Questa è la nostra casa, e sarà la nostra tomba.

di Mrs C
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I ***
Capitolo 2: *** II ***
Capitolo 3: *** III ***



Capitolo 1
*** I ***


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Questa è la nostra casa, e sarà la nostra tomba.




E' tempo di credere alla vita, in tempo di morte.
Commodiano






Scotland Yard è silenziosa, in un pomeriggio qualsiasi di maggio. Non fa troppo caldo né troppo freddo e il sole è di un tiepido color camomilla che a John non dispiace. Sta bene, e a John piace stare bene. All'interno della centrale, qualcuno compila scartoffie chino sulla propria scrivania, altri corrono qua e là ma sempre con una certa postura dritta, come se quella bastasse per far intuire alla gente che della polizia ci si può fidare. Un agente gli chiede se ha bisogno di qualcosa, perché è fermo da dieci minuti nell'atrio e non accenna a muoversi. John non lo sente davvero e risponde più per riflesso che per cortesia, no, non ho bisogno di niente grazie, so dove devo andare. L'agente non fa domande, forse l'ha riconosciuto o forse no. A John non interessa ma lo ringrazia mentalmente di avergli lasciato il tempo di prepararsi. Socchiude gli occhi, si sistema il giubbotto nero e inspira. Assorbe ogni briciola d'aria che i suoi polmoni riescono a incalanare, poi spinge la porta ed entra. La stanza non è gremita di gente come si aspettava, tre agenti in divisa, due in borghese, Anderson, Donovan. Le solite facce, la solita feccia. John non lo dice, ma è sicuro che il suo sguardo parli abbastanza anche da solo. Come prima, socchiude gli occhi, si aggiusta il cappotto, inspira. Ha il viso in alto, l'andatura militare e il portamento fiero a nascondere la sofferenza mentre i suoi piedi calcano quel pavimento che tante volte hanno percorso in due. John non ha niente di cui vergognarsi, non l'ha mai avuto né l'avrà mai. Donovan e Anderson possono continuare a guardarlo in quel modo per il resto della vita miserabile che conducono, se la loro coscienza glielo permette; prima o poi ci sarà un killer abbastanza coraggioso da piantare una pallottola in uno dei due, per vedere poi l'altro diventare un fantasma. Perché è così che funziona. Uno muore, l'altro sopravvive morendo ogni giorno. 
La porta dell'ufficio dell'Ispettore Lestrade si apre con uno scricchiolio sinistro. Greg ha i capelli più grigi di come li ricordava, gli occhi stanchi e il fisico asciutto. Le sue iridi chiare sferzano il viso di John come una frusta che forse non ha la forza di sopportare. Gli si avvicina veloce, stringendolo goffamente in un abbraccio bollente che John accoglie con una forza che ha smesso da tempo di avere, aggrappandosi alla sua giacca per non rovinare a terra, stanco com'è. Lo sapevo John, dice Greg, lui non era... così. Aveva te. Io lo sapevo. Perdonami, perdonami, John.
John vorrebbe dirgli che non ha nulla di cui chiedere perdono ma non riesce a parlare, perché c'è qualcosa che gli fa male, cos'è?, non lo sa che cos'è, ma si stringe a Greg un po' più forte. Ma lui non c'è, Greg. Lo dice piano, John, affondando il viso fra il collo e la spalla dell'amico. Lui non c'è e io sono ancora qui. Greg lo stringe così tanto che John ha paura di soffocare. Solo che non puoi farlo, se hai smesso di respirare. E John non respira più da un po'. Lui non c'è. 

