La raffinatezza del gatto.

di l_cod
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Adele afferrò un flute  riempito per i suoi tre quarti di champagne francese dal vassoio  d’argento del cameriere che lei stessa aveva assunto e con un veloce ma sinuoso zig-zag tra i suoi invitati giunse alla porta : l’ultimo dei suoi ospiti era appena arrivato.
La festa d’inizio primavera che ogni anno Adele organizzava nel suo loft nell’Upper East Side  era molto importante , simboleggiava rinascita, freschezza  e soprattutto tanta speranza. Speranza data dalle decine di  editori che  scrutavano ogni suo movimento come  un critico d’arte si accinge  a osservare la mostra di un artista emergente , arricciando il naso ad ogni pennellata sbagliata su di una tela. Per una scrittrice in ebra che si tuffa a capofitto nel freelance , trovare contatti e farsi notare nel campo dell’editoria  è fondamentale  ma Adele non sbagliava una mossa poiché sapeva che  chi è di casa in questo mondo sa capire come una ventenne scrive anche  da come questa  organizza una festa.
Stava per aprire  la porta in mogano laccato ma sobbalzò quasi come spaventata:  un ultimo ritocco prima di ricevere l’ultimo arrivato.  Con uno scatto si posizionò davanti al piccolo specchio che sovrastava  il mobile su cui era posato lo svuota tasche ed un vaso con degli alti girasoli , passo una mano tra la sua liscia chioma castano-chiara  , si lisciò il vestito rosa confetto con delle fluttuanti maniche a farfalla ed accessoriato con una
 grossa cintura nera in vita , fece una smorfia guardandosi allo specchio per testare la resistenza del lucidalabbra , buttò giù quello che restava dello champagne  e finalmente si decise ad avvolgere delicatamente con le mani il pomello in ottone. Fece un leggero movimento di polso per girarlo e aprì la porta.
Marc  De Santis era lì, impalato sull’uscio che sfoggiava un sorriso a trentadue denti e un visetto compiaciuto dolce e irritante  allo stesso tempo.
Adele ricambiò subito il sorriso,  face segno all’uomo di entrare e vedendo la sua reazione titubante , quasi goffa, cedette alla compostezza  forzata dell’evento e gli si avventò al collo in un abbraccio di benvenuto .
Il suo migliore amico, l’amico che l’aveva seguita ed inseguita dall’Italia sino a New York , l’amico,  l’uomo , che le aveva dato una spalla su cui piangere e una battuta su cui ridere sin dall’adolescenza, la persona di cui si fidava di più in assoluto era proprio lì, nella sua nuova casa dall’altro capo del mondo, nella sua nuova vita da scrittrice  newyorkese . 
<< Dede!>> Esclamò Marc in un grido smorzato dalle braccia della donna che  gli stringevano forte il collo. Sapeva che lei non amava affatto quel nomignolo  affibbiatole  dalla mamma sin dall’infanzia, quando Marc ne era venuto a conoscenza avevano entrambi quattordici anni e da allora  Adele, la ragazzina sicura di sé e piena di talento, fu “ Dede”.
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Adele si sganciò dall’amico  e ricadde a terra sulle sue decolté che  martellarono  il pavimento di marmo che componeva l’uscio della porta. Lo esaminò, lo accarezzò, per capacitarsi della sua effettiva presenza.
<< Marc, tu, qui.. A New York!!  >>
<< Sì, Dede. Sono qui!>>  Ribattè l’uomo emulando il tono di stupore della ragazza.
<< Tu.. sei qui! Con me! Come avevamo sempre sognato!!>> Adele , sempre più atterrita, prese la mano dell’amico per tirarlo dentro il suo appartamento. Afferrò un altro bicchiere di champagne  e lo consegnò all’uomo che , disorientato, si guardava attorno come un gatto randagio catapultato in una dimora d’alto borgo. Un uomo in smoking interruppe la sua ricognizione  indicando il soprabito grigio che ancora indossava , gli chiese gentilmente se desiderava consegnarglielo , Marc annuì con un cenno del capo e, mentre l’uomo in smoking si allontanava nella camera da letto adibita a guardaroba , Adele lo prese sotto braccio , accompagnandolo al centro del salotto.
