Punizione divina

di Josie5
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo: La foto del mese. ***
Capitolo 2: *** Fiducia ***
Capitolo 3: *** Fregata ***
Capitolo 4: *** Tutto ***
Capitolo 5: *** Ottimista ***
Capitolo 6: *** La casa del lupo ***
Capitolo 7: *** In pace ***
Capitolo 8: *** La festa di Halloween ***
Capitolo 9: *** Sempre ***
Capitolo 10: *** Verde Natalizio ***
Capitolo 11: *** Amata famiglia ***
Capitolo 12: *** Di nuovo ***
Capitolo 13: *** Sadie Hawkins ***
Capitolo 14: *** Di male in meglio ***
Capitolo 15: *** Brividi ***
Capitolo 16: *** Ascendente ***
Capitolo 17: *** Solo per stanotte ***
Capitolo 18: *** Normalità? ***
Capitolo 19: *** Veramente sola? ***
Capitolo 20: *** Confusione ***
Capitolo 21: *** Il regalo di Parker ***
Capitolo 22: *** Beccato in pieno ***
Capitolo 23: *** Billy knows ***
Capitolo 24: *** Trattenermi ***
Capitolo 25: *** Crack ***
Capitolo 26: *** Punizione divina ***
Capitolo 27: *** Parlare ***
Capitolo 28: *** Sbloccati? ***
Capitolo 29: *** Io ***
Capitolo 30: *** Bugie e verità ***
Capitolo 31: *** Insieme ***
Capitolo 32: *** Bene e male ***



Capitolo 1
*** Prologo: La foto del mese. ***


Punizione divina




Grazie mille a Jess Graphic per la copertina :3



 

Prologo 

– La foto del mese 


 

Camminavo a passo svelto lungo i corridoi della scuola, dirigendomi verso l'aula numero 108.

Non correvo solo per lo sguardo trucido del vecchio bidello Joe che, brandendo la scopa, faceva come al solito finta di lavorare.

- Non riesco a crederci! - Il mio tono incredulo era abbastanza alto da poter sembrare un urlo isterico e attirava non pochi sguardi. –Ma davvero?!– Serrai le labbra, bloccando le parole che non riuscivano ad essere entusiaste quanto lo ero io. – Credo sia il giorno più bello della mia vita, Francy!Girai l’angolo per poi saltare subito, a memoria, le poche scale che dividevano la zona "Lab." dell'istituto dal resto della scuola, avvicinandomi sempre più.

- Sono quasi arrivata! Adesso mi spieghi tutto, nei minimi dettagli. - Scandii per bene le ultime parole, chiusi con uno scatto il cellulare e me lo infilai in tasca.

Nella zona “Lab.”, alias laboratori, oltre a trovarsi ovviamente le aule riservate a materie scientifiche e manuali, erano collocate anche le stanze adibite alle attività extrascolastiche, tra cui l'aula 108. 

L'aula 108, o “casa” per me, veniva utilizzata per l'elaborazione e la stampa dell'ormai famoso giornalino scolastico, di cui io ero il presidente. Cosa rendeva diverso il mio - pensai a quell'aggettivo con un leggero compiacimento - giornale dagli altri era la divisione che avevo attuato durante quell'anno: oltre alle normali notizie scolastiche, essenziali e sempre presenti, avevo introdotto una parte più leggera e accattivante e il noto angolo "La foto del mese". L'ultima idea, seppur, lo sapevo anch'io, cattiva, aveva ottenuto un notevole successo e anche dei buoni vantaggi per la cassa scolastica.

Con la collaborazione di Francy, un'accanita fotografa che avevo rapito, sempre quell'anno, dal club di fotografia, riuscivamo a individuare l'obiettivo giusto e a coglierlo con uno scatto mentre stava facendo qualcosa di particolarmente imbarazzante. Per non essere però del tutto cattiva e, soprattutto, per non andare incontro a problemi legali, censuravo sempre la faccia del mal capitato e tacevo sul nome, ma, di solito, dopo al massimo una settimana, questo veniva sempre e comunque fuori, per sfortuna del soggetto e per fortuna delle ragazze della scuola, che riuscivano ad avere sempre argomenti freschi su cui spettegolare.

In quel modo mi ero dovuta sorbire minacce, crisi di pianto di ragazzine che si consideravano umiliate a vita e ragazzi che, appostandosi dietro un angolo, cercavano di farmi lo sgambetto per “umiliarmi” con una caduta davanti alla scuola, ma, ginocchia sbucciate e lividi a parte, per ora ero ancora lì.

Sorrisi allegra, abbassando la maniglia della porta dell'aula 108, per poi entrare. Il buon umore era dato dalla persona che era stata immortalata quel mese da Francy: un colpo veramente importante, il più grosso, il migliore. 

- Evelyne! - Francy, appena mi vide entrare, cominciò a sventolare la mano guantata da sopra il muro che gli altri due addetti alla cronaca avevano creato con le loro schiene, coprendo lei e la sua scrivania da lavoro.

Mi avvicinai con una piccola corsa, fin troppo esaltata.

- Fammi vedere! - Il mio viso si aprì subito in un grande sorriso, mentre Luke e Nick si spostavano per farmi avvicinare alla mora. 

Francy ghignò in modo complice. - Eh no! Prima i dettagli!

La fulminai, cercando di sporgermi dalla sua parte e vedere la foto impressa sulla sua grande, esagerata Canon. Ancora oggi mi chiedo come facesse a fare foto di nascosto portandosi dietro quel mostro. -Dopo!- Congiunsi le mani in segno di supplica, capendo che non sarei riuscita a vedere la foto senza la sua collaborazione. 

Lei sbuffò divertita, porgendomi la camera. Osservai la foto sullo schermo: i capelli castani, tendenti al biondo, il taglio degli occhi, il sorriso, il GESTO; tutto molto riconoscibile e nitido.

- Non ti starò a ripetere che io l'avevo detto che Parker non è poi così perfetto e combina cose, cose molto strane anche lui; come tutti alla fine. Mi limiterò a ricevere ringraziamenti e complimenti! - Ridacchiò con aria di superiorità, ma non le dissi niente, perché in effetti quella volta aveva fatto davvero un buon lavoro.

- E' perfetto! - Esultai, trattenendomi dal saltare per la soddisfazione. - Mettila sul computer! Appannerò leggermente il viso... – Mi bloccai, ghignando. - Leggermente!

Nick si sistemò gli occhiali un po' a disagio. - Eve...- Mi chiamò, facendo un passo avanti dalla sua posizione isolata. Alla mia occhiata accigliata si schiarì la voce con un leggero colpo di tosse. - So che sei tu quella a decidere ma... I capelli di Max sono abbastanza riconoscibili: censurerei anche quelli… Forse è meglio...

Guardai la foto: Max Parker, il ragazzo più popolare di tutta la scuola, nonché playmaker della squadra di basket, a petto nudo in quello che probabilmente era lo spogliatoio della palestra. Per qualche strano motivo stava infilando le mani nei lunghi e rossi boxer del suo migliore amico Billy, di cui si vedeva a malapena la faccia e che riconoscevo semplicemente dalla maglia di due taglie in più dei Muse. Concentrai svogliata lo sguardo sulla chioma castana del malcapitato, su quelle particolari sfumature più chiare, naturali, che rendevano ancora più belli i ciuffi lisci spettinati e umidi dopo la doccia. 

Arricciai le labbra.

In effetti... 

- Sono dei normalissimi capelli castani.

Nick si corrucciò e provò ad insistere: - continuo a pensare che lo riconosceranno sub... 

Alzai le spalle interrompendolo. - Io non farò nomi, come al solito, e l'argomento è chiuso!

Luke, degno collega del suo amico, si passò una mano tra i capelli rossi. - Evelyne, io la penso come Nick e, per favore, censuragli almeno in modo decente la faccia! Stiamo parlando del ragazzo più popolare della scuola, non di una delle solite cheerleader mancate! Lo diciamo per te: Max potrebbe reagire male!

Non scoppiai a ridere solo per rispetto alla loro seria preoccupazione, ma non riuscii a trattenere un sorriso scettico. -E cosa dovrebbe farmi? Picchiarmi? Allora... -Sospirai facendo roteare gli occhi al cielo. -Tranquilli, mi prenderò tutta la responsabilità. Al massimo non diremo che è stata Francy a fare la foto! Io sono il capo e io decido di far capire più del solito chi è questo tipo che allunga le mani verso un suo amico.– E risi, fin troppo divertita dalla situazione.

Francy spostò lo sguardo dalla finestra, che fino a quel momento aveva guardato svogliatamente, verso me. - Ehi, scherzi?! Una foto del genere a Max, c'è da esserne orgogliosa! Voglio scritto a caratteri cubitali: “Foto di Frances Reed”! - Con le mani cominciò a mimare la grandezza della scritta. 

- Certo! - L'assecondai continuando a ridere, per poi tornare a guardare i due pessimisti. Luke aprì la bocca per dire qualcosa ma lo fermai alzando una mano. - E se vi preoccupa così tanto la sua reazione, vi ricordo solo che tra una settimana finisce la scuola e anche volendo, ma non lo farò, riuscirei tranquillamente a sfuggirgli. Secondo: avrà un'intera estate per dimenticarsi tutto e lo farà. - Poi aggiunsi, conoscendo il soggetto: - i suoi soliti festini e le ragazze lo aiuteranno.

Nick sospirò - Sarebbe molto più semplice oscurare per bene la faccia di quel ragazzo…

Lo ignorai, cominciando a far muovere Francy verso la sua postazione - Al lavoro! Al lavoro! Domani dobbiamo stampare!

Non guardai più verso i miei due compagni di laboratorio, ma li conoscevo abbastanza per immaginare Nick che, un po' rassegnato, tornava al suo articolo di lamentela contro il cibo della mensa scolastica e Luke che, esitando parecchio, mi lanciava occhiate di fuoco.

 

 

- Ma…
- Ma sì! Ma sì!
- Ma no invece! Non ce lo vedo a fare qualcosa del genere… Dai!
- Te lo dico io che me ne intendo!
- Te ne intendi?!
- E' lui comunque!
- Sì, sì, cavolo!
- Shh!
- Arriva!


Me ne stavo bella felice, il caffè in una mano e giornale nell'altra, ad ascoltare il brusio che quel giorno, davanti alla scuola, era persino più intenso del solito. Il mio istituto era davvero pieno di pettegoli, ma in effetti per me era meglio così. 

Il giornalino era ovviamente stato pubblicato, come avevo voluto io, e così come aveva anticipato quel gruppo di ragazze poco lontano, Max Parker fece la sua bella comparsa, arrivando dal parcheggio con il suo gruppo di amici. Ridevano e parlavano in quel modo fastidioso e rumoroso tipico di chi si crede migliore di te.

Probabilmente il bel castano era rimasto perplesso fin da subito quando - oh, lo immaginavo così bene - sceso dalla sua fiammante macchina rossa, oltre alle solite ragazzine sbavanti, aveva visto studenti che lo osservavano con una strana risatina di scherno.

Sorseggiai un po' il caffè, gustandomi, invece della bevanda, la scena che mi si presentava davanti: Nicholas, un ragazzino del primo anno che per entrare nella squadra di basket e nelle lodi del capitano faceva da schiavetto a Max, gli si avvicinò di corsa, con il giornale sotto braccio. 

In quel momento mi chiesi per la prima volta se mi avrebbe mai detto qualcosa, come tutti gli altri, e mi fermai un attimo, appoggiando il bicchiere di plastica del bar.

Parker, alzando gli occhi al cielo, cercò il più possibile di ignorare quel moro così fastidioso, ma, alla fine, cedette e prese finalmente il giornale; cominciò a sfogliarlo svogliatamente. Mi accigliai per quell’evidente disinteresse verso il mio giornale. Dopo aver vagato con lo sguardo per la pagina che gli era stata indicata, trovò quello che tutta la scuola era impegnata a guardare. 

All’altezza della pancia percepivo l’ansia di vederlo reagire, soddisfatta, perché sapevo che l’avrebbe fatto e che un qualche tipo di sentimento avrebbe smosso i suoi bei lineamenti.

Sgranò leggermente gli occhi e, quasi per caso, alzandoli, incrociò i miei.

Ebbi un piccolo sussulto, solo di sorpresa, ma mantenni fermo lo sguardo. Un sorriso canzonatorio mi piegò quasi involontariamente le labbra. Lo vidi riacquistare velocemente quella sua solita aria impassibile e poi, continuando a guardarmi, con una sola mano accartocciò il giornale, fino a farlo diventare una piccola pallina di carta. Il mio sorriso si mantenne saldo. 

Distolse lo sguardo e con uno sbuffo buttò per terra i fogli spiegazzati, ormai irriconoscibili. Lo guardai mentre entrava a scuola senza rivolgermi più la benché minima attenzione. Accigliata accavallai le gambe con un gesto fluido e tornai a bere il mio caffè.

No, decisamente non mi avrebbe mai parlato.

 


Così credevo, e in effetti fu.

Almeno fino all'ottobre dell'anno dopo.

 

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Capitolo 2
*** Fiducia ***



 

 1.Fiducia 

 

 

 

La Fiducia era una cosa essenziale nella vita.

Se fossi riuscito ad ottenerla non avresti mai trovato porte chiuse sulla tua strada. Così la pensavo e così agivo.

La mia strada, il mio percorso, mi avrebbe dovuto portare a diventare una giornalista; a stringere tra le mani una borsa di studio, nel mio caso assolutamente necessaria per andare all'università per poi, forse, coronare il mio sogno.

Gli ingredienti essenziali per la mia Fiducia erano studio, impegno, attività scolastiche produttive e un ottimo rapporto con i professori.

Il primo e il secondo punto non erano per me un problema, essendo sempre stata portata per le materie scolastiche e anche se solo con quelle due cose non mi differenziavo particolarmente dagli altri (insomma, ero solo una studentessa diligente), era comunque abbastanza per ottenere il permesso di entrare a far parte del giornalino scolastico. Da lì la scalata era diventata più difficile: era servita la Fiducia, la Fiducia dei professori. Quella l'avevo ottenuta dopo due faticosi anni, in cui ero riuscita a diventare il primissimo "direttore" nella storia del giornale scolastico. 

La fiducia della preside invece, quella più importante, era arrivata quasi automaticamente grazie alle novità che avevo introdotto e che avevano portato anche soldi nelle casse scolastiche: il giornalino costava 1 dollaro e grazie alla rubrica di foto imbarazzanti riuscivamo a venderne parecchi.

Ero arrivata così all'ultimo anno senza particolari intoppi; la borsa di studio e il mio roseo futuro erano assicurati; mi sarebbe bastato mantenere integra la mia reputazione da brava ragazza per un altro anno, essere ancora tra le migliori in ogni ambito e mantenere così la loro Fiducia. Solo quello e tutto sarebbe stato perfetto. Mantenere qualcosa che già avevo.

Solo quello.

Tutto, insomma, sarebbe andato nel migliore dei modi, se non fosse stato per la mia avarizia.

E per lui, ovvio.


 

- L'ultima volta! – Mi scongiurò lui, parandosi di fronte a me. Tutta scena.

Lo ignorai oltrepassandolo e continuando a camminare tranquilla per il corridoio.

- Evelyne! - Provò di nuovo seguendomi come un cagnolino; quello però che lo spingeva a torturarmi non era affetto ma solo e assoluto bisogno.

- Doveva essere l'ultima volta anche due settimane fa.

Non mi girai a guardarlo ma ero sicura che si fosse morso le labbra a sangue.

Rimase in silenzio per un tempo sufficiente da permettermi di arrivare davanti alla nostra classe di Storia con tutta la tranquillità necessaria a fare mente locale dei nomi importanti che ci sarebbero stati chiesti nel compito. Quasi sperai che se ne fosse andato.

Sentii però all'improvviso la presa forte della sua mano sulla spalla.

Alzai gli occhi al cielo fermandomi e girandomi a guardarlo per la prima volta. Era irritante essere sempre in svantaggio di altezza con quei dannati giocatori di basket.

Seth Clark era quel tipico ragazzo che potevi vedere dal finestrino della tua macchina, arrivando a scuola, intento a fumarsi una sigaretta ostentando fascino o lanciando occhiate azzurrine a ogni essere dotato di tette che incrociava, mettendo bene in mostra il suo unico dato positivo: gli occhi. Una gran testa di cazzo decisamente, idiota, odioso: e in effetti appariva solo quello alle menti dotate di un minimo di intelligenza. Ma come si sa, l'intelligenza è rara e ancora di più al liceo; infatti Seth era pieno di ragazze, di amici e anche di soldi, caratteristica che poi aiutava le prime due.

- Trecento dollari. - Furono le sue uniche parole.

Appunto: pieno di soldi.

Il mio “No” già sulla punta della lingua evaporò. Lui sorrise pensando già che avrei ceduto e decisamente lo sapevo anch'io. 

Sospirai passandomi una mano tra i capelli. Stritolai con forza delle ciocche dietro alla nuca, chiusi con forza le palpebre.  

- Okay, solite regole: ripeti. - Riaprii gli occhi cominciando a guardarmi intorno. La campanella non era ancora suonata e io, per riuscire a scappare dal ragazzo che avevo di fronte, ero corsa davanti alla classe dell'ora dopo con un po' di anticipo. Per fortuna!

Sbuffò mollandomi la spalla e infilandosi le mani in tasca. - E che palle! Ormai le so! Sembri una professorina: fai sempre così!

Seth ha quello che vuole? Oh, bene, addio Seth cagnolino! Benvenuto vero Seth!

Lo fulminai - Se non fosse per i trecento, non sai con quanta voglia ti manderei a quel paese. - Ringhiai.

La mia situazione economica era stranamente nota a tanti, soprattutto a soggetti come Seth. Vivevo in una piccola casetta, sola ad intervalli: ogni tanto infatti mia zia, la mia madre adottiva, riusciva ad abbandonare il suo ufficio a New York e mi raggiungeva per qualche settimana (in realtà pochi giorni); soste brevi ma frequenti. 

Zia Lizzy era la sorella di mia madre, morta dandomi alla luce. Era giovane, trentasei anni appena compiuti, e per non farle pesare tutto troppo le avevo chiesto di darmi meno soldi, soldi che lei, vivendo a New York ed essendo sola, sola in tutto, non aveva e le servivano. La sua risposta era stata all'inizio negativa: con quello che le avevo chiesto diceva, ed era stato così, non sarei riuscita a mantenermi da sola. Le chiesi fiducia, di provare a farmi diventare autonoma: avrei trovato un lavoro e alla fine me la sarei cavata più che bene.

Balle.

Me la cavavo decisamente male, malissimo. Lavoravo in una gelateria solo nel weekend e non bastava come avevo inizialmente pensato – o meglio sperato.

Così arrivavo con fatica a fine mese e qualche soldo in più era sempre una benedizione, una salvezza più che altro. Ovviamente per mia zia io me la cavavo alla grande e ovviamente Seth era a conoscenza del contrario: cioè la verità.

Cominciai l'elenco del mio piccolo regolamento smorzando il suo ghigno soddisfatto, soddisfatto di avermi fatto cedere come al solito. - Uno: il compito è domani quindi io oggi ci provo, se non mi danno nemmeno la possibilità di provarci, allora niente, se mi mandano ma io non lo faccio ti devo la metà di quello che tu mi dovevi pagare. - Qui mi fermai innervosita pensando ai soldi che mi dava Lizzy, che non potevo permettermi di perdere - Due: pagamento DURANTE la consegna, se non ce li hai addio e ti arrangi.

- Sì, sì. - Fece roteare gli occhi al cielo – Tre. - Mi fece il verso. - Se sono tentato di parlare devo pensare a due semplici cose: i soldi che ho comunque perso e a chi crederebbe alla mia parola contro la tua; e ultimo ma non meno importante, quattro: copi soltanto le domande necessarie per la sufficienza.

Sorrisi amara - Bravo, almeno qualcosa lo impari a memoria ogni tanto.

Ignorò la mia provocazione, appoggiandosi con la schiena al muro lì di fianco - Compito di Biologia, prof Smith.

Entrai in classe facendogli un cenno con la mano. - Hai seri problemi con Biologia. - Sbuffai sedendomi al mio posto in seconda fila.

Lui sorrise ironicamente. - Per fortuna che ci sei tu, Gray. - Disse con un tono di finto affetto.

- Trecento. - Ripetei scuotendo la testa. - Sei pazzo.

Sorrise di sbieco appoggiandosi all'ultimo banco, senza guardarmi. - Se prendo dei bei voti in Bio questo mese poi mi comprano una macchina nuova. 

Feci una smorfia. Famiglia piena di soldi.

La campanella suonò mentre lui si spaparanzava sulla sedia.

- E cinque. - Mi voltai dalla sua parte guardandolo seria. - Non ci conosciamo. - Gli ricordai all'ultimo. Odiavo quelli che cominciavano ad assillarmi chiedendomi come avrei fatto e tutto. Seth in quella parte però era sempre stato bravo. 

Mi ignorò tranquillamente, tirando fuori il suo cellulare, forse per farmi vedere che rispettava le regole, di certo per farmi capire che lui per primo non voleva avere a che fare con me.

Sospirai inarcando la schiena sul banco. Appoggiai la punta del mento sulla superficie fredda e dura. Ce la potevo fare, mancava poco a novembre…



Seth mi lanciò un leggero sguardo accigliato mentre usciva di corsa, primo fra tutti, dalla classe. 

Lo ignorai tranquillamente, mettendo il punto finale all'ultima frase dell'ultima domanda del compito di storia. Figuriamoci se consegnavo prima per i suoi comodi!

- Spero in un ottimo risultato come al solito, signorina Gray. - Disse tutta uno zucchero la professoressa mentre mi alzavo. 
La professoressa Gardiner era un'anziana donna ormai vicina alla pensione ma arzilla e giovanile, a guardarla insegnare si sarebbe detto che avrebbe continuato per sempre.

Ricambiai il sorriso appoggiando il mio foglio sopra gli altri.

- Tutto bene con il giornale quest'anno? - Chiese per gentilezza sistemandosi il cerchietto tra la criniera rossa, mentre con una mano cominciava a mettere i libri nella tracolla. Mancava solo un'ora per andare a casa e molti prof prendevano ritiravano le armi in anticipo per raggiungere le macchine. Fra questi c'era anche la piccola e tarchiata prof Gardiner.

Annuii mantenendo il sorriso di circostanza. - Ma devo andare un momento in aula insegnanti per prendere alcune informazioni, spero che il prof di Trigonometria mi lasci andare. - Borbottai con tono amaro per evidenziare la mia tristezza di fronte a quella materia. Gesti del genere, fatti non a un prof di Trigonometria, divertivano parecchio.

Lei infatti rise. - Chi hai?

- Il professor Hoppus. - Altrimenti detto “il Polipo”, ma questo non lo dissi.

- Oh, stai tranquilla! Solo perché sei tu ti farà andare! - Disse.

Mi salutò con un leggero buffetto sulla spalla, per poi lasciarmi sola nel corridoio insieme al resto degli studenti che si spostavano da una parte all'altra dell'edificio.

Fiducia, ce l'avevo. Fiducia, non la meritavo.

- Ohilà! - prima che potessi meditare di nuovo su Seth, sentii l'urlo di battaglia e il braccio di Francy mi circondò con forza il collo prima che potessi impedirlo.

Soffocai traballando un attimo.

- Trigonometria! - Esclamò alzando l'altro braccio, la mano stretta a pugno, al cielo - Come finire in modo felice una giornata!

Risi togliendomi il braccio di dosso. - Pensa poi che io ho dovuto soffrire il compito di storia e Seth. - Feci una smorfia.

Le si congelò il sorriso dalle labbra, facendomi pentire subito di aver aperto bocca. - Eve... - cominciò. - Di nuovo? Finirai nei guai… Te lo dico da amica...

Abbassai gli occhi a disagio. Sapevo che aveva ragione ma… - Mi ha proposto trecento dollari e mi servono. - Mi giustificai.

Eravamo arrivate davanti alla porta della classe. Sbirciai dentro: c'erano solo alcuni alunni, ma erano meno della metà.

- Non potresti semplicemente dire a tua zia che i soldi che ti dà sono troppo pochi?! - Chiese come sempre dando il via alla solita discussione.

- No! E sai perché! Comunque è l'ultima volta. - Sospirai. - Sto già cercando un altro lavoro per il weekend pagato meglio… - Borbottai con una smorfia.

Lei scosse la testa. - Basta solo che non tu non ti dia allo streep-tease, ci mancherebbe solo quello!

Risi. - Nah, stavo pensando di chiedere un posto al sexy shop qua vicino… Cercavano una nuova dipendente.

Francy mi diede un leggero colpo di pugno alla spalla facendo tintinnare la borchia al polso. - Non provarci, eh! - Rise.

Francy, abbreviazione di Frances, era la mia migliore amica, quella che sapevo per certo che ci sarebbe sempre stata.
Il mio carattere già di suo non mi aveva portato un gran numero di amicizie nei primi due anni in quel liceo, ma almeno qualcuno con cui pranzare l'avevo sempre avuto. Poi, appena avevo iniziato con il giornalino e concepito l'idea della foto del mese, le mie “amiche” avevano sì continuato a farmi compagnia se volevo, ma quel poco che c'era tra di noi era sparito in un attimo, quasi non si fossero fidate di stare insieme ad una che, così pensavano, le avrebbe potute tradire e mettere in piazza da un momento all'altro. Cosa che invece non avrei mai fatto e lo avrebbero saputo se fossero mai state davvero mie amiche.

Poi era arrivata lei. 

Mi serviva una fotografa e la prima volta che avevo messo piede nel club di Francy avevo capito che era lei quella giusta. Mi era saltata addosso dopo la mia proposta: “Oh! Sì! Potrò sfottere tutte le oche e i cretini della scuola!”, aveva detto entusiasta, facendomi capire fin da subito che tipino fosse.

Così io e lei eravamo finite a girare insieme da ogni parte. All'inizio solo per parlare e scovare argomenti e persone per il giornale, poi solo per “perdere tempo” a chiacchierare.

Eravamo un duo un po' strano: lei, corti capelli neri, con un visino da bambola di porcellana, era una pazza scatenata, rockettara, piena di borchie; io invece normale e seria in tutto quello che facevo. All'inizio. 
Francy infatti mi aveva sbloccata un po' e adesso ridevo e facevo molte più stupidate di prima (se l'accettare dei soldi per far copiare dei compiti fosse tra queste, non lo sapevo). Io invece non avevo fatto molto per lei, ma lei mi ringraziava solo per starle accanto.

- In classe! In classe! - Il Polipo ci passò di fianco correndo dentro l'aula, interrompendo Francy che parlava e i miei pensieri. Ci guardammo sospirando per poi seguirlo.

Vidi la mia amica prendere posto al solito banco di fianco al mio, mentre io mi avvicinavo al Polipo con un po' di soggezione, soprattutto perché Francy mi fulminava e io lo sentivo.

Il prof Hoppus era un uomo sulla cinquantina molto alto, più di molti dei giocatori di basket della scuola, mingherlino come uno stecco, con una testa rettangolare e calvo. Chiamato il Polipo per il cognome e per l'aspetto e anche per certe voci di molti anni prima sui suoi “tentacoli”, ma a cui mi rifiutavo di credere.

- Professore, potrei andare in aula insegnanti? Mi servirebbero delle informazioni per il giornale... - Chiesi mantenendomi sul vago mentre nella mia testa si svolgeva un complicato conflitto interiore: una parte voleva i soldi, una parte preferiva che il prof rifiutasse per poter così andare a casa con l'anima in pace.

Hoppus mi guardò con i grandi occhi sporgenti dietro alle lenti. - Oh, sei tu, Gray, va pure. – E con un gesto della mano fece per congedarmi.

Sorrisi mestamente e arpionando con una mano la tracolla uscii dalla classe.
Mi chiusi la porta alle spalle, svoltando verso destra ben sapendo che l'aula insegnanti era nella direzione opposta. Mi fermai davanti alla scrivania del bidello Joe, vuota - probabilmente era andato a bersi un grappino nello sgabuzzino,-  dietro questa si trovava il pannello con gli orari degli insegnanti. Feci scorrere in fretta il dito  sulla colonna dei nomi alla ricerca di Smith. Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo vedendo che era uscito un'ora prima. Nel caso in cui mi avessero trovata con le mani nel cassetto del professore, avrei potuto inventarmi una qualche commissione da parte sua e non ci sarebbe stato il prof a smentirmi, e il giorno dopo tutti si sarebbero dimenticati dell'episodio. E dopotutto io ero Evelyne Gray, perché avrebbero dovuto sospettare qualcosa?

Tornai indietro sui miei passi prima che il bidello mi sorprendesse a gironzolare; come Gazza di Harry Potter anche lui aveva qualche problema con gli studenti e sospettava di tutti, ma invece di portarsi dietro una gatta, la sua fedele compagna era l'inseparabile scopa che si divertiva ad agitare 
sputacchiando contro gli studenti.

Abbassai la maniglia della porta che portava nella grande aula degli insegnanti. Questa volta ero d'accordo su cosa desiderare: che non ci fosse nessuno lì dentro.

Come spesso mi era successo in quelle occasioni il mio desiderio fu avverato. Evidentemente gli insegnanti liberi erano andati a casa e quelli occupati erano impegnati nelle loro classi.

Sorrisi vittoriosa trovando e aprendo subito il cassetto di Smith; aprii l'ultima cartella dov'erano le verifiche di quelli dell'ultimo anno e cominciai a copiare velocemente su un altro foglio le risposte a tutte le crocette e gli argomenti di altre domande in grado di dare la sufficienza. Chiusi in fretta il tutto e infilai il foglio nella tracolla, stropicciandone leggermente i bordi.

Uscii e a passo leggero di corsa cominciai ad arrancare verso la classe di Hoppus.

- GRAY!

La sfiga era però sempre dietro l'angolo, come il bidello della scuola dopo tutto. Cercai di fingere di non aver sentito niente per quanto fosse in realtà impossibile.

- GRAY! - Urlò di nuovo Joe dall'altra parte del corridoio.

Mordendomi scocciata un labbro mi fermai voltandomi. - Oh, salve! - Sorrisi.

Mi guardò col solito fare sospettoso, Joe aveva la capacità di incrociarmi sempre quando tornavo da compiti di quel tipo. - Cosa fai in giro a quest'ora? Perché non sei in classe?

- Sono andata a svolgere una… una cosa nell'aula insegnati, adesso torno dal professor Hoppus. - Mi dannai mentalmente per l'esitazione che avevo avuto nel parlare e che ora faceva socchiudere gli occhi sospettosi del bidello.

- Vai, vai. - Borbottò agitando scocciato la scopa in mia direzione. - Ma smettila di correre per i corridoi!

Sorrisi dandogli le spalle e tornando a passo svelto verso la mia aula.

Entrai in classe sapendo che mi sarei beccata la seconda sgridata: - Finalmente, Gray! Durante la mia ora mai più - disse infatti scocciato il professore. Borbottai uno “scusi” raggiungendo il banco di fianco a Francy.

- Fatto? - Chiese lei mordicchiando la penna e guardandomi con aria di rimprovero.

Annuii un po' pentita e un po' no. Trecento dollari, insomma. Trecento!

- MA TE! Alla buon'ora, Parker! - Esclamò con un urlo l'insegnante facendomi sobbalzare. - Ma cos'avete oggi?! Tutti a interrompere la mia ora a metà lezione! - E continuò a borbottare tra sé e sé. Si chinò a segnare qualcosa sulla sua agenda: forse un suo promemoria per Parker, forse uno per tutti e due.

Mi girai verso la porta mordicchiandomi l'interno della guancia. 

Max Parker, appena entrato in classe e arrivato da chissà dove, ignorò bellamente il Polipo e il sospiro innamorato che si levò dalla classe (tra cui non c'era il mio, ci tengo a precisarlo!). L'estate aveva sul serio giovato al ragazzo: tutti sembravano essersi dimenticati della foto così come lui, anche se il suo comportamento indifferente sull'argomento non era cambiato di una virgola.

Non che io avessi mai temuto conseguenze.

Parker passò tra i banchi con relativa calma raggiungendo il suo, in fondo. Proprio mentre passava di fianco a me, come sempre nel suo giro, aprì la bocca: - Giornata movimentata, eh? - Alzai lo sguardo ma lui era concentrato a sorridere come se niente fosse ai suoi amici in ultima fila.

Mi corrucciai tornando a guardare giù verso il mio libro appena aperto.

- Ma diceva a te? - Sussurrò Francy attirando la mia attenzione punzecchiandomi con la matita. Allora non me l’ero immaginato.

La guardai perplessa. - Non credo… - Dissi sistemandomi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio. - Non ci siamo mai parlati e non ha motivi per cominciare. Penso che dicesse a se stesso.

Francy alzò le spalle. - L'ho pensato facendo quella foto l'anno scorso e lo ridico adesso: quel ragazzo è strano.

Ridacchiai voltandomi leggermente per guardare dietro. Il castano era appena entrato in classe, si era appena seduto e già da sotto il banco messaggiava con il cellulare. Un sorriso soddisfatto pennellato sulle labbra. Scossi la testa esasperata. - Nah, non diceva a me.

Francy annuì muovendo i ciuffi corti neri. - Ah beh sì.

Intanto Hoppus continuava la lezione come al solito.




Uscii dalla classe alla fine dell'ora più esausta che mai. La Trigonometria, aveva ragione Francy, non aiutava a finire bene una giornata. Ignorai l'inizio di mal di testa sapendo di dover ancora cercare e trovare Seth. 

Francy mi prese a braccetto. – Comunque. - Iniziò con fare confidenziale - Tra tutto il tuo solito casino non abbiamo ancora parlato di certe cose importanti. - Mi fece un occhiolino con un fare esagerato e per niente confidenziale che mi fece ridere.

- Vero. Mettiamo da parte la mia avarizia per un attimo. Chi sarà la prossima vittima? - Chiesi.

La prima foto del mese non c'era stata, a settembre non avevamo avuto abbastanza tempo, e ad ottobre era capitata tra le pagine una semplice e solita foto di una delle cheerleader. Francy si divertiva parecchio a torturarle.

- Colpo grosso, colpo grosso. - Ripeté più volte tra sé e sé annuendo con la testa.

- Hai già la foto?! - Le chiesi incredula uscendo con lei da scuola. Di solito Francy era una ritardataria e quell'avvenimento era quasi da segnare sul calendario. Fummo raggiunte anche dal rumore assordante degli alunni che si preparavano a tornare a casa: macchine che si accedevano, moto, risate...

Lei annuì energicamente. - Non so però se me la farai pubblicare dopo l'ultima dell'anno scorso, ma io ce l'ho già quindi. - E alzò le spalle continuando a ghignare.

La guardai male. - Okay, io sarò fissata con i soldi ma tu sei fissata con Parker. Ancora un'altra sua foto?! - La mia occhiata si sciolse velocemente e scoppiai a ridere.

Alzò gli occhi al cielo, con fare divertito. - Oh, dai, ammetto di aver avuto una cotta per lui alle elementari ma è roba passata e superata.

- Se pensi di distrarmi dalla mia domanda iniziale con queste rivelazioni sconvolgenti ti sbagli di grosso. - Risi cercando però di mostrarmi scioccata. - E tra parentesi ti sfotterò a vita per questo!

Lei rise e fece per parlare di nuovo.

- Scusate, ragazze... - Sentimmo a malapena la vocina timida che ci chiamava da dietro.

Era Nicholas, barra schiavetto di Parker e compagnia bella. Data la mole del ragazzone, la voce stonava.

Lo guardai sorpresa. - Cosa c'è? - Chiesi. Cos'erano tutte quelle attenzioni quel giorno? Anche Parker voleva copiare qualche compito? Se fosse stato così avrei picchiato Seth. Quante volte gli avevo detto di non spargere la voce in giro.

Si grattò la fronte nervoso. - Ehm… C'è Clark, Seth Clark che vorrebbe parlarti. - Disse alla fine tentennando e indicandomi con un cenno della testa, probabilmente perché non sapeva se chiamarmi per nome o cognome.

- Oh. - Risposi semplicemente. Lanciai a Francy uno sguardo di scuse.

Lei alzò le mani al cielo. - Mi arrendo! A domani. - E se ne andò via esasperata.

Mi portai una mano al collo innervosita. - Dov'è? - Chiesi alla fine.

Lui indicò sempre con un cenno, stavolta della testa e della spalla, in un movimento molto più simile a una convulsione, la “zona fumatori” di fianco alla scuola. Feci una smorfia sperando di non trovarlo in compagnia dei suoi amici. Ci mancava solo che la gente pensasse che io e Seth avevamo qualcosa di cui confabulare. Afferrai la cinghia della tracolla come anti-stress e andai dove mi aveva detto Nicholas.

Il ragazzo per sua fortuna mi aspettava da solo e non stava nemmeno fumando. Ringraziai tutti i santi del cielo avvicinandomi a lui.

- Ce l'hai fatta? - Chiese scocciato quanto me di essere lì. Non faceva altro che spostare il peso da una gamba all'altra quasi stesse aspettando il momento giusto per correre via.

Lo guardai scettica. - Più che altro: tu hai i soldi? Non mi dire che te ne porti dietro a scuola così tant... - le parole mi morirono in bocca a vedere mentre sul serio tirava fuori il portafoglio con nonchalance.

- Discrezione! - Quasi gli urlai andando contro a quello che avevo appena detto.

Lui sbuffò alzando gli occhi al cielo. – Discrezione. - Mi scimmiottò, probabilmente lo divertiva parecchio perché lo faceva fin troppe volte. Mi passò comunque i soldi in bella vista. Li presi infilandomeli subito nel giacchino. Chiusi gli occhi prendendo una grande sorsata d'aria: mi sentivo una vera e propria traditrice e lo ero.

- Adesso non farti prendere dai sensi di colpa! - Disse quasi rimproverandomi.

Aprii gli occhi per fulminarlo. – Tranquillo. - Feci gelida.

Lasciai scivolare la tracolla sul fianco e tirai fuori il foglio. Glielo porsi con una mano mentre con l'altra indicavo. - E' abbastanza facile: molti vero e falso, te li impari poi, alcuni disegni con indicazioni ma per quelli ti arrangi e qua ti ho scritto le domande aperte più importanti.

Lui annuì con una luce soddisfatta nei suoi bei occhi azzurri. – Grazie. - Mormorò afferrando con brama il foglio.

- E Clark si becca la sufficienza di nuovo, yuppie, - esclamai con finto entusiasmo.

In risposta tornò al suo solito sguardo acido. - Sei: se cambia la verifica restituzione dei soldi.

Alzai un sopracciglio. - Tutta questa memoria mi sconvolge!

Fece per ribattere ma lo bloccai stanca di essere ancora lì e con un mal di testa che cominciava sul serio a pesare sul cranio.

- Questa è l'ultima volta, - cominciai seria. - Sto trovando un nuovo lavoro e i soldi non saranno più un problema quindi non spuntarmi più in giro a pregarmi di fare robe del genere. Ho chiuso.

Mi guardò scettico. - Se, se.

Quasi mi arrabbiai per quella poca fiducia ma dopo tutto era solo Clark. Sbuffai. - Noi non ci conosciamo. - Ripetei.
E girai i tacchi verso casa.

Avevo finito! 

D'ora in poi mi sarei guadagnata sul serio tutta quella fiducia.

Senza conseguenze.

 

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Capitolo 3
*** Fregata ***



 

2. Fregata



Ero fregata.

- Eve, calmati, - mi ripeté di nuovo Francy alzando gli occhi al cielo. Lei non capiva davvero tutta l'ansia che mi prendeva in situazioni del genere.

- Non trovo la relazione! - Mi lamentai ancora.

- Copia la mia ho detto.

Lei al mio posto se la sarebbe risa mangiando tranquillamente la sua colazione.

- Oppure potrei dirlo al prof e forse… - Proposi mordendomi a sangue l'interno della guancia.

Scosse la testa continuando a trangugiare la ciambella.

- Okay che di solito te la perdonano, ma di sicuro oggi non sarai l'unica a non averla fatta e quindi "dimenticata"; per questo la D non te la cava nessuno, - spiegò per la seconda volta quella mattina.

Continuai a mordermi la guancia.

Francy aprì la cartella passandomi il foglio con la sua relazione.

- Usa un po' questa e quello che ti ricordi della tua. - Mi sorrise e diede un sorso al caffè. - E smettila di morderti a sangue e bevi del normale caffè!

Le sorrisi e seguii il suo consiglio. Bevvi un po' di caffè e tirai fuori il foglio cominciando a scrivere velocemente.

- Comunque, - iniziò allegra. - Ieri prima che ci interrompesse lo schiavetto avevamo iniziato a parlare di qualcosa di veramente interessante...

- Ah, sì! - Borbottai con il tappo della penna in bocca. - La foto del mese. Chi è il malcapitato che è caduto nella nostra trappola?

- Beh. - Mi lanciò uno sguardo complice e cospiratore. - Parker c'entra, ma non proprio direttamente. - Ridacchiò, molto teatralmente.

- Una cheerleader con Max? - Proposi un'immagine abbastanza realistica mentre cominciavo a descrivere il processo dell'esperimento di biologia.

Verso negativo. - Non ci sarebbe niente di sconvolgente in una foto del genere.

- Quindi? - Chiesi mentre già il polso cominciava a farmi male: la mia stupida abitudine di appoggiare la penna sull'anulare portava a quelle fitte quando scrivevo velocemente.

- Ho beccato il suo amico Billy, - confessò con noncuranza.

Mi bloccai. - Billy Hans? Non vorrei che pensassero che li perseguitiamo a questo punto... Al massimo la foto potremmo pubblicarla tra un paio di mesi, - proposi, fingendomi preoccupata.

Francy annuì lentamente, osservandomi di sottecchi.

- O forse no... - Sorrisi, mostrando il mio reale divertimento.

Francy rise, riconoscendomi e decisamente più d'accordo con quella seconda risposta.

- Manca molto? - Chiese dopo un altro bel paio di morsi alla ciambella glassata.

Storsi la bocca; non mi ero fermata un secondo, ma era una relazione più lunga e complicata del solito e stavo cercando di ricordarmi tutto per mirare alla mia solita A.

- Conclusioni.

- Io parlavo del caffè, Eve. Dovresti sapere quale sono le priorità.

Sorseggiò la bibita sorridendo di buon umore. Avrei scommesso che stesse pensando ancora alla foto.

Guardai il mio bicchiere ancora quasi del tutto pieno.

- Quanto manca invece per l'inizio delle lezioni?

- Più di 10 minuti. - Guardò con fare distratto lo schermo del cellulare.

- Tra un po' si va dal tuo amato Jack allora, - commentai ironica trattenendo però un sorriso.

Lei non rispose limitandosi semplicemente ad arrossire. Nel frattempo terminai con un unico sorso la bevanda che avevo di fronte.

Jack era stata la cotta di Francy per i due anni in cui l'avevo conosciuta. Sapevamo solo il suo nome e solo per via del cartellino luccicante sopra la sua camicia da lavoro.

Jack lavorava nel bar della scuola, proprio nei pressi del parcheggio e dal lato opposta rispetto al cancello del recinto scolastico. Quasi ogni giorno ci ritrovavamo lì e si chiacchierava aspettando l'inizio delle lezioni. Quando potevo prendevo un caffè anch'io, quando era invece il momento di stringer la cinghia mi limitavo a parlare mentre Francy mangiava.

Jack era biondo, occhi azzurri, dai lineamenti comuni ma belli; nessun tatuaggio o piercing sporcava la sua semplice bellezza. La tipologia di ragazzo che non avrei mai detto potesse piacerle.

- Finito, - proclamai calcando sull'ultimo punto.

- Oh bene!

La guardai mentre quasi fremeva dalla voglia di alzarsi. - Se vuoi ti do i miei soldi e vai a pagare anche per me. - Ridacchiai in segno di intesa.

Lei mi ignorò mettendo al sicuro dentro lo zaino la sua relazione. La imitai per poi alzarmi dal tavolo.

Eravamo come al solito nella zona dei divanetti, in una stanza adiacente a quella con la cassa e il cibo (la prima si poteva vedere solo sforzandosi un po' dalla nostra postazione, in particolare da dove si metteva sempre Francy).

Camminammo verso l'altra stanza passando sotto il piccolo arco che separava i due ambienti.

Jack leggeva tranquillo un giornale, senza fare niente in particolare.

Io tirai fuori un dollaro e lo porsi tranquilla sul bancone. Francy alternava il peso da una gamba all'altra. Sembrava star saltellando per il nervoso, in un modo che sembrava gridare: “Guardami! Guardami!”.

Jack si ridestò e riconoscendoci salutò: - oh, salve, ragazze. - Sorrise con quel fare da bagnino californiano che faceva sempre sciogliere Francy. Sentii infatti mentre la morettina al mio fianco si crogiolava nel suo brodo.

Pagai, sistemando i ciuffi di capelli che mi erano sfuggiti dalla perenna coda di cavallo. Fece scattare la cassa e poi il suo sguardo si posò su Francy.

Lei lo anticipò allegra: - Caffè e ciambella: il solito.

Lui annuì prendendo i soldi che lei gli porgeva. Sorrise sempre con lo stesso cipiglio congedandoci.

Uscimmo, io calma sapendo che non avrei avuto problemi durante l'ora di biologia, Francy con le guance ancora leggermente colorite.

Ogni giorno quella storia si ripeteva. Non accadeva mai nulla di particolare, ma quel semplice scambio di parole e attenzioni la riempiva di gioia. Io non potevo ben capire cosa le passasse per la testa e il perché di quella felicità, ma evitavo di commentare perché ero ben consapevole che quel mio distacco fosse dovuto al semplice fatto che io ero quel che più di lontano potesse esistere dall'amore. Ci credevo, quello sì, ma non faceva per me e ci avevo già provato con scarsi risultati.

- La foto com'è? - Chiesi mentre entravamo nel parcheggio scolastico.

Le ultime postazioni libere si stavano riempiendo. Tanti studenti tendevano ad arrivare all'ultimo e quasi il parcheggio si ingorgava nell'ora di punta di chi voleva dormire, ma evitare di fare ritardo.

- Beh...- Rise, riprendendosi dal silenzio che l'avvolgeva ogni volta dopo aver visto Jack. - Niente di così sconvolgente alla fine...

- Parla! - La rimbeccai, alzando gli occhi al cielo.

Francy aveva la cattiva abitudine di girare intorno a un discorso più e più volte prima di parlare chiaro.

- Foto di Billy con un bikini rosa e mutande abbinate. Non ti scandalizzare, porta tutto sopra jeans e maglietta... E niente, vestito così mentre corre dietro a sua sorella.

La guardai un po' sconvolta. - Okay, sono stata zitta l'anno scorso e non ti ho chiesto come avessi fatto a beccare Parker nello spogliatoio, ma... questa? - Risi.

Scoppiò a ridere anche lei. - Sembro una stalker maniaca, vero?

Annuii totalmente d'accordo.

Intanto avevamo oltrepassato un altro paio di macchine, facendo lo slalom tra il traffico di mezzi e persone. Stavamo per entrare dal cancello nel piccolo cortile scolastico che anticipava l'entrata della scuola.

- Ti giuro che stavo passando per caso da quelle parti, non sapevo nemmeno che lui vivesse lì. Tornavo dal Mall, sento gridare, mi guardo attorno e lo vedo mentre corre dietro a sua sorella urlando per il giardino. A quel punto non ho resistito, me lo stava praticamente chiedendo lui...

La guardai perplessa. - Facciamo finta che sia tutto normale. Ma per il giardino? Non ti ha vista così in piena luce? Conoscendoti non ti immagino molto discreta.

Francy alzò le spalle spensierata. - Mi sa proprio di sì, ma amen. - Mi fece l'occhiolino e passammo oltre al cancello scolastico.

Scossi la testa, fissandola però divertita. - A lui e al suo amico verranno manie di persecuzione se continuiamo così. Tra questa e quella dell'anno scorso almeno Billy lo danno per gay. - Scoppiai a ridere, tremendamente divertita.

Davanti a me però Francy non partecipò alla risata e anzi, concentrata su qualcosa alle mie spalle, non mi guardò nemmeno e rallentò il passo, quasi immobilizzandosi.

Capii che pasticcio avessi appena combinato e mi girai di scatto.

Come nella peggiore delle commedie, trovai alle mie spalle nientemeno che Billy Hans, Max Parker e persino Seth Clark, insieme al loro omogeneo gruppetto di amici. Erano tutti appoggiati contro il muro della recinzione scolastica che avevamo appena sorpassato, a portata di orecchio.

Il cortile che anticipava l'ampia scalinata scolastica e poi la stesa entrata nel nostro edificio era circondato da vecchie e alte mura di mattoni rossi che permettevano l'accesso solo da un grande cancello che veniva poi chiuso la sera da Joe. Data l'architettura di quella struttura e l'altezza stessa delle mura, fino all'ultimo non si era in grado di vedere chi potesse eventualmente esserci ai lati dell'entrata.

Era appunto accaduto quello. Il gruppo della squadra di basket della scuola si era posizionato lì, quasi in agguato, a chiacchierare in quella posizione privilegiata che permetteva a tutti loro di vedere bene chi entrasse e allo stesso tempo di non essere visti fino all'ultimo.

Billy aveva ovviamente sentito se non tutto almeno la mia ultima frase; mi guardò sorpreso, forse capendo in quel momento quello a cui mi stavo riferendo: cioè che era stato fotografato di nuovo. Non mi era mai successo che qualcuno scoprisse di star per essere pubblicato prima di vedere la foto direttamente sull'articolo e non sapevo come il biondo avrebbe potuto reagire.

Prima di girarmi e continuare velocemente il mio percorso verso scuola, vidi Parker, che forse mi stava guardando per la seconda volta da quando ero in quel liceo, lanciarmi uno sguardo di fuoco.

Lui non aveva avuto bisogno di tempo in più per capire quello a cui ci riferivamo Francy ed io.

Appena entrammo dentro l'edificio, prima di dividerci io per storia e lei per ginnastica, Francy smise di trattenersi e scoppiò a ridere, quasi piegandosi in due in mezzo al corridoio.

La vergogna intanto mi colorava leggermente le orecchie di un simpatico color rosso e una parte della mia testa stava cercando di convincersi che non fosse successa poi nulla di grave.

- Ma che tempismo! - Si limitò a commentare tra le risate.

La mandai a quel paese con un verso e provai a sistemarmi la coda, rendendola in realtà solo più disordinata.

Lei si calmò dopo qualche secondo, continuando però ad avere stampata in viso la risata.

- La faccia di Hans era impagabile però: “Eh? Io? Gay?", - imitò la voce del biondo.

Guardai verso l'entrata assicurandomi questa volta che i diretti interessati non fossero in avvicinamento, ma tra il via e vai di studenti non notavo nessuno di loro.

- La faccia di Parker era ben diversa invece. Se gli sguardi potessero uccidere...

Lei con un gesto delle mani minimizzò la reazione del capitano della squadra di basket. - Ma figurati... Scommetto però che si arrabbierà di più per questa offesa al suo amato che per la storia dell'anno scorso. Preparati a un paio di sguardi di fuoco in poi, poi se ne dimenticha tempo un giorno. - Mi diede una pacca sulla spalla come al solito per poi lasciarmi con un: - ci vediamo a biologia!

Feci un cenno di risposta mentre suonava la prima campanella che avvisava del prossimo inizio delle lezioni. Mi affrettai quindi anch'io ad andare in classe.

- Guai, guai, guai! Guai... - Canticchiò con un ritmo inventato Seth, mentre mi sorpassava per entrare dentro l'aula di storia di cui condividevamo l'ora.

Lo guardai accigliata e lo seguii dentro.

La prof Gardiner mi sorrise appena entrata. - Ottimo compito come al solito, Gray.

Sorrisi già distratta dalla scena che si era svolta in giardino.

Dopo tutto la giornata sarebbe anche andata bene.


 


 

- Nick! - Quasi urlai arpionandolo da dietro. Lui sobbalzò facendo scivolare dalla testa il cappuccio azzurro della felpa.

- Oh, Evelyne... - Mi guardò e dopo avermi riconosciuta una smorfia gli spuntò in volto.

- Hai tempo questo pomeriggio? - Gli chiesi sorridendo e ignorando la sua reazione. - Abbiamo una foto papabile per questo mese e Francy e io pensavamo di metterci un po' avanti con il lavoro...

Mancava poco più di una settimana alla data prevista per la pubblicazione e, soprattutto dopo quel che era accaduto in mattinata, era probabile che la cosa migliore fosse provvedere il prima possibile alla stampa, in modo da evitare imprevisti o “guai” come aveva detto Clark.

Lui si fece per un po' pensieroso. - Va bene, però alle 5 me ne devo andare: ho il corso di nuoto.

Annuii. - Più che altro è per organizzare.

- Luke… - Cominciò.

- Sì! Non lo trovo. Sai dove si è cacciato?

- Ammalato, - spiegò conciso come al solito. Con le mani tormentava la cartellina da disegno che si portava sempre dietro.

- Ah… - Arricciai le labbra sistemandomi dietro alle orecchie un ciuffo che era sfuggito alla coda. - Gli spiegherai poi tu quello che diciamo?

Lui annuì, non del tutto convinto e sembrava sempre più non vedere l'ora di andarsene.

Sorrisi, anche se perplessa e con un cenno della mano lo congedai. Lui corse finalmente via.

Pur non capendo, non persi molto tempo a meditare sul mio compagno del giornalino e seguii anch'io la stessa strada di Nick, ma con molta più calma.

Poco dopo entrai nella mensa, una grande stanza rettangolare gremita di gente e tavolate di lunghezze e dimensioni diverse. In qualche modo l'intero edificio scolastico riusciva a trovare posto in quella enorme superficie.

Mirai subito al cibo e, dopo aver preso il minimo indispensabile, pagai e raggiunsi Francy nel nostro solito e piccolo tavolo vicino alle finestre. Diedi una leggera occhiata fuori, al solito canestro che si intravedeva tra gli alberi che circondavano il campo esterno.

La nostra scuola era letteralmente fissata col basket ed era praticamente l'unico sport ad essere praticato con successo. Spesso si arrivava anche tra i primi nei tornei del distretto nazionale. Dunque erano in molti a voler giocare e solo i migliori potevano ottenere un posto in panchina o addirittura arrivare tra i titolari della squadra. Anche per quello gli appartenenti alla rosa erano così popolari e giravano con una certa ostentazione per i corridoi della scuola, mostrando con orgoglio le loro felpe rosse.

Tra questi si distingueva inevitabilmente Max Parker che ricopriva il ruolo di capitano dall'anno precedente. Il suo viso più carino della norma, l'altezza, il fisico allenato e l'affabilità che lo contraddistinguevano, contribuivano poi a gonfiare quella figura che gli si era creata attorno. Ovviamente però non era dio sceso in terra e l'avevo già lungamente etichettato come l'essere frivolo, donnaiolo e stupido che era.

- Ho detto a Nick di questo pomeriggio, - esordì sedendomi al tavolo e scuotendomi da quei pensieri. - Se ne deve andare per le 5 comunque. Tu?

Diede un morso al suo trancio di pizza. - Idem. Mia madre dice già che sto fuori troppo tempo.

Aprii la bottiglietta d'acqua. - Io rimarrò al massimo un po' di più così sistemo quella pagina e il mio articolo e poi sono libera.

- Schiavetto di Parker in avvicinamento, - borbottò dopo qualche secondo di silenzio, mentre bevevo un sorso d'acqua.

In effetti il morettino si stava avvicinando a passi un po' incerti.

- Sì? - Chiesi accigliata quando arrivò di fronte al nostro tavolo.

Si stropicciò i capelli prima di parlare. - Seth dice che non vuole rovinarsi la reputazione per venire a parlarti e ti ringrazia dicendo che è andata bene. - Finì con un'occhiata perplessa trovando strano il messaggio che doveva riferire.

Clark che manteneva davvero la promessa del silenzio e che non diceva nulla a Nicholas era quasi commovente.
 


 

- Hai dimenticato le chiavi?! - Francy si portò le mani ai fianchi guardandomi con rimprovero.

Nick mi fece un sorriso di comprensione come a dirmi che a lui succedeva spesso.

- Tranquilla! Joe dovrebbe esserci ancora, gliele vado a chiedere subito! - Mi congedai con un sorriso di scuse prima che Francy potesse urlarmi qualcosa contro.

Ero sicura che il bidello fosse ancora a scuola, avrebbe dovuto chiudere lui l'edificio, il problema principale era trovarlo.

Girai l'angolo e salii per le scale che portavano fuori dalla zona dei laboratori scolastici.

- Quei dannati alunni...

Seguendo il borbottio però non fu poi così difficile.

- Gray! Cosa ci fai ancora qua?! - Il bidello cominciò come al solito ad agitare la scopa in mia direzione. Se non avesse odiato tutti indiscriminatamente mi sarei sentita particolarmente minacciata. Ero convinta poi che un giorno avrebbe cavato un occhio a qualcuno con quell'affare.

- Potrebbe darmi le chiavi della 108? - Chiesi, mantenendomi pur sempre educata e cordiale anche con lui.

Joe si lamentò a gran voce degli alunni, dei pomeriggi, della preside, insomma, il solito, ma cercai di ignorarlo il più possibile.

- Le devi riportare al massimo per le 6, a quell'ora se ne devono andare anche quelli della squadra di basket e chiudo tutto, - riuscì a concludere infine a tono di minaccia.

“Riporta le chiavi o ti uccido con le schegge del mio manico di scopa!”, non avrei trovato strano sentirglielo dire.

Annuii. - Me ne vado proprio a quell'ora.

Mi ignorò tornandosene a spazzare lo stesso angolo di prima.

Rifeci la strada all'indietro e quando vidi i due che mi aspettavano cominciai a sventolare le chiavi. - Abbiate fede, abbiate fede! - Urlai scherzando.

Aprii la porta e i due entrarono seguendomi.

- Quindi, - cominciò Nick. – Adesso che siamo qua dentro, posso sapere chi è stato fotografato?

In effetti ci eravamo rifiutate di dirgli qualunque cosa fino a quel momento e potei capire la sua impazienza.

Francy sorpassò la prima scrivania andando in fondo alla stanza. Mantenne il silenzio e io la assecondai. Soltanto quando ebbe sistemato la sua macchina fotografica si girò con un sorriso enorme e rispose.

- Billy Hans!

Nick sgranò gli occhi e gli occhiali glieli ingrandirono ulteriormente. - Ancora?!

- No, non è “ancora”! L'altra volta si erano tutti concentrati su Max, non mi sembrava giusto nei confronti del suo amico quindi ho dovuto rimediare, - si giustificò con un sorriso fin troppo ampio per essere sincero. Si sedette sulla sedia e cominciò a dondolarsi.

Nick scosse la testa, dopo un attimo di esitazione. - Luke non sarà d'accordo.

- Ma tu? - Chiesi avvicinandomi e cominciando a dargli di gomito. - Faremo come sempre a maggioranza… E tu cosa ne pensi, Nikky?

Lui deglutì vedendo che anche Francy iniziava ad avvicinarsi. Entrambe avevamo stampato in volto uno sguardo da cuccioli.

- Però così non vale...

Cinque minuti dopo stavo già inviando un messaggio a Luke con il cellulare di Nick. Lui, al mio fianco, guardava a terra con fare colpevole e dispiaciuto. La posa era così drammatica che mi fece ridere.


 

Foto del mese decisa: Billy Hans in costume da bagno rosa! La maggioranza ha deciso a favore ancora una volta, caro. De-mo-cra-zi-a. Love you :D
Evelyne, ovviamente

Guarisci!


 

Francy diede la sua solita pacca consolatoria a Nick. - No, non ti uccide. Al massimo smette di parlarti.

La frase sembrò sortire l'effetto opposto e Nick si agitò.

Alzai gli occhi al cielo. - Nick, non dice sul serio; Francy, smettila di spaventarlo. Comunque forza, manca meno di mezz'ora e dovete andare; al lavoro!

Mi sedetti al mio posto con finta aria professionale. Francy tossicchiò in modo ironico, mentre Nick tirava fuori un foglio quasi seguendo sul serio il mio atteggiamento.

- Luke mi sembra che avesse già finito le interviste, poi quando torna le consegna; Francy ha finito; io finisco quando ve ne andate; e toi Nick? - Chiesi alla fine, sfoggiando una delle cinque parole di francese che sapevo.

Si passò una mano per i ciuffi neri. - Non so cosa fare…

- Te l'avevo detto! - Esclamò Francy alzandosi dalla sedia. - Ho vinto la scommessa, Eve: l'avevo detto che ti evitava per questo. Sgancia gli M&M!

Nick la guardò con la solita aria preoccupata. - Scommettete su di me?

Cambiai in fretta argomento, giocherellando con il mouse che avevo davanti. - Non hai idee? Allora oggi ci penso e domani ti porto qualcosa, okay? - Proposi subito, non trovando in quel momento qualcosa di meglio da dire.

Lui annuì, un po' dubbioso. - Se abbiamo finito, io andrei allora… - Si alzò, aspettando per vedere se qualcuno lo fermava; nessuno ebbe però niente da ridire e dopo un cenno di mano uscì dalla stanza.

Francy si alzò in piedi, avvicinandosi al mio computer. - Buon vecchio Nikky, - fischiettò mentre tirava fuori il suo cavo e lo collegava al mio computer.

Cominciò a trafficare e io la lasciai fare, cominciando a girare lentamente sulla mia sedia.

Dopo pochi secondi e un “voilà”, sullo schermo si poteva ammirare Billy che correva per il suo giardino come da descrizione.

- Che foto artistiche, - commentai solo, ridendo.

Lei mi imitò. - Non avevo la Canon quindi non è venuta molto bene, ma ho preso un cellulare con una bella lente e per qualcosa lo devo usare! - Ammiccò.

Sorrisi in risposta. - Ok, se vuoi puoi anche andare. Lascia la foto qua, prometto di non fare casino e sistemo gli articoli: così dopo Luke non potrà lamentarsi che siamo sempre in ritardo.

Luke nel gruppo era decisamente il più ansioso. Si preoccupava per tutto, per noi, per gli articoli, per quello che avrebbe detto la gente. Era dunque un bene che non fosse stato presente quel giorno, altrimenti pubblicare la foto di Billy sarebbe stata molto più dura

Francy annuì, mi diede un leggero bacio sulla guancia per poi scappare.

Mi stiracchiai, allungandomi sulla scrivania. Feci scrocchiare le dita, come sempre prima di scrivere, e cominciai a inventarmi una didascalia il più possibile simpatica.

Minuti dopo, soddisfatta del lavoro, passai a una leggera censura della faccia, sicuramente più efficace di quella che avevo usato per Parker l'anno precedente, e infine cliccai sulla piccola immagine della stampante.

Mentre aspettavo che si avviasse, cominciai a pensare a qualche piccola idea per l'articolo di Nick, a cui era ormai tradizione che trovassi sempre io l'argomento; meditai anche su come finire il mio a cui mancava più della metà di quello a cui avevo pensato.

Terminai con ciascuno dei piccoli compiti che mi restavano che l'orologio segnava davvero le 6 di sera.

Estrassi dunque il foglio stampato, consapevole di dovermene andare in poco tempo e, dopo averlo piegato in due parti, me lo infilai in tasca. Si trattava solo di una bozza da far valutare agli altri il giorno dopo.

Finii così tutto e afferrai la tracolla, poi uscii dall'aula.

Inserii la chiave nella porta della 108 e, con la solita fatica, cercai di chiuderla. La porta del giornalino della scuola era infatti particolare: si apriva senza il minimo sforzo, si chiudeva solo con determinati “trucchi”. Con il ginocchio cominciai a spingere forte la porta contro la parete e finalmente riuscii a girare la chiave.

Un giorno si sarebbe rotta dentro e Joe mi avrebbe probabilmente ficcato la scopa in un occhio, come epilogo della sua carriera da bidello.

Tornai verso la scrivania dell'uomo e la trovai vuota. Avrei quasi giurato di sentire le sue urla da qualche parte della scuola, contro non sapevo quale alunno, ma ero consapevole che fosse solo divertente suggestione. Alzai le spalle sistemando da me la chiave tra le altre: quelle del laboratorio si trovavano tutte in un'unica cassettina appesa al muro, in teoria sempre chiusa per impedire che gli alunni ne approfittassero, in pratica sempre accessibile a chiunque. Joe era fortunato per il semplice fatto che nessuno avesse ancora pensato a combinare pasticci con una di quelle aule.

Soddisfatta, come si può essere solo dopo una giornata in cui hai affrontato ogni tuo problema, uscii dall'edificio andando incontro all'aria che sapeva già di inverno.

Sentii varie urla nel parcheggio, oltre le mura rossa e nel buio della notte. Tra quelle distinguevo risate, offese e battute.

Oltrepassato il cancello, girai lo sguardo verso la squadra di basket che era in effetti uscita da poco dalla palestra. In quel momento c'erano gli ultimi quattro ragazzi che già con un piede dentro la macchina si lanciavano insulti.

Rallentai il passo, puntando alla mia di macchina, in fondo al parcheggio e sotto un albero che la proteggeva sempre dal sole e ogni tanto anche dalla grandine.

Tirai fuori le chiavi dalla tracolla e canticchiando cominciai a farle roteare intorno all'indice. Sentii intanto le ultime macchina sgommare, allontanandosi insieme alle voci dei proprietari.

Diedi la solita pacca di saluto al tettuccio della mia compagna fedele: la macchina gialla che avevo ereditato da zia Lizzy quando, trasferitasi a New York, aveva cominciato a vivere con i mezzi di trasporto ben più comodi e sotto alcuni aspetti, che riguardavano il traffico mattutino e serale, meno caotici.

Mentre ero presa da quei pensieri, all'improvviso qualcosa mi tirò indietro per la cinghia della tracolla. Sobbalzai, girandomi di scatto e terrorizzata; per istinto portai le mani sulla tracolla, come a difenderne il contenuto, in realtà ben misero.

- Eh?! - Fu l'unica cosa che riuscii a dire, capendo chi fosse l' “aggressore”.

Lui mi ignorò bellamente e con poca delicatezza mi spinse contro la portiera della macchina, come a intimarmi di starmene ferma e zitta.

- Ma cosa fai?! - Urlai irritata, portando la mano verso il polso di Parker per fargli mollare la mia tracolla. - Se il tuo obiettivo era essere scambiato per un ladro o un molestatore: bravo, ci sei riuscito!

Quella era la prima volta che ci parlavamo e sapevo già che non ci saremmo trattati bene.

Lui mollò la presa altamente infastidito, forse dal mio tocco, forse dal mio tono.

- No, - cominciò, per poi andare subito al punto. - Sono qua perché non voglio che Billy faccia la stessa fine dell'anno scorso. Dammi immediatamente la foto, - disse con un timbro di voce caldo che stonava particolarmente con la faccia contratta in un'espressione di rabbia.

Ammutolii sorpresa. - Foto? - Non sapevo nemmeno io se stessi cercando di fare sul serio la finta tonta o se lo shock per essermi vista piombare addosso Parker, che non mi aveva mai nemmeno rivolto la parola, fosse bastato a non farmi capire.

Si portò una mano sulla viso, infastidito o stanco o semplicemente entrambe le cose. - So perfettamente che hai fatto una foto a Billy in… Costume. - Esitò un attimo sull'ultima parola, perdendo in buona parte il tono arrabbiato.

- Ah... - Sbuffai e tornai rapidamente in me; mi chinai a prendere le chiavi che mi erano cadute prima per lo spavento. - Capito e no. Ho già fatto tutto e non mi tiro indietro. - Convinta di ignorarlo definitivamente, gli diedi le spalle, aprendo lo sportello della macchina. Io non facevo mica differenze tra alunno e alunno.

Questa volta fu lui a sbuffare, ma non scocciato: divertito.

Mi girai a guardarlo non capendo il cambio di umore e lo vidi trafficare nello zaino nero. Osservai interrogativa prima la busta che estrasse, poi lui.

- Cos'è? - Chiese ironico, dando voce ai miei pensieri.

Annuii, guardandolo sospettosa. Non sapevo se dargli corda o saltare subito in macchina e correre via. Il mio istinto gridava a favore della seconda soluzione, ma lasciai la presa dalla portiera, decidendo di ascoltare.

- Ti faccio vedere. - Sorrise, spostandosi di lato e appoggiandosi con una spalla alla mia macchina. - Pensavo di esporla così: professori, - iniziò, cambiando di nuovo il tono da tremendamente divertito a serio. - Voi tutti conoscete Evelyne Gray. Tutti voi sapete che è una ragazza affidabile, brava a scuola, volenterosa, tutto! Praticamente perfetta: in una sola parola! Beh, vi sbagliate e vi posso provare che l'apparenza non coincide con la realtà. - Sulle labbra gli si dipinse un sorriso canzonatorio.

Lo guardai a bocca aperta, sconvolta. - Ma cosa stai dicendo? - Chiesi. Avevo un tremendo sospetto.

Si passò una mano tra i capelli, in modo spensierato. - Fammi finire, Gray! Allora dicevo: vi posso provare con delle foto, con un testimone, anche se anonimo, che la Gray fa certi servizi ad alcuni alunni, a pagamento... Prima che possiate farvi strani idee, vi dico che la Gray, in cambio di soldi, grazie alla Fiducia che voi le date, si intrufola ogni tanto nell'aula insegnanti e... copia, tranquillamente, le domande delle verifiche e le passe poi a dei suoi compagni in cambio di soldi. - Mi osservò soddisfatto. - Sconvolgente, vero?

Gelai sul posto.

Smise di appoggiarsi alla macchina e, girando la busta, mi fece vedere le foto: io che trafficavo nel cassetto dei professori e, sempre io, che passavo il foglio a Seth mentre lui in cambio mi dava i soldi. La prima l'aveva fatta probabilmente da fuori e la seconda dalla classe vicino al parchetto dei fumatori.

Ero stata un'ingenua a non controllare meglio di non essere osservata. Un'ingenua in quello. In tutto.

- Che ne dici, abbastanza convincente? - Insistette, sorridendomi come un amico intimo e non come se stesse in realtà compiendo un vero e proprio ricatto.

Mi morsi le labbra a sangue, vergognandomi sia per essere stata beccata così facilmente, sia perché la consapevolezza di quello che di solito facevo mi ripiombò addosso.

- Quindi? - Chiese per me; avevo la gola secca e non riuscivo a parlare. - Se non mi dai la foto, addio reputazione. - Ammiccò, facendo per rimettere la busta nello zaino.

Senza nemmeno pensare, mi lanciai verso di lui, con le mani tese verso la busta plastificata.

Dopo un attimo di sorpresa, reagì in fretta, tirando indietro il braccio sopra la sua testa.

Rise seriamente divertito. - Questa non me l'aspettavo! - Ammise, tornando velocemente a un'espressione più composta. - Ma sei contro un giocatore di basket, ricordatelo, Gray, - mi canzonò.

Con gli occhi lucidi per la rabbia, mi tirai indietro, infilai la mano nella tasca e gli porsi il foglio. - Tieni, - dissi solo, con un tono di puro rancore. La foto l'avevo solo stampata, per farla vedere il giorno dopo a colazione a Francy, e mi ero dimenticata di salvarla sul computer, era sempre la mia migliore amica a ricordarmelo.

Parker prese il foglio, lo aprì e cominciò a leggere la didascalia con interesse. Sbuffò dopo pochi secondi, infilandosi il foglio in tasca.

- L'hai salvata sul computer? - Chiese senza più usare i toni di presa in giro di prima. Era serio. Il tutto era tremendamente serio e preoccupante, tremendamente serio e preoccupante per me.

Scossi la testa, guardando per terra. - Usata direttamente sulla pagina di Words...

Fece un ultimo sorriso soddisfatto. - Oh bene. Domani preparati alla tua fine allora. - Sollevò la borsa della squadra di basket e si girò.

Sobbalzai, rimanendo pietrificata sul posto. - Eh?! Ti ho dato la foto! - Quasi urlai.

Senza nemmeno girarsi fece un gesto vago con la mano alle sue spalle. - Ho detto “se non mi dai la foto, addio reputazione”. Non “se mi dai la foto, ti salvo la reputazione”. Attenta al vero significato delle parole, Gray. Sei una giornalista dopo tutto.

Mi appoggiai alla portiera per sostenermi e non crollare a terra; la testa mi girava.

- Parker! - urlai, sperando che il bidello non mi sentisse. - Per favore! Non puoi farlo!

Mi ignorò tranquillo, continuando a camminare; da una tasca tirò fuori il cellulare e cominciò a digitare un messaggio.

- Parker! - Gridai più e più volte; mi passai una mano per i capelli disperata.

Avrei dovuto immaginarlo che sarebbe finita così.

Perché mi ero fidata?! Di Clark, poi! E perché mi ero dovuto infilare da sola in tutto quello? Perché mi ero distrutta da sola? E cos'avrei fatto se fossi stata espulsa? Cosa ne sarebbe stato di tutto il mio futuro? Del mio sogno?

- Parker! Tutto!

Lo vidi fermarsi, dopo aver rallentato leggermente, forse solo sorpreso dal cambiamento nelle mie parole.

- Tutto quello che vuoi, ma ti prego, non farlo... - Dissi forte, ma senza urlare, la voce un po' rotta.

Si girò.

Fregata.

Ero stata completamente fregata da quell'idiota del capitano della squadra di basket.

Fregata.

- Tutto? - Chiese, rimanendo però impassibile.

Deglutii, mordendomi le labbra. Esitai un attimo. - Sì. - Annuii.

Lui incredibilmente sembrò pensarci. Abbassò il cellulare e alzò le sopracciglia; sorrise e il suo volto si illuminò a distanza di una luce poco raccomandabile.

- Sai cosa, Gray? Ci sto, - disse, rimettendo l'Iphone in tasca e ricominciando a camminare verso la sua macchina.

La mano mi scivolò dalla portiera e caddi a terra, sul cemento freddo.

Se mi avesse chiesto soldi sarei stata davvero nei guai.

Fregata.

Ero decisamente fregata.

Qualsiasi cosa avesse poi chiesto.

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Capitolo 4
*** Tutto ***


3.Tutto


 

 

Cominciavo a non respirare.

Era da un bel po', forse un'ora, che me ne stavo rintanata sotto le coperte, con la testa sotto il cuscino e il telefono di casa, in qualche modo, vicino all'orecchio.

- Ma! Ma insomma! Che stronzo! - Esclamò Francy per l'ennesima volta da quando le avevo spiegato tutto.

Mi limitai a sospirare, esaurendo sempre di più le mie scorte di ossigeno in quella tenda casalinga. Con un gesto seccato lanciai finalmente all'aria le coperte e uscii con la testa dal rifugio.

Lei intanto continuava a insultare Parker.

Si fermò all'improvviso, probabilmente pensando, poi sbottò: - Ma poi anche te! Tutto?! Non puoi dire "farò tutto quello che vuoi" a un tipo come Parker! Non puoi dirlo in generale nemmeno a un ragazzo normale!

Mi misi a sedere, tormentandomi i capelli come anti-stress. - Spero che non mi chieda soldi, – sospirai.

Francy schioccò la lingua in tono negativo. - È ricco, - spiegò semplicemente. Tutti i ragazzi popolari nella nostra scuola, in effetti, erano ricchi. Sembrava che bellezza, popolarità e soldi si concentrassero sempre insieme in un odioso trinomio.

Feci una smorfia, incrociando le gambe. - Dimenticavo.

- Allora, - cominciò con tono serio. - Se ti chiede di correre nuda per la scuola, tu cosa fai?

- Francy! Ma secondo te?!

- Tu non lo fai, - scandì per bene ogni sillaba della frase, come se stesse parlando con una bambina stupida e disubbidiente.

Guardai male uno dei miei peluche, quasi pensando che la mia occhiataccia potesse arrivarle.

- E se ti chiede favori sessual …

Non la feci finire: - Ma, Francy! - Arrossii quasi senza volere. - Per quelli ha le cheerleader, ricorda, - dissi, deviando l'argomento “favori sessuali” da me.

Lei schioccò di nuovo la lingua. - Ah, vero! - Sbuffò. - Allora niente, non ho idea di cosa potrebbe chiederti.

- Sei di molta consolazione, Francy, davvero. Le mie alternative allora sarebbero due per te: nudismo davanti a tutta la scuola o nudismo in privato con Parker. Eccellente.

- Ardua scelta, - borbottò cupa.

Mi portai una mano sulla fronte in tono depresso. - Parliamo d'altro, ti prego, - la scongiurai. Stavo sul serio pensando di non andare a scuola il giorno dopo. Né mai più.

- Ho cancellato la foto che avevo io di Billy - disse subito, cominciando quell'argomento che pensavo avrebbe evitato. Non sembrava arrabbiata come avevo temuto mentre tornavo a casa dopo l' "incontro-scontro" con Max. Le mie vecchie "amiche" avrebbero fatto così.

- Davvero? - Pigolai. Era tutta colpa mia

La immaginai mentre alzava gli occhi al cielo. - Non mi va di sapere che punizione danno a una ragazza che ha fatto copiare non so quante volte a dei suoi compagni. Soprattutto se quella ragazza è la mia migliore amica, - fece. Stavo davvero per commuovermi. - Anche se è molto idiota e si mette continuamente nei guai, peggio di me!

Mi lasciai cadere di faccia sul letto, provando a soffocarmi con il cuscino.

- Non ucciderti! - Mi ammonì.

Borbottai frasi confuse contro il guanciale, lei mi ignorò tranquilla.

- Comunque, - iniziò, cambiando di nuovo argomento. - Domani solita ora al bar, programma: trovare qualcosa con cui minacciare Max! - Cominciò a ridere in una maniera isterica e malvagia che le si addiceva molto.

Sollevai la testa con un debole sorriso. - Ecco! Questo è un modo per consolarmi!

Mentre cominciava ad elencarmi un gran numero di possibili piani, che riguardavano il rasargli i capelli a zero, sequestrargli il cane - che non sapevamo nemmeno se avesse-, sentii la porta di casa aprirsi.

- Bonjour, mon amour! - Cominciò a urlare zia Lizzy dal piano terra.

- Sono le 8 di sera, zia! - Urlai di rimando, allontanando il telefono dalla bocca per non assordare Francy.

- Oh! E' tornata tua zia? - Chiese quando riavvicinai la cornetta al viso. - Chiedile consigli su come uccidere in modo doloroso un ragazzo!

Ridacchiai. - Vado, a domani, Francy.

- Okay, io vado dalle frittelle che mia madre ha lasciato in frigo da stamattina! - E senza aggiungere altro riattaccò.

Dopo un'occhiata contrariata al telefono (insomma, frittelle per cena) mi decisi a scendere dal letto e a uscire dalla camera.

Vidi mia zia già da sopra le scale, mentre trascinava la sua piccola ma pesante valigia da “rimango quattro giorni!”.

- Rimango quattro giorni questa volta! - Urlò entusiasta appena mi notò. Appunto.

Misi da parte tutti i pensieri spiacevoli, scendendo di corsa dalle scale per abbracciarla di slancio. Se c'era una cosa che sapevo era che in qualche modo lei ci sarebbe sempre stata, per abbracciarmi, come in quel momento, e spettinarmi i capelli. E bastava davvero solo quello a farmi respirare tranquillamente.

Chiacchiere a caso e telefonata, e non molto dopo un ragazzo, che poteva avere sì e no la mia età, suonò alla porta di casa con due enormi pizze, wurstel e patatine.

Presi le scatole con una mano mentre con l'altra gli porgevo i soldi. - Vi pagano molto? - Chiesi curiosa, mentre lui metteva al sicuro le banconote.

Mi guardò tra l'accigliato e il perplesso per poi scuotere la testa.

Arricciai le labbra contrariata, chiudendo la porta.

- Cos'hai chiesto? - Mi chiese curiosa mia zia, mentre apriva il frigorifero alla ricerca di una birra dalla sua ultima visita. - Il numero? - Aggiunse maliziosa in quel suo solito modo.

- Niente di importante, - minimizzai, ignorandola e appoggiando le pizze sul tavolo. Zia Lizzy mi imitò prendendo la sua tutta contenta e la osservai sovrappensiero.

Ci assomigliavamo parecchio, sia per gli stessi capelli castano scuro e il piccolo naso leggermente a patata, tutta roba presa dal ramo della famiglia di mia madre. Gli occhi, di un semplice marroncino chiaro che nessuno si fermava mai ad osservare più di cinque secondi, erano di mio padre e lo stesso era per alcuni accenni nei lineamenti del viso che ci facevano sembrare parenti il minimo possibile.

Guardai gli occhi verdi di mia zia, uguali a quelli di mia madre, che avrei tanto voluto avere anch'io. Colse il mio sguardo e mi sorrise. - Ancora con questa storia degli occhi? - Mi prese in giro.

- No, - scossi la testa, prendendo il primo trancio della pizza pieno di patatine. – Come va là?

Alzò le spalle con una smorfia. - Penso che sarò presto degradata a servetta del caffè: hanno sempre meno lavoro da darmi ed è quasi l'unica cosa che faccio. Io voglio scrivere articoli! Glielo dico sempre ma niente! - Esclamò con un cipiglio isterico.

Altra cosa che sembrava scorrere nel sangue della mia famiglia, materna, era la passione per il giornalismo; il successo evidentemente no.

- Ce la farai, zia, serve solo un po' di fortuna, - feci di nuovo con il mio solito tono consolatore.

- La fortuna mi evita di continuo; proprio non le piaccio!

Anche quello doveva essere un fattore genetico.

Dopo un po' di morsi alla cena presi coraggio. - Zia, cosa faresti tu per minacciare un ragazzo?

Zia Lizzy alzò lo sguardo dalla pizza, perplessa. - Vuoi, vuoi minacciare qualcuno? - Mi guardò sconcertata. Si mise dritta sulla sedia, togliendosi gli occhiali, assunse così la posa da “sto per insegnarti qualcosa come una brava madre”: - Guarda che non è una bella cosa! E se è per ottenere informazioni, Eve, non è professionale. - Scoppiò a ridere. - Anche se ammetto di averlo fatto quando ero più giovane. - Si rimise gli occhiali.

- E come? - Chiesi comunque curiosa.

Lei scosse la testa. - Non minacciare nessuno: finisce sempre male per colui che aveva il coltello dalla parte del manico poi.

Sospirai, bevendo un po' di coca cola. - Spero che sia così, zia, davvero.

Mi guardò un attimo perplessa, per poi sorridere: sapeva di non potermi sempre capire e ci rinunciava presto.


 


 

Anche quella mattina parcheggiai la macchina al solito posto.

Guardandomi allo specchietto della macchina, cominciai a legarmi i capelli alla ben e meglio, lasciando sfuggire qualche ciuffo. Aprii la portiera per poi uscire e guardarmi attorno ansiosa.

Sarei dovuta andare al bar da Francy ma ero in ritardo e il parcheggio si era già riempito parecchio.

Guardai la macchina di Max, dalla parte opposta rispetto alla mia.

Dopo aver preso una decisione, tirai fuori il cellulare e, andando verso il cortile scolastico, feci uno squillo a Francy.

La immaginai mentre, capendo che non sarei venuta prendeva il suo caffè, si avvicinava a Jack per chiacchierare; in fondo le avevo fatto un favore.

Aumentai il passo, avvistando Seth che, uscito dalla macchina, si metteva gli occhiali da sole.

- Clark! - feci per attirare la sua attenzione.

Si girò curioso, poi, dopo aver visto chi aveva parlato, il sorrisetto che aveva stampato in faccia sparì. - Cosa vuoi? - Chiese a disagio, facendo tutto tranne guardarmi.

Appena lo raggiunsi cercai di dargli uno spintone che lo fece traballare leggermente, preso alla sprovvista.

Mi guardò scettico. - E questo?

- Sei uno stronzo! - Ringhiai. - A nessuno! Non dovevi dirlo a nessuno!

Lui sbuffò, tirando su gli occhiali per guardarmi. - Non so di cosa stai parlando, Gray. - Poi sorrise, negli occhi azzurri il segno della sua chiara presa in giro.

Diventai rossa dalla rabbia.

Lui fece una smorfia vittoriosa, rimettendosi gli occhiali. Io invece alzai il braccio, la mano tesa.

- Vuoi darmi uno schiaffo? Non sapete fare altro quando siete arrabbiate, voi donne, - fece sprezzante, guardandomi dall'alto in basso.

Abbassai la mano. - No, mi farebbe troppo schifo toccarti, - gli dissi soltanto, prima di oltrepassarlo. Cercai di respirare profondamente, ignorando le parole poco carine che mi stava urlando dietro.

Adesso avevo altre priorità e in cima alla lista c'era: trovare assolutamente Parker.

E quale modo migliore per trovare il ragazzo più popolare di tutta la scuola, quando si imboscava chissà dove al mattino, se non chiedere a Dawn?

Dawn, ragazza biondissima, dagli occhi chiari e brillanti quasi come il suo sorriso e ovviamente con un seno e un culo decisamente invidiabili, era una di quelle soggette che Francy odiava tanto: una cheerleader. La tipica capo cheerleader da film americano. I cliché evidentemente erano tali perché nella realtà si realizzavano con fin troppa frequenza.  In ogni caso, Dawn, oltre a essere una cheerleader dalla reputazione abbastanza solida, non essendo mai stata beccata e pubblicata sul giornalino scolastico, era anche la fan numero uno di Parker - se la passione per il castano fosse da collegare alla stupidità era ancora da verificare - ma la cosa importante per me in quel momento era che effettivamente la ragazza sapeva tutto su di lui. Sembrava possedere una specie di radar in grado di localizzare ovunque il ragazzo.

Dawn, come il resto delle cheerleader della scuola, se ne stava seduta sulle scale che anticipavano il portone scolastico. Le gambe lunghe e allenate dalle numerose ore di esercizio fisico settimanale erano così esposte in serie da ognuna di loro.

Mentre mi avvicinavo mi notarono e cominciarono a lanciarmi sguardi scettici, non sospettando minimamente che stessi per fermarmi proprio da loro.

Arrivai di fronte alle ragazze, che infatti mi guardarono quasi sconvolte dal fatto che volessi rivolger loro la parola.

Alzai gli occhi al cielo. - Sì, mi fa piacere parlarvi quanto può farne a voi, perciò sarò breve: sapete dov'è Parker? - La domanda era stata posta in generale, ma era chiaro che fosse rivolta a Dawn.

La bionda infatti sorrise smagliante non appena sentì il cognome. - Oh sì! - Civettò. Anche la sua voce era piacente come l'aspetto. - Oggi appena mi ha visto mi ha salutato subito, con un sorriso che … - Sorrise anche lei con quell'aria trasognata, rivolgendosi alle amiche. - Comunque dovrebbe essere in palestra, - tagliò corto, tornando a guardarmi male e con una voce all'improvviso più roca.

Ringraziai con un cenno, per poi correre dove mi era appena stato detto.

La piccola palestra della nostra scuola si trovava in un edificio a parte, era scomoda da raggiungere soprattutto d'inverno, quando bisognava uscire e farsi tutto il cortile a piedi, al freddo, per arrivarci. La struttura conteneva semplicemente il campo da basket e ai lati del campo, contro il muro, c'erano due reti da calcio da tirare fuori in evenienza. Ai lati si piazzavano le alte gradinate per il pubblico che, che durante le partite di basket, si riempivano del tutto e diventavano troppo piccole e strette per tutta la gente che ogni volta accorreva numerosa.

Entrai nella palestra, sperando che non ci fosse Joe: non avevo le scarpe da ginnastica e sarebbe stato capace di uccidermi finalmente con la scopa.

Ovviamente Joe c'era, probabilmente per preparare la struttura alla lunga giornata che l'attendeva, ma era già impegnato a sgridare Parker. Il ragazzo cercava di ignorarlo e superarlo, passandosi un cappellino da una mano all'altra.

- Le scarpe, Parker, le scarpe! - Continuava il bidello, agitando la scopa.

Feci qualche passo indietro, appoggiandomi vicino alla porta, non avrebbe potuto dirmi niente per quei dieci centimetri di palestra che avevo sporcato.

- Dovevo prendere una cosa che mi ero dimenticato ieri, - sbuffò, riuscendo finalmente a superarlo. In quel momento guardò verso l'uscita e mi vide. Sorrise subito, dopo un attimo di sorpresa, non un sorriso normale e amichevole, soltanto divertito.

- La prossima volta rimarrà lì, senza scarpe da ginnastica! - Brontolò l'altro per poi andare negli spogliatoi.

Parker lo ignorò, come facevano poi tutti, cominciando a camminare tranquillo verso di me. Io incrociai le braccia al seno, facendo un passo avanti e staccandomi dal muro: pronta allo scontro.

- Parker, - cominciai.
- Gray, - disse di rimando, arrivandomi di fronte, il tono caldo e invitante del giorno prima e la solita faccia da schiaffi. Una persona meno coerente fisicamente e caratterialmente non esisteva.

Aprii la bocca per parlare, ma lo zaino nero che mi buttò tra le braccia mi prese alla sprovvista. Zaino leggerissimo e probabilmente quasi del tutto vuoto.

- Che carina che sei stata! Ti stavo per venire a cercare io, - mi informò, aprendo la porta della palestra e uscendo.

Continuai a fissare lo zaino e poi la porta che si chiudeva dietro di lui.

Uscii di corsa. Lui se ne stava già andando bello e tranquillo, una mano tirata in su a riparare il viso dalla leggera luce solare.

Lo affiancai irritata. - No, aspetta! Prima di tutto: riprenditi il tuo zaino! E poi dobbiamo parlare di ieri, così posso tornare a non rivolgerti la parola!

Si girò leggermente a guardarmi scocciato, abbassando il braccio, e, invece di riprendere lo zaino che gli stavo porgendo, mi lanciò anche il cappellino. - Mettilo dentro, Gray.

- Forse non ci siamo capiti, – ringhiai, prendendo mio malgrado al volo ciò che mi aveva appena lanciato.

- Sei tu che non hai capito, - sbuffò, continuando a camminare verso l'entrata della scuola.

Sapevo che non l'avrei sopportato a lungo e in effetti fu così: l'arpionai per il braccio e lui, palesemente scocciato, si fece trascinare senza resistere dietro l'angolo della scuola, semi nascosto dall'entrata.

- Allora, - cominciai, mollandogli la giacca. - Smettiamola con questi giochetti. Dimmi che cosa devo fare, cos'è quello che intendi per il "tutto", così possiamo tornare alla nostra normale vita: non cagarci, non parlarci. - Lasciai cadere anche lo zaino ai suoi piedi,, per sottolineare quel che avevo appena detto. - Da quel che ricordo piaceva a tutti e due!

Lui in risposta scoppiò a ridere, cambiando per l'ennesima volta espressione e lasciandomi spaesata. - Sai che non ti immaginavo con questo caratterino, Gray?

- Basta giochetti e giri di parole! - Mi arrabbiai.

Sorrise. - Dovrei andare al sodo?.

- Continui a non farlo, - lo rimproverai, irritata.

- Non c'è gusto sennò, - disse, per poi appoggiarsi al muro, guardando verso la palestra. - Ti immaginavo senza carattere, Gray. O decisamente più passiva, dato quel che sei arrivata a dirmi ieri. E insomma, per quello che fai in quel giornalino devi essere proprio una donna frustrata.

Mi portai le mani ai capelli, esasperata. - Dio mio! Non tormentarmi più di così! Se vuoi soldi, non puoi averli, te lo dico, non sono ric …

- Conosco la tua situazione, Gray, - mi interruppe di nuovo annoiato. - E non voglio soldi mi dispiace. - Si stacco dal muro e, mettendosi di nuovo dritto, tornò a sormontarmi. - Voglio vendetta, direi.

Rimasi per un po' a bocca aperta. - Non mi dirai sul serio che tutta questa storia, degna da film, con foto e ricatti, è per vendicarti solo della tua foto del mese?! Posso capire che volessi evitare un'altra scocciatura al tuo amico, e ho obbedito, ma se hai fatto sul serio passare tutti quei mesi, per arrivare a QUESTO, allora sei malato.

- E' per entrambe le cose, - fece spallucce, ignorando le altre mie insinuazioni. - Billy è stato però la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Non potevi andare avanti così.

- Quella foto l'ho cancellata! E dall'altra ne è passato di tempo! Se ne sono dimenticati tutti. - Feci un gemito di frustrazione. - No, Max Parker non può fare come tutto il resto del mondo, deve fare il genio del male e ricattarmi!

Mi guardò scettico. - Ti sei messa contro la persona sbagliata, TU e quella tua amichetta lì. Ma soprattutto il problema sei stata TU; TU che non hai censurato; sei TU che hai pubblicato la foto. - Si avvicinò ad ogni “tu”, sottolineandoli fisicamente; non indietreggiai per non dargli la minima soddisfazione, anche se la vicinanza mi metteva soggezione e sembrava urlarmi a tutto volume di porre metri, chilometri, stati di distanza tra noi due. - E il grande colpo ci sarebbe con la tua rovina, diciamolo. - Smise di camminare, si fermò vicinissimo a me.

- Sinceramente: volevo rovinarti definitivamente davanti ai prof, non mi sarebbe importato minimamente se ti avessero espulso o altro, non ti devo decisamente niente. Ma non mi aspettavo quel “tutto” di ieri.

- Cosa vuoi allora? - Non riuscivo a prendermi quella storia sul serio. Era troppo surreale. Troppo programmata. Non mi rendevo ancora conto di quanto fossero state gravi le mie azioni e di quanto lo stessero diventando le conseguenze.

Lui sorrise. - Tutto quello che potrei avere da te quest'anno. E' più utile, alla fine.

Sgranai gli occhi. - Cosa? - le immagini che Francy mi aveva fatto entrare in testa, il giorno prima, uscirono fuori prepotentemente.

Mi guardò, all'improvviso perplesso, quasi consapevole di quello a cui stavo pensando. Fece un passo indietro. - Non so cosa stai capendo, o forse sì, ma io intendo che mi farai da… “schiavetta multiuso”, diciamo. In pratica, se io lo voglio mi porti lo zaino fino in classe, se io voglio ti chiamo a pulirmi casa, se io voglio mi vai a prendere da mangiare, se io voglio… Non saprei, ma sarai sfruttata, cara Gray, - finì l'elenco, rimettendosi dritto, un sorriso, sempre irritante, di nuovo sul volto.

Lo guardai incredula. - Ma tu sei malato! - Lo insultai nuovamente.

Sbuffò, facendo roteare gli occhi al cielo. - Poteva andarti peggio, sai? E per tua sfortuna non mi piaci fisicamente, - disse con noncuranza.

Avvampai. - Senti, tu! - Urlai, sentendomi in qualche modo contorto e malato offesa.

Mi ignorò, spostandomi con un braccio per oltrepassarmi. - E adesso devo andare a lezione di inglese, se non ti dispiace vorrei arrivare in orario, - ordinò strafottente.

Non riuscivo a smetterla di guardarlo incredula, mentre ad ogni passo si allontanava, rendendo sempre più reale la situazione. - No, ti prego, non sul serio!

Ma lui mi ignorò, lanciandomi un sorriso ironico alle sue spalle.

Io guardai lo zaino, non credendoci ancora. Com'era possibile che da un giorno all'altro fossi finita in quella situazione?! Okay, non ero stata uno stinco di santo, ma non era nemmeno giusto che le cose andassero in quel modo. Già immaginavo cosa potesse dire la gente. Quel giorno avrebbero tutti avuto molto di cui parlare: Parker e la Gray girano insieme per scuola; la Gray gli porta lo zaino.
Umiliante e inconcepibile; ed era solo l'inizio.

Lo strattonai per la giacca, indietro, prima che girasse del tutto l'angolo dietro al quale ci eravamo nascosti.

Sbuffò stressato, irritandomi, ma permettendomi di fermarlo. Aveva il coraggio di sbuffare quello stronzo. - Cosa c'è adesso, Gray? - Chiese senza girarsi.

- Allora, - cominciai sbirciando da dietro la sua schiena, nessuno sembrava averci visto fino a quel momento. - Non so tu, ma io non voglio nessuno scandalo nella scuola. Lavoro in un giornaletto alla fine, so come funzionano i pettegolezzi.

Si girò, guardandomi accigliato. - Non c'è bisogno di lavorare in un giornale per saperlo.

Con la mano libera gli feci cenno di stare zitto. - Io so come funziona, ho detto.

Continuò a guardarmi scettico. - E? - Mi incitò a finire, scocciato.

- Non voglio che la gente pensi che mi stai ricattando o che si faccia altre pare mentali, quindi dobbiamo camminare a distanza e non farci vedere insieme in pubblico. - Mi guardai di nuovo attorno, nervosa.

Lui esordì con una piccola risata. - Allora, io ho le foto e tutte quelle informazioni quindi …

Lo interruppi. - Potresti rischiare che la gente pensi che… - mi costava dirlo ma in qualche modo avrei dovuto fargli cambiare idea. – Che, mi fa schifo dirlo, ma che stiamo insieme! Vuoi questo, Parker?! Lo vuoi?! - Avevo naturalmente esagerato, la gente vedendomi portare uno zaino non era logico che pensasse quello, ma esagerare e inventarsi le cose mi sembrava la scelta migliore in quel caso.

La sua espressione cambiò, stava valutando la cosa sul serio. Io ero un genio e lui un idiota. Ce l'avrei fatta a eliminare la sua presenza prima dell'anno che aveva stabilito, quello mi sembrò certo.

- Come potrebbero pensare qualcosa del genere? - Mi guardò, sbuffando di nuovo e sorprendendomi. Tutti i miei sogni tornarono a frantumarsi. - Che stiamo insieme? Insomma, togliendo il fatto che non ho intenzione di farti nulla da cui si possa dedurre quello, credo che sia chiaro che, dopo quello che hai fatto l'anno scorso, non corre buon sangue tra di noi.

- L'odio e l'amore sono due cose molto simili, - affermai con tono serio, annuendo. Non ci avevo mai creduto ma lui non poteva saperlo.

- Dimentichi poi i fatto che sono decisamente troppo per te, Gray, - aggiunse sorridendo e con quel sorrisetto ironico mi irritò da morire. - Poi non mi importa di quello che pensa la gente. Anzi hai fatto bene a dirmelo, non ci avevo pensato che farti vedere da tutti mentre mi fai da schiavetta servirebbe di più ad umiliarti. Perfetto. Adesso andiamo, vicina vicina, mentre porti lo zaino! - E mi diede un colpetto con il dito in testa.

- Ma... - Provai ancora, correndogli dietro con lo zaino. - Pensa alla tua reputazione! - Il mio tono era ormai fuori controllo e si capiva che in realtà non pensavo alla Sua di reputazione.

- Sì, certo, alla mia. Vorrai dire alla tua reputazione, - sbuffò.

Digrignai i denti. - Troverò un modo per finirla con questa storia! - Minacciai. Cominciavo a sembrare schizofrenica con tutti quei cambi improvvisi di reazione.

Scoppiò a ridere. - Ti conviene stare calmina, perché potrei decidere di ignorare il tuo “tutto” e di far scoprire cosa combini ai prof.

L'arpionai di nuovo per la giacca. - Non possiamo cambiare condizioni?! Ti pulisco la macchina tutte le settimane! O… - Smisi di parlare, rendendomi conto che ormai alcuni ragazzi ci avevano notati. E in effetti dovevo essere curiosa: stavo rasentando la disperazione e si notava.

- Gray, la mia giacca. La smetti? - Si lamentò, spingendomi via la mano e girandosi a metà per guardarmi male.

Lo guardai dritta negli occhi, avvicinandomi ancora, pronta a scongiurarlo di nuovo di parlarne, di contrattare. Notai però, in quel momento e per la prima volta, che i suoi occhi erano verdi, verdi come quelli che mi sarebbe piaciuto avere fin da piccola, anche più belli. Mi resi conto in quel momento di non averlo mai guardato davvero, anche se sempre a portata di mano come il "ragazzo popolare" del liceo.

Il suo sguardo perplesso mi fece riprendere contatto con la realtà. - Gray, ti sei incantata o cosa? - Soffocò una risata con uno sbuffo.

Aggrottai le sopraccigliai. - No, niente, è che… Senti, ti accompagno in classe stando a cinque passi di distanza! - Mercanteggiai, facendo un passo indietro e ritornando velocemente all'auto-controllo. - Poi se vuoi sul serio continuare con questa storia ne riparliamo a pranzo.

Lui mi guardò scocciato. - Ancora?

- Dobbiamo decidere alcune cose, no? Non puoi spuntarmi poi con nuove regole strane. Bisogna decidere! - Spiegai gesticolando, innervosita da un gruppetto di ragazze che continuava a guardarci in silenzio, probabilmente origliando.

- Gray, tu non decidi in questa storia, lo sai, vero? - Disse, spostando il peso da una gamba all'altra, scocciato.

- Ma dovremo pur segnare dei limiti, no? Non potrai mica chiedermi tutto! - Continuai convinta.

Lui sorrise divertito. - Tutto. Hai detto tutto. Per questo ho accettato di risparmiarti.

Mi irritai, smettendo di guardarlo e torturandomi la giacca. - Delle regole, almeno! - Sbottai.
Sbuffò, alzando gli occhi al cielo. - Senti, va bene, per pranzo ne parliamo, basta che mi lasci andare adesso; ma non farti troppe illusioni di cambiare le cose. Adesso possiamo andare in classe, che arrivo tardi sennò? Sarebbe la sesta volta da quando è iniziata la scuola.

Annuii un po' consolata, mentre lui mi faceva segno di andare prima di lui.

Parker arrivò così in perfetto orario, mentre io entrai in classe insieme alla professoressa di inglese, la signora Granger, per fortuna fin troppo giovane per arrabbiarsi per qualcosa del genere.

Mi sedetti al mio banco, sospirando, vicino ad Emily; con Frances non condividevo quell'ora.

- Ciao, Eve, - mi salutò lei, dietro gli occhiali rettangolari neri. Le sorrisi in risposta, un po' mogia.

Emily, era una delle poche ragazze di quella scuola che potevo considerare simpatica e in parte mia amica. Gentile, riservata…

- Ti ho vista con Parker, - disse, portandosi la sua inseparabile penna blu vicino alla bocca.

Bene. Era sempre stata riservata, almeno.

Quel nome mi fece sparire il sorriso che avevo sempre insieme ad Emily. - Ah, - riuscii solo a dire, aprendo il libro di letteratura.

- Scusa, non è per fare la pettegola, - si scusò subito. - Solo che sembrava steste litigando e sapendo quello che è successo l'anno scorso…

- No, tranquilla, non sarai stata l'unica a vederci, solo che sentirlo nominare mi irrita già di suo, - spiegai, continuando a guardare il libro.

Ridacchiò. Dopo un po' di silenzio, non riuscì a resistere: - Okay, scusa, sai che di solito mi faccio i fatti miei, ma... perché gli portavi lo zaino?

Arricciai le labbra, non sapendo che rispondere.

Mi guardò, più che curiosa, preoccupata.

- Ti spiegherò oggi a pranzo, dopo che ci sarò andata a parlare di nuovo, - dissi alla fine in un sussurro, esausta.

Lei, sorpresa da quella risposta, finì solo per annuire.

La terza ora di trigonometria con Hoppus e Francy arrivò con incredibile lentezza ma alla fine arrivò, come ogni cosa.

Salutai Emily con la promessa di spiegarle poi tutto.

In un caso più unico che raro fui io a vedere la mia migliore amica da lontano per prima. Le andai incontro di corsa per poi abbracciarla di slancio.

- Francy! - Piagnucolai.

Francy sobbalzò come ero solita fare io, mi riconobbe e ricambiò forte l'abbraccio.

- Eve! Ti ho cercato per tutta la scuola stamattina! Dov'eri finita? - Mi interrogò subito.

- Sono andata a cercare Parker, - spiegai, borbottando, facendo fatica a guardarla in faccia per colpa dell'abbraccio.

Mi guardò. - Ah! - La sorpresa fece spazio alla preoccupazione. - Questa reazione non mi sembra un buon segno però… Cos'è il tutto? - Chiese.

- Tutto. Il tutto è il tutto. Quest'anno dovrò fare tutto quello che vuole lui.

Mi guardò sconvolta. - Ma è pazzo?!

La guardai sconsolata. - Dopo a pranzo sono riuscita a convincerlo a parlarne… Cercherò di mettere delle condizioni a mio favore anche… Ma ha detto che non sono io a decidere, quindi non credo che mi asseconderà facilmente.

- E' malato, - continuò Francy, scuotendo la testa. - Forse dovremmo parlarne con qualcuno, un adulto...

Mimai un no, senza dire niente.

- Allora, senti, adesso ci mettiamo d'accordo su cosa dovrai dirgli… - Poi smise di parlare, vedendo il diretto interessato avvicinarsi con il suo gruppetto, poco prima del professor Hoppus.

Parker non mi guardò nemmeno ed entrò in classe, quello fu forse il primo piacere della giornata.

Alla fine dell'ora, che arrivò come ogni cosa spiacevole, seguiva il pranzo, quindi la chiacchierata con Parker.

Francy mi diede un buffetto sulla mano e, dopo avermi fatto un cenno con la testa, uscì di classe insieme al resto dei ragazzi. Parker si era avvicinato all'uscita con i suoi amici.

- Vi raggiungo tra un po', - disse, appoggiandosi alla porta.

Uno degli amici, di cui mi sfuggiva il nome, un morettino, annuì e lanciò un'occhiata dentro alla classe, vedendomi. Fu l'unico a notarmi. Tutti gli altri se ne andarono, senza nemmeno farci caso.

Parker seguì con lo sguardo gli amici.

Hoppus era stato il primo ad andarsene seguito dall'orda di studenti di matematica affamati e quindi ora eravamo soli.

Il castano si girò a guardarmi. Sorridendo, si chiuse la porta dietro le spalle. La chiusura della mia unica via di fuga mi rendeva inquieta; stare da sola con Parker non era tranquillizzante: non avrei mai voluto ammetterlo ma mi metteva soggezione. Lo sguardo, il tono, la smorfia piatta e ironica con cui mi osservava circospetto.

- Quindi? - Chiese, andandosi a sedere sulla cattedra. - Sai che stiamo perdendo tempo qua, vero?

Lo ignorai. - Allora… Non dirai niente ai tuoi amici, cosa in privato tra noi. - Cominciai, titubante.

Lui mi guardò scettico. - No.

Aprii la bocca per ribattere, ma lui mi fermò con un cenno. - Questa sarà una cosa veloce: tu proponi e io dico no o sì e passi a un'altra cosa.

Mi alzai in piedi, ero rimasta seduta fino a quel momento. - Io, sul serio, non so come farò a passare così tanto tempo con te! - Cominciai a infilare i libri dentro la tracolla, già irritata.

Parker non rispose subito. - Quindi? - Chiese di nuovo, già annoiato.

Per poco non gli ringhiai contro. - Se mi chiedi di fare qualcosa che riguarda i soldi, paghi tu!

Lui sbuffò. - Soldi, soldi e sempre soldi. Saranno la tua rovina, anzi, ops, lo sono già stati, - cantilenò alla fine. - Va bene, - aggiunse poi, ridacchiando, vedendomi furente.

- Entro la fine dell'anno scolastico, poi mi ridai le foto.

Ci pensò un attimo. - Okay, - disse solo, spostandosi col corpo più indietro. - Tanto non ci rivedremo mai più e non potrei sfruttarti...

- Poi, - iniziai, pensandoci e ignorandolo.

- Andiamo a pranzo? - Propose all'improvviso, senza guardarmi.

Lo guardai sorpresa. - Noi?

- Ho fame e tu sembri non avere le idee tanto chiare, - spiegò, alzandosi e andando verso la porta.

- Ma dobbiamo sul serio farci vedere in giro insieme?! - Chiesi, correndogli dietro mentre usciva.

Lui mi aspettò fuori dalla porta, le sopracciglia sollevate. - Se non la smetti di ripeterlo cominceremo a girare insieme mano nella mano, – minacciò.

Mi tirai indietro con fare terrorizzato. - No, okay, no, sto zitta!

Mi osservò accigliato per poi ricominciare a camminare verso quella che pensavo essere la mensa. Sembrava essere inevitabilmente così, ma speravo profondamente che deviasse la strada.

- Dove andiamo? - Chiesi per sicurezza.

- Mensa.

Pensai a quanta gente ci avrebbe visto insieme e stetti male al solo pensiero. Capii però che ogni mia protesta non l'avrebbe fermato.

Entrammo nella grande stanza che accoglieva tutta la scuola, senza che nessuno facesse caso a noi, tranne Francy e Emily che, guardando verso la porta e aspettandomi, sgranarono gli occhi vedendo con chi ero.

Io cercavo di dissimulare, guardando da tutt'altra parte rispetto a Parker, come se fosse un caso che fossimo entrati insieme e camminassimo abbastanza vicini.

- Dobbiamo proprio mangiare qua? - Gli sussurrai senza guardarlo.

Sbuffò. - Non voglio mangiare nel cortiletto spelacchiato della nostra scuola: è da sfigati; quindi sì.

Non chiesi altro, temendo che da un momento all'altro mi afferrasse la mano come aveva minacciato.

Prendere da mangiare non fu problematico, il problema venne dopo quando, con tanto cibo lui e poco io, andammo a sederci, io parecchio esitante, allo stesso tavolo. Stesso tavolo. Evelyne Gray e Max Parker allo stesso tavolo. Sentii mentalmente una sirena d'emergenza che annunciava la fine del mondo.

Alcuni ci notarono e lanciarono qualche occhiata curiosa, niente di più. La prima reazione fu quindi quasi incoraggiante. Anche se Francy cercava di lanciarmi messaggi mimici dall'altra parte della mensa.

- Vado un attimo dai miei amici e torno, - disse, alzandosi.

Io annuii, cominciando a mangiare e senza guardarmi troppo attorno.

Tornò poco dopo. - Okay, prima che me ne dimentichi: dammi il tuo numero, - disse col solito tono imperativo. Mi sentivo un Nicholas e la sensazione era orribile, ma almeno io non mi ero messa volontariamente in quella situazione.

- Non voglio darti il mio numero, – ribattei.

- Ho la foto proprio dentro lo zaino, - disse vago, ma sorridendo.

Guardandolo malissimo cominciai a dettargli il numero, che scrisse sull'inseparabile cellulare. - Anche quello di casa, - aggiunse, continuando a scrivere qualcosa sull'Iphone.

- Perché vuoi il mio numero di casa? Sei uno stalker o cosa?

Rise. - Così non hai scuse del tipo “oh, scusa, non ho sentito il cellulare!”

Lo guardai scettica. - Se volessi ignorarti lo farei anche sul telefono di casa.

Mi ignorò e mi obbligò a farselo dare. - Muoviti a proporre le tue regole sennò faccio completamente a modo mio.

Obbedii. - Beh, le cose basilari: non puoi chiedermi di uccidere nessuno, - sussurrai guardandolo sospettosa.

Lui scoppiò a ridere, attirando l'attenzione del tavolo di fianco.

- Shh! - Provai a zittirlo, guardandomi intorno.

- Prometto di non chiederti di uccidere o di ucciderti. - Alzò una mano in aria, tenendo l'altra sul cuore, con fare solenne. Quel ragazzo si stava rivelando sempre più tremendamente teatrale.

- Niente contro la legge! - Aggiunsi. - E con questo intendo anche non ti faccio copiare i compiti. Ho chiuso.

Ci pensò un attimo. - Peccato, la cosa diventa meno divertente. Però i compiti per casa sì.

- No.

- Sì.

Deglutii, cedendo. - Poi… Tu non puoi dire che mi stai minacciando.

- Quanto balle, - si lamentò. - Questo no.

- Non puoi dire il come! Sennò romperesti il nostro contratto: io rispetto il tutto se non divulghi le foto e non racconti nulla, - gli dissi dura. - E che gusto c'è a dire che mi minacci se non come? - Cercai poi di convincerlo.

- Capiranno comunque. - Cominciò a mangiare.

- Fa lo stesso. Tu non dire e non confermare nulla.

Bevve un sorso della bibita. - Okay, - sbuffò. 

- Poi... - Provai a farmi venire in mente altro.

- Basta, - concluse lui tornando a guardarmi.

- No! - Lo interruppi. Mi lanciò un'occhiata di un verde intenso e scuro, abbastanza irritato. - Non puoi chiedermi di spogliarmi davanti alla gente!

Parker fece una smorfia accigliata. Io ero stata travolta dai ricordi della conversazione avuta con Francy il giorno prima.

- E nemmeno richieste sessuali, - aggiunsi, a fatica, deglutendo.

- Sto mangiando, Gray, mi hai fatto avere delle pessime immagini... - Disse parecchio e sinceramente schifato.

Il mio ego, sempre incoerentemente, venne brutalmente schiacciato.

Sospirai. - Lunga e brutta convivenza, - mi lamentai, appoggiando il mento sul pugno della mano. Convivenza a cui avrei cercato di continuo di porre fine, ma questo lo tenni per me.

Mi allungò la mano da sopra il tavolo. - Contratto concluso, niente da ribattere? - Ridacchiò.

- Contratto concluso, - confermai stringendogli la mano freddamente, e fredda fu anche la mia stretta, in confronto alla sua.

Non avevo un carattere da sottomessa, niente del genere, ma sembrava non ci fosse altra scelta che sopportare quella situazione. Dovevo tenermelo buono, dopo tutto, no? Dovevo cercare di uscirne illesa e vincitrice. A me piaceva vincere e in quel momento ero visibilmente in svantaggio.

Pensando al punteggio immaginario che mi vedeva, in quel momento, perdente, non notai nemmeno che praticamente tutta la scuola ci stesse guardando.








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Capitolo 5
*** Ottimista ***



Grazie a Jess Graphic per la copertina :3

 

4.Ottimista

 

 

 

Si erano aperte le scommesse.

Francy diceva che avrei resistito due mesi come schiavetta di Max, poi avrei provato a ucciderlo, o a uccidermi. La mia morte o un omicidio non rendevano questa ipotesi molto felice, tranne nel caso fossi riuscita ad ammazzarlo senza farmi scoprire. Ma, porco cane, la vedevo dura.

Emily, informata di tutto mentre andavamo in classe dopo pranzo – con ovvie censure che riguardavano la mia attività non tanto legale -, scommetteva che avrei resistito tutto l'anno e che non sarebbe stato poi così male. Fin troppo ottimista, fin poco realista.

Versione negativa e positiva.

Io ero negativa, negativissima, ma dovevo resistere tutto l'anno, in qualche modo, quindi speravo in un miracolo e che vincesse Emily.

Peccato che non avessi mai creduto nei miracoli.


 


 

Arrivai a casa con fretta e parcheggiai la macchina come tutte le volte che c'era la zia davanti casa, poi scesi slacciandomi la coda. Avevo la mania di legarmi i capelli ogni volta che ero nervosa o stressata, per lo più involontariamente; a casa, con la zia, li avevo sempre sciolti.

Li avevo tenuti infatti legati fino a quel momento perché a scuola dopo pranzo era stato tutto un disastro: la gente aveva continuato a guardarmi e a bisbigliare, anche se per fortuna nessuno aveva chiesto niente e non avevo avuto di nuovo a che fare con lo stronzo.

Ma adesso era a casa e finalmente c'era pace, pensai chiudendomi la porta dietro ed entrando in casa.

Dalla luce mia zia era in cucina e solo il pensiero mi fece rabbrividire:  le arti culinarie di Elizabeth erano infatti tristemente famose in famiglia e tra le mie amiche delle elementari che ai compleanni erano obbligate sempre a sorbirsi le sue torte; era capace di bruciare qualcosa nel microonde e di far diventare salato e immangiabile qualcosa che aveva riempito di “zucchero”. E, ah, spesso scambiava il sale con altre cose, risolto così il secondo mistero della sua cucina.

- Non starai mica cucinando, vero? - Chiesi entrando nella nostra piccola ma accogliente cucina.

Zia Lizzy se ne stava a braccia incrociate davanti al forno. - Stavo pensando di fare una torta – spiegò.

Mi avvicinai guardando la ciotola che aveva già appoggiato sulla mensola, la farina e il sale. - Zia, propongo niente torta e cinese stasera, oppure cucino io - avanzai subito.

Mi guardò triste. - No! Tu non fare niente per una volta! - Poi, chinandosi leggermente, mi abbracciò sconsolata piagnucolando: - Sono una pessima mamma!

Risi. - No, zia Lizzy, sei perfetta così - le dissi con affetto ricambiando l'abbraccio.

Riuscii facilmente a convincerla di quello e un'ora dopo stavamo mangiando pollo alle mandorle sedute sul divano a guardare Bones.

Durante la pubblicità, che usavamo per fare conversazione e andare a prendere il bere che ci dimenticavamo perennemente in cucina, zia Lizzy cercò di indagare, come faceva ogni volta, sulla mia vita.

Lei cominciava sempre con domandine a caso e alla fine finivo per dirle tutto diventando logorroica come non ero mai. O almeno, le avevo detto sempre tutto tranne la storia dei soldi e dei compiti, un segreto non molto trascurabile.

Quando passò a chiedere, durante la seconda pubblicità, se c'erano novità importanti, oltre alle solite cose, rimasi per un attimo col dubbio di raccontarle di Parker, anche magari per ricevere dell'aiuto concreto che decisamente mi mancava; poi però avrei dovuto parlare dei soldi, di Seth, di quanto fossi così poco affidabile. Parker si aggiungense così ai pochi argomenti segreti o proibiti con zia Lizzy. Trattenni una smorfia rendendomi conto della relativa importanza che così gli davo.

Feci ovviamente finta di niente e cominciai quindi a raccontare di Francy e di me e delle solite cavolate comiche che combinava e in cui mi trascinava di conseguenza.

Il tempo passò in fretta e finimmo di vederci altre due puntate della serie litigando per gli involtini, nella nostra routine che avrei voluto avere tutti i giorni.

Terminati gli episodi mi alzai per portare i bicchieri, i sacchetti e le bibite in cucina e pulire un po' mentre lei giocava col telecomando cambiando i canali.

Mentre mi risciacquavo le mani per togliere la schiuma, mia zia, che credevo che dopo tutto quel silenzio si fosse addormentata, mi urlò dalla sala: - Eve, ti è arrivato un messaggio!

Guardai accigliata il panno con cui mi stavo asciugavo le dita accuratamente. - Guarda di chi è - le urlai anch'io in risposta e tranquilla perché poteva essere solo Francy.

Cominciai ad uscire dalla cucina mentre lei guardava nel cellulare. - Numero sconosciuto - disse e il tono perplesso si sentì chiaramente.

Io impallidii.

- Dice: “Voglio pizza”. - Guardò perplessa il cellulare e poi me. - Avranno sbagliato numero? - Mi chiese porgendomi l'oggetto per vedere se riconoscevo qualcosa.

Lo guardai notando che l'ironia della sorte voleva che il numero di Parker avesse nel mezzo tre 6 di seguito. Satana, era satana. - No. E' … un'amica - spiegai, grattandomi la testa.

- Amica? - Chiese di nuovo. - La conosco?

- No! - Mi corressi subito smettendo di guardare il cellulare. - Amico, volevo dire … Maschio. Più conoscente, diciamo … - tentennai. Era meglio dire che c'era una specie di “amico” che stava spuntando fuori, nel caso lui e mia zia, nel futuro, si fossero incontrati. Speravo decisamente però che non succedesse mai.

- Oh! - Sorrise maliziosa. - Un “amico” - mimò le virgolette ridacchiando.

La guardai male. A parte che se avessi avuto sul serio un amico maschio non capivo le insinuazioni. - No, zia, niente virgolette. E' un mio compagno di classe, dobbiamo fare un progetto di … Biologia - mi inventai. - Mi ha chiesto il numero per poi metterci d'accordo e direi che è lui. - Ritornai a guardare il cellulare. Cosa voleva adesso dalla mia vita? A tutto, sì, ricordavo.

- E perchè ti dice che vuole una pizza? - Chiese più che perplessa.

- Non lo so - borbottai. - E' una testa di ca … idiota.

- Chiedi, chiedi! - Fece curiosa sporgendosi dal divano e doveva esserlo davvero tanto per aver ignorato le mie parolacce. Di solito tendeva a sgridarmi, almeno quello, da mamma, pensava non andasse bene.

Mi allontanai ridacchiando rispondendogli velocemente: “E quindi?”

Mi faceva spendere i pochi soldi che avevo. Lo odiavo davvero.

Intanto salvai il numero. Nome: Stronzo; cognome: Parker.

Nuovo messaggio da Stronzo Parker.

 

Voglio pizza :D
Tra mezz'ora vado dalla pizzeria in centro (è l'unica che c'è non mi ricordo il nome ma hai capito) tu intanto va là e ordinami una con salsiccia


 

Mi misi a fissare il messaggio incredula.

Zia Lizzy cominciò a gironzolarmi intorno cercando di leggere il messaggio senza farsi notare. Mi spostai senza guardarla e risposi: “No, ma sul serio?!”

La risposta arrivò subito e il sì parlava chiaro, un po' meno forse del suo ricordarmi della foto.

Ringhiai guardando l'ora: erano le 22:30 e lui pretendeva di farmi uscire di casa per una sua voglia e il giorno dopo c'era scuola.

Pensai, purtroppo, alla foto e me ne andai verso l'atrio a prendere la giacca e una borsetta per il cellulare, le chiavi di casa e il portafoglio (vuoto).

La zia spuntò dalla cucina in cui se n'era andata, dopo aver capito che non sarebbe riuscita a spettegolare e mi guardò interrogativa. - Dove vai?

- Ehh. - Alzai il braccio passandomi una mano per i capelli. - Mi ero dimenticata che Francy mi aveva chiesto di passare da lei dopo cena. Dobbiamo parlare del tipo che le piace, che le ha chiesto di uscire domani … Sai, robe così.

Lo sguardo di Lizzy passò al sospettoso. - Ah sì?

Annuii cercando di rimanere seria, sul vago, giocherellando con le chiavi.

- Il fatto che questo tuo amico ti abbia appena scritto non c'entra? - Odiavo mia zia in modalità mamma.

- No! - Mentii.

Alla fine cedette. - Ok, ma per mezzanotte massimo a casa. - E se ne andò di nuovo in cucina, soddisfatta di aver usato quello che per lei era un tono da madre accondiscendente ma severa, come diceva sempre.

Uscii di casa sbuffando e sperando di sbrigare tutto il prima possibile. La mia via era poco lontana dal centro, 10 minuti con voglia e io ce ne avevo poca.

Arrivai così alla pizzeria “Vesuvio”. Francy ed io, quando non avevamo argomenti migliori, prendevamo spesso in giro la scarsa fantasia dei pizzaioli nel scegliere i nomi.

Entrai, facendo suonare il campanellino sulla porta. Vicino al bancone c'era il ragazzo biondo che mi portava sempre la pizza quando l'ordinavo d'asporto; stava guardando la partita di basket alla piccola tv appesa in un angolo senza badare ad altro. Tutti in quella città erano maledettamente fissati col basket e io odiavo sempre di più quello sport. Motivi più che ovvi.

La signora paffuta bionda che dirigeva il locale dovette dargli un colpo in testa con uno straccio per farlo svegliare e pulire dei tavoli.

- Dimmi, cara. Stavamo decisamente per chiudere ma dovremmo avere ancora un po' di impasto da parte - mi salutò poi , appena si accorse di me, la moglie e madre dei due pizzaioli.

- Scusate, colpa di un mio amico. – Mi accigliai rendendomi conto di aver chiamato Parker “amico”. - Una pizza con salsiccia.

- Margherita e basta a quest'ora, cara …. - Mi disse, leggermente dispiaciuta. Annuii sorridendo e lei se ne andò in cucina.

Stavo guardando il Ragazzo d'Asporto che approfittava dell'assenza della donna per cazzeggiare quando sentii il campanellino suonare di nuovo.

Mi girai e vidi Parker e Billy Hans entrare. Il primo passandosi una mano per i ciuffi chiari e lisci, in un modo che sembrava sempre molto più premeditato che casuale e il secondo con le mani in tasca.

La mia espressione divenne una chiara smorfia e per abitudine mi venne da voltar loro le spalle per non farmi riconoscere.

- Gray - mi chiamò con tono vago Stronzo Parker ma divertito. - Che carina, obbedisci proprio per bene - si congratulò ironicamente con me avvicinandomisi.

Mi girai di malavoglia a guardarli: Parker si era appoggiato al bancone bello tranquillo, mentre Billy se ne stava un po' a distanza, notai, da me, e mi guardava con fare strano. Non sapeva probabilmente come comportarsi e per ovvi motivi non gli ispiravo di certo simpatia.

Alzai le sopracciglia con fare sarcastico e lui distolse lo sguardo.

- Perchè? - Chiesi, attirando di nuovo l'attenzione di Parker.

- Cosa? - Disse cominciando a giocherellare con il foglio che indicava i tipi di pizza ordinabili.

- Non sai chiedere una pizza da te? - Spiegai acida.

Lui mi sorrise. - Era per vedere se l'avresti fatto sul serio e per disturbarti, soprattutto. Tanto posso farti fare quello che mi pare, no? Tutto.

Prima che potessi ringhiargli contro la donna bionda della pizzeria, che io e Francy chiamavamo tra di noi Signora Vesuvio, tornò indietro dalla porta in cui se n'era andata. Guardò i due nuovi arrivati e sorpresa chiese: - Ancora? Mi dispiace ma è finito l'impasto, bastava solo per la pizza della ragazza.

Parker parlò anche per l'amico, come immaginavo a vista facesse spesso. - No, pago quella che ha ordinato lei e basta. - E sorrise come se avesse avuto davanti una delle ragazzine in calore a cui era abituato.

Sembrò però funzionare con la Signora Vulcano, che ricambiò amabilmente e lodò la sua “cavalleria” nel pagare al posto di una ragazza. Billy se la rideva e quando la signora se ne tornò in cucina Parker mi diede di gomito. - Sono un vero e proprio cavaliere, sentito? - E sorrise divertito.

- Non ti conosce, per sua fortuna - spiegai solo, inacidita.

- Ah, a proposito – gli venne in mente sistemandosi il portafoglio nei jeans. - Billy, Gray; Gray, Billy - ci presentò con un gesto vago della mano che andava da me all'altro. - Direi che per ovvi motivi comincerete a vedervi parecchio!

- Sa anche lui? - Chiesi frustrata incrociando le braccia e sguardo rigido su Billy.

Hans, cioè Billy, rise. - Certo. E sai, una foto può andare bene ma due sono troppe – spiegò. - Ero venuto a sapere io da Seth, all'inizio dell'anno, che c'era qualcuno nella scuola che lo faceva copiare, quando poi l'ho convinto a dirmi chi era e sei venuta fuori tu, beh, aspettavamo solo la scusa giusta per rivoltartelo contro – finì e lo trovai più logorroico di quanto avessi mai potuto pensare a pelle.

- Ma l'ha detto a mezzo mondo?! - Avrei dovuto meditare vendetta anche contro Seth, il prima possibile anche se non sapevo minimamente cosa fare.

- Nah, solo a me e a Billy - disse Parker appoggiandosi al bancone con fare stanco e riattirando la mia attenzione. - Ah, Gray, mi fai copiare per il compito di Matematica della prossima settimana? - Chiese all'improvviso animandosi.

Sorrisi guardandolo fin troppo contenta per essere sincera e starmi rivolgendo a Parker. - Nelle regole c'era niente di illegale, nella legge e a scuola. Ergo: no!

- Ergo ... - Ripeterono i due insieme con fare scettico.

Arrossii pronta a ribattere ma la signora Vesuvio spuntò con la pizza fumante. - Ho trovato anche un po' di salsiccia! - Annunciò orgogliosa di se stessa.

Uscimmo subito dopo, i due “uomini” con già due pezzi di pizza, tagliata in otto parti , in bocca, io cercavo invece di non guardarli e li seguivo svogliata, chiedendomi di continuo che ora fosse ma non potendo guardare perchè ovviamente lo scatolone con la pizza la dovevo sostenere io.

Dopo un po' che parlavano animatamente di basket e delle tette di una delle tante cheerleader, non Dawn, stranamente, Parker si girò a guardarmi, come ricordandosi di me e il suo sguardo mi fece un attimo sobbalzare. - Sembri una maniaca che ci segue, pronta a violentarci. Ti manca solo l'impermeabile - constatò squadrandomi.

Mi accigliai. - Cosa dovrei fare?! E poi come se volessi mai violentarvi!

Parker assunse un'espressione buffa, come a dubitare di quel che dicevo. - Ti vedo mentre ci mangi con gli occhi!

Risi scettica non potendo pensare che dicesse sul serio. - Al massimo mangio con gli occhi la pizza, tranquillo.

Si fermarono vicino a un incrocio mentre Parker diceva a Billy, con finto fare confidenziale: “vuole le nostre salsicce, in realtà”. Cercai di far finta di non aver sentito mentre una parte di Evelyne voleva incenerirlo con lo sguardo e l'altra scoppiare a ridere. Ma non erano miei amici, anzi, quindi mi trattenni e soffocai una parte di me stessa.

Quando mi passò la voglia di ridere alzai gli occhi e li vidi salutarsi. Billy se ne andava a sinistra indicando il cellulare con uno strano sorrisetto, Parker era rimasto fermo poco più avanti di me e se la rideva anche lui.

Li guardai perplessa, Billy mi degnò di uno sguardo come saluto ma non credevo (ne volevo) di poter pretendere di più.

Quando tornai a guardare Parker incrociai il suo sguardo.

- Non so perchè non me ne sono ancora andata, quindi addio! - Dissi facendo subito dietro-front prima che potesse chiedermi altro.

- E no! - Mi urlò dietro e sentii anche i suoi passi mentre si avvicinava.

Troppo tardi, Evelyne ...

Mi girai con una smorfia, guardai l'orologio del cellulare che avevo tirato fuori da poco. - Tra quaranta minuti devo essere a casa – spiegai.

- E no - ripeté di nuovo, raggiungendomi e circondandomi le spalle con un braccio.

- Cosa vuoi? - Mi accigliai cercando di spostarmi: mi ero sentita scottata attraverso la giacca da quel tocco e lo interpretavo come più che evidente irritazione, una specie di allergia che mi spingeva a ritirarmi col corpo da quell'essere. La provava anche lui quella repulsione?

- Allora, il motivo principale per cui ti ho fatto uscire è questo: devi sapere che mia madre è in vacanza per un paio di giorni con delle sue amiche e ha detto alla domestica che passa ogni tanto, di non pulirmi i vestiti e la camera perchè devo cominciare a pensarci io. - Alzò gli occhi al cielo. - Un'idea decisamente assurda.

- Decisamente. - Lo fulminai, mentre con il braccio mi trascinava dalla parte opposta a dove se n'era andato Billy. Continuava a non mollarmi!

- E beh, sto cominciando ad essere a corto di vestiti, quindi, o ERGO, adesso passi da casa mia, prendi i vestiti sporchi, li pulisci e me li porti il prima possibile - propose con leggerezza mollandomi finalmente. - Era principalmente per questo che ti ho fatto uscire di casa!

- Ma sai no?! - Sbottai allontanandomi per non farmi più toccare da lui.

- Foto - canticchiò con un sorrisone di soddisfazione.

Mi uscii uno strano verso, simile a un ringhio. - Okay! Va bene! Okay!

Parker mi fece anche lui “okay” con il pollice e si rimise a camminare verso la via dove doveva essere casa sua.

- Alle mie condizioni però! - Aggiunsi inchiodandomi sul posto.

Parker si girò facendo roteare gli occhi verdi al cielo. - Che condizioni? Altre condizioni? Che stress, Gray. - E sbuffò andando a sedersi al muretto che affiancava il marciapiede.

Mi spostai, andando a a piantarmi di fronte a lui, per una volta ero io a sormontarlo e con quel piccolo e relativo vantaggio mi sentivo già più sicura. - C'è mia zia in casa e ci sarà per altri due giorni. Per due giorni lei non deve, ovviamente, accorgersi di questo e vedermi entrare con borsoni pieni di vestiti di un'altra persona. Poooi ...

Parker strinse gli occhi cominciando a passarsi una mano per i capelli dietro la nuca. - Sai che sembra che sia tu a comandare vero?

Lo ignorai. - Non spreco soldi, detersivo, ammorbidente, in più per te. - E incrociai le braccia decisa.

- Allora. - Con fare distratto cominciò a spostare all'indietro alcuni ciuffi dalla fronte. Non faceva altro che toccarsi i capelli, quel ragazzo! E il gesto sembrava fatto apposta per mostrare di più gli occhi che con la luce del lampione lì vicino, erano più chiari e per quello, magnetici. - A me servono i vestiti. Per sabato. Domani non c'è la domestica, mio padre è, come sempre, al lavoro, casa totalmente vuota. Passi da me dopo scuola. Metti su le lavatrici e pulisci la mia camera - finì. - Niente discussioni- aggiunse seccamente vedendomi aprire bocca. - Non comandi tu e sono stato fin troppo buono.

La situazione era, se possibile, peggiorata. Forse potevo dire tutto a mia zia e cambiare scuola, città., vita, esistenza.

Andare a casa di Parker mi entusiasmava fino a quel punto.

Mi guardò scettico, mentre gli spuntava un sorriso. - Gray, segni di vita.

Chiusi la bocca, rimasta aperta pronta per ribattere, e annuii imbronciata.

Lui si alzò soddisfatto e dovetti tornare a guardarlo dal basso.

- Posso andare adesso? - Chiesi ironica borbottando.

- Vai pure! - E cominciò a camminare all'indietro verso casa sua - Se temessi per la tua incolumità ti scorterei fino a casa tua ma mi fido di te e ti lascio andare da sola. Non credo che ci siano violentatori così disperati - mi fece l'occhiolino sfottendo.

Cominciai a tornare sui miei passi, anch'io camminando all'indietro. - Parker, spero che ti derubino, picchino violentemente, ti stuprino e spacchino il culo - alzai la mano pronta a mandarlo a quel paese ma mi trattenni almeno in quello. Tirava fuori il peggio di me, quel ragazzo, non avevo mai detto cose del genere a nessuno.

Lui rise. - Che caratteraccio! - Constatò con un tono piacevolmente (davvero?) sorpreso e si girò aumentando il passo.

Mi fermai chiudendo un occhio, con la mano in aria cercavo di schiacciare quel Parker in miniatura già lontano mordendomi le labbra.

- Smettila di guardarmi il culo! - Mi urlò senza nemmeno girarsi.

Lo ignorai per non dargli la minima soddisfazione andandomene definitivamente.


 


 

Il giorno dopo arrivai a scuola in anticipo, sarei andata al bar senza prendere però niente, anche se un po' di Nutella, forse, sarebbe stata in grado di addolcirmi la giornata.

Mentre attraversavo il parcheggio, andando verso la parte opposta al cancello scolastico, cercavo di sistemarmi alla cieca la rigida coda con cui avevo legato i capelli.

Entrai nel bar e anche se avevo la terribile sensazione (che mi opprimeva petto e pancia) che avrei incontrato Parker non fu così. Il castano stava prepotentemente entrando nella mia vita, nei miei pensieri e nelle mie paure. Non sapevo più dove fuggirgli.

Andai dritta filata al tavolo mio e di Francy e mi sedetti per poi sprofondare sul posto. Parker mi stava tormentando da così pochi giorni ma mi sembrava che la mia vita si fosse già disintegrata.

Ma alla fine era stata colpa mia. Avevo sempre avuto così poco e la cosa più importante (a parte Francy e zia Lizzy), la fiducia, l'avevo rovinata. Il destino aveva provato a punirmi o che cosa?

- Racconta tutto perchè non promette bene. - Francy arrivò di corsa investendomi mentre si sedeva sul divanetto e osservandomi attentamente.

Gli occhi grigiastri di Francy erano sempre così inquisitori e sembravano vedere, di continuo, più degli altri. Anche per quello era una perfetta fotografa. Comunque per vedere che ero disperata, in quel caso, non serviva molto.

- Devo andare a casa sua oggi e ieri mi ha obbligata a uscire di casa alle 10 e mezza per prendergli una pizza e lo odio e mi sta sul cazzo e voglio trasferirmi - dissi tutto di seguito con tono monotono e neutro, in realtà depressa.

- Ehy, trasferirti cosa! - Ribatté subito per poi concentrarsi su un altro pezzo importante: - Casa sua? Perchè mai, non aveva detto che non gli piacevi in quel senso? - Rise. Francy per certi particolari sembrava divertirsi ad infierire.

Le diedi un pizzicotto. - Devo pulirgli la camera e i vestiti ...

- Certo, vuole che gli “scopi” per bene la camera, o per meglio dire, in camera! - Rise della sua battuta come al solito.

- E' inquietante il modo in cui fai battute che piacevano, facevano ridere, massimo ai tempi delle medie … E no.

Rise di nuovo. - Dai su va bene, la smetto! - Si appoggiò una mano sul cuore con fare solenne.

- Conviene ... - Sospirai.

- Prendo un caffè e poi andiamoo? - Chiese Francy alzandosi.


Era suonata la penultima campanella.

L'ultima era di nuovo trigonometria. Avevo sempre odiato trigonometria ma adesso la vicinanza di Parker aveva peggiorato il tutto, per questo cercai di perdere leggermente tempo, senza arrivare tardi, per cercare Nikky e dirgli che cosa avrebbe dovuto fare per il giornale.

Il giornale era messo leggermente male: colpa di Parker, ovviamente, tutto era colpa sua in quel periodo. Francy stava cercando qualche nuova foto, pensava di perseguitare Dawn, o cheerleader di nuovo, visto che l'altro gruppo popolare, quello di Parker, era ormai fuori dalla nostra portata.

Odiavo Parker.

Raggiunsi Nikky come al solito da dietro per fargli paura. - Nikky, scusa se ieri non ti ho cercato ma ho avuto dei problemi! - Spiegai investendolo.

- Sì, ho visto ... - Borbottò a disagio senza guardarmi e non spaventandosi nemmeno.

- Cosa c'è ? - Chiesi sorridendo. - E per l'articolo fai qualche cazzata o per la stagione sportiva o non saprei. L'unica cosa che sembra importare a questa scuola sono i pettegolezzi e lo sport e ...

- Parker ti ha chiesto di parlare di sport ieri, quindi?- Luke intervenne spuntando senza che lo avessi notato prima.

Lo guardai male. - Non eri ammalato?

- Guarito. - Fece spallucce. - In tempo per vederti socializzare col nemico! - Ritornò poi alle accuse.

- Se avessi visto bene avresti visto che litigavamo - cercai di far notare freddamente.

- Io ho visto che lui rideva e che vi siete stretti la mano - mi corresse col tono antipatico che Luke aveva sempre quando sentiva che qualcosa non andava. Ma io quel modo di fare non lo sopportavo. Infatti mi accigliai.

- E poi perchè avete cancellato la foto di Billy? Non ero d'accordo ma non è da te e Francy. Cosa sta succedendo? - Continuò a indagare.

- Quante domande - mi lamentai a disagio.

- Evelyne - mi chiamò Nick, con tono più basso, accondiscendente e quindi gentile, in cerca però di spiegazioni.

Esitai. - Diciamo che, per un po', mi vedrete spesso con Parker - sorrisi un po' mogia. - Non posso e non voglio dirvi il perchè.

Nick sembrava preoccupato, Luke fece per ribattere ma lo interruppi: - E il basket non è stata una sua idea, semplicemente tra un po' inizia la stagione e non ne abbiamo ancora parlato e non ho altre idee - spiegai tormentandomi i capelli.

- Evelyne, se sei nei guai diccelo. Se ne parlassimo con professori o preside ...

Ridacchiai, più che altro per non preoccuparli. - L'avrei già fatto se ci fosse qualcosa di cui lamentarsi. Semplicemente mi vedrete con lui. Non finirò nei guai. E' … è meglio così, credetemi. - Sorrisi.

Nick annuì lentamente, mostrandomi di aver capito, per quanto potesse però essere impossibile.

- Vabbè. - Luke si grattò la testa - Siamo qua, come sempre. - Dopo questo raro affetto improvviso il rosso se ne andò, per poi essere seguito da un titubante Nick. Sospirai facendo dietrofront e correndo in classe da Hoppus, prima che fosse troppo tardi e perdesse la pazienza.

Entrai nell'aula in tempo e Hoppus non c'era, mi corrucciai scocciata di aver corso comunque e andai al banco di fianco a Francy.

Mi sorrise. - Comunque questo weekend ci dobbiamo dimenticare di Parker! - Mi disse convinta e con troppa enfasi, non pensando che due file dietro c'erano i suoi amici. Le feci segnò di abbassare la voce ma mi ignorò.

- Ricordati che devo lavorare però!

- Una gelateria! - Sbuffò. - Stasera lavori? - Mi chiese.

- No, però domani e dopo domani, da mattina a sera.

- Cosa fate al mattino in una gelateria? - Sbuffò di nuovo tirando fuori trigonometria: stavano entrando altri alunni e probabilmente Hoppus stava arrivando.

- Ti ricordo che è anche un bar, quindi servo colazione e assisto, più gelati e preparazione quando serve - risposi precisamente.

Sbuffò un'altra volta e cominciava a sembrare un battello a vapore.

Cominciai a sistemare le mie cose, alzando e riabbassando lo sguardo per controllare se il professore arrivava. Vidi così subito Parker entrare masticando una cicca, perfettamente in ritardo e ovviamente senza conseguenze. Non capivo questi ragionamenti del karma.

Passò di fianco al mio banco come sempre e per fortuna mi ignorò, stava già blaterando cose a caso verso i ragazzi in fondo. Sospirai senza però essere ottimista, quando lo ero mi andava sempre male e quel pomeriggio avevo bisogno di fortuna.

Un pomeriggio da sola con Parker. Nella casa del lupo.

- Potremmo andare in discoteca, ne conosco una dove le donne entrano gratis! - Propose Francy all'improvviso, come avendoci pensato fino a quel momento.

- Se sopravvivo ...

- Allegria portami via! - Pretendeva decisamente troppo.






**Angolo autrice:

Salve a tutte:)
Scusate il relativo ritardo ma in questi tre giorni in cui avevo pensato di aggiornare tra il mio compleanno e verifiche e altre cose non ho mai trovato il tempo :) (soprattutto perchè dall'amica che legge in contemporanea i capitoli ero obbligata ad andare avanti e non avevo ancora riletto ne niente :3)
Tornando alla cosa più importante, questo è un semplice capitolo di passaggio, non è molto lungo e mi dispiace non sia un granchè ma nel prossimo cercherò, se possibile di farmi perdonare :3 Evelyne nel prossimo sarà infatti nell'unico posto dove non vorrà essere: a casa di Parker. Casa di Parker che per Evelyne diventa la casa del Lupo, del terrore; sì, questa donna è molto ottimista e proprio in questo capitolo si può capire! :)
Adoro il personaggio di Elizabeth, che come carattere può un po' ricordare Francy, Evelyne infatti, più negativa, permalosa, un po' più seria finisce sempre per avere intorno personaggi positivi e leggeri, come a compensare e per ammorbire se stessa :)
Anche Parker in un certo senso corrisponde a quel modello, ma Parker è ancora uno sconosciuto per Evelyne, o meglio, il capitano della squadra di basket che la ricatta e che la  sfinisce psicologicamente. Ma questo è solo l'inizio e Parker è ancora più che altro quello che appare :3
Il personaggio di Billy è ancora secondario, ma io amo quel ragazzo e più avanti avrà i suoi ruoli e lo adoro <3
Spero che vi piaccia la storia per come sta continuando, anche se siamo solo all'inizio e che continuerete a leggere. Fatemi sapere cosa ne pensate, mi può fare solo piacere :)
Alla prossima, non tarderò molto! 

Josie .



P.S. E nel caso voleste un piccolissimo spoiler:
"-Sei un maschilista!- mi lamentai dimenandomi.
-No, realista-. Per dispetto mi tolse con un solo gesto l'elastico dai capelli, che, come per stressarmi di più, mi ricaddero ovunque, anche sul viso."

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Capitolo 6
*** La casa del lupo ***



5.La casa del lupo


 


 

 

Giravo, di nuovo, con la mia tracolla e lo zaino nero di Parker sulla spalla libera. Avessi continuato in quel modo ancora per molto la mia rabbia nei suoi confronti sarebbe cresciuta fino a livelli insostenibili: l'avrei ucciso; mi sarei macchiata di un delitto atroce. Tale sarebbe stato l'esito della scommessa.

Camminavo in bella vista - non potendo alla fine dissimulare in alcun modo - con lo zainetto di Parker e la gente cominciava sul serio a guardarmi perplessa. Non potevo però biasimarli, avrei fatto lo stesso anch'io, al loro posto.

Mi muovevo e per fortuna da sola, senza la compagnia di Parker che avrebbe peggiorato la mia ormai precaria situazione. Il "nemico" mi aveva affibbiato il suo zaino, lanciandomelo da due file di distanza - gesto alquanto atletico - subito dopo il suono della campanella e io avevo lasciato Francy con la promessa di assecondare i suoi piani di uscita, qualunque essi fossero stati, per poi correria via con lo scomodo bagaglio della mia, ormai, nemesi prima che quest'ultima potesse raggiungermi.

- Perché la Gray porta lo zaino di Max?

- Poi hai visto quando si sono stretti la mano in mensa?

- Secondo me lei gli fa dei favori e in cambio lui se la porta a letto, non può essere altro!

Sentendo quell'ultima incredibile cazzata persi alla fine le staffe: - Ma vi fate i cazzi vostri?! - Urlai cominciando a correre per arrivare il prima possibile nel parcheggio.

Quell'ambiente l'avevo sempre ritenuto perfetto per il giornale: le informazioni uscivano fuori come funghi da ogni parte, tutti troppo pettegoli, ma adesso che di mezzo ci ero finita io, cominciavo ad apprezzare tutto meno.

Ma in fondo stavo solo trasportando uno zaino nero oltre la mia tracolla! Perchè tutti lo collegavano a Parker?!

Arrivai in macchina alla fine e per cercare di non farmi più notare salii, lanciando la mia tracolla dentro e lasciando lo zaino di Stronzo Parker ai piedi della macchina. Mi legai anche i capelli guardandomi nello specchietto, e mi tirai qualche ciuffo facendomi male, per l'impeto nervoso con cui agivo.

Stavo picchiettando da 10 minuti le unghie sul cruscotto e meditando sull'andarmene e fregarmene totalmente, quando Parker mi degnò della sua presenza, affacciandosi dalla porta del passeggero che avevo lasciato aperta, per fargli capire da lontano di essere lì.

Nessun ciao, nessun segno, si spettinò i capelli nel solito modo e: - Sai, stavo pensando di instaurare una cosa con delle multe, tipo. Ogni volta che fai qualcosa di sbagliato: una multa! E se arrivi a tre hai una penitenza, o faccio vedere la foto! Sarebbe geniale - partì in quarta, portandosi una mano sotto il mento come meditando, in modo teatrale. Tutto era teatrale in lui.

Spalancai la bocca, indignata. - E cosa avrei fatto, di grazia?!

Mi indicò lo zaino, per terra, con il viso. - Quindi, una multa, sì - continuò convinto. Cercai di ribellarmi ma mi zittì con un cenno. - Andiamo con la mia macchina o mi segui?

Storsi la bocca in una smorfia: l'idea di salire in macchina con Parker non mi piaceva per niente ma mi scocciava anche sprecare benzina. - Dopo mi riaccompagneresti qui? - Chiesi.

- No! - Rise e si appoggiò alla portiera col braccio.

Lo guardai malissimo e mi allungai sul seggiolino per chiudergli la portiera in faccia. Parker sorrise bloccandomi il polso e fermandomi. - Dai, su, questa volta ti riaccompagno! - E con gli occhi verdi sembrava cercare di farmi notare quanto fosse caritevole.

