Astro Zombies

di demolitionlover
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo Primo: Chanel and Starbucks ***
Capitolo 2: *** Capitolo Secondo. Bunnies and Games ***
Capitolo 3: *** Capitolo Terzo. Supermarket Part One ***
Capitolo 4: *** Capitolo Terzo. Part Two. Supermarket ***
Capitolo 5: *** Chapter Four: Icecream ***
Capitolo 6: *** Capitolo Quinto: Part One. ***
Capitolo 7: *** Capitolo Quinto: Part Two ***
Capitolo 8: *** Capitolo Sesto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo Settimo. Violence and tears ***
Capitolo 10: *** Capitolo Ottavo. ***
Capitolo 11: *** Capitolo Nono. ***



Capitolo 1
*** Capitolo Primo: Chanel and Starbucks ***


Astro Zombies.
charter one.



“Permesso! Oddio, scusi!” urlavo scusandomi con le persone che urtavo mentre correvo come una pazza per una via di New York. Ero in un fottutissimo ritardo e il mio capo mi avrebbe sicuramente licenziato se non fossi arrivata in anticipo a quella dannata festa.
Una vibrazione mi fece sussultare e mi voltai per capire cosa fosse successo, era il mio palmare che stava squillando, tremando e provocando un terremoto.
“Pronto?” dissi con voce disperata
“Virgi! Dannazione, dove sei?”
Mi guardai intorno grattandomi la testa piena di fiocchi di neve e lessi un cartello.
“Non lo so! Non leggo!”
“Ora sei anche cieca?”
“Senti MIke, per favore ho freddo e non ho la macchina. Non so dove mi trovo e ho un disperato bisogno di un caffè o di una sigaretta. Ho un vestito di Chanel che non mi tiene caldo e sono altamente irritata, quindi non peggiorare la situazione” dissi scocciata alzando il tono di voce non di poco.
“Ok, Virgi ho afferrato il concetto. Senti vedo cosa posso fare, tu vai tranquilla, ti chiamo fra due secondi”
“Va bene, ciao”
Chiusi la telefonata e rimisi il telefono in borsa. Sospirai e mi guardai per la seconda volta intorno. Poi ebbi un’illuminazione. Al fondo di una piccola via tranquilla c’era un bar. Corsi verso il bar e con mia immensa gioia, scoprii che era uno Starbucks!
Mi precipitai al suo interno come un’eroinomane che non si fa da mesi e andai a fare la coda.
Il locale era caldo e piccolo, strano per essere uno Starbucks. Non c’era quasi nessuno, solo coppie innamorate e qualche anima solitaria che non aveva nessuno con cui passare la serata. Sorrisi al pensiero e guardai le schiene dei due ragazzi che mi stavano davanti. Il primo aveva i capelli biondi corti e portava degli occhiali da sole nonostante fosse dentro un locale. Il secondo era moro e portava anche lui gli occhiali da sole.
“Cosa vorreste?” chiese una ragazza dietro la cassa ai due ragazzi.
“Un frappuccino e un caffé forte, grazie” disse il biondo. Quella voce l’avevo già sentita altre volte. Io quei due ragazzi li avevo già incontrati. In quel momento non sapevo dove, ma ero certa di aver rivolto loro già la parola.
“.. Grazie, comunque ti dicev..” Il ragazzo moro si voltò e senza accorgersi della mia presenza, mi andò addosso rovesciandomi tutto il frappuccino addosso. Al momento non riuscii a dire una parola, ero rimasta terrorizzata dalla fine che aveva fatto ill “mio” vestito di Chanel. Non amavo andare in giro con vestiti firmati, ma per le occasioni speciali dovevo indossarli. E quel vestito costava un pacco di soldi e avrei dovuto riportarlo entro tre giorni. Guardai le ultime gocce marroni gocciolare sul tessuto bianco del prezioso abito.
“Merda” sussurrai mordendomi il labbro. Poi il ragazzo si decise a parlare.
“Cazzo, mi dispiace!”
Io alzai lo sguardo sconvolta e furiosa. Gli dispiaceva?
“Ti dispiace?!” dissi incredula
“Beh … si?” Feci una pausa e aprii la bocca guardandolo. Aveva ancora gli occhiali da sole addosso, non riuscivo a guardarlo negli occhi e questo mi irritava ancora di più.
“TI DISPIACE?” ripetei con tono molto più alto di prima.
“Sì!”
“E’ il minimo che tu possa fare! Hai idea di quanto costi questo abito?”
Lui arricciò il naso e scosse la testa
“Cinquanta dollari?”
Io aprii la bocca stupita e cercai di controllarmi. Dopotutto non l’aveva fatto apposta, mi aveva solo rovinato un vestito che costava quanto guadagno in un anno. L’amico biondo si limitava a tacere, sorseggiava il caffè e mi squadrava dall’alto al basso.
“Senti, questo vestito costa più del tuo stipendio, quindi non ti chiedo nemmeno di ripagarmelo, so che non ci riusciresti.. “
Lui interruppe la mia spiegazione ridendo. Anche il ragazzo biondo rideva. Ridevano tutte e due e la cosa mi dava ancora di più sui nervi.
“Beh? Cosa c’é di divertente?”
“Mi sa che la poveraccia sei te..” disse lui facendo un ghigno. Alzai le sopracciglia facendo finta di non aver sentito.
“Prego?”
Si tolse gli occhiali da sole e prese il portafoglio dalla tasca dei pantaloni. Sfilò una mazzetta di banconote che saranno state sui quattromila dollari. “Ecco, questo è quello che ho guadagnato oggi. Ti bastano?”
Lui parlava, ma non lo ascoltavo. Il mio sguardo era fisso sulla sua carta di credito. Una normale American Express, niente di che. Era nera. Nera. Ciò significava che era un personaggio abbastanza ricco per averla di quel colore, ma quello che mi rese pietrificata, ciò che mi fece gelare il sangue nelle vene era il nome inciso a lettere precise sul dorso della carta.
Frank Anthony Iero.
No, non poteva essere. Lui non poteva essere quel Frank.
Non quello stupido e arrogante ragazzino che avevo dovuto sopportare per cinque anni di liceo. Il ragazzo più carino dell’istituto. Il ragazzo che mi aveva preso in giro ogni giorno.
Lo guardai con occhi furiosi. Lui smise di ridere e il ragazzo biondo ebbe un sussulto. Quel sussulto che si ha poche volte, quel sussulto che si prova quando riconosci qualcuno, ma sai che quel qualcuno è arrabbiato o si porta della rabbia dietro, allora provi paura. Paura nei confronti di chi dovrà subire quella rabbia.
“Brutto figlio di puttana di uno Iero” sussurrai in modo capibile.
Frank sbarrò gli occhi . Mi guardò con quei suoi due occhi grandi e verdi che avevo sognato di vedere dolci e mi disse:” Cosa? Ma chi sei? Ci conosciamo?”
Non so esattamente cosa mi prese. Mi passarono davanti tantissime immagini. La festa di fine anno in cui lui mi aveva umiliata davanti a tutti, tutte le volte in cui avevo trovato il banco pieno di scritte offensive, gli scherzi dopo le lezioni di ginnastica. Tutto quello diventò una bomba dentro di me e decisi, in quel piccolo Starbucks, di lanciargliela.
Gli diedi un pugno forte e poi cominciai a riempirlo di piccoli schiaffetti. Il pugno gli aveva fatto sicuramente male, ma stava bene. Poi sentii due mani togliermi da lui e tenermi in disparte.
“Virginia, non ne può niente lui..” disse una voce accarezzandomi i capelli e abbracciandomi. Era il ragazzo biondo. Ma io cercai di tornare per terra a picchiarlo, ma il ragazzo biondo fu più veloce di me. Mi tenne stretta fra le sue braccia, come faceva un padre con la figlia.
“Ti ricordi di me?” sussurrò il ragazzo con ancora gli occhiali addosso. Frank giaceva per terra con il naso un po’ sanguinante e lo sguardo su di me, quella ragazza carina che lo aveva completamente sconvolto per un motivo ancora a lui ignoto.
Mi voltai verso il ragazzo alzando la testa e lui si tolse gli occhiali dal viso. Sorrisi e annuii. Come scordarsi di lui, era stato la spalla destra di Frank .
Gerard Way. Non aveva mai approvato gli scherzi di Frank, però era comunque il suo migliore amico.
“Ma che diavolo succede qua?”
Una voce estranea ci fece girare tutti. Un signore vecchio con uno straccio sporco sulla spalla ci guardava in modo abbastanza scocciato. Cosa stava succedendo? Bella domanda.
Non lo sapevo nemmeno io. Cosa avrei potuto rispondergli? Scusi, ma questo ragazzo è un figlio di puttana che mi ha fatto vivere cinque anni infernali e avevo bisogno di tirargli un cazzotto.
Frank si tastò il naso ancora sanguinante e alzò le spalle facendo finta di niente non sapendo che dire.
“Niente, è che sono sposati.. E sa com’è.. I primi mesi non è facile..” disse inaspettatamente Gerard. Io e Frank lo guardammo con aria stupita e sconvolta. Una scusa migliore poteva trovarsela.
“Mh.. Sì, capisco, ma non mi create casini qua.. intesi?” disse il signore guardandoci ancora incerto. Noi tre annuimmo e, una volta che se ne andò il vecchio, io guardai sconvolta Gerard.
“Eddai, cosa potevo dire? Dopotutto tu gli hai dato un pugno per niente..” poi ridacchiò “.. e che pugno!”
“Taci, Gerard” disse finalmente Frank in tono acido.
Un silenzio calò fra di noi. Non sapevo veramente cosa dire, ero troppo incazzata. Sospirai guardando la macchia di caffé sul vestito. Gerard si accorse di me e poi mi prese per un braccio ed aiutò Frank ad alzarsi da terra.
“Sentite, andiamo a casa mia, così ci scaldiamo, chiariamo e magari mangiamo qualcosina, ok?”
“Assolutamente no! Io non voglio chiarire con quella sottospecie di animale!” esclamò Frank
“Io animale?” dissi lanciandomi un altro volta su di lui.
“BASTA!” disse separandoci violentemente. Aprì la porta e ci buttò fuori dal negozio. Ci raggiunse e poi, guardandoci minaccioso, disse: “Non me ne frega niente se vi odiate, ora andiamo a casa mia e non rompete”
Annuii obbediente e poi guardai male Frank per l’ultima volta. Lui mi fece una boccaccia e si avviò con il cappuccio sulla testa verso la fine della via. Io guardai sospirando Gerard e seguimmo Frank. ma Il mio telefono squillò per la seconda volta.
“Pronto?” dissi con tono ancora più disperato di prima.
“Virgi? Dove sei?”
Mi allontanai di un po’ per non far sentire la mia conversazione al telefono e finalmente parlai.
“Sono con due miei ex-compagni del liceo”
“Ah, beh divertiti!” disse con tono sarcastico.
“No senti MIke, c’è un problema”
“Hey, è successo qualcosa di brutto?”
“No è che.. Uno di quei due.. insomma .. gli ho dato un pugno per vendetta e ora vado a casa dell’altro, perché ho macchiato il vestito di Chanel e giuro che ora vorrei solo poterlo uccidere con le mie mani..”
“Ok, Virgi, frena. Non ho capito niente, ma non importa. Lascia stare, risolvi lì e cerca di portare intatto il vestito, ci penso io qua”
“Grazie MIke, ti amo”
“Magari lo facessi davvero” disse ridendo.
Sorrisi fra me e chiusi il telefono. Guardai la scena. Frank era appoggiato al muro che si lamentava dal dolore al naso, Gerard stava aprendo la porta principale di un palazzo a tanti piani, nel quale doveva esserci sicuramente casa sua. Era troppo strano. Mi trovavo in una via dei quartieri più ricchi di New York, con un vestito di Chanel macchiato, avevo colpito Frank Iero e stavo per entrare nella casa di Gerard, il suo migliore amico.
A quel punto avrei preferito sorbirmi due ore di conferenza sul nuovo cdi di Paris Hilton, piuttosto di stare in una casa con quella testa di cazzo di Iero.




Dunque ecco la mia nuova fanfiction. Dunque non so se Frank abbia o no l'American Express, Gerard non ha nemmeno un appartamento a New York, quindi tutta mia fantasia! Spero che vi piaccia e recensite! :D

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Capitolo 2
*** Capitolo Secondo. Bunnies and Games ***


Ok, lo so sono in ritardo e non ho aggiornato niente! Ma ho avuto tantissimo da fare con la scuola, amore, gite, vacanze di pasqua. Ho scritto apposta un capitolo lungo! Spero che vi piaccia, anche se so che è un casino ed è un’idea folle, ma voi leggete. Magari, che ne so, riderete o magari vi strapperete i capelli chiedendo pietà. La vita è incredibile. Buona lettura. ;)

Giuxbouvier: ahaha. Si sarebbe carina come scena, però rovinare il naso di Frankie mi farebbe veramente dispiacere XD

Fteli: perché ci sono altre ff? XD comunque sìììì è tanto divertente picchiarlo! Ha ‘sta aria innocente. Comunque ho corretto la roba dei piani, ahaha era l’una di notte, capiscimi :D

Elyrock: ciau soreeee! <3 grazie mille! Tutti noi vorremmo picchiare così qualcuno, soprattutto Frank (ma dopo fare la pace con lui eheh)

etoil noir: hey grazie! Mh no, però ne scrivevo sui SP!

Lady Numb: Sei una veggente vero? :D comunque grazie mille!

Per tutte le altre che hanno recensito, grazie ancoraaaa! Spero che vi piaccia anche questo chap.





Charter Two.

Entrammo tutti e tre in quel palazzo così silenzioso. Non ero mai stata in un posto così. Era uno di quegli edifici simili a dei grattacieli, in cui tutto è lussuoso e moderno e le persone che vivono al loro interno sono stramiliardari. Presi la borsa e spensi il cellulare, per evitare altre telefonate. Frank e Gerard entrarono nell’ascensore e aspettarono che io entrassi, ma ero troppo presa da quello strano posto.
“Se magari ti dai una mossa, io posso medicarmi..” disse Frank curvando la bocca infastidito. Io gli feci il verso ed entrai sbuffando nell’ascensore grigio metallizzato.
“Sei proprio insopportabile” dissi sospirando e attorcigliandomi una ciocca di capelli castani. Gerard cominciò a ridere davanti ai nostri battibecchi e quando uscimmo dall’ascensore, tirò fuori un mazzo di chiavi.
“Allora, cosa vorreste da mangiare?” chiese una volta che fummo entrati dentro l’appartamento.
Frank si sdraiò subito su un grosso divano, io rimasi di nuovo stupita da quella casa. Era semplicemente stupenda. Avete presente quelle case che vedete solo nei film, in cui le finestre sono delle enormi vetrate che danno sulla città?
Ecco, la casa di Gerard è così.
“Ma voi…?” chiesi guardando Gerard che chiudeva la porta.
Gerard mi sorrise in modo innocente e appoggiò il mazzo di chiavi su un tavolino.
“Cosa faccio per guadagnare tutti questi soldi?” mi chiede dirigendosi verso un ampio salone. Io annuii seguendolo come un cagnolino fedele.
“Beh, canto” disse voltandosi e sorridendomi.
“Ah. Canti. Capisco” No non avevo proprio capito niente, ma era meglio non apparire troppo stupida di fronte a lui.
“Deficiente, canta in una band” La voce di Frank si sentì da dietro le nostre spalle.
Io mi voltai e incontrai lo sguardo con Frank, il quale era sdraiato comodamente su un divano bordeaux. Aveva le braccia incrociate dietro la testa, la macchia di caffè sulla maglietta e un sopracciglio alzato.
Aprii la bocca per parlare, ma poi la richiusi. Sarebbe stato semplicemente inutile.
Insomma, lui era Frank Iero. Il ragazzo antipatico con l’hobby di stressare la gente!
“Frank..” disse Gerard con un tono di voce simile a quello di un genitore che sgrida il proprio figlio. Io afferrai un cuscino e lo sbattei in faccia a Frank.
“Tu deficiente a me non lo dici!”
“E tu non mi tiri cuscini sulla faccia!”
“Te lo meriti, caro mio!”
“Brava, ora mi sanguina di nuovo il naso!”
“Basta!” urlò per la seconda volta Gerard, cercando di porre fine ai nostri litigi.
“Frank e Virgi, per favore finitela. Ora mangiamo tranquilli e poi vi dirò una cosa che mi è venuta in mente”
Calò un lungo silenzio in quella grande casa. Io e Frank annuimmo obbedienti.

“Frank è pronto!” disse Gerard scolando la pasta. Girai ancora un po’ il sugo che avevo appena preparato e poi lo aggiunsi alla pasta. Frank si sedette lentamente sullo sgabello e poi si alzò il cappuccio della felpa e lo mise sulla testa.
“Ecco qua!” disse Gerard sorridendo, mi passò la pentola per farmi servire.
“Perché dovrei servire io?” chiesi con tono difensivo.
“Perché TU hai fatto la pasta!” mi rispose Gerard con quella sua strana contentezza addosso. Cosa lo rendeva così felice?
“Chi l’ha fatta?” chiese Frank facendo finta di non aver capito. Mi voltai a guardarlo. Aveva sul viso un’espressione di disgusto. Quel ragazzo mi avrebbe fatto prima o poi perdere la pazienza.
“Dammi qua” ordinai a Gerard che mi passò subito la pentola. Mi diressi verso Frank, presi una mestolata di pasta e poi la buttai sulla maglietta di Frank, che mi guardò in modo sconvolto.
“Oopps. Non l’ho fatto apposta, mi dispiace” dissi sorridendo in modo maligno. Lui prese il mestolo dalle mie mani e fece la stessa cosa, lanciandomelo sul vestito.
Spalancai la bocca dallo stupore e poi lo guardai con odio. Non era possibile. In quei cinque minuti avrei potuto andare in Russia, costruire una bomba atomica e mettergliela nelle mutande, ma purtroppo non potevo.
Cominciammo a picchiarci, ma per la seconda volta, Gerard ci divise come se fossimo due bambini che si contendevano il ciuccio o il passeggino. Ci afferrò per un braccio e ci portò dentro al bagno. Io e Frank eravamo talmente impegnati a darci dei colpetti, che non avevamo sentito il suono dell’acqua che riempiva la gigantesca vasca da bagno.
Ad un certo punto, Gerard ci buttò dentro la vasca vestiti, dentro un’acqua gelida.
Io urlai dal freddo e Frank si guardò intorno sbalordito.
“Ora mi avete francamente rotto!” urlò Gerard.
Calò un silenzio veramente tombale nel grande bagno. Gerard aveva gli occhi arrabbiati, ci lasciò andare e si sedette sulla tavoletta del cesso lì vicino e sospirò.
Ancora silenzio.
Gerard si leccò le labbra e sorrise.
“Vi piacciono i giochi?”
Io e Frank ci guardammo preoccupati. Non era una bella domanda, potevano esserci troppi significati dietro quelle semplici parole.
“In che senso Gee?” sussurra Frank con un sopracciglio teso.
“Nel senso che vi propongo una sfida. Vi dirò il motivo per cui ve la propongo solo dopo che la sfida sarà finita”
Capivo ancora meno di prima. Cosa stava intendendo?
“Che tipo di sfida di tratta?” chiesi guardandomi le unghie delle mani.
“Una sfida di .. uhm.. resistenza, se si può chiamare così” sorrise in modo amabile “Dunque, voi due siete simili e non lo capite, anzi litigate per un unico motivo. Il passato. Secondo me avete tantissime cose in comune e non lo sapete, anzi non lo volete sapere! Così ho pensato di..” fece una pausa che durò un secolo “.. lasciarvi per un mese qua dentro. Avrete un programma da seguire ogni giorno, dovrete rispettarlo o sennò perderete”
“Cosa perdiamo?”
“Il premio”
“E cioè?” chiesi quasi sul punto di ridere dal momento che mi trovavo in una situazione veramente incredibile.
“Una barca gigantesca che potete rivendere od usare a vostro piacere”
Calò di nuovo il silenzio di prima.
Frank pensava sicuramente a cosa avrebbe potuto fare con quella barca, magari fare una festa con tante ragazze bionde e facili da portare a letto, Gerard pensava al suo piano “ingegnoso” e io.. Io pensavo a come avrebbe potuto essere un mese con il ragazzo, anzi uomo, più odioso di tutto il pianeta.
“E se uno si arrende?”
“Beh, giocate e poi vedrete”
Gerard aveva un sorriso troppo convinto, che quasi mi faceva paura. Come se lui avesse saputo la fine di quel gioco. Però una barca mi avrebbe fatto anche comodo, ragionai sorridendo fra me stessa.
“Io accetto” mi precedette Frank facendomi uno sguardo di sfida.
“Anche io” dissi con lo stesso tono.
“Stringetevi la mano allora”
Io guardai sbalordita Gerard. Non avevo intenzione di stringere la mano a quell’animale. Neanche sotto tortura. Mi faceva schifo per principio.
“Se non lo fate, non potrete cominciare a giocare” ci sgridò Gerard.
Io e Frank ci guardammo incerti e un po’ disgustati. Poi tesi la mano tremando e lui la strinse in modo insicuro. Dovetti ammettere una cosa, aveva delle belle mani. Lisce, morbide e calde nonostante fossimo in un’acqua paragonabile a quella del Polo Nord.
“Ok allora posso andare”
Gerard si alzò dalla tavoletta del water e si diresse fuori dal bagno. Io e Frank saltammo fuori dal bagno veloci per inseguirlo.
“Gerard!” urlammo fermandolo.
Eravamo tutti e due bagnati fradici, tantissime piccole goccioline di acqua fresca bagnavano il pavimento pulito, eravamo un po’ spaventati dall’idea di stare tutti e due con una persona che odiavamo da secoli. Gerard si voltò e ci sorrise con dolcezza.
“Queste sono le chiavi della casa, tutto quello di cui avete bisogno lo trovate in quell’agenda lì sopra il bancone”
“Anche il motivo per cui tutto d’un tratto hai deciso di fare questa cosa?” chiesi io guardandolo confusa.
Lui scosse la testa ridendo e mi accarezzò una guancia.
“No Virgi, quello lo scoprirai da sola e anche tu Frank. Avevo preparato questa cosa da molto tempo ormai, però non ho mai avuto il momento per applicarla.
L’avevo fatta per me stesso, ma poi ho deciso di farlo con voi”
Annuii anche se non avevo capito niente e lo guardai negli occhi. Lui ci sorrise un’altra volta e uscì dalla porta silenziosamente.
Una volta che la porta si agganciò alla sua serratura, calò un silenzio tombale fra di noi. Non sapevo veramente cosa dire, avevo troppi pensieri e troppe domande per la testa per riuscire ad iniziare una conversazione.
“Penso che dovremmo andare a cambiarci” dissi guardando Frank che era rimasto come incantato davanti alla porta.
“Come sei perspicace” rispose con tono acido.
“Fottiti” gli dissi piano e poi aprii l’agenda che doveva essere come una guida per quel gioco così folle.
Prima notte: Dormirete insieme nel letto matrimoniale della mia stanza. Frank hai il tuo borsone con dei vestiti vicino al letto, presta una maglietta a Virgi, domani un ragazzo le porterà una valigia con i propri vestiti.
“Dormire insieme?” dicemmo sbalorditi allo stesso tempo. Evidentemente anche lui aveva letto.
“Io non dormo con uno come te”
“Vaffanculo”
Gli feci la linguaccia e lui ricambiò allo stesso modo. Sì, eravamo due bambini, ma era più forte di me. Non ce la facevo a trattarlo bene, non riuscivo a perdonarlo per tutto quello che mi aveva fatto passare.
“Vado in bagno” dissi chiudendomi a chiave dentro quel gigantesco bagno. Presi la borsa che avevo portato con me e cercai il cellulare.
Feci in fretta il numero di Matt.
“Ciao amore, senti domani verrà un ragazzo a prendere dei miei vestiti. Sto partecipando ad una specie di gioco… tipo un reallity..”
“In che senso, Vì?”
Lo sapevo che era preoccupato. Potevo già immaginarmelo con gli occhi azzurri spaventati.
“Nel senso che per un mese non mi vedrai, sto.. uhm.. facendo una specie di cosa speciale per il giornale..”
Ecco, una cosa che odio. Mentirgli. Matt mi scopre subito.
“Ok, però stai attenta. Ti metto un po’ di vestiti dentro un borsone allora?”
“Sì grazie”
Ci fu silenzio. Pensavo a quello che aveva appena detto Gerard. Cosa significavano le sue parole? E quel sorriso che aveva come se fosse a conoscenza della fine di questo gioco. Forse non avrei dovuto accettare, forse sarei stata in pericolo con quella specie di Tartan Acido Versione Ventesimo Secolo.
“Chicca, ci sei?”
La voce di Matt mi riportò alla realtà.
“Certo, allora vado a dormire. Notte”
“Ti amo”
“Ti amo anche io” Bugiarda. Davvero lo amavi? Chiudo il cellulare e mi guardai allo specchio. I capelli si erano leggermente asciugati, ma la macchia di caffè era ancora lì a dominare il centro del vestito bianco.
“Ti muovi?” urlò Frank fuori dal bagno. Sbuffai e aprii la porta.
“Voglio fare la pipì” mi disse guardandomi arricciando le sopracciglia. Annuii con indifferenza e presi uno spazzolino color malva da sopra il lavandino.
“Ma che stai facendo?”
“Mi sto per lavare i denti. Problemi?”
“Io vorrei pisciare”
Alzai le spalle. “Falla”
Oddio. Cosa avevo appena fatto? Avevo invitato Iero a pisciare davanti a me? Oddio. Lui mi guardò in modo strano e poi si voltò dandomi le spalle verso il water. Aprii l’acqua per bagnare lo spazzolino e poi cominciai a spazzolarmi i denti cercando di non portare lo sguardo verso lo specchio.
Pregai che quel momento finisse presto, era così imbarazzante stare in bagno con lui che pisciava a pochi metri da me.
Tirò l’acqua e si tirò su la zip dei jeans con indifferenza.
“Grazie” sbottò.
“Prego” sbottai io di rimando guardandolo uscire con passo trascinato. Sospirai e poi mi sciacquai la bocca.
Afferrai tutta la mia roba ed entrai nella camera da letto. Era una camera color acqua-marina, con un letto a due piazze e una televisione abbastanza nuova e costosa attaccata alla parete. Frank stava trafficando, seduto sul letto, con una borsa e imprecava su un sacchetto che non si apriva.
“Mi dai una maglietta?”
Lui continuò a trafficare come se non mi avesse sentito. O faceva finta di sentire? Tipico da parte sua.
“hai sentito?”
“Sì, ho capito dannazione. Non vedi che sto facendo una cosa?” chiese lui irritato. Io sbuffai e mi sedetti vicino a lui a guardare cosa stesse facendo. Aveva in mano un sacchetto chiuso da due nodi, ma lui non riusciva ad aprirlo.
Gli afferrai il sacchetto dalle mani e, grazie alle mie unghie fresche di manicure, riuscii ad aprirlo.
Gli feci un sorriso tirato e mi alzai a prendere una maglietta da un cassetto aperto contenente sicuramente la sua roba, dato che c’era una maglietta uguale a quella che indossava in quell’istante.
Mi tolsi il vestito e mi infilai quella maglietta. Aveva stampata sopra la faccia di Jack Skeleton che sorrideva. Sorrisi anche io e poi entrai nel letto che, in quel momento, mi sembrava il posto più bello del mondo.
Quando Frank spense la luce, cominciai a pensare. Pensai a come la vita ti possa bussare alla tua porta e farti un regalo. Bello, se ti porta la persona che amerai per il resto della tua vita, brutto, se ti porta una persona che hai odiato per anni e da cui hai ricevuto solo insulti. Io di Frank ne ero innamorata. E lui lo sapeva. Anzi approfittava di quella informazione, per ferirmi ancora di più di quanto gi facesse.
Ma le cose ora erano cambiate. Io ero fidanzata, avevo uno splendido lavoro ed ero cambiata. Ma mi trovavo in un letto vicino a lui.
“Ah, grazie per il sacchetto.. Bunny” Bunny?
“Bunny?” ripetei. Per fortuna ero al buio e non avrebbe mai potuto vedere la mia faccia.
“Sì, Bunny. Il nome che ti avevo dato quando eravamo.. uhm..”
Cos’eravamo prima di scannarci in quel modo? Mi ricordai di un Frank Iero sorridente, gentile e disponibile. Ma erano immagini confuse, totalmente sfocate.
“.. eravamo amici?” finii la frase con un certo tono di insicurezza.
Lui fece una pausa e poi sospirò.
“Sì, amici. E’ una parola difficile da dire” dice ridendo imbarazzato. Non sembrava lui. Aveva un tono di voce strano, insolito per lui. Quasi.. gentile.
“.. è difficile quando non la dici per tanto tempo”
Frank stette zitto e pensai quasi che si fosse addormentato. Ma vidi che era a pancia in sua e stava pensando, sicuramente alle mie parole.
Io non mi riferivo a lui ma, a quanto pareva, era sempre stato senza amici, nonostante fosse stato il “più carino del liceo” e il “più popolare”. Ironica la vita.


