Cronache di un mondo Disney

di Axel8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Viaggio ***
Capitolo 2: *** La Regina ***
Capitolo 3: *** Il Re ***
Capitolo 4: *** La principessa delle Montagne ***
Capitolo 5: *** La Lunga onda ***
Capitolo 6: *** Menhir ***
Capitolo 7: *** Incontri ***
Capitolo 8: *** Il Vagabondo ***
Capitolo 9: *** Portoleandro ***
Capitolo 10: *** Assedio ***



Capitolo 1
*** Il Viaggio ***


PROLOGO

Freddo ed oscurità
L’accoppiata vincente!
Quella foresta non offriva altro.
Era da giorni che il Cacciatore braccava insieme a due suoi aiutanti quella gente per la foresta.
Da qualche tempo avevano iniziato di nuovo ad uscire dalla foresta, ad allontanarsi sempre di più cercando villaggi da depredare.
Tutti a sud vivevano convinti che il Grande Fiume, il più grande corso d’acqua del continente, li avrebbe relegati nelle loro fredde terre nordiche.
E per un po’ questo aveva funzionato, ed il problema di Quelli non si era più posto, andando presto dimenticato. 
Ma il fiume era l’unica vera barriera esistente.
Gli antichi tentarono di fermarli, creando un sistema di enormi fortezze lungo il corso del fiume.
Il limite lo chiamavano.
Ma di fatto riuscì solo a rallentare la caduta di quella grandiosa civiltà.
Gli imponenti bastioni in rovina che costellano la steppa sono solo spettri di quello che furono.
Per la foresta invece, il tempo non era passato.
Vecchia come le montagne che la circondavano, vecchia come il mondo dicevano.
Tra i fittissimi alberi il vento sibilava, portando lontani sussurri.
Voci antiche, echi di un grido che fu.
Rabbrividirono.
Possibile che una foresta fosse così terribile?
Si ripassarono mentalmente la loro missione, era confortante.
Vanno trovati!
Anche in reazione al freddo pungente, cercarono con più foga.
Nessuno dei tre si accorse che la foresta li stava dividendo.
Ora ognuno andava per una strada diversa.
E lentamente, la luce che filtrava dagli alberi diminuiva, diminuiva sempre più.
Iniziò sempre più a concentrarsi su ognuno di loro, lasciando il nero più fitto ad avvolgerli, a prendere la forma delle loro paure più segrete.
Danzavano intorno al loro cammino.
Finché essi stessi non si dissolsero in ombre.
Eppure il cacciatore spuntò in riva al fiume, dove era ormeggiata la barca.
Solo.
E non riusciva a capire come ci fosse arrivato.
Si voltò verso la foresta, e questa rispose con un sibilo gelido.
Terrore.
Il Cacciatore si buttò sulla barca, remò con tutta la sua forza verso la sponda opposta, e corse via al galoppo.
Raggiunse una taverna proprio sul fare del crepuscolo.
La proprietaria che stava al bancone studiò a lungo la sua irrequietudine, ma non fece domande inopportune.
Dormì sogni agitati.

