Inside the Skull

di Yadokarinoise
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** A couch on the edge of an abyss - Un divano sul bordo di un abisso ***
Capitolo 2: *** A mine in the depths of ventricle - Una mina nelle profondità del ventricolo ***



Capitolo 1
*** A couch on the edge of an abyss - Un divano sul bordo di un abisso ***


Uno studio nella mente di Sherlock. Lui è uno sociopatico, e poi c’è John.

A couch on the edge of an abyss - Un divano sul bordo di un abisso

Sherlock Holmes sa di essere una meraviglia. È una dannata meraviglia e ne è al corrente. 
Sa che il suo cervello è un miracolo, e perché dovrebbe essere modesto?
Nessuno, in ogni caso, gli darebbe un premio per quello (no, gli hanno dato solo forche e corone di stagno e facce ridenti, verdi di invidia e rosse di rabbia), e lui non ha intenzione di nascondersi.
Perché se il mondo è fatto di repliche di plastica che gli puntano contro i loro indici e lo scrutano con occhi che giudicano, lui farà vedere loro che è fatto di avorio e genio e che c’è un intero mondo dentro il suo cranio e un abisso nel suo petto - ma può viverci, senza cadervi dentro. Deve solo essere un po’ attento quando cammina sul bordo (perché lo fa, perché è curioso e quel buco oscuro sembra così vuoto ed estraneo), e lui ha un forte senso dell’equilibrio. Sa che un giorno cadrà, ma devono esserci ancora tante albe e tramonti prima di quel giorno, e forse - forse - sarà preparato quando accadrà.
 
Sa che il suo cervello è una macchina super complicata cui ingranaggi semplicemente non possono smettere di prendere il mondo e analizzarlo - masticarlo, smembrarlo - finché non è proprio davanti alle sue pupille, spezzato e semplice e stupido (e lo compatisce e lo invidia allo stesso tempo). Il mondo è distrutto e sta piangendo, sta piangendo lacrime di vergogna e si sta aggrappando alla sua vestaglia blu, si sta graffiando la faccia con unghie taglienti, cercando di tornare com’era prima che lui nascesse, prima che lui prendesse lo scalpello della scienza e il bisturi della logica, imperscrutabile e perfetto e irraggiungibile. Ma il mondo - la patetica immagine del mondo che Sherlock è costretto a vedere, questa sciocca ragazzina con un vestito bianco e occhi rossi (no, scarlatti) dal pianto - non può ferirlo, non può toccarlo veramente, perché il suo cuore è fatto di pietra e la sua mente di diamante, ma sua faccia è fatta di marmo e non ha intenzione di commuoversi (mostrare emozioni è da deboli).
Riflette tutto quello che c’è dentro il suo cranio, dietro i suoi globi oculari azzurri: gli ingranaggi. Oh, gli ingranaggi.
Sono ingranaggi spietati fatti di ferro e di acciaio e di numeri e di freddezza e di un desiderio spasmodico di sapere e prendere e possedere e fare delle cose proprietà sue, tutte allineati come le provette sulla sua scrivania, pronte per andare sotto le lenti del microscopio, pronte per essere osservate, toccate e catalogate.
Corrono, corrono e corrono e si muovono e cambiano, e mangiano tutto quello che Sherlock vede, dall’arma che ha ucciso una vittima all’amore che ha portato un dottore dell’esercito al suo fianco. Ma non servono solo a percepire il mondo, no, servono a distruggerlo, e tutto quello che ama e conserva e a cui tiene finisce per essere ridotto in piccoli frammenti, come tutto quello che odia e detesta e ignora, e non può fare niente per ripararlo (perché, in fin dei conti, è umano).
Gli ingranaggi trattano le cose e le persone come esemplari e si nutrono di esemplari.
 
