Prova a volare con le ali che ti ho dato

di n u m b
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capelli blu + capelli verdi ***
Capitolo 2: *** Hamburger o patatine? ***
Capitolo 3: *** E così è come finisce. ***
Capitolo 4: *** Perdersi. ***
Capitolo 5: *** Risvegliarsi. ***



Capitolo 1
*** Capelli blu + capelli verdi ***


Buonaseeeeera! Sono così emozionata per la pubblicazione di questa fanfic che non riesco nemmeno a scrivere! Ebbene è la mia prima fanfiction sui Linkin Park. Devo ringraziare per avermi ispirato Honey96, che mi ha anche dato il consenso per pubblicare questa "cosa". Devo dire che come primo capitolo non mi convince granché, perché è basato su un sogno che ho fatto e non sono convinta che sia l'ideale per iniziare. Tuttavia, lo pubblico aspettando vostri pareri.
Grazie a chi leggerà, recensirà, mi lusingherà di mettermi tra le storie seguite, insomma grazie a tutti, anche alle critiche se ce ne saranno.
A presto,
n u m b 



Odio le vacanze di famiglia. Le odio davvero. Passare due settimane in compagnia di tua mamma e tuo padre che continuano a trascinarti in posti come musei d’arte, riserve naturali e cazzi vari insieme a tuo fratello gemello non è il mio concetto di vacanza. Tutto questo poi per “il bene della famiglia”, per rimanere uniti per passare tempo insieme e bla bla bla, cazzate, solo cazzate. Odio le vacanze di famiglia.
Sto buttata qui su questo letto, il letto di sopra di uno di quelli a castello, che è un po’ troppo duro per i miei gusti, con gli occhi chiusi e un brano metal di cui non riesco a ricordare il nome sparato nelle mie orecchie. Sono da una mezz’oretta in quelle condizioni, il tempo che i miei si lavino a turno, seguiti da mio fratello, e non ho intenzione di abbandonare questa posizione per i prossimi 3 giorni. Il viaggio è stato a dir poco straziante: da Augora Hills a Phoenix, 388 miglia di puro giramento di coglioni per poi arrivare a questo hotel a due stelle, un edificio incolore e anonimo alla periferia di Phoenix. Appena saliti in camera, stanza 317, mi sono sdraiata sul letto a pancia in su, isolandomi da tutto il resto per far tornare il mio culo rotondo dopo aver passato 6 ore e 47 minuti poggiato su un maledettissimo sedile  di una macchina, diventando quadrato.
Sono in quella sorta di limbo, assorta tra le maledizioni che stavo mentalmente lanciando ai miei, quando una mano mi toglie le cuffiette. Uno sguardo assassino affiora sui miei occhi chiari, che si posa su quelli identici di mio fratello. Mh, lui è Allen, mio fratello gemello. Praticamente siamo l’uno la copia dell’altro. Solo che io sono femmina e lui maschio, anche se a giudicare da come mi comporto i dubbi sul fatto se ho un cetriolo che mi penzola tra le gambe o no, sorgono. Abbiamo entrambi i capelli naturali biondi, con riflessi ramati qua e là. A dire la verità io me li tingo spesso. Un mese fa li avevo viola, ora verde chiaro con le punte verde bottiglia. Mi ero quasi fatta cacciare quando quel giorno di cinque mesi fa, sono tornata a casa con i capelli verdi e un piercing sul naso e i cheeck sulle guance. Gli è preso un colpo a mamma e papà quando sono apparsa sulla soglia della cucina, esordendo con un “come sto?”. Erano a cena, mio fratello anche, per poco non si strozzavano con le patatine mentre Allen se la rideva con le lacrime agli occhi. Tuttavia oggi hanno imparato a conviverci e non si sorprendono più se un giorno rientro con la testa rossa, viola, blu, rosa e via discorrendo. Mio fratello e io abbiamo anche gli stessi occhi: tutti e due con una forma particolare, con le iridi verde acqua, solo che le mie tendono più al blu e le sue al verde. Tutti e due abbiamo le lentiggini. Solo che lui ha avuto la fortuna di essere alto come il nonno, un metro e novanta Cristo, e io alta come la mamma, faccio a malapena un metro e sessantacinque. Andiamo d’accordo e ci divertiamo insieme, ci piace anche lo stesso tipo di musica. Non mi lamento di mio fratello, gli voglio un gran bene.
Ad ogni modo, quel coglione mi toglie la cuffietta e mi fa: - Ehi, noi scendiamo di sotto a mangiare, tu vieni si o no?
Hanno fatto presto a lavarsi. No, non ho alcuna voglia di scendere, sto bene qui, perciò rispondo: - No…il viaggio in macchina non mi ha fatto bene. Mi fa male lo stomaco, se mangio sento che vomito.
Lui capisce che non voglio scendere per pigrizia e mi lascia stare. Io mi alzo, scendo dal letto a castello e poggio lettore mp3 e cuffiette sulla scrivania. Mi guardo un po’ in giro. La camera non è male: c’è al centro  il letto dei miei, un metro più a destra c’è quello a castello. C’è una sorta di finestra all’altezza del mio letto e si vede il “panorama” da lì. Davanti al letto dei miei c’è una scrivania con una tv piccolina e scassata. A sinistra del letto dei miei c’è l’armadio e la porta per il bagno. Può andare, almeno è pulito, per essere un albergo a due stelle. Mia mamma riemerge dal bagno seguita da mio padre, tutti e due lindi e pinti.
- Noi scendiamo a cena. Tu non ti allontanare da qua. Torniamo tra una mezz’ora - mi annuncia mamma con un insolito sorriso sulle labbra. Evidentemente, la vacanza a lei sta facendo bene, a me no. Mio padre accenna un saluto e Allen mi fa l’occhiolino prima di chiudere la porta dietro di sè. Vado in bagno, mi do una rinfrescata e una sistemata al trucco. Sbuffando ritorno in camera e mi butto sul letto dei miei, ancor più duro del mio. Faccio zapping tra una telenovela, un reality e un documentario noioso su come scomparirono i dinosauri. Sono le dieci di sera, che cosa spero di trovare in tv?!
Mi avvicino alla porta e la apro leggermente per vedere chi c’è fuori. Corridoio vuoto, non c’è niente e nessuno a parte la pianta rinsecchita vicino all’ascensore.  Esco di soppiatto e richiudo la porta dietro di me, infilandomi nella tasca dei jeans larghi e strappati la chiave. Mi infilo in ascensore. Sono al quarto piano. Dunque, c’è il pianoterra, il secondo, il terzo…ah c’è un sotterraneo. Boh, vediamo. Premo il pulsante con scritto ‘-1’ e l’ascensore si avvia con un scossone. Quando le porte si aprono, vedo davanti a me un corridoio identico a quello dove sono stata poco prima. Stesse mura bianche, stessa moquette rosa scolorito. Si affacciano varie porte sul corridoio: la prima dà su una sala giochi, poi la seconda su una biblioteca e la terza su una stanza con un tavolo e delle sedie attorno, tipo una sala da conferenze. Dunque vediamo, sala giochi no perché non ho soldi, biblioteca nemmeno, troppo silenzio…non rimane che la stanza centrale, quella con il tavolo. Mi affaccio silenziosa sulla soglia: la stanza ha le pareti anch’esse bianche, un tavolo nero, sedie girevoli grigie e nere. Non c’è nessuno a parte un ragazzo che è seduto chino su un foglio a capo tavola, con i capelli blu e l’orecchino. Mi dà le spalle e non mi sente entrare. Mi aggiro per la stanza finché lui non mi nota, mi rivolge un sorriso e poi torna a guardare su quello su cui sta lavorando. Io mi siedo e inizio a gingillarmi sulla sedia girevole. Lui mi dà un’altra occhiata e mormora un “ciao” guardandomi con un sorriso. Io ricambio con un altro sorriso e me ne sto in silenzio. Il ragazzo ha i capelli sparati, ingellati in modo che sembra avere un porcospino in testa, capelli blu, tinti. Carnagione scura ma non troppo e occhi marroni e con un taglio leggermente orientale. Notando come io mi diverto a girare e rigirare su quella sedia come se fosse una giostra, mi apostrofa divertito: - Queste sedie sono meglio di una giostra eh?!
