Final Fantasy VI Full Novelization

di Derectum
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo - Parte 1 ***
Capitolo 2: *** Narshe ***
Capitolo 3: *** Memoris ***
Capitolo 4: *** Locke ***



Capitolo 1
*** Prologo - Parte 1 ***


Gliocchi non t’ingannano, fratello.
-Ma com’è possibile?! - disse d’un fiato, e si avvicinò di qualche altro passo.
-Sembra ferita. - parlò una voce. Altre si aggiunsero in fretta.
-Questo è un sacrilegio! - pronunciò una voce lontana.
-Fratello, fatti da parte. - Con un gesto della mano lo intimò a spostarsi facendo passare la figura che, con passi rapidi ma stanchi si avvicinò. Indossava lungi vesti nere che ricadevano sul corpo coprendolo per intero. Issò le sue mani al bastone e si chinò lievemente per osservare meglio la figura distesa a terra.
-Sacrilegio... - continuava a ripetere con gli occhi cogliendo ogni suo minimo particolare. Le vesti stracciate, i capelli lunghi castani e la sua pelle chiara.  -Sacrilegio... -
Alzò la testa di scatto. Coloro radunati intorno a lui, immobili, aspettando le sue parole.
-Maduin! Guardiano del Cancello! - chiamò, battendo due volte il bastone sulla roccia.
Una figura robusta si fece avanti. La pelle brunastra in contrasto con i capelli lunghi bagnati nella luce lunare. Si inginocchiò dinanzi al vecchio.
Sapeva.
La colpa era sua.
-Maduin, alzati e dimmi cosa vedi. -
Maduin si alzò posando le sue iridi candidi sulla rappresentazione del suo fallimento.
-E’ un umana, una donna umana. -
-Un essere umano nella nostra terra sacra! - gridò il vecchio. Gli altri si guardarono increduli. Voci si innalzarono dalla folla gridando il fallimento di Maduin. Lui non si mosse, sostenendo lo sguardo del vecchio.
-Maduin non ha colpa. - pronunciò una voce. Una donna alta dalla pelle azzurra si fece avanti. -Il cancello è sempre stato aperto. La via è sempre stata libera. -
-Ma nessun umano è mai stato capace di vederla. - rispose il vecchio. -Sono troppo occupati ad odiarsi e uccidersi a vicenda! - Si girò, posando nuovamente lo sguardo sulla donna.
-Anziano, la responsabilità per questa donna è mia. Richiedo la sua incolumità. -
Le parole di Maduin attirarono gli sguardi di tutti.
-L’umana deve essere rimandata indietro, Maduin. Prima che possa vedere il nostro mondo, prima che possa vedere noi. -
-Dovremo aiutarla, prima. - disse la donna di prima. L’anziano le lanciò un occhiata gelida.
-Ha ragione, è la nostra terra, lei è ora sotto la nostra responsabilità. - affermò una voce tra la folla.
-No, questo è un cattivo presagio, dovremo ucciderla! - considerò un’altra. Le proposte si susseguirono finché l’anziano non impose il silenzio con un colpo di bastone.
Maduin si avvicinò e raccolse il corpo immobile della donna.

-Per secoli siamo rimasti nascosti agli occhi dell’essere umano! Per secoli abbiamo nascosto la nostra esistenza! -
Il lungo tavolo rettangolare tremò. Le fiamme nelle candele accelerarono i loro movimenti.
-Perché non teniamo in considerazione la nostra storia? Gli umani e gli esper combatterono fianco a fianco nelle grandi guerre. -
-L’umanità è cambiata. - Le parole dell’anziano echeggiarono nella sala. Gli sguardi erano concentrati su di lui, chiedendo risposte e decisioni. -Maduin, la donna? - chiese ad un certo punto.
-Sta riposando, il viaggio attraverso il cancello non è stato privo di conseguenze. - rispose il guardiano. Teneva le braccia incrociate e lo sguardo sul tavolo. Dentro di lui, premeva la paura per il proprio fallimento.
-La donna umana deve tornare indietro. - fu l’intervento di uno. -Non possiamo rischiare l’arrivo di altri in un prossimo futuro. -
Voci di conferma risuonarono nella sala. Il vecchio rimase in silenzio.
-Il suo corpo non è nelle condizioni adatte per sopportare un viaggio di ritorno. Propongo di aspettare. - fu a proposta di Maduin, che molti accolsero con sgomento, altri invece rimasero in silenzio. L’anziano raccolse il suo bastone, e aiutandosi, si alzò.
-Lei è tua responsabilità Maduin, non dimenticarlo. Il concilio ha deciso, la donna resterà nel villaggio finché non sarà nelle condizioni necessarie per essere rispedita indietro. -
L’umanità è cambiata.
Le parole risuonarono nella mente di Maduin mentre guardava il vecchio allontanarsi lentamente.
Gli esper e gli umani non sono fatti per convivere.