Sa che la gente venderebbe la propria anima per capire anche solamente i concetti di base di quella macchina, per crearne copie e copie e venderle nei negozi e usarle per risolvere i loro piccoli, insignificanti, stupidi problemi, cercando di migliorare le loro ridicolmente comuni vite. Si interessano soltanto di spazzatura, e finirebbero per trasformare anche quelle macchine perfette in spazzatura.
Potrebbero essere come lui, se lo volessero. Ma i loro occhi sono coperti con piombo e le loro palpebre cucite con filo rosso, le loro bocche parlano la lingua degli stupidi e le loro mani applaudono quello che è imbecille (e fanno così tanto rumore indesiderato, e lui vorrebbe solo che smettessero). 
Quando le persone non sono troppo occupate a ridicolizzarsi e a guardarlo come se fosse qualche animale dello zoo, urlano come diavoli infuocati, pieni di gelosia e invidia e odio (il rumore, il rumore!).
Potrebbero essere come lui se lo volessero. Ma i loro cervelli non sono meraviglie e non sono macchine, no, sono fatti di melma, pieni di cose stupide, così poco usati, così morti, così morti.
A volte Sherlock vorrebbe poter entrare in quei cervelli e scolpirli, intagliare nelle loro sinapsi la scintilla del genio e incidere nei loro neuroni il fuoco del dubbio. Vorrebbe poter modellare quelle masse di carne come un artista modella il suo primo lavoro, ma non può. E questo lo distrugge.
 
Tutto è monotono e noioso per il cervello di Sherlock: può vedere i progetti dietro le cose, gli scheletri dietro le idee, gli istinti dietro le bestie e i sentimenti dietro le persone. Può vivisezionare il mondo, ma il mondo non può vederlo perché è troppo occupato a pensare che lui è una meraviglia, e troppo geloso per vedere che è un matto distrutto, completamente e totalmente pazzo, una statua fatta di ghiaccio con un cuore che brucia e una mente dolorante, un rottame imprigionato che cammina. 
Ma a volte il mondo non pensa che lui sia una meraviglia: pensa che sia un mostro, un’anomalia, un’aberrazione, ma lui non fa altro che bramare la conoscenza e farebbe di tutto per ottenerla, dal sopportare gli insulti a bucarsi i polsi, perché se c’è un bene superiore, un bene per il quale vale la pena di morire, allora quel bene è la conoscenza, conoscenza che può nutrire i suoi ingranaggi e farlo vivere. Non può permettere che gli ingranaggi mangino se stessi - e lui sa che accadrà se smette di lavorare, se smette di pensare.
Lui può tagliare il mondo in pezzi con i suoi occhi penetranti e le sue lunghe dita e allinearli in file ordinate a suo piacimento tanto per farlo, solo per provare che ne è capace, solo per fare in modo che la Terra sia meno caotica e disordinata e asimmetrica e sbagliata. Ma non lo fa per quel motivo, no, lo fa perché non può pensare ad un altro modo di vivere, di agire, di pensare, perché ha paura che il suo cervello mangi se stesso, che la sua mente divori il proprio genio e ha paura del vuoto che verrebbe dopo. 
Può quasi vedere quel vuoto. Quasi. Perché nella sua mente c’è una tela, una tela bianca.
 
Tutto è collegato da linee grosse e sottili, tutte le cose sono punti su tele bianche e lui può scriverci sopra, aggiungere quanti punti e linee vuole, e avrebbe comunque senso perché il suo cervello è una macchina e una meraviglia e qualcosa che lui può controllare. Le tele non sono mai bianche, e come potrebbero esserlo? Sherlock può immaginare il vuoto? Sherlock può davvero immaginarlo? Si, dice lui, e viene fuori in un sussurro terrorizzato. Sta tremando e ha paura e continua a scrivere disperatamente sulle tele, aggiungendo dati e disegnando pensieri, usando gesso e lacrime e sangue e vernice e tutto quello che può utilizzare, perché tutto - tutto - è meglio del nulla.
Ha già sperimentato il nulla, ma si trovava solamente sull‘orlo (anche se gli sembrava di trovarsi nel centro), ed è diventato dipendente dal pericolo, dall’adrenalina. Ma un bel po’ di siringhe dopo ha capito che c’era qualcosa di sbagliato, perché sentirsi normale - il cervello che si riposa, la mente silenziosa, gli occhi chiusi e il cuore pulsante - non era normale per lui. Doveva lavorare con quello che aveva, e quello che aveva era un cervello matto e ingranaggi voraci. Quindi smise. 
I piccoli punti rossi sugli avambracci formavano un bellissimo disegno e lui voleva vederne di più, ma smise, e si sentì come se stesse vomitando e piangendo e agonizzando. 
Ma lo sopportò per il bene della conoscenza. Lo sta ancora facendo. 
 
