I want you back

di _myhappyending
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Ma chèrie ***
Capitolo 2: *** I just have to be me ***
Capitolo 3: *** You're the love of my life, Santana. ***
Capitolo 4: *** He had to choose and he picked me. ***
Capitolo 5: *** Selfish ***
Capitolo 6: *** Heart attack. ***



Capitolo 1
*** Ma chèrie ***


I WANT YOU BACK

I chapter

 
Sebastian dormiva. Dormiva nel loro letto, nel loro enorme loft fuori Lima.
Certo, Santana aveva fatto fatica ad abituarsi all’enorme piscina che soggiornava nel loro giardino, o all’enorme televisore al plasma che torreggiava al centro del salotto. Eppure, era da un anno che rimaneva al fianco dell’ex usignolo.
Sebastian si era diplomato col massimo dei voti, ed aveva anche ricevuto la lode. Lui continuava a ripetere che fosse solo merito del cognome che portava, ma Santana sapeva benissimo che il merito di tale successo era dovuto solo alla determinazione e alla costanza del ragazzo. Aveva completa e totale fiducia in lui.   
Mentre lo guardava dormire affianco a lei, Santana si domandò se fosse possibile che un angelo avesse le sembianze di Sebastian. Era così bello, col volto rilassato e le labbra appena socchiuse, che avrebbe voluto intrappolarle e rapirle in un bacio senza lasciarle mai.
Erano molte le volte in cui litigavano, per lo più per colpa di Sebastian. Non era mai stato un tipo da relazione stabile e ciò si ripercuoteva sulla storia con Santana. A volte, quando Santana lo faceva arrabbiare, il francese riusciva a tenere il broncio per settimane intere, e quando si accorgeva che Santana gli mancava troppo, tornava da lei.
Gli piaceva farsi coccolare e passare intere ore nella vasca da bagno con Santana, a farsi massaggiare le spalle.                 
Non erano perfetti, si urlavano contro, bisticciavano e rompevano le cose altrui, ma alla fine della giornata, quando erano lontani dal caos mattutino, ritornavano a casa, Santana da Sebastian e Sebastian da Santana, perché si amavano, si amavano così tanto che a volte avevano paura di dirlo. Poteva essere un’arma potente, l’unica che poteva ferire due corazze come le loro.
“Fingere di dormire solo per farmi preparare la colazione non è una bella cosa” Mormorò Santana, accorgendosi immediatamente che Sebastian fosse sveglio.
“Continuare a spiarmi mentre dormo, però, è inquietante” Sebastian rotolò di lato e aprì per la prima volta gli occhioni verdi, lasciando un bacio sul braccio della sua ragazza. “Preparala lo stesso..” Sibilò, tracciando una scia invisibile di baci sullo stesso punto. “..Per favore”
Gli occhioni dolci e la vocina smielata, ecco cosa usava Sebastian Smythe per far cadere le sue prede in trappola, proprio come un abile predatore.
“Ouch. E io che pensavo di iniziare la giornata con del buon sesso mattutino, ma penso che dovrò rinunciare e andare a preparare la colazione”. Il tono di Santana uscì più malizioso di quanto avesse programmato all’inizio, e fece per alzarsi, ma le mani forti di Sebastian la afferrarono dal bacino, facendola cadere sulle coperte beige.
“Sesso mattutino, eh?” biascicò Sebastian, mordendole un spalla. “La preparo io dopo, la colazione” concluse, prima di affondare la mano su per la maglietta dell’ispanica.
 
“Non lo so, hai forse deciso di finire lo zucchero? Serve anche a me” Si lamentò Santana, osservando il suo ragazzo che continuava ad immergere cucchiaini pieni di zucchero nel suo caffè.
Sebastian non rispose, e si limitò a passare la zuccheriera ormai vuota a Santana. “Peccato”
“Seriamente, Sebastian?” cominciò l’ispanica, e il tono con cui parlò ricordò a Sebastian quello che usava sempre quando si cominciava a litigare.
“Seriamente tu, ma chèrie? Di prima mattina non ho proprio voglia di litigare” borbottò il francese, inzuppando un biscotto nel suo caffè.
Santana, spazientita, afferrò la sua tazzina e lasciò che il liquido cadesse sulle gambe del ragazzo, fasciato solo dai boxer. Con un risolino soddisfatto, si appoggiò a braccia conserte allo schienale della sedia.
La bocca di Sebastian formò una O precisa, si alzò e con un tovagliolo si pulì il caffè sulle gambe, che fortunatamente non era bollente, solo leggermente caldo. “Tu. Sei. Morta” la minacciò e tutto durò pochi secondi: le corse dietro e afferrò la sedia di Santana, la fece cadere all’indietro e la trascinò via. Prese un cornetto dal tavolo e, sistemandosi a cavalcioni su di lei senza farle peso, le macchiò il naso con la cioccolata. “Chiedi scusa. Dì ‘Sebastian sono dispiaciuta e non lo farò mai più’, avanti” esclamò divertito, rimanendo col cornetto minaccioso di fronte al suo naso.
“MAI LO FARO’!” Sbottò Santana, tra una risata e l’altra.
Sebastian si abbassò un poco, e lasciò il cornetto per terra per bloccarla i polsi con le mani. “Dillo!”
“Ti amo, idiota” sbuffò Santana.
“Ti amo anche io, Pocahontas” concluse Sebastian, suggellando un dolce bacio. 


