Legami

di Li_chan
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Una giornata speciale ***
Capitolo 2: *** Il passato... presente? ***
Capitolo 3: *** Sentieri diversi, un'unica strada ***
Capitolo 4: *** "Casa Price" ***



Capitolo 1
*** Una giornata speciale ***


DISCLAIMERS

Tutti i personaggi di Capitan Tsubasa sono © di Yoichi Takahashi, della Shueisha, e degli aventi diritto. All right reserved.Con la presente non si intende ledere nessun diritto.
Lola, Will, e tutti gli altri personaggi non appartenenti a Capitan Tsubasa sono invece © di Li-chan.
Pertanto nessuno può utilizzarli senza il mio permesso.

Buona lettura e possibilmente buon divertimento a tutti!


LEGAMI


Capitolo I


Un giorno speciale

08.00 A.M.

DRIIIINNNNN DRIIIIINNNNN
L’odiato trillo della sveglia si diffuse per tutta la stanza, distraendo il ragazzo dal rassicurante tepore del riposo.
« Jenny…» mormorò, abbracciando il cuscino, cercando di non arrendersi all’interruzione forzata di quello che doveva essere un bellissimo sogno, a giudicare dall’espressione beata dipinta sul suo viso.
La sveglia impietosa continuò nella sua opera, la stessa per la quale il ragazzo l’aveva programmata la sera prima.
« Uhm…» mugolò lui, tirandosi sul volto lenzuola e coperte, nel tentativo di attutire almeno in parte il gorgheggio di quello strano uccello metallico che gli penetrava nel cervello.
Non ottenne alcun risultato, e stancamente aprì gli occhi. Allungò una mano sul comodino e fece tacere quell’odioso oggetto.
« Adesso mi alzo» balbettò, sfregandosi vigorosamente il viso. « Mi alzo, va bene…»
Con un portentoso colpo di reni balzò in piedi. Venne assalito da un’improvvisa vertigine, e si appoggiò al comodino. Il suo sguardo cadde su una fotografia incorniciata adagiata in bella vista sul mobile. La prese e si sedette sul letto, contemplando la bella ragazza dai lunghi capelli che attraverso il vetro gli sorrideva, ammiccante.
« Oh Jenny… Chissà quando ti rivedrò…» mormorò, sdraiandosi sul letto e portandosi la fotografia sul cuore. Chiuse gli occhi, cercando di ritrovare nella memoria il suo profumo di mughetto e cannella.

09.27 A.M.

Un raggio di sole si posò pigramente sul volto del ragazzo placidamente addormentato. Le palpebre sussultarono, e il giovane aprì gli occhi. C'impiegò qualche momento ad abituare le iridi alla luce, e si mise a sedere, poggiando la schiena sulla testata del letto. Si passò le mani sul viso, ancora intontito dalla nuvole del sonno. Distrattamente rivolse un’occhiata all’orologio che portava al polso, e scattò in piedi come una molla.
« Cazzo!» gridò. « Sono le nove e mezza! Ma porc… Meno male che avevo detto a Phil di svegliarmi! Io l’ammazzo!»
Corse fuori dalla stanza, e come un turbine si precipitò nella camera attigua, spalancando la porta. Come immaginava, quel pigrone dell’amico dormiva ancora della grossa, steso sul letto e con la foto di Jenny tra le braccia. Il giovane scosse la testa, rassegnato.

Ma è possibile che io debba conoscere sempre e soltanto dei pazzi scatenati? Scatenati e incoscienti, per giunta! Iniziando da Oliver, con la sua fissa per il pallone, che per anni non è riuscito a guardare al di là del suo naso, per giungere a Mark, con le sue strambe idee maschiliste e i suoi sensi di colpa, che classifica le emozioni e i sentimenti come debolezze… E per di più sono finito a dividere casa con tre di loro! Prevedo guai a non finire…!

Si avvicinò all’amico e lo scosse.
« Phil… Ehi, Phil!»
Il ragazzo aprì un occhio.
« Tom… Cosa vuoi? E’ ancora presto per l’allenamento…»
« Per l’allenamento sì, per la lezione no! Hai la minima idea di che ore siano?! E per di più dovevi essere tu a svegliare me!»
Il ragazzo steso sul letto guardò l’amico di fronte a lui con aria interrogativa, poi spostò lo sguardo sulle lancette della sveglia posta sul comodino.
« Maledizione, è vero!»
Saltò giù dal letto e indossò in fretta e furia un paio di jeans blu scuro, tirandosi indietro con le lunghe dita alcune ciocche che gli ricadevano in disordine sul viso. I capelli scuri gli arrivavano fino alle spalle.
« Tom, cosa ci fai ancora qui?» apostrofò l’amico. « Vai a prepararti!»
Tom lo guardò costernato, e alzò le braccia in segno di resa.

Mi arrendo. Neanche il mio senso pratico può combattere con Philiph.

Tom si voltò, dirigendosi verso la porta.
« Ci vediamo giù tra dieci minuti. Guarda che non ho intenzione di aspettarti, quindi datti una mossa. O prendo la macchina e ti lascio qui.»
Philiph annuì, mentre indossava una maglia di cotone turchese.
« Per la colazione ci arrangeremo in qualche modo più tardi. O pranzeremo direttamente» concluse Tom, rivolgendo un’ultima occhiata all’amico prima di chiudersi la porta della stanza alle spalle.

10.13 A.M.

« Tu sei pazzo!» urlò Tom, mentre sbatteva con violenza la portiera dell’automobile.
Sull’asfalto del parcheggio erano visibili i segni della frenata, come dire, un po’ brusca.
« Cosa ti lamenti? Siamo arrivati QUASI in orario!» replicò Philiph con nonchalance.
«QUASI in orario? QUASI? La lezione di storia del Giappone è iniziata da più di mezz’ora! Ti ricordo che alle nove e mezza, quando dovevamo già essere all’università, tu eri ancora bellamente immerso nel mondo dei sogni! E sai anche tu che razza di bestia diventa Dawson con i ritardatari! In più oggi è il giorno di consegna della relazione! Non ti chiederò mai più un favore! »
« Tom, da quanti anni ci conosciamo noi due?»
« A occhio e croce… direi circa dodici anni.»
« E in questi dodici anni quante volte sono arrivato puntuale ad un appuntamento?»
« Neanche una. Ricordo ancora il giorno in cui dovevamo partire per i mondiali giovanili. Abbiamo seriamente rischiato di rimanere a terra perché tu a due minuti dalla partenza non eri ancora arrivato…»
« E tutto questo cosa ti fa pensare?»
Tom tacque. Aveva capito dove Philiph voleva andare a parare.
« Ho capito» concesse, magnanimo. « Hai ragione tu. La puntualità non è sicuramente il tuo forte.»
« Ok, allora. Andiamo, adesso, o vogliamo incrementare ancora di più il ritardo?»
I due ragazzi si guardarono in viso, e iniziarono a correre, con i libri sotto braccio. Attraversarono rapidi i parcheggi, il vasto giardino e le scale dell’ingresso, raggiungendo i lunghi corridoi della facoltà, gremiti di gente, come in ogni ora del mattino e del primo pomeriggio.
L’edificio, un immenso casermone con la facciata di mattoni rossi, ospitava moltissime facoltà e master post laurea, e poteva vantare una serie di strutture sportive e intellettuali all’avanguardia.
L’università “Morrison” era la più rinomata di Tokyo, famosa, oltre che per la qualità della sua preparazione culturale, per le sue squadre sportive, tra le quali quelle di calcio maschile e basket femminile costituivano la punta di diamante. Doveva il suo nome ad un’eccentrica miliardaria americana, vedova e senza discendenti, che aveva nominato l’università come erede universale, a condizione però che assumesse il suo nome. E così l’anonima università S. era diventata la famosa università “Jane Morrison”, nelle cui casse era confluita un’enorme quantità di denaro, che in seguito venne investito nell’ampliamento strutturale e nella rimodernizzazione di impianti e attrezzature. Tutto questo era accaduto circa un secolo prima, e col passare del tempo il prestigio e la fama dell’università si erano ulteriormente ampliati e rafforzati, tanto che il consiglio di amministrazione poteva contare sulle generose donazioni di ricchi uomini e donne d’affari, che nella maggior parte dei casi si erano laureati proprio alla “Morrison”. In questo modo l’università poteva offrire ai suoi studenti strutture e attrezzature all’avanguardia: un’intera ala era stata trasformata in biblioteca, e i giovani iscritti potevano contare su laboratori, aule specialistiche (arte, musica, chimica…), sale conferenze, dormitori, mensa, una palestra attrezzata, campi da tennis, calcio, basket, e ben due piscine, di cui una coperta, oltre che di un bellissimo giardino interno, dove gli studenti consumavano il pranzo o passeggiavano nelle belle giornate. Per accederci, i ragazzi dovevano superare delle severissime prove di selezione, se non erano beneficiari di una borsa di studio per meriti scolastici o sportivi, o se non erano figli di qualche facoltoso benefattore dell’università stessa.
E i due ragazzi che correvano in corridoio erano esattamente intestatari di borse di studio per meriti sportivi, rispettivamente il numero 10 e numero 11 della squadra di calcio vincitrice del campionato nazionale da due anni, e punti fermi della nazionale giovanile.
« La prossima volta però guido io!» esclamò Tom, cercando di farsi largo con Philiph tra gli altri ragazzi che affollavano i ristretti locali dell’androne. « Vorrei proprio sapere chi diavolo ti ha insegnato a guidare! I limiti ci sono per essere rispettati, sai?»
« Quante storie!» replicò Philiph, distratto e anche un po’ annoiato.
Quando Tom ci si metteva, era più insopportabile di una zanzara molesta.
« Siamo arrivati, no?»
« Già. Ma abbiamo lasciato due dita di strisciata di copertoni in strada!»
Cercavano di raggiungere la loro aula e intanto continuavano a punzecchiarsi, senza accorgersi che le ragazze, in particolar modo le iscritte al primo e secondo anno, ma anche molte di quarta, li osservavano, interessate e divertite.
Entrambi esercitavano molto ascendente sulle ragazze.

10.25 A.M.

« Ma chi abbiamo qui? Signor Callaghan, ben arrivato! Signor Becker, anche lei! Mi meraviglia, sa? Lei è estremamente puntuale. Qual è il motivo di questo ritardo?» li apostrofò il professore di storia del Giappone, non appena li scorse varcare la soglia dell’aula.
Non erano molti gli studenti che frequentavano il suo corso, e per questo non era difficoltoso per lui conoscerli tutti per nome e cognome. Philiph non stentava a comprendere il motivo per cui avesse così pochi allievi, sebbene la disciplina che insegnava fosse tra le più interessanti.
« Domando scusa. Ho passato buona parte della notte sui libri, e non ho riposato abbastanza» rispose Tom, prendendo posto in seconda fila.
Philiph si sedette accanto a lui.
« Bene, questo vuol dire che mi consegnerà la relazione che vi avevo chiesto per oggi.»
Tom cercò nella sua cartella, estraendone un fascicolo che porse all’uomo. Il professore lo sfogliò in silenzio per parecchi secondi, e infine un ampio sorriso di soddisfazione gli si dipinse sul volto.
« Vasto e circostanziato, accuratamente trascritto e ancor meglio rilegato. Mi congratulo con lei, Becker. In questi pochi istanti non ho avuto modo di approfondire ulteriormente il suo elaborato, ma sono certo che ha svolto un lavoro eccellente. Può vantare degli ottimi motivi a monte della sua stanchezza.»
Nella stanza si levò un insistente brusio di sorpresa e malumore. Raramente il professore si era mostrato così accondiscendente con uno studente, e ancor meno aveva manifestato tanto apprezzamento! E in questo frangente Tom si guadagnò le ostilità di buona parte dei suoi compagni di corso, palesemente invidiosi di tanto successo. Tom abbassò lo sguardo, disorientato da tanti complimenti e vistosamente a disagio.
« Constato con piacere che non trascura lo studio, nonostante gli impegni e le responsabilità derivanti dal suo ruolo nella nostra squadra. Devo ammettere che ero un po’ scettico a proposito, ma lei sta dimostrando di saper gestire con profitto entrambe le incombenze. Spero che anche lei, signor Callaghan, sia all’altezza del suo duplice impegno nella nostra università. Mi mostri la sua relazione.»
Philiph scosse la testa. Aveva compreso le intenzioni del docente. Agendo in quel modo non voleva esaltare Tom, sicuramente un ottimo studente, ma sminuire lui. Ciò nonostante gli pose il proprio incartamento, fissandolo in volto con sguardo sicuro. Tom conosceva quell’atteggiamento; anche lui aveva compreso le intenzioni del professore. Rivolse una lunga occhiata all’amico, pregandolo di rimanere calmo.

Philiph, non fare sciocchezze. Non farti trascinare dalla collera. Dawson può renderti la vita impossibile, e lo farà di certo, se gliene darai l’occasione. Lo sai anche tu. E sai anche che non sei nelle sue grazie… Non fare colpi di testa, amico mio…

Le iridi scure di Philiph brillavano per l’indignazione.

Io questo lo distruggo! “Spero che anche lei sia all’altezza del suo duplice impegno nella nostra università!” Cosa vuoi dire in realtà, maledetto ipocrita? Che mi hanno dato quella borsa di studio solamente per la mia fama calcistica? E no, bello mio! Io me la sono sudata, ci ho sputato sangue sopra, studiando di notte come un pazzo per recuperare il tempo dedicato agli allenamenti! E Tom come me! E ora non mi venire a dire queste stronzate! Ti darei volentieri una lezione, bastardo!

Dawson sfogliò con sguardo critico la relazione, rivolgendo una lunga occhiata di disapprovazione al ragazzo.
« Frammentario, superficiale, confuso. Signor Callaghan, nemmeno un ragazzino delle medie potrebbe fare peggio di così. Mi meraviglio che lei sia stato ammesso alla nostra università, e con quelle valutazioni stratosferiche in storia!»

Allora è questo che ti rode? I miei voti in storia! Ti domandi come mai uno che sta tutto il giorno dietro un pallone possa conseguire il massimo dei voti nella tua materia!

« Mi dispiace, ma se continua così sarò costretto a non farle superare il corso.»

Non è vero che ti dispiace, figlio di…! Tu ci godi a rendermi la vita difficile!


« Prenda esempio dal suo collega Becker, che tra l’altro come lei gioca nella nostra squadra di calcio, e riesce benissimo a conciliare entrambi gli impegni, nonostante gli allenamenti e gli incontri ufficiali e non.»

Perché, io non ce li ho gli allenamenti e le partite? Ma guarda questo! Ma non ti permetterò di incrinare un’amicizia che dura da più di dieci anni con questi tuoi ridicoli paragoni! Tu speri che io me la prenda con Tom, perché lui riesce dove secondo te fallisco! Grazie al cielo gli altri docenti non sono come te! Sono equi nei loro giudizi, al contrario tuo! Se non fosse così me ne sarei andato già da un pezzo!


Philiph strinse i pugni con forza, conficcandosi le unghie nella carne, al punto che le nocche diventarono bianche. Non replicò, limitandosi a guardare tranquillamente il docente, riuscendo a dominare la rabbia che sentiva montare dentro di sé. Tom, che l’aveva osservato allarmato, tirò un sospiro di sollievo. Per una volta Philiph non si era fatto trascinare dalla sua rinomata impulsività.
« Allora, signor Callaghan. Devo sicuramente approfondire il suo elaborato, ma da quanto ho avuto modo di constatare, non merita sicuramente la sufficienza. Tuttavia, le concedo una possibilità di riscatto. Mi prepari per la prossima lezione una tesina sulla figura dei ronin, i samurai erranti, che tanta importanza hanno avuto nella storia del medioevo giapponese.»

Un’altra relazione? Dillo pure che mi vuoi caricare di lavoro allo scopo di confondermi il cervello! Ma te la farò, eccome se te la farò! E ti farò rimangiare tutto il tuo disprezzo!


« La prossima lezione gliela consegnerò senz’altro» rispose Philiph, tornando a sedere.
Un’espressione cupa gli velò lo sguardo. Tom lo guardò con silenziosa comprensione e affettuosa vicinanza, ma Philiph non gli badò neppure. Era troppo infuriato.

Penso che non sia così difficile comprendere il motivo per cui Philiph fa così fatica ad alzarsi quando abbiamo lezione di storia del Giappone… Quest’ipocrita di Dawson non perde occasione di criticarlo… Senza motivo, poi… Ho guardato la sua relazione, e non era assolutamente così disastrosa, anzi… E’ senz’altro un buon lavoro… E poi Phil è sempre stato bravissimo in storia…. Lo appassiona, si vede… Divora libri su libri su qualunque epoca e argomento storico… E adesso questo deficiente di Dawson lo accusa di superficialità! Se si mettessero a parlare sul serio, sono sicuro che Philiph sarebbe capace di surclassarlo in un attimo!

La lezione proseguì senza intoppi. Dawson ritirò le relazioni degli altri studenti, ed ebbe perfino la bontà di ripetere l’argomento della precedente lezione ad una ragazza che non lo aveva compreso appieno. Era di buon umore, si vedeva.

Brutto deficiente! Adesso è soddisfatto perché ha messo Philiph in difficoltà! Se potessi gli tirerei un pugno sul naso! Ma non servirebbe a niente. Solo ad aggiungere problemi a problemi. Anche Philiph lo sa, e per questo non ha replicato. In un’altra occasione avrebbe risposto per le rime…

Tom tornò a guardare l’amico, che con le braccia incrociate sul petto seguiva la lezione con simulato interesse. Gli occhi scuri non riuscivano a contenere l’indignazione e la rabbia, e ogni tratto del viso era atteggiato in un’espressione di cupa serietà. Stava cercando in tutti modi di controllarsi. Tom distolse lo sguardo da lui, e iniziò a vergare il suo notes di appunti.

12.04 A.M.

Provvidenziale come non mai, giunse infine il termine di quelle terribili due ore. I ragazzi lasciarono l’aula in modo ordinato e composto, come richiedeva Dawson ai suoi studenti. Gli ultimi a varcare la soglia della stanza furono proprio Tom e Philiph, avvertendo sulla pelle lo sguardo pungente di Dawson che li seguiva.
« Io questo Dawson proprio non riesco a mandarlo giù!» proruppe Philiph, scuro in volto.
« Se ti può consolare, nemmeno io. Non riesce ad essere obiettivo con te. Ho letto la tua relazione, ed è un buon lavoro. Credo che sia migliore della mia. Non riesco proprio a capire il motivo del suo comportamento. Si vede lontano un miglio che si comporta così per dispetto. Ce l’ha con te per qualcosa, o gli sei semplicemente antipatico» rispose Tom, mentre attraversavano entrambi il corridoio, gremito di gente ancor più che due ore prima.
« E per una stupida antipatia mi rovina la carriera universitaria?! Lo sa che io e te dobbiamo obbligatoriamente ottenere buone votazioni in storia del Giappone per poter accedere all’ultimo anno. Lo dica che per quanto io faccia non mi darà mai la sufficienza, così evito proprio di presentarmi a lezione!»
« Phil, non compiere atti avventati. Pensa prima di agire. Lo sai quanto c'è costata questa borsa di studio. Non mandare a monte la laurea per l’idiozia di un inetto. Ricordi, vero, cosa ci ha spinto ad iscriverci qui? Per quanto bella e ricca di soddisfazioni, la carriera di uno sportivo è effimera, dura appena pochi anni. E quella di un calciatore è ancora più breve. Una laurea conseguita in un’università prestigiosa può aprirci molte strade, in futuro. E sia che riusciamo a realizzarci nello sport, sia che per disgrazia non ce la facciamo, non ci ritroviamo col culo per terra.»
Philiph guardò Tom, stupito e divertito. Raramente aveva sentito il saggio e compìto Tom usare espressioni del genere. Lui e Benji lo avevano soprannominato “James” per le sue maniere perfette e il suo linguaggio forbito. Non che fosse noioso, anzi! Era di temperamento allegro e vivace, rideva volentieri, organizzava scherzi e li riceveva di buon grado. Il compagno ideale per uno come lui. Uno dei suoi pochi difetti era un eccesso di perfezionismo, derivante forse dall'ineccepibile educazione che aveva ricevuto fin da bambino. Suo padre era un pittore errante, divorziato, e aveva viaggiato per il mondo con il figlio fin da quando Tom era in tenerissima età, riuscendo tuttavia a trasmettergli una finezza di modi invidiabile. Tom non rideva mai di qualcuno, non si faceva mai burla di nessuno. Era il primo ad apprezzare il sapore di uno scherzo ben fatto, com'era il primo a condannare scherni e derisioni offensivi. Erano amici anche per questo. E il fatto che adesso avesse pronunciato una frase del genere, significava che era furente con Dawson quasi quanto lui.

Sei proprio un buon amico per me, Tom Becker.

« Adesso cosa farai, Tom? Vai a casa?»
« Purtroppo no. Ho una lezione tra venti minuti. Arte, pensa un po’.»
« Ancora non ho capito perché hai scelto un corso del genere. Io non riesco nemmeno a prendere una matita in mano.»
« Beh, io sono figlio di un pittore! Vuoi che non abbia almeno un po’ di talento?»
« A volte dimentico che tuo padre è un artista affermato.»
« E tu cosa farai, Phil?»
« Non ho più lezioni, per oggi. Però non ho voglia di andare a casa. A parte il fatto che subito dopo pranzo abbiamo gli allenamenti. Credo che mi rintanerò in biblioteca per un’oretta, buttando giù qualche spunto per l’ennesima relazione da consegnare a Dawson. Poi andrò a pranzare.»
« Allora ci vediamo in mensa. Io scappo, altrimenti arrivo tardi.»
« Ok. A dopo, allora.»
I due ragazzi si separarono. Tom corse verso l’ala ovest, e Phil si avviò senza fretta verso quella sud.
Non sapevano che per entrambi un destino aveva in serbo una sorpresa.

12.22 A.M.

Una ragazza percorreva lentamente i vasti corridoi dell’università. Reggeva nella mano destra una cartella, e nella sinistra un foglietto spiegazzato, sul quale i suoi occhi si posavano di tanto in tanto. Sembrava che stesse cercando qualcosa o qualcuno, ed era talmente assorta nella sua ricerca da non accorgersi degli sguardi e dei mormorii che si levavano al suo passaggio. Le ragazze la indicavano alle amiche, scuotendo la testa in segno di disapprovazione, e i ragazzi la fissavano incuriositi. Ed era veramente impossibile non notarla, visto che sfoggiava con noncuranza ciò che la maggior parte delle persone non osava nemmeno pensare.
Indossava un paio di jeans blu scuro con due grossi risvolti, spruzzati di vernice dorata, e una maglietta bianca a maniche lunghe, molto semplice, su cui era stata disegnata l’immagine della Venere di Botticelli. Ai piedi un paio di sandali infradito neri, con una leggera zeppa stampata a grandi fiori azzurri. I capelli castano dorato erano stati raccolti in due grosse trecce che le ballonzolavano sul seno, fermate all’estremità da due vistosi elastici gialli a forma di girasole, e adagiato sul capo sfoggiava un buffo cappellino bianco lavorato all’uncinetto, trattenuto sulla nuca da due forcine lilla. Le unghie, lunghe e ben curate, erano state dipinte in diversi colori, e ciascun dito sfoggiava un anello d’argento, compresi pollice e mignolo. Le orecchie erano state forate innumerevoli volte, col risultato che la compilation d'orecchini che ostentava brillava di uno strano scintillio ad ogni passo di lei. Il viso presentava un filo impalpabile di make-up, applicato con grande cura sugli occhi e sulle labbra, nella forma di un velo di ombretto grigio chiaro e di un gloss rosa naturale; la semplicità del trucco contrastava con la stravaganza del suo abbigliamento. Era molto graziosa, ed era forse questo ad attirare maggiormente l’attenzione: poche persone possono permettersi tale originalità senza rasentare il ridicolo. E invece lei stava benissimo.

Santo cielo, quanto è lontana l’aula di arte! Se non mi sbrigo arriverò in ritardo per la seconda volta! E per oggi basta e avanza! Per fortuna sono quasi arrivato!

Immerso com’era nei suoi pensieri, Tom non prestò la dovuta attenzione nello svoltare un angolo. Travolse qualcuno che stava sopraggiungendo nella direzione opposta, con l’immaginabile risultato che si presero entrambi una bella botta e caddero sul pavimento.
« Oddio, scusami! Mi dispiace! Ti sei fatta male?» domandò Tom, sinceramente dispiaciuto.
« Ahia! Ho sbattuto il gomito! Certo che mi sono fatta male, idiota! La prossima volta guarda dove vai, o finirai per ammazzare qualcuno!»
Tom la fissò costernato. Nessuno gli aveva mai parlato in quel modo. Sentendosi osservata, la ragazza alzò lo sguardo e i loro occhi s’incrociarono.

Il viso dai lineamenti delicati, dalla carnagione chiara, incorniciato da folti capelli castano dorato, raccolti in due trecce che ricadevano mollemente sul seno. La fronte ampia, gli zigomi appena accennati, le gote dipinte da un leggero rossore. Gli occhi grandi, di un caldo bruno, lucenti come l’oro.
Ecco cosa vide il ragazzo.

Il viso dall’incarnato leggermente ambrato, segno inequivocabile della sua vita da sportivo, i corti capelli castani in uno studiato disordine, le labbra carnose atteggiate in un lieve sorriso, gli occhi nocciola che la fissavano con curiosità e dolcezza. Ogni suo tratto denotava armonia e serenità.
Ecco cosa vide la ragazza.

Non ho mai visto una ragazza simile prima d’ora… Definirla strana è senz’altro un eufemismo… Il suo abbigliamento è, come dire, bizzarro… Ma quante orecchini ha??? Chissà che male, forarsi le orecchie così tante volte! Un momento, ha le unghie smaltate con diversi colori! Però è carina… Sembra una matricola… Ha degli occhi davvero splendidi… Ora che la guardo meglio, mi sembra di averla già vista da qualche parte… Sì, ne sono sicuro! Il suo viso non mi è nuovo… Ma dove? Non posso essere stato così scemo da aver scordato un paio d’occhi simili! Tom, cerca di ricordare! Dove…?

Oddio, oddio, oddio!!! E’ lui! Ecchecavolo, non posso fare sempre queste figure da imbecille!!! Sapevo che anche lui frequentava la Morrison, speravo di rivederlo, ma non m’immaginavo d’incontrarlo così presto… E l’ho pure chiamato idiota! Ma posso essere più stupida!!!

Tom le sorrise e le porse la mano.
« Ti aiuto ad alzarti» disse.
La ragazza strinse la mano di lui, e si alzò in piedi. Tom le sorrise, con simpatia.
« Scusami se ti sono venuto addosso in quel modo. Mi dispiace molto.»

Tom, non sei cambiato affatto in questi anni… Sei gentile ora come allora… E non è cambiato neanche il tuo modo di sorridere… Con quel sorriso luminoso e seducente… Non sorridermi così, Tom! Non sai quanto mi ha fatto male in passato quel tuo sorriso!

« Il fatto è che ero di fretta perché temevo di arrivare tardi alla lezione del professor Abbott.»
La ragazza lo guardò, stupita.
« Tu frequenti le lezioni d’arte del professor Abbott?»
« Sì, certo. Non vedo cosa ci sia di strano.»

Non ci posso credere… Troppe coincidenze! Prima lo incontro il giorno stesso del mio arrivo qui, e poi scopro che è addirittura mio compagno di corso! Uhm… Strano… Dov’è il trucco? Troppe felici coincidenze per far parte della mia miserevole vita…

« Niente, scusa. Il fatto è che anch’io stavo cercando l’aula d'arte…»
« Sei una matricola, vero? Non ti avevo mai vista, prima. Altrimenti mi sarei ricordato di te.»
La ragazza arrossì, ma Tom non se ne accorse.
« Se vuoi ti mostro dov’è. Tanto andiamo dalla stessa parte!»
« Accetto la tua offerta con piacere. Anche perché non so se da sola l’avrei trovata.»
« Allora andiamo. Dobbiamo sbrigarci, però. Altrimenti arriviamo tardi.»

12.33 A.M.

Entrarono nell’aula pochi attimi prima che comparisse il professore. L’aula era gremita, come ad ogni lezione di Abbott, stimatissimo dai suoi studenti per la competenza e l’umanità dimostrate in svariati anni d’insegnamento. Trovarono due posti liberi in file diverse, cosicché si dovettero separare. Tom seguì la ragazza con la coda dell’occhio, e non gli sfuggirono le occhiate curiose che le rivolgevano gli altri studenti. In esse non v’era traccia di malignità come in quelle delle ragazze nei corridoi, ma la giovane sembrava immune anche a queste. Non se ne rendeva nemmeno conto. Prese posto in silenzio, ed aprì la cartella, scostandosi le trecce dal collo con gesto deciso.

Strana ragazza. Già, proprio strana.

« Buongiorno ragazzi!» li salutò il professore, entrando.
« Buongiorno!» risposero i suoi studenti, in coro.
« Il week-end si avvicina, eh! Allora dovreste essere di buonumore come il sottoscritto!»
Nella stanza riecheggiò una sonora risata. Eh sì, il professor Abbott sapeva proprio come mettere a loro agio i ragazzi.
La lezione iniziò, e sia Tom che la ragazza misteriosa la seguirono con palese interesse. Interesse che tuttavia non impediva loro di scambiarsi di soppiatto delle fuggevoli occhiate… In particolare lei osservava ogni particolare di Tom con attenzione… Dai jeans grigio antracite alla camicia bianca aperta sul collo che indossava, al grosso anello d’argento che sfoggiava all’anulare, all’orologio con bracciale in acciaio, alle mani lunghe e nervose che scrivevano velocemente gli appunti, al bracciale d’oro troppo grande per i polsi sottili di lui, alle spalle larghe e il torace possente che s’intravedevano appena sotto la camicia, allo sguardo assorto, al modo particolare che aveva di tirarsi indietro i capelli…

Non posso credere di avere Tom di fronte a me… Dopo tutti questi anni le nostre strade si sono incrociate nuovamente… E’ così cambiato… E’ un uomo ormai, non è più il ragazzino dei miei ricordi… Un uomo straordinariamente attraente… Non ho mai visto un ragazzo bello come lui… Ma contemporaneamente è rimasto lo stesso… Sempre gentile e disponibile… Non si direbbe che è un calciatore così famoso, colonna portante della nostra nazionale… Eh, no! Basta con questi pensieri! Non sono qui per lui! Sono qui per studiare! Non devo pensare a Tom. Non devo assolutamente ricascarci. Ci sono stata male abbastanza una volta. Non voglio ricominciare. Lui non ha mai saputo niente, e sicuramente non ha mai badato a me. E’ naturale che non si ricordi, e anche se così non fosse non mi riconoscerà sicuramente… Sono anni che non ci vediamo… Quindi non devo farmi illusioni a proposito. Lui non può aver serbato nel cuore per me la stessa immagine che io ho serbato di lui…

« D’accordo ragazzi, adesso facciamo qualche esercitazione pratica. Ho parlato abbastanza per oggi, fatemi riposare un po’!» disse Abbott, sistemandosi comodamente in cattedra dopo aver percorso a grandi passi l’aula durante la spiegazione.
« Sbalorditemi con il vostro talento artistico! Scegliete un soggetto a piacere e disegnatelo a matita sui vostri album.»
« Un soggetto qualsiasi?» chiese una ragazza.
« Qualsiasi cosa. Un viso, un oggetto, un sogno… Non vi pongo limiti. Potete anche cimentarvi nella libera interpretazione. Perché non è detto che il vostro soggetto debba essere per forza un oggetto materiale… L’arte è libertà, ragazzi. Qualsiasi forma d’arte è espressione della libertà dell’uomo. Ricordatevelo sempre. Non a caso le dittature e i regimi assolutisti hanno sempre temuto ogni forma d’arte e i suoi esponenti, arrivando perfino a bruciare in pubblici falò biblioteche intere, ed esiliando o trucidando gli artisti. Volevano impedire agli uomini di pensare e di imparare dal passato. E non voglio essere proprio io colui che legherà le vostre giovani menti a stupidi preconcetti. E ora, al lavoro.»

13.24 P.M.

« Ragazzi, tra cinque minuti la mia lezione avrà termine, con vostra somma gioia. Se non avete finito i vostri capolavori, non ha importanza. Avrete tempo la prossima lezione. Adesso passerò tra voi per controllare il lavoro dei miei giovani e promettenti artisti. Non preoccupatevi se volete apportare qualche miglioria o correggere un’imperfezione, mi rendo benissimo conto che quelle che avete davanti sono solo delle bozze, non i lavori definitivi. Ciò che m’interessa è verificare il vostro stile, e aiutarvi a raffinarlo sempre più» disse Abbott, alzandosi e avvicinandosi alla prima fila.
Tom posò la matita e guardò con occhio critico il suo disegno. Raffigurava una giovane donna dai tratti aristocratici e lo sguardo allegro, con i capelli fluenti che le accarezzavano morbidamente le spalle. Nel complesso, non sembrava essere venuto malissimo.
Cercò con lo sguardo la ragazza misteriosa, e la scorse non senza una certa sorpresa ancora assorta nel suo disegno, talmente concentrata da non accorgersi del vivace cicaleccio dei ragazzi vicino a lei.
« Signor Becker, vedo con piacere che continua a frequentare le mie lezioni.»
Una voce alle sue spalle. Tom alzò gli occhi e guardò in volto Abbott, che gli sorrideva.
« Lei è un ragazzo coscienzioso. Un ottimo studente ed un ottimo atleta. Suo padre dev’essere fiero di lei.»
« Lei conosce mio padre?»
« Sì, ho avuto il piacere d’incontrarlo diverse volte alle sue mostre, e anche a qualcuna delle mie. Un grande pittore e un uomo eccellente. Se lei ha ereditato almeno una parte del suo talento, sono sicuro che diventerà uno dei miei migliori allievi.»
« Non sono bravo come lui, ma amo molto l’arte.»
« Ed è questo l’importante, Becker. Amare l’arte. I risultati arriveranno in seguito. Ora mi mostri il suo lavoro.»
Tom glielo porse senza indugio. Non era molto sicuro della sua abilità, ma sapeva che Abbott non gli avrebbe rivolto commenti denigratori o sarcastici, ma anzi l’avrebbe incoraggiato in ogni caso, anche se avesse trovato il suo disegno davvero orribile. Era proprio questa circostanza a rendere il professor Abbott uno dei beniamini degli studenti, e a fare di lui l’esatto opposto di Dawson, che invece era pungente e beffardo, come aveva dimostrato ampiamente la stessa mattina.
« Un lavoro pregevole, Becker. Davvero pregevole. Certo, è ancora grezzo, vanno limate via certe grossolanità, ma questa donna RESPIRA. Non conosco il legame che vi unisce, ma sono sicuro che dev’essere molto stretto, se la spinge a ritrarla in questo modo. Lei possiede indubbie capacità, Becker. Le sfrutti per il meglio. Anche se l’arte non dovrà essere la sua strada, in futuro, non smetta di dipingere» lo incoraggiò Abbott, restituendogli il blocco e passando oltre.
Tom lo seguì con lo sguardo, curioso di vedere cosa avrebbe detto alla ragazza misteriosa. Più la osservava, più si faceva forte la strana sensazione di déjà vu che aveva provato dal primo momento. Nonostante i suoi sforzi, però, non riusciva a ricordare dove l’avesse incontrata…
« Provo sempre piacere nel vedere l’impegno e l’interesse sincero verso l’arte, specie da parte di voi giovani. Ora però, signorina, posi la matita e mi dia il disegno.»
La ragazza misteriosa sussultò. Non si era proprio accorta della sopraggiunta presenza di Abbott dietro di lei.
« Mi scusi» balbettò, abbandonando la matita e tendendo il blocco all’insegnante. « Non è venuto molto bene, e cercavo di migliorarlo un po’. Anche se non ci sono riuscita.»
« Lo faccia decidere a me questo, signorina» sorrise Abbott, prima di spostare lo sguardo verso il disegno.
Il suo viso cambiò espressione. Da ilare si fece serio, e osservò con un’espressione grave lo schizzo che teneva tra le mani.