Io annuisco ridacchiando, facendo sali-scendi e facendo il giro tondo fin quando non sono costretta a fermarmi altrimenti vomito.
- Meglio di una giostra già, ma se continuo ancora un po’ penso che mi vomiterò sui pantaloni!
Lo sconosciuto ridacchia e poi aggiunge: - Piacere, io sono Mike comunque! - dicendo questo mi porge il pugno e io gli batto sopra al suo il mio e facciamo una sorta di quei saluti strani.
- Io sono Moon invece - gli dico appoggiando i gomiti sul tavolo.
- Che stai facendo? - sbircio sul foglio mentre lui richiude il pennarello Sharpie che aveva in mano.
- Sto cercando di fare un logo per una band, la mia band, ma non ho idee - mi risponde con tono disperato prima di abbandonarsi sulla sedia frustrato. Io prendo il foglio e do un’occhiata. Ci sono diversi disegni, tutti in bianco e nero e recano quasi sempre la scritta Xero.
- E tu non riesci a trovare un logo? E queste fottute opere d’arte che sono?!
Gli indico uno a uno gli schizzi e lui mi risponde con un gesto della mano che sta per “non sono opere d’arte, non mi piacciono per niente”. Io non gli permetto di ribattere e continuo a sottolineare quanto fosse bravo.
-Non li trovo granché. Non mi accontento. Senti, ti va di darmi una mano?
Io lo guardo strana: io non so disegnare né ho fantasia, che aiuto potevo dargli?! Tuttavia prendo il foglio e inizio a fare qualche schizzo, sotto gli occhi attenti di Mike. Non mi viene in mente niente cazzarola!
Siccome non mi viene in mente nulla inizio a disegnare cazzate, tipo unicorni, arcobaleni e compagnia.
- Che genere suonate?
- Nu metal.
- Se la metti così allora…Questo andrà benissimo! - gli indico una sorta di sgorbio che dovrebbe essere un unicorno con le ali che attraversa un arcobaleno, spargendo cuoricini e stelline qua e là.
- Per dei tosti come voi penso sia l’ideale! - aggiungo mentre Mike ride a crepapelle. Dopo un po’ mi riprendo dalla risata e mi asciugo le lacrime agli occhi.
- Non mi viene in mente nulla, non sono una cima in arte.
Lui alza le spalle accartoccia il foglio, per poi lanciarlo nel cestino e fare canestro. Io batto le mani come un idiota.
- Fa nulla, vuol dire che quando avrò l’ispirazione mi rimetterò a lavoro. Per adesso me ne torno in stanza e…
Non lo faccio nemmeno finire che balzo in piedi e mi batto una mano sulla fronte: Cristo i miei saranno tornati di sicuro e non saranno potuti rientrare perché le chiavi le ho io!
- Mike, scusa, devo tornare subito in stanza, se i miei scoprono che sono qui mi ritroverò appesa al soffitto!
Mormoro parole di scusa per poi fiondarmi fuori dalla porta con Mike che mi segue dietro correndo.
- EHI! EHII! Fermati un secondo!
Mi fermo proprio davanti all’ascensore, c’è la fila: tutti quelli ficcati in biblioteca e in sala giochi adesso si ricordano di uscire?! Maledizione! Mi fermo aspettando Mike, che mi raggiunge affannato e col fiatone.
- Senti, mi sei simpatica. Ti va di fare un giro dopo?
- Ma io non conosco la città.
- Non importa, ti faccio fare un giro io. Sono arrivato anche io da poco però ho scoperto alcuni bei posti!
- I miei non me lo permetteranno mai! Non vogliono che io esca con sconosciuti la sera tardi…
Mike mi guarda deluso. Però a me sembra un bravo ragazzo e poi voglio uscire! Ah, fanculo, non mi frega, esco senza dirglielo.
- Senti, io tra un’ora penso di poter uscire senza farmi vedere. Loro andranno subito a dormire e io potrò uscire indisturbata.br /> Mike sorride felice e mi abbraccia, tutto eccitato.
- Perfetto, ci vediamo davanti la mia stanza. E’ la 410.
- Sì sì va bene, ora devo scappare…Maledizione questi non si muovono!
Scanso la fila e corro a perdifiato su per le scale. Salgo quattro piani in meno di 5 minuti, manco avessi le ali ai piedi, con il semi-sconosciuto dietro che fatica a stare al passo. Arrivo al mio piano e do uno sguardo in giro per controllare che i miei non ci siano. Passaggio libero per fortuna! Tutta sudata e con il cuore che batte come un martello nel petto, arrivo davanti la mia stanza e poggio l’orecchio alla porta per sentire se ci sono rumori. Non si sente nulla. Mike mi raggiunge con una mano sul fianco e la faccia affaticata.
- Mam…Mamma mia…Potresti andare alle Olim…piadi! - riprende fiato e abbozza un sorriso.
- Scusa, è che i miei non sapevano che ero sotto e mi avevano detto che sarebbero stati fuori mezz’ora. E’ strano infatti che non ancora siano tornati.
- Non importa, ci vediamo dopo allora!
Rifacciamo quel saluto strano che abbiamo fatto prima e ci salutiamo. Io infilo la chiave nella serratura, entro in stanza e mi fiondo in bagno per una doccia.
Mike è simpatico, sto bene con lui. Poi ha un sorriso bellissimo! Quando te ne regala uno è capace di far sorridere anche te.  Non vedevo l’ora di uscire dopo con lui. Esco dal bagno dopo essermi asciugata per bene i capelli colorati e mi infilo il pigiama. Devo preparare i vestiti per dopo perché altrimenti, mentre li cerco in valigia, i miei si potrebbero svegliare…Che mi metto? Apro la valigia. Mh mh mh. Prendo i jeans neri attillati, l’unico paio aderente che ho, la maglia dei Ramones e li ficco sotto il cuscino, lasciando le mie adorate converse di pelle nera sotto il letto.
Bussano alla porta, sono i miei che ritornano, sento la voce di mio fratello. Mi scompiglio i capelli e cerco di assumere un’aria assonnata, vado ad aprire la porta.
-Com’era la cena?
- Non c’è male. Tu che hai fatto invece? - chiede Allen scrutandomi con sguardo attento.
- …Niente, sono stata a fare zapping in tv e mi sono appisolata… - indicai la televisione, ancora accesa da quando ero uscita prima, sintonizzata sul documentario.
- Se permettete, io vado a dormire, non mi sento ancora bene…Il viaggio è stato troppo lungo!
Detto questo mi ficcai sotto le coperte e chiusi gli occhi, attendendo che i miei cadessero tra le braccia di Morfeo.