- Guarda che fa lo stesso! Non voglio favori da te - ringhiai sporgendomi con l'intero corpo per cercare sempre di chiuderlo fuori.

- Certo - alzò gli occhi al cielo, mollandomi e facendomi quasi perdere l'equilibrio; poi mi diede le spalle e se ne andò verso la sua macchina, ovviamente senza prendere lo zaino. Già di mal umore presi tracolla, uscii, chiusi e dopo aver afferrato il suo zaino lo seguii cedendo.

A vedermi salire sulla sua macchina (che continuava ad essere la stessa rossa, decappottabile in primavera e estate) per fortuna ci fu poca gente, che cercai di guardare il meno possibile per non farmi notare.

Entrata, Parker si sistemò al suo posto accendendo l'aria condizionata, la settimana dopo sarebbe stata Novembre e ormai faceva freddo. Mi allacciai la cintura prima di lui che mi lanciò uno strano sguardo verdognolo, divertito.

- Che brava ragazza! - Infatti disse, prendendomi in giro.

Lo ignorai, perchè non meritava la mia parola, buttando la tracolla nei posti dietro.

Alla fine ce la fece anche lui ad allacciarsi la cintura, mise in moto e velocemente uscì dal parcheggio.

Io che guardavo fuori dal finestrino colsi lo sguardo sconvolto di Luke che per qualche motivo non era ancora tornato a casa e sprofondai ancora di più nel sedile.

- Hai sentito le voci divertenti che circolano su di te dopo appena due giorni? - Chiese ridendo dopo un po' di silenzio, forse dopo aver visto alcune facce conosciute nel parcheggio, come me.

- Sono divertenti perchè sono surreali, in effetti.

Sbuffò. - Ergo, surreale ...

- Surreale non è una parola difficile, e nemmeno ergo ... - spiegai come parlando con un bimbo piccolo. E alla fine lo era.

- Mai usata! - Approfittò del semaforo rosso per guardarmi.

Ci fissammo negli occhi per pochi secondi, ma il suo sguardo era pesante e lo distolsi. - E' verde - dissi, quello del semaforo sembrava quasi spento.

Partì senza dire niente.

- Poi sono su di noi, non su di me - ribattei dopo un poco di silenzio, mentre Parker svoltava in una via alberata con villette abbastanza grandi.

Mi guardò perplesso in risposta.

- Le voci! - Precisai scocciata.

- Ah! Ci stavi ancora pensando? Reazioni tardi agli argomenti, Gray - scosse la testa parcheggiando velocemente di fronte a una grande casa. - E ho detto te perchè quella che ci rimette in ogni pettegolezzo sei tu – rise.

- Che bello - risposi freddamente, prendendo la tracolla e scendendo dalla macchina.

La casa del lupo non era buia e spettrale come me l'ero immaginata. La trovai bianca con alcune parti pitturate di nero, un nero strano tendente al verde. Con due piani e probabilmente anche un seminterrato, visto che l'entrata non coincideva pienamente col piano terra. Grande, parecchio grande. Nell'altro lato della casa, dove Parker non aveva parcheggiato c'era un tipico garage americano e ci avrei scommesso sulla presenza di un giardino nel retro con canestro e palla da basket, o una piscina o un idromassaggio. Qualcosa di ricco, insomma. A lato del garage invece c'erano piante e edera che crescevano e si arrampicavano ovunque trovassero un appiglio. Era bella, con uno strano stile romantico, più delle case lì vicino. Zia Lizzy se ne sarebbe innamorata.

- Bella? - Chiese Parker affiancandomi e dandomi di gomito.

Lo guardai dal basso storcendo la bocca e alla fine mugugnai, non dandogli altre soddisfazioni.

Lui rise sorpassandomi per aprire la porta ed entrò senza dirmi più niente. Sembrava a proprio agio a far entrare gente in casa e a quel pensiero feci una seconda smorfia.

L'atrio era bello e ben arredato, come immaginavo fosse anche il resto della casa.

- Allora - cominciò. - Ti accompagno in camera mia e me la ordini, okay? Poi ti do la roba da lavare e mi fai la lavatrice che non ho idea di come si faccia- borbottò.

- Ti odio e sei uno stronzo - fu la risposta neutra, mentre lo seguivo su per le scale.

- Gray, Gray, non obbligarmi a darti un'altra multa. - Ammiccò leggermente guardandomi.

Decisi ancora di non rispondergli e lo seguii per il corridoio al piano di sopra mentre accendeva la luce. Mi dava, ovviamente, la schiena e osservavo i capelli castani e così lisci paragonandoli mentalmente ai miei. I ricchi sempre tutte le fortune.

Alla fine arrivò a una porta infondo al corridoio, quasi isolata dal resto della casa, e la aprì. Si girò di mezzo busto senza entrare, tenendomela aperta e mi sorrise come al solito, solo con divertimento. Lo divertivo tremendamente!

Mentre mi rendevo decisamente conto di essere il suo nuovo giocattolino divertente, sbirciai all'interno della camera.

Era invitante - ed era un brutto pensiero … -, o almeno lo sarebbe stata con più ordine: il letto era sfatto e si notava, per le pieghe nelle lenzuola, che non era stato fatto da un bel po'; c'erano vestiti sparsi per terra e la scrivania era cosparsa di libri e fogli su cui sormontava un mac, probabilmente usato da poco. Per lo meno il pavimento, in parquet, non sembrava sporco: probabilmente la storia che doveva pulirsi da solo la camera era iniziata da poco. C'era solo dell'ordinabilissimo disordine.

Passai da quei particolari a osservare la stanza in generale, le pareti soprattutto: ogni muro sembrava avere una tonalità di grigio diverso che si abbinava perfettamente con i mobili, in stile moderno. Pensai alla mia semplicissima stanza e mi corrucciai. I ricchi sempre tutte le fortune.

- La lascio comodamente lavorare allora, signorina Gray - ridacchiò prendendomi come sempre in giro. Entrò in camera e aprì l'armadio. - Io mi faccio una doccia intanto – mi informò scegliendo una maglietta e della biancheria a caso.

Mi sentii già più a disagio e entrai concentrandomi sul letto e non rispondendogli.

Mi passò alle spalle tranquillamente e subito dopo lo sentii chiudersi dietro una porta nel corridoio vicino.

- Ho bisogno di coraggio - sospirai sedendomi sul letto e guardando sconsolata tutto quel caos.

Osservai poi quello su cui ero seduta, decidendo di cominciare da lì; procedetti un po' schifata, subito dopo, pensando a quello che Parker faceva spesso là sopra, da come si vociferava in tutta la scuola.

C'era anche una ragazza su internet che, risentita per essere stata portata a letto e smollata, teneva l'elenco di tutte quelle che venivano aggiunte all'elenco di Parker per cercare di scandalizzare qualcuno. Tutte facevano le indignate leggendo ma bastava una moina o un'occhiata più profonda da quegli occhi verdi per far crescere la lista.

Ingenue.

Francy però pensava fosse in realtà Parker a scrivere sul blog, tanto per aumentare la sua fama. Ed era anche probabile.

Finii il letto e per ordinare per terra cominciai a prendere tutti i vestiti e a radunarli sulle coperte, così dopo mi sarebbe bastato poco tempo per portare tutto in bagno.

Dopo procedetti con la scrivania, ma i fogli non sapevo nemmeno dove buttarli – perchè non c'era una pattumiera in quella camera?! - né dove sistemarli. Quindi spostai di lato il Mac e mi misi a muovere i fogli con la mano per vedere se erano tutte cartacce o c'era qualcosa di importante.

Ficcanasai trovando molti fogli bianchi con qualche frase di canzone, dei numeri e qualche nome di ragazza, tutti probabilmente vecchi o inutilizzati o sprecati a caso. Sgranai gli occhi quando vidi anche il mio cognome e un orario.

Mi resi conto scandalizzata di aver trovato un appunto per il suo piano malefico, portato a termine da poco, di rovinarmi.

Mi stancai presto di accigliarmi sempre di più e guardai di nuovo la camera, notando solo adesso, ammucchiate in un unico punto, delle foto di Parker che dalla porta erano state nascoste da un mobile.

Mi avvicinai divertita, sperando di trovare qualcosa di incriminante visto che il mio piano di rimediare alla minaccia con qualcos'altro aveva continuato ad esistere.

C'erano foto di un bel bambino biondo con degli occhioni verdi, un piccolo nasino, labbrine sottili ma ben disegnate e il neo, sulla guancia destra che aveva anche adesso. Sbuffai pensando a quanto sembrasse dolce da piccolo e a quanto adesso fosse invece stronzo e antipatico.

Altre foto erano del suo periodo medie, con bambini della sua età e notai divertita la presenza di un apparecchio che però, al contrario di quello che era successo a me quando lo portavo, non lo faceva sembrare simile a un piccolo robot.

Foto di basket di ogni anno: da quel che si vedeva doveva aver iniziato presto, e fin da piccolo era stato bravo, notai infatti le coppe nelle foto e nella camera, solo in quel momento.

Poi altre più recenti, con gli amici del liceo. Billy e quel suo gruppo là. E anche con ragazze in una foto di gruppo al mare. Tutte queste ultime attaccate con scotch, senza cornice e in modo disordinato più personale, più felice.

E una foto, un po' isolata dalle altre, con una cornice bella, cara, sembrava essere stata messa da tempo e per prima.

C'era Parker sette, otto anni tra un uomo e una donna. La donna era slanciata, tanto, tanto bella, occhi azzurri soffocati da un trucco nero, forse troppo pesante per i suoi lineamenti delicati, bionda. L'uomo era poco più grande di lei, o almeno sembrava (lei aveva infatti un fascino giovanile, quasi adolescenziale), lui tanto alto, castano scuro, con una leggera barba, occhi chiari, o azzurri o grigi, bello anche lui, ovviamente. 

Erano i suoi genitori, azzeccatissimi, tutti e due belli e alti.

Parker era stronzo, ma era anche umano, dopo tutto, sotto sotto, probabilmente, - almeno sembrava.

E aveva una bella famiglia.

Sospirai mentre sentivo i suoi passi nel corridoio. Mi girai perplessa di non aver udito prima la porta del bagno che si apriva.

Aveva una maglietta chiara, fin troppo leggera per il periodo dell'anno, i jeans di prima e un asciugamano con cui si frizionava i capelli bagnati. Osservò prima la camera e sorrise vedendo che l'opera era per metà compiuta poi spostò lo sguardo su di me: notando che stavo guardando le sue foto rimase un attimo sorpreso.

- Ehy, stalker! - Mi appellò, corrucciando le sopracciglia e avvicinandosi.

Alzai le mani in segno di resa. - Non ho ancora fatto foto a niente di incriminante - sorrisi gelida. Ma appena avessi trovato l'occasione!

Sbuffò guardando la parete e notando la foto a cui ero più vicina. - I miei - disse solo. Tono piatto, indecifrabile, così come lo sguardo: gli occhi opachi.

- Siete una bella famiglia - commentai con un tono che sembrò strano persino a me.

Sbuffò ancora, sembrando ormai simile a una locomotiva. - Certo. Quella credo sia stata una delle dieci volte, in tutta la mia vita, in cui siamo stati insieme, tutti, per un giorno intero - mi diede le spalle andando verso la scrivania e aprendo il portatile. - Mia madre è un avvocato, mio padre un chirurgo. Mio padre è troppo impegnato a salvare vite per badare a me o a sua moglie, per fortuna lei è troppo presa dalla carriera per farci caso.

Rimasi in silenzio, sorpresa dalle rivelazioni, visto che noi due non eravamo in confidenza. Sempre restando in piedi, inserì la password sul computer e aspettò. Non disse più niente, quello di prima doveva essere stato un piccolo sfogo che da tempo aspettava di uscire e io mi ero trovata per caso nel posto giusto per sentirlo.

- La mia famiglia è composta solo da mia zia che è praticamente la mia mamma. La mia vera madre morì per partorirmi, mio padre non si fece più vedere dopo quel giorno, non per occuparsi di me, almeno. Mia zia … Dopo un po' di anni riuscì ad addottarmi, ma è giovane e lavora da cinque anni perennemente a New York e ... Niente e non so perchè ho cominciato a dirtelo - ridacchiai, grattandomi la testa.

Parker si era girato a guardarmi. - Non ne avevo idea … - borbottò solo e per la prima volta nei suoi occhi lessi disagio e non presa in giro.

- Siamo pari - feci spallucce. -Io pensavo fossi solo un riccone con tutte le fortune del mondo, tu che io fossi una poveraccia con la famiglia felice- feci un mezzo sorriso. -Ma basta tregua. - Tornai all'improvviso a guardarlo male. - Dove posso buttare le cartacce? E quei vestiti mi fanno molta paura e una lavatrice non basta! - Dissi con un tono più simpatico di quello che usassi normalmente. Parlare di cose importanti con quell'essere odioso non mi faceva bene.

Lui rise e mi guardò in modo strano. - La Gray che si addolcisce con uno che la sta ricattando!

E notai che in effetti era vero. Feci una smorfia e uscii dalla camera lamentandomi a mezza voce. Scesi velocemente giù dalle scale cercando alla cieca una scopa e un sacco della spazzatura dove buttare tutto. Non sarei mai più stata gentile con lui, anche se in effetti non avrei dovuto esserlo da subito. Insomma, Evelyne!

Sentii i passi di Parker mentre scendeva le scale poco dopo e girai a caso a destra, non sapendo nemmeno dove andavo, tutto pur di sfuggirgli.

Finii in un'ampia cucina, da programma televisivo. Mi bloccai e Parker, che continuava ad asciugarsi i capelli, mi raggiunse.

- L'evidenza dei fatti proprio non ti piace - disse divertito superandomi. Si chinò aprendo un cassetto e tirando fuori una busta del pattume.

- E una scopa.

- Questo tono da capo? - Sbuffò andandosene dalla cucina in una stanza che non vedevo.

Parker tornò poco dopo con scopa e paletta che mi sganciò in mano. -E adesso vado a dormire. Non fare troppo rumore, Gray - e dopo aver buttato l'asciugamano per terra se ne andò sbadigliando.

Un giorno gli sguardi avrebbero potuto uccidere e quel giorno ci sarebbe stata la mia vendetta. Vendetta crudele.

Presi tutto il materiale, digrignando ancora i denti per la rabbia, e con la scopa e la paletta feci fatica a fare le scale.

Entrai in camera dell'idiota che, in quanto idiota, aveva chiuso la finestra e socchiuso le imposte esterne, standosene sul letto a stropicciarsi i capelli.

Con un certo sadismo schiacciai l'interruttore di fianco alla porta all'improvviso. Lui si lamentò mugolando in risposta, già disabituatosi alla luce, proprio come avevo sperato.

- Seconda multa - disse secco.

- Ma che stronzo! - Urlai entrando e andando a scasinare con i fogli.

Lui si girò dandomi la schiena e mi ignorò.

Cominciai a buttare i fogli, sbuffando, e a un certo punto per sbaglio toccai il mouse del computer.

Sobbalzai mentre il Mac si sbloccava silenziosamente mostrandomi tante cartelle, disordinate, e lo sfondo di un giocatore di basket che non riconoscevo. Guardai verso Parker che non si era accorto di niente.

Con il mouse tattile osservai le cartelle del desktop e come pensavo trovai quella nominata “Evelyne Gray”.

Con il cuore che batteva a mille la aprii. E c'erano le tre foto del ricatto.

Senza nemmeno pensarci chiusi la cartella e la cancellai dal desktop, poi svuotai il cestino. Un sorriso mi si dipende immediatamente sulle labbra.

Mi girai per poi camminare verso il letto dell''idiota fregato. - Parker - chiamai allegra come non mai sedendomi sul bordo del letto.

Il castano si rotolò su un fianco e mi guardò accigliato per il tono. - Gray?

- Ricatto finito - continuai a sorridere. - Ho trovato il documento sul computer e l'ho cancellato, quindi adieu- e mi alzai in piedi, mimandogli anche il saluto con la mano.

Parker mi guardò scettico continuando a starsene tranquillamente sdraiato poi infilò una mano dietro di sé ed estrasse il suo iPhone. - Secondo te ce le ho solo sul computer? - Il mio sorrise sparì, il suo comparve.

- Stai bluffando! Fammele vedere! - Incrociai le braccia, mordendomi le labbra.

Scocciato guardò il cellulare, si sedette e dopo aver trafficato lo girò di nuovo verso di me mostrando una delle foto.

Pensai che tanto valeva tentare.

Scattai all'improvviso per cercare di prendergli l'iPhone, approfittando di essere per una volta più alta di lui. Era la seconda volta che provavo a rubargli qualcosa dalle mani e la seconda volta che lo prendevo alla sprovvista. Il cellulare infatti gli sfuggì e cadde dietro di lui sul letto. Quello che successe dopo fu abbastanza confuso: io mi buttai sul cellulare, lo stesso fece Parker, la differenza fu che io cercai di spintonarlo via e in qualche modo ce la feci. Il risultato fu che io raggiunsi miracolosamente il cellulare per prima e lo alzai vittoriosa per cercare di cancellare la foto, ma Parker che era quasi caduto giù, preso alla sprovvista, si riprese e mi strattonò e schiacciò sul letto. Riprendermi il cellulare dopo fu automatico.

Prima che si allontanasse o mi canzonasse cercai di mordergli il braccio con cui mi teneva giù, come ultima e disperata arma.

- Ahia! - Si lamentò cercando di staccarmi ma usai ancora più forza.

- Te lo meriti, stroo... - Non riuscii a finire perchè mi girò di forza su un lato per poi schiacciarmi a faccia in giù; si sedette a metà della mia schiena, schiacciandomi anche le braccia.

- Mi fai maleee! - Urlai faticando a parlare e a respirare, faccia contro il materasso.

- Anche tu me ne facevi, stronza! E non me l'aspettavo! Che mostriciattolo!- Rise, alla fine, sapendo di aver vinto. - E sono un uomo, faccio sport tre, quattro volte a settimana, sarò venti centimetri buoni più alto di te. Cosa speravi di fare? Lotta sul letto? - Sbuffò.

- Sei un maschilista! - Mi lamentai dimenandomi, ma senza molti risultati.

- No, realista. - Per dispetto mi tolse con un solo gesto l'elastico dai capelli che, come per stressarmi di più, mi ricaddero ovunque, anche sul viso.

- Non vuoi farmi respirare?!- Continuai a cercare di liberarmi, questa volta anche soffiando per i capelli, però Parker non si spostava di un millimetro.

E in quel momento mi rendevo sempre più conto che in ogni caso non avrei avuto alcuna speranza. Cos'avevo creduto sul serio di fare?

- E sei incredibile: sarebbe la terza multa in … Un'ora? - Sbuffò divertito, giocando, sempre da seduto - sopra di me! -, con i miei capelli: il giocare prevedeva l'attorcigliarli e tirarli.

- Smettila! - Mi lamentai arrendendomi però e smettendola di agitarmi.

Rimase un attimo in attesa e alla fine mi spostò i capelli di lato liberandomi la faccia, sfiorandomi casualmente la tempia e l'orecchio. - Ecco, così passiva sei quasi carina! - Si complimentò grattandomi la testa come ad un cane.

- Parker! - Piagnucolai più per cercare di fargli pena che altro.

Lui rise e rotolò su un lato per liberarmi. Il cellulare finì di nuovo al sicuro nella sua tasca. - E dai, quella della luce non te la conterò come multa. - Sbadigliò tornando a sdraiarsi, appoggiandosi al cuscino. - Non saprei infatti come punirti e muoviti- sillabò facendosi un codino solo per irritarmi e non ridarmi l'elastico.

Più arrabbiata che mai tornai a svuotare la scrivania, questa volta senza preoccuparmi di buttare qualcosa di importante.

Ed ero stata anche minimamente carina prima.

Rimasi per un attimo, mentre infilavo i vestiti nella lavatrice, più tardi, col dubbio: insomma, quella maglietta rossa nel bucato bianco poteva essermi anche caduta dentro per sbaglio, senza accorgermene!


 



Due ore dopo, circa, marciai, ancora arrabbiata, in camera sua e trovai lo scansafatiche addormentato sul letto.

Sbuffai andando verso la tracolla e controllando il cellulare: c'era una chiamata persa di zia Lizzy e un messaggio di Francy che mi chiedeva di farle uno squillo nel caso stessi ancora bene.

Lo squillo arrivò a tutte e due.

Zia Lizzy come al solito mi richiamò e mentre la suoneria partiva e Parker borbottava uscii dalla camera.

- Dove sei? - Mi chiese preoccupata, appena risposi.

- La relazione di biologia, zia - spiegai mordendomi l'interno della guancia. - E' stata più lunga di quel che pensavo, ma tra mezz'oretta sono a casa!

La sentii sospirare. Probabilmente aveva rimosso il fatto che il mio compagno per la relazione fosse un ragazzo perchè non fece commenti.

- Va bene e intanto vado a farti una ricarica sul cellulare - disse affettuosa. -E ti cucino qualcosa di caldo!

Risi, pensando che avrei sopportato il cibo, decisamente sì. - Va bene, Lizzy! A dopo, ciao!

Ricambiò il saluto mentre tornavo in camera. Parker continuava a ronfare, nonostante le lamentele soffocate di poco prima.

Irritata però mi avvicinai a lui che col codino era ridicolo. Non risi solo perchè era uno stronzo e non si meritava niente.

Arrivai di fianco al letto e Parker aprì, quasi a sorpresa, gli occhi, lucidi lucidi per il sonno.

Se fosse stato un bimbo innocente, come nella foto, subito dopo il riposino pomeridiano sarebbe stato carino. In quel caso non lo era assolutamente. Lo guardai male mentre si stiracchiava.

- Hai finito di già? - La voce impastata dal sonno era ancora più calda del solito.

- Sì. Mi riaccompagni? - Chiesi acida, ricordandogli la sua promessa.

Il verde dei suoi occhi brillava al buio. - La tua punizione richiede un no a questa domanda - borbottò sorridendo e guardandomi con gli occhi socchiusi.

Ero incredula. - Avevi detto che quella della luce la toglievi e non vale inventarti regole a caso, poi! - Lo accusai.

- Decido io! - Si lamentò. - Che ora è? - Aggiunse poi sbuffando.

- Le 6:30 - risposi di mala voglia.

Si alzò scocciato. - Ti accompagno, veloce.

Evitai di ribattere dicendo che era lui a fare perdere tempo, per prendergli il codino. Rise al mio gesto, ancora con la voce impastata e non reagendo probabilmente per il sonno.

Lui intanto, gli diedi una vaga occhiata scendendo le scale, aveva dei capelli sconvolgenti: si erano asciugati infatti mentre dormiva e per il codino e il cuscino erano spettinati e alcuni ciuffi sollevati in aria non gli facevano la sua solita pettinata. Lui però sembrava non farci caso o semplicemente non essersene accorto.

Mi sedetti nella sua macchina e prima che lui facesse lo stesso mi stavo già legando i capelli. Mi lanciò di nuovo un'occhiata scocciata, non sapevo se per il sonno o cosa ma alla fine la smise e accese il motore. Fece velocemente retromarcia e dopo poco eravamo già in direzione scuola.

- Parla, Gray, odio il silenzio - sbuffò dopo un po'.

- Sono arrabbiata con te e non ho intenzione di farlo - mi negai.

Lui rise, come sempre. - Chi è quella che ha provato a fregarmi?

Lo guardai indignata. - Qui quella fregata sono io!

Guardandolo infuriata vidi come alzava gli occhi al cielo, tenendo il volante con una sola mano. - Fregata? Avrei potuto rovinarti, Gray. E ti lamenti e basta! Non ti tratto nemmeno male come dovrei, non so perchè, e ti ho salvato da una espulsione. Fregata. Ti ho praticamente salvato. Se non fosse stato per me avresti continuato con quella roba là e qualcun altro prima o poi ti avrebbe beccato e non sarebbe stato buono. - Si fermò al semaforo dell'andata e mi guardò serio. -Ti è andata solo bene. Un'espulsione non vale le cazzate che ti faccio fare.

- Salvata?! Avrei smesso con quella roba! Mi stai solo tormentando! Solo perchè il tuo stupido ego e quello del tuo amico non voleva delle stupide foto! Siete dei bambini! E io non sono una schiava! Solo perchè sei ricco non puoi comandare tutti e avere tutto! Hai già tutto!- Persi un po' il controllo della voce, che si alzò troppo, durante tutte quelle accuse.

Il suo sguardo si irrigidì, come i lineamenti, aveva la stessa faccia del giorno che mi aveva minacciata.

Partì di nuovo ma si fermò subito dopo a un parcheggio. - Scendi - ordinò freddo senza guardarmi minimamente.

Senza fiatare presi la tracolla e aprii la portiera. Misi un piede fuori per poi riguardarlo. -Io ...

- Tu niente. - Tornò a guardarmi. Quel solito sguardo di scherno che aveva sempre, anche se era per prendermi in giro, lo preferivo rispetto a quello impassibile di quel momento.
Sbuffò, facendo una smorfia. - Io avere tutto … Non hai capito un cazzo, ma in effetti una ragazza che pur di andare all'università fa copiare dei compiti a degli alunni per soldi, che fa foto a tradimento per umiliare gente doveva essere così. Non capisci nemmeno quanto possa essere stato condiscendente in questi pochi giorni. E non ci conoscevamo nemmeno. Mi fai sembrare il lupo cattivo ma non capisci quanto in realtà ti abbia comunque aiutato, a quanto possa averti trattato amichevolmente. Non sono io il cattivo. Ma vuoi il lupo? Lunedì vedrai.

Rimasi ferma colpita nel vivo dal discorso.

- Esci? - Mi chiese, senza volere veramente una risposta e spostando lo sguardo: come a volermi dire di aver finito.

Riportai il piede dentro la macchina, guardandolo decisa. - Parker. Tu sei cattivo quanto me, non fare la vittima. Hai accettato il tutto. E il tutto comprende anche la mia presenza. Ma ti sono comunque comoda. Il nostro è un accordo. Tutto.

Il suo sguardo passò allo scettico. - Il tutto perde molta della sua bellezza, così. - La mandibola però non era già più una linea rigida e severa.

Riaccese il motore e io, seppur titubante, richiusi la portiera.

- Ti tengo solo perchè mercoledì qualcuno deve prepararmi la casa per la festa di Halloween – mi informò sbuffando e guardando distrattamente la strada. Aveva una strana smorfia, pensierosa.

Sorrisi senza dire niente. Sollevata di salvarmi lunedì e … Ero sollevata.

Il mio sorriso si spense però poco dopo: - E devo pensare alla tua punizione - mi minacciò fermandosi di fianco alla mia macchina, nel parcheggio scolastico. Era tornato finalmente a guardarmi, freddamente e con gli occhi assottigliati; ma era un freddo meno serio.

Mi corrucciai. - Ma dovrò già aiutarti per Halloween e il mio sonno ne risentirà! E' già una punizione! - Cercai di convincerlo.

Mi ignorò per poi farmi con la mano segno di andarmene.

Gonfiai le guance aprendo la portiera ma non feci in tempo ad uscire del tutto con la gamba che sobbalzai squittendo e portandomi le mani dietro la testa di scatto: mi aveva afferrato per la coda, senza forza, ma spaventandomi, e mi sfilò velocemente di nuovo l'elastico.

Mi girai di scatto arrabbiata. - Ma cerchi di uccidermi?! - Non riuscivo decisamente a non essere arrabbiata con lui per più di un minuto.

Alzò gli occhi al cielo e con l'elastico in mano mi fece cenno di zittirmi. - Non legarti più i capelli in mia presenza – ordinò.

Spalancai la bocca, scandalizzata. - Potrò ben pettinarmi come voglio!

Sorrise. - E' la tua malvagia punizione, Gray.

Lo guardai malissimo. - Perchè?!

Parker scrollò le spalle. - I tuoi capelli sono belli sciolti.

Rimasi un attimo sorpresa, e l'offesa successiva esitò, fui addirittura indecisa se abbozzare un “grazie”. Era un complimento?

Lui, tranquillissimo tornò ad accendere la macchina. - Sei già brutta di tuo quindi non peggiorare la situazione. - Ammiccò trattenendo una risata.

Altro che grazie ...

- E sei fortunata che nonostante tutto hai una faccia da vittima e mi è già passata l'arrabbiatura. Adesso sloggia!

Non me lo feci ripetere due volte, scesi di corsa e non mi fermai a guardarlo andare via.

Aveva continuato a ripetermi di essere fortunata.

Ricattata, sfruttata finchè volevo da Parker e intanto offesa a piacimento.

Ma fortunata, certo.

E mi aveva preso l'elastico ...


 


 


 


 

*Angolo autrice:

Scusate il ritardone ... La scuola mi sta però uccidendo e l'altra settimana ero sempre col libro di letteratura latina tutte le volte che avevo tempo.
Adesso avevo un buchetto libero e ce l'ho fatta :) questa settimana appena riesco aggiorno, spero entro Domenica. Mi aspetta un'altra settimana orrenda :'3

Faccio un commento veloce: sono fatti così, alti e bassi, alti e bassi, ma tenete che è solo l'inizio, spero che comunque la storia continui a piacervi :3 ; e ricordate che Parker non è solo quello che crede Evelyne, ma sotto c'è di più e spero che anche solo l'accenno a un rapporto familiare problematico, faccia capire che c'è ancora molto da dire e verrà detto.
Ho riletto ma di fretta e se trovate errori ditemelo :)
Ed è stato un Lunedì tremendo e adesso mi butto a letto.
Se mi consolaste facendomi sapere cosa ne pensate, anche solo piccoli commenti, non potete che farmi felice :)

Alla prossima ! :3

Josie .

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Capitolo 7
*** In pace ***



(Grazie a JessGraphic per la copertina :3)

6.In pace


 

 

Zia Lizzy continuava a guardarmi sospetta.

Io sorseggiavo il brodo con le polpette, venuto anche mezzo decentemente e sorridevo. Una cucchiaiata e sorridevo, cucchiaiata, sorriso. Avevo paura che vedesse, in ogni mio singolo gesto e sguardo, cosa le stavo nascondendo.

- E' strano - osservò, dopo un po'.

- Cosa? - Chiesi tornando a guardare il piatto.

Sbuffò senza aggiungere altro.

Mi inumidii le labbra e spostai un ciuffo sfuggito alla coda di cavallo. Appena arrivata a casa avevo infatti cercato un sostituto al mio inseparabile elastico verde acqua. Parker l'avrebbe pagata cara. Tenevo il conto di tutto.

Mia zia nel silenzio mi lanciò un altro sguardo indagatore.

Non ne potei più. - Zia, insomma, mi fai paura! Cosa c'è?! - Chiesi esasperata e lasciando cadere il cucchiaio nel piatto.

- Stasera esci! - Aveva esclamato all'improvviso.

- E allora?!

- Tu non sei mai uscita il venerdì sera! - Era sconcertante quanto solo quello l'avesse sconvolta.

- Se vuoi non esco, di solito non lo faccio perchè voglio passare un po' di tempo con te – spiegai, riafferrando la posata.

Scosse la mano. - Tranquilla, sono ormai l'addetta ai caffè, ti ho detto, tornerò presto. - E mi sorrise. - Voglio che tu ti diverta ed esca! -

Non sapevo se stesse anticipando un licenziamento o fosse sul serio tranquilla come sembrava.

Sorrisi comunque anch'io, dandole il beneficio del dubbio. - Comunque Francy e Emily passano a prendermi per le 23 e passa quindi ce ne abbiamo di tempo!

E il tempo lo passammo a guardare la tv, chiacchierando. Nell'ultima ora e mezza zia Lizzy si divertì a giocare alle bambole. La bambola ovviamente ero io: mi strattonò su in camera e mi prestò un suo vestito invernale per uscire e delle sue ballerine, che non usava mai ed erano come nuove, nonostante ce le avesse da anni.

Alla fine, come ai tempi in cui vivevamo tutti i giorni insieme, mi lavò i capelli e mi aiuto ad asciugarmeli, in quella delicata atmosfera che c'era sempre quando lei era in casa. Non ero una ragazza molto affettuosa, non con tutti, non facilmente, ma in quei pochi momenti amavo farmi coccolare da mia zia, come tornando bambina.

Finì e osservai il risultato, i capelli, come tutte le volte che me li faceva lei, erano più mossi e scendevano lunghi con curve morbide concentrate verso le punte. Mi aveva addirittura truccata, seppur contro la mia volontà, e un po' di matita e ombretto e mascara mi rendevano gli occhi più grandi. Sorrisi vedendomi più carina del solito.

- La mia bimba è una figa! - Urlò la zia abbracciandomi di slancio.

Io scoppiai a ridere scettica. - Sono più decente del solito massimo!

Lei mi morse una spalla facendo di no con la testa. - Sei bellissima!

- Mi fai male!

A interrompere l'allegro quadretto fu il campanello e quindi Emily e Francy.

Mi alzai quindi, sorridendo e mia zia mi abbracciò facendo la triste e riempiendomi di baci; mi lamentai ma alla fine sopravvissi e riuscii a sfuggire alle sue grinfie. Corsi giù ridendo e aprii la porta.

Francy era vestita semplicemente e ovviamente di nero, come me, un vestitino leggero sotto una giacca pesante, per compensare. I suoi amati tacchi invernali, chiusi e mezzi borchiati – ovviamente - e tante collane e dei grandi orecchini, si era poi fatta un ciuffo strano che donava al suo visino. Mi sorrise ammiccando.

- E adesso spieghi - ordinò come al solito e come sempre senza tanti preamboli.

Alzai gli occhi al cielo andando verso la macchina e entrandoci. Emily era dietro come me, continuava ad avere gli occhiali ma i capelli erano ricci e aveva un vestito blu scuro e paperine. Mi sorrise salutandomi.

- Dove andiamo, Francy? - Chiesi dopo essermi sistemata dietro, allacciando la cintura.

- Sapete chi è Alex?

Emily annuì sorridendo in uno strano modo, io rimasi un attimo perplessa. - Ci sono tanti Alex nella nostra scuola ...

C'era un Alex che andava a biologia con me, uno nella mia classe d'inglese, due addirittura in quella di ginnastica. E ce n'era anche uno nel gruppo di Parker più tanti altri di cui ignoravo l'esistenza, la nostra scuola era grande e "Alex" un nome fin troppo comune.

Però mi accigliai. - Aspetta, non dirmi che è Kutcher – chiesi, esigendo un no, ma disperandomi già: Alex Kutcher, ricco, popolare, dava feste.

Francy mi sorrise dallo specchietto.

Era lui.

Sbattei la testa contro il finestrino.

- Dai, su, Eve, ci va tutta la scuola! Alex ha una casa enorme, e ha invitato me, includendo le mie amiche, stamattina, per ginnastica! E ...

Sospirai esasperata. - Francy, tu non stai bene! Per distrarmi da Parker mi porti a una festa dove … C'E' PARKER! - Urlai.

Francy scoppiò a ridere. - Dai su scherzavo, idiota! Che faccia! Comunque è vero che Alex mi aveva invitata, ma ti adoro troppo - ammiccò esageratamente.

- Quindi andiamo alla discoteca Numb, donne gratis – mi informò Emily sistemandosi sul posto e facendomi capire di aver assecondato Francy fino a quel momento, sapendo i nostri veri piani per la serata. - Che poi era abbastanza strano che ci avesse invitate così a caso - aggiunse insinuando un fatto ovvio, che avevo trascurato.

- Eve per la storia di Parker ci sta rendendo invitabili per quei tipi - rispose Francy fingendosi commossa ma sapevo che l'unico motivo per cui potevano importarle eventi del genere era le tante foto che ne sarebbero venute fuori.

- Avrei preferito continuare con l'anonimato - chiarii.

- Comunque com'è andata oggi? - Chiese Francy svoltando a destra in una strada più grande.

Presi un gran respiro pronta per il riassunto: -Mi ha portata a casa sua, è abnorme e bellissima e lo odio. Mi ha obbligata a pulirgli la camera mentre lui faceva la doccia e poi si è messo a dormire; aveva il computer acceso e gli ho cancellato le mie foto, dopo ho scoperto che ce le aveva anche sul cellulare e ho cercato di buttarlo giù dal letto; ho preso il cellulare ma poi lui mi ha schiacciata contro il materasso e ha ripreso quel maledetto telefono. Mi ha accompagnata a scuola e mentre andavamo abbiamo litigato: mi voleva smollare per strada e far vedere le foto lunedì - esitai un attimo a quel punto, guardando Emily: lei ancora non sapeva cosa ci fosse nelle foto. - Alla fine non so nemmeno perchè, ma ha cambiato idea e mi ha portata a scuola. E alla fine mi ha rubato l'elastico. E lo odio- finii ripetendo di continuo quel particolare, con un ringhio. Di quella vaga simpatia e sintonia, durata pochi secondi, non ne avrei mai parlato.

Francy e Emily, macchina ferma al semaforo, mi stavano guardando tutte e due perplesse.

- Che pomeriggio - borbottò ridacchiando Emily, senza sapere che altro aggiungere.

Francy si rigirò a guardare la strada. - Visto?! Finirete a scopare selvaggiamente prima o poi. Siete troppo … così! Fidati di me!

Questa volta fui io ad ignorare lei.



Canticchiavo, anche se lo specchio mi mostrava delle grandi e visibili occhiaie, che non avrebbero dovuto trasmettere a nessun essere vivente la voglia di cantare.

Finii di spazzolarmi per bene i denti e dopo essermi pettinata e legata i capelli alla ben e meglio mi sciacquai la faccia.

- Oh, I've just met you and this is crazy - feci prendendo il correttore e passandomelo sotto gli occhi.

So call me maybe” sarebbe dovuto essere il nostro grido di guerra la sera prima ma, tranne Francy, nessuna delle tre aveva un carattere da “Ehy, ciao, sei figo! Ecco il mio numero! Chiamami” con tanto di occhiolino.

Emily da quel che sapevo io non aveva mai nemmeno avuto un ragazzo e io l'unica volta che mi ero lasciata andare con qualcuno, senza pensare alle conseguenze, avevo ottenuto cose non troppo ottime e non avevo molta voglia di ritentare la fortuna. Francy invece era in un periodo “Oh, Jack” quindi neanche lei entrava in quel modello.

Era stata una serata divertente come tante. Ottima perchè almeno non avevo pensato a Parker e alle foto.

Mi corrucciai osservandomi allo specchio: cazzo, ci avevo ripensato.

Finii di lavarmi e in camera scelsi una delle solite magliette, gli elementi più importanti erano il “calda e comoda”, gli aggettivi vincenti per riuscire a finire nel mio guardaroba.

Scesi giù dalle scale finendo di allacciarmi i jeans e vidi con la coda dell'occhio zia Lizzy. Lei stava infatti poltrendo sul divano dove, appena tornata a casa, l'avevo trovata. Tv in standby e dvd del dottor House sparsi ovunque per terra insieme a popcorn. Sembrava un campo di guerra e stavo male all'idea di ripulire.

Mi avvicinai comunque schioccandole un bacio sulla fronte e svegliandola. Brontolò solo lanciandomi un cuscino e girandosi dall'altra parte.

- Giorno, adorabile zia - le dissi ridendo. Mugugnò.

Presi la borsetta con chiavi e cellulare e uscii. Dovevo essere al bar alle 7:30. Mi sedetti con comodo in macchina, rilassata, in anticipo, come sempre, e pronta psicologicamente – fisicamente un po' meno – alla mia giornata lavorativa.

Accesi il cellulare in quel momento e mentre lo rimettevo nella borsa lo sentii vibrare.

Mi accigliai controllando. Due messaggi e una chiamata persa, tutto da Stronzo Parker: il primo messaggio risaliva alle 6.


Gray caffe
aiuto

 

Dopo 10 minuti era arrivato lo squillo e poi l'ultimo messaggio.


 

Che stronza! Non pensi ai miei bisogni del post venerdi?!?!
come puoi tenere il cellulare spento!!
bedrsai


 

Osservai il bedrsai perplessa e per niente preoccupata: in teoria era un tentativo di scrivere "vedrai", o almeno credevo.


 

Scusa se IO ho un lavoro e cerco di guadagnarmi da vivere! Non sto fino alle 6 ad ubriacarmi! E per i caffè esistono i bar, muovi il culo TU che oggi sono impegnata tutto il giorno, LAVORO.


 

Quella fu la mia risposta, anche se immaginavo che non avrebbe dato ulteriori segni di vita fino al pomeriggio.

A meno che …

Sorrisi sadica allacciandomi la cintura e accendendo il clima. Aprii la rubrica e cercai Stronzo Parker; misi l'anonimo e feci partire la chiamata.

Siano benedetti gli squilli al mattino.

Avevo guidato poi tranquillamente, sentendo il cellulare vibrare di continuo per i messaggi che arrivavano: probabilmente minacce di morte di Parker.

Parcheggiai davanti al bar United e solo in quel momento mi concessi, lentamente, la soddisfazione di guardare di nuovo il cellulare. Gli sms erano tutti ripetitivi: “so che sei stata tu stronza!!”, “ti uccido”, “la mia bellissima pelle subirà danni per colpa tua!!”, “vaffanculo” e giù di lì.

Scossi la testa sbuffando e rispondendo. Sentivo sarei stata di buonumore per tutto il giorno dopo il mio: “Non so di cosa parli Maxuccio :))”.

Dopo essere entrata nel bar snobbai di nuovo il cellulare che continuava a dare segni di vita.

Dentro c'era già il mio capo, il signor Houdson.

Il signor Houdson era un normale uomo di mezz'età, moro, mediamente alto, nella media in tutto. In un certo senso gli assomigliavo. A 50 anni mi sarei ritrovata a servire ancora caffè e gelati e me ne sarei resa conto tristemente.

Mi distrasse lui dai miei pensieri deprimenti: - Su, Gray, sta arrivando parecchia gente!

Andai dietro il bancone a legarmi il grembiulino in vita e guardai il bar: tre persone sedute. Taanta gente.

Mezz'ora dopo, mentre pulivo la caffettiera, pensando se prepararmi o no un caffè anch'io, mentre il signor Houdson era fuori, sentii il campanello, sopra la porta, tintinnare.

Mi girai sorridendo, mettendo da parte i miei pensieri, e pronta a salutare il cliente. Il cliente in questione era un ragazzo alto, Ray ban neri e grandi sul naso, la bocca assottigliata, felpa scura col cappuccio alzato. Ci misi un po' a riconoscerlo: Parker.

Il sorriso mi si gelò.

Il castano - i capelli erano spettinati e arruffati e si notava da sotto il cappuccio - vagò un po' con lo sguardo per la stanza, quando mi notò, non so come, le labbra diventarono ancora di più una sottile linea dritta e marciò verso di me.

Appoggiò una mano sul bancone, con l'altra si tolse gli occhiali, mi fulminò.

- Oggi sei quasi carino, con quella faccia, Parker – mi complimentai ironica tornando alla caffettiera. - Senza questo colorito non so nemmeno come facciano a notarti di solito!

Aveva infatti delle occhiaie molto, molto evidenti e quel colore cupo non donava agli occhi verdi.

- Dammi un caffè - ordinò freddo, senza girarmi cominciai a prepararglielo, sorridendo divertita.

Lo sentii sbuffare e quando mi voltai vidi che si era tolto il cappuccio e che aveva appoggiato la fronte sul bancone.

Portai le mani ai fianchi ridendo, davvero felice di vederlo in quelle condizioni. - Oh, l'alcool, la rovina di così tanti giovani! - Esclamai canzonandolo. E alla faccia della legge che vietava di bere ai minori di 21 anni.

Alzò il viso. - Se non mi avessi svegliato starei dormendo ora e sarei stato da dio.

- Dubito - ribattei, sbuffando.

- Non riuscivo più a dormire per colpa tua! Le tirate di solito non mi distruggono così, ma quell'oretta di sonno l'ha fatto! - Si portò una mano sulla fronte guardando da una parte all'altra del bancone, trovò una sedia e spostandosi, molto lentamente, se la avvicinò. Si sedette con fare lento, addormentato.

- Sembri un vecchietto - constatai prendendo il caffè e versandoglielo nel bicchiere. Ci si avventò con fare disperato.

- E come facevi a sapere che lavoro qui? - Chiesi dopo un po' osservando se qualcuno degli altri clienti aveva bisogno.

Anche se un'informazione banale non mi piaceva l'idea che fosse di dominio pubblico il nome del luogo dove lavoravo.

Fece spallucce bevendo e mi guardò da sopra il bicchiere. Sembrava già stare meglio dopo quei pochi sorsi. - Mi sono informato - rispose sorridendo, lasciando per un attimo il caffè. Ci ritornò subito dopo, non troppo interessato a continuare a parlarmi in quel momento.

Mi sollevai guardandolo dall'alto. - Ti sei informato su di me?!

Di nuovo spallucce senza rispondere.

Lo guardai male per poi portare del caffè a un uomo che mi chiamava da un tavolo.

-Mi dai una ciambella?- Mi chiese lo stronzo appena tornai. Le occhiaie sembravano già meno evidenti e gli occhi più svegli.

Senza rispondere andai a prendergliene una, quella con più glassa ROSA possibile; lui sembrò non capire il mio tentativo di fargli un dispetto e la prese contento.

L'unica cosa che mi consolava era sapere che dietro a quel bancone ero al sicuro: due parole a caso con lui, poi finita la colazione mi avrebbe lasciata in pace.

Mi osservò dopo un po', fisso, mentre pulivo i bicchieri, persa ancora in quei pensieri. - Comunque - iniziò abbassando la ciambella che con due morsi aveva già finito per metà. -Nonostante il correttore si vede che hai dormito poco anche tu. - Sorrise, indagando, ma senza darlo troppo a notare. - Non so perchè voi donne vi ostiniate a mettervelo, si notano comunque e sembra che copriate più di quello che in realtà avete.

- Non ho dormito così poco - risposi ignorando l'ultima parte del suo discorso e tornando concentrata sul mio lavoro: non avevo voglia di chiacchierare.

Subito dopo, continuando a osservarmi, fece un verso contrariato con la ciambella in bocca. - Togliti l'elastico! - Riuscì a dire appena mandò giù quello che aveva in bocca. Ma mi lasciava in pace?!

- No - lo guardai male. - Sono una cameriera, i capelli davanti alla faccia non sono professionali.

Ricambiò lo sguardo scettico, finendo la ciambella. - Ma lavori con della gente e per quanto ti è possibile dovresti cercare di essere … Decente!- Disse gesticolando con le mani e sorridendo per rendere ancora più chiara la sincerità con cui mi stava offendendo.

Lo fulminai, ignorandolo.

E proprio quando sembrava finalmente essersi deciso a pensare ai fatti suoi, rovinò ancora il silenzio, con la sua voce: - Ma ieri ti sei truccata?! - Chiese con un'espressione curiosa e da schiaffi. Usai il signor Houdson, che entrò facendo tintinnare la porta, come pretesto per non rispondergli.

Parker si girò a guardarlo e il signor Houdson che non avevo mai visto sorridere lo fece. - Oh, Parker Junior! - Esclamò avvicinandosi e dando una pacca sulle spalle al castano.

Il mio sorriso svanì per la seconda volta in poco tempo. Perchè?!

- Signor Houdson - salutò Parker con il migliore dei suoi sorrisi, che purtroppo indicava che si stesse lentamente riprendendo dalla sbornia e dalla stanchezza.

Il proprietario del bar guardò me e poi lui. - Ma come mai già sveglio? - Andò dietro il bancone e sistemando le cose che aveva comprato nel frigorifero interno.

Mi sorrise. - Evelyne mi ha svegliato. Ma per sbaglio, ovviamente!

Lo osservai male per avermi chiamato per nome ma dopo mi venne da ridere, per la seconda parte.

Houdson mi guardò mentre tornavo ai bicchieri senza dire niente. -Ah, siete amici?

- Amicissimi – risposi io. E Houdson non notò le sopracciglia alzate ma Parker sì e rise.

Non indagò oltre e se ne andò nelle cucine con le scatole di latte.

Appena fummo di nuovo soli ritornò all'attacco. - Mercoledì ti trucchi perchè voglio proprio vederti! - Disse soffocando una risata contro la tazza di caffe.

- No.

- Foto!

Non l'avrei svegliato mai più ...


 

- Sta cercando di punirmi … Non mi lascia stare. E' qui dalle otto!

Ero imboscata nel bagno: era infatti appena iniziata la pausa pranzo e fino alle 4 del pomeriggio ero libera, dovevo chiudere io per quelle quattro ore e ne avevo approfittato per chiamare disperata Francy.

- Gray! Andiamo a pranzo! - Mi chiamò Parker da dietro la porta continuando a bussare. Si stava divertendo da morire e lo sapevo.

- Poi più passa il tempo, più si sveglia! E più si sveglia e più parla e più mi fa lavorare! E soffrire! - Allungai l'ultima parola drammaticamente.

Francy, anche se mancava mezz'ora all'una del pomeriggio era addormentata, appena sveglia e capiva a malapena cosa dicevo. - Dai, Eve, tanto non devi andare a mangiare da tua zia? Lo smolli subito, non credo voglia farsi vedere da lei ...

Mi illuminai. - Ma è vero!

- Ecco, adesso fammi dormire … e usate protezioni. - Sbadigliando mi mise giù.

Aprii la porta del bagno, Parker aveva la mano alzata a pugno pronto a ribussare. Mi sorrise malvagio e capii che doveva proprio odiarmi per maltrattarmi psicologicamente in quel modo.

- Questa è la tua vendetta vero? - Cercai la conferma, fredda.

Lui annuì. - Per quel poco che ti conosco so che la mia presenza è tra le prime in classifiche tra le cose che odi. - Ammiccò. - Ma che ami, anche, perchè in effetti mi ami, come tutte. - Sorrise sospirando alla “non c'è niente da fare” e fece dietrofront, verso la porta dell'United.

Lo seguii. - Sei un bambino! - Lo offesi ad alta voce e come sempre, quando lo facevo, mi ignorò.

Uscita mi preparai a chiudere velocemente: per scappare da lui il prima possibile e andare, soprattutto, a mangiare a casa. In punta di piedi arrivavo come al solito appena alla serranda per chiudere. Parker rise e senza nemmeno sforzarsi mi affiancò per abbassarmela al mio livello. Lo guardai male, girandomi appena, sopra la mia spalla sinistra chiudendo intanto la serranda del tutto.

- Quindi? - Chiese Parker, chinandosi leggermente e sfilandomi di nuovo l'elastico, approfittandone mentre chiudevo il lucchetto.

Mi alzai frustrata, coi capelli già davanti al viso. - C'è mia zia in casa, non so te ma io vado a pranzo da lei; addio, vai a dormire, lasciami in pace. - Lo sorpassai cercando di camminare velocemente verso la macchina.

Parker mi raggiunse, troppo sveglio per i miei gusti. - Cosa fa per pranzo? - Chiese allegro.

Lo guardai male arrivando alla mia portiera. - Sembri un maniaco, mi stai perseguitando!

Scosse la testa, disgustato. - Tranquilla, Gray, non ti molesterei mai in quel senso – e poi mi sorrise, chiudendo in bellezza l'offesa.
Respirai profondamente, per ottenere la forza, da qualche parte, di non ucciderlo.

- Comunque ci sono i miei in casa e nel tragitto porta camera mi beccherebbero e non voglio vederli. - Si appoggiò alla mia macchina guardandola male, spiegando veramente il motivo di tutta quella tortura e la sua assillante presenza. -Quindi conoscerò la tua carinissima zia!

Lo guardai sconvolta più che mai. - Mia zia non deve sapere!

Sbuffò. - E non saprà, idiota! Voglio solo cibo.

- No! - Urlai, disperandomi sinceramente, sempre più.

- Sì - mi rispose con tono ovvio. - Foto. - Sembrava non saper mai ribattere con altro.

Ringhiai entrando in macchina e sbattendo la portiera, furiosa.

Parker passò davanti alla mia auto, per entrare nel posto del passeggero con fare vittorioso. Misi in moto in quel momento e il piede tentato mi vibrò, davvero tentato, sull'acceleratore. Purtroppo però il buon senso ebbe la meglio e arrivò sano e salvo alla portiera. Entrò mettendosi a sedere cominciando subito a trafficare con clima e radio.

Sospirai, non trovando altre forza per farlo smettere, e dopo essermi messa la cintura partii.

Non sapevo come giustificarmi con Elizabeth: insomma, avevo portato a casa poche volte Francy, quando c'era lei, ed era la mia migliore amica, perchè avrei dovuto far comparire quell'essere, adesso? Sapevo cosa le sarebbe passato per la testa.

- Tranquilla, Gray, non penserà che stiamo insieme! - Mi tranquillizzò, capendo i miei pensieri e mettendo la mano sopra la mia, ferma sulla marcia al primo semaforo che incontrammo. Guardai prima la mano e poi lui, accigliata. - Sono troppo bello per te - spiegò serio.

Alzai la mano per colpirlo, con tutta la forza che avevo, sul petto. Al colpo reagì scoppiando a ridere e ripartii digrignando i denti: non riuscivo nemmeno a fargli male. Nemmeno quello!

Arrivammo a casa mia e parcheggiai mestamente, pronta al patibolo.

Parker si sporgeva sul posto per cercare di guardare la casa. - Sai che in realtà voglio solo spettegolare e vedere se hai un vibratore in camera, vero? - Mi chiese sorridendo contento come un bambino. Oh, scusate, lo era.

Lo guardai male. - Non entrerai in camera mia – proclamai seccamente.

- Oh, invece sì! - Mi rispose sempre allegro.

- E non ho un vibratore! - Mi arrabbiai reagendo tardi e uscendo.

Mi imitò. - Hai negato con troppo ritardo! Beccata!- Dece contento andando verso la porta per primo.

Gli urlai di fermarsi ma zia Lizzy aprì la porta prima che la raggiungessi. Bene. - Eve, per ... - Smise di parlare. Sgranò leggermente gli occhi guardando Parker poi spostò lo sguardo su di me con uno strano sorriso: era il sorriso d'intesa che mi lanciava sempre alle elementari quando vedeva Tim, un mio compagno di classe, il bambino della terza più carino.

Mi portai una mano sulla fronte disperata.

- Piacere, sono Max, un amico di Evelyne! - Parker le porse la mano e sfoggiò uno dei suoi sorrisi imbroglia-idioti. Mia zia ridacchiò cascandoci in pieno e stringendogli la mano. Perchè, zia?! Perchè?!

- Si, bene - Andai loro incontro, mettendomi in mezzo. - E' quello di … Biologia - dissi guardandolo seria. Lui annuì subito trattenendo un sorriso.

Zia Lizzy ci fece spazio per entrare. - Oh, piacere, sono Elizabeth, la zia di Evelyne. E se mi avesse detto che portava qualcuno a pranzo avrei cucinato io prima! - Si scusò, dispiaciuto. E l'idiota si era anche salvato, dalla sua cucina!

Parker rispose con frasette e convenevoli e poi entrò guardandosi intorno e scuriosando.

- E se mi avessi detto prima che il tuo compagno di biologia è così carino avrei approvato tanto la cosa - mi civettò a bassa voce, allontanandosi da lui e avvicinandosi al mio orecchio.

La guardai male togliendomi la giacca. - E' pedofilia, zia.

Lei sbuffò. - Ma dico per te! Non è che fate biologia in un altro modo vero? Sono stata adolescente anch'io, su e ... - Ridacchiò facendomi l'occhiolino. Io in risposta le diedi uno spinta schifata e lei rise.

Parker si girò sentendola e sorridendo chiese dove mettere la felpa. Mia zia più gentile che mai gliela prese e mise sull'attaccapanni.

- Vado a cucinare - dissi sospirando e andandomene, arrendendomi alla situazione. In risposta tutti e due mi seguirono.

- Non è che disturbo, vero? - Chiese Parker fintissimo, entrando in cucina poco dopo di me, affiancando Lizzy. - Avevo detto d Evelyne che non c'era bisogno di disturbarsi e invitarmi a pranzo, ma ha insistito visto che le ho fatto compagnia stamattina!

Lo guardai scandalizzata tirando fuori le pentole.

- Oh, tranquillo, sono contenta di vedere che ha degli amici nuovi! - Commentò tutta felice - ma sul serio - e quasi per accontentarla, sorrisi anch'io. - Vado a apparecchiare! - Aggiunse poi e se ne andò facendomi un occhiolino ben poco confidenziale.

Appena uscì il mio sorriso sparì e fulminai quello rimasto. - Sei un bugiardo assurdo!

Lui rise. - Ho fatto colpo! Sono già il benvenuto in casa Gray!

Accesi il fuoco. - Peccato che mia zia non ci sia praticamente mai e con me non lo sei. - Sorrisi acida.

- Peccato che quando ci sei te entro comunque – ribattè, canzonandomi e appoggiandosi al ripiano della cucina.

Sbuffai arrendendomi, dato che aveva ragione.

- Poi sai, nei film tutti usano la scusa del compagno di biologia ...

- Non è vero!

- Sì invece; e di solito quando lo dicono è perchè fanno sesso i due in realtà. - Mi scivolò di mano il recipiente in cui stavo per misurare latte e acqua. - Biologia, sesso. In un certo senso coincidono. - Annuì convinto. - Quindi che a te sia venuta in mente biologia spiega, ovviamente, che vorresti fare ...

Lo interruppi: - Non provare a fare ragionamenti che tanto sono sempre idioti e sbagliati. Pensa a basket e a cheerleader che ti conviene.

Roteò gli occhi. - E' carina comunque tua zia, vi assomigliate - cambiò argomento, guardando verso la porta. Odiava davvero il silenzio, per continuare, nonostante tutto, così tanto a provare a fare conversazione.

Ma questa volta sorrisi e sentii per un po' i suoi occhi addosso.

- Non per questo ti sto dando della carina ... - Chiarì all'improvviso e allontanandosi dal ripiano.

Lo fulminai, spostando finalmente gli occhi dal mio lavoro.

Mia zia tornò in quel momento. Io aprii uno sportello, apprestandomi a cucinare sul serio: avrei preparato purè e un po' di carne alla piastra. Sperai che Parker fosse allergico a qualcosa. O ero troppo cattiva?

Lizzy gironzolò osservandoci. Parker a proprio agio, come pensavo ormai fosse sempre, mi guardava e io trafficavo con latte e acqua. - Beh, Max - cominciò Lizzy divertita dal nuovo intrattenimento. - Com'è Evelyne a scuola? E non intendo nel senso di brava o cose così. - Rise.

Guardai Parker preoccupata dalle parole che gli sarebbero presto uscite di bocca.

- Ho iniziato a frequentarla solo in questo periodo, per la ricerca - disse quella parola in modo strano, ma credo lo notai solo io. -E' un po' acida ma ci penserò io a influenzarla meglio - concluse con un tono da eroe.

Mia zia rise non prendendosi sul serio almeno quella parte. Cominciai a preparare il purè intanto e a mettere su la piastra per le bistecche.

- Tu invece cosa fai? - Chiese allora la zia continuando a voler spettegolare.

Sorrise. - Sono il capitano della squadra di Basket.

- Disse orgoglioso - commentai.

Fui ignorata. - Allora sei bravo! Speri in un bel futuro da giocatore professionista? - Domandò mia zia, amichevole, senza tono di presa in giro, quello che invece avrei usato io per una domanda del genere. Forse proprio per quello, non tenendosi sulla difensiva, Parker arrossì leggermente. Fu la prima e quasi ultima volta che lo vidi reagire così a qualcosa. - Si, più o meno ... - borbottò passandosi una mano tra i capelli.

Lizzy sorrise da sognatrice qual era lei e vedendo che avevo iniziato con la carne prese da bere e lo portò in sala.

Rimanemmo così da soli, in silenzio.

- Cosa fai? - Mi chiese alla fine, tanto per e forse distogliermi da quello che era appena successo.

- E' un segreto! - Sussurrai - Spero di causarti qualche shock anafilattico senza dirtelo!

- Non sono allergico a niente, Gray. - Scosse la testa.

Delusa, o forse no, dai, non volevo sul serio ucciderlo – forse -, continuai a cucinare e poco dopo ci sedemmo a tavola.

Dicendo cose a caso mia zia servì da bere a tutti e tre e cominciammo a mangiare.

- Beh, Max, hai la ragazza? - Chiese Elizabeth curiosa. Un po' di coca cola mi andò leggermente di traverso, cercai di riprendere aria silenziosamente. Perchè mia zia provava sempre ad accoppiarmi con tutti?!

Parker sorrise. - No, Elizabeth.

- Oh! - Sisse all'inizio con entusiasmo e poi visto che cercavo di evitare di guardarla aggiunse: - Sentito, Eve? - Alzai lo sguardo e mi fece l'occhiolino. Parker scoppiò a ridere.

- Sì, zia, ma Parker non vuole la ragazza – spiegai. - Vuole un ragazzo.

Mi arrivò un calcio dall'interessato.

- Ah - esclamò solo Elizabeth guardando Parker delusa.

Poco dopo Parker continuava a fingersi un bravo ragazzo e continuava a negare di essere gay e ci aiutava a sparecchiare. Lo guardavo scettica e lui mi faceva smorfie quando la zia non ci guardava. Era infantile ma ci davamo comunque corda.

Finimmo presto almeno e proprio quando speravo di liberarmi di quello stronzo pensando di andarmi a fare una doccia lui rovinò tutto. Come sempre.

- Dov'è il bagno? - Chiese infatti Parker con un sorriso che non prometteva molto.

- Accompagnalo! - Praticamente mi ordinò Elizabeth andandosene in sala tutta allegra, dopo avermi ovviamente sorriso maliziosa.

Zia ...

Cominciammo a salire le scale. Io davanti e lui dietro.

- Hai una casa carina.

- Non c'è più mia zia, non devi fingerti dolce - commentai.

- Volevo anche dirti che almeno sai cucinare ma vabbè, sei un limone acido - soffiò.

- Un limone acido - gli feci il verso passando davanti alla mia camera. Io avanzai ma lui si fermò entrando di slanciò. - Parker! - Gli urlai dietro seguendolo.

- Sono nella camera del mostro - fece portandosi una mano davanti alla bocca, come avendo un microfono. Il suo finto reportage finì presto e subito dopo si sdraiò sul letto. -Sai che pensavo fossi una che appena sveglia si fa il letto?- disse ridendo.

- Esci! - Gli ordinai cercando di non urlare ed indicandogli la porta con l'indice.

- Devo trovare il vibratore, ti ho detto! - Sbuffò come se fosse stato ovvio guardandosi intorno.

- Esci, ho detto! - Ripetei. Chiusi la porta per non attirare mia zia.

Si mise a sedere, a guardarmi. Era all'improvviso serio e non capivo. Mi corrucciai guardando il verde scuro dei suoi occhi, a causa della penonmbra nella stanza.

- Evelyne, le lezioni di “biologia” con te non le faccio - disse facendo sentire le virgolette con l'intonazione. - E' inutile che mi chiudi qua dentro! La gente verrà a sapere!

Lo mandai a cagare con la mano avvicinandomi al letto per spostarlo. - Chiudo perchè dopo mia zia ci sente! - Spiegai cercando di spintonarlo via dal mio lettone per la spalla. Non lo muovevo di un centimetro.

- Visto che usi questi termini da inciuccio segreto, equivoci? - Provò a farmi notare, ridendo. - E si in effetti è meglio così, dopo si fa speranze inutili. - Scosse la testa. -E la smetti che sei fastidiosa?- Mi chiese ridendo di nuovo e bloccando i miei tentativi di mandarlo via circondandomi i polsi con le mani. Lo faceva di continuo.

Sospirai arrendendomi frustrata e rilassando le spalle, mostrando anche fisicamente la resa. - Un giorno farai qualcosa che vorrò io?

Ci pensò un attimo su mordendosi le labbra, in una posa abbastanza meditata da finto pensatore.

Tornò a guardarmi fisso negli occhi. Se non fossi stata fisicamente e mentalmente stanca mi sarei allontanata: troppo vicino. - Dipende da cosa mi chiederai - rispose con un tono particolare e, come sempre, caldo. Non ricordavo di averglielo mai sentito usare.

- Di lasciarmi in pace? - Abbassai senza nemmeno accorgermene il tono, imitando il suo.

Continuava a guardarmi negli occhi e il suo sorriso si vide chiaramente anche là. - Quando finirà la scuola! - Esclamò tornando alla sua solita voce, mollando i miei polsi e alzandosi.

Sbattei le palpebre, perplessa. Ero rimasta, seppur per poco, incantata da Parker e me ne accorsi solo in quel momento. Feci una smorfia infastidita sperando che almeno lui non ci avesse fatto caso.

Per fortuna mi ignorava passeggiando per la camera e guardando le mie cose. La mia stanza era abbastanza spoglia, solo cose essenziali. L'unico plus che c'era era il piccolo e un po' datato portatile di mia zia. A causa della velocità era spesso lasciato in disuso sulla scrivania.

Dopo un po' di silenziosa indagine si stancò tornando a guardarmi. Ero seduta con lo sguardo probabilmente stanco che mi sentivo.

- Lavori anche domani? - Si informò sedendosi sulla sedia della scrivania.

Lo guardai male. - Sì ma ti lascerò dormire quindi tu lascia in pace me.

Ridacchiò. - Al bar sì … ma in caso di urgente bisogno verrai contattata. - Sbadigliò. - E mi sa che anche questo pomeriggio ti salvi, vado a dormire. -

Si stiracchiò alzandosi, sembrava aver finalmente voglia di tornarsene a casa, anche di fretta.

- Dormi sempre - constatai sdraiandomi e guardando il lampadario.

Sbuffò e lo sentì camminare, verso la porta. - Addio – salutò per poi aprire e chiudersi la porta dietro. Velocemente sul serio.

Chiusi gli occhi, finalmente in pace.

- Oddio - borbottai dopo un po' scocciata. Un odore diverso dal solito aleggiava per la camera. Dopobarba? Profumo? Non avrei saputo dire ma era di Parker.

Avevo la tremenda sensazione che quel ragazzo non mi avrebbe mai lasciata in pace.


 


 


 

**Angolo autrice:

E sono sul serio riuscita a pubblicare entro domenica! :3 ahahahah

Ciao a tutte! Questo è stato più che altro un capitolo di passaggio, Eve e Parker continuano nel loro solito modo, si stuzzicano, si offendono, si tormentano, ma a volte riescono anche a scherzare, nel loro modo ... Il prossimo sarà la festa di Halloween. Eh beh, sarà un capitolo importante, diciamo :3
Sarà poi un capitolo più lungo del solito e vi chiedo già: divido in due parti o tutto insieme? Farò come preferite :)
Scappo a ripassare francese.
Alla prossima :)


Josie.

 

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Capitolo 8
*** La festa di Halloween ***


 



(grazie a JessGraphic per la copertina :3)

7.La festa di Halloween


 

 

Non avevo mai odiato il Mercoledì.

Dopo tutto cosa c'era di male nei Mercoledì? Dopo solo due giorni arrivava il tanto agognato weekend e il finalmente meritato sonno. O almeno era così per tutti gli studenti normali che, al contrario di me, non lavoravano.

Feci una smorfia ricordandomi anche che avrei dovuto trovare un nuovo lavoro. Dopo tutto non credevo che al signor Houdson sarebbe importato poi molto.

Ma, mi riscossi tornando ai miei pensieri – in cui mi ero immersa, essendo così facile farlo durante l'ora di ginnastica -, odiavo in quel momento il Mercoledì.

Era inquietante odiare un giorno della settimana, ma la colpa non era mia o dalla mia sanità mentale: era di Parker.

Quel giorno infatti, ed era per quello che mi ritrovavo a digrignare i denti con astio, solo pensando, era diventato odioso per il solito problema da ormai giorni: Parker. Il nome di quell'individuo anche solo nella mia testa veniva espresso con tanta, troppa insofferenza e mi sarei consumata i denti a forza di stringerli.

Domenica, Lunedì, Martedì mi aveva perseguitata per quella maledetta festa. Una festa di Halloween dove non era nemmeno necessario vestirsi. Massimo trucco un po' più pesante, qualche maschera piccola sul viso, “Sennò è un po' da bambini”, pensai imitando mentalmente voce odiosa, troppo bella per lui.

- Tranne per quelle vestite da conigliette - aggiunsi a bassa voce. Eyre, un'amica rossa di Dawn si girò a guardarmi perplessa.

Parker mi aveva sfruttata per comprargli tutto il necessario e quel pomeriggio l'avrei speso tutto da lui per sistemargli le cose. Non aveva e non avrebbe mosso un muscolo. E io il giorno dopo non avrei potuto approfittare per studiare bene spagnolo, per il test del 2.

E dopo la festa, alla fine - chissà a quale ora! - chi sarebbe dovuto rimanere per mettere in ordine prima che i suoi genitori, in arrivo per l'1 di Novembre, si accorgessero di qualcosa? Din! Esatto! La Gray.

Ero incazzatissima e si notava. La gente in fila con me per i tiri liberi a quel maledetto canestro mi stava più lontana del solito, notandolo. Soprattutto Eyre, adesso.

Quando toccò a me, la palla, lanciata a caso ma con forza, rimbalzò nella zona di vetro sopra per poi finire su Nick.

La mia espressione si ammorbidì leggermente mentre gli chiedevo scusa con un cenno.

Alla fine dell'ora, subito dopo essere uscita dagli spogliatoi leggermente più rilassata, con un'idea in testa andai correndo verso l'atrio della scuola: Parker sapeva che uscivo da ginnastica e mi sarebbe venuto a cercare lì, non nell'atrio.

Ridacchiai malvagia mentre superavo di nuovo Eyre e meditavo seriamente un modo per sfuggire al mio incubo.

- Nascondimi! - Urlai a Francy saltandole addosso, appena la vidi poco prima dell'uscita della scuola.

Sobbalzò sorpresa per poi girarsi a guardarmi solo col viso, mentre mi accucciavo dietro la sua schiena. - Da quando sei amica di Parker mi vedi sempre tu per prima ed è triste!- Esclamò dipingendosi un broncio.

- Non siamo amici!

Mi ignorò. - Alla fine vai da lui per organizzare tutto? Sei ancora disperata per quello? - Chiese ridendo.

Sbuffai arricciando le labbra e mollandole finalmente la giacca ma continuando a starle attaccata alla schiena. - Se non mi trova no.

Non fece di nuovo caso alle mie parole. - Quando hai finito vieni da me! - Ordinò facendo l'occhiolino e girandosi del tutto. - Ho intenzione di farti diventare ancora più bellabella!

Risi abbassando gli occhi a terra, decisamente scettica, ma non volendo farglielo notare.

- La Gray bella? Quando mai?! - Parker spuntò dal nulla e sobbalzai; lui mi porse lo zaino sorridendo ironicamente.

Alzai gli occhi al cielo senza dire nulla, iniziando ormai ad abituarmi a quel tipo di commenti e arresa definitivamente perchè tanto mi aveva trovata.

- Evelyne è una ragazza bellissima! - Ribatte convinta Francy incrociando le braccia, l'espressione cattiva. Parker sollevò le sopracciglia e l'espressione non si capiva. - Se sei abituato a fondotinta e trucco e cose del genere non è colpa mia, ma togli tutto quello e non ne troverai una più bella! - Finì sempre con lo stesso tono.

Quella storia che tutte vedono le proprie amiche più belle di quello che in realtà sono era evidentemente vera.

Quasi arrossii portandomi una mano al collo; Parker sorrise a Francy, ma ovviamente non era un vero sorriso. - Quanta cattiveria, Reed, sei tu a influenzare così la Gray? - E senza dire altro mi smollò lo zaino ai piedi per poi andarsene: la richiesta era chiara; il suo sguardo che ondeggiò un attimo più del solito su di me invece no.

- Parker 0, Reed 1. - E per rendere chiara la vittoria schioccò la lingua, portandosi le mani ai fianchi. - Stasera diventa una questione di orgoglio, ti truccherò e tirerò come fanno tutte le altre, Parker non ti vedrà più nello stesso modo dopo stanotte. - E la risata che seguì mi fece quasi venire i brividi.

- Francy, non impazzire! E che Parker mi veda carina non è tra i miei desideri né in questo né in qualsiasi altro mondo. - Feci una smorfia chinandomi per prendere lo zaino.

- Sei bella, non carina! - Mi urlò Francy mentre accennavo ad andarmene.

Cercai di ignorarla ma mi sfuggì un sorriso.

Con fin troppa poca voglia arrivai lentamente al parcheggio dove trovai Parker fin troppo impegnato a parlare col suo solito amico Billy, tutti e due vicino alle macchine.

Li ignorai e aprii la portiera del passeggero di quella del castano. I due si girarono al suono e lanciai loro una vaga smorfia mentre gettavo lo zaino di Parker dietro insieme alla mia tracolla.

- Sai che ne voglio una anch'io? - Disse l'amico dell'idiota sorridendo e appoggiandosi alla sua macchina lì di fianco.

- Devi sceglierne bene una fregabile come la Gray però – lo avvisò Parker annuendo con fare solenne.

- La smetti, sfigato?! - Gli urlai entrando in macchina.

I due si dissero qualcos'altro ridendo e poi Parker ce la fece ad aprire la portiera, e fu un bene per la mia pazienza.

- Ah e invita pure la Reed stasera - Propose accendendo il motore e ammiccando.

- Gli piace già uno se è quello che ti interessa - risposi, come sempre acida con lui.

Fece una smorfia. - Peccato! - E rise.

Sbuffai allacciandomi la cintura, puntando già il gomito vicino al finestrino pronta ad ignorarlo per il resto del viaggio.

Ovviamente interpretò le cose come gli pareva. - Gray, non c'è bisogno di essere gelosa, non piace a me. - Mi guardò divertito. Ricominciò prima che potessi obiettare facendogli notare che non me ne poteva importare meno. - Kutcher - confidò pettegolo e la protesta mi si cancellò di testa dalla sorpresa.

Kutcher era l'Alex, uno degli amici idioti di Parker, ricchi, che dava feste. La festa che c'era stata qualche giorno prima era stata la sua e in effetti quel tipo aveva invitato Francy.

Sbattei le palpebre perplessa. - Davvero? - Francy era una bella ragazza, lei davvero, al contrario di me. Col suo visino avrebbe potuto avere facilmente quasi tutti i ragazzi della scuola. Ma la sua mania dei film di paura, del dark e della fotografia (soprattutto per il giornale) la rendevano di solito strana agli occhi dei più “fighetti” e Kutcher, con la sua macchina sportiva e cara, in effetti era tra quelli.

- Sì, si mezzo conoscono per l'ora di ginnastica - continuò a confidarmi mentre uscivamo dal parcheggio.

- Sai che sei un pettegolo assurdo? Anche se fossimo amici non ti direi mai niente - dissi distogliendo lo sguardo da lui, appena finii con la curiosità, e posandolo sul finestrino della macchina.

Fece un gemito di dolore che mi fece girare. - Gray! Così mi ferisci! Non siamo amici?! - Imitò in un perfetto tono drammatico.

Lo guardai male. - Altro che il giocatore di basket, l'attore dovevi fare, sfigato - dissi gelida.

- E tu fai l'antipatica come in effetti sei, l'hai scelto bene il tuo futuro - rispose con un tono sempre da finto dolce.

Da quello non riuscimmo a smetterla e arrivammo a casa sua offendendoci.

- Taci, puttaniere!

- Taci, verginella.

Quello fu l'ultimo scambio di parole che ci rivolgemmo mentre varcavamo la porta, poi ci guardammo con una smorfia, i suoi occhi verdi puntati nei miei marroni e sbuffando ce ne andammo: lui su per le scale e io in sala.

Tutto quello che dovevo sistemare era lì: decorazioni, casse stereo (per fortuna senza fili …), bicchieri su bicchieri e ciotole con cibo (che avrei riempito alla fine con i numerosi pacchetti in cucina) e tavolini. Poi dovevo togliere le cose delicate e metterle nello sgabuzzino della cucina e ricordare a Parker di chiuderlo a chiave. Avrei anche dovuto sistemare il giardino e chiudere un robo - non avevo nemmeno capito cosa - per non gelare stando fuori. E dare una sistemata al seminterrato, con il suo inquietante tavolo da biliardo. E riuscire ad andare a casa di Francy e riuscire a resistere fino alla fine.

Mi appoggiai già stanca a un divano portandomi una mano sul viso, le dita a sfiorare l'attaccatura dei capelli, capelli che non potevo nemmeno legare e sentivo già di mezzo.

Quando udii i passi di Parker mentre scendeva le scale ero inginocchiata per terra a cercare di arrotolare il tappetto infinito della loro sala che ogni volta diventava più pesante e sembrava allo stesso tempo non essere capace di finire. Ce la feci in qualche modo a completare l'opera, con un colpo secco, e Parker entrò in sala a dare un'occhiata.

Mi osservò appoggiandosi allo stipite, con dei vestiti diversi, per stare per casa. - Non capisco perchè hanno vietato una cosa tanto carina come la schiavitù! - Si chiese, seriamente perplesso ma sorridendo.

Sorrideva di continuo per aumentare il mio tormento. Lo sapevo. - Uccidevano troppi padroni.

Rise venendomi incontro. Lo guardai accigliata mettendomi in piede; lui invece si chinò per sollevare il tappeto e se lo portò via senza dire altro.

Quello che seguì fu una lunga processione, mia - perchè dopo il tappeto Parker si era sprecato troppo - con tutti i soprammobili di vetro, ceramica; tutto finì in quello sgabuzzino. Sgabuzzino grande come camera mia.

Il castano idiota si era chiuso nella sua stanza, scommettevo a dormire.

E avevo perso quasi mezz'ora solo con quello.

Dopo, traballando, camminai per casa sistemando i tavolini in posti strategici. Tavoli non troppo grandi ma abbastanza per me che a fatica ne sostenevo uno con le braccia allargate.

Parker scese le scale di nuovo mentre io sistemavo un altro tavolino nella cucina lì vicino. Mi venne incontro fischiettando una canzoncina che mi sembrava familiare, ma non riconoscevo.

- Dopo metti le casse che provo a vedere se la musica si sente bene da tutte le parti, col wi-fi - mi ordinò appoggiandosi al tavolo che avevo appena finito di sistemare.

Quello che dissi mi costò molta fatica: - Mi aiuti? - Ero stanca, i tavoli mi stavano uccidendo.

Mi guardò un attimo sorpreso facendo sembrare gli occhi verdi più grandi per un attimo; poi sorrise. - E perchè dovrei, Gray?

Sospirai pensando che visto che ormai avevo iniziato potevo continuare col ruolo della fanciulla indifesa. Chiusi leggermente i pugni portandomene uno al petto, senza guardarlo. - E' che non sono molto forte … - sospirai drammaticamente come lui aveva fatto poco prima in macchina. E s
e Parker era davvero un idiota gasato come pensavo l'avrebbe fatto, per gli idioti avevo abbastanza talento teatrale.

- No.

Ritornai a guardarlo malissimo. - Sei uno stronzo. - Ed era un po' triste pensare che fosse leggermente più intelligente di quello che pensavo.

Rise. - Ti aiuto dicendo dove mettermeli!

E fu davvero solo quello che fece. Mentre io offendendolo lo seguivo con le casse. Quanto cazzo aveva speso per quella roba?!

Mi buttai arresa sul divano poco dopo. Parker tutto allegro, fresco come una rosa, era andato su ad accendere il suo stereo o quello che era.

E in effetti dalle due casse lì vicino la musica cominciò a sentirsi forte e chiara sul serio. Rimasi un attimo ferma a cercare di riconoscerla.

Parker venne giù e entrò in sala con un sorriso soddisfatto mentre il cantante iniziava a cantare.

- Coldplay? - Chiesi perplessa.

Parker non mi sembrava un tipo da Coldplay, i Coldplay erano troppo calmi e particolari per Parker; lui era massimo uno da David Guetta, da Pitbull. Sinceramente ce lo vedevo a dire “dale!” insieme a quello là. Mi venne da ridere a quell'immagine.

Lui annuì. - E' il mio gruppo preferito. - E mi lanciò uno strano sguardo irritato per il mio sorriso scettico. Se ne andò di nuovo, probabilmente per spegnere la radio.

Mi sdraiai meglio ascoltando la musica, rilassandomi un attimo. - All we ever seemed to do is fight* - canticchiai insieme a Rihanna piegando la testa verso la tv.

Ero già stanca morta.



Due ore dopo ce l'avevo fatta.

Sospirai infreddolita: ero appena tornata dal giardino dov'ero andata senza giacca, là avevo dovuto chiudere una specie di gazebo, molto molto grande, che sormontava anche un idromassaggio (che Parker aveva però svuotato e chiuso), un grande tavolo, poltroncine e anche un dondolo. Quel gazebo gigante comprendeva mezzo giardino ed era anche al chiuso per la plastica con cui lo avevo circondato. Plastica strana (forse non era nemmeno plastica, ma era trasparente …), che avrebbe reso tutto l'ambiente relativamente caldo.

- Direi che hai finito - commentò Parker, un po' sorpreso, osservandomi mentre mi scaldavo in cucina.

- Posso andare? - Chiesi acida.

Lui rise annuendo, divertito come sempre dai miei toni; prese la giacchetta e lo segui fuori di casa. Erano solo le 6:30 del pomeriggio quindi la rottura di farmi riportare a scuola per prendere la macchina e andare da Francy non era molto grande.

Non sarei passata da casa perchè zia Elizabeth tanto era tornata a New York domenica e non avevo motivo per tornarmene in una casa vuota. Di solito mi veniva sempre a trovare l'1, approfittando del giorno di vacanza, ma quell'anno le avevo proposto di uscire con le sue amiche, restarsene là e lei aveva accettato ma per compensare aveva fatto quei quattro giorni la settimana prima.

Arrivai a casa di Francy e sua madre, come al solito - lei osservava il vicinato dalla finestra della cucina -, mi aprì prima che bussassi. Le sorrisi un po' a disagio come sempre mentre la porta mi si spalancava davanti, prima che arrivassi al tappettino.

La madre di Francy, anche se era la madre della mia migliore amica, non avevo idea di come si chiamasse. - Salve, signora Reed - la salutai entrando. Per tutti era la signora Reed, per Francy “madre”. Una volta avevo chiesto, a Francy, come si chiamasse ma aveva poi cambiato argomento, quindi a volte pensavo che non lo sapesse nemmeno lei.

Era bassa e tarchiata, al contrario di Francy snella seppur alta come lei; tutte e due avevano un bel viso, la signora Reed però più rotondo e paffuto. Era probabilmente la cuoca migliore del mondo ma si limitava a fare la casalinga, senza iniziare carriera.

- Ciao, Evelyne, vuoi dei biscotti al cioccolato? Li ho appena sfornati! - Mi propose subito. Rifiutai per non essere bombardata di cibo più di quanto avrei dovuto poi subire dopo. Non sapevo come facesse Francy a vivere in quella casa, mangiare tutto e continuare ad essere così minuta, io ero più in carne di lei pur mangiando la metà coi miei soliti pranzi.

La signora Reed continuò a parlare a vanvera, spettegolando, era molto pettegola, quasi quanto Parker, e continuando così - il bello era che non era necessario che le rispondessi - mi accompagnò verso la camera di Francy.

Quando finalmente mi lasciò in pace aprì la porta dov'era appeso un cartello di "pericolo".

Pareti viola scuro - solo perchè sua madre si era rifiutata di fargliele nere -, mobili scuri in tono e un grande lettone, stereo gigante, e foto su foto appese da tutte le parti. Uno capiva com'era Francy solo dalla sua stanza.

Mi saltò addosso appena entrai. Quel carattere esuberante però non era davvero intuibile in nessun oggetto.

A casa Reed tutto diventava molto esagerato. Fu esagerata la pizza gigante che ci aveva preparato sua madre per cena e lo fu anche il dolce. Fu esagerata la reazione di Francy quando in bagno, mentre iniziavamo a prepararci, le parlai della cotta di Kutcher. Fu decisamente esagerata la preparazione pre-festa che mi fece subire …

Erano passate forse delle ore e continuava a non farmi guardare allo specchio.

- Cosa mi stai combinando? Davvero, Francy! - Le chiesi preoccupata e cercando di nuovo di girarmi.

Lei mi bloccò ancora per le spalle. - La smetti?! Poi è Halloween quindi bisogna un po' esagerare - disse ammiccando.

Impallidii. - In che senso stai esagerando?! - Mi uscì uno stridulo preoccupato. Lei si era truccata per prima ma non era molto diversa dal solito. Cosa mi stava facendo?!

Mi ignorò dandomi qualche ultimo tocco di non sapevo cosa sulle palpebre. Poi finalmente mi lasciò stare.

Poco dopo mentre cercavamo di uscire di casa la signora Reed continuava a bloccarci per farci foto su foto. Io ero molto in imbarazzo. Per le foto e per come stavo per andare alla festa. Parker avrebbe pensato che gli avevo dato corda sul serio quando aveva detto di tirarmi.

Francy era bella come al solito: trucco giusto, vestito giusto, scarpe giuste, accessori giusto. Io …

- Sei stupenda! - Mi urlò di nuovo Francy spingendomi in macchina. Entrai e mi guardai allo specchietto parecchio scettica.

- Sembro un panda. - Gli occhi me li aveva circondati di nero, tanto nero, facendoli sembrare, fintamente, belli e grandi ma … In un certo senso potevo anche sembrare un panda. Il fondotinta era poco notabile, un po' di blush rosa sugli zigomi mi rendeva il viso, già ovale, più carino. Le mie labbra erano di un rosa un po' più scuro del normale e sembravano morbide e carnose. Ero carina, ma Parker avrebbe detto che sembravo un panda. Sembravo un panda.

- Non lo sembri. - Sbuffò Francy mettendo in moto per accendere il clima.

Avevo poi un vestito, abbastanza lungo e comodo, di un leggero color nocciola con curiose fantasie nere, ed era anche il vestito di Francy che la signora Reed preferiva di più. Per questo l'avevo ben nascosto sotto la giacca dopo che la mia amica me l'aveva prestato - per lei era troppo da “brava ragazza” e si rifiutava sempre di metterlo. Alla fine indossavo leggere calze nere e dei normalissimi tacchi, non troppo alti e comodi, gli unici che mi avessero mai convinta a comprare.

- Sei semplicemente figa e Parker la vedrà! - Rise malvagiamente.

- La cosa non mi interessa molto - ripetei di nuovo esasperata di doverlo precisare di continuo. - Dai, comunque vado con la mia macchina e ci vediamo là - le dissi sospirando e uscendo, pronta alla mia condanna che si avvicinava sempre più.

Poco dopo trovammo parcheggio nella via di Parker e fu abbastanza difficile. La via di solito ordinata era disseminata di macchine e faceva paura vedere quanta gente conoscesse quel ragazzo.

Uscii dalla macchina che avevo messo giusto davanti a Francy.

- Dici che i vicini chiameranno qualcuno per la musica? - Chiesi alla mia amica, avvicinandomi alla sua portiera.

Francy si girò a guardare verso la casa dove entravano tutti. La musica si sentiva da fuori ma non era nemmeno troppo alta, forse. Fece spallucce. - Se continua così ci salviamo. Poi mia madre è amica della moglie del capo della polizia - iniziò convinta. - Usciremmo in un batter d'occhio! - Sorrise. Io mi preoccupai.

- Rischieremmo di finire dentro?!

Francy fece un gesto e una faccia alla “non preoccuparti” ma non ottenne molto.

Mentre camminavamo lei si infilò una piccola mascherina nera, molto teatrale e cupa. - Come sto? - Mi chiese raggiante, in contrasto col tutto.

- Bene, ma ... Perchè tu hai una mascherina?!

- Perchè è Halloween! - Rispose ovvia. Ci avvicinammo alla porta di casa Parker, che era aperta, seppur socchiusa.

- E perchè non me l'hai detto?! Me la mettevo anch'io una cosa del genere! - Guardammo un gruppo di conigliette che entrava sorpassandoci. Body rosa sotto piccole giacche, orecchie giganti rosa, collant rosa a fasciare le gambe più lunghe grazie ai tacchi. Ah, ovviamente un pallino peloso attaccato al culo.

Dawn e le sue amiche cheerleader ci guardarono sprezzanti passando per la porta. Francy ricambiò.

- Perchè tu sei truccata un casino intorno agli occhi e la mascherina non aveva senso! - Mi spiegò sbuffante. -E le hai viste?!

Scossi la testa. - Sì, oggi Parker l'aveva detto che avrebbe apprezzato le conigliette e basta ma non mi aspettavo che lo facessero sul serio ... - dissi ravvivandomi i capelli con una mano.

- Comincio a perdere fiducia nell'umanità … - sospirò Francy entrando.

Esitando mi feci finalmente forza e la imitai. - E comunque se me lo dicevi prendevo un cerchietto strano o qualcosa del genere! - Continuai comunque dopo aver passato la porta.

Francy mi ignorò guardandosi intorno.

Tutta la casa era ben illuminata e quattro tavolini che mi ricordavo aver messo lì vicino erano stati sommersi e nascosti da giacche su giacche. Lanciammo lì anche le nostre.

- Poi sei la tipa del giornalino scolastico, sei già un personaggio pauroso da sola - rise Francy.

- Queste risposte dopo mezz'ora? - Chiesi ridendo.

Lei fece una smorfia come a negare, poi mi prese per la mano e trascinò in cucina.

C'era tanta gente e casa Parker sembrava invasa. Invasa da gente e dai bicchierini rossi, da festa, che avevo messo io con rabbia quel pomeriggio. Mi accigliai pensando che tutto l'avevo messo io.

La musica si sentiva perfettamente e c'era un gran, gran caos. In cucina la gente o si fermava vicino ai tavoli e banconi - c'erano quattro, cinque ragazzi in cerchio che urlando “giù, giù” si sfidavano a bere d'un sorso -, oppure passavano per prendere cibo a caso, o parlavano bloccando il traffico, o passavano in giardino o nell'atrio per andare in sala.

I maschi tendevano a essere vestiti normalmente tranne un paio che avevo visto con delle corna da diavolo; le donne si erano date più da fare, come Dawn e le sue conigliette che con i bicchieri in mano e compatte, come in formazione, passavano al giardino. I ragazzi del “giù, giù” si fermarono per guardarle.

Francy sorridendo si avvicinò ai bicchieri riempiendosene uno con il liquido chiaro della mega ciotola lì vicino. - Se bevo adesso per le 3, o quando andrò via, posso guidare vero? - Mi chiese senza però aspettare la risposta.

- Ma è alcolico? - Chiesi perplessa. Non ero solita andare alle feste di quegli individui, diciamo che non c'ero mai andata e non l'avevo mai nemmeno desiderato, e pur sapendo che erano anche famose per l'alcool che riuscivano a procurarsi, pur essendo minorenni, pensavo non dovesse essere proprio ovunque ovunque.

Francy smise di bere dopo un piccolo sorso e osservò il liquido.

- E io non mi fiderei tanto ... - osservai imitandola e guardando il bicchiere.

- Ma è buono ... - decretò con un sorrisetto da alcolizzata repressa. - Sa di frutta e ... - si bloccò un attimo.

- Alcool? - Chiesi sorridendo e guardando perplessa il ponch, indecisa. Non avevo mai bevuto se non a Natale o per la festa di ringraziamento quando io e zia Elizabeth, con molto coraggio, andavamo alle feste di famiglia, in un paese tra New York e la mia città, dai suoi genitori, ergo, i miei snaturati nonni. Erano due anni che a un certo punto ci chiudevamo in bagno con una bottiglia di non sapevo cosa, disperate, e mi erano concessi dei sorsi. Ma in effetti ero disperata anche in quel momento …

Mentre quasi mi decidevo e Francy finiva allegra il suo bicchiere, Kutcher entrò in cucina dal giardino, ridendo insieme a Clark.

- Il tuo futuro marito - feci notare a Francy dandole di gomito e cercando di non ridere.

Lei alzò lo sguardo e quando lo vide mi fece di no ridendo.

Erano tutti e due vestiti prevalentemente di nero, con due inquietanti mantelli attaccati alle spalle. I capelli dei due erano tirati all'indietro col gel. E non si capiva cosa volessero fare ...

Kutcher quasi sentendo la risata si girò mentre passava dalla nostra parte. Sbatté un attimo le palpebre, fermandosi, guardando per bene tutte e due. Io distolsi lo sguardo facendo finta di prendere delle patatine.

- Reed! - Esclamò avvicinandosi. Continuavo a cercare di non ridere ma alzai lo sguardo anch'io.

Francy gli sorrise. - Ciao, Alex!

- Non sapevo saresti venuta - disse. Poi portò lo sguardo su di me e mentre esitava un attimo, Clark, dietro di lui, si avvicinò guardandomi. Lo odiavo ancora per ovvi motivi.

- Oddio, è la Gray! - Fece Seth ridendo e appoggiandosi con una mano al bancone della cucina, vicino a noi.

- Truccata e vestita così non sembri tu! - Commentò squadrandomi per bene. Lo guardai male quando tornò alla faccia ma lui mi ignorò sbuffando scettico.

- L'avevo vista di sfuggita all'inizio e pensavo non fosse lei, infatti - aggiunse Kutcher divertito per poi tornare immediatamente su Francy che finiva di bere con un'espressione soddisfatta, gasandosi probabilmente per il suo lavoro.

- Vuoi che te lo riempia? - Chiese Kutcher con un sorriso da flirt. Francy alzò le sopracciglia, si videro addirittura sopra la mascherina, ma sorrise accomodante. Alex ne riempì uno anche per me e ce lo porse. Io guardai scettica il contenuto appena il bicchiere mi arrivò in mano.

- A me non lo riempi, stronzo? - Sbuffò Clark servendosi da solo. Kutcher lo ignorò.

- E sai, questa è la ricetta segreta di casa Kutcher! - Spiegò orgoglioso il moro. - E' sempre presente alle nostre feste e ha un gran successo!

Francy si abbassò la mascherina lasciandosela penzolare sul collo. - Beh, si è buona - acconsentì ridendo. Ridendo perchè Alex cominciava sul serio a provarci.

Mi chiesi per un attimo se si fosse fatto avanti solo dopo la storia della foto perchè Parker aveva cominciato a tenermi in considerazione, e a tenere in considerazione di conseguenza anche la mia migliore amica, che era quindi diventata accettabile dal gruppo. Se era per quello era tutto abbastanza pessimo.

Mentre Kutcher blaterava di insegnarle la ricetta a patto che entrasse in “stretto contatto” con i membri della famiglia, tipo e in particolare lui, Clark mi parlò: - Quindi niente più compiti? - Mi chiese facendo dondolare il liquido dentro il bicchiere.

Feci una smorfia. - Avrei finito comunque anche senza … Questa storia di Parker - borbottai.

Mi guardò scettico. - Quindi preferisci che tutti pensino che vai a letto con Parker e cagate del genere, piuttosto che guadagnare soldi?

- Piuttosto che essere espulsa, massimo - dissi fredda. Alzò gli occhi al cielo. - E poi credo che la gente capisca che è un po' impossibile l'idea che .. .- dissi corrucciandomi senza finire.

Lui fece spallucce. - Ah beh, chi lo conosce un po' bene sa che non ci starebbe mai con te, gli altri pensano la cazzata più possibile e immaginabile - mi spiegò gentile come sempre, sorridendo. - Anche se tipo fossi sempre come stasera sarebbe già un'altra storia - fece dondolando la testa a destra e sinistra e risquadrandomi.

- Ah guarda, per quanto ci tengo so che non dovrò mai rimettermi così allora - sorrisi fintamente.

Sbuffò risollevando lo sguardo. Non sapevo davvero perchè mi stesse parlando: ci stavamo antipatici a vicenda in modo tremendo. Mi resi conto poi di essere in un certo senso contenta che fosse stato Parker a ricattarmi e non Clark, con quest'ultimo non ci sarei davvero resistita fino alla fine dell'anno.

- E comunque, IO non ci starei mai con Parker - dissi seria dando per la prima volta dei sorsi alla bibita. Era buona sul serio …

Lui rise osservandomi bene. - Ne sei sicura, Gray? E' facile dirlo adesso che vi odiate e basta, che lui ti sfrutta e basta. Ma se lui ci provasse con te? Non so perchè dovrebbe, ma se lo facesse? Ci staresti. Parker piace a tutte, almeno fisicamente e non so bene perchè - alzò gli occhi al cielo, nel suo solito tic. - Soprattutto perchè sono molto più bello io …

- Sono un po' diversa da tutte, egocentrico - sospirai stizzita.

Roteò di nuovo gli occhi e poi se ne andò. Facendo partire un coro di Alleluia nella mia testa.

Kutcher lo guardò e un po' dispiaciuto salutò Francy e lo seguì.

- Clark è un idiota - sillabai.

- Sono vestiti da vampiri! - Esclamò Francy scoppiando a ridere.

- Twilight ha delle influenze negative anche sui maschi, si vede. - Risi anch'io.

- Si sono messi tutti d'accordo e sono pessimi! - Francy scosse la testa e guardandomi mi fece cenno di seguirla.

Uscimmo nel giardino o almeno, uscimmo in giardino ma sotto, al riparo, nel gazebo che avevo chiuso io.

- Ah, è questo il robo di plastica strano che mi avevi detto! - Fece continuando a bere.

Annuii guardandomi intorno. Lì la musica era molto più alta e c'era molta più gente.

Il rosa dei body delle mie amicone attirò in particolare il mio sguardo.

Dawn civettuola come sempre con le mani sfiorava e si appoggiava leggermente al braccio di Parker che, ignorandola a tratti per parlare con Billy e altri suoi amici, a volte si girava a guardarla leggermente divertito. Lo vedevo poco perchè spesso veniva coperto da altri. La bionda e il braccio che non mollava erano invece sempre ben visibili.

Dawn sorrideva e con l'indice di un mano tracciava spirali sulla sua camicia. A volte blaterava qualcosa. Ma le rispondevano e si avvicinavano di più le sue amiche, lì intorno, che Parker.

- Che gatta morta - feci sbuffando. Francy impegnata a bere capì dopo un po' a cosa mi riferivo.

- Oh, oggi Parker scopa - notò invece lei scoppiando a ridere.

Cominciai a bere di più dal mio bicchiere. - Ah, guarda, basta che io non sia in casa a pulire mentre succede o che non debba poi pulire il luogo del delitto! - Feci schifata dopo aver finito la bibita.

Ci andammo a sedere lì vicino, io dando le spalle allo sfigato.

- Beh, forse adesso capiranno tutti che tu e Parker non state andando a letto insieme - fece Francy osservando con disappunto il suo bicchiere vuoto.

- Sarebbe ora! - Dissi irritata.

Francy osservò un po' la gente che passava. E quando vide Kutcher che veniva dalla cucina con tre bicchieri e si guardava intorno, sorrise speranzosa.

- Se li vuole portare a noi comincio a pensare che voglia farci ubriacare e ucciderci ... - feci con disappunto.

Kutcher infatti ci vide e sorridendo ci venne incontro.

- Oddio, posso amarlo? - Mi chiese, coprendosi la bocca con una mano e fingendo di avere qualche lacrima per la commozione.

- Ragazze! - Fece allegro sedendosi al divanetto di fronte al mio, quello dove c'era Francy. Ci porse i bicchieri. - Mi sono liberato di Clark per cercarvi e potete sentirvi onorate!

Cominciò a blaterare cazzate a caso a tutte e due. Nei gruppi c'era sempre il pagliaccio. E cominciavo a supporre che in quello di Parker fosse Alex.

Subito dopo una sua battuta pessima, Francy scoppiò a ridere mentre io freddata dalla freddura guardai di lato: Clark era appena tornato dalla cucina e si guardò intorno vedendo prima noi e poi Parker.

Con lo sguardo tornò su di me e mi sorrise. Sapevo poco su Seth ma quando sorrideva non erano sorrisi buoni.

Andò nella zona alle mie spalle dove in teoria c'erano le casse, tanti tavoli, tanta gente e Parker e i suoi amici.

Sentii Kutcher alzarsi. - Dai, poi ci rivediamo, adesso vado dagli altri. - A me sorrise e a Francy fece l'occhiolino.

- Sai che stai dando false speranze a quel povero ragazzo? - Dissi alla mia amica appena l'altro se ne andò. - E mi sta anche più o meno simpatico quindi non spezzargli il cuore!

Lei rise. - No, dai, se le sue battute sono buone non è colpa mia - fece seguendolo con lo sguardo, dietro di me.

- Beh, parliamone - ribattei mettendomi ben dritta contro lo schienale.

Lei alzò le sopracciglia trattenendo un sorriso. - Oh, povera, Eve!

- Cosa? - Chiesi facendo per girarmi ma Francy mi fermò con un cenno.

- No! Ferma! - rise. - Ho visto Clark che andava verso Parker e chissà perchè dopo lui ha guardato da questa parte! Mi ha vista quindi sa che siamo qui.

- Odio Clark - sbuffai alzandomi.

Francy mi guardò sorpresa.

- Andiamocene in sala! - Feci senza urlare.

Francy guardò dietro di me. - Secondo me se non vuoi fargli pensare che hai paura di lui conviene di no …

- Non me ne frega!

- Lo dico perchè sta venendo qua! E' abbastanza tardi - mi urlò il più piano possibile, per farsi sentire nonostante la musica. Rideva come un'idiota.

- Ti diverti, stronza?!

Lei annuì con una faccia maniacale. - Voglio vedere che dice quando ti vede! - Fece ridendo malvagia e mettendosi comoda sul posto.

Prima che potessi offenderla ancora Parker, seguito da Billy mi passarono di fianco. Billy si sedette tranquillamente alla sinistra di Francy. Parker si fermò di fronte a me, mi guardò dall'alto al basso e tornò al mio viso.

- Cosa c'è? - Chiesi già acida solo per averlo visto. Anche lui come gli amici sfigati si era ingellato i capelli all'indietro. Lui e Billy non avevano però il mantello e Parker, con i capelli sistemati in quel modo, aveva gli occhi verdi più in evidenza e più magnetici del solito: non avevo dubbi che l'idea dei vampiri fosse partita da lui perchè era l'unico che potesse darne l'idea.

Alzò le sopracciglia, facendo lo scettico. - Uhm, Gray, sembri un panda. - E scoppiò a ridere.

Aprii la bocca irritata guardando Francy male: io glielo avevo detto!

- No, è fighissima! - Mi difese Francy rivolgendogli una smorfia e incrociando le braccia offesa.

- Mi dispiace, Reed, ma sembrerebbe che nemmeno truccarla serva - disse lui, passandomi davanti e sedendosi di fianco a dov'ero prima. Mi aveva guardato per tutto il tempo e con la mano mi fece segno di sedermi di fianco a lui.

- Non sono un cane - feci per poi sedermi.

- Ah no? - Chiese lui vittorioso.

Lo ignorai girando il volto, distrattamente, per osservare la situazione alle mie spalle.

- Ed è bellissima! Anche i capelli! E il vestito! - Urlò Francy, arrabbiatissima per non aver ottenuto quel che voleva.

Dawn era a braccia incrociate. Mi guardava fisso e con odio da laggiù.

Ma mi rigirai guardando sconvolta Francy, dopo quella frase. - Ma la smetti!

Parker mi squadrò davvero di nuovo e impassibilmente ripetè il concetto: - Non vedo niente. - Col suo solito sorriso soddisfatto.

Francy assottigliò gli occhi minacciosa. - Lo so che menti.

- La smetti per favore? - Chiesi disperata, portandomi una mano sul viso.

Guardai Billy, l'unico a non aver detto ancora niente, lanciava degli sguardi a Parker, sorridendo ma trattenendosi dal ridere, che lo ignorava facendo finta di niente.

- Ma io mi divertivo ... - Si lamentò Parker per poi guardare Billy. - E Hans, piantala - fece poi ridendo verso l'altro.

- No e hai capito - fece l'altro sorridendo.

Francy ed io invece ci guardammo non capendo.

Parker alzò le mani in segno di resa poi tornò a guardarmi. - Okay, Panda e Isterica - ci appellò facendoci spuntare delle smorfie. - Ma soprattutto, panda, tu sei obbligata. - Sorrise. -Dopo giochiamo a Never have I ever*.

Francy storse la bocca io lo guardai perplessa.

Billy scoppiò a ridere. - Direi che la Gray non sa cos'è.

Parker sbuffò guardandomi, aveva però un sorrisetto di cui dovevo fidarmi poco. - Panda ...

- La smetti di chiamarmi così?!

Mi ignorò. - Quindi, Panda, in pratica, ci mettiamo tutti in cerchio da qualche parte, partirà qualcuno a caso, è uguale, e deve dire qualcosa che non ha mai fatto. - Sorrise sempre con lo stesso cipiglio. - Se nessuno l'ha mai fatto come lui, semplicemente beve quello che ha parlato, invece quelli che l'hanno fatto bevono.

- Sì, lo conoscevo e mi sa che non gioco! - Fece Francy ridacchiando.

- La Panda non ha scelta invece - mi guardò allegro. Lo fulminai.

Billy si alzò sorridendo e se ne andò tranquillo dov'era stato prima.

Parker si mise in piedi e mi mise una mano sulla testa sorridendo divertito.

- Che c'è? - Chiesi acida.

- Niente, volevo spettinarti ma mi è passata la voglia - mi mollò la testa. - Dopo ti chiamo! - E se ne andò ammiccando.

Sbuffai guardando Francy.

-Sei una traditrice.

Francy sorrise colpevole.

 

Qualche ora dopo Parker venne a cercarmi. Ero in cucina, mangiavo patatine da ore per cercare di riempirmi lo stomaco e ormai non ne potevo più. Non ero sul serio abituata all'alcool e loro avrebbero tirato fuori super alcolici, lo sapevo.

E beh, ero in cucina con Francy e appena vidi spuntare Parker incrociammo lo sguardo. E scappai. Di corsa. Con uno strano istinto di sopravvivenza: come un qualche animale alla vista del proprio predatore. Avevo intenzione di chiudermi in bagno.

Risi, in un modo che tendeva probabilmente all'isterico, arrivando alle scale e aggrappandomi al corrimano per aiutarmi a correre più velocemente.

Parker in qualche modo però mi raggiunse e mi afferrò per un braccio. - Vieni qua, stronzetta - sibilò prendendomi di peso e trascinandomi verso le scale che portavano al grande scantinato.

- Ho la gonna! Mi si alza la gonna! - Urlai attirando lo sguardo di tutti quelli nell'atrio.

Fui spinta di peso in qualche modo nello scantinato, sulla moquette rossa. E fulminai quello stronzo.

Lì intorno c'erano già sette, otto persone, posizionate chiaramente in cerchio per giocare. Si poteva stare seduti per terra perchè cominciava a essere tardi e alcuni, molti, se n'erano andati.

Parker si aggiunse ai suoi amici, davanti a me. Ma prima di farlo andò da Nicholas, si chinò e gli disse qualcosa a bassa voce, con la mano davanti alla bocca. Nicholas lo guardò in modo strano, qualunque cosa gli avesse chiesto non voleva farla. Parker sorrise, gli disse qualcos'altro, senza coprirsi e lui fece una smorfia annuendo, senza però molta voglia.

Mi sentivo maltrattata come Nicholas. Eravamo due tristi schiavetti.

Sospirai mentre Dawn e delle sue amiche si univano sorridendo.

Francy mi raggiunse da dietro e abbassandosi sulle ginocchia appoggiò le mani sulle mie spalle.

- Dai, farò sostegno morale! - Provò a consolarmi dandomi un bacio sulla guancia e poi aggiungendosi al resto del pubblico che voleva partecipare ma senza essere coinvolto direttamente.

Kutcher spuntò con tanti bicchierini di vetro. E intanto altri si misero lì intorno per guardare. - Siamo pronti? - Chiese Parker ridendo, Kutcher annuì passando i bicchierini e facendone arrivare uno a testa.

- Perchè siamo ragazzi coscienziosi e non vogliamo passarci la mononucleosi! - Decretò Alex allegramente, facendo ridere tutti, scetticamente.

Parker si alzò scuotendo la testa e tirò fuori delle bottiglie da un armadietto vetrato, chiuso a chiave. Io sospirai, la mia morte stava arrivando.

Si decise che avremmo fatto almeno due giri.

Iniziò Parker, in quanto “matrona”. - Però è difficile dire qualcosa che non ho mai fatto - ci pensò su sorridendo. -Non ho mai e poi mai ...

Doveva pensare a qualcosa che lui non aveva fatto e noi sì, per un genio del male come lui era difficile.

Il suo sguardo vagò per il cerchio e poi si posò su me. - Non ho mai e poi mai baciato un ragazzo con la lingua. - Ghignò.

Tutti i bicchieri erano già pieni. Dawn e le sue amiche ridacchiarono e bevvero subito.

Sapevo perchè l'aveva detto. Ed era tremendamente infantile.

Gli sorrisi senza allegria e prendendo il bicchiere me lo portai alle labbra velocemente. L'alcool mi bruciò leggermente mentre scendeva in gola. Cercai di non tossicchiare e mi portai una mano alla bocca. Appoggiai il bicchiere.

Quando alzai lo sguardo Parker mi stava guardando divertito.

- Che non ho mai e poi mai del cazzo - commentò Billy, a due posti di distanza da me passandomi la bottiglia per riempire il bicchiere.

- Che poi non è nemmeno vero - fece Kutcher di fianco a Parker dandogli di gomito, con fare seducente.

Clark subito dopo sorrise maniacalmente. - Non ho mai e poi mai fatto sesso a una festa - disse ammiccando. Non ci credevo che non l'avesse mai fatto, ma probabilmente cercava una candidata tra le cheerleader presenti. A questa tutti i ragazzi presero il bicchiere, tranne Nicholas che arrossì leggermente. Parker bevette tranquillo con un sorso. Fissai poi le ragazze: Dawn aspettò che Parker osservando gli altri spostasse lo sguardo su di lei. Quando lo fece prese velocemente il bicchiere e se lo bevette in un sorso. Poi gli sorrise.

Alzai le sopracciglia scettica. O tra i due era già successo o lei stava proponendo. Ero comunque abbastanza disgustata.

Un'altra sua amica dopo aver esitato fece lo stesso. Due amiche di Dawn ed io e Nicholas fummo gli unici ad astenerci.

- Non ho mai e poi mai ... - Era il turno di Billy. Guardò Parker sorridendo. - Fatto sesso nella stanza della Preside.

Parker scoppiò a ridere come un idiota. Tutti lo guardarono sconvolti mentre prendeva su il bicchiere e quasi si affogava bevendo.

La nostra preside era un omaccio. Una donna bionda e alta, con una corporatura imponente, i lineamenti rigidi e spigolosi, non sorrideva mai e non si arrabbiava mai. Sembrava una tedesca malvagia, o almeno era così che ci immaginavamo una tedesca malvagia. E crudele lo era davvero. Con la stessa identica espressione ti poteva star condannando a un mese di punizione o si poteva star, leggermente, congratulando.

Pensare che Parker avesse potuto fare qualcosa, con qualcuno, dentro la stanza di quella donna …

Mise giù il bicchiere con fare colpevole. Guardai Dawn: aveva uno sguardo contrariato; “Perchè con me no?!”, stava decisamente pensando.

- E' stato un colpo basso! - Esclamò Parker passandosi una mano per i capelli ingellati.

Di fianco a me c'era Kutcher. - Non ho mai e poi mai ...

Lui disse qualcosa a caso, per non incriminarsi troppo con Francy dietro, probabilmente.

Quando quelli che avevano bevuto, io compresa, si riempirono i bicchieri, toccò a me. Feci una smorfia mentre tutti cominciavano a guardarmi.

Io ero la donna del non ho mai, come Parker era il contrario, volendo evitare i non ho mai e poi mai deprimenti.

Alzai lo sguardo vedendo Parker. Che almeno bevesse quello stronzo che mi sorrideva. - Non ho mai e poi mai avuto i capelli chiari - dissi ricambiando il sorriso.

Molti nel cerchio erano biondi, castani chiari e bevvero sbuffando contrariati per i due mai e poi mai di seguito senza riferimenti sessuali. Il gioco si basava su quello, diciamocelo.

Seguirono le 4 cheerleader tutte di seguito. Io non bevvi niente, Parker tanto. Sembrava lo facessero apposta.

Arrivammo poi a Nicholas. Dopo di lui c'erano altri due tipi che conoscevo solo di vista, amici di Parker, deducibile per il gel, poi di nuovo Parker. Sarei stata relativamente poco dopo libera e Parker e i suoi amici ne sarebbero usciti ubriachi.

Nicholas era parecchio a disagio e lo vidi guardare mogio verso Parker.

Spostai lo sguardo verso il castano. Mi stava guardando con un sorriso che raccomandava poco. Gli occhi verdi luccicavano divertiti.

- Non ho mai e poi mai ... - Cominciò senza entusiasmo. - Mai ... - sospirò - Fatto sesso.

Tutti scoppiarono a ridere. Tutti tranne me.

Guardai prima Nicholas che abbassava lo sguardo stropicciandosi i capelli e poi Parker che mi guardava sorridendo radiante.

Tutti, tranne un'amica di Dawn, una biondina trasferitasi da poco di cui non sapevo il nome, presero velocemente il bicchiere.

Mi girai a guardare arrabbiata Francy. Lei aveva una smorfia.

Quando mi rigirai Parker aveva appena messo giù il bicchiere e continuava a fissarmi. - Beh, Gray? - Chiese attirando l'attenzione di tutti su di me. La biondina ne approfittò per non toccare il bicchiere senza farsi notare, tranne da me.

Spostai lo sguardo di nuovo su di lui, seria ma tranquilla. - Sei un idiota - dissi solo.

Billy soltanto rise, probabilmente lui, l'unico come me, si era accorto, o sapeva, che aveva obbligato Nicholas a dire quella frase. Era ovvio che non potesse averla detta di sua spontanea volontà. Pensava forse di mettermi in imbarazzo con quelle cose?! Beh si sbagliava.

- Perchè? - Mi chiese sorridendo.

- L'hai obbligato a dire quella frase! - Dissi ovvia guardandolo male.

Fece spallucce appoggiandosi dietro di sé con le mani. - Uno può fare quel che vuole.

- Tu non fai mai fare alla gente quello che vuole - dissi fredda incrociando le braccia e fulminandolo.

Sorrise. - E' un gioco, Gray. Bevi o non bevi? - Chiese.

Guardai Nicholas che mi guardava con una strana smorfia, quasi ringraziandomi.

Mantenni le braccia incrociate.

Dawn ridacchiò ad alta voce. - Oh, una vergine! - Commentò. - Ma in effetti mi sembrava abbastanza ovvio, figuriamoci se a qualcuno interessa in quel senso.- E guardò le sue amiche con intesa.

Parker ed io smettemmo di guardarci per girarci verso di lei.

- Oh, una troia - fu la mia risposta.

Quello che seguì fu una generale risata soffocata e quella fragorosa di Francy che dietro di me ormai cadeva per terra dalla sua sedia.

Parker mantenne una strana espressione per i due “non ho mai” successivi: cercava di non ridere, probabilmente per avere ancora delle possibilità con Dawn per quella sera.

Pessimo.

 

Non avevo idea di che ora fosse ma era molto tardi. Il tempo era volato e non sapevamo nemmeno il perché.

- Vado. - Aveva infatti detto Francy notando che tutti i pochi rimasti lo stavano facendo.

- Ti accompagno, - le proposi sbadigliando.

Rise. - Per non farti vedere mentre rimani qua per ultima?

Alzai gli occhi al cielo sorridendo e annuendo.

Passammo per l'atrio e guardai Parker e i suoi amici in cucina che ridevano. Le conigliette erano sparite da un po' per fortuna: non avrei subito scene inquietanti per quella prima festa.

Parker ormai era brillo, decisamente, rideva e sorrideva ancora più del solito, ma almeno non era ai livelli di Kutcher e Clark...

Mi vide per sbaglio mentre distoglievo lo sguardo e uscivo.

Fuori l'arietta fredda ci prese leggermente impreparate. Ci stringemmo nelle giacche e marciammo verso la sua macchina. Avevamo parcheggiato lì vicino; a due case di distanza da Parker iniziava un piccolo parco alberato che chiudeva la via in un vicolo cielo. L'ultima casa, sicuramente non abitata, dato il leggero stato di abbandono che traspirava dalle mura, era un po' diversa dalle altre: più grande, con mura basse che la racchiudevano fino a fermarsi all'alto cancello. Francy aveva parcheggiato davanti a questo.

Ci avvicinammo alla macchina sentendo tutte le altre nella strada partire. Rumori di motori e gomme.

Noi chiacchieravamo assonate e io all'idea di dover pulire casa di Parker stavo fisicamente male.

Quando notammo che ormai i lampioni accesi erano pochi - molti si spegnevano per risparmiare energia, a quelle ore - e ormai non c'era nessuno dei rimasti in strada, Francy salì in macchina e dopo esserci scambiate qualche altra parola a caso lei partì augurandomi buona fortuna.

Sua madre di sicuro la stava aspettando sveglia, stressando suo marito.

La osservai mentre spariva allontanandosi nella lunga via alberata quasi del tutto buia.

Sbadigliai rumorosamente andando verso la mia macchina, era ancora più vicina al parchetto e, anche se il buio in quella direzione mi lasciava un leggere senso di inquietudine, aprii tranquillamente la portiera. Mi tolsi i tacchi e infilando mezzo busto dentro cercai a tentoni le ballerine che avevo lanciato lì, da qualche parte.

Quando le trovai mi appoggiai alla portiera per mettermele. Erano molto più comode, soprattutto per pulire un'intera casa.

Mentre con l'indice mi aiutavo a infilare l'ultima sentii dei passi, non ci feci molto caso finché non li sentii davvero vicini. A quel punto però era troppo tardi e non feci nemmeno in tempo a mettermi in piedi che delle braccia mi circondarono.

Uno forte per la vita, stringendomi e bloccandomi le braccia, gomiti contro i fianchi, una mano invece sulla bocca.

Urlai ma la presa su quella aumentò di più e si sentì solo un suono soffocato. Le braccia mi sollevarono e portarono velocemente contro il muro della villetta di fronte. Mi ritrovai schiacciata contro quello, un uomo dietro di me.

Continuavo a provare a urlare disperata senza molti risultati.

Mi vedevo teletrasportata all'inizio di qualche libro, all'inizio di un telefilm come Criminal Minds. Ero uno di quei personaggi ignari e alla fine inutili che morivano o venivano violentati all'inizio di tutto. In una strada ormai buia, tardi, mentre dovevano ormai essere a casa a dormire. Mia zia non sapeva nemmeno che fossi ad una festa! Immaginavo già la piccola notizia sul giornale, con tutto il pessimismo che avevo sempre avuto.

Riuscii a pensare a tutto quello, ormai disperata, speravo addirittura che Parker o qualche sua amico mi vedesse uscendo di casa e venisse in soccorso.

L'uomo dietro di me rimase fermo finché, quasi tremante, smisi di agitarmi e provare a urlare. Speravo che vedendomi più calma mollasse un po' la presa e ne avrei approfittato. Non ero atletica e soprattutto non ero veloce ma sentivo che in quel momento sarei stata in grado di correre più velocemente di chiunque fosse alle mie spalle.

Deglutii sentendolo muoversi e non mollare la presa sul mio busto. Con la mano sulla mia bocca riuscì a spostarmi la testa di lato; sentii il suo fiato caldo e controllato sul collo e rabbrividii mentre col naso dritto mi spostava i capelli. Stavo quasi per mettermi a piangere.

- Uhm, sangue di verginella! - Esclamò a bassa voce l'”uomo” e, con un verso di apprezzamento, portò le labbra sul mio collo e diede un leggero morso. Una voce calda. Aveva parlato una voce calda e giovanile, bella. Non da vecchio, maniaco, violentatore e serial killer.

Ripresi automaticamente colore. Il terrore scomparve sostituito dalla rabbia, una rabbia di sollievo; la pelle d'oca però rimase.

Parker mi liberò dalla sua presa scoppiando a ridere come un idiota.

Io mi portai una mano sul viso e mi girai lentamente. Chiusi gli occhi cercando di respirare di nuovo normalmente.

- Tu, sei, una, testa, di, cazzo, - riuscii a dire dopo molti sforzi, senza ancora avere la forza di guardarlo in faccia. Il terrore era passato ma un po' tremavo ancora.

- Ah sì? - Mi chiese con la voce sempre bassa di prima, divertito. Lo sentii spostarsi e quando aprii gli occhi vidi che era ancora vicino a me: si era appoggiato al muro con il braccio sinistro appena sopra il mio viso, scaricando parte del peso dal gomito al polso, facendo così si chinava un po' di più alla mia altezza.

La luce era poca ma i suoi occhi verdi brillavano di qualcosa di strano, alcool forse e seppi in quel momento che sarebbe stato meglio evitare quel gioco alcolico.

- Spero che tu sia seriamente ubriaco! Una persona sana di mente non finge di essere un violentatore e fa queste cose! - Gli urlai spintonandolo per il petto. Lui non si mosse né traballò.

Rise e basta e da quanto era vicino sentii l'odore fruttato del cocktail di casa Kutcher e un odore di pesca strano, probabilmente il suo shampoo. Mi allontanai un poco schiacciandomi di più contro il muro.

- Ma sei stupida, dai! Saranno le 4 e qualcosa! Secondo te in questa via c'era qualcun altro oltre a me o quei due o tre che possono essere rimasti a casa mia? - Chiese ironico e sbuffando.

Parlava normalmente ma dai suoi occhi si continuava a notare che non era del tutto in sé. Vagava con lo sguardo: muro, me, i miei capelli, poi di nuovo i miei occhi, il suo braccio, poi sempre il verde incontrava il mio semplice marrone. Ed erano lucidi, acquosi.

- Vi pensavo più maturi, - risposi fredda, continuando a guardarlo con attenzione, come davanti a un animale sconosciuto che si teme essere pericoloso.

Lui sorrise magnetico. Alzai le sopracciglia scettica, ma mordendomi le labbra. Quel gesto lo attirò.

Il verde si spostò dai miei occhi alle mie labbra e senza nemmeno accorgermene trattenni il respiro.

- Sai, Gray, - cominciò tornando lentamente ai miei occhi; continuava a usare quel tono basso. - Stasera sei... - si bloccò come perplesso osservandomi bene.

Non volevo incitarlo a continuare, non volevo sentire come continuasse la frase. Era decisamente ubriaco, mica brillo.

Distolsi lo sguardo da lui: dagli occhi verdi e languidi, dai capelli, quasi più biondi per il gel, tirati all'indietro, dalle labbra sottili e perfette, dal naso proporzionato e dritto, dal neo… Da quando avevo fatto caso a tutte quelle cose?! Mi portai una mano alla guancia sentendomi male.

- Sei bella, - finì finalmente riattirando il mio sguardo.

Rimasi leggermente a bocca aperta. Non riuscii a non arrossire leggermente, per il complimento, non per la persona che lo diceva, mi giustificai; o forse anche per la sorpresa.

- Mi aspettavo un brutta, - commentai, deglutendo come a mandar giù il rossore.

Rise divertito. Non sapevo se si fosse reso conto del mio colorito o se rideva come al solito a caso. Optai per la seconda cosa.

- Invece... - sospirò stancamente avvicinandosi di più col viso. Sobbalzai mentre appoggiava leggermente la fronte alla mia. Si era chinato davvero molto, considerando la differenza d'altezza che c'era tra noi.

Sperai quella volta che Billy o altri non uscissero di casa, avrebbero potuto davvero fraintendere, quando invece, mi ripetei, non stava accadendo nulla!

- Parker! - Feci, con rimprovero, portandogli le mani al petto per allontanarlo, senza molti risultati.

- Cosa c'è? - Mi chiese sorridendo. Sapevamo tutti e due cosa c'era…

La mano che non stava usando per appoggiarsi alla parete la sentii all'improvviso toccarmi delicatamente un fianco.

Oh mio dio.

Mi guardò dritto negli occhi.

Ma era Parker!

- Non credo... - sussurrai.

Alzò le sopracciglia, con lo sguardo mi sfidava a continuare la frase, o forse mi inventavo tutto io. Non ce la feci a sfidare quell'occhiata e stetti zitta.

Rimase a guardarmi per un po'. Ci fissammo in silenzio. Poi chinò il viso leggermente di lato.

Ma era Parker... Provai a ripetermi di nuovo.

Parker che abbassò lo sguardo e lo portò alle mie labbra. Con la mano sui miei fianchi mi avvicinò delicatamente.

Sperai decisamente che Billy non uscisse.

Gli bastò spostare il viso di pochi millimetri. Non glielo impedii.

Non glielo impedii per molto poco però.

Ero una masochista. Amavo farmi del male. Molto male.

Permisi a Parker di appoggiare le sue labbra sulle mie.

Permisi alle mie di sentire la morbidezza e il calore delle sue. Di capire quanto sarebbe stato semplice lasciarsi andare. Di quanto le sue labbra avrebbero potuto anche essere perfette sulle mie. Ma non in quel caso.

Parker poteva essere identificato con due cose: calore e frutta. Le sue labbra, il suo respiro, la sua pelle, i suoi capelli tutto sapeva a qualcosa di fruttato. E Parker, il suo sguardo e la sua voce erano un mare di calore e dolcezza. Parker sapeva di estate, di mare, di sole.

Ma era Max Parker. Io ero Evelyne Gray. Quindi quello era solo sbagliato. Non ero una cheerleader e non lo sarei mai stata e lui non era la persona giusta per me.

Ed amavo farmi del male. Assaggiare minimamente una cosa che non potevo permettermi di fare, assolutamente no. Per farmi, appunto, più male al momento di negarmela. Però avevo chiuso con le foto, con le cazzate, con gli errori.

Spostai il viso di lato fuggendo al bacio, fuggendo a Parker, fuggendo al “tutte” che aveva detto Clark, fuggendo alle conseguenze.

Conseguenze che non sapevo fossero già iniziate.

Parker si allontanò abbastanza velocemente. Io non avevo il coraggio di guardarlo e intanto tornavo a sentire il freddo dell'aria ormai invernale.

Quando tornai con gli occhi su di lui lo vidi pallido e fermo sul posto. Un bacio negato aveva quell'effetto sul ragazzo più popolare del liceo?

- Mi dispiace, ma... - cominciai perplessa, ma mi bloccai.

Si portò infatti una mano vicino alla bocca. - Credo di avere il vomito. - Riuscì solo a dire con un soffio.

Quello che seguì fu una corsa in casa. Billy mi aiutò ad assistere un Parker che per fortuna non vomitò.

Se lo avesse fatto mi sarei sentita in qualche modo offesa, pensavo ordinando casa sua, lui a letto, a dormire beato da un'ora.

Ero ben consapevole che quello di prima fosse stato solo un effetto dell'alcool: avrebbe baciato anche una scopa, da ubriaco, dai.

E sapevo anche che quella mia piccola esitazione non avrebbe avuto conseguenze.

Probabilmente non se lo sarebbe ricordato nemmeno.

Il brutto era che io lo avrei fatto. E me ne sarei vergognata per un'eternità: ricordando il tutto con ribrezzo.

Sospirai.

E mi sarei anche ricordata delle due ore passate a pulire.

E dell'odio che aumentava sempre più.





**Angolo autrice:

Eccomi di nuovo :)
Il capitolo alla fine è arrivato intero, perchè volendo con impegno dividerlo avrei dovuto usare fin troppo tempo ed energie e, con la febbre (perchè sono così sfortunata che se c'è un virus in giro io me lo becco) non ne avevo davvero la forza ... Quindi ho deciso per l'essere buona :3
Clark è odioso e detestabile e se fossi nella storia l'avrei già picchiato ripetutamente ma vabbè ... Kutcher invece è un altro dei miei adorati, nella storia, si vedrà spesso, insieme a Billy. Fate attenzione a Billy, è quello quasi silenzioso ma di certo tra i più perspicaci nella storia, ma ache tra i più enigmatici. Ma lo scoprirete più avanti :)
Riguardo agli asterischi che ho messo: il primo è per indicare la canzone "Princess of China" e il secondo sul gioco alcolico che si ritrovano a fare la festa. L'ho cercato e trovato tra i giochi più popolari in America, soprattutto nella zona di Ny e vicino quindi mi sembrava perfetto :D è uno di quei giochi idioti che divertono se li fai, più che altro, e se non sei costretta, come Evelyne, e se Parker non ti stressa, ovvio. (E povero Nicholas davvero.)
Dawn qua ritorna e ritornerà. E' la capo-cheerleader col radar-cerca-Parker, se non ricordavate. Innamorata follemente di questo qua da sempre e in parte un po' gelosa di Evelyne, si può notare. A volte mi dispiace un po' per lei, per i pensieri cattivi di Eve sul suo conto, ma cosa vogliamo farci. ahahahah
Per quanto riguarda il bacio, anche Evelyne, che può dire e pensare quello che vuole, trova bello il nostro castano, ma è sbagliato. Evelyne non è il tipo di ragazza che bacia qualcuno solo perchè è carino, se in realtà lo odia, e lo sa. Per questo deve rifiutare, soprattutto perchè lei non è giustificata da un bicchiere di Kutcher in più. 
Penso che ci fosse altro che volevo dire ma ovviamente me lo sono scordata ... Quindi saluto.

Col prossimo capitolo tarderò forse un po' di più, è ovviamente già scritto, ma c'è una parte che non mi convince più molto e ho intenzione di cambiare e se la febbre mi darà tregua e anche la scuola farò presto, sennò purtroppo dovrò farvi aspettare qualche giorno in più ... Ma alla fine ce la faccio sempre :)
Vi lascio con la stessa domanda indiretta che si fa Evelyne, Parker si ricorderà o no? E se sì, le dirà qualcosa? :D (si accettano scommessee! <- non verrò assecondata, lo so ... ahahahah)

Alla prossima :)
Buon weekend a tutte!

Josie.

 

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Capitolo 9
*** Sempre ***


 


(Grazie a Jess Graphic per la copertina :3)

8.Sempre


 

Sarebbe stato normale, ritornando a casa alle sei del mattino, crollare a letto e dormire fino alle due del pomeriggio, almeno.

Io invece arrivata a casa crollai sì sul letto - dopo essermi tolta tutto il trucco nero dalla faccia -, ma ...

Non riuscivo a dormire.

Mi rigiravo nel letto continuando ad avere flash della serata. Flash in cui la situazione cambiava leggermente o era identica. Poi mi svegliavo e guardavo l'orologio, poi di nuovo le stesse cose. Una situazione stressante che invece di farmi riposare aumentava quel leggero e ronzante mal di testa che era cominciato da qualche ora.

Alle 9 mi arresi definitivamente e dopo essermi fatta una doccia revitalizzante scesi giù a fare colazione.

In un certo senso vivere spesso da sola mi piaceva. Mi sentivo un'adulta autonoma, spesso, e in effetti avevo anche delle brutte responsabilità da adulta; ma, facendo colazione sempre da sola, cucinando nel silenzio, lì, in quei momenti, avrei voluto davvero avere una famiglia rumorosa. Di quelle con tre fratelli, anche quattro, grandi e piccoli, e animali e genitori indaffarati che gridano. Più semplicemente avrei voluto avere mia zia per buttarla giù dal letto e costringerla a fare colazione con me; farmi stritolare a letto da lei, convinta che così avrebbe evitato di svegliarsi.

Sospirai pensando che forse mi sarei dovuta arrendere e andare a vivere da lei a New York.

Se non fosse stato però per il giornale, che era l'ultimo anno, la borsa di studio così vicina; se non fosse stato per Francy.

Mentre mi versavo del succo all'arancia pensai a Parker. A Parker che avevo evitato di nominare anche solo col pensiero da quando ero uscita da casa sua.

Paker che almeno lui quel giorno, seppur col dopo sbornia, si sarebbe svegliato magari con la colazione pronta, fatta da sua madre, magari sentendosi sgridare per quei due bicchieri rossi della festa che avevo lasciato di proposito in cucina. Ma con sua madre e suo padre e una colazione calda.

Lo invidiavo.

Cominciai a bere e dalla famiglia di Parker, ai bicchieri, i pensieri, nel silenzio, passarono alla sua festa del giorno prima. Andai ad accendere la tv, per distrarmi, mentre abbastanza nitidamente mi veniva in mente la sensazione del muro di mattoni contro cui finivo, Parker che mi mordeva il collo. Mi corrucciai portando una mano lì, nel punto dove con i denti mi aveva stretto, seppur leggermente, la pelle. Mi aveva davvero morso il collo quello stronzo!

E mi aveva baciato, quello stronzo ...

Feci una smorfia bevendo il succo di nuovo e sedendomi a tavola.

Continuavo a muovermi ansiosa.

Cominciai così, sempre per colpa del silenzio tra una pubblicità di detersivi e un'altra, a chiedermi perchè l'avesse fatto. Schizzava a caso quel ragazzo?! Mi aveva di continuo definita brutta, fin dall'inizio, anche antipatica: l'unico modo per rendermi divertente era prendermi in giro. Cominciai a chiedermi se non mi avesse baciato proprio per quello: semplicemente per darmi fastidio e divertirsi. E fastidio in effetti me l'aveva procurato.

Mi resi comunque conto che non avrei mai saputo.

Per vari motivi: uno, perchè non gliel'avrei mai chiesto direttamente; due, proprio per darmi fastidio non mi avrebbe mai spiegato il suo gesto, probabilmente; tre, cavolo, forse nemmeno se lo ricordava.

Mi risollevai all'idea. Aveva bevuto parecchio e io pur non avendo esperienza in quel campo, non essendomi mai minimamente ubriacata, da film e telefilm sapevo che a volte si potevano avere dei buchi di memoria. Probabilmente davvero non si ricordava!

Ma se l'avesse fatto …

Impallidii.

Sembravo pazza ma mi preoccupai da sola.

Se se lo fosse ricordato, pensai per la prima volta, per divertirsi mi avrebbe di certo detto qualcosa e mi avrebbe tormentata a vita. Lui mi aveva baciata, ma lui non era stato nel pieno delle sue facoltà, io invece per quei pochi secondi gliel'avevo permesso. E per Parker probabilmente erano abbastanza.

Per fortuna non mi ero fatta baciare sul serio. Ero già nei guai per non essermi, stupidamente, spostata all'istante, picchiandolo; con un vero bacio sarei morta.

Morta io e probabilmente la mia reputazione.

Cercai finalmente di calmarmi, avevo afferrato il ripiano della cucina con fin troppa forza e le mie mani sudaticce non ne potevano più. Mi stavo semplicemente stressando troppo, probabilmente.

Dopo colazione mi misi a guardare telefilm a caso, sulla Fox, cercando di tornare ai miei soliti rituali, e poi mi abbandonai a spagnolo per il resto del tempo.

A pranzo mangiai porcherie e risposi ai messaggi di Francy che mi chiedeva curiosa del giorno prima: il mio racconto iniziò da quando Parker dormiva e io pulivo. Breve ed emozionante.

Rimase delusa, come aspettandosi chissà cosa. O aspettandosi quello che era mezzo successo. Ma io non avevo voglia e forza di raccontarlo, non quel giorno.

Parker non mi disturbò: emmeno il più piccolo e insignificante ordine o la minima e inutile faccenda.

Arrivai a cena senza aver ricevuto nemmeno un suo messaggio.

Ed era strano.

Arrivai a lavarmi i denti senza nemmeno un messaggio.

Ed era parecchio strano.

Arrivai a guardare il mio episodio di Dr. House quotidiano senza un messaggio.

E spensi il cellulare senza aver ricevuto niente tranne la buonanotte di Francy.

Dio se ero felice!


 

Il giorno dopo mi alzai però inquieta.

Avevo dormito e avevo anche dormito bene ma appena aperto un occhio mi ero sentita come male.

E mentre mi lavavo i denti avevo deciso: quel giorno avrei verificato, perchè non ne potevo più; il mio spirito da giornalista reclamava di sapere!

Arrivai a scuola in anticipo e marciai verso il bar. Avrei raccontato tutto a Francy e poi, poi avrei verificato, quel giorno, se Parker si ricordava qualcosa.

Perchè la cosa cominciava a ossessionarmi.

Entrai nel solito bar e passai davanti a Jack, alla cassa.

- Caffè? - Mi chiese mentre passavo, sorridendo tranquillo.

Scossi la testa continuando a camminare verso il solito posto.

Non avevo certo bisogno di caffeina.

Francy mi raggiunse poco dopo sbadigliante e la guardai sorpresa mentre si sedeva.

- Che c'è? - Domandò morendo evidentemente di sonno.

- Non hai salutato Jack ... - dissi quasi fosse stata un'offesa al normale funzionamento dell'universo. E in effetti lo era.

- Oh! - Fece pensandoci solo in quel momento e tornando indietro: per ordinare un caffè e una ciambella. Sorrisi, forse per Kutcher c'erano delle piccole speranze.

Quando si rimise al suo posto si sdraiò sul tavolo. - Sai che sono morta? E ho dormito il triplo di te ieri. - Rise.

- La vecchiaia - le feci distrattamente guardando fuori dalla finestra e ogni tanto lei.

La vidi inclinare la testa per fissarmi perplessa. - Che c'è? E ah! Dammi il vestito!

Obbedii e dopo lo scambio, il suo vestito tirato fuori dalla mia tracolla, dentro una busta di plastica, tornò a guardarmi perplessa.

Deglutii, tanto valeva essere chiare e tonde e partire subito con la tabella di marcia: - C'è una parte della festa che non sai - dissi ridacchiando.

Lei sobbalzò, sgranò gli occhi all'improvviso sveglissima. - Ommiodio! COSA?! - Urlò. Le feci cenno di starsene zitta e raccontai un po' a disagio.

- OMMIODIO! - Urlò di nuovo, rossa in faccia da quanto era gasata.

- Smettila! - La pregai appoggiando il viso sulla mano.

- E visto che mentiva quello stronzo?! - Esclamò ridendo, ma a voce più bassa. - Gli piacevi sì!

Sospirai guardandola scettica.

- Che hai intenzione di fare adesso? - Finì la ciambella in un boccone tutta allegra.

Feci spallucce. - Non farlo sapere in giro, salvarmi la reputazione. Quindi verificherò oggi se Parker se lo ricorda oppure no ...

Lei rise. - Ma è ovvio che se lo ricorda, Eve! Se fosse stato così ubriaco da non ricordarsi niente direi che non si sarebbe spostato, né sarebbe stato così, in parte, delicato; era abbastanza prudente e voleva vedere se ci stavi - disse convinta, tutto d'un fiato.

- Si è spostato per bene perchè aveva il vomito - le ricordai.

Mi fece un cenno come a dare a quel particolare poca importanza.

Poco dopo camminando per i corridoi, per la prima volta nella mia vita, e pensavo unica, ero io a cercare Parker.

Lo vidi dopo molte ricerche dagli armadietti, mettendo dentro qualche libro distrattamente. Sbadigliava stropicciandosi i capelli con l'altra mano. Billy lì di fianco, schiena contro il suo di armadietto, gli parlava senza però venir molto ascoltato.

- Okay, vado - dissi, sentendomi una kamikaze.

Francy mi bloccò per il braccio. - Sai che se si ricorda sembrerai bisognosa di attenzioni a causa del bacio e se non se lo ricorda sembrerai pazza?

La guardai male. - Ma basterà avvicinarmi e dopo comincerà a rompermi subito nel caso se lo ricordi! - Dissi convinta.

Francy alzò gli occhi al cielo, per niente d'accordo, poi mi lasciò andare e girò sui tacchi.

Alzai alto il mento e marciai verso Parker. Ero davvero una suicida in quel momento, ma DOVEVO sapere.

Billy smettendo di parlare e guardandosi intorno mi vide. Sorrise dicendo qualcosa a mezza voce senza muovere, a proposito, troppo le labbra. Parker si girò a guardarlo mentre chiudeva gli armadietti.

- Gray - salutò, continuando a sorridere, Billy, appena mi fermai davanti a lui.

- Hans - ricambiai incrociando le braccia.

Parker si girò a guardarmi appoggiandosi anche lui all'armadietto. Alzò le sopracciglia, scettico, l'espressione degli occhi era però divertita. - Come mai, Panda, oggi tutta questa fretta di vedermi? - Chiese.

Sorrisi acida, per non essere diversa dal solito. - Volevo solo chiederti se eri stato sgridato per i due bicchieri che mi sono ricordata ieri, di aver, sbadatamente, lasciato in cucina ... - spiegai fingendo un tono triste.

Lo sguardo divertito sparì e mi fulminò. - Scommetto che non ci hai dormito la notte per i sensi di colpa. - Mi sganciò lo zaino. - E comunque, brava, accompagnami- ordinò continuando con lo sguardo rancoroso.

Mi sorpassò e sorrisi: non aveva parlato di baci, né fatto nessun riferimento!

- Questo entusiasmo per uno zaino? - Fece Billy che era rimasto indietro e mi aveva vista. Sorrideva.

- Te lo immagini - risposi con una smorfia e seguii il suo amico.


 

- Parker! - Salutai di nuovo il castano per la terza volta quel giorno, la seconda l'avevo placcato durante un cambio d'ora.

In quel momento era in fila davanti a me alla mensa.

Mi guardò accigliato con la mela che avrebbe poi dovuto pagare in bocca. Se la tolse strappandone un pezzo. - Gray, ma stai bene? - Mi chiese prendendo della carne da aggiungere al suo conto.

Io presi delle patate. - Certo, perchè?

- Di solito mi eviti e devo correrti dietro, mi diverte di più - fece. - E visto che dubito che tu voglia farti perdonare per i bicchieri, non riesco a capir del tutto questo straaaano comportamento - mi guardò di sottecchi sorridendo.

Guardai la mia bottiglietta d'acqua mentre aggiungevo un piatto di pasta. Non risposi.

- O stai pensando a qualche modo subdolo per vendicarti - propose ancora avvicinandosi insieme a me alla cassa.

- Per cosa? - Chiesi in un singulto prendendo le posate di plastica e un bicchiere.

Rise. - Perchè ho svelato al mondo il mistero della tua verginità! - Ammiccò.

Lo guardai male. - Avevo rimosso - risposi fredda. - E poi chi lo dice? Potrei aver voluto fare da sostegno morale a Nicholas, forse, no? - Sbuffai.

- Dubito - fece lui andando alla cassa e pagando le sue cose. Mi guardò mentre metteva via il portafoglio e pagavo io. Sorrise come ad aggiungere qualcosa ma poi scosse la testa e senza salutare se ne andò.

Andai a sedermi al solito tavolo con Francy e Emily, quel giorno c'erano anche Nick e Luke.

Salutai in generale sedendomi di fianco alla mia darkettara preferita.

- Quindi? - Mi chiese cominciando a mangiare.

Sorrisi ottimista.

Luke tossicchiò attirando l'attenzione di tutti.

Io non lo guardai sapendo già di cosa volesse parlare, c'era un motivo se avevo cominciato ad ignorarlo particolarmente.

- Evelyne - cominciò. - Perchè l'altro giorno sei andata a casa di Parker? - Chiese diretto come al solito. Avevo iniziato a ignorarlo particolarmente da quando mi aveva vista sulla sua macchina.

Alzai lo sguardo fingendomi perplessa. - A casa di Parker? - Domandai con la forchetta in bocca. - Io?! - Lo guardai come se si fosse immaginato tutto.

Luke si corrucciò e conoscendolo un dubbio gli stava venendo - Ma io ti ho vista!

Feci una faccia da “boh” e riuscii a evitare miracolosamente l'argomento.

Luke abbassò gli occhi sul suo cibo e probabilmente si stava seriamente chiedendo se cominciava a immaginarsi le cose. Nick e Luke erano adorabili da convincere!

Venti minuti dopo, poco prima della fine della pausa pranzo, mentre stavamo per alzarci, Parker si avvicinò da dietro, mandando ovviamente a quel simpatico paese il piccolo teatrino che avevo appena recitato con Luke.

- Oh, Gray - salutò dandomi un buffetto sulla nuca.

Luke sbottò: - Cosa vuoi, Parker?! - Chiese cattivissimo come non era mai. Parker portò lo sguardo su di lui scocciato, scocciato di perdere tempo.

- Parlare con la Gray, forse? - Rispose con ovvietà.

- E perchè ultimamente siete sempre dietro a parlare? - Chiese l'altro quasi ringhiando. La gelosia da parte degli amici era qualcosa che non avevo mai ben capito. Sospirai.

- Luke, smettila - risposi io accigliandomi e facendo per alzarmi.

- Come? Non lo sai? Lo dicono tutti! Andiamo a letto insieme, ovvio - rispose Parker sorridendo ironico, peccato lo notassi più o meno solo io.

Francy rise, Emily e Nick sgranarono gli occhi e Luke diventò rosso.

In piedi diedi una spinta a Parker sul petto, senza come al solito muoverlo. - Ma taci, sfigato, che ci credono! - Urlai per farmi sentire dalle ragazze lì vicino che erano state a portata d'orecchio e ora ci guardavano con la stessa espressione di Nick ed Emily.

Parker sbuffò e mi prese per il polso trascinandomi via.

Fuori dalla mensa ci fermammo dopo aver percorso quasi tutto il corridoio. Mi guardai alle spalle per controllare che nessuno fosse lì vicino quando mi mollò.

- Rimani dopo la scuola - ordinò perentorio.

Tornai a guardarlo. - Perchè?

Si mise le mani in tasca facendo spallucce. - Perchè tanto tua zia non c'è, perchè sono bello, per la foto, perchè così mi porti la borsa con la roba e poi mi vai a prendere la cena mentre mi alleno! - E finì sorridendo allegro.

Ero contrariata ma almeno tutti quegli ordini, i soliti, mi rendevano sempre più tranquilla per la storia del giorno prima.

Le solite cose rendevano sempre tranquilli. Ed era inquietante che essere trattata come una schiavetta fosse ormai normale per me.

- Va bene - concedetti quindi.

Mi guardò in un modo che non capii. - Oggi sei strana. Fin troppo disponibile ... - dall'espressione sembrava indeciso se riderne.

- Sono sempre disponibile - feci mettendomi a camminare per la mia prossima lezione.

Questa volta rise. - Potrei darti un paio di esempi che dimostrano il contrario.

Lo guardai mordendomi l'interno della guancia, mi seguiva sorridendo sotto i baffi - baffi metaforici.

- Che esempi? - Chiesi socchiudendo gli occhi.

La campanella suonò. Lui fece una faccia esageratamente sorpresa per quel suono e con un gesto della mano salutò per poi andarsene.

Mi inumidii le labbra guardandolo andare via.

Che esempi? 


 

La campanella di trigonometria, ultima ora, era suonata da un po' e io come al solito, dopo aver salutato Francy, riempivo con i libri, lentamente, la tracolla aspettando che Parker due file dietro di me si liberasse dei suoi amici.

- Ed è inutile che fai finta di niente, Gray, sappiamo chi aspetti - fece Clark mentre mi passava di fianco.

- Geloso che non ti caga nessuno - rispose Billy andandogli dietro e facendomi un mezzo sorriso. Stava diventando stranamente amichevole quel ragazzo.

- Sì sappiamo tutti che ami la Gray segretamente! Ma a lei piace la vagina, su, fattene una ragione - disse Parker avvicinandosi a me e scuotendo la testa.

- La smetti?!- Gli urlai dandogli una botta con la tracolla.

- E' la tua frase preferita? E che pesa, Gray, non si può dire niente. - Sospirò uscendo anche lui dalla classe.

- Non sono pesante! - Feci seguendolo irritata.

- Visto? Continui? - Sorrise guardandomi dall'alto.

Mi zittii per non dargli altre soddisfazioni e lui andò dagli armadietti. Billy, che aveva quello di fianco al suo - secondo me avevano pagato qualcuno per riuscire ad avere gli armadietti l'uno vicino all'altro -, stava tirando già fuori la sua borsa da basket.

