Ego

di Not Found
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** inutilis natura ***
Capitolo 2: *** Sidus in vacuo ***
Capitolo 3: *** Memento ***
Capitolo 4: *** Vita incipit ***



Capitolo 1
*** inutilis natura ***


Niels osservava in silenzio la strada.
Era stranamente affollata quel pomeriggio. Vecchie con nipotini, fidanzati per mano, cani, passeggini, biciclette, moto, madri incazzate con le figlie, uomini in divisa, signore che tornano dal panificio, ragazzi che guardano il culo alle ragazze.
Quello sciame in movimento, quel gruppo indaffarato, quel feroce branco gli trasmetteva irrequietudine.
Avrebbe voluto schiacciarli tutti, uno dopo l’altro, come faceva sovente quando trovava un consistente numero di formiche.
E in fondo perché non avrebbe dovuto farlo?
Erano facce, volti, visi, sguardi. Vuoti. Insignificanti. Uguali.
Tutti miseramente uguali e monotoni.
Avrebbe voluto urlare a tutti che non valevano niente, che la loro vita era un inutile spreco di energia, che prima o poi sarebbero tutti diventati fragile terra.
Fango magari.
Avrebbe voluto dire alle vecchie di far stare zitti i nipoti, ai fidanzati di andare a fare le loro effusioni amorose in tanta mona, ai cani di non pisciare sul marciapiede, ai ragazzi di guardare le tette, che meritano più dei culi.
Quelle bocche, quegli occhi, quelle gambe lo innervosivano. Perché nel creato esisteva gente di quel tipo?
Sciocchi, stolti, stupidi, rozzi, egoisti, insensibili.
Li odiava. Li detestava tutti.
Provava ribrezzo per tutto quello che gli ricordasse chi era.
Umano. Maschio. Giovane. Capelli castano-biondo. Accenno di basette. Altezza medio-alta. Occhi tendenti al giallo zafferano. Amante della vaniglia. Stop.
Insensate e inutili caratteristiche.
Specialmente quella passione per la vaniglia, ma non una vaniglia qualsiasi. No. Quella che aveva sua nonna: dolce, profumata, intensa. Ci faceva delle torte squisite. E quando metteva in bocca quella fetta di paradiso, soffice e con la crema grondante, per qualche interminabile secondo cessava di esistere. Intorno a lui il vuoto profondo, il tutto avvolto dal nulla. E in questo stato di trance tornava agli inizi dei tempi, quando ancora era ad uno stato larvale, in attesa di nascere.
L’estasi terminava quando nelle sue mani non rimanevano che poche e sparse briciole, e l’aroma vanigliato spariva, perdendosi nelle stanze della casa.
Erano anni che non mangiava più quella torta. Non l’aveva più toccata da quando era morta la nonna. Attacco di cuore.
E ora osservava la strada.
Perché se la prendeva con quella gente?
 In fondo lo sapeva. La sua esistenza non aveva uno scopo. Né arrivo, né partenza.
Solo mille infiniti cunicoli, dove è facile incastrarsi. E se ti incastri rimani nel buio, il tuo respiro si fa affannoso e rischi di soffocare.
Lui si era incastrato e, ne era certo, ancora poco e sarebbe soffocato.
Perché dare un senso alla vita degli altri?
Se la tua non ne ha vuol dire che è tutto una finzione, una messinscena, dove tutti sono attori, anzi maschere, tipi.
Niels chiuse gli occhi. Provò a immaginare il profumo della vaniglia. Non lo ricordava.
Li riaprì di scatto. Appena in tempo.
Uno scorcio fugace. Un lampo. Brevissimo istante.
Gli venne un conato di vomito, ma rigurgitò solamente saliva.
Pochi millesimi di secondo erano bastati a fargli scorgere dei capelli tra la gente.
Castano-biondo come i suoi.
In quel momento lo aveva ricrdato.
Il profumo di vaniglia. Sì. Era proprio quello. Intenso, fruttato, energizzante.
Guardò disperato la folla sulla strada.
La persona a cui appartenevano quei capelli era scomparsa…

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Capitolo 2
*** Sidus in vacuo ***


