Racconti d'estate

di 8WeirdSisters8
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Il Fuoco del Rinnovamento ***
Capitolo 2: *** Ventuno ***
Capitolo 3: *** Una malsana dipendenza ***



Capitolo 1
*** Il Fuoco del Rinnovamento ***





Il Fuoco del Rinnovamento




Era ebbro.
Provava una gioia estatica, obnubilante, mentre si aggirava nel buio denso di quella notte estiva, così calda, così lunga.
Si muoveva senza sforzo, sospinto dalla brezza lieve che agitava le foglie d'intorno, mentre il rintocco lontano di una chiesa di campagna, probabilmente vuota, certamente spoglia, annunciava la mezzanotte.
Alla luce fioca della luna nuova, a tratti offuscata da nubi fugacemente dispettose, fluttuava con grazia, non visto e quasi mai udito.
Come avviluppato in un sogno troppo vivido, spingeva lo sguardo innanzi, ai lecci gentili, ai frassini e ai grandi faggi.
Felci alte fino a due metri lo affiancavano e l'aria era pregna dell'aroma dolciastro di una fitta fioritura di prugnoli, sempre in ritardo sugli altri fiori. Qua e là il terreno era tempestato dal giallo acceso delle acetoselle, e d'improvviso gli sovvenne il loro sapore pungente.
A questo punto si permise un sogghigno.
Come un lampo, lo travolsero i ricordi beati della sera appena trascorsa, i volti ignari delle sue vittime. Qualcuno persino rideva quando lui gli si era avventato contro e quella risata era rimasta nell'aria per tutto il tempo che gli era servito per nutrirsi, colonna sonora grottesca e insolita.
Perché lu preferiva il silenzio durante i pasti.
Ma quegli umani, troppo rozzi e turbolenti, sembravano incapaci di apprezzare la bellezza maestosa del perfetto silenzio.
Sicché si era dovuto accontentare delle loro stolte risate, delle loro stridule grida, delle loro fastidiose chiacchiere mentre beveva il loro sangue.
E ne aveva bevuto quanto mai prima d'ora. Ne aveva bevuto fino a saziarsene e poi anche di più.
Li aveva prosciugati ed era questo il pensiero osceno che lo spingeva a sogghignare.
D'un tratto, giunto sotto il portico di una modesta casetta in legno, s'avvide di una strana, immensa luce. Quella luce lo chiamava con insistenza ed in un attimo era riuscita a placare la sua sete e a spazzare via tutti i raccapriccianti ricordi di prima.
Se ne sentiva attratto in un modo del tutto nuovo, che non aveva nulla a che fare con l'attrazione di una vena pulsante sotto la pelle umana.
Quasi in estasi, capì di essere sulla soglia di una nuova vita: forse era questo che doveva succedere. Avvertiva, prepotente e incontenibile, un nuovo significato emergere: se si fosse avvicinato, se avesse attraversato la luce, quella benigna grande luce, si sarebbe redento e salvato. Forse, dopotutto, anche lui aveva un'anima.
E quando ormai era talmente vicino che il calore irradiato quasi lo soffocava, in quell'attimo di gloria, si pentì di tutti i suoi peccati, del sangue vigliaccamente rubato agli altri e del dolore loro causato. Fu come percorso da una scarica di energia buona, luminescente e potente, che lo epurò nel profondo e lo innalzò fino ai picchi elevati di una sovrumana, candida eternità.

Se ne andò con una risata.
Ecco gli ultimi istanti di una zanzara.





Note:
Quello che ho capito quest'estate? Che odio le zanzare che prima si fanno arrostire dalle lampadine e poi volteggiano in aria fino a fare un tuffo nel tuo bicchiere. Bleah.
Nella mia beata ignoranza, non sapevo che le zanzare che pungono - e quindi succhiano il sangue alla gente spensieratamente impegnata in altre attività - sono solo le femmine. La zanzara della storia, avrete notato, è maschio. La contraddizione mi è stata fatta notare da Charme, ma confido che chiuderete un occhio (o anche due) sull'errore. Vero? Con l'occhio che vi rimane aperto, magari potreste leggere gli altri racconti.
Non saranno tutti racconti comici, saranno tutti racconti estivi. Ma ho deciso di inaugurare con il mio genere preferito questa raccolta.

Volete dirmi che ne pensate? Lasciatemi una recensione!

