emmett.

La quiete prima della tempesta.

-Jasper?- chiese Isabella. -Pensavo di accompagnare Edward da te la mattina di martedì. Ti va bene verso le 8?-

-Perché?- chiese l’interessato.

-Ho un’udienza alle 9 in un’altra sezione del tribunale.-

-Alle 8 va bene. Però domani vorrei rivedere con lui la sua deposizione. Nel pomeriggio ti va bene? O vengo a prenderlo io dal tuo studio?- intervenne Jasper.

-Magari ci vediamo nella pausa pranzo e poi resta con te.-

-Perfetto. Poi ci vediamo con calma verso sera.-

-Io sarei qui che vi ascolto?!?!- tentò di intrufolarsi Edward per dire anche lui la sua.

-Potreste venire sia a pranzo che a cena da noi.- propose Esme non ascoltandolo.

-Non vorrei disturbare.- si scusò Isabella.

-Nessun disturbo cara.- la rabbonì dolcemente Esme. -Pensavo di fare le lasagne.-

-Io ci sono!- disse Alice.

-Anch’io!- le fece eco Rosalie. -Non posso resistere alle tue lasagne!-

-Se la metti così Esme, non posso fare altro che dire di si anch’io!- sorrise Isabella.

-Papà?-

-Si Edward?-

-Perché parlano come se non fossimo presenti?-

-Perché siamo uomini e le donne decidono per noi.-

-Ed è sempre così.- disse Emmett.

Rosalie lo incenerì con lo sguardo e lui la guardò mortificato.


 

Erano ancora seduti a tavola che si stavano gustando il caffè.

-Sai Isabella.- esordì Alice. -Jasper è curioso di sapere da quanto ci conosciamo.-

-Ti fidi a svelare i nostri segreti con lui?- chiese ironicamente l'altra.

-Uhm … - finse di riflettere la prima. -Non saprei … -

-Ma … amore?!- disse Jasper scioccato mentre gli altri sogghignavano. A parte Edward che si sentiva un pesce fuor d'acqua in quella situazione.

-Alice, lo sai che ci sono dei fati che non devono arrivare alle orecchie dei nostri genitori!- disse con fare cospiratorio Isabella.

-Vero! Direi che se parla, poi va in bianco per … qualche mese!- e così dicendo Alice guardò il marito di sottecchi.

-Non voglio sapere nulla!- e Jasper si tappò le orecchie.

Tutti risero ed Emmett gli diede una sonora pacca sulla spalla.

-Ah Jaz!- lo rimproverò questi. -Da quanto conosci Alice? 8? 9anni? E ancora non hai capito quando di prende in giro?!- e scoppiò a ridere.

-Cosa?- chiese incredulo Jasper.

-Vedi caro.- intervenne Esme. -Alice ed Isabella non hanno mai avuto segreti fra loro. E prima o poi li abbiamo saputi anche noi. Il loro modo di metterci a parte delle loro cose era quello di parlarci a tavola come se fossimo dei coetanei a cui raccontavano dei segreti di stato.-

-Ed Emmett era quello che sanciva il patto di segretezza decretando che la riunione era solo per pochi eletti.- terminò Carlisle.


 

Ascoltando quelle parole, Edward realizzò che non conosceva Isabella così come ignorava molte cose della sua famiglia. Non aveva mai passato del tempo con loro seduto a tavola ascoltando le loro vicissitudini.

Si sentiva un estraneo in quel quadretto.

Ma quello che gli faceva più male, era il non sapere nulla di Isabella e della sua vita di adolescente. Lui non c'era. Non sapeva a chi aveva dato il primo bacio, non sapeva chi era il suo cantante preferito o la materia in cui eccelleva a scuola e quella in cui no.

Sapeva di essere stato il primo con cui aveva fatto l'amore, ma non se aveva avuto un ragazzo prima di lui.

Conosceva suo padre; ma sua madre? Di lei sapeva solo quello che gli aveva raccontato qualche settimana prima a villa Cullen.

Non sapeva che lei ed Alice erano così amiche, e che Emmett fosse parte integrante di quell'amicizia.


 

-Hei!- Edward si ridestò dai suoi pensieri quando sentì un calore sulla guancia. Era la mano di Isabella che gliela accarezzava.