Capitolo 1: Il Viaggio

Come il primo raggio di sole spuntò dal cielo, prese il cavallo e lo lanciò al galoppo.
La strada maestra così a Nord non era altro che un sentiero fangoso.
Il cavallo procedeva come una saetta, e ben presto il paesaggio iniziò a cambiare.
Le due catene di montagne parallele, che chiudevano la valle ad est ed ovest, iniziavano ad avvicinarsi.
Il Cacciatore si trovò così costretto a costeggiare il poderoso fiume.
Il suo percorso nella steppa era alquanto irregolare, a volte spariva nel sottosuolo, o si disperdeva in paludi e zone fangose.
La strada maestra per fortuna si snodava in mezzo a tutte queste insidie, aggirandole.
La notte calava, e fu costretto a nascondersi tra i cespugli per dormire.
Temendo briganti, legò il cavallo molto lontano da lui, tenendolo in ogni caso sempre a vista.
Il Grande Fiume e la strada piegarono ad ovest, seguendo le catene montuose.
Il viaggio per le steppe sarebbe durato altri due giorni.
Due giorni di assoluto nulla, montagne e freddo, eppure più si allontanava a foresta, più si sentiva il cuore leggero.
Ed ecco che arrivò finalmente al ponte del Re, un'enorme struttura che saltava con una sola grande arcata il corso delle placide acque.
Anche quello ormai era in rovina, e bisognava ringraziare il cielo se lo si passava indenni.
Si fermò la notte in taverna, e già sentiva il clima cambiare, e diventare quello mediano.
L'indomani partì sempre presto, senza più il terrore delle notti passate.
Ormai era lontana la foresta.
Finalmente la strada passò la catena di montagne costiere, ed arrivò ben presto a costeggiare il grande Mare Interno.
Assaporò fino in fondo la leggera brezza marina.
Grazie al suo particolarissimo clima, in questi posti si viveva in una specie di perpetua primavera.
Le vallate e le pianure intorno a questo mare erano piene di olivi e ginestre, pini e viti.
La culla della civiltà lo chiamano, su queste sponde nacquero, vissero, combatterono e perirono le prime grandi civiltà del mondo... Finché il baricentro politico, economico e sociale non si spostò ancora più a sud.
Eppure la qualità della vita e del cibo di queste zone non avevano eguali.
Il Cacciatore pensò che avrebbe volentieri passato la sua vecchiaia lì.
Se ci fosse arrivato.
Iniziarono ad apparire tratti di strada lastricati.
Era entrato nel tratto antico della strada, che tutt'ora aveva la stessa pavimentazione di millenni fa.
Era incredibile pensare quante persone come lui, nei secoli, erano passate su quella strada.
Immaginarne il numero gli fece venire le vertigini.
Il cacciatore avrebbe costeggiato il mare ancora per molti giorni, per poi impiegarne altrettanti per arrivare a sud.
Lo spettacolo che il Mare Interno era unico.
Dovunque si potevano trovare ancora qualche rovina, qualche segno del passato.
E la gente del posto si prendeva cura dei monumenti, tramandando il ricordo ai posteri.
Amava quei luoghi, e soprattuto la strada, lastricata e senza buche o avvallamenti.
Sti antichi dovevano essere stati ingegneri ed architetti prodigiosi per creare costruzioni di così lunga durata.
Dopo alcune notti, arrivò al primo punto di controllo delle Guardie Reali.
Avevano riconvertito un antico arco di trionfo in una specie di caserma, la strada maestra passava sotto l’arco e subito dopo le pattuglie controllavano documenti e lasciapassare.
Ormai non aveva più fretta di fuggire, così alla vista dell’arco rallentò, ed attese i suo turno di controllo.
Mentre aspettava si mise ad osservare l’equipaggiamento delle Guardie.
Ogni volta soffocava una risata, più le guardava più gli sembravano avvoltoi! Se non fosse stato per la balestra e la spada, li avrebbe scambiati per non so, comparse per uno spettacolo.
Il problema non era la corazza o l’ampio mantello viola che indossavano sopra, ma l’elmetto.
Un arnese di metallo che copriva tutta la testa e la faccia, lasciando tre fessure per occhi e bocca, aveva la parte che ricopriva il naso bombata in avanti a formare una specie di becco, e per completare l’opera la grande punta arrotondata del “becco” era colorata di arancione.
Più li guardava più gli veniva da ridere, 
Le guardie che controllavano fortunatamente non lo tenevano.
“Documenti”
La richiesta lo colse di sorpresa, ma non lo diede a vedere.
“Sono un’inviato di sua Maestà Riccardo”
Mostrò il lasciapassare.
Non era precisamente così, l’incarico era venuto direttamente dalla Regina; ma il suo nome non riscuoteva grande simpatia, ed era meglio tacere. In ogni caso il documento era firmato da sua Maestà Riccardo de’ Medici, e nessuno avrebbe avuto da dire.
“Perfetto, vai pure”
Al trotto si allontanò per la via.
Ora iniziava il terzo tratto della strada maestra, quello moderno, che accoglie tutte le strade che si dipartivano per le altri grandi città del continente, come un fiume raccoglie i suoi affluenti.
Ma la sua meta era ancora molto lontana.
Luna e sole si alternavano in cielo, mentre il Cacciatore con il suo cavallo sfrecciava per la grande via di comunicazione.
La particolarità che distingueva le grandi strade da quelle secondarie era la presenza lungo i lati di file di maestosi alberi che con le loro fronde riparavano i viaggiatori dal terribile sole meridionale.
Di fatto la prima parte del tratto moderno attraversava un deserto, di giorni torrido e di notte gelido, a causa delle correnti nordiche che scendevano lungo la valle del Grande Fiume.
La strada prese a salire per le montagne ed il Cacciatore si sentì sollevato nel lasciare alle spalle quel deserto di caldo.
Passato il valico, davanti ai suoi occhi apparvero finalmente le grandi pianure costiere, raccolte nella cosiddetta “Mezzaluna Sorridente”.
E dritto davanti a lui, slanciata verso il mare, c’era la sua meta, che avrebbe richiesto altro giorni di viaggio: Capo Disney.

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Capitolo 2
*** La Regina ***


Fu quando iniziò a sentire la salsedine tra i capelli che intuì di aver raggiunto la capitale.
Questa città infatti era stata interamente costruita su un lunghissimo promontorio, che dalla linea della costa si inoltrava nel mare per molti chilometri.
Quando gli antichi si spinsero così a sud, chiamarono questo posto finisterrae, la fine delle terre, oltre il quale esisteva solo una immensa distesa di mare.
Il Cacciatore avrebbe preferito mille volte trovarsi in quella distesa d’acqua, piuttosto che nel caos umano della periferia della città.
Ormai era entrato nell’ultimo tratto della strada Maestra, quello urbano.
Dal punto di costruzione della quinta cerchia di mura, la strada divenne lastricata di piccoli mattoni dorati, sempre tenuti a lucido, che splendevano al sole abbagliante del sud.
E come ogni grande via di ogni grande città che si rispetti, concentrava in sé tutte le manifestazioni e le attività della città.
Vi si poteva incontrare ogni genere di persona esistente, proveniente dalle più disparate città del continente: Mediani che vendevano i loro prelibatissimi cibi e vini, mercanti d’arte che esponevano i loro mille mila articoli contraffatti provenenti da Ocnet, i mercanti d’oro dell’Ovest, poi pescivendoli, fabbri, macellai, librai, aedi, ogni possibile categoria umana era lì presente.
Giunse al primo presidio cittadino della Guardia Reale, lungo la quarta cerchia di mura.
Stesso rito e stessi elmi ridicoli di sempre.
Ne avrebbe dovuti passare altri 3, più un quarto prima di entrare nel castello.
Sinceramente trovava superflua tutta quella sorveglianza, facilissima da beffare tra l’altro, cosa che puntualmente succedeva.
Ma lui, essendo al servizio della Regina... E del Re, doveva fare tutto secondo il protocollo.
Passò davanti alla piazza principale, con l’imponente basilica della Nostra Dama.
Spiccava vistosamente da tutti gli altri palazzi della città per le sue pietre scure, le guglie e gli archi rampanti.
Le due torri gemelle incorniciavano il gigantesco rosone che campeggiava sulla facciata.
Il portale d’ingresso era sorvegliato da altissime statue di marmo scuro, osservavano le persone entrare.
Al di sopra di tutte, davanti al rosone, la statua della Nostra Dama scrutava la città con i suoi occhi di pietra, e nulla sfuggiva.
Pian piano che s’inoltrava nella giungla artificiale della città, iniziò ad intravedere i castello.
Stretto all’interno di una cinta di grandi bastioni, le sue torri dai tetti blu s’innalzavano verso il cielo, con una forma allungata che dava l’idea di leggerezza.
Oltre la cinta di base, c’era la reggia vera e propria, fatta di una pietra leggermente più chiara dei bastioni, s’innalzava come un grosso edificio rettangolare, sormontato da torri, torrette, vetrate, cuspidi e guglie, tra cui la più alta, la Lancia del Sole, era interamente dorata.
Più lo guardava, più dava l’idea che fosse appena uscito da una fiaba.
Eppure, da quando era stato costruito non era stato mai preso.
Mentre ammirava distratto il castello, sentiva su di sé una sensazione di gelo.
Alzò lo sguardo sulle torrette della reggia, e sentiva che da una di quelle finestre la Regina lo aveva già visto.
Ormai altri due presidi erano passati, si stava avvicinando.
Lo sguardo di lei sempre più piantato dentro di sé.
Si ritrovò ad avere i brividi.
Magari era solo tutta una sua invenzione mentale, eppure lo sentiva vivo, come se fosse lì davanti.
Quella donna le incuteva timore.
Lui, il Cacciatore, nella sua vita aveva vissuto ogni tipo di esperienza, eppure solo lei gli inculcava quel terrore primordiale.
Ora che ci pensava, molto simile a quello provato nella foresta.
Forse troppo.
Allontanò i pensieri, ormai era arrivato al castello.
La Guardia Reale compì, di grazia, l’ultimo controllo ed entrò.
Passò il cortile interno, per entrare subito nella Reggia.
Per un attimo gli parve di sentire lo sciabordio del mare, poi le porte si chiusero dietro di lui e lo accolse un lungo silenzioso corridoio di pietra, soffitto a volte, altissimo, con stendardi gialli e verdi della famiglia della Regina, arancio e rossi de Re.
Attese davanti al portale della sala del trono, finché non gli venne comunicato che la Regina lo avrebbe accolto nel salotto privato.
Fu condotto dai domestici per sontuose scalinate, corridoi lunghissimi, ed infine una ripida scala a chiocciola che si avvitava all’interno di una delle torri.
Arrivato nella in cima, la porta si chiuse dietro di lui, e poté vedere dalle grandi vetrate l’intera Capo Disney, co la strada Maestra brillare d’oro e snodarsi tra la fitta rete di case, stretta tra il mare.
Le pareti della stanza erano coperte da scaffali di libri, il pavimento coperto da un’enorme tappeto verde e giallo, con il toro rosso al centro, stemma della casata; ed infine il grande caminetto isolato sulla parete di fondo, lontano dai libri e dal tappeto per evitare ogni possibile rischio d’incendio.
Una parte della parete accanto al caminetto ruotò, svelando un passaggio segreto, da cui uscì la maestosa figura della regina.
Nella sua verde veste di leggerissimo lino, trapuntata d’oro, splendeva di una bellezza temibile.
Si sedette dietro il tavolo posto al centro.
“Ti vedo solo”.
Era lei.
La Regina.
Grimilde Borgia.