***

- Qualunque cosa tu abbia da dirmi non voglio ascoltare e visto che sei entrato da solo in casa mia saprai anche dov'è l'uscita. Fuori di qui.
Mycroft sospira piano, stringendo le dita in pugno. Non alza gli occhi su John che invece lo guarda con disgusto, rabbia e una sorta di istinto omicida serpeggiante nelle iridi verdazzurre.
- Voglio offrirle il mio aiuto, Dottore.
John ride, spettrale, e un brivido freddo colpisce la spina dorsale del Governo.
- L'unico aiuto che mi puoi dare è toglierti dai piedi, prima che lo faccia io.
- John, la prego. Sherlock-
- Non. Osare.
John sente la gola stringersi e gli occhi che pungono prepotenti. Afferra Mycroft per la camicia, sbattendolo contro il primo muro disponibile. Gli occhi di ghiaccio sbarrati e il respiro mozzato, la voce in un rantolo e... paura? Rimorso? Cos'è quella scintilla?
- Non lo nominare. Non ne hai il diritto, con le mani macchiate del suo sangue. Non dire il suo nome mai più, specialmente davanti a me, Mycroft.
John lo lascia andare con uno spintone che gli fa urtare la testa contro un quadro. Il rumore dei cocci di vetro è così simile a quello del suo cuore che il sussulto è involontario.
- Gregory mi ha chiamato questo pomeriggio. Ha detto che sei stato a Scotland Yard.
- Quello che faccio non sono di certo affari tuoi - sputa, velenoso - Mycroft, è l'ultimo avvertimento che ti do. Vattene fuori da casa mia, o sarò ben felice di finire in prigione.
Il Governo si sistema il vestito sgualcito, in mezzo un silenzio appiccicoso che penetra nella pelle di entrambi. Ha gli occhi più scuri, quando John torna a guardarlo. I suoi sono solo più freddi. Non hanno colore.
- Sto cercando di pagare il mio debito, John. Ora che tutti sanno la verità - dice, con uno strano tono basso - e lo farò, anche senza il tuo consenso.
Il pugno che colpisce Mycroft è inaspettatamente forte. Il sangue schizza sulla mano del Medico come sul mento del Governo che crolla a terra come se non avesse vita. Piange, John, senza fare rumore, pregando un dio invisibile di avere pietà di lui, lui che ha una goccia del sangue di Mycroft sulla guancia e lo sguardo allucinato di chi è pronto a fare peggio di così, perché non ha più niente da perdere.
- Tutto ciò che farai, tutto ciò che penserai di fare - mormora John, affannato - tutto ciò che continuerai a provare per ottenere il mio perdono o per riscattare la memoria di Sher-la sua memoria, non sarà mai abbastanza. Impara a convivere con la colpa di essere l'assassino di tuo fratello! - è cattivo, John, ma anche quando vede il riflesso del proprio dolore nelle iridi chiare di Mycroft non prova niente - Voglio solo... essere lasciato in pace. 
John si stringe la testa fra le mani, a occhi chiusi, seduto su una poltrona fredda e asettica che non ha niente del calore di Baker Street. Quando alza il capo è solo per vedere l'appartamento vuoto e qualche goccia di sangue che ancora macchia il pavimento. Sangue Holmes, come quello di Sherlock. John si piega in due, rigettando a terra. Vuole solo essere lasciato in pace.

***

Harry è gentile. Da quando Sherlock è morto, lei gli è sempre stata vicino e anche se non abita proprio dietro l'angolo, va a trovarlo ogni giorno. John non gliel'ha mai detto, ma il suo calore gli impedisce un po' di impazzire. Ma oggi è un giorno diverso, e John non è sicuro di riuscire a sopportare la presenza di qualcuno che non sia la propria. E' steso sul divano, con gli occhi puntati al soffitto e il cuore gonfio delle sue immagini. Ripete a se stesso che non lo sta dimenticando, si autoconvince che sa ancora di che colore sono i suoi occhi - celesti? Verdi? Azzurri? Grigi? - e quante fossette gli spuntano nelle guance quando sorride. Ma la verità è che non ha altra immagine, se non l'ultima, impressa nella testa. E il rosso è l'unico colore nitido che riesce a ricordare. Harry lo trova così, steso sul divano con una mano sugli occhi, che singhiozza come un neonato appena venuto al mondo. Le braccia di Harry sono forti, un buon appiglio a cui John si aggrappa con ogni forza del suo essere, come quella mattina ha fatto con Greg. Harry, dice, aiutami, continua, aiutami, ti prego. Non ce la faccio più. Harry piange, sulla spalla di suo fratello, stringendosi al suo maglione, tirandogli la pelle e, con essa, parte del dolore lancinante che la sta investendo. Dimmi cosa posso fare, Johnny, dimmelo. Farò ogni cosa che mi chiederai, dice. John la guarda, con i suoi occhi limpidi e le labbra contratte. Uccidimi. Uccidimi, ripete, puoi farlo? Harry non dice niente, asciugandogli piano le guance come quando era bambino. Ucciderò ogni parte di te, fratellino. Ti strapperò via questo male e me ne prenderò carico io, dice. John la stringe più forte, nascondendosi sul suo collo. Harry non è sicura che il suo fratellino abbia capito che cosa gli ha realmente promesso. Però, lei sì.






