Brothers

di northernlight
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I. ***
Capitolo 2: *** II. ***
Capitolo 3: *** III. ***
Capitolo 4: *** IV. ***
Capitolo 5: *** V. ***
Capitolo 6: *** VI. ***



Capitolo 1
*** I. ***



                  Brothers.


I.


Will era seduto scompostamente sul divano della Bakery e tirava una palla da tennis contro il muro. Si annoiava ed era venerdì, l’inizio del weekend. Weekend libero, come avevano concordato qualche giorno prima tutti insieme: non c’erano prove, non c’erano esibizioni, non c’erano interviste. Non c’era niente e Will odiava non fare niente. Marianne era partita qualche giorno prima per andare a trovare i suoi genitori con i bambini, lui non era andato con loro perché prima di quel weekend avevano avuto una serie di concerti e interviste e perciò era impossibile partire o raggiungerli in tempo. Quindi l’avrebbe aspettata impazientemente a casa, lei e i bambini. Era passato dalla Bakery per prendere alcuni documenti, delle tablature per la sua chitarra acustica e per sistemare delle parti della batteria che aveva in studio. Ma che fine avevano fatto i suoi amici? Chris era partito con i suoi figli per Los Angeles per raggiungere Gwyneth che girava un film lì. Jonny probabilmente era rinchiuso in uno chalet di montagna con Chloe e i bambini, ormai lo vedevano e sentivano di rado quando non erano impegnati con la band e lo capivano, cercava di passare tutto il tempo a disposizione con la sua famiglia. Però sapeva che Guy era sicuramente libero perché non era il fine settimana in cui doveva tenere Nico e la sua ragazza era a fare un servizio fotografico in Italia. Era da tanto che non uscivano da soli tutti e due. Sorrise ricordando l’ultima volta che erano usciti, qualche mese prima. Avevano bevuto così tanto da rischiare di non tornare più a casa. Grazie a dio una delle loro responsabili assistenti si trovava casualmente lì con loro e perciò era riuscita a recuperarli in tempo.
Sorrise di nuovo. Sì, avrebbe decisamente fatto una telefonata a Guy.

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Capitolo 2
*** II. ***


II.

Prese il cellulare e compose il numero dell’amico. La linea era libera e il telefono squillava, ma non rispondeva nessuno e stava per riagganciare quando Guy e il suo accento scozzese gli risposero.

“Chi diavolo è?” attaccò quest’ultimo.

“Ma dove diamine ce l’hai il telefono? Nelle scarpe?”

“Ma stai zitto, su. Che c’è?” lo zittì ridendo.

“Ma come stai zitto! E se ti avessi chiamato per qualche problema grave o per un’emergenza? Eh? E se stessi per morire? Eh? Eh? Eh?” incalzò il batterista per sfottere l’amico.

“Ma vai a cagare, Will. Dimmi che c’è. Perché questa telefonata?”

“Mmh, niente. Mi annoiavo ed è venerdì, è il weekend” borbottò Will irritato.

“E quindi?” aggiunse Guy alzandosi dal letto per dirigersi in cucina. Era nel suo appartamento nel pieno centro di Londra. Adorava il caos di quella città. Era un semplice loft all’ultimo piano di un palazzo che gestiva la filiale londinese di una nota casa di moda.  

“Sei perspicace quanto una pentola. Ma che amico ho?”

“Scusa, mi sono appena svegliato, che diamine vuoi?” disse minaccioso.

“Scusa se ti ho disturbato, allora. Chiudo subito” aggiunse sarcastico Will. Dall’altro capo del telefono sentiva l’armeggiare di Guy con le tazze del caffè e rumore di pentole e padelle.

“Ma scusa, dove cavolo sei? Sono le due del pomeriggio!” biascicò Guy in preda ad uno sbadiglio resosi conto dell’orario quasi improponibile.

“Sono alla Bakery, dove devo essere? Ieri ho dimenticato di portar via delle cose e mi scocciava tornare a casa. Marianne non c’è e…”

“Dio, Will, sembri un bambino di cinque anni la notte di Natale. Sei tenero” ironizzò con tono piatto Guy.

“La tua sensibilità e la tua simpatia mi devastano, Guy.” 

“Dai, lo sai che scherzo. Scusa, ma non connetto ancora. Sono tornato alle sei e sono ancora mezzo rimbambito” sbadigliò pigramente.

“Io mi chiedo cosa diavolo fai in giro fino alle quattro di notte. Keshia non era partita?”