Si, lui può controllare la sua mente (fino ad un certo punto). Ma non può controllare il mondo e questo lo fa impazzire. Non può far smettere il mondo di essere sbagliato e insensato. Anche se può vedere oltre tutte le cose, anche se può far piangere il mondo, anche se può spellarlo e raccoglierlo, non vuol dire che abbia senso. Non ce l’ha. Semplicemente non ce l’ha e a volte Sherlock trova difficile respirare, e si strozza e ansima sull’aria fatta di molecole che sono disordinate e caotiche e chiaramente sbagliate. Non può bloccare le visioni della sua mente, non può fare a meno di dedurre e trovare tutti i punti e le linee e unirli - e vorrebbe che smettessero, che smettessero e rimanessero ferme e calme, e pensa all’eroina e alle piccole punture rosse e vuole vederle di nuovo così disperatamente, ma non può, non può. Lui non può essere normale perché sarebbe strano. 
Il mondo esplode dietro le sue palpebre e la lingua smette di avere senso perché non sarà mai in grado di esprimere quello che prova lui, la lingua muore e risuscita in soli pochi secondi, lui può vedere gli atomi e le galassie e può quasi vedere il bianco, il nulla e gli ingranaggi; cerca disperatamente dati, qualcosa che non sa, e poi tutto può essere controllato di nuovo (per un pò).
Può anche essere una meraviglia, ma è solo un uomo ed è solo un mostro, e come può un uomo fatto di creta e una creatura fatta di malattia lottare contro così tanti punti e così tante linee? Continuano ad aumentare e a crescere e non hanno nemmeno un numero, come fa lui a sopportarlo? Si agita e trema sotto il suo fardello, ma non vuole che gli ingranaggi cigolino, quindi va avanti, come una bestia, come uno schiavo. 
 
Il mondo pensa che sia un genio, e il mondo ha ragione.
Il mondo pensa che sia un mostro, e il mondo ha ragione.
 
Le palpebre di Sherlock sono pesanti e ha la nausea e ha il diritto di avere la nausea, ma poi una voce lo richiama (chiamando il suo nome, ricordandogli chi è) e lui torna. 
Apre gli occhi ed è seduto sulla sua poltrona e John lo sta guardando. John.
In meno di un secondo la sua mente è affamata e sta lavorando di nuovo - John indossa un maglione che non gli piace particolarmente perché Harriet gliel’ha regalato per sentirsi meno colpevole per la sua abitudine di bere, e John è così pieno di sentimento ed è per questo che lo indossa, davvero, è formidabile, come ci riesce, come fa ad avere nervi fermi e un cuore tenero, forse è perché non ha ingranaggi, Sherlock non lo sa ma lo scoprirà prima o poi perché non può permettersi di non farlo, John ha avuto una giornata terribile al lavoro e può vederlo nella curva delle sue labbra e nell’espressione dei suoi occhi, come può la gente non notarlo, sono cose elementari, eppure non notano, come, come, e nemmeno John non lo fa ma John ci prova, almeno ci prova, perché se Sherlock ha una mente di ferro e un cuore di marmo, allora John un cuore di calma e una mente di carta, perché vuole imparare e lo vuole così tanto, ed è tutto mosso dall’amore e come fa a non cadere nell’abisso, magari non c’è nemmeno un abisso, dovrei cavargli il petto per esserne sicuro, e sembra così preoccupato e irritato allo stesso tempo -, e Sherlock è così grato a John per averlo fatto che potrebbe morire in questo preciso istante. 
Gli occhi di John sono indagatori ma non dice niente, perché sa che a volte la mente di Sherlock corre e sa precisamente ed esattamente quando deve essere fermata prima che Sherlock faccia qualcosa di incredibilmente stupido solo perché gli va, solo per usare il cervello. 
John sa come fermare il vuoto.
 