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Capitolo 2
*** Hamburger o patatine? ***


Rullo di tamburi grazie! Ebbene ecco a voi il secondo capitolo, che mi convince meno del primo, soprattutto per la fine così brusca; mi scuso infatti per averlo fatto terminare così ma volevo postare assolutamente qualcosa prima di assentarmi per due giorni. Spero che vi piaccia come il primo e vi ringrazio per aver letto! :3

n u m b


Sono con gli occhi chiusi, do la schiena al letto dei miei, ho le orecchie tese: dopo circa venti minuti che stavano ancora attivi, mio padre e mia mamma si sono messi finalmente nel letto, lui con la tv sintonizzata su un programma di politica e mamma con il libro sull’interpretazioni dei sogni tra le mani. Mio fratello è sotto di me, probabilmente addormentato come un sasso: a differenza mia, che soffro d’insonnia, lui è capace di dormire come un ghiro fino alle due del pomeriggio anche con la guerra sotto il letto. Sto incominciando ad innervosirmi: quanto cazzo ci mettono ad andare a nanna?! Mi giro cautamente facendo il meno rumore possibile e continuando a respirare ritmicamente come se stessi dormendo, con gli occhi chiusi. Sbircio mamma e papà: papà dorme con la bocca aperta, due cuscini sotto la testa, un po’ di bavetta che gli cola sul mento. Sembra il ritratto del riposo. Mamma invece si è girata su un fianco dandomi le spalle, capisco che dorme dal sollevarsi e abbassarsi della schiena. Io inizio a scoprirmi, cercando di muovere il letto che cigola meno possibile. Dunque, se scendo dalla scala sveglierò anche quelli del piano di sotto, se salto giù potrei spaccarmi una gamba andando a finire sul disordine di vestiti e scarpe di Allen. Dopo aver valutato le opzioni, poggio un piede sul comodino reggendomi al muro e riesco a scendere, provocando solo qualche spostamento d’aria. Mi sfilo la maglia vecchia di papà, XXL, che uso come pigiama,  metto una mano sotto al cuscino e prendo i vestiti. Mi sto infilando i pantaloni attillati quando una mano mi tocca la schiena, facendo accelerare il mio battito cardiaco che mi rimbomba nelle orecchie.
- Ehi, che cazzo stai facendo?
Allen. E’ solo Allen. Mi giro e mormoro “ssshhhht!” con un dito sulle labbra.
- Non sono affari tuoi - sussurrò infilandomi velocemente la maglia sopra il reggiseno.
- Lo dico a mamma e pa… -
Non lo faccio finire che gli ficco uno dei suoi calzini in bocca: “lo dico a mamma e papà”, sempre il solito bambino.
- Provaci e gli dico che sei andato a letto con la vicina di casa!
Lui fulmina con gli occhi e si sta zitto, togliendosi il calzino dalla bocca.
- Sto uscendo, va bene? E tu dopo mi farai rientrare. Ti chiamo sul cellulare, metti la vibrazione. Quando ti chiamo mi apri. Vedi di non addormentarti troppo altrimenti non senti la vibrazione e io rimango fuori.
- Addormentarmi troppo? O dormo o non dormo, che cazzo significa addormentarmi troppo?!
Non bado alla sua provocazione e vado alla scrivania per prendere il suo cellulare; lo ficca sotto al cuscino.
- Almeno dimmi dove vai! E se si svegliano poi e non ti trovano? Che gli dico?
- Che cazzo ne so, inventati qualcosa! Di’ che sono in bagno, o che sono scesa a farmi una camomilla per l’insonnia, Cristo il cervello ce l’hai!
Dopo essere finalmente riuscita ad infilarmi le Converse vado in bagno e riemergo poco dopo truccata e pettinata. Prendo il telefono, le cuffiette e un po’ di soldi mentre il mio gemello mi guarda di sbieco.
Apro la porta, gli lancio un ultima occhiata e un bacio, per poi  uscire nel corridoio freddo e buio.
Stavolta non corro perché altrimenti rischio di svegliare tutti però cammino ugualmente a passo di marcia verso la stanza  410. Cazzo, sono le undici e mezza, sicuro dorme o è uscito da solo. Mi maledico per poi bussare alla porta. Un minuto, due, tre e non risponde. Busso ancora. Niente. Vabè, è andata così. Giro i tacchi quando Mike apre finalmente la porta e il suo viso si illumina in un sorriso vedendomi.
- Ce l’hai fatta eh! Credevo non venissi più… - fece un finto broncio tanto coccoloso per poi stritolarmi. Ci salutiamo di nuovo nel modo strano e lui mi fa entrare in stanza. Lì dentro c’è calore insieme a un vago profumo dolciastro. Il letto matrimoniale, al centro, è disfatto, sulla scrivania ci sono ammucchiate un sacco di cose come libri, fogli, disegni, penne, colori, matite, buste di patatine e altri avanzi vari. Lui un po’ imbarazzato mi guarda con una mano dietro la nuca, con espressione colpevole.
- Scusa il disordine, ma di solito non ricevo ospiti, e meno che mai ragazze…
- Ah zitto, dovresti vedere com’è camera mia quando i miei non mi dicono di metterla in ordine ahahaha!
Lui ridacchia, si gira e apre il grande armadio a destra del letto, prendendo una maglia blu con un robot arancione stilizzato stampato sopra insieme a dei jeans, rigorosamente larghi.
- Arrivo subito - dicendo così scompare nel bagno. Io mi aggiro per la stanza, andando vicino alla finestra quando pochi minuti dopo Mike riemerge e apre un cassetto del comodino accanto al letto, prendendo un paio di boxer verdi.
- Biancheria, indispensabile! - mi fa lui ironico e io gli sorrido e lo guardo chiudersi di nuovo dentro il bagno. Mi siedo sul letto per poi allungarmi: è duro come tutti gli altri letti di questo maledettissimo motel. Mi rialzo e inizio a frugare nella valigia di fronte a me. Maglie, boxer, canottiere, cassette musicali, cappelli…Prendo un cappellino da baseball e me lo infilo, guardandomi allo specchio sopra la scrivania. No, non mi piace. Prendo uno col pon-pon. Troppo Babbo Natale. Frugo un altro po’ finche non trovo un berretto semplice, di quelli di lana senza pon pon o visiera. Si questo mi piace. Aspetto altri tre minuti. Ma si può sapere che sta facendo quel coglione? Che palle, sta cambiando pelle o cosa? Mi viene un’idea: mi infilo dentro l’armadio e chiudo le ante, e aspetto che il caro Mikey esca. Me ne sto accucciata nell’angolo, sopra una delle sue maglie, ad annusare il profumo inebriante che lascia sui suoi vestiti, respiro piano e il battito comincia ad aumentare, per l’euforia. Un minuto, due minuti…sto iniziando a sudare uff! Allora sento lo scattare della maniglia e Mike che esce.
- Moon, scusa se ci ho messo tanto ma… - dalla fessura tra le ante lo vedo guardarsi attorno.
- Moon? Cazzo se ne andata, vaffanculo! - è sul punto di togliersi la maglietta e spogliarsi che io apro le ante e gli salto addosso facendo un verso tipo “aaaarghjsdihaiewjnkawl!”. Mike cade a terra a faccia in giù, con me sulla schiena e un’espressione sconvolta. Dopo trenta secondi si “risveglia” e si mette a ridere.
- Cogliona credevo te ne fossi andata! - mormora tra le risate. Io mi tolgo dalla sua schiena e, scossa dalle risa, mi metto accanto a lui a sedere, riprendendo fiato. Guardo le cose che gli sono volate via dalle tasche: carta d’identità, patente…
- Michael Kenji Shinoda. - faccio io con un tono tutto altezzoso.
Lui me la prende dalle mani e mi tira un pugnetto sulla spalla, per poi rialzarsi e porgermi la mano per sollevare anche me. Mi rialzo con le lacrime agli occhi e poi chiedo: - Ma dove andiamo allora?
- Andiamo a mangiare qualcosa, visto che io ho fame, e poi…SOPRESA!
- Mi spieghi dove lo trovi un locale aperto a quest’ora?
- McDonald è aperto tutta la notte dolcezza - Mi fa l’occhiolino dandosi delle finte arie per poi prendere le chiavi poggiate sul comodino, un po’ di soldi e il telefono.
- Ah a proposito, quel berretto sta meglio a te che a me, puoi tenertelo.
- Ovvio che mi sta meglio, non vedi quanto sono bella?! - rispondo ancheggiando in giro per la stanza e sventolando i capelli come fossi una top model sulla passerella, per poi ridere e tornare normale.
Mikey mi apre la porta con un sorriso sulle labbra e mi fa, da vero galantuomo: - Dopo di te.
Io avanzo e rispondo un “Merci” con la R moscia, che significa ‘grazie’ in francese, uscendo ancheggiando e sbattendo le ciglia come una cretina. Il semi-sconosciuto ridacchia e chiude la porta. Ci dirigiamo all’ascensore, entriamo, scendiamo alla hall. Mike ridà la chiave alla receptionist e poi ce ne adiamo allegramente fuori verso il parcheggio.
- Ora vedi che macchina che ho! - dice indicandomi una Chevrolet Camaro del 1969, color azzurro cielo.
- E quella è una macchina?! Quel coso? Ma per favore - dico scherzando io e sbuffando.
- Grazie - mi risponde un po’ risentito.
Io gli corro vicino e gli faccio la ‘spugnetta’ sui capelli.
- Oh e zitto, stavo scherzando, ‘sta macchina è una figata!
- Salta su!
Infila la chiave nella serratura dello sportello e apre la macchina, io mi infilo nel posto davanti accanto alla guida. Il ragazzo mette la chiave nell’accensione e appena la gira, la radio esplode con un brano rock, proprio mentre il cantante sta urlando. Mike chiude la radio e mormora “scusa, cattiva abitudine lasciare la radio accesa”. Mi metto a gambe incrociate, nonostante i jeans siano così attillati che riesco a malapena a muovermi. Troppo attillati. Appoggio la schiena al sedile e chiudo gli occhi, mentre il ragazzo seduto accanto a me si avvia verso McDonald.
- Allora dimmi: quanti anni hai?
Riapro gli occhi e mi giro verso di lui.
- Quiiiindici, tu?
- Sedici. Come mai sei qui?
- Mi ci hanno trascinata, contro la mia volontà. I miei hanno deciso di fare una di quelle ‘vacanze di famiglia’. E’ il primo anno che gli cala in mente. Non so perché hanno voluto, forse per apparire come quelle famiglie dei film, come quelle che vivono “felici e contenti”…
Mi fermai un po’ a riflettere. Non è che odiavo la mia famiglia solo che non ero mai stata compresa a fondo. Mia mamma è una psicologa, se chiede come sto lo chiede solo perché può interessarle la psicologia adolescenziale. Mio padre invece è un farmacista e abbiamo un rapporto di amore e odio. Mike sembra che capisca che sto riflettendo e rimane in silenzio per un po’. Dopodiché mi giro verso di lui e gli sorrido.
- Senti, mi spieghi da che cosa viene fuori quel ‘Kenji’ sulla tua carta d’identità e come mai hai un cognome così…assurdo?
- Deriva dal fatto che sono per metà giapponese, da parte di padre, metà russo da parte di madre ma sono nato in America.
Avrei dovuto capirlo dalla forma degli occhi. E probabilmente anche dal fatto che una bellezza simile non si trova in America. Ops, commento...’pericoloso’.
- Tu invece? Come mai sei qui? - chiedo giocherellando con il portachiavi con un dado appeso allo specchietto.
- Beh è appena passato capodanno no? Sono ancora in vacanza, prima di tornare a scuola. Io vado all’Augora High School, tu?
- Oddio ma pure io! Solo che fino a un anno fa ero nella sede vecchia, ma adesso mi hanno spostato nella sede nuova…quella dove sei tu giusto?
Si gira a guardarmi e mi sorride.
- Quindi ti rivedrò tutti i giorni? - dice con un lieeeviiissimo rossore sulle guance, quasi impercettibile.
Io annuisco e frugo nel vano portaoggetti, cercando di non incrociare i suoi occhi marroni e profondi.
Mike accende la radio e la sintonizza su una stazione rock, cantiamo a squarciagola ridendo a crepapelle per il resto del tragitto fin quando non si ferma davanti al celebre fast-food, al take-away e mi chiede cosa voglio spegnendo la radio.
- Boh non so, fai tu! Non ho molta fame comunque.
- Mhh, va bene, ma tanto ci ingozzeremo insieme di schifezze!
Io faccio una faccia tipo “scordatelo”, con l’ombra di un sorriso sulla bocca sottile. Dopodiché scende dalla macchina e mi lascia da sola, con un languorino nello stomaco e una mancanza del suo sorriso che non so spiegarmi, visto che non è manco un giorno che ci conosciamo.