Oddio… E adesso che succede? Sapevo di non aver combinato granché, ma non credevo che fosse addirittura così disastroso… Sono una frana! Come se non bastassero tutti i casini che ho combinato con Tom… Ci manca solo che Abbott mi sbatta fuori dal corso! Lo sento già: “Lei è indegna di frequentare le mie lezioni!”; E il fatto che lo dica proprio un pezzo di pane come Abbott vuol dire che sono proprio un disastro ambulante…

Abbott la guardò in viso, poi tornò ad osservare il disegno, e infine posò nuovamente lo sguardo su di lei.
« E’… notevolissimo… Da parte di una ragazza così giovane, poi… Non vorrei essere indiscreto, ma lei quanti anni ha, mia cara?»
Un brusio di sorpresa e ammirazione si levò per la stanza. Abbott era notoriamente giovale e amichevole, ma mai prima d’ora si era rivolto a qualcuno con un appellativo così affettuoso. Lei rimase interdetta per un attimo, infine balbettò:
« Io… diciotto…»
« Diciotto anni appena… Frequenta il primo anno, non è vero?»
La ragazza annuì.
« Una matricola… Una ragazza giovanissima… Posso mostrare la sua opera ai suoi colleghi?»
Lei arrossì, ma annuì per la seconda volta. Abbott passò nuovamente tra gli studenti, presentando loro lo schizzo della ragazza, e tutti lo osservarono con attenzione. Tom in particolar modo era curioso di vedere cosa aveva suscitato tanto entusiasmo in Abbott, e quando il professore giunse di fronte a lui esaminò minuziosamente lo schizzo, comprendendo i motivi di tanto apprezzamento.

Il disegno ritraeva un paesaggio, con un’imponente quercia in primo piano, e in lontananza delle colline brulle e spoglie, il tutto dominato da un cielo cupo carico di pioggia. Uno scorcio d’autunno. Tra tanta desolazione, il grande albero spiccava per la placida vivacità, e le sue foglie costituivano l’unica nota di colore in un luogo altrimenti spento. Un paesaggio sicuramente malinconico, ma intriso di una grande energia espressiva, tanto che chi lo osservava non veniva colpito dalla solitudine della maestosa quercia, ma dalla dignità con cui affrontava un inverno ormai alle porte, l’ennesimo della sua lunga esistenza.

Bellissimo… E’… meraviglioso… Non so come definirlo altrimenti… Sono senza parole…

Abbott finì di mostrare lo schizzo agli altri ragazzi, e tornò dalla sua autrice, senza sforzarsi di nascondere la propria soddisfazione.
« Glielo rendo» disse, porgendole il blocco, che la ragazza afferrò prontamente. « Non le nascondo che sono rimasto vivamente impressionato da lei, oggi. Forse dovrei andare più cauto con certe affermazioni, ma sono sicuro di ciò che dico. Lei è un talento naturale. Ha ricevuto un grande dono, e se lo coltiverà con cura e dedizione diventerà una grande artista. Non ha mai beneficiato di lezioni extrascolastiche?»
« No… Io ho sempre fatto parte del club di disegno fin dalle elementari, ma non ho mai avuto un insegnante che mi seguisse in privato.»
« Disegna da molto tempo?»
« Non lo so con precisione. Da che mi ricordo, ho sempre tenuto una matita in mano.»
« Proprio come immaginavo. Un’ultima domanda. Mi dice il suo nome?»
« Io sono… Mi chiamo Lorelei Jackson.»
« Lorelei Jackson… Ho sentito parlare di lei. Due anni fa ha vinto il premio speciale della giuria ad un importante concorso di pittura. La notizia di una promettente pittrice appena sedicenne ha avuto molto risalto. Ero a conoscenza del fatto che nella nostra università era attesa una studentessa dalla promettente vocazione artistica, ma non sapevo che si trattasse proprio di lei.»
Lei arrossì vistosamente.
« Io non volevo partecipare a quel concorso. Non sapevo neanche che mio fratello avesse spedito un mio quadro alla giuria.»
« E’ stato suo fratello? Peccato, speravo che fosse stato il suo insegnante. Suo fratello è stato più lungimirante degli adulti che la circondavano.»

Lorelei Jackson… Lorelei Jackson… Ho già sentito questo nome… Il problema è il solito: dove??? Un momento… Jackson… Come Freddie Jackson… Che sia…?

« Spero di vedere presto terminato il suo bozzetto. Come pensa di realizzarlo?»
« Ecco… Pensavo di adoperare i colori ad olio.»
« Non poteva compiere scelta migliore.»
Le sorrise nuovamente, e si rivolse agli altri ragazzi, che avevano seguito con vivo interesse gli sviluppi della vicenda.
« Ragazzi, andate pure a pranzo. E scusatemi se vi ho trattenuto finora. Ci vediamo la prossima lezione. Buona giornata a tutti.»
Gli studenti si alzarono, e lasciarono la stanza alla spicciolata. Tom raccolse in fretta il materiale che aveva adoperato, rivolse un rapido saluto ad Abbott, e corse dietro alla ragazza, che stava guadagnando l’uscita a rapidi passi.
La raggiunse quando ormai era già nel corridoio, e la trattenne per un polso. Lei si girò di scatto, stupita nel ritrovarsi di fronte Tom.
« Aspetta un momento» le disse lui. « Io… Ti conosco. Tu sei la sorella di Freddie. Lorelei Jackson. Tu sei… Lola.»

Oddio oddio oddio! E adesso? Mi ha riconosciuto!!! Questa poi… Non sono assolutamente preparata ad una situazione del genere! Che faccio? Nego? Confermo? Scappo via? Ero talmente convinta che lui non mi riconoscesse che non ho minimamente pensato a come comportarmi nel caso contrario! Sono un caso disperato! Mi sento svenire! E tu, Tom, non rivolgermi quel sorriso così affascinante! Mi confondi ancora di più, così! Ma perché diavolo sei diventato così bello, ancora di più di quando venivi a casa mia a giocare a calcio con Freddie, e io rimanevo ore a guardarvi, nascosta dietro la macchina di papà…?

13.46 P.M.

Philiph uscì dalla biblioteca tenendo sotto il braccio destro un grosso libro, mentre la mano sinistra reggeva un fascio d'appunti.

Se con questa relazione non riesco a stenderlo, vorrà dire che è proprio prevenuto al massimo grado contro di me… E allora veramente mi ritroverò con il culo per terra… Ma non voglio rovinarmi il pranzo per quel deficiente… Meglio non pensarci… Altrimenti avrò sul serio un travaso di bile…

Si avviò velocemente verso la mensa, quando i timidi raggi di un sole insolitamente caldo per quella stagione attirarono la sua attenzione. Il cielo terso e la temperatura mite lo convinsero a uscire per godersi la bella giornata. Spalancò la porta e scese le scale che portavano allo splendido giardino interno dell’università. Passeggiò per pochi minuti, respirando a pieni polmoni l’aria frizzante e immergendosi nell'atmosfera serena di quel piccolo paradiso, quasi deserto a quell’ora.

Seguono tutti il loro stomaco… E invece è proprio questa l’ora migliore per godersi la pace di questo straordinario angolo di mondo…

Si sedette sotto un imponente ciliegio, in piena fioritura in quel periodo dell’anno, e appoggiò il capo al tronco, socchiudendo gli occhi.

Con Jenny… Quante volte ho passeggiato sotto i ciliegi, tornando a casa… Erano davvero splendidi, a Hokkaido… La fioritura era tardiva rispetto ad altri climi più miti, ma forse proprio per questo era così… speciale… L’aspetto buffo della vicenda è che non mi sono mai piaciuti i ciliegi…. Questo finché non l’ho incontrata… Finché non ti ho incontrata, Jenny… Che sciocco, tutto quel tempo perso… E poi la corsa all’aeroporto, nel mio disperato tentativo di non perderla per sempre… Quel bacio lievissimo, scambiato di sfuggita mentre sua madre era distratta… Un bacio candido come la neve del nostro paese, sulla guancia… Il primo bacio che abbia ricevuto da una ragazza… Mio Dio, quanto ero imbranato! Ma nella mia vita non c’è più stata un’altra donna come lei… Le ragazze più belle e i baci più sensuali e profondi non mi hanno mai fatto provare nemmeno un decimo delle sensazioni che mi ha trasmesso lei quel giorno, con un tocco talmente lieve e sfuggevole da sembrare il battito d’ali di un angelo… Le tante notti di passione che ho trascorso in questi anni non sono servite a farmi scordare il suo sorriso sincero, i suoi occhi quieti e ridenti, i capelli che l’elastico non riusciva mai a trattenere e che le cadevano in continuazione sul viso, il suo profumo di mughetto e cannella… Nessuna è stata in grado di rendermi felice come sapevi fare tu, Jenny… Un tuo bacio per me è più prezioso dell’ammirazione e dell’adorazione di tutte le donne di questo mondo… Un momento di tenerezza tra le tue braccia è come una stella cadente che attraversa il mio cuore…* Mio Dio, quanto mi manchi, Jenny! Stiamo insieme da sette anni, ma quanto tempo abbiamo passato insieme? Eppure ci unisce qualcosa di straordinario, Jenny… Tu… Sei l’unica donna per me…

Un’improvvisa folata di vento lo distrasse dai suoi pensieri. I suoi appunti volarono dappertutto, sospinti dalla leggera brezza primaverile.
« Dannazione, gli appunti!» sbraitò.
Si alzò immediatamente e li raccolse uno ad uno, senza difficoltà. Fortunatamente il venticello che si era levato non era molto intenso. Una volta che li ebbe radunati tutti, li fissò con espressione indecifrabile. Il brillio di gioia che il solo pensare a Jenny aveva impresso nelle sue iridi si spense.

Quanto ti odio, Dawson! Ho già abbastanza problemi per conto mio, e tu ti diverti ad aggiungermene di nuovi! Se potessi, credo che ti ammazzerei!

Trascinato dalla collera, sferrò un gran pugno contro il ciliegio. Avvertì un acuto dolore alla mano, e la guardò, stupito. Il sangue scorreva, caldo e copioso, da una profonda ferita sulle dita e le nocche. Guardò il tronco dell’albero. La corteccia era saltata via in più punti. Posò l’altra mano, la sinistra, sul ciliegio.

Scusami, amico. Ti ho coinvolto nei miei casini.

« Philiph! Cosa stai facendo? Sei impazzito?!» gridò una voce alle sue spalle.
Phil si voltò e vide un ragazzo che lo osservava, sbalordito. Indossava un paio di jeans azzurri, e una camicia di due tonalità più scura, abbottonata per metà e con le maniche rimboccate. Sul collo sfoggiava un sottile nastrino di pelle e al polso sinistro un grosso bracciale d’argento, aggrovigliato ad un voluminoso e costoso orologio; l’unico dettaglio particolare era costituito da una fedina intarsiata, pure d’argento, al pollice destro. I capelli castani di media lunghezza erano stati pettinati accuratamente all’indietro, e ciò nonostante alcune ciocche gli accarezzavano morbidamente le tempie. Il volto dai lineamenti decisi, ingentiliti dai colori tenui della carnagione e dal sorriso luminoso e vivace, che si presentava spesso e volentieri sulle labbra sensuali, era di una bellezza disarmante, acuita maggiormente dall’espressione malinconica che si poteva leggere in fondo ai profondi occhi nocciola. Non c’era da stupirsi che appena pre-adolescente avesse disseminato cuori infranti come margherite tra le sue coetanee.
« Julian! Cosa ci fai qui?» gli chiese Philiph.
« Potrei rivolgerti la stessa domanda, sai?» replicò Julian tranquillamente, avvicinandosi a lui. « Ti stavo cercando per pranzare insieme. Non mi sarei mai aspettato di vedere la scena cui invece ho assistito.»
Philiph tacque.
« Phil, tu sei una testa calda. Ricordo ancora i contrasti, chiamiamolo vivaci, che hai avuto con Mark in più di un’occasione, quando non era occupato a punzecchiarsi con Benji. Santo cielo, quante ce ne avete fatto passare, voi tre, a me, Tom e Holly! Però c’era una cosa che ti distingueva dagli altri due: mentre Benji e Mark sono caratterialmente due attaccabrighe, tu reagisci solo se provocato. Non attacchi mai per primo, ti limiti a reagire. Il tuo difetto è l’impulsività, Phil, ma c’è sempre una buona ragione dietro alle tue azioni. E per questo sono sicuro che dietro all’attacco d’ira di poco fa c’è un buon motivo. Se me ne vuoi parlare… Prima però, andiamo in infermeria a medicarti questa mano. Fa vedere, dai!»
Philiph si ritrasse bruscamente.
« Non fare il bambino, Phil. Se non vuoi mostrarla all’amico, lo farai con l’allenatore. Philiph, t'intimo di darmi la mano!» ordinò Julian.
Philiph sospirò, e finalmente si decise. Julian la osservò attentamente. Il sangue continuava a fuoriuscire, scivolando lentamente tra le dita.
« Non vorrei allarmarti, ma è probabile che ti suturino questa ferita con alcuni punti» commentò Julian, stringendo con forza un fazzoletto attorno alla mano dell’amico per fermare la perdita di sangue.
« E meno male che sei un centrocampista! Se ci fosse stato Benji al tuo posto… Meglio non pensarci. Ahhh, ma una cosa è certa: ti avrei ucciso con le mie mani! Invece tu dovrai giocare lo stesso, anche se dovessero amputartela, la mano! Tanto in campo non ti serve!»
Philiph sorrise, per la prima volta in quella mattina. Non sapeva il motivo, ma adesso era più sereno.

Tom e Julian sono le persone più assennate che conosca. Eppure… sanno essere anche così spiritosi… Julian specialmente… Ha una forza d’animo straordinaria… Considerato quello che ha passato e quello che passa tuttora… E’ un ragazzo eccezionale…

Julian passò un braccio sulle spalle dell’amico, un gesto carico d’affetto.
« Andiamo, Philiph. Considerato che dobbiamo ancora mangiare e che dopo ci sono gli allenamenti…»
« Dannazione! E’ vero, gli allenamenti! Me n’ero proprio scordato!» esclamò Philiph, parlando per la prima volta.
« Ma io no, caro mio numero 10!» concluse Julian, sorridendo.

14.35 P.M.

« Ma porc…! Tre punti di sutura e una fasciatura così stretta da non permettermi nemmeno di prendere in mano la forchetta! Come faccio a mangiare?!» quasi urlò Philiph.
Lui e Julian sedevano comodamente in un tavolo della mensa, uno di fronte all’altro. Davanti a loro il pranzo, che emanava un profumo delizioso. La signora Ann, la cuoca, quel giorno si era proprio superata. Phil sentiva i morsi della fame attorcigliargli lo stomaco. Non toccava cibo dalla sera prima. Il suo sfogo era quindi comprensibile, ma certo non parve così agli altri ragazzi, che si voltarono a fissarli con palese curiosità. Julian arrossì, tossendo imbarazzato. Philiph invece era talmente concentrato nel tentativo di prendere una cucchiaiata di riso con la mano sinistra, che non se n'accorse neppure.
« Phil, te lo chiedo per piacere. Cerca di abbassare il tono di voce» lo redarguì Julian.
« Perché? Che ho fatto?» chiese Phil, riuscendo finalmente a portarsi il cibo alla bocca.
« Lascia perdere. Solo parla più piano, per favore. Siamo già abbastanza sotto i riflettori per via della squadra e della nazionale, non vorrei alimentare altri aneddoti su di noi oltre a quelli che circolano già, veri o falsi che siano.»
« Ho capito» rispose Phil, tra un boccone e l’altro.
Julian sorrise.
« Vedo che alla fine sei riuscito a mangiare…»
« Potenza della fame. Non tocco cibo da ieri sera. Mi preoccupa solo una cosa.»
« E cosa?» chiese Julian, interessato.
« Come diavolo faccio a tagliarmi la carne con una mano sola?!»
Julian rimase interdetto per un attimo. Poi scoppiò a ridere. Una risata aperta e contagiosa.
« Julian! Non osare ridere così delle mie disgrazie, sai?» lo minacciò Philiph, indicandolo con la forchetta.
Julian continuò a ridere, incurante delle proteste dell’amico. Riuscì infine a calmarsi, e si asciugò le lacrime con il dorso della mano. Philiph lo guardò torvo.
« Dai, Phil, non fare così! Te la taglio io la carne. E per dimostrarti la mia buona fede, ti sbocconcello anche il pane» propose Julian, prendendo in mano la forchetta per la prima volta e intaccando la sua razione di riso.
« Così va meglio. Offerta di pace accettata.»
Proseguirono il pranzo in silenzio. Julian mangiava lentamente, con moderazione, mentre Philiph divorava il cibo con gusto. Ben presto terminò il primo piatto, e allora rivolse a Julian una lunga occhiata supplichevole. Julian, che aveva il riso ancora davanti agli occhi, sentendosi osservato, alzò lo sguardo e guardò stupefatto l’amico.
« Potevi dirmelo, sai, che avevi finito. Non c’era bisogno di guardarmi con quella faccia da cane bastonato. Non mi sono scordato di tagliarti la carne, povero cuccioletto affamato. Certe volte sei proprio strambo, Phil.»
Afferrò il piatto di Philiph e iniziò a tagliargli la carne, pazientemente. Philiph seguiva con gli occhi ogni sua mossa, un’espressione soddisfatta dipinta sul viso.
« Guarda un po’ cosa mi tocca fare… Neanche fossi tua madre, o la tua manager…»
Julian tacque. La sua frase aveva ripristinato dall’oblio momenti del passato non solo di Philiph, ma anche suoi.

“Buongiorno capitano!”: mi accoglievi sempre così, con questo saluto e un sorriso. Mi piaceva tanto il tuo sorriso… Il sorriso della mia unica amica. Tutti questi anni mi sei rimasta accanto, sempre, anche durante i momenti peggiori, quanto ero così terrorizzato e deluso e intrattabile da allontanare tutti, tranne i miei genitori, da me. Ma tu eri diversa. Prendevi una sedia e ti sedevi accanto al mio letto. Mi tenevi una mano tra le tue e restavamo così, in silenzio, anche ore. Quelli erano gli unici momenti in cui mi sentivo sereno, quando riuscivi a darmi la forza per affrontare un altro giorno senza lasciarmi andare… Sarebbe stato così facile, allora, arrendersi… E invece tu non me l’hai permesso. “Non pensarci nemmeno, Julian, hai capito? Ce la farai. Ce la faremo. Mettiti in testa che non sei morto. Sei vivo. Perciò stringi i denti e lotta, capitano. Il mondo ha bisogno di te, della tua classe, del tuo talento.” Chissà, forse senza di te avrei aspettato sul serio il momento in cui sarei stato finalmente libero dalla sofferenza, dalla schiavitù dei farmaci e dei controlli in ospedale, dalla prigionia dei divieti e delle raccomandazioni, dal dolore degli attacchi di quel mio cuore malandato… Ricordo la prima volta che sono stato male. Dieci anni appena, eppure già una promessa acclamata dai giornali. Tu eri la nostra manager da pochi mesi, da quando la tua famiglia si era trasferita qui a Tokyo. Un giorno come gli altri, dopo gli allenamenti. Ero rimasto solo negli spogliatoi, i miei compagni erano andati tutti via. Nel campo, solo tu, che radunavi i palloni che avevamo usato noi, e il mister. Mi stavo infilando la maglietta, quando lo sentii. Una stilettata improvvisa, e un sordo martellare in mezzo al petto. Mi accasciai per terra, tenendomi una mano sul cuore, stringendo convulsamente la maglietta. Cos’era quel dolore insopportabile che m’impediva di respirare? Ad un tratto la porta s'aprì… Eri tu. Mi scorgesti subito, e corresti da me. Ricordo ancora il tuo volto pallido e tirato. “Capitano, cos’hai?” mi chiedesti. Ma io non avevo nemmeno la forza di risponderti. “Sommers” riuscii a mormorare, prima di perdere i sensi. Cos’è successo dopo, non l’ho mai saputo. Credo di aver avuto paura a chiederlo, non so perché. Mi sono svegliato in ospedale, con una maschera d’ossigeno sulla faccia, collegato a degli strani macchinari, e il braccio livido dagli aghi delle flebo. Ancora oggi mi vergogno di tutte le cicatrici che mi porto addosso. Mia madre seduta accanto a me, che piangeva. Mio padre accanto a lei, pallido. E poi tu, che mi tenevi la mano. Quando aprii gli occhi mi sorridesti. E mia madre ti abbracciò. “Grazie” ti disse “Grazie”. Forse è vero, quel giorno mi hai sul serio salvato la vita. O forse me l’hai salvata ogni giorno durante tutti questi anni, quando non mi hai lasciato da solo.

Lo ricordo, sai? Quanto eri piccola, indifesa… Dodici anni appena. Tre anni insieme, sempre insieme. A scuola, agli allenamenti, perfino durante il ritorno a casa. Tu camminavi lentamente, reggendo la cartella con entrambe le mani. Io ti precedevo di qualche passo, la cartella gettata su una spalla. Ti stava bene, sai, la divisa. Questo credo di non avertelo mai detto… Come non ti ho detto molte altre cose… Come vorrei potertele confessare non appena mi attraversano la mente, anziché doverle appuntare e aspettare mesi prima di avere la possibilità di parlarti guardandoti negli occhi… Ritorna da me, Jen.

Philiph si passò le mani sugli occhi, nascondendo il volto per qualche istante. Improvvisamente era diventato taciturno. Julian se n'accorse, tornando in sé dopo un viaggio nel passato durato parecchi secondi.
« Pensavi a Jenny, non è vero, Phil?»
Philiph sobbalzò. Era vero. Sospirò, cercando di sorridere.
« E’ vero, Juls. Pensavo a lei.»
Tacque per qualche istante, poi aggiunse, un brillio malizioso negli occhi bruni.
« Come tu pensavi ad Amy. Abbiamo dei trascorsi comuni, in fatto di managers.»
Julian arrossì visibilmente. Cercò di negare debolmente, senza successo.
« Julian… E’ inutile che cerchi di mentire. Non lo sai fare. Sei un gran calciatore ed un eccellente allenatore, ma le bugie proprio non le sai dire. E poi, da quanti anni ci conosciamo noi due?»
« Uhm… Vediamo… Ci siamo visti per la prima volta a Yomiuri Land… A occhio e croce direi poco più di dieci anni…»
« Ecco, bravo. Dieci anni. E in dieci anni, durante i quali ho passato più tempo con te e gli altri ragazzi che con la mia fidanzata, credi che non abbia imparato a conoscerti?»
Julian sorrise. Colpito ed affondato. Non poteva proprio nascondere niente a quei tre ragazzi.
« Mi arrendo, sì, pensavo ad Amy.»
« E ci voleva molto ad ammetterlo? Io sarò pure strambo, ma tu sei troppo introverso, amico mio. »
Julian abbassò lo sguardo. Phil aveva ragione. Ma non ci poteva fare niente. La malattia e la sofferenza l’avevano segnato, lasciando in lui delle cicatrici ben più profonde che non quelle visibili sulle braccia. Intuendo il disagio di Julian, Phil si affrettò a cambiare discorso.
« Ma che avete oggi, che mi costringete a ricordarvi in continuazione la nostra conoscenza ormai decennale? Prima Tom, adesso tu… Manca solo Benji, e poi siamo apposto!»
« Tom?»
« Già. Quello scemo ancora non ha ben compreso il mio stato di ritardatario cronico!»
« Credo che il tuo sia un fattore genetico… Non ti ho mai visto arrivare puntuale, mai una volta. Nemmeno per sbaglio. E’ inutile farsi illusioni. Conosco una sola persona capace di farti arrivare agli appuntamenti non solo in orario, ma addirittura in anticipo.»
Philiph guardò l’amico, incuriosito dalle sue parole. Julian gli rivolse uno sguardo sornione.
« Ti dice niente il nome di… Jenny Morgan?»
Philiph lo fissò, costernato. Questa volta era lui ad essere stato colpito e affondato. Sorrise, un sorriso insieme dolce e malinconico.
« Già… Solo Jenny ha questo potere su di me. Ma anche Amy non scherza, in quanto ad influenza su un certo allenatore di mia conoscenza…»
Julian arrossì nuovamente. Quando s’incaponiva su qualcosa, Phil era tremendamente insistente.
« Dai, oggi sono buono e non voglio infierire. Solo una cosa… Dov’è? Pranzate insieme tutti i giorni… Perché sei qui con me e non con lei?»
« Amy è andata a prendere una sua amica all’aeroporto. Mi ha detto che non la vede da molto tempo, e che vuole trascorrere qualche ora con lei.»
« Ho capito. Oggi è la giornata delle bidonate. Con Tom eravamo rimasti d’accordo di vederci per pranzo, e invece chissà dov’è andato a cacciarsi… Vorrà dire che ci faremo buona compagnia, noi due.»
Julian annuì. Phil era di nuovo il ragazzo allegro di sempre, e ciò lo sollevava visibilmente.
Phil terminò il pasto, e spostò i piatti ormai vuoti in un angolo del vassoio. Afferrò i libri e gli appunti, sistemandoseli davanti. Le pupille nere, che fino a quel momento brillavano di letizia, si velarono, e il suo volto assunse un’espressione grave e preoccupata.
« Lasciami indovinare… Ancora problemi con Dawson.»
Philiph guardò l’amico negli occhi, ed annuì.
« Per l’ennesima volta, mi ha umiliato. Io non so proprio come comportarmi, con quest'imbecille. Stamattina, poi, ha superato il segno. Ha liquidato in quattro e quattr’otto il mio lavoro, definendolo come superficiale e approssimativo, addirittura indegno per uno studente universitario come me.»
« Ti ha detto così?»
Julian non poteva credere a ciò che sentiva. Era disgustato dalla ipocrisia di Dawson.
Phil annuì, sconsolato, e aggiunse:
« Non solo. Mi ha caricato d'altro lavoro. L’ennesima relazione, questa volta sui ronin. Come se non avessi altro da fare che preparare relazioni per lui. E ha avuto pure la faccia tosta di definirla l’ennesima possibilità che mi concedeva per alzarmi la media.»
« Sono sbigottito. Ma se hai fatto le quattro del mattino per una settimana per preparare quella stupida relazione! Adesso capisco perché eri così infuriato…»
« Se continua così, ho paura di non riuscire più a dominare la collera. E allora sì che mi troverò davvero nei guai!»
« Pensi di arrivare a tanto?»
« Non vorrei, Juls, ma sono esasperato. Non ce la faccio più. Questo stronzo si diverte a farmi passare per un idiota. E in più mi opprime con una mole di studio non indifferente, che tanto per cambiare riserva solo a me.»
Phil sbuffò, aprendo la custodia degli occhiali e sistemandoseli sul naso. Rivolse un’occhiata sommaria a parte degli appunti che aveva preparato, e li passò infine a Julian.
« Dacci un’occhiata e dimmi sinceramente cosa ne pensi. Considera però che sono solo spunti per la relazione vera e propria.»
Julian li afferrò, e lesse attentamente.
« Phil, non sono un professore, ma queste annotazioni mi sembrano un’ottima base di partenza.»
Phil scosse la testa.
« Lo credo anch’io. Ma scommetto 10 a 1 che non andrà bene ugualmente. Posso preparargli un saggio, scrivere un libro di 400 pagine, andare indietro nel tempo e vivere io stesso come un samurai errante, ma non sarà mai abbastanza per lui» concluse Phil, amareggiato.
Julian lo guardò, e a stento riuscì a trattenere le risa.
« Che c’è?» domandò Philiph, spiazzato.
Non credeva di aver detto qualcosa di così comico. Anzi, dal suo punto di vista la situazione presentava parecchie difficoltà.
« Scusami, Phil, è che mi ti sono immaginato nelle vesti di un ronin, ed eri troppo buffo!»
Philiph fissò l’amico per parecchi secondi, interdetto. Infine scoppiò in una risata che gli sgorgava dritta dal cuore.

Come sempre, Juls riesce a tirarmi su il morale. E a farmi ridere, perfino.

« Hai finito di pranzare, Julian?» domandò Philiph, passandosi una mano tra i capelli e tirandoli indietro.
« Sì, perché?»
« Perché sarebbe meglio andare. Gli allenamenti iniziano tra mezz’ora, e la mensa sta per chiudere.»
Julian guardò l’orologio. Erano le tre esatte. Si guardò intorno, ed effettivamente nella sala rimanevano solo loro e pochi altri sfaccendati.
« Hai ragione. Adesso andiamo» replicò, alzandosi in piedi.
Entrambi radunarono i libri e gli altri oggetti sparsi per il tavolo, ed abbandonarono il locale.

15.06 P.M.

« Certo che ci sono toccati i ruoli più ingrati, a me ed a te» commentò Philiph, con un poderoso sbadiglio, che sottolineò le sue parole. « Tu poi, come allenatore, hai le responsabilità maggiori.»
« Ma anche sulle spalle del capitano gravano delle pesanti incombenze» sorrise Julian.
« E, infatti, proprio per quello non lo volevo fare, il capitano. E’ tutta la vita che mi attribuiscono questa grana. Per fortuna in nazionale è un’altra la vittima sacrificale.»
« Ti riferisci ad Holly?»
« E a chi, se no? Così per una volta posso essere io a crearli, i problemi, anziché pensare sempre alla maniera migliore di risolverli.»
« Sei così, allora? Aspetta che riveda Holly! Non credo che sarà felice di sapere che ti diverti alle sue spalle!»
« Non ho mai detto che mi diverto, Juls. Sai che non sono un piantagrane. E’ solo che sono felice, una volta ogni tanto, di liberarmi di tutti i doveri che la mia posizione di capitano m'impone.»
« E’ perché sei un buon capitano, Phil, che si preoccupa per i suoi compagni. E questo lo sanno tutti. Non a caso, fin dalle elementari hai sempre ricoperto questo ruolo, in ogni squadra in cui hai giocato.»
Phil non rispose. Rimuginò per alcuni secondi sulla frase di Julian. Gli ampi corridoi dell’università erano quasi deserti, a quell’ora, e i due ragazzi procedevano lentamente verso gli spogliatoi.
Il silenzio in cui entrambi erano immersi e che regnava nella struttura fu infranto all’improvviso da una gaia voce femminile che li chiamò. Ambedue si voltarono e videro una ragazza correr loro incontro.
I lunghi capelli color rame erano stati lasciati sciolti sulle spalle, e le accarezzavano morbidamente il viso dalla carnagione lattea e dai tratti aristocratici, illuminato da due grandi occhi dorati dallo sguardo intenso e perspicace. Tutto in lei denotava gioia e vivacità, dalle piccole lentiggini disseminate sul naso e le gote, al sorriso solare che le faceva brillare le iridi ancora prima che le labbra ben disegnate si schiudessero. Era molto graziosa, e la sua bellezza d’altri tempi veniva esaltata dal suo abbigliamento, sobrio ma nell’insieme ricercato. Indossava un paio di pantaloni grigi aderenti, che modellava perfettamente i fianchi armoniosi, e una blusa di cotone celeste con lo scollo a barca, che lasciava nude le bianche spalle, sulla quale s’intrecciavano una serie di sottili nastri di velluto all’altezza del ventre. Un paio di stivaletti di pelle dal tacco alto sopperiva a qualche piccolo difetto d'altezza. Faceva sfoggio di pochi gioielli: un paio di orecchini di perle, e una sottile catenina con un pendente, anch’esso con una perla. La squisita eleganza con cui vestiva si ritrovava anche nel maquillage da lei scelto per il volto, lieve e raffinato: un velo di fondotinta sulla pelle, sulle palpebre un ombretto marrone chiaro, e sulle labbra un rossetto color ciliegia. Era incantevole.
Non appena la scorse, Julian le rivolse un ampio sorriso. Era visibilmente felice di vederla.
« Amy! Sei già qua?»
La ragazza ricambiò il sorriso. E ridendo baciò Julian su entrambe le guance.
« Dai, confessa che ti sono mancata!» disse, sorniona, prendendolo per un braccio.
« Seeee, ho capito. Ci vediamo dopo al campo» commentò Philiph, voltandosi.
« E no! Tu rimani qui con noi!» lo richiamò indietro Amy.
« Non vorrei fare il terzo incomodo…»
« Ma quale terzo incomodo! Dai, Philiph, non fare lo scemo e resta con noi» appoggiò Julian.
« Tra l’altro devo presentarti una persona» intervenne Amy, con gli occhi che le brillavano per l’eccitazione.
« Ah sì? E chi sarebbe?» domandò Philiph.
« Una mia amica.»
« Scordatelo. Non ho nessun'intenzione di conoscere nessuna ragazza. Mi bastano quelle oche che gridano e inneggiano il nome di Juls, ogni volta che ci alleniamo.»
« A me risulta che molte acclamano il tuo, di nome. E anche Tom e Benji se la cavano mica male» specificò Julian.
« Lo sappiamo che siete i ragazzi più popolari dell’università, ma non mi sembra il caso di sbandierarlo ai quattro venti!» rise Amy.
« In ogni modo non voglio conoscere nessuno» insistette Philiph, testardo.
« Non essere così inflessibile, dai! Mi ha parlato tantissimo di te! Ti ammira molto, ti ha sempre seguito con attenzione, e in più ti trova carinissimo. Non ti costa niente trascorrere qualche minuto con lei!»
« Non ci penso nemmeno. E poi, sono già fidanzato!»
« Non te la devi mica sposare! Anche se credo che a lei non dispiacerebbe affatto!»
« Il nostro Phil ha trovato l’ennesima spasimante!» lo punzecchiò Julian.
« Juls, se non la smetti di sfottere ti giuro che non appena torno a casa prendo la tua maglietta preferita e ne faccio la cuccia di Candice!» replicò Phil, serio.
« Ritiro tutto» replicò Julian.
« Philiph, ma cosa ti costa? E’ una ragazza deliziosa. E’ simpatica, intelligente, spiritosa. Ed in più è molto carina» continuò Amy. « E’ venuta fin qui per te. Ha affrontato un viaggio lungo e faticoso, e tutto questo per vederti. Non la puoi deludere.»
Philiph tacque. Incominciava a cedere. Amy lo capì e sorrise, soddisfatta.
« Bene, io allora la chiamo» disse, prima di allontanarsi di corsa.
« Mi ha fregato» commentò Philiph.
« E ti meravigli se io non riesco a negare niente a quella piccola strega?» chiese Julian, seguendo Amy con lo sguardo.

Certo che… quant’è carina! E che… Ma cosa vado a pensare?! Da quando in qua guardo Amy in questo modo? E da quando noto certi particolari, di lei? Cavoli, certo che… E’ proprio bella…

Philiph si accorse dell’atteggiamento dell’amico, e considerò, maliziosamente:
« Juls, la stai fissando! Stai fissando Amy con un’espressione che non mi piace per niente! E per di più le stai scrutando la parte inferiore della schiena!»
Julian arrossì violentemente.
« Cosa dici, Phil?! Io non ho mai… guardato Amy in quel modo!!»
« Vuoi dire… come se fosse una donna? Beh, credimi, lo hai appena fatto.»

Oh cavolo! Phil ha ragione! E adesso? Nononono, calma! E’ stato un attimo di smarrimento! Una pazzia, certo! E’ successo solo perché oggi è maledettamente seducente, con quella magliettina che le sottolinea il… Ma non succederà più!

« Eccomi qua, ragazzi! Ho fatto presto, no?» esclamò Amy, affiancandosi nuovamente a loro.
« E la tua amica?» chiese Julian.
« Sta venendo. Sapete, è un po’ timida… Dai, vieni! Non avere paura, dai!»
Un veloce ticchettio di tacchi femminili risuonò per tutto il corridoio. Una ragazza si muoveva verso la loro direzione. Philiph la osservò… e i libri che reggeva sottobraccio caddero con gran fracasso sul pavimento.

Non è possibile! Non può essere lei! Ma cavolo come le somiglia… Sto sicuramente sognando! Sì, è così! Adesso mi sveglio! O è un sogno oppure un’allucinazione… O un’illusione ottica… Credo di vederla… La vedo perché la voglio vedere, non perché sia reale… Quando sarà di fronte a me mi renderò finalmente conto della realtà… E mi darò dello stupido come tutte le altre volte…

La ragazza continuava ad avvicinarsi, le movenze sicure, lo sguardo fisso su Philiph. Ad ogni passo di lei, il ragazzo sentiva crescere dentro il cuore l’apprensione che lo divorava. Sia lui che lei attendevano, persi negli occhi dell’altro.

Lui vide una ragazza alta e sottile, con una cascata di capelli castani dai lucenti riflessi rossicci, lunghi sino alle spalle e con le punte accuratamente pettinate all’infuori, che incorniciava l’ovale perfetto del viso e la carnagione di rosa. Gli occhi bruni, vivi e appassionati, gli zigomi alti, e la bella bocca le conferivano una vaga aria da gitana, attenuata dal naso piccolo e severo e dalla dolcezza dei lineamenti. Indossava un paio di pantaloni di pelle amaranto, e una maglietta nera aderente e con le maniche a tre quarti. Ai piedi un semplice paio di stivali, anch’essi di pelle, e al collo una sottile catenina d’oro con un particolare pendente, le iniziali “J” e “P” intrecciate tra loro. Non aveva altri gioielli, fatta eccezione di un paio di piccoli brillanti alle orecchie e un bell’anello con un’acqua marina nell’anulare della mano destra. Anche lei, come Amy, era truccata lievemente: un leggero strato d'ombretto grigio-violetto nelle palpebre e un rossetto color pesca sulle labbra.
Rivolgeva a Philiph un sorriso radioso, e aveva un’espressione di sincera gioia nelle iridi.