Ps. I'm a Serial Addicted

Quello che vi presento oggi è il primo capitolo di una oneshot in tre parti. Dopo la scoperta delle tre parole della prossima stagione sono caduta in uno stato di depression che con l'ascoltare Einaudi e qualche canzoncina triste non è nient'altro che aumentato. Così ho incanalato tutto così. Vi chiedo perdono perché lo stile è pesante, specialmente la prima e l'ultima parte, ma così è nata e non ho intenzione di cambiarla. Il titolo è un omaggio al mio manga preferito Fullmetal Alchemist, tratto dal primo volume in cui, un gruppo di minatori che hanno rischiato di morire per via di un incendio, ricevono il gentile consiglio di Ed: "se state così male, perché non ve ne andate e cercate un altro lavoro?" e loro rispondono "ragazzino, tu forse non riesci a capirlo ma noi siamo nati qui. Questa è la nostra casa, e sarà la nostra tomba". E vista l'aria che tira in questa oneshot, l'ho trovata più che azzeccata (vi devo specificare qual è la casa di John?). Come al solito vi ringrazio per tutte le vostre belle parole, le vostre recensioni (anche quelle negative *da bacino a Mis*) e il vostro seguito che mi rende tanto felice. Che altro dirvi? Perdono per l'angst? See you later!



Jess

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Capitolo 2
*** II ***


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E poi mi ritrovai lì, perduto nell'oblio, silenzioso, oscuro, completo. Trovai la libertà. Perdere ogni speranza era la libertà.
Fight Club






Harry ha il passo pesante quando entra al Diogene's Club. Ha il viso segnato da profonde occhiaie, è pallida, e i suoi vestiti sono sgualciti come quelli di chi ha passato la notte in bianco e la mattina dopo non li ha cambiati. Qualcuno cerca di fermarla, mentre apre la porta della sala riservata in cui sta Mycroft Holmes, ma un cenno della mano di quest'ultimo li fa desistere. Tutti escono dalla stanza senza voltarsi indietro. Harry rimane in piedi e, nonostante la differenza d'altezza, gli occhi di Holmes sembrano guardarla dall'alto.
- Vuole qualcosa da bere, Mrs Watson?
Harry osserva il bicchiere di scotch nelle mani dell'altro. Piano, con sicurezza, scuote la testa.
- Se è d'accordo non perderei tempo in convenevoli. A cosa devo la sua visita?
Harry sospira piano. Non si siede, febbricitante e stanca com'è. Stringe i pugni e i suoi occhi si velano di un oscuro dolore che Mycroft intercetta e ingloba. Lo fa suo, in uno scambio di sguardi strano e triste, e poi lo restituisce. La consapevolezza del perché di quella visita pesa su entrambi come le fondamenta di un mondo che non appartiene a nessuno dei due, ma che devono tenere in piedi per evitare che qualcuno cada di nuovo. C'è già stato abbastanza sangue per i marciapiedi di Londra; Harry sente l'odore rancido della disperazione infiltrarsi nella sua pelle così in profondità da farle venire il vomito.
- Sa bene perché sono qui, Mr Holmes.
Mycroft sbatte le palpebre lentamente, come se quel gesto abbia davvero il potere di togliergli tutta l'energia che gli è rimasta.
- Ho già proposto a John il mio supporto più di una volta e lui l'ha sempre rifiutato. Lei lo sa, questo. Quindi che cosa vuole da me, di preciso?
Harry gli si siede di fronte. Ha le mani giunte sotto al mento, gli occhi lucidi e stanchi. Sta cadendo in pezzi, e per uno strano gioco di fili, non è neanche l'unica.
- Vorrei davvero aiutarla, Mrs Watson-
- E allora lo faccia, santo Dio! La smetta di cercare scuse!
Harry si copre la bocca con una mano, cacciando indietro un gemito di frustrazione. A questo punto non sa se andare avanti o tacere. Poi la voce di John le rimbomba prepotente nel cervello - uccidimi, puoi farlo? - e capisce che se sceglierà la seconda per suo fratello non ci sarà via d'uscita. E lei ha una promessa da mantenere.
- Sono passati tre anni, Mr Holmes e John... io non so quanto a lungo reggerà ancora.
Mycroft sta in silenzio per qualche secondo. Tortura il bicchiere passandolo fra una mano e l'altra, e una strana espressione nelle iridi chiare e la consapevolezza di non poter più tirarsi indietro.
- Che cosa mi sta chiedendo, Mrs Watson?
Harry ascolta la sua voce, per la prima volta tremula dacché il loro scambio di battute è cominciato. Mycroft la guarda e Harry legge dentro i suoi occhi così tanta lacerazione e senso di colpa da sentirsi spezzata in due. Che cosa gli sta chiedendo? Non lo sa neanche lei. O forse sì, e ha solo paura di aver ragione. Ma, per una volta nella vita, si augura davvero che sia così. Solo per una volta, solo per questa volta. 
- Di riferire un messaggio, - sussurra, appena - torna a casa.