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Capitolo 2
*** Narshe ***


I venti cantarono fortemente.
Poi, la neve aveva smesso di scendere, riempiendo l’intera vallata di un silenzio glaciale. I pini stavano immobili, nell’attesa di sentire o di vedere. Erano gli unici a dare una forma a quella distesa di ghiaccio. Qualche collina visibile qua e là, solo viaggiando oltre, segni di calore e vita potevano essere avvistati in lontananza.
L’enorme macchinario produceva non poco rumore. Ad ogni passo, la neve trasaliva, la terra tremava. Rumori metallici dal suo interno, mentre le contrazioni producevano una fuoriuscita di vapore. Possedeva due arti, su cui si appoggiava, la metà superiore rivolta verso l’alto mentre quella inferiore, più lunga, terminava con un enorme piede d’acciaio che si sosteneva nella neve. Due gambe di un metallo grigio quindi, che sostenevano a loro volta un’altra metà superiore. Ciò che sembrava metà di un guscio d’uovo. Decorato con un motivo sulla parte posteriore, somigliante alla forma di una rosa nera. Fili di variate dimensioni collegavano il guscio alle gambe. L’intero androide era alto circa due metri. Ai lati della parte superiore vi erano disposti due artigli più corti rispetto alle gambe. Dentro il guscio, in piedi, stava un uomo. Con la mano sinistra appoggiata al vetro protettore, stava scrutando la vallata in lontananza. Indossava un’uniforme dello stesso colore della sua macchina, con un casco ed una protezione per il freddo.
-Wedge! Vieni, siamo vicini! - gridò lui, rivolto al compagno, qualche metro più lontano.
Un’altra armatura si avvicinò alla prima, facendo tremare il bianco sotto il peso del metallo.
-Narshe? E’ quella? - domandò lui, appena fu vicino. Indossava la stessa divisa del compagno, un’armatura leggera, di un marrone scuro.
-Sì, collocata tra le montagne di Vjoll, una città-miniera. Un buco in mezzo al nulla, in pratica. - rispose, accennando un sorriso divertito.
-Che rottura, mandare proprio noi in questo deserto, per recuperare qualcosa che non siamo nemmeno sicuri di trovare. -
-Tranquillo, sono sicuro che, chiedendo gentilmente, gli abitanti sapranno aiutarci. Poi, potremo andarcene. -
Intuendo le intenzioni del compagno, Wedge assunse un’espressione preoccupata.
-Ma Narshe non è rimasta neutrale? Non possiamo permetterci di fare casini, Biggs. -
Un ghignò si stampò sul volto di Biggs. Si posizionò dentro la sua macchina, azionò i comandi e l’armatura iniziò a muoversi, scendendo pian piano la collina, seguita poi anche dalla seconda. Nella valle, restava in attesa una terza armatura.
-Pensi che sia ancora vivo? - domandò Wedge.
-Un esper arrivato lì, 1000 anni fa? Probabile, i nostri ordini erano urgenti. -
Esper. Al sentire il suono della parola, l’occupante della terza armatura alzò il capo. I suoi occhi spenti, la sua espressione vuota.
D’un tratto, i venti ricominciarono il loro canto. La neve si spostava seguendo il ritmo, ricoprendo le tracce lasciate dalle armature. Si stavano muovendo velocemente ora, ricoprendo quanto più terreno possibile, in vista della città.
-E questa donna, questa strega. Che cosa ci fa qui? - domandò Wedge. Procedeva insieme al compagno davanti, mentre la misteriosa ragazza nella terza armatura seguiva i loro movimenti da dietro. -Ho sentito che ha fatto fuori 50 dei nostri Magitek in meno di 10 minuti. Li ha completamente inceneriti! -
-Cos’è? Hai paura? - chiese Biggs, la sua solita espressione strafottente sul volto.
Wedge si limitò a girare la testa verso la giovane. La sua espressione non sembrava cambiata, gli occhi spenti fissando il vuoto. Il vento colpiva la pelle, e i capelli smeraldini, raccolti in una coda, ondeggiavano di lato.
-Stai tranquillo. - disse Biggs, dopo qualche minuto. -Vedi quell’affare sulla sua fronte? -
Si girò ancora, osservando la sottile corona intorno alla testa della ragazza.
-Che cos’è? -
-Da quanto ho capito, con quella roba sulla testa, è come una marionetta senza cervello. Con un nostro ordine, la ragazzina non respirerà nemmeno. -
-Ah, buono a sapersi, non vorrei trovarmi quella strega addosso. -
Seguì la risatina del compagno, poi il resto del viaggio fu trascorso in silenzio, con solo i venti a fare da sottofondo.
Dopo qualche kilometro, il paesaggio iniziò a cambiare. Le bianche montagne di Vjoll erano ora vicine, tra la neve si distinguevano anche le timide luci di Narshe. Il cielo si era oscurato adesso, ma la danza dei fiocchi rendeva impossibile la vista di qualsiasi stella.
La città serviva come passaggio per l’interno della montagna, una decina di case alte e strette. La loro presenza poteva essere facilmente individuata, notando la coltre di fumo generata spesso, dopo i lavori svolti nella miniera, poco lontana.
Su una collina alta, costeggiante la città, stavano due soldati. Entrambi vestiti di bianco, da una distanza sarebbe stato difficile distinguere la loro forma, attraverso la neve e il vento. Uno di loro stava appoggiato ad una ringhiera, riscaldandosi i polmoni con una sigaretta. L’altro stava a pochi passi da lui, impegnato a scrutare tra la tempesta di neve che si era formata. I loro indumenti li proteggevano dal freddo, ma sarebbero serviti a poco altro.
Mentre il secondo soldato si avvicinò alla ringhiera, un rumore si sovrappose a quello del vento ghiacciato, un rumore che aumentava di intensità, secondo dopo secondo. Il primo soldato lanciò la sigaretta da un lato e si girò alla ricerca dell’origine, ma la neve non permetteva all’occhio di andare oltre. Quando il rumore fu abbastanza vicino, i due indietreggiarono.
I fiocchi rimbalzavano sulla superficie rivelando la sua forma. Di fronte ai due stava uno dei giganti di metallo. Una fiamma rossa partiva dalle gambe ripiegate all’indietro, mentre altre due originavano dalla schiena, stabilizzando il gigante in volo sopra le teste dei due. Non ebbero tempo di fare domande, i loro corpi si disintegrarono in seguito alla potenza del raggio. La luce scomparve in pochi secondi, lasciando fumante il petto del gigante, appena sotto la cabina.
Fu il grido di Biggs a dare inizio al caos. In seguito altri soldati presero posizione. Al primo gigante si unì il secondo e poi il terzo, atterrando rumorosamente sulla collina. Le armi del nemico erano pronte. In seguito al grido di uno, i fucili scaricarono le munizioni, ma i proiettili rimbalzarono sulla pelle brunastra dei colossi.
-Sono armature Magitek! - gridò uno dei soldati, notando il simbolo della rosa nera. -L’Impero ci sta attaccando! -
-Hmph! - Biggs schioccò le dita, facendo avanzare la ragazza. Quando il centro del suo Magitek si accese, un’intera colonna di soldati fu spazzata via. Un inferno di fiamme si scatenò sotto il ghigno feroce di Biggs. La ragazza invece, non mostrava alcun tipo di sentimento, i suoi occhi spenti, ma le sue mani pronte a rispondere ad ogni comando.
-Sei impazzito?! Non puoi uccidere tutti! - intervenne Wedge.
-Ah no? E perché mai? Ho il potere... - Con un altro comando, un’ondata di fuoco investì altri soldati, e alcune case che presero a bruciare. -...e quindi anche il diritto! -
-Per Narshe! - Tre soldati si lanciarono giù da un ponte in legno, atterrando sopra l’armatura di Wedge.
-Maledizione! - I propulsori infiammarono e l’armatura si scontrò contro il ponte, distruggendolo, e facendo precipitare i soldati. La risata di Biggs si sovrappose alle urla della gente in cerca di riparo.
-Basta! La miniera è il nostro obbiettivo! Muoviamoci. - Con la speranza di evitare altri massacri, Wedge si spostò in direzione della montagna.
-Proprio quando iniziavo a divertirmi. - Biggs accese i propulsori, altro vapore fuoriuscì dagli ingranaggi, e l’armatura si alzò da terra, muovendosi in direzione della precedente, e seguita dietro, dalla terza.
-Stanno andando verso la miniera! -
-Fermateli, a qualsiasi costo. - L’allarme fu lanciata nell’intera città. Un altro gruppo di soldati si posizionò davanti all’ingresso nella roccia, sbarrandolo. Ma qualsiasi tentativo risultò inutile.
-Me ne occupo io! - gridò Biggs, lanciandosi all’attacco.
-Aspetta! -
La voce di Wedge fu soffocata nel rumore dell’esplosione. A terra, le tracce di vestiti anneriti dal fuoco. Ma Biggs non rallentò. Prosegui dentro la montagna, massacrando qualsiasi soldato che inutilmente cercava di contrastare la potenza del Magitek.
Dopo pochi minuti, fu raggiunto da Wedge e dalla donna.
-Tu sei impazzito. - mormorò Wedge, osservando i resti bruciati dei soldati. Alla sua affermazione, Biggs rispose con una risata inquietante.
-Faceva troppo freddo da queste parti, non credi? Ora nessuno può lamentarsi ancora. -
Il compagno gli lanciò un’occhiata, poi girò la testa verso la donna. Per qualche motivo, ebbe l’impressione che dentro quel corpo magro e indifeso, potesse nascondersi un potere ancora più spaventoso.
I Magitek avanzarono tra le pareti di roccia, fin quando non raggiunsero ciò che probabilmente era, il centro della montagna. Il blocco roccioso superiore si alzava ora, più di qualche decina di metri. Pochi e fragili fiocchi cristallini cadevano a terra, attraverso qualche fessura. Dopo pochi secondi, raggi di luce le attraversarono, dando i primi segni dell’alba.
I Magitek proseguirono ancora.
-Ma guarda. - Wedge si bloccò, ammirando quel raggio di luce che illuminò il centro della caverna. Proprio lì, era posizionato un immenso blocco di ghiaccio. -Sarebbe questo l’esper? -
Il blocco di ghiaccio informe, sembrava racchiudere al suo interno una gigantesca creatura. La luce colpiva attraverso il ghiaccio, rendendo visibili riflessi di un verde scuro e rosso. Il ghiaccio impediva una descrizione completa, ma la creatura sembrava possedere la forma di un volatile, con due ali avvolte intorno al corpo. Sembrava che il suo ultimo gesto fosse uno di difesa.
-Questa cosa mi sta facendo venire i brividi. - commentò Wedge, quasi sussurrando. -Sembra davvero qualcosa di antico, e molto potente... -
-E’ solo un uccellaccio in un blocco di ghiaccio. Di che hai paura? - protestò Biggs, ma per qualche ragione, anche lui sembrava preoccupato. Il suo Magitek fece un passo in avanti, allungando gli artigli. -Prendiamolo e andiamocene, allora. -
Ma appena il metallo toccò il ghiaccio, Biggs si irrigidì. Un’ondata lo travolse facendo precipitare all’indietro la sua armatura.
-Biggs! Che diavolo è successo?! - Wedge si avvicinò. Il tremito nella sua voce diventò più evidente. -Stai bene? -
Biggs si alzò imprecando, il colosso di metallo ancora a terra. -Non riesco più a farlo funzionare, probabilmente l’impatto avrà rovinato alcuni circuiti. -
La ragazza si avvicinò a sua volta, superando i due.
-Ehi, ma che cosa sta facendo?! -
Ad ogni passo, il ghiaccio iniziò a brillare, sempre più forte. La creatura al suo interno non dava alcun segno di vita, eppure il suo potere iniziava ora a manifestarsi. Energie si raccolsero intorno ai due Magitek ancora in piedi.
-Qualcosa... Qualcosa non va. Sta succedendo qualcosa! - Wedge si girò appena, probabilmente in cerca di una qualche uscita. La sua armatura era immobile. La luce aumentava ancora di intensità. La roccia fu attraversata da un’ondata di energia, tant’è che i sassolini vibrarono e si alzarono di pochi centimetri.
Poi, d’un tratto, silenzio.
Wedge si guardò intorno in preda al panico. All’improvviso un’altra ondata lo travolse, lanciandolo dall’altra parte della caverna. Con un rumore assordante, l’energia si sprigionò dal blocco di ghiaccio. L’intera montagna tremò.
-Wedge! - Biggs era a terra, cercando con lo sguardo il compagno tra i pezzi di metallo del Magitek andato in frantumi. Riuscì a rimettersi su due piedi. Al tocco della luce sulla sua schiena, si girò. Davanti a lui, stava la ragazza sospesa in aria, tra le parti del suo Magitek che una a una si separarono, smembrandolo completamente. La creatura ghiacciata continuava a restare immobile, ma i suoi poteri si manifestarono oltre.
La caverna iniziò a sgretolarsi, i pezzi di roccia precipitavano al suolo. Biggs stava ad osservare lo spettacolo, incapace di muoversi o di aprire bocca. La luce del sole inondò lo spazio intorno mentre un’intera parete rocciosa si staccava. Biggs fece appena in tempo ad alzare il capo, il suo grido si spense. La fredda roccia lo travolse, eliminando qualsiasi traccia della sua esistenza.
I pezzi del Magitek continuavano a staccarsi, ruotando in cerchio.
All’interno del vortice stava lei.
I capelli ondeggiavano in alto, le braccia spalancate. Ma tutto ciò, non era suo volere. Dinanzi a lei, il ghiaccio continuava a brillare di luce propria. Era impossibile ora distinguere qualsiasi avvenimento al suo interno.
La sottile corona sulla fronte della ragazza andò in frantumi. Gli occhi si spalancarono, la bocca liberò un urlo.
Un urlo imprigionato dentro, da troppo tempo.