Lei vide davanti a sé un ragazzo alto, dalla corporatura asciutta e muscolosa. I capelli bruni gli sfioravano le spalle, ricadendogli in parte sul volto, dai tratti decisamente maschili. L’incarnato dorato, le labbra carnose, ben disegnate, gli splendidi occhi scuri che la fissavano con lo stesso sguardo ironico e impetuoso che ricordava tanto bene. Sguardo che sapeva essere tagliente e implacabile, all’occorrenza, ma che poteva trasformarsi anche in una delicata carezza, quando il suo viso s'illuminava e le labbra si atteggiavano nel sorriso più dolce e disarmante che avesse mai visto. Indossava un paio di jeans blu scuro e una maglia di cotone turchese a coste, a maniche lunghe, che aveva tirato su fino a mezzo avambraccio. Al collo era appeso un laccetto di cuoio, con un pendente in argento, raffigurante un sole tribale, e sul polso destro faceva sfoggio di un orologio dal cinturino metallico e il quadrante blu elettrico, mentre su quello sinistro portava un grosso bracciale d’oro, sulla cui piastrina era incisa una data. Riconosceva quel bracciale. Un paio d'occhiali neri dalla montatura leggera ombreggiava parzialmente l’espressione confusa e meravigliata del volto. Adorava quell’espressione. Quando, nonostante tutta la sua sicurezza e la sua proverbiale faccia tosta, rivelava per un attimo la dolcezza e l’ingenuità del suo animo.

Lei gli si avvicinò. Non aveva smesso un momento di guardarlo. Quando gli fu di fronte, sorrise.
« Buon giorno, capitano» disse solo.

FINE PRIMO CAPITOLO.


* La bellissima frase “Un momento di tenerezza tra le tue braccia è come una stella cadente che attraversa il mio cuore”, che Philiph pensa nel giardino dell’università, non è purtroppo farina del mio sacco. E’ un riferimento/omaggio (o furto? ^^) ai Queen, e al genio dell’indimenticabile Freddy Mercury.

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Capitolo 2
*** Il passato... presente? ***


Capitolo II

Il passato… presente?

Hokkaido
01-04-19XX
08.42 A.M.

Una ragazza percorreva frettolosamente i viali della cittadina. Indossava un pesante cappotto grigio abbottonato completamente, che lasciava intravedere il colletto di una divisa scolastica, e una lunga sciarpa di lana celeste pallido era l’unica nota di colore nel suo abbigliamento. Nella mano destra reggeva saldamente la cartella, mentre la sinistra di quanto in quanto scostava dal viso una folta ciocca di capelli castani, che si ostinava a ricaderle sul volto. Procedeva con un portamento veloce e sicuro, precedendo di parecchi passi un’altra ragazza, che stentava a starle dietro, ed era quasi costretta a rincorrerla.
« Jenny! Jenny! Per favore, rallenta! Non ce la faccio più!»
« No, Grace! Oggi è il primo giorno delle medie! Non ho intenzione di arrivare in ritardo proprio oggi! Mi sono svegliata alle sei apposta!»
Grace sospirò. Quando voleva, la dolce e timida Jenny era più testarda di un mulo. Le arrancò quindi dietro, badando a non scivolare sul ghiaccio che verniciava le strade. Nonostante l’arrivo della primavera e la temperatura più mite degli ultimi anni, la cittadina tra i monti era ancora ricoperta di neve, che rivestiva i tetti delle case e dei negozi come una spessa coltre di piume.
Il freddo aveva lasciato la sua impronta sui visi di entrambe le ragazze, che avevano le gote e le labbra purpuree. Jenny si portò una mano guantata alla bocca, soffiando sopra le dita intirizzite un po’ di calore. Non senza fatica, Grace riuscì ad affiancarlesi, sforzandosi di mantenere l’andatura spedita dell’amica. Jenny la guardò, rivolgendole un timido sorriso.
« Ma ci pensi, Grace! Siamo ufficialmente due studentesse delle medie!» disse.
Grace scosse la testa.
« E cosa ti aspetti da questo, Jenny?»
« Mi aspetto molte cose buone, Grace. Per esempio, la divisa. E’ molto carina, con quel nastro rosso attorno al colletto! Sono sicura che saranno tre anni splendidi!»
« Beata te che ti accontenti di così poco!»
« E tu cosa vorresti, Grace?»
« Uhm… Tanti bei ragazzi, per cominciare! E’ o non è una scuola mista?»
« Grace, sei sempre la solita!»
Le due ragazze scoppiarono a ridere, una risata che ebbe il potere di spezzare la leggera cappa d’ansia che provavano nei loro cuori per quel cambiamento che sapevano essere una tappa fondamentale nelle loro vite. Rasserenate, continuarono a camminare, chiacchierando piacevolmente.
Man mano che si avvicinavano alla scuola, incrociavano sempre più ragazzi e ragazze che, come loro, indossavano la divisa della scuola media. Loro coetanei o senpai, sicuramente. Tutti procedevano a gruppetti di almeno due persone, più frequentemente da tre o quattro, segno che si conoscevano già, come loro, ed esattamente come loro erano amici.
Perciò le stupì non poco un ragazzo che procedeva da solo, di corsa, che schivava e superava gli altri ragazzi agilmente. Indossava la divisa della scuola media, la cartella buttata distrattamente su una spalla, i capelli bruni scomposti dall’aria gelida, il portamento scattante ed energico. Nonostante la strada scivolosa e la neve che aveva incominciato a cadere in lievi fiocchi di ghiaccio, correva velocemente, e il suo incedere sicuro non venne mai meno, tanto che ben presto scomparve dalla loro vista.
Jenny scosse la testa incredula. Grace si limitò a commentare:
« Che tipo strano! Chissà poi come faceva a non scivolare, con tutta la fretta che aveva…?»
Jenny tacque. Non sapeva cosa replicare. Però quello strano ragazzo l’aveva incuriosita…
Giunsero ben presto davanti ai cancelli dell’edificio dove avrebbero trascorso buona parte della giornata per i prossimi tre anni, e si fermarono ad osservare l’imponente costruzione grigiastra.
« Pronta, Jenny?» le chiese l’amica.
« Prontissima!» sorrise Jenny, prendendo Grace per mano ed entrando nel cortile della scuola.
« Quanti ragazzi!» commentò Grace sorpresa, guardando un po’ spaurita la folla di compagni che si accalcava attorno a loro.
« E’… come dire… diverso…» rispose Jenny. « Ma, se ci pensi, è logico. Qui a Hokkaido ci sono ben tre istituti elementari, ma un’unica scuola media. Quindi tutti i ragazzi dai dodici a quindici anni di Hokkaido e dintorni frequentano qui le medie.»
« Lo so, lo so… Però trovarcisi in mezzo è tutt’altra cosa… In ogni caso, ho già trovato due o tre motivi d’interesse che credo mi faranno apprezzare ancora di più il cambiamento…» sorrise Grace, guardandosi intorno con gli occhi che le brillavano dietro i buffi occhialini tondi.
Jenny seguì lo sguardo dell’amica, notando anche lei un capannello di ragazzi che confabulavano tra loro, ridendo e dandosi pacche sulle spalle a vicenda. Capì subito cosa volesse dire Grace e liquidò la faccenda con un lapidario:
« Sei sempre la solita, Gracie. Pensi solo ai ragazzi!»
« E che c’è di male? Non siamo più bambine, Jenny! E’ naturale!»
Grace continuò la sua ispezione, osservando sfacciatamente tutti i rappresentanti del sesso maschile che scorgeva, mentre Jenny, a disagio, si allontanava da lei di qualche passo.

Certe volte Grace è proprio a senso unico… Chissà come farà a essere così sfrontata? Io mi vergogno solo per il suo atteggiamento, figurarsi a comportarmi come lei! No, proprio non ce la faccio! E’ meglio che mi scosti un po’ da lei… Tanto, nemmeno se ne accorgerà… Quando è impegnata nella sua “caccia” non pensa a nient’altro…

Un lieve sorriso le solcò per un attimo le labbra, mentre camminava distrattamente, lanciando furtive occhiate a tutti quei visi sconosciuti. Inutile negarlo, era nervosa.
D’un tratto si fermò. A pochi passi da lei c’era il ragazzo di poco prima. Era solo, ma non dava l’impressione d’essere spaurito come lei. Anzi, nei suoi occhi poteva scorgere una certa spigliatezza, acuita dalla disinvoltura con cui indossava la divisa, ben visibile sotto il cappotto sbottonato.

Ma non avrà freddo? Io sento l’alito dell’inverno insinuarsi sotto questa maledetta gonna, nonostante abbia il cappotto, la sciarpa e i guanti, e non posso fare a meno di rabbrividire. Invece lui sembra così a suo agio… Ignora perfino la nuvoletta di vapore che gli esce dalla bocca… Come farà?

Immersa nelle sue considerazioni, non si accorse del grido spaventato di Grace, che l’apostrofava di scansarsi. Vide solo che l’oggetto dei suoi pensieri le si piazzava davanti, stoppando di petto una violenta pallonata, fermando poi il pallone di cuoio sotto un piede.
« Stai bene?» le chiese, con un sorriso. « Non ti sei fatta male, vero?»
I suoi occhi scuri erano i più belli che Jenny avesse mai visto.
Arrossì, incontrando lo sguardo di lui, e balbettò:
« No… sto bene… grazie.»
Lui tornò a sorridere, e disse:
« Mi fa piacere.»
Le diede le spalle, e gridò, rivolto a tre ragazzi che li guardavano allarmati:
« George, Stephen, Carl! Chi di voi è stato a tirare?»
Un ragazzo avanzò di un passo, e farfugliò, titubante:
« Sono stato io, Philiph. Volevo vedere se i riflessi del nostro capitano erano sempre gli stessi…»
« E’ stata un’idea idiota, Carl. Non siamo in un campo da calcio, qui, ma nel cortile della scuola. Ti rendi conto che potevi fare seriamente del male a qualcuno?»
« Lo so… Mi dispiace.»
« Come minimo devi chiedere scusa a questa ragazza. Forse, dopo che l’avrai fatto, vedrò di perdonarti.»
Carl si avvicinò a Jenny, e a capo chino le porse confusamente le proprie scuse. Jenny gli rivolse un sorriso dolcissimo, che spiazzò completamente il ragazzo, e gli parlò in modo tale da rincuorarlo completamente.
« Philiph, adesso che Carl ha assolto i suoi doveri di gentiluomo, che ne dici di farci vedere qualche numero?» domandarono all’unisono George e Stephen.
« Non so se dovrei…» commentò Philiph, con aria pensierosa.
Ma poi, quasi involontariamente, si fece saltare il pallone sulle ginocchia e iniziò a palleggiare agilmente. Jenny lo guardava estasiata. Non aveva mai visto nessuno capace di destreggiarsi in quel modo con un pallone di cuoio.

E’ bravo… E’ proprio bravo… L’hanno chiamato capitano, certamente deve giocare in una squadra di calcio… Anche prima, stoppare una pallonata così violenta così facilmente… Se ci avessi provato io, di sicuro mi sarei ammazzata… Fortuna che invece c’era lui…

Philiph si divertiva come un bambino, mentre i suoi compagni e Jenny lo osservavano con ammirazione. Colpì la palla di testa diverse volte, e infine la lasciò scivolare dietro la schiena, facendola rimbalzare di tacco.
Jenny era sempre più stupita e guardava il ragazzo con entusiasmo sempre crescente per la sua abilità. Anche Grace, che le si era avvicinata subito dopo la pallonata, lo fissava, affascinata. E ben presto anche i loro compagni lo osservarono attentamente, con interesse.
La piccola cittadina tra i monti non era certo il luogo ideale per gli sport all’aria aperta. E questo perché la neve cadeva per la maggior parte dell’anno, ricoprendo interamente i vari campi di atletica, baseball, softball, calcio… E se gli iscritti ai vari club volevano utilizzare le strutture, dovevano spalarla via. E non era raro che riprendesse a nevicare durante il loro lavoro, cosicché i loro sforzi venivano vanificati.
A causa di ciò la maggior parte dei ragazzi e delle ragazze si dedicavano a sport come il nuoto o la ginnastica, che potevano venir praticati in ambienti chiusi. E per questo il fatto che la squadra di calcio di una delle elementari della cittadina fosse arrivata alle semifinali del campionato nazionale aveva suscitato scalpore e soddisfazione in tutti i membri della comunità. I nomi dei ragazzi di quel team erano passati di bocca in bocca, ed essi avevano conquistato una certa popolarità. Sebbene non fossero riusciti ad accedere alle finali, quello che avevano conquistato era da solo un grande risultato.
Philiph si fece saltare il pallone sulle ginocchia, passandoselo da un ginocchio all’altro con grande disinvoltura. Gli occhi gli brillavano.
Jenny seguiva i suoi movimenti eleganti e sinuosi senza parlare. Avvertiva dentro di sé una strana apprensione irradiarlesi in tutte le membra.

Mi sento a disagio… Non ne conosco il motivo… Eppure SENTO che non è per la nuova scuola… Ma perché non riesco a staccare gli occhi di dosso da questo ragazzo??? E’ molto bravo, ma non è per quello che lo sto guardando in questo modo… Ma come lo sto guardando, io?

Ad un tratto Philiph si lasciò scivolare la sfera di cuoio dietro la schiena, colpendola di tacco, e riportandola davanti a sé.
Un brusio di sorpresa accolse questa destrezza, e Jenny guardò in volto il ragazzo, che non sembrava farsi vanto della sua straordinaria abilità. Senza che se ne rendesse conto, sorrise, continuando ad osservare i suoi “numeri”.
Philiph colpì il pallone di testa un paio di volte, ed infine lanciò la sfera dritta tra le braccia di Carl, che l’afferrò prontamente.
« Bene, anche per oggi ho fatto il pagliaccio in abbondanza» rise, passandosi una mano tra i capelli arruffati.
Lanciò un’occhiata distratta all’orologio che portava al polso, e frettolosamente raccolse la cartella che aveva abbandonato in un angolo.
« Le 9.05! Ma è possibile che io debba essere sempre in ritardo, anche quando arrivo in anticipo!? Questa è proprio iella nera! Carl, George, Stephen, cosa diavolo ci fate imbambolati? Lo sapete o no che ore sono? Dobbiamo entrare a scuola!» gridò, passando rapidamente accanto a Jenny, che ebbe l’impressione di essere stata sfiorata da un tornado.
« Sì, Philiph!» gridarono in coro i tre, afferrando in tutta fretta le cartelle e seguendo il ragazzo.
Sembrò che solo allora gli altri studenti si rendessero conto di che ore fossero, poiché il cortile passò da un silenzio imbarazzato al chiassoso vociare dei ragazzi che si affrettavano ad entrare dentro l’edificio.

Philiph… Mi ricorderò questo nome…

Jenny, stretta a Grace per non perderla di vista nella ressa, sorrise. Un sorriso che le illuminò completamente il volto.

09.23 A.M.

« Siamo in ritardo mostruoso! Ma in quale classe siamo capitate?! Tutta colpa di quel buffone! Per la miseria, in ritardo proprio il primo giorno!» brontolò Grace, scorrendo velocemente le liste delle varie classi appese in bacheca.
« Ti sbagli! Phil non è assolutamente un buffone, come lo hai definito tu! Ma un giocatore fuori dal comune!» replicò Carl, affiancandolesi.
« Ah, sì, tu sei il tipo che ha tirato la pallonata che solo per un pelo non ha centrato in pieno la mia amica!» rispose Grace, brusca.
« Dai, Gracie… Non è successo niente!» intervenne Jenny.
« Le ho già chiesto scusa, no?» si difese Carl, punto sul vivo, continuando la sua ricerca.
« Ah, ecco qui! I-3! Bene, sono in classe con Philiph anche quest’anno!»
Jenny lesse rapidamente i nomi degli studenti della I-3, e non poté fare a meno di sorridere.
« Beh, allora è meglio che ci sbrighiamo, visto che siamo tutti nella stessa classe e per di più in un ritardo tremendo!» considerò Grace, che aveva avuto la stessa idea di Jenny.
I tre ragazzi si precipitarono su per le scale, raggiungendo ben presto la loro aula. Si mescolarono ad altri ragazzi che ne stavano varcando la soglia proprio in quel momento, sperando di non essere visti dallo sguardo truce del professore, che li osservava con un terribile cipiglio.
« Ma bene, ragazzi, tutti in ritardo dal primo giorno! Il più puntuale di voi è arrivato alle 9.10! Cosa avete da dire in vostra discolpa?» ruggì il docente.
Nessuno replicò. Trattenevano tutti il fiato.
« Bene, vorrà dire che troverò io la punizione adatta per voi. Badate bene che non si ripeta più! Adesso però facciamo l’appello.»
Jenny, seduta accanto a Grace, tirò un sospiro di sollievo. Sembrava che il professore avesse deciso di dimostrarsi magnanimo, almeno per quel primo giorno. Certo, li avrebbe puniti, ma era quello che onestamente meritavano, no? Per essere arrivati in ritardo il primo giorno delle medie. E pensare che era proprio l’unica cosa che avrebbe voluto evitare…
Sbirciò di nascosto il ragazzo seduto due banchi avanti a lei, che osservava la lavagna con sguardo assente, il capo poggiato tra il pollice e l’indice della mano destra, i capelli scomposti. Sorrise.
Non sapeva nemmeno lei il motivo, ma sentiva dentro di sé una grande gioia, un’inspiegabile euforia.
« Lo stai fissando!» le bisbigliò Grace all’orecchio. « Tu, Jennifer Morgan, stai fissando un ragazzo! Dovrò farmi un nodo al fazzoletto per ricordare l’evento! E poi, a chi concedi l’onore? A quel tipo strano che ci ha fatto arrivare in ritardo e per colpa del quale ci siamo dovute sorbire un’interminabile lavata di capo e in più una bella punizione! Devo ammettere che è carino, però…»
« Ma che dici, Gracie?!» la interruppe Jenny, arrossendo fino alla radice dei capelli. « Non è assolutamente come pensi!! E poi non è colpa sua se siamo entrate tardi a scuola! Non ci ha mica obbligate a rimanere in cortile tutto quel tempo!»
Gracie la guardò, stupita e insieme soddisfatta della sua risposta. Jenny capì di essere caduta nella trappola tesale dall’amica, e si morse le labbra.

Che stupida! Adesso chissà cosa penserà Gracie…! Potevo stare zitta, no?! Che bisogno c’era di difendere a spada tratta uno che nemmeno conosco?! Ma le sue parole mi hanno dato un fastidio tremendo!!! Non sono proprio riuscita a farne a meno! Però non è vero che mi piace… Lui m’incuriosisce, ecco… Solo questo. Anche se quegli occhi… Per un breve, ma lunghissimo istante, i suoi occhi mi hanno come ipnotizzata… Nonono! Cosa diavolo stai pensando, Jenny? Non è da te pensare queste cose! Se ti sentisse qualcuno sembrerebbe che tu sia stata vittima di un colpo di fulmine… Colpo di fulmine!?! Figurarsi! Io non credo a queste cose!!!

13.33 A.M.

« Allora, Jenny, non credi che dovresti dirmi qualcosa?» le domandò Grace, diretta come al suo solito, mentre consumavano il pranzo sedute nei loro banchi.
« Non vedo cosa dovrei dirti, Grace…» rispose Jenny, sforzandosi di mostrasi tranquilla.
« Lo sai, Jenny, lo sai… Dai, oggi sono buona e ti darò una mano… Riguarda qualcuno… Un ragazzo che, guarda un po’, è nella nostra stessa classe e che tu sei stata particolarmente felice di ritrovare seduto pochi banchi davanti a te…»
« Ancora con questa storia, Grace!!! Non è assolutamente come pensi… Philiph…»
« Lo chiamiamo già per nome, eh?»
« Graceeeeee!!! Piantala!!!»
Grace sorrise, un sorriso compiaciuto e soddisfatto che ebbe il potere di farla innervosire ancora di più.
« Lo chiamo per nome perché non so il suo cognome! Chiaro?»
« Però è stupefacente che tu, in mezzo a tanti nuovi compagni, ricordi proprio come si chiama LUI, no?»
« GRACEEEEEEEEE!!!»
Jenny era esasperata. E in più, come suo solito, era arrossita, e quello stupido rossore sembrava voler confermare l’idea di Grace.

Un’idea sbagliata, sbagliatissima! Direi proprio insensata! Anzi, davvero IDIOTA!

« Aspettate, che indovino! Due belle fanciulle come voi non possono che star parlando di ragazzi, non è vero? E in modo particolare del sottoscritto!»
Carl prese una sedia e con notevole faccia tosta si sedette affianco a Grace, sbirciando apertamente il contenuto dei loro contenitori per il pranzo.
« Guarda chi c’è! Il lanciatore di cannonate!» replicò Grace, asciutta.
« Ancora con questa storia! Ho già chiesto scusa alla tua amica, no? Cosa devo fare ancora? Prostrarmi in ginocchio sul sale o fare harakiri?»
« … Lasciamo perdere… Piuttosto, dove sono i tuoi inseparabili compagni?»
« Beh, Stephen e George sono in un’altra sezione…»
« E il tipo strambo? Perché non sei con lui? E’ in classe con noi, mi pare…»
« Ti riferisci a Philiph? Non ho idea di dove sia andato a cacciarsi… So solo che sono venuti due tipi del club di calcio a cercarlo…»
« E per quale motivo?» intervenne Jenny.
« Saranno venuti a supplicarlo di entrare nel loro club… Anche se non ce n’era bisogno… Avevamo già deciso di iscriverci comunque…»
« Esagerato! D’accordo che è bravo, ma che addirittura lo vengano a cercare direttamente i titolari del club mi sembra eccessivo!» commentò Grace.
« Tu non hai idea di chi io sia o di chi sia Philiph, vero?» domandò Carl.
« Dovrei conoscervi, per caso?» chiese Grace, candidamente.
« Beh, ragazze, siete due delle pochi abitanti di Hokkaido che non sono al corrente della grandezza della Flynet!»
« La Flynet? Ma non ha conseguito grandi risultati… E’ stata eliminata agli ottavi di finale del torneo regionale…» obbiettò Grace.
« Non la Flynet delle medie! La Flynet delle elementari “Cox”!»
Grace e Jenny si guardarono in volto. Non avevano la minima idea di cosa Carl stesse parlando.

Santo cielo! Ma queste due dove vivono? Sulla luna?!

« Vi spiego, è meglio» sospirò rassegnato Carl.
« Io sono un membro della squadra che l’anno scorso è arrivata ad un passo dalla finale del campionato nazionale, a Yomiuri Land. Se quello stupido portiere non avesse parato il rigore del nostro capitano…»
« Un momento!» esclamò Grace.
Forse cominciava a capire.
« La Flynet delle elementari “Cox”! Vi siete battuti contro la… Muppet, se non sbaglio… Ha avuto molta risonanza qui in paese, quella partita…»
« Complimenti! Lei ha vinto il montepremi in gettoni d’oro!»
Jenny guardava ora Grace, ora Carl, senza raccapezzarsi. Non le era mai piaciuto, il calcio…
« Per la barba di mio nonno, vuoi dire che quel tipo strambo era il vostro capitano?!»
« Una medaglia al valore per lei, signorina!»
« Santo cielo, non l’avrei mai detto!»
« Philiph è davvero in gamba!» replicò Carl, compiaciuto.
« Non mi sarei mai aspettata di avere due componenti di quella Flynet in classe con me! E tu Jenny?»
Jenny era sempre più confusa. Non aveva la minima idea di cosa stessero parlando quei due. Temendo di passare per stupida, annuì distrattamente.
Proprio in quell’istante Philiph varcò la soglia dell’aula, e lentamente si diresse verso il proprio banco, tirando fuori dalla cartella il pranzo che ancora non aveva avuto modo di toccare. Lo aprì frettolosamente, e iniziò a mangiare in silenzio, solo, senza unirsi ai gruppetti di compagni che consumavano il pasto chiacchierando e facendo conoscenza reciproca.
Jenny non poté trattenersi dal seguirlo con lo sguardo, mentre un lieve sorriso le increspava le labbra, per l’ennesima volta quella mattina.
Il suo interesse per il ragazzo doveva essere ben evidente, poiché Carl domandò:
« Ma perché v’interessa tanto Philiph?»
« Non c’è un motivo particolare… E’ normale conoscere i propri compagni di classe, no?» replicò Grace, tranquilla.
« Allora aspetta che lo chiamo, no? Così ve lo presento! A proposito, io sono Carl!»
« Io mi chiamo Grace, e questa è la mia amica Jenny.»
« Piacere, Grace. Jenny…»
Carl strinse vigorosamente le mani ad entrambe, e si voltò verso Philiph.
« Phil! Ehi, Phil!» gridò.
« Qui ci sono due ragazze che ti vogliono conoscere!»
Ovviamente tutti i loro compagni li fissarono sconcertati, e lo stesso Philiph le guardò incuriosito.
A causa dell’imbarazzo, a Grace mancò davvero poco di cadere dalla sedia, e Jenny arrossì violentemente.
« Ma sono tutti pazzi in quella squadra?!?» sussurrò Grace all’orecchio di Jenny.
Jenny annuì, cercando di calmare i battiti del proprio cuore che le galoppava come impazzito in seno.
Philiph si alzò, reggendo il contenitore del pranzo, e si avvicinò loro.
« Scusate, ma non ho ancora finito di mangiare» sorrise, sedendosi sull’unica sedia libera, proprio affianco a Jenny.
« Io sono Philiph Callaghan, piacere…»
Porse la mano a Jenny, che la strinse timidamente, balbettando un imbarazzato:
« Jenny Morgan…»

Che mani grandi… e calde… e gentili…

Philiph tese il braccio verso Grace, e sfiorò le dita che la ragazza gli porgeva, presentandosi.
« Siamo troppo lontani!» rise. « Comunque piacere di conoscerti, Grace!»
Guardò Carl, e lo colpì con uno scappellotto sulla nuca.
« Ahio! E questo perché?» piagnucolò il ragazzo.
« Perché non impari mai a stare zitto! Quante volte devo ripeterti di pensare prima di parlare? Non ti rendi conto che hai messo a disagio queste due ragazze con le tue ridicole osservazioni?»
« Uffa, quanto sei pignolo! L’ho detto solo per scherzare! Sei troppo severo, capitano!»
« Con te lo devo essere per forza, Carl. E non chiamarmi capitano. Non lo sono più da quell’ultima partita a Yomiuri Land…»
« Però anche qui alle medie lo diventerai presto, ne sono sicuro. E nell’attesa, non voglio perdere l’abitudine!»
« Fa’ come vuoi, Testa Dura!» concluse Philiph, voltandosi verso Jenny e osservandola con interesse.
La ragazza arrossì ulteriormente, ma si sforzò di sorridere, e domandò, allegramente:
« C’è qualcosa che non va nel mio viso? Ho per caso qualche chicco di riso sulle labbra?»
Philiph scosse la testa, rivolgendole un luminoso sorriso.
« No, scusami… E’ che mi sembra… Non sei la ragazza di stamattina?»
Jenny ricambiò il sorriso, e rispose:
« Sì, sono io. Tra l’altro, non ti ho ancora ringraziato. Se non fossi intervenuto tu, io…»
« E’ mio dovere riparare tutti i guai che combina questo disgraziato. Non mi devi ringraziare, Jenny.»
Jenny sorrise nuovamente, rivolgendogli uno sguardo dolcissimo. Non sapeva perché, ma sentiva dentro sé uno strano calore irradiarlesi per tutte le membra.

Si ricorda il mio nome! Come suona armonioso, “Jenny”, pronunciato dalle sue labbra…

Grace guardò la sua amica, sconcertata.
Si conoscevano dall’asilo, ma non l’aveva mai vista così euforica. Che quel ragazzo le piacesse veramente? Si era divertita a stuzzicarla, ma non credeva possibile che la timida e contegnosa Jenny rivolgesse al nuovo compagno un interesse speciale… Non aveva mai manifestato una particolare inclinazione alle occhiate furtive, ai pedinamenti e alle chiacchiere su cui erano stati fatti oggetto i ragazzi fin dall’inizio della sesta elementare. E ora… Jenny guardava quel ragazzo, di cui fino a poco ore prima ignoravano l’esistenza, mai sazia della sua immagine. Sorrise. L’ingenuità dell’amica l’inteneriva.
I quattro neo-compagni trascorsero insieme ciò che restava dell’intervallo per il pranzo, discorrendo animatamente della nuova scuola e degli impegni che li attendevano, ma anche di musica, vacanze e videogiochi. Philiph dimostrò di possedere una parlantina sciolta e un invidiabile senso dell’umorismo, e le sue battute divertirono moltissimo i suoi interlocutori. Anche Carl era molto simpatico ed estroverso, e le ragazze si trovarono presto a loro agio con entrambi.
Purtroppo l’intervallo per il pranzo volò via troppo presto, e la campanella delle lezioni pomeridiane li strappò senza appello alla reciproca compagnia. I due ragazzi si alzarono, e le salutarono con un cenno.
« Adesso dobbiamo proprio correre» disse Philiph. « Sapete, l’iscrizione al club e tutto il resto.»
« Vi iscriverete entrambi al club di calcio?» domandò timidamente Jenny.
« Sì, ma... Tu come lo sai?» chiese Philiph, con un’espressione di muto stupore nelle iridi.
« Le ho detto io della nostra intenzione, Phil» intervenne Carl. « D'altronde, non è più un segreto per nessuno che tu sia un calciatore!»
« Ecco, io... penso veramente che tu sia davvero bravo» balbettò Jenny.
Grace sgranò gli occhi. Era la prima volta che Jenny si rivolgeva ad un ragazzo in quei termini.
Anche Philiph si mostrò sorpreso, ma poi sorrise.
« Ti ringrazio, Jenny» rispose.
Dopo un attimo, aggiunse:
« Allora ci vediamo domani, ragazze! Ciao!»
« Ciao!» ripetè Carl, salutandole con la mano.
I due ragazzi si diressero ai rispettivi banchi, e afferrarono le cartelle. Jenny, seduta vicino a Grace, li osservava, non rendendosi conto che l'amica la scrutava con una strana espressione negli occhi acuti.
Carl si avviò verso la porta, e una volta raggiunta la soglia si fermò, salutandole un’ultima volta con la mano. Grace e Jenny contraccambiarono il saluto con un sorriso luminoso, e il ragazzo, soddisfatto, uscì dall’aula, seguito dopo pochi istanti da Philiph. Passando loro davanti, Phil si voltò e strizzò loro l’occhio con fare ammiccante, allontandosi poi velocemente.
Grace, sbalordita, seguì la sua sagoma finchè non sparì dietro la porta, e commentò, sprezzante:
« Questo ragazzo è proprio sfacciato! Fare l’occhiolino a due ragazze in quel modo!»
Jenny annuì e replicò:
« Hai ragione, Gracie.»
Il suo atteggiamento sembrava però smentirne le parole, poiché rimase a fissare con occhi seri la porta dell’aula per parecchi minuti, finchè Grace non riuscì a strapparla alle sue meditazioni.
« Jenny! Cos’hai oggi?» sbuffò.
« Muoviti, dobbiamo ancora decidere a quale club iscriverci!»
Jenny si alzò di malavoglia e seguì l’amica, non senza prima aver lanciato un’ultima occhiata furtiva ad un certo banco sotto la finestra. Trattenne un sorriso, e lasciò la stanza.

Sarai anche sfacciato… Ma non mi dispiace…

Hokkaido
01-06-19XX
10.50 A.M

« Ragazzi, il metodo per trovare l’aerea di un quadrato di cui vi è sconosciuto il lato ma è nota la diagonale deriva dal teorema di Pitagora ed esattamente si traduce nella seguente formula…»
Il professore di geometria scribacchiò qualcosa alla lavagna, e Jenny diligentemente lo annotò sul quaderno che aveva davanti.
Compiva quest’azione meccanicamente, senza prestare affatto attenzione a ciò che scriveva. Il suo interesse sostava tutto due banchi davanti a sé, concentrato nella figura atletica di un ragazzo che sedeva con la testa mollemente abbandonata tra le braccia.
Jenny era visibilmente preoccupata. Sembrava proprio che dormisse, e sarebbe stato un bel guaio se un professore esigente e pignolo come quello di geometria lo avesse sorpreso in quella posizione non molto consona a disinteressarsi bellamente della lezione.
« Ma che cos’ha Philiph oggi?» le domandò Grace sottovoce, badando bene di non farsi scorgere dal professore.
« Gli allenamenti sono molto duri» mormorò Jenny.
« Sì, è vero. Però lo sono anche per gli altri ragazzi, non solo per lui! Guardalo là, sembra uno straccio!»
« Per lui lo sono più che per gli altri, Gracie. Philiph è il primo ad arrivare agli allenamenti e l’ultimo ad andarsene.»
Gracie non replicò. Aveva capito cosa voleva dirle Jenny. Si guardò intorno, e notò che tutti i loro compagni si erano accorti di Philiph. Un insistente ronzio disturbava la lezione, coprendo in parte le parole dell’insegnante.

Per la miseria, se questi pettegoli non la smettono, finirà che il profio si accorgerà di Philiph, e allora sarà un bel casino!!

« Allora, la smettiamo?! Cos’è questo chicchiericcio persistente?» urlò il professore, visibilmente nervoso.

Ecco, lo sapevo! Quegli stupidi babbei! Stare zitti mai, eh?

Lanciò un’occhiata di fuoco all’intera scolaresca, che ammutolì all’istante. Posò sulla cattedra il gesso che aveva in mano, e passò tra i banchi, fissando in volto i ragazzi e fulminandoli con lo sguardo. Jenny tratteneva il fiato. Ancora pochi passi, e sarebbe giunto davanti a Philiph. E difatti il professore lo scorse quasi subito, parandoglisi dinnanzi.
« Allora, signor Callaghan» esordì, scuotendo vigoramente il ragazzo.
Grace e Jenny si guardarono in volto, ansiosamente.

E adesso?!? Cavoli, cavoli, cavoli! Infuriato com’è, il profio è capace di sbatterlo fuori dall’aula!

Philiph alzò la testa, e osservò l’uomo che aveva davanti con aria assonnata.
« Mi vuoi spiegare cosa stavi facendo?» domandò l’uomo, severamente.
« Ecco, io…» iniziò Phil, ma un poderoso sbadiglio lo interruppe.
Il professore lo guardò inviperito, ma tacque, come tacque la classe, incuriosita e insieme timorosa.
« Io la stavo ascoltando» replicò infine Phil.
« Bene. Allora non avrai difficoltà a risolvermi questo problema.»
Philiph si alzò, dirigendosi verso la lavagna, lontana da lui di pochi passi. Nel farlo, passò accanto al banco di Carl, che gli lanciò un’occhiata perplessa ed insieme preoccupata.
« Che facciamo? Gli suggeriamo?» chiese Grace, con notevole spirito.
Jenny scosse la testa.
« Rischiamo di cacciarci anche noi nei guai, Grace. E poi credo proprio che Philiph stesso non vorrebbe che noi intervenissimo.»
« Ma sicuramente quel pazzo del nostro profio lo sbatterà fuori, se non lo spedisce dritto dritto dal preside! E vagli poi a spiegare che il poverino era stanco per gli allenamenti! Per lui noi studenti siamo tutti dei lavativi…»
« Non lo so, Grace. Ma noi sicuramente non ci metteremo in mezzo alla faccenda.»
Grace sospirò. Jenny capì che aveva accettato la sua decisione, sebbene di malavoglia. Si voltò ad osservare Philiph, con visibile apprensione negli occhi lucenti. Il ragazzo, ritto in piedi di fronte alla lavagna, la divisa sbottonata come suo solito, scriveva velocemente le ipotesi e le tesi che il professore gli dettava.
« Va bene, Callaghan. Risolvi il problema.»
Venticinque paia d’occhi si posarono su di lui, ma Philiph sembrò non farci caso. Fissò pensieroso la lavagna per alcuni secondi, prese un’altra stecca di gesso, la spezzò in due parti e iniziò a scrivere di buona lena. Il professore seguiva ogni suo movimento, e pareva stordito. Philiph sottolineò più volte l’ultimo passaggio del problema e la sua soluzione, e chiese:
« E’ giusto?»
« …Sì. Bene, Callaghan. Vai pure a posto» replicò il professore, piacevolmente sorpreso.
Jenny sorrise entusiasta, e osservò Philiph mentre si sedeva, accomodandosi nella stessa posizione di prima, la testa china tra le braccia e le gambe distese sotto il banco.
« Certo che...» le mormorò Grace, con un brillio malizioso negli occhi.
« Bello, sportivo, simpatico… e pure intelligente e studioso… Il ragazzo perfetto! Cosa pretendere di più?»
« GRA…» iniziò Jenny, trattenendosi appena in tempo.
Rendendosi conto della situazione e del luogo in cui si trovava, strappò un foglio dal quaderno e scrisse a caratteri cubitali con l’inchiostro rosso:

Grace!!! Smettila!!!

