E' illegale uccidere il proprio coinquilino?

di Medea00
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Dalton ***
Capitolo 2: *** Family ***
Capitolo 3: *** Kink ***
Capitolo 4: *** AU/Crossover ***
Capitolo 5: *** Occasions ***
Capitolo 6: *** Angst ***
Capitolo 7: *** Fluff ***



Capitolo 1
*** Dalton ***


 






“Non ci posso credere.”
Sebastian diceva spesso quelle quattro parole; in ordine, le diceva appena alzatosi dal letto, appena diretto in bagno per trovarlo magicamente occupato, appena prima di uscire dalla porta del loro piccolo appartamento e, puntualmente, appena rientrato la sera tardi, con la sua borsa a tracolla scaraventata immediatamente a terra. Blaine emise un piccolo sospiro, conscio che presto si sarebbe subito qualche lamentela o critica o “ehi Anderson, dì un po’, è illegale uccidere il proprio coinquilino?”.
Ebbene sì: Blaine Anderson e Sebastian Smythe condividevano l’appartamento 291A sulla ventisettesima. Era stato piuttosto strano, all’inizio: il padrone di casa aveva detto a entrambi che si era messo in contatto con un altro ragazzo dell’Ohio e li aveva sistemati insieme, così da poter “conoscersi meglio”. Ovviamente non poteva certo immaginare in quale casino li aveva coinvolti e sì, a volte il destino è veramente crudele.
Tuttavia, con il passare degli anni, Blaine e Sebastian instaurarono un rapporto civile. Più che civile: si poteva dire – anche se non lo avrebbero mai ammesso, uno perchè era testardo, l’altro perchè era stupido – che erano migliori amici. Si dicevano tutto, e il vivere insieme aveva conferito una certa familiarità reciproca. Blaine sapeva che Sebastian al mattino prendeva tre caffè per svegliarsi e calmare i nervi – perchè si alzava sempre di malumore – e Sebastian sapeva che Blaine aveva una sorta di disordine ossessivo compulsivo, e che avrebbe trovato barattoli di gel dovunque. La volta più bella fu quando lo trovò sotto al suo armadio. Perchè. Ma con Blaine Anderson era meglio non farsi domande.
Così, quel giorno, quando era entrato in camera sua per cercare la sua cravatta e, invece, aveva trovato una piccola scatola di latta con l’immagine dei biscotti, non ci pensò due volte prima di aprirla. Forse finalmente aveva scoperto il posto in cui Blaine nascondeva i suoi preservativi e lubrificante e Dio, gliel’avrebbe fatta pagare per tutte le volte in cui si portava qualche idiota e gli faceva passare la notte in bianco. E no, non era per via dei suoi gemiti, visto che dopo il primo anno Blaine aveva appreso la buona cortesia di fare piano: era per il letto. Un noiosissimo letto a molle. Che pessima invenzione.
Tuttavia, quando sollevò il coperchio, il suo sorrisetto compiaciuto e divertito sparì di colpo: non c’era niente di sessuale dentro quel barattolo. Ma, piuttosto, di intimo, e in qualche modo piacevole.
“Blaine?”
Il ragazzo spuntò con la sua testolina ricciola – doveva essersi fatto la doccia, ipotizzò Sebastian, perchè era l’unico momento in cui non si stuccava come un pinguino – e sbiancò di colpo non appena vide il suo coinquilino.
“No, cosa, che fai!? Non toccare, è roba mia quella!”
“Non avevi detto tu che la roba in casa va divisa equamente?” Lo canzonò Sebastian, ignorando completamente ogni suo avvertimento e cominciando a spulciare sempre più affascinato.
“Quello era solo perchè non avevo fatto la spesa e mi serviva il tuo cibo! Ehi, Sebas-“
“Oh.”
Ecco. Con suo grande rammarico, alla fine, l’aveva trovata.
Era una foto; piuttosto semplice in realtà, di quelli scatti fatti nemmeno troppo bene, con una luce troppo forte, e l’inquadratura un po’ sfocata. Ritraeva Blaine e Sebastian nelle loro divise da Warbler, uno a fianco dell’altro, con dei piccoli sorrisi ingenui, da adolescenti, che riportavano alla memoria tanti bei ricordi.
“Mi ricordo di questa”, mormorò Sebastian. Non si era nemmeno accorto che stava tenendo in mano la fotografia come se fosse un cimelio.
“Eri venuto alla Dalton per l’ultimo giorno di scuola, non ti volevi perdere i gavettoni. E per farti intrufolare meglio Jeff ti aveva prestato la sua divisa. E’ stato prima o dopo che ti lasciassi con Kurt?”
“Dopo”, rispose Blaine, e non fu per niente colpito da quel ricordo, perchè era successo tanti anni prima. Adesso era a New York a studiare arte cinema e spettacolo nella New York University, a un anno dal diploma e con Sebastian come pedante coinquilino di Economia e Commercio. E nonostante tutto il suo cinismo, nonostante lo facesse incavolare tre volte su due, nonostante i loro continui bisticci sulle cose più quotidiane, Blaine pensò che fosse adorabile, in quel momento: sembrava come chiuso in una bolla di sapone, riepilogando chissà quale scene e sorridendo a chissà quali immagini.
“Sembra passata una vita, vero?” Lo sentì dire, e facendosi più vicino a lui annuì.
“Quante cose sono cambiate in tre anni.”
Era vero: se tre anni prima avrebbero predetto il loro futuro, probabilmente sarebbero entrambi scoppiati a ridere. E Sebastian avrebbe anche fatto finta di chiamare l’igiene mentale, perchè lui non riusciva mai a essere serio.
“Ti stava molto bene la divisa.”
Blaine inarcò un sopracciglio, sorpreso, perchè Sebastian non gli faceva mai i complimenti. In effetti, Sebastian non faceva mai i complimenti a nessuno.
“Grazie”, disse, con un pizzico di imbarazzo che era così raro, per loro: ormai, nel vivere insieme, avevano perso gran parte della vergogna, anche nel dire le cose più stupide.
L’altro ragazzo si voltò verso di lui, con un sorriso che probabilmente sarebbe stato in grado di illuminare la stanza: e fu in quel modo che Blaine capì quanto gli mancasse la Dalton. Quanto fossero lontani dai loro amici, dai loro genitori, da quegli scherzi fatti di notte fonda e da quel gruppo di canto fatto da persone incredibili, e che il tempo aveva portato via.
“Ti senti ancora con qualcuno di loro?”
Sebastian fece di no con la testa, ripropose a Blaine la stessa domanda e ottenne la stessa risposta. Tornarono a sfogliare le foto, commentando quelle più stupide, soffermandosi su quelle che credevano di aver dimenticato.
“Hai conservato perfino la cravatta?”
Blaine si sentì ancora più stupido di fronte a quella domanda, perchè poteva già immaginarsi Sebastian che sghignazzava e lo prendeva in giro perchè quella roba fa troppo ragazzina e diario segreto,  che era davvero una donna mancata e il fatto che passasse ore in bagno ogni mattina lo confermava sotto ogni aspetto.
Chiuse gli occhi, come per assimilare meglio il colpo da subire: per quello trasalì al contatto della pelle calda di Sebastian, delle mani sul suo collo, del suo respiro adesso così vicino alla sua pelle.
Restarono in quella posizione per lungo tempo: Blaine non aveva il coraggio di aprire gli occhi per incontrare quelli smeraldini del suo coinquilino a così stretta distanza, e l’altro continuò ad armeggiare con la cravatta in silenzio. Soltanto diversi minuti dopo sentì dire “apri gli occhi”, facendolo voltare verso lo specchio attaccato al muro, e lasciando Blaine senza fiato: era così strano. Lui, la camicia bianca che ricordava tanto quella della loro divisa, l’irripetibile cravatta rossa e blu.
E Sebastian accanto a lui, esattamente come tre anni prima.
“Sembra che non sia passato nemmeno un giorno, vero?” Sussurrò Blaine, con una voce un po’ roca che nemmeno si preoccupò di camuffare. L’altro ragazzo inclinò la testa di un lato e gli rivolse un ghigno divertito: “Oh, non saprei. Tu un po’ sei cambiato.”
“Ah sì?”
“Certo.”
Alzò la mano verso la sua spalla e, con una pacca amichevole, si avvicinò al suo orecchio: “Ti sei alzato di tre centimetri.”
Ovviamente quella frase scatenò l’ennesima rissa, e l’ennesimo litigio, e le ennesime risate mentre si rotolavano a terra.






***

Angolo di Fra


Ogni OS di questa Seblaine Week avrà come filo conduttore Blaine e Sebastian come coinquilini. Hope you like it e buona Seblaine week!
PS _ Se volete contattarmi potete trovarmi Qui

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Capitolo 2
*** Family ***







 
 
