Eyes like Fire

di jeffer3
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** La forza del silenzio ***
Capitolo 2: *** Aspettative ***
Capitolo 3: *** Abbassare la guardia ***
Capitolo 4: *** Segreti ***
Capitolo 5: *** Appuntamento ***
Capitolo 6: *** Legami indissolubili ***
Capitolo 7: *** Lascia che sia ***
Capitolo 8: *** Due chiacchiere a tavola ***
Capitolo 9: *** Questione di tempo ***
Capitolo 10: *** Battito accelerato ***
Capitolo 11: *** Fidarsi ***
Capitolo 12: *** 'Mi dispiace' ***
Capitolo 13: *** Lascia che la verità venga a galla ***
Capitolo 14: *** Dolcetto o scherzetto? ***
Capitolo 15: *** Balla per me ***
Capitolo 16: *** Presente... e passato ***
Capitolo 17: *** Ti seguirò nell'oscurità ***
Capitolo 18: *** Nel cuore della notte ***
Capitolo 19: *** Persone felici ***
Capitolo 20: *** Amore e fiducia ***
Capitolo 21: *** Stammi vicino ***
Capitolo 22: *** Diciotto 'non ho mai' ***
Capitolo 23: *** Presentimento ***
Capitolo 24: *** L'ultimo passo prima del baratro ***
Capitolo 25: *** Quando un cerotto non basta ***
Capitolo 26: *** Dovresti stare con chi ti fa star bene ***
Capitolo 27: *** Lei è la mia famiglia ***
Capitolo 28: *** Non pensare, balla ***
Capitolo 29: *** Dimmi che mi ami ***
Capitolo 30: *** Trova la tua calma ***
Capitolo 31: *** Guardami ***
Capitolo 32: *** Cordoglio ***
Capitolo 33: *** Non è così male il buio se tu sei con me ***
Capitolo 34: *** A modo nostro ***
Capitolo 35: *** L'inizio della fine ***
Capitolo 36: *** Fra le mie braccia ***
Capitolo 37: *** Epilogo ***



Capitolo 1
*** La forza del silenzio ***


Se c’era una cosa che odiavo profondamente era svegliarmi presto le mattine in pieno inverno.
Non potevo semplicemente continuare a rotolarmi tranquillamente nel caldo, morbido, meraviglio piomon-
“BRITTANYYYYY”
A quanto pare mia madre sosteneva di no.
“Britt!” esclamò, poco dopo, spalancando la porta della camera “Se non ti alzi subito, sguinzaglierò Mary G. e sappi che questa volta non interverrò per evitare che ti tagli i capelli con le forbici.”
Oh, Mary Grace la mia meravigliosa quanto pestifera sorellina, che si divertiva non poco ad esasperarmi giorno e notte, appena poteva.
“Che gentilezza, mamma” feci, alzandomi di mala voglia dal letto “Tu sì che sai persuadere le persone con le buone maniere”
“Visto che madre modello che ti ritrovi?” chiese, divertita, dandomi qualche pacca sulle spalle “E ora sbrighiamoci! Ho preparato già la colazione”
“Sì, capo!”



 
“Britt, ciao! Devo assolutamente raccontarti una cosa fondamentale!” Mi salutò non appena mi vide nel corridoio della scuola la mia, ormai secolare, amica, con tutta quell’euforia che, da sempre, la contraddistingueva.
“Rach, buongiorno.” Ricambia subito, seppur con meno entusiasmo. “Solo, per favore, non partire a macchinetta, che sono rimasta a che dormivo placidamente nel mio letto, da cui sono stata strappata senza alcun riguardo.” Continuai scocciata e ancora assonnata.
“Dovresti dormire di più, allora.” Commentò, con un sopracciglio alzato.
“Dovrebbero farmi dormire di più, semmai. Comunque, qual è questo fatto sensazionale?”
“Mi sono iscritta al Glee!” esclamò, su di giri.
“Glee? Il club delle granitate?” domandai, confusa, facendo indispettire la mia amica.
“E’ solo un puro caso che i membri del gruppo siano colpit-“ fu interrotta, però, proprio da una slushiata, che la colpì in pieno viso, colando per tutto il maglioncino che indossava.
“Benvenuta nel club, Berry!” esclamò uno degli scimmioni della squadra di football allontanandosi.
“Solo un caso, eh?” feci, quindi, ironica, prendendola per mano e avvicinandomi al bagno più vicino.
“Rachel! Oddio, ti hanno già colpito!” esclamò un ragazzo moretto e ben vestito, che avevo intravisto spesso a scuola.
“Kurt… già, come puoi ben vedere, mi hanno preso in pieno” fece, sconsolata, allargando le braccia. “Dio, questa roba è tutta appiccicosa”
“Beh… tranquilla ti ci abituerai” commentò, aiutandola a levarsene un po’ di dosso con una mano.
“Abituarsi?!” domandai, sconvolta, inserendomi nella conversazione “Scusa, sarebbe normale essere colpiti da una granitata?! Ci mancherebbe solo che fosse un evento giornaliero” sbottai ironica, osservando lo strano sguardo del ragazzo alla mia affermazione.
“Diciamo che… forse è meglio se, d’ora in poi, porti sempre con te un ricambio a scuola.” Commentò, con un tono dispiaciuto, mentre le mie sopracciglia arrivavano quasi al soffitto e trascinavo, letteralmente, la mia amica in bagno.


“Hai sul serio intenzione di continuare questa cosa?” le chiesi una volta entrate, mentre lei si avvicinava al lavandino.
“Brit, mi piace cantare” commentò semplicemente, iniziando a sciacquarsi la faccia.
“E ti piace anche farti un bagno in questa roba appiccicosa almeno una volta al giorno?” feci, aiutandola a ripulirsi.
“Si chiamano compromessi.”
“Si chiama follia!” sbottai, cercando di pulirle alla meglio anche la maglia “Dio servirebbe un asciugamano” commentai, osservandola mezza inzuppata d’acqua e granita.

 
Proprio in quel momento entrò dal bagno Quinn Fabray o anche, ‘chioma rosa’, come era stata soprannominata da un po’.
Inizialmente capo delle cheerios, dopo una gravidanza inaspettata, cambiò completamente.
Dai lunghi capelli biondi era passata, in poco tempo, ad un taglio corto, di colore rosa; dalla divisa della squadra a vestiti larghi e strappati; da un’espressione angelica e pulita a una strafottente, a cui si aggiungeva un piercing sul naso e probabilmente alcuni tatuaggi sparsi su tutto il corpo.

 Osservò interessata la scena, piegando la testa di lato, e focalizzandosi in particolare sull’aspetto giusto un po’ incasinato di Rachel; il tutto nel massimo silenzio, visto che, non appena fece il suo ingresso, noi ci ammutolimmo di colpo.
Quello che non mi aspettavo era il gesto che fece quella, che io credevo ormai una poco di buono, interessata solo a sé stessa, senza il minimo rispetto per nessuno.
 
Senza dire una parola, infatti, aprì il borsone, che aveva sempre con sé i giorni in cui si tratteneva in palestra, e allungò alla mia amica un asciugamano, che lei accettò quasi senza pensarci.
“I-io..” iniziò Rachel, probabilmente per ringraziarla, quando quella, così come era entrata se ne riuscì dal bagno in silenzio, anche se avrei giurato di averle visto spuntare un piccolo sorriso al tentativo, non riuscito, di parlare della mia amica.
 
“Brit, ma hai visto anche tu?” mi chiese, mentre io continuavo a rimanere in silenzio, riflettendo sulla scena.
Perché diavolo si era dimostrata… gentile?
Interessante.
“Ok, credo di star ancora sognand- ahi!” le arrivò un mio ‘piccolo’ scappellotto alla nuca.
“No, non stai sognando, tranquilla!” esclamai, divertita, mentre lei era intenta, ora, ad osservare il tessuto fra le sue mani.
“Secondo te perché l’ha fatto?” chiese, quindi, dando voce ai dubbi di entrambe.
“Non saprei davvero, Rach…”
“E’ pulito e profumato…” commentò annusandolo.
“Quindi non è avvelenato… o contaminato con un qualche materiale radioatt- ahi!”
“Te lo sei meritato!” esclamò, mentre mi massaggiavo la nuca appena colpita. “E’ stata gentile…” commentò poi, illuminandosi “E’ stata gentile con me!”
“Oh, Dio, Rach, hai una cotta per lei da sempre.”
“Non è vero!” ribattè indignata “A me piace Finn!”
“Seh, continua a dirlo, magari, prima o poi, ti convinci” conclusi, avviandomi in classe.



 
Le ore successive di lezione passarono in men che non si dica.
Avevo scampato un paio di interrogazioni, per fortuna, ma dopo la spiegazione infinita del professore di lettere su una quantità industriale di autori, avevo disperatamente bisogno d’aria.
Per cui, al posto di dirigermi a mensa, come ero solita fare, decisi di fare prima una passeggiata nel giardino della scuola.
Credo sia stato probabilmente quello il momento, in cui qualcosa cambiò.
Forse io cambiai, da lì in poi, ma non ne sono proprio certa.
 
Presi una bella boccata d’aria e con un sorriso a 32 denti presi ad osservarmi intorno, quando il mio sguardo cadde inevitabilmente su due ragazze sugli spalti del campo da football.
Focalizzai l’attenzione su quella scena.

 La Fabray stava chiaramente dando di matto, agitandosi e sbraitando cose, che dalla mia postazione non riuscivo ad afferrare.
Era su tutte le furie e cercava, a quanto però potevo vedere, invano, di provocare una qualche risposta nell’altra, che continuava, placidamente, a fumare senza curarsi minimamente della sua scenata.
Santana Lopez.

Mi aveva sempre incuriosito quella ragazza.
Ricordo ancora com’era, appena un anno fa.
Cheerio eccezionale, al top della piramide sociale del McKinley, bellissima, con carrellate di ragazzi ai suoi piedi; era considerata la perfezione fatta persona.
L’unica cosa che rimaneva ora era sicuramente la bellezza.
I tratti ispanici, la pelle ambrata, labbra carnose, fisico atletico con ogni curva al punto giusto, e i suoi occhi.
Non li avevo mai visti da vicino, sembravano di un castano molto scuro.
Particolari. Meravigliosi. Riuscivano a far cadere ai propri piedi chiunque.
Era tutto ancora lì, ma in maniera nettamente diversa.
 
Era come se tutta la luce che la contraddistingueva avesse lasciato spazio all’oscurità.
Non più il rosso e bianco della divisa a ricoprire quel corpo, ma un paio di converse nere, jeans scuri strappati e una felpa di qualche taglia più grande, sempre e rigorosamente, di colore scuro a ricoprire quel corpo.
L’elastico della coda di cavallo era stato ormai eliminato, lasciando i capelli neri liberi, seppur in maniera disordinata e arrangiata.
Sopra al labbro aveva, ora, un piercing e, alle mani, portava dei guanti. Di pezza, con le dita scoperte. Sempre.

Anche in pieno giugno lei continuava a portarli e, se c’era una cosa che avevo notato, è che non se li levava quasi mai. Diciamo che sarebbe stato un evento più unico che raro.
Probabilmente doveva tenerci molto o, forse, più semplicemente, le piacevano particolarmente.
Era sempre da sola oppure, unica alternativa, con la Fabray, la sua unica amica, ora. Non si lasciava avvicinare da nessuno e, se dialogava con qualcuno, era per insultarlo o farsene beffa.
 
Una cosa che ricordo ancora era la sua risata. Limpida, cristallina. Felice.
Ora non c’era più, era a dir poco un miracolo vederle fare un sorriso, che, ad ogni modo, nella maggior parte dei casi era comunque di scherno nei confronti di qualcuno.


“Britt ci sei??”
Rachel mi riscosse da quella specie di trance, in cui ero caduta. Evidentemente doveva starmi chiamando da un po’ vista l’espressione preoccupata.
“Tutto bene?” mi chiese, infatti, subito dopo.
“Sì, sì io sto benissimo” risposi sorridendo, per poi voltarmi, ancora una volta, verso gli spalti.

L’ispanica a quanto pare doveva essersi stancata di sentire l’amica sbraitare, visto che si era alzata gettando a terra la sigaretta.
Nemmeno un paio di passi che, però, la Fabray la strattonò, forte, per provare ad attirare di nuovo la sua attenzione, a quanto pare, senza successo.
La Lopez, infatti, si limitò ad afferrarla per il colletto della maglia che indossava e a guardarla intensamente negli occhi, per far sì, che quella mollasse la presa, alzando le mani in segno di resa, e permettendole di andarsene.

“Britt?” mi richiamò, ancora, la mia amica. “Ma si può sapere che hai?”
“Niente, Rach, io devo andare un attimo in bagno” le disse, rivolgendole un piccolo sorriso “Scusa, è che ero sovrappensiero, inizia a cercare due posti a un tavolo che ti raggiungo subito, ok?”
“va bene..” acconsentì, seppur un po’, confusa.



 
Avevo davvero bisogno di sciacquarmi un po’ la faccia.
E va bene la curiosità per quella ragazza, però arrivare ad eclissarsi completamente per osservarla non andava bene.
Decisamente no.
Entrai, quindi, nel bagno più vicino, non aspettandomi, però, di trovarci dentro proprio lei, intenta a guardarsi allo specchio.
Evidentemente, nemmeno lei doveva aspettarsi la mia presenza lì dentro, visto che si girò un po’ stupita, per poi alzare, incuriosita, un sopracciglio verso l’alto e rigirarsi, subito dopo, ancora verso lo specchio.
Ok, questo era strano. Quante diavolo di probabilità c’erano di incontrarla nel bagno? Lei, che andava sempre nel bagno del secondo piano, universalmente noto come dominio suo e della ‘chioma rosa’.

Il silenzio che aleggiava, tra l’altro, non aiutava molto, motivo per cui era il caso di darsi una mossa.
Mi avvicinai al lavandino accanto a lei, ma non appena aprì l’acqua, qualcosa attirò il mio sguardo.
Aveva sollevato le maniche della felpa che portava, ma c’era una sorta di… macchia? Sembrava più una scia di…sangue?
Sì, era proprio sangue.
 
“S-stai sanguinando.” Le dissi, quindi, un po’ titubante, per paura di una sua reazione strana.

Oh, anche perché avevo dimenticato la parte fondamentale della storia della Lopez.
Giravano moltissime, forse troppe, leggende su di lei.
Di come sia caduta in basso, di come abbia perso la popolarità e la vitalità di un tempo.
Droga, sesso, violenza, omicidi. Sì, c’erano anche gli omicidi nella lista.
Ero sempre stata convinta che fossero un mucchio di fesserie, ma… chi poteva saperlo, no?
 
“Oh.” Disse, semplicemente, bagnandosi un po’ la mano per levarselo e cercando un pezzo di carta, che, come sempre, nel bagno mancava sempre.
“Ehm, tieni” feci, allungandole un mio fazzoletto di pezza, che portavo sempre con me da quando ero più piccola.
Doveva essere un po’ in difficoltà, perché la vedevo osservare, titubante, il pezzo di stoffa, senza però muoversi di un muscolo.
Lo bagnai un po’, quindi, e, non so nemmeno come mi sia venuto, lo poggiai sulla macchia, che ormai era arrivata vicino al polso, esortandola, con lo sguardo, ad afferrarlo e a continuare lei l’operazione.
E lo fece. Probabilmente un po’ confusa, avrei detto dallo sguardo, ma accettò, continuando a pulirsi.
“Grazie…” disse, semplicemente.
“Non c’è di che… sono Brittany, comunque” decisi di presentarmi.
Alla fin fine, mi sembrava la cosa più educata da fare, no?
La cosa, a quanto pare la divertì, perché la vidi accennare un mezzo sorrisetto.
“Io sono Sant-“
“Oh, no, tranquilla lo so.” Dissi, osservandola sollevare entrambe le sopracciglia e continuare a pulirsi.
“Sei andata a sbattere contro qualcosa?” chiesi, senza, tuttavia, ottenere nessuna risposta.
Arrivai a chiedermi addirittura, se avessi mai formulato la frase. Non mi calcolò minimamente.
Fu allora che pensai che forse lo strattone della Fabray potesse averle procurato la ferita, anche se mi sembrava un po’ esagerato. Al limite avrebbe potuto riaprire una ferita che già doveva esserci, ma assolutamente non far uscire, da sola, tanto sangue da farlo arrivare al polso.
 
Intanto il bagno era ancora avvolto dal silenzio, spezzato solo ed unicamente dallo scorrere dell’acqua dal lavandino.
Era un po’ imbarazzante, per cui, non pensai molto a cosa dire per spezzare il silenzio, che me ne uscì così.
“Devono piacerti molto quei guanti… ho notato che li porti sempre”
Fu allora che per la prima volta si girò, guardandomi fissa negli occhi.
Dio, avevo sbagliato, non erano marroni.
Erano neri. Come la pece. Un colore che in quel momento sembrava essere un tutt’uno con la sua anima.
Sembrava si stesse scatenando un tornado in quegli occhi, un terremoto, capace di scuotere qualunque cosa, qualsiasi persona.
Anche me.
Un fuoco. Erano occhi come il fuoco.

 Mi fissò, così, intensamente per una manciata di secondi.
“Lo lavo e te lo riporto domani.” Disse, semplicemente, prima di uscire dalla porta, mentre io ancora cercavo di riprendermi da quello sguardo che sembrava mi avesse scavato l’anima.




Tetraedro dell'Autrice

Ehilà, bella gente!
Ammetto che non so esattamente cosa stia facendo, dato che ho ancora da completare l'altra fanfic "scommettiamo?" (il cui prossimo capitolo, tra l'altro, è in fase di stesura, ma quasi completo!)
Però non ho potuto fare a meno di provare quest'esperimento, visto che l'avevo in testa da un po'.
Il genere, come si può notare, è completamente diverso dalle mie precedenti due storie, e si vede già dal fatto che san e britt non stanno assieme (almeno per ora ehehe)..

Cosa importante: ho deciso che se sembra piacere a qualcuno la continuerò, anche perchè ho qualche ideuzza in proposito, anche se chiaramente continuerei a dedicarmi anche all'altra, a cui comunque darò precedenza.
Diciamo che a questa, se tutto va bene e vi avrà dato una buona impressione, mi ci dedicherò molto appena finisco l'esame, quindi fine settembre, inizio ottombre (periodo in cui sarà molto più libera di scrivere)

Quindi niente, fatemi sapere se vale la pena continuare!
A presto, bella gente! :D
 

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Capitolo 2
*** Aspettative ***


Dio, che nottata pessima che avevo passato, non ero riuscita a chiudere occhio.
Non riuscivo ancora a capacitarmi di come potessi aver rinunciato a preziose ore di sonno per pensare.
Ma a cosa poi!?
Dannato cervello che non voleva spegnersi.
E’ stato solo un semplice incontro con una semplice compagn- ok, magari non si potrebbe proprio definire semplice come persona, però…
Quegli occhi.
Non riesco ad eliminare l’immagine dalla mia testa. Erano così intensi.
E lei era così… lei.
Insomma chi ci aveva mai parlato? Non che la nostra fosse stata una gran chiacchierata, anzi aveva a stento spiccicato mezza parola, però poteva definirsi tipo una sottospecie di traguardo per l’umanità.

Chissà perché, poi, aveva avuto una reazione solo al mio commento sui guanti. Che c’era di male?
Erano solo dei guanti! No?

Avevo bisogno di parlarle ancora, non per qualcosa, ma… sembrava una persona interessante, ecco, niente di più. Assolutamen-
“Hai un aspetto orribile, Britt” una voce fin troppo conosciuta mi riportò alla realtà.
“Buongiorno anche a te, Rach, gentilissima come sempre, anche tu sembri un bocciolo!” esclamai ironica, strappandole un sorriso divertito.
“Sembra che un camion ti abbia buttato sotto… ma hai dormito?”
“Ehm, domanda di riserva?”
“Entri con me al glee?” chiese, quindi, innocentemente, probabilmente cercando di sfruttare il mio stato semi-comatoso.
“Ripeto. Domanda di riserva?” ribattei, infastidita, facendola sbuffare sonoramente. “Ti voglio bene, Rach, ma sai come la penso. Non mi va per niente di minacciare la mia tranquillità in questa scuola di matti, per ricevere ogni santo giorno delle granitate in faccia. Proprio no.” Affermai, sicura.
“Oh, andiamo! Fallo per me, è divertente, però vorrei che ci fossi anche tu!” mi pregò, mentre camminavamo per i corridoi.
“Hai ridato l’asciugamano alla Fabray?” le chiesi, cambiando completamente argomento per metterla alle strette.
“B-beh, ora dovrei a-andare a cercarla e…” iniziò, un po’ imbarazzata.
“Fammi sentire ancora la tua tesi riguardo la tua cotta su di lei” le dissi, ridacchiando e osservandola farsi sempre più rossa.
“Non ho nessuna cotta!”
“Pffff, ma fammi il piacer-“ mi interruppi, però, vedendo l’oggetto dei miei pensieri notturni, avanzare proprio nella nostra direzione, incatenando il suo sguardo al mio.
“Perché ti sei fermata?” fece, confusa la mia amica. Il tempo, però, di girarsi avanti e ben capì il motivo del mio silenzio.
L’ispanica si era fermata proprio davanti a noi, sfilandosi la cartella dalle spalle e aprendola, cercandovi qualcosa all’interno.

Finalmente, era arrivato il momento, a cui stavo pensando da ore, ormai.
Anche perché, guardando in faccia alla realtà, quella sarebbe stata l’unica occasione per scambiare due chiacchiere, visto il suo atteggiamento solitario.

Afferrò dallo zaino il fazzoletto e me l’allungò, concedendomi un semplice “grazie”, per poi rigirarsi, tornando sui suoi passi.

Bene. Questo non me l’aspettavo.
Non che prevedessi una conversazione davanti latte e biscotti, però, che diamine! Almeno un ‘ciao’, meglio ancora un ‘ciao brittany’ o un ‘ti va un caffè dopo scuol- ok, sto andando troppo oltre.

“Lopez!”
A proposito di cose inaspettate.
Brava Rachel.
La latina si girò lentamente, riavvicinandosi a noi.
“Sì?” chiese, con sguardo indagatorio.
“Ehm… m-mi chiedevo se sapessi dove sia Q-Quinn…” provò a parlare un po’ impacciata, mentre l’altra si lasciava andare ad un sorrisetto divertito.
“E’ nel bagno del secondo piano” disse, osservandola contorcersi le mani, come in preda ad un dilemma, che, evidentemente, riuscì ad afferrare subito “Tranquilla, sgorbio, ti autorizzo io ad andare.” Concluse, allontanandosi di nuovo e, questa volta, definitivamente, senza che io avessi detto nemmeno una parola.


Mi limitai ad osservarla, rapita, mentre, camminando per il corridoio, le persone si aprivano davanti a lei come le acque del Mar Rosso con Mosè.
“Da quando in qua ti piace Miss Simpatia, Britt?” mi chiese, guardandomi con gli occhi chiusi a fessure, la mia amica.
“Eh? Di che parli?”
“Parlo dell’ispanica, Britt, e non dissimulare!”
“Che?! Ma che dici!?”
“Ti conosco abbastanza da sapere che quando ti ammutolisci di colpo c’è, decisamente, qualcosa sotto.” Continuò, convinta della propria ipotesi.
“M-ma, no! Ma l’hai vista?! Ti ha chiamato anche sgorbio! E’, è…”provai a parlare, cercando un qualcosa che placasse i suoi sospetti “E poi è…”
“Devo ricordarti di Jennifer? Con cui una persona a caso ha avuto una relazione?” fece, sollevando allusivamente le sopracciglia.
“Non intendevo questo! Lei è, insomma…” provai ancora “lo sai… è Santana Lopez.” Conclusi, fiera di essere arrivata al punto.
“Seh.” Fece, con l’aria di chi la sapeva lunga.
“Non mi piace!”
“Ahà”
“A te piace la Fabray!” esclamai, indispettita, cercando di allontanarmi il più in fretta possibile.
“Non rigirare la frittata, non è di me che stiamo parlando!” mi urlò dietro, senza però riuscire a fermare la mia fuga.
 

Non la vidi per tutto il resto della mattinata.
Alla pausa pranzo andai di proposito nel cortile della scuola per, quanto meno, intravederla fra gli spalti del campo da football, ma niente.
Sembrava un fantasma in quella scuola, dannazione.






Ormai mancava solo l’ultima ora.
Solo un’ora di storia mi separava, finalmente, da una bella dormita rigeneratrice, per cercare di riprendermi un po’ ed evitare di sembrare uno zombie vivente.
Che poi gli zombie possono essere viventi? Mmmh.
“Britt!” una Rachel mi si avvicinò correndo, prendendomi per il braccio e trascinandomi nel bagno più vicino, incurante della campanella, che segnava l’inizio dell’ora di lezione.
“Rach, dobbiamo andare in aul-“
“Mi ha chiamato per nome!” esclamò entusiasta, lasciandomi un po’ confusa.
“Ma di che parli?”
“Q-quinn…” iniziò sottovoce “lei mi ha detto… non posso ancora crederci, ‘tranquilla, Rachel, è stato un piacere’” pronunciò, come se stesse ripetendo le parole della Bibbia, mentre un luccichio si impossessava dei suoi occhi. “E-e poi, prima di uscire ci siamo sfiorate!” concluse, euforica.
“Dillo.”
“Cosa?”
“Sai cosa.” Affermai, sollevando allusivamente le sopracciglia.
“Sì, ok, mi piace, contenta?!” fece, indispettita.
“Alleluia, la confessione è arrivata!” esclamai, con fare teatrale, per poi tornare seria “Però, Rach… cioè…” iniziai cercando di trovare le parole adatte.
“So cosa stai per dire!” mi precedette subito “Non significa nulla, vero, verissimo, anzi. Ma…” iniziò emozionata “Prima di andarmene le ho chiesto cosa potessi fare per sdebitarmi e lei mi ha proposto di prendere un caffè assieme!”
“Oh!”
“Già! Ma tranquilla non mi faccio false speranze…” fece, torturandosi il labbro inferiore “E’ pur sempre Quinn Fabray e io sono… io.”
“Naah, Rach, tranquilla! Prendete questo caffè e vedi come vanno le cose, credo che solo così potrai capire se… beh, sì, se insomma lei sia interessata a te, no?”
“Carpe diem!”
“Brava, esatto!” concordai, sentendo la seconda campanella, che avvertiva i ritardatari, facendomi ricordare della lezione, il cui inizio avevo ormai miserabilmente saltato “Merda, dobbiamo andare!”
 




“Pierce.” Mi accolse il professor Ferguson, con tono scocciato “Anche tu in ritardo, ora?”
“M-mi dispiace prof… ero…”
“Lascia stare le scuse e siediti, la lezione è già iniziata da un bel po’”
Mi mossi subito, cercando con lo sguardo un posto vuoto, ma mi sembrava proprio che non ve ne fosser-
Oh-oh.
“Pierce! Ti sei addormentata?! Siediti vicino a Lopez, magari le insegni un po’ come stare attenta.”
commentò, sbuffando e riprendendo la spiegazione, mentre io mi avvicinavo all’ultimo banco sulla destra, esattamente vicino la finestra.
Esattamente vicino a lei.

L’ispanica mi osservò per qualche secondo, ma spostò ben presto lo sguardo, rivolgendolo, come era solita fare durante le lezioni, al cortile della scuola, che ben poteva vedere dalla sua postazione.
Non mi disse niente.
Non fece niente.
E io mi limitai a tirar fuori il quaderno, facendo finta di ascoltare la lezione, quando, invece, la mia attenzione era tutta rivolta alla ragazza al mio fianco.


Da quando ero diventata ossessionata da lei?
Mai possibile che una pseudo-conversazione potesse letteralmente friggermi il cervello?
Era solo una ragazza, che diamine!
Bellissima, misteriosa, oscura, diciamo pure. Ma pur sempre una ragazza!
Alla fin fine sarà l’alone di mistero che la circonda ad avermi incuriosito.
Sicuro.
Troppe cose strane.
Il suo silenzio. La sua solitudine. Il suo odore che era un misto di fumo di sigaretta e un profumo che-

Aspetta. Il suo odore?!
Se mi beccava a sniffare il suo profum-
“Ma non dovevi insegnarmi tu a stare attenta alla lezione?”
Oh, Dio.
Mi aveva parlato.
“C-cosa?” balbettai, impreparata, facendola sorridere divertita.
“Non hai preso appunti, per niente. E secondo il Mago Panzone lì” fece, indicando il professore “dovresti essere tu l’alunna modello fra le due.” Concluse, guardandomi fissa negli occhi.

Ancora quello sguardo.
Meno duro della scorsa volta, ma pur sempre di un magnetismo senza pari.

“Sono in pausa di riflessione” dissi, cercando di suonare il più tranquilla e disinteressata possibile.
“Riflessione…” commentò, alzando un sopracciglio.
“I problemi del mondo… ci penso spesso, sai, la globalizzazione, la crisi economica, cose così, no?” feci, provocandole un sorrisetto.
“Sono problemi decisamente seri, a cui pensare l’ultima ora di lezione della giornata” disse, con un tono divertito.

Che cosa allucinante.
Stava scherzando.
Con me!

“Sì, beh, le persone serie lo fanno” commentai ironica, giocherellando con la matita. “Scommetto che anche tu lo fai”
“Oh, no. Non sono una persona poi così seria.”
“E a cosa pensi?” chiesi, di getto, facendo oscurare momentaneamente quegli occhi, già di per sé nerissimi.
Merda. Ora mi ammazza.
Bravo cervello, ottima mossa. No, sul serio, complimenti a me.
Mentre mi crogiolavo, pensando di aver fatto chissà quale figuraccia irreparabile, mi sorprese, aprendo le labbra in un piccolo sorriso.
“Fino a poco fa, pensavo ad un gelato.”
“Un gelato?” chiesi, confusa.
“Ho fame.” Disse, sollevando le spalle, facendomi ridere silenziosamente, per non farmi sentire.
“LOPEZ, PIERCE!” ci richiamò, sbraitando il professore. “Avete sentito quello che ho detto?!”
“Ehm…” iniziai, temporeggiando, facendolo sbuffare sonoramente.
“Per la prossima settimana la classe dovrà portare delle ricerche sulla seconda guerra mondiale. Tu e la Lopez dovrete approfondire la bomba atomica” ci comunicò “E la prossima volta state attente, perché vi sbatto fuori!” concluse, mentre suonava la campanella, che segnava la fine delle lezioni.


Avevo capito bene?
Ricerca? Una settimana? Con Santana?


“Ma che palla di lardo” sentì commentare alla mia sinistra dall’ispanica. “Ci mancava solo una ricerca.” Borbottò, mettendo tutta la roba in cartella.
“Ehm…” iniziai, cercando di attirare la sua attenzione. “Se vuoi posso.. cioè, se hai da fare non preoccuparti, me la vedo io” feci, cercando di non mostrare il mio disappunto.
Lei mi guardò per un secondo, corrugando le sopracciglia.
“E lasciarti fare una ricerca chilometrica tutta da sola? Allettante per me…” iniziò, tranquilla “Ma un po’ pesante per te, non trovi? Tranquilla, la faremo assieme.” Concluse, mettendosi lo zaino su una spalla, lasciandomi piacevolmente sorpresa.
“A-allora… ci organizziamo? Possiamo vederci a casa mia…” feci, osservandola mentre mi scrutava “O-o anche a casa tua se vuo-“
“Va bene a casa tua. Ma oggi non posso.” Disse, avviandosi verso la porta “Iniziamo da domani."
“S-sì, ok…” feci, ancora incredula, iniziandomi ad allontanare “Allora ci vediamo.”

Due passi, che mi sentì richiamare.
“Brittany.”

Si ricordava il mio nome.
Oddio, si ricordava il mio nome!

“S-sì?”
“Si presuppone che tu debba darmi l’indirizzo.”





Tetraedro dell'Autrice

Ok, questa storia mi sta prendendo più del previsto.
Le idee mi uscivano e escono, anche ora, fuori anche dalle orecchie e il mio cervello stava andando in sovraccarico.
Quindi, ho per forza dovuto scrivere anche il secondo capitolo. Anche se dovrei necessariamente studiare, per evitare di farmi la botta! Yuhu! Scaltra me.

Ad ogni modo, questo è quanto! Fatemi sapere cosa ne pensate! :D
dal prossimo capitolo vedremo come andranno gli incontri fra le due, i misteri aumenteranno?? Who knows!

Cosa fondamentale prima di concludere: grazie a tuttissimi! Chi ha messo la storia nelle seguite/ricordate, chi ha recensito, chi anche solo legge..insomma grazie mille! *-*

Fra qualche giorno arriverà il prossimo di "scommettiamo?"... tra l'altro avremo una new entry: "La Vecchia"!

A presto, bella gente! :D

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Capitolo 3
*** Abbassare la guardia ***


“Mamma, perché Britt è impazzita?”
“Non ne ho proprio idea Mary G., a quanto ho capito deve venire un’amica a casa a fare una ricerca”
“E’ per questo che sta dando di matto, cambiando di posto a tutti i cuscini nel soggiorno?”
“Credo di sì, amore”
“VI SENTO!” urlai, mentre continuavo, imperterrita, a rendere presentabile la casa.
“Britt, ma hai invitato il presidente?” chiese, incuriosita mia madre, notando quanto mi stessi dando da fare.
“No, è un’amic- beh, una compagna di classe! Ci tengo a fare bella figura, IO!” sbottai, osservando mia madre e mia sorella, continuare ad osservarmi senza aiutarmi per niente, sgranocchiando qualche biscotto. “E smettetela di fare le briciole a terra!”
“Tanto ci sei tu che pulisci” disse, malefica, mia sorella, guadagnandosi il cinque di mia madre.
“Ma’! Le dai anche corda?!” chiesi, indignata.
“Che ho fatto? Non ha tutti i torti, no?” fece, sollevando le spalle e guadagnandosi un’occhiataccia fulminante, prima di riprendere la mia operazione.
“Che succede allo scricciolino?” chiese, interessato, mio padre, appena entrato in cucina, osservando la scena.
“Vuole fare colpo su una ragazza”
“MARY G!” la richiamai, completamente rossa in viso “Ma che diavolo vai dicendo?!”
“Oooh, ora è tutto chiaro” commentò mio padre, lasciandosi andare ad una risata divertita. “E’ una brava ragazza, almeno?”
“Papà, ti prego” iniziai, frustrata “Non starla a sentire! Voglio solo rendere presentabile quest- papà, però, maledizione, almeno tu evita di sbriciolare a terra come queste altre due megere” feci, sconsolata.
“E sappiamo come si chiama?” chiese, poi, ignorando completamente la mia richiesta.
“Samara..Sancara… San-“
“MARY G!”
“Ok, non lo ricordo precisamente, ma una cosa del genere” commentò rivolta ai nostri genitori.
“E’ Santana. E come diavolo fai a sapere il nome?!”
“Dovresti parlare a più bassa voce, sorellina, quando sei a telefono” mi avvertì, con un sorrisetto divertito.
“Grazie per il prezioso consigl-

*Ding Dlog*

Merda. Era arrivata.

“Ok, io vado ad aprire” iniziai rivolta a tutti i membri della mia famiglia “Provate a mettermi in imbarazzo e..”
“Tranquilla, scricciolo, terrò tutto sotto controllo io!” fece mio padre, assumendo una posizione da soldato.
“Lo spero…” borbottai  andando ad aprire la porta.


Ed eccola lì.
Dio, non avrei mai pensato di trovarmela, un giorno, davanti la porta di casa mia.
Era semplicemente assurdo.
Portava una delle sue solite felpe larghissime nere, con le maniche leggermente sollevate, facendo vedere il colore ambrato delle braccia, mentre una delle mani era nascosta in una tasca dei jeans. Questa volta chiari, seppur sempre di qualche taglia più grande e rigorosamente strappati, sopra le solite converse nere.
Immancabili i guanti di pezza.

Solita espressione cupa.
Solito sguardo di fuoco.


“Non mi fai entrare?” chiese, divertita, notando che non avevo accennato a spostarmi di mezzo millimetro.
“O-oh, sì, hai ragione!” feci, lasciandole spazio e chiudendo la porta alle nostre spalle.
La vidi guardarsi in giro incuriosita, osservando qualche foto di famiglia sulle mensolette del soggiorno.

Spostò ancora lo sguardo, notando, ora, la mia famiglia, squadrarla da capo a piede, con uno sguardo compiaciuto, mentre ancora tutti sgranocchiavano biscotti.
“Buonasera” disse, quindi, cortese l’ispanica, un po’ confusa. “Io sono…”
“Santana” concluse per lei mia sorella, mentre la latina era rimasta ancora con la bocca aperta.
Tempo mezzo secondo che, però, aveva sostituito la sua espressione stupita con un sorrisetto divertito.
“Esatto.” Disse, quindi, tranquilla, lanciandomi una breve occhiata, che io non ricambiai intenta a desiderare di sprofondare qualche metro sotto terra.
“Biscotto?” chiese, allegro, mio padre, allungandogliene uno.
“Oh, no, grazie, sono a posto” rispose, sempre cordiale.
“Un po’ di aranciata?” fece mia madre con un sorriso a trentadue denti.
“No, davvero, grazie”
“Un-“
“Ok, basta, dopo se vogliamo qualcosa la veniamo a prendere” decisi di interrompere quel momento imbarazzante, sperando che la memoria di Santana resettasse l’ultima decina di minuti. “Noi andiamo di sopra, ok?”
“Va bene, tesoro!” rispose subito contenta mia madre. “Divertitevi!”
“Dobbiamo fare una ricerca sulla bomba atomica, ma’…” commentai, mentre salivo le scale, seguita dall’ispanica.
“Beh, almeno la farete assieme, no? Vi divert-“
“Ciao ma’!” esclamai, chiudendomi la porta della camera alle spalle, impedendole di continuare a sparare chissà quali altre perle.

“Scusali, sono…” iniziai, rivolta alla latina che mi dava le spalle, intenta ad osservare la camera.
“Oh, no, figurati. Sembrano simpatici” commentò, voltandosi e mostrandomi un mezzo sorriso, che ricambiai all’istante.
“Allora…” iniziò, avvicinandosi alla scrivania.
“Allora…” le feci eco io, aspettandomi un qualche inizio di conversazione.
“Iniziamo la ricerca?”





 
“Non so credo che forse il pezzo sulla fusione nucleare vada all’inizio, sai, per spiegare il meccanismo… “ commentai osservando il pc acceso “Tu che dici?”
“Credo tu abbia ragione, meglio mettere prima tutta la roba tecnica e poi il rest-“ si interruppe, a causa dello squillare del mio cellulare.
“Scusa un attimo…” feci, subito.
“Tranquilla.” Disse, prendendo ad osservarsi ancora una volta intorno.

“Pronto?”
“Britt!”
“Rach, cosa c’è?”
Perché diavolo aveva deciso di chiamarmi proprio ora, quando sapeva che Santana era con me?!
Oh, aspetta, ecco perché mi aveva chiamato.
“Allora? Come procedono le cose?” chiese, abbassando, il tono di voce, come fosse in una missione segreta.
“Tutto ok, Rachel. Statti tranquilla, ci sentiamo domani, eh?”
“Aspetta! Ma avete intrallazzato almeno un p-“
*bip* *bip* *bip*


Ops, era caduta la linea.
Sbuffai infastidita, mentre l’ispanica mi guardava ridacchiando leggermente.
“Era Rachel”
“L’avevo capito” commentò, senza che quel sorrisetto divertito le lasciasse il volto.
“Non è una persona molto normale” feci , sconsolata, scuotendo la testa.
“E chi lo è?” chiese, di rimando.
“Che intendi?” feci, quindi, interessata.
“Credo che le cosiddette ‘persone normali’ siano solo leggende metropolitane, creature mitologiche” spiegò, semplicemente.
Dovette capire la mia leggera confusione che si apprestò a spiegarsi meglio.
“Dimmi il nome di una persona che tu conosci e che può essere definita normale” mi esortò, avvicinandosi leggermente, fissando lo sguardo nel mio, con un piccolo sorriso a solcare quelle labbra perfette.
“I-io…”
“Pensaci e dimmi se te ne viene in mente una” continuò, avvicinandosi ancora, stregandomi con quegli occhi di quel nero così intenso.
Così profondo.

Provai a concentrarmi. E ci pensai sul serio.
Passai in rassegna tutta la mia famiglia, le mie amicizie, anche quelle un po’ meno strette.
“Cosa significa ‘normale’? mi chiese, allora, osservando la mia espressione corrucciata.
“Nella norma?” provai, volendo seguire il suo ragionamento.
“Come si fa ad essere in tutto e per tutto nella norma?”
Ripensai a molte persone.
Tutte avevano almeno una cosa, un interesse, un comportamento che di certo non poteva essere definito ‘nella norma’.
“Non…non credo sia possibile” commentai, interessata “Ma come la mettiamo con i pazzi o i criminali… insomma c’è differenza con le persone che vivono senza nuocere il prossimo o-”
“Credo si tratti di equilibrio… ognuno di noi ha qualche follia, il punto sta nel decidere se farle avere la meglio o meno. Chiaramente non mi riferisco a persone con serie malattie mentali, ma a quelle che hanno raziocinio e facoltà di intendere e di volere.” Mise in chiaro, avvicinandosi ancora un altro po’, arrivando a trovarsi a qualche centimetro dal mio volto, mentre il mio respiro veniva meno, ogni secondo che passava.
“La follia è come la gravità… basta solo una piccola spinta” commentai, fiera della frase con cui me ne ero uscita.
“Deve piacerti molto Batman, eh?” mi chiese, divertita, allontanandosi di un po’.

Merda. Beccata.

“Già…” commentai imbarazzata, grattandomi la nuca “Io-“ questa volta fu il mio turno di essere interrotta dal suono di un cellulare.
La vidi afferrarlo, per leggere il messaggio che era appena arrivato e, subito dopo, alzarsi velocemente dalla sedia.
“Devo andare” disse, iniziando a prendere velocemente le sue cose.
“Ma…” provai a dire qualcosa, ma mi anticipò.
“Ci vediamo domani.”




 
Così andò avanti anche per i giorni successivi.
Ci vedevamo il pomeriggio, sempre e rigorosamente a casa mia, fino a quando il suo cellulare suonava e, in men che non si dica, era già fuori dalla porta.

Chi diavolo poteva essere?
Forse la Fabray.
Forse dovevano vedersi la sera.
E forse stavano assieme.

Maledizione, quel pensiero mi dava fastidio anche se solo mi sfiorava, sebbene non avessi il minimo diritto di provare…
oh, merda, era gelosia.
Non potevo essere gelosa, non io!
Anche se Santana si era dimostrata tutt’altro che il mostro sputafuoco che dipingevano a scuola.

Era intelligente, brillante e anche divertente quando voleva.
Percepivo chiaramente che non era sé stessa in tutto e per tutto con me, ma – ehi – cosa pretendevo? C’eravamo appena conosciute, praticamente.
Nonostante tutto, credo mi avesse preso in simpatia o, almeno, pareva interessata.

In quei primi giorni parlammo un po’ di tutto.
Beh, non proprio tutto.
Di lei, almeno, quasi mai. Anzi, diciamo pure per niente.

Niente sulla sua famiglia.
Niente sui suoi hobby.
Niente sulle sue relazioni.
Niente di niente.
Quel pomeriggio avevo intenzione di rimediare.
 
Arrivata in camera mia, come faceva da ormai qualche giorno a questa parte, si sistemò comodamente sul puffo, a poltroncina, che avevo in camera, chiudendo tranquillamente gli occhi, prima di iniziare e darci da fare come al solito per la ricerca.
Le suonò improvvisamente il cellulare e mi ritrovai a sperare che non fuggisse, già appena arrivata.
A dispetto delle previsioni, però, diede una rapida occhiata e poi lo rimise in tasca, con un sorrisetto divertito.

“Era…” iniziai schiarendomi la gola “Era Quinn?” le chiesi, quindi, decisa a scoprire se le due stessero assieme.
Aprì solo uno dei due occhi, scrutandomi incuriosita.
“Già” mi rispose, tranquillamente, lasciando cadere la discussione.
“Siete amiche da tanto?” continuai, decisa a raggiungere il mio intento.
“Siamo molto più che amiche…” mi disse, chiudendo gli occhi, placidamente.
Ecco qua. Lo sapevo io.
“Siamo sorelle praticamente” si spiegò, poi, facendomi tirare un sospiro di sollievo “Anche se abbiamo avuto qualche trascorso… definiamolo così” commentò ridacchiando.
“Nel senso che…”
“Abbiamo avuto una sorta di… relazione.”
“Vi dovete volere molto bene per essere rimaste così amiche” feci, quindi, interessata.
“Beh, diciamo che ci vogliamo bene a modo nostro.” Precisò, pensierosa.
“Credo di aver capito…qualche giorno fa la vidi urlarti contro sugli spalti” dissi, sbilanciandomi decisamente più di quando avessi mai fatto.

Non a caso la vidi, questa volta, aprire completamente entrambi gli occhi, puntando lo sguardo scuro sul mio.
“Avevate litigato?”
Quella sì che era la volta buona che mi mandava a fanculo.
“Più o meno.” Mi disse, continuando a scavarmi l’anima.
La vidi prendere un sospiro un po’ più profondo, come se fosse stata indecisa se proseguire o meno.
“Si preoccupa. Cerca di proteggermi” Concluse, sollevando le spalle.
“Da chi?” chiesi, in un sussurro, mentre ecco di nuovo che lo vedevo.

Ancora quello sguardo duro e glaciale che vidi nel bagno quel giorno.
Erano fiamme e gelo allo stesso tempo.
 
Credetti che ancora una volta ignorasse la mia domanda.
Ma questa volta rispose.


“Da me stessa.”







Tetraedro dell'Autrice

zanzàn! Ecco qui anche il terzo... niente, è abbastanza chiaro che la storia mi abbia intrippato di brutto.

Ma, MA! avverto che d'ora in poi spegnerò il pc, nonostante le idee per questa fanfic mi escano dalle orecchie. Sul serio, sto impazzendo. Ho tipo le idee chiarissime per i contenuti di almeno altri 3-4 capitoli!
E' un trip.

cooomunque, abbiamo visto alcuni comportamenti sospetti di Santana (che aumenteranno tra l'altro col passare dei capitoli), ci sono piccoooolissimi indizi, anche se il più importante è...
No, non posso dirvelo, se no che gusto c'è?!

Come sempre ringrazio tutti, siete davvero fantastici! *-*
Oh, e questo è il mio account di twitter 
https://twitter.com/_jeffer3
A presto, bella gente! :D


 

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Capitolo 4
*** Segreti ***


“E poi che ti ha detto?”
“Ma, niente, ha cambiato subito argomento, tirando in ballo la ricerca” commentai, mentre camminavamo per i corridoi.
“Ahia. Peccato.”
“Già…”
“Chissà cosa intendeva, poi.”
“Me lo sto chiedendo da un po’, ormai” commentai affranta, per poi ricordarmi di una cosa fondamentale “TU, piuttosto! Come procedono le cose con la Fabray?” chiesi, osservandola distogliere lo sguardo imbarazzata.
“Beh…”
“Beh?”
“Diciamo che dopo quel famoso primo caffè ne sono seguiti altri, diciamo pure ogni pomeriggio fino ad ora…”
“Mi avevi detto che l’avevi incontrata una volta e basta!” esclamai, indignata.
“Già, ma, sai, non era successo niente di che, insomma tipo un caffè fra amiche, capisci?” fece, quindi, corrugando le sopracciglia.
“Mh-mh.”
“Certo questo fino a quando ieri mi ha salutato con un bacio a stampo.”
“COSA?!” chiesi, esterrefatta, mentre la mandibola quasi mi cadeva a terra.
“Sì, è stata più o meno questa la mia reazione interiore!” fece, osservandomi pensierosa.
“E-e ora?”
“Ora cosa?”
“Cioè, come siete rimaste?”
“Non lo so, insomma non può essere definito un vero bacio, no?” mi chiese, pensandoci su.
“Beh, non proprio… magari voleva vedere la tua reazione” le dissi, osservandola fermarsi nel corridoio.
“Come la metteresti se mi fossi ammutolita di colpo e poi avessi iniziato a dire frasi senza senso?” fece, socchiudendo gli occhi e facendomi ridere.
“E’ fuggita via?” le chiesi, di rimando.
“Direi di no!”
“Allora va bene” conclusi, ridacchiando.
“Mi accompagni?” mi domandò, poi, avviandosi verso le scale.
La guardai stranita.
“Dove?”
“Al bagno del secondo piano!”
“Vai a far visita alla morosa??” feci, prendendola in giro.
“Dai, smettila!” ridacchiò “La voglio solo salutare”
“Bene, bene! Ti accompagno, così ne approfitto per cercare di parlare con Santana.”
“Per dire cosa?” mi chiese, confusa.
“Abbiamo finito la ricerca…”
“Ok, questo è male suppongo…”
“Già! Quindi, ho intenzione di chiederle se vuole festeggiare con me la cosa!” esclamai, convinta di aver avuto un’idea geniale.
“Le vuoi chiedere un appuntamento!?” fece, allibita, fermandosi nel bel mezzo delle scale.
“Ma che vai blaterando?! Quale appuntamento?! Sarebbe una semplice uscita…” iniziai, abbassando lo sguardo “…fra amiche”
“Chi è ora quella che è in piena fase di negazione?” mi prese in giro, sollevando un sopracciglio divertita, ormai arrivate davanti la porta del bagno.
“Non sono per nient-“
“Non puoi continuare così, San!”


Sentì la voce della Fabray provenire dall’interno.
Sia io che Rachel ci bloccammo di botto, rendendoci conto, dal tono alterato della ragazza, che dovevano star avendo un’altra discussione.

 
“Ma che diavolo ti importa, Quinn!?”

Per la prima volta, sentì il tono della latina decisamente alterato.
Lontano dalla strafottenza, che di solito la contraddistingueva.
 
“Si dà il caso che sia la tua migliore amica, e mi importa, dannazione! Pensi che non abbia capito perché lo fai?!”
“Ma per favore.”
“San, ti rendi conto che questo non è sano?!”
“Non ho scelta, Quinn!”
“Sì che ce l’hai! Tutti hanno una scelta!”
“Non io!”
urlò, come mai prima di allora.
“Non provare a raccontarmi questa balla, San. Potresti fare mille altre cose, tipo…”
“Prostituirmi?! Sì, dai è una bella alternativa, no?!”


 
“Prostituirsi?” chiesi, bisbigliando, rivolta verso Rachel “Ma di che parla?”

 
“San…”
“Ho bisogno dei soldi, Quinn, lo sai”
“Ti prego, posso aiutarti anche io.”
“Non voglio l’aiuto di nessuno.”
“Io non sono nessuno.”
“A maggior ragione!”
“San, devi smetterla! Non posso, non VOGLIO più coprirti per intere settimane qui a scuola, perché a stento riesci a reggerti in piedi!”
“E’ capitato solo un paio di volte, Quinn, non essere esagerata”


 
Oh.
Ricordavo perfettamente che, soprattutto all’inizio dell’anno, Santana era mancata per alcune settimane.
Non tutte una dietro l’altra, però, effettivamente, anche io l’avevo trovato strano.
Persino per lei.

 
“Tu lo fai perché vuoi sentire qualcosa, San, l’ho capito”
“Quinn, per favore non mettere in mezzo queste cazzate da psicologo”
“No? Pensi che non abbia notato la tua totale apatia da mesi a questa parte?! Non ti interessi di niente, non tieni a niente, non provi nient-“
“Io provo qualcosa, Quinn. E’ Rabbia. E’ la rabbia che mi fa andare avanti, non lo capisci?!”
“Allora smettila di sfogarti cercando di distruggerti!”

 
Distruggersi?
Ma di cosa diavolo parlavano?
 
“Credi sarebbe facile, lasciare tutto così? Come andremo avanti a casa ,eh?! Per colpa di quello stronzo!”
“San…”
“Oltre al fatto che quel lardoso non permetterà mai che io molli!”
“Se ne andasse a fanculo lui e quelle camicie di merda che indossa!”
“Sì, Quinn, vallo a raccontare ai suoi scagnozzi!”


 
Seguirono dei minuti di silenzio.
Io e Rachel ci guardammo stralunate, faticando ad immaginare quale fosse l’argomento in questione.

Due cose però erano certe.
Santana lo faceva per avere del denaro.
Quinn, tuttavia, non era per niente d’accordo.

 
“Io non posso vederti così, San. Questa volta ti è andata bene, ma…”
“So badare a me stessa, Quinn. Non ho bisogno di nessuno.”

 “Tutti hanno bisogno di qualcuno.”
“Non io.”
“Fa’ come vuoi. Ma  non sono più disposta a guardarti tornare in queste condizioni ogni mattina.”
“Non ti ho mai chiesto di farlo, Quinn.”
“Bene.”


Sentimmo i passi della Fabray avvicinarsi alla porta, per cui ci allontanammo il prima possibile, dando l’impressione di essere arrivate allora.

Quinn ci guardò un po’ sorpresa, per poi spostare lo sguardo, addolcitosi all’istante, su Rachel.
“Ciao!” ci salutò, tranquilla.
 
Certo che era brava a dissimulare.
Era incazzata nera fino a cinque secondi fa.
 
“Tutto ok?” le chiese, Rachel.
“Sì…” sospirò, con uno sguardo un po’ rassegnato. “Dai, ti accompagno in aula.” Fece, poi, avvicinandosi un po’. “Vieni anche tu, Brittany?”
“No, Quinn. Anzi, hai visto Santana?”

Ottima interpretazione!
 
“Sì, è nel bagno” rispose, afferrando la mano della mia amica.

Who! La mia piccola amica aveva dimenticato di dirmi che ora si tenevano anche per mano?
Dovette notare su cosa si focalizzò la mia attenzione, che la vidi farsi tutta rossa.
“Allora..” iniziò schiarendosi la gola “Noi andiamo eh? Ci vediamo dopo Britt!” mi salutò, quindi, velocemente, trascinandosi dietro la nuova fiamma.
Che tipa!
 

Decisi, allora, di entrare nel bagno.
Tra l’altro dalle parole di Quinn, chissà in che condizioni avrei trovato Santana…
‘non sono più disposta a guardarti tornare in queste condizioni ogni mattina’
Volevo capire a cosa si riferiva.

 
La vidi di spalle, appoggiata al muro, mentre fumava, rivolta verso la finestra.
Non notai nulla di strano.
La trovavo identica ad ogni altra mattina.

Mi avvicinai, non troppo piano, per far sì che si rendesse conto della mia presenza, finché non le fui a fianco.
Mi voltai e ne scrutai il viso.
Era palese che fosse persa  nei suoi pensieri, con un’espressione vagamente corrucciata.
Ma, e, ora, potevo ben dirlo guardandola per bene, non notai nulla di anomalo.


“Pensierosa stamattina?” le chiesi rivolgendole un piccolo sorriso, che inaspettatamente ricambiò, puntando gli occhi nei miei.
“Sai, la crisi economica, la globalizzazione” disse, ironica, facendomi ridacchiare.
“Oh, ma allora sei diventata una persona seria anche tu!” esclamai, notando il suo sguardo schiarirsi leggermente.
 
Se c’era una cosa che avevo capito di Santana era questa.
I suoi occhi riflettevano il suo essere.
Per cui non mi stupivo più di vedere il suo sguardo oscurarsi o illuminarsi a seconda degli argomenti.
E dovevo ammettere di sentirmi almeno un po’ orgogliosa, per essere stata io, in quel momento, a farle dimenticare, anche se momentaneamente, i suoi problemi.
 
“Mi avrai contagiato, che posso dire?” fece, divertita.
“Ed è un male?” chiesi, sollevando le sopracciglia, con una faccia buffa.
“Forse forse no, dai.” Concluse, facendo un altro tiro di sigaretta.
“Bene, allora!” esclamai, facendole fare un’espressione incuriosita. “Pensavo una cosa.”
“Mi fa piacere, Blondie.”
“Dai, sono seria.”
“Anche io!” esclamò, divertita.

Scossi la testa.
Ma quanto è strana?
Certo nella maniera più affascinante e dolce e carina possib-

“Allora?”  mi chiese, vedendo che non iniziavo a parlare.
“Oh, sì. Dunque… che ne dici di festeggiare la riuscita della ricerca di storia?” chiesi, un po’ timorosa, vedendola inarcare subito il sopracciglio.
“Festeggiare… una ricerca…” ripetè, confusa, ma divertita allo stesso tempo.
“Sì, beh…” iniziai grattandomi la nuca, mentre lei seguiva ogni mio movimento “Siamo state grandi, no? La ricerca che abbiamo fatto spacca, non trovi?”
“Ok…” mi assecondò, cercando di nascondere un piccolo sorriso.
“E quindi, non so… magari potevamo festeggiare la cosa, andando fuori… tipo anche al cinema o-“
“Al cinema?”
“B-bhe, non intendevo per forz-“
“Vuoi vedere il nuovo film di Batman, eh?” chiese, divertita.
“N-no, c-cioè…”
“Guarda che anche a me piace, quindi non preoccuparti di sembrare una fissata di supereroi” mi tranquillizzò, ridacchiando.
“Oh, bene…”
“Quindi è un appuntamento?” mi chiese, poi, facendomi bloccare di colpo.
“M-ma, i-io c-cioè, s-se tu vuo-vuoi… i-io”

Dovevo smetterla di balbettare, maledizione!
Lo sapevo io che era una pessima idea, e ora mi trovavo in questa imbarazz-
E questo suono?

Alzai lo sguardo giusto in tempo, per osservarla, rapita.
Stava ridendo. Da quanto non sentivo la sua risata?
L’avrei volentieri registrata.
E, in tutta probabilità, l’avrei riascoltata fino alla fine dei miei giorni.
Oddio, quanto era carina.
E quelle fossette poi?!

“Sei tenera quando ti imbarazzi, Blondie!” esclamò, ridacchiando ancora, mentre io continuavo ad osservarla, come una dea scesa in terra.

Aspetta, avevo capito bene?! Tenera??

“Andiamo, torna a respirare” mi esortò, allora, con un sorrisetto sulle labbra, vedendo che ero ancora completamente immobilizzata.
“Respiro benissimo…” esalai, con quel poco di fiato che mi rimaneva.
“Oh, sì. Si vede” commentò, per poi decidere di levarmi, finalmente aggiungerei, dall’imbarazzo “Dai, allora facciamo stasera?”
“Sei libera?!” le chiesi, un po’ stupita, consapevole che le sue fughe da casa mia avvenivano sempre intorno alle 7.
“Non dovrei esserlo?”
“Ma magari!” esclamai, euforica, per poi darmi subito un po’ di contegno “Cioè, intendevo…” iniziai “Stasera va benissimo” conclusi, sorridente.
“Perfetto. Ti passo a prendere alle otto, allora.” Concluse, ricambiando con un piccolo sorriso e avviandosi alla porta.







Tetraedro dell'Autrice.

Tadà! Anche il 4!

E' il trip, non posso farci niente... a breve tornerò a Roma e, hè, lì proprio potrò scrivere o poco o niente.
A questo punto, ho pensato, mi sbizzarrisco ora, poi ci sarà la povertà ahahah

Ad ogni modo, spero che anche questo capitolo sia piaciuto... eee niente, di inidizi ce ne sono, dai!
mentre scrivevo poi tipo tornavo indietro e cancellavo perchè mi sarei fatta sgamare subito... ehehe sono curiosa di sapere se qualcuno sospetti già qualcosa in realtà!

Ringrazio ancora una volta tutti, davvero, chi ha messo la storia in preferite/seguite/ricordate, chi mi ha messo fra gli autori preferiti, le maraviglie che hanno recensito i capitoli, e chi anche solo legge! Davvero, mi spronate a scrivere come poche volte mi è capitato! *-*

A presto, bella gente! :D

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Capitolo 5
*** Appuntamento ***


“Stai facendo un lavoro alla ‘Art Attack’, Britt?” chiese mia madre, affacciandosi alla porta della camera.
“Perché non si capisce? Ho creato un’immagine con tutti questi vestiti a terra, non si vede?!” sbottai sarcastica, mentre l’ansia di far tardi mi stava logorando.
“Ah… “ fece scrutando perplessa il pavimento.
“A me sembra un coniglio con le zampe da elefante!” provò mia sorella, appena sbucata dal nulla.
“Non saprei…” commentò, poi, mia madre piegando la testa di lato.
“A me sembra più uno zombie, vestito da pecora” provò, questa volta, mio padre, portandosi una mano al mento.
“Ma che dici? Semmai vestito da coniglio! Non è vero, Britt?”
“Me lo stai chiedendo sul serio, ma’?” le chiesi, con uno sguardo assassino, interrompendomi.
“Lo avevo detto che era da pecora!” gongolò mio padre, avviandosi alla cucina.
“Si può sapere che stai combinando?”
“Starà cercando un completo adatto… sempre per far colpo su quella ragazza” rispose per me, quel piccolo mostriciattolo di mia sorella.
“MARY G! Ma la vuoi smettere di farti gli affaracci miei?! Hai di nuovo ascoltato le mie conversazioni telefoniche?!” tuonai, arrabbiata.
“Veramente no.” Rispose, tranquilla “Ho tirato a indovinare e, a quanto pare, ho fatto centro” ridacchiò, allontanandosi.
“E’ un piccolo gollum geniale tua figlia.” Affermai, scocciata, rivolta a mia madre.
“La genialità sicuro l’ha presa da me!” esclamò, divertita “Devi uscire con Santana stasera?” chiese, poi, tranquilla.
“Già, fra meno di un’ora, tra l’altro. E devo ancora farmi la doccia.” Iniziai “E cercare dei vestiti decenti da mettere. E prepararmi. E-“
“Stop, stop!” mi fermò subito, vedendomi ansiogenare ogni secondo che passava “Britt, credo che un jeans e una maglia vadano più che bene!”
“Tu dici?” feci, interessata.
“Mi sembra una tipa tranquilla quella Santana. Un po’ strana per certi versi, ma non mi sembra davvero il genere di persona che si faccia problemi per come potresti vestirti.” Concluse, con un sorrisetto.
“Davvero?”
“Già!”
“E che tipo di persona ti sembra?” le chiesi, poi, incuriosita.
“Non saprei, devo ancora inquadrarla per bene. Però mi piace. Mi ha dato l’impressione di curarsi più della sostanza che della forma… mi spiego?”
“Credo di sì…”
“E credo anche che quella sua aria da persona menefreghista sia solo una maschera.” Affermò, poi convinta.
“Lo credo anch’io” concordai, pensierosa. “Non è per niente quello che sembra…”
“Esatto! E’ proprio quello che pensavo, anche se…”
“Cosa?”
“Non lo so, i suoi occhi… mi sembravano…” iniziò trovando le parole adatte “sofferenti, credo.”
 
Ripensai all’istante alla discussione che aveva avuto con Quinn.
Rabbia.
“Io provo qualcosa, Quinn. E’ Rabbia. E’ la rabbia che mi fa andare avanti, non lo capisci?!”
Bisogno di denaro.
“Ho bisogno dei soldi, Quinn, lo sai”
Distruzione.
“Allora smettila di sfogarti cercando di distruggerti!”
Che diavolo nascondeva?
 
“Ad ogni modo” mi riscosse dai miei pensieri, mia madre “Credo sia il caso che ti dia una mossa o finirai per far tardi, scricciolo. Sono le 7 e mezza!”
Merda!




 
“E l’aver rubato la macchina della professoressa di chimica?” chiesi, ancora.
“Sciocchezze!” ridacchiò, per l’ennesima volta.

Puntualissima, Santana mi era passata  a prendere alle 8 per andare al cinema.
Parlammo del più e del meno per tutto il tragitto, finché decisi di scoprire se tutte quelle leggende che giravano su di lei fossero effettivamente vere.
Erano davvero tante, per cui, nonostante fossimo già arrivate e ci fossimo appena sedute sulle poltrone della sala, ne stavamo ancora parlando.

“E l’aver mangiato un cane?”
“Ma chi diavolo mette in mezzo certe voci?!” chiese, sconvolta. “Adoro i cani, non riesco nemmeno a pensare ad una cosa del genere” aggiunse, schifata.
“Meno male!” esclamai, tirando un sospiro di sollievo “E l’aver attaccato alla sedia il preside con la colla?” domandai, ancora, incuriosita.
“Beh…” iniziò grattandosi la nuca “Questo è tendenzialmente vero…”
“Tendenzialmente?” ridacchiai, inarcando un sopracciglio.
“Ok, è vero! Ma avevo una buona motivazione!”
“Ovvero?”
“Mi aveva incolpato per l’ennesima volta di cose, con cui non avevo nulla a che fare!” disse, contrariata.
“Ah… suppongo che queste voci che girano ti abbiano creato non pochi problemi…”
“Già, spesso e volentieri faccio semplicemente da capro espiatorio” convenne, alzando le spalle.
“Non ti dà fastidio?”
“Cosa?”
“Tutto questo. Le chiacchiere, i pregiudizi…”
“Un po’, ma non mi interessa più di tanto, finché non vanno ad intaccare la mia quiete. Le persone vedono solo quello che vogliono vedere”
“Anche se ti dipingono come una poco di buono, una persona cattiva?”
“Chi dice che non lo sia?” mi chiese, scrutandomi.
“Io.” Risposi, subito, sicura.
“Potresti sbagliarti.” Fece, guardandomi intensamente.
“Ne dubito.” Continuai, ferma.
“Come fai a dirlo? Ci conosciamo da poco più di una settimana, Blondie” mi disse, con un sorrisetto sulle labbra.
“Hai ragione” convenni sorridendole “Ma è abbastanza per sapere che tutte le cose, che si dicono su di te, sono solo un mucchio di fesserie.”
“Mh.”
Non sembrava molto convinta.
“Sei molto più di quello che sembri” conclusi, nel momento stesso, in cui le luci, finalmente, si spensero.




 
Il film fu molto bello, non a caso uscì saltellante dalla sala.
Anche se, a dire il vero, dovevo aver perso qualche scena, presa com’ero a focalizzare l’attenzione sullo sfiorarsi delle nostre braccia, vicine sul bracciolo della poltrona.

Sarei rimasta così per ore, anche solo con quel leggero contatto.
Purtroppo non ho mai avuto una grande capacità di dissimulazione e credo proprio che lei se ne fosse accorta, visto che durante uno dei miei tanti trance, la vidi girarsi verso di me.
Non ne sono certa, ma mi parve di aver visto l’ombra di un sorriso sul suo volto.
 
“E’ stato bellissimo!” esclamai, tutta euforica, ancora con l’adrenalina a mille, mentre ci avviavamo verso la macchina.
“Vero!” concordò, ridacchiando. “Batman ti intrippa molto più di quello che pensavo.”
“Non è vero! Non sono intrippata” feci, indignata.
“No?” mi chiese, retorica “Allora mi spieghi perché continui a saltellare senza sosta?” continuò, ridendo.

Ops. Dovevo controllare meglio i miei movimenti.
Certe volte il mio corpo attivava la modalità automatica.

“Ok, bene! E’ il mio supereroe preferito.” Dissi, rassegnata all’evidenza.
“Come mai?” fece, interessata, sedendosi sul cofano della sua macchina e accendendosi una sigaretta.
“Beh non saprei come spiegarlo…” iniziai, cercando le parole “Credo sia per la sua aura oscura… insomma altro che tutine e calzamaglie, ha un’armatura fighissima! Oltre ad essere figo lui, ovvio.” Conclusi, fiera del mio discorso, facendola ridere.
Era la seconda volta nel corso della giornata che sentivo la sua risata.
E il mio sorriso si allargò a dismisura.
“Quindi ti piace perché è figo” concluse, con un sorrisetto divertito.
“Sì, sostanzialmente sì. E poi perchè certe volte dà l’idea di… cattivo, credo. Anche se, ovviamente, non lo è….” Continuai, pensierosa “Immagino che questo lo aiuti a farsi temere dai propri nemici” conclusi, guardandola.
“Mmh… tesi interessante” fece un altro tiro “Quindi, ti piacciono le persone ‘oscure’” sintetizzò, sollevando allusivamente le sopracciglia.
“Se proprio la vuoi mettere così” concessi, divertita.
“Ahh, bene. Ora capisco perché volevi uscire con me.” Affermò, sicura, inumidendosi con la lingua le labbra e gettando la cicca della sigaretta.

Di riflesso mi allontanai di qualche passo, iniziando a balbettare, per l’ennesima volta, cose senza senso.
Ma si divertiva a mettermi in imbarazzo?!
Bene, direi di sì, visto il sorriso enorme che tentava di nascondere.
 
“Eddai, scherzavo, vieni qui!” esclamò, tirandomi verso di sé, per il polso.

Una scarica elettrica.
Dio, questa ragazza mi avrebbe fatto uscire fuori di testa.

“Non avere paura!” continuò, ancora, ridacchiando.
“Io non ho paura” ribattei subito, indignata, mentre la distanza fra di noi si accorciava sempre di più.
“Ah, no?” continuò, portandomi ancora più vicina, afferrandomi anche per l’altro polso, schiacciandomi contro di sé, mentre era ancora seduta sul cofano della macchina, con le gambe aperte, permettendomi di posizionarmi nel mezzo.
“No…” bisbigliai, quando ormai le sue labbra furono ad un millimetro di distanza dalle mie.

Eravamo ad un soffio di distanza.
Stava succedendo sul serio!
Mai avrei pensato di trovarmi in quella situazione. Io! Con Santana Lopez!
E mai, MAI, come in quel momento odiai profondamente il suono prodotto dal suo cellulare.

Si allontanò leggermente, prima che ancora le nostre labbra potessero toccarsi.
Prese velocemente il cellulare e lesse il messaggio, che le doveva essere appena arrivato.
“Merda. Devo andare” disse, riponendolo nella tasca del jeans.

Faaaantastico.
Ma dico io, di tanti momenti in cui poteva suonare, proprio allora doveva essere?!

“Ok…” bisbigliai, cercando di allontanarmi, non riuscendovi, dato che qualcosa mi teneva ancora ferma sul posto.
Mi voltai leggermente, notando le sue gambe, che impedivano ogni mio possibile movimento.
“Dove vai?” mi chiese, divertita, facendomi voltare di nuovo.
“M-ma tu devi…”
“Credo di poter aspettare altri due minuti, no?” chiese, retorica, avvicinandosi di nuovo al mio viso con un sorrisetto malizioso.
 
'Dio, grazie.'
Sono piuttosto convinta che fosse stato il mio unico pensiero in quel momento.
Ancora una volta ci trovammo vicinissime.
E il mio cuore sembrava voler uscirmi dal petto.
Riuscì a sfiorarle le labbra prima che un “Ehi!” ci facesse staccare nuovamente.

Ma cos’era? Una stramaledetta congiura?!

“Ted le hai viste?!” chiese un omaccione, che era almeno il triplo di me, rivolto al compare al suo fianco, anche lui, più o meno, della stessa stazza.
“Eccome!” esclamò avvicinandosi “Non male, anche se lesbiche” commentò ridacchiando.
“Che diavolo volete?” la voce di Santana risuonò nel parcheggiò ormai quasi vuoto, simile ad un ringhio.
“Tranquilla, micetta! Perché non giochiamo assieme?”
“Perché non ve ne andate a fanculo, invece?” ribattè, subito pronta.
“San…” le parlai a bassissima voce “Lascia stare, andiamocene” la pregai, un po’ terrorizzata.
Quei due erano degli armadi viventi e, in caso di scontro, sicuro avremmo avuto noi la peggio.
“Oh-oh, l’hai sentita George?!”
“Eccome! Credo dovremmo insegnare un po’ di educazione alla ragazza!”
“Educazione? Da delle palle di lardo come voi? Ne dubito fortemente” rispose, ancora, sollevandosi in piedi e scostandomi leggermente.
“San…” riprovai, senza successo.
“L’hai voluta tu, bimba” iniziò il più grosso avvicinandosi “Io mi prendo la bionda, Ted” continuò, provando a toccarmi.
Il movimento di Santana fu fulmineo.
“Tu sfiorala…” ringhiò l’ispanica, frapponendosi fra di noi “E ti ritroverai a terra sanguinante prima che possa rendertene conto”

L’uomo rise divertito a quell’affermazione.
Presto, però, il sorriso si trasformò in un ghigno sadico, mentre la afferrava per il colletto della felpa, strattonandola.

“Grazie.” Sorrise, perfida, la latina.
“E per cosa micetta?”
“Per avermi messo tu per primo le mani addosso” concluse, spingendolo via.
 
Non capì molto di  tutto quello che ne seguì.
Ero troppo terrorizzata all’idea di cosa quei due potessero farci per guardare con attenzione.
So solo che in meno di un minuto, i due si ritrovavano a terra doloranti.
Uno tenendosi la pancia. L’altro cercando di fermare il sangue che colava dal naso.
Santana era in piedi, davanti a loro, mentre da una posizione di attacco, con le braccia sollevate ai lati del viso, si rilassò, lasciandole ricadere lungo i fianchi.
“Che stronzi.” Commentò, riavvicinandosi a me. “Saliamo in macchina, Britt.”

Troppo sconvolta, non feci nemmeno caso al diminutivo che usò.
Riuscivo solo a pensare che aveva steso quei due, che erano almeno il triplo di lei, senza il minimo sforzo.

 
Salite in macchina, iniziò a guidare verso casa mia, mentre ancora faticavo a riprendere a respirare normalmente.
Passarono alcuni minuti di totale silenzio, prima che lei per prima prendesse la parola.
“Tutto bene?” mi chiese, osservandomi vagamente preoccupata.
“I-io sì… credo, ma tu…” provai, quando, ancora una volta il suo cellulare squillò.
“Merda, merda!” imprecò, arrabbiata “Quei due ci hanno fatto perdere un sacco di tempo!” si lamentò, battendo un pugno sul volante e accelerando.
“C-come hai fatto?” le chiesi, guardandola.
“A far cosa?”
“Erano due armadi, San” le dissi, determinata.
“San?” chiese, divertita “mi piac- merda! Anche il semaforo rosso doveva capitarci?!”
“Dai, non cambiare argomento!” la esortai, facendola voltare verso di me, sfruttando il fatto che la macchina fosse ferma.
“Basta sapere dove e con quanta forza colpire” spiegò, alzando le spalle, come se stesse parlando di come dar da mangiare ad un gatto.
“Ma tu sei piccolina di taglia!” esclamai, indicandola, ovvia, mentre la vidi corrugare le sopracciglia.
“Stai cercando di dirmi che sono bassa?” fece, offesa, riprendendo a guidare, dato il semaforo, ora, verde.
“Dove hai imparato?” domandai allora, ignorando completamente il suo tentativo di sviare il discorso.
“Non ci vuole molto, basta un po’ di agilità e intelligenza” sbuffò, mentre superava l’ennesima macchina e parcheggiava al lato del marciapiede di fronte casa mia.
“Mh.”
Non ero per nulla convinta di quanto mi stesse dicendo.
“Senti…” iniziò, prendendo un respiro “Non è stato granché, ok? Ma se ti fa star meglio, ne riparleremo domani” concesse, guardandomi negli occhi.
“Davvero?”
“Sì… e riprenderemo anche il discorso che abbiamo interrotto per colpa di quei due panzoni” continuò, poi, lanciandomi un’occhiata maliziosa, facendomi arrossire. “Va bene?”
“Ok…”
“Perfetto. Ora devo scappare, ma ci vediamo domani” concluse, lasciandomi un piccolo bacio sulla guancia, che divenne, all’istante, di fuoco.
“A-a domani” balbettai, uscendo dalla macchina.
 
Che serata.
Passai la nottata a ripercorrere con la mente tutta la giornata trascorsa.
Non riuscì a chiudere occhio.

Volevo solo rivederla. Mai come la mattina seguente balzai in piedi piena di adrenalina.
Arrivai a scuola, piena di aspettativa.

Ma lei non c’era.
E neanche il giorno dopo.






Tetraedro dell'Autrice

ebbene sì, siamo già al 5!
spero sia piaciuto il capitolo anche se... boh, non so con esattezza cosa non mi convinca, però vabbè!

Tra l'altro il prossimo capitolo sarà leggermente diverso dagli altri visto che il punto di vista non sarà più quello di brittany... ma sarà così solo per quello!

come sempre ringrazio tuttissimi, siete meravigliosi!
A presto, bella gente! :D

 

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Capitolo 6
*** Legami indissolubili ***


“Buongiorno, milady!” Esclamai, aspettandola in piedi appoggiata alla macchina.
“Buongiorno, Quinn” mi rispose subito, con un sorriso a trentadue denti “Non è necessario che mi apra la portiera della macchina ogni mattina” continuò ridacchiando imbarazzata.
“Oh, no, devo” risposi subito allungandomi per lasciarle un bacio sulle labbra.

Era circa una settimana che ci vedevamo ogni giorno.
Così come, ogni giorno, la passavo a prendere con la macchina prima di andare a scuola.
E non potevo esserne più felice.
Certo avevo una reputazione di ragazza menefreghista da portare avanti, ma con lei… con lei, ogni proposito veniva meno.

Avevo imparato a conoscerla in tutti quei pomeriggi passati assieme.
Certo, aveva una parlantina da far paura e non era proprio un gigante, ma per la mancanza di altezza, compensava, di sicuro, la grandezza del suo cuore.
Era dolce, appassionata, ambiziosa.
Tenera quando si imbarazzava.
Bellissima.

“Che pensi?” mi chiese, con la testa leggermente piegata di lato, notando che non mi ero mossa e continuavo a guardarla in quegli occhi. Dal colore così intenso. Così meraviglioso.
“Sei bellissima” dissi semplicemente, vedendola arrossire di colpo.
“Gr-grazie, a-anche tu…” balbettò, imbarazzata, abbassando leggermente lo sguardo.
“Grazie anche a te” ridacchiai, vedendola in difficoltà “Dai, andiamo” esortai, poi, aprendole la portiera, per poi fare il giro e posizionarmi al posto del guidatore.


“Pensavo una cosa…” iniziò, torturandosi le mani, mentre guidavo verso la scuola.
“Dimmi”
“D-dopo l’uscita di ieri sera…”
“Sì?” feci, intuendo perfettamente cosa volesse chiedermi.

Il giorno precedente, infatti, eravamo uscite assieme e, beh, i baci che ci eravamo scambiate erano stati del tutto diversi da quello leggero e impacciato di due giorni prima.
Impacciato, poi.
Mai pensato che un aggettivo del genere potesse accostarsi ad una mia azione.
Ma con lei era tutta un’altra storia.

“Cioè… era un appuntamento…no?” domandò, rossissima in viso.
“Direi di sì” risposi, subito, con un sorriso luminoso, che ricambiò all’istante.
“E… cioè…” provò ancora a parlare.

Era a corto di parole.
Sì, Rachel Berry, in quel momento non riusciva a spiccicare mezza parola, intenta com’era a torturarsi mani e labbra.
Tenera.
Ma, era il caso di aiutarla un attimo.
Decisi, quindi, di accostare momentaneamente, al lato della strada e mi girai verso di lei.

Mi precipitai sulle sue labbra in men che non si dica.
Si bloccò inizialmente non aspettandosi la cosa, ma dopo appena due secondi mi ritrovai già una sua mano sulla guancia e l’altra sulla schiena, mentre appronfondiva il bacio con bisogno.
Era da togliere il respiro.
E avrei protratto quel momento meraviglioso per millenni, se non fosse stato per la necessità impellente, per entrambe, di ossigeno.

“Wow…”
“Già, wow…” concordai, sorridendo leggermente “Non mi dispiacerebbe farlo per molto altro tempo ancora… tipo giorni… settimane… ” le dissi, poi, lanciandole un’occhiata eloquente.

A quanto pare afferrò perfettamente il concetto.
Non c’era bisogno di parlare, non ora almeno. Ma una cosa era indiscutibile.
Avevo intenzione di stare con lei.
E non come tutte le storielle da una botta e via che avevo avuto fino ad allora. Soprattutto da quando ero rimasta incinta, tra l’altro.

Ragazze e ragazzi diversi continuamente.
Andavano e venivano. La cosa non mi toccava.
Lei, però, mi aveva… scosso.
In un tempo anche relativamente breve, aggiungerei.
Mi piaceva davvero e non intendevo rovinare tutto.

“Ok…” fece, imbarazzata, con un bellissimo sorriso. “Spero che sia andata bene anche a Britt” aggiunse, poi, con un tono di voce bassissimo, che a stento riuscì a sentire.
“Con chi doveva uscire?” le chiesi, incuriosita.
Si voltò con le sopracciglia leggermente aggrottate.
“Con Santana… non te l’ha detto?”
“Ah… beh, no, non me l’ha detto” dissi, un po’ risentita “In realtà ieri mattina abbiamo litigato”

Testona di un’ispanica. Non si era degnata nemmeno di chiamarmi quel pomeriggio.
Speravo solo, con tutta me stessa, che avesse almeno pensato a quello che le avevo detto.

“Oh…” fece, agitandosi leggermente, cosa, però, a cui non feci molto caso. “Come mai?”
“E’ difficile da spiegare…” iniziai, ben sapendo di non poterle dire tutta la storia “Diciamo solo che non mi ascolta mai, anche se quello che dico è per il suo bene.”
“Vi conoscete da molto?”
“Da sempre. Siamo come sorelle.” Affermai, sicura “C’è sempre stata per me, come io per lei.”
“Allora perché non le parli tu per prima?” chiese, ingenuamente, facendomi sorridere amara.
“Non è stata la nostra prima lite, soprattutto ultimamente. Sicuramente ritorneremo a parlarci, questo è praticamente sicuro. Solo…” sospirai “Vorrei farle capire che non può continuare così. Vorrei che provasse davvero ad ascoltarmi per una volta.”
“Non lo fa mai?”
“No. O meglio, ascolta, ma non agisce.”
“Questo è frustrante!” esclamò, pensierosa.
“Fin troppo!” concordai ridacchiando.
“Perché allora continui a starle vicino?” chiese, poi, un po’ titubante, forse preoccupata di essere troppo invadente.
“Perché come ti ho detto è una sorella per me. Il legame che ci unisce..” iniziai, cercando le parole “non può essere spezzato. Ha fatto cose per me che poche persone avrebbero fatto. Mi è stata vicino, sempre, quando ne avevo bisogno. Non si è mai tirata indietro. Non se si parlava di me. Si tratta semplicemente di un legame che è destinato ad essere.” Conclusi, sicura di ogni singola parola, mentre lei mi guardava ammirata “E ora dovremmo proprio andare a scuola” aggiunsi, ridacchiando e riaccendendo la macchina.
Certo, non prima di averle lasciato un ultimo bacio sulle labbra.

 



 
“Ciao ragazze” ci salutò, in corridoio, una Brittany piuttosto strana.
“Ehi!” ricambiò subito Rachel, per poi corrugare le sopracciglia “Tutto ok?”
“Sì, sì, è che non ho dormito molto stasera” disse, stropicciandosi gli occhi, per poi girarsi verso di me “Quinn, hai visto Santana?”
“Come? Non è ancora arrivata?” chiesi, mentre un brutto presentimento si stava facendo spazio dentro di me.
“Ho controllato ovunque e, no, direi proprio che oggi non è venuta a scuol-“

Non ascoltai nemmeno la fine della frase che mi precipitai di corsa alla macchina.
Accelerai subito, fiondandomi per le strade, dirigendomi a casa sua.
Evitai un paio di incidenti, ma poco mi importava.
Speravo solo che non si fosse fatta male sul serio.
Speravo solo che stesse bene.


In meno di dieci minuti ero già davanti casa Lopez, preoccupatissima.
Bussai insistentemente alla porta.
Più i secondi passavano senza che nessuno mi aprisse, più la mia ansia cresceva in maniera spropositata.
Finalmente sentii dei passi avvicinarsi.
Dio, grazie.


“Arrivo, arriv- Quinn” mi aprì una Santana mezza assonnata, con un livido bluastro vicino lo zigomo.
La osservai per alcuni secondi, prima di lanciarle la mia cartella addosso.
“Brutta pezza di idiota che non sei altro!” sbraitai, entrando in casa, non troppo forte, però, per evitare che la madre sentisse.
“Sei impazzita?!” mi chiese, allucinata.
“Sei una cretina!” continuai dandole qualche pugno sul braccio. “Perché diavolo non mi hai avvertito come al solito, eh?! Volevi farmi venire un infarto?!” feci, arrabbiatissima.

Di solito, infatti, per questo genere di cose mi faceva un colpo di telefono, dicendomi semplicemente che stava bene, ma che era meglio non farsi vedere con qualche segno sulla faccia, per evitare domande.

“Tu…” iniziò, aggrottando le sopracciglia “Mi avevi detto che non volevi avere più niente a che fare con tutto questo”  disse, confusa.
“Sei un’imbecille” sospirai, finalmente lasciando che l’ansia scivolasse via da me “Mi hai fatto spaventare a morte”
“Scusa.” Mi disse, sincera.
“Sì, beh, sei un’imbecille lo stesso” feci, per smorzare un po’ la tensione “Piuttosto, non mi avevi detto che ti eri specializzata nell’evitare i colpi in faccia?”
“Infatti” concordò, incupendosi leggermente “Questo non me l’ha fatto quella pappamolla di ragazzetta dei bassi fondi con cui ho lottato ieri. Stesa dopo soli due pugni, imbarazzante.”
“Allora…?” chiesi, vagamente confusa.
“Il panzone non ha gradito il mio ritardo ieri” spiegò, con un’alzata di spalle “’Ti pago fior di quattrini, il minimo che tu possa fare è arrivare in orario’” mi recitò, con un’espressione arrabbiata. “Che testa di cazzo.”
“Lurido stronzone!” sbottai, incredula.
“Abbassa la voce!” mi ordinò, indicandomi la camera della madre.
“Oh, già, scusa” bisbigliai “Come sta?”
“Eh…” fece, alzando le spalle, con rassegnazione “Come sempre da mesi a questa parte.”
“Non ci sono miglioramenti?”
“No… prima è venuta Clara a visitarla e a darle le solite medicine, ma...” lasciò in sospeso la frase, come a farmi capire che, ormai, non sapevano più cosa fare.
“Magari riusciranno a capire cos’è prima o poi. Potrebbero trovare una cura, poi, San…” cercai di rincuorarla, accarezzandole il braccio “Non perdere la speranza, ok?” la pregai con un sorriso, che ricambiò con un po’ di difficoltà.
“Ok… vieni, dai, andiamo in cucina a prendere un caffè, pazza assassina che non sei altro!” scherzò, alla fine, cercando di nascondere gli occhi lucidi.

 
“Allora, raccontami” la esortai una volta che ci fummo spostate fuori al balcone, per fumare una sigaretta.
“Cosa dovrei raccontarti ancora?” chiese, confusa.
“Di un’uscita a caso!” esclamai, dandole uno scappellotto sulla nuca, mentre lei scoppiò a ridere.
“Aaah, l’hai saputo!” ridacchiò, per poi tornare un attimo seria “Merda, le avevo detto che avremmo parlato oggi” sospirò pesante “Ora penserà che l’ho presa per il culo”
“Ehm… puoi andare per gradi?”

Mi raccontò tutto.
Della complicità che ormai, senza nemmeno sapere come, si era instaurata subito fra di loro.
Delle battute.
Dei quasi-baci. Della chiamata. Della lotta.

“Non pensavo che avrei mai potuto dire una cosa del genere, ma è stata una fortuna che tu sapessi fare a botte” sospirai, lanciandole un’occhiataccia.
“Già!” ridacchiò.
“Comunque tranquilla, magari chiamala”
“Non ho il suo numero…”
“Non…” feci, interdetta “Vi siete viste ogni giorno per una settimana intera e non hai il suo numero di cellulare!?”
La vidi riflettere un attimo, con gli occhi socchiusi.
“Già!” esclamò alla fine “Strano!”
“Tu chiedi subito il numero delle ragazze che vuoi portarti a letto” constatai, poi, vedendola fare un’espressione alquanto infastidita.
“Sì, beh, mi sono dimenticata” provò, con aria strafottente.
“NO!” esclamai, come colta da un’illuminazione “Ti piace sul serio!”
“B-bhe…”

O. Mio. Dio.

“Stai anche balbettando…” feci assorta “Posso farti un video??”
“Che cretina!” si mise a ridere, dandomi uno schiaffetto sul braccio. “Diciamo che… mi interessa.”
“Ahà…”
“Ok, mi interessa abbastanza.”
“Seh…”
“Oddio, ma sei una palla! Sì, mi piace, ok?! E anche tanto!” confessò tutto d’un fiato, un po’ imbarazzata.
“Ma che carina che sei quando ti imbarazzi!” la presi in giro, afferrandole la guancia ‘sana’.
“Smettila!” mi scansò, ridendo “Lei è diversa…” iniziò, facendosi seria “Non credo di aver mai incontrato una così… mi sento come se…”
“Come se?”
“Potessi fidarmi di lei.” Concluse.


E quello valeva più di ogni altra cosa per Santana. Lo sapevo bene.
Non c’era speranza di penetrare la sua corazza senza che ci fosse fiducia.
Sarebbe stato impossibile.

La cosa mi stupì un po’, ma mi dissi che era esattamente quello che stava succedendo anche a me.
Era esattamente quello che sentivo anch’io per Rachel.
E sorrisi inconsciamente.


“Le racconterai degli incontri che fai la sera?”
“Non lo so…” fece, titubante “Forse non è un’idea brillante, forse non ora…”
“Magari le puoi dire una mezza verità…” le proposi  “almeno per ora, certo”
“Tipo cosa?”
“Non so… che combatti”
“Idea geniale, Quinn” commentò, scocciata “Grazie per l’aiuto efficace!”
“Ok, senti, sono a corto d’idee! Alla fine potresti anche dirle semplicemente la verità” le proposi, con un’alzata di spalle.
“Che faccio incontri clandestini, per portare avanti la baracca e comprare delle medicine costosissime e allo stesso tempo inefficaci per mia madre?” fece, un po’ sconsolata.
“Non ti fidi abbastanza, vero?”
“E’ che ci conosciamo da poco…ho paura che…aaahhh che situazione di mierda!” sbottò, frustrata.
“Hai paura che lo dica in giro.”
“Un po’. Non gradirei si sapesse a scuola ad essere onesti, anche se credo che non lo farebbe mai…. ma è anche che… insomma…” provò a parlare un po’ imbarazzata.
“Che non voglia più avere niente a che fare con te?” feci, capendo al volo.
“Già, chi vorrebbe avere a che fare con un casino ambulante come me?! Porto solo guai..”
“E’ vero che sei un casino ambulante!” concordai, mentre mi lanciava un’occhiataccia “Ma sei anche la persona migliore che conosca. Sei masochista, su questo non c’è dubbio, e non intendo riaprire una discussione sul fatto che potresti trovare altri lavori, che non comportino contusioni non indifferenti al tuo corpo ma… lo fai pur sempre per te e tua madre.” Addolcii, il tono di voce.
“Mi dispiace averti gridato contro nel bagno, ieri” mi disse, guardando davanti a sé.
“Dispiace anche a me per aver dato di matto”
“Avevi i tuoi buoni motivi. Lo so che sbaglio, anche se ormai credo che sia troppo tardi per tornare indietro.” Affermò, poi, lasciandomi un attimo spiazzata.
“Che intendi, scusa?”
“Il lardoso non permetterà mai che io lo molli, guadagna troppo facendo scommesse su di me.”
“Puoi sempre provare, no?” tentai, ancora, come mille volte in precedenza, a farle lasciare quel ‘lavoro’ che era solo deleterio per lei.
“Magari un giorno…” concesse, guardandomi.







Tetraedro dell'Autrice.

Taaaadàà, ci siamo!
Prima di tutto, un plauso a strapelot e kathy lightning che hanno azzeccato cosa facesse santana! *lancia coriandoli accompagnata da banda musicale*

Quuuindi, ora finalmente sappiamo cosa combina e perchè, almeno per sommi capi, lo fa!
Lo dirà a Britt? Non lo dirà?? Chi lo sa?!

Ooora, comunicazioni di servizio:

Non so quando arriverà il prossimo capitolo, ma penso proprio fra un bel po', visto che torno a Roma e devo studiare per forza proprio... magari vedo se stanotte verso le 2 sarò abbastanza sveglia per scrivere il continuo, ma... ho qualche dubbio in proposito! xD


Tra l'altro si è visto che questo capitolo era da un punto di vista diverso, quello di Quinn, e non credo sarà l'ultimo... magari si tratterà di capitoli 'bonus' diciamo, che scriverò di tanto in tanto, ma la centralità spetta comunque a brittany!

As usual ringrazio tuttissimi, siete davvero fantastici! :D
A presto, bella gente! :DD

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Capitolo 7
*** Lascia che sia ***


“Perfetto. E’ la seconda mattinata che non si fa vedere. Nessun segno, nessun tentativo di contatto, nessuno stramaledetto piccione viaggiatore. Niente di niente. Ed è anche venerdì, maledizio-“
“Britt, parli ancora da sola?” mi si accostò, una Rachel tutta sorridente all’uscita da scuola.
“Io non parlo da sola.” Ribattei, seccata, facendola ridacchiare.
“No, eh? Dialogavi con gli uccelli?”
“Già.” Concordai, distratta. “Almeno loro si fanno vedere.”
“Sì, beh, ho la soluzione a tutti i tuoi problemi!” esclamò tutta contenta.
“Sarebbe?” chiesi, incuriosita, fermandomi di botto.
“Tieni.” Fece, allungandomi un fogliettino di carta, con un sorrisetto compiaciuto.

Lo afferrai un po’ titubante e lessi una serie di numeri.
“33792- ok, cosa sarebbe? Ti prego dimmi che non è il numero di un qualche insegnante di canto, ti ho già detto e stradetto che-“
“No, no!” mi interruppe, subito. “Ma per chi mi hai preso?! Ti ci avrei trascinato di peso, altro che numero” precisò, indignata, per poi riprendere subito dopo “E’ il numero di una persona a caso, di tua conoscenza. Il numero…” continuò, poi, abbassando il tono di voce e avvicinandosi di più, come a dire un segreto “di un’ispanica a caso.”
 
Numero.
Ispanica.
Gioia.
Allegria.
Sole. Cuore. Amore.
Felicit- aspetta un attimo.
 
“Come diavolo l’hai avuto?!” chiesi, con voce stridula.
“Beh…” iniziò, grattandosi la nuca “Ti vedevo in difficoltà ecco… blateravi da sola per i corridoi! Quindi, sì, insomma, l’ho chiesto a Quinn” concluse, facendomi bloccare.
“Cioè… tu…” cercai di articolare i pensieri, ma l’unico mio obiettivo al momento sembrava quello di staccare la testa a morsi alla mia, ormai prossima alla morte, migliore amica.
“E’ solo un numero, suvvia!” sminuì, subito, ridacchiando nervosa.
“Hai chiesto il numero di SANTANA LOPEZ. L’hai chiesto alla sua migliore amic-“
“Nonché mio attuale interesse amoroso” puntualizzò, venendo completamente ignorata da me.
“Rendendo, quindi, ormai universalmente noto il mio interesse nei suoi confronti!” sbottai, gesticolando come una forsennata.
“Come se non si fosse capito, poi.”
Lo disse a bassissima voce. Ma non abbastanza.
“Scusami?!”
“Oh, andiamo, Quinn non è mica ritardata!” esclamò, allontanandosi leggermente “Tu che chiedi da due mattine a questa parte continuamente di lei. Tu che sei completamente impazzita. Tu che borbotti per i corridoi. Tu ch-“
“SSSSHHHH!” la bloccai, massaggiandomi con i polpastrelli le tempie “Non ti voglio sentire.”

“Ehi ragazze!”

Proprio in quel momento, si avvicinò a noi una Quinn, con un sorrisetto divertito stampato sulle labbra.
“Ciao…!” ricambiò subito la mia amica, rivolgendole uno sguardo di pura adorazione.
“Ehi, Quinn” feci, tentando di sembrare tranquilla.
“Di che stavate parlando?”

Oh, ma sapevo perfettamente che lei aveva capito l’argomento in questione, in realtà.
Non a caso mi osservava attenta, fra l’incuriosito e il divertito.
 
“Beh, Brit-“ provò a parlare Rachel, prontamente interrotta da me.
“Stavamo giusto confrontando le nostre tesi su un negozio.”
“Un negozio? Di che tipo?” chiese, alzando un sopracciglio, mentre la mia amica sbuffava sonoramente.
“Telefonini, a quanto pare.” Feci, gelida, facendola ridere sonoramente.
“Brittany, lo sai che potevi chiedermelo tu tranquillamente il numero di Santana, vero?” mi chiese, poi, allegra, facendomi arrossire fino alla punta di capelli.
“B-bhe, v-verament-“
“E’ stata una mia idea, Quinn” commentò, osservandomi Rachel, cercando di nascondere, al contempo, il suo bisogno di scoppiare a ridere. “Lei non ne sapeva null-“
“INFATTI!” urlai, precedendola. “Niente di niente!”
“Capisco…” fece, divertita, la Fabray. “Ad ogni modo, anche lei cercava il tuo numero.”
“Sì, ma infa- che hai detto, scusa?”  feci, allibita, realizzando solo in un secondo momento quello che mi aveva detto.

“Devo proprio andare.” Disse, poi, lanciandomi un ultimo sguardo divertito. “Tu vieni con me, Rach?” si rivolse, poi, alla mora al mio fianco, mentre io ancora cercavo di riprendermi da quella pseudo-rivelazione di poco prima.
“Assolutamente! Ci vediamo domani, Britt!” mi salutò, velocemente, per poi allontanarsi con la Fabray, mentre io, un po’ imbambolata, mi avviavo verso casa a piedi.




 
Lungo la strada, non feci altro che ripercorrere mentalmente tutto ciò che era successo fino a quel momento e che aveva a che fare con Santana.

Insomma, ci eravamo quasi baciate.
Due volte.
Eravamo quasi morte.
Lei ha quas- no, ha decisamente fatto il culo ai due grassoni.
Non si era fatta vedere.
Non si era fatta sentire.
Per due giorni.

Ma voleva il mio numero.

E io ero ancora fuori casa, di fronte la porta di ingresso, con il numero composto sul cellulare, aspettando un’illuminazione divina.
Che potevo dirle poi?!

‘Ciao sono Brittany, che fine infausta hai fatto?!’
No, probabilmente, no.
‘Ciao, sono Brittany, mi chiedevo cosa ti fosse successo’
No.
‘Ciao, sono Brittany.’
Mh.
Sì, magari ci aggiungevo anche un ‘E la contatto dalla Fastweb’
Bene.
Avevo seriamente qualche problem-

 
“Che fai?”

Sollevai di scatto la testa dal telefonino, richiamata, come un calamita, da quella voce, che – ormai ne ero sicura – avrei riconosciuto fra mille.
Anche in uno stadio alla finale dei mondiali di calcio.
Anche ad un concerto pieno zeppo di persone.
Ovunque.

“Ehi!” la salutai, subito, osservandola appoggiata alla portiera della sua macchina, con le mani nelle tasche.

Qualcosa, però, catturò subito la mia attenzione.
Un segno violaceo, ormai poco visibile, sul volto.
Decisamente non c’era quando l’avevo vista per l’ultima volta.

“C-cosa hai fatto alla faccia?” le chiesi, quindi, avvicinandomi a lei, riponendo il cellulare.
“Ho preso una botta” rispose, con noncuranza. “Tu, piuttosto, che facevi qui fuori?” mi domandò, poi, con un sorrisetto divertito.
“B-beh… vedevo l’ora!”