Tutti e due, dopo aver fatto, mi porsero la borsa.

- Starete scherzando - feci seria guardandoli. Prima uno sguardo agli occhi marroni come i miei poi ai verdi.

Loro sorrisero contemporaneamente in risposta e fu molto inquietante.

Li seguii fuori dall'edificio con le due borse, pesanti quanto lo zaino di Parker era sempre leggero.

- Non ci sono le cheerleader, vero? - Chiesi prima di passare per la porta grande, verde, della palestra.

Billy rise, mentre Parker snobbò la mia frase entrando.

- Quanto odio verso quelle povere ragazze! E comunque no, ci alleniamo in giorni diversi: Dawn disturbava di continuo Parker non facendo allenare né noi né loro - spiegò quello rimasto.

Feci una smorfia entrando, Billy sorrise guardandomi e prendendo le due borse. - E Parker detesta Dawn. Dice solo che è scopabile, soprattutto per le tette, ma preferisce altre ragazze di solito - lanciò lì la frase con noncuranza, sorridendo. Poi fece per andarsene.

Lo guardai andare via sorpresa. - Ma non mi interessa! Hans, non farti una cattiva idea!

Lui mi ignorò.

Indignata per Billy che aveva scambiato il mio generico odio per gelosia, andai verso le gradinate e mi sedetti scocciata. Ci mancava solo quella.

E intanto mi aspettavano praticamente due ore di allenamento. Entusiasmante.

Parker uscii tra i primi dallo spogliatoio, stropicciandosi i capelli come sempre e appena mi vide fece per venirmi incontro. Aveva la solita maglietta e i soliti pantaloncini da basket, rossi, il colore della scuola.

Odiavo il basket e odiavo quegli esserini rossi e odiavo il castano che si avvicinava sorridendo.

- Quando comincia a farci fare la partita alla fine, vai al cinese in centro a prendermi del cibo? - Chiese ma stava ordinando. Si appoggiò al cancelletto che divideva il campo dagli spalti e mi lanciò il portafoglio che aveva in mano.

Lo presi con un po' di difficoltà al volo e lui rise della mia goffaggine. Scocciata chiesi cosa voleva.

- Prendimi una doppia razione di involtini e pollo alle mandorle - cominciò a elencare gongolante, con lo sguardo in alto, pensando. - Poi una solo di riso primavera-. Sorrise contento mordendosi distrattamente le labbra guardandomi. Sembrava un bambino.

Feci mente locale e nonostante tutto mi sfuggì un sorriso. - Sai che è molto vero?

Lui sorrise. - Ho sempre molta fame, cosa credi? E stai di nuovo diventando simpatica col ricattatore! - Mi avvertì con un cenno ammiccando e poi andando verso i suoi compagni di squadra.

Mi accigliai e assunsi un'espressione acida facendo mente locale di mantenerla.

Iniziarono un allenamento che a vederlo era molto noioso.

Soprattutto perchè speravo di continuo che Parker sbagliasse qualcosa ma … Era praticamente infallibile: in ogni passaggio, in ogni tiro; era anche carismatico e l'allenatore, il mister Pitt, non faceva quasi niente e se ne stava seduto soddisfatto a bordo campo osservandoli, Parker infatti dirigeva l'allenamento tranquillamente.

E gli piaceva davvero, osservai, vedendolo correre verso il canestro in un due contro uno e riuscire a fare punto. Appoggiai il viso sulla mano guardandolo e vedendolo sorridere. Un sorriso sincero non di quelli ironici che mi rivolgeva di continuo.

Dopo un po' che osservavo solo il castano distolsi lo sguardo guardando gli altri e colsi Billy con gli occhi puntati su di me mentre faceva la fila. Aveva un leggero sorriso e quando incrociammo lo sguardo alzò le sopracciglia. Mi stava chiaramente dicendo "beccata".

Gli feci un'altrettanto chiara smorfia di disgusto sperando che la notasse anche a distanza.

Lo vidi sbuffare tornando a guardare verso il canestro. Incrociai le braccia, sentendomi offesa, e Parker non lo guardai più.

Iniziò la partita poco dopo e senza nemmeno guardare se lo stronzo mi faceva un segno cominciai a scendere le gradinate.

Mentre camminavo lungo la ringhiera si sentì la voce del mister risuonare per la palestra, forte: - Ehy, ma è la Gray del giornalino? - Chiese ridendo.

Mi voltai verso la squadra e tutti mi guardavano. Sembrava che le luci, puntate sul campo non mi avessero fatto notare a molti.

Mister Pitt era il tipico allenatore di Basket, aveva giocato a basket, suo figlio giocava a basket, suo padre aveva giocato a basket, suo nipote avrebbe giocato a basket.

- Sì - risposi tranquilla, una mano già sul maniglione anti-panico della porta verde.

- Come mai qui? - Chiese l'allenatore mentre i suoi giocatori si disponevano tranquillamente in due squadre.

- E' una stalker - spiegò Clark ad alta voce.

Alzai gli occhi al cielo perchè la battuta non faceva ridere e uscii ignorando tutti, anche il mister.

Mezz'ora e qualcosa dopo arrivai con le buste del cinese.

Scocciata entrai nella palestra e le luci erano molte di meno, alcuni stavano uscendo dallo spogliatoio già vestiti.

Andai a appoggiarmi contro la ringhiera e tutti mi guardavano curiosi, ma per fortuna il mister se n'era già andato, era l'unico che avrebbe potuto parlarmi e non ne avevo voglia.

- Gray, Parker arriva, è rimasto solo lui dentro - disse Billy, l'avevo notato solo quando si era fermato davanti a me, e avevo dimenticato che anche lui mi rivolgeva la parola.

Annuii tranquilla.

Mi sorrise come per dire qualcos'altro ma esitò e mi salutò e basta andandosene.

Poco dopo Parker uscì dalla porta con la sua borsa, aveva anche delle chiavi in mano e sembrava divertito per qualcosa.

- Gray, ti va di fare la teppista? - Chiese sorridendo e raggiungendomi. Adesso capivo per cosa …

Feci una smorfia in risposta.

Lui sbuffò roteando gli occhi verdi al cielo. - Beh, ti obbligo!

- Sei uno schiavista, sfruttatore e ti odio - dissi acida d'un fiato.

Lui rise. - Così ti voglio! - Esclamò prendendomi per un polso.

Mi ribellai leggermente alla presa senza però molti risultati. - Dai, cosa vuoi fare? - chiesi alla fine arrendendomi: con Parker non c'era mai niente da fare.

Lui non rispose e andò verso le gradinate, ma non girò per cominciare a salirci, andò anzi di fianco a quelle e mi fece notare una porta mimetizzata - colorata di grigio come le scale -, poi mi guardò entusiasta, io ricambiai l'occhiata perplessa.

Mi ignorò scocciato all'idea di dover spiegare e con la chiave aprì la porticina, alla fine mi ci spintonò dentro.

Era un modesto - di dimensioni - sgabuzzino. Parker mise la borsa dentro insieme a me e rimase a guardare in attesa verso la porta della palestra.

Non dissi niente sapendo che tanto non mi avrebbe spiegato finchè non ne avesse avuto la voglia.

Poco dopo si sentì la porta principale della palestra aprirsi; Parker sorrise entrando anche lui e chiudendosi lentamente la porta dietro.

Dentro lo sgabuzzino ci fu subito un buio totale. Deglutii sentendo Parker sistemarsi bene e venendomi in parte addosso.

C'era il solito odore fruttato di lui che aleggiava nello spazio piccolissimo, più intenso visto che era probabilmente uscito dalla doccia da poco.

Fuori si sentirono le luci della palestra spegnersi. E lamentele.

- E' Joe? - Chiesi sussurrando.

Parker ridacchiò e sentii il suo fiato sulla testa. - Sì! Aspettiamo che se ne vada e poi accendo una luce.

- Ma perchè? - Chiesi alzando, seppur alla cieca, lo sguardo.

- Perchè ceniamo sugli spalti. Ne avevo voglia, Billy non voleva e ti sfrutto per la compagnia - spiegò. - Anche se brutta compagnia, in effetti ...

Prima che potessi ribattere sentii la sua mano toccarmi la pancia.

- Cosa fai?! - quasi urlai a voce abbastanza alta sobbalzando.

Mi zittì ridendo. - Ci sente Joe!

- Non me ne frega niente! - Ma abbassai la voce. - Non puoi toccarmi così! - Spostò la mano, dopo il mio piccolo schiaffetto, verso il mio braccio e arrivò alla borsa di plastica col cibo. La prese.

- Stavo cercando di raggiungere la busta, volevo vedere se c'erano anche le lattine! - Spiegò con voce ovvia. - Poi queste lamentele improvvise - commentò scettico.

- Cosa improvvise? - Ribattei impuntandomi sui piedi, anche se non poteva vedermi.

Lui mi ignorò. Sentii la plastica spiegazzarsi mentre lui probabilmente infilava la mano dentro per controllare.

- Sei un'idiota - mi apostrofò all'improvviso.

- Che ho fatto? - Chiesi sentendo altre luci e porte.

- Ti hanno dato due lattine vero? - Sbuffò.

- Sì - confermai cominciando lentamente ad abituarmi al buio e notando il contorno della figura di Parker.

Lui, probabilmente vedendo come me, mi afferrò una guancia dandomi un pizzicotto, io mi lamentai. - E tu ne hai data via una perchè sei idiota e non hai capito che ti stavo offrendo la cena, sfigata!

- Se non me lo dici non lo cago mica! - Gli spostai la mano irritata. - Poi non è normale che mi offri qualcosa e ...

Parker appoggiò delicatamente la busta per terrà, poi avvicinò la testa alla porta. Non mi aveva nemmeno ascoltata, sbuffai rinunciando e mettendomi anch'io in ascolto.

Si sentì Joe che si lamentava, spegneva l'ultima luce e poi si chiudeva dietro la porta della palestra.

Parker si mosse e poco dopo una luce illuminò lo sgabuzzino e ovviamente me la puntò contro accecandomi.

- La app lanterna dell'iphone! - Sospirò come incantato.

- Si, spostala da me però!

Rise aprendo la porta. Tirammo fuori la sua borsona e il mio zaino, lasciandoli di fianco alla porta. Seguii poi Parker abbastanza da vicino, guidati dalla luce e io più che altro ero interessata a quella: il buio non lo amavo e quello che ci circondava era assoluto, se non per la piccola luce lunare che entrava leggermente dalle piccole finestre, davvero poca. Gli stavo attaccata anche perchè sapevo che nel caso Joe fosse tornato lui avrebbe saputo come e dove scappare, al contrario di me.

Mi diede un'occhiata mentre passando per una porta entravamo nel corridoio degli spogliatoi; sorrise.

- Sai ... - cominciò con voce bassa, adattissima al buio e al silenzio. - E' morto un ragazzo anni fa in questi spogliatoi ...

Rabbrividii ma cercai di non darlo a notare. - Parker, non sono idiota, so che vuoi spaventarmi. - E in effetti un po' ci riusciva.

- Era perseguitato dai bulli - continuò ignorandomi. - Così tanto perseguitato che un giorno alla fine delle lezioni decise di suicidarsi in uno di questi spogliatoi.

Trattenni il respiro.

- Adesso dicono che, di notte, si diverta a perseguitare i poveri ignari, come facevano i bulli con lui.

Ridacchiai rendendomi conto che la storia era inverosimile, ma comunque nervosa. - Perchè ci sono spesso dei poveri ignari - dissi citandolo. - In questa palestra? Di notte?

Lui fece spallucce e arrivato in fondo al corridoio aprì lo sportello delle illuminazioni. - Forse della gente si imbosca di notte come abbiamo fatto noi - propose osservando bene le levette.

Storsi la bocca. - Noi non ci siamo imboscati!

- Era per dire che gente è venuta qua, quand'era già buio, come noi. - Sbuffò alzando una delle levette più piccole.

Nella palestra si accese una luce con uno schiocco sonoro; ne alzò un'altra e si accese anche quella a metà del corridoio dov'eravamo noi.

Mi girai guardando la lunga strada appena fatta, molto inquietante con quell'unica luce; il rumore vibrante del neon rimbombava sordo.

Osservai poi Parker, che dopo l'oscurità sembrava anche più biondo. - Adesso?

Ignorò la domanda come faceva spesso. - Eri più bella al buio - mi disse prendendomi la busta e sorridendo scettico.

- Per questo mi palpavi? - Chiesi acida.

Lui rise allontanando la busta, che aveva annusato come un cane, e cominciando a camminare. - Ti ho toccato la pancia, ommiodio!

- Certo! - Sbuffai per non pensare al buio.

Andò spedito verso le gradinate, nella piccola e unica zona abbastanza illuminata, scavalcando la ringhiera. Arrivato lì mi aspettò mentre affrettavo il passo per raggiungerlo, non volendo stare da sola nel campo da basket oscuro.

- Poi non capisco nemmeno se hai le tette piccole o normali o che cosa perchè hai sempre magliette larghe e vestiti larghi! Quindi cosa vuoi che possa palpare - spiegò sedendosi.

Con parecchi sforzi cercai di scavalcare anch'io quella sottospecie di barriera. - E non devi capire niente - blaterai per lo sforzo.

- Hai tirato tu fuori l'argomento del palpeggio! - Alzò le braccia come discolpandosi.

Sbuffai arrendevole e stanca, per poi sedermi finalmente di fianco a lui.

Cominciò a tirare fuori le scatoline.

- Perchè solo una di riso? - Chiesi sorridendo mentre me la porgeva.

Fece una smorfia. - I piselli li odio e ho supposto che a te piacessero.

Lo guardai male. - Chissà perchè, eh?

- Si infatti, verginella - mi guardò divertito tirando fuori l'unica lattina e mettendola fra noi.

- Ti ho già detto ... - Mi interruppe alzando la mano di colpo.

- Non essere pesante e dammi il mio portafoglio! - Fece. - Ammettilo che volevi derubarmi ...

- No, semplicemente far vedere la foto della tua patente a tutto il mondo ma non ho fatto in tempo ... - Tirai fuori il portafoglio dalla tasca della mia giacca che avevo appena appoggiato lì di fianco.

- Nah, sono bellissimo come sempre, in quella foto, non l'avrai nemmeno guardata! - Sbuffò spostandosi un ciuffo di capelli con fare da star ocA.

Glielo porsi scettica.

Subito dopo tornò a trafficare con la borsa: tirò fuori gli involtini e poi le due scatolette con il pollo. - E vedi! Il tipo è stato più intelligente di te, ha messo tanti fazzoletti e due paia di bacchette. - E mi porse le mie guardandomi male.

- Ma taci! Poi dai a me della pesante - parlai un po' a fatica con le bacchette già in bocca. - E come faccio a mangiare il riso con queste?!

Lui mi guardò pensandoci. - Direi che ti tocca fare l'uomo e … usa le mani!

- Che consigli di merda ... - sospirai.

Fece un verso risentito mentre apriva la scatolina con gli involtini primavera. Si sistemò con le gambe, rannicchiandole contro il busto, seppur aperte, rivolgendosi verso di me. Lo imitai dopo aver visto che sistemava gli involtini lì in mezzo.

- Non so usare le bacchette però ... - Spiegai cercando con difficoltà di tirare fuori dalla scatolina il mio.

Parker rise. - Ma che imbranata! Guarda e impara. - Afferrò le bacchette con sicurezza e puntò all'involtino, lo sollevò tranquillamente. - Visto? - Fece sorridendo con superiorità. Quando diede un morso l'involtino schizzò però dall'alta parte e cadde per terra, in mezzo alle gambe aperte di Parker.

Lo sguardo tristissimo di lui che osservava il suo cibo per terra mi fece scoppiare a ridere.

- Spero tu non creda alla regola dei cinque secondi - augurai dandomi un contegno.

- Io sapevo che erano dieci - borbottò. Aveva la stessa e identica faccia, per la seconda volta, di un bambino a cui cade il gelato per terra, indeciso se tirarlo su o no.

Alzò lo sguardo verde sulla scatolina e poi su me.

Lo sguardo era proprio identico a quello di un bambino subito dopo la caduta del cibo: “voglio il tuo”, diceva.

Dopo una breve lotta che seguì immediatamente, Parker ed io stavamo mangiando l'involtino rimasto a metà, con le mani.

- Ed è la tua influenza che porta sfiga - si lagnò cercando di non far cadere almeno il contenuto di quello che era rimasto del suo antipasto.

- No sei sfigato e basto - sbuffai subito dopo aver mandato giù il morso.

Parker finì di mangiare l'ultima parte osservandomi divertito, io cercai di ignorarlo.

Finito anch'io l'ultimo boccone però mi chiamo: - Evelyne. - E osservandomi le labbra, si portò l'indice vicino alle sue, indicando un punto. Rimasi un attimo incantata ma poi con la lingua velocemente feci sparire quello che aveva notato.

- Salsa - commentò ovvio: l'avevo sentito dal sapore.

Quando tornai a guardarlo aveva ancora gli occhi verdi puntati sullo stesso punto.

Mi morsi le labbra a disagio e cercando di dissimulare aprii la coca-cola in mezzo a noi due.

Bevvi un piccolo sorso. - Vieni qua di fianco? - Mi chiese all'improvviso. Tornai a guardarlo perplessa ma lui era impegnato a osservare il riso.

Di controvoglia ma non dicendo niente, tanto sapevo che se mi fossi negata o gli avessi detto che doveva spostarsi lui avrebbe tirato fuori la storia della foto, feci come diceva.

- Cosa vuoi? - Chiesi stanca sedendomi a qualche centimetro di distanza da Parker.

- Provo il riso anch'io ed eri troppo lontana. Era troppo lontana anche la MIA coca-cola, in effetti. - Sottolineò l'aggettivo e me la prese di mano.

- Che possessivo! - Mi lamentai guardandolo male. Lui sbuffò osservando la lattina e la mise da parte.

Mangiammo tranquillamente il riso senza stuzzicarci molto più del solito.

- Non puoi mangiare con le mani ho detto! - Gli urlai di nuovo mentre ci riprovava, ridendo però.

Dopo il terzo tentativo alla fine si arrese. E risi di nuovo.

La situazione stava diventando strana. L'atmosfera era quasi pacifica, quasi piacevole, ma non avevo tempo e voglia di farci caso.

- Il pollo posso? - Chiese passandomi la mia scatolina e prendendo la sua.

- E' tuo, fai quel che vuoi! Poi se ti prendi qualche malattia strana non provare a parlarmi di foto né niente perchè non verrò a curarti! - Precisai, sfoderando le bacchette.

Lui sbuffò divertito arrendendosi alle bacchette.

- Beh questo è buono - feci dopo un paio di pezzi. Lo sentii fare un suono di assenso e mi sporsi, senza guardarlo, per prendere la lattina che aveva messo dietro di lui. Bevvi ancora.

- Guarda che stai bevendo più di me! - Mi sgridò.

- Che egoista e possessivo! - Dbuffai di nuovo, sorridendo dopo aver finito di bere.

Lui me la prese facendomi il verso. Misurò quanto ce ne fosse fulminandomi, facendola ondeggiare a destra e sinistra, per poi bere un po'.

Lo guardai male, più scherzando che altro. La sindrome di Stoccolma - che nel mio caso prevedeva la simpatia, non l'innamoramento - peggiorava. - No aspetta da lì ci devo bere anch'io! Conoscendoti potrei prendermi la mononucleosi o direttamente la sifilide, in qualche modo! - Commentai facendo la schifata.

- Addirittura? - Chiese ridendo e guardandomi divertito.

- No, davvero! Chi hai baciato recentemente, perc ... - Non finii rendendomi conto, sentendo la mia voce dopo aver parlato, di quello che avevo appena detto. - Vabbè, niente - feci velocemente guardando il pollo e osservandolo come qualcosa di strano.

- Recentemente? - Chiese con una voce pensosa, abbastanza tranquilla.

Sospirai mentalmente chiudendo gli occhi. Era andata. Sorrisi leggermente alzando lo sguardo pronta ad ascoltare l'elenco. Non si ricordava davvero e avevo un culo della madonna. Ogni tanto, almeno.

Ma l'espressione pensosa, con lo sguardo distolto che mi ero aspettata di trovare in Parker non c'era.

Riusciva a modulare perfettamente la sua voce. Aveva infatti le sopracciglia sollevate, e sorrideva apertamente, si era trattenuto apposta dal ridere. Impallidii.

Quella faccia diceva tutto.

Ed era brutto rendersi conto che si ricordava in una palestra buia, soprattutto visto che gliel'avevo ricordato di preciso io.

- Con la lingua o a stampo? Perchè la risposta cambierebbe - aggiunse annuendo con una corta risata.

- Prendimi poco per il culo perchè non succederà mai più - tagliai corto, rossa in faccia, e anticipando qualsiasi cosa.

Rise. - Era solo un bacio, Gray, praticamente a stampo, da bambini - commentò con la voce bassa che gli avevo sentito usare alla festa. - Ero anche brillo ...

Tornai a guardarlo. - Sì, lo so, e ripeto che non succederà più - ridissi cercando di sembrare più tranquilla.

Mi sorrise, un sorriso improvviso di sfida che non prometteva bene. - Quindi se io ci riprovassi, adesso, non ci staresti?

Lo guardai presa alla sprovvista.

- Sai che credo di sì? - Mi sfidò.

- Parker, abbassa la cresta, non piaci a tutte. - E gli rubai la lattina.

Rise. - A te piaccio - disse tranquillo e lo guardai male. - Forse caratterialmente non molto, forse per niente in quel senso. Ma fisicamente sì.

- Non mi piacciono le persone solo per l'aspetto fisico. Se mi piace qualcuno è anche per com'è lui, dentro - lo corressi, guardandolo negli occhi seria.

Fece spallucce. - Allora diciamo che sei attratta da me, fisicamente. - E mi sondò con gli occhi.

Li mantenni fissi per non mostrarmi esitante anche se all'allusione avevo un attimo traballato imbarazzata. - A me non sembra. - E riuscii a sbuffare.

- Ti incanti - disse sorridendo lieve ma convinto.

Sbattei le palpebre più volte, presa di nuovo alla sprovvista.

- A volte, quando mi guardi negli occhi, o quando mi spettino perchè sono stanco. Ti incanti per un po' e poi torni come prima, spesso più acida - spiegò osservando il suo cibo, tranquillo, mentre esponeva la sua teoria.

Mi ero in effetti resa conto di aver fatto qualcosa del genere due volte, tre massimo … Ma non distolsi lo sguardo per non dargliela vinta.

- Mi incanto a volte guardando Hoppus, quindi non c'entra. - Guardai verso la porta verde, cominciando a elaborare un qualche piano di fuga che non peggiorasse poi la mia situazione.

Sbuffò scettico e lo sentì tornare a usare le bacchette.

Lo guardai di sottecchi. - E poi, an ... - Ma cambiai idea.

Mi guardò sorridendo ironico. - E poi?

Scossi la testa distogliendo lo sguardo.

- Che codarda - mi provocò.

- Non sono una bambina, non ci casco.

Stava per ribattere quando sentimmo un rumore strano.

Sobbalzammo entrambi guardando verso la porta della palestra verde. Il rumore era venuto da là, neanche il mio sguardo di sfuggita di prima avesse richiamato qualcuno.

- Corri! - Fece subito Parker prendendo su il suo pollo e la coca-cola e saltando giù dalle gradinate. Io afferrai al volo la giacca con la mano libera e lo seguii, il cuore che all'improvviso si era messo a battere ai mille.

Lui corse subito verso la sgabuzzino di prima e velocemente lo aprì, quando lo raggiunsi aveva appena aperto e mi spintonò dentro; contemporaneamente la porta della palestra venne spalancata.

Parker entrò nello spazio stretto e rise a voce sommessa mentre mi finiva addosso per la fretta, lo allontanai con le mani per non soffocare. -E' Joe?!

- Sì - mi sussurrò. - Avrà visto le luci da fuori … Non pensavo fosse così attento, insomma, hai visto com'è, dai - continuò a voce molto bassa e col respiro più veloce del solito.

- Chi è là? - Urlò il bidello e il rimbombo per la palestra si sentì anche nello sgabuzzino.

- Spero non faccia caso alle borse e vada a spegnere le luci ... - fece così piano che quasi non riuscivo a capirlo.

- Se le vede? - Chiesi preoccupata e in ansia all'idea di venire scoperta.

Parker non rispose e rimanemmo in ascolto.

Ansiosa e il petto che rimbalzava per la paura pensavo alle eventuali conseguenze: Joe forse non l'avrebbe detto a nessuno se l'avessimo beccato di buon umore, osa però molto rara; oppure senza nemmeno ascoltarci avrebbe chiamato addirittura la preside. Che figura avrei fatto ad essere beccata lì, con Parker, di nascosto in una palestra quando a quell'ora tutto doveva essere chiuso?

- CINESE! - Lo sentimmo urlare arrabbiatissimo: il bidello aveva evidentemente visto le cose che avevamo abbandonato per la fretta.

Parker soffocò una risata. Anche se lo spazio senza le borse era di più ce l'avevo quasi del tutto addosso e la risata soffocata sembrò quasi raggiungermi fisicamente. - Ops - fece.

Cercai di nuovo di allontanarlo. - Almeno non ha visto le borse … E come facciamo a capire quando possiamo uscire senza che ci veda?

Parker non rispose di nuovo e mi irritai.

Si sentirono passi pesanti e arrabbiati e una luce schioccò spegnendosi.

Parker velocissimo si staccò da me afferrandomi per un polso. - Adesso! - Aprì la porticina non preoccupandosi nemmeno di far rumore e correndo mi trascinò verso la porta verde; correva troppo veloce per me e quasi mi fece cadere, non riuscendo con le mie gambe a stare dietro ai suoi passi.

Joe intanto nel corridoio degli spogliatoi, per fortuna abbastanza lontano, cominciò a correre sentendoci e facendo traballare rumorosamente il mazzo di chiavi, sempre attaccato ai pantaloni.

- Lo zaino! - Mi urlò ridendo e prendendo la sua borsa.

Lo presi subito e corsi dietro di lui fuori dalla porta. Correva come un idiota e si fermò solo fuori dal cancello del polo scolastico in un angolo riparato e leggermente nascosto. Lo raggiunsi ansimando poco dopo: io non facevo sport ed ero decisamente fuori forma.

Normalmente sarei stata arrabbiata con lui, ci eravamo quasi fatti beccare, insomma, ci avrebbero anche beccato se Joe non fosse stato stupido. E poi cosa gli avremmo detto?! Cosa avremmo detto, nel caso, alla preside?!

Ma scoppiai a ridere.

Parker si appoggiò al muro lasciando cadere la borsa, aveva le guance arrossate per la corsa al freddo, la felpa della squadra di basket era dentro la borsa ed era solo in mezze maniche. Sorrise divertito guardandomi. - Ho rovesciato quasi tutta la coca-cola ma vabbè!

Risi ancora. - Mi sento troppo una cattiva ragazza!

Lui scoppiò fragorosamente a ridere, in un modo sincero che forse non gli avevo mai visto rivolgermi. - Per così poco? - Riuscì a chiedere.

Risi di nuovo anch'io e ancora col sorriso pieno sulle labbra ci guardammo.

Ci guardammo in modo strano: entrambi con gli occhi lucidi per la corsa, divertiti per la stessa cosa, forse per l'unica volta in una specie di tregua. Non esisteva la storia della foto in quel momento.

Ma queste realtà parallele, momenti del genere, non duravano per sempre: di solito pochi secondi.

- Per così poco - ripetei respirando già normalmente e tornando anche a un'espressione normale, che non faceva male alle guance. Tornando al nostro mondo, abbastanza violentemente.

Parker sospirò e cominciò a raccogliere le cose. - Direi di tornare a casa allora, prima che al vecchio idiota non venga l'idea di controllare qua intorno - propose, tranquillamente, aprendo la sua borsa e tirando fuori la felpa.

Annuii e basta anche se non mi stava guardando. - Domani - aggiunsi dopo un poco, a mo' di saluto, sistemandomi alla ben e meglio il poco cinese sopravvissuto tra le mani, insieme a giacca e resto.

Fece solo un verso in risposta e nemmeno mi guardò.


 

Camminai lentamente, infreddolita, nel parcheggio. La mia macchina, come al solito, agli antipodi dal cancello dell'entrata scolastica, vicino al bar. Mi si dipinse automaticamente una smorfia vedendo chi c'era fuori dal locale.

Ci mancava solo quella per chiudere in bellezza il pomeriggio.

Clark era appena uscito con un bicchierone enorme di caffè. Il buonissimo caffè di Jack nelle mani di quell'essere odioso.

Aumentai leggermente il passo solo per arrivare alla macchina prima che potesse vedermi o dirmi qualcosa. Speranze vane ovviamente.

- Gray!

Ecco, appunto, Dio, uccidimi, pensai alzando gli occhi al cielo, le chiavi che stavano aprendo in quel momento la portiera.

- Sì, Clark, sono di fretta, scusa - cercai di scaricarlo subito con un sorriso acido.

Lui rise. - L'ha fatto? - Si avvicinò velocemente, sempre col suo bel caffè caldo che emanava nuvolette in aria.

Cosa?

- Eh? - Lo guardai interrogativa ma aprendo la macchina: pronta a fuggire.

- Parker! - aggiunse come se avessi potuto capire.

- Clark, già quando parli chiaro e tondo non sei umanamente comprensibile, quindi non so ...

Mi osservò divertito bevendo il suo caffè e mandandomi su tutte le furie, ma alla fine ce la fece a parlare: - Ti ha baciata?

Rimasi un attimo di stucco.

- Sai il nostro discorso alla festa? Che dicevi che con Parker non ci saresti mai stata? Ci abbiamo poi scommesso sopra e aveva fino a stasera di tempo per farcela: ce l'ha fatta? - Chiese di nuovo, ridendo.

Ero sorpresa, decisamente, ma non troppo da non entrare in macchina subito dopo e sbattere il più forte possibile la portiera: quasi sperando che l'impatto potesse far male a quei due ragazzi.


 

C'erano varie conclusioni e considerazioni, alla fine.

Le trassi in macchina, tornando a casa.

Una era che il bacio della festa a Clark non era stato raccontato: probabilmente per l'ego di Parker non bastava, povero. E che fosse stato dato, non per uno schizzo alcolico ma per una scommessa, mi infastidiva. Mi infastidiva fino a un livello anormale, insopportabile.

Secondo: in palestra, per l'allenamento e dopo, non ero stata chiamata per compagnia ma di sicuro per finire la scommessa ed era terribilmente pessimo.

Terzo: non capivo solo perchè non ci avesse riprovato, sapevo solo che il non averlo fatto fosse, ironicamente, commovente.

Ce n'erano poi tante altre, ma tutte portavano a un'unica conclusione, alla principale: odiavo Parker.

Dovevo imparare che, in ogni e singolo caso, quel pensiero sarebbe dovuto rimanere fisso. Sempre. Perchè Parker non era diverso da quello che era sembrato subito, non era diverso dall'idiota ragazzo popolare che avevo sempre visto: bello, egocentrico, stupido e vuoto.

Sempre, Evelyne.

Lo sarebbe stato sempre, quindi io non dovevo assolutamente cominciare a pensarla diversamente.

 


 

*Angolo autrice:

Salve a tutte!
E scusate il ritardo ... Ma vi ricordate la mia febbre? E' durata fino a questi giorni (e sapete la famosa mononucleosi che ho già nominato? Beh scrivere questi capitoli mesi fa e nominarla deve avermi portato sfiga perchè me la sono presa -.- non so come poi, ma vabbè ...).
Fatto sta che sono stata per lo più male e solo adesso ho trovato il tempo di revisionare, modificare quello che dovevo modificare e alla fine pubblicare.
E' un capitolo particolare. Ci sono tante cose.
Non so cosa possiate pensare adesso di Parker e di quello che ha fatto e detto Evelyne, ma in particolare di Parker, che diciamo non si è comportato, di nuovo (è lui, non sono io!), tanto bene. Ahahahah
Però scusate ma io, quando è se stesso lo amo. Col cinese e tutto gli sarei saltata addosso <3 Ma vabbè io sono di parte :DD
Fatemi sapere cosa ne pensate, se la storia continua a piacervi o cosa, ditemi, che a me fa solo piacere :)
A presto, davvero.

Josie.

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Capitolo 10
*** Verde Natalizio ***



(Grazie a Jess Graphic per la copertina :3)

9.Verde Natalizio


 

Mancava un solo giorno alle vacanze di Natale.

Non vedevo l'ora che la scuola finisse per vari motivi: primo, avrei rivisto mia zia, passando le due settimane a New York, nel suo piccolo ma caldo appartamento; secondo, avrei riposato e approfittato del tempo libero, di solito e ultimamente così raro, per leggere un libro nuovo che avevo preso in prestito e quindi rilassarmi; e terzo, mi sarei allontanata da Parker. Il terzo e ultimo punto aveva notevole importanza e solo quello mi sarebbe bastato a rendere quelle vacanze rosee.

Mancava un solo giorno alle vacanze di Natale ed era quindi passato un mese buono, di più, dall'Episodio.

L'Episodio non era in realtà solo una cosa, ma era il termine che Francy ed io utilizzavamo per riferirci a "Quello che era successo" in una certa via, dopo una certa festa - senza specificare bene -, e quello che sapevamo avesse provocato l'accaduto: tra le varie cose c'era l'entusiasmo di Francy per Parker che si era spento abbastanza bruscamente appena le avevo riferito la conversazione con Clark.

- E' storto - commentò una voce sotto di me. Voce familiare e odiata.

Non abbassai neppure lo sguardo e non risposi.

Era passato più di un mese e in buona parte di quelle settimane il bidello Joe aveva cercato, con fare all'inizio arrabbiato, poi minaccioso, alla fine disperato, i due teppisti che aveva intravisto a Novembre, nella palestra, i suoi “Cinesi”, come li chiamava lui. Come se solo i cinesi mangiassero cinese. I ragazzi asiatici presenti nella nostra scuola erano stati presi di mira da lui e la sua scopa.

Ma insomma, aveva cercato i colpevoli e mentre li cercava io mi ero offerta come volontaria per i suoi lavoretti, per cui cercava sempre aiutanti provvisori perennemente inesistenti: mi sentivo infatti in colpa e con quelle piccole cose cercavo di discolparmi, come se fossi stata beccata e messa in punizione.

Per quello in quel momento, a Dicembre inoltrato, mi trovavo su una scala, portata nell'atrio, per aiutarmi a sistemare una striscia verde, con scritto “Buon Natale”, che fosse ben e ben visibile dall'entrata.

Una coglionata, oltretutto, perchè nessuno l'avrebbe considerata, ma i miei sensi di colpa vincevano.

- Più in alto - continuò testarda la voce.

Obbedii con una smorfia, alla fine e Parker sotto la mia scala rise. - Perfetto!

Dopo l'Episodio, dopo l'Episodio Parker l'avevo trattato, dalla volta dopo, nel solito modo.

Insomma, più o meno.

Per le prime due settimane avevo evitato anche solo di guardarlo in faccia, offesa in qualche strano modo che non riuscivo a capire. Dalla terza settimana in poi avevo, più o meno, rivisto quell'odioso - perchè ormai era odioso - verde dei suoi occhi. Solo dalla quinta però avevo accennato qualche sorriso, dopo qualche battuta particolarmente azzeccata.

In tutto quel tempo lui aveva continuato come se niente fosse, con i suoi incarichi idioti a sfruttarmi e a guardarmi scocciato quando lo ignoravo. Scocciato, ma lui sapeva perchè mi comportavo così. Quello che sembrava non capire era che io volevo scuse.

Ed era passato più di un mese e niente del genere era arrivato, né sarebbe mai arrivato.

- Adesso sarà storto - commentai abbassando lo sguardo verso il castano.

Fui presa da un leggero senso di vertigini mentre lui mi faceva la linguaccia.

- E' perfetto! E non mi cadere che dopo potrei finire accusato di omicidio!

Fui indecisa per un attimo se buttarmi di proposito dopo quella frase, ma non c'erano testimoni e sarebbe stato solo dolore inutile.

Quando ritornai coi piedi per terra, senza nessun salto, osservai lo striscione: andava benissimo. Mi girai a guardarlo scocciata, lui aveva già lo sguardo puntato di me e si dondolava sul posto sorridendo. Cosa avesse non lo sapevo.

- Cosa ci fai ancora qua? - Chiesi piegandomi e sollevando lo scatolone con le decorazioni.

- Avevo allenamento - spiegò. - Ma il mister non si è presentato e gli altri se ne sono tutti andati. - E sbadigliò stancamente. Lo fulminai: non aveva diritto di essere stanco, LUI, che non faceva niente da mattina sera.

Andai però verso il muro che avevo scelto per gli alberelli natalizi - altra coglionata -, senza commentare. - E tu? - Tirai fuori il nastro di scotch. Tu vuoi rompermi e basta, vero? Continuai mentalmente.

- Non mi piace guidare con la neve e aspetto un attimo che passino a pulire le strade - rispose velocemente.

Mi girai verso la porta vetrata, notando solo in quel momento lo strato di neve che si era andato formando e rendeva bianchi e soffici gli scalini. - Oddio, non ci avevo fatto caso!

Mollai la scatola e dai jeans presi velocemente il cellulare, schiacciai un tasto per la chiamata rapida. Guardai intanto Parker che curioso si era avvicinato per spostare e guardare gli oggetti nello scatolone. - Ti piace proprio fare la schiavetta - commentò ridendo.

Lo fulminai. - Zia! - Esclamai però sentendomi rispondere lì.

Parker alzò lo sguardo verso di me, pettegolo come sempre.

Mia zia sarebbe dovuta partire quella sera, subito dopo il lavoro, per raggiungermi e poi portarmi a New York con lei domani o massimo dopo-domani, il giorno di Natale.

Ma la neve …

- Nevica tanto là? - Chiesi mordendomi le labbra, ansiosa.

Parker sorrise smettendo di trafficare e si avvicinò tanto, cercando di portare l'orecchio contro il mio cellulare e sentire. Mi ribellai silenziosamente mentre mia zia rispondeva, ma lui non mi mollava.

Portai una mano sulla parte del cellulare da cui passava la mia voce. - Parker! - Lo sgridai.

Lui mi ignorò continuando e alla fine mi arresi: si appoggiò al cellulare da davanti e i suoi capelli mi solleticarono le tempie.

- Partirò domattina quindi se smette ... - Fu la sua ultima frase e la sentì anche Parker.

A New York aveva infatti nevicato abbondantemente da mattino presto e la circolazione era fuori del tutto. Ancora più del solito, insomma.

- Sennò domani pomeriggio dopo scuola prendo il primo treno che trovo e ti raggiungo. Si fa prima e ce la facciamo!

- A volte bloccano anche i treni per la neve! - Disse Parker guardandomi e facendo di tutto pur di rompermi.

Mia zia sentì. - Chi è? - Chiese ridendo e dalla risata era ovvio che l'avesse riconosciuto.

- Nessuno - risposi sospirando.

Nessuno si mise di fianco a me e riappoggiò la testa contro la mia.

- Poi i treni li bloccano solo in casi estremi - fece Lizzy.

- Sì lo so, ignoralo! - sospirai ancora. - Comunque va bene?

- Direi di sì … Ma sei sicura di volerti fare il viaggio da sola?

Mi allontanai da Parker che cominciava davvero a irritarmi e lui si lamentò mugugnando. - Tranquilla, zia, cosa saranno? Due orette in treno, no? - E sorrisi al muro come avendocela davanti.

Lei acconsentì dopo un po' e misi giù.

- Vacanze da tua zia, quindi? - Si informò Parker, tirando fuori dallo scatolone tutti gli alberelli; alzò lo sguardo su di me sondandomi in qualche modo con gli occhi.

Era dall'Episodio che non mi sentivo rivolgere una domanda privata, evitandolo e guardandolo male non gliene avevo dato nemmeno l'occasione.

Annuii avvicinandomi e cominciando a prendere dei pezzi di scotche strappandoli coi denti.

Lui mi passò un alberello e facendo così ne finimmo un paio; feci sempre attenzione a non sfiorargli minimamente le mani.

- New York? - Chiese per continuare la conversazione. Odiava proprio il silenzio, come mi aveva già detto.

- Sì - alzai lo sguardo su Parker, trattenendo un sorriso poiché sapevo che i monosillabi lo irritavano. Infatti fece una smorfia e mi guardò, incontrando il mio sguardo.

- Tu? - Chiesi più per cortesia che per altro, distogliendo gli occhi dai suoi: evitavo di farlo troppo.

Mi chiesi solo dopo perchè usassi ancora della cortesia con lui.

- Domani pomeriggio, quando arrivano i miei a casa, andiamo, insieme alla famiglia di Billy, a New York.

Tornai a guardarlo preoccupata e lui rise notandolo.

- Ma solo per prendere un aereo! Indovina dove passo questo Natale? - Chiese sorridendo soddisfatto e con una nota gasata nella voce.

- Non sono sicura di volerlo sapere- commentai incolore.

- Hawaii!

Decisamente odiavo quel riccone.

- Vuoi che ti porti una collana di fiori come souvenir?! O vuoi un babbo natale che fa surf?! - Chiese ammiccando e prendendomi un pezzo di scotch. Attaccò lui l'ultimo albero mentre speravo che l'aereo precipitasse. Forse per Billy e le altre vittime innocenti un po' mi sarebbe dispiaciuto.

- No, voglio che mi porti con te, mi sganci sull'isola e poi mi ignori per tutte le vacanze! Questo mi farebbe piacere - feci annuendo.

- A mia madre piaceresti e la prima parte è fattibile però non riuscirei proprio a ignorarti sapendoti sull'isola con me! - Scosse la testa, come se fosse stata una cosa chiara e innegabile; guardò poi nello scatolone e rise all'improvviso.

- Non sapresti ignorarmi perchè avresti cazzate da farmi fare, vero? - Sbuffai.

- Che altro motivo potrebbe esserci? E guarda qui! Alla preside non so cos'è preso! - Rise di nuovo.

Mi avvicinai alla fine, assecondandolo e vidi quello che aveva visto lui; la mia reazione fu diversa e storsi la bocca: agrifoglio.

- Sicuro che quando hai fatto quella roba strana nel suo ufficio non ti abbia visto? Forse le hai risvegliato qualche voglia strana ... - Commentai tirando fuori la finta piantina contrariata. - Dove lo metto? - Gli chiesi, decisa a sbarazzarmene il prima possibile.

Parker osservò il corridoio, continuava a sorridere, e poi indicò l'arcata più vicina sotto la quale gli alunni passavano decine di volte ogni giorno. - Vuoi davvero che ci sia così tanto amore domani a scuola?

- Adoro l'amore. - Rise.

Evitai di guardarlo scetticamente e tornai dalla scala per sollevarla con fatica.

- Vuoi che ti alzo io? Sarà alta 2 metri e un cazzo quell'arcata, per quanto tu sia nana basterebbe poco - propose seguendomi.

- No grazie, preferirei di no - feci guardandolo male. Ero perfettamente nella media, non nana.

- Facevo il gentile! - Sbuffò ridendo mentre mi osservava trascinare la scala.

- Fare il gentile portandomela tu? - Chiesi ironica.

Parker alzò gli occhi al cielo. - Troppo classico!

Arrivai sotto l'arcata ignorandolo. Aprii la scala e salii e attaccai l'agrifoglio con scotch abbondante.

Parker fece un suono sorpreso mentre scendevo. - Ommiodio! Ma siamo sotto l'agrifoglio! Dovremmo baciarci? - Quel giorno era troppo vivace per i miei gusti.

Lo fulminai dopo aver sceso l'ultimo scalino. - Perchè, hai scommesso con Clark di riuscire a baciarmi anche sotto l'agrifoglio?

Lui rise, facendomi aggrottare le sopracciglia ancora di più. - Ce l'hai ancora per quella storia? - Chiese divertito e dandomi un buffetto sul braccio.

- Ti odio ancora per quella storia - corressi sorridendo freddamente e spostandogli la mano.

- Neanche un po' di bene? - Chiese fingendosi triste, mentre sapevo che non gliene poteva importare di meno.

- No - fu la mia risposta crudele.


 

Avevo finito con gli addobbi.

Uscimmo dalla porta poco dopo per poi fermarci sulle scale, nella zona ancora coperta. Io ero imbacuccata con la giaccona e la sciarpa, Parker aveva la giacca aperta.

- Non è da figo allacciarsi la giacca? - Chiesi ironica da dietro la sciarpa verde scura.

Lui mi squadrò. - In effetti no. - La frecciatina fu per me, ma ormai ero troppa abituata per farci davvero caso.

- Sta nevicando! - Ribattei contrariata.

Mi lanciò uno sguardo alla “Ma no!”, poi cominciò a scendere le scale.

La neve fresca, caduta da poco, scricchiolava a ogni suo passo. Il suono rimbombava poi nel silenzio naturale che si creava sempre durante le nevicate, un silenzio che è difficile da capire se non si vive in un luogo freddo o con stagioni.

Lo imitai raggiungendolo, in quel silenzio.

- Avrai un bianco Natale - commentò Parker guardando con una strana smorfia la neve.

- Non so come fa a non piacerti la neve! - Feci, con una risata bassa, avendo riconosciuto l'espressione schifata.

- Preferisco il caldo - rispose guardandomi.

Incrociai lo sguardo. In effetti Parker era sempre bollente ed era ovvio che non amasse il gelo.

- Ma la neve è bella! - Sorrisi.

Alzò le sopracciglia scettico. - Hawaii - ribatté.

Roteai gli occhi arrendendomi presto e non volendo sostenere per altro tempo quella conversazione.

Arrivammo dalla sua macchina, al solito posto, più vicina al cancello della scuola che la mia, sempre agli antipodi.

Mi portai le mani sulle braccia, incrociandole, infreddolita.

Lui si chiuse la giacca. - Mi fai venire freddo! - Mi sgridò aprendo con la mano libera la portiera.

- E' giusto così! Bisogna goderseli gli ultimi giorni di freddo. - Sbuffai abbassando il collo e nascondendomi di più dietro la sciarpa.

Parker sospirò. - Ho detto che mi fai venire freddo, a forza di coprirti sempre di più. - E allungò le braccia, prendendomi le mani.

Il contatto fu strano: forse per il fatto che fosse così caldo, o forse per altro. Mi avvicinò piano, cauto, perchè era un mese e mezzo che rifiutavo conversazioni troppo lunghe, figuriamoci il contatto fisico, ma lo lasciai fare.

- Ho freddo - giustificai. E lui, che sorrise leggermente, era caldo.

Parker non disse niente e infilò in qualche modo le mie mani sotto le maniche della sua giacca, scaldandomi leggermente. Ci fu un attimo di silenzio, amplificato dalla neve, e mi sembrò quasi di sentire, con la mano, il battito del suo polso. Quindi anche lui aveva un cuore? Mi chiesi stupidamente e cercai di trattenere un sorriso ironico che forzava sulle labbra.

- Io sono sempre caldo, invece - disse piano, alla fine.

- Suona male. - E alla fine risi, all'improvviso a disagio, e allontanai le mani che scivolarono facilmente, senza nessun ostacolo, dalle sue.

Alzai lo sguardo ma non incrociai il suo: Parker guardava sopra la mia testa verso la strada. - Stanno pulendo. - Sorrise e abbassò gli occhi.

- Così finalmente anche oggi posso dirti addio - esclamai con una reale nota di sollievo, allontanandomi all'indietro velocemente.

Parker sorrise ironicamente, come al solito, e poi aprì la bocca incerto. - Evelyne - chiamò.

Mi fermai, alzando le sopracciglia in una domanda muta.

- Dato che ormai è Natale e siamo tutti più buoni ... - Cominciò.

Diventai entusiasta in un secondo. - Cancelli le foto?!

Lui mi guardò scettico scuotendo lentamente la testa.

- Ah ... - Borbottai delusa. - Allora cosa?

Si grattò la testa a disagio. - Per la storia di Clark e la scommessa … Insomma … Scusa. - L'ultima parola gli uscì dalla bocca in modo strano, come se fosse stato poco abituato a pronunciarla e probabilmente era così.

L'effetto fu strano, e il suono incerto traballò di nuovo sulla neve.

Rimasi un attimo sorpresa mentre lui faceva una strana smorfia, come cercando di richiamare indietro le parole, ma si infilò dentro la macchina, velocemente.

Poco dopo entrai anch'io nella mia, non sapendo bene cosa pensare, un po' perplessa, e accessi distrattamente il clima e il motore. Decisi semplicemente la cosa più semplice: continuare a far finta di niente.

Ma quando appoggiai le mani sul volante le sentii lentamente tornare fredde.


 


Troppo amore.

- Ma la gente non si è mai baciata sotto l'agrifoglio sul serio ... - Commentò Francy sinceramente incredula.

- Nel nostro liceo c'è qualcosa di strano ... - Osservai sconvolta mentre schivavamo gli ennesimi individui che si baciavano, neanche pacatamente, a suon di "linguate", sotto l'arcata.

Avevamo appena mangiato e tutti quegli spettacoli zuccherosi ci stavano stomacando.

- Dovrei sentirmi in colpa pensando ai poveri "forever alone" come noi costretti a guardare?- Chiesi. - Dopo tutto quell'osceno agrifoglio l'ho appeso io.

Francy mi guardò annuendo grave. - Sì, piangi e pentiti e chiedi perdono a noi poveri single.

- Beh, aspetta, tu taci! Ne troveresti uno subito volendolo! - La rimbeccai, dandole una piccola spinta ma ridendo.

- Solo Kutcher ... - Disse a bassa voce per non farsi sentire dalla nostra scuola che, oltre essere molto zuccherosa, era soprattutto pettegola.

- Beh, carino è carino ... - Le feci notare ripensando al morettino che decisamente non era da buttare via: l'avevo già detto che i ricconi in quella scuola erano gli unici piacenti, vero? Tutte le fortune a loro.

Lei rise. - Ma è un completo idiota! - Esclamò ed entrammo in classe per biologia insieme.

- Ma povero ragazzo! Gli spezzeresti il cuore se ti sentisse - la sgridai.

Mi ignorò andandosi a sedere. - Oggi che treno prendi, quindi? - Domandò.

- Sì, dissimula pure cambiando discorso, insensibile! - La presi in giro. - Comunque quello delle 19:10, alle 21:45, se tutto va bene, sarò a New York- le feci sistemandomi anch'io.

Ignorò la mia prima frase. - Un po' ti invidio, sai? - Disse ridendo. - Io dovrò sorbirmi parenti in casa ogni giorno!

- Eh no! Un giorno evadi e prendi un treno e vieni da me! Possibilmente la sera in cui vado a visitare i miei nonni così sarò ancora più felice! - Le sorrisi con entusiasmo.

- Ma come puoi sfruttarmi così! - Esclamò fingendosi indignata.

- Comprendimi. Non sono abituata a queste brutte cose - feci scuotendo la testa.

- Sono ormai sei anni che li vedi ogni Natale e per la festa del Ringraziamento - mi ricordò sorridendo. - Dovresti aver iniziato ad abituarti.

Feci una smorfia. - Sì ma sono esperienze così brutte che tendo a rimuoverle. Sono intere ore di: perchè vuoi rovinarti anche tu a fare la giornalista? Non guadagnate niente! E tu non riesci a mantenerla! Non abbiamo ancora capito cosa credevi e cosa credi di fare! - Sbuffai facendo il verso a mia zia e mia nonna. - Scusate se almeno ha provato a ventun'anni a togliermi da un orfanotrofio mentre voi non facevate un cazzo.

Francy mi guardò ed era il tipico sguardo dispiaciuto. Dispiaciuto non da pena, la pena la odiavo, dispiaciuto da non saper cosa dire. Tante cose in effetti sarebbero suonate sbagliate e la potevo capire.

Sorrisi. - Scusa, Francy, non dovrei parlarne, lo so.

- No, non è questo ... - Borbottò grattandosi la nuca libera grazie alle trecce che si era fatta.

Mi avvicinai e le schioccai un bacio veloce sulla guancia. - Tranquilla!

Due ore dopo, finalmente, suonò la campanella e ci fu una delicata esultanza generale, delicata in confronto a quella di fine anno che riduceva l'udito di ogni alunno annualmente.

Uscii da spagnolo che per un cambio di ora strano avevo avuto all'ultima.

- Quindi ci sentiamo, no? - Chiese Emily amichevole come al solito.

Annuii sorridendo e lei mi abbracciò con fare affettuoso. Ci augurammo poi buon Natale a vicenda e ci separammo: lei doveva andare a salutare in fretta altre sue amiche.

Mi circondai il collo con la sciarpa uscendo dalla scuola.

Francy era vicino al cancello, con il suo paraorecchie nero, leggermente spostato per ascoltare Kutcher, con cui stava parlando.

Li osservai un attimo da lontano sorridendo divertita: Kutcher parlava gesticolando, fin troppo, e Francy per lo più se la rideva, probabilmente più divertita da lui in sé, che da quello che le diceva.

Aveva continuato a nevicare per tutta la notte e scesi le scale con un po' di difficoltà, cercando di evitare la neve sporca , schiacciata e rischiacciata e anche ghiacciata; lo strato era abbastanza alto ma almeno aveva smesso momentaneamente.

Mi avvicinai traballando e quando Francy mi vide ignorò Alex venendomi incontro. - Eve! - Piagnucolò saltandomi al collo. Risi guardando Kutcher che mi lanciava sguardi irritati: già geloso il ragazzo.

- Mi mancherai così tanto! - Fece.

- Anche tu, Francy! - E mentre continuavamo ad abbracciarci oltre all'occhiataccia di Kutcher mi arrivò …

Una palla di neve contro il culo. Sobbalzai di scatto e quasi, nell'impeto, diedi un colpo in faccia a Francy.

Non mi girai però, appena mi ripresi dallo spavento,sapendo già chi fosse. - Perchè ce l'ha tanto con me? - Sospirai staccandomi lentamente dalla mia amica.

- Perchè vuole del sesso violento con te, ma visto che non gliela daresti mai si sfoga così - rispose con tono ovvio cercando di convincermi della sua cazzata. Kutcher, che si era avvicinato vedendo Parker, sentì e si mise a ridere.

- In effetti è quello che pensa anche Clark - annuì.

Io sospirai girandomi mentre Parker, seguito come sempre da Hans, si avvicinava definitivamente.

- Ho superato il mio schifo nei confronti della neve per quella palla, dovresti essere orgogliosa di me! - Parker mi sorrise fintissimo fermandosi di fianco.

- No - risposi acida.

- E' sempre così dolce vedervi parlare, sprizzate amore da tutti i pori! - Francy mi prese per il braccio e Billy rise.

- Certo! Io e la Gray ci amiamo!

- Un casino - sbuffai per poi andarmene. Francy mi seguì trotterellando e facendo rumore sulla neve.

- Gray! Non mi saluti? - Urlò Parker con la voce teatralmente offesa. - Tra due giorni quando ti mancherò da morire e starai male per il dolore te ne pentirai!

Lo snobbai. Perchè anche se si era scusato non era stato perdonato, non almeno finchè c'era la questione foto.

Però mi venne da ridere.


 


 

Francy mi abbracciò di nuovo, subito dopo aver finito di parcheggiare davanti alla stazione della nostra piccola città.

La stazione era collegata a New York con una linea che a un certo punto, avvicinandosi alla grande mela, andava sottoterra, unendosi al molto frequentato trasporto metropolitano.

- Su, su! - Le feci di nuovo sciogliendo l'abbraccio. - Mi farai perdere il treno!

Lei sorrise e dopo un bacio sulla guancia mi lasciò andare.

Uscii dalla macchina. Aveva riniziato a nevicare e Francy aveva dovuto montare su le catene per quel piccolo viaggio che aveva fatto solo per per farmi il piacere di accompagnarmi.

Andai dal baule e tirai fuori la mia trolley - abbastanza inutile visto che con la neve e il ghiaccio non riuscivo a trascinarla.

Lanciai un ultimo bacio a Francy, da dietro la sua macchina, venendo ricambiata dallo specchietto retrovisore, e poi me ne andai sollevando la valigia. Entrai in stazione e finalmente lì, anche se il pavimento era sporco e bagnato per il via vai della gente, cominciai a trascinare il bagaglio.

Il biglietto l'avevo fatto il giorno prima e quindi ero a posto, senza nulla da fare tranne aspettare.

Mancavano dieci minuti per il treno e andai nella zona coperta, in un'altra stanza, con tante sedie: la sala d'attesa. Entrai lì osservando il pannello con gli orari dei treni ed incredibilmente il mio non era in ritardo.

Abbassai quindi lo sguardo tranquilla e mi misi a osservare le sedie cercando qualche posto. Era tutto molto pieno, si vedeva solo da quello che mancavano due giorni a Natale e che tutti erano in viaggio o per lo meno si apprestavano a farlo.

Camminai trascinando la valigetta e alla fine trovai due posti vuoti di seguito e mi sedetti nell'ultimo.

La donna più vicina a me si girò sentendomi. Era bionda, molto chiara, probabilmente tinta ma il colore le donava, una montatura nera di occhiali rettangolari appoggiata sul naso dritto, stanca e senza un file di trucco, ma comunque molto, molto bella; dimostrò, alla rapida occhiata che le diedi, una quarantina d'anni ed era vestita elegantemente, fin troppo per essere in una stazione.

Davanti a lei un uomo molto alto, circondato da tre, quattro grandi valigie; quasi moro, senza nemmeno un pelo bianco, e una leggera barbetta; sulla quarantina come lei e un bell'uomo anche lui. Era impegnato a rispondere a qualche messaggio, la fronte aggrottata e non riuscii a immaginarmelo senza quelle rughe d'espressione. Erano decisamente una coppia, fisicamente perfetti l'uno per l'altra.

Avevo poi la forte sensazione di averli già visti. Tipo in foto. Forse perchè erano belli da sembrare attori.

La donna mi sorrise. - Grazie, così adesso mio figlio impara a sparire - fece con una voce ferma ma civettuola, abbastanza giovanile.

Corrucciai le sopracciglia non capendo.

Lei fece una corta risata, come non abituata a farne di troppo lunghe. Il marito la guardò attirato dal suono e poi spostò lo sguardo su di me. Mi sentii decisamente in soggezione.

- E' scappato non so dove, quel posto era suo e quando tornerà non ce l'avrà più, così impara - mi fece l'occhiolino dietro gli occhiali.

- Non credo che sarai molto contenta quando proverà a sedersi sulle valigie - fece suo marito. Una voce profonda e seria con cui il tono leggermente divertito stonava. Le rughe della fronte si erano stirate osservando la moglie.

- Hanno detto che andavano in bagno ma ne è passato di tempo, dove saranno andati? - Notai solo in quel momento una donna dai capelli rossi, un po' sbiaditi per l'età, di fianco alla bionda.

Quella la riconobbi senza pensarci molto, troppo abituata a vederla in ogni occasione pubblica scolastica. Impallidii vedendo la madre di Billy, la signora Hans.

Tornai a guardare la bionda di fianco a lei e il marito. La prima rispose qualcosa di frivolo e si capì dal modo leggero in cui agitò la mano; il secondo mi guardava sorridendo, un po' troppo scettico per star davvero sorridendo. - C'è qualcosa che non va? - Mi chiese infatti vedendomi alzare di scatto.

- N-no! - Balbettai arrossendo.

Ero davanti ai signori Parker.

Dovevo scappare! Perchè erano in stazione?! Erano ricconi pieni di soldi! Limousine no?!

La signora Parker si girò e vedendomi in piedi sbatté gli occhi perplessa. - Ma, cara, siediti! Non volevo dirti di alzarti, davvero! - E mi sorrise appoggiando la mano sulla sedia, in un gesto che Parker faceva spesso.

- No, stia tranquilla, è che dovrei andare a prendere dell'acqua - feci portandomi un ciuffo di capelli dietro le orecchie sparando la prima scusa che mi era passata per la testa. Scappare, Evelyne, scappare, continuavo a ripetermi.

La donna mi guardò sorpresa ma poi sorrise, sempre leggera, sembrava una sua caratteristica, come accomiatandosi.

E l'avrei volentieri fatto se girandomi per andarmene non avessi visto Parker e Billy arrivare: il primo aveva il volto livido e scocciato, l'altro guardava il pannello con gli orari, tranquillo.

Mi portai una mano sul viso, quasi in uno schiaffo, abbastanza disperata.

Parker mi vide e si illuminò con il solito sorriso divertito. Io parecchio disperata guardai nella direzione opposta cercando un'altra via di fuga ma non trovandola.

Mi accasciai quindi sul posto e la signora Parker rise cristallina, questa volta un po' più a lungo, probabilmente aveva notato tutti i miei movimenti. - Cambiato idea?

Annuii guardandola mestamente.

Parker arrivò e mi passò davanti tranquillo.

La signora Parker prese voce: - Cara, questo è mio figlio! - Cominciò allegra, pronta a presentarci. Billy si sedette di fianco a me e cercava di trattenere una risata.

- Gray, alzati - ordinò Parker guardandomi e ignorando la madre.

- Educazione, Parker - risposi a tono.

- Foto, Gray. - Sorrise.

Assottigliai le labbra alzandomi e fulminandolo dalla mia bassezza.

- Max - fece però la madre. - Non ti farà del male star in piedi. - La guardammo e ci sorrise. - E vi conoscete? - chiese curiosa come solo una mamma poteva osserlo. Mi osservò questa volta cercando di capire qualcosa e con un rinnovato interesse; poi passò con lo sguardo azzurrino, che, cavolo, avrei dovuto riconoscere subito, su Billy. - Anche tu?

Billy annuì. - Ma diciamo che loro due si conoscono meglio - lanciò quell'insinuazione che insinuava decisamente di tutto, ma non spiegando niente, e attirò l'attenzione, abbastanza vaga, anche del signor Parker e della signora Hans, ma lei sembrava un personaggio di sfondo dietro i due Parker.

La donna sbatté di nuovo le palpebre, cominciava a sembrare un modo di fare più teatrale che di vera sorpresa. - Hai la ragazza? - Chiese a Max guardandomi.

Io con tutta la forza del mondo riuscii a non arrossire. - No! - Esclamai.

Parker sbuffò come al solito cercando di provocarmi. - Mamma, secondo te!

Suo padre rise ma senza divertimento. - Sì, in effetti, Claire, okay che lei è una bella ragazza ma nostro figlio secondo te riesce a impegnarsi in qualcosa? - La frecciata fu pesante e lo fu ancora di più per il tono di voce con cui lo disse.

- James - fece infatti con rimprovero la moglie: non doveva amare le scenate in pubblico e conoscendo Parker Junior quella frase sarebbe potuta bastare.

- IO non mi riesco a impegnare in qualcosa? - Rispose infatti serissimo il castano sottolineando ironico il soggetto.

Sarei voluta scomparire immediatamente: non volevo essere in mezzo a qualcosa di privato e che non mi riguardava. Soprattutto non nel privato di Parker.

Suo padre gli lanciò un'occhiata che doveva essere esauriente.

- Max, non rispondere - ordinò la madre, Claire, con un'occhiata dura prevedendo già.

Parker serrò la mascella e fu abbastanza visibile.

La signora Hans aveva già distolto lo sguardo e si era girata a parlare con una ragazzina: la sorella di Billy.

Io sul posto mi mossi indecisa se andarmene e Claire sembrò capirlo: - Scusa, cara.- Sospirò stanca togliendosi gli occhiali, poi mi sorrise, riprendendosi velocemente in un cambio di espressioni che mi sembrò familiare. - Come ti chiami comunque?

- Evelyne Gray - risposi un po' formalmente e mordicchiandomi l'interno della bocca.

Parker si sedette sul bracciolo della mia sedia silenziosamente e Billy lo guardava serio: quei due si parlavano sempre con gli occhi e si capivano perfettamente. Dovevano essere amici da anni e anni.

- Conosci mio figlio quindi … Sei una cheerleader? - Mi chiese, provando ad indovinare.

Feci una smorfia che la fece ridere. Parker normalmente sarebbe subito intervenuto ma non lo fece e quello disse molto sul suo umore. - No! Niente del genere, l'unica cosa che faccio di diverso dagli altri è lavorare al giornalino scolastico, la presidentessa - dissi un po' in imbarazzo.

Lei fece una faccia un po' sorpresa. Sperai con tutto il cuore che non sapesse della foto. - Ma davvero? - Mi sorrise curiosa. Non se l'aspettava sul serio una cosa del genere. E non sapeva della foto di Parker, dell'anno scorso.

- Il treno parte tra 5 minuti - si intromise il padre.

Tutti si alzarono tranne Parker. Lo guardai, con il viso alla stessa altezza del suo.

- Vieni con noi in un altro vagone? - Mi chiese a bassa voce, con una smorfia di sfondo che sembrava non volersene andare.

Mi corrucciai. - Preferisco stare da sola.

Lui sorrise. - Secondo te mia madre ti molla? Adesso che ha trovato un passatempo?

- Dirò che vado con voi e poi sparisco allora - risposi sorridendo con più simpatia del solito, effetto della litigata a cui avevo quasi assistito.

- Non te lo permetto! - Sbuffò.

Lo ignorai afferrando la trolley e dandogli le spalle.

- Anche tu a New York? - Mi chiese la signora Parker appoggiandomi una mano sulla schiena mentre mi passava di fianco. Era più alta di me di un bel po' ma aveva anche stivali col tacco ad aiutarla.

Annuii mentre mi trascinava via da suo figlio che prendeva due valigie insieme al padre.

Salita sul treno/metropolitana Claire continuava a non mollarmi. Non capivo perchè ma sembrava le stessi simpatica a vista, o forse semplicemente in quel momento si annoiava e sembravo una buona fonte di informazioni sul figlio.

- Ma', noi tre andiamo a fare un giro, okay? - Chiese Parker mettendosi in mezzo e afferrandomi per una spalla.

- Me la rubi? - Domandò Claire facendo la triste e mettendo su il broncio.

- Sì, perchè fai paura ... - Parker mi prese la trolley e se ne andò via. Lo guardai mentre si allontanava e lo seguii fin troppo spaesata dal fatto che mi avesse davvero preso la valigia.

- Evelyne! - Mi chiamò però la bionda facendomi fermare. - Dopo le vacanze quando siamo a casa vieni a cena qualche volta, okay? - E sorrise contenta.

Io le sorrisi un po' imbarazzata sussurrando un okay. Poi andai davvero dietro a Parker.

Passai nella seconda carrozza, alla terza e alla fine li trovai.

- Secondo me tua madre voleva farsela - commentò Billy appena mi vide.

Parker aveva messo la trolley di fianco al suo amico e si era appena lasciato cadere di fronte a lui. Mi guardò quando li affiancai. - Anche secondo me. Ed è inquietante che qualcuno voglia farsela. - Scosse la testa guardando Billy e lui sorrise divertito.

- Era solo gentile! - Sbuffai afferrando la valigia.

- Nessuno è mai solo gentile - insinuò Billy con tono serio.

Parker rise osservandolo di sottecchi, per poi tornare a me. - E dove pensi di andare, Gray? - Mi chiese.

- Lontano da te! - Risposi sorridendo più finta che mai. - E poi perchè siete qua?! Su un treno come dei comuni plebei? Vuoi così tanto tormentarmi da ...

Billy indicò fuori dal finestrino e mi bloccai. Guardai la neve che cadeva.

Ah, la neve!

Iniziai ad odiarla anch'io.

- E i miei non si fidavano a chiamare dei taxi e vabbè - aggiunse Parker stiracchiandosi stanco. - Mi ferisci comunque andandotene! - Mi disse con un tono ironico così evidente da poter essere tagliato a fette.

- Oh, quanto mi dispiace! - Mi lamentai accennando ad andarmene.

Parker sbuffò ma non mi disse niente mentre mi allontanavo.

Se avesse voluto davvero che rimanessi lì avrebbe potuto obbligarmi, ma non l'aveva fatto. Sorrisi passando al vagoncino successivo.

Per fortuna.

Mi sedetti in un posto a caso e mi resi conto che quelle sarebbero state le ultime due ore e mezza in relativa vicinanza di Parker e poi più niente.

Se non avessi contato la cena il giorno dopo Natale, con la mia “famiglia”, sarebbero state due settimane fantastiche. Tutte per me, tutte belle da morire.

E le due ore e mezza passarono lente.

Lentissime mentre alzando lo sguardo da Jane Eyre, che dovevo leggere per la scuola e volevo eliminare subito, a volte osservavo la porta che mi separava dall'altro vagone, aspettandomi che la mia nemesi spuntasse da un momento all'altro.

E mi aspettavo anche due ore e mezza veloci, senza Parker, ma non fu così.

Quando arrivammo finalmente al capolinea uscii con fare stanco e girandomi a guardare verso destra vidi Parker e Billy uscire poco più in là.

Mi aspettai che si girassero, ma non lo fecero e camminarono velocemente verso i loro genitori ancora più lontani.

Anch'io mi avviai verso quella direzione, l'uscita era da quella parte, ma con molta più calma per dare il tempo alle due famiglie (adesso vedevo meglio la sorella di Billy e il padre) di allontanarsi definitivamente, senza rischiare di incrociarli.

Parker, anche da lontano lo vidi, prese chiaramente scocciato due valigie, senza guardare il padre.

E quando finalmente mi aspettai di vederli andare via velocemente, svoltando l'angolo, Parker si fermò vicino a una panchina e Billy lo imitò poco più avanti.

I genitori di entrambi nemmeno se ne accorsero andandosene.

Li raggiunsi e senza rendermene nemmeno conto avevo un po' aumentato il passo.

Billy mi sorrise per poi voltarsi a guardare i suoi genitori, con fare distratto. Parker al contrario si girò a guardarmi.

- Che lenta! - Mi sgridò con le sopracciglia sollevate, nella sua solita posa di presa in giro.

- Non te l'ho mica chiesto io di aspettarmi! - Commentai sorridendo ironica.

Sbuffò. - Scusa se IO sono educato. - Smollò una valigia per darmi un buffetto sul braccio, aveva preso quella mania recentemente. - Buon Natale, sfigata.

Mi accigliai facendo una smorfia e non rispondendo mettendo su invece una smorfia a quell'offesa.

Lui ridacchiò girandosi all'indietro per guardare dov'erano i suoi. Quando tornò su di me mi sorrise leggero con gli occhi e riprese le valigie.

Quello fu l'ultimo sguardo verdognolo che mi rivolse. L'ultimo per quell'anno.

Poi se ne andò di fretta.

Probabilmente non sentì nemmeno mentre, a voce troppo bassa per la distanza che si stava creando, ricambiavo gli auguri.

Ma insomma, che importava? Lui avrebbe avuto di sicuro delle buone vacanze e un buon Natale, anche senza i miei auguri. Alle Hawaii, un habitat perfetto per lui si sarebbe dato alla pazza gioia.

Pensavo ancora a quello mentre mi aggiravo per la metropolitana.

Pensavo soprattutto a quello perchè era tutto pieno di addobbi natalizi.

Tanti e semplici addobbi verdi e rossi.

Verdi, in particolare.

Ed era inquietante che nonostante ognuno avesse delle sfumature di verde diverso, nessuno si avvicinasse minimamente a quello degli occhi di Parker.




*Angolo autrice

Salve a tutte! :D
Credo di aver appena passato una settimana scolastica orrenda ... Tutto un recuperare e un cercare di capire latino dopo l'assenza e poi la verifica e spero bene e basta sto zitta.
Veniamo a cose più interessanti! (spero)
E' un capitolo particolare questo, è passato tanto tempo, ed è la prima volta che il tempo passa così velocemente ma il mese subito dopo l'Episodio è stato un mese, come dice di Evelyne, di pura avversione contro Parker. La storia riprende da qui, quando manca poco a Natale e Parker si scusa, si scusa e le cose un po' cambiano, di nuovo ed è importante dirlo.
Conosciamo poi i genitori di Parker e ritorneranno e si capiranno mooolte cose. E la linea del treno che diventa metropolitana è inventata ... Mezza ispirata da Londra in cui alcune linee uscivano poi in superficie ma comunque inventata ahahahaha
Evelyne adesso poi va a New York e nel prossimo capitolo conosceremo la sua famiglia e scopriremo meglio lei. Parker verrebbe trascurato, A MENO CHE, dato che il prossimo capitolo sarebbe cortino, non inserisca una piccola parte, dal punto di vista di Billy, alle Hawaii, e lì ci sarebbe Parker e si potrebbero scoprire cose interessanti. Riuscirei ad aggiungerlo tranquillamente quel pezzo ma ho paura che il cambiamento di punto di vista vi disturbi o che lo troviate inutile o poco interessante. Io non ho problemi nè a metterlo nè a non metterlo, la storia non cambierebbe, dato che Evelyne non verrebbe naturalmente a sapere niente.
Quindi ditemi voi, vi lascio la scelta :DD (adesso verrò crudelmente ignorata e nessuno mi risponderà ... AHAHAHAHAH)
Tornando al capitolo spero di essere stata realistica e coerente, ditemelo magari :)
A presto!

Josie.

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Capitolo 11
*** Amata famiglia ***


(grazie a Jess Graphic per la copertina :3)

10.Amata famiglia


 

Tre scalini.

Mancavano tre scalini.

- Sennò potremmo inventarci una qualsiasi scusa a caso ... - Proposi mentre mi spostavo un ciuffo di capelli, arricciati, dal viso. Ed era la proposta che facevo ogni anno.

- Telecamere. Le telecamere ci hanno già viste - mi ricordò Lizzy parlando tra i denti, come per cercare di non far leggere il labiale a chi avrebbe visto le registrazioni.

Eravamo tutte e due soffocate da giacche e sciarpe sotto due vestitini. Il malefico capo della casa, la signora Gray*, voleva così: per cene di famiglia vestite e pettinate al meglio.

La signora Gray era ovviamente la madre di Elizabeth, ergo mia nonna.

Noi l'avremmo volentieri chiamata Cecilia, per nome, lo stesso nome di mia madre, ma lei odiava quella presa di distanza e oltre ai vestitini, ai capelli perfetti, dovevamo chiamarla rispettivamente “mamma” e “nonna”. Solo su quello e il solo e unico bacio che ci scambiavamo ogni volta che ci vedevamo si basava il nostro rapporto affettivo.

Cecilia dopo la morte della primogenita, mia madre, aveva allontanato me e sua figlia Elizabeth.

Mia madre era stata infatti ripudiata, si poteva dire, perchè usciva con Charles Blake. Una donna facoltosa come mia nonna, moglie di un uomo ricco e facoltoso, non poteva permettere che la figlia, la primogenita, avesse una storia con un semplice figlio di lavoratori. Lavoratori semplici dell'azienda di suo marito.

Io, appena nata, senza madre, morta per darmi alla luce in una complicazione, e con un padre che l'unica cosa che aveva fatto era stata dire che poteva anche riconoscermi, ma non si sentiva in grado di essere padre da solo, non dopo aver appena perso sua moglie, avevo ottenuto solo una nonna che in risposta a tutto aveva esclamato: “Cecilia mi avrebbe dovuto ascoltare”.

Nient'altro.

Zia Elizabeth che aveva fatto i salti mortali per adottarmi, anche lei era stata quasi ripudiata come mia madre.

Erano passati pochi anni da quando la “nonna” aveva deciso di riaccogliere tutte e due in famiglia. Mia zia alla proposta all'inizio aveva riso, poi arricciato il naso e alla fine accettato, giustificandosi, con me, dicendo che voleva tenersela buona, in caso di bisogni economi futuri e con i miei anni universitari vicini. Io sospettavo anche che infondo la sua famiglia le mancasse. In qualche modo, ogni tanto, anche solo un po', doveva mancarle, no? C'erano pur stati gli anni di serenità, gli anni in cui mia madre era viva e non era innamorata.

Elizabeth sospirò e alzò lentamente la mano. Lentamente un indice alzato si avvicinava sempre di più al campanello.

Suonò e il suono metallico si sentì rimbombare anche da fuori.

Ad aprire venne Mollie. Era vestita con un lungo abito rosso, capelli cotonati. Ci guardò dall'alto al basso. - Siete in ritardo.

Mollie era la sorella di mezzo tra Elizabeth e mia madre. L'unica ad essere stata approvata da Cecilia.

Ovvio, aveva sposato un uomo più ricco di lei.

- Emme, ogni anno dobbiamo dimostrare che non vorremmo essere qua - rispose mia zia superandola e guardandola male.

Mollie la fulminò e poi appoggiò il suo sguardo scettico su di me.

Respirai profondamente e scostando lo sguardo entrai nella casa delle torture.

Emme, come diceva Lizzy, ci accompagnò per la grande casa fino alla sala da pranzo. Tutti erano già seduti e chiacchieravano sommessamente.

Mia nonna era a sinistra di Robert, suo marito, a capotavola.

Poi era tutto uno scendere di cugini, tutti figli di Emme che ne aveva sfornati cinque e che erano stati educati con l'idea di non dovermi parlare; il marito di Emme e noi che per pura crudeltà dovevamo sederci vicino a nonno e nonna. A volte venivano anche le sorelle di Robert o Cecilia, ma quell'anno non era accaduto.

Ci accomodammo. Le giacche le avevamo già lasciate nell'atrio.

- Siete in ritardo - ripeté Cecilia, candidamente.

Era ancora relativamente giovane, sessantadue anni, e si presentava come una qualsiasi donna del suo tipo: vestiva in modo ricco e sempre ingioiellata, in particolare alle cene di famiglia. Il divario tra lei e noi due era sempre particolarmente notabile.

- Traffico - rispose Elizabeth cambiando la risposta per la persona.

Emme infatti sbuffò accomodandosi di fianco alla madre e al marito. Il marito - che chiamerò Marito visto che non mi ricordo mai il nome - era uno di quegli uomini senza carattere che da giovane sposavano una donna per la bellezza senza pensare ad altro. Marito poi era stato sfortunato beccandosi Mollie e alle cene di famiglia si mostrava la sua contentezza di essere in quella situazione. Con il silenzio. Perenne.

Come avessero fatto ad arrivare a cinque figli, vedendo com'erano i loro rapporti, sembrava un mistero. Anche se la zia maliziava riguardo ai tre più piccoli, biondi come non era nessuno in quella tavolata. E come non era Marito.

- Traffico ogni anno? - Chiese scettica Cecilia battendo le mani: i due camerieri nella sala capirono e corsero, cercando di non far capire di star correndo, in cucina.

Cecilia puntò gli occhi, di un verde tendente al giallo, spento, già e per sempre opaco, sui miei. - Tutto bene, Evelyne? - Pronunciava sempre il mio nome per intero, con una nota strana nella voce.

Annuii lentamente sistemandomi nervosa sulla sedia. - Si, grazie.

Robert, più anziano di un paio di anni di sua moglie, mi osservò stanco, ma sorridendo strettamente. - Sempre più uguale a Cecilia - lo disse con quel tono malinconico che da lui sentivo spesso.

E quella era la tipica frase che mi rendeva sia triste che felice. 

- In tutto e per tutto. Anche la fissa del giornalismo - aggiunse la Cecilia presente in tavolo, prendendo il bicchiere d'acqua e dando un sorso con le labbra strette.

- Mi aspettavo anche un “oh, cos'ho fatto di male per meritarmi tutto questo?” - Fu imitata drammaticamente da Elizabeth.

Cecilia abbassò il calice e lanciò un'occhiata tagliente alla figlia. - Avrei dovuto dirlo. Su tre l'unica a salvarsi è stata Mollie.

Sia io che mia zia osservammo la sopracitata, non vedendo niente di positivo. Questa volta Elizabeth però si astenne da commenti, quasi commuovendomi.

Arrivarono gli antipasti.

Ci fu il solito chiacchierio basso mentre io prendevo con la forchetta piccoli morsi, non vedendo l'ora di andarmene.

La casa di mia nonna era grande, molto. E la sala da pranzo lo era anche lei. Il tavolo enorme si trovava al centro esatto della stanza, sotto un gigantesco lampadario di non sapevo cosa che brillava sempre e perennemente, tenuto a lucido come un grande gioiello di cui andare fieri.

La paura che mi cadesse addosso uccidendomi era sparita solo da pochi anni.

- Evelyne - mi chiamò di nuovo Cecilia. - A parte le stupidaggini del giornale, sei sempre la prima della classe? - Cercai di evitare di accigliarmi.

- La prima della scuola - corresse Elizabeth a mezza voce.

- Sì, se continuo così avrò la borsa di studio per l'università che preferisco - feci ignorando mia zia e cercando di sorridere. Università che sapevo già.

La “nonna” sorrise. - Sembra quasi che non dovrò usare soldi - disse per poi ridere a bassa voce. Piacevolmente stupita.

Mollie alzò lo sguardo dal piatto. - E hai intenzione sul serio di usare una borsa di studio così importante per giornalismo? Medicina! Giurisprudenza! Ce ne sono di cose più importanti.

Sentii mia zia sbuffare.

- E' quello che voglio fare - risposi guardando il piatto.

- O è quello che tua madre voleva fare? - Continuò l'altra.

Alzai lo sguardo verso quella parente che odiavo sempre di più. - Non sto cercando di imitarla.

- Non puoi dirlo. Ma io che ho conosciuto Cecilia bene, vi vedo come state andando nella stessa direzione. E forse proprio perchè non l'hai conosciuta fai così! Forse la tua vera inclinazione ti porterebbe ad altro!

Il mio cellulare in quel momento suonò rumorosamente: avevo dimenticato di mettere il silenzioso e quel piccolo lapsus mi stava salvando. Mi alzai in piedi, pur sapendo che era solo un messaggio. - Scusate, aspettavo una chiamata importante - guardai mia nonna e sorrisi per congedarmi. Ad Emme non rivolsi uno sguardo. - Torno subito.

Camminai velocemente via senza aspettare risposta.

Tirai fuori il cellulare appena arrivai al bagno ma lo appoggiai sul ripiano del bagno, senza guardare.

Mi bloccai i capelli e mi bagnai leggermente la fronte e le guance, sentendomi accaldata.

Non ne potevo più ed ero lì da solo mezz'ora.

L'ultimo round mi aveva particolarmente sfinita; il tentativo di analisi psicologica era nuovo, infatti, e non ci ero abituata.

Sbuffai e mi guardai allo specchio: vidi una strana ragazza. Capelli mossi, che ormai erano troppo lunghi e avrei dovuto tagliare, mi cadevano leggeri in un ordine sparso e casuale, spesso incontrollabile; viso ovale ma linearissimo; occhi marroni, insignificanti, che sarebbero dovuti essere un po' più grandi per essere davvero proporzionati col mio volto; ciglia lunghe e sopracciglia arcuate e folte; naso a patata, ma dritto; e le labbra, labbra carnose, l'unica cosa che mi piacesse singolarmente, ma che in un certo senso stonava col resto, avendo forse un carattere che al resto mancava. Labbra rosa chiaro, chiare come la mia carnagione.

In quel momento sembravo anche più pallida del solito, nonostante fino a pochi secondi prima mi fossi sentita bruciare, e mi chiesi se stessi male fisicamente.

Mia madre era invece stata una gran bella donna, di quelle che piacevano a tutti, pur non mettendosi in mostra. Sicura, decisa. Pronta a rischiare tutto per i suoi sogni.

Solo i miei stessi capelli e lo stesso naso.

Lei sempre colorita e viva! Io così pallida e associale.

Aveva sacrificato tutto, i soldi, la famiglia, per essere una giornalista e sposare quel ragazzo così diverso da lei. Aveva sacrificato tutto per i suoi sogni.

Io cercavo di essere sicura e decisa ma dentro non sapevo se lo ero sul serio. Forse ero solo un'acida e cinica e misantropa, dopo tutto.

Io che forse stavo, senza accorgermene, trascurando il giornale, per colpa di quella stupida minaccia.

Cecilia cosa avrebbe fatto?

Probabilmente, dai racconti di Elizabeth, picchiato quel castano e pur di strappargli un braccio a morsi avrebbe rotto cellulare e computer, tutto quello che conteneva le foto.

Io senza accorgermene socializzavo.

Mi passai una mano per la fronte, chiudendo gli occhi. 
A volte pensavo, senza accorgermene, a tratti, che il sorriso ironico di Parker potesse essere amichevole. Dimenticavo che mi veniva incontro solo per obbligarmi a fare qualcosa.

Mollie non aveva ragione: non stavo seguendo Cecilia.

Non mi ero mai vista più diversa da mia madre.

Ma in fondo, ero Evelyne Gray.

Ed Evelyne Gray era così, forse non ci riusciva ma andava avanti, ci provava.

La ragazza di fronte a me sembrò riprendere un po' di colore.


 

- Chi era? - Chiese subito Cecilia, un po' irritata, quando tornai a tavola e mi sedetti.

- Uno della scuola - risposi e osservai il nuovo piatto.

Sentii Lizzy che mi guardava. - Francy? - Mi chiese a mezza voce facendo così sporgere l'orecchio, istintivamente, a Cecilia e a Mollie, nonostante il fracasso che stavano facendo i bimbi piccoli lì di fianco.

- No - risposi e la guardai male, chiedendole di stare zitta.

Lei si morse il labbro inferiore trattenendo un sorriso. Ma si era accorta delle pettegole?! - Max?

La ignorai dando una cucchiaiata al minestrone.

Che mia zia pensasse a Max subito dopo Francy da collegare a me dimostrava quanto fosse pedofila.

- Chi è Max? - Chiese allora Molly dopo aver mangiato un po'.

- Grazie, zia - sussurrai strettamente coprendomi la bocca con il tovagliolo. - E nessuno - risposi alzando lo sguardo sulle due donne davanti a me.

- Spero che proprio adesso che stai per iniziare l'università tu non ti perda a pensare ai ragazzi - mi ammonì Cecilia seriamente.

Se avesse visto Parker, la sua casa e avesse saputo del lavoro dei suoi probabilmente avrebbe cambiato idea e mi avrebbe pregata, in ginocchio, di sposarlo o per lo meno farmi mettere incinta.

- Non è nemmeno mio amico. E' un semplice conoscente. Abbiamo in comune una materia e zia Elizabeth l'ha conosciuto per puro caso. Non capisco nemmeno come faccia a ricordarsene. - Pedofila maniaca fissata coi biondi. - E comunque non era lui - aggiunsi guardando male la mia “mamma”.

Lei fece un attimo la faccia dispiaciuta poi rise.

- Comunque, Evelyne - cominciò Cecilia attirando la mia attenzione. - Tornando all'argomento, prima che partisse la tua chiamata …

Mi sentivo male.


 


 

Stavamo salendo le scale che portavano all'appartamento di zia Lizzy.

L'ascensore non funzionava e i bassi tacchi che eravamo state costrette a metterci ci stavamo uccidendo, nonostante la loro scarsa altezza.

Piedi a parte ci sentivamo comunque leggere sapendo che la cena era finita e fino al Ringraziamento, e ne mancava, non ne avremmo saputo più niente.

Poi non era stata nemmeno una serata disastrosa. Quella dell'anno prima che aveva provocato il furto di una bottiglia di alcool era andata decisamente peggio.

- E cerca di conoscere qualche ragazzo entro Novembre così tiro fuori il suo nome anch'io, durante la cena - sorrisi minacciosa. - Cecilia, potrà rompere così a te per tutto il dolce. - Dolce pessimo che non aveva distratto abbastanza i parenti.

Elizabeth rise. - Ma tu sei molto più brava di me ad evitare di rispondere alle domande! E poi ero curiosa di sapere anch'io sul tuo amichetto! - Mi fece l'occhiolino finendo di salire l'ultima rampa.

Che non aveva poi saputo niente perchè ero riuscita a rispondere solo alle domande sul nome intero ed età. Forse avevo davvero un talento.

Respirai profondamente. - Non è mio amico - sillabai.

- Infatti ho detto amichetto! - Elizabeth si avvicinò alla sua porta pestando il tappetino - il più originale di tutto il palazzo - con uno smile sorridente inquietante e la scritta “Oh, not you again!”.

- Amichetto suona anche peggio.

- Al tuo posto mi piacerebbe che suonasse peggio - ridacchiò la maniaca.

- Zia, ha 17 anni, tu tendi ai 40. Smettila - ordinai disperata.

- Non tenderò ai 40 finchè non avrò 39 anni e un giorno - fece con carriveria, per poi tornare a sorridere. - E comunque parlo nel caso avessi 17 anni, come te! Anche se in effetti non credo sia da brava mamma dirti queste cose ... - Fece alla fine pensierosa inserendo finalmente la chiave nella serratura.

Con uno schioccò la porta si aprì.

Mi chiedevo cosa avrebbe fatto con Parker al mio posto … E le idee che mi venivano non erano particolarmente carine.

- Sì, sembri Francy ... - Sospirai entrando insieme a lei in casa.

- Sono la mamma ho detto!

Andai dal divano e lì buttai la giacca. Mia zia mi imitò.

Poi mi osservò in silenzio.

- E comunque Max lo approvo.

- Oddiomio! - Urlai esasperata correndo in bagno. Non lo conosceva minimamente e lo approvava!

Lei mi seguì. - Dai! E' così bello! Poi è alto! Ha gli occhi verdi! I vostri figli avrebbero quasi di sicuro gli occhi verdi!

La guardai scandalizzata tirando fuori lo spazzolino. - Ti rendi conto che stai saltando alla parte “e vi sposerete e avrete tanti figli”?! Non siamo nemmeno amici! - Premetti sul dentifricio con violenza. - Poi non è così bello! E' solo decente! - Sbuffai.

- Non c'è nessuna ricerca di biologia - commentò all'improvviso.

Aprii il rubinetto e guardai mia zia attraverso lo specchio. Sorrideva allegra. La bocca mi si schiuse sorpresa.

- Ci sono state le riunioni di fine trimestre. Ci sono andata, ti ricordi? Il prof di Biologia non ha parlato di nessuna ricerca - fece passandomi dietro e osservandomi maliziosa.

Mantenni la calma infilandomi lo spazzolino in bocca. - Se ne sarà dimenticato - borbottai col dentifricio in bocca che quasi mi andava di traverso.

- Ah, no, gliel'ho chiesto appositamente - aggiunse Elizabeth tranquillamente.

Abbassai lo sguardo sul lavello. Giornalista pettegola e stalker.

- Fidarti di me?!

Mi ignorò. - Quindi, o siete amici e uscite tranquillamente e per non farmi fare dei viaggi ti sei inventata la storia della ricerca … O uscite insieme come coppia e ti sei inventata questa storia per lo stesso motivo - proclamò.

Feci una smorfia tornando a spazzolarmi i denti. - Ti sei fatta tanti viaggi senza motivo. - Poi dopo aver finito: - Ma nessuna delle due ...

Lei mi guardò perplessa sempre attraverso lo specchio con cui ci guardavamo. - Mi dispiace, Eve, ma non ci sono altre possibilità ...

Sospirai. - Non siamo amici né una coppia. Per certi motivi siamo costretti a vederci ma non fa piacere a nessuno dei due - commentai solo.

O almeno a me non faceva piacere. Lui sembrava provarne un po', un piacere sadico nel tormentarmi, diciamo.

- E che motivi?

Mi sciacquai la bocca senza risponderle.

Dopo un bel minuto di silenzio, senza risposte, continuando le mie cose finalmente si arrese e uscì.

Chiusi la porta dietro di lei e presi uno degli asciugamani asciutti, impilati sulla lavatrice, avvicinandolo alla vasca. Mi feci velocemente una doccia soprattutto per far sbollire la curiosità di mia zia in quell'arco di tempo.

Poco dopo uscii dalla piccola vasca-doccia e mi asciugai, dopo essermi sciolta i capelli che avevo legato in alto, in un chignon improvvisato.

Mia zia rientrò di colpo con il suo beauty case e armata di un pettine. Sobbalzai per lo spavento.

- Non sei mica entrata a far parte di una setta, vero?! - Chiese spaventata.

Del tempo a mia zia, da sola con se stessa, non le faceva bene.

La guardai sconvolta. - Zia, ma che razza di idee ti vengono in mente?- Mi accigliai uscendo dal bagno e andando verso il divano.

Il divano che diventava apribile e anche il mio bellissimo letto. Bellissimo perchè era davanti alla tv e potevo cazzeggiare finchè volevo.

- Perchè già dovrò sopportare che tu entri a far parte di una confraternita e sarò in ansia tutto il giorno, ma una setta no!

- Parker e io non facciamo parte di una setta! - Sospirai cominciando ad aprire il letto. - Non ci sono sette nella mia scuola! E cosa credi mi diano la borsa di studia a fare se fossi in una setta! - Le urlai retorica.

- Era la terza possibilità! - Spiegò isterica. - E l'ultima!

Alla fine mi venne da ridere. - Tu sei malata!

Finii di sistemare tutto e tranquillamente mi tolsi l'accappatoio per mettermi il pigiama.

- Dimmi perchè! - Piagnucolò inginocchiandosi vicino al mio letto.

La ignorai alzando gli occhi al cielo.

Ci mancava solo che informassi, volontariamente, mia zia di aver passato compiti agli alunni per un certo periodo, essere stata beccata e poi ricattata.

Come minimo mi avrebbe chiusa in casa a vita. Lo spirito da mamma sarebbe finalmente venuto fuori.

- E visto che sei brava a evitare le domande? - Sbuffò sedendosi sul mio letto per impedirmi, per dispetto, almeno di dormire.

- Sei tu che sei ripetitiva. Ad altre domande rispondo tranquillamente.

- Ma le altre non mi interessano - fece.

Sembrava stesse facendo i capricci.

- Ti prego, zia, lasciami dormire! - Sospirai accasciandomi sul letto di fianco a lei. Non ero stanca ma l'importante era che lei ci credesse.

Dopo poche altre lamentele finalmente si arrese e mi abbandonò.

Non ci volle molto per sentire il piccolo appartamento cadere nel silenzio.

Io, però, infilata dentro le coperte, freddolosa com'ero, non riuscivo a dormire. Come sempre.

Ad un certo sobbalzai, ricordandomi del messaggio che era arrivato durante la cena e che non avevo nemmeno letto.

Mi allungai tra le coperte, al buio, cercando a tentoni il mio preistorico cellulare. Lo trovai e abbagliandomi con la luce dello schermo sbloccai.

Stronzo Parker. Accigliata aprii il messaggio.

"Ci tengo a ricordarti che io sono alle Hawaii, e tu noooooo", diceva.

Un po' mi venne da ridere: ma quanto era sfigato?!

 

* * *


 

- Questo è abbastanza da sfigati.

- Un poco.

- Ragazze?

- Qua non salgono, tanto.

- Quante cazzo di balle ...

Ridacchiai dando un tiro alla sigaretta. Non mi piaceva particolarmente fumare, ma quelle sigarette al Mojito che avevamo trovato il pomeriggio, guardando tra i negozi, avevamo dovuto provarle. O almeno, avevo dovuto.

- Vuoi? - Chiesi porgendogliela e buttando fuori il fumo. Tanto sapevo già la risposta.

Max abbozzò una smorfia, come al solito. Fissato, era davvero fissato col basket. Scossi la testa sbuffando divertito e ritraendo la mano. L'aveva mezza provata quella e nella sua vita poteva al massimo aver finito una sigaretta: tutto questo per non rovinarsi i polmoni e non rovinarsi la carriera. - Fissato - ripetei anche ad alta voce.

- Ci tengo e non rompere - ribatté sorridendo e senza guardarlo lo immaginai mentre prendeva la bottiglia che avevamo appoggiato alle nostre spalle. Al suo fegato invece non ci aveva mai tenuto.

Eravamo sul tetto di una delle poche casette in mattoni, basse, appartenenti al nostro hotel. In qualche modo ci eravamo saliti, come avremmo fatto a scendere non lo sapevamo, ma per ora non era un problema.

- No, ma mi spieghi perchè cazzo siamo qui?! - Ripeté Max, dopo un po' di silenzio riempito solo dal rumore del vento e delle onde.

- Perchè le sigarette in camera non possiamo fumarle e la bottiglia che abbiamo preso è di tuo padre e dopo dovevamo buttarla lontano dalle nostre casette - risposi tranquillamente.

E poi c'era un altro motivo. Ma quello lo sapevo solo io.

Mi venne da sorridere mentre riavvicinavo la sigaretta alle labbra.

- Appena finisco 'sta roba andiamo in centro - si lamentò.

Gli lanciai un'occhiata veloce: era a metà e l'aveva bevuta praticamente tutta lui. Schiacciai la sigaretta su una tegola e allungai la mano.

Mi guardò male ma alla fine la bottiglia me la passò. - Volevi finirla tutta te? Capisco soffocare i dolori nell'alcool, ma non esageriamo, Max - commentai per poi bere un lungo sorso.

Lui mi lanciò un'occhiata pensosa, non capendo a cosa mi riferivo. - Che dolori?

Mi diedi un colpo sul petto, bevendo ancora, sul cuore.

La sua espressione cambiò. - Di pettorali? Sei tu quello senza muscoli, mi dispiace. - Abbassai la bottiglia sorridendo diverito.

Uno dei motivi per cui eravamo là sopra, lontano da ragazze e da genitori, era una domanda che mi ronzava per la testa da un po'. Domanda, più che una domanda, una curiosità.

- La Gray - buttai giù subito. Max girò la testa, tranquillamente, bevendo un po'. Alzò solo le sopracciglia, con la sua faccia scettica che aveva impostata sempre in automatico. - Cosa stai combinando di preciso con lei?

Abbassò la bottiglia e gli sfuggì un secondo da ridere, poi si riprese. Mi accigliai e allungai la mano. - Uh? - Chiese.

- Questa storia della schiavetta … Era divertente la prima settimana, anche la seconda e la terza, ma stai continuando sul serio?!

Fece spallucce guardando davanti a se, verso il mare ancora più vicino per l'alta marea. - Non puoi capire quanto sia comodo ... - Rispose tranquillo.

- Sì, ma all'inizio doveva essere una punizione e basta, per poco tempo e poi l'avresti lasciata stare, così imparava la lezione, ma adesso la stai torturando - gli feci notare, ridendo. Se l'avessero scoperto quelli della scuola oltre ad andare nei casini Evelyne ci sarebbe finito anche lui, probabilmente.

- Beh, scusa, qualcuno doveva pur farle abbassare la cresta, no? - Sbuffò con un sorrisetto, riguardandomi.

- Ah, sei diventato il paladino dei poveri fotografati? - Chiesi ironico.

Mi guardò un po' male. - Ti ricordo che ho evitato un'altra tua foto, anche, ingrato del cazzo.

Risi. - Me n'ero dimenticato in effetti!

- Ecco, ringraziami e parla di cose più carine. - Cercò di farsi ripassare la bottiglia, senza successo.

Continuai. - E insomma, se fosse stata una delle tue solite, bionda, con gonna corta, tettone ...

- A parte che non credo sia proprio piatta ... - commentò sovrappensiero.

Risi di nuovo. - Non credo, guarda. Ma dicevo, fosse stata una di quelle avrei capito il tuo giochetto, ma insomma, la Gray ... - Bevvi un sorso veloce. -Bassina, con quelle felpone e maglioni e magliettone, la coda perenne, palliduccia, ha delle gran belle labbra, quello sì, ed è carina nel suo ma non è il tuo tipo. 

Si accigliò. - Lo so che non è il mio tipo, e non ho mai detto il contrario.

- Ti piacciono le stupide, quelle che ti assecondano, vai sempre con loro. La Gray, Dio, Max, è il contrario: è la secchiona della scuola, ha sempre da dirti contro, ti tiene testa, ti odia. - Mi venne da ridere a esplicitare tutte quelle cose che sapevamo entrambi.

- Non credo mi odi così tanto, dato quello che è successo ad Halloween - commentò sbuffando e passandosi una mano tra i capelli.

- Le sarai saltato addosso.

- No, guarda - ribatté guardandomi male.

Sorrisi. - Comunque è più interessante pensare a te che anche se la scommessa di Clark partiva il giorno dopo l'hai baciata quella sera.

Rimase un attimo zitto. - Se si fosse fatta baciare per bene l'avrei vinta comunque.

- Sì - lo assecondai per poi bere ancora.

- Billy, che cazzo vuoi? - Allungò la mano irritato per prendersi la sua bottiglia ma continuai a non dargliela.

- Sapere che stai combinando - Sorrisi.

- Sto ricattando la presidentessa del giornalino scolastico, la finta brava ragazza della nostra scuola per eccellenza e ho intenzione di continuare fino alla fine dell'anno perchè mi fa comodo.

- Solo?

Fece un cenno esasperato. - Ma stai forse insinuando che io con la Gray ci voglio provare? Perchè di figa ce ne ho già, anche migliore, e senza dover sopportare un'acida del cazzo! - Non era proprio quello che volevo insinuare ma cominciavamo ad avvicinarci.

Sorrisi e lui sembrò arrabbiarsi ancora di più.

- Se ci volessi provare cancellerei la foto! - Alzò gli occhi al cielo per poi guardare verso il mare, di nuovo, come a porre fine al discorso.

- Ma poi lei non ti parlerebbe più, senza quella - ribattei e mi venne da ridere per come si stava comportando.

- La sto ricattando, non ci sto provando. - Si accigliò, sulla difensiva, ripetendosi.

- Per essere uno che ricatta la tratti fin troppo bene ... - Insinuai.

Non seppe un attimo cosa dire. Poi si girò e mi guardò incredulo. - Tu non stai dicendo che voglio provarci con la Gray, tu stai insinuando che mi piace la Gray!

Primo premio a Max Parker.

Mi venne da ridere per la sua espressione. - Non direi mai così tanto!

Rise però anche lui, questa volta, smettendola di arrabbiarsi. - Ma tu sei malato! Sembri una donna a volte dai viaggi che ti fai!

Mi obbligò poi a passargli la bottiglia e in un minuto ce la facemmo a finirla, senza nominare più minimamente la Gray.

In qualche modo, dopo riuscimmo a non ucciderci scendendo e andammo in centro.

Trovammo ben tre Hawaiane disposte ad accompagnarci a fare un giro. Tre belle Hawaiane. Max ci provò ovviamente, con successo, con la più carina, mentre a me rimasero le due restanti.

Lo guardai mentre lui divertito accettava l'invito della ragazza ad andare a fare un giro da soli, sulla spiaggia.

E c'era qualcosa di diverso. Quando una ragazza gli dava corda aveva sempre l'espressione standard; quando Evelyne gli urlava dietro o lo guardava, fulminandolo come solo lei riusciva a fare, aveva sempre un sorriso che sembrava diverso.

Sorrisi pensando che forse mi facevo davvero troppi viaggi. Che a lui piacesse davvero una ragazza era difficile, era mai successo? No e avevo preteso troppo, pensandoci. Ma una cosa era certa: la Gray, per Max, in quel momento, era la ragazza più interessante del nostro grande liceo, nonostante jeans e felpone.

In che modo lo fosse era ancora un'incognita.


 

 

 

Angolo autrice:

Ciao a tutte! :D
Sono di nuovo qua e aggiorno oggi visto che poi fino a mercoledì non credo sarei riuscita a fare.
Conosciamo i parenti più stretti di Evelyne. Ha una situazione familiare complicata; col suo personaggio, senza accorgermene, scrivendo, mi sono forse messa in una situazione che non riuscirò mai a descrivere bene, non avendola vissuta. Ma spero di essere realistica il più possibile. :)
Ci tengo un po' alla parte in cui Evelyne si paragona, in bagno, a sua madre, probabilmente non si nota nemmeno, ma ho cercato sul serio di cercare di far capire un po' meglio com'è la nostra protagonista.
Elizabeth la adoro, non so voi AHAHAH, anche mia madre quando vede dei bei ragazzi fa commenti del genere, anche se qua sono ovviamente esagerati, e quindi non prendetela per pazza :D
Poi, andando al pezzo di Billy che l'altra volta era stato approvato … Premetto che non sono abituata a scrivere dal punto di vista maschile, sono la prima a non capire i maschi, quindi spero di essere stata accettabile. Ahahahah
Billy, anche se fino ad adesso è rimasto un po' al margine, d'ora in poi sarà visto più spesso fino a che non arriverà addirittura a parlare con Evelyne, a volte, ma vedrete :D. Si accorge facilmente dei particolari e pensa che Parker sia, almeno, interessato ad Evelyne. Che il “piacere” dell'inizio sia stato affrettato lo pensa dopo, riflettendoci un attimo, ma voi che ne dite?
Dal pezzo con POV Billy scopriamo poi due cose importanti e spero le abbiate notate. :)
Prossimo capitolo: finite le vacanze, si ritorna a scuola.
A presto, ciao.

Josie .



*Sono la regina delle situazioni familiari complicate! E vabbè, con la situazione di Evelyne, orfana di madre e abbandonata dal padre, non avevo idea, nonostante l'abbia cercato, se Eve prendesse il cognome della madre da nubile o quello della madre da sposata e quindi del marito. Per non complicarmi la vita ho deciso per la versione più probabile, ergo il cognome di Evelyne, Gray, viene dalla parte materna della famiglia. :)

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Capitolo 12
*** Di nuovo ***


(grazie a Jess Graphic per la copertina :3)

11.Di nuovo



- Siamo indietrissimo.

- Lo so ...

- Dobbiamo pubblicare domani e non abbiamo niente ...

- Sai qual è il problema?

- Quale?

- Che abbiamo socializzato troppo col nemico migliore.

Francy aveva in parte ragione.

In parte perchè non è che avessimo poi socializzato sul serio, ma che, per colpa di Parker e quelle maledette foto, avessi problemi col giornale era vero.

Avevamo, poi.

Francy infatti, per colpa di quella storia, non sapeva più tanto bene cosa fare col suo angolo delle foto, sul giornale.

Da quando ero obbligata a “frequentarlo”, anche Francy, automaticamente, lo faceva di più e le belle occasioni, alle feste a cui prima non eravamo mai state invitate, c'erano di continuo.

Ma Parker e i suoi amici erano ormai off limits. Un cartellino pendeva su di loro, mostrandoceli, ma impendendoci di usarli per i nostri scopi. E detta così suonava quasi male, pensai con disgusto.

- Se fosse un giornale su internet, un po' più segreto, che sono sicura che i prof non vedono, farei foto a loro! Non sai quante volte vedo Hoppus che, nella sala professori, quand'è da solo, si infila un dito nell'orecchio e poi se lo mette in bocca!

Alzai lo sguardo su Francy con una smorfia schifata. Stava scherzando, vero?!

In quel momento eravamo di nuovo a scuola. Di nuovo nella mensa, pranzando. Mancava solo Emily che si era ammalata durante le vacanze e continuava ad esserlo, come suo solito nel periodo invernale, considerando il suo fisico cagionevole.

- Però credo che la mia adorata C sparirebbe se Hoppus mi scoprisse a pubblicare quella sua bella foto - realizzò guardando il trancio di pizza.

- Direi di sì - ridacchiai.

- Comunque, pensando a qualcosa di più frivolo! - Fece Francy allegra.

Risi guardandola: sapevo già che piega stava per prendere il discorso. Era il primo giorno dopo le vacanze di Natale e quello a cui tutte pensavano, nell'intera scuola, era Sadie Hawkins, il ballo invernale, che quell'anno, per problemi del consiglio studentesco, era stato posticipato da Dicembre a Gennaio, creando vario scompiglio.

- Non so se possiamo pensare ad altro! Oggi dovremmo solo riuscire a fare una foto - ricordai, ma mi bloccò gesticolando scocciata.

- Sadie Hawkins! Vestiti! Dobbiamo procurarci due vestiti entro questo venerdì! - Si mosse sul posto con una strana eccitazione nel corpo, che sembrava impedirle di stare ferma.

Il tavolo di ragazze di fianco al nostro era in preda alla stessa enfasi, nell'identica modalità e per quell'unico motivo.

- Non ti sono mai piaciuti i balli ... - Cercai di ricordarglielo, anche se in teoria non sarebbe stato necessario: essendo parte del suo carattere.

Lei fece un cenno con la mano per minimizzare. - Ma comprare vestiti ha cominciato a piacermi di più ultimamente ...

Risi, per dissimulare il mio scetticismo. - Fingerò di crederti. Ma ho un piccolo budget, eh. Cecilia ci ha pensato e mi ha dato qualcosa, però una parte mi serve. - Feci ondeggiare il liquido all'interno della mia bottiglietta, pensando che dovevo anche iniziare a sentire in giro per trovare un nuovo lavoro. Anno nuovo, vita nuova e lavoro nuovo, no? - Anche se, in realtà, non ho una così gran voglia di andarci, a questo ballo.

Sadie Hawkins era una festa amata e detestata per lo stesso motivo, l'unico anche a caratterizzarla davvero: erano le ragazze a dover chiedere ai ragazzi di accompagnarle, contro la solita tradizione. Io ci ero andata, entrando nella solita palestra fittamente decorata, solo due volte in quattro anni e solo una volta accompagnata - in prima, quando non ero ancora la ragazza odiata del giornale.

- E' l'ultimo anno! Dobbiamo andarci! Siamo le senior fighe! - Quasi urlò Francy gasandosi.

- Certo - commentai con una smorfia e infilandomi in bocca, distrattamente, un pezzo del toast che avevo comprato poco prima.

Sentii il sapore familiare di pane bruciacchiato e di troppo formaggio. In un certo senso mi era mancato. Sapeva di routine, di normalità per una studentessa come ero io.

Tutto era tornato di nuovo normale, come doveva essere. Tutto tranne una cosa.

- Io ho intenzione di prendere un bel vestito lungo, nero, con uno di quei robi che si mettono sul collo e poi trascini dietro anche con le braccia, hai capito?! O forse dovrei prenderne uno così bello per il Prom; Sadie dovrebbe essere informale in effetti ... - Lasciai che Francy continuasse a sproloquiare, agitandosi sulla sedia. Cosa avesse non lo sapevo.

- Non capisco tutta questa emozione per un ballo idiota. Non sono nemmeno tanto divertenti, soprattutto se non hai la coppia ... - Mi bloccai. - Ma un attimo, a chi hai intenzione di chiederlo? - Forse quello era il motivo di tanta emozione?

Francy rise, arrossendo leggermente. Beccata. -Dici che … Potrei farmi avanti con Jack o Sadie Hawkins è da bambini per gli universitari? - Jack il cassiere del bar.

Sorrisi, avevo quasi temuto puntasse a Kutcher. Quella novità e non un altro “di nuovo” mi avrebbe preoccupato. - Non credo. Stringi le braccia contro le tette e annuirà non capendo altro - incoraggiai ironicamente, facendole il pollice all'insù.

Lei si accigliò, imbronciandosi verso il piatto. - Ma non ho tette!

Tornai a guardare la mensa in generale, distrattamente, mentre lei, persa in quel momento nei suoi pensieri, osservava la pizza accigliata.

Dawn, seduta al tavolo dei “fighi”, scuotendo i lunghi e liscissimi capelli biondi, simili a una cascata d'oro grazie alla nuova tinta, si agitava al suo posto. Ma non nello stesso modo in cui l'aveva fatto Francy fino a quel momento.

Lei era così perchè Parker non si vedeva in giro e non poteva saltargli addosso, per proporgli di andare con lei alla festa. Chiaro.

Parker che era sparito dalla circolazione e non si sapeva dove.

Dalle Hawaii con Billy era tornato: la sua macchina, rossa fiammante, era ben visibile nel parcheggio. Ma in qualche modo era riuscito a sfuggire agli sguardi, e a mensa, lui e Billy mancavano. Anche Kutcher, notai all'ultimo.

Continuai a mangiare, sentendo di nuovo il pane bruciato.

- Domani glielo chiedo - decise poi la mia amica di punto in bianco.

Sorrisi e sperai in un successo, tornando completamente a lei.

Ma in quel momento qualcuno mi toccò una spalla. Mi girai scocciata, preparando già un'occhiataccia, aspettandomi di vedere Parker.

- Max vuole le chiavi della tua macchina - fece Nicholas ritirando immediatamente la mano, neanche avessi potuto morderlo.

- Dopo la storia dell'essere vergine mi sorprende che ci parli ancora - commentai sospirando e girandomi meglio sul posto per guardare lo schiavetto.

- Dovresti ribellarti e ucciderlo! Così posso anche tornare alle mie foto - aggiunse Francy annuendo.

Nicholas corrucciò le sopracciglia in difficoltà. - Ma, ma siamo amici io e lui.

Francy rise, io per rispetto alle sue convinzioni e, forse, ai suoi sentimenti, cercai di stare seria. - Comunque non gli dò le mie chiavi! Che faccia quello che vuole combinare con la macchina di qualcun altro!

Nicholas si grattò la testa di nuovo nel panico. - Ha detto che devi e di non … Essere pesante e di dirti “foto”.

Feci una smorfia e lentamente mi chinai verso la tracolla, l'aprii e dopo aver trovato le chiavi le porsi a Nicholas. Il suono dei miei denti che si digrignavano sembrò sentirsi.

Quelle cose non mi erano mancate e stavo già male: la mia macchina.

- E dove cavolo è sparito? - Gli chiesi prima che potesse scappare, avendo svolto il suo compito.

Mi prese le chiavi e se le infilò in tasca. - Ah, ha detto che deve evitare di farsi vedere troppo in giro, se non in classe, per tutta la settimana.


 

Le mie chiavi finirono rumorosamente sul banco.

Il portachiavi con la piccola mela di New York - o della Apple, dipendeva come lo si voleva intendere, - che mi aveva regalato Elizabeth, per pensare a lei un po' ovunque, sembrò quasi rompersi.

Sospirai alzando lo sguardo. - Cos'hai fatto? - Chiesi preoccupata, ma rassegnata: ormai qualsiasi fosse il danno era stato compiuto.

Parker mi sorrideva. In quelle due settimane si era un po' abbronzato e il colorito donava al verde chiaro dei suoi occhi e ai denti bianchi. Sembrava che entrambi si fossero schiariti al sole, per quanto impossibile.

Era l'ora di trigonometria e quell'individuo era spuntato all'improvviso, poco prima del suono della campanella. Come dal nulla davvero!

- Ti ho fatto il mio regalo di Natale! Ti avevo detto che ti avrei preso qualcosa - rispose ovvio, come se avessi dovuto indovinare senza il suo aiuto, e tremendamente divertito, in modo preoccupante. - Sono bravo, buono e bello. Al contrario di te che non mi hai nemmeno preso qualcosa, stronza. - Ricominciò a camminare per andarsene al suo posto e quando mi passò di fianco mi diede una piccola spinta sulla testa. - Oh, questo mi era mancato!

Mi accigliai portando le mani dove mi aveva colpito. - A me no! E che cosa hai fatto, ho detto!

Francy che aveva ridacchiato per tutto il tempo, mi diede all'improvviso una gomitata.

Mi girai vedendo Hoppus che si accomodava dietro la scrivania. Il professore mi guardò scettico. Ma almeno non avevo detto parolacce e non meritavo occhiatacce.

Gli sorrisi strettamente, con il mio solito sorriso da "professori", rimettendomi composta.

Quando suonò la campanella, alla fine dell'ora, mi alzai di scatto.

Dovevo andare a vedere subito cosa aveva fatto alla mia macchina; così avrei potuto picchiarlo comodamente a scuola, nel parcheggio, senza andarlo a cercare a casa dopo.

- E ti raggiungo che dopo ci appostiamo davanti alla villetta di ... - Francy mimò una palla che si alzava in cielo e supponevo, in qualche modo, che parlasse di Dawn*. - Che ho scoperto dove vive così ... - Finì mimando una macchina fotografica.

Sospirai scuotendo la testa e correndo fuori.

Della neve erano rimasti solo mucchi sporchi e marroni ai bordi delle strade e tanto freddo. Aveva piovuto recentemente e molta neve si era sciolta e il gelo sembrava essere aumentato, insieme allo spuntare di lastre di ghiaccio che compromettevano seriamente alla mia vita.

Anche per quelle non sarei voluta andare a Sadie Hawkins. Non con i tacchi almeno.

Arrivai quindi, cercando di non correre, ma con passo più che sostenuto, alla mia macchina.

Mi fermai ad osservarla: non era rigata ed era esattamente come l'avevo parcheggiata; sembrava non l'avesse minimamente spostata.

Aveva parlato di un regalo, quindi aprii la macchina e guardai nei sedili posterieri: ma niente. Baule: ma niente.

Poi salii nel posto del passeggero, per guardare dentro il cruscotto: ancora niente.

Fermai così la ricerca, perplessa. - Cos'ha fatto? - Chiesi ad alta voce e sospirai, cominciando a guardare sui tappetini. Ma niente anche lì.

Mi arresi facendo spallucce, qualcosa aveva fatto ma sembrava che non fossi in grado di capirlo, non senza il suo aiuto. Guardai davanti a me, sopra il cruscotto, per cercare Francy, che doveva essere in procinto di arrivare, con lo sguardo.

Ma così lo vidi. In quel momento.

Sapete quei gingilli strani che ci sono a volte dietro, a volte davanti, nelle macchine? Quelli che muovono la testa, collegata al corpo con una molla, mentre la macchina va?

C'era quel robo sopra il cruscotto della mia macchina e mi chiesi come avessi fatto a non notarlo prima.

Era un babbo Natale sopra una tavola da surf. E almeno era piccolo.

Il problema del babbo era la testa. Di quelle di plastica, apribili, in cui poter mettere la foto che si preferiva.

E c'era quella di Parker che sorrideva: si era anche impegnato.

- Che idiota - commentai freddamente e sbuffai sporgendomi per prenderlo e buttarlo via, o venderlo a qualche cheerleader. Di tutto, ma lontano dalla mia vista!

Cercai di alzarlo senza molti sforzi: ma niente. Mi accigliai provando con più forza: ma niente.

Mi sporsi meglio per guardare e aprii la bocca sconvolta.

COLLA. Aveva usato della colla per attaccare quella cazzata sul mio cruscotto!

Provai di nuovo a toglierlo, forse quello strato trasparente che vedevo sotto la tavola da surf non si era ancora seccato del tutto.

Provai con due mani, forse non era davvero così resistente, ma niente.

Mi portai le mani alla testa, disperata.

Aveva anche messo colla nei bordi della testa, da dove si poteva aprire, per non farmi cambiare foto.

Cominciai a vedere, ai lati del mio campo visivo, fisso e incredulo su quel maledetto regalo, la massa di studenti che in ritardo se ne andavano a casa.

Appoggiai la tracolla e uscii, tutta una furia, dalla macchina, sbattendo la portiera. Chiusi e marciai verso il ragazzo che avrei presto ucciso.

Francy che mi stava già venendo in contro mi sorrise. - Oddio, cos'è quella faccia? Che ti ha fatto? - Chiese, un po' indecisa se ridere o meno.

- Mi ha attaccato, con la colla, un souvenir al cruscotto e lo uccido - risposi ringhiando. Era stata una chiara provocazione e se aveva voglia di litigare l'avrei accontentato.

Avevo già avvistato il nemico, i suoi capelli tra la folla, non facilmente mimitizzabili. Ero a metà della strada per raggiungerlo, ma Parker era velocemente arrivato alla macchina e salutando solo leggermente i suoi amici si stava infilando dentro.

Ignorando tutto mi misi a correre, sentendomi più decisa che mai a vedere sangue su quell'asfalto.

Non mi sarebbe mica sfuggito! Pensai “furbamente”, aumentando sempre di più la corsa e rendendomi conto che nelle prossime lezioni di ginnastica, prima di cominciare a correre, avrei dovuto visualizzare Parker e il suo viso alla meta. Ci avrei dato l'anima, come in quel momento: di tutto per ucciderlo il prima possibile.

O forse non sarebbe stata una buona idea, come in quel momento. - Eve, il ghiaccio! - Mi urlò Francy.

Il ghiaccio. Avevo dimenticato il ghiaccio, ma in quel momento continuavo a non farci caso.

Parker, come molti, sentendo Francy urlare si era girato dalla mia parte.

Lui vedendomi sorrise divertito, mentre decelleravo ormai vicina.

- Parker! Ti uccido! - Sbraitai, per rendergli chiara la sua fine che credevo prossima.

Ma a fregarmi non fu la corsa. Fu la frenata.

Scivolai.

Scivolai su un'enorme lastra di ghiaccio.

E in avanti.

Non pensavo fosse fisicamente possibile cadere in avanti scivolando. Ma io sfidavo evidentemente la fisica.

Vidi solo Parker a cui spariva il sorriso e poi il marciapiede.

Sentii molte risate ma anche alcuni versi preoccupati: probabilmente di Francy e qualche primina che non mi conosceva.

Io intanto avevo sbattuto per terra col mento. Ero riuscita a bloccare la caduta solo con una mano ottenendo come risultato di farmi male in due punti diversi e quasi insaccarmi un dito senza attutire niente.

Dopo un attimo di smarrimento cercai di sollevarmi con la mano sana, mentre portavo quella insanguinata verso la bocca. La botta l'avevo presa col mento e coi denti di sotto. Un male cane.

Sentii delle braccia che mi aiutavano a tirarmi su e alzai lo sguardo, cercando gli occhi scuri di Francy, ma ne trovai un paio chiari.

- Che idiota! - Mi sgridò Parker, serio, facendomi mettere in piedi strattonandomi.

Cominciavano a bruciarmi anche le ginocchia e sentivo di essermi rotta i jeans, ma in quel momento pensavo solo alla mia bocca.

Parker mi trascinò, afferrandomi per una spalla, verso la sua macchina. Io ancora non fiatavo.

Francy ci raggiunse mentre lui apriva una portiera posteriore e mi obbligava a sedermi. La sua presa sulle spalle mi sembrò di sentirla solo in quel momento, forte e ferma; la sentii nonostante il dolore e il sapore metallico in bocca, che avevano tutta la mia concentrazione.

- Stai bene? - Mi chiesero insieme.

Io continuavo a tenere la mano sulle labbra. - Credo di aver perso un dente - risposi incolore sentendomi gli occhi caldi e quasi nel panico non osavo spostare la mano o fare niente per verificarlo. Sentivo solo un gran male alle gengive, dove dovevano esserci due denti e il gusto del sangue sulla lingua.

Mi furono tutti e due addosso.

Francy mi spostò i capelli da davanti al viso. - Fai vedere!

Parker senza tanti preamboli mi afferrò il polso per cercare di spostarmi la mano e, dopo un po' di resistenza, mi arresi.

Francy immediatamente si spostò per cercare qualcosa dentro lo zaino.

Parker mi lanciò uno strano sorriso, non l'avevo mai visto e sembrava essere in qualche modo di incoraggiamento, mi stava dicendo di calmarmi, che non era niente. Ritirai quell'unica mezza lacrima che stava per uscire davvero, mentre lui premeva leggero un dito sul labbro inferiore per spostarmelo in basso e controllare. Lo guardai disperata cercando il suo sguardo.

- Okay, stai calma. Ci sono tutti i denti - fece ridendo e incrociando gli occhi coi miei; il suo dito che cambiava pressione sulle mie labbra.

- Sicuro? - chiesi un pelo più rilassata.

Francy tirò fuori una bottiglietta d'acqua e dei fazzoletti e fece spostare Parker. Ne bagnò uno e cominciò a pulirmi il mento, facendomi male attraverso la pelle alla gengiva. - Un po' di sangue, ti sei sbucciata il mento, ma direi che va tutto bene - disse anche l'altra, sorridendo.

Parker rise appoggiandosi alla portiera. - Che bambina.

- Oh, Parker, ho visto il tuo sguardo preoccupato eh! - Fece l'altra maliziosa.

Parker si accigliò.

Francy mi osservò per bene il mento. - Conosco gente che per robe del genere si è beccata i punti. Hai un culo assurdo - mi diede un buffetto sulla guancia.

- Chiamalo culo - borbottai controllando con la lingua se i denti si muovevano. - Ma si muovono i denti, non è che mi si staccano?! - Chiesi riniziando a disperarmi.

Spuntarono Billy e Kutcher evitando a Francy di rispondere, esasperata. - Che volo, Gray! - Fece il primo e tutti e due scoppiarono a ridere.

- No, la cosa migliore è stata Parker da infermierina che le correva incontro disperato! - Sottolineò il secondo dando una gomitata al sopracitato.

Parker li fulminò. - Non ero disperato!

- E correva! - Rincarò la dose Billy.

Io guardai Parker che si arrabbiava sempre di più. Mi venne da sorridere e per due secondo non pensai ai denti.

- Sentite, se mi muore la schiavetta chi mi pulisce la camera fino alla fine dell'anno?! - Chiese retorico sbuffando. Poi mi guardò. - E adesso puoi andartene, ferita di guerra, mi insanguini tutto e mi fa abbastanza schifo.

Mi alzai tranquillamente, notando di avere sul serio i jeans rotti. - Sei tu che mi hai portata qua - gli ricordai toccandomi il mento.

- Gray, devi capirlo, non vuole farsi vedere in uno stesso punto per troppo tempo. Potrebbero avvicinarlo sennò! - Spiegò ovvio Billy, mettendosi di fianco a Parker e sorridendo ironico.

Kutcher si avvicinò invece a Francy che aveva accennato ad allontanarsi. - Sì, sennò le ragazze lo assalgono per chiedergli di accompagnarle a Sadie Hawkins - aggiunse l'altro prendendolo in giro.

Parker si accigliò e, dopo aver dato uno spintone a Billy, marciò verso il sedile del guidatore. - Guardate che è vero! Sadie Hawkins è un ballo orribile! - Sbuffò, con l'orgoglio ferito e si chiuse dentro la macchina.

Billy rise andandosene e non aggiungendo altro con noi.

Kutcher rimase lì, mentre io mi chiudevo la portiera dietro. - E, Reed, a proposito del ballo ... - Cominciò.

Francy alzò la mano per bloccarlo. - Le donne invitano! - Poi sorrise e mi trascinò via.

Kutcher ci rimase un po' male, corrucciandosi.

- Ma io dovevo picchiare Parker ... - Mi ricordai mentre evitavamo la lastra di gelo, tornando indietro.

- Su, Eve, pensiamo alle foto!

- Ma i miei denti ... - Mi lamentai borbottando.


 

Il giorno dopo pensai di prendere la cosa con filosofia.

Non avevo mai capito bene quel modo di dire ma avrei fatto così.

Sul giornalino, infatti, come foto del mese, ero finita io.

Respirai profondamente guardando il giornalino che avevo dovuto autorizzare proprio io.

Non credetemi pazza. Era stato Parker. Come sempre.

Parker, il babbo Natale che mi aveva osservato ridendo quel mattino, muovendo la testa su e giù di continuo.

Parker il pomeriggio prima mi aveva inviato la foto per MMS, fatta da non sapevo nemmeno chi, di me per terra.

Si vedeva anche leggermente Parker che si era avvicinato e faceva per chinarsi, ma era il dettaglio trascurabile.

E vabbè, com'era prevedibile, mi aveva obbligata a metterla sul giornale.

Me la prendevo con filosofia perchè in effetti, se non fosse stato per quella foto, il giornalino per quel mese avrebbe fatto senza, e la mia era tra le meno imbarazzanti che fossero mai state pubblicate. Anche se alla gente era piaciuta comunque: l'odio nutrito nei miei confronti si era rivelato utile.

Ma odiavo Parker comunque. E il brutto era che non potevo nemmeno vendicarmi.

- Non so cos'hai, davvero, in questo periodo - mi fece Luke.

Quel mattino eravamo stati noi due ad arrivare per primi a scuola. Avevamo montato su il solito tavolino nell'atrio, il punto vendita invernale, e via come ogni mese.

- Perchè? - Chiesi rileggendo per l'ennesima volta gli altri articoli.

- Sei diventata amica di Parker, ti fai vedere sempre in giro con lui. Poi metti una tua foto sul giornalino! - Elencò.

Cominciai a guardare un gruppo di ragazze che si avvicinavano, non preoccupandomi molto del sermone che sapevo star per arrivare.

- Non è mio amico e ti preoccupi troppo di tutto, Luke. - Sospirai posando gli occhi su di lui.

- Mi preoccupo per te - rispose all'improvviso dopo un attimo di silenzio.

Alzai le sopracciglia. Il gruppetto però ci interruppe chiedendo dei giornali. Glieli porsi e presi i soldi tranquillamente, cercando di far passare secondi dall'ultima frase di Luke.

- So badare a me stessa - risposi alla fine, sorridendo appena le ragazze si allontanarono.

Lui sbuffò. - Non sembrerebbe!

Mi accigliai di nuovo guardandolo scettica. - Luke, se sei di mal umore me ne vado e ti lascio fare, eh!

Si imbronciò ancora di più ma non rispose.

Tornai al giornale, per cercare così di ignorarlo. Quella volta Nicky aveva trovato una cosa carina da scrivere da solo: inizia a rileggere il suo articolo con fare orgoglioso.

- Noi siamo amici, no? - Mi chiese all'improvviso.

Alzai gli occhi dalle pagine stampate, poi lo guardai, abbozzando un sorriso. - Sì, anche se mi maltratti.

- Tu maltratti la gente - ribatté grattandosi la testa.

Feci una smorfia. - Non è vero.

- Invece sì e proprio per questo non stai particolarmente simpatica a tutti. Che Parker mostri interesse per te va fuori da ogni legge del mondo: c'è qualcosa sotto; non mi fido di lui. In qualche modo ti farà stare male, davvero male e siamo amici e vorrei evitarlo - confessò velocemente.

Non capivo se quella inutile preoccupazione fosse carina o solo innecessaria. - Non ci saranno mai modi in cui potrà ferirmi, tranquillo Luke.

Era insoddisfatto dalla mia risposta ma ormai si stava arrendendo. -Spero sia vero.


 

- I posteri la chiameranno “La profezia di Luke” - commentò Francy ridendo.

Scossi la testa divertita. - A volte è troppo melodrammatico.

Lei sbuffò d'accordo. - Come va, comunque? - Mi chiese sorridendo e indicando il mento.

Stavamo andando verso i bagni: Francy aveva bisogno e io ero l'ufficiale accompagnatrice. Emily stava ancora male e cominciavamo a temere che si perdesse il ballo.

- A me preoccupavano i denti, poi del resto amen. - A parte le antiestetiche crosticine, mi era andata effettivamente bene come aveva detto Francy.

Lei mi mimò un okay col pollice ed entrò in bagno. Io l'aspettai fuori: i bagni puzzavano perennemente a fumo e mi scocciava intossicarmi.

Cominciai a dondolarmi sul posto, annoiata, mentre le ragazze che passavano mi osservavano ridacchiando.

E intanto io non capivo perchè i coinvolti nelle foto si lamentassero sempre così tanto: quella era l'unica conseguenza e non era poi un granchè; risate, cosa potevano fare di male? O forse c'entrava che cambiasse la mia condizione sociale da quella dei soliti fotografati e che a me, dopo tutto, non importasse poi troppo; non di una caduta sul ghiaccio.

Persa nei miei pensieri, riuscii comunque a sentire, quasi fosse stato un rumore strano, la porta del bagno dei maschi aprirsi e poi richiudersi. Mi girai, verso il rumore, vedendo Parker, bello e tranquillo, che usciva.

Lo guardai scettica, capendo subito che si era nascosto lì dentro di proposito e che quindi stava sul serio continuando col suo piano di tenersi lontano dalle ragazze.

Quando mi vide - gli occhi verdi tornarono su di me, veloci, dopo un'occhiata che era sembrata non sfiorarmi, - alzò le sopracciglia e si avvicinò. - Quel tocco di marrone sotto il mento richiama il colore dei tuoi occhi! - Commentò con tono galante, come se mi avesse fatto chissà quale complimento.

Mi accigliai guardandolo male. - Con queste frasi conquisti le donne? - Chiesi ironica.

Lui rise. - No, basta la mia bellezza - fece ammiccando e fermandosi di fianco a me, contro il muro.

- Che cazzata - commentai distogliendo lo sguardo. Ma in effetti se non fosse stato Parker così Parker e se non l'avessi conosciuto, quel semplice occhiolino avrebbe avuto un altro effetto: a un'altra persona quell'occhiata sarebbe sembrata sincera e avrebbe bloccato il respiro. Mi accigliai mordendomi le labbra a sangue per aver avuto davvero quel pensiero.

- Che balla - rispose a tono.

Tornai a guardarlo, acida come al solito. - Ti stai ancora nascondendo? - Chiesi per cambiare argomento.

Lui annuì convinto. - E sono serio. L'anno scorso sono arrivato a quattordici richieste! La gente non capisce che se vado con la coppia devo restare con la coppia! - Disse come se quella fosse stata una qualche strana assurdità. Ma per lui, che probabilmente aveva pianificato cose ben precise per il ballo, in effetti la era.

- I balli, sai, sarebbero fatti per andarci in coppia. - Sorrisi ironica.

Mi osservò. - Gray, sarai la prima a entrare senza il partner Venerdì.

- Chi te lo dice?! - Chiesi punta nell'orgoglio e mettendomi dritta per bene. Anche se sapevo che era la pura e semplice verità.

- Dovresti invitare tu qualcuno al ballo e non lo farai mai. - Rise con quel fare da ragazzo popolare: da sono migliore di te; ti sto provocando e me la stai dando vinta.

- Scommettiamo? - Proposi girandomi con tutto il corpo verso di lui e, senza rendermene conto, dandogli solo corda.

Lui fece lo stesso. - Non valgono i due sfigatelli del tuo giornale - mise subito in chiaro e assecondandomi del tutto, senza la minima esitazione.

Increspai leggermente le labbra: avevo subito pensato a Luke, in effetti. - Va bene - risposi però convinta.

- E se vinci tu? - Chiese sorridendo. Era un sorriso di vittoria già chiara; negli occhi verdi sembrava già vedersi il riflesso di quello che era convinto sarebbe accaduto. Ma non avrebbe vinto lui, non l'avrei permesso.

- Se vinco io ti farai fare una bella foto imbarazzante per il giornale; senza censura - proposi, mordendomi le labbra: già pregustavo la foto del prossimo mese e la mia piccola vendetta.

E porsi la mano pronta a stringerla.

Lui rise, non cedendo né nello sguardo, né nella postura; nessuna traccia di disagio, di dubbio. - Che fissata.

- Tu? - Chiesi sbuffando e sicura di me quanto lo era lui.

Mi osservò: il verde chiaro divertito; ci pensò un attimo, sembrò trovare qualcosa, poi parlò: -Se vinco io e vieni alla festa senza coppia, io potrò cambiare una delle tue condizioni nel ricatto.

Provai a fare velocemente mente locale delle cose che avevo detto, stipulado quella nostra sorta di contratto, e la clausola che principalmente mi ricordai fu la storia del: “Niente contro la legge! E con questo intendo anche che non ti faccio copiare i compiti”. Accigliata all'idea, che nel caso avessi perso, sarei tornata a fare quelle cose ritirai un po' la mano.

- Questa perdita improvvisa di sicurezza? - Chiese prendendomi in giro con una faccia da schiaffi.

Punta di nuovo e come sempre nel vivo, rialzai la mano, cascandoci ancora. - Accetto.

Sorrise soddisfatto e la sua mano circondò la mia in una presa salda. - Tanto perdi, Gray.

- Vedremo, Parker.

Mi sembrò per un attimo di star scommettendo col diavolo.

E Parker lo era, davvero, il diavolo.

Ma alla fine, che problemi c'erano? Avrei vinto.

Il diavolo non avrebbe vinto.


 


 

*Angolo Autrice


Salve a tutte :)

Spero che il capitolo vi sia piaciuto, anche se è breve e più che altro prova a strapparvi un sorriso. Il prossimo capitolo, il ballo invernale, Sadie Hawkins, invece sarà più intenso. (Sadie Hawkins esiste sul serio e sul serio sono le donne a invitare gli uomini, comunque :D)
Evelyne senza nemmeno pensarci scommette con Parker. Che sia una buona o una cattiva idea lo scopriremo poi. E lei istintivamente pensa subito alla storia del copiare, quando lui dice che cambierà una delle clausole, ma non è nella testa di Parker e lui potrebbe benissimo intendere altro. Questo per dirvi di non dare per scontato quello che pensa la nostra Evelyne :)
Poooi che dire. Il robo che Parker attacca sul cruscotto di Evelyne verrà tolto poi con molto impegno da lei, ma vedrete, e la macchina non si rovinerà sul serio, è un idiota ma lo scherzo così è almeno perdonabile. AHAHAH
Per la caduta di Evelyne mi sono ispirata alle mie: anch'io sfido le leggi della natura e una cosa del genere mi è successa. E l'esperienza di ricevere un colpo al mento e avere due denti traballanti è sempre personale . . .
E niente direi, alla prossima, tra una settimana, come al solito. :)
A presto, ciao!

Josie.


 

Spoiler:
“Ma i ragazzi, avevo notato quella settimana, tendevano ad evitarmi e quei pochi a cui ero riuscita ad avvicinarmi ed accennare al ballo avevano risposto tutti allo stesso modo: -Non voglio problemi con Parker-.

Sembrava infatti che quella testa di cazzo, per vincere la scommessa, avesse chiesto a tutte le sue conoscenze di rifiutarmi.”

Chi vincerà la scommessa? Parker gioca sporco, ricordo :D


 

*Dawn significa “Alba” in inglese e per questo viene mimata una “palla” che si alza nel cielo, da Francy. Ahahahah
E che Dawn abbia il mio nome in versione inglese è solo perchè avendo utilizzato uno stereotipo (la cheerleader bella, tettona e bionda) e visto che la descrizione corrispondeva a una mia grande amica che però non è per niente oca, per non offenderla e compensare le ho dato il mio nome. :) ahahahah

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Capitolo 13
*** Sadie Hawkins ***



 

(grazie a Jess Graphic per la copertina :3)
12. Sadie Hawkins

 

 

Era stata una settimana impegnativa.

Tra studio per i vari test, tra la visita a casa di Emily - che finalmente si era ripresa, - tra i compiti idioti che mi venivano affidati da Parker - particolarmente frequenti in quei giorni, - tra l'acquisto del vestito per Sadie Hawkins, tra tutto insomma, era arrivato Venerdì.

Venerdì mattina e quindi le ultime ore per provare a vincere, dato che quella sera ci sarebbe stato il ballo.

Durante quella settimana avevo anche avuto un vago sospetto.

Sospetto nato dal fatto che i ragazzi tendevano ad evitarmi e quei pochi a cui ero riuscita ad avvicinarmi ed accennare al ballo avevano risposto tutti allo stesso modo: “non voglio problemi con Parker”.

Sembrava infatti che quella testa di cazzo, per vincere la scommessa, avesse chiesto a tutte le sue conoscenze di rifiutarmi.

E quindi avevo avuto automaticamente un certo sospetto: perchè tutto quell'interesse a vincere?

Il sospetto era diventato tremendo ed orribile.

Tremendo ed orribile perchè avevo pensato, per bene, a tutte le cose che avevo chiesto che rispettasse, ad Ottobre.

C'era sì il non chiedermi di uccidere nessuno, di non fargli arrivare le soluzioni dei compiti, ed era quello a cui avevo subito pensato, ma c'era anche … C'era anche la richiesta di niente nudismo in pubblico e di niente che riguardasse la sfera “sessuale”.

E tutto quell'interesse a vincere stava facendo aumentare, sempre di più, il sospetto.

Era più probabile che Parker fosse interessato a vincere per copiare o per farmi fare qualche improbabile spogliarello (i favori sessuali li avevo esclusi a priori dalle possibilità), umiliante e magari pubblico?

Non c'era bisogno di esitare molto prima di rispondere.

Ero quindi disperata.

E con fare disperato osservavo Billy. Billy da solo in fila per prendere da mangiare.

Billy Hans, migliore amico di Parker e probabilmente l'unico che non lo temesse. Forse la mia ultima speranza.

- Evelyne, conosco quello sguardo. - Francy mi stava guardando preoccupata.

- Sì - risposi impassibile e continuando a stare impalata davanti all'entrata della mensa.

- Stai davvero per andare a chiedere a Billy di accompagnarti? - Chiese cercando una definitiva conferma.

- Sì - risposi di nuovo, un po' più incerta.

Sospirò scuotendo la testa. - Io non capisco a priori perchè con quell'altro ci hai scommesso. Okay che la foto ti ha fatto gola ma è Parker, è satana. - Continuai mentalmente il discorso per lei: “lui è abituato a fare scommesse, ha imbrogliato e continuerà a farlo”.

- Ci provo - ribattei alla fine convincendomi e marciando verso il ragazzo.

- Magari tu hai fortuna - mi urlò dietro, un po' mogia. Un po' mogia perchè da Jack, causa altra festa a cui aveva già confermato la sua presenza, aveva ricevuto un no all'invito. Francy aveva quindi deciso di andare al ballo senza accompagnatore, ma sapevo che Kutcher le avrebbe fatto in ogni caso compagnia.

Billy, che intanto faceva la fila sbadigliando e osservando a tratti il suo vassoio e a tratti le polpette dietro la vetrinetta, mi vide quasi all'ultimo, di sfuggita, e sorrise subito, capendo che miravo a lui.

Mi morsi le labbra, ansiosa, fermandomi davanti a lui. - Ehy - salutai a disagio e guardandomi alle spalle. Parker non era al solito tavolo dei “fighi”, continuava a non farsi vedere in giro per evitare di essere stressato dalle ragazze, come diceva lui; anche quello mi incoraggiava a parlare col suo amico.

- Gray - rispose salutando così e avanzando un po' nella fila.

- Come mai senza Parker? - Chiesi tanto per rompere il ghiaccio e continuando ad affiancarlo.

Lui sorrise e mi guardò divertito. Sapeva evidentemente perchè gli stavo parlando. - Ogni tanto ci separiamo, la distanza fortifica l'amore.

Un po' mi venne da ridere, ma cercai di trattenermi. - Ah.

- Comunque, cosa posso fare per te? - Si riempì il piatto con del cibo, continuando sempre col suo sorriso.

Mi sfiorai il collo a disagio. - Sai … Sai della scommessa di Parker, vero?

Lui annuì distrattamente.

- Ecco … Quello stronzo ha detto a tutto il mondo di rispondermi con un no e visto che credo tu sia l'unico che non gli darebbe ascolto: mi accompagni a Sadie Hawkins? - Chiesi, sputando di getto l'ultima richiesta.

Billy scoppiò a ridere. - Me l'aspettavo che saresti venuta da me alla fine, sai?

- E' un no? - Borbottai triste, mentre la mia ultima speranza si scioglieva davanti ai miei occhi.

Lui mi sorrise gentile. - Ti avrei detto di sì, vedere la reazione di Max stasera sarebbe stato interessante, ma sei arrivata troppo tardi: mi hanno già invitato e ogni anno accetto sempre la prima richiesta, per non fare un torto a nessuna e ormai ... - Spiegò, sul serio un po' dispiaciuto.

- Ah, vabbè niente ... - Borbottai facendo per andarmene. Cominciavo ad essere seriamente disperata.

Mi fermò. - Evelyne, aspetta. - Quando mi girai mi sorrise divertito. - Suggerimento: Max ha avvisato tutta la scuola coi suoi mezzi, ma è possibile che ad alcuni, come quelli del coro e robe del genere, non sia arrivato niente. Con loro non ha mai a che fare. Prova a cercare per di là, forse uno decente lo trovi.

Lo guardai sorpresa, perchè non ci avevo pensato e perchè me lo stava dicendo? - Vado, ma ...

- Non perdere tempo qua, non te ne rimane molto. - Non rispose e sorridendo tornò al suo cibo e alla sua fila.

Seguii i due consigli e velocemente me ne andai.

Sorpassai Francy che mi guardò interrogativa ma avrei spiegato più tardi.

Il coro, aveva detto Billy?

Marcia verso quell'aula sperando con tutto il cuore che ci fosse qualcuno.

La consapevolezza di quella scommessa stava diventando sempre più pesante.

Aprii la porta e una pura espressione di delusione mi si dipinse sul viso: non c'era nessuno ad occupare le numerose sedie e la grande stanza.

Sospirai e, definitivamente disperata, stavo pensando se, inginocchiandomi e scongiurando, avrei potuto cancellare la scommessa. Ma era effettivamente poco dignitoso, anche per difendersi da uno spogliarello.

E se non fossi andata al ballo? C'era la possibilità di far saltare la scommessa, così?

Mentre analizzavo quell'allettante possibilità sentii un leggero colpo di tosse alle mie spalle. Mi girai.

- Scusa, dovrei passare. - Un ragazzo moro con dei sottili capelli lisci che tendevano a ricadergli sulla fronte era appena arrivato. Mi spostai per lasciargli spazio, senza dire niente e rimasi lì. Mi guardò curioso entrando e vedendo che non me ne andavo.

Io intanto una mezza idea ce l'avevo già. Ricambiai lo sguardo ed entrai piano. Insomma, quella settimana ero già sembrata una pazza disperata quindi tanto valeva ...

Lui, tranquillo, andò verso l'armadio, una chitarra in mano che appoggiò su una delle sedie. - Come mai qua? - Chiese sorridendo.

- Mi era sembrato di sentire qualcuno suonare ed ero curiosa di vedere - risposi in un modo amichevole che normalmente non avrei mai usato con uno sconosciuto.

Lui sbuffò divertito, per la scusa penosa. - Evelyne Gray, no?

Lo guardai sorpresa. Mi osservò di sottecchi con gli occhi più neri che avessi mai visto. - Una ragazza del giornale non si interessa di musica - commentò.

Tornai a sorridere. - Sono così conosciuta come solo la ragazza del giornale? - Chiesi dondolandomi sui piedi.

Lui ridacchiò. - Da quando hai umiliato Parker lo scorso anno, sì. - Sentii una leggera nota nel tono che mi incoraggiò. Sperai di non sembrare troppo maniaca e che non avesse la ragazza, ma ormai avevo deciso che quello sconosciuto mi avrebbe dovuta aiutare.

- Quest'odio verso Parker mi piace - risposi.

- Perchè qui? - Chiese di nuovo e mi osservò attento. Era carino, con dei lineamenti comuni e forse, notai, un po' da bambino, ma carino.

- Per sentire musica. - Dissi ancora.

Lui ridacchiò sommessamente, continuando a non crederci. - Che Parker abbia chiesto a tutta la scuola di rifiutare qualunque cosa ci chiederai non c'entra?

Feci una smorfia. Che mezzo di comunicazione aveva usato per arrivare ovunque?!

Rise vedendo la mia faccia. - Peccato che detesti Parker per principio, quindi, qualunque sia la cosa che stai chiedendo a tutti, rifiuterò solo se lo vorrò io.

Gli feci un grandissimo sorriso, contenta, e avvicinandomi a lui. - Come ti chiami? - Chiesi prima di tutto.

Lui ridacchiò di nuovo tirando su intanto la chitarra. - Ben, piacere.

- Quanti anni hai? - Domandai ancora, ridendo. Mi sembrava di essere qualche strana reclutatrice e cercai di non pensare a l'idea che dovevo avergli fatto.

Ben però mi sorrise e i suoi sorrisi mi piacevano: erano aperti e sinceri. In quello, almeno per quanto riguardava quelli che venivano rivolti a me, batteva Parker. - Sono del penultimo anno - rispose mentre mi chiedevo mentalmente perchè lo stessi paragonando a Parker.

Un junior.

Feci una faccia che probabilmente capì. - Se stai cercando qualcuno per Sadie Hawkins e c'entra Parker, non credo che sappia che sono del penultimo anno e non un Senior come voi due - rispose con ovvietà e in effetti il ragionamento quadrava. Si portò dietro la chitarra e andò verso uno degli armadi nella stanza. - Vuoi farlo ingelosire? - Mi chiese scettico, ma sempre col sorriso.

- No, ho fatto una scommessa ... - Risposi un po' a disagio, seguendolo.

- Ha scommesso che non trovavi nessuno per stasera? - Era così ovvio?

La chitarra la mise dentro l'armadio che poi chiuse.

- Esatto - risposi inumidendomi le labbra. - E tutti hanno paura di lui e mi dicono di no.