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Capitolo 3
*** Memoris ***


Terra.
...

   
Con un gesto della mano, scostò le tende. La luce del mezzogiorno si espanse sulle mura della stanza. Nella mano destra teneva una tazza fumante piena di un liquido grigio. Sembrava avere un ottimo sapore, poiché l’uomo ne prendeva un sorso ogni tre secondi. Cercava di assumere un’espressione rilassata, ma le urla udite la notte scorsa lo tormentavano ancora.
Guardò fuori dalla finestra. Il sole brillava ardentemente, e non c’era traccia di tempeste in arrivo. Una moltitudine di persone correvano avanti e indietro, cercando di raccogliere cosa poteva essere ancora raccolto. Altri erano impegnati in processi di riparazione, qualche isolato più lontano. Non avevano neanche dato notizia del numero di morti.
Si allontanò dalla finestra, posò la sua tazza vuota sul tavolo, e si allontanò verso la porta d’ingresso. Controllò i movimenti fuori dalla casa, per assicurarsi che nessuno lo avrebbe disturbato.
Lo avevano visto. E lo sapeva. Non ci avrebbero impiegato molto per trovarlo.
Con passi rapidi si avvicinò alla porta della camera da letto. La aprì lentamente, cercando di fare il minimo rumore possibile. Il buio inondava la stanza, ma la luce del corridoio fu abbastanza per illuminare una figura distesa a terra, vicino al letto. Le coperte andavano a piegarsi ogni dove, coprendo per metà, il corpo nudo e indifeso della ragazza.
L’uomo la osservò per pochi attimi, dopodiché aprì del tutto la porta.
-Hai uno strano modo di dormire tu. -
Probabilmente l’uomo si era accorto che la ragazza era sveglia da un po’. In tutta risposta, la figura strinse ancora le coperte, cercando di nascondersi quanto poteva.
-Rilassati. Ti ho solo portato dei vestiti. - L’uomo si avvicinò di pochi passi e sistemò gli indumenti ripiegati sul pavimento, vicino al letto. Poi, senza aggiungere altro, si girò e uscì, chiudendo la porta alle sue spalle.

...
Terra...
La risata echeggiò in tutta la sala. Una risata forte, inquietante, senza alcun tono di allegria. Una risata penetrante, capace di raggelare il sangue. Ma non era solo questo. No, c’era molto altro.
Poiché quando il coraggio abbandonava le tue forze, quando la tua essenza veniva consumata attraverso i tuoi sensi, riuscivi a vedere tra le note...
Il dolore.
Dolore tra le fiamme.
L’uomo stava celato tra le ombre. Continuava ad osservare. E a ridere.
Ogni volta che i corpi carbonizzati cadevano sul freddo pavimento, ogni volta che un urlo veniva soffocato dalle fiamme, ogni volta che loro guardavano, e non capivano. Ogni volta, lui rideva.
Terra.
...