Casa distrutta. Cibo spazzatura sparso sul pavimento, sul divano e su un tavolo sommerso da libri e tazze di caffè. Sebastian entrò in quel campo di battaglia scavalcando fogli di appunti e quaderni consumati, facendosi largo tra giubbotti, camicie, giacche e perfino un paio di peluches, che avrebbe riconosciuto tra mille: erano Yoshi, il dinosauro di Super Mario, e Squirtle, il pokèmon preferito di Blaine. Di solito li tirava fuori in casi di grave crisi. Per quel motivo Sebastian deglutì sommessamente, dirigendosi nella camera del suo coinquilino e aprendo la porta molto lentamente, per permettere ai suoi occhi di abituarsi al buio della stanza e alla visione di Blaine sotto le coperte, sdraiato sulla pancia, con un libro in mano e una torcia trai denti che lo illuminava.
Ormai non faceva nemmeno più ridere: si comportava in quel modo tutte le volte che aveva un grosso esame.
“Blaine”, sentenziò, più come un ordine che come un vero e proprio richiamo, ma il coinquilino lo ignorò completamente, girando una pagina del libro. Sebastian provò a richiamarlo un paio di volte, ma più non veniva considerato, più i suoi nervi salivano a fior di pelle, attraverso la mascella contratta e le mani strette a pugno; che diavolo, era solo un fottutissimo esame.
Con quel pensiero nella mente si diresse verso il letto di Blaine, scaraventò via le coperte e gli tolse il libro dalle mani, ottenendo una serie di offese e imprecazioni accompagnate anche da qualche borbottìo sconnesso.
“Ma guardati”, canzonò Sebastian, e l’altro si concesse un momento per squadrarsi da capo a piedi osservando il suo pigiama scuro e i suoi calzini a righe: tenuta da addestramento. Ancora rideva all’idea che Blaine avesse due pigiama, uno per lo studio, e uno per dormire veramente.
“Da quanto non ti fai una doccia?”
Il ragazzo si strinse nelle spalle, sviando lo sguardo.
“Non è da tanto...”
“Sai che giorno è? E’ Giovedì, Blaine. E io ti ho visto in questa stessa situazione Lunedì.”
“E’ Giovedì!?” Vide i suoi occhi ambrati spalancarsi per lo shock, e Sebastian emise un sospiro frustrato perchè, cavolo, si era dimenticato la regola fondamentale del periodo sotto esami: mai riacquistare la cognizione del tempo.
“Oh Dio, il mio esame è tra due giorni.” Blaine sembrava sull’orlo di un attacco di panico; poi si accasciò di nuovo contro il materasso, affondando il viso sul cuscino e continuando a mugolare qualcosa come “perchè”, e “sono un idiota”, e anche “dici che mi prenderebbero come commesso al mini-market qui sotto?”
“Alzati”, intimò Sebastian, e stavolta si fece rispettare prendendolo per le braccia e sollevandolo di peso. Sembrava un padre con un bambino capriccioso, ma a parte la solita seccatura, Sebastian sembrava quasi preoccupato per il suo coinquilino. Quasi.
“Blaine, è solo un cazzo di esame”, sibilò, e lui in risposta fece di sì con la testa perchè aveva ragione, sapeva che aveva ragione, ma quella consapevolezza non avrebbe scacciato l’ansia che lo stava divorando da dentro.
“Se lo bocci lo ridarai.”
“Lo ridarò il prossimo semestre”, ribattè lui, con la voce spezzata da dei respiri troppo pesanti, “E per quel tempo dovrò dare altri mille esami e rimarrò indietro e non mi diplomerò mai e finirò come uno di quei vecchi orrendi che assomigliano a professori piuttosto che studenti.”
Sebastian si morse un labbro, perchè non riusciva a sopportare di vedere il suo coinquilino in quel modo; non quando i suoi occhi erano così limpidi e sinceri, non con i suoi riccioli arruffati che lo rendevano ancora più adorabile. Scrollò la testa e lo prese di peso, facendolo alzare in piedi.
“Ne parleremo una volta che avrai riacquistato delle sembianze umane.”
“Ma io-“
“Doccia. Ora.”
Blaine sbuffò, ma si trascinò stanco verso il bagno, chiudendosi la porta alle spalle dopo aver rivolto un’occhiata gelida a Sebastian; quest’ultimo rilassò le spalle solo quando avvertì l’inconfondibile scroscìo dell’acqua. In quel breve quarto d’ora tentò di dare alla casa un aspetto quanto meno civile: tolse di mezzo i vestiti, buttò gli avanzi e quasi gli scese una lacrimuccia quando riuscì a scorgere il pavimento, non più sovrastato da tutta quella roba: e chi se lo ricordava che avevano un parquet?
Quando vide il suo coinquilino uscire dal bagno con soltanto l’accappatoio, facendo trapelare il suo viso triste e arrossato, non riuscì a trattenere un sorriso, inondato da tutta quella tenerezza. Si avvicinò a lui cauto, perchè con un Blaine così instabile ogni gesto brusco sarebbe stato fatale, e una volta arrivato a un centimetro da lui ne approfittò per guardarlo meglio, immergendosi nei suoi occhi.
“Meglio?” Sussurrò, e Blaine annuì impercettibilmente, mentre lasciava che Sebastian gli sfregasse il cappuccio contro la testa per frizionare i capelli.
“E adesso ti prego mettiti qualcosa che non sia quel maledetto pigiama.”
La debole risata che uscì dalla bocca del ragazzo fu un grande traguardo; così, soddisfatto, andò a sedersi sul divano, accendendo la televisione e allungando le gambe lungo il tavolino di fronte. Blaine arrivò qualche minuto dopo: in tuta, ma meglio di niente. Si tuffò letteralmente sul divano, con le braccia molli e inermi, finendo con la testa ad una spanna dalle gambe di Sebastian.
“Mi dici come fai?”
Sebastian inarcò un sopracciglio, guardandolo con la coda dell’occhio. “A fare che?”
“A essere sempre così.”
“Bellissimo?”
“No,” ridacchiò Blaine, girandosi sulla schiena e appoggiando la nuca su una sua coscia, “Rilassato. Sicuro di te. Non ti ho mai visto impazzire per un esame.”
“Perchè sono sempre preparato e perchè so che aprirò il professore come un mandarino.”
“Che brutta immagine”, commentò Blaine, passandosi una mano sugli occhi con un sorrisetto imbarazzato. Sebastian gli fece l’occhiolino commentando: “Dipende dai punti di vista.”
Blaine emise un piccolo sospiro, mentre sentiva che i suoi muscoli cominciavano finalmente a rilassarsi dopo giorni; era una sensazione molto strana, si sentì improvvisamente stanco e stupido per la scenata che aveva fatto con Sebastian. Lo incontrò con lo sguardo, arrossendo appena mentre mormorava a bassa voce delle scuse mal messe.
“Lo so che sotto esami tendo a esagerare.”
“Ma no, cosa te lo fa pensare?”
Blaine socchiuse gli occhi e fece una smorfia. Certo, Sebastian non lo aiutava molto a parlare a cuore aperto. Tuttavia, li riaprì di scatto quando sentì la sua mano posizionarsi dolcemente suoi capelli, accarezzandoli appena, facendo intrecciare le dita e massaggiando con delicatezza; era incredibilmente confortante. Il tocco di Sebastian era dolce e familiare, e in poco tempo Blaine era riuscito a eliminare qualsiasi ansia per quell’esame. In fondo, era solo un cavolo di esame, no? E poi aveva studiato. Aveva studiato? Oh Dio, e se si era dimenticato qualche paragrafo?
“Devo controllare l’indice”, mormorò, più a se stesso che a Sebastian. “Devo controllare di aver studiato tutto, devo vedere se-“
“Frena frena frena tu resti qui.” Il coinquilino gli bloccò il torace con un braccio impedendogli di muoversi. Blaine cercò di divincolarsi dalla sua presa, ma in tutta risposta Sebastian lo intrappolò ancora di più, stavolta con entrambe le mani.
“Adesso”, lo sentì sentenziare, con voce ferma, ma anche affettuosa, “Ti calmi, fai un bel respiro, ti stendi qui con me e guardiamo un po’ di televisione. Ti piace la televisione Blaine?”
“Sì papà”, rispose lui per le rime, di fronte al suo tono da mamma chioccia. Sebastian sfoggiò un mezzo sorriso e cominciò a fare zapping trai vari canali, ma c’era ben poco da guardare di mercoledì pomeriggio, e presto fu colto dalla frustrazione. Frustrazione che aumentò canale dopo canale, perchè sapeva bene che se non avesse trovato qualcosa di decente entro i prossimi dieci secondi Blaine avrebbe proposto quel programma, quel programma che non doveva mai essere nominato, quella cosa abominevole e smielata che gli faceva sempre voglia di vomitare gattini.
“Seb.” La voce di Blaine era languida e calda, come miele. “Metti su Real Time?”
Avrebbe voluto lanciare il telecomando fuori dalla finestra. Avrebbe dovuto lanciarlo verso la televisione, magari si sarebbe spaccata e lui se ne sarebbe uscito con un “Ops! Scusa! Mi è scivolato! Che peccato, niente Real Time”, e sarebbero vissuti per sempre felici e contenti.
Invece, con una rigidità degna di una marionetta, digitò a memoria quei due numeri, e un secondo dopo comparve una donna obesa con ottomila rotoli.
“Oh!” Esclamò Blaine, “Fanno malattie imbarazzanti! Adoro questo programma.”
“Io no. Per niente.”
“Ma dai Seb, magari un giorno avrai cose simili e saprai come gestirle.”
“Aspetta un attimo che mi tocco.”
I due ragazzi scoppiarono di nuovo a ridere, ma Blaine questa volta si accoccolò meglio tra le sue gambe, mettendo le mani sotto al viso e appoggiandosi sopra la testa; Sebastian lo avvicinò facendolo adagiare sulle sue cosce, e con le dita della mano destra cominciò a tracciare cerchi immaginari contro il suo braccio, rilassando entrambi.
“Quando c’è il programma di quel cuoco cazzuto? Quello è simpatico.”
“Ti è simpatico solo perchè dice un sacco di parolacce e tratta male la gente.”
“Perchè scusa a te non piace per quello?”
Blaine scrollò la testa, voltando per un attimo lo sguardo sopra di sè: “No Sebastian. Mi piace perchè è un grande chef.”
“E’ un grande chef cazzuto. Secondo me anche lui apre i suoi superiori come mandarini.”
“Hai una cotta per Gordon Ramsey?”
“Che c’è?” Sbottò Sebastian, “E’ un uomo affascinante.”
“Oh mio Dio”, mormorò Blaine, ma il suo tono era troppo scherzoso per essere preso sul serio, e così tornarono a guardare la televisione, beandosi l’uno del calore del corpo dell’altro.
Soltanto diversi minuti dopo, quando Sebastian era in procinto di addormentarsi per la pallosità del programma e per l’atmosfera accogliente, Blaine parlò di nuovo, stavolta, con un sussurro: “Seb?”
“Mhm”, fece l’altro, e fu tutto ciò di cui ebbe bisogno per andare avanti e dire: “Grazie.”
Quello di certo era inaspettato.
“Grazie?” Ripetè, cercando con la mente qualsiasi motivazione valida a giustificare quella parola.
“Certo.” Blaine non aveva il coraggio di guardarlo negli occhi, quindi li incatenò ancora di più al televisore, non muovendosi di un millimetro. “Per... insomma, per non avermi abbandonato con la mia crisi pre-esame.”
“Oh.”
Stavolta, perfino Sebastian sembrò a disagio.
“Beh, lo sai. Dovere.”
“Sì.”
Perchè erano coinquilini, e i coinquilini si devono venire incontro.
O perchè erano amici, e gli amici si aiutano sempre.
Oppure, forse, per un altro motivo?






***

Angolo di Fra

Ho veramente poco da dire, anche perchè devo andare ad aggiornare l'altra ff.
Doppio aggiornamento Seblaine, è veramente la Seblaine Week.
Grazie a tutti quelli che mi stanno leggendo!!