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Capitolo 3
*** Il Re ***


"Sì sono solo, maestà".
Disagio.
"Mi pare foste in tre".
"lo eravamo...."
"Ma?"
"La foresta...."
"Alberi che uccidono?"
"Ovviamente no, mia signora, lei non..."
Stava immobile a guardarlo.
"Non può capire Maestà, quella foresta non è normale, ha qualcosa di oscuro. Io non so che fine abbiamo fatto....
"Non li hai nemmeno cercati?"
Ma come poteva spiegarglielo?
"Io...... Non... Non l'ho fatto, non ho potuto"
Era riuscito a mettere insieme delle parole.
"La foresta mi ha condotto alla riva del fiume, ed una volta fuori si è chiusa dietro me.... Non ho avuto la possibilità di cercarli..."
Come faceva a raccontare del terrore che aveva provato, delle paure che aveva visto danzargli intorno, del vento gelido?
Non poteva.
"Ti rendi conto che questo è diserzione? è un grave reato, potrei non fidarmi più di te come prima".
Se l'aspettava quella risposta, se l'era immaginata. Ma sentirla dal vero era diverso, una pugnalata al cuore.
"Mi dispiace di averle recato scontento Maestà, sono sempre ai suoi ordini". 
S'inginocchiò.
Lei lo fissò a lungo, lui sentì il suo sguardo gelido penetrarlo parte a parte.
"Come sempre".
"Come sempre".
"Ora vai, per ora non ho necessità di te".
Si dileguò dopo un breve inchino.