Grace ignorò quello che aveva tutta l’aria di essere un ordine perentorio, e le si avvicinò ancora una volta, sussurrandole:
« Però non credi anche tu che farebbe meglio a non stuzziccare l’ira del profio? Potrebbe almeno assumere una posizione decente!»
« Ti sbagli, Gracie. Non sta assolutamente sfidando la collera del prof. Lui ascolta la lezione, altrimenti non avrebbe saputo risolvere quel problema. E’ semplicemente stanco, e cerca di riposarsi un po’. Anche il prof deve averlo capito, e lo lascia stare.»
« … Forse hai ragione…» ammise Grace, mordicchiando nervosamente il tappo della penna.

13.41 P.M.

« Ma che buon odorino!»
La voce improvvisa alle sue spalle la fece sobbalzare. Jenny si voltò di scatto, e vide Carl che sbirciava da sopra la sua spalla il contenuto del suo contenitore per il pranzo.
« Ma è possibile che tu ti materializzi non appena appare un po’ di cibo? Cosa sei, una locusta?» lo apostrofò Grace poco gentilmente.
« Carina e simpatica, come al solito, eh? Jenny, ma tu come fai a sopportarla?» domandò Carl, sedendosi tranquillamente tra loro due.
« Sì, prego, accomodati pure, eh!» sospirò Grace, levando gli occhi al cielo.
« Vediamo un po’… Jenny, potrei prendere un gambero fritto?»
« Non fare complimenti, Carl» replicò allegramente Jenny, facendo l’occhiolino all’amica, che rivolse nuovamente lo sguardo verso il soffitto.
« Signore, dammi la forza…» mormorò, appoggiando stancamente la fronte alla mano.
« Cos’hai da borbottare, tu?» le chiese Carl, con la bocca ancora piena.
« Ho da borbottare che sono due mesi che ci scrocchi il pranzo tutti i santi giorni!» ribattè Grace.
« Che colpa ne ho se quella scansafatiche di mia madre mi prepara solamente del riso bollito?! Io sono un ragazzo in pieno sviluppo, ho bisogno di nutrirmi!»
« Se permetti anche noi siamo in pieno sviluppo! E dobbiamo nutrirci! Non certo regalare il pranzo ad un profittatore come te! Comprati un panino al bar, se proprio hai fame!»
« Oh, ma a me sembra che vi siete sviluppate bene entrambe…» commentò il ragazzo, lanciando loro una significativa occhiata.
Jenny scoppiò a ridere, ma Grace si alzò e gli appioppò un sonoro scappellotto sulla nuca.
« Ahio!» si lamentò Carl, massaggiandosi dove gli doleva.
« Così impari! Ma è possibile che tu oltre ad essere un ingordo parassita sia anche un guardone?!?»
Jenny rischiò di soffocare a causa delle risate che le sconquassavano il petto, e disse con voce fioca, frapponendo una mano tra i due:
« Ok, ragazzi. Time out. Time out. O veramente mi farete morire.»
Grace e Carl si guardarono in cagnesco, ma tacquero, e Grace tornò a sedersi con aria imbronciata. Jenny invece aveva proprio il viso di chi si stava divertendo pazzamente.
Scene simili a quella si ripetevano a giorni alterni, ormai dall’inizio dell’anno scolastico.
Due mesi esatti, durante i quali la sua amica Grace e Carl non avevano fatto altro che punzecchiarsi. Sessanta giorni, nel corso dei quali si era ambientata nella nuova scuola, si era abituata alle nuove materie, ai professori, agli ambienti dell’edificio e alle sue regole, e soprattutto era riuscita ad intrecciare tante nuove amicizie, nonostante la sua proverbiale timidezza.
Con Grace erano diventate le managers della squadra di calcio della scuola, una scelta imprevista e improvvisata, ma forse per questo tanto più azzeccata. Il lavoro era duro, forse più spossante degli allenamenti dei giocatori stessi, ma entrambe svolgevano le loro mansioni con tanta buona volontà ed un sorriso sulle labbra. Carl e Grace non rinunciavano a punzecchiarsi nemmeno durante gli allenamenti della squadra, contribuendo così a mantenere allegro l’ambiente. Jenny sorrideva, e li lasciava fare, ed il mister e gli altri ragazzi si comportavano esattamente come lei. Compreso Philiph, che si divertiva come e più dei suoi compagni di fronte a quelli che erano veri e propri show comici.
Un paio di volte Jenny, dopo avergli porto l’asciugamano e una bottiglietta d’acqua, si era seduta accanto a lui, e insieme avevano riso a crepapelle, alle spalle dei due amici, che erano talmente impegnati a stuzzicarsi l’uno con l’altra da non accorgersi dei sorrisi sornioni e delle risatine ironiche che accompagnavano ogni loro scontro. Quei momenti di allegria e insieme di quiete perfetta erano importanti, per Jenny. Sentiva accanto a sé la presenza rassicurante di Philiph, e non poteva trattenersi dal lanciargli di tanto in tanto delle occhiatine che Grace definiva, senza tanti complimenti, “languide”.
Si sentiva strana, quando lui si trovava vicino a lei. Avvertiva il sangue scorrergli sottopelle con rinnovato vigore, tingendole di un acceso vermiglio le labbra e le gote pallide, e non riusciva a sostenerne lo sguardo. Si domandava il motivo di quelle sensazioni a lei sconosciute, di quelle emozioni così inaspettate, ma non spiacevoli.

Crescere vuol forse significare questo?

Si sorprendeva spesso a cercare di dare una risposta a domande simili a quella, ma, nonostante i suoi sforzi, non ci riusciva mai.
« Philiph non viene a mangiare con noi?» chiese d’un tratto Grace, non smettendo però di rivolgere a Carl uno sguardo accigliato.
« Guarda un po’ dietro le tue spalle» replicò Carl, afferando senza scomporsi per la coda un altro gambero fritto dal pranzo di Jenny.
« Sta dormendo» constatò Grace, sorpresa.
Jenny guardò teneramente il ragazzo che, con il capo adagiato sopra le braccia conserte, riposava sereno.
« Già. Stanotte non ha quasi chiuso occhio. Domani ha un’interrogazione importante di chimica» spiegò Carl, tra un morso e l’altro.
« A che ora si è coricato?» domandò Jenny.
« Alle quattro.»
« Le quattro?!?» esclamò Grace. « Ci credo che aveva quella faccia sbattuta, stamattina!»
« Mi ha fatto prendere un colpo, all’ora di geometria. Vedevo già quell’orco del prof spedirlo dritto dritto dal preside. Oggi era più lunatico del solito. Tanto che ha spedito davvero un ragazzo dal preside, un nostro senpai della 2^ 4» commentò Carl, con la bocca piena.
« Puah! Sei disgustoso! Pulisciti almeno la bocca, sei tutto sporco di sugo!» rise Grace.
« Mmmm?» chiosò Carl.
Jenny scoppiò in una sonora risata, e gli porse un fazzoletto di carta. Carl si ripulì frettolosamente, e lo appallottolò, gettandolo nel cestino della carta straccia.
« Ahhhhhhhh!!» quasi gridò Grace. « Jenny, questa sanguisuga ha spazzolato tutto il tuo pranzo!»
Jenny guardò il contenitore. Era vuoto.

Beh, poco male. Tanto non avevo fame.

Ma Grace afferrò Carl per un orecchio, costringendolo ad alzarsi.
« Adesso tu, bello mio, scendi giù al bar e le compri il panino più grande che c’è, hai capito?!? Jenny non può stare senza toccare cibo fino a stasera! E visto che la colpa è la tua, tocca a te correre ai ripari, sono stata chiara?»
« Chiarissima! Ma ci avevo già pensato, cosa credi?> sbuffò Carl, massaggiandosi l’orecchio e rivolgendole un’occhiata gelida.
Prese dal cappotto il portafogli e uscì dalla stanza in silenzio.
« Jenny, io vado con lui. Verifico che non faccia orecchie da mercante e torni qui con delle misere patatine. E visto che ci sono, ne approffitto per farmi offrire qualcosa anch’io!» sussurrò frettolosamente Grace all’orecchio dell’amica, allontanandosi di corsa.
« Ehi, Carl! Aspettami!» la udì gridare Jenny in direzione del ragazzo, che evidentemente non aveva alcuna intenzione di fermarsi.

E ci credo! Benedetta Gracie, che bisogno c’era adesso di trattarlo in quel modo? Carl è un ragazzo gentile, sono sicura che avrebbe rimediato da solo al suo errore, senza che tu glielo intimassi in quel modo!

Nella stanza aleggiava un insolito silenzio. In compagnia di Carl e Grace non ci aveva fatto caso, ma tutti i suoi compagni si erano resi irreperibili. Quasi sicuramente erano usciti in giardino o si erano dati appuntamento nella terrazza, con l’intenzione di godersi il tepore di quella giornata di fine primavera. Spostò lo sguardo in direzione di Philiph. Il ragazzo dormiva ancora. Erano rimasti solo loro due nella stanza.

Non ha pranzato… Cosa devo fare? Lo sveglio? O forse è meglio lasciarlo riposare un altro po’?

Istintivamente si alzò dal banco e gli si avvicinò.
Philiph dormiva serenamente. I capelli gli ricadevano in disordine sulle tempie, e le guance erano accese da un leggero rossore.
Il cuore della ragazza iniziò a battere a grandi colpi.

Mi piace osservarlo dormire… E’ così tenero…

Senza che potesse quasi rendersene conto, si chinò verso di lui, sfiorandogli i capelli con le labbra.

Il profumo dei suoi capelli… E’ così buono… Sanno di albiccocca…

Gli sfiorò il viso con una lieve carezza. Il ragazzo si mosse leggermente. Jenny sorrise, e gli si sedette di fronte. Le palpebre di lui palpitarono, e Philiph aprì gli occhi.
« Ciao» disse Jenny, piano.
« …Ciao» rispose Phil, stropicciandosi gli occhi. « Mi sono addormentato…»
« Già» sorrise Jenny.
« Che ore sono?»
« Le due passate. Hai dormito per più di mezz’ora.»
« Sono crollato senza neanche rendermene conto… E ho una fame… Ma dove sono tutti gli altri?»
« Fuori a godersi il sole e la bella giornata. Grace e Carl invece sono al bar a comprare qualcosa.»
« Li raggiungiamo? Così ne approfitto e metto qualcosa sotto i denti. Se no stasera l’allenamento mi distrugge.»
« Devi mangiare, Phil. Come manager della squadra non ti permetto di saltare i pasti! E quindi ti accompagnerò al bar.»
Philiph la guardò stupito.
« Cosa c’è?» chiese Jenny, timorosa.

E adesso cos’ho detto o fatto di sbagliato?! Jenny, sei proprio un impiastro… Possibile che non ne combini una giusta?

Philiph sorrise, uno sorriso aperto e disarmante. Jenny si sorprese a guardarlo, affascinata. Desiderò fortemente che quell’attimo in cui poteva perdersi dentro quel sorriso non finisse mai.
« Niente. E’ la prima volta che ti rivolgi a me con un diminutivo. Anzi, è proprio la prima volta che mi chiami per nome. Prima non l’avevi mai fatto.»
Jenny arrossì. Era vero. Era stato così spontaneo pronunciare il suo nome… Philiph.
« Scusami» balbettò.
« Scusarti di cosa?» domandò lui, ancor più sorpreso.
« Mi dispiace di averti chiamato per nome, ecco.»
Philiph la guardò costernato, e una risata forte e vigorosa riecheggiò nella stanza deserta.
Jenny avvampò, e chinò il capo, cercando di nascondere il volto tra le folte ciocche di capelli castani.
« Non ti devi mica scusare, sai. Non c’è niente di male, in questo. Chiamami pure Philiph, se ti va. Mi farebbe solo piacere.»
Phil si alzò, stirandosi i muscoli e le ossa indolenziti dalla posizione non propriamente comoda in cui si era appisolato. La camicia della divisa era tutta spiegazzata, e il ragazzo cercò di porvi rimedio indossando la giacca, della quale si tirò su le maniche fino a metà avambraccio.
« Allora andiamo, Jenny?» domandò, passandosi frettolosamente una mano tra i capelli.
« Sì.»
« Meglio non perdere tempo, della pausa pranzo non rimangono altro che venti minuti scarsi.»
Si avviarono insieme, in silenzio. Philiph era ancora stordito dalla mancanza di sonno e il breve riposo, rosicchiato tra una lezione e l’altra, non gli aveva giovato, anzi. Il ragazzo sentiva ancor più il peso della stanchezza sulle spalle. E Jenny… Jenny era troppo tesa e nervosa per cercare d’intavolare un qualsivoglia genere di conversazione. Camminava dietro di lui di due o tre passi, esitante, tormentandosi nervosamente le mani.

Perché diavolo mi comporto in questo modo ridicolo quando sono con lui? Divento ombrosa e scostante, sembra quasi che la sua presenza mi dia fastidio… Invece non è così! Mi piace tanto stare insieme a lui… Oddio, cosa sto pensando? Mi piace stare insieme a lui?!? Se mi sentisse Grace non la finirebbe più di tormentami… Già mi prende in giro abbastanza… Chissà perché è convinta che mi piaccia Philiph… Non è vero! Certo che non è vero! Però… il fatto è che mi piace DAVVERO stare in sua compagnia, parlare con lui, guardarlo ridere… Cosa significa VERAMENTE tutto questo? Sono così confusa…

D’un tratto Philiph si voltò verso di lei. I loro sguardi s’incrociarono. Avevano già raggiunto le scale che portavano al pianterreno. Molti ragazzi si dirigevano verso le rispettive classi, e li sfioravano passando.
« Che c’è?» domandò Philiph.
« Perché rimani indietro? Ti senti male, forse?»
Jenny scosse il capo. Ecco, come al solito non riusciva a guardarlo negli occhi.
« C’è qualcos’altro?»
« No… Niente.»
« Allora andiamo, dai!»
Jenny annuì, e lo seguì giù per le scale.

Ecco, ho fatto la mia bella figuraccia quotidiana! Ma perché sono così goffa? Un vero impiastro!

Sospirò, e il suo sguardo si posò sui visi dei ragazzi che incrociava. Tra di loro riconobbe Carl e Grace che chiaccheravano piacevolmente alla base delle scale, le braccia cariche di panini. Sicuramente si erano riappacificati.
« Philiph, guarda! Ci sono Gracie e Carl!» disse, entusiasta.
La compagnia degli amici avrebbe sicuramente dissolto la tensione che avvertiva sottopelle ogni qual volta si ritrovava sola con Philiph.
« Grace! Carl! Siamo qui!» gridò, agitando la mano.
Grace e Carl si voltarono verso di lei, e le sorrisero. Jenny si mosse per raggiungerli, ma improvvisamente sentì che i suoi piedi avevano perso la presa sul pavimento.

Era scivolata. D’istinto chiuse gli occhi. Avvertì distintamente una sensazione di vuoto che la fece rabbrividire. E le parve anche di sentire Grace che gridava il suo nome. Desiderò soltanto fermarsi, non provare più quel terrore inconsulto del nulla che l’avvolgeva. Sapeva che si sarebbe fatta male, se era fortunata avrebbe riportato solo una distorsione ad una caviglia e qualche livido. Se invece non era fortunata, com’era invece molto più probabile, non se la sarebbe cavata con così poco. Ma stranamente non avvertiva nessun dolore.

Due braccia. Due braccia forti l’avevano afferrata, e l’avevano stretta, impedendole di cadere. Le stesse braccia che ora le cingevano la vita.
Un profumo. Albicocche mature.
Un volto. Il volto di Philiph, vicinissimo al suo. I loro nasi potevano sfiorarsi.
I suoi occhi la fissavano preoccupati.
« Stai bene, Jenny?» le chiese.
« Io… io… sì» balbettò lei, confusa.
Le grida di Grace avevano attirato su di lei l’attenzione degli altri ragazzi, che ora la fissavano, visibilmente interessati all’insolita scena.
Philiph la teneva ancora stretta a sé. Poteva sentire il calore delle sue mani sui fianchi, attraverso la sottile stoffa della camicia estiva. Il suo respiro sul viso. Le ginocchia non la reggevano più.
« Ehi, ma dove stavi andando?» le sussurrò il ragazzo ad un orecchio.
« A fare un volo giù per le scale, a quanto pare» rispose lei di rimando.
Philiph rise, inclinando leggermente indietro il capo. La presa sui suoi fianchi si allentò, e Jenny si scostò da lui.
« Tutto ok? Ce la fai?»
« Sì. Grazie a te, non mi sono fatta niente.»
« Jenny! Che spavento! Stai bene?»
Grace era dietro di lei, e la guardava preoccupata. Jenny si voltò, e le sorrise, rassicurante.
« Sì, Grace. Sto bene. Fortunatamente non ho nemmeno un graffio.»
« Sicura, Jenny?» le chiese Carl, inquieto.
« Sicura. Sto bene, sul serio.»
Grace e Carl tirarono un sospiro di sollievo. Gli altri ragazzi ripresero ad affluire nel loro classi come se nulla fosse successo.
« Allora, andiamo?» chiese Philiph dopo un attimo di silenzio.
« Andiamo dove?» chiese Grace.
« Al bar! Io e Jenny stavamo giusto scendendo per comprare qualcosa…»
« Non è necessario! Questa piccola strega mi ha estorto panini per un reggimento!» intervenne Carl.
« Cosa? Piccola strega a ME?» domandò Grace, con un tono minaccioso.
« Uffa, non litigate ADESSO! Fatelo quando volete, ma non adesso!» sbottò Phil, strappando dalle mani di Carl il sacchetto con i panini.
« Andiamo a mangiare in terrazza?» propose, scartando un sandwich e addentandolo con gusto.
« A me sembra che tu stia già mangiando» commentò Carl, allungando una mano verso il sacchetto.
Philiph la schivò, e gli diede le spalle.
« Non ci provare!» rise, salendo di corsa le scale con il prezioso bottino stretto al petto.
« Ehi, Phil! Li ho pagati io! Sono miei!» protestò vanamente Carl, lanciandosi all’inseguimento dell’amico su per le scale.
Grace sorrise, divertita.
« Sono ancora dei bambini» considerò, seguendoli con lo sguardo. « Tu cosa ne pensi, Jenny?»
Non udendo risposta, si voltò. L’amica sedeva sui gradini, la testa appoggiata al corrimano delle scale. Sembrava immersa in insondabili pensieri. Grace le si sedette accanto.
« Cosa c’è, Jenny?» le chiese.
Jenny si scosse, e la guardò in volto. Sorrise.
« Sai, Gracie, avevi ragione tu.»
« Ragione? Su cosa, scusa?»
Jenny prese fiato, e scandì bene le parole.
« Lui mi piace, Gracie. Philiph mi piace tantissimo.»

Quando mi sono innamorata di te? Con precisione non saprei dirlo. Quando il tenero sentimento che una ragazzina di dodici anni provava verso il proprio compagno di classe si è trasformato in quest’amore travolgente che mi spezza il respiro? Non lo so. Saranno stati forse i giorni trascorsi insieme a Hokkaido? Allora sì, che eravamo sempre insieme. Di mattina, di sera, a volte perfino durante la notte. In classe, durante gli allenamenti, mentre preparavamo gli esami. Però ho pagato davvero salati quegli anni passati insieme a te. Il trasferimento di mio padre ha spezzato tutti i legami, tutte le amicizie che mi legavano al mio Paese. Una nuova scuola, una nuova città, una nuova vita, al posto di quella che mi aveva resa tanto felice. Che mi aveva vista ridere, mentre ti camminavo affianco. Che mi aveva vista piangere, mentre, nascosta dietro un albero, ti osservavo correre e gridare e crollare esausto sulla panchina con un asciugamano bagnato sul viso. Che mi aveva vista crescere e maturare ogni giorno, mentre scoprivo i cambiamenti del mio corpo con orgoglio e timore e ribellione, combattuta tra il desiderio innarrestabile di rimanere ancorata a quella che ero e la smania quasi fisica di diventare donna. Ricordo ancora la mia timidezza nei tuoi confronti, quella pudica ritrosia che m’impediva quasi il solo parlarti e che mi faceva tremare ad ogni contatto con te. Era evidente, oh se era evidente, che per me tu non eri un ragazzo come gli altri. Se ne sono accorti tutti. Tutti tranne te. Eri gentile con me, ma lo eri sempre con tutti. Ridevi e scherzavi con me, ma lo facevi con tutti. Perché avresti dovuto riservarmi un sentimento diverso dall’amicizia, dalla stima o dalla semplice cortesia? In verità io non ero altro che una ragazzina goffa, che si limitava a fissare di nascosto il suo capitano con occhi adoranti. Tu invece… Tu eri popolarissimo tra le ragazze. Forse è stato proprio questo che mi ha spinto a non dichiararmi, prima di partire. Non avevo speranze, era questa la cruda verità. E invece… Quando ti ho visto arrivare trafelato all’aeroporto… Eri corso fin lì per vedere me. Non potevo crederci. Quel giorno ha cambiato la mia vita. Quando ho scorto i tuoi occhi fissi nei miei, la mano che stringeva forte l’hachimaki* che avevo preparato per te, sono nata una seconda volta. Sette anni, sette anni di telefonate interminabili, innumerevoli lettere, brevi incontri rosicchiati tra le vacanze e gli impegni di entrambi con lo studio e i tuoi con la nazionale. Un rapporto che è nato quasi per gioco, tra due ragazzini che non sapevano nulla sull’amore, ma che piano piano si è consolidato, fino a diventare il motivo principale della mia decisione di ritornare in Giappone. Vivo in America, e questa terra mi ha dato tanto: ho imparato benissimo l’inglese, gli studi vanno a gonfie vele, ho tanti amici e la mia famiglia, qui. Però manca qualcosa: non ci sei tu. Sarà la decisione più giusta, la mia? Non lo so. Mentirei se non ammettessi di essere corrosa dai dubbi e dalle incertezze. Sette anni fa ho dovuto lasciare tutto, e ora mi appresto a rivivere la stessa esperienza. Con una fondamentale differenza: quando ho abbandonato il Giappone ho dovuto seguire la volontà di qualcun altro; ora seguo solo la mia. Voglio provarci, lo voglio sopra ogni cosa. Abbiamo superato tanti muri che rischiavano di dividerci: le paure di entrambi, la lontananza, il desiderio fisico reciproco che invece di unirci ci allontanava l’uno dall’altra, le interferenze di altre persone. Ma ogni volta ci siamo ritrovati. Ci siamo scoperti, a poco a poco. A poco a poco ci siamo amati, senza fretta. Ora sono una donna. La ragazzina ingenua che soffocava dentro di sé i sentimenti, nascondendoli come un avaro cova il suo tesoro, ora non esiste più. Sono una giovane donna, decisa e indipendente, che non ha paura di effettuare le sue scelte e di pagarne lo scotto. Voglio vivere la mia vita fino in fondo, assaporarne la voluttà senza impedimenti di sorta. Mio padre dice che sono pazza, e forse è vero, lo sono, ma di te! I miei genitori non possono condividere questa mia decisione, però sono sicura che almeno mia madre in fondo capisce le mie motivazioni. So di amarti, e sono pronta a lottare con te e per te. Non voglio ritrovarmi a dover vivere di rimpianti, consumandomi nell’eco della nenia “E se avessi osato?” Ho scoperto dentro di me un coraggio che non credevo di possedere, e che mi spinge verso questa scelta. Chissà, magari il destino si rivelerà beffardo e confermerà le parole di mio padre: “Te ne pentirai”. Forse. Ma ho passato anche troppo tempo a torturarmi nel rimpianto di non aver seguito la voce che mi spingeva verso di te. Quelle passeggiate sotto i ciliegi in fiore avevano per entrambi lo stesso significato, ma l’ho saputo troppo tardi. Non voglio che accada ancora. Se c’è veramente un domani per noi, è ora di andare a cercarlo. Mostrami il paradiso tra le tue braccia, Phil.

Tre fiammiferi accesi
Uno per uno nella notte
Il primo per vederti il viso
Il secondo per vederti gli occhi
L’ultimo per vedere la tua bocca
E tutto il buio per ricordarmi
Queste cose
Mentre ti stringo tra le braccia.

Jacques Prévert.

FINE SECONDO CAPITOLO.

*Hachimaki: la fascetta che Jenny ricama con il numero della maglia e regala a tutti i componenti della squadra. Ma solo in quella di Philiph ha ricamato all'interno anche "I love you"...

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Capitolo 3
*** Sentieri diversi, un'unica strada ***


Grazie mille a Joey, Luxy, Stormy e Reggina per le bellissime e incoraggianti parole. Spero che questo terzo capitolo non vi deluda! ^_- Un bacione a tutte!
Li_chan


Capitolo III
Sentieri diversi, un’unica strada

13.37 P.M.

« Sei Lola, la sorella di Freddie… Il tuo volto non mi era nuovo… Non ti ricordi di me? Forse hai ragione… Sono passati quattro anni… Io sono Tom Becker.»
Lola lo guardò, e un sorriso lievissimo le increspò per un momento le labbra.

Ma certo che mi ricordo di te, Tom… Tu non lo sai, ma in questi anni non ho mai dimenticato la figura di un ragazzino gentile che aveva sempre un sorriso per tutti… Che ironia, tutta questa vicenda! Io ero convinta che tu non avresti ricordato la noiosa sorellina minore del tuo amico, e invece ora mi chiedi se sono io a non rammentare…

« Mi ricordo di te» disse. « Sei stato un nostro vicino di casa, a Kyoto. Tu e Freddie eravate buoni amici.»
« Già. Sono proprio io. Come sta Freddie?»
« Bene. Sta preparando la tesi per la laurea in ingegneria.»
« Caspita, ce l’ha fatta, allora! Mi aveva detto che voleva diventare ingegnere meccanico…»
« Già. E’ sempre stato il suo sogno. Ma anche tu non te la cavi male, però! Frequenti la Morrison, sei un titolare fisso nella nazionale giovanile…»
« Come fai a saperlo?»
Tom la guardò meravigliato. Lola arrossì.

Ecco, mi ha sgamato in pieno!! Accidenti a te, linguaccia! Quando mai imparerò a stare zitta??? Non posso certo venirgli a dire che ho seguito la sua carriera durante tutti questi anni…

« Beh, che frequenti la Morrison è evidente, no? E per la nazionale, Freddie è così orgoglioso che un suo amico sia diventato così popolare che non perde occasione di sbandierarlo ai quattro venti…»

Mi sono salvata in corner. E’ proprio il caso di dirlo.

« Capisco. Ma non sono poi così famoso, sai?! Ci sono altre stelle ben più importanti di me…»
« Oliver Hutton?»
« Già, ad esempio.»
« I tre quarti dei goal che ha segnato non li avrebbe certo realizzati se tu non gli avessi passato la palla con precisione millimetrica.»
Tom tornò a guardarla, stupito. Le sorrise.
« Segui il calcio?»
La ragazza annuì.
« Con un padre e un fratello fissati come i miei, come avrei potuto scamparla?! Si può dire che sono cresciuta a pane e a partite!»
« La sorella di Freddie non avrebbe potuto, certo!» annuì Tom, con un gran sorriso.
« Quando sei arrivata? Non ti avevo mai incontrata a lezione, prima, anche se con tutta la gente che affolla quell’aula potrei non averti vista.»
« No, no… Quella di oggi era la mia prima lezione. Sono arrivata qui a Tokyo solo ieri sera, in verità.»
« Ho capito. Certo che per essere solo il primo giorno, hai già conquistato Abbott.»
« Che vuoi dire?»
« Abbott è un professore estremamente corretto, che non si sbilancia facilmente. Non l’avevo mai visto così entusiasta come oggi. Sul serio, l’hai letteralmente incantato con il tuo disegno. E non posso certo dargli torto. Il tuo bozzetto era splendido. Credo che Abbott d’ora in poi si aspetterà molto da te.»
Lola arrossì.
« Non esagerare, Tom… Era un semplice schizzo…» si schernì.
« Certo. Ma se il solo abbozzo trasmette quella forza espressiva, il quadro completo sarà un sogno ad occhi aperti.»
Un vivo porpora dipinse le guance della ragazza, che non riusciva a sostenere lo sguardo di Tom.
« Scusami, non volevo metterti a disagio» disse Tom, notando l’imbarazzo di Lola.
« Non prendermi in giro» balbettò lei.
Inaspettatamente Tom le strinse una mano tra le sue.
« Non ti prendo in giro, Lorelei. Non ne avrei motivo. E se ti dico queste cose è perché il tuo bozzetto mi ha colpito davvero moltissimo. Hai incantato anche me, oltre che Abbott. Sei ancora così giovane… Eppure sei già capace di donare delle emozioni così intense… Io non so se ne sarò mai in grado…»
Lola non replicò. Il cuore le galoppava come impazzito in seno. Nessuno prima le aveva riservato delle parole così belle.
« Hai fame?» le chiese lui, rendendosi conto del turbamento della ragazza. « Ti andrebbe di pranzare insieme?»
Lei annuì.
« Bene, andiamo. Sto morendo di fame. Oggi non ho fatto nemmeno colazione e in più tra due ore ho gli allenamenti. Julian non transige, quando si tratta d'allenamenti. Da questo punto di vista è proprio fissato!»
« Julian?»
Lola lo guardò incuriosita, e Tom lesse una muta domanda nei suoi occhi.
« Julian Ross. E’ il nostro allenatore.»
« Julian Ross? Curioso, ha lo stesso nome di…»
« Di uno dei migliori centrocampisti della nazionale? Sarà perché è proprio lui!»
« Julian Ross è il vostro allenatore? “Il principe del calcio” in persona?»
Tom sorrise, soddisfatto della meraviglia che trapelava dagli occhi della ragazza.
« Proprio lui. Devi essere proprio un’appassionata, se ricordi il soprannome con cui era conosciuto anni fa.»
« Beh, Freddie lo ammirava tantissimo. Era molto famoso, e la notizia della sua malattia suscitò molto scalpore.»
« Già.»
Tom sembrò rattristarsi per un momento. Lola, che possedeva una sensibilità molto spiccata e il raro dono di saper comprendere gli stati d’animo altrui, se ne accorse.

Ecco Lola, bel lavoro, davvero! Che bisogno c’era di tirare in ballo la malattia di quel ragazzo? Ma perché infilo una gaffe dietro l’altra?

« Scusami» mormorò, affranta. « Non volevo essere indiscreta o turbarti in alcun modo.»
Tom sorrise, piacevolmente sorpreso. In precedenza nessuno aveva mai compreso le sue inquietudini. Le mascherava molto bene. Solo Holly, Philiph e Julian ne erano capaci, ma solo perché lo conoscevano meglio di chiunque altro.
« Non devi scusarti. Non ce n’è motivo. Le tue parole non mi hanno inquietato, davvero. Pensavo solo a Juls…»
« Juls?»
« Sì. Julian. Io e Phil lo chiamiamo così.»
« Phil?»
Lola era sempre più confusa. Tom rise, una risata fresca e spontanea.
« Phil è un mio amico. Magari hai sentito parlare di Philiph Callaghan…»
« Philiph Callaghan? Non sarà per caso quel Callaghan, centrocampista della nazionale?»
« Proprio lui.»
« E giocate tutti nella squadra dell’università?»
Lola era costernata.
« Già. Julian è il nostro allenatore, Philiph il capitano, mentre il sottoscritto si deve accontentare della fascia di vice.»
« Ehm… E avete qualche altro nazionale, nell’organico, per caso?»
Tom sorrise, divertito dall’ironia presente nella voce di lei.
« Solo il portiere.»
« … Non mi stupisce che abbiate vinto il campionato universitario per due anni di fila!»
« E lo vinceremo pure quest’anno!» rise Tom, aprendo la porta della mensa e lasciando passare per prima la ragazza.
Un comportamento da vero gentiluomo.

Oh cavoli! Non avevo mai incontrato un ragazzo capace di tutti quei piccoli gesti che fanno così piacere ad una ragazza…

Lola sbirciò Tom di sfuggita, mentre entrambi attraversavano la sala e si mettevano in fila davanti al bancone delle pietanze con il vassoio sul corrimano.
Era proprio bello, con quegli occhi nocciola intensi e quieti e i lineamenti del volto perfetti come quelli di una statua greca. Notò allora che all’orecchio destro sfoggiava un piccolo anello d’argento.
L’interesse di lei nei suoi confronti doveva essere ben evidente, poiché Tom si voltò di scatto e i loro sguardi s’incrociarono.
« C’è qualcosa che non va?» le chiese, stupito.
Lola si sentì avvampare.
« No, no… E’ tutto a posto! Pensavo solo che il tuo viso è molto interessante…»
Lola lesse nel volto di lui una certa perplessità, e si affrettò ad aggiungere, mentre le gote le s’imporporavano ancor di più:
« Da un punto di vista artistico, ecco…»
Tom sorrise. Lola riconobbe lo stesso sorriso dolce e fuggevole che lui le rivolgeva quando la incrociava per le scale di casa sua.
« Ho capito. Davvero pensi che abbia un viso interessante? Ti ringrazio, è il complimento più originale che mi abbiano mai fatto!» replicò Tom.
« Tuo padre non ha mai pensato di ritrarti in uno dei suoi quadri?» domandò Lola.
« No. Non dipinge ritratti. Prima che la mamma andasse via gli piaceva rappresentarci insieme, e uno di questi quadri ha riscosso anche parecchio successo, vincendo vari premi. Però poi è cambiato tutto, lei se n’è andata, e da allora papà ha smesso di raffigurare le persone sulla tela. Si dedica ai paesaggi, alle nature morte, all’astratto, ma non è più un ritrattista.»
« Che peccato… Però lo posso capire bene, i paesaggi sono così carichi di colori ed energia… Invece i ritratti sono così ermetici… Riuscire a catturare l’essenza di una persona e imprimerla sulla tela è molto difficile, quasi impossibile... Bisogna conoscere a fondo la persona che si ritrae, esserle legati molto profondamente, per riuscire a trasferire una minima parte di lei nei tratteggi e nei toni...»
Lola incontrò lo sguardo di Tom fisso su di lei.
« Davvero delle parole bellissime, Lola. Sei molto saggia. Ma sei sicura di essere solo una matricola?» sorrise il ragazzo.
« Oh, non sono mica così saggia!! E’ tutta apparenza!» rise Lola, per la prima volta a suo agio in compagnia di Tom.
« Sai? Hai un sorriso bellissimo. Dovresti mostrarlo più spesso» considerò Tom, afferrando saldamente il proprio vassoio e dirigendosi verso un piccolo tavolino proprio sotto la finestra, che si era liberato pochi istanti prima.
Lola lo seguì e prese posto di fronte a lui. Era arrossita come una ragazzina al complimento di Tom, e chinò la testa sul suo pranzo, fingendosi completamente assorta dall’acqua tonica che aveva davanti.
« Sai, non sapevo che dipingessi» commentò Tom, tenendo la forchetta tra due dita e giocherellandoci distrattamente.
« Potrei rivolgerti la stessa osservazione» replicò Lola, addentando con gusto una patatina fritta.
Tom sorrise, per l’ennesima volta quel giorno.

Questa ragazza… Lorelei… Ha lo strano potere di farmi sorridere e spiazzarmi contemporaneamente… E non se ne rende nemmeno conto… Se dovessi trovare una ed una sola parola per definirla sarebbe senz’altro spontanea…

« Hai ragione» assentì, passandosi distrattamente le dita lunghe e nervose tra i capelli.
« Quando hai iniziato?» chiese Lola, fissandolo in volto.
I suoi grandi occhi bruni brillavano di vivo interesse.
« Con precisione non ricordo. Forse vedere mio padre sempre con un pennello tra le dita mi ha incuriosito, o affascinato, chissà, inducendomi a imitarlo.»
« Ho avuto il piacere di vedere alcuni lavori di tuo padre. Sono fantastici. Sei fortunato ad avere un maestro come lui.»
« Mio padre non è il mio maestro. E’ mio padre, e basta. Non gli ho mai chiesto consigli o suggerimenti per i miei disegni, e lui non me ne ha mai offerti. Il nostro approccio verso l’arte è sostanzialmente diverso: per lui è una ragione di vita, per me è una grande passione, ma la mia vita non ruota attorno ai miei schizzi a carboncino. Ho altre priorità.»
« Ad esempio?»
« Il calcio. Lo studio. Gli amici.»
« E le ragazze!»
« Anche loro, certo. Occupano un posto importante nella vita di qualsiasi ragazzo della mia età.»
« Hai parlato di schizzi a carboncino. Di cosa ti occupi, in particolare?»
Tom sorrise.
« Sei libera di non crederci, ma disegno in prevalenza ritratti.»