Non sapeva nulla di quei capelli. Nulla.
Li aveva intravisti per un solo attimo.
Uomo, donna, anziano, giovane, non avrebbe saputo dirlo.
Ma quel castano biondo gli aveva messo in subbuglio lo stomaco, in confusione la mente e il cuore in fibrillazione.
Riusciva a sentirli benissimo, i suoi battiti fulminei. Pesanti e costanti come le lancette di un orologio.
Si sentiva scottare, tremava.
Corse dentro in casa e si precipitò in bagno. Si appoggiò al lavandino e aprì il rubinetto al massimo.
Non gliene importava un bel niente di star sprecando acqua.
Quello scorrere veloce, quella sostanza trasparente e cristallina sembrava purificarlo e farlo tornare alla normalità.
Si sciacquò il volto e frizionò i polsi.
Già si sentiva meglio.
Alzò la testa e si guardò allo specchio.
Aveva le pupille estremamente dilatate e le guance pallidissime.
Non era bello. Non era brutto. Era quel che si dice normale.
E questo non gli era mai piaciuto.
La normalità non viene mai apprezzata dalla gente. Le persone normali sono persone squallide, monotone.
Le loro parole, i loro visi prima o poi finiscono con il confondersi, mischiandosi e perdendosi nel nulla.
Nessuno più rammenta il tuo volto. La tua voce non ha sostanza. Solo semplice suono che si propaga nel vuoto.
Avrebbe preferito avere una testa deforme, una grande gamba storta, una cicatrice immensa, essere qualcuno.
Almeno la gente lo avrebbe guardato, osservato, avrebbe speso qualche secondo della propria vita a commentare su di lui, esclusivamente su di lui.
No, questo non succedeva.
Tutti passavano, guardando basso, ognuno pensando ai propri problemi.
Si sentiva come un satellite.
Orbitava, orbitava, senza fine attorno alla sua esistenza, attorno alla vita, senza poterla raggiungere, senza potersi unire ad essa.
Questo moto perpetuo lo estenuava.
Smise di osservarsi allo specchio solo quando realizzò che era passata un’ora.
Senza sapere cosa fare si infilò la felpa più larga che avesse e uscì di casa.
La strada era ancora affollata. Non aveva importanza. L’unica cosa che era al centro dei suoi pensieri era quella persona, quella a cui appartenevano quei capelli.
Morbidi, fluttuanti capelli.
Non sapeva cosa avrebbe fatto, cosa sarebbe successo quando e se li avrebbe trovati.
Non voleva pensare. Non voleva prevedere.
Sforzare il cervello gli costava fatica.
Niels riteneva che ragionare fosse nocivo per la persona, in quanto imprigionava e incatenava la mente alla razionalità.
E una mente libera doveva essere slegata da tutto, impulsiva, istintiva.
Detestava tutti quelli che, di fronte ad un problema, si mettevano a pensare, riflettere, e indecisi e titubanti giungevano ad una qualche conclusione.
Aveva svoltato l’angolo e stava percorrendo il viale di salici che costeggiava il torrente.