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Capitolo 3
*** E così è come finisce. ***


Allen:
Io la uccido” continuo a ripetermi mentre sbatto le palpebre fissando il materasso sopra di me. Non è nemmeno mezza giornata che siamo in quest’albergo e lei già esce, vorrei sapere chi è quello sfigato che se l’è caricata. Il problema è che sono…’geloso’. Non è la mia ragazza ma sono sempre il suo maledetto fratello! Gemello per di più, tra noi non c’è affetto, c’è alchimia. Ci capiamo con un gesto, ci parliamo con gli occhi e entrambi sappiamo che l’altro è la metà di una cosa sola. Siamo come le due metà di una mela, perfettamente identiche anche nel sapore, ma per essere completi dobbiamo stare insieme. Le voglio davvero bene sì. E’ la mia migliore amica. Mi giro verso il muro guardando sul cellulare che ore sono. Mezzanotte e un quarto. E se è un maniaco? Insomma è tardi, lei è ‘piccola’, indifesa e se lui provasse a violentarla o cose del genere sicuramente lei non riuscirebbe a proteggersi, Cristo io…Basta, che cazzo sto dicendo? Se è uscita con lui vuol dire che si fida. E non è detto che sia un ‘lui’. Potrebbe anche essere una lei. “Pensa positivo, pensa positivo bello”. I miei per fortuna sembra non abbiano intenzione di svegliarsi, russano e sembrano stiano facendo i sogni migliori di questo mondo. Che cazzo faccio mo, aspettando che torni?  Per quanto ne so potrebbe anche tornare dopodomani! Dio mio, sono in ansia. E’ la mia maledettissima gemella, è normale che sia preoccupato. Cristo Allen tu non sei solo preoccupato, sei geloso. Geloso di tua sorella? Non mi sembra una cosa molto…buona. Smettila di fare il deficiente.
Oddio mio sto parlando da solo, le cose vanno di male in peggio! Il problema è che se non sapessi che è mia sorella e fosse una normale ragazza che viene alla mia scuola tipo, io me la sposerei.
ALLEN CRISTO, NON PENSARE MAI PIU’ UNA COSA DEL GENERE!” mi risuona nella mente la voce di mamma. Allora, calma. Magari scendo e mi faccio una tisana. Sì buona idea, anche se io ho sempre odiato tisane, thè e robe varie, da piccolo non bevevo nemmeno l’infuso di camomilla e finocchio che di solito si dà per far addormentare i pargoli urlanti e lamentosi. Metto un piede fuori, rabbrividisco, lo rinfilo dentro. Cristo ci saranno cinque gradi fuori! No dai non scendo sotto, anche perché se i miei non vedono nessuno dei due, gli verrà un attacco di cuore. Sì ma come faccio a tranquillizzarmi allora? Dai scendo, ci metto tre minuti. Mi alzo con i brividi di freddo, mi ficco i primi due indumenti presentabili e che non puzzano, prendo il cellulare e apro la porta sgusciando fuori in maniera del tutto silenziosa. Tiro un sospiro di sollievo. Sono fuori. Mi dirigo verso l’ascensore e scendo di sotto, verso il bar, aperto tutta la notte. Mi siedo su uno sgabello sul bancone, chiedo al tizio “qualsiasi cosa che mi faccia dormire”. Si gira, chiama qualcuno da dietro alla porta dove può entrare solo il personale e esce una ragazza, capelli mori, occhi azzurri, espressione dolce che io rimango a fissarla come un pesce  lesso. So ancora riconoscere la bellezza quando la vedo! Mi mormora un “ciao” intimidito e inizia ad armeggiare con tazze e quella cosa che mi sembra si chiami teiera, tutto di porcellana, per poi dopo mettermi sotto al naso una tazza bianca, con un intruglio giallognolo dentro. Sorrido titubante per ringraziare. Bevo un sorso. “Cristo la bocca mi va a fuoco fanculo fanculo adjhidbaibfeir!” urlo tra me e me, mi trattengo per miracolo dallo sputarla, fa schifo, non sa di niente! 
- Devi metterci lo zucchero - dice qualcuno con una voce melodiosa. E’ la ragazza che mi guarda con espressione divertita.
- Ah, emh, grazie. Quanto ce ne devo mettere?
- Quanto vuoi. A me piace con un cucchiaio e mezzo per tazza.
Eseguo titubante, giro e riprovo. Meglio. Non mi piace ma almeno non è lo schifo di prima! E scotta di meno. Bevo e me ne metto un altro po’ dalla teiera. 
- Senti. Grazie per…lo zucchero, emh, ti va di finire la camomilla con me?