L’uomo era nuovamente davanti alla finestra. La terza tazza contenete il liquido grigio in mano. L’attesa lo innervosiva. Dopo pochi minuti, tirò un sospiro di sollievo.
-Buongiorno. - disse senza girarsi.
La ragazza stava in piedi sull’uscio della porta. Le mani appoggiate alla parete, pronta a scappare a qualsiasi segno di pericolo. Indossava un corpetto rosso scuro, associato a due lunghi polsini e stivali dello stesso colore. Le gambe erano coperte da una calzamaglia bianca decorata in alcuni punti, da piccoli e rotondi simboli di rose. I capelli mossi verdeggianti, ricadevano sulle spalle.
-Spero che ti piacciono. Non ho trovato molto altro. -
L’uomo si girò stavolta, sorseggiando dalla sua tazza. Era un uomo alto, robusto, sulla cinquantina. Capelli biondi corti, ed un espressione rassicurante sul volto.
-Io sono Arvis, piacere. - Si avvicinò al tavolo prendendo tra le mani un’altra tazzina che preparò da riempire con lo stesso liquido grigiastro. -Hai sete per caso? -
-Dove sono? - chiese la ragazza. Sembrava quasi gridarlo. Il suo sguardo si muoveva in fretta, analizzando i particolari della stanza. Un forno, ed un lavandino in un angolo. Piatti e bicchieri ordinati sopra un mobile, in alto.
-A casa mia. Ti ho trovata la notte scorsa, in un angolo di una stradina, mentre tornavo a casa. Eri priva di coscienza, così ti ho portata da me. Hai dormito per un giorno intero. -
La ragazza prese un attimo per rispondere, insicura di doverlo fare.
-Ho mal di testa. -
-Sì. Lavori per l’Impero no? -
-Cosa? -
-La notte scorsa, la città è stata attaccata da tre soldati Magitek. Giudicando dalla tua uniforme, o meglio dire, quel che ne era rimasta, tu eri una di loro. -
Non rispose. Si portò una mano alla fronte, cercando tra i pensieri.
-Io... Io non lo so. -
-Non ti ricordi niente? -
-No. -
Arvis la squadrò per un attimo. Il suo sguardo si fermò sui suoi occhi, cercando di capire se parlava la verità o meno.
-Perdita di memoria? -
La ragazza non rispose.
L’uomo si avvicinò di qualche passo, con la tazza fumante in mano.
-Come ti chiami? -
Osservò il liquido e il vapore che emanava per qualche secondo, poi rispose.
-...Terra. -
-Allora non hai una perdita di memoria. -
Terra indietreggiò di qualche passo.
-Rilassati. Non ho intenzione di farti del male. -
-Non riesco a ricordare altro. E’ la verità! - gridò lei, spaventata.
-Va bene, va bene! Ti credo, ma cerca di calmarti. -
Non disse altro. Gli occhi fissi sull’uomo davanti a lei.
All’improvviso, un forte rumore fece trasalire entrambi. Tre colpi alla porta seguiti da una voce maschile. -Guardia cittadina! Aprite! -
Arvis posò la tazza sul tavolo, e si avvicinò velocemente alla finestra. Erano in tre, armati.
-Maledizione. - girò la testa verso la ragazza, che ora sembrava più sconvolta di prima.
-Siamo qui per il pilota del Magitek imperiale! Aprite! - continuò la voce fuori dalla porta, continuando a bussare con più forza.
-Magitek...? -
-Non c’è tempo per spiegare, vieni con me! -

Fuori dalla piccola abitazione, mentre ognuno prendeva parte nei propri impegni, un resoconto di quanto accaduto la notte precedente si stava discutendo in un’abitazione poco lontana.
-La città non ha più possibilità di dichiararsi ora neutrale. E sarebbe inutile opporci all’Impero. -
Due persone stavano osservando attentamente una mappa disposta su un lungo tavolo, in legno. La stanza era riscaldata dalle fiamme di un camino. Uno dei due si staccò dal tavolo, dirigendosi verso il focolare. L’altro indicò con l’indice un punto sulla mappa, riprendendo il discorso.
-A sud c’è Figaro, fedele all’Impero, e a ovest, oltre le montagne, c’è Kohlingen, neutrale. Abbiamo mandato un messaggero che arriverà tra pochi giorni. Però... - si bloccò cercando con lo sguardo una qualsiasi reazione. Ma la persona di fronte a lui non sembrava farci caso, essendo molto più impegnato a riscaldarsi le mani. -...signore, da quando l’Impero ha messo le mani su tecnologia magica, niente è più riuscito a fermarlo. I Magitek possiedono forze con cui noi non possiamo competere. -
-E che cosa proponi? - parlò ad un certo punto.
-Penso che lei lo sappia. -
-L’esper? -
-Non hanno perso tempo con le trattative, non hanno fatto alcuna domanda. Hanno cercato di prendere con la forza ciò che volevano senza neanche discutere. -
-E quindi, vorresti che consegnassimo l’esper al’Impero, con la speranza di salvare la città? -
-Naturalmente sì. -
L’uomo sorrideva. Osservava le fiamme attraverso occhi stanchi e provati. Alla sua età anche una cosa priva di importanza come la luce di un fuoco riusciva a suscitare in lui nuove emozioni, ogni volta. Emozioni e ricordi.
-Signore...? -
-Lo sai... - rispose dopo qualche secondo. -...da piccolo, mio nonno continuava a raccontarmi storie. A quel tempo ero troppo giovane e sciocco per capire, ma ora... -
-Signore, dovremo prendere una decisione in fretta. -
-...basta guardare intorno. Dopo la guerra il mondo è cambiato così tanto. - sembrava intento a continuare il suo racconto, così il sovrintendente non riprese più parola.
-La nostra forza sta ora nel freddo acciaio, e nel vapore ardente. Fame, discriminazione, povertà. Il desiderio dell’uomo non ha più importanza. Tutto ciò che conta, è il potere. E l’Impero di Gestahl è l’incarnazione dell’avarizia. -
Il vecchio si alzò, continuando a fissare le fiamme.
-L’esper non ci appartiene. Se sarà sua volontà appartenere all’Impero, nessuno di noi si opporrà. -