A presto!

WS

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Capitolo 2
*** Ventuno ***


 

 

Premessa: Questo racconto è stato scritto per partecipare al contest “Tutto accadde in una notte di mezza estate”, indetto da _BitterSweet_ sul forum di efp e si è qualificato terzo. Il contest richiedeva esplicitamente di ambientare la storia nell’arco di una sola, intera notte d’estate. In più, si richiedeva di inserirlo in un anno specifico (in questo caso il 1984) e che questo inserimento fosse il più possibile chiaro leggendo la storia, pur non inserendo una descrizione storica dell’anno.

 

 

 

 

 

Autore: 8WeirdSisters8
Titolo storia:
Ventuno
Anno scelto:
1984
Rating:
Verde
Avvertimenti:
Nessuno
Genere:
Commedia, Romantico
Introduzione:
C’è una vicenda interessante, che vede coinvolti un John, una Kelly, un’amica ossessionata dagli oroscopi, una coppia di zii strampalati e una vecchia signora con piccoli problemi di memoria. Oh, dimenticavo il cane. Tutto accadde in una notte di mezza estate del 1984. E quando dico tutto, intendo tutta la serie di imponderabili eventi che portò a-

No, perché dovrei anticiparvelo? Ascoltate la vera storia. Ascoltatela da una persona informata sui fatti.



 

Ventuno

 

 

«Eventi fortuiti o insignificanti, decisioni prese in una frazione di secondo: è affascinante e sconcertante contemplare come possano causare ripercussioni non meno decisive dei grandi fatti della storia.»

                                                                                                                          Robert Cowley, La storia fatta con i se

 

«Tu ora sei con me, ti ho preso con me; io non posso credere che in una qualsiasi favola si sia combattuto di più e più disperatamente di quanto non si sia fatto dentro di me per averti.»

                                                                                                                      Franz Kafka, Lettera a Felice Bauer

 

 

La ricorrenza del numero ventuno nella sua vita era molto singolare.

Da quando la sua amica Marcia, che aveva un’insana passione per oroscopi e zodiaco, gliela aveva fatta notare, Kelly non riusciva a credere di non essersene mai resa conto.

Abitava al numero 21 di Percy Street, la sua collezione di cappelli ammontava a ventuno bizzarrissimi orrori, tutti inservibili e tenuti in grande stima dalla loro proprietaria, e aveva ventun anni. D’accordo, ne aveva solo diciannove. Ma fingeva di averne già ventuno con una frequenza tale da poterlo contare come terzo stravagante indizio in lista.

Kelly, in posa riflessiva, lanciò uno sguardo alla finestra: stava facendo buio. Sapeva che stava perdendo tempo. Doveva partire quella sera e invece di fare la valigia – un’impresa che scoraggerebbe molti, con tredici cappelli a tesa larga, cinque da notte, due sombreri e un copricapo indiano – aveva iniziato a cincischiarsi con queste frottole. Perché sapeva che erano frottole.

Quello che Kelly non sapeva era che aveva torto. Terribilmente torto.

 

*   *   *

Ventuno passi – considerata una falcata media di sessanta centimetri – dividevano casa di Kelly da quella di John. Ventuno passi e un inimmaginabile numero di esperienze, opinioni e modi di intendere la vita fatalmente contrastanti. Avevano ricevuto un’educazione completamente diversa, appartenevano a ceti diversi e vivevano agli estremi opposti della stessa società. Capirete, se vi è capitato di dare un’occhiata a Marx, che questa era una distanza rimarchevole a cui vivere.

Sì, c’era un intero, colossale e barbuto Marx a dividerli.

Ma questo a John non importava affatto. Sognava Kelly con una costanza (e un pudore, è bene specificarlo quando si parla di sogni) commovente. Se ne era innamorato quattro anni prima ma, come spesso capita ai taciturni eroi dei romanzi, non aveva mai avuto il coraggio di confessarglielo.

E ora lei stava per partire, per tornare alla sua città natale, completamente ignara dei sentimenti del suo timido vicino. Piccolo inconveniente, questo, che accade alla silenziosa schiera dei romantici dei giorni nostri, il cui sentimento è talmente acceso da soffocare ogni parola.

O forse è solo perché Venere è entrata in collisione con quegli insopportabili anelli di Saturno, avrebbe detto Marcia.