Recensite?

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Capitolo 3
*** Capitolo Terzo. Supermarket Part One ***


Hola a tuttiii! Ecco con il terzo capitolo. Ho scritto un casino, lo so T_T è che sono tutti gli spazi che occupa sta fanfiction, non è colpa mia! Appunto per questo dovrò dividere questo capitolo in due parti, perché l’altra parte non mi sta :D quindi cercherò di postare l’altra parte il più presto possibile.
Dunque, sono contenta che vi piaccia la ff, anche se io la considero un po’ da folli, cioè non so nemmeno io da dove mi sia partita sta idea della prova °-° (vedo troppa tv)
Spero che vi piaccia anche questo chap e vi dico già che nei prossimi capitoli ci saranno tanti litigi, tanti morsi (ghgh), tanti imbarazzi e tanti casini. Quindi, bho, io vi ho avvertito! piccolo appunto, mi potete dire in che stile è scritta la storia? cioè Verdana, Tahoma, Comic Sans, perchè io non capisco niente XD . grazie mille


@Frytty: uh sono felice che ti faccia morire dalle risate! :D ne combineremo taaante. Vedrai :D

@ Emily: chissà chi è ‘sta qua! AMORAA! <33 beh questa spero di finirla :°D e non essere volgaaaree! Ahaaha. Povero Iero, ora è considerato anche un “essere” <33333

@fteli: oddio mi piace troppo quella ff! E il modo in cui viene descritto Frank è semplicemente mitico! Qua Iero è insopportabile, ma non ficcanaso. Almeno quello, anche se lo sarà. Sì, lo dirò con chi lo voleva usare quel gioco, Gerard :D

@Lady Numb: No no, tu sei una veggente e basta ù___ù hai azzeccato (ma no) sul fatto delle sorprese. E poi sì, gli occhi di Frank sono I migliori di tutti, insuperabili *faccina inamorata*>

@linkin park, wow grazie! Mi fa piacere che ti piaccia, spero che ti piaceranno anche I prossimi capitoli :°D baci

@buzzy_d: oh yeah, il famoso Matt-dagli-occhi-azzurri-preoccupati è Matt Good, il chitarrista dei From First To Last. Brava ;) sì lo so, sono sempre in ritardo ehehe *si nasconde dietro Frank* solo che non ho mai tempo! :D spero che ti piaccia anche questo <3

@Juliaaa: hola caraa! Ahaha brava! Solo che in questa ff è un po’ complicata la roba XD cioè solo io potevo trovare una trama come questa lol. Non so come sia la casa di Gerard, anche perchè PURTROPPO non ci sono mai stata XD però gli auguro di averla una casa così. Ciao bella

@_Deah_: oh che figata ho trovato qualcuno che dice Madoo come meee! Awww ti adoro già :D comunque grassie! Spero che ti piaccia il capitolo e spero anche di non farti aspettare con il prossimo cap!

@Elyrock: ovvio che tu lo sai cosa succederà, sei la mia soree <333 sono contenta che tu sia tornata, perchè non so se ricordi, ma devi continuare la ff! ihihih ti voglio benissimo <3



Chapter Three- Part One


Crash!
“Porca puttana!” Aprii gli occhi assonnata e disturbata da quel rumore che derivava dalla cucina.
Oddio. Magari erano entrati i ladri in casa. Oddio. Spalancai gli occhi di colpo e corsi fuori da letto. Scorsi, dentro l’armadio aperto, una mazza da baseball. Avrebbe potuto essermi d’aiuto in qualsiasi possibile lotta.
Cercai di fare il meno rumore possibile, in modo da poter cogliere quel ladro in flagrante.
Afferrai la mazza da baseball e aprii la porta della stanza lentamente, senza fare rumore, poi mi diressi verso la cucina. Un uomo era chino dietro il bancone, non riuscivo a vedere la sua faccia, ma feci il giro così, quando lui si alzò con la schiena, lo colpì alla testa.
“Argh!” gridò lui cadendo per terra con la testa sicuramente dolorante.
“Aha! Volevi ingannarmi eh! Ma io ti ho beccato!” dissi con tono trionfante.
“Ma che, sei scema?”
L’uomo si voltò. Oddio. Era Iero. Non era possibile, avevo scambiato Iero per un ladro. Ma allora quel rumore..? Spostai lo sguardo un po’ più lontano e vidi i resti di quello che doveva essere stata una tazza della Disney.
Poi riguardai Iero, che aveva la mano sulla testa e un’espressione da omicida.
“Scappa” mi disse furioso. Scappa?
“In che senso?”
“Scappa, perché sto per ucciderti”
Mi ci vollero esattamente due secondi per far arrivare al mio cervello il comando disperato di scappare. Così corsi via cercando un nascondiglio, mentre lui mi rincorreva insultandomi e gridando come un folle.
Non era possibile. La prima mattinata che passavo in quella casa poteva essere paragonata ad una puntata della serie “Tom e Jerry”. “Ma non ho fatto niente di male!” urlai correndo intorno al tavolo da pranzo.
“Niente di male?!?! Mi avrai appena distrutto metà dei neuroni che ho nel cervello!”
Mi voltai sorridendo e mi fermai.
“Come è possibile? Tu non hai neuroni”
Lui si fermò senza aver capito le mie parole poi, quando ricollegò tutto, ridusse gli occhi a fessure e ricominciò a rincorrermi ancora con più rabbia.
Drin Drin.
Io mi voltai per guardare il telefono che squillava così, Iero ne approfittò per tirarmi dalla maglietta e cademmo tutti e due per terra.
“Ahi” dicemmo allo stesso tempo.
Drin Drin.
Ci guardammo negli occhi. Un’altra sfida. Con Iero, tutto era una sfida. Ci buttammo tutti e due sul cordless che suonava incessantemente, ma io fui più svelta così schiacciai il bottone della chiamata e risposi.
“Pronto..?” dissi con il fiatone. Frank sbuffò come un bambino che aveva appena perso una scommessa.
“Ciao Vi, sono Gerard! Ti sento.. uhm.. affaticata, ho interrotto qualcosa?”
Nonostante Gerard non fosse lì, diventai viola dall’imbarazzo e Iero, accorgendosene, mi rubò il telefono dalla mano.
“Hey, ce l’avevo io!” dissi dandogli dei piccoli pugni sulla schiena “Pronto? .. ahia! Stai buona!”
“Ma che succede lì? Mi sembra di aver chiamato un centro per bambini esagitati!”
“Hey Gee! Grazie al cielo! Non sai che succede qua, non ne posso più.. AHIA!” urlò ad un tratto “Ahia Gee, ‘sto animale mi ha appena morsicato il braccio!” piagnucolò come un neonato.
Io sghignazzai e andai a preparare qualcosa da mangiare in cucina.
Mi guardai intorno. Via libera. Se ne era andata.
“Hey Gee” dissi riprendendo il telefono.
“Eh ciao. Se ogni volta che dovrò chiamare sarà così, cavolo allora faccio che prendermi una segretaria che sta qua ad aspettare i vostri comodi”
Era proprio scocciato. Gerard, quando aveva quel tono di voce, assomigliava molto ad una donna con crisi premestruale.
“Ok Gee, dai non ti incazzare. E’ che quella ragazza.. argh, la ucciderei se potessi. Non fa altro che farmi innervosire! E sono solo dodici ore che siamo dentro in questa casa!”
“Eddai che sarà mai!”
“Mi ha tirato una mazza da baseball in testa”
Ci fu un minuto di silenzio.
“Davvero?”
“Se”
Un altro minuto di silenzio. Ma a cosa stava pensando quella ragazza quando me l’ha tirata?
“Aahahaahaha”
Non ci potevo credere. Io avevo appena ricevuto una mazzata da baseball in testa e un morso da un animale, e il mio migliore amico rideva sguaiatamente dall’altra parte del telefono.
“Dimmi che non è vero!”
“Cosa? Ma perché ridi?”
“Perché è troppo assurdo, cioè sono dodici ore che siete lì dentro e ti ha tirato una mazzata in testa ahahaha!”
“Quando hai finito di ridere, dimmelo” dissi in tono acido.
“Eddai, Frank non essere acido, è che è divertente tutto qua”
“Divertentissimo guarda..” feci una pausa e mi sedetti con la schiena contro il muro. La osservai da lontano. Un profumo di uova strapazzate mi fece venire l’acquolina in bocca. Oddio Frank, non ti fare tentare. Lei è una strega.
“Frank? Ci sei?”
“Certo. Stavo solo.. uhm.. niente”
“La guardavi vero?”
“No, perché dovrei? Cos’ha di speciale?”
La guardai attentamente. Era seduta sullo sgabello e sfogliava una rivista con il meno appoggiato su un palmo della mano. Beh per essere bella, era bella. Ma era out per me. Lei si accorse che la stavo guardando, così mi fece la linguaccia.
“Dicevamo?” dissi girandomi dall’altra parte.
“Vi ho chiamato per dirvi che la prima prova è di andare al supermercato insieme”
“No Gerard, questo non me lo puoi fare”
“Io vado, i particolari sono scritti dentro l’agenda accanto al telefono”
“No, Gee!”
“tutututu”
Quel bastardo aveva attaccato. Chiusi il telefono e sospirai rassegnato. Questa prova si stava rivelando più difficile di quanto avessi potuto credere. Guardai l’agenda vicino alla base del cordless e l’afferrai.
Ma dove aveva preso il tempo Gerard per creare questo gioco? Ma soprattutto, perché?
Prima prova.

Sapevate che uno dei metodi di terapia di coppia è proprio il fare la spesa insieme? Si dice che fare la spesa aiuti a conoscersi, a relazionarsi e forse, a fare pace.
Vi do un compito. Alla fine della settimana ci sarà una cena, quindi cominciate a comprare gli ingredienti necessari. Voglio che cuciniate una portata a testa, in modo che io vi possa giudicare individualmente.
Le regole: niente botte al supermercato, potete andare in prigione.

Mi scappò un sorriso. Certo che Gerard di fantasia ne aveva fin troppa. Afferrai l’agenda e mi diressi in cucina, dove Virginia stava imburrando una fetta di toast un po’ bruciato.
Guardai un po’ disgustato quella fetta di toast.
“Che c’è ora?” disse lei sbuffando e roteando gli occhi in un modo troppo strano. Non avevo mai visto nessuno fare quel gesto.
Nessuno a parte mia madre. Lo faceva sempre quando io entravo in cucina e guardavo male quelle sottospecie di brodaglie che mi faceva ingerire da piccolo.
“Non c’è altro da mangiare?”
“No, il frigo è vuoto”
“Proprio di quello ti devo parlare” dissi sedendomi sullo sgabello di fronte a lei.
“Cosa è successo, ti sei mangiato tutta la dispensa in una notte? Infatti ti vedo un po’ ingrassato..” disse lei addentando la fetta ridendo. Io sbuffai e mi passai una mano tra i capelli.
“Ho appena letto la prima prova”
“Cioè?”
“Dentro l’agenda, no? Ci sono le prove che dobbiamo superare”
“Ah. E allora?”
“Beh.. dovremmo.. andare a fare la spesa insieme”
Lei spalancò gli occhi e sussurrò un ‘non è possibile’. Annuii e poi sospirai un’altra volta.
“Leggi” le diedi l’agenda.
Dlin Dlon.
“Vai te” disse lei senza staccare lo sguardo dall’agenda. “perché?”
“Perché sì, io non ho tempo”
“E cosa staresti facendo di così tanto importante?”
“Leggendo”
“Oh mi scusi, deve essere dura leggere con tanto impegno. Ti fa male la testa, tesoro?” dissi prendendola in giro.
Dlin Dlon.

“Vai” mi ordinò una seconda volta con tono serio.
Io mi alzai dallo sgabello e mi diressi verso la porta che continuava a suonare.
“Arrivo, che palle”
Aprii la porta e mi trovai davanti un ragazzino sui diciassette anni con una contaminazione di brufoli sul viso che aveva vicino una valigia, da almeno trenta chili, che sembrava sul punto di scoppiare. “Lei è Mrs Brody?” chiese con un accento giovanile.
“Scusa eh, ma ti sembro una donna?”
“Beh al giorno d’oggi si possono cambiare i sessi”
Sbattei le ciglia per l’affermazione idiota che aveva appena fatto sto brufolo vivente.
“Comunque è di là, perché?”
“Questa è la sua valigia, faccia una firma qua, così me ne posso andare”
“Ok” afferrai la penna che mi stava porgendo e firmai velocemente su un foglio. Dopo che il ragazzo se ne andò, rimasi a guardare la valigia shockato.

“Beh, che succede qua?” dissi arrivando da dietro. Iero fissava qualcosa davanti alla porta aperta, così mi affacciai e vidi che c’era la mia gigantesca valigia contenente i miei milioni di vestiti!
“Aaaah!” gridai saltellando da una parte all’altra. Mi fermai dato che Iero mi guardava come se fossi stata una folle.
“Vieni aiutami a portarla dentro”
“Ma neanche per sogno” disse ridendo.
Io lo guardai male e lui cambiò subito espressione.
“Ok, ti aiuto. Ma solo perché non voglio che mi mordi un’altra volta” disse aiutandomi a trascinare la mega valigia all’interno della casa. Dopo averla portata dentro la camera, la aprii e feci dei gridolini di gioia. Frank mi guardava con la stessa espressione di prima, ma non mi avrebbe mai potuto capire, lui non era una donna.
“Ok, io mi vado a cambiare, così facciamo sta cosa”
Lui annuì vagamente e io presi i vestiti che mi dovevo mettere ed entrai nel bagno chiudendomi a chiave per evitare imbarazzi.
Per fortuna era domenica, il giorno dopo sarei andata a lavorare. In teoria quel gioco valeva solo di sera.
Mi tolsi la maglietta di Frank e andai sotto la doccia. Pensai a tutto quello che era successo in quegli ultimi cinque anni.
Era stato difficile dimenticare Frank, dopotutto ero innamorata di lui. Ma quando si cresce, per fortuna, svanisce tutto. O quasi. E se mi fossi innamorata di nuovo di lui alla fine del gioco? Cosa avrei fatto? Ma soprattutto, come avrei fatto?
“Hey Tigre, sbrigati sono già le undici!” urlò Frank bussando la porta del bagno. Chiusi l’acqua e mi vestii velocemente.
Quando aprii la porta, vidi Frank, seduto sulla poltrona blu, che sfogliava un giornale con concentrazione. Aveva i capelli neri scompigliati in modo, stupido da dire, ordinato. Non so cosa mi prese, ma vedendolo lì, seduto e vestito in modo ordinato, pensai subito a un’idiozia.
“E’ fidanzato?”
Oddio. L’avevo detto ad alta voce. Lui alzò gli occhi dalla rivista e mi guardò in modo interrogativo scrutandomi dall’alto al basso.
“Cosa hai detto?”
“Niente!” risposi in modo difensivo.
“Sicura?” mi chiese sospettoso
“Certo! Senti le voci per caso?”
Lui mi fissò ancora come se fossi stata la prova di un delitto. Cercai di rimanere il più possibile rilassata, ma non era un’impresa molto facile. Perché penso ad alta voce?
“Allora, andiamo?”
“Aha” annuì alzandosi dalla sedia. Prese le chiavi della macchina e uscimmo tutti e due dal palazzo.
Cercai di non pensare a fare la spesa con lui, Iero. Sicuramente qualcosa avrebbe dovuto accadere.

Recensite?

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Capitolo 4
*** Capitolo Terzo. Part Two. Supermarket ***


Buuuh! Sono tornata Per perseguitarvi con ‘sta fan fiction! Sembra che vi piaccia, ma non importa, io sono ancora convinta che faccia schifo. Comunque, ora posto la seconda parte del capitolo tre dato che, avendo delle mani che non si fermano mai di scrivere, ho deciso di dividerlo.
*brava Virgi sei un genio* Dunque, dovrete sorbirvi ancora per un po’ i battibecchi fra Frank e Virgi, quindi prendete precauzioni *sembra che dobbiate fare qualcos’altro, ma vaaaaabene*. Mi è uscita un po’ male questa seconda parte però..
Bha spero che vi piaccia e recensite! Ps. Posto le risposte alle recensioni domani ^-^



Chapter Three
Part Two


“Ok, l’importante è non perdere la calma” disse guardando con occhi allucinati la visione davanti a lui. Eravamo appena entrati in un ipermercato e sembrava che per lui fosse la prima volta.
“Ci vuole della calma per fare la spesa?” gli chiesi trattenendomi dal ridere.
“Ovvio! E’ la prima volta che entro in un posto come questo!”
Io spalancai la bocca dallo stupore. Brutto essere famosi, non puoi fare niente di divertente. A volte, fare la spesa risulta veramente divertente.
“Cioè tu sei vergine di supermercato?”
Frank si voltò. Alzò le sopracciglia in modo veramente buffo e scosse la testa come se non avesse capito niente.
“Esiste la verginità di supermercato?” mi chiese facendo una voce simile a quella di un bimbo. “Certo!” risposi entusiasta.
Lui mi fissò negli occhi per cinque minuti. Cominciavo veramente a sentirmi un’idiota. Mi prese la testa fra le mani e mi disse annuendo
“Non ti preoccupare, ho il numero di una clinica buona che ti saprà curare nel giro di cinque mesi, così il tuo bel faccino non si rovinerà dagli psicofarmaci che inghiottirai per delle affermazioni di questo genere”
Io cercai di afferrare tutte le parole che mi stava sparando come una macchinetta al secondo. Però dopo metà frase, lasciai perdere. Il succo di quella spiegazione era semplice. Sono pazza.
“Quanto la fai lunga, Iero. Prendi un carrello e cominciamo” dissi sbuffando e incrociando le braccia. Mi voltai cinque minuti dopo, ed ebbi la spiacevole visione di Frank, che trafficava con una di quelle catene che legano i carrelli fra di loro, in modo da formare delle file compatte. Lui era immobile davanti ai carrelli, come se la risposta per riuscire ad aprirli, gli piombasse nel cervello direttamente.
“Cosa stai aspettando?”
“Non sto aspettando. Sto cercando di capire” mi spiegò usando anche un’aria intelligente.
“Cosa c’è da capire? E’ un semplice carrello, Iero, un carrello!”
Lui guardò a sinistra e a destra, poi alzò le spalle. Sbuffai scocciata e gli spostai la mano dal manico del carrello. Infilai una monetina dentro la fessura e sfilai il carrello dalla fila.
“Ma allora sei veramente vergine di supermercato!” dissi alzando un pochino la voce e ridendo. Lui mi tappò la bocca arrabbiato e si guardò intorno. Alcune vecchiette stavano assistendo la scena divertite, delle coppiette sposate si erano fermate a sentire i nostri litigi che, forse, erano simili a i loro.
“Vedi? Ora tutti sanno che sono vergine di supermercato, come dici te” sussurrò spingendo il carrello verso le sbarre per entrare ufficialmente nel supermercato.
“Beh, non è una vergogna! Dopo che uscirai, avrai fatto anche te la tua prima volta!” dissi ridendo e spingendolo da un lato.
“Senti Donna Esperta, prendi quella cazzo di lista della spesa, così posso finire in pace la mia prima volta e torniamo a casa”
Io annuii ridendo e frugai nella borsa, finalmente trovai la lista.
“Ecco.. ma ci sono scritte solo quattro cose!”
Frank si avvicinò per vedere. In effetti sentii qualcosa cambiare, quando la sua testa si avvicinò così tanto alla mia. Aveva un buon profumo, un profumo di dopobarba alla menta. Cercai di concentrarmi su quelle quattro parole scritte lì sopra, ma non ci riuscivo. Quel profumo mi stava dando alla testa.


“Forse dobbiamo aggiungere noi le cose da mettere no, genio?”
Lei non rispose. La guardai. Aveva gli occhi scuri assenti, come se stesse pensando a qualcosa. Ero talmente preso dalla lista, che non avevo nemmeno notato quanto fosse diventata tesa. Mi accorsi della vicinanza che c’era fra di noi. I suoi capelli emanavano un profumo buonissimo, di frutti tropicali. Doveva essere kiwi, o papaia, roba del genere.
“Da dove cominciamo?” dissi allontanandomi da lei e mettendomi le mani in tasca. Non potevo permettermi di avere contatti con lei, avevo già sbagliato quella sera a chiamarla “Bunny”. Ma da dove mi era saltato in mente?
“Credo non so..partiamo dalla carne, poi se vediamo qualcosa che ci piace, la prendiamo. Anzi, facciamo una cosa ci dividiamo e prendiamo un po’ di roba. Poi ci diamo appuntamento qua e riempiamo il carrello”
La guardai in modo shockato. Non avevo capito nulla di quello che mi avesse appena spiegato. “Scommetto che non hai capito”
“Non scommettiamo”
“Ok, senti vieni va” disse spingendo il carrello e trascinandomi dietro. Non ero mai stato in un posto così. Ero sempre andato nei tipici supermarket piccolini, in cui conosci ogni cassiera e sai a memoria dove si trovano i prodotti. Lì era una cosa totalmente diversa. C’erano degli eserciti di scaffali, tantissima gente e rumore di chiacchiere che otturavano i tubi dell’aria condizionata. “Dunque, dobbiamo fare spesa per i prossimi cinque giorni. E anche per la cena di venerdì”
“Già, che bello” dissi con tono da funerale.
“Mh. Che tipo di carne ti piace?”
“Non so, che tipi ci sono?”
Virgi mi guardò di nuovo come se fossi stato matto.
“Cosa c’è ora?”
“Ma tu hai mai cucinato?”
“Senti Miss Donna Esperta di Supermercati, non conosco questo posto a memoria. Quindi non so cosa ci sia!”
“Iero, è solo questione di dirmi se ti piace pollo, mucca o maiale. Non è difficile. Pensi che potrai farcela?”
“Mi piacciono tutti e tre, dipende da come li cucini!”
“Frena un secondo, come LI CUCINO? Cioè IO?”
“E chi sennò?”
“Qui si parla anche di te, quindi prendiamo sia pollo, che mucca, che maiale. Chiusa la questione” disse dirigendosi verso il reparto della carne. Sospirai “Hai fatto tutto te, comunque..”