<< Allora? Che te ne pare? Sono una buona padrona di casa?>> ridacchiò.
<< Beh.. direi più che buona! >>Si guardò intorno ammirando l’arredamento particolare  sicuramente frutto dalla creatività dell’amica.
<< Che dire Dede.. Complimenti! E’ tutto quello che hai sempre desiderato,no?>> 
<< Sì, Marc! Tutto quello che ho sempre desiderato è qui davanti ai miei occhi. Un appartamento nell’Upper East Side invaso da ricconi e editori delle maggiori testate giornalistiche della grande mela. Ed io, perfetta padrona di casa, che si destreggia in una vita fatta di lusso, opportunità, raffinatezza e ....>> si fermò ad ammirare il suo abito d’alta moda firmato da chissà quale stilista francese <<.. ed un vestito da sballo!>>  Adele sfoggiò un sorriso pieno d’orgoglio  e  di soddisfazione. Era tutto perfetto. Era tutto così agognato. Era tutto così.. surreale!
L’allarme della sveglia risuonò tuonante.
Era davvero surreale. Era un sogno.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


  Adele Moschino aveva sognato di vivere a New York quattro volte quella settimana. Nove volte quel mese. Troppe volte in quella vita .
Ormai al suono della sveglia che le frantumava il sogno non si arrabbiava più, si limitava  a buttarla giù dal comodino con uno gesto svogliato della mano . Affondava la faccia nel cuscino, grugniva disperata, si dimenava nel letto fino a quando la delusione del sogno  irrealizzabile non svaniva lasciando dietro di sé una leggera nebbia , un senso di insoddisfazione incolmabile che accompagnava le sue giornate. Si rigirava su se stessa, si sedeva sul letto stiracchiandosi e strizzando gli occhioni verdi fino a ritrovare la nitidezza nella vista.
Charlotte, che vagava per casa da chissà quanto tempo, la sentiva ed al primo muscolo che si contraeva nello stretching mattutino accorreva nella camera della padrona. Elegante , quasi danzava per tutto il corridoio, silenziosa, leggiadra , sino ad arrivare dinnanzi il letto a due piazze di Adele e seduta attendeva il permesso di quest’ultima per poter saltare sul letto e  fare fusa fino a quando riceveva le dovute coccole.
Che eleganza e che portamento possedeva quella gatta! Pensava Adele ammirandola quasi come ammirasse la più raffinata tra le attrici. Al pari di Audry Hepburn e Julia Roberts! Lei sì che sarebbe a suo agio in qualsiasi appartamento ben arredato o in qualsiasi quartiere ben abitato. Lei si limiterebbe ad osservare l’andirivieni di ricconi e mantenute, editrici e investitori, cameriere e chef altolocati, accompagnando la loro visita con leggeri miagolii e sinuosi movimenti di coda che disegnerebbero spirali e cerchi nell’aria. Lei sarebbe il completamento perfetto di una vita perfetta, in una città perfetta ,per una persona perfetta! Oh! Charlotte  cara, qui sei sprecata! A questo pensiero Adele si abbandonò ad un sospiro  scoraggiato e accolse la gattina con delle carezze delicate, poi le cinse il viso con le mani e si avvicinò per contemplarlo meglio, lasciando che i sottili baffi dell’animale le solleticassero i palmi delle mani. Aveva un visetto stupendo! Lunghi sottili baffi, tutti bianchi eccetto uno che era leggermente più corto degli alti e nero come la notte, grandi occhi attenti, pronti scrutare ogni movimento sia di notte che di giorno, occhi di un grigio chiaro da far invidia a tutta la specie felina, dove Adele amava riflettersi quasi fossero specchi che la consolassero nei momenti più tristi . Ed infine il manto..  un pelo lucido e morbido, una base di grigio chiaro che andava a in scurirsi poco a poco ci si avvicinasse al dorso , la pancia di un bianco candido da cui partivano delle strisce nere che disegnavano eleganti ghirigori sino ad arrivare alla testa dove formavano una specie di “A” che separava gli occhi e arrivava giù al naso rosato che fiutava e memorizzava qualsiasi odore entrasse dalla finestra spalancata di quell’appartamento al nono piano di un condominio nella periferia di Albenga.