***


John ha un certo timore ad aprire le finestre. Ha cambiato appartamento due volte in tre anni perché entrambi troppo in alto rispetto al piano terra, e non riesce ad avvicinarsi alle imposte senza tremare con violenza. Sa che è un fattore psicologico - lui se ne intende di stress post-traumatici - come sa anche che se apre le vetrate non ci sarà nessuno pronto a lanciarsi di sotto a volo d'angelo. Lo sa, razionale e pragmatico, John questo lo capisce. Per questo, oggi, ha deciso di ignorare il tremore e la paura, salendo all'ultimo piano del palazzo in cui abita adesso. Il padrone di casa è gentile, gli ha chiesto le chiavi della terrazza superiore e non ha fatto domande, come John non ha dato spiegazioni. Quando apre la porta in ferro, l'aria gelida di Londra gli colpisce la faccia come uno schiaffo. Socchiude gli occhi, e la gamba un po' gli fa male. Meno del resto, meno di tutto. Fa passi lenti e piccoli, riuscendo ad arrivare al centro dello spiazzo senza cadere in ginocchio con gli occhi inumiditi e le mani fra i capelli con la testa che è sul punto di scoppiare. John immagina che sia il tetto del Bart's, quello. Qui è dove Moriarty e Sherlock hanno discusso, sì, e lì invece è dove Jim si è sparato. John può quasi sentire il sangue sulle dita quando tocca il cemento. Lì invece... lì. Cosa c'è lì? E' solo un parapetto come gli altri. Cosa c'è lì, John? Un passo dopo l'altro, respiro dopo respiro, c'è qualcuno che lo aspetta. Addio, John. John non ha mai creduto negli addii. Per chi rimane ci sono i ricordi e a quelli non puoi dire addio. Per questo John ha rinunciato. Ha rinunciato a sperare di dimenticare, ha rinunciato ad andare avanti, ha rinunciato a un sacco di cose. Vorrebbe rinunciare anche alla sua vita. Uccidimi, aveva detto a Harry, perché io sto già morendo. E adesso, con gli occhi puntati oltre, John si sente vicino alla fine un poco di più. Il marciapiede sotto è pulito. Non c'è corpo, non c'è sangue, non c'è carne, non c'è vita. Tu me l'hai data e tu me l'hai tolta, si dice. Poggia la fronte al muretto - piccolo ostacolo fra lui e Sherlock che sarebbe così facile sorpassare - e ticchetta le dita a terra. Un ritmo lento, come i battiti del cuore e il respiro nei polmoni, tic tic sto perdendo la rotta tic tic crederò sempre in noi tic tic mi manchi tic tic vienimi a prendere tic tic addio, John, e sbatte il pugno per terra una volta, due, tre, quattro. Stringe i denti e li affonda nella carne. Il sangue gli cola sul labbro, e la mano fa male da impazzire. Quanto è stato egoista? Addio, aveva detto, sapendo di mentire. Per John non sarebbe mai stato un addio. Come poteva esserlo? 
- Voglio saperlo, Sherlock. Addio è definitivo, è una promessa. E tu non sei mai uscito dalla mia testa. Addio non è niente, non esiste. Perché non vuoi lasciarmi andare? Non è un addio. Sei un bugiardo, Sherlock.
John non ha la forza neanche di alzare la testa, adesso. Una gelida coperta di vento l'avvolge, piano, per non fargli male. Anche quel giorno soffiava brutale, e John si chiede se abbia stretto anche lui fra le sue spire mentre cadeva nella discesa verso l'abisso. E' stupido illudersi che in quell'abbraccio ci sia un po' anche di lui? John vuole sperarci davvero, un'altra volta. Solo un po', solo per un po', anche se fa male come una spina in gola. Lasciatelo crogiolare in questo calore sconosciuto, sotto la pioggia che ticchetta prepotente su Londra. Lasciatelo così, finché vorrà. Finché potrà. Finché qualcuno non lo riprenderà con sé.
-
Gli addii non contano, John. Conta solo quello c'è stato*.
Tic tic.