Era più di un’ora che io e Iero eravamo rinchiusi in quel supermercato. Avevo male ai piedi e non avevo più voglia di spingere il carrello.
“Spingilo te” dissi passandoglielo
“Ah si, tanto ora è più pesante, diamolo a Frank..” Lo fulminai con lo sguardo e mi misi vicino ad una pila di scatolette di tonno messe tutte una sopra l’altra, in modo da formare una piramide. Stavo leggendo attentamente la lista della spesa, in modo da farmi venire in mente ciò che potevamo non aver preso.
“Scusa eh, ma non erano quattro cose sulla lista?” chiese Frank appoggiandosi con le braccia sul manico del carrello. Anche lui sembrava stanco morto, anzi lo era. Dopotutto era un verginello di supermercati.
“Sì, sono quattro cose”
“E allora perché dannazione abbiamo il carrello così pesante?”
Alzai lo sguardo e fissai il contenuto del nostro carrello. C’erano almeno quattro pacchi di Cheerios e di altri anelli al miele colorati, quattro shampoo e due balsamo, tantissime bibite, sei, non uno, ma ben sei vaschette di gelato Haagen-Dazs al cioccolato e tantissima altra roba.
“Il carrello non sarebbe così pieno se tu non avessi preso tutto quel gelato!”
“Ma lo hai detto anche te, che ti piace quel gelato!” ribattei io
“Sì, ma non ho intenzione di farne indigestione!”
“Beh tu potevi evitare di prendere quattro tipi di shampoo!”
Lui si toccò i capelli neri offeso “I miei capelli hanno bisogno di nutrimento!”
“Se, gne gne gne”
Ad un certo punto non lo sentii parlare, ma mi spinse con la mano contro la pila, così persi l’equilibrio e caddi sulla piramide facendo cadere tutte le scatolette di tonno. Una guardia di sicurezza accorse e mi fulminò con lo sguardo.
“Chi è stato?” chiese in tono severo
“Lui!” esclamai indicando Frank, che smise di ridere come un matto e fece un’espressione seria.
“Io non ho fatto niente!”
L’agente alzò le sopracciglia come se non gli stesse credendo.
“Se non ho la verità entro adesso, oltre a ripagare tutte queste scatolette di tonno, ve le porterete a casa”
Oddio. Pregai Dio che Frank si inventasse una scusa piuttosto plausibile, o sennò avremmo dovuto distribuire scatolette di tonno gratis per Times Square.
Intanto una cerchia di gente si era fermata per osservare la nostra grande figura di merda. “Ehm.. è che..”
Dio ti prego aiutalo. Chiusi gli occhi cercando di non sentire il resto della frase
“.. mia moglie non l’ho esattamente spinta, ha avuto un giramento di testa. E’ incinta, sa com’è, cadono come non niente”
No. Stavo sognando. Io non ero davanti a trenta sconosciuti, in mezzo a ventimila scatolette di tonno con Iero che raccontava che fossi incinta DI LUI. Era impossibile.
L’agente cambiò espressione e fece per scusarsi.
“Amore, alzati dal pavimento su” disse con tono dolce e affettuoso, porgendomi una mano. Era un bravo attore però, la dolcezza gli era venuta proprio bene. Sentii il coro delle donne anziane che sospiravano per poter essere, anche loro, di nuovo giovani.
“Ma che..?” bisbigliai seguendolo verso la cassa
“Non sapevo che cazzo inventarmi!” disse isterico
Pagammo velocemente e, quando avemmo scaricato tutto, ci buttammo sul letto. Stanchi e morti.
“Che ora è?” chiese con gli occhi chiusi
“Sono le tre e mezzo”
“Ho fame”
“Mangia”
Silenzio.
“Non ho più fame”
“Scansafatiche”
“Non è stata bella come prima volta” disse sempre con gli occhi chiusi.
“Perché?”
“Perché nelle vere prime volte, non ci sono scatolette di tonno”
“Neanche sei vaschette di gelato al cioccolato”
Silenzio di nuovo.
Apro gli occhi e ci ritroviamo a ridere come due cretini, non tanto per quello che avevamo detto, ma per l’idiotismo che portavamo in qualsiasi posto ci travassimo.

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Capitolo 5
*** Chapter Four: Icecream ***


Here i am! Oddio lo so, sono in un ritardo mostruoso, ma ho avuto un sacco da fare! Mi dispiace :( *me si nasconde dietro Frank* coooomunque veniamo alla ff, ho scritto un capitolo troppo lungo, lo so, bhe leggetelo se ne avete voglia.
In questo capitolo le cose cominciano a farsi un po' più serie, anzi interessanti. Anzi non lo so :°D (che brava scrittrice che sono eh xD). Non ho per niente voglia di accorciarlo, dividere o robe come quelle, non ho il tempo necessario. Quindi fino alla prossima settimana, niente updates mi sa. anzi fino a martedì dai, sono buona <3

Anche questa volta non ho tempo di rispondere alle vostre recensioni. Mi dispiace. Sono un mostro, lo so


Chapter Four.

“Hey! Idiota Addormentata, svegliati! Sono le 8 e mezzo!”
Aprii gli occhi e cercai di mettere a fuoco la visuale che avevo davanti a me. Iero era in piedi sul ciglio del letto, con dei ridicoli boxer con su scritto “quello che ho davanti non è un cane” e sorrideva come se ne avesse fatta una delle sue.
“Che c’è?” chiesi con voce scocciata nell’intento di riprendere a dormire.
“A che ora devi andare a lavorare?” chiese con voce soffice e delicata.
“Alle otto e mezzo perché?” dissi girandomi e guardandolo con espressione interrogativa.
Lui si limitò a sorridermi con furbizia e lì capii. Cacciai un urlo e feci per acchiapparlo, ma lui fu più veloce e scappò via dalla stanza.
“Io ti uccido se mi licenziano!”
Rideva come un pazzo, come se quella situazione fosse stata divertente. Era ovvio che avesse spostato l’ora della sveglia, così sarei arrivata in ritardo al lavoro. Bastardo del cazzo.
“Sei un bastardo!”
“Lo so, Idiota Addormentata!”
Corsi di più, lo stavo per raggiungere, ma inciampai su un orsacchiotto che sbucava da sotto il divano, così caddi mettendo male la mano sinistra e me la ruppi.
All’improvviso non sentii niente. Nessun dolore, niente di niente, solamente la risata di Iero sguaiata. Alzai lo sguardo, ma un dolore allucinante arrivò fino alla punta dei piedi. Non era la prima volta che mi rompevo qualcosa, ma non ricordavo che fosse così doloroso.
Feci una smorfia di dolore e Frank smise di ridere. Alzò le sopracciglia e rimase a guardarmi stupido.
“Tutto a posto?” chiese con la voce rauca
“Non è nulla a posto! Mi sono rotta il polso, cretino!” urlai massaggiandomelo un po’ cercando di togliere il dolore, ma quello rimaneva sempre lì a riempirmi il cervello di fitte dolorose.
“Sei sicura che si sia rotto?” disse lui avvicinandosi e toccandomelo proprio nel punto in cui era avvenuta la frattura. Gli diedi un ceffone con l’altra mano, talmente forte, da fargli divenire la guancia vellutata tutta rossa.
“Ma che cazzo fai?” urlò furibondo
“Che cazzo faccio? Mi hai appena fatto male! Cosa dovrei fare, darti un premio? Oh ladies and gentlemen, the winner is Mr Iero, come idiota dell’anno!” dissi imitando una cerimonia di premiazione.
Lui mi lanciò un’occhiataccia e guardò fuori dalla finestra la nebbia che avvolgeva New York, come una cappa di fumo.
“Vuoi degnarti di aiutarmi?”
“Mi hai appena tirato un ceffone, perché dovrei?”
Calò un silenzio. La mano mi faceva di un male allucinante, mi appoggiai con la schiena alle gambe della poltrona che si trovava lì a fianco e sospirai guardandolo. Aveva i capelli neri arruffati, che gli ricadevano sulla fronte. Gli occhi verdi erano talmente offesi e arrabbiati che pensavo avrebbero potuto fondere il vetro della finestra gigante.
Capii che dopotutto non era colpa sua se mi fossi rotta un polso. Lui aveva alimentato la mia rabbia, ma non aveva sicuramente fatto sì che me lo rompessi. Così feci una cosa che pensavo di non riuscire più a fare. Perdonare.
“Frank, sto male. Ti prego, mi accompagni in ospedale?” dissi con voce normale, nonostante stessi morendo dal male.
Lui rimase a guardare la finestra come incantato e poi si voltò. Mi sorrise in modo indeciso e un po’ goffo, ma con dolcezza.
“Ok, riesci a camminare?” chiese avvicinandosi
“Mica cammino con le mani, no?” risposi ridacchiando. Lui mi incenerì con lo sguardo e ed entrò in camera a prendere qualcosa, poi ne uscì e mi lanciò una felpa e i miei jeans.
“Vestiti, andiamo all’ospedale” mi disse freddamente. Io annuii e lui sparì in camera, probabilmente era andato a vestirmi.
Forse avrei dovuto evitare di prenderlo in giro, però lui era Iero, Mr Iceberg in persona.

Chiusi la porta dietro di me e mi infilai le mani nei capelli chiudendo gli occhi. Non ne potevo più. Erano tre giorni che stavamo insieme in quella casa e non ne potevo già più.
Misi i primi vestiti che mi capitarono in mano e poi uscii dalla stanza cercando di mettermi a posto i capelli che, senza la piastra, erano tutti arruffati selvaggiamente. Sentii degli sbuffi e mi voltai. Si stava infilando la mia felpa, ma non ci riusciva a causa del polso dolorante. Mi avvicinai, lei non poteva vedermi, era coperta dalla felpa.
Le coprii la pancia tirando giù la felpa dai bordi, poi l’aiutai a infilare le braccia delicatamente e infine la testa. Aveva i capelli mossi e castani arruffati, mi sorrise riconoscente, ma io la guardai in modo freddo.
Lei arrossì e imbarazzata andò a prendere il cellulare e mi aspettò alla porta. Mi dispiaceva di averla trattata così, ma non sapevo come comportarmi , così mi veniva fuori un lato del mio carattere che odiavo. La freddezza.
Uscimmo dal palazzo silenziosamente, senza nemmeno dire un “ma”.
“Conosci un ospedale vicino?” le chiesi senza guardarla. Quegli occhi mi confondevano, sarebbe stato meglio evitarli.
“No, andiamo da mio fratello, abita qua vicino” rispose guardando fuori dal finestrino, le centinaia di persone che correvano per andare al lavoro.
Non era stata per niente una bella idea quella di farle lo scherzo, ero un totale idiota.
Per tutto il tragitto, nessuno dei due aprì bocca.
Arrivammo in un palazzotto a due piani, abbastanza elegante. Niente male la sua famiglia.
Virginia suonò la porta e, dopo due minuti, venne ad aprirci un ragazzo con più o meno otto anni in più di noi.
Era biondissimo, con due occhi azzurri da invidiare, ed era bellissimo.
In quel momento mi sentii sprofondare dalla vergogna davanti a quel dio greco. Virginia gli sorrise e gli diede due baci sulle guance.
Non so come, non so perché, ma sentii i muscoli irrigidirsi dall’invidia.
Che mi succedeva? Lei era Bunny, la ragazzina che sognava di avermi al liceo, nulla di più!
“Sorellina! Che piacere averti qui!”
Era lui suo fratello? Sbarrai gli occhi, guardando i due che chiacchieravano mentre entravamo in uno studio molto chic.
Ok, Virginia era una bellissima ragazza, ma non c’era niente in comune con il fratello.
Lei se ne accorse che stavo facendo il confronto fra loro due, così distolsi lo sguardo e decisi di concentrarmi su un quadro lì appeso alla parete. In realtà non stavo affatto fissando il quadro, stavo sentendo le loro conversazioni.
“Ti piace, Frank?” mi voltai a guardare quel dio dal sorriso smagliante.
“Piacere cosa?” chiesi confuso spostando lo sguardo da Virginia a lui.
“Il quadro. Vedevo che lo stessi perlustrando attentamente”
Virginia fece una risata trattenuta. Mi voltai a guardare nuovamente il quadro e scoprii che il soggetto di quel opera non erano altro che gli organi genitali femminili di qualche donna che non aveva saputo come combattere la noia. Spostai direttamente lo sguardo e sorrisi un po’ imbarazzato dalla figura di merda che mi ero appena fatto.
“Sai Frank vorrebbe averne una, per quello che stava guardando il quadro con attenzione” disse ridendo Virginia.
Io la incenerii con lo sguardo e mi lasciai cadere su una poltrona di velluto rosso.
“Comunque io sono Jake, piacere” disse il fotomodello biondo stringendomi la mano. Io annuii guardandolo negli occhi azzurri e pensai di nuovo alla differenza fra i due fratelli.
Jake era biondo, occhi chiari e pelle bianca. Virginia era mora, occhi scuri e pelle ambrata.
“Piacere mio, Frank”
“Sei il ragazzo di..?”
“NO!” urlammo sia io che Virginia all’unisono. Jake ci guardò smarrito da quel nostro comportamento e sorrise.
“Ok, allora sorellina, cosa c’è che non va?”
“La mia mano. Non so se sia rotta o no” rispose facendo una smorfia di dolore. “Vieni, tu Frank rimani qua?” mi chiese con gentilezza. Cominciavo ad odiare quel ragazzo.
Annuii guardandomi di nuovo intorno, facendo finta che lui non ci fosse. Era insopportabile, non era antipatico come la sorella, ma odiavo la gente così zuccherosa e, soprattutto, bella.

Jake chiuse la porta e mi fece sedere su un lettino. Poi si fermò. Non sentendolo più muoversi, lo guardai e notai che stava ridendo sfoderando il suo splendido sorriso. “Cosa c’è di divertente, Jake?”
“Niente è che, quel ragazzo è così simile a te..”
Sospirai roteando gli occhi.
“Perché lo dite tutti?”
“Forse perché è vero?” rispose alzando le sopracciglia con furbizia. “Mh, naaa. Hai visto com’è?”
“Un bel ragazzo?”
“A parte quello..” dissi velocemente. Poi mi bloccai. Oddio era la prima volta che ammettevo una cosa del genere. Prima d’ora avevo solo pensato che fosse carino, non l’avevo mai esplicitamente detto o fatto capire.
“Lo hai ammesso, vedi?” disse sorridendomi dolcemente e afferrandomi la mano.
“Ahia”
“Non è rotto, te lo sei semplicemente slogato” concluse sorridendomi di nuovo. Si alzò a prendere una garza da avvolgermi al polso.
Annuii e poi lo fissai. Jake era sempre stato il mio idolo. Avrei voluto diventare come lui, bellissimo, bravissimo e intelligentissimo. A causa di queste mie ambizioni idiote, avevo passato un’adolescenza non molto felice.
Scacciai quel pensiero scuotendo la testa ed attesi che lui ritornasse con le bende. “Dovrai tenerla per un po’, dato che sei mancina e ti sei slogata il polso destro, beh non potrai usare questa mano per un po”
“Cosa? Come farò con il lavoro?”
“Beh Virgi, tutti sanno che sei la migliore giornalista di New York. Non hanno bisogno che per una settimana tu scriva ininterrottamente” mi rispose con aria severa.
Annuii e feci per uscire dalla porta, ma Jake mi bloccò.
“Perché non parliamo un po’?”
“Jake è che.. devo andare..” vidi sul suo viso dipingersi un’espressione delusa. Non potevo resistere a quelle sue espressioni.
“Senti, se vuoi domani sera usciamo, ti va?”
“Ok! Ti chiamo stasera, per confermare”
Annuii sorridendo ed uscii dallo studio con una mano fasciata. Frank stava leggendo un giornale di medicina con poca voglia, aveva le sopracciglia inarcate nell’intento di capire cosa stesse leggendo.
“Hey Dottor Iero, andiamo” dissi afferrando il giubbotto attaccato ad un elegante attaccapanni.
Frank alzò lo sguardo dal giornale e si alzò salutando mio fratello con il suo solito sorriso glaciale, poi uscimmo tutti dalla casa.
Prima di avviarmi verso la macchina, Jake mi afferrò per un braccio e mi avvicinò a lui.
“Che c’è?” sussurrai in modo da non farmi sentire da Frank, che era lì vicino.
“Io ti aspetto nella macchina” annunciò Frank con tono da funerale. Io annuii e lo guardai chiudersi dentro il fuoristrada nero. Poi tornai al viso luminoso di mio fratello.
“Che c’è?” chiesi sospettosa
“L’ho riconosciuto solo ora. Frank Iero. Come mai è con te?”
Gli raccontai rapidamente il gioco in cui mi ero trovata partecipe e lui, infine, scoppiò a ridere incredulo.
“Non c’è niente da ridere!” risposi io a braccia conserte
“E’ troppo buffo! Cioè, tu e Iero! Aahahah! So già che cosa succederà!”
“Frena un attimo, tutti ripetono la stessa cosa, perché?”
“Beh non so chi l’abbia detto oltre me, però voi due siete fatti uno per l’altra, solo che ve lo nascondete”
“Ma non scherzare! Io con Iero?!” dissi spingendolo.
Lui rise con gusto e sorrise
“vedrai, ciao sorellina quello ti sta aspettando” disse dando uno sguardo dietro di me e poi si chinò per darmi un bacio sulla guancia.
Io lo salutai ed entrai in macchina. Frank stava guardando qualcosa fuori dal finestrino, anzi non stava guardando proprio un bel niente, faceva finta.
“Che stai facendo?” chiesi sul ridere
“Niente, andiamo” disse guidando silenziosamente verso casa. Perché era diventato così freddo e distaccato? In quel momento non avevo detto niente che potesse offenderlo, quindi perché essere così?
“Che hai?” chiesi aprendo il cruscotto per curiosare lì intorno.
“Fatti gli affari tuoi” disse chiudendomelo con violenza. Io sobbalzai e lo guardai sbalordita, ma cos’aveva?
“ma che diavolo fai?” urlai isterica.
“Non ti permetto di farti gli affari miei!”
“ma se c’è solo un pacchetto di Kleenex, questo sarebbe il tuo grande segreto?”
Lui si fermò di colpo con la macchina, fortunatamente eravamo arrivati nel vicolo dove si trovava il grattacielo dove “abitavamo”.
“E io non ti permetto di prendermi in giro davanti a tutti!”
“Tutti? Era mio fratello!”
“Beh così penserà che sono stupido!”
“Non ha bisogno di pensarlo..” feci una pausa e poi aprii la porta ed uscii dalla macchina “Lo sei già” chiusi la porta e mi avviai verso il portone del palazzo.
Lui chiuse la macchina e poi mi rincorse con aria infuriata.
“Tu.. Dio mio, perché non muori?”
“Quello che spero anche io, guarda” risposi freddamente.
Calò un silenzio fra di noi alquanto sgradevole. Non volevo più parlare con lui, mi faceva venire la pecola ogni volta che lo vedevo.
Entrai in casa e mi chiusi in camera. Non so cosa me lo fece fare, ma chiamai Gerard, con il cellulare di Frank. Se mi avesse scoperta, sicuramente non avrei sopravvissuto.
“Ciao Frankie” rispose una voce allegra e dolce. Gerard mi era sempre piaciuto, ma sapevo che non ci sarebbe stato mai niente tra di noi.
“Non nominare quel nome” dissi sbuffando e sedendomi sul letto.
“Ciao Virgi! Sono contento di sentirti, ma da dove chiami?”
“Dal Sidekick di Frank, così spende un po’ di soldi”
“Lui ti ha dato il permesso?” Notai un certo tono di incredulità nella sua voce
“Mh no. Abbiamo litigato”
“Come al solito”
“Ehm si, ma Gee, io sono stufa. Diavolo sono tre giorni che sono qua e non lo sopporto già più. Mi ha slogato una mano, hai capito? Slogato una mano! Ed ora ha avuto un rapsus di follia improvvisa, che non capisco. Ma che vuole da me?”
“Perché non provate a parlare seriamente?”
“perché lui è tutto, a parte che serio!”
“Non lo conosci.. Anzi, non lo vuoi conoscere. E’ la persona più dolce del mondo ed è molto simpatico, perché lo trovi così terribile?”
“DOLCE?!?! Ma se è sempre freddo e distaccato!”
“Non lo hai conosciuto bene, se sei la sua ragazza, ti tratta nel modo più dolce e speciale del mondo”
“Si da il caso che io non sia la sua ragazza, quindi non è dolce, gusto?”
“Sì, ma.. dagli una chance. Prova a dirgli scusa, lo spiazzerai. E magari guardatevi qualcosa alla tv, andate a prendervi un gelato, che ne so!”
“Mmh. Dici?” Oddio ci stavo veramente pensando. Io stavo facendo un pensiero sul fatto di dare delle scuse a Iero. Dovevo essere completamente andata fuori di testa per poter decidere quello.
“Ok, ci proverò”
“benissimo, vedrai come ti tratterà bene dopo”
“Speriamo.. ora vado perché devo andare in bagno. Grazie Gee, bacio”
“Buona fortuna”
“me ne servirà molta”
Chiusi la telefonata e guardai la televisione spenta davanti a me. E ora cosa avrei dovuto fare? Forse sarebbe stato opportuno andare a trovare Matt, dato che era il mio ragazzo, dopotutto, alle scuse avrei pensato più tardi.
Uscii dalla stanza e mi infilai il giubbotto.
“Dove vai?” mi chiese. Era seduto sul divano e guardava fuori dalla finestra.
“Sono affari miei” dissi uscendo dalla casa velocemente.

*



Quando tornai a casa, Iero stava lavando i piatti della cena che aveva consumato, sicuramente, da solo.
In effetti mi faceva un po’ pena.
Una melodia, mi pareva Mozart, riempiva il moderno appartamento rendendolo più tranquillo, non pieno di litigi come i giorni precedenti.
Lì in piedi, con solo un paio di jeans scoloriti e una felpa nera a righe, mi sembrava così innocente. Chiudeva gli occhi e ascoltava la musica. Non sapevo ancora cosa facesse nella band, non sapevo niente di lui, ma mi permettevo di criticarlo. Dopotutto anche lui lo faceva. Lui non sapeva niente su di me, come io non sapevo niente di lui.
Non mi aveva ancora notata, così mi si presentarono due scelte in quell’istante.
Una era quella di andare a letto senza dirgli niente, senza dirgli scusa.
La seconda era avvicinarmi e porgergli le mie scuse e magari chiacchierare come dei vecchi amici.
Scelsi la seconda, dopotutto non ci avrei perso nulla.
Così mi avvicinai lentamente e gli toccai una spalla. Lui aprì gli occhi di scatto e mi guardò con aria mista fra l’ira e l’indecisione. Indecisione per che cosa?
“Devo parlarti”
Lui chiuse l’acqua e appoggiò il piatto che stava lavando. Alzò le sopracciglia e si appoggiò sul bancone con le braccia conserte.
Non sapevo esattamente come cominciare. Mi ero già pentita di parlargli. Guardai le punte delle mie scarpe e poi cercai qualcosa di furbo da dire. La musica di Mozart accompagnava quel momento di strana tensione, avrei voluto trovare le parole giuste, ma non ci riuscivo.
Lo guardai negli occhi.
“Vuoi proprio farmi perdere tempo, vero?” chiese scocciato.
“Ma perché fai così? Mi chiedo, perché sei così freddo ogni volta che ti rivolgo la parola? Io non ti sopporto veramente più! Sono stufa di doverti sopportare, anche se sono solo tre giorni, sono stufa comunque! Cresci, dannazione” dissi facendo per voltarmi, ma qualcosa di caldo mi afferrò il braccio. Era la sua mano.
Non avevo mai sentito una cosa così calda e morbida. Aveva sulle nocche un tatuaggio con su scritto “Halloween”. E’ vero, il suo compleanno cadeva di Halloween.
“Aspetta.. Bunny” sussurrò l’ultima parola talmente piano, che pensai di averla immaginata. Ma l’aveva detta.
“Cosa mi dovevi dire?” chiese ignorando quello che gli avevo appena buttato addosso.
“Niente” risposi in modo glaciale e rapido. Lui alzò le sopracciglia non credendoci e io non resistetti.
“Volevo solo dirti scusa per oggi. Non avevo il diritto di offenderti” dissi senza guardarlo. Non sentivo nessuna risposta, così alzai lo sguardo e vidi che mi sorrideva. Un sorriso. Il primo vero sorriso che mi rivolgeva.
“Scusa me, sono stato un’idiota a chiuderti il cruscotto così” disse ridendo. Io sorrisi e poi mi guardai intorno imbarazzata.
Mozart continuava a suonare per noi due povere anime imbarazzate.
Poi lui mi chiese una cosa assurda. Talmente assurda che, sbarrai gli occhi dallo stupore.
“Ti va di mangiare un gelato?”
“Cosa?”
“Un gelato. Hai presente?” disse facendo finta di leccare un cono. Io scoppiai a ridere ed annuì.
“Se vuoi ci sono quelle sei vaschette di gelato che ho preso al supermercato” dissi aprendo il freezer. Lui spuntò da dietro e si appoggiò alla mia spalla. Di nuovo quel profumo alla menta. Ma cosa si metteva alla mattina?
“Ti piace la crema?” chiese afferrando la vaschetta del gelato alla crema. Io annuii e poi andammo in salotto, ma lui si fermò davanti alle grandi finestre.
“Ma lo sapevi che c’è una specie di veranda qua?”
“Ma fa freddo fuori!”
“Tieni” Si tolse la felpa e me la porse. Io l’afferrai e me la infilai. Uscimmo fuori in una specie di veranda-terrazza. Una brezza fredda mi fece rabbrividire, ma il calore della felpa mi tolse quella sensazione di freddo.
Ci sedemmo su uno di quei sofà fatti ad altalena e nessuno dei due parlò per un po’. “Tieni” disse porgendomi un chiucchiaino. Era semi-buio, una luce attaccata al muro di mattoni rossi illuminava quel piccolo spazio. Afferrai il cucchiaio e aspettai che lui aprisse la scatola di gelato.
“Perché ti piace così tanto il gelato?” mi chiese togliendo la protezione della scatola “Non so.. toglie la tristezza” dissi alzando le spalle.
“E sei triste?”
Guardai il cielo stellato newyorkese e pensai alla risposta più giusta da dare. Ero triste? Più o meno.
“Dipende” dissi facendo per affondare il cucchiaio nel gelato, ma lui mi bloccò il cucchiaino e mi guardò negli occhi. Era buio, sì, ma quegli occhi verdi brillavano di un qualcosa che mi fece sentire male.
“E ora?” chiese in un sussurro.
Ma cosa stava succedendo? Lo Iero di due ore prima dov’era andato? Perché c’era questo perfetto sconosciuto davanti a me? Forse Gerard aveva ragione. Frank non era così come faceva vedere.
“Ora.. no” dissi guardandolo negli occhi.