Moon: 
Cazzo fa freddo!  Sì sono mh, venti minuti circa che Mike è uscito e io sto congelando, persino il fiato si condensa! E’ proprio lento questo belliss…emh, benedetto ragazzo. Poi non ha lasciato nemmeno le chiavi così che io mi accendessi il riscaldamento, evitando di morire assiderata. Provo a scaldarmi le mani alitandoci sopra, invano. Abbasso il sedile in modo che io mi possa mettere allungata, fisso il soffitto cantando tra me e me. Mi giro e guardo cosa c’è sul sedile anteriore: poggiate per terra, bottiglie di birra mezze vuote insieme a varie cartacce appallottolate. Sul sedile invece c’è un bloc notes, con delle matite affianco e una felpa. I miei occhi s’illuminano e io sorrido involontariamente alla vista dell’indumento caldo e morbido. Allungo la mano verso di essa e lo prendo, lo avvicino a me e un odore…un profumo, dolce ma non troppo, quelprofumo, il suo profumo. Il profumo di Mike. Rimango con la felpa in mano così per un minuto, come se fosse bastato solo quello a riscaldarmi, a mandarmi in fiamme la faccia arrossendo, facendomi nascere non farfalle, dragoni sputafuoco nello stomaco. Non sono innamorata. No. No affattoNo. Mi agito sventolando le mani in aria, come per repellere un pensiero che  non riesco ad ammettere nemmeno a me stessa, neanche alle pareti di quella macchina vuota. Emetto uno strano risolino nervoso, continuando a crucciarmi. La parola ‘amore’ fa un buffo suono dentro la mia bocca, fa un buffo suono anche se non la pronuncio, anche se la tengo nella mente. Non sono abituata. 
Dopo tutte queste non seghe mentali ma scopate in grande stile, mi infilo la felpa, con la lana che si struscia sulla mia pelle dandomi brividi. Calore, finalmente. Anche i vetri sono appannati con la condensa per il freddo che c’è. Inizio a disegnare, lascio che le dita scivolino sulla superficie liscia e umida. Un cuore, una lettera, due, il mio nome, una ‘M’, una ‘I’, una ‘K’…mi fermo e passo tutto il braccio sul vetro, cancellando ciò che avevo scritto. “Basta, Moon, basta Cristo”. Inspiro, espiro. Finalmente sento le chiavi nella serratura, la portiera si apre, Mike poggia sul sedile quattro buste strapiene di cibo e una confezione da dodici di bottigliette di birra.
- Ehi, ti sarai gelata, scusa ma c’era una fila lunga due chilometri e i tipi davanti hanno ordinato praticamente tutto il menù… - si scusa lui farfugliando sotto il mio sguardo di rimprovero. Lui mi guarda e si siede con la nostra cena sulle gambe, preoccupato. Va bene mi sembra di aver tenuto il broncio abbastanza, mi apro in un sorriso.
- Non importa se hai fatto tardi - mi avvicino a lui e gli do un bacio sulla guancia per fargli vedere che non  sono arrabbiata con lui. Cristo, cazzo faccio, sono pazza, affanculo! Mi stacco subito, cercando di non sembrare troppo imbarazzata. Faccio in tempo a cogliere un ombra di smarrimento negli occhi del ragazzo dai capelli blu, giusto un attimo prima che si giri per poggiare i sacchetti, che aveva sulle gambe. E per distogliere lo sguardo.
- …Emh, ho preso un po’ di tutto visto che non avevo idea di che cosa ti piacesse… - inizia a srotolare sacchettini e scatolette, porgendomi Hamburger, patatine, crocchette, piadine.
- Ehiehiehi, calma, mi va bene tutto! Mi spieghi come riusciremo a finirla tutta ‘sta roba?!
- Te l’ho detto, - schiaffa un morso all’Hamburger, - ci ingozzeremo! - continua a masticare mentre io prendo le patatine.
Riusciamo a finire buona parte delle cosiddette schifezze in mezz’ora, farfugliando cose senza senso, per colpa anche della birra.
Rido a una battuta di Mike, il  quale si pulisce le mani e rinfila le chiavi nell’accensione, passandosi la manica della felpa sulle labbra. 
- Allora? Daiiii dimmi dove si va! - lo prego io un posando l’ennesima bottiglia di birra e rimettendomi la cintura. Mio Dio, ci siamo sparati cinque birre ciascuno, domani mattina mi sentirò un cadavere. Senza contare che dovrò spiegare a mamma perché sto in quelle condizioni. Che palle. 
- No, non te lo dico. Lo vedi quando ci arriviamo. - mi risponde e si immette dolcemente nella strada dritta e sgombra.
- Va bene però fermati a un distributore di sigarette prima.
Dopo cinque minuti accosta e mi indica un distributore accanto a una tabaccheria, chiusa con il garage abbassato. Mi metto il cappuccio del felpone, controllo di avere qualche dollaro e scendo dalla macchina, intirizzendomi subito alla percezione dell’aria gelida.

Mike:
Spengo la macchina e inizio a tamburellare con le dita lunghe sullo sterzo, aumentando il riscaldamento. Fa parecchio freddo, anche se io ho un calore in gola e al centro dello stomaco, probabilmente per le birre. Non reggo molto l’alcool.
Ebbene sì, è quasi l’una e mezza, sono con una ragazza e la sto portando…Non ne ho idea. Il fatto è che non voglio riportarla a casa, non voglio finire la serata così. “E come dovrebbe finire?” chiede una voce dentro me. “Non dovrebbe finire”.
Mike che cazzo stai dicendo, sei tutto matto. E’ la birra, Cristo non reggi per niente l’alcool, sei una checca. Che cosa vuoi fare? Portartela a letto?! Ha solo quindici anni. E tu sedici. Siete due bambini. Due bambini che si conoscono a malapena da mezza giornata.
Non ho nessuna intenzione! Che razza di pensieri, non voglio farci niente, è solo una ragazza conosciuta in un motel che è simpatica, ci sto solo uscendo una sera, tanto per spezzare la monotonia di tutti i giorni. Sì.”
“Come no, certo Michael, mentire a te stesso è sempre la soluzione migliore. Siccome tu non vuoi essere sincero, te lo dico io come andrà: adesso tu la porterai nel campo qua vicino, quello con tutte le erbacce che ti arrivano alle spalle quasi, finirete per congelarvi ma vi riscalderete pomiciando e probabilmente non ce la farete nemmeno a tornare in albergo perché vi ritroverete per terra, distesi l’uno sull’altro a…”
“NO, NONONONO. Cazzo ti viene in mente, HAHAHAHAHA, come no. E’ un’amica, buoooona, amica. E bella. Ma mica se una ragazza è bella te la devi portare a letto, altrimenti mi sarei scopato metà scuola. Ci stiamo solo divertendo, anzi abbiamo semplicemente cenato, avevo fame”.
“Quindi vuoi farti credere che sei uscito con lei perché avevi fame. Brillante scusa, Michael. Fai schifo con le bugie, lo sai anche tu coglione”.

Cristoddio, sono tutto un conflitto, la coscienza pare abbia appena dichiarato guerra al cuore, il cuore al cervello e il cervello a tutti e due. Ma tanto la verità è una e so qual è. La verità è che “ti sei innamorato e avercela nel letto questa sera non ti darebbe fastid..” cazzo no, la verità è che è simpatica e che come amici siamo usciti stasera, tanto per fare qualcosa.
Ah le bugie, come le ciliegie: una tira l’altra. Nel caso te ne fossi dimenticato, ti ricordi l’effetto del bacio di prima? Mh?”
E’ vero. Prima mi aveva dato un bacio. Ma aveva bevuto, non se lo ricorder... “No, non avevate ancora nemmeno stappato una birra”. Vabbè anche se non aveva bevuto, non se lo ricorderà nemmeno. Cos’è un bacio sulla guancia, siamo amici, è normale.
Sì ma a te è preso un colpo e t’è passato un brivido lungo la schiena quando le sue labbra screpolate si sono posate sulla tua guancia”.
Era il freddo”.
Mike. Michael Kenji Shinoda. Basta, devo finirla di pensare così tanto. Mi faccio troppi problemi. Lei non mi piace e io non piaccio a lei. Siamo usciti e ora la porto da qualche parte, anche se l’idea del campo mi piace: lì è tranquillo ed è lontano dalle luci di città, perciò si scorgono le stelle. Si trova quasi fuori Phoenix, non molto lontano da qui. Dopodiché la riporto a casa e tutti vissero felici e contenti, e fanculo, fine. A febbraio la rivedo perché viene a scuola con me, e mi fa piacere, saremo amici e le farò conoscere anche Rob e Brad. Tutto perfetto. E’ così è come finisce.