Sherlock Holmes sa che John è una meraviglia. È una maledetta meraviglia e ne è al corrente. 
John Watson è una meraviglia in una maniera completamente diversa, però. La sua mente non è fatta di ingranaggi e non è una macchina, ma comunque - in un certo senso loro appartengono l’uno all’altro ed è magnifico, è magnifico il fatto che Sherlock lo possiede perché è un possesso di cui va fiero. 
E se John è in suo possesso, allora Sherlock vuole studiarlo come non ha mai studiato nient’altro prima. Ma sa che quello che vuole è sbagliato e sa che questo rovinerebbe John.
Vuole togliere via la pelle dal cranio di John e metterla su una tela ed ammirarla, vuole segare il cranio di John e mettere i frammenti in una ciotola e giocarci qualche volta, vuole prendere il cervello di John e tagliarlo in pezzi solo per vedere perché John non può vedere cosa vede lui, vuole prendere  il cuore di John e guardarlo mentre batte, vuole mettere il sangue di John in bottiglie e assimilarlo solo perché è suo, vuole tagliargli via gli arti, vuole fare così tante cose e nessuna di queste è anche lontanamente giusta o legale. Vuole fare a John un’autopsia mentre è ancora vivo, e vuole che John faccia lo stesso con lui. Sarebbe meraviglioso, vero?
 
Vuole smontare John e poi aggiustarlo.
Vuole che John lo smonti e poi lo aggiusti.
 
Si chiede cosa vuole fare John. È abbastanza sicuro che John non vuole fare tutte quelle cose perché John è normale il che è sia una maledizione sia una benedizione; Sherlock ha bisogno che John sia normale perché ha bisogno che John fermi il vuoto e ha bisogno che John gli dica quello che è giusto e quello che è sbagliato, perché lui sa che tutto ma niente ha senso. John non lo può capire ma questo non vuol dire che non può completarlo (stanno così bene insieme, non è così?).
Sherlock non può amarlo in nessun altro modo. Perché lo fa; gli piace camminare sul orlo dell’abisso troppo da non saperlo. Non è romantico, non è sessuale, ma è amore. Non il tipo giusto di amore, non il tipo normale di amore, ma ci sono così tanti tipi di amore e così tanti tipi di tutto che non fa differenza, semplicemente non lo fa. Come potrebbe avere importanza?
Sono due anime gemelle che si salvano a vicenda. Sono due vite aggrovigliate e mescolate, sono due meraviglie che si uccidono e si risuscitano a vicenda ancora e ancora. È qualcosa di unico e terribile e magnifico insieme, e Sherlock ama tutto questo e sa che anche John lo ama, perché lui sa tutto senza capirlo e ha bisogno che John lo traduca per lui. 
Sherlock non può amarlo in nessun altro modo e nemmeno John può.
 
Possono provare a essere felici mentre si feriscono - mentre John è una bussola e da’ senso al mondo ed è un cuore, e mentre Sherlock gli da scene del crimine e campi di battaglia ed è una mente -, possono provarci e fallire e provarci di nuovo perché sono destinati a tirare avanti e sanguinare.
E, oh, loro amano tutto questo più dell’aria che respirano, più di qualsiasi altra cosa al mondo, perché loro sono uno solo e sono fatti l’uno per l’altro, e questo è un’espressione impropria ma Sherlock (Sherlock che odia la lingua perché non può esprimere niente, Sherlock che non può parlare di punti e linee) non può pensare a nient’altro. E nemmeno John può. 
 