Non sapevo cosa mi stesse succedendo. Dopo che mi aveva detto scusa, mi sentivo in dovere di farle scoprire chi veramente fossi. Ma solo una parte, non potevo permettermi altro.
“Ora.. no” mi disse guardandomi negli occhi. Io annuii silenzioso e, mentre mangiava tranquilla il gelato, la osservavo.
Appena lei se ne accorgeva, io distoglievo lo sguardo o faceva finta di niente. Mi sembrava di essere tornato il tipico adolescente problematico quando facevo così. Un filo di vento le fece muovere i capelli scuri e leggermente mossi. Un profumo esotico, come del supermercato, riempì le mie narici. Rabbrividii per il freddo e per qualcosa che non riuscii a capire, qualcosa collegato al profumo.
Ad un certo punto Virgi si alzò ed andò dentro casa. Non sapevo cosa le fosse preso, ma in un secondo ritornò con qualcosa in mano. Si sedette vicino a me e aprì una coperta dall’aria pesante.
“Si vede che hai freddo..” si giustificò imbarazzata. Mi coprii con una parte e sospirai guardando gli altri grattacieli che si innalzavano per il paesaggio di New York.
“Vuoi la tua felpa?”
“Perché sei così paranoica?”
Lei abbassò lo sguardo, ma io scoppiai a ridere. Non volevo che ce l’avesse ancora con me, dopotutto dovevamo stare insieme per un mese.
“Scherzavo eh”
“Lo so..” rispose sorridendo e mangiandosi un altro cucchiaino di gelato.
“Dopo il liceo cosa hai fatto?” Le domande sulla scuola erano quelle che ti salvano sempre il culo. Quando non sai mai cosa dire, tendi a parlare di due cose. Di quanto faccia schifo il tempo e di che cosa tu abbia studiato durante il liceo.
“Mh, ho studiato a Yale, tu?” disse con semplicità.
Yale. Era un’università tostissima. Mi era passata tutta la voglia di dire stronzate con lei, perché dopotutto lei aveva una laurea in lettere di Yale!
“Ho formato una band” dissi affondando il cucchiaino nel gelato alla crema.
“Wow e che facevi?”
“No che faccio, vuoi dire, no?” dissi sorridendo. Lei annuì curiosa.
“Suono la chitarra. Sono nei My Chemical Romance, sicuramente ci conosci”
“Ho sempre sognato di suonare la chitarra, ma non sono fatta per suonare. Non capisco proprio come funziona!”
Scoppiammo a ridere come avevamo fatto quella sera in cui l’avevo chiamata Bunny.
“E’ facilissimo, almeno per me che è il mio lavoro”
“Piacerebbe anche a me fare la rockstar, non dovrebbe essere così difficile. Insomma deve essere una vita da sogno”
“Non è assolutamente vero. E’ una battaglia con sé stessi, non sai quante volte avrei voluto fare il venditore di hot dog, piuttosto che il chitarrista adorato dalle fans dei My Chemical Romance”
“E’ così difficile essere sognati da milioni di ragazzine?”
“No, è difficile trovare la “ragazzina” giusta che ti accetterà” Lei fece un minuto di silenzio pensando alle mie parole e poi scoppiò ridere leccando il cucchiaino.
“Iero, ma sei una rockstar! Le donne amano le rockstar! Soldi, macchine gigantesche, case costose.. roba che alle donne fa impazzire!”
Io la guardai profondamente offeso.
“Te, come donna, osi dire che ameresti una rockstar solo per i soldi? Io lo trovo disgustoso!”
“Deficiente, non dico questo. E’ solo che per voi non è difficile trovare la persona che ti vuole al primo colpo. Le vostre fans sanno tutto di voi, vi conoscono. Voi non conoscete loro, ma loro sì. E’ facile mettersi insieme così..”
“Sì, ma quello non è amore”
“E tu cosa intendi per amore?” Sospirai in cerca della definizione migliore e guardai il cielo nero.
“Amore è quella persona che ti ama anche se sei a chilometri di distanza, che è disposta a girare per tutto il mondo con te solo per vederti cinque secondi, che è disposta a dimenticarsi che sei famoso per un secondo e ricordarsi chi sei veramente. Questo è amore, secondo me”
Lei rimase zitta per un po’. Forse avevo esagerato con le parole.
“Perché non hai fatto Yale anche te?”
“Io sono nato per suonare”
“E per avere milioni di ragazzine che ti sognano?” mi chiese ridendo.
“No, questo è merito della mia naturale bellezza”
Lei scoppiò a ridere ancora più forte e poi scosse la testa.
“Si è fatto tardi, io ho sonno” dissi alzandomi. Lei mi seguì ed andammo a dormire.

Era stato strano fare quella chiacchierata con lui. Mi ero quasi dimenticata della mia mano dolorante e anche della sua ira dimostrata in macchina.
Eravamo dentro il letto, coperti da strati e strati di coperte. Fuori si sentiva il rumore della pioggia che batteva sui vetri lisci e puliti del grattacielo.
Tutti e due stavamo digitando sulle tastiere dei rispettivi sidekick dei messaggini. Io stavo scrivendo a Matt, lui chissà a quale ragazza stesse scrivendo.
Il mio sidekick vibrò.
Dobbiamo parlare. Seriamente. Non capisco perché tu debba stare un mese dentro quella casa con quel ragazzo? Sei diventata pazza per caso? Matt
Gli risposi frettolosamente che era una prova per il giornale. Mi faceva star male far soffire Matt. Era il primo ragazzo che durava più di quattro mesi.
Dopo aver risposto, spegnemmo la luce e un silenzio calò fra di noi, si sentiva solo il rumore della pioggia.
“Mi ha fatto piacere parlare con te, stasera” dissi ad un tratto, stupita dalle mie stesse parole.
Lui fece una pausa di silenzio e poi vidi che sorrideva.
“Anche a me, Bunny”
Non so perché, ma mi addormentai subito quella notte. Forse grazie a quel sorriso che mi si era stampato sulla faccia, oppure grazie al modo in cui mi aveva chiamato Frank. Chi lo poteva sapere, dopotutto tutto stava cambiando, me lo sentivo.

Recenscions??

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Capitolo 6
*** Capitolo Quinto: Part One. ***


So di essere stata una cattiva scrittrice di fanfiction, lo so, però purtroppo qualcuno con una capra nel cervello ha inventato la scuola. E ancora qualcuno ha inventato l’amore. Così fondete tanti compiti, con tanto amore e otterrete il motivo della mia assenza. Mi dispiace ancora, spero che questo capitolo possa perdonare tutti questi giorni senza fanfiction (che poi non è che facciano tanto male eh xD).

Baci

Virgi


@ Martunza: grazie mille! *-* anche a me piace quando fa il bastardo, anche perché nei dvd dei MCR non lo fa mai! Lol :*

@Laura Joe: grazie! Comunque non si può direeee, però con Frankie in una casa DA SOLI, è un pochino difficile che Matt sia ancora l’amore della vita di Virginia XD. <3

@ s t e l l i n a,: ma non ti scusare! Io aggiorno con trentamila giorni di ritardo :°°D è già tanto se mi recensisci <33 comunque, si ogni tanto sono teneri, poi l’ogni tanto forse diventerà un sempre XD *ok, questo non dovevo rivelarlo*

@FrankieLou,: oh grazie! Mi fa piacere che ti piaccia il modo in cui scrivo la ff ^-^ spero che ti piaccia anche questo capitolo!

@ linkin park: menomale! XD *oddio che risposta cretina*

@Lady Numb: aww gli esami! Ma di maturità o di terza media? Mi mancheranno le tue recensioni, però mi sa che ti avranno dato anche la laurea ora che aggiorno io lol *sempre se sono gli esami della maturità* però ti troverai qualche capitolo dolcioso in più hihihi <33

@Juliaaa: ma l’ho scritto solo una volta! xD comunque grazie per le recension <33 @ Elyrock: ah che bello, pure la sore ha recensito! *___* comunque, si ne vedrete tutti delle belle, ma proprio taaaaanti casini. XD ti voglio bene <3

Scusate se ho recensito un po’ così, ma sono di fretta *come al solito* perché devo inziare il capitolo noooo? ^-^

Capitolo Quinto.

Aprii l'ennesimo libro da leggere.
Lessi quattro o cinque righe e poi lo buttai per terra, facendolo rotolare fino alla gamba della sedia.
Non sapevo più come ingannare il tempo.
I giorni erano passati velocemente, tra la noia, la pioggia e le giornate chiusi in casa.
Forse sarebbe anche stato divertente stare in un appartamento da un milione di dollari, però era da ricordare che io stessi in quel appartamento con un essere vivente di sesso maschile, definito come Ottavo Nano di Biancaneve, dato che era l'incrocio tra Brontolo (brontolava tutto il tempo) e Cucciolo (era più stupido di un tacchino).
Il Frank Iero, che avevo scoperto quella sera nella terrazza-veranda, si era come dissolto nella nebbia che avvolgeva New York in quei giorni.
Non ci parlavamo affatto. Occasionalmente ci guardavamo, però litigavamo quotidianamente. Ero piuttosto irascibile quei giorni, forse perchè Matt continuava a farmi pressioni dicendomi di essere pazza a stare in una casa con un elemento del genere; così quando Iero faceva una delle sue battutine idiote, io andavo su tutte le furie.
Come quando gli avevo tirato la zuppiera dell'insalata in testa.
Ritornai alla realtà e fissai le gocce di pioggia che attraversavano il vetro della porta scorrevole. Avevo sempre adorato la pioggia, ma in quel momento neanche lei toglieva quel senso di rincoglionimento totale.
Mi sembrava di essere diventata un'ameba.
Dovevo fare qualcosa, dopotutto io ero Virginia! Non una ragazza qualsiasi. Sarei andata da Frank Iero e gli avrei detto chiaramente che non avrebbe potuto continuare in quel modo.
Mi alzai dal divano, che era stato il mio giaciglio preferito negli ultimi quattro giorni, e mi avviai verso la camera da letto dove, sicuramente, Frank stava guardando una delle sue telenovele brasiliane quotidiane.
Ma ad un certo punto, sentii il suono di qualcosa che si era appena rotto, o che era scoppiato.
Sobbalzai dallo spavento e mi guardai attorno spaventata. Cosa diavolo era stato?
Magari erano i terroristi. Mi tirai uno schiaffo sulla fronte per scacciare quell'idea tipica da americano ansioso. Poi notati, dalla fessura della porta della lavanderia, una massa bianca e spumosa che usciva lentamente.
E quella roba lì che diavolo era?
Mi avvicinai con cautela e poi sospirai sorridendo. Non era altro che della soffice schiuma, come quella del detersivo o del bagnoschiuma.
Doveva essere ammorbidente, sapeva di pesca.
Ad un certo punto, collegai tutto.
Quella era la lavanderia. Nelle lavanderie di solito ci sono le lavatrici. Nelle lavatrici si mette l'ammorbidente.
Sbarrai gli occhi dallo stupore e poi aprii di fretta la porta, ma non feci in tempo nemmeno a guardarmi intorno, che qualcuno mi venne addosso e caddi per terra assieme a lui/lei, in mezzo a un fiume di schiuma.
"Dannazione, ma mi vieni sempre addosso!"
Iero. Avrei dovuto immaginarlo. Dove c'erano i guai, c'era Iero.
Mi alzai da lui e cercai di pulirmi da tutta quella schiuma che invadeva la lavanderia.
"Ma che è successo?"
"Niente" rispose lui facendo finta di niente. Lo guardai con il sopracciglio alzato e notai che tra i capelli scuri aveva delle manciate di schiuma.
Era troppo buffo. Tanto buffo, che gli scoppiai a ridere in faccia.

Rideva. Qualcosa dentro di me si sciolse, forse era il ghiaccio che mi ero creato durante quegli interminabili giorni.
Perchè facevo l'indefferente? Era una cosa che mi ero chiesto spesso ogni notte, in cui non riuscivo a dormire.
La fissai ridere come una matta e poi sbuffai, ecco di nuovo che cresceva quel pezzo di ghiaccio. “Perché ridi?”
“Perché fai troppo ridere con quella schiuma nei capelli” rispose, ridendo ancora più sonoramente.
“Aiutami ad alzarmi” dissi tendendo una mano. Lei mi guardò indecisa se prendere o no la mano e poi l’afferrò.
Polla. Feci finta di alzarmi, ma poi la trascinai con me dentro la schiuma, che usciva abbondantemente dalla lavatrice.
Lei fece un urlo soffocato e poi non so cosa successe, ma me la trovai sopra di me, con il viso a due centimetri del mio.
Nonostante nell’aria ci fosse quell’odore dolciastro di ammorbidente alla pesca, le mie narici erano concentrate solo su un profumo.
Quell’odore di frutti tropicali, quell’odore semplicemente unico, che non si trovava in nessuna profumeria.
Non ero mai stato così vicino a lei, mai. Beh, una volta sì, ma era stato tanto tempo fa.
Sentii quel pezzo di ghiaccio sciogliersi del tutto, forse qualche scheggia rimaneva a galleggiare, ma era già meglio di prima.
“Cosa fai?” sussurrai pianissimo
“Quello che stai facendo tu”
“Ossia?”
“Guardarti” rispose sorridendo. Notai una fossetta sulla guancia sinistra. Perché mi sembrava così carina, in quel momento? Calma, Frank. Tu non puoi. Lo sai, benissimo.
“Mi aiuteresti a pulire tutto questo casino?” sussurrai di nuovo. Perché parlare forte, dopotutto eravamo a poca distanza.
“Ok”
“Bene, però ti devi alzare da me” Mi partì un sorriso di troppo. Qualcosa attraversò i suoi occhi scuri, ma cosa? Si alzò da me, coperta di schiuma e mi guardò alzare da terra.
“Mi sa che si è rotta la lavatrice..” disse scrutandola storcendo il naso.
“Allora attenta, potresti farti male”
Oddio. Si voltò di scatto e mi guardò sorpresa. Ero rimasto sorpreso anche io, dalle mie stesse parole.
“No.. è che.. insomma.. dopo quel botto.. non vorrei che ti facessi male” dissi un po’ imbarazzato.
Non avrei dovuto trascinarla con me nella schiuma, mi stava mettendo in difficoltà.
“Vado a chiamare qualcuno” dissi in modo sbrigativo, dirigendomi verso il salotto. Ma lei mi bloccò il braccio.
“Sporchi tutto, se chiami qualcuno”
“Sì, ma fra poco la schiuma inonderà la casa, genio” risposi in tono acido. Eccolo. Il ghiaccio ritornava a prendersi il controllo di me stesso.
“Allora vai, ma pulisci te” rispose in tono ugualmente acido.
Così uscii dalla lavanderia e afferrai il cordless. Non sapevo chi chiamare. Guardai il display del telefono segnare l’ora. Le 5.20 del pomeriggio.
Composi il numero di Gerard. Era l’unica persona che, forse, avrebbe potuto comprendermi. Il telefono squillava a vuoto, ma finalmente qualcuno rispose.
“Gee, sono Frank”
“Hey Frankie, come va?”
“Mh”
“Grazie, le tue risposte sono sempre piacevoli da sentire, lunghe e molto comprensibili”
“Spiritoso. Senti, sai come si aggiusta una lavatrice?”
“Eh?” notai un tono allarmato nella sua voce.
“Supponiamo che si sia rotta la lavatrice. Supponiamo anche che una marea di schiuma sia uscita dalla lavatrice. Tu cosa faresti?”
“Frank, che cazzo hai fatto alla mia lavatrice?”
“Perché pensi subito a me?!” dissi con un tono da vittima
“Perché Virgi sa fare la lavatrice, mentre tu a malapena sai accendere un microonde!”
“Ovvio, io cucino con le padelle!”
“Ma se il massimo che hai fatto è stato un uovo all’occhio di bue, che poi si è bruciato pure, ma lasciamo stare”
“Gerard, stai ferendo il mio orgoglio culinario”
“Frank chiama un idraulico o fatti aiutare da Virgi”
“L’ho appena trattata male”
“Aaaah, quando finirete di fare i bambini?!” disse sbuffando
“Mi da’ i nervi, non è colpa mia”
“Non è vero, questo lo sai benissimo”
“.. stasera vieni?” dissi cambiando discorso
“Sì, ho invitato anche gli altri. Se solo provate a litigare, giuro che vi darò una punizione. E’ una settimana che siete insieme lì dentro ed è stupido che litighiate ancora”
“Senti, tu non sai..”
“Frank, non voglio sentire nessuna scusa, ora devo andare”
“No! Io cosa faccio con la lavatrice?”
“Te l’ho detto, chiama un meccanico, anzi pulisci, poi stasera guardo io”
“Ok, grazie”
Chiusi il telefono e guardai fuori dalla finestra. Pioveva ancora, che palle.


*



Guardai il display della sveglia.
Le 7 di sera. Gerard sarebbe arrivato alle 8. Mi guardai allo specchio. Indossavo una maglietta della Lacoste celeste e un paio di jeans. Dopotutto era una cena con una amico, non una serata di galà.
Misi un filo di matita nera sotto gli occhi e sorrisi. Dopotutto non ero male, dai.
“Devo andare in bagno, ti prego! Se vuoi cambiati pure lì, non ti guardo a patto che tu non guardi me!” Iero mi stava pregando. Sorrisi e aprii la porta, lui si scaraventò dentro e, senza assicurarsi che lo stessi guardando, fece la pipì.
Io misi a posto la matita e poi uscii dal bagno. Il mio telefono squillò. Matt. Diavolo, non potevo evitarlo un’altra volta.
Accettai la chiamata.
“Pronto?” risposi, cercando di assumere il tono più normale che avessi avuto.
“Non mi hai più richiamato” rispose acidamente Matt.
“Lo so, amore, ma sono stata occupata”
“Con chi?”
“Con il mio amante, ossia il lavoro”
Matt fece un minuto di silenzio e poi sospirò di sollievo
“Per fortuna. Pensavo mi avessi dimenticato” In effetti, un po’ era così. Ma che stavo dicendo? Io amavo Matt!
“Sciocco. Mi hai chiamato per qualche motivo in particolare?” dissi impegnata a cercare nella mia agenda, la ricetta per fare la pizza.
“No, volevo sapere solo come stessi. Mi manchi amore”
“Anche tu, Matt” cercai di essere il più decisa possibile, ma non mi riusciva proprio la parte della sdolcinata in quel momento.
“Ok, io ora devo andare, ho un concerto fra cinque minuti. Ti amo”
“Anche io, in bocca al lupo” chiusi la chiamata frettolosamente e sospirai appoggiandomi al bancone della cucina.
Per quanto avrebbe dovuto continuare questa mia indifferenza nei suoi confronti?
Frank uscì dal bagno. Cazzo, non l’avevo mai visto così. Indossava un paio di jeans anche lui, una felpa grigia con delle righe bordeaux e un cappellino nero da baseball sui capelli scuri. Un ciuffo di capelli gli ricadeva sulla fronte, lasciando scoperto solamente un occhio verde.
Ero talmente rimasta incantata da lui che, quando lui inaspettatamente mi sorrise, abbassai lo sguardo imbarazzata.
“Cosa stavi facendo?” chiese avvicinandosi. No, Frank ti prego vai via. Pensai subito.
Io alzai le spalle e cercai di guardare ovunque, tranne che i suoi occhi.
“Niente”
“Ah, ok”
Perché era di buon umore? Lo scrutai di sottecchi e aprii lo sportello del freezer. Presi tre pizze da una scatola che ne conteneva dieci e le appoggiai sul bancone.
“Perché non la fai te, la pizza?”
“Perché non c’è più tempo”
“Ah, ok”
Era il secondo “ah, ok” che diceva. Lo guardai. Stava sfogliando la mia agenda con interesse. Io gliela presi dalle mani e lo incenerii con lo sguardo.
“farsi i cavoli propri, mai eh?”
“Gne gne” mi fece una pernacchia e poi accese la tv posta su un ripiano. Cambiava canale ogni tre secondi così, quando sentivo qualcosa che mi interessasse, lui cambiava e mi incazzavo.
“Ti prego, lascia qualche canale!” dissi togliendogli il telecomando dalle mani. Eravamo seduti sul divano, troppo, troppo vicini.
“Dammelo, prometto che lascio un canale!” disse tendendo la mano. Lo guardai negli occhi. Dio, quanto erano belli quegli occhi. Se solo non mi avessero sempre guardato con cattiveria..
Gli diedi il telecomando e lui cambiò per l’ennesima volta. Mise un film noioso, che piaceva solo a lui. Uno di quelli con la musica lenta, quella che ti fa addormentare.
Infatti quello che successe fu proprio quello. Mi addormentai.

Ero al punto critico del film. Un film veramente noioso, lo so, però mi aveva preso. Ad un certo punto sentii qualcosa appoggiarsi sulla mia spalla delicatamente.
Abbassai lo sguardo. Oddio, si era addormentata.
Come poteva un essere umano, addormentarsi alle sette di sera? Tornai a vedere il film, ma ogni secondo mi partiva lo sguardo verso di lei.
Da quando avevo conosciuto le donne, ero rimasto affascinato dal momento in ci dormono.
Cambiano del tutto. Sono più dolci, ancora più belle e più fragili.
Spensi la tv e tornai a guardarla.
Dormiva profondamente, sentivo il battito del cuore sulla mia pelle e il respiro lento sul mio collo. Non avevo mai incontrato nessuno che fosse così silenzioso nel dormire, ma soprattutto non avevo mai incontrato nessuno che si addormentasse così facilmente.
Sorrisi e le spostai una ciocca di capelli da sopra al naso, doveva essere fastidioso.
Ad un certo punto, la magia svanì.
Suonarono alla porta e lei si svegliò saltando come un’anguilla. Mi guardava con gli occhi sbarrati dallo spavento e dallo stupore di essersi addormentata su di me.
“P-per caso ho dormito?”
“Sì, anche bene”
“S-sulla tua spalla?” chiese shockata
“Sì, guarda che non ho l’aids eh” dissi alzandomi scocciato dal divano. Andai ad aprire. Vidi i miei migliori amici. Gli unici che mi conoscevano più di chiunque altro.
Gerard, Mikey, Ray, Bob e Brian.
Saltai addosso a tutti ridendo, contento di essere tra i miei amici. Loro mi sorrisero e fecero domande su di lei, sulla casa, su tutto.
Entrarono tutti insieme. Virginia era ancora sul divano e stava guardando fuori. Il copri-divano era tutto stropicciato. Oddio, ora cosa avrebbero pensato?
Mi voltai verso di loro sorridendo innocentemente e anche un po’ in modo nervoso.
“Abbiamo interrotto qualcosa?” mi sussurrò ridacchiando Bob
“Cretini, no! Stavamo.. mh.. guardando la tv!”
Gerard mi guardò con un sopracciglio alzato e si guardò intorno.
“Non l’avete ancora distrutta”
“Io avrei dei dubbi, vero Frank?” disse Virginia sorridendo in modo bastardo. Si alzò e andò a presentarsi ai miei amici.
Tutti la seguivano con lo sguardo, quasi come se avesse una striscia dietro di sé che li avesse ipnotizzati.
Non so come mai, ma provai un po’ di rabbia nei loro confronti. Tutti, a parte Gerard, la stavano squadrando nel tipico modo maschile.
“Ragazzi, ma che state facendo?”
“Carina, la tua amica” disse Brian, l’unico single del gruppo. Io annuii vagamente e guardai lei parlare con Gerard da una parte.
Perché Gerard veniva trattato così bene, mentre io venivo trattato come un escremento di paguro?
La risposta me la diedi da sola. Gerard la trattava benissimo, l’ascoltava, le dava consigli e la guardava sempre con dolcezza.
Forse avrei dovuto anche io fare uno sforzo di questo genere.
La porta suonò un’altra volta. Io e Virgi ci guardammo confusi, gli altri sembrava che se lo aspettassero.
Andai ad aprire e mi apparve davanti quella specie di modello biondo, laureato in medicina, del fratello di Virginia.
Mi sorrise scoprendo una bellissima dentatura e si guardò intorno.
“Ciao Frank! Gerard mi ha detto di venire, così eccomi qui!”
“Ciao.. uhm Jake, giusto?” dissi facendolo entrare
“Sì, mia sorella?”
“Di là” la indicai. Appena lo vide, a Virgi si illuminarono gli occhi. Adorava suo fratello, era visibile. Si abbracciarono e poi guardai Mikey. Ridacchiava con Gerard guardandomi. Mi avvicinai a loro con aria interrogativa e Gerard mi guardò con aria innocente.
“Che diavolo state ridendo?”
“No è che.. tiri certi lampi d’odio verso il fratello di Virginia” rispose ridacchiando Mikey.
Io roteai gli occhi e scossi la testa.
“Non è vero, idioti" dissi arrossendo. I ragazzi scoppiarono a ridere e mi diedero delle pacche amichevoli sulla testa, come per prendermi in giro. Idioti, ecco cosa sono i miei amici.