 

Eccomi qui finalmente, dopo 482577892452 anni dall'ultimo capitolo, ma ora finalmente ce l'ho fatta. Mi scuso per il ritardo ma sono state settimane d-istruttive. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto, perché un po' diverso rispetto agli altri. Tuttavia, per far sì che voi non fraintendiate, questo non è l'ultimo capitolo! "E così è come finisce" si riferisce a come Mike pensa che finirà con Moon. Ora vi lascio, ringraziando i nuovi lettori, i vecchi e bla bla bla eccetera eccetera. Spero di aggiornare presto con il prossimo capitolo, perché ho un milione di idee in testa e se le scriverò tutte, la storia sarà anche abbastanza lunghetta ç.ç Non mi pongo comunque scadenze perché so che non le rispetterò! Poi è anche incominciata la scuola e non avrò più tanto tempo a disposizione *piange*
Va bene, ora vi lascio, ciao :3
n u m b

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Capitolo 4
*** Perdersi. ***


Perdersi

 Moon:

Cammino battendo i denti verso il distributore automatico, con le mani infilate in tasca. Gesù, si vede proprio che siamo a Dicembre, anzi, si sente. Fa un freddo dannato, tanto che ora non mi sento più né le dita dei piedi né quelle delle mani. Rimango a fissare il distributore e medito su che sigarette prendere, poi opto per le solite, amate, Lucky Strike rosse. Sì lo so che sbagliato, fa venire il tumore e blablabla ma cazzo ,non mi serve un'altra predica. Ho 15 anni, fatemi vivere la mia cazzo di adolescenza! Odio questi pregiudizi comuni. Non lo faccio per sentirmi più grande, non lo faccio per atteggiarmi, lo faccio tanto per farlo, lo faccio perché è una cosa sbagliata. Lo faccio perché è una cosa proibita, lo faccio per saziare la mia voglia di ribellione. Punto.
Inserisco le monetine e, con la paura che le dita mi si spezzino come bastoncini di ghiaccio per quanto sono rigide, premo i pulsanti come farei con un distributore di merendine. Il pacchetto atterra e io lo ritiro. Do un ultimo sguardo alla saracinesca abbassata della tabaccheria chiusa e ritorno verso la macchina accesa, infilandomi il pacchetto nella tasca del felpone di Mike. Apro lo sportello:
- Ti dà fastidio se fumo lì dentro o mi dai il permesso? - chiedo senza entrare.
- No, non ti preoccupare, basta che apri un po' il finestrino. Poi fuori ti beccheresti una polmonite con i controcazzi.
Gli sorrido ed entro, riposizionandomi con le gambe incrociate sul sedile, prelevo una sigaretta e me la accendo, ispirando a fondo.
Ragazzo figo + birra + pancia piena + sigarette . What else? Cosa si può volere di più? È il mio ideale di serata perfetta. Porgo il pacchetto a Mike:
- Ne vuoi una?
- No, io non fumo. O perlomeno solo ogni tanto.
Mi guarda buttare fuori quel veleno e trarne un'altra boccata.
- Non vuoi fare nemmeno un tiro? - provo di nuovo a domandargli, allungando la mano verso di lui.
- D'accordo, solo apri il finestrino a metà che non mi va che qua dentro puzzi.
Annuisco e lui, dopo aver cambiato marcia, mi toglie la sigaretta di mano. Le nostre dita si sfiorano, un brivido lungo la schiena. Le sue dita sottili, lunghe e affusolate, che si muovono armoniosamente contro le mie. Quelle dita che vorrei mi carezzassero il viso, che levigassero gli spigoli del mio corpo, quelle dita che tanto bramo strette intorno alle mie. Rimango a fissarlo mentre si porta alla bocca la sigaretta. Rimango a fissarlo ipnotizzata. Mi rendo conto solo adesso di come Mike si muova più lentamente degli altri, in modo fluido. Anche il più piccolo gesto lo fa in modo armonioso. Poggia le labbra rosa e invitanti nello stesso punto dove le ho poggiate anch'io. Inspira. Mi salta all'occhio il fatto che lui ha appena avuto un bacio indiretto con me. Un bacio. Indiretto. E già che ci siamo, potremmo averne anche uno diretto adesso, perché no? Probabilmente ora mi vedrete come una pervertita ma queste cose saltano all'occhio di una ragazza.
Mike butta fuori il fumo e distoglie lo sguardo dalla strada per posarlo su di me, che gli fisso le labbra dischiuse senza battere ciglio. Labbra rosee e dischiuse...
- ...Moon? Ehi? Stai per caso contemplando un'apparizione divina? -
sì le tue labbra sono divine quanto quelle di un angelo.
Io non rispondo, lui porta la mano sinistra, quella con la sigaretta, sullo sterzo. Aggiunge:
- Ah, ho qualcosa sulla bocca? Maionese? Ah emh, scusa, quando mangio mi sporco peggio di un bambino... - continua a farfugliare parole di scusa senza senso. Si porta la stessa mano di prima alla bocca, e fa strisciare l'avambraccio su di essa, tentando di pulirsi inesistenti residui di maionese.
- Mike, non è che hai qualcosa sulla bocca, hai una bocca... - biascico sommessamente a bassa voce, spezzando bruscamente la frase per paura di aggiungere qualcosa di...
sconveniente.
Mi risveglio, torno sul pianeta Terra, rincoglionita come se mi fossi appena fumata un'oncia di marijuana. Mi giro bruscamente verso il finestrino e lo apro.
- Moon, che stavi dicendo prima? Non sono riuscito a sentirti... - mormora Mike, io sempre girata gli dico di rimando:
- Ah niente d'importante, scusa, il mio cervello si è fatto un viaggetto per un po' – lo guardo e sorrido impacciatamente, riprendo la sigaretta quasi finita, con la saliva di Mike sopra. La fisso, cercando di visualizzare un'impronta, una traccia della bocca di Mike sul filtro arancione. Poggio a mia volta la bocca e mi viene l'immagine delle sue labbra sulle mie.
PERVERTITA! urlano i campanelli di allarme nella mia testa; scaccio l'immagine maledicendomi con il pensiero.
Che cretina, rincoglionita, deficiente e non si sa cos'altro. Sono rimasta a fissare Mike la sua splend...emh, Mike e la sua bocca. Mi è sembrato di vivere tutto al rallentatore. Che cretina.
Pervertita e cretina, yeah.
Getto la sigaretta ormai finita e spenta fuori dal finestrino, lo richiudo e Mike accende la radio, ad un volume basso. Mi accoccolo sul sedile a cui ho abbassato lo schienale e fisso la Luna attraverso il finestrino, luminosa e così stranamente vicina, con solo una nuvola grigio fumo sul cielo blu profondo, trapuntato di stelle qua e là.
Vorrei poterci volare sopra, perdermi tra i suoi crateri e afferrare la mano di Mike e portarlo con me. Tra me e Mike c'è il silenzio, ma non un silenzio imbarazzato, il silenzio e basta. Gradevole. Inizio anche a sentire un lieve tepore per via del riscaldamento.
Così, cullata dai movimenti dell'auto e fissando la Luna, chiudo gli occhi e mi abbandono all'oblio.
L'ultima cosa che ricordo è il respiro di Mike,
armonioso anche quello.