“Sì, siamo stati in giro fino alle due, poi siamo andati a casa sua e ci siamo rimasti fino alle cinque e poi l’ho accompagnata in aeroporto perché aveva l’aereo” sospirò quasi sognante.

“Sei diabetico. Ti odio.”
Da quando stava con Keshia sembrava un diciassettenne alla prima cotta.

“Oh, ma cosa vuoi.vuoi essere proprio picchiato, eh?”

“Sì, guarda. Sto morendo dalla voglia. Peccato tu sia dall’altro lato della città, idiota.”
Tra loro era sempre così: si punzecchiavano in continuazione, si martoriavano di insulti come due adolescenti stupidi però si volevano un gran bene. Ovviamente erano tutti e quattro molto uniti tuttavia con Guy c’era un legame diverso. Avevano molte passioni in comune, come quella per l’arte ad esempio. Poi erano entrambi dei festaioli quindi spesso ai vari party si trovavano insieme anche in rappresentanza dei membri mancanti che erano notoriamente più pantofolai.Se Guy aveva un problema, andava da Will, se Will doveva confidarsi con qualcuno allora sceglieva indubbiamente Guy. Spesso uscivano insieme così, solo per girare in macchina senza meta. Caratterialmente erano abbastanza distanti però si equilibravano a vicenda: Guy era timido ed introverso, mentre Will era un gran chiacchierone e coinvolgeva nella sua simpatia, tutto ciò che aveva attorno. Non che Guy mancasse di carisma, anzi, forse ne aveva fin troppo però lo usava con parsimonia, con le persone e nelle situazioni adatte. Il suo carisma lo impiegava quando suonava, infatti ogni volta che impugnava il basso era abbastanza difficile staccargli gli occhi di dosso. E non che fosse un male. Parlava poco ma quando lo faceva era interessante stare ad ascoltarlo. Will invece era un continuo flusso di parole e sensazioni. Entrambi erano varie sfumature di colori. Ecco, Will era come un astuccio pieno di pastelli e pennarelli alla rinfusa; Guy era un’ordinatissima scatola di latta con all’interno pastelli e pennarelli sistemati in ordine di colore. 

“Okay, basta fare gli stupidi, Guy. So che per te è difficile smettere perché sei così di natura, ma dobbiamo farlo per il bene della mia salute mentale o quello che ne resta” ironizzò il batterista suscitando le vivaci proteste dell’amico dall’altro capo del telefono.

“Che ne dici di passare la giornata insieme?”

“Cos’è, Champ? Un appuntamento? Sono molto lusingato ma non mi piacciono gli uomini, preferisco due belle tette.”

“Ma perché ti parlo ancora?”

“Perché mi ami! Mi hai anche chiesto di uscire...”

“Fottiti.”

“Appena posso” replicò il bassista.

“Ammazzati.”

“Sono immortale.”

“Vaffanculo” concluse Will.

“Sarò a casa tua alle cinque, tesoro. Il tempo di sbrigare alcune cose. Fatti trovare bella pronta e profumata, ti aspetto in macchina” disse Guy tra una risata e l’altra mandandogli umidicce imitazioni di baci al telefono.

“Ti farò aspettare ore” rispose il batterista chiudendo la telefonata. Finalmente Will aveva qualcosa da fare.

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Capitolo 3
*** III. ***


III.

Chiusa la telefonata con Guy, prese la bicicletta con la quale per comodità si spostava a Londra e tornò a casa per mangiare un boccone. Era indeciso se ordinare cibo cinese o giapponese – uno dei suoi preferiti in assoluto – però alla fine decise di cucinare da solo. Era un buon cuoco, forse l’unico dei quattro della band a saper cucinare decentemente. Chris e Jonny non sapevano prepararsi nemmeno un’insalata senza combinare danni o tagliarsi distrattamente le mani col coltello, mentre Guy era un asso nella pasta: ne sapeva cucinare di tantissimi tipi, tanti sapori, tanti colori e tutte ottime. Lui invece sapeva cucinare un po’ di tutto e sorrise al pensiero di Marianne che rimaneva sbalordita davanti ad una torta che lui aveva preparato per il loro terzo anno insieme. Scelse Please Please Me dei Beatles come sottofondo musicale per quell’allegro pasto e iniziò a cucinare. Aprì anche un’ottima bottiglia di vino, un vino rosso italiano. Adorava l’Italia. Terminò il suo umile pranzo ed erano da poco passate le tre. Il suo sguardo cadde sulla Playstation attaccata alla tv del salotto. 