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Capitolo 7
*** Capitolo Quinto: Part Two ***


Eccomi, di nuovo in ritardo *ammazzatemi* Ecco l'altra parte di quel capitolo molto confusionario, proprio come questo.
Infatti verranno fuori molti segreti, che sono svelati a metà, perché sennò non ci sarebbe gusto leggere sta fanfiction, no? *già non c'è ne è di suo* comunque, penso che ora aggiornerò più velocemente, perchè fra un po' la scuola finisceeeeee yeaaaaah. Ok, mi calmo, così cominciate a leggere sto pezzo di fanfiction.

Ps. Non posso rispondere alle recensioni, perché sto scrivendo al capitolo sei e sono molto impegnata ;) comunque grazie a tutte le mie recensitescions (quelli che fanno le recensioni) Alohaaa


Capitolo Quinto: Part Two

La cena trascorse normalmente. Ordinammo delle pizze, dato che quelle che avevo in freezer non erano bastate.
Eravamo tutti seduti a tavola, io stavo finendo di mangiare. Incrociai lo sguardo con Jake, che mi sorrise guardando Frank.
Roteai gli occhi. Era ancora dell’idea che io e Frank potessimo stare bene insieme.
“Se sei una giornalista, perché non conoscevi il nostro gruppo?” chiese Ray prendendo in mano una fetta di pizza.
“Perché non mi occupo della sezione musicale. E poi perché non so, si vede che non mi piacete” dissi alzando le spalle. Forse ero stata troppo schietta.
Alzai lo sguardo e loro sembravano un po’ dispiaciuti. Scoppiai a ridere.
“Non vi ho mai sentiti, non vi abbattete così!”
“Ma siamo famosissimi!” ribattè Mikey
“Non so, magari è destino che non vi abbia sentiti..”
In effetti era vero. Non li avevo mai sentiti in vita mia. Il loro nome mi suonava famigliare, però non avevo mai sentito una loro canzone o video o intervista.
Al giornale qualcuno sicuramente li aveva intervistati, ma sarò stata come al solito impegnata.
“Frank, sei strano stasera” disse Gerard con un tono buffo da mammina. Frank guardò tutti noi disorientato e lo incenerì con lo sguardo.
“Io non sono strano”
“Non parli”
“Perché non ho niente da dire?”
“Con i tuoi amici?”
“Aspetta chiariamo, non ci sono solo i miei amici” Io mi voltai incenerendolo con lo sguardo.
Si sentiva una certa tensione nell’aria.
“Frank, perché fai così?” chiese Bob confuso.
“Perché me lo chiedete tutti?”
“Perché sei strano, Frank. Seriamente. Non sei .. uhm te” rispose Ray
appoggiando la forchetta sul piatto.
“Ma cosa state dicendo?” Frank sembrava teso e nervoso. Non capivo cosa stesse succedendo, dopotutto si era comportato sempre così, perché stupirsene? “Stiamo dicendo che ti comporti come se stessi fingendo di essere qualcun altro” rispose Gerard.
Frank si alzò dalla sedia e sbattè violentemente il tovagliolo.
"Ora mi sono rotto le palle! Non ne posso più di 'sto discorso! Continuate a rinfacciarmi il fatto di essere cambiato, ma perchè, invece di parlare, non provate a capire? Sono già cinque giorni che sono in una casa rinchiuso con uno spregevole essere vivente, con cui litigo giorno e notte!" urlò furioso. Aveva le guance rosse e gli occhi furiosi, ma quasi disorientati da ciò che aveva appena detto.
Sentii qualcosa crescermi in gola. Stavo per piangere. Radunai tutte le mie forze fisiche per non scoppiare a piangere, ma una lacrima scese sulla mia guancia. Tutti se ne accorsero. Jake mi guardò dispiaciuto. Tutti lo facevano.
“Perché continuate a guardare lei? E’ lei la colpa del fatto che io sia così antipatico, dannazione!”
Sentii un’altra lacrima scendere. Non avrei resistito ancora tanto. Ma volevo sentire ancora cosa volesse dire.
“Basta, Frank! Cazzo, almeno dì ste cose non davanti a lei! Che ti prende?!?!” urlò Gerard alzandosi da tavola e venendo da me.
“Vieni Virgi, vieni con me”
Io scossi la testa quasi ipnotizzata. Guardavo un punto impreciso davanti a me. “Virgi, ti prego. Non stare ad ascoltarlo, non sa cosa dice”
Avevo gli occhi velati di lacrime. Alzai lo sguardo verso Frank. Mi guardava in modo stranito, ma colsi qualcosa nei suoi occhi.
Qualcosa che lo avrebbe condannato ad una notte di insonnia. Un senso di colpa.

Quando mi guardò con quegli occhi, sentii un mostro divorarmi le viscere. Era il mostro della colpa. Ti divora quando hai fatto qualcosa di brutto.
Una lacrima cadeva sulla sua guancia, fermandosi all’altezza della fossetta. Cosa avevo appena detto? Mi ero uscito tutto così velocemente dalla parte inattiva del cervello.
Gerard se la portò via, sulla terrazza. La vidi crollare dal pianto, abbracciava Gerard molto forte, piangeva, piangeva e piangeva. E con lei piangeva il cielo. Un tuono fece vibrare il vetro dei bicchieri nei quali stavamo bevendo.
Spostai lo sguardo verso i miei amici, che mi guardavano sconvolti dalla mia reazione.
“Non dovevi farle questo, dopotutto lei non é l'unica causa del tuo stress, lo sai benissimo.” disse Bob alzandosi dalla sedia
“Non se lo meritava affatto” lo successe Mikey.
Ray e Brian mi guardarono delusi e si alzarono dalle sedie. Tutti e quattro si diressero verso la porta.
“Ciao Frank, ci vedremo quando sarai tornato il Frank Iero che conoscevamo” chiusero la porta e sparirono.
Benissimo. Avevo perso i miei migliori amici, anzi li avevo delusi, ancora peggio. Oltre alla mia dignità, alla mia calma e alla mia felicità, avevo perso anche loro. L’unico che era rimasto era Jake.
Mi sedetti sulla sedia stanco e stufo della situazione che mi ero creato da solo. “Picchiami se vuoi, è tua sorella” dissi con calma
“Sei strano sai, Frank?”
Aprii gli occhi e sbuffai. “Cominci anche tu ora?”
“No, io intendo, che hai una personalità strana. Assomiglia molto a quella di.. Virgi”
“Cioè?” si sentiva il mio interesse crescere dal tono della mia voce.
“Ti va una sigaretta e un po’ di chiacchiere?” disse alzandosi e prendendo un pacchetto di sigarette dalla tasca dei jeans.
Io annuii e lo seguii. Andammo sul balcone della cucina. Fuori pioveva, ma non faceva abbastanza freddo da non potersi fumare una sigaretta.
“Me ne daresti una?” chiesi un po’ imbarazzato dalla sua presenza e dallo scroccare sigaretta. Lui sorrise e me ne porse una, che poi accese.
Era da tanto che non fumavo.
Respirai bene quel fumo tossico e sentii le cellule del mio corpo tranquillizzarsi. “Dunque, sai perché non ti faccio niente?” Scossi la testa guardandolo con curiosità.
“Perché sarebbe stupido. Tu non le pensavi quelle cose”
“Invece sì” perché lasciavo che la parte inutile del mio cervello parlasse in continuazione?
“Prima ti racconto una cosa. Poi vediamo se le pensavi veramente” fece una pausa e mi guardò “Virginia, da come avrai sicuramente capito, non è la mia vera sorella. L’abbiamo adottata appena nata. I suoi genitori vivono in California. Sono ricchissimi, quindi avrebbero potuto anche permettersi di avere una figlia.. Ma la lasciarono, perché non era abbastanza bella per loro”
“Cosa? Ma se è..”
“Lo so, lo so, ma loro erano convinti che un bambino dovesse nascere bellissimo. Mentre i bambini, come ben sai, nascono pieni di sangue, rossi in faccia e un po’ rugosi, così loro la lasciarono. Sua madre era una nota modella e suo padre un chirurgo plastico. Per questo che erano fissati con la perfezione fisica. Pazzi, secondo me. Comunque mia madre voleva adottare un bambino, così vedemmo all’orfanotrofio questa bellissima neonata che ci guardava con occhini sorridenti e ne fummo rapiti da subito. L’adottammo ed andammo a vivere nel New Jersey, dove lei conobbe te”
Cominciai a sentire i muscoli irrigidirsi. Ero nervoso, il senso di colpa mi stava divorando veramente tutto. Non mi piaceva affatto pensare al passato. Soprattutto agli ultimi anni di liceo.
“Frank, lei era innamorata pazza di te. Ti amava, ma tu facevi il solito bellone della scuola e te ne fottevi altamente della sua esistenza..”
“Ma non era colpa mia!”
“Lo so, però quel bacio te lo potevi evitare. Dopo quel bacio lei si aspettava che tu le chiedessi di essere la tua ragazza, ma tu lei hai detto che quella sera eri ubriaco e che non era vero che ti piacesse”
Io scoppiai a ridere. Jake mi guardò confuso.
“Ti fa ridere?” “No, è che sono un coglione. A me piaceva da impazzire”
“Ma perché le hai detto così?”
“Perché mi sarei trasferito a Belleville e non avrei voluto che soffrisse tanto per me”
“Sei un idiota, è vero”
Calò un silenzio che mi fece riflettere. Me lo ricordavo bene quel bacio. Era un venerdì. Forse era stato bello perché avevo tanto sognato quel momento, o forse era lei.
Ricordai le notti che avevo passato a pensare a quel bacio, quando mi ero trasferito da mio padre a Belleville.
“Comunque, perché mi hai detto tutto questo?” chiesi tornando alla dura realtà.
“Perché Frank,con tutte le parti che potevi toccare, hai toccato proprio quella dolente. Le hai fatto capire di essere uno spregevole essere vivente, quindi hai toccato l’argomento “perfezione” che l’angoscia da tanto tempo. Tu non lo sapevi, lo so, ma lei ti odierà per questo. Sa che tu vorresti essere con una modella bionda e spilungona, piuttosto di essere con lei e glielo hai fatto notare” “Ma dannazione, è bellissima! Io preferisco lei ad una modella!”
Quelle parole mi erano uscite di bocca così, come un palla di cannone.
Guardai intorno confuso. Però non le avevo vomitate, le avevo pensate.
"Allora, perché non glielo fai capire? Hai paura che lei ti rinfacci il passato?" chiese fissandomi con quegli occhi così stranamente azzurri e molto affettuosi.
“Penso che sia una ragazza stupenda, ma a volte non la capisco” dissi portandomi alla bocca la sigaretta.
“Perché la fai incazzare. Prova a trattarla bene per tutta la settimana” “L’ho fatto una sera ed era tutto così perfetto, però poi il giorno dopo mi è tornato un odio sconosciuto dentro e abbiamo ricominciato a litigare.
“Perché ti comporti così? Dimmi la verità, Frank.”
“Perché nascondo una cosa Jake, una cosa che mi rende acido e stressato ogni giorno. Una cosa che avverrà fra esattamente due mesi. Una cosa che ogni giorno mi fa sentire più in colpa, più pentito. E' come un giocattolo che non vuoi più, ma con cui devi per forza giocare"
“Cosa nascondi Frank?”
Feci una pausa e poi mi sfilai l’anello che portavo all’anulare. Fuori ci avevo fatto incidere “R.I.P Grandma”, ma quando Jake lo prese in mano, immaginai che avesse visto la scritta all’interno.
“Frank, devi dirglielo”
“E come? Ma poi cosa gliene potrebbe importare?”
“Frank, se tu fossi qualcosa più di un amico, le tornerebbe qualcosa dal passato. Anzi penso che quel qualcosa stia emergendo a poco a poco, dal terreno.”
“Sì, ma.. non posso Jake.. non posso. Renderei le cose più complicate.”
“O glielo dici, oppure la tratti bene per una settimana”
“Ok, la tratto bene” dissi allungando la mano, buttando la sigaretta dal balcone. Lui sorrise e strinse la mano.
“E’ ora di entrare in casa” disse.
“Jake, aspetta. Come faccio con il mio segreto?”
“Nascondilo e non ci pensare”
Sentii un brivido percorrermi la schiena. Però ero felice di poter essere di nuovo me, di poterla trattare bene. Magari, dimenticando il peso che mi portavo dentro, sarebbe tornato tutto come la sera in terrazza, come in lavanderia. Lei sarebbe tornata Bunny e io Frank. Come sempre.

“Stai meglio ora?” mi chiese Gerard mettendomi un braccio intorno alle spalle. Io sorrisi e annuii. Mi faceva male la gola, però ero contenta di aver “vomitato” tutta la verità a Gerard.
Gli avevo raccontato del liceo, della mia adozione, dei miei genitori e di Frank. “Vuoi rientrare?”
“Gee, no ti prego. Non voglio vederlo un’altra volta, non si può annullare sto gioco?”
“No Virgi, se lo annullerai soffrirai di più. Frank ora starà morendo dai sensi di colpa, non ti preoccupare”
“Perché lui ha un cuore?” dissi facendo il primo sorriso della serata
“Sciocca, ovvio che ne ha. E ne ha uno gigantesco, però è più un pentimento che senso di colpa. Ha paura di un giorno, è complicato da spiegare. Ma, credimi, ogni volta che ti ha insultato o risposto male, era un Frank molto lontano da quello che vedi,”
"Ho sempre pensato che dietro a quel bulletto, ci fosse qualcuno di dolce. Ma non ne ho mai avuto la dimostrazione" dissi sospirando guardando il cielo newyorkese.
"E quando vi siete baciati?" Sentii una fitta al cuore. Quel bacio. Era stato uno dei più bei baci al mondo. Se solo non mi avesse detto che fosse stato solo il frutto di una sbronza, forse l'avrei ricordato con più felicità.
"Cosa importa di quel bacio? Dopotutto era ubriaco"
"Virgi, ma hai mai visto qualcuno ubriaco?" disse sorridendo teneramente e alzando le sopracciglia.
"Beh.. sì"
"Allora sei proprio strabica. Lui non era ubriaco, era una scusa. Aveva paura di farti soffrire troppo, non voleva che tu sprecassi il tempo pensando ad uno come lui"
Aprii la bocca e la chiusi subito. Provai un senso di confusione, incredibile.
"Ma che..."
"Stronzo, lo so" mise una mia ciocca di capelli dietro il mio orecchio "Però, credimi, che non è stato più lo stesso. Per tre mesi l'ho visto felice. I tre mesi della vostra amicizia. Poi un buio totale. Ho visto un Frank depresso, antipatico, acido. Un po' come lo vedi tu ora. Mi nascondeva i suoi sentimenti, mi nascondeva tutto. Più nascondeva, più non era se stesso. Quando Frank si comporta così, vogliono dire due cose: la prima é che ti nasconde qualcosa, la seconda é perché non guarda le sue telenovele da settimane"
Scoppiai a ridere fragorosamente.
"Non pensavo che esistesse un lato di Frank dolce. Insomma, ogni tanto diventa improvvisamente gentile, però in un secondo tutto svanisce. Diventa come al solito intrattabile e io non sto nemmeno a parlarci. Non so veramente che fare" conclusi guardandomi le punte delle scarpe.
"Dagli una possibilità, Virgi. Dagliela. Ne ha bisogno"
Lo guardai negli occhi.
"Non so se ce la farò, non dopo tutto quello che mi ha detto"
Calò un silenzio tombale. Un'aria fredda mi entrò fino al midollo, facendomi rabbrividire.
“Torniamo dentro” dissi ad un tratto. Volevo solo poter dormire e dimenticare quella brutta giornata.
Gerard annuì e mi seguì, quando incrociammo Jake e Frank che uscivano dalla camera da letto.
“Allora noi andiamo, buonanotte Virgi, notte Frank” disse Gerard dandomi un bacio sulla guancia e una pacca sulla spalla a Frank.
“Anche io vado. Buonanotte Frank, ricordati quello che ti ho detto”
Frank annuì e fece un sorriso. Io, confusa, accompagnai Jake alla porta. “Non ho intenzione di dirti ciò che ci siamo detti”
“Ti prego”
“No Virgi. Però dagli una possibilità. Non le pensava quelle cose”
“Non importa cosa pensasse, le ha dette comunque.” risposi acidamente. Lui sospirò e mi diede un altro bacio sulla guancia.
“Notte”
Poi sparì dalle scale. Chiusi la porta e mi voltai. Frank stava sparecchiando la tavola. Meglio, così sarei andata a dormire senza dovergli parlare.

Una volta accesa la lavatrice, guardai la cucina. Perfettamente pulita. Potevo andare a dormire, ormai era mezzanotte passata. Entrai nella camera da letto silenziosamente.
Non dormiva, lo sentivo dal respiro. Si vedeva che faceva finta. Mi tolsi la felpa, rimanendo a petto nudo e mi guardai allo specchio. Avevo l’aria stanca e infelice.
Avrei dovuto proprio ravvivarmi un po’.
Mi infilai una maglietta giù usata e rimasi in boxer. La mia parte del letto era ghiacciata, stavo tremando dal freddo. Con un piede toccai la sua parte del letto, era bollente.
Ma che diavolo! Avevo un freddo cane, così mi rigirai cercando di scaldarmi, ma il freddo persisteva.
Così feci una cosa idiota. Misi di nuovo il piede nella sua parte del letto, ma il piede sinistro toccò il suo destro. Lei si alzò con il busto, come un serpente a sonagli appena stuzzicato.
“Che cazzo stai facendo?”
“Ho freddo, se non ti dispiace.”
“Devi aspettare che si scaldi la tua parte di letto, così potrai dormire tranquillo. Non invadere la mia, cazzo!” si abbassò di peso e poi mi diede le spalle.
Rimasi ancora fermo a guardarla al buio. Era il momento giusto per dirle scusa. Radunai tutte le mie forze per riuscire a farlo, dopotutto avrei potuto parlare con lei se le avessi chiesto scusa e sarei anche tornato più normale. Sarei tornato il Frank Iero di sempre.
“Lo so che in questo momento mi vorresti uccidere..”
“Puoi dirlo forte!”
“..però credimi, non le pensavo quelle cose. Le ho dette perché sono stressato dalla vita che faccio ormai da un anno, ho paura di un giorno che rovinerà tutto e non ho le palle, come al solito, di affrontare la mia situazione. Non ti chiedo di capire, perché é una cosa molto complicata e non posso rivelartela e."
"Non ho capito, stai cercando di dirmi che sei il nuovo James Bond?" Feci una pausa e sospirai rassegnato.
Era inutile parlare con lei, non avrebbe mai capito. Mi sdraiai nel letto freddo e mi girai dall'altra parte del letto e chiusi gli occhi.
"Lascia stare, non importa" dissi in modo scocciato, sempre con gli occhi chiusi. Calò un silenzio abbastanza snervante, ma sentii Virgi avvicinarsi a me. Mi fece girare verso di lei e mi guardò negli occhi.
"Cosa mi volevi dire?" mi chiese con un tono indecifrabile. Non sapevo cosa dire, sentivo il cuore battermi dall'agitazione.
Stava accadendo tutto come in lavanderia, quella mattina.
"Allora?" Forza Frank, non fare la figura del cretino.
"Volevo dirti che.." Parole ne avevo, ma erano quelle giuste che stavo cercando. ".. Virginia, mi piacerebbe che tornasse tutto come quella sera in terrazza. Come quando parlavamo e mangiavamo il gelato ridendo, come quando ti chiamavo Bunny e tu mi chiamavi Iero in un modo gentile, però. Insomma, vorrei che dimenticassi i giorni in cui ti ho insultata e ricordassi quelli in cui hai riso con me"
Non avevo la più pallida idea di ciò che avessi appena detto. Mi era uscito tutto dalla bocca, istintivamente.
"O-ok" rispose lei non molto convinta.
"Ho detto una marea di stronzate, vero?"
Scoppiò a ridere e poi sorrise.
"No, finalmente hai detto qualcosa di giusto"
"Menomale" risposi sorridendo.
"Frank"
"Sì, Bunny?"
I suoi occhi scuri brillarono. Sapevo di aver detto la parola più azzeccata del momento. L'avevo chiamata come voleva essere chiamata.
"Niente, buonanotte" mi rispose sorridendo e tornò dalla sua parte del letto.
Dopo cinque minuti si era addormentata profondamente.
Pensai alla giornata che era appena trascorsa, incredibile.
Avevamo fatto pace. Io e Virginia avevamo fatto pace. Sorrisi e allungai le gambe, notando una cosa veramente piacevole.
Dopo che Virgi era stata nella mia parte del letto, il freddo sembrava sparito e le lenzuola erano normalmente calde.

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Capitolo 8
*** Capitolo Sesto. ***


Come al solito in ritardo. Coff coff. Vabbè dai, l’importante è leggere la fanfiction, no?
Dunque, le cose cominciano a farsi più interessanti. Lo so che questa fanfiction vi sembrerà piuttosto anormale, lo so, però tenete presente che NON e’ realtà. Allora prima di tutto non so se la Quinta Avenue sia la via più ricca di New York. Secondo i The Used e i My Chemical Romance non si parlano veramente, però Gerard e Bert non hanno mai avuto nessuno tipo di relazione *cheiosappia*, anche se.. ehm ehm sto zitta va.
Terzo, Quinn è troppo bello per non averlo messo nella FF *________* Quarto, Matt, il ragazzo di Virginia, non è sparito. Anzi, nel prossimo capitolo se ne vedranno delle belle.
Quinto domani ci saranno i MCR all’Heinkein e la mia sore ci va, quindi dedico questo capitolo a lei <3 ti voglio benissimo!

Kisses

demolitionlover
>



Capitolo Sesto



“Sono cinque dollari e dieci centesimi”
Guardai la ragazza di fronte a me. Carina, dai. Aveva gli occhi grandi e azzurri e i capelli biondi ossigenati che le cadevano sulle spalle.
Però a me non piacciono né le bionde, né le ragazze con gli occhi così azzurri.
Peccato.
Sorrisi e frugai nelle tasche, in cerca di qualche spicciolo.
Le porsi la banconota da dieci dollari e lei sfoderò uno dei più falsi sorrisi che avessi mai visto in vita mia.
“Arrivederci e buona giornata” mi disse come una cantilena a cui era stata costretta a cantare troppe volte.
Afferrai il pacchetto e uscii dallo Starbucks.
Era presto, dovevano essere almeno le sette e mezza. Quando mi ero svegliato, di fianco a me Virginia non c’era, ma in compenso c’era un post it attaccato allo specchio del bagno.
Sono andata al Central Park a correre. Bunny
Mi sedetti su una panchina che era davanti ad un laghetto e presi una sigaretta dal pacchetto. Era da tanto che non mi sedevo in un parco pubblico, soprattutto al Central Park.
Mi alzai il cappuccio della felpa, per evitare qualche paparazzo mattutino.
In effetti non avevo avuto tempo per niente e per nessuno.
Accesi la sigaretta e guardai l’acqua del laghetto calma e piatta. Avevo fatto proprio bene a venire fino al Central Park.
Era da tanto tempo che non mi sentivo così rilassato. Una sigaretta e quel clima che non da perennemente fastidio.
“Frank?”
Alzai lo sguardo e incontrai quello di Virginia. Aveva le cuffie dell’iPod alle orecchie, anzi il mio iPod. I capelli scuri erano legati in un’alta coda di cavallo e aveva le guance leggermente rosse, forse dalla corsa.
“Ciao Bunny” risposi sorridendo e portandomi la sigaretta alla bocca.
“Che ci fai qui?” chiese lei sorpresa
“Beh, non posso stare qui?”
Virgi si sedette sulla panchina vicino a me e guardò il laghetto.
“No, ecco.. è strano.. tutto qui”
Calò uno degli abituali silenzi che c’erano fra di noi e poi presi il pacchetto.
“Tieni, ho preso due ciambelle e un frappuccino. Lo vuoi?”
Le si illuminarono gli occhi dalla fame. Mi sorrise e poi afferrò la ciambella. Cominciò a mangiare silenziosamente, mentre io finivo di fumare la mia sigaretta tranquillo.
Ripensai alla sera prima.
Mentre la guardavo mangiare, non riuscivo a credere di poter aver detto delle cose così brutte. Dopo tutto quello che aveva passato, io ero riuscito a ferirla di nuovo. “Riguardo a ieri sera..”
“Frank, è tutto ok. Abbiamo già chiarito, non ne parliamo più” disse interrompendomi e portandosi il bicchiere del frappuccino alla bocca.
Annuii e buttai la sigaretta, ormai spenta e finita, nel laghetto.
“Ti piace?” chiesi riferendomi alla ciambella.
“Mmh Bfona” disse con la bocca piena. Io scoppai a ridere.
“Non ho capito niente, comunque ok” le toccai la punta del naso e tolsi una polverina bianca “Avevi dello zucchero a velo sul naso”
Mi sorrise un po’ imbarazzata e poi si voltò a guardare il laghetto.