-Di qua! - Con un colpo, Arvis spalancò una porta bassa e stretta. Il freddo iniziava già a penetrare da fuori. Terra era a fianco a lui, immobile, le mani appoggiate davanti al petto.
-Devi andartene, Terra. Segui questa strada, e poco dopo ti troverai accanto alle montagne, prosegui dritta e... -
Ma la ragazza non lo sentiva nemmeno per metà. Ogni due secondi condivideva lo sguardo con lui, poi tornava a fissare la porta, non sapendo come gestire la situazione.
-Terra, mi stai ascoltando?! -
Altri colpi alla porta d’ingresso. I soldati stavano perdendo la pazienza.
-Ascoltami... - Arvis appoggiò le mani sulle spalle della ragazza, offrendole uno sguardo sincero e supplichevole. -...non devi farti trovare qui da loro, hai capito? Non capirebbero e non ascolterebbero. Segui questa strada, ti porterà fuori città. -
Annuì due volte, facendo due timidi passi fuori dalla casa. Confusa e spaventata, continuava a guardare l’uomo che a sua volta la intimava di correre. Al contatto con la neve sulla sua pelle, s’immobilizzò ancora.
-Di là! - Una voce in lontananza, accompagnata dall’abbaio di un cane. Probabilmente i soldati si erano accorti, i passi erano sempre più vicini. Dopo pochi secondi, Terra guardò un ultima volta verso Arvis, poi scattò in avanti seguendo la strada, e cercando di ricordare le istruzioni.
Inciampò un paio di volte, ma continuava a proseguire più veloce che poteva, mentre le voci e i rumori si avvicinavano ancora. Il freddo rallentò presto la sua corsa, ma lei non sembrava voler rinunciare tanto facilmente. Appena i suoi piedi toccarono il legno di un ponte sospeso, si fermò. Altri cinque soldati la avvistarono, quindi imboccarono la strada per raggiungerla, unendosi al primo gruppo. Non sapendo che cos’altro fare, la ragazza riprese la sua corsa, superando il ponte e lasciandosi le case di Narshe alle spalle. Si ritrovò, come aveva detto Arvis, di fronte alla roccia della montagna. Spostò lo sguardo in direzione della strada appena percorsa.
-Di qua! Sbrigatevi! - fu il comando del capitano. I soldati lo superarono in fretta, percorrendo il ponte in legno, verso la ragazza. Lei fu veloce a notarli, quindi si voltò e proseguì la corsa. Si ritrovò nuovamente sul freddo bianco, percorrendo ancora la strada accanto alla parete rocciosa. Finché non fu sicura di aver trovato un’entrata. Una delle caverne usate dai minatori le sembrava un posto decisamente più sicuro che restare fuori sotto gli occhi di tutti. Ma il pericolo era ancora presente, lo sapeva.
La stanchezza e la paura ebbero la meglio dopo qualche altro metro. Si girò in cerca degli inseguitori, senza ricevere alcuna conferma della loro presenza. Forse adesso era al sicuro. Ma che cosa avrebbe fatto? Era sola, senza un posto dove andare, o tornare.
Una voce squarciò i rumori dei suoi tormenti.
-Eccola! Di qua! -
Quando si accorse fu troppo tardi, cinque soldati entrarono da un’apertura nella roccia, qualche metro sopra la sua testa. Altri sei comparirono dietro di lei, bloccando qualsiasi possibilità di scampo. Terra si ritrovò accerchiata da tutte le parti. Lentamente indietreggiò finché la sua schiena non trovò la roccia.
-E’ finita, maledetto Imperiale! - gridò uno dei soldati, mentre gli altri le puntarono addosso le armi da fuoco.
Avrebbe voluto gridare. Gridare che lei non c’entrava niente, che non sapeva nulla e voleva solamente essere lasciata in pace. Ma le parole erano prive di suono. Osservava i soldati uno per uno, e per un attimo si chiese se sarebbe stato opportuno cercare di resistere, di difendersi.
In quel momento la sua mente traboccava di pensieri, e forse fu proprio in quella struttura labirintica a formarsi. Qualsiasi cosa fosse, nell’istante successivo, i soldati si bloccarono. Per un attimo il terreno sotto i loro piedi sussultò, poi comparirono i primi segni. Probabilmente si accorsero, poiché abbassarono le armi e controllarono il terreno con lo sguardo. In una frazione di secondo le fratture si allargarono, facendo crollare la parte di terreno intorno alla quale erano tutti radunati. Terra cercò di afferrare la roccia ma si ritrovò senza alcun appoggio, precipitando tra l’ammasso di fango e polvere, verso l’oscurità. Lanciò un grido spento cercando forse aiuto tra coloro che, date le circostanze, erano suoi nemici. Ma i soldati non si ripresero abbastanza in fretta, alcuni sostenevano altri per non cadere, mentre la maggior parte non riusciva ancora a capire che cosa stava succedendo.
La distanza aumentava, le mani andavano a cercare un rilievo da ogni parte. Un gesto involontario, poiché in una simile situazione sarebbe stata troppo sconvolta persino per respirare. Il suo fianco colpì la pietra, poi un altro colpo ancora, e la sua vista si oscurò. Ora priva di coscienza, il suono del suo corpo che graffiava l’aria, la pietra, le sembrava di risentire ancora. Ancora, la risata di quel tempo.

...
Terra, non è così?
L’uomo si avvicinò, il suo volto ora illuminato dalla luce del neon. Le sue strane caratteristiche davano un significato alla sua diabolica risata. La pelle completamente bianca, gli occhi socchiusi, cerchiati da una pittura rossa. Il colore sembrava dividersi in più tendini, ricoprendo anche una parte della sua guancia. I due ragni scarlatti e il suo ghigno inquietante, che Terra avrebbe per sempre ricordato.
-Tu sei la mia più grande arma, ragazzina. Tu sei in grado di fare ciò che gli altri non possono nemmeno sognare. Non dimenticartelo! -
La sua risata spezzò l’immagine di una ragazzina di appena diciotto anni con l’insieme di corpi carbonizzati alle sue spalle.
Il vento sulla sua pelle le intimò di alzare lo sguardo. Soldati e persone erano di fronte a lei. Più in là, un uomo alto e robusto stava di schiena, con le braccia spalancate. Indossava una veste lunga e scura, i capelli sciolti e impalliditi dal tempo, come la barba. Sotto il ponte di ferro, un centinaio di persone erano in piedi con lo sguardo fisso su di lui. Quando iniziò a parlare, la sua voce roca e forte penetrò nell’animo di tutti. La paura era evidente sui loro volti.
-Popolo dell’Impero! Siamo all’alba di una nuova era! Il potere perduto della magia è tornato a noi! Noi siamo i prescelti! -
Magia? Leggende di tempi mai esistiti.
-Abbiamo finalmente la possibilità di cambiare il mondo! Di trasformarlo, secondo la nostra volontà! Di renderlo un posto migliore, per tutti noi! Perché non lavorare insieme? Come le tre divinità agirono insieme per creare il mondo, anche noi, insieme, possiamo cambiarlo! -
-Lunga vita all’Imperatore Gestahl! - fu il grido di uno dei soldati, seguito poi anche dal popolo, in un tono debole, forzato.
Una mano toccò la spalla della ragazza.
-Non temere, mia piccola strega. Andrà tutto bene. Con il tuo aiuto, l’intero mondo sarà ai nostri piedi. -
...