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Capitolo 3
*** Kink ***







Sebastian si alzò di buon’ora, reduce dal fatto di aver dormito veramente poco. I motivi per quella sua stancante insonnia, in realtà, erano molteplici, e uno si trovava esattamente nel suo letto, ancora nel mondo dei sogni. Damon... Damian... come si chiamava? Restò a guardare quel ragazzo biondo e magro con cui aveva evidentemente passato la notte, e in quel momento la sua testa fece un veloce giro su se stessa; sbuffando per quel dopo sbronza che cominciava a farsi sentire, Sebastian si alzò in piedi rischiando di ricadere sul letto per il contraccolpo, e si trascinò malamente verso il bagno.
Per poco non gli venne un infarto quando vide un ragazzo apparentemente sconosciuto appoggiato al lavandino, intento a lavarsi la faccia.
“Oh, buongiorno Sebastian.”
“Buongiorno...”, mormorò lui, e si guardò un attimo intorno chiedendosi se quella fosse veramente casa sua. Chi era quel tizio? Occhi scuri, capelli corti... Un attimo, forse ricordava qualcosa, lo aveva visto la sera prima, era con l’altro ragazzo che aveva trovato nel suo letto...
Non poteva continuare così: per quel motivo, attraversò a grandi falcate tutta la casa entrando nella stanza di Blaine e chiudendosi la porta alle spalle; il ragazzo sonnecchiava ancora tra le coperte scompigliate, con addosso solo un intimo nero. Sebastian lo squadrò per un momento, indeciso se svegliarlo o meno, ma aveva bisogno di sapere.
“Blaine, Blaine andiamo svegliati, Blaine?”
“Mhmm ancora cinque minuti mamma.”
“Mamma un corno. Svegliati o ti sveglio io a calci.”
A quel commento, il ragazzo aprì gli occhi di scatto, trovandosi di fronte quelli verdi e arrossati di Sebastian; stava quasi per chiedergli che ore fossero, ma un grande mal di testa lo colpì in pieno facendolo risprofondare sul cuscino.
“Buongiorno eh”, mormorò tra un sospiro e l’altro, mentre Sebastian si sdraiava accanto a lui e lo fissava cinereo: “Era un buon giorno. Mi sta scoppiando la testa.”
“Anche a me”, ammise, e per un breve secondo si scambiarono un sorriso sincero; non si erano nemmeno preoccupati dell’altro paio di ragazzi che vagavano per casa, avevano cose più importanti da fare.
“Allora”, esordì Blaine, e Sebastian lo imitò ripetendo la stessa parola con tono scherzoso: “Allora...”
Lo facevano ogni volta. Si mettevano faccia a faccia e facevano mente locale della serata alcolica precedente, cercando di sistemare tutti i tasselli e i buchi di memoria al posto giusto; spesso era Blaine che iniziava, visto che Sebastian si prendeva le classiche sbronze da black out totale.
“Siamo usciti verso le dieci e avevamo già bevuto una bottiglia di vino.”
“Due bottiglie”, lo corresse Sebastian, “Ce ne siamo scolata una nel taxi, non ti ricordi?”
“Oh giusto, due. E poi siamo andati a quel locale, e ci siamo seduti al bancone e poi... oh Dio!” Esclamò, e al ricordo improvviso di qualcosa scoppiò a ridere fragorosamente.
“Cosa”, intimò Sebastian, e scrollò le spalle di Blaine sempre più innervosito dal fatto che non avesse la più pallida idea del perchè stesse ridendo, “Cosa, Blaine!? Che cosa ti sei ricordato?”
“Hai ballato la tecktonick”, sussurrò, con voce flebile perchè non aveva più fiato. Sebastian sbiancò di colpo, non se lo ricordava assolutamente, non era vero!
“Tu menti”, ma a giudicare dagli occhi lucidi del suo coinquilino, era piuttosto improbabile.
“Oddio peccato che non ti ho ripreso, eri così ridicolo, con quelle braccia tutte meccaniche che cercavi di imitare quelli di Step Up”, continuò a ridacchiare, e Sebastian gli diede una gomitata all’altezza delle costole che lo fece quasi soffocare. “Non mi toccare, ho il fegato in subbuglio.”
“E allora smetti di fare il coglione”, ribattè per le rime, e Blaine gli fece una linguaccia prima di rilassarsi tra le lenzuola e riprendere a respirare regolarmente.
“Va bene va bene. Comunque poi... vediamo, abbiamo incontrato Dylan e Mark.”
Dylan, ecco come si chiamava.”
Blaine gli lanciò un’occhiata omicida, non era possibile che non si ricordasse il nome del ragazzo che si era portato a letto; ma dopotutto, era Sebastian.
“Quindi quel tizio che ho visto in bagno sarebbe Mark?” Seguitò lui, rivolgendo gli occhi verdi verso il soffitto, “Non male. Gli darei un sette.”
“Sette meno”, bofonchiò Blaine, per niente imbarazzato dal fatto che stessero dando un voto alla sua scorsa prestazione sessuale; Sebastian inarcò un sopracciglio avido di ulteriori informazioni, ma Blaine lo anticipò, chiedendogli di Dylan.
“Mhm, non male. Gli darei addirittura un sei.”
“Addirittura?” Blaine fece un piccolo sorriso divertito: per Sebastian nessuno era mai all’altezza delle sue performance.
“Sì, anche se ad un certo punto ha miagolato.”
Il sorriso sul volto di Blaine sparì di colpo.
“Cosa intendi con... miagolato?”
“Ha miagolato. Mi ha fatto proprio miao.”
E Blaine lo fissò incredulo per una manciata di secondi, non sapendo bene cosa dire. Quando Sebastian lo fissò di rimando, non riuscì a trattenere un’altra risata, perchè aveva fatto una smorfia e gli aveva detto: “Non c’è niente da ridere Blaine, non è stato affatto divertente. Mi è scesa all’istante e non sapevo più come continuare.”
Ma Blaine stava ridendo di nuovo e senza freni, e tra un singhiozzo e l’altro commentò con fare teatrale: “L’uomo che fa miagolare la gente.”  
Ricevette una cuscinata in pieno viso, e poi Sebastian lo offese in una ventina di modi diversi, continuando a prendersi in giro, rievocando momenti imbarazzanti della loro serata tra un sorriso e l’altro. Si alzarono in piedi dopo un quarto d’ora, una volta che le loro menti erano più o meno lucide e i loro fegati non si stavano attorcigliando malvagiamente; si diressero in cucina per prepararsi la loro tipica colazione post serata, fette biscottate e tè con uno spicchio di limone dentro, quando incrociarono, inevitabilmente, i due ragazzi con cui erano stati la notte scorsa. Erano seduti al bancone, l’uno di fronte all’altro, vestiti e con l’aria molto amichevole.
Passarono metà del tempo a chiacchierare del più e del meno, con Blaine che sembrava incredibilmente in imbarazzo per quella situazione strana – non gli era mai capitato di fare colazione con Sebastian e i ragazzi con cui erano andati a letto – ma, al contrario, gli altri sembravano completamente a loro agio. Dylan e Mark continuavano a lanciarsi sguardi complici e Sebastian sorseggiava il suo tè cercando di mettere a fuoco le parole della sua tovaglietta, sbuffando per la vista ancora annebbiata.
Dopo dieci minuti, Blaine prese in mano le redini della situazione: era arrivato il momento di dire a Mark che quella era stata un’esperienza di una notte, che non era interessato a una storia seria e che sperava di non aver offeso i suoi sentimenti. Posò il cucchiaio accanto alla tazza del tè, facendo un bel respiro.
“Mark... devo dirti una cosa.”
Mark si voltò velocemente, lasciando sfumare la sua chiacchierata con Dylan; sembravano tutti piuttosto concentrati, perfino Sebastian: stava metabolizzando il suo discorso, per farne un molto simile all’altro ragazzo.
“Io non... non so bene come dirtelo, forse dovremmo andare un attimo di là...”
“Oh mio Dio”, lo interruppe lui, mettendosi una mano sulla bocca come scandalizzato, “Ho russato, non è vero?”
Sebastian scoppiò a ridere, ricevendo un’occhiata gelida da parte del coinquilino; tuttavia, non era il solo ad aver trovato quella battuta incredibilmente divertente.
“Mark quando ti deciderai a prendere quei cerotti per il naso?” Lo canzonò Dylan, attraversando tutto il bancone per afferrare la sua mano e stringerla affettuosamente. Mark riprese a bisticciare con lui sui suoi problemi di sonno, con talmente tanta affabilità e disinvoltura, che Blaine e Sebastian stavolta si guardarono, ma perplessi.
“Scusate...” iniziò uno, e l’altro terminò la frase dicendo: “Ma voi due...?”
Mark e Dylan ci misero un po’ di tempo per capire le loro intenzioni, ma alla fine fecero un “ooooh” nemmeno troppo elegante e si sorrisero.
“Ma certo!”
“Stiamo insieme da due anni.”
Nella stanza riecheggiò il rumore di un “CLANG” che si infrangeva contro la tazza; era stato il cucchiaio di Sebastian, ma poteva anche benissimo passare per la sua mascella.
“Scusate, cosa, come...” Balbettò Blaine in preda ad uno svenimento, perchè la testa in quel momento gli stava girando più che mai e non avrebbe mai, mai e poi mai pensato che quei due stessero insieme. Certo, sicuramente erano amici, dopotutto li avevano trovati insieme, avevano detto loro di avere la stessa età e di fare la stessa facoltà, ma insomma, non erano certo indizi per una relazione stabile e duratura!
“Mi sono perso qualcosa”, ammise alla fine, mentre Sebastian sembrava aver perso del tutto l’uso della parola.
Ma la coppia non sembrava per niente imbarazzata, sorpresa o delusa, anzi: era quasi... confusa.
“Scusate”, fece Mark, guardando prima l’uno, poi l’altro, “Ma perchè fate quelle facce?”
“Oh tesoro, io l’ho capito”, Dylan si voltò verso di lui facendogli l’occhiolino, “Forse ci sono rimasti male perchè non pensavamo che stessimo insieme da due anni. Siete una coppia fresca, non è vero?”
Blaine strabuzzò gli occhi e per poco non si soffocò con la sua stessa saliva; in suo soccorso intervenne Sebastian, che con voce bassa e quasi atona mormorò un: “Come scusa?”
“Dai – scherzò Dylan, dandogli una leggera gomitata-  non fate i finti tonti. Siamo tutti grandi e vaccinati qui, no? Di certo non c’è bisogno di nascondere la verità e ammettere di aver fatto un bellissimo e soddisfacente scambio di coppie.”
Scambio di coppie.
“Scambio di coppie!?” Esclamarono i due coinquilini nello stesso momento, uno impallidito, l’altro, rosso fino alla punta dei capelli.
“Io e Sebastian non stiamo insieme!”
“Siamo coinquilini!”
“Ci conosciamo da tanto, e... siamo solo amici!”
“...Oh.”
Stavolta, finalmente, l’espressione sui volti dei due fidanzati fu quella giusta.
“Sul serio? Non si direbbe proprio. Solo amici?”
“Beh, questo cambia un po’ le cose.”
“Ma dopotutto, è stata una bella serata lo stesso, no? Speriamo di non avervi dato fastidio.”
Titubanti, fecero con la testa di no, perchè, insomma, non è che ci stessero capendo granchè: erano partiti che dovevano scaricare quei due, e adesso stava succedendo praticamente tutto l’opposto.
“Beh, allora togliamo il disturbo.”
“E’ stata una gran bella serata”, ripetè Mark, afferrando la sua giacca e stringendo la mano a Blaine, “Grazie mille, Blaine.”
Il ragazzo si lasciò stringere la mano senza avere nessun tipo di reazione, tranne un vago e distante: “Sì. Prego. Credo.”
 “Ci si becca Seb”, disse Dylan, e l’altro ragazzo annuì con un cenno della mano; stava ancora cercando di capire se era stato appena fottuto o meno, il chè era tutto dire, visto che aveva perfino fatto l’attivo.
Quando la dua coppia di ragazzi uscì dall’appartamento stringendosi per mano e conversando amabilmente, Blaine e Sebastian si sedettero di nuovo l’uno di fronte all’altro, allungando le braccia lungo il bancone freddo della cucina.
Restarono così, senza nemmeno parlare. Dopo tanto tempo Sebastian  alzò lo sguardo e Blaine fece subito lo stesso.
“Non dire niente”, lo intimò il primo, ma il secondo con un sussurro rispose: “Non era mia intenzione.”
“Bene.”
“...Bene.”
Blaine abbassò di nuovo gli occhi verso la tazza vuota, facendo appello con tutte le sue forze al suo povero cervello, di macinare quel poco che serviva per fare due più due e capire finalmente in quale assurda situazione si erano appena imbattuti. Quei due stavano insieme; quei due si erano scambiati il partner.
“Tu lo faresti mai?”
Sebastian cominciò a giocherellare con la punta del suo cucchiaio, mordendosi un labbro.
“Credo di no.”
“Nemmeno io. Insomma, che senso ha?”
“Non lo so, magari loro non sono tipi tanto gelosi.”
“Ma hanno fatto sesso con un’altra persona. A casa mia questo si chiama tradimento.”
“Non so che dirti Blaine,” mormorò Sebastian, quasi esausto da tutti quei pensieri troppo complicati, specialmente se fatti dopo una sbronza e del sesso abbastanza confusionario, “Anche a me darebbe fastidio da morire. Il mio ragazzo dev’essere solo mio.”
Oh.
S’immaginò Sebastian stringere contro il suo petto un eventuale fidanzato, che era stato appena rimorchiato da qualche tipo. S’immaginò il suo tono freddo e minaccioso che intimava di sparire dalla circolazione, e poi, subito dopo, quello arrabbiato contro il ragazzo: gli chiedeva che diavolo gli fosse preso, perchè era un idiota, e che doveva stargli appiccicato perchè era sin troppo bello e chiunque avrebbe voluto sbatterselo al muro. E lui, ovviamente, non lo avrebbe tollerato, perchè era solo suo.
Senza nemmeno accorgersene, Blaine si ritrovò nel bel mezzo di quella fantasia, immaginandosi di essere stretto al petto di Sebastian e con un sorrisetto divertito: adorava vedere il suo ragazzo geloso. Adorava vedere le sue gote infiammarsi quando si avvicinava lentamente per baciarlo, rassicurandolo che non c’era nessun tipo di problema, che non era interessato a nessun altro perchè l’unico uomo con cui voleva stare era Sebastian.
E tutto ciò che ottenne dopo fu il ricordo di una certa frase.
“Sul serio? Non si direbbe proprio. Solo amici?”
, rispose mentalmente, desiderando averlo fatto nel momento giusto.
Sì, solo amici. Per il momento.