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dovrei smetterla di farmi venire le idee mentre sono malata(?)
ho cominciato a scrivere il sequel di Glad you came ieri notte, visto 
che la precedente storia aveva avuto più successo di quanto mi aspettassi.
Adesso, Santana e Sebastian vivono da un anno insieme nel loft del 
francese, ma la loro convivenza non sarà rose e fiori.
Altrimenti non sarebbero Santana e Sebastian, no? 


 


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Capitolo 2
*** I just have to be me ***


II chapter

 
Non erano soliti camminare per le strade di Lima assieme, ma quel giorno parve essere la mattinata perfetta per un paio di giri nei lussuosi quartieri che frequentava Sebastian.
Non c’erano case popolari lì, solo villette con giardini, piscine e un sacco di animali e alberi.
La maggior parte delle ragazze che Santana vedeva, indossava un paio di tacchi altissimi, delle gonne strette e delle camice stiratissime. Dovevano essere quasi tutte donne in carriera, di classe. Sperava che stando con Sebastian non si sarebbe trasformata in una di loro, odiava quel genere di persone.
Non si davano mai la mano, camminavano fianco al fianco, e ogni tanto a Sebastian piaceva sfiorarle la mano con le nocche della sua. “Sai cosa penso?” domandò Santana, fermandosi di colpo. Non diede tempo a Sebastian di ribattere, e continuò. “Dovrei parlare tuo padre”
In quel preciso momento, il viso di Sebastian assunse tante sfumature diverse d’espressione. Cominciò da una scioccata, a sorpresa per poi concludere con una terrorizzata e coprirla con una scocciata. “Perché?”
“E’ da un anno che stiamo insieme e continui a dire a tuo padre che convivi con una ricca ragazza per bene”
“Solo perché ti scambierebbe per la domestica” Santana sgranò gli occhi, indignata. Come aveva potuto dire una cosa del genere? Il fatto che fosse di Lima Heights non la rendeva inferiore a lui o al padre, ed era sempre quello l’ideale su cui si era basata la loro storia. “S-scusa. Non era quello che volevo dire..”
“Stammi lontano”. Bisbigliò, girando i tacchi per tornare a casa.
“Aspetta, aspetta!” urlò il francese, correndole dietro. Quando la raggiunse, la afferrò dai fianchi e l’abbracciò da dietro. “Lo sai che non era quello che volevo dire. Da quando mio padre ti ha visto in televisione ha pensato fossi una modella, e nonostante sia un tipo pacato e calmo, non so che reazione potrebbe avere scoprendo che sei di Lima Heights, anche se a me non importa” prese fiato e le lasciò un bacio sulla guancia e un altro sui capelli. “Va bene. Te li farò conoscere, promesso”.
Santana sorrise soddisfatta e, ancora stretta tra le sue braccia, si voltò e gli stampò un bacio. “E possiamo camminare mano nella mano?”
“E’ la prima volta che lo faccio ma.. okay”. Rispose Sebastian, e lasciò scivolare la sua mano lungo il braccio dell’ispanica per intrecciare le loro dita. “E comunque, non ho bisogno di nascondermi, sono abbastanza ricco e figo per entrambi”
“IO TI UCCIDO!” Urlò Santana, e Sebastian cominciò a correre per sfuggirle.
 