Finii di mangiare quella squisita ciambella e mi pulii con la manica della felpa.
Ok, era una cosa da scaricatori di porto, ma ogni tanto andavano bene quei vizi.
Era stato veramente gentile Iero. Non lo riconoscevo quasi più
“Cosa ti va di fare oggi?” mi chiese all’improvviso.
“Non saprei, dovrei andare a fare un po’ di shopping” dissi finendo di bere il frappuccino.
“Ok, quando torni a lavorare?”
Mi ero dimenticata del mio lavoro. Dopo essermi slogata il polso, non avevo più messo piede nell’ufficio. Mi mancava un po’, a parte lo svegliarsi in ritardo ogni mattina.
In più avrei dovuto ricomprare il vestito di Chanel e un vestito da indossare per una festa elegante a cui avrei dovuto partecipare.
“Non saprei, oggi è sabato se ti ricordi”
“Già, ormai ho perso il senso del tempo. E’ da tanto che non facciamo un concerto, non mi sembra vero” disse guardando con aria lontana, ma non nostalgica il cielo. “Ti manca?”
“Chi?” Roteai gli occhi e incrociai le braccia sul petto.
“Ti manca suonare davanti a milioni di persone?”
“Dipende. A volte, quando sono solo, sì. Ma avevo bisogno di staccare un po’, ero veramente stressato”
“La gente famosa non può essere stressata, è patetico” risposi storcendo il naso. Lui si voltò a guardarmi come un cane inferocito. Non pensavo di avere detto qualcosa di veramente brutto, insomma più che altro non avrei mai pensato che avrebbe potuto prendersela per così poco.
Si alzò dalla panchina e se ne andò via furioso. Lo rincorsi e gli afferrai un braccio. “Non mi dire che te la sei presa, Iero!”
“Lasciami in pace” rispose seccamente.
“Sentimi bene, stavo scherzando. La devi smettere di prendertela per tutte le cose che ti dico, so di essere pungente ogni tanto, ma questa volta non ti ho detto niente, Cristo!” risposi quasi urlando.
Alcuni vecchietti si erano girati per assistere alla scena. Sentii una vecchina dire alle sue amiche sedute in una panchina di fianco a lei.
“’Sti giovani non sanno mantenere le relazioni. Lui non si dovrebbe far trattare così..”
“Senta, non stiamo insieme, comprende? Siamo solo amici!” dissi seccata alla vecchietta che mi guardò in modo indifferente dietro le spesse lenti degli occhiali. “Solo amici, tsk. Vecchia scusa” ribattè sottovoce. Le amiche annuirono. Io feci per dire qualcos’altro, ma Frank mi trattenne e ridacchio piano.
“Andiamo a casa, dai”
Lo guardai ancora un po’ stupita dal suo cambiamento d’umore improvviso e poi lo seguii.
“Dovresti fare il politico. Diavolo, ti fai mettere i piedi sulla testa da nessuno!”
Mi voltai e gli sorrisi ridendo
“Già, è un mio difetto”
“Io la reputo una dote, comunque fai come vuoi tu”
“Perché ti sei incazzato, spara”
Lui calciò con il piede una lattina e mi guardò negli occhi.
“Hai toccato un punto debole, come io ho fatto con te ieri sera. Però, ti prego, non ne parliamo più”
“Come vuoi tu, Mr Iero” Lui si voltò e scoppiammo a ridere insieme.
Per quanto mi potessi sforzare, sarebbe sempre stato difficile comprendere la mente contorta di quell’essere vivente soprannominato Iero.
“Devo andare a casa a cambiarmi, aspettami in macchina” dissi entrando di fretta nel palazzo dove c’era la “nostra” casa. Lui annuì e poi si accese un’altra sigaretta, dirigendosi verso la macchina.

*
Si era cambiata impiegandoci una buona mezz’ora.
Quando alzai lo sguardo, sbarrai gli occhi.
Non poteva essere lei. No. Era uscita dal portone come in uno di quei vecchi film in cui la bellissima attrice esce dalla porta a rallentatore, così tu puoi dire addio il tuo cuore che impazzisce davanti a quella bellezza impossibile.
Indossava un baby doll bianco sopra un paio di jeans stretti in fondo e delle paperine rosse con il fiocchetto bianco.
Sembrava uscita da uno di quei film della Disney, assomigliava molto a Biancaneve. Capelli corvini, fisico snello, ma con le curve al punto giusto, occhi da Bambi. Però quel carattere che ti faceva venire l’orticaria ai gomiti.
Aprì la porta e mi sorrise, mentre digitava con furia il Sidekick che aveva fra le sue mani.
Per tutto il viaggio non parlammo, lei mandava messaggi e io guidavo in silenzio. L’unica cosa che interrompeva il silenzio era una canzone che girava per radio, “The Bird and the Worm” dei The Used, per il resto silenzio.
Finalmente finì di digitare e mi sorrise alzando il volume della radio.
“Che figa ‘sta canzone”
“Mh..” dissi arricciando il naso.
“Di chi è?”
“The Used” dissi con tono molto distaccato e un po’ disgustato. Sì, perché non avevo ancora digerito il fatto che Bert avesse spezzato il cuore a Gerard. Li odiavo per il modo in cui si erano comportati con noi, dopo il Warped Tour.
“Una volta sono uscita con il chitarrista” disse appoggiando i piedi sul cruscotto. La fulminai con lo sguardo e lei mi sorrise innocentemente togliendo i piedi.
“Scusaaaa”
“Comunque dicevi? Sei uscita con Quinn?” dissi facendo finta di aver colto la notizia con molta leggerezza. Quinn era il tipico donnaiolo, era stato capace di baciarsi quattro ragazze nel giro di tre minuti. Aveva il proprio record personale.
“Sì, dovevo intervistarlo, ma immagina come possa essere andata a finire” rispose facendo un sorriso malizioso e roteò gli occhi, poi tornò a guardare fuori dal finestrino.
“Avete scopato?”
“Mamma, quanto sei volgare!” Scoppiai a ridere.
“Avete fatto l’amore? Così va meglio?”
“No, fare l’amore vuol dire che ami la persona con cui lo fai. Comunque, sì”
“Davvero?” Il semaforo era rosso.
“Sì, ma perché ti interessa così tanto?”
“Quinn è un mio amico” mi corressi “Era”
“Era?” La sua natura da giornalista si era appena risvegliata. Sorrisi e tamburellai sul volante. “Sì, era”
“Vuoi dirmi un’altra volta la parola “era”?!? Racconta, no?”
“Beh, forse è meglio se mi dici dove dovremmo andare”
“Aaaah non cambiare discorso, gira per la Quinta Avenue, ci sarà un Chanel da qualche parte. Raccontaraccontaracconta” disse strattonandomi il braccio.
“Ok, ok. Stai calma” dissi sorridendo “Dunque, noi e i The Used eravamo uniti molto, cioè facevamo sempre concerti insieme, feste insieme e anche canzoni insieme”
“Insomma, dei gemellini” La guardai serio e poi scoppiai a ridere.
“Ma che diavolo spari? Comunque, giuri di non lasciarti scappare questa informazione segreta?”
“Giuro, dammi il mignolo” Tesi il mignolo e lei me lo strinse con il suo.
“Lo prometto” poi mi baciò il mignolo e sorrise.
“Allora? Cosa è successo?”
“Siamo arrivati al parcheggio”
“Eddaii, quanto sei antipatico, non finisci mai di dire le cose importanti, dannazione! Parcheggia e dimmi ‘sta cosa!”
“Ok, ok, stai calma! Beh Gerard e il cantante dei The Used, Bert, hanno avuto una relazione. Bert l’ha lasciato senza un motivo e i contatti tra le band si sono sciolti”
“Frena. Gerard e Bert sono due uomini”
“Ma no?” Parcheggiammo in un piazzale pulito e pieno di macchine costose e luccicanti. Dovevamo essere arrivati nella parte ricca di New York.
“Beh, allora…insomma” La guardai. Com’era buffa e carina in quel momento.
Sembrava una bambina che cercava di spiegare una cosa imbarazzante. Le diedi un buffetto sul naso.
“Sì, è gay” risposi, risolvendo tutti i suoi dubbi.
Lei stette zitta e si limitò a guardami con gli occhi sorpresi.
“Non è un mostro eh”
“Lo so, idiota! Ma non .. insomma.. non pensavo che..Ma si sono baciati?”
“Non penso che si siano fermati solo al bacio”
“Ok, ok, risparmiami i dettagli. Scendiamo va” disse aprendo la porta e scendendo dalla macchina. Scesi anche io e chiusi le portiere.
“Sei tu che me lo hai chiesto!” esclamai ridendo. Lei si voltò e mi guardò seria, con le braccia conserte sul petto.
“Stavo pensando: non è che anche tu eri innamorato di Quinn e un giorno vi sorprenderò a fare qualcosa di inaspettato sopra il bancone della cucina?” La raggiunsi e le misi il braccio intorno alle spalle.
“No, io sono e sarò sempre innamorato di te, non ti preoccupare. Comunque è possibile che ci troverai a farlo sul letto, sopra i tuoi vestiti” sorrisi in un modo veramente strafottente. Lei aprì la bocca stupita e mi diede una spinta ridendo e facendo la finta incazzata.
“Idiota! E gay! E anche porco!”
“Non sono gay!” dissi rincorrendola per dargli degli schiaffetti sulla testa.
Era strano. Era il primo giorno, da quando era a New York dentro in quella casa, che non aveva smesso di piovere. Ma quel sabato il sole splendeva in alto nel cielo e io e Virgi ridevamo e scherzavamo come dei vecchi amici.
C’era una sola cosa che non mi quadrava. Perchè la trovavo bellissima e non carina, come al solito?

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Capitolo 9
*** Capitolo Settimo. Violence and tears ***


Hallo
Eh si, purtroppo sono qua. Mh, capitolo molto lungo, ma molto importante. Dopo questo capitolo, penso che cambierà un po’ tutto. Mi dispiace di dover mettere Matt sotto questa cattiva luce, però mi serve per i prossimi capitoli.
Mi dispiace anche di essere una bambolina tipo Sbrodolina che, invece di sbavare come un lama, piango a dirotto in questo capitolo. Ah, la roba dell’aria condizionata E’ verissima! Quando sono andata al cinema ai Carabi, tremavo proprio dal freddo!
Ah, come avete potuto notare nell’altro capitolo, compare una coppia scoppiata, ma che.. vabbeh niente, ossia Gerard e Bert. Ve la consiglio molto come coppia, anche perché sono troppo dolciosi insieme *çççç* e poi se leggete i testi di “The Black Parade” (alcuni) e del nuovo cd dei The Used *belliFFimo*, sembrano fatte apposta per loro due!
Vabbè, ora mi tappo la bocca e buona lettura ;) Scusate per le mancate risposte alle recensioni, ma non ho tempo come al solito =.=”” grazie comunque a tutti! Cercherò di ricambiare la recensione al più presto!


Capitolo Settimo.

Era da così tanto tempo che non mi divertivo come quella mattina.
Avevamo continuato a ridere e scherzare per le strade di New York. Delle ricche signore, avvolte in cappotti dall’aria decisamente costosa, ci osservavano con occhi ostili, come se ci volessero sgridare.
Ma era invidia. Loro non provavano più il piacere di una risata fatta con gusto, il loro piacere era una borsa rivestita di qualche pelle costosa, un profumo costoso, una casa gigantesca e assolutamente ordinata.
Come compativo quella gente, era così vuota. Senza un briciolo di vita. Come dei manichini sulle vetrine delle loro boutique preferite.
Mi voltai a guardare Frank. Anche lui le seguiva con lo sguardo.
Poi si voltò a sorridermi. Gli si illuminava il viso, quando sorrideva. Era..uhm.. bello.
Arrossii al solo pensiero di aver ammesso una possibile bellezza su Iero e poi guardai i negozi dall’altro lato della strada.
“Da dove cominciamo?” mi chiese lui, infilandosi le mani dentro le tasche dei jeans.
“Andiamo da Macy’s” dissi indicando un grande palazzo a più piani. Tantissima gente, soprattutto adolescenti, entravano ed uscivano dalle porte scorrevoli. Attraversammo la strada e stavamo per entrare, ma il mio cellulare suonò.
Lo cercai nella borsa, maledicendo tutti i santi di questo mondo, perché si era nascosto veramente bene.
Aprii il Sidekick e vidi la chiamata.
“Gerard?” dissi con tono stupito. Frank sbarrò gli occhi, accennando un mezzo sorriso.
Non avevo visto Gerard dalla sera della cena, avevo tanta voglia di fare una chiacchierata come quella sera.
Gerard era una delle persone più dolci del pianeta. All’improvviso mi tornò in mente ciò che mi aveva raccontato Frank. Chissà, doveva aver sofferto tantissimo per Bert.
“Ciao Virgi, ho pochi minuti..”
“Certo, sei tanto impegnato?” dissi ridacchiando.
“Mh, più o meno. Dove sei?”
“Alla Quinta Avenue, perché?”
“Niente. Quindi non hai letto la lettera?”
“Quale lettera?” dissi stupita. Frank fece un’espressione interrogativa.
“Niente, quando torni a casa, prendila e leggila. E’ importante”
“Gerard, mi dovrei preoccupare, ti sento piuttosto teso..”
“No, niente.. non ti preoccupare.. ci sentiamo dopo. Ah senti, hai chiarito con Frank?”
“Sì, sì, è qui, vuoi che te lo passi?”
“Sì, grazie. Ciao bella, un bacione. Ricordati la lettera”
“Ok, ciao Gerard” Passai il telefono a Frank, che lo prese e cominciò a gesticolare parlando. Frank era rimasto sempre lo stesso. Fin dai tempi del liceo, quando parlava, gesticolava. Era una cosa tutta sua, ma la trovavo veramente carina. Lo rendeva..uhm.. speciale.
Oddio, è la seconda volta in una mattinata che faccio complimenti indiretti a Iero.
L’espressione preoccupata di Frank attirò la mia attenzione, cercai di capire cosa stesse dicendo, ma lui si allontanava.
“..festa.. giovedì.. Be..B” Erano state le uniche parole che ero riuscita a comprendere dal suo discorso segreto.
“Ok, sarà fatto. Gerard, amico mio, non ti preoccupare. Andrà tutto ok” disse quella frase con così affetto. Se fossi stato in Gerard, qualunque cosa avesse, mi sarei calmata. Solo grazie al tono e la convinzione con cui Frank l’aveva rassicurato.
Quando chiuse il cellulare, incrociai le braccia sul petto e lo guardai con un ghigno. Lui spostava lo sguardo da destra a sinistra.
Frank Iero non era il tipo da segreti.
“Cos’ha Gerard?”
“N..niente” disse con poca convinzione. Alzai un sopracciglio e ripetei la domanda.
“Cos’ha Gerard, Frank”
“Niente, non posso dirtelo”
“Dai, Fraaaank” dissi facendo gli occhi dolci. A volte sapevo essere veramente una gattamorta. Lui mi guardò con poca convinzione e alla fine sbuffò abbattuto.
“Aaaargh, ok. Te lo dirò. Gerard mi ha parlato”
“Frank, lo so! Non cominciare a girarci intorno!”
“Ok, ok! Beh, lui era piuttosto preoccupato..”
“Lo so!” dissi esasperata. La curiosità mi stava uccidendo.
“Ok, ok, allora mi ha detto una cosa”
“Senti Iero, se dici ancora un “ok, ok” e provi a dirmi cose che già so, giuro che ti faccio scoppiare quella tua grande testa di rapa!” dissi minacciandolo con un dito. Lui mi guardò stupito e sorrise.
“Ok, oh scusa. Dunque, giovedì ci sarà una festa a casa “nostra”, verranno un bel po’ di celebrità. E tra questi, Brian, il nostro manager, ha invitato anche i The Used”
“Quindi ci sarà anche Quinn?” chiesi senza pensarci. Lui fece un segno di disgusto e poi rispose quasi seccato.
“Sì, anche lui” disse con tono piatto “Comunque, non pensi che ci sarà anche Bert?”
“Ah. Bene. E allora?”
Frank roteò gli occhi e mi bussò sulla testa.
“Helloooo? C’è qualcuno? Bunny, collega questi due nomi. Gerard e Bert”
“Aaaah giusto. E perché è preoccupato? Insomma, lo rivedrà, non è quello che sogna da una vita?”
“Beh ha paura che possa succedere qualcosa, sai dopotutto è Bert”
“Qualcosa in che senso?”
“Beh… qualcosa dai..” disse esortandomi a capire. Ma io proprio non ci arrivavo. “Tipo?”
“Qualcosa..” continuò a dire girandoci intorno.
“ma cooooosa!?” esclamai spazientita.
“Senti, magari scoperanno! E lui ha paura che possa essere stata solo una scopata e ci rimarrà fottuto di nuovo!” dissi spazientito.
“Scusate, ma questo è un posto di una certa classe, state disturbando la clientela con le vostre parolacce e, oltretutto, otturate il passaggio”
Mi voltai in modo cagnesco verso la voce che ci aveva appena parlato.
Un uomo, che assomigliava di più ad un incrocio fra King Kong e Gozzilla che ad un uomo, mi guardava con occhi severi. Aveva la divisa da poliziotto e doveva essere senz’altro una guardia di sicurezza del centro commerciale.
“Noi stiamo facendo che cosa?” risposi con tono scocciato.
“State disturbando e limitando il traffico”
Mi voltai e incrociai lo sguardo spazientito di alcune signore eleganti che stavano in fila dietro di noi.
“Si da il caso che stiamo semplicemente parlando ad alta voce. Non penso che sia un reato. E secondo, lei chi diavolo è per trattarci così?”
Il gorilla si chinò per guardarmi meglio.
“Gary Moss, il capo sicurezza di Macy’s e le ordino due cose. O di entrare o di andarsene via dal centro commerciale”
“Senta un po’, Gary. Questa gente può benissimo entrare sorpassandoci, solo che sono così schifosamente ricchi che non sanno cosa significhi fare uno sforzo” dissi guardando disgustata le signore coperte di pellicce costose, nonostante non facesse freddo.
“Signorina, badi a come parla!” minacciò una signora con le labbra talmente gonfie, che temevo scoppiassero.
“Se lo ficchi nel..”
“Scusate a tutti, ma la mia mogliettina è.. uhm incinta! Sì, incinta. Sapete com’è.. le donne incinte hanno tutti questi ormoni e puff! Diventano pazze ehehe” Iero mi aveva chiuso la bocca con la mano e sparava stronzate, come al supermercato, su una mia possibile gravidanza.
Il gorilla ci scrutò molto attentamente e alla fine annuì.
“Per questa volta ve la scampate, ma bada alla tua bestiolina, è pericolosa..”
“Bestiolina? Ma come diavolo si permette! Vaff..”
“Basta amore, andiamo” disse Iero tappandomi di nuovo la bocca e trascinandomi dentro al centro commerciale.
Un’aria fredda mi invase tutto il corpo. Dannazione a noi americani, ogni scusa è buona per accendere l’aria condizionata. Ora capisco perché quelle vecchiacce indossavano le pellicce. Rabbrividisco dal freddo, ma anche per l’espressione con cui mi sta guardando Iero.
“Perché ogni volta che usciamo fai così?”
“Così come?” dissi quasi urlando
“Vedi? Devi sempre urlare! E io devo sempre intervenire, un giorno o l’altro ci arresteranno e sarà tutta colpa tua!” disse puntandomi il dito contro.
Avevo veramente troppo freddo, tremavo orribilmente e non riuscivo a capire perché Iero si fosse tanto scaldato per una stupidaggine.
“M-mi dispiace.. N-non lo fac-cio appos-sta”
All’improvviso cambiò espressioni. Notai che quando era arrabbiato, i suoi occhi diventavano di un verde metallico, glaciale, ora erano diventati di un verde-nocciola caldo, ma la sua espressione era preoccupata.
“Bunny, perché tremi? Dio, lo sapevo, sono stato duro. Ti ho fatto paura? Mi dispiace è che ogni tanto mi fai venire i cinque minuti e non mi so trattenere.. Dopotutto non era del tutto colpa tua..” continuava a parlare a raffica, ma non sentivo nessuna parola di quello che avesse appena detto.
“Frank, ho freddo”
“..dopotutto c’era da aspettarselo da quella guardia, era così severa! E poi quelle signore..” niente. Non mi ascoltava. Iero parlava, gesticolava e parlava di nuovo.
Ad un certo punto mi spazientii e gli afferrai il viso tra le mani, in modo da guardarlo dritto negli occhi.
“Frank Anthony Thomas Iero, ho freddo e sto morendo assiderata”
Lui stette a pensarci e poi sobbalzò. “Oh, potevi dirlo prima!” Lo fulminai con lo sguardo.
Si tolse la felpa che portava e me la porse.
“Tieni, tanto io sono con la maglietta a maniche lunghe” dissi sorridendo.
Lo guardai meglio. Dio, doveva essere uno dei più dolci ragazzi al mondo. Mi ricordai le parole di Gerard “Se fossi la ragazza di Frank, capiresti quanto tu possa essere fortunata ad averlo. Perché lui tratta le sue fidanzate come delle principesse”
Mi tolsi quel pensiero dalla testa. Io non ero e non sarò mai la ragazza di Frank Iero, quindi è inutile pensarci.
Afferrai la felpa e me la infilai. Lentamente la sensazione di freddo svanì, lasciandomi dentro quell’enorme felpa.
“Dai, andiamo.. Non sono mai stato in un centro commerciale così grande” disse prendendomi per braccetto.
“Perché sei un’ameba! Hai bisogno della più brava organizzatrice di feste di tutta New York!”
“E cioè?”
“Me, idiota!” dissi ridendo.
“Ah beh, signorina Animal Party, non ho ancora avuto l’occasione di poter assistere ad uno dei suoi party!”
“Vedrà, Mr Iero, vedrà. Giovedì organizzerò tutto io!”
“Ho paura che scoppierà la casa”
Scoppiammo a ridere, anche se avrei dovuto offendermi. Il mio sidekick vibrò di nuovo. Un messaggio. Aprii e rimasi a bocca aperta. Matt.
Dove cazzo sei? Sei con un uomo vero? Perché non mi chiami più?
Matt

Frank si voltò a guardarmi preoccupato.
“Tutto ok, Bunny?”
Lo guardai negli occhi. Matt non aveva mai fatto così. Non si era mai preoccupato abbastanza per me, partiva per tour mondiali infiniti e magari si faceva sentire ogni tanto. Non mi leggeva la preoccupazione negli occhi. Forse i primi mesi di fidanzamento, gli assomigliava.
Dopo litigavamo in continuazione a causa della sua cieca gelosia, credeva che andassi ai party organizzati dal giornale solo per rimorchiare celebrità.
All’inizio, quando avevo cominciato quel gioco, avevo paura che Matt si preoccupasse troppo. Non volevo che sapesse che fossi con un altro ragazzo.
Mi avrebbe picchiata, magari.
Ma Frank non era così. In quel momento, mentre mi guardava con quegli occhi, capii di aver sbagliato sul suo conto.
Quello di fronte a me era il vero Iero, non quel pazzo acido scatenato della sera prima.
Ricambiai il sorriso e scossi la testa.
“Niente, andiamo a mangiare qualcosa da Mc Donald’s?” dissi indicando il fast food non molto lontano da noi.
Frank rimase a guardarmi ancora poco convinto e annuì, seguendomi verso l’entrata del fast food.

*


Nonostante avessimo riso e scherzato tutto il pomeriggio, c’era qualcosa che non andava. Stavamo tornando verso casa. Avevamo comprato alcuni film da vedere e avevamo anche comprato e restituito il vestito di Chanel.
Insomma, non mi ero mai divertito così tanto a fare shopping, però c’era qualcosa.
I suoi occhi non erano grandi, sembrava quasi che qualcosa l’avesse fatta rattristare.
Per tutto il tragitto in auto cantammo le canzoni di un cd vecchio di Britney Spears. Non sapevo cosa ci facesse dentro la mia macchina, però scoprii di sapere tutti i testi a memoria. “.. hit me baby one more time nannana” cantavamo ridendo.
Una volta arrivati a casa, lei si chiuse in bagno a farsi una doccia e io rimasi in cucina a preparare la cena.
Avevo intenzione di preparare una semplicissima pasta al sugo, dopo avremmo sgranocchiato qualche pop-corn mentre guardavamo il film.
Non potevo credere che le cose fossero cambiate così tanto nel giro di un giorno. Insomma, una volta non ci parlavamo nemmeno; ora eravamo intenti a guardare un film insieme.
Scossi la testa sorridendo e poi afferrai la lettera che giaceva due minuti prima dentro la cassetta della posta.
Sopra la busta c’era una scrittura disordinata, ma originale.
A Frank e Virginia
Aprii lentamente la busta e ne estrassi un foglio scritto fitto, fitto.
So che può essere stupido scrivervi una lettera, ma se ve l’avessi detto a voce, non l’avreste mai fatto.
Vi ricordate quando vi avevo promesso di affibiarvi una punizione, se aveste litigato la sera della cena?
Beh voi AVETE litigato, quindi le regole del gioco, sono le regole del gioco.
Ho contattato un mio amico che lavora allo Zoo di New York.
Lunedì vi presenterete alle 9 (sono stato buono con gli orari) davanti allo Zoo e aiuterete a dare da mangiare e ad intrattenere degli animali a vostra scelta (sono stato buono anche qua).
Durerà solo un giorno questo lavoro, non vi preoccupate.
Però passerete del tempo insieme e magari starete con i vostri simili ahahahah.
Saluti,

Gerard.