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Capitolo 3
*** Memento ***


Niels velocizzò il passo, viso rivolto a terra e mani sulle tasche. Avanzava ondeggiando a destra e a sinistra, ostacolato nel suo cammino da uno strano fastidio ai piedi.
Era come se si ribellassero al suo movimento, rifiutandosi di alzarsi e poi di toccare terra.
Camminò a passo deciso per circa mezz’ora, guardando dappertutto, in cerca di quei capelli, sicuro però di averli ormai già perduti.
Osservava attento ogni angolo, evitando volontariamente i volti delle persone che passavano.
Gli sembrava che ognuno di quei volti avesse una predica, un insulto, una protesta da fare e che lui fosse il destinatario di tutto ciò.
Giunse nei pressi di una fontana e si sedette sul bordo. Immerse una mano nell’acqua e si bagnò gli occhi.
Erano stanchi e bruciavano.
D’un tratto sentì un urlo straziante propagarsi nell’aria.
Un urlo di una donna, disperata e terrorizzata che chiedeva aiuto.
Si rizzò in piedi e guardò al di là della fontana.
Un piccolo gruppo di persone era riunito accanto alla donna, che reggeva fra le braccia qualcosa. Cercando di aguzzare la vista Niels vide con orrore che la donna reggeva il corpo senza vita di un ragazzo il cui volto era nascosto dai corpi delle numerose persone che osservavano la scena.
Il brusio attorno si fece più intenso e si placò solamente quando in fondo alla strada apparvero le rumorose e lampeggianti sirene dell’ambulanza.
- non ti permetterò di morire – sentì dire la donna.
Improvvisamente il suo stomaco ebbe un sussulto e un’intensa e disgustosa nausea lo assalì.
Si girò di scatto verso la fontana e vomitò.
Una densa sostanza scura uscì dalla sua bocca e si mischiò all’acqua azzurra che usciva zampillando dalla bocca di un pesce di pietra. Niels sentì crescere dentro di lui una strana sensazione di paura.
Avvertiva come la presenza attorno a lui di persone che lo osservavano serie, vigili, in attesa del suo prossimo movimento.
Con uno scatto fulmineo il ragazzo si allontanò correndo verso la riva di un piccolo fiume al di là della strada, mentre il frastuono dell’ambulanza si allontanava sempre più.
Stremato e sudato si distese sull’erba morbida che costeggiava il fiume e chiuse gli occhi.
Il suo battito si fece sempre più flebile, sottile e impercettibile.
La sua mente iniziò a rilassarsi e a diventare leggera. Il suo respiro sembrava assente.
Pensava alla nonna. Alla sua torta alla vaniglia, che non avrebbe mangiato più.
Stava quasi per addormentarsi quando sentì una voce familiare chiamarlo : - Hei! –
Il ragazzo si irrigidì e spalancò gli occhi.
Accanto a lui era seduto un altro ragazzo.
Niels si sollevò terrorizzato e lanciò un urlo.
Quel ragazzo era mediamente alto, con occhi giallo ambra e capelli castano biondo che gli ricadevano sulla fronte.
Era identico a lui.
Era lui.
I due rimasero a fissarsi per alcuni minuti, Niels paralizzato dal terrore, il ragazzo con un sorriso misterioso sulle labbra.
Fu quest’ultimo che interruppe il silenzio.
- E’ da un po’ che mi cerchi, vero? –
Niels stupefatto riuscì solo a balbettare qualche parola confusa  - ma….m…ma….non…credevo….io… -
Il ragazzo lo prese per mano e lo trascinò vicino ad un albero. Niels si lasciò condurre come un bambino spaurito che segue la madre, e arrivato sotto l’ombra dell’albero si guardò attorno agitato.
Mezza nascosta dietro un cespuglio c’era una bambina intenta a raccogliere bacche.
La prima lacrima arrivò quando Niels riconobbe le sue piccole trecce scure.
La seconda quando vide il nastro viola che le avvolgeva.
Quando poi la bambina si voltò mostrando i suoi delicati lineamenti e il suo sorriso Niels stava già gemendo dal pianto.  

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Capitolo 4
*** Vita incipit ***


- Non devi temere nulla- sussurrò il ragazzo accanto a lui, trascinandolo via.
Camminarono ancora un poco prima di raggiungere un’altura che si affacciava al fiume. Lì il ragazzo si staccò dalla sua mano e, sempre con il suo sorriso misterioso, lo fissò: - Niels, dimmi, tu vuoi vivere? -
- Non lo so - Niels aveva il volto sfigurato dal pianto ed era chino su se stesso.
- Sì che lo vuoi. Tu vuoi vivere e tu vivrai. Promettilo Niels, prometti che vivrai -  .
Niels lo guardò negli occhi, i suoi stessi occhi, e riconobbe in lui un cuore forte, coraggioso, puro e sincero. Ebbe la sensazione di essere in un luogo sicuro, privo di preoccupazioni e problemi, con una persona cara, la prima persona che si interessava veramente a lui. Si sentì amato e senza rendersi conto di quello che diceva rispose: - Sì, te lo prometto - .
Il ragazzo allora lo prese per mano di nuovo e gli fece cenno all’altura che dava sul fiume.
- Fidati di me, di te -
Insieme, Niels e il ragazzo, si avvicinarono sempre più al burrone e in un fugace attimo vi si buttarono.
In quell’attimo Niels non pensò a niente e proprio nel momento in cui sentì le sue ossa sbattere e rompersi contro le rocce, un ampio respiro vitale lo avvolse.
 