-Ne hai messo di tempo. -
Con un’espressione preoccupata di cui non riusciva a liberarsi, Arvis stava seduto al tavolo, con la sua tazzina tra le mani. Era vuota già da un paio di ore.
Dietro di lui, un ragazzo era appoggiato alla porta, con le braccia incrociate.
-Sarai stato occupato con furti e saccheggi da quattro soldi, giusto? -
-Io preferisco il termine ‘’cacciatore di tesori’’. - affermò il ragazzo con un sorriso. Aveva capelli castani arruffati che spiccavano da sotto una bandana decorata con diversi motivi dai colori più brillanti. Il busto era ricoperto da una giacca blu e nient’altro. Infatti cercava di nascondere il tremito dei suoi denti quando parlava. Sicuramente non era l’abbigliamento più adatto per il clima di Narshe.
-Ha! Spiritoso come sempre eh? -
Arvis si voltò verso il giovane cercando di ricambiare il sorriso.
-C’è una grande differenza sai! - precisò lui, agitando la mano per scacciare l’argomento, e forse cercare di riscaldarsi. -Comunque, perché mi hai chiamato? -
Si prese un attimo per rispondere, insicuro di come formulare la frase.
-Ho... trovato la ragazza. -
Il sorriso sul volto scomparve. Il ragazzo fece un passo in avanti.
-Non starai mica parlando di...?! -
-Sì, la guardia cittadina la sta inseguendo proprio in questo momento. -
Arvis si alzò, portando la tazzina vuota sul lavandino. -La città possiede la forza necessaria per opporsi all’Impero, ma non la userà. E la gente è troppo testarda per unirsi a noi. - Prese un momento per cercare un altro barattolo contenete la polvere grigia, poi versò l’acqua dentro una pentola, mettendola sul fuoco. -Ho persino cercato di spiegare loro, che la ragazza era sotto il controllo dell’Impero, ma non mi hanno dato ascolto. -
-Ho capito. Vuoi che la porti fuori da Narshe? -
-Ho cercato di darle le spiegazioni necessarie, ma temo che non se la caverà da sola. Trovala, e insieme, dirigetevi a Figaro. -
-Nessun problema, vecchio! -
La finestra aperta, il ragazzo stava pronto a scattare fuori.
-Potrei consigliarti di usare la porta? -
-Le signore non devono temere alcun pericolo quando Locke Cole, il cacciatore di tesori è nei paraggi! - pronunciò, ignorando il commento di Arvis.
Un balzo e la sua sagoma si dissolse nella neve, fuori dalla casa.

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Capitolo 4
*** Locke ***


Kupò!
-Che cosa? E’ svenuta? -
Locke si stava avvicinando più in fretta possibile, imboccando corridoi su corridoi di pietra. Un essere dalle strane caratteristiche stava volando al suo fianco, sbattendo velocemente le piccole alette rosse sulla schiena. Un corpo corto e ricoperto interamente di pelo bianco, l’unica cosa che visibilmente spiccava era il grosso naso rosso, che gli donava se non altro, un aspetto alquanto buffo.
-Dove sono gli altri? -
-Kupò! -
-Nascosti? L’attacco dei Magitek deve averli spaventati. -
La montagna era dotata di un sistema di corridoi e caverne, costruite dai minatori per poter facilitare l’estrazione dei minerali. Con il passare degli anni, molte delle caverne sono state rese inutilizzabili dopo numerosi crolli. Fu proprio in quei posti a formarsi l’habitat dei moguri. Creature bipedi dalla pelliccia bianca e orecchie appuntite. Solitamente vivono in gruppi isolati o nascosti dall’occhio umano. Locke era in buoni rapporti con alcuni di loro, stringendo col tempo, una forte amicizia. I moguri non esitarono di aiutarlo, guidandolo attraverso la montagna.
Purtroppo, Locke non era l’unico in cerca della ragazza. Appena le guardie si erano riprese, continuarono la loro ricerca, scovando una strada per scendere nell’entroterra. Ora era diventata una questione di tempo e velocità.
Terra era distesa sulla roccia, immobile, tra i frammenti di pietra attorno a lei, in uno spazio dominato dal buio e dal silenzio. Qualche metro più distante, suoni deboli e confusi diventavano sempre più vicini.
Due moguri sbucarono da dietro una roccia. Ispezionarono il territorio per pochi minuti, assicurandosi l’assenza di qualsiasi segno di pericolo. Si accostarono poi, alla ragazza svenuta, emettendo i loro versi nella speranza di svegliarla.
Le orecchie del moguri catturarono i rumori, e subito dopo cambiò direzione.
-Ehi, aspetta! -
Per poco non inciampando, Locke atterrò, con un salto, su una roccia qualche metro sotto. Dovevano scendere ancora, e le fonti di luce diventavano sempre più flebili.
-In che guaio mi sono messo per una donna che dovrebbe essere un nemico?!>> commentò lui, seguendo il suo compagno moguri attraverso l’oscurità.
-Kupò! -
-Già, è proprio quello che dicevo. -
Dopo qualche altro metro nelle profondità, il piccolo moguri trovò i suoi simili. Locke comparve qualche minuto dopo, tastandosi la sommità della testa.
-Ok, è deciso. Niente più caverne oscure! Eh... -
Con qualche altro passo si avvicinò alla figura immobile della ragazza, in mezzo al gruppo di moguri.
-Respira ancora? -
-Kupò! -
Accovacciato accanto a lei, Locke la osservò in silenzio. I suoi capelli smeraldini, il suo volto pallido e privo di difetti. Il fango e la polvere aveva macchiato i suoi vestiti, ma non sembravano esserci ferite, tranne qualche graffio.
D’un tratto, una luce abbagliante squarciò attraverso il buio. Locke si portò la mano davanti agli occhi, mentre i moguri volarono via in preda al panico.
-Signore, abbiamo trovato la donna! -
I soldati avanzarono, ognuno con una torcia e un fucile tra le mani.
-Levati di torno, ragazzo! L’imperiale viene con noi. -
Locke si ritrovò con la canna del fucile puntata contro. I soldati lo accerchiarono e, dato lo spazio ristretto, Locke si trovava senza alcuna via di fuga. Potrebbe semplicemente consegnare la ragazza ai soldati e fuggire. In fin dei conti, lavorava per l’Impero. Spostò lo sguardo nuovamente su di lei. Che cosa aveva di tanto speciale, da poter diventare preda sia dell’Impero che di Narshe?

-...si tratta di una donna, una diciottenne. -
E quindi? Un altro soldato dell’Impero. Dovrebbe essere uccisa insieme a tutti quei maledetti! Molti simili pensieri affluivano nella mente di Locke.
Aveva ben presente di cosa era capace l’Impero. Quando iniziarono la loro conquista, furono in molti coloro che opposero resistenza. I ricordi tornavano spesso, i suoi genitori che diedero la vita invano, i suoi cari massacrati come animali. E infine, le macchinazioni demoniache. Centinaia di armature Magitek, con il potere di distruggere ogni cosa.
La guerra non durò a lungo, uno dopo l’altro, i più grandi regni caddero. Ma cos’è che offriva all’Impero così tanto potere?
-Perché è così famosa? - chiese, ad un certo punto.
-A quanto pare è una delle armi più potenti dell’Impero. -
-Un’arma? -