Io, Frank Iero, sarei dovuto andare ad uno zoo a pulire degli animali a mia scelta?!?!
Andai di corsa verso il bagno e bussai forte sulla porta.
“Dimmi!” disse Virgi dall’altra parte della porta.
“Esci, dobbiamo parlare!”
“Ma mi sto facendo la doccia!”
“Non importa, è urgente!”
Sentii l’acqua della doccia spegnersi e delle bestemmie che, sicuramente, stava lanciando verso di me.
Aprì la porta come una furia.
Era avvolta in un asciugamano e i capelli scuri gocciolavano sul pavimento. Gli occhi le erano ritornati alla normale dimensione. Grandi e scintillanti.
“Iero, ok che sono nuda qua sotto, però non mi puoi morire così eh”
Mi disincantai e tornai ad essere incazzato per la lettera. Gliela porsi.
“Leggi cosa dovremmo fare lunedì!”
Lei lesse in una velocità spaventosa e poi sorrise alzando le spalle.
“Stai per caso sorridendo?” chiesi con gli occhi sbalorditi.
“Ovvio Iero. Stai calmo, su. Si tratta solo di dare qualche banana alle scimmie e niente di che. Su!”
“Ma io sono Frank Iero, non posso andare in uno zoo a pulire il culo delle scimmie! Io suono in uno dei gruppi più ricchi di tutto il pianeta!” Stavo perdendo il controllo delle mie parole.
“Sentimi bene, Iero! Tu sarai anche il più strafigo del pianeta e suonerai anche la chitarra con il naso, ma ciò non toglie che tu sia uguale identico all’altra gente! Odio la gente che se la tira solo perché ha avuto fortuna nella vita, magari non facendo niente. Io lavoro dalle sette del mattino, fino alle nove di sera! Scrivo articoli su articoli, leggo, intervisto e mi introfulo ad ogni posto possibile! Io mi faccio il culo, quindi io posso anche avere la scelta di essere incazzata per questa cosa. Perché io mi spacco di lavoro!”
“E io no?! Io sto per un anno in tour, non vedo altro che i miei compagni della band, viaggio tanto, ma non vedo un accidente dei posti in cui andiamo, non posso avere una relazione e dovrei andare allo zoo? Ma pensi che io non mi faccia il culo e che stia tutto il giorno a poltrire? Allora sei un’idiota!”
Urlavamo come degli invasati. Tutto era già svanito. Ad un certo punto, chiuse la porta con violenza, ma io ero appoggiato allo stipite della porta.
Così una porta di legno mi chiuse le dita e urlai dal male. Lei aprì la porta e si scaraventò subito da me. Ancora tutta bagnata e preoccupata.
Sentivo gli occhi bruciarmi dalle lacrime, le dita mi pulsavano dal male e vedevo tutto sfuocato. “Sei una stronza!” urlai
“Ma non l’ho fatto apposta, credimi” mi disse agitata
“No?!?! Cosa pensi, che sia idiota? Se si sono rotte non potrò suonare per un bel po’! Ti odio!” dissi quasi fra le lacrime.
Lei cominciò a singhiozzare senza interrompersi, le lacrime le scorrevano veloci sulle guance arrossate.
“Io.. non.. volevo.. non ho.. visto.. mi dispiace..” diceva senza respirare.
Alzai lo sguardo e sentii la barriera di ghiaccio sul mio cuore sciogliersi. Gli occhi erano diventati più grandi e, non so come, era diventata ancora più bella. Sospirai e guardai in basso. Mi ero calmato, finalmente.
Ormai si sentivano solo i suoi singhiozzi.
“Vatti a mettere qualcosa addosso e torna qua”
Lei annuì e sparì in camera. Quando tornò, indossava la mia maglietta dei Misfits e degli shorts.
Piangeva ancora. Mi alzai e andai a sedermi sul divano. Mi guardava come se potessi scoppiare da un momento all’altro. Avvertivo paura e pentimento nel suo sguardo.
“Siediti” dissi toccando il posto vicino al mio. Lei scosse la testa, mordendosi il labbro inferiore. Le lacrime le rigavano ancora le guance.
Mi alzai e l’afferrai per un braccio, lei fu sulla difensiva, quasi come se avesse paura che le facessi qualcosa.
“Siediti, Bunny”
Sentendo quel nome, si rilassò e si sedette vicino a me. Stemmo zitti per un minuto. Io guardavo davanti a me e lei tirava su con il naso. Mi voltai e le sorrisi con dolcezza.
“Non è colpa tua, Bunny”
“Sì, che lo è! Sono un’idiota, non avrei dovuto risponderti in quel modo, non avrei dovuto sbattere quella porta così forte, non avrei dovuto accettare questo gioco! Mi rendo sempre insopportabile!” disse tra i singhiozzi.
La portai vicino a me. Così vicino che, se avesse alzato la testa, le nostre labbra si sarebbero toccate.
“Tu non sei insopportabile, Bunny. Lo devi capire. Ci provochiamo a vicenda e reagiamo allo stesso modo. Siamo come due bombe che vengono fatte scoppiare nello stesso istante..” “Sì, ma io sono sempre quella che ha un effetto più devastante!”
“Non dire sciocchezze. Io ti ho ferito molto l’altra sera. Non piangere, Bunny. Sennò diventi brutta..”
Lei rise e si asciugò gli occhi “Non ne ho bisogno, lo sono già”
Si allontanò un po’ da me. Era alla mia stessa altezza, mi guardava con gli occhi marroni lucidi e grandi.
“Hai detto una cazzata”
“Cosa?”
“Hai detto una cazzata” Le parole, per la seconda volta, mi uscivano da sole.
“Cosa vuoi dire, Frank?” Aveva paura di aver sbagliato di nuovo. Aveva paura che la stessi rimproverando di nuovo, ma non ero incazzato. Era una cosa veramente carina quella che stavo per dire.
Forse quelle cosa avrebbe cambiato totalmente il resto dei giorni.
Non ci saremmo più guardati con sguardi di scherno o di semplice amicizia. Il fatto era che me ne ero accorto solo in quel momento, ma mi era ritornata quella sensazione di non capire nulla quando vedi la ragazza che ti piace, quando senti anche il suo profumo, quando anche solo guardandola negli occhi, il mondo ti sembra più bello e pacifico.
Forse mi era ritornata la cotta, o forse era attrazione fisica, ma mi stavo avvicinando pericolosamente alle sue labbra.
“Il fatto è che Bunny, non sei carina” Lei guardò per terra con sguardo triste, dovevo dirglielo. “..sei bella” Aspettai, prima di riprendere la frase. Lei arrossì e poi mi guardò negli occhi.
“Non devi sottovalutarti così. Quindi, se dovessi sentirti ancora dire una cosa del genere, giuro che ti punirò”
“E come?”
“Con il.. solletico!” Mi fiondai su di lei e le feci il solletico. Lei rideva e cercava di allontanarmi. Ad un certo punto sentii una fitta alla mano, sospirai e guardai preoccupato la mano.
“C’è del ghiaccio?”
“Certo, aspetta qui” Andò in cucina e prese un po’ di ghiaccio, li avvolse in un fazzoletto e me lo mise sulla mano.
“Bunny, perché piangevi così tanto?” chiesi all’improvviso. Lei si stirava con le dita un lembo del pantaloncino.
“Avevo paura che tu diventassi violento”
“E perché avrei dovuto?” dissi sorridendo.
“Il mio ragazzo lo fa sempre” rispose in fretta. Mi voltai preoccupato a guardarla e lei fece un sobbalzo.
“Cioè.. non.. intendevo…”
“Bunny, che ti fa il tuo ragazzo?” perché non mi aveva mai detto che fosse fidanzata? Dio, questa sì che era una notizia.
“Niente, niente. Ma insomma.. ogni tanto..” Le posai una mano sul braccio.
“Ogni tanto?”
“Ogni tanto gli partono degli schiaffi, ma non è grave, dopotutto.. succede” disse riprendendo a singhiozzare.
“Dio, mi sento così lagnosa. Non l’ho faccio apposta a piangere come una mocciosa, ma in questi giorni non succedono altro che cose tragiche e..”
“..e?”
“..e pensare che sono debole in confronto al mio ragazzo, mi fa sentire veramente una merda” “Ti picchia tanto?”
“No, no è che la trovo una cosa umiliante. Tutto qua”
“Vieni qua, Bunny” dissi abbracciandola “Se dovesse succedere un’altra volta, tu chiamami. Io sarò lì, anche se dovesse esserci una tempesta o se Michael Jackson diventasse donna, io ci sarò” Scoppiò a ridere e mi strinse forte.
“Grazie, Iero”
“Prego, Bunny”

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Capitolo 10
*** Capitolo Ottavo. ***


Avevo questo capitolo pronto da un secolo, ma come al solito do l'esempio di essere più pigra di un bradipo.
Come ben saprete il 3 novembre, i Chem saranno in Italia! *O* finalmente! domani vado a compare i biglietti *ma chi cazzo se ne frega* anche se non ne sono ancora molto convinta. Mi scuso anche se in questa fanfiction sono comparsi poche volte gli altri chem, però nel prossimo capitolo ci saranno. lo prometto.
anyway, non ho più niente da dire.
grazie mille alle recensioni <333 scusate se aggiorno sempre in ritardo, avreste il diritto di uccidermi :°D


Capitolo Ottavo

Entrai in bagno e chiusi la porta a chiave.
Doveva essere presto, forse le sei del mattino. Non sapevo esattamente perché mi fossi svegliato a quell’ora. Una volta che apro gli occhi, non mi addormento più. Accesi una piccola radiolina verde sopra il davanzale di una finestra e chiusi gli occhi.
Mi era mancata la musica.
Mi mancava suonare la mia adorata Pansy.
Aprii l’acqua della doccia. Il mio Sidekick suonò.
Guardai il mittente del messaggio appena ricevuto. Una morsa allo stomaco mi confuse per cinque secondi, poi premetti in fretta il tasto “Cancella” e spensi il cellulare, entrando nella doccia senza pensarci.
La musica finì e partì un’altra canzone. Una canzone che avevo sentito per notti intere, quando avevo chiuso ogni rapporto con Virginia.
Mr Brightside dei Killers.
La canzone del ballo. Il ballo che forse mi aveva cambiato più di tutta le persone della mia vita messe insieme.
Goccioline calde d’acqua cadevano veloci sulla mia pelle, facendomi il solletico sulle spalle.
Chiusi gli occhi e rimasi a sentire le note della canzone, isolandomi da tutto.
Avevo bisogno di quei momenti di isolamento. Ogni tanto la mia testa sembrava che scoppiasse da tutto quello che ci frullava all’interno.
Pensavo, parlavo, pensavo, parlavo. Ma la maggior parte parlavo, senza pensare.

Quando mi ero alzata, il posto a fianco al mio era vuoto.
Iero era sparito.
Mi ero alzata dal letto, ancora assonnata e rimbambita. Mi sentivo qualcosa nel petto, mentre camminavo e non trovavo Iero.
Finchè sentii lo scroscio dell’acqua della doccia. Quel peso dentro il mio petto cominciò a farsi sempre più leggero, fino a sparire del tutto.
Non ci potevo credere. Avevo paura che mi avesse lasciata da sola! Scossi la testa, facendomi pena da sola e mi avviai in cucina.
Notai una radio sulla mensola vicino al frigo e l’accesi.
Le note di una canzone iniziarono. Era incredibile sentirla lì, di nuovo. L’ultima volta che l’avevo sentita, ero tra le braccia di Iero e tutto mi sembrava così a colori. ?Per una volta nella mia vita, tutto andava alla perfezione.
Che sciocca che ero stata. La batosta arrivò dopo, quando fece svanire tutti i miei sogni e le mie speranze con una scusa.
Misi su il caffè e mi sedetti sullo sgabello. Non sapevo bene cosa fare. Non sapevo se farmi trovare triste per quella canzone, oppure essere indifferente.
Sapevo che nessuno dei due avrebbe ignorato quelle note, quella voce di Brandon.
Afferrai un libro di cucina e lo sfogliai di malavoglia.
Pensai alla festa che si sarebbe tenuta il martedì. Cosa avrei potuto organizzare? Dovevo chiamare tantissima gente e cercare di scegliere la musica giusta.
Insomma, un casino.
Ero ferma davanti alla ricetta di un dolce al cioccolato. Si chiamava Sacher. Mia nonna me la preparava sempre. Era una delle cose più buone del mondo, uno dei pochi dolci che riuscissi a sopportare.
Ero talmente concentrata sui dolci, che non sentii la porta del bagno aprirsi.
Iero uscì vestito con un paio di jeans semplicissimi e una maglia a maniche corte rossa. Mi sorrise, i capelli neri ancora bagnati e arruffati.
Dio, se era carino.
Si sedette sullo sgabello di fronte a me e appoggiò la testa su una mano.
“Che ci fai sveglia a quest’ora?”
“Tu cosa ci fai sveglio a quest’ora?” chiesi senza guardarlo, sfogliando il libro.
“Non avevo sonno”
“Anche io”
Le note della canzone continuavano a suonare. Si divertivano a stuzzicare le cicatrici che avevamo.

Because I want it all
?It started out with a kiss
?How did it end up like this
?It was only a kiss, it was only a kiss



Quando la canzone arrivò a quel punto, alzai lo sguardo automaticamente.
Non mi aspettavo che anche lui lo facesse.
Invece mi trovai a fissarlo in quegli occhi. Dio, se erano grandi. Mi guardava come se avesse voluto dire qualcosa, qualcosa per giustificarsi di quella strofa.
“Stavi sentendo anche tu questa canzone?” chiese quasi in un sussurro.
“Già, a quanto pare..” dissi cercando di mantenere un tono normale.
Stava per dire qualcosa, ma la caffettiera cominciò a brontolare, avvisandomi che il caffè fosse pronto.
Presi due tazze dalla credenze e le misi sul bancone.
Mi girai e afferrai la caffettiera. Frank mi guardava, sempre con quella espressione di qualcuno che vuole dire qualcosa, ma non sa come dirla.
“Te la ricordi quella canzone?” disse ad un tratto. Aveva sparato la domanda più stupida che potesse fare. Mi sedetti e cercai di non incontrare il suo sguardo, quegli occhi potevano essere davvero potenti.
“E’ stato tanto tempo fa, Frank” risposi cercando di chiudere il discorso.
Lui annuì, forse un po’ deluso dalla mia risposta, e bevve piano il caffè sfogliando il giornale di ieri.
Calò il solito muro di silenzio fra di noi. Gli diedi un’occhiata veloce, giusto per vedere cosa stesse facendo. I capelli si stavano arricciando leggermente sulle punte, rendendolo ancora più dolce. Leggeva lentamente, come se volesse imprimersi ogni parola nella mente.
Anche se leggeva a mente, solo seguendo lo sguardo riuscivo a capire come stesse leggendo. Era una cosa che avevo imparato al corso di giornalismo, a volte il linguaggio degli occhi poteva servire.
“Non ti prenderai qualcosa con i capelli bagnati?”
“Bunny, sei la mia mammina ora?” disse facendo un ghigno, più che un sorriso. Io gli risposi con una linguaccia e mi alzai a posare la tazza nel lavello, come fece Frank dopo di me.
Mentre lavavo la mia tazza e lui la sua, mi voltai e gli dissi una cosa che, subito dopo, mi pentii di avergliela detta.
“E’ stupido che tu mi chieda se mi ricordi quella canzone. Dopotutto era l’unica cosa che mi era rimasta di te..”
“Era?”
“Frank, sei qua ora. Non sei più una stupida canzone. Sei..” Stavo oltrepassando il limite. Era come se gli avessi offerto la chiave per aprire il mio cervello su un vassoio d’argento. Mi guardò attendendo la mia risposta, una misera risposta.
“..sei reale”
“ah”
L’unica cosa che aveva saputo dire era un banalissimo “ah”. Mi aspettavo che dicesse qualcosa di più gentile. Scacciai quel pensiero, lui era Frank Iero. Non Jack di Titanic. Cosa mi aspettavo? Che mi prendesse la mano e mi sussurrasse un mi dispiace, perdonami per tutto quello che avevo detto?
Arrossii senza un motivo, sperando che non si notasse. Dopotutto la mia carnagione non era chiarissima.
“Perché arrossisci?”
“Non sto arrossendo!” risposi un po’ stizzita.
“Sì, che lo stai facendo. Bunny, hai le guance rosse!”
“Ah, piantala!” dissi andando in camera. Sentii la sua risata calda dalla cucina. Idiota.

*


“Devi girare di qui, Iero!”
“Dove?”
“Qui, Cristo! Sei peggio di una talpa polacca!” disse sbuffando e tornando a guardare l’elenco degli animali che conteneva lo zoo.
“Una talpa polacca? Perché, esistono delle particolari speci di talpe?” chiesi ridacchiando e girando a destra.
“Ovvio, la tua è la peggiore. Comunque, tu che animale scegli?”
“Non saprei, io amo i cani”
Virgi si voltò a guardarmi con espressione annoiata e sbuffò. Adoravo quando sbuffava, era una delle cose che mi divertiva di più, vederla sbuffare.
“Iero, sei idiota o che? I cani non sono animali da zoo, se vuoi vedere i cani ti porto in un canile, va bene?”
“Sì, grazie mammina”
“Prego, amore della mamma” ribattè facendo la finta dolce. Scoppiai a ridere e parcheggiai nel grande spazio davanti al cancello dello zoo.
“Dai, scendiamo. Aspe, passami la giacca”
“Che ti serve?!”
“Non si sa mai!”
“Sei un pessimista nato, figurati se pioverà!”
“Beh, meglio prevenire, no?”
“Esagerato” disse aprendo la portiera e ridendo.
Una volta scesi dalla macchina, la guardai discutere con il custode dello zoo, che non ci voleva fare entrare. Indossava una salopette di jeans sopra una semplice maglietta bianca a maniche corte. I capelli svolazzavano al vento, potevo sentire il suo profumo anche se era a tre metri distante da me.
Si voltò e mi sorrise alzando il pollice in senso di vittoria.
Il custode ci aprì il cancello e entrammo un po’ intimoriti in quell’ambiente. Non ero mai stato allo Zoo di New York.
“Siete voi gli Iero?”
Mi voltai e vidi un ragazzo biondo, i capelli spettinati e due occhi castano chiaro, che si posarono subito su Virginia.
“Gli Iero? Qua di Iero ce ne è uno solo!” ribatté lei sorridendo al biondo.
“Scusatemi, avevo letto sul libro delle prenotazioni così” si giustificò il ragazzo sorridendo sempre a Virginia. Sentii il palmo della mano formicolarmi, come se.. avessi voluto dargli un pugno.
“Dunque, io sono Alex, Gerard mi ha detto di farvi vedere come si lavora in questo zoo, avete già scelto gli animali?”
Virginia mi guardò disperata. Mi ricordavo bene le sue fisse. Una di quelle era l’organizzazione; era totalmente fissata sull’essere organizzati.
“Beh, io ho deciso, lui no” rispose facendo la finta scocciata.
Io la guardai offeso. Mi aveva appena fatto fare una figura di merda con quel bamboccio.
“Io ho deciso. Faccio quello che fa lei” risposi spiazzandola. Lei mi sussurrò un “copione” piano e poi tornò a sorridere in modo irresistibile al ragazzo, che se la stava mangiando con gli occhi.
“E quindi?”
“Roba marina. Sai, delfini, foche, balene, pinguini..”
Il ragazzo annuì e sorrise. Perché diavolo doveva sorridere ogni tre secondi? Mica respirava sorridendo?
“Bene, allora seguitemi”
“Certo!” disse euforica Virgi, mettendosi vicino al bambolotto. Non sapevo cosa mi stesse accadendo dentro di me, sentivo qualcosa mangiarmi tutto l’intestino, il formicolio alla mano non passava più e sentivo bisogno di nicotina e caffeina. Un tuono ruppe il silenzio che c’era nella mia mente. Anche io sono piuttosto irritato Dio, anche io.

*


Scoppiai a ridere per la milionesima volta. Quel ragazzo, Alex, era decisamente simpatico, oltre ad essere carino.
“Perché il tuo ragazzo se ne sta là da solo?”
“Non è il mio ragazzo!”
“Beh, dal modo in cui ti guarda, sembra” rispose alzando le spalle. Io mi voltai verso Frank. Era davanti alla piscina dei delfini e dava loro il pesce. Non sorrideva, anzi sembrava letteralmente infuriato.
Cercava di pulire il pesce che avrebbe dato dopo alle foche piccole, però non ci riusciva. Sussurrò un “ahi” e poi si guardò il dito con espressione sofferente.
Erano ormai le quattro e lui non aveva fatto nemmeno pranzo, era andato a fumarsi una sigaretta fuori dal bar, lasciandomi sola con Alex.
Non che mi fosse dispiaciuto, però la presenza di Frank mi tranquillizzava. Non capivo cosa potesse avere, così mi alzai e lo raggiunsi sul bordo della vasca.
Lui alzò lo sguardo e mi ignorò totalmente. Mi sedetti a gambe incrociate di fronte, proprio come lui. “Che hai?”
“Ho una spina nel dito” disse senza guardandomi, torturando il pollice della mano in cui c’era la spina.
“No, Frank, cos’hai in generale?”
“Niente, non sono affari tuoi” rispose scorbuticamente, alzandosi e andando verso il vialetto che portava a tutti le zone dello zoo. Io lo rincorsi e lo strattonai.
“Non sono affari miei?”
“Sì, hai capito benissimo” rispose voltandosi, ma io lo feci girare con un altro strattone.
“Sono affari miei, dannazione! Perché mi hai ignorato tutto il giorno?”
Frank spalancò gli occhi e mi scoppiò a ridere in faccia come se fossi idiota.
“Io ti avrei ignorato? E sentiamo, tu cosa avresti fatto?” chiese con le braccia incrociate sul petto.
“Io..sono stata con Alex, ma cosa centra?”
“Ah, adesso non centra niente eh? Allora dimmi, ti senti in colpa per me perché non ci sono quando ti stufi di flirtare con il biondone? Oh, quanto sei dolce Virginia, tanto dolce!” disse in modo sprezzante.
Io rimasi a bocca aperta. Non sapevo cosa dire, Frank si voltò e fece per andarsene. Una goccia mi bagnò la punta del naso. Poi arrivarono miliardi di gocce, ed eccomi dentro una tempesta.
“Virgi! Vieni dentro!”
Mi voltai a guardare Alex, che era corso al riparo sotto una finta grotta. Poi guardai Frank, dall’altra parte sotto una palma finta, con il giubbotto in testa.
Corsi verso di Frank.
“Che c’è?”
“Frank, avevi ragione sul giubbotto, ma non su Alex. Posso stare lì?”
“Perché dovrei?”
“Frank, dai. Sono bagnata fradicia, ho freddo e puzzo”
Mi diede un’occhiata veloce e poi increspò un angolo della bocca. Sorrisi e mi misi vicino a lui. Non mi guardava nemmeno, si limitava a tenersi il giubbotto sopra la testa.
“Mi sto bagnando lo stesso”
Lui sbuffò e sorrise “Sei difficile eh”
Ricambiai il sorriso e mi misi vicino a lui, in modo da non bagnarmi tanto la testa. Lui si avvicinò e mi annusò.
“Non puzzi..”
“Ho l'odore di un cane bagnato, non dire stronzate!” risposi ridendo.
“Io lo trovo buonissimo, ma pensala come vuoi”
Arrossii per il semi-complimento e guardai la cascata di acqua che scendeva dal cielo. Dannazione al mio sangue, al mio cuore, alle mie guance e dannazione a lui, che stava sorridendo beffandosi dei miei imbarazzi.
“Bunny, ti ho fatto solo fatto un complimento, non c’è bisogno di reagire così! Fai così con tutti?”
“Dipende..”
“E’ una tattica per far sciogliere di tenerezza gli uomini?” disse sorridendo e avvicinandosi al mio viso.
“Probabile, ma non sicuramente te, Iero” dissi sorridendo. Stavamo perdendo qualcosa di veramente importante. L’autocontrollo. Sorrise in modo troppo furbo.
“E come mai?” Ormai eravamo passati ai sussurri.
“Sei un pinguino, non ti puoi sciogliere”
“E’ qua che ti sbagli Bunny” Non ebbi tempo per rispondere. Il suo labbro inferiore sfiorò il mio superiore. Mi guardò negli occhi, accarezzando una ciocca bagnata dei miei capelli. Mi batteva forte il cuore, le sorprese mi facevano quell’effetto.
Soprattutto le sorprese di quel tipo.
Poi accadde una cosa strana, si scostò da me e scosse la testa sorridendo.
“Non possiamo, dai. Tu sei Bunny..” disse facendo un ghigno che cominciavo ad odiare.
“E tu sei Iero..” dissi cercando di avere un tono convincente.
Annuì e poi si voltò dall’altra parte. Cercai di nascondere quell’espressione delusa che mi si stava dipingendo sul volto.
Non riuscivo a capire perché mi avesse detto quella frase.
Mi odiai per essere stata al suo gioco, lui era Iero. Poteva anche essere più dolce o più bello, ma quella stronzaggine che aveva dentro rimaneva comunque.
Non dicevamo una parola.
Per l’ennesima volta, Iero mi aveva preso in giro.
“Coglione” sussurrai andandomene sotto la pioggia. Presi una direzione qualunque, non m’importava dove stessi andando.
Sentii i passi di qualcuno che mi rincorreva. Ma io continuai a correre e raggiunsi il bar, dove Alex era sulla porta.
Andai da lui e gli presi il viso tra le mani. Non gli diedi nemmeno il tempo per parlare, lo baciai e basta.
Sapevo di star facendo uno sbaglio, dopotutto non mi piaceva Alex. Però sapevo che dietro di me ci fosse Iero. Sapevo che stesse guardando. Volevo che se ne pentisse, che la smettesse di prendersi gioco di me.