Mi interruppe. - Mi sta antipatico e tu sei parecchio carina - cominciò e io arrossii, all'improvviso a disagio. - Quindi se stai cercando qualcuno che ti accompagni per me va bene - concluse, facendo spallucce e sorridendomi. - Senza contare che andare a un ballo con una più grande non è per niente male.

Il rossore mi passò presto e sorrisi. - Ci sfruttiamo a vicenda, quindi? - Ultimamente ero solo in grado di avere a che fare con nuove persone per motivi fin troppo particolari.

Lui annuì. - Stasera alle 9 dalla palestra? - Mi chiese. Non sembrava abituato a quelle cose o semplicemente cercava di guardare solo il lato pratico della faccenda, come avremmo in effetti dovuto fare.

Sorrisi per fargli capire che mi andava bene.

Non vedevo l'ora di osservare l'espressione di Parker, quando si sarebbe reso conto che aveva perso. Ed io ero la vincitrice.

Per il resto della giornata mi accompagnò quel dolce sapore di vittoria, che aveva sostituito la disperazione.

E niente mi era mai sembrato così dolce. Sapeva a frutta.


 

E sempre con quella consapevolezza di vittoria, stavo uscendo di casa, pronta per guidare fino al ballo a cui ormai volevo andare solo per Parker.

Sorrisi allegra infilandomi in macchina e canticchiando.

Avevo un vestitino azzurrino, stretto sul seno, che si allargava all'altezza della vita, scendendo poi in fronzoli leggeri fino alle ginocchia. Era molto acqua e sapone, come me dopo tutto. Mi trovavo a mio agio, tranne, parecchio, per la scollatura a cuore e per il fatto di avere il seno più in vista del solito: amavo i vestiti larghi non per niente; ma in quell'acquisto Francy aveva insistito fin troppo e alla fine avevo ceduto, peccando di vanità.

Perchè ero comunque carina.

E così avevo il vestito, che non era costato quasi niente, e avevo un accompagnatore: sembrava che tutto potesse andare bene.

Arrivai come sempre in anticipo, davanti alla palestra e me ne stetti, appoggiata contro il muro di quel palazzetto a guardare altri studenti che entravano.

Speravo poi che non arrivasse Parker troppo presto: lo conoscevo abbastanza per sapere che sarebbe stato capace di dirmi che avevo perso, dato che non ero stata accompagnata in OGNI parte della festa.

Sbuffai e mentre lo facevo mi sembrò di vedere il morettino di quella mattina.

Socchiusi gli occhi, vedendolo mentre si avvicinava guardandosi attorno.

Nonostante il buio quando incrociammo lo sguardo mi sembrò di incontrare i suoi occhi.

Lui alzò le sopracciglia e mi sorrise come aveva già fatto. Si avvicinò velocemente. - Ciao, Evelyne.

- Ciao - feci ridendo.

Mi osservò. Avevo ancora la giacca, ma la gonna azzurrina si vedeva scendermi leggera sotto quella. Poi mi guardò in faccia. - Il vestito non ho ancora capito com'è ma sei bella - mi disse, infilando una mano in tasca.

Io risi ancora. Era un Junior, ma decisamente cascamorto. - Grazie! - Ringraziai, con una piccola riserva che mi rendeva un po' a disagio: era pur sempre uno sconosciuto, quello davanti a me.

E lo sconosciuto tirò fuori una scatolina dalla tasca.

Lo guardai sorpresa, mentre mi prendeva la mano destra e mi infilava delicatamente al polso uno di quei classici fiori da ballo. 
Era bianco e semplice e senza volere perfetto col resto.

Gli sorrisi. - Per essere uno sfruttamento reciproco sei stato fin troppo carino.

- Già che ci sono conviene approfittarne, no? - Insinuò.

- Non esagerare, Ben - lo ammonii, ma con un leggero sorriso, ed accennai ad andare verso la palestra.

Fece una smorfia comica. - Ah, peccato!

Entrammo e lì, vicino al guardaroba, davanti a uno sfondo, molto pessimo, del mare al tramonto, uno dei ragazzi del club di fotografia faceva, annoiato, foto alle varie coppie. Francy l'aveva scampata ottenendo il compito di fare foto durante la festa. Lei ovviamente sperava di beccare scene equivoche, imbarazzanti e cose del genere, ma non sarebbe stata Francy sennò.

- Foto? - Chiese Ben sorridendo.

Mi spuntò una smorfia. - Non credo sia una buona idea ... - Soprattutto data la mia capacità di venire "bene" e che le immagini sarebbero state messe sul sito della scuola.

- Dai, su! - Insistette, ridendo.

E mentre insisteva sentii delle risate: mi girai vedendo Parker e Billy e i soliti, più alcuni della squadra di basket, che arrivavano insieme, accompagnati da un gruppo di ragazze.

Dawn, che durante quella settimana non aveva mai incrociato per bene Parker, aveva ripiegato su Clark che in quel momento se la teneva, soddisfatto, al fianco. Mai rifiutare un paio di belle tette.

- Facciamo la foto - mi corressi spingendolo verso il ragazzo all'entrata, cercando in quel modo una fuga.

Ci mettemmo dietro l'unica coppia davanti a noi. Ben sorrideva avendo notato il motivo per cui avevo cambiato idea e io mi ero irrigidita.

Mi sentivo, senza apparente motivo, nervosa e giocavo quindi con la zip della giacca. E non era normale sentirsi nervosa, soprattutto dato che avevo vinto la scommessa. Diedi la colpa alla scollatura del vestito su cui avevo, evidentemente, cambiato opinione durante il tragitto.

Proprio mentre i biondi davanti a noi si facevano un paio di foto, Parker e i suoi amici entrarono facendo un gran baccano.

- Foto tutti insieme? - Chiese la voce squillante di Dawn. - Io però anche una da sola con Max - insinuò poi civettando.

Feci una smorfia senza girarmi, mentre sentivo il gruppo che dicendo altro si sistemava dietro di noi.

- C'è la Gray - notò qualcuno, Billy probabilmente. Guardai Ben con una faccia strana, ma lui mi scosse la testa, sorridendo tranquillo, come a dirmi che qualunque cosa avessero detto non importava.

Mi girai quindi leggermente, mentre Parker si avvicinava sorridendo divertito. I due sorrisi, quello di Ben e Parker, si contrapposero ancora più violentemente.

- Niente panda, oggi? - Domandò fingendosi dispiaciuto e guardandomi tranquillamente. Dawn cominciò a blaterare qualcosa con tono acido, sapevo cosa ma non volevo farci caso.

Lanciai così a Parker uno sguardo di sufficienza. - No, e non ...

Mi interruppe: come per caso aveva guardato il ragazzo di fianco a me, notandolo. Alzò le sopracciglia e il sorriso sembrò accigliarsi. - Sei riuscita sul serio a trovare qualcuno? - Chiese, assumendo velocemente la solita espressione ironica.

Sorrisi, ricordandomi che non c'erano motivi per stare sulla difensiva. - Esatto. Ben, Idiota; Idiota, Ben - presentai, con un veloce gesto della mano, dall'uno all'altro. - Sulla scommessa, ne riparleremo - ricordai con il tono deliziato che avrei dovuto avere tranquillamente fin dall'inizio.

Parker aprì la bocca per ribattere ma il fotografo ci chiamò.

Mi allontanai veloce e sentii il castano sbuffare sonoramente, lasciandoci perdere.

Il fotografo ci indicò il bancone dove appoggiare le giacche prima delle foto. Ben si tolse velocemente la giacca, ricevendo in cambio un numeretto e io, con lentezza, abbassai la zip e alla fine tolsi giacca e coprispalle.

Ben mi squadrò un attimo. - Oh - fece solo.

- Così male? - Chiesi a disagio, facendomi comparire delle rughe sulla fronte, pronta a subire il colpo, mentre il fotografo scocciato ci diceva di muoverci.

- In realtà l'oh diceva tutt'altro - chiarì, grattandosi la nuca e sorridendomi. Lo guardai scettico, ma distendendo la fronte.

Ben ignorò la mia reazione e andò davanti al poster e un po' scocciata, di star per subire davvero quella tortura, lo raggiunsi.

Furono solo due foto ma durarono un eternità.

Sospirai alla fine e lanciai una vaga occhiata a Parker & Company.

Dawn continuava a sparlare, muovendo la mano scocciata e le amiche la ascoltavano annuendo; Billy sorrideva dicendo qualcosa a mezza voce a Parker; e Parker sembrava non ascoltarlo particolarmente, mi guardava, distratto, passandosi una mano tra i capelli.

Incrociammo un attimo lo sguardo.

Ben mi risvegliò, appoggiando la mano sul mio fianco e trascinandomi via.

- Ti eri incantata? - Chiese ridendo.

- No - risposi subito, accigliandomi. Perchè tutti dicevano che mi incantavo?!

- Sembrava! - Scherzò, lasciandomi il fianco. - Comunque so che il tuo obiettivo era solo vincere la scommessa, ma da come si stanno mettendo le cose, posso divertirmi un po' anch'io?

Lo guardai perplessa, incintandolo a continuare, mentre mi portava verso uno dei tavoli che erano stati collocati nella palestra.

- Devi sapere che di cognome faccio Johnson.

Il cognome era comunissimo e non capivo cosa dovesse suggerirmi. Lo guardai per vedere se continuava. Lui rise della mia espressione sedendo ad una sedia, io di fronte a lui.

- In effetti non te lo ricorderai … Mia sorella l'anno scorso era una Senior e Parker all'inizio dell'anno, non so come, mia sorella non è di quel tipo, ma diciamo che l'ha … Sedotta e le ha, letteralmente, spezzato il cuore, dopo - spiegò prendendo un bicchiere vicino alla scodella del punch - ovviamente non alcolico, - della festa.

Feci una smorfia: non era la prima volta che sentivo storie del genere; Parker aveva davvero una brutta reputazione in quanto a relazioni: più grandi, più piccole, ragazze della stessa età, in molte erano rimaste abbagliate da lui. E lui, ragazze facili, difficili, tutte avevano creduto di essere diverse dalle altre e tutte erano rimaste fregate, in un modo o nell'altro. Perchè Max Parker non si era mai innamorato e mai era rimasto ferito.

Mi passai una mano per i capelli, nervosa. Tra quelle dell'ultimo anno Francy, Emily ed io eravamo tra le poche a non essere cadute nella trappola e a non avere nemmeno una cotta per quel ragazzo.

Ben mi porse il bicchiere che aveva appena riempito, guardandomi di sottecchi, mentre pensavo.

Il bacio, innocente alla fine, che ci eravamo scambiati ad Halloween non valevano come fregatura, vero? Bevvi, cercando di sciogliere uno strano nodo in gola.

- Per questo odio Parker. E, non so perchè, ma in parte vedo che è lo stesso anche per te - fece ridacchiando e osservandomi ancora in modo strano.

Riassunsi il sorriso di prima, per non far capire troppo di essermi persa nei miei pensieri. - Quindi?

- Quindi. - Si appoggiò sul tavolo coi gomiti. - Io non ho mai a che fare con Parker e non ho mai avuto l'occasione di vendicarmi per mia sorella, non come avrei voluto. Oggi posso.

Lo guardai interrogativa, puntando il gomito sul tavolo e appoggiando il mento sul palmo della mano. - E come? - Vendicarsi su Parker era parecchio interessante come argomento.

Lui sorrise. - Ti basta solo assecondarmi di più di quello che faresti normalmente ... - Spiegò divertito.

Risi. Sembrava molto una scusa campata per aria. - E come?

Arricciò un attimo le labbra, facendo comparire una fossetta che gli diede un aspetto ancora più infantile. - Ridendo come adesso, per ora, può bastare.

Lo guardai scettica, ma sorridendo.

- Fallo! - Ordinò convinto.

Ridacchiai, più perchè perplessa che per assecondarlo.

- Ma più entusiasmo! - Ribatté, ridendo anche lui e poi alzando gli occhi al cielo. Quando gli occhi si riabbassarono, osservò con insistenza qualcosa alle mie spalle e mi girai.

Parker, nella sua camicia bianca con cravatta - perchè lui non poteva portare i papillon come tutto il mondo, - si stava avvicinando con un'espressione impassibile pennellata in faccia. I capelli, pettinati per quella sera in modo diverso dal solito, rendevano più giustizia ai suoi occhi: il verde risaltava sul bianco e il nero dell'abbigliamento, in un contrasto di colori che non poteva essere casuale, sembrando uscito da un quadro.

Mi rigirai verso Ben, scuotendo la testa.

Parker arrivò sul serio al nostro tavolo e si sedette lì, con una smorfia scocciata.

- Cosa vuoi? - Chiesi con un tono sinceramente insofferente.

- Non avevo ancora iniziato - fece subito guardando il mio accompagnatore.

Fui battuta sul tempo da Ben che rispose, mentre io deglutivo sentendomi la gola secca: - Di far cosa? - Sostenne il suo sguardo.

Parker lo guardò davvero malissimo. - Di criticare il bambinetto che Evelyne ha avuto il coraggio di portarsi dietro - rispose.

- Parker, non è né un bambino né niente, solo perchè hai perso la scommessa non puoi cominciare a dirgli ... - Cominciai, irritandomi per tutta la cattiveria gratuita.

- E' dell'ultimo anno quanto io sono una donna! - Commentò sbuffando e interrompendomi. Ben non disse niente, perchè in effetti aveva ragione.

Non ne potevo più e, decisamente non in me, cercai di zittirlo: - Sarà piccolo d'età, ma dove conta è più grande di molti. - Riuscii anche a sorridere tranquillamente, guardandolo negli occhi, mentre lo dicevo.
 

- Credo di essermi innamorato - sospirò Ben, quasi estasiato, mentre ci allontanavamo, andando verso l'entrata. Io ero fuggita prima che Parker avesse potuto capire e replicare.

Risi un po' imbarazzata, guardandolo. - Stava per iniziare a trattarti male e per farlo tacere bisogna usare metodi poco ortodossi.

- Beh di certo non se l'aspettava. - Rise più di me.

Lanciai uno sguardo distratto verso il tavolo che avevo appena lasciato: Parker era ancora seduto, mi dava le spalle e si tirava i capelli all'indietro. Dawn lo stava raggiungendo.

- Direi allora di continuare così, collega - fece Ben con tono confidenziale e dandomi una gomitata.

Non ci feci molto caso però, perchè in quel momento vidi arrivare Francy ed Emily, insieme a tanta altra gente: la palestra si stava rapidamente riempiendo. Tutte e due senza coppia, camminando vicine tra ragazzi e ragazze a braccetto.

Avevano tutte e due i vestiti che ci eravamo comprate il giorno prima. Francy ovviamente nero e Emily uno, un po' primaverile, color pesca.

- Oh, la mia tettona preferita! - Mi urlò Francy, venendomi incontro e abbracciandomi. Ogni volta, soprattutto al mare, o in qualunque situazione in cui si vedessero le mie tette, cominciava a chiamarmi così, facendosi odiare. Tanto.,

- Dai! - Mi lamentai, guardandomi intorno a disagio; l'unico ad aver sentito era stato Ben che si grattò la testa ridacchiando.

- Che carina, Eve! - Fece Emily, avvicinandosi e sorridendo dolcemente, nel suo solito modo.

Francy continuava a non mollarmi e, sempre stritolandomi, vide Ben. Si staccò finalmente, di colpo e facendomi quasi traballare. - Oh, tu sei quello della chitarra che Eve ha assalito!

Ben mi interruppe prima che mi ribellassi alla frase appena detta. - Assalito no! La cosa mi ha fatto anche piacere - disse ridendo.

- Oh, che tenero! - Francy se la ridacchiò, osservandolo e mordicchiandosi le labbra in uno strano modo pensieroso; quasi mi preoccupai.

- E' un po' esagitata stasera e non capisco il perchè - spiegò Emily, facendo una smorfia teatralmente perplessa.

- E' perchè vede Kutcher e quindi ... - Proposi.

Francy sbuffò con un cenno. - Avrei anche voglia di soffocare le pene d'amore - disse con tono drammatico. - Anche con qualche ragazzo, ma dopo non me lo tolgo più di dosso Kutcher.

Emily ed io annuimmo gravemente e d'accordo.

Ben rise. - Ma avete solo a che fare con con Parker e i suoi amici?

Emily fece spallucce sorridendo. - Io mi salvo!

- Farei volentieri cambio - risposi acida.

- Ed è tutta colpa di Evelyne, prima che cominciasse a farsela con Parker non ci cagavano - spiegò Francy ridacchiando.

Feci una smorfia e intanto partì la musica di una delle band della scuola. - Non mettere mai più l'espressione “farsela” nella stessa frase con me e Parker - le ordinai, schifata.

- Ma scusa - intervenne di nuovo Ben, divertito, sembrava star approfittando veramente della situazione per socializzare. - Perchè allora hai così tanto a che fare con lui?

Sospirai. La gente non capiva che se la voce non si era ancora sparsa significava che non si poteva, davvero, venir a sapere.

Emily fece un gesto per richiamare l'attenzione. - E' un segreto. Non lo so bene nemmeno io, alla fine. - E ridacchiò.

Ben mi guardò curioso.


 

La festa era quasi finita.

Dopo la band della scuola era seguita musica da discoteca e poi per chiudere: i lenti.

- E adesso l'ultima canzone! - Urlò il dj, distruggendo l'atmosfera romantica creatasi tra alcune coppie, che ballavano dondolandosi sul posto; poi cominciò a trafficare con i cd.

Non avevo idea di che ora fosse ma i più piccoli se n'erano andati tutti, insieme anche a molti Senior, spariti, spesso, di due in due.

Sbadigliai staccandomi da Ben.

Lui era riuscito, in qualche modo, ad obbligarmi a ballare un lento, ma mi ero rifiutata di farne più di uno.

- Va bene, non insisterò oltre - fece infatti il morettino capendo il mio sbadiglio e la mia mezza occhiata. Io risi, d'accordo. - Vado in bagno un attimo e andiamo? - Chiese conferma e con un'aria stanca che notai solo in quel momento.

Annuii andando a sedermi a un tavolo lì vicino. Non lo guardai andare via e sbadigliai di nuovo.

Il giorno dopo sarei dovuta andare a lavorare presto, alle 8:30, e dopo quella settimana ero quasi morta dalla stanchezza.

La musica partì, evidentemente il dj aveva trovato il cd che voleva.

Qualche ragazzo mi passò davanti osservandomi. Non capivo perchè quella sera mi guardavano tutti in modo strano. Forse mi ero truccata e sembravo relativamente strana, ma per il resto non ne avevo idea, ma le occhiate mi irritavano.

Sbadigliai di nuovo, nonostante tutto.

Sentii un rumore e una sedia si spostò vicino a me.

Mi girai curiosa: Emily e Francy se n'erano già andate, la prima aveva il coprifuoco molto presto e la seconda era voluta fuggire da Kutcher. Io totale libertà, come sempre.

Parker si sedette, o per lo meno, si lasciò cadere sulla sedia con fare stanco e mi osservò.

- Il nanetto?

Sospirai alzando gli occhi al cielo. - Perchè ce l'hai tanto con lui? Comunque è in bagno.

- Perchè per colpa sua dovrò farmi una cazzo di foto per il tuo giornale. - Sì, in effetti era logico.

La canzone che era stata scelta era una versione, a volume molto basso e forse anche rallentata, di “Kiss Me” dei Sixpence None e non ricordavo cosa.

Dopo un po' di silenzio mi guardò. Lo notai e mi girai leggermente anch'io.

Mi squadrò come l'avevo già visto fare una volta, seppur non ricordassi quando. Poi, tranquillamente, quando tornò ai miei occhi, disse con leggerezza una cosa che non mi sarei mai aspettata: - Sei quasi carina stasera. - Mi ritrovai a sgranare gli occhi, quasi senza volere. Perchè davanti a qualsiasi parola di Parker ero sempre pronta, tranne che con i complimenti.

Lui sorrise divertito e fu sul punto di aggiungere altro. - Eve, andiamo? - Ma venne interrotto.

Mi voltai e vidi Ben. Era tornato in quel momento e guardava Parker con uno strano fare sospettoso. La canzone finì in quel momento e non ci fu più musica.

Io annuii e mi alzai. A Parker feci un leggero cenno di saluto che lui ignorò, voltandosi da un'altra parte.

Accigliata quindi andai verso la mia macchina.

Ben avevo scoperto che non aveva né patente, né mezzo di trasporto e alla fine gli avevo proposto di riaccompagnarlo io a casa.

Arrivai alla macchina, che quel giorno avevo parcheggiato più vicina, trovando il mio solito posto occupato, e aprii la portiera del conducente.

- Eve - mi chiamò Ben.

Lo guardai interrogativa, bloccandomi sul posto, in attesa. Lui portò lo sguardo, da un punto vuoto dietro di me, ai miei occhi.

- Mi fai un regalo? - Chiese sorridendo. - Un piccolo ringraziamento.

Lo guardai scettica, ridendo. - Cosa?

- Un bacio.

Alzai le sopracciglia, sorpresa. Non quanto dopo la frase di Parker, ma la cosa ci andava vicino: era partito un embolo a tutti i ragazzi in quella palestra?

Ci pensai però un attimo, tentennando: un bacio, un bacio a stampo non sarebbe stato niente, no? E dopo tutto quel ragazzo mi aveva evitato uno spogliarello a casa di Parker o Kutcher, probabilmente. Era il mio salvatore.

Lui mi lanciò uno sguardo ansioso e alla fine annuii, sorridendo un po' a disagio.

Ben mi regalò uno dei suoi soliti sorrisi, e quello che mi aveva chiesto per un attimo non mi sembrò così malvagio. Avvicinò velocemente una mano al mio fianco e accorciò le distanze.

L'alito di Ben sapeva molto a menta e mi chiesi divertita se in bagno avesse masticato una cicca. Pensai a quello mentre si chinava per baciarmi, un pensiero ben poco romantico.

E poco romantico fu il bacio.

Incontro tra labbra. Labbra morbide che cercavano un semplice bacio e niente di più.

Pochi secondi e si staccò sorridendo, lasciandomi solo quell'impressione di morbidezza e labbra umide, poi mi sorpassò per poi andare al posto del passeggero.

Io entrai nel mio e, senza fare molto caso al mio compagno in macchina e a nient'altro, uscii dal parcheggio.

Lui si era dipinto un cipiglio soddisfatto in volto, e quando lo notai mi venne da ridere.

- Tutto questo per un bacio? - Gli chiesi a un certo punto, tamburellando le dita sul volante, a un semaforo.

Lui ridacchiò. - Per le conseguenze del bacio - insinuò

Lo guardai perplessa, chiedendomi se pensasse sul serio che dopo quel bacio potesse esserci qualcosa tra di noi. Ma non chiesi altro, e arrivati a casa sua lo lasciai tranquillamente lì.

Così, finalmente, stanca morta, andai verso la mia di casa.

Parcheggiai pensando a che cavolo di ora potesse essere e a quante ore di sonno avessi davanti.

Uscii, così, infreddolita, dalla macchina e arrivai quasi alla porta di casa senza accorgermi di niente.

Poi praticamente urlai.

Quasi alle 3 del mattino, nel mio quartiere, si sentì uno strepito.

- Che cazzo urli?! - Chiese, scoppiando a ridere, seduto sugli scalini che portavano al piccolo portico di casa mia.

Parker.

Alle 3 del mattino.

Davanti a casa mia.

Abbassai la mano sinistra che avevo portato terrorizzata sul cuore. Lui la osservò sorridendo, divertito in modo assurdo. - Parker - cominciai, respirando normalmente. - So che ADORI spaventarmi. Ma non è da persone normali sedersi davanti alle case altrui, alle 3! - Cercai di fargli notare.

Lui rise ancora di più.

- Sei pazzo! - L'apostrofai, con fare isterico, superandolo e sollevando il tappetino sotto al quale avevo nascosto le chiavi di casa.

- Non sono pazzo! - Ribatté, mettendosi in piedi. - Volevo solo proteggere la tua verginità da un bambino idiota! Cosa credi?!

Aprii la porta di casa e gli feci cenno di entrare, con rabbia: volevo evitare di svegliare sul serio mezzo mondo con la nostra imminente litigata.

Entrò, con un sorrisetto da schiaffi e gli chiusi la porta dietro le spalle.

Mi passai una mano per i capelli, esasperata, mentre lui entrava e si avvicinava alle scale, camminando per l'atrio.

- Di che cosa stai parlando? - Sillabai.

Stavo cercando con tutte le mie forze di trattenermi dal picchiarlo.

Perchè l'avrei fatto.

Forte.

Anche usando la punta delle chiavi. Mi avevano insegnato ad usarle come armi, pochi anni prima.

Tutto pur di fargli male.

- Quel tizio là. E ti sei fatta baciare da lui! - Fece una faccia disgustata. Come faceva a saperlo poi? - Quindi, da bravo amico quale sono, mi aspettavo, visto che in effetti non è difficile, che ti seducesse mentre eri in macchina e che sareste finiti qua: casa vuota. E io, da bravo amico, volevo impedire spiacevoli situazioni - rispose, cercando di essere convincente, ma gli occhi verdi, che vedevo chiaramente con la luce secca del lampadario, facevano capire quanto si stesse solo e soltanto sputtanando.

- Non siamo amici - ribattei acida.

- Così mi ferisci! - Disse fingendosi triste.

Lo fulminai incrociando le braccia. - E come sai che ci siamo baciati?!

Esitò un attimo, questa volta, ma alla fine parlò: - Sai, se vi baciate davanti a tutto il mondo, fuori dalla palestra, non è colpa mia se appena esco vi vedo! - Spiegò, accigliandosi.

Rimasi un attimo perplessa, la casualità di essere stata vista proprio in quei pochi secondi sembrava troppo grande: Ben l'aveva forse fatto apposta per farsi vedere da lui? E perchè?

Mi ritrovai ad arrossire, per qualche motivo e Parker si accigliò ancora di più. - Quel pudico rossore? Ti piace il nano?! Oddio.

Questa volta fui io ad irritarmi e mi tolsi la giacca velocemente. - Okay, basta, sei un idiota. Vattene e tornatene a casa. - Appesi la giacca e senza guardarlo più feci per superarlo.

- No - si oppose. - Non ho sonno e dopo quella scena orrenda ti meriti la mia presenza. - Che avesse capito perfettamente che la sua presenza fosse una punizione era detestabile.

Salii le scale ignorandolo e provando a respirare profondamente. Entrai in camera, presi il pigiama da sotto il cuscino e, girandomi, vidi che mi aveva seguita sul serio. - Tu sei malato - gli feci notare.

Mi sorrise e passandogli di fianco gli diedi una spallata, sperando di fargli male, ma sapendo quanto fosse impossibile.

- Vattene! - Ripetei urlando ed entrando in bagno sbattei la porta.


 

Non avevo idea di quanto tempo avessi fatto passare, ma speravo fosse stato abbastanza per spazientire il bambino e farlo sparire.

Perchè nonostante il carattere da stronzo e puttaniere Parker era terribilmente un bambino. Solo un bambino avrebbe fatto quello che lui aveva appena fatto. Senza motivo, oltre tutto.

Chiusi l'acqua e mi ravvivai i capelli. La mia rabbia intanto si era in parte sbollita: quella provocata dalle offese a me e a Ben e al bacetto da niente; quella invece che comprendava il fatto che fosse in casa mia, no. Che poi l'avevo fatto entrare io, quant'ero stata stupida?!

Ero in pigiama e sperai davvero, davvero, che Parker se ne fosse andato. L'ultimo dei miei desideri era che, proprio lui, mi vedesse in quello stato, vestita in quel modo. Erano le 3 e qualcosa e non avevo voglia di essere presa per il culo per i miei pigiami. Non anche per quello.

Tornai in camera mia e purtroppo l'incubo c'era.

Sospirai, fulminando Parker. Se ne stava appoggiato alla mia scrivania, tranquillo, scrivendo qualcosa sull'iPhone.

Non mi guardò nemmeno e io andai così sul mio letto. Abbassai le coperte e arricciando le labbra, guardando malissimo Parker, mi ci infilai.

Finii e alzò lo sguardo su di me. - Bel pigiama, Gray - si complimentò ironico.

- Si, grazie e sei ancora qua?!

Lui fece spallucce annoiato e avvicinandosi; io avevo tremendamente sonno quanto lui non ne aveva minimamente. - Non ho sonno - disse infatti. - E Billy è andato a farsela con la sua tipa, Clark ha detto che voleva combinare qualcosa con Dawn e io per permetterglielo dovevo sparire … Kutcher era depresso e mi scocciava passarci altro tempo; con gli altri stessa cosa ...

Accennò a sedersi sul bordo del letto e lo fulminai. Lui sorrise e lo fece comunque.

Mi sollevai, appoggiandomi alla testiera del letto. - Chi ti ha dato il permesso?

Alzò gli occhi al cielo. - Evy, non essere pesante* - mi canzonò inventandosi quell'abbreviazione, in uno strano gioco di parole.

E alla fine mi arresi sul serio, perchè tanto ad urlargli contro non ottenevo mai niente, se non peggiorare le cose. Sospirai. - E quindi rompi a me?

Lui rise, forse anche divertito perchè avevo ceduto. - In realtà volevo davvero vedere se tu e il bimbetto facevate qualcosa. - Mi osservò e si sistemò anche lui, contro la testiera, come me, avvicinandosi di conseguenza. - Dopo quel commento sulle sue dimensioni, poi - mi ricordò.

Cercai di non ridere, ma era comico che si ricordasse e citasse quella frase del cavolo, che mi era uscita senza pensarci e di cui mi ero subito pentita. - Cos'è Parker? Sei geloso? - Lo presi in giro. Ed era ovvio che non potesse esserlo.

Ma fece una faccia strana e mi guardò sorpreso. Fu una cosa di pochi secondi, che notai solo per la vicinanza; si riprese subito, passando a una normale faccia schifata. - Per carità! - Ribatté. - Tu le mie dimensioni non le saprai mai e non ci tengo a fartele sapere!

- Siamo d'accordo su questo - dissi sbuffando.

- Anche se è ovvio che è un numero grandissimo.

- Su questo non siamo d'accordo.

Sbuffò.

Dopo un po' di silenzio, passato ad osservarlo giocare con le lenzuola, parlai: - Ma i tuoi non si preoccupano? E' tardi e non sei ancora a casa - gli feci notare.

- E' un modo per cacciarmi? - Chiese divertito e continuando a guardare le coperte.

- Anche.

Rise, e poi i suoi occhi tornarono ai miei. - No, comunque no. Saranno tornati tardi e non avranno nemmeno controllato se ero in camera o cosa, oppure non sono nemmeno tornati e passano la notte all'appartamento a New York - rispose, tranquillo e il verde sembrava a suo agio, senza niente di diverso del solito.

- Ah. - Per un attimo pensai che forse Parker, più che non avere sonno, non volesse stare solo. Fu un pensiero stupido, che cancellai subito, ma la frase che ne seguì mi uscì comunque: - Dai, ti assecondo per dieci minuti, poi sloggi. - Arrivai all'accordo.

Parker mi osservò un attimo, pensandoci e poi ondeggiò la testa indeciso. - Venti minuti. Poi giuro che me ne vado!

Sorrisi, stanchissima, ed arrendendomi. Girai la testa dalla sua parte, eravamo sempre appoggiati alla testiera del letto, osservai il suo profilo quasi troppo perfetto per sembrare di un adolescente. - E cosa vorresti fare in questi venti minuti? Non penso di avere abbastanza argomenti pacifici di cui parlare con te. Non abbiamo argomenti pacifici, diciamocelo.

Fece spallucce sbloccando l'iPhone e guardandolo distratto. - E' uguale. La tua compagnia rimane noiosa in ogni caso e con qualunque cosa. Indifferente.

Sospirai, alzando gli occhi al cielo, troppo stanca per continuare a reagire nel solito modo. - Da come la cerchi di continuo la mia compagnia, non direi.

- Ma solo perchè a volte hai qualche reazione interessante. - Si girò a guardarmi e al buio vidi i suoi occhi incontrare i miei, ma in modo diverso. Il buio gli donava, pensai per un attimo, stupidamente.

- Tipo? - Chiesi, continuando a guardare le sfumature chiare anche nell'oscutirà.

Sorrise e in qualche modo mi sembrò di sobbalzare. - Ci hai creduto?!

Arricciai le labbra cercando di fulminarlo. - Ti odio - sbottai.

- Anch'io, ovvio.

E tornò il silenzio.

Poco dopo, spalla contro spalla, un po' mi appoggiai stanca a lui, senza rendermene conto, pesandogli probabilmente sul braccio; lo guardai mentre apriva la cartella di foto e video del cellulare.

Emanava come al solito quel calore piacevole, soprattutto in inverno e il contatto non mi dispiaceva, forse per quello non mi ero spostata quando ci eravamo sfiorati.

- Stai per vedere la cosa più bella della tua vita! - Mi avvisò, gasandosi.

- Immagino. - Se stava per farmi partire un porno l'avrei ucciso, pensai.

Mi diede una spallata, facendomi mugugnare. - Più entusiasmo! - Mi sgridò ridendo ed era la seconda volta quel giorno che me lo dicevano.

Feci una smorfia. - Ma se ti sto addirittura assecondando!

- Non basta.

Fece partire dei video di Billy, alle Hawaii, che faceva cose idiote che è meglio non ricordare.

Io sorridevo però e ad intervalli riposavo gli occhi, limitandomi ad immaginare le scene, sentendo la voce calda e bassa di Parker e ci riuscivo benissimo

E comodo e caldo ormai era anche il mio letto, con la coperta, il cuscino che avevo scaldato e soprattutto lui, alla mia destra.

Fu probabilmente in uno di quei momenti, con gli chiusi, che mi ritrovai ad appoggiarmi ancora di più a Parker. Non so bene.

Il punto fu che mi addormentai.

Mi addormentai e non avrei dovuto, per una semplice cosa che mi ero dimenticata di fare.

Peccato che me ne sarei resa conto solo il giorno dopo. 




*Angolo autrice:

Eccomi! Il capitolo mi ha dato un po' di problemi: non mi piaceva più tanto come l'avevo scritto e ho modificato delle cose dall'originale, tutto oggi, perchè durante la settimana non ne avevo la voglia. Ahahahaha
Comunque eccoci qua :3
Non direi niente e chiederei più che altro a voi cosa pensate di quello che è successo e cosa pensate che succederà.
Da questo capitolo inizia una strana catena, o dal prossimo diciamo, ma questo e il prossimo sono in un certo senso uniti. Vedrete comunque :)
E cosa si è dimenticata Eve?! Chi indovina vince un cioccolatino :D (c'è un accenno e potrebbe, forse, essere intuibile, se non lo è la prossima volta mi sgriderete ...)
E ho scoperto recentemente (o almeno il mio prof di Filo dice così) che "Dire su" si dice solo a Reggio Emilia. Chiedo venia se da qualche parte l'ho scritto. Modificherò, prima o poi. (Vuol dire "sgridare" in un senso un po' diverso, comunque ahahahah)
Poi ho notato recentemente che un capitolo non aveva più la fine, si era cancellata. Se qualcuna non era riuscita a leggere la fine, riguardi, ho sistemato. Il capitolo era "Fregata" :)
Alla prossima!
I love Parker <3 (mi andava di dirlo :3)

Josie.

E ringrazio MaudeScott per l'aiuto con la battuta sulle dimensioni di Ben che sono abbastanza grandi. <3


*Evy e heavy (pesante in inglese) si leggono uguale. Non so se pesante in quel senso si dica heavy, ma nel caso, c'è un dolcissimo gioco di parole che adorerei :D (fare il linguistico mi fa male ...)

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Capitolo 14
*** Di male in meglio ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

 

 

14.Di male in meglio


 

Da Dio.

Avevo dormito davvero da Dio.

Feci uno strano e basso lamento di soddisfazione, sentendomi svegliare con lentezza e naturalmente.

Mi sembrava fossero passati secoli da quando mi era successo l'ultima volta, di provare un risveglio così piacevole, dopo ore di sonno ininterrotte.

Spostai la testa ancora più di lato contro il cuscino, strofinandoci in parte la fronte pigramente.

Notai tutto pian piano: che la mia mano era piegata e schiacciata contro qualcosa che non si limitava ad essere al livello dei cuscini; che il “cuscino” contro cui ero appoggiata sembrava fin troppo caldo per essere davvero un oggetto; che il “cuscino” aveva sbuffato, ridendo; che i miei capelli venivano leggermente tirati, ripetutamente.

Trattenni il respiro, aprendo gli occhi lentamente e allontanandomi da quella che doveva essere il mio guanciale. - No - biascicai lentamente, vedendo la camicia bianca di Parker.

Parker mugolò qualcosa, spostandosi col corpo, passando da essere appoggiato sul braccio a una posizione più comoda, a pancia in su. Feci la stessa cosa, in silenzio. Poi ritirò il braccio che, avevo notato solo in quel momento, si trovava sotto il mio collo. Come cazzo ci era finito quello?!

E in quel momento notai anche che i miei capelli avevano smesso di essere tirati.

- Dovranno amputarmelo - commentò Parker, portandosi il braccio sano verso la faccia, sul naso, vicino agli occhi. Li chiuse. Aveva una voce roca da addormentato, bassa e vibrante: notai tutti quei particolari.

- Parker - mi lamentai, richiamandolo, ma l'intorpidimento delle ore di sonno non mi rendeva molto cattiva; non avevo ancora reagito come avrei dovuto. - Perchè sei rimasto a dormire qua? - Chiesi, arrendendomi e sospirando. La luce entrava bene dalla finestra, illuminandoci chiaramente.

- Ho bisogno di un bagno - fece senza rispondermi.

Gli diedi un pugno alla cieca sul petto. - Mi rispondi?

Lui si lamentò. - Stai zitta, cazzo. - Lo sentii muoversi sul posto.

Sbuffai, aprendo gli occhi e guardandolo. Si stava spettinando stancamente i capelli, bocca socchiusa e uno strano sguardo concentrato. Aveva piegato le gambe sollevando le coperte con le ginocchia.

- Perchè ti sei infilato sotto le mie coperte?! - Chiesi accigliandomi e cominciando davvero a svegliarmi: gli diedi un colpo, mettendomi di scatto seduta anch'io.

Lui alzò gli occhi al cielo e poi li spostò su di me. Il verde era acquoso e lo sguardo più penetrante del solito. - Evelyne - mi chiamò. - Mi fai un favore?

Sollevai le sopracciglia, scettica per il fatto che mi stesse facendo una richiesta.

- Anzi fallo. - Si corresse, tornando alla normalità. - Chiudi gli occhi e dormi.

- Eh?

Sospirò rassegnato, spostando le coperte e alzandosi. - Lenta e pesante, porco cane. - Si alzò e senza guardarmi quasi corse fuori dalla stanza.

Lo osservai mentre usciva e non seppi se ridere o imbarazzarmi appena capii. Mi inumidii le labbra, spostando le coperte per distrarmi. Quel particolare non sarebbe mai stato raccontato a Francy; sentivo già la sua risposta: “Max Parker in camera tua con l'alzabandiera!!”, avrebbe riso per almeno un mese ricordandomelo.

Avrebbe già riso già per un mese pensando a noi due che dormivamo insieme, nello stesso letto.

Quasi abbracciati, per di più.

- Voglio morire - blaterai sprofondando di nuovo nel cuscino.

Proprio mentre mi riabbandonavo sul letto, vidi l'iPhone di Parker scivolare tra le coperte. Ci dormiva anche, con quel robo.

Lo guardai e, dopo una piccola esitazione, lo afferrai sorridendo. Lui spettegolava sempre tra le mie cose? Bene, era arrivato il momento della vendetta!

Lo sbloccai e notai che gli erano arrivati tre messaggi. Erano tutti di Billy, e in ordine dicevano: “Con la tizia è andata:D”; “Perchè non sei a casa? Tua madre ti ha beccato, dovunque tu sia andato, e no! Non è colpa mia! ahahahah”; “... Dio, max, non sei sul serio andato da evelyne, vero?!?!?”.

Quindi Parker aveva accennato qualcosa al suo amico la sera prima?

Mentre cercavo di indovinare il codice, per sbloccare e leggere il resto dei messaggi, magari qualcosa di incriminante lo trovavo o potevo semplicemente cancellare la foto, l'occhio mi cadde sull'orario.

Le 11:42 di Sabato mattina. Guardai le cifre all'inizio con indifferenza, poi con un certo presentimento e alla fine mi bloccai, rendendomi conto di una certa cosa.

Merda, pensai.

Mi alzai di colpo, lanciando in aria il cellulare di Parker. Quasi scivolai sul parquet, correndo verso l'armadio, presi una maglietta e dei jeans e mi precipitai in bagno. - PARKER! ESCI! - Urlai, arrivando alla porta che aveva ovviamente chiuso a chiave, come se fosse stato a casa sua!

- Cazzo vuoi? - Chiese scocciato.

Si sentì lo sciacquone del bagno.

- Dovevo essere al lavoro alle 8:30! - La sera prima mi ero infatti dimenticata, avendolo in casa e assecondandolo, di portare il cellulare in camera. La sveglia era sempre puntata, automaticamente, ma non avevo potuto sentirla. Ed ero fottuta.

La porta si aprì e Parker mi guardò preoccupato. Lo scansai e spinsi fuori.

In cinque minuti mi ero lavata e, vestita, mi infilavo inciampando le scarpe, mentre scendevo le scale.

- Evelyne! - Mi chiamò quello là da camera mia, avendomi sentita uscire dal bagno.

Ma non avevo nemmeno tempo per preoccuparmi di Parker e, senza prendere niente tranne la giacca, uscii di corsa non dicendogli niente.


 

- In ritardo di quattro ore - ripeté Houdson.

Eravamo in cucina.

Ero arrivata come una furia ed ero stata accolta dal padrone del bar che, serissimo, mi aveva indicato la porta dietro il bancone.

- Sono davvero desolata, signor Houdson! Non succederà assolutamente mai più qualcosa del genere! Non era mai successo! - Cercai di ricordargli per venirmi in aiuto.

Mi osservò e aveva la solita aria severa, contornata da quello che sembrava un evidente mal umore. - Beh, non avevi anche accennato all'idea di cercare un altro lavoro?

Impallidii, sentendo che la situazione non si stava mettendo bene. - Si, signor Houdson, però no … Solo se trovavo qualcos'altro prima e ...

- Sei licenziata.

Bene.

Era una giornata di merda, definitivamente.

Uscii dal bar, grattandomi la nuca disperatamente. Odiavo l'America e i suoi licenziamenti immediati e odiavo Parker. Se si fosse presentato di nuovo a casa mia l'avrei ucciso.

Morto, FORSE, avrebbe smesso di rovinarmi la vita.

O forse era il karma che mi puniva e continuava a farlo. La perenne presenza di Parker forse non bastava più come punizione divina.

Che poi se esisteva un Dio doveva decisamente odiarmi, continuavo a ripetermi.

Arrivata a casa presi le chiavi che, uscendo, prima, avevo violentemente infilato in tasca e aprii.

- Parker! - Chiamai subito, lanciando le chiavi al loro posto, nel mobiletto di fianco alla porta.

Tanto sapevo che quella rovina era ancora lì.

Ma non ottenni risposta.

Stressata salii le scale e arrivai in camera, ma niente anche lì.

Mi guardai alle spalle, verso il corridoio, ma tutte le porte erano aperte e nessuno sembrava essersi nascosto - come avrebbe potuto benissimo fare l'idiota.

Se n'era quindi andato, alla fine.

Incredula e, in almeno una cosa, felice, andai in cucina e finalmente toccai il cellulare.

La sveglia suonò di nuovo mentre mi avvicinavo e mi chiesi, rumorosa com'era, come avessi fatto a non sentirla anche da camera mia.

Poi mi ricordai quanto avevo dormito profondamente, insieme a Parker.

Sospirai ancora più stressata.

Avrei avuto seriamente dei problemi quel mese e, in tutta la mia stupidaggine, avevo anche speso parte dei soldi di Natale, della nonna, per la festa. La festa che mi aveva rovinato … Capii in quel momento quanto non ci sarei mai dovuta andare.

Sul cellulare trovai dei messaggi di Francy che mi chiedeva di Ben, ma non ne ero in vena.

Andai verso il frigorifero e presi una pizza surgelata: era l'unica cosa già pronta che avevo ed ero troppo triste per cucinare.

Ma in quel momento sobbalzai, sentendo la porta di casa che si apriva.

Zia Lizzy?!, mi chiesi, voltandomi di scatto.

E mentre la porta si richiudeva, rumorosamente, Parker entrò in cucina, facendo roteare le chiavi intorno all'indice.

Aveva trovato le chiavi di scorta di mia zia. Spalancai la bocca sconvolta.

- Sotto il vaso della pianta morta? Un classico ... - disse, scuotendo la testa.

Era evidentemente andato a casa a cambiarsi: aveva la felpa pesante della squadra di basket, con la grande lettera stampata che indicava fosse uno dei migliori giocatori della squadra. Gasato.

Feci una smorfia, troppo irritata anche solo per sgridarlo.

Lo sentii camminare, avvicinandosi. - Houdson ti ha licenziata? - Chiese, sembrò quasi con tatto.

- Sì - risposi secca.

Si avvicinò al bancone, dove stavo con violenza aprendo la plastica per tirare fuori una pizza. - Evy, mi dispiace ... - Borbottò. Ancora quel soprannome!

Quando lo guardai, pronta ad urlargli contro, mi bloccai senza volerlo: in qualche modo ci credetti. Gli occhi o l'espressione parlavano, sembrava, sinceramente.

Sospirai, sentendo scemare in parte la rabbia. - Non cambia il fatto che durante le vacanze non ho guadagnato niente e non guadagnerò nemmeno a gennaio, non finchè non trovo un lavoro. - Aprii il forno. - E non è tanta facile, sai? - Chiesi frustrata e scoccandogli un'occhiataccia. - Soprattutto se non si è raccomandati - insinuai.

- Mio padre e Houdson sono amici. - Appunto. - Se mi accompagni andiamo da lui e lo convinco a riassumerti - propose, guardandomi fisso negli occhi. - Dico che è colpa mia. - Stava cercando di farsi perdonare con uno sguardo dolce, quello stronzo. E a cose del genere non ero nemmeno abituata.

Trattenni infatti un mezzo sorriso, ma lui sembrò notarlo perchè sollevò i lati della bocca: un sorriso bello, uno vero.

E nemmeno a quello ero abituata.

Cercai quindi di convincermi che anche quello era semplicemente calcolato.

- Sennò, se vuoi, andiamo al Mall e col mio fascino ti aiuto a farti assumere da qualcuno. Quanto ti pagava Houdson? - Cercava di sporgersi per cogliere meglio il mio sguardo, che sfuggiva dopo il suo sorriso. E il riferimento al suo fascino era un tentativo di farmi ridere, come al solito, scettica.

Accesi il forno cominciando a farlo scaldare.

- Trenta ogni giorno. Arrivavo a duecentoquaranta al mese.

Parker schioccò la lingua. - Se vabbè! E riuscivi a farci qualcosa con così poco?! - Mi chiese incredulo.

Colsi finalmente il suo sguardo e gliene lanciai uno di fuoco. -Senti, riccone ...

Lui sembrò riscuotersi e, come ricordando di doversi far perdonare, sorrise di nuovo come prima. - Allora facciamo così! Mangi e poi ti faccio assumere da qualcuno! - Mi toccò un braccio parlando.

Annuii anche se un po' restia.

Ovviamente mi scroccò mezza pizza, poi.


 

Sbuffai scendendo dalla macchina di Parker, su cui ero salita solo col chiaro proposito di far sprecare benzina a lui. Non che potesse importargliene poi molto ...

Avevo scritto a Francy durante il viaggio che avevo passato nel totale silenzio. Le avevo spiegato brevemente e lei continuava a chiedermi, sconvolta, perchè Parker fosse rimasto a dormire. E me lo chiedevo anch'io.

Io mi ricordavo vagamente di aver guardato, ascoltato e un po' riso per i video. Probabilmente poi mi ero addormentata. Ero stanca morta e la musichetta era diventata sempre più bassa e Parker e la sua voce calda e bassa avevano contribuito a mandarmi nel paese dei sogni.

Ma lui avrebbe potuto benissimo andarsene. Soprattutto visto che era così comodo ad entrare in casa mia tranquillamente, senza bisogno che gli dicessi qualcosa.

Parker mi guardò, mentre chiudeva la macchina e lo affiancavo. - Ce l'avrai a morte con me per tanto tempo? - Mi chiese, sorridendo e infilando le mani nelle tasche della felpa.

- Ce l'ho sempre a morte con te. E nemmeno questa volta potrei evitarlo: è colpa tua - gli ricordai acidamente. Ma stavo per avere una piccola vendetta, almeno.

Che i rapporti tra me e Parker si basassero su torto, vendetta, torto e vendetta era molto inquietante.

Sbuffò roteando gli occhi al cielo. - Tu ti sei addormentata sulla mia spalla e se provavo a spostarmi ti lamentavi, quindi sono rimasto lì un po' e mi sono addormentato anch'io alla fine, per sbaglio - spiegò lanciandomi un'occhiata accusatoria.

Mi accigliai. - Ah, sarebbe colpa mia se ti eri intrufolato in casa e non volevi andartene?!

Alzò le mani in segno di resa e aumentò il passo verso l'entrata del Mall. Lo inseguii e continuammo a bisticciare, entrando nel supermercato della città, investiti dalla calda aria dei climatizzatori.

La struttura era a tre piani, collegati da scale mobili che partivano in modo imponente dal piano terra, davanti all'entrata e davanti a una grande fontana, circondata da panchine, dipinta di un azzurro che spiccava in modo particolare sulle pareti arancioni e gialle. La fontana in particolare richiamava un ambiente molto simile a un parco. Parco che tra l'altro mancava alla città, se non venivano considerate quelle due chiazze d'erba vicino al centro.

Tornando al Mall, io cercavo di entrarci il meno possibile, soprattutto perchè lì dentro uno poteva perderci un'intera giornata per poi uscire frastornato, chiedendosi cosa avesse appena fatto durante tutte quelle ore, e di solito avevo di meglio da fare; il risultato era però che non ero molto pratica di quell'edificio, al contrario, probabilmente, di Max Parker.

- Andiamo a vedere? - Mi chiese quindi, sorridendo leggero e tornando ai suoi soliti ghigni divertiti.

Annuii guardandomi attorno, pensierosa e dubitando seriamente sul fatto che avremmo trovato qualcosa.

- Forse era meglio se andavamo in centro invece che qua - dissi. - Per il weekend assumono più che altro nei ristoranti e nei bar ... - Anche se in centro non avrei mai potuto attuare la mia vendetta, per cui avevo il materiale nella borsa.

Lui mi fece un cenno con la mano, come a darmi semplicemente torto, ed entrò in un negozio.

Era un normale negozio di vestiti e Parker andò spedito verso la cassiera. Dovetti rincorrerlo.

- Scusi, salve! - Disse il Disastro, attirando lo sguardo della giovane donna, impegnata a limarsi le unghie. Quella alzò lo sguardo e quando vide Parker sbatté gli occhi sorpresa.

Io mi misi di fianco a lui e lo fulminai. - Faccio io, non ho bisogno della mamma!

Parker ricambiò l'occhiataccia. - Invece sì!

- C-cosa vi serve? - Chiese la bionda, mollando la limetta.

- Mia sorella - cominciò, indicandomi. Perchè certo, eravamo due gocce d'acqua. - Sta cercando un lavoro, al weekend, sabato e domenica, e volevamo sapere se qua avete un posto, qualsiasi cosa! - E sorrise subito dopo, facendo arrossire la bionda.

Che la gente confermasse di continuo la sua teoria di abbagliare col suo fascino mi deprimeva.

- Oh ... Ah! - Fece la commessa riscuotendosi, dopo la serie di versi. - Purtroppo non abbiamo niente ... - Disse dispiaciuta, guardando me e poi Parker. Sembrava perplessa e probabilmente stava cercando una qualche, ma inesistente, somiglianza.

Sospirai, perchè tanto lo sapevo. - Grazie comunque.

Parker fece una smorfia e senza degnare di altra attenzione la commessa si allontanò dalla cassa.

- Ho sprecato uno dei miei bellissimi sorrisi per niente! - Si lamentò, scuotendo la testa, uscendo.

- Povero, cucciolo! - Commentai ironica.

- Cucciolo? - Lui sorrise divertito e poi andò nel negozio di fianco.

- Fai parlare me! - Gli urlai correndogli di nuovo dietro.

- No, sorellina! Dpaventi la gente! E se stai indietro e non ti fai vedere, pensano che stia cercando io lavoro e mi dicono che hanno posto! - Mi spiegò convinto, a bassa voce, bloccandomi. Ma ci credeva?! - La gente bella vince sempre! - Continuò.

- Parker ...


 

Avevamo finito tutto il piano terra e tutto il primo piano.

Parker cominciava ad avere forti crisi esistenziali, perchè il suo “fascino” non funzionava ed io evitavo di spiegargli che trovare un lavoro non era poi così semplice.

- Adesso? Saliamo all'ultimo? - Mi chiese. Aveva una smorfia strana da un po' di tempo e sembrava essersi imbronciato: cominciava a rompersi, ma i sensi di colpa per quello che era successo quella mattina sembravano vincere. Strano.

Annuii, cercando di trattenere un sorriso e mettendo piede sulle scale mobili.

Anche in quel modo mi stavo vendicando, ma per la vendetta ufficiale serviva un negozio dell'ultimo piano.

Non avevo infatti dimenticato la storia della scommessa. Parker mi doveva una foto imbarazzante e, per ovvie ragioni, ero particolarmente ispirata, in un delizioso modo molto sadico.

Parker non ci fece caso, ma quando arrivammo al piano di sopra vide ovviamente quello che guardavo io.

Rise sonoramente. - Gray, negozio di intimo! Ti ci vedo a lavorare lì - disse sfottendo.

Il primo negozio che si vedeva, appena scesi dalle scale mobili, era infatti il piccolo Victoria's Secret.

Ignorai il fatto che stesse cercando di offendermi per rispondere quello che avevo già pensato in macchina: - No, però, sai, dovrei prendere un nuovo reggiseno ... - Dissi, distrattamente, in un modo disinvolto che non pensavo sarei mai riuscita ad usare.

In Parker si accese il campanellino che avevo immaginato. Vidi, fingendo di non guardarlo, il suo sguardo che passava da divertito a fintamente disinteressato. Per la prima volta nella mia vita mi ritrovai a sfruttare le mie tette e mi ordinai mentalmente che fosse l'ultima per il resto della mia esistenza. - Ah sì? - Chiese con tono piatto. - Se vuoi ti aiuto a scegliere! - Propose, cercando di non ridere e aspettandosi che lo offendessi subito dopo.

- Ma sì, dai! - Risposi sorridendo. E no, non ero impazzita e no, non volevo assolutamente provare reggiseni davanti a Parker.

Parker che sembrò mezzo sconvolgersi a quella risposta e io, ridendo, entrai nel negozio.

C'era un po' di gente a tenere occupate le due commesse, parecchio indaffarate visto che c'erano cinque clienti in cerca d'attenzione, ed era perfetto.

- Gray, cominci a starmi particolarmente simpatica, sai? - Fece Parker appena mi raggiunse, sorridendo. A cosa stesse pensando non lo volevo sapere. Trattenni lo sguardo scettico. Poi, volendo sfruttare i camerini finchè erano vuoti mi avvicinai ai completini velocemente.

Cercai qualcosa di rosso tentando di non ridere.

Trovai dei reggiseni rossi, con pizzo, molto sexy. Guardai Parker che mi fissava con le sopracciglia sollevate e un sorriso allegro trattenuto.

Abbassai lo sguardo sul suo petto.

Una quinta, forse. Cercai una quinta.

- Sai adesso, cosa faremo, Parker? - Chiesi divertita, avvicinandomi anche a un vestitino da notte, rosso, leggero, che si intonava perfettamente col reggiseno.

- Cosa? - Chiese con una voce sinceramente interessata.

Risi, non credendo sul serio che mi stesse dando corda, e andai verso i camerini. Le commesse non ci notarono nemmeno.

Lui mi seguii, ancora non capiva ed era un idiota.

Andai verso l'ultimo, abbastanza nascosto dalla cassa. Raggiuntolo, mi fermai e, sorridendo, lo presi per un braccio e accennai a spingerlo dentro. Per la prima volta, in tutte quello che avevo provato io a spostarlo, ci riuscii. Si mordicchiò le labbra entrando, forse trattenendo una risata o pensando.

Fu bellissimo così passargli il reggiseno e il vestito da notte. - Ti ricordi di una certa foto imbarazzante?

Il suo sorriso sparì. - Dio mio, che stronza! - Mi urlò scandalizzato e facendo per uscire.

Risi mettendomi in mezzo. - No, Parker! Una scommessa è una scommessa!

- Non puoi chiedermi sul serio di conciarmi così! - Abbassò però la voce, assecondando la mia necessità di non farci cacciare.

Scossi la borsa che mi ero portata dietro, facendo sentire un leggero suono. - Ho i trucchi! Non sarai così poco presentabile, tranquillo!

Parker respirò profondamente, fulminandomi.

Io, vittoriosa, chiusi meglio la tendina del camerino. Nel caso si fossero avvicinate delle commesse sarei entrata. Agganciai il completino dentro, al gancio di fianco allo specchio.

Lui, guardandolo malissimo, si tolse la felpa con un gesto secco, facendola scivolare sulle spalle e lasciandola cadere per terra.

Mi resi conto che si sarebbe di seguito dovuto togliere la maglietta, cosa di cui, per qualche motivo, non avevo tenuto conto, e lo vidi farlo tranquillamente: portò le mani ai bordi della maglietta e la pelle scoprirsi in un attimo.

Non volli guardarlo e mi sporsi all'indietro, osservando distrattamente il corridoio dei camerini.

- Si, vabbè, ma non riesco a chiuderlo - si lamentò dopo alcuni secondi.

Dovetti girarmi per forza e, abbassando lo sguardo solo fino al petto, stetti già male. Il reggiseno per la sua circonferenza era troppo piccolo.

- Mettiti solo le spalline, tanto devi indossare l'altra cosa e non si vedrà che non si chiude - feci cercando di ridacchiare tranquillamente, ma sentendomi sempre più a disagio. Io, che avevo la vittoria e la possibilità di umiliarlo.

L'occhio mi cadeva più in basso, ma evitai con forza di farlo focalizzandomi solo sul suo viso.

Fece una smorfia, eseguendo ciò che gli avevo detto. Risi, cercando di ottenere di nuovo il controllo, trafficando dentro la borsa e prendendo le due pagine di giornale che avrei accartocciato e infilato nelle coppe del reggiseno.

- Sei malata - mi offese, tagliente.

Io scoppiai a ridere e, cercando di ignorare le sensazioni di prima, entrai dentro il camerino e cominciai a infilargli la carta. - Non saresti sexy sennò! - Gli sfiorai per sbaglio la pelle lievemente abbronzata, sentendolo bollente come al solito.

Sbuffò, prendendo con una mano il robo rosso e infilandoselo. Io, sempre ridendo, lo aiutai a chiuderselo leggermente, con un piccolo fiocco.

Lo osservai, purtroppo per la mia salute mentale, per intero

Rimasi impassibile, ma intanto mi chiedevo perchè un giocatore di basket avesse quel fisico. Quanto si allenavano? Deglutii.

Anche con la roba che gli avevo dato da indossare rimaneva da stupro.

Oddio.

Evelyne.

L'avevo sul serio pensato?!

- Va bene? - Mi chiese scocciato e per fortuna non avendo notato niente. Cosa avrebbe commentato se avesse saputo cosa mi era appena passato per la testa?!

- Non ancora ... - Dovevo decisamente abbruttirlo, sennò le ragazze a scuola si sarebbero concentrate solo sul fisico. Mi chinai sulla borsa e presi fuori i trucchi.

Mi guardò scandalizzato. - Ma non stavi scherzando?!

- Ovviamente no - feci ammiccando.

Lui mi osservò stranito e, facendogli cenno di chinarsi un po', stappai il rossetto. - Pur di farti questa foto sto contaminando il mio rossetto - gli feci notare.

Mi fulminò portandosi al mio livello, parecchi centimetri più in basso. Gli fermai il mento con una mano, sentendo un accenno a barba sotto le mascelle, e sbuffò a quel contatto. Aveva delle labbra un po' sottili, ma piene, e si sentivano, come in effetti erano, morbide, mentre gliele coloravo di un bel rosso brillante, concentrandomi un attimo ad osservare la linea della parte superiore della bocca. Era definita e netta, bella.

Alzai lo sguardo verso i suoi occhi, appena ebbi finito, e il verde era intenso come sempre. I suoi occhi erano qualcosa di assurdamente destabilizzante. Mi sondarono, indecifrabili e forse mi perdetti un attimo. Ma ero sempre lì, anche nel riflesso della sua pupilla.

Cercai di distrarmi e, smettendo di guardarlo, presi dell'ombretto viola e, mordendomi le labbra per non ridere troppo, ne presi un po' con l'indice. - Parker, chiudi gli occhi! 

Infastidito eseguì.

Dopo ombretto, matita e molto, molto blush sulle guance Parker sembrava una dolce puttanella. Risi, cercando di non farlo troppo forte. Mi ero chiusa da un po' lì dietro con lui e in effetti le commesse potrebbero essere state vicine.

Parker si guardò allo specchio e ammiccò. - Mi scoperei!

Scossi la testa e gli porsi la mano. - IPhone! - Di certo faceva le foto meglio del mio telefono.

Si accigliò. - Devo addirittura darti il cellulare per la foto del crimine?! - Chiese socchiudendo gli occhi, sbuffando.

- Sì! - Mi sporsi per prenderglielo dalle tasche.

- Ti arrangi! Non era compreso nella scommessa - sbottò e si tirò all'indietro, finendo contro lo specchio e facendolo tremare pericolosamente.

Gli feci cenno di stare zitto, irritata, e provai a prenderglielo di nuovo.

- Il mio iPhone è l'unica cosa che amo, via! - Con una mano cominciò a spingermi lontano, per la fronte.

Mi arresi e mentre tiravo fuori il mio di cellulare e Parker sorrideva vittorioso - con il rossetto rosso era anche abbastanza comico - mi resi conto che rovinando la faccia, in parte, perchè continuava a sembrare un bel ragazzo sotto il trucco, avevo messo più in risalto il petto glabro, la leggera linea che delineava i muscoli allenati e il ventre, al cui centro, avvicinandosi ai jeans, si notava una leggera e chiara peluria. Mi persi un attimo a guardarlo.

Alla fine rimisi il cellulare al suo posto.

- Che altro c'è? - Chiese iniziando a scocciarsi - e continuando, fortunatamente, a non notare le mie occhiate, - stava facendo la stessa cosa da troppo tempo, povero, dovevo capirlo! - E come farò a togliermi 'sta roba dalla faccia?!

Lo ignorai, chinandomi verso la borsa e prendendo fuori una matita per gli occhi. Speravo bastasse. - Posso disegnarti della roba nera sulla pancia? Stile peli scuri e robe del genere? - Chiesi, convincendomi più, mentre lo dicevo, che fosse l'idea giusta.

Parker mi guardò come se fossi stata pazza. - No - rispose, dopo un attimo di silenzio, con la smorfia che aveva sempre quando gli chiedevo qualcosa.

Mentre lottavamo, io brandendo la matita come se fosse stata un coltello verso la sua pancia e lui cercando di bloccarmi e finendo continuamente contro lo specchio, la tendina si aprì di colpo.

Il suono secco con cui lo fece fu orribile.

Parker si drizzò all'improvviso, mentre io mi girai lentamente, in parte chinata e forse in modo equivoco.

Una donna, con dei capelli molto, molto ricci, corti e una pelle scura e bella ci guardava, con gli occhi neri e grandi, in modo perplesso.

Non l'avevo vista tra le commesse all'entrata e mi chiesi chi fosse.

- Cosa state facendo? - Chiese guardando me, la mia matita e poi squadrando Parker.

Guardando quest'ultimo non sapevo che cosa potesse star pensando. Truccato come una drag queen, maglietta e felpa buttate per terra, un reggiseno imbottito con dei giornali e il vellutato vestitino sexy da notte che gli ricadeva leggero sui fianchi. Addominali e V in bella mostra. Non avevo sul serio idea di quello che potesse pensare.

- Stavo aiutando il mio amico a trovare qualcosa anche per lui - risposi in fretta.

La donna tornò su di me con lo sguardo. - Ah - fece e poi tornò su Parker. - Hai scelto il colore giusto per lui - commentò, incrociando le braccia e appoggiandosi all'entrata del camerino.

Guardai Parker che mi lanciava sguardi preoccupati e in parte minacciosi. Tossicchiò e si chiuse un po' di più il vestitino, in uno strano modo pudico che mi fece quasi ridere.

- E' una delle commesse? - Chiesi, ridacchiando e vedendo che non se ne andava.

Lei scosse la testa. - Sono la dirigente. Sono uscita adesso dal magazzino - fece accennando a dietro di lei. - E ho sentito molto chiasso qua dietro e ho voluto un attimo controllare.

Volli sotterrarmi dalla vergogna. Mi sfiorai il collo a disagio.

- Ah! - Colse subito Parker la palla al volo. - La mia amica vorrebbe lavorare qua e per fare pratica mi stava aiutando! - Disse cercando anche, in modo osceno, di rendere la voce più acuta. Se pensava così di sembrare gay era messo abbastanza male.

Ma decisamente cercare un lavoro dopo essere stati beccati in quel modo non era un'idea da persona normale. - Non credo che ... - Cominciai.

- Al weekend in effetti avrei bisogno - fece quella là, guardando pensierosa Parker. - E mi piace davvero la roba che hai scelto per lui!

- Sono sexy col rosso e qualcuno l'ha capito, finalmente! - Commentò Parker, giocherellando col vestitino e rendendo la voce sempre più oscena.

Mi vergognai di aver solo detto che eravamo amici ...


 

- Ringraziami - ordinò Parker, spostandosi dei ciuffi all'indietro, nel suo solito modo.

Eravamo nel bagno delle donne del Mall.

Non sapevo come, ma ci eravamo arrivati senza nemmeno tanta fretta e Parker non aveva beccato nessuno di sua conoscenza.

Se fossi stata un uomo con rossetto, ombretto viola e guance rosse come ciliegie, mi avrebbe come minimo filmato la televisione locale.

Lui no.

Ma il karma un giorno avrebbe punito anche lui, vero?

Feci una smorfia, continuando a provare a togliergli l'ombretto. Odiavo al tatto la sensazione della carta igienica leggermente bagnata, ma per provare a struccare non avevo di meglio.

- Gray!

Sbuffai. - Grazie - ringhiai. - Grazie anche se mi hai fatto licenziare stamattina, certo.

Però la sua buffonata da gay, mal riuscita perchè la voce acuta era un'esagerazione stereotipata, e quella dirigente fin troppo strana che aveva apprezzato, ma sul serio, la mia scelta per l'abbigliamento, l'avevano spinta ad assumermi per il weekend, con uno stipendio migliore di quello da Houdson.

Nel camerino, quando la dirigente ci aveva lasciato, avevo anche convinto Parker a farsi fare peli e foto.

Parker di lato con il vestitino svolazzante e un dito verso la bocca.

Aveva probabilmente esagerato apposta perchè così, pubblicata, la foto non sarebbe stata presa sul serio ed era quindi poco umiliante. Relativamente, pensai ridendo.

E la soddisfazione di metterla senza censura mi bastava.

Sorrise e aprì l'occhio che non stavo tormentando. - Ah, Gray - mi chiamò ancora.

Finii di pulire e poi lo guardai spingendolo a continuare.

Eravamo chiusi dentro uno dei bagni. Lui appoggiato contro la porta e leggermente chinato al mio livello, io in punta di piedi. A volte stanca mi sostenevo, appoggiandomi al suo braccio. Di pulirgli la pancia mi ero rifiutata e avrebbe fatto da solo.

- Di questo mi ricorderò.

Torto, vendetta, torto, vendetta, torto e ci sarebbe stata un'altra vendetta?

Risi. - Lo so.

Forse sì.

Ma mi importava solo che quella giornata da orribile, subito dopo essermi accorta dell'orario, fosse passata a decisamente ottima, seppur in un bagno a pulire Parker.


 


 

*Angolo autrice:

Salve a tutte! :)
Evelyne si era dimenticata, a parte di cacciare Parker, di mettere la sveglia. In due l'avevano capito :D
Il capitolo è leggero e mostra la giornata di Eve con Max, da appena sveglia, da arrabbiata per tutte le conseguenze che ci sono state, per quella sua visita, e mentre la aiuta. Non è niente di che e anche nel complesso non è che mi convinca poi tanto ma è un capitolo un po' di transito e boh . . . Di meglio non riuscivo a fare, questa volta, ma spero che vi piaccia. :)

Il prossimo capitolo in compenso, già scritto, a me piace :D
Passeremo a Febbraio, San Valentino e il giorno dopo San Valentino. Il secondo giorno Kutcher ha organizzato una festa e beh, vi lascio uno spoiler:


 

Mi inumidii le labbra e senza pensarci molto mi aggrappai alla maglietta scura. E la sollevai scoprendo piano la pelle di Parker.”


Quanto mi sento sadica.
Cosa sta accadendo? Idee, supposizioni :D? AHAHAHAH


Alla prossima! <3


Josie.

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Capitolo 15
*** Brividi ***


 

 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )
 

14. Brividi

 


 

- Ti amo.

- Eh, lo so.

Francy ed io osservavamo, lei particolarmente commossa, io soddisfatta, il giornalino che circolava con foga quel giorno.

Parker aveva una smorfia particolarmente irritata ma, appoggiato agli armadietti, non diceva niente tranne parlare a caso con Billy.

Era infatti arrivato febbraio e finalmente quella bellissima foto senza censura di Parker era stata pubblicata.

Io l'amavo, Francy l'amava, Nick aveva ADDIRITTURA riso, Luke aveva solo sbuffato e tutta l'intera scuola l'amava. Avrei giurato di aver visto delle ragazze fotografarla e metterla come sfondo sul cellulare. Avevamo venduto tutto, anche se avevamo stampato più del solito, riuscendo così a guadagnare molto.

E per una volta non temevo conseguenze, Parker mi aveva minacciata, ma sapevo che non avrebbe fatto niente. Insomma, che altro potevo dargli? Mi accigliai, pensando al doppio senso di quel pensiero.

- Che c'è? - Mi chiese Francy, chiudendo allegra la scatoletta di “sicurezza” dove tenevamo i guadagni.

- Pensieri inquietanti - risposi, distogliendo lo sguardo appena Parker lo alzò.

Era stato un mese strano tra me e Parker.

Continuava sì a farmi pulire camera, casa, a farmi portare lo zaino quando gli pareva, mi faceva addirittura fare la spesa al posto suo e mi aveva sfruttata per fargli i compiti quando aveva delle partite e anche per ripetizioni facendomi perdere interi pomeriggi, dato il suo caso disperato.

Ma le cose erano un po' diverse. Avevamo un rapporto leggermente più civile, più o meno, da quando mi aveva aiutata a trovare un lavoro e da quando in parte, nel bagno del Mall forse, per un po', avevamo anche parlato normalmente. Anche se le offese, le litigate e l'odio continuavano a esserci, chiariamoci.

- Andiamo dalla preside? - Propose subito Francy, contenta. - Così salto un po' di ginnastica e tu storia e siamo scusate e mi becco i complimenti anch'io!

Risi, sollevando il tavolo e spostandolo contro il muro, Joe mi avrebbe sgridata per quello ma speravo di non beccarlo e cavarmela. - Vuoi proprio vedere la Generalessa?

Francy annuì. - Poi c'è Kutcher che mi tormenta per la festa di domani: vuole che lo vada ad aiutare - roteò gli occhi al cielo, divertita.

Alex Kutcher stava dimostrando una costanza davvero ammirevole nel stare dietro a Francy e adesso si poteva dire fossero davvero amici, o almeno lui la assaltava sempre e parlavano tutti i giorni e da un punto di vista esterno sembravano amici.

- Secondo me non ha ancora capito che tu aiuti Max per il ricatto e pensa che sarebbe normale per me fare lo stesso - teorizzò, ridendo.

Sbuffai prendendole la cassetta di mano e cominciando a camminare per i corridoi. - Beh sì, in effetti è abbastanza tonto da non esserci ancora arrivato.

Il tonto in questione avrebbe dato una festa il giorno dopo. La festa per la giornata dei single. L'idea di una festa nella casa della Ricetta Kutcher mi spaventava leggermente.

- Ah, ma aspetta! - Mi resi conto all'improvviso, mentre salivamo le scale verso la segreteria, di una cosa. - Oggi è San Valentino! Ecco perchè vuoi evitare di andare subito in palestra da Kutcher!

Francy arrossì. - Come se mi avesse preso qualcosa!

- E' ricco - le ricordai. - Potrebbe in effetti averti presto una collana di Tiffany o qualche sciocchezza del genere ...

Lei rise. - Meglio del cioccolato però, mia madre me l'ha fatto odiare. - La signora Reed in effetti sfornava ogni giorno cookies cosparsi di scagliette di quello, più un altro centinaio di dolci.

- Anche più caro.

Bussai alla porta della preside per poi aprire lentamente.

Lo studio del Dittatore era una stanza quadrata non molto grande, con una grande vetrata, che serviva a illuminare ed aprire lo spazio, alle spalle della comoda e grande poltrona nera. Il perimetro della stanza era seguito da alte librerie, ammucchiate e cupe.

La preside, Generalessa, Il Mostro, tutti suoi comuni soprannomi, era seduta comodamente, braccia serrate appoggiate sulla scrivania. Ogni volta che ero entrata nell'ufficio, l'avevo sempre trovata così, mai presa alla sprovvista, ed era abbastanza inquietante.

- Gray - fece ammorbidendo leggermente i lineamenti: quello era un sorriso. Sorrideva ai soldi, diciamocelo.

Francy ed io ci avvicinammo; Francy accigliata per non essere stata considerata.

- Oggi è andata molto bene! - Dissi appoggiando il contenitore davanti a lei. - Abbiamo venduto tutto!

Lei osservò la cassetta e arricciò le labbra. Non era un buon segno.

- Però mi è stato detto che Max Parker è stato fotografato e c'è una sua foto senza censura, la faccia è visibile. - Alzò gli occhi azzurri e freddi. - Gray, mi hai un po' delusa, dovresti saperlo che non si può pubblicare una foto del genere senza l'autorizzazione del diretto.

Aspettai tranquillamente che finisse. - Ho la sua autorizzazione - spiegai, sorridendo, ma non troppo apertamente.

Non cambiò molto espressione. - Davvero? - Chiese facendo capire con il tono di essere leggermente sorpresa.

Annuii divertita.

Mi osservò un altro po', senza dire niente.

- Non indagherò oltre sui traffici tra te e Parker, non ora; non credo davvero di volerlo sapere e non credo mi converrebbe - disse alla fine, finendo con un'occhiata inquisitoria. - Ma attenta, Evelyne.


 

- Solo io trovo quella donna inquietante? - Chiese Francy, appena uscimmo e rabbrividendo teatralmente.

Feci una smorfia, annuendo e guardando verso la porta. L'apparente buon rapporto tra me e l'idiota stava diventando sospetto anche per la mia cara preside. - Allontaniamoci, sente attraverso i muri - sussurrai.

L'avviso che aveva dato alla fine mi risuonava ancora nelle orecchie.

Francy sbuffò e velocemente cominciammo ad andare verso le nostre due aule; per un po' avremmo camminato insieme.

- E sai - fece mentre scendevamo le scale. - Non facevo che pensare a Parker che ci ha scopato dentro quell'ufficio. - Scoppiò a ridere come un'idiota. - Oddio, se lo sapesse! 

Non risi, accigliandomi. - Con chi, poi ... - Mi chiesi, sbuffando. Francy sorrise, guardandomi, ma non disse niente.

Ci separammo ognuna per la propria classe poco dopo, al piano terra, in uno dei corridoi vicino all'atrio.

Alla fine ci avevamo messo poco a consegnare i soldi e mancavano ancora cinque minuti alla campanella.

Osservai Francy andarsene e tra la piccola folla di ritardatari che entrava in quel momento vidi anche Parker che, appoggiato, perennemente, agli armadietti, sorrideva a Dawn.

Il suo sorriso in quel momento era da “sono bello e so che lo pensi anche tu”. Parker infatti aveva una trentina di sorrisi, forse anche di più, e ormai li avevo visti tutti. Sapevo identificarli e per quello mi faceva sempre meno soggezione. Più o meno.

La bionda spostava il peso da una gamba all'altra e, mordendosi le labbra, porgeva un piccolo pacchetto azzurro al ragazzo. Io avrei scelto il rosso, al suo posto. Comunque era ovviamente un regalo di San Valentino.

Sbuffai, pensando acida che Parker avrebbe preferito altro al posto della cioccolata.

- Hai anche tu il regalo?

Mi girai. Non avevo notato Billy poco dietro di me, aveva lo zaino su una sola spalla e probabilmente aspettava il suo amico. Mi sorrideva. Non capivo perchè fosse così amichevole, l'avevo quasi messo nel giornalino per ben due volte e il giorno alla pizzeria si era mostrato molto diffidente, ma andando avanti aveva sembrato acquistare una qualche e strana simpatia nei miei confronti.

- Regalo?

- Per Max! - Aggiunse, continuando a sorridere in quel modo. Se c'era una cosa insopportabile di Billy Hans, oltre ai continui sorrisi, erano le insinuazioni che faceva.

Mi accigliai, arricciando le labbra in una smorfia. - Figuriamoci se mi viene anche da fargli un regalo!

Lui rise divertito. - Me ne aspettavo uno, almeno per ringraziarlo della foto!

- Ha perso regolarmente una scommessa - gli ricordai e leggermente contagiata sorrisi un po', soprattutto per ringraziarlo in parte del consiglio che mi aveva dato e per cui avevo vinto.

Alzò il mento come pensandoci. - Ah, vero, per Johnson. - Mi lanciò un'occhiata curiosa, ma non avevo tempo davvero per i giochetti di Hans: se c'era una cosa che avevo capito era che quando nominava qualcuno non lo faceva mai casualmente, anzi, voleva probabilmente sapere qualcosa. Sorrise vedendo che stavo per scappare. - E questo evitare di rimanere da sola con me, Gray? Temi qualcosa?

Era inquietante il modo in cui parlava solo e sempre per allusioni. Faceva così anche con Parker? E a proposito del diavolo …

- Gray, zaino! - Parker si avvicinò tranquillamente. Con una mano sosteneva lo zaino nero e con l'altra osservava il regaletto di Dawn.

Con una smorfia lo presi. - Evito di stare con te perchè poi spunta sempre lui - risposi finalmente a Hans.

Parker alzò lo sguardo non capendo di chi avessi parlato. - Chi spunta? E comunque se è cioccolato bianco come lo scorso anno le chiedo di sposarmi! - Fece, tornando subito al suo regalo, con un tono caldo e divertito.

- Te la raccomando - sbuffai, osservandolo mentre con un entusiasmo quasi commovente cominciava a slacciare il fiocchetto. Ignorai Billy che sapevo mi stesse guardando.

- Tutta invidia perchè sei brutta e nessuno ti caga. - Parker mi ammiccò e continuò per il resto a strappare la carta.

Arricciai le labbra offesa. - Vuoi vedere?!

- Ha già dato con le scommesse - rispose per lui Billy, volendo probabilmente evitare di aiutarmi in qualcos'altro, all'ultimo. La campanella suonò.

- Cioccolato fondente ...

Povera Dawn, pensai acidamente.


 

- Sempre cioccolato! - Si lamentò di nuovo Francy.

Eravamo a casa sua, sul suo letto. La radio era accesa e dondolandoci a destra e a sinistra ascoltavamo canticchiando e mangiando i muffin di sua madre.

In teoria ero lì per aiutarla a studiare per il test di Chimica del giorno dopo, in pratica dopo cinque minuti mi aveva distratta col cibo.

- Dico che è un chiaro segno: sta cercando di farmi ricordare che Jack non mi ha fatto il regalo di San Valentino!

- Tua madre non sa di Jack - le ricordai, prendendo il muffin che non si decideva a mangiare, l'ultimo, poi.

Mi guardò cupa. - Sa tutto. Sa tutto.

Quasi mi andò un pezzo di traverso. - Sei inquietante!

- Mia madre lo è! - Sbuffò, dondolando i piedi per far asciugare lo smalto.

Sorrisi pensando che ci stava probabilmente sentendo: l'udito supersonico ce l'aveva sul serio, come la preside, poi.

- Sai - cominciai dopo un poco. Mi aveva arpionato il piede e stava cercando di mettermi lo smalto: di tutto pur di non studiare. - Billy crede che mi piaccia Parker - buttai giù così. Subito dopo aver parlato mi chiesi perchè l'avessi detto.

La mia amica alzò gli occhi a cerbiatto su di me. Lo sguardo non era dolce come la forma degli occhi. - Ma dai?!

La fulminai. - Francy, non fare l'idiota.

Lei rise, facendomi l'occhiolino. - Dai, va bene, non ti piace e lo so. Ma diciamo ...

- Cosa?!

- Diciamo che ultimamente ti ho vista ...

Mi sollevai meglio con i palmi delle mani, per mettermi dritta con la schiena. - No, aspetta, voglio proprio vedere. Cosa?!

Sorrise maliziosa. - L'altro ieri.

Diventai seria. - Cosa?! - E cominciavo a diventare seriamente monotona.

- Alla partita ...

Due giorni prima c'era stata, al pomeriggio, una piccola partita amichevole che aveva attirato mezza scuola. Partita di basket, ovviamente. Di solito non partecipavo a quella roba insulsa, il basket era insulso e io odiavo il basket e i giocatori; li avevo sempre odiati. Ma si sapeva che le cose erano leggermente cambiate in quei mesi ed ero stata obbligata da Parker, per chissà quale motivo, ad andarci. E mi ero trascinata dietro Francy, perchè anche lei doveva soffrire e poi Kutcher ne sarebbe stato felice.

Feci un verso per spingerla a continuare: mi rifiutavo di ripetere ancora “cosa?”.

Mi ricordavo di Parker che correva, con la sua divisa rossa sgargiante. Era il numero 23 ed era decisamente il migliore.

Ero nella prima fila delle gradinate, scocciata, mentre Francy tifava, più per ridere che sul serio, per Kutcher che, imbarazzato da morire, perdeva di continuo palla.

- Beh - fece Francy, sorridendo e prendendosela comoda nello spiegare.

Parker che correva, saltava e canestro. Stavano stracciando la scuola ospite e, dopo aver fatto tre punti, aveva girato lo sguardo verso le gradinate.

Mi aveva vista, per caso, e sorridendo, incrociando i suoi occhi coi miei, nonostante fosse in movimento, aveva ammiccato. Quella volta il sorriso era stato da “sono bravo e bello e tu lo sai”. Figuriamoci.

- Avevi il rivolo di bava.

Spalancai la bocca, sconvolta, riscuotendomi. - Che bugiarda!

Lei scoppiò a ridere, mollandomi il piede e dimenandosi sul letto per le risate.

- Era tutto sudato e schifoso! - Le ricordai, accigliandomi e colpendola seccata. In realtà, in parte, era pur vero che, dopo l'episodio del camerino da Victoria's Secret, il fisico di Parker non mi sembrasse tanto male. Ma solo non male. Decisamente non di più e decisamente non quanto voleva insinuare lei.

- Rivolo di bava!

- Schifoso!

- Poi quando si è fatto male! - Ricordò, continuando a rotolarsi sul letto.

Parker, subito dopo il sorriso, mentre cercava di arrivare al canestro, era stato spintonato violentemente da un giocatore dell'altra squadra, decisamente seccato. Era stato preso alla sprovvista e l'altro, più alto di lui, l'aveva fatto finire contro la ringhiera che separava il campo dalle gradinate. Con la schiena.

Mi ero fatta male io per lui.

- Ma se stavo godendo come una pazza! Se lo meritava! - Dissi sbuffando.

Parker era dovuto rimanere a bordo campo per un po'. Piegato e con gli occhi serrati, aveva cercato di riprendersi e un po' mi aveva fatto pena, in realtà.

- Ti sei alzata in piedi - insinuò.

- Non vedevo perchè uno si era messo davanti! - Mi giustificai inacidendomi. - Dovevo godermi meglio la sua espressione sofferente! - In realtà ero rimasta per un po' indecisa se andare a controllare come stava: lui l'aveva fatto quando ero caduta per colpa del ghiaccio. Ma ci avevano pensato cheerleader, allenatori e Billy e gli altri. In cosa potevo fare la differenza? - Figuriamoci se mi importa se si è fatto male!

Francy rise. - Comunque io volevo concentrarmi sulla bava. Billy probabilmente l'ha notata, geloso com'è!

Sospirai disperata. - Reed. Max Parker è la persona che odio di più a questo mondo. Mi minaccia. Mi maltratta. Mi offende. Figuriamoci se comincia a piacermi!

- Piacerti? Io ho solo parlato di bava. Per me lo trovi solo figo. Ma aspetta, piacerti? - Sorrise sorniona.

- No! Stavi insinuando quello e adesso non farmi sembrare pazza! - Cominciai a urlare isterica.

Lei rise come un'idiota. Riusciva sempre a mettermi in bocca quello che voleva lei.

- Va bene! - Si arrese, vedendo che cominciavo a sollevarmi sulle ginocchia per ucciderla di solletico. - Scherzo!

- Ecco - sibilai.

- Però ammettilo che lo trovi figo! Con quell'aria da stronzo! Gli occhi verdi muschio, i capelli al vento! Sudaticcio! - Continuò la descrizione mettendosi in piedi pronta a scappare da me. - Addominali! - Ma non ce l'avrebbe fatta.

- Solletico no! - urlò e quello lo sentì di sicuro anche la vicina di casa.


 


 

Nascosi le chiavi sotto uno dei cespugli che separavano casa mia da quella della famiglia Bush* (si chiamavano così e avevano il giardino più bello di tutto il quartiere, mi chiedevo se ci fosse un certo collegamento …). Dopo la prima volta che Parker aveva trovato le mie chiavi, e dopo una seconda e terza e quarta volta mi ero finalmente decisa a cambiare posto.

Andai verso la macchina, guardandomi circospetta intorno. Ma erano le 11 di sera e non pensavo qualcuno mi avesse vista.

- No, guarda, adesso mi dici cosa stavi facendo ... - Ordinò subito Francy, molto scettica, mentre mi sedevo alla guida. L'avrei riportata io a casa: uno dei miei piani era di farla bere per farla accoppiare felicemente con Alex. Sorrisi malvagiamente.

- Parker le trova sempre quindi questa volta sono stata più fantasiosa.

- Ma le hai praticamente messe nella casa del vicino! - Mi fece notare, ridendo. - Poi perchè dovrebbe venire qui da te mentre non ci sei?!

- Parker in casa è molesto fino a questo punto - tagliai corto.

Francy sbuffò ridendo e misi in moto.

- E la macchina l'ho presa io, così ho anche la scusa per evitare i giochi alcolici dell'idiota - spiegai mentre giravo per una strada che Francy mi aveva indicato. - Adesso?

- Stai cominciando a conoscerlo davvero - commentò ridendo. Ormai. Quanti mesi erano passati?

Francy aveva in mano il foglio con la cartina di Google maps: il tragitto da casa mia a quella di Kutcher. Viveva un po' fuori città, o almeno ci era sembrato così dalla foto. -Avanti. Esci, ma senza entrare nello stradone!

Mi riscossi, facendo come diceva.

Seguendo la mappa casalinga, cominciammo ad avviarci in una strada a due semplici corsie. Le case da non presenti cominciarono a diventare sporadiche e molto grandi.

- Oddio. - Fu la reazione di entrambe.

Parcheggiai il più vicino possibile, ma le macchina presenti erano fin troppe. - Questo è peggio di Max - fece Francy, scendendo a fatica dalla macchina.

La casa di Kutcher era grande, a tre piani, il giardino era circondato da un cancello e un'alta siepe; da sopra quella si scorgeva parte della casa. Entrammo, poco dopo, guardandoci attorno un po' sgomente.

La casa di Max e quella di Kutcher erano decisamente diverse.

La prima era grande, ben arredata, luminosa, con spazi aperti; quella di Kutcher era enorme, arredata in modo ricco, ma i mobili, forse anche per gli accessori da festa, sembravano chiudere e riempire troppo lo spazio e le luci erano fioche, quasi spente, in un atmosfera un po' scura e caotica. Eppure Alex era un allegro idiota.

La musica nella casa di Parker, poi, sembrava un divertimento in più; in casa Kutcher la musica era alta e per sentirsi bisognava quasi urlare.

Ero stata, dalla storia della scommessa, solo a due feste e tutte di Parker, e questa in confronto, solo dall'entrata si vedeva diversa; dicendo più “pesante” riuscivo a spiegarmi?

- Però - commentò Francy, avvicinandosi al mio orecchio.

Mi accigliai, camminando nell'atrio. C'erano solo due ragazzi che ridevano con bicchieri gialli in mano che sapevo contenere la ricetta alcolica della famiglia Kutcher. La musica era davvero assordante.

- Per le giacche? - Mi chiesi, girandomi verso Francy. Avevo notato che non c'erano i tavolini per appoggiare tutto come da Parker. Non c'era traccia di niente, lì nell'atrio.

Fece spallucce.

I due ragazzi ci notarono. Quello moro, più vicino a noi, indicò le scale poco avanti e mimò giacche con la bocca.

Francy sorrise, ringraziandoli e mi superò marciando verso gli scalini.

Salimmo velocemente.

- O forse dovevamo cercare e chiedere a Kutcher? - Chiesi a Francy. Al primo piano la musica si sentiva già meno.

- No, spettegoliamo noi! - Incitò, fermandosi all'inizio del lungo corridoio. C'era gente lì, ragazze e ragazzi che conoscevamo di vista, tutti fermi e raggruppati, e anche Kutcher. Sorrisi, rincuorata all'idea di non farmi beccare mentre sbirciavo in qualche stanza alla ricerca di altre giacche.

- Alex! - Salutò Francy, sbracciandosi.

Lui la vide subito e ci regalò uno dei suoi soliti sorrisoni. - Eccovi! - Spostò una ragazza di lato, che lo fulminò contrariata, e ci venne incontro.

Notai che tutti ci avevano tenuto all'aspetto quella sera. Soprattutto le due morettine nel corridoio, truccate e agghindate di tutto punto. Io non ero stata costretta da Francy a fare niente di strano quindi ero lì con le mie comode all star, jeans e maglioncino, non mi ero nemmeno truccata (il mascara non contava) e stavo comodissima e da Dio.

- Parker ti cerca! - Mi fece subito, parandosi davanti a noi.

Smorfia. - Giochi alcolici?

- Ovvio e gli manchi, anche - aggiunse, scherzando.

- Le giacche comunque? - Chiese Francy, togliendosi la sua.

Kutcher sembrò saltellare sul posto, prendendogliela. - Le metto tutte nella stessa stanza, poi chiudo a chiave! Una volta hanno rubato un cellulare e se la sono presa con me - spiegò, sbuffando e alzando gli occhi al cielo. Ci fece cenno di seguirlo e aspettò che Francy lo affiancasse.

Io li guardai da dietro, divertita, mentre salivano le scale e lui le faceva complimenti esagerati.

Arrivammo al secondo ed ultimo piano. Il corridoio era sempre lungo ma c'erano meno stanze.

La musica da sotto continuava a sentirsi e anche forte ma una, più alta e vicina, proveniva dalla camera infondo.

- Mia sorella - spiegò Kutcher con una smorfia, notando che ci avevamo fatto caso.

- Hai una sorella? - chiese Francy, divertita. Lui ci guidò verso una porta, a due di distanza dalla sua parente.

- Ne avrei anche un'altra ma è all'università. Questa è la piccola, quindici anni -. Alzò gli occhi al cielo. - E' sempre in casa da qualche anno quando i miei sono fuori. Però si scazza e le feste se le sorbisce, sennò se ne va lei - borbottò con fare capriccioso.

Francy piegò le sopracciglia scetticamente, ma sorrideva.

Kutcher aprì la camera-armadio di cui aveva parlato. Entrammo: la stanza era grandissima; una grandissima finestra, così grande da sembrare quasi il collegamento a un balcone, rifletteva la nostra immagine.

- Dove li hai comprati? - Chiesi, mezza incredula, avvicinandomi agli appendiabiti con le ruote.

Kutcher diede la giacca a Francy per fargliela appendere dove preferiva lei. - Mia madre ha una mezza catena di vestiti - spiegò tranquillo e andò verso la finestra e, con un solo gesto calcolato, tirò la tenda rossiccia quasi del tutto. - Sono pieni di quella roba e mi è bastato chiedere!

- E come ti sei giustificato? - Domandò Francy, ridendo e prendendo una delle poche grucce libere.

- Che mi servivano per le feste! - Rispose con ovvietà, girandosi e sorridendoci.

Chiuse la porta a chiave appena finimmo.

- Ce l'ho sempre io quindi potete stare tranquille! - Ammiccò.

- Non ti scoccia fare sempre su e giù? - Chiesi, mentre ritornavamo nell'atrio.

- Rassoda il culo! - Disse, ammiccano di nuovo, ma verso Francy.

Lei scoppiò a ridere e quasi le venne un colpo per le scale.

- Gray! - Si sentì a malapena sopra la musica: eravamo al piano terra ed era decisamente molto alta.

Smisi di guardare Kutcher che provava a far riprendere Francy. Avevo riconosciuto nonostante tutto la voce.

Parker si avvicinò allegro. Era entusiasta per qualcosa e si vedeva dagli occhi verdi, lucidi. O forse aveva già un po' bevuto. - Eccoti, finalmente! Devo farti ubriacare per avere nuove foto! Giochiamo a Beer Pong*, su! - Capii il tutto davvero a fatica, parlava troppo velocemente, come sempre, ma almeno forte. Mi accigliai, scendendo gli ultimi scalini per avvicinarmi mentre lui si spostava i capelli all'indietro, nel suo solito modo.

- Devo guidare, dopo, non posso - mi difesi, subito dopo aver collegato.

Fece una smorfia, avvicinandosi anche lui: la musica era sul serio troppo alta. - Ho capito solo il non posso e non mi piace molto come risposta - disse acido.

Arricciai le labbra accorciando le distanze e arrivando ad un soffio da lui. - Ho la macchina stasera! E devo accompagnare anche Francy! Non posso fare un incidente: quindi no - ripetei, guardandolo male dal basso.

Questa volta sembrò capire: assottigliò gli occhi in una striscia verde, minacciosa. - Sei particolarmente brutta stasera - commentò e anche lui si era chinato verso di me.

- Tu un cesso come sempre - risposi a tono, incrociando le braccia e fulminandolo per bene: i capelli castani che si vedevano morbidi solo a vista, la fronte corrucciata, così come le sopracciglia, gli occhi verdi, con le sfumature più scure nel contorno, il naso dritto e il piccolo neo alla sua destra, le labbra sottili e disegnate che si stava aprendo in un piccolo sorriso. Un cesso. Parker era un cesso. Continuai a ripetermelo mentalmente.

- Max! Non ti sei ancora messo il completino intimo che ti ho comprato?! - Urlò Kutcher, sporgendosi sulla mia spalla.

Parker perse il sorriso. - Kutcher, ho detto di no! - Mi girai in parte per guardare Alex in faccia: gli aveva davvero comprato un completino?!

- Ma a me piaci così tanto in quella foto ... - Si lamentò con una faccia triste.

Il castano fece un broncio insoddisfatto e, tornando a guardarmi, mi prese una guancia tra le dita, cominciando a pizzicarmi. Mi lamentai. - Gray, ti troverò altro da fare, allora! - Qualche mese fa mi sarebbe suonato a minaccia, in quel momento non ci feci nemmeno caso.

- Lasciami! - Feci, cercando di bloccargli la mano, fermandolo per il polso.

Mi lasciò e gli scappò un piccolo sorriso. Poi con il mento fece cenno a Kutcher e i due se ne andarono. Solo quello simpatico salutò.

Digrignai i denti guardando Francy. - Lo odio!


 

Bevevo coca-cola, seduta sul divano rosso di casa Kutcher. Tutto in quella casa era rosso scuro, marrone, arancione: tutti colori caldi che sfumavano nella luce fioca che la caratterizzava.

Per la musica mi fischiavano le orecchie da un po', ed era appena l'una e mezza; ne sarei uscita sorda; cercavo, comunque, di parlare con Francy anche se era un continuo urlare e sporgersi con la bocca verso l'orecchio dell'altra. Non capivo se col passare del tempo la musica fosse stata alzata o io stessi impazzendo.

- Cosa?! - Ripetei, ridendo, mentre Francy provava a dirmi qualcosa e aveva iniziato a mimare cose strane, con facce strane e indicando un ragazzo lì vicino.

Eravamo riuscite prima ad occupare lo spazio necessario sul divano, nel resto della stanza c'era una marea di gente, ma l'atmosfera era automaticamente di divertimento ed io, pur non avendo bevuto altro che coca-cola, continuavo a ridere e sorridere. Probabilmente collaborava anche il non essere più stata stuzzicata da Parker che, dopo aver finito il suo Beer Pong, e aver fatto ubriacare e disperdere le cheerleader, parlava tranquillamente, in quella stessa stanza, con i suoi amici, ma lontano da me.

A volte mi sembrava però di riuscire a sentirlo ridere sopra la musica, mentre invece facevo fatica a distinguere le parole di Francy.

Appoggiai, sul tavolino di fianco al divano, il bicchiere vuoto. - Bagno! - Feci a Francy, alzandomi. Per fortuna capì, questa volta. - Dove sarà? - Chiesi a lei e a me stessa, aiutandola con i gesti a far capire cosa dicevo.

Si mise in piedi e, prendendomi per mano, attraversò la stanza: puntava a Kutcher e ai suoi amici; anche Parker.

Feci una smorfia mentre ci accostavamo e ci notavano.

- Il bagno?! - Chiese Francy, urlando a Kutcher. - Per lei! - Aggiunse poi indicandomi.

Alex mi guardò e mentre si chinava, avvicinandosi di lato al mio viso (così avrei sentito senza farlo sgolare), Parker lo bloccò per il braccio.

Sia io che lo spasimante di Francy lo guardammo, non capendo cosa volesse.

Parker indicò con la mano in alto e mimò la parola “iPhone” con le labbra, poi si avvicinò a Kutcher e gli disse qualcosa che non sentii. Sospirai, guardando verso Francy.

Bene.

Billy si era messo a parlarci tranquillamente, amichevole come sempre, e altri due amici del gruppo si stavano unendo: Francy era più che carina e le carine ispiravano simpatia a quei poveri giocatori di basket, in quel momento senza cheerleader.

Mi sentii toccare una spalla.

Poco dopo, non sapevo ancora perchè, mi era toccato seguire Kutcher e Parker su per le scale. Francy l'avevo lasciata giù a chiacchierare.

E okay che Kutcher poteva aver avuto la gentilezza di accompagnarmi in bagno di persona, ma Parker cosa voleva?!

Arrivati al primo piano si poteva già parlare.

- C'è un bagno qua! - Cominciò Kutcher sporgendosi. C'era in effetti una piccola fila di quattro ragazze. - Scherzavo ... - Aggiunse subito dopo, con una smorfia strana e facendo per salire ancora.

- E tu cosa vuoi? - Chiesi a Parker, seguendo intanto l'amico.

Parker mi guardò divertito. - Ho lasciato l'iPhone dentro la giacca e ne ho bisogno un attimo, per far vedere una cosa. Non ti piace la mia compagnia? - Chiese all'ultimo, spostandosi i capelli con fare vanitoso e comico.

Risi in risposta, scuotendo la testa e perdendo così l'occhiata sospettosa che avevo avuto dall'inizio.

Arrivammo al piano di sopra. C'era una sola ragazza nel corridoio che aspettava, irritata, davanti alla porta che presumevo fosse il bagno.

- Oh, vabbè, ti tocca aspettare - disse, ma era ovvio, Kutcher.

Annuii, seguendoli comunque verso la stanza-armadio. Kutcher aprì tranquillamente, fischiettando la canzone che si sentiva dal primo piano.

Mentre stava per abbassare la maniglia, sentimmo dei passi piccoli e veloci.

Ci girammo tutti e tre curiosi verso una piccola ragazzina, con dei capelli corti di un rosso sconvolgente, che ci passava di fianco. Non passò inosservato il pacchetto di patatine e il bicchiere giallo.

- ANNABEL! - Urlò Alex correndo dietro alla sorella mentre cercava, anche lei correndo, di chiudersi in camera con la ricetta di famiglia e il cibo.

Parker scoppiò a ridere e io mi portai la mano davanti alla bocca, sorridendo.

- Non puoi bere alcool! - Lo sentimmo urlare, mentre con forza riusciva ad evitare appena in tempo che la sorella si chiudesse in camera. - Poi che cazzo ci facevi giù?! - Fu l'ultima cosa che si sentì, mentre spariva dentro la camera.

- Che non potremmo bere nemmeno noi ma il fratellone evita di dirlo - ricordò Parker, abbassando la maniglia ed entrando dentro la stanza; sorrideva in uno strano modo colpevole. Gli si addiceva quell'espressione.

Sbuffai, guardando verso il bagno; quella in fila entrò sostituendo due ragazze, una col trucco tutto colato: aveva appena pianto.

Il bagno sarebbe rimasto occupato almeno per un po' e nel corridoio si sentivano le urla, senza però capire le parole, di fratello e sorella. Quindi visto che dovevo comunque aspettare, pensai ed entrai dentro la stanza, tanto valeva sorbirsi Parker. Mi chiusi la porta dietro, che l'altro aveva lasciato spalancata, senza pensarci.

Parker al suono della porta che si chiudeva spostò di lato la testa, curioso, e fu quasi sorpreso di vedere che ero io. - Ma sai che così ... - Cominciò, ma ci ripensò e, sorridendo, tornò a guardare la sua giacca. Non chiesi niente perchè tanto non avrebbe mai finito la frase.

- C'è ancora fila e visto che devo comunque aspettare preferisco non sentire nessuna litigata - sentii il dovere di giustificarmi.

Lui annuì senza guardarmi e finalmente prese fuori il cellulare. Lo sbloccò distrattamente, rimanendo fermo sul posto, tranquillamente. Probabilmente si era stancato anche lui della musica e non aveva troppa voglia di tornare giù.

Quella stanza era davvero grandissima, oltre ai numerosi appendiabiti troneggiava contro il muro un grande letto matrimoniale, con lenzuola e copriletto rossi e bianchi. Mi ci avvicinai e senza nemmeno pensarci mi sedetti. L'ambiente era illuminato dalle bajour ai lati del letto, nella tipica luce soffusa che pensavo fosse ormai ovunque in quella casa. La musica era quasi di sottofondo.

Guardai di nuovo Parker: l'unica attrazione in quella stanza.

Sbloccava e ribloccava il cellulare, senza nessun apparente motivo; un sorrisetto gli increspava le labbra. Poi alzò lo sguardo e, incrociando il mio, mi si avvicinò tranquillo. - Avevo anche bisogno di un po' di silenzio - disse, con tono vago, sedendosi sul letto come me. - Le feste di Kutcher sono sì le migliori ma sono stancanti da morire - fece ridendo poi sommessamente.

- Preferisco le tue - fu la mia risposta di getto.

Parker mi guardò curioso, i ciuffi di capelli spettinati quasi infantilmente, o forse il non sovrastarmi in altezza lo rendevano meno odioso, in quel momento. - Perchè? - Rise.

Tanto valeva ormai. - L'ambiente. C'è come più luce a casa tua, alle tue feste, qua è tutto molto più buio, più alcool, più musica … Non l'adoro.

- Evelyne, la brava ragazza. Immaginavo. - Continuava a guardarmi col suo fare distratto, dritto negli occhi. Forse l'avevo già pensato che il buio donava al verde. Non sentii il bisogno di rispondere, lasciando quel silenzio naturale, che interruppe: - Nemmeno l'ambiente in questa stanza ti piace?

L'essere lì da sola, il relativo silenzio, la vicinanza; mi sentii più elettrica al rispondere: - Cambia dal resto? - Riuscii a chiedere.

- Per me sì.

Mi guardai attorno, per evitare più che altro il suo sguardo, pesante come sempre; o forse più del solito.

- E' tutto quasi buio come il resto, ma è molto più calmo - continuò, notando forse che io non avevo intenzione di aprir bocca. -Decisamente più intimo del resto, non credi?

Non riuscii a rispondere.

Ma un rumore veloce attirò l'attenzione di entrambi.

Lamentele dall'altro lato della porta e un battere: la chiave dentro la serratura. Prima che potessi accorgermene, Kutcher da fuori aveva chiuso.

Ma era idiota?!

Mi alzai di scatto, andando verso la porta e bussai tranquillamente, per far capire a quello là che eravamo ancora dentro. Ma niente.

- Kutcher! - Chiamai abbastanza forte.

Niente.

Non poteva essere già corso giù!

- Kutcher! - Urlai.

- Sì, in effetti chiuderti la porta dietro non è stata una gran idea. Avrà pensato che ce ne fossimo già andati, o qualcosa del genere - mi prese in giro Parker. Pensarci prima e dirmelo?!

Mi girai a guardarlo: io non avevo il cellulare dietro, ma lui sì e non avevo la minima intenzione di rimanere chiusa lì con il lupo - perchè era tornato ad essere il lupo, - quindi sorrisi rincuorata.

- L'iPhone - feci, allungando la mano verso di lui.

Parker si alzò in piedi, ridendo scettico. - Non so tu, ma nessuno si è tenuto il cellulare in tasca, laggiù!

Impallidii. - E cosa facciamo?!

Fece spallucce, mettendosi il cellulare in tasca. - Se ne renderanno conto prima o poi. O la tua amichetta, o Billy, o Dawn ...

- No, c'è, no -. Marciai verso di lui, puntando ai suoi jeans e alla tasca. Avrei provato comunque! E poi di sicuro aveva il numero di quella casa: dovevo assolutamente uscire.

- Ehy, maniaca! - Disse, ridendo e girandosi di schiena per evitarmi.

- Parker - cercai di aggirarlo ma niente. Stava giocando! - Parker! - Ripetei, mentre mi spuntava, a malincuore, un piccolo sorriso: mi sembrava di essere tornata alle elementari e giocare all'acchiapparello.

Lui continuava a riuscire a scostarmi e, senza pensarci, gli rifilai uno dei miei soliti pugni alla schiena, dato che non riuscivo a fermarlo.

Per la prima volta da quel gesto ottenni una reazione: Parker sobbalzò e gli sfuggì un mezzo “Ahi”.

Ritirai la mano chiusa, di scatto, e lui si girò, con la fronte piegata in due linee e la bocca in una smorfia: gli avevo fatto male.

Mi morsi le labbra, con fare colpevole. - La ringhiera ... - ricordai, ridacchiando e facendo un passo all'indietro. Era andato a finire con la schiena contro le sbarre da poco, durante la partita di basket, e probabilmente aveva ancora dei bei lividi.

Il suo sguardo, mentre si girava del tutto, diventava minaccioso, un minaccioso non preoccupante, almeno, divertito. - Evelyne, adesso ti uccido. - Non ero poi così convinta che non fosse davvero minaccioso.

Cercò di afferrarmi con uno scatto per i fianchi e, in parte, ce la fece, ma cercavo di scivolare dalla sua presa, spiaccicata a metà contro di lui.

- Dai! - Mi lamentai, ridendo senza nemmeno rendermene conto e portando le mani sul suo petto per allontanarlo.

- Senza pietà! - Rispose, tenendomi bloccata e, facendo il serio, alzò la mano libera. Puntava alla mia guancia. Sapevo cosa voleva fare.

- No! - Urlai ancora, dimenando la testa, e speravo che qualcuno fosse in bagno e ci sentisse e ci aprisse. - Aiuto!

Parker cominciò a ridere e anche nella lotta, anche se provava a stritolarmi sia i fianchi sia la guancia, vidi i suoi occhi acquosi e divertiti. Un divertimento più sincero del solito.

Mi lasciò andare dopo un poco e io, accaldata, mi allontanai in fretta. Avevo il respiro accelerato, senza aver fatto poi molto: ero davvero fuori forma fino a quel punto? E mi ero messa a “giocare” con Parker. Cercai di ripensare mentalmente alla storia della foto per darmi della stupida.

Si sedette, assumendo in fretta un broncio, sul bordo del letto. - Fammi un massaggio! - Ordinò, di punto in bianco.

Lo guardai, non credendo sul serio alla richiesta e cercando di riprendere fiato. - Sì, certo!

L'occhiata di risposta mi fece capire che non scherzava. - Ma no! - Corressi immediatamente la risposta.

Parker sorrise. Quello era uno dei primi sorrisi che gli avevo visto fare, quello da - Foto. - Come disse appunto.

Erano passati mesi, ma contro quel ricatto non potevo ancora oppormi.

Feci i pochi passi che mi separavano dal letto, pestando forte il pavimento, se c'era qualcuno al piano di sotto almeno mi avrebbe sentito e magari sarebbe corso in aiuto. Salii sul letto, lui rideva, e piegai le gambe verso il busto, spostandomi, contemporaneamente, verso il centro, dietro di lui. - Quando questa storia sarà finita, non ti rivolgerò mai più la parola - dissi fredda. Provai a pensare a quell'estate, subito dopo il diploma: la festa, i capellini in aria, il Prom; poi non avrei mai più visto Parker. Me ne sarei andata da quella città e probabilmente l'avrebbe fatto anche lui, come tutti. Mi sembrò per pochi secondi una cosa strana, mi sarei sentita un po' strana senza la sua assillante presenza.

- Ah, lo so, per questo ne approfitto - rispose, tirando in parte su le gambe, anche lui fregandosene di rischiare di sporcare la trapunta bianca.

Rilassò le spalle nel momento stesso in cui le sfiorai con le mani. Avevo avuto l'intenzione di fargli male, ma vederlo tranquillo - mentre muovevo la maglietta con la pelle sotto, con i polpastrelli, - così rilassato, mi fece solo pensare al male che in effetti doveva aver avuto e che non avevo voglia di provocargli. Doveva ancora fargliene, dopo tutto.

Ma non alle spalle.

Abbassai lentamente le mani, continuando intanto ad accennare a un massaggio. Sentii i muscoli leggermente tesi, sopra la maglietta calda come doveva essere la sua pelle, e le scapole delle spalle larghe. Scesi finchè un po' più sotto, a metà schiena, non lo sentii irrigidirsi.

Mi inumidii le labbra e, senza pensarci molto, mi aggrappai alla maglietta scura. E la sollevai scoprendo piano la pelle di Parker.

- Evy - mi chiamò, senza però dirmi niente, con quell'odioso nomignolo che aveva iniziato ad usare a volte, quando eravamo soli. Non risposi, alzando la stoffa fino a scoprire a metà il grande livido di un colorito ormai viola.

Sollevai la mano e me la ritrovai, come se non fosse stata mia, sulla “ferita”. Con un tocco leggero la sfiorai.

- Con il massaggio non posso sistemare niente - feci notare, per smorzare il silenzio che stava diventando pesante.

Ci mise un po' a rispondere. - Non è solo livido. Mi ha distrutto anche le ossa quella botta e i massaggi li accetto sempre. - Fu la risposta che mi aspettavo.

- Neanche te l'avessi offerto io. - Alzai gli occhi al cielo e allontanai i polpastrelli dalla sua pelle calda.

- E la mano fredda mi piaceva - aggiunse piano, facendo vibrare la voce. Girò un pelo la testa, verso la testata del letto.

Lasciai scivolare la maglietta al suo posto. - Il freddo fa bene ai lividi solo subito dopo il colpo - dissi, mantenendo il tono fermo e tranquillo. Avrei riportato volentieri il palmo della mano e le dita sulla sua pelle, amavo il caldo, da freddolona qual ero, e il contatto mi era piaciuto più di quanto fosse lecito.

- Se l'avessi saputo un paio di giorni fa ti avrei chiamata. - Si girò e abbozzò un sorriso divertito. Quello smorzò la tensione che avevo involontariamente accumulato. - Insensibile che, anche se è a poca distanza da me quando mi faccio male, nemmeno mi caga - mi apostrofò.

Mi venne da ridere per quel tono quasi permaloso. E, che eravamo chiusi in una stanza dove non dovevamo essere, nemmeno me lo ricordavo più. - Egocentrico - ricambiai.

Alzò gli occhi al cielo, come abituato a sentirselo dire. Poi tornò con gli occhi ai miei, sorrideva leggero, come casualmente.

Rimase per un po' fermo non parlando, il silenzio stava lentamente creando la situazione di prima. Ma lo interruppe: - Visto che a me il massaggio non serve ... - Fece, senza però finire e senza fare niente. Mi guardava e basta.

- Cosa? - Chiesi, inumidendomi di nuovo le labbra. Sondò la mia reazione, apparentemente tranquilla, anche con gli occhi.

Trovò quello che cercava, probabilmente e, sorridendo, si avvicinò al mio fianco. Lo osservai, immaginando quello che stava per fare, ma non ero ancora scappata via.

- Potrei fartene uno io - non era una domanda e nemmeno una proposta, ed era esattamente quello che gli avevo letto in faccia.

Continuavo a non scappare.

Mi ricordai di non avere via di fuga. La usai come scusa.

Non reagii e lui si portò tranquillo alle mie spalle. Mi sentii toccare il fianco, la mano di Parker sul mio maglioncino grigio. - Non ne ho bisogno - risposi di getto, al tocco, come scottata attraverso i vestiti.

Lui ridacchiò, togliendo la mano. - E' solo un massaggio - cercò di farmi notare e arrivò a sfiorarmi le spalle. Non mi opposi.

Avevo all'inizio i muscoli più tesi di un violino e lui, toccandomi la pelle che rimaneva scoperta dal colletto e arrivando fino all'inizio delle braccia, doveva notarlo.

Chissà a cosa pensava? Era un peccato che leggere i pensieri non fosse umanamente possibile. Ma era meglio così: non sapevo cosa avrebbe potuto capire dai miei.

E mi stavo sciogliendo. Era un bene che non potesse sentire la vocina dentro la mia testa.

Mi sentii da sola lasciarmi andare pian piano al suo tocco.

- Solo un massaggio - ripeté e suonò così bene detto col suo tono caldo.

Si era fermato sulle braccia. In pochi secondi aveva notato quanto mi piacesse.

Me lo dissi anch'io: solo un massaggio.

E come metallo, momentaneamente fuso, ma solo momentaneamente, non mi opposi nemmeno alla sua proposta e al suo tocco che, senza spingermi, ma guidandomi, mi diceva di sdraiarmi. Era solo un massaggio e non poteva fare altro che piacermi. Mi dissi di lasciarmi andare, per quella volta. Per quei due minuti che sarebbero stati. Mi dicevo.

- Va bene - sospirai, appoggiandomi al cuscino e aggrappandomi con le mani al tessuto che lo ricopriva. Si spostò intanto per farmi sistemare le gambe in una posizione più comoda.

Max poi mi spostò i capelli di lato, sfiorandoli dalla nuca e quella relativa vicinanza col mio collo mi fece venire i brividi.

Rise sommessamente. - Freddo, Evy? - Bene, se n'era accorto. Complimenti, Evelyne.

- Sì - risposi, schiacciando il viso contro il cuscino e facendo uscire le parole soffocate.

Fece un “uh” come a far intendere di aver capito. Poi Parker portò le mani alle mie spalle, mani grandi in confronto a quella parte. Nemmeno il mio corpo sapeva se continuare a rilassarsi o tendersi di nuovo, in ansia.

- E comunque sono molto più bravo da sdraiato - disse piano e quasi non lo sentii. Sembrava un'insinuazione tutt'altro che buona e quando fece per spostarsi, SOPRA di me, sobbalzai.

- Parker! - Lo richiamai, arrossendo e cercando di girarmi sul fianco, ma fui fermata bruscamente.

- Solo un massaggio, Evelyne! Non c'è bisogno di pensare male! - Mi sgridò con un tono ironico, ma divertito. - Quanta malizia!

- Con te bisogna sempre pensare male! - Gli feci notare, tornando però alla posizione di prima e riaggrappandomi, facendo diventare le nocche bianche, al cuscino. Cuscino: ancora di salvezza.

Continuavo a non sapere come comportarmi: avevo pensato male fin dall'inizio, eppure non ero scappata; ma forse avevo pensato male per niente, perchè sembrava davvero solo un massaggio.

- Adesso no. - E lo sentii sorridere pur non guardandolo. - Un massaggio, Evy - soffiò.

Non sapevo cosa pensare e fare e mi girò la testa. Sentii le mie unghie contro il palmo e quasi mi fecero male.

Lui rise e si spostò e appoggiò … Sul mio culo. - Parker - sillabai, minacciosa.

- Non farò commenti sul tuo culetto morbido, Gray! - Mi prese in giro, smorzando di nuovo quella tensione che creava e disfaceva di continuo, disorientandomi e basta.

- L'hai fatto!

- Non faccio niente, era solo per stare più comodo! - Sbuffò e, come per tranquillizzarmi, si spostò leggermente, rendendomi solo di nuovo agitata. Non dissi niente però, cercando di non essere più in svantaggio di quello che era sembrato fino a quel momento.

E riportò le mani sulle mie spalle e ricominciò.

Non pensavo che Parker potesse essere delicato in quel modo, che potesse sfiorare e rilassare con dei semplici tocchi. Non avevo mai pensato che avrei sperimentato direttamente qualcosa del genere, diciamo. Mi venne da pensare un attimo a chi potesse aver fatto dei massaggi, come quelli; a quelle mani chi potevano aver toccato, anche in altri modi, e se l'avevano fatto in quello stesso modo; ma solo per un attimo pensai tutto questo, perchè con quelle piccole attenzioni non riuscivo più a ragionare.

Abbandonai la presa del cuscino. Chiusi gli occhi e mi sfuggii un mugolio.

- Sai che è strano vederti così rilassata? - Chiese retorico, a bassa voce.

L'atmosfera nella stanza sembrava definitivamente essersi stabilizzata, forse come noi: la penombra creata dalle lampade basse non era più poca luce, come era sembrata all'inizio, ma solo penombra rilassante. E mi stavo sciogliendo e Parker non mi aveva mai davvero vista così. Al fatto che fosse Max a provocarmi quella reazione non ci stavo pensando, perchè poi stavo reagendo al massaggio o a Parker?

Non riuscii ad organizzare quelle domande, né niente.

Perchè le mani dalle mie spalle scivolarono piano e leggere lungo la schiena. Leggere, ma attraverso il maglioncino continuavo a sentirle: sembrava sapesse esattamente come fare e nel modo migliore.

- Continuo il massaggio - spiegò quasi divertito, prima che potessi attaccarlo come al solito. Anche se non sarei comunque riuscita a sgridarlo in quel momento.

Deglutii, riaprendo gli occhi e puntando lo sguardo sulla porta finestra, ma per colpa delle tende che aveva tirato Kutcher non vedevo il riflesso di Parker, solo parte del mio, e, non riuscendo nemmeno a girarmi, quella cecità cominciò a rendermi più nervosa.

Arrivò in fondo alla schiena. - Ti stai irrigidendo, Gray? - Chiese con la sua voce calda, perfettamente bassa, quasi roca. Mi stava prendendo in giro, però, lo immaginavo.

- No - risposi, la voce inclinata.

- Noto un po' di muscoli tesi, invece - osservò.

Lentamente, con calma ed uccidendomi.

Max portò le mani verso il bordo della maglietta, sollevandola

Poi sotto.

- Il maglioncino mi dava fastidio - spiegò piano.

Le mani, calde, si sistemarono, massaggiando, con piccoli cerchi, dalle fossette in fondo alla schiena, andando verso i lati. Continuò avvicinandosi ai fianchi.

Stava giocando a fare l'idiota, lo sapevo, e io normalmente in quel modo sarei sobbalzata o sarei scoppiata a ridere: soffrivo terribilmente di solletico ai fianchi; senza contare che normalmente non avrei mai permesso a Parker di toccarmi la pelle nuda.

Ma non dissi niente. E, oh, non risi. Non sobbalzai nemmeno.

Ero elettrica, ansiosa ed immobile e sotto la maglietta, sulle braccia, sentii la pelle d'oca.

Il calore delle sue mani, dai fianchi sembrò espandersi anche intorno. Ma erano solo delle mani calde! Cercai di ripetermelo: le mani di Parker.

Provai a darmi un contegno, inspirando ed espirando come mi avevano sempre insegnato a fare, dopo uno sforzo fisico.

Non spostandolo, cosa che sarebbe stata più normale.

Parker, non sapevo che faccia potesse avere, non sapevo che tipo di luce particolare potesse esserci in quel momento negli occhi verdi. Leggendo scherno o divertimento l'avrei subito allontanato, ma così ero cieca. Vedevo solo il cuscino, la luce vaga, la musica da discoteca al piano di sotto non la sentivo; le mani di Parker sì.

In silenzio salì con le mani lungo i fianchi, continuando a massaggiarmi nello stesso modo. Un massaggio avrebbe dovuto rilassare? Io sembravo tendermi ad ogni tocco di più. E lo notava, era impossibile che non lo notasse, ma non disse niente.

Salendo sollevava pian piano il maglioncino e sorpassò il reggiseno, scoprendomi la schiena fino alle spalle. Lì si fermò, sistemando i polpastrelli.

E io stavo morendo. Diciamocelo. Stavo morendo e forse non avevo ancora del tutto collegato di avere la schiena nuda, tranne per la linea nera del reggiseno, davanti ai suoi occhi.

Le sue mani bruciavano e bruciavo anch'io. Febbre, mi sarei dovuta provare la febbre, dovevo assolutamente avercela e anche molto alta! Sperai di non morire perchè ero davvero troppo giovane.

- Avrei una proposta - fece basso e sentendo la sua voce arrivare da vicino, capii che si era chinato verso la mia schiena.

- Cosa? - Riuscii a dire dopo un poco e non mi sembrava di essere stata io a parlare. Con Sean, l'unico ragazzo che avessi mai avuto, mi era mai uscita una voce del genere? E perchè collegavo a Sean?

Parker abbassò le mani e arrivò ai gancetti del reggiseno.

Sarei morta, istantaneamente.

- Per migliorare il massaggio - spiegò, con una strana voce roca, come lo era stata la mia.

Ero morta sul serio perchè non riuscii a rispondere. La bocca si schiuse nel tentativo di spiaccicare parola ma rimase ferma così.

Sentii tirare leggermente in su e subito dopo le spalline mi ricaddero, non più unite, sulla schiena.

- Forse non era una buona idea - riuscii a blaterare.

Morta dovevo esserlo perchè sennò in quel momento l'avrei picchiato. Eppure parlavo! O forse ancora la mia fantasia era al galoppo, e Parker voleva davvero solo farmi un massaggio.

Strinsi di nuovo la fodera.

- Direi che è molto meglio così - ribatté lui, quasi tranquillamente, facendo scivolare le spalline dalla schiena. - Ed è solo un massaggio, Evy - aggiunse, piano, come sentendo quello a cui avevo appena pensato.

Ma perchè la parola massaggio detta in quel modo sembrava così strana?

Parker tornò  tranquillamente alle mie spalle, continuando il massaggio. Solo un massaggio. Alla schiena. Sulla pelle nuda.

Le sue mani erano ormai calde come il mio corpo e l'idea di essermi surriscaldata in così poco tempo mi faceva stare male. Come mi faceva stare male la sensazione della sua pelle sulla mia.

Poi.

Trattenni il respiro.

Mai più.

Non mi sarei fatta fare un massaggio da Parker mai più.

Non mi sarei fatta toccare in generale da Parker mai più.

Dalle spalle cominciò lentamente a scendere.

Dalle spalle, lentamente, verso le ascelle, cominciò a scendere, in punta di dita, coi polpastrelli, cauto, lungo il fianco.

E in quel modo mi sfiorò in una carezza, che voleva essere casuale, ma casuale non era, il lato del seno che era rimasto scoperto, senza il reggiseno.

Normalmente l'avrei picchiato, mandato a quel paese, senza pensare a foto o niente, o ucciso, l'avrei ucciso normalmente.

Ma non ero in me. L'odore di Parker, la sua voce, le sue mani, sembravano avermi scombussolata ed annebbiata in ogni modo.

Se Parker era la mia punizione divina, Dio aveva scelto perfettamente la creatura adatta per tormentarmi. In ogni modo. Psicologicamente e ormai fisicamente.

Cuore a mille, non respiravo.

Parker che mi ricattava.

Parker che mi trattava come il suo giocattolino divertente da sfruttare e sfottere.

Max che in quel momento distruggeva ogni mia singola convinzione.

Parker me l'aveva detto e non gli avevo dato molto retta. Ma era vero.

Si fermò un po' sotto il mio reggiseno.

Ero attratta fisicamente da Parker.

Ma da quando?, mi chiesi.

- Direi che ho finito col massaggio - disse roco.

- Bene - mi uscii con una voce abbastanza isterica. E mi salirono ancora i brividi, ovunque.

Dovevo tornare all'autocontrollo a cui ero abituata. Avevo solo bisogno di un minuto, ma Parker stava parlando in quel momento.

- Adesso ... - Iniziò con un tono che non prometteva, per me, bene.

Ma non avrei mai saputo come voleva continuare: un rumore fece girare entrambi verso la porta.

E forse mi salvò.

Forse.



*Angolo autrice:


Salve a tutte!:D
Ecco qua spiegato lo spoiler: era simile a quello che vi aspettavate?
In questo capitolo, all'inizio, ci sono parecchi richiami agli ultimi capitoli, per ricordare che tutte quelle cose hanno portato Evelyne a cambiare nel modo di comportarsi: dopo tutte quelle cose Evelyne si blocca nella stanza con Parker. :)
Da qua cominciano un po' i casini nella storia. Ma si può vedere.
Chi entrerà nella stanza? Cosa penserà chi entrerà nella stanza? (io mi sono divertita a descrivere la scena all'inizio del prossimo capitolo :'3)
Ma la domanda importante in questo capitolo è una, secondo me: cosa sta combinando Parker?
Ad Evelyne parte l'embolo e non si oppone, più o meno, a niente, non ci riesce (non ci sarei riuscita nemmeno io <3 <3 ), ma Parker fin dall'inizio stava architettando qualcosa o si è fatto solo prendere sul momento o c'è altro? :D
Poi vabbè, Evelyne qua finalmente si mette l'anima in pace e si dice che non si limita a considerare Parker un ragazzo decente. In quella stanza si rende conto di essere attratta da Parker. E il trovare carino uno e l'essere attratti sono due cose ben diverse, almeno secondo me, spero che nella storia si capisca che c'è una differenza e in che modo.
Evelyne ovviamente parla del fisicamente, adesso. Nega qualsiasi altra cosa.
Parkeruccio boh, direi che non dico niente perchè vi lascio carta bianca sul provare a comprenderlo. (anche se è abbastanza schizzofrenico, lo so, lo so ...).
Kutcher, l'allegra idiota lo adoro :D
E nadaa ...
Il prossimo capitolo massimo tarderà un po' più del solito.
Venerdì dovrei uscire e poi (se non finisce il mondo) sabato sono fuori ancora tutto il giorno e domenica parto per la Spagna e credo che ci merrerò un paio di giorni prima di avere Internet ...
Fidatevi di me comunque, che in ogni caso arriva, il capitolo è sempre pronto :D
A presto.
E ringrazio tutte le persone che hanno messo la storia tra seguite, ricordate e preferite :3

Nel caso il capitolo arrivasse dopo Natale. Buone feste a tutte ! <3

Josie.


 

*Bush= cespuglio, riferimento quindi al giardino.
*Beer Pong. Si fanno rimbalzare palline da ping pong in bicchieri e quando si centra il bersaglio la squadra avversaria deve bere, o qualcosa del genere. Avete capito il concetto, comunque :D

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Capitolo 16
*** Ascendente ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )
 

15. Ascendente

 


Una chiave dentro una serratura.

Mi ricordai in quel momento dell'esistenza della festa a pochi piani di distanza, della gente, di Kutcher che ci sarebbe venuto a cercare. Ricominciai a sentire la musica a palla ma ormai era tardi.

Scattai sulle ginocchia, o almeno ci provai e andai a sbattere con la schiena contro il viso di Parker, chinato davvero molto su di me.

Lui cadde all'indietro, continuando però a pesarmi sui polpacci, con uno strano verso sorpreso e io, disperatamente, provai ad allacciarmi il reggiseno che nella foga si era anche sollevato scoprendomi quasi del tutto il seno.

Ma la porta fu più veloce e si aprì.

- Potevate dirci qualcosa! - Urlò subito Kutcher, entrando. Si bloccò immediatamente.

- Ci sono?! - Billy subito dopo di lui si sporse, ma si bloccò subito anche lui.

Era tutto molto equivoco. O forse era esattamente quello che sembrava.

- Mi stavo sistemando! - Mi uscii con una voce acuta, che non mi era mai appartenuta, mentre riagganciavo il reggiseno e di conseguenza abbassavo il maglioncino. Provai anche a spostarmi, ma Parker non si era mosso e mi impediva i movimenti, appoggiato ancora sulle mie gambe.

Billy passò con gli occhi scuri da me al suo migliore amico, aveva una strana espressione che gli piegava le labbra in una posa non ben riconoscibile; Kutcher dopo pochi secondi era scoppiato a ridere e piegato in due era uscito.

Il peso sulle mie gambe sparì e anche il materasso si sollevò un poco, alleggerito. Guardai verso Parker dopo tutto quel tempo e lo ritrovai a stropicciarsi i capelli come se niente fosse successo. - Sempre a rompere il cazzo a me, eh! - Sbottò però con un tono scazzato, uscendo di scena dalla porta. Fulminò Billy che rise, appoggiandosi allo stipite.

- PARKER E LA GRAY SI DANNO DA FARE! - Urlò come un pazzo Kutcher, facendosi sentire chiaramente anche dal corridoio.

Mi portai una mano sulla fronte per poi accasciarmi di lato sul letto.

- AIUTO! - Si continuò a sentire sopra la musica, insieme a risate, e immaginai che Parker come minimo l'avesse picchiato.

Ero rimasta da sola con Billy, non avevo sentito altri passi e sapevo che era ancora lì.

Sentii il bisogno di dirlo: - Era solo un massaggio - provai a giustificarmi, dandomi anche una calmata e lanciando un'occhiata veloce al ragazzo.

Billy ridacchiò, staccandosi dalla porta e avvicinandosi. - Io non ho ancora detto niente e hai provato a spiegare in poco tempo con due versioni diverse: è sospetto!

Mi sollevai per guardarlo in faccia, mi sentivo i capelli scombussolati, neanche avessi fatto sport, Hans mi osservò sorridendo. - L'ultima versione è quella vera! - Continuai, preoccupandomi realmente di quello che avrebbe pensato.

- Ah - fece solo, sedendosi e assecondandomi. Mi irritò altamente. - E perchè un massaggio?

Presi fiato. - Perchè Kutcher è un idiota e ci ha chiusi qua dentro! E allora non sapevamo che fare e lui mi ha ordinato, con la storia della foto, di fargli un massaggio, ma poi ha cominciato a farmelo lui e, dai, chi rifiuta un massaggio e ...

- E come mai non hai chiamato qualcuno al piano terra per farti aprire la porta? - Billy continuava a sorridere, appoggiandosi con i gomiti alle sue gambe, scaricando il peso in avanti, mentre mi guardava.

- Non avevo il cellulare! - Risposi pronta.

- Ma Max sì ... - Cercava di arrivare a un certo punto, e non capivo quale.

- Mi ha spiegato che nessuno giù aveva il cellulare con sé! - Continuai, sollevandomi meglio per arrivare col viso alla sua altezza.

Billy scoppiò a ridere mostrando le fossette sulle guance. Cosa?!

- Cosa?! - Chiesi infatti, accigliandomi.

Lui scosse la testa e allungò una mano verso i suoi jeans, dalla sua tasca estrasse un iPhone con una strana cover colorata. - Da quand'è che Evelyne Gray crede alle balle assurde di Max Parker? - Fece aleggiare la domanda retorica nell'aria.

Io non riuscivo a staccare gli occhi dal cellulare.

In effetti non avrei dovuto crederci. Ma in effetti all'inizio non ci avevo creduto e avevo voluto prenderglielo, poi la questione era stata velocemente liquidata, sapevo bene come.

Ma un momento.

- Perchè mi ha mentito?! - Esclamai quasi sconvolta.

Liquidò la faccenda con un cenno della mano. - E' più interessante pensare che ad Ottobre gli avresti azzannato un braccio per avere il suo cellulare e farti tirare fuori da qui, invece ...

Mi ritrovai ad arrossire leggermente. - Non ha motivi di chiudersi in una stanza, di proposito, con me! - Ribattei, con la gola secca.

Lui alzò le sopracciglia. - Continui a spostare l'argomento da te stessa ...

- Io ero in buona fede! - Ribattei, facendo per alzarmi. Billy voleva trovare le prove di qualche sua strana teoria.

- Evelyne - mi bloccò ridacchiando. - Ti piace Max? - Chiese diretto e conciso, prima che potessi scappare.

Mi ero lasciata sfiorare e toccare, come non avrei dovuto; non ero scappata come avrei dovuto; gli avevo creduto come non avrei dovuto: Billy mi aveva fatto notare tutte quelle cose e quella era la sua conclusione?

- No. - Era solo attrazione fisica, solo quello, lo sapevo, l'avevo capito quel giorno. Ma doveva essere anche normale: Parker alla fine era un bel ragazzo ed era normale. Avevo sempre disprezzato qualcosa che non era normale disprezzare.

Sorrise. - Va bene.

Mi alzai in piedi pronta ad andarmene da quella stanza.

- Un consiglio! - Mi bloccò di nuovo.

Fui quasi tentata di ignorarlo ma mi girai.

- E' la seconda volta che Max ti fa qualche moina e cedi - cominciò, giocherellando con il cellulare che aveva continuato a tenere in mano.

Aprii la bocca sconvolta. - Ad Halloween non avevamo fatto niente e nemmeno adesso!

Alzò di nuovo i lati della bocca nel solito modo. - No, ti sei solo fatta alzare la maglietta e slacciare il reggiseno! Trenta secondi in più, sarebbe arrivato al palpeggio e con altri due minuti vi avremmo ritrovati in un modo un poco più imbarazzante - ipotizzò con aria tranquilla. Poi vedendo che stavo di nuovo per interromperlo riprese il discorso. - Comunque, questo è quello a cui è abituato. Fa qualcosa e le ragazze cedono. Un sorriso e cedono. Un massaggio e via la maglietta - aggiunse, prendendomi in giro.

- Hans! - Ringhiai; ero rossa come non lo ero mai stata.

Rise. - Comunque, Gray, non fargli fare il punteggio pieno sempre, mi raccomando - mi lanciò uno sguardo dritto negli occhi, quasi fiducioso. Ed era davvero un consiglio.

Uscii dalla stanza psicologicamente esausta.

E mi ricordai che dovevo andare in bagno.


 

Il bagno di Kutcher era bellissimo. Ero lì da una ventina di minuti e ormai lo conoscevo bene.

- Mi vuoi dire cos'è successo?!

Proprio bello. Tutto bianco ed azzurro.

- Evelyne!

E quell'enorme specchio!

Francy non ne poté più e mi afferrò le spalle, scuotendomi. - Ascoltami! - Urlò, seria.

La guardai finalmente negli occhi, cosa che non avevo fatto da quando era entrata lì con me. Avvampai. - Ho fatto una cazzata - piagnucolai.

Sembrò davvero preoccuparsi, si notò particolarmente dalle sopracciglia che si incresparono in modo strano. -Dimmi tutto!

Alzai le braccia, circondandole il collo. Ero tesa: non sapevo se sentirmi vulnerabile come mi ero sentita dopo la festa di Halloween e la scommessa; non sapevo se quindi avrei dovuto rialzare prepotentemente quel muro che poi a dicembre era stato di nuovo, lentamente, smantellato, senza che me ne accorgessi.

- Ero chiusa nella stanza-guardaroba, a chiave, con Max ...

- Oddio, ci sei andata a letto?! - Mi chiese subito, staccandosi per guardarmi sconvolta in faccia.

Non poteva crederci sul serio ...

Sobbalzai, sgranando gli occhi. - Dio, Francy, non esageriamo!

- Baciati?! Slinguazzamento duro?!

- No!

Si bloccò. - Cosa avete fatto, allora? - Riuscì finalmente a ridire. - Ho visto Kutcher, giù, venir fulminato da Parker e mi aspettavo chissà cosa ...

La interruppi: - Mi ha fatto un massaggio.

Alzò le sopracciglia, notai quanto fossero espressive. - Oh. - Non le sembrava un gran che.

- Alzato la maglietta - aggiunsi.

- Oh - ripeté. ma questa volta con un po' più di enfasi.

- Slacciato il reggiseno - sussurrai.

Cominciò a venirle un sorriso e cercò di trattenerlo con forza, si notò lo sforzo. - Oh - provò a dire con indifferenza.

- Diciamo che mi ha mezzo sfiorato ...

Capì senza bisogno che spiegassi nei dettagli. - Poi? - Chiese curiosa ed osservando l'asciugamano, per distrarsi e non ridere.

- Poi ci hanno interrotti.

- Per fortuna, avremmo rischiato dei piccoli Parker e delle piccole Evelyne ... - Commentò leggera e scoppiando finalmente a ridere. - E uffa! Se l'avessi saputo sarei salita anch'io con Alex solo per il gusto di beccarvi!

Le diedi un colpo sul braccio. - Non è divertente!

Cominciò a darsi un contegno. - Oh, invece sì! Ti piace e gli piaci!

Mi sentii in ansia a quella frase. Sembrò rendersene conto e aggiunse: - Diciamola in un modo che possa piacerti di più: hai un certo ascendente su di lui e Parker ce l'ha, decisamente, su di te.

Sospirai, scuotendo la testa e girandomi verso il rubinetto, lo aprii con un colpo secco e mi sciacquai la faccia velocemente. Mi asciugai poi il viso con forza. - Okay! - Sbottai dopo aver finito.

Mi guardò sorpresa.

- Okay! Ha decisamente un bel ascendente su di me! Sean per una cosa come quella di prima l'avrei mandato a cagare, dicendo che non era il momento, ed era il mio ragazzo!

Aprendo una parentesi su Sean, a cui continuavo a paragonare Parker in quel periodo, avrei potuto dire poche cose: biondo, occhi grigi, alto, più simpatico che carino; l'avevo conosciuto quell'estate, subito dopo la fine della scuola, mentre giocava a pallavolo con dei suoi amici a New York, su una delle spiagge. E niente, stavo scappando da mia zia e avevo deciso di socializzare, cosa rara in me. E niente, quel decidere di lanciarmi aveva portato a tre mesi insieme col ragazzo. A settembre, prima di iniziare la scuola, ero stata lasciata ma non ci ero nemmeno stata male: non avevo dato poi molto in quella relazione, in tutti i sensi.

In quei tre mesi avevo pensato poi che mai nessuno avrebbe potuto piacermi di più, perchè forse semplicemente non ne ero il tipo, pur credendo nell'amore, e anche se Sean era carino e simpatico, con lui ero controllata e rigida e di sicuro non innamorata. Non avevo mai sentito le farfalle nello stomaco, non avevo mai fatto pazzie. Semplicemente non ero il tipo di ragazza da relazioni, che si innamorava, e non lo sarei mai stata. L'amore esisteva ma probabilmente non era per me.

Con Sean però mi ero divertita e a volte mi ero lasciata andare, ma solo e soltanto quando l'avevo voluto io.

- Con Parker non so davvero cosa sta succedendo - finii sospirando e guardandomi allo specchio. Avevo ancora la pelle arrossata, gli occhi lucidi, senza motivo. Con Parker non ero mai io a scegliere, sembrava che in certe situazioni qualcun altro si impossessasse del mio corpo. - Okay che è molto più bello, però pensavo che i miei ormoni sapessero darsi una controllata! - Insomma!

Francy rise, abbracciandomi di lato ed incontrando il mio sguardo attraverso lo specchio. - Non prendertela troppo sul serio, adesso!

Scossi la testa, convinta. - E' solo … Un ascendente, Francy, non capirmi male! Però mi dà fastidio. - E mi imbronciai, provando a ritornare normale, anche con il viso. - E' Parker! Mi da fastidio!

Sorrise maliziosa. - Aver ceduto al fascino del quarterback della scuola ... - schioccò la lingua - Un classico!

Le diedi una gomitata, infastidita. - Anche Billy mi ha detto di non farlo più, però, e seguirò il consiglio.

Francy a quelle parole si drizzò. - Billy?

Annuii, sistemandomi il maglioncino, pronta ad uscire e trovare la prima scusa possibile per stare lontana da Parker o meglio ancora: andarmene. - Di non dargli di nuovo corda. Sai, forse è sul serio geloso del suo amico - ridacchiai. In realtà sapevo benissimo che il consiglio era stato dato per me, non per lui. Evidentemente gli stavo davvero leggermente simpatica.

La mia migliore amica fece un sorriso molto inquietante.

- Cosa c'è? - Le chiesi preoccupata e corrucciandomi.

- La prossima volta che Parker prova a fare qualcosa ...

- Non lo farà. - Scossi la testa dirigendomi verso la porta del bagno. Ero lì da davvero troppo tempo e avrei dovuto dissimulare. Dissimulare scappando.

- La prossima volta che lo farà non devi assolutamente cedere!

Risi. - Ma è ovvio, Francy. A parte che non sono il tipo, ma sulla lista online non ci finisco mica!

- Ma provocalo! - Aggiunse.

Aspetta. - Stai dicendo alla ragazza del giornalino scolastico di “sedurre” il don Giovanni della scuola? - Chiesi, senza crederci. Don Max, pensai un attimo.

Lei fece un saltello sul posto, battendo le mani. - Sarebbe carino! Ma comunque no, in effetti sarebbe troppo, però la prossima volta che proverà a fare qualcosa come oggi, tu non dargli quello che vuole, ma provocalo, fagli credere un attimo di averlo e poi niente.

Mi accigliai. - Perchè mai? - Mi venivano anche in mente brutte immagini col “fagli credere un attimo di averlo”.

Sorrise aprendo la porta. - Tu fallo!

La parte del non cedere sarebbe stata l'unica che avrei seguito.

- Usciamo, su - sospirai facendo finta di assecondarla ed aprendo la porta.

Francy aveva le chiavi della stanza-armadio. Le aveva chiesto salendo, quando Kutcher le aveva accennato qualcosa e diciamo che lei una piccola crisi o qualcosa del genere, con conseguente fuga, se l'era immaginata pur non sapendo le cause.

La ringraziai mentalmente, mentre entravamo velocemente nel luogo del “crimine”, prendevamo le giacche e ce la filavamo giù per le scale.

Erano le due e un quarto ma la musica era sempre alta come prima.

Nell'atrio trovammo Kutcher e Parker, quasi appostati ad aspettarci.

Guardai il castano e i suoi occhi verdi erano tranquilli come al solito, impassibili però, non divertiti. Lo trovai uguale a sempre, come avendo temuto che la consapevolezza di quella “ascendenza” l'avrebbe reso diverso ai miei occhi. Ma stessa faccia da schiaffi sul bel viso. Feci una smorfia sconsolata, simile a un sorriso e mi dissi di stare calma e fare finta di niente. Perchè non era davvero successo niente.

- Noi andiamo, Alex - fece velocemente Francy, sporgendosi verso il ragazzo e schioccandogli un bacio sulla guancia. Sarebbe morto tra poco, col sorrisone stampato in faccia.

- Va bene! La prossima volta restate di più! - Disse, ammiccando e poi andandosene, passandosi nervoso la mano tra i capelli.

Francy uscì subito, io guardai Parker che non se n'era ancora andato e voleva chiaramente dirmi qualcosa. Non gli diedi tempo e seguii la mia amica con uno scatto. Ma ovviamente ...

- Parker! - Mi lamentai sentendomi strattonare all'indietro: mi aveva afferrata per un braccio.

Guardai fuori verso Francy che mi aspettava, lontana, ma da traditrice qual era non veniva a salvarmi.

Quando tornai sul ragazzo, l'unico nell'atrio, lui si era chinato verso di me. Sobbalzai temendo, davvero, per quel millesimo di secondo che stesse per baciarmi. Raggiunse invece semplicemente il mio orecchio e ricominciai a respirare. Dovevo assolutamente allontanarmi da lui, per quella sera, solo così avrei ripreso il controllo, anche per il futuro.

- Domani, da me - disse, senza urlare grazie alla vicinanza.

Deglutii, spostandomi leggermente per guardarlo ed incrociai i suoi occhi. - Perchè?

Lui sorrise divertito. - E' sabato, domenica tornano i miei e ho bisogno di un po' di ordine.

Ovvio. A cosa avevo pensato? Aprii la bocca per ribattere, ma mi anticipò: - Alle 6, subito dopo il lavoro, ti basterà meno di un'oretta, davvero!

Non ci avevo mai messo meno di un'ora anche solo per sistemargli la stanza, quindi lo guardai scettica. - Come vuoi, ma io con te non ci ceno, quindi alle 7 me ne vado anche se non ho finito!

- Ti faccio tornare dopo per finire, nel caso - aggiunge con una smorfia, come la mia.

Sbuffò e mi mollò e riuscii finalmente ad andarmene, ma quell'inizio di battibecco mi aveva rassicurata.

Non avrei avuto nemmeno, mai più, l'occasione di seguire il consiglio di Billy, me lo sentivo.


 


 

Stavo finendo di controllare che ogni camerino fosse vuoto e senza completini o abitini appesi.

Il lavoro a Victoria's Secret era buono, in un certo senso anche rilassante: in negozi come questi ai camerini le donne preferivano essere lasciate un po' in pace e non dovevo stare a correre dietro a nessuno, non per tutto il tempo almeno.

L'unica cosa spiacevole erano le coppiette che si imboscavano di continuo.

Capivo poi perchè Abbey, la dirigente, avesse controllato quando c'eravamo stati Parker ed io dentro.

- Finito? - Mi chiese una delle mie colleghe, quella bionda, che chiamavo Bionda, perchè mi scordavo di continuo il nome.

Annuii finendo di tirare una tenda.

La donna mi sorrise e con il mento accompagnò le parole: - Vai pure allora, è sabato sera, chiudo io!

La guardai con un sorriso incerto ma alla fine obbedii. Voleva farmi un piacere, ma non sapeva che mi aspettava qualcosa che non volevo fare.

Pulizie a casa Parker. Vedere Parker dopo il giorno prima. Yuuhuh.

Sarei morta.

Mi diressi da lui chiedendomi come mai non avesse niente da fare quella sera: insomma, tormentare le cheerleader invece che me?

Arrivai alla casa che ormai non era più la casa del lupo, ma la casa bella e odiosa. Con il televisore ultra-figo, davanti al quale ogni tanto riuscivo a sistemarmi, quando Parker si addormentava.

Non sapevo come, ma quando mi avvicinai alla porta, ancor prima di suonare, lui l'aveva aperta: Parker con i pantaloni della tuta e una maglietta a maniche corte nere, maneggiava il solito cellulare, senza guardarmi.

Tutto quello mi rassicurava, perchè un po' di ansia per il massaggio della sera prima c'era, e quasi mi venne da sorridere.

Entrai in casa capendo subito dopo il motivo di tutto quell'abbigliamento leggero: il clima decisamente troppo alto. Alzai gli occhi al cielo, disapprovando, ma chiudendomi la porta
dietro.