Aprì gli occhi lentamente e iniziò ad ascoltare i rumori attorno a sé.
Passi affrettati, tintinnii metallici, il battito del suo cuore registrato in una macchina, le parole dei medici, la voce di una donna.
Velocemente riuscì a mettere a fuoco le immagini. Era in ospedale, pieno di flebo, con accanto tre medici e una donna piangente di gioia. Sì, la stessa donna che aveva visto abbracciare il ragazzo in fin di vita mentre aspettava l’ambulanza. Sua madre.
I ricordi riemersero fulminei e pungenti come coltelli conficcati nel cervello. Ora rammentava ogni cosa.
La sua vita profondamente infelice.
Suo padre alcolizzato che lo picchiava da quando aveva sei anni. Sua madre che cercava di fermarlo ma veniva scaraventata a terra.
La sua piccola sorellina Arianna con le trecce scure avvolte in fiocchi viola, investita una sera dal padre ubriaco che stava tornando da un locale.
Il dolore lancinante che aveva provato e il desiderio di uccidere il padre.
E poi il coltello che per mano sua affondava nella pelle di suo padre, all’altezza del cuore, mentre quest’ultimo aveva cercato di strangolare la madre.
Poi la sensazione di vuoto, stanchezza. Il desiderio che tutto finisca, che tutto non abbia mai avuto inizio.
L’idea di farla finita una volta per tutte.
Il cocktail pieno di sostanze tossiche che aveva comprato da uno spacciatore, con tutti i suoi risparmi.
Il momento in cui l’aveva bevuto e la sensazione di pace che lo aveva colto. Poi le grida di sua madre che era corsa a chiamare l’ambulanza disperata.  Le ultime parole che aveva udito: - Non ti permetterò di morire - . Il suono delle sirene  e poi il buio più totale.
Ora un medico gli stava controllando il riflesso delle pupille, mentre un altro verificava la sua sensibilità alle gambe. Il terzo si era avvicinato a lui e gli stava sussurrando qualcosa. Sentiva a tratti, ma riuscì a distinguere le parole “coma”, “due giorni”, “non”, “sforzarsi a parlare”, “rimettersi”, “fortuna”.
Si sentiva nuovo, emozionato, come se fosse appena venuto al mondo. Quelle attenzioni, quei volti speranzosi lo rendevano felice. Si sentiva come se avesse espiato tutte le sue colpe, cancellato tutti i suoi problemi nel momento in cui si era lanciato dal burrone, assieme all’altra parte di sé. E in quello strano viaggio mentale era riuscito ad unirsi ad essa. A raggiungere la sua meta e ad allacciarsi alla sua vita più che mai.
E aveva compreso che non voleva morire. Non voleva assolutamente abbandonare la sua esistenza. Voleva solamente trovarne il senso.
 
 
 
Un mese dopo Niels era alla finestra della sua camera, ad osservare la strada. Come di consueto non era particolarmente affollata.
C’era un gruppetto di vecchiette che passeggiavano tranquillamente canticchiando, due fidanzati che si baciavano con passione dietro l’angolo, un signore elegante che leggeva il giornale sulla panchina, il venditore di verdure, un vigile e un bambina che raccoglieva fiori sul parco.
Niels li guardò uno ad uno, divertendosi a cogliere in loro qualità e difetti, gesti tipici e comportamenti ricorrenti. Avrebbe voluto scendere e parlare con ognuno, farsi raccontare qualcosa della loro vita.
Guardò la bambina nel parco e si ripromise di andare ad aiutarla a raccogliere fiorellini. Magari poi ne avrebbe raccolti un po’ anche lui e portati al cimitero. Alla sua Arianna.
E poi sarebbe andato a passeggiare lungo il fiume, ad ascoltare il rumore della cascata, a sedersi sull’erba, a lasciarsi accarezzare dal vento. Ad assaporare quella nuova vita.
Gli era stata offerta una nuova occasione e lui non l’avrebbe sprecata. No, non lo avrebbe fatto. Doveva almeno questo alla sua Arianna.
Pensando a questo allungò il braccio a afferrò una fetta di torta alla vaniglia dal vassoio sopra la scrivania.
Adorava quella torta. Era proprio come quella che faceva la nonna. Sua madre aveva seguito bene la ricetta.

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