Incrociando i suoi occhi, vide solo amore.

-Scusate.- disse alzandosi.


 

Appena Edward si alzò e uscì dalla sala da pranzo, calò il silenzio fra i commensali rimasti.

Carlisle riempì il suo calice e fece lo stesso con quello del figlio e poi uscì anche lui dalla stanza senza proferire parola.

-Che succede?- chiese Emmett con la sua innocenza disarmante.

-Non lo so.- rispose Isabella turbata dal cambiamento repentino dell'umore di Edward.

-Credo si senta di troppo.- rifletté Rosalie.

-Cioè?- chiese Jasper.

-Non ha mai fatto parte di questa famiglia.- spiegò Rosalie.

-Come no?!- protestò Esme. -E' mio figlio!-

-Mi sono espressa male. Lui non ha voluto farne parte tant'è che quando poteva fuggiva dalle vostre cene, dai vostri incontri.- chiarì Rosalie in tono professionale, era pur sempre una psicologa. -Ora è costretto a stare con voi e sta facendo i conti con le sue azioni del passato.-

-Ma gli vogliamo bene!- mediò Alice.

-Ciò probabilmente aumenta il suo senso di inadeguatezza che già prova. Non mi stupirei se si chiedesse perchè, nonostante tutto, voi gli state accanto come se non fosse successo nulla.-

-Cosa potremmo fare?- chiese la madre.

-Parlarvi. Prima o poi dovrete farlo. Anche con l'aiuto di un esterno se può esservi d'aiuto.-

-Alla clinica è seguito da uno psicologo. Vero Isabella?- chiese Jasper.

-Sì, lo stesso che segue anche gli ospiti.-

-Se ha già iniziato un percorso di comprensione di sé, bene. Ma presto o tardi deve fare la stessa cosa anche con voi.-

-Ma se … martedì … - titubò Esme.

-Dipende dal carcere. Molti non hanno fondi per pagare un psicologo interno. Per fortuna ci sono dei ministri di culto di varie religioni che volontariamente si offrono di parlare con i detenuti. In questo caso è tutta questione di fortuna e trovarne uno che ti ascolti realmente e non che ti minacci con le fiamme dell'inferno.-

Stettero nuovamente zitti tutti.

-Noi andiamo dagli altri.- disse Jasper guardando Emmett. Ed insieme uscirono dalla sala da pranzo.


 

Calò il silenzio. Dopo un paio di minuti Jasper si alzò, seguito a ruota da Emmett. E senza dire nulla, uscirono anche loro dalla stanza. Qualche secondo dopo e chi era rimasto in sala da pranzo avvertì la porta d'ingresso chiudersi.

Nella stanza tutte guardavano in basso ed in silenzio, perse nei loro pensieri.-

-Esme … scusami ...- sussurrò Rosalie.

-Non preoccuparti cara. Ho bisogno di sapere cosa aspettarmi. Preferisco essere preparata al peggio.-

-Comprendo il tuo atteggiamento; ma potevo usare più tatto.- si scusò.

-Ti conosco e so che non l'hai fatto con cattiveria.-

-Vado a vedere Alec.- e Rosalie senza aggiungere altro uscì.

-Non è cattiva.- disse Esme a giustificazione della nuora e a beneficio di Isabella.

-Anche se lo sembra.- spiegò Alice. -Ha a che fare con il dipartimento dei minori. E' la psicologa che valuta i genitori. Deve essere “spietata” per garantire la sicurezza dei bambini.-

-Capisco.- rispose Isabella.

Esme si alzò cominciando ad impilare i piatti. In silenzio, Alice ed Isabella la aiutarono.


 

Seattle. Sera. Esterno della casa di Alice e Jasper.


 

-Scusate.- disse Edward alzandosi e guardando a terra. Si diresse alla porta principale ed uscì in giardino. Si toccò le tasche dei jeans in cerca delle sigarette. Non ne aveva; non fumava da quando era stato arrestato. Ma in quel momento ne avrebbe tanto voluta una.

La luce dell'ingresso si accese e poi si aprì la porta. Lui non si voltò per vedere chi si era affacciato ma poco dopo gli si affiancò suo padre e gli porse un bicchiere di vino.