Sono proprio un asso nel pensare a scuse credibili, eh?
Non a caso, la vidi sollevare le sopracciglia, con l’espressione di chi la sa lunga.
 
“Ti ho cronometrato. Sei stata a fissare lo schermo per 5 minuti e 36 secondi.”
“36 secondi, eh?”
“Già, quasi 37, nanosecondo più, nanosecondo meno.” Aggiunse, trattenendo una risata.
“Hai messo un po’ di crema su quel livido vero?” le chiesi, invece, ora che mi ero avvicinata ancora e vedevo il danno da vicino.

L’argomento a quanto capii, non doveva starle comodo.
Anzi, non doveva piacerle per niente.
Quel tale che disse che ‘gli occhi sono lo specchio dell’anima’ doveva aver incontrato una copia sputata di Santana.
Come minimo.

“Non è niente.” Commentò, a bassa voce.
“Dai, vieni.” La esortai, facendole strada verso la porta di casa.
“No, insomma, non vorrei disturbar-“
“Tranquilla, non c’è nessuno” le dissi, regalandole un piccolo sorriso, che lei si apprestò, all’istante, a ricambiare.





 
“Allora… fammi vedere” la esortai, una volta presa la crema.
“Ti ho detto che non è niente” ridacchiò, per l’ennesima volta, da quando eravamo entrate in casa.
“Lo vedo che non è ‘niente’. Ma così ti si leverà prima questo livido dallo zigomo” commentai, avvicinandomi a lei, che si era seduta su uno degli sgabelli della cucina.
“Non ti arrendi mai, vero?”
“Eh, no!” confermai, sedendomi su una sedia proprio di fronte.
 
Osservai i suoi lineamenti perfetti.
Dio, sembrava una dea.
Era bellissima.
Solo quel segno stonava in tutta quella perfezione.
Mi ritrovai a chiedermi, ancora una volta, come se lo fosse fatto.
 
“Non ti ho evitato.” Disse, poi, dal nulla, facendomi risvegliare da quella mia contemplazione.
Mi limitai semplicemente a guardarla negli occhi, esortandola implicitamente a continuare a parlare.
“Non- ecco, non volevo presentarmi a scuola così” mise in chiaro, indicandosi leggermente il viso. “Ma, volevo parlarti… volevo vederti.” Continuò, seria, allungando la mano sulla mia.
 
Benessere.
Puro e semplice benessere scaturì da quel piccolo contatto.
Dio, di questo passo ne sarei diventata dipendente.
 
“Anch’io…” commentai, a bassissima voce, un po’ imbarazzata, facendola sorridere intenerita “Cioè… insomma dopo la serata dell’altra volt- ehi, aspetta!” mi bloccai, ricordandomi solo allora di una cosa fondamentale. "sono stati quei due scimmioni a farti questo segno?!” chiesi, allora, credendo di aver fatto due più due.
“No.” Rispose, subito, distaccata, abbassando lo sguardo. “E’ che…” iniziò, cercando le parole adatte.
“Che?” la incitai, sinceramente curiosa.
“Io…”

Mi guardò fisso negli occhi.
C’era qualcosa in quello sguardo.
Non so esattamente cosa riuscii a leggervi.
Era… combattuta, credo.

“Ho sbattuto contro la porta della cucina” concluse, poi, facendomi corrucciare per un attimo.
“Davvero?” le chiesi, allora, stralunata.
“Già.”
“Ok. Facciamo un gioco.” Proposi, allora, stappando il tappino della crema, guadagnandomi un’occhiata incuriosita.
“Va bene…”
“Io ti faccio una domanda a cui tu devi rispondere sinceramente.” Dissi, osservandola incupirsi momentaneamente “Puoi decidere o meno di rispondere, non è obbligatorio. La sincerità però sì.” Misi in chiaro “Chiaramente, poi, mi farai tu una domanda e lo stesso farò io.”
“Una domanda a testa, insomma?” chiese, poi, alzando un sopracciglio.
“Quante si vogliono, non è importante” chiarii, subito “Inizio io.”
“Ok.”
“Ti sei davvero fatta male da sola?”

Vidi delinearsi sul suo volto l’ombra di un sorriso amaro.
 
“Questo…” fece, indicandosi “E’ solo colpa mia. Non è altro la diretta conseguenza delle mie azioni” disse, lasciandomi una strana sensazione addosso. “Che facevi fuori la porta?” chiese, poi, sorridendomi.

Ah, già. Il gioco prevedeva anche questo.
 
“B-beh… osservavo qualcosa sul cellulare.” Risposi, velocemente, iniziando a spalmarle la crema sulla parte offesa.
“Ehi!” sbottò, fintamente indignata “Che risposta è?!”
“Bene!” accordai, sbuffando “Vedevo un numero.”
“che numer-“
“tocca a me fare domande!” la bloccai, subito, facendola corrucciare.
 
Adorabile.
Semplicemente adorabile.
Anche con quel piccolo broncio a solcare quelle labbra perfette.

“Dunque… Dove hai imparato a fare a botte?”
“Ho un sacco da boxe a casa” disse, sollevando le spalle.
“Tutto qui?” chiesi, un po’ scettica.
“Beh, sì, qualcuno mi ha dato qualche consiglio qua e  là, ma alla fine è stato molto ‘fai da te’ insomma” chiarì, mentre un sorrisetto sadico si faceva largo sul suo volto. “Di chi era il numero?” chiese, quindi, facendomi arrossire.
 
Fantastico.
Mai e poi mai avrei confessato.
 
“A quando risale la tua ultima relazione?” chiesi, allora, ignorando completamente la domanda.
“Ehi!” sbottò, puntandomi, giocosamente, un dito contro. “dovresti rispondermi!”
“Eeeeh no!” mi difesi subito, alzando le mani “Si può anche non rispondere, avevo detto! Fa parte delle regole…” conclusi, con una sollevata di spalle.
“Bene…” sbuffò, contrariata “Che avevi chiesto?”
“Ultima relazione.” Risposi, prendendomi un bicchiere d’acqua.
“Ehm…” fece, un attimo pensierosa “Per relazione intendiamo anche sesso occasionale?” chiese con noncuranza, facendomi sputare tutto il contenuto del bicchiere.
La fissai, stralunata.
“che ho detto?!” si difese, facendo poi una faccia schifata “Sembravi un idrante comunque.”
“Seh…”
“Beh?”
“Cosa?”
“Vale anche il sesso occasionale?”
“No, intendo relazione seria!” misi in chiaro.
“Oh, beh, allora…” iniziò pensierosa “Seria… proprio…nessuna” concluse, scioccandomi.
“C-cioè, t-tu…”
“E tu?” chiese, poi, ignorando il mio balbettamento.

Avevo avuto qualche relazione di poco conto.
Ma fino ad allora, solo una poteva considerarsi seria.
Jennifer era stata l’unica con cui credevo avrei potuto avere un futuro.
Certo, questo fino a quando non decise di trasferirsi, un anno fa, dall’altro capo del mondo.
 
“Una.” Risposi, allora, facendola chiaramente incuriosire.
“Ch-“
“Una ragazza, Jennifer. Si è trasferita in Europa.” Sintetizzai, brevemente, facendole capire che non mi andava di parlarne. “Quindi non hai mai detto ‘ti amo’?” chiesi, a mia volta.
“No. Decisamente no.” Fece, lapidaria. “Non sono il tipo.”
 
Non era il tipo?
 
“In che senso?”
“Hai mai fatto del sesso occasionale?” mi ignorò, poi, facendomi strozzare per la seconda volta con l’acqua.
“Ma che domande sono?! Vuoi farmi affogare per caso?!” sbottai, decidendomi a riporre il bicchiere sull’isola della cucina definitivamente.
“Oh, andiamo!” fece, ridendo “Sono domande semplici ed innocue. Sei tu quella strana!”
“Io?!?”
“Sì!”
“Comunque no!” mi decisi a risponderle. “Non sono il tipo.” Aggiunsi, ripetendo le sue stesse parole, fissandola con uno sguardo di sfida, a cui rispose con una risata.
“Sei divertente.” Disse, osservandomi divertita. “tocca a te.” Mi esortò, poi.
“Vuoi solo quello da me?” chiesi, allora, seria.
“Quello cosa?” fece, non capendo.
“Una botta e via” misi in chiaro, osservando le espressioni del suo volto intenerirsi.
“Non saresti il tipo comunque, no?” fece, allora, retorica “Quindi, suppongo che debba prendere la strada più lunga” aggiunse, dandomi un buffetto sulla guancia.
 
Quella frase bastò a farmi incastrare completamente il respiro in gola.
Probabilmente mai come in quel momento gioii internamente.


“Tocca a te…” la esortai, poi, con voce flebile.
“Posso baciarti?”

 
Rettifico.
Quella domanda fu pura felicità.
Non mi scomodai nemmeno a risponderle.
Mi limitai semplicemente ad avvicinarmi, così come fece lei, facendo scontrare, finalmente e per la prima volta le nostre labbra.
Fu inizialmente un bacio semplice. Dolce.
Ma si trasformò, ben presto, in un bacio più passionale e meno casto, nel momento in cui anche le nostre lingue si incontrarono. Così come i nostri corpi.
Le mie mani corsero ad afferrare la sua vita. Le sue, i miei capelli.

Era la sensazione più bella del mondo.
 
Ci staccammo, poi, per mancanza di ossigeno, mantenendo, però, unite le nostre fronti.
Notai i suoi occhi ancora chiusi.
Le sue labbra distese in un piccolo sorriso.
Quando posò il suo sguardo nel mio, mi sembrò di vedere mille galassie. Mille stelle. Mille pianeti.
Tutti lì.
Davanti a me.
 
“Non avrei sopportato un’altra interruzione” commentai, facendola ridacchiare.
“Concordo pienamente” disse, prima di rituffarsi sulle mie labbra, da cui, tuttavia, fu costretta a staccarsi nel momento in cui sentimmo la porta di casa aprirsi.
No. No. No. N-

“Briiiitt! Siamo a casa!” esclamò mia madre, facendomi imprecare non poco internamente.
“Mamma siamo qui…” dissi, con un tono di voce tagliente, che fece ridere di gusto l’ispanica davanti a me.
“Siamo? Ma- ah! Ciao Santana!” fece tutta contenta, una volta entrata in cucina, seguita da MaryG e mio padre.
“Buonasera a tutti” salutò, cortese, riservando a tutti un piccolo sorriso.
“Abbiamo interrotto qualcosa?” chiese, poi, la mia pestifera sorella, facendomi arrossire di botto.
“MA SI PUO’ SAPERE CHE VAI BLATERANDO!?” sbottai, dandole una leggera spinta, che la fece scoppiare a ridere.
“Quindi la risposta è sì!” fece, lanciando occhiate allusive ai miei, mentre Santana la vedevo grattarsi con la coda dell’occhio la nuca, sembrando disinteressata.

Ma che tenerina era?!
Chi l’aveva paragonata ad un drago sputafuoco e ad un mangiamorte incazzato nero doveva avere dei paraocchi non indifferenti.

 
“MaryG, non far imbarazzare tua sorella…” iniziò mia madre, mentre io le riservavo un applauso.
“Ecco, brava mamma, diccel-“
“Tanto c’eravamo già arrivati tutti da un pezzo!” aggiunse, poi, facendomi bloccare di colpo.
“Diciamo pure da quando abbiamo messo piede in cucina” concordò mio padre, con un sorrisetto divertito, mentre riponeva la spesa in alcuni cassetti.

Merda.

“Ma che dite tutti quanti?! Ma insomma! Basta, noi andiamo di sopra!” sbottai, prendendo una Santana, che cercava di contenere le risate, per il polso.
“Resti a cena, Santana?” chiese, poi, mio padre, allegro.
“Oh, beh” iniziò, cercandosi di riprendere ancora dagli scambi di battute precedenti “Non vorrei disturb-“
“Ma che disturbo! Ci farebbe molto piacere, invece! Vi chiamiamo quando è pronto!” concluse, poi, entusiasta mia madre, mentre la latina le rivolgeva un sorriso imbarazzato.





 
“Lo sai che subirai il terzo grado a cena, vero?” le chiesi, una volta entrata in camera, chiudendo la porta alle nostre spalle.
“Ahà…” annuì lei, avvicinandosi, con un sorrisetto divertito.
“E lo sai che diranno cose vergognose ed imbarazzanti su di me, a cui tu non dovrai mai e poi mai e ancora MAI credere?” feci, ancora.
“Ahà…”
“E lo sai che mia sorella farà di tutto per metterci a disagio con conclusioni degne di Einstein e del mago Merlino?”
“Ahà…” fece, ancora, arrivando a un soffio dalle mie labbra.
“E lo sai che-“
“Lo sai che parli davvero tanto?” chiese, alla fine, lei prima di azzerare le distanze fra le nostre labbra, stoppando sul nascere ogni mia paranoia.








Tetraedro dell'Autrice

Alè! ci siamo!
mi scuso per il capitolo-schifezzuola... è un po' più lungo degli altri, però diciamo pure che non so quanto sia accettabile visto il rincoglionimento in cui ormai sguazzo da settimane a questa parte!

Cooomunque, ho solo qualche comunicazione di servizio da dare...

Il prossimo capitolo arriverà intorno a martedì prossimo, più o meno... ho un esame lunedì, quindi sono tipo alla frutta psico-fisicamente parlando e questo capitolo c'è entrato giusto giusto!

Buone notizie però!
Da quel martedì in poi *rullo di tamburi* gli aggiornamenti saranno molto più veloci e contenutisticamente parlando più accettabili...

Eyes Like fire,
il cui acronimo ho realizzato essere 'ELF' (cosa che, sì, mi ha fatto ridere come un'idiota), sarà aggiornata più spesso... mentre 'Scommettiamo?' sarà aggiornata una volta a settimana visto che c'è bisogno di maggiore scervellamento!

come sempre ringrazio tuttissimi, davvero! E soprattutto grazie anche della pazienza... dai, che poi diventerò un'autrice con tempi di aggiornamento accettabili (salvo caduta in depressione post-bocciatura DDDDD: *fa le corna*)


A presto, bella gente! :DD
 

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Capitolo 8
*** Due chiacchiere a tavola ***


“Spero ti piaccia il polpettone, Santana!” disse, subito, mia madre appena ci fummo sedute a tavola.
“Oh, sì, signora. Mi piace moltissimo” rispose, contenta “Anzi, non ne mangiavo un po’ da molto tempo, quindi la cosa non può che farmi piacere” fece, sorridendo.
“Perfetto!” esclamò soddisfatta, mentre continuava a prendere cose dalla cucina, aiutata da mio padre e MaryG, mentre si lanciavano occhiate divertite e tremendamente sospette.
 
Avevano in mente qualcosa. Ne ero certa.
Ma ero troppo presa dall’ispanica seduta al mio fianco, per preoccuparmene davvero.
Si guardava ogni tanto attorno incuriosita, per poi, puntualmente, posare lo sguardo su di me, regalandomi uno di quei sorrisi, che, semplicemente, ti sconvolgono. Dall’interno.
In fondo, poi, cos’è un sorriso?
Muscoli della faccia che si contraggono.
Labbra incurvate.
Occhi leggermente socchiusi.
 
Niente di così sconvolgente, no?
Il fatto era, però, che si trattava di lei.
Il suo viso. Le sue labbra.
I suoi occhi.
Ed io ne ero completamente stregata.
 
Il movimento delle sue mani per sistemare le posate mi fece, poi, riflettere.
Aveva ancora i guanti di pezza a lasciarle scoperte solo le dita. Come sempre.
Ma non capivo.
Perché li indossava continuamente?
Ormai cominciavo a pensare che ci fosse qualcosa sotto.
Insomma, per quanto possa piacerti una cosa, non la porteresti sempre con te.
Doveva esserci un motivo. Un qualcosa, che non riuscivo ad afferrare.
Ed era tremendamente frustrante.
Mi sembrava come il pezzo mancante di un puzzle. Un puzzle, tra l’altro, tremendamente complicato.
 
Pensai a possibili spiegazioni, ma niente.
Forse nascondeva qualcosa. Forse…


“Non è che hai una bocca in più, vero?” le chiesi, avvicinandomi di più, mentre mi rivolgeva un’occhiata interrogativa.

 
Okay. Ammetto che forse non era realistico.
Ma tutto quello che riuscivo a pensare in quel momento era quel personaggio dei fumetti di Naruto, che mia sorella leggeva sempre.
C’era un tipo che aveva sui palmi delle mani una bocca, che masticava roba.
Mi pare fosse creta… plastilina… boh, quello che era.
Fatto sta che ci faceva le bombe.


La vidi guardarsi attorno, per poi farmi un’occhiata maliziosa e avvicinarsi, lentamente, al mio orecchio, con un sorrisetto divertito.
“Per farci cosa, Britt?” chiese, con un tono di voce basso e roco, che mi fece venire i brividi lungo tutta la spina dorsale, mentre, inevitabilmente, le mie guance prendevano fuoco.
“Tutto ok, sorellona?” fece, malefica, mia sorella, appena seduta al tavolo, proprio di fronte a noi, assieme ai miei ai capi della tavola.
“Tutto splendidamente, MaryG, grazie” risposi in un sibilo, mentre l’ispanica alla mia sinistra ci guardava ridacchiando.
“Oh, beh non sembrav-“
“Mamma!” decisi di interromperla subito sul nascere “Hai fatto anche l’insalata?” chiesi la prima cosa che mi passava per la testa.

Stupidamente aggiungerei.

“E’ proprio davanti a te, scricciolo” rispose subito, sollevando le sopracciglia. “Non ci avevi fatto caso?”
“Oh, ma’, lasciala stare, avrà la testa da qualche altra parte” sghignazzò mia sorella, lanciando ai miei occhiate eloquenti.
“Ooooh, hai ragione, tesoro!” le diede corda mia madre, facendole l’occhiolino.
“Spero vivamente per te che quello fosse un tic, ma’!” la ripresi subito, indispettita.
“Oh, ma ovvio” fece, girandosi verso di me, continuando ad aprire e chiudere l’occhio destro velocemente “mi succede sempre…”
“E’ vero!” l’appoggiò subito mio padre “Pensa che le hanno chiesto di interpretare la versione umana del nuovo modello di macchine Mercedes, per far vedere come funzionerebbe la freccia di posizione destra” concluse, facendo ridere di gusto l’ispanica al mio fianco, mentre io continuavo a chiedermi che razza di genitori avevo.
Due pazzi.

 
“Allora Santana, ti piace il polpettone?” chiese, poi, mia madre.
“Assolutamente, davvero buonissimo, signora!”
“Oh, non chiamarmi signora, chiamami Susan!” fece, rivolgendole un sorriso, che si apprestò a ricambiare “Puoi chiamare lui signore” indicò mio padre “Lui sì che è vecchio” bisbigliò, poi, come a dirle un segreto.
“Ehi! Guarda che sono di solo un anno più vecchio di te!” la richiamò mio padre, che evidentemente era riuscito a sentire tutto.
“Appunto, e si vede!” ribattè, subito, con aria di sufficienza, mentre io mi passavo stancamente le dita sulle tempie.
“Ti sei per caso dimenticata di quando siamo andati alle terme, appena quattro mesi fa?”
“Non so di cosa tu stia parlando, caro.”
“Tutti lì non mi davano più di trenta anni, mentre a te hann-“
“Pàpàpàpàpà sssshhh!” lo interruppe subito, per poi rivolgersi verso Santana, che aveva assistito al battibecco con un sorriso divertito stampato sulle labbra “Bene, diciamo che puoi chiamare anche lui John”
“Ecco!” accordò mio padre, gongolante.
“O anche ‘John capello bianco’ o ‘vecchio Joh-“
“Ehi!”
“Ok, ora basta!” decisi, quindi, di interromperli prima che si scatenasse una guerra su chi aveva più capelli bianchi.

E io ne sapevo, decisamente, qualcosa.
 
“Siete super-giovani tutti e due, ok?” cercai di placarli, nonostante mia madre continuasse a bisbigliare qualcosa come ‘io di più’, mentre la latina al mio fianco se la rideva di gusto.
“Manco io!” esclamò, poi, a un tratto mia sorella.
“Che intendi, peste?” le chiesi, confusa, mentre lei, ignorandomi, si rivolse a Santana.
“A me puoi chiamare anch-“
“Gollum. O peste. O flagello dell’umanità.” Continuai per lei verso una ispanica sempre più divertita.
“Credo che ti chiamerò MaryG, se a te va bene” fece l’ispanica, rivolta a mia sorella, offesa per i nomignoli che le avevo affibbiato.
“Va più che bene!” esclamò, contenta, rivolgendo a lei un sorriso e una linguaccia a me.
“Ne sei proprio sicura?” chiesi, poi, con finto tono apprensivo, a Santana “Io ci penserei su Gollum” conclusi, mentre la piccola peste mi guardava con uno sguardo per niente carino.
 

Stava decisamente meditando vendetta.
Ma quelli erano dettagli.

 
“Sicura!” ridacchiò, dandomi un colpetto sul braccio.
“Allora, Santana…” cominciò poi mia madre, facendomi prevedere il peggio “Dicci qualcosa di te.”
“Mamma, ti prego” la richiamai, lanciandole un’occhiata assassina.
“Che ho detto?” si difese, alzando le mani.
“Non credo sia il cas-“

 
Mi interruppi sentendo un contatto che decisamente non mi aspettavo.
Leggero. Caldo. Rincuorante.
Santana aveva appoggiato la mano destra sul mio polso, come a dirmi di star tranquilla.
Non ricordavo neppure di aver abbassato il braccio dalla tavola.
Sapevo solo che aveva completamente spazzato via ogni mia minima preoccupazione. Ogni lamentela. Ogni disappunto.
Rimaneva solo… calore. Di quelli che ti riscaldano dall’interno e ti fanno sentire a casa.
Non riuscì a trattenermi e intrecciai le mie dita alle sue, mentre si apprestava a rispondere, con un sorriso cordiale sulle labbra.
Anche se lo vedevo.
Era decisamente forzato.

 
“Cosa vorrebbe sapere?” chiese, allora, cordiale.
“Hai qualche hobby?” domandò, allegro, mio padre.
“Ehm.. faccio, diciamo, palestra. Mi aiuta a scaricare…” fece, muovendosi un po’ a disagio sulla sedia, cosa che solo io riuscì a notare appena.
“Oh! Anche io facevo molta palestra quando ero giovane, è vero, aiuta a scaricare.”
“Già…”
“E i tuoi cosa fanno?” chiese, poi, mia madre, con un sorriso dolce, che per la prima volta l’ispanica non ricambiò.

Si rabbuiò all’istante.
Ma non lo diede a vedere.
Notai distintamente il cambiamento nei suoi occhi e la cosa mi fece contorcere lo stomaco.

“Ahm…” iniziò, prendendo un piccolo respiro “Mia madre da che io ho memoria ha sempre fatto l’insegnante.”
“Ah! E tuo padre?”
“Non lo vedo da un anno.” Fece, sollevando le spalle e intensificando, in tutta probabilità inconsciamente, la stretta sulla mia mano. “Hanno divorziato” sintetizzò, poi, giochicchiando con il purè nel piatto.
“Oh, mi dispiace” si scusò, mortificata, mia madre mentre le rivolgevo un’occhiataccia.
“Si figuri, ormai è passato del tempo” la tranquillizzò l’ispanica, fingendo, ed io ne ero certa, tranquillità.
 
Ora iniziavo a capire il discorso che Santana e Quinn stavano avendo nel bagno.
Evidentemente l’abbandono del padre doveva aver causato non pochi problemi a lei e sua madre.
Soprattutto economici.
Ecco spiegato il bisogno di denaro…
Il punto ora era: che lavoro faceva?
E, soprattutto, perché Quinn era così contraria?

 
Mi risvegliò dai questi pensieri, improvvisamente, la risata di Santana.
Cosa mi ero persa?

“Oh, andiamo, MaryG, Brittany si indispettisce, lo sai!”
“Eh?” feci, confusa.
“Potevi dirmelo prima che andavi girando nuda, credendo di essere tarzan, a 5 anni” ridacchiò, l’ispanica, facendo ridere di gusto tutti, mentre il mio viso assumeva  velocemente il colore del pomodoro dell’insalata, che avevo nel piatto.
 
Ah, la mia adorabile sorella.
Da una parte, però, ero sollevata.
Ha sempre avuto una grande intelligenza e doveva aver ben interpretato lo sguardo cupo di Santana.
Aveva cercato di distrarla.
Certo, poteva evitare di rilasciare certe dichiarazioni top secret… ma mi sai vendicata più tardi.
 
“Ricordi quello che ti ho detto?” bisbigliai all’orecchio dell’ispanica.
“Oh, già, non devo credere a niente, giusto?” fece, sollevando divertita le sopracciglia.
“Esatt-“
“Vuoi vedere le foto??” chiese, allora, mia sorella,MaryG, cacciando il raccoglitore di foto di famiglia da sotto la sedia.
 
Aspetta.
Da sotto la sedia?!
 
“Avevi programmato il tutto, peste?!” le sbraitai contro, mentre mi regalava la sua migliore espressione da angioletto.
“Chi? Io?! E’ solo un caso che avessi il book a portata di mano…”
“Sotto la sedia…”
“Sarà caduto dalla libreria e scivolato fin qui, che posso dirti?” continuò, tranquilla, sfogliando il ‘libro della vergogna’.
Sì, l’avevo chiamato così.

 
C’era tutto lì dentro.
Ogni vicenda imbarazzante che mi aveva riguardato da quando ero nata era immortalata in quel raccoglitore.
Da quando mi credevo tarzan a quando avevo ballato in mutande nel parco.
Da quando, volendo mangiare un cubetto di ghiaccio, mi ci era rimasta attaccata la lingua a quando mi ero sfracellata a terra, appena un anno fa, mentre cercavo di fare una capriola sul letto, sbagliando le misure.
Da quando avevo buttato la testa nella vasca dove stava facendo il bagno MaryG, dopo aver cercato di cucinare dei dolci, dando fuoco ai miei stessi capelli a quando mi ero avvolta una sciarpa a mo’ di turbante e, usando un mestolo da cucina come finto flauto, facevo sollevare da terra mia sorella, che si fingeva un serpente addomesticato.
Insomma, ero fottuta.

 
“Oh, bene! Ci sono le prove allora” commentò, ridacchiando, Santana, dopo avermi lanciato un’occhiata divertita.
“Ti prego, sono photoshoppate! Non vorrai mica crederci?!” feci, ottenendo solo in risposta delle grosse, grasse risate, da tutti i commensali. “Faaantastico” borbottai, arrabbiata.
 
Rabbia che durò, però, appena pochi secondi.
Santana aveva, ora, preso a tracciare dei piccoli cerchi immaginari sul dorso della mano, che mi teneva stretta.
Il tutto, certo, mentre rideva, sfogliando l’album.
Ma mi tranquillizzò all’istante.
Diciamocelo, era la dolcezza fatta persona.
E più passava il tempo, più io mi rendevo conto di come quella che indossava da un anno circa ormai era solo una maschera.
Una dannata maschera, che sembrava nascondere il meglio di lei.
 
“Oh, e vorrei solo aggiungere che Britt parla anche nel sonno” commentò, malefica, mia sorella “Peccato che non abbia un archivio con delle registrazioni, sarebbe stato divertente!”
“Ma che vai dicendo?! Io non parlo nel sonno!” mi difesi, subito, più che convinta che almeno questa fosse una bufala, bella e buona.
“Scricciolo, lascia stare…” fece mia madre “Non scavarti la fossa da sola…” continuò, poi, rassegnata.
“Che intendi, scusa?!” feci, indignata.
“Quello che tua madre sta cercando di dirti è che…” iniziò, ora, mio padre “che… ecco, la notte sembra di assistere, quando si è nei tuoi paraggi, ad un dibattito per le elezioni presidenziali.” Concluse, lasciandomi allibita, mentre, ancora una volta, Santana scoppiava a ridere.
“Diciamo che… spesso facevamo prima a sentirti parlare nel sonno piuttosto che chiederti ‘come è andata la giornata’” lo appoggiò, ora, mia madre.
“Diciamo pure che con il materiale reperito durante la notte, quando passo davanti camera tua, potrei ricattarti a vita” concluse, poi, mia sorella, facendomi bloccare di colpo.
“DAVVERO?!?” chiesi, impanicata.
“Oh, sì, ad esempio la scorsa notte non hai fatto altro che ripetere il nome di Sant- AHI!” si interruppe MaryG, massaggiandosi la gamba, che, inavvertitamente – oh, così tanto inavvertitamente – avevo calciato con tutta la forza che avevo.
Il tutto, chiaramente, mentre l’ispanica al mio fianco ormai faticava a reprimere le risate.




 
 
“Allora, a mia difesa, vorrei solo dirti che credo di essere adottata” feci, una volta entrata in camera con Santana, che scoppiò, subito, a ridere.
“Dovresti stare tranquilla, mi sta molto simpatica la tua famiglia. E’ forte” commentò, sorridendomi.
“Davvero?”
“Ebbene sì, non mi divertivo così da un bel po’” fece, poi, sovrappensiero “Anche se, devo ammettere che mi sono divertita parecchio anche nei giorni passati a metterti in imbarazzo”
“AHA’! Lo facevi di proposito allora!” esclamai, puntandole un dito contro, fintamente indignata.
“Oh, sì, decisamente. Mi piace da morire vedere come inizi a balbettare, tutta impanicata” continuò, mentre le mie guance si tingevano di rosso, per l’ennesima volta quella giornata.
“N-non so di cosa t-tu stia p-parlando” feci, cercando, invano, di acquistare un po’ di contegno.
“Ah no?” domandò retorica, avvicinandosi sempre di più “Sicura?”
“D-decisamente”
“Quindi non stai balbettando nemmeno ora…” fece, divertita, ormai ad un soffio dalle mie labbra.
“Infatti…”
“Sei bellissima” mi disse, poi, dal nulla, destabilizzandomi completamente.
“G-gr-grazie” provai, mentre mi regalava uno dei suoi sorrisi. Quelli veri.

Il tutto prima di azzerare completamente le distanze fra le nostre labbra.
Non ci volle molto a che il bacio, partito come dolce ed innocente, si facesse via via più passionale, tanto da ritrovarmi, nemmeno sapevo come, stesa sul letto, sovrastata da Santana.

Sapevo che non saremmo andate oltre, non con la mia famiglia al piano di sotto sveglia.
Non quel giorno.
Ma questo non le impedì di lasciare una scia di baci che andavano dalla mia mandibola fino al collo. Ben presto tempestato di baci e morsi.
Finchè non mi ci lasciò, invece, una pernacchia, facendo ridere di gusto sia me sia lei stessa.
 
“Sei proprio una pernacchia” commentò, divertita, parlandomi vicino all’orecchio.
“Mai quanto te, allora” ribattei, subito, mentre lei alzò il viso, guardandomi indignata.
“Io?!”
“Oh decisament-“ fui interrotta dall’ormai fin troppo noto suono del suo cellulare.

 
Come ogni volta, lo prese e lesse il messaggio, ma questa volta fu diverso dal solito.
Sospirò rassegnata, per poi lasciarsi cadere nuovamente su di me, mettendo in diretto contatto anche le nostre guance.
“Devo andare” mi bisbigliò all’orecchio, lasciandomi subito dopo un leggero bacio proprio sotto il lobo.
“Lo sospettavo…” commentai, triste “Devi proprio?”
“Sì.” Rispose, alzandosi in piedi, mentre mi porgeva le mani, per aiutarmi a fare lo stesso.
“Ok.”

Mi osservò per qualche secondo, passandomi leggermente la mano sulla guancia.
“Ci vediamo domani?” chiesi, allora, speranzosa, mentre compariva sul suo viso un sorriso bellissimo.
“Certo. Ti chiamo domattina, ok? Mi passi il tuo numero?”
“Oh, giusto, certo! Aspetta ti faccio uno squillo” feci, prendendo il cellulare, cercando il suo numero sulla rubrica, mentre lei mi guardava vagamente confusa.
Solo dopo aver premuto il tasto verde, però, mi resi conto della sua espressione.
“Che c’è?” feci, mentre la suoneria del suo cellulare risuonava nella stanza.
“Non dirmi che il numero che stavi fissando fuori casa oggi era proprio il mio!” esclamò, ridacchiando “Anche perché credo proprio che me lo sarei ricordato se te l’avessi dato”
 
Oh, merda.
Certo che ero proprio un genio del male.
 
“B-bhe… Q-q-quinn me l’ha dato e-e…” fui interrotta da un bacio che mi lasciò sulle labbra, impedendomi di continuare quella triste arrampicata sugli specchi che stavo iniziando.
“Va bene” ridacchiò, tranquilla “L’importante è che ora abbiamo i rispettivi numeri” continuò, mentre apriva la porta della camera. “Mi accompagni alla porta, Miss balbettamento di professione?” chiese, infine, guadagnandosi uno schiaffetto e un ultimo bacio prima di lasciarla andare via.
Nemmeno sapevo dove.






Tetraedro dell'Autrice

Alè! Eccomi qui, con un giorno di ritardo... ma, dai, son dettagli! un po' come il quantitativo industriale di ore di sonno arretrate che ho! heheh

Aaad ogni modo, non ho granchè da dire questa volta se non che credo che il giorno di aggiornamento di 'Scommettiamo?' sarà, credo, la domenica, ma forse questa settimana slitta a lunedì, visto che non intendo passare nemmeno 5 secondi in casa questo fine settimana muhaha

Come sempre ringranzio tutti... oh, e soprattutto ringraNzio eh! (Non fateci caso, è l'orario!)
Seriamente, grazie, grazie, grazie!

oh e se vedere errori è perchè non mi andava di ricontrollare, visto che sto morendo di sonno! xD 

A presto, bella gente!! :DD

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Capitolo 9
*** Questione di tempo ***


“Posso sapere perché sei così esagitata questa mattina, Britt?” mi chiese Rachel, avvicinandomisi nel corridoio della scuola.
“Non sono esagitata!” ribattei subito, mentre la mia amica assumeva l’espressione tipica di chi la sapeva lunga. “Oh, e va bene, sono solo un po’…” iniziai cercando le parole.
“Esagitata.” Provò, per me, lei.
“No…”
“Impanicata”
“No…”
“Ansiogenata”
“No…”
“Devo cercare un vocabolario, Britt?” fece, allora, spazientita, mentre io la trascinavo nel bagno più vicino. “Ma che stai…”
“Sto dando di matto.” Dissi, non appena ebbi controllato che fossimo sole.
“Eh sì, me ne ero accorta” concordò, con un’espressione rassegnata “Qual è il problema?”
“Ahm… oggi i miei e MaryG vanno da mia nonna…” iniziai, torturandomi le mani.
“Oh, teneri! E’ il suo compleanno?” chiese, entusiasta, mentre mi passavo stancamente una mano sul volto.
“Non è questo il punto Rach!”
“Ok, ok, tranquilla…” fece, subito, alzando le mani “Quale sarebbe il punto allora?”
“Restano anche per la notte…” dissi, sollevando allusivamente le sopracciglia.
“Interessante.” Commentò, passandosi le dita sul mento, pensierosa “Quindi mi stai dicendo che…”
“Esatto, Rach…” feci, credendo avesse afferrato.
“Va bene, va bene, tanto l’hai messo in soffitta Rupert, no? Basta che lo vai a riprendere” concluse, con una sollevata di spalle. “Di certo non ti rinfaccerà di averlo momentaneamente abbandonato, in fondo è un peluche di orsacchiotto inanimato.”
 
Se l’omicidio non fosse stato un reato punibile con la galera, l’avrei decisamente uccisa.

“Rachel.”
“Brittany?”
“Perché… dico io, perché hai le capacità intuitive di una moscerino della frutta?!” feci, spazientita “Ma che diavolo hai capito!?” sbottai, mentre la vidi, irritata, aprire la bocca come a dire qualcosa “Ho chiesto a Santana di farmi compagnia!” conclusi, mentre lei spalancava gli occhi come piatti, realizzando la cosa.
“Ooh, ora è più chiaro!” fece, con un sorrisetto divertito.
“Sì, beh…”
“Che ti ha risposto?”
“Stamattina mi ha detto che andava bene.”
“Stamattina?” fece, confusa.
“Sì, all’inizio non era sicura di poter venire.” Precisai, continuando a torturarmi le mani.
“Ok…” iniziò, prendendo un respiro “Britt qual è il problema?”
“E se non fosse stata un’idea brillante? S-se… insomma noi…” provai, allusivamente “e poi… insomma poi-“
“Britt, mi stai confondendo.” Mi bloccò, con le sopracciglia aggrottate.
“Potrei perdere le mutandine questa notte.” Conclusi, sintetica, mentre Rachel scoppiava a ridere, tenendosi la pancia.

 
Ma tu guarda che razza di amica.
Non solo non capisce una cippa quando cerco di spiegarle qualcosa.
Ma quando ci riesco?
Ecco cosa ottengo.
Avrei dovuto snobbarla quella mattina delle scuole medie, in cui mi si avvicinò per chiedere l’assegno.
‘Posso essere tua amica?’
‘MA ANCHE NO!’ avrei dovuto risponderle, altro che ‘certamente’!

 
“Grazie, Rach, fammi sapere quando sarai nuovamente disponibile per dialogare.” Feci, scocciata, osservandola pulirsi le lacrime dagli occhi.
“S-sono, so-sono s-seria” provò, stringendo le labbra e prendendo, poi, un profondo respiro. “Sono disponibile al dialogo” concluse, coprendosi la bocca con una mano.
“Sì… farò finta di crederti…” commentai, sbuffando e spostando lo sguardo sulle mie scarpe.
“Britt?” mi richiamò, dopo qualche secondo di silenzio la mia amica “Qual è il vero problema?” mi chiese, ora seria.
“I-io… non lo so” allargai le braccia, sconfortata.
“Ok, ma, scusa, pensi sia troppo presto? Da quanto vi frequentate ormai?”
“Un mese abbondante direi… ma non è questo il punto… cioè, anche, ma non in quel sens-“
“Britt!” mi richiamò, ancora, spazientita “Qual è il problema?!”
“Io…”
“Credi che, una volta che l’avrete fatto, lei si stancherà di te?” chiese, afferrando subito il concetto.

 
Eh, già.
Mi conosceva come le sue tasche.
Era sempre stato così.
Spesso arrivava a capire cose di me, a cui io ancora dovevo arrivare.

 
Mi limitai ad annuire, mentre la sua espressione si addolciva gradualmente.
“Britt io credo che se avesse voluto solo quello, di certo non avrebbe perso tutto questo tempo con te.”
“Dici?” feci, rianimandomi leggermente.
“Dico, sì! E’ Santana Lopez. Può avere chiunque, uomo o donna che sia, in meno di mezz’ora se volesse. Eppure… mi risulta che vi siate viste ogni pomeriggio da settimane a questa parte.”
“Sì, è vero…”
“Oh, e cosa fondamentale, ha conosciuto anche la tua famiglia! Insomma… non si sarebbe di certo scomodata così tanto, se non le importasse.”
“Effettivamente…” feci pensierosa.

 
Da quella famosa cena-disastro le cose si erano sviluppate niente male.
Ci vedevamo ogni pomeriggio.
Passeggiate al parco. Cinema. Giri in macchina.
O semplicemente passare il pomeriggio in camera mia, chiacchierando e scambiandoci baci.

E, ogni volta, apprendevo qualcosa di nuovo su di lei.
Era un’amante degli animali.
Amava vedere film. Di qualsiasi genere. Di qualunque anno.
Si acquietava immediatamente, per quanto potesse essere arrabbiata, se le accarezzavo i capelli.
Adorava tenermi per mano, anche se, sì, dissimulava piuttosto bene, facendo finta che non le importasse.
Eppure non esitava un secondo ad afferrarmela, quando passeggiavamo per il parco.
Odiava parlare della sua famiglia. Soprattutto del padre.
Ma in genere, odiava parlare di sé.

Era un’ottima ascoltatrice, ma quando si trattava di lei, si chiudeva a riccio.
Questo, almeno, soprattutto inizialmente.
Gradualmente aveva iniziato ad aprirsi, sempre di più, permettendomi di vedere la persona che si nascondeva sotto quelle felpe slargate.
Ed era davvero una bella persona.
 
Ma non mi permetteva mai di andare in profondità.
C’erano momenti in cui la vedevo combattuta.
Come indecisa se dirmi qualcosa o tacere.
Purtroppo nella maggior parte dei casi, anzi, diciamo pure sempre, sceglieva la seconda opzione.
Questo mi distruggeva, ma non volevo forzarla.
 
Niente su cosa facesse la sera.
Niente sui famosi messaggi che riceveva.
Niente sulla sua famiglia.
Niente su quei guanti.

Era cristallina su tutto il resto, ma non su quello.

 
“Ma?” mi risvegliò dai miei pensieri Rachel, che mi guardava incuriosita.
“Ma, cosa?”
“Cos’altro ti preoccupa?” chiese, allora.
“Vorrei sapere di più su di lei. Vorrei che me lo permettesse” dissi, scuotendo il capo, rassegnata.
“Dalle tempo, Britt” mi rincuorò, con una leggera pacca sulla spalla. “Ora andiamo a pranzo, dai, che si sta facendo tardi.” Propose, avvicinandosi alla porta.
“Giusto” feci seguendola, mentre ci incamminavamo nei corridoi. “Con Quinn, a proposito?” chiesi, poi, facendole spuntare un sorriso luminoso.
“Credo che, al momento, non potrebbe andare meglio” commentò, contenta. “E se quelle due si somigliano caratterialmente almeno la metà di quanto si somigliano dal punto di vista del vestiario, dopo stasera, il vostro rapporto non potrà che migliorare.”
“Già, inf- aspetta, COSA!?” sgranai gli occhi, metabolizzando quanto mi stava dicendo. “Mi stai dicendo che tu e lei avete fatto ses-“
“SSSHHH, ma sei fuori testa ad urlare nei corridoi?!” mi tappò, all’istante la bocca, sbloccandosi nel bel mezzo del corridoio mentre qualche ragazzo si girava incuriosito. “Che dici?” mi chiese, poi, vedendomi borbottare da sotto la mano, che violentemente le allontanai dalla mia bocca.
“Che sei un’idiota! Perché non mi dici le cose, eh?!” feci, indispettita.
“Britt, è successo venerdì e diciamo che il fine settimana… beh, l’ho passato con Quinn a-“
“Niente dettagli, grazie!” sorrisi, mentre lei roteava gli occhi, divertita. “Scherzo, dai, raccontami” feci, continuando a camminare verso la mensa, seguita da lei.
“E’ stato…” iniziò, cercando le parole “intenso, direi. Non… cioè, lei-“
“A parole tue, Rach” la canzonai, giocosa.
“Lei era perfetta. Tutto era perfetto.” Sorrise, sincera “E anche io avevo la tua stessa paura, ma… non era così, riesco a vedere che ci tiene davvero…”
“Sono davvero felice per te, Rach”
“Beh, insomma chi vivrà vedrà, ma per il moment- oh, maledizione!” si bloccò, vedendo un omaccione della squadra di football avvicinarsi pericolosamente a noi con una granita in mano.

Quante volte le avevo detto di lasciare il Glee club?
Quante?!

“Oh Dio.” Commentai, mentre, ormai, ad un soffio da noi, il tipo lanciava in contenuto del bicchiere completamente addosso a Rachel, che si limitò a sospirare affranta, levandosi un po’ di quella sostanza appiccicaticcia dagli occhi.
“Mi dispiace, Rachel.” Bisbigliò un Kurt Hummel visibilmente di corsa, mentre si allontanava altrettanto velocemente da noi.
“Tranquillo Kurt!” le urlò dietro la mia amica.
“Lo sai che non mi stai simpatico vero?!” sbottai, invece, io sperando che quel piccolo elfo mi avesse sentito.
Facevano prima ad andare in giro con l’impermeabile a questo punto.


“Au revoir, Berry” fece il tipo, che si era goduto per bene la scena, prima di allontanarsi.

Certo. Questo prima che un ‘hey’ arrabbiato alle nostre spalle lo facesse bloccare momentaneamente sul posto.

Ci voltammo subito, trovandoci di fronte una Quinn Fabray che guardava il grassone con uno sguardo a dir poco furioso.
Più indietro San osservava la scena, con le sopracciglia aggrottate, appoggiata, con le mani nelle tasche, agli armadietti.
 
“Fabray.” La salutò noncurante quello, provando ad allontanarsi.
 
Lo vedevo un po’… agitato, direi.
Oh, già.
Probabilmente era per tutte le voci che circolavano su Quinn e Santana.
Hà, se tutta questa gente sapesse come sono tranquille in realtà.
Altro che droghe e omicidi.
 
“Ascoltami bene, palla di lardo” iniziò, arrabbiata “che questa sia l’ultima volta, mi hai capito?” chiese, avvicinandosi pericolosamente al suo volto.
“Non so di cosa tu stia parlando.” Provò quello, scostandosi.
“Sai benissimo a cosa mi riferisco, invece.” Fece, ora, più calma “Se un’altra granitata dovesse mai colpire Rachel Berry, sappi che ti riterrò l’unico responsabile della cosa. Quindi, faresti bene a mettere in riga anche i tuoi compagni se non vuoi ritrovarti, per qualche sfortunato caso…” iniziò facendo il segno delle virgolette “privo dei tuoi gioielli di famiglia.” Concluse, guardandolo fisso negli occhi.
 
Certo che era proprio brava ad incutere timore.
Sembrava una vera serial killer.
Oh e, inutile dire che, in tutto ciò, Rachel la osservava con uno sguardo di pura devozione, unito certo anche ad una buona dose di sgomento, che interessava soprattutto la mia di espressione.
 
“Tu sei solo una pazza.” Commentò lui, indispettito.

A quelle parole, Santana scattò dritta sull’attenti, avvicinandosi minacciosa.
Questo bastò a terrorizzare il grassone. Credo per tutta la vita.
Se c’erano, facciamo, un centinaio di storie su Quinn, quelle su San erano come minimo il triplo.

“Ok, ok. Ho capito” fece, allarmato, sollevando le mani “Niente più granitate” concluse, mentre la Fabray gli permetteva la fuga, lasciandolo passare.

“Incuti più timore di me, Lopez” commentò, divertita, Quinn, mentre si avvicinavano a noi.
“Che posso dire, sono brava in quello che faccio” fece, sogghignando. “Come stai, sgorbiettino?” chiese, poi, a Rachel, una volta al mio fianco.
“SAN!” la richiamammo, all’unisono, io e la Fabray.
“Eddai, su, scherzavo!” ridacchiò, dando una pacca sulla spalla alla mia amica “Tanto lo sai che scherzo” concluse, sorridendole.
“Bene…e grazie, comunque” fece Rachel, grattandosi la nuca “Ora devo proprio andarmi a ripulire, però” ci informò, osservandosi i vestiti, disgustata.
“Ti accompagno io” si propose, subito, Quinn, facendo sogghignare la latina al mio fianco.
“Che gusto è Berry?” chiese, quindi, allegra.
“Ahm… fragola se non erro” rispose, confusa, Rachel, leccandosi le labbra. “Perché?”
“Oh, perfetto allora! E’ il gusto preferito di Quinnie. Sarà più che contenta di aiutarti a ripulirt-“
“SAN!” la richiamammo ancora una volta, mentre la Fabray alle parole aggiungeva un sonoro scappellotto alla nuca.




 
“La solita violenta” commentò massaggiandosi la nuca, mentre le altre due si allontanavano verso il bagno.
“Te lo sei meritato!” feci, ridacchiando.
“Non è assolutamente vero” ribattè, indignata.
“Invece sì. Ma è stato bello che tu abbia aiutato Quinn a difendere Rachel”
“Naah” fece con un’alzata di spalle “Ce l’avrebbe benissimo fatta da sola a difendere l’onore della Berry, per cui ormai stravede, ma odio quando per tutte le voci che circolano le danno della pazza o della poco di buono o peggio. Non lo sopporto” commentò, serrando la mascella.
“Ho notato che sei scattata come una molla.” feci, con un piccolo sorriso che si apprestò a ricambiare.
 
Ed era assolutamente vero.
Stava partendo in quarta verso il grassone.
E ormai sapevo bene come avrebbe potuto mettere al tappeto due omaccioni, il triplo di lei.
Figurarsi lui.

“Tutto ok?” mi chiese, poi, tranquilla.
“Oh, sì, non sono io quella che si è beccata una granitata in faccia”
“Sì, beh-“ si interruppe sentendo un rumore poco molesto provenire dal mio stomaco.
“Direi proprio che hai fame” ridacchiò, dandomi un buffetto.
“Vorrei trovare una scusa verosimile al brontolio spaventoso che hai sentito, ma… la verità è che sto morendo di fame. Mi mangerei un maiale in padella, con contorno di tacchino, in questo momento” dissi, con un’espressione rassegnata, che la fece ridere di gusto.
“Andiamo a mensa, va’” mi propose, lasciandomi una breve carezza sulla guancia.





 
“Quindi, ricapitolando, Britt, se succede qualc-“
“Oh, ti prego, mamma, non ho due anni!” esclamai, scocciata, mentre il resto della mia famiglia si apprestava ormai a partire.
“Non ho mica detto questo!” si difese, sollevando le mani “Ma, giusto perché tu lo sappia, non accettare caramelle dagli sconosciuti” aggiunse, facendo ridere di gusto mia sorella.
“E non aprire agli sconosciuti!” si accodò mio padre.
“E non giocare con i fiammiferi o darai fuoco la casa” fece, ora, anche mia sorella.
“Ma la volete finire?!” sbottai, roteando gli occhi “Ci mancava solo che mi scriveste i numeri dei pompieri, della polizia e dell’ospedale su un foglio appeso al frigo!”
“C’è infatti.” Fece seria mia madre, lasciandomi allibita.
“Io ho aggiunto anche quello della guardia forestale, nel caso in cui decidessi di costituirti come specie rara di animale africano” ridacchiò MaryG, malefica.
“Dio, quanto mi mancherete!” esclamai teatralmente, abbracciandoli uno ad uno, velocemente “E ora smammate!”
“Ok, ok, andiamo” fece mio padre, avviandosi alla macchina.
“Oh, e, Britt, nel frigo c’è del tacchino che-“
“Lo so, ma’! Stai tranquilla, di sicuro non muoio di fame!”
“E nel forno c’è-“
“Un orso polare, sì, lo so” la precedetti, ironica.
“Non dire sciocchezze, Britt. E’ un orso delle foreste, sono introvabili quelli polari” ridacchiò, dandomi una pacca sulla spalla “Vabbè, dai, noi andiamo allora” concluse, lasciandomi un ultimo bacio.
“Ciao a tutti!” esclamai, prima di chiudere la porta.
“Ehi, Britt!” mi richiamò, all’ultimo momento mia sorella.
“Dimmi, MaryG”
“Che ne dici di ‘schifus totalus’ come nome della tua spec-“
“Ciao MaryG” conclusi, chiudendo definitivamente la porta di casa.

 
Maledizione, erano le 5 meno un quarto.
A momenti sarebbe arrivata Santana.
Diciamocelo, sarebbe stato un po’ complicato spiegare ai miei che sarebbe rimasta a dormire.
O meglio, non complicato, ma imbarazzante.

 
*DingDlog*
Mi avvicinai alla porta, prevedendo ancora una volta i miei.
Dio, ci voleva l’arte per convincerli ad andarsene ogni volta.

“Mamma, volete decidervi a part-“ mi bloccai, trovandomi davanti Santana, in tutta la sua bellezza. Con un piccolo sorriso a solcare le labbra perfette.
“Direi proprio che non sono tua madre” commentò, divertita.
“Proprio no” ridacchiai in risposta.

Questo prima di sbiancare.
Oddio, l’avevano vista?!

“Ti prego dimmi che non hai incrociato i miei!” esclamai, con l’ansia a mille.
“Ahm, no.” Fece, confusa “Li ho visti di sfuggita mentre si allontanavano con la macchina, ma non mi hanno vista”
“Oh, grazie al cielo” lasciai andare un sospiro liberatorio, portandomi una mano al cuore “Ho rischiato l’infarto.”
“Ehm, Britt?” mi richiamò, poi, lei.
“Sì, San?”
“Che ne dici di farmi entrare?” chiese, poi, ridendo, mentre io solo ora mi rendevo conto di averla lasciata sulla soglia di casa.
“Ma prego!” esclamai, facendomi da parte, prendendola, però, subito dopo per il colletto della felpa e avvicinandola a me, per lasciarle un bacio sulle labbra, che lei non tardò ad approfondire.







Angolo dell'Autrice

Ebbene sì, era un capitolo di transizione!
(e tra l'altro nemmeno un granchè, lo so, ne sono tristemente consapevole!)

diciamo che i prossimi, mmmh, 3 (?) sono quelli più intensi, cioè vabbè insomma, diciamocelo, dobbiamo arrivare a che Brittany sappia di San, no??
eee quindi diciamo che, sì, siamo ormai più che vicini alla cosa! il problema ora è... come lo scoprirà? Lo dirà San? non lo dirà? zanzanzan!

come sempre ringrazio tuttissimi! tanto ammmore per voi!

A presto, bella gente!! :DD



 

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Capitolo 10
*** Battito accelerato ***


“Vorresti cucinare.” Fece confusa, credendo, chiaramente, di aver capito male.
“Sì!” esclamai, entusiasta, mentre armeggiavo con le pentole in cucina.
“Vorresti cucinare… utilizzando i fornelli.” Precisò, con un tono di voce piuttosto eloquente.
“Ahà…”
“Con il fuoco.” Provò, ancora.
“Ehm, direi di sì, no?” feci, non capendo dove volesse arrivare.
“E con i fornelli da cucina.” Ribadì, ancora.
 
Ok. C’era un problema.
 
Mi girai di scatto, facendola quasi sobbalzare.
La guardai sospettosa.

“Cos’è che sai tu?” chiesi, allora, credendo di aver capito.
“Ehm, che il cielo è blu e le viole sono fiori?” provò con un sorriso furbo.
“Sputa il rospo, San!” la minacciai, puntandole contro un mestolo da cucina.
“Who, who!” alzò le mani in segno di resa “Hai il porto d’armi per quella?” chiese, con un sorrisetto divertito.
“Oh, certo, sotto il fucile a canne mozze che ho in camera.” Feci ironica, facendola ridere “Andiamo, San, chi ti ha detto cosa?”
“Mmh… beh” iniziò grattandosi la nuca “Qualcuno potrebbe avermi accennato di un piccolo incidente in cucina… che avrebbe portato alla scomparsa prematura delle tende della cucina…” raccontò, osservando la mia reazione.
 
Mia madre.
No, mia sorella.
Sì! Maledetta! Sarà stata lei per forza.
Oooh, ma l’avrebbe pagata cara.
Molto cara.
 
“Io non c’entro.” Dissi, sicura, facendola scoppiare ancora una volta a ridere.
“Sai qual è la cosa divertente della tua famiglia?” mi chiese, poi, dal nulla.
“Non è che intendevi deprimente e non divertente?” feci, facendole scuotere negativamente la testa divertita “Ok, cosa?”
“Che ci sono sempre le prove” concluse, con un sorriso luminoso.
“Prove?”
“Ahà.”
“Tipo… dichiarazioni di colpevolezza?”
“Tipo video” precisò, trattenendo a stento le risate “Ahm… tipo una biondina a caso che dopo aver dato fuoco alla base delle tende ci butta sopra del rum, credendo di spegnere le fiamme, ma ottenendo, invece, l’effetto opposto…”

Merda.

“Oh… quel tipo di prove!” esclamai, dissimulando alla grande. “Certo, MaryG fa di questi casini” aggiunsi, ricordandomi perfettamente che nel video ero inquadrata solo di spalle.
“Sì… MaryG che alla fine del video gira la videocamera, che aveva tenuto in mano per tutto il tempo, per inquadrarsi, a scanso di equivoci…” precisò, dandomi una pacca sulla spalla. “E’ davvero geniale tua sorella”
“E’ davvero in punto di morte, semmai” la corressi, con uno sguardo torvo.
“Oooh, andiamo, era un video divertente, ma sono sicura che sia stato un incidente” mi sorrise, tranquilla.
 
Sì, incidente, sbadataggine, siamo lì, insomma, no?
Come diavolo potevo prevedere che lo strofinaccio vicino i fornelli prendesse fuoco?
E che avessi avuto la brillante idea di lanciarlo dalla finestra, che credevo aperta.
E che da lì le tende abbiano fatto una fine infausta.
Uno sfortunato.
Triste.
Casualissimo.
Incidente voluto dal fato.
 
“Assolutamente sì!”
“Che ne dici di fare le crepes?” chiese, poi, dal nulla.
“Per cena?!” feci, stralunata.
“Sì!” confermò, entusiasta “Mi hai sempre detto che le cucini ogni volta che hai fame e… a me piacciono, a te piacciono, quindi facciamo quelle!” propose “Tra l’altro non ne mangio da millenni credo…” fece, infine, pensierosa.
“Non è che lo fai perché hai la certezza che con quelle non possa dare fuoco a niente?” le chiesi, socchiudendo gli occhi.
“Naaah… e poi sono sicura che potresti dar fuoco a tutto comunque, quindi…” aggiunse, con noncuranza.
“Ehi!” la richiamai con un’espressione indignata “Guarda che i-“
 
Sì.
Era proprio brava a stopparmi, facendomi completamente dimenticare persino il perché stessi parlando.
Era come se nel momento, in cui le nostre labbra entravano in contatto, il mio cervello si resettasse.
‘Ciao sono il tuo cervello e al momento sono chiuso per ferie’
Quando, poi, anche le nostre lingue si incontravano… beh.
Ce l’avevo più un cervello?
 
“Ok… faccio le crepes” accordai, a un centimetro dalle sue labbra, appena ci fummo staccate, facendola ridere.
“Oh, ma allora sono proprio brava a convincerti” ridacchiò, lasciandomi un ultimo veloce bacio sulle labbra.
“Fin troppo” precisai, con un sorrisetto “Dai, prendi il latte dal frigo, che io prendo la ciotola”
“Sì, capo!” fece, allontanandosi, mentre io mi aprivo il cassetto della cucina.

“Ahm.. Britt?”
“Sì, San?”
“Ma che ci fa il numero della guardia forestale sul frigo?”




 
“Schifus totalus, eh?” mi chiese, ancora una volta, avvicinandosi al letto, dove stavo sdraiata.
 
Dio.
La cena migliore della mia vita.
E, sì, le crepes non erano niente male come idea per un pasto.
Questo dovevo proprio ammetterlo.
Santana Lopez e le sue idee brillanti.
Ma, diciamocelo.
Era stata la cena migliore di sempre grazie a lei.
E’ un po’ come alla prima gita delle medie di più giorni.
Magari il posto fa schifo. Magari le cene sono pessime. Magari il viaggio dura giornate intere di pullman.
Ma sei con le persone con cui vorresti essere.
E tutto il resto… semplicemente passa in secondo piano.
 
Probabilmente anche nel bel mezzo di una foresta, con un misero pezzo di pseudocarne come cibo, sarebbe rimasta la miglior cena di sempre.
Solo con lei.
Solo grazie a lei.
E, oramai, ne ero completamente dipendente.
 
“Già… non sono uno schifus totalus” borbottai, contrariata, mentre la vidi togliersi le scarpe.
“No, decisamente no” concordò, salendo sul letto.
“Aspetta che prendo una copert-“

Non feci in tempo a parlare che me la ritrovai spiattellata addosso, a coprire con il suo stesso corpo il mio.

“Che fai?” ridacchiai, circondandole la vita con le braccia.
“Non si capisce?” chiese, contrariata “La coperta, ovvio.” Chiarì, lasciandomi un bacio sulla guancia.
“La miglior coperta di sempre” commentai, arrossendo leggermente, facendola ridacchiare.
“Lo so, lo so, sono piuttosto brava” gongolò, contenta, giochicchiando con le dita della mia mano.
“Anche piuttosto pesante, aggiungerei” la presi in giro.
“Io, pesante?!” fece, indignata, alzando leggermente la testa per guardarmi negli occhi “Bene, allora non mi smuoverò da qui finché non- anzi…” si interruppe spostandosi leggermente per riuscire ad arrivare alla sua tasca del jeans “aspetta che mi levo il cellulare dalla tasca che-“

Prese il cellulare.
Ma nel tentativo di buttarlo su comodino, sfiorò accidentalmente la curva del mio seno, facendoci bloccare entrambe.
Avrei potuto anche giurare di averla vista tremare al tocco.
Così come me, d’altronde.

Rimanemmo per qualche istante a fissarci negli occhi, alternando lo sguardo sulle rispettive labbra.
Finché… beh.
Il cellulare volò non so nemmeno come sul comodino.
E le sue labbra furono immediatamente sulle mie.
Una sua mano corse fra i miei capelli.
L’altra prese ad accarezzare la mia pelle, partendo dal collo.
Posizionò, subito dopo, il proprio ginocchio fra le mie gambe, facendomi scappare un gemito, che le permise di intrufolare la lingua nella mia bocca.
In quel momento persi momentaneamente di lucidità.
 
So solo che non ci volle molto a che i vestiti fossero ormai considerati di troppo.
Mi spogliò lentamente di ogni indumento, mentre sentivo il suo sguardo bruciare su ogni lembo di pelle che man mano rimaneva scoperto, dove puntualmente lasciava carezze e baci.
Rimasi, ben presto, solo in intimo, decidendo, subito, di ribaltare le posizioni - in effetti, lei era ancora del tutto vestita e questo non andava bene.
Mi affrettai a levarle i pantaloni e la felpa.
Ma quando provai a sfilarle la canottiera nera, la sua mano corse alla mia per fermarne il movimento.
 
“Questa voglio tenerla” disse, con un tono di voce basso e pesante.
La guardai vagamente confusa, cercando di capire il motivo della cosa.
Ma ogni mio proposito di comprendere certi suoi atteggiamenti sfumò immediatamente, quando mi attirò nuovamente a sé per la nuca, facendo scontrare ancora una volta le nostre labbra.
 
Non ci volle molto a che la camera risuonasse dei nostri gemiti e ansiti.
Mai mi ero sentita così.
Mai avevo desiderato qualcuno quanto desideravo lei.
E mai ne ero stata così terrorizzata, in un certo senso.
Ogni suo tocco. Ogni suo bacio mi provocavano scariche di brividi, mai provate prima. Non con questa intensità.
Forse era lei che era brava.
O forse era lei e basta.




 
Quando entrò in me provai un senso di completezza che mi pervase all’istante.
Intrufolai la mano fra i nostri corpi, raggiungendo, ben presto, la sua intimità, facendola gemere, sorpresa.
E iniziammo, così, una danza, l’una dentro l’altra.
I nostri sguardi si incontrarono all’istante.

Fu proprio allora che il cuore sembrò quasi schizzarmi fuori dal petto.
E ne ebbi la certezza.
Mai, nemmeno con Jennifer riuscii a provare qualcosa che anche lontanamente si potesse avvicinare a tutto quello.
Era una cosa elettrizzante, certo. Ma, allo stesso tempo, mi spaventava a morte.
 
Arrivammo all’apice quasi contemporaneamente, scambiandoci baci fra gli ansiti.
Una volta scese dal picco, Santana si lasciò cadere, stanca, sul letto, al mio fianco.
E io coprì, con un po’ di lentezza data la ormai chiara difficoltà dei miei neuroni a voler collaborare dopo un evento del genere, i nostri corpi con la coperta, abbandonata ai piedi del letto.
 
Non dicemmo niente.
Non ce n’era bisogno.
Lei si limitò, semplicemente, a stringermi, facendo passare il braccio attorno alla mia vita, attirandomi a sé, lasciandomi qualche bacio sulla spalla.
E io chiusi gli occhi, beandomi della sua vicinanza e del suo calore.
Era di momenti come questo che sarei potuta divenire tremendamente dipendente.
Lei che mi stringeva.
Lei che si lasciava andare ad una dolcezza disarmante.
Lei che mi permetteva di vedere il suo vero essere.

Ma non volevo illudermi.
Un mese non basta a conoscere profondamente una persona.
E non era certo bastato a far sì che lei si fidasse davvero di me.
Non a caso non sapevo nulla di quello che faceva la sera.





Quando si allontanò leggermente per carezzarmi la guancia, fu allora che lo notai.
Aveva rimesso i guanti.
Ero certa, al 100%, che se li fosse tolti, abbandonandoli al lato del letto.
Quando diavolo li aveva rindossati?!
Era meglio di speedy gonzales questa ragazza.
 
“Che c’è?” mi chiese, evidentemente intuendo i miei pensieri turbati.
“Ehm… hai rimesso i guanti” commentai.

Si limitò a guardarmi negli occhi.
Con quello sguardo, che, ne sono sicura, prima o poi mi avrebbe ucciso per la sua intensità.
Si lasciò andare ad un sospiro, prima di parlare.

“Già… io…” provò, cercando le parole.
“Tu?” chiesi, lasciandole una carezza sulla guancia, a cui lei rispose chiudendo gli occhi.

 
Si sporse, per accorciare nuovamente le distanze, facendo entrare in contatto nuovamente le nostre labbra, assieme alle nostre lingue.
Non voleva chiaramente rispondere.
Ma non mi stava bene. Non più. Non dopo quello che era successo.
Prima ancora che potessi dire o fare qualunque cosa, però, fummo interrotte dal suono del suo cellulare.
Sempre lo stesso che sentivo ogni volta.
Ogni santa volta che si allontanava da me. E non solo fisicamente.
 
La vidi staccarsi, allungandosi verso il cellulare per leggere il messaggio.

“Merda.” Borbottò, passandosi una mano per i capelli.
“Non dirmelo, devi andare” la precedetti, con uno sguardo di pura delusione.
“Io… sì.” Disse, alzandosi velocemente per rivestirsi.
“San.” La richiamai, cercando di ottenere la sua attenzione.
“Sì?”
“Dov’è che vai ogni volta?”

Si bloccò all’istante al suono delle mie parole.
“Britt, io- senti non posso parlare ora e-“
“No, va bene, fantastico” commentai, ironica, allontanando lo sguardo da lei.
“Britt, ti prego” fece, avvicinandosi al letto e cercando il mio sguardo.
“Cosa ti aspetti, San? Che sia contenta? Dopo essere state assieme in questa maniera, non puoi semplicemente andartene e lasciarmi qui, senza dirmi niente. Senza spiegare niente.” Scossi la testa, sorridendo amara “Non so se per te non ha significato nulla ma-“
“Ehi, no!” mi interruppe subito, mentre risentivamo ancora il suono del cellulare “Ci tengo, ok? Non è vero che non ha significato niente.” Puntualizzò, guardandomi fissa negli occhi.
“E allora dov’è che stai andando?” domandai, ancora, frustrata.
“Io…" iniziò, torturandosi le mani "devo andare, Britt. Ci vediamo dopo.” Disse solo, allontanandosi velocemente uscendo dalla camera.


 
Fu allora che presi la mia decisione.
Mi rivestii in fretta e furia.
Presi le chiavi della macchina.


Non voleva dirmelo? Bene.
L’avrei scoperto a modo mio.








Alè, ci siamo!

Eeee no, il capitolo non mi convince granchè, ed è da ieri sera che ci rimugino sopra, ma, boh... non ho avuto l'illuminazione divina che mi dicesse 'cretina, è quello che non va bene!' ... quindi, insomma provate a tenervelo così! xD

Ora, piccolo sondaggio!
Dunque, io dovrei aggiornare, da qualcosa come un mese, anzi di più(!!!) (sono proprio pessima, sì, lo so!), l'altra ff 'Scommettiamo?' quindi!
Siccome nelle mie gioiose giornate dovrei farci entrare anche lo studio la mia domanda è:
Preferite che aggiorni prima 'Scommettiamo?' o questa qui?
qualunque sia la scelta, l'aggiornamento arriverebbe fra 2-massimo3 giorni, quindi... vedete voi e io agisco!

Come sempre ringrazio tuttissimi, siete fantastici!

A presto, bella gente! :DD



 
 

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Capitolo 11
*** Fidarsi ***


Pronto?”
“Rach!”
“Brittany?” domandò, confusa, la mia amica al cellulare.
“No, guarda, sono Ermenegilda da Trollolandia” commentai, ironica.
“Oh, buonasera, credo abbia sbagliato numero, però!”
“Rach, questa è una cosa seria!”
Nel senso che vuoi davvero ti chiami Ermenegilda?” mi domandò, confusa.
“Nel senso che sei un’idiota!” sbottai, facendola ridere “Non sono sicura di quello che sto facendo.” Le dissi, poi, quasi bisbigliando.
“Oh, ti prego, Britt, non dirmi che mi stai chiamando dal bagno, mentre Santana ti aspetta in camera da lett-“
“No, no! Non è questo” la interruppi, subito “Anzi… quello è… insomma, lo sai…”
“O.Mio.Dio. L’avete fatto?! Oooh, sono così felice per te e come è andat-“
“L’ho seguita, Rach!” confessai, d’un fiato.
“Eh?”
“Sì, insomma, lei praticamente subito dopo se n’è dovuta andare e io non ne potevo più, ecco. E, ecco, sì, l’ho seguita!”
“Che hai fatto!??!”
“Eh, e ora sono fuori questa… sottospecie di baracca di legno dove-“
Britt, non credo sia stata un’idea brillante, insomma…”
“Lo so, lo so, ma non ho potuto farne a meno… mi sono sentita così… di poca importanza e-“
Lo capisco, davvero, ma, Britt, credimi se ti dic-“
“Rachel?” domandai confusa, non sentendo nulla. “Rach- aaaah. Perfetto. Anche la batteria del cellulare doveva abbandonarmi oggi! Cos’è una stramaledetta coalizione!? Lasciamo Brittany alla sua insana follia tutta da sola?!” sbottai, lanciando il cellulare sui sedili di dietro della macchina.

 
Bene. Dovevo prendere una decisione.
Entrare?
Non entrare?
Morire di vecchiaia lì fuori nel tentativo di prendere una decisione?
No, ok, l’ultima era da scartare.

Che brutta situazione.
Insomma, se fossi entrata e lei mi avesse visto?
Mi avrebbe come minimo ucciso, o peggio. Non avrebbe più voluto vedermi.
L’avevo seguita, Dio Santo. Con la macchina. Come una stramaledetta spia.
Avrebbe pensato che non mi fidassi di lei e- aspetta.
Come diavolo avrei dovuto io fidarmi di lei?!
Certe volte mi sembrava quasi di non conoscerla.
Era un po’ come il dottor jekyll e mister hyde.
La mattina e il pomeriggio era quella splendida ragazza per cui avevo ormai completamente perso la testa.
La più bella, simpatica, dolce e intelligente persona che avessi mai incontrato.

Ma la sera?
Mi sembrava, quasi, di non vedere più quella stessa ragazza nel momento in cui quel maledetto telefono squillava.
E se non ero ancora pronta a vedere la verità?
E se non mi fosse piaciuta quest’altra Santana?


No.
Non poteva essere.
L’avevo avvertito. L’avevo sentito. Quella stessa sera, quando mi aveva abbracciato, nel letto.
Quella era lei. La vera Santana.
Ne ero certa.
Dovevo provare a fidarmi. Volevo farlo.

 
Stavo per riaccendere il motore della macchina per tornare a casa, quando  sentii delle urla assai rumorose provenire dalla baracca. Sempre più forti, indiscutibilmente maschili.
Cosa diavolo stava succedendo lì dentro?
E se lei avesse avuto bisogno d’aiuto?
Dovevo controllare.
 
Uscii, finalmente, dalla macchina, cercando di coprirmi alla bene e meglio col cappotto, visto il freddo gelido che dominava le strade di Lima.
Arrivai di fronte una piccola porticina, mezza rotta, di legno.
Presi un profondo respiro.
Ed entrai.




 
Il caos.
Ecco cos’era.

Appena entrata mi trovai davanti una folla urlante di persone, tutta accalcata nei pressi di quello che riconobbi come una sottospecie di palco…
o meglio, quasi un ring simile a quelli che avevo visto tante volte per televisione nei film di pugilato.
Notai, per quello che potevo vedere da così lontano e a causa di tutti quegli omaccioni che mi stavano davanti, due lottatori con un terzo, che supposi fosse l’arbitro.

Ma che diavolo ci faceva Santana in quel posto?

Mi feci spazio fra la folla, spintonata a destra e sinistra, da quelle persone, che spesso sventolavano malloppi di dollari fra le mani, continuando ad urlare come indemoniati.
Doveva essere chiaramente un combattimento clandestino.
E, a quanto pare, dati gli schiamazzi sempre più forti, dovevano esserci di mezzo anche le scommesse sui lottatori.

Mi avvicinai ancora di più, trattenendo un po’ il respiro a causa della puzza di quel posto.
Un misto fra fumo, sudore, sporco e sangue.
Volevo uscirmene di lì. Il più in fretta possibile.
Ma prima dovevo cercare Santana.

La cercai con lo sguardo, tra la folla vicino al ring.
Ma niente.
Eppure di certo non sarebbe passata inosservata una come lei lì in mezzo.
Fu, poi, un urlo più forte degli altri proveniente dal pubblico, che mi fece alzare lo sguardo sui combattenti.

Anzi.
Le combattenti.
E la vidi.




 
Aveva la stessa identica posizione, che le vidi assumere quando riuscì a stendere quei due grassoni nel parcheggio del cinema.
Le braccia sollevate ai lati del volto.
Sulle mani, fino ai polsi, aveva una fasciatura, ormai già abbondantemente sporca di sangue al livello delle nocche.
Non riuscì a vederle il viso, da quella posizione di difesa.
Ma sperai vivamente che non fosse nelle stesse condizioni dell’altra ragazza, che, realizzai, stava continuando a tirare pugni verso l’addome di Santana, teso, nello sforzo di resistere all’assalto.
Non indossava nulla, infatti, se non un reggiseno a fascia nero, accostato a pantaloncini larghi, blu scuri.
Un paio di converse a completare il tutto.

La mia attenzione tornò immediatamente al corpo della latina.
E capii perché non aveva voluto togliersi la canottiera quella sera.
Aveva il tronco completamente disseminato di lividi violacei e graffi.
Soprattutto al livello delle costole, che, a causa anche della sua magrezza, riuscivo a vedere perfettamente.
E quei continui attacchi che stava ricevendo non avrebbero fatto altro che peggiorare quelle ferite.

Come diavolo era finita a fare… tutto questo?
Perché la madre le permetteva una cosa del genere?
Non si accorgeva delle condizioni della figlia?
Ma, soprattutto, come poteva esserle mai venuta in mente una cosa del genere per avere dei soldi?
Capii perfettamente la rabbia di Quinn, nel cercare di dissuadere Santana da questo.
Non avrebbe retto a lungo.
Nessuno avrebbe potuto.

Mi riscossi dai miei pensieri, vedendo l’ispanica, sciogliere velocemente la posizione di difesa in cui si trovava.
Con un movimento fulmineo, bloccò con un braccio un altro attacco dell’avversaria.
E con il sinistro le assestò un gancio, degno di Mohammed Ali.
Non mi stupì per niente vederla crollare subito a terra, mentre l’arbitro prendeva a contare fino a 10, per decretare la fine dell’incontro.


Santana rimase ferma tutto il tempo, osservando il corpo dell’avversaria, sicuramente svenuta.
Notai il suo sguardo.
Era così… vuoto.
Per fortuna non aveva segni sul viso.
Ma il segno più profondo mi sembrava visibile dentro di lei.
E potevo vederlo dai suoi occhi.

Le faceva male tutto quello. E non solo fisicamente.
Ed ero sicura di aver letto anche pentimento e dispiacere per l’altra ragazza in quello sguardo.
Tutto quello che non diceva.
Tutto quello che non faceva vedere a gesti.
Era tutto lì. In quel nero così profondo.
Avrei voluto che anche quella folla indemoniata, che continuava ad urlare e scalciare attorno a me, lo potesse vedere.
Mi sembravano solo copie difettose di uomini. Rifiuti.
Non erano persone. Non erano dotati di umanità.
Elogiavano ed esaltavano la sofferenza.
Non solo quella visibile in sangue e lividi. E lì, su quel ring, ce n’era in abbondanza.

Perché sopportava tutto questo?
 
Vidi l’arbitro avvicinarsi a Santana, afferrandole il braccio sinistro.
Lo sollevò, compiaciuto, facendo scoppiare un boato in quella catapecchia, che sembrava quasi venire giù per tutto quel trambusto.
Un grassone, con una camicia hawaiana, le si avvicinò, con un sigaro in bocca.
“Brava l’ispanica!” urlò, cercando di catturare la sua attenzione.
Ma non poteva averla.
Non ora che lei aveva incrociato il mio sguardo.




 
Corsi fuori il più velocemente possibile. Arrivai alla macchina, quasi col fiatone.
Fu, allora, che sentii dei passi sempre più rumorosi, sempre più vicini a me.
Quasi non ebbi bisogno di sentire il ‘Brittany’ esclamato, a metà fra lo sgomento e la confusione, per sapere che si trattava di Santana.
Mi girai lentamente, prendendo un respiro.

La osservai a lungo, in quegli interminabili minuti di silenzio fra di noi.
Da vicino i danni erano ancora più visibili.
Dio, era ridotta parecchio male.

 
“Mi hai seguito.”

Non era una domanda. Era una constatazione rassegnata.
Lo sguardo, tuttavia, era indecifrabile.
Non riuscivo a capirla in quel momento.

“Io…” iniziai, cercando di organizzare inutilmente i pensieri “Sì.”
Chiuse con forza gli occhi, quasi l’avessi schiaffeggiata.
Li riaprì, dopo qualche secondo, con un’espressione corrucciata e sofferente.
“Mi hai seguito” ripetè, ancora.

Non so cosa si aspettasse che dicessi.
Sapevo solo che la mia mente era completamente andata in blackout.
Avevo bisogno di elaborare la cosa.
Avevo bisogno di  riflettere un attimo.
Non riuscivo a ragionare lucidamente.
 
“Sì… ero venuta qui, ero arrabbiata, ma me ne stavo per andare e… Ho sentito delle urla, allora…” provai a parlare, cercando quanto meno di farle capire le basi della mia azione. “Sono entrata.” Dissi, semplicemente, allargando le braccia con rassegnazione.
“Credo- credo che sia meglio che-“ aggiunsi, ma mi interruppi vedendola aprire la bocca come a dire qualcosa.
Ma la richiuse subito dopo.
Si limitò ad abbassare lo sguardo e scuotere la testa.

“Perché l’hai fatto?” mi domandò, poi, in un sussurro.
“Non lo so… i-io…non mi fidavo, ma poi mi ero detta che dovevo provarci e-“ sospirai, pesantemente “Non riesco a pensare, San. Non riesco, ora come ora, a… parlare.”
“Come dovrei fidarmi io, dopo una cosa del genere?!” sbottò, poi, improvvisamente, fissando lo sguardo nel mio “Ma come diavolo ti è venuto in mente?!”
“Come credi mi sia sentita io in questo mese, eh!?” risposi, a tono, alzando di molto il tono di voce “Per non parlare di stasera! Te ne sei andata. Te ne sei sempre andata e io non ne potevo più, Santana! Come credi mi sentissi?! Mi hai mentito per tutto questo tempo!”
“Io non ti ho mai detto niente! Non ti ho mai mentito!” ribattè, arrabbiata.
“Certo, il che è meglio! L’omissione non conta, vero!?” sbottai ironica.
“Cosa avrei dovuto dirti, Brittany?! Questo?! Cosa ci avrei guadagnato, se non-“
“La verità, maledizione! Ecco cosa ci guadagnavi!” le gridai contro “Solo la verità.” Continuai, abbassando il tono “Avresti potuto dirmelo, avresti potuto… fidarti di me. Cosa credevi, eh? Che lo andassi a dire a tutti?” feci, con un sorriso amaro.

Si corrucciò, all’istante, come… confusa, in un certo senso.

“Avrei potuto aiutarti. Starti vicino.” Commentai, passando ancora una volta lo sguardo sul suo corpo.
Sulle sue mani sporche di sangue.
“Ma non ti fidavi.”
“Non ho mai pensato che potessi dirlo a qualcuno.” Mi disse, sicura, mettendo da parte la rabbia.
“M-ma allora...”
“Ispanica!” mi interruppi, vedendo avvicinarsi quel tale che notai vicino a Santana sul ring.

Era un tipo basso e tarchiato.
Carnagione chiara.
Capelli grigi radi con un paio di folti baffi.
Un sigaro fra le labbra.
E non mi piaceva nemmeno un po’.

“Cosa vuoi Phill?” domandò, seccata, la latina.
“Volevo parlarti dell’incontro di domani e- ehi, tu chi sei?” chiese, interessato, nella mia direzione.
“Nessuno.” Rispose per me l’ispanica, frapponendosi. “Se ne stava giusto andando.” Aggiunse, guardandomi  con la coda dell’occhio.

E questo ora cosa significava?
Si rifiutava di parlare con me?
 
“Già. Non sono nessuno e me ne stavo giusto andando.” Commentai, amaramente, avviandomi verso la macchina.
“Sicura?” mi chiese, invece, quello con un sorrisetto, che mi fece venire il voltastomaco “Potrei utilizzarti per portare i cartoncini con il numero dei round sul rin-“
“Smettila. Piuttosto parlami di domani” lo interruppe Santana, arrabbiata.
“Come vuoi tu, ispanica.” Sogghignò il grassone, avviandosi nuovamente verso la baracca “Andiamo” aggiunse, poi, senza nemmeno voltarsi.

Mi lanciò un’ultima occhiata.
Avrei voluto dirle qualcosa. Qualsiasi cosa.
Ma ci limitammo a distogliere lo sguardo l’una dall’altra, allontanandoci.







Tetraedro dell'Autrice

Ci siaaaam! Bene, ci sono riuscita! Ma questa volta non ho granchè da dire!

Ahm, tra l'altro, stasera aggiornerò 'Scommettiamo?'.. il capitolo è praticamente finito, ma devo rivederlo un po'! ultimamente non mi convince nulla di quello che scrivo -____-

As usual, grazie a tuttissimi! siete l'ammmòre! :DD

A presto, bella gente! :DD





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Capitolo 12
*** 'Mi dispiace' ***


“Britt!” mi richiamò Rachel, non appena mi vide nel corridoio la mattina successiva.
 
Non avevo sentito Santana.
Né un messaggio né una chiamata.
Niente.
E come se non bastasse non si era nemmeno presentata a scuola.
 
“Dimmi, Rach” bloccai la mia avanzata, disinteressata.
“Allora? Che è successo?” mi chiese, preoccupata “Prima ho sentito Quinn.. sembrava piuttosto seccata. Mi ha detto che passava prima da Santana e poi veniva a scuola. Ti voleva parlare.”
“Ah, sì?” feci, retorica “Io non ho voglia di parlare di niente.” Tagliai corto, riprendendo a camminare.
“Britt!”
“Cosa c’è Rachel?!” sbottai, nervosa, fermandomi ancora.
“Andiamo, parlami.” Mi pregò, osservandomi “Che è successo?”
 
Presi un piccolo respiro.
Non potevo raccontarle quello che avevo visto. Non avevo il diritto di dire una cosa del genere.
Ma, allo stesso tempo, vedevo la sua chiara preoccupazione.
 
“Niente, Rach. Abbiamo litigato” provai a riassumere, sperando che si accontentasse.
“Ma alla fine sei entrata in quella baracca? Il tuo telefono non era più raggiungib-“
“No. Non sono entrata, ma ha scoperto comunque che l’avevo seguita.”
 
Ah.
Le mezze verità.
La soluzione a – e la causa di – tutti i problemi della vita.
Un po’ come l’alcol per Homer Simpson, insomma.
 
“Ahia.” Commentò, pensierosa “Non deve averla presa bene.”
“Direi proprio di no.” Concordai, con una sollevata di spalle “Ci siamo appiccicate. Fiducia di qua, fiducia di là. Ciliegina sulla torta, mi definisce una ‘nessuno’ davanti a un tipo che nemmeno conoscevo.”
“Un ragazzo?!” domandò, sgranando gli occhi.
“Naah, macchè! Un grassone fuma sigari” precisai, scocciata.
“Oh. Beh, ma-“
“Senti, Rach” la interruppi, passandomi una mano sul viso “Sono davvero molto stanca, non ho fatto altro che pensare a questa situazione per tutta la notte, non mi va di parlarn-
“Brittany!” tuonò, dall’inizio del corridoio, una Quinn, con uno sguardo per niente amichevole.
“Quando si dice ‘le ultime parole famose’…” Feci, sarcastica, vedendola avvicinarsi a passo di marcia.
“Sembra un po’ arrabbiata…” commentò, stranita, la mia amica “Quinn, che succede?”
“Rach, devo parlare un attimo con Brittany” disse, fissando lo sguardo nel mio.
 
Se pensava di farmi paura, ahimè, si sbagliava di grosso.
Ero completamente in balia degli eventi quella mattina.
Sarebbe potuto passare anche un uragano a pochi centimetri di distanza da me.
Probabilmente l’avrei anche salutato con una sventolata di mano e soprannominato ‘Pasticcino’.
 
“Va bene.” Feci, noncurante.
“Ci vediamo dopo, Rach” la salutò, poi, lasciandole una carezza sulla mano, iniziandomi a trascinare di peso verso il bagno del secondo piano.





Spalancò la porta del bagno e mi ci buttò dentro senza troppe cerimonie.
“Si può sapere cosa diavolo ti è passato per la testa ieri?!” sbottò, gesticolando impazzita.
“Ahm… che ne so, sarò pazza” feci, ironica, facendola imbestialire anche di più.
“Brittany…” iniziò, prendendo un profondo respiro “Parliamo seriamente, ti va?” chiese, poi con un sorrisino “Cosa stracazzo ti è passato in quella testa?! Ma dico io, cosa c’hai lì dentro? Segatura?!”
“Probabile, non ne sono certa.” Feci, mentre lei mi lanciava un’occhiataccia “Senti, vuoi la verità?” sospirai, rassegnata.
“Magari” rispose, più tranquilla, vedendomi più seria.
“Mi sono sentita…” iniziai, cercando le parole “Un ‘niente’.” Dissi, facendola corrucciare “Prima passiamo una giornata fantastica assieme e poi, dopo tutto quello che è successo – perché so che lei ti avrà detto anche questo particolare – se ne va. Per l’ennesima volta.”
“Non potevi semplicemente aspettare che te lo dicesse lei?” domandò, scuotendo la testa.
“Certo! E a questo ci sono arrivata proprio davanti quella baracca, volevo fidarmi, davvero.” Precisai, osservando il suo sopracciglio inarcarsi.
“Quindi?”
“Quindi, niente. Ho sentito delle urla, mi sono preoccupata e sono entrata. Il resto lo sai” dissi, scostando lo sguardo “Ma alla fin fine, non sono nessuno per lei. Va bene così” conclusi, amaramente, sentendola scoppiare in una piccola risata. “Lo trovi divertente?” domandai, vagamente offesa.
“Onestamente? Sì, lo trovo piuttosto divertente”

 
Oh, bene.
Della serie ‘ciccia, l’unica lenta di comprendonio qui sei tu’.
Un applauso per me! Yay!

 
“Pensi davvero che per un ‘nessuno’, come dici tu, Santana si sarebbe scomodata così tanto per più di un mese?” domandò, sollevando allusivamente le sopracciglia “Sai quante relazioni da una botta e via ha avuto nel corso degli ultimi anni?”
“Pochine immagino.” Risposi, ironica.
“Eh già.” Ridacchiò “E sai quante ne ha avute da un mesetto e mezzo a questa parte?” domandò, ancora, divertita.
“Beh-“
“Nessuna.” Rispose, per me “Solo te. Ti rendi conto della cosa?”
“I-io…”
“Tu non sei un ‘nessuno’ per lei, tu sei tutto. Non la vedevo così spensierata da…” prese un profondo respiro, sorridendo amara “Non lo ricordo nemmeno più.”
“M-ma lei ieri mi ha detto ch-“
“Non sono io che devo dirti queste cose, Brittany. Ma credimi se ti dico che quel posto non è assolutamente fra i più raccomandabili sul pianeta e Phill, quel tipo che hai visto, è… pericoloso.” Disse, ancora.


Cioè?
Aveva fatto finta che valessi meno di zero per lei per… proteggermi? Da quel tipo?

 
“Quindi…” iniziai, sperando che si facesse capire meglio.
“Quindi, dovreste sicuramente parlare. Hai sbagliato a seguirla.” Disse, ancora, seria.
“Lo so…” annuì, dispiaciuta “Ma, perché non si fidava di me? Mi ha detto che non pensava assolutamente che lo dicessi a qualcuno, però –“
“Non è una cosa semplice da dire, Brittany.” Mi interruppe, scostando lo sguardo “Ma sono sicura, anzi, lo so per certo, che voleva dirtelo.”
“Perché allora non l’ha fatto?” domandai, frustrata “Perché si ostinava a mentirmi, a lasciarmi ogni volta, senza dirmi una parola?”
“Perché tiene a te.” Rispose, con un piccolo sorriso. “E ci deve tenere anche tanto.” Concluse, avvicinandosi alla porta del bagno.

 
Eh?
Teneva a me.
Teneva me? E non mi diceva niente?!
Dov’era la ‘ratio’?!
Sarebbe un po’ come dire ‘sì, ti ho tirato un sgambetto. Ti sei sfracellato a terra e hai rotolato per 100 metri riempiendoti di graffi. Ma – ehi – ti voglio bene, amico!’.

 
“Ma-“
“Dovreste proprio parlare.” Aggiunse, guardandomi un’ultima volta “Mettete l’orgoglio da parte e chiaritevi.” Fece, sorridendomi “Zucche vuote che non siete altro.” Commentò, infine, uscendo e lasciandomi lì, da sola.

“Ah.” Fece, poi, ricomparendo all’ultimo minuto “L’hai detto a Rachel?”
“No. Le ho detto che non sono entrata, ma che abbiamo litigato.” Risposi, guardandola confusa.
“Oh!” esclamò, colpita “Ma allora la tua zucca non è poi tanto vuota!” ridacchiò, uscendo per la seconda e definitiva volta dal bagno.

 
Ma tu guarda che tipa.
Prima sembra il Dalai Lama con certe riflessioni profonde.
E poi sparate del genere.
Dio, in quanto a pazzia era decisamente l’anima gemella di Rachel.
Un'accoppiata vincente.




 
“Ehi, Britt! Ti va una crepe?” domandò mia madre dalla cucina.
“No, mamma… non mi vanno” risposi, maneggiando il cellulare fra le mani.


Volevo parlare con Santana. Contattarla.
Insomma fare qualcosa.
Odiavo quella situazione, ma non sapevo davvero come uscirne.
La verità era che avevo paura.
Se non mi avesse risposto?
Se mi avesse ignorato?
E se non avesse voluto più vedermi dopo quello che avevo fatto?
Maledizione.


Presa com’ero da questi pensieri, mi accorsi solo a scoppio ritardato del silenzio che aleggiava da fin troppi secondi in casa.
Alzai, confusa, lo sguardo, notando il resto della mia famiglia guardarmi allibita.
E ora cosa era successo?

“Ehm… sì?” feci, osservando MaryG avvicinarsi sempre di più a me, fino a posare il dorso della mano sulla mia fronte.
“Eppure non scotta!” esclamò, stralunata “Che ti sta succedendo, Britt? Stai male?” chiese, preoccupata.
“Sicura?!” fece, ora, mia madre “Prova a prendere il termometro o controllale il polso!” propose, scambiandosi un’occhiata con mio padre.
“Corro a prenderlo!” scattò subito, mia sorella.
“Stop! Stop! Stop! Che diavolo sta succedendo? Non ho la febbre!” esclamai, osservandoli uno ad uno.
“Ma, scricciolo… non hai mai rifiutato le crepes!” constatò, preoccupato, mio padre “L’ultima volta che è successo avevi la broncopolmonite!”
“Infatti!” l’appoggiò, ora, MaryG “E quando morì il gatto!” aggiunse, facendomi rabbuiare ancora di più.
“Povero MrStiky…” commentai, triste “Era un signor gatto… ma Lord Tubbligton gli tiene testa” aggiunsi, lanciando un’occhiata al felino appallottolato, dormiente, sull’altro lato del divano.
“In quando a grassezza sicuramente” riflettè mio padre, carezzandosi il mento, pensieroso.
“E questo perché fai mangiare anche a lui le crepes!” fece, ancora, mia madre, osservandomi.
“Non è che hai litigato con Santana?” chiese, allora, curiosa, MaryG.
 
Dio, ma cosa aveva? Un radar?
Come diavolo faceva quel piccolo Gollum a capire sempre qualsiasi cosa?!
 
“Nooh” risposi, un po’ troppo frettolosamente, facendole sollevare di scatto le sopracciglia.
“Ha litigato con la morosa” constatò, con una sollevata di spalle, ritornando in cucina “Faccio le crepes”
“Aaah, ecco perché non sei con lei oggi” commentò mia madre, con l’espressione di chi aveva appena avuto un’illuminazione, avvicinandosi a me. “Che è successo?” chiese, allora, sedendomisi accanto.
“Niente!” esclamai, facendole inarcare un sopracciglio. “Ok, abbiamo litigato.” Mi arresi all’evidenza, stravaccandomi sul divano.
“Come mai?”
“Ho fatto qualcosa di sbagliato… una cosa che- beh… diciamo che…”

Bene, e ora come glielo spiegavo?

“Facciamo un esempio…”iniziai, pensando a qualcosa.
“Ok…” mi assecondò, confusa.
“Diciamo che… ecco, tu fai una torta.”
“Mh…”
“Sì, fai una torta e… beh non lo dici a nessuno e- anzi, no, vuoi fare una torta!” esclamai, come avendo l’illuminazione.
“Allora, voglio fare una torta…” ripetè, cercando di capire “Quella al cocco?” chiese, poi, curiosa.
“Non c’entra questo!” esclamai, indignata “Però, magari falla domani, perché non so come fare colazione” aggiunsi, poi, pensierosa.
“Va bene.”
“Ad ogni modo, presta attenzione!” ritornai al punto.
“Ok!”
“Tu vuoi fare una torta… ma, ecco, non lo dici a nessuno”
“Scusa perché non dovrei dirlo a nessuno?” chiese, confusa “Le mie torte sono delle bombe e tutti vorrebber-“
“Mamma, stai perdendo il filo.” La bloccai, ancora “Non si sa perché non lo vuoi far sapere, ma fatto sta che ti rechi al supermercato senza dir niente a nessuno. Nemmeno a papà!”
“Oooh”
“Eh. Così, papà, stanco della cosa, perché… diciamo che sono settimane che tu di nascosto vai al supermercato…”
“E quante torte farei?!” domandò, allibita.
“Tante, ma non è questo il punto! Concentrati, mà!”
“Sì, sì, giusto, sono tutta orecchi.”
“Ad ogni modo, papà decide di seguirti e scopre questa cosa… cioè che tu gli hai mentito per tutto il temp-“
“Eh, ma io non gli ho detto proprio un bel niente, quindi tecnicamente non avrei mentit-“
“SSSSHHH! Anche tu con questa storia?! L’omissione di verità conta come bugia!” esclamai, arrabbiata.
“Va bene, va bene” si difese, alzando le mani. “E allora?”
“E allora ti arrabbi anche tu perché sei stata seguita… insomma come una spia…” commentai, osservandola passarsi una mano sul mento, riflessiva.
“Capisco… scommetto che la torta era quella di noci, perché non piace per niente a tuo padre” fece, poi, guardandomi, convinta.
“Va bene, non importa” mi rassegnai, alzandomi dal divano “Vado in-“
“Tu chi sei dei due?” mi chiese, poi, curiosa.
“Eh?”
“Me che mento o tuo padre che segue?”
“Vuoi sapere troppe cose ora mà!” risposi, distogliendo lo sguardo.
“Tu hai sbagliato?” domandò, ancora.
“Beh… sì, però-“
“No, è una domanda semplice.” Mi interruppe “Hai sbagliato in qualcosa? Hai torto, almeno un po’?”
“Sì.” Risposi, allargando rassegnata le braccia.
“E allora chiedi scusa.” Mi consigliò, semplicemente, avviandosi in cucina.
“Ma… se non volesse sentirmi, se-“
“Diglielo e basta. Non importa come, deve sapere che ti dispiace. Almeno questo è importante, poi se vorrà parlare e chiarire, beh, si vedrà.” Concluse, raggiungendo MaryG per la preparazione delle crepes.

 
Aveva ragione.
Doveva almeno sapere che ero pentita di quello che avevo fatto.
Non importava se la mia azione fosse stata il risultato della sua.
Avevo sbagliato. E dovevo scusarmi.
 
Afferrai velocemente il cellulare.
Selezionai il suo contatto.
Scrissi solo due parole, prima di premere invio.
Mi dispiace’


“Ehi! L’offerta delle crepes è ancora valida?” domandai, poi, più sollevata, raggiungendo il resto della mia famiglia in cucina.
“Oh! Eccola tornata!” esclamò, contenta, MaryG dandomi un pugnetto sul braccio.




 
Era passata una buona mezz’ora.
Ancora nessuna risposta.
Sapevo fosse arrabbiata.
Ma in cuor mio speravo davvero facesse qualcosa. Una qualsiasi cosa. Per farmi sapere che ci teneva ancora.
Dio, ero un’idiota.
 
*DingDlon*
“MaryG, apri la porta!” urlai, sperando che mi sentisse e andasse ad aprire lei.
La voglia di alzarmi dal divano, dopo un’abboffata di dolci come quella di poco prima, era davvero pari a zero.
“Màààà! La porta!” Provai ancora.
*DingDlon*

“Odio la mia famiglia” borbottai avvicinandomi alla porta “A Natale regalerò a tutti un amplifon, altro che magliette e cazzatelle var-”

Mi interruppi, trovandomi davanti l’oggetto dei miei continui pensieri.
Era lì, meravigliosa come sempre.
Mi osservò brevemente, con un piccolo sorriso.
Tese la mano verso di me, chiedendomi implicitamente di afferrarla.

“Vieni con me?” mi domandò, mentre le nostre pelli entravano in contatto “Voglio presentarti una persona.”







Ci siam!! ecco qui, so che probabilmente vorrete uccidermi per aver interrotto qui, però... insomma, il prossimo è il momento della verità! merita tutto un capitolo a parte!
quuuuindi a meno che renda il prossimo ancora di transizione parlando di uccellini cinguettanti e semafori rossi (naaaa sto scherzando! -forse!-) nel prossimo san dovrebbe confessare tutto a britt. e quindi sapremo anche altri dettagli!

oh e tanto per rendervi partecipi della cosa, ho già progettato nella mia mente l'intera fanfic... saranno una quarantina (anche se sono praticamente sicura sforerò sulla 50ina) di capitoli... vedremo come proseguirà la cosa! :)

prima di salutarvi... 2 cose!

StepNumberOne - consiglio a tutti di leggere questa nuova raccolta faberry, scritta dalla bravissima charlie!  ---> http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1302584&i=1

StepNumberTwo - grazie! davvero a tutti! siete una maraviglia! c:


oh, e volendo potete trovarmi qui ->  https://twitter.com/_jeffer3
A presto, bella gente! :DD

 
 

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Capitolo 13
*** Lascia che la verità venga a galla ***


 
“Dove mi stai portando?” chiesi, incuriosita, una volta nella sua macchina.
“A casa mia.” Rispose, lanciandomi una breve occhiata e accendendo l’auto.
“Davvero?”
“Davvero.”

