Frida, un fiore dal cielo.

di Mickyivy
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prefazione ***
Capitolo 2: *** Una ragazza come tante, diversa da molte. ***
Capitolo 3: *** L’importanza del non assopirsi ***
Capitolo 4: *** La mia città ***



Capitolo 1
*** Prefazione ***


Benvenuti nel mondo di Frida, spero vi  piaccia la sua visione della vita.




L’essere umano è un animale la cui coscienza è particolarmente sviluppata. L’uomo pensa prima di agire, calcola le mosse che farà, si domanda se è il caso oppure no, se ciò che fa è giusto o sbagliato, quali saranno le conseguenze che ne verranno. Ci dicono sempre “prima di parlare, pensa” o “conta fino a dieci prima di dire qualcosa”.
Ma  mi chiedo se sia veramente giusto. Veniamo pur sempre dagli animali no? Abbiamo cinque sensi, e anche di più a volte. Come gli animali, a volte sentiamo di essere in pericolo o che qualcosa ci minaccia, e questo non rientra nei sensi “comuni”. 

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Capitolo 2
*** Una ragazza come tante, diversa da molte. ***


Una ragazza come tante, diversa da molte.

Mi chiamo Frida. Sono una adolescente come tante, ma diversa da molte. Penso al mio presente più che al mio futuro, ma proprio perché penso al mio presente vivo più intensamente di molti adulti che conosco. Io parlo, prima di pensare. Io agisco, prima di calcolare le mosse. E devo dire che non è niente male, vivo secondo i miei principi, seguo la via che suggerisce il mio essere così. D’altronde il mio nome significa “colei che crede nella forza delle sue idee”. Ora, non è che io non rifletta mai, però quando è il momento giusto lo percepisco e mi do da fare, anche se agli altri può sembrare che io sia una ragazza avventata. In questo caso dovrei dire che il resto del mondo è troppo lento per me, passa ore e ore fermo a contare tutte le possibilità e può restare anni senza fare niente di ciò che vorrebbe.

Io mi lascio guidare dai miei sensi: l’udito mi permette di sentire cose che gli altri non immaginano nemmeno, l’olfatto mi guida verso il giusto cammino, il gusto mi fa volare in dimensioni sconosciute: ogni sapore è un mondo nuovo tutto da scoprire.

Una volta ho chiesto a un mio compagno quale fosse il suo cibo preferito e mi rispose che era la pizza. Gli ho chiesto che sapore avesse la pizza e disse che non importava il gusto, andava bene qualunque tipo. E gli chiesi perché gli andasse bene così. Mi guardò scocciato e sorpreso, come se gli avessi chiesto chissà quale ovvietà. Mi considerò strana e se ne tornò in classe.

So che il mio modo di essere provoca delle perplessità a molti, conoscenti e non. Mi fissano come se fossi una aliena venuta da chissà quale pianeta per sconvolgere le loro certezze e portarli a vedere le cose da altre prospettive. Il problema è che al giorno d’oggi nessuno vuole più provare emozioni nuove o almeno non così come le propongo io. Si sente di tanti ragazzi della mia età che si danno alla droga per “sballarsi un po’”, per sentirsi forti, potenti e felici. Io, se voglio sentirmi così, vado a fare una passeggiata al fiume e mi siedo su una roccia a guardare l’acqua che scorre. Ci immergo una mano dentro e vedo che l’acqua continua a scivolare delicatamente tra gli spazi non chiusi fra le mie dita. Ne rallento il corso, ma non potrò mai fermarlo. Sento la freschezza sulle dita, l’intenso cullare del dolce defluire, la risonanza così naturale del suono che ti porta a sentirti parte del disegno naturale del tutto. Questo, è ciò che mi fa sentire forte, vigorosa, piena di nuove energie. Ma loro non possono capire, perché sono troppo presi dal tempo che scappa, dalle cose da fare, da tutto ciò che è materiale. Per questo, con gli anni, hanno dimenticato cosa vuol dire fermarsi ad ascoltare, fermarsi a sentire tutto ciò che ci circonda, il significato di assaporare un frutto appena colto, la morbidezza nel vezzeggiare un fiore delicato, il godere pienamente della visione di un prato in fiore, e il volere disperato che nasce dal profondo dell’essere poiché si vorrebbe poter accarezzare ogni singolo filo d’erba e tutto ciò che si trova tra essi. 