Sono le tre e venti” pensò tra se e se lanciando un’occhiata furtiva all’orologio appeso in sala “faccio in tempo a fare una partita prima che arrivi Guy.
Così iniziò a giocare senza accorgersi del tempo che passava. Adorava giocare a calcio, adorava il calcio in generale. Spesso si perdeva con Jonny in innumerevoli partite tra squadre inglesi e, se potevano, lo facevano anche prima dei concerti, aiutava a rilassarsi. Ignorò le due telefonate che arrivarono al cellulare però si costrinse a rispondere al telefono di casa che continuava a suonare insistentemente da qualche minuto.

“Sì, pronto?”

“Sei un uomo morto. Scendi subito o ti spacco a martellate tutti i controller di quel dannato aggeggio con cui stai giocando, se mi costringi a salire”

“C-come fai a saperlo?”

“Io so tutto, William. Faresti bene a ricordartelo”
La voce falsamente gelida e arrabbiata di Guy dall’altro lato del telefono lo fece sorridere.

“Ma che ore sono? Sei in anticipo!”

“No, idiota, sono le cinque e un quarto. Ti avevo detto alle cinque, sei tu che sei in ritardo.”

“Cosa vuoi, non si mette fretta alla perfezione!”

“Non stai migliorando la tua posizione, William” continuò Guy con lo stesso tono di prima.

“Mamma mia come sei acido! Sei peggio di una donna. Arrivo, il tempo di raccattare due cose e scendo.”

“Sarà meglio.”
La telefonata si interruppe. Ridacchiando spense la Playstation, prese il portafogli, la sciarpa e il cappotto e scese da Guy. L’amico lo aspettava poggiato alla sua splendente e lucidissima Aston Martin nera, un paio di occhiali da sole a schermargli lo sguardo finto arrabbiato.

“Ciao, amico!” gli si avvicino Will dandogli una pacca sulla spalla “ancora inacidito? Forse dovresti stare un po’ al telefon-…”

“Sali, William” lo interruppe Guy.

“Si prospetta una bella giornata, insomma.”
Will andò ad infilarsi in macchina.

“Allora, che facciamo? Dove andiamo? Siamo solo noi due?”
Guy era stordito dalla raffica di domande del batterista.

“Non so, vuoi chiedermi anche un polmone già che ci siamo?”
Will continuò a fissarlo in attesa di una risposta normale.

“Mmh, sono le cinque e fa freddo e sta iniziando a fare buio. Andiamo a rintanarci nel solito posto?”
Il solito posto di Guy e Will era il pub dove lavorava Guy quando aveva bisogno di soldi per pagarsi gli studi. Era un bel posto, mai troppo pieno e mai troppo vuoto, a qualsiasi ora del giorno e della notte. Era l’unico pub dove potevano essere se stessi dato che lo frequentavano da quando andavano all’università, l’unico pub dove non erano guardati con quella mistica riverenza che di solito si riservava a personaggi fuori dal comune. Lì lavorava anche la prima cotta di Guy, una deliziosa ragazza con i capelli rossi tutto pepe di nome Dana che ogni volta che li vedeva li trattava come se fossero i diciottenni di una volta.

“Okay, andiamo lì. Ma gli altri dove sono finiti?” chiese Will.

“Non ci crederai mai ma Chloe è riuscita a portare Jonny in una SPA in mezzo alle montagne. No, dico, te lo vedi Jon stringato in candide e profumate asciugamani bianchi? Con la maschera di bellezza in faccia e i cetrioli sugli occhi?” gli disse Guy.

“Dio, che immagine. Ma cosa ti fumi per pensare ‘ste cose?!”

“Ma stai zitto e accendi la radio, va’.”
Will eseguì l’ordine e subito una leggera musica jazz si diffuse in tutto l’abitacolo. Non dissero nient’altro, come succedeva spesso, fino a destinazione.

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Capitolo 4
*** IV. ***


IV.

Il posto non era lontanissimo perciò non ci impiegarono tanto ad arrivare. La città iniziava a popolarsi e ad adattarsi alle folli notti dei weekend londinesi. Il pub si trovava vicino al college che tutti e quattro avevano frequentato, in una stradina chiusa piena di poster, graffiti e manifesti di concerti.  Entrarono, un leggero odore di fumo li accolse assieme ad una musica soft e tranquilla. La luce era soffusa e dentro c’era poca gente, il che andava benissimo per loro. 