 
Mi stava portando a casa sua.
A casa sua, maledizione!
Non l’avevo mai vista in tutto quel tempo che ci eravamo frequentate.
E probabilmente avrei anche scoperto il perché quel pomeriggio.
Ad ogni modo, mi sembrava un po’ agitata.
Lo capivo dal modo in cui stringeva il volante.

Chi doveva presentarmi?
La domestica?
Naah.
Il cane?
No, non aveva animali. Magari, però, aveva un pappagall-
Oh. Merda.
Voleva presentarmi sua madre?!
Oddio, no, ero impresentabil-

 
“Che pensi?” mi riscosse dai miei pensieri, dato il silenzio che aleggiava nell’abitacolo.
“San, chi vuoi presentarmi?” le domandai, di rimando.
“Vedrai” fece, con un sorriso appena accennato, quasi stanco.
“San?”
“Mh-mh?”
“Mi dispiace.”

 
Tenevo a precisarlo.
Non so se effettivamente avesse letto il messaggio che le avevo inviato, ma dovevo dirglielo comunque.


“Lo so. Dispiace anche a m-“
“No, no. Io… insomma è come se ti avessi costretto a dirmi una cosa che probabilmente col tempo mi avresti detto comunque e… anche Quinn mi ha fatto una bella lavata di capo stamattina, sembrava volesse uccidermi”
“Quinn?” fece, confusa “Che ti ha detto?”
“Vuoi il sunto? In pratica mi ha detto – o meglio urlato - che sono stata un’idiota.” Dissi, sollevando le spalle.

 
La vidi corrugare ancora di più le sopracciglia.
Oddio, ora pensava che non ero per niente pentita della cosa.

 
“I-il che è giu-giustissimo, insomm-“
“No, no!” mi interruppe divertita  “E’ che… stamattina è passata da me” disse, con un piccolo sorriso divertito.
“Ah, sì, me l’aveva accennato Rachel.”
“Già, è entrata sbraitando e urlandomi contro che me l’ero cercata… che ero stata un’idiota, che non ti avevo dato scelta… cose così” spiegò, ridacchiando.
“Who…” commentai allucinata “In pratica…”
“In pratica ci ha finemente detto che siamo due imbecilli e lei è…”
“Un genio” conclusi per lei.

 
Non aveva dato ragione a nessuna delle due, di proposito.
Così, aveva fatto in modo che ammettessimo le nostre colpe e risolvessimo.
Dio.
Un fottuto genio del male.

 
“Siamo arrivati.” Disse, prendendo un respiro.

 
La sua ansia ed agitazione erano palpabili.
Sì, ok, la curiosità mi stava dilaniando.
Ma non volevo che facesse qualcosa, se non voleva.

 
“San, se non sei sicura io-“
“Sono sicura.” Disse, con un sorriso un po’ tirato.
“Essì, si vede” commentai ironica, sollevando le sopracciglia, facendola ridere.
“E’ che…” iniziò, guardandomi negli occhi “Che poi non si torna indietro.”
“Che intendi?” chiesi, vagamente confusa.
“Ti dirò tutto, Britt” chiarì, mentre io perdevo un battito “Tutta la verità. E… beh, se non vorrai più avere niente a che fare con me, io lo capir-“
“Io non vado da nessuna parte” chiarii, sicura.
Si limitò a scuotere leggermente la testa.
“Aspetta a dirlo” commentò, amara, scendendo dalla macchina.





 
Non era male come casa.
Era un piccolo appartamentino nella periferia di Lima.
L’atmosfera era abbastanza accogliente, anche se notai all’istante che sembrava arredata solo con il minimo indispensabile.
Nel salotto, solo una piccola televisione, una poltrona e un mobiletto.
Niente di più, niente di meno.
Mi saltarono subito all’occhio le foto appese al muro dell’ingresso.
La maggior parte ritraevano Santana – in alcune ancora piccola, in altre più grande – in compagnia di una donna, che non faticai ad identificare come sua madre.
Erano due gocce d’acqua. Tanto che poteva considerarsi come una Santana adulta.
Sembrava una donna solare. Piena di vita.
Con un sorriso bellissimo, come quello della figlia.

 
“Aspetta un attimo qui, ok?” mi chiese, poi, posando le chiavi su un mobiletto e allontanandosi.

 
Mi limitai ad annuire, mentre la mia attenzione si spostava su una serie di cornici, poste su un tavolino.
Erano tutte capovolte, con la faccia rivolta verso la superficie di legno.
Mi avvicinai, afferrandone una.
Raffigurava ancora una volta l’ispanica con la madre.
Ma questa volta c’era una terza persona.
Un uomo che stringeva affettuosamente le due, sorridendo contento.
Era un bel quadretto.
Immaginai fosse suo padre.
Anzi, ne ero certa.
Gli occhi erano i suoi.
Ma doveva provare parecchio risentimento per lui, data la posizione in cui teneva la foto.
E probabilmente tutte le altre cornici, posizionate uguali, dovevano raffigurare gli stessi soggetti.

 
“Britt?” mi richiamò la latina, che nel frattempo mi si era riavvicinata “Vieni?”
“Certo…” risposi afferrando la mano, che mi aveva allungato.
“Ti voglio presentare mia madre” disse, poi, fermandosi davanti ad una delle porte del corridoio.
“M-ma San sono impresentabile, li vedi i miei capell-“
“Sei bellissima, invece.” Mi  interruppe, subito, lasciandomi un piccola carezza sulla guancia. “Dai, entriamo”.




 
“Mamma?” la richiamò l’ispanica, aprendo la porta.
Mija”


Non appena entrai nella stanza, la vidi.
E non era per niente come me l’aspettavo.
Non era come la donna nelle foto.
Sembrava più stanca. Più sofferente.
Malata.

Era sdraiata su un letto a due piazze.
Sul comodino di fianco, una serie di scatole di medicinali, una bottiglia d’acqua, una mela tagliata e una cornice che la raffigurava con la figlia.
Una flebo sul lato sinistro del letto, che si inseriva nel braccio della donna. Non doveva essere una di poche, dati gli altri segni violacei al livello delle vene del braccio.
A fianco, ancora, una bombola ad ossigeno.
Portava, infatti, una mascherina, che, capii, la aiutava a respirare meglio.

Le braccia magrissime.
Il volto incavato.
L’accenno di un sorriso stanco sul volto.

Era ben lontana dalla donna solare che avevo visto nelle foto.

 
“Mamma, questa è Brittany” mi presentò, portandomi più vicina e intensificando la presa sulla mia mano, mentre io stringevo di rimando.
“Aah…” fece, cercando di sorridere di più “Finalmente…” iniziò, prendendo un altro respiro tremolante “Ti conosco.”
Capii che doveva costarle non poca fatica parlare.
“Buonasera, signora. E’ un piacere conoscerla” dissi, rivolgendole un sorriso sincero.
“il piacere… è mio.” Disse, toccandosi la zona dello sterno.
“Stai bene, mamma?” chiese, preoccupata l’ispanica, osservando il movimento che aveva fatto “Vuoi che chiami Clara?”
“No, mija… Sto bene…” le carezzò, debolmente, la mano “Santana…” iniziò, tornando a guardarmi “mi ha parlato tanto di te.”
“Naaaah” provò a difendersi, imbarazzata, lei.
 
Le rivolsi un sorriso intenerito.
 
“Invece sì… ” provò a ribattere, divertita “San?” chiese, poi.
“Dimmi.”
“Potresti andare… a prendere” altro sospiro “altra acqua?”
“Certo, vado e torno” rispose, subito, sciogliendo il contatto con la mia mano, rivolgendomi un’ultima occhiata.

“Devo ringraziarti” disse la madre, una volta che la figlia fu uscita.
Scossi la testa, confusa.
“P-per cosa signora? Io non ho fatto nient-“
“Hai fatto tanto” ribattè, allungando la mano verso la mia, che afferrai prontamente. “Lei non sorrideva più.” Aggiunse, stringendo debolmente la presa sulla mia mano.
“Santana?” chiesi, conoscendo già la risposta.
Annuì, lentamente.
“Da un anno…” iniziò, prendendo un altro profondo respiro “I suoi sorrisi erano cambiati…” spiegò, guardandomi negli occhi “Non erano… sinceri. Non erano… i suoi. Sai, lei… sorride con gli occhi, lo vedi… lo senti.”


Era vero.
In tutto quel tempo avevo imparato a discernere la vera San da quella della maschera che portava.
Ed era dagli occhi che lo capivo.


La guardai attenta, lasciandole il tempo di riprendere a parlare.
“Ma… un mesetto fa… l’ho visto di nuovo… il suo sorriso” disse, poi, con gli occhi lucidi “E ne ho visti… tanti altri da allora”
“I-io…”
“Mi disse…” continuò, sorridendomi leggermente “Che aveva cenato a casa tua…e mi parlò di te”
“Spero non le abbia detto niente di imbarazzante” dissi, stemperando un po’ l’atmosfera e facendola ridacchiare sommessamente.
“Assolutamente no, Tarzan…” fece, sorridendo divertita, mentre il mio viso diventava un tutt’uno con la lampada rossa del comodino.

 
Ma tu guarda cosa andava a raccontare alla madre!
Oddio.
Quindi sapeva anche delle tende?!

 
“Mamma, ti ho portato la naturale” sentimmo Santana entrare, con una bottiglia d’acqua in mano.
La donna mi rivolse un ultimo sorriso, mimando un ‘grazie’ con le labbra.
“Dopo vado a comprare la frizzante… è finita” aggiunse, grattandosi la nuca.
“Va bene questa, mija” la tranquillizzò “Puoi riempire…”
“Sì, sì” la interruppe capendo al volo “Ti metto il bicchiere pieno sul comodino”
“Grazie…” sorrise, chiudendo leggermente gli occhi.
“Sei stanca?” domandò l’ispanica, osservandola.
“Un po’…” Le lasciò una piccola carezza sulla guancia.
“Ok, ti lasciamo dormire, vuoi?” chiese, premurosa, ottenendo un cenno stanco della testa in risposta. “noi siamo di là, se serve qualcosa” aggiunse, sistemandole le coperte.
“Va bene… e, Brittany?” mi richiamò, mentre stavamo per uscire dalla porta.
“Sì?”
“Sono davvero felice di averti conosciuta.” Disse, sorridendomi leggermente.
“Anche io, signora. Molto.”




 
“Mi piace” commentai, una volta entrate nella sua camera.


Non era molto grande, però era molto… Santana.
Semplice, con mobili in legno.
Una serie di immagini con frasi di film attaccate all’armadio.
Un letto ad una piazza e mezza con lenzuola nere.
Un paio di cuscini a fare da contorno.
Una semplice scrivania, con una bacheca attaccata al muro, con varie foto, tra cui riconobbi anche Quinn.
Infine a sormontare il letto, un poster di ‘V per vendetta’, il suo film preferito.

 
“Naa, non dire bugie” mi rimproverò, scherzosamente.
“Sono seria!” ribattei, subito “Mi piace davvero. Dà subito l’idea di camera tua…” commentai, mentre lei mi guardava poco convinta “Anche se mi sarei aspettata qualche peluche di unicorno o di papera” aggiunsi, con un sorriso divertito.
“Li ho nascosti nell’armadio quelli… non volevo li vedessi”
“Davvero?”
“Certo!”
“Oh, meno male, anche io! Finalmente potrò levarli da lì la prossima volta che verrai a casa” commentai, sollevata, facendola scoppiare a ridere.
 
Ebbi bisogno di 2 minuti per realizzare la cosa.
 
“Stavi scherzando vero?” chiesi, sofferente.
“O-oh, sì! Ma ora so che hai papere ed unicorni in camera” rispose, divertita.
“Fantastico” brontolai contrariata, incrociando le braccia al petto.
 
Mi si avvicinò, con un piccolo sorriso, sciogliendo la mia posizione e mi abbracciò.
 
“Ma a me piacciono le paperelle e gli unicorni” commentò, proprio vicino al mio orecchio.
“Meno male, allora.”

 
Amavo trovarmi fra le sue braccia, con il viso a diretto contatto con il suo collo.
I nostri corpi incastrati l’un l’altro, così come le nostre anime.
Sarei potuta rimanere così per sempre.
Mi tranquillizzava.
Mi calmava.
Mi faceva star bene.
Credo fosse lo stesso per lei.
Probabilmente, in quel momento, cercava la forza di dirmi la verità.
E se ero dannatamente curiosa di sapere davvero di lei, volevo, d’altra parte, rispettare i suoi tempi.
Non doveva essere semplice se aveva aspettato tanto per parlarne.
 
Rimanemmo così per qualche minuto, finché si staccò, prendendo un respiro.
Si levò le scarpe e si sdraiò sul letto, aprendo le braccia nella mia direzione, invitandomi  a raggiungerla.
Posizionai un braccio attorno alla sua vita. Le gambe leggermente intrecciate alle sue.
La testa sul suo petto, così da sentire il battito del suo cuore.
 
Prima, però, che iniziasse a parlare, decisi di fare ciò che in tutto quel tempo avevo desiderato.
Le sfilai, lentamente, entrambi i guanti, sotto il suo sguardo indecifrabile.
Trovai solo, al di sotto, una sottile striscia di garza al livello delle nocche.
 
“E’ per evitare le infezioni a causa dei guanti” commentò, mentre io puntavo gli occhi nei suoi.
Le accarezzai lentamente entrambe le mani, passando le dita su ogni singolo solco del palmo, godendo di quel contatto che tanto avevo desiderato.
“Non ho mai sopportato quei guanti” borbottai, riportando la testa sul suo petto.
Lei ridacchiò leggermente, portando la mano a diretto contatto con la mia guancia. E lasciandola lì.
“Meglio?” chiese, con un piccolo sorriso.
“Perfetto.” Commentai, chiudendo gli occhi e beandomi di quella nuova sensazione.

 
Rimanemmo in silenzio per qualche minuto.
Poi parlò di nuovo.
“Non mi è piaciuto che tu mi abbia seguito” disse, senza muoversi dalla sua posizione.
“Lo so, mi dispiace. E’ stato stupido.”
“Sì, è stato stupido” concordò, tranquilla “Anche se posso capire perché l’hai fatto.”
“Io-“
“Davvero, lo capisco. E’ per questo che ho deciso di dirti tutto. Non voglio che accada più. Non voglio che ci siano segreti fra di noi, se tu vorrai ancora stare con me.”
“Certo che vorrò stare con te” ribattei, indignata, mentre lei prendeva un sospir- Altolà.
Stare con me?
Aveva detto stare con me?!
Nel senso… essere la sua ragazz-
“Circa un anno fa…” iniziò, incerta.
 
Ok, non era il momento di soffermarsi su certe cose.
 
“Mia madre si ammalò. Eravamo una famiglia piuttosto unita, sai?” chiese, retorica “Consideravo mio padre una sorta di eroe greco. Il mio eroe. Non potevo immaginare una vita migliore… vita sociale al top, genitori fantastici, amicizie importanti… il mio unico pensiero probabilmente era come far colpo sul maggior numero di ragazzi in una volta” continuò, ridendo amaramente.
“Un giorno...” prese un respiro profondo, mentre io intensificavo la presa su di lei “Mia madre si sentì male. Non sapevamo cosa avesse, ma, di colpo, ebbe una sorta di crisi respiratoria… onestamente non ricordo bene quel momento, credo fossi parecchio sotto shock. L’avevo sempre vista come una sorta di wonderwoman, mi sembrava impossibile stesse male, capisci?”
“Sì… Dalle foto dell’ingresso sembra una donna davvero solare e piena di vita”
“Lo era, sì.” Concordò, nonostante la voce incrinata.

 
Sapevo non avrebbe pianto.
Era troppo orgogliosa per farlo.
Per cui non mi stupirono i 2-3 minuti che si prese, per riprendersi momentaneamente.

 
“La portammo in ospedale e, sostanzialmente, capii solo che la stavano portando direttamente in sala operatoria… dissero a mio padre che doveva avere una sorta di malformazione genetica al cuore e che, purtroppo, non essendo stata notata prima, stava, allora, provocando seri danni all’organismo. Le uniche immagini che ricordo di quella estenuante giornata, in cui mia madre fu sotto i ferri per 20 ore, sono due: mio padre con la testa fra le mani, in sala d’attesa, e Quinn, che mi abbracciò stretta per tutto il tempo.”
"Stette in ospedale per un mese, da quando fece quell’operazione e, ogni giorno che passava vedevo mio padre sempre più irrequieto. Allora non capii il perché della cosa, o, meglio, pensavo fosse il risultato dell’ansia a causa di tutto quello che era successo, della paura di perdere l’amore della sua vita, no?” commentò ironicamente, facendomi rimanere lì per lì confusa.
“Dopo tutti quei giorni, dopo tutti gli esami a cui la sottoposero, non riuscirono, però, a capire cosa effettivamente avesse. Con l’operazione erano riusciti a sistemare le cose, all’inizio. Poi iniziarono le crisi respiratorie, sempre più frequenti. La stanchezza costante. I dolori al petto. Prosciugarono tutte le sue forze e, ancora, non sapevano cosa dirci. La rispedirono a casa, proponendoci una serie di cure sperimentali per il suo male, che sembrava non essere catalogato nei libri di medicina.”
“Non hanno ancora capito cos’ha?” chiesi, allibita.
“No, per niente. Odiavo tutti quei dottori che non facevano altro che sparare ipotesi assurde, facendole fare esami su esami, senza ottenere niente, se non una maggiore sofferenza per lei. Ricordo, però, un dottore, Johnson. Stavamo portando via mia madre, sulla sedia a rotelle, il giorno in cui fu dimessa. Lo vidi lanciare una veloce occhiata a mio padre, che non doveva avere una bella cera, e si avvicinò a me. Mi mise una mano sulla spalla e mi parlò all’orecchio… Disse solo quattro parole, ma continuo a ripeterle nella mia testa da un anno ormai.
‘Sii forte. Per lei.’”


Dio.
E il peggio, capii, doveva ancora arrivare.
La vidi chiudere gli occhi, prendendo un profondo respiro.

 
“Quando tornammo a casa, almeno inizialmente, le cose sembravano abbastanza stazionarie. Certo, mamma stava ancora male, ma mio padre cercava di fare anche la sua parte. Insomma, comprava le medicine, cucinava, passava il tempo a farle compagnia, cose così. Poi iniziarono ad arrivare le lettere. Inizialmente non ci feci caso, ma più passava il tempo, più si facevano numerose. E più mio padre diventava intrattabile e ansioso. Capii la cosa troppo tardi, quando aveva già fatto le valigie e fatto firmare il divorzio a mia madre.”
 

Lo disse a denti stretti, tremando leggermente.
La rabbia doveva essere ancora tanta.
Come aveva potuto abbandonarle, con la moglie in quelle condizioni?
Portai una mano sulla sua, che ancora giaceva sulla mia guancia. E parve acquietarsi leggermente.

 
“Quelle lettere erano dell’ospedale.” Spiegò, poi “L’operazione, il mese di degenza, le cure sperimentali… avevamo migliaia di dollari di debiti. Non ne sapevo nulla. Mia madre nemmeno. Solo lui. E decise di abbandonarci, lasciandoci senza niente.”


Ero, ormai, senza parole.
Ecco perché Santana si era ritrovata a fare combattimenti clandestini. Ecco perché accettava tutto quello.
Per sua madre.

 
“Presto non potemmo più pagare l’affitto di casa, ma per fortuna mia nonna ci aveva lasciato questo piccolo appartamentino, ormai in disuso, qui, alla periferia di Lima. Almeno ci saremmo dovute preoccupare di pagare solo le bollette.”
“Presto, però, rimanemmo completamente al verde, le lettere dall’ospedale si moltiplicavano a vista d’occhio e mia madre aveva bisogno di medicine. Un giorno, mentre camminavo per queste stradine, un tipo mi bloccò per il polso, chiedendomi la borsa con i soldi. Avesse saputo che stavo peggio di lui, forse si sarebbe arreso prima” rise amaramente “Ero molto instabile in quel periodo, con solo la rabbia a scorrermi nelle vene e un semplice sacco da boxe in casa per scaricarla. So solo che gli tirai un pugno talmente forte, che rimase a terra a lamentarsi per un mezz’ora. Fu allora che incontrai Phill”

 
Storsi la bocca al solo pensiero di quell’uomo.
Mi aveva fatto venire la pelle d’oca solo a vederlo.

 
“Aveva visto tutta la scena e ne era rimasto, per usare le sue parole, ‘profondamente impressionato’. Non ci volle molto a che mi prendesse come sua combattente per gli incontri clandestini a mani nude, pagandomi 150 dollari ad incontro. Erano tanti soldi ed io ne avevo disperatamente bisogno. Raccontai a mamma che, così, da un giorno all’altro, mio padre aveva iniziato ad inviarci denaro, per fronteggiare le spese. Ricordo ancora il suo sorriso sollevato, il suo ‘lo sapevo’ compiaciuto, per questo riscatto di quello che per lei era l’amore della sua vita.”

 
Si perse qualche secondo nei suoi pensieri, lasciandomi, contemporaneamente, il tempo di metabolizzare il tutto.

 
“Certo, inizialmente ci fu qualche problema… i colpi mi arrivavano anche in faccia e non potevo permettermi di farli vedere. Avrebbero chiamato i servizi sociali e in tutta probabilità mi avrebbero rispedito da mio padre, lasciando al suo destino mia mamma. Non potevo permettermelo. Per cui, un po’ con l’aiuto di Quinn che mi copriva per le assenze a scuola, un po’ con l’allenamento, imparai ad evitarli, anche se, certo, come hai potuto vedere, è il mio addome a subirne le conseguenze. Oltre a questo, col tempo ho imparato a conoscere quel lardoso di Phill. Un uomo spregevole, è a capo dell’organizzazione mafiosa della città. Ha a che fare con tutti i crimini della zona malfamata di Lima e non solo. Rapine, omicidi, corruzione, bordelli. Tutte opere sue. Tutti lo evitano, tutti lo temono. E io, beh, mi ci sono praticamente buttata fra le grinfie. Sono diventata il suo piccolo tesoro. Non perdo un incontro e gli faccio vincere tonnellate di dollari con le scommesse, che fa su di me. Ma guadagnavo e continuo a guadagnare i soldi per le medicine, che in quanto sperimentali sono costosissime, per mia madre, per Clara, l’infermiera che è con lei quasi 24 ore su 24, per le bollette, per l’ospedale, con cui ancora abbiamo debiti. Per permetterci di sopravvivere.
“Il fatto che lui fosse pericolosissimo non mi toccava più di tanto. In più avevo modo di scaricare tutta la rabbia, che avevo in corpo… quindi, era una sorta di ‘due piccioni con una fava’. Inutile dire che Quinn era contrarissima alla cosa. Capiva che avessi bisogno di denaro, ma era inconcepibile per lei che acconsentissi a farmi così male. Così, ha maturato tutta una riflessione psicologica sulla cosa…” commentò scocciata.
“Sarebbe?”
“Per lei io accettavo tutto questo per sentire qualcosa. Qualcosa che non fosse solo la rabbia, che continuava a ribollirmi dentro. I pugni, i lividi, i graffi, lasciavano segni. Segni che… erano all’esterno e non solo e unicamente all’interno, come quelli che mi portavo dentro da mesi.”

 
Una sorta di autolesionismo, insomma.
Mi chiesi quanto Quinn avesse avuto ragione.
Santana doveva aver sofferto immensamente ed era come se tutto quello le permettesse di ‘vedere’ effettivamente i danni provocati.

 
“Odio quando mi fa queste sparate da psicologa, non la sopporto quando fa così” borbottò, contrariata. “Ad ogni modo, la situazione da allora è rimasta pressoché invariata. Mia madre è ancora malata. Abbiamo ancora debiti. Combatto ancora in incontri clandestini. Il lardoso continua ad avere pieno potere su di me, a causa dei suoi scagnozzi.”

Mi passò improvvisamente un pensiero per la testa.
 
“Quindi, quando ieri sera gli hai detto che ero ness-“
“Non voglio che sappia di te.” Mi interruppe, bruscamente  “Mai. Se c’è una cosa che non mi perdonerei al mondo è che lui entri in contatto con te. E’ pericoloso e non deve nemmeno sapere che esisti. Sa che c’è qualcosa di diverso in me, da un po’ di tempo a questa parte. Lo ha avvertito.”
“Cosa c’è di diverso?” chiesi, non capendo.


Prese un piccolo respiro tremolante, mentre avvertivo il battito del suo cuore accelerare.

 
“Te.” Rispose, lasciandomi spiazzata “Un mese” commentò, poi, scuotendo la testa incredula “Bastò, a suo tempo, a rendere la mia vita un inferno in terra. E un mese, uno solo, è bastato a riportarmi il paradiso. Non scorre solo rabbia nelle mie vene ormai e, quando sono con te, sembra sparire del tutto. Non sono più la stessa lottatrice di un mese fa, perché sto male quando mi levo questi dannati guanti e indosso la fasciatura da combattimento. Sto male quando sono costretta a tirar pugni ad un’altra persona. Sto male quando accetto quei soldi sporchi di sangue. Quando metto felpe larghe che non vadano a diretto contatto con la mia pelle, bruciandomi a causa delle ferite. Stavo male quando ero costretta a guardarti negli occhi e dirti che semplicemente ‘dovevo andare’. Ma ancora di più quando vedevo quanto anche tu soffrissi a quelle mie parole. Mi uccideva.”
“San…” esalai, con il groppo alla gola che mi si era formato.
“Tu… mi fai desiderare di essere una persona migliore. Per te. Per mia madre. Per Quinn.” Aggiunse, prendendo una piccola pausa “Ma io sono un casino, Britt. Vivo a contatto con la malavita, piena di debiti, piena di lividi, sono una fonte di pericoli continui. Perciò…” iniziò, mentre sollevavo lo sguardo verso di lei “Io lo capisco, davvero, se tu non vuoi avere a che fare con una calamita per i guai. Chiunque abbia un briciolo di razionalità lo farebbe, quind-“
“Non so cosa sia questa razionalità, onestamente…” iniziai, portandomi su un lato, guardandola fissa negli occhi, a pochi centimetri l’una dall’altra.


Notai i suoi occhi lucidi, così come i miei.
Le passai la mano sulla guancia, facendole chiudere le palpebre, al contatto.
Non l'avrei lasciata andare per nulla al mondo.
Non dopo tutto quello che era successo fra di noi.
Non dopo tutto quello che mi aveva detto.
Non quando, finalmente, si era fidata di me.


“Io non ti lascerò, San.” Dissi, sicura, facendole spalancare lo sguardo nel mio. “Non ti abbandonerò. Mai.”







Ommioddio, un parto.
Mi scuso per eventuali errori (visto che sto crepando di sonno e non ho ricontrollato) e per il ritardo (lo so, avrei dovuto pubblicare ieri, chiedo perdono!)...e già che ci sono anche per il finale che non mi convince (ma, vedere sopra, sto dormendo in piedi praticamente, quindi il mio cervello si rifiuta di cooperare)!!
Aaad ogni modo questo è quanto, per ora!
Premetto fin da subito, comunque, che il prossimo capitolo arriverà fra domenica e lunedì quasi sicuramente visto che non avrò tempo materiale per scrivere!


Prima di lasciarvi e arrotolarmi nelle coperte, due cose!

StepNumberOne: consiglio a tutti di leggere questa oneshot faberry, che ho personalmente amato --->  http://efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1314971&i=1


StepNumerTwo: GRAZIE! Davvero siete l'ammmmòre e io non so nemmeno come ringraziarvi!

A presto, bella gente! :DD

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Capitolo 14
*** Dolcetto o scherzetto? ***


“Scherzi?!” mi chiese, allucinata, Quinn.
“Per niente!” esclamai, soddisfatta delle mie abilità persuasive.
“Hai visto, Quinn?” si intromise ora Rachel “Anche lei viene, quindi non vedo perché tu-“
“Aspetta, aspetta” fece alzando le mani, ancora “Britt, ne sei assolutamente certa? Era davvero Santana?!”
“Sì!”
“Lopez!?”
“Sì!” ribadì, ancora entusiasta.
“Quella con i guanti?” chiese, ancora, aprendo per bene i palmi delle proprie mani, mostrandomele.
“Sì, Quinn…”
“Guanti che…” iniziò, sollevando il sopracciglio sinistro fino all’inverosimile e avvicinando ancora di più la mano al mio volto, indicando le dita “finiscono qui, qui, qui, qui e qu-“
“Stai imitando qualche nuova razza di pennuto, Q?” la interruppe Santana, appena sbucata alle nostre spalle, osservandola stranita.

 
Si avvicinò a me con un sorriso, schioccandomi un bacio sulla guancia.
Dalla famosa chiacchierata, o meglio confessione, a casa sua, le cose si erano parecchio sviluppate.
in fondo, dopo una cosa del genere ci potevano essere solo due soluzioni.
Il nostro rapporto si sarebbe potuto intensificare o, viceversa, rompere del tutto.
Certo, da quel momento, ogni volta che si allontanava da me sapevo dove andava.
Ma allo stesso tempo avevo paura.
Paura che si potesse far male sul serio.

Quando stavamo assieme, vedevo gli effetti che quel ‘lavoro’ aveva su di lei.
Le botte le prendeva. E anche forti.
Ma, puntualmente, mi stupivo di come, spesso e volentieri, fosse di ottimo umore, nonostante tutto.
Ogni tanto glielo chiedevo. La risposta era sempre la stessa.
‘Sei tu’ mi diceva, semplicemente, con un’alzata di spalle imbarazzata.
E io perdevo qualche anno di vita ogni volta.

Non avevamo più filtri.
‘La sincerità prima di tutto’.
Era ormai la base del nostro rapporto.
Rapporto che, però, non era mai stato definito ‘in via ufficiosa’, diciamo così.
Insomma ero la sua ragazza o no?!
Non l’aveva mai detto. Anche se i sorrisi che mi rivolgeva sembravano parlare per lei.


“Credo volesse giocare a schiaccia cinque, piuttosto” risposi io per lei, continuando ad osservare la mano ancora alzata.
“TU!” si riprese, poi, la Fabray, puntando il dito contro Santana.
“Io?”
“Sì! Dolcetto o scherzetto?!” domandò, con voce isterica.
“Non ho caramelle a portata di mano, Q.” rispose, confusa, l’ispanica, guadagnandosi un sonoro scappellotto sulla nuca. “EHI! Non sono un antistress!”
“Ma ti pare che ti chieda delle caramell- ANZI! Ti pare che vada in giro a chiedere caramelle?!” sbraitò, gesticolando impazzita, mentre la bocca di Santana si apriva in un ‘Oooh’ di realizzazione.

 
Tenerume di ragazza.


“Andiamo, Q… che sarà mai” sdrammatizzò, con tranquillità. “Potresti travestirti da serial killer. Ci staresti alla grande!” esclamò, entusiasta, facendoci ridere tutte, tranne la diretta interessata.
“Ho bisogno di calmarmi” iniziò l’altra, chiudendo gli occhi e massaggiandosi le tempie. “Britt, come hai fatto?” chiese, poi, rivolgendosi a me.
“Beh… ho i miei metodi” feci orgogliosa, mentre l’ispanica al mio fianco prese a guardarsi i piedi, arrossendo leggermente.
“Ooooohhh, ora è chiaro!” esclamò Rachel, lanciandomi occhiate allusive.

Scossi semplicemente la testa, contrariata.

“Sei una pervertita, Rach” commentai, guardandola indignata.

 
Piccola ninfomane che non era altro!
Cioè… in realtà era sospettabile una reazione del genere dopo la mia – forse un po’ troppo – ambigua affermazione.
Ma figurarsi se Santana - Santana Lopez! -  fosse arrossita per una cosa così banale e scontata.
No, non era l’argomento ‘sesso’ a metterla in soggezione.
Era l’argomento ‘coccole e spupazzamenti’, al quale, avevo scoperto col tempo, non era per niente abituata.

In realtà, lei era un panda.
Sì, un adorabile panda, non troppo abituato ad esternare i suoi sentimenti.
Per cui, adorava essere spupazzata, ma non lo dava a vedere.
Oh, ma io, però, lo vedevo.
E in un solo pomeriggio ero riuscita a convincerla, a suon di baci e carezze, ad andare a fare ‘dolcetto o scherzetto’ dai vicini la serata di Halloween.

 
“Hai capito Lopez..” commentò con un sorrisetto divertito Quinn, che doveva aver capito tutto.
“Taci, Q” la riprese, socchiudendo gli occhi, minacciosa.
“Dai, andiamo anche noi, Quinn!” esclamò, tutta contenta, Rachel, ottenendo l’attenzione della propria ragazza – perché, sì, erano diventate ufficialmente una coppia.
Anche perché da quella scenata nel corridoio, dopo la slushiata diretta alla mia amica, non ci volle molto, per tutti, a fare due più due.
“Ci tieni davvero così tanto?” chiese, allora, sospirando.
“Sì, dai, ci divertiremo!” le sorrise raggiante, spingendola a ricambiare con un piccolo sorriso.
“E va bene…” acconsentì, mentre Rachel iniziava a saltellarle attorno “Ma sia chiaro, indosserò una semplice maschera horror e stop. Pace e bene fratelli” commentò, seria.
“Tutto quello che vuoi” le rispose, subito, l’altra, eliminando la distanza fra le loro labbra.
“Ehm, siete in una scuola… un luogo pubblico” ricordò loro, Santana, ottenendo in risposta, solo una pseudoalzata di mano dalla sua migliore amica. “Andiamo, va’, Britt, lasciamo che vengano arrestate per atti osceni in luogo pubblico” fece, afferrandomi la mano. “Vergogna!” concluse, teatralmente, con finta indignazione, facendomi ridere.





 
“San, devo solo dirti una cosa prima di entrare in casa.”
“Ok…” mi assecondò, guardandomi confusa.

 
Eravamo arrivate alla soglia di casa mia.
Ma dovevo assolutamente puntualizzare una cosa di vitale importanza.

 
“Tu… tu lo sai che vivo in un manicomio, no?” le chiesi, retorica, facendola ridere.
“Approssimativamente” commentò, divertita.
 

‘Approssimativamente’.
Hà.
Ottimista.
 

“Sì, beh, ecco. Vedi… in questo manicomio, il 31 Ottobre è particolarmente amato”
“Ooh”
“Sì, e quindi devo avvertirti”
“Dai” ridacchiò, tranquilla “Cos’è? Apriremo la porta e ci spareranno dei coriandoli addosso?” chiese, divertita.
“No, quello è carnevale… e non erano solo coriandoli, ma anche uova e arance.” Risposi, ripensando al mio povero, meraviglioso vestito, tristemente caduto per la patria.
Lo ricorderò sempre con affetto.
Era il mio preferito, maledizione.
“Ah.” Commentò, stranita “MaryG?”
“Seh! Magari solo lei!” esclamai, iniziando ad aprire la porta di casa “Tu… solo, preparati ad ogni evenienza”

 
Entrammo in casa, pian piano.
Le luci erano tutte spente, con le serrande quasi tutte abbassate.
C’era uno strano silenzio.
Troppo per i miei gusti.


“Ok, stammi vicino perch- AAH!”
“Che diavolo è!?” esclamò, Santana, afferrando l’oggetto che ci era caduto in testa.
“Uno scheletro…” commentai, osservandolo, contrariata. “Ecco, visto di cosa ti stavo parland-“
“Ciao ragazze!” esclamò, improvvisamente, mio padre, sbucato dallo stramaledetto nulla alle nostre spalle.
 
Facemmo un salto di qualcosa come 3 metri.

“PA’!!” sbraitai, tenendomi una mano sul cuore “Vuoi farci morire per caso?!”
 
Osservai il suo aspetto.
Dio, dovevo immaginare che si sarebbero dati alla pazza gioia.
Aveva questo pezzo di ascia attaccato alla testa, con del sangue finto a colargli lungo la faccia, fino ai vestiti.
Della matita nera attorno agli occhi.
E questo mucchio di follia nel cervello.
 
“Bello il costume, John” commentò, Santana, osservandolo ora per bene, seppur ancora con il fiatone per lo spavento.
“Vero, eh?” chiese, fiero di sé stesso, mio padre. “C’è voluto un po’ per realizzare il tutto ma credo che ne sia valsa la pena!”
“Decisamente” facemmo all’unisono noi.
“Bene! Avevo pensato a dracula, ma mi sembrava così scontato…” riflettè, amareggiato.
“Sì, pà. Sei l’originalità fatta persona così…” iniziai ironica, osservandolo guardarmi contrariato “Dove sono MaryG e mamm-“
“Ragazze!” sentimmo chiamarci da sopra le scale, senza però riuscire a vedere a causa del buio.
“Ma’ ti prego, dimmi che almeno tu-“
“AAAAAHHHH”

 
Mi interruppi di colpo, sentendo l’urlo di mia madre e il suono di un corpo che cadeva per le scale.
Oh, cazzo.
Santana ci mise meno di un secondo ad arrivare alla base delle scale, mentre io me ne stavo paralizzata sul posto.

 
“Susan, Susan! Sta be… ne?” fece, stranita, una volta che le luci si riaccesero.
“Come sta, San?” chiesi, preoccupata.
“HAAA’! Ci siete cascate!” sbucò, ora, dalla cima delle scale mia madre, saltando pesantemente sul pavimento.

 
Bontà divina.
L’avrei uccisa.

 
“Dillo, Santana, che il mio scherzo è stato più originale del suo!” fece, indicando soddisfatta mio padre.
 
Io mi limitai a sbattere le palpebre un paio di volte, stralunata.
Santana era, invece, seduta a terra, con il manichino, che quella pazza di mia mamma aveva lanciato dalle scale, fra le mani, pallida come un lenzuolo, con una mano al cuore.
 
“Gesù…” commentò, passandosi una mano sul viso.
“Visto, tesoro? Domandò, poi, soddisfatta a mio padre “E’ stato meglio il mio”
“Oh, ma non è vero” borbottò, contrariato, allontanandosi, triste, in cucina.
“Verissimo, invece…” commentò lei, spostando la sua attenzione su di noi “Voi? Da cosa vi siete vestite, ragazze?” domandò, contenta.
“In questo momento io sono travestita da infarto” commentò, ancora shockata, Santana, alzandosi da terra.
“Io, invece, da figlia che vuole l’emancipazione!” sbottai io, osservandola contrariata.
“Oh, andiamo, ragazze! E’ halloween! La festa della paura, dei mostri, dei travestimenti, dei-“
“Mi sa che il primo di aprile non metterò piede qui dentro” commentò Santana, facendo ridere di gusto mia madre.
“Non ridere, ma’. Sono sicura che è seria. E non credo si riferisca solo al giorno del ‘pesce d’aprile’” feci, tranciandola con lo sguardo.
“Naaaa, ci ama troppo, per abbandonarci!” esclamò, allegra, dandole una pacca sulla spalla. “Ora vado a preparare uno scherzo a tuo padre.”
“Sei seria?!”
“Assolutamente! Pensavo di mettergli un topo finto fra i vestiti… sai quanto ne sia terrorizzato!” commentò, malefica, avvicinandosi alla cucina. “Ci vediamo dopo”
“Britt…” iniziò l’ispanica, avvicinandosi lentamente, notando che non mi ero mossa di un millimetro.


Ma che razza di genitori avevo?!
Avrei dovuto chiamare il telefono azzurro anni orsono.
Per non parlare di MaryG che- … oh, merda.
Dov’era quel piccolo gollum geniale?!

 
“San, mi è piaciuto davvero tanto stare con te in questa casa, negli ultimi tempi” commentai amareggiata “Credevo sarei riuscita a domarli. Ma mi sbagliavo” conclusi, facendola ridere.
“Andiamo, dai, Britt” mi prese la mano, con un sorriso “Lo sai che adoro la tua famiglia”
“Strano tu non abbia ancora cambiato idea… aspetta di salire le scale.”
“Perché?” fece stranita.
“Non ti pare che manchi qualcuno all’appello?” chiesi, lanciandole un’occhiata, iniziando a salire le scale.
“Oh.”
“Eeeehh. Sappi che è stato un onore essere in tua compagnia in quest’ultimo periodo. So che fuggirai presto.”
“Non fuggirei mai da te” mi commentò all’orecchio, non appena fummo al piano di sopra.
 Le sorrisi sincera, prima che un flagello dell’umanità a caso facesse la sua comparsa.


“Dolcetto o scherzetto?!” chiese, malefica, sbucando dalla fine del corridoio.
 
Non riuscivo a vederla bene, visto che le luci erano spente.
Ma mi parve di vederle qualcosa in mano.
 
“Te l’avevo detto io di comprare le caramelle” bisbigliò Santana, preoccupata.
“Non possiamo cedere ai terroristi, San!” esclamai, gonfiando il petto.
“Ai terroristi no. Ma a MaryG  per forza, Britt.” Commentò, lanciandomi uno sguardo esplicativo.
“Bene. Gollum…” iniziai, rivolgendomi a lei.
“Sua maestà, somma padrona del mondo, prego” mi corresse, esortandomi a soccombere.
“Va bene. Sua maestà, somma puzzetta del mondo” iniziai, guadagnandomi una gomitata dall’ispanica al mio fianco “Non abbiamo caramelle e non cederemo ai tuoi ricatt-“
“Risposta sbagliata.” Commentò lei, lasciando andare quella che riconobbi come una corda dalle sue mani.

 
Era geniale.
Si sapeva.
Era malefica.
Si sapeva pure questo.
Ma non mi aspettavo ci facesse cadere una rete, tipo quelle da pesca, in testa.

 
“MARYG!” tuonai, arrabbiata, sentendola correre verso di noi, afferrando un’altra corda.
Iniziò a girarci attorno, arrotolandocela addosso, chiudendoci come salami.
 
“Dovevi comprare le caramelle, Britt!” esclamò Santana, cercando di slegarsi.
“Esatto!” le diede ragione mia sorella “Mi dispiace tu sia rimasta coinvolta, Santana, spero in un’alleanza per la prossima volta” aggiunse, poi, tranquilla.
“Ci sto!” rispose, all’istante.
“EHI!” sbottai, dandole, per quanto mi era possibile, una spinta.
“Carino il vostro travestimento…” fece mia madre, comparsa dall’apice delle scale, diretta verso la sua camera da letto con un topolino di plastica in mano “Mi piace l’idea dell’insaccato, anche se avrei optato per qualcosa di più spaventoso” aggiunse, poi, chiudendosi la porta alle spalle.

Rimanemmo per un momento imbambolate a fissare il punto in cui era scomparsa.
No, ma era proprio la normalità quella casa.




 
“Non metterai più piede in questa casa, vero?” chiesi, poi, una volta che riuscimmo alla bene e meglio a liberarci.
“Aaahhh” fece, levandosi dalla testa la rete “Non lo so… dipende”
“Da cosa?” domandai, osservandola corrucciata.
“Da un sacco di cose” rispose, con un sorrisetto, avvicinandosi.
“Tipo quali?” chiesi ancora, notando il suo sguardo sulle mie labbra.
“Taaante cose” fece, ancora, lasciandomi un piccolo bacio sulle labbra.
“Magari posso convincerti a restare” commentai, allegra, prendendola per mano.

 
Arrivammo davanti la porta di camera mia, aprendola ridacchiando.
Peccato che il nostro sorriso si spense sul nascere, quando un secchio di acqua gelata ci finì in testa.

Dannato flagello dell’umanità.

 
“Andiamo!” sbottò Santana, prendendomi per mano, scendendo di corsa le scale.
“D-dove s-stiamo andando?” chiesi, mezza tremante per il freddo, tutta bagnata.
“A comprare le caramelle!”





 
“Abbiamo racimolato la bellezza di 130 caramelle semplici, due barrette di cioccolata, 20 cioccolatini e 3 chupa-chups” commentai, dopo aver fatto l’inventario del bottino guadagnato.
“Caspita!” fece, stupita, l’ispanica, seduta al mio fianco.

 
Dopo una serata intera di ‘Dolcetto o scherzetto?’ vari, avevamo finalmente deciso di riposare i piedi, fermandoci al parco.
Quinn e Rachel stavano sulla panchina più in là, a scambiarsi coccole.
La maschera di Dracula e di Barbra Streisand, abbandonate più in là.
Non ci voleva certo un genio per capire a chi appartenesse quale.

 
“Mi piace il tuo costume da papera” mi sorrise, poi, lei, osservandomi.
“Vorrei poter dire che la tua maschera di Scream mi piaccia davvero, ma ti avrei preferito vestita da panda.” Ridacchiai, prendendola in giro.
“Così avrei perso tutto il rispetto guadagnato in più di un anno di tempo… perché poi il panda?” chiese, confusa.
“Una mia teoria.”
“Esplicami, paperotta” mi esortò, strappandomi un sorriso divertito, per il nomignolo.
“Tu sei un panda.” Sintetizzai, sollevando le spalle.
“Mh…”
“Ti faccio vedere.”
 
La abbracciai stretta, facendo sì che le sua mani corressero, all’istante, sulla mia schiena tirandomi verso di lei.
Le diedi un bacio sulla guancia, a cui rispose con un sorriso, che avvertì distintamente sul mio collo, in cui aveva subito incastrato la testa, come la tessera di un puzzle.
 
“Visto?” chiesi, quindi, soddisfatta, senza smuovermi di un millimetro. “Sei un piccolo panda affettuoso.”
“Mmmmh” borbottò, in risposta.
“Il mio piccolo panda affettuoso” precisai, facendola ridacchiare.
 
Si sollevò leggermente, parlandomi all’orecchio.
 
“E tu la mia paperella” commentò, sorridente, scaldandomi il cuore.
Si voltò, poi, osservando Quinn e Rachel, sulla panchina poco distante.
“Sai che Quinn ha completamente perso la testa per la nanetta?” chiese, poi, d’un tratto.
“La nanetta è la mia migliore amica, San” la ripresi, fintamente arrabbiata.
“Sì, ma è bassa!” esclamò, a mo’ di giustificazione.
“Beh è vero… ma non c’entra niente”
“Va bene…” acconsentì “E Quinn si vanta sempre” continuò, poi, facendomi corrucciare.
“Tipo come?”
“Tipo che si vanta!” iniziò “della nanetta!”
“San!” la richiamai, divertita.
“Ma sì…” ridacchiò “Dovresti sentirla… ‘La mia ragazza sa cantare e ballare, ha una voce bellissima’… la mia ragazza di qua, la mia ragazza di là”

 
Aspetta.
Cosa stava cercando di dirmi?
Mica era gelosa?!

 
“Sì, beh, Rachel è…”
“Bah. La mia ragazza riesce appiccare fuoco alle tende cercando di fare dolci, ma mica mi sparo la posa… IO!” sbottò, arrossendo leggermente.

 
Sentì distintamente le campane suonare e gli uccellini far festa.
 

“Ripeti” la pregai, guardandola negli occhi.
“Non mi sparo la posa io?”
“No, prima.”
“Riesce ad appiccare fuoco alle tend-“
“Prima.”
“La mia ragazza?” domandò, infine, con un’insicurezza, che mi fece riempire il cuore di tenerezza.
“Senza punto interrogativo, però.” La pregai, sorridente.
“La mia ragazza.” Disse, allora, ricambiando il mio sorriso, ora finalmente sicuro.
“Suona bene, non trovi?” le chiesi, contenta, avvicinandomi alle sue labbra.
“Suona benissimo.” Commentò, prima di azzerare del tutto le distanze.








Tetraedro dell'Autrice

Alè! Oddio non posso crederci, sono quasi collassata per scriverlo tutto entro stasera, ma vabbè! (non l'ho manco ricontrollato, perdonate eventuali orrori!)
E' chiaramente un capitolo di transizione, così carino e ciccino... il prossimo sostanzialmente anche lo sarà, ma si parlerà di relazioni passate (vedi Quinn e Jennifer)...

Babò! Andiamo avanti!
Dunque, prima di tutto questo capitolo non sarebbe mai stato realizzato senza l'aiuto di charlie ( http://efpfanfic.net/viewuser.php?uid=122649 ) o Santa Charlie, come preferite chiamarla!
L'idea di un capitolo su halloween è sua, oltre al fatto che ha fatto ordine nel mio cervello, tirandomi fuori dallo stallo in cui ero caduta! Insomma, d'ora in poi potete benissimo iniziare ad insultare anche lei se c'è qualcosa che non vi garba! muahahaha

Chiedo perdono per il ritardo (vedi stallo sopramenzionato, ma soprattutto causa-studio)!
Purtroppo non assicuro che il prossimo capitolo arriverà presto perchè ho un esame a breve ed è anche parecchio importante!
ma è ad inizio novembre, quindi, relax and take it easy, che gli aggiornamenti poi ritorneranno normali!

Ancora una volta, GRAZIE DAVVERO! siete delle maraviglie! C:

A presto, bella gente!! :DD




 

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Capitolo 15
*** Balla per me ***


“Quindi, i tuoi non ci sono?”
“No, San…” feci, aprendo la porta di casa “Ma abbiamo l’amorevole presenza di-“
“Ciao San!!” esclamò, tutta contenta, MaryG, mentre marciava verso il soggiorno con una ciotola gigante di pop-corn in mano e una bottiglia di coca-cola. [ma questa è pubblicità occulta?? Nda]
“Ehi, MG, che combini?”
“Maratona.” Fece, indossando degli occhiali a pallina.

Oh, ecco.
Perfetto.
 
“Vai a correre?” fece, confusa, l’ispanica, levandosi il cappotto.
“E’ una drogata di Harry Potter” chiarii io, indicando mia sorella disegnarsi la cicatrice del protagonista della saga sulla fronte.
“Oooh”
“Già!” esclamò, entusiasta, la mia piccola gollum “E tra parentesi sta arrivando Mike” aggiunse, afferrando distrattamente i cofanetti dei film. “Abbiamo intenzione di vederli tutti!”

Esultai internamente, non poco.
Con tanto di coriandolini e squilli di tromba.
Dio benedica quel ragazzino.
Dovevo ricordarmi di mandargli un cesto di torroni il Natale successivo.
 
“Perfetto! Noi saremo di sopra, quind-“
“Sai che non mi piace per niente quel tipo?” mi interruppe l’ispanica, rivolgendosi a mia sorella con uno sguardo sospettoso.
“Perché?”
“Non lo so… è strano” continuò, ancora.
“Oh, andiamo, San!” esclamò MaryG, sconsolata “Non ti piaceva nemmeno Jake!”
 
Incredibile ma vero, mia sorella teneva moltissimo a quello che la mia ispanica pensava.
A me non calcolava manco di striscio, ovviamente.
Ma una sola smorfia di Santana bastava a farla ritornare sui suoi passi.
E farsi mille pippe mentali.
In cinque mesi erano diventate culo e camicia.
Mh.
Forse avrei dovuto sfruttare di più questa cosa.

“E, difatti, guarda come è andata a finire!”
“E’ diventato gay, mica mi ha tradit- aspetta, non mi dire che il tuo gayradar si è attivato anche con Mike, ti prego!” fece, sbiancando all’istante.
“No, no” alzò le mani “Però...”
“Cosa?”
“Mi sembra una persona senza testa sulle spalle, ecco.” Chiarì, sollevando gli occhi al cielo.
“Ma se ha tutti voti altissimi!”
“Che c’entra! E’ il carattere la cosa importante, per quanto ne so, potrebbe anche essere una persona violent-“
“Si rifiuta persino di uccidere le mosche. E’ un animalista convinto. Non ha mai usato la violenza su nessuno”
“Finora…” socchiuse, ancora, gli occhi, guardandola in cagnesco.
“Ok.” Sbuffai, trascinando Santana in cucina.
 
Mi limitai a guardarla con un sopracciglio alzato.
Lei incrociò le braccia, senza degnarmi di uno sguardo.
Dopo circa 5 secondi esplose.
 
“Per me si vuole portare MaryG a letto!” sbottò, spalancando le braccia, facendomi scoppiare a ridere. “Non c’è niente da ridere, Britt! E’ sospetto. E’ una persona losca” continuò, abbassando il tono di voce.
“Saaan, stai diventando iperprotettiva.” Commentai, divertita.
“Macchè! No, quando mai” negò subito “Ma non mi dire che non hai fatto caso agli sguardi che le lancia”
“Anche se fosse? E’ una cottarella da terza media!”
“Che potrebbe concludersi su un lett-“
“SSHH! Ti prego, non traumatizzarmi!” sbottai, portandomi la mano alle orecchie “MaryG non sarebbe il tipo comunque!”
“Non puoi saperlo… e se lui la plagiasse?!” chiese, ancora, convinta.
“San… ma l’hai visto bene?”
 
Proprio in quel momento suonò il campanello.
Lanciai un veloce sguardo all’ispanica al mio fianco, mentre osservavamo la scena nascoste dietro lo stipite della porta.
Entrò questo ragazzetto, un po’ mingherlino.
Capelli castani curatissimi. Occhi scuri.
 
“Lo vedi? Lo stai vedendo?” chiese, sottovoce, l’ispanica al mio orecchio. “Quale persona normale si vestirebbe così, eh?!”
“San…” sospirai “Quella è l’uniforme dei Grifondoro di Harry Potter.”
“Ah.”
“Eh gi-“
“Guarda!”

Spostai di nuovo lo sguardo vedendo i due un po’ imbarazzati nel bel mezzo del soggiorno.
Lui era completamente rosso in volto.
Probabilmente doveva essere timidissimo.
Anche perché quando MaryG si sporse per lasciargli un piccolo bacio sulla guancia, questa, già prima arrossata, sembrò andare a fuoco.
 
“San, per me, se quei due dovessero mai andare a letto, fidati” feci lanciandole un’occhiata esplicativa “non sarebbe un’idea di quel ragazzetto lì”
“Come fai a dirlo?!”
“Oh, andiamo! Credo che già solo per il bacetto di prima sulla guancia sia rimasto più che soddisfatto per un mese”
“Dici?”
“Dico, dico.” Sorrisi lasciandole un bacio a fior di labbra “E ora per favore andiamo di sopra che mi sta venendo un mal di schiena allucinante a stare qui nascost-“
“Ragazze!” ci richiamò MaryG, facendoci sobbalzare.
“Sì?” feci, noncurante, facendomi vedere, affiancata dall’ispanica.
“Sta iniziando il film, potreste smetterla di blaterare dalla cucina, che non ci fate sentire niente?” chiese, sollevando gli occhi al cielo.
“Sì, sì, certo scusa, è che c’era un…”
“Calamaro” continuò Santana, senza staccare lo sguardo dal ragazzino, che iniziò ben presto a muoversi a disagio sul divano.
“Ecco, un calam-“ mi interruppi, realizzando la cosa “Un calamaro, San? Sul serio?” feci, dandole una spinta.
 
Altra cosa divertente che avevo imparato su Santana.
Quando era concentrata su qualcosa o qualcuno, era meglio non contare su di lei.
Magari l’aiuto cercava di dartelo pure, ma senza ottimi risultati.
L’ultima volta era successa una settimana prima.
Stavano facendo una delle solite sfilate religiose per la strada e noi ci trovavamo nei paraggi, per puro caso.
Queste signore, per lo più anzianotte, si erano fermate, recitando alcune preghiere, come era usanza.
Santana, invece, era del tutto presa ad osservare un cameriere del bar lì vicino, che, mezzo influenzato, continuava a toccare ed infettare tutte le ordinazioni che portava.
Arrivò il tipico momento di silenzio, che segue il ‘Preghiamo’ del prete.
Peccato che proprio allora il ragazzo ebbe la brillante idea di starnutire in una tazza di caffè.
Il ‘Ma che cazzo!’ urlato di Santana credo sarà ricordato da tutte quelle signore, che si girarono indignate all’ennesima potenza verso di noi, come esempio del degrado della nostra generazione.
 
“Ok, noi andiamo di sopra” feci, rinunciando a cercare altre scuse.
Mi incamminai sulle scale, notando però l’assenza di Santana al mio fianco, che era rimasta ancora lì a guardare il ragazzo sospettosa.
“Scusatela” dissi, afferrandola per un braccio, mentre lei, incurante del fatto che la stessi trascinando a forza via di lì, prese ad indicare prima i suoi occhi e poi quelli di Mike, mimando un ‘Ti tengo d’occhio’ con le labbra.
Inutile dire che il ragazzo sbiancò all’istante.




 
“Ho una cosa da darti” fece Santana, sciogliendosi dall’abbraccio, sul letto in camera mia.
Si avvicinò alla cartella, uscendosene con un piccolo sacchettino delle dimensioni di un quadernino.
“Avevamo detto niente regali, San!” esclamai, divertita. “’Non festeggeremo i cinque mesi, al limite i sei’ disse una persona a caso” la canzonai, scherzosamente.
 
Ebbene sì.
Stavamo insieme ormai da cinque mesi, tondi tondi.
Santana non era molto favorevole al festeggiamento dei ‘mesiversari’, così avevamo deciso per un compromesso.
Ai sei avremmo festeggiato sul serio. Fino ad allora niente di che.
Certo.
E poi ogni mese se ne usciva con qualcosa di carino o teneroso.
Al precedente, ad esempio, mi aveva salutato con una piccola rosa rossa fra le mani.
Il mio adorato panda.
Ad ogni modo, niente regali di fatto però.
Ma quel mese dovevo assolutamente fare un’eccezione. Così come aveva fatto lei, d’altronde.

“Lo so, lo so, ma-“
“Ho anch’io qualcosa per te!” la interruppi, contenta, sporgendomi verso il cassetto, tirando fuori un altro pacchetto, stranamente delle stesse dimensioni del suo.
Fece solo un piccolo sbuffo divertito.
“Che c’è? Tu puoi e io no?” chiesi, sporgendomi a lasciarle un bacio. “Tieni” aggiunsi, allungandole il regalo.




 
Scartammo i rispettivi regali velocemente, per poi scoppiare a ridere di gusto appena realizzammo cosa fossero.
“Non ci credo!” esclamò, ridacchiando.
“Abbiamo avuto la stessa idea geniale!” feci, entusiasta, indossando il cappellino di lana a forma di papera.
“Siamo telepatiche” commentò divertita, indossando il suo a forma di panda. “Non l’avevo nemmeno visto questo qui” commentò, indicandosi, la testa, per poi lasciarmi un altro bacio.
 
Poche settimane prima eravamo andate in questo nuovo negozio, che avevano aperto al centro commerciale.
Era particolarissimo.
Se cercavi qualcosa di stravagante, lì l’avresti trovato sicuro.
E quando notai il cappellino, non potei fare a meno di pensare che sarebbe stato il regalo perfetto per Santana.

“Ehi, io ho occhio per certe cose!” esclamai, con aria di superiorità, sebbene il mio copricapo mi facesse perdere inevitabilmente di credibilità.
“Per i panda?” chiese, ridendo.
“Oh, sì.” Risposi, subito “Ricorda sempre che tu sei il mio personalissimo panda batuffoloso” commentai, rituffandomi fra le sue braccia, trovandoci nuovamente sdraiate sul letto, strette l’una all’altra.
 
Proprio in quel momento sentimmo bussare ripetutamente.
“Ragazze!” urlò mia sorella da dietro la porta.
“Entra MaryG!” esclamai, senza muovermi di un centimetro.
La vidi entrare con una mano sugli occhi, cercando alla bene e meglio di non inciampare da sola.
“Devo solo prendere la mia bacchetta di Harr-“
“Siamo vestite, gollum!” ridacchiai, osservandola fare un sospiro di sollievo, aprendo gli occhi.
“Meno male, pensav-“ si bloccò improvvisamente, osservandoci con un sopracciglio sollevato.
 
Mi ci vollero 2-3 minuti per realizzare che stava osservando i nostri seriosi cappellini.
Mi limitai a fare un sorrisetto di circostanza, mentre Santana al mio fianco, a stento, reprimeva una risata.
 
MaryG aprì, invece, la bocca per parlare, ma la richiuse subito dopo, scuotendo la testa.
“Non vi commento nemmeno. Sarebbe come sparare sulla croce rossa” fece, prendendo la bacchetta.
“Come si sta comportando il tipo?” chiese, sospettosa, Santana.
“Bene, San.” Fece, sollevando gli occhi al cielo. “Fin troppo” aggiunse, poi, sottovoce.
“Che hai detto??”
“Niente, niente…” alzò le mani “Vado eh.” si avviò verso la porta, prima di girarsi lanciandoci un’ultima occhiata “Aaaah, l’amour” commentò, infine, prima di uscire definitivamente.
 
Rimasi imbambolata per qualche secondo, riflettendo sull’ultima parola che aveva pronunciato.
Sì, ok, l’aveva detto scherzosamente.
Ma la verità era che io pensavo a questa cosa, ormai, da un po’.
I momenti in cui mi capitava di guardare negli occhi Santana e volerle dire quelle famose tre parole non riuscivo nemmeno più a contarli nell’arco della giornata.
Non pensavo che a lei.
Non volevo che lei.
Sempre.
Quando non era fisicamente con me, era costantemente nei miei pensieri.
Certe volte sembrava che il mio cuore non reggesse alla sua presenza.
Batteva all’impazzata.
E l’unica cosa che potevo fare era assecondarlo, stringendomi a lei con forza.
L’amavo.

Ma lei?
Quando ne parlammo, mesi prima, il giorno del nostro primo bacio, era stata piuttosto chiara.
‘Non sono il tipo’.
E quelle parole mi rimbombavano nella testa ogni santa volta.
 
“Che c’è?” mi chiese, con un piccolo sorriso, carezzandomi la guancia con la mano, priva di guanti.
 
E anche quello amavo di lei.
Il fatto che notasse immediatamente ogni mio piccolo cambiamento d’umore.
Ogni flusso di pensieri in più.
Il fatto che quando eravamo insieme in casa, non indossava mai i guanti, sapendo quanto adorassi sentire il contatto diretto con la pelle delle sue mani.
E, sì, amavo anche il fatto che combattesse.
Non, ovviamente, il fatto in sé. Morivo ogni volta che si allontanava da me la sera, rischiando costantemente di farsi male.
Ma amavo il suo cuore. Il suo grandissimo cuore, che la spingeva a tutto per le persone a cui teneva.
Amavo il fatto che da due mesi a quella parte aveva preso ad andare in giro, informandosi per altri lavori, cercandone, purtroppo fino ad allora invano, uno che pagasse almeno i due terzi di quanto le desse Phill.
Amavo come mi guardava.
Amavo come mi stringeva a sé.
Amavo lei.
 
C’è che ti amo’  le risposi, quindi, nella mente, guardandola intensamente negli occhi.
 
Ma, di fatto, mi limitai a sollevare le spalle, con un piccolo sorriso.
“Proseguiamo con la tradizione del mesiversario?” chiesi, quindi, facendola ridacchiare.
“Perfetto, quindi, ne deduco siano ancora tante le cose che mi hai tenuto nascoste, eh?” fece, scherzosamente.
 
Già.
Ogni mese, puntualmente ci dicevamo qualcosa che l’una non sapeva dell’altra.
Era un po’ una tradizione.
E ci aiutava a scoprirci ancora di più.
 
“Essì! Qualche danno qui, qualche danno lì, cose così” sminuii, tranquilla.
“Ne sono certa…” commentò, divertita  “Non mi hai mai parlato di Jennifer, però” rifettè, guardandomi negli occhi.
“Oh.” Me ne uscii, così, non sapendo cosa dire.
“C-cioè, non me ne devi parlare se non vuoi, assolutamente, lo capisco perfett-“ la bloccai con un bacio, staccandomi poi sorridendo, per farle capire che andava tutto bene.
“Tranquilla, non è un problema…” iniziai “Cioè, non ne parlo con nessuno da fin troppo tempo, ormai, persino con Rachel, quindi è solo… strano, ecco.” Conclusi, posizionando la testa sulla sua spalla e giochicchiando con le sue dita.
“Ma tu puoi parlare di tutto con me, però. Lo sai, vero?” mi chiese, carezzandomi i capelli.
“Lo so” sorrisi, automaticamente “Perfetto.” Iniziai, prendendo un sospiro “Direi di dedicare il momento di verità del mesiversario alla vecchia relazione più importante.”
“Ma io non ho mai avuto relazioni serie” commentò, riflettendoci su.
“Parlami di Quinn… insomma ci sei stata assieme, no?”
“Mmh. Una specie” fece, schiarendosi la gola “Chi inizia?”
“Vai tu”

Ero sinceramente curiosa di sapere di Quinn.
Insomma certe volte sembravano un tutt’uno.
Non che fossi gelosa di lei, anzi, ero contenta che avessero un’amicizia così forte.
Perché sapevo che era solo questo.
E a maggior ragione mi ero spesso chiesta come si erano trovate ad andare a letto insieme.
 
“Ok…” iniziò, grattandosi distrattamente il mento “Ahm… conosco Quinn dalle medie.”
“Ah! Come me e Rachel!”
“Già… è stata la mia prima amica e l’unica vera di fatto.”
“Uguale!” commentai, ricordando ancora quando conobbi la mia migliore amica.
“Ormai però la considero più una sorella che altro.”
“Vero…”
“Quindi mi fa strano ogni tanto pensare che siamo state a letto insieme intorno al secondo anno di liceo”
“Ok, questo non è uguale” commentai,storcendo la bocca e facendola ridere.
“Ci avrei scommesso…”
“Come è successo?”
“Beh… E’ stato… cioè-“
“A parole tue, San”
“Siamo state la prima volta l’una dell’altra”
 
Ok. Questo non me l’aspettavo.
 
“Oh.”
“Già… io allora ero un po’ confusa, perché sentivo attrazione anche per le ragazze e, beh… lei, semplicemente, mi ha aiutato a capire e a realizzare che, sì, decisamente mi piacevano anche le ragazze. Quindi, siamo finite a letto insieme… un paio di volte, tra l’altro.”
“Ah!”
“Sì, beh, era per fare… esperienza?” fece, ridacchiando nervosamente “Ad ogni modo, poco dopo realizzai di provare nient’altro che una forte amicizia per lei, così decidemmo di fermarci lì e continuare solo come amiche.”
“Quindi anche lei era d’accordo?”
“Assolutamente! Anzi, fa strano a tutte e due pensare di essere state assieme in quel senso, allora. Ma… direi che no, non mi pento che lei sia stata la mia prima volta.” Riflettè, pensierosa.
“Come mai?”
“Perché ci tenevo e tengo, tutt’ora, a lei… almeno ha avuto una sorta di senso, mettiamola così. Tutte le altre storie che ho avuto da lì in poi sono state solo e unicamente fisiche. Ragazzi, ragazze, non avevano granchè importanza.” Disse, prendendo un piccolo sospiro “Fino ad ora” aggiunse, poi, lasciandomi un bacio sulla tempia, facendomi sorridere inebetita. “Tocca a te”
“Già hai finito?” chiesi, contrariata.
“Eh, sì. Non c’era granché da dire, te l’avevo detto!” si difese, facendomi una pernacchia sulla guancia.
“Pernacchiona…” commentai, fintamente indignata, facendola ridere.
 
Bene.
E ora da dove iniziavo?
 
“Ok, dunque… conobbi Jennifer al secondo anno, veniva alla scuola di danza con me”
“Facevi danza?!” mi chiese, giustamente, esterrefatta.
“Beh, sì. Prima” risposi, un po’ imbarazzata.
“Perché non me l’hai mai detto?”
“Perché avrei dovuto parlarti di lei” feci, sollevando le spalle, imbarazzata “E non ho mai avuto molta voglia di parlarne.”
“Se non-“
“Voglio.” La interruppi, di nuovo, sorridendo “E’ tutto ok, ora, davvero. Ero solo un po’ cocciuta, ma te ne avrei parlato tranquillamente già settimane fa” commentai, ricordando perfettamente come l’entrata di Santana nella mia vita avesse completamente spazzato via il ricordo di Jennifer.

Sembrava brutto da dire.
In fondo era stata una parte importante della mia vita.
La mia prima cotta.
Il mio primo amore, anche se probabilmente non avrei più usato il termine 'amore'.
La mia prima volta.
Ma Santana… era Santana.
 
“Dunque, diventammo subito amiche. Lei arrivò con i suoi da New York, sono dei tipi che viaggiano molto… o meglio viaggiavano molto, ora non so nemmeno dove siano.”
“Non sei più in contatto con lei?”
“No, per niente. Prese lei questa decisione quando mi lasciò, alla fine dell’anno scorso. Non credeva alle relazioni a distanza fra persone in due stati diversi degli USA, figurarsi in due continenti diversi”
“Antartide?” chiese, con un sorriso, smorzando un po’ di tensione.
“Proprio!” ridacchiai in risposta “Andò in Europa, non so esattamente dove, forse Germania… il padre aveva ottenuto lavoro lì e dovevano partire. Mi disse che era meglio finirla subito, piuttosto che fingere che andasse tutto bene, quando ormai era crollato tutto. Per cui… cancellò il mio numero dalla rubrica, si rifiutò di dirmi dove doveva andare, e mi lasciò una lettera, in cui mi diceva di essere l’amore della sua vita, che mi avrebbe amato per sempre, ma che dovevamo separarci. Del tutto. Per il bene di entrambe”
“Oh.”
“Quello fu l’unico momento in cui la odiai profondamente” commentai, ricordando “Ma col senno di poi, mi sono resa conto che aveva davvero fatto tutto quello per noi. Non saremmo durate e avremmo sofferto, comunque, inevitabilmente.”
“Da qui a perdere completamente i contatti, però…”
“Lo so. E’ stato decisamente un taglio netto, un po’ brusco, in effetti. Ci rimasi particolarmente di sasso, perché non mi sembrava da lei. Lei… non era così.”
“E com’era?”
“Era…” iniziai, cercando le parole “Dolce, premurosa, un pezzo di pane. Pensava prima al prossimo e poi a sé stessa, avrebbe scalato l’Everest se solo gliel’avessi chiesto e, sono sicura, anche con un sorriso sulle labbra. Un giorno mi diede la sua felpa, in pieno inverno, perché avevo freddo. Rimase tutta la mattinata in canottiera e si rifiutò categoricamente di riprendersi la maglia, sebbene battesse i denti e tremasse. Era..”
“La ragazza perfetta” commentò, senza apparente stato d’animo, Santana.
“Forse.” Feci, con una sollevata di spalle “Ma non credo lo fosse per me” aggiunsi, vedendola con la coda dell’occhio fare una faccia stranita.
Prima ancora che potesse chiedere spiegazioni, ripresi a parlare.

“Con lei andavo a danza. Eravamo piuttosto brave, chiamavano sempre noi per qualsiasi provino… mia madre era convinta che saremmo finite a fare le ballerine” risi, amara.
“Ma a te piaceva ballare...”
“Sì, molto. Stavo già pensando di fare domanda per l’università di danza più prestigiosa di New York, era… sì, era il mio sogno.”
“Perché hai smesso, Britt?” mi chiese, piano.
“Ballavo per lei, sai? Era come se fosse un’unità imprescindibile, lei e la danza, intendo. Per cui, mancando Jennifer, automaticamente venne meno anche l’altra. Credo… sai credo che avessi costruito il mio mondo attorno a lei. E quando se n’è andata… mi è letteralmente crollato tutto addosso.” Conclusi, sollevando le spalle.
“Ricomincia” propose, allora, lei, stringendomi di più.
“Sono piuttosto arrugginita, San” ridacchiai “E non ne vedo il punto.”
“Era il tuo sogno” ribattè, sicura.
“Sì, ma-“
“Era il tuo sogno” scandì, ancora. “E’ perché pensi ancora a lei?” chiese, allora, staccandosi leggermente per guardarmi negli occhi.
“Non penso più a lei da un po’, ormai” risposi, reggendo il suo sguardo penetrante, carezzandole la guancia.
“E allora balla” propose, ancora.
“San, io non so se voglio ancor-“ mi interruppi, vedendola alzarsi dal letto, girandosi poi, in piedi, verso di me.

Mi porse la mano.

“Balla per me.” Disse, sicura.
“San, io-“
“Una volta sola. Andiamo alla scuola di danza, poi se vorrai continuerai.” Fece, incoraggiandomi con lo sguardo.
Le sorrisi, sincera.
“Balla per me, ora.”







Tetraedro dell'Autrice

Alè!
Sto scrivendo questo capitolo dalle 3 di pomeriggio. Ora sono le 8 meno 20.
'Ma sì, scrivi il capitolo che poi studi tranquillamente' mi ero detta, fiduciosa.
SEH! Domani!
Avrò scritto e riscritto le parti una decina di volte, perchè non mi convincevano per niente, ma vabbè, sono stremata!

Però volevo assolutamente lasciarvene uno
, visto che, SICURO come il sole, il prossimo non arriverà prima del nove novembre - causa studio!
Pazientate ancora un pochino ciccino!

Aaaaad ogni modo, GRAZIE ancora una volta a tuttissimi! Tanti cuori per voi! C:

A presto, bella gente! :DD





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Capitolo 16
*** Presente... e passato ***


Le afferrai la mano.
Effettivamente non ci pensai più di tanto.
Forse lo capì, vista la fretta con cui si rimise le scarpe e mi trascinò letteralmente al piano di sotto.
Forse aveva paura che ci avrei ripensato, riflettendoci meglio.
E forse non aveva tutti i torti.
 
“State uscendo?” chiese distrattamente MaryG, sgranocchiando pop-corn.
“Sì” rispose per entrambe Santana, cercando le chiavi della macchina.

Io, d’altro canto, ero troppo presa a realizzare cosa stessi per fare.
Dio, pensavo non avrei più rimesso piede in quel posto.
Aveva significato così tanto per me.
Troppo.
Cosa diavolo credevo di fare?
 
“Va bene, portatevi le chiavi, perché noi dopo andiamo a mangiare un gelato e…” si interruppe, per osservarmi attentamente “Britt”
Mi riscossi dal mio piccolo trance, portando l’attenzione su di lei.
“Tutto bene?”
 
Sì, una meraviglia.
O, almeno, dopo un valium, sicuramente.

“Britt?”
“Sì, sì, MaryGrace, tutto o-“
“Cosa cacchio sta succedendo?!” fece, spalancando gli occhi nei miei “Da quando in qua mi chiami col nome per intero?!”
 
Ma porca di quella miseria.
Frustrante.
Ecco cos’era avere una sorella geniale.
Non potevamo avere una finta conversazione normale, eh!?
“Uscite?” “Sì, ciao.”
Eh no! Doveva psicanalizzarmi per forza lei!
“Uscite?” “Sì, cia-“ “Aspetta, la ‘s’ era troppo aspirata, hai fatto qualche danno sicuro!”
E che cacchio!


“E’ capitato, sgorb-“
“Non capita. MAI.” Mi interruppe, guardandomi contrariata.
“Non è dett-“
“E invece sì.” Continuò ancora, fissandomi con un sopracciglio alzato.
“E allora perché il papa non è re?!” chiesi, sfidandola con lo sguardo.
 
Com’è che si dice?
Se non puoi convincerli, confondili.
 
“E ora che c’entra?!”
“C’entra invece! Hanno entrambi uno scettro del potere!”
“Britt… per favore mi stai stressando” fece, passandosi stancamente una mano sulla faccia, mia sorella.
“Io concordo. E’ una questione importante. Proporrei di vedere cosa ne pensa il calamaro!” esclamò Santana, guardando Mike “Ciccio, cosa ne pensi della cosa?”
 
Ma quanto era tenera ad aiutarmi a sviare l’attenzione da noi?

“D-del p-pa-papa?”
“E delle crociate. E dei templari. Magari, fammi un excursus sulle guerr-“
“San!” la interruppe, corrucciata, MaryG.
“Cosa?” fece, con un’espressione innocente “Mi stavo solo accertando del livello culturale del giovincello qui!” Si scusò, tranquilla, per poi rivolgersi di nuovo a Mike “Fumi?”
“N-no.”
“Droga?”
“N-n-“
“Non è che coltivi la maria, eh?!” gli puntò l’indice contro minacciosa, mentre io me la ridevo, divertita.
“Ok, ora basta!” sbottò mia sorella “Possiamo tornare all’argomento centrale della question-“
“Hai perfettamente ragione, Gollum! Sono confusa anch’io” iniziai, per poi rivolgermi all’ispanica al mio fianco “San! Andiamo da un prete, lui avrà le informazioni che ci servono sul papa.”
“Idea brillante, Brit-“
“Avete presente il mese scorso?” ci interruppe, ancora, MaryG.
 
Aveva uno sguardo piuttosto inquietante.
Ed era decisamente un male.
 
“Ahm…?”
“Quando vi stavate casualmente rotolando sul divano del soggiorno.” Fece, sintentica.

Sbiancai all’istante.
Così come Santana.

“CASUALMENTE senza mutande.”

Cazzo.
 
“Cosa succederebbe se un’informazione del genere finisse in man-“
“Va bene, va bene” acconsentii, rassegnata, capendo l’antifona.
“Non c’è storia, non si può” borbottò contrariata Santana, incrociando le braccia.
 
Essì, ancora non era abituata lei a perdere contro mia sorella.
Io, ormai, ci avevo anche fatto l’abitudine.
Vincere sarebbe stato un evento più unico che raro.
Un momento da immortalare e segnare nella lista dei trionfi della vita.
Persino il presidente sarebbe venuto a casa a congratularsi, offrendo il posto di vicepresidente alla casa bianca.
 
“Allora? Dov’è che andate?” chiese, tranquilla.
“Prima devi promettere che non lo dirai a nessuno, soprattutto a mamma e papà” iniziai, mentre Santana mi guardava leggermente confusa.
 
Probabilmente non capiva il perché della cosa.
Ma quel pomeriggio sarebbe stata una semplice prova.
E, sicuramente, sarebbe stato un flop totale.
Non volevo illudere la mia famiglia.

“Ok…”
“Stiamo andando alla scuola di danza”
 
Vidi chiaramente i suoi occhi spalancarsi come piatti e la mascella arrivare quasi al pavimento.
 
“S-scherzi?”
“Non direi” ridacchiai, cercando di non farla sembrare una cosa poi così seria.
“M-ma, a ballare?” chiese, ancora.
“Forse…”
“Perchè non me lo volevi dire?” chiese, all’apparenza, un po’ risentita.
 
Spostò poi lo sguardo su Santana.
E vidi quella che identificai come preoccupazione sul volto di mia sorella.
Chissà cosa diavolo stava pensando.
 
“MaryG non so come va a finire, stiamo solo andando a provare. Non volevo credessi ricominciassi tutt-“
“Ricominciare è bene” mi disse, convinta “L’importante è non fare gli stessi errori.” Aggiunse, poi, scuotendo la testa.
“Suppongo… di sì” concordai, vagamente confusa per quell’atteggiamento un po’ troppo serio per i miei gusti.
“Fatemi sapere come va” concluse, infine, con un sorriso più rilassato e tranquillo.




 
“Britt, respira” mi esortò Santana, davanti la porta della scuola di danza.
“Ci sto provando” feci, stringendo la presa sulla sua mano. “E’ che… non ci entro da tanto e…”
“Britt” mi richiamò, guardandomi negli occhi “Senti, se non te la senti, possiamo sempre tornare un’altra volta, quando sarai pronta“
“Non credo lo sarò mai davvero, quind-“ mi interruppi, osservandola passare le braccia attorno al mio corpo, per stringermi a sè.
 
Il mio personalissimo calmante.
Ormai, più passava il tempo, più mi rendevo conto di quanto avesse imparato a conoscermi.
Sapeva cosa mi faceva stare bene.
Cosa mi tranquillizzava.
Aggiunsi anche questo alla lista dei motivi per cui l’amavo.
 

“Meglio?” mi chiese, poi, lasciandomi un bacio sotto l’orecchio.
“Dio, sì.” risposi, subito, stringendola un’ultima volta prima di lasciare la presa.

La guardai per qualche secondo dritta negli occhi.
Mi sorrise incoraggiante.
‘Ti amo’ le dissi ancora una volta nella mente.
 
“Andiamo?” Chiese, allungandomi la mano.
“Sì.”  Annuii, afferrandola, e aprendo la porta della palestra “Sai una cosa?”
“Cosa?”
“Spero solo che non si ricordino troppo di m-“
 
Certo.
Era decisamente un caso che appena entrate quasi tutti si girarono sbarrando gli occhi.
Mi sentii un po’ come una bottiglia di gin al ritrovo degli alcolisti anonimi.
Volevo solo essere un dannato bicchiere d’acqua, maledizione.




 
Passò una buona mezz’ora prima che ci spostassimo nella saletta dove mi allenavo di solito.
Incontrai ancora una volta tutte le persone, che, in tanto tempo passato lì, avevo imparato a conoscere e a voler bene.
Mi sentii un po’ in colpa per averle abbandonate.
In fondo, loro non c’entravano niente.
Avrei, quanto meno, dovuto mantenere i contatti.
Ma credo non ne fossi forte abbastanza.

Parlammo un po’ di tutto.
Dei loro provini, della scuola, dei cambiamenti.
Di Santana.
Non di Jennifer, però. Neanche una parola.
 
Ora arrivava il momento che avevo temuto per tutto il pomeriggio.
Lì, al centro della sala.
Mentre iniziavano a riecheggiare in quelle quattro mura le note musicali.
Era stato il non sapere se fossi riuscita a muovere un muscolo ad avermi terrorizzato per tutto il tempo.
E non mi riferisco allo stretching, prima di ballare.

Era un rituale per me la danza.
Spesso non mi rendevo conto nemmeno di ballare, lo facevo e basta.
Ma c’era qualcosa che scatenava tutto.
Da quando avevo iniziato la relazione con Jennifer, il mio rendimento salì di molto.
Molti ne rimasero esterrefatti, ma io no.
Sapevo il perché.
Ogni volta.
Ogni santissima volta prima di ballare chiudevo gli occhi.
E la vedevo.
Vedevo il suo volto. Il suo sorriso.
Era una sorta di input imprescindibile.
Aprivo gli occhi, poi.
E ballavo.
Ballavo come mai prima avevo fatto.
 
Ma ora?
 
La canzone era partita.
Ma non mi ero mossa di un millimetro.
Ero bloccata.
Presi un profondo respiro tremolante, iniziando a sentire la rassegnazione scorrermi nelle vene, fino ad arrivare al cervello.
Scossi la testa, contrariata.
 
“Britt” mi richiamò a bassa voce Santana.
Alzai lo sguardo verso di lei.

Non era preoccupata.
Non era rassegnata per me.
Non vidi compassione.
Vidi fiducia.
Fiducia cieca.
E uno sguardo così intenso, così lucente, da farmi tremare le gambe.
 
Chiusi gli occhi di riflesso, a quella visione.
E per un secondo pensai di non aver chiuso per niente le palpebre.
Perché lei era ancora lì.
Come mi fosse stata di fronte. Come due secondi prima.
Lei che mi sorrideva.
Lei che mi stringeva, mi guardava, mi desiderava.
Lei che si fidava.
Lei che amavo.
 
Riaprii gli occhi, sorridente.
Solo allora mi resi conto di aver già iniziato a ballare sulle note della canzone.
Il mio cervello poteva pure non ricordarsi i precisi movimenti, ma il mio corpo, invece, sembrava non stesse aspettando altro.
Continuai a muovermi, lasciandomi trasportare dalla musica, che sembrava lanciarmi scariche elettriche, che si irradiavano per tutto il corpo.
Riassaporai quella sensazione che, Dio, mi era davvero mancata.
Posai lo sguardo su Santana.
Mi osservava rapita, fiera, ma, dagli occhi, vidi, soprattutto felice.
Sì.
Stavo ballando per lei.




 
Quando la musica finì, mi tuffai letteralmente fra le sue braccia.
Non feci nemmeno caso agli applausi contenti dei miei vecchi amici.
Volevo solo stringerla, cercando di farle capire almeno a gesti quando fosse importante per me.
“Meravigliosa” mi bisbigliò all’orecchio, sollevandomi da terra, nonostante la differenza d’altezza. “Sei meravigliosa.”
 
Mi staccai leggermente dal suo collo, per fissare lo sguardo nel suo.
Mi regalò un piccolo sorriso.

Ero pronta a dirle quelle tre maledette parole.
Volevo lo sapesse.
Doveva saperlo.
“San, io-“
“Bravissima Brittany!!” mi travolse, invece, la piccola folla che si era creata.
 
O forse no.




 
Tornammo a casa verso le 7.
Durante tutto il tragitto in macchina, non avevo fatto che pensare a quello che era successo.
Ma soprattutto a quello che volevo e dovevo ancora dire a Santana.

Stavo letteralmente impazzendo.
Il momento in palestra sarebbe stato perfetto.
Sapevo che lo era.
Beh, gli altri, a quanto pareva, però, non erano stati dello stesso avviso.
 
E ora ero lì a crogiolarmi su quando e dove avrei mai potuto parlarle dei miei sentimenti.
Ci doveva essere un momento specifico, no?
No?

Al diavolo.
Ero stanca di quelle pippe mentali.
Mi sentivo un po’ come quando giochi ai pokèmon al nintendo per la prima volta.
Il momento iniziale è sempre cruciale.
Insomma, charmender, squirtle o bulbasaur?
Non era una scelta semplice!
E quindi, stavi una buona mezz’ora come un idiota a fissare lo schermo, ponderando le varie opzioni.
Charmender era semplicemente di una figaggine inaudita.
Squirtle era troppo cazzuto.
Bulbasaur era una versione pokèmon di tarzan.
E tarzan era il re della giungla, gente.
La conclusione qual era, poi?
Sceglievi d’impulso alla fine.
 
La verità credo sia che non conta dove o quando dici ad una persona che la ami.
Sì, l’apparenza conta, relativamente.
I momenti romantici sono quello che sono.
Ma quelle tre parole, quando davvero le senti, quando sono tutto quello a cui pensi, quando le diresti ogni minuto di ogni ora, quando ami davvero… è questo che conta.
Quello è il momento perfetto.
 
E, sì, dannazione, poteva essere anche fuori porta di casa mia.
Basta cercare luoghi o tempi adatti.
Servono solo le parole.
Quelle devono essere adatte.
 
Quando Santana si fermò con la macchina nel vicolo, presi la mia decisione.
Scesi dalla macchina, sicura, come mai lo ero stata prima.

“San” la richiamai, non appena chiuse lo sportello.
“Dimmi paperotta” mi sorrise, raggiante, avvicinandosi.
“Devo dirti una cosa importante, non faccio che pensar….ci… San, che stai guardando?” le chiesi, notandola osservare interessata casa.
“Chi è quella ragazza, Britt?” fece, indicandomela.
 
Mi girai, spostando l’attenzione su una figura seduta per terra, vicino la porta di casa.
Mi avvicinai lentamente.

Solo quando arrivai ad un metro, realizzai.
Solo quando posò i suoi occhi verdi nei miei, ricordai.
 
“Jennifer”




 
Avevo sempre fatto tante cazzate nel corso della mia esistenza.
Probabilmente in cima alla lista, da quel momento, sarebbe finito cosa feci al momento dei saluti.
Ma non sapevo cosa fare.
Non riuscivo a pensare.
Ero completamente ed inevitabilmente in preda al panico.
La razionalità mi aveva completamente abbandonato.

Ma presentare Santana come mia ‘amica’ non fu certo una delle mie idee più brillanti.








Tetraedro dell'Autrice

Non odiatemi!

Il capitolo non è un granchè; nella mia mente, mentre lo progettavo, usciva fuori meglio... ma ho realizzato che ogni volta che non scrivo da un po' di tempo (tipo più di una settimana) puntualmente mi fa tutto schifo!
Ma tanto d'ora in poi dovrei aggiornare molto più velocemente, ogni 2-3 giorni massimo!

ancora una volta GRAZIE a tutti! davvero! C:

A presto, bella gente! :D

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Capitolo 17
*** Ti seguirò nell'oscurità ***


“Cosa ci fai qui, Jennifer?”
 
Avevo combinato un macello.
Non facevo che pensare al sorriso amaro che si era formato sul volto di Santana alle mie parole.
Non aveva fatto scenate.
Non aveva urlato.
Non aveva fatto nulla, se non salutare, lanciandomi, prima di andare, un’ultima occhiata, che non riuscii a decifrare.

Volevo solo evitare di dare così su due piedi la notizia a Jen.
Ma, avevo finito col ferire Santana.
La persona di cui realmente mi importava.
Gran bella mossa.
 
“Sono tornata, Britt” mi rispose, con un sorriso felice. “I miei hanno acconsentito a lasciarmi vivere da mia nonna, qui, per l’ultimo anno, finché non andrò al college”
“Ma…”
“Li avevo pregati così tanto… ogni giorno non facevo che continuare ad implorarli” iniziò, afferrandomi le mani, che non ritrassi “Non ti ho detto niente, non ho voluto mantenere i rapporti per evitare di farci false illusioni, ma… Britt, sono tornata” ribadì, passandomi una mano sulla guancia.
 
Mi irrigidii di botto  a quel contatto.
E, Dio, notai immediatamente la differenza rispetto al tocco di Santana.
Non c’era paragone.
 
“Non sei contenta?” chiese, notando la mia freddezza.
“Io.. Jen-“
“Possiamo ricominciare! Lo so, me ne sono andata così, lasciandoti da sola, Britt, ma andrà bene, te lo prometto! Non mi allontanerò più e… sì, tornerò alla scuola di danza con te e-“
“Ho lasciato la scuola tempo fa.” Ribattei, scuotendo la testa.
“C-come? P-perché?!”
“Te n’eri andata” risposi, sollevando le spalle.
“Sì, ma-“
“E’ passato molto tempo, Jen…” iniziai cercando le parole “Troppo. Non puoi tornare e aspettarti che sia tutto come prima. Mi hai lasciato.”
“B-beh, s-sì, ma sono stata costretta, Brit-“
“Io…” iniziai, cercando le parole ad adatte per dire una cosa del genere.
 
Insomma come si fa a dire ad una persona, che si è spostata da un altro continente…
Un altro continente Santo Iddio! Non dalla casetta di Hansel e Gretel al bosco!
Che quello che provi per lei non è altro che profondo affetto?
Che solo conoscendo un’altra persona hai scoperto davvero cosa significa amare?
Che, in realtà, non l’hai mai amata davvero, nonostante tutto?
 
 “T-ti ho voluto molto bene, ma-“
“Voluto… bene?” domandò, sgranando gli occhi. “Britt, noi ci amavamo! Io ti amo ancora!”

Presi un profondo respiro, chiudendo gli occhi a quell’affermazione.
E dire che avevo costruito la mia vita attorno a lei.
 
“Dobbiamo parlare di molte cose, Jenny.”




 
“Quinn!” bloccai la Fabray, nel corridoio della scuola.
 
Avevo provato a chiamare Santana per tutta la sera, ma niente.
Aveva rifiutato tutte le chiamate.
E, per di più, non l’avevo vista neppure a scuola.
Dovevo assolutamente parlarle.
 
“Ehi Britt” mi salutò, tranquilla.
 
Strano lo fosse.
Mi aspettavo qualche occhiata di fuoco e tentato omicidio.
 
“Ehm… senti hai visto Santana?” chiesi, abbassando leggermente il tono di voce.
Si corrucciò momentaneamente, confusa.
“Non ci hai parlato?”
“No, non l’ho più sentita ieri”
“Beh, non verrà stamattina” mi informò, titubante “Ha preso una botta”
 
Oh.
Quindi non sapeva niente della faccenda.
Ero indecisa su se essere sollevata o terrorizzata dalla cosa.
In fondo Quinn era la sua migliore amica e- aspetta un attimo.

“Una botta? Che botta?!” feci, subito allarmata.
“Un livido all’occhio, starà ben- e quindi, hai lezione di biologia, eh?” cambiò subito argomento, vedendo avanzare Rachel verso di noi.
 
Quinn le si avvicinò subito per salutarla sorridente.
Erano un tripudio di gioia quelle due.
Tutte sbaciucchiamenti e smancerie.
L’unica litigata che avevano avuto fino a quel momento era scaturita da un’accesa discussione sulle doti canore della Streisand.
Si vedeva lontano miglia che tenevano l’una all’altra fino all’inverosimile.
Ed erano praticamente inseparabili.
Se non si trovavano fisicamente vicine, si cercavano costantemente con lo sguardo.
Inutile parlare della quantità industriale di occasioni in cui fui prontamente ignorata dalla mia amica, intenta a spogliare con gli occhi la Fabray.

Erano tipo come pane e nutella.
Complementari.
Insomma, se hai una fetta di pane perfetta a portata di mano, magari ancora calda, bella croccante… diciamocelo, la prima cosa che ti viene in mente non è certo piazzarci delle scarole sopra.
Ugualmente, nonostante il desiderio di sguazzare in un bagno di nutella assoluta, accettando il proprio destino di suino rotolante per casa, dà molta più soddisfazione accompagnarlo al pane.
E’ la scelta più saggia e gustosa.
Perfetto. Mi era anche venuta fame.
 
Ad ogni modo, ero felice per loro.
Se lo meritavano.
 
“Ehi, Britt” si rivolse poi a me Rachel “Dove hai lasciato Santana?” chiese, divertita.
“A casa, a casa” le risposi, con un mezzo sorriso “Anzi credo proprio che la raggiungerò” aggiunsi, passandomi una mano per i capelli, agitata.
 
La cosa a quanto pare non sfuggì alla Fabray, che mi guardò un po’ troppo incuriosita, forse, con un sopracciglio alzato.
 
“Tutto bene, Britt?” mi chiese, preoccupata, la mia migliore amica.
“I-io, sì, è solo che…” iniziai grattandomi la nuca “Devo parlare con Santana”
“E’ successo qualcosa?” domandò, questa volta, l'altra.
“Tendenzialmente…  Ho fatto un mezzo casino e non vorrei fraintendesse, anche se è certo sia già success-“
“Oh, Santo Mosè.”
 
Non ebbi bisogno di girarmi per capire che Jennifer doveva essere alle mie spalle.
Perché lo sguardo esterrefatto di Rachel diceva tutto.
Forse avrebbe dovuto recitare in qualche film horror, altro che musical.
Sembrava avesse visto un fantasma.
Anche se, beh, come biasimarla?
 
“J-Jeniffer?!” fece, con voce stridula, guadagnandosi un’occhiata confusa dalla Fabray.
“Ehi, Rachel… ne è passato di tempo” la salutò, posizionandosi al mio fianco.
“B-beh d-direi!”
“Chi sei tu?” chiese, senza mezzi termini, Quinn, con uno sguardo sospettoso.
“Piacere!” esclamò allegra tendendo la mano “Sono Jennifer, la ragazza di Brit-“
“EX!” la corressi all’istante, lanciandole un’occhiataccia.
 
Eravamo state molto a discutere la sera prima.
A quanto pareva  non aveva intenzione di  arrendersi, almeno non subito.
 
“Non voglio rinunciare a te! Sono qui, per te!”
“Io- Jen mi dispiace, ma… sono innamorata di Sant-“
“Quella ragazza che se n’è andata senza muovere un muscolo, quando l’hai definita sua amica?! Si vede che ci tiene molto!”
“Non provarci, per favore. Non la conosci”
“No, hai ragione, non la conosco. Ma conosco te. E non rinuncerò a noi, non finché davvero saprò che sei felice con lei. Che mi hai dimenticato. Che non c’è più speranza per noi due. Io non mi arrendo.”

 
Ed eccolo, contemporaneamente, lo sguardo di Quinn su di me.
Indecifrabile.
Credo avesse realizzato immediatamente la situazione.
Perché subito dopo sollevò gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
 
“Sì, sì, giusto. Scusa, è l’abitudine” si giustificò, imbarazzata.
“Sono Quinn, comunque”
“La mia ragazza” si sentì di precisare Rachel, guadagnandosi un sorrisetto compiaciuto dalla Fabray.
“Oh… quind- OH!” realizzò Jen a scoppio ritardato, spalancando gli occhi “E Finn?!”
“Storia vecchia” borbottò, scuotendo la mano.
“Capisc-“
“Scusate un secondo” fece, poi, Quinn, trascinandomi letteralmente più lontano da loro due.
 
Ero pronta a morire.
Speravo solo fosse una morte veloce ed indolore.
Avevo vissuto una bella vita, in fondo, no?
Avevo appiccato incendi, ballato, giocato, mi ero innamorata.
Rimpiangevo solo di non essermi mai lanciata da un aereo con un paracadute.
Sarebbe stata una bella esperienza.
 
“Quinn, ti prego, fai quello che devi fare ma sii veloce e caritatevole” la pregai, chiudendo gli occhi.
“Che diavolo vai blaterando, Britt?” chiese, invece, alzando un sopracciglio.
“N-non vuoi uccidermi?” feci, spalancando gli occhi.
“Dipende. Ci hai provato con Rach?!” socchiuse gli occhi, sospettosa.
“NO!”
“Bene, allora siamo a posto” si rilassò, tranquilla. “Ad ogni modo, devi parlarci” aggiunse, convinta.
 
Non avevo bisogno di chiedere per sapere si stesse riferendo a Santana.
 
“Non ha voluto rispondere a nessuna chiamata!”
“Allora va’ da lei e chiarisci.” Mi esortò, con una sollevata di spalle.
“E’ quello che stavo per fare e- aspetta. Perché mi stai aiutando e non vuoi uccidermi?” chiesi, sospettosa.
“Britt” sospirò, roteando gli occhi “Non so cosa sia successo, quindi non posso dire chi abbia tort-“
“L’ho presentata come mia amica a Jennifer” sputai d’un fiato, ammettendo le mie colpe.
 
Uno scappellotto mi arrivò preciso e violento sulla nuca.
 
“AHI!”
“Te lo sei meritato, razza di idiota!” esclamò, corrucciata “Valle a parlare prima che si faccia mille pippe mentali! E, fidati, non sembra, ma è un asso nel giungere alle conclusioni sbagliate in brevissimi lassi di tempo.”
“Sì, sì, ok. Giusto, hai ragione.”
“Io ho sempre ragione” precisò. “Spiegale che è stato un errore, immagino tu sia andata nel pallone al momento delle presentazioni.”
“GIA’! INFATTI!” concordai, con foga, per poi riflettere su una cosa.
 
La domanda era: come diavolo faceva Quinn a capire sempre tutto?
Era un sottospecie di Maga Magò del ventunesimo secolo?!

 “Ma… come fai a dire che-“
“Non l’hai detto  intendendolo davvero?”
“Sì”
“Ma ti sei mai vista ultimamente quando guardi Santana?” chiese, divertita “Per favore, Britt. Sei un libro aperto, quando si parla di lei.”
Arrossii violentemente a quella affermazione.
“I-io, b-beh-“
“Ehi, Britt” si avvicinò, poi, Jennifer “Ti va di accompagnarmi in aula?”
“Ahm, Jen, mi dispiace ma devo assolutamente andar-“
“Per favore” mi pregò “Solo questa mattina, è il primo giorno. Non lasciarmi da sola.”
 
Occhi da cucciolo da una parte.
Sopracciglio alla Fabray alzato dall’altra.
Avrei fatto danni in ogni caso.
 
“E va bene” sospirai, vedendola sorridermi contenta.
Sarei andata da Santana nel pomeriggio.




 
Una dannata mezz'ora!
Una maledettissima mezz’ora passata a bussare alla porta di casa Lopez.
Dannata ragazza orgogliosa.
Me le andavo a scegliere.
Non poteva aprirmi e poi insultarmi?!
No, no! Lei doveva ignorarmi!
 
E ora come entravo?
Avevo pensato alla finestra che dava sul balcone… ma avrei finito col rompermi una gamba nel tentativo arrivarci.
Salire sull’albero lì vicino e saltare come un canguro fino all’altra finestra?
Na. Rottura di ossa e trauma cranico, se mi andava bene.
Uno scassinatore?
Un piede di porc-
 
*Bzz*

Cacciai fuori il cellulare, sentendo la vibrazione tipica dei messaggi.