Parker se ne andò in cucina, sempre scrivendo al cellulare, e, dopo aver appoggiato la giacca all'appendiabiti, lo seguii.

- Sei in anticipo - fece tranquillamente, appoggiando l'iPhone finalmente e sedendosi davanti al ripiano-bar, poi tornò al suo gelato.

- Neanche tanto - risposi, mostrandomi rilassata come lui e andando a prendere un cucchiaio. Indifferenza, Evelyne; brava, Evelyne.

Lo sentii ridere mentre mi sistemavo di fianco a lui. - Con comodo!

Gli regalai una smorfia per poi accomodarmi anche col gelato e intanto mi complimentavo per il mio perfetto comportamento.

-Non devi fare niente, stasera?- Chiesi cinque minuti dopo, mentre salivamo le scale. Pensai alla vaschetta di gelato vuota che mi ero dimenticata di buttare e per cui sarei dovuta scendere di nuovo.

Scosse la testa, sorridendo e intanto rimandai la pulizia in cucina.

Lo guardai comunque con sospetto. - Come mai?

Fece spallucce, senza girarsi, mentre svoltava l'angolo del corridoio verso camera sua.

Lui entrò tranquillo e andò, come faceva spesso, verso il Mac. Aprì, sbloccò con la password e si connesse ad internet: era il suo solito rito ogni volta che entrava in camera.

Ci feci comunque non troppo caso, notai più che altro la camera in ordine.

- Come mai questo? - Chiesi perplessa guardandomi intorno, alla ricerca del caos per cui ero stata chiamata.

Parker si girò, come non capendo. - Uh?- Chiese infatti, impassibile.

Io cercavo di analizzare la sua espressione: non trovavo però niente di strano. - Non dovevo mettere in ordine? - Gli ricordai abbozzando un sorriso, comunque contenta di non dover lavorare.

- Donna delle pulizie - rispose tranquillo, con un cipiglio divertito.

Spalancai la bocca, incredula. - Mi hai fatto venire qua per niente?!

Rise chiudendo il Mac. - Non lo farei mai! - Fu la sua semplice risposta. Si mise in piedi, dalla posizione piegata, in cui era stato.

Certo. - Quindi? - Chiesi scettica.

Parker ammiccò e uscì dalla camera.

Lo guardai mentre mi sorpassava e passava per la porta, tranquillo come sempre.

Cosa avrei dovuto fare? Seguirlo? Andarmene correndo? Perchè avevo la tremenda sensazione che sarebbe stata quella la cosa giusta da fare, considerando il giorno prima: scappare, magari non urlando per continuare a sembrare indifferente, fuori da quella casa.

Deglutii.

O forse come al solito ero solo paranoica. Ma anche Billy mi aveva fatto capire che con Max io dovevo esserlo.

Ma quell'" ascendente”, come aveva detto Francy, mi bloccava di fianco al letto. Ero curiosa, ansiosa, volevo davvero sapere cosa caspita stava per succedere. E poi in effetti potevo essere solo paranoica. Risi, tra me e me, dandomi della stupida: probabilmente era andato in bagno per farmi vedere dei vestiti da lavare, o cose del genere.

Firmai la mia condanna uscendo dalla porta, seguendolo.

Osservai il corridoio del piano, tutto buio, nessuna luce si intravedeva nemmeno dietro le porte. Era giù, non in uno dei due bagni.

Mi inumidii le labbra scendendo le scale.

Parker spuntò nell'atrio, mentre io arrivavo all'ultimo gradino. Sorrise con il fare tranquillo che aveva anche prima. - Sala? - Mi sembrava di essere di fronte a un qualche tipo di animale.

Guardai lui poi la stanza dove voleva che andassimo. - Perchè?

- Non ho niente da fare. Guardiamo qualcosa in tv e poi mi fai la cena, così sei sfruttata e contenta e non mi importa che avessi detto di non voler mangiare con me - rispose e mi anticipò verso la stanza.

Ero stata proprio una stupida a sospettare altro! Scossi la testa mentre una vocina ricordava ad Evelyne che, anche nel caso di qualcosa come la sera prima, non avevo avuto intenzione di scappare.

Entrai in sala mentre lui accendeva la tv. Mi lanciò un'occhiata vaga, mentre prendeva anche il telecomando. Mi tolsi intanto velocemente le scarpe, per non sporcare il grande tappeto. - Stranamente non ti sei ancora lamentata. - Sbuffò divertito, raggiungendo il divano dove mi ero appena seduta. Si sedette lì alla mia destra. - Cosa stai tramando, ragazza del giornalino?

Cercai di rilassare la posa rigida, a braccia incrociate, con cui mi ero sistemata. Mi venne da ridere per quella situazione. - Tu stai tramando, cestista - lo accusai semplicemente.

Gli si disegnò velocemente un sorriso sulle labbra e mi ricordò di nuovo un qualche tipo di animale: pericoloso. - E cosa starei tramando, Gray?

- Dovresti dirmelo tu, Parker - risposi a tono. E se lui era una qualche creatura pericolosa, io non facevo di certo parte della sua dieta.

Sembrò sentirmi e distolse gli occhi dai miei, divertito, e io definitivamente mi rilassai. Fece zapping finchè non trovò la sola cosa decente che stessero trasmettendo: un film.

- Però! - Apprezzò subito Parker, guardando l'attrice e annuendo.

Lo guardai malamente: morto di figa. - Il film è “Amore a prima svista”*, comunque, quella in realtà, l'attrice bella, è solo la bellezza interiore dell'altra.

Parker si girò verso di me, accigliato. - Dentro cosa?

Fortunatamente, per me e la mia pazienza, comparve subito dopo la vera versione della protagonista e lui collegò.

- Il protagonista è uno che pensa solo alle apparenze, finchè non gli fanno una specie di “incantesimo”: da quel momento in poi vede la gente per quello che è dentro; vede la loro bellezza interiore e non quella esteriore - spiegai, quasi intenerendomi alla morale dietro il film. - E finisce per innamorarsi di lei, che anche se in realtà è una … Taglia forte, è la persona più bella e buona al mondo.

- Che cagata.

Arricciai le labbra infastidita, girandomi verso Parker.

- E cosa fa quando scopre che in realtà lei è un cesso? - Chiese scettico, stravaccandosi sul divano e guardandomi dritto negli occhi, nel suo solito modo.

- La sposa. Perchè è innamorato di lei, non del suo aspetto - mi impuntai.

Lui rise, notando che mi stavo infastidendo. - Una gran balla. L'aspetto conta.

- Ma quando uno è innamorato vede bella anche una donna brutta - ribattei e continuando a non distogliere lo sguardo sembrava volessi intensificare le mie parole. Io che non mi ero mai innamorata e difendevo con così tanta foga l'amore.

Alzò le sopracciglia. - Non credo nell'amore.

Pensai a Max Parker, il capitano e miglior giocatore della squadra di basket, bello, espansivo, tutte le ragazze che erano cadute ai suoi piedi, sempre, così facilmente. Doveva aver sempre pensato che quella parte superficiale bastasse. Era ovvio che Parker non credesse nell'amore. - Non vuol dire che non esista - ribattei abbassando all'improvviso il tono.

Alzò gli occhi al cielo, come se fossi stata lì a parlare di stupidate. - Anche il tizio del film, all'inizio, si innamora solo perchè lei è bella - continuò.

- Lascia perdere il film! Tra te e Billy non c'è amore?

Parker si accigliò. - Non so che strana idea tu ti sia fatta ma ...

Scossi la testa, sollevando le gambe sul divano, e ridendo. - No aspetta! Non amore romantico. Ma amore tra amici, non si basa sull'aspetto ed è amore! Quindi l'amore esiste e non conta l'aspetto - conclusi con un segno della mano che dava il discorso come chiuso e vinto.

Sospirò divertito. - E quindi tu mi ami?

Quella domanda diretta e strana mi fece girare perplessa, gli occhi leggermente sgranati, mi sentii quasi arrossire. - Eh?!

Anche Parker si bloccò un attimo. - Hai appena detto che tra gli amici c'è amore ... - Spiegò, sorridendo divertito, alla fine.

- Non siamo amici! - Risposi di botto, tornando a guardare la tv.

- Che risposta prevedibile - si lamentò e immaginai mentre alzava gli occhi al cielo.

- Sei un ricattatore ed antipatico e stronzo ed egocentrico - cominciai ad elencare.

- E tu originale, Evy - commentò.

Tornai a guardarlo, male. Lui mi sorrise, in un modo fintamente candido. - Comunque, l'amore romantico non esiste. Esiste solo l'attrazione fisica - riprese. Con quell'espressione da bimbo innocente stava per parlarmi di sesso, eccellente.

Allungai una delle gambe che avevo tirato sul divano, dalla sua parte, pronta a picchiarlo sulle cosce nel caso avesse detto cose che non volevo sapere e se avesse continuato: quello era uno degli argomenti che decisamente non volevo affrontare con lui. - Non voglio sapere dell'attrazione, o quello che è, tra te e le cheerleader! - Precisai la prima parte anche ad alta voce.

Parker sorrise in un modo poco promettente e mi afferrò la caviglia. Non sobbalzai, troppo sorpresa anche per fare quello. - Io, in realtà - sollevò in parte le gambe sul divano, per appoggiarsi solo un po' con le ginocchia. - Non volevo parlare delle cheerleader.

Non mi opposi mentre, facendo scivolare lentamente la mano fino al polpaccio, faceva presa leggermente su quello e mi avvicinava. - No? - Chiesi all'improvviso con la voce incrinata che il giorno prima mi era così tanto appartenuta. Perchè ero venuta lì?! La vocina mi disse che di tempo per scappare ne avevo avuto.

- No - ripeté.

Si sporse verso di me, e io, trascinata dal suo braccio, mi ritrovai a cercare di aggrapparmi al divano, per non scivolare con la schiena, sui cuscini dietro; ma non credevo di riuscire ad evitarlo sul serio. 
Lo guardai mentre si avvicinava ancora di più e mi avvicinava, cominciando, in parte, a sovrastarmi col corpo. E io, a parte evitare di cadere totalmente sotto di lui, non riuscivo a fare altro, non riuscivo a dire altro.

Max però sembrò sapere cosa dire. - Io volevo parlare di te - insinuò con un'occhiata verde, nella penombra.

- Parker, lasciami! - Ordinai, ma l'ordine pronunciato era molto meno sicuro, soprattutto dopo quella frase. Tolsi una mano dal divano per portarla sul suo petto, pronta ad allontanarlo.

- Tu hai fatto il tuo discorso, non posso fare il mio? - Chiese retorico, mentre il suo braccio lasciava la mia gamba, raggiungendo leggero il mio fianco. Non seppi come, ma la mia mano si ritrovò a stringere la sua maglietta invece di provare a spingerlo via.

- No! - Perchè non volevo sentirlo. O forse sì. Guardai le mie dita e non riuscii a lasciare la prese.

Lui ascoltò il mio corpo, non me.

- Non vuoi sapere di un certo pensiero che mi gira per la testa da un po'? - Continuò, con un tono ironico che stonò col suo inumidirsi le labbra e col suo sguardo. Mi osservò in quel suo strano modo, che aveva a volte, di sottecchi; mi osservò tutta, sembrava che Parker potesse vedere tutto. E vedeva che lo volevo sapere. Vedeva altro?

- Che pensiero? - Mi uscii senza che potessi evitarlo, con voce bassa.

- Voglio baciarti - sganciò così, semplicemente, con due parole, la bomba. - E non solo quello. Ieri non sai tu quanta forza mi sono dovuto fare per non saltarti addosso e stavo per farlo comunque - parlava piano, ma a tono spedito. Se non avessi visto il suo sguardo l'avrei dato per un discorso imparato a memoria. Io al contrario non avevo più saliva in gola.

- Avevi detto all'inizio che non ti piacevo fisicamente ... - Gli ricordai, passandomi la lingua sulle labbra, per cercare di farle tornare umide, sussurrando.

- E' dalla festa di Halloween, quando ti ho baciato, che non lo penso più ... - disse.

Lo guardai non sapendo bene cosa dire; il cuore che pompava fin troppo sangue. - E ... - Provai a borbottare, sentendo uno strano ronzio intermittente, che mi impediva di pensare. - Io ...

- Mi piaci. - Fu la seconda bomba. Lanciata anche con più leggerezza della prima.

Se mi avessero raccontato quella scena l'anno prima, avrei riso in faccia all'interlocutore. Piacere a Max Parker?

Caldo e freddo. Emozioni contrastanti.

Parker piaceva anche a me, ma nel senso fisico, quello che intendeva anche lui. Ma era Parker, ero restia a tutte le parole che sarebbero seguite. Dovevo essere restia a tutte le parole e a tutti i gesti che sarebbero seguiti. Era Parker. Parker.

- Possiamo quindi ignorare una di quelle tue stupide regole? - Chiese titubante, si avvicinava sempre di più.

- Quale? - Biascicai, ma sapevo già la risposta.

Max però non voleva parlare. Alzò il braccio libero per spostarmi all'indietro i capelli, sfiorandomi di nuovo come il giorno prima e facendomi sobbalzare nello stesso e identico modo.

Non volevo dargli il punteggio pieno, quello di cui mi aveva parlato proprio il suo migliore amico, ma fu davvero difficile, mentre si chinava sul mio collo, pensare ad altro.

Quando le sue labbra si appoggiarono sulla mia pelle, partirono i brividi, e mi resi conto che anch'io volevo un bacio.

Ma non potevo.

Mi scostai leggermente, mi tremavano le mani, ancora ancorate al suo petto, che probabilmente facevano capire tutto.

I pensieri passarono dal consiglio di Billy, che sembrava molto difficile da seguire in quel momento, a quello di Francy. Provocarlo? Mi resi conto che sarebbe stato ancora più difficile quello.

Provai leggermente ad allontanarmi, di nuovo, con molta fatica, e Parker mi soffiò frustrato sotto la mandibola. - Lo vuoi, Evy.

Ma lo volevo più io o lui?

Lui. Doveva sembrare che lo volesse più Max. Sapevo come provare a uscire vincitrice da quella situazione, seguendo il consiglio di Billy. Dovevo solo mettere il tutto in pratica. Io stavo solo morendo, dopo tutto, forse avrei potuto anche fingere.

Tornò a baciarmi lentamente il collo. Le sue labbra, sottili ma morbide erano perfette. E io cosa potevo fare tranne provare a non sospirare.

Ma solo quello non bastava.

- Non lo voglio.

Parker si spostò e incrociammo gli occhi: quella volta fui io a volergli saltare addosso. Ma bastava che non lo facessi sul serio e che lui non se ne accorgesse.

- Ah sì? - Commentò, si era fatto all'improvviso serio. Serio, sospettoso, non ci credeva. Qualcuno gliel'aveva mai detto?

Provai a darmi un contegno e riuscii persino a sorridere. - Non lo voglio!

Bastò poco a scivolare dalle mani, dal corpo di Parker. Max che c'era rimasto davvero male e mi fissava a bocca quasi aperta e nemmeno aveva reagito.

Riuscii davvero a distrarmi, un poco, ridacchiando per la sua scarsa abitudine ad essere rifiutato.

- Evelyne! - Mi chiamò, accigliandosi e facendo per alzarsi. E temetti che le parole che sarebbero seguite avrebbero portato difficoltà più grandi al mio obiettivo di non cedere. - So che ... - Ma, appena si mise in piedi, un altro rumore ci distrasse e interruppe.

Era un bene che non avessi ceduto anche per un altro motivo.

- Maxi! - Una voce civettuola risuonò per la casa, subito dopo quello della porta che si apriva; un'altra, più bassa e grave, l'aveva accompagnata aggiungendo qualcosa.

Era un bene che non avessi ceduto perchè saremmo stati sorpresi poco dopo. E sembrava che il mondo fosse programmato per interromperci in quelle situazioni.

Forse Dio non mi voleva poi così tanto male.

Parker si lasciò cadere all'indietro, sul divano. - Per favore, no! - Si lamentò, portandosi una mano sul viso.

Io normalmente avrei riso sentendo il soprannome, probabilmente sarei riuscita a dedicarci anche due righe sul giornalino: la gente amava quelle cose, a scuola. In quel momento c'ero però io, i genitori di Parker a pochi metri di distanza e Maxi e.

E Claire che arrivava in sala. - Oh! - Esclamò, sorpresa, entrando nella stanza, ma fermandosi proprio all'ingresso.

- Sera! - Mi uscii in un singulto. Intanto mi allontanavo a piccoli passi dal divano.

Claire, coi suoi occhi chiari, nel perenne trucco troppo pesante, mi osservò per bene, focalizzandomi, poi passò al figlio, ancora stravaccato sul divano. Poi tornò su di me, che almeno avevo la decenza di guardarla in faccia.

Non era niente di equivoco, ma i suoi occhi sembrarono accendersi con uno strano divertimento. - Sera ... Evelyne, vero? La ragazza del treno, mi ricordo di te! - Sorrise allegra, sempre sullo stipite della porta: in realtà indecisa anche solo sull'entrare dentro o tornare indietro da suo marito.

- Perchè siete a casa?! - Chiese di botto, scocciato, Parker, spostando finalmente il braccio dalla faccia.

Claire arricciò le labbra, infastidita dal tono. - Tuo padre ha finito prima e sono uscita anch'io dall'ufficio. Volevamo tornare a casa per il weekend intero.

- Cosa ti giustifichi a fare? - Il padre di Parker si fece presente, alle sue spalle. Una barba di qualche giorno che faceva capire quanto fosse stato impegnato.

E io volevo scappare perchè anche gli occhi chiari del terzo e ultimo Parker su di me erano fin troppo.

- Possiamo tornare a casa nostra quando ci pare e piace - finì l'uomo, osservandomi per bene.

Ci fu un breve silenzio. - Direi che è meglio se vado a casa, ormai ... - Borbottai a disagio, passandomi la mano tra i capelli. Ero fuori luogo, tremendamente. Gli occhi di James Parker me lo stavano chiaramente dicendo. Ero fuori luogo e sospetta, a quell'ora in quella casa.

- Vuoi rimanere a cena, cara? - Chiese Claire, cortesemente, come da convenevole. Suo marito sparì, con una veloce marcia indietro. Da convenevole si sapeva anche quale sarebbe stata la mia risposta. 

- No, grazie mille, a casa ho già pronte delle cose e ... - Borbottai, tormentandomi le mani e camminando già spedita verso la porta della sala. Scappare, scappare!

Ma.

- Evelyne, rimani? - Mi girai.

Fu quell'ultima domanda, una domanda, quasi una preghiera, la persona a dirla, a bloccarmi.

 

 

*Angolo autrice:

 

Salve a tutte :)
Ho finalmente internet anche da qua ed ecco il capitolo!
Succedono un po' di cose e sono davvero ansiosa di sapere cosa ne pensate.
Avevo paura che la piccola “confessione” di Parker sembrasse fuori luogo, ma in effetti lui, dopo la sera prima, è abbastanza convinto di essere ricambiato, su quel piano, e beh, ci prova. Ditemi cosa ne pensate . . .

Comunque questi due hanno la maledizione dell'essere interrotti ed ecco i genitori di Parker a casa in anticipo :D
Il prossimo capitolo è già scritto e mi piace molto, si scoprirà una parte nuova di Parkeruccio e io l'ho amato davvero scrivendola <3
Ma vabbè, leggerete.

Volevo mettervi uno spoiler del prossimo capitolo ma non trovo un pezzo che mi convinca, quindi lo spoiler sarà sul nome del prossimo capitolo ! : solo per stanotte. :D

E per chi sia interessato ho pubblicato il capitolo di una nuova storia. Lo stile è diverso da questa e sarà più corta ma se vi può interessare e avete voglia di leggere fateci un salto :) si chiama “Perfezione”.

Alla prossima.

Josie. 

*Amore a prima svista, ve lo consiglio tantissimo :D

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Capitolo 17
*** Solo per stanotte ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

 

16. Solo per stanotte


 

C'erano molte situazioni e luoghi in cui odiavo essere.

Una era alle cene di famiglia, ovviamente.

Poi gli ospedali: più per paura di qualche strano contagio, che per la presenza di malati o moribondi. Ero forse cinica?

Anche nei camerini di uno dei negozi del Mall, al secondo piano, con una strana luce pallida e uno specchio che peggioravano la solita reazione alla mia immagine riflessa.

E alle feste troppo movimentate, soprattutto se non c'era Francy.

Oh, e negli ascensori con una sola e sconosciuta persona.

Poi tra tante altre cose, c'era l'essere a casa di Parker. Odiavo in particolare essere in quella ricca e grande casa. Mi faceva storcere il naso pensare a tutto il tempo che ci passavo dentro, senza avere normali motivazioni. Ma in effetti niente era normale da quando Max Parker aveva deciso di entrare nella mia vita e tormentarmi.

Niente era normale.

Perchè poi non era decisamente normale che Max mi avesse fatto una domanda. Me ne aveva mai fatta una, davvero, senza ordinare?

Col punto interrogativo?

Una preghiera. Mi aveva pregata, davvero.

Perchè lui non voleva, per qualche assurdo motivo, rimanere da solo coi suoi genitori quella sera.

Non sapevo niente su quella famiglia, niente; tranne che il figlio cercava di evitarli di continuo.

E non mi sembrava normale. Ma forse io ero un caso speciale, in quanto a famiglia. Forse avevo una concezione distorta e fin troppo idealizzata.

Eppure la preghiera c'era stata comunque.

E non era normale: perchè avevo risposto di sì?

Avevo risposto di sì alla richiesta di passare altro tempo nella casa in cui odiavo stare.

Cominciavo a farmi serie domande esistenziali: ma ero sul serio masochista?!

- Eh, signora Par ... Claire, sicura che non vuoi che ti aiuti? - Chiesi, ancora, da brava ripetitiva.

- Tranquilla! - Ripeté anche lei con una piccola risatina.

L'unica cosa da fare fu quindi serrare le labbra.

La signora Parker stava portando l'insalata al centro tavola. Tutti i piatti, anche il mio, avevano già una bistecca, fatta alla bell'e meglio e velocemente. Claire si era scusata più e più volte per la cena poco elaborata facendomi solo sentire in colpa per aver accettato l'invito, aveva anche detto che si sarebbe fatta perdonare poi mostrandomi delle foto di Max da piccolo e lui l'aveva fulminata.

James Parker era a capotavola, ma impegnato a scrivere su un grande cellulare, che probabilmente serviva per tenere sotto controllo il suo lavoro e contattare i suoi collaboratori. Max, di fianco a me, non aveva detto più niente e osservava distrattamente la televisione. Gli lanciai uno sguardo di sfuggita, un po' irritata; probabilmente se ne accorse, ma mi ignorò.

Nessuno toccava cibo e io guardavo la bistecca indecisa su cosa fare.

Odiavo anche le cene fuori da casa mia, se non con zia Elizabeth o al massimo con Francy, per cose del genere.

Provai di nuovo a cercare aiuto in Parker che finalmente si decise a ignorare lo schermo piatto. Non mi aveva ancora guardata dritta negli occhi da quando mi aveva chiesto di restare. Mi sentii finalmente meno in territorio straniero, circondata da nemici: qualcosa di familiare c'era, il verde dei suoi occhi.

- Cosa c'è? - Chiese divertito, con un divertimento mogio, che gli avevo già visto in stazione. Allungò la mano verso la bottiglia d'acqua, mentre Claire finalmente si sedeva. 

La domanda che avrei voluto fargli era: “Non fate la preghiera prima di mangiare, vero?”, ma la evitai, notando che il padre aveva finalmente messo via il cellulare e che probabilmente mi avrebbe sentito.

Il mio animo, molto religioso, tirò un sospirò di sollievo vedendo che proprio James iniziava a mangiare senza fare altro prima.

- No, niente - borbottai sollevata, impugnando la forchetta.

Parker sollevò semplicemente le sopracciglia, senza indagare e senza far sentire altro ai suoi genitori.

- Beh, Evelyne, come mai eri qui stasera? - La domanda fatta da Claire sarebbe stata innocente, pura curiosità, ma detta dal marito sembrava già una pura e semplice accusa.

- Dovevo... Dovevo portare degli appunti a Max, stavo appunto per andarmene... - Ero pessima. Il respiro più profondo degli altri di Parker lo confermava. In effetti come scusa faceva acqua da ogni lato: appunti? In sala? Il sabato sera?

- Appunti - James ripetè la parola con un tono piatto, che sembrava abituato ad usare, probabilmente a lavoro.

- Sì, sai quelle cose che si scrivono a scuola durante la lezione, per non dimenticare? - Aggiunse il mio vicino di posto in tono polemico. Quello era l'unico tono che sembrava in grado di usare con il padre.

- Per favore, Max! - Intervenne subito Claire, sospirando vistosamente mentre prendeva l'insalata. Io tenni lo sguardo sulla bistecca. Non sapevo perchè Parker mi avesse chiesto di restare, visto che sembravo solo un argomento in più con cui poi avrebbero potuto litigare.

Nessuno disse più niente per un po', tranne qualche piccola chiacchiera tra moglie e marito. Io avevo un'interessantissima bistecca di cui occuparmi, un po' bruciacchiata in realtà, e Parker Junior non faceva altro che bere e maltrattare a tratti il pezzo di carne.

Tra un rumore violento di forchettata e un altro, capii che forse ero stata semplicemente chiamata come sostegno morale per Max, a una cena con i suoi genitori in cui non voleva stare; in quel caso il mio dovere lo stavo compiendo decisamente male. A quel pensiero presi coraggio.

- Hai sentito che dicono che metteranno Joe come nuovo prof di ginnastica? - Buttai giù lì, tanto per, quel pettegolezzo idiota che girava da pochi giorni e probabilmente falso.

Ma funzionava. Parker smise di uccidere la sua bistecca. - Sì, certo, e ci insegnerà a spazzare durante le sue ore invece di fare sport - commentò scettico ma con uno sbuffo divertito.

- Ma sì, sai che girano voci strane a volte - dissi sorridendo e guardando il bicchiere davanti a me. Sorridendo perchè a tavola con i suoi genitori avevo accennato alle voci che erano circolate su noi due, e ancora circolavano.

- Joe sarebbe? - Si inserì subito Claire, prima che Parker potesse ribattere, dopo la corta risata.

- Il bidello - risposi pronta io, con un mezzo sorriso. Stavo instaurando una conversazione, forse; ero utile, forse.

- Beh, a nostro figlio imparare a spazzare sarebbe più utile che certi sport, in effetti: approvo. - Dopo quel commento, probabilmente odiai il padre di Parker. Dopo quel commento ci fu l'inizio del casino.

- James, se hai qualcosa da dirmi: dimmela - rispose con il tono più freddo del mondo Max.

Max Parker sempre divertito, sempre con quell'aria da capitano della squadra di pallacanestro, quell'aria da ragazzo popolare, con quel tono non sembrava la stessa persona.

- Che non dovresti più giocare a basket, questo dico.

- E' il ragazzo più bravo di tutta la scuola, se dovesse smettere lui dovrebbero smettere tutti! - Dopo averlo pronunciato, pensai che con quel commento sarei stata gettata di peso fuori dalla porta principale. Perchè mi impicciavo?!

Ma Max che era stato pronto a rispondere, già in un litigio, si era bloccato a osservarmi sorpreso; io vagavo con lo sguardo da lui a suo padre, non potendo reggere il contrasto diretto con quel grigio così spento; quelli verdi di Parker, così vivi, avevano qualcosa che non avevo mai visto.

James non aggiunse altro e tornò alla sua bistecca. Le mascelle serrate si intravedevano sotto la pelle. Al figlio si sollevarono i lati della bocca.

- L'hanno detto anche a me, a scuola, che è tanto bravo - commentò Claire, con un affetto materno nella voce che faceva sorridere.

Io mi limitai a ridacchiare perchè insomma, ci stava difendere il nemico da un attacco ingiusto, ma stare a tesserne le lodi mi sembrava esagerato.

- E posso ancora migliorare - aggiunse tranquillo Parker.

Ci fu un'occhiataccia da parte del padre. - Ti rendi conto che è impossibile che tu possa diventare un giocatore professionista e questa cosa non ha futuro, vero?

- Se tutti la pensassero così non ci sarebbero state molte cose nel mondo.

- Ed è la sua passione, James, lasciagliela godere - intervenne per la prima volta la madre, in difesa del figlio.

- Gliela lascio godere, ma per quest'anno.

- Possiamo avere questa conversazione in un altro momento? - Claire sospirò e mi guardò ansiosa. Sentivo aria di tempesta, come lei.

Max guardò il padre. - Sono libero di scegliere un'università per continuare col basket. Non sarei il primo e non sarò l'ultimo!

- Ti ho detto di goderti quest'anno. - James continuava a ribattere impassibile; Max cominciava invece, solo ad occhio, ad innervosirsi.

E io non volevo più scappare.

- Stai certo che continuerò!

- Non con i miei soldi! - E fu probabilmente il modo più efficace per ribattere. - Tu farai qualcosa di serio all'università! Non ti distrarrai o perderai tempo con uno stupido sport!

Claire si era portata stancamente le mani nei capelli, sapeva che ormai non poteva più impedire quello che stava iniziando. Io guardavo la scena impotente e colpevole, visto che quel litigio era anche per colpa mia.

- Non puoi obbligarmi a fare medicina! Non sono un prolungamento della tua esistenza! Non sono come te e non vorrei mai esserlo! - Max aveva definitivamente alzato la voce.

Lo sguardo di James aveva qualcosa di nuovo: rabbia. - Se sentirò ancora parlare di basket in questa casa: sai dov'è la porta. Hai chiuso, d'ora in poi. Complimenti: la mia pazienza è finita! - Nello sguardo c'era finalmente un'emozione, ma quella non aveva raggiunto la voce. Finì così e dopo essersi alzato se ne andò, lasciando il piatto vuoto a metà.

E io non volevo più scappare, perchè Parker aveva bisogno di qualcuno e c'era un motivo se mi aveva chiesto di restare. Forse l'avevo capito.

- Guarda che uomo schifoso che hai sposato! - Fu l'ultima constatazione, a bassa voce, alla madre, poi, senza guardare nessuno, anche il figlio uscì dal cucinotto.

Era stata un'affermazione brutta, da persona che stava male e aveva voluto far stare male come lui. 

Io ero ancora seduta e rivolsi piano lo sguardo a Claire. Si era alzata nervosamente e aveva cominciato a raccogliere piatti e bicchieri. Gli occhi erano lucidi e le labbra serrate in una strana smorfia.

- Mi dispiace, Evelyne, che tu abbia dovuto essere qui, proprio adesso. - La voce era rotta come mi aspettavo: stava per scoppiare a piangere. Forse per la litigata, per il marito; forse perchè non era riuscita a capire che l'ultima frase di Max era falsa, ma nessuno lo capiva mai davvero, quando c'era dolore o verità nelle parole.

- Vado da Max, poi levo il disturbo - le annunciai, alzandomi piano.

Mi dispiaceva per lei, ma non potevo esserle di aiuto se non lasciandola sola.

Claire annuì, senza guardarmi, e continuò con quello che stava facendo.

Uscii velocemente dalla stanza, sperando di non incrociare James, poi su per le scale.

La porta della camera era chiusa. Mi sarei aspettata di sentire rumori, musica, già dall'esterno, ma c'era solo silenzio. E così mi sembrò quasi peggio.

Portai la mano sulla maniglia, lentamente, poi con una piccola pressione la abbassai.

La camera era ordinata come l'avevo già vista, ordinata tranne per la borsa di basket, aperta, sul letto.

- Ah, non sei ancora andata via? - Commentò ironico, dandomi il benvenuto.

Parker aveva aperto l'armadio e stava lanciando, con forza, magliette dentro la borsa.

- Cosa stai facendo? - Mi uscì involontariamente con tono preoccupato. Mi ero preoccupata vedendolo prepararsi a quella che sembrava, a tutti gli effetti, una fuga da casa.

- Non si capisce? - Chiese retorico. Chiuse con forza l'armadio e finalmente si fermò.

Vidi le sue spalle alzarsi lentamente, mentre, sospirando, cercava di calmarsi.

- Sì, si vede e per questo ti dico che non è una buona idea- dissi in un sussurro, chiudendomi dietro la porta.

Si girò e i suoi occhi sembrarono freddi, distanti, mi sembrava di essere tornata a mesi prima, nel parcheggio, di sera, davanti alla mia macchina.

- Puoi anche andartene!

Ma non volevo. Mi avvicinai a passi incerti, non sapevo nemmeno cosa fare.

Lui smise di guardarmi e muovendosi di nuovo, con rabbia, si mise a cercare altre cose da mettere nella borsa.

- E dove pensi di andare? A casa di Billy?! E vivere lì fino alla fine dell'anno scolastico? E poi?! - Non avrei voluto usare quel tono scettico, da paternale, ma non volevo, davvero, per qualche motivo, che si mettesse nei guai. Forse perchè mi ero sentita in tutti quei mesi, per la storia della foto, coinvolta in ogni sua cattiva scelta, coinvolta con lui; perchè in qualche modo pensavo che ci sarei poi finita in mezzo io. Forse per quello volevo che restasse a casa sua e provasse a sistemare le cose. Perchè c'era di sicuro un modo per sistemarle.

- No. Ho una macchina e ho un po' di soldi e ...

- E cosa? Dormirai in macchina? E poi i soldi finiranno, Max!

Si infilò il portafogli che aveva appena trovato nella tasca dei jeans e mi guardò. - Evelyne, cosa vuoi?! - La sua voce calda era solo arrabbiata, bella ma arrabbiata. - Hai qualche motivo per essere ancora qua e per farmi questi discorsi?!

La domanda mi lasciò spiazzata.

- Mi sembra che tu sia stata chiara!

- Sì, sul fatto che non devi ...

- Che non siamo amici, cazzo! - Alzò la voce, facendomi di riflesso abbassare lo sguardo sul parquet. Ci fu un attimo di silenzio. - L'hai sempre detto - aggiunse piano, come a voler compensare.

Sempre con lo sguardo basso lo sentii spostarsi verso il letto. - E non ti piaccio, l'hai detto prima. - La cerniera della borsa si chiuse con uno scatto. - Quindi hai qualche motivo per essere qua? No! Vattene e smettila di fingerti preoccupata.

Alzai gli occhi e lo vidi mentre si infilava velocemente la giacca. - Non sei diversa da tutti gli altri: senza un motivo nessuno rimane - disse piatto, senza tono, senza luce negli occhi. Tutto sembrava spento in quel momento.

Prese la tracolla, sollevando la borsa con facilità.

- E la storia della foto è finita. Possiamo tornare alle nostre vite. Addio!

Senza nemmeno guardarmi mi superò.

Avrei dovuto essere felice e andarmene, chiamando entusiasta Francy, aspettare che la porta sbattesse alle mie spalle per sorridere soddisfatta, avrei fatto così, dopo tutto, ad ottobre. Sì.

Invece in quel momento, a febbraio, mi ero aggrappata alla giacca di Parker, per la foga di fermarlo nella mano sinistra stringevo anche buona parte della maglietta, sotto.

Non so cosa poté pensare, girandosi e incrociando i miei occhi.

- Parker! - sussurrai. Lui non rispose, ma nel verde non vedevo più rabbia, solo sorpresa.

- Non farlo! Se te ne vai dopo con tuo padre non riuscirai più a risolvere facilmente, e da solo, fuori, non si può andare avanti! - Non mi chiesi se quella affermazione fosse autobiografica e continuai solo a parlare. - Resta! Riuscirai a giocare comunque, di nascosto, lo sai! Quindi resta!

- Perchè? - Chiese.

- Perchè scappando faresti qualcosa di cui poi, prima o poi, ti pentiresti ed è la tua famiglia e ...

- Perchè mi stai dicendo questo? - Specificò, diventando più impassibile mentre cancellava la sorpresa.

Non c'era un motivo. - Non sono come tutti! Non ho un bisogno costante di motivi!

Mi guardò, insoddisfatto dalla risposta. - Saresti l'unica eccezione al mondo?

- Sì - risposi, deglutendo il nodo che mi si era formato in gola.

Sbuffò e si spostò, cercando di allontanarsi dalla mia presa.

- Parker! - Lo chiamai supplichevole. Non avevo mai fatto così né con lui né con nessuno.

- Gray, non sarei più solo fuori da questa casa che rimanendo qui. Avrò solo meno soldi. - Ed era deciso, lo si vedeva.

- Pensaci solo per una sera! - Provai come ultima spiaggia, ma sapendo che non sarebbe cambiato niente prendendo solo tempo.

- Non passo un'altra sera sotto il suo stesso tetto!

Sentii che ormai non c'era più niente da fare, ma sentivo anche che se Max fosse uscito da quella camera non ci saremmo parlati mai più. Sentivo che fuori da quella camera c'era ottobre; ottobre prima della scommessa. Ed era possibile che mi fossi in qualche modo affezionata al mio carnefice? Proprio poco, come ci si può affezionare a qualche animaletto, insetto, inutile e insignificante, che però osservi e alla fine ti scoccia uccidere. Non sapevo in che modo ma sembrava l'unica spiegazione per tutto il casino che stavo facendo venir fuori. Perchè non volevo ottobre; non lo volevo assolutamente!

- Solo una notte e dopo non ti dirò più niente! - Tentai ancora. Che ottobre almeno arrivasse il giorno dopo.

- Preferisco essere solo fuori che qua dentro ... - Si oppose con lo stesso argomento di prima, com'era ovvio.

Ma non era ovvia la risposta: - Solo per stanotte! Solo per stanotte sarò un'amica, fingeremo questo, stasera! E se sono tua amica non posso lasciarti solo oggi! - Sulla lingua sapeva poco di bugia l'affermazione di essere sua amica. Sapeva poco di bugia, ma tanto di tentativo di rimanere in quella stanza.

Avrei scommesso qualsiasi cosa che in quel momento sarebbe uscito comunque da quella stanza, sotto i miei occhi. Ma io lo avrei seguito. Solo per quella sera, lo avrei fatto.

Parker invece, sorprendendomi, abbassò lo sguardo e lo puntò nel mio.

- Che tentativo disperato di tenermi in questa stanza ... - Sbuffò, ma i lineamenti si ammorbidirono un poco, avvicinandosi a com'erano sempre.

- Funziona?

Esitò un attimo.


 

Non ero una con l'ansia facile; prima delle verifiche o di eventi non avevo mai avuto, se non in un caso sporadico o due, lo stomaco in subbuglio.

Eppure, mentre aprivo la porta della camera di Parker per sgattaiolare nel suo bagno - prima porta a sinistra, - il mio stomaco si stava contorcendo per cercare di non farmi pensare alle probabilità di incrociare in qualche modo i suoi genitori.

Che era poi un timore idiota, dato che se ne sarebbero accorti.

Si sarebbero accorti che la morettina con la felpona beige e le occhiaie non era uscita di casa quella sera.

Stetti sulle spine, mentre chiudevo la porta a chiave. Chissà cosa avrebbero pensato Claire e soprattutto James! Ma in effetti l'importante era essere riuscita a trattenere Parker Junior in casa.

Al prezzo di rimanere a dormire.

Mi chinai davanti al lavandino, cercando nei cassetti in basso lo spazzolino ancora da aprire a cui aveva accennato Parker. Ne trovai uno blu, diverso e riconoscibile dal rosso che lui stava usando e mi lavai i denti osservandomi.

Avevo il volto arrossato, come spesso ultimamente, la mia carnagione pallida quasi mi mancava.

Finii di sistemarmi e poi, con un'altra piccola corsa tornai nella camera del mio “amico per una sera”. Mi venne quasi da ridere da quanto la situazione fosse ormai paradossale.

Quando entrai, Parker stava finendo di infilarsi la maglietta con cui avrebbe dormito; intravidi solo, e di sfuggita, un po' di schiena. Si girò tranquillo. - Trovato lo spazzolino? - Chiese, grattandosi la testa: stava trattenendo per qualche motivo una risata.

- Sì, poi domani mattina lo butto. - Cercai di sembrare impassibile, come in realtà non ero, e camminai verso la mia tracolla, alla ricerca del cellulare.

- Non ci farei niente in ogni caso, tranquilla ... - precisò aprendo l'armadio.

Sbuffai senza rispondere e aprii il messaggio che mi era arrivato. Sperai, nei pochi secondi che servivano per visualizzarlo, che non fosse zia Lizzy che mi avvisava di essere venuta a sorpresa a trovarmi quella sera: dove sei, Eve?! Rabbrividii solo a pensarci.

- Sono le 9, è vergognoso che io mi sia messo il pigiama alle 9 il sabato sera!  - Blaterò intanto Parker, lamentandosi.

 

Vieni da me appena puoi?? Ci guardiamo qualche bel film, magari con qualche bel figo (;DD) e mangiamo schifezze così forse mi crescono le tette o dici che va tutto nel culo?!
Ho sentito che il mais fa crescere le tette ma non ci credo particolarmente
potrei provare in effetti …
comunque vieni che mi sento sola e parlo a casooooooo!

 

Quel messaggio di Francy faceva capire quanto poco stesse bene. Mentalmente.

- Le 9! - Ripeté Parker, sentendosi ignorato.

Risposi a Francy:

 

Non posso …
ti spiego domani, prometto!

 

- Guardiamo un film? - Proposi, abbassando il cellulare e guardandolo finalmente. Perchè le 9 erano decisamente presto ma chiedere “cosa vuoi fare?” a uno come Parker non era mai la scelta giusta, e anche dopo tutto quello che era successo a cena, bisognava sempre tenere conto di cos'era successo prima.

- Mi rompe. Il tuo pigiama! - Sorrise divertito, lanciandomi una maglietta.

L'afferrai al volo.

- Ma con solo una maglietta gelo! - Ribattei. Non era poi tanto vero visto che il riscaldamento era ancora acceso e il letto di Parker era coperto da una pesante trapunta. E ci sarebbe stata una seconda persona a scaldare il letto. Mi innervosii, accigliandomi.

Alzò gli occhi al cielo, divertito, sedendosi tranquillo sul letto.

Che si fosse calmato, e avesse messo via la borsa da basket, dava un problema in meno al mio stomaco, almeno.

Aprii la maglietta: Coldplay, riconoscevo il nome dell'ultimo CD.

- Me l'ha regalata Billy l'anno scorso per Natale ...

Annuii. Poi lo guardai. Ricambiò il mio sguardo dal letto. - Vai in bagno che mi cambio, maniaco! - Esclamai accigliandomi.

- Gli amici non hanno paura di mostrare il proprio corpo ai proprio amici! - Ribatté convinto.

- Tu non so che amici hai presente! - Risi però, scuotendo la testa.

Alla fine cedette, perchè in bagno prima o poi ci doveva andare, e appena si chiuse la porta dietro mi tolsi la felpa velocemente.

La maglietta di Parker che mi ero infilata di colpo, visto che avevo il terrore che quello là tornasse subito, mi faceva da vestito, arrivandomi a metà coscia.

Rimasi ferma, indecisa se togliermi i jeans. Mettere in mostra le gambe, anche solo con vestiti, o senza calze, non mi piaceva per niente, e in quel momento l'avrei odiato anche più del solito.

Alla fine mi decisi e col cellulare in mano cominciai ad alzare le coperte. Appena ebbi fatto, mi sfilai i jeans, guardando circospetta verso la porta e poi, a gambe nude mi infilai sotto le coperte. Mi sistemai al calduccio e stetti davvero comoda. Anche il suo letto era più comodo del mio!

Il mio cellulare vibrò.

 

Perchè penso che qua centri un certo Max? EVELYNE, PORCA
domani mi chiami.

 

Non risposi scuotendo la testa.

Parker alla fine tornò e, dopo essere entrato, si chiuse dietro la porta. Mi osservò un attimo, da fermo.

- Capisco che hai fretta di metterti a letto con me, però così mi sembra quasi esagerato ... - Commentò. Gli rivolsi una smorfia.

Lui sorrise e alzando un braccio schiacciò l'interruttore, con un colpo secco. Buio.

Deglutii, sentendolo pian piano camminare verso il letto.

- Quindi dormiamo? - Chiesi, mentre sentivo il materasso abbassarsi.

Sbuffò divertito. - Vuoi fare altro?

- Se vuoi parlare - sottolineai il verbo. - Come due bravi amici, a me va bene.

Rise e sentii lenzuola che venivano spostate e il cuscino mosso. - E quindi riesci a fingere? Così dal nulla?

- Da Dio! Non si vede? - E in qualche modo mi sentii isterica.

- A me sembri la solita, sinceramente. - Al buio non riuscivo a vedere bene l'espressione, ma sapevo che mi stava prendendo in giro.

- Cioè? - Chiesi acida e raggomitolandomi tra le coperte morbide.

- Acida, prima di tutto; poi dai, non mi hai fatto vedere le tette prima, quindi anche antipatica; e alla fine brutta, ma quello sempre. - Allungò la mano, arrivando al mio viso. La sua mano, bollente come sempre, mi afferrò per il naso, solo per farmi un dispetto. Mi dimenai.

- Prima, sul divano, non sembrava! - Biascicai, mentre cercavo di spostarlo facendo forza sul polso.

Scoppiò a ridere. - Avevo solo voglia di figa, tranquilla! Non intendevo niente di quello che ho detto.

Gli morsi le dita che riprovavano ad attaccarmi, stizzita. - Ahia! - Si lamentò.

- So che sei innamorato alla follia di me e fingi perchè hai l'orgoglio ferito! - Ribattei, continuando la lotta con la sua mano.

Sentii le lenzuola frusciare e poi la maglietta che veniva tirata. - Orgoglio ferito?! Vieni qua! - Gli uscì una voce che mi sembrò davvero, in un certo senso, minacciosa.

Quasi squittii, cercando di evitare che raggiungesse i miei fianchi. - Dai, Parker! - Lui rise.

Oh, se me l'avessero detto ad ottobre che una sera mi sarei ritrovata a fare la lotta con Parker, nel suo letto, continuando a sentire le sue mani sui fianchi, sulle braccia, dietro la nuca, sarei probabilmente morta dalle risate.

E ovviamente si sentì bussare alla porta.

Io finii di dare il pizzico sulla spalla del castano che mi avrebbe dovuto liberare, ma lui si era già bloccato.

Bloccato, ma per poco perchè con uno scatto si alzò in piedi. La chiave che girava nella toppa, chiudendoci dentro, fu l'unica cosa che si udì.

- Max! - Era una voce femminile. - Evelyne rimane a dormire?

Mi sentii morire e sprofondai sotto le coperte, come se fosse stata lì a guardarmi.

Parker non rispose e tornò a letto, con un passo più rigido.

- Va bene … - Fu l'ultima cosa a sentirsi.

Max si sistemò e poi rimanemmo un po' in silenzio.

- Avrei dovuto andarmene: visto che sei qui, visto che ci sei tu, mia madre sarà ossessiva più del solito; normalmente non sarebbe venuta a dirmi niente.

- Vuoi … Vuoi che me ne vada? - Chiesi piano, rispuntando fuori dalle coperte, anche se nel buio non potevamo vederci.

- No! - Esclamò subito. - Cioè, no, massimo andiamo via insieme, da qualche parte. Sei mia amica stasera, no? - Chiese retorico, ma con tono spento.

- No, qui, Max ...

Sospirò. - Tu non hai idea di quanta forza mi debba fare per starmene qua. Mio padre è forse tra le persone peggiori al mondo. Vuole farmi fare medicina, vuole a tutti i costi che io faccia medicina; mi ci iscriverà! Lo farà lui stesso se non riesco a convincerlo in qualche modo di valere qualcosa o se semplicemente non me ne vado! E la prima ipotesi non è realizzabile con lui. Per mio padre io non valgo niente, meno di zero. Sono un diciassettenne che pensa solo a feste, ad alcool, ragazze. Secondo lui non ho sogni, secondo lui non ho nemmeno un carattere!

Mi sentii in colpa, in colpa per tutte le volte che avevo pensato di Parker le tre cose che aveva elencato. Ma c'era di più. Senza rendermene conto il più lo stavo scoprendo. Per quel più che avevo intravisto ero rimasta lì.

La voce gli si stava abbassando sempre di più, sempre più rigida e fredda. - Dice che non valgo niente, che sono una pessima persona. Lo sono? Forse sì. Ma se lo sono non ha idea di che cosa possa essere lui: perchè lui è peggio. Lui che non c'è mai stato né per me né per sua moglie ...

E si zittì.

Non sapevo cosa fare. Cos'avrei dovuto fare?

Cos'avrebbe fatto un'amica? Cos'avrei fatto con Francy?

Cos'avrei dovuto fare io con Parker?

Senza pensare oltre mi spostai, la risposta venne naturale: sfiorai il braccio di Parker, caldo, e avvicinandomi ancora di più, la mia mano sorpassò la sua pancia per poi aggrapparsi al suo fianco, alla maglietta. Appoggiai la testa contro la sua spalla e la mano libera afferrava debolmente la manica sotto il mio mento.

Non sapevo se poteva essere d'aiuto, ma io stavo bene.

- Questo cosa sarebbe? - Chiese, scoppiando a ridere.

Quasi mi offesi. - Era un abbraccio! - Feci per allontanarmi, ma mi trattenne con uno scatto.

- Che abbraccio storpio! - Commentò e dal tono sapevo che stava sorridendo. Tirandomi mi risistemò come prima e io acconsentii volentieri. Era caldo e profumava di buono.

- Gli amici si abbracciano, quando serve - borbottai, strusciando la fronte contro la sua spalla, quasi involontariamente e aveva un buon odore; l'avevo già detto? Suo, naturale, nessun profumo, nessuna finzione, non c'era finzione in quel momento. O forse sì? Mi stavo fingendo sua amica, dopo tutto.

Max sbuffò divertito e invece di un commento ironico lo sentii girarsi, di lato, rivolto verso di me: così con un braccio mi circondò la vita.

Ci fu uno scontrarsi di braccia, una serie di lamentele per la posizione scomoda sul fianco o perchè gli pesavo sul braccio, ma alla fine ci sistemammo. Con un sorriso trattenuto riappoggiai la fronte contro di lui, ma questa volta contro il suo petto.

- Gli amici si abbracciano. E poi che altro fanno? - Chiese, a voce bassa.

Risi sommessamente. - Te la vuoi proprio godere per bene questa serata da amiconi, eh?

- Come potrei non sfruttare un'occasione così ghiotta? - Ribatté.

- Gli amici poi sanno le cose importanti e le cose non importanti che riguardano l'altro - mi uscì.

- Tipo? - Chiese e sentii il suo sbuffo sui capelli.

- Quando compi gli anni? - Non lo sapevo e mi era venuta da domandarlo, senza un motivo.

Rimase un attimo in silenzio, sorpreso, probabilmente. - Il 23 aprile.

Risi. Ridevo fin troppo, per essere normale, ma non ci facevo caso. - Sai cosa vuol dire?! - Mugugnò per farmi continuare.

- Che io che li faccio il 13 marzo sono più grande di te!

Parker fece un verso fintamente schifato ed accennò ad allontanarsi da me. - Una vecchia, una vecchia mi sta abbracciando!

La mia risposta fu un colpo sul petto.

- Vecchia acida, si spiegano molte cose ... - Prima che potessi ribattere, iniziò di nuovo a parlare: - Colore preferito?

Non me l'aspettavo.

- Hai parlato di cose non importanti, no? - Mi ricordò, divertito e sentii il suo respiro caldo sulla testa.

Cominciavo a distinguerlo meglio al buio e ormai vedevo i suoi lineamenti e quando sorrideva; mi bastava spostare la testa un po' indietro. - Verde - risposi istintivamente.

- Rosso. E ammettilo che è il verde perchè è il colore dei miei occhi!

Lo ignorai, alzando gli occhi al cielo, anche se probabilmente non poteva vederlo. - Uhm, piatto preferito?

- Pollo alle mandorle - rispose di getto.

Scoppiai a ridere. - Cinese?! Io purè!

Silenzio. - Come cazzo fai a dire che il tuo piatto preferito è il purè?!

- Ma saranno fatti miei! - Mi lamentai.

- Ah, va bene - si arrese e sentii le sue labbra sui capelli. - Hai mai preso un'insufficienza? - Chiese e si mise a ridere.

- Sei un idiota - lo sgridai, accigliandomi.

- Su che scherzo! - Scimmiottò, soffiandomi contro la testa, senza allontanarsi di molto.

Dopo altre domande a caso, ne uscì una importante: - Mi racconti della tua famiglia? - Chiese.

E forse fu il buio, forse perchè quella sera eravamo amici, forse il suo profumo di frutta, non lo seppi bene: ma sul serio raccontai tutto. Da Cecilia la nonna a Cecilia la figlia; di quel Charles che avevo visto un paio di volte, delle sue scuse, ma che tanto erano inutili, e della sua nuova famiglia; raccontai di Lizzy e di Emme; soprattutto di Lizzy, perchè io la chiamavo zia, ma infondo era la mia mamma. Parlai di quelle cose che non avevo mai raccontato, se non a Francy, con tante difficoltà in un pomeriggio. E finii per parlare di Evelyne, quella che voleva diventare una giornalista ma non aveva soldi, quella con pochi amici, quella dal caratteraccio, ma che riusciva alla fine ad avere quello che voleva.

Finii per dire cose che, del mio passato, non avrei mai voluto Parker sapesse, ma che, ora, Max poteva sentire.

Parlavo e lui giocava coi miei capelli, come a tranquillizzarmi, e ne avevo bisogno.

Parker su di sé non disse nulla e io non chiesi niente. Dopo quella sera mi sembrava di conoscerlo e non volevo altro.

Ci addormentammo, probabilmente mi addormentai per prima, e chiudendo gli occhi finiva quella sera.

La sera dove eravamo amici.

Quell'unica sera.


 

*Angolo autrice

Ciao a tutte!
Prima di tutto spero che abbiate passato un buon Capodanno :D magari migliore del mio … Ieri è successo un casino: mio cugino e un ragazzo quasi si picchiavano eee … Vabbè, so che non ve ne importa e l'importante è che il capitolo alla fine sia arrivato e spero non vi deluda :)
Immagino che non tutte si aspettassero un capitolo del genere! Max, avendo visto suo padre non particolarmente di buon umore, chiede ad Evelyne di restare, come una specie di sostegno, distrazione e sperando anche di evitare quello che poi invece succede.
Il rapporto tra Parker padre e Parker figlio verrà rivisto più avanti e chiarito, non vi smollo questa situazione familiare particolare senza poi spiegarla e concluderla bene :3
E le famiglie dei miei personaggi sono problematiche … Non so perchè, io ne ho una che è tutta il contrario, non so a chi mi ispiro AHAHAHAH
Poi che direee, in questo capitolo credo che si veda un'altra faccia di Max :)
Adesso, per quanto riguarda il prossimo capitolo. Il rapporto tra Max ed Eve cambierà dopo questa sera? Parker davvero non se ne andrà di casa?
Lascio spoiler :D :

Mi tirò leggermente verso di sé e fece un passo. -Ho avuto un'idea improvvisa-.
Deglutii. -Che idea?-.


Alba.

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Capitolo 18
*** Normalità? ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

17.Normalità?


 

Con la luce del sole tutto sarebbe dovuto tornare alla normalità.

Stavo osservando, con quel fare assopito e tranquillo, tipico del risveglio, il piccolo e rotondo neo sulla guancia di Parker.

Sarebbe dovuta essere un'imperfezione, ma nel caso di Max non lo sembrava: senza ci sarebbe stato uno strano vuoto, il suo viso sarebbe rimasto meno impresso.

La luce, del primo mattino, entrava leggera dalla finestra poichè Parker la sera prima si era dimenticato di chiudere le imposte.

La spalla di Max mi aveva fatto da cuscino e immaginavo quanto poco sangue gli stesse circolando.

Sorrisi addormentata, divertita e … Allegra.

Lui dormiva ancora, era presto, mentre io mi ero svegliata sentendo il taglia-erba di uno dei vicini entrare in funzione.

Lo osservavo e mi chiedevo cose strane: finché non si fosse svegliato eravamo ancora amici? O tutto era finito col sorgere del sole?

Spostai lo sguardo sulle palpebre chiuse, le ciglia chiare e folte; scesi lungo la linea del naso fino ad appoggiare gli occhi sulle labbra, sottili ma piene, disegnate con una linea particolare che aveva preso dalla madre, di un bel colorito. Deglutii. E morbide e calde, fruttate, se ricordavo bene.

Contrariata scossi la testa.

Luce del sole. Normalità. Insomma, Evelyne!

Normalità, ma io mi imbambolavo comunque a fissare Parker.

Normalità, mi ripetei.

Una Evelyne, nella tana del lupo, nel letto del lupo, cos'avrebbe fatto normalmente?

Sarebbe scappata, correndo.

Decisi che avrei seguito il consiglio dell'Evelyne, quella di mesi prima, quella ancora sana mentalmente.

Cercando di fare meno movimenti possibile, scivolai da sopra il suo braccio, tra le lenzuola, e cercai di alzarmi.

- Dove vai? - Biascicò all'improvviso, con una voce addormentata. - Di solito sono io quello a scappare ...

Mi girai. Parker aveva ancora gli occhi chiusi e con una smorfia spostò il braccio che gli avevo schiacciato dormendo.

- A casa!

Aprì gli occhi, piano, e cercò a tentoni il cellulare che aveva lasciato sul comodino. Con l'altra mano cercò di ripararsi dalla luce che filtrava nella stanza. - Sono le 7:30 ... Sei pazza, dormi! - Lanciò al suo posto l'iPhone e si immerse tra le coperte, grugnendo.

- Devo andare! - Mi opposi di nuovo, ma senza alzarmi.

Tornò a guardarmi, imbronciato, di malumore per l'orario e per il sonno che continuava ad avere.

- Ti obbligo - Disse, per poi sorridere.

Spalancai la bocca, incredula. - Hai detto ieri che non c'era più la storia della foto! 

- Cambiato idea! - Fece spallucce allegro, spostando un po' le coperte in cui cominciava ad intrappolarsi.

Irritata al massimo mi uscì un ringhio frustrato. - Non dormo, tanto! Tidisturberò per tutto il tempo e non ti lascerò chiudere occhio!

Lui rise e mi guardò in modo strano. - Va bene, teppista; vado in bagno e mi fai la colazione allora.

Prima che potessi ribattere, mi aveva lanciato contro un cuscino e si era alzato per andarsene sul serio nell'altra stanza.

Rimisi il guanciale al suo posto, stizzita, guardando la porta che si chiudeva.

Lasciai finalmente il letto e aprii piano la finestra, guardando fuori e sentendomi pian piano scaldare dalla luce del sole, che crescendo batteva contro quel lato della casa.

La camera di Max dava sul giardino nel retro e osservai distrattamente le piante curate, chiedendomi se avesse anche un giardiniere e come avessi fatto a non vederle mai in quei mesi. Notai per la prima volta poi anche un canestro, infondo a destra, isolato, con una palla lì vicino, sull'erba.

Mi sembrava che fossero passati solo pochi secondi per quanto mi ero persa nei miei pensieri, guardando quella sfera arancione scuro, ma la porta si riaprì velocemente.

Mi girai scocciata, come dovevo essere sempre, guardandolo.

- Finalmente! - Sbottai, come se mi fossi accorta della durata dell'attesa.

Max mi lanciò uno sguardo scettico ma divertito e mi ignorò andando a sedersi sul letto.

Sbuffai, superandolo e uscendo. Mi chiusi dietro la porta del bagno, poco dopo, e arrivata allo specchio osservai con orrore la mia immagine riflessa.

Spettinata, col segno del cuscino, o del pigiama di Max, sulla guancia; mi tolsi una ciglia che si era appoggiata e attaccata vicino al naso, mordicchiandomi le labbra.

Provai poi, con molto coraggio, a sistemarmi i capelli, pettinandoli con le mani e, non riuscendoci, provai a cercare nei cassetti un pettine. Anche Parker doveva pur spazzolarsi i capelli, no?

Mi bloccai un attimo sorpresa, trovando però un elastico. Un elastico verde acqua. Il mio elastico, il primo che mi aveva rubato, dicendo che coi capelli legati stavo male.

Lo presi con uno strano sorriso, non sapendo bene cosa pensarne, ma lasciai presto perdere legandomi i capelli e sentendomi già meglio con me stessa.

Mi sciacquai la faccia, provando a far sparire quel segno sulla mia pelle, senza successo, e poi lavai i denti con lo spazzolino per eliminare il sapore metallico tipico del mattino. Provai a sistemarmi, insomma, perchè avevo intenzione di scappare e non volevo farmi vedere da eventuali vicini in condizioni tragiche. Volevo andarmene, altro che fargli la colazione.

Uscii velocemente, cercando di non sbattere la porta, e trovai Parker ad aspettarmi, davanti alla sua camera, col cellulare in mano.

Mi fece cenno di scendere, sorridendo, con uno dei sorrisi che non avevo ancora ben identificato, ma che mi facevano capire perfettamente che dovevo assecondarlo; la fuga mi era bloccata al momento.

Lo guardai con una smorfia e poi, annuendo, cominciai a scendere le scale.

- Mi fai delle frittelle? - Chiese a bassa voce, dietro di me, e mi sembrava quasi strano che non mi avesse ancora detto niente per i capelli.

- Ma devo preparare l'impasto, poi volevo andare a casa che devo ... - Mi lamentai, arrivando alla fine delle scale.

- Ti ricordo volentieri di una certa foto ...

- Ti ammazzerò un giorno. Nessuno sentirà la tua mancanza! - Sibilai acidamente, marciando verso la cucina.

- Ma tu sì, dai!

- No!

- Non fare la sostenuta, che non inganni nessuno!

- Ma taci, idiota!

Mezz'ora dopo, forse più, mentre il bimbo se ne stava seduto, sorridendo tutto contento, col cellulare lì di fianco, a guardarmi versare lo sciroppo d'acero, avrei voluto picchiarlo.

- La prossima volta mi aiuti - mi lamentai ancora.

- Ho setacciato la farina e montato il robo bianco, cosa vuoi di più? - Ribatté, guardandomi male e afferrando il piatto che avevo appena finito di preparare.

Gli rivolsi uno sguardo scettico, per poi sedermi di fianco a lui e completare anche la mia di colazione. Quando finii lui aveva già mangiato mezzo piatto.

- I tuoi si svegliano tardi, vero? - Chiesi, allungandomi verso Parker e schiacciando il tastino del suo cellulare, per sapere l'ora: le 8:17.

Fece spallucce. - Di solito se arrivano tardi la sera, fino alle 9 almeno non si alzano.

Annuii, tranquillizzandomi in parte.

- Paura di essere beccata mezza nuda in cucina? - Chiese; i suoi occhi cercarono i miei divertiti.

All'inizio non capii, poi guardandomi le gambe mi resi conto che non avevo ancora indossato i pantaloni, e che solo la sua maglietta mi copriva. Mi accigliai: non ci avevo pensato quella mattina, avevo fatto conto automaticamente di avere una vestaglia o una camicia da notte; anche il mio cervello recepiva male il fatto che avessi addosso solo una maglietta di Parker. Troppo assurdo e surreale.

Pensai poi alle mie gambe, che erano state alla bella vista di Max per tutto quel tempo, e mi corrucciai.

Feci per alzarmi. - Vado a cambiarmi ...

Mi bloccò con un cenno, ridendo. - Non cambia niente, ormai. Finisci la colazione e dopo fai, i miei non scendono così presto!

Lo guardai sospettosa, ma alla fine aveva ragione e mi sedetti di nuovo.

Parker con un altro minuto finì di mangiare e io cercavo di darmi una mossa per poter correre su ed infilarmi i jeans.

Osservò il cellulare.

- Appena hai finito andiamo via, okay? - Chiese e si passò una mano dietro il collo, sfiorandosi i capelli.

Infilzai l'ultimo pezzo di frittella, non capendo.

- Andiamo?

Annuì e mi guardò incerto, in un modo strano che non ero solita vedere.

- Vado da Billy, poi decido ...

Quasi non credetti alle mie orecchie.

- Ieri mi hai detto ... - Iniziai e la mia voce suonò davvero strana.

- Ho accettato di passare qui un'altra notte, non che sarei rimasto a casa per tutto l'anno - mi fece notare e si alzò in piedi, prendendo il piatto.

Lo imitai, non finendo il cibo nel piatto. - Ma mi sembrava che … Insomma, Max ...

- Mi ci hai fatto pensare meglio, questo devo ammetterlo, però, Evelyne, è meglio se cambio aria. Massimo tra un paio di giorni torno. - Si toccò di nuovo il collo, pensieroso.

Io misi nel lavello, come aveva fatto lui, il piatto.

- Che senso ha?! Resta qua e punto! Non ci hai nemmeno riparlato! Non sai se le cose possono essere cambiate! - Esclamai frustrata.

Non rispose e mi guardò con un silenzio che, avrei quasi pensato se non fosse stato Max Parker, sembrava colpevole.

- Insomma! - Mi accigliai, non vedendolo reagire. - Ieri sono rimasta a cena! A dormire! E ... E tutto! E … Cos'altro devo fare per convincerti a restare in questa casa?!- Chiesi alla fine retorica, ma davvero irritata. Perchè non doveva andarsene! Non doveva!

Sorprendendomi, scoppiò a ridere. - Da mezza nuda queste cose suonano veramente male ... - Spiegò, soffocando un'altra risata, dietro il pugno, e lanciandomi un'occhiata.

Gli diedi un colpo sul petto, stizzita. - Vado a cambiarmi, okay?! Poi ne riparliamo, quindi non osare mettere piede fuori da questa cucina, altrimenti ti uccido Parker! Da Billy non ci metti piede: ho dovuto passare la notte qua, il mio incubo peggiore, e quindi segui i patti! - Lo minacciai, continuando a puntargli contro il dito.

- E non sono mezza nuda! - Brontolai alla fine, sorpassandolo finalmente.

O almeno, io avrei voluto sorpassarlo, e l'avrei fatto se una mano non mi avesse fermata, per il braccio.

Mi girai, imbronciata. - Cosa vuoi adesso?!

Lui sorrise divertito. - Quanta cattiveria, Evy! Stai calma e non fare l'acida!

Lo fulminai. - Io sono sempre calma!

Parker rise leggero e mosse distrattamente la mano contro la mia pelle, pelle nuda per colpa della maglietta.

- Allora posso parlarti di una cosa?

Lo osservai un attimo circospetta, sentendo perfettamente le dita che pian piano risalivano leggermente sul braccio, in una presa calda che mi distraeva.

- Cosa vuoi? - Ripetei, ma in modo diverso a prima.

Mi tirò leggermente verso di sé e fece un passo. - Sai, ho avuto un'idea improvvisa ...

Deglutii, sentendo la gola improvvisamente secca ed arretrando, per provare a riacquistare i centimetri appena persi. - Che idea?

- Pensavo ... - Mentre pensava io, senza nemmeno sapere com'era successo, sentii il marmo del bancone contro la mia schiena.

- Parker, se non parli chiaro mi metto a urlare! - Minacciai, ma non l'avrei mai fatto e Max lo sapeva, probabilmente me lo lesse in faccia perchè sbuffò divertito e si avvicinò ancora di più.

- Lo faresti davvero?

- Non sfidarmi - continuai, ma sempre meno convinta e convincibile.

- E se avessi voglia di farlo? - Mi prese in giro.

Lasciò andare il mio braccio e appoggiò le mani sul ripiano: una alla mia destra, l'altra alla mia sinistra.

- Lo stai già facendo ... - Lo accusai piano, cogliendo dritto negli occhi il suo sguardo.

- E allora perchè non urli? - Disse, sorridendo, con uno dei sorrisi che avevo visto a volte, quello bello, quello che non avrei voluto mai vedere.

Non risposi, mordicchiandomi le labbra e provando ad arretrare ancora di più, sentendo quasi dolorosamente il bancone dietro la schiena.

Aprì le labbra, piano, sempre sorridendo: - Pensavo che forse c'è qualcosa che puoi fare ... - Insinuò.

- Per convincerti a restare? - Chiesi e probabilmente in quel momento vinsi un premio per la stupidità: avrei voluto (dovuto) scappare e gli davo corda.

E Billy in quel momento era anni luce.

Perchè sapevo cosa stava succedendo.

Max in quel modo lo conoscevo poco, non ero molto preparata contro quel tipo di Max, ma quegli occhi li avevo già visti, ormai li riconoscevo. Ad Halloween, sul letto da Kutcher, sul divano il giorno prima c'erano già stati e avevano incrociato i miei.

Ma Billy era ormai anni luce e non sembrava fisicamente possibile che solo il giorno prima fossero successe così tante cose, così tante cose che sembravano fatte apposta per allontanarmi sempre di più dal “non concedergli il punteggio pieno”. O forse non erano successe poi così tante cose, ma perchè dopo quella notte, dopo aver sentito Max rivolgersi in quei modi a me, solo dopo quello e la litigata precedente, perchè le cose sembravano così tanto diverse ora?

E sarà stato per quello che era successo la sera prima, perchè lo sciroppo d'acero produceva effetti strani in me, evidentemente, e che Parker quella mattina era più bello del solito. Il fatto fu che quando lui sussurrò: - Sei disposta a tutto? - Con quel suo tono da schiaffi; quando si chinò di quel poco che bastava; quando portò una mano sul mio fianco.

Oh beh, io non feci niente e mandai a quel paese Billy e le sue frasi in pochi secondi.

Ricordavo vagamente il bacio alla festa di Halloween, ne era passato di tempo, ricordavo solo un vago sapore fruttato, caldo, labbra morbide, ovviamente solo quello, per il poco che era stato. Ma ricordavo soprattutto che Parker mi aveva baciata subito.

Invece no.

Le sue labbra si appoggiarono sulla mandibola, vicino all'orecchio; un bacio leggero e delicato che mi mandò comunque a fuoco; poi ne depositò altri piccoli sul collo, sempre sfiorando, quasi li stesse dando per sbaglio; risalì e seguì, con tutta la lentezza del mondo, la linea del mento. Si fermò sotto le labbra, vicino alle labbra, poi, sfiorando, delicato, ne seguì il perimetro; baciò ogni singolo centimetro intorno alla mia bocca, ma solo intorno. La mano sul fianco mi accarezzava languida ed ero vicina allo star per tremare; perchè sembrava essere sempre così quando mi sfiorava?

Quando fece poi scivolare il palmo dietro la mia schiena, avvicinandomi, la sua bocca si fermò sulla mia, senza fare niente di più che farmi sentire il suo respiro caldo sulle labbra; in quel momento vidi i suoi occhi e non potei resistere oltre.

E Billy fu cancellato, eliminato, sterminato, disintegrato.

Perchè non si poteva pretendere che qualcuno resistesse a quegli occhi.

Nemmeno da Evelyne Gray. Soprattutto perchè nessuno aveva mai guardato Evelyne Gray in quel modo.

Azzerai definitivamente le distanze e fui io a baciarlo.

Sembrò essere quello che stava aspettando perchè subito dopo non si limitò più a sfiorare.

Se fossimo tornati, quella mattina, sul serio alla normalità, non ci saremmo ritrovati in quella situazione e nemmeno se fossimo stati gli amici della sera prima. Quello era la conseguenza di tutto?

O forse semplicemente l'Evelyne di ottobre ormai non c'era più. Forse c'era solo l'Evelyne di febbraio, con gli ormoni ormai impazziti, evidentemente, e un Parker che era bello da star male, con il suo neo, gli occhi verdi intensi, i ciuffi chiari spettinati, e mi aveva baciata, mi stava baciando.

C'era qualche scommessa in atto? Non ci avrei mai minimamente pensato, né in quel momento né dopo. Alzai semplicemente e in modo naturale le braccia arrivando ai suoi capelli e infilandoci le mani; capelli soffici, sottili, come avevo, senza accorgermene, sempre pensato, li afferrai come un'ancora di salvezza, ed era solo un semplice bacio con le labbra. Ma mi serviva un legame con la realtà in quel momento, anche se sembrava tutto tranne qualcosa di normale.

Con un piccolo morso, sul labbro inferiore, mi fece schiudere la bocca e quando approfondimmo il bacio …

La mia esperienze in quanto baci era breve e corta.

Ma niente era mai stato simile a quello. Era normale pensarlo, vero?

I capelli glieli avrei strappati e intanto provavo a cercare di non avere la pelle d'oca che sentivo star arrivando prepotentemente. Era normale avercela, vero?

Si allontanò per darmi una tregua che serviva a entrambi, soprattutto a me.

Sentivo la morte, per mancamento, infarto, ormai prossima. E che eravamo a casa sua e i suoi genitori avrebbero potuto svegliarsi da un momento all'altro, nemmeno ce lo ricordavamo, o almeno, non io.

Sapevo solo che gli occhi di Max erano di un verde acquoso, lucido e che volevo un altro bacio e che non si poteva avere quegli occhi puntati nei propri, in quel modo, e non volere un bacio.

Quasi sentendomi tornò a baciarmi, questa volta con più foga. Socchiusi le labbra quasi subito, rivolendo quel contatto che era durato troppo poco. Lo stavo davvero pensando?

E stavo davvero elaborando il pensiero che Parker sapesse di frutta, quella che piaceva a me: pesca, ciliegia, qualcosa di simile, e quella nota di sciroppo d'acero mi faceva cercare sempre di più, ancora e ancora, un bacio.

Con una facilità assurda mi prese per i fianchi e sollevò fino a farmi sedere sul bancone. Il freddo del marmo contro le gambe mi fece sobbalzare e in parte riprendere contatto con la realtà.

- Max ... - Sospirai, mentre cominciava a baciarmi il collo; le sue mani erano piantate sui miei fianchi aggrappate alla maglietta dei coldplay.

- Uh?

Non risposi perchè Parker rimaneva comunque uno stronzo: cominciò a mordicchiarmi la pelle e a malapena riuscii a tenere gli occhi aperti, figuriamoci parlare. E cosa volevo dire?

Mandai una seconda volta tutto a cagare.

Parker abbassò lentamente le mani e arrivò al bordo della maglietta, ma solo quando la mano lentamente si infilò sotto, sfiorandomi la coscia, buona parte dei miei sensori puntarono in quella direzione.

- Toglila immediatamente. - Sarebbe dovuto essere un ordine, ma la voce bassa e, ormai affannosa, non sembravano d'accordo.

Lui rise e, lasciando il collo, si avvicinò al mio viso. - Dillo con un tono più convinto e potrei pensarci ... - Rincarò anche la dose.

Il suo sguardo e la mano che scivolò di lato, sotto, vicino al taglio finale della gamba, mi fecero sobbalzare e aggrappare alle sue spalle.

- Parker, ti uccido ho detto! - Provai a ripetere il concetto, ma senza molti risultati, visto che si avvicinò alle mie labbra, sfiorandole, stuzzicandomi come se mi conoscesse da sempre e sapesse esattamente come fare.

Fui io a baciarlo, tirandolo più vicino per i capelli, capelli che continuando così sarebbero finiti davvero male, ma era impossibile non toccarli. Vinsi anche, quella mattina, il premio coerenza.

Quasi gemetti sulla sua bocca, per la sorpresa, quando anche l'altra mano imitò la prima.

In quel momento smise di baciarmi, all'improvviso, e seguii istintivamente il suo viso, cercando di riattirarlo ma senza risultati, riaprii gli occhi velocemente.

Max mi guardò attento, respirando profondamente, gli occhi dicevano tutto, come sempre.

- Rimango. - Ma io non ci avevo letto quello, esattamente.

Non collegai. Non ricordavo il motivo per cui ci eravamo baciati, tutto mi sembrava confuso: mi sentivo la testa leggera e mi venne da sorridere. Non mi ero mai ubriacata ma supponevo che la sensazione di un po' di alcool in circolo nel sangue fosse qualcosa di simile. Ecco, probabilmente ero ubriaca, pensai, cominciando a riprendermi leggermente e il sorriso cedette. Cos'avevo appena fatto?!

Mi guardava aspettando una risposta ed io, Evelyne Gray, la secchiona della scuola, non riuscivo a capire, forse anche troppo sconvolta dalla consapevolezza che mi stava bombardando.

- Eh?

Dovevo avere un'espressione strana perchè lui scoppiò a ridere e poi un sorriso, quasi compiaciuto, gli si dipinse sulle labbra.

- Sono stato convinto a rimanere qui. Per un altro po' almeno ... - La sua mano tornò ad essere leggera e si mosse piano, senza spostarsi veramente e solo per ricordarmi di essere ancora lì, sotto la mia gamba.

Finalmente capii, nonostante i pensieri, nonostante le distrazioni.

Un altro po'? Te lo scordi che accetti di nuovo … Questo, per convincerti a non andartene ... - Ribattei pigolando, in mia difesa. Perchè sì, avevo accettato i baci solo per quello, insomma! Mi sentii in parte il viso caldo e cercai di trattenermi e non arrossire; le mie mani erano ancora sulle sue spalle e non me n'ero accorta.

- Beh - iniziò.

- Cosa? - Chiesi, guardandolo negli occhi lucidi, più verdi del solito e forse incantandomi un attimo.

- Ma se vuoi convincermi ancora meglio ... - Iniziò sorridendo, e una mano tornò ad appoggiarsi piano sulla mia coscia, scivolando verso il mio fianco e toccandomi la pelle nuda e sobbalzai, tendendomi. - Possiamo ... Continuare. - Normalmente l'avrei ucciso. Ma qualcosa in quel momento era ormai normale?

Sentii quindi solo una piccola fitta alla pancia e mi ritrovai a mordermi le labbra, non sapendo come reagire, cosa fare, cosa rispondere.

La sua mano continuò lenta, imperterrita, a salire, mentre lui tornava a sfiorarmi le labbra, provocandomi e io mi aggrappavo, con le unghie, alle sue spalle.

- Parker ... - Blaterai, a disagio, sul punto di cedere, ma non potendo, assolutamente no, non una seconda volta.

Ma a salvarmi, in extremis, nel modo più sicuro, fu la porta al piano di sopra che venne sbattuta.

Si bloccò, fece una smorfia, mentre io sobbalzavo, poi si spostò.

Ero ancora imbambolata da tutto quello che era successo, ma mi feci forza per sembrare normale e scivolai giù dal marmo. La maglietta dei Coldplay era sollevata di davvero molto e me la sistemai velocemente, guardandomi le gambe.

Non disse niente, ma mi prese per il polso, senza aspettare che tornassi a guardarlo, e velocemente mi trascinò via. Sembravo anche incapace di muovermi autonomamente? Evidentemente sì, perchè non reagii comunque.

Arrivato alle scale salì velocemente, tirandomi dietro. Entrammo nella sua camera senza che dicessimo niente e senza che nessuno si facesse vedere nel corridoio delle camere.

- Vado - riuscii a pronunciare quella parola, alla fine, appena la sua mano scivolò dalla mia. - E' meglio ...

Mi aspettavo che ribattesse, che sorridesse come aveva fatto per tutto il tempo, prima, che si riavvicinasse e dicesse che me l'avrebbe impedito, o che non lo dicesse e lo dimostrasse coi fatti; mi aspettavo quello in quel momento, tanto ormai la normalità era andata a farsi fottere, no?

Ma evidentemente non era del tutto così.

- E io resto - rispose impassibile, passandosi la mano tra i capelli. Dove poco fa c'erano state le mie di mani.

Mi inumidii le labbra e senza guardarlo oltre cercai e mi infilai i jeans, mentre lui si sedeva alla scrivania ed apriva il pc.

E quello che era appena successo? Avrei voluto dire ad alta voce.

Afferrai il bordo della maglietta dei Coldplay e mi bloccai: pensavo a quello che era successo, sul bancone, mi chiedevo se fosse cambiato qualcosa o fosse stato sul serio un bacio solo per farlo rimanere, come aveva detto; un capriccio senza conseguenze.

O mi stavo solo complicando troppo la vita? Dov'era la mia normalità? Volevo la mia normalità!

Parker, che mi aveva lanciato un'occhiata, interpretò l'esitazione che stavo avendo per imbarazzo, probabilmente, perchè girandosi subito dopo disse con tono piatto: -Puoi tenere la maglietta, non c'è bisogno di togliertela, me la riporterai poi-.

Eseguii senza ribattere e semplicemente mi vestii sopra la sua maglietta.

Finii così, dopo essermi allacciata la giacca, e lo guardai mentre finiva di accendere il computer.

- Vado.

- Okay - rispose, quasi annoiato.

Mi avvicinai alla porta e, con la mano sulla maniglia, mi bloccai. - Normalità? - Chiesi retorica e nella voce sentii una nota strana, irritata, che non avrei voluto avere, né tanto meno far sentire.

Ero arrabbiata? Risentita? E se sì, per che cosa?

- Sì. - Fu la semplice e disinteressata risposta.

Ma quella era più simile alla normalità, dopo tutto, e io volevo quella.


 


 

Sentivo la busta di plastica, appoggiata contro il mio polpaccio sinistro, scivolare lentamente. Avrei voluto fermarla prima che cadesse del tutto, facendo uscire il contenuto, ma infilare i libri nell'armadietto e rispondere sensatamente a Francy non me lo permettevano.

- Mi stai ascoltando?!

Sistemai con attenzione i libri di letteratura inglese, sostituendoli con quello enorme di chimica. La guardai un po' impacciata, chiedendole scusa con lo sguardo.

Alzò gli occhi al cielo e, avendo pietà di me, si chinò per sollevare la busta.

- Dicevo. - Mentre parlava aprì il sacchetto e tirò fuori la maglietta che quella mattina avevo piegato in tutta fretta. - Che Alex, cioè, Kutcher, mi ha chiesto di uscire.

Lo disse in modo strano, con uno sguardo concentrato sulla scritta “Coldplay”, forse semplicemente per non guardarmi.

- E tu? - Chiesi, riuscendo finalmente a chiudere l'anta dell'armadietto metallico.

Mi guardò e i suoi occhi grigi trovarono i miei: sembravano terrorizzati. - Io gli ho detto di sì.

Non capii perchè quell'espressione. - E questa faccia, cosa dovrebbe dirmi?

- Non so perchè gli ho detto sì! Insomma, è un idiota e io con gli idioti non ci esco! - Sembrava davvero preoccupata.

Risi, cominciando a camminare verso l'aula, al primo piano, di chimica. - Idiota suona male, diciamo tonto, su!

Arrotolando la maglietta la rimise dentro la plastica.

- E so di piacergli! E se ci prova?!

- E' ovvio che ci proverà. Quando uscite? - Lei faceva la terrorizzata e io ero tremendamente divertita.

Si bloccò un attimo. - Sabato sera, usciamo a cena.

- Un appuntamento in grande stile! - Commentai.

- O posso intenderla come un'uscita tra amici? - Chiese e si tormentò le mani.

- Io non ti porto in ristoranti chic - le feci notare, ridendo.

- Non sarà un ristorante chic! - Gonfiò le guance, ma si arrese all'evidenza che fosse un appuntamento con una strana espressione.

- Hai un appuntamento con Kutcher! - Canticchiai a bassa voce, mentre ci avvicinavamo a chimica, prendendola in giro.

Mi guardò male, ma arrossendo un po': quella era una novità in Francy!

- Ti offrirà la cenaaa! - Continuai sempre con lo stesso tono e spinta dalle sue reazioni.

- Ti accompagnerà a casaaa! Poi ti abbraccerààà! Ti bacerààà! E poi ti ...

Si riprese e sorrise sadicamente. - Ti bacerà? Quello è Parker con te, Eve, mi dispiace - lo disse anche ad alta voce.

Sgranai gli occhi terrorizzata e mi guardai intorno col cuore in gola. Nessuno, nell'affollato corridoio sembrava però averci fatto caso.

- Dio, Francy! - La sgridai.

Lei rise e facendomi la linguaccia si infilò dentro l'aula di chimica.

Scossi la testa irritata.

Mentre stavo per seguirla anch'io dentro la classe, anche se alla campanella d'inizio ora mancavano alcuni minuti, vidi Billy e Clark infondo al corridoio.

Non c'era Parker.

Mi mossi sul posto, indecisa, valutando la situazione.

Da Domenica mattina, dalla colazione, dal bancone, da tutto quello che era successo, di cui era stata informata Francy, che mi prendeva in giro da tre giorni, beh, da quel giorno io e Max non ci eravamo rivolti più la parola. Da tre giorni non avevo ricevuto richieste stupide, quelle che faceva di continuo, da tre giorni non mi cercava per quella stupida storia di farsi portare lo zaino. Da tre giorni, quando gli passavo davanti a scuola, era sempre concentrato a scrivere sull'iPhone e nemmeno mi vedeva. Billy mi salutava al suo posto, col suo solito sorriso, forse un po' più divertito del solito.

Mi morsi l'interno della bocca e alla fine mi misi a camminare verso il biondo.

Parker non mi parlava e mi evitava? Io non sarei stata la prima a rivolgergli la parola. Con quella strana idea marcia tra la gente che si affrettava verso le rispettive aule.

Clark fu il primo a vedermi e fece una smorfia. Ricambiai.

- Cosa vuoi? - Chiese il moro, come se avessi voluto parlare con lui. Billy mi guardò amichevolmente, più furbo aveva capito che ce l'avevo con lui.

- Da te niente! - Risposi acida. - E Billy, dai la … Dai questo a Parker? - Un po' a disagio sistemai la maglietta che Francy aveva arrotolato, tenendola dentro la busta, e poi la passai al ragazzo.

Mi osservò un attimo per poi prenderla. - Non gliela puoi dare tu? La prossima è Trigonometria - mi ricordò, sorridendo come sempre.

Feci spallucce, come se non mi fosse passato per la testa. - Ah, vero! Ma vabbè, se non ti disturba gliela porti adesso così non ci penso più.

Ringraziai, borbottando e poi feci un passo indietro, pronta ad andarmene.

Clark si stava allungando curioso per guardare verso la busta, sembrava accigliato per qualcosa. - Ma è una maglietta? - Chiese, ma fu ignorato.

- Evelyne, comunque il mio consiglio l'hai seguito bene, eh! - Commentò divertito Billy e allontanando il sacchetto dal suo amico.

Gliel'aveva detto. Ma avrei dovuto immaginarlo, in effetti.

Il moro ci guardò un attimo sospettoso, mentre io sentivo le guance calde ed arrossivo, come ormai mi succedeva fin troppo spesso. Che Clark non sapesse almeno mi consolava.

- E' stato necessario - risposi, riferendomi alla scusa che mi ero data per quel bacio: far rimanere Parker a casa sua.

Francy non ci aveva minimamente creduto e nemmeno Billy, dato la faccia che fece.

Sembrò non voler aggiungere altro e farmi andare così ma poi l'embolo partì a me. - Comunque se l'avessi saputo l'avrei fatto subito, date le conseguenze.

Sorrisi un po' acida, riprendendomi e sperando davvero che fosse abbastanza intuitivo da capire: le conseguenze erano Parker che non mi parlava più. La presenza di Clark, davanti al quale non potevamo dirci niente di troppo esplicito mi rendeva più sicura.

L'espressione di Billy però mi fece dare della stupida. E in effetti lo ero. Perchè stavo dicendo quelle cose al suo migliore amico?

- E' risentimento quello che sento? Perchè in questo caso le conseguenze non ti stanno piacendo mica tanto, e credo che se fosse successo all'inizio non te ne sarebbe importato, di quello che sta facendo - insinuò e sembrò all'improvviso davvero interessato a continuare quella conversazione.

- Di che cazzo state parlando? - Clark ci fulminò e cercò di strappare via la busta a Billy. Lui lo lasciò fare, sollevando gli occhi al cielo.

Approfittai di quell'intermezzo per riprendermi e cercare di non peggiorare la situazione.

- Non me ne importa nemmeno adesso, anche se non ho ancora ben capito cosa sta facendo - dissi alla fine, non trovando niente di meglio e spostando l'argomento su di lui, non su me.

Billy rise, divertito. - Ah, non lo sa nemmeno lui. - Lo guardai un po' spiazzata: quella risposta non chiariva un bel niente.

- Ma tu lo sai? - Chiesi e mi inumidii le labbra.

- Ho le mie idee ... Ma non te le dico, dato che i miei consigli non li segui! - Dal tono voleva farmi capire che scherzava. Se non me lo diceva era perchè non voleva, non per altro.

- No, allora, basta! Che cazzo hai combinato con Parker? - Chiese direttamente Clark, a me. Fui sorpresa da tutta quell'intelligenza che l'aveva portato a capire di chi parlassimo.

- Vabbè, nonostante tutto quello che tu possa pensare, non mi importa come non importa a lui - ribattei e la campanella d'inizio lezione suonò.

- Ah beh, in questo caso ... - Fu l'ultima risposta di Billy, con cui si congedò, lasciandomi sola con Clark.

- Ma qualcuno mi ascolta?! - Chiese esasperato.

Mi misi a camminare anch'io verso l'aula di chimica.


 


 

Le poche parole che Billy ed io ci eravamo scambiati mi avevano fatto pensare fin troppo.

Che Parker non sapesse nemmeno lui perchè si comportava da sconosciuto, dopo la nostra sera da amici, e il mattino da … Da cosa?

Scossi la testa esasperata mentre, di nuovo davanti all'armadietto, sistemavo i libri e infilavo quelli con cui avrei dovuto lavorare a casa e quelli di trigonometria, dell'ultima ora, nella tracolla.

Ma insomma, che nemmeno lui sapesse perchè faceva certe cose non era possibile. Avevo già detto di odiarlo, vero? Lo odiavo! Odiavo quel suo continuo comportarsi in un modo, essere carino, quasi una persona mezza decente, gentile, indifeso, come era stato la sera, nel letto, tra le coperte, abbracciati; poi per un bacio, che aveva voluto lui, c'era di nuovo il Parker a cui non importava niente.

Sbattei l'anta dell'armadietto con una frustrazione che non avrei dovuto avere. La normalità voleva che a me non importasse un bel niente di Parker e della sua coerenza degna da ciclo mestruale.

Sospirai. Dicevo anche cose misogine da quanto ero irritata!

Ma se fosse stato coerente cosa sarebbe successo? Mi chiesi.

Se Parker fosse stato sempre quello del buio, dei segreti, che sfiorava i capelli e soffocava le risate contro la tua testa? Non sarebbe stato Max Parker, sapevo solo quello.

Francy, che aveva l'armadietto molto lontano dal mio, mi raggiunse con fare disperato. Non le avevo parlato della conversazione con Billy e pensavo di non farlo, non ancora.

- Io non so niente! - Piagnucolò.

Quando fosse suonata la campanella, per l'ultima ora, avremmo dovuto fare il test sui nuovi argomenti e dato che la matematica, in ogni sua forma, era un gran problema per Francy, lei era ovviamente disperata.

- Ma se abbiamo studiato tutto il giorno insieme, ieri! - Le ricordai, sorridendo e sciogliendo buona parte di quella rabbia insensata.

- Ero più concentrata sulla torta alle mele di mia madre ... - Ammise, con fare esageratamente colpevole.

- Sarai punita!

Cominciammo a camminare insieme verso l'aula degli incubi per molti alunni.

Hoppus sfogliava distrattamente un giornale e rivolgeva ad ogni persona che entrava un sorriso inquietante. Credevo ci fossero davvero professori che. come unico divertimento nella vita, avessero solo quello di vedere il terrore nei visi dei propri alunni, e lui, coi suoi occhi tondi e neri, era tra quelli.

Però io sorrisi in risposta, perchè ero tra quelle che non avevano mai paura, non a scuola.

Mi sedetti al mio posto, di fianco, ma separata da un piccolo spazio, a Francy e la classe finì velocemente di riempirsi, mentre la campanella suonava.

Sentii la risata di Parker, mentre entrava, e non mi voltai nemmeno, impegnata a tirare fuori penna e matita.

Da Lunedì, durante Trigonometria, evitava addirittura il solito giro di fianco al mio banco e lo fece anche quel giorno, visto che non vidi i suoi jeans chiari passarmi davanti.

Quando Hoppus, facendo il suo giro tra i banchi, depositò un foglio davanti a tutti, io presi il mio e, con rabbia e la mia scrittura spigolosa, scrissi nome e cognome e cercai di farmi assorbire il più possibile dal compito per osmosi.

Sperai anche che a Parker andasse male.

La normalità insomma alla fine era tornata. Detestavo Parker e come si stava comportando. Era normale che lo detestassi e basta però, il motivo non tanto.

Era mercoledì 20 Febbraio e mi ero quasi dimenticata di segnarlo sul compito.

Io ero in una piccola aula di una modesta, ma vivace, città a poco meno di due ore da New York e, cercando di fare quel compito perfettamente e di non pensare a quell'odioso ragazzo lì vicino, non immaginavo minimamente che la normalità fosse definitivamente distrutta.

Si sentì bussare alla porta e si levò una lamentela generale: qualcuno veniva a interrompere sempre e solo durante le verifiche, mai durante le lezioni normali.

Io non alzai nemmeno lo sguardo, finchè non sentii la voce della preside.

Sollevai il viso con la matita tra i denti e vidi il Dittatore cercare e poi fermarsi con lo sguardo proprio su di me. - Evelyne, mi puoi seguire? Hai una chiamata.

Che la preside mi chiamasse per nome non era normale.

Che avesse quello sguardo non era poi per niente normale.

 

 

 

*Angolo autrice:

Salve a tutteee :D
Qua nevica e spero che domani chiudano le scuole <3 (speranze vane …)
Scusate comunque il ritardo, ma non trovavo mai il momento per pubblicare e avevo anche dei dubbi sul capitolo e niente … alla fine eccolo qua.
C'è stato il bacio. E c'è il bacio qua, dopo la notte passata insieme e non sul divano perchè le cose sono cambiate. Non voglio dire niente e vi lascio solo alle vostre idee, ma volevo solo mettere in chiaro che il bacio non c'è a caso, ma è, almeno a mio parere, motivato nel suo contesto. Evelyne si concede (o meglio, cede) un “errore” qua, solo per quello che è appena successo.
Probabilmente se fosse uscita da quella casa senza che Max provasse a fare niente le cose sarebbero andate diversamente, ma non è stato questo il caso. Evelyne in un'altra situazione si sarebbe opposta, avrebbe detto di “No”. Ma in quel momento, in cucina, Billy è anni luce.
Vorrei sapere che ne pensate comunque e spero di non aver deluso nessuno :)
E Billy è diventato quasi (in un certo senso) il confidente di Evelyne. Ahahahah
Poipoipoi.
Avete idee? Di chi è la chiamata, cos'è successo?!
:D

Spoiler: (dato il ritardo ve lo meritate proprio ahahah)


Capì a cosa mi riferivo ed esitò un attimo. -Un po' … Sai le pareti sono di cartongesso e beh … Urlavate … Ma non si è ben capito il contesto, nessuno ha capito, tranquilla-.
Aspettai che continuasse ma non lo fece. -E poi?-
-Poi non entrava più … Hoppus è uscito a cercarlo ed è andato dalla preside, probabilmente. Non so cosa sia successo ma dopo è tornato, Max, e si è messo a finire il test senza dire niente a nessuno. Il Polipo quando l'ha visto dopo essere rientrato è andato su tutte le furie ma Parker nemmeno lo ascoltava-.

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Capitolo 19
*** Veramente sola? ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )
 

Sollevai il viso con la matita tra i denti e vidi il Dittatore cercare e poi fermarsi con lo

sguardo proprio su di me. -Evelyne, mi puoi seguire? Hai una chiamata.

Che la preside mi chiamasse per nome non era normale.

Che avesse quello sguardo non era poi per niente normale.


 

18. Veramente sola?


 

Non erano normali ma io pensavo che tutto lo fosse.

Quindi, forse fin troppo stupidamente, mi venne spontaneo fare una smorfia: perchè okay che ero a buon punto nella verifica, ma non l'avevo finita e la parte più difficile l'avevo lasciata per ultima.

- E' così urgente? - Chiesi, esitando e più perplessa che preoccupata.

- Sì, Evelyne; veloce. - Rimasi un po' spiazzata e un po' incerta mi alzai in piedi, lasciando il foglio incompiuto sul banco. Lanciai intanto un'occhiata a Francy che mi guardava non capendo, ma non capivo nemmeno io.

Uscii dalla classe insieme alla preside che, mentre si alzava un leggero mormorio fatto da suggerimenti a mezza voce e, forse, commenti, marciò verso le scale e io la seguii.

Ad ogni passo che, ovviamente in silenzio, rimbombava per i corridoi, cominciava a nascere quella sensazione che avrei dovuto avere fin dalla prima domanda di quella donna: ansia. Perchè qualcosa era successo. Qualcosa era successo: dal tono della preside, dall'insistenza per fare presto. Tutto durante quei passi scese in secondo piano. Anche il compito in classe e ovviamente il nervoso provocato dai comportamenti di Parker.

Entrammo nel suo ufficio e con un gesto controllato mi indicò il telefono fisso, nero e lucido.

Deglutii e a passi lenti, perchè non capivo se volessi davvero sapere arrivata a quel punto, raggiunsi la scrivania. Sfiorai il legno verniciato di scuro; con le dita umide presi la cornetta, la alzai, la avvicinai al viso, sentii la freddezza dell'oggetto sfiorarmi candidamente l'orecchio, poi la guancia; alla fine parlai: - Pronto?

Ci fu una leggera esitazione dall'altro lato, dimostrata da un respiro corto, mezzo trattenuto, ma pensare che l'interlocutore avesse aspettato fino a quel momento, attaccato alla cornetta, mi preoccupò ancora di più.

- Evelyne, sono Holly. - Holly era la migliore amica di mia zia, un'infermiera sottopagata e molto sfruttata al General Hospital, a New York. Ebbi un tuffo al cuore e sentii quasi la testa vibrare per tutte le idee e i pensieri che solo quella voce stava scaturendo.

- Prima di tutto - iniziò, cercando di usare un tono calmo - Non agitarti, tranquilla, ma appena puoi vieni al General, per favore.

Non agitarmi?

- Cos'è successo?! - Chiesi e la mia voce era già isterica; come fossi arrivata a quel punto nemmeno lo sapevo.

- Eve! Calmati!

- No che non mi calmo, se non mi spieghi cos'è successo! - Ribattei quasi urlando e senza pensare alla preside lì vicina, e normalmente mi sarei odiata per usare quel tono con l'amica gentile e affettuosa di mia zia.

- No! Ti stai agitando già adesso! Vieni qua e basta! - Rispose duramente, cercando di non far trasparire niente dalla voce.

Tutto il contrario di me, insomma. - Dimmelo, Holly! Credi davvero che sia meglio lasciarmi all'oscuro di tutto?! Secondo te cosa posso pensare?!

La testa cominciava a pulsarmi già dolorosamente, per il nodo in gola che si stava formando e gli occhi brucianti.

Sentii un profondo sospiro e dai rumori la immaginai mentre frustrata allontanava un attimo il telefono; alla fine si decise. - Elizabeth ha avuto un incidente, ma sta bene adesso, non rischia di morire né niente del genere. E' sedata e deve riposare e, di sicuro, quello che vorrà sarà vederti, quando si sveglierà. Perciò calmati, vieni a New York, ma con calma! Vieni in treno al massimo, Evelyne! Non rischiare di fare un incidente, davvero! E' l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno! - Stava cercando di rimanere controllata, come era riuscita a fare fino a quel momento, ma un singulto alla fine face capire quanto fosse in realtà preoccupata, e il suono mi fece sobbalzare. Era davvero come diceva lei? O mi stava nascondendo qualcosa? Provai a calmare il respiro accellerato, nonostante tutto, perchè alla fine Holly aveva ragione.

Dovevo stare calma.

Ma come si faceva a stare calmi? Come se Elizabeth era la sola vera famiglia che potessi avere? E sarei riuscita a reggere l'eventualità di perdere una seconda volta mia madre? Perchè Elizabeth era mia madre, anche se mi ostinavo a chiamarla zia.

Holly mi disse qualcos'altro, informazioni per l'ospedale, che sapevo già, e sulla camera e boh; risposi ma non capii molto, cercavo di rimanere ancorata con lo sguardo al paesaggio fuori dalla finestra dell'ufficio. Ancorata perchè tutto stava iniziando pericolosamente a girare, le mani mi sudavano sempre di più e una pesante nausea allo stomaco mi faceva rimanere col dubbio se avrei finito per rimettere o svenire direttamente. Non riuscivo a piangere ma l'avrei tanto voluto fare. Forse avrei voluto anche svenire, dimenticare tutto, risvegliarmi e sentirmi dire che era solo uno scherzo di pessimo gusto, sarei stata anche disposta a perdonare l'artefice: tutto purchè fosse uno scherzo.

Ma Holly mise giù e nessuno stava gridando "Candid Camera", c'ero solo io, in quella stanza, mentre agganciavo il telefono, mi sentivo sola. Sola al mondo contro tutto. Senza Elizabeth sarei stata sola. Per un attimo vidi nero e mi agganciai con le unghie alla scrivania.

- Evelyne, ti giustifico, puoi uscire prima da scuola. - La preside, che si era avvicinata, mi toccò un braccio, con una presa forte, quasi pronta a sostenermi fisicamente, più che moralmente, e cercò di parlarmi con dolcezza, ma a quello non era abituata e l'effetto fu strano, però bastò a farmi riprendere e sollevare leggermente.

Annuii e cercai di respirare normalmente, ma l'aria bruciava entrando in corpo.

Feci velocemente la strada che avevo appena percorso e la testa mi girava sempre più, avvolta in pensieri, ragionamenti, sensazioni; tutto mi sembrava così poco reale, come se non fossi davvero io a camminare in quel corridoio, come se quello non stesse davvero succedendo a me. Tutto in momenti del genere sembra così terribilmente irreale, impossibile.

Entrai nell'aula di Trigonometria e gli sguardi di tutti i presenti si concentrarono su di me.

Non avevo idea di che faccia, di che occhi, potessi aver avuto, ma, guardando Francy e vedendo crescere la preoccupazione che prima era solo accennata, pensai giustamente di non avere una bella cera. E l'idea di sembrare così indifesa davanti a una classe fatta per lo più di sconosciuti a cui ero in odio, mi fece correre verso la tracolla, per fare velocemente lo zaino e scappare via, in macchina e poi a New York. Perchè sarei andata in macchina, forse stringere il volante in mano mi avrebbe fatto ricollegare con il mondo.

- Gray? - Il professor Hoppus mi fu accanto subito e mi guardava perplesso, dall'alto, non capendo, ma non sforzandosi più di tanto di farlo.

- Eve, cosa c'è? - Chiese anche Francy dal suo banco, a bassa voce, e sembrava starsi trattenendo a forza dall'alzarsi ed abbracciarmi.

- La preside mi giustifica, esco adesso, il compito è a metà - informai piattamente e la mia voce non era identificabile con Evelyne Gray. Era spenta, piatta, senza vita, solo alla fine si ruppe leggermente, in una piccola protesta finale, come se da sola avesse voluto far sapere che stavo male.

Hoppus mi fissò non sapendo che dire. - Tranquilla, la prossima volta ... - Borbottò e prendendo il mio foglio tornò alla cattedra.

- Eve, dove vai? - Chiese Francy di nuovo, insistendo. Lei era la mia miglior amica e avrei voluto in quel momento stringerla e raccontarle tutto, portarla con me; ma quello non era il luogo e la situazione giusta e io non mi sentivo nel modo giusto. Forse nemmeno mi sentivo sul serio.

- Fai il compito. Finiscilo. New York. - Sembravo un telegramma, il nodo in gola che diventava sempre più grande ed insopportabile, probabilmente mi ci rendeva ancora più simile.

Francy mi guardò mestamente e con la giacca sottobraccio uscii dalla classe senza dire altro e senza puntare lo sguardo su altro che non fosse il pavimento.

Non feci però molti passi prima che la porta che avevo appena chiuso si aprisse.

- Gray! - Mi chiamò ad alta voce, mentre se la chiudeva dietro con un sonoro colpo, soffocando la protesta di Hoppus che gli urlava contro.

Riconobbi la voce senza girarmi e, per quello, aumentai il passo, pronta a correre se necessario, mentre senza rendermene conto con quella frase mi ricollegavo al mondo, ricordandomi di tutto il resto. O forse me ne resi conto e proprio per quello volevo scappare ancora più velocemente.

Lui mi raggiunse facilmente, com'era ovvio, e mi prese per un braccio. Cercai di ribellarmi per sfuggire e non guardarlo ma le sue mani mi afferrarono saldamente, bloccandomi in una presa ferma. Però io non volevo parlare con Parker.

- Cos'è successo?! - Chiese e bloccata com'ero mi fu impossibile non incrociare i suoi occhi e quel verde familiare mi destabilizzò ancora di più; soprattutto perchè sembrava preoccupato. Ma sembrava. Era Parker e io ero già tornata sul pianeta Terra, sapevo cosa succedeva lì, normalmente, sapevo com'era lui.

Cercai di allontanarmi di nuovo ma senza risultati. - Come se te ne importasse! - Risposi con rabbia, ma la voce si incrinò nelle ultime sillabe e pensai di essere sul punto di scoppiare a piangere.

- Sì che me ne importa! - Ribatté anche lui ad alta voce, e aveva un'espressione dispiaciuta che non mi piaceva: faceva sembrare ogni sua parola finta, detta tanto per dire, perchè gli facevo pena. Ed era così, era terribilmente così.

Mi ritrovai ad alzare la voce in quel modo isterico da pianto, quando uno urla anche se non ci riesce e gli manca il respiro. Solo senza lacrime. - Ti importa?! E di cosa?! Ti importa e ti è sempre importato solo dei tuoi giochetti!

Avrei voluto dire altro ma non ne avevo la forza e probabilmente fu un bene, di altre parole mi sarei pentita.

Mi strinse ancora più forte per la vita e le braccia, per non farmi scappare come desideravo tanto. - Evy, calmati, cos'è successo? - Quasi implorò a bassa voce. 

Mi venne da piangere e probabilmente una lacrima mi uscì sul serio. - Mia zia! Okay?! Lasciami andare! Torna a non considerarmi più! La parte del menefreghista ti viene molto più spontanea e naturale, dato che non devi fingere niente!

Le sue mani mi lasciarono sul serio e l'ultima espressione che gli vidi non riuscii a capirla.

Poi mi voltai e scappai via.

Via da Francy che avevo trattato male.

Via dalla scuola che in quel momento sembrava non appartenermi.

Via dai miei impegni che non avevano più importanza.

Via da Max, che forse sarebbe stato meglio se mi avesse stretta più forte, per non farmi scappare in quel modo da tutto.


 


 

Non avevo idea di quanto tempo avessi passato in quella stanza: probabilmente ore, dato che la luce che entrava dalla finestra era già di tardo pomeriggio.

Guardai mia zia, sdraiata nel suo letto, con collarino, flebo e una grande fascia a bendarle la testa. Dormiva ancora, ma mi avevano detto che era normale e di stare calma. Anche i dottori, insieme ad Holly, mi avevano detto di calmarmi.

Perchè tutti mi dicevano di 
calmarmi? Calmarmi quando sentivo di non essermi nemmeno sfogata. Ma alla fine mi ero accasciata sulla poltroncina marrone all'angolo della stanza, vicino al letto, non potendone più.

Elizabeth era stata investita.

A New York ogni giorno veniva investita della gente e le probabilità erano sempre state a mio sfavore.

Scossi la testa, sgridandomi: mia zia stava male e io davo della sfortunata a me stessa. 

Era stata investita, ma a parte qualche contusione e una ferita, più grave delle altre alla testa, che si era procurata contro l'asfalto, stava bene. Holly, si vedeva anche mentre mi spiegava, che per quell'ultima ferita aveva temuto. Ma Elizabeth se l'era cavata con collarino, qualche piccola frattura, un paio di punti e un bel po' di sangue in meno; ma niente di irreversibile, niente che l'avesse portata in fin di vita in sala operatoria, come avevo immaginato drasticamente durante tutto il viaggio in macchina. Sarebbe potuta andare molto peggio, ci avevano tenuto a dire i dottori, sorridendomi.

Fortuna nella sfortuna, ecco. Sospirai e osservai di nuovo mia zia con apprensione. La lasciavano riposare finché poteva, ma avevo una gran voglia di parlarle, come a confermare definitivamente con me stessa che stesse bene.

Guardai il cellulare, cercando per la prima volta di capire l'ora. Mancavano sesanta minuti e le visite non sarebbero state più permesse; io in quanto parente potevo passare la notte lì e sarebbe stato quello che avrei fatto, ma Francy, che due ore prima era partita, doveva muoversi ad arrivare.

Quasi chiamata da quel pensiero, la porta della camera, bianca come tutto il resto, si aprì.

Entrò di corsa Francy, seguita lentamente dalla tarchiata signora Reed.

Io mi alzai e fui letteralmente travolta dalla mia amica.

- Grazie ... - Borbottai, soffocando il viso sulla sua spalla e tra i suoi capelli.

Francy mi accarezzò lentamente la testa e mi strinse davvero forte.

Ci fu un silenzio non imbarazzante, ma un bel silenzio: si riusciva a sentire la gocciolina della flebo.

- Sarai stanca, tesoro, ti vado a prendere qualcosa alla macchinetta? Un thè? - Mi chiese gentile e con fare materno la signora Reed.

Io annuii, da sopra la spalla di sua figlia, e la donna ci lasciò sole: era uscita apposta per quello.

Alla fine ci staccammo, ma intrecciò le dita con le mie con fare affettuoso, e il gesto mi sollevò un attimo, rincuorata.

- Come sta? - Chiese, affrontando il tabù e guardando verso l'unico letto occupato della stanza.

Ci misi un po' a rispondere. - Poteva stare molto peggio, diciamo. Adesso deve riposare e fino a domani pomeriggio, almeno, non credo si sveglierà ...

Francy mi strinse forte la mano. - Mi dispiace di non essere riuscita a venire prima, ma mia madre fino a qua da sola non mi lasciava … E volevo anche restare qua con te la notte, ma non vuole … Domani ti torno a trovare però, a costo di fuggire in treno! - Accennò un sorriso e ricambiai: le guance si alzarono quasi a fatica, ma prendendo coraggio. Mia zia continuava ad essere lì ed ero fortunata.

Francy poi ci sarebbe stata, sempre.

Non ero sola.

Abbracciai di nuovo Francy in un moto d'affetto bisognoso.

Lei rise dolcemente e a bassa voce, influenzata dal luogo. - Vuoi parlarne? Sai che sono qua, sempre; e ci sarò sempre. - A volte sembrava mi leggesse nel pensiero, con quella strana sintonia che avevo visto con frequenza tra Billy e Parker. Pensai all'ultimo e sentii il macigno che avevo al posto dello stomaco, da quando avevo messo piede in macchina, diventare più pesante.

- Ancora no, Francy. Distraimi, per favore.

Continuando ad accarezzarmi i capelli mi raccontò di Hoppus che, nel panico, poco dopo era uscito di classe per andare probabilmente a parlare con la preside e il resto della verifica era stata fatta in comune; lo raccontò con tono leggero, senza soffermarsi troppo sui particolari, davvero per parlare solo di qualcosa a caso.

- Avete sentito? -Pigolai alla fine. Me l'ero chiesta solo sulla poltroncina dell'ospedale, dopo essermi calmata e aver riflettuto su tutto quello che avevo fatto in fretta e furia.

Capì a cosa mi riferivo ed esitò un attimo. - Un po' … Sai le pareti sono di cartongesso e beh … Avete urlato … Ma non si è ben capito il contesto, nessuno ha capito, tranquilla.

Aspettai che continuasse ma non lo fece. - E poi?

- Poi non entrava più … Hoppus è uscito a cercarlo e poi è andato dalla preside. Non so cosa sia successo ma dopo è tornato, Max, e si è messo a finire il test senza dire niente a nessuno. Il Polipo, vedendolo rientrare in classe, è andato su tutte le furie, ma Parker nemmeno lo ascoltava.

La signora Reed arrivò col mio thè, levandomi l'incomodo compito di commentare l'accaduto.

Una buona mezz'ora dopo, forse più, ma era volata così in fretta, le due donne mi salutarono: Francy con la seria promessa di tornare; in cambio le sorrisi con vera gratitudine. Era possibile volere così tanto bene a una propria amica?

Appena uscirono mi sistemai sulla poltroncina, cercando di stare comoda, contro la mia giacca, e rimasi un po' così, con lo sguardo vacuo. La luce mi dava fastidio ma non avevo la forza, né fisica, né mentale, per alzarmi. E mi sentivo piena fino all'orlo di tutta la frustrazione, di tutta la preoccupazione, di tutta la paura.

Cercai con lo sguardo, e poi focalizai, mia zia: i capelli neri e lunghi, simili ai miei, sparsi sul cuscino ma bloccati dalla grande benda. Sembrava dormire tranquillamente, con quel braccio disteso, l'ago e il sottile tubo che ne uscivano.

Tanta paura. Più di qualsiasi altra avessi mai potuto provare.

Sarebbe stato un buon momento per sfogarmi, da sola, su quella poltroncina, ma non ci riuscivo. Ero piena ma non riuscivo a svuotarmi e tremai al pensiero di tenermi tutte quelle brutte cose dentro. Rimpiansi la compagnia di Francy e me la presi stupidamente con sua madre, che non l'aveva fatta restare.

La porta si aprì lentamente. Non mi girai nemmeno, rimanendo al mio posto: l'orario delle visite era appena finito e i dottori probabilmente iniziavano i loro giri di controllo e io non ne potevo più di vedere camici bianchi e persone che mi dicevano di calmarmi.

In quel 
momento ero passivamente calma però, come mi avevano detto di essere. Ma era possibilie che in un certo senso stessi ancora peggio?

La porta venne chiusa, sempre lentamente, come a non voler far rumore.

Finalmente posai lo sguardo verso il nuovo arrivato, che stranamente tardava fin troppo a parlare.

E mi bloccai.

Qualcosa si mosse. Dentro.

Lui abbozzò un sorriso, a disagio.

Parker. Max Parker. Nella stanza 437 del General Hospital, la stanza di mia zia.

Quel qualcosa che si era mosso si spostò definitivamente. E doveva essere un tappo o qualcosa del genere.

Max Parker nella 437. Con la sua felpona rossa da giocatore di basket, nascosta dalla giacca.

Rivolevo il tappo ma ormai era troppo tardi.

Max Parker. Con i suoi occhi verdi che cercavano i miei, incerti.

Era troppo tardi.

Scoppiai a piangere. A dirotto. Singhiozzando ed alzandomi di scatto in piedi.

- Oddio ... - Fu la prima cosa che disse e sentii il rumore di qualcosa che cadeva per terra, ma tra le mie mani con cui cercavo di nascondermi alla vista e gli occhi appannati non capivo niente.

- Gray ... - Mi chiamò e sentii la sua mano appoggiarsi a disagio sulla mia testa. Io ormai ero fuori controllo e non riuscivo a fermare quell'attacco isterico.

- Okay che volevi che non ti considerassi più, ma questa reazione alla mia vista mi pare esagerata - provò a dire, probabilmente per farmi ridere, ma quello che ottenne fu uno sbuffo, un tentativo di sorridere, e alla fine singhiozzi molto strozzati.

Poi si avvicinò e successe qualcos'altro di strano. Non a disagio, ma delicatamente, solo come se non fosse stato abituato a farlo, mi sfiorò con le mani e mi avvicinò. Passivamente, come non ero mai, finii contro il suo petto e non avrei voluto, per non inzuppargli la maglietta, ma lui mi fermò lì, stringendomi. E non erano le sue solite strette, per le braccia, per un fianco, in quei suoi modi contorti, ironici: per tenermi stretta ma non vicina.

No. Quello era un abbraccio.

Automaticamente, a quel pensiero, sollevai le braccia e lo strinsi a me, aggrappandomi alla maglietta. Lui appoggiò il mento sulla mia testa mentre con le mani si muoveva avanti indietro, contro la mia schiena, contro i miei capelli, in un movimento che voleva sembrare distratto, ma erano carezze.

Lentamente cominciai a calmarmi. La schiena smise di sollevarsi a ogni singhiozzo e pian piano si limitò a piccoli colpi, per tornare a respirare normalmente.

- E' vedere la tua … Faccia che mi fa piangere - borbottai alla fine, a fatica, nascondendomi ancora contro il suo petto.

Parker rise piano. - Per l'emozione al pensiero che possa esistere qualcuno di così bello?

Non lo picchiai solo perchè non volevo staccarmi minimamente da lui. - No, perchè è orrenda e fa paura.

- Ah, va bene - rispose con un tono fintamente offeso e facendomi, malgrado tutto, sorridere.

- Come sta? - Chiese a bassa voce e sentii il suo fiato contro i capelli.

- L'hanno investita. Ha perso sangue e … Sta bene. Poteva andare peggio, ci hanno tutti tenuto a dirmi … Collarino e punti e basta - risposi abbastanza sconnessamente, ma ero giustificabile. Sentivo gli occhi caldi e stanchi, di quella stanchezza piacevole: cominciavo a sentirmi meno carica, meno sul punto di scoppiare. Non mi chiesi perchè proprio Parker avesse fatto traboccare il vaso.

Rimase un attimo in silenzio e lo sentii mentre mi tirava i capelli, probabilmente arrotolandoli in un suo gioco strano e non sapevo perchè, ma mi rilassava e avevo proprio bisogno di relax.

- E tu come stai? - Chiese e sembrò quasi dolce.

- Grazie a te meglio ... - Mi pietrificai sul posto appena mi resi conto che a dire quelle poche parole ero stata proprio io, che non mi ero limitata a pensarle. - Cioè, a parlarne con qualcuno sto meglio! - Aggiunsi subito e mi venne da spostarmi per sciogliere l'abbraccio, ma mi trattenne.

Ridacchiò. - E' inutile che correggi, so che intendevi la prima parte senza tanti strani significati! - Commentò con una malizia esagerata, da divertito: voleva solo farmi ridere, non altro.

- Con te non sto mai meglio ... - Ribattei. E stretta tra le sue braccia, al caldo, con il buon profumo di Parker così intenso: suonò tremendamente a bugia.

- Allora, a parte la mia presenza che peggiora tutto, stai bene? - Chiese di nuovo, leggermente divertito.

Schiacciai fronte e naso contro il suo petto. - Non tanto ... - Borbottai. Mi stava spingendo all'angolo facilmente, a confessare le cose che non avevo voluto dire a Francy, che non avevo avuto il tempo di dirle. Ma l'abbraccio e le lacrime appena versate e Max, anche lui, mi rendevano in quel momento tremendamente vulnerabile, era ovvio che fosse quindi così facile per lui riuscirci.

- Tua zia starà bene - mi ricordò, sussurrando.

Rimasi zitta, respirando piano il suo profumo. - Ho avuto tanta paura - confessai, così piano da non essere quasi sentita.

- Tutti ne avrebbero avuta. - Portò la mano tra i miei capelli piano, in una carezza, senza chiedermi di alzare lo sguardo.

- Mi sarei sentita davvero … Sola, senza di lei ...

- Non lo saresti stata.

- Abbastanza ...

- No, ci sarebbe stata Francy - mi ricordò, tornando a rifarmi piano la stessa carezza di prima e continuando, lentamente. - Poi quell'altra morettina che vi portate dietro, ogni tanto. E quei due sfigatelli del tuo giornaletto, anche se loro preferirei non averli attorno, al tuo posto - finì, ridacchiando.

Rimasi un attimo in attesa, non rispondendo e lui capì che doveva continuare.

- Ah, poi avresti avuto Kutcher, visto che se continua così sarà presto accoppiato, o almeno si illuderà di essere accoppiato, con la tua amichetta.

- Quanta gente ... - commentai e mi sfuggì una breve risata, o almeno, un tentativo di farla.

- Ah e poi Billy, gli stai simpatica; non so perchè visto il tuo caratteraccio. - Gli diedi un pizzicotto sul fianco, senza staccarmi.

- Visto?! - Si lamentò fintamente. Poi tornò serio, ricominciando la carezza. - Ma tutto è andato bene. C'è tua zia e ci sarà ancora e tutti quelli che ho nominato ci saranno. Altro che sola, misantropa, manderai tutti a cagare.

Alzai finalmente il viso. Immaginavo che faccia a chiazze, che naso rosso, che occhi osceni, potessi avere, ma non importava. Cercai il suo verde e ci guardammo: io non sapendo se parlare sul serio, lui in attesa.

Ero giustificata?

Sarei stata giustificabile come mentalmente confusa per quasi trauma e lacrime e per avere quegli occhi addosso? Giustificabile per ogni cosa che avrei detto?

Probabilmente no.

Ma lo dissi comunque: - E tu? - Lui ci sarebbe stato?

- Io? - Chiese, ma aveva capito. Cercò di evitare il mio sguardo, passando a osservare i miei capelli con cui tornò a giocare.

Cambiai la domanda originale con un'altra, ma sembravano così simili. - Perchè sei qua?

Esitò, ma nell'indecisione che gli vidi correre negli occhi sembrò arrendersi: - Ero … Ero … Per … Insomma, per venire a trovarti ... - Borbottò, accigliandosi. 

Sbuffai lievemente: mi sembrava ovvio. - Ma perchè? - Mi sentivo tanto una di quelle bambine piccole, con i perchè facili.

Sciolse l'abbraccio e per un attimo temetti di cadere per terra, ma riuscivo a sostenermi anche da sola, quasi mi sorpresi; capii solo mentre traballavo in avanti il motivo della reazione improvvisa.

- Evelyne? - Holly dallo stipite dalla porta, un po' sorpresa, mi osservava curiosa. Non avevo sentito la porta che si apriva?

Arrossii leggermente, sorpassando Parker che si passava una mano tra i capelli, impassibile, e andandole incontro vidi che guardava perplessa il castano.

- L'orario di visita è finito da un po' ... - disse guardando l'orologio e lui.

- Non ne avevo idea ... - mi giustificai. - Adesso se ne va ...

- Posso rimanere anch'io? - Chiese invece lui, di getto, sorprendendo entrambe. - So che potrebbe solo una persona, un parente, ma Evelyne è minorenne ed è per farle compagnia. Non disturberei nemmeno un altro paziente visto che nella camera c'è solo Elizabeth! Non parleremo né faremo niente di rumoroso, prometto! Sarò buono! - Disse tutto velocemente.

Ad Holly venne da ridere, ma lo guardò dispiaciuta. - Mi dispiace, ma non credo proprio che ...

Parker si avvicinò. - Provi a chiedere; un'eccezione!

Holly mi guardò, un po' indecisa, probabilmente se chiedere sul serio a uno dei dottori del reparto. - Ci terresti tanto, Eve?

Perchè tutto a un tratto per quella richiesta fatta da lui ero io quella a tenerci tanto? Ma in effetti ... Pensai a come mi ero sentita prima del suo arrivo, in quei pochi minuti da sola, pensai a come dovevo apparirle anche, in quel momento. - Prova a chiedere, per favore ...


 


 

Sistemai le coperte a mia zia. Il riscaldamento era ancora acceso ma era un febbraio abbastanza freddo, ancora, e degli spifferi entravano dalla finestra.

La guardai sempre con fare apprensivo, ma in modo diverso. Ero più rilassata, in un certo senso, ed ottimista: sapevo che si sarebbe ripresa e che forse già il giorno seguente avrei potuto parlarci ed abbracciarla.

Continuavo ad essere triste per quella situazione, per lei, ma andava meglio, mi sentivo meglio. E quello era grazie a Francy e la signora Reed. E a Parker.

- Non avevano purè, mi dispiace - sentenziò subito, entrando velocemente nella stanza e mordendo già il suo panino.

Mi girai a guardarlo scettica, ma mi sfuggì un sorriso. - Va bene lo stesso.

Il capo-reparto, pregato dall'infermiera Holly aveva accettato, solo per quella prima sera, che ci fossero due “parenti” (Parker era diventato mio “cugino”) in camera. Nel caso fosse arrivato un secondo paziente a occupare il letto vuoto, Max se ne sarebbe dovuto andare, ma eravamo ottimisti.

Quanto ottimismo nell'aria!

Mi allungò il panino e mentre sbirciavo all'interno il tipo di farcitura, si sedette nella mia poltroncina. Lo guardai male, ma ero ancora scombussolata per il pianto e non dissi niente.

Quanto ottimismo e quanta accondiscendenza nell'aria.

- Comunque, come facciamo? - Chiese, arrivato già a metà del suo panino.

- Cosa? - Domandai dopo aver ingoiato lentamente e a fatica il primo morso, perchè okay ottimismo, ma il mio stomaco era ancora chiuso.

- Dormiamo sul secondo letto?

- Ma no, Holly poi ti caccia definitivamente - ribattei e lo osservai perplessa; poi diedi per la prima volta un'occhiata alla stanza: due letti e una poltroncina.

C'era un ovvio problema, ovvio ma non l'avevo notato.

- E come hai intenzione di fare? - Chiese divertito.

Guardai lui e la poltroncina. - E' mia.

Mi lanciò uno strano sguardo di sfida. - Io da qui non mi muovo.

Non poteva sul serio pretendere che dormissi per aria! - E dove dovrei dormire?!

Mi lanciò un'occhiata verdognola abbastanza intensa per poi esordire con un: - Non è problema mio!

L'avrei ucciso.

Mi avvicinai, brandendo il panino e pronta a schiacciargli gli attributi, se ce li aveva, con un ginocchio.

- Ti preferivo prima! - Si lamentò, ridendo però e cercando di tenermi lontana.

Mi ribellai offesa a quell'accenno alla mia crisi isterica e provai di nuovo a picchiarlo, senza molti risultati.

Alla fine mi arresi e mi misi tranquilla a cercare di finire il panino. 

- Se me l'avessero detto subito che la tipa del giornalino era una violenta, con te non ci avrei voluto avere niente a che fare ... - Si lamentò, facendo la vittima e scuotendo la testa.

- E' la tua influenza. Se fossi stata così ad ottobre ti saresti ritrovato morto nel parcheggio - ribattei. E parlare così normalmente del giorno del ricatto con lui mi sembrò strano.

- Ah, che bei ricordi - sospirò esageratamente. - Anche quel giorno stavi per metterti a piangere, ma era più divertente da vedere ...

- Dio, Parker, ti uccido oggi! - Ringhiai.

Lui scoppiò a ridere e provò a farmi un'espressione dolce. - Ma ho detto una cosa carina! - Protestò.

- In un'altra dimensione e detto ad un'altra ragazza forse sarebbe carino! - Scossi la testa, non approvando e continuando a mangiare.

Parker aveva finito e, senza nemmeno alzarsi, centrò con un tiro il cestino lì vicino. Non commentai perchè non ne valeva la pena.

Poi si mise ad osservarmi e sentii, mentre mangiavo e provavo a non muovere troppo la mascella, in soggezione, i suoi occhi sondarmi in modo particolare. Successe qualcos'altro di strano. Un'altra volta. Le mani, che stringevano l'involucro del panino, cominciarono a sudarmi e senza nemmeno rendermene conto probabilmente arrossii. Dopo quella sua breve analisi, dovuta a non sapevo nemmeno cosa, sorrise leggero e si diede un colpetto sulle gambe. - Vieni - ordinò, come ad un cane.

- Eh? - Lo guardai come un pesce lesso.

Ricambiò scetticamente lo sguardo per prendermi in giro.

- Non mi siedo sulle tue gambe - esclamai irritata, riprendendomi a quell'occhiata.

- Non dirlo in quel modo lì, cuginetta, la fai sembrare una cosa peccaminosa! - Commentò ironico, ma ammiccando.

Boccheggiai avvampando. - Non mi chiamare cuginetta! - Riuscii solo a ribattere.

- Dovrai pur dormire da qualche parte ... - Ribatté tranquillo. - Se tengo le gambe aperte e tu ti appoggi qui, dopo romperai solo alla mia spalla, ma ormai quella si è abituata.

- Ma parli sul serio? - Continuavo a non credere che quella proposta, fatta con quegli occhi divertiti, che non promettevano mai nulla di buono, fosse seria.

Sorrise e sul serio, pochi minuti dopo, appena finii il panino e facemmo una piccola andata e ritorno dal bagno lui si risedette sulla, ormai, sua poltroncina, mentre io spegnevo la luce della stanza.

Non lo guardai e andai dalle finestre, oscurandole, aspettandomi già la luce forte l'indomani.

- Quindi, davvero? - Chiesi nella quasi più totale oscurità.

- Sì, su ... - Borbottò, soffocando le parole in uno sbadiglio.

- Poi tu domani non dovresti andare a scuola? - Gli chiesi, andando a memoria dalla sua parte.

- Ti uso come scusa per saltare, contenta?

- Basta che nessuno si metta a inventarsi qualcosa, visto che stiamo a casa lo stesso giorno ... - Andai a sbattere contro il suo piede e mi fermò toccandomi una gamba.

Sobbalzai.

- Ti aiuto a sistemarti? - Mi domandò e dal tono della voce mi uscì automatico il “no”.

Provai a sedermi quindi alla cieca, come mi aveva detto prima lui.

- Porca troia! Evy! Mi hai schiacciato le ...

- Non voglio sapere! Non voglio sapere! - Esclamai subito e mi feci guidare dalle sue mani e in qualche modo ce la facemmo. O almeno, io ero comoda, lui dubitavo.

Ci fu un po' di silenzio.

- Grazie ... - Borbottai, all'improvviso.

Lui sbuffò divertito e con le braccia mi sistemò in modo da stare più comodo: la mia testa contro la sua spalla e lui appoggiato a me. - Di niente.

- E perchè?

- Perchè di niente? Si risponde così, di solito, no?

- Sai cosa intendo ...

Ridacchiò. - Faccio sempre il contrario di quello mi dici: e hai detto stamattina che non dovevo considerarti, quindi.

- Ho detto che potevi continuare a non considerarmi, lo stavi già facendo - parlai chiaro, aiutata come sempre dal buio. Incolpai ancora quelle lacrime traditrici di prima, che ormai mi avevano resa debole come un ramoscello: tutte quelle affermazioni dirette, con Parker!

- Ti sei offesa? - Chiese divertito.

- E tu eri preoccupato? - Ribattei a tono.

Lo sentii fare una smorfia contro i miei capelli. - Siamo pari?

- Solo perchè ti sei fatto due ore di macchina e probabilmente perderai l'uso del braccio dopo stanotte, quindi okay - concedetti.

Non rispose subito. - Stasera assecondi tutto, sei quasi carina - notò.

Lo ignorai. Strofinò leggero il mento, quasi senza rendersene conto, contro la mia testa e sentii il principio di una corta barba che stava ricrescendo.

- Perchè? - Chiesi ancora.

Smise di graffiarmi il cuoio capelluto. - Smettila con questi perchè ...

- No. Perchè mi stavi ignorando? - Anche quella domanda mi uscii diretta e pur non vedendolo sapevo di averlo preso in contropiede.

Esitò davvero tanto. - Boh - rispose alla fine. Mi venne quasi da sorridere esasperatamente, pensando che era esattamente quello che aveva detto Billy.

- Dopo la serata da finti amici era difficile tornare alla normalità? - Chiesi più a me stessa che a lui, però mi sentì.

- Ma sai, Evy, comincio ad avere un dubbio ... - Disse piano e sentii qualcosa di morbido che mi sfiorava i capelli: senza pensarci molto seppi che erano le sue labbra.

- Cioè? - Più tardi mi sarei sentita in colpa. Perchè in quel momento non mi sembrava nemmeno più di essere all'ospedale, nella stanza di Elizabeth Gray, ero con Parker e basta. Ed era sbagliato, tremendamente sbagliato come comportamento, come reazione, che stesse succedendo quello con Parker.

- Comincio ad avere il dubbio che in realtà noi siamo amici.

Non seppi nemmeno perchè, ma sentii uno strano nervosismo a quelle parole. - Max Parker ed Evelyne Gray, amici? Ti ricordo che mi hai ricattato e continui a farlo - gli feci presente, ma ero ansiosa di sentirlo continuare.

Lui rise. - Lo so. Ma a volte non viene da pensarlo anche a te? Perchè ... Non ti viene?

Più o meno. - No.

- Nemmeno quando parliamo di cose normali, ogni tanto, ultimamente più spesso? Finché non dico qualcosa che ti imbarazza e si nota parecchio quando ci riesco, ti comporti da amica. Ma anche quando ti imbarazzi e fai la finta frigida o vuoi picchiarmi è diverso da ottobre ... Le cose sono diverse da ottobre. Non lo senti?

Lo bloccai. Il mio cuore stava andando a mille per quelle poche argomentazioni e non capivo davvero il perchè. - Quindi?

- Siamo amici? - Chiese di nuovo, divertito.

- E non sono frigida ...- mi lamentai, accigliandomi, ma non riuscendo ad assumere il solito tono acido. Ancora per colpa del battito impazzito.

- Ho detto finta, infatti. - E solo con la voce stava ammiccando.

- Forse sì …

- Forse sei frigida?!

- No, idiota. Forse sì siamo amici. Due ore di macchina per me te le sei fatte, alla fine ... - Ricordai per continuare a fargliela pesare.

Rise. - Quindi amici? Però la storia della foto rimane ...

- Vaffanculo.

- Mi ci sono affezionato, insomma ... - Si lamentò, ma non diceva sul serio.

- Vaffanculo.

Mi diede un colpo col mento. - Rispondi alla domanda!

Feci una smorfia. - Amici un po' particolari - concessi e un po' per disturbarlo, un po' a caso, mi misi a giocare con la sua maglietta.

- Con beneficio? - Chiese stupidamente.

Mi uscii una piccola risata. - No, idiota. Amici che si odiano.

- Che si sopportano, dai - provò a correggere, divertito.

- Io non ti sopporto mica! - E in quel momento, così comoda e tranquilla, accoccolata contro di lui, era evidentemente una bugia. Rendermene conto mi fece arrossire e ringraziai il buio.

- Ma non mi odi, per niente. Che litigano a volte, diciamo.

- Spesso. E amici in cui lei picchia lui, quando se lo merita, quindi sempre.

- Un'amicizia violenta, quanto sarà dura uscirne ... - Commentò con fare drammatico, ma l'ultima parte mi fece cominciare a mordere l'interno guancia, nervosamente.

Le sue mani sfiorarono le mie, che gli avevano appena lasciato la maglia. Al contatto sentii le dita bruciare, ma non mi spostai.

- Che si ricattano - aggiunsi a bassa voce.

- Fondamentale. - Ridacchiò facendo tremare, come sempre quando l'abbassava, la voce in quel suo modo caldo e roco.

- Amici che in qualche modo si fanno compagnia. - Il buio mi rendeva stupida, notai, stupida per dire quelle frasi con così tanta semplicità.

- E si consolano … Anche se si odiano.

- Non abbiamo appena detto che non ci odiamo?

- Ah-ah! Quindi ammetti di non odiarmi!

- Sfigato.

Rimanemmo un po' in silenzio ad ascoltare il rumore delle numerose macchine fuori dalla finestra, i passi di dottori e infermiere fuori dalla porta, poi noi che semplicemente respiravamo. - Siamo un po' strani - notai, mentre tornavo a mordicchiarmi le labbra, facendo uscire sangue dalle ferite che avevo aperto in macchina.

- Particolari, no? - Disse piano, senza presa in giro o divertimento nella voce.

- Vero - borbottai.

La sua mano, dalle mie, salì lungo il braccio. Mi sfiorò la maglietta leggero, ma percepivo il tocco sulla pelle; poi raggiunse la spalle e il collo. Io ero rimasta in attesa, lasciandomi perdere le labbra, ferma e quasi febbricitante, da come mi sentivo.

Lo vidi mentre leggermente si chinava.

- Se sei un vampiro e stai per succhiarmi il sangue, dimmelo che ti elimino dalla lista degli amici! - Lo minacciai, cercando di buttare, il prima possibile, l'atmosfera sullo scherzoso, ma la mia voce era un soffio e chissà cosa pensava lui.

- Io volevo baciarti, in realtà ...

Non riuscii più a fiatare, definitivamente, il cuore smise davvero di battere, il sangue di circolare, sentii freddo e caldo allo stesso momento. E aveva solo promesso un bacio, un bacio come me ne aveva già dati.

Chiusi gli occhi di riflesso, così tanto da vedere le stelle nell'oscurità totale, e poi sentii le sue labbra, morbide, sulla mia fronte. In un bacio delicato, senza malizia, senza niente tranne … Tranne cosa? Mi chiesi.

Tutto riprese a funzionare, nel mio corpo. Presi aria velocemente e lui non tardò molto ad allontanarsi di nuovo; il cuore ricominciò prepotentemente la sua normale attività. Mi lasciò una lieve carezza sul collo, sfiorando l'attaccatura dei capelli e poi allontanò la mano anche da quello.

- Amici ... - Sussurrò, impassibile.

Dopo si sistemò meglio, spostandomi leggermente e nessuno dei due parlò più, né io né lui; mi limitai ad appoggiarmi alla sua spalla.

Ma io ero concentrata in quello strano tumulto interiore, quell'assemblea straordinaria dei miei pochi neuroni rimasti, il caos degli ormai troppi ormoni presenti.

Forse stavo anche diventando schizofrenica.

Una vocina mi rimbombava in testa, superando in caos la testa che girava e lo stomaco in subbuglio. Una vocina che forse era più una consapevolezza, un pensiero che stava prendendo dal nulla sempre più consistenza. Ma come poteva essere partito dal nulla?

- Guarda un po', Eve - continuava a dire. - Che tonta, Eve - continuava a sgridarmi. - Alla fine ci sei cascata anche tu, eh?

Provavo a giustificarmi, con me stessa, degna da rinchiudere.

Provavo a giustificarmi ma non ci riuscivo.

- Ci sei cascata un po' come tutte!

Feci una smorfia a quel pensiero. Perchè non era come tutte. Era impossibile che tutte sentissero come me quella fitta all'altezza del petto. Esattamente in quel modo, esattamente per le stesse cause.

- Di Max Parker, ti sei innamorata di Max Parker, nonostante tutto. Che stupida, Eve.

No, no. Era decisamente impossibile, soprattutto per una come me.

- Sicura? - Mi rispondevo però da sola.

Non molto.

 

 

 

Angolo autrice

NON LINCIATEMI!
AHAHAH no premetto che il ritardo questa volta non è colpa mia! Il computer mi voleva uccidere e aveva SIMPATICAMENTE cancellato questo capitolo. Sono dovuta andare alla sua ricerca tra pagine e pagine di conversazione con una mia amica e alla fine l'ho trovato ... Somma fatica e tanta disperazione. Eccolo qua però :D
Questi capitoli di seguito sono con il punto interrogativo non a caso. Evelyne poi si fa ultimamente più domande del solito, è confusa e tutto e alla fine arriva a dirsi (e a chiedersi) quello che c'è scritto nelle ultime righe.

Spero che vi sia piaciuto :D
Succedono taaante cose! E mi dispiace per quello che succede ad Elizabeth ma ho i miei scleri e mi vengono queste idee e boh e ... Vabbè .
In questo capitolo uno degli eventi principali è che comunque Evelyne capisce. Qualcuno forse starà gridando all'"allelujah"/"era ora", ma Evelyne solo adesso chiarisce (abbastanza, lo nega ma lo sa ormai) di provare davvero qualcosa per Max.
I motivi dovrebbero essere chiari e in questo capitolo nemmeno lei può più ignorarli.
Alcune avevano indovinato il motivo della chiamata e praticamente tutte che la litigata sentita fosse tra Parker ed Eve :D
GIURO che la prossima volta aggiorno prima . Okay, non giuro, ma ci provo! :3

 

Direi alla prossima, vorrei tanto sapere cosa ne pensate di questo capitolo, scriverlo è stato difficile e spero di avervi comunicato tutto quello che volevo su Evelyne e Max :)

Amo Maxuccio <3

Alla prossima, care! E grazie mille a tutte quelle che continuano a mettere la storia tra le preferite, le ricordate e le seguite e che commentano, vi adoro tutte :)

Alba.

 

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Capitolo 20
*** Confusione ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

 

19. Confusione
 


 

Cosa significava essere innamorati?

Canzoni, poesie, libri, una coppia di anziani a braccetto, ogni nuova vita, tante cose dimostravano l'esistenza dell'amore.

Ma riuscire a definirlo era un altro paio di maniche.

Avevo sempre saputo di non essere innamorata di Sean, ma non me n'ero mai preoccupata molto; mi ero sempre detta semplicemente di non essere il tipo di ragazza che un giorno sarebbe riuscita a innamorarsi: credevo che l'amore esistesse, ma supponevo anche che per alcuni tipi di amore servisse una specie di “predisposizione”. Come quelli che ad ogni spiffero freddo dentro casa si ammalano, contrapposti a quelli a cui non succede nulla nemmeno girando nudi per strada di inverno; ecco, pensavo solo che le mie difese “immunitarie” fossero troppo forti, incontrastabili.

Ma invece eccomi lì.

Il cliché più tipico dell'intero universo.

Mi ero ammalata. Per colpa sua.

Un virus castano, con una faccia da schiaffi e gli occhi verdi, che avrei sempre voluto avere, mi stava invadendo. Anzi, aveva già concluso l'invasione. La malattia da quando aveva iniziato ad incubare?

Si era insinuato dentro quando avevo abbassato la guardia? A casa sua di notte? A colazione? Nel corridoio fuori dalla classe? Durante l'abbraccio in ospedale? O prima?

Il virus Parker aveva iniziato ad insinuarsi anche nelle cellule celebrali e non sapevo, non capivo quando potesse essere successo e soprattutto come.

Sapevo solo di sentirlo.

L'unico modo in cui avrei potuto definire l'amore, oltre che come una tremenda e mortale malattia, era che si sente. All'ultimo però, si sente fin troppo tardi, e quando lo si percepisce fin nella punta dei piedi è ormai fatta. Ma io non lo volevo! Non potevo volerlo sul serio! Esisteva la cura?

Probabilmente sì, dato che quel virus era così comune.

Ma perchè avevo l'orribile sensazione che io sarei stata la prima e l'unica a morirne?

O forse, al contrario, sarei stata la prima e sola a sopravviverne?


 

 

Mi svegliai di colpo, sentendomi quasi soffocare dalla felpa e con un ciuffo di capelli appiccicato alla tempia sinistra per un velo di sudore freddo.

Provai a muovermi, scombussolata, non riuscendo bene a collegare la testa col corpo: dov'ero?

Due mani ferme mi bloccarono. Riappoggiandomi al suo corpo mi ricordai tutto.

E ricordai anche i vari incubi: mia zia, la telefonata, il corridoio scolastico che non finiva più e non mi permetteva di uscire.

Mentre una mano, stranamente fredda di Max, mi raggiungeva la fronte, aggrottai le sopracciglia: avevo anche sognato Parker sotto forma di tanti piccoli batteri che invadeva il corridoio per poi provare a uccidermi. Quella parte era stata la più ridicola ma forse anche quella che mi aveva scombussolata di più, seppur in un altro modo.

- Forse hai la febbre …

Scossi la testa, ad ogni battito di palpebre le immagini mentali. che stavo provando a riafferrare, scivolavano via sempre più.

Quando lo guardai per la prima volta, incrociando quel colore che non ero ben riuscita a sognare, i pensieri che avevo avuto la sera prima e che avevano contribuito a tormentarmi durante la notte rimasero fissi in mente.

Max sorrise ed era un vero sorriso; mi aspettavo da me stessa una qualche reazione strana dopo la piccola rivelazione della sera precedente, qualcosa di drastico in stile autodistruzione insomma, ma niente stava accadendo; mi limitai ad incantarmi, un attimo disorientata.

Ma fu proprio lui a risvegliarmi velocemente: - Credo di starti vedendo nelle condizioni più inimmaginabili ultimamente: sei proprio orrenda! - Commentò, mantenendo il sorriso.

Che non era un vero sorriso, dopotutto, ma il solito ghigno ironico.

Mi si dipinse immediatamente una smorfia in viso: - Ma tu che cazzo vuoi dalla mia vita?!

Scoppiò a ridere. - Sinceramente? Credo di avertelo già detto: ti uso come scusa per non andare a scuola! La cara preside è un poco arrabbiata con me, non ho ben capito il motivo, ma la vita va così e mi tocca evitarla!

Lo mandai a cagare e mi alzai frustrata (in realtà quasi caddi per terra dalle sue gambe) e il cambiamento rapido mi fece girare la testa. Mi ignorai comunque e marciai verso mia zia, tirandomi i capelli all'indietro e sentendomi uno straccio. Uno straccio appena uscito da una centrifuga e confuso più che mai.

- Come se tu riuscissi ad essere bello anche di prima mattina! - Ribattei alla fine, girandomi dalla sua parte, scocciata, appena arrivai al letto.

Rise ancora, alzandosi e sistemandosi la maglietta stropicciata, di uno strano buon umore, mentre io verificavo con gli occhi quanto la mia ultima affermazione fosse falsa. - Anche? Mi stai confessando che normalmente lo sono?

Esitai un poco, presa in contropiede, ma cercai di riprendermi subito. - No. Sei sempre orrendo, cugino di merda! - Ringhiai, provando a costruire velocemente una sorta di muraglia tra me e lui.

Alzò gli occhi al cielo con fare ironico e stiracchiandosi si avviò verso la porta. Il muro crollò in un attimo e lo guardai allarmata, non seppi mai se colse lo sguardo, ma mi parlò velocemente: - Ti vado a prendere un caffè, ho visto delle macchinette vicino alle scale per salire, in una specie di sala d'attesa - provò a spiegarmi e, con uno sguardo un po' diverso, sparì dopo aver aperto la porta.

Rimasi quindi di nuovo da sola.

Ero un caso disperato e cominciavo ormai a temere di soffrire di sindrome dell'abbandono, legata a quella di Stoccolma, da quando lo conoscevo.

Mi sfiorai la fronte, sollevando lentamente la mano fredda ed effettivamente mi sentii calda. Tornai a guardare mia zia, nella stessa posizione della sera prima, con una strana spossatezza addosso che provai ad ignorare, come tutto il resto.

Osservai i capelli sporchi sparsi sul cuscino, che cercai di ordinarle con un gesto leggero, poi le palpebre chiuse e rilassate, le labbra distese in una piega morbida e simile alla mia. Qualcosa mi faceva pensare che stesse meglio, in quel temporaneo oblio, meglio della sera prima; o forse, pensai, forse ero io a stare meglio.

Non lo sapevo, come ormai non sapevo fin troppe cose, ma sorrisi: quello stesso giorno si sarebbe svegliata. Importava altro?

- Zia, svegliati presto che ho bisogno di supporto morale! - Le sussurrai, per poi sentirmi subito dopo una pazza.

Mi risollevai immediatamente dal suo orecchio e sospirando andai a sollevare le tapparelle, riempiendo la stanza di una fin troppo intensa luce invernale. Che ora era?

A distogliermi dai miei pensieri bastò la porta, che si aprì rumorosamente.

Mi girai e incrociai subito gli occhi di Max, che mi fece cenno con la testa di raggiungerlo, fuori dalla stanza.

Esitando eseguii, con una strana ansia nello stomaco mentre mi avvicinavo sempre più.

- Cosa c'è? - Chiesi, fermando la porta con la mano ma continuando a restare dentro.

- Esci un attimo. So che non sarebbe davvero come prendere aria, ma ti farà bene - mi disse, abbozzando un sorriso e porgendomi il caffè.

Con una smorfia lo presi e provando a guardarlo il meno possibile uscii.

- Continui ad assecondarmi quasi volentieri, sarà un cambiamento definitivo questo? - Domandò, ridacchiando ed appoggiandosi al muro di fianco alla porta, che si richiuse piano da sola.

- E tutta questa tua gentilezza? - Ribattei senza guardarlo.

- Non si risponde a una domanda con un'altra domanda! - Mi ricordò, ignorandomi.

Sospirai frustrata, sapendo che in ogni caso avrei dovuto sempre assecondarlo. - Ovviamente no, Parker, appena mi riprenderò tornerò a detestarti - borbottai, imitando la sua posizione e fissando la parete di fronte. Sapevo che non era vero.