Oh oh, guarda chi si degna di andare a trovare gli amici ogni tanto. Le due super star!”
Era Dana che – a modo suo – li accoglieva, come faceva sempre. Alcune teste si girarono a guardarli e, non riconoscendoli, tornarono alle loro birre.

Dìdì, stai zitta un po’” le disse Guy di rimando allargando le braccia in attesa di un abbraccio. Effettivamente era da un po’ che non andavano lì perché erano sempre in giro per il tour o per registrare e provare le canzoni per il nuovo album. Dana corse incontro ai due amici e abbracciò prima uno e poi l’altro.

“Allora, insomma, riusciamo ad avere un tavolo in questo postaccio o dobbiamo chiamare i nostri bodyguard?” la punzecchiò Will.

“No, guarda, Champ. Per voi due siamo al completo per i prossimi cent’anni!”

“E io che pensavo ti fossi addolcita col tempo e invece niente” rispose Will con ironica espressione addolorata.

“Anche la vostra idiozia è rimasta sempre quella, forse è persino aumentata. Beh, come vedete il pub è super pieno quindi scegliete il posto che più vi aggrada, vostre altezze” disse esibendosi in uno sgraziato inchino regale. Ridacchiando Will e Guy scelsero un tavolo non troppo illuminato. Il bassista si accese una sigaretta in attesa che Dana andasse da loro a prendere le ordinazioni. Dopo alcuni minuti la ragazza andò da loro.

“Allora, giovani – si fa per dire – cosa prendete?”

“Mmh, per me una rossa, non tu ovviamente, doppio malto. Grazie!” ordinò Guy.

“Simpatico! E tu, Champ?” 

“Per me una Gordon platinum, grazie!”

“Grazie, ragazzi. Arrivano subito! Non fate cazzate nel frattempo.”
Le birre arrivarono e non furono le uniche. Dopo un paio d’ore Guy e Will erano completamente, totalmente, irrimediabilmente ubriachi e iniziava a sentirsi. Dana li aveva salutati circa due ore dopo che loro erano arrivati e così ora c’era l’acido proprietario del pub che li guardava male. Guy ricordò la scenata che gli aveva fatto quando si era licenziato all’improvviso, e iniziò a ridere da solo mentre Will continuava a bere la sua nuova birra. Dopo un po’ le occhiatacce del proprietario iniziarono a farsi fastidiose e più pungenti perciò saldarono il conto – ben 25 sterline di birre varie e 5 sterline di cibo – ed uscirono. La frizzante aria notturna londinese si fece sentire appena misero piede fuori dal pub. Will inspirò profondamente e poi diede una pacca sulla schiena di Guy che quasi cadde. Entrambi scoppiarono a ridere.

“Amico, e adesso? Siamo stati sbattuti fuori come due vili cani” disse Guy.

“Non ci sono più le rock star di una volta! Forse dovremmo entrare e spaccare i banconi sulle bottiglie, sulle sedie” blaterò il batterista.
Guy ci pensò una manciata di secondi.

“Will, non ha senso quello che hai detto.”

“Smettila di contraddirmi, cazzo.”
Il silenzio cadde tra loro mentre facevano due passi. Improvvisamente Guy diede una gomitata a Will per fargli notare una cosa lì per terra vicino a loro.
 

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Capitolo 5
*** V. ***


V.

“Oh, Champ, guarda lì” sussurrò Guy all’amico.

“Lì dove? Non vedo niente!” urlò Will.

“Dai, stupido, stai zitto, abbassa la voce!”
Guy corse ad acquattarsi dietro un cassonetto della spazzatura e Will lo seguì con fare sospettoso.

“Sì” sussurrò Will “ma mi dici cosa devo vedere?”

“Guarda, qualcuno ha lasciato delle bombolette di vernice spray incustodite!”

“Aaaah… e quindi?”
“E quindi le prendiamo! Uhm, come si dice? È solo un prestito, no?” disse Guy.

“E come facciamo?”

“Quando te lo dico io, vai avanti fino a quell’altro cassonetto laggiù e controlla se c’è qualcuno che passa mentre io prendo le cose e poi insieme corriamo verso la macchina. Tutto chiaro?”

“Oh, sì. T-tutto chiaro, Guy” disse Will che quasi faticava a stare in piedi.