Sta di fatto che il giovane John, lui sì ventunenne, se ne stava seduto sul divano, strizzato fra il gioviale zio Bob e l’egocentrica zia Stella, coi quali viveva da sempre.

Zio Bob aveva un volto rubizzo e dei baffetti scuri. Zia Stella aveva una vita passata molto ingombrante, essendo stata una Zarina.

«Ho incontrato Maggie dal fruttivendolo,» iniziò quella sera, mentre guardavano un talk show alla tv, «mi ha chiesto: “Come state?”»

A quel punto fu interrotta da Bob: «Non le avrai detto della mia prostata!?»

«In effetti, no» continuò sua moglie quieta «non le ho detto nulla di te. Sospetto mi stesse dando del voi. Era tanto che nessuno lo faceva…»

John sedò un sorriso, mentre sua zia si lasciava andare ad un sospiro nostalgico.

Stella era sempre stata molto stravagante. Ed era anche una femminista molto convinta, anche se originale.

Nella camera da letto dei suoi zii rilucevano infatti il poster di Beverly Lynn Burns e quello di Svetlana Qualcosa, l’uno accanto all’altro, nuovi fiammanti. A completare il terzetto c’era in realtà anche quello di Vanessa Williams, di un anno più vecchio, che da qualche mese aveva trovato nuova collocazione dietro la porta1.

«Va bene essere originali, ma fomentare comportamenti indecorosi e osceni è sintomo di una grave mancanza di integrità morale.»

Perciò la bella Vanessa era stata messa al bando dopo il noto scandalo.

 

Ogni volta che John provava a confidarsi con gli zii sulla sua taciuta passione per Kelly, otteneva da loro consigli non proprio convergenti.

«Se non ti ha dato segnali finora…» iniziava l’uno.

«Vuol dire che è troppo timida e ti ama in segreto da anni» continuava l’altra.

«… non devi farti avanti, non ci sono speranze, figliolo» completava il primo.

«Come con il principe Volkonskji» gli si affiancava l’altra.

«Hey, non fare il tipo loffio, amico. Chiama la pupa e non farti venire la strizza2», gli offriva preziose delucidazioni il suo amico Stan.

E per dirle cosa? Non partire? Perché, sai, io John, quello della porta accanto, ti amo disperatamente al di qua dei ventuno passi?

Sospirò. Si alzò, disincastrando il proprio didietro da quelli degli zii, la qual cosa creò un notevole scompiglio e nemmeno una parvenza d’imbarazzo.

Andò al telefono, alzò la cornetta e compose il numero.

«È Maggie?» chiese zia Stella, senza spostare lo sguardo dalla tv, «dille che mi mancano degli spiccioli e se scopro che è stata lei a sfilarmeli…»

«Tesoro…»

«Cosa? Quella vecchia cleptomane…»

E al di sopra delle voci concitate degli zii, John sentì una voce che sortì su di lui l’effetto di un potentissimo alcolico. O di sette potentissimi alcolici, tutti illegali.

«Pronto?»

Mise giù, per l’ennesima volta. Poi prese il guinzaglio e portò fuori il cane.

 

*  *   *

«Chi era?» le chiese Marcia.

«Nessuno… hanno messo giù» rispose Kelly.

«Oh, il solito maniaco!»

Marcia, accorsa per aiutare l’amica a fare i bagagli, assolveva al compito dondolandosi davanti allo specchio con una pila di cappelli in testa.

«A che ora vengono a prenderti i tuoi?»

«Praticamente in tarda notte. Hanno chiamato da una stazione di servizio nel Maine per dirmi che hanno forato una gomma.»

«E questo li fa ritardare così tanto?»

«Sì, visto che sono ancora nel Maine. Ne avranno bucate una decina…»

Rimuginò sull’improbabile contrattempo addotto dai suoi genitori, che in quel momento – per dovere di cronaca mi tocca specificarlo – celebravano uno seconda scatenata Luna di Miele, decisamente più disinibita della prima, in un poco raccomandabile motel sulla statale, porta a porta con un sospetto serial killer e il suo rumoroso cocker.

Sollevò uno scatolone pieno di libri, il che scatenò a Marcia una serie di incredule risatine: «Cosa ci fai con tutti quei libri? Lasciali qui, ci penserà la padrona di casa a buttarli.»

«Dovrei buttare anche questo? È l’unico libro che tu abbia letto» la stuzzicò Kelly.