Jeff aprì la porta della sua stanza, lasciando che Santana entrasse. Da quando era sposato con Nick non c’era giorno in cui non sorridesse, o in cui non parlasse come se fosse l’uomo più felice del mondo, e Santana era contenta che le cose andassero bene tra di loro. All’inizio, Nick aveva deciso di lasciare l’Università, ma poi Jeff aveva deciso che fosse stato meglio trasferirsi con lui e lasciare che completasse gli studi.
Durante quel periodo, Jeff si trovava a Lima per il matrimonio del cugino, ma Nick non aveva potuto raggiungerlo. Quella mattina Jeff si era offerto volontario di accompagnare Santana a fare shopping in prossimità dell’incontro a casa Smythe. “Dici che andrà bene? Voglio dire, tu conosci i suoi genitori. Non sarà troppo appariscente…?” domandò, tirando fuori il vestitino che aveva comprato. Era rosso, corto fino a metà coscia, senza spalline che però erano sostituite da un pizzo delicato. Aveva deciso di indossare la piccola spilletta “DS”, Dalton-Sebastian, che ogni Usignolo in genere aveva, e che il francese aveva deciso di regalare a Santana. Per l’ispanica era stato un passo molto importante, Sebastian si sarebbe tagliato una gamba piuttosto che non andare più alla Dalton.
“Secondo me è perfetto. In casa di Sebastian non si cena se non si è vestiti per bene, figurati per una cena importante!”. Rispose Jeff, convinto. “Quindi, per ora, rifletti solo su ciò che risponderai quando ti faranno delle domande, okay?” Santana annuì convinta. “Vediamo. Fa’ finta che io sia il signor Smythe. Cosa vuoi fare da grande?”
Santana si sistemò dritta con la schiena, e con un’espressione fiera sul viso rispose. “Mi piacerebbe fare la cantante, o la modella. A dire il vero, c’ero quasi vicina prima che suo figlio mi intrappolasse in questa cittadina per sempre”
Jeff alzò un sopracciglio, stringendo le labbra. “Okay.. diciamo che così non va. Non accusare mai Sebastian di qualcosa di fronte a loro, ti sbatterebbero in prigione, sono molto attaccati a lui. E poi, seriamente pensi che Seb ti abbia intrappolato qui?”
Santana sospirò e fece di no col capo. “Sebastian è l’unico motivo per cui non sono partita, ma è stata una mia scelta. Voglio conoscere i suoi genitori perché per me è importante che mi accettino per come sono. Ho cercato di crearmi una maschera al liceo, non ne creerò una nuova. Non stavolta, non con lui.”

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Capitolo 3
*** You're the love of my life, Santana. ***


III chapter

 
“Santana, ti prego, smettila di torturarti le mani.” Sebastian la fermò in tempo, perché se avesse continuato si sarebbe strappata un’unghia.
Era agitata. Erano agitati entrambi mentre la decappottabile di Sebastian si fermava di fronte a casa Smythe. Santana se la ricordava benissimo: l’enorme vetrata posta al centro, mostrava ancora il pianoforte e il divano dove si erano baciati per la prima volta. La piscina era ancora lì, fiera, immensa.
“Ho paura”. Proferì lei sottovoce. Sebastian dovette riflettere un po’ su quella frase. Non era semplice sentir dire da Santana ‘ho paura’, era come sentir miagolare un leone.  “E se non mi accetta? E se mi manda via? E se mi dice che non sono seduta nel modo giusto e bla bla bla..?”
Sebastian sorrise un po’, scuotendo la testa. Era così bella, pensò, mentre provava a sedersi in modo abbastanza signorile sul sedile. Ma a Sebastian non importava, perché a dire il vero l’unica cosa di cui veramente gli interessava era di poter passare del tempo con lei. Ormai vivevano insieme, eppure non aveva mai avuto il coraggio di parlare di lei a sua madre.
Molte volte avevano litigato su quell’argomento, ma si erano rialzati più forti di prima finchè, un giorno, Sebastian aveva deciso di organizzare quel pranzo. “Sei l’amore della mia vita”. Il tono di Sebastian era vellutato, basso, e parlava come se dovesse scandire le parole per un sordo. “Dovrà essere per forza gentile”. Concluse, col suo solito sorrisetto ancora adolescenziale. Nonostante fosse un uomo completo, ormai, non perdeva alcune abitudini da ragazzino, come ad esempio il taglio di capelli o la sua mani di spendere un sacco di soldi come se non contassero niente. “O comunque abituarsi”. E con quella frase, Sebastian sottolineò il fatto che non importava cosa avrebbe detto sua madre, lui sarebbe rimasto con lei comunque.
 