Da: Quinn
*Siccome so per certo che Santana si rifiuterà di aprirti, tieni presente che esistono le porte sul retro. Evita di romperti quella testolina brillante che ti ritrovi.*

 
Corsi alla rubrica telefonica.
Cambiai il suo nome in ‘Maga Magò’.
Ora non c’erano davvero più dubbi.




 
Entrai piano in casa, per paura di svegliare la madre.
Non sentivo nessuna presenza in cucina, quindi, ne dedussi che Clara non doveva esserci.
Avvertii però un rumore costante provenire dalla tavernetta del piano di sotto, dove San teneva il sacco da boxe.
Si doveva star allenando.
 
Scesi le scale, piano, sentendo il rumore amplificarsi.

La trovai lì.
Continuava a tirare pugni su pugni al sacco.
Si vedeva dal fiatone che era stremata, ma non accennava a smettere.
Anzi, i colpi sembravano sempre più forti.
Indossava una semplice canotta nera, con un paio di pantaloncini.
Vidi qualche graffio sulle braccia.
E il livido di cui mi aveva parlato Quinn sull’occhio destro.
 
“Credevo di aver chiuso la porta” disse, facendomi sobbalzare sorpresa, fra un pugno e l’altro.

Non credevo mi avesse sentito.
Ma non si girò per guardarmi.
Continuava ad essere concentratissima sul sacco.
 
“E io credevo la lasciassi aperta per me.” Controbattei, cercando una qualche reazione.
“Dici che è questo che fanno le ‘amiche’?” chiese, con tono di sfida, aumentando il ritmo dell’allenamento.
“San-“
“No, senti! Non mi va di parlare, puoi tornare da dove sei venuta” disse, secca, senza degnarmi ancora di uno sguardo.
“Allora lasciami parlare! Ascolta solo!”
“No, maledizione!” si sboccò, finalmente guardandomi negli occhi.
 
Potei vedere anche chiaramente il livido vicino l’occhio.
Aveva preso una bella botta.
 
“Hai combattuto con un colosso ieri?” chiesi, stupita.
Di solito era difficilissimo che riuscissero a colpirla in faccia.
“No, al contrario. Era un’idiota di ragazzetta. E’ stata colpa mia, ero distratta.” Chiarì, lanciandomi un’occhiataccia. “Ora puoi andare per favore?! Non c’è davvero bisogno di parlare, qui”
“Invece sì! San, ero andata nel pallone ieri! Non volevo dirle subito di noi”

Non rispose.
Si limitò a riprendere a tirare pugni.
Lo presi come un invito a parlare.
 
“Lei… lei era lì, con quel sorriso fiducioso e non volevo smontarla subito, ma ho finito col ferire te e-“
“Quale parte del non mi va di parlare non ti è chiara, Brittany?”
 
Evidentemente mi sbagliavo.
 
“Senti, facciamo così” iniziò, ostinandosi a non guardarmi “Ti rendo le cose semplici. E’ finita, Brittany. E’ tutto finito.” Fece, tirando un pugno più forte dei precedenti “Puoi tornare da Jennifer, ora”

Non l’aveva detto sul serio.
No, no.
Non l’aveva detto.
 
“Scusa, cosa?”
“Hai capito bene. Tranquilla, non posso competere con Miss Perfezion-“
“Ma fammi il piacere!” sbottai, arrabbiata “Ma mi vuoi stare a sentire?! Sono qui per dirti ch-“
“Non mi va di sentirtelo dire, ok?!” urlò, fermandosi ancora per guardarmi.
“Lei è l’amore della tua vita, l’ho capito quando me ne parlasti per la prima volta! E’ tipo la luce, il sole, o qualche cazzata del genere! E io sono tipo una pozzanghera nell’oscurità! Va bene?!” prese un respiro profondo, parlando poi più piano “Sto solo cercando di renderti le cose più semplici. Lei-lei è tornata da-da.. da dove cazzo è tornata poi?! Non importa, il punto è che è tornata per te. Vi amate, siete inseparabili, ok. C’è un baratro fra me e lei, lo capisco”
“E’ così, c’è un baratro.” Concordai, scuotendo la testa, incredula per il discorso che mi aveva fatto.
 
Lei credeva di non essere abbastanza.
Di non essere abbastanza per me.
E, invece, non lo sapeva.
Lei era il tutto.
 
“Appunto” fece, dando un altro pugno distratto al sacco. “Quindi, va bene così. Lasciami e finiamola qua.”
“Io non posso lasciarti.” Controbattei, seria.
“Per favore, Britt” sbuffò, passandosi una mano sugli occhi. “Lasciami ed esci di qui.”
“Non posso lasciarti!” sbottai, ancora, alzando la voce “Ti rendi conto dei mesi che abbiamo passato assieme, di quello che abbiamo costruito, della fiduc-“
“Senti Britt, se è perché senti di dovermi qualcosa ti sbagli. Le persone si lasciano, punto. Non farne una questione di principio o di impegno, perch-“
“Dimmi che stai scherzando” la bloccai, arrabbiata “Pensi davvero una cosa del genere?! Pensi che resterei con qualcuno solo perché mi sentirei in colpa a lasciarlo?!” urlai, fuori di me “Ieri sera ho detto alla persona che ha attraversato per me l’Oceano, Santana  -  l’Oceano, cazzo! – che non potevo stare con lei, perchè non era lei che volevo!”

Spalancò gli occhi stupita, bloccandosi all’istante.
 
“Quindi non venirmi a sparare queste cazzate sui sensi di colpa, perché, sì, mi stanno già divorando, ma non per te! Ero venuta qui per chiarire, per dirti che l’ho rifiutata. Per dirti che non c’è mai stata una scelta. MAI. Non se ci sei tu di mezzo, perché sceglierei sempre te.”
“Britt…”
“E non ti posso lasciare!” urlai, ancora “Ma non per senso del dovere o cazzate simili, maledizione” imprecai, avvicinandomi a lei, prendendo un profondo respiro “Non ti posso lasciare perché non sopravvivrei”
 
Fissai lo sguardo nel suo, entrambe provate da quella sfuriata.
Entrambe con gli occhi leggermente lucidi.
 
“Lei potrà anche essere la luce, il sole o qualche cazzata del genere” iniziai, ripetendo le sue stesse parole “Non ho bisogno della luce, se ho te. Lo capisci? Ti seguirei ovunque. E se è nell’oscurità che devo stare per averti, che sia! Mi attrezzerò con qualche lampadina.” Dissi, vedendola fare un piccolo sorriso tremolante “Non lo capisci? Non riesci a vederlo?” le chiesi, scuotendo la testa.
“C-che cosa?”
“Io sono innamorata di te, San.” Confessai, finalmente, facendole spalancare gli occhi “Da… non lo so, credo dalla nostra prima non-conversazione nel bagno della scuola” ridacchiai, nervosa “Sono… io- io-“
 
Ok, non era il momento di andare nel pallone.
Concentrazione.
 
“Quando… quando io ti guardo negli occhi, vedo…” iniziai, cercando le parole, sorridendo al pensiero “Tutto. Ogni cosa. Ogni bellezza, ogni felicità, ogni gioia. Al diavolo quelle cazzate sulle galassie, i pianeti, il mare. Io vedo te, perché tu sei tutte queste cose per me. I-il mio cuore sembra non reggere ogni volta che ti guardo, ogni volta che mi sei vicina, batte all’impazzata e… non lo so come fai, ma poi sei anche capace di calmarmi, di rasserenarmi, di farmi stare bene. Mi fai impazzire e poi mi guarisci. E io non posso stare senza di te.”
“Hai ragione quando dici che fra te e Jennifer c’è un baratro. E’ così! Quando ieri ha provato ad accarezzarmi la guancia, io… non ho fatto altro che pensare a quanto avrei voluto che quella mano fosse la tua. Non c’era paragone. Non c’è né ci sarà mai. Quindi, no, non posso lasciarti. Non potrei mai, perché ti amo. Non posso stare senza di te, perché non desidero che te. Non voglio che te. Amo solo te.” Conclusi, mentre lei mi guardava a bocca aperta.
“E tanto per essere precisi, te l’avrei detto ieri… no, in realtà te l’avrei detto anche da prima, ma non ne avevo il coraggio. Non sono mai stata brava con le parole, insomma incendio tende e andavo in giro nuda vestita da Tarzan. E prima ho anche pensato di scassinare la porta di casa tua pur di entrare! Sono un disastro. Ma tu mi guardi con quegli occhi. Mi fai sentire così… importante e speciale. Per ricevere uno sguardo così, almeno qualcosa di buono devo averla fatta, giusto? Magari no, forse non lo merito, non lo so. Non so niente. So solo che ti amo.”
 
Presi un profondo respiro, lasciandole il tempo di assimilare ogni parola.
Ma passavano i secondi.
E lei non accennava a parlare.
Era ancora lì, ferma.
Non muoveva un muscolo.
 
“Ora sarebbe davvero molto meno imbarazzante se tu dicessi qualcosa” feci, guardandola negli occhi.
“I-io…” iniziò, muovendosi agitata sul posto “Ecco…”
 
Pessimo segno.

“Brit-“ si interruppe, sentendo la suoneria del cellulare.
Lo afferrò, velocemente, leggendo il messaggio.

“Non dirmelo, devi andare, vero?” chiesi, sapendo con certezza che se avesse voluto rispondermi, lo avrebbe fatto subito.
Non voleva.
“I-io sì, Britt… possiamo solo riparlarne dopo?” mi domandò, apprensiva.
 
Non risposi.
Mi limitai ad annuire debolmente.
 
“Mi dispiace. Ne riparliamo dopo, te lo prometto. Io-“
“Va’ San, tranquilla” feci, scansando il contatto con i suoi occhi.
“O-ok… vado” iniziò avviandosi verso le scale.
Si voltò un secondo dopo, un po’ indecisa.
“B-beh, gr-“
“No, ti prego.” Feci, chiudendo gli occhi con forza “Almeno risparmiami il grazie.”
 
Si ammutolì di colpo.
Sentii solo i suoi passi sempre più lontani.

Fantastico.







Tetraedro dell'Autrice

Non odiatemi! (di nuovo!)
Siccome sono stata anche soprannominata 'bastardsnix' per questa fantomatica bastardaggine che mi contraddistinguerebbe (ehehhehe), vi dico invece:

FIDATEVI!
(per ora... *trollface*)


No, dai scherzi a parte, bisogna pure tenere conto che santana... ennò, su, non ve lo posso dire! Si capisce! (vedere bastardaggine sopracitata)

Maaaa comunque,
GRAZIE davvero davvero a tutti! siete fantastici! *O*

A presto, bella gente!! :DD

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Capitolo 18
*** Nel cuore della notte ***


“Allora? Mi vuoi dire cosa ti preoccupa?”
“Ma niente, Jen” dissimulai, con un sorrisetto forzato.
 
Inutile dire che non avevo più sentito Santana dalla sera prima.
Dalla mia molto-poco-ricambiata dichiarazione era praticamente scomparsa.
La mattina successiva non si era vista a scuola.
Sapevo stesse bene, perché avevo chiesto a Quinn, che stranamente aveva continuato, per tutta la mattina, a borbottare contrariata per i corridoi della scuola.
Non so esattamente cosa.
Ma credo avesse a che fare con Santana, vista la frase più gettonata fra le tante.
‘Quell’idiota di un’ispanica’
 
Quando, poi, Jennifer mi aveva chiesto di andare a prendere un gelato assieme al parco, non me l’ero sentita di rifiutare.
Mi sarei, quanto meno, distratta un po’.
Non era semplice, però.
Nonostante tutto, mi conosceva ancora come le sue tasche.
Ma, di certo, non avrei mai potuto dirle cosa mi frullava per la testa.
 
“Oh, andiamo, Britt! Siamo al parco, il tuo posto preferito, a mangiare gelato, tuo cibo preferito. Eppure hai un muso lungo non indifferente!”
“Non ho il muso lungo!” ribattei, indignata “Sto solo pensando”
“A cosa?” mi domandò, con un piccolo sorriso.
 
‘La globalizzazione, la crisi economica... Cose così’
Mi tornò immediatamente in mente la pseudo-conversazione con Santana durante l’ora di storia, poco dopo il nostro primo incontro.
Ed inevitabilmente mi spuntò un sorrisetto divertito sul volto.
Mai possibile che tutti i miei pensieri dovessero portare a lei?
 
“Un po’ a tutto” risposi, invece. “Tu che mi dici?” chiesi, poi, cercando di spostare l’attenzione su di lei.
“Bah, niente di che. I miei non la smettono un secondo di chiamarmi, sembra un centralino casa della nonna” scherzò, facendomi ridacchiare “Hanno chiesto anche di te” aggiunse, poi, senza un particolare tono.
“Oh.”
 
Immaginai per un secondo che conversazione potevano aver avuto a telefono.
‘Ehi, mamma, papà, indovinate un po’?  Avete presente Brittany, quella ragazza con cui stavo e per la quale ho fatto una traversata transoceanica? Bene. Mi ha scaricato come un sacco di patate al supermercato. YAY!’
Dio, che vergogna.
 
Dovette aver intuito i miei pensieri, perché si affrettò a parlare di nuovo.
“Ma, ehi! E’ tutto ok. Cioè, ho detto loro della nostra situazione al momento, ma se l’aspettavano…”
“Se… l’aspettavano?” feci, confusa.
“Non che avessi trovato un’altra ragazza” ridacchiò, un po’ nervosa “Ma che, ecco, sarebbe stato difficile. Avevano provato già a dirmelo, quando eravamo ancora a Berlino. ‘E’ passato del tempo, non aspettarti che sia rimasto tutto uguale’… me l’avranno ribadito un centinaio di volte. Ma sai quanto sono testarda” disse, rivolgendomi un mezzo sorriso, intriso di tristezza.
 
Mi distruggeva vederla così.
Jennifer era sempre stata così sorridente e allegra.
Mi faceva sempre uno strano effetto vederla triste.
Avevamo pur sempre condiviso davvero tanto.
 
“I-io, Jen mi disp-“
“No, no, ehi, non dirlo” mi bloccò posando una mano sulla mia “Non ancora” aggiunse, poi, a bassa voce.

Bassa sì.
Ma non abbastanza perché non la sentissi.

“Allora…” iniziò, poi, prendendo un respiro, sistemandosi meglio sulla panchina, sulla quale eravamo sedute “Mi vuoi dire cosa ha combinato quella Santana per ridurti così?” chiese, stringendo leggermente la mascella.

Come dicevo, mi conosceva fin troppo bene.
Il problema era che non potevo certo raccontarle cosa fosse successo la sera prima.
Era un po’ come... ecco, come quando capitano due feste nello stesso giorno.
Insomma, alla fin fine devi decidere per una scartando l’altra.
Ci vai, ma risulta essere un flop totale.
E così, fra una chiacchera e l’altra, ti ritrovi a desiderare di essere rimasta a casa a fare l’uncinetto.
Anzi.
Essere rimasta a casa a fare l’uncinetto, con la figlia di tua cugina alias Satana in miniatura, il gatto, il cane e l’allegra fattoria.
Ad ogni modo, non puoi andare a dire all’altra persona bidonata della tua esperienza.
Perché, sì, gongolerebbe.
Ma, saprebbe anche, con certezza, di non essere stata pur sempre preferita all’altra.

 
“Non ha fatto niente” dissi, scostando lo sguardo.
“Ed è questo il problema…” commentò, sollevando le sopracciglia.
“Dovresti smetterla” ridacchiai, cercando di non far sembrare la cosa seria “… di leggermi come fossi un libro aperto” aggiunsi, dandole una spinta.
“Oh, ma è più forte di me!” fece, divertita “E’ che mi scatta in automatico il brit-translate!”
“Ancora con questa storia?!” scherzai, ripensando a quante volte me ne aveva parlato.
“Eddai! Sai anche tu che è vero! Hai questi momenti…” iniziò “…In cui questa piccola macchinetta infernale” fece, dandomi dei colpetti con l’indice sulla fronte “inizia a lavorare freneticamente ed è una faticaccia starle al passo, ma io…” disse, ripetendo quello che mi diceva sempre.
“’Sono piuttosto atletica ed allenata’” conclusi per lei, ricordando perfettamente le sue parole.

Ridemmo entrambe per il piacevole ricordo.
Ci capivamo subito, ogni volta.
Non sapevo come, lei riusciva sempre a seguire il filo dei miei pensieri.
E decisamente non era semplice.
 
“Sono ancora atletica ed allenata” ribadì, questa volta seria “Lo sarò sempre”
“Lo so” le sorrisi, sincera.
 
Prese un profondo respiro, prima di parlare ancora.
 
“Se tiene davvero a te, comunque, si farà sentire” mi disse, guardando davanti a sé.
 
Sapevo si riferisse a Santana.
Ma due cose mi avevano stupito.
A. Come diavolo faceva a sapere che non ci sentivamo dal giorno prima?
B. Perché la stava ‘difendendo’?
 
“Credi?”
“Ne sono certa.”
“Perché mi dici questo, se mi hai detto che non vuoi gettare la spugna su di noi?” chiesi, troppo curiosa per non farlo.
“Perché voglio che tu torni da me” fece, guardandomi negli occhi “Ma solo se è me che vuoi.”
 
La guardai sorpresa per qualche secondo.
Era questo che mi aveva sempre affascinato riguardo Jennifer.
Il suo cuore.
Grande. Nobile.
Mi faceva male pensare di averla fatta soffrire.
Ma, in fin dei conti, non poteva essere altrimenti.

Per quanto le volessi bene.
Per quanto avesse significato per me.
Era Santana la persona che volevo.
Nonostante tutto.
Nonostante io l’amassi e lei… beh, non ne avevo idea.
 
“Mi sei mancata, Britt” aggiunse, poi, lasciandomi un bacio sulla guancia.
 
Rimasi un attimo interdetta, stupita da quel gesto.
Ma mi affrettai a rispondere.
 
“Anche tu” bisbigliai, accorgendomi, solo a scoppio ritardato, che dalla guancia, si stava spostando verso le mie labbra.




 
“Oh, buon Dio.”
“Eh!”
“Quindi ha tentato di baciarti!”
“EH!” ribadii, con il telefono in mano, sdraiata sul divano di casa.
“E ora come lo dici a Santana?!”
“Come dico cosa, Rach? Mi sono scansata! Ma ti pare che la baciassi?!”
“Ommioddio, ti ringrazio. Con i tuoi riflessi da bradipo avevo temuto il peggio” commentò, sollevata.
“Io non ho riflessi da bra-“
“Sssshhh, tu non vuoi che ti ricordi del mese scorso sul tandem, vero?”
 
Oh.
Il tandem.
Era stata una giornata davvero bella, soleggiata, luminosa…
…per schiantarsi contro il muro del parco.
A mia difesa, però, potevo dire con certezza che l’accaduto era stato anche colpa di Rachel.
Era vero che mi trovavo io avanti, a gestire il manubrio.
Ma poteva anche avvertirmi con un po’ più di preavviso che stavamo per sfracellarci contro la muraglia cinese.

“Colpa tua!” mi difesi “Eri troppo presa a fissare Quinn!”
“Ma se eri tu a guidare! E si dà il caso che stessi sbavando dietro Santana, seduta sotto l’albero lì vicino”
“Menzogne” dissimulai, fiera.
Seh, certo” commentò ironica “Piuttosto, come è finita con Jen?
“Niente… si è scusata e io ho fatto la fuga.”
Sei fuggita?!” rise, divertita.
“Come avessi avuto un velociraptor alle spalle!” puntualizzai, facendola ridere di più “No, sul serio, me ne sono andata il prima possibile, perché la cosa stava diventando imbarazzante.”
Ed anche è giusto” concordò “Sentito Santana?
“Nope… è mezza notte e ancora devo avere sue notizie… domani non c’è neanche scuola, quindi…” commentai, rassegnata.
Sono sicura che si farà vedere, Britt” mi rincuorò, sicura “E poi goditi il momento, no? Hai casa libera questa notte!”
“YAY!” feci, con finto entusiasmo “E’ sempre una cosa strana non sentire rumori molesti in questa casa”
“Evento più unico che raro” concordò Rachel, divertita “Vuoi che ti raggiunga?”
“Naaa, tranquilla, è tardi e-“

*DingDlog*
 
“Cos’era quel rumore?”
“Il campanello, Rach, aspetta un second-“
“E’ mezza notte, Britt, non aprire! Potrebbe essere Jack lo squartatore!” esclamò allarmata.
“Dovresti smetterla di vedere film horror con Quinn.” Sbuffai, contrariata “Ti fanno male” commentai, alzandomi dal divano.
“Furono le ultime parole famose di una ragazzetta uccisa da un branco di mutanti!”
“Rach-“
“Fa’ quello che vuoi, io nel frattempo tengo pronto il numero del 911 in caso di emergenza”
“Ok, capo!” risi, divertita, guardando dallo spioncino della porta.
 
Mi ammutolii di colpo, vedendo chi era.
 
“Britt? Britt? Sto per premere il verde, Britt!”
“E’ tutto ok, Rach” la tranquillizzai, subito “Devo andare, ci sentiamo domani”
“Ok…” fece, insicura “A domani”.
 
Chiusi velocemente la chiamata e aprii la porta.

“San” la richiamai, vedendola muoversi agitata sul posto.

Puntò immediatamente gli occhi nei miei, grattandosi la nuca imbarazzata.
 
“Britt…ehm, io ho provato a chiamarti, ma… il telefono risultava sempre occupato”
“Sì, beh, stavo parlando con Rachel” spiegai, scostandomi dalla porta “Vuoi entrare?”
“Sì, sì, decisamente.” Rispose, subito “Non è che ho svegliat-“
“Sono da sola.” La precedetti, lasciandola interdetta.
“Da sola?! E perché non mi hai chiam-“ si interruppe, vedendo il mio sopracciglio raggiungere quasi il soffitto “Sì, beh” si schiarì la gola, passandosi una mano sulla fronte “Puoi sederti sul divano per favore?” mi chiese, un po’ in ansia.
 
Sembrava un piccolo cucciolo spaurito.
Oh, me la sarei spupazzata ben benino, se non fosse stato per il mio orgoglio.
Era ciccina, però!
 
“Ok…” acconsentii, confusa “San-“
“No, no, aspetta, fammi parlare, ok?”
“Va bene…” accettai, vedendola muoversi tutta ansiogenata per il soggiorno.
“Prima di tutto…” iniziò, fermandosi in piedi davanti a me “Scusami.”
“Oh. Per cosa?” chiesi, curiosa.
“Per… ahm, tutto.” Rispose, un po’ imbarazzata.
“Tipo per non esserti fatta sentire da ieri, dopo avermi detto che avremmo parlato? O tipo l’essere letteralmente fuggita da cas-“
“Tutto.” Ribadì, dispiaciuta “E’ che…” provò, cercando le parole “tu sei sempre così sicura.”
“Io?” feci, divertita della cosa. “Ma se son-“
“No, davvero, lo sei. Di queste cose, sai…”
“Di cosa?” feci, confusa.
“I rapporti fra… due persone… cose così” cercò di spiegare imbarazzata, facendomi sorridere intenerita.
“I sentimenti, San.” Puntualizzai, divertita “Chiamali col loro nome”
“Sì, beh, quelli lì, insomma”
 
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo.
Io vagamente confusa.
Lei decisamente agitata.
 
“Stiamo facendo meditazione?” chiesi, lanciandole un’occhiata divertita.
“Sì- cioè no! E’ che… avevo preparato un discorso, ma l’ho dimenticato.” Commentò, imbarazzata.
“Ok… quindi…”
“Va bene, senti” iniziò, tirando fuori dalla tasca una serie di fogli spiegazzati “Questo è il punto. Quinn si è rifiutata di aiutarmi” spiegò, disponendoli tutti, sul tavolino del soggiorno, sedendosi di fronte a me.
“Aiutarti a fare cos-“
“Con queste faccende! Io non sono brava in queste cose…” commentò, afflitta “E’ lei quella esperta di…” prese una pausa “s-sentimenti.”
“Oooh” commentai, divertita “Capisco.”
“Sì, beh, mi ha semplicemente mandato a fanc- quel paese” si corresse “Dicendo che dovevo vedermela io” spiegò, afferrando il primo foglio “Quindi, ho cercato”
“Cercato cosa?” chiesi, confusa.
“L’amore” spiegò, rossa in viso.
 
Tenerume buondì!
 
“E dove esattamente?”
“Sul dizionario!” rispose, con foga “E ne è uscito questo…” iniziò, leggendo “Uno:  ‘affetto intenso, sentimento di profonda tenerezza o devozione’. Ci stava, così ho continuato a leggere. Due: ‘inclinazione forte ed esclusiva per una persona, fondata sull’istinto sessuale, che si manifesta come desiderio fisico e piacere dell’unione affettiva’.”

Mi fece uno sguardo piuttosto esplicativo, che mi fece ridere divertita.

“Tre: ‘la persona amata; anche, persona graziosa, attraente’. Qui mi sono un attimo persa, perché, insomma, non puoi mettere, nella definizione di amore, il concetto di persona amata, no? Che razza di dizionario è!?” sbottò, frustrata. “Quattr-“
“San” la interruppi “Vuoi davvero leggermi tutte le definizioni che hai trovato?” chiesi, confusa.
“Beh… non proprio tutte. Sono passata a google, poi” spiegò “Onestamente avevo preferito il dizionario… sono capitata su un sito di frasi melense, che hanno rischiato di farmi arrivare la glicemia alle stelle”
“Capisco…”
“Ad esempio ne ho trovata una…” fece, iniziando a cercare fra le carte “Eccola! Dice: ‘Vivere senza di te è come morire... preferisco morire che vivere senza di te, ti amo’… la mia domanda ora è: che senso ha?! Insomma, prima dice che vivere senza di lei è uguale alla morte, e poi dice di preferire la morte! Ma questa era pari a vivere senza di-“
“San, mi stai confondendo”
“Sì, mi stavo confondendo anche io, in effetti” concordò, passandosi una mano fra i capelli “Così ho parlato con la mamma”
“Grazie a Dio hai mollato le ricerche” commentai, sollevata.
“Già… comunque, mi ha detto tutta una serie di cose” iniziò, concentrata “E mi trovavo in tutte” continuò, guardandomi intensamente “E poi mi ha detto che amare è anche accettare la persona sia per quello che piace che per quello che non piace” spiegò ancora.
“Ok…”
“Così ho fatto una lista” fece, afferrando un altro foglio, sepolto sotto quella pseudo-montagnella cartacea.
 
Mi passò questo foglio, con al centro disegnata una linea centrale.
Sulla sinistra i ‘mi piace’.
Sulla destra i ‘non mi piace’.
 
La lista sulla sinistra era pressappoco immensa, tanto da continuare anche sul retro.
La cosa mi fece sorridere intenerita.
C’era praticamente tutto. Ogni parte del mio corpo - il termine ‘occhi’, tra l’altro, era cerchiato due volte – la danza, i miei momenti di riflessione, la mia famiglia, la mia goffaggine, il tenermi per mano.
Tutto.

Sulla destra, invece, ce n’erano molte di meno, saranno state un cinque in totale.
Il primo era il termine ‘ex’, scritto il maiuscolo, cerchiato, con un teschio disegnato vicino.
 
“Scusa, ero sovrappensiero mentre scrivevo… è un disegnino casuale” mi spiegò, notando la direzione del mio sguardo.
“Punto due” lessi, divertita “’Mangia l’ultimo pezzo di torta’”
“E’ pur sempre l’ultimo pezzo, Britt! Cosa ti aspettavi?!” chiese, facendomi scoppiare a ridere.
“Non è colpa mia se sono buone le torte!”
“Essì, bella scusa!” borbottò contrariata.
 
Mi presi qualche altro secondo per leggere casualmente gli altri punti, finché non parlò di nuovo.
 
“Ad ogni modo… sono arrivata alla conclusione che accetto tutto di te.”
“Anche che…” chiesi, leggendo il punto tre “ti sfrutto come termosifone personale per i piedi gelidi d’inverno?”
“Tutto” ribadì, sorridendo. “Comunque…” continuò “Non mi bastava tutto questo. Prima pensavo di sapere cosa fosse l’amore, guardando i miei genitori… ma, poi, lo sai come è andata a finire” spiegò, concentrata.
“Non ti farei mai una cosa del genere, San. Non ti abbandonerei mai, lo sai” mi sentii di puntualizzare, seria.
 
La cosa che mi stupì fu il sorriso luminoso con cui rispose alle mie parole.
 
“Esatto.” Concordò “E’ qui che mi sono sbloccata!” esclamò, trionfante “Perché non so come, ma ho la certezza assoluta di questo. E’ come… non lo so, è che quando ti vedo… ogni volta che ti guardo, mi sembra di poter fare tutto. Insieme. E io non potrei avere la certezza di queste cose, ma ce l’ho! Non dovrebbe essere possibile, ma lo è” mi spiegò, provando a farsi capire. “E’ tipo una sorta di…”
“Sesto senso?” chiesi, capendo perfettamente.
“Sì, decisamente.” Concordò, alzandosi e posizionandosi vicino a me, sul divano “Nonostante quello che faccio, nonostante il casino in cui mi trovo e vivo, nonostante tutto, tu sei rimasta. Sei qui, anche se certe volte mi comporto da idiota, anche se sono una fonte ambulante di guai.”
“Non sei una fonte ambul-“
“Sì, lo sono” mi precedette, divertita “Quando ieri mi hai detto tutte quelle cose, mi sono spaventata… perché è esattamente quello che provo anche io. E pensavo di non essere una che si innamora, Britt. Ho sempre cercato di scansare i sentimenti come la morte. Ero convinta indebolissero e rendessero stupidi e sciocchi. Ma mi sbagliavo. Perché tu mi rendi più forte. Mi rendi migliore.” Disse, prendendo un respiro profondo.
 
Buon Dio.
Aveva appena indirettamente detto di amarmi.
Cervello, non collassarmi ora, ti prego!
 
“Così ho fatto tutte queste ricerche perché volevo avere l’assoluta certezza della cosa, ma, alla fine, non ho fatto altro che confondermi con tutti quegli sproloqui inutili, perché… “ fece, fermandosi a riflettere “ho realizzato che l’unica certezza sei tu. E mi dispiace averlo capito a scoppio ritardato, facendoti soffrire ieri… e oggi” aggiunse, corrucciata.
“Quindi, sono arrivata alla conclusione che c’era un motivo alla base se ogni volta che ti vedo lo stomaco mi si chiude. Se non riesco ad immaginare la mia vita senza di te. Se ogni volta che ti sfioro, ogni giornata sembra la migliore della mia vita. Se non riesco… Dio, non riesco a respirare se tu non sei vicino a me.” Disse, prendendo una piccola pausa “Ed è che-“
“Posso registrare questo momento?” chiesi, commossa, con un sorriso grande quanto una casa.

Scoppiò a ridere divertita.

“E’ per questo che ti amo.”







Tetraedro dell'Autrice

Ebbè! devo dire che questo capitolo mi ha fatto penare un pochino, visto che santana sarebbe una poco pratica di sentimenti!
ma anche questa è fatta!


per il resto, non credo di dover aggiungere niente, se non godetevi questo periodo di sostanziale happiness! :D

ma soprattutto, GRAZIE! Lo so sono ripetitiva, ma non so davvero come ringraziarvi ogni volta! siete una maraviglia! *-*

Btw, potete trovarmi anche qui!  --> https://twitter.com/_jeffer3

A presto, bella gente!!! :DD



 

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Capitolo 19
*** Persone felici ***


Mi ero interrogata tante volte sul significato della felicità.
Avevo sempre trovato buffo il fatto che se ne parlasse, costantemente, come di un concetto astratto.
‘La felicità è una condizione di gioia e di soddisfazione’.
‘La felicità è quel sentimento che ci rende di buon umore’.
‘La felicità è…’
Mh.

Io ho sempre creduto, invece, che la felicità sia un fatto.
Non è nulla di astruso ed incomprensibile.
Nulla di astratto e campato in aria.
Nulla di così irrazionale.
E’ solo che ha tante sfaccettature.


La felicità è un momento.
 
Felicità è quando Willy il coyote riesce a far fuori BipBip con un fucile a canne mozze.
Felicità è quando manchi da casa da così tanto e tua madre ti saluta stringendoti in un abbraccio spaccaossa, facendoti, poi, trovare a tavola il tuo piatto preferito.
Felicità è quando hai la certezza che la tua serie televisiva preferita continuerà per, almeno, altre due stagioni.
Felicità è quando torni dalla gita di più giorni della scuola, realizzando che, sì, il tuo bagno ti era davvero mancato.
Felicità è quando, d’inverno, ti arrotoli nel piumone, in un pomeriggio di pioggia, spaparanzata sul divano a vedere un film in compagnia.
Felicità è quando il tuo gatto si avvicina per essere spupazzato e NON per opera di lecchinaggio, volta ad ottenere cibo.
Felicità è quando dimentichi di portarti il CD con le canzoni in macchina e parte, alla radio, la tua canzone preferita.
Felicità è quando abbracci quella persona, che non vedevi l’ora di rincontrare.
Felicità è quando baci e stai assieme a quella persona, che ami.
Felicità è il tempo di un sorriso.

 
La felicità è una parola.

‘Sì’
‘No’
‘Promosso’
‘Supercalifragilistichespiralidoso’, perché, sì, è una parola fighissima.

 
La felicità è un odore.

Il profumo della persona a cui vuoi bene.
L’odore dei biscotti che la nonna cucina la domenica.
L’odore dell’erba tagliata.
L’odore di casa.
L’odore inconfondibile della pelle della persona che ami.


La felicità è una frase.

‘Il professore non c’è, oggi non si fa lezione’
‘Mi sei mancata’
‘Sei fortunata, è l’ultimo paio’
‘Domani è Natale’
‘Tanto abbiamo un guidatore designato’
‘Purtroppo’ – SEH, PURTROPPO -  ‘Le opere dell’autore sono andate perdute’
‘Ti voglio bene’
‘Non c’è niente che non va’
‘Oggi è sabato’
‘Il treno è in perfetto orario’
‘Mi piaci così come sei’
‘Andiamo dai nonni e ci portiamo MaryG’

Ma non dimentichiamo la mia preferita.
‘E’ per questo che ti amo’ pronunciata da una Santana Lopez, versione cucciolo di panda spaurito, appena la sera prima.

 
La felicità, poi, è un essere vivente.

La tua famiglia.
La tua migliore amica.
Il tuo gatto. O cane o pecora o procione, che sia.
L’allegra fattoria.
Il gruppetto di amici scapestrato.
Un estraneo.
Il tuo mentore.
Santana.
 
Ed è da tutto questo, che scaturiscono quelli che definirei, quindi, sintomi della felicità.
Sorriso ebete incontenibile.
Sensazione di rilassamento o, viceversa, euforia allo stato puro.
Tachicardia, con il cuore che sembra volerti esplodere nel petto.
Benessere generale.

 
Ed è esattamente così che ti ritrovi, alle 8 di un sabato mattina, a preparare la colazione alla tua meravigliosa ragazza.
Frittelle, per l’esattezza.
Frittelle, che tra l’altro non avevi mai cucinato, essendo le crepes la tua unica ancora di salvezza.
Un grazie, con statua dedicata annessa, a google, a questo punto, era di dovere.
Dio benedica le persone che realizzano video sulle ricette di cucina, che postano, poi, su internet.

Così, potevo tranquillamente passare per la ragazza perfetta, nonostante tutto.
E con tutto si intende la mia totale incompetenza culinaria.
Guardando in faccia alla realtà, un pinguino bendato avrebbe potuto di gran lunga far meglio.
Non che lo fossi. Perfetta, intendo.
Basta essere solo dei bravi illusionisti.
 
Ad ogni modo, ero lì in cucina a spacciarmi per il mago delle torte.
Mi era quasi venuta voglia di sperimentare, ma c’erano solo spezie nei paraggi.
E, in tutta onestà, non avevo mai visto delle frittelle con del rosmarino sopra.
Anche se - rendiamo merito – il topolino Ratatouille mi aveva insegnato che anche un pezzo di formaggio con una fragola potevano accoppiarsi.
…Non sessualmente parlando, ovviament-

 “Britt!”

Feci un salto di circa 3 metri dalla mia postazione, vicino ai fornelli, fino al lavandino.

“GESU’, SAN!” sbraitai, con una mano al cuore, cercando di regolarne il battito impazzito. “Volevi farmi venire un infarto?!”

Come diavolo avevo fatto a non accorgermi di lei!?
Dovevo essere troppo presa dai miei pensieri, anche se, dal fiatone e dal completo di mutande e canottiera, che indossava, avrei detto che fosse corsa fin lì.

“Che stai facendo?” chiese, con un’espressione preoccupata.

Preoccupata?
Perché doveva esserlo?

“Stavo… stavo cucinando la colazione e-“ mi interruppi osservandola per bene “E tu sei in mutande.” Commentai, interessata.
“Sì, b-beh” si grattò la nuca “E’ che… sì, ecco non ti avevo visto e-“
“Aspetta, aspetta” la fermai, sospettosa, tenendo d’occhio contemporaneamente le frittelle sul fuoco “Perché sei corsa fin qui?”
“Ahm… perchè…. peeerché” temporeggiò, guardandosi attorno. “Sai riflettevo che è proprio un bel mobile quello che avete in salott-“
“San.” La richiamai, con gli occhi ridotti a fessure e il mestolo in mano, a mo’ di minaccia.
“Ahm…” Si guardò ancora una volta attorno, prima di spostare lo sguardo sulla pentola, posizionata sui fornelli.

Beccata.
Piccola ingrata che non era altro!

“Sai” iniziai, avanzando leggermente, facendola indietreggiare “Credevo di aver chiarito che l’episodio delle tende fosse solo un piccolo e casualissimo incidente, San…” spiegai, linciandola con lo sguardo “Senza contare che non solo io ti sto cucinando la colazione, ma tu sei qui, terrorizzata dall’idea che dia fuoco alla casa con noi dentro!” sbraitai, fintamente indignata.
“Chi, IO?!” si difese, subito “Ma che dic-“
“Ammettilo!” avanzai ancora.
“Beh… non terrorizzata, su! Diciamo… lievemente preoccupata?” provò, indietreggiando di riflesso.
“Ahà.”
“Vagamente allarmata?”
“Mh”

Tanti passi facevo io in avanti, tanti lei ne faceva camminando all’indietro.

“Un pochino pochino inquietata?”
“…”
“Appena appena angustiata?”
“Ahà.”
“Giusto un po’ impensierit-“ si interruppe, cadendo di spalle sul divano, che non aveva notato in quella sua camminata a gambero.

Hà.
Colpita e affondata.
Mi avvicinai con uno sguardo minaccioso, sedendomi sul suo bacino con le braccia incrociate.
Oh-ho.
L’avrebbe pagata. E anche car-
 
“Perdutamente innamorata?” provò, poi, con la sua migliore espressione innocente.
“Sei una paracula, San” commentai, divertita, avvicinandomi al suo viso.
“Lo so, ma tu mi ami lo stesso” bisbigliò, allegra.
“Vero” convenni, accorciando del tutto le distanze.

Ci perdemmo in un bacio, che non tardò ad essere approfondito, togliendo il respiro ad entrambe.
Come avevo detto, felicità.
Pura ed autentica.
Non ci volle molto a che mi spostassi sul suo collo, facendole scappare un gemito.
 
“B-Britt… c’è, c’è qualcosa che sta andando a fuoco”
“Sì, potrei essere io” ridacchiai, allegra.
“No, no” rise, fermandomi “C’è odore di bruciato, Britt!” specificò, preoccupata.

Oh.
Beh, in effetti, sentivo un strano odor-
Merda.
Le frittelle.
 
“Cazzo, cazzo, cazzo” sbottai, alzandomi di colpo e correndo verso la padella in cucina.
“Quali sono i danni?” chiese, con un sopracciglio alzato, Santana.
“Ahm… credo che occulterò la padella” dissi, osservando con ribrezzo la scena “E con occultare intendo cestinarla, assieme alla frittella carbonizzata al suo interno” specificai, guadagnandomi l’occhiata del ‘te l’avevo detto’.
“Oh, no. No. Non osare! Sei tu che mi hai distratto!” la incolpai, indignata “Se non fossi scesa terrorizzata, ora staremmo mangiando delle gustosissime frittelle” puntualizzai, buttando tutto nella pattumiera.
“Ahà” commentò, soffocando una risata.
“Sono seria”
“Mi fa piacere!” esclamò, ironica, guadagnandosi un’occhiataccia. “E ora che si fa?” chiese, poi, sollevando le sopracciglia.
“Beh…” feci, avanzando di nuovo verso di lei “Direi di continuare da dove abbiamo interrotto”
“E la colazione?” ridacchiò, divertita.
“Dopo, dopo” risposi, con un sorriso, prima di rituffarmi sulle sue labbra.




 
“Sai, pensavo...” iniziai, giochicchiando con le dita di Santana, che era completamente spalmata su di me, sopra il divano.

Dopo esserci preparate e aver fatto colazione, avevamo poi deciso, dato il cattivo tempo, di guardare un film alla televisione.
Non che ci stessi personalmente prestando molta attenzione, con la mia ispanica addosso e diversi pensieri per la testa.

“Cosa?” chiese, interessata, alzando di un po’ la testa, per guardarmi meglio.
“Potrei… tornare.” Dissi, lasciandola, lì per lì, confusa. “Alla scuola di danza, intendo” specificai, con un sorrisetto un po’ preoccupato.

Preoccupazione, che fu immediatamente spazzata via dal sorriso luminoso che mi rivolse, una volta sentite le mie parole.

“Davvero?” fece, contenta.
“Davvero” risposi, un po’ più sicura “Tu che ne pensi?”
“Penso che sarebbe fantastico! Sei meravigliosa e, sono sicura, non potrebbe essere altro che un bene! Personalmente credo che potrei vederti ballare per ore senza mai stancarmi e-“ si interruppe, probabilmente realizzando la dolcezza delle parole che aveva usato. “C-cioè, nel senso che sei molto brava e-“
“Perché ti ostini a voler nascondere la tua palese pandosità?” le chiesi, divertita.
“Non sono un panda” ribattè, corrucciata, tornando alla sua postazione precedente, sfuggendo al mio sguardo “Sei tu che mi rendi un panda” borbottò, poi, facendomi ridere.
“Felice di esserne il motiv-“

“HOLA GENTE!” urlò la per-niente-attesa MaryG, aprendo di botto la porta di casa, facendoci saltare sul posto. “Oh mio Dio!” spalancò gli occhi, osservandoci “Devo ricordarmi di non aprire mai più la porta così. L’ultima volta vi ho beccate nude e credo che la mia mente non riuscirà mai a cancellare una simile turpitudin-“
“Che diavolo ci fai qui MaryG?!” sbraitai, alzandomi in piedi.
“Ciao MG!” la salutò, invece, allegra Santana, sventolando una mano divertita, guadagnandosi un bacio volante da mia sorella.
“Non dovevate tornare solo oggi pomeriggio?!”
“Infatti! Ma sono riuscita a convincere mamma e papà a tornare prima!” gongolò, contenta.
“E per quale losco motivo?”
“Devo uscire con Mike nel primo pomeriggio” commentò, con noncuranza.
“Sta tenendo le mani a posto il tipo?” chiese Santana, con sguardo indagatore.
“Sì, capo!”
“Bene, già mi sta iniziando a piacere di più.”
“Ottimo!” fece, contenta, la piccola gollum, sedendosi sulla poltrona. “Mamma e papà arrivano a momenti. Si sono fermati a parlare con i vicini”

Sospirai rassegnata.

E io che avevo previsto un pranzetto con in fiocchi, in compagnia della mia ispanica, visto che sarebbe, poi, dovuta tornare a casa dalla madre.
Mi riavvicinai, contrariata, a Santana, che, messasi a sedere, mi prese per la vita, tirandomi a sé, sorridente.
La mia espressione si rasserenò all’istante.

Mi accorsi, però, solo in un secondo momento che mia sorella ci guardava interessata e sospettosa.

“Che c’è?” le chiesi, quindi, divertita, conoscendo quello sguardo.
“C’è qualcosa di diverso.” Commentò, concentrata.
“Tipo cosa? Nel salotto?”
“No, no. In voi” puntualizzò, indicandoci.
 
Santana si immobilizzò di colpo, mentre io la seguivo a ruota.

No, no.
No.
Mi rifiutavo di pensare che mia sorella potesse capire anche solo guardandoci che, appena la sera prima, ci eravamo dette ‘ti amo’.

Insomma, aveva capito quando mi era iniziata a piacere Santana.
Quando c’eravamo baciate per la prima volta.
Quando avevamo fatto l’amore insieme per la prima volta.

No.
Mi rifiutavo.
Avevo bisogno di un avvocato.

“Ma che dici!” dissimulai, ridendo fintamente divertita.
“Oh, Dio.” Commentò, interessata “Quindi è qualcosa di importante!”
“Ti dico che ti stai sbagliando, una volta tanto capita, sai!”
“San!” richiamò, invece, l’ispanica, che era rimasta zitta tutto il tempo.
“Sì?”
“Parla”
“Ahm, certo. Vuoi sentire una filastrocca? Uno scioglilingua? Una poes-“
“Oh, bene. Quindi è qualcosa che hai fatto tu!” commentò, facendoci immobilizzare “O detto tu”
 
Va bene.
No, va bene.
Ma perché non l’avevamo mai mandata alla CIA a decodificare i messaggi terroristici, eh?!
 
“Ed è anche diventata rossa” commentò, continuando a fissare assorta Santana.
“MaryG, ma la vuoi smetter-“
“E’ chiaro che ha a che fare con i sentimenti, quindi!”
 
E ora sì che eravamo fottute.
 
“Oh, Dio.” Fece, realizzando “O. Mio. Dio. Ti ha detto ‘ti amo’!” esclamò, rivolgendosi, esterrefatta verso di me.
“Ok. Va bene, va bene, ci hai scopert-“
“Britt!” mi richiamò l’ispanica, indignata.
“Cosa? Pensi che avremmo avuto una minima speranza di avere la meglio su di lei?” chiesi, indicando la mia adorabile sorella gongolante “Sarebbe più facile addomesticare una mosca, San. E farle fare le piroette.” Feci, seria “E farle ballare il tip-tap. E farle cantare l’inno nazionale in aramaico. E-“
“Grazie, Britt, ho afferrato” borbottò, incrociando le braccia.
“Ehi, ragazze!” ci salutarono i miei, entrando in casa con delle buste.
 
Oh, perfetto.
Speravo solo che MaryG non spifferasse tutto all’istant-
 
“Ehi, mà, pà! Indovinate un po’? Britt e San si sono dett- AHI!”
“Oh, t’ho guarda. La mia scarpa deve esserti ACCIDENTALMENTE finita sulla testa. Scusami, Gollum!” feci, con un tono fintamente mortificato.
“Cos’è che vi siete dette?” chiese curiosa mia madre avvicinandosi.
“NIENTE!” sbottammo entrambe all’istante, facendo scambiare al resto della mia famiglia occhiate piuttosto eloquenti.
“Oh, ma che carine! Hai visto, tesoro?” si rivolse, allegra, a mio padre “Guarda come tentano di dissimulare il loro amore!” esclamò, mentre noi, invece, ci passavamo una mano sulla faccia, sconsolate.
“Ora dichiarato!” aggiunse lui, gongolante.
“Per favore potreste smetterla di-“ mi interruppi, sentendo il campanello “Ecco, vi siete portati la nonna?”
“Ahm, no” rispose, tranquilla, mia madre avvicinandosi alla porta.
“Bene, almeno evitate di dire a chiunque entri da quella porta che io e Santana ci siamo dett-“
“Ciao Jennifer!”
 
Merda.
Merda.
Merda!
 
“Salve Susan, cerco Brittany” chiese lei cordiale, sporgendosi.
“Sì, tesoro. E’ lì, con Santana”
 
Avete presente il far west?
Quando ci sono i due pazzoidi con la pistola, che vogliono farsi fuori a vicenda?
Ecco, quelle erano Jennifer e Santana, che si stavano squadrando, sospette, da capo a piedi.
E avete presente le balle di fieno – credo siano quelle – che scorrono sullo sfondo, a testimonianza del silenzio più totale?
Ecco, quella era l’atmosfera del mio soggiorno.
Se vogliamo escludere una MaryG, che a stento conteneva le risate.
 
“MG, andiamo in cucina a preparare il pranzo?”
“Ma mamma! Ora c’è la scena più interessant-“
“Gollum” sibilai, guardandola in cagnesco.
“E va bene” acconsentì, sbuffando.
 
Rimanemmo solo io, Santana e Jen.
E sebbene non facesse poi così freddo a Marzo, per il gelo presente nella stanza sembrava di essere in pieno inverno e in Siberia.
 
“Ahm…” provò a parlare Jenny, prendendo un respiro profondo “E’-è un bene che ci siate entrambe.” Iniziò “Ci tenevo a… ecco…”

Oddio, no.
Ti prego, no.
Non l’avevo ancora detto a Santana.
Non scusarti per il bacio.
Non scusarti per il bacio.
Non scusart-

“Ecco, volevo scusarmi per aver cercato di baciarti, Britt” sputò fuori, mentre io iniziavo ad imprecare internamente in tutte le lingue del mondo.

Santana si limitò a piegare leggermente la testa di lato e a guardarla interessata.
Non mi rivolse nemmeno un’occhiata.

“Oh, buon Dio!”
“Che hanno detto?!”
“Ssssh, zitta mà che ci sentono!”


Ci guardammo tutte e tre perplesse per un secondo, realizzando che quelle voci provenivano dalla cucina.
Cucina, dalla quale la mia famiglia stava cercando di carpire più informazioni possibili sulla nostra conversazione.

“Ad ogni modo” continuò “Volevo scusarmi, sul serio. Britt, non ho avuto un secondo per parlarti… sei fuggita praticamente via”
“Beh.. lo so, ma, tranquilla Jen.” mi limitai a dire, non sapendo come comportarmi.
“Ma ci tenevo a scusarmi anche con te, Santana.” Fece, poi, rivolgendosi all’ispanica al mio fianco “Sono sicura che Britt ti avrà raccontato e, sul serio, mi dispiace di essere andata oltre”

“10 dollari!” sentì dire da mio padre.
“Rilancio di 20! Non gliel’ha detto, sta’ a vedere!”
“Ssshhh ma volete stare zitti! Non riesco a sentire! Appoggio mamma, comunque, ci scommetto la paghetta settimanale!”


Ma tu guarda che famiglia degenerata.
Povero papà.
Avrebbe dovuto sganciare la pecunia.

“Sì, me l’ha detto”

Ecco, appunt- COSA?!
 
“Tranquilla, scuse accettate” aggiunse, poi, con un sorriso tranquillo.

“HA’! Ora vuotate le tasche, donne!” esclamò, gongolante, mio padre dalla cucina.
“Ma come è possibile?!”

“Scusate, torno subito” feci, avviandomi verso la cucina “Risolvo il problema."

Mi terrorizzava un po’ l’idea di lasciarle da sole.
Ma, sul serio, avere una telecronaca costante nelle orecchie, non era davvero il caso.

“Ma la volete smettere?!” sbraitai, entrando come una furia in cucina, trovando mia sorella e mio padre dietro la porta con un bicchiere in mano “Cos’è?! Una telenovela questa?”
“Oh no, tesoro, no! E’ molto più interessante” commentò, con un sorrisetto, mia madre.
“Ma’, ti prego” feci, sofferente.
“Dimmi la verità, San lo sa o no?” chiese sottovoce MaryG “Sono sicura che quello l’ha detto per coprirti”
“E’ così?!” domandò, terrorizzato, mio padre.

Eh.
Tanto valeva, ormai.

“Sì, è così” bisbigliai, corrucciata “Mi ero completamente dimenticata di dirle la cosa”
“HA’! LO SAPEVO! Sgancia i soldi, tesoro!” esultò mia madre rivolta a papà.
“Oh, no, Britt”
“Eh, lo so, pa’. Mi dispiace, ma mi era completamente passato di mente. Ora San penserà che-“
“Bene. Allora rilancio di altri 10. Scommetto che Santana la minaccerà prima di sera!”

Ma guarda questi.
Io cerco di spiegare i miei problemi, con conseguenti pippe mentali.
E loro pensano a scommettere.
Scommettere.
Sulle vicende della MIA vita.
Famiglia vergognosa.

“Ci sto!” l’appoggiò subito mia madre.
“Bene, sapete che vi dico? Potete anch-“

*Ding Dlog*

E ora chi poteva essere?
“Va bene. Fermi qui voi” li additai, minacciosa “Vado ad aprire la porta.” Mi incamminai “E basta commenti, che vi sentite!” esclamai, uscendo.

Passai per il salotto, dove trovai Santana e Jennifer, che, inspiegabilmente, mi rivolsero entrambe un sorriso tranquillo.
Peccato che me le immaginavo ancora con pistole in mano e lanciarazzi.

Aprì la porta distrattamente, senza nemmeno chiedere chi fosse.
Ero troppo presa ad osservare con la coda dell’occhio le due ragazze nel mio salotto.

“Britt! Non mi hai più richiamato! Hai idea della paura che... mi… oh.”  Si interruppe, osservando due persone a caso dietro di me.
“Oh-oh” si aggiunse, presto, anche la Fabray al suo fianco, che, da un’espressione sconcertata, passò presto ad una divertita, fino all’inverosimile.
“Ciao ragazze” le salutai, prontamente ignorata.

Quinn era troppo presa a lanciare sguardi di sfottò verso Santana.
Dio solo sa quanto si stesse divertendo in quel momento.
Rachel, invece, era semplicemente senza parole.
Già. Strano, ma vero.
 
“Britt, chi er- ah! Ciao ragazze!” le salutò allegra mia madre, avvicinandosi.
 
Ormai sembravamo una sorta di famiglia allargata.
Rachel era considerata da sempre la mia sorella siamese.
Anche Quinn era tranquillamente conosciuta e, automaticamente, amata in casa, essendo la sua ragazza.
Santana era una sorta di terza figlia. Così come lo era stata Jennifer.
Gran bella situazione.
 
“Visto che cosa divertente?” sbucò MaryG dal nulla “Pensavo di fare i pop-corn per celebrare la cosa, ne volete?” chiese, sghignazzando alle due nuove arrivate, mentre le rivolgevo un’occhiataccia.
“Ma che pop-corn! Ora pranziamo, tutti assieme!” esclamò, allegra, mia madre.
E la mia mascella raggiunse, ben presto, il pavimento.




 
Le cose, inspiegabilmente, stavano andando meglio del previsto.
Ok, eravamo arrivati solo al primo, ma era già qualcosa.
C’era stata, ovviamente, qualche battutina allusiva, per la strana situazione.
Ma, con una famiglia del genere, mi sarei stupita del contrario.

Perché sì, era normale che MaryG iniziasse a cantare ‘Il triangolo no’, muovendosi fra cucina e sala da pranzo.
Una canzone italiana, di un certo Renato Zero.
Non sapevo chi fosse e non sapevo cosa significassero le parole.
Ma non mi ci volle molto per capire a cosa si riferisse il termine ‘triangolo’.
 
Rachel si limitava a lanciarmi qualche occhiatina divertita.
Quinn guardava Santana, cercando, puntualmente, di non scoppiare a ridere.
Jennifer era apparentemente tranquilla, parlando del più e del meno, con un po’ tutti, a suo agio.
Santana, seduta vicino a me, sembrava rilassata. Lanciava qualche occhiataccia alla migliore amica e rivolgeva qualche carezza a me, di tanto in tanto, da sotto al tavolo.
Cosa che, tra l’altro, mi rincuorò non poco.
Almeno sapevo con ce l’aveva a morte con me, per non averle detto del piccolo episodio del quasi-bacio.
 
“Allora, Jen” fece, poi, mia madre, cambiando per l’ennesima volta argomento “Ora che sei di nuovo a Lima tornerai alla scuola di danza?”
“Sì, Susan, proprio ieri sono andata ad iscrivermi” rispose, tranquilla.
 
Notai un lieve irrigidimento in Santana, al mio fianco.
Finsi di non notarlo.

“Hai continuato a ballare lì, a Berlino?”
“Di tanto in tanto. Ma niente di serio, il posto non mi sembrava…” iniziò, cercando le parole, guardandomi per un breve istante “Mio. Credo sia il termine adatto, più o meno” spiegò, lasciando cadere la conversazione.
“Capisco”
 
In quel momento sentii la mano di Santana appoggiarsi sulla mia gamba.
Posai lo sguardo nel suo e capii cosa implicitamente mi stesse dicendo.
Era il momento.
Spostai la mia mano dal tavolo per intrecciarla immediatamente alla sua.
Mi sorrise incoraggiante, stringendo impercettibilmente la presa.
 
“Ahm..” iniziai, guadagnandomi l’attenzione di tutte le persone al tavolo.
“Sì, Britt? Vuoi che ti passi tre olive? Scommetto che due sono pochine.” chiese, malefica, MaryG, prontamente incenerita dal mio sguardo.
“No, grazie, gollum.” Sibilai, guardandola torva.

Presi un piccolo sospiro.

“Volevo… ecco, volevo dirvi una cosa importante… che ho deciso.”
“Ti consegni alla guardia forestale?”
“Consegnerò te, a momenti, flagello dell’umanità” ribattei, piccata, facendola ridere “A-ad ogni modo, avrei deciso questa cosa.”
“Avanti scricciolo, parla. Non tenerci sulle spine” sorrise, tranquillo mio padre, afferrando un pezzo di carne con la forchetta.
“Ho deciso… ho deciso di tornare alla scuola di danza”.
 
4 forchette caddero, all’istante, nei rispettivi piatti.
Mia madre. Mio padre. MaryG. Rachel.
Occhi spalancati, mascelle rasenti il tavolo.
Sguardi allucinati, di chi pensa di aver visto un UFO. O il big foot. O l’uomo delle nevi.
 
“Abbè. Mi aspettavo peggio.” Commentai, divertita.






Tetraedro dell'Autrice

Questo capitolo era stato progettato come più breve, ma, scrivendo, è uscito fuori più lungo... E, sì, è stato un parto.
In effetti, ho un po' di difficoltà con questi capitoli - definiamoli - "intermedi
".
Un po' di happiness, però, ci deve stare (finalmente) prima della botta fra qualche capitolo!

Tra l'altro mi sono fatta un veloce calcolo mentale e la storia dovrebbe uscire di 42 capitoli in totale, se tutto va bene.
Fino al 25 state tranchi.
Dal 26 in poi cambierò indirizzo per non farmi trovare. :D

Come sempre, un GRAZIE megagalattico a tutti! *O*

A presto, bella gente! :DD

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Capitolo 20
*** Amore e fiducia ***


“La tua ragazza è fuggita via alla velocità della luce” commentò Jennifer, avvicinandosi a me.
 
Ero seduta sul divano, aspettando, inutilmente, un qualche messaggio da parte di Santana.
Si era alzata improvvisamente di scatto dalla sedia durante il pranzo, dopo aver dato una veloce occhiata al cellulare, dicendo che, semplicemente, doveva andare via.
Dallo sguardo l’avevo vista preoccupata, ma non ero riuscita a scambiare una parola con lei.
Aveva impiegato meno di un minuto per uscire di casa.
Sperai che non si trattasse di Phil né, tantomeno, di sua madre.
Ma le probabilità erano, tuttavia, molto basse.
 
“Già, sta facendo ricerche su come infrangere la barriera del suono” scherzai, facendola ridere.
“Direi che è sulla buona strada!”
“Decisamente” commentai, con un piccolo sorriso.

Mi guardò per qualche secondo, scrutandomi.
 
“Sei preoccupata”
“No, perch-“
“Non era una domanda” precisò, alzando un sopracciglio.
“Va bene. Sono preoccupata” cedetti, alzando gli occhi al cielo.
“Per come se n’è andata?” chiese, tranquilla.
“Sì…” risposi, passandomi una mano sugli occhi “Cioè, più che altro per l’agitazione palese che le ho visto addosso. Sai, lei è la calma fatta persona. Se si agita, non è un buon segno”
“Vedrai che sarà tutto a posto, magari si era solo dimenticata di fare qualcosa” cercò di rincuorarmi, dandomi una leggera pacca sulla spalla.
 
Seh.
Proprio.
 
“Forse” feci, senza crederci nemmeno un po’.
“Sai, è stato un pranzo interessante, tutto sommato” commentò, cambiando argomento.
“Dici?” ridacchiai “Ti riferisci a quando mia madre ha iniziato a spargere incenso per la casa, alla notizia del mio ritorno alla scuola di danza?”
“Anche!” rise, divertita “O MaryG, che voleva farti fare l’esame tossicologico per controllare che non fossi sotto l’effetto di droghe” aggiunse, facendomi scoppiare a ridere.
“Sono contenta che torni anche tu” fece, poi, più seria. “E’ come… sai, è come se le cose stiano tornando pian piano al loro posto”
“Alcune, sì” precisai, cercando di farle capire che la nostra relazione non rientrava fra queste.
 
Prima sarebbe riuscito ad accettarlo, prima sarebbe stato meglio per entrambe.
Non riuscivo a vederla sofferente.
Mi rivolse, non a caso, un sorriso un po’ triste.
Aveva afferrato il concetto.
 
“Vi ho osservate oggi.” Disse, scostando lo sguardo dal mio.
Decisi di rimanere in silenzio, esortandola implicitamente a parlare.
“Sembrate…” sospirò, pesantemente “Perfette. E la cosa non ti nascondo che mi uccide” commentò, tornando a guardarmi “Scommetto che è stata lei a riportarti alla scuola di danza. Non è così?”
“Sì, mi ha convinto lei”
“Deve tenere davvero molto a te, si vede dai piccoli gesti” disse, pensierosa “Ma credo che la cosa che mi abbia distrutto, più di tutte, sia stato il tuo sguardo” affermò, iniziando a torturarsi le mani “Così simile, eppure così diverso da quello che rivolgevi a me”
“Jen, io-“
“Va bene, Britt” mi tranquillizzò, con un piccolo sorriso tremolante “Non dico che sprizzi di gioia al pensiero che non sia rivolto a me, ma…” si fermò, scuotendo la testa “Suppongo che l’unica cosa che importa è che tu sia felice” concluse, prendendo un profondo respiro. “E la tua felicità ora è lei. Ho solo bisogno di un po’ di tempo per accettarlo”
“Tengo davvero a te” volli puntualizzare.
“Lo so” mi sorrise, sincera “Non ho mai avuto dubbi su questo” aggiunse, alzandosi dal divano.
“Dove vai?” le chiesi, curiosa.
“A casa. Devo recuperare un po’ di arretrati”
“Hai mantenuto la tua abitudine del ridurti, sempre e comunque, all’ultimo momento, vero?” scherzai, divertita.
“Avevi qualche dubbio, per caso?” ridacchiò in risposta.
“Oh, no, per carità!”
“Meno male, dai” sorrise, avvicinandosi alla porta “Senti, Britt…” iniziò, poi, prima di uscire.
“Dimmi”
“Solo… volevo dirti di stare attenta”
 
Attenta?
Oh.
Forse si riferiva alle palline che MaryG aveva disseminato in camera mia, credendo che non me ne fossi accorta.
Col cazzo che mi spezzavo l’osso del collo!
 
“Naaa, tranquilla, me ne sono accorta! Tutte quelle biglie hanno fatto rumore quando le ha sparpagliate per terra. Non riuscirà a farmela questa volta” commentai, soddisfatta.
“Biglie?” chiese, stralunata.
“Ah. Non ti riferivi ai tentati omicidi di Gollum?” feci, confusa “Colpa mia, dimmi”
“No, ecco, mi riferivo a Santana” precisò, facendomi corrucciare.
“Che intendi?”
“Non lo so, è che… beh, mi sembra nasconda qualcosa, tutto qui” disse, guardandomi negli occhi.
 
Oltre gli incontri clandestini di lotta a mani nude e una madre malata di cuore?
Ma assolutamente nulla.

“Naaa” dissimulai, con un sorriso. “Sarà la tua impressione. E’ che al primo impatto sembra misteriosa, ma niente di più”
“Sarà…” concesse, poco convinta, uscendo di casa “Qualunque cosa sia, ad ogni modo, spero tu la sappia” aggiunse, prima di allontanarsi verso la macchina.

 
Bella storia i segreti, eh?
Ironia della sorte, sei più tranquillo quando il segreto da custodire è il tuo.
Insomma, sai a chi dirlo, a chi non dirlo.
Se vuoi dirlo.
Sai come comportarti e le eventuali conseguenze, se si venisse a sapere.
E’, tendenzialmente, più sotto controllo la cosa.

Ma quando il segreto è di un’altra persona, la storia cambia.
Perché sai di avere maggiore responsabilità.
Si è un po’ più angosciati, in un certo senso.
E non mi riferisco a persone a caso, ma a quelle a cui tieni davvero.
Quelle che ami.
 
Sappiamo tutti come va a finire quando ti confidi con la persona sbagliata.
‘Mi raccomando non dirlo a nessuno’
‘Tranquillo, rimarrà fra me e te!’
Seh.
E il papa, ogni sera, va a fare lo streap tease in locali a luci rosse.
Immagine turpe, tra l’altro.
 
Ad ogni modo, il punto è che lo vengono a sapere tutti.
Persino Chip e Chop.
E si mettono a parlarne allegramente con Paperino, che, appena un minuto prima, voleva scuoiarli vivi.
Depongono l’ascia di guerra e si interessano di gossip.
E la cosa divertente è che funziona così anche nella vita reale.
Non importa quanto due persone non possano sopportarsi, perché, quando c’è qualche pettegolezzo di mezzo, preferiscono il confronto allo scontro.
Più informazioni sono, meglio è.
Poi, una volta realizzato un dossier superdettagliato della persona in questione, possono tornare alle loro lotte interne.
 
La domanda ora sorge spontanea:
Cosa ne è del povero tipo che si è, ingenuamente, confidato?
Semplice.
Rimane esposto, soggetto agli sguardi tutti, alle parole di tutti.
Ci potranno pure essere persone che se ne fregano delle dicerie, ma, per altre, è tutta un’altra storia.
Così additano, etichettano, criticano.
Credono di sapere tutto, ma non conoscono niente.
E, alla fine, il tipo non è più ‘John’, ma diventa ‘quel tale che è andato in giro con i pantaloni al contrario per una giornata intera’, volendo fare un esempio.
 
Tutti ci siamo passati almeno una volta.
E fa schifo.
Per quanto possiamo ignorarlo, dire che non ci importi, sotto sotto ci tocca.
E ci fa male, almeno un po’.
 
E’ chiaro, allora, che non vorresti mai far patire tutto questo alla persona che ami.
A maggior ragione se si tratta di un argomento delicato come lo era quello di Santana.
Così, tieni stretto a te il segreto.
Come fosse il tuo.
Anzi, ancora di più.
Perché mai permetteresti a qualcuno di farle del male.
Preferiresti, piuttosto, esserci tu al suo posto.

 
“Britt?”
“Ahm… sì?” chiesi, notando, solo allora MaryG, in piedi vicino a me.
“Eri persa in uno dei tuoi soliti viaggi mentali?” chiese, divertita, sedendosi vicino  a me.
“Forse” risposi con una linguaccia.
“Cos’era questa volta? Un T-Rex in tutù?”
“No, no.” Feci, subito, indignata “Era il papa in un night club” puntualizzai, alzando un sopracciglio.
“Oddio, ma tu sei malata!” rise, spintonandomi. “Più malata di quanto pensassi!”
“Disse colei che vestì da Fonzie il gatto” ribattei, sghignazzando.
“Almeno aveva stile!”
“Sì, peccato per i pollici non opponibili. Mi sarebbe piaciuto vederlo esibirsi in un ‘Hey’ convinto” commentai, pensierosa.
“Beh, almeno gli avevo spostato giochini e giornaletti nella lettiera, così sì che sembrava il suo ufficio”
“Sei pazza” ridacchiai, divertita.
“Senti un po’, schifus totalus sapiens” iniziò, mentre io roteavo gli occhi “Ha chiamato San”
“COSA?!”
“Sì, ma tu eri nel tuo mondo fatato, di unicorni e… a quanto pare anziani in tanga…” commentò, schifata “Ad ogni modo, ha detto che a momenti sarà qui”
“Ti era sembrata tranquilla?” chiesi, preoccupata.
“Più o meno…”
“Ok”
 
Sperai non fosse niente di troppo grave.
Mi fidavo delle sensazioni di MaryG.
Aveva intuito il piccolo Gollum.
 
“Senti, Giuditta”
“Giuditta?” chiesi, stralunata.
“Sì, ho deciso di iniziare una nuova tradizione, ti chiamerò con nomi diversi ogni volta. Me ne sono già segnati un paio, Mirtilla.”
“Andiamo bene” sbuffai, incredula.
“Tornerai davvero alla scuola di danza?” mi chiese, poi, dal nulla.
“Sì, Gollum, direi di sì”
“Sul serio?” fece, ancora, non convinta.
“Se vuoi ti firmo una dichiarazione, con data e dati anagrafici” commentai, divertita.
“E ti firmerai Smerdina?” sghignazzò, facendomi ridere.
“Bello Smerdina!”
“Lo so, me l’ero conservato per farlo scrivere sulla torta al tuo compleanno, ma è stato più forte di me” commentò, malefica, lasciandomi allibita.
 
Sapevo che l’avrebbe fatto.
Non era una battuta.
 
“Davvero” iniziò, poi, più seria “Sei sicura di quello che fai? Cioè, sei sicura di voler ricominciare davvero?”

Mi lasciò un attimo confusa il suo tono.
Sembrava piuttosto preoccupata.

“Sì, sono sicura, MG. Voglio tornare a fare quello che amavo” sollevai le spalle “Mi sono sentita su un altro pianeta, quando sono andata a ballare l’altra volta. Mi era sembrato di… ritornare al mio posto” cercai di spiegare.
“Ok” annuì, più tranquilla “Solo, per favore, Britt, promettimi che non mollerai più”
“Che intendi?” chiesi, confusa.
“Prima Jennifer, poi Santana… insomma, credo non sia un caso che la tua voglia di ballare sia, in un certo senso, correlata a loro. Voglio bene a Santana, penso che con quella testa che ti ritrovi tu sia fortunata ad averla”
“Grazie” sbuffai, contrariata.
“Non c’è di che! Però, quello che sto cercando di dirti è che non voglio più vederti come questa estate” disse, guardandomi negli occhi “Sono sicura che tu e San rimarrete insieme ancora per tanto, lo so che vi amate e tutto il resto, ma, per favore, promettimi che se dovesse andare male tu continuerai comunque”
“MaryG-“
“No, sul serio, promettimelo” mi esortò, seria.

Era davvero preoccupata.
Allora capii lo sguardo che rivolse a me e Santana la prima volta che andammo alla scuola di danza.
Aveva paura che la storia si ripetesse.
Che, venendo eventualmente a mancare lei, io mollassi di nuovo.
Quando Jennifer se ne andò ero in condizioni disastrose.
E aveva ragione.

“Te lo prometto” accordai, con un sorriso, sentendo il campanello suonare.
“Bene” sospirò, sollevata “Ora va’ ad aprire alla tua bella”
“Agli ordini, capo” scherzai, avvicinandomi alla porta.
“A dopo, Cleofelia” sghignazzò, allontanandosi.




 
“San?” la richiamai, cercando di attirarne l’attenzione.
 
Eravamo subito salite in camera mia.
Era chiaro che doveva parlarmi di un argomento delicato.
Dopo aver scansato le biglie da terra - perché, sì, MaryG non si era mica degnata di raccoglierle – lei si era posizionata sul puffo e io sul letto.
Era agitata e si vedeva.
 
“Ha avuto una crisi più forte delle altre” disse, nel silenzio della stanza, passandosi una mano sulla faccia. “Sono dovuta correre a prendere altre medicine, Clara non poteva allontanarsi” spiegò, lasciando andare un sospiro tremolante.
 
Maledizione.
 
“Sta meglio ora?” chiesi, preoccupata.
“Sì, sì” rispose subito “Ma sta iniziando a peggiorare” commentò, chiudendo gli occhi, passandoci sopra i polpastrelli.
“Beh, ma questo non significa che continui così, insomma-“
“Clara ha detto che è meglio provare dei nuovi medicinali” mi interruppe, scuotendo la testa “Questo significa che quelli attuali non stanno facendo proprio un bel niente, come tutti i precedenti, d’altronde. Credevo…” iniziò, ridendo amara “Credevo davvero che questi stessero facendo qualcosa, sembrava stare meglio.”
“San..”
“Credevo di riuscire a lasciare quel lardoso di Phill. Ci stavo sperando davvero, ma altre medicine sono altri soldi e- e, Dio, non posso fare niente!” sbottò, alzandosi di scatto “Sono stanca che questa situazione non migliori mai, mai! Invece peggiora ogni volta e io non ci posso fare niente! Non so più cosa fare, Britt, non so più niente!”
“Vieni qui” la richiamai, afferrandole il polso, portandola sul letto con me.

Si lasciò trasportare, sistemandosi al mio fianco.
Il suo sguardo...
Dio, sembrava così stanca.
E non mi riferisco a quella stanchezza, che incombe quando non dormi.
Ma quella che ti logora dall'interno, perchè non sai più cosa fare.

La abbracciai stretta.
Perché, certe volte, non puoi fare altro.
Solo essere lì, con lei.
Per tutto il tempo che le serve.
 
“Ho solo tre settimane per cercare di lasciare gli incontri, Britt.” Fu lei ad interrompere il silenzio, dopo una manciata di minuti “Se mia madre non migliora in tempo e non riesco a trovare un lavoro che mi paghi abbastanza, dovrò rimanere ancora”
“Perché tre settimane?” chiesi, confusa.
“Finisce il torneo della stagione, c’è la finale. Poi, ci sarà una pausa di due settimane prima dell’inizio del prossimo. Non posso lasciare il lardoso prima della fine del torneo, mi ucciderebbe.” Spiegò, mentre un brivido di paura mi corse lungo la spina dorsale.
“Perché non mi hai detto del bacio, Britt?” chiese, poi, cambiando argomento.

Rimasi un attimo spiazzata.
Già.
Il bacio.
 
“Onestamente?” chiesi, staccandomi quel po’ che mi consentiva di guardarla negli occhi “Perché mi era sfuggito completamente di mente”
“Lo sospettavo” sorrise, leggermente.
“Non sei arrabbiata…” constatai, osservandola.
“Onestamente?” fece, ripetendo le mie stesse parole “Inizialmente mi sono innervosita e anche parecchio, quando Jennifer me l’ha detto. Odio sapere le cose da altre persone, soprattutto quando ci siamo promesse di dirci sempre tutto”
“Lo so, ma-“
“Non ho finito.” Mi interruppe, riposizionando la testa nell’incavo del mio collo “Poi mi sono ricordata di ieri, di quello che ci siamo dette. Non sei una persona che il giorno prima dice ti amo e quello dopo tradisce, ti conosco.” Spiegò.
“Non ti tradirei mai. La considero una cosa orribile e spregevole.” Mi sentii di precisare.
“Lo so. Mi fido di te. Ti sei scansata, avresti potuto baciarla e dire che ‘non te ne eri accorta’, questo mi basta. Mi basta sapere che ami me. Ma, non ti nego che avrei voluto giocare a golf con la testa di Jennifer, dopo averlo saputo. E’ stata onesta a scusarsi, con entrambe, ma la prossima volta che prova ad avvicinarsi a te, senza il tuo consenso, le recido la carotide.” Puntualizzò, facendomi ridacchiare.
 
Strofinò, poi, teneramente la sua guancia sulla mia, mentre entrambe chiudevamo gli occhi, rilassandoci.

“Andrà tutto bene, San” dissi, infine, dopo qualche minuto di silenzio.
 
Ci credevo.
O, forse, volevo crederci, non lo so.
Ma mi sentii di dirlo.
Almeno, una cosa era certa: lo desideravo con tutte le mie forze.
 
“Lo spero davvero, Britt”






Tetraedro dell'Autrice

Lo so! Sono in ritardo megagalattico, chiedo umilmente perdono!
Ma sto cercando di studiare il più possibile in questi giorni, così dal 14 di dicembre (*O*) la mia vita sarà votata al Signor Ozio e potrò cazzeggiare e aggiornare allegramente senza sensi di colpa!


un GRAZIE grande quanto una casa a voi! Siete l'ammmòre! *-*

A presto, bella gente! :DD

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Capitolo 21
*** Stammi vicino ***


“Non dovevi per forza aspettarmi per tutta la lezione qui!” ridacchiai, uscendo dallo spogliatoio e schioccandole un bacio sulla guancia.
“Dovresti saperlo ormai che adoro vederti ballare” mi bisbigliò Santana nell’orecchio, girandosi poi verso la ragazza al mio fianco “Ehi Jennifer” la salutò, sorridente.
 
Le rivolsi uno sguardo fiero.
Erano passati giorni dalla vicenda del bacio e, nonostante il rifiuto iniziale nei suoi confronti, la mia ispanica aveva imparato ad accettare la sua presenza.
Vedendosi a scuola ogni giorno e considerando la sua compagnia durante le lezioni di danza, era importante che ci provasse, almeno.
Certo, non mi aspettavo lo sbocciare di una nuova ed entusiasmante amicizia.
Sarebbe stato assurdo, un po’ come convincere un leone a prendere un tè con una gazzella.
Per l’amor del cielo, eh, possono pure rispettarsi e tutto.
Insomma, ogni mattina, fra i due animali, si tiene questa sfida all’ultimo sangue.
‘Vivere o morire’, altro che Saw l’enigmista.
Nonostante ciò, sono quasi certa del fatto che ci sia, comunque, una sorta di spirito sportivo anche nel mondo degli animali… Forse.

Il punto, però, è che il leone, generalmente parlando, farebbe, sempre e comunque, la festa alla gazzella.
Chiamiamola fame. Chiamiamolo istinto di sopravvivenza. Chiamiamola piramide alimentare.
Chiamiamolo ‘tocca di nuovo la mia ragazza e ti spezzo le gambine’.
 
“Ciao Santana” ricambiò il sorriso Jen “Uscite?” chiese, tranquilla, mentre ci avviavamo all’uscita.
“Già, andiamo a prendere un gelato al parco, sfruttando questo pseudoinizio di primavera” commentò l’ispanica, osservando il cielo “ti va di unirti a noi?”
 
Dicevo, non un’amicizia vera e propria, ma andavano d’accordo.
Santana non era certo una persona, che, anche per una cortesia di facciata, chiedeva a qualcuno, che non sopportava, di unirsi a noi.
Quindi, sì, era arrivata allo stadio del ‘non ti strangolo, perché in fondo mi sei simpatica’.
 
“No, no, grazie. Devo correre a casa, che la nonna è impazzita per un paio di lampadine” commentò, sconsolata.
“Lampadine?” feci, confusa.
“Si sono fulminate quelle del lampadario nella sua camera da letto. Mi ha esplicitamente detto che non intende vivere in una batcaverna” chiarì, facendoci ridere “Spero solo di non spezzarmi l’osso del collo, cadendo dalla scala”
“Paura delle altezze?” ridacchiò Santana.
“Puro terrore” precisò, con uno sguardo allucinato Jennifer.
“Metti dei pesi vicino i piedi della scala, così da non farla muovere, ed evita, mi raccomando, di guardare troppo in basso. Ti faresti solo pippe mentali assurde, calma e sangue freddo” le consigliò divertita.
 
Anche lei temeva le altezze. E tanto.
Quando le chiesi, tempo addietro, di andare a fare bungee jumping assieme, si limitò a guardarmi stralunata.
‘Per quanto mi riguarda, a questo punto, potremmo anche lanciarci da un palazzo di 30 piani senza protezioni. L'effetto sarebbe uguale: infarto fulminante. Prima ancora di saltare.’
 
“Seguirò il tuo consiglio allora!” ridacchiò Jennifer “Scappo ragazze, buon divertimento” ci salutò, entrando in macchina.
“Grazie, anche a te!” la prendemmo in giro, mentre lei scuoteva la testa sconsolata allontanandosi.

 
“Mi piace” commentai, contenta.
“Chi?” si girò sospetta Santana, socchiudendo gli occhi.
“Non chi, ma ‘cosa’!” chiarii, ridendo “Questo, il fatto che voi due andiate d’accordo”
“Oh. Beh, finchè tiene le mani e le labbra” fece, accentuando l’ultima parola “Lontani da te, va bene. Non è malaccio, in fondo.” Commentò, con una scrollata di spalle.




 
“Cambierai mai, in un giorno non assai remoto, i gusti del gelato?” le chiesi divertita, mentre ci sedevamo sulla panchina nel parco “Ormai persino il gelataio li conosce a memoria!”
“Che ci posso fare se stracciatella e nocciola sono i miei gusti preferiti?” fece, fintamente indignata “Perché mai dovrei rischiare di rovinarmi un momento così catartico, per sperimentare nuove varianti?”
“Per cambiare!” feci, ovvia.
“Momento catartico” ribadì, schioccandomi un’occhiata assassina.
“Ma puo-“
“Momento catartico” fece, ancora, enfatizzando il concetto.
“Chiaro” sbuffai, divertita.
“Ottimo!” gongolò contenta, riconcentrandosi sul cono.
“Come stava oggi tua mamma?” le chiesi, poi, attirando nuovamente la sua attenzione.
“Eh, stabile, diciamo. Ogni tanto ha ancora qualche crisi, ma, per ora non sembrano tanto forti” mi spiegò, concentrata.
“Questo significa che le nuove medicine stanno facendo effetto?”
“Forse…” rispose, titubante “Non lo sappiamo ancora. Ma la speranza è l’ultima a morire, no?” mi chiese, retorica, con un piccolo sorriso.
“Vero” concordai, lasciandole un bacio veloce.
“Oh!” fece, poi, improvvisamente, facendomi sobbalzare.
“Cosa?”
“Vieni!” si alzò di scatto, porgendomi la mano “Andiamo a dar da mangiare ai tuoi simili!”
 
La guardai stranita.
Miei simili?

“Per miei simili intendi persone affascinanti, intelligenti…” iniziai, afferrandola “divertenti, intriganti, misteriose, geniali…”
“Modeste…” aggiunse, ironica.
“Anche!” concordai, fiera.
“E invece no. Sono solo un mucchio di papere” chiarì, lasciandomi un piccolo bacio sul naso.

 
Ci avvicinammo mano nella mano al laghetto del parco, posizionandoci vicino la ringhera.
Era tranquillo, rilassante.
Uno di quei posti in cui non ti dispiacerebbe rimanere per sempre.
In sua compagnia ovviamente.
Mi abbracciò stretta da dietro, allungandomi una bustina contenente molliche di pane.
Sorrisi, pensando a quanto le persone si sbagliassero su di lei.

E’ incredibile cosa una maschera possa fare.
Nasconde, confonde, protegge.
Impedisce di vedere la verità.

Tutti temevano Santana.
La credevano una criminale, una poco di buono, una pazza.
E, invece, era lì, con me, a dar da mangiare a delle paperelle in un laghetto.
 
“Dopodomani è il tuo compleanno” commentai, lanciando un altro pezzettino.
“Mh. Già” rispose disinteressata.
“Ehi” la richiamai, contrariata “E’ un evento importante, insomma, diventi maggiorenne, sono 18 anni, è-“
“Solo un giorno come un altro” mi precedette, seria, con una scrollata di spalle.
“Non lo è!” ribattei, confusa.
 
Perché faceva così?
Non aspettava altro, lo diceva sempre.
‘Una volta maggiorenne non dovrò più preoccuparmi di niente. Né di eventuali servizi sociali, né di mio padre. Sarò libera.’
Decisi, comunque, di non indagare oltre.
Si era già adombrata troppo.
 
 
“Sai perché sono contenta che sia il tuo compleanno?” le chiesi, allora, ridacchiando.
“Perché?” fece, divertita, intuendo dal mio tono che doveva essere una delle mie solite perle.
“Perché, così, tu non potrai mai lasciarmi” risposi, fiera e gongolante, mentre lei scoppiava a ridere.
“E per quale assurdo motivo? Sentiamo!”
“Oh, ma è semplice! Sarai tu quella più vecchia e non potrai mai lasciarmi con la scusa delle rughe” commentai, col tono di una che la sapeva lunga “Tanto tu ne avrai sempre di più!” conclusi, soddisfatta della mia tesi. “Se vuoi ti regalo una crema anti-età per dopodomani!” aggiunsi, facendola scoppiare ancora una volta a ridere.
“Sei incredibile” commentò, divertita, strofinando la sua guancia sulla mia.
“Questo si sapeva già”
“Ovviamente” ridacchiò, allegra “Sai però qual è la falla nel tuo ragionamento?” chiese, poi, girandosi leggermente verso di me.
“I miei ragionamenti non hanno falle! Sono impeccabili”
“Come quando hai cercato di convincermi del fatto che pomodorini e cioccolata dovevano, per forza, essere buoni assieme, sicura del fatto che qualunque gusto potesse accoppiarsi con un altro?”
“Sei scappata via quando mi hai visto inzuppare un pezzetto di carne nel latte!” esclamai, ricordando perfettamente la scena e lo schifo, anche, del sapore.

Risi di gusto, però, pensando allo sguardo stralunato, disgustato e, al contempo, indignato di Santana.

“Eccola.” Disse, portandomi l’indice vicino l’angolo dell’occhio, sorridendomi.
“Cosa?”
“La falla. Qui.” Fece, ancora, indicando “Non puoi vederlo, ma quando ridi si formano queste lineette agli angoli degli occhi e-“
“Si chiamano zampe di gallina, San!” ribattei indignata “Stai cercando di dirmi che ho le rughe?!”
“Sto cercando di dirti” iniziò, paziente, rigirandosi nell’abbraccio, trovandosi di fronte a me “Che le adoro” concluse, alzandoci leggermente sulle punte, lasciandomi un bacio, vicino ad ognuno degli occhi.
“Perché mai dovresti adorarle?” chiesi, divertita.
“Perché significano qualcosa, no?” fece, sollevando le spalle “Significa che hai riso, hai provato gioia, allegria e tutto il resto. Mi piace questo. Mi piace pensare che siano il risultato di emozioni che hai provato” chiarì con un sorriso “E soprattutto queste mi piacciono, perché sono il segno del momento della giornata che preferisco” concluse, riposizionandosi dietro di me.
“Sarebbe?” chiesi, ancora, intenerita.
“Quando sorridi.” Rispose subito “Soprattutto se è a me che sorridi”
 
Un ghiacciolo al sole.
Sì.
Al sole. D’estate. In Messico.
Ecco cos’ero in quel momento.

Quando diceva cose così, diventavo una sorta di ibrido, privo di ossa.
Un essere informe.
Una gelatina in movimento.
Avete presente quando si mette tipo il budino su di un piatto e lo si agita?
Eccomi là.
Iniziavo a sballonzolare a destra e sinistra, incurante del mondo, con gli occhi a cuoricino.
Il cuore in fiamme.
 
“Non mi dispiacerebbe, comunque” aggiunse, poi, guardando le paperelle nel laghetto.
“Cosa?” chiesi, lasciandole un bacio sotto l’orecchio.
“Invecchiare, insieme.” Chiarì, con un sorrisetto.

Aprii la bocca, nel tentativo di parlare, ma mi bloccò sul nascere.

“Non osare dire qualcosa sulla mia presunta pandosità che ti lancio nell’acqua” mi minacciò, linciandomi con lo sguardo “E non ti vengo a riprendere poi”
“Stavo per rispondere ‘non mi dispiacerebbe affatto’” le feci la linguaccia, contrariata “Ma no! Devi stare sempre a negare tu!” esclamai, teatralmente “Ormai non ho nemmeno più bisogno di dirlo, perché anche i panda stessi ti riconoscono come loro pari e- SAN!” urlai, terrorizzata, trovandomi improvvisamente su una sua spalla, sollevata, vicino al bordo del laghetto “LASCIAMI!”
 
Lanciai uno sguardo al laghetto, dal discutibile aspetto.
L’acqua non sembrava una delle migliori, in cui sguazzare allegramente.

“Implora perdono!”
“Giamm-“ mi interruppi, sentendo quasi la sua presa venire meno “SAN!”
“Dillo!”
“Perdaldo!”
“Non ti ho sentito bene” fece, sghignazzando, facendomi sporgere di più.
“Perdomalso!”
“Oh, le mie braccia stanno per cedere… Britt, non ce la faccio a reggert-“
“Peeeeer… tutti gli dei dell’Olimpo, SANTANA!”
“Non è quello che voglio sentire! Sforzati un po’ di più, Britt e- ooooh” fece, allentando leggermente la presa.
“Perdono, ok?!” esclamai, terrorizzata “Perdono!”
“Non basta.” Fece, contrariata “Più pentimento!”
“Ma sei seri- oh.” Mi fermai, osservando una scena più lontano.
“Cosa?” chiese curiosa, notando il mio cambio di espressione.
“Ma si stanno slinguazzando!” esclamai, esterrefatta, aguzzando la vista.
“Di chi parli, Brì?”
“Mike e MaryG!”
“CHE COSA?!” esclamò, agitandosi, facendomi vacillare sulla sua spalla.
“Santana non ti muovere che-“
“Oh-oh.”
“SANTANA CAZZ-“

*splash*
 
Riemersi dall’acqua qualche secondo dopo.
I capelli sulla faccia, versione bionda di Samara di The Ring.
Pezzi di alghe addosso.
Incazzata nera.
 
“Oddio, Britt!” esclamò, sporgendosi dalla ringhiera “Stai bene?”
“SE STO BENE!?” sbraitai, puntandole il dito contro “Io ti ammazzo!”
“Non esagerare, mi amor! Hai fatto compagnia alle paperelle” spiegò, sorridente, contenendo le risate.
“Sai quel momento … quando succede qualcosa di tragico e, solo dopo del tempo, riusciamo a riderci sopra, scherzando?” chiesi, tranquilla.
“Certo!” rispose, ovvia.
“BENE. Non siamo ancora a quel punto!” esclamai, lanciandole contro la scarpa.




 
“Shh, Britt! Non fare rumore” mi richiamò, bisbigliando, nascoste entrambe dietro un cespuglio, vicino mia sorella e il ragazzino terrorizzato da Santana.
“Come faccio a non fare rumore, se, inzuppata da capo a piedi come sono, ogni mio passo sembra lo squittire di un topolino?!” chiesi, contrariata “E indovina di chi è la colpa?!”
“Solo tua” ribattè, altezzosa “Avresti potuto dire quella semplice parolina subito. Invece, no, testarda come sei, sei finit-“
“Guarda che sciopero” la minacciai, con uno sguardo piuttosto esplicativo.
“Non oseresti” chiuse gli occhi a fessure, indignata.
“Le vedi queste?” chiesi, indicandomi le tette “Non te le farò vedere nemmeno con il cannocchial-“
“Gertrude!” sentimmo esclamare da MaryG.
“Gertrude?” fece, confusa, Santana “Ma che…”
“Sono io” sospirai rassegnata, alzandomi “Vieni, ci ha scoperto”
“Ma se ha detto Ger-“
“Fidati, San.” Feci, frustrata “Già è tanto che non mi ha chiamato di nuovo Smerdina”
“Oh eccovi!” esclamò, osservandoci.
 
Mi osservò un po’ più attentamente, sbattendo le palpebre confusa.
 
“Volevi interpretare il mostro di Lockness, Costanza?” mi chiese, divertita.
“Ci ho provato. Nessuno c’è cascato” risposi, con una smorfia.
“Cosa stavate facendo dietro quel cespuglio, che, casualmente, ne sono certa, si trova dietro la nostra panchina?”
“Giocavamo” feci, sollevando le spalle. “Vero, San?”
“Certo. A chi trova più bacche velenose” aggiunse, spostando la sua attenzione su Mike “Ne vuoi un po’?” gli chiese, con un’espressione cupa, che nascondeva, in realtà, lo spasmodico bisogno di scoppiare a ridere, dopo aver osservato la faccia terrorizzata del ragazzino.
 
Dio.
Ma quanto si divertiva a spaventarlo a morte?





 
“Ieri ho scoperto una cosa entusiasmate, Britt” mi si affiancò Jennifer, nel corridoio della scuola, la mattina successiva.
 
Dopo aver ricevuto il solito messaggio del ‘sto bene’ da Santana, dopo i suoi soliti incontri, la sera prima ero andata a dormire tranquilla.
Quella mattina, però, non l’avevo ancora vista.
E, non sapevo perché, ma avvertivo una strana sensazione alla bocca dello stomaco.
Mi sarei tranquillizzata sicuramente, una volta che l’avessi vista.
 
“Cosa?” chiesi, divertita per il suo tono.
“Che non so cambiare una lampadina!” esclamò, teatralmente “In realtà, non sapevo smontare il lampadario, avevo paura mi si sfracellasse tutto addosso” aggiunse, facendomi scoppiare a ridere.
“Sei una frana nel fai da te, Jen” la presi in giro “Spera che non ti si rompa mai nient’altro in casa, potresti arrivare a vivere come gli uomini delle caverne!”
“Oh. No, no. Grazie a Dio esistono persone competenti in materia, io me ne lavo le mani!” fece, soddisfatta.
“Non ho parole per descriverti” ridacchiai, adocchiando Quinn e Rachel da lontano “Ehi ragazze!” le salutai avvicinandomi “Quinn, hai visto Santana?”
“Credevo fosse con te, a quest’ora dovrebbe già essere qui” commentò, fissando lo sguardo nel mio.
 
Ci volle, ad entrambe, meno di un secondo per registrare i dati e arrivare ad una sola conclusione.
La madre.
 
“Merda” imprecammo entrambe nello stesso momento.
“Vado io!” esclamai, allontanandomi di corsa.
“Britt, ma dove vai?” mi chiese Jennifer, da lontano.
“Devo andare, ci vediamo dopo!” urlai, correndo a più non posso verso la macchina.




 
“Andiamo, apri!” imprecai, continuando a bussare alla porta con i pugni, non troppo forte, però, per evitare di dare fastidio. “Andiamo, andiamo, andiam- oh, sia lodato nostro Signore! Clara!” esclamai, osservando il suo aspetto stanco e provato.
“Ehi Brittany”
“Cos-cosa è successo?” chiesi, entrando in casa.
“La signora è stata male tutta la notte, senza sosta. Abbiamo dovuto chiamare anche il cardiologo. Ha rischiato davvero molto questa sera” spiegò, stropicciandosi gli occhi.
 
Grazie, Dio.
Almeno era ancora viva.
 
“Ora sta bene?” chiesi, ansiosa.
“Sì, per ora è stabile, fortunatamente”
“Bene” tirai un sospiro di sollievo “Lei dov’è?”
“Santana è stata tutto il tempo con noi, non abbiamo chiuso occhio. Nessuna delle tre” precisò, sospirando stanca “Ora la madre riposa, ma lei è ancora giù, in taverna” aggiunse, facendomi capire che si stava dedicando ad uno dei suoi allenamenti intensivi “Ho provato a farla ragionare, mi ha cacciato. Provaci tu, se ci riesci” mi pregò, allontanandosi.
“Certo, vado subito”
“Sei l’unica che ascolti davvero” aggiunse, richiudendosi nella camera della signora Lopez.

 
Scesi velocemente le scale, che portavano alla piccola stanzetta al piano di sotto.
Per ogni passo che facevo, sentivo sempre più forte il suono dei pugni che si infrangevano contro il sacco da boxe.
Mi aspettavo fosse sconvolta.
Ma, ottimisticamente, non pensavo così tanto.
 
Sceso l’ultimo gradino, trovai a terra i suoi guanti, seguiti a ruota dalle garze, che solitamente teneva sempre strette sulle nocche.
Non se le levava mai, per evitare di peggiorare le ferite.
Ma fu quando alzai lo sguardo che capii.
Capii come quell’allenamento, che stava tenendo, non fosse finalizzato al semplice sfogo.
Ma a farsi del male.
 
“Santana..” provai a richiamarla avvicinandomi.
 
Notai le sue mani, completamente coperte di sangue.
Ogni pugno che sferrava al sacco, ormai pieno di macchie rosse, non faceva altro che rendere ancora più profonde le ferite, già presenti sulle sue nocche.
E aprirne di nuove.
Ogni colpo doveva fare un male cane, ma lei non sembrava accorgersene.
Continuava, imperterrita, rendendo visibile, ora anche in superficie, il suo dolore.
 
“Dio, Santana” la richiamai, ancora, ad un metro da lei “Per favore” provai, allungando la mano, verso di lei.
“Non toccarmi” fece, gelida, mentre io mi immobilizzavo di colpo, ritraendola.
“Basta, San” la pregai, notando il suo ritmo aumentare.

I colpi sempre più veloci.
Sempre più forti.
Le ferite sempre più profonde.
 
“Ti prego” provai ancora “Smettila di farti questo”
 
Non mi ascoltò, ancora una volta.
Dovevo fare qualcosa e subito.
Non poteva continuare così, sembrava un’altra persona.
Gli occhi erano completamente spenti, così lontani dal fuoco che vi scorgevo sempre all’interno.
Così vuoti.
Soffrii vedendola in quello stato.
 
A quel punto, non rimaneva che tentare di cambiare strategia.
Sembrava non sentire e percepire niente.
Così, mi avvicinai ancora di più, decidendo per una mossa drastica.
L’afferrai con tutta la forza che avevo da dietro, cercando di immobilizzarla in un abbraccio stretto.
 
“Lasciami, Brittany!” tuonò, agitandosi, cercando di levarmisi di dosso.
“Non posso!” urlai, stringendo ancora di più la presa, cercando di tenerle ben ferme le braccia.
 
Maledizione.
Nonostante non dormisse da più di ventiquattro ore, riusciva comunque ad avere la forza per respingermi.
Era completamente fuori di sé.

“Ho detto lasciami!” fece, ancora, accecata dalla rabbia, muovendosi e facendoci andare a sbattere, forte, contro il muro più vicino. “Mollami!”
“No!” risposi ancora, senza cedere, nonostante la botta presa al braccio.
“Non costringermi a farti del male, Brittany!” tuonò, ancora, cercando di fare più forza.
“Non lo faresti mai, io lo so” dissi, vicino al suo orecchio “Per favore, San, per favore, calmati” provai, di nuovo, notando la sua resistenza diminuire.
“Lasciami” fece, ancora, arrabbiata.
“Non ti lascio. Smettila, ti prego” la supplicai ancora, mettendo le nostre guance in contatto “Ritorna in te, per favore. Torna da me, San”
 
Non so esattamente quale Santo del paradiso decise di assistermi quella mattina.
Fatto sta, che, alle mie parole, la vidi calmarsi, gradualmente.
Un respiro tremolante alla volta.
Finchè non cadde sulle ginocchia, mentre io la seguivo, senza lasciarla.
 
“Britt” fece, con voce incrinata, stringendo le mie mani, come a cercarvi un appiglio.
“Sono qui” le dissi, accarezzandole le braccia “Non vado da nessuna parte”
“L-lei…” provò, senza riuscire a parlare.
“Lo so, San, lo so.” La precedetti, stringendola di più. “Andrà tutto bene.”




 
Riuscii a portarla a letto, dopo averle disinfettato tutte le ferite.
Misi, su ognuna delle mani, due strati spessi di garza, per coprirle bene.
Si era fatta parecchio male.
 
Posizionò la sua testa sul mio petto e rimanemmo entrambe coperte da un leggero pail.
Dopo un quarto d’ora pensai che ormai si fosse addormentata.
Chiunque sarebbe crollato come un sasso.
Doveva aver avuto una nottata d’inferno.
 