«Oh, quello… effettivamente non ho ancora capito di che parli. Sono rimasta scioccata quando ho letto che il protagonista ha solo trentanove anni e già le vene varicose…» Una smorfia disgustata le attraversò il viso.

«Eh sì, è questo che ne fa un romanzo drammatico, non la dittatura del Grande Fratello3» sorrise Kelly, infilando gli ultimi cappelli in una busta di plastica.

«Dittatura? Il dramma sono i suoi baffi», Marcia incrociò le braccia, lanciando uno sguardo all’appartamento ormai vuoto. «Vai a restituire la chiave?»

Kelly rispose con un sommesso «Sì.»

«Allora andiamo. Come si chiama la vecchia?»

«Signora Woodruff. Maggie Woodruff

Sì, quella Maggie “vecchia cleptomane” di cui parlava poco fa zia Stella.

Ah, le coincidenze. Così gustose, così sottili. Ne parleremmo per ore, se non dovessimo spostare lo sguardo fuori al giovanotto che stava nello stesso istante uscendo di casa con un cane al guinzaglio, ventuno passi più in là, centimetro più, centimetro meno.

 

*   *  *

Era una notte estiva molto fresca, di quelle che a lui piacevano.

C’erano ventuno gradi.

Mentre camminava, la sua mente era altrove. Pensava, naturalmente, alla sua Kelly che stava per andarsene. Voleva intercettarla e salutarla un’ultima volta. Si sarebbe portata via gran parte della sua felicità quotidiana, della qual cosa non sembrava preoccuparsi nemmeno il cane, che scodinzolava al proprio riflesso in una vetrina.

«Cane, dai muoviti» disse John, dandogli una pacchetta.

Non è che John disdegnasse di chiamarlo per nome. È che Cane era il suo nome. In molti se ne stupivano quando ne venivano informati, ma John lo aveva sempre trovato originale. Che cosa vi aspettate da uno che conta i passi di distanza fra sé e la casa della sua amata?

Cane aveva appena deciso che il suo riflesso non meritava la sua attenzione, quando una signora bardata di veli finì addosso al suo padrone. Era chiaramente una zingara, una di quelle che leggono la mano e hanno nomi come Madame Pirì de Flanell, per gli amici Carla.

Dopo essergli caracollata addosso, Madame Pirì si ricompose e gli disse, con una bassa voce tonante: «Hai un bel karma.»

«Grazie,» fece John «ma è solo un bastardino.»

Madame Pirì gli rivolse uno sguardo che aveva del compassionevole e lo superò.

John rimase interdetto. Poi si tastò la tasca e capì di essere stato appena borseggiato. Si voltò nella direzione in cui si era avviata al zingara.

«Ehi!» iniziò a gridare, del tutto infruttuosamente.

Doveva inseguirla? Ma così non sarebbe riuscito a salutare Kelly. Con un’espressione angosciata, vide che qualche metro più in là due ragazze e un discreto numero di valigie, borse e buste venivano fuori confusamente dal palazzo.

La riconobbe subito.

Altrettanto rapidamente, ahimè, si avvide che Cane era sparito.

 

*   *   *

Cane trotterellava, felice e inconsapevole come tutti i cagnolini più miti, per il marciapiede di una strada secondaria. Si fermava ad annusare le ruote delle auto parcheggiate con una frequenza tutta canina, il muso schiacciato contro lo stesso asfalto che nelle ore diurne era stato rovente.

A Cane sarebbe molto piaciuto essere un pastore irlandese, quale effettivamente era stato suo nonno per parte di madre.

Di conseguenza, avrebbe preferito un nome che ricordasse le sue origini. Qualcosa come O’Brien4, che ultimamente gli era accaduto di udire spesso.

Continuò con passo deciso per il fitto reticolo di strade che si dipartivano dal piccolo parco cittadino, ove era peraltro diretto. E dopo aver annusato ogni vecchio chewinggum che si trovasse sulla sua via, diverso tempo più tardi, varcò i cancelli del parco e vi si introdusse con tutta la gaia disinvoltura che può avere un cane che si trascina dietro un guinzaglio.

Lì si prese la libertà di scavare buche, inseguire qualche sparuto gatto, raccogliere legnetti ed essere inseguito a sua volta da grossi, sprezzanti gatti in assetto paramilitare.