***

Angolo di Fra

...In realtà non ho molto da dire. Ma quanto sono felice che vi piacciano queste OS????
*Sparge cuoricini per tutto lo schermo*

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Capitolo 4
*** AU/Crossover ***







 
Non bisogna fare mai domande.
Non si può chiedere quale sia il prossimo obiettivo, o perchè merita di morire. Se è stato scelto, vuol dire che ha interferito con i loro piani e semplicemente, in quanto assassino, è tuo compito sottostare a tutti gli ordini del tuo mentore. Che ti ha allevato: ti ha addestrato proteggendoti sotto la sua ala; ti ha dato un’altra possibilità di vivere, anche se quella riguarda il togliere la vita a qualcun altro.
Sebastian Smythe sa bene tutte queste cose, ed è per questo che ha annuito di fronte al suo mentore quando gli ha lasciato in mano un bigliettino; bianco, anonimo. Esattamente come loro e i loro abiti.
Sul foglio, un solo nome: Blaine Anderson.
A lui quel nome non dice niente; ci sono così tante persone, a Parigi, che distinguerle tutte sarebbe una vera impresa. Tuttavia, è strano non avere nessuna idea del soggetto dal suo cognome: di solito i suoi bersagli sono politici francesi, o conti vigliacchi. Quest’uomo, però, sembra inglese; forse Americano? Viene dal nuovo Mondo, è una potenziale minaccia per i loro affari, per questo viene ucciso?
“Sai quello che devi fare”, gli sussurra il mentore, con voce ferma, una pronuncia francese perfetta. Sebastian si trovava in Francia da che avesse memoria; sua madre, una nobildonna caduta in miseria, si era data all’alcool sfogando tutti i suoi rimpianti con uomini sempre più squallidi.
Julien Savoir, lo ricordava ancora bene. L’uomo che aveva portato sua madre alla ghigliottina, perchè era un doppiogiochista giacobino: l’aveva usata, in tutti i modi possibili, per poi finirla una volta che non aveva avuto più bisogno di lei. Ricordava bene come le sue mani si erano aggrappate al suo collo con violenza, in un raptus di follia che gli aveva tolto il senno e la vista, recuperata solo quando il suo corpo inerme si era accasciato a terra, pallido, inutile.
Da lì, poi, il resto era venuto da sè: è stato liberato dalla prigione e dalla ghigliottina grazie ad un gruppo di persone misteriose, abili, che uccidevano chiunque osasse intromettersi nei loro piani con una freddezza che trovava quasi... affascinante. Voleva essere come loro: non voleva più avere sentimenti, così da non provare più dolore.
“Vi sono debitore”, aveva detto, e temeva che quell’uomo lo avesse ucciso all’istante, magari, scambiandolo per giacobino. Non avvenne: lo aveva guardato, con forza, e gli aveva dato in mano la sua prima arma, un pugnale piccolo e seghettato.
“La tua vita adesso sarà consacrata all’Ordine.”
In quel momento, Sebastian diventò un assassino.
 