-Mi piace questo barolo.- e Carlisle ne sorseggiò un sorso. -Che ne pensi?-

-Sono uno stronzo … uno stupido stronzo.- gli rispose Edward dopo un paio di minuti a guardar nel vuoto.

-Sì. Su questo siamo in molti ad essere d'accordo con te.-

-Mi sono perso molte cose di voi e di lei.- disse dando voce ai suoi pensieri.

-Eri … impegnato.-

-Vorrei poter tornare indietro.-

-Lo sai che non si può. Puoi solo andare avanti pensando al presente e al futuro e decidendo di viverli diversamente.-

-Ora rischio di non avere più un presente e un futuro. Rischio di perdermi ancora molto di voi e di lei.-

-Qualunque cosa accada, noi saremo con te.-

La porta si riaprì ed uscirono Jasper ed Emmett.

-Le donne stanno sistemando dentro.- disse il primo.

-Ci date una mano a sistemare in veranda?- chiese il secondo.

-Arriviamo.- rispose Carlisle anche per Edward.


 

Gli uomini sistemarono celermente la zona dove avevano cucinato alla griglia. Non parlarono di quello che era stato detto e di ciò che era successo a tavola.

Jasper ed Emmett non menzionarono nemmeno le conclusioni di Rosalie.

Parlarono invece della sera successiva, quando si sarebbero ritrovati all'appartamento di Esme e Carlisle.

Ad un certo punto Jasper e Carlisle si allontanarono per ricoverare il barbeque.

-A mamma piacerebbe averti a casa.-

-Non posso Emmett. Devo scontare una pena e rischio di tornare in carcere tra poco più di un giorno.-

-Però domani potresti dormire da loro.-

-Dipende da Isabella.-

-Ho la sensazione che le piacerebbe augurarti la buonanotte e poi salutarti martedì.-

-Chiederò.-

-Potreste dormire entrambi là. Non sarà come a Forks perché hanno meno camere per gli ospiti. Ma una sistemazione mamma la troverà per tutti.-

-Emm?-

-Sì?-

-Stagli vicino anche per me.-

-Lo farò.-

-Ok. E anche questa e fatta!- disse Carlisle sopraggiungendo con Jasper.

Entrarono in casa e andarono direttamente in salotto dove trovarono le altre che si erano già accomodate a sedere sui divani.

Edward si accomodò di fianco ad Isabella ed ognuno degli altri si sedette accanto alla propria consorte.

-Allora ci vediamo domani a che ora?- chiese Esme sorridendo.

-Verso le 13 dovrei liberarmi.- disse Jasper.

-Più o meno saremmo liberi anche noi a quell'ora.- disse Isabella.

-Ottimo! Vi aspetto per le 13.30.

-Non so dove state!- fece presente Isabella.

-Ti farò da navigatore.- le propose Edward. -E cercherò di fare la voce di Johnny Depp.-

-Wow!- e gli si avvicinò. -Grazie!- e gli strinse una mano.

Lui le circondò le spalle con un braccio e le diede un bacio in fronte.


 

Ancora qualche chiacchiera leggera comodamente seduti in salotto, e venne anche l'ora di salutarsi.

Esme rinnovò l'appuntamento per l'indomani ed ognuno, dopo l'ennesimo saluto, proseguì per la propria strada.


 

Seattle. Domenica sera. Casa di Isabella.


 

In poco tempo raggiunsero l'appartamento di Isabella. C'era poco traffico per le strade e nessuno dei due parlò durante il tragitto.

Fu tutto tranquillo fino a quando si richiusero la porta di casa alle spalle.

Isabella non ebbe neanche il tempo di accendere la luce che Edward la prese di peso e l'appoggiò alla porta avventandosi sulle sue labbra.

Senza obiezioni, lei gli si strinse addosso e ricambiò il bacio con passione e tanta lingua. Le sue braccia andarono a circondargli il collo e si mise in punta di piedi per raggiungerlo meglio. Lui le facilitò l'intenzione tenendola saldamente per i fianchi e dopo un piccolo balzo, gli allacciò le gambe dietro la schiena.