Visse quella che, dal punto di vista canino, era la notte ideale. Perciò si era alle prime ore del giorno successivo quando, stanco e spensierato, decise di tornare a casa. Ma sapete che gli era impossibile proporsi un obiettivo tanto complesso: il suo obiettivo era in realtà quello di seguire una pigra farfalla.

Fu il destino poi a volere che quella farfalla lo conducesse a casa. Ma prima di questo, volle fargli attraversare una strada.

Quella strada era Percy Street.

 

*   *   *

John aveva scartato l’idea d’inseguire Madame Pirì su due piedi. Ci aveva messo un po’ invece per scegliere se ritrovare Cane o andare a salutare il suo amore. Si era inutilmente mosso su e giù per la strada, chiamandolo con nomignoli ridicoli. Lo aveva implorato di tornare, ma nulla era accaduto.

Alla fine aveva girato i tacchi e si era diretto da Kelly, che stava sul marciapiede proprio fuori casa con un sombrero in testa, accerchiata dalle sue valigie.

«Ciao» disse, raggiuntala.

«Ciao» fece lei, sorpresa.

«Hai già riconsegnato le chiavi?»

«No, la signora Woodruff non era in casa. Le ho lasciate nell’appartamento.»

«Stai… aspettando che ti vengano a prendere?»

«Sì, la psicopolizia5 dev’essere qui a momenti» gli sorrise di rimando.

«Come?» fece lui, perplesso.

«Niente… sto aspettando che i miei mi vengano a prendere. Da due ore e quaranta minuti per la verità.»

«Ah… » ribattè molto intelligentemente lui.

Gli venne in soccorso Kelly: «Non hai letto il libro dell’anno? Dai, non ci posso credere…»

«Ah, quello… » La fronte di John si aggrottò. «No, non l’ho letto.»

Nell’impellenza di riempire il silenzio che seguì, tossicchiò. Ecco, non era un gran modo di riempire il silenzio. Soprattutto con quella tossetta nervosa, piena d’imbarazzo, che assomigliava terribilmente al grido di battaglia di una palla di pelo che risale per la gola di un gatto.

E poi ebbe un’illuminazione. Diglielo adesso, come con il Principe Volkonskji.

Schiuse le labbra, la guardò negli occhi e si preparò a confessarle ciò che non aveva mai osato dirle.

Ma poco più in là, dall’altra parte della strada, Cane abbaiò, mentre muoveva le sue zampette sul manto stradale.

John non se ne accorse. Guardava solo Kelly.

 

*   *   *

Si dà il caso che non si fosse accorto nemmeno dell’auto che giungeva dall’altra parte. Alla guida del vecchio catorcio c’era Maggie Woodruff.

Maggie non era cleptomane, come aveva asserito Stella.

Però era svampita. E quando si era accorta di aver lasciato la busta della spesa dal fruttivendolo nel pomeriggio, era già notte. E quando si accorse che era già notte, si era già messa in macchina, cuffia da notte pigiata sul capo, per andare a recuperarla, motivo per cui Kelly non l’aveva trovata in casa.

Aveva perciò fatto una rischiosissima e spensierata inversione a U e stava adesso tornando.

Fu sulla via del ritorno che un cagnolino meticcio dalle origini irlandesi e un guinzaglio alle spalle le tagliò la strada.

Maggie Woodruff, la cui vita fino a quel momento era stata mortalmente noiosa, visse l’istante più interessante della sua intera esistenza. Istante, c’è ben motivo di dirlo, mortalmente interessante.

Fece una terribile deviazione per evitarlo e finì col condurre la macchina proprio verso il marciapiede.

 

*   *   *

«Sì…?» chiese Kelly.

«Io…» fece John.

«Sì?» lo sollecitò nuovamente lei.

«Io…» Niente, non gli riusciva di dirlo.

Kelly chinò il capo. Forse che aveva sperato che John le dicesse proprio quello che aveva intenzione di dirle?

Fu questo pensiero a infondergli il coraggio necessario. In un impeto di passione, l’afferrò per le braccia, la strinse a sé e si dichiarò.

«Io ti amo.»

Non riuscirono a dirsi nient’altro, perché non passò un solo secondo prima che la vecchia auto di Mrs. Woodruff si schiantasse contro il muro, trascinandosi dietro le numerose valigie, proprio dove un attimo prima Kelly stava in piedi, in attesa delle parole di John.