Grace, la nuova cameriera di casa Smythe, li aveva fatti accomodare sul divano in pelle rossa. Tutto profumava di muschio bianco e di pulito, proprio come il blazer di Sebastian l’anno prima.
Sebastian era seduto comodamente all’angolo del divano, e osservava divertito la sua ragazza che cercava di abbassare fino alle ginocchia il vestitino giallo evidentemente troppo corto. “Santana, per favore. Calmati.”
“Mon chèr!” Una vocina alta, armoniosa e ben curata, come fosse intonata da un soprano, venne fuori da una bocca rossa almeno quanto i capelli di quella signora. La mamma di Sebastian indossava un vestito verde acqua come i suoi occhi e uno chignon alto. Non degnò Santana di uno sguardo, si concentrò ad abbracciare il figlio che, intanto, si era alzato. “Oh, sei bellissimo!”.
“Anche tu stai bene mamma”. Sorrise il ragazzo, mentre Santana si alzava. “Lei è Santana, la ragazza di cui ti avevo parlato. Santana, lei è mia madre, Aurore”.
Per la prima volta, la signora Smythe passò lo sguardo su Santana. La ragazza si aspettò uno sguardo indagatore, ma Aurore si limitò a sorridere e a porgere la sua mano. “Sono Aurore, molto piacere.”
“Io.. Io sono Santana. Piacere mio, signora.” Balbettò, e come un riflesso spontaneo afferrò la mano di Sebastian che, di rimando, la strinse.
“Oh, dammi del tu. Tranquilla”. Finalmente lasciò la mano di Santana e poi si sedette sulla poltrona, di fronte al divano dei due. “Allora, Santana, cosa fai di bello nella vita?”
Sebastian perse il sorriso e deglutì, così Santana si ritrovò in difficoltà, cominciando a maledire il giorno in cui aveva insistito per conoscere sua madre. “I.. Io mi sono diplomata ma non ho continuato l’Università. Ho..”
“Sai mamma”. La interruppe Sebastian. “Santana ha ricevuto un’ottima proposta per entrare in un tour di moda mondiale.”
La signora Smythe alzò un sopracciglio impressionata e annuì. “Interessante. Quindi non sei andata all’Università per fare la modella?”
“No. Io non andata all’Università perché so che non è il mio posto. Voglio dire.. Voglio rimanere a Lima con la mia famiglia e Sebastian, non voglio allontanarmi, non sopporto la lontananza”
Aurore contrasse le labbra. Sebastian sapeva esattamente cosa stesse pensando. Rinunciare all’Università per una sciocchezza come la lontananza? Coi mezzi moderni ormai si poteva fare qualsiasi cosa.  “Interessante”. Si limitò a dire, appoggiando la schiena al cuscino della poltrona. “E dove ti sei diplomata, chèrie?”
Santana sorrise per il modo in cui l’aveva chiamata, perché le ricordava Sebastian. “Al McKinley”. Rispose, notando che il fidanzato, affianco, chiudeva gli occhi in segno di rassegnazione.
“Il.. McKinley?” domandò la signora, come a verificare che avesse sentito bene o che Santana non la stesse prendendo in giro.
Aurore si voltò a fissare Sebastian, il viso contratto in un’espressione strana, indecifrabile, che probabilmente solo fra Smythe avrebbero capito. “Sì, alla scuola pubblica e abita a Lima Heights”.
A quella parola, la signora Smythe si portò una mano sul cuore e, con gli occhi sgranati, ritornò a guardare Santana per un millisecondo, per poi ripassare lo sguardo su Sebastian. “Dimmi che non è vero, Sebastian”
Santana si sentì spezzare il cuore. Lo sapeva, lo sapeva che la sua famiglia non sarebbe mai stata accettata in quella di Sebastian. Aveva capito, finalmente, da chi Sebastian avesse ripreso quella puzzetta sotto al naso. Sua madre era una vera arpia.
Sebastian, di rimando, si alzò. “E’ vero, invece. Sai cos’altro è vero, maman? Che fino a un anno fa, tutti i rumori che sentivi, tutti quelli che vedevi scendere giù dalla mia finestra, erano maschi. Maschi, mamma. Sono gay. Ero gay, penso di esser bisessuale, adesso, o penso semplicemente che Santana sia l’unica a farmi sentire… bene, in pace. Non importa di chi ti innamori. Non importa se viene dalla Spagna, dalla Francia, dall’Africa. Importa che cos’ha nel cuore, che tipo di persona è. E questo non l’ho capito grazie a te, ma grazie a lei. Santana è la mia ragazza, staremo insieme anche se ciò comporta abitare lontano da un quartiere con piscine. La amo. Sono in-na-mo-ra-to di Santana. Le chiederai scusa, o ci costringerai ad andarcene?”
Aurore non poteva crederci. Più suo figlio parlava, più pensava che quella specie di mezza donna gliel’avesse non solo portato via, ma anche fatto il lavaggio del cervello. E così, senza degnare di uno sguardo il figlio ma solo Santana, indicò la porta con un dito. “Sapete la strada”. Sibilò, e Santana si strinse di più al braccio del suo fidanzato. 



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Oddio mio, chiedo venia, perdono, assoluzione dalla pena(?)
Ho abbandonato la FF, lo so, ma sono straimpegnata e di conseguenza 
senza ispirazioni. I capitoli ci sono, ma a volte sono così insicura e non li metto çç
Spero vi piaccia questo ritorno, babies, e l'ho pubblicato solo perchè oggi 
GRANT E' STATO AVVISTATO SUL SET. 

Buona serata a tutti. :*

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Capitolo 4
*** He had to choose and he picked me. ***


IV chapter.