 
Sebastian sfreccia per i tetti di Parigi stando bene attento ad ogni singolo movimento, senza far rumore: le guardie giacobine si aggirano per i palazzi armati di balestra e arco, e lui gode già di una pessima reputazione per via di quella missione che aveva distrutto mezzo OspedaleSalpêtrière. Fortunatamente, le sue gambe lunghe e il suo fisico allenato lo portano sempre a cavarsela anche nei momenti più difficili, e così sarebbe stato anche quella sera: deve rintracciare e uccidere questa persona che, secondo le sue intuizioni, ha degli affari in corso con Jacques Pierre Brissote Pierre Victurnien Vergniaud. L’ultima sua missione riguardava una lettera misteriosamente scomparsa tra le mani nemiche, ed è praticamente certo che adesso sia di proprietà di quel Blaine Anderson.
Le sue ricerche lo portano alla Rue de Rosiers, il quartiere ebraico. Pieno di banchieri e affaristi senza scrupoli, e lui pensa che, probabilmente, quelle persone hanno un’anima ancora più dannata della sua. Scende agilmente da un palazzo non troppo alto con un balzo felino e attirando l’attenzione di una ventina di passanti.
“Gente del circo qui!?” Sbotta una signorina scandalizzata, e Sebastian non riesce a trattenere un ghigno. Certo, è un maestro dello spettacolo, lui: quella sera, si esibisce in una performance di sparizione.
Cammina lento, il suo cappuccio bianco che gli copre gran parte del volto; le armi sono ben nascoste sotto ai vestiti: una piccola daga, dentro lo stivale, una pistola sotto la cintola, e la sua immancabile lama celata, intrappolata nel braccio. I suoi occhi verde chiaro vengono subito attirati da un manifesto appeso alla parete di un bordello, dal quale provengono suoni che non gli interessano, poichè femminili, vuoti, quasi spenti, alle sue orecchie: vede il suo ritratto impresso in quel foglio di carta, con la scritta “Cospiratore contro la Repubblica”. Sorride quasi lusingato, quanto meno c’è una bella taglia sulla sua testa.
Strappa il foglio dal muro senza nemmeno degnarlo di un altro sguardo, e si avvia verso Montmartre, quasi sicuro che quel ritratto provenga da lì, visto che è una zona piena di pittori che si incantano a dipingere qualsiasi cosa gli capiti sotto il naso.
Dopo un certo lasso di tempo scende la sera, l’odore del pane fresco tipico delle strade parigine viene sostituito da quello del fuoco e di pesce raccolto da qualche scaricatore notturno. Tutti stanno bene attenti a non rivolgergli la parola, tutti sanno che un uomo incappucciato non è mai un segnale positivo. Al contrario, è un ottimo conduttore per le guardie: si fermano a fissarlo, più incuriosite che altro, e Sebastian si trova costretto a scappare dietro un angolo dietro la chiesa di Le Sacre Coeur, una chiesetta orribile, a suo modesto parere, ma piuttosto affollata. Non è difficile per lui nascondersi nella mischia dei numerosi credenti e far sparire così ogni sua traccia; le guardie borbottano qualcosa indispettite, non mollano la presa. A lungo andare, diventa quasi stancante: Sebastian è quasi tentato di farla finita e ucciderle ad una ad una, quando un rumore di vassoi e calici scaraventati a terra lo fa girare.
“Aiuto! Aiuto! All’assassino!”
C’è qualcosa che non torna, pensa subito lui, mentre con lo sguardo confuso rimane fermo in mezzo alla folla urlante e scalpitante verso l’uscita. Non ci sono altri adepti in uscita quella sera, l’unica missione è la sua; allora, si tratta di un omicidio isolato?
Ma nel momento in cui riesce a scorgere un prete caduto a terra, esangue, e un cappuccio nero che gli sta chiudendo gli occhi, all’improvviso tutto nella sua mente appare la soluzione in modo nitido e palese: mercenari. I giacobini sanno pagare bene, a quanto pare.
Non si fa intimidire da un paio di occhi azzurri come il ghiaggio, ma non è il momento di cercarsi nuovi nemici, ha una missione da portare a termine; eppure, non ha calcolato l’astuzia di quel presunto rivale, nel momento in cui con una velocità sorprendente lo raggiunge e fa cadere accanto a lui una spada imbrattata di sangue.
“E’ stato lui!” Grida alle guardie, che già hanno afferrato l’arma e si sono voltate maldestre; “E’ stato lui, ha ucciso un uomo di Dio!”
L’unica parola che esce dalle labbra di Sebastian è: “Merda.”
Scavalca un paio di panche, saltando su una e camminando lungo il bancone strettissimo con un perfetto equilibrio; si getta contro la vetrata della chiesa frantumandola in milioni di pezzi, si copre il viso con le maniche sgualcite per poi allungare un braccio e afferrare la grata di una finestra del campanile, a metà altezza da terra. Le guardie iniziano a lanciargli sassi, inveendogli contro e urlando cose come “sei un Demonio!”, “Ti muovi come Satana!”, ma Sebastian è solo più divertito: scala la torre mattone dopo mattone, aggrappandosi a qualche sporgenza con i piedi, saltando verso quella vicina quando non ce ne sono. Le guardie, però, lo hanno raggiunto dalla scala interna: una si è già esposta verso di lui con l’alabarda alzata, quando la sua mano si muove agile e con la lama celata trafigge il suo petto. Esce un piccolo rivolo di sangue dalla bocca, qualche colpo di tosse spezzato; poi, Sebastian lo spinge verso il terreno, facendolo fracassare al suolo.
Non c’è più tempo: il corpo attira altre guardie, e altre guardie significano altri problemi. E’ ormai giunto sulla punta del campanile, quando si ritrova praticamente circondato da un’orda di giubbe rosse.
“Non hai più scampo, stronzetto”, gli sibila una, che già assaporava il suo sangue. Sebastian sorride, mentre lentamente si espone ancora di più verso il ciglio della torre.
“Puoi ripetere?”
Apre le braccia ad angelo, si lancia all’indietro sotto lo sguardo allibito di tutti, mentre cade, tra il vento e le luci di Parigi, il suo animo leggero e il cuore ormai inesistente.
L’impatto con il suolo è sempre piuttosto traumatico: certo, non si tratta proprio di suolo dal momento che è un carretto pieno di fieno per cavalli, ma tant’è. Si ritrova ad imprecare sottovoce togliendosi tutte le pagliuzze di dosso, scompigliandosi i capelli disordinati ormai liberi dal cappuccio e, quanto meno, è sicuro di essere fuggito e aver risolto i suoi problemi.
“Serve una mano?”
Si volta quasi confuso quando sente quella voce calda e incredibilmente affascinante. Davanti a sè si presenta un ragazzo, non potrà avere più di venticinque anni: i suoi occhi ambrati lo illuminano come se fossero due fiaccole al tramonto, e in quel momento è quasi certo di aver sentito il suo cuore fare un battito. Ma non è possibile: lui non ha più un cuore.
“Ce la faccio da solo”, mormora, perchè un assassino non può ottenere supporto da civili, e i civili non devono rivolgergli la parola. Ma a quel ragazzo non sembra interessargli: lo aiuta comunque, facendolo alzare in piedi, le loro mani si stringono per un solo momento mentre il contatto con la pelle fa trasalire entrambi. Sebastian attende pazientemente che quel ragazzo lo ripulisca dal fieno, visto che non c’è modo di fargli cambiare idea: nel frattempo, non riesce davvero a distogliere lo sguardo dai suoi lineamenti mascolini, il suo corpo tonico e snello, il suo sorriso disarmante.
“Uhm, grazie allora.” Dice, una volta finita la pulizia. Le sue labbra si incurvano solo un po’ di più e, di nuovo, sente il suo cuore fremere.
“Non c’è di che. Ti ho visto tentare il suicidio dal campanile.”
“...Oh.”
Non si aspettava certo una frase simile: si guarda intorno, completamente disorientato, inoltre è senza cappuccio e in quel modo è quasi certo di non incutere nemmeno uno straccio di paura. I suoi capelli corti e castani, i suoi occhi verdi, sono troppo giovani, per essere veramente presi sul serio. Non da un ragazzo come quello che ha di fronte.
“Oh?” Ridacchia, e Sebastian si sofferma per un momento a memorizzare la sua voce. “E’ tutto quello che hai da dire? Cosa avevi intenzione di fare?”
“Io... mi piace il rischio.” Sussurra, senza troppa convinzione perchè quella balla non se la berrebbe proprio nessuno. Il ragazzo si stringe nelle spalle e gli fa cenno di seguirlo, visto che si trovano proprio nel bel mezzo di una piazza; durante il cammino, parlano poco, e si guardano ancora meno. E’ strano come tutti quei sentimenti possano riaffiorare in un solo, inutile incontro. E’ strano come Sebastian provi la voglia di conoscere quell’uomo, di trascinarlo in un vicolo deserto, di sentirlo, come non aveva mai sentito nessun altro prima di allora.
E’ che, c’è qualcosa, in lui. Non sa bene definire cosa, ma lo manda su di giri: è il modo con cui cammina, disinvolto, ma sensuale. E’ il suo collo leggermente abbronzato attraversato da delle ombreggiature eccitanti; è il modo con cui lo sta fissando, come se volesse mangiarlo vivo.
“Beh. E’ stato un piacere.” Lo sente dire, e fa per tendergli la mano. Sebastian non l’afferra, perchè è quasi sicuro che ci sia qualcosa di sbagliato, qualcosa che gli sfugge.
“La prossima volta che tenti di ammazzarti, ti consiglio un po’ di vetro contro le vene.”
O una lama ficcata bene nella giugulare, lo corregge mentalmente lui. Il ragazzo, ignaro di tutto, fa un passo in avanti, tendendogli la mano.
Perchè il destino certe volte è proprio buffo.
“Comunque piacere, Blaine Anderson.”
E’ il momento in cui Sebastian ricorda immediatamente chi sia: non un giovane senza cappuccio, che può permettersi il lusso di fare amicizie. E’ un assassino, vincolato ad un ordine per il resto della sua vita; sente la sua lama celata che freme vendetta contro tutti quei giacobini insofferenti. E poi, ricorda anche le sensazioni provate davanti a quegli occhi chiari, a quel sorriso sfuggente; gli sembrano vuote.Tutto sembra vuoto, quando viene spogliato di ogni sentimento.
Blaine sta ancora attendendo qualcosa da lui, lo si può notare da come sposta il peso da un piede all’altro: “...E tu? Come ti chiami?”
“Sebastian”, pronuncia, calmo, dopo un tempo indefinito. Di solito non rivela mai il suo vero nome; ma, dopotutto, Blaine glielo aveva domandato così gentilmente, e chi era lui per negare l’ultimo desiderio di un condannato? A giudicare dal modo con cui spalanca gli occhi, intuisce di aver colpito nel segno. Lo vede metabolizzare quel nome con fare sospettoso, come se suonasse familiare.
“Ho una cosa da darti.”
Detto quello, si avvicina lentamente a lui, osserva come le sue guance diventano rosse per l’imbarazzo, come il suo respiro si appesantisce, a stretto contatto con il suo; sono ormai a distanza di un bacio. Sebastian continua a fissare le sue labbra morbide, e vorrebbe così tanto... Ma non lo fa. Perchè non importa tutto quello che è successo prima d’allora; non importa il fatto che avesse nutrito qualcosa, per lui, anche se non era stato molto chiaro e decifrabile; non importa nemmeno che quel ragazzo sembri tutto fuorchè un criminale. Deve eseguire gli ordini. Un assassino non ha il diritto di avere pensieri propri.
 
Forse, in quel momento, uccide l’ultima occasione che aveva per riacquistare un cuore. L’ha visto lì, in mezzo a quegli occhi dorati che, adesso, si spengono inesorabilmente.
E le sue mani cominciano a sporcarsi di un sangue che non è suo, e la lama fuoriuscita dal suo braccio è calda e confortante.
Non ha il tempo di allontanarsi da Blaine, per evitare di vederlo morire; oppure, forse, non ce la fa. E Blaine, lui non fa nulla. Lo guarda. Sa bene perchè muore, così, non dice niente. Lo guarda, e in quello sguardo, ci sono delle parole che Sebastian non riesce a sentire bene.
Così, si limita a sussurrare le uniche che è costretto a dire.
“Requiescat in pace.”
 
 
 
Sebastian si svegliò di soprassalto nel suo letto ad una piazza e mezzo, con la fronte imperlata di sudore, gli occhi spalcancati e il respiro affannoso. Davanti a lui, la televisione raffigurante Assassin’s Creed era ancora accesa e mostrava un Ezio sulla cinquantina stoppato a metà di una fuga.
Maledetti videogiochi. Maledetti sogni che gli facevano sognare videogiochi.
“Sebastian! Sebastian! Che diavolo, ti avevo detto di buttare l’immondizia, possibile che non fai mai niente in questa casa!?”
E nel momento in cui un ragazzo un po’ più giovane e vestito in modo decisamente più normale del suo sogno si presentò
alla sua vista, Sebastian non riuscì a tirare un sospiro di sollievo, perchè cavolo: era Blaine, ed era vivo. E non riusciva a credere di averlo appena ucciso.
“Ti ho conficcato una lama nello stomaco.” Bisbigliò, ancora incredulo. L’altro ragazzo inarcò un sopracciglio per niente sconvolto.
“Ti voglio tanto bene anche io, sai. Adesso ti muovi, per favore? Come minimo ci verranno i topi in questa casa. Colpa tua e della tua pigrizia. Perchè devo fare sempre tutto io!?”
E mentre si alzava dirigendosi verso un Blaine alquanto scontento, con il suo broncio esagerato e i suoi occhi furiosi, Sebastian pensò che sì, a volte aveva pensato di voler uccidere il suo coinquilino. Ma poi, a chi avrebbe rotto le scatole da mattina a sera?