Mike:

Tremo. Tremo. Mi sento il terremoto dentro. Sì perché non tremo solo all'esterno, tremo anche all'interno di me. I miei reni stanno ballando la samba, delle colombe mi stanno addobbando le costole e il cuore da un momento all'altro potrebbe saltarmi in gola e uscirsene dagli occhi. Ho persino caldo. Fuori ci sono – 2°, dentro la macchina 7°, e io sto sudando sotto la felpa. Adesso ringrazio l'entità superiore che mi ha suggerito di spruzzarmi litri di deodorante prima di uscire di casa.
Moon è fuori, a 50 metri da me, a scegliere le sigarette, di schiena. Tamburello sullo sterzo aspettando che torni; mi tremano le mani e ho pure quelle sudate. Tremano proprio a me che, quando ho dovuto suonare il piano di fronte ai professori del conservatorio, non hanno fatto un movimento fuori posto. Sì perché ho studiato piano e ho pure provato ad entrare al conservatorio. Ed ero pure bravo. E mi avevano preso. Solo che quando ho capito che lì ti fanno suonare a macchinetta, seguendo un fottuto spartito, e non ti permettono di dare voce agli accordi che raccontano di te, ho lasciato. E ho continuato per la
mia strada. A comporre e adare voce alle melodie che sentivo dentro di me, che da tempo chiedevano di essere scritte.
Provo anche a rappare qualcosa, ma le rime non mi escono. Di cantare non se ne parla, non sono capace. Anche se più volte mi hanno detto che ho una bella voce. Però no, non se ne parla. Io non canto. Stano, vero? Sono l'MC di una band ma ho paura persino della mi voce. E, ancora più strano, ho paura persino di uscire con una ragazza. Ragazza che per giunta, sta venendo verso di me con le sue sigarette e l'accendino in una mano e delle monetine nell'altra. Ha indosso la mia felpa. Quella larga
larga e pesante pesante. Quella comprata ad una bancarella lungo la strada, mentre stavo andando ad esibirmi per la prima volta in un locale. È una semplice felpa nera, con una scritta in giapponese: "Lavora duro, sogna in grande", in rosso. Ricordo che era sera, io stavo guidando verso il locale, ero a maniche corte perché avevo lasciato la felpa nella "sala prove", ovvero la soffitta di Mark, il cantante. Allora avvistai questa bancarella per strada, accostai, scesi e comprai la felpa. 7 dollari. E questo è successo tre mesi fa.
Quante cose sono successe in tre mesi. Abbiamo pubblicato il primo EP. Adesso al cantante è pure calato in mente che vuole lasciarci. Ma questa è un altra cosa.
Moon è di nuovo dentro la macchina, è successo tutto così velocemente, le ho pure parlato prima ma non me ne sono reso conto. Ora mi porge la Lucky Strike accesa. Un po' spaesato la prendo e la pelle diafana di Luna delle sue dita sfiora la mia olivastra. Faccio qualche tiro, assaggiando il suo DNA, che ha posato sul filtro arancione della sigaretta.
Guardo la strada, cerco di ricordare dove sono, chi sono e che ci faccio lì, butto fuori il fumo e tendo la mano verso Moon per ridarle la sigaretta. La guardo. Ha gli occhi persi, semichiusi, come se stesse sul punto di addormentarsi. Tutto mi sembra calmo, fermo, statico. Sto vivendo al rallentatore.
Lei mi fissa un punto sotto gli occhi, forse ho qualcosa sulla bocca. Farfuglio parole di scusa e imbarazzato mi passo la manica sulle labbra, ma lei rimane in quello stato; la sigaretta che continua a consumarsi tra il mio indice e il medio.
- Mike non è che hai qualcosa sulla bocca, hai una bocca... - farfuglia e si stoppa. Resto in attesa. Sembra persa, è persa. Sembra in estasi, ipnotizzata. Guardo di sfuggita il mio riflesso nello specchietto retrovisore, non ho nulla in faccia, sono sempre il solito coglione. Che ha detto?
Che ho una bocca. Una bocca. Che intendeva? Non reagisce.
- Moon che stavi dicendo prima? Non sono riuscito a sentirti... - si è girata verso il finestrino.
Tutto ritorna alla velocità normale, l'attimo termina, la realtà ritorna a colori. Io che guido, gli alberi che mi passano accanto fuori dal finestrino, lei che è accucciata sul sedile accanto al mio. Le orecchie tornano a percepire il suo ritmico respirare. Abbiamo vissuto un momento al di fuori dell'afferrabile, al di fuori dello spazio, più su del tempo, siamo passati oltre la linea, è un attimo su cui il ticchettio degli orologi non ha potuto posare i suoi artigli.
L'ho vissuto davvero?
Ha gettato la sigaretta.
E' stato come la collisione, il meteorite che tocca il suolo, è stato quell'attimo eterno, quello prima dello schianto, abbiamo vissuto quello anche se non è accaduto nulla di speciale.
Accendo la radio e la metto a un volume basso, in modo che diventi un sottofondo.
Torno a respirare normalmente. Sì perché stavo trattenendo il fiato da non so quanto tempo. Inspira, espira. Ripeti. Ancora e ancora.
Fisso la strada e scorgo le cime degli abeti e il riflesso della Luna sull'acqua del lago.
Nero.

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Capitolo 5
*** Risvegliarsi. ***


Risvegliarsi.

Mike:

Procedo a 80 chilometri orari. Siamo quasi arrivati.
Moon non dà segni di vita.
È l'una: forse si è addormentata.
Le lancio uno sguardo: è girata verso il finestrino, è distesa sul sedile abbassato. Mi dà le spalle e non riesco a vederle il volto. Vedo solo i capelli verdi e spettinati, una porzione di guancia bianco latte e il collo delicato. Ha le mani quasi congiunte vicino al naso: le sue dita sono affusolate e sottili. Ha lo smalto bordeaux smangiucchiato. Scommetto che ha le mani fredde.
Mi giro verso di lei, scruto la sua forma distesa.
Sta tutta rannicchiata, nella mia felpa sembra ancora più minuta e bassina.
È strano no? È solo mezza giornata che la conosco, eppure già sono cotto come un pesce lesso.
Ma che cazzo dici Mike! Nessuno è cotto di nessuno! Pensa con la testa per una fottutissima volta, non con l'uccello!
Il fatto è che non sto pensando con l'uccello, sto pensando con il cuore, con il CUORE. Anzi, a dire la verità mi sembra di non star pensando affatto.
Tu? Il razionale, logico, preciso, realista Mikey?
...Ancora queste cazzo di lotte interiori. Dovrei smetterla altrimenti mi interneranno in manicomio.
Perché mi è preso un colpo quando ci siamo sfiorati? Perché ho mancato un battino (o forse due) quando mi ha dato un bacio sulla guancia? Perché mi sento annegare nei suoi occhi quando mi guarda?
Io sono sempre stato il tizio con i piedi per terra, quello che non si lascia trasportare, non si lascia andare. Sono sempre stato colui che sa tutto e che sa perfettamente tenere in mano le redini della sua vita, e ha il controllo su di essa. Adesso mi sento solo confuso, non riesco a sentirmi pensare; sento solo il rimbombare del cuore tra le tempie, come se lo avessi al posto del cervello. Continua a martellare da due ore buone ormai.
Ho bisogno di capire.
Moon è quel tipo di persona che ti rapisce. O magari fa quest'effetto solo a me.
Mi sembra di essere diviso in due, una coppia di metà che continuano a farsi la guerra: il Mike che si fa guidare dai sentimenti, lo stesso che mette le parole l'una accanto all'altra quando scrive i testi, quello che sa quali note ci vogliono per scrivere la musica. E poi l'altro me, quello razionale, il Mike con i piedi di piombo e ancorati a terra, che ha bisogno di avere il controllo su tutto. Quello che non può permettersi di lasciarsi andare. Sì perché sono io quello che alle prove della band, quando si finisce per farsi una risata, io devo ridere e dopo un po' zittire tutti perché dobbiamo provare. Sono io quello che dice “ora basta con le birre, dopo dobbiamo lavorare”. Non posso permettermi di lasciarmi andare, perché se lo faccio, lo faranno anche tutti gli altri. Gli altri si aggrappano a me per rimanere con le cime ormeggiate, non posso permettermi di mandare al diavolo il lavoro mio e altrui. Il lavoro di
una vita.