Sherlock nota che John lo sta ancora guardando con la stessa espressione. Lui lo sa. 
Sorridono entrambi alle proprie anime gemelle, anime gemelle che si feriscono e si guariscono a vicenda.
 
Sherlock Holmes e John Watson sono due meraviglie, e lo sanno.
Sherlock Holmes e John Watson sono due mostri, e lo sanno.
Quello che il mondo pensa non ha importanza.
 
Sherlock prende il suo violino e comincia a suonare. John chiude gli occhi, e ascolta.

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Capitolo 2
*** A mine in the depths of ventricle - Una mina nelle profondità del ventricolo ***


Uno studio nel cuore di John. Lui è un rottame, e poi c’è Sherlock.

A mine in the depths of ventricle - Una mina nelle profondità del ventricolo

C’è una pistola nel cassetto di John. Si trova sopra una pila di schede e si carte e un diario sul quale non ha ancora scritto nemmeno una parola (non ha intenzione di farlo). Non è impolverata perché a volte al dottore piace rigirarsela nelle mani solo per sentire il suo peso - è una sensazione davvero piacevole e lui la adora - prima di rimetterlo al suo posto, lo spazio stretto di un cassetto in una casa che non sa di casa, una casa dove lui sistema ancora il letto come lo fanno i soldati, anche se non è più un soldato e non è più nel deserto (a volte vorrebbe esserlo e pensa alla sabbia e al sole).
È la pistola che gli è stata data quando si è arruolato. È una pistola standard e normalmente non varrebbe la pena di menzionarla. Ma in questo caso - in questo particolarte caso che coinvolge uno sociopatico iperattivo e un medico dell’esercito che sono entrambi meraviglie e mostri (e lo sanno) – lo è. Questa particolare pistola in questo particolare scenario merita molta attenzione. Questa è una pistola che dovrebbe rompere il cranio di un uomo, invece penetra le ossa dei criminali. È una pistola cui pallottole dovrebberoo distruggere un cuore, invece seguono la rotta dell’adrenalina. Qusta pistola brilla come le stelle del deserto e pesa come un organo infetto. È come una bottiglia di veleno e una goccia di antidoto. Questa pistola è come qualsiasi altra pistola al mondo ma era destinaa a essere trovata sulla scena di un crimine. È l’arma della morte e il coro della salvezza. Questa pistola è la pistola.
 
John Watson è un medico. In verità, è un medico dell’esercito e ha un bel po’ di esperienza. È un medico maledettamente bravo e quando va in Afganistan è puro come un agnello, ma quando torna si sente come un nuovo Prometeo con dita insanguinate.
I medici devono riparare la gente. Siccome le persone sono come macchine super complicate, i medici devono conoscere ogni singolo circuito dei loro corpi, ogni goccia di sangue e ogni frammento di osso e ogni brandello di muscolo. Le loro malattie devono essere imparate col cuore e i loro rimedi incisi nei polsi dei medici come versi di un vangelo. I medici devono comportarsi come déi e scoppiare a ridere quando la Morte approccia i loro pazienti perché con un tocco delle loro dita possono uccidere la Grande Mietitrice stessa e risuscitare i cadaveri in decomposizione.
Con uno sguardo o una carezza i medici possono far ridere o piangere un uomo. Con uno sguardo o una carezza i medici possono decifrare i codici intricati di una radiografia o suturare la carne delicata di una ferita insopportabile. Loro possono decodificare il linguaggio del corpo e cercare di tradurlo nella lingua del cuore. Loro possono far funzionare gli esseri umani o ridurli in rottami. È un potere frainteso ma nessuno lo mette in dubbio.
È con le miglori intenzioni e le speranze più pure che John - come tutti gli altri - studia medicina e impara a salvare l’organismo per permettere allo spirito di andare avanti.
È con le migliori intenzioni e le speranze più pure che entra nell’esercito.
Fondamentalmente John pensa di essere un uomo buono. Segue una vita onesta e cerca di avere pensieri giusti. Si comporta come un brav’uomo e pensa che sia abbastanza.
 