Al bacio, molto approfondito e molto umido, si unirono anche dei gemiti poco velati; se qualche vicino fosse passato proprio in quel momento accanto alla porta dell'appartamento, li avrebbe di sicuro sentiti. “Speriamo non quella dell'appartamento in fondo al corridoio” pensò Isabella, “o domani mi chiamerà l'amministratore.”

Edward si staccò dalla sua bocca per dirigersi all'orecchio sinistro; con solo il respiro le fece venire la pelle d'oca e un gemito più forte le sfuggì dalla bocca.

Le girava la testa in modo molto eccitante e non aveva molta voglia di chiedere ad Edward di andare in camera. Non aveva nessuna intenzione di staccarsi da lui.

Ma non aveva messo in conto la volontà del suo partner.

Infatti si ritrovò sdraiata con lui addosso e lei che continuava a cingergli i fianchi con le gambe. Non si capacitava come fossero giunti sul suo letto, ma ne era contenta, eccitatamente contenta.

Come gli era già capitato, si dovettero fermare per riprendere fiato e per fare il punto della situazione: trovavano terribilmente difficile spogliarsi senza doversi minimamente scostare l'uno dall'altra.

-Sembriamo due adolescenti che hanno fretta per paura di essere scoperti.- disse Isabella.

-Io ho solo fretta di averti per tutta la notte … - precisò roco Edward.

-Maniaco!-

-Colpa tua che sei così eccitante … -

-... e non mi hai ancora vista in guepiere, tacchi a spillo e frusta!-

-Uhm … ti preferisco nuda … - e si rifiondò sulle sue labbra.


 

Gemito.

-Edward?-

Gemito.

-Dopo … - e continuò a baciarle il collo.

Gemito.

-Edward?-

Gemito.

-Shhh … - proseguendo verso l'orecchio.

Gemito.

-Edward … ahhh … wooow … - dopo averle alzato la maglia e intrappolato un capezzolo fra le labbra e averle dato un leggero morso.

Gemito forte.

-Edward … - altra scia di baci dal collo all'altro orecchio

Gemito incontrollato.

-Oddiooo! … - lui che gioca con l'ombelico.

Gemito molto incontrollato.

Con tutta la forza che trovò, Isabella riuscì ad invertire le posizioni.

-Uhm … - disse stavolta Edward.

-Zitto Cullen e ricomponiti!- tentò con voce vagamente autoritaria Isabella.

-Perchè?- chiese lui ricollegando il cervello.

-Perchè … il mio cellulare ha squillato già tre volte … e il tuo mi vibra sulla coscia.- e così dicendo si scostò dalla posizione a cavallo che aveva assunto per riprendere il controllo della situazione. Facendo così, permise ad Edward di sfilare il suo cellulare dalla tasca.

-E' Emmett.- le disse mentre lei gli si sdraiava vicino.

-Che succede?- rispose prontamente Edward.

-E' la terza volta che ti chiamo.-

-Ho lasciato il cellulare in silenzioso.- si giustificò Edward cercando di mantenere il controllo mentre Isabella gli leccava il lobo dell'orecchio.

-Alice sta cercando di parlare con Isabella, anche lei ha il cellulare silenzioso?-

-Non lo so … - Edward cercò di contenere un gemito quando lei gli succhiò il lobo.

-Ti ho chiamato per dirti di domani sera. Hai già chiesto ad Isabella se dormite da mamma e papà?-

-Non ancora.- e si lasciò guidare a stendersi sul materasso spinto dalle mani di Isabella.

-Glielo puoi chiedere ora?-

-Adesso è impegnata … - e guardò lei che gli slacciava i jeans.

-Ok. Comunque ti accenno l'idea di Alice.-

-Certo, dimmi così … riferisco … - e gli fece scivolare jeans e boxer a mezza coscia. Lui la guardava stralunato.

-Fare una specie di pigiama party. Ma i maschietti in salotto con i sacchi a pelo, e le ragazze nella camera degli ospiti con i sacchi a pelo. Che te ne pare?-

Edward era molto concentrato a non farsi scappare nulla dalla bocca. Isabella era impegnata a leccargli tutto il membro dalla base alla punta e a succhiarlo con maestria. Cercò di allargare le gambe per quanto gli fu possibile.