 






***
Angolo di Fra

Ringrazio Somochu per avermi dato l'idea. E un po' la biasimo perchè dopo questa ho riniziato Assassin's Creed per la ventisettesima volta e so già che NON studierò. (asd)


 

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Capitolo 5
*** Occasions ***







 
Sebastian salì le scale a tre a tre per la fretta che aveva di tornare a casa. Il suo cuore batteva all’impazzata e il suo sorriso si estendeva da un orecchio all’altro, fremeva dalla voglia di andare a prendere Blaine e volare alla macchina. Era tutto pronto: lo champagne che stringeva saldamente in mano, la cravatta già allentata, pronta per essere sfilata da qualche ballerino mozzafiato, la giacca adatta all’occasione e le chiavi della macchina che saltellavano in una delle tasche.
Era il terzo anno che celebravano quel rituale, e quel rituale era una delle cose più sacre di Sebastian e Blaine: per via dello studio e delle spese non si potevano permettere tante serate ma il sette Settembre, come ricorrenza della loro firma per il contratto, come anniversario della loro convivenza, se ne andavano in qualche locale a luci rosse liberandosi di qualunque desiderio coltivato durante l’anno. Era divertente, perchè lo facevano insieme, si prendevano in giro a vicenda e si sceglievano gli uomini con cui andare; poi la mattina dopo si raccontavano tutte le loro strane imprese, perchè davvero, erano strane. Sebastian non riusciva ancora a credere al racconto di Blaine del loro primo anno: ad averlo saputo prima, ci sarebbe andato lui con quello spogliarellista.
“Oooo Blaineee?” Canticchiò quando era ancora sul pianerottolo, inserendo le chiavi nella toppa ed entrando nell’appartamento con una posa trionfale: braccia aperte, sorriso smagliante e champagne in mano.
“Dai dai che se arriviamo prima di mezzanotte si paga metà ingresso, lo sai! E poi forse riusciamo pure a ottenere una bevuta gratis se ci provi con il buttafuori. Con me non funziona perchè non so fare gli occhioni da cucciolo bastonato e- Blaine?”
Si fermò di scatto, il sorriso sul volto sparì completamente una volta notato che il suo coinquilino era ancora in tenuta da casa, e, inoltre, cosparso di farina.
“Ma che stai facendo?”
Blaine avvampò all’improvviso, sviò la testa di lato borbottando anche un “cretino” a denti stretti; ma no, non era riferito a Sebastian: ormai lo conosceva troppo bene per capire che quella era un’auto-offesa.
“Blaine?” Chiamò di nuovo, perchè non riusciva proprio a capire le sue intenzioni, l’altro ragazzo non sembrava tanto intenzionato a rivelargliele e in tutta risposta ottenne un: “Niente. Ci sono. Cioè, dammi dieci minuti e ci sono.”
Ovviamente, però, la sete di curiosità di Sebastian non era affatto sazia. Si avvicinò piano a lui, tenendo lo sguardo fermo sul suo volto piastricciato, mentre il suo cervello stava mentalmente facendo due più due cercando ogni tipo di spiegazione possibile.
“Che stavi facendo?” Domandò, cauto, ma ancora una volta, Blaine si allontanò brusco borbottando un: “Niente.”
“Mhm. Certo.”
Un attimo dopo, il suo sguardo sospettoso sviò verso la cucina, dalla quale proveniva un profumino piuttosto sospetto. Blaine in quel momento lo prese energicamente per un braccio, facendolo allontanare e continuando a esclamare: “Non è niente ti dico! Dai, andiamo, non facciamo tardi. Tu, tu aspettami fuori ok? Cinque minuti e arrivo.”
Sebastian fece finta di assecondarlo: si lasciò trascinare fino alla porta d’ingresso senza opporre resistenza, ma una volta ottenuta la distanza sufficiente che separava la cucina da Blaine, si divincolò dalla presa e corse verso quella stanza, con il coinquilino che cercò in tutti i modi di fermarlo, ma lui aveva le gambe più lunghe, era sempre arrivato prima nelle corse tra loro due. Si chiuse la porta della cucina alle spalle bloccandola a chiave, e Blaine si fermò ad una spanna dalla collisione; appoggiò la fronte sul legno, prendendo dei lunghi respiri e continuando a darsi dell’idiota mentalmente. Sebastian lo avrebbe preso in giro a vita, già lo sapeva; o peggio: sarebbe rimasto deluso. Perchè era il loro anniversario da coinquilini e avevano sempre festeggiato allo stesso modo, e che diavolo gli era saltato in mente!? Era un idiota, un vero idiota.
Questo pensò, fino a quando non sentì la porta risbloccarsi lentamente, e lui fece un passo indietro con il fiato sospeso, in attesa di vedere l’espressione di Sebastian. E la vide davvero, un attimo dopo: era un misto di confusione, rimorso, felicità e apprensione, mentre sorreggeva una torta con la pasta frolla e le fragole, stando bene attento a non farla cadere.
“...Cos’è questa?” Domandò, in tono più curioso che inquisitorio, il chè in realtà fece arrossire ancora di più Blaine perchè, oh, davvero non ci era arrivato da solo?
“E’ una torta”, balbettò.
“Ma và?”
Si morse un labbro, non sapendo più cosa dire; teneva lo sguardo fisso sulle scarpe e non aveva intenzione di risollevarlo molto presto.
“Pare a me o c’è scritto Seblaine qui?” La voce di Sebastian giunse alle sue orecchie come una freccia, “Che cos’è? Ti sei fatto un cane?”
“Siamo noi”, tagliò corto, parlando velocemente e a denti stretti: “Sebastian e Blaine. Seblaine. Al liceo ci divertivamo a fare la fusione dei nomi e poi i nostri nomi completi non entravano nella torta. Quindi Seblaine.”
“...Oh.” Disse alla fine Sebastian, dopo tanti, lunghi, interminabili secondi. Quella fu l’ultima goccia: Blaine rialzò la testa e prese la torta dalle sue mani, dandogli perfino una spallata per entrare in cucina e dirigersi verso il cestino.
“Sì.” Commentò, trafilato, “Lo so, è stupido. E’ stata un’idea stupida e adesso questa idea svanirà nella spazzatura, quindi tu aspettami fuori mentre mi preparo per uscire e-”
“Blaine.”
Il suo braccio fu bloccato proprio quando era quasi arrivato, costringendolo a voltarsi con forza, per affrontare gli occhi smeraldini e brillanti di Sebastian.
“Hai fatto una torta per il nostro anniversario?”
Era una domanda retorica, ovviamente; tuttavia, Blaine non riuscì a trattenersi dal sussurrare “sì”, sempre più imbarazzato, mentre le sue guance si tingevano di un caldo color porpora e le sue mani tremavano dall’emozione. Evidentemente Sebstian lo notò, perchè gli prese delicatamente la torta tra le mani, sfoggiò un sorriso quasi incantato e la rimise al posto sul tavolo, andando poi a sedersi su una sedia di fronte. E l’altro lo guardò senza battere ciglio: lo vide afferrare un coltello e un fazzoletto, prendere una fetta di torta tra le mani, divorarla in un solo morso e masticare quasi estasiato, perchè Blaine era sempre stato un asso a fare i dolci, lo sapeva bene, ma quella torta aveva messo insieme tutti i suoi ingredienti preferiti ed era quasi sicuro di amarla.
Restarono in silenzio per qualche minuto, intervallato soltanto da qualche mormorìo di apprezzamento di Sebastian, mentre il suo cuore si faceva sempre più leggero.
“Che fai, non mangi?”
Blaine esitò un secondo, prima di sedersi davanti a lui e alla torta, dall’altra parte del tavolo. Si concesse un minuto per ricomporsi e raccogliere mentalmente le idee: Sebastian non era arrabbiato; non era nemmeno deluso da quella sua strana trovata della torta, che faceva tanto fidanzati e tanto poco coinquilini. In realtà, si stava già prendendo il secondo pezzo e i suoi occhi erano dolci e gentili. Con l’animo un po’ più sereno, si apprestò a tagliarne un pezzo, ma il suo viso fu alzato dalle dita di Sebastian premute sotto al suo mento, costringendolo a guardarlo negli occhi.
Sebastian non disse niente; semplicemente, continuò a fissare lui, i suoi occhi chiari, le sue guance imbrattate di farina. Con molta attenzione avvicinò il pezzo di torta alle labbra, invitandolo gentilmente ad aprirle; Blaine sbattè per un attimo le palpebre, e poi ne mangiò un piccolo pezzo, deglutendo per il cibo, forse, o per la fitta allo stomaco ricevuta in quell’istante.
Era quasi sicuro che quel piccolo contatto se lo sarebbe sognato la notte, anche se non riusciva a capire in che modo.
Alla fine, lo vide avvicinarsi a lui per pulirgli affettuosamente un angolo della bocca, ampliando il suo sorriso, e facendo un piccolo cenno del capo mentre commentava: “Buona vero?”
“Abbastanza”, ammise, perchè in effetti quel mix tra crema pasta frolla e fragole era davvero delizioso.
L’altro ragazzo si allontanò leggermente, dandogli spazio per respirare mentre con fare orgoglioso diceva: “L’ha fatta il mio coinquilino. E’ per il nostro anniversario.”
“Detta così sembra che siamo sposati”, ridacchiò lui, ma Sebastian si strinse nelle spalle afferrando un altro pezzo di torta: “O fidanzati.”
Per un attimo, un breve, intenso attimo, i due si lanciarono un’occhiata eloquente.
Ma poi continuarono a mangiare, chiacchierando di tutte le cose che gli passavano per la mente, dimenticandosi perfino della loro serata trasgressiva in favore di un po’ di sana e piacevole intimità.
 