Gli ci vuole una guerra per capire che è un uomo buono.
Gli ci vuole una guerra per caipre che un uomo buono può essere anche cattivo.
 
Inizialmente pensa che sia il deserto.
Tutta quella sabbia lo fa diventare completamente matto; può sentirla sulla pelle, nelle ossa, dietro le palpebre. Gli graffia i polmoni e gli corrode il cervello. È nel cibo che mangia e nell’acqua che beve, nei sogni che fa e nelle visioni che ha. È nel paesaggio e a volte lo fa sentire così male che è tentato di prendere la pistola e sparare un’ultima pallottola dritto nella propria testa. A volte non risce a respirare perché teme che perfino l’aria si trasformi in sabbia e quel pensiero lo uccide.
Nessuno può sopravvivere per molto, avvolto da così tanta sabbia. C’è sabbia nelle pistole e nelle pallottole e nei soldati.
Quando comincia a guardare il cielo e vedere briciole di sabbia al posto delle stelle, decide di aver raggiunto il punto di non ritorno.
Poi, quando si abitua ai cristalli marroni, pensa che sia il sole.
L’Afganistan è una terra di sole: brilla con ostinata arroganza sugli elmi dei soldati e sugli uomini morenti, sulle tende che dovrebbero essere abitazioni ma sono a malapena dei ripari, sull’Avana che sembra non avere fine. La luce del sole è come una tortura e si può vedere persino di notte, quando John dovrebbe dormire ma non può; si riflette nella luna e nelle pupille dei suoi compagni. Fa bollire la terra e fa sanguinare i nasi. È negli spari e nel caffè che bevono al mattino.
Nessuno può sopravvivere per molto, avvolto da così tanta sabbia. C’è sabbia nelle pistole e nelle pallottole e nei soldati.
Quando comincia a guarare il cielo e detestare quella gigante stella come se fosse la faccia del diavolo, decide di aver raggiunto il punto di non ritorno.
Per un po’ queste giustificazioni sembrano plausibili. Poi, quando si abitua sia al deserto che alla luce del sole, pensa che sia quel paziente.
 
Il suo primo paziente è ferito solo superficialmente. Gli hanno sparato nella gamba sinistra. La ferita non è molto profonda e John lo sistema soltanto con pochi punti, pensando ai libri che stanno sulla scrivania a casa dei suoi genitori e all’alcol che Harry sta sicuramente bevendo in quel momento. John si sente come un uomo buono e come un dio, e quando il soldato gli ringrazia per aver fatto il suo lavoro, John vede la gratitudine brillare nei suoi occhi e si sente fiero di sé. Vuole mostrare all’intero mondo la sutura accurata che ha fatto e camminare su un tappeto rosso attraverso il deserto gridando “questo è quello che ho fatto, guardate, non è una meraviglia? Avrei potuto aspettare e lasciare che la ferita si infettasse e poi tagliargli via la gamba solo per farlo sembrare pulito e perfetto di nuovo. Ma non l‘ho fatto. L‘ho disinfettata e accarezzata con le mie dita, ho osservato il sangue e poi l‘ho lavato via, non ho preso il bisturi, ma ho preso del filo dalla mia borsa e ho cucito la ferita come farebbe un sarto. Avrei potuto conservare la pallottola che l‘ha colpito e trattarla come un gioiello e avrei potuto tenerla in una scatola, solo per aprirla ogni qualche settimana e guardarla. Sarebbe stata la prova delle mie abiltà e del mio genio. Ma guardate la sua gamba. È stupenda ora. Io l‘ho fatta diventare stupenda. E ho fatto tutto questo perché io stesso sono una meraviglia.”
Si, John Watson è una meraviglia. È una meraviglia ed è un uomo buono, e può sopportare il deserto ancora un po’.
 