Ecco, complimenti Lola! Hai infilato l’ennesima gaffe!! Che bisogno c’era di parlare in quel modo dei ritratti e dei ritrattisti?? Dannazione alla mia linguaccia!! Vorrei sprofondare…

« Scusa.»
Lola era mortificata.
« Perché dovrei scusarti? Se è per quello che hai detto poco fa, hai ragione. Tratteggiare le persone sulla tela è molto difficile, lo so bene. Tuttavia la sfida mi affascina. Voglio poter vedere dove si spinge la mia inclinazione artistica, quali risultati posso ottenere.»
Lola non replicò, limitandosi a guardare Tom con i suoi occhi di velluto.

Tom… Tom è molto diverso da come avevo immaginato che fosse… Avevo paura che il ragazzino allegro e gentile che ogni sera veniva a casa mia fosse stato sostituito da un giovane borioso e arrogante… E ora la mia paura deriva dal fatto che mi sbagliavo… Una paura sottile e persistente che mi scorre nelle vene insieme al sangue… Ho davanti agli occhi un ragazzo gentile e allegro come il ragazzino di quattro anni fa…

« E tu? Hai qualche preferenza particolare?» domandò Tom, prendendo una gran cucchiaiata di cream caramel dalla ciotola che aveva davanti.
« I paesaggi» rispose Lola, addentando con gusto l’ultima parte del suo hamburger ai funghi.
« Lo immaginavo» sorrise Tom, osservandola attentamente con il volto poggiato alla mano. « Lo schizzo che hai fatto alla lezione di Abbott denotava una grande esperienza per questo tipo di soggetti.»
« La natura mi ha sempre affascinato moltissimo. Praticamente non ho mai dipinto altro.»
« Con eccellenti risultati» aggiunse Tom, posando la ciotola vuota sopra il vassoio del pranzo.
Lanciò una rapida occhiata al piatto di Lola, e le chiese:
« Hai finito? Sai, dovrei andare. Julian mi ammazza, se arrivo in ritardo.»
« Non preoccuparti, ho finito. Adesso devo andare a casa, non ho lezioni nel pomeriggio.»
Lola e Tom afferrarono i libri e gli appunti e si diressero senza fretta verso l’uscita.
« Dove abiti?» domandò Tom.
« Io e Freddie abbiamo una cugina, qui a Tokyo. Sto da lei» replicò Lola.
« Sei fortunata. Hai potuto evitare la noiosa e frenetica trafila della ricerca disperata di un appartamento. Senza considerare il notevole risparmio per i tuoi.»
« Già. Tu dove abiti?»
« Io divido casa con tre miei amici, tre pazzi scatenati. Prevedo altri due anni molto lunghi…»
« Dai, non dire così! Sono sicura che non è poi così male convivere con altri ragazzi… Hai sempre qualcuno che ti fa compagnia! Specialmente se li si conosce bene…Chissà come vi divertirete!»
« Praticamente siamo cresciuti insieme. Li conosco da più di dieci anni… E troviamo sempre una scusa per ridere e divertirci!»
« Un po’ vi invidio… Qui a Tokyo non conosco nessuno, a parte mia cugina…»
« Conosci me, no? E se vuoi posso presentarti i miei amici, quelli di cui ti parlavo prima… Sono sicuro che anche loro sarebbero felici di conoscere una ragazza carina come te!»
Lola rivolse un sorriso luminoso al ragazzo, mentre Tom apriva la porta e le cedeva il passo.

Chissà, forse la mia vita universitaria non sarà così disastrosa come temevo…

« Ho ancora un quarto d’ora» considerò Tom, osservando pensieroso il suo orologio. « Devi andare a casa adesso? Perché se vuoi, qui all’università c’è una cosa che vorrei mostrarti.»
« No, non ho fretta. Posso andare a casa quando voglio. Di cosa si tratta?»
« Ssssh, sorpresa!» celiò Tom, posando il braccio attorno alle spalle della ragazza e avviandosi con lei lungo il corridoio.
Lola pensò di dire qualcosa, ma tacque. Nemmeno sotto tortura avrebbe potuto sostenere che quel contatto non fosse piacevole.

14.01 P.M.

Il sole si ergeva alto, facendo capolino tra le nuvole di un cielo striato di bianco luminescente e grigio perla, e i suoi raggi colpivano obliqui le fitte fronde degli alti alberi del parco, ferendo solo in parte il riparo d’ombra offerto dalle generose chiome lussureggianti.
Un ragazzo, steso su una panchina di legno, riposava, assaporando l’aria frizzante e il sole di quella giornata di primavera inoltrata, la prima di molte in cui la temperatura si sarebbe fatta sempre più mite e gli ultimi rimasugli d’inverno avrebbero finalmente lasciato il passo all’estate.
Pareva che dormisse; di fatto aveva le palpebre serrate e nessun muscolo era in tensione. L’unico rumore intorno a lui era costituito dal frinire del grilli e dalle foglie che la leggera brezza faceva fluttuare qua e là. Forse si era rifugiato in quel luogo proprio in virtù della quiete che sapeva di trovarvi, o forse, più semplicemente, si era appisolato, vinto dalla noia o dalla stanchezza.
Quali che fossero le sue motivazioni, era altamente improbabile che qualcuno giungesse a disturbare la sua pace.

Che quiete, che serenità… E’ proprio rilassante stare a contemplare l’immobilità della natura… Mi serve a ricaricare le batterie… Tutto il caos dell’università e ancora di più quello di casa certe volte ha la capacità di frustrarmi!

Il ragazzo venne distratto dei suoi pensieri dal risuonare di una voce cristallina, che il silenzio del parco dilatava ancora di più. Una voce che chiamava qualcuno.
« Tobey! Tobey! Ma dove ti sei cacciato?»

E adesso questo che vuole?! Ma non può stare un po’ zitto? C’è proprio bisogno di chiamare il suo amico in quel modo sguaiato?! Ma guarda un po’ che razza di gente…

Con un gesto di stizza si calcò il cappellino sugli occhi, nel tentativo di immergersi nuovamente nella pacatezza del silenzio, tuttavia senza riuscirci, visto che la voce pareva avvicinarsi sempre più.
Riaprì gli occhi di scatto, furioso, e il cuore gli balzò in gola vedendo, a pochi centimetri dal suo viso, due canini aguzzi come rasoi. Scattò in piedi, ansimando, tanto velocemente che il cappellino bianco scivolò a terra, imbrattandosi di terriccio e polvere. La creatura che lo aveva tanto spaventato era un bellissimo rotteweiler cioccolato e crema, dagli occhi dolci e il collare d’acciaio.
Il ragazzo spalancò le palpebre, attonito, fissando l’animale con aria stralunata, e il cane ricambiò lo sguardo, con curiosità. Gli si avvicinò, fiutò l’aria con il grande naso umidiccio e… afferrò saldamente tra i denti il cappellino non più immacolato del ragazzo.
D’istinto lui cercò di riprenderselo, e iniziò una lotta serrata con il cane, che, nonostante la taglia fuori misura, era ancora un cucciolone e interpretò il suo gesto come la volontà di giocare.
« Tobey!» ripeté la voce di poco prima, alle loro spalle. « Allora sei qui! Ma… Cosa stai facendo?»
Il ragazzo si voltò di scatto. Era furioso, glielo si leggeva su ogni tratto del viso. Adesso l’idiota proprietario di quello stupido cane l’avrebbe sentito!
I suoi occhi incrociarono quelli ricolmi di stupore di una ragazza, che l’osservava con un’espressione indecifrabile, a metà tra lo sconcertato e il divertito. Un’espressione che ebbe il potere di far montare ulteriormente la rabbia che il ragazzo provava dentro di sé.
Ad un gesto della sua padrona, Tobey allentò la stretta, lasciando il cappellino nelle mani del ragazzo, e si accostò a lei, agitando la coda, soddisfatto.
« E’ tuo questo stupido cane?» domandò lui, brusco.
« Se ti riferisci a Tobey, sì. Ma il termine “stupido” non è proprio adatto a lui. E’ anzi molto intelligente e socievole» replicò lei piccata, altrettanto bruscamente.
« Che sia socievole non ci sono dubbi, lo è fin troppo! Guarda come ha ridotto il mio cappello!»
La ragazza si avvicinò per vedere meglio, e non poté proprio trattenere un sorrisetto d’ironia frammista a soddisfazione: quel ragazzo così maleducato se l’era proprio meritato!
I loro sguardi s’incrociarono nuovamente, e tacquero per alcuni minuti, durante i quali si studiarono a vicenda, entrambi sulla difensiva.
La giovane si soffermò su ogni tratto del volto dello sconosciuto con sguardo critico.
Il ragazzo era alto, sul 1.80 circa, dalla corporatura asciutta e possente; i muscoli del suo corpo erano tesi sotto la maglietta bianca con lo scollo a V a strisce rosse sulle spalle e i pantaloni grigi, ampi e comodi, che indossava. Sul braccio destro faceva bella mostra di sé un cronografo dal quadrante nero a lettere dorate e il cinturino di pelle color crema, mentre al collo un sottile laccetto di cuoio sorreggeva un pendente d’argento, la tanto amata piuma indiana. La mano che sorreggeva il cappellino era impreziosita da un anello d’argento dal diametro tanto piccolo che non era stato possibile trovargli altra collocazione che non sul mignolo.
Sul volto dai tratti duri e decisi spiccavano gli occhi nerissimi, vivi, fieri e appassionati, dallo sguardo ironico e tagliente, e la pelle brunita segnalava una vita di sport all’aria aperta. Le labbra carnose erano atteggiate in un broncio seccato, mentre i capelli, neri e spettinati, erano tagliati corti sulla nuca.
Un brillio malizioso illuminò per un istante le iridi della ragazza.

Lo devo riconoscere, purtroppo… Questo cafone è veramente un bel tipo… Ma che fine hanno fatto i ragazzi belli e gentili di questi tempi?!

Il ragazzo osservò con altrettanto interesse la sua interlocutrice, e le sue labbra si piegarono per qualche istante in un sorriso ironico.

Se non fosse così maledettamente spocchiosa sarebbe perfino il mio tipo! Ma a quanto pare è sposata con questo mastino gigantesco…

La ragazza che aveva davanti era alta e slanciata, con due gambe lunghissime e tornite che si indovinavano appena sotto la longuette di jeans, mentre il seno scoppiava quasi sotto la maglietta attillata color crema e il cardigan di lana grigio chiaro lungo fino alle ginocchia. Ai piedi un paio di sandali di jeans, con l’allacciatura alla schiava, coprivano i piedi piccoli e ben fatti, simili a due colombe appena nate; sul profilo del volto minuto, su cui brillavano i superbi occhi azzurro vivo, si poteva leggere la perfezione di una statua greca.
Le labbra rosee e ben disegnate, il naso spruzzato di minuscole lentiggini, gli zigomi appena accennati, lo sguardo intenso e provocatore, erano mescolati in un amalgama perfetto e scintillante, che si manifestava chiaramente in ogni tratto del viso di lei, incorniciato da una cascata di capelli biondo miele, sfilati sulla fronte e dietro la nuca, che quel giorno erano stati lasciati sciolti sulle spalle, trattenuti appena da alcune forcine nere, in una rinnovata libertà di riflessi solari. La carnagione, chiarissima, quasi trasparente, seguiva anch’essa la nitidezza dei colori di occhi e capelli, e il maquillage da lei scelto quel giorno ne rifletteva perfettamente la delicatezza dei toni: ombretto di un caldo dorato sulle palpebre e sulle labbra un rossetto carminio pallido. Un bracciale di cuoio al polso destro e una sottile cavigliera d’oro alla caviglia costituivano, insieme a un sottile pendente d’argento all’orecchio sinistro, gli unici ornamenti.
I due ragazzi rimasero a osservarsi per parecchi secondi, con diffidenza, durante i quali Tobey dimostrò di essere forse la creatura più assennata del terzetto, dato che rimase seduto accanto alla sua padrona, la sua mano sul collare, con gli occhi liquidi placidamente posati su di lei.
Finalmente lui si decise a rompere la situazione di stallo che si era venuta a creare, sbottando:
« Perché non insegni un po’ di buone maniere a questo bestione?»
« Non ci penso nemmeno! Tobey è un cane educatissimo!»
« Tanto educato che per un pelo non riduce il mio cappello a brandelli!»
« Che sarà mai, per uno stupido cappello! Te ne compro quanti ne vuoi, di insulsi cappellini come quello!»
Il giovane le rivolse uno sguardo seccato.
« Si da il caso che questo cappello non abbia prezzo.»
La ragazza trattenne a stento una risata di scherno.
« Tutto questo discutere solo per un cappello vecchio e sdrucito!»
Lui le rivolse uno sguardo di fuoco.
« Questo cappello è il mio portafortuna. Ce l’ho da più di dieci anni, e non permetto che la prima bestia pulciosa che passa me lo riduca a brandelli, e men che meno che una ragazzina boriosa e saccente si permetta di metterne in dubbio il valore che può avere per me.»
La ragazza tacque.

Forse ho esagerato… Ma chi poteva immaginare che questo tizio fosse attaccato in una maniera quasi morbosa a questo cappellino tutto rovinato?

« Ti consiglio di tenere più sotto controllo la tua bestiaccia!» esclamò lui, imbaldanzito dal silenzio di lei.
« E io ti consiglio di non addormentarti più su una panchina del parco. Altrimenti un giorno di questi non sarà Tobey a voler giocare con il tuo cappello, ma un uccellino ci depositerà sopra un suo ricordo!» replicò lei.
Mise il guinzaglio a Tobey e si allontanò con lui senza salutare, le labbra atteggiate in un sorriso soddisfatto, mentre lui l’osservava, allibito e furente.

Cafone!

Strega!

14.46 P.M.

« E’… è… straordinario!» mormorò Lola, rapita dal trionfo di petali di ciliegio cui poteva ammirare la magnificenza.
Era talmente assorta dalla luminosità dei colori, che i raggi del sole, infilandosi obliquamente tra i rami, faceva risaltare maggiormente, che le caddero i libri di mano.
Tom si chinò e li raccolse, le labbra distese in un sorriso compiaciuto.
« Sapevo che ti sarebbe piaciuto» disse solo, porgendole i volumi.
Lola arrossì, mentre le mani sfioravano quelle di lui. Balbettò uno stentato “scusami”, e abbassò lo sguardo.

Cos’è questo strano calore che sento nelle dita? Perché sento il viso in fiamme? Non è successo niente, eppure mi sento così confusa, quasi stordita…

Tom non si accorse del suo turbamento, e le sorrise.
« Lorelei, questa è la parte più bella di tutta l’università. Un magnifico giardino interno. In questo periodo dell’anno, poi, con tutti i ciliegi in pieno fiore, è assolutamente magnifico.»
« E’ quasi magico, con quest’atmosfera ovattata e silenziosa, e gli alberi di una bellezza antica e solenne. Non avevo mai visto un parco così bello, prima. Ti ringrazio dal profondo del cuore di avermi portato qui. Sono sicura che il mio primo giorno all’università anche in futuro rappresenterà uno dei miei ricordi più belli.»
Lola gli rivolse un sorriso radioso, che le illuminò interamente il volto. Tom non poté fare a meno di ricambiare il sorriso, rapito dall’entusiasmo di lei.

Questi sorrisi… Fanno bene al cuore…

« Se non ricordo male a Kyoto i ciliegi del parco non erano così imponenti» commentò Tom.
« Infatti. E durante la fioritura erano quasi spogli. Un vero peccato, ma quegli incompetenti del sindaco e dalla giunta dicevano che i soldi dei contribuenti andavano spesi in ben altro modo che non nella cura di due vecchi alberi malandati. Tutte fesserie» replicò Lola, infervorandosi.
Una lunga ciocca di capelli, liberata da una treccia dall’aria frizzante, prese a sbatterle sul viso, e lei la fermò dietro l’orecchio.

In quel momento era tutto assolutamente perfetto.


Lorelei… E’ una ragazza incantevole…

Tom si sedette su una panchina, posando accanto a sé i libri. Lola lo imitò, e prese posto accanto a lui. Restarono in silenzio per alcuni minuti, ascoltando il sussurro di una fresca brezza, che presumibilmente si stava alzando dal mare.

Io… Quante volte ho sognato di trascorrere anche cinque minuti così…

« Kyoto… Da quando me ne sono andato sono già passati quattro anni…» rifletté Tom.
Lola annuì.
« Come passa in fretta il tempo… Allora vagabondavo per il Giappone seguendo mio padre nei suoi spostamenti…»
« Ma sei andato anche in Europa, o mi sbaglio?»
« No, dici bene. Ho anche abitato in Francia per diversi anni. Ma ormai mi sono stabilizzato qui.»
« Vuoi diventare un calciatore professionista?»
« Sì, mi piacerebbe. Ma ancora non ho ben deciso. Quello di cui m’importa veramente è giocare, poi è ininfluente se in una squadra di serie o in una di quartiere.»
« Beh, la Morrison non mi sembra una squadra di quartiere!» rise Lola.
« Già!» ammise Tom, con un sorriso che scoprì due simpatiche fossette agli angoli della bocca.
« Tu invece? Scommetto che diventerai una pittrice famosa.»
Lola arrossì.
« Mi piacerebbe moltissimo, e proverò a diventarlo. Dipingere è la cosa che mi piace fare di più al mondo, e sarebbe fantastico potermi realizzare in un campo che amo tanto.»
« Ci riuscirai, vedrai. Hai del talento.»
In quel momento una folata di vento improvvisa sollevò la cartellina degli appunti di Tom, spargendo il suo contenuto nei dintorni. Tom e Lola saltarono su come molle per raccogliere le varie carte, prima che il vento le disperdesse ulteriormente.
« Mi devo ricordare di comprarmi un portadocumenti serio, e decidermi a buttare questa inutile cartellina» commentò Tom, radunando un gran numero di fotocopie.
« Lorelei, ti dispiace passarmi gli appunti e… Cosa stai guardando?»
Lola sembrava assorta in qualcosa, tanto da non sentire nemmeno la sua voce. Tom le si avvicinò, curioso.
« Cos’hai trovato?» le chiese, inchinandosi affianco a lei.
Lola sussultò, voltandosi di scatto. In silenzio gli porse il suo album da disegno. Nella prima pagina vi era raffigurata una bella donna, dai capelli morbidi e il sorriso sereno. Tom chiuse il blocco di scatto e si alzò.
« Non l’ho aperto io, sul serio. L’ho trovato così» disse Lola, tirandosi su.
« Sì, ti credo.»
« L’hai disegnato oggi, non è vero?»
« Sì Ma ora basta parlarne. E’ solo uno stupido disegno.»
« Se è solo uno stupido disegno, perché ti da così fastidio parlarne? Perché l’hai disegnato alla lezione di Abbott, quando poteva essere mostrato a tutti gli altri ragazzi?»
Tom sorrise. Un sorriso amaro, che contrastava quasi in modo grottesco con l’espressione allegra e distesa di poco prima.
« Abbott non ha l’abitudine passare per i banchi facendo vedere bozzetti. Per te ha fatto un’eccezione, perché il tuo schizzo era straordinario. Tu puoi averne avuto una diversa impressione, è naturale, ma prima di oggi nessuno aveva avuto l’onore di essere presentato come un genio, come è successo a te stamattina. E inoltre mi pare di ricordare che Abbott ti abbia chiesto il permesso, prima di mostrarci il bozzetto.»
« Sì, hai ragione, l’ha fatto. Ti chiedo scusa se, seppur non volendolo, ti ho messo a disagio o ho invaso la tua sfera privata. Devi tenere davvero molto a quella persona se ciò ti spinge a reagire così…»
Le parole di Lola erano poco più che un sussurro, e in fondo alle sue iridi si poteva leggere un sincero sconforto. Tom l’osservò per alcuni minuti, troppo turbato per parlare.

Questa ragazza… Come avrà fatto a capirlo? Possibile che l’abbia compreso attraverso un ritratto appena abbozzato?

« Lei è… è mia madre» mormorò, tenendo tra le mani lo schizzo. « Così com’era prima che i miei genitori divorziassero.»
« Le devi volere molto bene» replicò Lola, rivolgendogli una lunga occhiata fiduciosa. « L’hai ritratta attraverso gli occhi di un bambino che vede sua madre come un angelo, una creatura giovane e bella che niente, neppure il tempo, può scalfire.»
Tom ricambiò lo sguardo limpido che la ragazza gli rivolgeva. Tra di loro stava calando un’impalpabile tensione. Si stavano avventurando in un terreno minato, Tom ne era consapevole, Lola no. Non parlava volentieri di sua madre, che si era rifatta una nuova vita e aveva sperimentato un’altra volta la maternità lontano da lui.
« Il tuo affetto per lei è ben visibile, in ogni linea e sfumatura. Per ritrarre in questo modo una persona si deve essere legati a lei da un sentimento che va ben oltre le parole. E’ per questo che non dipingo mai ritratti. Non sarei capace di trasmettere alle dita le emozioni come invece sai fare tu, o forse non voglio farlo, non so.»
Tom tacque. La verità di quelle parole l’aveva colpito nel profondo. Non si era mai accorto di quanto in verità amasse sua madre, e il fatto che fosse lei il soggetto ricorrente dei suoi disegni l’aveva interpretato come una sorta di ossessione, forse un complesso di Edipo mai risolto. Invece il motivo che lo spingeva a ritrarla era più semplice, forse anche più banale: l’affetto di un figlio verso sua madre.
« Scusami, non volevo annoiarti con le mie stupide deduzioni» si schernì Lola, interpretando il silenzio di lui nella maniera sbagliata. « Parlo sempre troppo, e a sproposito, anche.»
Si voltò, visibilmente a disagio.
« Che ne dici, andiam…»
Non finì la frase. Due braccia le avevano serrato le spalle, e poteva avvertire sul collo il respiro di Tom, i suoi capelli solleticarle il viso.
« Grazie» mormorò il ragazzo.
Le gote le s’imporporarono, e sorrise, posando le mani piccole e bianche sopra i muscoli tesi di lui.
« Non so perché… ma prego!» rise, con gli occhi che le brillavano.

15.22 P.M.

« Buongiorno, capitano» disse Jenny, rivolgendo al ragazzo un sorriso radioso.
« Jenny…?» balbettò lui, sconcertato da quell’improvvisa apparizione.
« Proprio io» confermò lei, stringendogli forte una mano.
« Toh, finalmente qualcuno è riuscito a farlo rimanere senza parole!» commentò Julian, con un brillio malizioso nelle iridi.
« Julian! Shhh! Tu adesso vieni con me!» lo redarguì Amy, afferrandolo per un braccio e trascinandolo via.
Philiph e Jenny rimasero soli, nel corridoio deserto.
« Beh? Che c’è? Sembra che tu abbia visto un fantasma!» celiò Jenny, intimamente soddisfatta della perfetta riuscita della sorpresa che aveva voluto fargli.
Philiph tacque. La fissava intensamente, quasi volesse leggerle dentro. Jenny sentiva la pelle bruciarle sotto quel leggiadro tocco. Il ragazzo le si accostò leggermente e l’attirò a sé, nascondendo il volto tra le ciocche di capelli di lei.
« Sei qui…» mormorò soltanto.
Jenny chiuse gli occhi, lasciandosi stringere da quelle braccia forti.
« Sono qui. E sono venuta per restare» sussurrò.
Philiph le prese il viso tra le mani. La guardò dolcemente, sfiorandole appena una guancia con le dita.
« Sei tornata per me?» le chiese.
« Sono tornata per l’uomo che amo» rispose lei.
Gli toccò fuggevolmente il naso con l’indice, e sorrise. Lui la baciò, e quando le loro labbra si unirono anche le loro anime si strinsero in un abbraccio troppo a lungo atteso, troppo spesso rimandato.

Un’antica leggenda greca racconta che un tempo gli uomini erano esseri con quattro gambe, quattro braccia, due visi, ma una sola anima. Per punirli di una loro mancanza, il padre degli dei scisse ogni creatura umana in due parti distinte: così ogni uomo, ogni donna, ogni bambino, si ritrovò un corpo con due braccia, due gambe, un viso. Ma l’anima, alla quale era stata strappata brutalmente la propria metà, non era più completa. Da allora, attraverso i secoli, ogni creatura umana vive la propria vita con l’inconsapevole ma pressante urgenza di ricongiungersi all’altra metà della propria anima.*

15.37 P.M.

I raggi del sole rilucevano sui fili d’erba, tagliata di fresco, del campo da calcio. Una quindicina di ragazzi, in tenuta sportiva bianca e blu, correva in circolo, in silenzio, mentre il sudore imperlava le loro fronti. Un paio di occhi attenti e vivaci seguiva ogni loro movimento, con vivo interesse.
« Kevin, non stai sfilando su una passerella! Alza quelle gambe e muovi quel culo, per la miseria!»
« Sbaglio o siamo nervosetti oggi?» domandò una ragazza, seduta sulla panchina dell’allenatore.
Porse a chi aveva parlato, un ragazzo dalla corporatura atletica e il viso corrucciato, una bottiglietta d’acqua, mentre un lieve sorriso ironico le increspava per un momento le labbra.
« Amy, non mettertici anche tu! Vorrei vedere te al mio posto! Tre, e dico tre, dei miei giocatori, non si sono presentati agli allenamenti! Ho tutti i diritti di essere nervoso! Ma stasera a casa mi sentiranno, eccome!» sbottò Julian, stappando la bottiglia di scatto e bevendo una gran sorsata d’acqua.
« Hai mai pensato che forse sei troppo esigente?» rispose Amy, con un’espressione di burla bonaria dipinta sul viso.
« In fondo sai benissimo che Phil è pienamente giustificato. Non casca il mondo se per oggi non viene agli allenamenti. Tom starà sicuramente arrivando…»
« Chissà cosa diavolo l’ha trattenuto» l’interruppe Julian.
Amy sorrise, e posò una mano piccola e bianca sopra quelle salde e brune di lui.
« Lo sai anche tu che Tom è molto responsabile e che ci sarà sicuramente una motivazione valida per il suo ritardo. In due anni, quante volte ha tardato ad un allenamento?»
« Si contano sulle dita di una mano» rimuginò Julian.
« Vedi, allora» accondiscese lei, soddisfatta. « Che ne dici, sarà con una ragazza?»
Julian la guardò per un momento, e non poté trattenere una risata.
« Non ci credi nemmeno tu, vero?»
« No, infatti» ammise Amy.
« Non è il tipo da mancare un impegno per una ragazza» considerò lui.
« Certe volte penso che questo ragazzo è troppo serio!» sbuffò Amy, sistemandosi una ciocca di capelli fulvi dietro l’orecchio.
« Ah, se l’avesse chi dico io metà della correttezza di Tom…» commentò Julian, con un sospiro. «Mi ha dato grane a non finire!»
« Lui sì, è molto probabile che sia con una ragazza!» rifletté Amy, posando la testa sulla spalla di lui e chiudendo gli occhi.
« Sei stanca?» le domandò Julian, carezzandole i capelli con una mano.
« Da morire! Certe volte studiare medicina è proprio dura!»
« Ma ne varrà la pena. Sono sicura che sarai una pediatra fantastica, adorata dai suoi piccoli pazienti!»
Tra loro calò un silenzio imbarazzato. Ricordavano entrambi cosa significava per un bambino trascorrere le giornate in ospedale, tra l’odore pungente del disinfettante e le pareti spoglie e deprimenti, la spossatezza del corpo e dell’anima a causa della noia e dell’inedia, e di come un libro o una visita potessero significare una breve ma intensa evasione da quella prigione quotidiana.
Julian si passò istintivamente le mani sulle braccia, coperte dalla felpa grigio chiaro.
« Non ci pensare. Sono solo ricordi» disse Amy, stringendolo a sé in un abbraccio carico d’affetto e comprensione.

Lo so Julian… Lo so. Non è facile pensare a quegli anni. Non li ho potuti scordare nemmeno io… Ma forse non dobbiamo dimenticare, dobbiamo ricordare… Per vivere con piena consapevolezza…

Tu… Quante volte mi hai tenuto così, stretto a questo tuo corpo sottile… E in quegli attimi mi aggrappavo a te, come se solo tu potessi salvarmi dal baratro in cui sentivo di star precipitando…

« Ma che scenetta romantica!» sogghignò una voce dietro di loro.
Entrambi si voltarono, e i loro occhi incrociarono lo sguardo beffardo e sfuggente di un ragazzo alto, con i capelli nerissimi in uno studiato disordine.
« Benjamin Price! Finalmente sei arrivato!» sbottò Julian, alzandosi di scatto.
« Calmo, Juls. Non serve a nulla infuriarsi e farmi la solita lavata di testa. Tanto ormai sono qua. Non cambia niente. Né per te né per me. Perciò, fammi il favore, dacci un taglio, ok?» replicò Benji, infilandosi i guanti e dirigendosi lentamente verso i pali della porta.
« Benji! Torna qui! Non puoi sfuggirmi, lo sai!» gridò Julian.
« Dopo, dopo» rispose Benji, impassibile.
« Cos’è, Benji? Oggi una ragazza ti ha dato buca?» lo schernì Amy, prendendosi così una piccola vendetta.
« L’unica ragazza che è stata capace di resistere al fascino dirompente di Benjamin Price sei tu, mia cara. Quando ti deciderai a uscire con me?» replicò Benji, con nonchalance.
Amy gli rivolse una lunga occhiata divertita. Benji si divertiva a recitare quella commedia quasi ogni giorno, al puro scopo di stuzzicare Julian, e lei gli dava corda. In parte perché anche lei si divertiva come una bambina, e in parte perché nutriva la segreta speranza che Julian s’infastidisse, vedendola oggetto delle attenzioni di Benji. Invece niente, Julian rimaneva impassibile, inafferrabile ed enigmatico come sempre. A volte nemmeno lei riusciva a scorgere il fondale dentro quelle iridi oscure, e ciò la spaventava. Voleva riuscire a comprendere cosa nascondesse dentro di sé, che sentimenti provasse veramente per lei. Aveva cercato diverse volte di parlargli, ma senza risultato. Lui diventava chiuso ed evasivo, come un anemone di mare che si ritrae non appena viene sfiorato. Era innamorata di lui fin da bambina, e certe volte ciò che provava diventava così pesante nel suo petto da mozzarle quasi il respiro. Julian non si accorgeva nemmeno della sua inquietudine, o forse non voleva rendersene conto.

Chissà, forse, nonostante le mie illusioni e le mie speranze, per lui io non sono altro che una buona amica d’infanzia, l’equivalente femminile di Tom e Philiph…

Benji la guardò negli occhi, e indovinò i suoi pensieri. Le si era come velato lo sguardo, e il ragazzo sapeva che quell’espressione compariva nel viso di Amy solo quando pensava a Julian.

Julian… Sei un imbecille! Hai vicino a te una ragazza che ti adora, e non te ne rendi conto! Se non cambierai atteggiamento un giorno la perderai…

Benji si avvicinò ad Amy, e le circondò le spalle con un braccio.
« Vieni carotina, andiamo a berci qualcosa di fresco al bar! C’è un caldo infernale qui, non si resiste!» disse, facendole l’occhiolino in segno d’intesa.
« BENJIIIIIIIIIIIIII!! Tu non vai da nessuna parte! Fila subito ad allenarti!» sbottò Julian, scagliando per la stizza un pallone contro la recinzione del campo.
« Ok, mister. Ci vado. Tra dieci minuti!» replicò Benji, impassibile, avviandosi con Amy verso l’uscita.
Videro Julian accasciarsi sulla panchina, vinto dalla leggendaria faccia tosta di Price.
« Benji!» gridò. « Dieci minuti! Dieci minuti esatti! Se tardi anche solo di 30 secondi la prossima partita non ti faccio giocare! Tutto chiaro? E voialtri, cosa state facendo lì fermi come baccalà? Fatemi 100 scatti! Ora!»
Amy e Benji risero di gusto, osservando la sfuriata di Julian agli altri ragazzi della squadra. Aveva perso proprio le staffe. Non era molto facile che Julian Ross, erede di un impero finanziario, studente e atleta modello, idolatrato dalle ragazze, si lasciasse andare a certi eccessi.
« Ok, mister! Torno tra dieci minuti esatti!» gridò Benji, con un gran sorriso stampato in volto.
Julian gli rivolse uno sguardo torvo, ma Benji non poté vederlo, impegnato com’era in una vivace conversazione con la ragazza che aveva affianco.
« Non avrai esagerato? Julian era proprio fuori di sé!» commentò Amy.
« Forse un po’… Ma che vuoi farci, mi diverte troppo provocarlo! E lui come un pollo ci casca con tutte le scarpe! Non è così impassibile e controllato come vuol far credere, anzi!» rise Benji.
« Povero Julian!» sorrise Amy.
« In fondo se l’è meritata, però! Certe volte è così ottuso… Ha una perla di ragazza vicino e nemmeno se ne accorge! Anche se credo che in realtà faccia solo finta di non vederti, Amy…»
« Adulatore!» replicò Amy.
I suoi occhi dorati brillavano di malizia. Si sentiva molto meglio, grazie a Benji.
« E un casanova come te oggi non aveva appuntamento con qualche ragazza?»
« Proprio oggi… no! Sul serio, sono andato al parco. Volevo stare da solo per qualche ora. Per pensare.»
« Hai qualche problema? Sei preoccupato per qualcosa?»
« No. Va tutto bene. Mi andava di stare da solo, tutto qua. Ti capita mai?»
« Sì, spesso. E’ utile ogni tanto ritagliarsi uno spazio per se stessi.»
« Già. Anche se, adesso che mi ci fai pensare, una ragazza l’ho incontrata…» considerò il ragazzo, sovrappensiero.
« Ah, davvero? E chi era?» domandò Amy, curiosa.
« Una iena bionda accompagnata da un colosso.»
« Eh?»
« Lascia stare, è stato un incontro occasionale e grazie al cielo le nostre strade non si incroceranno più!»
« Questa ragazza deve avere proprio lasciato il segno, eh?»
« Già… Ma in negativo! Era la persona più presuntuosa e arrogante che abbia mai avuto la sfiga d’incontrare!»
« Interessante, una ragazza che è stata capace di tenere testa a Benjamin Price!»
« Non sfottere, Amy.»
Benji sembrava proprio seccato, e Amy non aggiunse altro, non riuscendo però a trattenere un sorrisino ironico. Tacquero entrambi, ognuno immerso nei propri pensieri. Erano quasi arrivati al bar, quando svoltando un angolo si trovarono davanti a una scena singolare…