Non potevo crederci.
L’avevo rincorsa fino al bar, sapevo che se la fosse presa. Come al solito avevo detto la frase sbagliata.
Però non pensavo che andasse sulla bocca di un altro. Su quel biondino.
Si staccò da lui e si voltò verso di me.
“Ci vediamo a casa. Vieni, Alex” rispose prendendo per mano il ragazzo e sparendo dentro il bar.
Rimasi così. Senza parole, con la pioggia che mi bagnava dappertutto e un odio profondo per me stesso.
Non avrei dovuto dire quelle cose. Mi sedetti sul muretto e sospirai.
Presi il cellulare dalla tasca dei jeans e feci il numero di Gerard.
“Pronto?”
“Ho cercato di baciarla, ma ho rovinato tutto. Gerard, non mi voglio sposare. Penso che sia più di una vecchia amica” dissi tutto d’un fiato.
Non sentii nessuna risposta da parte di Gerard. Avevo bisogno di qualcuno con cui parlare, qualcuno che mi ascoltasse veramente. Gli altri ragazzi erano ancora delusi da me per l’altra sera, non avevo nessun’altro a parte Gerard.
“Vieni allo Starbucks sulla settima”
“Ok, arrivo” chiusi il cellulare e scossi i capelli bagnati.
Mi alzai e andai verso il parcheggio. Quando arrivai alla mia macchina, aprii la porta e il mio sguardo cadde sull’anulare della mano destra.
Quell’anello. Per quel dannato anello. Lo sfilai e lo guardai attentamente. Quelle lettere. Le aveva fatte incidere lei, l’aveva scelto lei, io non facevo parte di quella promessa. Io non volevo sposarmi.
Lasciai cadere l’anello, che rotolò per diversi secondi e finì nella fessura di un tombino.
Non mi sentii affatto meglio, perché era la promessa che simboleggiava quell’anello che mi faceva sentire il cuore come un macigno.

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Capitolo 11
*** Capitolo Nono. ***


Eccomi! Sono stata assente per un bel po' perchè ero in vacanza. Mh Mh. non è che abbia tanto da dire. Grazie mille per le persone che leggono questa storia, non pensavo che potesse piacere, davvero. Quindi grazie mille e ricambierò le recensioni al più presto ;)

Capitolo Nono

Spensi il motore della macchina e apoggiai la fronte sul volante.
Avevo bisogno solo di due minuti.
Due minuti di assoluta tranquillità e di silenzio.
Il temporale era diventato più violento, così potei dire addio alla tranquillità, poichè chicchi di grandine battevano sul vetro.
Tick Tick.
Chiusi gli occhi, cercando di riordinare la mia mente. Il bacio, Alex, l'anello.
Tick, Tick.
"Al diavolo.." dissi scendendo dalla macchina, arrendendomi. Non riuscivo a ragionare con tutto quel rumore.
Chiusi la macchina e attraversai la strada di corsa, tentando di non essere ucciso dalla grandine.
Poi mi fermai davanti alla porta dello Starbucks. Non sapevo esattamente il motivo per cui mi fossi fermato, dopotutto andavo a parlare con il mio migliore amico, non con uno sconosciuto.
Ma perchè allora mi sentivo così ansioso? Avevo forse paura del suo giudizio?
"Paranoico" mi dissi da solo e tirai la maniglia della porta. I chicchi di grandine rimbalzavano sulla mia testa, dandomi leggermente fastidio. Nonostante avessi tirato, la porta non si aprì.
Sbuffai e tirai di nuovo, ma niente.
Poi capii. Sotto il logo dello Starbucks, era inciso a caratteri cubitali. SPINGERE.
Ho sempre avuto difficoltà a capire quale fosse lo spingere e il tirare, così ci pensai cinque minuti e alla fine spinsi la porta, sbarazzandomi di quei chicchi di grandine fastidiosi che mi erano entrati nella schiena. Mi stavano scivolando dentro le mutande, così mi agitai come in preda ad un attacco epilettico, ma il chicco si era ormai sciolto.
Quando alzai lo sguardo, tutti mi stavano guardando come un fenomeno da baraccone.
Feci un sorriso imbarazzato e mi guardai intorno, cercando di individuare Gerard.
Finalmente lo vidi.
Era seduto nell'angolo più buio del locale, con un paio di occhiali da sole e una felpa nera.
Sospirai e mi diressi verso il suo tavolo. Quando mi stavo per sedere, sbattei il ginocchio contro l'angolo e feci sobbalzare il tavolo di un po', così il caffè di Gerard si rovesciò giusto un pochino.
"Ma che cazzo hai? Sembra che ti abbiano messo quattro supposte al peperoncino messicano nel culo, datti una calmata!" rispose Gerard, pulendo con un fazzoletto il caffè rovesciato.
"Mi sono fatto male! Mica l'ho fatto apposta!" risposi massaggiandomi il ginocchio.
Una cameriera arrivò con il block-notes tra le mani e ci guardò annoiata. "Che cosa desidera?" mi chiese con voce atona.
"Un caffè, grazie"
"No, guardi, porti una the" disse Gerard.
"Perchè? Un caffè, grazie"
"Il caffè ti fa agitare, Frankie" Guardò la cameriera "Un the, grazie"
"Anche il thè fa agitare, caro saputello, un caffè"
"No, the"
"Caffè"
"The"
"Caffè"
"Caffè"
"The"
"Tiè! Te l'ho fatta! Un the, grazie!"
Sbuffai e guardai la cameriera, che ci fissava con intenzioni omicida. Scrisse qualcosa e poi sorrise con amarezza.
"Facciamo una cosa, due belle camomille per tutte e due, ok?" "Ma.." obiettò Gerard
"Due camomille" e se ne andò, borbottando bestemmie contro di noi. "Furba, la tipa eh?" disse Gerard, giocherellando con la zuccheriera.
"Mh.."
"Bello sto posto, vero?"
"Sì, ma non capisco perchè tu abbia scelto questo tavolo. Poi perchè porti il cappuccio e gli occhiali da sole in un posto coperto?"
"Perchè esistono i paparazzi, caro mio e poi mi sento a mio agio nel buio"
"Dio, Gee non fare il solito depresso e malinconico. Nessun paparazzo sarebbe così folle di fotografarti vestito da sosia di Bela Lugosi!"
Gerard mi guardò negli occhi e scoppiò a ridere. Io feci un sorriso sforzato, senza nessuna intenzione di ridere. Proprio mi mancava la forza di ridere e di lasciarmi andare.
La cameriera portò le due tazze di camomilla e se ne andò con aria sempre più incazzata.
Gerard annusò la tazza e storse il naso.
"Ha un odore strano.."
"Meglio non berla, potrebbe averci sputato o, peggio ancora, pisciato dentro!" dissi storcendo anche io il naso.
Allontanammo le tazze e guardammo la strada attraverso le grandi vetrate. Gente che correva per non bagnarsi, gente che rideva, gente che urlava dentro le loro piccole macchine in mezzo al traffico e poi una coppia. Una che si baciava, nonostante la pioggia cadesse a torrenti.
Dovevano avere diciasette anni al massimo, giovanissimi.
Gerard li guardava, seguendo ogni loro movimento. Poi il ragazzo prese la mano della ragazza e scomparvero nel parco lì vicino.
"Mi ha chiamato, mi ha spiegato tutto" disse Gerard, guardando fuori.
"Perchè mi hai fatto venire qui, allora?" dissi spazientito. "Ti da così tanto fastidio stare qui?"
"No, però.."
"Frank, sei veramente strano. Non capisco i tuoi sbalzi di umore, prima non li avevi, non hai mai avuto questo comportamento.. Che diavolo hai, si può sapere oppure vuoi tenere come sempre tutto dentro? A che gioco stai giocando con lei? Al "Prima ti tratto bene e poi ti prendo in giro"? Frank, le persone non sono giocattoli, lo devi capire questo" disse amaramente.
Non so se mi fece più incazzare quello che mi aveva appena detto, oppure il fatto che avesse ragione.
Mi alzai dal tavolo e misi una banconota da cinque dollari sopra il conto.
"Frank, non fare il bambino, cresci dannazione!" disse con tono spazientito Gerard. Lo guardai negli occhi scocciato.
"Tu non hai problemi, dopotutto vedi di nuovo il tuo carissimo Bert"
"Che diav.."
"No, lasciami finire. Non hai problemi, perchè tanto hai fatto sempre finta di non averlo perdonato. Sai che tanto ti farai scopare, dopotutto è Bert. Tu aspetti quel momento da anni. E' facile criticare i problemi degli altri, quando non ci si trova nei loro panni"
Una lacrima percosse lo zigomo di Gerard, ma l'asciugò prima che potesse cadere sul tavolo.
"Vaffanculo, Frank, vaffanculo" disse andandosene via dal locale. Mi appoggiai alla vetrata per vedere dove stesse andando, ma era sparito.
Pagai il conto e uscii dal locale, fionandomi dentro la macchina.
Una volta lì dentro, scoppiai a piangere.
Piangere per me, significava singhiozzare per due minuti contati e qualche lacrimuccia.
Ma quel giorno piansi per almeno una mezz'ora, finchè avevo gli occhi rossi e gonfi, simili a quelli di un rettile. Accesi la macchina e mi soffiai il naso. Non sapevo dove andare, così imboccai una strada a caso e guidai per due ore.
*

Alex si era fermato davanti a casa.
Non l'avevo più baciato dopo che Frank mi aveva visto, non l'avevo nemmeno sfiorato.
Stavo per uscire dalla macchina, quando mi fermò.
"Perchè mi hai baciato?" Speravo che non me lo chiedesse, dopotutto non l'aveva fatto per tutto il giorno.
"Io.." mi morsi il labbro, cercando di trovare le parole giuste.
"Io..Alex, senti tu sei veramente carino, credimi. Ma.."
"Ti piace quel ragazzo là" concluse sorridedomi.
"Io, non lo so"
"Certo che ti piace, sennò non mi avresti baciato. Non mi voglio intromettere, però ti vorrei dare un consiglio"
Annuii, esortandolo ad andare avanti.
"Smettetela di fare gli amici, ci soffrirete e ci soffrite entrambi"
"E come fai a saperlo?"
"Sono bravo a capire le persone e le situazioni in cui si trovano.."
"Beato te.." sussurrai guardando la pioggia dal finestrino.
"Hey, chiunque può riuscirci. Devi solo farci attenzione. Ora vai a casa e dimentica tutto, verdai che andrà meglio"
"Speriamo.." Qualcosa attirò la mia attenzione. Una figura era davanti al nostro portone di casa, gli occhiali da sole sugli occhi, nonostante il sole fosse scappato per una bella vacanza alle Hawaii.
"Gerard.." sussurrai piano.
"Cosa?" Forse non tanto piano.
"Niente, scusa Alex, ma devo scappare. Grazie di tutto, ti chiamo per martedì!" gli diedi un bacio veloce sulla guancia e uscii dalla macchina alla svelta.
Corsi verso Gerard, che aveva la testa fra le mani.
"Gerard?" sussurrai, quasi con paura che succedesse qualcosa.
"Speravo che tornassi, posso salire?"
"E' casa tua" risposi ridendo. Lui fece un sorriso tirato ed entrò in casa.
Durante il viaggio in ascensore, non disse una parola. Si limitava a guardare dritto davanti a sè, magari non guardava nemmeno.
Dopotutto portava ancora quei buffi occhiali da sole.
Entrammo in casa e lo feci sedere sul divano, mettendo su l'acqua per un the.
"Mi vado a cambiare, tu resta qui"
Gerard annuì e io mi chiusi nella camera da letto. Mi cambiai infilandomi un pantalone della tuta e la felpa del college. Presi un asciugamano ed entrai nel salone, asciugandomi i capelli.
"Hai bisogno di cambiarti?"
Ma lui non mi rispondeva, si limitava a fissare fuori dalla finestra.
"Gerard, hai bisogno di cambiarti?"
Nessuna risposta.
Mi avvicinai e lo feci voltare. Aveva il viso rigato dalle lacrime. Scoppiò a piangere, abbracciandomi forte. Singhiozzava, senza nemmeno respirare.
"Gee, calmati, che è successo?"
"F-Fran-nk"
"Cos'ha fatto quel coglione?"
"Lui.. lui mi ha detto che io non posso capirlo, che tanto è facile per me, vedo Bert e tanto sa che.. mi farò.. portare a letto da lui.. perchè io non sono capace di non perdonarlo.. e che non ho problemi"

Scoppiò di nuovo a piangere e lo abbracciai più forte.
"E' veramente un deficiente, un deficiente frustrato, lascialo stare"
"Il fatto che mi fa ancora più soffrire è che magari abbia ragione. Dopotutto io non sono capace di essere così incazzato con Bert"
Gli asciugai le lacrime e sorrisi.
"Nessuno è capace di essere incazzato con la persona che ama"
Lui sorrise e poi si soffiò il naso, estraendo un fazzoletto nero dalla tasca.
Mi diressi in cucina ed aprii il frigo. C'era ancora tutta quella marea di carne, che mi aveva fatto comprare Iero.
"Ho un po' di carne, Iero me l'ha fatta comprare, ti va di restare qui a cena? Magari chiamiamo anche gli altri"
Lui annuì e sfoglio senza attenzione un giornale di moda che giaceva sul bancone della cucina.
"Chiamali, ma non invitare Frank"
"Non lo farei mai, sai come si è comportato con me" dissi prendendo due bustine di the dalla credenza.
"Vuoi della camomilla, per caso?"
Lui mi guardò negli occhi e scoppiò a ridere. Lo guardai senza capire.
"Che ho detto?"
"No, è che.. io e Frank stavamo litigando per una camomilla.." abbassò lo sguardo con tristezza "...ma ormai non ha più importanza"
MI sedetti e gli porsi la sua tazza di the.
"Dai Gee, non ci stare a pensare. A proposito, ho visto che c'è un manuale per il Nintendo Wii, come mai?"
"Ah, me l'hanno dato in regalo quando abbiamo fatto un concerto mi pare, ho un paio di videogiochi" disse girando lo zucchero con il cucchiaino.
"Strafico! Allora chiama gli altri, così ci facciamo una partita. Hai anche Guitar Hero, per caso?"
"Sì, deve essere da qualche parte nello sgabuzzino.. Ma la lavatrice l'avete aggiustata?"
"Ehm, no.. Domani dovremmo andare in lavanderia, ma da come stanno le cose penso che andrò io"
"Già" disse sospirando tristemente. Avrei voluto fare qualcosa per tirarlo su di morale, ma cosa? Perché Iero doveva sconvoglere la vita di tutto il mondo con le sue cattiverie?
Decisi di non parlargli per un bel po', finchè lui non mi avesse implorato in ginocchio di rivolgergli la parola.
*


Erano ormai le nove di sera.
Avevo percorso mezza New York, pensando alle persone che avevo ferito quel giorno.
Era stato uno dei giorni più brutti di tutta la mia vita, non avevo pianto così fin ai tempi del divorzio dei miei genitori.
Decisi che fosse tempo di tornare a casa, così tornai indietro e arrivai nel vialetto pieno di case aristocratiche.
NOn grandinava più, era rimasta solo una pioggerellina leggera, che ti accarezzava la pelle, come i primi fiocchi di neve.
Aprii il portone e feci le scale.
Erano dodici piani, però arrivai davanti all'appartamento, fresco come una rosa. La mia mente era molto più stanca, del mio fisico.
Sentii dei rumori di chitarra elettrica e delle risate che provenivano dall'appartamento.
Aprii la porta e guardai la scena.
C'erano Bob, Mikey e Alicia, la sua ragazza, seduti sul divano, ridendo e guardando lo schermo.
Virginia e Ray erano in piedi e giocavano con qualcosa, che sembrava Guitar Hero. Gerard era seduto su una poltrona e parlava con Brian, con aria felice e divertita.
Quando chiusi la porta, tutti si girarono.
Tutti a parte lei, che continuava a fissare lo schermo.
"Ciao Frank" dissero Mikey e Ray con aria scocciata. Bob guardava la tv, cercando di non distogliere lo sguardo. A lui imbarazzavano quelle scene.
Gerard faceva finta di niente. Brian mi salutò sorridendo e lei.
Lei si voltò e storse il naso.
"E' entrato qualcuno per caso? No, perchè ho sentito la porta aprirsi e chiudersi, però non vedo nessuno" disse facendo finta di non vedermi.
"Non vi preoccupate, me ne vado subito" dissi aprendo la porta "No! Aspetta, ti devo parlare di.." Tutti aspettavano che Bob finisse di parlare ".. del ritmo della canzone che stavamo suonando, l'altro mese, ti ricordi?" fece un occhiolino in un nanosecondo.
"Quale canzone?" Ovviamente ero troppo stanco per capire il significato di quella frase.
"La canzone Frank, la canzone" disse quasi ringhiando.
"Aaaaah, la canzone! Certo!" risposi insicuro, seguendolo fuori sul balcone della camera da letto.
Chiuse la porta dietro di sé e mi guardò con un sorriso insicuro.
"Di che mi devi parlare, Bob?"
"Semmai sei tu quello che deve spiegare.."
"Ti va?" dissi porgendogli una sigaretta. Lui annuì e restammo in silenzio, a fumare.
"E' una brava ragazza, perchè le fai questo?" disse all'improvviso, guardandomi con quegli occhi azzurri e profondi.
"Io.. brava ragazza? E tu come lo sai?"
"Ci ho parlato. Mi ha parlato un po' di lei. Ha carattere, proprio come te"
"A volte avere le stesse qualità non porta a niente di buono" dissi sospirando.
"Ma perchè non ci provi?"
"A fare che cosa Bob?"
"A lasciarti andare. Che problema hai? Perchè hai cercato di baciarla e perchè hai trattato così male Gerard?"
"Gerard ti ha detto tutto, non è vero?!"
Non so cosa mi fosse preso, ma all'improvviso ero furioso. Ero furioso perchè Gerard aveva fatto la spia, mostrandomi come un mostro davanti ai miei amici.
"Frank, per Dio, datti una calmata. Non ti sopporto quando fai così" buttò la sigaretta e fece per andarsene, ma io gli afferrai il braccio. Bob era la mia ultima speranza, l'ultimo che mi aveva parlato.
"Aspetta, Bob. Scusami.."
Si voltò e mi guardò intensamente negli occhi. Poi sorrise con affetto. Bob era così. Era un gigante buono.
"Io veramente non ce la faccio più.. Una parte di me vorrebbe non so, lasciarmi andare con lei, perchè lo ammetto, mi piace. L'altra parte è angosciata dall'altra, rovina ogni piccolo momento" feci una pausa e guardai il cielo privo di stelle "Ho buttato l'anello"
"Se l'hai fatto c'è un motivo. Chiedile scusa"
"L'ho fatto già troppe volte, non penso che le accetterà"
"Falle un regalo, comincia a farle capire che a te interessa"
"E con Gerard, un regalo non potrà rincollare i cocci della nostra amicizia" "Parlagli, ora"
Lo guardai negli occhi e lo abbracciai forte.
"Grazie Bobbolo, sei un grande amico" Lui rise forte e sorrise dandomi una pacca sulla schiena.
"Non mi devi nemmeno ringraziare. Ora vai"
Rientrammo in casa e ci dirigemmo verso il salone. Sentivo battermi il cuore forte nel petto. Era ora di cambiare, di togliere quella pesante maschera sul mio viso.
Una volta entrato nel salone, incrociai il suo sguardo. Mi guardava rabbiosa, come se mi volesse prendere a calci, ma io feci scorrere il mio sguardo su tutti, fino ad arrivare a Gerard.
"Gerard, ti devo parlare"
"Non me ne frega niente" disse con tono freddo, guardando fisso il televisore.
"E' una cosa importante"
"Bene, ti ascolto" disse guardandomi con la stessa espressione di Virginia. "Da soli"
*


La mezzanotte era ormai arrivata.
Mi stiracchiai sul divano e mi scappò uno sbadiglio.
Frank e Gerard erano scomparsi da tempo. Salutai gli altri con la mano e poi il rumore della porta che si chiuse, fu l'ultimo suono che udii nella casa.
All'improvviso il mio telefono squillo. Mike.
"Mike?"
"Scusami, volevo solo dirti se da domani potessi lavorare"
"Certo.."
"Ok"
"Ok"
"Ora scusa ma devo scappare. Ciao" chiuse il telefono, senza neanche darmi il tempo di ricambiare il saluto.
Il telefono squillò un'altra volta.
Un messaggio. Guardai il mittente. Merda, Matt.
Non sapevo se leggerlo o no, dopotutto non avevo pensato a Matt da settimane. L'avevo praticamente abbandonato.
Mi feci coraggio e aprii il messaggio.
Sei una persona schifosa. So dove sei. Aspettati la mia visita un giorno o l'altro. Mi fai schifo.
Lasciai cadere il cellulare dalle mani.
Com'era riuscito a scoprire dove fossi? Chi glielo aveva detto? Sentii le gambe tremarmi. Non sapevo cosa mi stesse succedendo, ma avevo paura.
Avevo paura di lui e del fatto che potesse avvicinarsi a me.
Sapevo che mi avrebbe picchiata, o magari avrebbe fatto di peggio, chi lo poteva sapere.
Rimasi a guardare il cuscino per terra.
Frank e Gerard tornarono in casa, ridendo e scherzando.
All'improvviso si fermarono. Le risate risuonarono nel gigantesco appartamento. Sapevo che mi stessero fissando. Sapevo che lui lo stesse facendo.
"Tutto ok?" mi chiese con voce preoccupata Frank.
Lo guardai negli occhi e poi mi alzai.
"Secondo te?" dissi in tono sprezzante. Poi mi chiusi in camera da letto.
Non riuscivo a perdonarglielo. Non riuscivo a far finta di essere gentile con lui, o forse nemmeno ci avevo provato.
Mi buttai sul letto e in cinque secondi mi addormentai, forse per la stanchezza di tutto quello che era successo in un solo giorno, forse per dimenticare le minacce di Matt.
Ho sempre avuto un dono.
Riesco a seguire tutto ciò che succede mentre dormo. Anche se magari sono cinque ore che sto dormendo, sento tutti i rumori e ciò che succede.
Questo non mi disturba, anzi a volte è persino divertente.
Sentii la porta aprirsi e delle voci bisbigliare.
Qualcuno si sedette sul posto di fianco al mio e qualcun'altro sulla poltrona di fianco alla mia parte del letto.
"Sta dormendo.." sussurrò Gerard.
Poi qualcuno mi sollevò un po' e mi infilò sotto le coperte. Era Iero sicuramente, perchè sentivo Gerard sussurrargli cose incomprensibili.
Una volta avermi tirato le coperte fino a metà spalla, delle labbra soffici e un profumo di menta si avvicinarono.
Mi aveva dato un bacio sulla guancia. Iero mi aveva appena dato un bacio sulla guancia.
Sentii il cuore battermi veramente forte.
Dopo due minuti, aprii gli occhi e tutto era buio.
Non c'era nessuno.
Magari dovevo aver sognato quella scena. Sbuffai e mi girai dall'altra parte. Due occhi verdi assonnati mi guardavano sorridenti.
"Ciao Bunny" disse con tono gentile.
Perchè diavolo faceva così?
"Cosa vuoi? Sarà l'una di notte, dormi" risposi seccata.
"Ok, buonanotte" si sporse per darmi un'altro bacio sulla guancia, solo che io spostai il viso e le sue labbra finirono per due secondi contro le mie.
Lo scostai violentemente e mi alzai dal letto.
"Vattene!"
"Ma Bun.."
"No! Vattene, dormi sul divano, ora!" Mi guardò con sguardo fustrato e poi prese il cuscino e andò in salone.
Lasciai la porta aperta e mi infilai dentro il letto.
Non so come mai, però non riuscii ad addormentarmi.
Faceva un freddo cane. Mi tirai su le coperte e chiusi gli occhi, ma il sonno non arrivava.
Forse ero stata troppo dura con lui, dopotutto non lo aveva fatto apposta. Poi pensai a quello che mi aveva fatto allo zoo. A quella frase.
Dopo quello, mi addormentai con un'espressione di rabbia, che mi fece venire il mal di testa.
*


La sveglia suonò.
Erano le sette. Dovevo prepararmi per andare a lavorare, si ricominciava. Optai per la solita camicetta della Ralph Lauren turchese e un paio di jeans, dopotutto dovevo andare in ufficio.
Infilai il portatile nella borsa apposita e uscii dalla stanza, per andarmi a preparare un caffè.
Mi guardai intorno. Iero era sdraiato sul divano, con le gambe sul petto, respirava molto piano e ogni tanto russava.
Gli passai vicino e vidi che tremava.
Gli toccai le mani. Erano ghiaccioli. Me lo aspettavo, dopotutto aveva fatto abbastanza freddo quella notte.
Presi una coperta dalla camera da letto e gliela misi sopra.
A poco a poco, i tremolii cessarono e lui tornò a ronfare. Sorrisi e poi andai a preparare il caffè.
Ne feci due tazze, dopotutto se lo meritava.
Aveva dormito per una notte senza coperta in un divano.
Però mi aveva anche detto quella frase allo zoo. Sospirai e lo guardai dormire.
Perchè la gente sembra così senza peccati, sofferenze e cattiveria quando dorme?
Bevvi un sorso di caffè e scappai al lavoro, però prima gli lasciai una tazza vicino al divano.
Dopotutto se lo meritava.

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