Ma il suo primo paziente non è quel paziente. Il suo sesto paziente è quel paziente.
È un soldato al quale hanno sparato nello stomaco. Non c’è davvero nulla che John possa fare per lui: normalmente, se ti sparano nello stomaco, muori entro venti minuti. I succhi gastrici corrodono la tua carne ed è finita. È una morte dolorosa.
John ha tempo solo di guardare la ferita prima che il soldato muoia. Per un minuto o due non vuole accettare quello che è successo, ma poi la realtà lo colpisce con un solo doloroso colpo e il dottore improvvisamente sente una rabbia terribile crescergli dentro (è illogico e lo sa ma non gli interessa più di tanto). Vuole scuotere la testa del morto e urlargli in faccia “avrei potuto guarirti! Avrei potuto guarirti se tu avessi avuto la forza di resistere ancora un po’. Avresti potuto vivere ora, ma sei stato debole e ora sei morto, e mi hai rovinato il lavoro perché io ero perfetto, ero perfetto. Ero il migliore e tu hai rovinato tutto quanto, e spero che tu stia marcendo all’inferno ora, e non so nemmeno se l’inferno esiste ma lo voglio perché tu te lo meriti. Non vedi? Ero una meraviglia e tu hai rovinato tutto.”
John sa che quello che pensa è completamente e assolutamente sbagliato. Sa di essere un mostro per averlo pensato.
Si, John Watson è un mostro. È un mostro e un uomo cattivo, e forse quella pallottola deve davvero essere nella sua testa.
Non è la sabbia, non è il sole, non è quel paziente. È soltanto lui.
 
Gli ci vuole una guerra per capire di essere una meraviglia.
Gli ci vuole una guerra per capire di essere un mostro.
 
Poi la vita perde il suo signficato.
Il deserto diventa buio e il sole diventa nero. John non riesce più a sentire il proprio cuore battere e pensa tropo spesso a quella pallottola. Ma deve andare avanti, in qualche modo.
Il suo cuore comincia a battere sul ritmo degli spari.
È come se avesse camminato su una mina e non può semplicemente andarsene, come se niente fosse successo. Se è una meraviglia ed è un mostro, allora è costretto ad affrontarlo. E lo affronta. Cerca ferite terribili e le sistema perché è un medico. Quando sono troppo profonde o quando è troppo tardi, chiude gli occhi del paziente e cerca di dimenticare.
Poi gli sparano.
 
Gli sparano in una spalla e per un secondo è sicuro di stare per morire e questo lo fa arrabbiare. Perché non può semplicemente operare se stesso? Dovrebbero lasciarglielo fare. Farebbe un lavoro perfetto, lui è sorprendente. Ma non lo lasciano. Che crudeltà.
Gli sparano nella spalla e sopravvive. Poi lo rimandano a Londra.
Non ci sono spari a Londra e niente ha più signficato.
Non ci sono spari a Londra e lui vuole soltanto farla finita.
C’è un bastone vicino al suo letto e una terapista che non può aiutarlo in quello studio.
C’è un letto che ha l’odore di una bara e una casa che ha l’odore di una tomba.
C’è la pistola nel suo cassetto e lui sta per fare la sua scelta.
Poi Sherlock Holmes capita.
 
Sherlock Holmes capita e John può sentire il cuore battere di nuovo con incredibile ferocia. Quel uomo è completamente matto (ed è una meraviglia e un mostro e John lo sa e si sente benissimo), ma in un giorno fa abbandonare a John il suo bastone e lo fa correre in una città che non sembra più grigia e improvvisamente sa di sabbia e di sole e il dottore - che ha imparato a odiare il deserto e i raggi del sole - improvvisamente ama tutto questo come non ha mai amato niente. Sherlock è fatto di spari e pallottole e scene del crimine e John lo adora. Lavora con lui perché loro sono due facce della stessa moneta e perché lui mette tutto al suo posto.
Il suo cervello è grande quanto un pianeta e brama la conoscenza nello stesso mondo in cui John brama l’azione (ne hanno bisogno, è come se fossero drogati, no?).
Sherlock è fatto di neuroni e materia grigia e John è fatto di ventricoli e arterie. Sherlock è mosso dalla testa e John è mosso dal cuore.
È affascinante, davvero, come Sherlock può capire e dedurre tutto ma non può rendersi conto se una cosa è giusta o sbagliata; è affascinante, davvero, come John può guidarlo anche se lui è completamente, assolutamente e totalmente normale. Si seguono e si guidano a vicenda allo stesso tempo. È come giocare col fuoco: è pericoloso e stranamente crea dipendenza.
John non può capire Sherlock e Sherlock non può capire John: ma non importa, perchè si completano a vicenda.
Dopo il loro incontro, tutto è fatto di sangue e morte e di giusto e sbagliato e John semplicemente ama tutto questo. È un bene che anche Sherlock lo ami.
 