Lei lo vide andare via con il suo solito fare solenne.
Aveva rispetto verso quel fedele servitore, e considerando i tempi, era necessario avere qualcuno di cui fidarsi.
Sì alzò dalla scrivania e andò verso la finestra.
La giungla artificiale si distendeva a vista d'occhio, il mare la stringeva ai lati e le montagne incombevano in lontananza, dopo le grandi pianure della Mezzaluna Sorridente.
Si poteva avere un'ampissima visuale da lassù, e nei giorni più limpidi si poteva intravedere lontano ad est l'antica città di Ocnet, sul punto più orientale del continente.
S'impose di ritornare ai suoi affari.
Le erano giunti messaggi dal nord, i popoli Celtici delle montagne costiere si stavano spostando ancora più a sud, incombendo sul mare interno, dove i mediani erano in allarme, e sollecitavano la Corona ad intervenire.
Allo stesso tempo ai confini occidentali stavano accadendo strani avvenimenti: sparizioni, diserzioni, villaggi che svaniscono nel nulla e rivolte popolari.
Ma che stava succedendo?
"Signora, il Re l'attende".
Anche a lui erano giunti i messaggi.
Scese velocemente per la scala a chiocciola, e poi per passaggi secondari nascosti all'interno del castello, fino a spuntare nella sala del trono.
Altissimi pilastri compositi scandivano la sala, per poi trasformarsi in altrettante volte ed archi a sesto acuto.
Dei palchetti scandivano le pareti laterali tra pilastro e pilastro, venivano usati dalla nobiltà nelle grandi cerimonie.
La sala era spoglia di ornamenti, eccezione fatta per la fitta selva di candelabri che illuminava con una luce dorata l'intero ambiente e gli stendardi colorati delle due casate reali.
Collocato sul fondo della sala, il grande trono di pietra era senza ornamenti ed assolutamente squadrato e geometrico, in totale contrasto con gli elaborati troni dei consiglieri e della Regina.
"Nessun luogo di potere deve essere comodo, potrebbe far venire brutti vizi".
Le parole di suo padre le tornarono alla memoria.
"Ti stavo aspettando, sai mia Regina? Siediti qui a fianco"
Ed ecco che finalmente rivedeva il suo sposo.
Era un uomo avanti negli anni, ma non vecchio.
Malgrado la non giovane età e quel viso da bonario, era riuscito a mantenere un fisico asciutto, muscoloso, ancora agile e scattante, che lo rendeva pressoché imbattibile in combattimento.
E per questo, malgrado il matrimonio combinato, la loro relazione non è stata così terribile come pensava.
Al tavolo dei consiglieri erano presenti i suoi tre figli, due maschi ed una femmina, il capo dell'esercito, della guardia reale, e vari esponenti proveniente da nord ed ovest.
Dopo i saluti di rito si sedette accanto al Re, che si alzò.
"Ora che anche la Regina è presente, vorrei cogliere l'occasione per riassumere brevemente quanto trattato fin ora, per tenere meglio a mente quanto detto".
Lei già sapeva tutto, ma fece finta di niente.
"Purtroppo non sono tempi facili, mia signora, strani avvenimenti stanno minando la stabilità politica del continente. A Nord i Celti si spostano verso le sponde del mare Interno, allarmando gli abitanti, mentre ad Ovest i villaggi e le città sono in subbuglio"
Attese che continuasse.
"Ho fatto venire ambasciatori da tutti i più importanti territori per cercare di risolvere dove possibile e di fare chiarezza"
"Non posso che essere d'accordo con la sua scelta, Maestà"
Risposta fredda ma di protocollo.
"Stavamo per sentire le parole dell'ambasciatore Celtico, prego, ha il permesso di parlare"
Il re si sedette, mentre l'altro si alzò.
"Mie maestà, signori di corte, e signor ambasciatore Mediano, noi popoli del nord capiamo che il nostro spostamento, soprattutto perché inavvertito e frettoloso, può aver fatto impensierire ed allarmare tutti."
"Ed allora perché ci venite addosso?".
Il Mediano era quantomai irritato.
"Dobbiamo venire a sud, se non fosse necessario non l'avremmo fatto."
"Ma perché?"
La Regina era curiosa.
"All'estremo nord stanno avvedendo strane cose..."
L'ambasciatore dell'ovest alzò la testa.
"Nei villaggi dell'estremo nord abbiamo avuto sparizioni, devastazioni e rivolte. Non sappiamo per quale motivo né ci sono sopravvissuti che ci possano raccontare, abbiamo solo trovato devastazione, e le tribù più a nord hanno deciso di spostarsi verso sud, facendo spostare le altre in un effetto a catena".
"Siete così codardi? Pensavo aveste le palle".
"Non tollero insulti nella mia sala del trono".
"Come ordinate, sire".
L'ambasciatore non si curò degli insulti.
"La Lunga onda sta arrivando".
"Lunga onda?".
Erano tutti curiosi.
"Una antica verità, profezia, leggenda, la si può chiamare come si vuole, tramandata nei secoli tra noi Celti"
"E cos'è, di grazia?"
Iniziò il racconto, e nessuno pensava a quanta oscurità portasse.

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Capitolo 4
*** La principessa delle Montagne ***


In viaggio.
Da settimaane ormai l’intero villaggio errante si snodava per altipiani e colline, in fuga dal nord.
Per volere di suo padre, il reggente del regno delle Montagne Costiere, tutti i villaggi e le popolazioni a nord del Piccolo Fiume e della sua fonte dovevano evacuare a sud verso il grande bacino del mare interno, perfino la capitale, Kelt, venne abbandonata
La principessa Merida, insieme a tutta la corte e al popolo, cavalcava vicino ai suoi genitori, in testa alla lenta colonna.
Più volte aveva chiesto riguardo questa radicale decisione, aveva tentato di convincerlo a tornare, ma niente era servito e la risposta era sempre la stessa: “Ricordati la Lunga Onda”.
Ma quale onda? Il mare stava a chilometri dai villaggi!
Aveva pure avuto l’idea di fuggire, ma che avrebbe fatto in una città deserta, in una terra deserta? Come sarebbe sopravvissuta?
Si era costretta quindi ad accettare questa imposizione, promettendo a sé stessa che avrebbe disobbedito ad ogni altro ordine del padre.
“Ormai il sole è tramontato da tempo, fermiamoci e mettiamo l’accampamento qua!”
Merida continuò imperterrita a cavalcare.
“Merida, che stai facendo?”
Più veloce.
“Fermati!!”
L’ordine di suo padre le rimbombò nelle orecchie, ma spronò il cavallo ancora di più.
Sentì gli zoccoli del cavallo del padre partire in tutta furia per raggiungerla, ma lei si era già inoltrata in una fitta foresta che si estendeva ai lati della strada.
“Vedi di tornare, subito!”
Come no.
S’inoltrò nel bosco, e la voce sparì.
Rallentò l’andatura, era nel mezzo del nulla.
Alberi ed alberi.
Foglie, rami, bacche, niente di strano.
Tenendo bene in mente la posizione delle stelle, gironzolò per i boschi senza meta.
“Sarà meglio tornare...”
Seguendo la direzione delle stelle, s’incamminò per l’accampamento.
D’un tratto, lo zoccolo del cavallo striscio su della pietra levigata.
E poi su un’altra.
E un’altra ancora.
Una sequenza di pietre era stata messa per terra tale da formare una strada.
Assomiglia molto alle antiche strade intorno al Mare Interno!
Ma che ci faceva così a nord?
Seguendo la strada avrebbe scoperto qualcosa.
Le pietre costeggiavano il fianco di una alta collina, e ben presto si accorse che si avvinghiavano a spirale su di essa.
Seguendo la strada, che ormai usurata dal tempo a volte spariva, a volte si riduceva a poche pietre distanziate l’una dall’altra, arrivò sulla cima della collina.
Alberi ed arbusti crescevano fino a toccare un basso muro circolare di pietre che prendeva l’intera sommità della collina.
L’antica strada portava all’unico ingresso presente.
Il cavallo si fermò sulla soglia del cerchio, e Merida fu costretta a legarlo ad un albero e procede a piedi, armata del suo arco nuovo di zecca.
Varcò la soglia del cerchio, e trovò bassa erba che alla luce della luna risplendeva d’argento, in contrasto con il grigio scuro della pietra.
Pezzi di un menhir crollato costellavano il prato, anticamente doveva sorgere al centro del cerchio, come testimoniava un grande blocco di roccia conficcato nel centro del cerchio.
Si avvicino al blocco centrale, ed alla luce della luna risaltarono subito antichi disegni.
Onde, lunghissime.
Le parole del padre le rimbalzarono in testa.
Doveva sapere di più.
Ma un baluginare di luce blu la fermò sul posto.
Da dove veniva?
Lentamente ruotò su sé stessa.
Evanescenti sfere blu galleggiavano in aria.
Accerchiavano lei e la base del menhir.
Sette sfere di un blu acceso.
Fuochi fatui.