Tra mille fusa e dolci carezze Adele si accorse che era decisamente tardi. Le nove e trenta. Aveva mezz’ora netta per arrivare dall’altro capo della città e timbrare il cartellino.
<< Cazzo, ritardo assicurato! >> Gridò preoccupata rivolgendosi alla piccola Charlotte che in un attimo si ritrovò catapultata dalle coperte al pavimento e , mentre la padrona scorrazzava per casa, lei decise di godersi il sole di quella giornata primaverile e accovacciarsi tra le aiuole in fiore sul davanzale della finestra.
In meno di quindici minuti Adele aveva fatto una doccia, si era vestita, spalmata in faccia la metà delle creme per il viso che aveva sul mobiletto del bagno, lavato i denti , truccata leggermente , afferrato le chiavi della macchina, il cappotto ,una fetta di pane con burro salato e marmellata di castagne ed era  uscita di casa  gridando un “Ciao Charlotte!”spezzato dal rumore della porta che sbatteva alle sue spalle. Spalancata la portiera dell’auto si rese conto che aveva dimenticato il cellulare ma non fece in tempo a proferire alcuna imprecazione che si ricordò che non ci sarebbe stato il tempo né per messaggi né per telefonate durante il turno o nella pausa di quindici minuti che l’aspettava tra sole 4 ore di lavoro.  Adele, ventenne diplomata con ottimi voti dopo cinque anni di liceo classico statale , giù , al sud, si era trasferita ad Albenga  per fare l’università che avrebbe iniziato appena avrebbe avuto stabilità economica . Aveva un’auto usata , un appartamento nei sobborghi , una vita pagata da un lavoro da schifo e aveva tutta l’impressione di star fallendo nella vita. Lei voleva di meglio, lei voleva New York.
Sfrecciò via dal vialetto di casa e imboccò l’autostrada , il fast food dove lavorava distava ben trenta minuti di macchina, traffico escluso.
Trenta minuti per pensare a se stessa. Trenta minuti che spesso usava per ripensare a tutti i suoi progetti corrosi dal tempo e al suo futuro ancora troppo incerto per essere considerato tale.

 

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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Il fast food “Eat’n’Run” era il più eccentrico dei locali di quella zona:  eleganti  lounge bar e piccole  boutique intervallavano un lungo viale di ciliegi in fiore che terminava davanti all’entrata principale di un grande parco pulsante di vita . Albenga era una tranquilla città in provincia di Savona, non era certo Milano o Firenze ma era il posto dove aveva trovato un lavoro ed una casa  più vicino all’Università di Genova , la migliore università che la sua famiglia potesse permettersi.
Per un attimo, mentre attraversava il lungo viale a piedi poiché l’unico posto trovato  -oltre un posto di diritto dallo sfasciacarrozze-   per il suo catorcio era distante cento metri dall’inizio del viale, si immaginò nuovamente tra le strade della grande Mela: la sua borsa di tela semi vuota si trasformò in una ventiquattrore in pelle di coccodrillo con un palmare permanentemente squillante all’interno, i suoi scialbi jeans e la sua maglietta monocromatica diventarono un elegante tailleur di seta  color crema, il viale si popolò d’un tratto e divenne una caotica strada di Manhattan e la becera bettola dove lavorava si innalzò di cinquantun piani e divenne il New York Times Building: ora Adele non serviva più menù scontati con un ridicolo cappello in testa, ora era tutto ciò che voleva essere: una scrittrice in carriera a New York. Il sogno svanì nuovamente , spazzato via dalla leggera brezza, quasi estiva, che si era levata facendo danzare le chiome rosate degli alberi che creavano mille giochi di ombre che si proiettavano sul marciapiede . Adele si fermò di botto. Si domandò se fossero state le troppe puntate di Sex & The City viste da ragazzina  o l’ambizione  cieca di Rachel Berry , personaggio di Glee  a cui si era sempre inspirata , a renderla incontentabile . Molte persone avrebbero ucciso per  un posto di lavoro , un appartamento di proprietà e un’automobile, ma lei no. Lei voleva di più.