 
Per tutto il tempo, in macchina, Sebastian e Santana non avevano proferito parola. La mora aveva cercato più volte di alzare lo sguardo verso il suo ragazzo, ma la faccia severa di quest’ultimo l’aveva intimorita.
E se l’avesse lasciata? Santana era scossa. Non sapeva cosa fare. Se l’avesse lasciata, non avrebbe saputo dove andare. Aveva la sua famiglia, sì, ma per un anno intero aveva basato tutta la sua vita su una persona sola e perderla avrebbe significato perdere un piccolo pezzetto di se. Amava Sebastian, di questo era certa. Ma lui? Lui la amava? Santana non aveva niente da perdere, la sua famiglia non poteva che essere orgogliosa che fosse fidanzata con uno Smythe, ma lui? Lui aveva tutto da perdere: la sua famiglia, il suo denaro. Non poteva permetterglielo.
“Credo di doverti delle scuse..”. Santana miagolò, raggomitolata in un angolo del letto con le lenzuola azzurre. Santana odiava l’azzurro. Le avrebbe volute rosse, ma in un paio di lenzuola azzurre avevano fatto l’amore la prima volta e.. non aveva saputo resistere.
Il francese la guardò, mentre si toglieva la cravatta. “Non è colpa tua, sapevo bene com’è fatta mia madre”.
“Ho insistito io per incontrarla”
“Quella è stata una mossa poco intelligente. Imparerai ad ascoltarmi la prossima volta”. Borbottò l’ex usignolo, ormai rimasto in boxer, mentre si infilava sotto le coperte.
“Sei arrabbiato?”. Santana sfoderò quel tono tanto ingenuo che faceva sciogliere Sebastian ogni volta.
E lui non seppe resistere. “No, piccola. Vieni qui”. Si girò verso di lei e le prese una mano, osservando le sue dita. Gli sembrò che mancasse qualcosa a quella mano, qualcosa che avrebbe dovuto comprare presto.
 
“Penso che sua madre mi odi”. Santana fece spallucce e si morse un labbro, guardando fuori dalla finestra immensa. Ancora non era abituata, dopo un anno, ad abitare in un loft enorme.
“Ah, no, tranquilla. Pensavo odiasse anche me, ma poi le è passata”. Jeff Sterling, sempre più biondo, si accingeva a sottolineare frasi di un enorme libro per l’imminente esame di letteratura inglese.
“Credi che dovrei trovarmi un lavoro?”. Domandò l’ispanica.
“Beh, non penso che rimanere sulle spalle di Sebastian sia un modo per farti piacere a sua madre. Tra l’altro, gli taglieranno sicuramente i conti”. Jeff, forse, nemmeno si era accorto che a Santana era scesa una lacrima. Ma lui era così: parlava senza peli sulla lingua, ed era per quel motivo che erano rimasti amici. Santana sapeva di avere comunque un consiglio sincero e disinteressato dal biondo. “Pensi che dovrei lasciarlo?”
“Sì”. Rispose lui, ancora confuso da una frase sulla Bronte che non aveva capito. “NO!”. Si corresse, non appena realizzò. “N.. No, Santana. Ascoltami, ti ama, tu lo ami e.. starete bene insieme, okay? Ha scelto te, nonostante tutto”. Resosi conto del danno appena provocato, Jeff chiuse il libro e si concentrò solamente sull’ispanica.
“Jeff, il punto è che ha dovuto scegliere”
“E ha scelto te”.
“Non doveva andare così. Non avrebbe dovuto scegliere e io non avrei dovuto mettermi in mezzo”. Santana si morse un labbro con violenza, sbattendo il pugno sul tavolo. Perché doveva essere sempre così complicata, ogni dannata cosa?
“Santana.. Se tu lo lasci, non te lo perdonerà mai. Sebastian non insegue chi se ne va, te lo dico per esperienza. Ti ha dato tutto, non lasciare che vada tutto vano. Se lo ferisci, ti odierà per sempre”. Jeff scosse la testa, con lo sguardo fisso in quello di Santana.
Aveva ragione e l’ispanica lo sapeva. Ma cosa avrebbe potuto fare? Voleva stare con Sebastian e voleva essere accettata, allo stesso tempo, dalla famiglia francese. “E se provassi a parlare di nuovo con sua madre?”
“Ah, non credo proprio ti farebbe entrare in casa. E Sebastian si arrabbierebbe. Sai.. Potresti parlare con suo padre! E’ una brava persona e in fondo ti ha già visto, no?”. Jeff inclinò il viso di lato.
“Hai ragione! Sì. Proverò a parlare con lui senza destare sospetti. Okay. A che ora è allo studio, il signor Smythe?”
Jeff fece spallucce. “Non ne ho idea, sai? Chiedi a Sebastian, ma immagino comunque la mattina”.
Santana annuì. Non era sicura che il padre di Seb l’avrebbe accettata, ma doveva fare di tutto per mantenere quel rapporto.
L’aveva detto più volte: non era perfetto, non erano la principessa e il suo principe azzurro, non era una storia alla Romeo e Giulietta. Lui a volte urlava, sbatteva la porta e usciva di casa. Ma tornava, sempre. E lei lo sapeva, perciò gli preparava una tazza di thè francese e lo aspettava seduta comodamente al tavolo in vetro. Si amavano. Non se lo dicevano ogni giorno, la loro prova d’amore era tornare in quel loft, tra le coperte azzurre, e fare finta di dormire a turno per poi guardarsi durante la notte. Non si era mai sentita così con nessuno, e Santana Lopez era abituata ad ottenere ciò che voleva. Dato che Sebastian l’aveva già avuto, avrebbe dovuto lottare per tenerselo.