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Capitolo 5
*** La Lunga onda ***


Sparirono.
Come quel bagliore blu era apparso, ora non c'era più.
Che se lo fosse sognato?
"Merida...."
Sembrava la voce di suo padre.
"..... Padre?"
"Eccomi..."
Suo padre si ergeva accanto alla grande base dell'antico menhir.
"Che posto antico..."
Lei non sapeva che dire.
"Non sei.... Arrabbiato?"
"Un po', ma tua madre mi ha fatto ricordare com'ero io alla tua età.... E di certo non mi potevano tenere fermo con delle parole!"
Sorrisero.
"Tua madre ti vuole molto bene, malgrado tutto"
"Lo so, ma a volte non la sopporto!"
Il padre sorrise, passando la mano sugli antichi disegni.
"La lunga onda...." sussurrò.
Merida voleva che aggiungesse qualcosa, ma non voleva rompere quel silenzio.
"Siamo in un antico tempio, di divinità molto antiche e potenti, che ormai non hanno più nome...."
Tutte le creste dell'onda portavano incise strani simboli simili a rune incomprensibili.
"Ma con il tempo questo posto venne abbandonato, e divenne solo un cimitero... E molto grande, considerando quanti fuochi appaiono..."
Un flebile fuoco fatuo apparve vicino al limite del prato, per sparire velocemente.
"è ora di tornare!"
Merida lo seguì senza prestare attenzione, e quando uscì dal prato vide di nuovo il menhir illuminato da bagliori blu.

Chi avrebbe dormito quella notte?
Pensieri, fuochi, immagini, rune, tutto le si ammassava in testa.
Buttò la coperta a lato ed uscì dalla tenda.
A Kelt uscire di notte sarebbe stato un suicidio, sarebbe morta dal freddo, ma ormai il mare Interno era vicino, ed il clima sta cambiando.
Ogni giorno il sole diventava più rovente e la notte più calda.
Girò per il campo, facendo attenzione a non svegliare nessuno, prese il suo arco e volteggiò nel bosco.
La luna era ancora alta quando si ritrovò in una radura nel bosco.
Prese a fare esercizio con l'arco mirando un'antica quercia.
Lei era bravissima, precisa al millimetro, e due volte più veloce ad incoccare e mirare rispetto agli arcieri ufficiali.
Le sue frecce avevano una punta di ossidiana e il piumaggio verde e rosso, u suoi colori.
Il cavallo nitrì con nervosismo.
Veloce come un gatto, si accucciò al suolo in tempo da evitarli.
Due ombre stavano attraversando la radura. 
Puntavano dritti verso l'accampamento. 
Spariti di nuovo nel bosco, vennero seguiti da alcuni secondi di silenzio.
Chiù...
Non era un verso naturale.
Chiù...
Altre ombre uscirono dall'ombra e avanzarono.
Il cavallo nitrì selvaggiamente, e strappando le redini fuggì verso l'accampamento.
Due frecce lo raggiunsero prima che sparisse tra gli alberi, e cadde a terra.
-Questa me la pagheranno-.
Aveva il corno da sentinella di traverso sulla schiena.
Attese che le ombre fossero sparite nel bosco per alzarsi e correre anche lei tra i cespugli, arco e corno in mano.
Arrivò senza essere vista su un basso promontorio, da cui si vedeva tutto l'accampamento.
La sentinella era stata uccisa e legata ad un palo per farla sembrare in piedi.
Da lì poteva vedere le ombre circondare le tende, la sua gente.
Prese il corno ed inspirò a pieni polmoni, per poi soffiare con tutto il fiato che poteva.
UUUUUUUUUUUUUUUUUH.
Il suono riempì la notte, lei stesa sul prato per non farsi vedere sentì le ombre irrigidirsi, gli uomini alzarsi, i bambini piangere.
Poi grida.
Paura.
Sentì cozzare spade e scudi.
Cavalieri urlare ordini e strategie.
Prese il suo arco e respirò lentamente, a fondo.
Doveva farlo.
Si alzò di scatto ed incoccò una freccia.
"A noi!"