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Capitolo 3
*** L’importanza del non assopirsi ***


L’importanza del non assopirsi

Quando ero piccola mi dicevano che crescendo anch’io sarei stata come mia zia Marta, la sorella minore di mia madre. Le mie preoccupazioni maggiori sarebbero state quale rossetto mettere, non fare tardi al lavoro, pensare a come guadagnare più soldi, ricordarmi di portar sempre con me documenti e fazzoletti. Almeno questi erano gli argomenti di cui discutevano sempre mia mamma e mia zia, e mia nonna le canzonava dicendo che le donne di oggi non hanno più tempo per i figli, alla sua epoca parlavano soprattutto di sfornare più figli possibili e di quale potesse essere il metodo migliore per crescerli sani e robusti. Marta la ignorava sempre, mentre mia madre le rispondeva dolcemente che ai suoi tempi era solo l’uomo a lavorare e così le donne dovevano occuparsi soltanto della casa e della famiglia, il che non è poco, sottolineava, e lo sa bene, dato che ancora oggi, dopo 2 anni dalla morte di mia nonna continua a occuparsi della famiglia, della casa e del lavoro tutto insieme, però il sapere di avere un ruolo così importante, dare la vita e sopravvivere, ti portava ad avere una mentalità basata sulle piccole cose, poiché ogni tanto ti potevi permetterti di fare una pausa.

Io credo che anche oggi volendo ci possiamo permettere di fare una pausa. E’ che le persone credono che per lasciarsi andare all’essenza di ciò che ci circonda ci voglia per forza una giornata intera in montagna. Di certo quello fa bene, ma non vuol dire che sia l’unico modo per connettersi con i nostri sensi, perché è questo che succede, in mezzo alla natura. La natura con la sua grazia ci permette di ritrovare la parte antica di noi che lasciamo nascosta in un angolino buio della mente e che crediamo di non avere in condizioni “normali”. Ma la verità è che in qualunque momento possiamo collegarci ad essa: quando guardiamo una persona, quando prepariamo da mangiare, mentre puliamo il pavimento, mentre siamo seduti in ufficio. Persino mentre siamo in bagno! Si basa tutto sul semplice essere presenti in tutte le nostre azioni. Ora mi chiederete cosa voglia dire “essere presenti”, penserete che è ovvio che lo siamo, ma non è così. Molte delle cose che noi facciamo, le facciamo in “automatico”. Diciamo al nostro cervello cosa dobbiamo fare e questo dà l’input al corpo affinché le faccia mentre la nostra mente vaga piena di pensieri disordinati di cui, quando avremmo finito le faccende, non ci ricorderemo nemmeno la metà.

Il trucco per esserci è che la mente si concentri su ciò che fa il corpo, scoprirete così quanto sia particolare la sensazione del detergente sulle mani mentre lavate i piatti, il profumo di ogni cibo prima e dopo che è stato cucinato e quanto si è diffuso in tutta la casa, le percezioni del nostro corpo contro la sedia, quanto profondamente si possa capire una persona semplicemente guardandola intensamente negli occhi, anche per un attimo soltanto. Tuttavia la consapevolezza fa paura. E’ più facile vivere assopiti, andare avanti in “automatico”, rimanere immobili per paura delle conseguenze delle azioni. Non ci rendiamo conto di quanto importante sia vivere con la coscienza attiva in ogni momento in cui siamo svegli. La coscienza unita ai sensi permettono di cogliere sfumature che prima ci sarebbero sfuggite, di comprendere situazioni e comportamenti che prima non capivamo, di muoverci al momento giusto, perché si sentirà quel qualcosa dentro di noi che ci dirà che è la nostra ora, anche se la ragione dice che bisogna aspettare ancora. In questo senso, io paragono la coscienza al cuore, e non alla ragione.