Ps. I'm a Serial Addicted


Okkkaayyyy. Se possibile, in quanto a scrittura strana questo capitolo è peggio dell'altro o_o non vi dico la fatica per manovrare Harry, mi ha dato più problemi lei di Sherlock e John messi assieme le prime volte che ci scrivevo sopra.
Una precisazione:

- * E' la citazione di un film del 1942, Perdutamente tua. Non l'ho visto, ma la citazione era stupenda, quindi me ne sono impossessata!

Che dire, siamo quasi giunti alla fine, il prossimo sarà l'ultimo capitolo (che spero di scrivere in modo più normale di questi due '-') e spero che questo secondo non vi abbia fatto vomitare, dai. Dannata paccata di Angst, damn it. Vi mando infinito amore per le vostre recensioni e il supporto, sappiate che vi adoro <3 see you later!

ps. Questo capitolo è dedicato a Claudia perché è stata lei a darmi spunto per la scena del cornicione. Ti voglio bene, ciccia!


Jess

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Capitolo 3
*** III ***


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Vivere è la cosa più rara del mondo. La maggior parte della gente esiste, ecco tutto.
Oscar Wilde




E' come quando apri gli occhi dopo un incubo, con il respiro affannoso e le iridi appannate. Per i primi tre secondi non sai distinguere se quello che hai davanti - l'intimità della tua stanza, la persona che ti sta accanto, il suono familiare della sveglia - siano reali, o riproduzioni fedeli del tuo cervello. Poi c'è quel particolare profumo - pino, pungente e aspro - che semplicemente ti fa capire che sei lì. Per davvero.
John passa le varie fasi di questo risveglio completamente a occhi sbarrati, seduto nella terrazza del suo palazzo con di fronte a sé quell'uomo che l'ha fatto vivere e morire più di quanto avesse mai fatto l'Afghanistan. Sorpassa i sto sognando, schiva più rapido i devo essere impazzito e poi si blocca al questo non è un addio. John si chiede se sia fisicamente e chimicamente possibile morire all'interno del proprio corpo, rimanendo ancora vigile. I suoi muscoli non si muovono, non batte le palpebre, non respira quasi. Forse anche il suo stesso cuore ha smesso di battere, gemello dei neurotrasmettitori che ormai non danno più impulsi motori. Sherlock è bello. Un pensiero come un altro che gli fa provare piccoli brividi lungo le braccia. Bello nel suo pallore troppo visibile, bello nella sua magrezza troppo accennata, bello nel suo dolore e nel suo implorante perdono.
- Cos'è, questo? Cosa siamo... noi?
E' bello quando John si avvicina cauto e lui non si allontana, è bello quando invade il suo spazio e rabbrividisce. E' bello - bellissimo - quando il suo odore gli entra dentro, lenisce le sue ferite e le cura come un bravo medico farebbe con un suo paziente. Pino, pungente e aspro, e John è davvero lì.
- Non possiamo essere quello che eravamo prima, John?
Il tono freddo che si scioglie nei suoi occhi di fuoco ha il potere d'incendiare John dall'interno. Tutto sembra vorticare veloce intorno a lui e il ruggito che gli nasce nel petto non è di sollievo né di rabbia ma di semplice e puro terrore. Tutto si espande, diventa più luminoso e, santo Dio, ogni cosa ritorna a vivere nella sua pienezza, com'è già successo e succederà, solo quando gli occhi di Sherlock ci si posano sopra. Tutto ha un senso, la sua vita e lui come persona, hanno un senso. Per questo, John scaccia via la paura e si costringe a parlare. Lo deve a se stesso e a tutto ciò che si è promesso ma specialmente lo deve a quello che potrebbe essere.
- Non sono sicuro che mi basti più, Sherlock.