E io mi sento nel mezzo di queste due metà, conteso tra di esse. E nessuna delle due riesce a prevalere né io a sceglierne una.
Mi passo una mano sul viso, cercando di rinfrancarmi.
Siamo arrivati. Parcheggio vicino ad un cartello con su scritto il nome del lago.
Mi guardo nello specchietto e poi torno a guardare Moon. Devo svegliarla? Mi sembra di commettere peccato se lo faccio.
Sussurro piano: «Moon?»
Lei non reagisce.
Decido di scendere dall'auto; appena il mio naso viene a contatto con l'aria fredda e gelida rabbrividisco. Faccio il giro dell'auto e apro lo sportello del passeggero.
Moon ha il viso sereno, sembra quasi che le aleggi l'ombra di un sorriso sulle labbra.
«...Ehi bella addormentata!» dico piano. La mia voce echeggia tutto intorno, fuori dalla macchina.
Mi chino vicino al suo viso, vicino l'orecchio. Il suo profumo mi pizzica le narici: odora di fumo, di cannella, di profumo da ragazzo, di tutti gli odori che amo di più. Odora di serate passate a ridere, di notti passate a fissare il soffitto, sognando qualcosa che non entrava nella stanza. Odora delle bottigliette di birra che ci siamo scolate. Delle canzoni rock che abbiamo urlato a squarciagola alle pareti della macchina. Odora di
amore buono.
Annuso vicino al suo collo e inspiro il suo odore come fosse cocaina da sniffare. Chiudo gli occhi e lascio che mi invada la mente. Riapro gli occhi. Sono chinato su di lei, così vicina alla sua pelle tanto che le vedo anche i pori e le cicatrici della varicella.
«Moooooon» bisbiglio vicino al dilatatore, sudando freddo e con la bocca impastata per l'imbarazzo.
Ho ricominciato a sudare, merda.
Sento il suo repiro che mi sfiora le labbra, è caldo e tranquillo. E' un suono rilassante, paragonabile a quello della risacca delle onde. La sua pelle è così liscia, è così delicata, pura, inviolata, bianca...Aggettivi. Mi vengono in mente solo aggettivi per descriverla, invece di agire riesco solo a formulare catene di pensieri.
Mi sembra di vivere la fiaba della “Bella Addormentata nel Bosco”. C'è il bosco. C'è la principessa addormentata. Ci sarebbe anche un principe, se posso essere considerato così. Cos'è che fa il principe per svegliarla?
La bacia, coglione.
Cristo, mi stacco subito da lei, scatto come una molla, mi allontano e sgrano gli occhi. Inciampo anche nei miei piedi andando indietro, cadendo rovinosamente a terra, di culo. E facendo un rumore infernale, amplificato dall'eco tutt'intorno. Quel pensiero, il bacio per risvegliarla, mi ha mandato in tilt, cazzo cazzo cazzo non dovevo pensarlo.
Ma guardati ahahahah, ti prendeva un infarto anche a pensare a una semplice fiaba adesso, ahahaha. Sei patetico. Dimmi, come riuscirai mai a cantare davanti a un vero pubblico, non intendo le 10-15 persone dentro un locale, senza svenire o senza avere il bisogno di farti una dose di cocaina? Hahahaha, ridicolo.

Moon:

BADABUM!
Un tonfo assordante mi fa ridestare dal mondo dei sogni; sussulto e scatto a sedere sul sedile, spalancando gli occhi e guardandomi intorno spaesata.
Sbatto gli occhi più volte, cercando di spazzare via dal mio campo visivo gli ultimi rimasugli di sogno.
Due dadi mi penzolano davanti, appesi allo specchietto.
Riordino le idee.
Sono Moon, ho 15 anni, sono nella macchina di...cerco Mike con gli occhi. Non c'è vicino a me seduto sul sedile del guidatore, non è dietro. Mi guardo intorno con il cuore che inizia ad accelerare i battiti. Giro attorno lo sguardo.
Mike è steso a terra e si sta rialzando a sedere in questo momento. La macchina è parcheggiata, il motore è spento e Mike ha il culo sull'asfalto. Sorrido e mi alzo, mi avvicino a lui: mi accorgo che è diventato rosso, ma così rosso che si vede anche se lui ha la pelle olivastra e se è tutto buio intorno.
«Ehi ma che cazzo è successo? Mi hai fatto prendere un accidente!» esclamo io sorridendo e accucciandomi io vicino a lui.
«Emh...è...è che...n-nien...niente» balbetta e mi sembra agitato. Lo scruto e inizio anche un po' a preoccuparmi. Respira affannosamente e ha la fronte imperlata di minute goccioline di sudore.
«Mike, che hai? Sembra che tu abbia appena visto un fantasma» gli prendo il viso tra le mani; lui tiene gli occhi bassi. Le mie mani gelide vengono a contatto con la pelle liscia e morbida delle sue guance, il suo calore mi penetra nelle dita. Sento che un brivido gli attraverso il corpo.
«Nulla...sono solo caduto, come un deficiente...» abbozza un sorriso mesto.
Io continuo a fissarlo, noto che una vena gli pulsa lungo la gola.
«Sei sicuro? Mi sembri piuttosto agitato» chiedo seria con voce tremolante. Siamo vicini: i nostri nasi quasi si toccano, ci sono forse due centimetri e continuiamo a scrutarci. A perderci l'uno negli occhi dell'altro. I suoi sono grandi, un po' a mandorla; le sue iridi sono marrone legno, con delle venature più scure, come la corteccia di una quercia. Le sue pupille sono così nere che ho quasi paura di guardarci dentro troppo a lungo, per timore di sprofondare. Ha le ciglia lunghe. Sento il suo respiro che mi accarezza.
«Così sto bene, non ti preoccupare» dice lui in un soffio.
Così anche io sto bene, vicino a te, a tuffarmi nei tuoi occhi.
Io mi allontano e mi rialzo, cerco di sorridere senza sembrare che abbia un crampo alla faccia. Gli tendo la mano e lui me la afferra, io mi appendo indietro e lo tiro su. Si spolvera i pantaloni.
Lo sento tirare un sospiro.
«Allora,» si schiarisce la voce «che ne pensi? Ti piace il posto?» allarga le braccia per indicarmi la zona circostante.
Adesso siamo in un parcheggio, alla mia destra c'è la strada ma è deserta. C'è un cartello con su scritto il nome di un lago. Davanti a me si estende una boscaglia, vedo un contorto intreccio di rami di pino e tronchi d'abete. C'è una ripida discesa, ai piedi della quale intravedo il riflesso argenteo della Luna sull'acqua. Un brivido mi passa lungo la schiena, ho un po' freddo.
«Oddio Mike ma qui è meravigliso!»
«Eh beh, sì, di notte è ancora più bello»
Cammino un po' in giro per dare un'occhiata.
«Solo che dovremo ucciderci lungo questa discesa per arrivare al lago» indico la ripida pendenza non lontana dai miei piedi. Il suolo è ricoperto di aghi di pino e abete, alcuni secchi altri ancora verdi; è disseminato di pigne cadute. Le radici degli alberi formano un reticolato nodoso sotto la terra, come le arterie e le vene su un polso, e si incontrano con quelle sottili e corte degli arbusti. L'aria tutt'intorno è impregnata dell'odore fresco degli alberi, un odore...purificante. Inspiro a fondo. In sottofondo si sente il rumore del vento leggero tra le foglie.
Chiudo gli occhi e assaporo il momento.
«La notte è come una coperta che, quando viene stesa, porta la quiete...di giorno, normalmente, se vieni qui si sente solo il rumore delle auto che passano ininterrottamente, oppure gli schiamazzi dei bambini che vengono al parchetto qui vicino. Invece di notte, lo stesso posto è irriconoscibile. Si riescono ad apprezzare molte più cose»
Apro gli occhi.
Mike mi è affianco, non mi sono nemmeno accorta che si è mosso. Fissa davanti a sé. Lo guardo e noto che ha un borsone ai suoi piedi, sembra piuttosto pesante. Notando che fisso l'oggetto con aria interrogativa, mi dice: «Eh, ci sono...emh...
cose. Cose utili» rotea gli occhi. Io lo guardo di sbieco.
«...Sarà meglio che incominciamo ad avviarci, che già è tardi, e non sarà facile arrivare con tutti gli arti attaccati fino al lago» dico io.
Lui prende il borsone e io incomincio la discesa.

*coff coff* EMH, salve! Sì lo so che questo capitolo è, a dir poco, lungo quanto la Bibbia ma non sono riuscita a farmelo venire più corto né avevo intenzione di dividerlo! Quindi, non so quanti di voi , povere anime che leggete questa 'cosa', riusciranno ad arrivare fino alla fine. E qui ci sta bene un bel "Ce la faranno i nostri eroi? *ta-ta-ta taaaaaaaaan*". D'accordo ho finito di sfracassarvi le palline, scusate di nuovo per la lunghezza del capitolo *si inginocchia*
Alla prossima!
n u m b


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