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Capitolo 5
*** Selfish ***


chapter V.

 
Aveva gli occhi spaventati, Santana, mentre entrava nell’enorme studio del signor Smythe.
Molto dell’arredamento richiamava la sua casa: predominavano il bianco e il marrone: bianco era il muro, marrone erano le sedie in sala d’aspetto e la scrivania della segretaria, in fondo alla sala che, stranamente, era vuota.
La segretaria, un’austera signorina bionda con la coda un rossetto rosso acceso, alzò lo sguardo verso di lei, molto più falso della banconota che usava l’ispanica quando andava al mercato. “Posso esserle utile in qualche modo, signorina?”
“Sì. Non ho fissato un appuntamento, ma avrei desiderio di vedere il signor Smythe e..”. Santana non andò oltre. Parlare in quel modo forbito le stava provocando l’orticaria in posti poco appropriati.
“Bene. Non è ancora arrivato, può aspettarlo qui, così appena arriva la faccio entrare per prima. Può accomodarsi”. Concluse, e riabbassò la testa sui suoi figli.
Santana alzò un sopracciglio, fece spallucce, ma almeno aveva ottenuto quello che voleva.
Camminò per la stanza, il rumore dei tacchi faceva da eco in tutta la stanza vuota, così non si mosse più, e rimase a guardare un vecchio quadro di natura morta, che aveva riconosciuto anche in casa Smythe, precisamente appena fuori la ‘Camera Grande’, era quello il nome che Santana aveva dato alla stanza dove per la prima volta aveva baciato Sebastian.
Tanti ricordi le pervadevano la mente, e nessuno di essi le sembrava distante: nonostante i genitori di lui, il loro amore era ancora vivo e ardente.
La porta sbatté, facendo sussultare Santana. Quando si girò, riconobbe l’uomo che aveva incontrato solo l’anno prima di sfuggita a casa Smythe: alto, con i capelli biondi e gli occhi chiarissimi. Una buona persona, a vista d’occhio, però di certo Sebastian non era pazzo quando raccontava dei suoi macabri modi di metterlo in punizione per una A- invece di una A+.
Subito, Santana spalancò le labbra in un sorriso, sistemandosi il vestitino vermiglio che aveva indossato per l’occasione, lungo fino sopra il ginocchio.
Il signor Smythe, all’inizio, alzò un sopracciglio un po’ dubbioso, poi le sorrise bonario. “Ciao, Santana. Che ci fai qui?”
Santana aprì la bocca due o tre volte invano, tutta la sicurezza avuta con la segretaria era andata letteralmente a puttane. “Volevo.. Parlarle in privato di una questione importante, personale..”
“Oh”, iniziò lui, rivolgendosi poi alla bionda. “Dì ai clienti di aspettare, allora. Vieni Santana, seguimi”. Continuò, indicandole con la mano la parte di strada da fare per entrare nel suo studio.
Sospirò pesantemente, facendosi forza.
Dentro, l’ufficio, era proprio come fuori; gli stessi colori, gli stessi profumi: doveva piacergli proprio tanto. Si tolse il cappotto, lo appese all’appendi abiti e poi ritornò a sedersi di fronte a Santana, alzando entrambe le sopracciglia. “Allora, che succede?”
L’ispanica deglutì, sospirò e poi tirò su le spalle, pronta a farsi avanti: “Signor Smythe, innanzitutto sono lieta che si ricordi di me..”. Lui sorrise. Buon segno, pensò Santana. “E sono sicura che, se mi conoscesse meglio, saprebbe quanto sono disposta a rendere felici le persone che amo. Ed ecco.. una di queste è.. Sebastian. Sì, signor Smythe, amo Sebastian più di tutto e.. sua moglie non l’ha presa bene, perché provengo da Lima.. Heights Adjacent. Ecco, provengo da lì, sì, però.. Posso assicurarle che nessuno, nessuno al mondo ama Sebastian nel modo in cui faccio io, totalmente, completamente.. Lo accetto per com’è, per cosa fa, non importa come si sveglia la mattina, io gli sono comunque accanto. Lo amo, tantissimo, e voglio stare con lui. Ma voglio anche cenare le domenica mattina coi suoi genitori, invitarvi al nostro matrimonio e al battesimo dei nostri figli e..”.
“Credo che basti così”. Il tono autoritario del signor Smythe fece alzare per la prima volta, da quando aveva iniziato a parlare, gli occhi di Santana. Il suo sguardo era arreso, un po’ divertito, e Santana si chiese che diamine avesse da ridere. “Ascoltami bene, Santana. Quando sei venuta in casa nostra con Sebastian l’ho accettato perché quel poverino non vede ragazze da quando è entrato alla Dalton, ho cercato di comprendere cosa ci trovasse in te e l’ho capito quando ti ho vista in costume. Seconda cosa, forse la più importante: se lo amassi veramente, non lo lasceresti andare? Voglio dire, sai per certo che noi non lo accetteremo, ma continui a starci. Sei così egoista da fargli rinunciare alla sua famiglia perché tu.. tu lo ami?! Non ci sarà nessun parente al vostro matrimonio o a qualsiasi altra cerimonia in cui sarai presente tu, perché la gente del nostro rango non frequenta persone dei sobborghi putridi”
Santana, che per tutto il tempo era rimasta immobile a fissare gli occhi azzurri e impietriti del padre di Sebastian, se ne stava con le unghia conficcate nella carne, col cuore che le batteva a mille. Non sapeva cosa dire, avrebbe voluto mandarlo a quel paese ma una piccola vocina, sotto sotto, le urlava di andarsene. Non solo da quel luogo, ma anche da Sebastian, da Lima, da tutto.
E se avesse avuto ragione? Lei aveva progettato tutto della loro vita: di notte sognava il loro matrimonio, e segretamente aveva già preso le misure a Sebastian. Non glielo confessava mai per paura che al ragazzo non andasse bene quella decisione, lui era sempre molto riservato.
Deglutì di nuovo e, senza dir niente, si alzò dalla sedia e si avviò verso la porta.
“Quanto vuoi? Duemila, tremila…?” domandò lui.
Santana si girò un po’ curiosa, notando che il signor Smythe stava firmando un assegno con tanti, molti, troppi zeri. L’ispanica aggrottò la fronte sdegnata e scosse la testa. Pensava davvero che le interessassero solo i soldi? Sebastian era più di questo. “L’unica cosa di cui mi stupisco è di come una persona meravigliosa come Sebastian sia venuta su da due schifosi e ignobili come voi. Si dice bene: a volte si è ricchi solo nel portafoglio”. Sbottò, e richiuse la porta violentemente.