Se non gli occhi della disperazione, John non sa davvero come definirli. Forse quello che potrebbe essere non sarà mai, pensa John, e i suoi occhi parlano. Parlano a Sherlock come se stesse urlando, un fiume in piena di dolore e sentimento che non è sicuro di riuscire a calmare e controllare. Qual è l'unica cosa che può fare? Cosa può essere detto più di quanto non lo sia già stato? E' tutto lì, sul palmo della mano, e afferrarlo o perderlo è come un soffio di pioggia su un giglio appassito; perché è troppo tardi per poter germogliare di nuovo, ma se c'è una speranza forse ne vale la pena.
- Sono andato via proprio perché ho te, John. E per lo stesso motivo sarei tornato a qualunque costo [1]. Vorrei chiederti di capire e perdonare la mia colpa ma non ne ho il diritto perché adesso non posso darti quello che vuoi. C'è ancora troppo da fare, e non siamo ancora al sicuro.
Le sue dita tiepide gli sfiorano la fronte in una timida carezza, scostando ciocche di capelli chiari dai suoi occhi azzurri, vividi e sinceri. Le sue labbra secche, su cui Sherlock passa il pollice, sentono il sapore acre di uomo, endorfine e elementi chimici. E John potrebbe decidere di chiedere un miracolo: cristallizzare il momento, nell'attimo in cui l'altra mano di quella persona straordinaria, scivola sulla sua nuca, appena dietro il collo, sotto la camicia. Ed è tutto così perfetto che non si ricorda neanche quand'è stata l'ultima volta che ha pregato di poter morire.
- Tenerti vivo è l'unica priorità di cui m'importa e su questo non intendo trattare, Dottore.
John annuisce piano, poggiando il volto sul palmo aperto di Sherlock, e avvicinandosi un poco di più al calore del suo corpo, e a quell'odore di pino che sembra volerlo rassicurare: non stai sognando, e lui è qui. Non ti basta questo, John? Sì. Mi basta. E' un bacio leggero, quello che John gli posa sulla bocca, un bacio che sa di rimpianto e calore, con la forza di tutti quelli che non gli ha mai dato [2]. Tocca ogni parte del suo viso, s'infiltra piano nella sua bocca e sfiora i suoi denti perfetti. Vorrebbe piangere, John, e dirgli che aspettare va bene, che passerà la sua vita ad aspettarlo se sarà necessario. Ma non dice nulla, e Sherlock capisce lo stesso, avvolgendolo con le braccia e con gli occhi, e con quel suo odore di pino che ha svegliato John dal buio. Forse il loro è stato un addio, anzi, di sicuro un tempo lo è stato. Ma non lo è oggi, e sicuramente non lo so sarà domani.




Ps. I'm a Serial Addicted

E questo è quanto, anche questo piccolo esperimento è finito. Sarò sincera, sono abbastanza soddisfatta di questo capitolo, e non m'interessa se Sherlock risulta OOC. Ho amato renderlo più umano, e questo fluff un po' sopra le righe (spero non troppo sdolcinato) è esattamente quello che mi serviva per stare un po' meglio. Un paio di precisazioni:

[1] (ho deciso di usare i numeri perché a forza di mettere **** finisce che risulta fastidioso XD) Ennesima citazione di The Gentlemen Alleance Cross, amo quel manga.
[2] Citazione della meravigliosa Back to Afghanistan di Ermete che mi sono riletta stanotte. Di nuovo.

Per un attimo ho considerato l'idea di mettere un pezzo con Harry e Mycroft che si rincontrano ma mi piaceva troppo la chiusura che ho dato, e ho pensato che avrebbe rovinato tutto. Magari ci farò uno spin-off... Vi amo immensamente, voi lo sapete. Spero vi sia piaciuto, almeno un po' e alla prossima!

Ps. Avevo detto Bromance... ma ne è uscita una pre-slash. God.

Jess

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