“Bene, tieniti pronto. Vai!”
Will, con tutta la dignità che si deve ad un 34enne ubriaco, si alzò, si pulì i vestiti e con le mani nelle tasche del cappotto andò verso il punto indicatogli da Guy. Giunto lì, si fermò e fece un cenno della mano a Guy che, a sua volta, si alzò e di correndo afferrò cinque bombolette di vernice a caso. Una volta raggiunto l’amico, Will aveva una faccia spaventatissima.

“Cosa succede? Che ti prende? Ti senti male?” chiese Guy.

“N-no, n-niente. Solo che si è fermato un tizio che mi ha chiesto se avessi un po’ di droga da vendere.”
La risata fragorosa di Guy riempì il vialetto deserto ricordando che erano ancora in fuga quindi, senza dire nient’altro, il bassista afferrò l’amico per il bavero della giacca ed entrambi si infilarono in macchina dove c’erano bombolette spray ovunque.

“Ma ho la faccia da drogato? Perché nessuno mi ha mai detto questa cosa? Faccio schifo.”

“Ma non è vero!” iniziò a dire Guy “è solo che… è solo che…” 

“Solo che?” lo incitò Will

“Ma che ne so. Non so cosa dirti.”

“Chissà cosa pensa Marianne di me quando mi vede! Se davvero sembro un tossico devo fare qualcosa, Guy! Hai capito? Devo fare qualcosa!” urlò Will prendendo l’amico per il bavero della giacca di pelle. Per un momento si guardarono negli occhi e poi Guy scoppiò a ridere.

“Sei un coglione. Drogato e coglione!” disse prendendo una delle bombolette di vernice e spruzzando del colore giallo sulla fronte pelata di Will.

“Ma… ?!” iniziò a dire il batterista, però Guy non gli diede il tempo di reagire perché raccolse un’altra bomboletta e corse fuori dalla macchina per evitare di distruggerla. Poco dopo fu inseguito da un Will armato di vernice spray.

“Vieni qui, maledetto!”

“Prendimi se ci riesci” gli rise dietro Guy.

“Oh, vedrai se non ti prend-… aaaah, cazzo, cazzo, cazzo. Che male!” 
Will era inciampato in un pezzo sconnesso del marciapiedi ed era caduto, ma nonostante questo si rialzò e riprese a inseguire Guy. Il bassista improvvisamente si fermò e quindi quando Will lo raggiunse andò a sbattergli addosso.
“Ma… ma cosa fai?”
Ma Guy parve non sentirlo, fissava un enorme muro di mattoni rossi rozzi. Quando si accorse di Will  lo guardò inebetito sorridendo.

“Mi viene voglia di prenderti a schiaffi, Guy. Perché cristo ridi?”
“William, non capisci. Guarda!” e sollevò la bomboletta spray verso il muro. L’amico continuava a fissare il nulla con sguardo interrogativo.

“William, davanti a noi… uhm, noi siamo pittori e davanti a noi abbiamo la tavolozza su cui dipingere questa magica notte” spiegò Guy.

“Oh…” asserì Will che non aveva ancora capito.
Dopo un minuto di silenzio parve recepire il messaggio.

“Oooh, oooh! Sì, che facciamo? Cosa disegniamo?”
Will aveva finalmente capito. Si guardarono attorno per assicurarsi che non ci fosse gente, entrambi presero una bomboletta per mano e iniziarono a darsi alla pazza gioia su quel povero muro.

“Cavolo, ora ci vorrebbe Paris a darci consigli” disse Guy.

“Beh, dai, però qualcosa abbiamo imparato. Mettiamo in pratica” suggerì Will.
E ben presto il muro iniziò a riempirsi di linee colorate, morbide e spigolose. Scritte verdi e rosse, righe bianche e forme geometriche azzurre. Improvvisamente una luce blu interruppe il loro lavoretto.

“Oh, no” si lamentò Will giratosi in tempo per vedere che una pattuglia di polizia li stava osservando dalla loro macchina.

“Dai, Will! Perché ti sei fermato? Continua” lo incitò Guy.

“Ehm, Guy? Fermati.”

“C-cosa?”
Anche il bassista si girò ed impallidì leggermente. La sbronza era improvvisamente passata ad entrambi. Qualcuno doveva dire qualcosa.

“Salve, agenti” fu il meglio che Guy riuscì a tirar fuori.

“Salve, ragazzi. Cosa state facendo?”

“Oh, ehm, niente. Avevamo trovato queste e così…” cercò di spiegare Guy.

“… e così abbiamo deciso di dipingere questo muro, sa, come facciamo con i muri nei nostri concerti” continuò Will. Guy gli diede una gomitata nelle costole per farlo stare zitto.