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Capitolo 6
*** Menhir ***


Antiche parole.
Il calore le faceva lacrimare gli occhi, la pira stava bruciando intensamente.
Quella notte, l'imboscata delle ombre era fallita, ma avevano avuto perdite consistenti non solo di guerrieri, e come da tradizione i corpi venivano bruciati.
"Sire, che ne facciamo dei corpi delle ombre?"
"Seppelliamoli al Menhir"
Merida rimase turbata, perché al menhir?
"Lord Macintosh, raduna i soldati e trasportiamo questi corpi. Merida fammi compagnia"
Merida si avvicinò al padre.
"Ti stai chiedendo perché al Menhir giusto?"
"Esatto padre"
"il templi dei Menhir sono la più antica testimonianza del nostro popolo, esistevano da ben prima dell'Impero del continente, ed erano il fulcro della nostra antica religione"
Attese.
"Ma avevano anche un'altra funzione, quella di ospitare a tempo debito mendicanti, poveri e rinnegati... Per sempre"
"Capisco...."
"Per questo sto portando i corpi al Menhir, per seppellirli lì dove le nostre usanze antiche impongono"
"Saggia scelta, padre"
"Spero anche tu diventi saggia un giorno, mia principessa"
Le accarezzò i capelli.
La cerimonia si svolse brevemente, secondo le antiche usanze.
I corpo vennero gettati in tre grandi fosse, richiuse e segnate con grandi lastre di pietra con inciso il numero.
Alla vista dei corpo che venivano gettati nella fossa, Merida sentì essere stata violata, di aver compiuto qualcosa di lecito.
Quando tutti gli altri se ne andarono, lei si attardò al Menhir; doveva tornare presto perché l'indomani avrebbero ripreso la marcia a tappe forzate per arrivare oltre il Piccolo Fiume entro la settimana, per poter contrattare dei terreni dove stare con il console di Atnai.
Suo padre ormai non parlava d'altro, era ossessionato da questo personaggio e si informava in maniera morboso su ogni dettaglio della sua personalità e carattere.
A lei poco importava, avrebbe preso delle terre per il suo popolo con diplomazia... O senza.
Era attratta dal Menhir, con quelle lunghe onde scolpite alla base, e tutti i suoi pezzi sparsi per il prato.
Si avvicinò ad uno di quei massi, e tolse il muschio che lo ricopriva.
La pietra era completamente liscia, continuò a togliere muschio finché non trovò un'incisione: un grande arco con una freccia incoccata.
Ripulì la pietra nella direzione della freccia, e trovò onde, un'intera metà del masso era riempita da onde, mentre l'altra metà era vuota se non per quel grande arco con la freccia.
Si sedette sull'erba a fissare i disegni.
Un'incerto alone blu illuminò la notte, e il suo tremolio animò i disegni.
Le onde sembravano prendere vita.
Su e giù, su e giù.
L'arco si tese.
Poi divennero solo una grande onda.
Scoccando la freccia.

Centrando il bersaglio, per la quarta volta.
Ormai attendeva l'arrivo dei Celti da giorni.
Un'emissario era già arrivato, portando le notizie dell'attacco notturno, che aveva rallentato ulteriormente la marcia.
Si stava spazientendo.
"Potremmo far ritorno ad Atnai? Avrei i miei doveri di console che me lo impongono"
La sua guardia non si scompose.
"C'è sempre l'altro console ad Atnai, non pensi Ercole?"

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Capitolo 7
*** Incontri ***


"Iseo! Benvenuto!"
"Ciao Eracle!"
Si salutarono con un abbraccio.
"Ti ho detto di non chiamarmi così!"
"Lo so, per questo lo faccio!"
Bevve del vino.
"Maledetto! Come mai sei qua?"
"L'aria ad Atnai non è delle migliori... Ci sono proteste continue per l'arrivo dei Celti, e molti sono spaventati"
"immaginavo... E sei qua solo per questo motivo?"
"No, è arrivata una staffetta ieri notte, i Celti hanno guadato il Piccolo Fiume"
"Perché non è arrivata a me? Abbiamo messo l'accampamento sul sentiero principale!"
"Non saprei, il messaggero è venuto direttamente al Senato. Nemmeno io ero in sede, e sono dovuti venire a chiamarmi".
"Che strano.... Ma se sono al Piccolo Fiume, ormai è questione di massimo un giorno prima che arrivino qua!"
"Esatto, sono venuto per preparare il bacchetto, sta arrivando tutto l'occorrente dalla città"
"Ti rendi conto che saranno tantissimi? Un'intero popolo..."
"Non proprio, quella che arriva qua è solo la tribù di Kelt, le altre hanno già superato il fiume da giorni e si sono stanziate nei nostri territori".
Prese Ercole per le spalle.
"Noi dobbiamo contrattare con il loro re per scegliere i territori dove metterli, tutta la costa è in tensione e dobbiamo risolvere la questione"
"Come temevo, e poi dovremmo mantenerla, la questione"
"Esatto..."
Rimasero in silenzio a lungo, fissando il bersaglio.
"Beh, abbiamo un banchetto da preparare, no?"
Annuì assente, "Già".

"Padre, quanto manca?"
"Passato questo valico dovremmo vederli, ormai siamo arrivati"
Si erano lasciati il piccolo Fiume alle spalle da un giorno ormai, e la colonna si snodava per chilometri tra le strade di montagna.
"Vado avanti a vedere!"
"Merida, non..."
Al trotto, la voce del padre si perse nel vento.
La strada serpeggiava in una salita non troppo ripida.
"Ci siamo, ci siamo!"
Arrivò sulla cima.
Davanti a le si aprì il mare.
Dalla montagna scendevano dolci colline, che pian piano si trasformavano in una vasta pianura, che terminava in mare.
Piccoli boschi spuntavano qua e là, ma la maggior parte del terreno era coltivato, con campi di tutti i colori: verde, giallo, viola.
Una chiazza bianca tra mare e terra segnava la città.
Bianca, compatta ed imponente, centinaia di case, palazzi, colonne ed archi si addossavano l'un l'altro per rimanere all'interno della bianca cerchia di mura.
Sulla sommità si una collina dentro la città si ergeva un campanile, con annessa chiesa, ed un antico tempio immersi nel verde.
Il panorama l'aveva attratta sì tanto che non aveva prestato attenzione all'imponente accampamento ai piedi della montagna, sulla strada in basso.
Una folla si era ammassata oltre l'ingresso lungo la strada, guardandola ed indicandola.
Tra tutti spiccavano due figure, una perché vestita interamente di bianco, l'altra per la sua prestanza fisica.
L'aria salmastra le scompigliava i capelli.
Si girò verso il suo popolo, ancora molto indietro.
Prese il corno e suonò, due brevi suoni.
UUUUH UUUUH
-Siamo arrivati-
Un corno rispose dall'accampamento.
Tre suoni brevi.
UUUH UUUH UUUH
Benvenuti-