-No... - sussurrò lui, poggiando la mano sul volto della ragazza e scostandole una ciocca di capelli.
-Non ti è chiaro ragazzino?! Levati di torno o apriremo fuoco! -
Locke balzò in piedi. Si sistemò la giacca e la bandana, poi offrì loro il miglior sorriso che poteva tirare fuori in quelle circostanze.
-Bene ragazzi, è tempo di rendere la festa più interessante. -
Fu proprio in quel momento che comparirono. Da dietro le ombre spuntarono fuori decine di moguri che, sotto gli sguardi increduli dei soldati, iniziarono a ronzare in ogni direzione, senza seguire alcun ritmo, per oscurare la visuale ai presenti. Alcuni si posarono sulle armi da fuoco, altri cercarono di strapparle via dalle mani dei più timorosi. Presto le guardie persero la concentrazione diffondendosi per la caverna nella speranza di liberarsi dalle creature.
-Kupò! -
Con Terra tra le braccia, Locke scattò tra i soldati, seguito da uno dei moguri che poco dopo si spostò davanti, per condurlo verso l’uscita. Presero una via laterale, conosciuta solo ai moguri. Locke infatti, dovette fare non poca fatica per proteggere la ragazza e specialmente, non sbattere la testa contro il soffitto. Fortunatamente, dopo qualche altra galleria, un primo raggio di luce si avvistò in lontananza. Terra emise un gemito e aprì gli occhi.
-Ehi! Ma guarda chi è tornato tra noi... - ansimò Locke, continuando la sua corsa. L’uscita era vicina, nell’aria era già presente il profumo di neve.
-Chi...? - chiese lei con un filo di voce.
-Rilassati, ti spiegherò tutto appena saremo fuori. -
Voltandosi un’ultima volta, per suo sollievo, notò che erano soli, nessuno li aveva seguiti. Attraversò in fretta l’uscita e, per la prima volta, fu contento di sentire il freddo pungente sulla pelle.
-Ti ringrazio. Non ce l’avrei fatta senza di te. -
Il moguri esegui una capriola in aria, poi indicò la ragazza tra le braccia di Locke. Lui scostò la neve da una roccia accanto, posandola poi delicatamente sulla superficie.
-Faresti meglio a tornare dagli altri ora. -
-Kupò! -
-Tranquillo, ce la caveremo. Stiamo parlando di Locke Cole, il famoso cacciatore di tesori! Che potrebbe mai accadere? - assicurandolo con un sorriso. Lo ringraziò nuovamente, prima di vederlo allontanarsi verso la caverna.
La neve si stava posando lentamente sulla sua guancia. Un forte dolore alla testa la costrinse ad aprire gli occhi. Emise un gemito, portandosi la mano alla fronte.
-Come ti senti? -
Locke era a pochi passi da lei, in piedi, con le mani sui fianchi, a guardarla attentamente.
-Chi sei? -
-Mi ha mandato Arvis. Sono Locke. Locke Cole, il famoso... - si bloccò, notando che la ragazza non lo stava nemmeno ascoltando. Il suo sguardo stava catturando il panorama oltre la foresta, visibile a qualche kilometro dalla loro posizione. Le montagne ghiacciate erano scomparse, e qualcos’altro si stagliava all’orizzonte. Qualcosa di molto diverso.
-Passato e presente... è tutto così confuso. Non riesco a ricordare nulla. -
Un raggio di luce illuminava il suo volto. Locke lo stava ammirando a sua volta.
-Perdita di memoria? Ora si spiegano un paio di cose. -
Si lasciò cadere sulla roccia, accanto a lei, e sorridendo chiese. -Come ti chiami dunque? -
Lei lo guardò, nella sua mente tornarono i soliti interrogativi e domande.
-Terra. -
-Terra, con me sarai al sicuro. -
Quelle parole la fecero trasalire. Tant’è che non abbandonò il suo sguardo. Il loro significato era ancora un mistero nella sua mente. La sua vita era appena iniziata, e si era trovata ad essere sotto il mirino di tutti quanti. E ora, uno sconosciuto compare e...
No, è sicuramente un inganno, si disse. Ma nonostante la sua ragione la intimava di scappare, si rese conto di non avere un posto dove andare.
Anche nella mente di Locke affluivano simili pensieri. La ragazza lavorava per l’Impero. Lo stesso che ha sterminato la sua famiglia, e lo ha costretto ad una vita da ladro e spia. Però, una strana sensazione lo costrinse a pronunciare quelle parole. Poiché Terra non sembrava come loro. Sembrava avere qualcosa di diverso. Solo la sua innocenza, o c’era dell’altro?
Il sole stava per nascondersi lontano, ricoprendo con un’ombra, le montagne bianche di Vjoll. Locke decise che non sarebbe stato opportuno cercare di percorrere la strada verso Figaro di notte. Ma la montagna era comunque un posto troppo freddo dove passare la notte, così optò per la foresta.
-Ti porterò in un posto dove la gente di prima non potrà farti del male. - disse Locke. -Giù da questa montagna, c’è una foresta. Là troveremo un posto dove riposarci per la notte. -
Terra non rispose. Come poteva fidarsi di uno sconosciuto? Purtroppo si ritrovò senza altre opzioni, quindi annuì e si alzò. Locke la guardò per un interminabile minuto, cercando qualcosa da dire nella speranza di rassicurarla.
Non sono bravo con queste cose, si disse incamminandosi attraverso la neve. Terra lo seguì, mantenendosi dietro di lui ad una distanza calcolata per non perderlo di vista, ma abbastanza lontana da poter pensare in pace.
Il freddo non cessava nemmeno ora, che il paesaggio iniziava a cambiare. La neve diradava, e i pochi pini erano liberi dal suo peso. I due continuavano a non scambiarsi nemmeno una parola. Quando incontrarono il bosco il cielo si era ormai oscurato quasi completamente.
Locke si fermò nei pressi di un pino che spiccava tra gli altri per la sua lunghezza e posizione. Gli alberi crescevano ad una certa distanza intorno, formando una piccola radura. Senza allontanarsi troppo, Locke staccò dei rami e raccolse alcuni sassi di dimensione adatta, al fine di creare un fuoco di bivacco. Tutto in relativamente poco tempo, dato che, quando fu pronto, il sole era appena scomparso.
Mentre Locke stava eseguendo gli ultimi aggiustamenti, Terra era concentrata sulle fiamme. Non riusciva a staccare lo sguardo. Immagini tornavano ad affliggere la sua mente.

-Hahahahahah!!! Brucia! Brucia! -
Le urla non cessavano, e nemmeno la crudele risata dell’uomo alle sue spalle. Eppure lei continuava, senza esitare, senza nemmeno distogliere lo sguardo. Le fiamme erano una parte di lei, e sapeva come canalizzarle attraverso un semplice gesto della mano. I suoi occhi vedevano, la sua mente capiva, ma il suo corpo non rispondeva.
Solo un incubo.
Solo un incubo.