Kelly e John erano sconvolti: l’auto gli era passata vicinissima.

A noi, che abbiamo la tendenza a romanzare qualsiasi vicenda, piacerà pensare che gli era passata a soli ventuno centimetri di distanza e forse non ci sbaglieremo.

 

*   *   *

Vi farà piacere sapere, se non siete inclini al sadismo, che nessuno si fece male quella notte. Cane e Maggie erano miracolosamente illesi, così come John e Kelly. Quest’ultima, se John non avesse obbedito all’improvviso impulso di attirarla a sé e confessarle i suoi sentimenti, sarebbe stata sicuramente presa in pieno dall’auto.

Se John non avesse deciso di portare fuori il cane, se non avesse poi ignorato Madame Pirì e la ricerca di Cane stesso, se i genitori di Kelly non avessero improvvisato una rinata, antigienica festa dei sensi in un motel qualsiasi, se Maggie non avesse fatto quella deviazione per evitare di investire Cane, allora Kelly sarebbe morta e nulla di quello che seguì sarebbe accaduto.

Kelly non avrebbe detto a John che lo ricambiava e non avrebbe trascorso con lui una mattinata storica.

Alle prime luci dell’alba infatti, dopo essersi ripresi dallo spavento, lui le prese la mano e, conducendola verso casa propria, ventuno passi più in là (ventotto, visto che dovettero aggirare il rottame della signora Woodruff), le sussurrò: «Voglio svegliarmi anch’io con la parola Shakespeare sulle labbra6

Lei si meravigliò: «Dicevi di non averlo letto?»

«Scherzi? È il libro dell’anno.» E si chiusero la porta alle spalle, ridendo.

Naturalmente Kelly non si trasferì e dopo quella notte ve ne furono molte altre.

Fu la ricorrenza di un numero a fare la differenza? O la serie di occasioni che John non colse pur di dire a Kelly che l’amava? Io non lo so. Ma visto che conosco loro figlio, so per certo che lui – come tutti −  è il prodotto di un futuro che avrebbe potuto non esserci.

 

 

 

FINE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Note:

1.      Beverly Lynn Burns era diventata la prima donna capitano di un Boeing 747 proprio il 18 Luglio del 1984. Svetlana Qualcosa è in realtà Svetlana Savitskaya che il 23 dello stesso mese fu la prima donna a farsi una passeggiatina nello spazio. Ciò spiega perché una femminista come Stella ha i loro poster in camera e perché questi siano nuovi fiammanti, essendo gli eventi recentissimi rispetto alla storia narrata. Vanessa Williams era stata, proprio l’anno prima, la prima afroamericana ad essere eletta Miss America. Tuttavia fu costretta a restituire il premio – e fu così paradossalmente la prima Miss America a farlo – il 23 Luglio 1984 dopo che sorse uno scandalo a proposito di sue foto senza veli su una rivista maschile.

2.      Ho cercato qui di riprodurre scherzosamente un linguaggio giovanile compatibile con quegli anni. Mi sono a tal fine ispirata al Diario di Adrian Mole, di 13 anni e ¾, ambientato proprio nel 1984.

3.      Il libro cui si fa riferimento è 1984, di George Orwell. Sebbene fosse stato scritto nel 1948 e pubblicato l’anno seguente, le sue vendite subirono un’impennata tale nel 1984 da crescere in maniera esponenziale, soprattutto negli USA. La sua influenza culturale fu, ed è tuttora, vastissima. Quell’anno in particolare, che era quello in cui la vicenda era stata ambientata, uscirono canzoni, album e spettacoli che riguardavano la celebre distopia. Il film tratto dal libro sarebbe stato distribuito nell’Ottobre dello stesso anno. Leggere 1984 fu allora una vera e propria moda, il che giustifica perché Marcia, che non era esattamente una grande lettrice, l’avesse letto.

4.      O’Brien, oltre ad essere un nome di origine marcatamente irlandese, è anche il nome del cattivone di 1984. Ecco perché Cane ne aveva sentito parlare spesso ultimamente.

5.      Psicopolizia. Come sopra, è un riferimento al libro cult. Se volete sapere che cos’è la psicopolizia potreste leggere 1984, perché merita.

6.      Un ultimo riferimento a 1984. Il protagonista, quello che ha 39 anni e le vene varicose, si sveglia con questa parola sulle labbra dopo aver sognato per la prima volta Julia. Chi è Julia? Ancora, leggete pure il libro!