Al suono del primo corno la città si fermò.
Un corno celtico.
Il secondo corno confermò la notizia.
-Benvenuti-.
Andò fuori della porta.
"Allerta le spie, di' loro di presentarsi domani notte al raduno. Ercole mi ha dato ordini precisi."
"Sì" corse via.
"Lady, Grigio e Naso, voi con me. Andiamo su all'accampamento".
Annuirono.
Le strade di Atnai avevano ripreso vita, ma la stessa parola girava sulle bocche di tutto.
-Barbari-
Un'anziana stava raccontando una storia ad un gruppo di bambini.
"Ricordo questo suono, come se fosse ieri. I barbari vennero dalle montagne quando ero piccola come voi. Vennero urlando, con spade e falci, devastando campagne ed bruciando villaggi.
I consoli ci ordinarono di entrare dietro le mura e stare in città, per proteggerci dalla loro furia"
I bambini pendevano dalle sue labbra.
"Restammo chiusi lì dentro per giorni che sembravano mesi, e mesi che sembravano anni, il cibo iniziava a mancare, ma fuori le mira c'era solo distruzione, e se uscivi trovavi morte.
"E allora??" 
"E allora i nostri eroi, ed i loro eserciti si scontrarono giorno e notte, ed ancora giorno e notte per respingerli, mentre loro cercavano d'entrare.
Nessuno vinse e nessuno perse, ma molti, troppi morirono. E sarebbe continuata, se un giorno non se ne fossero andati da soli."
Pausa.
"Avevano visto che noi avremmo resistito, anche senza cibo, fino alla morte, non li battemmo con le armi ma con il coraggio! Ma se oggi li accogliamo a porte aperte, chi potrà proteggerci dal loro arrivo??"
< Io, il Vagabondo >

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Capitolo 8
*** Il Vagabondo ***


Cavalcarono veloci.

I rumori dell’accampamento arrivarono ben prima di averlo in vista.

Urla, grida, risate.

Lo raggiunsero dopo il tramonto, trovando quello che si aspettavano.

Un’enorme distesa di tavoli con uomo, donne, bambini seduti a a mangiare, bere, dormire.

Ovviamente la maggior parte della tribù stava all’esterno, perché solo alla famiglia reale era permesso mangiare nel padiglione consolare.

“Andate, e tenete sotto controllo la situazione”.

“Facile, con un’intera tribù accampata sopra la nostra città”.

Lui si diresse nella grande tenda dei consoli, interamente bianca con le rifiniture blu, che risplendeva ai focolari accesi per illuminare la notte.

Entrò dall’ingresso della servitù, laterale rispetto a quello principale.

Dentro e fuori sembravano due mondi opposti, al caos esterno corrispondeva la raffinatezza dei commensali nobili.

In un grande tavolo rotondo sedevano i membri della famiglia reale di Kelt, altri comandanti celti, i due consoli, magistrati e tribuni.

Gli ospiti sedeva di spalle rispetto a lui, così che poté subito essere notato dai consoli.

Ercole risplendeva nella sua tunica bianca, rifinita in blu come la tenda e tenuta ferma da una grande spilla con una saetta.

Si scambiarono un’occhiata, e con un cenno di assenso uscì.

Venne chiamato più tardi, quando ormai il vino aveva dato i suoi ultimi effetti e tutti si erano assopiti.

“Desidera console?”

“Entra”

Sorse il sole.

“Con Re Fergus abbiamo stretto un accordo, gli verranno concesse tutte le terre montuose dal valico al Piccolo Fiume, a patto che non compiano razzie nel nostro territorio. Però i patti come sai vanno firmati nella pubblica piazza tra basilica e tempio, e per questo mi servi tu! So che in città la tensione è palpabile, e non voglio che accada niente ai nostri ospiti. La maggior parte di loro rimarrà qua e solo una delegazione verrà giù a firmare il patto, voglio controllo assoluto e che non succeda niente, chiaro? Arriveremo domani pomeriggio, hai più di un giorno... Intesi?”.

“Come sempre”.

Richiamò le sue spie e partì immediatamente.

Tornato a Atnai, iniziò subiti i preparativi.

Il percorso che il corteo avrebbe seguito era abbastanza lineare, seguendo la strada principale sarebbe arrivato alla scalinata dell’acropoli e lì avrebbe proseguito a piedi.

Eppure questo piano presentava tantissime complicazioni, come la strada piena di curve, parti scoperte, il pericolo proveniente dalla miriade di vicoli e stradine che s’immettevano sulla via principale.

Tutti potevano essere potenziali fonti di guai.

Per non parlare che durante la salita della scalinata e la firma del patto sarebbero stati totalmente scoperti e vulnerabili.

Ci lavorò tutta la notte ed il giorno seguente, e ne stava quasi per uscire pazzo, se non che udì una tromba il lontananza.

Non c’era tempo, erano arrivati.

 

Merida seguiva suo padre a cavallo, salendo verso la cima di una montagna.

Ci trovarono un piccolo altopiano, ricoperto interamente da un prato.

Si girò verso il mare, riusciva a vedere Atnai, una chiazza bianca lontana che si protendeva verso il mare.

L’aria piena di sale arrivava fin lassù.

Suo padre fermò il cavallo, e si guardò intorno.

Un brivido le passò sulla schiena.

I suoi genitori si guardarono.

Poi sua madre girò il cavallo verso il suo popolo.

“Tutte le leggende...”

Silenzio.

“Ci dicono che il nostro popolo è venuto dal mare, ed è andato a vivere sulle aspre montagne del nord. Le stesse dove siamo sempre vissuti, e dove sono sempre vissuti i nostri padri, e i nostri antenati. I loro spiriti le abiteranno per sempre, mentre noi siamo tornati alle nostre origini. Tutto è cominciato da qui”

Indicò il mare.

“E tutti da qui ricomincerà!”

Merida piantò il vessillo di Kelt nel suolo.

Alkelt era fondata.

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Capitolo 9
*** Portoleandro ***


Un porto sul delta del fiume.

Profumo di oleandri e di salsedine.

Portoleandro era una città unica, nata sulle isolette della foce del fiume, si era sviluppata come una groviglio di canali e di ponti, di stretti vicoli e piccole piazze.

Nel centro della città, sulla piazza Storica si affacciava il Municipio, imponente edificio in pietra messo di traverso rispetto alla piazza stessa.