- Quindi adesso non mi detesti? - Chiese logicamente e dandomi una spallata ammiccante, più scherzosa che altro.

Stava provando a comportarsi normalmente fin da quando ci eravamo svegliati, ma io non mi sentivo normale e non solo per il motivo che mi aveva portata all'ospedale, ma anche perchè Max non poteva essere più la mia nemesi, il ragazzo a cui semplicemente rispondevo male e che trattavo nel peggiore dei modi possibili perchè bisognava fare così. Io semplicemente non potevo più essere normale, come prima, con lui.

Alzai lo sguardo finalmente e lo guardai in faccia, osservando con fin troppa attenzione i lineamenti, il sorriso, le labbra, il piccolo neo, i capelli e poi alla fine gli occhi verdi; mi ritrovai a desiderare di capire che tutto quello che potevo provare per lui fosse dovuto al semplice fatto che Max fosse bello.

Ma sapevo purtroppo che non era così. Sarebbe stato troppo facile in quel caso trovare la medicina per curarmi. Parker era diventato davvero bello durante quei mesi, mentre negli anni precedenti era solo stato il ragazzo fin troppo vanitoso per quel che in realtà era, ai miei occhi. E c'erano dei motivi che l'avevano fatto cambiare alla mia vista ed erano i motivi per tutto il resto.

Risposi mentre la sua espressione iniziava a cambiare. - No.

E alla confusione mentale continuava ad accompagnarsi il perenne malessere che mi faceva contorcere lo stomaco e guardare Max con la strana voglia di abbracciarlo, di avvicinarmi il più possibile: ero stata così bene dopo tutto la sera prima, tra le sue braccia.

E lui non staccava gli occhi dai miei.

Mi sentii prendere leggermente per il bordo della felpa e senza abbassare lo sguardo, troppo incatenato al suo, seppi che erano le dita di Parker.

- Evy, non ...

Cosa?

- Evelyne!

Sobbalzammo entrambi e trattenni a stento il bicchierino di caffè (ormai freddo) saldo in mano.

Cercai velocemente con gli occhi chi mi aveva chiamato e trovai, rimanendone basita, mia nonna e zia Molly.

Lo sguardo di mia nonna Cecilia restava piantato su di me, mentre si avvicinava con quella strana lentezza e austerità tutta sua; mia zia, tenendosi dietro di lei, quasi in disparte, vagava con gli occhi, di quello strano verde sporco, da me a Max.

Max.

I miei parenti.

Max e i miei parenti. Un binomio che forse non rappresentava tanto un ossimoro come il castano e me, ma di certo due cose che sarebbe stato meglio se non si fossero mai incontrate.

Ed era possibile che mi fossi ricordata solo in quell'esatto momento di avere un'altra parte della famiglia che era ovvio sarebbe poi venuta a trovare Elizabeth?

- Cecili … Nonna! - Salutai, a disagio, cercando di riprendermi il prima possibile. - Molly!

- Tua zia è qua? - Chiese, raggiungendoci definitivamente e accennando alla porta.

Annuii, fin troppo presa alla sprovvista per fare altro. Mi sembrava di essere stata sorpresa a disegnare coi pennarelli sul muro, come avevo fatto una volta da piccola. Le espressioni delle mie due parenti non erano identiche, ma assomigliavano in qualcosa a quella di zia Lizzy quando mi aveva scoperta nel pieno dell'opera.

Eppure non avevo fatto niente di male!

- E chi è il tuo amico? - Chiese Molly, che non si era nemmeno mossa come sua madre.

Oscillai con lo sguardo da loro a Parker, che mi lanciò un'occhiata di sottecchi.

- Max Parker, piacere di conoscervi - rispose rapido, dopo aver colto non sapevo nemmeno cosa nei miei occhi.

Cercai di recuperare. - Loro sono mia nonna Cecilia e mia zia Molly - abbozzai una presentazione con dei nervosi cenni di mano.

- Max? - Ripeté Cecilia, osservandolo con una strana curiosità. Il sopracitato annuì, tornando ai suoi sorrisi ammalianti, come ricordandosi di averli.

Mia nonna non aggiunse altro e si avviò verso la porta, seguita da Molly.

Parker ed io rimanemmo per pochi secondi fuori, da soli. - Scappa - gli sussurrai nel panico.

Lui rise e mi guardò divertito. - Non fare l'esagerata! Comunque tra un po' me ne andavo in ogni caso, adesso cerco di fare la figura del bravo ragazzo e definitivamente tutta la famiglia Gray mi amerà - sussurrò, entrando in camera anche lui e ammiccandomi.

Rimasi per un attimo nervosamente perplessa, non capendo se mi stesse inserendo tra quelle che lo amavano, facendomi capire di sapere quello che -probabilmente- provavo; ma mi rilassai, riosservando il suo sorriso e lo seguii sospirando, dandomi della paranoica. - Sei fuori strada allora.

Entrai nella stanza e Molly stava uscendo in quel momento di fretta dal bagno, con un vaso che aveva appena riempito d'acqua, per sistemare i fiori di cui stavo notando la presenza solo in quel momento.

L'atmosfera pacata, statica che si era creata fuori da quella porta, nonostante infermieri, rumori, chiacchiere, si era velocemente frantumata e anche il tempo sembrava scorrere e muoversi con fretta ora, proprio come mia zia.

- Come mai, Max, sei già qua? Le visite si sono appena aperte.

Sorseggiai il caffè, chiudendo gli occhi a quell'evidente domanda retorica di Cecilia. Si capiva perchè fosse già là: nonostante Parker avesse un aspetto decisamente di molto migliore al mio, l'aria stravolta da appena sveglio, gli occhi assonnati da qualcuno che ha dormito poco e male, e la maglietta stropicciata per la poltroncina, parlavano abbastanza chiaro.

- Ho dormito qua - rispose sinceramente Max, sorridendo ed avvicinandosi alla poltrona, per sedersi sul bracciolo. A me andò quasi di traverso la bibita che non potevo davvero farcela a bere.

Molly rimase con i fiori per un poco sospesi sopra il foro del vaso, a guardarci sorpresa; Cecilia rise leggera, leggermente divertita dal tono con cui Parker aveva risposto, non da altro.

- E ve l'hanno permesso? - Chiese, quasi davvero curiosa, sistemando il cuscino a zia Lizzy.

- Sì.

- C'è Holly in questo piano e ci ha fatto questo favore … - Risposi meglio io, provando a tagliare corto e a impedire che quei due continuassero a parlare.

- E come mai? - Fu l'ennesima domanda, fatta sempre dalla stessa donna che continuava a non guardarci.

- Direi che almeno una persona serviva per fare compagnia ad Evelyne ed ero definitivamente l'unico ad essere qua. - La frase di Max detta con tono pacato era, a tutti gli effetti, un'accusa. Alla faccia della figura del bravo ragazzo.

Questa volta scappò una leggera risata scettica a Molly.

- Noi non potevamo esserci ieri, come suo nonno adesso non può esserci, ma arriverà, come abbiamo fatto noi. Poi, ragazzino, mi sembra che Evelyne fosse in grado di passare una notte da sola, per una cosa del genere, senza badanti: ha passato di peggio lei. - Cecilia stava rispondendo a tono alle risposte, forse non gentilissime, di Parker, ma quelle parole finirono per far stare male me: certo che avevo passato di peggio, crescere sapendo di aver perso la propria vera madre e di essere stata abbandonata dal padre e il resto della famiglia era peggio. Tenni lo sguardo basso sul liquido nero, provando a finire di bere tutto il caffè.

- Lo so anch'io - continuò Max.

- No che non lo sai!

Abbassai il bicchiere. - Non lo sai nemmeno tu, nonna - decretai freddamente, guardandola, perchè lei non c'era stata, da subito, in entrambi i casi in cui avevo avuto bisogno.

Mi arrivò in risposta uno sguardo severo ma, mi sorpresi a notarlo, addolorato. - Invece sì. Tua madre era mia figlia dopo tutto, così come Elizabeth - rispose solo, per poi tornare a guardare mia zia, distesa nel letto.

Molly continuò a sistemare i fiori, toccandoli anche se ormai erano perfettamente al loro posto.

Osservai ancora un po', stringendo il bicchiere, mia nonna e forse per la prima volta la vidi anche come una madre. Mi sentii in colpa per qualcosa che nemmeno riuscivo a capire.

Persa nei pensieri mi riscossi solo sentendomi sfiorare e alzando gli occhi incontrai quelli di Parker. - Scusa - sussurrò.

Scossi la testa, facendogli capire che non ce n'era bisogno. - So cosa stavi cercando di fare ... - Borbottai senza pensarci.

Lui sorrise, rimanendo vicino, chinato verso di me per non farsi sentire. - E cosa?

Mi ritrovai quasi ad arrossire per il tono e il fiato caldo così vicino. - Difendermi - riuscii a rispondere.

- Quest'aspetto orribile ti fa sembrare quasi indifesa, Gray, viene spontaneo purtroppo - specificò a bassa voce e dopo si allontanò per andare a prendere lo zaino e la giacca che il giorno prima aveva buttato per terra a casaccio. - Arrivederci - salutò ad alta voce, rivoltò anche a Cecilia e Molly che ricambiarono: una con una smorfia, l'altra curiosa.

Senza nemmeno pensarci molto, lo seguii fuori dalla porta.

- Mi accompagni? - Chiese divertito, girandosi.

Esitai un attimo, tentata, avrei voluto, ma i pochi neuroni rimasti mi dicevano di non farlo. Perchè stavo quasi esagerando, continuando a comportarmi in quel modo, dimostrando a Parker quanto avessi bisogno di lui, senza prima sistemare tutta la confusione presente in ogni mio organo, avrei rischiato di farmi del male, più di quanto sapevo me ne stessi già facendo.

Scossi la testa. - Ti saluto e basta - risposi piano.

Rise in uno strano modo e, facendo scivolare lo zaino da una spalla, aprì velocemente la cerniera, per poi tirare fuori una felpa. Me la lanciò distrattamente. - Non so quanto resterai qua e se qualcuno ti porterà dei cambi o qualcosa del genere … Nel caso, avevo questa felpa nello zaino quindi vedi un po' tu. - Fece spallucce.

Sorrisi, all'improvviso più allegra, e sempre più confusa con me stessa, anche solo sul mio stato d'animo. - Dillo che l'hai presa apposta - l'accusai divertita.

Si passò la mano tra i capelli, con un sorriso da schiaffi. - E perchè avrei dovuto, Gray? - Mi chiese, cominciando a camminare all'indietro, allontanandosi.

Risposi di getto: - Per lo stesso motivo per cui sei venuto qua!

- Per saltare un giorno di scuola? - Domandò, ironico.

Gli rivolsi una smorfia e lui scoppiò a ridere.

- Va bene! Perchè siamo amici e un aiutino ti serviva, ma non ti abituare male, Gray, sono casi speciali questi - disse, ammiccando e senza dire altro mi girò le spalle, andandosene. E come sempre il Max Parker del buio era diverso da quello del mattino.

Amici, ripetei mentalmente, sospirando e giocherellando con la felpa che mi era stata appena data.

Forse avrei dovuto chiarire con me stessa cosa fare.

Arrendermi a quello che mi ero detta la sera prima o provare a identificarmi nella parola “amica”?

Perchè forse non ero una persona normale se da odiarlo ero subito passata all'idea di esserne innamorata.

Doveva esserci stato un passaggio in mezzo e, se non l'avevo percepito, forse voleva semplicemente dire che quel periodo lo stavo attraversando in quel momento? Avevo forse scambiato affetto per amore? Era possibile scambiare quelle due cose?

Mi morsi le labbra, continuando a guardare Max che, diventando sempre più piccolo, in quell'immenso corridoio, si infilava in malo modo la giacca, senza farci molto caso.

L'avrei rivisto quando mia zia sarebbe stata meglio e sarebbero passati giorni.

Mi sarebbero bastati per placare la confusione?

La figura di Max svoltò finalmente l'angolo, dirigendosi verso le scale.

Per un attimo fui tentata di seguirlo. Ma per dirgli cosa?

Niente.

Sollevai la felpa scura, schiacciandoci il viso contro, per non vedere più la luce né niente.

Odiavo Parker per essere venuto a trovarmi la sera prima.

Odiavo Parker per essere rimasto a dormire con me.

Odiavo Parker per le cose che mi aveva detto.

Odiavo Max per essere la causa di tutta quella confusione.

E tutta quella confusione c'era perchè lo amavo.

In quel momento fu chiaro che la malattia era allo stato terminale.

 

 

Ci misi un po', non seppi nemmeno quanto, ma alla fine tornai, seppur mogiamente, dal bagno. Mi ero cambiata, indossando la felpa pulita di Max e poi data una sistemata ai capelli e al viso, entrambi indecenti.

Respirai a fondo, prima di entrare nella stanza di Elizabeth.

Molly era seduta sulla poltrona e mia nonna non si era schiodata dalla posa in cui l'avevo lasciata, di fianco al letto di mia zia. Era cambiata solo la posizione della mano, che ora stringeva quella di Lizzy.

- E' passata Holly mentre non c'eri - mi informò piatta Molly, guardandomi dall'alto al basso, ma provai a non farci troppo caso. - Ha detto che è questione di poche ore e dovrebbe riprendersi, poi di provare a essere presenti quando succederà.

Non commentai perchè non ne avevo la forza. Con Parker sembravano essersene andate le relative energie che avevo avuto al risveglio.

- Max - nominò Cecilia e sollevai lo sguardo da terra. - Max, non me ne sono dimenticata, Evelyne, è il ragazzo che tu ed Elizabeth avete nominato a Natale.

Mi bloccai ricordandomi di quel messaggio, della mia piccola fuga in bagno e poi di mia zia che si era lasciata sfuggire quel nome. - Ah - commentai semplicemente.

- Non avevi detto che era un semplice conoscente? - Indagò, smettendo di nuovo di guardarmi.

Sentii la gola secca, ma provai a mantenere il controllo. - E lo è - confermai. Balla.

- Da quando i conoscenti si fanno due ore di macchina per venire a trovare un'altra conoscente?

- Da ieri, sembrerebbe - risposi.

Cecilia rialzò lo sguardo. - E' insolente.

- La mia risposta? - Chiesi più ironica di quanto avrei voluto.

- Lui.

- A me non è sembrato - ribattei, cominciando ad arrabbiarmi: perchè Parker era stato dalla mia parte in tutto, almeno dalla sera prima, e non si meritava quelle parole.

- Lo è stato invece.

- E' stato solo gentile con me, in ogni modo possibile - dissi, cominciando inconsapevolmente a tormentare la felpa.

- Con quell'aria da bell'imbusto, poi - cominciò, con un'aria irritata che forse non le avevo mai visto.

- Non è … - Provai a difenderlo di nuovo di getto, anche se la parte dell'imbusto ci azzeccava in pieno.

- Invece sì! E ti guarda, Evelyne … E ti guarda in quello stesso modo che aveva Charles di guardare Cecilia! Non mi piacciono quegli sguardi, Evelyne, non mi piacevano all'epoca con mia figlia e non mi piacciono nemmeno adesso! Non mi piacciono perchè tu sei come lei: non ci riusciva Cecilia ad evitarli e a non ricambiarli e non ci riesci nemmeno tu. Non voglio che anche mia nipote rimanga fregata, rovinata da un altro Charles! Quegli sguardi portano solo guai! - Disse tutto d'un fiato. E riconobbi nei suoi occhi una vera e pura preoccupazione.

Rischiai di rimanere senza parole ma mi ripresi in fretta: - Max non è come lui!

Perchè Max poteva essere incoerente, prima fregarsene e l'attimo dopo esserci, ma non sarebbe mai stato come mio padre, non poteva essere una persona del genere.

- Li ho visti io, Evelyne, li ho visti entrambi io da giovani!

- Non conosci Max! - Cominciai ad agitarmi.

Sbuffò frustrata, smettendo di guardarmi. - Allora se non è come lui dimostralo e non finire per bruciarti in alcun modo.

- Non c'è bisogno di dirmelo - confermai seria.

- Invece ce n'è bisogno - disse, girando la testa dalla mia parte. Il verde spento mi guardò rigidamente. - Tua madre non mi ha mai ascoltata, fallo almeno tu: stacci lontana.

Non ne potei più e senza nemmeno risponderle marciai fuori da quella camera.

Credevo di aver battuto ogni mio record per il poco tempo in cui avevo resistito.

Uscii con uno strano batticuore e con la vitale necessità di trovare della calma, la calma che la sera prima a un certo punto era sembrata così naturale.

Avevo bisogno di Parker e, mentre camminando senza una metà per i corridoi mi chiedevo se avessi un qualche diritto di chiedergli di tornare, sentii il cellulare vibrarmi contro la coscia.

Lo presi velocemente, con le mani che tremavano senza un motivo, guardai il piccolo schermo: chiamata di Francy in arrivo.

Mi ricordai solo in quel momento della mia migliore amica e sentii un centinaio di piccoli spilli trafiggermi il petto per i sensi di colpa. Ed era assurdo come quel caos interiore mi stesse facendo scivolare tutto via dalle mani.

Risposi cominciando a dirigermi verso le scale.

- Eve! - Mi chiamò subito la sua voce squillante dall'altro lato. - Come stai?! Ho provato a chiamarti anche prima! Ma comunque adesso c'è la pausa pranzo, finisce scuola, esco, passo da casa cinque secondi e poi vengo da te! E pensavo, ti serve qualcosa da casa? La chiave di scorta ce l'hai nel solito posto vero? Allora entro, dai e ti prendo quello che ti serve! Stai bene?! - Disse tutto velocemente, in una crisi logorroica che esprimeva una certa ansia.

Mi venne da ridere e piangere allo stesso momento: perchè mi resi conto stupidamente che io avevo bisogno di Francy, non di Max; Parker avrebbe solo aumentato tutta quella confusione, rischiando di far cedere il mio povero cuore; Francy invece era la mia salvezza, la mia ancora fissa e forte e avevo bisogno di lei. Parker era stato il rimedio la sera prima, ma la morfina che mi avrebbe aiutato a soffrire meno, per la malattia che avevo sentito nascere da poco, era la mia migliore amica.

- Vieni presto, Francy - la pregai.

Ci fu un attimo di silenzio. - Eve, ma stai bene? Non usare quel tono di voce, ti prego, che vado in ansia e poi parlo a cas … Okay vado a casa tua! Poi ti prendo qualcosa di buono da mangiare! Arrivo! Ma stai bene?!

Risi piano. - Sì, Francy, sono solo un po' confusa ...

Non fu evidentemente la risposta che si aspettava, ma non seppi dargliene un'altra migliore.

 

*********

 

Non potevo crederci.

- Dai, sfigato!

Era impossibile.

- Ti muovi, testa di cazzo?!

Aprii finalmente la porta, ridendo, e Max entrò di corsa.

- Non ci credo! - Dissi ad alta voce, finalmente.

Mi fulminò, irritato, marciando intanto verso la sala.

- Sei davvero andato da lei! - Continuai, con un tono che suonava odioso persino alle mie orecchie e sapevo che avrebbe adorato.

- Non dirlo in quel modo, deficiente! - Appunto, adorato.

- Non importa come lo dico, importa il concetto: sei andato da lei. - Lo seguii, ridendo, tremendamente divertito.

Max infatti era vestito ancora come il giorno prima, aveva un'aria distrutta, marchiata da delle occhiaie profonde che gli avevo visto solo l'estate scorsa (per un evento che era meglio non ricordare), occhi stanchi da chi ha dormito poco e in quel caso guidato anche tanto, e per ultimo era sparito dal pomeriggio precedente, dopo Evelyne: tutte le prove parlavano chiaro.

- Smettila di fare quella faccia da culo! - Continuò ad arrabbiarsi, mentre si smollava stancamente, a peso morto, sul divano.

Risi. - Va bene! Come mai qua? - Chiesi, sistemandomi sull'altro divano, riprendendo in mano il joystick che avevo lasciato da solo, dopo aver sentito suonare alla porta.

- Ci sono i miei a casa, c'erano anche ieri quindi sanno che ho passato la notte fuori; ho circa cinquecento chiamate perse e come se non bastasse la preside probabilmente ha rotto il cazzo perchè ieri sono uscito di classe e li ha chiamati. Cerco di evitare il ritorno a casa il più possibile - si lamentò, tenendo gli occhi chiusi.

Scoppiai a ridere, non riuscendo a contenermi. La partita di basket all'Xbox avrebbe aspettato.

Fece una smorfia tra l'irritato e il divertito, continuando a non aprire gli occhi. - Taci, idiota.

- Ti caccio fuori di casa, eh! - Lo minacciai, scherzando.

- Figuriamoci, - Sbadigliò, soffocando uno sbuffo.

- Lei come sta? - Chiesi, non volendo allontanarmi da quel discorso. Avevo le mie teorie e sapevo che ultimamente c'era puzza di bruciato in giro: qualcosa (o meglio, qualcuno) era troppo cotto e non solo metaforicamente. Evelyne invece aveva già iniziato a bruciare e, se anche si fosse spento il forno, per lei non ci sarebbe stato molto da sistemare.

O almeno era quella l'idea che ormai avevo cominciato a farmi e in parte era stata abbastanza confermata con la conversazione del giorno precedente.

- Adesso meglio - borbottò, come scocciato all'idea di parlarne.

Rimasi in silenzio, aspettando che continuasse, con un'aria scettica. Max aprì gli occhi e guardandomi li alzò al cielo.

- Poi vabbè … Ieri sono arrivato ed è scoppiata a piangere. Odio quando le ragazze piangono - si lamentò, guardando verso la tv. - Giochiamo?

Lo ignorai. - E cos'hai fatto? - Sorrisi sotto i baffi.

- Ma boh. - Fece uno strano verso e si alzò, andando verso la televisione per prendere un secondo joystick.

- L'hai consolata almeno, sfigato? - Gli chiesi, pur sapendo già la risposta: Max di solito scappava appena vedeva una traccia di lacrime, ma Evelyne ormai stava diventando un caso a parte.

- Se - rispose, trafficando con i fili, alla ricerca, senza guardarmi.

- A scuola si è sparsa già la voce, non so come, ma tutti sanno che sua zia è finita all'ospedale - lo informai.

Si girò, quasi serio. - Non è perchè ci avete sentiti, fuori nel corridoio?

Scossi la testa. - Forse qualcuno era fuori e vi ha sentiti, ma noi no. E comunque, cos'hai fatto per consolarla? - Indagai di nuovo, sorridendo divertito.

- Che palle che fai venire quando ti metti a fare la donnicciola pettegola! - Si lamentò, finendo ed alzandosi dalla posizione piegata, davanti alla tv e all'Cbox.

- L'hai abbracciata, eh? - Lo canzonai, ridendo.

Gli sfuggì una risata, fulminandomi. - Billy, vaffanculo.

- Non hai approfittato della situazione per molestarla, vero?

Mi ignorò, scuotendo la testa.

- Poi sai, ieri, prima della telefonata, mi ha chiesto perchè la stavi evitando - dissi, vagamente, uscendo dalla partita in corso; tanto stavo perdendo.

- Sì, l'ha vagamente chiesto anche a me - buttò lì, con un tono poco interessato.

- E cosa le hai detto? - Domandai, ridacchiando.

- Che non lo sapevo.

Risi di più. - Me l'aspettavo. Ma il vero motivo? - Mi girai a guardarlo. - Non me l'hai ancora detto. - Anche se lo immaginavo.

Esitò un attimo. - Le stavo troppo addosso - disse solo, guardando la tv, aspettando.

- E quindi? - Chiesi, cercando di soffocare un sorrisetto.

Cambiò un attimo espressione e mi guardò, sorridendo ironicamente. - E quindi non mi piace così tanto da starci a perdere troppo tempo, volevo che tornasse da me lei, chiedendo un altro bacio; so di piacerle anch'io, anche se vuole fare la secchiona orgogliosa e non ammetterlo - tagliò corto, apaticamente.

Lo guardai insoddisfatto, ma sapendo, da quella faccia che aveva appena assunto, che non avrei ottenuto un'altra risposta e quindi nemmeno la verità che volevo io. - E perchè alla fine ti sei arreso e sei andato a trovarla? - Provai.

- Dai non rompere il cazzo, alla fine la Gray ed io siamo più o meno amici, tra una balla e l'altra, è normale che l'abbia fatto! Lei mi ha aiutato e non potevo non farlo anch'io, volevo aiutarla anch'io - rispose, accigliandosi e guardandomi male.

- Non riuscivi ad avere un'amica femmina nemmeno alle elementari, figuriamoci adesso - lo presi in giro.

- E cos'altro saremmo? - Chiese, mantenendo lo stesso cipiglio.

Sorrisi. - Di sicuro quello che hai fatto oggi per lei non l'avresti fatto per molti.

Sembrò pensarci vagamente solo in quel momento. Aprì la bocca per parlare, la richiuse e poi tentò di nuovo. - Per te sì. - Sembrava un'affermazione molto gay.

- So che mi ami alla follia e che io entravo nell'elenco, ma per Clark?

- Seth mi sta vagamente sul cazzo, lo sai; l'avrei fatto ma con molta fatica. - Rise.

- Per Kutcher?

Alzò gli occhi al cielo, scocciato. - Ma sì, sfigato. Farai davvero l'elenco del mondo intero?

Lo ignorai. - Avresti davvero guidato tu per due ore? - Chiesi, insistendo.

Sospirò. - Sì.

- Per Dawn?

Fece una smorfia. - Cosa ...

- Dopo tutto è tua amica: è da quattro anni che vi parlate ogni giorno e alle feste c'è sempre e chiacchierate e usciamo tutti insieme; ci hai anche scopato, cazzo. In teoria dovrebbe essere più una tua amica lei che Evelyne; con la Gray ci parli solo da novembre e per un ricatto.

Esitò. - Per Dawn no.

Sorrisi vittorioso.

- Smettila di farti tutti questi viaggi, idiota, e smettila di fare lo psicologo mancato; qualsiasi idea idiota stia circolando per la tua testa: cancellala, eliminala - mi sgridò con una smorfia.

- Che idee? - Chiesi, canzonandolo.

Mi ignorò, sospirando davvero irritato.

- Che ti piace intanto l'hai già ammesso con te stesso ... - Gli ricordai, facendo partire la partita.

- Sai in che senso ho detto che tende al piacermi - sibilò tra i denti, con un fare abbastanza stressato che mi fece ridere.

- E allora se ti piace solo un po', nel senso fisico, perchè nel caso di Dawn no e in quello di Evelyne sì?

Riuscii a fregare la palla a un suo giocatore.

- Guarda, Billy, vaffanculo, stai zitto!

Scoppiai a ridere mentre la mia squadra faceva anche canestro. - Cosa c'è?!

- Se osi nominare ancora la Gray ti ficco l'xbox tu sai dove! - Disse e il tono sembrava quasi serio.

- Coda di paglia! - Fischiettai, riuscendo a riacquistare di nuovo la palla.

- Billy, porca puttana, stai zitto!

Avevo detto che nel forno si stava bruciando seriamente solo Evelyne?

Cominciavo a cambiare leggermente idea ...




*** Angolo autrice:

Ciao! 
Prima di tutto: scusate il ritardo, ma non ho davvero avuto tempo e il capitolo non mi convinceva, quelli di passaggio mi mettono sempre dei dubbi.
Per farmi perdonare per il ritardo e le paranoie di Evelyne potete però vedere comunque il Pov Billy :D

Seconda cosa: per comunicarvi dei ritardi o per darvi spoiler o chidere consigli o semplicemente per parlare ho creato il gruppo della storia su fb 
http://www.facebook.com/groups/326281187493467/ ! Spero che l'idea faccia piacere e risulti in qualche modo utile :)

Il capitolo è, come ho già detto, di passaggio e quindi in alcune parti abbastanza statico ... Mi dispiace di avervi fatto aspettare tanto per questo e basta ma dovevo finire di chiarire la situazione o per lo meno farvi vedere la complessata Eve :)
Spero comunque di non avervi delusa! 
Il prossimo proverò ad aggiornalo presto per compensare di questo.




 

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Capitolo 21
*** Il regalo di Parker ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )


 

20. Il regalo di Parker



In quelle settimane avevo dovuto riorganizzare le mie priorità. Priorità nei miei pensieri e nell'occupazione del mio tempo.

Al primo posto si trovava Elizabeth.

Era stata dimessa molto prima di quello che avevo creduto e aveva passato i giorni dopo a casa con me, per finire di recuperarsi prima di tornare alla sua normale vita. A me andava più che bene così: avevo una "mamma" a tempo pieno e sapere di averla sempre così vicina, a portata di mano, (bastava cercarla o in camera o in sala, sul divano, ed era lì!) era una deliziosa novità e di sicuro rassicurante. Rassicurante perchè dopo quell'esperienza tendevo a starle il più possibile addosso, temendo davvero che potesse sparire da un momento all'altro: come una bolla di sapone o un fiocco di neve sull'asfalto bagnato, e vederla sempre era l'unica cura che avevo trovato contro quella nuova paura di essere abbandonata.

Quindi la priorità ce l'aveva Elizabeth a cui subordinavo scuola, lavoro, giornale. E ce l'avrebbe avuta finchè non fosse tornata a New York.

Dopo c'era il tentativo di calmare i miei nervi e la sopracitata fobia. Ero stata tentata anche di cercare video per praticare lo yoga a casa ma avevo presto rinunciato.

Al terzo posto, oscillante verso il secondo (dato gli scarsi risultati), c'era Francy e la mia normale vita da recuperare.

La normalità, che sembrava non appartenermi più da anche prima dell'incidente, era in realtà lontana, ma provavo a pensarci il meno possibile e ad andare avanti, forte come sempre, come mi aveva detto Francy dopo avermi raggiunta per la seconda volta all'ospedale.

I punti successivi non erano nemmeno numerati, salivano e scendevano a seconda delle situazioni. Ma molti riguardavano la stessa persona. 

Perchè in realtà tra le prime tre priorità, a pari merito con le altre, ci sarebbe dovuto essere anche Parker, che invece tendevo a schiacciare infondo alla lista, provando a non ricordarmi più di lui.

Provando. 

Infatti era inevitabile il contrario. 

Ero innamorata, davvero, e non potevo più fuggire a me stessa. 

La parte del rendersene conto era stata eliminata dall'elenco delle cose da fare, insieme all'assimilazione dell'informazione.  

Chiarire con me stessa cos'avrei dovuto fare di conseguenza era invece ancora il punto da risolvere. 

Francy mi aveva aiutata in tutto, a sistemare il resto, a mettermi in ordine dopo l'incidente di mia zia, ad indirizzarmi verso la strada che avevo faticosamente intrapreso fino a quel momento; ma non aveva potuto aiutarmi con Parker. 

Perchè? 

Perchè non le avevo ancora detto di essermi innamorata di lui. 

Tra le priorità c'era anche quella confessione da fare che rimandavo e rimandavo. 

Perchè lo facevo? 

Temevo che tutto diventasse troppo reale dicendolo chiaramente ad alta voce? 

Ma non era dopo tutto già abbastanza reale? O forse temevo che Francy provasse a farmi agire anche per quello, come con tutto il resto? 

Il problema, probabilmente, era che sapevo già cosa mi avrebbe suggerito di fare lei, sentendo quella rivelazione. 

A parte le urla e le offese, per non essere stata avvisata prima, ci sarebbero stati i "Lo sapevo!" E poi la frase che non volevo assolutamente sentire in qualsiasi caso: "Devi dirglielo!" 

La sentivo detta con la sua voce, chiara, limpida, cristallina, come se l'avesse già pronunciata. 

E la mia risposta era no. 

No. 

Assolutamente no. 

Pensando a quelle cose mi venivano in mente scene in cui io confessavo i miei sentimenti a Max e tutto andava male, sfociando nella mia inevitabile morte per quell'assurda malattia. 

E sarebbe successo esattamente quello. Non poteva andare bene, era ovvio. 

Sentivo poi anche la risposta di Francy al mio no: "E allora cos'hai intenzione di fare?" Sempre col tono irritato, per farsi ascoltare ed essere assecondata. 

Ma appunto, Evelyne, cos'avevi intenzione di fare? 

Beh. 

Non ne avevo idea. 

Fino a quel momento, durante quelle settimane, mi ero solo detta che la soluzione sarebbe arrivata da sé, magari direttamente dal cielo, un regalo divino per compensare quell'assurda punizione. 

Settimane in cui Max ed io ci eravamo visti poco: io troppo impegnata con Elizabeth per andargli a pulire casa o le solite cose; lui fin troppo accondiscendente, capendomi ed evitando casa mia per non farsi vedere dalla zia maniaca ed adorante. 

Erano state settimane in cui a volte, la sera, prima di dormire, avevo pensato che la soluzione potesse essere semplicemente di eliminare la parola amore dalla mia testa, guarendomi con una sorta di placebo, senza niente di concreto, ma dicendomi solo di essere guarita; inutile dire che cambiassi idea poi ogni mattina, vedendo Max che mi sorrideva, alternando i soliti sguardi ironici a quelli sinceri, disarmandomi, uccidendomi e sbattendomi in faccia la cruda realtà. 

Contro il virus Parker serviva una medicina seria, altro che placebo. 

E io ero un caso disperato, ma si sapeva. 

Innamorata del proprio carnefice. 

Quindi le settimane in cui io avrei dovuto completare tutti i punti della lista delle priorità erano ormai finite: il giorno seguente ci sarebbe stato il mio compleanno e poi Elizabeth sarebbe tornata a New York. 

E io non avevo risolto un bel niente, intanto. 

Pensavo a tutto quello, osservando i capelli di Max da circa un paio di minuti. 

- E quindi ... - Borbottò di nuovo, portandosi la penna in bocca e cominciando a mordicchiarla piano. 

- Ci stai capendo? - Chiesi, cercando di smettere di guardare il corto filo rosso, proveniente dalla felpa della squadra di basket che stava indossando, tra i suoi capelli. Ero io a non starci capendo molto, in realtà, a cercare di trattenermi dall'allungare la mano. 

Aggiunsi all'elenco delle priorità, barra cose da fare, l'auto-fustigazione per quei problemi mentali che cominciavano a insorgere sempre più violentemente. 

Mugugnò qualcosa, distraendomi; continuò a tenere basso lo sguardo sul suo quaderno di matematica, ma gli occhi chiari si intravedevano e guardavo quelli. 

Cominciai a pensare se davvero punirmi potesse essere la soluzione, o per lo meno minacciarmi.. 

Evelyne, guarisci, dimentica Parker, sennò frustate! 

Sembrava un'idea masochista, ma forse avrebbe fatto reagire le cellule celebrali. Ma in effetti stavo solo degenerando e peggiorando, a pensare a tutto quello. 

O valeva la pena di tentare? 

Max alzò lo sguardo all'improvviso, facendomi sobbalzare dalla sorpresa. 

Gli spuntò uno strano sorriso ironico. - Cosa c'è?

Feci una smorfia. - Penso che sei un idiota a non riuscire a fare della roba così facile.

- Sì certo - si lamentò, irritandosi subito e tornando a guardare il quaderno con un broncio abbastanza infantile. 

Quella era l'ora di pranzo ed eravamo, invece che nella mensa a mangiare, come persone normali, chiusi dentro l'aula di latino.  

Nella nostra scuola infatti venivano date anche lezioni di quella vecchia lingua morta, ma nessuno, tranne una quindicina di coraggiosi, l'avevano scelta. Per questo l'aula rimaneva per lo più vuota e a noi serviva silenzio per quei pochi minuti di concentrazione. 

Hoppus aveva programmato, per la solita lezione dell'ultima ora, un nuovo test: aveva infatti intuito che la classe avesse copiato durante la sua assenza e il compito era stato fissato con un particolare sadismo. Parker aveva preso una F, l'ultima volta, l'unico tra tutti a non aver copiato, e, se non voleva essere sospeso dagli allenamenti di basket, quel giorno doveva farcela a prendere almeno una C.

Mi venne leggermente da sorridere, ripensando agli allenamenti a cui aveva continuato ad andare, di nascosto da suo padre, e alla borsona che usava, nascosta perennemente nel mio baule. Mi venne da ridere, ripensando alla faccia che faceva Dawn ogni volta che lo vedeva aprire la mia macchina, per prendere quel suo effetto personale. 

- Evy? - Mi chiamò di nuovo, guardandomi. 

- Sì, scusa. - Sbadigliai, provando a dissimulare il tutto velocemente con finta noia; mi alzai dalla sedia, aggirai il banco e lo affiancai.  

Gli spiegai velocemente l'esercizio che non aveva capito e alla fine si arrese, chiudendo tutto. 

- Come va, va! - Proclamò, infilando l'unico quaderno dentro lo zaino. 

- Dopo le mie fantastiche lezioni non può non andare bene! - Ribattei, sorridendo leggera, rimanendogli a fianco. 

Sollevò lo sguardo e gli occhi verdi erano scettici, ma in ogni caso tremendamente belli. Deglutii cercando di darmi un contegno.

Avevo anche notato che, dopo la rivelazione, non riuscivo quasi più a censurare certi pensieri nel modo in cui, prima, quasi senza rendermene conto, avevo sempre fatto. - Ma se non mi hai spiegato un cazzo. E se ti richiedo qualcosa dopo un po' ti arrabbi!

Mi accigliai. - Non è assolutamente vero!

- Sì invece, e sei una pessima insegnante, non sceglierla come carriera, ti prego! - Si lamentò, alzandosi in piedi e sormontandomi come sempre. 

Gli feci il verso, pur sapendo che aveva ragione, mentre mi allontanavo. - Non capisco allora perchè le chiedi a me le lezioni.

- Perchè sei la mia schiavetta, ti ricordo, e posso fare quello che mi pare! - Fischiettò, raggiungendomi e superandomi. 

- Smettila di non rispondere alle domande e non puoi fare quello che ti pare!

- Con te sì! - Disse con un sorriso vittorioso, ignorando come al solito quello a cui non voleva rispondere. 

Mi accigliai e lo seguii pronta a litigare. Perchè Evelyne normalmente con lui ci litigava e molto spesso, non sbavava seduta a guardargli i capelli, le ciglia chiare, le mani che si muovevano distratte sul tavolo, le labbra che si chiudevano intorno alla biro. 

Persa in quei pensieri esitai troppo e lui, arrivato alla porta, si girò con un'espressione strana. - Ah e domani è il tuo compleanno vero?

Mi colse alla sprovvista e velocemente mi si dipinse una specie di sorriso sulle labbra, sorpreso ma contento. - Sì. Te lo ricordavi?

- Facebook. - Cercò di trattenere una risata. 

- Logico - sibilai fin troppo evidentemente irritata. 

Max scoppiò finalmente a ridere e uscì dalla classe. - Su, che era questo mese lo ricordavo, non piangere, Evelyne!

- L'unica cosa per cui potrei piangere è sapere che avrò a che fare con te anche il giorno del mio compleanno. Una gioia davvero - commentai apatica e acida come dovevo in effetti essere. 

- Mi avrai come regalo di compleanno! - Disse e mi sentii sfiorare il braccio dalle sue dita, mentre fisicamente mi faceva notare che avrei dovuto cambiare reazione per quella frase. 

- Ho i brividi al pensiero - risposi. E i brividi in effetti ce li avevo. 

Max sbuffò e mi girai a guardarlo, camminando nel corridoio, diretti verso la mensa. - Di buon umore oggi?

- Come sempre in tua presenza. - E sorrisi. 

Sollevò le sopracciglia e gli occhi verdi provarono a leggermi velocemente dentro; si inumidì le labbra, ma distolsi lo sguardo per non rischiare nemmeno che potesse capire qualcosa.  

- Hai le tue cose? - Concluse brillantemente. 

Ma cosa volevo che potesse capire ... 

Non gli risposi nemmeno e scossi la testa, entrando finalmente nella stanza dov'era riunita pressoché tutta la scuola.  

Molti sguardi si posarono su di noi: continuavamo ad essere uno strano fenomeno misterioso e non ben capibile. 

- Dai, Gray, scherzavo! - Mi chiamò, ridendo e passando ovviamente all'uso del cognome, come da prassi ogni volta che eravamo a portata d'orecchio e irritandomi. 

Lo fulminai e basta dal basso. - Io no!

Alzò velocemente gli occhi al cielo, divertito e stando senza molti sforzi dietro al mio passo veloce. - Adesso parlo sul serio: vuoi un regalo?

Lo guardai scettica e fin troppo in guardia. - Non essere stressata da te per un'intera giornata sarebbe probabilmente la migliore cosa del mondo!

Era un po' una bugia. Un po' tanto. 

Parker esibì uno sguardo offeso e si portò la mano al cuore, teatralmente, fin troppo di buon umore. - Gray! Così mi offendi! E io che volevo festeggiare con te la nostra splendida amicizia ...

- Vaffanculo! - Gli diedi un colpo sul braccio, stizzita da tutta quell'ironia e arrivai a passo pesante alla fila per la cassa, davanti al cibo. 

- Che tenera che ti offendi se scherzo sulla nostra particolare ed intima vita sessuale ... - Disse, tranquillo, affiancandomi e facendosi, apposta, sentire dai ragazzi e le ragazze della fila. Tutti si girarono. 

- Dio, Parker! - Ringhiai, provando di nuovo a picchiarlo, ma facendolo solo ridere. - Scherzava! - Mi giustificai con quelli che, intanto, con gli amici, si erano messi già a confabulare.  

- Sì, infatti! - Confermò divertito, facendo di sicuro solo aumentare i sospetti. 

Sospirai alzando la mano e passandomela sulla fronte, chiudendo un attimo gli occhi. 

Come faceva a piacermi quell'essere? Come potevo aver pensato di essere innamorata di quell'individuo? 

- Comunque, seriamente, cosa vuoi per domani? - Ripetè e dal tono sembrò serio. Lo guardai, riaprendo gli occhi ed incrociando i suoi, verdi, limpidi, sinceri, senza scherno, belli, sorridevano come la sua bocca. 

Sapevo come avevo potuto pensare di essere innamorata di lui. 

Mi sentii le mani umide, la gola secca, tutto all'improvviso e per quello sguardo. Andai velocemente nel panico e cercai una via di fuga nella solita ed acida Evelyne: - Che tu non mi rovini la giornata! Davvero, Parker! - Dissi di nuovo e mi uscì con un tono duro, troppo serio, quasi rancoroso. 

E l'Evelyne innamorata era in protesta. 

All'Evelyne innamorata quasi si spezzò il cuore, vedendolo fare una smorfia e cambiare la luce negli occhi, mentre il buon umore, in quell'essere lunatico, spariva in un nano secondo. - Va bene. Che acida pesante e misantropa - si lamentò e, dopo aver sbuffato, se ne andò senza aggiungere altro. 

Rimasi lì, sconcertata, chiedendomi davvero perchè lo avessi detto. 

La ragazzina davanti a me sembrò poi guardarmi con rimprovero. 

La guardai col broncio: cosa voleva? Tanto gli sarebbe passata, a me invece no. 


 


 

- TANTI AUGURI AD EVELYNE! TANTI AUGURI A TE! - Francy stonò nell'ultima pezzo quell'orrenda canzoncina. Ma davvero a qualcuno piaceva sentirsela cantare senza tremare (quel giorno ero particolarmente drammatica) dall'imbarazzo? 

- Smettila! - Cercai di zittirla, ridendo. 

Si era messa a cantare in mezzo al corridoio, abbracciandomi, e in tanti passavano, guardandoci divertiti. 

- Sono diciotto! Non posso non urlare la canzoncina il giorno dei diciotto! - Ribatté convinta. 

- Ma è il mio compleanno e dovresti assecondarmi! - Continuai, sorridendole però contenta. 

Francy sbuffò e, mentre aprivo il mio armadietto, sentii la zip del suo zaino aprirsi di colpo. Mi girai, ritrovandomi un pacchettino incartato in malo modo davanti. 

La guardai con gratitudine e, dopo un abbraccio e un bacio sulla guancia, mi appoggiai all'anta dietro di me e cominciai a strappare la carta. 

- Avrei dovuto dartelo alla festa, ma dato che non farai una festa e me lo sento, mi arrendo e te lo consegno oggi. - Alzò gli occhi al cielo mentre un sottile album di foto di un azzurrino chiaro, simile a quello delle buste di Tiffany che vedevo sempre in giro per New York, cominciava a spuntare sotto l'involucro. 

Lo estrassi, sorridendo come un'idiota. - Oddio, Francy. - Lo aprii e sfogliai, trovando foto di entrambe in quei nostri due anni di amicizia: a New York, al mare, durante i balli, alla fiera della città con zucchero filato, persino alcune foto mie, che rasentavano l'imbarazzante e pensavo avesse cancellato. Le ultime erano di Sadie Hawkins e della festa di Kutcher. - E' bellissimo! - Dissi, guardandola sinceramente contenta e un po' commossa. 

Mi osservò un po' imbarazzata. - Visto che questo è il nostro ultimo anno … Nel caso, per colpa dell'università, dovessimo vederci poco, almeno mi ricorderai un po'.

L'abbracciai di slancio, conficcandole quasi l'angolo dell'album nella pancia. - Ti penserò sempre, anche in quel caso, secondo te! - Ridemmo insieme per poi staccarci. 

Francy si sistemò i capelli dietro le orecchie e poi, prendendomi l'album, lo aprì verso la fine. - Ah e ti ho messo anche questa: scommetto che apprezzerai!

Il tono era tutto un programma e presi la foto, nemmeno attaccata, che mi stava porgendo, con fare diffidente. 

La osservai, sbattendo velocemente gli occhi: l'aveva fatta durante il ballo di Natale, era stata la fotografa ufficiale della serata, in effetti. - Sei pessima! - Commentai, continuando a guardarmi nel vestito azzurrino, con la mano di Ben su un fianco, mentre mi allontanavo da lui per guardare il ragazzo che avevo dietro: Parker che prendeva da bere e mi osservava divertito. Dal mio e dal suo sorriso, ironici, era chiaro che anche in quel momento ci stessimo offendendo, ma questo perchè io riconoscevo le espressioni e conoscevo entrambi. A un occhio inesperto saremmo sembrati quasi amici che si scambiavano due parole e semplicemente si sorridevano. 

Lo sembravamo quasi sul serio. 

- Puoi notare il bellissimo sorriso con cui gli urli dietro di solito: anche per questo è cotto di te e tu di lui. - Commentò Francy, sospirando e prendendomi in giro. 

Io sobbalzai a quell'affermazione e non la guardai, infilando la foto dentro l'album. - Certo, guarda, innamorati persi. - Francy non sapeva e non avrebbe ancora saputo. Come dirglielo?! Cominciai a spostare mentalmente i punti della lista delle priorità. 

Lei rise e la campanella mi salvò. 

Ci separammo poco dopo, io con l'album sotto braccio, al solito incrocio trafficato della nostra scuola. 

Andai verso l'aula di Letteratura Inglese con relativa calma. La Granger, la giovane professoressa, arrivava sempre in ritardo, trattenendosi ogni mattina a parlare con uno dei prof di Ginnastica. Girava la voce di un certo inciuccio trai due e a noi andava benissimo così. 

Persa nei miei pensieri e cercando di non dare spallate a nessuno, non mi accorsi del piccolo gruppo davanti a me finchè delle mani non mi fermarono.  

Alzai lo sguardo un po' sorpresa, trovando Kutcher, con i ciuffi neri più disordinati del solito, sorridermi amichevolmente. - Evelyne! Buon compleanno! - Esclamò subito.  

Billy, arrivando dietro di lui, lo affiancò, guardandolo male. - Guarda che stronzo! Se non era per me che aprivo facebook col cellulare nemmeno lo sapevi! - Poi posò gli occhi su di me e sorrise come mi sorrideva sempre. - Auguroni, comunque!

- Grazie - borbottai un po' a disagio e lanciando un'occhiata alle loro spalle. 

Kutcher, seriamente intenzionato a continuare a bloccarmi la strada e a non farmi andare via, mi prese l'album dalle mani e cominciò a sfogliarlo. - Regalo di Francy? Ci scommetto!

- Non cominciare a sbavarci sopra, eh! - Lo ammonì l'amico biondo, divertito. 

C'era Parker poco dietro di loro, impegnato a parlare con uno dei suoi compagni di squadra che Francy ed io ritenevamo assomigliare terribilmente a Corbin Bleu, di High school musical. E c'era anche Clark. L'ultimo, incuriosito, fece per avvicinarsi, mentre gli altri due sembrarono non notarci nemmeno. 

- Sì, di Francy. Sono tutte nostre foto in questi anni - spiegai, sorridendo e tornando ai ragazzi lì vicino. 

- Non è dolcissima?! - Kutcher assunse un'espressione commossa, parecchio esagerata. Billy sospirò. - E ah, Evelyne, vuoi che ti organizzi una festa di compleanno?! - Chiese Alex, sempre con entusiasmo e continuando a guardare le foto. - Ti offro anche casa mia!

- No, Alex, eviterei ... - Borbottai, immaginando già come sarebbe potuta andare una festa così grande, per me. E poi chi avrei potuto invitare per riempire una casa così grande?! Già l'idea di poterlo passare con Parker e la sua compagnia continuava a stonarmi come cosa. 

- Oh, tizia - Clark, che era arrivato finalmente a portata d'orecchio, mi apostrofò così, interrompendo una risposta di Kutcher. - Buon compleanno!

Ringraziai con un sorriso molto simile a una smorfia di fastidio e lui ricambiò, per poi mettersi a guardare le foto. Quanto ammmmore tra noi due. 

- Bleah, la Gray in costume - commentò, ridendo, Seth. Appunto, tanto amore. 

Lo fulminai e allungai le mani, pronta a riavere l'album. 

- Ma io non ho detto niente! - Si lamentò Kutcher e Billy lo assecondò, annuendo. Mi lanciarono due sguardi da cuccioli e seppur ansiosa di sorpassarli per incrociare Parker mi trattenni. 

Alzai gli occhi al cielo  assecondandoli. - Va bene, in fretta, su!

Ridacchiarono, sfogliando le ultime pagine e finendo le foto. - Ne volevo altre! - Si lamentò Kutcher, ridendo, e proprio mentre finiva di dire quella frase, girò un'altra pagina. Tra i due fogli dell'album, messo tra lui e Billy, scivolò leggermente una foto. Una foto non attaccata. 

Alex, Billy e Seth, che si era appostato dietro di loro per vedere, guardarono la foto, sollevarono le sopracciglia e poi alzarono la testa. 

All'inizio non capii e trovai solo quella sincronizzazione molto inquietante. 

Poi Kutcher prese su la foto per guardarla meglio e intanto si stava trattenendo dal ridere; Billy chiuse l'album e lanciò un'occhiata alle sue spalle, ridendo; Clark scosse la testa e fu lui a parlare: - Queste foto del tuo grande amore, come ce le spieghi? - Poi rise. 

Collegai e terrorizzata feci uno scatto verso Alex, strappandogli la foto mia e di Parker dalle mani, ma il danno era già fatto. - No, aspettate! - Quasi urlai. - Non è davvero come sembra! Era uno scherzo di Francy! Ve lo giuro! - Ero rossa come un semaforo, me lo sentivo. 

Billy mi allungò l'album, facendo l'occhiolino. - Sì, Evelyne, sì.

Presi anche quello, con abbastanza violenza, e mandandoli tutti a cagare li sorpassai. 

Solo in quel momento notai che Parker non c'era nemmeno più, ma ero troppo imbarazzata e troppo agitata per pensarci troppo. 


 

 

- Perchè hai fatto vedere la foto di Parker ai suoi amici? - Mi chiese subito Francy, mentre Emily ed io ci sedevamo al solito tavolo a mensa. 

Emily quando ero arrivata per inglese, in ritardo, rossa, ma pur sempre prima della prof, mi aveva fatto gli auguri e regalato un piccolo e bel braccialetto colorato che sfoggiavo allegra. 

- Non gliel'ho fatta vedere! L'hanno vista loro! - Mi lamentai. 

Okay, non ero allegra. 

Non ero allegra per niente. 

Andando a pranzo e incrociando di nuovo, per puro caso, Parker, avevo capito una cosa. Quel giorno, per il mio compleanno, proprio come gli avevo chiesto, mi avrebbe evitata. Ed evitata davvero, come aveva fatto prima, sparendo dietro i suoi amici senza nemmeno farmi gli auguri. Auguri che avevo ricevuto da Clark e non da lui.  

Evitata davvero come aveva fatto poco prima in corridoio, vedendo Emily, non guardando me e poi entrando dentro la mensa, come se niente fosse. 

Era infantile. Era un bambino. Era odioso. E io ero tornata a settembre, nemmeno ad ottobre. 

- Da quel che dice Kutcher, non l'hanno ancora detto a Parker solo perchè oggi è di umore pessimo. Ma quando gli passerà preparati a sue battute - mi avvisò Francy, divertita e sedendosi di fianco a me. 

Mi accigliai, versandomi dell'acqua nel bicchiere e facendo tintinnare il nuovo braccialetto. Lui? Lui di pessimo umore?! 

- Come mai? - chiese Emily, divertita. I nostri rapporti con i ragazzi più popolari della scuola la divertivano, non voleva esserne coinvolta, ma probabilmente le sembrava di star assistendo a qualche tipico film americano o ad una qualche storia di quelle che leggeva sempre lei su internet. Magari fossi stata in una di quelle storie, in quel caso i miei problemi sarebbero stati molti meno. 

Francy ridacchiò. - Alexuccio mi ha detto solo che ha trattato male persino Billy, quindi è grave.

- Alexuccio, Francy? - La rimbeccai, cercando di riprendere, almeno io, un minimo di buon umore. Perchè insomma, Evelyne, è il tuo compleanno, provai a dirmi con convinzione. 

- Sì, vabbè, uccio per dire ... - Minimizzò con un cenno. 

A salvarla furono Luke e Nick che si sedettero di fronte a noi.  

- Auguri Eve - borbottò timidamente il moro. 

- Buon compleanno. - Luke sorrise leggermente, nel suo tipico modo. 

Li ringraziai entrambi, sorridendo e recuperando sul serio in umore. 

Poco dopo, terminato il pranzo, appoggiai il mio vassoio su una delle solite pile che si formavano sempre a pranzo, sul tavolo vicino alla cucina. 

- Su, Eve, veloce - mi sgridò Francy, con tono scherzoso. 

Sbuffai, girandomi e facendo per seguire lei ed Emily, ma nel tragitto incrociai Ben. 

Sorrisi automaticamente, rallentando mentre lui accelerava per pararmisi di fronte. Dopo il ballo eravamo rimasti in relativo contatto, parlando se ci incontravamo, ma mai cercandoci a proposito. Non sconosciuti, ma nemmeno amici; due semplici conoscenti in rapporti abbastanza amichevoli ed era probabile che saremmo restati per il resto dell'anno in quella fase: io non sapendo ben cosa pensare del bacio che ci era stato e lui troppo educato, in un certo senso, per starmi troppo addosso col dubbio di infastidirmi e la cosa era strana date le confidenze che, a volte, senza un motivo, cercava di prendersi all'improvviso. 

- Evelyne! È il tuo compleanno vero?! - Mi salutò, attaccando subito con la domanda, ma sorridendo in quel modo che mi piaceva tanto. 

Guardai i suoi occhi neri ed espressivi e mi venne automaticamente da ricambiare quell'allegria. - Esatto. Facebook anche tu?

Gli comparve un'espressione colpevole, ma provò a negare. - Comunque - tossicchiò e, porgendomi il vassoio, fece scivolare lo zaino sulla spalla per poi aprirlo. - Avrei voluto fare di più ma si fa quel che si riesce ... - E detto questo riprese il vassoio, porgendomi in cambio un sacchettino trasparente con biscotti e dolcetti ricoperti da glassa colorata. 

Risi, sinceramente divertita e deliziata dallo scambio. - Regalo improvvisato stamattina?

- Ho avuto fortuna che mia madre ieri li avesse fatti! - Commentò con una faccia che mi fece sorridere. Ben, seppur solo un conoscente, aveva la capacità di distrarmi per un po' e l'apprezzavo davvero. 

- Sono comunque bellissimi!

- Sì, se c'è una cosa che mia madre sa fare è questa. Le sue torte alle mele sono la fine del mondo poi, un giorno se ti va potresti venire a provarle - mi invitò leggero, continuando a sorridere. 

Risi. - Ci penserò e forse ... - Buttai giù, facendo esageratamente la preziosa. 

- Per il mio compleanno? - Propose. - Non vorrei nessun altro regalo! Probabilmente ... - Insinuò. 

- Eve! - mi chiamò Francy, con una strana espressione e ancora poco lontana da me, ferma ad aspettarmi con Emily, evitando al ragazzo di fronte di sentire il mio sbuffo. 

- Forse potrei farlo … Comunque grazie mille, Ben, ma come vedi mi reclamano. Grazie ancora! -  Blaterai in fretta, accennando ad andarmene ma fui bloccata velocemente dal suo tocco sul braccio. Mi bloccai, incrociando ancora i suoi occhi scuri. 

- Dai, Evelyne! Aspetta un attimo! Non me lo merito nemmeno un abbraccio? - Chiese con un sorriso convinto e allo stesso tempo buffo. Per quelle uscite però non apprezzavo del tutto la compagnia di Ben, ma come sempre arrivavano dopo qualcosa di fin troppo gentile e non riuscivo, per qualche motivo, a dirgli di no. 

Accigliata e divertita annuii, dopo tutto potevo anche concederglielo, no?  

Mi sporsi quindi per un breve abbraccio, appoggiando la mano con cui tenevo il regalo sulla sua spalla. 

Mi staccai presto, ma proprio quando lo feci lui si chinò subito, lasciandomi un veloce e piccolo bacio sull'angolo della bocca.  

Mi ritrassi da quel contatto immediatamente e lo guardai male, mentre lui ricambiava con uno sguardo di nuovo colpevole, ma allo stesso tempo divertito: la sua faccia diceva che qualsiasi cosa avessi detto, lui, potendo tornare indietro, lo avrebbe rifatto. - E queste libertà? - Chiesi retorica, ma non riuscendo davvero ad essere del tutto arrabbiata.  

Non riuscii però ad ottenere una risposta.  

Un enorme fracasso alle nostre spalle, preceduto da un colpo sordo, mi fece sobbalzare e seguii lo sguardo sorpreso di Ben alle mie spalle. 

Le pile di vassoi erano cadute per terra, lasciando anche residui di cibo e alcune posate sporche, che la gente non aveva tolto per pura pigrizia; tutte a terra tranne l'ultima che, un po' storta, si era salvata. Vidi solo come ultima cosa Max, distinguendo i suoi capelli castani che sorpassavano abbastanza velocemente i suoi amici perplessi; se ne stava andando come se niente fosse. 

- Parker! - Urlò la cuoca della mensa, uscendo da dietro il bancone, con i capelli biondi arruffati sotto la cuffietta. - Max Parker! Torna subito indietro!

Collegai solo in quel momento che a far cadere tutte quelle cose doveva essere stato lui.  

- PARKER! Torna indietro o ti caccio dalla preside! - Guardai il castano che, facendo un cenno alle sue spalle, come mandandola a quel paese, non si fermava ed usciva definitivamente dalla mensa. 

Ben, davanti a me, rise. - Bella scenata! - Commentò per poi guardarmi tremendamente divertito. Io mi ero anche dimenticata del semi-bacio con tutta quella confusione. 

La cuoca della mensa lanciò un ringhio sommesso che sormontò anche l'alto vociferare che era nato ovunque e poi marciò all'inseguimento, sembrando un vero e proprio cacciatore pronto a una strage. Billy, con una leggera corsa, fece lo stesso percorso degli altri due; e lui rappresentava di sicuro l'animalista pronto a difendere la possibile vittima. 

- Abbastanza! - Borbottai, non capendo ancora bene cosa fosse appena successo. 

Ben fece spallucce, sorridendo. - Vabbè, Eve, i problemi a Parker, come ben sai, non sono una cosa che mi dispiace!

Sospirai, continuando a guardare il punto dov'erano spariti. Perchè Max doveva mettersi nei casini senza un motivo? Se era di mal umore non poteva andare a correre? Giocare a basket? Fumare? Dare pugni ai pali della luce (pratica già vista e non capita)? No, mensa, luogo pubblico, tanto per beccarsi una punizione. - Sì, ricordo. - Ridacchiai, sdrammatizzando la mia preoccupazione: era ovvio che Parker stesse per andare dritto filato dalla preside. 

- E per te è ancora la stessa cosa? - Mi chiese. Attirò la mia attenzione, distraendomi e facendomi sobbalzare e quasi, presa alla sprovvista, arrossii. 

- Certo, Ben, che domande sono? - Mi difesi. 

Lui continuò a sorridere e fece spallucce, come a dissolvere la domanda appena fatta. - Ti lascio alle tue amiche dai e goditi la giornata! - Augurò ancora, sempre allegro. 

Lo ringraziai, abbozzando anch'io un sorriso e sorpassandolo mentre lui faceva lo stesso. 

- Alla faccia del mal umore - borbottai, ancora abbastanza perplessa, raggiungendo finalmente Francy che però non sembrava nemmeno così tanto scocciata per l'attesa.  

Avrei voluto sapere davvero cosa e chi c'entrava in tutta quella rabbia casuale, ma sapevo che Parker, almeno quel giorno, non mi avrebbe parlato e non sarebbe venuto a cercarmi. E io ovviamente avrei fatto lo stesso. 

Lei ed Emily mi osservarono un attimo.  

- Beh a me è sembrato ... - Borbottò Emily, indecisa, e guardando l'amica. 

- Anche a me, ma meglio non dire niente. - Francy tossicchiò. 

Cosa era sembrato? Le guardai interrogative, ma ripresero a camminare verso le proprie aule e semplicemente le seguii. 

Pensai purtroppo di nuovo a Max che quel giorno mi stava “rovinando la giornata” ancora più del solito, con la sua assenza volontaria. 

 

 

- Sicura di non volere delle ciambelle? Forse c'è qualche ciambella in qualche bar. - Provò zia Elizabeth, continuando a camminare un po' a fatica sul muretto del marciapiede nonostante tutte le mie occhiatacce. Ci mancava solo che cadesse e si facesse del male, e non importava se ormai dicevano che si fosse totalmente recuperata. 

- Bar aperti alle undici di sera il Mercoledì? E' difficile! - Le ricordai, ridacchiando e camminando come una persona civile sul marciapiede. 

Eravamo uscite da poco dal ristorante in cui mi aveva portata per festeggiare e dopo primo, secondo, dolce, torta, lei aveva ancora fame. 

Torta fin troppo grande per cui doveva aver speso un patrimonio. 

Torta tutta glassata seguita dalla sua canzoncina a squarciagola, fin troppo imbarazzante. 

Torta accompagnata dalle mie risate felici, ma isteriche, per provare a dissimulare di essere io la festeggiata, pur essendo anche l'unica a tavola con lei. 

Rimasugli di torta che portava sotto braccio in un contenitore che, se fosse caduta come temevo, avrebbero fatto una brutta fine. 

- Ma sono diciotto, bisogna festeggiare e ingrassare! Poi oddio, hai diciott'anni! - Borbottò di nuovo, disperandosi, cambiando totalmente umore, e aumentando il passo per raggiungere la macchina. - E tra poco andrai all'università e sarò abbandonata al mio destino! - Entrò drammaticamente dentro l'abitacolo, dalla parte del passeggero, e io, alzando gli occhi al cielo, la imitai.  

- Devo trovarmi un uomo per sostituirti! - Proclamò, seria, guardandomi.  

- Zia, sono ancora qua e ci resterò ancora un bel po' - provai a rammentarle mentre mi sistemavo la cintura e accendevo la macchina. Mia zia ormai poteva guidare ma, fin troppo apprensiva per essere io la figlia, volevo evitarle sforzi di qualsiasi tipo. 

Mi lanciò uno sguardo comicamente triste. Poi ovviamente, da brava lunatica, cambiò subito espressione e argomento. Perchè ero circondata da lunatici? - I tuoi amici, oggi? - Chiese allegra. 

Risi, cominciando a fare retromarcia. - Francy mi ha regalato l'album che ti ho fatto vedere. - E da cui avevo tolto prima la foto incriminante. 

- Sì e non c'erano mie foto e mi sono offesa! - Commentò. - Non le faccio più i biscotti! - Disse, mettendo su il broncio. 

Mi uscì un'espressione scettica, ma cercai di non alzare gli occhi al cielo e di guardare la strada. 

- Poi Emily il braccialetto ...

- Che ho intenzione di fregarti perchè mi piace!

- E un mio amico dei pasticcini - continuai, ignorandola. 

Elizabeth sobbalzò sul sedile. - Amico chi? - Come rizzasse le antenne al sospetto di qualche ragazzo era terribilmente inquietante. 

- Un amico ... - Borbottai, cercando di arrivare in fretta a casa. Sapevo dove stava per svoltare quella conversazione e non ci volevo arrivare. 

- Max? - Chiese ovviamente, come mi aspettavo, e sospirai.

- Ultimamente non ti è venuto più a trovare e io lo volevo salutare e uffa! - Si lamentò e mi chiesi se fossi davvero io quella ad avere diciott'anni. 

- No, non Max. Ben, un mio amico, niente di chè.

Riuscii a vedere in lontananza casa nostra e nella mia testa partì l'inno di gioia. Perchè non volevo davvero parlare di Parker. Parker che era finito dalla preside, da quanto dicevano le voci, e che in tutto il pomeriggio non mi aveva detto niente, nemmeno un “Auguri” senza niente di espressivo. Il cameriere sconosciuto del ristorante mi aveva fatto gli auguri. Lui no, niente. 

Sospirai e, mentre parcheggiavo, mi risollevai solo al pensiero che mancava poco al mio letto e al mio cuscino e lì avrei potuto provare, pian piano, durante la notte, ad impegnarmi per tornare ad odiarlo. Con un po' di impegno avrei potuto farcela, no? Speravo di sì perchè non bisognava provare qualcosa per Parker, non se si era Evelyne Gray; tutto sarebbe stato senza futuro, nel nostro caso. Come avevo anche solo potuto pensarci, che lui potesse essere davvero amichevole con me? 

- Un giorno lo porti a casa così me lo presenti, allora! - Esclamò Elizabeth allegra, ignara di quello che mi passava per la testa. 

- Ci penseremo - dissi e sorrisi per non farle capire niente di quello che avevo appena pensato.  

Ci slacciammo le cinture e scendemmo, mentre lei blaterava sul lavoro e sui colleghi che non voleva rivedere. 

- Mi faccio un thè ne vuoi anche tu? - Mi informò subito mia zia, svoltando verso la cucina mentre finiva di togliersi la giacca. Era migliorata in cucina, ma pretendere che facesse un thè buono era quasi troppo. 

- No, tranquilla. Mi lavo un attimo e poi a dormire, visto che domani ti devo anche accompagnare in stazione e dobbiamo alzarci presto! - Le ricordai, per poi verificare se si ricordasse l'orario della sveglia. 

Salii le scale, lasciandola giocare con l'acqua e le scatole, alla ricerca della sua busta di thè verde; entrai in bagno, mi struccai di quel poco che mia zia mi aveva messo sul viso e andai in camera mia, per mettermi il pigiama. 

Dopo essermi cambiata e mentre cercavo uno dei miei, ormai, pochi elastici, sentii il cellulare suonare. Mi accigliai, legandomi velocemente i capelli in malo modo e andando a vedere chi mi cercava. 

Guardai lo schermo del mio antiquato telefono: 11:48 di sera, notai. 

Le 11:48 del mio compleanno e c'era la chiamata di Parker in arrivo. 

Osservai il nome prima incredula, poi sorpresa e alla fine accigliata. 

Afferrai il cellulare per un attimo, indecisa sul da farsi. Mi decisi all'ennesimo squillo: chiusi la porta e risposi. - Sì? - Mi uscì seccamente. 

Mi complimentai con me stessa per quel tono duro che ero riuscita ad usare fin da subito.  

Lui rimase un attimo in silenzio. - Stavi dormendo? - Chiese e aveva una voce strana. 

Illuso se pensava che fossi seccata semplicemente per essere stata svegliata. - No. Tornata adesso a casa - risposi freddamente. Ero arrabbiata ma in realtà avrei voluto solo sapere perchè quella volta mi aveva ascoltata e perchè si comportava sempre così con me. Avrei voluto abbracciarlo, ma dovevo essere fredda e distante. Dovevo cominciare ad odiarlo di nuovo, no? 

Importava che fossi in realtà felice di sentirlo di nuovo? 

La malattia peggiorava? 

- Ah ... - Borbottò e mi chiesi che cosa volesse, davvero, sapendolo forse avrei potuto mandarlo a cagare e chiudere quella telefonata. 

- Quindi? - Lo incitai. 

- Mi perdoni? - Chiese velocemente, sembrò costargli fatica quella frase. 

Non riuscii ad evitare, purtroppo, un sorriso e mi offesi mentalmente. - Per cosa?

Tentò una mezza risata, capendo subito che l'atmosfera si era alleggerita. - Buon compleanno, Evelyne, e scusa.

- Questo cambio d'idea improvviso? - Chiesi, provando ad essere sempre acida. 

- Oggi mezzo mondo mi ha detto che sono un idiota: la preside, mia madre, mio padre ha detto che sono un fallito ma è la stessa cosa, poi Billy. E in effetti snobbarti solo perchè me l'avevi chiesto è da idioti: insomma, avevo l'occasione giusta per tormentarti e invece ... - Rise leggero e mi venne voglia di sentire la risata dal vivo, il cellulare la smorzava.  

Mi morsi le labbra per evitare un altro sorriso, più grande. Ero un caso perso? Provai a fare l'ultima e piccola resistenza, solo per non dargliela vinta del tutto e così presto. 

- E' quasi mezzanotte, non so se vale - risposi, cercando di rimanere impassibile. 

- Neanche se te li faccio di persona? - Chiese, ma aveva un tono di voce di nuovo incerto.  

Pensai un attimo a quello che aveva detto. Possibile che il mio mezzo desiderio si fosse avverato?  

- Non faresti in tempo ad arrivare prima di mezzanotte! - Cercai di fargli notare, cominciando a camminare avanti e indietro, nervosamente. 

- Beh ... - Cominciò. - Se apri la finestra io sarei anche qua sotto ...

Per poco non mi cadde il cellulare dalle mani. Sentii un tuffo al cuore e mi avvicinai velocemente alle imposte, chiuse. Ci appoggiai la mano, senza aprirle. - Come sei qua sotto?!

- Sono qua sotto! - Ripeté tranquillamente e sentirmi tesa sembrava avergli ridato la solita sicurezza. - Se apri la finestra ...

- No! - Mi negai, ma lentamente feci come aveva detto. 

Il tuffo al cuore fu sostituito da un generale malessere. 

Max, davanti alla mia finestra, con uno zainetto aperto appoggiato contro le sue gambe, guardava in alto e mi sorrise. 

- Non apri? - Chiese ironico e vidi le sue labbra muoversi. 

Avvampai e aprii la bocca per ribattere, ma non sapevo con cosa. 

- Mi fai salire? - Domandò, anticipandomi e passandosi una mano tra i capelli. Vidi una piccola nuvoletta uscirgli dalla bocca per il freddo dell'aria notturna.  

Mi voltai nervosa, verso la porta che avevo chiuso e solitamente non chiudevo mai con mia zia in casa. - C'è Elizabeth, è tardi, non ti fa entrare - dissi rapidamente e deglutendo nervosa. Nervosa perchè sapevo che l'avrei fatto salire. Volevo che salisse. 

Parker si avvicinò alla casa. - Non lo verrà mica a sapere. Se apri la finestra per bene salgo, ci riesco! - Cercò di convincermi e ce la fece, facilmente. 

- Abituato a intrufolarti nelle case dalla finestra? - Provai a ironizzare, ma con scarsi risultati. 

Mi ammiccò da là sotto e mise giù la chiamata con uno strano sorriso. 

Mi ritirai leggermente dalla vista e aprii la finestra del tutto, poi scattai dall'altra parte della camera e chiusi la porta a chiave. Mentre tornavo alla finestra da dove stava per entrare mi slegai e rifeci la coda, in un gesto nervoso che sfiorava l'isterico. 

Max Parker a mezzanotte in camera mia. Entrato di nascosto dalla finestra. 

Chiunque avrebbe pensato male. Forse addirittura io. 

Capii che in realtà stavo quasi sperando di dover pensare male. 

Lo aspettai, mordendomi le unghie, in un gesto che non era mio. 

- Sì, ma aiutami! - Sentii blaterare e, vedendolo allungare una mano la presi, calda e familiare. Con un piccolo aiuto riuscii a farlo entrare, scavalcò e si appoggiò sul pavimento pesantemente: temetti che mia zia, al piano di sotto, potesse averci sentito. - Mai più! - Si lamentò, mettendosi dritto con un'espressione sofferente. 

- Se cadevi e ti uccidevi ci godevo. - Sbuffai e mi sedetti alla scrivania.  

Max rise. - Saremmo morti in due! - Insinuò e notai che i suoi occhi quel giorno mi erano proprio mancati. 

- Perchè? - Chiesi, un po' in ritardo, cercando di non incantarmi troppo. 

Mi sorrise e fece scivolare lo zaino per terra e lo aprii. - Perche io ieri ti ho chiesto cosa volevi per il tuo compleanno ma te l'avevo già preso ... - Mi spiegò. E un batuffolino nero uscii di corsa dallo zaino. Si rifugiò, soffiando sotto il mio letto, irritato per il trasporto. 

- Un gatto?! - Chiesi a volume fin troppo alto e probabilmente con gli occhi sgranati. 

Parker si portò un dito sulle labbra, sorridendo. - Piano, sennò tua zia ci sente! - Mi ricordò con un tono che istigava violenza, fisica, picchiarlo. O forse altro, in effetti. 

Non riuscii a non arrossire. - No, comunque! Io … Odio i gatti - Dissi, alzandomi e, con una strana smorfia, chinandomi per guardare sotto il letto. 

Sbuffò. - Come odi i gatti? E la tua futura vita da gattara depressa e ancora vergine, dove la metti? - Chiese, chinandosi al mio fianco. 

Lo guardai scettica. - Parker.

- Gray - rispose sorridendo. E sì, mi era mancato. 

- Sei un idiota! - Cercai di fargli notare. 

- Smettetela di dirmelo! E poi sei tu che offendi i miei regali! - Ribatté e i suoi occhi, più scuri per l'oscurità, lasciarono i miei, per cercare il gatto. 

Il micino, nell'angolo, contro il muro e una delle gambe del letto, ci osservava soffiando ostile. Due grandi occhi chiari brillavano. 

- Mi hai anche preso un gatto antipatico! - Dissi e mi venne da ridere. Mi aveva sul serio comprato un gatto! 

- Siete fatti l'uno per l'altra. Lo chiamerei Evelyno. 

Gli diedi un colpo sul braccio, ma scoppiai fragorosamente a ridere, non riuscii ad evitarlo. 

Parker mi osservò, sorridendo e quando mi calmai i miei occhi incrociarono i suoi, naturalmente.  

- Ma ha gli occhi chiari e quello antipatico sei tu, quindi direi che è Max - ribattei, non riuscendo a rompere il contatto visivo. 

Nemmeno lui lo fece però. - Chiameresti il tuo animale domestico col mio nome? Che cosa inquietante ... - Notai una minuscola sfumatura grigia solo nell'occhio destro, vicino al contorno dell'iride, un particolare che mi deliziò particolarmente. 

- Potrei sfogare la mia rabbia repressa nei tuoi confronti, su di lui! - Gli feci notare e ormai mi ero incantata a guardarlo. 

Rise. - Rabbia? - Non capii cosa stesse insinuando, ma in quel momento la maniglia della mia camera si abbassò rumorosamente. Sobbalzai.  

- Evelyne? Ti sei chiusa dentro?

Sgranai gli occhi terrorizzata. Parker cercò di soffocare la risata sotto la mano e si lasciò cadere per terra. 

- Eh, sì, zia! Mi stavo cambiando e ... - Guardai disperata Parker e corsi verso l'armadio, indicandogli l'interno con forza. 

Max mi fece cenno di no, provando intanto a calmarsi. 

- Da quando ti chiudi a chiave per cambiarti?

- Non posso? - esclamai stizzita, stizzita verso Parker che continuava a rifiutarsi di nascondersi dentro il mio armadio. - Ho diciott'anni!

Mia zia all'inizio non rispose. - Va bene, Eve … Ma … Non c'è niente di male se … Ti tocchi … Stavi facendo quello?

Parker stava morendo e, alzandosi in piedi, cercava di ridere, facendo meno rumore possibile. Scarsi risultati. Io avvampai. - Zia! Non sto facendo un bel niente! 

- Ah, okay … Dicevo … Non c'è niente di male, eh, figurati! Vado a letto, tesoro. A domani! Divertiti! - E sentii i suoi passi mentre si allontanava. 

- Amo tua zia! - Blaterò lui, appena si riprese un attimo. 

Lo mandai a quel paese con un cenno e poi mi risedetti per terra, contro il letto. Parker sorrise, calmandosi, ma nel suo solito e bel modo divertito. - Quindi? - Chiese, avvicinandosi e sedendosi come me, ma a un po' di distanza. 

- Quindi stiamo un attimo buoni, così mia zia non pensa chissà cosa! - Risposi, con il broncio. 

Lui fece una risata corta. - Si può fare anche silenziosamente, eh. Anche se quando sono io a farlo a qualcuna è impossibile ma ...

Lo bloccai, alzando le braccia. - Zittozittozitto! Non voglio sapere! - C'era più irritazione che schifo in quelle parole. 

- Guarda come fa la pudica, Evelyno - sussurrò Parker, guardando verso il letto. 

Gli diedi un colpo accigliata. - E come mai un gatto? - Chiesi, per cambiare discorso. 

- Perchè non hai una faccia da tipa a cui piacciono i gatti. - Lo fulminai, ma lui continuò sorridendo divertito. - E così quando tua zia tornerà a New York ti sentirai meno sola. - La risposta però uscì limpida, sincera; adesso sembrava sincero anche il suo sorriso. I lati della bocca mi si sollevarono in risposta. - E così dovrò stressarmi meno io per farti compagnia ... - aggiunse. Le labbra mi si arricciarono. 

- Ti ho mai chiesto di farlo?! - Mi lamentai, a bassa voce, cercando di picchiarlo ancora. 

Max rise, bloccando i colpi, afferrandomi i polsi. - L'hai detto tu che siamo amici che si fanno compagnia, per non stare soli, no? - Ammiccò, ricordando quella frase che avevo detto in un totale momento di debolezza. 

- Non mi citare! - Mi lamentai, sporgendomi verso di lui per provare in qualche modo a fargli male. 

Lui sorrise e mi sorprese, avvicinandosi. Andava in contro alla sua morte? - Non avevi detto che dovevamo stare buoni? - Chiese, a bassa voce, e le sue mani scivolarono leggermente sulla mia pelle, in modo casuale. 

Non capii, ma mi bloccai e lo stesso fece lui. 

La piccola palla di pelo nero infatti era uscita da sotto il letto e, miagolando, si avvicinò a me. 

Max mi lasciò andare ed io, esitando un poco, abbassai la mano sull'animaletto, accarezzandolo mentre si appoggiava ai miei jeans. Il micio cominciò piano a fare le fusa e mi venne da sorridere, mentre guardavo incerta Parker per quella frase che aveva appena detto e non avevo fatto in tempo a interpretare bene. Il suo tocco mi bruciava ancora così come il suo sguardo dritto nei miei occhi. 

Parker interruppe il silenzio, durato in realtà nemmeno pochi secondi, con una risata corta. - Visto? Proprio un Evelyno: basta una carezza e guarda come fa le fusa! - Insinuò divertito in una chiara provocazione. 

Io ci cascai in pieno, fulminandolo e dimenticandomi della sua frase, del tocco, degli occhi. - A me sembra molto un Max, guarda come fa lo schizzinoso e poi alla fine viene a cercare proprio me. 

Parker rise e mi lanciò un'occhiata ambigua. - Questa era buona, te lo concedo. 

Sbuffai, distogliendo lo sguardo, orgogliosa di me stessa per essere riuscita a nascondere l'imbarazzo, e tornai sul gatto. 

- Lo terrai? - Mi chiese. 

Guardai il gattino. Sia io che mia zia odiavamo i gatti. - Sì. 

- Ah, lo sapevo! Un altro regalo perfetto! - Si complimentò da solo, spostandosi i capelli all'indietro. 

Scossi la testa divertita, senza rispondere. 

Subito dopo sentii un rumore e, alzando lo sguardo, vidi Max che si metteva in piedi. Lo guardai sorpresa, come se non fosse stato normale che a un certo punto dovesse andarsene; lui colse probabilmente lo sguardo e mi sorrise in modo strano. - E' passata la mezzanotte, Cenerentola deve tornare a casa dalla matrigna - disse. 

Sorrisi, ma mi uscii probabilmente una smorfia, un po' triste. - Sentirti paragonare a una principessa Disney è molto inquietante. 

- Tutta invidia. 

Mi alzai anch'io, toccandomi il collo e sbuffando. - Certo. 

Parker sorrise e si avvicinò piano alla finestra. - Ti lascio lo zainetto, c'è la sua copertina, mezza distrutta tra l'altro, e una mia maglietta che gli piace evidentemente mordere e graffiare - mi spiegò, con un leggero cenno e guardandomi di sottecchi. 

Mi avvicinai, annuendo. 

C'era uno strano disagio, in quel momento, che non capivo bene, pur provandolo io e sapevo, dalla sua strana espressione, anche lui. 

- Ah e non so se è maschio o femmina! - Aggiunse all'improvviso, di fianco alla finestra, ma senza accennare ad aprirla. 

Ridacchiai. - Penso che mi ucciderebbe se provassi a verificare quindi mi dirà il veterinario. 

Parker sorrise e guardò fuori dal vetro. 

Mi feci avanti io, lo affiancai e cercai di aprire la finestra silenziosamente. 

- Vado - ripeté. 

- Sì - risposi. Sapevo che avrei dovuto abbracciarlo o qualcosa del genere, ma non ce la facevo, per qualche motivo. Lui esitò un attimo e poi alla fine fece per uscire, dopo essersi riallacciato la giacca. 

- Grazie, Max - blaterai, mentre cautamente scavalcava la finestra. Almeno quello glielo dovevo. 

Lui mi sorrise e fu un sorriso sincero, bello. 

E fu forse quello, o i suoi occhi verdi con il piccolo contorno grigio che incrociarono i miei, ma mi sporsi e, mentre lui ormai si stava calando per raggiungere un'altra base di appoggio, lo baciai.  

Io, Evelyne Gray. 

Parker traballò e sul momento temetti che stesse per cadere, preso alla sprovvista, e la mia mano l'arpionò per la giacca. Mi staccai subito dopo, lasciando anche la presa, mentre lui si metteva in equilibrio e per pochi secondi mi guardò sorpreso. Era stato un bacio veloce, a fior di labbra, più sull'angolo della bocca perchè nella fretta avevo anche mirato male. E io non conoscevo vie di mezzo: o niente o un bacio.  

- Notte! - Dissi quasi terrorizzata da me stessa e da quello che avrebbe potuto dire e chiusi la finestra con un colpo secco, fin troppo rumoroso.  

Solo per un attimo, prima di girarmi e andare velocemente verso il mio letto, attraverso il vetro, vidi Parker a cui sfuggiva una risata, dopo aver collegato. 

Poco dopo, mentre mi rotolavo sul letto, dandomi dell'idiota con l'aria al posto del cervello, il cellulare vibrò. 

Mi allungai per prenderlo e controllare, le dita tremanti, non del tutto sicura di volerlo sapere: perchè tanto immaginavo chi fosse il mittente.

No, una domanda e questo? Fa tanto la frigida e poi mi salta addosso rischiando di uccidermi. Okay, okay :D, diceva. 

Cercai di non morire per auto-combustione e risposi velocemente: 

Miravo alla guancia, idiota. 

La risposta ovviamente non tardò e sapevo che era ancora lì, con la macchina parcheggiata davanti a casa mia.

Ah …
Non ci crede nessuno. 

Risposi cercando di sembrare seccata e offenderlo. 

Ma in effetti sì, come l'idea che potessi davvero guarire: non ci credeva nessuno. Nemmeno io. 

 



*Angolo dell'Autrice:

Ciao belle! :)
Eccomi a neanche tanto tempo di distanza come avevo promesso :D (sono orgogliosa di me stessa!)
E' un capitolo che non riesco a capire se mi piace o no . Quindi lascio a voi la scelta ma come sempre spero di non avervi deluse:)
Ero in crisi col titolo e ho provato a farmi aiutare da MaudeScott (per fortuna che ci sei te <3 *so che ti emozioni con questa dedica .*) e siamo arrivati a un "Il regalo di Parker" . Accontentatevi, su AHAHAHAH (e sono appena tornata da 9 ore a scuola, comprendete la mia poca fantasia :c )
Ringrazio tutte le ragazze che hanno messo la storia tra le seguite, le ricordate, le preferite, che leggono e che recensiscono e grazie a Giangina87 che mi sopporta e beta i capitoli! Grazie mille davvero a tutte!
EEEEH beh, alla prossima :) Non ci metterò molto! (penso!)

Se volete novità comunque ecco il gruppo Spoiler !
 http://www.facebook.com/groups/326281187493467/ :D

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Capitolo 22
*** Beccato in pieno ***


 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

21. Beccato in pieno


Tenevo il cappuccio della felpa che usciva fuori in malo modo dalla giacca, schiacciato sulla testa.

Pioveva e la pioggia era un'ottima scusa per potermene stare coperta in quel modo.

Che l'ombrello ce l'avessi dentro la tracolla era un particolare più che insignificante e più che inutile: l'ombrello infatti non mi avrebbe coperto anche il viso.

Mi aggiravo sotto l'acqua, che sembrava cadere sempre in quantità maggiore, con uno strano fare ladresco, muovendomi tra le macchine parcheggiate, cercando di stare a testa bassa e allo stesso tempo di non venire investita.

Stavo mirando al bar ma la cosa era leggermente problematica.

Mi mordicchiai l'interno delle labbra alzando per la prima volta lo sguardo, lanciai una veloce occhiata a destra e a sinistra per poi buttarmi in mezzo alla strada e raggiungere finalmente la porta del bar.

Ero patetica in effetti ma dovevo vedere Francy prima di incrociare Parker che, se non fosse stato per come mi ero sentita il giorno precedente, senza lui assillante addosso, avrei desiderato di non incontrare mai più.

Perché?

Era ovvio il perché.

Sospirai rumorosamente, mentre la porta del bar tintinnava facendo notare la mia presenza, e abbassai il cappuccio.

-Non ti ammalerai così?- Sentii dire.

Alzai lo sguardo incrociando Jack che sorrideva nel suo modo standard da barista (era pagato per quello, insomma); se ne stava seduto comodamente dietro il bancone sempre col giornale aperto verso le ultime pagine.

-Ho una salute di ferro- ribattei, abbozzando un sorriso anch'io. Salute di ferro, Evelyne?

Rise. -Meglio. Ti porto il solito?- Mi chiese ancora, guardando di nuovo il giornale e distraendomi subito dai miei pensieri.

Annuii muovendomi finalmente da davanti alla porta e andando verso i soliti posti che io e la mia amica occupavamo sempre.

Mi sedetti prendendo posto e appoggiando per terra la tracolla ormai fradicia.

Respirai l'aria calda del locale e feci scivolare il mio enorme cellulare sul tavolo osservandolo. Lo sbloccai alla fine, decidendomi, e aprendo i messaggi, solo per riguardarli distrattamente: alcuni di mia zia che, anche sul treno, aveva continuato ad assillarmi per il gatto, il veterinario, i mobili che avrebbe distrutto,chiedendomi da dove veniva (io mi rifiutavo di dirglielo) e la gattara infondo alla strada di casa nostra a cui, a suo parere, sarebbe stato meglio affidare la bestia. Poi Francy che quella mattina mi aveva dato l' “okay” per la colazione al bar e si lamentava per la pioggia; e poi Parker.

Scivolai anch'io con le mani e la testa come il cellulare.

Perchè l'avevo baciato?!

Ah sì, lo sapevo.

Ma perchè non mi ero potuta dare una calmata?!

Abbracciarlo? Stringergli la mano? No.

Baciarlo.

Mi sembrava ancora di sentire la consistenza delle sue labbra sull'angolo della bocca, la morbidezza e il calore, tutto durato così poco.

Ma vedevo ancora più nitidamente davanti ai miei occhi i messaggi in cui affermava chiaramente, senza il minimo dubbio, di non credere alle mie scuse.

Parker sapeva che avevo voluto un bacio. Volontariamente. Senza scuse. Partito da me.

Fottuta. Ero fottuta.

-Evelyne!-

Sobbalzai bruscamente sollevandomi di colpo.

-Questo scatto?- Mi chiese Francy ridendo e sistemandosi di fianco a me. -E perchè sei tutta bagnata? Non hai l'ombrello? Perchè non l'hai preso?!- Si accigliò.

Mugugnai in risposta stropicciandomi gli occhi. -Ce l'ho ma … E sono stanca, comprendimi- mi lamentai.

Lei sorrise divertita finendo di togliersi la giacca. -Ti sei svegliata molto presto per portare tua zia in stazione?-

-'Bastanza- biascicai sbadigliando, come a rendere più chiaro il concetto e guardando verso il bancone che si intravedeva da lontano.

In realtà avevo anche dormito poco per la tensione di vedere Max il giorno dopo.

Non avevo mai avuto le cosiddette “farfalle nello stomaco”, perché dovevo cominciare adesso?! Io volevo il mio giornalino! La mia borsa di studio! Il mio futuro da donna in carriera! Parker era concretamente solo un ostacolo.

Sospirai e guardai di sottecchi Francy che tirava fuori chimica per sistemare non sapevo cosa.

Avrei dovuto parlarle.

-Francy- chiamai inumidendomi le labbra.

-Cosa?- Chiese distratta prendendo anche una matita.

-I caffè!- Jack era arrivato all'improvviso con le due tazze e una ciambella per Francy.

Abbozzai un sorriso annuendo mentre la mia amica sorrideva distratta.

Se ne andò ammiccando rilasciandoci sole.

Quell'interruzione potevo in effetti prenderla come un segnale divino a stare zitta.

Mi stavo quasi convincendo ad assecondare quel pensiero quando Francy parlò: -Ah e Parker te li ha fatti gli auguri alla fine?- Domandò tranquillamente, accompagnando la domanda con una risata.

-Sì- risposi in un singulto di riflesso.

Francy alzò gli occhi grigi e incrociò i miei, ancora divertita. -Come? Si è deciso a mandarti almeno un sms? O su facebook? A proposito devi rispondere agli auguri! Entraci ogni tanto! Poi quest'anno si vede che la gente ti odia un po' meno ne hai ricevuti praticamente il triplo e Billy ti ha fatto un cuoricino dicendoti anche di non maltrattargli Max- disse tutto d'un fiato come al solito e continuando a ridere.

-Di persona- la interruppi. -E un cuoricino?- Divagai subito.

L'espressione divertita passò a inquisitoria in un nano secondo. -Di persona?-

Annuii circondando con entrambe le mani il caffè bollente e scaldandomi.

-Quando?- Continuò socchiudendo gli occhi.

-A mezzanotte meno dieci, tipo- risposi in fretta.

Restò un attimo in silenzio. -Dove?-

-In camera mia- tossicchiai cercando di soffocare le parole ma non sembrò funzionare molto.

Il silenzio fu più lungo. -Ho capito come te li ha fatti gli auguri- sbottò scoppiando a ridere come un'idiota e attirando l'attenzione di un gruppo di ragazze lì vicino.

Cercai di zittirla accigliata ma fin troppo rossa per sembrare normale. -Dai, Francy! Non è vero!-

Si calmò e mimò il gesto di asciugarsi una lacrima. -No okay, e tua zia l'ha fatto entrare così tardi? Lo adora davvero!- Esclamò continuando a ridacchiare.

Mi passai una mano sul collo. -Diciamo che non lo sapeva ...-

Francy sembrò animarsi ancora di più e il sorriso le si allargò. -Come non lo sapeva?- Mi incitò.

La guardai fintamente contrariata da tutto quell'entusiasmo. -E' … Salito dalla finestra ...-

-Che prode scalatore!- Lo prese in girò continuando a ridere. -Avete recitato anche Romeo e Giulietta o vi siete limitati agli auguri? Anzi no, so che non vi siete limitati agli auguri!-

-La smetti!- Mi lamentai scostandomi dalle sue gomitate. -Sei troppo pimpante oggi!-

-Parla, donna-.

Alzai gli occhi al cielo, con fare vago. -Mi ha portato un regalo-.

-Regalo?! Su parla, smettila di farti pregare!-

-Se mi dessi tempo- mi imbronciai dandole un piccole spintone che la fece sghignazzare ancora. -Un gatto comunque-.

-Un gatto?!-

-Stai zitta!- Sbottai scoppiando a ridere anch'io.

Mimò il gesto di chiudersi la bocca con una lampo e stette ferma spalancando gli occhi enormi per il suo visino.

-Un gatto. Mi ha fatto gli auguri, mi ha chiesto scusa e niente … L'ho offeso un po' e perdonato- buttai giù semplicemente.

-Ma tu odi i gatti-.

-Vabbè è un regalo, i regali si accettano- minimizzai gesticolando.

Lei quasi ghignò e fu molto inquietante. -Sì, certo. E poi?-

-Poi niente, se n'è andato presto-.

Mugugnò osservandomi circospetta. -L'hai ringraziato per il regalo?-

Rabbrividii notando come riuscisse a individuare i punti giusti dove mirare. -Sì-.

Un altro mugugno.

-Con un bel grazie- dissi guardandomi attorno.

Mugugno.

-E ...- tornai con gli occhi su di lei.

Ancora il ghigno. -E?-

Sprofondai sul tavolo. -Francy, l'ho baciato mentre cercava di calarsi dalla finestra-.

La risata vittoriosa della mia amica mi fece morire. -In bocca?! C'è stata lingua?! Dimmi di sì!-

-Smettila!- Mi lamentai cominciando a guardare fuori dalla finestra. -E no! Si stava calando, per poco non cadeva giù dalla finestra, poi nemmeno avrei ...- Mi interruppi.

Scoppiò a ridere ma provò velocemente a riprendersi per parlare:- Perchè l'hai fatto?!- Chiese sporgendosi verso di me, una mano sulla pancia. -Confessa-.

Mi mordicchiai le labbra guardandomi intorno e notando delle ragazze che ci guardavano. Non avrei mai potuto confessare tutto lì e rischiare di essere sentita. -Non lo so! Boh, volevo ringraziarlo … E ...- abbassai il tono di voce chiedendole con gli occhi di fare lo stesso.

-Con un bacio?-

-Miravo alla guancia ma per sbaglio sono finita un po' sulle labbra-.

Lo sguardo di risposta fu molto ironico.

Perchè nessuno credeva a quella scusa?!

-Beh,- cominciò riappoggiandosi con la schiena al divanetto -facciamo così: non commenterò questo tuo gesto-.

Sospirai di sollievo.

-Dirò solo che lui sarà finalmente contento adesso-. E fece un gesto, continuando a sorridere, come a far capire di aver detto tutto.

Le ragazzine non smettevano di guardarci e si lanciavano ogni tanto frasi a mezza voce. Avevano sentito di chi e cosa stavamo parlando?

-Perché?- Chiesi deglutendo.

-Dopo la scenata di ieri ha ricevuto il suo premio anche lui per il regalo ...- Insinuò increspando le labbra così tanto da farsi spuntare due piccole fossette.

-Che scenata?- Ero sempre più disorientata.

-Di gelosia, dai!- Esclamò scoppiando a ridere.

Rimasi a bocca aperta. -Eh?!-

Francy alzò gli occhi al cielo disperatamente. -Non capisco proprio, Eve, sei la ragazza più intelligente della scuola ma certe cose anche se davanti agli occhi non le capisci- borbottò.

Mi imbronciai: avevo capito che parlava di Max, ma insomma, che scenata?

Ripescai però dalla memoria un episodio che nelle ultime ore era scivolato tranquillamente nel dimenticatoio: vassoi.

-Okay, aspetta, ho capito, ma di gelosia? Perché?- Mi accigliai.

Sospirò. -Dai, Eve! Ben ti bacia spudoratamente in bocca e subito dopo Parker decide di distruggere la mensa lanciando un vassoio-.

La guardai un attimo in silenzio. -Ci stava guardando?-

Francy annuì cominciando a mangiare la sua ciambella. Alcune briciole caddero con noncuranza sul libro di chimica. -Sì, sembrava abbastanza indifferente all'inizio ma ha dimostrato subito dopo il contrario-.

Scossi la testa, cominciando però a tormentarmi le mani. -Ma era arrabbiato di suo non ...-

-La gelosia!- Cominciò a urlare con fare drammatico e facendosi sentire da tutti i presenti nella stanza. Le ragazzine sgranarono gli occhi, quasi con entusiasmo. -Brutta bestia!-

-Francy!- La zittii guardandomi nervosamente intorno.

Rise. -Okay, forse non era sul serio geloso ma lo è sembrato molto, in quel momento, a me e ad Emily- spiegò.

-Non avrebbe motivi per esserlo- conclusi, un po' a malincuore ma cercando di non farlo notare.

Francy sorrise sotto i baffi strappando un pezzo di ciambella con le piccole dita.

-O massimo ha paura che qualcuno possa togliergli la sua schiavetta- proposi acidamente e provando sempre a non sembrare sospetta. Probabilmente, dai suoi sguardi, i risultati erano pessimi.

-Ma non avete detto di essere amici? Massimo è geloso che qualcuno ti rubi a lui in quel senso- insinuò. -O semplicemente ti ama alla follia- concluse con semplicità.

Ignorai l'ultima parte. -Il ricatto è rimasto e il ricatto è il signor padrone nella nostra relazione- ribattei storcendo la bocca alla parola “relazione”.

-Può essere- concesse facendo spallucce e continuando a mangiare. -Ma erano più divertenti le mie teorie-.

-Ma le tue teorie sono assurde- rimbeccai prendendo finalmente in mano la tazza di caffè. -E discorso chiuso-.

Lei mi guardò scettica.

 

Poco dopo uscimmo dal bar: io di nuovo col cappuccio inforcato e Francy, accigliata, copriva con l'ombrello giallo entrambe.

-Questa non l'ho capita- mi ripeté.

Feci spallucce cercando di dissimulare ma guardando male quel colore acceso che in quella giornata scura attirava fin troppa attenzione.

-Non ti vorrai mica nascondere da Parker, vero?- Mi chiese incredula.

La guardai accigliata, fingendo, modestamente, molto bene. -Ma secondo te!-

-Poi vi siete già baciati e avete fatto tutti e due finta di niente dopo- cercò di farmi notare. -Non hai motivi per stressarti-.

-L'ultima volta ha smesso di rivolgermi la parola finché Lizzy non è stata investita, in realtà-.

-Appunto, fatto finta di niente-.

La guardai male, calandomi ancora di più il cappuccio sulla fronte.

Sbuffò. -Evelyne, stai diventando sempre più inquietante ...-

Misi su il broncio ignorandola e incitandola ad avviarci verso scuola, cominciai a mirare con lo sguardo al cancello.

Avrei potuto farcela a non incrociare Max. Almeno non subito. Forse se avessi fatto passare altre ore avrebbe rimosso quello che era successo.

Era un maschio dopotutto.

Cerebralmente limitato, sia per quanto riguardava le abilità, sia la memoria.

Pochi metri.

Un paio di ore!

-Francy!-

Sobbalzai girandomi terrorizzata verso la voce.

-Alex!- Lo chiamò anche lei, fermandosi e facendomi uscire, nell'impeto, fuori dall'ombrello, sotto la pioggia.

Solo Kutcher.

Evelyne, calma.

Sospirai, sistemandomi il cappuccio.

Alex, senza ombrello, si infilò sotto il nostro velocemente. Non ci stavamo per niente tutti e tre insieme e Francy ed io lo fulminammo.

-Sai che sei la mia salvezza?!- Chiese retorico stringendosi ancora di più alla mia amica.

-Che allegro trio che siamo- commentò in risposta e provando intanto con i gomiti, senza successo, a spostarlo sotto la pioggia.

Alex ammiccò e poi i suoi occhi si mossero verso di me. Alzò le sopracciglia. -Evelyne, sei tu? Non ti avevo riconosciuta, lo giuro! Cosa ci fai con quel cappuccio così?-

-Vero che sembra qualcosa di strano?!- Si unì anche Francy.

Alex annuì d'accordo. -Una via di mezzo tra ...-

-Uno stalker e ...-

-Un vecchietto maniaco nudo sotto l'impermeabile-.

-Mi hai rubato le parole di bocca!-

Li fulminai. -Sono commossa da questa vostra sintonia d'idee ma direi di muoverci- sibilai prendendo sotto braccio Francy e cominciando a trascinarla. Kutcher continuò a seguirci.

-Cosa c'è, Evelyne? Tu e Max vi alternate d'umore?- Chiese ridendo.

Francy si illuminò. -Ah, perchè lui oggi è di buonumore?-

Girai di scatto il viso guardandola sconvolta. Lui fece spallucce. -Beh, ha risposto addirittura a un mio messaggio e ha scritto una risata, quindi direi che va molto meglio di ieri-.

Francy mi osservò con un sorriso assurdo. -Ah, Eve, chissà perchè questo buonumore, eh?-

Io avvampai, nel panico.

Kutcher mi osservò. -Uh? Avete combinato qualcosa ieri?-

-No- risposi subito. -Non combiniamo mai niente, poi!-

Lui rise, mentre tutti insieme riuscivamo ad oltrepassare il cancello sotto quell'ombrellino. -Beh, guarda che io sospetto ancora qualcosa da quando vi ho beccati a casa mia chiusi dentro la stessa stanza ...-

-E' colpa tua se siamo rimasti chiusi!-

-Ma io non vi ho mica detto di sdraiarvi sul letto e di toglierti la maglietta ...-

Prima che potessi ribattere qualcuno da dietro mi finì addosso, spingendomi leggermente sotto l'acqua. Mi girai subito di nuovo in ansia

-Coprite anche me!- Pregò Billy, i capelli zuppi da cui cadevano fin troppe goccioline d'acqua e piegato con la testa in modo inquietante per rimanere sotto quella piccola superficie di giallo.

-Ma vi prendete un ombrello?!- Ribattei sempre più accigliata.

Francy tossicchiò guardandomi scettica ma misi su il broncio: io ce l'avevo l'ombrello ma non volevo tirarlo fuori! Era verde e Parker sapeva che avevo un ombrello verde; rischiavo di essere individuata!

-Oh, Eve, sei tu! Non ti avevo riconosciuta, sai? E ti stai nascondendo con quel cappuccio o cosa?- Chiese subito il biondo sorridendomi con un leggero accenno di malizia.

Perchè avevo la tremenda sensazione che lui sapesse?

Arricciai le labbra, cercando di non arrossire ancora, e uscii da sotto l'ombrello: attiravo più attenzione lì sotto con quei tre che non da sola. -No!- Risposi.

Billy rise e mi afferrò per il braccio trascinandomi di nuovo vicino a loro tre. -Non prenderti un malanno adesso.-

Feci per ribattere ma Francy, fin troppo stressata, cominciò a camminare velocemente verso le scale della nostra scuola.

Appena fummo tutti al coperto Francy chiuse l'ombrello, facendo colare velocemente il laghetto d'acqua, che era rimasto imprigionato sopra la plastica, per terra; Kutcher invece provò ad abbracciarla con la scusa di “scaldarla” a cui lei si ribellò; Billy si spettinò i capelli, provando ad asciugarsi e sembrando molto un cane, lo guardai accigliata facendo scivolare giù il cappuccio.

Lui mi sorrise divertito e, approfittando della confusione nel corridoio e di quella che facevano gli altri due, mi si avvicinò un attimo, continuando a toccarsi i capelli. -Ti è piaciuto il gatto?-

Mi inumidii le labbra, a disagio, mentre tentavo di slegarmi la coda, per poterla rifare. -Centri con la scelta del regalo?-

Billy scosse la testa guardando fuori dalla porta, verso la pioggia, da dove proveniva l'aria fredda e umida. -Però ammetto di avergli detto di non fare la testa di cazzo e di portarti quel cavolo di regalo, sennò avrebbe finito per smollarlo a me con qualche scusa- rispose vago, continuando a non guardarmi.

Rimasi un attimo in silenzio poi mi decisi: - Cos'altro sai di ieri sera?- Chiesi tossicchiando.

Billy mi sorrise, rivolgendomi finalmente lo sguardo, ma non rispose.

-Perchè, Gray, cos'avrei dovuto dirgli?-

Sobbalzai nel panico, girandomi di colpo e vedendo Max, appena arrivato insieme a tanta altra gente, che scuoteva via l'acqua dall'ombrello scuro.

Boccheggiai terrorizzata, per poi voltarmi a fulminare Billy che l'aveva visto arrivare ma non mi aveva nemmeno avvisata. Lui ricambiò con un sorriso innocente.

-Niente- risposi, tornando a guardare Max.

I suoi occhi verdi mi guardarono divertiti, nella penombra dell'atrio illuminato male. -Ah, allora cosa chiedi?-

Gli rivolsi una smorfia, non intenzionata a dargli corda.

-C'è un'assemblea del sindacato-.

Quel commento interruppe lo scambio di sguardi e ci girammo a guardare Francy.

-Come un'assemblea? Dei professori?- Chiesi, accigliandomi. -Alla prima ora?-

-Sì, per due ore- aggiunse Kutcher, gonfiando le guance e provando ad appoggiarsi alle spalle di Francy.

-Ma non potevano dirlo ieri così entravamo dopo?- Chiesi scocciata: quelle avrebbero potuto essere le mie due ore di salvezza per permettere a Parker di dimenticare, cosa che evidentemente, per il suo sguardo, non aveva ancora fatto.

-Beh che si fa?- Domandò Francy provando a scollarsi di dosso il moro, ma rivolgendosi solo a me.

Kutcher non sembrò capirlo. -Venite con noi!-

-Preferirei di no- risposi istintivamente e sentii Max ridere alle mie spalle e cercai di ignorarlo. -Andiamo a fare qualcosa per il giornale così ne approfittiamo!- Proposi immediatamente a Francy, prendendola a braccetto e trascinandola subito via, senza rivolgere uno sguardo a nessuno.

-Francy!- Chiamò Kutcher urlando. -Ma dopo venite che proviamo a fare una partita in palestra e potete assistere o partecipare!-

Francy si girò, probabilmente a sorridere e basta in risposta, ma continuai a portarla via.

Sentivo lo sguardo ironico di Parker ancora addosso.

 

 

-Sei un'esagerata- mi rimproverò Francy, ridendo.

-Non è vero!- Mi difesi piegandomi in avanti per le troppe risate e schiacciando per sbaglio lettere a caso della tastiera.

Stavamo scrivendo un articolo per quel mese. All'apparenza sembrava una storiella senza senso che aveva come protagonista un povero polipo e le sue sventure con gli altri animali. E sarebbe dovuta apparire semplicemente quello anche agli occhi dei professori; l'importante era che a quelli degli studenti sembrasse quello che era in realtà: quasi una “satira” sul professor Hoppus e colleghi.

Avrebbero tutti capito, tranne i diretti interessati, ne eravamo certe.

-Sì invece!- Insistette. -Sei sempre un'esagerata in certe cose. Anche prima quando sei scappata da Max, poi-.

Il sorriso mi calò immediatamente. -Non sono scappata- mi lamentai.

-Ma abbastanza! E l'ha notato anche lui da come si è messo a ridere- disse scuotendo la testa.

-Scusa se non volevo passare due ore con lui e i suoi amici. Passiamo fin troppo tempo con quei tizi lì-.

Francy fece spallucce. -Ma dai, non sono così male come avevamo sempre pensato-.

La guardai scettica. -Lo dici solo perchè ti sei follemente innamorata di Alex-.

Fece una smorfia. -E tu di Max eppure ti lamenti comunque- mi stuzzicò.

Mi bloccai un attimo mentre lei, con un sorriso soddisfatto, cominciava a trafficare al computer, salvando quell'articolo e aprendo una foto del mese.

Osservai la stanza, eravamo da sole ma era davvero il momento giusto per dirle tutto quello che avevo censurato in quelle settimane?

Aprii la bocca, pronta sul serio a far uscire tutto, quando la porta si aprì.

Ci girammo sorprese. Quando parli del diavolo spuntano le corna: un Max parecchio annoiato fece presenza. Vagò con gli occhi sui mobili, le pareti, i fogli, la finestra che si affacciava sul cielo sempre più scuro, per poi finire finalmente su di noi.

Io avevo una strana smorfia che non riuscivo a capire nemmeno io.

-Cosa c'è?- Chiese Francy per entrambe stravaccandosi sulla sedia e guardandolo divertita.

Lui si mise finalmente a camminare e non parlò finchè non si avvicinò alla nostra scrivania appoggiandosi. -Vi onoro della mia presenza- rispose infine, sorridendo; prese in mano una spillatrice guardandola curioso, rigirandosela tra le mani.

-Puoi andartene allora- commentai cercando di guardare il computer, ma fin troppo distratta dai suoi gesti.

Lui sbuffò. -No, in realtà mi ha mandato Kutcher, ci siamo messi a fare una partita e si è fatto male e ha cominciato a pregarmi di andare a chiamarti, Reed, con fare molto disperato-. Alzò gli occhi al cielo.

Francy incredibilmente si alzò di scatto; la guardai quasi incredula.

-Dov'è?- Chiese allontanando già la sedia e avviandosi verso la porta. -Sempre così!- Aggiunse lamentandosi leggermente preoccupata e riferendosi a qualcosa che non sapevo.

-Credo ancora in palestra o forse l'hanno già portato in infermeria … Cerca un po' tu! Ma non fare quella faccia, Reed, non è niente di grave- la rassicurò ridendo.

Francy annuì e fece per uscire.

Mi alzai a mia volta. -Aspetta! Vengo anch'io!- Esclamai.

Francy mi guardò un attimo, per poi sorridere. -No, ma l'ha detto anche lui che non è niente! Rimani qui a fare l'articolo della foto!- E se ne andò sul serio.

Guardai incredula la porta che sbatteva,

Concentrai molta attenzione sulla porta che chiudeva me e Max dentro; tutto pur di non guardarlo.

Parker però mi ricordò della sua presenza, passandomi tranquillamente davanti e non per uscire, ma per sedersi dove prima era stata Francy.

-Ti lasci i capelli sciolti?- Mi chiese subito, quasi irritato, mentre la sedia scricchiolava per i suoi tentativi di mettersi comodo.

Mi risedetti. -No- risposi e basta. -Cosa si è fatto quello là comunque?-

Max rise. -Ma niente! Seth gli ha dato per sbaglio una gomitata e ha cominciato a sanguinargli il naso. Ti togli l'elastico?-

Mi girai a guardarlo e incrociai subito i suoi occhi. -No. E sei venuto qua solo per quello?-

Lui sorrise. -Non volevo più giocare, non avevo un cambio e mi scocciava impegnarmi con i jeans, sono scomodi per una partita di basket-.

Alzai le sopracciglia, guardandolo circospetta. -Ammettilo che sei venuto solo per stressarmi-.

Parker rise senza rispondere e si sporse verso il computer. -Di chi è la foto questo mese?-

-Non cambiare argomento!-

-Se non rispondo è perchè un semplice “no” non merita di sprecare il mio fiato- commentò apatico, spostando la mia sedia con la sola forza della gamba destra per allontanarmi dal mouse e poterlo prendere lui.

Accigliata provai a rimettermi al mio posto, senza successo. -Strano, perchè si dice che chi tace acconsente, di solito-.

-Non sempre quello che si dice è vero- fu la risposta. Sentii vari “click” e finalmente distolsi lo sguardo dal suo viso per guardare il computer.

-Quella di questo mese era già aperta- gli feci notare toccando con l'indice la finestra abbassata.

-Sì, ma voglio vedere se avete ancora la mia dell'anno scorso- mi spiegò scuotendo la testa. Due click di seguito fecero comparire la suddetta foto.

La guardai, per poi scoppiare a ridere: dopo mesi vedere lui e Billy in quella posa ambigua continuava a farmi morire.

Parker sbuffò spostando il cursore verso la crocetta con l'obiettivo di cancellarla.

Presa dall'impeto mi aggrappai alle sue braccia provando ad allontanarlo; lo sentii caldo come sempre solo attraverso la maglietta. -Max!- Mi lamentai, con una strana voce stridula.

Parker minimamente mosso dal mio tentativo di fermarlo continuò a cercare di allontanare la mia sedia. -No, ti scazzi, la cancello!- Disse, con un cipiglio divertito.

-Tanto l'hanno già vista tutti!- Insistetti, facendo scivolare le mani sui suoi polsi e riuscendo a far arrivare uno scossone al mouse: la freccina volò in alto a sinistra, dandomi tempo.

-Me lo rinfacci anche?!- Chiese abbassando la voce, cercando quasi di sembrare minaccioso; la mano che non teneva il mouse si liberò, afferrando il mio di braccio.

Smisi di guardare il computer e mi ritrovai più vicina al suo viso di quanto avessi immaginato.

Tutta quella vicinanza fisica mi ricordò la serata precedente ma provai a non pensarci (più che altro per evitare di arrossire proprio in quel momento), e a cercare di liberarmi dalla presa; lui in risposta mi afferrò anche il secondo polso. Il mouse fu totalmente ignorato. -Beh, sbaglio o poi tu mi hai ricattata per vendicarti? Quindi io, per contrappasso, posso tenere la foto e rinfacciarti quegli atti osceni-.

-Atti osceni?- Mi prese in giro, non mollando la presa sulle mie braccia che continuavano, inutilmente, a cercare di liberarsi.

-Certo! Per fortuna ci siamo noi ad avvisare tutti di queste azioni impure che si svolgono all'interno della nostra scuola- ironizzai, cercando di non far calare l'attenzione verso noi che continuavamo a toccarci; la mia sedia scivolò in avanti, verso di lui, in quella lotta silenziosa.

-L'eroina della scuola!-

-Ovvio-.

Max sbuffò divertito e osservandomi le mani vide uno dei piccoli graffi che la bestia mi aveva fatto quel mattino; la guardò girandomi un attimo il polso, distrattamente. -Come va col gatto?- Chiese, lasciandomi finalmente andare, con delicatezza, come se fosse stato solo un caso che mi avesse tenuto stretta fino a quel momento.

Deglutii, alla sprovvista, capendo dove stava iniziando ad indirizzarsi il discorso; provai a distrarmi smettendo di guardare quegli occhi e chiudendo la foto che aveva aperto: almeno una vittoria c'era stata. -Non mi ha fatto dormire. O provava a graffiare la scrivania e dovevo alzarmi per sgridarlo, in qualche modo, o si metteva a miagolare per salire sul mio letto. Mia zia l'ha guardato sconvolta, stamattina, ma per fortuna se n'è dovuta andare e avrà tempo per abituarsi all'idea. L'ho chiuso in camera, così almeno se distrugge qualcosa non sono le tende in sala-.

Lui rise. -Visto che bel regalo?-

Continuai decisa sul fatto di non guardarlo e aprii la foto di quel mese. -No, cerchi di tormentarmi anche con i regali ...-

-Ma su che ti è piaciuto!-

Cedetti alla tentazione e mi girai incrociando subito il suo sguardo. -Solo il pensiero- risposi piano.

Max scosse la testa, sbuffando e guardò verso il computer. Le sopracciglia castane si alzarono velocemente, gli occhi guardarono attenti la foto a cui non avevo fatto ancora particolarmente caso; mi girai anch'io.

C'era una ragazza della nostra scuola, che ricordavo di aver visto un paio di volte: magra con due belle gambe lunghe che uscivano fuori da una corta gonna invernale, capelli lunghi, scuri, lucidi e lisci, sul viso erano visibili caldi lineamenti del sud, parecchio carina, si stava per mettere in bocca una patatina fritta, guardandosi furtivamente intorno, chinata appena sotto il livello del tavolo di fronte al quale era seduta. La cosa sarebbe stata abbastanza normale se non fosse stato per il cumulo di patate per terra, rovesciate dal contenitore che probabilmente le era appena caduto. Non sapevo se fosse davvero come sembrava (cioè che avesse sul serio pescato quella patatina da terra), ma nelle foto del mese non importava mai davvero la realtà della situazione.

-Evidentemente crede nella regola dei cinque secondi*- commentai ridendo leggera.

-Sai cos'è la cosa più orrenda?- Mi chiese retorico e potei cogliere una smorfia tra lo schifato e il divertito.

-Cosa?- Guardai la ragazza provando a capire, prima che me lo dicesse, cosa c'era di particolare.

-Che potrei essermi beccato qualche malattia strana da quella tizia lì, per quello che sto vedendo-.

Guardai il bel viso della ragazza castana e ricordai quando l'avevo notato, in particolare durante il ballo invernale, insieme al gruppo di Max e insieme a lui durante un lento. Collegai velocemente le sue parole e capii; mi si dipinse, non potei evitarlo, una leggera smorfia sulle labbra. -Te lo meriteresti- risposi alla fine, cercando di tenere un tono ironico e non risentito.

Parker sbuffò divertito e cercai di non guardarlo chinandomi verso la tracolla per prendere la bottiglietta d'acqua.

-E perchè mai?- Si dondolò con la sedia.

Bevvi un sorso d'acqua veloce, incrociando gli occhi verdi; misi giù la bottiglia e l'appoggiai sulla scrivania. -Perchè ...- Presi tempo smettendo di guardarlo e chiudendo alcune pagine aperte del computer. -Perchè tu ...- che eufemismo avrei potuto usare per non usare esplicitamente il verbo “scopare”? -Perchè vai con tutto il mondo di continuo e prima o poi qualcosa ...-

Parker scoppiò a ridere fragorosamente interrompendomi. -Vado?-

-A letto!- Precisai guardandolo infuriata ma anche in imbarazzo. Perchè non avevo mai parlato chiaramente con lui di quelle cose e non avrei voluto iniziare. Non adesso e non parlando di lui insieme ad altre ragazze.

-A fare che, Evelyne?- Mi provocò sporgendosi verso la scrivania. E lui si divertiva da morire, ovviamente.

Ressi lo sguardo che cercava il mio solo per mettermi a disagio. -Sai cosa-. E ci riusciva a farlo.

-E perchè non puoi dirlo?- Continuò mordicchiandosi le labbra per non ridere.

-Perchè non sto ai tuoi giochi- esclamai accigliandomi e dando un altro sorso alla bottiglia d'acqua.

-Invece ci stai stando sì- mi fece notare con una risata corta.

Tornai a guardarlo accigliata. -No-.

-Comunque, sai, pensavo- disse all'improvviso avvicinandosi di più con la sedia alla scrivania e automaticamente anche a me; arrivò a sfiorarmi il braccio con il suo. -tu non hai mai davvero fatto niente niente?-

Mi sentii morire.

-Evy?- Mi chiamò sorridendo sempre più divertito per le mie espressioni.

-Non sono affari tuoi!- Ribattei cercando davvero di non considerarlo ma sentendo sempre più caldo e le guance tendenti al rosso.

Lui sospirò alzando gli occhi al cielo. -Dai, su, non ho mai parlato così tanto con una ragazza come con te, avremo nominato qualsiasi argomento di questo mondo in questi mesi ed è possibile che tu ti faccia così tanti problemi a parlare di sesso?-

-Il sesso è una cosa privata- risposi solo, di fretta.

-Ma il sesso è naturale come ...-

-Anche pisciare è naturale ma non ti avviso ogni volta che lo faccio-.

Lui rise. -Ma è diverso!-

Scossi la testa. -No, è la stessa cosa, quindi scusa se non ci tengo ad informarti sulla mia vita sessuale-.

-E ti ho solo chiesto se non hai mai nemmeno sfiorato un ragazzo o cosa! Se vuoi mantenere l'esempio del fare la pipì ti sto chiedendo se ti sei mai almeno seduta sulla tazza- mi spiegò, ridendo.

Risposi a denti stretti: -Sono vergine, Parker-.

Ci fu un attimo di silenzio e non riuscii a trovare il coraggio di ritrovare i suoi occhi. -Ma sì, si sapeva da Halloween questo, io in realtà volevo ...-

Mi alzai in piedi esasperata e marciai verso le finestre; aprii uno spiraglio e mi ci sistemai di fianco, appoggiandomi al vetro con la schiena. Faceva caldo.

-Credo di aver trovato davvero un argomento scomodo, eh?- Insinuò, cercando di non ridere per non farmi arrabbiare. Non di più di quanto lo fossi già, almeno.

E io non capivo perchè non me ne fossi già andata.

-Poi dai, hai diciott'anni ...-

-Non centra!- Mi difesi avvampando.

-Beh non dovresti vergognartene così tanto a diciott'anni!-

-Con Francy posso parlarne tranquillamente. Con te no-.

-E perchè con me no? Non siamo amici?-

Mi ritrovai un attimo a boccheggiare. -Sei un ragazzo!-

-Beh non siamo amici? Se lo siamo dovresti credere nell'amicizia tra persone di sesso diverso- Insistette sogghignando.

-Non siamo abbastanza amici, evidentemente-.

Max mi sorrise dalla sedia osservandomi ma ignorando la mia affermazione. -Poi dai non capisco tutto questo pudore … In alcune occasioni alla fine hai dimostrato anche tu di possedere degli ormoni ...-

Il riferimento ad eventi precedenti e riguardanti entrambi era chiaro.

-Parker, ti ammazzo-. E la mia minaccia era vera, se volevo salvarmi dall'autocombustione quella era l'unica soluzione.

Mi rivolse l'espressione più innocente del mondo e avrei voluto picchiarlo e … Quei discorsi stavano facendo un effetto strano anche sui miei pensieri.

Cercai di darmi una calmata.

-Una persona vive benissimo anche senza sesso. Ne sono la prova vivente, tu invece che te ne fai una ogni giorno sei un bambino idiota!- Davvero irritata chiusi la finestra che avevo appena aperto con un colpo.

Parker si limitò a ridere. -Non è vero che me ne faccio una ogni giorno!-

Cercai di respirare e tornare di un colorito normale; mi sciolsi la coda con un solo gesto ma continuando a starmene contro la finestra, lontana da lui. Lo guardai e basta.

Assunse, subito dopo il mio sguardo, un'espressione pensierosa. -E' da un po' sinceramente che non sc … Che non “vado”- mi citò ridendo -con nessuna-.

La rabbia scemò velocemente in curiosità, sbattei gli occhi fin troppo, continuando a guardarlo, senza parlare.

Max però non sembrò intenzionato a continuare e con un piccolo sorriso accennato si mise a trafficare col computer.

Non potei resistere.

-Da quando?-

Mi pentii subito dopo di averlo fatto e mi morsi la lingua a sangue.

Il verde trovò velocemente i miei occhi e si stava divertendo da morire.

L'idea che anche quella piccola pausa fosse stata premeditata per farmi parlare mi mise un attimo in ansia.

-Solo se tu mi dici una cosa-.

Appunto.

Mi ritrovai immediatamente in modalità difensiva. -Non mi interessa così tanto da doverti qualcosa in cambio, eh-.

Lui rise. -Una cosetta!-

-C'entra col … Sesso?- Chiesi e per un attimo pensai che in effetti forse qualche problema con l'argomento ce l'avevo. O forse era il soggetto con cui ne stavo parlando a causarmi squilibri psichici al riguardo. Non solo al riguardo, un po' con tutto.

Lui rise. -Adoro il modo in cui dici quella parola, Evy- mi prese in giro.

Sbuffai, mettendomi a testa in giù per rifare un'alta coda di cavallo e non farmi vedere con il viso rosso.

-Gray, ti disfai quella maledetta coda?!- Si accigliò.

-No-.

-Foto-.

La minaccia che non mi veniva fatta da così tanto mi disorientò e l'elastico con cui avevo già circondato per la seconda volta i capelli mi scivolò dalle dita rovinandomi la coda.

Lo fulminai da quella posizione e ricevetti solo una faccia da schiaffi in risposta mentre mi arrendevo all'idea di dover restare coi capelli sciolti.

-Allora, me la dici una cosa?- Ritornò all'attacco, girandosi per bene con la sedia verso di me.

Disorientata mi ricordai quello che mi aveva proposto poco prima. Annuii circospetta.

-Ammettilo che ieri volevi baciarmi-.

Alzai il braccio mandandolo a quel paese e mi diressi verso la porta, pronta ad uscire e scappare via, bisognosa d'aria.

Parker scoppiò a ridere. -Dai! Scherzavo! Scherzavo! Evy!-

Mi bloccai davanti alla porta e mi girai a fulminarlo con lo sguardo. E mi ero scocciata di subire solo io. -Okay che ti sei emozionato così tanto per un mio bacio ma mi dispiace, è stato solo un errore, miravo alla guancia-.

Lui sorrise divertito. -Come rivoltarmela sempre contro!-

-E' così- misi in chiaro incrociando le braccia.

Max sbuffò e appoggiando il viso sopra il pugno chiuso mi guardò per un po' dal basso. Tornò a mostrare presto i bei denti bianchi. -E lo vuoi sapere quindi, da quando?-

Ricollegai anche cosa gli avevo chiesto, poco prima. Mantenni il controllo. Sapevo che voleva farsi pregare. -Posso vivere anche senza-.

-Okay-. Fece spallucce.

Deglutii mentre lui si metteva a guardare la foto, aprendola con paint.

E io in realtà volevo saperlo.

Volevo sapere se alla festa di Kutcher, dopo essere rimasto chiuso nella stanza con me, dopo la mia fuga, lui si era poi incontrato con qualcun'altra; volevo sapere se dopo il bacio a casa sua lui si era tranquillamente trovato un'altra; volevo sapere se dopo New York, in quelle settimane, aveva conosciuto qualcuna.

Mi mordicchiai le labbra, tornando lentamente verso il computer per risedermi dov'ero prima.

Mi lanciò un breve sguardo, senza però comunicarmi niente. Stava truccando la castana della foto, con i pennelli di paint, in modo fin troppo infantile. Lo osservai mentre le disegnava anche i baffi.

Ero innamorata di quel bambino? Mi sfuggì uno sbuffo divertito per poi guardarlo circospetta.

La curiosità senza accorgermene aveva cancellato il resto. Continuare a guardarlo cancellava il resto.

E mi arresi.

-Da quando? Voglio vedere cosa intendi quando dici che non te ne fai una da tanto, se la risposta sarà “una settimana fa” sembrerai in ogni caso penoso- dissi velocemente.

Parker rise. -Cerchi di dissimulare anche il fatto di essere interessata a saperlo?-

Prima che potessi anche solo girarmi per fulminarlo lui continuò: -Dal pomeriggio prima di Sadie Hawkins. Direi- e fece spallucce vagamente.

Ci fu un attimo di silenzio.

Gennaio.

Da gennaio.

Maledissi il sorriso che forzava per uscire allo scoperto.

-Addirittura!- Commentai sforzandomi di sembrare solo ironica.

-Beh, guarda che è tanto!- Ribattè convinto.

Lo guardai scettica ma incrociando i suoi occhi non potei evitare a quelle parole di uscire, così automaticamente, fu il verde ad ispirarmi male: -Sono stata l'ultima che hai baciato?-

Sembrava che in quel periodo, in ospedale come in quell'esatto momento, la mia lingua prendesse vita e parlasse a sproposito ignorando tutto.

Mi guardò un attimo sorpreso e gli occhi si allargarono leggermente: non se l'era aspettato. Gli si dipinse però presto il suo solito sorriso divertito e mi osservò. -Quello di ieri vale?-

-Non era un bacio- mi impuntai, in difficoltà, distogliendo lo sguardo e maledicendomi.

Rise e aspettò un attimo prima di parlare. -Allora no-.

Mi si bloccò il respiro nel petto e tornai a osservarlo, sperando che non vedesse quel leggero velo di delusione. -Ah, ecco, mi sarebbe sembrato strano anche quello-.

-Esatto- rispose tranquillo, con un mezzo sorriso e continuando a modificare la foto.

In quel momento, con un perfetto tempismo, la porta si aprì.

Ci girammo sorpresi cogliendo la figura di Miss Powell, una delle segretarie della nostra scuola.

La guardai curiosa. -Cercava qualcosa?- Chiesi subito, inumidendomi le labbra, provando a cancellare velocemente la lunga conversazione appena avuta con Parker.

-La preside vi cerca- ci informò impassibile, osservandoci attenta.

 

Camminavamo in silenzio per i corridoi dirigendoci verso la segreteria.

C'era una strana atmosfera che nessuno dei due si decideva a rompere; non sapevo a cosa stesse pensando lui, ma io ero troppo assorta nella conversazione appena fatta e tenevo le mani nelle tasche della felpa facendo finta di niente.

Quando finimmo di salire le scale che portavano all'ultimo piano le due bolle che ci separavano si ruppero, finalmente: -Andiamo dal veterinario oggi?-

Lo guardai. -Veterinario?-

Sbuffò divertito incrociando i miei occhi. -Il gatto?- Ricordò.

Ricollegai. -Ah! Dici che conviene che ci vada già?-

Fece spallucce. -Ci sono i miei in casa e più ci sto lontano meglio è, quindi non avendo altro da fare potrei anche accompagnarti; senza contare il fatto che io e il micio ormai ci intendiamo-. E ammiccò. Per un attimo mi sembrò quasi, con quell'occhiolino, di essere io il “micio”.

Scossi la testa lievemente scettica. -Se ti becchi tutti i graffi potrebbe andare bene-.

-Simpatia- disse a mezza voce.

Sbuffai io questa volta per poi guardare i pochi metri che ci distanziavano dalla presidenza. -Comunque sai che è di sicuro per colpa tua se hanno chiamato anche me, vero?- Lo accusai, semplicemente.

Si accigliò. -Perchè dovrebbe essere colpa mia?-

-Perchè non mi hanno mai chiamata se non per il giornale, hanno chiamato pure te e quindi di sicuro è colpa tua- spiegai ovvia.

-Sono ragionamenti insensati-.

-Lo sarebbero se fossero tuoi- gli risposi candidamente e osservandolo.

-Sei acida in modo schifoso- ribattè sorridendo anche lui ironico.

Gli rivolsi una smorfia: in realtà l'umore era dovuto ancora alle sue ultime parole, nell'aula del giornalino.

-Quindi veterinario?- Ripeté, smettendo di guardarmi e probabilmente per cambiare discorso.

-Dipende-.

-Da cosa?-

Arrivammo finalmente davanti alla porta del Dittatore

-Da quanto centrerai adesso col motivo per cui mi ha chiamata la preside-.

-Oddio, Evy, che pesante!- si lamentò e aprì con noncuranza la porta dell'ufficio. Contrariata lo seguii.

-Parker, si bussa- sussurrò gelida la preside, nella solita posa marmorea, alla scrivania.

Max le regalò un sorriso ironico e camminò piano verso una delle due sedie.

-'Giorno- borbottai chiudendo la porta.

-Accomodati, Gray- continuò la preside, prendendo intanto un raccoglitore blu, che era stato all'angolo della cattedra.

Parker si era accomodato e gonfiava le guance ad intervalli, già annoiato.

Eseguii e mi accomodai sulla seconda poltroncina bordeaux.

-Allora,- cominciò la donna col suo solito tono autoritario. -Gray, iniziamo da te-.

Sorrisi, ma avevo anch'io, come Max, poca voglia di stare in quella stanza, cercavo solo di non darlo a vedere, lui faceva tutto il contrario. -Dica-.

-Come sempre il weekend della prima settimana di Aprile ci sarà la fiera della città- ci informò aprendo il raccoglitore ed estraendo un foglio. -Hanno chiesto anche a noi di aiutare, come scuola, e ne ricaveremo dei soldi-. La donna sorrise soddisfatta.

Parker sbuffò divertito capendo, come me, dove stavamo andando a parare. E Max alla fine non sembrava c'entrare.

-Ho pensato quindi, oltre al coro e alla banda scolastica, di aprire qualcosa di simpatico, una di quelle cose che piacciono a voi giovani!-

-Ah sì?- Commentò Max, con ironia. La preside lo fulminò. Lui sembrava però troppo abituato agli incontri-scontri con la donna e nemmeno ci fece caso.

-Tipo?- Chiesi, per distoglierla dall'idiota.

-Una casetta dei baci!-

Parker ed io stemmo zitti. Che lui fosse riuscito a trattenersi poi era un bene.

-E pensavo di affidarla a te, Evelyne, mi fido abbastanza, tra tutti- finì la preside.

Ci fu un piccolo silenzio in cui Parker tossiva platealmente, nascondendo malamente una risata dietro ogni colpo di tosse.

-E cosa dovrei fare?- chiesi guardando male, insieme al Dittatore, il castano.

-Cerchi qualcuno per aiutarti al banco, ragazze, ragazzi, come vuoi, e poi ti farai aiutare dal nostro caro amico qui presente a finire di costruire la casetta che ci è stata data-.

Il sorriso di Parker sparì. -Perchè?!-

-Perchè ti ricordo l'episodio dei vassoi, Parker- rispose gelida, ma deliziata, la preside. -Non hai ancora scontato la tua punizione e visto che non posso proibirti di giocare la partita prima della fiera, dato che senza di te ammetto che ci sono alcuni rischi di perdere e non lo voglio assolutamente, ti toccherà questo: fai il buon lavoratore e sbaciucchia ragazze facendoti almeno pagare-.

Non capivo se nell'ultima parte ci fosse una qualche tipo di insinuazione. Probabile.

-E' prostituzione maschile! Mercificazione del mio corpo!-

-Lo farai comunque-.

-Sì, va bene. Lo faremo- cercai di chiuderla lì.

Parker si imbronciò e affondò nella sedia, incrociando le braccia.

-Poi,- continuò la preside tornando a guardare il suo foglio e tracciando una riga, con una matita. -Oggi alla fine delle lezioni portami il foglio con la lista di altri tre, quattro nomi per la casetta. E basta-. Cancellò una seconda cosa e poi alzò gli occhi chiari. -Tienimi d'occhio Parker, Gray e attenta-.

Uscimmo dall'ufficio poco dopo.

Io ero davvero inquietata da quei continui “attenta” che mi venivano rivolti. Forse più che altro perchè sapevo di non starlo facendo: Parker mi piaceva, anche più di un semplice piacere, e seppur provassi a fare attenzione non ci riuscivo, pensai solo al mezzo bacio che avevo provato a dargli, alle domande che mi erano sfuggite poco prima. Cosa poteva pensare ormai?

-I soldi li farò tutti io comunque, nessuno pagherebbe 50 cent per baciarti- commentò Max risvegliandomi bruscamente dai miei pensieri.

-Ma che cazzo vuoi?!- Iniziai acidamente. -Ti ricordo che tu ...-

Lui fece una strana smorfia all'improvviso e ignorandomi completamente mi interruppe, incrociando il mio sguardo. -Ah sì aspetta qualcuno ci sarebbe: il nanetto, lui forse sì, ma tanto lo baci anche senza avere soldi in cambio-.

Mi chiedevo cosa potesse pensare? Niente, ovvio, niente, Parker non pensava, non c'erano pensieri sensati in quella testa bacata.

Provai il sincero impulso di picchiarlo. -Parker, vai a scoparti qualche cheerleader invece di rompere il cazzo a me! L'astinenza ti fa male!-

-Va bene!-

Smisi di guardarlo e me ne andai.

-Evelyne!-

Lo ignorai.

 

 

Le cose in quel periodo erano tanto cambiate.

Anche le persone, dal mio punto di vista.

Dawn mi era sempre sembrata una ragazza normale, fin troppo stupida, fin troppo vanitosa e fin troppo oca per meritare davvero l'attenzione che le veniva rivolta.

Adesso, guardandola parlare con Parker in mezzo al corridoio, mentre tutti si affrettavano per andarsene il prima possibile, l'idea che avevo di lei era ben diversa.

Dawn era semplicemente una gran bella ragazza, di gran lunga molto più bella di me: coi capelli biondi, lunghi, sempre così perfettamente lisci e ordinati, tutto il contrario dei miei; magra ma morbida nei punti giusti, di sicuro toccare i suoi fianchi baciandola era meglio; con degli occhi azzurri che, se veniva tralasciato quella sensazione antipatica che trasmettevano a pelle, erano dei gran begli occhi; e un gran bel sorriso che si apriva di continuo per ridere di tutto quello che Max le diceva.

Max che probabilmente stava per seguire il mio consiglio di quella mattina.

Ero di umore pessimo.

Lo ero stata per tutto il resto della giornata, subito dopo aver smollato Parker nel corridoio. Francy mi aveva osservata accigliata per tutto il giorno ma non aveva chiesto niente.

Era sembrato addirittura geloso. Lui. Così come, secondo Francy, lo era stato il giorno prima per l'episodio dei vassoi.

Ma sapevo che non poteva esserlo sul serio. Semplicemente voleva l'esclusiva sul suo giocattolino, in maniera fin troppo infantile.

E quello lo odiavo.

-Dawn- chiamai, avvicinandomi e ignorando il castano di fianco a lei.

La bionda distolse lentamente lo sguardo da Parker mentre gradualmente le si scioglieva il sorriso, sostituito da una pura smorfia di disprezzo. L'antipatia delle cheerleader, soprattutto Dawn, nei miei confronti sembrava essere aumentata in quei mesi. La cosa era però reciproca.

-Sì?- Chiese schioccando le labbra carnose.

-Fiera della città. La scuola si occupa della casetta dei baci, tu e due tue amiche potete partecipare?- Chiesi freddamente, non vedendo già l'ora di andare dalla preside, darle il foglio e poi tornarmene a casa.

-E perchè mai?- Domandò, sfoggiando un tipico sorriso di superiorità e squadrandomi dall'alto in basso.

-Perchè ha bisogno di qualcuno che guadagni soldi, lei da sola non ci riuscirebbe …- commentò Parker.

A Dawn si sollevarono le guance e rise e sfoggiò tutti i denti bianchi in un'espressione molto deliziata per quell'intervento.

Girai lo sguardo verso Parker e incrociai i suoi occhi. Aveva una strana espressione che non capivo: sorrideva divertito come sempre, ma il sorriso non aveva raggiunto il verde.

-Ah-ah, sempre più originale- fu la mia risposta seguita da una smorfia.

-Comunque va bene- rispose Dawn, passandosi la mano tra i capelli e guardando nel solito modo il suo amato. -Sabato? E con me conta Eyre e la Flores, loro accetteranno di sicuro-

Annuii e le spiegai brevemente dove ci saremmo trovati. A Parker non mi rivolsi ma tanto stava ascoltando anche lui.

-Quindi ci vediamo- sospirai congedandomi e andandomene via.

Il mal umore stava diventando qualcos'altro. Un vago senso di tristezza.

Andando su verso il corridoio della segreteria pensavo al gattino che mi aspettava a casa e che avrei dovuto provare a portare, pur non avendo la gabbietta, dal veterinario. E ci sarei andata da sola, ovviamente.

Avvicinandomi sempre più alla porta della preside mi chiedevo davvero come potessi essere così masochista: perchè perdevo ancora tempo dietro a Parker? A parte la foto, perchè continuavo a parlarci, a ridere, sorridergli e ad incantarmi?

La risposta purtroppo la sapevo.

Ero innamorata del Parker che scherzava con me mangiando cinese, che mi diceva che ero “quasi carina”, che mi sfiorava la pelle a casa di Kutcher, che giocava coi miei capelli, che mi chiedeva di restare da lui, che mi abbracciava a letto pur stando scomodo, che cercava il mio aiuto, che mi baciava sapendo di sciroppo d'acero, che mi faceva venire i brividi soffiandomi sul collo, che veniva fino a New York, che restava con me anche se provavo a cacciarlo e alla fine, quasi a mezzanotte, mi portava un gatto chiedendomi scusa. Di tutto quello. Perchè sotto il Parker dal sorriso ironico e il commento stronzo, sotto il Parker a cui non importa e a cui non importava, c'era quello che dimostrava, a volte, il contrario.

Il problema era: ne valeva la pena?

La risposta era sì. Per me era sì. Mi comportavo come se fosse un sì.

Ero masochista.

Tremendamente masochista.

E volevo Parker.

-Evelyne!-

Sobbalzai come colta in flagrante e mi ritrovai ad arrossire girandomi. -Oh, Ben-.

Il morettino mi fece un sorriso scettico. -E' un tono deluso quello che sento? Chi ti aspettavi?-.

Risi a disagio: per pochi secondi avevo pensato potesse essere Max, venuto a scusarsi o per farsi perdonare. -No, non era deluso. Mi accompagni dalla preside?-

Ben mi lanciò uno sguardo terrorizzato ma annuì a malincuore.

-Mi meriterei un sacco di cose dopo questa- borbottò mentre ci avvicinavamo inevitabilmente alla porta della suddetta.

-Non voglio sapere quali- risposi dandogli corda con un sorriso.

Bussai e come al solito aprii dopo pochi secondi.

Hitler sempre nella solita posizione, a braccia incrociate mi osservò. -Gray, Johnson- ci salutò. Uno dei tanti poteri della preside era il sapere a memoria praticamente i cognomi e nomi di tutti gli alunni della scuola: me l'ero immaginata spesso a studiare fascicoli con foto nel cuore della notte.

-Per la casetta dei baci ho chiesto al capo cheerleader Dawn Davis e alle sue amiche Eyre e Flores- dissi subito. Continuavo ad aver voglia solo di tornarmene a casa, sul mio letto, col mio cuscino. Loro mi avrebbero amata.

Diventavo sempre più deprimente anche per me stessa.

Ben ridacchiò, probabilmente sentendo parlare di quell'assurda trovata che la preside si era inventata.

-Perfetto- sentenziò la donna appuntandosi qualcosa nel foglio che aveva avuto anche prima. -Johnson tu e la tua banda verrete informati domani. Potete andare-.

Uscimmo dall'ufficio e io così ero libera di andarmene. Mi aspettava il mio bel pomeriggio in completa solitudine, tranne per quella mezz'oretta, che speravo diventasse meno, dal veterinario, ma solo quello.

-Banda quindi?- Chiesi, tanto per parlare.

Lui sorrise. -Sì, ci incontreremo alla fiera, ha incastrato mezza scuola la preside-.

-Io mi sono beccata la cosa peggiore però- gli feci notare ridacchiando.

-In effetti. Ma prova a fare il turno al mattino così pochi ti vedranno e sarai salva!- Provò a consigliare.

-O farò con Dawn così tutti andranno da lei ...-

Ben sorrise e mi osservò. -Oggi fai qualcosa, Evelyne?- Cambiò completamente argomento.

Un po' preoccupata incrociai gli occhi neri e lucidi di Ben. -Veterinario-.

Mi guardò sorpreso e non potei continuare con l'idea di evitare contatti umani per il resto del giorno solo per colpa di Parker. Sorrisi. -Mi hanno regalato un gatto per il mio compleanno e oggi vado a scoprire di che sesso è-.

Ben rise nel suo solito modo bello e sincero. -Non l'hai capito da sola?-

-E' un gatto molto antipatico, non permette che controlli certe zone-.

-Ah- fece, sorridendo. -Ti posso accompagnare? Potrebbe servire aiuto per domare quella belva-.

Ci pensai un attimo: Ben che sostituiva Parker. Ma non era così, erano talmente diversi da non poter dire nemmeno che fosse il suo rimpiazzo. Ma quello che importava era che forse avevo bisogno di distrarmi. -Va bene!- Sperai di aver fatto la scelta giusta e il suo continuo sorriso forse me lo confermò.

Scendemmo le scale andando verso l'entrata della scuola. -E chi te l'ha regalato il gatto?- mi chiese curioso, con le mani in tasca.

Vidi appunto Parker che vicino all'uscita guardava per terra con fare scocciato. -Se te lo dicessi non ci crederesti, probabilmente- risposi seccamente.

Ben forse intercettò il mio sguardo ma si ritrovò a fissare Max mentre ci avvicinavamo a lui, passandogli davanti.

Parker alzò lo sguardo e in quel momento lo distolsi. -Hai bisogno di un passaggio?- Chiesi a Ben strettamente.

-Gray, oggi quando vengo da te?- Il mio piano di continuare a parlare con Ben per evitare l'altro non aveva funzionato.

-Non vieni- gli risposi sorridendo e tornando ad ignorarlo. Parker si era staccato dal muro e aveva accennato ad avvicinarsi.

-E non c'è bisogno ho l'autobus- rispose il moro alla domanda di prima e non considerando il castano. Ben mi stava sempre più simpatico.

-Come no?- Parker non demordeva e io aumentai il passo uscendo dall'edificio.

-L'accompagno già io- rispose Ben per me girandosi a guardarlo per la prima volta.

Mi sentii tirare all'indietro per il braccio e dimenandomi ottenni solo che le braccia di Parker mi afferrassero anche per la vita. -E perchè mai?- Chiese divertito bloccandomi definitivamente.

-Parker!- Mi lamentai. Ben si fermò e ci guardò un attimo perplesso.

-Perchè doveva andarci da sola sennò-.

-Dovevo accompagnarla io, nanetto. Il gatto fino a prova contraria è un mio regalo- ribatté tranquillamente il ragazzo che mi teneva fermo e di cui non potevo vedere l'espressione.

-Ci vado con Ben- ripetei freddamente provando di nuovo a liberarmi.

-Solo perchè ho fatto un paio di battute su di te devi fare la permalosa?- Si lamentò continuando a non lasciarmi. Ben ci guardava e sembrava cominciare a preoccuparsi.

-No, perchè lui è più simpatico-.

Dopo quella frase mi sentii sollevare, con una facilità simile a quella che aveva avuto per farmi sedere sul bancone a casa sua, solo che in quel momento le braccia di Parker mi sollevarono di peso, sopra la sua spalla, per portarmi via.

Collegai dopo un poco. -PARKER! E' rapimento! Ben!- Cominciai ad urlare e sperai che la preside ci sentisse e lo fermasse.

Ben era in panico e mi guardava impotente mentre Parker mi portava tranquillamente via, non sapendo come intervenire.

-PARKER! Che cazzo stai facendo?!- Chiesi continuando ad urlare e provando a picchiarlo.

-Ti rapisco, l'hai detto anche tu- canticchiò allegramente.

-Ben! Chiama la preside!- Continuai sempre nello stesso modo mentre entravamo nel parcheggio e i pochi alunni rimasti ci guardavano increduli. Ben ancora più confuso non sapeva se seguire davvero l'ordine.

-Ma taci, gallina- mi sgridò bellamente lui mentre continuava la sua marcia verso non sapevo dove.

-Parker! Lascia immediatamente Evelyne!-

Entrambi ci girammo notando la piccola e tarchiata prof Gardiner, quella di storia che arrivava marciando tra le macchine. Ero la sua cocca e per fortuna! Quello di ginnastica non sarebbe intervenuto al suo posto.

-Prof, non riesce a camminare e la sto aiutando- si giustificò tranquillo sistemandomi sulla sua spalla e facendomi temere di volare per terra.

-Non è vero! Mettimi giù!-

-Parker- continuò con aria severa la donna.

Ben intanto ci aveva raggiunti e si grattava la testa imbarazzato.

-Solo se vado io al posto del nanetto oggi-. Sentii un pizzicotto sulla gamba e mi dimenai.

-Cosa ricatti a fare?!- Bollivo sia per l'istinto omicida nei suoi confronti, sia perchè essere in braccio a lui, con le sue mani addosso, non mi rendeva del tutto indifferente. Gli ormoni, Evelyne, controllali, cercai di dirmi. -No!-

-Parker, mettila giù ho detto o ti mando dalla preside!-

-Sono fuori dalla scuola! Cosa c'entra Hitler?!-

-Andiamo tutti e tre insieme- propose alla fine Ben disperatamente, tra le urla mie e della prof Gardiner.