-Terra? -
La voce del ragazzo la riportò alla realtà.
-Stai bene? Hai ancora mal di testa? -
-N-No... -
Imbarazzata si appoggiò a terra, dalla parte opposta rispetto a Locke. Mosse lo sguardo intorno, analizzando l’ambiente. La notte celava i contorni degli alberi, trasformandoli in un muro nero che serviva da rifugio per i due. Rifugio o prigione? Non lo sapeva, e la cosa la tormentava, tanto che la paura ritornò a confonderle i pensieri.
E lui?
Terra, con me sarai al sicuro.
Questo significava che l’avrebbe protetta?
-E così... - iniziò Locke, sperando di penetrare tra la nebbia di ostilità e confusione che si era formata -...non ricordi proprio niente del tuo passato? -
Terra scosse la testa. A parte i frammenti che ogni tanto tornavano, non aveva molto altro. Tutto qui, la sua vita consisteva solo di immagini, schegge di un passato di cui non poteva confermare l’esistenza, e forse non lo desiderava neanche. Ma se nemmeno un passato le era concesso, che cosa aveva?
-Capisco. Deve essere dura. -
-Perché stai cercando di aiutarmi? - chiese lei all’improvviso. Teneva lo sguardo abbassato sulle proprie mani, tenute sulla sommità delle cosce. Ogni tanto eseguivano movimenti rapidi, come dei spasmi veloci e involontari.
Seguì una lunga pausa. Il volto di Locke, illuminato dal calore del fuoco, esprimeva insicurezza e vergogna. E’ la cosa che si stava chiedendo a sua volta. Si limitò a distogliere lo sguardo, mormorando un lontano -Faresti meglio a riposarti. - Dopodiché si coricò nella speranza di evitare altre domande.
E se lei non avesse voluto andare con lui? Terra si rese conto di quanto sciocca fosse la situazione in cui si trovava. Non stava agendo per sua volontà, ma continuava a seguire gli altri, anche adesso che la coscienza le apparteneva. Che cosa le impediva di alzarsi e correre via? Scappare ed essere libera, senza preoccuparsi della meta.
Con questi pensieri si addormentò. Accanto alla luce del fuoco che proiettava mille ombre oltre la sua figura, lontano nell’oscurità.
Quando aprì gli occhi, intorno a lei era ancora buio. Il fuoco era spento e Locke non si trovava da nessuna parte. Lo cercò con lo sguardo da ogni parte, notando ora qualche morbido barlume di luce che attraversava la parete fosca di alberi. L’angoscia prendeva il sopravvento. Issandosi su due piedi, cercò di catturare il minimo rumore o segno che potesse confermare la sua presenza. Ma oltre il cinguettio dei volatili in lontananza, nessun altro rumore accompagnava il risveglio della stella.
Era l’occasione migliore per andarsene, pensò. Ora ne aveva la possibilità. Ad ogni giudizio purtroppo, la sua ragione le rammentava anche le conseguenze. Decise che, prima di cercare una meta, forse conveniva cercare ancora il suo salvatore.
Un tonfo alle sue spalle. Sconcertata, si girò di scatto.
-Buongiorno! - la salutò Locke con un sorriso. Poi procedette a togliersi qualche foglia secca dai pantaloni.
-Locke! -
Nemmeno lei si accorse dell’esultanza nella propria voce. Locke la guardò incredulo.
-Oh. Sì, anche io sono felice di vederti. Ero... uh... - indicò la cima dell’albero sotto il quale avevano trascorso la notte, senza distogliere lo sguardo, ancora sbalordito.
Terra si rese conto di quanto fu ingenuo reagire in tal modo. Allontanò la visuale, esitante.
-Uhm... dovremo proseguire ora. Dobbiamo raggiungere Figaro prima del pomeriggio. -
Ancora impacciato, Locke s’inoltrò nuovamente nel bosco ora illuminato in tutta la sua avvenenza verdeggiante. Terra si accodò a lui, stavolta al suo fianco.
Proseguirono indisturbati attraverso la foresta per qualche ora. I loro passi, accompagnati dal coro di usignoli.
-Terra... -
Lei voltò lo sguardo in sua direzione.
-Mi dispiace per prima. Ti ho giudicata senza pensare. Tu non sei come loro. -
-Come loro? - ripeté lei confusa.
-Come i soldati dell’Impero voglio dire. -
L’Impero di Gestahl. Il simbolo a forma di rosa nera, che spesso tornava nei suoi ricordi. Forse adesso aveva la possibilità di chiarire alcuni dettagli.
-Quando ho detto di non ricordare nulla del mio passato, ho mentito. -
Locke si fece attento.
-Ci sono... come delle schegge o immagini di un passato che ho vissuto, o almeno credo di aver vissuto. E in alcune di esse, ho visto un uomo. Era alto, con una barba e capelli lunghi bianchi. - Dopo la descrizione, imitò con il braccio la lunghezza della barba. Un gesto che a Locke sembrò particolarmente dolce.
-Immagino si tratti dell’Imperatore Gestahl. -
-Imperatore...? -
-Sì, è il tizio che comanda tutti quanti dal suo maestoso trono, a Vector. -
Notando lo sguardo confuso della ragazza, continuò.
-Vector è la capitale dell’Impero, molto lontana da qui. Una delle prime città ad essere industrializzata. E’ come una gigantesca fortezza in metallo. Là dentro si trovano le forze principali che dirigono il così detto ‘’governo mondiale’’. Per metterla in poche parole, l’Impero desidera il controllo del mondo. -
-Ma io... che cosa c’entro con tutto questo? -
-Da quanto ho capito, ti tenevano sotto il loro controllo in qualche modo. -
E se così fosse, molti dei suoi dubbi sarebbero stati chiariti. Ma perché la sua mente si era liberata, soltanto adesso?
-Innumerevoli vite sono state distrutte quando iniziarono la loro conquista. Nessuno sa ancora da dove hanno ottenuto tutto quel potere. Alcuni parlano della riscoperta della magia, ma io non ci credo. -
-Magia...? -
-Si tratta di una roba che viene spesso raccontata nelle favole per i bambini. Come una forza che ti permette di fare tante cose. Ci sono diverse leggende al riguardo. Ma è tutto qui... - Si concesse una breve pausa per sistemarsi una ciocca di capelli, sotto la bandana -...sono solo leggende. -
Terra non disse altro. Sapeva di aver visto e provato alcune cose che erano tutt’altro che leggende. Eppure le sue sensazioni sembravano non appartenere al mondo in cui stava vivendo ora.
La foresta iniziava a diradarsi, gli arbusti sempre più discosti. La temperatura stava iniziando a cambiare radicalmente, passo dopo passo. L’erba stava scomparendo, lasciando spazio al terreno secco e bollente.
Intuendo di essere arrivati, Locke accelerava il passo con entusiasmo. Per non rimanere indietro, Terra fu costretta ad una piccola corsa. Ricordava i momenti di un giorno fa, quando correva per salvarsi la vita. Per fortuna adesso, non c’era nessuno intento a darle la caccia.
Locke s’arrestò sulla sommità di una piccola collinetta con il poco di erba rimasto nei dintorni. Terra lo raggiunse dopo qualche secondo. Dinanzi ai due, si stendeva il manto di un innaturale, ma meraviglioso deserto di sabbia e roccia. Un vento caldo annaffiò la sua pelle. Terra fu pervasa da una sensazione che non riusciva a spiegarsi. Era forse, felicità.
-Siamo quasi arrivati. Ti piace? -
Lei annuì.
E mentre Locke commentava e criticava il clima di Narshe, lo sguardo di lei catturò i contorni di qualcosa in lontananza. Una struttura la cui superficie rifletteva la luce abbagliante del sole.

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