Riprese a camminare sino ad arrivare all’entrata del fast food affiancata dalla sagoma di cartone di un uomo in giacca e cravatta che corre via con un pezzo di pizza tra i denti e lo sguardo rivolto all’orologio sul polso.
Se esistesse un posto più insignificante di questo, dovrei assolutamente mandare lì il mio curriculum  vitae , si disse Adele facendo una smorfia di disapprovo.
Erano le dieci del mattino,  ovviamente  il netto ritardo le sarebbe stato detratto dalla busta paga già fin  troppo leggera ,  ed il locale era vuoto. Le sedie erano ancora capovolte sui tavoli , gli espositori ancora vuoti, la sala ancora silenziosa , dalla cucina veniva il disgustoso odore e lo stressante rumore dell’olio di bassa qualità che si riscaldava nella grande friggitrice. Accennò un frettoloso saluto ai suoi colleghi e non fece in tempo a  prendere il suo tesserino dalla tasca che il petulante direttore le si posò davanti , togliendole la possibilità di arrivare al bramato dispositivo che timbrava i cartellini con l’orario d’entrata e quello di uscita.
L’uomo sulla quarantina con troppi brufoli per avere quell’età e un taglio di capelli decisamente “fai da te” , si posò faccia a faccia con Adele aggrottando le sopracciglia sin troppo folte per evidenziare il suo disapprovo.  La ragazza scrutò attentamente la statua che, imperterrita, non si muoveva di un millimetro. Ora inizierà con il solito sproloquio infinito sui ritardi sul posto di lavoro, poi passerà al discorso “ C’è crisi, tieniti stretto questo posto ” e concluderà con un irritante “ E ora mettiti subito al lavoro!” . Sempre la solita routine.  L’uomo tirò su col naso, aveva il raffreddore a causa dell’allergia primaverile, poi si aggiustò la camicia nei pantaloni tirati su con una cintura di cuoio troppo vecchia persino per lui ed iniziò ad urlare contro Adele, la quale più che rimprovero , sentì solo un rumorosi farfugli e un vomito di parole che si rovesciava sul pavimento.
Dalla cucina troppo piccola e troppo calda si iniziarono ad udire le urla che furono presto coperte dallo sfrigolio delle patatine che si doravano nell’olio bollente della friggitrice scadente.
<< Adele è  di nuovo nei guai, vero Marc? >> Elaborò in un italiano alquanto scadente Diego, l’aiuto cuoco brasiliano che lavorava con Adele e Marc.
<< Mi sa proprio di sì! Come se non avesse già abbastanza rogne quella ragazza! Cosa le costa arrivar in orario?! >>  Il tono di Marc suonò quasi come un rimprovero ma alla fine entrambi i ragazzi scoppiarono in una fragorosa risata che spezzò la monotonia di quella triste mattina di marzo.  Marc si tolse il berretto blu che metteva ogni volta che il “Dittatore”  si affacciava in cucina e si asciugò la fronte. Le patatine ormai quasi pronte avevano surriscaldato tutta la cucina e Diego e Marc ricordarono tutto d’un tratto uno dei tanti motivi per cui odiavano quel lavoro.