15.45 P.M.

« Porca miseria, questa volta Juls mi ammazza!» annunciò Tom, correndo nel corridoio con i libri sottobraccio e Lola affianco.
« Non essere catastrofico, dai! Sei ritardo, d’accordo, ma non per questo crollerà il mondo!» cercò di rincuorarlo lei.
« Come si vede che non conosci Juls! Se c’è una cosa su cui non transige, sono gli allenamenti! Tu sei la mia unica speranza: se vede che c’è una ragazza, quasi sicuramente non mi dirà niente, anche se stasera una bella lavata di testa non me la toglie nessuno!»
« Julian Ross è uno dei ragazzi con cui dividi l’appartamento?»
« Già. Pensa tu che sfiga… In casi come questo vorrei vivere da solo!»
« Mi dispiace… Hai fatto tardi per colpa mia!» considerò Lola, sinceramente dispiaciuta.
Tom smise di correre e le rivolse un gran sorriso.
« Ma non è vero, e lo sai! Non mi hai costretto tu a mostrarti il giardino interno, e una volta lì il tempo è volato! Non dire più e soprattutto non pensare più cavolate del genere, va bene?»
Lola annuì. I due ragazzi avevano ripreso a camminare a passo spedito l’uno affianco all’altra, nel corridoio vuoto e silenzioso. D’un tratto, svoltando un angolo, incrociarono due ragazzi che si baciavano dentro un’aula vuota.
« Loro hanno trovato un posto dove non venire disturbati!» sorrise Lola, comprensiva, guardandoli e indicandoli a Tom.
Il ragazzo rivolse loro uno sguardo distratto, poi tornò a guardarli e il suo volto mutò espressione. Quella maglia turchese… I capelli neri che sfioravano le spalle… La corporatura possente… Erano tutti tratti che non gli erano nuovi!
Si avvicinò a loro e afferrò per una spalla il ragazzo, costringendolo a guardarlo.
« Philiph! Pezzo d’idiota! Cosa stai facendo qua? Dovresti essere agli allenamenti! E soprattutto, visto che fino a stamattina sospiravi per la tua Jenny, cosa ci fai qui con lei?»
Philiph lo osservò per un istante, stralunato, e scoppiò in una fragorosa risata che riecheggiò per tutto il corridoio. Solo allora Tom si voltò e i suoi occhi incrociarono quelli di una ragazza dagli occhi luminosi e le gote rosee, che agitava timidamente una mano verso di lui.
« Oddio… Non posso crederci… Jenny… Sei tu?» balbettò, confuso.
Jenny lo abbracciò con affetto.
« In carne e ossa! Jennifer Morgan, per servirti, appena ritornata dall’America! Ciao Tom, che piacere vederti! Ti trovo in forma!»
« E tu sei bella come sempre, Jenny!» rispose Tom, baciandola sulle guance.
« E tu sei scemo come sempre!» intervenne Philiph, rivolgendogli una lunga occhiata ironica.
« Ho fatto un errore, d’accordo!» sbuffò Tom, alzando le mani in segno di resa.
« Non è grave! Almeno adesso so che qualcuno vigilava sul tuo comportamento, giovanotto!» commentò Jenny, con un sorriso, appoggiando la testa sulla spalla di Philiph, mentre lui le circondava la vita con un braccio.
« Cos’è, una festa? Un raduno di camerati?» proruppe una voce alle loro spalle.
Una voce non certo sconosciuta. I ragazzi si voltarono e si trovarono davanti Amy e Benji, che li fissavano con interesse.
« Cosa state combinando qua, lavativi?! Perdete tempo anziché andare ad allenarvi, quando c’è il vostro mister che proprio oggi è inkazzoso come non mai?» li canzonò Benji.
Amy non riuscì a trattenere un sorriso, incrociando lo sguardo di Jenny, e Tom disse, con una strana luce negli occhi:
« Guarda un po’ chi c’è abbracciata al nostro capitano…»
Benji sorrise di puro piacere quando i suoi occhi incrociarono quelli di Jenny, e la strinse tra le braccia facendola volteggiare.
« Ma guarda chi c’è! La piccola Jenny! Quando sei arrivata?» domandò.
« Ciao Benji! Sono felice anch’io di rivederti! Solo, per favore, mettimi giù!» implorò Jenny, con la testa che le girava.
Benji allentò la stretta e la posò a terra. Jenny barcollò per un istante, trasse un lungo sospiro e rispose:
« Poche ore fa. Amy è venuta a prendermi all’aeroporto.»
« Tu sapevi tutto, allora?» chiese Tom. « Del ritorno di Jenny?»
« Ma certamente! Abbiamo cospirato alle vostre spalle per mesi!» rispose Amy, scambiando con Jenny una lunga occhiata complice.
« Avevo fatto richiesta di una borsa di studio per concludere gli studi qui in Giappone, ma fino all’ultimo non sapevo se me l’avrebbero accordata» spiegò Jenny. « La svolta c’è stata due settimane fa. Il tempo di impacchettare e spedire la mia roba, salutare famiglia e amici, ed eccomi qui!»
« Hai già trovato casa?» chiese Benji.
« Certo. Starà da me» intervenne Amy. « Siamo d’accordo. Avevo giusto bisogno di una coinquilina!»
« E’ tutto pronto. Domani inizierò a frequentare le lezioni!» concluse Jenny.
« Piuttosto… Tom… Perché non sei ad allenarti? Cosa ti ha trattenuto fino a quest’ora?» domandò Philiph.
« Oh, per la miseria, Lorelei! Dov’è finita? Che se ne sia andata?» farfugliò Tom, agitatissimo.
Si voltò e la vide, a circa cinque metri da lui, in disparte.
« Lorelei! Scusami! Sono stato imperdonabile! Per un attimo mi sono scordato di tutto, allenamenti compresi…»
« E anche di me» replicò Lola, arrossendo.
Sentiva su di sé gli sguardi curiosi degli amici di Tom, e non poteva fare a meno di avvertire un certo disagio. Tom le si avvicinò, e disse:
« Sono desolato… Sono stato proprio un cafone, lo riconosco, scusami tanto... Vedi, Jenny, la ragazza di Philiph, è tornata oggi dall’America dopo sette anni…»
« Non preoccuparti, capisco. E’ stata proprio una bella sorpresa, vero?»
« Già! Nessuno, tranne Amy, ne sapeva niente! Ma tu, perché non ti sei avvicinata?»
« Non volevo disturbarvi con la mia presenza…»
« Ehi Tom, si può sapere cosa aspetti? Presentaci la tua amica, no?» intervenne d’un tratto Benji.
« Ti va di conoscere questa combriccola di pazzi?» la invitò Tom, rivolgendole un sorriso dolcissimo.
« Io… Va bene» mormorò Lola, con un fil di voce.
Tom le circondò le spalle con un braccio, con fare protettivo, e la scortò dai ragazzi.
« Ragazzi, questa è Lolerei Jackson, una mia vecchia amica nonché ex vicina di casa. Ci siamo incontrati per caso stamattina alla lezione di Abbott» disse.
« O forse sarebbe meglio dire scontrati!» corresse Lola, ridendo.
« Già! Mi ha travolto svoltando un angolo!» sorrise Tom.
« Io? Guarda che sei stato tu!» esclamò lei, fingendosi sdegnata.
Tom sorrise, scuotendo la testa, divertito. Infine disse:
« Lorelei, questi sono i miei amici. La ragazza dai capelli rossi si chiama Amy Sommers, lo spilungone accanto a lei è Benjamin Price, mentre loro sono Jennifer Morgan e il suo ragazzo, il nostro capitano Philiph Callaghan.»
« Molto lieta di conoscervi, ragazzi!» disse Lola, con un sorriso luminoso. « Mi chiamo Lorelei, ma se volete potete chiamarmi Lola, è più semplice. A casa mia mi chiamano tutti così.»
« Ciao Lola!» interloquì Amy, tendendole la mano.
Lola la strinse con vigore, osservandola con attenzione. Amy era davvero bella, con quei capelli lunghi e setosi e la pelle di porcellana; assomigliava ad un’antica dama di corte dalla bellezza raffinata e soave.
« Ciao, Lorelei» sorrise Jenny. « Hai davvero un bellissimo nome. Molto evocativo.»
Lo sguardo di Lola s’illuminò di piacere per il complimento inaspettato, e spiegò:
« E’ il nome di una rupe che si affaccia sulle rive del Reno, in Germania, a cui è legata una leggenda. Si racconta che sulla sua sommità sedesse una sirena, e che avesse l’abitudine di pettinarsi i lunghissimi capelli disperdendo nel vento il suo canto melodioso. I marinai che lo udivano, colti da follia, nell’inutile tentativo di raggiungerla, distruggevano la propria nave contro la roccia e perivano.** Molti poeti, tra cui Heine, trassero ispirazione da questa vicenda, e mia madre mi battezzò così perché credeva che fosse di buon auspicio.»
« Una bellissima leggenda, davvero! Tua madre dev’essere una donna molto colta e intelligente. Altro che la mia, che non ha saputo trovare di meglio per il suo unico figlio che il nome del nonno… Ciao, io sono Benjamin, ma questa banda di scalmanati mi chiama semplicemente Benji» affermò Benji, sfoderando il suo sorriso più seducente.
« Ciao, piacere di conoscerti» rispose timidamente Lola.
« Il piacere è tutto mio. Tom non ci aveva mai detto di avere un’amica così carina!»
Lola arrossì, e Philiph lo ammonì:
« Price, sei sempre il solito!»
Si rivolse alla ragazza:
« Io invece sono Philiph. Ciao, Lola.»
Philiph le strinse con vigore la mano, rivolgendole uno sguardo incoraggiante, e Lola gliene fu grata.
Era insicura e riservata, e odiava essere al centro dell’attenzione. In quel momento non le era facile trovarsi non solo al cospetto di Tom, ma anche dei suoi amici, tutti famosi e ricercati, per di più. Era naturale perciò che si trovasse a disagio, sebbene i ragazzi fossero tutti molto simpatici e ben disposti verso di lei.
Li osservò con attenzione, e commentò a voce alta, quasi non rendendosi conto delle sue parole:
« Visti da vicino siete davvero imponenti… La tv vi rimpicciolisce.»
« Tu ci conosci?» chiese Philiph, sorpreso.
Lola, meravigliata dallo stupore che poteva leggere nel viso di Philiph, replicò:
« E chi non vi conosce?»
« Freddie, il fratello di Lola, è un mio buon amico» spiegò Tom. « E’ stato mio compagno di club alle superiori, a Kyoto, ed è un grande appassionato di calcio.»
« Oltre che un tuo fan scatenato. Conserva in un album tutti gli articoli che parlano di te» completò Lola, con un brillio malizioso negli occhi bruni.
« Ora capisco. Con un fratello del genere ed un elemento come lui ad un tiro di schioppo da casa, non avresti potuto certo sfuggire alla trappola del calcio» considerò Benji, ironico.
« Cosa vuol dire "come lui"?» chiese Tom, fulminandolo con una sola occhiata.
« Vuol dire proprio quello che ho detto! Sei proprio come Holly: due fissati col pallone!» chiarì Benji, non lasciandosi intimorire dallo sguardo assassino dell’amico.
« Poteva essere vero fino a quando eravamo dei bambini; ora non è più così, e lo sai!» replicò Tom, con decisione.
« Parla per te; per Holly ho i miei dubbi che sia cambiato qualcosa!» insistette Benji.
« Scusate, ma chi è Holly?» domandò timidamente Lola.
« Holly è il soprannome con cui noi tutti chiamiamo Oliver Hutton» rispose Tom, ritrovando la consueta pacatezza di modi che per un attimo era stata scalfita dalle pungenti insinuazioni di Benji.
« Sai chi è Oliver, vero?» le chiese, sicuro della sua risposta.
« Certo! Il numero 10 e capitano della nazionale giovanile, goleador e regista, l’eroe degli ultimi mondiali!» replicò Lola, con convinzione.
« Sei proprio un’esperta!» esclamò Philiph. « E’ raro trovare una ragazza che s’intenda di calcio, complimenti!»
COFF… COFF…
L’inconfondibile suono di chi finge un improvviso colpo di tosse attirò l’attenzione di tutti, e i loro sguardi si posarono su Amy e Jenny, che li osservavano con una malcelata insoddisfazione negli occhi.
« Scusateci…» disse Amy. « Ma io e Jenny cosa siamo secondo voi?»
« Appariamo forse come delle incompetenti ai vostri occhietti ingrati?» aggiunse Jenny.
« Assolutamente no!» si affrettò a replicare Tom. « Voi siete preparatissime sull’argomento!»
Jenny lo guardò, sorniona.
« L’hai detto un po’ troppo in fretta, Becker…» disse. « Devo forse pensare che volevi darci un contentino?»
« Ma no! Cosa vai a pensare?» intervenne Philiph. « Jen, lo sai che tu, Amy e Patricia, dopo tutti gli anni passati a seguito delle varie squadre e della nazionale poi, siete come dei nostri compagni… Con la sola differenza che non scendete in campo!»
Amy e Jenny sorrisero, finalmente soddisfatte.
« Bel discorso, Phil! Ma dilla tutta…» replicò Benji. « Le nostre graziose signorine sono sì delle vere esperte in materia, però il motivo che le ha spinte ad avvicinarsi a questo mondo non era certo la passione per lo sport, ma bensì quella mai nascosta per i bei ragazzi…»
« E cosa c’è di male in questo? Se si può unire l’utile al dilettevole…» ribatté Amy, con un sorriso sereno.
Ricordava perfettamente la ragazzina che era stata, la stessa che si era avvicinata alla squadra della sua scuola per vincere la solitudine dopo il trasloco nella grande capitale del Giappone, e che poteva passare ore ed ore a bordo campo strofinando palloni macchiati d’erba e fango, mentre con la coda dell’occhio seguiva gli allenamenti della squadra. Si sentiva pervadere dalla tenerezza al solo pensiero. Sì, sicuramente le immagini di quella ragazzina taciturna rientravano tra i suoi ricordi più dolci. E lo stesso valeva, ne era sicura, anche per Jenny.
I ragazzi risero tutti, e Benji alzò le mani in segno di resa, vinto dallo spirito pratico di Amy, che, incoraggiata dal successo, aggiunse:
« Vi dirò di più! Consiglio a tutte le ragazze in cerca di un fidanzato di diventare managers di qualche squadra!»
Tom, notando lo sguardo perplesso di Lola, le mormorò in un orecchio:
« Sia Amy che Jenny erano le managers delle rispettive squadre alle medie. Amy lo è stata anche alle elementari, sempre per la Musashi, la squadra di Julian. Ed è proprio così che Philiph e Jenny si sono conosciuti e innamorati.»
« Stanno insieme da allora?» sussurrò Lola, sorpresa e insieme ammirata per quell’amore che aveva saputo superare barriere quali la lontananza e l’adolescenza.
« Già. Sono ben sette anni che sono fidanzati, a dispetto di tutto e di tutti. Philiph è pazzo di lei. Ora capisci perché prima, quando ho pensato che stesse baciando una sconosciuta, ho reagito in quel modo? E capisci anche perché ha quel sorriso ebete stampato in faccia?» rispose Tom.
« Non è vero, trovo che sia un sorriso molto dolce, invece» ribatté Lola, assorta.

Ogni donna dovrebbe essere guardata in quel modo, almeno una volta nella vita… Come se fosse più bella di una regina, più bella ancora di Afrodite in persona… Come se non esistesse altra donna al mondo…

Tom la osservò per un istante, turbato dalle sue parole. Cosa stava pensando in quei momenti, quando lo sguardo le si velava? La conosceva solo da poche ore, eppure desiderò riuscire ad entrare nella sua mente, capire quella ragazza solare ed enigmatica, che gli sfuggiva, scivolandogli tra le dita.
« Benji… Dì la verità!» insinuò Jenny. « Il fatto è che ti rode non aver mai avuto una manager alla nostra altezza!»
Amy le tese la mano, e Jenny premette forte la sua su quella dell’amica, con un sonoro schiocco che riecheggiò nel corridoio deserto.
« Piccola strega…» le mormorò dolcemente Philiph all’orecchio.
Le serrò la vita, e l’attirò a sé, aspirando avidamente il profumo dei suoi capelli. Jenny posò il capo sul suo torace, lasciandosi inebriare dal contatto con il corpo di lui, in un abbraccio che aveva il sapore dell’urgente necessità.
« Uhm… Effettivamente…» replicò Benji, soprappensiero. « Le medie e le superiori le ho fatte in Germania, e lì una figura come la manager con si usava… E di sicuro avere una ragazza carina e gentile che ti porta l’asciugamano e che ti lava le magliette rende meno pesanti gli allenamenti… Eh sì, io non ho avuto la fortuna di voialtri! E smettetela di pomiciare, voi due!»
L’ultima esclamazione era diretta a Jenny e Philiph, stretti l’una nelle braccia dell’altro.
« Che c’è, Benji?» domandò Philiph. « Ti ricordo che la mia manager è anche la mia fidanzata!»
« Price, tu e Phil siete amici, no? Con Tom e Julian dividete tutto, no? Allora fatti dare la metà di questo!»
Jenny attirò a sé il viso di Philiph, e lo baciò, sotto gli sguardi divertiti di tutti, compreso quello di Benji.
« Price, per quanto tu possa essere amico mio, scordati che te ne dia metà!» esclamò Philiph.
« Ma mica la volevo da te, scemo! La mia metà la riscuoterò dalla dolce Jenny…» rispose Benji, serafico.
« Scordatelo!» ribatté Philiph, serissimo.
Tom scoppiò in una fragorosa risata, che contagiò tutti i ragazzi.

Tom aveva ragione… I suoi amici sono completamente pazzi! E simpaticissimi… Mi piacerebbe molto inserirmi tra loro…

Benji rivolse un’occhiata distratta al suo orologio, e proruppe in un’esclamazione non proprio ortodossa.
« Cazzo! Le 16.10! Juls questa volta mi ammazza sul serio! Carotina, ti prego, distrailo tu mentre io filo in porta!»
« E’ certo: stavolta non la scampiamo! Julian ci fa la pelle a tutti e tre!» appoggiò Philiph.
« E sicuramente la situazione non migliora se ce ne stiamo qui a perdere tempo!» affermò Tom.
« Io però ho un’idea! Voi ragazze, seguiteci agli allenamenti. Julian non potrà dirci niente davanti a voi, e speriamo che entro stasera sbollisca la rabbia e si dimentichi del discorsetto che adesso sicuramente starà rimuginando…»
« Tom, sei un genio! Se tu non fossi un uomo, ti bacerei!» esclamò Benji, entusiasta dell’idea.
« Sì, il genio del male!» commentò Philiph, sarcastico.
« Hai qualche idea migliore?» domandò Tom, seccato.
« Solo un’aggiunta alla tua: anziché sperare in un miracolo, perché Juls ha un’ottima memoria e se non ce lo fa adesso il cazziatone è solo rimandato a stasera, organizziamo una cena a casa nostra! Avevo già deciso di festeggiare il ritorno di Jen invitandola fuori, ma credo che a lei non spiacerà se invece restiamo a casa… Tesoro, hai qualcosa in contrario?»
« Certo che no! Sembra impossibile, ma non ho mai visto casa vostra, e sono molto curiosa!» rispose Jenny, con un sorriso.
« Allora è deciso! Ragazze, siete invitate tutte a casa Price, stasera!» proruppe Benji, con enfasi.
« Cosa vuol dire “casa Price”?» domandarono all’unisono Tom e Philiph, rivolgendo all’amico uno sguardo torvo.
« Proprio quello che ho detto!» ribatté Benji, impassibile. « Carotina, Jenny, Lorelei, andiamo! Grazie della vostra gentile collaborazione, ragazze!»
« Ma guarda tu che farfallone…» commentò Tom.
Gli eccessi di Benji avevano ancora il potere di stupirlo, qualche volta.
« Lascialo stare, lo sai com’è fatto!» rispose Philiph, con uno sguardo accondiscendente.
« Allora, ci muoviamo?!» li riprese Benji, che insieme alle ragazze aveva già raggiunto la fine del corridoio.
Philiph e Tom sospirarono, e li raggiunsero camminando a grandi falcate, rassegnati. Tom non poté fare a meno di notare che Lola chiacchierava piacevolmente con Amy e Benji, e sorrise, soddisfatto.
« Ehi! Un momento! Tom, hai tardato agli allenamenti perché eri in dolce compagnia? TU avevi appuntamento con una ragazza, e IO no?!» esclamò d’un tratto Benji, sconvolto dall’ingegnosa deduzione.
« Guarda che nessuno qui aveva appuntamento con nessuno!» replicò Tom, visibilmente seccato, mentre Lola arrossiva violentemente.
Amy e Jenny si scambiarono uno sguardo significativo, carico di sottintesi.

FINE TERZO CAPITOLO.

N.B. Le leggende riportate non sono di mia invenzione (e come potrebbe essere altrimenti?), ma sono realmente esistenti.
*Leggenda legata alla mitologia greca.
**Leggenda della mitologia sassone (credo^^).

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Capitolo 4
*** "Casa Price" ***


Innanzittutto chiedo scusa per il ritardo mostruoso con cui arriva questo capitolo! Vi chiedo scusa di cuore! Da alcuni mesi sto vivendo un periodo frenetico, in cui gli impegni sembrano non finire mai! E di conseguenza mi rimane pochissimo tempo per me stessa e per le cose che più amo fare... Questo capitolo, ad esempio, andava solo postato... Eppure non mi riusciva di farlo, e quando avrei potuto, non me ne ricordavo mai! Scusatemi veramente!
I miei ringraziamenti più sentiti a Reggina, Stormy, Izumi, Shibahime, Lili, Cristina, e Gea per loro bellissime e incoraggianti parole. Spero che continuerete a seguirmi anche con questo capitolo!
Gea, vedi, alla fine mi sono fatta viva! Meglio tardi che mai! ^_-
Un ringraziamento molto speciale a Stella, che non mi fa mancare mai il suo appoggio! Grazie mille, davvero!
Un abbraccione immenso a tutte voi, e ancora grazie di tutto!
Li_chan

Capitolo IV

“Casa Price”

19.04 P.M.

Philiph si cinse distrattamente la vita con un asciugamano, buttandosene al contempo un altro sulle spalle, e uscì dalla doccia. L’acqua, ormai fredda, gli scivolava lungo la schiena, stillando sulle tempie e la fronte dai capelli umidi.
Il grande specchio della vetrinetta del bagno restituiva la sua immagine offuscata; con il dorso della mano sfregò la gelida superficie riflettente, strappandone una parte al vapore che la celava. Scorse la sua effigie che gli sorrideva, ammiccante; schermendosi, posò una mano sopra di essa, nascondendola alla vista. In quell’unico gesto era racchiusa tutta la riservatezza che provava, una sorta di malcelato pudore verso la propria gioia, una gioia completa e profonda che mai aveva avvertito, prima, e che apparteneva solo a lui e a Jenny.
Con un movimento distratto, si tirò indietro i capelli, ormai davvero lunghi, che gli ricadevano in ciocche disordinate sul viso e le tempie. Si gettò l’asciugamano sul capo, e, frizionando leggermente il cuoio capelluto, uscì dal bagno, dirigendosi verso la sua stanza.
L’appartamento era immerso nel suo abituale caos, e dal soggiorno provenivano i più svariati suoni e rumori. Benji, stravaccato sul divano, guardava la televisione, facendo zapping da un canale all’altro con esasperante frequenza; Tom cercava di riordinare la stanza, ammonticchiando in una grande busta di plastica quotidiani e riviste; Julian, individuabile a malapena dietro una torreggiante pila di libri, che lo sovrastava interamente, assorto davanti allo schermo di un pc, era impegnato nella stesura di una tesina, ignorando chissà come il persistente chiacchiericcio proveniente dalla televisione.
«Ehi, scioperato, anziché perdere tempo a rimbecillirti ulteriormente davanti alla tv, perché non dai una mano a Tom?» esclamò Philiph, con le mani sui fianchi.
Un’espressione di muta disapprovazione gli brillava in fondo alle iridi ebano.
Benji alzò un sopracciglio, con aria seccata, senza tuttavia distogliere lo sguardo dallo schermo che brillava di fronte a lui. Allungò una mano, prendendo una generosa manciata dalla ciotola di pop-corn che aveva davanti, poggiata sul tavolino, e li addentò con gusto, cambiando canale.
Tom sospirò, chiudendo a fatica la busta e rialzandosi in piedi.
« Sicuramente non ero in pieno possesso delle mie facoltà mentali quando ho accettato di condividere casa con voi!» affermò.
« Ehi, aspetta un po’... Cosa centriamo noi? L’elemento di disturbo è lui!» sbottò Philiph, indicando apertamente Benji con l’indice.
« Phil... GRAZIE TANTE!» replicò Benji, seccato.
« Aspetta un po’... » intervenne Julian, alzando per la prima volta la testa dalla tastiera e guardando fisso Philiph.
« Anche tu non scherzi!»
« Io?» rispose Philiph, attonito.
Benji scoppiò in una risata fragorosa, e anche Tom si lasciò scappare un sorriso di approvazione.
« Uno a zero, palla al centro, Phil! Così si parla, Juls!»
Philiph lo fulminò con lo sguardo, e sbottò:
« Vado a vestirmi. Torno tra pochi minuti e ti do una mano, Tom!»
Visibilmente contrariato, uscì dalla stanza, seguito con gli occhi dai tre ragazzi. Tom sospirò, mentre Benji e Julian, ammiccando, si scambiavano sguardi d’intesa e risolini non proprio soffocati. Era raro che si alleassero, quei due. Benji si divertiva a stuzzicare Juls per via di Amy, e lui generalmente lo ignorava, dando prova di un notevole self-control. Tuttavia, quando si coalizzavano per sfogare il loro spirito goliardico contro una terza persona, di solito Philiph, che aveva un temperamento molto impulsivo, riuscivano sempre a colpire nel segno e a farsi delle grasse risate alle spalle del malcapitato.
« Potreste lasciarlo in pace, almeno per oggi» commentò Tom, sistemando temporaneamente in un angolo la busta con i giornali.
« Assolutamente no! È troppo divertente!» replicò Benji, sdraiandosi beatamente sul divano, con le mani intrecciate sotto la nuca.
« Alzati da lì, devo sprimacciare i cuscini» ordinò Tom, bruscamente.
« Agli ordini!» replicò Benji, balzando in piedi e dirigendosi verso la porta a vetri che conduceva in veranda, facendola scorrere vigorosamente.
La brezza pungente della sera penetrò nella stanza, scompigliandogli i capelli.
« È una serata splendida» mormorò.
Uscì nella grande veranda, e contemplò il panorama, posando il capo sopra le braccia incrociate sul parapetto. Il sole era quasi completamente sparito all’orizzonte, e i suoi tiepidi raggi avevano velato il cielo di un vivo scarlatto, che s’andava frammentando con il candore delle nuvole, mentre facevano capolino le prime, timide, stelle della notte.
« Juls, potresti sgomberare il tavolo?» domandò Tom, sprimacciando i cuscini del divano e lanciando uno sguardo truce alla ciotola di popcorn, ormai vuota.
« Ok! Vorrà dire che finirò domani la tesina. Sono a buon punto!» replicò Julian, alzandosi di scatto e chiudendo il pc portatile.
« Perfetto. Direi che siamo apposto, così...» considerò Tom, osservando soddisfatto la stanza.
« Ehi, ma che ordine immacolato!» assentì Benji, rientrando nella stanza. «Tom, sai, dovresti pensare a una carriera alternativa a quella di calciatore: la massaia!»
« Price, ti consiglio caldamente di filare, altrimenti potrei anche ucciderti!» replicò Tom, a cui le battutine acide di Benji iniziavano a dare sui nervi.
« Non ci posso credere, perfino “Giobbe” Tom qualche volta si sente colpito sul viv...»
Non finì la frase. L’ultima sillaba si perse sotto la pesante stoffa di un cuscino del divano, che era arrivato magicamente in volo fino al suo naso. Tom e Philiph, che era entrato proprio in quell’istante, scoppiarono in una fragorosa risata, inevitabile nello scorgere l’espressione basita del ragazzo.
« Beh, si può affermare, senza paura di venire smentiti, che Giobbe alla fine l’ha avuta vinta su Mosè...» dichiarò Philiph, posando un braccio sulla spalla di Benji, che lo guardò con un’espressione non proprio soddisfatta.
Julian sorrise, lanciando un’occhiata distratta all’orologio.
« Ragazzi, basta scherzare e fare gli scemi! Le ragazze saranno qui tra meno di mezz’ora!» li avvertì, radunando tutti i suoi libri in una grande pila e portandoli nella sua stanza.
« Correte a prepararvi!» li ammonì, ormai nel corridoio.
Tom si passò nervosamente una mano tra i capelli castani, scompigliandoli.
« Sarà meglio che vada a farmi una doccia veloce e a cambiarmi» disse, guardando con occhio critico la maglietta e il paio di jeans stinti che indossava.
« Vai a farti bello per la tua Lola?» chiosò Benji, sfoderando un bel sorriso malizioso.
Tom gli premette forte il cuscino sul viso, lo stesso che gli aveva tirato pochi minuti innanzi.
« E sta un po’ zitto, scemo!» lo rimproverò, uscendo dalla stanza.
« Certo che... È davvero carina, l’amica di Tom!» esclamò Benji.
« Già... Ma non ti consiglio di farti venire in mente idee strane!» replicò Philiph.
« Guarda che io non mi faccio venire in mente nessun’idea strana... So bene quando il territorio è stato già marcato!» rispose Benji, con tranquillità.
« Ora sarà meglio che anche io segua l’esempio di quei due e vada a cambiarmi!»
« Cosa c’è, temi la concorrenza?»
« L’immenso Benji Price non teme la concorrenza di nessuno! Il mio grande fascino mi rende irresistibile anche con indosso un costume da clown!»
« Ed è proprio quello che sei! Buffone!» replicò Philiph, lanciandogli lo stesso cuscino per la terza volta.
Ma non ebbe fortuna: Benji prevenne la sua mossa e l’oggetto colpì la porta, che il ragazzo si era chiuso alle spalle.

20.04 P.M.

Oddioddioddio! Che ci faccio qua? Ho il cuore in gola per l’agitazione! Quasi quasi me ne vado... Lo chiamo e gli dico che non mi sento molto bene... Forse è la cosa migliore! Ma no, scema! Cosa vai a pensare?! Tom e i suoi amici sono stati così gentili a invitarti...! E hai passato due ore due davanti allo specchio indecisa su cosa metterti... E Joyce ti ha accompagnato fin qui, quando poteva benissimo lasciarti prendere la metro! Vuoi diventare amica di Tom, e hai tra le mani un’occasione d’oro, che nemmeno nei tuoi sogni più rosei avresti mai immaginato! Quindi ora respira a fondo, ravviati un po’ i capelli e SUONA QUEL CAMPANELLO, maledizione!

20.05 P.M.

DRIN DRIN DRIN

« Oh cazzo! Sono già qui! Qualcuno vada ad aprire!» sbraitò Benji, urlando così forte da coprire perfino le chitarre distorte e la voce potente di Steven Tyler degli Aerosmith, la cui musica si diffondeva per la casa a tutto volume, per unico merito dello stereo del ragazzo.
« Vado io!» rispose Tom con pacatezza, avviandosi alla porta.
« Chissà che la prossima volta tu possa imparare a non perdere tempo ad ingozzarti di schifezze davanti alla tv, quando ci sono ospiti a cena che TU stesso hai invitato!»
« Ossignore! Becker, la paternale me la fai dopo... Adesso apri la porta, per favore!» rispose Benji, la cui voce arrivò sottile e confusa all’orecchio di Tom.

Sicuramente si starà cambiando per l’ennesima volta... La vanità di questo ragazzo è qualcosa d’inconcepibile...

Tom percorse velocemente il corridoio e posò la mano sulla maniglia, aprendo finalmente la porta.
Lola gli sorrise dolcemente, un sorriso che lui corrispose d’istinto.
« Benvenuta a “casa Price”!» disse, imitando la voce di Benji. Un’imitazione particolarmente riuscita.
Lola rise di gusto.
« Ciao Tom! Sono in anticipo?» chiese Lola, incrociando le braccia dietro la schiena e lanciandogli uno sguardo curioso.
« Per niente! Anzi, sei in orario perfetto! Hai preso la metro?»
« No, no! Mi ha accompagnata mia cugina Joyce in macchina.»
« Ecco perché sei arrivata così puntuale! Ma prego, entra!»
Tom le fece cenno con il braccio di varcare la soglia, e lei mosse alcuni passi. Il pesante portoncino blindato si chiuse alle sue spalle con un lieve tonfo. Si voltò timidamente verso il ragazzo, che le rivolse un sorriso solare.
« Ti faccio strada, seguimi!» disse lui.
Lola si lasciò guidare da lui, che la precedette attraverso un corto corridoio, fino al soggiorno.
« Accomodati pure» la invitò. « Gli altri ci raggiungeranno tra pochi minuti. Vuoi qualcosa da bere, intanto?»
« Sì, berrei volentieri qualcosa! Non sembrerebbe, ma fuori c’è una discreta afa!» rispose Lola, prendendo posto sul divano, mentre un lieve sorriso le increspava fuggevolmente le labbra.
« Ti va del tè freddo?»
« Va benissimo! Grazie!»
« Aspettami un momento, te lo porto subito!»
Tom uscì, diretto verso la cucina, e Lola rimase sola. Abbracciò con gli occhi l’intera stanza, soffermandosi su ogni particolare della struttura e dell’arredamento.
Era un vano spazioso e luminoso, tinteggiato di fresco, arredato nei toni del nero e del marrone con particolare cura e buongusto, insospettabili per un appartamento suddiviso da quattro ragazzi. Una massiccia libreria di noce, carica di libri, cd, videocassette e perfino dischi di vinile in ogni ripiano, occupava buona parte della parete est; poco distante, un comodo e spazioso divano di pelle nera, due poltrone della stessa foggia e un basso tavolino di tek scolpito introducevano un capiente mobile nero e dal taglio moderno, sul quale troneggiavano un enorme televisore, e, nel ripiano estraibile sottostante, un videoregistratore digitale. Un lungo e massiccio tavolo di quercia, comprensivo di otto sedie dall’alto schienale, correva parallelo alla grande vetrata, dalla quale filtrava la luce rossastra di uno splendido tramonto d’inizio primavera, che donava alle piastrelle bianche della pavimentazione e alle strutture di legno della porta a scomparsa dei curiosi riflessi rosati. Dirimpetto ad essa faceva bella mostra di sé un piccolo scaffale nero, sulla cui sommità era adagiato uno stereo modernissimo completo di casse, e negli altri ripiani erano stati sistemati con scrupolosa attenzione una discreta quantità di cd. L’angolo d’unione tra le pareti nord ed ovest era occupato da un piccolo mobile bar in legno massiccio e con il ripiano di granito, sul quale spiccavano quattro capienti tazze da colazione dai colori accesi, corredato da tre alti sgabelli. Poco distante una bella pendola di faggio, lavorata ad intarsi, scandiva i secondi, con le veloci oscillazioni del pesante meccanismo interno. Nelle quattro pareti campeggiavano manifesti e poster d’ogni genere: squadre di calcio, ma anche immagini di cantanti e locandine di film. Lola poté riconoscere una bella immagine di “Matrix”, la formazione del Paris Saint German 1998-1999, e una gigantografia dei Guns ’n Roses dei tempi d’oro. L’effigie che attirò maggiormente la sua attenzione fu senz’altro una splendida fotografia, protetta dalla polvere da una semplice cornice a giorno, della nazionale giovanile giapponese campione del mondo: sotto la sua figura ritratta nell’istantanea, ogni ragazzo aveva apposto la sua firma, e in quei volti sudati, in quelle maglie sporche d’erba e spiegazzate, era racchiusa tutta la gioia, ma anche la fatica, per aver raggiunto quel traguardo così importante.
Lola osservò attentamente lo spazioso ambiente che l’aveva accolta, finendo per essere attirata, com’era inevitabile, verso la vetrata. Si alzò dal divano, e mosse pochi passi verso di essa, posando timidamente una mano sulla maniglia. Esercitò una leggera pressione, sentendone cedere il meccanismo, e la porta a scomparsa scivolò sui cardini con facilità. Ne varcò la soglia, sentendo pungere il viso dall’aria frizzante della sera.
La veranda era ampia, ricoperta da una spessa pavimentazione in cotto rossastro, arredata semplicemente con un grande tavolo in legno naturale e alcune sedie pieghevoli. Sulla superficie di legno giaceva, abbandonata, una copia dalle pagine umide e sgualcite dal vento di “Japan Soccer”.
Nello scorgerla, Lola sorrise.

Uhm... Chissà di chi è!