***


Angolo di Fra

Per chi sta seguendo Listz&Chopin e Il Giglio Blu: volevo aggiornare la prossima settimana, ma purtroppo domani parto, e tornerò con un pc in mano soltanto Sabato prossimo. Però vi prometto che scrivo a mano, tra treni e attese di tre ore (che so GIà ci saranno) così quando torno non vi faccio aspettare più di tanto.
Non so nemmeno come fare ad aggiornare le OS di domani e Domenica :( shame on me.
Ad ogni modo grazie per tutte le recensioni mi diverte troppo leggere i vostri scleri xD



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Capitolo 6
*** Angst ***










 
Sebastian sapeva che quel giorno sarebbe stato un giorno particolare, se lo sentiva: come quando si svegliava con il ginocchio dolorante e voleva dire che stava per mettersi a piovere, oppure si voltava verso qualche ragazzo in facoltà e percepiva a chiare lettere il suo gay-radar lampeggiare. Semplicemente, ci sono giorni in cui ti alzi e sai che sta per succedere qualcosa, che devi tenerti pronto, che non sai bene cosa o come succederà, ma sai che metterà a dura prova ogni tua facoltà fisica e mentale.
Quindi, a rigor di logica, quella mattina fece colazione con molta calma, stando bene attento a non scottarsi o fracassare qualche piatto; stette ben lontano da coltelli accendini o oggetti pericolosi e si diresse verso la porta con passo felpato e calibrando ogni mossa; Blaine stava probabilmente dormendo oppure era uscito prima di lui, in ogni caso, era meglio non disturbarlo. Si incontravano di rado la mattina, e comunque erano certi di rivedersi per ora di cena.
La giornata, nonostante le aspettative, passò in fretta e senza problemi: i professori non lo considerarono più di tanto, a parte le classiche domande a cui rispondeva con superiorità e convinzione; i suoi colleghi erano docili come sempre, qualche matricola lo aveva importunato per chiedergli indicazioni, ma niente di più. Stava pian piano svanendo quel presagio negativo che lo aveva colto di mattina, e dentro di sè si dava dello stupido, perchè a ventidue anni ancora credeva a certe cose. Probabilmente aveva solo mangiato troppo la sera prima.
Quando arrivò nel suo appartamento, salutando perfino la sua vicina di casa, una ragazza innocua che studiava giurisprudenza, era perfettamente certo che ormai la giornata fosse giunta al termine, e il pericolo era scampato.
Ma non aveva considerato una cosa. Una cosa a cui avrebbe dovuto pensare subito, ma che, di fatto, ogni volta dimenticava, perchè era insensibile, perchè era distratto o perchè, in parole semplici, non aveva mai concepito l’idea di avere degli animali domestici.
E quando non appena aperta la porta vide Blaine con la vaschetta vuota in mano, i suoi occhi dorati che pungevano terribilmente desiderosi di piangere ogni lacrima possibile, il viso contratto in una smorfia, tutto ad un tratto sentì un pesante macigno posizionarsi sulla schiena.
“Remo è morto.”
Stava quasi per aprire bocca e fargli un sacco di domande ciniche, della serie, “Chi diavolo è Remo?” “Hai dato un nome a quei due cosi?” “Sei sicuro che non sia morto l’altro? Sai com’è, sono identici.”
Ma Blaine era troppo triste; sembrava distrutto, in realtà, e per un momento gli venne anche un po’ da ridere. Con il tatto elefantino di una giraffa zoppa inclinò la testa da un lato, e chiese: “E’ morto Nemo?”
“Si chiamava Remo. Era una tartaruga d’acqua, non un pesce rosso.”
“Nemo, Remo, che differenza fa. Di che è morto?”
E più andava avanti così, più il viso di Blaine impallidiva, mentre i suoi occhi restavano incollati alla vaschetta vuota, triste.
“Non lo so”, mormorò, con la voce spezzata e diventata un sussurro, “Romolo sta bene, quindi...”
“No no scusami aspetta un secondo.” Sebastian mise una mano avanti e un’altra sulla fronte, perchè non era sicuro di aver capito bene, non era sicuro di poter ridere a crepapelle fino a non avere più un’anima: “Hai chiamato le tue tartarughe d’acqua... Romolo e Remo?”
“... Volevo vedere chi moriva per primo e fondava Roma.”
Inutile dire che Sebastian non riuscì proprio a contenersi.
Blaine lo osservò per tutto il tempo non accennando a nessuna smorfia, restando paziente, silente, mentre il suo coinquilino faceva lo stronzo come suo solito e non capiva mai niente, non capiva quando ridere, quando essere serio, quando dargli un po’ di conforto perchè che cavolo. Lui si era affezionato a quelle tartarughe. Quando studiava gli facevano compagnia. Quando si annoiava le osservava giocare. Le aveva prese ad una fiera nell’Ohio, giusto una settimana prima di partire per New York: erano cresciute con lui. E adesso una di loro era scomparsa, come se fosse finito un capitolo della sua vita.
Sebastian poteva ridere quanto voleva, lui non lo trovava divertente. Certo, il nome magari aveva portato un po’ iella, ma non avrebbe mai pensato di affezionarsi così tanto a due tartarughine d’acqua; in realtà, adesso, con il suo coinquilino che lo stava palesemente prendendo in giro e una vaschetta vuota stretta tra le mani, cominciava a sentirsi davvero stupido.
“Sì, va bene, certo”, sussurrò, mentre qualche lacrima scappò dagli angoli degli occhi, andando a rigare le guance. Fu in quel momento che Sebastian si fermò di scatto e rimase in silenzio, fissandolo a lungo.
“Sono sempre il solito cretino che si affeziona come delle ragazzine. Vai pure a vivere la tua vita da sballo, io mi occupo di Romolo che è triste anche più di me.”
Detto quello, senza nemmeno degnare l’altro di uno sguardo, si voltò e si chiuse in bagno non lasciando nemmeno spazio per le repliche, accasciandosi contro al legno della porta: Romolo, con il suo guscio verde e blu, il suo collo rugoso e i suoi occhietti chiari, giaceva dentro la vasca, immobile, circondato solo da un sottile strato d’acqua che lo bagnava quanto necessario.
Era come se aveva perso la voglia di vivere; era come se fosse morto insieme al suo amico, compagno, chissà cos’erano lui e Remo.
“Non ti preoccupare”, sussurrò, tra una lacrima e l’altra che gli rendevano difficile perfino respirare, “Ci sono ancora io.”
Per un attimo s’illuse che la tartarughina lo stesse ascoltando: lo guardò per una lunga manciata di secondi, ma la sua espressione era, ovviamente, inflessibile. Tuttavia dentro di sè era convinto che anche gli animali sapessero parlare; tra di loro, magari, e che fossero istintivamente portati a legarsi a qualcosa.
Come Romolo si era legato a Remo, quando cercava di uscire dalla sua gabbietta arrampicandosi sull’altra tartarughina che gli faceva da appoggio: sorrise al solo pensiero, ma un attimo dopo si ritrovò a piangere ancora di più.
“Blaine.”
La voce ferma di Sebastian giunse alle sue orecchie quasi inaspettata, mentre sentiva una leggera pressione contro la porta.
“Blaine avanti, levati e fammi entrare.”
“No, lasciami stare, vattene via.” Era terribilmente arrabbiato con lui, perchè si era preso gioco dei suoi stupidi sentimenti.
“Blaine, per favore.” Esasperò quelle due ultime parole sperando che bastassero per farsi ascoltare; dopo mezzo minuto il peso che avvertiva schiacciato contro la porta scomparì, e lui l’aprì con molta delicatezza, sporgendo prima con la testa e poi con tutto il resto del corpo. Blaine era seduto accanto alla vasca, osservava con i suoi occhi arrossati la piccola tartarughina che sguazzava spensierata.
Per un momento, Sebastian preferì rimanere zitto, non rischiando di essere cacciato fuori a calci: si sedette accanto a lui e quasi sbuffò quando vide Blaine voltare la testa dalla parte opposta. Era davvero un bambino, in certi casi; era un bambino perchè piangeva per uno stupido animaletto ed era un bambino perchè se la prendeva per quello.
“Ce l’hai con me?” Domandò, quasi sarcastico, appena in tempo per sentire Blaine bisbigliare freddo un “No”.
Roteò gli occhi al cielo, emise un verso seccato e si passò una mano trai capelli, esausto: ecco perchè doveva starsene a letto quella mattina, e non affrontare per niente quella giornata.
“Andiamo Blaine”, il suo tono di voce stavolta era affrettato e seccato, “Ti rendi conto che stai piangendo per una cavolo di tartaruga? Guarda, perfino Remo è felice e gioca contenta.”
“E’ Romolo, idiota.”
“...Ah.”
L’aveva detto lui che erano uguali.
L’altro ragazzo, però, apparve ancora più infastidito e si alzò in piedi come per allontanarsi, ma lui reagì catturando subito il suo polso, alzandosi di rimando e costringendolo a voltarsi. Si guardarono: Blaine con i suoi occhi distrutti, così limpidi, così insopportabili alla vista di Sebastian. Non riusciva a credere che stesse davvero piangendo, semplicemente, perchè non sopportava vederlo piangere.
“Va bene.” Ammise infine, stringendosi nelle spalle, e sviando appena lo sguardo. “Va bene, mi dispiace. Non dovevo ridere di te. Hai il diritto di piangere per i tuoi animaletti, alla fine li conoscevi da tanto.”
Blaine non sembrò perdonarlo del tutto, ma i suoi muscoli persero un po’ di quella rigidità che lo aveva avvolto da un paio d’ore, ormai.
“Dov’è l’altra tartaruga?”
Indicò una piccola scatola appoggiata sul water, bianca, anonima.
“Hai già pensato a cosa farne?”
Blaine stava piano piano cominciando a sciogliersi di fronte a quelle piccole domande; fece di no con la testa, andando ad asciugarsi il volto umido con la manica della felpa. Lanciò un’occhiata a Sebastian, stava quasi per chiedergli a cosa stesse pensando quando lo sentì dire: “Il laghetto di quella proprietà privata vicino la periferia. Ti ricordi? Ci siamo capitati una volta per sbaglio, quando abbiamo sbagliato strada.”
Spalancò gli occhi, capendo solo un momento dopo il suo vero piano: “Vuoi lasciarla lì?”
Sebastian gli fece l’occhiolino, e sfoggiò uno di quei sorrisi impossibili da eliminare: “Merita un funerale nobile, era pur sempre un sangue blu, nonchè un membro della famiglia Smythe-Anderson.”
E Blaine voleva ridere, ci provò davvero, ma la sua mente era oscurata da pensieri troppo scuri, il suo corpo era ancora troppo scosso, e così invece di ridere si ritrovò di nuovo a piangere apparentemente senza motivo, stupendosi perfino di se stesso, ma non riusciva proprio a trattenersi. Tuttavia, provò un moto di calore lungo tutto il corpo quando sentì le braccia di Sebastian avvolgerlo in un abbraccio, appoggiando la testa contro la sua e sussurrandogli, dolcemente: “Ehi, dai. Non piangi così tanto nemmeno quando vedi Grey’s Anatomy.”
“Non capisci proprio, non è vero?” Sbottò finalmente Blaine dopo chissà quanto tempo, strattonandosi, e divincolandosi dalla presa: “Potranno avere pure dei nomi stupidi, potranno pure essere delle cavolo di tartarughe... ma avevano tre anni, proprio come noi, convivevano sotto lo stesso tetto, proprio come noi, e...”
Non riuscì a finire la frase, perchè altre lacrime ripresero a scorrere inesorabili. Ma a Sebastian bastò; Sebastian capì e, in quel momento, i suoi occhi si illuminarono per un secondo.
“Stai piangendo... perchè quelle tartarughe ti ricordano noi?”
Non ottenne risposta, lui continuava a piangere e oh, va bene, il suo cuore poteva anche aver perso un battito. Ma uno soltanto, perchè il fulcro della situazione rimaneva sempre lo stesso: “Blaine. Non sono noi. Noi non siamo loro. Non stiamo morendo e ehi, guardami.” Afferrò dolcemente il suo mento con una mano, mettendo un’altra sulla sua spalla: “Tu stai benissimo, e non morirai da un momento all’altro. Chiaro?”
Blaine sbattè le palpebre un paio di volte, confuso, ma almeno aveva smesso di piangere: “E perchè dovrei essere proprio io Remo?”
Sebastian fece un piccolo ghigno, e si avvicinò al suo volto con uno sguardo divertito, contento che il suo coinquilino avesse finalmente riacquistato il suo classico temperamento. Così poteva ritornare a prenderlo in giro.
“E te lo chiedi pure? Lo sappiamo tutti che, trai due, sarei sicuramente io a fondare Roma.”
 