<< Che inferno qui dentro, vero Diego?>>
. << E’ insopportabile ! E siamo solo in primavera! >> borbotto mentre si caricava un enorme sacco di farina sulle spalle . Non c’era un motivo preciso ma entrambi, sia Adele che Marc, volevano molto bene a Diego, lo consideravano come un fratello minore con cui passavano la maggior parte della giornata.  Un fratello a cui mancava la casa da cui si era allontanato troppo presto e a cui voleva far  ritorno il prima possibile anche se la misera paga che gli rifilava il Dittatore non gli permetteva di comprare un biglietto aereo.
Già la paga... Otto ore di lavoro, quindici minuti di pausa, ritardi e uscite anticipate detratte e igiene che lascia a desiderare: la fatica all’inferno era decisamente poco retribuita!  Diego se ripeteva di continuo,  borbottando, urlandolo nella sua lingua e persino digrignando i denti. Se lo diceva spesso anche Marc, sin da quando accettò questo lavoro solo per stare insieme ad Adele. Ma Adele, lei non si lamentava affatto , o meglio, non poteva. Semplicemente lei accettò, firmò il contratto e infilò la divisa da cameriera: aveva bisogno di soldi ed in fretta, il mutuo per la casa  , per quanto modesta essa fosse, le mandava  avvisi  più pressanti  e fastidiosi del suono della sveglia frantuma sogni. Adele accettò quel lavoro perché lesse  tra le righe di quel contratto non le parole “ lavoro spacca –schiena” e “ poco retribuito” , ma solo “indipendenza “ , “autorità” e “fuga da tutto e da tutti”. Adele lesse "male" tra le righe non perchè fosse stupida, Adele lesse tra le righe perché era accecata dalla voglia di scappare da quello in cui era vissuta fino all’età di diciotto anni. Non poteva lamentarsi, era una questione di orgoglio!  
Finita la ramanzina, strusciò il  cartellino e se lo ripose in tasca, afferrò il suo grembiule e il suo stupido cappellino e andò in cucina per salutare Marc e Diego e per rubare qualche patatina croccante e qualche pezzo di impasto per la pizza.
<< Cosa stavi facendo di tanto importante per non essere qui a guardarmi friggere schifezze?>> Sogghignò Marc mentre colpiva la mano di Adele che rubava una patatina dopo l’altra dal vassoio ricoperto di carta assorbente al suo fianco.
<< Ero impegnata a sorseggiare spumante con te a New York nel mio appartamento super chic!>> .
Adele per un attimo si illumino al solo sentir pronunciare il melodico nome di New York. Fece un vago sorriso che nascose subito per non farsi notare .  << Dede, dovresti smetterla di fantasticare su cose che non avverranno mai.. soprattutto se vieni licenziata per colpa dei ritardi . >>
<< Sai che detesto quando mi chiami in quel modo.>> La voce di Adele era diventata più fredda e severa . Non le piaceva quel nomignolo . Per quanto esso fosse dolce ed innocente le ricordava quando era una ragazzina ingenua senza desideri e ambizioni, la ragazzina che permise al posto dove era cresciuta di soffocarle qualsiasi sogno avesse.
<< Poi preferisco sognare in paradiso piuttosto che scendere all’inferno a vendere pietanze che causano il diabete solo a guardarle.>> Adele alzò la voce, voleva che il direttore la sentisse.
<< Shh!!>> sibilò Diego che ascoltava attentamente la conversazione << Il capo ti sentirà!>>
<< Senti Dede.. Emh.. Adele, mettiamola così : se arrivi in orario a lavoro , non avrai detrazioni sulla busta paga , avremmo prima i soldi per comprare il biglietto per New York , arriveremo lì e  ..  Succederà qualcosa che ti fara diventare ricchissima! >>
<< Così ricca da poter avere un bagno in camera da letto?>> Chiese Adele con gli occhi che risplendevano di speranza  come quelli di una bambina in giorno in cui il padre le promette di portarla al parco.
<< Amica mia, presentati in orario a lavoro e in bagno avrai un‘intera piscina!>>
Adele e Marc scoppiarono in una risata quasi rassicurante. Alla fine restarono in silenzio,  sorridendo ed aspettando la fine di quella giornata iniziata male.

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