Il cuore sa cos’è meglio per noi, ci spinge a fare cose che la mente nemmeno concepisce, ci aiuta a conoscerci meglio, come quando siamo innamorati e accelera, o come quando prendiamo paura e manca di un battito, ci dice nettamente cosa stiamo sentendo in quel preciso momento, che la ragione o mente lo voglia accettare o meno. La mente ci fa rinnegare i nostri sentimenti se li ritiene errati, ci fa pensare cose che non sentiamo veramente, per questo il cuore è così importante, perché fa chiarezza dentro di noi. Ecco un’altra delle cose che, come diceva mia nonna, “al giorno d’oggi” non sappiamo più ascoltare. L’uomo ormai non solo non si ferma per godere di ciò che lo circonda, ma nemmeno per sé stesso. Non badiamo più alle reazioni del nostro corpo.

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Capitolo 4
*** La mia città ***


La mia città

Vivo in una città di 19 000 abitanti. Qui si conoscono un po’ tutti tra di loro, anche se ultimamente ci sono molti più immigrati. Portano con sé odori sconosciuti e misteriosi, suoni antichi e vesti tradizionali. Gli abitanti della mia città hanno paura di chi non conoscono poiché erano abituati a frequentarsi tra di loro fin dalla culla. Ora non sanno più chi è il loro vicino di casa, se ha commesso reati, quali sono i suoi gusti. Si chiedono se non siano degli assassini, pedofili, maniaci sessuali, ladri. Non che nella mia città non ce ne fossero mai stati, ma è come se il sapere tutto di tutti da sempre ti porti ad averne meno paura. Ora, queste persone che si sono trasferite qui potrebbero essere le persone più buone di questo mondo, ma per i miei concittadini sono cattivi o sospettati fino a prova contraria.

Uno dei miei vicini si chiama Abdullah, viene dal Marocco. Si è trasferito nell’edificio di fronte al nostro 3 mesi fa. E’ riuscito a trovare subito lavoro in un ristorante multietnico che ha aperto l’anno scorso. Lui si occupa di preparare piatti come kebab, frittelle (marocchine) e diverse carni preparate con spezie di tutti i colori. In un’occasione mi ha chiesto se mi andava di assaggiare la sua cucina e mi ha invitato a casa sua. Mia mamma è una che non pregiudica però non si fida nemmeno facilmente, così mi avrebbe lasciata andare a patto che mi facessi accompagnare da qualcuno.

Abdullah ha accolto la mia amica Monica con gioia, ci ha fatte accomodare in uno dei grandi divani che ammobiliavano il salotto mentre lui si occupava di preparare un tavolino al centro. Il profumo di spezie si era diffuso in tutta la casa, provocando in noi ragazze una fame incredibile. “La fame arriva solo se un buon profumo la invita” affermò il padrone di casa mentre ci serviva un cous cous di un giallo così acceso che metteva allegria e appetito al solo guardarlo. Era condito con carne di mucca e verdure varie: zucchine, carote, rape, patate e piselli. Poi ci offrì una fettona di pane fatto da lui, ancora tiepido, e la morbidezza della mollica era stupefacente. Appena ci fece un cenno di approvazione cominciamo a mangiare, lentamente, assaporando appieno ogni boccone di quelle semplici delizie. I sapori ci portarono lontano, quasi quasi riuscivo a immaginare di essere lì, nella sua città. E’ strabiliante come il cibo, col suo sapore, profumo e colore, possa farci viaggiare così lontano in una tradizione diversa dalla nostra.

Io e Monica mangiavamo con le forchette mentre Abdullah si serviva direttamente dal piatto centrale, formando con la mano una piccola pallina di cous cous. Provavo una strana sensazione a mangiare con le posate quando lui mangiava tranquillamente con la mano. Le palline che formava lui erano così invitanti che decisi di provare a farne una io: presi un po' di quel cibo così particolare e provai a dargli forma: era umido e malleabile e la pallina venne da sé. Guardai come la mangiava il mio vicino e notai che metteva la pallina in equilibrio sull'unghia del pollice e poi la metteva in bocca. Provai anche io. La pallina si disgregò subito sulla lingua e masticai con entusiasmo. Ero in estasi.

Monica mi guardò affettuosamente e mi disse: “Sei proprio particolare, lo sai?”

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