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Capitolo 6
*** Heart attack. ***


chapter VI.

 
Erano passati due giorni da quando Santana era andata a parlare con il papà di Sebastian. Non sapeva cosa fare. Si era sempre detta “Che importa di cosa pensano quei tipi? Che importa di cosa pensano gli altri? Sebastian mi ama, io amo lui, ed è questo quello che conta”. Poi, invece, ci pensava meglio, e l’unica parola che riuscisse a tirar fuori era: egoista.
Non riusciva a capire cosa fare per prendere la decisione giusta, per far star bene entrambi. Il punto era che lasciarsi non avrebbe fatto bene a nessuno dei due, ma era inevitabile per un bene prossimo. Forse, un giorno, se fosse stato davvero destino si sarebbero rincontrati. Per quel che ne sapeva Santana, non avrebbe mai smesso di amarlo.
“Pocahontas, sei a casa?”. La voce di Sebastian arrivò fino alla stanza superiore, nella loro camera da letto. Santana aveva appena finito di fare le valige.
Santana non parlò, ma il suo cuore cominciò a battere più velocemente nel momento in cui sentì i passi di Sebastian sulle scale. Come gli avrebbe detto che se ne sarebbe andata? E lei? Come avrebbe vissuto senza vederlo ogni fottuto giorno della sua vita? Perché alla fine, l’unico vero problema era questo. Non poter abbracciarlo, toccarlo, scherzarci. Però, sperava che ne avrebbe giovato. Le parole del signor Smythe continuavano a frullarle in testa. “Nessuno verrà al matrimonio, o al battesimo, o a qualsiasi cerimonia, perché nessuna persona del nostro rango verrebbe a vedere te, che sei di una classe sociale più bassa”. Era quello, in poche parole, che aveva detto il papà di Sebastian, e in fondo al cuore Santana sapeva che era tutto fottutamente vero.
“Che stai facendo?” domandò Sebastian, non appena entrò nella stanza. Osservò le valige, e poi la ragazza, senza il minimo sospetto. Di una cosa, in tutta la sua vita, era sicuro: che Santana lo amasse. Perciò non si preoccupava che un giorno lo lasciasse, era uno strano tipo d’amore, il loro… uno di quelli palpabili, di cui senti le vibrazioni nell’aria, uno di quelli magnetici, che ti catturano.
“Vado via”. Rispose lei, fredda, mentre sbatteva i vestiti così, a casaccio, dentro la valigia.
“Davvero, e dove vai?” Sebastian alzò un sopracciglio, mettendosi a braccia conserte.
“A vivere sotto i ponti, tutto pur di non rimanere in questa casa”. Santana si morse un labbro. Tra di loro si prendevano in giro, si dicevano di tutto e di più, ma mai seriamente. Finiva sempre tutto con un bacio. Quella serata non sarebbe finita con un bacio, sarebbe finita con lo sbattere pesante della porta, col frastuono di un urlo e della solita sedia che Sebastian prendeva a calci.
Ma soprattutto, Santana sapeva che rispondere male a Sebastian era come andare incontro alla morte. Infatti, il ragazzo aggrottò la fronte e sciolse le braccia. Piegò il viso di lato, in un’espressione che Santana non poteva vedere di spalle. “Quindi di colpo la tua vita qui ti fa schifo?”. Santana deglutì. Non poté far altro che alzare le spalle, infilare un’altra maglietta nella valigia e annuire. Ma a Sebastian non bastò: velocemente, si avvicinò alla ragazza e la afferrò dal braccio, costringendola a girarsi. “Mi devi una spiegazione, dammi un motivo. Ora”. Il respiro di Sebastian era così vicino da esser sentito sul viso di Santana, e questa si spaventò appena.