“Ho paura” sentii dire, invece, nel silenzio della stanza.
“Di cosa?” chiesi, volendo capire i suoi pensieri.
“Ho paura che stia tenendo duro solo fino al mio compleanno” chiarì, con voce stanca “Ho paura che si arrenda, Britt”
 
Allora capii il suo sguardo al parco il giorno prima.
Non era il compleanno in sé ad incupirla, ma le conseguenze di quel giorno.
Lei maggiorenne, lei che avrebbe potuto essere libera da ogni impiccio.
Libera da eventuali legami con la propria famiglia.
La madre sapeva bene che Santana non poteva nemmeno più tollerare la vista del padre, figurarsi viverci assieme, nel momento in cui lei fosse venuta a mancare.
Stava tenendo duro per sua figlia.
 
“A volte ci sono cose che noi non possiamo controllare, San. Sono più forti di noi e semplicemente non possiamo opporci.” Iniziai, passandole una mano fra i capelli “Ma, spesso, anche in questi casi, può rimanere una, seppur piccola, possibilità di lottare.” Dissi, sospirando “Sono sicura che se tua madre potrà scegliere, deciderà di restare. Deciderà di combattere. Per te.” affermai, sicura “Come tu combatti per lei, ogni giorno.”
La sentii lasciar andare un respiro tremolante.
“Io ci credo, fermamente. Credici anche tu, ok?”
 
Annuì lentamente, prima che, ancora una volta il silenzio ci avvolgesse.
Sentii il suo respiro rilassarsi, farsi sempre più profondo.
Ma ancora una volta, parlò.
 
“Mi dispiace per prima, Britt” disse, stanca, con voce debole e assonnata.
“Non dirlo. Ci sono sempre per te, San, ricordatelo”
“Resterai qui?” chiese, poi, chiudendo gli occhi.
“Sempre” risposi, sicura “A meno che tu non abbia in programma di fuggire via” scherzai, lasciandole un bacio sulla testa.
“Senza di te?” borbottò, ormai prossima al sonno “Mai”






Tetraedro dell'Autrice

Ci siam! Anche questo capitolo è andato... metà ciccino e metà drammatico...

Prima di salutarvi, una cosa:
come mi ha fatto notare Love_Dreamer sarebbe figo avere un disegno di questa storia!
Quuuuindi, se c'è qualcuno che voglia cimentarsi, la cosa non potrebbe che entusiasmarmi fino all'inverosimile! *-*

Come sempre, RINGRAZIO TUTTISSIMI! Tanti cuori per voi! C:

A presto, bella gente! :DD







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Capitolo 22
*** Diciotto 'non ho mai' ***


“Hai preparato tutto, Britt?”
“Sì, Rach” risposi subito, contenta “Non che ci fosse granchè da preparare poi…” commentai pensierosa “Ho solo dovuto corrompere MaryG per aiutarmi a cucinare le torte”

“MG, mi aiuti, per favore?”
“Va bene. Sono 20 dollari”
“Stai scherzando, spero”
“Ahm… no, per niente. 20 dollari.”
“Ma ieri ti ho aiutato con matematica! Un po’ di riconoscenza, andiamo!”
“Hai ragione…”
“Ecco”
“19 e 90, allora!”
“Ma è per Santana!”
“19 e 80”
“Bontà divina, gollum! Sei sangue del mio sangue!”
“Non ricordarmelo. 25 dollari.”

 
“Tua sorella è un mito” commentò Quinn “Ti avrà estorto parecchi soldi”
“Non ne parliamo” sbuffai, sollevando gli occhi al cielo. “Tu…credi le piacerà?” le chiesi, poi, cambiando argomento.
 
Insomma, avevo avuto questa idea per il compleanno di Santana.
Nonostante il suo poco entusiasmo per quella data, erano pur sempre 18 anni.
Quindi… beh, niente festeggiamenti ufficiali, come voleva lei.
Niente squilli di tromba con colombe svolazzanti, purtroppo.
Ma potevamo pur sempre fare qualcosa di diverso dal solito.
 
“Credo proprio di sì” sorrise, incoraggiante “Comunque” fece, poi, dando uno sguardo più indietro verso il corridoio della scuola “Lo scoprirai a breve”
 
Oh.

“Ehi San!” la salutai entusiasta, vedendola avanzare verso di noi, tranquilla.
“Non sembra diversa dal solito” commentò Rachel, osservandola.
“Le doveva spuntare un corno in mezzo alla testa, scusa?” chiesi, contrariata, dandole una spinta.

Mi avvicinai a Santana, con un sorriso luminoso.
Non ci volle molto a che se ne formasse uno identico sulle sue labbra.
 “AUGU-“ esclamai, prontamente interrotta da una sua occhiata fulminante “ri…” conclusi, sottovoce, contrariata.
“Brava” si congratulò, schioccandomi un bacio veloce sulle labbra.
“Buon compleanno, Santana”
“Grazie, Berr- Rachel!” si corresse, dopo uno scappellotto sulla nuca.
 
Quinn, invece, si limitò ad osservarla con un sorrisetto sul volto, presto ricambiato.
Si guardarono per un po’, finché la Fabray si avvicinò, avvolgendola in un abbraccio affettuoso.
Non dovevano essersene scambiati molti, vista l’espressione divertita e allo stesso tempo incredula di Santana.
 
“Stai diventando una vecchia” commentò Quinn.
“E tu una sentimentale” ribattè, dandole un paio di pacche sulla schiena.
“Senti da che pulpito” sollevò l’altra il sopracciglio, staccandosi dall’abbraccio. “Fino a pochi mesi fa, avresti reagito dandomi una sprangata in testa”
“Mmh… forse” commentò, ridendo, Santana.
“Portatela via su, Brittany, prima che degeneri ancora!” si rivolse, poi, a me, afferrando la mano di Rachel “Buon divertimento” fece, infine, con finto tono solenne, allontanandosi.
“Ma cos- Britt?”
 
Ecco qua.
E ora valle a spiegare che non è come crede, senza rovinare la sorpresa.
Non ero mai stata brava in quelle cose.
L’ultima volta che ero stata ingaggiata per una sorpresa fu al compleanno di papà.
Tre anni prima.
Questo, perché da quel momento, fu stilata una legge in casa Pierce, tutt’ora incorniciata e appesa in salotto.
‘Per una qualsivoglia sorpresa, materiale e non, costituisce atto di tentato auto-boicottamento, chiedere la partecipazione della sbadata Brittany Pierce.’
Alla fin fine, poi, non è che avessi fatto chissà cosa.
Mi avevano semplicemente chiesto di nascondere il regalo per papà, il più velocemente possibile.
E’ che non sono brava sotto pressione!
Quindi, ebbi la brillante idea di nasconderlo nel garage.
Garage, dove lui parcheggiò la macchina, appena arrivato.
 
“Sì?”
“Che intendeva Quinn?” chiese, sospettosa “Ti avevo detto che non intendev-“
“Lo so, lo so, giuro!” mi difesi subito, alzando le mani “Niente squilli di trombe e colombe!”
“Eh?”
“Sì, sai… entrate trionfali, cose così” spiegai distrattamente “Il punto è che ora dobbiamo andare” aggiunsi, dando uno sguardo all’orologio.
“Ma-“
“Fidati ok? Ti prometto che non ci saranno eventi eclatanti e saremo a casa tua per le sei, così da poter stare con tua madre, come volevi”
“Non prima di averle preso dei dolcetti” puntualizzò, con un sopracciglio alzato.
“Ovviamente.”
“E verrai anche tu” fece, ancora.
“V-va bene, ok” accordai, con un sorriso.
“Perfetto.” Si arrese con un sospiro “Dov’è che dobbiamo andare?”
“Prendiamo la macchina!” mi avviai verso l’uscita, prendendole la mano.
“Britt, ma-“
“Ti prego, permettimi di arrivare alla prima tappa del nostro percorso, senza che io faccia qualche danno.” La pregai, supplicandola con lo sguardo.
“E sia” ridacchiò, divertita.




 
“Il luna park, Britt?” chiese una Santana piuttosto confusa, a pochi metri dalla biglietteria.
“Diamo ufficialmente inizio alla giornata dei diciotto ‘non ho mai’, San!” esclamai, entusiasta.
 
Avevo avuto questa brillante idea pochi giorni prima.
E tutto era nato da quello che io reputo uno scandalo di dimensioni epiche: San non aveva mai visto il cartone di Mulan della Disney.
Come si può?
No, dico, anche  in un qualsiasi universo parallelo, tipo fatto di maiali volanti, pantaloni che si indossano come maglie, cani parlanti e temperini che cancellano, sarebbe risultato un crimine.
Si doveva rimediare, no?
E, a questo punto, perché non rimediare anche ad altre 17 mancanze?
 
“La giornata dei diciotto non ho cosa?” fece, stralunata.
“Non sei mai stata in un luna park! Quindi, ho pensato bene – si spera – di passare questa giornata facendoti fare diciotto cose che non hai mai fatto… o detto, o mangiato e via dicendo… una per ogni anno che hai vissuto” spiegai, osservando la sua espressione incuriosirsi “Ahm… sempre se tu vuoi, ovviamente” puntualizzai, leggermente timorosa per la sua reazione.
 
Il sorriso contento che mi rivolse fu una risposta più che soddisfacente.
 



“Oh, Gesù” fece, sofferente “datemi una sedia”
“San… sei un po’ pallida” commentai, osservandola “Vieni siediti” la scortai per il braccio, fino a farle raggiungere la panchina più vicina.
“Sappi che ti sto odiando” borbottò, prendendosi la testa fra le mani, facendo un paio di profondi respiri.
“E invece mi ami, come sempre” ribattei, allegra, passandole una mano sulla schiena.
“No, ti odio, decisamente” precisò, guardandomi di sbieco.
“Na, mi ami”
“Mi hai fatto salire sulle montagne russe!” sbraitò, scattando in piedi, puntandomi l’indice contro.
 
Era stato piuttosto divertente.
Non capitava spesso di vedere una Santana Lopez terrorizzata, tenersi disperatamente alla sbarra di ferro delle giostre.
Il ‘Batman, salvami tu’ che pronunciò, prima della discesa finale, era stato uno spettacolo.

“Ovviamente!” feci, convinta “Siamo a meno 17, ci si deve andare almeno una volta nella vita”
“Soffro di vertigini, Britt! E’-è stato com-come” iniziò, cercando le parole “Come se uno stramaledetto superman impazzito mi avesse afferrato e messo in una lavatrice volante!”
“Una lavatrice volante, eh?” chiesi, incuriosita.
“Esatto! E avesse azionato la centrifuga!”
“Spero abbia usato l’anticalcare, sarebbe stato uno spreco rovinare un simile elettrodomestico“
“Ti odio” ripetè, imbronciata.
“Mi ami” la corressi, alzandomi a mia volta, lasciandole un bacio sulle labbra.
“Mh, forse” precisò, con un mezzo sorriso.
“Davvero?”
“Sì, forse” fece, ancora, divertita.
“Allora andiamo sulla ruota panoramica?” chiesi, contenta.
“Puoi scordartelo”




 
“Mh… non male”
“Vero?” feci, divertita.
“Sì, insomma, non che mi aspettassi questa gran cosa, però lo zucchero filato non è malaccio”
“Hà! Lo sapevo” gongolai, allegra.
 
Eravamo arrivate alla tappa finale del nostro giro al luna park e ci stavamo avviando alla macchina.
L’avevo portata su varie giostre, ruota panoramica esclusa.
E, cosa fondamentale, le avevo fatto provare il gioco con il fucile a pallini, al quale, inutile dirlo, aveva vinto.
Fortuna del principiante, no?
Di certo era per quello, che non ero riuscita nemmeno a sfiorare l’obiettivo per 10 volte di seguito, mentre lei l’aveva centrato al primo colpo.
Eh, era per forza così.
Almeno, mi aveva regalato il peluche di papera della vittoria.

“Però è appiccicaticcio, per questo perde punti” precisò, osservando il bastoncino ormai vuoto, che teneva in mano.
“Troppo tardi” feci, contrariata “Hai già detto che non è malaccio. Sappi che è stato tradotto nel mio cervello come un ‘Oh mio Dio, Britt è buonissimo, meno male che esisti tu per farmi scoprire certe bontà terrestri’”
“Ovviamente” roteò gli occhi, divertita.
“Bene, direi che possiamo andare!” annunciai, rientrando in macchina.
“Quindi? Ora a quanti siamo? Meno tre o due?” chiese, divertita.
“Naaa, meno 15! Montagne russe, gioco del fucile a piombini, zucchero filato” elencai, concentrata. “Sono i più rilevanti!” spiegai, ovvia.
“Capisco” fece, con un sorriso “dove si va, ora?”
“Al parco!”




 
“Okay, dunque…” iniziai, cercando le parole per descrivere il gioco “Ecco, facciamo un gioco al quale non hai mai giocato”
“Va bene…” mi assecondò Santana, confusa.
“Ognuna di noi deve dire una parola, con tono di voce sempre più alto… e, beh, vince quella che riesce ad urlarla più forte” spiegai, alla bene e meglio.
“Chiaro, non è difficile” fece, tranquilla.
“Tecnicamente” precisai, con un ghigno.
“Qual è la parola?”
“Pene o vagina, a tua scelta”
 




“Oggi hai intenzione di tentare di farmi passare la fobia delle altezze?!” sbraitò, osservando in piccolo ponte del parco, che dava sul laghetto delle paperelle.
“Andiamo, San!” la incoraggiai, sorridente “Tanto c’è l’acqua a due metri male che vada” commentai, nascondendo un sorriso malefico sotto i baffi.
“Che schifo” storse la bocca, osservando.
“Ti ricordo che mi ci hai fatto cadere dentro” sibilai, torva.
“Ma infatti ho detto ‘che figo’! Che hai capito, scusa?”
“Certo, ovvio.” Scossi la testa, divertita “Dai, saliamo sul muretto, stiamo 5 secondi sul limite e scendiamo”
“Ma-“
“Ti tiri indietro?” chiesi, fintamente indignata.
“Oh, e va bene” accordò, contrariata, salendo con una spinta di reni.
“Ehi amico! Ma quelle non erano le due che gridavano pene nel bel mezzo del parco?” fece un tipo che passava di lì con – probabilmente - un amico, indicando me e Santana.
“D’AMORE!” urlai, precisando “Erano PENE D’AMORE!” facendo scoppiare a ridere sia i due che l’ispanica al mio fianco.
“Ottima precisazione” si congratulò “A quante siamo ora, Britt?” chiese, cercando di non guardare troppo l’acqua in basso “Meno 13?
“Meno 12” precisai, sghignazzando.
“Perché dodici?” domandò confusa “Non abbiam- BRITTANY COSA CAZZ-“

*SPLASH*

WATTA’!
Vendetta!
 
La vidi sbucare poco dopo dall’acqua con un’espressione a dir poco furiosa.
 
“Ti sto odiando” sibilò, scostandosi i capelli dalla faccia.
“Mi ami!” puntualizzai, osservando una paperella posarsi direttamente sulla sua testa e fermarsi lì, acquattandosi.
“Questa volta sei tu a far compagnia ai miei simili, San! Anche loro ti trovano simpatica” commentai, faticando a reprimere le risate.
“Britt?”
“Sì?”
“Scappa”




 
“Sei seria?” chiese, guardandosi attorno con uno sguardo schifato.
 
Sì, okay.
Conoscendola, forse portarla nel ‘Pink store’, negozio di Lima, con solo e unicamente oggetti e vestiti di colore rosa, non era poi stata una così brillante idea.
Ma il punto è che non aveva mai indossato o avuto qualcosa di quel colore.
E quindi… beh, si doveva rimediare.
Sì, anche a quello.
 
“Ma Britt” si lamentò, osservandosi attorno. “Mi sta venendo la gastrite solo a vederle queste cose e… Dio, è ancora peggio se le tocco” commentò, disgustata, scostando immediatamente la mano da un maglioncino rosa confetto.
“Ti vedo in difficoltà” commentai divertita, schioccandole un bacio sulla guancia.
“Se così non fosse, ti avrei già portato da un oculista, paperotta” ribattè, scuotendo la testa, con un sorriso “Ti prego, passiamo al prossimo punto?” chiese, sofferente.
“Non si può, San!” risposi, subito “si sballerebbe tutta la tabella di marcia e- ecco!”
“Cosa?” fece, incuriosita.
“Lui!” esclamai, porgendole un porcellino di peluche.
“Stiamo collezionando l’allegra fattoria?” domandò, reprimendo le risate.
“Capirai presto perché ho scelto questo” spiegai, sollevando le sopracciglia “Però se vuoi, c’è sempre quel maglioncino, che-“
“Lo prendiamo! Dov’è la cassa!?”
“Ah, bene!” risi, divertita “Meno 11”
 



“Oh mio Dio”
“Lo so”
“Bontà divina”
“Lo so” concordai ancora, osservandola spaparanzata sul divano della tavola calda in cui eravamo entrate.
“Come ho fatto a vivere finora senza mai assaggiare cose del genere?!” chiese, incredula.
“Me lo chiedo spesso anch’io” ridacchiai, osservando i bicchieri e piatti vuoti davanti a noi.
“Waffle eh?”
“Decisamente”
“E frappè”
“Già”
“Bontà divina” ripetè, con un’espressione beata. “Ora capisco il peluche allegorico”
“Ah?” chiesi, divertita.
“Sì, rappresenta ciò che diventeremo!” esclamò, fintamente spaventata “Due suini all’ingrasso!”
“Arrivati a meno 9, però” gongolai contenta.
“E arrivati allo stadio ultimo di grassezza rotolante”
“Aspetta a dirlo” commentai, ridendo.
“Che intendi?”
“Siamo a meno 9, giusto?”
“Giusto…”
“Che io sappia non hai mai pranzato da Breadstix” spiegai, con uno sguardo esplicativo. “Sai, meno 8, no?”
“Suini rotolanti con code arricciate e grissini su per il naso” precisò, rassegnata.




 
“Siamo davanti casa di Quinn” commentò, stranita.
“Esatto” concordai, scendendo dalla macchina.
“E ora?” chiese, curiosa.
“Bussiamo, no? Dobbiamo eliminare altre due voci dalla lista.” Spiegai, sorridente.
“Ok, sarebbero?”
“Sono due cose, San. Una non l’hai mai detta, l’altra mai fatta” chiarii “Ovviamente a Quinn”
“Ti dissi che ci sono già andata a lett- AHI!” si lamentò per il secondo scappellotto, ricevuto in giornata.
“Te lo sei meritato!” sbraitai, contrariata “Si tratta dell’ABC dell’amicizia, San, su! Concentrati” la pregai, lanciandole uno sguardo incoraggiante.
 
Rimase per un paio di minuti pensierosa sulla soglia di casa Fabray.
Ogni tanto contava con le mani, per poi scuotere la testa corrucciata.
Arrivò alla soluzione dopo dieci minuti buoni.
 
“Noohò.” Si oppose, capendo “Non c’è bisogno che dica o faccia niente, Quinn  già lo sa” spiegò, con una sollevata di spalle.
“Certo che lo sa” concordai, con un sorriso “Ma questo non significa che tu non debba dirle che le vuoi bene”
“Ti dico che lo sa!”
“Ti dico che ho capito!” ribattei, contrariata. “Andiamo, San, sono un paio di parole e un abbraccio! Arriviamo a meno 6, su” la spronai, suonando il campanello.
“Perché hai suonato?!” domandò, guardandomi allibita.
“Perché è importante” le spiegai, con un piccolo sorriso, al quale rispose corrucciandosi.
“Ti sto odiando ogni momento di più”
“E io ti dico che mi ami” precisai divertita, per l’ennesima volta nella giornata, lasciandole un veloce bacio.
“Ragazze?” fece, confusa, Quinn, sporgendosi dalla porta di casa. “Che ci fate qui?” chiese, divertita. “Dovevo venire io a casa tua fra un po’, Britt”
“Vero, cambio di programma!” esclamai, entusiasta “Ci andiamo assieme” iniziai, lanciando un’occhiata a Santana “Fra poco”
“Quinn…” iniziò l’ispanica, non sapendo bene come comportarsi.
 
Ho sempre sostenuto che fosse importante, anzi fondamentale, dire alle persone, a cui tieni, che vuoi loro bene.
A costo di sembrare ripetitivi e monotoni, loro devono sapere quanto le ami.
Non è un caso il fatto che, puntualmente, le persone, alla domanda ‘Cosa faresti se ti trovassi su un aereo, che si sta per schiantare, prima di morire?’, la risposta sia, quasi sempre, la stessa.
‘Chiamerei i miei cari per dire loro che gli voglio bene’.
Io dico, invece, facciamo in modo che non ce ne sia bisogno.
Facciamo in modo che lo sappiano già.
Perché è questo il punto: i sentimenti sono incostanti e, così, le persone stesse.
Puoi adorare un tale un giorno, e quello dopo odiarlo a morte.
E’ anche per questo che si sente il bisogno di avere certezze, anche quando si tratta di affetto.
E, sì, ci sono legami così forti da non rompersi, mai, nemmeno con una trivella di ultima generazione, ma un ‘ti voglio bene’, anche e soprattutto in questo caso, non può che far bene.
Quando contano queste parole, quando sono sentite, lo si avverte.
E ti scaldano il cuore.
Per cui, non aspettiamo l’istante prima di morire per far sapere ad una persona quanto sia importante per noi.
Urliamolo, finché possiamo.
 
“San?” fece, confusa, Quinn, osservandola. “Ma che?”

Rimase un attimo spiazzata nel trovarsi stretta, improvvisamente, in un abbraccio di Santana.
Si limitò a contraccambiare, guardandomi divertita da sopra la sua spalla.
 
“Non mi avevi mai abbracciato tu per prima” commentò, impressionata, stringendola di più a sé.
“Sì, beh.. “ iniziò, schiarendosi la gola “ti voglio bene, Quinn” borbottò, nell’incavo del suo collo, facendole spalancare gli occhi dalla sorpresa.
“Wow…”
“Avrei dovuto dirtelo più spesso, scusa” biascicò, imbarazzata, staccandosi dall’abbraccio.
 
Quinn continuò a guardarla allibita.
Questo, finchè le sue labbra si aprirono in un sorriso luminoso.
 
“Aaaawww, anch’io ti voglio bene, piccola pappamolla che non sei altro!” esclamò, riafferrandola per le braccia, sollevandola in una stretta spaccaossa.
“Q-Quinn! Mettimi giù!”
“Hai sentito che ha detto, Britt??” mi chiese, entusiasta “L’hai sentita?!”
“Forte e chiaro!” risi, divertita.
“Fabray! Lasciami immediatamente!” tuonò, fintamente arrabbiata, Santana.
“Hai detto che mi vuoi bene! Questi sì che sono traguardi di vita, Sannie!” continuò, saltellando.
“Mettimi giù ho detto!”
“Prima ridillo, dai!” la pregò, stringendola di più.
“Prima di ammazzo, semmai!”




 
“Siamo a casa tua” commentò, interessata. “E’ l’ultima tappa?”
“No, la penultima” risposi, sorridente, scendendo dalla macchina “Direi di iniziare con il ‘non ho mai’ da fare qui nel vicolo, prima di entrare, così Quinn ha tutto il tempo di andare a prendere Rachel” spiegai, avvicinandomi al garage.
“Britt” iniziò, con tono di rimprovero.
“Te l’ho promesso, San! Niente tanti auguri a te, niente festeggiamenti ufficiali, è per stare assieme” chiarii, attirandola a me per un bacio.
“Bene” borbottò, staccandosi, con un piccolo sorriso.
“Dai, vieni” feci, afferrandola per la mano “Vediamo di arrivare a meno 5!”
“Che cosa dobbiamo fare?” chiese, divertita.

Mi allungai verso lo scatolone nel garage, cercando il necessario.
Sembrava la borsa di Mary Poppins, c’era di tutto.
Persino il pettine di Barbie.
 
“Trovati!” esclamai, trionfante, facendole vedere.
“No, i pattini no, Britt!”




 
“Com’è andata?” chiese MaryG, una volta entrate in casa.
“MG!” esclamò Santana, entrando con i capelli tutti arruffati e lo sguardo allucinato “Ma eri a conoscenza di quanto fosse figo andare sui pattini?!” fece, entusiasta. “Hai mai fatto la discesa sull’altra strada?!”
“Ti sei divertita vedo” rise di gusto mia sorella, osservandola.
“Dio, sì!”
 
Era sempre partita prevenuta riguardo questo passatempo.
Sosteneva che non ci fosse niente di speciale nel muoversi su delle ‘stupide rotelle’.
Seh.
S’era visto, insomma.
 
“E’ completamente impazzita” commentai, con un sorrisetto “Il tempo di abituarsi e ha iniziato a sfrecciare per il marciapiede, rischiando di linciare una signora”
“Che ha minacciato di denunciarmi!” aggiunse lei, ridendo.
“Piccole pazze criminali crescono…” commentò interessata MG.
“Pazze criminali sui pattini” precisò, alzando la mano, Santana “Domani ci riandiamo, Britt!”
“Agli ordini, capo”
“Senti, San” iniziò, poi, il piccolo gollum.
“Dimmi!” fece, ancora tutta accelerata.
“Potresti stopparti e farti fare gli auguri ora, cortesemente?” chiese, divertita, avvicinandosi.
“Oh, sì, ma certo!” sorrise lei, abbracciandola e sollevandola leggermente.




 
“Sono sicura che tu stia barando” borbottò, osservando il telecomando della Wii.
“Non sto barando!” mi difesi, indignata, facendo un altro tiro, centrando la buca.
“Lo vedi?! Non è possibile!”
“Sai, San” iniziò mia madre, entrando nel salotto con un paio di salatini in mano “Pensavo anch’io barasse, all’inizio”
“E poi?” chiese, interessata, scostando l’attenzione dallo schermo.
“Poi mi sono alzata nel bel mezzo della notte e l’ho vista giocare, ancora allo stesso gioco, da… credo fossero 5 ore” sospirò, rassegnata.
“E’ che è una frana” spiegò, poi, Mary G.
“Gollum” la richiamai, senza spostare lo sguardo dalla tv.
“Cerca di battermi a golf da una vita, ormai, quindi si allena costantemente” chiarì, osservandoci a testa in giù, dalla poltrona.
“Ho provato anch’io a giocare con loro, tempo fa” fece, poi, mio padre “Ho passato quasi tutto il pomeriggio a vederle giocare, visto che non sbagliavano uno stramaledetto tiro” commentò, scuotendo la testa “E non mi fecero vincere, eh!” chiarì, poi “Il fatto che sia loro padre non conta mica”
“E’ così che cerchi di educarci, padre?” fece, MG, in tono teatrale “Spingendoci a barare e occultare la verità?”
“Bel punto, Gollum” mi congratulai, lanciando un altro tiro.
“Non rigirate la frittata, figlie” si lamentò, scuotendo la testa.
“Tocca a te, San!” feci, alla fine del mio turno.
“Oh, no, grazie, ne ho abbastanza!” alzò subito le mani “Tanto ormai hai vinto” commentò, divertita, slacciandosi il gancetto dal polso.
“Che fai?” le chiesi, contrariata.
“Poso il telecomando?” fece, retorica, con un sopracciglio alzato.
“Non puoi! Dobbiamo ancora giocare ad andare in canoa, non ci sei mai andata!”




 
Aspettammo l’arrivo di Quinn e Rachel, spostandoci tutti in salotto, seduti sui divani a sgranocchiare salatini.

“Bene!” esclamò mia madre “Direi che è arrivato il momento della torta”
“Torta? Britt!” mi richiamò Santana, contrariata, dandomi un pizzico sul fianco.
“AHI! E’ solo una torta innocua” mi difesi, bloccandole la mano, con un sorriso.
“Che ho realizzato io” aggiunse MaryG “E la tua ragazza stava scambiando lo zucchero per il sale” precisò, lanciandomi un’occhiataccia.
“Schifo” commentò sottovoce Rachel.
“Per non parlare del fatto che voleva metterci sopra del rosmarin-“ la interruppi, provvedendo ad imbavagliarle la bocca con la sciarpa più vicina.
“Rosmarino, eh?” chiese, divertita, Santana.
“La ricetta di Rosemary, intendeva” inventai, guardando il nulla in aria.
“Certo, ovviamente”
“Eccoci qui!” annunciò mia madre, entrando nuovamente in salotto, con tutte le candeline accese.
 
Ops.
Mi ero dimenticata di dirle niente candeline.
Né tanti auguri a te, che, ovviamente, mamma era partita in quarta a cantare.
Fantastico!
 
Mi aspettavo Santana si arrabbiasse leggermente.
Si limitò, invece, a scuotere la testa divertita, lasciandomi un’occhiataccia non così micidiale, mentre tutti prendevano a cantare seguendo mamma.
Quinn si divertì un mondo a lanciarle degli sguardi divertiti, osservando Santana muoversi imbarazzata sul posto.

“Esprimi un desiderio” le bisbigliai all’orecchio, alla fine della canzoncina.
 
Mi guardò intensamente negli occhi, come se mi stesse studiando.
Era uno di quegli sguardi profondi che mi rivolgeva quando c’era qualcosa di importante in ballo.
Ma sorrise, infine, spegnendole tutte.
 
“E ora il regalo!” annunciò, subito, mia madre.
“Ancora?” chiese, allibita, Santana.
“Ovviamente” spiegò Quinn, passando un braccio attorno alla vita di Rachel.
“Ma-“
“Ecco qui!” esclamò mamma, porgendole uno scatolo “E’ da parte di tutti i presenti, esclusa Brittany.” Spiegò.
“Già” concordò MaryG “Lei non la contare, è una ragazza degenerata”
“Gollum!” la richiamai, con uno scappellotto.

Santana sorrise divertita, scartando velocemente il regalo.
Le sue labbra si aprirono ben presto in una 'o' entusiasta.
 
“Oh Dio, grazie!” esclamò, osservando il contenuto.
“Avevi davvero bisogno di una radio tecnologica in quel catorcio di macchina che ti ritrovi!” fece Quinn, con un’espressione disgustata.
“Ehi! Non insultare il mio veicolo scintillante” si difese subito, arrabbiata.
“Ahà… scintillante, certo”
“Beh, direi che siete arrivate a… a quanto siete arrivate?” chiese, interessata, MaryG.
“Con la radio che non aveva mai avuto, a  meno 2!” risposi, allegra, osservando Santana rigirarsi fra le mani il regalo con uno sguardo contento. “Pà, puoi andare a montarla in macchina?” chiesi, poi, avvicinandomi al lettore DVD.
“Certo! Così nel frattempo voi arrivate a meno 1” commentò, divertito, alzandosi.
“Quale sarebbe questo penultimo ‘non ho mai’?” chiese, ridendo, la mia ispanica, porgendo la radio.
“Non hai mai visto Mulan, San. E’ uno scandalo”




 
“Quindi è casa mia l’ultima tappa, eh?” chiese, aprendo la porta dell’ingresso.
“Già!”
“C’entra mia madre?” fece, tranquilla.
“Anche” le sorrisi, prendendola per mano.
“Sai che sta meglio?” chiese, poi, contenta “Non ha crisi da l’altro ieri”
“Lo so” le schioccai un bacio sulle labbra “Sta combattendo” la rassicurai, mentre ci avvicinavamo alla porta della camera della signora Lopez.
“Solo una domanda prima di entrare” si fermò, guardandomi sospettosa.
“Qual è quest’ultimo ‘non ho mai’?”
“Eh! Ora vuoi sapere troppo, Sannie” scherzai, sollevando le sopracciglia “Lo vedrai!”
 
Bussammo alla porta, sentendo subito un flebile ‘Entrate’ dall’interno.
Non appena mise piede nella stanza, il volto di Santana passò attraverso varie emozioni.
Sorpresa, gioia, commozione.

La stanza era avvolta nella penombra.
La madre, poi, era seduta sul letto, come difficilmente accadeva a causa delle crisi.
In mano una torta con un piccolo panda di zucchero al centro e diciotto candeline accese.
Clara le era a fianco, tranquilla e felice.
 
“Tanti auguri, mi amor”
“Mamma!” esclamò Santana avvicinandosi, incredula.
“Esprimi un desiderio, mija” la esortò, sorridente.
 
Dopo un primo momento di pausa, osservando per bene la scena, fece come le era stato detto.
Chiuse gli occhi, per pochi secondi.
Li riaprì, poi, spegnendo tutte le candeline, sorridendo.
 
“Sai” iniziò la madre prendendo un profondo respiro “E’ stata Britt a fare la torta” commentò, osservandola. “Mi piace il panda”
“Sì?” ridacchiò Santana.
“Molto sì, ho sempre saputo di aver cresciuto un piccolo cucciolo di panda” rise, piano, affidando la torta a Clara, che iniziò a tagliarla “E ora fatti abbracciare da questo rottame di madre che ti ritrovi” aggiunse, allargando le braccia, mentre Santana si avvicinava commossa.
 
“Sono così fiera di te, Sannie” le bisbigliò all’orecchio.
 
Notai la presa della mia ispanica farsi più stretta attorno a lei.
Probabilmente stava combattendo contro sé stessa per non piangere.
 
“Ti voglio bene” si limitò a rispondere, con voce incrinata, mentre la signora Lopez, da sopra la spalla della figlia mi lanciava un’occhiata di intesa.
“E ora” iniziò, staccandosi lentamente dall’abbraccio, faticando un po’ a rimanere seduta “Arriviamo all’ultimo ‘non ho mai’”
“Anche tu sai di questa storia?” chiese divertita l’altra, ancora con gli occhi lucidi.
“Ovviamente, mi amor” le sorrise, prendendo un profondo respiro, data la stanchezza “E’ un regalo da parte mia e di Brittany” fece, indicando con un cenno del capo l’uscio della porta, sul quale io mi ero posizionata, con in braccio il nostro regalo per lei.
“Non ci credo” commentò, incredula, osservando il piccolo batuffolo di pelo fra le mie braccia.
“Non hai mai avuto un cane, Sannie” iniziò la mamma, con un sorriso.
“Era ora di rimediare” conclusi io sorridente, porgendole il cucciolo di akita inu, che le avevamo preso.




 
“Sai, dovresti scegliere un nome” commentai, accarezzando il cagnolino appallottolato sulla pancia di Santana, distesa sul letto.
“Qualche idea?” chiese, divertita.
“Pensavo Pandadog, onestamente” dissi, facendola scoppiare a ridere “Che ridi?! E’ un bel nome!”
“E un bel casino quando dovrei chiamarlo!” ribattè, sorridente.
“Mh.. in effetti…” acconsentii pensierosa “Sbattufolo? Scricciolo? Struttolo? Scarabaffolo?” provai a raffica, ottenendo solo grosse e grasse risate dalla ragazza al mio fianco.
“Scarabaffalo, Britt?” domandò, faticando a reprimere le risate.
“Almeno sapresti per certo che è l’unico ad avere un nome del genere”
“Sicuro!”
“Va bene, ho capito, non ti piace” borbottai “Allora, potresti aspettare e…”
“Dagli un nome che si confaccia al suo carattere?” chiese, divertita.
“Esatto!” concordai “Potresti sorprenderlo ad usare il water e, così, lo chiameresti Toiletto… o Wcdog… o-“
“Afferrato” rise, interrompendo il mio sproloquio. “Sai…” iniziò, dopo un paio di minuti di silenzio, girandosi leggermente verso di me, stando attenta a non svegliare il cagnolino, ormai addormentato su di lei.
“Cosa?”
“E’ stato il miglior compleanno che abbia mai vissuto” commentò, con un piccolo sorriso.
“Dillo che hai una ragazza eccezionale” gongolai, sollevando le sopracciglia.
“Eccezionale e davvero molto modesta, come al solito” aggiunse, allungandosi per baciarmi.
 
Ci staccammo dopo un po’, mantenendo le fronti a contatto.
 
“C’è una cosa però…” iniziò, scostando lo sguardo da me.
“Tipo cosa?”
“Un ‘non ho mai’, che non potresti mai eliminare dalla mia lista personale”
“Mh…” feci, interessata “Proviamo!”
“No, fidati” ridacchiò “Non puoi, nessuno potrebbe mai” sorrise, accarezzando il pelo del batuffolino.
“Cos’è?” chiesi, incuriosita.
“Non ho mai…” iniziò prendendo un respiro “Né, tanto meno, potrò mai” continuò, spostando lo sguardo nel mio “Amare qualcuno come amo te.”






Tetraedro dell'Autrice

Boooontade divina che parto!
Credo sia stato uno dei più lunghi mai scritti questo capitolo, ma... niente, mi ero incapata con questa idea dei 18 non ho mai e quindi dovevo seguire la mia follia!

Ora, ho scoperto che non ho la minima idea di come inserire le immagini sulla fanfic, quindi! per questo capitolo mi limito a linkare... nel frattempo mi documento e rimedio nei prossimi!

Dunque!
Prima di tutto la copertina che ha realizzato kathy lightning per ELF! *O*
Ancora una volta millemila grazie! C:
https://twitter.com/i/#!/_jeffer3/media/slideshow?url=pic.twitter.com%2F49LY2YZB

Secondariamente (?), la razza di cane in questione
http://treviso.olx.it/splendidi-cuccioli-akita-inu-iid-8996457
(è ovviamente un link che ho preso a casaccio, nessuna pubblicità occulta qui! u.u)

E, dulcis in fundo, un GRAZIE megagalattico per tutti voi! *-*
A presto, bella gente! :DD
 
 

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Capitolo 23
*** Presentimento ***


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“Non accetterà mai” ribadii per l’ennesima volta, sorridendo divertita.
“Ma almeno provaci no?” chiese, sofferente, Rachel “Insomma, sono riuscita a convincere questa testona rosa qui!”
“Ehi! Quale testona rosa?!” fece, indignata, Quinn al suo fianco.
“Testona rosa tremendamente affascinante, intendevo, ovviamente” puntualizzò, lasciandole un bacio sulla guancia.
“Sai, Quinn, non sembri per niente il tipo da Glee” riflettè Jennifer, dopo aver osservato la scena.
“Oh, ma infatti. E’ che Rach sa essere piuttosto persuasiva”
 
Ci voltammo entrambe verso la diretta interessata, con un sopracciglio alzato.
 
“Le ho promesso che avremmo smesso di vedere Funny Girl per almeno due mesi” chiarì, sollevando gli occhi al cielo.
“Vi rendete conto?!” fece, euforica, la Fabray “E’ un sogno che si avvera! Finalmente potremo vedere film normali e nuovi, senza sapere a priori tutte le battute degli attori, e-“
“Guarda che ci sono miliardi di musical che potremmo sempre rispolverare”
“Dobbiamo chiarire un attimino le clausole del contratto, allora” fece, guardandola terrorizzata.
“Troppo tardi” sghignazzò Rachel, contenta “E poi dillo che, in realtà, vieni al Glee anche per sentirmi cantare”
“Naaa” si difese, poco convinta, abbassando lo sguardo.
“Sai, Quinn” iniziai io, sorridendole “Santana fa la stessa cosa, quando vuole dissimulare. Abbassa lo sguardo e il tono di voce si fa piiiiiiiccolo piccolo”
“Non è così!” incrociò le braccia al petto, contrariata “E non ho bisogno di stare in quella stanza per vedere Rach cantare… o sentirle raggiungere le note più alte” aggiunse, ammiccando.
 
Sia io che Jennifer scoppiammo a ridere.
Rachel, invece, assunse, sul viso, la tipica colorazione ‘pomodoro’.
 
“Ritornando a noi” si schiarì, quindi, la voce, dando una gomitata sulle coste alla sua ragazza “Convincila! Insomma, ci siamo tutte ormai, manca solo lei all’appello”
“Rach” feci, ancora, cantilenando “Sappiamo tutti che dirà di no”
 
Insomma, stavamo pur sempre parlando di Santana.
Volendo passare la sua palese avversione per il ‘club degli sfigati’, rimaneva sempre un problema.
Non solo si doveva ballare e cantare e ommioddio non sarei mai riuscita a convincerla, ma c’erano da considerare anche le competizioni.
Con vestiti. Scarpe col tacco.
Ma soprattutto, niente guanti.
Sarebbe stato un bel problema.
 
“Ma a te potrebbe dare ascolto!” provò ancora.
“Ho qualche dubbio, è una cosa praticamente impossibile. Sarebbe come…” iniziai, cercando un paragone ottimale “Eh, sarebbe com-“
“Ecco qua.” Mi fermò Rachel, passandosi la mano sugli occhi. “La donna delle similitudini”
“Come scusa?” chiesi, confusa.
“La donna delle similitudini” ribadì divertita Jennifer, appoggiandosi agli armadietti di fianco.
“Sì, Britt, ogni volta fai questi paragoni strani” spiegò Quinn, trattenendosi dal ridere.
“Questo non è vero” mi difesi, indignata.
“Vorresti dire che prima non stavi per-“
“Ma che c’entra prima!”
“Bene.” Sbuffò, Rachel, incrociando le braccia “Ti ricordi quando ieri ho chiesto al ragazzo delle fotopie di sbrigarsi a stamparmi gli spartiti e smettere di soffiarsi continuamente il naso?”
“Ovviamente! Quel poverino era disperato per la morte del suo gatto” specificai, dispiaciuta.
“Mi hai detto che ero appropriata come una fragola su un carciofo” puntualizzò, con uno sguardo esplicativo.
“Beh, ma questo non significa nient-“
“La scorsa settimana” mi interruppe Jennifer, divertita “Hai paragonato il disegno fatto da tua sorella ad un’opera di un Picasso strafatto”
“Sì, ok, però-“
“Stamattina entrando a scuola abbiamo visto un tipo strano” mi interruppe ora Quinn, con un sorrisetto “Hai detto che era losco come Pollon e la sua polverina magica”
 
Ops.

 “Ehi ragazze” si avvicinò, salutando, Santana, presto ricambiata da tutti i presenti. “Britt?” chiese, osservando il mio sguardo corrucciato.
 
Dannate similitudini.
Dannate amiche super-attente.
Dannati soprannomi.
 
“Le abbiamo detto la triste verità” commentò Rachel.
“Oh!” spalancò gli occhi, sorpresa “Britt, a mia discolpa posso dire che non credevo il gatto ne risentisse tanto” iniziò, mentre Quinn e Rachel le facevano segno di stopparsi subito, senza, però, essere notate “Insomma era solo un po’ di birra, non credevamo che-“
“Avete fatto ubriacare il mio gatto?!” sbraitai, fulminandola con lo sguardo, mentre Jennifer se la rideva di gusto. “Quando?!”
“Ahm.. tre giorni fa” rispose, confusa “Ma, quindi…”
“Ecco perché andava in giro come un invasato” commentai, indignata.
“San, Rach intendeva il soprannome di Britt” spiegò, Quinn, scuotendo la testa.
“Oh…” fece, stupita “Ah!”
“Dovrei denunciarvi al WWF, siete delle degener- aspetta un secondo” mi interruppi, accigliata “Anche tu sapevi come mi chiamavano?! La donna delle similitudini! Sul serio, San?!”

Mi guardò per qualche secondo, confusa.
Piegò leggermente la testa di lato, osservandomi.
 
“Ieri hai detto che eri contenta come un procione in una discarica” spiegò, con una sollevata di spalle.
“Ma porca miseria!” imprecai, facendo scoppiare a ridere tutti.
 
Rachel diede una pacca divertita sulla spalla di Santana.
Notai immediatamente il suo irrigidimento, seguito da una smorfia di dolore sul volto, che fece preoccupare all’istante sia me che Quinn.
La mia migliore amica non notò nulla, presa com’era a ridere.
La stessa cosa, però, non si poteva dire di Jennifer.
Non solo notò la sua espressione sofferente, ma anche il mio scambio di sguardi con la Fabray.
Per cui, non tardò ad arrivarmi la sua occhiata sospettosa, che prontamente ignorai.
 
“Bene!” esclamai, cercando di risultare il più tranquilla possibile “A quanto pare tutti lo sapevano tranne me. Fantastico!”




 
“Fammi vedere” le chiesi, preoccupata.
 
Cercai di velocizzare la conversazione con tutte le altre, per portare Santana nel bagno del secondo piano.
Mai, da quando la conoscevo, aveva dato a vedere dolore per quello che faceva.
Ecco perché ero così in ansia.

“Che è successo?” fece irruzione nel bagno anche Quinn, aprendo di colpo la porta, facendoci sobbalzare.
“Volete stare calme?” domandò, sollevando gli occhi al cielo, sconsolata, guadagnandosi due occhiatacce. “Va tutto bene”
“Quella era una smorfia di dolore, San, l’abbiamo vista”
“E l’ultima volta che è successa una cosa del genere, ti stavo raccattando dal pavimento di casa tua” puntualizzò arrabbiata, Quinn, facendomi strabuzzare gli occhi.
“Che cosa?!”
“Ecco brava, falla ansiogenare di più, mi raccomando” la rimproverò l’ispanica, contrariata “E’ tutto ok, la ragazza alla semifinale di ieri era piuttosto brava. Questo è quanto”
“Definisci piuttosto brava”
“Ho faticato un po’ di più per tenerle testa ed evitare colpi in faccia” spiegò “Il problema è che alla fine, quando ormai stava per cedere, ha cacciato un coltellino” aggiunse, grattandosi la nuca. “Mi ha preso di striscio alla spalla, niente di grave. Da qui, la smorfia di dolore.”
“Ma che cazzo, San!” sbraitò Quinn “Lo vuoi mollare questo lavoro di merda?!” continuò, muovendosi agitata per il bagno.
 
Io, invece, ero semplicemente rimasta al mio posto, con lo sguardo basso.
Terrorizzata.
Se alla semifinale era andata così… la finale, allora?
Inevitabilmente, un’angoscia tremenda mi afferrò, diffondendosi in tutto il corpo.
 
“Forse ne ho trovato un altro” annunciò, invece, con un sorriso.
 
A quelle parole, alzai di scatto al testa, incredula.
Quinn si bloccò di colpo, voltandosi stralunata.
 
“Davvero?”
“Davvero.” Ribadì, serena “Oggi vado a parlare in questo ristorante” iniziò, concentrata “E’ un po’ distante, però, ho sentito che pagano bene. Insomma, mamma sembra stare meglio e dovremmo farcela con quei soldi. In serata andrò per avere la conferma”
“Se mi stai prendendo per il culo…” iniziò Quinn, arrabbiata.
“Ti assicuro di no” le sorrise.
“Bene” si rasserenò, lasciandosi andare ad un sospiro sollevato “Brava. Ora, però me ne vado” annunciò, avviandosi verso la porta.
 
Tempo un paio di passi, però, che si fermò, tornando indietro.
Si avvicinò a Santana, per poi abbracciarla delicatamente, evitando di toccarle la spalla destra.
 
“Brutta pezza di idiota che non sei altro” fece, stringendola leggermente “finalmente hai fatto lavorare il cervello” concluse, staccandosi.
“Grazie?” ridacchiò, divertita, Santana.
“Seh.” Mascherò un sorriso la Fabray “Ci vediamo dopo” disse, dandomi una pacca sulla spalla, prima di uscire.
“Forse ci siamo, Britt” si voltò, infine, verso di me, Santana, sorridente.




 
“Stitch” ribadii, contrariata.
“Elvis” ribattè per l’ennesima volta Santana, dando un’occhiata al cagnolino, intento a giocare con un peluche sul tappeto.
“San, per favore è palesemente la versione più coccolosa di Stitch, del cartone della Disney”
“Britt, guardalo per favore” fece, alzandosi e accendendo la radio.
 
Le note della canzone ‘Stuck on you’ di Elvis Presley risuonarono ben presto nella camera della mia ispanica.
E, altrettanto velocemente, il batuffolino scattò sull’attenti.
Iniziò, subito, a saltellare a suon di musica, abbaiando scodinzolante.
 
“E’ palesemente la reincarnazione di Elvis Presley, Britt, guardalo!” esclamò indicandolo “E’ lui!”
“Ma pensa a Stitch, per favore! Anche lui adora Elvis e, nonostante la dissimulazione, è supercoccoloso, come lui… e te!” aggiunsi, facendola corrucciare.
“Io ero rimasta a che ero un panda, non un cane alieno” precisò, guardandomi in cagnesco.
“Tu sei il panda per eccellenza” specificai, con l’espressione di chi la sa lunga “Il punto, però, è che sei un bignè alla crema!”
“Pure?!”
“Un dolcino carino e zuccheroso” continuai, sorridente.
“Sul serio?”
“Una fetta di pandoro cosparsa di nutella”
“Britt” mi richiamò, sollevando gli occhi al cielo.
“Una torta millefoglie, ripiena di-“ mi interruppi, sentendo improvvisamente le sue labbra sulle mie.
“E hai sempre questi ottimi metodi di persuasione” aggiunsi, sorridendo, una volta che ci fummo staccate.
“Sono un mito, ne sono consapevole” gongolò, soddisfatta, guadagnandosi un altro bacio.
“Ho un’idea” feci, poi, avendo un’improvvisa illuminazione.
“Dove vai?” chiese, confusa, mentre mi allontanavo verso l’altro lato della camera.

Mi limitai a sollevare un sopracciglio, divertita.
 
“Vediamo quale piace a lui!” proposi, spostando l’attenzione sul cagnolino “Stitch!”
In meno di un istante, questo si voltò, abbaiando, contento.
“HA’!” esclamai, trionfante “Hai vist-“
“Elvis!” fece lei, sicura.
 Per la gioia immensa di Santana, si ottenne lo stesso effetto.
“Questo è strano” commentai, osservando il batuffolino e poi lei.
“Stitch?” provò, quindi, ancora.
Di nuovo, il cagnolino si voltò, rispondendo al richiamo.
“Toiletto!”

Eh, almeno testavo l’intelligenza del cane.
Però, incredibilmente, non mi calcolò nemmeno di striscio.
Era scaltro il tipo!
 
“Si è abituato ad entrambi i nomi?” mi chiese Santana, stralunata.
“A quanto pare…” commentai, sorpresa, osservandolo iniziare a ballare un’altra canzone.




 
“Oh! Mi sono dimenticata una cosa importante!” esclamai, mentre eravamo  nella sua macchina, per tornare a casa.
“Cosa?”
“Rachel mi ha chiesto di dirti una cosa” iniziai, insicura.
“Mh, tipo?” chiese, curiosa.
“Lo sai che Quinn inizierà ad andare al glee con lei?” feci, provando a tastare il terreno.
“Stai scherzando?!” scoppiò a ridere di gusto. “Quinn?!”
“Già, ecco, lei” iniziai, sorridendo “E anche io”
“Anche tu…” ripetè, ridendo, tranquilla.
“Sì”
“Anche tu che cosa!?” inchiodò per strada, guardandomi allibita. “Ma se l’odiavi, Britt!”
“Sì, è vero” puntualizzai, esortandola a ripartire “Ma così mi alleno di più, per la danza e i provini e tutto il resto” spiegai.
“Capisco…”
“Quindi, potresti, ecco… anzi, no, aspetta. Prima accosta davanti al marciapiede di casa mia. Evitiamo incidenti” proposi, osservandola eseguire il tutto, sospettosa.
“Spara” mi esortò, quindi, voltandosi verso di me.
“Potresti… venire a farmi compagnia” proposi, guardandola attentamente “Insomma, ci siamo tutti così. Al glee servono altri membri e sarebbe divertente”
“Divertente?” chiese, riducendo gli occhi a fessure.
“Piacevole?” provai, ancora, con un sorrisetto, ottenendo un sopracciglio sollevato in risposta “Oh, andiamo!”
“Ma, Britt! E’-è il glee, è… no, è assurdo.”
“Fallo per me” tentai, allora, con un tono di voce piccolo piccolo.
“Britt” mi richiamò, scuotendo la testa, divertita.
“Solo una volta, magari ti piace, poi!” proposi, speranzosa.
 
Hà!
Stava cedendo!
Lo vedevo chiaramente dalle labbra serrate.
Senza contare che cercava di evitare il mio sguardo, corrucciata.
Un classico!
 
“Andiamo…” provai, ancora.
“Mmmh” mi guardò sospettosa “Non so”
“E suuu, sarà divertente…”
“Potrei pensare di accettare, forse” fece, insicura “Facciamo che ci penso, mentre vado a vedere per il lavoro” propose, infine.
“Davvero?”
“Sì” sospirò, sapendo di avermela ormai già data vinta “E poi, se tutto va bene, non dovrò più portare questi guanti, quindi non ci sarebbero domande indiscrete, no?” chiese, con una sollevata di spalle. “Questo nuovo lavoro sarebbe una bella svolta” scherzò, contenta.
“Decisamente” concordai, mentre ancora una volta l’ansia si impossessava di me.
 
Avevo fatto di tutto per non darglielo a vedere in tutto il pomeriggio passato assieme.
Non era certo stato facile, considerando che mi conosceva, ormai, come le sue tasche.
Ma non potevo fare a meno di sentire quest’angoscia, costante, dentro di me.
Avevo un brutto presentimento, riguardo la finale del giorno dopo.
E inevitabilmente, pensare al nuovo lavoro, mi portava a riflettere anche su quello che avrebbe affrontato.
Dio, avrei davvero voluto che non combattesse.
 
“Ehi” mi richiamò Santana, passandomi una mano sulla guancia “Non sei contenta?” chiese, tranquilla, notando evidentemente la mia espressione indecifrabile.
“Lo sono talmente tanto che potrei piangere” chiarii, sorridendo “Sarebbe un sogno che si avvera. Il pensiero di te sana e salva è…” iniziai cercando le parole.
“Bello?”
“Bello è un termine piuttosto riduttivo, credimi” precisai, abbracciandola.
“Perché quell’espressione preoccupata, allora?” domandò, sfregando la sua guancia con la mia.
“Se ti diranno di sì, s-se andrà tutto bene, ti prego… non combattere domani” la supplicai, abbassando il tono di voce.
 
La sentii irrigidirsi leggermente, alla mia richiesta.

“Devo, Britt” fece, stringendomi di più “E’ la finale”
“Appunto” precisai, staccandomi “Per favore, ci sarà qualche pazza psicopatica e-“
“Andrà tutto bene” cercò di rassicurarmi, dandomi un buffetto. “Starò attenta”
“Lo so, però” provai, non sapendo bene cosa dire “E’ che…”
“Cosa?” mi sorrise, incoraggiante.

Ho un brutto presentimento’
Avrei voluto risponderle.
Ma è difficile persuadere una persona a non fare qualcosa solo perché tu credi possano esserci problemi.
Spesso il nostro sesto senso si sbaglia.
Spesso ci preoccupiamo più del dovuto.

Mi dissi, allora, che forse quello era il caso.
Forse era solo la reazione del mio cervello alla sua smorfia di dolore di quella mattina.
 
“Niente” le risposi, quindi, forzando un sorriso “Poi, però, torni da me” puntualizzai, seria.
“Sempre”




 
“Forza Britt!” mi spronò mio padre, tutto infervorato.
“Vai MG!” fece, invece, mia madre battendo le mani.
“La volete smettere?!” provai io, sentendo arrivarmi il sangue al cervello a poco a poco.
“Tanto perderà Pamela qui” aggiunse Gollum, facendo un leggero cenno del capo – per quanto era possibile – nella mia direzione.
 
Ero in ansia per Santana.
Continuavo a girare per casa, attendendo la sua telefonata, per sapere se avesse ottenuto il lavoro o meno.
Così avevo deciso di distrarmi.
Quale metodo migliore per farlo, se non sfidare mia sorella?
Così, avevamo deciso di vedere chi delle due avesse resistito più a lungo, facendo la verticale contro il muro.
Dopo appena cinque secondi, inutile dire che i nostri cari genitori avevano pensato bene di scommettere su di noi.
Manco fossimo alle corse dei cavalli.
 
“Mà!” la richiamai, sentendo la suoneria del mio cellulare “Rispondi a telefono per favore”
“Britt, concentrati, non farmi perdere anche questi 20 dollari eh!” mi puntò il dito contro mio padre, tenendo d’occhio contemporaneamente MaryG.
“Britt, è Santana, mi sta dicendo che è rimasta a piedi”
“Cosa?!” feci, allarmata, scendendo con i piedi per terra.
“BRITTANY!” si lamentò papà, frustrato, passandosi una mano sugli occhi.
“Da’ qui la grana, caro” gli sorrise malefica mia madre, allungandomi il cellulare.
 
“San!”
“Ehi Britt, la macchina si è fermata” mi disse, tranquilla.
“Ma tu stai bene?” chiesi, preoccupata.
Sì, tutto ok, ho già chiamato il carroattrezzi. Mi vieni a prendere?”
“Certo, arrivo subito! Inviami un messaggio con l’indirizzo preciso” proposi, evitando di chiederle direttamente come fosse andata con i proprietari del ristorante.
Perfetto” fece, allegra “Ehi, Britt
“Sì?” chiesi, sperando che mi stesse per dare una buona notizia.
Ho un nuovo lavoro






Tetraedro dell'Autrice

E siamo al 23, olè!
capitolo un po' di transizione e vagamente cacchettoso! A mia discolpa però posso dire di avere anche un mal di testa allucinante!


Comunque!
Ho provato a mettere l'immagine realizzata da kathy lightning (che mi ha anche illuminato su come fare) all'inizio, spero di esserci riuscita!! Così la metterei base per ogni capitolo! :DD

Ahm, per il resto, niente. Non vi dico niente!

Scusate, ancora, il ritardo! Lo so, sono una frana, ma il prossimo dovrebbe arrivare a breve, anche perchè lo programmo da una vita... la seconda parte almeno!

GRAZIE MILLE come sempre a tutti! *O* tanti cuori!
A presto, bella gente! :DD
 

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Capitolo 24
*** L'ultimo passo prima del baratro ***


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Avvertimenti: violenza.



“Beh? Come ti è sembrato?” le chiesi, curiosa, camminando per il corridoio della scuola.
“Mh, discreto” rispose con una sollevata di spalle “Rachel era proprio infervorata” commentò, poi, pensierosa.
“Sì, è pazza.” Concordai “Gli assoli sono la sua passione”
“E follia, aggiungerei”
“Vero” ridacchiai, divertita “Mi sarebbe piaciuto sentirti cantare, però” aggiunsi, sorridendole.

L'avevo sentita un paio di volte cantare sotto la doccia.
E, wow.
Non mi sarebbe dispiaciuto davvero ascoltarla ancora.

“Naaa, ero lì principalmente per vederti ballare” fece, dandomi un bacio sulla guancia.
“Beh-“
“Ciao ragazze!” ci salutò, uscendo velocemente da scuola, Puck, con un sorrisetto, che mi fece corrugare all’istante le sopracciglia.
“San?”
“Sì?”
“Cosa diavolo intendeva Puckerman con quel tono quando ti ha chiesto se ti ricordavi di lui?” chiesi, indispettita.
“Oh” si fermò, pensierosa “Beh..”

Non c'è andata a letto.
No.
Non c'è andata a letto.
Assolutamente no.

“Cosa?” feci, socchiudendo gli occhi, sospettosa.
“Potrei esserci andata a letto… molto tempo fa s’intende” aggiunse, con espressione innocente.
“Stai scherzando!?”sbottai, indicando il punto dove il crestone era scomparso “Con quello lì?!”
“Ero una ragazzina sciocca e innocente, Britt e-“
“Non raccontare balle” la bloccai, con un sopracciglio alzato.
“Ho un passato burrascoso, che posso dire” fece, infine, con una sollevata di spalle.
“Decisamente burrascos-“ mi interruppi, sentendo la suoneria del cellulare.
“Chi è?” chiese, interessata, Santana.
“Sconosciuto…” commentai, accettando la chiamata.

E ora chi diavolo poteva essere?

“Pronto?”
Buongiorno signorina Giacomina Pierce” sentii dall’altro capo questa voce fin troppo familiare parlare con finto tono professionale.
“MaryG” la ripresi, passandomi una mano sulla faccia “Che diavol-“
Non so chi sia questa MaryG, cara candidata.” Mi interruppe, vagamente indispettita “Lei è stata selezionata a caso fra una popolazione di 2 milioni, per rispondere ad una semplice domanda.
“Gollum, non ho tempo da perder-“
In palio, tanti bei regali, cara candidata.” Fece, ancora, allegra “Ma, anche in caso contrario, ci sarà un piacevole pensierino, pensato a posta per lei
“Bontà divina” imprecai sofferente, prima  si sentir partire una musichetta, che evidentemente la mia adorata sorella aveva fatto partire.
[ http://www.youtube.com/watch?v=RnwuF-MCRuo ]
“Ma..”
Bene, cara concorrente. Ora la domanda: qual è il titolo dell’opera appena ascoltata?
“Saaan” provai a richiamarla, in cerca di aiuto, osservandola però parlare con il signor Shuster “Meeerda!”
A. L’estate di Vivaldi; B. L’inno alla gioia di Beethoven; C. La primavera di Vivaldi; D. La nona sinfonia di Beethoven.” Fece, professionalmente “Ora, faccia la sua scelta
“Ahm…”
Le ricordo che ha solo pochi secondi a disposizione.
“Ecco..”
4...”
“Mhh”
3…”
“Vado con la ‘B’ di Brittany!” provai speranzosa, ormai presa dal gioco.
Oh, che peccato. Risposta sbagliata, cara concorrente
“Maledizione!” imprecai, frustrata.
Ma non si preoccupi, nonostante tutto ha, in ogni caso, vinto un regalino.” Mi comunicò allegra “L’insulto del giorno!
“Eh?”
Buona proseguimento di giornata, signorina. La lettera giusta era la ‘C’; ‘C’ di capra ignorante, quale è!
“Ma che ca-“
*Tu-tu-tu*

Era pazza.
Non c’erano altre spiegazioni.
Lo sapevo.
Avevo sempre saputo che avrei dovuto regalarle al più presto un biglietto per la casa di cura più vicina.
Solo andata. Niente ritorno.

“Chi era?” chiese, curiosa, Santana, osservando la mia espressione, probabilmente, esterrefatta.
“Ho vinto un insulto” commentai, spaesata, ottenendo un’occhiata interrogativa in risposta.
“Eh?”
“Tu conosci la primavera di Vivaldi?”
“Ovviamente!” rispose, subito “Chi è che non-“ si bloccò, notando la mia espressione shockata “Oh. Non la conosci, vero?”
“Conoscevo.” La corressi, corrucciata “Dopo essere stata chiamata capra ignorante credo lo ricorderò a vita”
“MaryG?” chiese, ridendo.
“Alias flagello dell’umanità, sì” feci, con una sollevata di spalle “Che voleva il professor Shù?”
“Sapere se fossi entrata ufficialmente a far parte del club degli sfigati”
“Beh?” feci, speranzosa.
“Ci sto pensando” rise, prima di lasciarmi un bacio sulle labbra e fuggire via.
“Oooh, andiamo!”




 
“Britt, mi raccomando-“
“Non uscire dalla macchina. Non raggiungerti, perché sarai tu a tornare. Non far entrare sconosciuti in macchina. Aspettarti senza far danni” elencai, sulla punta delle dita.

Eravamo arrivate fuori la baracca, dove San era solita combattere.
A causa dei problemi alla macchina, avevo deciso di accompagnarla con la mia macchina, nonostante quella pazza volesse arrivarci a piedi.
Una parte di me, comunque, aveva voluto essere lì, anche per un altro motivo.
Avere la certezza, quanto prima possibile, che sarebbe andato tutto bene.

“Non è necessario che mi aspetti qui fuori tutto il tempo” fece, preoccupata “Si tratterà minimo di una mezzoretta e-“
“San, rilassati.” La tranquillizzai, con un sorriso “Va’ e per favore sta attenta. Vinci, poi torna da me.”
“Va bene” acconsentì, insicura.
“Che c’è?” le chiesi, con un piccolo sorriso.
“E’ che non sono tranquilla a lasciarti qui da sola” commentò, agitata “Non mi piace che tu stia vicino a questo posto” spiegò con una smorfia.
“Si tratta di poco e rimarrò barricata qui dentro, davvero.” feci, attirandola a me per un bacio.

Non so perché, ma quel bacio mi sembrò diverso.
Non riuscirei a definire esattamente in che senso.
Avete presente quell’orribile sensazione che ti prende, quando pensi che, forse, quella è l’ultima volta che fai qualcosa?
Come quando cammini nel vuoto, al buio.
Non vedi nulla, non senti nulla.
Ma c’è quest’orribile presentimento, costante.
Come se ognuno, di quelli che fai, potesse essere l’ultimo passo prima di un baratro.
Un burrone, profondo millemila metri.
Lì, proprio lì.
Pronto ad inghiottirti viva.

Motivo per cui, non riuscii a frenare le parole, che uscirono dalla mia bocca, prima ancora che potessi pensarle.

“Non andare”
“Britt” sospirò, appoggiando la fronte alla mia “Andrà tutto bene”
“No, non è così. Non puoi saperlo. Non… io- ah, Dio!” mi passai esasperata la mano sugli occhi “Ho questo orribile presentimento da due giorni, San, è orribile e non posso controllarlo e-e.. non voglio che tu vada, ok?”
“Ehi” mi sorrise, prendendomi la mano “Devi stare tranquilla, ti prometto che starò superattenta, va bene?” mi chiese, sicura “Perché non me l’hai detto prima?”
“Ma non lo so, per non metterti ansia suppongo” cercai di parlare, concentrata “O per non farmi prendere per una psicopatica, ma non è questo il punto” continuai “Non andare” riprovai, pregandola.
“Devo”
“Ti prego” supplicai, ancora.
“Ok, senti” iniziò, prendendo un respiro “Io andrò lì e tu rimarrai qui.” Spiegò, passandomi una mano sulla guancia “Ma per poco. Perchè tornerò da te, sempre. E’ una promessa. Non avere paura, ok?”
“Come faccio a non avere paura, sapendoti a combattere con una pazza criminale?” chiesi, allora, guardandola negli occhi, insicura.
“E’ l’ultima volta.” Spiegò con un sorriso “E’ l’ultima, Britt” ribadì, abbracciandomi.
“Appena finisci, raggiungimi subito, ok?” feci, stringendola un’ultima volta, prima di lasciarla andare.
“Alla velocità della luce, paperotta.” Mi sorrise, uscendo dalla macchina.




 
Pronto?

Avevo passato una mezzora chiusa in macchina ad aspettare, ascoltando musica e mangiandomi le unghie dall’ansia.
Dovevo distrarmi in un qualche modo, prima che delle mie dita non rimanesse che un pallido ricordo.

“Ehi, Gollum, non è che hai qualche domanda per me?”
Britt?” chiese, contrariata “Ti rendi conto che sono al cinema con Mike!? Sono uscita dalla sala, pensando chissà quale disgrazia fosse capitata!
“Oh, andiamo, che esagerata!”
Senti, Smerdina” iniziò, arrabbiata.
“Eccola…”
L’ultima volta, che sei stata TU a chiamarmi, fu perché eri rimasta fuori casa, senza chiavi, con uno spasmodico bisogno di andarti a sedere sulla tazza del water e non dico per quale motiv-
“Oh, già!” spalancai gli occhi al ricordo “Che brutta esperienza”
Non dirlo a me, ero appena arrivata a parco, per poi essere dovuta subito tornare indietro.” Spiegò, arrabbiata “Ti ho odiato
“Lo so” risi, divertita.
Allora? Che succede?” mi chiese, più tranquilla.
“Niente, volevo perdere tempo” risposi, appoggiandomi più tranquilla al sedile della macchina.
Devo crederci?
“Sono in macchina ad aspettare Santana, giuro!” spiegai, contrariata.
E lei dov’è?” chiese, confusa.

Eh.
Dov’era?

“A… a-a- sì, a comprare” provai, insicura.
Comprare” ribadì, col tono di chi la sapeva lunga.
“Carote” aggiunsi, senza pensarci più di tanto.
Santana è andata a comprare delle carote” ripetè, tranquilla “Fingerò di crederti ancora.”
“Oh.” Mi uscì fuori, osservando i primi tipi uscire dalla baracca.

Chi con un sorriso sulle labbra.
Chi imprecando.
Ma tutti piuttosto soddisfatti.
Evidentemente l’incontro doveva essere stato parecchio interessante.

L’ansia, inevitabilmente, salì.

’Oh’ cosa?” fece, confusa.
“N-niente, credo…”

Abbassai il finestrino, per sentire i commenti delle persone che passavano.
Purtroppo, parlavano tutti a voce più o meno bassa.

Senti, Britt, sicura che vada tutto bene?

Alcuni gesticolavano entusiasti, probabilmente ricordando qualche momento in particolare dello scontro.
Altri, poi, annuivano, con altrettanta enfasi.

“MaryG, tu cosa fai quando hai un brutto presentimento?” le chiesi, quindi, senza staccare gli occhi dall’entrata della baracca, da cui Santana ancora doveva uscire.
Quanto brutto?” chiese, comprensiva.
“Tanto da farti venire i brividi” risposi, con la voce bassa.
Rimase in silenzio per qualche secondo, per poi sospirare.
Lo combatterei, credo” fece, confusa “Non lo so, dipende. A volte il nostro sesto senso si sbaglia. Che succede, Britt?
“Devo andare, MG. Ci vediamo dopo” le risposi, invece, osservando le ultime persone allontanarsi.
Non fare casini” sospirò, affranta “A dopo, Britt

Rimasi in macchina per i successivi 10 minuti, aspettando pazientemente che Santana uscisse.
Ma niente.
Nemmeno l’ombra.
Aveva detto che sarebbe tornata il più presto possibile.
E mi aveva espressamente detto di non muovermi.

Il punto è che quest’ultimo ‘ordine’ andò a farsi benedire nell’esatto momento in cui sentii le parole di uno degli ultimi uomini, ancora nei paraggi.
Riuscii ad afferrare la parte finale della conversazione, ma bastò a farmi scattare fuori dalla macchina, facendomi precipitare all’entrata della baracca.
‘Stanno ancora cercando di farla riprendere sul ring.’





Corsi il più veloce possibile verso l’entrata, lasciata aperta per facilitare l’uscita di tutti.
Arrivai vicino al ring, ormai col fiatone.
Poco importava.
Avrei nuotato chilometri senza braccia, se avessi saputo che Santana fosse stata in difficoltà.

Lanciai un’occhiata alla figura circondata da uomini, mentre respirava un po’ a fatica, sciacquandosi il viso.
La osservai per un po’, notando le ferite sul volto.
E lasciai andare un sospiro, che mi era rimasto incastrato in gola, da fin troppo tempo.

“L’ispanica è stata piuttosto brava, stasera” commentò un tipo, affiancandomisi. “Pensavi fosse lei quella ridotta così?” chiese, girandosi verso di me, con un sorriso.
“Già” risposi, velocemente, evitando di dare troppa confidenza. In fondo non sapevo nemmeno chi fosse.
“Lei è integra che io sappia, ha combattuto da Dio”
“Sai dov’è?” domandai, chiedendomi, ancora una volta, perché allora non fosse già tornata in macchina.
“Non ne ho idea, mi dispiace” rispose, avvicinandosi al ring con un asciugamano per la ragazza.

E ora dove era finita?
Diedi uno sguardo intorno, non trovando nessuno e niente di utile per capire dove fosse.
Vidi solo tanto marcio, oltre all’odore sgradevole, che avvertii anche la prima volta che misi piede lì dentro.
Decisi, allora, di uscire nuovamente fuori e di aspettarla vicino la macchina.
Non potevo fare altro, in fondo.
Camminai lentamente, osservando già da lontano la sua assenza vicino la macchina.





Fu allora, dopo aver fatto un paio di passi fuori la baracca, che sentii.
Mi sono chiesta spesso da allora come sarebbe andata, se non avessi sentito.
Se fossi tornata in macchina e avessi aspettato.
Se le cose fossero andate diversamente.

Credo si possano scrivere libri interi con un semplice ‘E se…’.
Perché potrebbe cambiare tutto.
Irrimediabilmente.

Mi sono spiegato?” sentii dire da una voce, abbastanza familiare, seguito da un rumore.
Avrei detto, probabilmente, il suono di un colpo che veniva sferrato contro qualcuno.
Vaffanculo

Una voce flebile, stanca, sofferente.
Ed era quella di Santana.





Mi ritrovai nuovamente a correre.
Questa volta verso il vicolo laterale della baracca.
Era sudicio e sporco, pieno di immondizia, ma non ci feci caso più di tanto.
Non riuscivo a pensare a nulla.
L’ansia mi logorava.
Ma fu quando vidi, poco più avanti, la scena che mi si parò innanzi, che il rispiro mi si mozzò in gola.

Santana era lì.
Ma non era da sola.

Due omaccioni la tenevano per le braccia, tenendola ferma, con le ginocchia a terra.
Uno dei due aveva un profondo taglio sul sopracciglio destro.
Dagli strattoni arrabbiati che dava a Santana, non mi ci volle molto per capire che evidentemente era stata lei a procurarglielo.
Altri due grassoni erano disposti ai lati, controllando la situazione.
E lui, Phill, in piedi.
Posizionato di fronte a lei, con un bastone in mano.

Fu quando si spostò leggermente di lato che potei vedere la faccia della mia ispanica.
Respirava a fatica, si vedeva.
Non osavo immaginare nemmeno quanti colpi avesse subito fino a quel momento, dato lo sguardo sofferente, seppur sempre fiero.

Ma il volto, Dio, era coperto di sangue.
Aveva tre tagli profondi.
Uno sul labbro, uno sullo zigomo e l’ultimo sul sopracciglio.

Tutti profondi, ancora sanguinanti.
Non riuscii a cogliere il successivo scambio di battute, immobile com’ero ad osservare quell’inferno.
Ad osservare la ragazza che amavo ridotta in quello stato.
Ma sentii distintamente il suono del bastone di Phill infrangersi, con forza, sul fianco di Santana, facendola sibilare di dolore.

“San!” urlai, avvicinandomi, velocemente.

Non sapevo esattamente cosa stessi facendo.
Non avevo armi, non avevo nulla.
E non ero certo di grande stazza.
Ma non potevo lasciarla lì così.
Stupidamente mi dissi che non importava.
Dovevo solo far qualcosa.
Dovevo solo muovermi.

Sei teste si girarono all’istante verso di me.
“E tu chi diavolo sei?” chiese, indispettito uno dei quattro scagnozzi.

Santana, invece, rimase a fissarmi bianca come un lenzuolo, per alcuni secondi.
Disorientata. Spaventata.
Terrorizzata.
Il lardoso alternò diverse volte lo sguardo fra me e lei, cercando di capire.
Ma quando uno di loro provò ad avvicinarsi a me, la mia ispanica scoppiò.

“Scappa, Brittany!” mi urlò con quanto fiato aveva in gola.
“Prendetela. Subito!” ordinò, invece, Phill, osservandomi con un ghigno.

Quando vidi gli altri due avvicinarsi minacciosamente, decisi di correre.
Correre via.
Il più velocemente possibile.
Non avrei potuto fare niente da sola.
Nulla.
Erano cinque. E noi eravamo solo in due.
E, Dio, mi maledissi più volte per non aver chiamato prima la polizia.
Stupida!
Estrassi il cellulare dalla tasca nella corsa.
Ma riuscii a comporre solo due numeri, prima di essere afferrata e strattonata con forza.

“Lasciatela stare!” tuonò Santana, agitandosi sempre di più.
“Calma, ispanica” sogghignò Phill, puntandole il bastone alla gola “Non farmi indispettire”
“In ginocchio” mi ordinò uno dei due uomini, proprio di fronte la mia ragazza.





Ci guardammo per qualche istante negli occhi.
E mai come in quel momento vi lessi dentro così tanto dolore.
Scostò, poi, lo sguardo per rivolgerlo agli altri.

“Lasciatela stare” sibilò ancora, arrabbiata “Lei non ha fatto niente!”
“Credi?” chiese, divertito, il lardoso “Io credo invece che abbia fatto tutto” continuò avvicinandosi a me, afferrandomi il viso con una mano. “E’ carina… è la tua ragazza?”
“Non toccarla” ringhiò, in risposta, agitandosi di più.
“Odio quando le persone non rispondono alle mie domande” commentò, arrabbiato, riavvicinandosi a lei.

Ancora, le sferrò un altro colpo, dritto nello stomaco, che la fece piegare in due.

“Smettila!” urlai io, facendolo bloccare interessato.
“Hai qualcosa da dire?” mi chiese, con un sopracciglio alzato.
“Sono una sua amica e-“
“Credo sia una bugia, invece” ribattè, colpendola ancora, più forte, facendola urlare di dolore.
“Basta!” gridai, con le lacrime agli occhi e le braccia doloranti, per la forza con cui i due omaccioni mi tenevano ferma “Basta, ti prego!” lo supplicai, osservando Santana stringere gli occhi, sofferente.
“Allora parla”
“I-io…”
“Troppo lenta” commentò, con un altro colpo.

Altre urla.
Altro dolore.

“Ti prego…”
“Oh, andiamo” mi esortò, puntandole il bastone vicino il viso, mentre io sgranavo gli occhi terrorizzata “La verità” disse, ancora, allontanando quel pezzo di legno, quel tanto che serviva per caricare il colpo.

Quello bastò a farmi sputare fuori quello che voleva sentirsi dire.

“Sì! Sì, sono la sua ragazza! Ti prego, fermati!” lo supplicai, osservando Santana abbassare il volto, cercando di respirare regolarmente “Lo sono. Basta, per favore”
“Sai, mi piaci tu” disse, abbassando l’arma, avvicinandosi a me “Sai quando è il momento di arrendersi e parlare, lo apprezzo” continuò passandomi una mano sulla guancia.
“Non toccarla!” urlò, ancora, Santana, cercando di divincolarsi.

Era terrorizzata.
Se io ero pietrificata dalla paura, lei lo era mille volte di più.
Ma solo quando lui si avvicinava a me.
Era come se non le importasse di subire altri colpi, altra sofferenza.
Aveva paura per me. Solo per me.
Paura che potesse succedermi qualcosa.
E sapevo.
Lo sapevo per certo che, qualora fosse accaduto, non se lo sarebbe mai perdonato.
Continuava, così, a dimenarsi cercando di liberarsi.
Ma quei due erano troppo forti e lei era ridotta piuttosto male.

“Vedi? E’ questo il problema” fece Phill vicino a me, indicandola “Guarda come reagisce, se anche ti sfioro” rise, osservandola cercare di fare ancora forza con le braccia “E non va bene. Sai perché?”
“P-perché?” feci io, ormai tremante, vedendolo avvicinarsi al mio orecchio.

Sporco. Sudicio. Corrotto.
Tutti aggettivi che mi venivano in mente osservandolo.
Figurarsi a ritrovarmelo a poca distanza dal volto.

“Perché solo io devo avere potere su di lei” bisbigliò in modo che, comunque, tutti potessero sentire. “Avevo notato questo cambiamento in lei da un po’, sai? Molto tempo. Non era più spietata come prima” spiegò, corrucciato “Continuava a vincere, ma… mancava quella…” continuò, cercando le parole “scintilla, ecco, che la contraddistingueva”
“Va’ al diavolo” ringhiò Santana, prontamente zittita da un pugno, da parte di uno dei due che la tenevano ferma.
“Mai interrompermi, ispanica, lo sai.” Sorrise, sadico “Ad ogni modo, mi dicevo che fin quando continuava a vincere, il problema non sussisteva, non trovi?” chiese, toccandomi i capelli “Ma quando oggi è venuta da me” continuò, in un ringhio, riavvicinandosi a lei “Dicendo di volermi mollare, per un ristorante… puoi immaginare il mio disappunto” concluse, afferrandola per il mento. “Dopo tutto quello che ho fatto per lei!”

“Tu sei mia”  sibilò a due centimetri dal suo viso “E lo rimarrai fin quando io deciderò che è abbastanza. Sono stato chiaro?” chiese, allontanandosi.

Rimase alcuni secondi ad osservarla in attesa, spostando lo sguardo fra me e lei.
Ma niente.
Santana si limitava a guardarlo, come se volesse scuoiarlo vivo da un momento all’altro.
Io, d’altro canto, ormai non controllavo nemmeno più i brividi di paura che continuavano a scuotere il mio corpo.

“Ripeti, ragazzina” le disse ancora, infastidito “Sono tua”
“Vai. A. Fanculo.” sillabò, invece, guadagnandosi l’ennesimo pugno nelle coste.

Di quel passo, si sarebbero come minimo fratturate.
Aveva incassato troppi colpi.
E sperai con tutto il cuore che le condizioni non fossero eccessivamente disastrose.

“E va bene” sospirò, fintamente affranto Phill. “Jack” fece segno ad uno dei due omaccioni che mi tenevano ferma “Vediamo come reagisce” rise, vedendolo cacciare dalla tasca un coltellino, che posizionò vicino la mia gola.
“Allora?” chiese, mentre avvertivo distintamente la lama fare maggior pressione sulla mia carne.
“O-oh, D-Dio” feci, terrorizzata.
“Lasciala stare! Lei non c’entra!” tuonò, ancora, lei spaventata.
“Lei è la causa di tutto!” ribattè Phill, arrabbiato “Dovrei ucciderla solo per questo! E’ lei che ti ha allontanato da me. Ti ha reso scadente e debole! Preferivo la tua versione da macchina da guerra, ispanica. Lei me l’ha portata via” continuò, minaccioso. “Ora dillo!”
“Lasciatela!”
“San, non ti preoccup- AH!”

Avvertii distintamente il coltello penetrare piano nel collo, tagliandomi.
Sapevo che non era profondo. Non era grave.
Ma Dio, faceva male.
Sentii chiaramente il sangue iniziare ad uscire dalla piccola ferita.

E fu quello il momento.
Il momento, in cui Santana prese la sua decisione.
Decise di gettare la spugna.
Di arrendersi.
Lo lessi nei suoi occhi.

Si trattò di un momento.
Veloce. Il tempo di un secondo.
Il tempo di fare quell’ultimo passo nel baratro, che non avevi visto.

E i suoi occhi si scurirono.
Di nuovo.
Come non li vedevo da mesi, ormai.

“Va bene” bisbigliò, continuando a guardare il mio collo.
“Cosa va  bene?” chiese Phill, con un sorrisetto.

Lei alzò lo sguardo su di me, un istante.
E mi guardò negli occhi.
Vi lessi tante cose.
Troppe.
Dolore. Sofferenza. Dispiacere.
Ma, soprattutto, mi sembrò si stesse scusando, in un qualche modo.

Scosse la testa, per poi chinarla.
Sconfitta.

“Sono tua”






 Tetraedro dell'Autrice

Eh, lo so.
Lo so, vorreste uccidermi, prendendomi a sprangate, ma no! Non posso permettervelo! 
So anche che avevo detto che era dal 25° capitolo che ci sarebbero stati problemi...
Credo di aver sbagliato a fare i conti...
...Ops?

Ahm, per il resto...? Boh, mi pare niente!
Oh, sì, il prossimo capitolo di 'Scommettiamo?' arriverà presto! Anche perchè quella povera Charlie fra un po' mi uccide, visto che comunque blocco anche lei! xD

Come sempre, grazie a tutti, davvero! *-* dispenso amore a tutti voi! Pace e bene fratelli, yo!
A presto, bella gente! :D


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Capitolo 25
*** Quando un cerotto non basta ***


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Che differenza c’è fra dolore fisico e spirituale?
Nessuna.
O, meglio, forse uno è leggermente peggiore dell’altro.

Spesso il dolore fisico è più… semplice.
Semplice, perché ci può essere tutto: causa, cura, guarigione.
Un livido, un graffio, un taglio.
Ci metti un po’ di crema lenitiva sopra.
Un cerotto.
Possono sparire, certe volte non lasciando nemmeno una piccola, insignificante cicatrice.
Tanto da non ricordarti neppure di esserti fatto male.
Tanto che, neppure tagliandoti mille volte nell’arco di un mese con le spine di una rosa, perché, che so, fai il giardiniere, la cosa ti pesa più di tanto.

Il problema sorge, invece, quando il taglio non è visibile.
Quando è la mente, l’animo, ad essere stato lacerato.
Perché più si va avanti, più il dolore si accumula.
E non scompare tanto velocemente.
Nella maggior parte dei casi, in realtà, non scompare per niente.
Lo si occulta solo molto bene.
Lo conteniamo in una remota parte di noi stessi.
Creiamo, allora, questa perfetta diga, fatta con tronchi d’albero di ‘sto bene’.
E speriamo.
Speriamo, con tutto il cuore, che qualche castoro del cazzo non venga a danneggiarla.
 
“Come sta?” chiesi, preoccupata, a Clara.
 
Santana non era voluta andare in ospedale, nonostante l’avessi pregata per tutto il tragitto in macchina.
Lasso di tempo, di cui ricordo o poco o niente, tra l’altro.
Se non il suo sguardo, costante, sul mio collo, dove era il taglio.
Dopo averle sferrato l’ultimo calcio sul fianco, Phill ci aveva lasciato andare, sghignazzante.
Aveva ottenuto quello che voleva, in fondo.
Si era ripreso la sua gallina dalle uova d’oro.
Certo, dopo averla picchiata a sangue e averle intimato di ripresentarsi due settimane dopo, per l’inizio del successivo torneo.
 
“Niente di rotto, fortunatamente” rispose, con un sospiro “Qualche costa incrinata c’è, però. Per domani il suo torace sarà praticamente nero, quindi dovrà stare molto a riposo” spiegò, corrucciata “Le ho messo un paio di punti sui tagli sul volto, erano troppo profondi” continuò, ancora.
“Sta meglio ora?”
“Se così si può dire” sollevò le spalle, preoccupata “Ho solo paura che ci sia qualche emorragia interna, anche se dubito. Ho parlato con una collega in ospedale e, più tardi, quando la maggior parte dei dottori sarà occupata altrove, la porterò a fare una TC per avere conferma. Ma credo possiamo stare tranquille, in ogni caso”
“Okay” sospirai, un po’ più tranquilla.
“E’ stato Phill, vero?” chiese, poi, stringendo le labbra.
 
Sapevo che Clara conoscesse la verità su Santana.
La mia ispanica mi aveva detto che lei era l’unica ad esserne a conoscenza in quella casa, dopo che una sera tornò piuttosto malconcia e dovette spiegarle tutto.
Non ne parlavano mai, però.
Ecco perché rimasi, lì per lì, sorpresa dalla domanda così diretta.
 
“Sì”
“Non la lascerà andare, eh?”
“No” sospirai, sconfitta.
“Non se lo merita” bisbigliò, chiudendo gli occhi con forza “Non meritano tutto questo dolore. Nessuna delle due” continuò, dando una veloce occhiata alle stanze delle due Lopez.
“Lo so” commentai, con un nodo alla gola.
 
Il karma.
Mi chiedo spesso come diavolo si fa a crederci.
Se ti comporti bene, vieni ripagato.
Se ti comporti male, l’universo troverà un modo per mettertela in quel posto, in una maniera o nell’altra.
Sarebbe bello.
Sarebbe dannatamente bello, se fosse vero.
Ma allora perché certe volte il destino si accanisce contro i più deboli?
Nessuno è uno stinco di santo.
Ma perché, una buona volta, ad andarci di mezzo non sono i cattivi?
Per cui, trovo la fede nel karma più una consolazione che altro.
Pensare che chi ti fa del male, prima o poi, la pagherà, ti aiuta a sopportare.
Ti aiuta ad andare avanti.
Ti aiuta ad evitare di commettere omicidi ogni due passi.
 
“Ora puoi entrare, comunque” mi comunicò, con una pacca sulla spalla. “Stalle vicino, ok?”
“Certamente” risposi subito, avviandomi verso la porta “Grazie, Clara”
“E’ una seconda figlia ormai per me” Sorrise, triste “Tornerò fra un po’ per portarla in ospedale”




 
Come dicevo, dolore fisico e spirituale possono essere molto simili.
Basti pensare anche alla stretta correlazione che vi è fra i due.
Quando stai male, prendiamo, ad esempio, per un mal di stomaco lancinante, anche la tua mente ne risente.
Soprattutto se il dolore va avanti da molto tempo.
Ti sfibra.
Allo stesso modo, quando è la psiche ad essere colpita per prima, quando c’è questa sofferenza psicologica, il corpo, spesso, ne risente.
E’ quella che si chiama somatizzazione del dolore.
 
Corpo e mente sono strettamente e, inesorabilmente, connessi.
E non intendo parlare di cazzate filosofiche, vedi sinolo aristotelico.
Materia e forma, corpo e anima e via dicendo.
Mai capita la filosofia, mai piaciuta.
Che diavolo mi rappresenta, poi?
Il filosofo me lo sono sempre immaginato con un funghetto allucinogeno in una mano e penna dall’altro.
Tipo Platone.
Platone e il suo mondo delle idee.
Oh, sono certa l’avesse visto lui il mondo delle idee.
Un paio di foglie di maria e via che volava il tipo!
 
Ad ogni modo, per quanto possano essere correlati corpo e mente, la seconda avrà sempre predominio sull’altro.
Ed è qui che sta la differenza anche fra i due tipi di dolore.
Perché puoi soffrire fisicamente come un cane, ma avere, contemporaneamente, la forza psicologica di resistere e sopportarlo.
Ma se il tuo corpo sta male e ti arrendi, è la fine.
Se decidi di gettare la spugna, se non decidi di essere forte prima nella tua testa, non potrai fare nulla.
Cederai.
E le conseguenze possono essere tante.
Alcune più serie e drastiche, come la morte.
Altre, invece, possono consistere in decisioni improvvise, spesso stupide e inconcludenti.
 
Ed era proprio questo che temevo con Santana.
Il suo sguardo non mi era piaciuto. Per niente.
E il fatto che non mi avesse rivolto parola per tutto il tragitto in macchina, ancor meno.
Si era limitata a fissare la mia ferita, mentre gli occhi si scurivano ogni secondo di più.

Un suo ‘mi dispiace’ bisbigliato, quando l’afferrai per farla uscire e portarla dentro casa.
Un mio ‘andrà tutto bene’, quando la posai sul letto.
Ma, questa volta, nemmeno io ci credevo davvero.

 
“San!” la richiamai, entrando in camera “Dovresti stare sdraiata, non seduta!”
“Ci sono i cuscini” rispose, con un tono di voce basso e vagamente sofferente.
“Su cui dovresti appoggiare la testa e non la schiena” mi avvicinai maggiormente, con l’intento di farla riposare, ma lei bloccò prontamente la mano, con cui volevo toccarla, afferrandomi per il polso.
 
Rimase con la testa china, senza spezzare il contatto.
Avvertii una leggera carezza, quasi impercettibile, del suo pollice sulla mia pelle, prima di lasciarmi andare e guardarmi negli occhi.

“Non voglio sdraiarmi” fece, per poi scostare nuovamente lo sguardo.
 
Sapevo già dove l’avrebbe posato.
Non mi stupì per niente di trovarlo sul cerotto posizionato sul mio collo.
 
“E’ solo un piccolo taglietto, non ci sono voluti nemmeno i punti. E’ bastato un cerotto” spiegai, tranquilla, sperando di acquietarla “Non è niente”
 
Ecco, diciamo che non era esattamente ‘niente’.
Avevo avuto paura come poche volte in tutta la mia vita.
Per lei, per me. Per noi.
Non era certo una di quelle esperienze da fare almeno una volta nella vita.
Proprio no.
E il ‘ti tengo d’occhio’ di Phill, prima di lasciarci andare, fu solo l’ennesimo brivido di paura che mi percorse quella sera.
Ma conoscevo Santana.
Non le importava di tutte le botte che aveva preso.
Era il fatto che io fossi entrata in quell’inferno ad angosciarla.
Sapevo avrebbe cercato di allontanarmi, a questo punto.
Per questo dovevo rimanere lucida.
Perché doveva capire che insieme avremmo potuto affrontare tutto.
 
“Niente?” domandò, con un sorriso amaro.
“Sì, niente, San. E’ un graffio, non è di me che devi preoccuparti” spiegai, corrucciata, osservando il suo volto.
“Dobbiamo parlare, Brittany” fece, seria, puntando finalmente gli occhi nei miei.

Me l’aspettavo.
Era prevedibile.

“Va bene” accordai, avvicinando una sedia al letto, dove mi posizionai.
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo.
Fu lei a parlare per prima.
“Britt-“
“Aspetta, aspetta” la interruppi, subito “Prima che tu dica qualsiasi cosa e spari qualche cazzata epica - perché, lo so, che è questo quello che stai per fare – è bene che tu ricordi che io sapevo quello che facevi. Sono sempre stata a conoscenza dei rischi che comportava questo tuo ‘lavoro’, ok?” spiegai, mentre lei mi osservava senza nessuna particolare emozione.
Cosa che, sì, mi confuse un po’.
“Di certo non era perché andavi a vendere gelati che stavo in ansia la sera, aspettando un tuo messaggio, no? Poteva accadere quello che è successo, San”
“Non doveva accadere” precisò lei, impassibile.
“Già, non doveva accadere perché nessuno merita una cosa del genere” feci, indicando il suo corpo “Ma è successo ed è orribile. E’-è ingiusto e meschino e… tremendamente sbagliato” Continuai, scuotendo la testa “Però… San, possiamo superarlo, ok? Troveremo un modo. Insieme.” Precisai, sicura.
“Britt..”
“Possiamo contattare qualcuno e cercare una soluzione. Possiam-“
“Non ci sarà nessun ‘noi’. Non possiamo più stare insieme, Brittany” mi fermò, seria.

E mi aspettavo anche questo.
Niente che non avessi previsto.

“Lo sapevo” feci, mentre lei mi guardava confusa.
“Sapevo per certo che avresti detto una cosa del genere” sorrisi, amara “Ma sai che c’è? Io non te lo permetto. Non ti permetto di allontanarmi, non dopo tutto quello che abbiamo passato”
“Non capisci”
“Oh, no. Capisco eccome” ribattei, arrabbiata “Credi che non abbia capito perché stai reagendo così? Tu hai paura, ma non per te, San. Per me” precisai “Ed è una cosa stupida, perché io sto benissimo”
“Benissimo, sul serio?!” chiese, in un ringhio.
“Sì. Non sono io quella con costole incrinate e tagli ovunqu-“
“Oh, no. Tu ce l’hai un taglio” precisò, guardandomi intensamente.
“E’ bastato un cerotto, dannazione!”

Abbassò lo sguardo, ridendo amara.
Scosse la testa, prendendo un respiro.

“Non basta un cerotto per quello”  fece, puntando nuovamente lo sguardo nel mio “Non basta. E non bastano nemmeno tutte le scuse del mondo da parte mia”
“Tu non devi scusarti, San. Non è stata colpa tua e io sapevo benissim-“
“Tu non meriti tutto questo.”
“Nemmeno tu” aggiunsi, carezzandole una mano. “Non arrenderti ora, per favore. Insieme possiamo superare tutto. Io lo so. Ti prego, noi ci amiamo, possiamo farcela, ok?”

Sfilò velocemente la mano dalla mia, abbassando la testa.

“Noi non possiamo più stare insieme” ribadì, con voce un po’ meno ferma.
“San, ti prego, smettila”
“C’è un altro motivo” aggiunse, sospirando.
“Io non ti lascerò” precisai, cocciuta.

Doveva smetterla di volermi proteggere sempre.
Entrambe, nonostante tutto, eravamo ancora vive.
Con qualche botta consistente, ma pur sempre vive.
Era così dannatamente prevedibile quel suo atteggiamento.

Ma, fu la frase successiva.
Quella che disse subito dopo, che non m aspettavo per niente.

“Io ti ho tradito”

Suonava un po’ come un urlo in una biblioteca.
Quando tutti sono in silenzio, anche un leggero sussurro viene sentito.
Figurarsi un urlo.
Ti fa letteralmente saltare dalla sedia.

“Cosa?” chiesi, credendo di aver capito male.
“Ti ho tradito” ripetè, guardandomi.

Mi ci vollero un paio di secondi per registrare la cosa.
Ma non potevo crederci.
Non era possibile.

“Non è vero.” Dissi, allora “Lo stai dicendo solo per farmi cedere. Per farmi allontanare da te. Non è vero” feci, ancora.
“E’ la verità.”
“Non è vero” continuai, mentre lei si lasciava andare ad un sospiro tremolante.
“Si chiamava Caroline. L’ho conosciuta due settimane fa” iniziò.
“Smettila”
“Dopo un incontro. Decisi di andare in un bar a prendere una birra prima di tornare a casa.” Spiegò, mentre io continuavo a scuotere la testa, rifiutandomi di credere anche ad una sola parola “Ma una birra divenne più di una e lei mi si avvicinò. Era simpatica, parlammo per un po’. Alla fine, andammo a casa sua."
“Non dirmi bugie” la pregai, con un nodo alla gola.
“Non sono bugie” precisò, con gli occhi lucidi “Non sono bugie. Io sono stata con lei”
“Eri ubriaca”
“Ma la mattina dopo no. Eppure ci sono andata a letto di nuovo”
“Non ti credo” dissi, seppur con voce ogni secondo meno ferma.
“Prendi il mio cellulare. Guarda le ultime foto.” Fece, allora, indicando il telefono sul comodino “Me le ha inviate lei”
“Non è vero”
“Guardale!” alzò la voce, per poi scostare lo sguardo.

Non volevo crederle.
L’afferrai velocemente, aprendo la cartella delle immagini.
Eppure erano lì.
Tre immagini.
Due raffiguravano Santana addormentata, mezza nuda, coperta a stento da un lenzuolo.
Nell’ultima questa ragazza, mora, con gli occhi verdi, le lasciava sorridente un bacio sulla guancia, mentre lei ancora dormiva.

“Non possono essere vere” provai, incurante ormai del dolore alla gola, per tutte le lacrime non versate “Non le avresti mai tenute sul tuo cellulare. Avrei potuto vederle in qualunque momento.”
“Già” concordò, guardandomi impassibile “Ma sapevo non sarebbe successo”
“Perché?”
“Perché ti fidavi di me” spiegò “Tu ti fidavi di me e io ne ho approfittato”
“N-non… Tu-“ provai, senza riuscire a spiccicare mezza parola “Tu…”
“Ti ho tradito, approfittando dell’amore che provi per me”
“T-tu mi ami” feci, ritornando con la mente a quella notte.

La notte in cui si presentò in casa mia con un mucchio di fogli spiegazzati.
Un centinaio di definizioni sull’amore.
Quell’espressione così spaurita.
Quel ‘Ti amo’ così sentito.
Non poteva essere la stessa persona.

“L-lo credevo” fece, con voce tremante “Non lo so”
“M-ma..”
“Mi dispiace sia finita così, Brittany. Mi dispiace tu abbia sopportato tutto questo, per una persona che non ti merita”
“Ti prego, dimmi che è tutta una bugia” la pregai, ancora.
“Non lo è” rispose, ancora, scuotendo la testa “Mi dispiace. Vorrei solo avertelo detto due settimane fa, così da non averti mai fatto vivere questa notte. Così che tu sapessi che io non merito nemmeno un quarto del tuo amore. Meriti di meglio.”
“Meritavo qualcuno che non mi tradisse” precisai, tremante.
“Meriti una persona che ti ami davvero”




 
“Ehi, Britt, ti va un po’ di spezzatino?” chiese mia madre, non appena misi piede in casa.

Scappai, letteralmente, da casa di Santana.
Rimanere lì un solo altro secondo avrebbe significato il mio crollo emotivo.
Sarei crollata, come tutte le convinzioni che avevo avuto fino a quel momento.
Non riuscivo a respirare, a parlare.
Non riuscivo a fare niente.
Mi sentivo solo… vuota.

“No, ho sonno vado a letto”
“Camelia, ma lo sai che non sono necessari i foulard per occultare i succhiotti della tua amante, vero?” ridacchiò MaryG, dando uno sguardo alla sciarpetta che avevo al collo, trovata al volo in macchina, abbandonata nel cofano.
“Effettivamente abbiamo visto sicuramente di peggio” scherzò mio padre, lanciandomi uno sguardo divertito.
“Ne sono certa” risposi, tentando di sorridere.