 

 

Ecco la graditissima valutazione del(la) giudice:

Grammatica: 9.2/10
Originalità: 10/10
Caratterizzazione dei personaggi: 9/10
Attinenza al tema: 9.5/10
Attinenza all'anno scelto: 5/5
Gradimento personale: 4.5/5

Totale: 47.2/50




Per quanto riguarda la grammatica, ho trovato solo qualche piccola svista, ad esempio qui: che stava nello istante uscendo di casa con un cane al guinzaglio ti è sfuggito stesso.
E' una storia decisamente originale, mi è davvero piaciuto come hai saputo concatenare tutti gli eventi, come ogni azione ne abbia innescata un'altra e come fosse al tempo stesso indispensabile perché succedesse la successiva. La ricorrenza del numero ventuno, poi, fantastica. Questa storia è costruita sui dettagli e tu hai saputo infilare questo numero in ogni dettaglio.
I personaggi sono ben caratterizzati, forse avrei aggiunto qualcosa in più, ma non ti ho penalizzata eccessivamente sotto questo punto di vista, perché credo che aggiungendo troppo forse il dinamismo della storia ne avrebbe risentito. Inoltre, molti personaggi sono appena descritti, vedi gli zii o Marcia, ma la loro comparsa è fondamentale per la storia, per spiegare tutte queste piccole coincidenze.
E' senza dubbio una nottata originale. Pensandoci, non accade mai nulla di esagerato, nulla di eclatante (sarebbe successo se Kelly fosse stata investita dall'auto), ma dando uno sguardo d'insieme è una notte folle se consideriamo tutti questi eventi concatenati che hanno portato al sospirato lieto fine. Non è la notte che mi aspettavo e se consideriamo il tema di fondo, ovvero lui che deve confessare il suo amore a lei, non è estremamente originale, ma devo senza dubbio riconoscerti l'originalità con cui l'hai sviluppata, come ti ho detto sopra.
Devo farti i complimenti per come hai utilizzato l'anno scelto. Ti sei ampiamente informata e hai usato con naturalezza ciò che sai su quest'anno. Questa storia trasuda 1984 da ogni frase! I personaggi, l'ambiente che li circonda, tutto è stato abilmente architettato per rispecchiare i pensieri, le mode e la vita di quell'anno. In particolare ho apprezzato come 1984 di Orwell sia stato inserito nei dialoghi, diventando così quasi un ulteriore protagonista in questa bizzarra serie di eventi.
Mi sono davvero divertita a leggere questa storia. E' una lettura scorrevole che ti lascia col sorriso sulle labbra e la convinzione che non mi bisogna mai sottovalutare anche le più piccole coincidenze!

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Capitolo 3
*** Una malsana dipendenza ***


Una malsana dipendenza

 

 

«Un attacco di panico è un periodo di paura o disagio intensi, tipicamente con un inizio improvviso e durata variabile dai 2 agli 8 minuti. In alcuni casi la durata è maggiore, dalle due alle tre ore, e possono susseguirsi più attacchi consecutivi.»

                                                                                                                                                                                                                                      Wikipedia

 

 

 

 

 «Si segga. Si metta comoda. Respiri.

Ha fatto? Oh, forse è necessario inclinare lo schienale. Così, ecco. Va meglio?

Dunque, partiamo da dove ci eravamo fermati la scorsa volta.»

 

 «Non saprei…»

 «Su, non esiti. Abbiamo già passato questa fase. Mi diceva che era estate…»

 

 

 «Esatto, era estate. Le giornate erano lunghe e afose. Il sole rendeva le pareti di casa roventi e mi pareva talvolta di perdere il contatto con la realtà incandescente. A volte semplicemente, come tutti, trovavo la calura fastidiosa. Ma c’erano delle volte in cui mi sembrava che l’aria fosse troppo bruciante, pure corrosiva, per la mia gola e che di lì a poco avrei smesso di respirare.

 

Come se all’improvviso la consapevolezza di poter impazzire, possibile se non probabile, mi si affacciasse alla mente e ingoiasse tutto il resto. Non so come descriverlo meglio. Cerco di spiegarmi, mi dia un attimo.