Tutti lo guardammo.

Ben, Parker ed io dal veterinario. Sembrava l'inizio di una barzelletta.

 

Ed era stato l'inizio di una barzelletta sul serio.

Ben che continuava a sorridere e Parker che si era comportato in maniera civile.

Era sembrata una barzelletta solo per il modo in cui si era comportato Max.

Nemmeno un'offesa era volata in direzione del “nanetto” e nemmeno verso di me.

Si era comportato da perfetto bravo bimbo e mi ero chiesta dal veterinario il perchè.

Parker aveva sempre un motivo per ogni cosa. Aveva accennato anche lui, una volta, che tutti avevano sempre un perchè.

E si era comportato da bravo ragazzo per qualche motivo.

Ma a me era andata bene così, pur non riuscendo del tutto a capire quella mente contorta.

Mi sollevai sulle punte dei piedi sopra la bassa scaletta, per cercare di impilare una delle poche scatole che mancavano, mentre ripensavo a quel giorno.

A me era andata bene così soprattutto perchè l'avevo adorato per tutto il pomeriggio e né i sorrisi di Ben né altre parole avevano potuto distrarmi dal cercare di osservare Parker che, con un fare mite che non gli apparteneva, non ci considerava un gran che e giocava col micino. Non considerava un gran che Ben che normalmente avrebbe maltrattato in ogni modo.

Sorrisi riuscendo a infilare la scatola di fianco a un'altra. Avevo per un po' pensato che volesse ingraziarmi, per qualche motivo, e a pensarci, dopo aver saputo che il micino era appunto una femmina l'avevo davvero assecondato.

L'avevo assecondato dopo quel pomeriggio da bravo ragazzo, con sorrisi e nessuna cattiveria, leggermente abbagliata, quando mi aveva riaccompagnata a casa in macchina e mi aveva chiesto una cosa.

Che mi avesse accompagnata in macchina per non farmi sprecare benzina, poi diceva tanto.

E Parker che chiedeva, poi diceva altro.

Dopo tutto questo mi aveva chiesto di chiamare la gattina Maxyne.*

Nome orrendo, senza offendere i Maxyne nel mondo, ma che avevo accettato quasi senza esitare.

Quando mi aveva lasciata, dopo un altro sorriso, ed ero entrata in casa mi ero resa conto di una cosa: Maxyne che forse non era solo una versione femminile di Max, ma anche l'unione tra i nostri due nomi.

Era anche per quell'idea malsana, probabilmente sbagliata ed egocentrica, che mi ritrovavo a lavorare alla costruzione della casetta dei baci, fischiettando e particolarmente di buon umore.

Quanto potevano cambiare le cose in una sola giornata?

E io avrei dovuto stare attenta, come diceva la generalessa, ma non ci riuscivo. Non ci riuscivo decisamente perchè per uno stupido Maxyne mi ritrovavo di un buon umore parecchio raro da un paio di settimane ormai.

Sentii i colpi di martello che continuavano da decine di minuti, alternati a lamentele, smettere, finalmente.

Era ormai il weekend della fiera infatti e la casetta dei baci mi minacciava da vicino.

-Finito?- Urlai scendendo i due pioli per prendere un'altra scatola.

Parker, con un'evidente smorfia, entrò nella piccola casetta. Era venerdì pomeriggio e io avevo dovuto sistemare l'interno, ordinando gli attrezzi per costruire parte del tetto e appoggiando sulle mensole le cose che ci sarebbero servite per decorare l'esterno e oggetti strani che ci aveva fornito la preside; Max aveva dovuto pensare al tetto, con sua grande gioia.

-Sì- rispose seccamente. Dopo il suo bel pomeriggio Parker invece era tornato esattamente il solito. Chi lo capiva era bravo. Poi dicevano alle donne.

Ma io risi, più che altro per il suddetto buon umore che era continuato. -Su su, che hai finito!- Risalii le poche scale, con lo scatolone in braccio.

-Se mi facevo male col martello ...- cominciò.

-Sarebbe stato davvero da idioti ...-

Mi sentii pizzicare un fianco e sobbalzando quasi rischiai di cadere. -Parker!-

-Te lo meriti. E comunque, se mi fossi fatto male e non avessi potuto giocare la partita l'avrebbe poi pagata cara Hitler- continuò a lamentarsi.

Sbuffai e sistemai la scatola. -E' una partita come un'altra-.

Scesi i pioli di nuovo e ad attendermi ci fu un Parker con l'aria scettica. -Cosa c'è?-

-Oggi ci sono gli scrutatori-.

Lo guardai un attimo sorpresa: non lo sapevo ed ero la ragazza del giornale, ero quasi delusa da me stessa. -Ma non è presto?-

-E' quello che ha detto anche l'allenatore ma quest'anno è andata così-. Fece spallucce.

Gli scrutatori erano gli uomini che ogni anno in una partita, e che fosse solo una mi sembrava un po' ingiusto, cercavano di capire se nelle scuole c'era qualcuno con abbastanza talento nel proprio sport. Se lo trovavano assicuravano una borsa di studio per un'università dove avrebbero potuto continuare col basket o football, o quello che fosse, anche negli anni ad avvenire e magari diventare così un giocatore professionista.

-Preoccupato?- Provai a chiedere e lo osservai mordicchiandomi le labbra.

Max si chinò a prendere l'ultimo scatolone e quando tornò a guardarmi ammiccò tranquillamente. -Per niente. Sono o non sono il migliore, il capitano della squadra di basket?-

Sbuffai e lo guardai scettica spostandomi per fargli appoggiare lo scatolone. -Come al solito la modestia è la tua caratteristica principiale-.

Lui rise e senza nemmeno usare la scaletta appoggiò al suo posto lo scatolone. -Con la modestia non si vince!-

-Max ...- mi lamentai sospirando e scuotendo la testa.

-No, okay, ma anche l'allenatore ha detto che basta che giochi anche bene solo la metà del solito e sono a posto- mi guardò sorridendo e probabilmente mi incantai. -Ma voglio dare il massimo, comunque-.

Sorrideva davvero e tanto, in quel modo sincero e raro. -Che università farai con la borsa di studio?-

-La migliore che mi offriranno, senza usare i soldi di mio padre, ma comunque lontano da qui- disse tranquillo e chiuse anche la scaletta sistemandola. Doveva essere un po' nervoso per la partita, però, si muoveva e faceva troppo in confronto al solito. -Tu?- Ritornò con gli occhi ai miei, sembrando invece rilassato.

-Ho sempre pensato di scegliere la migliore e il più lontano possibile, ma dopo questi mesi credo che rimarrò a New York, vicino a mia zia, c'è una buona università per il giornalismo anche qua ...- risposi e il tono di voce senza volere mi era leggermente cambiato.

Max aveva appena raccolto le sue cose e infilate dentro lo zaino. Mi osservò un attimo e non capivo la sua espressione. -Mi sa che non ci vedremo davvero più dopo quest'anno-.

-Si sapeva-. Abbozzai un sorriso.

Mi guardò un attimo, indeciso, aprì la bocca ma poi ci ripensò e guardò l'ora tirando fuori l'Iphone. -E' tardi. Andiamo alla partita?-

Annuii e lo seguii mentre usciva velocemente stropicciandosi i capelli.

Cos'aveva voluto dire?

Chiusi la casetta a chiave. -Domani facciamo noi due il turno al mattino alla casetta?-

Max fece una smorfia e annuì con fare scocciato. -Costruire la casetta, giocare per la partita pre-fiera, festa di Kutcher per l'ovvia vittoria, poi farsi baciare tutto il giorno alla fiera e sopportarti. Quante pretese-.

Sbuffai scetticamente. -Se preferisci ti metto al pomeriggio con Dawn, credo sia più carino sopportare me che lei-.

-Non ne sono tanto sicuro ...-

-Parker- sibilai davvero offesa.

-E lo so che mi metti al mattino con te perchè sei gelosa di Dawn e non vuoi che passi del tempo con lei- mi accusò ammiccando appena arrivammo alla mia macchina. Lo guardai quasi a disagio, perchè in effetti era vero.

-Non è assolutamente così e lo sai anche tu, idiota-.

-Come non è vero che mi volevi baciare per il tuo compleanno?- Chiese ridendo e aprendo il mio baule.

Avvampai aprendo la portiera. -Miravo alla guancia ti ho detto e andrai avanti a ricordarlo per l'eternità?!-

Lui scoppiò ancora di più a ridere e prese il suo borsone di basket. I suoi genitori continuavano a non essere a conoscenza del fatto che Max continuasse di nascosto a giocare e la mia macchina era sempre il nascondiglio perfetto. -Sì, Evelyne, sì, tanto so che ti piaccio-.

Con una mano gli feci cenno con forza di andarsene. -Sparisci prima che cambi idea su Dawn-.

Finse uno sguardo terrorizzato e mi diede le spalle andando verso la sua di macchina.

Era ormai tardo pomeriggio e dopo aver finito, quel Venerdì, di costruire la casetta, adesso dovevamo andare alla partita di Parker, nella palestra della nostra scuola che si prevedeva essere strabordante di persone.

Misi in moto cercando di fare respiri profondi e di calmarmi.

 

-Eve! Qua!- Francy cominciò a sventolare il braccio per attirare la mia attenzione.

Sorrisi e provando a farmi spazio tra le persone e scavalcando le gradinate, in qualche modo riuscii a raggiungerla. -Odio la gente- blaterai riuscendo alla fine a sedermi di fianco a lei.

-Ma no dai, sono carini- commentò Emily ridacchiando.

Guardai la palestra decorata di rosso e bianco, i colori della squadra, le cheerleader che saltellavano e facevano ruote davanti alla banda della scuola che suonava e faceva fin troppo fracasso per provare a sovrastare il frastuono del pubblico che ridendo, parlando, spostandosi, era fin troppo caotico. I giocatori di basket intanto, si scaldavano in campo e Parker, proprio in quel momento, aveva finalmente raggiunto gli altri dopo essersi cambiato. I tre reclutatori erano su una terza panchina, a bordo campo, allontanati dalle due scuole che occupavano le gradinate.

-Non mi sembra tutto così carino ...- Risposi scettica. Dawn si avvicinò piano a Max che era appena riuscito ad iniziare a scaldarsi e sembrava scocciato di essere già interrotto. -Per niente carino-.

-Che drammatica- sbuffò Francy mettendosi comoda. -E ho scommesso con Alex: se perdono lo devo baciare-.

-E si vide Kutcher che faceva degli auto-canestri ...- Disse Emily ridendo.

Mi accigliai. -Perchè cavolo ha scommesso contro la sua squadra?!-

-No, lui aveva proposto il bacio in caso di vittoria ma ho deciso di cambiare io!- Chiarì Francy con un sorriso soddisfatto.

-Povero ragazzo, mi fa un po' pena- sbuffai.

Il ragazzo in questione si stava scaldando con una strana aria imbronciata, vicino a Billy. Probabilmente stava assistendo a una sua lotta interiore: voleva vincere o perdere?

-Comincia a farne un po' anche a me, quindi dai, in caso di vittoria un bacio sulla guancia glielo do!-

-Non gli basterà e chiederà altro- commentai piatta.

-Non fare la melodrammatica- mi sgridò Francy alzando gli occhi al cielo.

-E' così. Poi gli uomini ...-

Francy annuì dandomi corda prima che potessi finire il discorso e intanto si guardò intorno. -Ehy! Invasione di campo- ci fece notare e la guardai accigliata. -O dite che è un altro reclutatore? Quattro, addirittura?-

Alla fine seguii con gli occhi il suo sguardo e trovai un uomo alto che marciava a bordo campo verso le panchine. Verso gli allenatori.

Capelli castano scuro, una leggera barba, passo deciso, bell'uomo. Ci misi forse qualche secondo di troppo a riconoscerlo e appena lo feci sobbalzai.

Nel panico cercai subito Max. Anche lui l'aveva visto e non fingeva nemmeno più di ascoltare Dawn.

James Parker a bordo campo.

James Parker che puntava all'allenatore della nostra scuola.

-Merda!- Non dovetti pensarci molto prima di alzarmi in piedi e correre giù dalle gradinate.

Ma cosa avrei potuto fare?

Max era stato beccato in pieno.




*Angolo dell'autrice:

Ciao!
Scusate il ritardo ma sono stata piena di verifiche e l'ispirazione non c'era quando ero libera:)
Spero di essermi fatta perdonare col capitolo più lungo del solito e il contenuto. (sperando che piaccia *ansia*)
Mi era stato anche chiesto di non fare nessuna catastrofe in questo capitolo ma l'ultima parte non potevo evitarla:D AHAHAH
E' un capitolo molto discorsivo, può essere considerato anche di passaggio ma tranquille che sto mirando ad arrivare a un certo punto, non mi sono persa e non sto divagando.

E ho risposto alla domanda che era stata posta da Gaccia nello scorso capitolo:D ahahah

Nel prossimo capitolo ci sarà lo scontro con James Parker. 
Cosa succederà?! 
Ovviamente Evelyne sta andando ad immischiarsi, ma farà bene?


Gruppo della storia per spoiler o informazioni o qualsiasi cosa: http://www.facebook.com/groups/326281187493467/

La casetta dei baci è una tradizione americana che ho notato parecchio nei film! Nelle fiere per esempio per beneficenza -spesso- degli adolescenti aprono queste casette e in cambio di un dollaro o 50 cent danno dei baci, così vengono raccolti soldi e in parte ci si "diverte". Non sono pazza e non me lo sono inventato:D guardate "She's the man" per esempio e verificherete ! AHAHAHAHA

*La regola dei 5 secondi dice che se si prende qualcosa da terra prima che passino 5 secondi è ancora commestibile e senza germi :D AHAHAH è una gran cavolata ovviamente ma per chi ci crede è sacra ! (spero che nessuno ci creda davvero AHAHA)

*Per Maxyne, MAX + EvelYNE, ringrazio MaudeScott (e la ringrazio anche per sopportarmi <3). :D
Alla prossima, farò prima di questa volta, tranquille :)

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Capitolo 23
*** Billy knows ***


 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

*E ah, dico già da qua che il vero nome di Billy è William, Billy è infatti un tipico soprannome per quel nome (non si era ancora sentito solo perchè lui è universalmente conosciuto come Billy e anche Eve lo chiama così, poi in nessun capitolo c'era stata l'occasione per sentire un adulto o un professore chiamarlo per nome:D) 
detto questo, ecco il capitolo .


22. Billy knows

 

 

- Eve! - Urlò Francy, non capendo, mentre io rischiavo di ruzzolare malamente scendendo le gradinate e sbattendo contro schiene, borse, bicchieri di caffè, calpestando mani. Altre urla si unirono a quelle della mia amica ma non badavo a nessuna.

In quel momento l'unica cosa che mi importava era raggiungere James Parker.

Avevo in testa così tanto quell'unica cosa da non pensare nemmeno a che cosa volessi fare. Salutarlo con un “Salve signor Parker, potrebbe gentilmente tornarsene a casa?” Forse? Tramortirlo prima che finisse di dire al mister quello che sapevo stava iniziando a spiegargli? Ucciderlo?

Niente di tutto quello avrebbe avuto senso, ma io dopo tutto non ci stavo nemmeno facendo caso.

Traballai raggiungendo con la mano la ringhiera e seguendola sempre di corsa.

Intanto Max aveva raggiunto il padre e si era unito alla conversazione, i pugni chiusi, parlava piano, per non farsi sentire dal resto della scuola, e nei momenti di silenzio la mascella si serrava con forza. James non dimostrava in nessun modo di essere arrabbiato e, mentre mi avvicinavo, entrando in campo, vedevo come non guardasse minimamente il figlio nella più completa calma e indifferenza.

Li raggiunsi, col fiatone, fermandomi a pochi passi di distanza.

L'allenatore, l'unico a mostrare chiaramente un'emozione sul viso era sconcertato; sconcertato alzò lo sguardo e mi osservò per poi tornare al padre, perchè era il suo discorso a causare la sua reazione, non il mio arrivo.

- Mi sta ascoltando? - Chiese evidentemente seccato James.

L'allenatore annuì, seriamente a disagio. - Sì, sto seguendo ma …

- Ma cosa? Ho detto che ho proibito a Max di proseguire con questo sport e gli vieto di fare questa partita.

- Ho capito, signor Parker, che l'ha messo in punizione, ma vede, questa partita sarebbe davvero importante!

- Non è una semplice punizione. Gliel'ho proibito e basta. Cosa c'è di difficile da capire? - Il tono di James era sempre calmo, tranquillo, apatico, come se non stesse con poche parole distruggendo tutto.

Io ascoltavo senza sapere davvero come intervenire, a bocca aperta assistevo alla scena non riuscendo ad entrarci.

- Come hai fatto a saperlo?! - Max finalmente parlò, a denti stretti, i pugni sempre chiusi. Ma fu ignorato.

- No, ho capito perfettamente ma ecco, se potesse chiudere un occhio anche solo per stasera! Da domani potrà continuare la punizione fino alla fine dell'anno scolastico - Insistette l'allenatore guardando, sempre nello stesso modo, il suo pupillo.

- Non ci siamo capiti, allora … - Iniziò di nuovo James, nella solita cantilena.

- Mi ascolti?! - Esclamò Max, facendo un passo verso il padre, irritato ma terrorizzato allo stesso tempo. - Non oggi! Vattene via! Lasciami fare solo questa partita! Oggi ci sono i reclutatori! - Continuò, facendo tremare la voce per lo sforzo di non urlare; quasi per caso mi vide ma l'occhiata che ricevetti non sembrò raggiungermi sul serio.

Anche James, quasi sentendo lo sguardo del figlio si girò e mi osservò accigliandosi e squadrandomi dall'alto in basso.

Io quasi scottata da quelle tre occhiate e sentendomi solo e soltanto un'intrusa arretrai leggermente, ma non riuscendo comunque davvero ad andarmene. Dov'era finita tutta la decisione? Era forse caduta dalle scale, restando lì, mentre le scendevo correndo?

- Non mi importa - Rispose alla fine James, tornando con gli occhi all'allenatore ma rivolgendosi a Max. - Te l'avevo detto.

- Come l'hai saputo?!

- I vicini. I vicini mi hanno chiesto se andavo a vedere la tua partita oggi, quando sono tornato a casa - e finalmente guardò per la prima volta il figlio. - Complimenti comunque, hai dimostrato come sempre la tua maturità: un'altra bugia.

- E tu la tua stronzaggine! Una partita! Cosa ti costa?!

James lo ignorò. - Allora, devo ripetere il concetto per l'ennesima volta? - chiese al mister.

Quello sembrò riscuotersi dalla trance e veramente addolorato guardò il suo giocatore. - Parker, mi dispiace, ma allora non credo di poterti far giocare, sei minorenne, lo sai e …

Max non aspettò nemmeno la fine della frase e dopo uno sguardo di puro risentimento corse via, verso gli spogliatoi, lontano dal padre, dalla partita e da me.

Da me che totalmente inutile, più di qualsiasi cosa e persona in quella palestra, non avevo potuto fare niente. Billy invece, che aveva assistito da lontano, non sentendo come invece avevo fatto io, ma immaginandosi tutto, aveva lasciato andare la palla, che ora rimbalzava per l'ultima volta sul campo, per seguire il suo amico.

James rivolse un paio di ultime frasi, che io non sentii, all'allenatore e alla fine ritornò sui suoi passi, passandomi di fianco ma non guardandomi nemmeno.

Il mister che poco a poco si era ripreso cominciò a guardarmi con rimprovero. - Gray, torna sugli spalti, non c'è più niente da vedere qua - mi fece notare e sbuffando andò a sedersi sulla panchina della sua squadra.

E mi sentii ancora più inutile, ancora più insulsa, solo una che era andata lì ad origliare. Una ragazza del giornalino, non altro.

Tornai a guardare la porta degli spogliatoi dove Max e Billy erano spariti.

Avevo pensato, dandolo per certo, senza molti dubbi, di poter essere d'aiuto: materialmente intervenendo, e in un modo più velato, ma allo stesso tempo importante, come sostegno morale per Max, come lui era stato per me nel momento del bisogno.

E invece niente.

I pensieri seguirono velocemente il loro corso e non fu difficile capire quale fosse la cosa giusta da fare, per rimediare a tutto, per smetterla di continuare, inutilmente, a crogiolarmi: feci dietro-front, seguendo i passi che James Parker aveva appena compiuto per uscire dalla palestra. Li feci di corsa, temendo di perderlo, di non fare in tempo, di risultare di nuovo inutile.

Corsi e aprendo di scatto la porta verde della palestra riuscii ad uscire; boccheggiai per pochi secondi nell'aria ancora fresca d'aprile, senza giacca e scoperta.

- Signor Parker! - Chiamai in un singulto, inseguendolo e vedendolo a pochi metri di distanza, mentre trafficava, camminando, con le tasche alla ricerca di qualcosa.

Lui si bloccò, si girò e mi osservò non capendo; ci mise un attimo prima di parlare: - Saresti?

In un'altra situazione forse mi sarei offesa ma non era quello il caso. Respirai a fondo, avvicinandomi, combattendo contro il disagio, il timore, contro tutto, sapevo perchè stavo facendo quello. - Evelyne Gr …

Non mi fece finire. - Ah, aspetta, lo so, la ragazza che abbiamo incontrato a casa con Max una sera e che poi è rimasta a cena e a dormire - si ricordò e mi guardò scettico, tirando fuori una sigaretta da un pacchetto con un gesto freddo e secco che mi fece sobbalzare, o forse fu colpa del tono.

- Sì - confermai, alla fine.

- Beh, dovrei andare, Evelyne.

Mi avvicinai ancora di più. - Prima vorrei parlarle di …

- So di cosa mi vuoi parlare e non voglio sentirlo: basket, basket e solo basket - si lamentò e gli occhi chiari mi lasciarono per seguire l'accendino che aprì sempre con un solo colpo.

Chiusi i pugni e sentii le unghie premere con forza contro il palmo. - Qua non si parla solo di basket!

- Invece sì. Ho proibito a Max di giocare una partita, una partita che non sarebbe servita a niente.

- Ma l'avrebbe fatto felice! - Ribattei. - Perchè io non l'ho inseguita per parlare di basket ma …

- Non immischiarti in cose che non conosci, Evelyne - mi avvertì portandosi velocemente la sigaretta tra le labbra. - Ti è stato concesso di sentire la nostra conversazione prima solo perchè non avevo tempo e voglia di parlare anche con te per mandarti al tuo posto, tra le gradinate; non nominare cose che non conosci e non puoi sapere. Non pensare di averne il diritto solo perchè hai passato una notte con mio figlio.

In un'altra situazione sarei rimasta senza parole a quell'accusa ma in quel momento le cose non mi permettevano di perdere tempo. - Non parli allora nemmeno lei di cose che non conosce.

Le sopracciglia gli si alzarono e assomigliò per un attimo, in qualcosa, a Max. - Non conosco? So che quel buono a nulla non fa altro che pensare alle ragazze e al sesso so …

- Non c'è stato niente tra me e Max quella notte! Sono rimasta semplicemente perchè avevate litigato e Max aveva bisogno di un'alleata! Siamo amici! - Ribattei, alzando i toni e sentendomi punta nel vivo.

James si rimise la sigaretta in bocca e senza rivolgermi un'altra occhiata mi diede le spalle, pronto ad andarsene di nuovo, ignorando la mia presenza.

Lo inseguii. - Signor Parker. La verità è questa e la verità è anche che io non voglio parlarle di un dannatissimo sport che odio con tutto il mio cuore! Io voglio parlarle di suo figlio: di Max Parker.

- E' la stessa cosa - fu la risposta apatica, sempre di spalle dell'uomo ma l'averlo fermato mi diede coraggio.

- Suo figlio e uno sport sono la stessa cosa?

Sbuffò e si girò, permettendomi di nuovo di guardargli gli occhi chiari. - Non fare retorica.

- Se le volessi parlare di basket non sarei qua, non l'avrei seguita. Ma le voglio parlare di Max perchè so che gliene importa di lui - mi fermai ma non disse niente. - Se non gliene importasse l'avrebbe fatto semplicemente giocare; le sarebbe cambiato qualcosa dopo tutto? Invece gliene importa e così tanto da volere che abbia solo contorni solidi intorno a lui, una carriera concreta, un lavoro concreto come il suo che non rischia di non realizzarsi mai o abbandonarti dopo pochi anni.

Esitò e lasciò cadere la sigaretta per terra. - Sto facendo per caso una seduta dallo psicologo? Evelyne, non ti ho richiesto niente del genere, anzi non ti ho richiesto niente.

Mi morsi le labbra. - Le sto solo dicendo …

- Che sono il cattivo. Mio figlio me lo dice già abbastanza, lo so.

- Non le sto dicendo che è il cattivo! Solo che non capisce davvero suo figlio.

Sbuffò ancora, ironicamente. - Mi pare la stessa cosa.

- Un padre a cui importa del figlio non è cattivo - dissi. - Un padre è cattivo se sparisce, se non c'è.

Sorrise, ma senza comunicare in realtà niente. - Ti ho detto di non parlare di cose che non sai: non sai quanto in realtà io ci sia stato poco per Max.

- Lo so invece, Max me ne ha parlato- spiegai, esitando. - Ma nonostante tutto lei cerca di intervenire nella vita di Max, di fargli avere il futuro migliore che possa avere e questo non è non esserci; non esserci davvero è altro - dissi e pensai al mio di padre. - E quell'altro so com'è veramente, quindi non sto parlando di cose che non conosco.

Sembrò notare qualcosa nel mio tono e mi osservò come cercando di capire ma non parlò.

- Vuole per lui il migliore dei futuri no? Non gli basta essere felice quindi?

Sbuffò di nuovo e tornò a fare un sorriso abbozzato. - Ti ho già detto di non usare retorica con me.

- Vero - ricordai spostandomi un ciuffo dietro l'orecchio ma continuando a guardarlo decisa negli occhi. - Voglio solo dire che la cosa migliore per Max è fare questa partita. Perchè se tiene davvero a suo figlio non deve impedirgli di correre dei rischi, non deve impedirgli di sognare di essere reclutato, di diventare un giocatore. Il basket, questo cavolo di sport, è probabilmente la cosa che Max ama di più al mondo - finii per borbottare con uno strano tono. - E se una cosa è così importante non bisogna lasciarla andare, perchè diventa più importante di tutto, Max non lo scambierebbe con nessun altro futuro, non importa se più concreto, più fattibile, più vantaggioso. Max ha già deciso qual è il suo sogno e glielo lasci realizzare, la prego, davvero; non faccia in modo che suo figlio finisca per odiarla.

Mi osservò in silenzio poi la mano destra si alzò lentamente verso il viso, in un gesto stanco. - Ma come faccio a capire se se lo merita davvero, se è davvero così importante per lui? A me spesso ha dimostrato il contrario …

- Resti a guardarlo giocare - risposi naturalmente, senza tante esitazioni.

Sorrise di nuovo, mestamente. - Non mi vorrebbe.

- Non la vorrebbe se non lo facesse giocare, in caso contrario sì. Mi ha detto che alla fine vorrebbe dimostrarle di valere qualcosa, a modo suo però.

Esitò ancora prima di rispondere e a me batteva il cuore all'impazzata, sperando che tutto quello che stavo dicendo, mostrando, rivelando, potesse davvero servire a qualcosa.

- E dimmi, Evelyne, perchè si merita che tu stia qua a difenderlo? Credo che i motivi siano gli stessi per cui si meriterebbe di giocare. Convincimi - ordinò, più ironico che altro.

Rimasi un attimo perplessa, non sapendo che dire. O meglio, sapevo cosa dire ma non lo poteva sentire James Parker.

- Perchè fai tutto questo? - Esortò e tornò serio.

Mi inumidii le labbra e scaldandomi le braccia con le mani parlai, perchè dovevo, perchè a Parker serviva: - Perchè Max non è irresponsabile o immaturo o superficiale come forse pensa lei. Max è tante cose ed è un mio amico dopotutto e … - avevo così tante cose da dire da non riuscire a raccoglierle in un unico ragionamento. - Se lo merita perchè è buono, è quel tipo di ragazzo che fa finta che non gliene freghi niente e poi ti dimostra il contrario con i fatti, e i fatti sono sempre più importanti delle parole; è quel ragazzo che si preoccupa ma cerca di non darlo a vedere, che prova ad aiutarti e a farti stare meglio come può e ci riesce, sempre. E' un idiota, lo ammetto, ma solo perchè cerca di tenere nascosto quello che è davvero, ed è davvero crudele a farlo perchè poi quando uno scopre com'è realmente ormai è troppo tardi.Sei impreparato e non puoi fare a meno di cercare di vedere sempre quello che nasconde. Max è il ragazzo che quando mia zia è stata male si è fatto due ore di macchina per venire a New York, che mi ha consolata; è il ragazzo che è riuscito a farmi compagnia e a farmi star meglio. E' il ragazzo che riesce a farmi sorridere anche quando sembrerebbe che niente possa farlo. Sembreranno idiozie ma è per queste cose che voglio che giochi questa partita. Ha fatto tanto per me, c'è stato quando ne ho avuto bisogno, e io vorrei fare qualcosa per lui, quel che posso per convincere lei a farlo giocare; perchè se lo merita - finii con la voce roca e le ultime parole tremarono.

James sorrise in uno strano modo che non gli avevo mai visto e questa volta sembrò davvero tanto simile al figlio. - Mi parli di uno sconosciuto, sai? Sicura che non sia così solo con te?

- Ne dubito - risposi e mi sorpresi a sentirmi fare una piccola risata. - Io non sono speciale o diversa dagli altri, per lui.

- Non saprei dirlo ma si capisce che lui lo è per te - mi fece notare.

Mi ritrovai ad arrossire come una bambina e tutte le parole che avevo appena usato per parlare di Max mi ripiombarono addosso: troppo esplicita, Evelyne, troppo; ma guardai lo sguardo del padre e mi sembrò anche di aver fatto solo la cosa giusta e quindi parlai di nuovo: - Sì, è vero.

E anch'io ero stata beccata in pieno da James Parker.

Sospirò e il suo sguardo mi sorpassò posandosi alle mie spalle. - D'accordo su tutto, William?

Raggelai ma trovai la forza di girarmi. Sgranai gli occhi trovando la figura di Billy, uscito dalla palestra di pochi metri: a portata d'orecchio.

Io mi sentii morire e mi portai una mano sul cuore sentendo prossimo davvero un attacco cardiaco.

Gli occhi scuri di Billy infatti incrociarono i miei ed era ovvio: Billy ora sapeva. Aveva sentito tutto? La sua espressione diceva di sì.

Tornai a guardare James incredula e sconvolta, lui stava cercando un'altra sigaretta, ne trovò una e gli occhi grigi tornarono nei miei. - Dite all'allenatore che Max può giocare - tagliò corto.

I miei occhi si spalancarono così come la mia bocca, in un sorriso. - Davvero?!

Fece una smorfia, altamente infastidito dalla mia reazione. - Sì. E se non ci crede che esca fuori a chiedere, mi rifiuto di subire anche l'umiliazione di tornare in quella palestra per ammettere che una ragazzina mi ha fatto cambiare idea.

- Grazie mille! - Esclamai, continuando a non crederci.

Non rispose e di umore -almeno apparentemente- pessimo ci diede le spalle andandosene tra le macchine.

Rimasi un attimo lì col sorrisone stampato sul viso. Poi mi resi conto che non potevo più evitare gli eventi successivi.

Mi mordicchiai le labbra, girandomi anch'io e mi avvicinai piano a Billy. - Cos'hai sentito? - Chiesi, deglutendo.

Billy sorrise e mi appoggiò una mano sui capelli, divertito da morire. - Ero venuto qua di corsa per urlare dietro a James e fargli cambiare idea e vedo che lo stai già facendo tu, è stato dolcissimo!

-Cos'hai sentito, Hans?- Chiesi di nuovo cominciando a diventare isterica.

- Dal “Max è tante cose”, direi - rispose facendo spallucce e dandomi un colpetto consolatorio sulla testa. - E sapevo che ti piaceva, anzi, sapevo che qua qualcuno era innamorato - commentò sorridendomi in una chiara presa in giro.

Arretrai avvampando. - No, era per convincerlo, dai, Billy! - Squittii.

Billy rise afferrandomi per un braccio ed evitandomi una fuga che stavo per compiere. - Non mentirmi, è abbastanza chiaro ed evidente, basta guardarvi un attimo per capirlo. Lui non se n'è accorto, però, tranquilla, nel caso non volessi farglielo sapere, come credo data la tua reazione; Max pensa che tu sia ancora al livello del “mi piaci fisicamente” - spiegò alzando gli occhi al cielo.

Esitai un attimo prima di continuare. - Glielo dirai?

Rise. - E dove starebbe il divertimento dopo? No, ovviamente no! Deve rendersene conto da solo così potrò osservare una bella reazione naturale e spontanea!

- Ma stai giocando?! - Chiesi quasi urlando e sentendomi andare a fuoco.

Fece spallucce. - No, mi piace solo osservare certe cose. E comunque, tranquilla, Evelyne, tifo per te - mi informò continuando a sorridere.

Mi passai una mano per i capelli, provando a calmarmi. - Graz … Oh, senti, andiamo dall'allenatore che la partita tra un po' inizia e Parker non si è scaldato - mi imbronciai facendo per superarlo.

- Parker? Usare il cognome con tanta freddezza dopo aver appena dichiarato il tuo amore verso di lui a suo padre? Non inganni nessuno, Gray ...

- Billy! - Lo richiamai rischiando di arrossire di nuovo.

Cercò di non ridere ancora e annuì. - Ma ti giuro che una che informa prima il padre che il diretto interessato non l'avevo mai vista! E okay, sto zitto, sto zitto!- Aggiunse vedendo il mio sguardo.

Sospirai. - Non verrò tradita da James, vero? - Chiesi a disagio e fin troppo paranoica mentre entravamo dentro la palestra.

- Dubito, hai visto i rapporti che hanno … Ma anche se provasse a dirglielo Max non lo ascolterebbe, puoi stare tranquilla. Ma sicura di non volerlo rivelare anche a Max?

- Sì! - Esclamai guardandomi intorno e controllando che nessuno fosse a portata d'orecchio. - Quindi mi fido di te, eh - lo ammonii.

Lui mi sorrise. - Mister! - Chiamò però senza rispondermi.

L'allenatore, a cui ci eravamo avvicinati, con la sua faccia da funerale si girò lentamente.

- Il padre di Parker ha cambiato idea, dà il permesso a Max!

Sembrò che il mister in quel momento fosse stato appena avvisato di aver vinto alla lotteria. - Davvero?! Non mi state fregando voi due, vero?!

- No, davvero, ma può andarglielo a chiedere, è qua fuori - lo informai sorridendo contenta.

L'allenatore non volle indagare oltre, volendo solo fidarsi sulla parola per fare il prima possibile. - Clark! - Chiamò Seth che lì vicino aveva sentito tutto e già sorridendo, per lui sembrava strano, si stava allontanando. - Vado ad avvisarlo - ci disse e fece per correre via.

- Vado io, sfigato - gli urlò contro Billy inseguendolo.

Pensando che alla fine l'importante era solo che Max giocasse, e non le mie piccole e stupide preoccupazioni su quello che avevo detto a James, sorrisi ancora e di più.

Kutcher mi raggiunse. - Cos'è successo?! - Chiese guardando Clark e Billy che andavano negli spogliatoi, spintonandosi. - Ha cambiato idea?! - Aggiunse quella domanda quasi non credendoci e fin troppo contento. Che tutti volessero così tanto Parker in quella partita mi fece ridere.

Annuii. - Lo stanno andando ad avvisare.

- Dio, è da non crederci! E come hanno convinto il Malvagio?

Intuii per chi fosse quel soprannome.

Esitai un attimo. - Billy ci ha parlato - risposi.

- Quanto adoro quel ragazzo! - disse estasiato Alex fingendo di avere una lacrimuccia. Risi ancora. - Anche se senza Parker c'erano alcune probabilità di perdere e in quel caso avrei avuto il mio bacio ...

- Convincerò Francy a dartelo anche in caso di vittoria - proposi divertita. - Forse oggi siamo tutti un po' più buoni.

- Ecco, brava! E a dopo che il mister mi sta guardando abbastanza male … - mi salutò e si allontanò.

L'uomo in questione, che stava cominciando a fulminare anche me, mi allontanò col suo sguardo e pian piano mi riavvicinai alle gradinate.

Notai in quel momento lo sguardo di molti puntati su di me. Cos'avevano pensato? Vedendo tutti quei movimenti in campo dei giocatori, di sconosciuti e miei?

- Che è successo? - Mi chiese una ragazza sulla seconda gradinata.

Le sorrisi scuotendo la testa. - Risolto tutto.

Ricevetti dalla gente nei dintorni un'occhiataccia: tutti volevano sapere cos'era successo, non come era finita.

Poco dopo riuscii a sedermi di fianco a Francy che mi guardava col broncio, Emily invece mi osservava di sottecchi ma non sembrava nemmeno particolarmente curiosa. - Sono offesa a morte - informò la prima.

Alzai gli occhi al cielo, divertita. - Perchè?

- Scappi, non mi dici niente, fai i tuoi loschi affari lì in campo poi con un tizio fuori e con Billy e non mi dici niente!

Feci cenno a Francy ed Emily di avvicinarsi, vedendo la fila davanti cominciare a zittirsi per tendere l'orecchio. Sussurrai subito dopo, per ovvi motivi, e spiegai tutto, censurando ovviamente il necessario.

Francy mi guardò alla fine, perplessa. - E come hai convinto suo padre?! Cioè, wow, Eve, dovrebbero santificarti, da come hai descritto tutto sembra quasi un miracolo!

- Gli ho detto … - Esitai. Francy ed Emily non sapevano il fatto, l' “oscuro” fatto di essere innamorata di Max. -Non so come, gli ho spiegato tutto più schiettamente degli altri forse e alla fine ha cambiato idea … Ogni tanto ci sono i miracoli, no?-

Francy si accigliò mentre Emily annuì tranquilla. Avrei spiegato tutto, ma non in quel momento, non con mezza scuola che provava ad origliare.

- Comunque tutta questa apprensione per Parker … - commentò Francy osservandomi. La guardai e ripensai a Billy che diceva che era tutto abbastanza ovvio, che bastava guardarci. Francy forse già sapeva e aspettava una mia confessione? La guardai negli occhi e sembrò leggermente triste.

- Domani - abbozzai un sorriso.

Francy ricambiò.

- Parliamo più che altro di Alex adesso, che vuole il suo bacio, insomma! - Cambiai velocemente argomento, facendo ridere le altre due.

 

La partita finì: la vittoria alla fine era stata sul serio della nostra scuola, di molti punti e ovviamente il miglior giocatore in campo era stato il capitano.

Parker a fine partita era stato portato via dai cori e dalle lodi e dal caos per andare, a bordo campo, dai reclutatori. Dal sorriso di entrambe le parti avevo saputo, anche da lontano, che il futuro di Max aveva cominciato ad essere scritto e mi ero ritrovata a sorridere, pensando che in parte c'entravo anch'io e che per lui tutto sarebbe andato per il meglio.

Durante la partita a un certo punto si era comunque sparsa la voce su Parker e suo padre e per tutta la scuola a risolvere la situazione era stato Billy. La voce quindi era partita da Kutcher -quant'erano pettegoli quei giocatori di basket?- Ed ero seriamente contenta di non esserne coinvolta. Era meglio così dopo tutto: era normale che Billy avesse aiutato, non che fossi stata io.

La palestra ormai era vuota e aspettavo, di fianco al portone verde, che i giocatori uscissero dagli spogliatoi.

Mi ero liberata di Francy ed Emily con una scusa e con un'altra volevo aspettare Max. Avrei infatti fatto finta di non ricordare, che dato che James sapeva, non c'era più bisogno che lo aspettassi per mettere il suo borsone di basket dentro la mia macchina. Ah, questi lapsus e l'Alzheimer precoce!

In realtà però non sapevo perchè lo stessi aspettando, non sapevo nemmeno cosa dirgli, tranne banali complimenti, ma dopo tutto quello che era successo sentivo in parte il bisogno di parlarci, seppur per un minuto, da sola.

- Come cavolo hai fatto?! - La domanda la sentii all'ultimo, troppo impegnata a osservarmi le scarpe pensando. Sollevai lo sguardo e incrociai gli occhi perennemente divertiti e accesi di Billy.

Sorrisi anch'io, non potendo evitarlo. - A far cosa?

Lui rise. - Ma a far girare la voce che sono stato io a far cambiare idea a James! Ti dico solo che mi vogliono proclamare eroe della scuola, quasi sopra Max.

- L'ho detto a Kutcher per dissimulare e ha fatto girare la voce. Siete proprio pettegoli, sai? Peggio delle cheerleader.

- Io pettegolo? - Anche Alex arrivò dal nulla, affiancando il suo amico.

- Sì, Kutcher, chi ha fatto girare la voce? - Chiese scettico Billy. - Per colpa tua sembriamo ingiustamente pettegoli! - Lo sgridò scherzando.

- Io?! Non sono stato io! - Si difese senza però molto successo; quindi tossicchiò allontanandosi un attimo. - Beh, non perdiamo tempo e andiamo alla mia festa su! Che bisogna bere! - Poi mi guardò. - E aspetta, Eve, tu domani sei alla fiera con Max per la casetta dei baci, vero?!

- Sì e non c'è Francy, mi dispiace ...-

- Tanto la bacio stasera - fece tranquillo con una scrollata di spalle e gasandosi. - Mi sono anche messo il profumo dopo la doccia! Senti, Billy, sarà buono?! Senti il mio sex-appeal?! - E si sporse verso il biondo cercando di farsi annusare senza molto successo.

Io risi. - Non credo funzioni per del ...

- Ma me l'avevi promesso! - Borbottò assumendo velocemente una grottesca espressione triste. Si riprese comunque in fretta: - Vabbè, comunque, Billyno bello, andiamo alla festa! - E detto questo corse via. Fin troppo pimpante.

Scossi la testa.

- Ah, comunque … - Billy attirò la mia attenzione e lo guardai, nel buio della palestra con le luci spente, tranne una, grande, al centro del campo. - A Max ho detto che sei stata tu a risolvere tutto - sorrise in uno strano modo e se ne andò via guardandosi alle spalle.

Seguii il suo sguardo e vidi Parker che tranquillamente, scrivendo al cellulare, chissà a chi poi, si avvicinava. Mi mordicchiai le labbra, aspettandolo anche se a quel punto non ero più tanto sicura che restare lì fosse stata la scelta giusta. Deglutii.

Quando alzò lo sguardo e i suoi occhi incrociarono i miei vidi il verde anche nel buio. Sorrise. - Come mai ancora qua? - Si fermò davanti a me, a poca distanza.

- Dovevo prendere il borsone, no? - Chiesi tranquilla dondolandomi sul posto e osservandolo.

Alzò le sopracciglia. - Mio padre mi ha già beccato, non ce n'è più bisogno di nasconderlo.

- Ah vero! - Esclamai e riuscii anche a non sembrare una completa bugiarda.

Parker rise e si avvicinò ancora. - Quindi ...- cominciò. - Sei andata sul serio a parlare con lui? - Era felice e si vedeva: aveva vinto, era riuscito a giocare e suo padre gli aveva dato il permesso; tutto perfetto.

- Sì - ridacchiai divertita. - Mi faceva un po' paura, ma ho superato i miei tim ...

Mi interruppe abbastanza bruscamente, avvicinandosi ancora: - E perchè?

Arretrai leggermente trovandolo troppo vicino e in quel momento, in cui avrei dovuto mentire, la vicinanza non faceva a caso mio.

- Perchè mi fa paura? - presi tempo. - Avete quella stessa espressione inquietante, a volte - lui si avvicinò ancora e io finii spalle contro il muro. Cercai con tutte le forze di calmarmi e non arrossire.

- No, perchè ci sei andata a parlare? - Insistette e mi osservò dall'alto come se avesse potuto trovare la risposta solo continuando a guardarmi in quel modo.

Ricambiai lo sguardo mordicchiandomi le labbra poi mi decisi a parlare. - Abbiamo detto che siamo amici, no? Anche Billy stava arrivando per fare lo stesso - mi giustificai nel modo più semplice del mondo. Così semplice da sembrare vero. E sarebbe stato vero se per me fosse stato solo un amico. Ma anche in quel caso avrei fatto lo stesso e avrei convinto James?

Si tirò leggermente indietro. - Grazie - borbottò con un mezzo sorriso.

Ricambiai guardandogli la maglietta.

Vidi e sentii la sua mano alzarsi e appoggiarsi sulla mia spalla. Mi avvicinò e dopo poco, appoggiata contro il suo petto, lo sentii abbracciarmi, in quel suo modo esitante.

- Sarò una grande amica? - Chiesi retorica, con la voce soffocata contro di lui.

Max rise e si appoggiò col mento alla mia testa. - Non l'avrebbero fatto in tanti.

- Billy sì - insistetti su quel punto e ispirare il suo odore, senza profumi come Kutcher, mi rilassò.

- Ma Billy è un caso a parte.

- Forse lo sono con lui.

Lo sentii sorridere contro i miei capelli. - Forse, ma non credo.

- Ah, sono un'amica offesa da tutti questi favoritismi! - Scherzai esagerando il tono per provare a sdrammatizzare.

- Perchè preferis … - Cominciò con un tono interrogativo per poi bloccarsi e non finire la frase. - Come hai fatto a convincerlo? - Cambiò totalmente il discorso, disorientandomi.

Boccheggiai meno pronta di prima a mentire. - Gli ho detto che … Te lo meritavi!

Max mi allontanò un attimo, per guardarmi ma senza staccare la mano sinistra dal mio fianco. Sorrise. - E perchè me lo meritavo?

- Perchè tutti questi perchè? - Chiesi a disagio e provando ad allontanarmi dalla sua mano e da lui. Senza successo, ovviamente.

- Non si risponde a una domanda con un'altra domanda … - Mi ricordò tenendomi ferma.

Feci una smorfia. - Perchè … Così siamo pari, dopo New York.

La sua mano, sul mio fianco, si spostò leggera avanti e indietro facendomi deglutire nervosa. - Questa sembra più la giustificazione del perchè ci sei andata a parlare.

- No … Semplicemente ti meritavi di giocare per quello … - Alzai lo sguardo e incrociai i suoi occhi. Verde scuro, non vedevo il contorno grigio nel buio, ma sì i suoi lineamenti e il sorrisetto sotto le labbra sottili. E parlai: - Perchè sei una brava persona, anche di più. E puoi fare lo stronzo e quel che ti pare ma lo so che sei buono, Max e ...

Mi osservò, non interrompendo il contatto visuale. - Buono? Anche se ti ho ricattato?

- A volte, per come sto imparando a conoscerti, mi sembra quasi impossibile che fossi davvero intenzionato a farmi espellere con quella foto - sussurrai, piano, come se fosse stato un segreto. E forse un segreto non lo era ma normalmente quelle cose non gliele avrei dette. I suoi occhi erano però sempre il mio punto debole, non si poteva non essere sinceri con gli occhi di Parker addosso e nemmeno con la sua mano sul fianco.

Non parlò e continuò solo a guardarmi. Il sorrisetto semi nascosto era svanito. Mi osservava indecifrabile e non capivo cosa stesse vedendo.

Continuai di slancio: - Poi anche se sei odioso e antipatico e ti odio proprio tanto, ma tanto! Nonostante tutto mi fai compagnia, mi aiuti, mi sei stato vicino quando ne ho avuto bisogno e ti sei anche impegnato per farmi stare meglio e … Non so perchè, ma sei quasi … Carino, in senso cattivo, ovviamente! Ma a volte lo sei con me e ti volevo ringraziare così … Per alcune cose, te lo meritavi, davvero - blaterai alla fine, con fare nervoso, io che ero sempre stata controllata e seria. Ma dov'era l'Evelyne di Ottobre? Sembrava sempre più lontana.

Max cambiò di nuovo espressione. Sembrò ingrandire leggermente gli occhi e la bocca si schiuse: dava l'impressione di essere sorpreso, come se di quelle cose che avevo appena detto non si fosse accorto fino a quel momento. Ruppe alla fine il contatto visivo e scese con lo sguardo fino alla sua mano, sul mio fianco, quasi casualmente.

Continuava a non parlare e non capivo a cosa stesse pensando. - Max? - chiesi un po' perplessa.

Tornò a guardarmi mentre faceva scivolare via la mano da me, per passarsela tra i capelli. Gli occhi erano di nuovo come al solito e sorrise divertito. - Uh?

Lo guardai non capendo bene cosa fosse successo.

- Parker, andiamo! - Urlò Clark, sorprendendo il suo capitano da dietro, insieme ad altri due della squadra.

Io sobbalzai spaventata: concentrata su Max non li avevo notati fino all'ultimo e sembrava lo stesso anche per lui.

- Oh, Gray, sempre a gironzolare per di qua - commentò acido appena mi vide. - Cosa vuoi?

Gli rivolsi una smorfia. - Vederti disturba più me che te- dissi per poi ignorarli e fare per andarmene.

- Gray, vieni da Kutcher? - Mi urlò dietro Parker, ridendo circondato dai suoi amici.

Mi girai velocemente annuendo e guardandolo.

Non c'era più quella cosa strana che gli era passata per gli occhi prima.

A cosa aveva pensato?

Anche durante la festa da Alex, mentre lui cercava di farsi dare il tanto agognato bacio da Francy e ne otteneva uno sulla guancia, me l'ero chiesto.

Forse il mio problema era che pensavo fin troppo.

Ma non potevo evitarlo e continuavo a pensare, vedendo Parker che si comportava come al solito, anche se in modo strano. Non mi obbligò a nessun gioco, non mi sentii tirare i capelli per un dispetto infantile, o pizzicare le guance come a volte faceva.

Mi chiedevo a cosa avesse pensato mentre Dawn ci provava spudoratamente con lui e Max abbozzava un sorriso, sovrappensiero.

A cosa stava pensando?

Verso la fine della festa, quando ormai io e Francy stavamo per andarcene, per caso, guardando tra gli invitati incrociai gli occhi di Parker, tra la folla. Lui li aveva appena alzati al cielo e aveva cercato un supporto morale con lo sguardo, più per scherzare che sul serio, mentre Dawn gli si sedeva sulle gambe, e aveva trovato me.

Vidi le gambe lunghe, scoperte e chiare della cheerleader che si appoggiavano sui jeans di lui e trattenni per pochi attimi il respiro.

Provai però a non sembrare irritata e abbozzai un sorriso per salutare, incrociando ancora gli occhi verdi. Max fece più o meno lo stesso per poi mettersi a fissare un bicchiere lì vicino, con uno sguardo vago.

A cosa stava pensando?

Billy che vidi subito dopo, seduto di fianco a Max e Dawn, mi sorrise divertito e con la mano mi fece un cenno d'intesa.

Billy sapeva.

Ma sapeva solo quello che avevo detto a James o anche quello che frullava per la testa di Max?

Ci pensai un attimo uscendo da quella casa, mentre Francy mi parlava e sapevo che non sarei arrivata a una conclusione.

 

Quello che non potevo sapere però era che Billy non era ancora a conoscenza dei pensieri di Parker, ma che presto lo sarebbe stato.

Troppo tardi, forse.

E anch'io, anch'io, non molto più tardi l'avrei saputo, dalle conseguenze.

E di quelle non sarei stata felice.




*Angolo dell'autrice:

Salve a tutte! 
Visto che questa volta sono riuscita a pubblicare senza un ritardo indecente?:D (ogni tanto succede! ahahahah)
Beeeeh, stranamente per questo capitolo sono stata meno stressata del solito, forse perchè ho imboccato ormai la strada che avevo deciso e mi sento a posto. Il titolo poi è in inglese perchè un "Billy sa" sarebbe suonato male, o almeno a me sembrava così ... Comunque è il primo e l'unico che rimarrà in lingua straniera, per chi non li apprezzasse :D

Cosa ne pensate? Avete idee? Perchè io qualcuna al posto vostro comincerei a farmela. *sembro un uccello del malaugurio*

Spero come sempre che il capitolo piaccia e di non deludervi:)

Avevo altre cose da dire ma non ricordo ...
Ah! Il prossimo capitolo: casetta dei baci. Mi ero dimenticata di dare una spiegazione più specifica sull'argomento (perchè non tutte si guardano i miei film dove compaiono queste cose malate AHAHAHAHAH)


La casetta dei baci da quel che ho intuito -e se non fosse così mi prendo la licenza!- è una specie di vera e propria e casetta che viene aperta durante le fiere per raccogliere dei soldi: un bacio, 50 cent! Si vede nel film "She's the man", per esempio, dove delle ragazze raccolgono dei soldi per una specie di ballo delle debuttanti (o qualcosa del genere); nel nostro caso la preside cerca soldi per la scuola:D

Lascio il link per il gruppo della storia per spoiler o altro ! : http://www.facebook.com/groups/326281187493467/ 

Alla prossima:) 

E ringrazio davvero tanto le 127 persone che hanno messo la storia tra le preferite, le 27 tra le ricordate e le 243 tra le seguite. Grazie mille <3 

 

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Capitolo 24
*** Trattenermi ***


 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )
23.Trattenermi


 

 

 

Il sole splendeva in un cielo fin troppo azzurro per essere ancora così presto; nemmeno una nuvola rovinava quel colore acceso e l'aria era ferma, calda, in un primo weekend d'Aprile che faceva sperare nel meglio per l'arrivo della bella stagione.

Era quindi una giornata bellissima e io, Evelyne Gray, alias la ragazzina del giornalino scolastico, alias la schiavetta/“amica” di Max Parker, stavo attaccando, con parecchia fatica, i cartelloni sulla casetta dei baci.

Una giornata bellissima e mi toccava spenderla rinchiusa in quel buco. Spenderla appendendo cartelloni con baci stampati - grazie al rossetto - di Dawn e le sue amiche.

Spenderla a baciare sconosciuti.

Spenderla a guardare Parker baciare sconosciute.

Sospirai dopo essere riuscita finalmente a sistemare tutte le decorazioni, chiusi la scala e, sempre con molta fatica, la sollevai riportandola al suo posto dentro la casetta.

A continuare a parlare di casette poi mi sentivo sempre più una sottospecie di Biancaneve; ci mancavano solo i sette nani!

E il principe.

Un po' stizzita sistemai meglio il barattolo di vetro, che avrebbe contenuto le monetine, sul bancone, di fianco al mio cellulare che rimaneva lì acceso, con lo schermo illuminato che continuava a mostrarmi l'assenza di messaggi.

Parker, come il principe azzurro di Biancaneve, non si faceva vedere né sentire e io ero lì da ben più di mezz'ora a sgobbare al suo posto, ovviamente.

Che poi, pensai meglio, Parker nella mia favola non sarebbe stato il principe. Forse il cacciatore: pronto ad uccidermi.

O la strega. Sì, probabilmente sarebbe stato la strega cattiva.

- Eve - mi sentii chiamare e alzai la testa trovando Ben. Sorrisi di riflesso, pur continuando mentalmente ad inveire contro Max. - Ti ho vista arrivare prima tutta di fretta e non sono riuscito a fermarti! - Sembrò quasi sgridarmi appoggiandosi al bancone davanti a me, e posandoci anche due caffè e un sacchetto di carta.

Lo guardai interrogativa. - E questo?

Continuò a sorridermi e con la testa mi fece segno di seguirlo.

Presi il cellulare, leggermente deliziata, uscendo dalla casetta per raggiungerlo. - Mi hai davvero preso la colazione? - Chiesi appena me lo ritrovai di nuovo davanti.

- Sai, dicono che gli uomini si conquistano prendendoli per la gola e credo valga anche il contrario - mi informò.

Risi andando a sedermi sulla panchina lì vicino. - Ma tu non vuoi conquistarmi!

Mi affiancò, continuando a sorridere sotto i baffi. - E perchè non dovrei?

- Perchè non lo vuoi - ribattei estraendo un'enorme ciambella dal sacchetto che mi stava porgendo.

- Teoria interessante senza basi solide - mi prese in giro e cominciò a mangiare, mettendo tra di noi i due caffè.

Risi, guardandolo e prendendo uno dei bicchieri bollenti. - E grazie mille per questo.

- Niente - rispose semplicemente, sorridendo.

Rimanemmo per un po' in silenzio, non sapendo che altro dire e limitandoci a goderci la bevanda, lo zucchero e il sole che ci scaldava.

- Lui dov'è? - Domandò di punto in bianco e non ci fu bisogno di chiedere delucidazioni su chi stesse parlando.

- Se lo sapessi lo sarei andata a prendere di peso - sibilai freddamente.

Ben fece una risata corta ma tornò presto serio. - Il vostro rapporto è cambiato da Sadie Hawkins - mi fece notare, sempre all'improvviso e questa volta il bicchiere mi traballò un attimo in mano.

Mi sentii quasi arrossire e indugiai il più possibile sul liquido scuro; continuai a non guardarlo. - In che senso? - E in realtà avrei voluto chiedere “davvero?” ma dovevo trattenermi.

- Quando vi vedo insieme ultimamente vi comportate in modo diverso - rispose solo.

Lo guardai e incrociai i suoi occhi scuri, quanto il caffè per cui avevo perso interesse. Boccheggiai e alla fine mi arresi, non sapendo cosa dire.

- E tu lo odiavi ancora durante Sadie Hawkins.

- Lo odio ancora - lo corressi, inumidendomi poi le labbra.

Rise ma non rispose a quello. - Sai comunque che ti prenderai qualche strana malattia, vero? - Mi chiese cambiando velocemente argomento di nuovo.

- Per questo faccio il turno con Parker: baceranno lui - spiegai sorridendo contro il bicchiere mentre tornavo a rilassarmi.

- Io se venissi a trovarvi di sicuro non bacerei lui!

Mi andò un po' di traverso il caffè e tossicchiando guardai Ben per poi scoppiare a ridere. - Non fingere ancora di volermi conquistare, eh!

Non fece caso alle mie parole e mimò una smorfia offesa. - Ma come, Evelyne?! Hai visto com'è stato carino dal veterinario, ormai accetta la nostra storia d'amore!

- Appassionante love story, la nostra - finii per assecondarlo e lanciandogli un finto sguardo provocante.

Ben rise ancora di più, facendomi scuotere la testa. -Ehy, mi piaci quando mi dai corda! - Disse alzandosi in piedi e finendo l'ultimo pezzo di ciambella.

- Non ti abituare, Ben.

- Che cattiveria! - Si lamentò, facendo un passo indietro e finendo per salutarmi frettolosamente: dei suoi compagni della banda scolastica lo stavano chiamando da lontano.

Gli feci un cenno in risposta e rimasi lì, con la colazione e il mio silenzio.

Silenzio, da sola.

Da sola. Come non avrei dovuto essere.

Dov'era quel maledetto?!

Continuai a mordere la ciambella, ma adesso con rabbia. Ripensavo agli sguardi di Max durante la festa, al suo ritardo. Era ovvio che fosse ancora a letto, magari continuava addirittura a dormire, scombussolato per l'essere stato fuori fino a tarda notte a bere e far festa, e forse adesso litigava con le coperte, col sonno e con la sveglia che continuava a suonare – sempre se si era ricordata di impostarla -. Pensai a tutto quello con una strana sensazione di fastidio che non avrei dovuto provare, per non farmi del male, e che non era giusto provassi.

- Eccomi ...
Sobbalzai interrotta bruscamente dalla voce che mi era ronzata nei pensieri fino a quel momento. Mi girai e guardai Max mentre si stravaccava sulla panchina, di fianco a me, occhiali da sole, e una smorfia strana, quasi fosse stato indeciso se sbadigliare o lamentarsi.

- Alla buon'ora, eh.

- Cosa voleva il nanetto? - Provò a dire con la voce impastata e decidendo alla fine di sbadigliare con poco contegno. E cercai di non pensare a lui che vedeva me e Ben insieme, da lontano.

- Mi offriva la colazione - incominciai in modo quasi polemico ma lui si voltò all'improvviso, facendomi sobbalzare. Prima che potessi anche solo elaborare un nuovo pensiero lui aveva allungato la mano verso il mio caffè e lo stava bevendo. Avevo guardato l'intera azione incredula e dopo aver collegato mi alzai, tenendo la mezza ciambella che mi restava fuori dalla sua portata. -Parker! Era mio il caffè! Stronzo! Adesso me lo rivai a prendere!

Finì di bere. -No- rispose con un sorrisone, riporgendomi il bicchiere. Lo afferrai con rabbia constatando dal peso che era vuoto: nemmeno una goccia. Ben e Parker mi sembravano sempre di più agli antipodi e perchè ero innamorata del polo negativo?

Misi in bocca l'ultimo pezzo di ciambella, prima che potesse rubarmi anche quella – e lo avrebbe fatto -, sentendo i granelli di zucchero sotto i denti e poi gli diedi le spalle, marciando verso la casetta.

- No, dai, aspetta un attimo! Non sto molto bene! Un attimo! - Cominciò a urlarmi dietro, con un tono all'improvviso drammatico.

- Non me ne frega niente! Impari la prossima volta a bere meno - mi lamentai girandomi e fulminandolo con le mani sui fianchi e sembrando senza accorgermene solo una mammina.

Max mi osservò e fece un'altra smorfia, questa mi sembrò realistica, al contrario di quello che avevo pensato della voce, e la mia espressione si ammorbidì velocemente.

- Non è stato solo … E' stata una notte schifosa, Evelyne, dammi tregua un attimo che mi sento male e non so nemmeno come ce l'ho fatta a venire fin qua e ...

Alzai gli occhi al cielo sospirando e tornando davanti alla panchina. - Alcolizzato - lo apostrofai mentre a malincuore mi preoccupavo davvero, vedendolo passarsi stancamente una mano tra i capelli e guardare all'improvviso per terra.

E proprio preoccupata accennai un tocco ai suoi ciuffi, per farlo smettere di toccarseli. Lui sollevò la testa, guardandomi attraverso gli occhiali e non potendo vedere i suoi occhi non sapevo cosa pensasse.

- Hai bevuto davvero così tanto? - Chiesi cercando di sembrare divertita e cancellargli quell'espressione; gli rubai anche i Ray-Ban in un'iniziativa che normalmente non avrei avuto: ma volevo guardarlo negli occhi.

Lui li chiuse prima che incrociassero i miei, accecato dalla luce del mattino e si portò una mano sul viso. - Abbastanza … - brontolò.

- Beh ormai dovresti esserci abituato - constatai, inforcando, in uno strano impeto, i suoi occhiali e ridacchiando.

Parker mi guardò finalmente e per la prima volta trovai il verde, di uno strano colore attraverso le lenti scure. Si mordicchiò le labbra, come a disagio e non parlò.

- Che c'è? - Chiesi perplessa ricambiando l'occhiata. - Non posso mettermeli dopo tutte le libertà che ti prendi tu? - Rinfaccia fintamente acida e mettendo su il broncio.

Sospirò. - No, puoi tenerli. Andiamo alla casetta che sta arrivando gente - disse alzandosi finalmente.

Io mi guardai attorno notando un gruppo di genitori con bambini che arrivavano cominciando a riempire la piccola fiera della nostra città. - Darai un bacio a delle belle bimbe, contento? - Risi facendoglielo notare.

Max mi lanciò un altro strano sguardo e poi abbozzò un sorriso.

Pensai che non mi sarei mai ubriacata se il risultato era quello.


 


 

Ridevo come un'idiota guardando Parker che doveva lasciarsi dare un bacino dall'ennesima bambina; sulla guancia, ovviamente, perchè erano pur sempre bambine.

Il turno al mattino era davvero il migliore: non c'erano adolescenti in giro visto che tutti dormivano per recuperarsi dal venerdì sera, e solo bambini e genitori si erano mossi di casa. E solo le bambine si avvicinavano, tutte per Max.

- E' una giornata orrenda - commentò fulminandomi per la mia risata e incrociando le braccia.

Continuava ad avere un'aria stanca, sottolineata dalle occhiaie sotto gli occhi. Ma Max era comunque bello, con i suoi occhi chiari e assonati e con i capelli spettinati e alle bambine bastava.

Io invece continuavo solo a ridere, con gli occhiali di Parker a tenermi i capelli fermi, all'indietro, divertita dall'inizio relativamente positivo che stava avendo la giornata.

- E comunque visto che nemmeno i bambini ti vogliono baciare? - Mi fece notare all'improvviso, e a me sparì il sorriso e lo fulminai.

- Max! - Parker ed io ci girammo verso la voce e una ragazza magra, sorridente e biondissima entrò nella casetta da dietro: Dawn; seguita da Eyre e Flores. Bionda, rossa e mora, perfette davvero.

Sospirai abbastanza teatralmente appoggiandomi al bancone della casetta, guardando fuori e cercando con gli occhi qualcuno che potesse aiutarmi. O a scappare o a sopprimerla.

E avevo appena pensato che la giornata non stava andando male, vero?

- Come mai già qua? - Chiese Max ancora accigliato e di mal umore, evidentemente, per il dopo-sbornia.

- Non sei contento di vedermi di nuovo? - Dawn rise acutamente e sembrò di sentire una collana che si sgrana.

No, risposi mentalmente io facendole il verso.

Parker si limitò ad alzare gli occhi al cielo, sedendosi su una delle due sedie davanti al bancone. - Non rompere, che non mi va.

Finii di osservare la gente che passava solo per godermi la smorfia offesa di Dawn e non feci in tempo a smettere di trattenere le risate che i suoi occhi azzurri e grandi si conficcarono nei miei. I suoi occhi non mi piacevano.

Dawn sorrise ed era un sorriso da cheerleader, un sorriso cattivo.

- Peccato che tu ieri, Evelyne, te ne sia dovuta andare così presto - commentò leggera, canticchiando. Eyre e Flores dietro di lei, una da una parte, una dall'altra, in una perfetta coreografia, ridacchiarono guardandosi.

- E perchè mai? Il mio letto era più comodo dei divani strapieni di Kutcher - risposi a tono, tornando ai miei consolidati sorrisi acidi per ricambiare il suo.

Lei sgranò leggermente gli occhi in una posa che doveva essersi studiata allo specchio e si portò l'indice sul mento. - Oh, ma i suoi letti sono molto più comodi!

Non ci potevo credere. - Vantarti di essere andata a letto con qualcuno ieri sera? Molto interessante, Dawn, mi dispiace ma stavo meglio a casa. - Sbuffai e tornai a guardare oltre il bancone. Sgranai gli occhi sorpresa incontrando quelli di Kutcher. - Alex! - Salutai sorridendo fin troppo, più per far capire alla bionda che con lei avevo chiuso e non volevo parlarle.

- Via, Dawn, torna per le 3, quando facciamo il cambio - la cacciò anche Parker, con un tono davvero cupo e affiancandomi.

- La sua presenza ti fa sempre tanto bene eh! - Gli urlò seriamente offesa la bionda girando sui tacchi e andandosene alla fine.

Io mi morsi le labbra per non ridere mentre Parker sbuffava, guardando con sufficienza Kutcher invece della ragazza.

Alex rise. - Ti vedo di buon umore, Maxi, è per l'ora o per altro? - Indagò, chinandosi sul bancone per mettersi comodo coi gomiti.

- Sono le 11:30, ormai non si può più parlare di mattino - feci notare ma fui ignorata.

- E' una giornata di merda e vorrei solo tornare a ieri sera, durante la partita magari - rispose invece Max, facendo di proposito un finto sorriso cortese.

Io mi calai gli occhiali sul naso osservandoli mentre con la testa ritornavo al dopo partita e alla piccola conversazione che io e il castano avevamo avuto.

Kutcher parlò divertito, lanciandomi ogni tanto delle occhiate. - Potrei offendermi! La mia festa non ti è piaciuta?!

Parker in risposta fece una smorfia e si stravaccò di nuovo sulla sua sedia.

- Simpatia portami via - canticchiò Alex scuotendo la testa e cominciando a guardare definitivamente solo me che ero più che d'accordo con lui.

- E Maxi ti ha dato i suoi occhiali?! Che amore che è lui! - Commentò guardandomi e ridendo e facendomi sorridere.

- Senti, Kutcher, che cazzo ci fai qua a quest'ora?!

- Maxi, non usare questo tono con me! - Lo sgridò prendendolo in giro l'altro. - E comunque Francy - cominciò rivolgendosi poi a me. - Mi ha concesso un appuntamento qua, al mattino. Secondo me non credeva sul serio che avrei accettato: insomma, mattina, dopo una festa. - Gesticolò ad ogni parola. - Sto infatti morendo, ma questo e altro - si impuntò convinto e schiacciò la punta del dito sul bancone.

Lo guardai incredula, rinunciando a ricordare che le 11:30 non era mattina presto. - Francy ti ha chiesto di uscire prima delle 5 del pomeriggio?! - Là gatta ci covava, pensai.

Kutcher mi guardò speranzoso. - E' un buon segno? Pensavo fosse un tentativo di omicidio abbastanza intenzionale ma questo tono mi rassicura!

Risi. - Non so se è un buon segno ma che Francy dopo essere andata a letto tardi si svegli prima dell'1 non è un buon segno per lei. E' possibile che un alieno si sia impossessato del suo corpo - proposi lo scenario più che probabile.

- Così si spiegherebbe anche perchè ti ha proposto di uscire - aggiunse Parker sorridendo.

Kutcher gli rivolse una smorfia. - Simpatia portami via, ripeto.

- Non fare anche tu il monotono - lo ammonì, lanciandomi un'occhiata, leggermente divertito: stava accusando contemporaneamente anche me, di esserlo spesso.

- Parker, taci, sennò ti do 50 cent e ti obbligo a baciarmi - lo minacciò Alex puntandogli un dito contro.

Abbastanza preoccupata che qualcosa del genere potesse accadere sul serio mi sedetti. - No, vi prego, la ciambella che ho preso per colazione non vi ringrazierebbe.

- Ecco! Solo perchè voglio bene ad Evelyne! - E dopo aver sorriso Kutcher se ne andò allegro.

Rimanemmo quindi soli e mordicchiandomi l'interno della bocca tornai a guardare il mio compagno di lavoro.

Lui mi stava già osservando. - E la tua amichetta non ti aveva detto niente su questo appuntamento? - Mi chiese, provando a mettersi comodo su quello sgabello. Non capivo se stesse ritornando al suo solito umore o se dovessi aspettarmi di nuovo di vederlo oscurarsi da un momento all'altro e lo guardai per un po', cercando di intuirlo da qualcosa.

- No. E non so se sentirmi offesa di non essere stata avvisata o se prenderlo come un buon segno per Kutcher.

Max rise. - E come potrebbe essere un buon segno? Di solito non è quando se ne parla con le amiche che lo è?

Mi corrucciai. - Beh, forse si preoccupa troppo di vedere come potrebbe andare perchè un po' ci tiene e spera proprio che possa funzionare- tentai. -Ma nel caso vedesse che non finisce bene, la cosa le sembrerebbe meno reale, perchè appunto non ne ha parlato con nessuno.

Lui fece una smorfia, non d'accordo. - Credo sia troppo complicata come teoria.

- Le persone sono complicate - gli feci notare, osservandolo. Parker era complicato. Complicato e incomprensibile, in particolare, tra tutti.

Max mi fece un mezzo sorriso. - In effetti è vero, a volte facciamo coglionate, tanto per complicarci la vita - disse, guardando un gruppo di tre ragazzine che impalate poco lontano continuavano a bisbigliare guardandolo. - Anche spesso, forse.


 

- A quanto siamo?

- Non sto sul serio contando - risposi fredda. Ventiquattro a cinquantatre, però.

- Che bugiarda - mi accusò e mi sentii pizzicare un fianco, sotto il bancone. Sobbalzai e il ragazzo che stava lasciando cadere i 50 cent nel barattolo mi guardò stranito ma continuando a sorridere.

Odiavo quelle tradizioni e le casette dei baci: erano una stupidita. E okay che i soldi sarebbero andati alla scuola e potevano servire ma era comunque una stupidità crudele.

Venticinque, pensai mentalmente, dopo essermi allontanata dal ragazzino passati i pochi secondi necessari a far sembrare il tutto un bacio. - Grazie mille e a presto! - Salutai fingendomi allegra e scacciandolo.

-A quanti sei quindi?- Richiese Max tranquillo e osservandomi di sottecchi, all'apparenza già annoiato.

- Ti ho detto che non sto tenendo il conto!

Dopo la pausa pranzo alla mezza era partita una piccola gara, scaturita ovviamente da una provocazione di Parker: chi sarebbe stato richiesto di più? Il vincitore avrebbe ottenuto ben 50 cent – dal barattolo -! La provocazione era stata colta, pur sapendo che avrei perso, perchè alle sue provocazioni cedevo sempre e perchè il fatto che mi fosse stata fatta testimoniava quanto il suo umore fosse migliorato. Infatti Max sorrideva e io mi sentivo già meglio: tutte le paranoie per il giorno prima si stavano lentamente cancellando, ad ogni sorriso di più.

- Non sei leale allora; una gara è una gara - mi ricordò ridendo e ritornando al pianeta terra lo fulminai.

- Stai vincendo, okay? - Risposi freddamente.

I suoi occhi verdi erano la parte a mostrarsi più divertita. - Un attimo, stai tenendo il conto anche delle mie? Che possessiva gelosa, Evy! - Mi sgridò.

- Senti, idiota - lo richiamai soffiando tra i denti.

- Toc, toc !- Max ed io ci girammo di nuovo ma ci aspettavamo già di vedere Dawn: erano le 3.

Sospirai alzandomi svogliatamente, con poca voglia di parlare con la Barbie mancata; presi anche rapidamente una delle monetine del barattolo: quella della “scommessa”, il Mostro tanto non l'avrebbe mai scoperto.

- Vi diamo il cambio subito - dissi appena finii, girandomi.

Dawn ridacchiò mentre Eyre e Flores, che come sempre si limitavano a seguirla senza parlare, entravano dentro la casetta andandole dietro e guardandosi scocciate intorno. -Se Max rimane non mi lamento però!

Lui sorrise sistemandosi gli occhiali da sole, che gli avevo ridato da un paio di ore. - Ci vediamo massimo dopo in giro, mi devo aggiungere tra un po' a Billy e Clark e Rob e Charlie e gli altri.

Dawn sorrise allegra annuendo e andando a prendere posto sullo sgabello dove si era seduto Parker. Passandogli di fianco non poté ovviamente evitare di sfiorargli il braccio, col suo solito fare da gatta morta. - Venite a trovarci poi! Non vi facciamo pagare per il bacio!

Sospirai tappandomi le orecchie, senza usare le mani ma con solo della grande forza mentale, e salutai con un cenno uscendo dalla casetta.

Parker che immaginavo mi avrebbe, come al solito, lasciata lì senza nemmeno salutare, mi si affiancò invece sorridendo leggero, appena uscito dalla piccola porta come me. - Evy, non trovo più una cosa che c'era dentro il mio borsone. Mi fai vedere nel baule per vedere se è caduto lì? - Chiese col suo tono da finta richiesta che in realtà non usava più così solitamente.

Lo guardai un po' perplessa annuendo e porgendogli intanto la monetina. - Che cos'è? - Domandai subito per distogliere la sua attenzione dai 50 cent che testimoniavano la mia sconfitta.

E sembrò funzionare. - Cosa non trovo? Il polsino nero di Alex che mi aveva infilato nel borsone, durante l'ultimo allenamento, non so nemmeno perchè … - rispose sempre tranquillamente mentre cominciando a camminare verso il parcheggio lasciava scivolare la moneta nella tasca dei jeans.

- Ah - risposi dopo un attimo, seguendolo e raggiungendolo. - Quindi mi accompagni alla macchina?

Fece spallucce. - Evidentemente.

Alzai gli occhi al cielo. - Che risposta idiota.

- Evidentemente … - ripeté, solo per irritarmi e continuando a guardare annoiato davanti a sé.

Sbuffai e lo osservai circospetta camminando, pochi centimetri a dividerci, così pochi che arrivavamo spesso a sfiorarci, senza farlo a proposito.
Ci sfioravamo e allontanavamo di nuovo e poi ci scontravamo ancora, senza farlo apposta, in un modo casuale che con Francy mi avrebbe fatto ridere per poi definirci due “calamite”, ma che con Parker mi rendeva solo elettrica.

Cercavo quindi di distrarmi guardando intorno i vari banchi e i peluche appesi in ogni luogo come possibili premi e la gente con lo zucchero filato e addirittura degli autoscontri.

All'ennesimo contatto col suo braccio, proprio quando stavo per aprire bocca per smorzare il silenzio che lui odiava così tanto, Parker mi afferrò il polso.

- Stai cercando di prendermi per mano o cosa? - Mi chiese con le sopracciglia sollevate ma ridendo.

Arrossii lievemente sballottata un attimo di lato dalla sua presa, ma non ritirando la mano che dopo tutto in quel piccolo contatto con la sua pelle non stava male. - Me l'hai appena afferrata tu! - Cercai di fargli notare con un minimo di contegno, per compensare.

- Solo perchè continuavi ad attirare la mia attenzione - ribatté e la mano però continuava a non mollarmela.

- Scusa se muovo le braccia camminando!

- Nessuno le muove così tanto! - Continuò cercando quasi di convincermi della sua tesi con lo sguardo.

- Io sì. E me la stai tenendo tu, adesso, Parker.

Mi rivolse una smorfia e mi sentii andare ancora di più a fuoco, perchè passavano i secondi e le sue mani erano sempre lì, e noi eravamo in mezzo alla fiera che si riempiva sempre di più. Così visibili e così ambigui e …

- E tu non la stai allontanando - rispose e sentii le sue dita, leggermente ruvide, forse più del solito per la partita del giorno prima, scivolare non di molto dal polso, sfiorandomi sempre più impercettibilmente e arrivando quasi al palmo; ma lo fece nel suo solito modo, come se fosse stato casuale e nemmeno ci avesse fatto caso.

Ma io ci badavo fin troppo alle sue mani e pensavo che mi sarebbe bastato poco, probabilmente solo un piccolo movimento per incrociare le dita con le sue. Ma come sarebbe stato giustificabile quello da parte mia? Soprattutto dopo quello che stavamo dicendo.

- Solo per dimostrarti che sei tu a volermi stringere la mano - dissi a voce fin troppo bassa per essere normale e rendendomi conto di essermi imbambolata.

- Che balla - rispose e dal viso e dalla voce divertita sembrava come in ogni situazione padrone di se stesso. Ma perchè non allontanava quella maledetta mano? Era una fiera, c'era gente! E perchè non la allontanavo io?!

- Non lo era - mi uscì. E non riuscendo a trattenermi le mie dita si piegarono, verso il palmo, verso le sue e arrivai a toccarle, in un modo che sembrava davvero un tentativo di stringergli la mano o un invito a venirmi incontro. E probabilmente non ero più giustificabile.

- E invece sì. Perchè si sa che io non prendo per mano nessuna.

E lo sapevo già quello, ma non riuscii a rispondere. Le parole mi arrivarono all'orecchio ma l'amaro mi sembrò di sentirlo in bocca.

- MAX!

L'urlo mi fece sobbalzare prima che potessi aprir bocca e dallo spavento strinsi i pugni, infilzando probabilmente Parker con le unghie; lui ebbe la stessa reazione, non reagendo però alle mie arpionate, e riprendendosi più rapidamente mi afferrò strattonandomi dietro l'angolo e facendo intanto uscire qualche mezza parola dalle labbra che non colsi.

Io ancora sconvolta per aver davvero provato a prendere per la “manina” Parker e già pentita dopo la sua frase, mi feci trascinare senza molte resistenze e senza nemmeno guardare da chi stesse scappando, finchè non notai che dietro l'angolo c'era una cabina di fototessere e lui stava davvero mirando a quella.

Non solo mirando, senza esitare molto mi spinse dentro. Quasi ruzzolai, rischiando per di più di cadere inciampando sullo sgabello all'interno. Lui mi seguì subito dopo, chiudendosi di scatto la tendina dietro.

- Ma stai male?! - Gli urlai, riprendendomi dopo tutto quel caos e cercando di schivarlo per uscire ma Max mi bloccò.

- Dawn - disse solo spingendomi indietro.

- Cosa?! - Esclamai accigliata e volendo davvero uscire da quel posto così stretto: ero troppo imbarazzata per quello che era appena successo ed eravamo troppo vicini.

- Era Dawn quella che urlava, mi stava venendo a cercare, non so perchè … - spiegò, sussurrando e guardando verso la tendina, come a poterla attraversare con l'occhiata.

Arretrai per non rischiare di toccarlo di nuovo. - E perchè qua dentro?!

Fece spallucce, lasciandosi sfuggire anche una risata. - E' il primo posto che ho visto dove poterci nascondere - continuò a bassa voce, seriamente convinto. Tornò a guardarmi e nonostante mi fossi spiaccicata contro la parete opposta continuavamo ad essere molto vicini, visto il poco spazio che c'era, tanto che il contorno grigio dei suoi occhi era ben visibile.

- Quindi - fece, sbuffando e lasciandosi cadere sullo sgabello al centro della macchinetta; ancora più vicino. - Stiamo un po' qua che non ne posso più di vederla - si lamentò puntando i gomiti sulle gambe e chinandosi in avanti per guardare annoiato i vari disegnini che indicavano i tipi di fototessere che potevano essere fatte.

Rimasi in silenzio, assorbendo pian piano le informazioni. - E non posso andarmene solo io? - Proposi quasi pigolando e sentendomi sempre più in difficoltà.

Continuò a guardare le scritte davanti a sé. - No, devo prendere il robo dal tuo baule.

- Te lo prendo io e te lo porto poi quando ci vediamo! - Ribattei.

- No.

Sospirai arrendendomi. - Solo un minuto e poi andiamo.

Lui ridacchiò e basta in risposta e dopo pochi secondi di silenzio, passati a guardare ancora le foto standard disegnate, tirò fuori il cellulare dalla tasca e si mise dritto con la schiena per scrivere; io mi ritrassi ancora di più quando inevitabilmente la sua spalla destra mi sfiorò la parte alta della pancia, quasi arrivando al seno; mi ritrassi anche se non c'era chiaramente spazio per riuscirsi e anche se quel tocco era evidentemente casuale e lui non ci stava nemmeno facendo caso, impegnato com'era a rispondere a non sapevo quale messaggio.

Si girò a guardarmi e dall'alto incrociai i suoi occhi. - Cosa c'è ancora? - La domanda gli uscì leggera e il verde vagò sul mio viso. Sorrideva ed era un sorriso da schiaffi che comunicava semplicemente quanto invece stesse capendo il mio imbarazzo: per essere lì dentro, da soli, così vicini, con lui. E all'improvviso non fui più tanto sicura che non stesse facendo caso al fatto di starmi toccando. E l'insistenza per rimanere lì mi sembrò solo una punizione intenzionale.

- Niente - risposi di getto. - Ma possiamo uscire?! Sarà tornata indietro, non sento né urlare il tuo nome né niente del genere! - Dissi e staccandomi dalla parete provai ad aggirare lui e quello sgabello ma c'era davvero troppo poco spazio.

- Non la conosci! - Si lamentò e mentre mettendomi di lato provavo a passargli davanti mi afferrò un braccio per fermarmi. Volli morire.

- Max, allora, senti: non ci stiamo qua dentro in due, è progettato per una sola persona questo robo - insistetti provando a fare forza per scivolare dalla sua presa, senza risultati ovviamente.

- Ci stiamo, ci entrano in dieci a volte per farsi foto insieme le ragazze!

- Invece ti sono praticamente in braccio! - Insistetti e con tutta la forza che avevo strattonavo il braccio all'indietro, lontano da lui, ma con scarsi risultati.

- Sei davanti a me e basta! - Ribatté, non mollandomi.

Non ne potei più. - Mi lasci?! - Ordinai ad alta voce e lui lo fece sul serio, all'improvviso.

E il braccio mi volò all'indietro, per la forza che ci avevo messo, contro la parete alle mie spalle. Probabilmente beccai una parte metallica o qualcosa del genere col gomito ma non stetti a controllare perché dopo uno strano verso mi accasciai col braccio dolorante. Mi accasciai per quanto lo spazio lo permettesse, appoggiandomi alle gambe di Parker e al muro dietro. - Sei un idiota! - Gli urlai appena mi ripresi un minimo.

Lui sembrò indeciso se ridere o preoccuparsi minimamente; sembrò scegliere il lato umano, in parte, e con un sorriso mal nascosto mi toccò il braccio. - Hai fatto tutto da sola! - Ebbe il coraggio di dire.

- Ti ammazzo, Parker! - Lo minacciai seriamente continuando a starmene lì, nella stessa posizione sofferente.

Max divertito mi diede un buffetto sulla fronte. - Quindi cosa farai la prossima volta, furba? - Cominciò con tono canzonatorio.

- Non avrò niente a che fare con te! - Risposi e al dolore acuto si sostituì pian piano un certo formicolio, ma continuavo a starmene raggomitolata davanti a lui; Max invece aveva di nuovo puntato i gomiti sulle gambe, per avvicinarsi a me.

- No. Starai ferma e buona come ti dicevo io! - Seguitò nello stesso tono e mi prese un ciuffo di capelli per giocarci.

- Non voglio fare come dici te! - Ribattei ancora irritata e forse per quello non notavo quanto fossimo ora vicini: molta meno distanza di prima ci divideva mentre lui guardava le punte scure dei miei capelli, facendole rotolare tra i polpastrelli e io col gomito sano mi reggevo sul suo ginocchio.

- Dovresti ogni tanto - disse e sorrise, continuando a osservare i capelli che stringeva tra le mani.

- E perchè mai?! - Lo rimbeccai, e intanto non sentivo praticamente più il male, ma non mi alzai.

Max sbuffò e finalmente mi guardò negli occhi, solo in quel momento mi resi conto della vicinanza ma non arrossii né niente, ricambiai solo lo sguardo. Aprì la bocca: - Mi stai facendo male col gomito.

- Trattieni il dolore - risposi, forse meno acida di quanto avrei voluto.

- Come avresti dovuto fare tu, intendi? - Mi prese in giro con uno sbuffo divertito ed era così vicino che il soffio mi solleticò la fronte. Mi arrivò il suo odore a frutto.

- Io trattengo già il mio istinto omicida nei tuoi confronti, non pretendiamo troppo.

Lui rise. - Addirittura? E mi dispiace ma io in quanto a trattenersi ti batto.

Alzai le sopracciglia, sfoggiando uno sguardo di superiorità e mi avvicinai a lui, facendo leva sul suo ginocchio, senza nemmeno rendermene particolarmente conto. - Invece non ti trattieni mai visto che fai di continuo l'idiota.

Sembrò avvicinarsi anche lui all'offesa e ricambiò allo stesso modo il mio sguardo. - Io mi trattengo sempre.

- In intelligenza? - Lo provocai. Ed eravamo davvero molto vicini, lo sguardo mi scivolò sulle sue labbra, piegate in una smorfia, per poi tornare velocemente su.

- No - rispose secco e i suoi occhi mi squadrarono velocemente, in un modo che sembrò simile al mio.

- In idiozia allora? Non credo sia umanamente possibile dato come ti comporti.

- Non giocare col fuoco, Gray - mi minacciò e se il verde non fosse stato così rassicurante avrei quasi rischiato di prenderlo sul serio; mi sentii tirare la ciocca di capelli e di riflesso mi avvicinai, seppur di millimetri.

- E se lo facessi, Parker? - Continuai e percepivo come una strana stretta allo stomaco.

- Smetterei di trattenermi - rispose solo e la voce calda sembrò chiudersi in una sentenza definitiva, e i suoi occhi mi bruciavano addosso, come anticipandomi quello che le sue parole avevano minacciato.

O forse la sentenza la diede la mia di frase: - Fallo allora.

E lo fece.

Scoprii di essermelo aspettato, di aver saputo che stava per succedere, che la morsa allo stomaco era stata semplicemente aspettativa mista ad eccitazione, quando l'ultimo suono della frase appena pronunciata mi morì contro le sue labbra. Le labbra di Max che con forza avevano trovato le mie, facendomi arretrare e rischiare di colpire la parete dietro con la nuca; ma non me ne sarei accorta anche se fosse successo perchè la sua mano dietro il collo, quasi tra i capelli, il morso che mi diede subito per farmi schiudere la bocca, quelli avevano tutta la mia attenzione.

E scoprii anche che tutto il mio corpo se l'era aspettato, prima della mente, quando anche solo prima di formulare un pensiero mi ero allungata verso di lui, aggrappandomi alla sua maglietta, ricambiando il bacio con la stessa forza che stava usando lui e ansimando al primo attimo di tregua, mentre lui si tirava indietro, seguendo il mio movimento, per poi tornarmi subito addosso.

Le labbra di Max erano fatte apposta per essere baciate, apposta per baciarti: morbide, fruttate e calde; sembravano create apposta per farti promettere, ad ogni respiro e ad ogni sospiro contro di loro, che eri e saresti stata per sempre solo sua e per farti illudere, mentre il bacio tornava ad essere più profondo, mentre la mano dietro il collo cercava di avvicinarti sempre più, mentre quella libera percorreva il tuo braccio, che lui era solo tuo. E non mi ricordavo nemmeno più come eravamo arrivati a quel punto. Ma l'importante era esserci.

Poi sentii le sue dita calde - quelle che mi avevano sfiorato la manica della maglietta scendendo - sulla pelle, arrivando al polso, le sentii raggiungermi il palmo, e poi incastrarsi tra le mie dita, nel modo più naturale del mondo; e in quel momento non potei che ringraziare di starlo baciando perchè se le sue labbra non fossero state sulle mie sapevo quali parole mi sarebbero uscite. Quelle due parole sarebbero rotolate con naturalezza fuori, perchè non potevano evitare di farlo, non adesso che la sua mano era sulla mia, non dopo che lui aveva cercato quel contatto, e mi sembrava impossibile che lui non ne sentisse il sapore sulla lingua, chiaramente come io sentivo quel suo gusto fruttato.

Volevo che quel bacio durasse, volevo che le sue dita continuassero a essere tra le mie. Per sempre.

Ma tutto finisce, prima o poi.

E Max si allontanò, di pochi millimetri, solo dalla mia bocca, non seguii il suo viso, troppo scombussolata, troppo destabilizzata anche solo per respirare e rimasi ferma. Non aprii gli occhi perchè non volevo la realtà.

Ma quello che disse non era quello che mi aspettavo e fu un sussurro, anche meno: - Ma se non fosse così, stringerei la tua.

Spalancai gli occhi e quella piccola bolla si ruppe: Max si tirò velocemente indietro alzandosi in piedi e colsi solo di poco i suoi occhi da vicino. Mi ritrovai con la bocca aperta, con la mano vuota, e mi sembrò per un attimo di essermi immaginata tutto. Ma era possibile? - Eh? - Chiesi.

Parker rise andando verso la tendina e afferrandola, veloce quanto io mi sentivo paralizzata, ma mi feci forza e mi alzai, anche se la testa mi girava. - Dicevo che questo era per i 50 cent che mi hai dato prima, era ingiusto che fossi stata l'unica tra tutte ad avermi dato dei soldi senza ricevere un bacio, no?

Lo guardai incredula, provando lentamente a ricollegare i neuroni. - Parker, erano di una scommessa, nemmeno miei - gli feci notare e la voce mi tremava ancora terribilmente mentre lui sembrava così normale.

Aprì la tendina, col suo solito sorriso. - Ah sì? Non me lo ricordavo - borbottò in uno strano modo e con una strana smorfia, abbastanza comici entrambi.

Cedetti sedendomi sulla sedie e c'era qualcosa che non andava. Quel suo discorso non aveva senso e in qualche modo mi spuntò un sorriso. -Non ci crede nessuno, Parker- lo citai e standomene in piedi probabilmente non avrei trovato la forza di dire quelle parole, troppo concentrata a mantenere salde le gambe. - Volevi baciarmi e ti stavi trattenendo da quello. - Ebbi addirittura il coraggio di accusarlo.

Mi lanciò uno sguardo di sfida, sorridendo e uscendo fuori di un passo dalla macchinetta; che non avesse riso di quella frase mi spingeva poi nell'idea di continuare in quel modo. - A me è sembrato solo che tu volessi baciarmi - ribatté.

- L'abitudine di rispondere ai baci dopo un'intera giornata - mi uscì prontamente e forse per la prima volta fui io a prenderlo in contropiede. E sorridevo intanto, sempre di più e fin troppo, così sospetta, così troppo sospetta per sembrare normale, più contenta di quel bacio di quanto fosse lecito a chiunque.

Ma forse non ci fece caso e con un mezzo sorriso rispose anche lui: - Non ci crede nessuno. - E mi fece un cenno con la testa, per poi andarsene.

E rimasi lì, col cuore che batteva così forte da sentirlo in gola, sulle tempie. Mi guardai la mano, quella che aveva incrociato le dita con le sue.

“Stringerei la tua”, aveva detto.

Intendeva lei? Perchè mi sembrava così tanto che intendesse lei?

Mi morsi le labbra, per cercare di smettere di sorridere ma non ci riuscivo.

Era da stupide iniziare a sperare? Iniziare a sperare che forse potessi piacere davvero a Parker?


 

E un attimo. Il polsino nel mio baule?


 


 

- Ah! Questa faccia mi dice che sono stata beccata! - Fu l'esclamazione di Francy appena mi vide davanti alla porta di casa sua.

- Beccatissima. Adesso mi spieghi: uno, perchè non me l'hai detto prima; due, com'è stato l'appuntamento; tre, al mattino sul serio, Francy?! - Risi entrando in casa mentre lei mi chiudeva la porta dietro.

Era tardo pomeriggio; dopo la fiera ero tornata a casa - per vedere cos'aveva combinato Maxyne durante la mia assenza, soprattutto - e poi avevo passato il resto del tempo a rotolarmi sul letto, guardandomi la mano così tanto da sembrare penosa a livelli estremi persino a me; alla fine mi ero decisa ad andare da Francy, perchè avevo bisogno di parlare.

Lei mi guardò imbarazzata. - Mi vergognavo con me stessa di averglielo chiesto, dirlo anche ad altri in quel momento non ce la facevo.

Scossi la testa con fare esasperato, ma continuando a sorridere, fin troppo. - Poveraccio, ti vergogni troppo di lui. - Entrai in cucina e vedendo su un piatto un mare di biscotti ne presi uno ancora più contenta.

- Non mi vergogno, ma mi vergogno di cominciare a cedere dopo averlo rifiutato così tanto … - borbottò senza guardarmi.

Sgranai gli occhi. - Cedere?! E' un'ammissione?! Ti piace?!

Continuò a non guardarmi ed arrossì leggermente. Scoppiai a ridere andando ad abbracciarla. - Un ragazzo che ti fa dimenticare Jack! Si meriterebbe qualche premio speciale solo per quello!

Francy sorrise finalmente e le uscì anche uno sbuffo divertito. - Non ho smesso di pensare che Jack sia un grandissimo figo, però Alex è … Boh, è strano, ma un giorno mi sono resa conto di stare più che bene con lui e non è normale. Non per me, insomme e ...

Le schioccai un bacio sulla guancia interrompendola fin troppo divertita. - E com'è andato l'appuntamento? - Mi allontanai dando un morso al biscotto.

Gesticolando cercò di affievolire il concetto. - Appuntamento è esagerato. Siamo usciti insieme ma non è successo niente. Riso e scherzato come al solito, niente di che.

Feci finta di intenerirmi esageratamente. - Oh, è uno di quei timidoni che non fanno il primo passo!

Francy rise ma annuì leggermente.

- Anche se poi è comprensibile, dopo i mesi in cui è stato smerdato brutalmente ...

- Esagerata!- Alzò gli occhi con un'espressione però colpevole.

- Mica tanto.

Mi fece cenno di stare zitta, sbuffando. - Comunque, la casetta con Parker com'è andata? - Chiese lei facendomi cenno di seguirla.

Mi guardai attorno prima di parlare e camminando per i corridoi fin troppo silenziosi. - Ma tua madre non c'è?

Fece spallucce. - E' andata con papà alla fiera.

Mi mordicchiai le labbra mentre salivamo le scale per andare in camera. Eravamo sole e avrei dovuto fare quello che rimandavo da fin troppo tempo: le avrei detto tutto, pur sapendo che avrebbe potuto benissimo arrabbiarsi per essere stata informata così tardi e avrebbe avuto solo ragione.

- La casetta è andata bene. Mi hanno baciato solo 4 bimbi al mattino, insieme a un vecchietto molto inquietante e poi venticinque ragazzi nel primo pomeriggio. - Ventisei, pensai un attimo. - E' andata bene.

- Parker? - Chiese aprendo la porta di camera sua.

- Lui è arrivato sulla sessantina di persone, distrugge ogni volta la mia autostima.

Lei rise. - E Ben non è venuto a stressarti?

- Alla casetta no - risposi sedendomi davanti alla sua scrivania mentre lei si buttava sul letto.

Sorrise. - Strano!

Annuii e la osservai, giocando con la tastiera del suo computer per perdere tempo, pur sapendo che avrei dovuto parlare. Ma come cominciare?

- Ah … - Iniziai, lanciando il prima possibile la patata bollente. - Poi diciamo meglio che ventisei ragazzi mi hanno baciata … - tentai, smettendo di guardarla e osservando la sua molto interessante spillatrice viola.

Forse sospettò qualcosa. - Anche quest'ultimo di cui ti stavi casualmente dimenticando ti ha dato 50 cent?

Mi girai, mordendomi le labbra e trovai il suo sguardo divertito. - In effetti no.

Rise lasciandosi cadere sul letto e la raggiunsi gonfiando le guance, fintamente offesa da quella reazione. - Era da troppo che non vi baciavate in effetti!

- Non è vero! - Mi lamentai ridendo però a mia volta.

- Certo! E che scusa avete usato questa volta?

Mi finsi offesa ma parlai: - Eravamo in una … Beh insomma, per una scommessa che avevamo fatto a pranzo gli ho dovuto dare 50 cent e ...

Francy rise ancora di più. - E' inquietante! Ti rendi conto che probabilmente era dall'ora di pranzo che stava architettando di baciarti con quella scusa!

Le diedi un piccolo colpo sul braccio, per farla smettere. - Ma non è vero!

- Come non è vero che tu non volevi quel bacio.

Sbuffai roteando gli occhi ed evitando di risponderle e di guardarla.

- E poi?

Esitai un attimo, poi tornai ai suoi occhi grigi. Decisi di non passare a nessun giro di parole. Parlare e basta, perchè glielo dovevo, perchè era Francy. - Credo di essere fregata - spiegai, nel modo più sincero possibile.

Mi sorrise, all'improvviso delicata e leggera, come non l'avevo mai vista, se non raramente. - E perchè?

- Perchè Max mi piace, anche di più - dissi e con gli occhi cercai di farle capire quello che volevo dire e non avrei avuto la forza di esprimere più chiaramente.

Lei mi capì. - L'avevo capito, sai? Si nota. Ma volevo vedere quanto tempo ancora ci avresti messo per dirmelo.

- Scusa - blaterai, sinceramente dispiaciuta.

Rise, facendo spallucce leggera. - Siamo pari. Anch'io sull'argomento Kutcher ho avuto i miei segreti.

- D'ora in poi basta?

- Basta - fu d'accordo e sorrise sporgendosi per abbracciarmi malamente.

Mi venne da ridere mentre per colpa del suo peso cadevamo all'indietro sul materasso. - E si nota davvero così tanto?! - Chiesi tra una lotta e l'altra sulle coperte.

- Tantissimo - mi prese in giro smettendola di tenermi stretta e rotolandosi su un fianco.

- Francy, sinceramente!

Rise di nuovo ma non rispondendo alla domanda. - E se ti farà stare male ci penserò io a prenderlo a calci nel culo e negli attributi - si infiammò all'improvviso, nel suo solito modo.

La guardai circospetta, indecisa se dire davvero quello a cui stavo pensando, ma ripensai alla promessa appena fatta. - Allora preparati a farlo. Dopo il bacio di oggi mi sta frullando brutta roba per la testa - ammisi a mezza voce.

- Uhm, mi hai censurato qualcosa? - Indagò subito, reggendosi sui gomiti.

Mi inumidii le labbra e mi decisi a raccontarle anche i dettagli, di raccontarle del “stringerei”.

Alla fine mi guardò intenerita. - Capisco perchè ti girano certe cose per la testa. Insomma, non solo da questa volta, ma anche in generale sembrerebbe che lui ...

Mi tappai le orecchie ridendo per dissimulare il mio isterismo. - No, non dire niente! Peggiori la situazione!

- Tanto lo pensi già - mi accusò punzecchiandomi un fianco.

- Non quello che stai pensando tu. Ma che tipo, forse, gli piaccio un po' … No, okay, scherzavo, non l'ho detto!

- Ma è così!

- Francy!

Mi fece una faccia colpevole e mimò di chiudersi la bocca con una cerniera.

Sospirai sporgendomi questa volta io per abbracciarla di nuovo. - Insomma, preparati a prenderlo a calci nel culo, la vedo male.

- Insomma, Evelyne, e l'ottimismo?! - Mi chiese esasperata e mandando a cagare la zip che le avrebbe dovuto chiudere la bocca.

- L'ottimismo fa male, è da trattenere - risposi.

- Non sempre!

La guardai un attimo indecisa ma alla fine sospirai. - Ci proverò. Ma voglio averne proprio poco, poco poco, un briciolo, neanche.

- Basterà a portare fortuna, l'ottimismo porta bene - rispose allegra.

Ridacchiai alla fine e guardai il riflesso del lucernario della sua camera.

E in effetti forse aveva ragione, dell'ottimismo non mi avrebbe fatto del male dopo tutto.


 

Forse ...




*Angolo autrice: 

SCUSATE IL RITARDOOO . (non uccidetemi, per favore . ahahah) Purtroppo la scuola mi ha tenuto abbastanza occupata e quando avevo tempo libero non riuscivo a mettermi a scrivere:/ e senza che nemmeno me ne rendessi conto sono passate le settimane ...
Comunque spero di essermi fatta perdonare col capitolo:D

Come al solito non voglio dirvi io cosa sta succedendo, ma non voglio darvi l'idea della pazza o incoerente nello svolgimento della storia: lo scorso capitolo è finito in un modo che lasciava pensare a qualcosa di brutto e con questo capitolo la brutta sensazione non dovrebbe essersi cancellata. L'Evelyne che racconta ha anticipato i fatti, ha parlato delle "conseguenze" di quello che pensava Parker e ha detto che non ne sarebbe stata felice, ma Evelyne in questo capitolo non le sa ancora le conseguenze.
Siamo ancora nella "calma prima della tempesta", per dirla in modo drammatico:D
Il "Forse ..." alla fine purtroppo vi vuole suggerire questo.

Poi ci sono altre frasi e parole qua e là che possono suggerirvi qualcosa e le vostre teorie o pensieri o qualsiasi altra cosa le voglio sapere:D

A parte queste brutte cose c'è stato un baaaaciooo. (e anche qua ci tengo a dire che il "trattenermi" è per Parker, che non è strano come potrebbe sembrare per l'umore che gli cambia così tanto da mattino a primo pomeriggio, ha i suoi motivi, i suoi pensieri, cose che Evelyne non può sapere)
Spero vi sia piaciuto come spero vi sia piaciuto il capitolo. Sono un po' in ansia sinceramente al riguardo. Ahahahah

Beh alla prossima:) (le conseguenze sono prossime !)

Il prossimo ci sarà per il 12-13-14 maggio (dal 6 all'11 sono in gita in Spagna, il capitolo lo finisco prima del 6 così quando torno posso pensare ad aggiornare)
Do una data così mi sprono ad aggiornare! AHAHAH

Alla prossima e grazie mille di continuare ad essere qua:3

Gruppo spoiler per informazioni e robe varie: http://www.facebook.com/groups/326281187493467/

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Capitolo 25
*** Crack ***


24. Crack

 

- Hai il regalo? - Mi richiese cominciando davvero a stressarmi.

- Sì sì! - Ripetei anch'io alzando gli occhi al cielo mentre mi infilavo le ballerine davanti allo specchio; quelli poi ricaddero sul mio riflesso.

I miei occhi continuavano a guardarmi, perchè ogni volta, osservando di sfuggita davanti mi sembrava di vedere una sconosciuta, e tutte le volte controllavo: non sembrava infatti me quella morettina, con i capelli perfettamente lisci, appoggiati in parte su una spalla, con l'eyeliner a ingrandirle gli occhi e un vestitino di un verde chiaro che sfumava verso l'azzurro. Non sembrava la solita Evelyne Gray.

E non lo era.

Perchè un vestitino, un vestitino non era il tipico acquisto di Evelyne Gray.

Qualcuno avrebbe dovuto rinchiudermi per avere un vestito del genere e rinchiudermi soprattutto perchè dopo la conversazione con Francy, appena due settimane prima, ero ottimista. E quell'orrendo ottimismo mi aveva spinta a comprare quella robaccia.

E non avrei dovuto, insomma! Non avrei dovuto per niente!

Ma non potevo evitare di sorridere al mio riflesso, riconoscendomi alla fine da sola: perchè stavo bene e speravo che lo notasse. Speravo di smuovere di nuovo la situazione che era tornata statica dopo quel bacio nella macchinetta. Infatti, com'era ovvio, in quelle settimane non aveva detto niente sull'accaduto: evitava sempre di farlo quando quelle situazioni era lui a cercarle; se fossi stata io a baciarlo le cose sarebbero state diverse.

E quindi, io, Evelyne Gray, cercavo di far muovere le cose.

Il mondo stava probabilmente per finire; e io ero da rinchiudere, internare, torturare e magari uccidere.

- E dove l'hai messo? - Chiese ancora Elizabeth trafficando con la mia borsetta.

- Zia, sai che le cose me le ricordo. - Sospirai arrendendomi però e andando a prendere in cucina la busta rossa con dentro il regalo.

Per il regalo aveva collaborato - o meglio, aveva fatto tutto - mia zia. A lei, tornata dopo l'incidente, era stato infatti affidato un articolo sportivo: sarebbe dovuta andare a intervistare gli Knicks, la squadra di basket di New York, dopo una partita e io, cogliendo la palla al balzo, le avevo solo chiesto di farsi fare gli autografi per Max e al resto ci aveva pensato lei; così ora avevo il regalo pronto, in mano, e lo infilavo dentro la borsa, provando a farcelo stare senza stropicciare troppo gli angoli della busta.

- E comunque dovrei provare a farmi investire di nuovo, dopo l'articolo sportivo sono tornati a mandarmi al bar per i caffè ...

La fulminai infilandomi la giacca e spostandomi i capelli che non avevo mai così lisci e maneggiavo con attenzione, quasi con la paura che potessero spezzarsi. - Non ci provare nemmeno, eh! Preferisco sapere che porti i caffè.

Mi sorrise aprendo le braccia e facendo un cenno con le mani mi invitò ad andarla ad abbracciare; io con un mezzo broncio, più che altro triste nel ricordare, mi avvicinai, andandola a stringere.

- Ti aspetto sveglia? - Mi chiese stampandomi un bacio, appiccicaticcio per il burro cacao, sulla fronte.

- No, tornerò tardi. - Mi allontanai, leggermente rincuorata da quell'affetto e tornai a chiudermi la giacca.

- Ma non esagerare che domani c'è scuola … - Mi ammonì girandomi intorno e sorridendo in uno strano modo.

Era un martedì infatti e c'era la festa quella sera. Pensavo che Parker fosse l'unica persona al mondo a fare il proprio compleanno di Martedì, pur di poter dire di festeggiarlo esattamente il giorno in cui li compiva.

Festeggiarlo con una festa poi, una delle sue solite.

Il giorno dopo a scuola si sarebbero visti adolescenti vaganti simili a zombie o a fantasmi, alcuni probabilmente col dopo-sbornia.

Pensai poi che avrebbero dovuto internarmi anche solo per il fatto di starci andando a quella festa, nonostante fosse durante la settimana.

- Oggi sei molto in modalità mamma. - Le feci notare ridendo.

Cancellò il sorriso, regalandomi una linguaccia; mi prese la sciarpa e me la passò. - Io sono sempre in modalità mamma!

- Certo, Lizzy! - Sorrisi andando nell'atrio e provando a schivare mia zia; dopo aver infilato anche il mazzo di chiavi nella borsetta poteì dirmi pronta.

Guardai l'orologio notando che ero di quasi un'ora in ritardo ma ero giustificabile: gli altri invitati non avevano dovuto passare il pomeriggio con Parker, ad aiutarlo ad allestire la casa.

Mi mordicchiai le labbra, dopo aver salutato Elizabeth ed essere uscita, nervosa.

Ero nervosa ed ottimista. Praticamente un ossimoro.

Ed erano stati belli i tempi senza ansie futili a tormentare il mio stomaco.

Entrai in macchina e cercai di convincermi che il mio vestito non sarebbe stato fuori luogo e nemmeno io.

Evelyne Gray che partecipava alle feste e si metteva in ghingheri. Dopo la prima festa di Halloween, obbligata da Francy, non era mai successo, io normalmente non l'avrei mai fatto volontariamente.

Sospirai non capendo perchè mi ostinassi a pensare alla normalità di Ottobre, alle cose sensate che una volta facevo e a quelle insensate che ora mi ritrovavo a compiere.

Arrivai, poco dopo, parcheggiando a fatica, a casa Parker. Camminai verso la porta mandando un messaggio a Francy, avvisandola di essere arrivata, tanto per fare qualcosa nel piccolo tragitto e non tormentarmi i capelli.

Entrai nell'atrio della casa, la porta ovviamente aperta – un giorno sarebbe entrato un serial killer e ci avrebbe uccisi tutti - e togliendomi con calma la giacca la appoggiai su un tavolino lì di fianco.

Guardai accigliata i ragazzi che passavano ridendo, dalla cucina alla sala, con già i bicchieri in mano e un'allegra aria brilla.

- Eve! - Sentii prima la voce e poi distinsi la sagoma di Francy che arrivando dalla cucina, o il giardino, mi correva incontro.

Risi sistemandomi la borsetta sulla spalla e decidendo di portarmela dietro e non rischiare ad abbandonarla sui tavoletti. - Come va qua?

Mosse la testa mimando una risposta che non si capiva. - Come sempre. Forse più alcool del solito. E Billy ha preso una mega torta e tra mezz'ora la tagliano! - Mi informò velocemente ridendo e prendendomi a braccetto. - Credo ti stessero dissimulatamente aspettando!

- Dubito. - Scossi la testa divertita, facendomi guidare.

Passammo in cucina e poi scendemmo le scale, quelle di fianco allo sgabuzzino dove Max chiudeva tutti gli oggetti delicati, e che sapevo portavano allo scantinato nel quale evitavo per lo più di andare.

Evitavo di andarci perchè lì c'era una strana atmosfera: nei divanetti e le poltrone di pelle, nel tavolino basso da poker, nella televisione e il grande biliardo c'era un'atmosfera intima e particolare che preferivo evitare, sempre, a casa di Parker, con lui di fianco. Più per la mia già precaria sanità mentale che per altro.

Scendemmo i pochi gradini trovando la combriccola più stretta di Max, abbastanza al completo, riunita lì. Una grande torta era stata messa sul biliardo e Parker, poco lontano da quella, appoggiato a uno dei braccioli delle poltrone, rideva allegro ascoltando i suoi amici.

Mi morsi le labbra sorridendo e facendomi trascinare verso il gruppo.

Ne era passato di tempo dalle prime volte in cui quasi a forza dovevo avvicinarmici.

- Evelyne! - Mi salutò Billy per primo, divertito e rivolto dalla mia parte.

- Mancavi solo tu per la torta e stavamo per morire! - Mi accusò Alex scuotendo scherzosamente la testa e cercando di far cenno a Francy di sedersi sulle sue gambe. Lei ovviamente rifiutò.

- Scusate ma sono tornata a casa tardi per colpa di qualcuno - risposi per poi girarmi verso Max, lanciandogli chiaramente, e davanti a tutti, una frecciatina.

Lui mi sorrise divertito, squadrandomi leggero con gli occhi per pochi secondi. - Detta così suona male.

Sbuffai ma continuando a sorridere. - Beh è quello che è.

- Ah sì? - Buttò giù la domanda, sempre con la stessa espressione.

- Max! - Lo richiamò velocemente Dawn. La notai solo in quel momento, mentre gli si spiaccicava contro per poi lanciarmi un'occhiata di puro odio.

Alzai gli occhi al cielo facendo sparire gradualmente il sorriso in un'espressione che cercava di essere simile alle solite esasperate che avevo sempre avuto, pensando alle cheerlader.

- Cosa c'è? - Chiese abbastanza irritato Parker cercando di levarsela di dosso, mentre gli altri, perdendo interesse in quella situazione così comune, cominciavano a parlare tra di loro.

- Quando ti posso dare il tuo regalo? - Chiese con un tono malizioso ma fin troppo alto per sembrare davvero seducente. E il suo obiettivo era chiaramente di farsi sentire, da me.

Mi chiedevo se fosse in effetti tutto così evidente, come aveva detto Billy. Perchè Dawn qualcosa pensava, pensava evidentemente qualcosa per il modo disperato in cui continuava a marcare il territorio.

- Dopo - rispose alzando gli occhi al cielo, ma un po' divertito e senza guardarmi più.

- Oddio! - Sospirò Francy, avendo sentito come me la frase di Dawn e scoppiando a ridere contro la spalla di Alex che pur di starle vicino aveva rinunciato a stare seduto.

- Siete proprio cattive! - Ci sgridò il moro, pur divertito anche lui.

- E' lei a rendersi ridicola.. - Feci notare sussurrando ma provando a sembrare scherzosa e non irritata.

Ci interruppe Billy affiancandomi. - Evelyne, mi accompagni?

Lo guardai sorpresa. - Dove? - Ma avrei risposto di sì per ogni cosa, pur di allontanarmi da Dawn e le sue stupide esibizioni, che continuavano, tra parentesi.

- A prendere qualcosa per tagliare la torta. – Buttò lì facendo spallucce.

Annuii sorridendo e lo seguii, lasciando volentieri lo scantinato e Parker che cercava di zittire Dawn per qualcosa che non avevo evidentemente sentito.

- Sei quasi brava a dissimulare.. - Si complimentò subito, mentre salivamo le piccole scale, fuori dalla portata uditiva degli invitati al piano di sotto. - L'espressione durante l'esibizione di Dawn era solo disgustata, neanche un po' gelosa.

Risi. - Non ero evidentissima? - Chiesi retorica con un accenno di ripicca.

- Sì, ma stai leggermente migliorando. Ti sei fregata solo con quel sorriso da “Sto flirtando e non me ne sto nemmeno rendendo conto” mentre facevi notare a tutti di essere stata trattenuta da Max al pomeriggio - mi fece notare, sorridendomi divertito.

Lo guardai sbattendo le palpebre, incredula. - Non stavo flirtando!

- L'ho detto anch'io che non te ne stavi rendendo conto, ma quello lo era, in un certo senso e per i tuoi canoni.

Non capivo se ridere o continuare a prenderlo sul serio. - Era un sorriso!

Billy rise. - Non fare quella faccia, insomma! Anche Dawn l'ha pensato da come si è spiaccicata subito contro Max.

- Si spiaccica sempre contro Max - gli ricordai.

Sorrise. - Quello è vero ma di solito i sorrisi omicidi li limita.

Scossi la testa arrendendomi e aiutandolo a prendere dei piattini per il dolce.

- Ah e sei parecchio carina stasera - si complimentò poco dopo, all'improvviso, raddrizzandosi con un coltello per torte in mano, tirato fuori da uno dei cassetti in basso della cucina.

In un certo senso mi imbarazzai, non aspettandomi qualcosa del genere da Billy, ma sorrisi. - Grazie mille.

Rise, probabilmente divertito da come avevo reagito. - Prima di frequentare Parker non eri così.

Lo guardai curiosa, prendendo anche forchette di plastica. - In che senso? Non ero mai carina? - E mi uscì uno sbuffo divertito alla fine.

Noi parlavamo intanto con tranquillità del festeggiato perchè la notizia della torta si era sparsa e tutti si stavano radunando nello scantinato non facendo caso a noi, oppure finivano la sigaretta in giardino e non potevano sentirci.

- Ridevi e sorridevi meno – spiegò, facendo spallucce.

- Odiavo Parker, ti ricordo. - Ma non ero poi così tanto sicura che fosse davvero così.

- Preferivo la romantica idea che l'amore ti avesse cambiata - disse scherzando e prendendomi in giro.

Alzai gli occhi al cielo facendolo ridere. - Non esageriamo, Billy, insomma. E smettiamola di parlare di “Quella cosa”. Finirà per sapersi in giro e non ne ho la minima intenzione - sussurrai per rafforzare il concetto.

Mi guardò divertito con gli occhi scuri, ma con una luce simile a quella del suo migliore amico. - Va bene, sai che sono il primo a dire che deve accorgersene da solo.

- Non lo farà mai, mi passerà prima.

Billy sorrise come sempre in risposta e si limitò solo a quello.

In quel momento, carichi di tutto il necessario e avviandoci verso lo scantinato, incrociammo Clark, entrato in quel momento dal giardinetto e ancora intento a finire di soffiare fuori dalla bocca una piccola nuvoletta di fumo.

Billy si fermò ad aspettarlo e così sul mio volto si dipinse una sincera ed evidente smorfia. L'amico di Parker con cui ogni tanto parlavo e con cui però non riuscivo nemmeno a stare nella stessa stanza era decisamente Clark.

Lui infatti era diverso da Kutcher o Billy e forse c'entrava anche il fatto che fosse stato lui a tradirmi e a svelare ad altri il mio segreto, ma il punto era che non lo sopportavo. Né lui, né i suoi occhi azzurri che velocemente mi squadrarono - ma in modo diverso da come aveva fatto Max - né il suo sorriso di sufficienza mentre mi salutava mi piacevano.

- Torta? - Chiese rivolgendosi a Billy e sistemandosi i capelli ingellati.

- Sì e muoviti sennò non te la lasciamo.

- Senza una sigaretta prima non si può godere una torta allo stesso modo - disse quasi convinto. - E come ti sei conciata, Gray? - Domandò rivolgendosi per la prima volta a me.

Lo fulminai. - Meglio di te.

- Sono d'accordo con lei - si schierò Billy ridendo e guardando il suo amico.

Clark sbuffò. - Non esageriamo, è appena decente.

- Non mi importa essere più di quello, anzi, nemmeno quello per te, quindi perfetto - risposi sorridendo candida.

Lui in risposta mi scimmiottò con una smorfia e arrivati nello scantinato si allontanò per raggiungere prima gli altri; guardai Max che come prima rideva, lontano da me.

Dopo seguì la canzoncina degli auguri, intonata solo da Kutcher che stonava a proposito, le risate e le prese per il culo rivolte al suddetto e poi torta e bicchieri.

Mentre ero rivolta verso il tavolo da biliardo, indecisa se prendere un altro pezzo della torta che diminuiva a vista d'occhio, sentii un soffio vicino all'orecchio e poi qualcuno che si sistemava schiena contro il tavolo, di fianco a me. - Come mai un vestito? - Aveva chiesto Parker divertito, in quel soffio.

Lo guardai un attimo sorpresa, più per i piccoli brividi che avevo sentito solo con quelle poche parole vicino all'orecchio che per altro. - Ogni tanto - risposi, provando a dissimulare e facendo spallucce. Mi allungai sul serio sul biliardo per la seconda fetta.

Continuò a guardarmi nel solito modo. - Ah, ecco, pensavo ti illudessi di vestirti così come regalo di compleanno ma mi dispiace: non mi interessa di vederti in tiro.

Lo guardai un attimo male, mentre mi ritiravo con la soffice torta nel piattino: non era quello che avrei voluto sentire, ma mi ripresi presto. - A proposito di regalo, dopo se restiamo un attimo da soli te lo do - borbottai.

Il mio regalo non era niente di ché alla fine, ma mi vergognavo tremendamente a darglielo e a vederlo scartare davanti a tutti. Non volevo poi che la gente notasse quanto mi fossi addolcita con lui. Alla fine, mi resi conto, non ero nemmeno sicura di volere che lui se ne rendesse conto.

Mi osservò in modo strano e mi sorpresi a rivederlo mentre mi squadrava. - Regalo? Da soli? - Chiese e cercò vistosamente di nascondere una risata.

Lo guardai non capendo. - Sì, perchè?

- No, ma guarda, adesso l'ho capito il vestitino, è più facile da togliere - commentò prendendomi in giro.

Collegai e nel tentativo di non arrossire cercai velocemente nell'archivio dell'Evelyne acida: - Mai, Parker, nemmeno nei tuoi sogni.

- Infatti non sogno cose così schifose - rispose a tono assumendo subito uno sguardo di sufficienza.

- Bene.

- Esatto.

Mi accigliai e quasi non volli più dargli il suo regalo. Perchè dimostrare in qualche modo di tenerci se lui faceva sempre il contrario? - Ti arrangi. Niente regalo.

Mi afferrò velocemente il piattino con la torta, strappandomelo di mano. - Oh, invece adesso andiamo in camera mia e me lo dai. Sennò niente torta - minacciò sorridendo e andandosene già. Schivò alcuni invitati che lo guardarono curiosi.

Nemmeno pensai che avrei potuto prendere tranquillamente un'altra fetta e lo assecondai inseguendolo irritata.

Lo affiancai sulle scale, uscendo dallo scantinato. - In camera tua? Ti è chiaro che in questo regalo non sono compresa io, vero? - Chiesi retorica e cercando di passare per una che non si era imbarazzata a quell'evidente doppio senso.

Mi guardò divertito, incrociando gli occhi coi miei. - Non lo accetterei, Evy.

Bugiardo. Assolutamente bugiardo.

-Con parecchi esempi potrei affermare il contrario- risposi sicura e mantenendo lo sguardo saldo.

Lui rise mentre passavamo per la cucina e lentamente ci avvicinavamo sempre di più a camera sua. - Tutti esempi in cui non avevo nessuno di meglio, Gray cara. Oggi è il mio compleanno e tutte sono qua per me, in caso di bisogno cercherei di meglio - disse tranquillo quella frase da totale stronzo.

E mi sentii punta sul vivo. Ma non dovevo dargliela vinta quindi con una smorfia di sufficienza distolsi lo sguardo e finii di salire gli ultimi scalini, verso camera sua.

Il mio ottimismo, con quelle frasi, veniva brutalmente smembrato, ma tanto, lo sapevo, sarebbe tornato sempre. Tornava un po' sempre, come gli uomini a detta di Elizabeth.

Parker in silenzio aprì la porta tranquillamente. - E perchè dovevamo essere soli? - Chiese.

Entrai, guardando un attimo nel corridoio prima e vedendo due ragazzi che con un sorriso malizioso ci osservavano.

Pensai per la prima volta a una cosa. - I tuoi genitori? - Lo guardai curiosa. Gli occhi verdi ricambiarono impreparati e sorpresi. Durò comunque poco, come quasi ogni gesto non controllato di Max e ripresosi chiuse con noncuranza la porta.

- Lavorano - fu la risposta all'apparenza disinteressata ma ormai lo conoscevo abbastanza: i suoi genitori non erano stati a casa per il giorno del suo compleanno, il punto era quello.

Non dissi quindi più nulla e mi limitai ad osservarlo mentre si sedeva come se niente fosse sul letto, aspettando il mio regalo. Cercai a tentoni dentro la borsetta facendogli almeno rispuntare un sorriso divertito. Non sapevo di preciso a cosa stesse pensando ma di sicuro non erano pensieri normali.

- Preservativi? - Chiese appunto.

- Ovvio, sesso protetto sempre - ribattei, fin troppo esasperata per urlargli contro.

Lui rise e basta, divertito.

- Ecco! - Esclamai alla fine tossicchiando ed estraendo la busta rossa.

Guardò prima il regalo poi me. - Una lettera d'amore? - Tentò.

Scossi la testa fulminandolo ancora, comunque arrabbiata per le frasi di prima. - Non provo sentimenti del genere nei tuoi confronti - lo informai. Ed era una bugia, tremendamente una bugia.

L'Evelyne che doveva mantenere la facciata con Max e quella che voleva che lui sapesse tutto. Quella che non voleva ferirsi, quella che voleva rischiare. Pessimismo e ottimismo. O forse realismo e stupidità?

Il problema era che avrei iniziato a soffrire di schizofrenia.

Rise. - Ah, lo so.

Sempre per il mio dolce bipolarismo con quella risposta rimasi sia sollevata che triste. Feci comunque finta di niente e mi avvicinai per poi porgergli la busta.

Max la prese sorridendo divertito e allegro come un bimbo e un po' contagiò anche me.

La aprì veloce ed estrasse il foglio. Non capì subito cosa fosse e fu carino vedere la sua espressione trasformarsi, mentre collegava, e passare ad una incredula. - Oh mio dio.

Con gli occhi quasi sgranati, come non l'avevo mai visto, alzò il viso di colpo per guardarmi. - Evelyne. - Ritornò a guardare il foglio. - Oh mio dio - ripeté facendomi scoppiare a ridere: contenta che il regalo fosse piaciuto, per quel poco che in realtà fosse. - E' la mia squadra preferita! Gli autografi! - Probabilmente si rese conto di essere vicino al diventare isterico e cercò di riprendersi fissando i nomi.

Quando il verde ritrovò il mio marrone era felice. Mi sembrava di averlo già visto con quel sorriso ma non ricordavo quando e pensare che mi avesse già guardato così mi spinse a mordicchiarmi le labbra per non sorridere troppo anch'io.

- Come hai fatto? - Mi chiese alzandosi e ritornando a guardare il suo regalo.

- Mia zia, li ha intervistati e le ho chiesto di farseli fare. E' stata solo fortuna aver beccato la tua preferita. - Ogni tanto avevo anch'io botte di culo, quindi?

Mise al sicuro il foglio con una strana ma divertente foga poi, girandosi verso di me si avvicinò abbracciandomi di slancio.

Io mi sentii troppo impreparata e temetti di sobbalzare o arrossire troppo.

Si staccò quasi subito, come pentendosi del gesto, ma continuava a sorridere. - Grazie, Evy.

- Niente. - Tossicchiai cercando di farla sembrare vera tosse e dissimulare.

Continuò a guardarmi e poi scoppiò a ridere. - Dai, ti abbraccio ancora che ti adoro davvero in questo momento. - Mi riafferrò velocemente e finii di nuovo contro il suo petto.

Mi potei godere meglio l'attimo questa volta; sorrisi sentendo il suo odore familiare e buono e il suo calore e le sue braccia che mi stringevano ed erano perfette per farlo e anche la mia testa che si appoggiava a lui in un modo che sembrava perfetto. Max era perfetto a tal punto che tutte, abbracciandolo, avrebbero pensato di essere state create per potersi incastrare in quel modo con lui? O semplicemente eravamo noi due? Mi diedi dell'idiota, per quei pensieri fin troppo sdolcinati.

Successe però evidentemente qualcosa perchè le sue mani e braccia persero forza nella presa, senza però lasciarmi definitivamente. Spostai leggermente il viso per provare a guardarlo ma non ci riuscii: si appoggiò infatti alla mia testa col mento. - E' un regalo troppo bello però. Non me lo merito.

Non seppi se rispondere o come farlo. Optai per lo scherzoso, alla fine. - Non ti meriteresti nemmeno la mia pseudo-amicizia, ma eccomi qua - esclamai ridacchiando.

Sbuffò. - Evelyne … Forse dovrei dirti una cosa … - borbottò.

Mi salì una strana emozione. Anche se non c'era da essere ottimisti per niente dopo quel tono che aveva appena usato. - Non è niente di ché, eh. Non credo nemmeno che ti interessi, non dovrebbe normalmente, ma forse ...

L'ottimismo sfumò. - Cosa? - Chiesi preoccupata ma senza allontanarmi.

E ormai come da manuale venimmo interrotti.

La porta si aprì velocemente. Mi staccai da Max a disagio e guardai Billy che ridendo entrava dentro la camera per afferrare il suo amico. - Ti stanno aspettando! Non imboscarti qua con Eve - ci sgridò ridacchiando e facendo finta di non notare, probabilmente, la mia faccia. - Vai su, muoviti!

Parker si passò una mano tra i capelli sorridendo. Era davvero abile a cambiare espressione e tono in pochi secondi. - Vado, vado! - E uscì dalla stanza.

Accennai a fare lo stesso ma Billy mi fermò. - Quell'abbraccio? Qua fuori due mi stavano fermando dicendo che stavate scopando selvaggiamente e vi becco abbracciati? Che cosa noiosa, Evelyne - mi prese in giro ma in realtà curioso.

- Gli ho dato il regalo: autografi della sua squadra di basket preferita - spiegai cercando di sorridere normalmente. In fondo forse quello che Max aveva voluto dire non era niente di grave.

Mi guardò sorpreso. - Potrebbe sposarti su due piedi dopo questa.

Risi. - Non accetterei!

- Ah no? - Chiese scettico, scherzando.

- Non per degli autografi - specificai vincendo l'imbarazzo. Parlare con Billy del suo migliore amico era una cosa che continuava a sembrarmi paradossale ma che facevo sempre più spesso.

Capivo perchè Billy fosse così ben voluto. Sapeva ascoltare e ascoltava anche quello che non dicevi. A volte parlandoci e parlando di quello che era successo pensavo che lui avesse capito prima di me che provavo davvero qualcosa per Max.

Billy rise sinceramente divertito e mentre si avvicinava alla porta, pronto a uscire parlò ancora: - Però sai, è davvero curioso che dopo quello che ha fatto tu riesca così facilmente ad essere carina con lui, a fargli questo regalo e ad abbracciarlo e tutto.

Lo guardai perplessa ma in effetti un po' era vero. Mi aveva dopo tutto ricattata e trattata male e presa in giro e continuava a farlo ma io ero comunque innamorata, pensai. - Ormai. Ho il sospetto di essere un po' masochista. O forse il punto è che ne ha fatte fin troppe di cose e credo di starmi abituando.

Mi guardò come se fossi stata un tipo strano, seppur continuando a sorridere. - Sì ma credo che andare a letto con Dawn e baciarti il giorno dopo le batta tutte.

Il sorriso che avevo sempre con Billy sparì, evaporò.

Sentii davvero una fitta al petto. Sentii un “crack” rimbombarmi dentro.

Era possibile che quella frase potesse uccidermi? Potesse davvero spezzarmi il cuore? Anche fisicamente e non solo per modo di dire.

Sembrava possibile, in quel momento.

Sembrava possibile perchè mi sentii davvero male.

L'Evelyne che non voleva che Max sapesse, quella che non voleva soffrire, stette male, forse più tra tutto. Max non sapeva ed io soffrivo.

L'ottimismo che si era insinuato lentamente nella mia testa, dall'interno, silenziosamente, si era trasformato in veleno.

Avrebbe fatto altrettanto male se non avessi sperato?

Probabilmente no.

Avrebbe fatto così male se non mi avesse baciato?

Ovviamente no.

Le parole di Max, quelle con cui mi aveva detto di avermi cercato sempre e comunque solo perchè aveva avuto voglia di qualcuna e non c'era stato niente di meglio, quelle parole all'improvviso diventarono vere. E fecero male.

Ad Halloween, fuori casa sua: solo io.

Nella stanza-armadio: solo io, rinchiusa.

A casa sua: solo io.

Nella macchinetta delle fototessere: solo io.

A quella festa, c'era stata invece anche Dawn, migliore di me.

Mai stata scelta. Sempre presente, per puro caso.

Ma in cosa avevo sperato di preciso? Di continuare a esserci sempre solo io e così rimanere l'ultima scelta ed essere raccolta in quel modo?

La fitta al petto non faceva che aumentare, insieme alla sensazione di essere stata presa in giro che mi schiacciava lo stomaco.

Potevo morire sul serio, in quel momento?

Sembrava di sì e che il mio corpo si stesse, in pochi secondi, auto-distruggendo, proprio come avevo sperato in quelle settimane ironicamente.

Billy vide nei miei occhi tutto questo, probabilmente. Il suo perenne sorriso non c'era più, all'improvviso, e la sua espressione non riuscivo a descriverla. - Dio, Evelyne! No, ti prego! Non dirmi che non te l'aveva detto?!

Sentii anche le ginocchia che iniziavano a cedere e volevo sedermi ma non potevo su quel letto, sul letto di Parker, dove avevamo dormito insieme, dove avevo iniziato ad innamorarmi di lui.

- Doveva dirtelo, Evelyne! Non dovevi scoprirlo così!

- Sono passate due settimane dalla fiera. Ne ha avuto di tempo - gli feci notare e la mia voce mi fece paura. Era vuota, senza niente. Perchè tutto quello che sentivo e provavo era concentrato in un solo punto ed era quello che sembrava stesse cercando di uccidermi. - E perchè avrebbe dovuto dirmelo? Non ha fatto niente di male.

Billy si passò la mano tra i capelli, con uno strano fare che sembrava fin troppo tormentato.

- Non gli dirò niente, puoi stare tranquillo. Lo sarei venuta a sapere, prima o poi, sono la presidentessa del giornalino alla fine - cercai di tranquillizzarlo, sempre con la stessa voce. Cominciai a sentire una strana nausea e mi chiesi sul serio se mi stesse salendo il vomito. - Vado a prendere dell'aria - si sentì qualcosa nella mia voce, finalmente, ma non lo capii e non aspettai di vederlo negli occhi scuri di Billy.

Semplicemente me ne andai via, cercando di non correre e facendo forza sul corpo che avevo pensato non avrebbe reagito. Scesi le scale camminando e scontrandomi con ragazzi e ragazze e uscii di casa.

Finii, senza quasi accorgermene, seduta per terra, contro il muro della casa, vicino all'entrata.

Faceva ancora freddo ma non importava.

Avrebbero potuto vedermi ma non importava.

Avrei potuto andarmene ma non avevo la forza di mettermi a guidare.

Avrei potuto cercare Francy ma non volevo che si sentisse in colpa per avermi sostenuta in quella cosa che, fin dall'inizio, non aveva avuto futuro.

Mi sentivo stupida, stupida e ancora più stupida.

Avevo sempre offeso tipi come Max e le ragazze che gli davano corda e poi ci ero cascata io, in pieno, come un insetto nella rete.

Stupida.

Passò molto tempo prima che sentissi una voce. Un'ora, forse? Francy mi stava cercando? Mi avrebbe trovata?

La voce non era la sua. O meglio, le voci.

Guardai il gruppo di ragazze poco davanti a me che non mi avevano ancora vista per il buio.

- Su, Mary Sue - provò una chinandosi verso un'altra.

Mary Sue, una morettina con capelli a caschetto stava piangendo.

Perchè alle feste di quei ragazzi lì beccavo sempre ragazze piangenti?

Ma in effetti, se avessi avuto un altro carattere avrei pianto anch'io. Ero, anche col mio carattere, sul punto di piangere. Ma non lo avrei fatto. Non sarei caduta definitivamente fino a quel punto. Non per un ragazzo.

Odiavo i ragazzi.

- Odio i ragazzi - si lamentò con voce rotta Mary Sue attirando di nuovo la mia attenzione. - Come ha potuto farmi questo?!

Una terza amica provò a consolarla con parole che non sentii.

- Lo so che non dovevo aspettarmi nulla! - Si lamento Mary Sue. - Ma è uno stronzo!

La prima ragazza, dopo un piccolo silenzio, parlò ancora: - E' una merda. Siamo sempre e solo noi ragazze a restarci male.

Successe un'altra volta. La frase di un'altra persona cambiò qualcosa.

Billy mi aveva fatta star male; quella ragazza mi aveva appena fatto capire che non doveva succedere.

Mi alzai in piedi, di colpo, facendole sobbalzare.

- Oddio, è quella del giornale! - Esclamò squittendo una e facendo un passo indietro.

- Non mangio nessuno - mi lamentai sbuffando e mi complimentai con me stessa: la mia voce era già quasi normale.

Cominciai a camminare ed entrai in casa, ignorando loro e le loro chiacchiere.

Non ci sarei stata male.

Andai in cucina, marciando con una fermezza che mi era mancata e appena vidi i bicchieri con la ricetta Kutcher puntai a quelli.

Un gruppetto di ragazzi mi guardarono ridacchiando e probabilmente riconoscendomi mentre ne afferravo uno e lo bevevo in un solo colpo.

Non ci sarei stata male solo io.

Lo finii fin troppo presto, non sentendo molto. Ne presi un altro con forza e rabbia che stava sostituendo velocemente la tristezza.

Perchè dovevo essere triste, alla fine?

Potevo starci male ma non essere triste. Non ne valeva la pena.

Con quell'idea bevvi in fretta. Continuai a non sentire niente ma mi fermai.

Non aveva nemmeno senso ubriacarsi, ma sì essere un attimo più rilassata, più rilassata per pensare, liberare un po' la testa dal resto.

Non saremmo state più sempre e solo noi a starci male.

Anche loro.

Con cosa potevo far star male Max?

Mi guardai intorno, prendendo alla fine un terzo bicchiere, più per distrarmi facendo ondeggiare il liquido che per altro.

Solo una volta avevo visto Parker più a disagio del solito. Non addirittura arrabbiato ma una reazione c'era stata. Se avessi amplificato l'atto alla base sarebbe peggiorata anche la sua reazione? Era infantile ma era anche l'unica cosa che potessi provare a fare.

Perchè Parker in qualche modo era geloso. Era, in qualche modo e per qualche motivo, possessivo nei miei confronti. Sapevo che era gelosia disinteressata, romanticamente disinteressata, ma pur sempre gelosia e la gelosia non era un buon sentimento. Avrebbe reagito male, forse? Volevo che reagisse male, volevo che ci stesse male, anche se forse quello era pretendere troppo, ma ci avrei provato.

Non avrei subito e basta, avrei reagito. Forse non avrei ottenuto quello che volevo ma per lo meno io sarei sembrata disinteressata, forte. Mi sarei sentita forte, come prima di conoscere Parker ero sempre stata. Più forte e così mi sarei sentita anche meglio, in quel momento ne ero sicura.

O forse era solo ripicca, mi venne da pensare sorridendo amaramente.

Solo ripicca ma l'avrei assecondata in ogni caso.

Vagando con gli occhi per la cucina alla fine finii ad osservare dietro la grande porta finestra che portava al giardino.

Seppi cosa fare, in pochi secondi.

Seth Clark, il ragazzo che detestavo di più, probabilmente, in tutto il liceo.

Seth Clark che ridendo beveva in un colpo un bicchierino di non sapevo nemmeno cosa con altri ragazzi.

Tra quelli non c'erano né Billy, né Kutcher, né Parker, ma si dei loro amici.

L'avrebbe saputo ma non subito ed era perfetto.

Mi serviva un altro bicchiere però, pensai sorseggiando il terzo bicchiere.

Questa volta sentii qualcosa: più che alcool mi sentii mentre provavo a soffocare l'Evelyne di Ottobre e l'Evelyne innamorata.

Cosa rimaneva?

Non lo sapevo ma mi affidai a lei.



Angolo autrice:

NON UCCIDETEMI (perchè questo spazio dedicato a me inizia sempre in questo modo proprio non lo so ... AHAHAHAH)
Ecco le conseguenze. Le conseguenze di quello che stava passando per la testa di Parker, dopo la partita, l'hanno portato ad andare a letto con Dawn, (ovviamente non si sa ancora tuuuuttoooo). Molte avevano indovinato e mi dispiace di essere stata banale ma l'avevo in mente così:D

Il capitolo come si può intuire è spezzato, la seconda parte del compleanno di Parker sarà nel prossimo capitolo, con tutto quello che succede. (e non anticipo:D)
Per questo aggiornerò tra una settimana (il 20/21 maggio) , per dare il tempo a tutte quelle che seguono la storia di leggere (e per sentirmi dire i vari modi in cui avete intenzione di offendermi <3 ) ma non farvi comunque aspettare troppo:D

Spero di aver reso bene come si sente Evelyne e di non essere sembrata esagerata. E spero anche in quel voler reagire di aver reso il suo carattere, seppur distorto dalla tristezza, dalla delusione, da tutto. Agirà di pancia, nonostante Evelyne sia più una che pensa prima di fare. Ma la "testa" tornerà, è pur sempre Evelyne.

Mi aspetto offese rivolte a Parker e incitazioni ad Evelyne, ma vedremo:D

Spero comunque di non avervi deluse ... e in ogni caso, fidatevi di me! (speriam bene)

Alla prossima <3

Gruppo della storia per spoiler e informazioni o semplicemente chiacchiere: https://www.facebook.com/groups/326281187493467/

 

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Capitolo 26
*** Punizione divina ***


 

 

 (ringrazio _miaoo_ per questa immagine <3 )

 

Questa volta sentii qualcosa: più che alcool mi sentii mentre provavo a soffocare l'Evelyne di Ottobre e l'Evelyne innamorata.

Cosa rimaneva?

Non lo sapevo ma mi affidai a lei.

 


25. Punizione divina

 

 

 

Però forse avevo bisogno di un quarto bicchiere.

Camminai un po' avanti e indietro, rischiando quasi di perdere la decisione iniziale, facendomi sopraffare dalla “testa”. Quasi, perchè alla fine mi convinsi; bevendo ancora però, e il liquido chiaro andò giù di nuovo buono e liscio come se non avesse contenuto in realtà niente.

E mi convinsi perchè pensavo di non starlo facendo solo per me che stavo male, che mi sentivo tradita, ferita, amareggiata, sentivo di farlo per tutte le ragazze che avevo visto piangere alle feste di Kutcher e Parker.

Per tutte le ragazze che Max aveva di sicuro fatto piangere. Per tutte quelle che forse si erano sentite come me.

Lasciai andare il bicchiere sul bancone della cucina e respirai profondamente; il sorriso migliore che avessi – e anche il più finto – mi si dipinse automaticamente sulle labbra.

Era una ripicca ma era anche una vendetta; era un tentativo di provare a tornare me stessa; era l'unica cosa che pensavo di riuscire a fare: o quello o sarei crollata, per terra, anche sul posto, sarei crollata e avrei pianto anch'io, come tutte, e non ce l'avrei fatta ad essere forte, lo stavo capendo sempre più.

E non volevo essere, anche quella volta, come tutte. Non ero tutte, ero Evelyne Gray.

Di pancia”, forse per la prima volta in vita mia era l'istinto a guidarmi e sapevo a cosa mi ero affidata.

Mi ravvivai i capelli e marciai decisa verso il giardinetto, sorpassando i ragazzi che avevano continuato ad osservarmi per tutto il tempo, pensando poi chissà cosa.

Ed ero pronta, pronta a violentarmi psicologicamente per quello che avevo ormai intenzione di fare.

E non potevo più tirarmi indietro: - Seth! - Chiamai con un tono che non avevo probabilmente mai usato con nessuno.

Clark si girò mentre riempiva un bicchierino a un suo amico, si girò sorridendo leggero, come se si fosse aspettato di vedere qualcun'altra; alla seconda occhiata capì che ero io e mi guardò leggermente perplesso. - Uh? - Grugnì facendo ridere i suoi amici che in quella esitazione gli rubarono di mano la bottiglia.

Notai in quel momento, mentre mi guardavo attorno per assicurarmi che non ci fosse già Parker nelle vicinanze – vedere i suoi occhi in quel momento non mi avrebbe aiutata - , di sentire in effetti la testa più leggera del normale. Ma mi ignorai. - Come va? - Chiesi fingendomi allegra mentre lo affiancavo.

Alzò le sopracciglia continuando a guardarmi di sottecchi, sondando la situazione. - Bene. Dov'eri sparita? La Reed ti cercava e rompeva il cazzo a mezzo mondo, poi alla fine è andata da qualche parte con Alex ma non s … - Si bloccò.

Mesi a vedere Dawn sbatterla in faccia a Parker dopo tutto servivano, a me bastava fare il meno.

Avevo alzato la mano e con l'indice cominciato a giocare con la sua maglietta, tracciando disegni casuali anche sul braccio scoperto; tutto questo continuando a sorridergli, in un modo fin troppo melenso per essere naturale. - Ero per i fatti miei!

Clark mi guardò un attimo, forse non capendo, ma alla fine rise: ed era chiaramente brillo, dall'odore d'alcool e da quella risata. - Hai bevuto, Gray?

Non quanto credeva ma sì quanto volevo fargli credere.

- Un po' – risposi cercando di usare un tono che sembrasse almeno carezzevole. Alle mie orecchie sembrò pessimo, ma ai miei occhi sembrò funzionare.

Clark infatti sorrise e guardò un attimo i suoi amici. - Ah, direi ottimo.

Tre risero, senza in realtà sembrar fare molto caso alla situazione; il quarto, quello simile a Corbin di High School Musical, sembrava invece ancora molto ancorato al pianeta terra: scosse la testa, osservandomi. - Non ci pensare nemmeno, Seth. Ti ammazza.

Capii di chi stesse parlando anche senza sentire il nome e il cuore, contro la mia volontà, cominciò a battere forte, da sentirlo in gola, ma lo mandai giù ed ero sempre più decisa a continuare quello che avevo iniziato: far ingelosire Max, con Clark.

Mi aggrappai per bene al braccio di Seth, in un impeto improvviso e quasi involontario, sorridendo però di proposito come una brava finta tonta. - Chi? - Finsi di non aver capito.

Seth mi osservò quasi incredulo dalla situazione, dal mio comportamento, ma continuando a sorridere. - Evelyne. - Quando mi chiamava per nome non era mai un buon segno, ma in quel caso avrei potuto ritenerlo tale. - Ti va se andiamo a fare un giro? Così prendi un po' d'aria e ti riprendi! - Si inventò ed era una scusa tremenda dato che eravamo già in giardino.

- Seth - lo chiamò di nuovo Corbin, l'unico che sembrasse preoccupato dalla piega che stava prendendo la situazione; gli altri erano troppo occupati a svuotare e riempire i bicchierini o forse semplicemente troppo ubriachi per capire.

Clark alzò gli occhi al cielo, poi lo guardò e rispose come se non fossi stata lì, convinto probabilmente che avrei continuato a non capire l'oggetto della conversazione: - Rob, non gliene frega davvero così tanto, anzi, possiamo quasi dire che non gliene frega un cazzo, non di quello che potrebbe succedere.

Fu dura continuare a mantenere il sorriso e mi chiesi un attimo se ne valesse davvero la pena.

Ma sì; se non avesse funzionato volevo che sapesse che non ero il suo giocattolino personale. Che non ero sua. Che non ero la sua schiavetta.

Rob alzò le mani in aria in segno di resa, pur non d'accordo.

Clark tornò a me sorridendo divertito: era tremendamente divertito all'idea che potessi essere ubriaca e lasciarmi andare con lui e proprio per quello mi avrebbe assecondata.

E la ragazza del giornalino scolastico evidentemente divertiva tanto in quel senso, a tutti: a Parker e a lui. Solo in quel senso però, era bello prendersi gioco di me, ma non altro. Sia per Parker che per lui.

Ed ero sempre più decisa.

- Andiamocene un attimo che qua rompono e non riusciamo a parlare - disse portandomi una mano sul fianco e accompagnandomi fino ad una delle poltroncine del giardino.

Mi sedetti e lui fece lo stesso. Lo guardai un attimo, continuando nonostante tutto a sorridere – per mantenere la facciata - ma non sapendo che tipo di discorso instaurare con lui; mi resi conto solo in quel momento di come le parole fossero sempre state facili con Max, ma lo pensai per poco, perchè su di lui non dovevo più sprecare tempo. Fortunatamente secondo Seth ero ubriaca e bastava quello.