Ma sono piuttosto convinta che ne uscì fuori più una smorfia che altro, vista l’espressione confusa di Gollum.

“Vado a dormire” comunicai, avviandomi su per le scale.




Mi chiusi velocemente la porta alle spalle, una volta entrata in camera.
Avrei voluto solo dimenticare.
Spegnere il maledetto cervello, che si ostinava a ripropormi sempre le stesse immagini nella testa.
Sempre le stesse parole.
Sempre lo stesso dolore, che mi lacerava dall’interno.

Sentii aprire la porta lentamente, girandomi di scatto.

“Britt?”
“MaryG” feci, con voce flebile.
“Stai bene?” chiese, avvicinandosi preoccupata.

No.
No, non stavo bene. Per niente.
Avete presente la diga di cui ho parlato prima?
Quella che costruiamo con tanto sforzo, per arginare i ricordi, il dolore, la sofferenza.
La mia era stata appena assaltata da un branco di castori impazziti.
Ed era stata distrutta, facendo fuoriuscire tutto il male, che avevo cercato di contenere.

“Britt?” chiese, ancora.

Ma non ottenne risposta.
Perché mi limitai a crollare sulle mia ginocchia, permettendo alle lacrime di uscire.
Le stesse che avevo disperatamente cercato di trattenere.
Le stesse che ora scorrevano inesorabili sul mio viso, mentre mia sorella mi stringeva a sé, cercando di capire.







Tetraedro dell'Autrice


Sì, ecco... ahm.. tadà? ^^'
Non abbandonatemi nonostante i casini, dai!

Cooomunque, capitolo tristerrimo a parte, mi scuso per il ritardo! Ma prima non volevo pubblicarlo intorno a 24-25 poi ho avuto un blocco allucinante... insomma, mi son ripresa ieri e questo è il risultato!

Come sempre, GRAZIE davvero a tutti! *-* ormai non ho più parole!

Oh, il prossimo capitolo arriverà il prima possibile ovviamente, ma... prima di tutto devo scrivere il prossimo di 'scommettiamo?'... quindi, ahm, ashpettatemi! xD

A presto, bella gente! :DD

 

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Capitolo 26
*** Dovresti stare con chi ti fa star bene ***


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Ho sempre considerato il tradimento come una delle peggiori cose che si possano fare a qualcuno.
Ne avevo una concezione drastica, in effetti.
Per me c’era solo un’unica ragione, per cui si tradisce.
Una.

Eppure se ne sentono tante.
‘Ti ho tradito perché ero confuso.’
‘Ti ho tradito perché ero fragile e spaventato.’
‘Ti ho tradito perché mi piaceva un’altra persona.’
‘Ti ho tradito perché ne sentivo il bisogno.’
‘Non so perché ti ho tradito.’

La verità, invece, per me è una sola, se tradisci - escludendo il fatto che tu sia un idiota patentato, ovviamente.
Ed è che non ami.
Non ami, punto.

Puoi tradire per curiosità, per lussuria, per ripicca, per “dispetto” al tuo partner, perché ti senti stretto in quella relazione.
Ma la conclusione è una.
Qualcosa è finito.
Qualcosa si è spezzato nel rapporto.
E non tieni abbastanza all’altra persona per dire di no.
Per evitare di farla soffrire.
In fondo, in fondo, non ti importa così tanto.
Perché di certo non pensi all’altro in questi casi.
Ma solo a te stesso.

A rifletterci, ci sono anche i ‘Ti ho tradito, ma ti amo’.
Sono quelli più curiosi, in effetti.
Dicendo una cosa del genere è come se lacerassi con un coltello più e più volte il cuore dell’altra persona e, subito dopo, lanciassi via l’arma, iniziando a applicare un paio di punti da sutura.
Carnefice e medico insieme.
Il problema, però, è che non hai una laurea in medicina.
E i punti non tengono.

Esiste, poi, un’ultima sfumatura.
Più sottile della precedente.
‘Ti ho tradito, ma così ho capito che è solo te che voglio.’
In questo caso, beh, sei solo un cretino.
Perché, se dici la verità, nella stragrande maggioranza dei casi, l’hai fatto perché non avevi abbastanza fiducia nel rapporto con l’altra persona.
Non abbastanza da credere che, insieme, avreste potuto eliminare i dubbi che ti assalivano.
Fai di testa tua, invece.
Fai soffrire l’altra persona.
Mini la fiducia, che dovrebbe stare alla base del rapporto.
Ma forse, in fondo, è l’unico dei casi in cui, probabilmente col tempo, avrei potuto concepire un eventuale perdono.

Perché per me non si tornava indietro, da una cosa del genere.
Per me, il rapporto era finito.
Non può esistere rapporto senza fiducia.
Non può esistere rapporto senza amore.
E il tradimento consiste nell’annullamento di entrambe.
E lei lo sapeva.

Era per questo che credevo mi stesse mentendo.
Per quanto desirassi che fosse tutta una grande bugia.
Per quanto sperassi che lei avesse architettato tutto per allontanarmi.
Per quanto i ricordi di tutti i momenti, che avevamo passato insieme, affollassero la mia mente.
I fatti parlavano.

Ma fu la mattina successiva quella, in cui mi arresi.
Quella in cui capii che era tutto finito.
Quando mandai un messaggio a Quinn, chiedendole come stesse Santana.
‘Niente emorragia, è un po’ dolorante. Mi dispiace, Britt.’
Furono le ultime tre parole a colpirmi in pieno come un treno ad alta velocità.
Era la verità.
E noi non stavamo più insieme.

“Britt?” mi richiamò, probabilmente per l’ennesima volta data la sua espressione corrucciata, MaryG.
“Sì?” feci, osservandola sdraiata al mio fianco sul letto.

Quando si era avvicinata?
Ma soprattutto, com’è che non l’avevo sentita?

“Sono quattro giorni che guardi il soffitto”
“Non guardo solo il soffitto” controbattei stanca.
“Se non fosse per Jennifer e Rachel, non faresti altro, diciamocelo” commentò, contrariata “Mamma e papà sono preoccupati” iniziò, facendomi alzare un sopracciglio “E per preoccuparsi loro, ce ne vuole, eh!”
“In effetti…”
“E io non mi diverto a prendere in giro un’ameba vivente” aggiunse, contrariata, facendomi sorridere.
“Lo so” risposi, intenerita.

Quello era decisamente il suo modo per dire che soffriva nel vedermi così.
E che mi voleva bene.
Tanto intelligente quanto orgogliosa il mio piccolo Gollum.

“Cos’è successo con Santana?” chiese, poi, guardandomi negli occhi.
“Ci siamo lasciate” risposi, con un’alzata di spalle.
“Ma perchè?” provò per l’ennesima volta a sapere.

No.
Non l’avrei detto il motivo.
Non lo sapeva nessuno, a parte Rachel.
Nonostante tutto, non volevo che Santana passasse per una traditrice.
Le volevano troppo bene.
E non volevo che la odiassero.
Per quello bastavo io.

“Ci si lascia, certe volte, Gollum” commentai, sforzando un sorriso.

Scosse la testa, puntando lo sguardo sul soffitto bianco della camera.
“Non tu e lei.” Ribattè “Non per un motivo da niente” aggiunse, sicura “Non è possibile”

Mi limitai a sollevare ancora le spalle.
In realtà semplicemente perché non riuscivo a parlare, dato il nodo alla gola che mi si era formato.

“Britt..” provò ancora.
“Lascia stare MG, ok?” chiesi, prima di spostare l’attenzione sulla porta della camera, che si aprì improvvisamente, facendo saltare sul posto entrambe.
“HOLA FIGLIE!”

Genitori.
Cappelli da cuochi sulla testa.
Due piatti per uno in mano.
Ho detto tutto.

“Ah, mi sono dimenticata di accennarti che questi due hanno ridotto la cucina un immondezzaio” mi comunicò mia sorella, passandosi una mano sulla faccia.
“Ti abbiamo portato le crepes!” annunciò contenta mia madre.
“E i pancake” continuò mio padre “E il torrone caramellato e la torta al cocco”
“Che ho fatto io, non preoccuparti” aggiunse, con un sopracciglio alzato “Che ne dici?” chiese, speranzosa.

In quel momento realizzai quanto la mia famiglia fosse preoccupata per me.
Grazie a Dio, ero riuscita ad occultare il taglietto sul collo per tutto il tempo, scomparso dopo un paio di giorni.
Cosa non molto difficile, visto che avevo passato quasi tutto il tempo nel letto.
Se l’avessero visto, si sarebbero fatti mille paranoie in più sicuro.
Già così, era abbastanza palese la loro agitazione.

MaryG, erano tre giorni, che non mi chiamava con nomi campati in aria.
Sporadiche le prese in giro, più che altro per verificare che fossi ancora in grado di reagire a qualcosa.
Mia madre aveva accettato di farsi aiutare a cucinare da mio padre, nonostante questa cosa le provocasse da sempre un semi-crollo nervoso a causa della sua incompetenza.
E mio padre… beh, si doveva essere impegnato parecchio dati i pancake per niente bruciati che aveva in mano.

Probabilmente li traumatizzai abbastanza già quando se ne andò Jennifer.
E il fatto che con Santana le cose sembrassero ancora più serie non doveva farli stare molto tranquilli.

Erano quattro giorni che andavo solo a scuola, sicura che Santana non ci fosse.
Niente danza.
Niente uscite.
Rachel e Jennifer venivano a casa, per farmi distrarre un po’.
Ero a pezzi.
Ma avevo fatto una promessa.
Dovevo reagire, in un qualche modo.
Se non per me, per la mia famiglia.
E il primo passo era proprio quello che stavo per fare quel pomeriggio.

“Sembra tutto molto buono” commentai, con un sorrisetto “Mettete tutto in forno, lo mangeremo assieme stasera.”
“Non ti va di mangiare?” chiese, dispiaciuta, mia madre.
“No, è che devo uscire” feci, alzandomi dal letto.
“Uscire?!” chiesero in coro, strabuzzando gli occhi.
“Sì, uscire. Fuori casa.” Specificai, scuotendo la testa “Mi accompagna Rachel. Vado alla scuola di danza”
“Sei seria?!” fecero, ancora, tutti assieme.
“Da quando in qua avete allestito un coro?”  chiesi, sollevando un sopracciglio “Non avete ancora capito che non siete per niente intonat-“ mi interruppi, travolta letteralmente da un abbraccio stritolaossa di mia madre.

Mi stava soffocando.
Ma era tenera lo stesso.

“Ma’, per favore” feci, fintamente indignata.
“Sono solo contenta che continuerai a ballare” bofonchiò, allontanandosi, commossa.

Le sorrisi sincera, prima di spostare lo sguardo su MaryG, che mi guardava fiera.
“Ho fatto una promessa a qualcuno”




 
“Davvero non ti capisco!” sbottò Rachel, arrabbiata “Perché non lo vuoi dire a nessuno, Britt? E’ bene che sappiano che razza di persona è Santana”
“Ancora, Rach?” sollevai gli occhi al cielo, continuando a camminare “Non voglio che lo sappia nessuno. Non voglio che venga etichettata come quella che mi ha tradito, ok?”
“Ma l’ha fatto! Ti ha tradito” continuò, ancora.
“Già” feci, innervosita.

Probabilmente, da quando l’aveva saputo, Rachel era la persona che odiava di più Santana.
Ma, come biasimarla?
Anche io avrei odiato a morte Quinn, se le avesse fatto una cosa del genere.
Per lei, tuttavia, era inconcepibile che non volessi dire a nessuno cosa aveva fatto.
Ma io non volevo.
Non aveva senso, perché comunque non stavamo più insieme.
E di certo non avrei trovato soddisfazione nel farla odiare da altre persone.
Nonostante tutto, non se lo meritava.
Non con tutto quello che aveva passato fino ad allora.

“Okay, senti, mi dispiace” fece, notando il mio nervosismo “Ma non posso credere che abbia fatto una cosa del genere. Non a te!”
“Fatico un po’ anche io a crederlo, onestamente” commentai, con un sospiro “Ma è successo, a quanto pare”

Rimanemmo in silenzio, iniziando a scorgere già in lontananza la palestra.

“Posso farti una domanda?” chiese, poi, dal nulla, mentre io annuivo in risposta “Perché non l’hai detto a Jen?”
Mi limitai a ridere, divertita.
“Sai com’è lei” feci, con un sorriso “E’ pazza, potrebbe fare una scenata contro Santana.” Spiegai “Ricordi quando uno degli scimmioni della palestra mi prese in giro, al secondo anno, perché stavo con lei?”
“Stette ad insultarlo per un quarto d’ora buono” ridacchiò, sollevando le sopracciglia, al ricordo.
“Per un momento pensai le stesse per venire un infarto, s’era fatta tutta rossa!”
“Vero!” concordò, in una risata “Tiene davvero molto a te” mi sorrise, poi.
“Lo so” ricambiai, avvicinandomi alla porta della palestra, dove ormai eravamo arrivate.

Stavo per aprire, quando Rachel mi fermò.

“Britt?”
“Dimmi, Rach” feci, confusa.
“Lo so che è strano, ma io sento il bisogno spasmodico di dirtelo” disse, contorcendosi le mani “Lo sai come sono, quando ho un pensiero per la testa, devo esternarlo prima che mi saltino le coronarie assieme a qualche arteria principale del corp-“
“Rachel.” La bloccai, con sopracciglio alzato “Placati”
“Okay, lo dico.” Fece, convinta “Non ho potuto fare a meno di notare, che da quando è successo quello che è successo con Santana, nei giorni passati hai sorriso solo e unicamente quando era Jennifer a parlarti”
“Eh?” feci, confusa “Ma che dici?”

Okay, era pur vero che avevo vissuto in una sorta di limbo, nei giorni precedenti.
Giorni, di cui ricordo o poco o niente, dopo il messaggio di Quinn.
Di certo, non era un caso che MaryG mi avesse paragonato ad un’ameba.
Proprio no.
Ma questo dettaglio mi era considerevolmente sfuggito.
Anche se, dovevo ammetterlo.
La vicinanza di Jen mi faceva sentire meglio.
Era in grado di capirmi come solo pochi potevano.
Come Rachel
E, sì, decisamente come Santana.

“Te l’assicuro!”
“Naa, sarà stata una tua impressione” feci, riafferrando la maniglia della porta.
“Va bene, puoi anche non crederci, ma è così” ribattè, convinta “Volevo solo dirti di riflettere su questo” continuò, alzando le mani in segno di resa.
“Che diavolo significa questo?” chiesi, contrariata e leggermente indispettita.
“Che lei ti fa stare bene. Tanto da farti sorridere quando vorresti solo piangere. Pensaci!” rispose, con foga “Dovremmo stare con chi ci fa star bene, Britt, quind-“
“Può essere anche vero, Rach, ma non è così semplice” la fermai, seria.
“Perché non può esserlo? Lo so che è passato poco tempo, ma lei ti ama ancora, stravede per te! Farebbe di tutto per riaverti”

No.
Non era così semplice.

“Cosa faresti, se ti trovassi al mio posto, Rachel?” chiesi, stringendo le labbra “Quinn ti ama. Tu ami lei. Ne sei convinta. E’ tutto il tuo mondo.” Spiegai, mentre lei mi osservava, in ascolto “E poi vieni a sapere che ti ha tradito.”
“Beh-“
“Lo vieni a sapere improvvisamente, Rachel.” Specificai, sentendo gli occhi inumidirsi di più ad ogni parola pronunciata “Senza preavvisi. Niente di niente. Sarebbe semplice? Credi che la premessa non valga più?”
“Tu continui ad amarla, anche dopo che ti ha fatto una cosa del genere?” chiese, stupita, ma arrivando al punto.
“Non sono sicura se riuscirò mai a smettere di farlo, in realtà”




 
“Ci pensi, Britt?!” chiese, contentissima, Jennifer, abbracciandomi con forza, alzandomi leggermente da terra.
“Jen!” la ripresi, scherzosamente “Mettimi giù!”
“Sì, ma ci pensi?!” continuò, iniziando a saltellare, euforica, senza lasciare la presa.
“Mi sento tanto un budino sballonzolante in questo momento”
“Un budino con un provino per entrare alla Juilliard, Britt!” specificò, entusiasta, riappoggiandomi a terra “Se riusciamo a far colpo, siamo dentro! Biglietto di sola andata per New York!”

Durante quella lezione, Jake, il nostro istruttore ci aveva dato la notizia.
Era in contatto con i rappresentanti della Juilliard School di New York da sempre e, ogni anno, lo contattavano per chiedere se ci fossero soggetti di spicco nella scuola.
Aveva dato i nostri nominativi.
Un provino.
E in caso di successo, l’ammissione ad una delle università più prestigiose di danza.
Era l’occasione di una vita.
Era tutto quello che avevamo sempre desiderato.
E ne ero terrorizzata.

“Questa settimana è la sagra dei ‘non ci posso credere’” commentai, ancora un po’ allucinata.
“Potremo realizzare il nostro sogno Britt!” esclamò, ancora, sorridendomi “Noi due, New York, la danza. Avremo tutto quello che abbiamo sempre voluto!”

Non tutto.
Pensai, limitandomi a sorriderle, mascherando la mia amarezza.
Non proprio tutto.

Ma lei dovette capire, comunque.
Lo faceva sempre.
Anche quando non volevo, lei mi capiva.
Non c’era storia.

“Britt” iniziò, prendendo un respiro “Io lo so che è un momento difficile, lo so, davvero” fece, afferrandomi le mani “Ma io sono qui, ok? Ci sono e ci sarò sempre per te” continuò, guardandomi negli occhi “Mi dispiace che non sia andata come speravi con Santana”
“Già” sollevai le spalle, abbassando la testa.
“Ma il tuo mondo non è crollato, Britt” mi risollevò il viso, con due dita sotto il mento “E’ ancora qui. Io non permetterò che crolli.” Specificò, guardandomi negli occhi “Abbiamo qui la più grande opportunità della nostra vita e tu… Dio, tu sei meravigliosa e riuscirai ad ottenere quel posto! Ci riusciremo insieme.”
“Jen…”

Non sapevo esattamente come comportarmi in quel momento.
Ero confusa, ma era come se i suoi occhi verdi mi tranquillizzassero, allo stesso tempo.
Era come se rimettessero a posto le cose, che la mia mente vedeva un disastro.
Una per volta.
Era come se dessero loro un senso.

“Lo so che ti ho abbandonato. Lo so che ti ho fatto soffrire, ma non avrei mai voluto.” Continuò, sicura “Non ho mai smesso di sperare in noi. Non ho mai smesso di crederci, Britt. E-e questa opportunità… io- mi sembra quasi sia una seconda opportunità per noi” fece, agitando le mani, come se fosse lei stessa incredula della cosa. “Io lo so. Lo so che forse non è il momento adatto per dirtelo, ma sento che devo. Non posso farne a meno” sorrise, agitata.
"Cosa.."
“Non ho mai smesso di amarti, Britt. Anche quando ti ho detto che ero contenta per te. Anche quando ho capito che volevi continuare a stare con Santana. Anche quando ho continuato a starti vicino come amica. Mai. Non ho mai smesso. E mai smetterò di farl-“

La baciai.
Non so perché.
Forse perché quelle parole avevano smosso qualcosa dentro di me.
Forse per la rabbia, nel pensare di averla fatta soffrire tanto per Santana.
Forse perchè mi tornarono in mente le parole di Rachel.
Forse perché non ero esattamente il ritratto della lucidità in quel momento.
Non lo so.
So solo che lo feci.
Lo feci e basta.





Tetraedro dell'Autrice

Mi dico di aggiornare prima 'scommettiamo?'. Ma ho un blocco. Allora decido di scrivere prima questo, per evitare minacce di morte.
Ma ho come la sensazione che le riceverò comunque. :|

Grazie a tutti, come sempre! :)
A presto, bella gente!

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Capitolo 27
*** Lei è la mia famiglia ***


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Quinn’s PoV





“Ce la fai, San?” le chiesi, avvicinandomi a lei, mentre saliva le scale della scuola.

Era passata una settimana da quella sera.
La sera, in cui tutto era cambiato.
Distrutto, come tutte le speranze che Santana stava nutrendo.
Come la relazione con l’amore della sua vita.
Come il suo corpo.
Come il suo spirito. O quello che ne restava.

“Ce la faccio, Quinn, tranquilla” fece, stanca, sistemandosi la cartella su una spalla.
“Ok”

La verità è che ero terrorizzata.
Santana era sempre stata un concentrato di autodistruzione.
E temevo si sarebbe lasciata andare, dopo tutto quello ciò che era successo.
Temevo sarebbe tornata quella di una volta.

“Le hai parlato?” le chiesi, camminando lungo il corridoio.

Ovviamente sapeva a chi mi stessi riferendo.
Perché notai un leggero tremito, leggerissimo.
Ma non abbastanza da non essere notato.
Non da me ad ogni modo.

“Cosa ci sarebbe ancora da dire, comunque?” fece, di rimando, senza particolare espressione.
“San-“
“Non c’è più niente da dire, Quinn” mi interruppe, avvicinandosi al suo armadietto per aprirlo.
“C’è tanto da dire, in realtà” sbottai, prontamente incenerita dal suo sguardo “Soprattutto a Brittany”
“Ho sbagliato tutto” commentò, abbassando lo sguardo “Ho sbagliato. E lei ha sofferto per colpa mia” continuò, ripuntando lo sguardo nel mio “Mi devo fare da parte ora, Quinn”
“Voi vi amate, San” provai, ancora, per l’ennesima volta in quei giorni “Combatti per lei”
“Lo sto già facendo” disse, chiudendo con forza l’armadietto “Combatto contro me stessa. Contro il desiderio di parlare con lei. Di stringerla a me. Lo faccio per il suo bene”
“Credi non abbia sofferto comunque? Come fai a sapere qual è il suo bene, eh?”
“Lo so, invece. Lo so, perché di certo non sono io.”

Non provai nemmeno a ribattere.
Non sarebbe servito a niente comunque.
Mi limitai a scuotere la testa, allontanandomi verso l’aula.
Era troppo testarda.
E ormai aveva preso la sua decisione.
Feci un paio di passi, quando qualcosa attirò la mia attenzione.

“Tu!”

Mi voltai appena in tempo, per vedere Jennifer dare una spinta a Santana, facendola sbattere contro gli armadietti.
Non era nemmeno troppo forte.
Una cosa da nulla, alla fin fine.
Se non fosse stato per tutti i lividi che la mia amica aveva ancora su tutto il corpo.
Non a caso, dopo l’impatto, la vidi stringere gli occhi, sibilando di dolore, quasi cadendo a terra.
E per un momento.
Uno solo.
Avrei voluto far fuori Jen, con un lanciarazzi puntato dritto alla sua testa.

“Che cazzo credi di fare?!” sbottai, avvicinandomi.
“Quinn!” mi richiamò Rachel, poco distante, senza che però le dessi retta.

Mi limitai ad afferrare il colletto della maglia Jennifer, facendola impattare a mia volta con la schiena contro gli armadietti.
Solo più forte di quanto lei avesse fatto prima.
E Dio solo sa quanto avrei voluto lo fosse un milione di volte in più.

“Lasciami, Quinn! Non è che non te che ce l’ho!” cercò di dimenarsi, inutilmente. “Ma con lei” indicò, arrabbiata, con un cenno della testa Santana “Non è un tuo problema”
“E’ un mio problema se le metti le mani addosso!” sbottai, stringendo la presa.
“Ha ragione Jen, Quinn!” fece, Rachel facendosi più vicina “Ti rendi conto di cosa ha fatto Santana a Brittany?!”

La guardai stralunata per un momento.

“E’ un buon motivo per farle male?” chiesi, piano, indispettita fino all’inverosimile “Proprio tu dici che ha ragione?”
“L’ha tradita!” sbottò, guardandomi male “E diceva di amarla, l’ha illusa. E’ una persona orribile” fece, seria.
“E’ una persona mille volte migliore di questa qui” ribattei, indicando con la testa Jennifer  “E non posso credere che tu le stia dando ragione”
“Non posso credere che tu stia dalla parte di una traditrice, semmai”
“Meglio una che non aspetta nemmeno una settimana per provarci con l’ex, provvedendo a ‘consolarla’, dici? Nobile devo dire” commentai, arrabbiata “E nobile anche Brittany, soprattutto. Non ci ha messo molto a trovarsi il ripiego”
“Ehi!” mi diede una spinta Jennifer, per quanto le fosse possibile.
"Silenzio tu!"
“Quinn” mi richiamò piano Santana “Ora basta.”

Mi voltai subito verso di lei.
Perché riconobbi il tono di voce.
Tremendamente sofferente, come poche volte l’avevo sentito.

“Andiamo” mi disse, con un cenno del capo.

La guardai per un secondo.
I pugni stretti lungo i fianchi.
Gli occhi vuoti e stanchi.
L'espressione indecifrabile.
Decisi di fare come mi aveva detto.
Ma nell’esatto momento, in cui lasciai la presa sulla sua maglia, sentimmo, tutte e quattro una voce alle nostre spalle.

“Che sta succedendo?”

Ci voltammo nello stesso istante, tutte, verso Brittany.
Era confusa e agitata.
Osservava la scena, cercando chiaramente di capirci qualcosa.
Ma evitando, allo stesso tempo, lo sguardo di Santana.
Lei, che, avevo avvertito, dal modo in cui si era riappoggiata agli armadietti, stava faticando parecchio per tenersi in piedi.

“Ho detto a Jennifer quello che ha fatto Santana” disse, seria, Rachel.
“Perchè diavolo l’hai fatto?” le chiese, arrabbiata.
“Piuttosto non capisco perché non hai voluto farlo tu!” si intromise l’altra, scansandomi con la mano.
“Perché sei un’idiota, ecco perché” risposi io, per la bionda “La tua ragazza perfetta” iniziai, rivolta verso Brittany “Ha spintonato Santana contro gli armadietti”

Sbiancò.
Esattamente come sospettavo.
Sapeva benissimo delle condizioni di Santana e quanto male le potesse fare una cosa del genere.
Spostò lo sguardo su di lei, un istante.
Preoccupatissima.
Ma troppo orgogliosa, arrabbiata e ferita per chiederle come stesse.
Il contatto visivo durò pochissimo.
Ma, avrei detto, abbastanza per far soffrire entrambe.
Non a caso la sua attenzione si spostò di nuovo su di me.

L’amava ancora.
Nonostante quello che aveva fatto Santana.
L’amore resta, anche quando c’è l’odio di mezzo.

“Non si è fatta niente!” sbottò Jen, frustrata “Non era nemmeno una vera spinta!”
“Vuoi proprio farti picchiare oggi, allora” sibilai, guardandola in cagnesco.
“Non avevi il diritto di farlo” si intromise, ora, Brittany rivolta verso di lei. “Hai sbagliato.”
“Stai sul serio dando ragione a Santana?” chiese, incredula, Rachel.
“Non sto dando ragione a nessuno. Ha sbagliato ad usare la violenza, tutto qui.” Fece, seria.

Ci fu qualche secondo di silenzio.
Rachel continuava a guardarmi male.
E per quanto l’amassi, davvero non sopportavo desse ragione a Jennifer.
Per niente.
Capivo la sua rabbia.
Brittany era la sua migliore amica.
Ma Santana era la mia famiglia.

“Quinn” mi richiamò ancora l’ispanica, rompendo il silenzio “Andiamo, ora.”




 
“Eccola qui” annunciai, entrando nel bagno del secondo piano, facendomi vedere da Santana.

Aveva voluto che andassi a chiamare Jennifer.
Era una brava ragazza in fondo, lo sapevo.
Ma, quella mattina proprio non riuscivo a tollerare la sua presenza.

“Cosa c’è?” chiese questa, confusa.
“Devo parlarti” ripose semplicemente Santana “In realtà devo chiederti solo una cosa”
“Bene."
fece, appoggiandosi su un lavandino. "Ti ascolto”

Rimasero a fissarsi per un po’.
Come a studiarsi in religioso silenzio.

“Ho bisogno che tu ti prenda cura di lei.” Annunciò l’ispanica, mentre io chiudevo con forza gli occhi.

Era finita.
Si era arresa.
Definitivamente.
E né io né nessun altro avrebbe potuto farle cambiare idea.

“C’è anche bisogno di dirlo?!” sbottò Jennifer, facendo due passi verso di lei arrabbiata “Proprio tu vieni a dirlo a me?”

Un altro passo.
Uno solo.
E l’avrei lanciata dalla finestra.
Dio, l’avrei fatta sfracellare contro il vetro e poi giù nel cortile.
Con tanto di cartella.

Probabilmente Santana lesse i miei pensieri, perché prima di continuare mi rivolse uno sguardo.
‘Non preoccuparti’.
O ‘Non fare cazzate’.
Non sono certa.
Una delle due era sicuro.

“Io ho sbagliato” sospirò Santana “Ho bisogno di sapere che tu non farai lo stesso. Ho bisogno di sapere che le starai vicino”
“Non la tradirei mai io” puntualizzò “Non le farei mai del male. Non la lascerò da sola”
“Bene. E’ tutto quello che volevo sapere”
“Quindi non combatterai nemmeno per il suo perdono?" chiese, incredula "L’hai lasciata senza nemmeno preoccuparti di come stia?”
“Starà sicuramente meglio senza di me” rispose, seria “E per quanto odi immaginare un’altra persona accanto a lei, mi rendo conto che tu sei la miglior scelta”

Jennifer la guardò stupita e confusa.
Probabilmente non si aspettava una dichiarazione del genere dalla persona, che aveva fatto soffrire tanto Brittany.
Già.
Peccato fosse la stessa, che avrebbe fatto di tutto per lei.

“Lo sono” concordò “Io la amo”
“Sì. L’ho sempre saputo” sospirò, staccando lo sguardo da lei.
“E tu?”
“Io cosa?” chiese Santana, non capendo.
“L’hai mai amata?”

Proprio in quel momento suonò la campanella, per il cambio dell’ora.
La mia amica si limitò ad un sorriso amaro.
Era tutto racchiuso in esso.
Ma l’altra non capì.

“Va’ a lezione, Jen. Ci si vede in giro” fece, avvicinandosi alla finestra, dandole le spalle.
“Come sospettavo…” commentò, scuotendo la testa “Me ne vado”

La osservai uscire dalla porta, per poi riportare l’attenzione su Santana.
Era ancora lì.
Non si era mossa, continuando a darmi le spalle.

“Smettila di guardarmi così” fece, senza nemmeno girarsi.
“Non ti sto guardando in nessun modo” ribattei, con un sopracciglio alzato, quando finalmente si voltò verso di me.
“Sì, invece. In quel modo” mi indicò, scivolando lungo la parete con la schiena, per sedersi a terra. “Lasciami fare a modo mio per una volta, Quinn”
“Va bene” acconsentii, alzando le mani “Però non ti capisco, San” feci, seria “Cioè, ti capisco… ma non ti capisco”
“Certe volte non mi capisco nemmeno io” rise, amara “Ma questa non è una di quelle volte”
"Hai sul serio intenzione di lasciarla a lei?!" sbottai, incredula.
"Preferisco lei, piuttosto che nessuno oltre Rachel. Ha bisogno di qualcuno che le stia accanto e io non posso."
“Mi stai dicendo che non intendi fare niente per riprendertela?”
“No. Lei ora mi odia e va bene così” sospirò, stanca “Mi odia ed è giusto che sia così”
“Lei ti ama ancora” precisai, convinta.
“Forse”
“Tu la ami ancora” aggiunsi, cocciuta.
“Non importa.”
“E’ l’unica cosa che conta, invece, San.” Ribattei, piano “L’unica”
“Non in questo caso.”

Era rassegnata.
Sconfitta.
Avrei voluto fare qualcosa per lei.
Qualsiasi cosa.
Ma non potevo. Nessuno poteva, se non lei.

“Va’ a far pace con la Berry, Fabray” aggiunse, poi, dal nulla. “Io ho bisogno di fumare e tu hai bisogno di parlare con la nanetta. Gli sguardi che ti ha rivolto prima non erano esattamente amorevoli.”
“Non cambiare argomento, San” la ripresi, seppur conscia di dover parlare con Rachel.
“Non lo sto cambiando. Tu che hai ancora una relazione, portala avanti. E se devi darmi torto per far pace, dammi torto, chiaro?” fece, prendendo il pacchetto di sigarette.
“Tu non hai torto” ribattei, arrabbiata.
“Ho torto marcio, invece.” Sorrise, triste “Valle a parlare, su”

Sospirai, rassegnata.
Tanto non sarebbe servito a nulla comunque restare.
Mi avviai verso la porta.
Ma mi bloccai, ricordandomi di una cosa.

“San?” la richiamai, mentre lei ripuntava lo sguardo sul mio.
“Mh?”
“Perché proprio quelle foto?” chiesi, confusa e curiosa allo stesso tempo.
“Davvero non l’hai capito?” fece, piegando la testa di lato.
“Proprio no.”
“Beh…" sospirò, cercando le parole "proprio quelle perché erano le uniche che potessero andare bene.” Rispose, sollevando le spalle.
“Che intendi?”
“Se ci pensi, ci arrivi, Fabray” mi sorrise, facendo un tiro.

Perchè proprio quelle?
Niente.
Non ci arrivavo, ancora.
Ci avrei pensato meglio dopo.

Aprii la porta del bagno per uscire, quando sentii ancora la sua voce.

“Grazie, Quinn” disse, solo.
“Per cosa?” chiesi, girandomi leggermente, con ancora la porta semiaperta.

Si limitò a sollevare le spalle.
Troppo orgogliosa per parlare.
E io troppo orgogliosa per dirle che non c’era nemmeno bisogno che lo dicesse.
Non a me.

“Sei un’idiota” risposi, linciandola con lo sguardo.
“Lo so” mi sorrise, soddisfatta. “Ma un giorno riuscirai a gratificarmi con un semplice ‘prego’?” chiese, divertita.
“Mai.” Feci, subito, nascondendo un sorriso “Rimbambita che non sei altro”




 
Non mi ci volle molto per trovarla.
Non era in aula.
Non era in auditorium.
Rimaneva solo l’aula canto.

Entrai piano, osservandola seduta su una delle sedie, dando uno sguardo agli spartiti.
Mi aveva sentito.
Lo notai dal suo leggero irrigidimento.
Così mi avvicinai, sedendomisi accanto.

La stanza rimase avvolta nel silenzio per qualche minuto.
Lei continuava a fingere di non avermi visto.
E io continuavo a fingere di non averlo notato.

“Sarò sempre dalla sua parte” dissi, facendole alzare lentamente la testa “Lo sarò, anche quando combinerà l’ennesima cazzata dell’anno”
“Ah. Questo significa che non sarai mai dalla mia?” chiese, guardandomi dritto negli occhi.
“Rach, io ti amo” mi sentii di puntualizzare “Con ogni singola fibra del mio essere, io ti amo” chiarii “Ma qui non si tratta di te e Santana.”
“No, si tratta di Brittany” fece, seria “Brittany, che è stata presa in giro, tradita dalla persona che ama. Lei è la mia migliore amica, Quinn. Non si tratta anche di me?”
“Vuoi che ti racconti una storia?” le chiesi, invece.
“Adesso?” mi guardò, stralunata, facendomi sorridere.
“Non te l’ho mai raccontata” sollevai le sopracciglia, con fare allusivo.

Rachel era una delle persone più curiose che conoscessi.
Anzi, forse la più curiosa in assoluto.
E sapevo di aver ottenuto subito la sua attenzione.

“Tu sai che io rimasi incinta un anno e mezzo fa, più o meno” iniziai, mentre lei ruotava col busto per osservarmi meglio “Ma non ti ho mai raccontato tutta la storia”

Rimase in silenzio, corrugando leggermente le sopracciglia.
Implicitamente, esortandomi a parlare.

“Quando lo scoprii, lo tenni nascosto. Non dissi niente alla mia famiglia, niente a Puck, che era il vero padre. Solo a Finn e scommetto ricordi tutto il casino che successe in seguito, quando si scoprì la verità”
“Fin troppo bene” sorrise, sfiorandomi la mano con la sua, per poi ritirarla.
“Quello che non sai è che fui cacciata di casa” dissi, vedendola trattenere il respiro “Ricordo ancora come mio padre salì al piano superiore di casa. Non disse una parola. Si limitò ad afferrare la prima valigia che trovò, buttandovi dentro tutti i miei vestiti. Mia madre rimase semplicemente nel salotto. Ferma, immobile e piangente.”

Ripensare a quel momento era sempre una pugnalata al cuore.
Si è convinti che la propria famiglia non possa mai, mai, abbandonarti.
Credi che la famiglia sia quella che rimane. Sempre e comunque.
Ed è vero, in realtà.
Ma solo considerando che, certe volte ‘famiglia’ non è necessariamente chi ha il tuo stesso sangue nelle vene.
E lo capii allora.

“Andai da Finn” continuai, abbassando lo sguardo “Poi da Puck, dopo che si seppe la verità. E poi, beh, rimasi senza un tetto sopra la testa, perché avrei preferito morire, piuttosto che passare un altro secondo in quella casa.”
“Fu Santana ad aiutarti?” chiese, curiosa.
“Già. Ma devi sapere una cosa. Una cosa, che quasi nessuno sa.” Iniziai, ancora “L-lei, ecco… la situazione era piuttosto complicata a casa sua, per farla breve” provai “Suo padre se ne andò di casa, in seguito a problemi finanziari, lasciando Santana sola con sua madre. Il problema è che le lasciò anche senza soldi. Così circa un anno e mezzo fa, lei iniziò a lavorare la sera, per portare avanti la casa”
“Dici sul serio?” fece, sgranando gli occhi.
“Sì. Sul serio” sorrisi, triste “Ma non me lo disse, allora. Ricordo ancora come si presentò a casa di Puck, afferrando tutte le mie valigie, rivolgendomi un semplice ‘Muovi il culo, Fabray’”
“Decisamente da Santana” borbottò, contrariata.
“Direi proprio di sì” ridacchiai, divertita.
“Mi portò a casa sua e mi tenne nascosto tutto. Tutta la sua situazione. Tutto il suo dolore. La sera, puntualmente, mi diceva che andava a caccia di sesso, facendo qualche battuta sull’argomento e lasciandomi con un gran sorriso sulle labbra. Tutte bugie” sorrisi, scuotendo la testa al ricordo.
“Ma, invece che andare in qualche bar a divertirsi, si procurava i soldi per sé, sua madre, per me e il bambino. Io non avevo denaro, niente di niente. Mi aiutò in tutto. A cercare dei genitori adottivi. A comprarmi vestiti più larghi. A sollevarmi il morare quando mi venivano delle vere e proprie crisi isteriche depressive. Fu ogni istante vicino a me in ospedale, al momento del parto. Non si tirò indietro. Mai. Non l’ha mai fatto.”
“I-io non lo sapevo..”
“Non potevi saperlo” le carezzai la guancia “Mi disse la verità solo alla fine di tutto. Solo quando mia madre mi riprese con sé. Solo quando fui abbastanza stabile da riuscire ad ascoltare tutto”

Rachel scostò lo sguardo, probabilmente riflettendo sulle parole.
Gli occhi leggermente lucidi.
A vederla dall’esterno Santana poteva pure sembrare una poco di buono.
Ma aveva un cuore immenso.

“Lei è la mia famiglia, Rach” dissi, riottenendo la sua attenzione “Una vera famiglia non ti abbandona mai, nonostante tutte le sventure e i problemi che possano capitare. Nonostante le liti, le urla, si è sempre pronti a coprirsi le spalle a vicenda. Io sarò sempre lì per lei, come lei ci sarà sempre per me. E’ mia sorella” sorrisi, sollevando le spalle.
“E’ per questo che l’hai difesa a spada tratta, oggi” commentò, capendo.
“Lei è una brava persona. Molto più di quanto voglia dare a vedere. Ha sbagliato, Rach. Le persone sbagliano, ma non per questo devono essere abbandonate” feci, afferrandole una mano “E lo so che tu stavi difendendo la tua migliore amica, stamattina. Lo so che sei dalla sua parte in questa storia.”
“Già..io-”
“Ma non devi dimenticare mai che io ti amo. E tu mi ami” misi in chiaro “Lei è la mia famiglia. Tu sei l’amore della mia vita, ok? Non dimenticarl-“

Non riuscii nemmeno a finire la frase che mi ritrovai le sue labbra sulle mie.
Ma, in quel momento, come ogni volta, nient'altro aveva importanza.






Tetraedro dell'Autrice

Sì, ci sono.
Lo so, fa schifo.
Ma il tempo manca e andavo di fretta e avrò fatto un casino! ma ve lo tenete così!
Volevo lasciarvi con quest'ultimo capitolo perchè seguirà un periodo di stop, causa studio! Non ho la più pallida idea di quando arriverà il prossimo, forse intorno al 18, spero! Non odiatemi... ancora di più! *zanzàn*

Grazie mille as usual! *-*
a presto, bella gente! :DD


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Capitolo 28
*** Non pensare, balla ***


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Passarono altre due settimane, abbastanza velocemente, anche.
Le mie giornate vennero completamente risucchiate dalla danza.
Ormai mancava poco al provino e non facevo altro che allenarmi.
Con Jennifer, certo.
Ma anche da sola.
Soprattutto da sola.

La sua presenza mi faceva star bene, indubbiamente.
Ma ero… confusa.
Combattuta.
Dovevo ancora inquadrare bene il problema, che sentivo ci fosse alla base.
Non che sentissi di dovere qualcosa a Santana… credo.
Cioè, forse.
Non lo sapevo, avvertivo solo ci fosse qualcosa di sbagliato.
Tremendamente sbagliato.

Il punto, però, è che avevo adottato una tecnica piuttosto interessante, in quel periodo.
Dopo la quasi zuffa fra Jennifer e Quinn, dopo le parole di Rachel, dopo lo sguardo che mi scambiai con Santana e dopo tutto il dolore che ne scaturì, presi una decisione.
Non pensare, solo ballare.
Insomma, mi tenevo il più lontano possibile dai miei pensieri, convincendomi che andasse tutto bene.
Ed era utile.

Avverti una strana sensazione di disagio quando Jennifer cerca di andare oltre il bacio? Squagliatela e balla!
Senti il tuo cuore lacerarsi quando incroci casualmente Santana nei corridoi? Ignora il dolore e balla!
Rachel è improvvisamente diventata più tollerante nei confronti della tua ormai ex-ragazza? Fai finta di niente e balla!
La mattina ti svegli con un senso di oppressione, che preme sulla tua cassa toracica? Balla!
Tua sorella cerca di infilarti una cannuccia su per il naso? Ball-
Aspetta.

“MaryG!” sbraitai, scattando in piedi, iniziando a strofinarmi con la mano il naso, mentre lei se la rideva di gusto, con la cannuccia ancora in mano. “Che diavolo combini?!”
“Oh, eri così concentrata!” ridacchiò, riprendendo a mangiare cereali “E’ stato più forte di me!”
“Sei un’idiota” sibilai, risedendomi sulla sedia per finire la brioche, con cui stavo facendo colazione.
“Un’idiota divertente, però!” mi corresse, sorridente “Piuttosto, a che pensavi?” chiese, curiosa.
“Ti dirò…” feci, concentrata “pensavo al non pensare.”

Si limitò a corrugare le sopracciglia, portandosi due dita al mento, pensierosa.
Sbatté un paio di volte le ciglia, prima di parlare.

“Poi dicono che sono io la pazza qui.”
“Perché tu lo sei” chiarii, disinteressata “Io sono solo diversamente sana”
“Eh, certo, credici!” sbottò, ironica.
“Mà!” richiamai mia madre, appena entrata in cucina “Gollum dice che sono pazza!” mi lamentai, lanciando uno sguardo di sfida a mia sorella.
“Perché è vero, tesoro” mise in chiaro, sorridendo tranquilla.
“Ma che-“
“Eh… i geni di tuo padre, che posso dirti” sollevò le spalle, allontanandosi di nuovo.

Promemoria.
Promemoria per me: mai cercare un qualsivoglia tipo di aiuto dalla mia genitrice.

“Te l’avevo detto” ridacchiò soddisfatta MaryG, afferrando la cartella ai piedi della tavola “E dopo questo momento di crudele e necessaria verità, io me ne vado” annunciò, avviandosi verso la porta.
“Seh, seh. Cert- OH, Gollum!” la bloccai, ricordandomi di una cosa.
“Dimmi, Consuela” si voltò annoiata.
“Senti..” iniziai avvicinandomi di più “Stasera viene Jennifer a casa” feci, abbassando il tono di voce.
“Mamma e papà non ci sono” riflettè lei, pensierosa.
“Già…” sollevai le sopracciglia allusivamente.
“Mh… Mi stai finemente esortando a rimanere fuori casa per non interferire con le tue attivit-
“NO!” la fermai, urlando.

Socchiuse gli occhi sospettosa, osservandomi.

“Cioè..” mi ricomposi, con un paio di colpi di tosse “Gradirei la tua presenza  a casa” aggiunsi, osservando il nulla attorno a me.

Ti prego, non fare domande.
Non fare domande.
Per l’amor del cielo, non fare domand-

“20 dollari!”
“Scusa?” mi voltai, allibita.
“20 dollari.” ribadì, tranquilla “Dovevo uscire con Mike stasera” spiegò, con una sollevata di spalle.
“Fallo venire qui, no?!”
“Quello è base, ovviamente” fece, con un sorriso maligno “Ma mi costringi a stare chiusa in quattro mura, devi pagarmi i danni psicologici.”
“Sei un’idiota” sollevai gli occhi al cielo.
“Sono una donna d’affari, Giasmina.” Mi corresse, puntigliosa. “Ad ogni modo, 20 dollari e stiamo pace.” ribadì, mettendosi la cartella su una spalla.
“Mmh.” Borbottai, sapendo di non avere alternative.
“Ma io mi stabilisco al piano di sotto. Tu puoi pure monopolizzare quello di sopra e-“
“NO!” la interruppi di nuovo, sbarrando gli occhi.
“Tu devi curarti” mi guardò stralunata “Quale diavolo è il problema ora?!”
“Ahm..” provai a prendere tempo.
“Allora?”
“Ecco…” tanto valeva confessare “Non vorrei rimanere troppo da sola con lei, tutto qui” feci, grattandomi la nuca.
“Okay” fece, passandosi stancamente una mano sulla faccia “Vuoi spiegarmi?”
“Na, io non spiego e non penso” feci, seria “Faccio e basta.” Chiarii “Anzi.. in questo caso non faccio, in realtà.”
“Ma sbaglio o siete tornate insieme?” chiese, non capendo.
“Questa domanda richiede una riflessione profonda, mio caro flagello dell’umanità… e come ti ho già detto io non pens-“
“Ma devi!”
“Oh, no. Non devo” ribattei, convinta.  “Senti MG, è complicato.”
“Io credo, invece, che sia tu a rendere tutto complicato” fece, seria. “Non c’è niente di complicato nel non voler stare troppo tempo da sola con una persona, la spiegazione è molto semplice.” Chiarì “Ed è ovviamente che-“
“SSSSHHHH! Silenzio!”
“Va bene!” sbottò, avviandosi a passo di marcia verso la porta di casa “Stasera te la vedi da sola!”
“No, no, no, MG, vieni qui!”
“Mai!”
“MaryG, per favore!” la afferrai, disperata, per il braccio, facendola fermare “Dai, non essere Marygraziosa…”
“Eh?” si voltò, confusa.
“Sì, beh.. cercavo un aggettivo che si confacesse ai tuoi atteggiamenti… e, niente, questo mi era sembrato il più adatto” sollevai le spalle, lasciandola allibita “Ma non è questo il punto, aiutami!”
“No!”
“Ti prego! Ti do 20 dollari, aiutami!”
“No!”
“Eddai!”
“Sei ancora innamorata di Santana, Britt!” fece, zittendomi all’istante “Smetti di non far niente al riguardo e pensa! Tu devi pensare. Fa’ qualcosa!”
“E che dovrei fare?” sbottai, in una risata amara.
“Riprenditela!” esclamò, ovvia.

Quello non era possibile.
Non più.

“Non posso” abbassai lo sguardo, sospirando.
“Non voglio, intendevi forse”
“No, MG” ripuntai lo sguardo nel suo “La cosa orribile e frustrante è che vorrei. E mi picchierei per questo.” Chiarii “Ma non posso.”
“Perché?” chiese, non riuscendo a capire.
“Perché è tutto finito.”
“Onestamente non credo sia tutto finito, se sei qui a parlarmi come se ti stessero pugnalando al cuore, Britt” fece, seria “Perché ti ostini a stare con Jennifer?”
“Lei mi fa star bene” risposi, subito, sicura.
“Ma non è lei che vuoi, sbaglio? Lei ti ama, ma tu non ami lei, non è così?”
“MG, basta con queste domande” la interruppi, seria “Non voglio pensarci, ok?!”
“Dovresti!” ribattè, convinta.
“Ma non voglio!” tagliai corto, indispettita, uscendo di casa “Senti, fa’ come vuoi stasera. Ci vediamo.”




 
“Dove stai andando?” mi si affiancò Rachel, nel corridoio della scuola.

Quella mattina avevo seguito le lezioni come mai nella vita.
Attentissima ad ogni parola.
Appunti a gogo.
Avevo persino scritto della digressione che il prof di fisica aveva fatto sulle gare di moto GP, di cui evidentemente era un fan sfegatato.
Il tutto, per evitare di pensare.
Per tenermi occupata, finché non fossi riuscita a recarmi nella palestra della scuola.

“Ballare” risposi semplicemente, affrettando il passo.
“M-ma, tra un’ora abbiamo il glee!”
“Ho uno spasmodico bisogno di distrarmi, Rach. Se faccio a tempo vi raggiungo” feci, aprendo la porta che dava sul cortile.
“M-ma… io credo che-“
“Rach” la bloccai, fermandomi “Abbi pietà” feci, riprendendo subito dopo a camminare.
“Io lo capisco, Britt, c’è il provino e-“
“E un sacco di casini per la testa” aggiunsi, grave.
“Hai visto Santana?” chiese, poi, facendomi fermare per la seconda volta.

E no, eh!
Pure Rachel no!
Avevano tutti dimenticato la regola del ‘Non nominare l’Innominabile nei paraggi di Brittany’?!
Era una legge.
Come quella del ‘Non parlare a qualcuno in treno, mentre sta palesemente cercando di ignorarti con la musica nelle orecchie’.
Oppure, ‘Non dire ad una persona che le dovrai raccontare una cosa, più tardi’.
Un giorno, comunque, mi dovranno spiegare cosa cacchio cambia se mi racconti un fatto un’ora dopo.
Ad ogni modo, le leggi andavano rispettate, maledizione.

“No!” sbottai, allucinata “Ti pare?!”
“Va bene, va bene, sta’ calma” alzò le mani, preoccupata.
“Aspetta… Perché avrei dovuto?” domandai, leggermente allarmata. “Sta male?”
“No, no!” rispose subito “Ma-“
“Perfetto, era tutto quello che volevo sentire!” la interruppi sorridente “Ci vediamo dopo, eh, Rach?” feci allontanandomi.

Meno pensare, più ballare!

“Ma, Britt-“
“A dopo!”




 
Un’ora e mezza dopo, avendo saltato il Glee, ero allegramente distrutta.
Allegramente perché come ogni volta, avevo dimenticato tutto il resto.
Tutte le preoccupazioni, l’angoscia, il dolore.
Riuscivo a limitarli in una piccola e remota parte di me.
E, Dio, se mi aiutava.
Un po’ così, un po’ con del sano autoconvincimento, mi dicevo che andava tutto bene.

Era… come quando studi qualche materia, che odi dal più profondo del cuore.
Come la fisica.
Sai che devi studiarla, e allora cerchi di farti fessa da sola.
‘Oh! Ma guarda, quest’argomento è davvero interessante!’
‘Uuh… il moto parabolico! Carino…’
E ci riesci, alla bene e meglio, eh!
Il problema sorge quanto vai troppo avanti così.
Arrivi, insomma, a fluidi, elettricità e magnetismo e l’unica cosa che vuoi fare è lanciare il libro dalla finestra.
Se ti va bene.
Solitamente, infatti, vuoi lanciare proprio te stesso dal terzo piano della casa.

Il sunto è che speravo non sarebbe mai arrivato, metaforicamente parlando, il momento di elettricità e magnetismo.
Perché già così, mi ci voleva poco per sbroccare.
La danza, il non pensare, il dirsi che andava tutto bene aiutavano.
Ma fino a un certo punto.

Mi passai stancamente una mano per i capelli, afferrando la bottiglina d’acqua lì vicino.
Ma mi interruppi nel movimento di portarla alle labbra, sentendo la porta della palestra aprirsi.
Perfetto.
Davvero fantastico.
Ero appena arrivata ai fluidi.

“Oh.” Disse solo Santana, sbarrando gli occhi nel vedermi al centro della palestra.

L’Universo ce l’aveva con me quel giorno.
Non c’era altra spiegazione.
Tra l’altro la mia espressione non doveva essere delle più tranquille e intelligenti possibili.
La bottiglina, tanto per cominciare, era ancora sospesa a mezz’aria.

Non ci eravamo incrociate nemmeno una volta, in quelle due settimane.
Mai.
E quando capitava, una delle due faceva immediatamente dietrofront, allontanandosi il prima possibile.
Quindi, no.
Non ero per niente preparata ad un suo incontro.
Mh.
Forse era questo che aveva cercato di dirmi Rachel.
Scaltrezza di ragazza, non poteva semplicemente dire ‘Tieniti lontana dalla palestra, se non vuoi incontrare l’Innominabile’?!

“C-credevo che tu fossi al glee” fece, grattandosi la nuca, evidentemente in difficoltà.

Dopo aver rispolverato mentalmente le regole dell’inspirazione ed espirazione, che il mio cervello sembrava aver momentaneamente dimenticato, feci caso a un paio di cose.
Prima di tutto un taglio sul labbro.
Sapevo fossero ricominciati da ormai una settimana i tornei, ma non mi aspettavo di vederne i segni così presto.
Seconda cosa, un secchio con un mocho, che si stava portando dietro.
Che diavolo ci faceva con un secchio e un mocho nella palestra della scuola?!

“Dovevo andarci” dissi, faticando a reprimere il tremolio della voce, apparendo gelida “Ma sono rimasta qui ad esercitarmi”
“Ah.”

I suoi occhi erano spenti.
E stanchi.
Mi ricordavano tanto, troppo, i vecchi tempi.
Quando ancora non sapevo chi fosse.
Quando ancora non mi ero innamorata di lei.

“Se vuoi io posso andarmene o-“
“No, no.” La interruppi, ricomponendomi leggermente “Me ne stavo giusto andando”
“Se devi ancora esercitarti io posso… ahm, la palestra è grande, posso iniziare da lì” fece, indicando il posto più lontano possibile da me.

Mi limitai a sorriderle amara.

“Non è grande abbastanza” ribattei, sicura, iniziando a prendere le mie cose.
“Già” concordò, trascinando il secchio più avanti, riottenendo la mia attenzione e curiosità.
“Che ci fai con mocho e secchio qui, comunque?”
“Punizione” sollevò le spalle, stringendo, però, la mascella.
Dettaglio che non mi sfuggì.
“Per cosa?” chiesi, ancora, confusa.
“Il preside è un idiota, lo sai”

‘Non è l’unico’ avrei voluto rispondere.
Ma no, non lo feci.
Dio, odiavo questo mio essere così.
Da un lato, avrei voluto ucciderla con una mazza chiodata.
Dall’altra, non riuscivo ad essere cattiva con lei.
Non ci riuscivo e basta.
E nonostante sapessi per certo che non aveva voluto dirmi il motivo di proposito, tenni la mia rabbia per me.

“Già” mi limitai, quindi, a dire, avviandomi verso la porta.
“Britt” mi richiamò, prima che uscissi.
“Dimmi”
“Ecco..” iniziò, passandosi la mano per i capelli “So che… insomma, non sono certo la persona con cui vorresti parlare e-“
“Infatti.” Concordai, gelida.
“Sì, beh..” deglutì, in difficoltà, stringendo la presa sull’asse di legno del mocho “Volevo solo… insomma, ho sentito del provino” fece, guardandomi intensamente “Congratulazioni”

La osservai per un secondo.
E combattei, per quel brevissimo intervallo di tempo, contro me stessa.
Dio, sarei andata lì ad abbracciarla.
A dirle che mi mancava come l’aria.
A stringerla a me come se niente fosse mai accaduto.
Come fossimo state ancora insieme.
Come fossimo state ancora Brittany e Santana.
E non due nomi separati da un punto.

“Non sono ancora entrata all'università” ribattei dura, prendendomi mentalmente a pugni per i pensieri che avevo fatto.
“Lo so” rispose, ignorando il mio tono infastidito “Ma se ballerai come ti ho visto ballare…” iniziò, sorridendo beata, forse inconsciamente “Allora sappiamo tutti come andrà a finire.”
“Mi sto esercitando” commentai, cercando di mascherare lo scossone che lei aveva provocato in me.
“Non ne hai bisogno” fece, convinta, scostando lo sguardo, come a riflettere.

E lì, notai come i suoi occhi si illuminarono.
Erano di nuovo limpidi, come nei mesi passati.
Sinceri.
Liberi.

“Ho sempre amato il momento iniziale” commentò, ripuntando nel mio quello sguardo, che stava per provocarmi un crollo emotivo. “Quando arrivavi in palestra” spiegò, con un piccolo sorriso “Eri sempre così piena di energie e allegra. Carica ed entusiasta come non mai… E iniziavi a ballare” il suo sorriso si allargò, di riflesso, mentre i miei occhi si inumidivano “Ballavi così… intensamente, così felice e spensierata e, Dio, si vedeva quanto amassi quello che stavi facendo.”
“Se permetti all’esaminatore di vedere quello, allora nessuno può competere. Nessuno, Britt. Persino un idiota non si farebbe scappare un talento come il tuo.”

Mi guardò un ultimo momento, prima di voltarsi, per iniziare a pulire la palestra.
Ormai vedevo appannato, per tutte le lacrime trattenute.
La gola chiusa in una morsa.
Ma volevo parlare.

“M-mi dicesti di ballare per te” commentai, con voce incrinata, facendola bloccare. “E-e io lo facevo. Ballavo, perché ti amavo.”

Seguì un lungo e profondo momento di silenzio.
Si voltò, infine, verso di me, permettendomi di vedere i suoi occhi lucidi.

“Tu ami ballare, Britt?” chiese, solo.

‘Amo di più te’ avrei risposto, guadagnandomi un’altra dose di schiaffi mentali.

“Sì.”
“E allora balla per te.” Disse, anche lei con voce tremante, nonostante, sapevo per certo, non avrebbe mai voluto darlo a vedere “Balla per te stessa, perché lo meriti. Perché sei la persona migliore che abbia mai incontrato e andrai lontano, Britt. Non farlo, per chi non ti merita.”
“Già” commentai, pulendomi con il dorso della mano le lacrime sfuggite al mio controllo.

Dovevo uscire di lì.
Al più presto.
Mi limitai a lanciarle un’ultima occhiata, prima di voltarmi, per uscire.

"Sarai fantastica." aggiunse, infine.

Questa volta non mi girai a guardarla.
Non potevo permettere che vedesse i segni del crollo delle mura, che avevo eretto attorno a me.
Mura di cartapesta, crollate dinanzi le sue parole.
Distrutte dall'amore che, era certo, ancora provavo per lei.

"Ciao, Santana."






Tetraedro dell'Autrice

E' un bel casino? Sì, è un bel casino!


Scusate se sto facendo passare molto tempo fra un capitolo e l'altro, ma il periodo è oscuro... pieno di insidie e tranelli, di morte e distruzione... è periodo di esami D:
Scherzi a parte (no, in realtà non stavo affatto scherzando), dovete perdonarmi, anche perchè ho notato... rileggendo anche i primi capitoli della ff, che... porca paletta, quando sono sotto esame connetto poco!
Tant'è che molti non mi piacciono.
Perchè vi sto dicendo questo? Semplicemente perchè non voglio inguacchiare (/fare danni) giusto gli 'ultimi' capitoli di ELF!
Li programmo davvero da troppo!
Quindi, se controllo, facciamo 10 normalmente, ora dovrei controllare 1000 per stare quieta!

Apologia di un'autrice a parte, non ho nient'altro da dirvi, se non: confidate... abbastanza.

Come sempre, grazie davvero, davvero a tutti!! *-*
A presto (spero in tempi non troppo lunghi), bella gente! :DD

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Capitolo 29
*** Dimmi che mi ami ***


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‘Oggi mi sono svegliata con la luna storta.’
Frase interessante.
Quella mattina ne sapevo qualcosa.

Ero sempre stata convinta che, se una persona si sveglia di cattivo umore, c’è sempre un motivo alla base.
Che tu ne sia consapevole o meno, c’è.
Basta sforzarti un po’ per capire quale sia. Accettarlo, affrontarlo e passare oltre.
Ma non è così facile.

Il punto è che non sempre vogliamo accettare cosa ci stia facendo male.
Fatichiamo a scendere a patti con noi stessi.
Ad ammettere che, sì, è quello il motivo del nostro tormento.
E lo facciamo per tanti motivi.
Per orgoglio. Per vergogna. Perché non riusciamo a capacitarci di star male per una cosa del genere, di qualunque natura essa sia.
Così passiamo la giornata a sentirci chiedere sempre la stessa cosa.
‘Cosa c’è che non va?’
E rispondiamo sempre alla stessa maniera.
‘Niente, è che oggi mi sono svegliata storta.’

Certe volte lo crediamo davvero.
Altre non così tanto, limitando le nostre preoccupazioni a una piccolissima parte della nostra psiche, circondandola con alberelli colorati e coniglietti che giocano a basket, per occultarla meglio.
Altre ancora, non ci crediamo nemmeno un po’.

A questo aggiungiamoci le mirabolanti gesta del nostro cervello.
Il cervello è…
Il cervello è…uno stronzo.
Sì, l’organo principale del nostro sistema nervoso è un gran bel bastardo.
Sapevate che se andiamo a dormire dopo esserci dedicati ad una sana sessione di pensieri positivi, tendiamo a svegliarci di buon umore e carichi più del solito?
Questo bastardino fa una cosa divertente, che si chiama rielaborazione.
Rielabora i nostri pensieri e, solitamente, tende ad amplificarli.

Ora, immaginiamo di andare a dormire con mille dubbi e preoccupazioni.
Cerchiamo di non pensarci, ma siamo inquieti.
Finiamo per addormentarci ancora tormentati.
Quale mai potrebbe essere la conseguenza di tutto questo?

Semplice.
Il mio umore quella mattina.

“Britt!” mi richiamò Rachel, nel corridoio della scuola.
“Raggio di sole” la salutai, senza particolare entusiasmo.
“Woh! Ti sei accorta del nuovo shampoo?” chiese, entusiasta, passandosi una mano per i capelli “Devi provarlo, è una nuova marca! Sono così lisci e setosi…” iniziò, con espressione beata “e luminosissimi come il sole, soprattutto! Sapevo te ne… saresti…” fece, prestando per la prima volta attenzione alla mia espressione cupa e tenebrosa “Accorta… ma ehi! E’ una gran bella giornata oggi, no?” chiese, cambiando argomento.
“Sta piovendo” obiettai, inarcando un sopracciglio.
“Beh” fece, pensierosa “Dicono che la pioggia sia la pipì degli angeli”
“Fantastico, allora. Non voglio nemmeno pensare a cosa sia la grandine.” controbattei, schifata.
“In effetti…”

Aprii l’armadietto, cercandovi i libri all’interno.
Nel frattempo, continuavo a sperare di non incontrare Jennifer quella mattina.
Non ero decisamente pronta a parlare con lei.

“Britt?” mi richiamò la mia amica, osservandomi attentamente.
“Mh?”
“Cosa c’è che non va?”

Eccola.
La domanda da un triliardo di dollari.
Puntualissima, come un orologio svizzero.
Immancabile.
Come la domanda del professore giusto sull’argomento che hai saltato.
Come la persona che spinge la porta, anche se c’è scritto sopra ‘tira’.
Come la marmellata/nutella sulle fette biscottate.
Come un messaggio subliminale in ogni cartone della Disney.
Per una volta, però, potevo anche sforzarmi di rispondere sinceramente.

“Verità o bugia?” le chiesi, allora, richiudendo l’armadietto.
“Sempre la verità con me, lo sai.”
“Tutto” risposi allora, lasciando andare un sospiro frustrato. “Ogni cosa, Rach. E’ tutto orribile”
“Che è successo?” chiese, preoccupata.
“Ieri ser-“
“No, aspetta” mi interruppe, sgranando gli occhi “Devo dirti una cosa, prima”
“Sarebbe?”
“Ecco…” iniziò, titubante “Dato il tuo chiaro pessimo umore, forse, se non vuoi peggiorarlo, è meglio se non vieni al Glee, oggi”
“Mr Schù ha deciso di realizzare un’altra settimana a tematica religiosa?” chiesi spazientita “Ma perché non vuole capirlo che non è il caso di ballare sull’Ave Maria?! Posso mai sculettare indisturbata su un pezzo del gener-“
“Ci sarà Santana” mi interruppe, con un sorriso tirato.

Avevo capito male, sicuramente.
Magari intendeva il chitarrista messicano.

“Come, scusa?”
“Ci sarà Santana, Britt.”
“Il chitarrista, vero?” chiesi, supplichevole.
“Ahm, no.”
“Ma porca.. mmmm” imprecai, internamente, chiudendo con forza gli occhi.

Li riaprii, però, poco dopo, riflettendo su una cosa, concentrandomi.
Prima secchio e mocho.
Ora il Glee.
Che diavolo aveva combinato?

“Perché c’è anche lei?” chiesi, allora, sospettosa “Ieri si aggirava per la palestra con un mocho, Rach.”
“Già…” commentò, grattandosi la nuca “Fa tutto parte della punizione che le ha dato Figgins”
“Cosa ha fatto?”

Proprio in quel momento, passò per il corridoio la squadra di football della scuola.
Almeno tre di loro con segni di botte sul viso.
Chi un taglietto, chi un livido.
Mi guardarono di sottecchi, per poi borbottare contrariati senza che potessi sentire cosa dicessero.
In quel momento la mia mente fece due più due.

“Perché Santana ha fatto il culo agli scimmioni?” chiesi, stralunata, girandomi nuovamente verso la mia amica.
“Come hai fatto a capirlo?” strabuzzò gli occhi, stupita.

Oh, già.
Rachel non sapeva dei tornei, né tantomeno dell’abilità di Santana nel corpo a corpo.
Era il momento di dissimulare.

“Intuito femminile?” provai, con un sorrisetto.
“Mmh…” fece, ancora sospettosa “Beh… E’ andata così. Non è stata espulsa perché è intervenuto il professor Shù in sua difesa, facendo presente agli altri che con ulteriori assenze, Santana avrebbe potuto perdere l’anno.”
“Ecco perché il Glee” commentai, capendo.
“Già.. in più la cosa è avvenuta nel cortile fuori scuola, quindi tecnicamente la faccenda era solo parzialmente sotto giurisdizione del preside.”
“Ma…”
“Che poi sto ancora cercando di capire come abbia fatto a tener testa a sei di loro, uscendone solo con un taglietto sul labbro” riflettè, confusa.
“Sarà stata fortuna” provai, con una sollevata di spalle “Io non capisco piuttosto come sia potuta succedere una cosa del genere”

Santana sapeva atterrare chiunque in men che non si dica.
Poteva, ma non lo faceva mai, se non per seri motivi.
Mi chiesi cosa mai avrebbe potuto farla scattare tanto da attaccare sei trogloditi della squadra di football, senza pensare alle conseguenze.

“Ecco…” iniziò Rachel, grattandosi la nuca. “Pare che..”
“Cosa?”
“Pare che stessero dicendo cose non molto fini su di te” spiegò, osservandomi attentamente, probabilmente per studiare le mie reazioni “E ha dato di matto.”

Rimasi in silenzio, riflettendo.
Così lei parlò ancora.

“Quinn non mi ha detto i dettagli” puntualizzò, poi “In realtà non so nemmeno se potessi dirtelo, ora che ci penso” continuò, sgranando gli occhi, preoccupata “Se qualcosa, mi raccomando, dici che-che-“ si interruppe, osservandomi mentre mi allontanavo “Dove stai andando, Britt?”
“A cercare Santana” dissi, solo, gelida.
 




Arrivai al bagno del secondo piano in tempo record.
Avevo rabbia, confusione e frustrazione dentro di me.
Non mi importava.
Avevo bisogno di parlare con lei.

Aprii di scatto la porta senza nemmeno disturbarmi ad avvertire.
Sia Quinn che Santana sobbalzarono alla mia vista.
Così come fece anche il mio cuore, d’altronde, sebbene stessi combattendo contro me stessa per ignorarlo.

“Britt?” fece, stralunata, la Fabray.
“Quinn, devo parlare con Santana” dissi, facendo bloccare entrambe.
“Ma- ma”
“Quinn, per favore” riprovai, guardandola intensamente “Devo parlare con lei” ribadii senza guardare negli occhi la diretta interessata.
“…Va bene” accettò, avviandosi piano verso la porta. “Ci vediamo dopo” salutò, lanciando un’occhiata all’ispanica di fronte a me, che si limitò a farle un cenno del capo in risposta.

La stanza rimase avvolta nel silenzio, per svariati secondi.
Nessuna delle due parlò.

In quel momento la mia mente sembrava sovraccaricata.
Avevo così tanto da dire.
Così tanto da rinfacciarle.
Così tanta rabbia nelle vene.
Stavo cercando di raccogliere i pensieri, senza grande successo.
E probabilmente lei lo capì, lasciandomi i miei tempi.
Questo, finché non mi decisi a puntare lo sguardo nel suo, facendo tremare entrambe per un istante.
Uno solo.

“Ieri sono andata a letto con Jennifer.”

Le parole rimbombarono in quelle quattro mura.
La vidi distintamente accusare il colpo.
Come se l’avessi appena schiaffeggiata, chiuse con forza gli occhi, per poi abbassarli.
Il suo corpo da teso, quale era, sembrò perdere energia, vigore.
A me, semplicemente, sembrò di perdere un pezzo di cuore.

“Okay” disse, in un sussurro appena sentito.

Ancora una volta il silenzio ci avvolse.
Ma fui io ad interromperlo quasi subito.

“Non è okay” scossi la testa, sentendo la gola stringersi “Non è okay.” Ribadii.
“Voi due state insieme, ora” ripuntò lo sguardo spento nel mio “E’ giusto che sia cos-“
“No, per niente” sorrisi amara, sentendo le lacrime salirmi agli occhi “Non è giusto. Per nessuno” puntualizzai, mentre i ricordi della sera precedente tornavano ad affollarmi la mente “Non è giusto quello che è successo. Quello che le ho fatto. Non è giusto che io abbia pensato a te, ogni secondo. Che in ogni più piccolo ed insignificante istante, la mia mente sia corsa a te.”

Il suo sguardo era incatenato al mio.
Triste.
Sofferente.

“Non è giusto che non abbia provato niente. Niente. Se non il profondo desiderio” chiusi gli occhi con forza, al pensiero “Che quelle mani fossero le tue. Non è giusto…” continuai, ancora “Che ogni volta che lei mi guardava io chiudessi gli occhi, sperando, riaprendoli, di trovare i tuoi, invece. Di trovare te. Di sentirmi dire che niente era successo. Che eravamo ancora insieme. Ma soprattutto…” feci, incurante della voce incrinata “Che il ‘ti amo’ pronunciato ieri sera fosse il tuo e non il suo.”
“Britt”
“V-vorrei così tanto non sentirmi un mostro, San” scossi la testa, combattendo contro me stessa per non piangere “Ma lo sono, perché Jennifer non merita una cosa del genere. L-lei mi ama davvero, e i-io sono solo.." sospirai frustrata passandomi una mano per i capelli, lasciando cadere lì la frase.
Ripuntai lo sguardo nel suo.

"V-vuoi sapere cosa vorrei? Cosa vorrei più di ogni altra cosa?” chiesi, poi.
“C-cosa?” fece, con voce malferma.
“Vorrei non amarti. Dio, vorrei smettere di provare questo… questo dolore, questa fitta, ogni volta che ti vedo. Vorrei smettere di sperare che al suo posto ci sia tu. V-vorrei solo…  dimenticarti. Ti prego. Ti prego…” feci supplichevole “Dammi dei motivi per smettere di amarti”
“Britt, t-tu” fece, deglutendo e scuotendo la testa “Tu dovresti odiarmi. T-ti ho fatto solo soffrire.”
“Io ti odio” puntualizzai, seria, ma emotivamente provata “Ti odio così tanto. Come non ho mai odiato nessuno. Così intensamente da desiderare di lanciarti da un palazzo di venti piani” presi un profondo respiro.
“Lo so…” fece, comprensiva, scuotendo la testa.
 “Ma..” continuai “Ma ti amo così tanto che cercherei di salvarti subito dopo, buttandomi anch’io. Perché non potrei tollerare di vivere in un mondo senza di te.”

Chiusi, stanca, gli occhi.
E abbassai la testa, cercando di riprendere almeno parzialmente il controllo di me stessa.

"Sono così stanca, Santana. Così... sfibrata da tutto questo. N-non riesco a fare niente, non riesco a pensare a nulla. E, Gesù, mi comporto da psicopatica ogni minuto e quarto d'ora per questo." mi passai una mano sulla fronte "H-ho bisogno di- di passare oltre. Ho bisogno di tornare a respirare. E-e Jennifer è lì. Sempre così innamorata e premurosa e-e vorrei essere una buona persona per lei. So che potrei essere felice, so che lei potrebbe rendermi felice, potrebbe farmi star bene. Vorrei così tanto essere di nuovo me stessa. M-ma non posso" sospirai, ancora "Non ci riesco, se penso a te."

Mi specchiai per un secondo nei suoi occhi.
Vi lessi solo dolore.
Puro e autentico.

“T-tu…” iniziai, ancora “Non mi rendi le cose facili… prima il discorso di ieri in palestra” feci, corrucciata “Poi vengo a sapere del motivo della lite con i giocatori di football” continuai, mentre la rabbia tornava, gradualmente, a prendere possesso di me “Perchè?!” tuonai,  frustrata. “Perché ti ostini a farmi questo?! Perché ti comporti così?!” mi avvicinai di più, arrabbiatissima “Perché continui ad attirarmi a te?!”
“Non riesco…” si schiarì la gola, data la voce malferma “N-non riesco ad impedirlo”
“Non riesci ad impedirlo?” chiesi, sbottando in una risata amara “A cosa esattamente ti riferisci? Non riesci a fare a meno di farmi soffrire? Di vedermi arrabbiata e distrutta e-“
“L’unica cosa… l’unica” ribadì, mentre io mi soffermavo sui suoi occhi lucidi “Che non ho mai voluto fare era ferirti. Devi credermi” abbassò lo sguardo, passandosi velocemente una mano sugli occhi “Tu sei…” ripuntò gli occhi nei miei.

Tremai al contatto visivo.
Avvertii così tanto in quello sguardo sofferente.
Così tanto in quelle due parole che pronunciò, senza mai completare la frase.
Sentivo che mi dovesse dire qualcosa di importante.

“Non ho mai voluto farti del male” concluse, invece, abbassando gli occhi “So che te ne ho fatto molto, so che mi odi e so di meritarlo. Faccio del mio meglio per lasciarti andare” continuò, facendomi trattenere il respiro “I-io ci provo, perché so che è giusto per te. Cerco di fare del mio meglio, ma… n-non ci riesco così bene. Solo… “ sospirò stanca e provata “non riesco.”

Mi bloccai per qualche secondo, soppesando le parole, che aveva pronunciato.
Ci riflettei.
Ma parlai, senza pensarci più di tanto.

“Dimmi che mi ami.”
“C-cosa?” sgranò gli occhi, colpita.

La studiai ancora per qualche secondo.
Era di nuovo lei.
Era ancora lei.
La stessa persona di cui mi ero innamorata.
La stessa che, potevo scorgerlo in quelle iridi nere, mi amava a sua volta.

“Io ti vedo” feci, con voce tremante “Vedo te. Vedo il tuo sguardo, lo riconosco. E’ tutto ciò che so di te. E’ tutto quello che ho sempre saputo. Vedo cosa provi, ora dimmelo.” Ribadii.
“Britt”
“Dimmelo!” urlai, avvicinandomi ancora di più, portandomi a pochi centimetri dal suo volto “Dimmi la verità! La voglio sentir dire da te!” tuonai, ancora, dandole un colpo sulla spalla.

La rabbia e frustrazione ormai sole padrone della mia testa.

“Britt, per favore..” provò lei, con un’espressione di puro dolore sul volto, fermandomi con una mano il polso.
“Non è vero quello che mi hai detto nella tua stanza quel giorno” dissi, lasciando andare le prime lacrime, che presero a scorrere lungo il mio volto. “T-tu mi ami” continuai, dandole un altro colpo “E' per questo che continui a guardarmi così! Dimmelo!”
“Brittany, ti prego” fece, con voce tremante, cercando di bloccarmi i polsi, impedendomi i movimenti. “Per favore, calmati”
“D-dimmelo” provai, ancora, lasciandomi andare ad un pianto, ormai incontrollato, nel momento in cui lei riuscii ad immobilizzarmi, tenendomi ferme le braccia “T-ti p-prego, San… no-non è vero che non m-mi ami. Dimmelo” la supplicai ancora, prima di crollare sulle ginocchia, incapace di reggermi ancora in piedi.

Mi portai le mani al volto, cercando di contenere tutta quella sofferenza, che ancora portavo dentro di me.
La mia gola chiusa ormai in una morsa.
Il respiro corto.
Il corpo scosso da brividi.
Per pochi secondi però.
Finché lei, sedutasi a terra, non mi attirò a sé, abbracciandomi stretta , permettendomi di incastrare il volto nell’incavo del suo collo.
Permettendomi di respirare di nuovo.

Dopo settimane senza il minimo contatto fisico con lei, quello mi sembrava il paradiso.
E l’inferno assieme.

“D-dimmelo.”
“I- io ti amo” mi disse, con voce incrinata vicino l’orecchio. “Ti amo così tanto, Britt”

Quelle parole che nei mesi passati avevano significato il mondo per me.
Quelle parole che tanto avevo desiderato sentire di nuovo.
Erano lì.
Erano ancora mie.
Piansi più forte, di riflesso.
Consapevole che, nonostante tutto, non potevano risolvere ogni cosa.
Non erano la soluzione ad ogni problema.
 
“T-ti prego…” feci, ancora, distrutta, combattendo contro i singhiozzi che mi impedivano di parlare. “D-dimmi che n-non mi hai m-mai tradito”
“Ti amo” ribadì ancora, mentre avvertivo chiaramente delle goccioline infrangersi sul mio collo, sintomo del fatto che stesse piangendo.

Solo il pensiero mi fece star male, conscia del fatto che mai prima era accaduto.
Lei intensifico la presa su di me un istante.
Mi strinse forte, come se ne andasse la vita di entrambe.
E lasciò uscire, infine, le ultime parole che ci dicemmo quel giorno.

“E mi dispiace così tanto.”




 
Quel pomeriggio mi chiusi in camera.
Le tapparelle abbassate, la stanza avvolta nella penombra.
Distesa nel letto, cercando la forza di far qualcosa.
Qualsiasi cosa.
Ma non riuscivo.
Semplicemente, non riuscivo a fare nulla.

Sentii, non so ben dire dopo quanto, la porta della camera aprirsi.
“Britt?” mi richiamò Jennifer.

Non volevo parlare con lei.
Non potevo.
Non dopo quello che era successo quella mattina.
Non dopo aver realizzato che non potevo più stare con lei.
Non dopo averla fatta letteralmente scappare di casa la sera prima, per essere scoppiata a piangere, incontrollata, dopo essere stata con lei.

“Jen, va’ via”
“Britt, parliamo, ok?” si avvicinò piano “Mi dispiace per ieri” disse, seria.

In quel momento mi sentii doppiamente male.
Perché non solo le avevo sbattuto in faccia il mio ancora palese amore per Santana con quella reazione, ma era lì a dirmi che le dispiaceva.
A lei dispiaceva.
Per che cosa poi?

“Sapevo era troppo presto” continuò, stendendosi sul letto accanto a me “Lo sapevo… ma desideravo così tanto che stessi già meglio”

Non ottenne risposta, perché semplicemente non riuscivo a parlare.
Mi limitai ad un sospiro tremolante.

“E’ tutto ok” fece, abbracciandomi da dietro, lasciandomi un bacio fra le scapole “Andrà tutto bene”
“M-mi dispiace” provai a dire con voce strozzata, riprendendo ancora una volta, quel giorno, a piangere.
“Non dirlo, ti prego” mi rassicurò, stringendo la presa “Io sono qui per te, ok? Non piangere, non è successo niente.”

Senza volerlo, peggiorò la situazione con quelle parole.
Perché era successo qualcosa.

Continuai a versare lacrime.
Quelle che Jennifer credeva fossero per la nostra situazione.
Per lei.
Ma si sbagliava.
Perchè in realtà erano sempre state per Santana.
Ogni cosa. Ogni respiro era sempre stato solo per Santana.
E, sfortunatamente, anche il mio cuore.






Tetraedro dell'Autrice

La tristezza ha preso possesso di questa fanfic. E' finita? Ovviamente no!
La sadness continuerà, o meglio, ci sarà un momento in particolare nei prossimi capitoli e, beh... poi chi vivrà vedrà!

Ah, volevo chiedervi una cosa.
Qualcuno ha ca
pito 'Perchè proprio quelle foto?' ?? (le foto sono chiaramente quelle con Caroline)
Infra parentesi, nel capitolo precedente, c'era già la riposta, che ho inserito, da brava bastardona quale sono, indirettamente.
E' tutto davanti ai vostri occhi!
*trollface*

Ad ogni modo, mi scuso per il ritardo.
Il prossimo capitolo purtroppo non so quando arriverà. Vi dico solo che ho un esame fra un paio di giorni e l'altro a metà febbraio. *stende velo pietoso*

Grazie come sempre a tutti! *-*
A presto, bella gente!! :DD
 

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Capitolo 30
*** Trova la tua calma ***


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“Un antistress? Di quelli con la farina dentro, li sai, no?”
“Ci ho provato” risposi scocciata “L’ho fatto esplodere dopo due minuti”
“Che palle che sei” sbuffò Gollum continuando a scorrere la pagina di google dal cellulare, mentre camminavamo verso le rispettive scuole.

Avevo l’ansia.
Ma tipo tanta ansia.
Quella notte, tanto per cominciare, avevo fissato interessata il soffitto della mia camera.
La tecnica delle pecorelle si era rivelata un flop totale.
Anche perché la mia mente aveva iniziato a fare digressioni sull’eventuale presenza di pecore nere all’interno del gregge.
Ecco, dovevano essere contate separate o assieme?
Magari dovevo rispettare i rapporti di parentela o che so io.
Poi, dopo essermi stancata di creare alberi genealogici partendo da due pecore che avevo chiamato Sheep e Shoop, dall’amore tormentato perché di famiglie mafiose opposte, mi ero iniziata a fare pippe mentali su unicorni volanti lungo l’arcobaleno e vestiti da Superman.
Soprattutto vestiti da Superman.
Sì, perché ero rimasta lì a chiedermi poi che taglia avrebbero mai potuto indossare, per la t-shirt.
Dopo non so ben dire quanto, ero arrivata alla conclusione che una XXL sarebbe andata bene.
Non perché fossero sovrappeso, eh.
Ma insomma, volando era meglio che stessero comodi.
Senza contare che avrebbe fatto più figo, associato a un bel mantello rosso.
Niente calzamaglia, però.
Un unicorno ha la sua dignità.
In più credo che quella notte battei il mio record di tempo passato senza sbattere le palpebre.
Avessi avuto delle luci al posto delle pupille, avrei potuto impersonare un bel faro!
Bello ed efficiente.

Ad ogni modo, ritornando al punto di partenza, avevo l’ansia.
Quel giorno mi sarei esibita davanti all’esaminatore della Juillard.
Il tipo che avrebbe decretato il mio futuro.
il tipo che avrebbe deciso se meritavo di accedere a una delle migliori università di danza al mondo.
Al mondo.
E con mondo intendo pianeta Terra e non Puffolandia.
Niente di che, no?
Già.
Ed ero lì a chiedermi com’è che non mi fosse ancora partito un embolo.

“Ok, mi sento di chiederti una cosa.” Fece MaryG, guardandomi seria.
“Ahà”
“Provato con un Valium o, che so, della Valeriana o uno stramaledetto calmante per cavalli?”
“Provato con una macchina aspira segatura dal cervello, Gollum?” chiesi, piccata, in risposta, facendole fare una smorfia “Ti pare non ci abbia pensato?!” feci, ancora “Non ne avevamo a casa” borbottai, contrariata.
“Ah, ecco” sollevò le sopracciglia divertita, ritornando a guardare lo schermo “Che palle, qui c’è anche gente che mette in mezzo Kant”
“Eh?”
“Seh, sarà qualche filosofeggiante di sta cippa al solito e- oh!” esclamò, stupita “Qui nominano anche il sedano!”
“Sedano? Quello che si usa per il brodo?” chiesi, incredula.
“Tu ne conosci altri?” domandò, retorica, tornando a concentrarsi sul cellulare.
“Beh, no. Ma potrebbe essere un sedativo da brodo.”
“Mh-mh”
“Magari anche i tortellini sono ottimali!”
“Mh..”
“Non mi stai ascoltando vero?” sollevai, infastidita, le sopracciglia “Fantastico. Ti ho mai detto di quella volta che ho scoperto di avere una sorella idiota?” provai “MG?” la richiamai ancora.
“Ahà” fece, senza ascoltarmi per niente.
“Chi non si lava da un mese ed è consapevole di avere una sorella strafiga dica ‘ahà’!”
“Ahà…”
“Sì!” esultai, portando le mani al cielo vittoriosa, prima di riportarle sul viso, dandomi un colpo in testa “Idiota! Avrei dovuto registrare il tutto!”
“Sai che esiste anche un significato sul defecare nei sogni?” chiese, poi, dal nulla, entusiasta ed ignara della conversazione che avevo tenuto poco prima con praticamente me stessa.
“Come sei arrivata dai rimedi per l’ansia all’interpretazione dei sogni, scusa?” feci, stralunata.
“Ero su un sito di benessere e cura della persona e- al diavolo, non è questo il punto!” si bloccò, corrucciata “Gustava, esiste un significato per la cacca nei sogni! Rendiamoci conto!”
“Tuo strano entusiasmo per la cosa a parte, quale sarebbe?”
“Dunque, dice… ‘necessità di ‘lasciare andare’ a qualche situazione, bisogno di libertà interiore e superamento di blocchi psicologici su qualcosa o qualcuno. In termini più generali, significa far uscire dalla propria vita ciò che è diventato inutile o addirittura ‘tossico’.” Lesse, concentrata “Capisci?” fece, poi, tornando a rivolgersi a me “Tu defechi il problema!”
“Tu stai male” ribattei io, dandole una pacca sulla spalla, comprensiva “Ma tranquilla, non lo diciamo a nessuno”
“Disse la donna con la camicia di forza”
“In procinto di metterla a te” aggiunsi, sorridente.
“Ma tu guarda che-“
“Shh.” La fermai, con fare superiore “Ti ho battuto. Fammi godere il momento”

Non era una cosa che capitava tutti i giorni.
Motivo per cui mi crogiolai in quella piacevole sensazione, consapevole che ne sarebbe passato di tempo, prima che riaccadesse.

“Idiota” borbottò, riponendo il cellulare in tasca “Comunque, non ho trovato altro, Gaspara. Mi sa che dovrai trovare un tuo metodo per risolvere il problema dell’ansia.”
“Cosa?! Su, Gollum, spremi quelle meningi inutili che ti ritrovi, andiamo, aiutami!”
“Primo: non sai nemmeno cosa sono le meningi, quindi taci; Second-“
“MG” la bloccai, fermandomi e afferrandola per le spalle “AIUTAMI!” esclamai, scuotendola con veemenza.
“A te serve una botta in testa, altro che calmante!” sbottò, staccandosi indispettita “Razza di idiota, non hai un tuo metodo per calmarti?!”
“Beh…”
“Ad esempio il mio è insultarti o prenderti per i fondelli” spiegò, tranquilla, con un sorriso rilassato sulle labbra “E’ così rilassante e piacevolmente malefic-“
“Ahà”
“Tasto dolente eh?” chiese, divertita “Mmh… ok, passiamo ad altro… Ecco! Quello di Mike è arrotolarsi a terra.”
“Scusa?” feci, interdetta.
“Sì, prima delle interrogazioni, lo trovo raggomitolato a terra, ondeggiante sul posto. E’ divertente, anche se sembra una pallina da flipper…” commentò, pensierosa.
“Wow…”
“Già” concordò, con una sollevata di spalle “Comunque, il punto è: qual è il tuo?” chiese, riprendendo a camminare.

Non mi servì molto per ricordare qual era la cosa che aveva il potere di calmarmi all’istante.
O meglio, chi era.
Bastava il suo tocco a placarmi.
Un suo abbraccio e le preoccupazioni svanivano, come se mai vi fossero state.
Ma non poteva più essere così.
Di certo non allora e- momento.
Perché diavolo Gollum mi stava guardando con una faccia schifata?

“Cosa?!” chiesi, indispettita.
“Così schifosamente melensa” commentò, in una smorfia.
“Come diavolo hai-“
“Dovresti  guardarti allo specchio, quando pensi a Santana” disse, seria “Un baccalà ha molta più espressività e intelligenza di sguardo di te, questo è sicuro”
“Tsk, esagerata”
“Ma magari esagerassi!” ribattè, convinta “Piuttosto, ora che sai cosa può tranquillizzarti, puoi-“
“Non posso proprio un bel niente” la bloccai, sicura.

Gollum si limitò a sbuffare, alzando le mani al cielo frustrata.

“Ma cosa devo fare ancora per farti capire che sei di un’idiozia senza pari?!” sbottò, arrabbiata.
“MaryG, bada che-“
“Bada niente, Britt!” mi bloccò, alterata “Ok, senti, rispondi sinceramente a questa domanda, vuoi?”
“E sia” sollevai gli occhi al cielo.
“Tu ami Santana?”

Hà.
Domanda sciocca.

“Sì, ma-“
“Niente ‘ma’! E’ una domanda molto semplice: la ami sì o no?!” mi chiese, ancora, guardandomi negli occhi.
“Sì.” Risposi semplicemente.
“E ami Jennifer?”
“Gollum, questo non-“
“Rispondi!”
“Non credo che-“
“Morena, giuro che ti malmeno questa volta.”
“No, ok?!” sbottai “Non la amo.” Conclusi più calma.
“Ottimo” fece, tranquilla “Muovi il culo allora” mi esortò, avviandosi verso il bivio che ci avrebbe separate, per andare alle rispettive scuole.
“Non è così semplice, MG. Magari lo fosse”

Si voltò leggermente, riflettendo pensierosa.
Poi alzò lo sguardo nel mio.

“Credi di poterla perdonare?” chiese, allora.
“Non sai cosa ha fatto” controbattei, confusa.
“Non serve che lo sappia, Felicia. Ma tu stai male, lei sta male, tutti stanno male” commentò, contrariata “Quando la cosa importante è solo una. Vi amate, questo dovrebbe bastare.”
“Non è sempre così.”
“Forse.” Sollevò le spalle “Ma è così per voi?” chiese, allora “Davvero non basta? Pensi di non riuscire a perdonarla?”

Ci pensai un po’.
Sul serio.
Ma la verità era che non lo sapevo nemmeno io.

“Non lo so.”




 
“Gran bel giorno, oggi, eh?” mi chiese allegra Rachel, mentre ci avviavamo verso l’aula del Glee.
“Sì, proprio un gran bel giorno. Di merda, però.” Borbottai, agitata.
“Il tuo entusiasmo è davvero…” iniziò, cercando una parola adatta, estraniandosi come suo solito dal mondo.
“Voglio lasciare Jennifer”
“E che aggettivo è? Troppo lungo” fece, contrariata, guadagnandosi un sonoro scappellotto sulla nuca. “AHI!”
“Ma mi ascolti?!”
“Certo che ascolto!” ribattè arrabbiata “Hai detto qualcosa sul lasciare qualcosa… da qualche parte, perché…” temporeggiò ancora, mentre la guardavo diffidente “Oh, andiamo, non giudicarmi!”
“Voglio lasciare Jennifer, Rach” ribadii, agitata.

Rimase buoni cinque minuti ad osservarmi immobile.
Capii che era ancora viva dalle palpebre, che di tanto in tanto sbatteva.

“Non è un aggettivo, però” commentò, stralunata.
“Ommioddio, Rachel!” sbottai, passandomi entrambe le mani sulla faccia “Aiutami!”
“A fare cosa?!” chiese, interdetta “Di certo non posso parlarci io con Jen!”
“Ah, quindi mi stavi ascoltando”
“Certo che ti ascoltavo” commentò, con la faccia di chi la sapeva lunga “Mi chiedevo solo quando ti decidessi a farlo”
“Davvero?”
“Davvero.” Confermò “Non sei davvero felice, Britt, si vede.”
“Già…” commentai, arrivando in aula canto “Forse però non è la giornata migliore per farlo, no?“
“E’ inutile portarla per le lunghe, credo”  fece, pensierosa “Non faresti altro che farla soffrire di più.”
“Dici?”
“Sì… magari aspetta a dopo il provino, ma credo proprio che-“
“Che le dico, poi?!” chiesi, ancora, frustrata.
“Boh, che sei innamorata di Santana, che non sei la persona giusta per lei, che Mark e Lexie sono morti, Britt! Morti! E non hanno potuto coronare il loro amore infinito e sposarsi e-“
“Ti stai rivedendo l’inizio della nona stagione di Grey’s Anatomy, Rach?”
“Sto psicologicamente male” mi disse, con gli occhi lucidi.
“Lo so, lo so” le diedi un paio di pacche sulla spalla, comprensiva. “Loro sì che erano endgame”
“Già…” concordò, soffiandosi il naso con un fazzoletto, sbucato dal nulla. “Non fare la loro fine” mi pregò, scuotendo la testa, sofferente.
“Ahm, certo” acconsentii, confusa “Vedrò di non prendere nessun aere-“
“Ehi ragazze!”

Oh, perfetto.

“Ciao Jen” la salutammo in coro, con un sorriso tirato.
“Tutto bene?”
“Benissimo!” rispondemmo ancora all’unisono.
“O-ok..” fece, un po’ confusa “Andiamo?” sorrise, infine, lasciandomi un bacio sulla guancia.




 
“Allora, ragazzi” fece il professor Schù, richiamando la nostra attenzione “Ormai siamo ad un passo dalle nazionali e dobbiamo esercitarci. So che possiamo battere ogni singola squadra, ma dobbiamo dare il meglio di noi” continuò sicuro “Per cui, dovremo allenarci molto, quindi, su! Qualcuno venga qui a cantare un pezzo!” ci esortò tutti, con un largo sorriso.

Una mano immediatamente si alzò alla mia destra.

“Rachel, sai quanto apprezzi il tuo entusiasmo, ma oggi voglio qualcuno di nuovo” disse, pensieroso “Ad esempio, ecco!” esclamò, come colto da una illuminazione “Santana vorresti venire qui a-“
“No.” Rispose solo lapidaria, con un’espressione infastidita.

Santana, ormai, era fissa al Glee, prezzo da pagare per la rissa, che aveva scatenato con gli scimmioni della squadra di football.
Dopo il nostro incontro nel bagno, non ci rivolgemmo più parola.
I nostri sguardi si cercavano, ma li scansavamo allo stesso tempo.
Era un po’ come combattere contro sé stessi.
Ma di recente mi era sembrata diversa.
Più… arrabbiata.
E non ne capivo il motivo.

“Santana” riprovò, paziente, il professore “Sei qui per un motivo ben preciso, ti ricordo.”
“Crede che mi importi qualcosa?” chiese, piegando leggermente la testa di lato, zittendo Schuster “Non sono qui per cantare”
“Dovresti, invece.”
“No, grazie. Mi limito a riscaldare la sedia” ribattè, indispettita. “Niente di più.”
“Sai, credo che cantare ti farebbe bene. Stempereresti un po’ di rabbia che ti porti dentro.” Propose lui, con un sorrisetto.
“Io non sono arrabbiata”
“Oh, sì, invece lo sei. Ma sono problemi da teenager Santana, niente che tu non possa superar-“
“Stia zitto” lo bloccò, serrando la mascella. “Lei non sa niente.”
“Sai con quanti adolescenti ho avuto a che fare? Centinaia!” sollevò le spalle, convinto “Credo di saperne un qualcosa almeno.”

Eh, certo.
Aveva capito proprio tutto.

“Convinto lei.”
“Santana..” cantilenò, ancora “Andiamo forz-“
“Canto io.” Lo interruppe una voce, questa volta, alla mia sinistra.

Jennifer lo guardava sorridente e tranquilla.
La cosa mi lasciò sorpresa.
Non aveva mai cantato fino ad allora.
In fondo, io e lei eravamo lì principalmente per il ballo.

“Ottimo! Vieni Jennifer”
“Questa è per te” mi disse all’orecchio, lasciandomi poi un bacio e alzandosi.
“Bello…” commentò ironica e a bassa voce Rachel, guadagnandosi una gomitata sulle coste.

Dopo aver parlato con i ragazzi con gli strumenti, si sedette, infine, sulla sedia al centro dell’aula.
Mi sorrise brevemente.

[La canzone è ‘She will be loved’ dei Maroon 5 https://www.youtube.com/watch?v=nIjVuRTm-dc– NdA]

Mi guardò dritta negli occhi.

Beauty queen of only eighteen
She had some trouble with herself
She was always there to help her
She always belonged to someone else

Lanciò un piccolo sguardo a Santana, per poi riconcentrarsi su di me.


I drove for miles and miles
And wound up at your door
I've had you so many times but somehow
I want more

“Sei proprio nella merda…” commentò Rachel al mio orecchio.
“Ci sto navigando allegramente, direi.”

I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved
She will be loved

 

“Ma proprio merda merda…” fece, ancora.
“Grazie per il sostegno, Rach” bisbigliai, dandole un colpo sul braccio.

Tap on my window knock on my door
I want to make you feel beautiful
I know I tend to get so insecure
It doesn't matter anymore


It's not always rainbows and butterflies
It's compromise that moves us along, yeah
My heart is full and my door's always open
You can come anytime you want

 

“Sai credo che-“
“Silenzio, prima che ti cionchi” la zittii, ancora, parlando a denti stretti.

I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved
And she will be loved
And she will be loved
And she will be loved

I know where you hide
Alone in your car
Know all of the things that make you who you are
I know that goodbye means nothing at all
Comes back and begs me to catch her every time she falls

Tap on my window knock on my door
I want to make you feel beautiful

I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved
And she will be loved
And she will be loved
And she will be loved

 

Jennifer mi sorrise per l’ennesima volta.
Ricambiai.
Brevemente e in maniera forzata, ma lo feci.

Please don't try so hard to say goodbye
Please don't try so hard to say goodbye
Yeah
I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain

Try so hard to say goodbye.

 

Concluse, chiudendo gli occhi.