Si avvicinò al parapetto in muratura, lasciando che il vento le scompigliasse i capelli castano dorato, assaporando gli accesi profumi che portava con sé, godendosi il sole al tramonto, il cielo brunito, le nuvole simili a zucchero filato.
« Bel panorama, non è vero?»
Tom la guardava, le labbra distese in un sorriso appena accennato.
« Il tuo tè» spiegò, indicando il vassoio che reggeva in mano.
« Scusami per essere uscita senza permesso... Ma questa veranda è così bella...» replicò Lola.
« Ed è una serata splendida» la interruppe Tom, posando il vassoio al centro del tavolo.
« Che ne dici di bere qui la nostra tazza di tè, mentre aspettiamo Jenny ed Amy?»
« Mi sembra un’ottima idea!» rispose lei, prendendo posto accanto al ragazzo e osservando le sue dita lunghe e affusolate premere sul tappo per far cedere il sigillo della bottiglia.
Passò l’indice sul bordo del suo bicchiere, distrattamente, mentre Tom accostava il suo alle labbra.
Tra di loro calò il silenzio. Un silenzio piacevole, senza traccia di tensione o nervosismo. Il silenzio di due persone che sono consapevoli che non c’è bisogno di trovare a tutti i costi un argomento di conversazione per godere della reciproca compagnia.
« È una sera magnifica. Detesto doverlo ammettere, ma forse quel buffone di Price non ha avuto tutti i torti, invitando voi ragazze a cena. Ovviamente non glielo riferire!» considerò Tom, lanciando sulla sua compagna un’occhiata d’intesa.
« Ovviamente!» replicò lei, ammiccandogli. « Mi spiace solo di aver imposto la mia presenza in questa simpatica rimpatriata tra vecchi amici.»
« Vuoi scherzare? È un piacere averti qui. Ed una “vecchia amica” in una “simpatica rimpatriata tra vecchi amici” non impone la sua presenza, anzi!»
Tom poggiò la sua sulla mano di lei, con simpatia. Lei gliene fu grata, anche se tacque.
« Ti avrei invitata io stesso, una di queste sere, per farti conoscere il resto della truppa!» continuò lui, senza accorgersi dello sguardo di sincera gratitudine che lei gli rivolgeva.
« E poi, sai, credo proprio che tu abbia fatto colpo... Benji ti guardava con tanto d’occhi!»
Lola rise di cuore.
« Dico davvero! Prima ha ciondolato tra la tv e il divano per tutto il pomeriggio, e poi si è chiuso in camera sua per prepararsi... E non n’è ancora uscito!»
Tom aveva un modo tutto suo di raccontare, facendo apparire comico l’avvenimento più noioso, e Lola si scoprì completamente inerme alla simpatia che trasudava dalla sua voce. La sua risata contagiosa riecheggiò tra i tetti circostanti, e a quella di lei si aggiunse presto quella di Tom.
Li trovò così l’indiretta causa di quell’esplosione d’allegria; Lola cercava di asciugarsi gli occhi senza causare sbavature al trucco, e Tom tentava concentrarsi nella lettura di “Jappan Soccer” per calmare gli spasmi di risa che ancora lo scuotevano.
« Beh? Cos’è successo qua? » domandò Benji, perplesso. « Avete assistito per caso alla puntata finale di Beautiful, con Brooke che seduce il nipote, ed Eric Forrester, omai ultramillenario, che chiede la mano di sua moglie Stephanie per la duecentesima volta?»
« No, ancora meglio!» rispose Tom, guardando Lola, sornione. « Abbiamo visto uno speciale intitolato “Trucchi e Tattiche del moderno Dongiovanni”.»
Benji li guardò attonito, mentre Lola soffocava con difficoltà una risatina e Tom ricambiava il suo sguardo con l’espressione più innocente del mondo.
« Uhm... È la serata dei misteri, ho capito! Non indagherò oltre! Tenetevi pure i vostri segreti, non m’interessano!» esclamò infine Benji, lasciandosi cadere sulla sedia affianco a Lola e bevendo una gran sorsata dal bicchiere di Tom.
«Tanto per la cronaca, quel bicchiere era mio!» commentò Tom, alzando gli occhi al cielo.
« Perché dici così?» chiese Lola, voltandosi verso Benji con aria divertita.
Gli occhi brillanti, un leggero rossore diffuso sulle gote, le belle labbra piene distese in un sorriso sereno: entrambi i ragazzi la fissarono per un lungo istante, ammaliati dalla quieta bellezza di lei.
« Perchè ci sono solamente due spiegazioni plausibili al vostro comportamento di poco fa » rispose Benji, con un tono di voce falsamente autorevole.
« La prima è che siete in combutta per un qualche segreto; la seconda è che siete impazziti tutti e due. Dato che non ho voglia di chiamare la Neuro, fingerò di credere alla prima.»
« Ma quanto sarai scemo in una scala da uno a dieci...!» rispose Tom, colpendolo lievemente alla base della nuca con la rivista.
« Ahi! Vacci piano: mi spettini!» si lamentò Benji, passandosi in tutta fretta le dita tra i capelli.
« Ci ho messo tre quarti d’ora per sistemarli!»
« Ma cos’hai da sistemarti, quando avrai sì e no due centimetri di capelli?» lo rimbeccò Tom, mentre Lola li osservava divertita.
« Appunto! Quei due centimetri sono molto importanti, e richiedono tempo e cura!»
« Cos’è che richiede tempo e cura? Non sicuramente i tuoi allenamenti, che in quest’ultimo periodo ti diverti a saltare!»
L’ultima voce che aveva parlato non apparteneva a Tom. I tre ragazzi si voltarono, e videro dietro di loro Philiph e Julian, che li osservavano sornioni.
« Da quanto tempo siete lì?» domandò Benji, non proprio soddisfatto della rimbeccata di Julian.
« Siamo appena arrivati. Non abbiamo bisogno di spiarti per sapere che sei megalomane!» rispose Philiph.
« Ne siamo consapevoli da più di dieci anni» puntualizzò Julian, accomodandosi vicino a Benji.
Philiph prese posto vicino a Tom e si rivolse alla ragazza accanto a lui.
« Ciao Lola, piacere di rivederti! Tutto bene?»
Lola non riuscì a trattenere un sorriso. Le piaceva molto l’atteggiamento diretto e gentile di Philiph.
« Sì, tutto bene, grazie! E tu?» rispose.
« Benissimo!» replicò lui.
Le rivolse un caldo sorriso, che lei ricambiò di cuore.
« Ciao, Lola» la salutò Julian.
Lola ricambiò l’accoglienza di lui con un sorriso incerto.
Julian le sembrava il più riservato dei quattro ragazzi. Aveva un atteggiamento molto maturo che l’intimidiva un poco, e non bastava certo una conoscenza superficiale per farla sentire a proprio agio in sua compagnia.
Il ragazzo lanciò un’occhiata distratta all’orologio.
« Amy e Jenny sono in ritardo» disse, allungando le mani brune sul tavolo e facendo grattare leggermente sulla superficie in legno il bracciale che portava al polso sinistro.
« Sei impaziente di rivedere Carotina, eh Juls? Eppure l’hai lasciata solo poche ore fa...» insinuò Benji.
« Sono solo un po’ preoccupato, tutto qui» ribatté Julian, seccato. « Amy è estremamente puntuale.»
« Vedrai che tra pochi minuti saranno qui» intervenne Philiph.
« Spero che facciano presto. Non so voi ragazzi, ma io inizio ad avere un certo appetito!» commentò Julian.
«Appena arrivano le ragazze, telefoniamo subito per ordinare la pizza. Ti piace la pizza, Lorelei?» chiese Tom, volgendo il capo verso di lei.
« L’adoro» rispose Lola, con voce dolce.
Era la prima volta che aveva la possibilità di osservare i quattro ragazzi insieme, e le piaceva la loro immagine, un’armoniosa dissonanza di peculiarità che s’amalgamavano perfettamente l’una affianco all’altra. La diversità dei loro caratteri si rifletteva sui tratti fisici, la postura e l’abbigliamento, senza tuttavia stridere, anzi fondendosi in uno straordinario gioco di luci e ombre.
Basandosi sulla sua esteriorità, Lola avrebbe potuto dire, con un margine minimo d’errore, il temperamento e il ruolo occupato nel gruppo di ciascuno di loro.

Tom, con i suoi jeans blu scuro, slavati lungo la coscia, la felpa che giocava sul contrasto tra il grigio chiaro del busto e il grigio antracite delle spalle e delle braccia, con le cuciture in bella vista, i capelli castani pettinati con attenzione ma un po’ frettolosamente, e lasciati ad asciugare all’aria dopo la doccia, era paziente ed equilibrato, un’anima serena che aveva sempre la parola giusta per ogni occasione, e non era mai troppo occupato, stanco o distratto per non ascoltare un amico in difficoltà. Il suo ruolo all’interno del gruppo formato con gli altri tre ragazzi era ovviamente il consigliere, colui che per carattere non perdeva mai la lucidità, e che all’occorrenza poteva fungere anche da paciere.

Philiph, con i suoi pantaloni grigio chiaro dalle numerose tasche chiuse da zip, la maglia di cotone bianca, con due bande orizzontali di lucido tessuto rosso all’altezza del petto, le lunghe ciocche lucenti ad incorniciare il volto abbronzato, lievemente arruffate a causa della brezza serale, era carismatico, impulsivo, e non aveva remore nell’affermare e difendere le sue idee. Un generoso abituato a lottare, che non risparmiava le energie per raggiungere lo scopo che si era prefisso, ma che tuttavia non nascondeva il suo lato tenero e non si vergognava dei suoi sentimenti e delle sue fragilità. Il suo ruolo naturale all’interno del gruppo era il leader, colui che spiccava per autorità e tenacia, grazie alle quali era in grado di affrontare con decisione ogni intoppo; eppure era anche tanto accorto nell’evitare di prevalere sui suoi compagni, che quasi nessuno se ne accorgeva.

Julian, con i suoi pantaloni in denim indaco, il maglione in ciniglia turchese a coste verticali con il collo alla coreana e una zip sulla spalla sinistra lasciata aperta, attraverso cui si poteva intravedere una maglietta bianca, i capelli castani acconciati con cura intorno al viso, era assennato, riflessivo, la persona con più buon senso in assoluto che frenava un po’ l’impulsività degli altri ragazzi. Introverso e accorto, rivelava però una delicatezza di modi e una dolcezza inaspettata per un ragazzo vincente come lui, rampollo di una delle famiglie più ricche e rinomate di tutto il Giappone, sportivo dal grandissimo talento e allenatore dalle capacità innegabili, come aveva avuto modo di raccontarle Tom. Il suo ruolo all’interno del gruppo era quello quasi di un padre putativo per gli altri ragazzi, colui che si preoccupava sempre di tutti e che possedeva in abbondanza in carattere necessario per farsi ascoltare dagli altri in ogni situazione.

Benji, con i suoi jeans azzurro cupo, larghi lungo tutta la lunghezza della gamba e con le tasche ben in vista, una semplice maglietta stretch nera, della quale aveva tirato su le maniche fino a metà avambraccio, i capelli corti in uno studiato disordine e fissati con il gel, era spiritoso, spigliato, frizzante come una bottiglia di Dom Perignon e malizioso come un profumo speziato. Faceva amicizia con facilità, si divertiva a lanciare battutine ironiche, affinando il suo sarcasmo, e a giocare con il suo successo con il genere femminile, che rimarcava in continuazione, sempre con il sorriso sulle labbra. Il suo ruolo all’interno del gruppo era quello del burlone, quello che amava organizzare scherzi e riceverne, anche, e che con la sua innata capacità di trovare sempre il lato ridicolo di ogni circostanza contribuiva a tenere sempre allegra e festosa l’atmosfera della casa.

Lola partecipava poco alla conversazione, ma non era a disagio, come dimostravano le labbra distese in un sorriso spontaneo e le timide domande che ogni tanto si azzardava a porre. Semplicemente le piaceva osservare i quattro ragazzi, seguirne la gestualità, ascoltarne il tono delle voci, coglierne gli sguardi; le evocavano nella mente un turbinio di colori vividi e brillanti.
Tom la scrutava, non scorto, dalla sua postazione privilegiata accanto a lei, e nel vedere gli occhi della ragazza brillare di piacere, anche il suo cuore si accese di un’inattesa tenerezza.
Istintivamente le sfiorò una mano con la punta delle dita, in una carezza leggera e frettolosa, facendo attenzione a non farsi scorgere dagli altri ragazzi, e replicò con un sorriso dolcissimo alla perplessità di lei, ignaro che sentimenti simili ai suoi s’agitavano anche nel cuore di un suo amico.
« Beh, gente, non so voi, ma io sto morendo di fame!» si lamentò Benji, allungando un braccio sul tavolo e poggiando il capo sulla superficie ruvida con aria melodrammatica.
« Qualcuno faccia un’opera di pietà e vada in cucina a prendermi un pacco di patatine, altrimenti non sopravviverò per oltre un quarto d’ora...»
« Assolutamente no!» lo riprese Julian. « Niente patatine o altre schifezze prima di cena! Considerati fortunato che ho chiuso un occhio con i popcorn di questo pomeriggio! Mangerai quando sarà ora, proprio come gli altri! È un ordine che viene direttamente dal tuo allenatore!»
« Juls, sei un negriero!» mormorò Benji, afflitto.
Julian gli lanciò un’occhiata altera.
« Hai detto qualcosa?» chiese. Un suono sordo e metallico giunse ad annunciare che c’erano visitatori alla porta, interrompendo sul nascere il piccolo screzio tra i due ragazzi.

20.32 P.M.

« Uffa, però! In ritardo proprio la prima sera che passo con Philiph! Non è giusto!» sospirò Jenny, stringendosi al petto un piccolo involucro di carta lucida.
« Dai, è inutile stare a rimuginare sul latte versato!» replicò Amy, posando una mano sul braccio dell’amica con fare comprensivo.
« L’importante è che finalmente siamo qui!»
In quel mentre il portoncino blindato s’aprì, con un quasi impercettibile cigolio dei cardini.
« Benvenute!»
La voce che le accolse era fresca e cordiale, ed entrambe la conoscevano bene.
« Ciao Philiph!» lo salutò Amy, mentre Jenny trovava riparo tra le sue braccia, rischiando di schiacciare il misterioso pacchetto.
« Ciao Amy!» rispose Philiph, accarezzando con tenerezza i capelli morbidi di Jenny.
« Finalmente siete qui!» esclamò bruscamente una voce maschile, affacciandosi sul pianerottolo.
« Ciao Juls! Sì, anch’io sono felice di vederti!» replicò Amy, avvicinandosi a lui e prendendolo per un braccio.
« Che ti dicevo, Jen?» aggiunse, ammiccando verso l’amica.
Jenny sorrise, divertita, e né lei né Amy fecero caso alle espressioni disorientate di Philiph e Julian.

A raccontarlo in giro non ci crederebbe nessuno... Nel giro di due minuti sia Amy che Julian hanno detto la stessa identica frase, e nessuno dei due era a conoscenza che l’aveva già pronunciata o l’avrebbe pronunciata l’altro... Come si dovrebbe chiamare un caso del genere? Telepatia?

« Come mai così in ritardo? Sei sempre molto puntuale, Amy...» domandò Julian.
Il suo tono di voce non conservava più nulla della repentinità di poco prima. La grazia di Amy aveva il magico potere di far riaffiorare in lui il buonumore.
« È tutta colpa di quell’imbecille dell’amministratore del mio condominio, che è passato a ritirare la quota mensile proprio quando stavamo uscendo, e non contento ci ha tenuto venti minuti buoni a fingere di essere interessate alle sue stupide chiacchiere!» rispose Amy, ancora stizzita.
« Secondo me quel tipo là ha un debole per te, Amy!» commentò maliziosamente Jenny.
« Davvero?» chiese Julian, improvvisamente distaccato.
Amy non si rese conto del suo cambiamento, ma Philiph sì, e scambiò con Jenny un rapido sguardo d’intesa.
« Ma no!» replicò Amy, placidamente. « E poi quello lì ha almeno vent’anni più di me, la calvizie incipiente e un’orrenda Multipla a cinque porte! Mi ci vedete con uno così?»
Julian sorrise, sollevato, e le rivolse uno sguardo ardente, posando la mano bruna e nervosa sopra quella piccola e delicata di lei.
« Tesoro, non buttarti in questo modo! Per te ci sarà sempre un ragazzo bellissimo, sveglio, atletico e con una straordinaria Mercedes Classe E**! Benjamin Price al tuo servizio, Carotina!» intervenne una voce ben nota.
Julian si portò istintivamente la mano alla fronte, mentre Amy gli rivolse un caloroso sorriso.
« Ciao Benji!» lo salutò.
« Ave a voi, incantevoli fanciulle!» rispose lui.
« Ave a te, Mr. Price!» ribatté Jenny.
« Che ci fai qui, Price?» chiese Julian, vagamente accigliato.

Ma è possibile che ogni volta che c’è Amy ad una distanza inferiore ai dieci metri lui si debba sempre materializzare dal nulla come il fantasma di Canterville?!

« Beh, io, Tom e Lola ci stavamo chiedendo se per caso non vi avessero rapito gli alieni o un calamaro gigante non vi avesse mangiato come antipasto... E’ più di un quarto d’ora che siete qua fuori! C’è qualche festa per caso?»
Philiph e Jenny soffocarono una risatina imbarazzata.

Ci siamo dimenticati completamente di Lola, Benji e Tom!

Da non crederci.... Abbiamo accantonato il fatto che questa non è un’uscita a quattro, ma una cena tra amici!

Benji lanciò loro un’occhiata penetrante, scrutandoli in volto.
« Beh? Vogliamo rientrare o mi tocca trasferire qua il divano?»
Amy rise, e la sua risata argentina risuonò nel pianerottolo, del tutto simile al tintinnio della pioggia sui vetri.
« Va bene, mio capitano! Ora ci siamo ricordati che questo non è il posto più adatto per fare conversazione! Precedici tu e indicaci la strada!» disse.
« Come se non ci fossi venuta almeno mille volte!» la punzecchiò Philiph.
« Insolente!» esclamò Amy, fingendosi offesa.
« Uhm... Chissà cosa stanno facendo quei due...» rifletté Benji. «Per venirvi a cercare ho lasciato Lola sola con Tom, con l’unica compagnia dei raggi di luna e della brezza primaverile... Che dite, mi devo preoccupare?»
« Benji... Tom non è come te!» precisò Jenny.
« Ah, è vero! A volte me ne dimentico!» rispose Benji, visibilmente sollevato.
Il gruppetto scoppiò in una risata irrefrenabile, mentre Julian accostava la porta alle sue spalle. Nella penombra del corridoio una sagoma s’avvicinò cautamente al gruppetto di ragazzi diretti verso la veranda, fermandosi vicino Philiph ed emettendo un cupo ma sonoro ronzio.
« Ma che cosa...?» domandò Jenny, stranita, considerando le dimensioni dell’ombra e formulando mentalmente diverse ipotesi sulla sua natura.
« Tesoro! Era ora che ti facessi viva! Eppure ti avevo detto che stasera avrei dovuto presentarti una persona importante!» esclamò Phil, chinandosi verso la figura.
Jenny strabuzzò gli occhi per la meraviglia.

Ma che fa? Con chi diavolo sta parlando?!

Julian premette l’interruttore della luce nello stesso istante in cui Philiph si rimetteva in piedi, stringendo uno strano involto tra le braccia.
Il volto di Jenny si trasformò, passando dall’attonito stupore alla tenerezza. Philiph sorreggeva un batuffolo bianco, un gattino dal pelo lungo, aggraziato e carinissimo, con gli occhi d’un verde brillante, un bel paio di lunghi baffi, e un delizioso collarino di velluto azzurro con due campanellini d’argento, che si godeva beato, ronfando soddisfatto, le coccole e le grattatine che Philiph gli prodigava sotto il mento.
« Ma quanto è carino!» saltò su Jenny, andando in visibilio e tendendo la mano a sfiorare il capino morbido e vellutato del micino.
« CarinA, prego! E’ una lei, e si chiama Candice! Vuoi prenderla in braccio? E’ molto socievole!» rispose Philiph, passandole con delicatezza quel corpicino caldo e minuto, che lei strinse tra le braccia con cura.
Amy le si affiancò e lisciò il pelo soffice e candido come la neve di Candice, che si voltò verso di lei, e, riconoscendola, accostò il suo nasino umido alla guancia della ragazza, in un bacio affettuoso.
« Ma quanto siamo carine oggi! Ci facciamo ogni giorno più belle, eh Candice?» mormorò Amy, stringendo con le mani la testolina della micina e carezzandola dietro le orecchie.
Candice si liberò dalla stretta di Jenny, e con un discreto balzo si aggrappò alla camicia di Amy con le unghiette aguzze.
« Mi sa che vuole che la tenga tu!» sorrise Jenny, staccando la gattina dal braccio di Amy e passandola con attenzione all’amica.
Candice fu pienamente appagata del cambiamento, e lo dimostrò ronfando con vigore, da sopra la spalla di Amy.
« Piccola opportunista!» chiosò Philiph, stuzzicandole le orecchie con il mignolo.
« Beh, ma è normale che si sia affezionata ad Amy, la vede spesso, e come se non bastasse ogni volta la coccola e la vizia in un modo a dir poco esagerato!» intervenne Julian, lanciando però uno sguardo intenerito, verso la ragazza e la micina, che smentiva completamente il tono di disapprovazione delle sue parole.
« Che ci posso fare? Io adoro i gatti, e più di tutti adoro Candice!» replicò Amy, dando un tenero buffetto sulla testolina della micia.
« Oh Philiph, è bellissima!» disse Jenny, con enfasi. « Perché non mi hai detto che avevate per casa un gattino?»
« Noi non abbiamo per casa un gattino, lui ha per la camera un gattino» la corresse prontamente Benji.
« E già, tecnicamente Candice sarebbe mia» spiegò Philiph. « La sua cuccetta è in camera mia, e mi occupo io di lei, la porto dal veterinario e spettano a me tutte le incombenze, chiamiamole così, sgradevoli. Però tutte le mattine Tom le mette il latte nella sua ciotola, diciamo che fanno colazione insieme, Juls le compra i croccantini e tutte le sere guardano insieme i cartoni animati delle 8.00, devi vederli, sono uno spettacolo!, ed Amy le ha comprato il collarino con i campanellini e passa ore a spazzolarla e a giocarci insieme, tutte le volte che viene a trovarci. Da questo punto di vista non ho ancora capito bene se viene a trovare Julian o a far visita a Candice.»
« Che domanda ovvia!» rispose Amy. « Vengo per entrambi.»
Poi, capendo di essere caduta con tutte le scarpe nel tranello tesole da Philiph, si corresse, arrossendo lievemente d’imbarazzo:
« Cioè vengo per vedere Philiph, Benji, Julian e Candice!»
Philiph rise, senza preoccuparsi minimamente di nascondere il suo divertimento, e Julian, imbarazzato, si sfregò il naso, come faceva sempre in queste situazioni. Anche Jenny sorrise, ma si preoccupò anche di riportare la conversazione nei binari originari.
« Phil, come mai non mi hai detto che avevi Candice?»
« Avrei voluto farti una sorpresa e “presentartela” ufficialmente durante le vacanze di Pasqua***, che in linea teorica avresti dovuto passare qui in Giappone... Ma visto che la sorpresa l’hai fatta tu a me, venendo qua prima del tempo e senza farti annunciare, permettimi questa piccola rivincita!»
Philiph le passò un braccio dietro la schiena, attirandola a sé, e le baciò una tempia.
Entrambi non si accorsero che Amy, sebbene fosse assorta nel vezzeggiare Candice, li guardava, e i suoi occhi erano velati da una nebbia di tristezza.

Non sono gelosa di te, Jen, davvero... E’ solo che vorrei essere stretta anch’io in quel modo dalla persona che amo... E nonostante il cuore mi sanguini, non ho mai avuto una briciola dell’amore che invece hai tu da più di sette anni... Sei una ragazza fortunata, Jenny Morgan...

Amy strinse saldamente Candice sotto le zampine anteriori e se la portò all’altezza del volto, fissando negli occhi la micina, che le posò con curiosità una zampetta su una guancia.
« Se penso che qualcuno ha osato abbandonare una simile meraviglia mi sento male...» sospirò, afflitta.
« Coooosa? L’hanno abbandonata?» chiese Jenny, con un tono di voce più alto di almeno due ottave del necessario. Dal suo viso trapelavano chiaramente lo sdegno e la rabbia.
« Proprio così!» confermò Benji, accostandosi a Amy e Candice e posando la sua grande mano da portiere sopra la testolina della gattina, che, lesta, gli leccò l’indice con la piccola lingua rosea.
« Non ci si crede, eppure è vero!»
« L’ho trovata un pomeriggio, circa un mese e mezzo fa, uscendo dall’università» spiegò Philiph. «Ero in moto perché di mattina la giornata era splendida, invece nel pomeriggio si era rannuvolato improvvisamente e prometteva di piovere. Ero circa a metà strada, quando ho sentito un lamento che stringeva il cuore. Ho frenato, e mi sono voltato. Nel marciapiede, dentro un vecchio scatolone di cartone, c’era Candice, intirizzita dal freddo e spaventatissima. Nella mia vita mi sono innamorato solo due volte, e la seconda volta è stata di Candice. L’ho presa che tremava tutta, poverina, me la sono messa dentro il giubbotto e me la sono portata a casa.»
« Avresti dovuto esserci, Jenny!» concluse Julian. « Me li sono visti arrivare a casa all’improvviso, lui bagnato fradicio, perché nel frattempo era scoppiato un acquazzone, e lei che, terrorizzata dai lampi, oltre che da tutte quelle novità, si era aggrappata con tutte le sue forze al maglione di Phil e non voleva saperne di staccarsi. Una scena che sarebbe stata buffissima, se non fosse stata anche tremendamente seria. Beh, il resto della storia lo conosci. Candice è stata adottata ufficialmente in “casa Price” -le ultime due parole erano state pronunciate con un’intonazione stranamente familiare- ed è diventata un membro della nostra strana famiglia!»
« Quindi ce l’avete solo da un mese e mezzo?!» rifletté Jenny.
« Eh già» confermò Benji, sottolineando le sue parole con un vigoroso cenno del capo.
« E’ strano... Eppure Candice sembra grandicella...» notò Jenny.
« Ha circa sei mesi» precisò Julian.
« Ma allora...» mormorò Jenny, spalancando gli occhi.
« Ha avuto un’altra famiglia prima di noi, che però dopo poco tempo si è stufata di lei e l’ha buttata via come una scarpa vecchia, a morire ad un angolo di strada» sbottò Philiph, visibilmente irritato e con gli occhi che mandavano lampi, esternando il pensiero di tutti, che era però troppo orribile e allo stesso tempo troppo assurdo anche solo per venire pronunciato.
« Però adesso Candice sta bene, ha trovato voi» disse Amy con dolcezza, carezzando la micetta, la quale sembrò aver capito le sue parole e raddoppiò le fusa.
« Ora però, amanti degli animali, facciamo questi quattro passi che mancano per arrivare in veranda, o veramente Lola e Tom dovranno mandarci a cercare!» sorrise Julian, dando il buon esempio e incamminandosi verso la sala.

20.58 P.M.

Lo sguardo di Lola si alzò a ricevere i ragazzi che, in un allegro capannello di voci, varcavano la soglia della veranda.
« Benvenute! Amy... Jenny...» le accolse Tom con calore, alzandosi in piedi e avvicinandosi alle due ragazze.
Lola si affiancò a lui, e regalò alle due ragazze una dolcissima espressione degli occhi bruni, che si espanse lungo il viso fino a raggiungere le labbra, piegate in un timido sorriso.
« Ciao Tom! Lola, piacere di rivederti!» rispose allegramente Jenny.
« Ciao Tom!» lo salutò Amy, sporgendosi leggermente in avanti e sfiorando con le labbra le gote del ragazzo. Candice, che non gradì affatto quella manovra, poiché aveva rischiato di essere schiacciata, manifestò la sua presenza con un sonoro miagolio di protesta.
« Sssh, buona piccola! » la rassicurò Amy.
« Ciao Lorelei!» aggiunse, accostandolesi e baciandole entrambe le guance con la stessa calda affettuosità con cui poco prima si era avvicinata a Tom. E questa volta non causò vibranti rimostranze da parte di Candice.
« Sei arrivata da molto?»
« Circa un’ora» rispose Lola, mentre un soffuso rossore di piacere le imporporava il volto, lanciando un’occhiata intenerita e curiosa verso Candice, che dimostrò di gradire tutte quelle attenzioni e cercò di afferrare l’indice della ragazza per portarselo alla bocca e magari mordicchiarlo un po’.
« Quant’è carino!» soggiunse, lasciando che Candice le stringesse la mano tra le zampette morbide.
« E’ una femminuccia, e si chiama Candice! Il perché del nome mi sembra ovvio!» rispose Amy, ridendo e carezzando con Lola il pelo candido e soffice della micietta.
« Beh, mica tanto! Gli ho dato questo nome per almeno tre ottime ragioni!» intervenne Philiph. « Una di tipo fisico, che è quella alla quale vi state riferendo; un’altra di tipo psicologico, perché ha un carattere dolcissimo e giocoso, anche se un po’ dispettoso, come tutti i gatti; e la terza è più intima, che non ho intenzione di dirvi! Se ci arrivate da sole, tanto meglio, ma io non svuoterò il sacco!»
« Uffa, sei proprio come Candice: dispettoso come un folletto!» ribatté Amy. « In ogni caso, credo d’intuire il terzo motivo... E’ forse legato a Jenny?»
Philiph non rispose, ma assentì con il capo. D’istinto lo sguardo di Lola, Jenny e Philiph, andò a cercare la ragazza, che, gli occhi ridenti, chiacchierava animatamente con Julian, Tom e Benji.
« Ahi ahi! Abbiamo tardato solo noi!» udirono che diceva.
« Lola è stata estremamente puntuale» puntualizzò Julian, trasportando una grossa sedia di vimini e posandola vicino al tavolo.
« Alle otto precise era già qui» confermò Benji, sistemando una sedia pieghevole.
« Evidentemente non si è attardata a rimirarsi allo specchio mille volte» aggiunse Tom, rivolgendo ad Amy e Jenny uno sguardo intriso d’ironia.
« Ehi, un momento!» saltò su Jenny, mentre prendeva posto su una sedia, e Philiph si sedeva alla sua destra.
Il ragazzo si chinò a baciarle il collo, scostando appena con il naso le folte ciocche di lei.
« Il ritardo non è dipeso da noi» precisò Amy, accomodandosi sulla poltroncina di vimini e accavallando le lunghe gambe.
Julian, in piedi dietro di lei, posò le mani sullo schienale della stessa, sorprendendosi, per la seconda volta nello stesso giorno, a fissare con intensità la sua migliore amica dai tempi delle elementari, meravigliato dalla lattea opalescenza della sua pelle, che poteva appena lambire con la punta delle dita.

Che diavolo sto facendo?! Amy... Non posso provare queste sensazioni proprio per te! Siamo cresciuti insieme come fratelli, ho perso il conto di tutte le volte che ti ho vista in costume da bagno, senza che per me facesse differenza se indossavi un succinto bikini o la tenuta da Babbo Natale, e adesso fremo solo perché ti ho sfiorato il collo?! Non posso provare realmente quello che credo di provare... Eppure... Amy, perché sei così bella? E io, perché me ne sono accorto? Sarebbe stato meglio se avessi continuato a non rendermene conto, com’ero riuscito a fare per tanti anni...

Amy, ignara del tumulto che s’agitava nel ragazzo alle sue spalle, continuò a parlare con pacatezza, giocando con Candice.
« Per qualsiasi tipo di reclamo, rivolgetevi all’amministratore del mio condominio! Quel tipo mi piomba in casa sempre nei momenti meno opportuni!»
« E’ vero!» ribadì Jenny. « Abbiamo aperto la porta per uscire, e ce lo siamo trovato di fronte! Cosa dovevamo fare?»
« Visto che ormai era lì, ho pagato la quota mensile, così almeno per un mesetto non ha più scuse per presentarsi da noi!» concluse Amy, filosoficamente.
Fece una piccola pausa, lanciò un’occhiata enigmatica a Jenny e riprese:
« E per di più durante tutta la strada da casa fino qui Jen non ha fatto altro che lamentarsi! “Proprio oggi doveva venire a rompere quell’idiota! Grrrr, se lo avessi in mano ora lo strozzerei! Arriveremo a casa dei ragazzi con quasi un’ora di ritardoooooooooooo! E pensare che volevo che fosse tutto perfetto per la mia prima sera con Phil! Oh, Philiph!”»
L’imitazione di Amy dell’amica era davvero gustosa, e tutti i ragazzi, compreso Philiph, scoppiarono in una fragorosa risata, mentre Jenny arrossiva fino alla radice dei capelli.
« Amy! Brutta delatrice che non sei altro!» sbottò, lanciando un’occhiata truce verso Amy; reazione, questa, che ebbe come unico effetto quello d’aumentare l’ilarità dei ragazzi.
Tom si lasciò cadere nella stessa sedia che aveva occupato fino a pochi minuti prima, il corpo scosso dai sussulti delle risa, la fronte posata tra l’indice e il pollice della mano destra, quasi a sorreggere il capo.
« Vi chiedo scusa, ragazze!» riuscì ad articolare tra una risata e l’altra. « Ma sapete, avendo in casa un elemento che si ferma a pettinarsi le sopracciglia ogni volta che incrocia uno specchio, credo di essere giustificato, non credete?!»
« E chi sarebbe quest’elemento?» domandò una voce che ancora non aveva parlato.
Istintivamente tutti si voltarono verso di essa, e videro Benji semisdraiato sulla tavola, con la testa appoggiata sulla mano sinistra chiusa a pugno, che, apparentemente disinteressato alla conversazione, fissava con intensità, trastullandosi con il nastro che lo chiudeva, il piccolo pacchetto morbido dalla carta lucida, il quale era stato momentaneamente posato da Jenny.
« Guardati un po’ allo specchio, giusto per rimanere in tema!» replicò prontamente Philiph, con un gran sorriso.
« Ma si può sapere che stai combinando?» domandò Julian, perplesso.
« Questo pacchetto è, come dire, interessante... » rispose Benji, senza scomporsi.
« Lo posso aprire?» aggiunse, fissando Amy e Jenny con occhi speranzosi.
« Scordatelo!» intervenne Tom. « Se là dentro c’è quello che penso, vanno mangiati DOPO cena, non PRIMA!»
« E tra l’altro vanno messe in frigo, visto che sono pastine fresche!» commentò Amy. « Scusate ragazzi, visto che so bene dov’è la cucina, con il vostro permesso vado a fare in modo che si conservino! Già saranno tutte schiacciate...»
Amy lanciò un’occhiata di disappunto al pacchetto, e si diresse verso il soggiorno.
« Sto morendo di fame! E voi sembrate più interessati alla conversazione che alla cena!» piagnucolò Benji, afflitto, osservando mestamente Amy che si allontanava.
« Intanto propongo di telefonare alla pizzeria senza perdere altro tempo» interloquì Julian, pratico come sempre, rientrando dal soggiorno con il cordless e la rubrica del telefono in mano. « Pizze singole o giganti?»
« Giganti! Con tutto il possibile sopra!» replicò Benji.
« Voi che ne dite?» chiese, abbracciando con lo sguardo gli altri ragazzi.
« Per me vanno bene le giganti» rispose Philiph. « Tu che ne dici, zucchero?»
Lola e Amy si guardarono in viso, ed un’espressione eloquente si dipinse nei loro volti, accentuata da un brillio malizioso nelle iridi di entrambe. Avevano compreso cosa aveva voluto dire Philiph poco prima, e si erano voltate per comunicarlo all’altra, salvo poi scoprire che anche lei aveva intuito il significato delle parole di Phil.

Candice... Zucchero... Certo, è tutto chiaro! Philiph ha voluto mettere in relazione il nome della sua micetta con il soprannome con cui chiama Jenny! E’ un ragazzo molto dolce...

Jenny mi aveva parlato di un soprannome che Philiph le aveva dato, anche se non mi aveva detto quale... E Philiph prima ha detto di essersi innamorato solo due volte, nella sua vita... La prima volta di Jen, e la seconda volta di Candice... Ha voluto collegare i suoi due amori, in qualche modo... Quant’è tenero!

« Approvo e sottoscrivo le giganti» ribatté intanto Jenny, ignara della piccola scoperta delle due ragazze, sorridendo felice, appoggiando il mento sopra il braccio di Philiph, che le cingeva il collo, mentre il ragazzo l’abbracciava da dietro.
« Come sopra anche per me» confermò Tom. « Tu, Lorelei?»
« Pizze giganti! Le preferisco a quelle standard! Sono più... ehm... sostanziose?!» squittì Lola, sistemandosi dietro l’orecchio una ciocca di capelli, che la brezza, fattasi pungente e insistente a causa del lento avanzare della notte, si ostinava a sbatterle sul viso.
« Parole sante, ragazza, parole sante!» chiosò Benji, avvicinandosi a lei e stringendole con foga una mano, quasi a volersi congratulare. « Per fortuna noto che non sono l’unico a ricordare uno degli elementi fondamentali nella vita di un uomo... e di una donna.... IL CIBO! Questi qua vivono d’amore -con un gesto del capo indicò Philiph e Jenny- Julian si nutre con l’energia che succhia via a noi poveri sottoposti, durante i suoi assurdi allenamenti, Amy è una creatura soprannaturale che non ha bisogno di pensare a cose materiali come il cibo, Tom mangia calcio e arte... L’unico che si rende conto che è impossibile vivere d’aria sono io!»
« Avete assistito allo show di Benjiamin Price, altrimenti conosciuto come “Il Buffone della Morrison”!» replicò Philiph, mentre le labbra gli si piegavano in un sorriso ironico.
« Che vuoi, Callaghan?» sbottò Benji, lanciandogli uno sguardo torvo.
« Il digiuno ti fa sragionare!» rispose Philiph.
« Complimenti per essertene accorto! Che dire, sei veramente sagace!» ribatté Benji.
Lola soffocò una risata, l’ennesima quella sera, che le salì spontanea alle labbra allo scorgere Benji e Philiph che si osservavano in cagnesco, ed evitò di guardare Jenny e Tom in volto, scarlatti sulle guance per lo sforzo di trattenere come lei le risa, che altrimenti sarebbero volate via con ali di farfalla a tutti e tre.
« Ok, ragazzi, direi che ci siamo! Pizze giganti per tutti!» disse Julian allegramente, entrando nella veranda in compagnia di Amy.
L’aveva raggiunta in cucina per chiederle il suo parere sulla cena, e nessuno dei ragazzi rimasti sulla terrazza l’aveva scorto mentre si allontanava.
« Beh? Che succede qui?» domandò Amy, annusando nell’aria qualche traccia di nervosismo e avvicinandosi al capannello degli amici con espressione preoccupata.
« Ma niente, i soliti piccoli screzi tra Ben e Phil!» rispose Tom, rassicurandola. « Se questi due non s’accapigliano almeno tre volte al giorno la notte non riescono a dormire bene!»
« Non è assolutamente vero! Che cavolo stai dicendo, Tom?» ribatterono Benji e Philiph, all’unisono, strabuzzando poi gli occhi e osservandosi straniti.
« Visto? Questi due vanno d’accordo solo quando si tratta di dare addosso a qualcun altro!» concluse Tom, divertito.
« Forse capita perché sono troppo simili!» intervenne Lola, facendo sentire chiaramente la propria voce forse per la prima volta in tutta la serata.
« Io e mio fratello Freddie abbiamo spesso piccoli contrasti, e il motivo è semplice: abbiamo due caratteri per alcuni aspetti molto simili, e finiamo per innervosirci a vicenda. Personalmente vado più d’accordo con chi è diverso da me, piuttosto con chi mi è più affine caratterialmente. Ne ignoro il motivo, ma mi trovo più a mio agio con persone che hanno un’indole non dico opposta, ma abbastanza differente dalla mia. Chissà, forse è così anche per loro due!»
« Uhm, hai dato una spiegazione davvero interessante, Lola!» commentò Julian, guardandola sorpreso.
Tom le sorrise, dandole un affettuoso buffetto sulla testa.