***

Angolo di Fra

Rileggendo questa OS rido. Sì, rido perchè esattamente due giorni dopo averla scritta il mio pesce rosso di tre anni è morto. Si chiamava Romolo.
Io lipperlì ci sono rimasta come Blaine ma poi sentivo una vocina molto simile a quella di Sebastian che mi diceva "così impari a gufartela". Sono inquietata e divertita allo stesso tempo.
La prossima settimana rispondo a tutte le recensioni, intanto grazie! E la OS di domani la posterà LieveB per me.
Un bacione

Fra

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Capitolo 7
*** Fluff ***







“Non ci posso credere”, continuava a sbuffare Sebastian, tirando calci a destra e a sinistra, all’armadio, al letto, alla scrivania e a qualunque cosa gli capitasse sotto tiro. “Non ci posso credere, dove cazzo è finito!?”
Riprovò a cercare dovunque, perfino sotto al materasso, ma non ci fu niente da fare: il suo computer era sparito. Volatilizzato. Scomparso. E non era possibile perchè l’aveva usato quella mattina in facoltà e- oh, forse lo aveva lasciato in facoltà? Allora poteva anche salutarlo definitivamente. Ma no, metabolizzò una parte della sua mente, non era possibile, ricordava bene di averlo messo dentro la tracolla, non si sarebbe mai potuto scordare il computer in facoltà, mica si chiamava Blaine Anderson!
E poi, l’illuminazione.
Blaine Anderson.
Il suo cavolo di coinquilino che gli prendeva le cose senza permesso; che aveva un tasso di disordine che superava quello di una donna in crisi ormonale, che era smemorato e sbadato e che sicuramente aveva preso il suo portatile.
Si diresse a grandi passi verso l’altra parte della casa, sogghignando di fronte alla tazza di caffè abbandonata sul tavolino, alla felpa appoggiata sul divano e a tutto il resto del casino provocato dal suo amico: era ora di dargli una bella strigliata. Ma di quelle che se ne sarebbe ricordato per altri tre anni, così imparava a comportarsi come un adolescente in un college.
Non si preoccupò nemmeno di aprire la porta con gentilezza nel caso stesse studiando, perchè era arrabbiato, era più che arrabbiato, e voleva essere sicuro di ottenere tutta l’attenzione e subito; con sua grande sorpresa e delusione, non avvenne: Blaine era sdraiato sul suo letto, di fianco, con un libro aperto accanto al braccio, appoggiato inerme sul suo bacino. I suoi capelli, nonostante il gel, erano scompigliati per via del cuscino e qualche ricciolo ribelle cadeva liberamente sulla fronte; il suo corpo ondeggiava scosso da respiri profondi e regolari.
Sebastian si era avvicinato a lui senza nemmeno accorgersene. Appoggiò il libro sul comodino, spegnendo la torcia che gli era scivolata dalle dita e sorridendo, quando vide il suo polso reagire con un riflesso incondizionato; un secondo dopo, forse, in cerca della torcia perduta, andò a stringere la sua mano, accarezzandola lentamente. Sebastian fissò per lunghi minuti quel piccolo gesto prima di sviare lo sguardo verso il suo viso: le ciglia lunghe e folte sfioravano le sue guance morbide, le labbra rosee ed invitanti erano leggermente dischiuse, con l’ombra di un sorriso.
Si chiese che cosa stesse sognando: Blaine sembrava così felice, che contagiò perfino l’umore di Sebastian facendogli dimenticare del tutto il motivo per cui fosse entrato in camera. Ma lo trovò nel momento in cui si guardò intorno quasi senza pensarci, scorgendo finalmente il suo computer portatile ancora aperto sulla scrivania.
“Guarda chi si rivede”, mormorò, ma nemmeno quello gli fece passare il buon umore; anzi, in realtà, quel computer aveva perso completamente d’attrattiva. Restò a fissare Blaine per un tempo indefinito, beandosi di quel piccolo contatto scaturito dalle loro mani, dei suoi respiri caldi e accoglienti che gli riscaldavano il cuore.
Erano tre anni che, nel bene o nel male, condividevano lo stesso tetto. Tre anni in cui avevano riso, avevano pianto, si erano sbattuti rispettivamente la porta in faccia e si erano aiutati nei momenti del bisogno, anche quando non c’era più nessuno disposto a farlo.
E gli vennero in mente tanti ricordi di quei tre anni, immagini che erano rimaste sopite nella sua memoria, che aveva custodito, quasi con gelosia e perfezione: gli si presentarono davanti proprio così com’erano accadute.
Come quella volta in cui pioveva a dirotto e non avevano più ombrelli, e Blaine era tornato a casa bagnato come un pulcino e tremante come un cucciolo; come quella volta in cui si era ubriacato alla festa studentesca e aveva svegliato Sebastian nel bel mezzo della notte, costringendolo a passarla in bianco con lui, le sue lamentele e un secchio di plastica successivamente buttato via. Oppure, ci fu quella volta in cui aveva preso il suo primo voto massimo all’esame, dopo una settimana di piagnistei e vita da vegetale, ed era rientrato a casa facendo un salto che perfino nei suoi ricordi sembrò esagerato, abbracciandolo così stretto da spezzargli qualche costola; quella sera avevano festeggiato con vino e cucina italiana, in un ristorante sulla diciannovesima.
Si ricordò di quando Blaine aveva litigato al telefono con i suoi genitori e si era chiuso in se stesso per tre giorni, non parlando con nessuno, non degnandosi nemmeno di aprire alla porta quando suonava il campanello; poi, un giorno, era entrato in camera di Sebastian, si era seduto sul suo letto e aveva cominciato a sfogarsi e a urlare contro una madre che non lo voleva capire e un padre che non lo meritava, e Sebastian era rimasto per tutto il tempo in silenzio, ascoltandolo, non permettendosi di commentare per non criticare i suoi genitori.
Si ricordò di quei momenti e molti altri ancora, e fu solo dopo tutto quel tempo, fu solo in quel momento, che lui capì.
“Sebastian... che ci fai qui?”
Il ragazzo riportò i suoi occhi verdi, così intensi in quel momento, verso un Blaine che si stava lentamente risvegliando strofinandosi il viso con il braccio libero. Credette che il suo cuore sarebbe scoppiato da un momento all’altro, ma per sua grande fortuna resistette il tempo di far svegliare Blaine completamente, ricevere un suo sorriso languido, sincero, meraviglioso, per poi potersi sporgere verso di lui e sussurrare: “Mi sa tanto che ti amo.”
E no, niente al mondo avrebbe potuto essere paragonato all’espressione di Blaine di quell’istante.
Balbettò qualcosa di sconnesso, si alzò a sedere, Sebastian ridacchiò di fronte al suo pallore perchè era impallidito, quale persona sana di mente impallidisce di fronte ad una dichiarazione? Ma era così bello, così adorabile e oh, aveva così tanta voglia di baciarlo. Ma prima doveva sentire la sua risposta, così, lo fissò solerte, in paziente attesa.
“Ma...” Blaine si guardò intorno, confuso. “Sto sognando? E’ successo qualcosa? Stanno tutti bene? Hai la febbre?”
“In ordine, no, no, sì e ancora no.” Rispose Sebastian, divertito, le loro mani erano ancora intrecciate.
Blaine lo fissò per altro lungo tempo e sembrava sul punto di scoppiare: di felicità, di emozione, di stupore, forse. E poi mormorò intimidito, nel modo con cui solo lui sapeva fare: “Credevo che fosse il continuo del mio sogno.”
“Che cosa stavi sognando?” Sussurrò Sebastian, e si fece più vicino a lui, la sua mano libera andò a posizionarsi sulla su un lato del viso, lavando via una lacrima che era sfuggita ai suoi occhi splendenti.
“Tu”, rispose sincero Blaine, “E io. E stavamo insieme. E ti amavo.”
“E adesso mi ami?” Sebastian fece scorrere il pollice lungo tutta la sua guancia e non riusciva a non fissare Blaine, non riusciva a non sorridere, a sentirsi realizzato, completo, felice, perfetto.
La risposta arrivò un secondo dopo, ed era così ovvia, così bella, che l’unica reazione di Sebastian fu di sorridere un po’ di più.
“Sì. Credo... credo che ti amo da un paio di anni, ormai.”
“Solo un paio?” Scherzò, e Blaine si sciolse di fronte al suo respiro caldo contro di lui, alla loro distanza adesso pressochè inesistente.
Prima di baciarsi, per lungo tempo e con tutti i sentimenti che avevano celato fino ad allora, Sebastian prese il suo viso con entrambe le mani, facendo scontrare la fronte contro la sua.
“Perchè io ti amo da una vita.”



***

Angolo di Fra
Ringrazio Dalila perchè mi ha dato l’idea geniale. E poi vabè, chi l’avrebbe mai detto che mi sarebbe riuscito di scrivere una scena completamente fluffosa? Sono fiera di me. Brava Fra *si dà pacche sulle spalle*
E insomma questa week è finita, grazie a tutti per avermi seguita e spero di rivedervi magari nella long Seblaine (o in quella Klaine, perchè SO che ci sono anche un bel po’ di KlainerZ qui!)

Fra


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