“Sto cercando di salvarci il culo” gli sussurrò a denti stretti.

“Concerti? Che concerti?” chiese sospettoso uno dei due agenti che ormai erano scesi e si stavano avvicinando ai ragazzi.

“Ecco, siamo un bassista ed un batterista e suoniamo nei Coldplay”

“Oh, davvero? E avete modo di provarlo?” chiese l’agente “mi dareste i vostri documenti?”
Entrambi diedero i propri documenti di identità.

“Beh, no. Sui nostri documenti c’è scritto che siamo musicisti ma non che suoniamo nei Coldplay” ragionò su Guy.

“Come immaginavo” confermò l’agente “perciò, voi due adesso ci seguite in centrale per qualche accertamento”

“Cosa?! Ma è fuori discussione! Non siamo dei criminali!” urlò Will.

“Beh, signor Champion” disse l’agente controllando i documenti “fino a prova contraria siete voi quelli che stanno vandalizzando un muro.”

“Suvvia, vandalizzare, non è un po’ esagerato?”

“Will, stai zitto, ti prego!” implorò Guy.

“E va bene, andiamo in centrale così prima chiudiamo questa storia e meglio è.”

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Capitolo 6
*** VI. ***


VI.

Gli agenti li fecero accomodare in macchina e una volta arrivati in centrale li misero in una stanza ad aspettare non prima di aver chiesto dei numeri di telefono per accertare la loro identità. Era già da un po’ che aspettavano, forse un’oretta, e Will iniziava ad essere nervoso.

“È tutta colpa tua, Guy. Già ho la faccia di uno spacciatore tossico e drogato ora sono pure un vandalo!”

“Stai esagerando.Non ci faranno niente, chiameranno qualcuno, verranno a prenderci e ci lasceranno andare”
Appena finite di pronunciare queste parole, uno degli agenti entrò per dir loro che nessuna delle persone di cui loro avevano fornito il numero, rispondeva al telefono. Questo getto Will ancora più nello sconforto.
A Guy però venne un’ idea. 

“Dana…” sussurrò dando il numero della ragazza all’agente. Dopo tre quarti d’ora, l’agente torno accompagnato da Dana che appena li vide scoppiò a ridere.

“Non ci credo” continuava a ripetere la rossa.

“Che vergogna” disse Will, mentre Guy continuava a tacere.

“Allora, agente, abbiamo confermato la nostra identità? Possiamo andare?”

“Certo, ragazzi. Non prima però di aver firmato questo documento con il quale attestate di riparare al vostro danno con 50 ore di servizi sociali dediti a pulire il muro che avete imbrattato” disse l’agente.

“Oddio, Chris ci ammazzerà” si lamentò il batterista prendendosi la testa tra le mani.

“È stata un’idea della vostra amica” disse l’agente poggiando una mano sulla spalla di Dana che annuiva sorridendo “così la prossima volta imparate!”

“Su dai, andiamocene di qui che sta iniziando a venirmi l’ansia” disse allarmata Dana. Mentre uscivano in religioso ed imbarazzato silenzio, Dana chiese se volessero un passaggio.

“No, abbiamo la macchina non lontano da qui, andiamo a piedi così prendiamo un po’ d’aria” disse Guy.

“Sicuri? Non vorrei che al prossimo angolo iniziaste a spacciare droga” ironizzò lei.

“Ecco, vedi? Sono uno spacciatore drogato!” esplose Will.
“Ma che gli prende?” chiese Dana.

“N-niente niente. Noi andiamo” disse Guy mettendo le mani sulle spalle di Will portandolo via.

“Non verrò mai più a bere con te, Rupert. Chiaro?” aggiunse il batterista.

“Certo, William. Certo”

“Ci vediamo venerdì prossimo, ragazzi?” chiese ridendo Dana.

“Sì, ti offriamo da bere. Ti dobbiamo un favore!” disse Guy. Il bassista accompagno Will a casa.

“Amico, siamo arrivati!”
Will scese senza dire una parola.

“Domani passo a prenderti allo stesso orario?”

“Sì, però facciamo che andiamo a prendere un tè a casa di mia madre.”

“Sei una checca, non riesci a reggere due giornate di alcool” lo punzecchiò Guy.

“Fottiti” disse Will chiudendo la portiera dell’auto con forza.

“Domani. Alle cinque, tieniti pronto!”
Will entrò in casa mostrando il dito medio all’amico che ridacchiando tornò a casa sua.

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