Lola... Sei una ragazza sorprendente! Riesci a sciogliere i nodi più intricati con facilità...Ti è bastata qualche ora trascorsa in nostra compagnia per comprendere di noi più di quanto potessi immaginare... Forse anche tu, come me, osservi il mondo con occhi assorti? Possiedi il dono di una sensibilità eccezionale...

« Effettivamente Phil e Benji hanno più cose in comune di quello che potrebbe sembrare...» rifletté Amy.
Benji e Philiph si scambiarono un’occhiata incuriosita, e Phil, inarcando le sopracciglia in segno di diniego, domandò:
« Ah sì? E cosa avremmo in comune io e Mr. Simpatia?»
« Per prima cosa siete due sbruffoni attaccabrighe» replicò Jenny.
« Jenny!» esclamò stupito Philiph, guardandola accigliato.
« Anche se sei il mio amore, non sono mica cieca riguardo ai tuoi difetti, sai?» rispose prontamente Jenny, regalandogli un dolce bacio sulle labbra per ammansirlo un po’.
« Gli exploit di Mr. Simpatia... ehm, volevo dire Benji, sono noti a tutti» intervenne Julian, ridendo sotto i baffi dello sguardo truce che Benji gli aveva rivolto, sentendosi appellare per la seconda volta nel giro di pochi attimi “Mr. Simpatia”.
« Ma anche tu ne hai combinate, eh Philiph?»
Philiph scosse la testa con decisione; era in evidente disaccordo con le parole di Julian.
« Dai Phil, eravamo tutti presenti quando a Yomiuri Land tu e Mark Lenders ve le siete date di santa ragione in mensa!» precisò Tom.
« Mark Lenders! Mr. Correttezza! Ha iniziato lui, mi ha dato un pugno!» replicò Philiph.
« Certo, e tu glielo hai restituito! E’ stato solo uno scambio di favori, eh, Rocky?» celiò Benji.
« Esattamente, proprio come tutti quelli che vi siete contraccambiati voi, ogni volta che vi trovavate ad essere nel raggio di cinque chilometri distanti l’uno dall’altro!» ribatté Philiph, acidamente.
« E allora vedi, è come diciamo noi! Cozzate perché vi somigliate troppo!» concluse Amy, filosoficamente.

21.43 PM

« Ok, allora vi aspettiamo!» disse Julian, premendo il tasto del cordless che interrompeva la comunicazione.
Immediatamente sei paia d’occhi lo fissarono intensamente.
« Quando arrivano le pizze? Sto morendo di fame» chiese Jenny, prevenendo gli altri ragazzi e dando così voce alla domanda che era salita alle labbra di tutti.
« Fra un’ora» replicò Julian, stancamente, passandosi una mano tra i capelli.
« Un’ora?! Stai scherzando?!» saltò su Benji, allarmato.
« Ti sembra la faccia di uno che scherza?» rispose Julian, asciutto. « Tanto per la cronaca, ho fame anch’io! Solo che hanno una montagna d’ordinazioni da soddisfare prima della nostra... Guarda un po’ alle tue spalle che ore sono! Avremmo dovuto chiamare prima!»
Benji guardò verso la pendola, e sospirò, abbattuto, incrociando le mani dietro la testa.
Si erano trasferiti nel soggiorno, scoraggiati ad indugiare nella veranda dalla pungente umidità della notte, che s’insinuava sotto gli abiti, mordendo con aghi di ghiaccio la pelle, ed ora sedevano, sparsi tra il divano e le poltrone, tranne Tom, che si era accomodato sul pavimento, sopra due cuscini.
Candice dormiva placidamente nel suo comodo cestino di vimini, in camera di Philiph.
« Eh già... Ora non ci resta che aspettare!» concluse Tom.
« Nell’attesa volete bere qualcosa?» domandò Philiph, carezzando con infinita tenerezza la tempia di Jenny, stretta languidamente a lui, il capo posato morbidamente sopra una sua spalla.
« Ho la gola secca» approvò Julian. « Cos’abbiamo, Tom?»
« Tè freddo pesca e limone, varie bibite gassate, succhi di frutta, birra...» elencò Tom, alzandosi. « Cosa vi porto, ragazze?»
« Un succo di frutta qualsiasi, va bene qualunque cosa tu abbia!» rispose Amy.
« Tè alla pesca» disse Jenny. «Mi potresti portare anche un bicchiere d’acqua?»
« Certo!» rispose Tom. « E tu, Lola?»
« Un succo di frutta va benissimo, grazie» replicò Lola. « Vuoi che ti aiuti?»
« Se non ti dispiace darmi una mano, mi faresti un favore!» esclamò Tom, lanciando un’occhiata di biasimo agli altri ragazzi, che parevano letteralmente incollati al divano e non avevano la minima intenzione di alzarsi.
« Mi fa solo piacere rendermi utile!» rispose Lola dolcemente, alzandosi con un buffo saltello e avviandosi con il ragazzo verso il corridoio.
« Se vuoi ti posso mostrare la casa, più tardi» propose Tom, aprendo la porta del salotto e cedendo il passo a lei, che lo seguiva di pochi passi.
« Oh, mi piacerebbe molto!» assentì Lola, con entusiasmo.
I due ragazzi si allontanarono e l’eco delle loro voci allegre si perse lungo il corridoio, giungendo indistinte all’orecchio di coloro che erano rimasti nel salotto.
« Sembra che vadano d’accordo, quei due» commentò Julian, distendendo mollemente le gambe sotto il tavolino.
« Pare di sì» confermò Amy, sorridendogli.

21.55 PM

La cucina dei ragazzi era ampia e luminosa, con una gran porta finestra che metteva in comunicazione la stanza con un terrazzino coperto, che dava sul cortile interno della palazzina.
Era arredata con mobili di legno chiaro di stile moderno, disposti lungo tutta la parete est della stanza, e non mancavano gli elettrodomestici, tra i quali spiccava un imponente frigorifero blu cobalto, decorato con buffi magneti, nell’angolo prospiciente la finestra. Nella parete ovest s’ergeva una credenza, di legno chiaro come gli altri pezzi dell’arredamento, nelle vetrine della quale s’indovinavano appena le sagome di piatti e bicchieri; nella parete nord, accanto alla porta, avevano trovato posto due piccole dispense a cassetti e sportelli. Al centro della stanza spiccava un massiccio tavolo di legno a sei posti, sul quale facevano bella mostra di sé un centrino ricamato e un cestino di frutta fresca, circondato da sedie impagliate dall’alto schienale.
« Che bella cucina!» esclamò Lola, facendo una giravolta su se stessa per poter osservare meglio l’ambiente.
« Sono contento che ti piaccia, ma è solo una cucina come le altre!» minimizzò Tom, sorridendo della buffa esclamazione della ragazza e della sua espressione curiosa e rapita.
« Dal punto di vista dell’arredamento, sono d’accordo con te. I mobili sono comodi e funzionali, ma disposti con armonia, e i colori riflettono la luce. Per questo è una bellissima cucina, si vede che ogni pezzo è stato scelto e sistemato con cura.»
Tom sbatté le palpebre, spiazzato dallo spirito d’osservazione della ragazza.

Lorelei... Il tuo intuito è stupefacente... Non credevo che potessero esistere persone come te, capaci di entrare nel cuore delle cose con una facilità sconcertante, come una lama calda affetta un panetto di burro senza alcuno sforzo... E sembra che non ti renda conto di questo tuo grande dono...

« Ancora una volta hai colpito nel segno, Lorelei!» disse. « La cucina è stata un regalo della mamma di Benji, che è un’arredatrice. Ha seguito personalmente il lavoro degli operai per un’intera mattinata, prima che ci trasferissimo qui, “schiavizzandoli senza pietà”, per dirla alla maniera di Benji.»
« Dev’essere una donna molto in gamba!» sorrise Lola, che ammirava immensamente tutte le donne con un carattere forte e deciso.
« Lo è!» assentì Tom, aprendo il frigorifero ed estraendone almeno tre bottiglie dal contenuto diverso, che posò sopra il tavolo.
« Lorelei, per favore, apri la vetrina sinistra della credenza e prendi otto bicchieri.»
Lola ubbidì, disponendo le tazze sopra un vassoio che aveva trovato dietro una pila di piatti, e portando il tutto a Tom. Mentre il ragazzo si adoperava a riempire i bicchieri, Lola, con le braccia dietro la schiena, osservò da vicino tutti i mobili, e sopra le due dispense vicino alla porta non poté fare a meno di notare un paniere contenente delle focacce e un tegame pieno fino all’orlo di pomodori maturi. Li osservò per parecchi secondi con un discreto interesse, e poi si voltò verso Tom, che nel frattempo stava sistemando le bottiglie in un altro vassoio, indecisa se prospettargli la sua idea.
Vincendo la sua timidezza mormorò:
« Tom... Avrei pensato una cosa...»
« Dimmi pure» rispose Tom, guardandola in viso con un’espressione incoraggiante nel volto sorridente.
« Ecco... Conosco uno stuzzichino facilissimo da preparare e che non rovina l’appetito, ma che placa solamente i primi morsi della fame, e ho visto che avete gli ingredienti per farlo... Mi chiedevo se...»
« Non aggiungere altro, ho capito. Ovviamente mi dovrai mostrare come si fa!» rispose Tom, il cui stomaco stava iniziando a brontolare in maniera piuttosto imbarazzante.

22.06 P.M.

Benji, sprofondato nella grande e comoda poltrona, le mani congiunte sul ventre, parve riflettere a voce alta:
« Potrei dare via il computer di Juls per un tozzo di pane...»
« Il computer di Juls, eh? Perché non il tuo stereo?» controbatté prontamente Philiph, tuttavia senza tracce dell’ironia beffarda che tanto spesso adoperava nel parlare con Benji.
Non l’avrebbe mai ammesso, ma poteva capire benissimo il ragazzo...
Benji sospirò e bofonchiò contemporaneamente:
« Certo... Potrei barattare anche quello!»
Con un poderoso colpo di reni balzò in piedi, e prese a misurare la stanza a grandi passi, lanciando in continuazione occhiate nervose alla pendola.
« Finirai per consumare il pavimento» lo ammonì Jenny.
« Non ci posso fare niente!» sbuffò Benji, passandosi la mano tra i capelli. « Ve l’ho detto che oggi non ho pranzato?!»
« Credo che tu mi abbia accennato qualcosa in proposito» rispose Amy. « Hai alluso a una “iena bionda e un molosso”, anche se ancora non sono riuscita a decifrare le tue parole... Sono un po’ enigmatiche, sai com’è!»
Jenny e Philiph guardarono Benji con curiosità.
« Lasciamo perdere, va’...» replicò il ragazzo, con un tono che non ammetteva obiezioni.
In quel momento entrarono Tom e Lola, entrambi con due vassoi in mano, e disposero bottiglie e bicchieri nel tavolino basso, davanti ai ragazzi.
« Tè freddo, acqua, succo di frutta...» elencò Tom. « No, sembra che non abbiamo dimenticato niente...»
« Veramente una cosa manca... Vado a prenderla!» controbatté Lola, scambiando con Tom uno sguardo d’intesa.
La ragazza uscì, e Tom si accomodò nel posto che aveva lasciato libero, sopra un cuscino vicino al tavolino, e sorseggiò il suo tè, proprio come fecero gli altri ragazzi, dopo essersi impossessati ognuno del bicchiere di propria competenza. Quando Lola tornò, reggendo in una mano un cestino di vimini, foderato con un telo di cotone, e nell’altra un pacco di tovaglioli usa e getta, la stanza era immersa nel più perfetto silenzio. Posò sul tavolino il tutto, e i ragazzi, scorgendo il contenuto del paniere, si lasciarono andare a piccole esclamazioni di sorpresa.
« Sono fette di focaccia condite con pomodoro fresco a tocchetti, un filo d’olio d’oliva e, a seconda dei casi, aglio sminuzzato o capperi» spiegò Lola, sedendosi vicino ad Amy.
Benji afferrò un tovagliolo e scelse una fetta di pane, alla quale tirò un gran morso.
« Favolosi» riuscì ad articolare tra un boccone e l’altro.
Julian, Amy, Jenny e Philiph, che avevano seguito con entusiasmo l’esempio di Benji, confermarono la sua opinione con vigorosi assensi del capo.
« Sapevo che vi sarebbero piaciuti!» esclamò Tom. « E’ stata un’idea di Lorelei!»
« Complimenti, Lola» intervenne Amy. « Sono deliziosi!»
« Mmm... Squisiti» appoggiò Jenny, sbocconcellando la sua fetta di pane e avvicinandone un pezzo alla bocca di Philiph, che lo mangiò con piacere.
« Molto buoni e leggeri» osservò Julian. «L’aperitivo ideale!»
« E’ una ricetta tua?» s’interessò Philiph.
« Veramente no... Mia madre non ha mai tempo per cucinare, a causa del suo lavoro, ma è una maga nel materializzare piatti veloci e gustosi, anche con pochi ingredienti. Mio padre dice che ha un tocco magico, e io sono d’accordo con lui. Anche a me piace cucinare, anche se sono un po’ troppo approssimativa e mi distraggo facilmente. Mi vengono bene specialmente i dolci e le torte.»
« Lola, ragazza mia, SPOSAMI!» esclamò Benji, con la massima serietà, addentando la terza fetta di pane.
Lorelei arrossì lievemente, e sorrise; Philiph sprofondò nello schienale della poltrona, le dita lunghe e affusolate che ombreggiavano parzialmente il viso, scosso da un moto di riso irrefrenabile, e Julian scoppiò in una risata aperta e contagiosa, alla quale Amy prestò molta attenzione.

Mi ha sempre affascinato la risata di Julian... Quando, in quarta elementare, mi trasferii nella sua scuola e lo conobbi, la sua risata sonora spesso riecheggiava negli spogliatoi, dopo l’allenamento quotidiano... Io attardavo apposta a svolgere le mie mansioni e lo stavo a sentire, non so perché... Forse perché mi rallegrava e mi rasserenava, durante quei giorni solitari in cui tardavo ad ambientarmi... Nonostante tutto quello che ha passato, non ha perso la capacità di ridere così... E io non sono cambiata, mi piace ascoltarlo...

« Che avete da ridere?! Sono un ottimo partito, io!» bofonchiò Benji, accigliato.
« Già, ma tu non facevi una corte serrata ad Amy?» replicò Julian, con gli occhi che gli brillavano.
« Certo! Non lo nego... Carotina, come te la cavi tra i fornelli?»
Da sotto un cuscino si udì un risolino soffocato; Jenny lo afferrò e lo tirò via, scoprendo Philiph, con le gote scarlatte e i capelli scarmigliati.
« Oh, Phil, sei peggio di un bambino!» commentò, con un lieve sospiro.
« Ecco, diglielo, Jen!» intervenne Benji, trionfante.
« Beh, comunque mi pare che è in buona compagnia!» puntualizzò Amy, con un sorriso appena a ccennato.
« Carotina, ma come fai a dire le cose peggiori con quel viso d’angelo?» domandò Benji, stupefatto.
Si alzò dalla poltrona, le si avvicinò e l’abbracciò con energia, baciandole i capelli.
« E’ impossibile avercela con te» disse, con un’intonazione dolce che Lola non gli aveva ancora sentito usare.
Amy gli afferrò una mano e gliela strinse forte, prima di lasciarlo andare a sedersi nuovamente.
Lola osservò la scena con interesse, e intuì che tra Benji ed Amy sussisteva un rapporto profondo e complesso. Di che natura, se amicizia o amore, non avrebbe saputo dirlo, ma sicuramente i due ragazzi erano molto legati tra loro. Era talmente assorta nei suoi pensieri che non si accorse che qualcuno la fissava, allo stesso modo in cui lei fissava Amy e Benji. Gli occhi le si erano schiariti in un nocciola chiaro per effetto della luce brillante del salotto, e Tom, esattamente come la mattina, si era ritrovato a guardarli, attratto dalla loro bellezza non comune. E non comune era anche Lola, per i suoi gesti, le sue parole, il suo abbigliamento, l’intera sua persona. Tom si ritrovò a studiare ogni particolare di lei, e in seguito anche di Jenny ed Amy, quasi senza rendersene conto.

Lola indossava un paio di pantaloni a scacchi beige e neri, ampi e comodi, dal grosso risvolto e dalla linea diritta, una maglietta aderente nera con un disegno della “Madonna del Cardellino” di Raffaello, un cardigan di lana a costine color tabacco e un paio di scarpe da tennis molto basse color crema, con tre bande rosso cupo su ciascun lato. I capelli, folti e lisci, divisi da una scriminatura diagonale, erano sciolti sulle spalle, in un tripudio di riflessi lucenti; il viso dai tratti delicati e gli occhi da cerbiatta erano messi in risalto da un ombretto grigio chiaro e uno scintillante gloss rosa naturale.
Il suo abbigliamento casual, frammisto alla corporatura minuta, all’altezza non eccessiva e al viso da bambina, faceva sembrare Lola ancora più piccola di quanto non fosse in realtà, tuttavia l’espressione seria e assorta del volto le donava un’istintiva maturità, confermata in seguito dalle sue parole e dai suoi gesti.

Amy indossava una longuette grigio fumo, attraversata trasversalmente da sottili venature bordeaux, che le fasciava morbidamente i fianchi appena accennati, mettendone in risalto la figura snella e aggraziata e le caviglie sottili, e una semplice camicia rosso cupo con le maniche a tre quarti, con un colletto dal taglio maschile che contrastava lievemente con la linea aderente e femminile della stessa, e un paio di scarpe bordeaux di vernice dal tacco alto e con l’allacciatura alla caviglia. I capelli ramati erano acconciati con cura, raccolti sulla nuca da una coda di cavallo, e solo due sottili ciocche sfuggivano alla stretta, accarezzando le tempie e le guance della ragazza. Il make-up era appena accennato, l’ombretto di un caldo color caffè, il rossetto rosso rubino, una pennellata veloce di fard sugli zigomi.
Amy era bella ed eterea come la protagonista di una leggenda. Ogni cosa in lei s’amalgamava in armonia; dalle mani, piccole e bianche, dalle unghie curate, agli straordinari occhi d’ambra liquida.

Jenny indossava un paio di pantaloni bianchi sportivi, dalla linea ampia e diritta, con un ricamo floreale in grigio e blu lungo la gamba destra, una maglietta rosso carminio in viscosa senza maniche e con lo scollo all’americana, un cardigan di cotone grigio chiaro lavorato a maglie molto larghe e chiuso sotto il seno da un cordoncino, scarpe con un discreto tacco e la tomaia argentata. I capelli erano stati raccolti sulla nuca e fissati parzialmente con qualche forcina, ma alcune ciocche sfuggivano alla semplice pettinatura e andavano a ricadere sulla fronte, le tempie, il collo e la schiena. Il maquillage era semplice e leggero: ombretto grigio perlato, e un filo di rossetto lucido color ruggine.
Jenny era affascinante e seducente nel suo abbigliamento semplice, che tuttavia non rinunciava ad un pizzico d’aggressività; e questo la rendeva ancora più attraente.

Lorelei... Amy... Jenny... Sono molto diverse tra loro, ma egualmente belle. Ciascuna possiede una bellezza diversa dalle altre, personale, che appartiene solo a lei...

« Ehi, Tom, sei dei nostri?»
Una voce lo distrasse dalle sue riflessioni. D’istinto si voltò, e i suoi occhi incrociarono quelli di Julian, che lo fissava con curiosità.
« Tutto bene?» gli chiese.
« Sì, sono solo un po’ stanco» rispose, chiudendo le palpebre e appoggiando la schiena al divano.
« E’ stata una giornata pesante un po’ per tutti» commentò comprensivo Philiph, passandosi una mano tra i capelli.
« E allora, per non stancarci ulteriormente e trascorrere in modo piacevole nonché istruttivo il quarto d’ora che ci separa dalla sospirata cena, propongo di rendere omaggio alla nostra gentile ospite!» intervenne Benji, alzandosi in piedi e dirigendosi verso la libreria.
« Benji, che vai blaterando?» domandò Julian, seguendo i suoi movimenti con attenzione.
« Adesso vedrai, uomo di poca fede!» replicò Benji, afferrando saldamente un libro dalla copertina gialla dall’ultimo piano della libreria.
Lo aprì nella pagina segnata da un segnalibro verde bottiglia, e iniziò a declamare, con voce chiara e squillante.

Io non so cosa può significare
L’essere così triste:
Una leggenda dei tempi antichi,
Non mi vuole uscir di mente.
L'aria è fresca e si fa buio,
E silenzioso scorre il Reno;
La sommità del monte scintilla
Nella luce del tramonto
Straordinariamente lassù
E’ seduta una bellissima fanciulla;
I suoi gioielli dorati brillano,
Pettina i suoi capelli d'oro;
Li pettina con un pettine dorato
E intanto canta una canzone
Che ha una meravigliosa,
Potente melodia.
Il navigante nella piccola barca
E’ afferrato dalla melodia con selvaggio dolore,
Egli non guarda le rocce,
Guarda solo in alto.
Io credo che le onde alla fine
Inghiottano navigante e barca;
E questo ha fatto con il suo cantare
la Lorelei.****

« Quando questo pomeriggio ci hai detto che anche Heine aveva scritto della leggenda legata al tuo nome, mi sono ricordato che avevo letto qualcosa di simile. L’ho cercata, ed eccola qua: “Die Lorelei”. Una bellissima poesia!» spiegò Benji, tornando a sedere e porgendo il libro a Lola.
« Grazie di cuore» mormorò lei, felice.
Conosceva quella poesia a memoria, perché sua madre, avida lettrice, gliel’aveva recitata innumerevoli volte, fin da piccolissima. Benji aveva avuto per lei un bellissimo pensiero.
« E tu da quando in qua hai delle idee così gentili?» domandò Philiph, stupefatto.
« Ti ricordo, Callaghan, che Benjiamin Price ha sempre delle idee grandiose!» affermò Benji, con sicurezza.
« Su questo avrei dei seri dubbi» intervenne Tom. « In ogni modo, la poesia era davvero bella, ed è stato molto piacevole e interessante il fatto che tu l’abbia letta ad alta voce in onore di Lorelei.»
« Chi l’ha scritta?» domandò Amy.
« Heinrich Heine, un poeta tedesco della prima metà dell’Ottocento» rispose prontamente Benji, anticipando Lola.
« Sei molto informato al riguardo!» commentò Jenny.
Subito dopo aggiunse, con un’inflessione petulante nella voce:
« Non ti facevo così erudito!»
« Allora, mia cara... Punto primo: non è detto che i calciatori, e in generale gli atleti, debbano essere ignoranti come capre» controbatté Benji. « Punto secondo: è il mio pane quotidiano, se ignoro queste cose non riuscirò mai a laurearmi!»
« In che facoltà sei iscritto?» chiese Lola.
« Letteratura ad indirizzo straniero*****. Orientamento inglese. Tu?»
« Arte» rispose Lola.
« Io in medicina, con specializzazione in pediatria» intervenne Amy.
« Psicologia» le venne dietro Jenny.
« Giornalismo» precisò Philiph.
« Economia******» aggiunse Julian.
« Arte, ma credo che sia inutile specificarlo!» sorrise Tom.
« Però, siamo un gruppo variegato!» osservò Amy.
« Già!» confermò Philiph, alzandosi in piedi e facendo qualche passo, stirandosi le membra. «Sono le 22.45, le pizze dovrebbero arrivare a momenti...»

DRIN DRIN DRIN

Il suono metallico del citofono si diffuse in tutta la casa, e venne accolto dai ragazzi con esclamazioni di gioia.
« Le ultime parole famose!» saltò su Benji, correndo verso la porta. « Vado io!»
« Mentre tu prendi le pizze, noi apparecchiamo la tavola, visto che ce ne siamo completamente dimenticati!» fece notare Julian, con un sorriso divertito.

24.02 P.M.

« Ahhh! Ci voleva proprio!» esclamò Benji, soddisfatto, stendendo le gambe sotto il tavolo.
« La pizza era ottima!» « Una volta tanto sono d’accordo con te!» ribatté Philiph, versandosi ciò che rimaneva di una lattina di birra in un bicchiere.
« Tagliarla si è rivelato un problema, ma la pizza era davvero buona!»
« Sei il solito testone!» lo rimproverò Jenny. « Ti avevo detto di lasciar fare a me, ma no, il signorino ha dovuto per forza tagliarsela da solo! Uno zuccone, ecco quello che sei! Si può sapere, almeno, cosa ti sei fatto alla mano?»
« Un piccolo incidente di gioco, niente di serio» intervenne Julian, notando che Philiph si trovava a disagio e indovinando che non voleva parlare a Jenny dei suoi problemi con Dawson, almeno per il momento.
« Già, è una sciocchezza» appoggiò Philiph, recuperando all’improvviso la sua presenza di spirito. « Durante uno scontro in area, Kevin mi ha pestato la mano con i tacchetti delle scarpette.»
« Ahia! Chissà che male, povero Phil!» commentò Amy, che aveva una soglia del dolore molto bassa.
« Non è niente, sul serio. Mi hanno messo solo tre punti di sutura... E’ poco più di un graffio!» la rassicurò Philiph.
« Insomma, tre punti di sutura non sono pochi...» intervenne Lola, con il suo consueto tono di voce da cardellino. « Quand’ero piccola, mentre giocavo, mi ferii ad una gamba, e all’ospedale mi misero due punti di sutura. Ancora adesso ne porto i segni. Ho una discreta cicatrice, bianca e sottile.»
« Beh, ma tu eri piccola, e chissà quale dottore macellaio ti ha messo i punti... Invece la dottoressa della Morrison è molto competente e gentile, e in più ha delle mani d’oro, cosa che non gusta mai!»
« Anche quello è vero!» ammise Lola, sorridendo, divertendosi come una bambina a tagliuzzare il cartone della pizza.
« Vado a prendere il dessert!» annunciò Tom, alzandosi da tavola.
« Vuoi una mano?» si offrì immediatamente Lola.
Jenny ed Amy si scambiarono una lunga occhiata complice, e sorrisero, intenerite.
« Non è necessario, grazie. Vado e torno!» rispose Tom, varcando la soglia del salotto.
« Tom è meglio di un filippino! Puntuale, servizievole, efficiente! Con lui chi ha bisogno di una colf?»
« Guarda che ti ho sentito, Price!» urlò Tom dalla cucina.
« L’unico suo difetto è che ci sente fin troppo bene!» sospirò Benji, imbronciato.
« Uno a zero per Tom!» sorrise Philiph.
Subito dopo aggiunse, rivolto a Lola:
« Benji è l’unica persona al mondo capace di far saltare i nervi a Tom!»
Ammiccò e le sorrise.

Philiph è molto diretto... I ragazzi come lui prima mi hanno sempre intimidita... Però con lui non è così. Anzi, mi piace il suo modo di fare schietto... Forse perché nei suoi gesti e nelle sue parole non c’è traccia della volontà di mettere in imbarazzo nessuno, ma solo una sincerità assoluta... Lui è, come dire, trasparente... Al contrario di quei ragazzi che usavano la loro cosiddetta verità come arma per ferirmi e umiliarmi, e invece erano come pozzi neri...

« Ecco qua, ragazzi! E’ arrivato il dessert!» annunciò Tom, posando al centro della tavola il vassoio con i pasticcini, e distogliendo senza volerlo Lola dai suoi pensieri.
« Che meraviglia!» esclamò Benji, afferrandone uno e portandoselo alle labbra.
« Mmm... Sono favolosi!»
« Ehi, lasciacene qualcuno, però!» esclamò Julian, allungando il braccio verso i dolci.
« Fantastici!» commentò Philiph, con le labbra sporche di zucchero a velo.
Jenny rise e gliele pulì con un tovagliolo.
« Buonissimi!» cinguettò Lola, assaggiando un pasticcino alla frutta.
« Lo sapevo che vi sarebbero piaciuti!» replicò Amy. « La pasticceria sotto casa mia è una delle migliori della città! Che fortuna abitarci così vicino, vero?»
« Una sfortuna sfacciata!» rispose Tom, addentando un bignè alla crema.
« Già, infatti!» interloquì Benji. « Ma visto che queste meraviglie non dureranno tanto, visto come stanno sparendo in fretta...»
Stese la mano e si scontrò con Philiph, che aveva preso una sfogliatina alla cioccolata un nanosecondo prima di lui. Sospirò, e diresse le sue attenzioni verso una frittella alla crema.
« Dicevo... Queste delizie spariranno in fretta nei nostri pancini, e allora sarebbe meglio organizzarci per decidere cosa fare dopo cena!»
« Perché? Cosa vorresti fare?» domandò Julian, meravigliato.
« Juls, certe volte mi sembri proprio addormentato!» ribatté Benji. « Dove andare non appena avremo finito l’ultimo pasticcino! Non vorrete andare a casa, vero ragazze?»
« Veramente, io domani avrei lezione...» replicò Lola, titubante. « E tra meno di mezz’ora passa l’ultimo treno...»
« Per il treno, non ci sono problemi, Tom ti accompagnerà a casa» controbatté Benji. « Scommetto che non conosci ancora bene questa grande città che è Tokyo, non è vero? Quale occasione migliore per iniziare ad ambientarti se non un bel giretto con i tuoi amici?»
« Mi piacerebbe davvero molto... Ma...» iniziò Lola.
« Niente ma! Se ti piacerebbe venirci, allora vieni con noi! Discorso chiuso!» la interruppe Benji.
Sorridendo soggiunse:
« Lo vuoi un consiglio? Domani, per scacciare il sonno, vai alla mensa e prendi una tazza di caffè; il caffè della signora Granger è talmente disgustoso che sarebbe capace di resuscitare i morti, figurarsi se non è in grado di svegliarti!»
Lola sorrise, vinta dalla caparbietà del ragazzo.
« Verrò» disse solo.
« Hai fatto la scelta migliore, ragazza mia!» esultò Benji. « Amy, tu sei dei nostri?»
« Certamente!» rispose Amy, pulendosi le dita sporche di zucchero in un tovagliolo usa e getta.
« Perfetto! Adesso manca solo decidere dove andare e tra dieci minuti usciamo!» affermò Benji.
Aveva appena finito di pronunciare la frase, quando il suo cellulare squillò. Si alzò e lo afferrò da sopra la credenza.
« Mamma?» mormorò. « Cosa vorrà a quest’ora?»
Rivolgendosi ai ragazzi disse:
« Scusatemi!»
Ed uscì. Dopo pochi secondi il trillo del cellulare cessò e si udì indistintamente la voce di Benji che rispondeva.
« Ok, ragazzi!» interloquì Julian. « Dove volete andare?»
« Che ne dite del Blue Parrot? I cocktail sono eccezionali e fanno anche della buona musica!» propose Amy.
« E anche l’ambiente non è male, l’ideale per una seratina tranquilla! Per me va bene!» rispose Julian.
« Io ci sto, è uno dei miei locali preferiti!» acconsentì Tom.
« Non lo conosco, ma mi fido di voi!» affermò Jenny, con un sorriso.
Tom e Julian la guardarono straniti. Julian replicò, con dolcezza, ma anche con una certa aria enigmatica:
« Avrai tempo per conoscerlo, Jen!»
« Cosa vuoi dire?» chiese Philiph, stupito.
« Semplicemente che voi due non verrete con noi, stasera» intervenne Tom.
« Perché?» domandò Jenny, perplessa, delusa e un po’ stranita per il comportamento inspiegabile degli amici.
« Semplicemente perché non vogliamo rovinare la serata di voi piccioncini!» intervenne una voce alle loro spalle.
Jenny e Philiph si voltarono e videro Benji sulla soglia della cucina, appoggiato allo stipite della porta, con il cellulare stretto in mano.
« Non mi sembra così difficile da comprendere!» aggiunse, con un sorriso malizioso. « Così, mentre noi ci divertiremo, voi avrete la casa tutta per voi!»
Allargò le braccia e affermò, con sicurezza:
« Che amici premurosi che avete!»
Jenny e Philiph arrossirono, e per una delle pochissime volte da quando si conoscevano, Philiph non fu in grado di replicare alle parole dell’amico. Soddisfatto, Benji si avvicinò ai ragazzi e lanciò un’occhiata alla tavola apparecchiata.
« Come?!» esclamò con disappunto. « Le pastine sono già finite?!»
« Mi dispiace» arrossì Lola, stringendo tra le dita la carta increspata sulla quale fino a pochi secondi prima era posato l’ultimo pasticcino alla frutta.
« Vorrà dire che la prossima volta le pastine le porterai tu!» ammiccò Benji.
« Benji!» lo riprese Tom.
« Che c’è? Cosa ho fatto stavolta?!» sospirò Benji.
« Niente, non hai fatto niente!» rispose Lola, con voce dolce. « Per me sarà un piacere portarvi le paste la prossima volta che verrò a trovarvi!»
« Capito, Tom? Non fare passare troppo tempo! Anzi, Lola, sai che ti dico? La prossima volta t’inviterò io da noi! Che ne dici di domani sera?»
Lola rise di gusto, conquistata dall’irrefrenabile simpatia di Benji.

Benji sembra uno sbruffone... E forse lo è, ma solo un po’... E’ solamente un ragazzo che ama scherzare, e ha un senso dell’umorismo travolgente... E riesce anche a non essere mai volgare...

« Ragazzi, se vogliamo andare, dobbiamo iniziare a prepararci!» suggerì Amy, alzandosi e posando quattro bicchieri sul lavello.
Gli altri seguirono il suo esempio e la tavola venne sparecchiata nel giro di pochi minuti. Poi si avviarono verso il corridoio, dove indossarono il cappotto e si accomiatarono da Philiph e Jenny, che rimasero soli nell’appartamento.
« Ehi, Ben! E’ successo qualcosa di grave?» domandò Amy, mentre scendevano le scale.
« No, perché?» rispose Benji, stupito.
« Tua madre ti chiama sempre a quest’ora?» insistette Amy.
Benji rise.
« Non sempre, però è successo altre volte! Lei è, come dire, un po’ distratta... Oggi mi ha chiamato perché si era dimenticata di avvisarmi che domani sera lei e il mio patrigno mi aspettano a cena!»
« Come mai così di fretta? Non vai regolarmente a trovarli?»
« Ma sì... Però domani mi presenteranno una persona... Mamma era così agitata, dovevi sentirla! Il fatto è che è arrivata la figlia del mio patrigno, e a quanto pare starà qui per un po’!»

FINE QUARTO CAPITOLO.

*A mio parere la Multipla è l’automobile più orrenda che sia mai stata prodotta, in Italia e all’estero. Un vero pugno in un occhio!
**La macchina che usa Rei, il manager di Sana, nella serie tv de “Il giocattolo dei bambini”, “Rossana” qui in Italia.
***Ovviamente non ci sono le vacanze di Pasqua di Giappone, ma prendetemela per buona^^;;;;
****“Die Lorelei”, di Heirich Heine. Ho fatto un adattamento della traduzione, visto che quello che ho trovato era davvero brutto(non che il mio adattamento sia granchè^^).
*****Corso di laurea di mia invenzione^^. Non potevo rendere Benji come un iscritto in Letteratura giapponese, come sarebbe stato più logico. Nel caso non saprei proprio su cosa basare i suoi studi, invece così sono certa di non spararne grosse.
******Piccola incongruenza con il manga. So benissimo che Jun Misugi alle superiori ha frequentato la scuola di medicina (alle superiori? Mi sa tanto di panzana, peggiore di quelle che invento io), però non lo vedo per niente con il camice...

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