Da una parte, una scalinata semicircolare portava all'ingresso della sala del concilio, un portico si apriva di lato, sorreggendo la terrazza delle declamazioni, e sopra l’ingresso incombevano due statue: un oleandro ed un antico re, uniti da una catena.

La parete che dava direttamente sulla piazza invece era occupata dal grande portale trionfale, ornato di 3 archi decorati con oleandri, affiancato da due torrette che svettavano oltre l'edificio.

Sulla cima garriva la bandiera della città, un oleandro fiorito color oro in campo porpora.

Questa era la sede del reggente della città per la corona e il concilio cittadino, scelto dagli abitanti con regolari elezioni, e Tiana uscì da una porta secondaria sotto il portico.

Dopo i suoi ottimi risultati per la bonifica di alcune paludi vicine alla città, era riuscita ad ottenere l’incarico di Supervisore delle acque, un’incarico che in una città costruita su una laguna aveva il suo grande valore.

S’incamminò verso casa.

I vicoli ed i piccoli ponti che saltavano i canaletti interni della città erano immersi nella penombra, illuminati solo dalle luci pubbliche.

Una vedetta militare passò per uno dei canali, in ricognizione.

Tempi brutti, pensò.

"Signora, i documenti"

La domanda la colse di sorpresa! Un chek-point! Questa mattina non c'era!

"Si subito...."

Impacciatissima, trovò i documenti.

"Tutto regolare, passi pure! Scusi il disturbo e buona notte"

"No si figuri...."

Per quale motivo la città era controllata?

Giunse a casa.

"Ciao, amore!", Naveen la prese e la baciò.

"Sempre energico tu, eh?"

"Guarda qua" corse in cucina "ho cucinato..... Delle verdure sminuzzate!"

Tiana lo guardò esterrefatta, non capiva se era uno scherzo od era serio.

"Ahahaha ci hai creduto! Vieni..."

Prese ed appese la giacca, guidandola in cucina.

"Naveen, non...."

"BENE RAGAZZI, CI SIAMO?? Ed uno, due..!"

Musica jazz riempì la stanza.

"Luois! Che piacere riverderti!!"

"Tiana da quanto tempo!"

Si abbracciarono.

"Cosa ti porta qua dal bayou?"

Luois guardò Naveen, improvvisamente a disagio.

Questo non le sfuggì.

"Ma per questa festa, ovviamente!"

"Se fosse... Se fosse..." Bisbigliò Naveen tra sé e sé.

 

L'acqua nera era immobile, e si confondeva con il celo nero della notte in un unica grande pennellata di nero.

Sulle rive del delta del fiume, aspettavano...

La città brillava in lontananza.

Tempo al tempo, si ripeteva.

Uno dei fari periferici della città si spense.

-conta fino a tre, uno.... Due...

Buio.

-tre.-

Si riaccese.

Un bisbiglio attraversò la riva.

Il segnale!

"Andiamo!"

La pallida luce della luna baluginò su un'uncino d'argento.

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Capitolo 10
*** Assedio ***


BOOM.

L'intera casa tremò.

Naveen e Tiana scattarono sul letto, rimanendo immobili, tesi a sentire il minimo rumore.

Cosa diavolo era stato?

Silenzio.

Si guardarono preoccupati.

Ieri sera i check point, ora questa botta..

In lontananza!

Spade contro spade, suoni nel silenzio nitidi.

Bussarono insistentemente alla porta.

Rimasero pietrificati sul letto.

"Signora Tiana? Signor Naveen??"

Era Raymond Idaho! Naveen indossò una maglietta al volo e corse giù per le scale, Tiana pescò la sua vestaglia dai meandri dell'armadio.

Raymond entrò nella stanza seguito da Naveen.

"Scusami Ray se..."

"Non c'è tempo! Vestitevi velocemente e prendete lo stretto necessario!"

"Ma che..."

"Ordini Imperiali, l'intera città va evacuata"

"Cos...?"

"VELOCI!"

Ubbidirono all'instante

"Tenete questa"

Diede ad entrambi una spada.

"Ma.."

"Non c'è tempo!"

Si precipitarono fuori dalla casa.

"ALL'ATTACCO!"

"Merda!" Idaho imprecò.

Due contro tre.

"Naveen!"

"Fatti sotto!"

Lame contro lame, cozzare d'acciaio.

Lei rimase immobile, sconvolta.

I due nemici furono neutralizzati, e il loro sangue si spandeva sulle pietre del vicolo in una pozza sempre più larga.

Tiana lo fissò con orrore, interesse e paura.

"Erano solo esploratori, corriamo!”

Ray li portò lungo la via.

"Ma chi...?"

"Vi spiegherò poi!"

Su per un ponte, a sinistra, e di corsa lungo il canale.

Tiana vide i negozi vuoti, le porte delle case spalancate, senza vita.

Idaho si voltò di scatto verso il cielo.

"AL RIPARO!"

Tutti e tre si tuffarono in una panetteria, poco prima che un masso devastasse il canale.

Atterrita.

Lo schianto alzò un enorme spruzzo d'acqua, distruggendo un piccolo ponte, la banchina e tre case.

"Non c'è tempo di aspettare! Correte! Dobbiamo arrivare alle fondamenta nuove!"

Ripresero a correre.

Il rumore di spade soggiunse, e videro una grossa folla che bloccava la strada.

"DI QUA!"

Deviarono di lato, attraversando il canale.

BOOM, un altro masso era caduto lì vicino, chissà dove.

-la mia città.... La mia vita...-

"Shhh"

Si fermarono.

Il rumore di una barca che si avvicinava riempì la loro vita.

Si nascosero dietro un molo, e la videro passare.

Una grande barca, giusta per il canale, solcava lentamente le acque.

"IDIOTI! Ancora combattete? DEVASTATELI!"

Una figura malefica urlava ordini, avvolta in un mantello nero.

Il bastone, gli occhi, i capelli neri simili a corna e quell'orribile corvo rimasero impressi per sempre nella memoria di Tiana.

"Ecco il segnale! Il segnale"

Tutti si voltarono, fuggiaschi compresi.

Le torri del Municipio era in fiamme.

Iniziò a piangere.

La fine.

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