Subito, però, riacquistò il buonsenso e tirò su il collo, a mo’ di orgoglio. “Che spiegazione dovrei darti? Che questo buco di loft è troppo da ‘te’ e poco da ‘me’, che non mi trovo bene con una cameriera che mi lava il piatto in cui ho mangiato? Che non sopporto quando lasci quella cravatta in giro per casa? Che mi da suoi nervi quando ti ingelli i capelli in quel modo, o il rumore che fai di notte quando vai in bagno? Perché ce ne sono davvero, davvero tante di spiegazioni, ma forse la più spontanea e veritiera è che semplicemente mi sono stancata di starti dietro, Smythe. È stato bello finché è durato, ma non penso si sarebbe mai trasformato in qualcosa più di puro sesso. Almeno quello sai farlo bene”. Lama affilata, quella lingua. L’aveva limata in tutti quegli anni di liceo, di stronzaggine, ed era parecchio che non la tirava fuori.
Gli occhi di Sebastian cominciarono a socchiudersi. La scintilla di rabbia che luccicava fino a pochi minuti prima era svanita e aveva lasciato posto ad un’amara delusione.
Un anno… di menzogne? Un anno in cui Santana aveva mentito e aveva preferito nascondere tutto solo per.. del sesso? Stavano così le cose?
Perché per Sebastian non era così. Quando era con Santana, capiva perché le persone si ostinassero così tanto a inseguire quella cosa chiamata amore. Capiva cosa significava rabbrividire ad un semplice sorriso, abbraccio, bacio. Capiva l’ansia di tornare a casa dalla persona che ami. Perché, alla fine, era quello. Sebastian si era innamorato, e il fatto che non sapeva dimostrarlo non significava che non fosse così. Il francese aveva trovato un equilibrio, aveva trovato se stesso, e tutto l’anno che aveva passato con Santana gli era sembrato perfetto. Come poteva, per lei, essere così sbagliato?
Non disse nulla.
Dopo tanti anni in cui si era allenato a tenerlo basso, lo scudo di Sebastian si rialzò violentemente, e anche l’espressione del suo viso cambiò. Santana sapeva benissimo di averlo ferito abbastanza per continuare ad insistere, e sapeva anche che, dopo quelle parole, Sebastian non l’avrebbe più trattenuta.
Santana si girò, chiuse la valigia e la poggiò per terra. Era tutto pronto, poteva andarsene. Stava morendo dentro, non riusciva a smettere di pensarci. Lo sguardo di Sebastian se lo sarebbe portato con sé per sempre, il modo in cui l’aveva ferito non l’avrebbe lasciata dormire la notte.
“Buona fortuna, Smythe” concluse, avvicinandosi alla porta della camera per uscire.
Sebastian non rispose, era rimasto immobile nella stessa posizione. Era congelato da circa… due o tre minuti? Non sembrava nemmeno respirasse.
E poi Santana uscì, scese le scale e, infine, richiuse alle sue spalle anche l’ultima porta, quella principale.
Quel rumore sembrò lo stesso del cuore di Sebastian che faceva “crack”, non era uscita solo dalla porta, era uscita anche dal suo cuore. Ed era diventato vuoto. Freddo e vuoto.

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