“Certo che la ragazza ha una certa puntualità…” commentò Rachel, guadagnandosi il secondo scappellotto della giornata. “AHI!”
“Idiota…” sibilai, fingendo un’espressione tranquilla, mentre Jen ripuntava lo sguardo nel mio.
“Jennifer sei stata bravissima!” si complimentò Schuster, osservandola tornare al posto.

Intrecciò la mano nella mia.

“Ti è piaciuta?” mi chiese, tenera.
“Molto…” risposi, sforzandomi di non far trapelare l’angoscia nella mia voce.
“Santana! Ora tocca a te!” propose il professore, riottenendo l’attenzione di tutti. “Dai, vieni qui”
“Anche no.” Rispose lapidaria.

Di questo passo avrebbe ucciso il prof.
Sicuro.
Con una spranga o a mani nude.

“Santana, non costringermi ad andare a parlare col preside”
“Lo saluti da parte mia” ribattè, tranquilla “Tante belle cose.”
“Santana!” la richiamò ancora, arrabbiato.
“Professor Schuster!” lo imitò con lo stesso tono di voce.
“San, ora basta.” Interruppe il battibecco Quinn, ottenendo l’attenzione dell’ispanica.

Oh, bene.
Almeno la Fabray sarebbe riuscita a placarla.

“Che diavolo vuoi, Quinn?”

Come non detto.

“Non ti costa nulla, San” provò, paziente “E’ una stupida canzone. Non essere testarda”
“Ho detto di no” ribattè, alzandosi in piedi.
“Lopez, se esci da quella porta, guadagni un’espulsione” la minacciò Schuster.
“Un cesto di frutta, no?” sogghignò, avviandosi.
“Santana!” la richiamò Quinn, provando a fermarla, senza successo.

Aprì la porta.
Ma non poteva permettersi un’espulsione.

“San.”

Si bloccò immediatamente.
La porta ancora parzialmente aperta, ferma.
Jennifer si voltò leggermente, guardandomi allibita.
Credo che il suo sguardo potesse essere riassunto in un’espressione tipo ‘Non solo ti dedico una canzone con i controcazzi, ma tu pensi a salvare, poi, il deretano della tua ex ragazza?! Davanti a me per giunta?!’
Sì.
Credo significasse approssimativamente quello.

“Andiamo, rientra dentro” la pregai.

Santana si girò verso di me, puntando lo sguardo nel mio.
Intenso, profondo e vagamente confuso.
Ma ora che potevo osservarla per bene, ne fui certa.
Era arrabbiata.
E anche tanto.

Posò poi lo sguardo sul professore, socchiudendo gli occhi.
“Qualsiasi canzone?” chiese, facendo tirare a me e Quinn un sospiro di sollevo.
“Qualsiasi.” Confermò lui, con un sorriso sincero.
“Bene.”

Rientrò finalmente in aula, guardandosi in giro.

“Puckerman?” lo richiamò.
“Sì?”
“Vieni qui. E anche tu mozzarellina” aggiunse, indicando con un cenno del capo Sam.

Guardammo il terzetto tutti confusi.
Santana parlò ad entrambi nell’orecchio, per poi comunicare sempre silenziosamente la canzone ai ragazzi agli strumenti.
Si riposizionò al centro dell’aula, affiancata dai due ragazzi.
Prese un respiro.

“Ba Ba Ba, Ba Barbara Ann” iniziò, da sola.

Oh, Gesù.
[ http://www.youtube.com/watch?v=MGXGqRYOfg8]

“Ba Ba Ba, Ba Barbara Ann” si accodarono i due in coro, entusiasti, battendo le mani.
“Ba Ba Ba, Ba Barbara Ann” continuarono tutti e tre, mentre Santana oscillava le mani al tempo di musica, iniziando ad indietreggiare verso la porta.
“Ba Ba Ba, Ba Barbara Aaaaaaann”
“You got me rockin and a-rollin…” continuò a cantare l’ispanica arrivando alla maniglia “Rockin and a-reelin Barbara Ann!” concluse, uscendo e battendo le mani, muovendo la testa a tempo di musica.
“Ba Ba Ba, Ba Barbara Ann!” la sentii ancora esclamare da fuori la porta.

A nulla valsero i richiami del professor Schuster per cercare di farla rientrare.




 
“Britt, è tutto ok, prendi un respiro” mi esortò Rachel, circondata da tutti quelli del Glee.

Era il momento.
L’audizione si teneva nell’auditorium della scuola.
Dovendo fare un provino anche ad un’altra ragazza, oltre me e Jennifer, si era scelto, come luogo, quello, per rendere la cosa più facile a tutti.
Così avevo invitato tutti i ragazzi del Glee a farmi da sostegno psicologico.
Anche se la verità era che di tutti loro, tenevo alla presenza solo di una persona.
Quella che si limitava ad osservarmi da lontano, con un sorriso appena accennato.
Lo stesso che si allargava di poco, e sono certa non volontariamente, ogni volta che posavo lo sguardo su di lei.

“Jen ha finito?” chiesi, ansiosa.
“Quasi… sta andando alla grande”
“Bene” mi passai una mano fra i capelli “Ok, sentite, sto bene” provai, ostentando una sicurezza inesistente “Andate a sedervi, davvero, è tutto ok.”
“Sicura, Britt?” mi chiese Quinn.
“Certo. Ci vediamo dopo” sorrisi per l’ultima volta, continuando a fare stretching.
“Va bene, a dopo”
“In bocca al lupo” fecero in coro.
“Crepi!”

Mi passai esasperata entrambe le mani sulla faccia, non appena sentii i passi ormai lontani.
Cercai di pensare a qualcosa di tranquillo, pacato.
E la mia mente tornò a Sheep e Shoop, le due pecorelle dall’amore travagliato.
Era solo un’audizione maledizione!
Non avevo nessun padre mafioso io, che mi impediva di stare con una pecor-

“Stai bene?”

Quella voce mi rimbombò nella mente più volte.
La sua voce.

E il mio cuore perse un battito.

“Credevo se ne fossero andati tutti” commentai, girandomi a guardarla.
“Beh, non io.” Disse, avvicinandosi piano.
“Come mai non sei con loro?” chiesi, nonostante fossi grata della sua presenza lì.

Non avrei dovuto esserlo.
Ne ero consapevole.
Ma era più forte di me.
Un po’ come l’amore di Homer Simpson per il cibo.
Insomma, deve fare la dieta… e poi si ritrova in un motel con un kebab, bello sostanzioso, a scrofanarsi di carne allegramente.
Poi se ne pente eh, ma lo fa lo stesso.

“Ti ho osservata” rispose, con una sollevata di spalle, arrivando giusto di fronte a me. “Sei spaventata”
“Già…” concordai, con un sorriso rassegnato. “Non riesco a calmarmi. Ho paura di fare un macello per l’ansia” confessai, sospirando pesantemente.
“Sospettavo…”
“Già e- oh! Com’è andata con Schuster?” chiesi, ottenendo uno sguardo interrogativo in risposta “L’espulsione… la canzone, ricordi?”
“Ah, già!” ridacchiò “Niente espulsione, in fondo ho cantato, no?”
“E che canzone!” concordai, rilassandomi un po’.
“Una delle mie preferite” scherzò, facendomi sorridere.

Rimanemmo in silenzio qualche secondo, osservandoci.
Per un momento mi sembrò di essere ritornata a tanto tempo prima.
Così, il mio stupido cervello fumato parlò prima che potessi farlo davvero connettere.

“Possiamo fingere per cinque minuti che niente sia successo?” le chiesi, in preda ad un attacco di pura ed autentica follia.

Questa volta sì che me la sarei meritata la camicia di forza.
E l’isolamento, sì, anche quello.
Mi immaginai persino la scena con tanto di infermieri che mi si avvicinavano, urlando ‘sedatela! E’ pericolosa!’.
Cacchio, sì.

Inspiegabilmente, però, non so nemmeno dire come, mi ritrovai fra le braccia di Santana.
E mi sentii di nuovo a casa.

“E’ successo tutto, però, Britt” mi disse all’orecchio, mentre io incastravo la testa nell’incavo del suo collo.
“Lo so.” Convenni, stringendola a me.

Il punto era però che in quel momento non mi importava.
Non mi importava di niente.
Né del tradimento, né di Phill, né di Jennifer.
Niente, nessuno.
Mi importava solo di noi.
E di come, all’istante, tutte le preoccupazioni sparirono, come fossero state bolle di sapone.

“Mi manchi.” Dissi, solo.

Lei non rispose.
Si limitò solo a stringermi di più, quasi con disperazione, come quel giorno nel bagno.
Mi strinse a sé come fosse la più esaustiva delle risposte.
Il più sincero dei ‘Mi manchi’.
Il più intenso dei ‘Ti amo’.
E io strinsi di rimando.
Perché era così anche per me.

“Perché sei arrabbiata, San?” le chiesi, poi, ricordandomi del suo sguardo.

La sentii irrigidirsi fra le mie braccia.
Si staccò leggermente, guardandomi negli occhi.
Sospirò pesantemente, abbassando la testa.

Aprì la bocca per parlare, ma non ebbe il tempo per farlo.

“Brittany Pierce!”

Ci voltammo entrambe verso la voce proveniente dalla platea.
Quando mi girai nuovamente verso di lei, trovai un piccolo sorriso tremolante ad aspettarmi.

“Balla come sai ballare tu, Britt” mi disse, sicura “E fai vedere a quel tipo quanto vali”
“Perché sei arrabbiata?” le chiesi, ancora, testarda.
“Il mondo.” Rispose, con una sollevata di spalle “E’ tutto sbagliato.”

Non capii bene.
Lei sorrise ancora, guardandomi ora più tranquilla.

“O, per lo meno, quasi” concluse, dandomi una piccola carezza sulla guancia, prima di allontanarsi.
“San.”
“Mostragli quanto puoi essere spettacolare, Britt.”
 



Successe una cosa strana durante l’esibizione.
Ricordai della prima volta che tornai alla scuola di danza con Santana.
Forse perché la canzone selezionata fu la stessa.
Forse per le parole che mi disse in palestra.
Forse per quelle che ci eravamo scambiate poco prima.
Non avrei saputo dire.
Fatto sta che rivissi la stessa sensazione di allora.

Ancora, ballai ad occhi chiusi.
Quasi non me ne rendessi conto.
Quasi il tempo, le persone, la vita attorno a me si fossero fermati.
Quasi stessi sognando.
Visualizzando un’unica immagine.
La sua.

Ma non era un sogno.
Era la realtà.
Perché quando li riaprii trovai ad attendermi tutti i ragazzi del Glee e lo stesso esaminatore a guardarmi compiaciuti, riservandomi un applauso.
Battiti di mani, fischi di apprezzamento.
Ne fui contenta, ma non era quello che volevo in quel momento, nonostante la soddisfazione.

Cercai lei fra quella piccola folla.
Ma non la trovai.
Una parte del mio cuore bruciò per quello.
Ma fu quando vidi poco più in là Quinn, correre verso l’uscita, osservata da una Rachel con lo sguardo confuso, che realizzai.

Era successo qualcosa.








Tetraedro dell'Autrice

E ditelo che vi era mancata la mia bastardaggine su!
Quindi ho subito provveduto! :DD


Non mi dite che continuate ad odiare Jennifer però, dai! E' una povera cristiana lei!

Ahm, per il resto, ho deciso di confessare:
ebbene, la verità è che la risposta alla domanda delle foto è sì presente in quel capitolo, ma anche in altri.
Sempre opportunamente celata. Ovviamente. *trollface*

Infine due cose:
A. Perdonate l'immenso ritardo, lo so, sono una cacchetta! ma non potevo fare altrimenti, il mio cervello è ormai già irrimediabilmente compromesso così.

B. Grazie a tuuuutti come sempre, davvero! Grazie! C:

A presto (e ora lo posso dire davvero), bella gente! :DD



 
 

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Capitolo 31
*** Guardami ***


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Credo che una delle frasi più divertenti che abbia mai sentito sia questa.
‘Non può andare peggio di così’.
Sì, perché mi chiedo costantemente chi si possa mai contattare per avere una simile certezza.
Un prete?
Uno sciamano?
Il papa?
Chuck Norris?
Seh. Magari il Grande Puffo.

Piuttosto, credo sia una di quelle cose, che, semplicemente, non puoi sapere.
Perché quando pensi che tutto stia andando storto e che, sul serio, niente possa esserci di peggio, ecco.
Ecco, la sfiga ti piomba addosso, manco fosse un wrestler di 2 tonnellate, che ti stende senza il minimo sforzo.

Il destino, la sorte, la fortuna – qualsiasi sia il nome che vuoi darle – decide di accanirsi.
Così ti colpisce, ancora.
Pugni su pugni, spesso su ferite già aperte e sanguinanti.
Ferite così dolorose, che mai potevi pensare di soffrire di più.

Testa la tua resistenza.
La tua capacità di sopravvivenza.
La tua forza.

E tu, nel frattempo, speri.
Di essere abbastanza.
Di resistere, di riuscire a combattere, di reagire.
Di sopravvivere.
Perché è questo che conta.
Riuscire a rialzarsi, ogni volta.

Purtroppo, però, questo non sempre accade.
Perché, certe volte, non possiamo.
Non riusciamo.
E ci rimane una sola cosa da fare.
Ci arrendiamo.

“Come sta, Quinn?”  chiesi, con ancora il fiatone.

Aveva gli occhi lucidi.
Un’espressione di pura sofferenza e rassegnazione sul volto.
Scosse la testa, scostando lo sguardo.

“Sta…” lasciò andare un sospiro tremolante.
Strinse gli occhi, passandosi una mano sul volto.
Ripuntò gli occhi nei miei.
“Non c’è più molto da fare” disse, con una smorfia di dolore “Probabilmente non supererà la notte, così hanno detto.”

Chiusi con forza gli occhi, elaborando quanto appena ascoltato.
Quella donna non meritava tutto il dolore, a cui era stata sottoposta.
Tutta la sofferenza, che aveva patito.
Tutte le difficoltà, che aveva affrontato.

Allora, arriva il momento in cui ti chiedi perché.
Perché una persona, che aveva già subito tanto, doveva finire così?
Perché la vita era stata così crudele con lei?
Perché a lei?
Il mio pensiero corse a Santana.
Perché a loro?

“Dov’è Santana?” chiesi, guardandomi intorno.
“Non lo so.”
“Non lo sai?” feci, ancora, credendo di aver capito male.
“Se n’è andata” sollevò le spalle, stringendo le labbra “E’ a lei che i medici hanno parlato” aggiunse, a mo’ di spiegazione.
“Cos-“
“Ho provato a fermarla, ma non era già più in lei.” Scostò lo sguardo, osservando un paio di infermieri passare distrattamente davanti la camera della signora Lopez.
“Che intendi?”
“Quando…” iniziò, provando a farsi capire “Quando succede qualcosa che la sconvolge, lei… cambia. Successe la prima volta che la madre si ammalò, ancora quando il padre le lasciò sole e in altre rare occasioni. Quelle peggiori.” Spiegò “E’ come se non potessi più riconoscerla, come se di lei rimanesse solo… un guscio, senza nulla all’interno. Come se la persona, che conosci, scomparisse improvvisamente.” Scosse la testa “Non è in lei. E sono preoccupata.”

Ripensai ad una mattina in particolare.
Quando bussai alla porta di casa Lopez, trovandomi davanti una Clara, sfibrata da un’intera notte passata a combattere per la salute della madre di Santana.
La mattina, in cui non trovai la mia ragazza a sferrare pugni ad un sacco da boxe, ma un concentrato di autodistruzione, che faticai a riportare alla realtà.
Che faticai a riportare da me.
E mi immobilizzai di colpo.
Perché la paura che potesse aver fatto qualcosa di stupido mi attraversò la spina dorsale, come una scarica elettrica.

“Io non posso muovermi, non posso lasciarla sola” continuò, indicando con un cenno del capo quella stanza d’ospedale “Clara non c’è e io-“ sbuffò, passandosi la mano sulle tempie, stanca “Mi ha fatto da mamma più lei che la mia vera madre.”
“Vado io” feci subito,  capendo la situazione “La trovo io. La riporto da lei.” Dissi, sicura “Tu rimani qui e aspettaci.”
“Britt…“
“So dove cercare, Quinn” la interruppi, prendendo un sospiro “O almeno credo.”
“Prova a casa, nella-“
“Stanza del sacco da boxe” continuai per lei “Lo so, ho già visto cosa può fare” conclusi, rispondendo alla sua implicita domanda. “Ci vediamo dop-“
“Aspetta, Britt.” Mi fermò, bloccandomi per il polso “Non ti ho chiamato solo per questo.”

Dopo l’esibizione, non aspettai nemmeno dieci minuti prima di chiamare, preoccupata, Santana.
Poi Quinn.
Senza ottenere risposta da nessuna delle due.
Sembravano scomparse nel nulla.

Così rimasi in attesa, a lungo.
Passò qualche ora.
Finché non mi arrivò la chiamata della Fabray.

Mi disse che la signora Lopez era stata portata in ospedale.
E capii.
Capii la ‘fuga’ dall’auditorium.
Capii la rabbia di Santana.
Capii le sue parole.
Quelle pronunciate ad alta voce.
Quelle dette con gli occhi.
E capii anche che non c’era più niente da fare.
Perché trovarsi in ospedale significava solo che Clara non poteva più fare niente.
Che le cure non avevano più effetto.
E che non c’erano altre soluzioni.

Così corsi.
Perché l’unica cosa che potevo fare era esserle vicino.
Nonostante tutto.

“Cosa?” feci, confusa.
“Lei vuole parlarti.”




 
Cercai in molti posti, prima di arrivare all’ultimo possibile.
Lo tenni come ultima possibilità di proposito.
Perché speravo, con tutto il cuore, che non fosse lì.
Così provai prima a casa sua, al parco, a casa di Quinn.
Ispezionai quasi ogni singola stradina di Lima.
Finché arrivai in quel luogo, che odiavo con tutta me stessa.
Che detestavo con ogni fibra del mio essere.

Non appena mi avvicinai, riuscii subito a sentire le urla di incitamento provenire dall’interno, come la prima volta, che vi misi piede.
Allora non sapevo ancora cosa mi aspettava.
Ora, invece, lo sapevo.
Speravo solo di sbagliarmi.

Entrai piano, aprendo la porta di legno di quella baracca maledetta.
Come sempre, quel tipico forte odore mi colpì con forza le narici, disturbandomi.
Mai nella vita mi sarei potuta abituare a quella puzza.
Non sapeva solo di sangue, sporco e sudore, ma anche di corruzione.
E sofferenza.
Anche quella.

Mi feci spazio fra quella marmaglia di uomini, che avrei voluto tanto prendere a pugni.
Uno dopo l’altro.
Non sarebbe forse stato il massimo della lezione educativa per loro, ne convengo.
Ma mi sarei finalmente levata un peso dal cuore.

Arrivai, presto alla base del ring.
Mi presi qualche secondo, prima di alzare lo sguardo.
Avevo paura.
Paura delle condizioni in cui avrei trovato Santana.
E, sì, paura anche di incrociare lo sguardo di Phill.

Ma non c’era più tempo.
Sua madre non aveva più tempo.
Così presi un ultimo respiro e alzai la testa.




 
Era tutto come pensavo.
Forse anche peggio.
Perché mi aspettavo di non riuscire più a riconoscere i suoi occhi, ormai spenti, senza il minimo segno di vita.
Mi aspettavo di trovarla a combattere, per sfogare la sua rabbia.
Mi aspettavo di trovarla piena di tagli.
Ma non credevo così tanto.

Sentii distintamente la voce di Phill in lontananza.
La incitava.
Si complimentava per la tenacia.
E afferrai anche il numero di incontri che aveva tenuto quel giorno Santana.
Cinque.
Mi furono chiare e perfettamente spiegabili tutte quelle botte, che aveva disseminate sul corpo.

“Santana!” provai a farmi sentire, invano.

Lei incassò l’ennesimo colpo sulle coste, per poi, scattando verso destra, sferrare un pugno alla ragazza, facendola impattare contro le corde, dietro di loro.

“San!”

L’ispanica si avvicinò all’avversaria, che nel frattempo era caduta a terra, incapace di reggersi ancora in piedi.
Si chinò leggermente, per poi tirarle un calcio nello stomaco, che la fece ripiegare su se stessa.

Mi feci ancora più vicina, per riuscire a farmi sentire.
Lei sollevò per il colletto della maglietta la ragazza, ormai semicosciente, col preciso intento di prenderla a pugni.
“Santana!!”

Riuscì a sentirmi, questa volta.
Perché un paio di occhi neri e dannatamente bui si posarono nei miei.
In quell’istante non la riconobbi.

Mi guardò per qualche secondo, come cercando di elaborare il motivo della mia presenza lì.
“Che diavolo ci fai tu qui?!” si fermò, lasciando andare l’altra, che prese a respirare irregolarmente, ancora stesa sul ring.
“Devi venire con me, San” provai, calma “Dobbiamo tornare in osp-“
“Va’ via di qui, Brittany. ”Mi interruppe, gelida “Lasciami in pace.”
“San!” la richiamai, nonostante si fosse già voltata, focalizzando l’attenzione sulla ragazza, che nel frattempo si era rialzata.

Panico.
Fu esattamente quello che mi pervase.
Provai a pensare ad un’infinità di cose, che potessero farla rinsavire.
Ma non me ne venne in mente nemmeno una valida.
Mi agitai ancora di più.
Senza contare che i miei pensieri furono interrotti da una voce, che mi fece gelare il sangue nelle vene.

“Non credevo di rivederti.”

Mi voltai appena, riconoscendolo.
Mi trovai davanti quell’uomo, che spesso aveva fatto da protagonista nei miei incubi.
Era ancora come lo ricordavo.
Una merda.
Solita camicia orribile, solito sigaro in bocca.
Solito ghigno sadico a solcare le labbra.

“Nemmeno io” risposi, cercando di mascherare il tremolio nella voce.
“Sai…” iniziò, avvicinandosi “Speravo di poter scambiare due chiacchiere con te, un giorn-“
“Allontanati da lei.”

Ringraziai Dio.
Buddha.
Allah.
Superman.
E Batman.
Dio, quanto fui grata di risentire la sua voce.

“Ispanica…” sorrise tranquillo Phill, osservandola sporgersi dal ring “Scambiavo solo due parole.”
“Ho detto, allontanati” ribadì, con voce tremante di rabbia. “O giuro che ti uccido, fosse l’ultima cosa che faccio.”

Il lardoso ghignò, scuotendo la testa.
Fece due passi indietro, alzando le mani, con finta aria di innocenza.

“Come desideri, mia cara” fece, tranquillo “Piuttosto, però, dovresti pensare a quella lì” aggiunse, indicando dietro di lei l’avversaria, che stava tornando all’attacco.
Santana si girò di colpo, a stento evitando un gancio, che la colpì in pieno viso.
Sembrò quasi non accusare il dolore, tanto che, impassibile, assunse nuovamente la posa d’attacco, valutando la situazione.

“Dovresti andartene.”

Ancora la voce di Phill raggiunse le mie orecchie.
Questa volta, però, non provai paura.
O meglio, non solo.
Provai soprattutto rabbia.

“Senza di lei non mi muovo.” Mi voltai, reggendo il suo sguardo.
“Lei appartiene a questo posto, ragazzina” mi sorrise, lasciando andare una sbuffata di fumo dalla bocca “Non lo vedi?” chiese, indicando con un cenno del capo il ring.

Spostai lo sguardo, osservando Santana sferrare un calcio in pieno petto alla ragazza, facendola impattare contro l’angolo, con una smorfia di dolore.
Nemmeno l’ombra di un’espressione solcò il volto dell’ispanica.
Non sembrava neppure viva.

Ma quella non era lei.
Io lo sapevo.
Quella non era la vera Santana.
Era quello che la crudeltà e la sofferenza della sua vita avevano creato.
Ma lei non era così.
E l’avrei riportata indietro.

“Lei appartiene a me.” Ribattei, voltandomi ancora verso di lui.

Mi guardò stupito.
Piacevolmente sorpreso, probabilmente da quella che considerava una follia, uscita dalle mie labbra.
Sorrise, poi, accettando quella che nella sua mente sembrava una sfida.

“Lo vedremo.” Disse, solo, allontanandosi, nell’esatto momento, in cui l’arbitro decretò la vittoria di Santana.





“San!” mi feci spazio fra la folla, cercando di raggiungerla.

Era seduta su un piccolo sgabello, intenta ad indossare una nuova fascia da combattimento alle mani.
Mani irrimediabilmente piene di tagli e sangue.
Phill lì vicino stava parlando con un tale, probabilmente il ‘protettore’ della successiva avversaria.

“San” la richiamai, finalmente arrivando a pochi centimetri da lei.
Alzò lo sguardo, fissandomi arrabbiata.
“Ti avevo detto di andare via di qui!” sbottò, alzandosi in piedi “Non ti voglio qui in mezzo!”
“Sei tu che non dovresti stare qui dentro, semmai” ribattei, trovandomi a poca distanza dal suo volto.

Mi guardò per qualche secondo.
Poi sorrise, brevemente.
Un sorriso intriso di tristezza.

“Non posso essere da nessuna altra parte” fece, senza particolare espressione.
“Dovresti essere vicino tua madre.”

Strinse la mascella di riflesso alla mia affermazione.
Serrò i pugni lungo i fianchi.

“Non posso.” Disse, solo.
“Ispanica!” la richiamò, poco distante, Phill, sorridente “E’ pronta la prossima avversaria, muovi il culo!”

Lei si voltò leggermente verso di lui.
Mi guardò un ultimo istante.
Poi si avviò, dandomi le spalle.

“Santana, ti prego” provai, facendola bloccare “Lei chiede di te, non c’è più tempo. Lei non ha più tempo.”

Non si girò.

“Per favore” continuai “Vieni con me. Andiamo da lei.” La pregai, ancora “Io ti conosco, non ti perdoneresti mai per non esserci stata.”
“Ispanica!”

Ancora la voce del lardoso di fece sentire.
E ancora una volta, l’ispanica prese a muoversi verso il ring.

“Tua madre ha bisogno di te, San”
“Va’ via, Britt. Non perdere tempo con me.”

No.
Non gliel’avrei permesso.
Non me ne sarei andata, senza far niente.

L’afferrai per il polso, facendola voltare verso di me, stupita.
Fissò lo sguardo nel mio, per poi portarlo nel punto in cui le nostre pelli si incontravano.
Si trattò di qualche secondo.
Quando tornò a guardarmi, finalmente la riconobbi.

“Io non ti lascio. Non ti lascio, mi hai sentito bene?” chiesi, decisa, posando l’altra mano sulla sua guancia “Tu non sei questo.” Feci, indicando con un cenno della testa lo spazio che ci circondava “Non sei questo, non lo sei mai stata. Sei molto di più, San. Sei la persona che farebbe di tutto per le persone che ama.” Precisai, sicura di ogni parola pronunciata “Sei la persona di cui sono innamorata. La persona che ha combattuto mesi, per la sua famiglia. Ho bisogno che tu torni ad essere quella persona. Che tu torni ad essere te stessa, San.” Continuai “Tua madre ha bisogno di te.”
“Ispanica, andiamo!” la richiamò ancora Phill, mentre lei chiudeva con forza gli occhi.
“Ti prego” provai un’ultima volta “Fa’ in modo che l’ultimo ricordo di tua madre di te sia la vera Santana. Fa’ in modo che non si ricordi di te mentre fuggi da lei.”
“Ispanica!”

Lei aprì finalmente gli occhi, guardandomi.
E capii che aveva preso la sua decisione.




 
Ricordo vagamente quello che successe dopo.
Ricordo che arrivammo in ospedale, di corsa, mentre io guidavo impazzita per le strade di Lima.
Ricordo di aver cercato di rendere presentabile il volto di Santana, per poter parlare con sua madre.
Ricordo di aver aspettato fuori dalla porta assieme a Quinn, per lasciare loro la dovuta privacy.
Ricordo come, dopo non molto, sentimmo il rumore delle macchine dall’interno della stanza dare il segnale che qualcosa non stava andando bene.
Che qualcuno stava finendo.
E che qualcosa sarebbe finito.

Ricordo il volto distrutto di Santana, quando uscì da quella camera di ospedale, stringendo fra le mani una lettera ancora chiusa.
Di come i medici tentassero di parlarle, senza ottenere nulla in risposta, se non uno sguardo perso nel vuoto.
Di come Quinn la afferrò al volo, proprio nel momento in cui le gambe stavano per cederle.
E di come lei scansò tutti, rimettendosi in piedi, avviandosi verso l’uscita.

Pronunciò solo una frase.
‘Voglio stare da sola’.
Mi riservò solo uno sguardo.
Poi si allontanò, mentre Quinn continuava a seguirla, incurante di quanto avesse appena detto.




 
C’è una cosa che accade, quando vicende del genere ti toccano relativamente da vicino.
E’ come se realizzassi tante cose.
E’ come se vedessi le cose in proporzione.
E ridimensionassi i problemi.
Quelli che credevi così grandi, così insormontabili, ti sembrano idiozie a confronto.
Arrivi a chiederti perché mai li avessi addirittura definiti problemi, in principio.

Capisci anche che non c’è tempo.
Non nel senso che la vita è breve.
O meglio, anche.
Ma non c’è tempo di vivere male.
Di vivere di problemi, preoccupazioni, angosce.
Perché non ne vale la pena.

Quel giorno capii e promisi molte cose.

Promisi alla signora Lopez di rimanere vicino a Santana.
Promisi a me stessa di smettere di combattere l’amore che provavo per lei.
Promisi di fare la cosa giusta.

Capii che Santana non mi aveva tradito, nonostante avessi bisogno solo di una conferma da parte di Quinn.
Capii che, certe volte, bisogna ascoltare i consigli delle proprie sorelle.
Capii che non è giusto stare con qualcuno che non ami davvero.
Capii che non bisogna perdere tempo.

E mentre ero lì, aspettando che Jennifer aprisse la porta di casa, ancora una volta, le parole della madre della mia ispanica tornarono a rimbombarmi nella testa.

‘Tu la riconosci dagli occhi, come me. Puoi sapere la verità, con un singolo sguardo...’

“Britt?” mi aprì la porta Jen, con uno sguardo confuso. “Che ci fai qui?”

‘…E lei lo sa bene.’

“Dobbiamo parlare, Jenny.”


Alcuni definiscono la vita come un intervallo di tempo fra vita e morte.
Altri un insieme di eventi, divisibili in belli e brutti.
Più brutti che belli, tra l’altro.

La vita per me è quando ascolti il battito del tuo cuore.
Lo senti, quando cambia.
Per gioia, amore, paura, dolore, felicità, sofferenza.
Significa che stai provando qualcosa.
Che stai vivendo, nel significato più puro del termine.

E, per l’amor del cielo, non interroghiamoci sul perché della vita.
Viviamola e basta.








Tetraedro dell'Autrice

Premetto che sono in modalità rincoglionimento e non ho controllato molto ben, quindi chiedo venia!

Passando oltre, direi che s'è capito il perchè delle foto, ma è nel prossimo che, boh, si spiegherà tipo meglio la cosa!
Era una cazzata? Era una cazzata!
Ed ero serissima quando dicevo che era ovunque il perchè!

Andando avanti, due cose:
Prima! Il prossimo capitolo arriverà intorno a sabato prossimo causa studio!
Seconda! Beh la seconda è più una cosa globale, ovvero ho deciso di finire prima la fanfic, nel senso che da che avevo previsto altri tipo 10 capitoli, ne farò un sei compreso l'epilogo. alla fine poco cambia comunque! xD

Come sempre, grazie mille a tutti! davvero, siete troppo buoni! C:
A presto, bella gente! :D

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Capitolo 32
*** Cordoglio ***


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Perdere qualcuno di caro non è una cosa semplice.
La morte, quella lo è.
E’ immediata.
Si tratta di un momento, in fondo.
Un secondo.

Purtroppo non si può dire lo stesso per quelli che rimangono.
Perché elaborare una perdita è tutto fuorché semplice.
Tutto fuorché immediato.
Ed è qualcosa che ti logora dall’interno.

L’ho sempre paragonato alla formazione una cicatrice.
C’è questo taglio.
Profondo.
Pulsa, fa male ed è scoperto.
Qualsiasi cosa, anche la più sciocca, come tagliare un pomodorino, può provocarti un dolore atroce.

Si può trattare di qualunque oggetto, nello specifico.
Una foto, una sedia, un dolce, un foglio scarabocchiato.
Ma anche una parola.
Un ricordo.
Non importa quanto semplice e banale possa essere.
Farà male.
Così tanto, che sentirai il tuo cuore bruciare.
Così intensamente, che lo sentirai implorare.
Pregarti in ginocchio.
Per essere lasciato in pace.

E' così che inizi ad evitare tutto ciò che può intensificare questo dolore.
Cerchi di proteggerti, alla bene e meglio.
Cerchi supporto, quando e se, alla fine, lo vorrai.
Ma il punto è che vuoi guarire.
Vuoi solo smettere di soffrire così tanto.
Vuoi che quella ferita si rimargini.

E lo fa.
Alla fine.
Nonostante tiri, bruci e pruda nel frattanto.
Alla fine si chiuderà e penserai che sia finita.

Ma non è così.
Dicono che il tempo sani tutte le ferite.
E’ vero.
Ma le cicatrici?
Quelle rimangono.
Ed è curioso come un semplice sguardo a quel segno sulla pelle ti riporti alla mente tutto.

Il funerale della signora Lopez si tenne un giorno dopo la sua morte.
Era una mattina stranamente fredda, nonostante la primavera inoltrata.
Il cielo lievemente coperto.
Un mucchietto di persone raggruppate, per renderle omaggio.

Eravamo in tanti.
Alcuni quasi confusi e scioccati per la cosa.
Di questi facevano parte alcuni ragazzi della scuola, così come il resto della mia famiglia.
In particolar modo MaryG, che continuava a fissare corrucciata la foto appoggiata sulla bara.
Non spiegai loro niente, parlai solo della sua malattia.
Altri erano sofferenti.
Clara.
Quinn, che cercava con tutta sé stessa di non piangere, nonostante alcune lacrime riuscirono, in ogni caso, a sfuggire al suo controllo.
Rachel le era a fianco, tenendola per mano.
Notai, poi, persone che non conoscevo.
Probabilmente dovevano essere di famiglia o amici.
Mi chiesi, tuttavia, cosa ci facessero lì e se sapessero davvero tutta la storia.

Santana non c’era.
Almeno per il momento.
Beh, in realtà sospettavo non sarebbe mai arrivata.

“Dov’è lei?”
“Non so, MG” risposi, solo.
“Pensi che verrà?” chiese, ancora.
“Non lo so.”

Ritornò a guardare la bara posta più avanti.

“Perché non ne sapevamo nulla, Britt?”
“Santana non voleva si sapesse.”
“Ma perché?” si girò di nuovo, confusa.

Per una miriade di motivi, avrei dovuto risponderle.
Per le domande che sarebbero seguite.
Per le spiegazioni che sarebbero state richieste.
Per tutto quello, che ne sarebbe conseguito.

Mi limitai a sollevare le spalle, mentre lei scuoteva la testa, contrariata.
Ma non potevo dirle altro.
Trascorremmo il quarto d’ora successivo in religioso silenzio.
Finché, più in là, notai il prete avvicinarsi, per dare inizio a quella breve cerimonia.

Fu allora che, dalla mia posizione, potei scorgere una figura avvicinarsi lentamente.
Zoppicava leggermente.
Era ancora distante, ma riuscii a riconoscerla subito.
Evidentemente lo stesso fu per Quinn, che vidi alzare la testa di scatto, osservandola da lontano.
Più passi faceva nella nostra direzione, più il numero di teste che si voltavano verso di lei aumentava.

“Ma che diavolo le è successo?” bisbigliò, preoccupata, MG nel mio orecchio.

Non le risposi.
Mi limitai ad osservare la figura stanca di Santana portarsi davanti la bara della madre.
Gli occhi erano irriconoscibili.
Se dovessi cercare un aggettivo per descriverli, non potrebbe che essere uno.
Vuoti.
Privi della luce che ero solita scorgervi all’interno.
Il volto ancora segnato dagli incontri del giorno precedente.

Una cosa mi colpì.
Le sue mani.
Non portava guanti, né tantomeno le garze che era solita poggiare sui tagli.
Le ferite erano esposte, ma non sembrava curarsene.

Nella mano destra, stringeva un fiore.
Mi parve un garofano, non ne ero certa.

Si avvicinò alla foto della madre.
Le diede solo un piccolo sguardo.
Spento.
Posò il fiore sulla cassa di legno e chiuse gli occhi.

C’è una cosa che a volte succede in certe occasioni.
Quando perdiamo una persona, accade spesso che non ricordiamo per filo e per segno cosa successe dopo.
E’ come se solo certi momenti rimanessero impressi nella nostra mente.
Come marchiati a fuoco.
E sono quelli che ricorderemo per sempre.

Perché purtroppo è così che funziona.
I ricordi sono belli e brutti.
E, per quanto tu voglia ricordare quella persona solo nei momenti migliori, purtroppo ci saranno anche i peggiori.
E questi ne faranno parte.
Credo che il punto stia, ad ogni modo, a non far avere ad essi la meglio sugli altri.
Meglio ricordare un sorriso che una lacrima.

Ho sentito spesso dire che il dolore attraversa cinque fasi.
Rifiuto.
Rabbia.
Patteggiamento.
Depressione.
Accettazione.
Mi sono spesso chiesta se questi momenti che tendiamo a ricordare così intensamente, così disperatamente, non siano il segno del passaggio da una fase all’altra.
Momenti che ci hanno segnato nel profondo.
Momenti che non dimenticheremo comunque.

Quell’istante rimase impresso nella mia mente.
Così come in quella di Santana.

Quando lei riaprì gli occhi, si era già voltata per tornare indietro.
Sapevo non sarebbe rimasta.
Se c’era una cosa che avevo sempre saputo era che odiava i funerali.
Li odiava e basta.
Senza contare che per lei era inconcepibile il fatto che un prete parlasse del morto come se l’avesse conosciuto da sempre.
‘Tanto vale seguire qualche reality show a caso. Almeno lì posso cambiare canale se sento qualche cazzata epica.’
Già.
Proprio non le piacevano.






Decisi di seguirla.
Sapevo volesse stare da sola, ma mi resi conto anche che non poteva.
Aveva bisogno di qualcuno vicino.
E io ci sarei stata per lei.
Sempre e comunque.

Mi mossi quasi subito, staccandomi dal gruppetto per raggiungerla.
Feci solo un paio di passi, però, prima di sentirmi afferrare per il polso.
Era Quinn.

“Britt, aspetta”
“Quinn, lo so che vuole stare da sola, ma non credo ch-“
“No, no” mi interruppe subito “Io..” provò a parlare passandosi una mano sugli occhi “Probabilmente tu saresti l’unica che non caccerebbe di casa e ha bisogno di qualcuno vicino, ma non è questo che devo dirti.”

La guardai confusa, osservandola muoversi irrequieta sul posto.
Come in preda ad un dilemma esistenziale.
Abbassò la testa, passandosi una mano fra i corti capelli, prima di sospirare pesantemente.
Ripuntò gli occhi arrossati nei miei.

“C’è una cosa che devi sapere.” iniziò, seria.
"Di che parli?"
“L-lei non vorrebbe mai che io te lo dicessi, ma… devo. Perché devi sapere la verità, non è giusto che tu sappia una bugia, perché…” prese un respiro “Britt, la verità è che Santana non t-“
“Lei non mi ha mai tradito” conclusi per lei, osservandola spalancare gli occhi.
“C-come..”

Sorrisi, triste, dando un’occhiata alla bara più in là.
La cerimonia ancora continuava.

“Sua madre” risposi, semplicemente “Mi ha fatto capire.”
“Ma-“
“Nelle foto” iniziai, cercando la conferma alle mie certezze “Lei dormiva.”
“Sì.” Sorrise brevemente, intuendo quello che stessi per dire. “Aveva gli occhi chiusi.”
“La signora Lopez mi ha ricordato di come il nostro rapporto si sia sempre basato su un semplice sguardo. Di come potessi capirla, dandole una semplice occhiata.” Spiegai “Dimmelo, Quinn, cosa avrei capito, se in quelle foto fosse stata sveglia?”
“Beh, avresti capito che quella non era la Santana che si è innamorata di te” rispose, sicura “Era quella prima di conoscerti, quella che ancora non aveva fatto ordine nella sua vita.”
“A quando risalgono quelle foto?” chiesi, ancora.
“Un annetto fa, più o meno” sollevò le spalle “E’ una delle tante appartenenti al suo ‘periodo buio’, quando la mamma si era ammalata da poco.” Continuò “Quella sera… quando lei ti lasciò…”
“Sì?”
“Lei mi chiese di inviarle quelle foto dal cellulare, non mi spiegò niente. Mi disse solo di farlo e io non capii allora.”
“Quindi, Caroline…”
“Era una delle innumerevoli ragazze con cui andò a letto in quel periodo. Le foto risalgono ad una festa che si tenne a casa di uno dei ragazzi della squadra di football, credo.” Fece, corrucciata “Beh, in realtà non ricordo nemmeno bene, so solo che questa tipa inviò le foto della festa a tutti noi via mail. Ecco perché le avevo anch’io.”

Presi un sospiro, assimilando il tutto.
Scossi la testa, pensando a quanto dolore ci eravamo causate a vicenda, per questa bugia.

“L’ha fatto per proteggerti, Britt” disse Quinn, come leggendomi nel pensiero.
“Lo so” convenni “Ma abbiamo sofferto in ogni caso entrambe” spiegai “Ha preso la sua decisione da sola, ma siamo in due. Avevo almeno il diritto di decidere quanto fossi disposta a rischiare per lei.”

Tutto.
Avrei rischiato tutto per lei.

 “Lei sapeva quanto avresti rischiato, Britt” fece, seria “E’ questo il punto.”





Arrivai a casa Lopez una ventina di minuti più tardi.
Immaginavo di trovare la porta chiusa, tanto che per strada ripensai all’eventuale alternativa di usare un piede di porco.
Ecco, in realtà, non avrei saputo nemmeno come utilizzarlo.
Non è che avessi avuto un passato da scassinatrice.
O meglio, solo a 15 anni mi comportai da criminale, forzando la cassaforte di MaryG.
Ma, ad ogni modo, avrei sfondato la porta, pur di entrare.

Stranamente, però, la stessa porta principale era aperta, leggermente accostata.
Mi avvicinai piano, spalancandola senza fare troppo rumore.




La casa era un puro e autentico macello.
Era stato tutto buttato a terra.
Giornali, libri, foto incorniciate, anche un vaso.
Persino un mobile.
Sembrava si fosse scatenato un tornado lì dentro.
Capii che era stata Santana a creare quel caos, semplicemente dal fatto che, di tutte le cornici, solo quelle raffiguranti la signora Lopez erano state risparmiate.

Mi voltai leggermente sulla destra, cercandola con lo sguardo.
E la vidi.
Era seduta sul divano, guardando dinanzi a sé il nulla.
Immobile.

Elvis, che notai decisamente cresciuto in quel mesetto, le era vicino.
Cercava di richiamarla dandole alcuni buffetti con la zampa sulla mano, inutilmente.
Sembrava quasi nemmeno respirasse.

Chiusi la porta alle mie spalle e mi avvicinai a lei.
“San?”

Niente.
Nessuna risposta. Nemmeno un cenno.

Notai la lettera, che le vidi in mano quando uscì dalla camera della madre, aperta sul tavolino lì vicino.
Aggirai il divano e mi sedetti al suo fianco.
Elvis mi fissò, agitando la coda.
Evidentemente mi riconobbe, cosa che mi lasciò piacevolmente stupita.
Si avvicinò a me, per farsi accarezzare qualche secondo.
Poi tornò al suo posto, alla sinistra di Santana.

Provai a cercare il suo sguardo, ma non riuscivo.
“San?”

La vidi prendere un respiro tremolante.
Sospirai leggermente sollevata, perché almeno ero sicura respirasse ancora.
Allungai la mano per toccare la sua.
Era fredda.

“San, ti prego, parlami.” Provai, ancora.

Provai a stringerle la mano.
Così da almeno farle capire che ero lì per lei.
Ma non ottenni nulla.

Rimanemmo nella stessa identica posizione per un po’.
Almeno una ventina di minuti.
Quando lei finalmente parlò.

“Ho chiamato mio padre.” Disse, in un sussurro, guardando sempre fisso il muro dinanzi a lei.
“Cosa?”
“Gli ho detto che la mamma…” strinse gli occhi, serrando la mascella “Ho scoperto che abita in un altro Stato ora. E’ in California.”

Oh.
Ma allora, se sapeva, perché non era al funeral-

“Mi ha detto che gli dispiaceva molto, ma che non pensava di farcela per la cerimonia.”
“Ah.”
“Ma mi ha detto anche che qualora mi serva qualsiasi tipo di aiuto, lui c’è e ci sarà sempre per me. Basta chiamare.”
“Beh…”
“Credo di averlo mandato al diavolo o a fanculo, non ne sono certa.” Disse, ancora.
“...Okay.”

Probabilmente lo avrei fatto anch’io al suo posto, d’altronde.
Le carezzai la mano, sperando anche di riscaldarla un po’.
Ma continuava a non muoversi di un muscolo.
E ancora, il silenzio ci avvolse per qualche minuto.

“San, guardami..”
“Le ho portato un garofano rosa.” Disse, invece, ignorando la mia richiesta.

Ricordai ancora quel momento.
Strinsi la sua mano di riflesso.

“Mi diceva sempre che non c’è modo migliore per dire qualcosa a qualcuno che regalare un fiore. Ognuno ha un suo significato.” Mi spiegò, parlando piano. “Il suo preferito era il lillà giallo, sai? Significa ‘sono fra le nuvole’. Ne metteva sempre un paio in un vaso al centro della tavola, quando eravamo ancora tutti assieme.”
“Oh. E cosa significava quello?” chiesi, allora.
“Il garofano rosa rappresenta in genere amore, felicità, gratitudine.. ma l’ho scelto principalmente per l’altro significato che porta con sé.” Chiarì, potevo avvertirlo, con un nodo alla gola, che iniziava a farsi sentire.
“E qual è?” domandai, ancora, in un sussurro.
“’Non ti dimenticherò mai’.”

Chiusi gli occhi, con forza, sapendo quanto stesse soffrendo.
Il problema di queste vicende è che non esistono cure immediate.
E non sapevo come avrei mai potuto farla stare meglio.
Così, mi limitai a tenerle ancora la mano.
Almeno sarei stata lì con lei.

“Non ce la faccio, Britt” sussurrò, poi, con voce strozzata “Non posso farcela.”
“San..”
“Non sono forte come lei pensa.” Continuò “Non posso vendere questa casa, non posso.”

Rimasi lì per lì confusa da quelle parole.
Poi parlò ancora.

“Quella lettera… l-lei-“ si interruppe, incapace di continuare, portandosi una mano agli occhi.

Posai lo sguardo sui due fogli sul tavolino.
La busta aperta più in là, con scritto un semplice ‘Per Santana’.
Mi chinai in avanti per afferrarli.

“N-non ho nemmeno finito di leggerla.” Disse, con voce incrinata.
“Vuoi che lo faccia io?” chiesi, allora. “La leggiamo assieme se vuoi.”

Ottenni un breve cenno del capo in risposta.
Nient’altro.
Dei due fogli, il primo era scritto a mano.
Il secondo, a cui diedi solo un breve sguardo, notai fosse stato invece battuto a computer.
Ma preferii andare in ordine.
Iniziai dalle parole delle signora Lopez.

Cara Santana” iniziai, dandole una breve occhiata, notando come non si fosse spostata di un millimetro. “Avrei così tante cose da dirti, ma non ho intenzione di rendere questa piccola lettera il poema che forse ci si aspetterebbe.
Sai già quanto io ti voglia bene e quanto sia orgogliosa della persona che sei diventata. Sei sempre stata il mio cuore, quello funzionante, che mi permetteva di continuare a vivere.
Se stai leggendo queste parole, significa che quello difettoso ha deciso di avere la meglio. Avrei voluto essere lì con te, non avrei mai voluto che tu affrontassi tutto questo. Ma cose del genere succedono e non possiamo far altro che accettarle.
Ho deciso di scriverti questa lettera, perché non avevo il coraggio, né la forza di dirti queste cose di persona. So quanto sei testarda, avremmo passato gli ultimi momenti a discutere, quando invece l’unica cosa che voglio fare è abbracciarti.
Per cui, mentre aspetto qui in ospedale che tu torni da me per farti salutare, detto a Clara queste parole.”


Mi fermai un momento, per prendere un respiro.
Era piuttosto pesante anche per me leggere queste cose, figurarsi per lei ascoltarle.
E notai come le parole la stessero colpendo con forza.
Gli occhi erano ancora coperti dalla mano, che teneva sul volto.
La mascella serrata.
Ma la sua mano ora stringeva con forza la mia.

“Qualche settimana fa decisi di inviare una richiesta di ammissione alla New York University, da parte tua, ovviamente. Ho falsificato qualche firma, ma… era necessario, sai.
Mi ricordo come prima di ammalarmi ne parlavi spesso, mi dicevi che, semmai avessi potuto, ti saresti catapultata ad un’università di legge. Ti appassionava questa tematica e i tuoi occhi brillavano quando ne discutevamo.
Poi, un anno fa, hai smesso di parlarne. Ma io non ho dimenticato.
Voglio che tu segua la tua strada, San.
Voglio che tu diventi la migliore.
Voglio che tu sia felice.
Puoi farcela. So che puoi.
Con questo foglio, ti ho lasciato la lettera di ammissione, Sannie. Ho sempre saputo che ti avrebbero accettato.
Avrei voluto stringerti a me e farti i miei complimenti di persona, ma mi limito a scriverti che sei il mio orgoglio più grande. La mia gioia. E sono fiera di te.”


Mi fermai ancora, sentendo la sua stretta sulla mano intensificarsi.
Io strinsi di rimando.
Con l’altra mano, scostai lievemente il primo foglio, per leggere l’altro.
Notai subito la scritta sulla prima riga.
‘Gentile signorina Lopez, siamo lieti di comunicarle che lei è stata ammessa al corso di legge presso la New York University.’
Boccheggiai per qualche secondo.
Decisi di riprendere la lettura poco dopo.

“Ora, però, devi ascoltarmi. Vendi la casa, San.
Diciamocelo, non abbiamo navigato nell’oro in questo ultimo anno, ma siamo sopravvissute. Tu hai fatto così tanto per me, per noi. Ora voglio che fai qualcosa per te stessa.
Vendila. Con i soldi paga le prime rate dell’università. Non credo basteranno per tutti gli anni e per il tuo mantenimento lì a New York, quindi, ho fatto qualche ricerca.
Ci sono borse di studio, che ti aiuterebbero molto. Se mantieni la media alta, ce la farai alla grande, Sannie.
So che ce la farai, ne sono certa.
Mi dispiace che le cose non siano state e non continueranno ad essere facili, ma tu sei forte.
Sei sempre stata una roccia e so di lasciarti in ottime mani.
Quinn ti terrà lontana dai guai, come al solito. Brittany ti terrà lontana dalla tua parte un po’ autodistruttiva, non combattere i sentimenti che provi, San. Esistono per essere vissuti, sia quelli belli che quelli brutti. Dobbiamo solo focalizzarci sui primi.
Ultima cosa.
So che non vuoi nemmeno sentir nominare tuo padre, ma ricordati che lui potrà darti una mano, quando e se ne avrai bisogno.
So che, in realtà, hai già ignorato quest'ultima riga scritta, ma dovevo comunque puntualizzarlo.
So anche che non vorrai vendere la casa, ma devi.
E’ solo una stupida abitazione. Nient’altro che muri, San.
Tieni sempre a mente che non sarà un ricordo materiale, come una casa, a riportarmi da te.
Perché anche se non mi puoi vedere, io sarò sempre lì. Con te.
Ricordati che sei il mio cuore.
Vivrò per sempre attraverso di te. Basta un pensiero e io sarò lì.”


Terminai la lettura decisamente scombussolata.
Mi voltai verso Santana, per osservarne la reazione.
La mano non era più sul volto, ma stretta lungo il fianco.
La mascella serrata.
Gli occhi bassi e pieni di lacrime non versate.

“San..” provai a richiamarla, carezzandole il polso con la mano.

Scosse la testa, cercando di riacquistare compostezza.
Capii in quel momento che stava cercando di trattenersi.
Stava cercando a modo suo di essere forte.
Ma come si poteva in un momento del genere?

“San, va bene lasciarsi andare.” Dissi, con voce leggermente incrinata, cercandone lo sguardo “Va bene non essere forti 24 ore su 24.”
“Non posso..” bisbigliò impercettibilmente.
“Ci sono io qui con te, San, ok? Non ti lascio da sola. Puoi smettere di combattere contro te stessa per qualche ora, il mondo non cadrà.” Provai, ancora “Guardami.”

Fu allora che si decise.
Puntò gli occhi nei miei, ormai incapaci di contenere le lacrime.
Lacrime, che lente iniziarono a scorrere sul suo viso.
In quel momento avvertii il mio cuore lacerarsi.

“N-non merito che tu stia q-qui.” Disse, con difficoltà “I-io-“
“Smettila.” La fermai, subito “So la verità, San. So del finto tradimento. So tutto. Smettila di proteggermi, non ne ho bisogno.” Feci, seria “L’unica cosa, di cui mi importa e di cui ho veramente bisogno, è che tu mi permetta di starti vicino. Perché io non intendo andare da nessuna parte, ma me lo devi lasciar fare.” Continuai, portando una mano sulla sua guancia “Okay?”

Non mi rispose.
Si limitò ad accorciare la breve distanza fra i nostri visi.
Posò per qualche secondo le labbra sulle mie.
Un bacio intriso di lacrime, che realizzai, allora, avevano già solcato anche il mio viso, senza che me ne accorgessi.

“M-mi dispiace tanto, Britt” disse, con voce strozzata, allontanandosi dopo qualche secondo. “S-scusami.”

Sapevo per cosa si stava scusando.
Per tutto.
Ma non ce n’era bisogno.

“Va tutto bene” la rassicurai, attirandola a me, permettendole di incastrare il viso nell’incavo del mio collo, abbracciandola stretta.
“N-non ce la faccio senza di lei, B-Britt.”

Non le dissi niente.
Perché, in certi casi, le parole… beh, non servono a un granché.
Così la strinsi a me più forte.
Mi lasciai andare indietro, per sdraiarmi sul divano, tirando lei con me.
Lasciai che si sistemasse meglio.
E lasciai che sfogasse il suo dolore.

“Lo so, San...”

La sentii piangere più forte, tremando fra le mie braccia.

“N-non andartene.” mi pregò, infine.
“Non lo farò” la rassicurai, subito “Mai. Te lo prometto.”









Tetraedro dell'Autrice

Questo capitolo, posso dirlo credo con assoluta certezza, è quello che mi ha fatto penare di più in assoluto. 5 giorni per scriverlo, di cui uno passato a fissare la pagina bianca di word... bello, insomma.
Quindi, mi scuso per l'immenso ritardo, ma proprio non riuscivo a scrivere!
Detto questo, passiamo oltre..

a. mi rendo conto che il capitolo è di una tristezza impressionante, ma almeno è l'ultimo di questo livello!

b. il perchè delle foto... mi chiedo in quanti abbiate imprecato in visigoto dopo aver letto la spiegazione.. era un po' una cazzata come vi avevo annunciato!
Ed era ovunque perchè... insomma si parla di occhi dappertutto in questa fanfic xD

ah e l'indizio un po' più evidente che avevo messo nel capitolo dell'incontro in palestra era questo:
"
I suoi occhi erano spenti.
E stanchi.
Mi ricordavano tanto, troppo, i vecchi tempi.
Quando ancora non sapevo chi fosse.
Quando ancora non mi ero innamorata di lei."


In pratica avevo cercato di far capire che brittany avrebbe benissimo potuto capire, guardandola solo negli occhi, se quella santana delle foto era la 'sua' o quella ancora incasinata alla grande.
vabbè, il mio italiano in quest'ultima frase lascia un po' a desiderare, ma... dettagli!

mmh, per il resto credo niente!
il prossimo capitolo dovrebbe arrivare intorno a sabato prossimo e questa volta non dovrei davvero avere problemi... ormai ci avviciniamo alla fine, ed è solo una la faccenda che ancora è rimasta in sospeso ;)

come sempre, grazie davvero a tutti! anche e soprattutto per la pazienza! :)

A presto, bella gente! :D


 

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Capitolo 33
*** Non è così male il buio se tu sei con me ***


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“La mia domanda è” iniziai, entrando in casa innervosita “Perché diavolo certa gente crede che il marciapiede sia una pista da bowling, eh?!” sbraitai “Non alzano nemmeno lo sguardo e giocano a chi butta più pedoni per l’aria. Vi sembro un fottuto birillo per caso?!”
“Un birillo carino, però…” commentò, con un mezzo sorriso Santana, con la testa appoggiata sulle gambe di MG, mentre guardavano un film.
“Oh, sei sveglia!” sorrisi di rimando, avvicinandomi.
 
Era passato circa un mese e mezzo.

Nonostante inizialmente possa sembrare impensabile, il tempo passa.
Anche in questi casi.
 
Certo non era stato facile.
Diciamo pure per niente.
C’erano stati – e continuavano ancora ad esserci - momenti, in cui Santana era semplicemente intrattabile.
Arrabbiata, scontrosa, irascibile.
Altri in cui si chiudeva completamente a riccio, non permettendo quasi a nessuno di avvicinarsi.

Fortunatamente tendeva a non escludermi mai completamente.
Certe volte lasciava, letteralmente, la porta socchiusa per permettermi di entrare.
 
In quel periodo né io né Quinn la mollammo un secondo.
In genere passava le notti a casa mia, quando non doveva combattere.
Le altre… beh, si ostinava a stare nella propria.
In ogni caso non le permettevamo di stare da sola, nonostante lei non fosse esattamente d’accordo.
Soprattutto per la mia di presenza.
Perché il motivo per cui mi aveva allontanata era ancora lì.
Costante.
Ma questa volta io non le avrei permesso di decidere per entrambe.
 
“Già, e tu sei fuggita più veloce di Speedy Gonzales stamattina” constatò con uno sguardo confuso “Dove sei andata?”
“Rachel.”  Dissi semplicemente, guadagnandomi un’occhiata interrogativa, in risposta. “Okay…” iniziai, cercando la maniera migliore per dirlo “Tu… ecco, sai che noi tutti siamo del Glee, no?”
“Ahà.” Balzò a sedere sul divano, guardandomi con gli occhi chiusi a fessure.
“E sai che… beh, ci sarebbero le nazionali a breve..”
“Così pare.”  Inarcò un sopracciglio, mentre MG mi guardava divertita, sistemandosi meglio sul divano. “Nazionali a cui io non intendo partecipare e per le quali non avrebbe senso allenarsi” aggiunse, con un tono vagamente divertito, ma minaccioso.
 
Sorrisi innocentemente.
Il ghigno sulle labbra di Gollum invece si allargò fino all’inverosimile.

“Ti ho mai raccontato la storia di Sheep e Shoop?” chiesi, allora, convinta.
“Oh, Dio.” Borbottò mia sorella, passandosi una mano sugli occhi.
 
Erano fighe Sheep e Shoop.
Ci pensavo ancora, ogni tanto.

“Ci sono queste due pecorelle, sai” iniziai, prendendo tempo “che… beh, hanno questo amore tormentato, perché appartengono a famiglie mafiose opposte” continuai, con tono cospiratorio.
“Due pecore.” Si accertò di aver capito bene Santana, con uno sguardo confuso.
“Pecore innamorate, San” puntualizzai seria “E.. hai presente Romeo e Giulietta, no? Sono così! Solo che loro cantano anche.”
“Romeo e Giulietta cantano?”
“Sheep e Shoop, San” rispose per me MG “Non perdere il filo!” la riprese, cercando di contenere una risata, ormai prossima all’esplosione.
“Quindi, le pecore cantano.”
“Già” confermai, guardandomi attorno in cerca di spunti “E… esiste una gara… la gara delle… ahm” riflettei, in difficoltà “Pecore cantanti volanti, ecco!”
“Quindi volano anche?” chiese Santana, nascondendo con una mano un sorriso, che stava comparendo sulle sue labbra.
“Volano con la musica” puntualizzai, con un sorriso tirato. “E quindi..” ripresi “Una delle due pecore non è favorevole a partecipare a questa gara che-“
“Sheep o Shoop?” chiese MG, curiosa.
“Fa differenza?” chiesi, linciandola con lo sguardo.
“Beh, dal nome direi Shoop. E’ un nome più serio e, probabilmente, direi che fa parte della famiglia con più mafiosi armati di mitra e-“
“Okay, okay!” sbottai “Shoop non è d’accordo! Allora Sheep è in difficoltà perché il castoro, loro amico, è un patito di musica e canto, tipo..” riflettei, concentrata “Uno psicopatico amante delle competizioni canore..”
“Oh.”
“Già! E… Sheep non vuole andare ad esercitarsi da sola senza Shoop…” aggiunsi, titubante “Perché, sai, si amano e il loro amore è tormentato e-“
“Ma i genitori sono contrari anche alle competizioni di canto?” chiese questa volta mia madre – sì, mia madre – sbucata dal nulla alla mia sinistra.
“E il castoro va d’accordo con le pecore?” domandò questa volta mio padre “Mi sarei aspettato più un’amicizia con un montone o una mucca o-“
“Sono pecore di famiglie mafiose pà!” lo bloccai, seria “Ti pare si facciano problemi per amicizie con castori?” feci, sollevando gli occhi al cielo. “E no, mamma, le famiglie non credo abbiano da ridire se cantano!”
“Però si fanno problemi su chi frequentano!” sbottò, incrociando le braccia al petto “Che razza di gente si comporterebbe così?!”
“Buon Dio, sono pecore, mà!”
 
Mi passai stanca le dita sulle tempie, massaggiandole.
Osservai MaryG e Santana parlottare divertite fra loro, più in là.
Ben presto si unirono anche i miei.
Guardai sospettosa tutti e quattro.

“Ma…” iniziò, poi, Santana alzando lo sguardo “Questo castoro, date le sue abilità nel mordicchiare qualunque cosa, non potrebbe semplicemente rompere il cancello di legno così da permettere a Sheep e Shoop di scappare?” chiese, curiosa, mentre gli altri tre annuivano convinti.
 
La guardai stralunata.
 
“Credo stiamo perdendo un attimino di vista la metafora che c’è alla base” constatai, confusa.
“Tu hai parlato di pecore..” riflettè, con un sorriso.
“Sì, beh, pecore che cantano!” puntualizzai “E che, nonostante tutto, decidono di accompagnare, per amore, la propria peco-ragazza ad un incontro con quelli dello SheepGlee!”
“Sì, capiamo questo” si intromise questa volta Gollum “Ma… non ci sarebbero problemi se il castoro liberasse le pecore!” affermò convinta “Nel senso, sono libere e magari si trasferiscono a, che so, la Brodway pecoresca”
“Avrebbero un gran bel futuro se quel castoro si desse una mossa” continuò mia madre.
“Potrebbero finalmente essere libere di coronare il loro amore, senza i problemi legati alla famiglia. Potrebbero sposarsi! Non dico di mettere l’anello al dito, perché non credo abbiano dita, ma un bel bracciale o una collana.” concluse mio padre.
“Magari con le loro iniziali” riflettè Gollum, concentrata. “No, aspetta, sarebbe un po’ nazista come cosa…”
 
Li osservai per qualche minuto.
Allibita.
Poi ci pensai un attimo.
 
“Vi state facendo beffa di me, vero?” chiesi, incrociando le braccia al petto.
“Noooo” rispose, nascondendo un sorriso, Santana.
“Vi state facendo beffa di me!”
“In realtà volevamo solo vedere fin dove saresti arrivata” rise MG, guadagnandosi un cinque da mia madre.
“Incredibili” sollevai gli occhi al cielo, infastidita “Aspetta” mi bloccai un attimo, rivolgendomi a Santana “Quindi tu hai capito quello che-“
“Tanto sappiamo entrambe che finirò per accompagnarti al Glee oggi” sorrise “Nonostante sia sabato pomeriggio” aggiunse, con una smorfia.
 
La guardai, commossa, come una dea scesa in terra.
Lei si fece una risata.
 
“Bene!” esclamò allegro mio padre, alzandosi in piedi “Risolto questo problema, che ne dite di dare inizio alla mattinata dei giochi da tavolo?”
“Oh, sì!” fece, entusiasta, mia madre.
“Oh, no” sbottammo in contemporanea io e Mg, mentre Santana ci guardava confuse.





“Bastarda!”
“Gollum, l’ho comprato onestamente!” ribattei, piccata, allungandomi verso lo scatolo, dove avevamo le casette.
“Non oseresti!” fece ancora, linciandomi con lo sguardo.
“Oh, sì, invece” sorrisi malefica “Mi pagherete fior di quattrini.”
“Ti ricordo che faresti pagare la tua famiglia e la tua stessa ragazza, sei davvero scorretta, scricciolo” constatò mio padre.
“Già” concordò Santana, contrariata osservando quello che aveva “E io ho solo zone puzza” incrociò le braccia, sbuffando.
“Beh” le sorrisi, accarezzandole la mano, per poi chinarmi verso lo scatolo “A te non farei pagare comunque e- oh! Guarda qua cosa ho trovato!”
“Vorrei poter chiedere se hai ritrovato il tuo cervello, ma mi rendo conto che sarebbe un evento piuttosto raro.”
“Gollum” la richiamai, spazientita “No! Ho trovato il mio primo alberghino! La vedi la B?” sorrisi “E ora verrà nuovamente messo qui, a dominare su tutti voi.”
“Bastarda.”
“Sono solo un’abile donna di affari, caro flagello dell’umanità.” Affermai fiera, posizionando la minicasetta in posizione.
 
Sì.
Avere Parco della Vittoria al Monopoli non ti fa amare molto dagli altri.




 
“Se magari inclinassi un po’ di lato la pinzetta, forse riusciresti a-“
“Tesoro, so quello che faccio!” esclamò concentrata mia madre.
“Ne sono convinto, però, credo che-“
“Amore non distrarmi!”
“Sì, ma-“
“Papà!” lo richiamai questa volta io, seduta fra le gambe di Santana, che se la rideva di gusto “Non puoi distrarla in un momento del genere!”
“Me ne rendo conto, però ho fatto qualche calcolo” fece afferrando un foglio lì vicino tutto scarabocchiato “Vedete?” chiese, mentre io, Santana e Gollum ci avvicinavamo confuse “Se calcoliamo il seno dell’angolo che formiamo ponendo la pinzetta a questa altezza” iniziò gesticolando convinto “E la ruotiamo di circa 20 gradi  arrivando a questa posizione, potremmo facilmente calcolare la-“
 
Ci riscuotemmo tutti e quattro sentendo uno schiarirsi di voce alla nostra destra.
Ci voltammo trovando mia madre, gongolante, con l’oggettino fermo nella pinzetta.
 
“Tesoro, stoppati. Io spacco all’allegro chirurgo.”




 
“Mà, pà, concentratevi.” Iniziò seria MG “E’ una cosa che Foffy” fece indicandomi, con un ghigno “non ha”.
“Bello” roteai gli occhi, contrariata.
“Buonsenso!” provò mia madre.
“No!”
“Abilità in cucina!” fece mio padre.
“No!” li bloccò ancora Gollum “Andiamo, l’ho detto anche prima… è una cosa che non potrebbe ritrovare nemmeno se-“
“Le chiavi della macchina?”
“No, no!
“L’intelligenz-!”
“Mà!” la richiamai indignata, con a fianco una Santana che a stento controllava le risate.
“No, ma ci sei quasi!”
“Quoziente intelletti-“
“No!”
“Cerv-“
“TEMPO SCADUTO!” scattai in piedi trionfante. “HA’!”
“Non vale!” sbottò Gollum “Papà stava indovinando!”
“Stava, dici bene” sogghignai, soddisfatta, per poi rivolgermi ai miei “E comunque siete incommentabili” feci una smorfia “L’avevo capito persino io che era ‘cervello’ la parola.”
“In effetti era piuttosto intuibile..” bisbigliò Santana a bassa voce.
 
Non abbastanza bassa, però.
Motivo per cui, uno scappellotto la colpì, preciso e forte, sulla nuca.




 
“Non credo di poterti più guardare negli occhi” affermò seria mia madre “Né parlarti.”
“Andiamo mamma, non fare così!” provai, per l’ennesima volta, invano. “Papà, almeno tu!” feci, ancora, ottenendo solo che scuotesse la testa, contrariato.
“Britt, devi provare a capirli, su” mi accarezzò la schiena Santana, stringendomi a sé “Non è semplice..”
“Sì, ma-“
“Sei stata egoista, Matilda” riflettè Gollum, con le braccia incrociate.
“Andiamo, possiamo provare a perdonarla..” provò Santana, ottenendo l’attenzione di tutti e la mia riconoscenza “In fondo, non è colpa sua se è riuscita a-“
“Se voi siete delle schiappe epiche e io un’abile stratega, non potete prendervela!” sbottai, contrariata.
“Così non migliori molto la situazione…” bisbigliò la mia ispanica, osservando gli sguardi di fuoco che gli altri mi stavano lanciando.
“Okay, okay” mi calmai “Mi dispiace, sul serio. Ma…” scossi la testa “Il mondo aveva bisogno di me.” Annunciai convinta “Che fine avrebbe fatto se fosse finito nelle mani di Gollum, ad esempio!?”
 
I miei abbassarono la testa pensierosi.
MG, invece, mi avrebbe volentieri massacrato di botte.
Ma era un dettaglio.
 
“Beh, però se fosse finito nelle mie mani, avrei-“
“Si strafogherebbero tutti di torte e la percentuale di soggetti affetti da diabete senile aumenterebbe in maniera spropositata, mamma.” La interruppi subito.
“Io, invece, avrei potut-“
“La specie umana si estinguerebbe perché incapace di cucinare, nel tentativo di emularti, pà.”
 
Chinarono entrambi la testa sconfitti.

“Ci avevi riflettuto parecchio, vero?” chiese sottovoce Santana al mio orecchio.
“Il mondo deve essere mio, San. Ho il predominio a Risiko.”






 
“Ehi” feci entrando nella mia stanza.
 
Diedi uno sguardo ad Elvis, addormentato nella cuccia al lato del puffo.
Santana era seduta sul letto, guardando fuori dalla finestra.
Capii che era persa nei suoi pensieri.
In realtà l’avevo notato già durante il pranzo, quando MG nominò casualmente la Juillard.
Dovevo ancora ricevere il responso.
Ma notai come lei si irrigidì per qualche secondo, subito dopo.
Pochi istanti.
Ma non mi sfuggì.
Così come non mi sfuggì il suo silenzio per il resto del tempo.
 
“Ehi” rispose con un piccolo sorriso tirato, mentre mi sedevo al suo fianco. “Tua madre cerca ancora un numero per contattare gli ideatori delle domande di Trivial Pursuit?” chiese, facendomi sorridere divertita.
“Naa, si è placata. Credo si sia arresa al fatto che è lei a dover migliorare le sue conoscenze in cultura generale” spiegai, tranquilla “E non loro a doverle rendere più facili..”
“’Per noi, comuni mortali’” aggiunse, ripetendo le sue stesse parole.
“Esatto!”
 
Rimanemmo in silenzio per qualche secondo.
Credo il tempo che lei facesse ordine fra i suoi pensieri.
 
“Tu..” iniziò, continuando a guardare fuori dalla finestra concentrata “Pensi che debba vendere la casa?”
“Sì.” Risposi solo, osservandola contrarre la mascella.
 
Era la prima volta che ne parlava.
Beh, la prima dopo una litigata che facemmo circa un mesetto prima.
Quando ancora non si era arresa al fatto che io non avrei lasciato che facesse tutto da sola.
Che non l’avrei lasciata decidere per entrambe.
Che sarei rimasta sempre.
E che non mi importava un fico secco di Phill e le sue minacce.

In effetti, litigammo parecchio.
 
Ma la casa era un po’ un argomento taboo.
Non poteva essere toccato senza che Santana si chiudesse a riccio o, peggio, si innervosisse fino all’inverosimile.
 
“Come potrei farlo?” chiese, ancora.
 
Deglutii in difficoltà.
Non era un argomento semplice.
 
“Era questo che voleva per te tua madre, San.”
“Che vendessi la nostra casa, come non fosse mai esistita?” fece, tremando leggermente “Come se i mesi passati lì non ci fossero mai stati?”
“Sai bene che venderla con cancellerà nulla.” Dissi, invece, seria “Nulla, San” ribadii “Credo sia impossibile cancellare ricordi del genere.”
“Non posso..” bisbigliò, passandosi una mano sugli occhi.
 
La capivo.
Non era semplice.
Ma non c’era ancora molto tempo.
La settimana successiva ci sarebbe stato il ballo di fine anno.
Alcuni giorni dopo il diploma.
Eravamo alla fine.
Doveva decidere, purtroppo.
 
“Lei voleva che tu avessi un futuro.” provai, cauta “Sei entrata alla New York University, San. Puoi avere un brillante futuro. Puoi andartene da qui, puoi-“
“Senza di lei, Britt.” Puntualizzò “Avrei potuto, ma..” scosse la testa, evitando il mio sguardo “I-io non sono sicura di quello che voglio, non sono sicura di poter lasciare tutto qui così.”
“San, quella casa non porterà indietro tua madre.” Dissi, seria “Non può farlo. E’ una casa.”
“Tu non capisci.”
“Già, non capisco” ripetei, ironica “Non capisco che sei spaventata. Non capisco che sei arrabbiata. Che hai paura.” Sbottai , avvicinandomi a lei “Non ti conosco, in fondo, no?”
“Io non ho paura.” Ribattè, innervosita, afferrando all’istante il concetto.
“Sì, invece.” Feci, seria “E sei triste, ferita, arrabbiata. Spaventata. “ aggiunsi, ancora “Ma è giusto! E’ normale che sia così, San.”

Mi guardò dritta negli occhi, prendendo profondi respiri.
Notai come lasciò andare la rabbia, gradualmente.
Tirai, internamente, un sospiro di sollievo.
 
“Non riesco, Britt. Non riesco a fare niente. Mi sento... bloccata.” Disse, poi, piano.
“Lo so.”
“Lei non sapeva, lei-“ scosse la testa “Come posso fare tutto quello che mi ha chiesto? I-io non so come fare.”
“Un passo alla volta, San” le afferrai la mano.
“Io non posso, io-“
“Lei credeva in te” affermai, sicura “Io credo in te. San, puoi farcela, devi solo voler andare avanti. E’ questo.” Feci, cercando ancora il suo sguardo, che continuava a sfuggirmi “E’ questo che conta. Devi volerlo.”
 
Si fermò qualche secondo, combattuta.
Scosse ancora la testa.
 
“Phill, lui non permetterà che-“
“Contatteremo mio zio” la fermai, facendola irrigidire all’istante “Lui è un detective. Abita a un’oretta di distanza da qui, ma sono sicura che Phill sia noto fin lì, onestamente.”
 
Ci avevo pensato parecchio in quei tempi.
Lei non voleva che si sapesse degli incontri, del lardoso e di tutto quel mondo.
Soprattutto nella mia famiglia.
Ma era l’unica soluzione.
O almeno, ci avremmo provato.
 
“Gli racconteremo tutto” spiegai “E sono sicura che-“
“Il tuo prossimo passo è per caso tatuarti sulla fronte un ‘Nemica di Phill numero 1: uccidetemi pure’?!” sbottò, allontanandosi di scatto “Che diavolo dici, Brittany?!”
“San..” provai, calma.
“No!” mi interruppe “E’ fuori discussione. La tua famiglia deve rimanere fuori da tutto questo!”
“Ci rimarrà!” ribattei cocciuta.
“Già vivo praticamente qui, mettendo tutti voi a rischio e tu-“
“Ancora?! Quante volte ne abbiamo parlato, Santana?!” urlai, ancora “Credi che Phill non sappia già tutto di me?! Credi che se avesse voluto fare qualcosa contro di noi, non l’avrebbe già fatta? Non è stupido! Non si esporrebbe tanto.”
“Non puoi saperlo!”
“Sì, al diavolo, non posso saperlo al 100%, ma vuoi sapere cosa so per certo?” chiesi retorica “Che non intendo permetterti  di proteggermi ancora. Perché non mi interessa! Non voglio che tu sia la mia salvatrice o cazzate simili, perché sappiamo entrambe a cosa ha portato la decisione che hai preso per entrambe non molto tempo fa!” sbottai, facendola ammutolire di colpo.
 
Non toccavamo spesso quell’argomento, in realtà.
E forse uscì fuori, solo perché avevo perso vagamente il controllo della situazione.
Ma non si poteva fingere che quello che era successo non fosse mai accaduto.
 
“Ricordi quello che ti dissi la prima volta che venni a casa tua, per dirti che avevo rifiutato Jennifer? E che ti amavo?” chiesi, piano “Beh, ‘ti amo’ molto ricambiato quella sera tra l’altro” scherzai, cercando di smorzare un po’ di tensione. “Ti paragonasti a una, ahm, pozzanghera nell’oscurità, giusto?”
“Giusto” annuì leggermente.
“E ti ricordi anche cosa ti dissi dopo?” chiesi, ancora.
 
Sorrise, leggermente, scuotendo la testa.
 
“Che avresti preferito essere nell’oscurità con me. Che non ti interessava la luce, se avevi me” sospirò “E che ti saresti attrezzata con qualche lampadina, nel caso” aggiunse, ancora.
“Esatto.” Sorrisi “Questo significa che non mi importa dei problemi, dei rischi, non mi importa di niente se ho te, ok? Possiamo prendere un lampadario da camera assieme se vuoi.” Scherzai, facendola sorridere.
 
Mi guardò ancora, intensamente.
Posò la mano sulla mia guancia, accarezzandola.
Rimanemmo così qualche secondo, finché lei non parlò ancora.
 
“Non posso” scosse la testa “I-io devo pensare.”





 
“Allora ragazzi, ormai ci siamo!” annunciò entusiasta il professor Schù “Dopodomani abbiamo le Nazionali e…” sorrise allegro “E’ stato davvero un anno intenso! Ce l’abbiamo fatta, siamo arrivati ancora una volta fin qui e, sono sicuro” fece, convinto “davvero sicuro che questa volta porteremo il premio a casa.”
“L’importante è che Finn si tenga lontano dalla Berry” ridacchiò Puck.
“Non c’è pericolo” disse fra i denti Quinn, fulminandolo con lo sguardo, facendo ridere tutti.
 
Spostai lo sguardo verso i posti più indietro sulla destra dell’Auditorium.
Santana era lì.
Non me l’aspettavo, in fondo.
Dopo avermi lasciato da sola a casa, non si era fatta sentire.
E io non l’avevo chiamata.
Questo per circa tre ore.
Sapevo aveva bisogno di riflettere.
Lo sapevo.
Ma non potevo negare di essere rimasta un po’ ferita dal suo atteggiamento.
 
Ecco.
Perché tipo le persone non possono semplicemente accettare il fatto che io ho sempre ragione?
Avrei dovuto regalare un bel manuale a tutti.
‘Le mille e uno ragioni di Brittany’.
Una bella introduzione ad effetto:
Prima regola: Brittany ha sempre ragione, o quasi*.
quasi* = cenno di finta modestia, da non prendere in considerazione.

 
Al diavolo.
Doveva smetterla di allontanarmi.
Doveva smetterla di proteggermi.
Ormai c’ero dentro fino al collo in quella situazione.
Phill mi conosceva ed ero abbastanza certa già sapesse ogni cosa di me.
A cosa serviva tenermi a distanza?
Niente.
Serviva solo a farci litigare a vuoto.
 
Santana aveva bisogno di aiuto.
Entrambe avevamo bisogno di aiuto, se volevamo uscirne.
Doveva solo capirlo lei.
 
“Bene!” continuò il professore “Prima delle prove generali, direi di sentir cantare uno di voi come sempre e, no, Rachel” parlò prima ancora che una mano si alzasse alla mia sinistra “Vorrei qualcun altro oggi” sorrise, tranquillo.
 
Notai con la coda dell’occhio Santana guardarmi.
Ma non mi voltai.
Per principio, oh!
 
“Allora? Qualcuno vuole venire qui?” chiese Schuster.
 
Quella richiesta mi ricordò anche della canzone che Jennifer mi dedicò poco tempo prima in aula canto.
Non la vedevo spesso di recente.
Dopo che io ruppi con lei, non era molto propensa a vedermi.
Motivo per cui, quel giorno non c’era.
In realtà, erano più le volte che mancava al Glee che le altre.
 
“Andiamo!” ci spronò ancora “Nessuno?” chiese, deluso “Santana, tu?”
 
Scaltroman lo dovevo chiamare.
Ma dico io, a momenti ti staccava la testa l’ultima volta!
Un plauso, sul serio.
Bravo, lui.
In punto di morte, lui.

Presi a guardare le lancette dell’orologio per contare quanti secondi passassero prima di un insulto di Santana.

Uno.
“Eh, Santana? Ti va, oggi?”

Due.
Silenzio nell’auditorium.

Tre.
“Potrebbe essere divertente, sai…”

Quattro.
“Prof non credo sia una buona idea.”
Quinn, un classico.
Meno male che c’era lei.

Cinque.
“Sì, ma credo che, sai, potrebbe farti bene”

Sei.
Come i sei pezzi in cui il professore sarebbe stato frammentato a breve.
“Ok.”

Sette.
Silenzio, ancora.
Peccato. Avevo previsto per allora la prima imprecazione e-
Momento.
Perché Santana si stava muovendo verso il professore?!
 
Scattai in piedi, preoccupata.
 
“San!” la richiamai subito “Sai che l’omicidio è tuttora perseguibile penalmente?” chiesi, cauta, ottenendo uno sguardo interrogativo in risposta. “Non puoi ucciderlo!”
“Veramente dovrei cantare.”
“Sì, sì, lo so! E’ un essere fastidioso, una spina del deretano quando vuole, ma non puoi, sul serio!” sbottai, ancora.
“Ehi!” mi guardò indignato Schuster.
 
Lo guardai seria.
 
“Professore, è per il suo bene.” Affermai, convinta.
“Britt?” mi tirò per la manica Rachel “Siediti.”
“Ma, ma-“
“Sta per cantare Britt” mi bloccò afferrandomi per le guance con una mano “Concentrati.”
“Lei lo ucciderà” bisbigliai, preoccupata, abbassandomi alla sua altezza.
“Lei vuole cantare” ripetè ancora, avvicinandosi ancora di più. “Hai capito quello che ho detto?”
 
Eh?

“Canthare?” chiesi, confusa, per quanto mi fosse possibile parlare con la presa ferrea della mia amica sulla faccia.
“Zitta e sta’ seduta!” mi diede uno strattone, facendomi impattare contro la sedia, nell’esatto momento in cui le luci si abbassarono leggermente.
 
Alzai lo sguardo e la vidi la centro del palco, di fronte al microfono.
La testa bassa.
Pochi secondi e i ragazzi agli strumenti iniziarono ad eseguire le prime note della canzone.
La riconobbi subito.
 
[si tratta di ‘Cosmic love’ dei Florence + the Machine https://www.youtube.com/watch?v=2EIeUlvHAiM – NdA]

A falling star fell from your heart and landed in my eyes.
I screamed aloud, as it tore through them, and now it's left me blind.

 
Non la sentivo cantare da tempo.
Non che fosse solita farlo prima, ma mi stupii ancora come la prima volta.
Era perfetta.


The stars, the moon, they have all been blown out
You left me in the dark
No dawn, no day, I'm always in this twilight
In the shadow of your heart

And in the dark, I can hear your heartbeat
I tried to find the sound
But then it stopped, and I was in the darkness,
So darkness I became.


Capii dal tono sofferto delle parole.
Dalla sua testa bassa.
Dagli occhi chiusi.
Cantava della madre.
La osservavo commossa.
Quinn la osservava commossa.
Notai che in realtà tutti la stavamo osservando allo stesso modo.


The stars, the moon, they have all been blown out
You left me in the dark
No dawn, no day, I'm always in this twilight
In the shadow of your heart


Fu in quel momento che puntò quegli occhi, che aveva tenuto fino ad allora bassi, nei miei.
Profondi
Mai così intensi.


I took the stars from our eyes, and then I made a map
And knew that somehow I could find my way back
Then I heard your heart beating, you were in the darkness too,
So I stayed in the darkness with you.


Aveva capito.
E, Dio, l’amavo così tanto.

Richiuse gli occhi subito dopo, per concludere la canzone.

The stars, the moon, they have all been blown out
You left me in the dark
No dawn, no day, I'm always in this twilight
In the shadow of your heart

The stars, the moon, they have all been blown out
You left me in the dark
No dawn, no day, I'm always in this twilight
In the shadow of your heart.

 

 
Questa continua a rimanere la mia canzone preferita, a distanza di anni.
Sapete cosa mi è sempre piaciuto di questo brano?
Il titolo.

Mi piace come non venga mai pronunciato. In nessuna strofa.
E’ come se fosse costantemente sotteso.
Come se fosse la chiave di lettura della canzone.

Amore cosmico.





 
“Hai comprato qualche lampadina?” chiese Santana al mio fianco, cercando di mascherare l’agitazione.
“Ne ho a quintali, e ne potrei comprare mille altre” affermai, sicura.

Le afferrai la mano, stringendola.
 
“Se faremo tutte queste cose assieme, però, devi promettermi una cosa” annunciò, guardandomi seria negli occhi “Devi promettermi che, semmai la situazione diventerà pericolosa, tu farai un passo indietro. Anzi, facciamo pure cento.”
“Non posso prometterti questo” ribattei, con un sorriso.
“Sono seria, Britt”
“Facciamo che ci penso?” provai, tranquilla.
“Facciamo che dici ‘lo prometto’ e basta.”
 
Era piuttosto seria.
Fin troppo.
Ero sicura che la sua mente era corsa a quella sfortunatamente famosa sera fuori la baracca.
Perché si incupì di botto.
Così acconsentii, perché era ciò che dovevo fare per tranquillizzarla.

“Prometto di evitare il pericolo” annunciai, sospirando.
 
Lei sorrise leggermente.

Poi si chinò verso di me, congiungendo le nostre labbra.
E io l’amai ogni secondo di quel bacio di più.
E mi stupii.
Perché non credevo di poterla amare di più, ancora.
 
Quando ci staccammo, strinsi di più la sua mano, voltandomi leggermente verso l’edificio di fronte a noi.
Lei fece lo stesso.
Ma aspettai che fosse lei a compiere il primo passo.
Il più importante.

E lo fece, dopo pochi istanti.

Vendere la casa era l’inizio.
E la fine assieme.






Tetraedro dell'Autrice

Sono in ritardo megagalattico, lo so! scusatemi!

Non ho molto da dire se non: scusate (ancora, sì) per eventuali errori. sono mezza addormentata, ma volevo assolutamente pubblicare perchè se non l'avessi fatto ora sarebbe scalato a martedì il tutto... eeee era meglio di no.


Detto questo, grazie mille come sempre a tutti! troppo buoni davvero!

ah, volevo fare una precisazione...
il rapporto fra britt e san in questo capitolo è un po' vago di proposito, cioè, stanno assieme, ma la situazione è ovviamente incasinata! da qui, questo rapporto un po' indefinito!
ad ogni modo, sappiate che sono finite le litigate fra le due!

grazie mille ancora! C:
A presto, bella gente! :DD

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Capitolo 34
*** A modo nostro ***


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Passò del tempo, ancora.

Avete presente quella sensazione che hai, quando vedi un evento lontano anni luce e poi, improvvisamente, non lo è più?
Un po’ come…
Ecco, come il giorno di un’interrogazione importante.
Sai che dovrai studiare e anche tanto.
Diciamo pure che dovrai farti il deretano quadrangolare sui libri, per capirci.
Bene. Hai tre settimane di tempo.

Così, da persona tranquilla e spensierata, trascorri le prime due settimane nella pace dei sensi.
Il divano diventa il tuo migliore amico.
Il gatto la tua spalla, nelle avventure di tutti i giorni.
Il mondo esterno un luogo così carino, in cui oziare.
Pieno di colori.
Di luce e gioia pura.
 
Quando, ecco, improvvisamente, mentre stai allegramente arrotolandoti nelle coperte per vedere un film.
O mentre sei in macchina, in procinto di recarti in qualche luogo carino.
Ecco, qualcuno fa una cosa semplicissima.
Una cosa banale, in fondo.
Quotidiana.
Una cosa, che, tuttavia, ti fa letteralmente saltare sul posto.
 
‘Sai, Guatemala – nome di finzione a caso – fra quattro giorni è il sentordici di Cisprile – data fittizia a caso.’

E tu rimani lì, immobile.
Con gli occhi sgranati e il cervello che emette un suono simile a un ‘biiiiiip’ continuo nella testa.
Eh già.
Perché sei consapevole che il sentordici di Cisprile altro non è che quel giorno.
Quello stramaledetto giorno.
E sei nella merda.
Non fino al collo, però.
Di più.

Così schizzi fuori dalla macchina, coperte, garage, gabbia per criceti, o quello che è, e corri.
Oh, corri come mai in vita tua.
Roba che, se non fosse per gli occhi iniettati di sangue e lo sguardo allucinato e terrorizzato, potrebbero scambiarti per un leprotto in una prateria.
Ti fiondi alla scrivania, che diventerà la tua migliore amica per i successivi quattro giorni.
Migliore amica poi si fa per dire, è più un rapporto di amore/odio.
Quindi, definiamola più propriamente un’amante.
 
In ogni caso, anche allora, stranamente, quella data non ti sembra così vicina.
Certe volte potrà anche sembrarti che le giornate durino anni.
Forse perché fai entrare a sfondamento, nel tuo cervello, quantitativi di informazioni che avresti dovuto assimilare in settimane e non ore… ma questi sono dettagli.
 
Tutto questo, insomma, è per dire che, alla fine, nonostante tutto, quel giorno arriva.
E, in tutta onestà, probabilmente non ricordi nemmeno nulla delle tre settimane passate.
Se non, probabilmente, quel pomeriggio in cui non potesti andare a prendere un gelato, perché in condizioni non socialmente accettabili.
Che poi, a proposito di società, qualcuno, prima o poi, dovrà spiegarmi dove sta scritto che io non posso uscire in pigiama.
Alla fine sarei comunque vestita bene.
E’ un indumento carino, in fin dei conti.
Poi, beh, al limite potrei pure indossare quello della nonna, che fa pure vintage.
 
Comunque, tornando a noi, eravamo arrivati a quel giorno.
Il giorno, che, nel preciso momento in cui mettesti per la prima volta piede al liceo, ti sembrava, inevitabilmente, così lontano.
Così assurdamente distante, che ti chiedevi semmai il telefilm Beautiful sarebbe finito per allora.
Magari Willy il Coyote avrebbe preso Beep Beep.
Picachu sarebbe entrato nella Pokéball.
La nonna avrebbe imparato a pronunciare quella parola, che proprio non riesce a non storpiare.
E tu saresti andata a scuola con una navetta spaziale, anziché le tue amate gambine.

Ma, ehi, in realtà non succede nessuna di queste cose.
Perché il tempo passa veloce.
E ti ritrovi, prima che possa rendertene davvero conto, con una toga al giorno del tuo diploma.
 
“Come ti senti?” mi chiese Rachel, avvicinandosi, con un sorriso luminosissimo.

Guardai cosa indossavo.
Mi guardai attorno, osservando tutte le persone nei paraggi.
Il giardino della scuola.
Infine, il cielo sereno sopra di noi.
 
“Bene, direi” sorrisi, divertita, tornando a guardare lei.
“Diversa?” indagò, dandomi una spinta scherzosa.
 
Aggrottai le sopracciglia, pensando.
Era una bella domanda.
 
“E’ che non te lo so dire, non vado in giro spesso in toga, sai.” Riflettei “La cosa mi altera il concetto di ‘diverso dal normale’.”
“Idiota!” rise, dandomi uno scappellotto.
“Ahi! E’ la verità!” mi lamentai, indignata, ottenendo solo che lei scuotesse la testa, divertita.
“Mi mancherà questo posto.”
“Lo so.” Sorrisi “In fondo in fondo, mancherà anche a me.”
“Ammettilo” iniziò, guardandomi con l’espressione di una che la sapeva lunga “Ti mancherà vedermi ogni giorno.”
“Oh, sì” sorrisi, malefica “Come a un rinoceronte manca un tutù.”
“Magari è uno appassionato di danza classica” mi linciò con lo sguardo, mentre io l’attiravo a me per abbracciarla, ridendo. “Sei un’idiota.”
“Lo so, è per questo che mi vuoi così tanto bene.” Ribattei, stringendola di più.
“Ma tanto ci vedremo sempre a New York, questo è certo.”
 
Mi limitai a sospirare, staccandomi.
 
“Saremo entrambe a New York, Britt, con Santana, Jennifer” mi guardò seria “E, beh, Quinn a Yale. Ma ci saremo tutte”
“Rachel, ne abbiamo parlato” sbuffai, contrariata “Non è arrivata nessuna lettera e Jen-“
“Non significa niente il fatto che lei l’abbia già ricevuta!” mi bloccò “Avranno fatto casino quelli alle poste! Andiamo, non fare così.”
“Così come?!”
“Come se non valessi niente! Non fare l’idiota, aspetta prima di arrivare a conclusioni affrettate.”
“Rach” sospirai, stanca “Ti rendi conto che siamo al diploma? Jenny ha ricevuto la lettera di ammissione già da un pezzo. Non fingiamo che questo non significhi niente.”
“Bene.” Sbuffò, incrociando le braccia “Aspetterò un ‘avevi ragione, Rachel mia adorata’ a breve, sappilo.”
“Non arriverà.”
“E invece sì.” Fece, ancora “In più dopo la vittoria alle nazionali del Glee chiunque vorrebbe averti nella propria università!”
“Sai…” la guardai pensierosa “Non credo come questo possa cambiare le cose più di tanto..”
“E’ una vittoria nazionale Britt!” spalancò gli occhi, indignata.
“Lo so!” alzai le mani, con una smorfia “Ma, sai, è pur sempre il Glee! Il club degli sfigati, Rach.”
“Sei seria?!”
“Ovviamente no” sorrisi, innocente.
“Sei un’idiota” sospirò, affranta.
“Ed ecco che ritorniamo al motivo del tuo affetto sconfinato per me.”
“Ehi ragazze!”
“Jen!” le sorridemmo di rimando.
 
Erano successe un paio di cose in quei giorni, in effetti.
Avevamo portato a casa il titolo nazionale di canto corale.
Santana ovviamente non aveva partecipato.
Ma il fatto che fosse stata lì, sempre, a guardarci tutti con uno sguardo fiero bastava e avanzava a tutti noi.
Jenny, che, tra l’altro, aveva ricominciato finalmente a parlarmi, aveva ricevuto la propria lettera dalla Juillard.
Rachel quella dalla NYADA.
Quinn da Yale.
Santana stava, ormai, già iniziando a compilare le carte per la New York University.
E, beh, io…
Al momento, io mi limitavo ad essere felice per loro.

“Meno male che sei qui!” esordì Rachel “Convinci questa testolina brillante ad aspettare prima di arrivare a conclusioni affrettate”
“Di che parli?” fece, ridendo.
“La Juillard” borbottò l’altra, aguzzando la vista, come se la sua attenzione fosse appena stata attirata da qualcosa.
 
Jen si voltò verso di me con un sopracciglio alzato.
 
“Oh, non ti ci mettere pure tu eh” sbuffai “Ormai è fatta. La mia vita è finita, magari avrò un futuro come accarezzatrice di materassi nelle pubblicità promozionali.“
“Le doghe in legno no?”
“Anche quelle!” confermai, ricevendo una spinta scherzosa in risposta.
“Scusate…” ci riscosse Rachel, guardando più in là “Ma.. è mio padre quello?” chiese, indicando alla nostra destra, nel giardino della scuola.
“Ahm… intendi quello che sta piangendo davanti al professor Schù?” chiese stralunata Jen.
“Sì, è lui” confermai io “Oh!” sorrisi “Guarda si è aggiunto anche Hiram! Abbraccio corale… carini!”
“Papà!” sbottò Rachel, allontanandosi come una furia verso di loro “L’abbraccio lo si fa con me o niente!”
 
La guardammo da lontano unirsi a loro.
Ridemmo divertite nel momento in cui si lanciò, letteralmente, sul piccolo gruppetto abbracciato.
Poi Jen si voltò di nuovo verso di me.
 
“Sai che ha ragione lei, vero?” chiese, con un piccolo sorriso “Devi aspettare, Britt.”
“Credo sia inutile ormai, no? Non è arrivata, non fingiamo che vada tutto ben-”
“Tu sei stata molto più brava di me” mi interruppe, seria “E non lo dico per cercare di tirarti su per forza o simili, è un dato di fatto.” Continuò “Sei stata più brava.”
“Ma non dire sciocchezz-“
“Te l’assicuro, Britt” mi fermò ancora “Sei stata solo… perfetta. Non ci sono altre parole per descrivere quello che ho visto mentre ballavi. Un talento così-“
“Una puzza di talento così-“
“Un talento così” ribadì, ancora, dandomi uno scappellotto sulla nuca “Non se lo fa scappare nessuno. Devi solo aspettare, arriverà.”
“Non puoi saperlo.”
“Ne sono certa, Britt.”

Mi limitai a sospirare stancamente, spostando lo sguardo più in là.
Strabuzzai gli occhi, ma sorrisi divertita nell’osservare la scena.
 
“Ma stanno giocando a chi butta a terra prima l’altro?!” chiese stralunata Jennifer, che evidentemente aveva seguito il mio sguardo.
“A quanto pare..” commentai, scuotendo la testa.
“Ma lo sanno che quel gioco lo si fa in acqua?!” fece, ancora, preoccupata.
 
Santana, con tanto di toga, teneva sulle spalle Mike.
Di fronte, Quinn teneva MG.
In pratica, Mike e Gollum si fronteggiavano cercando di farsi cadere a vicenda, portando con sé, ovviamente chi li reggeva.
Ah.
In tutto ciò i miei erano lì a fare il tifo per la rispettiva squadra.
No, momento.
Non per la rispettiva squadra, ma per il gruppo su cui avevano scommesso.
 
“Si spezzeranno l’osso del collo, lo so già” sospirai rassegnata.
“Molto probabile!” confermò Jen, al mio fianco.
 
Rimanemmo in silenzio ancora qualche minuto.
Ogni tanto spezzato dalle nostre risate.

Poi lei mi disse una cosa che non mi aspettavo.
 
“Sai quando ho capito che tra noi due era davvero finita?”
 
Mi voltai di colpo verso di lei, come per accertarmi che avessi sentito bene.
Pensavo di vedere rancore nei suoi occhi.
Ma non ve ne era la minima traccia.
Dispiacere, rassegnazione, forse.
Ma il suo sguardo rimaneva limpido e tranquillo.
Un piccolo sorriso a solcare le labbra, come a tranquillizzarmi.
 
“Quando?” chiesi, piano.
“Il giorno del provino” rispose, subito “Dio, lo capii all’istante e mi chiesi come fossi stata così cieca da non vedere che quello che provi per lei va ben oltre quello che hai mai potuto provare per me.”
“Jen, mi disp-“
“No, no, ehi” mi bloccò, tranquilla “Basta, ora, sul serio, va tutto bene.” Mi accarezzò distrattamente il braccio “Sai come lo capii?”
 
Scossi la testa, curiosa.
 