A volte John (John, che sa che sono entrambi meraviglie e mostri) vuole essere quello che ripara Sherlock Holmes. Gli piacerebbe che un giorno Sherlock tornasse a casa con una ferita terribile. Gli piacerebbe aiutarlo e suturare la sua ferita e far tornare il mondo ad essere giusto. Sherlock lo guarderebbe con i suoi occhi blu, sarebbe riconoscente e John penserebbe “guarda, ti ho aggiustato e sei perfetto di nuovo. Tutto grazie a me.
A volte John vuole che quel giorno arrivi presto. A volte vorrebbe essere lui quello che ferisce Sherlock; perché niente sarebbe meraviglioso come distruggerlo e poi ripararlo di nuovo. Perché se John è matto allora lo è anche Sherlock e lui capirebbe. John non glielo dirà mai, certamente.
Sarebbe davvero sorprendente se Sherlock gli chiedesse “un giorno, quando morirò, quando sarò così ferito che nemmeno tu potrai aiutarmi, voglio che tu mi finisca e che poi mi tagli in pezzi. So che vuoi capirmi, e che tu sei fatto di capillari e pressione del sangue e valve e che vivi di anatomia; e se hai bisogno di disfarmi per vedere come sono fatto, puoi farlo. E voglio che tu tenga il mio cervello in un barattolo sul tuo comodino. Lo voglio veramente”. Sarebbe completamente sbagliato, ma fantastico.
 
C’è una pistola nel cassetto di John al 221B di Baker Street. Si trova sopra una pila di schede e di carte e un diario sul quale non ha ancora scritto una sola parola (ha un blog ora). Non è impolverata perché molto spesso al dottore piace portarla con sé quando corre dietro a qualche criminale con l’unico consulente detective del mondo - è una sensazione davvero piacevole e la adora - prima di rimetterlo al suo posto, lo spazio stretto di un comodino in una casa che sa di casa e di laboratorio, una casa che condivide con la sua anima gemella e che è eccitante come un campo di battaglia e meravigliosa come una scena del crimine, anche se non è più un soldato e non è più nel deserto (a volte pensa di esserlo e pensa alla sabbia e al sole).
È la pistola che gli è stata data quando si è arruolato. È una pistola standard e normalmente non varrebbe la pena di menzionarla. Ma in questo caso - in questo particolare caso che coinvolge uno sociopatico iperattivo e un dottore dell’esercito che sono entrambi meraviglie e mostri (e lo sanno) - lo è. Questa particolare pistola in questo particolare scenario merita molta attenzione. È la pistola che era destinata a rompere il cranio di John Watson che invece lo fa diventare un uomo letale con un cuore. È la pistola cui pallottole ghiacciate dovrebbero finire una miseria invece seguono la scia di un assassino. Brilla come un cervello fatto di ingranaggi e pesa come un cuore fatto di fuoco. Sa di ferita mortale e fasciatura miracolosa. Questa pistola è come tutte le altre pistole al mondo ma era destinata - sin dall’inizio - a trovarsi in un appartamento a Londra. È l’arma della vita e l’urlo del pericolo. Questa pistola è la pistola.
 
Questa pistola è stata la pistola fin dall’inizio, ma John Watson ci ha messo una guerra e un Holmes per capirlo.  

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