Un suono fastidioso in sottofondo li disturbò appena.

-Ma state facendo sesso!!!- fu l'urlo che provenì dal telefono che teneva ancora fra le mani.

-Cazzo Emmett! Che ti urli!-

-Edward? Sono tua sorella! Passami la pervertita.- si intromise Alice al telefono di Emmett.

-Un … attimo … - e passò il suo cellulare ad Isabella che era ancora impegnata con il migliore amico di Edward.

Lei si alzò e si sdraiò sul letto e posò il telefono all'orecchio.

-Pronto?-

-State cercando di recuperare dieci anni in pochi mesi?-

-Uhm … credo che si e no abbiamo recuperato sei mesi fino ad ora … - ed intrufolò una mano fra i capelli di Edward che le aveva alzato la maglia e le stava baciando la pancia.

-Comunque stiamo organizzando per domani sera una sorta di pigiama party a casa dei miei.-

-Direi che non ci sono dei problemi.- e guardò Edward che le slacciava i pantaloni e li stava facendo scendere per le gambe.

-Hai dei sacchi a pelo?-

-Non lo so … - e le dita di lui stavano risalendo le sue gambe in una carezza lieve. -Ci devo guardare.-

-Ok. Comunque qualche coperta pesante e dei cuscini basteranno.-

-Direi che … - troppo distratta per rispondere. Edward le stava baciando il pube facendo scivolare le mutandine lungo le gambe.

-Dio mio! Non potete proprio aspettare!-

Edward riprese il suo cellulare. -Ci sentiamo domattina- e chiuse la conversazione.

E si avventò a ricambiare il sesso orale di prima.


 

Edward era sveglio e teneva fra le braccia Isabella che invece dormiva profondamente; erano nudi dopo aver fatto l'amore.

Si sentiva inquieto per l'indomani. La mancanza di tempo per fare tutto, stare con tutti per salutarli, era un'esperienza che già aveva sentito. Ma ora più di prima perchè non sapeva da dove cominciare. La sua era anche scaramanzia: salutarli era come essere sicuro che non sarebbe più tornato a casa.

-Sei sveglio?- sussurrò Isabella.

-Si.-

-Qualcosa non va?-

-Sono preoccupato per martedì.- Isabella si agitò fra le lenzuola.

-Edward? Potrai mai perdonarmi?-

-Per cosa?-

-Per averti fatto rinchiudere in carcere?-

-Non ho nulla da perdonarti e tu nulla da recriminarti. Hai fatto solo il tuo lavoro.-

-Ma se non ti avessi interrogato … -

-… sarei lo stesso finito in carcere. Eravamo colpevoli.-

-Ma se non ti avessi interrogato … -

Edward accese la luce sul comodino, si girò e prese il viso di Isabella fra le mani. Era rigato di lacrime e gli occhi erano rossi.

-Ascoltami bene. Ho sbagliato tante volte e mi è sempre andata bene. Poi ho fatto un errore in più e mi hanno beccato. Anche se non ci fossi stata tu quel giorno in aula ad interrogarmi, credi che le cose sarebbero andate diversamente? Dimmi la verità da avvocato.-

-No. Sarebbero andate così.-

-Quindi non pensare che sia colpa tua. Ok?-

-Ma anch'io sono preoccupata per martedì.-

-Lo so amore, lo so.-

-Come mi hai chiamata?-

-Amore. Perchè sei il mio amore.-

-Edward … io … -

-Shhh … ho bisogno di dire cosa provo. Accettalo e basta.-

Lei non fece altro che inclinare la testa e appoggiala al petto di lui e lasciarsi cullare dalle sue braccia.

Edward spense la luce e rimasero ancora così, al buio, persi ognuno nei propri pensieri.

-Quanti testimoni avevate?-

-Come?-

-Al processo Dwyne disse che avevate dei testimoni oltre ad Angela. Quanti ce n'erano?-

-Sei.- disse dopo poco Isabella.

-E quanti anni sono previsti per ogni … -

-Il massimo della pena sono cinque anni.-

-Avreste chiesto trent'anni in tre?-

-No, trenta a testa.- 

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