Magari stavo davanti al computer e così, inaspettato, avvertivo un senso di affogamento, distinto, vivo ma letale. Galleggiavo nella vellutata e cocente sensazione della caducità di tutte le cose e mentre battevo i tasti percepivo fin sotto le unghie il senso della provvisorietà di ogni nostra azione. Il sentimento vivo e atroce della nullità della vita mi si abbatteva addosso con uno schianto che non produceva alcun suono, nessun fragore e mai uno strepito e che pure mi rimbombava dentro.

 

Era doloroso ed era immenso, il vuoto allora. Ce lo avevo di fronte e lo avevo ai lati. E dietro. Era sotto e sopra di me. Era in me.

La certezza che non mi avrebbe lasciato mi sopraffaceva e mi riempiva il corpo come un formicolio persistente, invadente, beffardo.

Mi è accaduto diverse volte, quell’estate e mi accadeva la sera. Ho sempre pensato che fosse l’oscurità a divorare avidamente ogni mia speranza. Così, se la sera ero preda di questi strani attacchi, il giorno il sangue mi ribolliva per la paura: avevo l’ansia che arrivassero di nuovo quelle tenebre, madide in pari misura di umidità e follia.

 

Mi accorsi, dopo le prima volte, che la cosa accadeva con una certa regolarità. Erano i Lunedì, forse, i più pesanti. Ma anche le Domeniche. E i Giovedì. Non so perché, non sono mai riuscita a spiegarmelo. All’inizio i miei familiari pensarono – e lo pensai anch’io - che avessi problemi di cuore: perché tremavo, sudavo, il cuore quasi mi balzava in gola. Qualche volta ho pensato che alla fine lo avrei vomitato. E man mano che gli attacchi si ripetevano, iniziai a considerare la prospettiva allettante, così sarebbe finalmente cessato tutto.

Naturalmente non accadde.

 

È strano ripensarci adesso. Mi sembra di descrivere un’altra persona. Adesso che l’estate è volta al termine, persino ne sorrido.

Ha visto? Non le ho risparmiato i particolari. Sono stata brava, dottore?»

 

 «Bravissima. Non mi è chiara solo una cosa: perché questi attacchi sono cessati?»

 «Perché EFP ha cambiato server ed è tornato online.»

 

 

 

 

 

 

 

 

Io mi impongo di scrivere qualcosa che non sia di genere comico. E mi credo quando me lo dico. Sinceramente.

Ma proprio non ne ho voglia. Sinceramente.

Questa grandissima idiozia che ho scritto è ispirata a tutte le testimonianze degli utenti di EFP che si dichiaravano moribondi ogni volta che il sito cadeva per sovraccarico. E’ chiaro che non soffrivano veramente di crisi di panico, ma è quello che immaginavo io mentre leggevo le loro dichiarazioni. E’ altrettanto chiaro che anche io risentivo molto del cattivo funzionamento di EFP, perché quest’archivio, pur con tutti i noti difetti, crea dipendenza.

Tra parentesi, non ho quasi mai scritto storie in prima persona, perché favoriscono troppo l’immedesimazione. Mia, non del lettore. E infatti ho rischiato, da ipocondriaca quale sono, di avere una crisi di panico mentre mi documentavo e mentre ne scrivevo. Non per niente, mi ha formicolato per mezz’ora la terza falange del mignolo sinistro.

 

Ringrazio perciò Erika e lo staff per il lavoro svolto.

Ringrazio Wikipedia perché esiste.

E ringrazio chi si asterrà dal lanciarmi una sedia, anche se solo virtuale. Gli altri li ringrazio per la sedia. In una casa non se ne hanno mai troppe.

 

Buona Domenica e buon rinnovato Efp

WS

 

 

 

PS: m’è venuto in mente un quarto di secolo dopo l’aggiornamento (secondo più, secondo meno) di modificare la raccolta da In corso a Completa. Essì, dai. Non vedo l’ora di mettermi un maglione con le renne e cantare carole di Natale, perciò non è che sia tanto motivata a scrivere racconti estivi. Programmo (da circa 3 anni, yep!) una long, ma ho il timore che mi verrebbe a noia dopo il secondo capitolo e l’abbandonerei.

Magari pubblico quella…

Magari pubblico quei primi due capitoli…

Uno normale e uno molto breve…

Uno brevissimo e uno infinitesimo…

 

Magari mi limito a mettere il maglione con le renne è.é  

 

 

 

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