“Quando ballasti.” Fece, concentrata “Beh, in realtà soprattutto alla fine.” Precisò “Sai, ho sempre riconosciuto il tuo modo di ballare, sempre. E c’era questa cosa che mi piaceva un mondo” spiegò “Quando ballavi, in questo modo così tuo, così personale, alla fine, sempre, mi guardavi. Era…” si grattò la testa, riflessiva “Non so, mi sembrava che ballassi per me e, Dio, eri sempre fantastica, bellissima. Meravigliosa” aggiunse ancora “Ma, quel pomeriggio, fu diverso.”
“Diverso?”
“Già” confermò, sicura “Tu sei stata perfetta.” Disse. “Non- non potrei trovare un altro aggettivo per descrivere quello che hai fatto su quel palco, era solo perfetto. Era così..” prese una pausa “Intenso. Unico. Speciale. Io non sapevo a cosa stavi pensando mentre ballavi. Per la prima volta, da tanto tempo, sebbene ti trovassi incredibile, non riuscii a riconoscere cosa ti stesse scuotendo dall’interno. Cosa pensavi, cosa provavi. Non lo vedevo, nonostante fossi certa di averti già visto muovere così. Vedevo passione, intensità, in un certo senso, ma… capii subito che non ero io il motivo. Era così palese. Non ero io.”
 
La guardai in attesa di una risposta che già conoscevo.
Lei mi sorrise.
 
“Era lei.” Fece, guardando di nuovo, verso di loro “Era lei. E quando apristi gli occhi, ne ebbi la conferma. Era lei che cercasti con lo sguardo, non me.” Continuò “E capii anche dove e quando ti avevo visto ballare così.” Scosse la testa, divertita “Era così ovvio. Ti muovevi così quando lei veniva a vederci alla scuola di danza il pomeriggio, sempre. Notavo la differenza, già allora. Quel pomeriggio fu più intenso, certo, ma… era quello il motivo. E’ Santana il motivo.”
“Jen..”
“Quando venisti a casa mia il giorno dopo, io ti stavo già aspettando. Se non mi avessi lasciato tu, l’avrei fatto io. Non sarebbe stato facile, certo. Non è stato facile accettarlo.” Tornò a guardarmi “Ma meriti di stare con chi ami, anche se certe volte quella persona non mi sta tanto a genio.” Storse la bocca, facendomi una linguaccia.
“Già…” ridacchiai.
“E comunque, è una fortuna che non ti abbia tradito davvero perché altrimenti le avrei tagliato le braccia prima di lasciarti nelle sue mani, questo è certo.”
“Sì, beh” sorrisi, grattandomi la nuca “Era convinta che stando con lei mi sarei preclusa opportunità, cose così, insomma ti spiegai” feci vaga, sperando, per l’ennesima volta, che non facesse domande.
“Sì, beh, ragiona in maniera strana certe volte.”
“Oh, decisamente.” Concordai, gettando uno sguardo a Santana più in là, che stava quasi cadendo portandosi Mike con sé.
 
Che razza di idioti.
Anche il giorno del diploma dovevano ideare follie del genere.
 
“Sai credo dovresti andare a dir loro che la terra, nonostante possa sembrare morbida, non è l’ideale di base su cui cadere” riflettè Jen, pensierosa.
“Concordo” borbottai, contrariata “Anche perché di certo non sarò io a raccattare i pezzi del loro collo, quando cadranno.”
“Quinn ha ottimo equilibrio però” commentò, ancora.
“Vero, ma MG è peggio di un elefante su una corda. E’ questione di momenti.”
“Allora è il caso di andare a fermarli” ribadì.
“Decisamente.” Concordai ancora, osservando Gollum reggersi a stento sulle spalle di Quinn, ormai prossima alla caduta.
“Intendo tipo ora.” Fece, ancora, Jenny, dandomi una spinta.
“Oh, sì, giusto” mi riscossi avviandomi.
 
Feci due passi, poi mi fermai.
 
“Jen?” la richiamai, voltandomi indietro.
“Cosa?”
 
La abbracciai.
Stretta.
Avrei continuato a volerle un bene dell’anima sempre, in ogni caso.





 
“Vi dico che ho deciso!” esclamai per l’ennesima volta in macchina.
“Natalia, ma non dire cazzate!” sbottò MG.
“MaryG, le parole” la richiamò mia madre.
“Pardon, intendevo dire, non dire sciocchezzuole, sorella mia adorata” storse la bocca.
“Concordo con lei.”
“Anche tu?!” sbottai rivolta verso Santana, al mio fianco in macchina.
 
Stavamo tornando a casa, finalmente.
Bramavo già il contatto con il divano, che mi stava aspettando a braccia aperte.
 
“Sì, Britt. Devi aspettare, voglio dire, credo siamo tutti concordi sul fatto che entrerai alla Juillard, deve solo arrivare a casa la stramaledetta lettera.”
“Certo, deve SOLO arrivare la lettera” ribadii, contrariata “Vi sto SOLO dicendo, invece, che non sarebbe male iniziare a contattare qualche azienda di materassi, perché potrei essere un’ottima candidata per le prossime televendite” feci, seria, per poi indicarmi il viso “Guardate che bonazza che sono.”
“Modestia vieni a me” borbottò Gollum, scuotendo la testa.
“Secondo voi…” fece mio padre, ottenendo l’attenzione di tutti nell’abitacolo “Se parcheggiassi direttamente sulla cassetta delle lettere degli Stuart, mi arresterebbero?”
“Con il termine ‘parcheggiare’ si intende ‘sfondare senza la minima pietà’?” chiese, curiosa, Santana.
“Esatto!”
“Oh, no, amore!” rispose subito mia madre “Ricorda, noi non siamo per gli atti di violenza. Piuttosto..” riflettè pensierosa “Ingaggiamo il gatto per lasciare qualche ricordino sul loro prato.”
“Poi diamo la colpa al loro cane!” aggiunse, convinta, Gollum.
“O al figlio, a questo punto.” Feci ironica, sollevando gli occhi al cielo.
“Buon Dio, hai ragione!” esclamò mio padre, guardandomi con sguardo malefico dallo specchietto retrovisore “Sarebbe geniale!”
“Poi convinciamo i tipi che si fa anche di marijuana!” aggiunse mia madre.
“Siete seri?!” sbottai, incredula.
“Scusate” li bloccò Santana, confusa “Ma… non faremmo prima cospargere le maniglie della loro auto con colla superadesiva?”
“SAN!” la osservai, incredula.
“Dio, Santana, come faremmo senza di te?!” chiese, commossa, mia madre “Chi è a favore della colla, alzi la mano!” fece, mentre quattro mani si alzavano in contemporanea nell’abitacolo della macchina.

Ovviamente la mia era ancora bella che incollata al mio fianco.

“Siete vergognosi!” sbottai, ancora.
“Uga, fai silenzio, non sai nemmeno cosa hanno fatto!” mi linciò con lo sguardo Gollum, mentre uscivamo dalla macchina, appena arrivati.
“Bene.” Incrociai le braccia al petto “Cosa hanno fatto?”
“Hanno dato dell’obeso a Lord T.” annunciò grave.
 
Mi bloccai sul posto, spalancando la bocca, indignata.
 
“Dov’è la colla?!” chiesi, seria.
“Non mi pare di aver visto la tua mano alzata prima” mi diede un pizzico sul fianco Santana, facendomi saltare sul posto, divertita.
“Dettagli! Non sapevo!” mi difesi, avviandomi fiera verso la porta di casa.
 
Mi sentii però tirare subito dopo indietro per il polso, trovandomi improvvisamente a due centimetri dal suo volto.
Mi afferrò per la vita.
 
“Vieni con me, ora.” Disse, con un sorriso.
 
La guardai curiosa e divertita.
 
“Sai che il rapimento di persona è punibile con mesi e mesi di reclusione?”
“Non lo dimentico mai” ridacchiò, tranquilla “Per cui, ti chiedo in via ufficiosa: vuoi venire con me?” riprovò, avvicinandosi di più.
“Dove?” chiesi, divertita.
“Casa mia.” Disse, piano, lasciandomi un bacio sulla guancia. “Devo rimediare ad una cosa.” Aggiunse, lasciandomene un altro sotto l’orecchio.
“Mmh” la guardai sospettosa, staccandomi di pochissimo “Non mi fido.”
“Fidati, invece” ribattè, baciandomi sul collo, più volte.
“Mh.. smettila di distrarmi” protestai, debolmente.
“Andiamo, allora?” sorrise, tranquilla.
“Sì, ma ti tengo d’occhio” annunciai, con gli occhi ridotte a fessure, facendola ridere “Quind-“
“Britt.”
 
Mi bloccai, stralunata, gettando uno sguardo più in avanti a Gollum.
Ormai era diventato strano per me sentire il mio nome, quello vero, pronunciato da lei.
O meglio, più che strano, era preoccupante.
Molto preoccupante.

E, come volevasi dimostrare, sbiancai.
Sbiancai, nell’esatto momento in cui guardai cosa stringeva fra le mani.
Una lettera.





 
Aprii finalmente gli occhi, fino ad allora coperti dalla benda che Santana aveva avvolto attorno alla mia testa, per impedirmi di vedere.
Dagli spostamenti, avevo avvertito fossimo passate prima per camera sua.
Probabilmente era lì che aveva lasciato la lettera della Juillard.
Ancora chiusa, come le avevo chiesto.
Non avevo voluto aprirla.
Non ancora.
La verità era che avevo paura.
E non volevo rovinare quella giornata, che sembrava così dannatamente perfetta, con una, assai probabilmente, brutta notizia.
 
Eravamo nel suo soggiorno.
Ma era diverso.
Era stato tutto sgomberato.
C’era solo un tavolo con un paio di bicchieri e delle bottiglie.
Palloncini per terra.
Luci soffuse.
Lo stereo acceso lì vicino, che aspettava solo venisse avviata una canzone.
Aveva ricreato una sorta di ballo della scuola, ma in casa.
Poi spostai lo sguardo su di lei, che mi osservava titubante.
 
“Okay. Lo so che non è il ballo di fine anno” annunciò, con un sorrisetto teso.
“E’ bellissimo, San.”
“Na, non bellissimo… è-“
“Bellissimo.” le dissi, di nuovo, convinta, sorridendo inebetita, guardandomi attorno.
“Accettabile, diciamo” mi corresse, ridacchiando.
“Senti..” si passò una mano fra i capelli, leggermente agitata, avvicinandosi “So che non hai partecipato a quello della scuola solo per me, perché dovevo combattere quella sera e non volevi andare da sola.”
“So di non essere stata la ragazza ideale in quest’ultimo periodo.” Aggiunse, seria “So che avresti potuto mandarmi al diavolo durante una delle mie tante uscite poco felici, ma non l’hai fatto. So che sei stata la pazienza fatta persona di recente, per me. So che non lo meritavo molto, per tutto quello che ti ho fatto passar-“
“San-“
“Fammi parlare, lo sai che non sono brava in queste cose” mi interruppe, prendendo un sospiro mentre io la osservavo con un sorriso “So che sono una frana con i sentimenti e tutto il resto, sono un casino e su questo non ci piove. So che per me hai rinunciato a tanto  e-“
“Veramente io-“
“Stop!” mi bloccò “Cosa ti avevo detto?” chiese retorica.

Mi limitai ad annuire con un sopracciglio alzato, facendo segno di continuare a parlare.
 
“Dicevo, hai rinunciato a tanto per me e io… non posso darti indietro quello che hai perso. Beh, il ballo è una di queste cose. Non potrò mai darti indietro quei momenti. Ci ho pensato molto di recente.”
“San..”
“Oggi lei mi è mancata come mai prima d’ora” disse, abbassando leggermente il volto, evitando di guardare verso la porta della camera della madre “Avrei davvero voluto che ci fosse.” Aggiunse, piano.
“Lo so.” Le carezzai la mano “Ma sono sicura che, in una maniera o nell’altra, lei c’era.”
 
Alzò nuovamente la testa, guardandomi negli occhi.
Mi regalò un piccolo sorriso, leggermente incrinato.
 
“Ho ricordato una cosa oggi, mentre ti osservavo da lontano. Una cosa che faceva mia mamma.” Annunciò “Quando lei si iniziò ad ammalare, non potè fare molte delle cose che prima faceva” provò a raccontare con un po’ di difficoltà, che avvertivo nel tono un po’ diverso di voce “Tu non lo sai, ma, prima, una volta al mese, andavamo al cinema assieme, sempre. Era una sorta di tradizione. Sceglievamo il film più bello del momento e ci avviavamo” spiegò “Q-quando, però, lei non potè più uscire di casa, io credevo che” si strinse nelle spalle “Beh, che erano finiti quei momenti. Non sarei più potuta andare al cinema con mia madre… o almeno non avremmo potuto finché non si fosse trovata una cura” sorrise amara.
“Sannie..”
“Ma…” tornò a guardarmi, un po’ più serena “Vedi, esattamente un mese dopo l’ultima volta, lei mi chiamò in camera sua. ’Se non possiamo fare le cose alla maniera degli altri, beh, le faremo a modo nostro’, così mi disse” sorrise, malinconica “Mi incaricò di andare a comprare pop-corn, coca-cola, e di andare a noleggiare un film che scegliemmo assieme, proprio come prima.”
 
Le strinsi più forte la mano.
 
“Non eravamo al cinema. Ma eravamo insieme a vedere un film, con pop-corn e schifezze varie. Non era il cinema” ribadì, convinta “Ma… gli si avvicinava molto” sorrise, attirandomi più vicina a sé.

“Mi dispiace di averti fatto perdere il ballo di fine anno.” Disse, ancora, guardandomi negli occhi.
“Non importa. Non mi interessava.” provai a convincerla, tranquilla.
“Ti importava, invece” mi carezzò la guancia “L’ho capito dal tuo sguardo, quando ti dissi che non potevo esserci.” Si avvicinò ancora, arrivando a pochi millimetri dal mio orecchio “Non sei l’unica a capire l’altra dagli occhi, mi amor.”
 
Si staccò da me, sorridendo.
Si avvicinò allo stereo, facendo partire la musica.
Era un lento.
Si voltò di nuovo, porgendomi la mano.
 
“Non è il ballo di fine anno della scuola, ma possiamo farlo a modo nostro” sorrise “Se a te va.”
 
Ed eccolo.
Finalmente.
Il suo lato pandoso, pronto alla riscossa.
Mi limitai ad afferrare la sua mano, con un sorriso stampato sulle labbra.
Portai le braccia attorno al suo collo.
Le sue corsero alla mia vita.

Era questo quello che volevo davvero, in realtà.
Un ballo.
Anche uno solo.
Con lei.

Ma questo Santana l’aveva capito.
Senza che ne parlassi, senza che le dicessi niente.
La strinsi a me ancora più forte, mentre lei sorrideva sul mio collo.
 
“Sei tornata da me, alla fine.” Dissi, piano, continuando a tenerla ancorata a me, muovendoci leggermente con la musica. “Ricordi? Mi dicesti che saresti sempre tornata da me. Me lo promettesti in macchina, prima della…” mi interruppi leggermente, ricordando ancora con terrore quella sera “della finale del torneo.”
“Mi ricordo.” Confermò, lasciandomi un bacio sul collo.
“Sei tornata” ribadii, pensando a tutto quello che avevamo passato prima di quel preciso momento.
“Non me ne sono mai andata, Britt.” Disse, stringendomi “Lo so che potrebbe non sembrare così, ma non ti ho mai lasciato. Non avrei mai potuto. Mai potrei.”
“Promettimelo, ancora.” Le chiesi, piano.
“Tornerò sempre da te, Britt. Non importa cosa accadrà, io tornerò.” Affermò sicura “E se mai dovessi avere l’impressione che non ci sia, che tu non riesca a ‘vedermi’ davvero, ricordati solo che ti amo. Ti amo. Questo non cambierà mai.”
“Ah.” Sospirai, chiudendo gli occhi.
“Cosa?”
“Il mio adorato panda.”
 
Santana scoppiò a ridere all’istante.
Io la seguii poco dopo.
Lentamente ci ricomponemmo, continuando a muoverci con la musica.
 
“E’ domani, vero?” chiesi, lasciando che pian piano il sorriso si spegnesse sulle mie labbra.
“Sì.” Confermò, baciandomi, ancora, piano vicino l’orecchio.
 
Non c’era bisogno di chiedere di cosa si stesse parlando.
Lo sapevamo entrambe.
Era da giorni che Santana e mio zio, detective, in contatto con la polizia di Lima, continuavano a vedersi costantemente.
Stavano preparando un blitz contro Phill e la sua banda.
Come previsto, quel lardoso era ricercato non solo nella nostra di città, ma anche in quelle nei dintorni.
Nonostante la nomea che si portava, era difficile per la polizia colpire senza avere informazioni da qualcuno dall’interno.
E, beh, gli scagnozzi di Phill erano piuttosto fidati.
Ma, Santana?
Lei era l’informatrice perfetta.
 
Non mi raccontarono niente.
Non sapevo niente di fatto.
Mi ripetevano che meno persone sapevano, meglio era.
Ma una cosa era certa, volevano contare sul fattore sorpresa, così da coglierlo con le mani nel sacco, riuscendo finalmente a sbatterlo in galera con una decina di ergastoli.
Motivo per cui, ci misero poco ad organizzare il tutto.
E la scadenza coincideva proprio con il periodo del nostro diploma.
 
“Tu non andrai vero?” chiesi, preoccupata.
“No.” Rispose, subito, tranquillizzandomi “Non andrò, resterò qui.”
“Resterai con me domani?” domandai, ancora.
“Certo. Non vado lì, Britt, te lo prometto.”
“Okay.” Sospirai sollevata.
 
Forse sarebbe finito tutto il giorno successivo.
Tutto.
Phill, gli incontri, la paura costante.
Santana sarebbe stata libera, finalmente.
Rimanemmo in silenzio, ancora, per qualche minuto, cullate ancora dall’ennesima canzone che partì allo stereo, poco dopo.
Non volevo pensare a quel mondo, in un momento del genere.
Così perfetto.
E mi venne in mente una cosa.
 
“Sai, anch’io ho pensato di recente!” esclamai, come illuminata.
“Mi fa piacere, Britt” rise sul mio collo Santana, divertita.
“Ehi!” la richiamai indignata “Sono seria!”
“Lo so, lo so” si ricompose, leggermente, senza molto successo “Dai, spara, paperotta.”
“Dicevo, ho pensato.”
“Okay…”
“A cosa sei per me.” Annunciai, sapendo di aver attirato subito la sua attenzione.
“Un panda?” chiese, divertita.
“Anche, sì! Ma.. ho pensato a cosa sei per me… nel senso…” iniziai concentrata “Ecco, diciamo che ho creato una lista mentale di ‘tu sei come’.”
“Ah?”
“Non hai capito, eh?” chiesi, staccandomi leggermente, per osservarla negli occhi.
“Direi di…” iniziò, socchiudendo gli occhi, riflessiva “No.” Concluse, in un sospiro.

La guardai fintamente esasperata, scuotendo la testa.
 
“Tu sei come l’ultima fetta di torta” iniziai, facendola spalancare gli occhi in realizzazione.
“OH! Ora ho capito.”
“Sei come il piumone d’inverno.” Continuai convinta “Sei…” pensai, ancora “come il bagno che si libera proprio quando ne hai più bisogno.”
“Che schifo, Britt” fece, con un’espressione contrariata, che prontamente ignorai.
“Sei come uno scoglio per una cozza.”
“Ma che similitudini sono?”
“Sei come la nutella su una crepe.”
“Ah, meglio questa” sorrise, soddisfatta.
“Sei come le candeline su una torta”
“Mmh.”
“Sei come un ghiacciaio per un pinguino.”
“Cioè?” chiese, confusa.
“Come sarebbe a dire ‘cioè?’? Senza un ghiacciaio il pinguino dove cammina?!”
“Oh, chiaro!”
“Dicevo..” ripresi “Sei come il piatto di pasta che ti trovi davanti dopo una mattinata di digiuno”
“Interessante..”
“Sei come i grattacieli per Spiderman!” esclamai, entusiasta.
“Nel senso che senza grattacieli, non ci sarebbero punti di appiglio per le ragnatele?”
“Esatto! Sei come-“
“Dio, Britt, tu sei davvero la donna delle similitudini” scoppiò a ridere, lasciandomi indignata.
“Ma dove la troveresti una ragazza come me, eh?!” sbottai, fiera “Come faresti senza di me?”

Sollevò le spalle, divertita.
 
“Non potrei semplicemente fare niente senza te.” Sorrise, accarezzandomi la guancia.
“Eh, non fare la ruffiana ora, però” feci, sulla difensiva, facendola ridere ancora “Dovresti dedicarti anche tu alla nobile arte delle ‘similitudini fai da te’, San, se vuoi stare con me.” Annunciai, seria “Non scherzo! Devi provare almeno!”
“Sei seria?” ridacchiò, incredula.
“Serissima!” confermai, prendendole il viso con le mani, così che mi guardasse dritto negli occhi “Ora, concentrati.”
“Ma sei davvero seria, seria?!” chiese, ancora.
“Concentrati!” ribadii, convinta.
 
Mi guardò intensamente per qualche momento.
Ogni tanto socchiudeva gli occhi pensando.
Altre volte scuoteva la testa.
Mi chiesi più volte cosa stesse partorendo il suo cervello.
 
“Ci sono.” fece, soddisfatta.
“Ottimo! Spara!”
“Tu sei…” iniziò, avvicinandosi di più “Tutto ciò che ho sempre desiderato. Tutto ciò che potrò mai desiderare. E ti amo.” Annunciò, seria.
 
La guardai commossa.
 
“Sei un panda” ribadii, contenta “Però la similitud-“
“E sei come” continuò interrompendomi “Beh… sei come un foglietto acchiappa colore in una lavatrice tutta incasinata, piena di vestiti diversi.” Annunciò, vagamente confusa e stralunata lei stessa per la sparata.
“Un foglietto… acchiappa colore?” cercai ancora conferma, inarcando un sopracciglio.
“Sì…” socchiuse gli occhi, concentrata “Fai ordine nella mia lavatrice.” Annunciò, seria “Cioè, fai ordine nella mia vita, che sarebbe la lavatrice con i panni blu, rossi, bianchi e compagnia bella, no?” continuò, gesticolando “Perché ho detto che la lavatrice è incasinata, ver-“
 
La interruppi, prima che mi facesse anche un’analisi logica della frase.
La baciai.
Una volta.
Un’altra. E ancora.
Lei sorrise nei baci.
Inevitabilmente finimmo nella sua camera da letto, mentre ancora lo stereo rimase attivato nel soggiorno.





 
“Voglio aprire la lettera.” Le dissi fra le sue braccia, ancora nel letto, coperte solo da un leggero lenzuolo.
 
Si voltò stupita verso di me, ma con un sorriso a solcare le labbra.
 
“Sicura?”
“No” risposi, avvicinandomi a lasciarle un morso sul braccio “Cioè, sì. Forse.”
“Okay” scosse la testa divertita.
 
Si sporse leggermente, arrivando al comodino su cui l’aveva poggiata.
La guardò per qualche secondo, prima di voltarsi.
Me la porse tranquilla.
 
“Aprila.” Mi esortò.
“E se fosse un no?” chiesi, insicura.
“Non lo saprai mai, finché non aprirai quella busta.”
“Non vorrei mai rovinare questa giornata perfetta.” Dissi, ancora, rigirandomela fra le mani.
 
Lei portò due dita sotto al mio mento, facendomi alzare il viso.
Sorrise.
 
“Potresti renderla ancora migliore, Britt.”
 
Riabbassai lo sguardo, prendendo un profondo respiro.
Studiai ancora i dettagli di quella busta.
Ad esempio, contai il numero di punti spiegazzati.
Erano quattro.
Oh, e c’era anche un’orecchietta al livello della carta all’apertura.
 
Poi mi decisi.
Lo feci lentamente.
Lei aspettò pazientemente, osservando le mie reazioni.

Arrivai alla lettera piegata.
La aprii.
Lessi i primi due righi almeno cinque volte.
E ancora un’altra.
 
“Britt?” chiese, preoccupata, Santana, probabilmente non vedendo reazioni di fatto da parte mia.

Mi riscossi, puntando gli occhi nei suoi.
 
“Che c’è scritto?”








Tetraedro dell'Autrice


Lo so! Sono imperdonabile con questi ritardi megagalattici nelle pubblicazioni!

Ad ogni modo, non ho molto da dire, se non che i prossimi due capitoli saranno come un unico finale diviso a metà! poi mancherà solo l'epilogo.
il piano, comunque, è finirla il prima possibile, perchè da lunedì avrò ancora meno tempo per scrivere... tipo sarà pari quasi a zero, motivo per cui vedrò di attivarmi in questi giorni, se riesco!

Come sempre, grazie mille a tutti! *^*
A presto, bella gente! :D

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Capitolo 35
*** L'inizio della fine ***


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“Mi raccomando poi controllate che la casa sia abbastanza grande” disse per l’ennesima volta mia madre.
“Va bene, mamma.”
“E controllate che il riscaldamento sia autonomo.”
“Ok, papà.”
“Heidi, controlla pure che ci sia una porzione di spazio che tu possa lasciare libera… facciamo di almeno sedici metri quadri” fece MG, spaparanzata sul divano.
“Per cosa?” chiesi, stralunata.
“La tua idiozia, ovviamente.” rispose seria “E’ piuttosto ingombrante.”
“Ha-ha” feci una smorfia “Gollum, sei divertente come un teorema di fisica quantistica.”
“Fisica quantistica, eh?”
“Già” socchiusi gli occhi “E’ che non mi veniva altro in mente.”
“Sospettavo” sospirò frustrata.
“OH!” esclamò mia madre, colta da un’illuminazione improvvisa “Ricordate di star attente al cibo in questi giorni che starete lì! Magari portatevi un po’ di polpetton-“
“Buon Dio mà, andiamo a New York a vedere un paio di case, non in Papuasia!”
“Sarà” fece, non troppo convinta “Però io un po’ di polpettone lo metto in un contenitore lo stesso.”
“Ovviamente.”
 
Ebbene sì.
Squillino le trombe e svolazzino allegre le colombe.
Ero entrata alla Juillard.
Era un sogno che si realizzava.
Diciamocelo, un vero e proprio obiettivo di vita.
Ed è una sensazione unica, quando riesci a raggiungerlo.

E’ come se, per la prima volta, dopo tanto tempo, potessi scendere da un treno.
Uno stramaledetto treno ad alta velocità, che sembra non arrivare mai a destinazione.
Sei lì sopra e non vedi l’ora di arrivare.
Magari nel frattanto soffri anche di mal di stomaco e giramenti di testa, tanto per rendere più piacevole il tutto.

Insomma, arrivi al punto in cui sei stanco e sfibrato.
Vuoi solo tornare a respirare e scendere da quella macchina infernale.
Continui a chiederti sempre la stessa cosa.
‘Ma chi me l’ha fatto fare?’
Domanda a cui, solitamente fanno seguito una serie di insulti e imprecazioni verso sé stessi.
 
Il punto però… è un altro.
Perché, una cosa è certa, tutto ha una fine.
Anche quando ti sembra impossibile.

Per cui, quando scendi.
Quando riesci a mettere piede a terra.
Quando puoi finalmente tornare a respirare e fermarti anche solo un secondo al sole.
Quando ti giri indietro a guardare quel treno, con un sorriso o un dito medio alzato.
Quello è impagabile.
Quello è uno dei momenti migliori che si possano vivere.

Perché ce l’hai fatta.
E non importa più quanto puoi aver sofferto nel tragitto.
Alla fine, ciò che conta è che sei arrivato a destinazione.
 
Sai anche che non sarà, di certo, l’unico treno che dovrai prendere.
Ce ne sono così tanti nell’arco di un’esistenza.
Ma sai, almeno, che proprio su quello non ci metterai più piede.

E la soddisfazione che dà un sonoro ‘Vaffanculo’ a quella parentesi della tua vita, beh, non ha prezzo.
 
La reazione di Santana alla notizia rimarrà per sempre la mia preferita.
Dopo un momento iniziale di spaesamento, mi decisi a dirle cosa c’era scritto su quella lettera.
E, beh, tempo cinque secondi di elaborazione della notizia, ero già sulle sue spalle.
Fu divertente, finché, tra saltelli e risa, ebbe la brillante idea di uscire fuori casa.
Già.
Peccato fossimo ancora nude.
Però, devo ammetterlo.
La faccia di quella vecchietta, che si trovava a passare quel pomeriggio per il marciapiede di fronte casa Lopez, fu abbastanza epica.
Provai a riaffacciarmi alla finestra, dopo dieci minuti.
Era ancora lì a fissare la porta di ingresso, completamente scioccata.
Credo abbia pensato di avere un’allucinazione, comunque.
Meglio così, nessuna denuncia per atti osceni in luogo pubblico per noi.
 
La reazione del resto della mia famiglia fu molto più sobria.
Certo.
E io sono in realtà un pinguino vestito da batman, che si dedica a concerti rap assieme ad Eminem.
Che figata di pinguino sarei, tra l’altro?
 
Comunque, no.
In realtà, lo dissi per telefono ai miei.
E… ecco, quando io e Santana tornammo a casa, li trovammo disposti uno accanto all’altro nel bel mezzo del soggiorno.
Tutti e tre in tutù.
Sì, anche mio padre.
Rachel, che evidentemente doveva aver approvato il tutto, si dilettò nel canto, accompagnando la bellissima quanto scoordinata danza dei tre folli in soggiorno.
Dio benedica Quinn, unica savia, che si limitò ad un abbraccio affettuoso.
 
Ad ogni modo, seguirono un paio di decisioni subito dopo.
Seguendo il consiglio di mio zio Tom, il detective che si stava occupando del colpo contro Phill, stabilimmo di andar a cercare una casa in affitto a New York.

Quel giorno ci sarebbe stato il blitz.
Avevano mobilitato un gran numero di poliziotti, sarebbe stato un gran bel casino.
Mio zio era un po’ preoccupato.
Lo avevo notato quando venne a parlare con noi quella mattina.
Ci disse che sarebbe stato meglio sparire per un po’ da Lima i giorni successivi, per evitare ripercussioni da eventuali scagnozzi di Phill, che sarebbero potuti scappare all’arresto.

Dal canto mio, mi limitai a convincere i miei ad andarsene a casa della nonna assieme ad MG quel pomeriggio.
Non volevo che notassero la preoccupazione palese di Santana, così da evitare domande.
Saremmo state più tranquille.
…Tranquille si fa per dire poi.
Non a caso la mia ispanica continuava a controllare il cellulare da quella mattina.
Ma almeno, sapevo per certo, che nello stesso momento, in cui avremmo messo piede in aeroporto il giorno successivo, saremmo state libere.
Sarebbe stato, letteralmente, l’inizio di una nuova vita.
Dovevano solo passare quelle ore, che avrebbero segnato la fine di Phill.
 
“Jumba, scherzi a parte comunque” iniziò MaryG, guardandomi seria “Potresti anche cercare posto in uno zoo tu, sicuro ti darebbero vitto e alloggio gratis, in cambio di un paio di apparizioni. Che ne sai, magari ti catalogano come nuova specie di baccalà senza branchie.”
“Sei un’idiota.”
“Na, sono solo tremendamente geniale.” Sorrise, malefica.
 
E pure non aveva tutti i torti, purtroppo.

“Ehi, Santana, tutto bene?” fece mio padre, spostando l’attenzione di tutti sull’ispanica appena entrata in soggiorno, con un’espressione alquanto scioccata.
 
Stringeva il cellulare fra le mani.
Io ebbi un mini-infarto, credo.

“Sì, sì, tutto ok” sforzò un sorriso, cercando di apparire tranquilla. “Voi state per partire?”
“Ahm, sì” rispose Gollum, non molto convinta “Di’ la verità” fece, poi, seria, facendo irrigidire sia me che Santana “Non è che stavi parlando con qualche amante?” chiese, indicando con un cenno del capo il suo cellulare.
“Cos-“
“No, perché…” continuò “Avresti tutto il mio appoggio! Se ti liberassi di questa piattola qui” mi sorrise, malefica “Sai quante persone cadrebbero ai tuoi piedi?! Salvati finché puo- AHIA!” sbottò, massaggiandosi la nuca appena colpita con tutta la forza che avevo nel braccio.
“Non potrei” ridacchiò, ora più tranquilla, Santana “E’ una piattola troppo divertente per abbandonarla.” Mi sorrise “E poi io non faccio cadere proprio nessuno ai miei piedi, al limite è qualcuno che inciampa.” Affermò seria “Difatti..” aggiunse indicandomi “Lei è una persona piuttosto sbadata.”
 
Ahà.
E fu così che partì il secondo scappellotto della giornata.
 
“Piuttosto” sbuffai seccata “Voi non ve ne stavate andando?”
“Giusto” rispose tranquilla mia madre, spuntando dalla cucina “Ho appena lasciato il polpettone in due contenitori nel forno, non dimenticateli domani!”
“Tranquilla mà” sollevai gli occhi al cielo, immaginando la sua espressione fra l’indignato e lo sbigottito quando li avrebbe ritrovati esattamente nello stesso posto, una volta tornata a casa.
“Bene!” esclamò mio padre, afferrando la giacca “Allora possiamo andare.”
 
Mia madre abbracciò velocemente me e Santana, lasciandoci un bacio per una, prima di allontanarsi.
Gollum diede una leggera pacca sulla spalla all’ispanica al mio fianco, lanciando una veloce occhiata al suo cellulare.
Poi mi sorrise.

Fu strano perché era un sorriso sincero.
Quasi… rassicurante.
E per la prima volta, mi chiesi se mia sorella non avesse capito tutto.
Sarebbe stato assurdo, ma non impossibile.

No, non era impossibile.
Soprattutto per lei.





 
 
“Credi che debba chiamarlo?” chiese Santana, sdraiata sul divano di casa, con la testa appoggiata sulle mie gambe.
 
Spensi il televisore, che ormai mandava i titoli di coda del film, che avevamo visto per ammazzare un po’ di tempo.
Non che lo avessi effettivamente seguito.
Mi pare ci fosse qualche assassino di mezzo.
Credo.
No, forse era un gruppo di mutanti psicopatici.
No, ok, non ricordo.
Poteva pure essere il film dei puffi, non vi avrei fatto caso ugualmente.

Il punto è che ero sovrappensiero.
Osservavo Santana controllare ogni circa dieci minuti il cellulare.
E non facevo altro che pensare a quanto mi aveva detto poco prima.

L’agenzia immobiliare aveva telefonato.
Era stato trovato un acquirente per la casa.
Ma, la vera sorpresa era arrivata quando Santana aveva chiamato l’ospedale, per farsi inviare il resoconto del debito ancora da saldare.
Beh, era uscito fuori che, per lo meno a suo carico, non vi era un bel niente.
Il padre, a quanto sembrava, si era fatto carico di tutto.
 
“Credo di sì” sospirai passandole una mano fra i capelli “Se te la senti.”
“C’erano ancora molte migliaia di dollari da pagare, sai?” chiese, ancora, confusa “Avrei dovuto pagarli io, loro erano divorziati. Perché l’ha fatto?”
“Onestamente, San?” feci, guardandola negli occhi “Credo l’abbia fatto perché, semplicemente, è tuo padre.”
“Oh, andiamo, son cazzate!” sbottò, tirandosi su a sedere “Lui- lui” gesticolò, esasperata “Lui non è stato un padre! E’ stato solo un codardo che-“
“Non è mai stato un padre?” chiesi, seria “Mai, San? Me lo dicesti tu stessa che era il tuo eroe personale e-“
“Prima!” esclamò, ancora “Prima lo era! Prima che si comportasse da verme e ci abbandonasse! Prima che la lasciasse!”
“San-“
“Lui l’ha lasciata a sé stessa.” Mi interruppe, seria “Non si è mai interessato a noi.”
“Forse ha capito di aver sbagliato” provai a ragionare, calma.
“Forse era ubriaco” riflettè lei, pensierosa “Sicuro. Era ubriaco o strafatto o-“
“Oppure vuol far sì che sua figlia abbia un futuro.”
“Ne dubito” ribattè “E non ho bisogno di lui. Avevo già fatto un paio di calcoli, sarei riuscita a pagare solo un annetto di università, forse a stento, ma avrei potuto-“
“San.” La bloccai, prendendole le mani “Perché ti riesce così difficile pensare che, per una volta, lui si sia comportato da uomo e abbia deciso di agire per il tuo bene?” chiesi, seria.
 
Lei mi guardò per qualche secondo, riflessiva.
 
“Perché non è possibile.”
“Perché non lo è?”
“Lui non si è mai messo in contatto con noi. Non è venuto al funerale. Solo…” sospirò, stanca “Non è possibile.”
“E se la tua telefonata lo avesse smosso? Se fosse rinsavit-“
“Intendi quella che si è conclusa con me che mandavo a quel paese lui?” chiese, confusa.
“Sì, quella!” feci, convinta “Forse si è reso conto di non essere stato il massimo per te. Forse non ha mai smesso di volerti bene, ma era solo troppo codardo per riprendere i contatti. Forse non voleva esserci quel giorno, perché sapeva di non aver il diritto di essere lì. Di non meritare di essere lì. Non possiamo saperlo, Sannie” provai, ancora, mentre lei mi guardava combattuta “Buon Dio, forse il Grande Puffo è un tossicodipendente e manco lo sappiamo!”
“Non credo che il Grande Puffo si faccia, Britt” alzò un sopracciglio, stralunata “Al limite Quattrocchi. A me ha sempre dato l’idea di persona losca.”
“Dici?”
“Dico.” Confermò, seria, per poi sospirare, massaggiandosi le tempie “Quindi, sostanzialmente devo chiamarlo.”
 
Portai la mano sulla sua guancia, carezzandola.

“Credo sia il caso. Non puoi sapere cosa gli è passato per la testa, finché non ci parli.”
“Giusto.” Fece, rigirandosi il cellulare fra le mani “Ma lo telefonerò domani, quando sarà tutto finito.”
“Perché non ora?” chiesi, confusa.
“Perché voglio chiamarlo quando potrò davvero voltare pagina” affermò, seria “Quando questa storia di Phill sarà finita. Quando non sarò più proprietà di nessuno. Quando deciderò di lasciarmi tutta la rabbia alle spalle.”
“Quando sarai pronta per una eventuale riappacificazione.” Aggiunsi io, con un sorriso.
“Questo non lo so.” Strinse le labbra, combattuta.
 
Ma lo vidi.
In fondo, lo sperava.
Per quanto l’avesse fatta soffrire.
Per quanto lo odiasse, per tutto quello che aveva fatto.
E per tutto quello che non aveva fatto.
Rimaneva suo padre.
Aveva brutti ricordi di lui, nell’ultimo anno.
Era un uomo che aveva commesso molti sbagli.
Ma era anche quello che aveva aiutato Santana a crescere.
L’aveva resa la persona che era, nel bene e nel male.
Era stato un codardo.
Però, forse, meritava un'altra occasione.
Forse, anche chi fa cose orribili, merita un’altra occasione.
 
Decisi, ad ogni modo, di cambiare argomento.
Era meglio non forzare troppo.
Soprattutto in una giornata come quella.
 
 “Allora” iniziai, attirandola nuovamente a me, facendole assumere la posizione precedente “Parlami dei tuoi piani” annunciai, con un sorriso, guadagnandomi un’occhiata confusa.
“Eh?”
“I tuoi piani” ribadii, tranquilla “Non ne abbiamo quasi mai parlato. Non mi hai mai raccontato, ad esempio, perché hai una passione per la legge e perché, sempre ad esempio, tu non l’abbia mai accennato.”
“Oh.”
“Eh!”
“Ahm… tu sai che ero, sbarra pseudo-sono, piena di debiti, no?” chiese, retorica “Beh, non sarebbe servito a molto parlarne, ti trovi?”
“Mi trovo col fatto che sei un’idiota, certo.”
“Ovviamente.” Sbuffò, contrariata “Comunque, sono sempre stata interessata alla tematica” riflettè concentrata “Da… sì, credo sia stato per la prima volta quando mio padre, un giorno, mentre eravamo a tavola, fece riferimento ad una causa in cui era implicato un tipo, non ricordo nemmeno chi. Si parlava di corruzione, frode con migliaia di dollari di mezzo e il miglior avvocato della città a tenere le varie arringhe.”
“Oh.”
“Già, fu interessante. Feci qualche ricerca in internet, perché non avevo granché idea di cosa si parlasse e, sai” si grattò il mento “Fra una cosa e l’altra, mi resi conto che la materia era piuttosto interessante.”
“Quindi, è l’avvocatura che ti interessa” commentai, arrivando al punto.
“No.” Mi interruppe, seria “No, per niente. O meglio, non più. Vedi..” iniziò “Tempo fa sarebbe stato l’ideale per me diventare un avvocato penale. Lo consideravo il top delle professioni.”
“Ora?”
“Ora, la sola idea che possa trovarmi a difendere in tribunale un verme come Phill mi fa rivoltare lo stomaco.” Storse la bocca “Non potrei mai farlo. Sarebbe impossibile.” Spostò lo sguardo nel mio “Vorrei essere dalla parte dei buoni, se è possibile. Sempre. Non voglio compromessi, non voglio ritrovarmi a colpire anche fra dieci anni il viso di una ragazzetta del ghetto, che magari non ha fatto niente di male, se non accettare, per racimolare un po’ di soldi, di combattere in incontri clandestini, capisci?”
“Perfettamente” le sorrisi, fiera.
“Così, ho deciso.” Annunciò, tranquilla “Il mio obiettivo ora è un altro.”
 
La fissai, incuriosita.

“Cioè?”
“Diventare il miglior detective di New York. Voglio fare il culo alle persone come Phill” sogghignò, convinta “Voglio essere il loro incubo peggiore. Voglio essere la persona che li spedirà, uno ad uno, in galera. Dove meritano di stare. E’ questo che voglio.”
“Vuoi diventare, sostanzialmente, la poliziotta più nota di tutti.”
“Diciamo di sì.”
“A New York” commentai, ancora.
“Già!”

Presi un profondo respiro.

“Tu..” iniziai, guardandola con gli occhi ridotti a fessure “Sai che New York è una delle città col più alto tasso di criminalità degli Stati Uniti?”
“Beh…sì.”
“E sai anche che ogni santissimo giorno è pericoloso, lì?”
“Ecco, forse..”
“E sei consapevole del fatto che potrei morire di infarto ogni volta che usciresti di casa?!” chiesi, ancora, con uno sguardo iniettato di sangue “Vuoi uccidermi per caso?!”
“Britt” iniziò, ridacchiando “Ma verament-“
“No, sul serio, San! Se vuoi farmi morire di crepacuore prima del tempo, dillo, così facciamo prima!” sbottai incrociando le braccia. “Ma guarda te, se anche fra dieci anni dovrò preoccuparmi quando esci di casa” borbottai contrariata “Ti pare normale?!”
 
Lei non rispose.
Si limitò ad osservarmi, con un sorrisetto stampato in faccia.
La linciai con lo sguardo.

“Cosa?” chiesi, arrabbiata, vedendo il suo sorriso allargarsi ancora di più, senza che mi rispondesse “Cosa?!”
“Quindi..” iniziò, allegra “Tu…”
“Io?!”
“Tu…” temporeggiò ancora “Ecco.. ti vedi ancora con me, fra dieci anni” sorrise, sorniona. “Non dieci giorni, ma dieci anni” puntualizzò, alzando le sopracciglia. “Dieci.” Bisbigliò, aprendo entrambi i palmi delle mani nella mia direzione.
“Razza di idiota!” sbottai, alzandomi di scatto, facendola cadere a terra.
 
Sentii le sue risate echeggiare nel salotto.
Le diedi le spalle.
In realtà, per nascondere il sorriso che stavo cercando con tutte le forze di reprimere.
 
“Oh, andiamo” si lamentò, rimettendosi in piedi “E’ una cosa bella, perché te la prendi?” fece, afferrandomi per il polso, facendomi girare verso di lei.
“Perché sei un’idiota, ovviamente” risposi, linciandola con lo sguardo.
“Ma mi ami uguale.”
“Purtroppo sì.” Acconsentii, fintamente esasperata.
“E, ugualmente, ti immagini assieme a me fra dieci anni” aggiunse, ancora.
 
Mi limitai a storcere la bocca, contrariata, abbassando lievemente lo sguardo.
Dannato panda superattento alle parole che uso.
Dannata modalità ‘lascia far danni a me’ del cervello.
 
“Per la cronaca” fece, poi, facendomi rialzare lo sguardo “E’ ciò che immagino anch’io.” Mi sorrise, lasciandomi un bacio sulle labbra.
“Sul serio?”
“Sempre.” Confermò “Per quanto la mia vita possa cambiare radicalmente da qui a dieci anni, l’unica costante, che continuo a vedere, l’unica” ribadì, seria “Sei tu.” Sorrise, carezzandomi la guancia. “E, se diventassi una detective conosciuta in tutta New York, non dovresti aver paura comunque. La mia promessa rimarrà. Ci sarò sempre, tornerò sempre da te. Perché ti amo.”
“Il ‘ti amo’ è una sorta di garanzia insomma?” scherzai, felice.
“Beh…” riflettè, concentrata “In realtà, lo è. Sì, decisamente lo è.” Sorrise “Sai perché non dico mai cose come ‘ti amo da morire’ o ‘ti amo da impazzire’ o cazzatelle varie?”
“Cazzatelle varie, eh?” chiesi, divertita.
“Già! Sai perché?” domandò, ancora.
“Perché?”
“Perché sono sciocchezze. Sono..” prese una pausa “Non hanno il minimo senso, diciamocelo!” sbottò, convinta “Se ami davvero” iniziò, riflessiva “E’.. tutto. Se ami, tu dai tutto di te. Tu” aggiunse, guardandomi “Hai tutto di me, tutto. Ogni cosa ti appartiene. Per me l’amore è, non so, un concetto troppo complesso e articolato, per ridurlo ad un ‘ti amo da impazzire’. Che diavolo dovrebbe significare, no?” fece, retorica “Non potresti mai, mai nella vita, pensare di abbandonare l’altra persona. Se ami, ami. Tutto il resto è compreso nel pacchetto.”
“Hai optato per il pacchetto Brittany, dunque?” chiesi, con un sorriso, che mai nella vita avrei potuto contenere.
“Già” confermò, sollevando le spalle “Che vuoi farci? E’ anche compresa una bella dose di follia” scherzò, schivando al volo il secondo scappellotto della giornata, allontanandosi di qualche passo.
“Sei agile e scattante, eh?”
“Sempre!” confermò, ridendo.
 
Poi si fermò, guardandomi seria negli occhi.

“Cosa?” feci, confusa.
“Tu credi” iniziò, titubante “Tu.. credi che un amore vero, un amore..”
“Come il nostro” aggiunsi per lei, guadagnandomi un piccolo sorriso.
“Sì, come il nostro” confermò, fiera “Credi possa durare per sempre?”
 
Avrei voluto rispondere all’istante.
Dirle che era una delle poche convinzioni che avevo a questo mondo.
Ma non ne ebbi il tempo.

Il cellulare di Santana prese a squillare.
E, contemporaneamente, sentimmo bussare alla porta.
Ci guardammo confuse, per un secondo.
Poi lei rispose alla chiamata.
 
“Tom?” fece, agitata “Tom?”
 
Ancora un'altra botta contro la porta.
Avrei dovuto controllare chi fosse.
Ma dovevo prima sapere se fosse andato tutto secondo i piani.
 
“Sì, sono a casa di Britt” la osservai corrugare le sopracciglia, prima che il suo viso perdesse lentamente colore “Che cosa?!”
 
Altro colpo contro la porta.
Questa volta più forte.
Tanto che entrambe ci voltammo verso l’ingresso.
 
“Cosa significa che è sparito?!” chiese, nel panico, Santana, mentre il mio cuore prese ad aumentare di battito, inevitabilmente.
 
Cosa diavolo stava succedendo?
 
“Tom io non lo so!” esclamò, passandosi una mano per i capelli, esasperata.
 
Poi ancora ci voltammo verso la porta.
Questa volta completamente gelate sul posto, nell’esatto momento in cui un altro colpo si fece sentire sulla porta.
Questa volta, però, accompagnato da una voce.
Quella voce, che entrambe avremmo riconosciuto ovunque.
 
Ispanica, so che sei lì!! Apri questa fottutissima porta!” altra botta “ISPANICA!
 
“Tom..” bisbigliò Santana, bianca come un lenzuolo, prima di voltarsi verso di me, spaventata “Nasconditi.”
 
“ISPANICA!”

Ma io non mi mossi.
Ero bloccata.
Non riuscivo nemmeno a pensare.
Ero congelata sul posto.
 
“Britt, nasconditi ho detto!!” urlò, avvicinandosi.
 
“Ti sento ispanica! Aspetta che metta piede lì dentro!”
 
“Britt!” mi afferrò per il braccio. “Britt! Devi nasconderti!”
 
“Jim! Sfonda questa fottuta porta, ora!”

Mi mossi, dopo qualche secondo.
Solo con il volto, però.
Mi girai per incrociare lo sguardo di Santana.

Ci guardammo per un momento, che mi sembrò infinito.
Un solo momento.
Poi la porta cedette.
Così come ogni nostra difesa.

*Santana! Santana, rispondimi! Che succede?!* sentii urlare dal suo telefonino, ancora accostato al suo orecchio.
 
Spostammo i nostri sguardi, portandoli esattamente di fronte a noi.
Lì, dove Phill stava in piedi, affiancato da un omaccione, che già in precedenza avevo visto.
Impugnava una pistola nella mano destra.

Lei disse una sola frase, prima di premere il tasto rosso del cellulare.
La voce, appena un sussurro.

“Lui è qui.”






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Tetraedro dell'Autrice

E beh, capitano anche queste cose!

Cooomunque, ringrazio schifottola e kathy lightning per la nuova immagine a inizio capitolo! e siccome sono affezionata anche all'altra ho deciso di mettere anche quella alla fine di ogni capitolo! :D

per il resto non ho granché da dire!

Grazie a tutti come sempre! C:
A presto, bella gente! :D

 

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Capitolo 36
*** Fra le mie braccia ***


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Avvertimenti: violenza.




Avete mai provato quella sensazione di terrore così intensa da farvi bloccare sul posto?
Così forte, da congelarvi completamente?
 
E’ buffo perché spesso accostano il concetto di terrore a quello di paura.
Sono simili, sì, indubbiamente.
Ma per me sono due cose ben diverse.
E lo capii proprio quel giorno.
 
Paura è quando vedi passare vicino a te un insetto, di cui non sei esattamente innamorato.
Paura è quando improvvisamente non trovi più in tasca il cellulare.
Paura è quando senti un rumore strano in casa, mentre sei da solo.
 
Allora scappi.
Torni nell’ultimo posto dove avevi lasciato il telefono.
Impugni un coltello da cucina, come fosse un’ascia da guerra, girando per casa accompagnata dal gatto.
 
E’ un sentimento forte.
Però, ho sperimentato nel tempo, ti lascia un minimo di lucidità.
Magari non immediato, ma c’è.
Riesci a pensare.
Riesci ad ideare un piano.
Una soluzione.
Riesci a scappare.
A muoverti.
A reagire.
 
Il terrore, oh, quello è diverso.
Perché non ti lascia via di scampo.
E’ come se una morsa ti si stringesse attorno al corpo.
Come se i tuoi neuroni si rifiutassero completamente di collaborare.
E’ come se il mondo attorno a te divenisse ovattato.
 
Terrore è quando non vedi nulla, se non ciò che sta minacciando la tua sopravvivenza.
Terrore è quando ti trovi puntata una pistola addosso, mentre la tua ragazza è tenuta ferma da un fottuto omaccione mafioso.
 
“Allora” iniziò Phill, lanciando uno sguardo ad entrambe “Cosa avete combinato?” chiese, rendendo più che visibile la sua rabbia, dal digrignare dei denti.
 
Era ferito.
Aveva il braccio sinistro coperto di sangue.
Probabilmente un proiettile l’aveva colpito di striscio.

Capii che doveva appena essere scappato dai poliziotti.
E capii anche l’orribile situazione in cui ci trovavamo.
 
Perché il suo primo pensiero non era stato curarsi.
Non era stato scappare.
Era stato trovare noi.
Noi, che eravamo le responsabili di tutto.
 
Capii anche che non avremmo avuto scampo.
 
“Come hai fatto tu a sfuggire ai poliziotti semmai?” chiese, seria, Santana, tenuta ferma da quell’armadio a due ante, che aveva prima sfondato la porta di casa.
 
Phill le riservò un occhiata fulminante.

“Non sei nella condizione di fare domande tu!” sbottò, avvicinandosi pericolosamente al suo volto “Sono stato chiaro?!” urlò, fuori di sé, colpendola al labbro con la base della pistola.
 
Feci due passi avanti, vedendo il sangue iniziare ad uscire copioso dalla ferita.
Istintivamente Phill si voltò verso di me, alzando l’arma.
Il suo sguardo era di fuoco.
 
“Prova a fare anche un solo passo e giuro, giuro su Dio” ribadì, serio “Ti faccio saltare il cervello. Sappi che è già nei miei programmi, vediamo solo di non affrettare gli eventi.”
 
Deglutii a vuoto, mentre pura disperazione si irradiava nel mio corpo.
Ci avrebbe uccise entrambe.
L’unica nostra possibilità di salvezza era zio Tom.
Dovevamo riuscire a prendere tempo.
 
“O-okay” feci, alzando le mani. “M-mi dispiace.”
“Ti dispiace?” chiese, retorico, avvicinandosi “Sono dispiaciuto anch’io per quello che successo. Parecchio dispiaciuto.” Puntualizzò, avvicinandosi al mio volto “Immaginate il mio disappunto quando una schiera di swat sfonda ogni singola vetrata della mia casa. Immaginate la mia rabbia quando scopro che la causa di tutto siete voi. Immaginate quanto mi sia innervosito non trovandovi a casa tua.” si voltò verso Santana “Credevate davvero che qui sareste state al sicuro?” strinse più forte in mano la pistola “Ora voglio solo sapere come è successo!”
“N-noi non sappiamo nient-“
“Bugia!” sbottò tirandomi uno schiaffo tanto forte da farmi cadere a terra di peso.
“EHI!” tentò di dimenarsi Santana, forzando la presa del tipo che la teneva fermo, senza molto successo. “Prenditela con me, bastardo!”
 
Io rimasi a terra qualche secondo.
Il tempo di riprendermi.
E quello che vidi alzando la testa non mi piacque per niente.
Phill si avvicinò ancora una volta all’ispanica, in maniera per niente amichevole.
 
“Perché” pugno nello stomaco “Diavolo” un altro “Dobbiamo ripetere” ancora un altro “La scena dell’ultima volta, eh?!” sbottò tirandole l’ultimo in pieno viso. “Voglio una risposta!”
 
Si spostò nuovamente verso di me, sollevandomi di peso.
Mi diede una spinta, che mi fece impattare forte contro il mobile alle mie spalle.
Ne centrai in pieno la vetrina.
 
“Smettila!” urlò Santana.
“Dammi una risposta allora!” si voltò furibondo Phill “La voglio ora! O ti spezzerò ogni singolo dito finché non avrò quello che voglio.”
“Vaffanculo.”
“Bene" la fissò, serio "Jim! Avanti, vediamo quanto resiste!” lo esortò con un ghigno, che mi provocò una scarica di brividi lungo la spina dorsale.
 
Vidi Santana dimenarsi.
Poi l’omaccione riuscì ad avvicinarsi alla sua mano, abbastanza da poter fare quanto gli era stato ordinato.
Ma mi rimisi in piedi, un attimo prima che potesse farlo.
 
“Abbiamo parlato con la polizia di Lima!” urlai, facendolo fermare e ottenendo l’attenzione di Phill “A-abbiamo solo…” presi un respiro “Dovevano arrestarti.”
“Questo l’ho notato!” sbottò, digrignando i denti “Cosa hai detto?” si voltò ancora verso Santana “Cosa sanno!?”
 
Lei alzò leggermente il viso.
Un sorriso a solcare le labbra, sporche di sangue.
 
“Tutto.” Rispose, seria “Ogni cosa.”
 
Il lardoso sbiancò.
Scosse la testa, incredulo.
 
“Questo non è possibile.”
“Credi che in questo anno io sia stata buona a fare solo da perfetta combattente?” chiese, retorica “No, io ti osservavo” sogghignò “E ho dato tanto di quel materiale che potrebbero darti anche la pena di morte.”
“Stai mentendo!”
“Ma mi accontento anche di una ventina di ergastoli” continuò, cercando per l’ennesima volta di liberarsi con uno strattone, senza successo. “Ho visto cose che non avrei dovuto vedere, brutto bastardo. Compresi gli scambi di favori con importanti capi di aziende conosciute in tutto Ohio. Sanno tutto.”
“Tu menti!” sbottò ancora, avvicinandosi.
 
Le assestò l’ennesimo pugno in faccia.
L’ennesimo taglio sul viso.
 
“Smettila!” urlai, facendolo voltare furibondo verso di me.
“Tu” mi indicò con la pistola “Tu sei la causa di tutto.”
“Lei non sapeva niente!” si intromise Santana “Non ha avuto mai a che fare con questa storia. Lei non c’entra.”
“Avrei dovuto ucciderti in quel vicolo quella sera” continuò camminando verso di me, ignorando completamente Santana “Sapevo mi avresti portato solo problemi!” sbottò, afferrandomi e buttandomi ancora una volta a terra.
 
Questa volta impattai contro il tavolino di legno, vicino il divano.
Fece male.
Non riuscii ad alzarmi subito.
Ma sollevai lo sguardo un minimo, per vedere come avesse puntato la pistola direttamente contro di me.
 
“E’ solo colpa tua! TU! Tu hai portato solo guai! Tu hai distrutto tutto quello che avevo costruito!”
“Lei non c’entra!”
“Smettila di parlare, ispanica!” sbottò Phill, spostando l’arma contro di lei “Hai fatto già abbastanza dann-“
“Capo.” Lo interruppe l’uomo, con uno sguardo spaventato.
 
Si guardarono entrambi per qualche secondo.
Prima che tutti in quella stanza capissimo il perché della sua espressione.
 
Si sentivano delle sirene in lontananza.
Arrivava zio Tom.
 
Phill prese a tremare di rabbia, incatenando lo sguardo a quello di Santana.
 
“Con chi stavi parlando prima che entrassimo?!” urlò afferrandola per la gola “Con chi?!”
“Lasciala!” sbottai, cercando alla bene e meglio di reggermi in piedi.
 
Riuscii ad avvicinarmi di poco.
 
“Sei finito.” Lo fissò seria Santana “Ti conviene fuggire finché sei in tempo.” Affermò, guadagnandosi l’ennesimo schiaffo.
“Zitta!” sbottò Phill “Non andrò da nessuna parte e sai perché!?” chiese, fuori di sé “Perché preferisco prima finire quello per cui sono venuto fin qui” annunciò, indietreggiando di qualche passo.
 
Prese un paio di respiri profondi, cercando di contenere il tremore delle mani.
 
“Potrò anche finire in galera” fece, ripuntando lo sguardo nel suo, poi direttamente nel mio “Ma una di voi due questa sera morirà.”

Terrore.
Puro e autentico.
Semplicemente, non riuscii più a muovermi.
Notai anche Santana irrigidirsi sul posto.
Aveva smesso di dimenarsi.
 
“Vedete, è questo il punto” iniziò il lardoso, stringendo la mascella “Per fuggire a quel macello che avete combinato nella mia proprietà” digrignò i denti “Ho finito diversi caricatori. Il piano era uccidervi entrambe” annunciò, con un sorrisetto, che racchiudeva però quintali di ira malcelata “Ma a quanto pare, è rimasto un solo proiettile.”
 
Deglutii a vuoto, osservando la pistola che stringeva nella mano.
Era finita.
Le sirene erano ancora troppo lontane.
Era ormai chiaro a tutti cosa sarebbe accaduto.
 
“Sai che lei non c’entra” sentii dire da Santana alla mia sinistra “Lei non ha fatto niente. Lei non ha dato nessuna informazione a nessuno e io-“
“Smettila, San” la fermai, guardandola negli occhi “Ti prego non fare così.”
“Tu non c’entri” disse, con voce incrinata.
“Neanche tu.” Ribattei, con un sorriso malfermo “Andrà tutto bene, vedrai.”
“Non è vero.” Scosse la testa, con gli occhi lucidi.
“Andrà tutto bene.”
“Commovente.” Sogghignò Phill, alzando la pistola.
 
La puntò contro Santana.
Per un secondo.
Poi la spostò velocemente verso di me.
Esattamente come avevo sospettato dall’inizio.
Sorrisi consapevole.
 
“NO!” urlò Santana.
 
Il lardoso levò la sicura all’arma.
Io mi voltai ancora una volta verso di lei.
Fissai i miei occhi nei suoi.
 
“Ti amo.” Sorrisi “Mi dispiace, San.”
“Britt… no.” Cercò di divincolarsi, ancora.
 
Richiusi gli occhi, voltando la testa.
Perché lei era l’ultima immagine che avrei voluto vedere.
L’ultima.
Era tutto ciò che contava.

Non dovetti aspettare molto.
Strinsi gli occhi con forza.
Il rumore dello sparo rimbombò nella stanza.
Le sirene, unico altro suono, in sottofondo.





 
Mi aspettavo dolore.
O direttamente il nulla a cullarmi.
Non accadde niente di tutto questo.
Sentii solo una presenza a pochi centimetri da me.
Non capii.

Riaprii gli occhi, dopo qualche secondo.
Vidi Santana di spalle, esattamente di fronte a me.
Quando si era mossa?
Come era riuscita a liberarsi?
Chi aveva sparato?
Ancora non realizzai.
 
Fu solo quando lei si sbilanciò indietro, appoggiandosi con la schiena a me.
Fu allora.
In quel preciso momento.
Capii.

Avrei voluto non aver mai riaperto gli occhi.
Avrei preferito morire lì.
Avrei preferito qualsiasi cosa.
Qualunque sofferenza.
Qualunque destino.
Paradiso, Inferno, il Nulla, non importava.

Tutto, piuttosto che quello.
Tutto, piuttosto che vederla cadere fra le mie braccia, permettendomi di vedere cosa aveva fatto.
 
Il mondo, per me, si fermò in quel preciso momento.
Quando la adagiai, piano, a terra, senza lasciarla.
Quando vidi la macchia di sangue espandersi sulla sua maglia larga.
La sua preferita.
Proprio al centro del suo petto.
Proprio vicino al suo cuore.
 
Niente ebbe più senso allora.
Nulla.
 
 “Britt..” esalò, con un voce debole “Stai b-bene” sorrise.
“No, San.” Le scostai i capelli dal viso, con la mano tremante “C-cosa hai fatto?”
 
Sentii distrattamente le macchine della polizia arrivare, sgommando.
Phill credo stesse urlando.
Ma non ebbi la forza di alzare lo sguardo.
Non mi importava.
 
“Va t-tutto bene.” Portò la mano lentamente sulla mia guancia.
 
La afferrai.
Era fredda.
 
“Ti prego, S-san” scossi la testa, evitando di guardare quella macchia rossa continuare ad espandersi sul suo petto “Ti prego.”
“Brittany!” urlò Tom afferrandomi per il braccio “Britt! Ho chiamato l’ambulanza, andrà tutto bene, vedrai. San, resisti, saranno qui a momenti!”

Sollevai appena il viso, per guardarlo.
Ma vedevo appannato.
Notai, allora, Phill steso, faccia a terra, con le manette dietro la schiena.
Ci osservava.
Sorrideva, fiero.
 
Scossi la testa, lasciando che le prime lacrime rigassero il mio viso.
Tornai a guardare Santana.
 
“San…”
 
Lei provava a sorridermi debolmente.
Stanca.

Non poteva finire così.
Non doveva finire così.
Non dopo tutto quello che avevamo passato.
 
Mi tornò in mente ogni singolo momento passato con lei.
Mentre le tenevo la mano.
Mentre notavo le sue palpebre farsi sempre più pesanti.
Rivissi ogni istante.
Dall’inizio.

 
“Non c’è di che… sono Brittany, comunque”
“Io sono Sant-“
“Oh, no, tranquilla, lo so.”


 
“Ti prego…” la supplicai “Ti prego, non lasciarmi.”

 
“Vuoi solo quello da me?”
“Quello cosa?”
“Una botta e via.”
“Non saresti il tipo comunque, no? Quindi, suppongo che debba prendere la strada più lunga.”


 
Spostai lo sguardo avanti.
Vidi Phill, tenuto fermo per terra, circondato da poliziotti.
Ancora sorridente.

 
“Non voglio che sappia di te. Mai. Se c’è una cosa che non mi perdonerei al mondo è che lui entri in contatto con te. E’ pericoloso e non deve nemmeno sapere che esisti. Sa che c’è qualcosa di diverso in me, da un po’ di tempo a questa parte. Lo ha avvertito.”
“Cosa c’è di diverso?”

“Te.”

 
Zio Tom continuava a parlarmi.
Non riuscivo a sentirlo.

 
“Bah. La mia ragazza riesce appiccare fuoco alle tende cercando di fare dolci, ma mica mi sparo la posa… IO!”  
“Ripeti.”
“Non mi sparo la posa io?”
“No, prima.”
“Riesce ad appiccare fuoco alle tend-“
“Prima.”
“La mia ragazza?”
“Senza punto interrogativo, però.”
“La mia ragazza.”


 
Chiusi gli occhi.
Cercando di respirare, per quanto fosse possibile.
Ma non riuscivo.

 
“Penso che sarebbe fantastico! Sei meravigliosa e, sono sicura, non potrebbe essere altro che un bene! Personalmente credo che potrei vederti ballare per ore senza mai stancarmi e… C-cioè, nel senso che sei molto brava e-“
“Perché ti ostini a voler nascondere la tua palese pandosità?”
“Non sono un panda! Sei tu che mi rendi un panda.”


 
“Continua a guardarmi, San” provai, ancora, notando il suo respiro farsi più lento. “Guardami, ti prego.”

 
“E’ come… non lo so, è che quando ti vedo… ogni volta che ti guardo, mi sembra di poter fare tutto. Insieme. E io non potrei avere la certezza di queste cose, ma ce l’ho! Non dovrebbe essere possibile, ma lo è. E’ tipo una sorta di…”
“Sesto senso?”
“Sì, decisamente.”


 
“A-andrà tutto b-bene” bisbigliò debole “L-la promess-a… r-ricorda.”
“Mi ricordo.” Le sorrisi, pulendomi le lacrime. “M-mi ricordo.”

 
“Ok, senti, io andrò lì e tu rimarrai qui, ma per poco. Perché tornerò da te, sempre. E’ una promessa. Non avere paura, ok?”

“Non me ne sono mai andata, Britt. Lo so che potrebbe non sembrare così, ma non ti ho mai lasciato. Non avrei mai potuto. Mai potrei.”
“Promettimelo, ancora.”
“Tornerò sempre da te. Non importa cosa accadrà, io tornerò. E se mai dovessi avere l’impressione che non ci sia, che tu non riesca a ‘vedermi’ davvero, ricordati solo che ti amo. Ti amo. Questo non cambierà mai.”


 
Sentii il suono dell’ambulanza in lontananza.
Ma vidi i suoi occhi chiudersi.
Lentamente.

“San..” feci con voce incrinata “San, ti prego, rimani sveglia!”

 
“C’è una cosa però…”
“Tipo cosa?”
“Un ‘non ho mai’, che non potresti mai eliminare dalla mia lista personale”
“Mh… Proviamo!”
“No, fidati. Non puoi, nessuno potrebbe mai.”
“Cos’è?”
“Non ho mai… Né, tanto meno, potrò mai…Amare qualcuno come amo te.”


 
Lei non rispose ai miei richiami.
Avvertii la mano, che teneva sulla mia guancia, perdere ogni forza.
Sentii appena Phill urlare soddisfatto ‘Ora possiamo andare’.

Non doveva andare così.

“SAN!”
Provai a scuoterla ancora, invano.


“E soprattutto queste mi piacciono, perché sono il segno del momento della giornata che preferisco”
“Sarebbe?”
“Quando sorridi. Soprattutto se è a me che sorridi”



Fu allora che accadde.

Come avessi appena perso una parte di me.
Come fossi appena caduta in un burrone, senza la minima speranza di sopravvivenza.
Come il mondo attorno a me si fosse fermato.

Avvertii distintamente il suo respiro venir meno.

Fra le mie braccia.

 
“Non mi dispiacerebbe, comunque.”
“Cosa?”
“Invecchiare, insieme.”






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Tetraedro dell'Autrice


Ok... vi supplico, prima di cercare l'indirizzo di casa mia per scuoiarmi viva, prendete un profondo respiro.
Facciamo anche due.
O tre.
O quattro... mila.

visto però? phill è stato arrestato! yay!
vabbè... meglio che la smetta.

l'epilogo arriverà entro domenica! leggetelo dai!

Grazie mille a tutti come sempre! C:
A presto, bella gente! :D



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Capitolo 37
*** Epilogo ***


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“Lelly-Kelly, facciamo un gioco?” chiese MG, allegra, sedendosi di fronte a me sul divano.
“Mh. Spara.”
“Tu devi farmi delle domande, a cui io risponderò solo ‘sì’ o ‘no’, per indovinare cosa sto pensando.” Annunciò fiera, posizionandosi meglio sul divano.
 
La guardai sospettosa per un secondo.
 
“Che tipo di cose si possono pensare?” socchiusi gli occhi, incerta.
“Qualsiasi!”
“Ok…”
“Vai!” mi esortò, fissandomi piena di aspettativa.
 
Sbuffai, cercando di focalizzare cosa mai potesse essere.
 
“Aspetta” mi bloccai “Non è che te ne esci con cosa assurde, tipo la navicella spaziale, che prenderebbe un criceto per dirigersi sul pianeta Cricetolandia, al fine di recuperare le sfere del drago?!”
“Tu sei un’idiota” si massaggiò le tempie, sospirando.
“Non si può mai sapere con te!” ribattei seccata. “Bene” ricominciai, grattandomi il mento “E’ una persona?”
“Mmm… no. Dovrebbe avere vita, ma si è scoperto di recente che la situazione è degenerata.”
“Cos’è? Una pianta?” inarcai il sopracciglio, confusa.
“No.”
“Un pianeta?”
“Eeeh…” gesticolò, in difficoltà “Più o meno. Una città.”
“Che non ha più vita?” chiesi, non capendo per niente.
“Già.” Scosse la testa sconsolata “I suoi abitanti si sono suicidati tutti.”
“Che dici!? Sei seria?!” strabuzzai gli occhi “Dove?!”

Gollum si passò una mano sugli occhi, prendendo un respiro tremolante.
 
“Qui vicino, Bumba.” Annunciò, triste “E’ stato un massacro. Orribile.”
“Ma…Come..” feci, stranita “Non l’ho sentito in tv, come è successo? C’è un articolo o-“
“Sì, un articolo di giornale…” annunciò, alzandosi in piedi “Aspetta, te lo prendo.”

Aprì un cassetto del mobile del soggiorno, frugando all’interno.
Da quando in qua nascondevamo giornali lì dentro?
 
Se ne tornò, dopo pochi secondi, con un foglio, un po’ spiegazzato.
 
“Ecco” me lo porse, con tono drammatico “Leggi, è davvero terribile.”
 
Mi ritrovai davanti questo ‘articolo’.

Titolo: un massacro che poteva essere previsto?
Sottotitolo: il sindaco Cervello afferma “Non ho potuto fare niente per evitarlo.”

Continuai a leggere interessata.

“Ieri, alle ore 00:00, quasi simbolo dell’inizio della fine di tutto, l’ultimo cittadino della metropoli ormai decaduta si è tolto la vita.
La città, una volta luminosa, almeno agli albori, è scomparsa ufficialmente dalle nostre cartine geografiche.
Evento drammatico, se pensiamo che appena due giorni fa avevamo intervistato questo stesso superstite al massacro.
‘Non è possibile più vivere così’ aveva detto Neurone Secondo, ultimo abitante di Encefalo ‘Non è possibile far parte di Brittanilandia’ Stato, di cui noi tutti, purtroppo, siamo a conoscenza del livello di degrado ‘Non si può. Non ci si lava, non si ragiona, si è nemmeno capaci di dire dove si trovi in Nord. Il livello di inciviltà è insostenibile’.
Parole forti pronunciate dall’ultimo cittadino Neurone, che si è drammaticamente tolto la vita, proprio all’alba di un nuovo giorno.

 
Sollevai lo sguardo, facendo una smorfia.
“Ma sai che sei divertente come un termosifone acceso d’inverno?” chiesi, seccata.
Gollum si limitò, noncurante, a farmi cenno di continuare.
 
“Vogliamo, ora, fare un appello.
Amici, fratelli, Neuroni di tutto il mondo, ascoltateci.
Siamo consapevoli che non tutte le città Encefalo possono essere alla stregua di Metropoli, conosciute a livello mondiale, come MaryGraziosolandia.
Quella sì che è una città fighissima, piena di colori, luce, civiltà e tecnologia. Unica nel suo genere.
Ma, se c’è ancora un Neurone dello Stato Brittanilandia, se tu, sopravvissuto, stai leggendo, ti preghiamo, fai sentire la tua voce. Mettiti in contatto con noi e-
al diavolo! Io non leggo più!” sbottai, facendo scoppiare a ridere mia sorella.
“Peccato! Volevo vedere la tua faccia quando si parlava di Sistema di Riabilitazione neuronale”
“Ha-ha.”
“Lo so” sorrise, compiaciuta “Sono una persona divertente.”
“Una spina nel Grande Gluteo, semmai” la corressi, indispettita.
“MG!” esclamò mia madre, appena arrivata in soggiorno “Non mi hai chiamata?! Volevo vedere la reazione!”
 
Inclinai la testa, fissandola incredula.
 
“Tu sapevi di questo pseudo-articolo fittizio?” feci, con voce stridula.
“Chi pensi abbia avuto l’idea di chiamare il sindaco Cervello, eh?!” gongolò, allegra.
“Vero” annuì MG “Idea sua, quella. Brava mamma!”
“Siete incommentabili.”
“Lo sappiamo. Per certa genialità non ci sono parole” sorrise Gollum, dando, poi, uno sguardo a ciò che avevo posizionato vicino la gamba “Ancora la storia del secchio, Britt?” chiese, divertita.
“Sì.” Risposi, seccata.
“Britt, è passato un anno” mi diede una pacca sulla spalla “Dovresti provare a lasciarti alle spalle i ricordi di quel pomeriggio.”
 
La fissai, stringendo la mascella.
 
“Non credo potrò mai farlo.”
“E davvero intendi fare questo ogni volta che ne avrai l’occasione?” fece, incredula “Non puoi semplicemente pensare che almeno quel tipo l’hanno arrestato? E rimarrà in carcere per tutta la sua vita?”
“Non mi basta pensare questo.” Storsi la bocca, arrabbiata. “Se avessi vissuto quello che ho vissuto io, lo faresti anche tu.”
 
Lei si limitò a sospirare, frustrata.
Aveva cercato spesso di parlarmi sull’argomento.
Ma ero stata sempre irremovibile.
 
“Arriva.” annunciò mia madre, dando uno sguardo dalla finestra “Io vado a finire di preparare, chiamatemi quando arrivano tutti.” Sorrise, carezzandomi una spalla prima di uscire.
 
Presi il secchio pieno d’acqua che avevo posizionato a terra.
Mi avvicinai alla porta di ingresso.
 
“Lo sai che non puoi continuare così per sempre.” provò a farmi ragionare Gollum.
“Oh, sì che posso, invece.”
 
Spalancai la porta.
Mi godetti per un secondo la sua espressione, fra lo spaventato e il rassegnato.
La secchiata d’acqua la prese in pieno.
Si bagnò da capo a piede.
Pura soddisfazione.
 
“BRITT!” esclamò Santana, indignata. “Ancora?!”
“Ringrazia sempre Iddio che è acqua e non acido!” sbottai, arrabbiata.
“Sai che l’ho dovuto fare!” si difese, per l’ennesima volta nell’arco di un anno, osservando la propria maglia completamente fradicia.
 
Sì, era passato un anno da quel pomeriggio.
Quello in cui vidi Santana ‘morire’ fra le mie braccia.
Morire, poi.
Seh.
 
Ora, immaginate per un secondo.
Provate a pensare all’assurdità della cosa.
Sei lì, che tieni fra le braccia quello che credi sia il corpo senza vita della tua ragazza, quando, ecco.
Phill viene portato fuori e messo in una macchina.
E tu vedi, improvvisamente, gli occhi di lei aprirsi di nuovo.
Un piccolo sorriso di vittoria sul suo volto.
E si alza in piedi.
SI ALZA in piedi.
Come nulla fosse, come non fosse stata sparata in pieno petto.
Cosa che poi era vera.
Perché quell’idiota patentata di Santana si leva la maglia.
Si leva il fottuto giubbotto antiproiettile con tanto di sacchetta, poi esplosa, contenente il liquido rosso, che avevo identificato come sangue.
E rimane in canotta.
Allegramente.
Con un sorriso sulle labbra.
E ti guarda.
Ti chiede se vada tutto bene.
Chiede se vada tutto bene a TE, che hai occhi rosso fuoco per tutto il pianto.
Il sistema nervoso completamente spappolato.
Le mani sporche di ‘sangue’, tanto che sembri essere uscita da ‘Saw l’enigmista’.
E ti chiede se vada tutto bene.
 
Così, cosa fai?
Niente.
Semplicemente, ti alzi.
Combatti contro il desiderio di prenderla a pugni, perché le ferite sul suo volto sono comunque lì.
Prendi un secchio.
Lo riempi d’acqua, sotto lo sguardo confuso di lei e dei poliziotti rimasti attorno.
E le fai il bagno, da capo a piedi.
Oh, e la riempi di insulti.
Tanti insulti.
Tanti bellissimi insulti, che ti fanno sentire almeno un minimo meglio.
 
Ad ogni modo, mi spiegarono per bene solo dopo il tutto.
La verità era che non si aspettavano minimamente che Phill scappasse.
Quello fu il problema.
Ma tutto il resto?
Era già bello che programmato.
 
Zio Tom aveva intenzione, infatti, di chiamare Santana – la quale, per questo, in realtà controllava sempre il cellulare - non appena ogni cosa fosse stata a posto.
Poi, dopo aver organizzato tutto nei minimi dettagli, avrebbero inscenato davanti a Phill la sua morte, ad opera di fantomatici scagnozzi, ovviamente, in realtà poliziotti con passamontagna.
Il giubbotto antiproiettile teneva attaccata questa sacca di liquido rosso, che poteva essere rotta dallo stesso proiettile o da un pulsantino presente al livello della manica.

Così facendo quel lardoso sarebbe rimasto soddisfatto.
Così facendo avrebbe avuto la sua ‘vendetta’, credendo l’ispanica morta, e ci avrebbe lasciato in pace per sempre, isolato in carcere.

Ora il piano, ovviamente, andò a farsi friggere.
Santana non mi avvertì, perché non voleva mettermi al corrente di questo seppur piccolo rischio che avrebbe corso.
Eh, già.
Bella merda, però.
Perché vissi un vero e proprio incubo quel giorno.
 
Lei spesso mi dice ancora che il vero incubo l’aveva vissuto lei, vedendomi ad un passo dalla morte.
Perché io non ero coperta.
Io non avevo niente a difendermi da un colpo di pistola.
Forse aveva ragione, ma tenerla fra le braccia credendola morta fu la cosa più brutta che potesse capitarmi nell’arco di un’esistenza.

Ma, ehi, tutto bene quel che finisce bene, no?

Poi, nel frattempo, continuavo a lanciarle secchiate d’acqua, non appena potessi.
Era il minimo.
Ed era anche soddisfacente.

“Potevi avvertirmi!”
“Non era previsto che avvenisse in quel modo, lo sai! Non avresti dovuto sapere!”
“Potevi recitare peggio almeno, che cazzo!”
“Dovevo essere verosimile!” si difese, ancora.
“Sei un’idiota!”
“Però mi ami” puntualizzò, sapiente “Non dimenticarlo, mai!”
“Purtroppo” feci una smorfia, avvicinandomi a lasciarle un bacio sulle labbra.
“Presa in pieno?” chiese Gollum, sporgendosi dalla porta di casa.
“Oh, sì” sorrisi soddisfatta.
“Ho provato a farla ragionare, San.”
“Grazie lo stesso MG!”
 
Oh, e ovviamente.
Avevamo dovuto dire tutto ai miei.
Insomma, casa era un disastro.
Polizia ovunque.
Vicini in allerta.
Un macello.
 
Rimasero scioccati, inutile dirlo.
E meno male che demmo la versione soft della storia.
Con Santana che combatteva una volta al mese.
E niente che prevedesse noi in pericolo certo di morte.
Come avevo intuito, tra l’altro, Gollum aveva sempre sospettato ci fosse qualcosa sotto i nostri comportamenti in tutto quel tempo.
Ma non aveva mai detto niente.





 
“Allora, chi vuole dire due parole prima di iniziare a mangiare?” chiese mia madre, osservando i presenti attorno al tavolo.

Eravamo tutti.
Compresi Mike, Quinn e Rachel.
Mancava solo Jennifer all’appello.
Aveva deciso di passare le vacanze a casa della sua ragazza, una tipa a posto, che aveva conosciuto alla Juillard.
I nostri rapporti si erano mantenuti molto buoni.
Era un’amica fondamentale per me.
 
“Io!” esclamò MG, schiarendosi la gola “Vado?”
“Se intendi in Messico, sì, magari” risposi a tono, guadagnandomi una smorfia in risposta.
“Dunque” piccolo colpo di tosse “Ti ringraziamo, Signore, per questo cibo, per queste persone attorno al tavolo. Sebbene possa sembrare così, in realtà non siamo i cavalieri della tavola rotonda, ma chiediamo ugualmente sostegno.”
“MG…” la richiamò mia madre.
“Nono, tranquilla” sorrise “Non ho finito” continuò “Dicevo, ti ringraziamo eccetera eccetera, ma cosa fondamentale ti preghiamo, Signore, fa’ sì che Brittany ritrovi i suoi neuroni scomparsi.”
 
Sbuffai, sollevando gli occhi al cielo.
 
“Non erano molto utili” aggiunse, con espressione rassegnata “Ma erano pur sempre qualcosa.”
“Gollum” sibilai, spazientita.
“Fonzy, per favore, silenzio” mi riprese, arrabbiata “Ad ogni modo, ti ringraziamo comunque per averci dato Santana, che riesce a compensare piuttosto bene, nonostante sia come cercare di coprire una voragine scavata dalla potenza di tre miliardi di vulcani. Dio benedica Santana.”
“Amen” risposero tutti in coro.
“Oh, e ringraziamo anche l’acqua e sapone” aggiunse “Che la sopracitata Brigitta non riesce ad usare, causa intolleranza all’igiene.”
“Ah, Buon Dio” sospirai, cercando di portare pazienza.
“E ringraziamo per questo polpettone” aggiunse Santana, mentre Gollum le sorrideva fiera “Perché almeno qui se ne possa mangiare uno commestibile.”
“Amen!”
“Stai insinuando qualcosa?!” bisbigliai, indispettita, dandole una gomitata nelle coste.

Lei si limitò a contenere una risata.

“E ringraziamo per questa pasta salata al punto giusto” fu il turno di Rachel “Perché almeno qui qualcuno è a conoscenza delle dosi da usare.”
“Amen!”
“Tu quoque!” la linciai con lo sguardo, indignata.
“Ringraziamo anche che Tambrina-Giulina sappia un po’ di latino” colse la palla al balzo MG “Ma preghiamo che non lo usi davanti qualcuno che lo conosca davvero.”
“Amen!”
“Avete finito?!” sbottai, indignata, scatenando risate sommesse da tutti i presenti.
“Ringraziamo mamma e papà” continuò, ancora, ignorandomi “Che almeno una delle due figlie l’hanno fatta uscire bene, con il cervello al posto giusto.”
“Amen!”

La sfidai con lo sguardo.

“Sarei io quella, Gollum!”
“Ringraziamo per l’ingenuità di Viviana” sorrise, ignorandomi ancora, tranquilla “Che ancora crede di poter essere definita una persona dotata di raziocinio.”
“Ringraziamo” conclusi io, parlando sopra le risate di tutti “Per i secchi presenti in casa e per l’acqua dei rubinetti.” Ghignai, facendo congelare Santana, MG e Rachel sul posto “Preghiamo che nessuno si svegli improvvisamente rotolante in lago ghiacciato.”





 
“Stamattina sono andata a portarle i fiori” sorrise Santana vicino al mio orecchio, mentre mi abbracciava da dietro “Mi mancava andare a trovarla ogni giorno.”
 
Diedi uno sguardo al laghetto con le paperelle dinanzi a noi.
Presi le sue mani nelle mie.
E, come ogni volta da quanto quell’incubo finì, mi soffermai a carezzarne il dorso.
Niente più ferite.
Niente più guanti.
 
“Le hai raccontato di come tu sia diventata una studentessa modello?” scherzai, dandole un bacio sulla guancia.
 
Le cose in quell’anno erano andate piuttosto bene.
Vivevamo assieme a Rachel in un piccolo appartamento a New York.
Santana riuscì a vendere la casa, alla fine.
Pagò le rate del primo anno all’università, l’affitto, tutto ciò che serviva.
Risparmiava il possibile e se poteva, ogni tanto, faceva qualche lavoro extra per racimolare altri soldi.
Il suo obiettivo era, infatti, quello di ricomprare la casa una volta laureata.
Ed era già sulla buona strada, visto che almeno per l’anno successivo non avrebbe dovuto preoccuparsi di tasse, essendosi guadagnata una borsa di studio per merito.

“Le ho raccontato di come abbia una ragazza modello, in realtà.” Sorrise, lanciando un veloce sguardo a Quinn e Rachel sdraiate sull’erba più in là “Le ho parlato di come vanno le cose. Di Rachel che continua a propinarci musical da vedere la sera. Di Quinn che si fa in quattro per venirci a trovare sempre a New York. Delle amicizie. Di noi. Del tuo polpettone orribile” scherzò, guadagnandosi un pizzico sulla pancia “Di papà e del rapporto che stiamo cercando di ricostruire.”
“PandaSan” sorrisi, contenta “A proposito, l’hai richiamato ieri?” chiesi, ricordandomi del messaggio in segreteria che aveva lasciato.
“Sì.. pensavo di andare a trovarlo uno di questi giorni.”
“E’ un’ottima idea, direi!”
“Se, però” precisò “Tu mi accompagni.”
“Oh.” Feci, stupita “Potrei pensarci in cambio di un paio di dichiarazioni top secret.”
“Del tipo?” chiese divertita.
“Gli alieni esistono? E se sì, vivono in Rachel?” feci, facendola scoppiare a ridere “E gli scoiattoli sono capaci di assaltare carrarmati russi?”
“Sicuramente tu sei capace di fare sparate non indifferenti! E poi..” riflettè concentrata “Perché non chiedere se i pinguini sono dotati di lanciarazzi a questo punto?”
“Tu sì che mi capisci al volo!” esclamai allegra “Oh, San!”
“Cosa?”
“Ho avuto un’illuminazione! Andiamo!”
 
Si sciolse dall’abbraccio e mi guardò sospettosa.
 
“Perché non mi fido?” chiese, con gli occhi ridotti a fessure.
“Fai bene!” sorrisi, compiaciuta, prendendola per mano.
 
Mi avvicinai maggiormente al laghetto, cercando di non darlo a vedere.
Mi voltai nuovamente verso di lei con fare innocente.
 
“Allor-“
“Sai che non sei abbastanza camaleontica?” chiese Santana, con la faccia di chi la sapeva lunga.
“Che intendi?” dissimulai, fintamente confusa.
“Intendo” iniziò, afferrandomi di peso, mettendomi su una sua spalla.
“SAN!” sbottai, indignata “METTIMI GIU’!”
“Dicevo, intendo che i tuoi movimenti, dalla grazia di un elefante, per avvicinarti all’acqua non sono passati  inosservati” fece, tranquilla, avvicinandosi al bordo. “Non a me.”
“SAN! Per favore ragioniamo!”
“Ragioniamo con un indovinello, tipo?” chiese, allegra, ormai al limite.
“Sannie, ti prego…”
“La ruffianeria non funzionerà, mi amor!” annunciò “Indovinello, allora!” continuò “Chi è che sta per cadere nuovamente nel laghetto dal discutibile aspetto, senza la minima speranza di scamparla?”
“SAN!”
“Entrambe.”
 
Rimanemmo interdette un momento nel sentire quella voce alle nostre spalle.
Ma solo un momento.
Poi avvertii solo il contatto con l’acqua gelida del laghetto.
Imprecai?
Oh sì, in tutte le lingue del mondo più una.

“FABRAY!” sbottò Santana spuntando fuori dall’acqua, tremando leggermente per il freddo “Aspetta che venga lì ad ucciderti!”
“Oh, Sannie, andiamo!” si difese tranquilla lei, tenendo per mano Rachel “Mi è sembrata la cosa più giusta da fare! O entrambe o nessuna!” sorrise, sorniona “Noi andiamo a prendere un gelato, buon divertimento!”
“Dannata Fabray” bofonchiò la mia ispanica, avvicinandosi “Quest’acqua fa schifo.”
“Fa schifo?” chiesi retorica “Chi è la prima che ha iniziato la tradizione del ‘butta nella melma persone innocenti’?!”
“Io no, forse il gatto.”
“Certo” la guardai indispettita “Il gatto.”
 
Uscii velocemente dall’acqua, arrabbiata.
Mi sedetti sull’erba con le braccia incrociate, combattendo contro i brividi di freddo, che mi scuotevano di tanto in tanto.
Dannato vento.
 
Santana mi si avvicinò, posizionandosi poco distante.
Mi guardava incuriosita.
Io la ignoravo.
Tiè!
 
“Britt?”
 
Ovviamente non risposi.
 
“Oh, andiamo!”
“…”
“Sono caduta nell’acqua anch’io!” protestò “Perché punirmi?!”
“Che io sappia i panda possono nuotare.” Dissi, gelida.
“E le papere no?” chiese, con un sorriso, di rimando.
“Non rigiriamo la frittata e-“ mi interruppi sentendo una folata di vento che mi fece tremare da capo a piedi “Ma che caz-“
“Perché non vieni qui da me a riscaldarti, genio del male?”
“Perché no!” risposi indispettita “Piuttosto non hai qualche coperta a forma di panda o piumone o-“
“Niente del genere” sorrise “Però hai un panda in carne ed ossa, perché non approfittare?”

Mi voltai di scatto.
 
“Quindi lo ammetti!” esclamai, trionfante “Sei un panda!”
“Potrei averne nascosto uno sotto la maglia, non puoi saperlo” rispose, disinteressata.
“Cert-“ altra folata di vento “Oh, al diavolo!”
 
Mi avvicinai, posizionandomi direttamente fra le sue gambe.
Lei mi abbracciò stretta da dietro, appoggiando il mento sulla mia spalla.

Avete presente quella sensazione, in pieno inverno, quando stai letteralmente congelando?
Batti i denti, tremi e il trattieni il respiro tanto del gelo.
Roba che capisci il perché i pinguini si muovano in quel modo buffo, dato che inizi ad assumere la loro stessa camminata.
Poi, però, ti avvicini ad un termosifone.
E lasci finalmente andare quel sospiro che avevi incastrato in gola.
Ti crogioli nella bellissima sensazione che ti dà.
E sorridi, soddisfatta.
 
Ecco, era esattamente la stessa cosa con Santana.
Il punto è che accadeva anche con 40° di temperatura.
Dava quella sensazione di… benessere.
Era una cosa bella.
 
“Meglio?” chiese, soddisfatta.
“Ah, sì.”
“Forse dovremmo andare a farci una doccia” propose, mentre io la ignoravo appoggiandomi completamente a lei, godendomi la sensazione, senza la minima intenzione di smuovermi “O forse no.” Rise sul mio collo.
 
Rimanemmo così per qualche minuto, in silenzio.
Fui io a spezzarlo.
 
“Ti ricordi quello che mi chiedesti prima che…” presi un respiro “Beh, prima di quel macello a casa con Phill e la tua magistrale interpretazione, che ti ha fatto vincere un abbonamento a vita a secchiate d’acqua?”
“Direi di sì.” Ridacchiò, tranquilla.
“Mi chiedesti se un amore vero..”
“Un amore come il nostro” continuò lei, ripetendo le mie parole di quel giorno.
“Potesse durare per sempre” conclusi io, con un sorriso. “Tu cosa ne pensi?”
 
Si prese un momento, prima di rispondere.
 
“Io penso che, dopo tutto quello che abbiamo passato, sia il minimo.” Rise, stringendomi maggiormente a sé.
“Eddai, sono seria!”
“lo sono anch’io!” si difese, tranquilla “Pensaci” continuò “Anche quando litighiamo…”
“Mh?” feci, confusa.
“Sì, ecco…” iniziò, imbarazzata, provando a staccarsi, invano, ovviamente, visto che la tenevo artigliata a me, per le braccia.
“Sì?”
“Certe volte litighiamo, no?”
“Già” accordai. “E?”
“E, niente, sai… nonostante io sia arrabbiata, sai, insomma.” Concluse, voltandosi.
“San? Ormai ti sei impelagata nel discorso” mi girai leggermente, per guardarla negli occhi “Ora lo concludi.”

Lei sbuffò sonoramente.
 
“Ok, certe volte litighiamo, ma… non importa…” provò “Per me.”
“Nel senso?”
“Nel senso che, anche se vorrei staccarti la testa, il mio istinto principale non è ucciderti.”
“Oh.” Feci, colpita “Aspetta, mica è trucidarmi, tipo?” chiesi, spaventata.
“E’ baciarti.” Mi corresse, sollevando gli occhi al cielo. “Solo baciarti. Perché dopo tutto quello che abbiamo passato, i litigi che abbiamo sono… sciocchezze, in fondo.”
“Già…”
“E io penso, semplicemente, che preferirei spendere quel tempo baciandoti. Che ogni momento è buono per baciarti e tenerti stretta a me. Tutto qui.” Concluse, con una sollevata di spalle.
 
Sorrisi, intrecciando le mie mani alle sue.
 
“Un giorno potrei morire crogiolandomi nella tua pandosità” commentai, facendola scoppiare a ridere. “Poi dici che non è vero che sei un panda!”
“Okay” ridacchiò, arrendendosi “Potrei vagamente assomigliare a quello strano animale, ma vagamente.”
“Strano?” chiesi, con un sopracciglio alzato “Strano è bello.”
“Non a caso sto con te.”
“Hà” sbuffai “Me la sono cercata.”
“Già!”
“Comunque, la mia risposta è sì.” Feci, dopo qualche secondo.
“Mh?”
“Sì, credo sia per sempre.” Specificai, sentendo distintamente il suo sorriso sul mio collo.
“Dici?”
“In realtà, ne sono convinta da un pezzo.” Sorrisi, fiera. “Anche perché altrimenti tu mi avresti già lasciato per tutte le secchiate d’acqua quasi giornaliere e io ti avrei già abbandonato per tutti i vestiti che ti rifiuti di mettere in ordine a casa” aggiunsi, facendola ridere.
 
Mi voltai leggermente, per lasciarle un bacio sulle labbra.
Lei sorrise.
Mi staccai, guardandola negli occhi.

“Un panda e una papera” commentai, felice “Strana accoppiata.”
“Che tradotto è…” iniziò, dandomi una piccola spinta scherzosa.
“Bella accoppiata” conclusi, con un sorriso.
“Fantastica accoppiata” aggiunse.
“Megagalattica.”
“Fantasmagorica.”
“Galassiare.”
“Ma esiste come termine?” chiese, un attimo interdetta.
“Ah, boh. Però esiste stellare, perché non galassiare allora?”
“Giusto…”
“Però, sai che ti dico?” feci, come illuminata.
“Cosa?”
“Meglio strana.” Riflettei, concentrata.
“Ah, sì?”
“Sì.” Confermai, convinta “Io sono strana, tu sei strana. Accettiamo la nostra stranezza.”
“Strano è bello” ribadì lei, con un sorriso.
“Strano è figo.” Aggiunsi “Quindi… siamo una strana coppia paperopandosa, destinata a stare insieme fino alla fine, ci stai?”

Lei rise, guardandomi.
Mi carezzò leggermente la guancia.
Poi, si sporse.
E mi baciò.

Sì.
Ci stava.





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Tetraedro dell'Autrice


No, mai nella vita avrei potuto far morire Santana! Sono una bastarda, ma non fino a questo punto dai! xD
Ora, prima dei ringraziamenti e di alcuni dati che volevo condividere con voi, una precisazione.

Alcune persone hanno chiesto se scriverò altre storie. La risposta è no, almeno teoricamente.
Infatti, ho deciso di interrompere anche 'Scommettiamo?', ho chiesto a charlietno se vuole continuarla lei, in caso contrario semplicemente metterò 'completata' fra le info perchè non avrò più tempo per scrivere.
In pratica, però, avrei promesso un'altra fanfic (dannata Crudelia, ce l'ho con te), ma comunque se riuscirò a scriverla, si parlerà di mesi prima che venga pubblicata.
sostanzialmente, per il momento mi fermo!

Ora, passiamo ai dati.
Sì, sono pazza, ma dopo tutti gli insulti e minacce ricevute non ho potuto fare a meno di contarle.

E' stata credo una delle cose più divertenti del mondo vedere i vostri animi omicidi venire alla luce! per cui, ecco i quantitativi che riguardano SOLO ED UNICAMENTE le recensioni!
(sì, perchè se includevo anche quelli di twitter e messaggi privati, credo avrei superato di gran lunga il centinaio!)

Aggettivi graziosi accostati alla mia persona: 41
Eccone alcuni: Bastarda, Sadica, Perfida, Malefica, Maledetta, Manipolatrice, Crudele, Perfida Sanguinaria (HAHAH), Cattiva, Fetente.
In tutto ciò ho escluso il soprannome Bastardsnix (anche in quel caso avrei sicuro superato i 100) (ciao kathy lightning, ce l'ho con te! ;D).

"Ti odio"/"Ti sto odiando": 10

Minacce: 48
E andiamo dalle più semplici "Ti conviene cambiare indirizzo/pianeta/galassia"/"Ti ammazzerei"/"Ho voglia di strangolarti" a quelle più fantasiose come "
o aggiorni presto e ci dai l' "happy Brittana ever after" o ti trituro in un tritaporte come quello di Monster & co.giuro che lo faccio".

Insomma, tutto questo per dire che mi avete fatto crepare di risate! Lo so, voi volevate uccidermi sul serio, ma in realtà le mie intenzioni non sono mai state malefiche in tutto e per tutto!
Quindi sciogliete quell'esercito che avete creato con il fine di uccidermi! Lo so che l'avete fatto, dato che mi tenevate anche costantemente informata sulle nuove reclute! xD

E ora i ringraziamenti!
AH. Vi spupazzerei tutti uno ad uno!
Chi ha seguito/ricordato/preferito, chi ha semplicemente letto, chi ha recensito, chi mi ha contattato anche su twitter solo per farmi sapere quanto la storia gli piacesse.
Tutti, davvero!
Senza di voi la storia non si sarebbe mai sviluppata tanto e non sarebbe mai arrivata a questo punto.
Qualcuno ringrazia me per quello che scrivo, ma sono io che devo ringraziare voi per questo.
Quindi, giusto per completare in bellezza, GRAZIE! *^*

Ciao, bella gente! :D





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