Portò una mano sul mio braccio, accarezzandomi in un modo che mi avrebbe dato fastidio normalmente ma ora, decisa sul mio obiettivo, mi lasciava solo indifferente. - Come sta andando la festa quindi? - Mi chiese, buttando giù l'argomento a caso, mentre con la mano scendeva, risaliva.

- Non ne voglio parlare – confessai ed era quello che pensavo realmente. Mi chiesi se i quattro bicchieri stessero davvero influenzando qualcosa. Cosa ci metteva Kutcher lì dentro?

- Non voglio parlare di Parker o delle cose che lo riguardano - mi lamentai avvicinandomi e ancora una volta la frase era sincera. La sua mano scivolò in qualche modo sul mio fianco, aiutandomi nel mio intento e le mie gambe si scontrarono con le sue.

- E di cosa vuoi parlare? - Chiese attirandomi e chinandosi leggermente, col viso al mio livello. Sentii il suo respiro caldo sul viso e lo osservai, da una vicinanza che mi era nuova; la sua mano era calda. Guardai gli occhi di Clark, le ciglia così folte viste da vicino, il colore azzurro: erano chiari e belli e per quei due aggettivi simili a quelli di Parker; eppure mancavano di una luce che era solo e soltanto di Max.

Ed io amavo quella luce.

Io amavo ...

E fu quell'ultimo pensiero a darmi la spinta.

Perchè volevo smetterla di pensare. Volevo eliminare tutto e avere solo la mia vittoria. L'avrei avuta vero?

E volevo solo … - Non voglio parlare.

Alzai il braccio con foga e mi aggrappai alla sua camicia, azzerando definitivamente le distanze.

Mi sarei vergognata normalmente di me stessa e di quello che avevo appena fatto, ma in quel momento non potevo pensarci. Non dovevo. Come non dovevo pensare a quel gesto che mi aveva ricordato così tanto Max.

Incontrai le labbra carnose di Clark che sapevano del cocktail di Kutcher, di fumo e di carne; mi resi conto ancora più violentemente di quanto fosse buono baciare Parker, di quanto amassi baciare Max, di quanto amassi il suo modo delicato e intenso di baciarti e assaggiarti. E pensare a Parker, rendermi sempre più conto di quanto volessi solo e soltanto lui mi faceva cercare ancora di più un bacio di Seth. Perchè non volevo più avere in testa Parker, volevo l'oblio e volevo una vendetta concreta, che mi aiutasse a stare meglio.

Continuai a baciare Clark arrivando a formulare il pensiero che forse solo Max potesse farmi stare meglio.

Quando ci allontanammo gli occhi di Seth erano accessi e carichi e io sempre più smarrita. - Andiamo di là? - Chiese alzandosi già in piedi.

Acconsentii, non sapendo bene cosa stessi facendo e la testa forse iniziava a girarmi troppo sul serio. Ma dovevo continuare finchè Parker non fosse venuto a saperlo.

E nel caso non fosse intervenuto? Mi chiesi all'improvviso.

In quel caso sarei stata davvero nella merda, mi resi conto, mentre Clark prendendomi per mano mi trascinava via; o meglio, sarei stata chissà dove con Seth. Ma alla fine la testa era sempre più leggera e quel pensiero non sembrava riuscirsi a collocare bene al suo posto.

In cucina venimmo sorpassati velocemente da Corbin, me ne accorsi solo dalla piccola spallata che ricevetti mentre mi sorpassava per poi scendere nello scantinato. Noi invece - o meglio Clark - eravamo diretti al piano superiore.

Capii che ci stava portando in una camera solo quando ci fummo davanti.

- Entriamo? - Chiese sorridendo ma aprendo la porta.

Esitai e feci un po' di forza sulla sua mano, per tirarmi indietro ma poi, in una specie di piccolo abbaglio, mi sembrò di riconoscere di nuovo in Clark qualcosa di Parker e senza pensarci oltre annuii entrando.

Che i quattro bicchieri di Kutcher non mi avessero aiutato per niente non l'avevo ancora capito.

- Chi l'avrebbe mai detto - disse tranquillo Seth chiudendo la porta per poi riavvicinarsi velocemente a me.

Mi fu addosso prima che potessi commentare e la sua bocca cercò di nuovo la mia, con fin troppa forza e arretrai con lui contro.

Non volevo più baciarlo, per il mio piano un bacio lì, senza nessuno a vedere non aveva senso, ma l'idea di Max sovrapposto a Seth continuava a ronzarmi in testa, per quella ero entrata e per quella lo lasciai fare, ad occhi chiusi, persa in una qualche e strana fantasia in cui lì davanti a me c'era in realtà un altro ragazzo.

Senza quasi accorgermene sentii le sue mani sui fianchi, salire e scendere. Si decisero alla fine scendendo velocemente verso il basso, sfiorandomi la vita con decisione, mentre cercava di spingermi indietro, probabilmente verso il letto; provai ad allontanarmi, riprendendo di nuovo, ad intervalli, contatto con la realtà, ma lui cercava fin troppo di continuare a baciarmi.

- Clark! - Lo chiamai in difficoltà, provando ad allontanarmi dalle sue labbra, e alla fine sentii sul serio il bordo del letto contro i polpacci.

- Non sto facendo niente! - Si giustificò arrivando però quasi al limite del mio vestito.

Scivolai dal suo tocco, in un tentativo scarso di scansarmi, ma facendo così caddi all'indietro sul letto e ancora prima che potessi riprendermi lui si era già chinato verso di me, provando a spingermi sulle coperte.

- Clark! - Rifeci alzando il tono e cercando di spingerlo davvero via e cominciando a capire che quello non era sul serio Parker: lui non si comportava così con me, lui si sarebbe allontanato; il suo tocco avrebbe avuto un altro effetto.

Mi resi poi conto di cosa stava per succedere, che stavo facendo qualcosa che doveva finire, immediatamente: la mia ripicca poteva andarsene a quel paese e volevo solo tornarmene al piano terra.

Mentre pensavo a quello e cominciavo a capire di aver appena fatto una totale cazzata, seppur troppo tardi, la porta della camera si aprì con forza e prima ancora di potermi girare, il ragazzo davanti a me venne tirato indietro e le sue mani non mi furono più addosso.

Senza più Clark davanti, i miei occhi nel panico cercarono chi fosse entrato e videro Billy e Rob.

E Parker.

I primi due avevano appena superato lo stipite della porta entrando definitivamente nella camera; l'ultimo, davanti a me, stava dando un secondo spintone a Clark per allontanarlo.

Mi si bloccò il respiro.

- Ma che cazzo stavi facendo?! - Gli urlò con un tono arrabbiato che gli avevo sentito usare solo per suo padre.

Seth evidentemente non si era aspettato quell'entrata in scena, com'era normale che fosse, e sembrò collegare dopo un po', tardando nell'agire. - No, ma aspetta … Dio, Rob, se sei stronzo! Sei andato a cercarlo per dirglielo! - Se la prese, urlando anche lui, con Corbin.

Io ero immobile e osservavo la scena paralizzata, la scena che avevo voluto fin dall'inizio, mentre si materializzava sotto i miei occhi. La situazione che avevo immaginato però mi voleva felice, vittoriosa. In quel momento invece non seppi ancora cosa stessi provando.

- Ma ha fatto solo bene! Se è ubriaca, Seth, lo sai che non le devi fare queste stronzate! - Prese ovviamente parte Billy e fu il primo a incrociare i miei occhi. Mi fece cenno seriamente di avvicinarmi a lui con un cipiglio deluso che non gli avevo mai visto; ma non eseguii.

Parker sembrava furente e continuava a fronteggiare l'altro da vicino. - Non mi hai ancora risposto, Clark! Che cazzo stavi facendo?!

Clark portò lo sguardo da Rob a Max, lentamente. - Cosa stavo facendo? Ah, il meglio che sarei riuscito a fare! Il top sarebbe stato portarmela a letto. Sì, Parker, prima di te - rispose arrabbiato ma, al contrario di Max, apparentemente controllato, con un sorriso freddo e ironico sulle labbra.

Quello che successe subito dopo mi sembrò di vederlo a rallentatore.

Perchè non sembrò una scena realistica e andava fuori da tutto quello che potessi aver mai immaginato.

Ma vidi sul serio il braccio di Max che si alzava, in un pugno. E bastò poco a cancellare quel ghigno dalla faccia di Seth, che preso alla sprovvista quasi cadde per terra.

Rimasi ferma sul posto, incredula. Incredula e anch'io, ormai, incazzata. Le normali reazioni, quelle dettate dalla “testa”, quelle dettate dalle conseguenze di quelle bambinata e cioè dispiacere, pentimento, vergogna, non c'erano.

Ero solo arrabbiata.

Billy e Corbin scattarono in avanti e si misero in mezzo ai due mentre Clark, che ormai sembrava vederci rosso solo dallo sguardo, si rialzava di colpo.

- Max, porca puttana! - Gli urlò Billy allontanandolo. Intanto per il fracasso gente dal corridoio era stata attirata e ora osservava la scena dalla porta.

- Non è tua! - Fu invece il grido rabbioso di Clark. - Non è di tua proprietà e non è nemmeno la tua ragazza! Quindi, Parker, che cazzo vuoi?! Che fottuto diritto hai di spuntare qua e prendermi a pugni?! Nessuno!

- Era ubriaca! - Si difese sempre ad alta voce Max, con i lineamenti induriti. - Che cazzo vuoi che IO le permetta di andare a letto con te se è ubriaca!

- Non ero ubriaca! - Fu la mia secca risposta, mentre mi alzavo di colpo in piedi, davanti ai quattro. - Non sono per niente ubriaca! - Ed ero invece sempre più incazzata, sempre di più. Perchè Clark aveva ragione. Quella era la reazione che avevo cercato, ma era anche quella che avrebbe confermato quanto lui fosse idiota, stronzo ed incoerente; perchè non poteva comportarsi così: non far pensare ad intervalli che ci tenesse per poi dimostrare quanto fossi insignificante il momento dopo; non poteva scoparsi Dawn e poi baciarmi; non dirmi che mi cercava solo quando non aveva niente di meglio e poi prendere a pugni Clark.

- Poi permettere?! Sei tu a permettere che le cose mi succedano?! - Continuai, guardandolo sempre più nera. - Sei il mio protettore?!

- Sentito? - Ringhiò quasi Clark. - Era consenziente! Che ti piaccia o no!

- Non vorrebbe mai andare con te consenzientemente! Perchè ...- ribatté con rabbia Parker per poi bloccarsi e quella fu la goccia che fece traboccare il vaso.

- E perchè?! - Chiesi urlando.

Max che non mi aveva ancora, da quando era entrato, rivolto un'occhiata, finalmente lo fece e il verde, furente, quasi di fuoco, trovò i miei occhi. - Cosa? - Domandò, freddamente, tutto il contrario dei suoi occhi.

- Dillo! Dillo perchè non potrei andare con Seth! - Parlando mi avvicinai a lui e dovevo sembrare una curiosa nanetta che sbraitava fronteggiandolo.

Parker esitò e mi guardò quasi incredulo. - Perchè non ti piace!

- Non era quello che volevi dire, Parker. Dillo, ammettilo! Mostra la tua faccia tosta! Perchè?!

- Ti stai solo rendendo ridicola, facevi più bella figura ad assecondare la storia di essere ubriaca - mi accusò aumentando una rabbia che non credevo potesse crescere. Billy provò ad avanzare e a dire qualcosa ma non fece in tempo.

- Ridicola?! Tu sei ridicolo! Volevi dire che non posso andare con Seth perchè mi piaci tu?! Vero?! - Sbraitai.

Max avanzò anche lui finchè non fummo a un soffio di distanza. - Esatto! Non so perchè cazzo tu ci sia andata, che non te ne frega un cazzo e lo so!

E mi partii uno schiaffo, con tutta la forza che avevo, mentre gli occhi gonfi mi bruciavano, rischiando di scoppiare e sapevo che non sarei riuscita a resistere troppo.

Il rumore secco risuonò nella camera e si sentirono, oltre a quello, solo le risate soffocate di qualcuno che probabilmente dalla porta doveva aver assistito.

Parker rimase un attimo con il viso girato, per il colpo, fin troppo sorpreso per reagire subito, ma si riprese presto girandosi. - Adesso mi …

Ma lo interruppi bruscamente. - Quindi solo tu puoi scoparti chi ti pare e piace e poi baciarmi? Neanche a te frega un cazzo di lei e allora perchè, Parker, eh?! - Stavo dicendo tutto, dimenticandomi tranquillamente della gente, degli studenti fuori dalla porta; dimenticandomi del mio orgoglio; dimenticandomi della persona con cui stavo parlando.

Parker finalmente perse la rabbia e traballò un attimo, facendo un passo all'indietro, come se lo schiaffo lo avesse ricevuto solo in quel momento. - Non c'entra un bel niente! - Ribatté recuperandosi. - E siamo diversi, cazzo! Cosa ci paragoni a fare?!

- Non siamo poi così tanto diversi, evidentemente! - Risposi riavvicinandomi.

- Dio, Evelyne, ma ti stai ascoltando?! - Intervenne Billy, mettendosi in mezzo per allontanarmi da Max prima che provassi di nuovo a picchiarlo.

Lo guardai incredula: avevo sempre dato per scontato che Billy sarebbe stato dalla mia parte in quella situazione: io avevo ragione!

- E' colpa … - iniziai ma mi bloccò.

- Volevi andarci a letto per ripicca?! Ma devi aver sul serio bevuto perchè non è un pensiero normale! Non da te! Cosa ti prende?!

Cosa mi prendeva? Provai ad aprire bocca ma mi fermò di nuovo.

- E dopo cosa avresti fatto?! Lo saresti andato a cercare per baciarlo ed essere pari? - Ipotizzò con una faccia che sembrava davvero delusa e cominciai all'improvviso a vergognarmi di quello che avevo pensato.

- Andate tutti a cagare! - Ci apostrofò intanto Clark passandosi una mano sulla faccia e uscendo dalla camera. - E andate a farvi i cazzi vostri, voi?! - urlò ai ragazzi fuori dalla porta, probabilmente spintonando anche qualcuno.

Guardai Max che scuotendo la testa e senza guardarmi aveva fatto dei passi indietro, altri ancora, lontano.

Mi vergognai in quel momento, ma ero comunque sconvolta da tutto quello che era successo.

Riaprii la bocca: - E adesso è colpa mia? - chiesi con una strana voce, fin troppo acuta. Gli occhi di Parker tornarono sui miei, seri. - Mia? Sono sempre io quella che ci rimane male ed è anche colpa mia adesso? - Cominciavo a perdere nella voce la rabbia, pur continuando a provarla e anche l'espressione di Max cambiò.

E non ne potevo più. Prima che qualcuno potesse dire altro stavo già uscendo, quasi di corsa, dalla stanza.

Schivai i ragazzi alla porta e corsi giù, via da Parker e la sua festa.

Uscii di casa e la gente mi guardava stranita e non sapevo se perchè correvo o per la faccia che dovevo avere.

Fui bloccata all'improvviso da un braccio, in giardino, mentre mi avvicinavo alla mia macchina. - Vattene! - Urlai girandomi.

Kutcher mi guardò sorpreso e mentre ridacchiava a disagio lasciò la presa. - Tutta questa rabbia, Eve?

Mi portai una mano sul viso, cercando di calmarmi e nascondere le labbra tremanti. - Scusa, pensavo fosse … Niente - borbottai.

Francy spuntò di fianco a lui dopo una breve corsa. Era rossa in faccia per qualche motivo ma ero troppo agitata per riuscire a pensarci. - Eve! Ti stavamo cercando poi … Ecco, dov'eri?!

- Non ci saremo incrociate … - Risposi a disagio e volendo solo andarmene via.

Francy mi guardò perplessa avvicinandosi. - Oh, vabbè, torniamo dentro? - Chiese ricominciando a sorridere e Kutcher la guardò un po' col broncio.

- No, vado a casa, non sto molto bene; a domani, Francy - mi avvicinai sorridendo e facendomi quasi male nel farlo, le schioccai piano un bacio sulla guancia, come sempre.

- Vuoi che ti accompagno? - Mi chiese curiosa e forse capendo che c'era qualcosa di non fisico che non andava. - Stai bene?

Scossi la testa sorridendo e abbozzando un “sì, tranquilla” alla seconda domanda; salutai entrambi per poi andarmene.

Non avrei dovuto guidare: tra la rabbia, la tristezza, la vergogna, tra i quattro bicchieri della ricetta Kutcher, ma entrai comunque di corsa nell'abitacolo e mi allacciai la cintura.

Arrivai dopo una ventina di minuti, molto più del solito, a casa sana e salva e uscendo dalla macchina mi complimentai tristemente con me stessa.

Entrai, dopo aver aperto a fatica; le chiavi che mi scivolavano dalle mani poco stabili.

Cercavo di non pensare a quello che era successo, a quello che avevo fatto e detto e avevo sentito, ma non ci riuscivo bene e sentivo solo una gran voglia di piangere ma non potevo e non volevo.

Perchè Evelyne Gray non piangeva, non aveva mai pianto, se non a New York, in quell'ospedale.

In quell'ospedale con Parker.

Mi mancò di nuovo l'aria e provai ad allargarmi il vestito sul petto, senza successo.

- Zia - chiamai nell'atrio, vedendo la porta della sala aperta e il rumore della televisione accesa. Non sentii rispondere ed entrai nella stanza, trovandola addormentata sul divano con un mare di coperte sopra.

Un mezzo sorriso triste mi uscì e mi diressi verso la televisione, spegnendola.

Un grugnito di lamentela si sentì per la stanza: - No, Eve … - si lamentò con la voce impastata. - Stavo guardando! Accendi, tra un po' mi alzo – blaterò per poi girarsi sull'altro fianco, ed ero convinta del fatto che il mattino dopo l'avrei trovata allo stesso modo, con la tv accesa.

Sospirai riaccendendo lo schermo, perdendo un paio di secondi a guardare il vuoto, con la mano sul pulsante; uscii dalla stanza, chiudendo la porta per non sentire i rumori dalla mia camera, anche se erano distanti, e marciai verso il mio rifugio.

Arrivata davanti allo specchio la tristezza quasi aumentò: continuavo a stare bene, i capelli solo più spettinati di prima, ma le cose erano diverse dall'ultima volta che mi ero specchiata, e quelle differenze non erano visibili.

Mi lasciai cadere sul letto, faccia sul cuscino, mordendomi le labbra a sangue, indecisa su cosa desiderare: non essermene andata? Non aver baciato Clark? Non aver bevuto? Non aver pensato che fosse poi una cosa così grave che quei due fossero stati “insieme”? Non aver saputo? Non averlo abbracciato proprio poco prima? Non aver sperato? Non aver sentito le sue dita tra le mie? Non averlo baciato? Non essermi innamorata? Non aver mai parlato con Max Parker? Non aver mai passato quei compiti in cambio di soldi? Non aver mai stabilito “la foto del mese”?

Quanto dovevo andare indietro per riuscire a salvarmi?

Ma cosa importava desiderare se ormai tutto era successo?

Maxyne a cui non avevo fatto caso fino a quel momento uscì dalla sua tana sotto il mio letto e dopo un balzo venne a raggomitolarsi contro il mio fianco. E in quegli attimi mi distrassi, distogliendomi da quei pensieri.

- Sei fortunata che mi stai simpatica ormai - borbottai. - Se fossero ancora i primi giorni in cui eri in casa ti starei già buttando fuori dalla finestra … - La accarezzai e dopo un po' il basso rumore di fusa riempì la stanza. - Ti cambierò nome - le annunciai a mezza voce.

Passò un po' di tempo, ma non molto visto che non feci nemmeno in tempo a cadere in una sorta di dormi-veglia smettendo di grattare Maxyne, e sentii un rumore.

Alzai il viso, non capendo né cosa avessi sentito, né come stessi. Stavo per rimettermi come prima quando il rumore si sentì di nuovo, più forte. Sembrò ...

Mi girai verso la finestra. Qualcuno bussava? Sul vetro?

Mi alzai, col cuore in gola, perchè sapevo chi era e non volevo vederlo. O forse volevo, perchè in effetti andai ad aprirgli.

Schiusi le due ante della mia finestrina e Parker, in qualche modo, entrò senza dire niente e senza nemmeno chiedere il mio aiuto.

E fece bene a non chiedermelo.

Appena mise piede nella stanza provai a spintonarlo. - Che cazzo vuoi adesso?! - Gli urlai già, non pensando nemmeno a mia zia a un solo piano di distanza che nonostante tutto avrebbe potuto tranquillamente sentirmi.

Come sempre non sembrò minimamente risentire dei miei colpi. - Ah non lo so! Te ne torni a casa senza dire niente a nessuno e sai com'è! - Anche lui sembrava non aver deposto l'ascia di guerra per venire da me ed era perfetto per il mio stato d'animo.

Maxyne soffiò irritata per le urla passandoci di fianco e correndo fuori dalla stanza. La seguii seria, chiudendola fuori dietro la porta. - Oh, ti prego non fare finta di esserti preoccupato – lo misi in guardia acida e fredda come una volta ero sempre stata con lui.

Si avvicinò con un fare minaccioso che non aveva mai avuto e mi fece arretrare contro la porta. - Sei un'idiota - mi apostrofò, a un soffio dal mio viso, facendomi salire i brividi e allo stesso tempo vedere rosso.

- Io?! - Esclamai provando di nuovo a spintonarlo ma più per allontanarlo, per avere una sicura distanza di sicurezza.

- Avevi bevuto! Cosa cazzo prendi la macchina e guidi fino a casa?! - Chiese sempre ad alta voce e bloccandomi le mani in una presa ferrea che quasi mi fece male.

- Non avevo bevuto! - mentii. - Vuoi capire che ho baciato Clark consenzientemente!

I suoi occhi erano sempre più arrabbiati e non capivo davvero perchè fosse venuto fin lì, smollando la sua festa di compleanno solo per litigare con me. - Torna a casa tua che là c'è gente che ti vuole – gli consigliai freddamente, cercando di farmi lasciare. Ma non lo fece e anzi, mi spintonò malamente contro la porta.

- Cosa vuoi?! Vattene, Max! - Ripetei cercando, pur con le mani bloccate, di allontanarlo.

- Perchè Clark?!

Aprii la bocca per ribattere ma lui continuò: - Non potevi andare con Ben, massimo?! Non so, Evelyne! Porca puttana, perchè con Clark! Perchè proprio lui?!

- Cosa te ne frega?!

Continuò come non avendomi nemmeno sentita: - Se andavi con Johnson vi baciavate e basta visto che è ancora un bamboccio probabilmente nemmeno sviluppato, ma Clark! Evelyne, Clark ti portava a letto!

Mi sentii bruciare di rabbia. - Ti ha irritato davvero così tanto l'idea di non poter essere il primo?! No aspetta, scusa! Mi sto dando troppa importanza! E' vero che mi hai cercata sempre e solo perchè non avevi niente di meglio, che sciocca! Basta solo che ci sia come riserva in caso di necessità, di quando arrivi non ti importa alla fine!

Sgranò gli occhi, lasciandomi andare le mani e sembrò non riuscire a ribattere.

- Quindi cosa te ne frega, Parker?! - Richiesi con rabbia.

Si passò la mano tra i capelli guardandomi serio e entrambi non ci muovemmo, guardandoci fermi sul posto. - Mi importa che Clark avrebbe provato a portarti a letto per poi smollarti subito dopo.

Feci una corta risata ironica. - E tu cos'avresti fatto?! Quando mi hai proposto a casa tua di modificare le condizioni del ricatto a cosa ti riferivi?

Sembrò quasi boccheggiare un attimo e in un altro momento mi sarei sorpresa di quanto lo stessi mandando all'angolo. - Non sono come Clark!

- No?! Non hai detto di avermi baciata e tutto perchè c'ero solo io?! E' lo stesso che ha fatto Clark!

- Ma, Evelyne, porco cane!

- Cosa?!

- Non è la stessa cosa!

- E perchè no?! Illuminami!

- Perchè … - Si bloccò, facendo dei passi all'indietro e sospirando con un fare frustrato che non avrebbe dovuto osare nemmeno di avere.

- E' la stessa cosa, Parker! Quindi scusa se avevo voglia io questa volta e ho deciso di optare per Clark! - Inventai e la gola ormai mi bruciava a forza di usare quel tono di voce.

- Non è vero!

Strinsi i pugni. - E' come ti ho detto!

- Non è vero che quando ti baciavo era perchè c'eri solo tu!

La risposta mi disorientò un attimo, ma quell'attimo non basto a farmela credere. - Ah no? Allora era perchè ti andava più una mora che una bionda?!

- Evelyne! Mi ascolti? - Mi chiese e col tono sembrò cedere un attimo.

Io non volevo però. - Lo sto facendo!

Si riavvicinò. - Non è vero! Perchè sei andata con Clark?!

- Perchè ne avevo voglia! - Continuai.

- Non è vero, dannazione!

- Cosa vuoi che ti dica?!

- La verità! - Comandò.

- Perchè dovrei quando tu …

- Io te l'ho detta!

- Non è vero! Mi hai detto perchè sei andato a letto con Dawn?!

Di nuovo sembrò preso alla sprovvista e in testa ebbi solo il viso della bionda. - Ti ho chiesto di Clark! - Ribattè però.

- E io di Dawn! - Insistetti esasperata e la voce cominciava quasi a mancarmi.

- Perchè siamo passati a parlare di lei?!

- Perchè è col … - Mi trattenni all'ultimo, prima di svelare anche ad alta voce, definitivamente, che a muovermi era stato quello che era successo tra loro due.

Capì comunque il resto. - Colpa sua?! Di cosa?!

Lo spintonai di nuovo, per cercare di vincere alcuni centimetri e riprendermi. - Di niente! Perchè è colpa tua! Non sua! Sei tu che mi hai baciata dopo esserci andato a letto! - E non ottenendo quei pochi centimetri di distanza non ottenni nemmeno l'auto-controllo e le parole erano infatti uscite senza che nemmeno me ne accorgessi. - Quindi perchè?!

Di nuovo sembrò non sapere cosa dire.

- Se non spieghi il perchè non puoi nemmeno dire che non era vera la tua frase di oggi! - Continuai. - Continui ad essere un bugiardo!

Si allontanò e io non mi schiodai dalla porta; aprì la bocca: - Non era vera quella frase! Perchè ti devi impuntare su quel particolare di merda! L'ho detto tanto per dire tanto per ...

- Per che cosa?! Dai un senso almeno a una tua azione, Parker! Almeno una volta! - Lo scongiurai esasperata. - Perchè ti rendi conto di come ti comporti con me?! Te ne rendi conto?! Io me ne accorgo fin troppo e …

- Me ne rendo conto, Evelyne! - Rispose, facendo dei passi, come indeciso su dove andare e con uno sguardo che non si riusciva a capire. - Ma me ne rendo conto dopo!

Mi spostai i capelli all'indietro con rabbia. - E questo cosa dovrebbe significare a questo mondo, Parker?!

- Che … - E si bloccò ancora dandomi le spalle e passandosi anche lui una mano tra i capelli.

- Perchè Dawn?! - Attaccai di nuovo, con un tono di voce arrabbiato ed esasperato allo stesso tempo. - E perchè io il giorno dopo?! Non ti era bastata la figa il giorno prima?!

Finalmente si girò. - Porca puttana, Evelyne! Ci sono andato a letto perchè mi ero reso conto di ...

- Di cosa?! - Chiesi non contenendo davvero più il tono di voce. - Che le sue tette erano abbastanza grosse ed era quindi scopabile?!

- Che pensavo troppo a te! - Sbraitò. - Che ti ho sempre nella mia cazzo di testa! Non importa dove o con chi sono! SEMPRE! Volevo provare almeno per una sera a dimenticarti perchè non è normale! NON PER ME.

Rimasi a bocca aperta, le parole con cui avevo avuto intenzione di continuare ad inveirgli contro, aspettandomi finalmente una conferma alla mia accusa, mi morirono sulla lingua. Max non aggiunse altro e respirò profondamente, provando a calmarsi: alcuni lineamenti sembrarono rilassarsi, ma gli occhi continuavano ad essere nei miei, il verde più intenso di qualsiasi altra volta.

Mi avvicinai di quel poco che ci distanziava e sollevai velocemente il braccio, e lo presi alla sprovvista, ancora.

E gli arrivò un altro schiaffo: per tutto quello che mi aveva fatto passare, da quel maledetto giorno d'Ottobre fino a quel momento, perchè se lo meritava, perchè era un idiota, perchè lo odiavo, perchè mi tormentava come nessuno aveva mai fatto e come nessuno avrebbe mai fatto; il rumore si sentì più forte che in casa sua.

Il viso di Max si mosse insieme alla mia mano e quando tornò su di me con gli occhi sembrò incredulo. - Perc ...

E questa volta non lo feci finire perchè gli fui addosso.

Ma per baciarlo: e questo era perchè era un idiota, perchè lo volevo, perchè alla sua frase ci avevo creduto, perchè ero evidentemente masochista, perchè l'amavo.

Le parole gli morirono in bocca, contro la mia, reagendo e ricambiando subito.

Mi aggrappai alle sue spalle, mentre lui afferrandomi con forza per i fianchi mi faceva arretrare verso la porta, bruscamente, ma non ci feci caso.

Non ci feci caso perchè le sue labbra erano morbide, fruttate, buone, completamente diverse da quelle di Clark, così giuste rispetto a quelle.

E il bacio era brusco, bisognoso, scaricavamo in quello, con forza, tutta la rabbia per quella discussione. La rabbia per tutto. C'erano anche parole non dette, frasi che entrambi ci stavamo, ancora, tenendo nascoste.

Sarebbe uscito prima o poi tutto?

E cosa stavamo facendo?

Non mi feci però troppo quelle domande, perdendomi contro le sue labbra, schiudendo la bocca. Max mi stringeva sempre di più e con le mani sui miei fianchi mi allontanò dalla porta. Fin troppo aggrappati l'uno all'altro e fin troppo presi dal bacio, dallo stringerci, ci muovemmo a fatica, andando a sbattere contro quasi tutto in quella stanza: delle mie scarpe per terra, la cuccia arrangiata di Maxyne, la sedia davanti alla scrivania, poi alla fine il comò, davanti al letto e di fianco alla finestra. Da quello caddero, per il colpo, degli oggetti che non identificai e non avevo il tempo di guardare.

Se mia zia non si fosse svegliata anche dopo quel fracasso sarebbe stato un miracolo. O forse si era anche già svegliata, ma alla fine cosa importava in quel momento?

In quel momento c'ero solo io che mi lasciavo sfuggire un lamento, andando alla fine a sbattere, con le gambe, contro il letto, proprio com'era successo insieme a Clark in quella camera, ma lì, prima ancora di aggiungere altro, le mani di Max mi sollevarono velocemente, portandomi sul materasso. Lì non mi opposi minimamente e anzi, cercai di attirarlo di nuovo dopo quella breve lontananza, cercando il contatto con la sua bocca, con il suo collo, coi suoi capelli, col suo petto, con le sue gambe.

Sarebbe finita male, ero riuscita addirittura a pensare, dopo aver visto i suoi occhi e dopo aver sentito le sue labbra ancora sulle mie, perchè io non avevo la forza di allontanarmi da lui, né la forza, né la capacità, né l'intenzione; e la testa mi girava di più in quel momento che dopo i quattro bicchieri della ricetta Kutcher. Che avessi cercato, durante la festa, in quei bicchieri il modo in cui mi faceva sentire lui?

Max Parker era la mia punizione divina e il suo ultimo atto si stava compiendo: mi aveva allontanata definitivamente da me stessa. Era la mia punizione divina perchè, dopo quei baci, dopo quelle mani che lentamente scendevano lungo la vita raggiungendo le gambe nude se non per le calze sottili, dopo quello non sarei più tornata ad essere l'Evelyne fredda e calcolatrice. Non dopo essere stata toccata da quelle mani così calde e morbide che lentamente si infilavano sotto il vestito, risalendo; non dopo aver sentito le sue labbra sulla pelle. Non sarei mai riuscita a dimenticarmene, mai.

E mentre mi baciava il collo, lasciando morsi e baci che mi impedivano di tenere gli occhi aperti, parlò di nuovo, con una voce roca ed eccitata: - E non ha funzionato. Dopo ho solo capito che sei la ragazza più importante che ci sia mai stata per me, in tutta la mia vita. L'unica. E questa cosa non riesco a cambiarla, volevo cambiarla perchè fa paura.

E quello fu il colpo di grazia per il mio malandato cuore, la conferma di quanto fosse una punizione venuta dal cielo per uccidermi.

Per uccidermi e baciarmi. Per uccidermi sfilandomi via, in un attimo il vestito. E Parker doveva essere davvero una punizione divina se glielo stavo permettendo.

Quasi incapace di ragionare mi aggrappai alla sua maglietta alzandola e sfilandogliela. Finì anche quella da qualche parte, insieme al vestito. Sentii pelle contro pelle e mi sembrò di agganciarmi a qualcosa di perduto, che sarebbe dovuto essere lì, così vicino, da tempo; forse da sempre.

Solo pochi minuti prima ci stavamo urlando contro e in quel momento ridendo e guardandomi con quegli occhi verdi, lucidi, acquosi, intensi, che da soli erano la mia condanna, mi sfiorava il ventre, facendomi tremare, e raggiungeva le calze, togliendomele con lentezza, accarezzando ogni centimetro di pelle che prima era stato coperto.

Ed era la mia punizione divina, perchè ero rovinata. Rovinata. Sapevo che dopo Max non avrei più voluto nessun altro. Nessuno avrebbe potuto farmi sentire più in quel modo.

Nessuno.

Nessuno.

Prima di lui che odori avevo considerati buoni, se il suo batteva tutti? Che sapori avevo detto essere i miei preferiti, se ora non riuscivo ad allontanarmi dalla sua bocca? Che canzoni mi erano piaciute, se la sua voce roca, bassa contro il mio orecchio sembrava adesso l'unica cosa che volessi sentire al mondo?

Ma forse in effetti non era la mia rovina.

Perchè a una rovina, a una punizione divina non avrei dato quei baci, con una punizione non avrei cercato riparo sotto le coperte, contro di lui, con una rovina non mi sarei messa, tremante per l'eccitazione, a cercare la zip dei suoi jeans.

Con una punizione divina non sarei stata così dannatamente felice.

E mi resi conto, così, quella sera, mentre mi stringeva e baciava partendo dalla bocca e passando per la clavicola, i seni, l'ombelico, il ventre e in basso, mentre ansimavo e gemevo e i suoi occhi mi accendevano sempre di più, mentre mi facevo accarezzare ed ero io a fare lo stesso, mentre si faceva sempre più tardi ma a noi non importava, in quei momenti mi resi conto che Max Parker non era la mia punizione divina.

Mi resi conto che volevo solo ringraziare, qualsiasi cosa fosse, se Max era entrato nella mia vita, anche se in quel modo orribile. L'importante era che fosse successo e che adesso fosse lì a baciarmi.

Che fosse lì con me.

 


- Evy - mi chiamò a bassa voce, a un certo punto, continuando a giocare coi miei capelli. La voce non era più roca ma sempre grave e bella.

Mi ritrovai a sorridere, sollevando leggermente la testa dal suo braccio e alzando gli occhi nel buio e trovando i suoi. - Cosa? - Chiesi piano anch'io, quasi compensando i toni tanto alti che avevamo usato prima.

Sembrò volermi dire qualcosa di quasi serio, ma ripensandoci si chinò velocemente, raggiungendo le mie labbra. Sobbalzai a quel gesto che era stato fatto così tante volte in quella sera, ma che in quel momento di tranquillità apparve diverso.

Il bacio fu leggero, a fior di labbra, ma non per questo breve; forse il più bello, ad occhi socchiusi. Guardandoci e sfiorandoci, con le punte del naso e coi respiri.

Si allontanò dopo secoli. - Stiamo svegli?

Mi riappoggiai a lui, mordendomi le labbra e chiudendo gli occhi, stanca. - Perchè?

- No, niente, ci ho ripensato. Tu dormi; io starò sveglio.

Sorrisi leggera, sempre con le palpebre ad oscurare tutto. - Perchè?

- Troppi perchè, sai? - E come a punirmi per quello mi sentii tirare un ciuffo.

- Non me lo vuoi dire? - Arrivai alla conclusione, cominciando a sentire anche un leggere torpore, tra le sue braccia, al caldo, al sicuro, così felice.

- No.

- Nemmeno questo, Max? - Borbottai e la domanda uscì forse più da uno stato di incoscienza.

- Esatto. - E mi sembrò di percepire un sorriso.

E mi addormentai, sentendomi toccare i capelli e sfiorare il collo.

Mi addormentai felice come forse non ero mai stata.

Mi addormentai in quel tepore, e in quell'aria che sapeva di Max ma soprattutto di cose non chiarite e di cose non dette.

Ed erano tante le cose in sospeso che galleggiavano lì nell'aria.

In quel momento c'era tregua, ma presto si sarebbe tornati all'aria aperta, ad affrontare tutto. "La testa" sarebbe tornata a comandare in Evelyne Gray.

Per affrontare quello che era successo alla festa e quello che era stato detto.

Ma per affrontare soprattutto quello che non era stato detto: le frasi incompiute e taciute di Max; e le mie “due paroline”.

Ma in quel momento ero lì.

E niente era una punizione divina.




*Angolo autrice:


So che sarete sconvolte dalla mia ripetuta puntalità:D ahahah
No, comunque ho pubblicato in tempo, ma sono comunque molto terrorizzata a pubblicare questo capitolo.
Si chiama Punizione divina, ed è quello che avevo pensato all'inizio, scrivendo la storia, a grandi linee, all'inizio nella mia testa era stato diverso. E proprio per questo ho il terrore che non vi possa piacere; per questo e anche perchè vorrei che vi piacesse proprio perchè è importante.
Spero di non aver deluso nessuna!

Non commenterò molto, se avete domande, incertezze ditemi pure, a volte certe cose a me che scrivo sembrano avere un senso che voi che leggete magari fate fatica a trovare:)

Questo capitolo parla di un Evelyne che agisce d'istinto, in tutto.
La testa ci sarà il giorno dopo. Adesso c'è la tregua.

La parte finale è vaga, mi sono concentrata molto sulle sensazioni, sui pensieri apposta, abbozzando minimamente quello che succede.
Si saprà meglio quel che è accaduto nel prossimo capitolo e in quello ancora dopo:D 

E chi starà pensando "ma porca vacca e sua zia non si è svegliata dopo tutte quelle urla?!", beh, non siate certe che non abbia sentito niente ... 

Il prossimo capitolo sarà particolare, una specie di pausa, in parte comica per spiegare la situazione, e entrare in certi dettagli secondari. ERGO il Pov non sarà di Eve, non almeno all'inizio:D indovinate di chi sarà?! (Non è Billy, posso dirvelo ahahahah)

Spero davvero che vi sia piaciuto, in caso contrario spero almeno di rimediare andando avanti e vi spiegherò intanto le mie ragioni di questo sviluppo della storia. 

Alla prossima (che potrebbe essere il 4 giugno, così riesco a sistemare anche i capitoli più avanti.)

Grazie per essere ancora qua <3

Gruppo spoiler e della storiahttps://www.facebook.com/groups/326281187493467/

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Capitolo 27
*** Parlare ***



E' un capitolo lungo, fanciulle, preparate cibo e bevande per sopravvivere.
E state attente ai salti temporali, dovrebbero capirsi ma se leggete velocemente potreste rischiare di perdervi un attimo:)
Buona lettura . (speriam)




(grazie a _miaoo_ <3)



26. Parlare
 

 

La vita era proprio bella.

Bella, bella, bella.

- Cos'è quella faccia da deficiente?

Mia sorella però non lo era. - Annabel, mangia che tutto quel grasso ha bisogno di nutrimento, - le ricordai indicandole con la forchetta la colazione.

- Se non fossi così idiota sapresti che il grasso non ha bisogno di nutrimento.

- Gne gne gne! - Quasi urlai con una smorfia e alzandomi in piedi.

Lei incrociò le braccia e guardandomi in cagnesco sembrò indecisa se continuare a mangiare sul serio o lanciarmi la tazza contro, come aveva già tentato di fare due giorni prima. Io per sicurezza mi allontanai.

Beh dicevo?

Ah sì, che la vita era proprio bella, ricordai, mettendo nella lavastoviglie i piatti sporchi e sorridendo gongolante.

Non importava che avessi sonno da morire, importava che finalmente la svolta ci fosse stata stata: al compleanno di Max, Francy mi aveva baciato. Che poi mi avesse baciato lei, prendendomi alla sprovvista, nel giardino, mi aveva fatto rotolare sul letto quella notte senza quasi dormire, troppo incredulo per farlo.

Su, insomma, c'eravamo baciati.

Mi aveva baciato lei.

Avrei dovuto ringraziare a vita Max per essere nato il 23 Aprile e aver fatto la festa.

Avrei dovuto ringraziare anche Evelyne per essere sparita: proprio per cercarla eravamo usciti e lì, chiacchierando, dopo un mio complimento, c'era stato il bacio.

Amavo la vita. Avevo baciato Francy!

Mentre andavo a cercare la giacca, tutto gongolante, e mi chiedevo se avrei dovuto baciarla quel giorno per salutarla, mi venne in mente una cosa. Fu un flash improvviso tra tutti quei pensieri e mi bloccai, come per visualizzarlo meglio.

- Ci muoviamo? - Chiese mia sorella venendomi incontro e sistemandosi i capelli fin troppo rossi che, da mesi, continuavo a pregarle di tingersi di nero per tornare al naturale.

Le feci cenno di stare zitta alzando una mano. Stavo provando a ricordarmi una cosa che forse mi sfuggiva, sulla sera precedente.

Max dov'era finito?

Ci pensai solo in quel momento, ma la sera prima, fin troppo preso da Francy, non avevo più visto il festeggiato.

Provai a scavare in ogni singolo ricordo, ma Max non c'era da nessuna parte.

Ricordavo come ultima cosa di aver salutato Billy, mentre me ne andavo prima del solito per essere solidale col coprifuoco di Francy. Max dov'era?

- Oh! - Mi richiamò quello zuccherino di mia sorella.

Annuii perplesso e mi infilai la giacca dopo aver preso il mazzetto delle chiavi della macchina. Mancava poco e quella peste avrebbe avuto una patente e un'automobile tutta sua, salvando finalmente me e la mia pazienza.

Arrivammo a scuola poco dopo e Annabel come al solito filò via di corsa per fingere, sempre simpaticamente, che non fossimo parenti. E pensare che gente avrebbe pagato per avere a che fare con me! In ogni caso mia sorella non faceva parte dei miei problemi immediati e passai oltre il muro che delimitava il polo scolastico e sbadigliando mi avviai, come sempre, alla parete dove i miei amici si appoggiavano tutte le mattine.

Seth e Charlie erano già lì, entrambi con l'aria esausta e una strana smorfia da dopo sbornia che soltanto pochi eletti avrebbero sfoggiato per il resto della giornata. Salutai sorridendo come sempre.

Appoggiandomi al muro li guardai meglio; lo sguardo, dopo l'occhiata veloce, mi tornò subito su Seth e sgranai gli occhi. - Che cazzo hai fatto?! - Quasi urlai alla vista del livido violaceo che gli colorava la base dell'occhio sinistro.

Lui mi fulminò per poi mettersi a trafficare nelle tasche alla ricerca del pacchetto di sigarette; Charlie invece scoppiò a ridere e quasi rischiò di piegarsi in due, un qualcosa nel sorriso fin troppo esagerato sembrava voler far capire che avesse aspettato molto quella domanda.

- Se tu ieri invece di imboscarti con la Reed fossi stato presente alla festa adesso lo sapresti, - rispose freddo Seth. - Soprattutto visto che lo sa tutta la scuola e nessuno sembra voler parlare d'altro! Quanto mi stanno tutti sul cazzo!

Con un cenno e sempre con gli occhi spalancati cercai di riportarlo alla domanda. - Sì, ma con chi hai litigato?! Era una festa tranquilla! Come hai fatto?!

In quel momento arrivò sbadigliando anche Billy, seguito a poca distanza da Rob. - Questo buon umore? - Domandò l'ultimo dopo aver visto Charlie che continuava a spanciarsi.

- Qualcuno mi spiega quel livido?! - Richiesi cominciando a perdere la speranza di poterlo scoprire e continuando ad indicarlo. Mi ero perso altro?!

Billy trattenne una risata lanciando un'occhiata a Seth che si accese finalmente una sigaretta, con un gesto secco; Charlie cercò di calmarsi e Rob fu l'unica a parlare, finalmente: - La Gray. - Fu l'unica risposta.

Alzai un sopracciglio, insoddisfatto e non capendo. - Evelyne cosa? Ti ha picchiato Evelyne?! - Mi si parò davanti agli occhi l'immagine di quella che, pur essendo la metà di Clark, riusciva a stenderlo con un solo colpo. Sembrò poco realistico anche a me.

Seth prese parola dopo aver soffiato velocemente il fumo. - Che è una dannata troia! Porca puttana se è stronza quella vacca!

Billy sbuffò ironico a quella serie di offese. - Ma taci, idiota!

- Non taccio un cazzo! Cosa me ne frega a me se vuole vendicarsi di Max?! Dio, che rabbia che mi fanno venire quei due! Che scopino smettendo di rompere il cazzo a tutto il mondo! - Charlie in parte annuì, d'accordo.

Io capivo sempre meno. - Qualcuno mi spiega?! Non è che mi invento la storia sentendo queste frasi a metà!

- E anche tu, Rob, uno stronzo assurdo! - Ricominciò.

Billy alzò gli occhi al cielo. - Se tu avessi ragionato un attimo, ci saresti arrivato a capire cosa stava combinando... tutti noi l'avremmo capito. Poi dovevi in ogni caso immaginarti come sarebbe finita assecondandola. Rob ha fatto solo bene.

- Poi eri così convinto che a lui non fregasse un cazzo, eh, - lo canzonò Rob beccandosi un'altra occhiataccia.

Prima che potessi di nuovo ripetere che qualcuno mi spiegasse, Billy ebbe pietà di me: - Evelyne ha fatto finta di volerci...

- Beh... che poi non sappiamo per certo se ha fatto finta del tutto! Non l'ha mai negato lei!- Si difese un po' Seth, incupito in una smorfia di protesta, ma io continuavo a non capire.

Billy sospirò. - Dicevo: Evelyne ha fatto finta, o forse no, di volerci stare con Seth. Non so bene che cazzo ha fatto ma Seth da bravo furbo ha ceduto a due moine; quand'era ovvio che non te le avrebbe mai fatte normalmente.

- E si sono baciati davanti a tutti... - Aggiunse Rob, velocemente, prima che l'unico diretto interessato presente intervenisse. Io non potei crederci e spalancai la bocca, incredulo.

- Rob pensava che lei fosse ubriaca ed è venuto a dire qualcosa a me e a Max mentre 'sto furbo se la portava in una camera.

- Oh vabbè, uno ne approfitta! - Si giustificò parlando male per colpa della sigaretta in bocca.

- La regola delle ragazze ubriache! - Ricordò Charlie scuotendo la testa con tono fin troppo grave per essere davvero serio.

Annuii anch'io, ma io davvero contrariato. La regola delle ragazze ubriache prevedeva che non facessimo mai niente con una tipa che da sana, normalmente, non ce l'avrebbe mai data. Sarebbe stato moralmente ingiusto, insomma. E noi una sottospecie di morale, non avendocela avuta in quegli anni, avevamo dovuto crearcela. L'idea ovviamente era partita da Billy.

- Nessuno l'ha mai cagata quella cazzo di regola di merda! - Si difese Seth tornando a fumare con rabbia.

- E' da non credere che volessi farti Evelyne! - Esclamai parlando nonostante l'incredulità. E non perchè la Gray fosse brutta, anzi da quando frequentava Max era sempre più carina, ma insomma, tutti sapevano tacitamente che Evelyne fosse affare di Parker, in un certo senso e in un certo modo indeterminato.

Seth sembrò esasperarsi. - Oh, ma che cazzo c'avete voi con questa storia?! Da quando è stato deciso che ha il cartellino appeso con scritto “Proprietà privata”?! Da mai! Poi se dici qualcosa a Max fa tutto lo schifato parlando di lei!

Billy rise, ma non commentò la sua frase e continuò come se nulla fosse: - Fatto sta che noi veniamo avvisati, Max sale dritto verso le camere e becchiamo Seth che prova a spingere Eve sul letto. E qua non puoi dire niente perché si vedeva che non ci stava più. - Lanciò la frecciatina facendo alzare gli occhi al cielo all'altro. - E vabbè si mettono a spintonarsi, Max gli chiede cos'avesse intenzione di fare e Seth dice, molto furbamente ancora, che se la voleva scopare prima di lui e Max gli dà un pugno.

- Oh! - Fu il mio commento.

Rob rise. - Un bel gancio destro! - E imitò il colpo, venendo fulminato da Clark.

- Mi dispiace un sacco di non essere stato presente ... - Si lamentò Charlie con una smorfia sinceramente dispiaciuta e afflitta.

- Eri troppo occupato a bere.

- Come sempre.

- E nessuno mi ha avvisato?! - Mi lamentai interrompendoli.

- Eri impegnato. - Ammiccò Billy. - Poi avresti comunque saputo dopo, non era importante in quel momento; anzi meno gente sapeva ieri sera, meglio era.

Seth lanciò la sigaretta per terra, schiacciandola con forza. - Poi me ne sono andato perché se lo rivedevo non me ne fregava niente del suo compleanno e gliela facev...

Tutti scoppiarono a ridere scetticamente, interrompendolo e facendolo arrabbiare ancora di più.

- Alex!

Mi sentii chiamare e tutto il gruppo si girò, guardando in basso, verso la bella morettina che si era parata di fianco a noi. La bella morettina dei miei sogni. Sorrisi. - Francy!

Tutti gli altri, lo sentii quasi senza guardare, alzarono gli occhi al cielo. Lei però non ci fece caso e sembrava preoccupata. - Sai qualcosa di Evelyne?

Gli altri sembrarono di nuovo interessati alla conversazione.

Francy si tormentava le labbra con i denti.

Labbra.

Concentrati, Alex. Mi ha fatto una domanda? Ah, e sì! No, aspetta, no. - No, l'abbiamo vista entrambi l'ultima volta in giardino, mentre tornava a casa...

Lei vagò con fare apprensivo tra i miei amici e si fermò su Seth. - Stamattina delle ragazze mi hanno raccontato di ieri. Complimenti, Clark, più in basso e più squallido di così non potevi essere! - Disse con una cattiveria che non le avevo mai sentito usare.

- Non si lamentava lei, ieri. - Rispose l'altro con un sorriso scettico che coi lividi stonava.

- Ah! E perchè Evelyne ha fatto tutto quello? - Mi ricordai solo in quel momento che tra le frasi iniziali c'erano stati degli accenni a una vendetta.

- Probabilmente per Dawn, - rispose Rob, facendo spallucce. - Ha accennato al “fatto”, quando ha cominciato ad urlare contro Max, subito dopo il pugno.

- Ahia! - Feci e quasi mi venne da ridere pensando che Max fosse stato beccato. "Beccato" poi era una parola grossa, non aveva alcun motivo di tenerglielo nascosto, alla fine, eppure l'aveva fatto.

- Dawn cosa?! - Francy si sporse, gli occhi spalancati e ancora più grandi, ci guardò nel panico.

Noi ci osservammo indecisi se dirglielo o meno, ma ormai aveva sentito l'inizio.

- Dopo la partita coi selezionatori, Max è andato a letto con Dawn, alla mia festa. - Mi decisi a dire io, vedendo che nessun altro lo faceva. - Che tra parentesi hanno usato la camera della mia sorellona e deve tornare questo weekend e non so se mia madre ha già messo le lenzuola pulite o devo cambiarle io! - Blaterai velocemente, abbastanza schifato.

Francy però non mi ascoltava più e rimase senza parole.

Seth sospirò rumorosamente alla sua reazione. - Non stanno insieme, porca puttana...

- Ma l'ha baciata il giorno dopo! - Esclamò lei, cominciando ad arrabbiarsi, se con Clark o con Parker non lo sapevo.

- Ah davvero? - Chiese Charlie, non informato su quel particolare come non lo eravamo tutti.

- Sì, in effetti credo che sia per quello che ha reagito in quel modo: prima Dawn poi lei, Max non ha fatto una gran bella figura, - teorizzò Billy.

- Ma ha esagerato, non stanno insieme né niente e alla Gray non deve fregare un cazzo delle tipe con cui va Max! - Fece notare Charlie, appoggiandosi al muro. - Si sa com'è fatto e dopo questi mesi che si girano continuamente attorno lo sa anche lei. Senza contare il fatto che la Gray ha spudoratamente cercato di far litigare due amici!

- Allora a Max non deve fregare un cazzo dei tipi che la Gray bacia. Lei avrà pur cercato di proposito di farli mettere l'uno contro l'altro, ma Max l'ha perfettamente assecondata: ha dato persino un pugno a Seth! - Si oppose Rob, sbuffando. - Seth l'ha provocato ma era una provocazione da niente: ci è cascato subito e ha reagito in modo assurdo.

- L'ho detto che devono scopare e basta e non rompere il cazzo a noi! – Ripeté Seth e ad ogni frase la sua espressione diventava sempre più scura, quasi il livido si stesse ingrandendo a vista d'occhio assorbendo il volto.

- Forse sarebbe davvero una soluzione, – rispose Charlie ridendo.

Evelyne e Max, della serie “discorsi leggeri e comprensibili di prima mattina”. Ed era ironico: non si capivano nemmeno loro due e nessuno di noi capiva davvero il loro rapporto o cosa ci fosse dietro. Max poi al riguardo non aveva mai detto molto, soprattutto nell'ultimo periodo. Sarebbero potuti sembrare banalmente amici, ma il loro rapporto ci appariva allo stesso tempo composto da troppe offese e sguardi truci per esserlo davvero; senza tener conto di quelle occhiate, un po' diverse, che ogni tanto si rivolgevano, non di certo da amici, e dall'episodio a casa mia in cui li avevamo beccati in camera insieme la tesi dell'amicizia l'avevo nettamente esclusa. 

- Vabbè, lasciate perdere. - Sdrammatizzò Francy con un cenno. - Adesso il punto che mi importa è che Evelyne non ha risposto ai messaggi e non è al bar e non risponde alle mie chiamate e sono preoccupata! Ieri ha preso la macchina dopo tutto quello che era successo! Ed è colpa mia che dovevo accorgermene e forse non è arrivata a cas...

- Chiediamo a Max! - Propose Charlie scoppiando a ridere e interrompendo con quei toni bruscamente Francy. Seth tirò fuori un'altra sigaretta, scuotendo la testa.

- Perché? - Chiesi perplesso.

- Ieri sera è sparito e nessuno sa dov'è.

- Ho dovuto chiudere casa io!- Sbuffò Billy con una strana rassegnazione.

Ecco perché non ricordavo di averlo più visto, pensai.

- Diciamo poi che casualmente è sparito dopo Evelyne e la loro scenata.

Francy sembrò non crederci, ma almeno l'espressione preoccupata sembrava essere svanita. - Sono insieme?!

Tutti fecero spallucce. - Sono supposizioni ma sembra abbastanza ovvio a questo punto.

Francy si passò la mano tra i capelli quasi incredula e in quel momento si sentì una breve suoneria. Infilò in fretta la mano nei jeans tirando fuori il cellulare.

Io mi sporsi per leggere, prendendomi quella confidenza e fui l'unico.

Okay, scusa, mi sono svegliata tardi! Forse se corro arrivo in orario!

Niente di incriminante. Un po' mi dispiacque.

- Confessa? - Chiese Billy, comunque curioso.

Francy scosse la testa arricciando le labbra, come analizzando il cellulare.

In quel momento sentimmo qualcuno avvicinarsi e alzando lo sguardo vedemmo Max; lui ricambiò tranquillamente l'occhiata di tutti, passandosi la mano tra i capelli nel suo tic calcolato.

- Uh? - Affiancò Francy. - Come mai qua? - Chiese leggero e abbozzando un sorriso.

- Niente... - dissimulò Francy, guardandolo un po' male. - Ci vediamo a ginnastica, Alex! - Mi salutò sorridendo velocemente per poi sparire.

Le urlai dietro un saluto che probabilmente nemmeno sentì e poi tornai agli altri tristemente.

Seth era sempre più imbronciato e sembrava sul punto di allontanarsi, gli altri tre guardavano divertiti Max.

- Eh beh, ieri? - Chiese alla fine Charlie.

Max ci guardò divertito. - Bella festa! Grazie! E pensavo per la partita della prossima settimana che… - E cominciò a blaterare così velocemente che nessuno riuscì a fermarlo.

Lo sguardo di tutti i presenti diceva la stessa cosa: “non avremmo mai saputo”.

 

O mai saputo forse era troppo.

Avevo passato l'ora di ginnastica con Francy e forse la sua influenza mi faceva male.

Male perché continuavo a fissarle le labbra e volevo troppo baciarla, troppo, stavo quasi male. Avrei voluto parlarne per poter chiarire finalmente che dopo quel bacio la volevo solo per me, mia e soltanto mia; per poterle chiedere se anche lei voleva lo stesso.

Ma era troppo presa a pensare ad Evelyne che era arrivata a pelo per l'inizio delle lezioni, non riuscendo a incrociarla, e troppo presa a immaginare quello che forse era successo la sera prima.

Io dubitavo. Da quello che mi era stato raccontato, anche se si fossero visti sul serio, si sarebbero solo scannati, litigando, non avrebbero di certo passato la notte insieme. A fare cosa poi? Mi volò davanti agli occhi una strana immagine di Evelyne e Max che scopavano: ce li vedevo e non ce li vedevo allo stesso tempo. La cancellai velocemente.

Francy però di una cosa era convinta. Anzi, due.

Una che Evelyne non gliel'avrebbe detto presto cos'era successo veramente e lei voleva sapere, subito.

Due che bisognava investigare.

Così io ero stato mandato lontano da lei, in avanscoperta, al mio solito tavolo.

Il mio cuore sanguinava e soffriva, come un soldato inviato in guerra, lontano dalla sua amata, non sapendo quando e se sarebbe tornato. Mi sedetti in quello stato in mensa.

Mi resi poi conto in quel momento che Max non c'era. Lanciai quindi uno sguardo disperato a Francy che con gli occhi mi ordinò solo di starmene fermo lì.

- Max? - Chiesi, mogio ed eseguendo.

Tutti fecero spallucce, abbastanza disinteressati e troppo concentrati sul cibo.

Dawn arrivò come al solito – a volte pensavo che nominare il capitano la attirasse -, affiancata dalle sue amiche e si sedettero tutte lì; Billy sembro cercare di trattenere una risata prima ancora che la bionda parlasse.

- Ditemi che non è vero, - ordinò freddamente e partendo subito in quinta.

Charlie, che le moriva dietro dalla preistoria, ma sembrava l'unico a cui lei non fosse disposta a darla, sorrise già disponibile. - Cosa, piccola?

Lei lo fulminò glaciale. Quando c'era Max non faceva così…

- Non chiamarmi piccola. Ed è vero quello che si dice a scuola?!

Fui un attimo sollevato di notare che non fossi l'unico ad aver conosciuto gli eventi solo il giorno dopo.

Charlie capì già dove stesse andando a parare la conversazione, come sempre poi. - Eh, dipende, Dawn; cosa intendi?

- E' vero che LUI ha picchiato Seth per la troia?!

Povera Evelyne, pensai, tutti a darle della troia quel giorno.

- Per una troia no, per la Gray sì, - rispose sorridendo apertamente Billy.

Dawn incredula si alzò in piedi, con le mani piantate sul tavolo. - E qualcuno mi spiega questo assurdo comportamento?!

Stava anche attirando l'attenzione dei tavoli vicini mentre Clark digrignava i denti fingendo di non star sentendo.

Billy continuò a guardarla divertito. - Non l'abbiamo ancora ben interpretato, ma puoi scegliere la versione che ti pare, ne stanno girando tante per la scuola.

Da quel che avevo sentito nelle ore precedenti tutte vertevano su una, la più semplice: Max Parker era geloso, di Evelyne Gray. E solo l'anno precedente quei due nomi sarebbero stati quasi impossibili da trovare nella stessa frase – soprattutto perché Evelyne era “quella del giornalino”, non si usava il nome -, invece quello stesso giorno avevo sentito in corridoio chi cercava di argomentare l'inesistenza di gelosia, soprattutto da parte di uno come Max, chi diceva addirittura di sostenerli come coppia, chi riteneva impossibile che quei due potessero piacersi e anche chi pensava che in realtà fossero cugini, o qualcosa del genere, e fosse stata semplice gelosia tra consanguinei; poi chi semplicemente se la spassava come un matto ricordando di continuo lo schiaffo che si sapeva fosse arrivato a Max. Quello l'avevo scoperto direttamente dalle voci visto che i miei amici idioti si erano dimenticati di dirmelo.

La bionda arricciò il naso, probabilmente pensando a tutte le cose che erano passate per la testa anche a me, e che di certo lei non poteva accettare, e poi sparì verso un altro tavolo con le sue amiche: testa alta e petto in fuori, ferita nell'orgoglio.

Secondo lei e le cheerleader non sedersi con noi ci rendeva assolutamente e terribilmente tristi e lo facevano tutte le volte che era arrabbiata la capitana. L'evento ci lasciava però abbastanza indifferenti. Tanto alle feste continuavano a darcela, quindi.

Non a me, ovviamente, mi corressi immediatamente.

Guardai di nuovo verso Francy sorridendo e lei mi lanciò un'espressione curiosa da lontano, pensando che avessi notizie. Mi rigirai un po' deluso.

Proprio in quel momento, mentre tornavo a guardare davanti a me, Evelyne fece la sua comparsa in mensa.

Aveva una maglietta di quelle non enormi che ogni tanto, seppur abbastanza raramente, sfoggiava, e quella strana presenza sembrava voler compensare la sciarpa scura che portava disordinatamente arrotolata intorno al collo.

La guardai perplesso: nemmeno avesse fatto freddo fuori o lì dentro.

- Sciarpa, - commentò Rob. Buona parte degli occhi del nostro tavolo, quelli presenti alla mattina almeno, si erano alzati fissi su di lei, di nuovo curiosi.

- Sospettosa una sciarpa, - fece Charlie ridendo.

- O forse è solo una sciarpa? - Propose ironicamente Billy scuotendo la testa e versandosi da bere.

- Potrebbe avere benissimo mal di gola. - Concordai anch'io osservandola mentre, cercando di farsi una coda, esitava davanti ai vassoi puliti.

- Cinque dollari che ha un succhiotto! - Scommise Charlie.

- Ci sto. - Rob accettò subito la scommessa, più per il gusto di farlo che per altro e si diedero il cinque con un colpo secco. - Non le hai fatto succhiotti ieri, eh, Seth? - Si informò poi all'improvviso, prendendolo però per il culo.

Lui in risposta alzò il dito medio, continuando a mangiare con la mano libera.

Evelyne intanto sembrava cercare con forza di non guardare verso la gente seduta nella mensa alle sue spalle e osservava, con fin troppa concentrazione, il cibo dietro alle vetrinette.

In quel momento Max fece anche lui la sua comparsa dalla porta, vagò con lo sguardo e poi, come capitavo spesso di vederlo fare, notò la Gray, sorrise leggero e si avviò verso di lei.

- Per ora niente di tanto strano, – notai, commentando come davanti un qualche documentario.

Billy sbuffò. - Ma sei tonto? Normalmente non sarebbe strano: se la ride pensando a come tormentarla oggi. Ma ieri hanno litigato abbastanza pesantemente.

- Ah! - Mi ricordai tornando a guardarli.

Max senza farsi evidentemente notare si avvicinò ad Evelyne per poi chinarsi, da dietro, verso il suo orecchio, sfiorandole un fianco.

La scena sembrò in qualche modo strana, anche se non capivo bene il perché.

Ma la cosa più evidente, per chiunque, fu il vassoio di Evelyne che, subito dopo il tocco di Max, cadde rumorosamente per terra, scivolando dalle sue mani mentre lei sobbalzava.

- Cinquanta dollari che hanno scopato! - Propose immediatamente Rob.

- Ah, su questo non riesco a scommetterci contro… - Si lamentò Charlie.

A me venne da ridere ma continuai ad osservarli curioso.

Evelyne si chinò in fretta, senza rivolgergli uno sguardo. Max sorridendo divertito si toccò i capelli guardandosi intorno: probabilmente vide gli occhi di mezza scuola, o tutta, puntati su di loro.

Lei, con il vassoio in mano, si rimise in piedi e avanzò nella fila, ignorando spudoratamente il ragazzo che continuò a seguirla, cercando di riafferrarla per un fianco.

La cosa era in effetti sospetta.

Max si stava divertendo da morire, di un umore fin troppo roseo ed Evelyne sembrava fin troppo imbarazzata per ascoltarlo, ma lui continuava.

Billy allungò la mano verso Rob. - Accetto la scommessa.

Tutti lo guardammo in silenzio.

Billy non scommetteva mai e quando lo faceva vinceva.

- Cos'hanno visto i tuoi occhi di elfo?! - Chiese con fare isterico Charlie, da bravo nerd e citando il Signore degli anelli. Forse era per quello che Dawn non gliela dava.

L'altro rise. - Niente, ma dico che non l'hanno fatto!

- Si fida della figa di legno della Gray, - commentò tranquillo Seth, mangiando.

- Ma taci, - rispose a tono Billy.

Demmo un'ultima occhiata a Max ed Evelyne: lui l'aveva superata all'ultimo, alla cassa, dopo aver preso il cibo e lei aveva finalmente reagito provando a picchiarlo da dietro.

Poco dopo ci raggiunse finalmente il nostro amico e si sedette, sorridendo assorto, di fronte a me e di fianco a Charlie.

Cosa mi aveva detto di fare Francy per scoprire? Ah, sì, essere diretto: - Cos'hai fatto ieri dopo essere sparito?! - Chiesi immediatamente, mentre lui finiva di sistemarsi.

Max alzò lo sguardo e mi guardò seriamente perplesso. - Eh?

Billy scoppiò a ridere. - Dai, Alex!

- No, voglio saperlo! - Ripresi serio.

Il sorriso di Max traballò, ma continuò a guardarci senza rispondere. - Io?

- Sì, tu! - Insistette anche Charlie, assecondandomi e sporgendosi per guardarlo.

- Non sono sparito - rispose sbuffando e prendendo il suo hamburger con indifferenza.

- E cosa avresti fatto? - Continuai, lanciando un'occhiata veloce a Francy che aveva iniziato a parlare freneticamente con un'Evelyne che sembrava solo voler scappare.

- Eri con la troia, ammettilo, - intervenne all'improvviso Clark, con un grande e finto sorriso che stonava insieme ai lividi. Charlie rise mentre Billy sospirò abbastanza esasperatamente: io ero d'accordo, perché cercava altre botte?

Max ingoiò, lo guardò per la prima volta e sorrise ironicamente. - Sì, con tua madre. - Senza nemmeno aspettare risposta si girò verso di me. - Con la Reed com'è andata? - Chiese per poi ridare un morso.

Mi illuminai. - Ah, benissimo! Non posso dirvi troppo ma… Insomma, benissimo!

- No, dai racconta i particolari! - Insistette Max, spronandomi anche con un cenno e una strana espressione, forse fin troppo entusiasta, a cui non feci però caso pensando già a cosa dire.

- Intendevo la Gray, - si intromise Seth, di nuovo, ricordandomi anche che in effetti avrei dovuto chiedere di quello.

- Esatto, la Gray! - Esclamò anche Charlie che sembrava starsi divertendo più del necessario e saltellava sulla sedia. Probabilmente sperava davvero in qualche avvenimento particolare che gli togliesse la “rivalità” di Parker per il cuore di Dawn.

- Cosa la Gray? - Chiese Max facendo una smorfia da “non ho capito”.

- Ieri! - Ripetemmo Charlie ed io.

- Sì, appunto, ieri, su, Alex, quanto ci metti a raccontare! - Incitò di nuovo.

Charlie si accigliò visibilmente e sbuffando tirò fuori il cellulare, rinunciando a capirci qualcosa. - Va a cagare, va'!

- Cosa? - Blaterò continuando a mangiare ma sputtanandosi abbastanza evidentemente.

- Non mi distrarre! - Urlai istericamente e dai tavoli vicini, compresa Francy, mi guardarono perplessi. - Sei sparito! Con chi eri? Dove?! Perchè?!

- Smettila, Alex, ti prego, - mi scongiurò Rob portandosi le mani alle orecchie e appoggiandosi con fare esasperato allo schienale della sedia.

- Sì, abbastanza, - si aggiunse anche Billy. - Tanto non lo dice.

Max che aveva continuato a mangiare tranquillamente alzò la testa e ci guardò tutti. - Sì, dai, Alex! Sei proprio ripetitivo, te l'ho già detto!

Lo guardai incredulo e rinunciai anch'io.

 

- Come non hai scoperto niente?! - Mi sussurrò con il broncio Francy, sempre a mensa, mentre Evelyne a poca distanza sistemava il suo vassoio.

- Non è colpa mia! Tu non hai a che fare con Max! Quando lui non vuole dirti qualcosa non te la dice e non c'è verso!

Francy s'incupì e continuò a guardare seriamente la schiena di Eve che ci metteva fin troppo tempo a sistemare le sue cose, quasi poco intenzionata a raggiungerci e a sapere di cosa stessimo parlando.

- Lei ha ammesso che Parker è andato a casa sua, che hanno litigato e poi non ha continuato e ha detto che mi dirà un'altra volta i dettagli, visto che stavano arrivando gli altri.

In qualche modo sembrava davvero che fosse successo qualcosa di strano.

- E ho il vago sospetto poi che questi dettagli siano abbastanza importanti, - continuò accigliata la mia morettina.

Guardai ancora Evelyne che continuava a svuotare il vassoio da qualcosa di inesistente e sospirai: proprio adesso che avevo avuto il mio tanto agognato bacio quei due dovevano cominciare a fare cose strane – o meglio - ancora più strane del solito.

Maledetti.

E a proposito di bacio…

Allungai il braccio circondando con cautela i fianchi stretti di Francy. - Comunque anche noi forse dovremmo parlare di ieri. - Le feci notare con un sorrisone, avvicinandola.

Lei mi guardò un po' sorpresa e il viso da bambolina arrossì mentre mi chinavo.

- Alex! - Mi chiamò guardandosi intorno ma non allontanandosi. - Mensa!

Feci spallucce guardandole solo le labbra.

Un piccolo colpo di tosse ci interruppe.

Ma porca puttana!

Mi girai vedendo Evelyne incredula che rideva - No, ma cos'è successo qua?!

Francy avvampò del tutto e io la guardai offeso lasciando la presa sui suoi fianchi. - Non gliel'hai detto?

- Detto cosa? - Chiese Evelyne continuando con quell'espressione.

- E' che volevo sapere prima… - Iniziò Francy evidentemente a disagio e tirandomi la maglietta con un broncio dispiaciuto che avrebbe dovuto intenerirmi. E maledizione se ci riusciva.

Piegai la testa di lato, mentre la leggera irritazione già svaniva, e poi guardai Evelyne. - Stiamo in… - Mi bloccai.

Francy non disse niente.

Ci guardammo.

Evelyne arricciò le labbra in uno strano sorriso trattenuto che le avevo visto fare spesso. - State? - Incitò.

Non stavamo un bel niente visto che dovevamo ancora parlare!

Per fortuna quel silenzio imbarazzante fu interrotto; o forse per sfortuna: - Gray! – Chiamò Clark, con la stessa smorfia che aveva avuto da quella mattina, avvicinandosi.

Il sorriso divertito di Evelyne si spense non appena i suoi occhi trovarono chi avesse parlato, ma anche dopo averlo riconosciuto lo guardò dritto in faccia, senza esitazioni. Probabilmente si era aspettata che quel confronto sarebbe presto arrivato. - Cosa c'è, Clark?

Lui si fermò a pochi passi da lei e sorrise, all'improvviso. - Sappi che mi vendicherò.

Lo sguardo di Evelyne cedette un attimo, mentre Francy, con una smorfia, l'affiancava, ma si recuperò in fretta. - Adesso non esagerare: abbiamo sbagliato entrambi e dovremmo semplicemente chiuderla qui.

- Entrambi?! Io dove avrei sbagliato?! - L'espressione di Seth era cambiata di nuovo, con altrettanta rapidità: e adesso c'era rabbia.

- Mi hai portata in una camera! E di certo non per parlare!

- Mi stai forse dando la colpa?! Tu non ti sei mai opposta! - Ribatté, cercando, come Evelyne, di non urlare per non farsi sentire da altri oltre che da noi tre.

- Avevo bevuto! Non mi giustifico con l'alcool per averti baciato ma per il resto sì. Dopo quello non riuscivo davvero a capire cosa stesse succedendo, altrimenti non te l'avrei mai permesso! A momenti non mi sembrava di avere nemmeno te davanti! E in camera ti ho detto di no, ma stavi continuando. Puoi dire che ho sbagliato a provocarti ma tu ne hai approfittato, stavi perfettamente approfittando della situazione e di me! - Si difese prontamente in argomenti a cui sembrava evidentemente aver già pensato.

- Approfittando?! Ho approfittato?! E di cosa? Mi hai reso ridicolo davanti a tutti i miei amici e l'intera scuola non fa che parlare dell'idiota che si è fatto prendere a pugni per la Gray. Di cosa avrei approfittato?!

Mi corrucciai notando quanto rancore ci fosse dietro a tutte quelle parole.

- Clark, il mio era solo un bacio! Non potevo immaginare del pugno!

- L'hai cercato tu quel pugno! Non essere bugiarda!

E con quella frase non potei evitare di dare un po' di ragione a Seth: Evelyne una vendetta dopo tutto l'aveva cercata, aveva agito per quella; ma tutta quella rabbia era fin troppo eccessiva e sbagliata.

- E invece non sono bugiarda a dirti che non mi sarei mai aspettata qualcosa del genere!

- Volevi che ci fossero solo spintoni allora? Siamo sempre lì!

Evelyne sembrava sempre più in difficoltà e Francy la guardava preoccupata. - No! Non potevo immaginare quella reazione, così come non l'hai immaginata tu ieri sera prima che accadesse! - Esclamò.

- Ma sta zitta, Gray!

- No che non sto zitta! Ho ragione anch'io e devi ascoltarmi!

- Non osare dire di avere ragione! - E ormai fuori di sé, la strattonò per una spalla, avvicinandola in una presa che solo a vista sembrava già fin troppo stretta; Evelyne strinse gli occhi e cercò di allontanare la mano di lui con le sue.

Francy reagì di scatto, portandosi avanti e strattonando la sua amica indietro, ma non riuscendo in realtà a muoverla perché bloccata da Seth. - Eve, andiamo via! - La pregò comunque, anche se non serviva.

- Seth, basta! - Intervenni toccandogli il braccio con cui aveva afferrato Evelyne. - Stai esagerando! - Lo ammoni in un tono che non ero solito usare.

In risposta mi arrivò uno spintone che mi fece traballare all'indietro. - Non intrometterti, Alex, non c'entri un cazzo!

Mi sporsi di nuovo in avanti. - Ti allontani e ti calmi?!

- Clark! - Ci girammo tutti di colpo: Max si era avviato verso di noi, probabilmente vedendo tutta la scena dal nostro tavolo, e ci raggiunse con uno sguardo impassibile.

Seth sembrò irritarsi ancora di più con quell'ulteriore presenza. - Eccolo! Ovvio che arriva a pararle il culo un'altra volta! Vuoi darmi un altro pugno?!

- Lasciala andare! – Ordinò abbastanza strettamente Max, avvicinandosi ai due ma non toccandogli il braccio come avevo fatto io, probabilmente per non rischiare di peggiorare il tutto.

Evelyne che continuava a cercare di allontanare la presa rispose velocemente, in difficoltà più di prima, forse per la situazione, forse per l'arrivo di Max: - Va tutto bene! Stavamo solo parlando!

- Esatto, sloggia, Parker! – Sillabò Seth guardandolo infuriato.

Max ricambiò lo sguardo arrivando quasi a un soffio dal suo (ex) amico, ma rivolgendosi ad Evelyne: - Se c'è qualcuno con cui lui deve parlare quello sono solo io, con te non ha niente da dire e di sicuro niente per cui metterti le mani addosso.

Seth si decise a mollare la presa e la Gray fece subito un passo indietro. - Invece ne ho eccome di cose da dire. E parlo con lei perché con te non voglio più avere a che fare davvero per tanto tempo! – Spiegò e nonostante la frase stava evidentemente fronteggiando solo Max in quel momento.

L'altro sorrise ironico, spostandosi e mettendosi tra lui ed Evelyne, allontanandola ulteriormente con un leggero tocco sul braccio a cui lei ubbidì, con una strana vergogna sul viso. - Peccato, allora non parlerai con nessuno visto che lei devi lasciarla stare.

- Ha fatto la cazzata e adesso se ne assume le responsabilità!

Evelyne tentò di rispondere, da dietro le spalle del capitano: - Lo sto già facendo! Ma devi assum…

Fu interrotta e coperta di nuovo da Max: - Dentro la cazzata ci sei enormemente anche tu, Clark!

- E tu ancora di più, Parker! - Ribatté Seth, ormai interamente concentrato su di lui, proprio come Max aveva probabilmente voluto.

- Non litigate! - Provò ancora a intervenire Evelyne mentre Francy le blaterava di non farlo. - Max ieri ha sbagliato, ma non devi prendertela con lui!

- Non ho sbagliato un bel niente, se l'è solo meritato! - Si oppose il ragazzo che continuava a non volere che lei fronteggiasse di nuovo Clark.

- E non sarebbe colpa sua?! Visto che la mano non gliel'ha di certo mossa qualche forza superiore?!

- Ragazzi, basta! - Li scongiurai, non volendo davvero che ci fosse un'altra litigata seria trai miei due amici e avendo visto anche, guardandomi intorno, la cuoca della mensa che ormai – avendo intuito la situazione e il suo potenziale pericolo - ci stava raggiungendo.

Seth aprì la bocca per rispondere ancora: - No, che…

Finalmente la donna bionda ci aveva raggiunti. - C'è qualche problema? - Chiese, con un cipiglio severo che attirò persino gli occhi di Max e Seth. - In caso affermativo direi che chiamerò la preside! – Minacciò, osservandoci tutti per qualche secondo ciascuno.

Forse fu l'idea di un possibile arrivo della nostra orrenda preside o forse l'intervento di qualcuno di esterno che non c'entrasse con quello che era successo la sera prima, ma quella frase sortì l'effetto desiderato e i miei due amici si allontanarono l'uno dall'altro.

- Nessun problema. Non ancora perlomeno, – rispose Seth e, dopo un'occhiata fredda ad Evelyne e Max, ci diede le spalle, avviandosi verso la porta d'emergenza che dava sul giardino.

La cuoca sembrò soddisfatta e fece per aggiungere altro, ma proprio in quel momento Evelyne, con uno sguardo cupo, si staccò da Francy, accennando ad andarsene.

- Eve! - La chiamò Francy, bloccandola per il braccio.

- Francy, ti prego, lasciami; dopo, – la scongiurò, con una smorfia davvero seria sul volto e l'altra lasciò la presa. Che altro avrebbe dovuto fare, dopo tutto?

La cuoca della nostra scuola guardò, come noi, la Gray che si allontanava, non capendo, forse come non potevamo nemmeno capire noi.

Max sospirò e passandosi una mano tra i capelli seguì i passi di Evelyne e fu chiaro che fosse intenzionato a raggiungerla; la cuoca fece spallucce e ci lasciò anche lei.

Rimanemmo così: solo Francy ed io, in mezzo alla mensa, in un punto dove probabilmente le orecchie e gli occhi di tutti erano stati puntati fino a quell'esatto momento.

- Cosa… Cosa ne pensi? - Mi chiese Francy e aveva una strana espressione triste, guardando Max che usciva definitivamente dal nostro campo visivo.

Ci pensai un attimo, girandomi anche per vedere se Seth fosse effettivamente uscito. - Non so, spero che Clark non faccia altre cazzate e…

Mi interruppe bruscamente. - Mi aveva promesso che non avremmo più avuto segreti.

La guardai, impreparato ed esitando un attimo. - Evelyne?

Annuì, inumidendosi le labbra. - Eppure non mi vuole dire di Max e adesso ha preferito andarsene… Con Max...

Istintivamente le spostai un ciuffo di capelli che le era scivolato sulla fronte, per attirare la sua attenzione su di me con cui parlava, ma senza quasi esserne consapevole. Riuscii ad avere di nuovo i suoi occhi nei miei. - Non devi fargliene una colpa... – Dissi e mi sentii orgoglioso di quella frase da persona seria. - Alla fine nemmeno tu le hai detto del nostro bacio di ieri. - Continuai a sentirmi davvero intelligente anche per quell'aggiunta particolarmente azzeccata.

Lei sembrò imbarazzarsi un attimo: o perché avevo nominato ancora il bacio o perché si era accorta anche lei di quanto l'ultima mia frase fosse vera.

- Quindi non fare quel broncio, qualunque cosa sia successa deve prima pensarci su e sistemare con Max, ma poi la saprai, magari non ora, ma poi la saprai. - E le sorrisi. Magari non ora perché potevamo parlare noi; potevamo baciarci, magari.

Sembrò illuminarsi e di conseguenza lo feci anch'io: il mio bacio?! Stavo per ricevere il mio bacio?!

- Alex! Hai ragione!

- E lo s…

- Deve evidentemente sistemare le cose con Max prima! O meglio, devono parlarne! Seguiamoli!

Mi sentii morire e mi si spalancò la bocca: probabilmente qualche anno di vita, dalla disperazione, mi uscì dalle labbra.

- Seguirli? - Riuscii a chiedere alla fine, sperando di aver capito male.

- Seguirli! Investighiamo! Lo saprò ora! - E mi afferrò la mano, trascinandomi fuori dalla mensa.

Il mio cuore soffriva.

 

 

- - - - - - - - - -

 

 

Non ero una che dormiva molto e ormai si era capito.

Non ero tra quegli adolescenti che fino a mezzogiorno riposavano se non andavano a scuola; non lo ero mai stata né prima di iniziare a lavorare, né ovviamente dopo, non avendone il tempo. Le sveglie non mi stavano di sicuro simpatiche, ma non le avevo mai nemmeno odiate. Il loro suono era sì fastidioso, ma utile: contribuiva a tirarmi fuori da uno stato d'incoscienza in cui a fatica mi ero infilata, tentennando.

Non mi piaceva particolarmente dormire.

Sembrava quasi che il mio corpo detestasse e respingesse il sonno, quell'annebbiamento dei sensi e della ragione.

Forse odiavo dormire perché non potevo pensare: nei sogni dominavano le sensazioni, le passioni; niente era logico; si agiva seguendo una specie di istinto, agendo di “pancia”.

E io non ero una ragazza che agiva così, normalmente; io ero abituata alla testa.

Così la sveglia era sempre gradita, come la luce, come la ragione.

Quel giorno non fu così.

Il mio cellulare suonò, come tutte le mattine, ma lo squillo acuto sembrò entrarmi in testa, nelle ossa e nel cuore per lo spavento che mi fece prendere.

Sobbalzai strappata bruscamente da sogni profondi, come non mai, offuscati, caldi.

Mi ritrovai sul mio letto, raggomitolata tra coperte stropicciate, con un cuscino storto sotto la testa, un capello in bocca e la mano di Max sulla spalla, un polpastrello sulla clavicola.

Mi svegliai già con gli occhi spalancati, notando che i miei sogni non sembravano tanto diversi dalla realtà.

Notando che i miei sogni erano in realtà ricordi.

Non mi diedi nemmeno il tempo di svegliarmi del tutto che mi sentii andare a fuoco, mentre il viso di Max, rivolto dalla mia parte in una posizione scomposta – quasi si fosse addormentato non volendo - si piegava in una strana smorfia assonnata, e la mano si sollevava dalla mia pelle per raggiungere la sua e ripararsi gli occhi chiusi dalla poca luce che entrava in camera.

Mi sentii bruciare e mi alzai dal letto, incespicando tra le lenzuola e rischiando di cadere per terra, di faccia.

Non aspettai altro e non volli dare secondi a Parker per aprire gli occhi - soprattutto perché mi ritrovai semplicemente in slip. Afferrai di corsa una maglietta, dalla sedia, e davvero prossima all'auto-combustione mi precipitai fuori dalla camera infilandomela.

Solo dopo essere entrata in bagno trovai il tempo di respirare, appoggiandomi alla porta.

Un respiro.

Due respiri.

Calma.

Pensa.

Le sensazioni a quel punto furono varie: c'era vergogna, tanto imbarazzo, per tutte le cose che avevo fatto – che avevamo fatto, corresse la mia sadica coscienza - e anche per quella fuga precipitosa che speravo davvero non avesse visto aprendo gli occhi prima che la porta si chiudesse; c'era ansia, perché non sapevo quale fosse il passo successivo, non sapevo come comportarmi, non sapevo cosa dire, né cosa fare; e c'era felicità, per quelle frasi della sera prima che mi pulsavano davanti agli occhi come il sangue che sentivo veloce contro le tempie; felicità perché nonostante ora me ne vergognassi ero felice di tutti i baci e di tutti i gesti compiuti, da parte di entrambi. Ma era appunto una felicità offuscata, intensificata ma distorta da tutto quell'imbarazzo.

Mi portai velocemente i capelli all'indietro, tenendomeli stretti con una mano, come a cercare aria – ne avevo davvero bisogno - e mi avvicinai al lavandino.

Vidi allo specchio gli occhi lucidi e il colorito rosso, le labbra gonfie.

Aprii il rubinetto e sentendo scorrere l'acqua continuai a guardarmi le labbra, testimoni anche loro di tutto quello che era successo.

Scossi la testa provando a prendere un lungo respiro e mi chinai, sciacquandomi la faccia più e più volte, cercando di calmarmi, di raffreddarmi, e di calmarmi. Avevo già detto calmarmi?

Ma niente funzionava perché l'acqua fredda non poteva cancellare le immagini e di conseguenza il mio colorito non migliorava.

Niente poteva cancellare gli occhi verdi di Max nel buio che sembravano di continuo nei miei, su di me; niente impediva alla mia mano di sentire ancora i suoi capelli e la sua pelle sempre così calda; niente riusciva a non farmi percepire ancora le sue carezze sulle gambe, sul fianco, sul seno, i suoi baci sul collo.

Mi guardai esasperatamente allo specchio, sentendo quasi l'affanno insieme a tutti quei ricordi della notte precedente.

Avrei dovuto cacciarlo dalla mia camera, prima che accadesse quello che era poi successo, solo per salvaguardarmi: il mio cuore non poteva evidentemente reggere Parker, non poteva sostenere quello che mi aveva detto né il modo in cui mi aveva toccata, nemmeno i miei neuroni sarebbero resistiti a lungo.

Mi morsi le labbra ed esitando con lo sguardo sul mio riflesso notai un orrendo particolare, solo in quel momento, un altro evidente testimone di tutto: un succhiotto sul collo.

Smisi di tormentarmi la bocca che si spalancò, insieme agli occhi. - Quando… - Borbottai esasperatamente, toccandomi con una mano la pelle fin troppo arrossata, mentre con l'altra aprivo i cassetti alla ricerca del fondotinta: sarei riuscita a coprirlo, vero?!

Mi bloccai di colpo, dopo aver trovato quello che mi ero messa a cercare, e deglutii avvampando: mi ricordai quando doveva aver lasciato quel marchio, di preciso, durante tutta la notte appena trascorsa. Quel ricordo era stato accantonato in un angolo, sperando che non tornasse più fuori, ma era impossibile che non lo facesse: un ricordo che si apriva con Max e me sotto le coperte, tra baci, respiri mozzati, frasi sussurrate a metà perché era difficile starsi così tanto lontani, un velo di sudore tra le nostri pelli che si scontravano e toccavano ad ogni centimetro, se non per slip e boxer, ancora addosso, come una barriera muta che ci impedisse di andare davvero oltre il capolinea; ma lì, tra quelle carezze, tra quella fitta allo stomaco, tra tutto quel caldo, tra i miei occhi che volevano vederlo ma faticavano a stare aperti, lì mi ero stretta a lui di più, strusciandomi e chiedendogli anche a voce, in un sussurro, in un gemito, di andare oltre quel capolinea.

Pensai in quel momento che forse mi sarebbe servita una doccia fredda, urgentemente. E magari anche una pala: avrei scavato un buco per poi staccarmi la testa con quella.

Avevo fatto la gatta in calore. Sul serio.

Ma soprattutto dopo quella mia preghiera - perché era stata una preghiera, aggrappandomi con le mani alle sue spalle e così vicina da far sentire a me e a lui quanto pochi millimetri di stoffa ci separassero da quel capolinea -, di poterlo sentire dentro nel corpo quanto lo era già nell'anima, dopo quella lui aveva risposto di no, con un sussurro spezzato.

Al mio sguardo spaesato, che chiedeva perché, aveva risposto con baci ancora più urgenti, stringendomi i polsi e bloccandomi al materasso, baciandomi il collo, mordendolo, lasciandomi quel marchio rosso, e poi, scivolando dalle mie mani, era sceso a baciarmi e a stringermi, per poi andare più in basso, abbassandomi gli slip e incrociando gli occhi ai miei.

Dov'era la pala?

Con gli occhi di Max addosso e la sua bocca contro, la vergogna per quella richiesta implicita – e in parte esplicita – di fare l'amore, era passata in secondo piano, insieme al rifiuto che avevo ricevuto.

Ma in quel momento era mattina e io mi guardavo allo specchio, rossa come un pomodoro, e mi chiedevo: “Perché?”.

Perché Max aveva risposto di no?

Di solito non era il contrario? Le donne che dicevano di no a quel tipo di richieste e gli uomini pregavano?

Mi mordicchiai le labbra continuando ad osservarmi: forse non gli piacevo abbastanza per quello?

Però ripensai alle frasi che mi aveva detto il giorno prima, al modo in cui mi aveva toccata e baciata e seppi che quella non era la risposta.

Allora perché?

La bolla in cui mi ero racchiusa, con pensieri e immagini e sensazioni, scoppiò in un attimo e sobbalzai sul posto, ancora, sentendo la porta aprirsi e richiudere velocemente e poi la chiave girare nella toppa.

Diedi una vaga occhiata alla mia sinistra, cercando di non trattenere troppo il respiro e appoggiando il fondotinta sullo scaffale.

Vedendo Max - che si era infilato la maglietta del giorno prima e solo quella - passarsi una mano tra i capelli sorridendomi, capii che il lapsus che mi aveva fatto dimenticare di chiudere la porta fosse accaduto col chiaro desiderio che lui mi raggiungesse.

Ripuntai lo sguardo davanti a me, verso l'interessante rubinetto che mi decisi finalmente a chiudere e vidi, senza alzare troppo lo sguardo dal riflesso della mia maglietta, Max che si avvicinava, mettendosi dietro di me.

- Quella fuga come dovrei interpretarla? - Chiese divertito e lo sentii appoggiarsi alla mia schiena col petto, sistemando le mani sul lavandino, una alla mia destra, l'altra alla mia sinistra.

Alzai finalmente lo sguardo trovando il suo nello specchio.

- Hai gli occhi lucidi. – Mi fece notare, prima che potessi aprir bocca e sorrise ancora; ed erano i sorrisi belli.

- Anche tu, – ribattei, sostenendo l'occhiata.

Alzò le sopracciglia ma non rispose. Io diedi un rapido sguardo a entrambi, inquadrandoci insieme in quel riflesso, e lui sembrò distrattamente fare lo stesso, appoggiando il mento sulla mia testa.

- Perché la fuga, Evy?

Ed eravamo davvero diversi fisicamente, oltre che caratterialmente, lo notai con più evidenza di qualsiasi altra volta. Ma gli occhi, gli occhi in quel momento, nonostante il colore fosse così diverso, sembravano uguali.

- Nessuna fuga, – risposi e provai a spostarmi da quella posizione, ma lui me lo impedì.

- Ah no? - Chiese scettico e mi spostò un ciuffo dietro l'orecchio, scoprendo il succhiotto sul collo per puro caso. Lo vide e scoppiò a ridere; io mi irritai e provai a girarmi per sfuggire alle sue braccia.

- Dai, no! Non rido, giuro che non rido più! - Mi promise bloccandomi ancora e facendomi finire con la schiena contro il lavandino, rivolta sempre verso lui.

- No, bugiardo! - Esclamai, anche a disagio per la situazione e per tutta la vicinanza che mi ricordava tremendamente quella avuta durante la notte.

Sorrise ancora, questa volta più ironicamente. - Io? Bugiardo? Chi ha appena detto di non aver tentato la fuga poco fa?

Aprii la bocca per ribattere, ma si avvicinò col viso, in un gesto che mi zittì immediatamente. - Da cosa scappavi, Evy? - Mi provocò.

- Da niente. - Non cedetti.

- Ah, pensavo da me, sai? - Fece retorico e si chinò ancora arrivando a un soffio dalle mie labbra. - Poi, io che volevo, appena sveglio…

Alzai le braccia e lo bloccai appena in tempo, per me e la mia salute mentale; anche se una parte dentro di me si alzò in protesta e la lamentela risuonò rumorosa.

Mi guardò sorpreso, così vicino, con gli occhi indecifrabili.

- Dobbiamo parlare, – decretai, con la gola secca e la voce incrinata. Perché in quei minuti in bagno, ripensando a tutto quello che era successo, avevo capito quale dovesse essere il passo successivo: parlare; spiegarci perché, davvero, senza urla, senza frasi gettate e dette per rabbia, fossimo andati con Dawn e con Clark e perché poi ci fossimo trovati noi su un letto; sapere cosa significassero sul serio le cose che mi aveva detto.

Mi sentii toccare un fianco e mi tesi subito, trattenendo il respiro; Max sorrise e si avvicinò di nuovo, sfiorandomi il mento con le labbra. - Di cosa? - Chiese e arrivò lentamente all'angolo della mia bocca prima che parlassi di nuovo.

- Di quello che è… Successo, – riuscii a rispondere, in un sussurro, e volli allontanarlo, perché non dovevano esserci baci in quel momento, ma parole: alzai le braccia verso il suo petto, per spostarlo, ma sentendo sotto le mani, sotto la maglietta, la sua pelle calda, mi bloccai, incapace di spingerlo via.

- E c'è bisogno di farlo adesso? - Continuò, sfiorandomi e provocandomi con le labbra e la punta del naso, gli occhi fissi nei miei e la mano che lentamente, ferma sul fianco, sembrava star sollevando la maglietta.

Nella mia testa partì il campanello d'allarme: i neuroni ormai conoscevano quel soggetto che avevo di fronte ed erano ancora abbastanza lucidi per scongiurarmi di porre metri di distanza tra me e lui. Metri, o anche chilometri, forse così saremmo riusciti a parlare.

- Sì, adesso! - Insistetti, tirando indietro almeno il viso, per allontanarmi dalla sua bocca. Quei pochi millimetri richiesero uno sforzo titanico. - E smettila! - Lo sgridai, arpionandogli la mano che chiaramente stava provando a scoprirmi di più la pelle.

Rise, e quel buon umore - nonostante l'orario, nonostante il risveglio brusco, nonostante il sonno che doveva avere - mi fece arrossire: sapevo a cosa fosse dovuto.

- Smetterla? - Ripeté, toccandomi l'altro fianco con la mano che non avevo afferrato.

- Sì! – Confermai, di nuovo in difficoltà. - E smettila anche di fare queste domandine idiote!

- Le faccio perché non voglio parlare, – spiegò sbuffandomi divertito sul mento e chinandosi lentamente verso il mio collo, sfiorandomi con le labbra.

- In questo modo non eviterai che… - Iniziai con coraggio, provando di nuovo a ribellarmi al suo tocco, alle sue labbra vicine al marchio che mi aveva simpaticamente lasciato.

Provando, perché la mano sul fianco cominciò ad accarezzarmi piano ed ebbi un violento flash di quella notte e mi mancò il fiato.

- Che? - Mi spronò, a bassa voce, con la bocca sul mio collo, lasciandomi lievi baci. E di sicuro mi stava prendendo in giro, come sempre, felice di quell'ascendente che aveva su di me e aumentava di continuo, notandolo sempre più.

- Che… - Continuai ma la parola quasi non si sentì.

Le sue labbra scesero, fino alla base del collo, vicino alla spalla.

- Che… - Feci ancora ma non mi ricordavo più come avessi avuto intenzione di proseguire la frase. Era un verbo.

Percepii un sorriso contro la pelle e poi un altro bacio, mentre risaliva, e un piccolo morso avvicinandosi all'orecchio.

- Succeda, – conclusi e avevo la pelle d'oca, gli occhi ormai chiusi. Mi ritrovai la mano non più sulla sua, per bloccarla, ma sul suo braccio, per avvicinarlo.

Ci volle poco, con quella debolezza che stavo avendo, a sentire le sue gambe contro le mie e la mano sul fianco, sotto la maglietta.

Ci volle poco a non oppormi alle sue labbra sul mio orecchio destro quando sussurrò: - E cos'è che vuoi che succeda?

Non me lo ricordavo più.

Ma girando il viso, di lato, trovando il suo, fu lui ad interpretare: e mi baciò.

Ritrovare le sue labbra fu strano. Fu strano perché ormai mi sembrava di conoscerle a memoria, di sapere quanto fossero morbide, perfette, di non aver mai assaggiato altro che lui; mi ricordavo quel suo modo di stringermi il labbro inferiore per chiedere di approfondire, quel suo avvicinarmi e toccarmi il fianco, salendo in punta di dita. Ma fu strano perché allo stesso tempo mi sembrava di baciarlo per la prima volta ed era sempre così, tutte le volte che ci allontanavamo di millimetri, per poi tornare più vicini di prima. C'era sempre qualcosa di nuovo, in lui, nelle labbra, o forse in me.

Sentii quasi senza rendermene conto la sua mano arrivare sotto il seno, sfiorandomi, e fermarsi lì; mentre il bacio quasi mi impediva di respirare e una fitta alla pancia mi faceva uscire dalla labbra, ogni volta che ci allontanavamo, ansimi di protesta, sprecando sempre più la poca aria che avevo.

E dovevo avere davvero poco ossigeno anche nel cervello: continuavo a baciarlo, fremendo e rischiando di farmi uscire altri lamenti perché la sua mano non si decideva a salire e le sue dita bruciavano; e io avrei dovuto parlare, avevo voluto parlare.

Ma in quel momento volevo solo Max.

Max che mi spostò e lo assecondai, senza la minima esitazione, andando a finire, camminando a fatica contro di lui, con la schiena contro la lavatrice lì vicino.

Le sue labbra si allontanarono un secondo dalle mie, con l'apposito obbiettivo di farmi concentrare solo sui suoi occhi dritti nei miei e sulla sua mano e sulle sue dita che scivolarono ancora in alto, circondandomi finalmente il seno e mandandomi ancora di più a fuoco. Poi mi fu di nuovo addosso e soffocai un gemito, che sarebbe stato troppo rumoroso senza le sue labbra contro.

Quando sentii poi la sua mano sotto la coscia, probabilmente apprestandosi a sollevarmi per farmi sedere sulla lavatrice, due battiti sulla porta risuonarono nel bagno.

Non capii subito, continuando ad essere arpionata a lui, e anche Max sembrò fare lo stesso, nonostante la sua mano avesse rinunciato a sollevarmi.

Poi si sentì di nuovo il colpo sulla porta e bruscamente le nostre labbra si separarono, la sua mano scivolò fuori dalla mia maglietta.

- Evelyne? - Chiamò da fuori mia zia, bussando ancora.

Max ed io ci guardammo, entrambi col fiatone – io in particolare - e ci allontanammo.

- Sì? - Chiesi e la voce acuta che mi uscì non fu un buon modo per rispondere.

- Hai finito in bagno?

- U-un attimo! - Balbettai, cominciando a capire sempre di più la situazione e guardando Parker nel panico, nonostante sentissi ancora l'eccitazione fin nelle ossa.

Lui sembrò preoccupato come me e si guardò intorno cercando una via di fuga e non trovandola. Non trovandola da nessuna parte se non nella finestra. La guardò due volte per poi tornare su di me. - No, ti prego, Evy, di lì no, – suonò quasi a preghiera quella frase detta a bassa voce, e rischiò di sfuggirmi una risata nonostante il tutto fosse in realtà tragico.

Camminai velocemente fino a quella, aprendola e guardando fuori. - E' come scendere da quella di camera mia! - Cercai di fargli notare, anche se in realtà sembrava il tutto un po' più pericoloso da quel lato della casa.

Si avvicinò, affacciandosi fuori con una smorfia e poi tornò a guardarmi. - Non ho i jeans, non puoi sul serio chiedermi di calarmi da una finestra in mutande. - E avrei davvero riso in un'altra situazione perché Max con una faccia così esasperata non l'avevo mai visto.

La mia espressione gli bastò come risposta e con un sospirò scavalcò la finestra con una gamba. - Almeno l'aria fredda mi aiuterà – commentò apaticamente.

- Eve? - Richiamò mia zia e Max mi guardò di nuovo, sempre con una smorfia. E mi avvicinò, tirandomi per la maglietta, e strappandomi un bacio a fior di labbra che durò fin troppo poco.

- Ho un déjà vu, sai? - Mi disse dopo essersi staccato e sorridendo. Fece ridere finalmente anche me, fin troppo fuori dal mondo fino a quel momento e sentivo ancora la sua bocca sulla mia.

- Era diverso, – risposi, continuando a sorridere, con la strana aria che dovevo aver avuto tante altre volte insieme a lui.

- Solo perché quella volta l'arrapata che mi è saltata addosso sei stata tu, – ribatté e poi si calò finalmente dalla finestra.

- Ti stai dando dell'arrapato, adesso, Parker? - Gli chiesi affacciandomi.

Sorrise ma guardando dove metteva i piedi. - Lanciami i pantaloni da camera tua! - Mi ricordò, poco prima che chiudessi la finestra.

Prima che mia zia potesse di nuovo reclamare il bagno andai a girare la chiave nella toppa, aprendole.

Lizzy, con la solita aria da prima mattina, mi osservò un attimo, alzando un sopracciglio. - E tutto questo tempo?

Non risposi e le sorrisi automaticamente, ripensando a Max che si stava calando solo in maglietta e mutande e al bacio e a quello che era successo prima e…

Merda, pensai bloccandomi, ma noi avremmo dovuto parlare!

Il sorriso mi si cancellò e zia Elizabeth mi sorpassò entrando di poco in bagno, guardandomi in modo strano. - Cosa c'è? - Mi chiese.

- Niente, – blaterai, cominciando già ad avviarmi in camera mia, ma mi fermai di colpo anche in quel caso, girandomi a guardarla, ancora sullo stipite della porta ad osservarmi. - Perché sei già sveglia? - Non doveva lavorare né far niente e solitamente non la incrociavo mai prima di andare a scuola. Lei al contrario di me amava dormire.

- Dovevo controllare una cosa, – rispose facendo spallucce e chiudendosi la porta dietro.

Decisi di lasciar perdere entrando in camera mia.

Sospirai guardando il letto interamente scomposto e trovai facilmente i jeans di Parker, di fianco al letto, sopra il mio vestito.

Mi imbarazzai un attimo, sollevando quelli e le scarpe lì vicino, ma il mio sguardo si concentrò sui primi.

Dovevamo decisamente parlare e la prossima volta non mi sarei fatta abbindolare: avevo la tremenda sensazione che Max avrebbe volentieri continuato così, tralasciando quel che era successo, cos'era significato e le sue frasi; non parlandone.

Perché faceva paura, aveva detto.

Avvampai ancora di più, pensando al perché potesse fargli tutto così paura e le cose che mi passavano per la testa come possibili risposte non potevano impedire al mio cuore, che si era già riparato, più solido di prima, dopo la crepa che si era formata la sera prima, di battere come un idiota.

Il mio cuore era un idiota.

E lo ero anch'io.

Sorridente, rossa e con gli occhi lucidi: innamorata.

La sera prima era sembrato che la malattia che mi stava tormentando mi avesse definitivamente uccisa, poi avevo provato a rianimarmi da sola, cercando vendetta, per poi ritrovarmi sepolta nella tomba e alla fine di nuovo viva, malata ma sentendomi sana, baciando Parker.

Ed ero un'idiota ma felice.

Sospirai esasperata con me stessa e appoggiando i jeans sull'avambraccio mi avviai verso la finestra. E fu così, casualmente, che il portafoglio di Max scivolò da una tasca, per terra.

Mi fermai, tornando indietro di pochi passi e chinandomi per raccoglierlo: osservai anche quell'oggetto, all'inizio disinteressata, poi pensierosa e alla fine curiosa.

Deglutii.

Con Max avrei dovuto parlare, di tutto, e l'avrei costretto a farlo, ma c'era una cosa che non avrei mai trovato il coraggio di chiedergli pur continuando a volerlo sapere.

Un “perché?” che mi ero fatta anche in bagno: perché non aveva voluto farlo con me?

Continuai a guardare il portafoglio con un fare esageratamente angustiato.

Sapevo che probabilmente era stato meglio così: se l'avessimo fatto forse le cose mi sarebbero sfuggite troppo dalle mani, troppo coinvolti; io forse mi sarei sentita ancora più legata a lui, ancora più presa da lui, quando quasi niente era davvero chiaro.

O forse era semplicemente sesso e io davo troppa importanza alla prima volta e pensavo troppo e forse, pensai quasi ridendo da sola, forse semplicemente mi aveva detto di no perché non aveva nemmeno un preservativo con sé. Semplice e logico!

Mi passai quindi il portafoglio dalla mano destra alla sinistra più e più volte, pensando a cosa fare, se controllare davvero cosa ci fosse dentro.

Alla fine mi decisi, dando una veloce occhiata alla finestra e pensando a Parker che aspettava quei pantaloni: Max in boxer in giardino.

Aprii velocemente il portafoglio: tessere, carta d'identità, patente, un biglietto da cinque euro spiegazzato come ricordo di un viaggio in Europa; aprii la parte delle banconote e, insieme a un po' di soldi, vidi davvero quello che non avrei voluto trovare: un preservativo.

Osservai un altro po' il quadratino colorato che avevo davanti. Poi finalmente chiusi il portafoglio, infilandolo di nuovo nella tasca dei jeans di Max e andando ad aprire la finestra.

Non sapevo che altre spiegazioni darmi e non volevo più pensarci, non avrei mai saputo ma mi andava bene così.

No, in realtà no.

Mi affaccia frustrata, trovando Parker che si guardava attorno con fare esasperato. Gli lasciai cadere i jeans e le scarpe davanti e lui alzò gli occhi di colpo.

Mi sorrise prendendoli. - Una tua vicina mi ha visto, credo si sia emozionata con un tale spettacolo davanti; o sta chiamando il 911, ma è meno probabile.

Scossi la testa, sospirando ma non riuscendo a non ridere. - Vattene! - Lo cacciai.

Mi ammiccò da là in basso e questa volta il déjà vu lo ebbi io.

Chiusi la finestra e guardando casualmente alle mie spalle vidi l'orologio analogico appeso alla parete e impallidii: ero in ritardo, tremendamente in ritardo!

Sobbalzai, correndo di nuovo verso il bagno e bussando disperatamente per farmi aprire da Lizzy.

Pochi minuti dopo, in tempi record, ero pronta: mi ero lavata e infilata vestiti a caso di corsa, più una sciarpa che sarei stata obbligata a tenere per il resto del giorno, e cercando di mettermi le scarpe stavo scendendo le scale inciampando.

- Non fai colazione? - Mi chiese Elizabeth, con un toast imburrato in mano e osservandomi mentre le passavo di fronte di corsa.

- Non ho tempo! - Mi lamentai lottando a morte con le all star che non si decidevano ad allacciarsi.

- Come mai questo ritardo? - Domandò ancora, continuando ad osservarmi di sottecchi. - Hai fatto troppo tardi ieri sera?

La osservai cercando di non tradire niente dallo sguardo. - No, sono andata a letto appena tornata a casa e non era tanto tardi… - Blaterai, letteralmente analizzando la sua espressione.

- Sì, in effetti quando sei venuta a spegnere la tv mi ero addormentata da poco e non doveva essere notte fonda, – commentò, facendo spallucce e guardando il suo toast.

Mi sfuggì un breve sorriso di sollievo e sistemandomi meglio la tracolla sulla spalla annuii. - Ci vediamo dopo allora, Lizzy!

E mi mossi di nuovo velocemente: feci per uscire, afferrando le chiavi con una mano e infilandomi la giacca a fatica anche per colpa della sciarpa, oltre la tracolla.

- Ah comunque, – iniziò di nuovo zia Lizzy, avvicinandosi, sempre col toast in mano e con la stessa espressione.

- Sì? - Chiesi spostandomi i capelli all'indietro esasperatamente e con una mano già sul pomello della porta.

Sorrise. - La prossima volta Max puoi anche farlo uscire dalla porta, le finestre sono un po' pericolose, sai?

 

 

Quello era stato il mio risveglio.

Era seguita un'apparente sensazioni di morte – o forse non tanto apparente – dopo la frase di Elizabeth, ma tutto era andato bene.

Era andato bene anche se il suo sorriso, che era diventato, subito dopo il “sai?”, malizioso, mi rimbalzava ancora davanti agli occhi.

Mia zia sapeva.

Mia zia aveva sentito la litigata tra me e lui la sera prima – come avevo potuto credere altrimenti con le urla che avevamo cacciato?!

Mia zia aveva probabilmente sentito la sua ultima frase e poi il silenzio.

Silenzio.

Mia zia probabilmente aveva immaginato cosa significasse quel silenzio e per quello si era svegliata presto, per controllarci.

Okay, nulla era andato bene!

La giornata era andata via via peggiorando: le occhiate che avevo ricevuto ovunque a scuola, arrivando in ritardo; le chiacchiere non di certo a bassa voce su quello che era successo con Clark e Parker alla festa; Francy che non capiva quanto mi servisse calma, momentanea, quanto mi servisse sistemare con Max prima di parlare con lei; e poi direttamente Clark aveva dato il colpo di grazia.

Il colpo di grazia facendomi sentire ancora più una merda, in colpa per quelle azioni sbagliate.

Avevo davvero sbagliato.

Con quei sentimenti stavo scappando via dalla mensa, non potendone più.

- Evy! - Mi sentii chiamare e avrei saputo benissimo chi era anche non riconoscendo la voce: chi altro usava quel soprannome dopo tutto?

Non mi fermai però, continuando a camminare imperterrita, quasi illudendomi di potergli davvero sfuggire.

Ma quando mai ci ero riuscita?

- La smetti di scappare?! - Mi chiese, afferrandomi per il polso e bloccandomi con forza sul posto.

Mi voltai, trovandomi subito davanti i suoi occhi: sembrava arrabbiato e qualcosa gli passava per la testa, probabilmente ragionamenti simili ai miei, su Clark.

- Non sto scappando! – Negai, spostandomi un ciuffo sfuggito alla coda che mi ero fatta nervosamente a mensa, sentendo tutti quegli occhi addosso.

- Lo stai facendo! – Ribatté lui. - Anche stamattina! – Mi fece notare e con quell'accenno i suoi lineamenti sembrarono ammorbidirsi un attimo.

Scossi la testa, non guardandolo e osservandogli la semplice maglietta bianca. - Non si possono comparare le due cose.

- Più o meno. - Sospirò appoggiandosi al muro e lasciandomi andare il polso, sapendo che non volevo più andarmene.

- Hanno solo in comune il fatto che volevo pensare, con calma, da sola – gli spiegai.

Ci mise un attimo a rispondere, sentendosi probabilmente preso in causa nella frase: - Pensi troppo.

Lo guardai male. - Penso quanto bisogna farlo. Bisogna pensare ogni tanto e ragionare e…

- E che conclusioni avresti tratto? - Chiese, quasi ironico e mi diede sui nervi.

- Che ho fatto solo cazzate che non avrei mai dovuto fare – risposi, senza pensarci, troppo irritata e avendo in mente solo Clark.

Il sorriso di Max si congelò e non capii. - Ah, davvero? Bene. - E si staccò dal muro passandomi di fianco per sorpassarmi.

Lo guardai incredula, inseguendolo io questa volta.

 - Max! Che ho detto?!

Non mi rispose continuando ad andarsene.

E finalmente collegai. - Non mi riferivo a te!

- Ah, non lo so! – Ribatté freddamente, girando a destra all'incrocio tra tre corridoi.

Mi aggrappai al suo braccio per bloccarlo. - Parliamo? - Gli chiesi e ormai sembrava davvero necessario, non solo da parte mia.

Si girò e gli occhi verdi mi squadrarono un attimo, con una smorfia. - E parliamo. – Concedette, quasi scocciato.

In quel momento si sentirono altre due voci, dal corridoio che avevamo appena svoltato, e noi ci bloccammo, in ascolto.

- Dove saranno andati secondo te?!

- Francy, non credo sia una buona idea, sinceramente …

Max ed io ci guardammo: io incredula che continuassimo ad essere interrotti in quel modo, mentre lui semplicemente mi trascinò contro la parete subito dopo l'angolo del corridoio, sperando che i nostri due amici non andassero oltre.

- Alex, dove?!

- Ehm, boh, saranno usciti! Sì, dai, di sicuro usciti! - Suggerì Kutcher con un tono che indicava quanto credesse e sperasse che la sua idea fosse in realtà sbagliata.

- Giusto! - Francy però sembrò crederci e Max ed io tirammo un sospiro di sollievo: per uscire bisognava girare a sinistra a quell'incrocio, non a destra dov'eravamo noi.

I passi si avvicinarono sempre più e Francy, vidi i suoi capelli da dietro mentre oltrepassava l'angolo dove ci eravamo bloccati noi, si fermò, portandosi le mani sui fianchi e guardando dove sarebbe dovuta andare.

- Sicuro vero? - Esitò all'improvviso.

- Al 99%! - Insistette lui affiancandola e sorridendo.

E da quella posizione eravamo perfettamente visibili, bastava che entrambi si girassero e saremmo stati quasi davanti a loro.

E fu quello che Alex fece: si girò, dando un'occhiata al corridoio che dava la seconda possibilità e i suoi occhi finirono su di noi. Li sgranò, terrorizzato di averci visto e che fossimo così vicini.

Io mi portai esasperatamente una mano sulla fronte, Max cominciò a fargli bruscamente, ma silenziosamente, cenno di andarsene.

E Alex assecondò volentieri il consiglio: - Su! Andiamo! - E cominciò a spingerla dalla parte opposta alla nostra.

- Ma aspetta, Alex! - Ribatté lei.

- Non c'è tempo, Francy! Li perderemo! Corriamo! Su! Non senti i loro passi mentre si allontanano?! Mi sembra anche di vederli!

- Ma no! E un attimo che guardo anche… - Fece per girarsi mentre parlava, ma non finì la frase e nemmeno il movimento, perché Kutcher la bloccò appena in tempo: con un bacio.

A Parker e a me si dipinse la stessa smorfia sconvolta per il gesto improvviso e brusco.

Francy fece una lieve protesta, troppo sorpresa, provando a ritirarsi, ma fu riafferrata dal moro e alla fine cedette; sembrò anche volentieri.

- Io non so cosa succede ultimamente, – commentò Max, a bassa voce, scuotendo la testa e facendomi cenno di andarcene.

Fui d'accordo e lo seguii.

Dopo pochi minuti di silenzio, in cui io mi guardavo nervosamente dietro, come temendo che qualcun altro ci raggiungesse o vedesse, giungemmo all'ala più isolata della scuola, ma che io conoscevo molto bene essendo vicino ai laboratori e quindi al mio giornalino.

- Dove andiamo? - Gli chiesi, dopo essermi guardata per l'ennesima volta alle spalle, anche se l'avevo già capito.

Non mi rispose e continuò a camminare, arrivando proprio dove avevo pensato io: aprì la porta dello sgabuzzino del bidello Joe che lui si dimenticava perennemente di chiudere a chiave.

Entrai, senza aggiungere altro e sfiorandolo casualmente con una spalla.

Si chiuse dietro la porta e schiacciò con un colpo veloce l'interruttore: la piccola lampadina, che cadeva appesa a un filo nel centro della stanza, si accese tremolando e illuminando male l'ambiente.

- Joe non viene mai qua prima della penultima ora e nessun altro ha motivi per entrare – mi spiegò brevemente, facendo spallucce e avvicinandosi a me.

- Esperto dello sgabuzzino di Joe? - Chiesi ironicamente.

Gli sfuggì un sorriso che un po' mi consolò pensando alla reazione che aveva avuto prima, capendo male la mia frase. - Mi stai dicendo che sono più informato della ragazza del giornalino scolastico?

- Temo di sì – mormorai, mentre si fermava di fronte a me e io mi appoggiavo vicino a una vecchia sedia di legno impolverata.

- Non per tutto, – rispose, in un modo e con un sorriso ambiguo che non capii.

Seguì un piccolo silenzio che nessuno dei due seppe interrompere.

Io non sapevo nemmeno cosa dire: avevo saputo qual era il passo successivo da fare, ma mi ero riscoperta a non avere presente il modo in cui farlo. Mi sentivo senza gambe, con una meta in testa ben precisa, ma incapace di raggiungerla.

Cercai di fare mente locale, per punti, di quello che Evelyne richiedeva di capire.

Ripensai alle frasi che mi aveva detto e che erano state ambigue, come Max era sempre. - Quello che mi hai detto ieri... – Iniziai, guardandolo di sottecchi.

Se si trovò in difficoltà a quei riferimenti non lo diede a vedere e si passò semplicemente una mano trai capelli. Mugugnò per incitarmi a continuare.

Risentii chiaramente il suono delle sue parole. - Cosa volevano dire? - Chiesi alla fine, probabilmente nel più stupido dei modi.

Esitò, guardando la sedia che mi stava vicina, poi rise. - Quello che dicevano.

Aprii la bocca, insoddisfatta, e feci per ribattere, ma mi bloccai: non riuscivo a ripetere le sue parole, non per chiedergli di spiegarmele, di dirmele meglio o semplicemente di ripetermele; e mi ero anche resa conto che significavano semplicemente quello che esprimevano – come aveva appena detto lui -, niente di più e niente di meno. Mi aveva urlato che ero sempre nella sua testa, che aveva provato ad eliminarmi con Dawn perché ero diventata l'“unica”, la più importante, e che tutto quello gli faceva paura; poi che niente era cambiato e io continuavo ad essere lì: che lo ero sempre.

Mi ritrovai ad arrossire, capendo che non potesse esserci parafrasi migliore di quella e che non ci fosse davvero altro da dire: il parlare che avevo voluto io prevedeva solo che lui arrivasse a una nuova conclusione, quella che volevo io, che mi dicesse di aver capito così di essere innamorato, innamorato di me, che ero così importante da avergli fatto credere nell'amore. Ma quel terzo punto poteva benissimo non esistere. Avevo come dato per scontato che qualcosa fosse stato taciuto, ma poteva benissimo non essere così: Max poteva aver liberato tutto, con quelle urla, e io non potevo pretendere altro, non se non c'era.

E me n'ero resa conto solo in quel momento, pur essendo stata tutto il giorno a rimuginarci sopra.

- Vero, – blaterai e volli di nuovo scappare, come quella mattina, come a mensa.

- E tu? - Mi chiese e alzai lo sguardo, trovando gli occhi verdi illuminati in parte dalla piccola luce, belli come sempre, ma con qualcosa di diverso dal solito dentro.

- Io? - Ripetei, sentendomi anche stupida.

Max annuì e abbozzando un sorriso alzò una mano, cominciando a giocare con un filo penzolante della mia sciarpa. - Non eri così tanto ansiosa di parlare? Io ieri l'ho fatto, ma tu, Evy? - E il tono era divertito, ma gli occhi mi guardavano attenti, e il verde attendeva sul serio risposte.

Boccheggiai e mentalmente ripercorsi la serata precedente. - Non è vero! Anch'io ho detto che …

- Perché sei andata con Clark? - Mi chiese serio, avvicinandosi col viso, come a volermi inchiodare sul posto e impedirmi la fuga.

Arretrai per quanto possibile, in difficoltà. - Lo sai…

- No che non lo so, ieri non hai detto niente e non hai voluto ammettere niente, – mi ricordò e i suoi occhi mi stavano davvero disorientando: qualche neurone in più si aggiunse tra le vittime. - Quindi, parla, Evy; non volevi tanto parlare? - E quasi mi venne da piangere a pensare a come tutto mi si stesse rivoltando contro.

- Per… - Iniziai. - Parker, dai! Si è capito davvero!

Alzò la mano dalla mia sciarpa, raggiungendo la mia guancia e pizzicandomela. - Un motivo in più per ripeterlo allora, no? - Insistette, mentre mi lamentavo bloccandogli la mano, e un sorriso sadico cominciava sempre di più a spuntargli sulle labbra: sembrava che iniziasse a capire quanto lui potesse essere, in quel momento, il padrone della situazione.

- Parla.

- No, Parker!

- Gray, non costringermi a usare mezzi illeciti.

Quella minaccia fu dura anche solo da sentire per la mia sanità mentale e confessai, di getto: - Per vendetta!

Sorrise e lo sapeva già, quella fu la conferma.

- Ah sì?

- Sì, stronzo! Perché eri andato a letto con Dawn e quindi dovevo far vedere anch'io quanto poco me ne fregasse! - Aggiunsi, troppo irritata dal suo sguardo, ma per poi pentirmene subito dopo.

Scoppiò a ridere, nonostante tutto e si piegò un po' in avanti, verso di me, nell'impeto. Gli diedi un colpo sul petto infastidita. - Non ridere, deficiente!

- Sai che mi sta piacendo questa storia del parlare? - Domandò retorico, appena si riprese, e prendendomi per il culo.

Gli regalai una smorfia a cui lui non sembrò fare caso, ma anzi, sorrise ancora, avvicinandosi al mio viso col suo. 

- E quindi, devo concludere che in realtà te ne frega molto?

Esitai, dandomi dell'idiota per aver parlato con così tanta leggerezza - avrei dovuto sapere che anche Max era bravo a capire le parole, capirle e ritorcerle contro - ma pensai alle cose che mi aveva confessato lui la sera prima, vidi i suoi occhi, così vicini. E ripetei l'errore: - Un poco, – ammisi e smisi di guardarlo, sentendomi andare a fuoco.

- Solo? - Chiese e alzai gli occhi di colpo, per controllare se la domanda fosse stata seria o, come al solito, ironica.

Lo trovai così vicino e il verde sembrava sincero. Trattenni il respiro, in un conflitto interiore, non sapendo cosa dire e cosa fare, cosa mostrare e cosa no.

- Quanto te, – ribattei stupidamente, proteggendomi con lui.

Sorrise e non mi sembrò, in quel momento, di ricordare più come fossero i suoi sorrisi ironici; la sua mano che era tornata alla sciarpa si rialzò, sfiorandomi la nuca e andando piano verso la coda, per poi sfilarmi l'elastico. Sentii i capelli ricadermi sulle spalle quando parlò: - E ti sembra “un poco”? - Domandò ed era davvero una domanda, non c'era retorica, né ironia. Una semplice domanda: sembrava che lui avesse voluto saperlo, per poterlo capire per se stesso.

- Dipende, – risposi sinceramente.

- Da cosa?

Ed ero sorpresa dalla piega che stava prendendo la conversazione e mi sentivo tesa, elettrica; quando la sua mano mi sfiorò il braccio quasi sobbalzai.

- Va a momenti. Quando me ne sono andata da casa tua eri sotto lo zero, dopo quello che è… Successo ieri invece sei...

- Sopra lo zero? Sai, mi sento molto un grafico, – ironizzò, ma dagli occhi capivo quanto invece stesse facendo caso a tutte le parole.

- Un grafico molto irregolare. Sono brava in matematica sai? Ma qui le cose non le riesco a prevedere e tanto meno a capire, – dissi di getto, ancora.

Sorrise e la sua mano si avvicinò al mio polso, scivolando distratta.

- E quindi hai detto che anche tu sei come me? Siamo due grafici uguali?

Non parlai subito, pensando davvero che fosse il caso di darmi un freno, un limite; ma non mi ascoltai, di nuovo: - No, ho avuto anch'io uno strano andamento, lo ammetto, ma siamo diversi: tu vai su e giù e non riesco a capirti; io invece sono molto semplice, sono una costante ormai, soprattutto perché più in alto di così nessun grafico può andare.

Tutte le parole risuonarono chiare nello sgabuzzino e suonarono strane: probabilmente nessun termine matematico, detto da qualcun altro, sarebbe stato percepito in quel modo. Quello che si sentiva dietro a ogni parola, ogni sillaba, ogni lettera, lo capì il mio cuore, dopo averle sentite, e lo capirono gli occhi di Max.

Lo capirono perché le sue labbra trovarono le mie, subito, con un'urgenza nuova, com'erano sempre nuovi i suoi baci.

Mi baciò e non ci furono altre parole dopo quelle.

Perché entrambi eravamo fermi lì, non riuscivamo ad andare oltre, me ne resi conto in quel momento.

Io volevo parlare, l'avevo davvero voluto, mi ero detta quello: ma in realtà era lui che volevo parlasse.

Volevo che fosse Max a parlare.

Che dicesse altro, che si facesse sfuggire altre frasi.

Ma altre frasi a metà, quelle, volevo solo quelle.

Perché avevo paura, dannatamente paura, forse tanta quanta lui mi aveva detto di avere.

Avevo paura che tutto quello che era successo potesse esplodere in mille pezzi, che il mio cuore si spezzasse di nuovo, dando nuovi significati ad ogni suo gesto.

Avevo paura che il terzo punto, in cui speravo con tutta me stessa, non arrivasse mai, che lui non volesse che arrivasse.

E non volevo saperlo. Non volevo la frase chiara e tonda che mi dicesse che non c'era niente e che niente ci sarebbe mai stato.

E non volevo parlare io, non volevo perché avevo paura dei suoi occhi quanto li amavo, avevo paura, tanta paura e lo amavo, lo amavo.

Paura perché quello che stava succedendo sembrava bastarmi.

Mi bastava perché non volevo rischiare il niente.

Avevo voluto parlare, la mia ragione mi aveva detto che bisognava parlare, chiarire, arrivare a una fine. Dovevo arrivare a una fine prima che arrivasse da sola, uccidendomi.

Ma il mio cuore si era ribellato: perché il mio cuore dopo tutto stava bene così, no? Perché anticipare la morte?

Stava bene mentre baciavo Max e lui baciava me, mentre mi stringeva e io mi aggrappavo alle sue spalle.

Stava bene, ma non aveva tutto.

Per il tutto il mio cuore avrebbe voluto alla fine sentirsi ricambiato, a parole, avrebbe voluto la mano di Parker che in quel momento era ancora sul mio polso.

Ma Max ed io eravamo bloccati lì.

A baciarci e baciarci ancora, a sfiorarci, a scontrarci.

E nessuno dei due avrebbe parlato chiaro e tondo.

Perché entrambi avevamo paura. Non solo lui.

La mia sciarpa volò per terra e nessun suono, tranne respiri accelerati, schiocchi di labbra, continuava a sentirsi nello sgabuzzino.

Max mi sollevò veloce la maglietta con un bisogno che era eccessivo, ma pari al mio.

Era tutto troppo ma non riusciva a sfociare.

Ed era meglio quello.

Tutto quello era meglio al niente.

E se invece rischiando non avessi trovato il niente, ma il tutto? Mi chiesi all'improvviso, portando anch'io le mani ai bordi della sua maglietta, per sentire pelle contro pelle.

Ma la domanda fu corta e breve, perché un nuovo rumore risuonò nello stanzino.

Ed era la porta, la porta che si apriva.

Perché fuori c'era un mondo e c'erano altre cose. Altre cose che forse avrebbero dovuto farmi più paura di quel niente.

 



*Angolo autrice:

Hola!
Sìsì, so che arriveranno frecciatine del tipo "Sei in ritardo", ma comprendetemi: il capitolo è lungo, c'era la fine della scuola e comprendetemi . ahahahah
Questo capitolo è stato un parto, davvero, forse per la lunghezza, forse per il doppio pov, forse per Evelyne che crede di essere così logica ma in realtà è un casino, per Parker che è figo ed è figo (?!), ma insomma ho fatto davvero fatica a scrivere e spero che vi piaccia! Io non lo rileggo più perchè sennò rischio di cancellare e magari peggiorare! ahahahah
Che direee!
Spero che il pov di Alex vi sia piaciuto! Da quello si capisce poi che nel capitolo precedente, quando Evelyne incrocia Francy ed Alex e la prima sembra un po' strana e imbarazzata, i due avevano appena finito di sbaciucchiarsi allegramente. E lasciamoli continuare così che sono contenti e Francy la smette di pensare ad Evelyne! 

Riguardo Clark: avete qualche idea? Perchè forse dovreste ...

Spero che il pov di Evelyne e quel salto temporale all'indietro, per poi tornare in avanti, non vi sia sembrato strano: era la cosa su cui avevo più dubbi, ma volevo parlare di entrambe le cose!
E alla fine i due non avevano fatto l'amore, come qualcuno aveva pensato. Il perchè del rifiuto di Parker? Si saprà, tranquille, come tutto; secondo voi?

E questi due hanno la maledizione di essere interrotti, sì, ma Evelyne è sfigata, come me, e io sono sadica. QUINDI <3

Non dico niente sulla data del prossimo aggiornamento, ma cercherò di non metterci troppo, ma pensate che non avrò intere giornate libere: ho uno stage lavorativo per tre settimane infatti! !

Alla prossima e grazie, come sempre <3

Gruppo della storia e spoilerhttps://www.facebook.com/groups/326281187493467/

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Capitolo 28
*** Sbloccati? ***



Ma la domanda fu corta e breve, perchè un nuovo rumore risuonò nello stanzino.

Ed era la porta, la porta che si apriva.

Perchè fuori c'era un mondo e c'erano altre cose. Altre cose che forse avrebbero dovuto farmi più paura di quel niente.





27. Sbloccati?

 

Ebbi una specie di déjà vu al suono della porta che si apriva.

Mi sembrò per un attimo di essere tornata alla festa a casa di Kutcher: le due situazioni avevano infatti molti punti in comune.

In entrambi i casi Max ed io ci eravamo trovati in una stanza, al chiuso, insieme, in un luogo dove non avremmo dovuto essere; in entrambi i casi la situazione era stata più che ambigua; in entrambi i casi avevo avuto la maglietta sollevata, fin sopra il reggiseno, alzata dallo stesso Parker; in entrambi i casi eravamo stati sorpresi ed interrotti.

Le differenze stavano nell'intensità delle azioni, nel modo in cui a casa di Kutcher ci eravamo limitati a sfiorarci, in punta di dita, e solo una strana tensione aveva dominata l'atmosfera; mentre in quel momento sentivamo solo il bisogno di tornare come la notte prima, su un letto, senza vestiti, a baciarci. Cambiava anche l'aria: non c'era più solo tensione, c'era desiderio, chiaro ed esplicito, e, da parte mia, amore; e paura.

Ma la differenza essenziale fu in chi aveva spalancato la porta, con fretta e in modo secco.

Max ed io sobbalzammo. Lui immediatamente mi abbassò la maglietta, ancor prima di riuscire ad allontanarsi del tutto dal mio viso; io arretrai di colpo, andando a sbattere contro la scala alle mie spalle, scivolando su uno straccio per terra ed aggrappandomi alla maglia di Parker per non precipitare rovinosamente sul pavimento; Max mi afferrò per le braccia, sostenendomi, rischiando anche lui di scivolare sullo stesso straccio che all'improvviso era tra i piedi per tutti e due. E in quel momento, entrambi in precario equilibrio, in una posizione scomposta, affannati e rossi in viso, ci voltammo lentamente.

E vedere la preside della nostra scuola fu probabilmente la cosa peggiore del mondo.

Mi sentii il sangue gelare, mentre mi staccavo da Max, allontanandomi e cercando di leggerle negli occhi cosa aveva pensato, cosa stava credendo fosse successo.

E la Generalessa, che credevo incapace di dimostrare apertamente sentimenti ed emozioni, sgranò gli occhi, evidentemente sconvolta.

Mi mancò il respiro: perchè non c'era bisogno di cercare in profondità, per capire cosa avesse visto ed interpretato: era semplicemente tutto, senza ambiguità, per quel che era.

Non trovai la forza di guardare Parker, di cui sentivo ancora il tocco sui fianchi, sulle labbra, sul collo. Avrei tanto voluto ritrovare il verde dei suoi occhi ed illudermi che in realtà nessuno fosse entrato nello sgabuzzino; ma non si poteva negare la realtà, né, ormai, le conseguenze.

Seguì un breve silenzio, nessuno in grado di fiatare, nemmeno Max; finché Joe, il bidello, con la scopa in mano, non entrò nello stanzino, guardando perplesso la preside e poi, con sorpresa, noi.

- Cosa ci fate qua, mocciosi? - Si lamentò, col solito tono burbero, inconsapevole di quello che in realtà era appena accaduto. - Sapete benissimo che non è permesso agli alunni di entrare nel mio sgabuzzino!

Sembrò voler continuare con la polemica, ma la preside si riprese, per nostra disgrazia, e lo interruppe, alzando la mano: - Gray, Parker, nel mio ufficio! – Ordinò e suonò a condanna a morte.

E in effetti lo era.

Deglutii, spostandomi un ciuffo di capelli dietro l'orecchio e passando di fianco a Max, continuando a non riuscire a guardarlo, anche mentre mi chinavo velocemente per raccogliere la sciarpa.

- Preside, noi … - Iniziò Parker, mentre entrambi uscivamo dalla stanzino, ritornando nel grande corridoio.

- Nel mio ufficio.

O forse non era una condanna a morte, era quella all'inferno.

Poco dopo, in silenzio, dopo che un borbottante Joe se ne tornò ai suoi “compiti”, ci ritrovammo nell'ufficio della preside. Sia io che Max prendemmo posto senza fiatare, alle due poltroncine bordeaux.

Lanciai, per la prima volta, un'occhiata a Max e si girò anche lui. I suoi occhi erano sinceramente dispiaciuti, ma solo quello, non preoccupati, e in qualche modo cercai di consolarmene: ero convinta che baciare Max Parker non desse crediti formativi per l'università, ma di sicuro non era niente di così terribilmente grave, non da strapparmi via la borsa di studio, almeno.

A quel pensiero mi si formò un groppo in gola e mi girai verso il Dittatore che, con due cartelle in mano, entrambe molto piene, alzava la cornetta, a labbra strette. - Sto chiamando i vostri genitori.

Il nodo in gola diventò doloroso e fui indecisa se parlare, sia per farmi passare il dolore, sia per difendermi: non era esagerato chiamare addirittura i parenti?!

Pensai a zia Lizzy, alla faccia che avrebbe potuto fare, sapendo che avevo perso i primi minuti di lezione per sbaciucchiare allegramente un ragazzo. L'avrei delusa, sapevo che l'avrei delusa.

- Mia madre, chiami mia madre però. – Disse Max e, riguardandolo, notai un suo leggero nervosismo; il tono ironico che gli avevo già visto fare, in precedenza, col dirigente scolastico, sembrava lontano anni luce. Ma pensai a James e capii anche il perchè.

L'occhiata azzurrina, che gli rivolse, mi fece per un attimo dubitare che avrebbe davvero seguito quella specie di preghiera, ma non aggiunse altro e fece due brevi chiamate, senza specificare molto al telefono.

Sprofondai ancora di più sul posto e, nel silenzio che si venne a creare, mi misi in attesa, col cuore in gola, per sapere cosa avrebbe fatto la preside e, soprattutto, con che occhi mi avrebbe guardato mia zia.

Non passò molto prima che un piccolo battito sulla porta anticipasse l'arrivo di qualcuno.

La preside non fece quasi in tempo a rispondere “avanti”, che Elizabeth già era entrata.

La vidi, preoccupata e in ansia, con una strana espressione, poco prima di inquadrarmi nel mio posto. Aprì la bocca, per dire qualcosa, poi i suoi occhi scivolarono su Max.

E, a quel punto, Lizzy scoppiò all'improvviso a ridere.

Avevo davvero temuto che avrei scorto delusione nei suoi occhi?

Seguirono minuti di risatine soffocate, di “Aspettiamo che arrivi la signora Parker”, di movimenti nervosi di Max sulla sedia, per mettersi comodo, e la mia voglia di piangere che probabilmente risuonava chiara come un rumore.

In quei minuti mi convinsi del fatto che avrei preferito trovare rimprovero nello sguardo di mia zia, perchè quel sorriso e quelle risate, di una che aveva già capito ciò che era successo, erano peggio. Molto peggio.

Stavo guardando sconsolata l'albero fuori dalla finestra da una decina di minuti, iniziando a pregare perchè quel supplizio avesse fine il prima possibile. Quando finalmente il desiderio fu esaudito.

La porta si aprì di colpo, senza che nessuno bussasse, e Claire entrò velocemente nell'ufficio. Aveva addosso un tailleur scuro, molto elegante, e alti tacchi nello stile del resto dell'abbigliamento.

Lei posò lo sguardo subito sulla preside, con un'espressione dispiaciuta, simile a quella con cui Max mi aveva guardato poco prima; poi gli occhi chiarissimi si posarono su zia Lizzy, con curiosità, su Max, con rassegnazione, e alla fine su me, con evidente sorpresa.

- Eccoci finalmente tutti qua. – Proclamò la preside, quasi dando il via a un processo, appena Claire prese posto.

- Sì, scusi, lavoro fuori città e ho perso un bel po' di tempo per quello. – Si giustificò la bionda, sorridendo leggera, nonostante suo figlio fosse stato richiamato in presidenza.

- Anch'io lavoro fuori! A New York. Quindi è andata bene che sia capitato in un giorno che non lavoravo! – Informò Elizabeth, sorridendo anche lei, ma con più vivacità, e alternando lo sguardo dalla madre di Max alla preside. E anche lei sorrideva tranquillamente nonostante la sua, praticamente, figlia fosse in presidenza.

Qualcuno stava prendendo sul serio la situazione come me?!

- Beh, l'importante è comunque trovarci qui. – Proseguì la preside, senza espressione come sempre. Tranne poco prima, quando aveva scovato me e Max in atteggiamenti poco ortodossi, mi ricordai da sola.

- Perchè siamo state chiamate? - Chiese velocemente Claire, a quel punto, e dall'espressione e dalla leggera occhiata che rivolse a Max, capii che probabilmente aveva fretta.

Guardai Parker, scordandomi per un attimo del resto, ma lui non sembrò accorgersene, intento a muovere, in uno strano tick, la gamba destra.

- Tenterò di essere chiara e concisa: per chiarire con loro e spiegare a voi. – Iniziò allora.

Distolsi lo sguardo da Max, pronta alla morte imminente.

Sapevo che non avrei resistito. Cominciai a guardare la finestra alle spalle della preside - da dietro la mano con cui cercavo di coprirmi il viso, - chiedendomi se fosse una fattibile via di fuga.

Le due donne si guardarono un attimo, forse pensando la stessa cosa, poi annuirono, una indecisa se essere ancora divertita dalla situazione o se cominciare a preoccuparsi, l'altra apparentemente pronta, o forse abituata.

- Erano dentro lo sgabuzzino del bidello. – Disse, come prima frase.

- Uh. – Fu il commento di Elizabeth che provò a lanciarmi un'occhiata di sottecchi: la evitai prontamente, col dorso della mano davanti agli occhi.

- Evelyne era senza maglietta.

Sprofondai ancora di più sul posto, sperando di esserne inghiottita.

- Non era senza maglietta! - Mi difese Max, parlando per la prima volta dopo tutto quel tempo, con un impeto che, dopo le sue espressioni, non mi sarei aspettata; e lo guardai, volendo dirgli che tanto era inutile e non sarebbe riuscito a discolparci. - Era solo un po' sollevata!

Volli ucciderlo.

- E per quale motivo era sollevata?! - Chiese la preside, accigliata e anche questa volta l'espressione le si dipinse davvero in volto. Max toccava seriamente i suoi nervi.

- La stavo aiutando a … - Ci fu una cortissima esitazione che forse percepii solo io, troppo abituata a sentirlo parlare; o almeno sperai di averla sentita solo io. - Ad allacciarsi il reggiseno! - Ma a cosa volevo sperare, se tanto ci stava distruggendo più lui parlando che se fosse rimasto in silenzio!

- In uno sgabuzzino?!

- Certo ... - Continuò, cercando evidentemente di mantenere una certa nonchalance. - Non sono cose che si fanno così, pubblicamente, in corridoio!

La preside scosse la testa e lo guardò con esplicito fastidio. Fui d'accordo coi suoi sentimenti. - Ignoriamo Max, che vuole fare il simpatico. Come sempre. Noi infatti sappiamo chiaramente cosa stava succedendo.

Elizabeth era rossa in faccia, per lo sforzo di non ridere di nuovo e la guardai con esasperazione, nonostante la vergogna iniziale di incrociare il suo sguardo.

- Sì, lo sappiamo. - Sospirò Claire, lanciando una breve occhiata al figlio. - Ma ... - Iniziò.

- Quindi. – La interruppe la preside. - Dato che non è, purtroppo, la prima volta che succede ...

- Non è mai successo prima, con Evelyne! - Intervenne di nuovo, Max.

Lo fulminai, pregandolo di stare zitto e buono, ma nemmeno mi guardò.

La preside sollevò leggermente un angolo della bocca, in una strana smorfia. - Non con la Gray, ma è già successa una cosa identica, l'anno scorso, Parker.

- Non era identica: non era Evelyne! – Insistette. E in qualche modo la mia occhiataccia svanì e mi ritrovai ad arrossire, a quelle parole.

Ci furono due brevi secondi di silenzio, prima che la preside riprendesse il controllo e ritornasse al suo discorso: - Dicevo, dato che non è la prima volta. - E sottolineò il punto, come a dire che aveva ragione e che quindi Max doveva tacere. - Proporrei due settimane di detenzione per Parker; e sono buona. - Gli fece notare.

- Uno zucchero.

Finse di non averlo sentito.

- Sono d'accordo. - Annuì Claire, guardando vagamente l'orologio al polso.

- Per Evelyne sempre due settimane. – Proclamò ancora la preside.

Mi sentii male. Io che non ero mai stata in detenzione, in punizione al pomeriggio! Io?! Due settimane?! - Ma ... - Tentai d'oppormi.

- E due, anche se è la prima volta che ti metti nei guai, perchè così ti rimarrà impresso questo episodio, Gray; e due perchè con tutti questi giorni, mi dimenticherò dell'episodio, al momento della borsa di studio.

E tutto quello mi fece zittire.

- Direi che è un accordo più che buono ... - Confermò anche zia Lizzy, all'improvviso seria.

- In giorni separati, poi, le vostre detenzioni. Almeno per la prima settimana, per la seconda vedrò.

- Come in giorni separati? - Chiese Max, dal tono, quasi incredulo.

- Oggi Parker inizierà, Evelyne partirà da domani e così via: vi alternerete le giornate. Non vi voglio insieme in detenzione.

Max sbuffò rumorosamente e Claire gli lanciò un'occhiata ammonitrice.

- Adesso si esagera! Non è che ...

- Puoi anche andare, Parker! – Lo congedò, con un rapido gesto della mano. - Tua madre ha fretta e hai perso un'ora di lezione, non voglio farti ulteriori regali.

Claire si alzò, salutando cortesemente; Max mosse la sedia con il broncio, borbottò qualcosa alla preside, abbozzò un sorriso a zia Elizabeth e poi mi indirizzò un'occhiata che mi ricordò tanto quelle nello sgabuzzino. E uscirono, mentre nella stanza risuonava un "Hitler" lanciato a mezza voce.

- Noi? - Domandò Lizzy, appena la porta si richiuse.

- Con voi dovevo un attimo parlare, a proposito della borsa di studio ... - Spiegò la Generalessa, mentre prendeva un piccolo raccoglitore.

- Spero davvero che non ... - Borbottai, ma interrompendomi.

- Sei fortunata ad essere fin troppo brava, Gray. – Disse, squadrandomi con gli occhi azzurri e freddi. - Con Parker. Sono delusa. - Sospirò.

E, com'era successo all'ospedale, sentendo le offese gratuite di Cecilia a Max, mi sentii di nuovo in dovere di difenderlo, o forse non in dovere, ma lo feci: - A me dispiace solo che sia successo a scuola.

Sia la preside che zia Lizzy mi osservarono, capendo la frase, ed entrambe sorprese; ma solo nell'ultima l'espressione si notò per bene, il Dittatore infatti dissimulò presto e continuò: - La borsa di studio è sempre tua, a meno che tu non faccia uno scivolone improvviso, a così pochi mesi. - Non seppi se parlando di scivolone stesse ancora facendo riferimento a Parker, ma non volli indagare.

- Volevo solo dirti. - Ed estrasse un foglio, appoggiandolo sulla cattedra. - Che quando avrai la borsa di studio, l'università di Yale* si è dimostrata interessata a te. Ti vogliono, Gray.

 

La porta si richiuse alle spalle mie e di zia Lizzy.

- Eve! Yale! - Elizabeth smise di trattenersi in quell'esatto momento, sfogando tutto il suo entusiasmo. - E' una delle più grandi università degli Stati Uniti! Oddio! Andrai a Yale!

Mi ronzava ancora la testa, dopo tutte quelle notizie e sensazioni che si erano contrastate a quelle precedenti, durante il colloquio al quale erano stati presenti anche Max e sua madre.

 - Ma ... E' lontana! - Blaterai. Perchè avevo deciso, l'avevo detto anche a Parker, di andare all'università a New York, per stare vicina a mia zia e ...

- Sciocchezze! Anche con traffico, credo non si sfiorino le tre ore, per arrivare alla Grande Mela!

- Ma ... - Cercai di oppormi di nuovo.

- So che avevi detto di volermi stare vicina, Eve.. – Disse, smettendo di agitarsi e sorridendomi; con fare più materno mi toccò anche i capelli. - Ma questa è la tua vita e non deve essere ancorata per forza alla mia. Sei stata indipendente in tutti questi anni di liceo e non devi smettere proprio all'università. Con la borsa di studio, dovrai pensare solo a quello che è meglio per te.

Rimasi in silenzio, non sapendo cosa dire.

- Ne parleremo più avanti? - Proposi, mentre mi lasciava una seconda carezza sui capelli. Pensai a quando era finita all'ospedale, a quanta paura avevo avuto di perderla.

Mi morsi le labbra.

Dopo il diploma avrei perso Max, quando le nostre vite si sarebbero divise, ognuna per la propria strada: saremmo stati solo due ragazzi che, nell'ultimo anno di liceo, si erano ritrovati a vivere una situazione strana, a piacersi, in qualche modo, e a baciarsi, ma senza arrivare mai ad altro; perchè non c'era. Avrei perso Max e anche Francy, in università diverse, e la lontananza non rischiava di far accadere la stessa cosa con mia zia?

Sarei rimasta sola come avevo così tanto temuto in ospedale?

La voce di Lizzy interruppe i miei pensieri: - Ne parleremo quante volte vorrai. Ma tu ricordati quello che ho detto. - Me lo sarei ricordato, impresso, in quelle restanti settimane di scuola.

Cominciammo a camminare, in silenzio, verso l'atrio della scuola. Io avevo lezione, ma a quel punto, con quel ritardo, potevo ormai saltare tutta l'ora.

- Ah, Eve ... – Iniziò ancora Elizabeth. La guardai curiosa. - Cosa stavi facendo con Max? - Chiese e sorrise maliziosa, in un modo che le era proprio e che aveva cercato di trattenere, in ufficio, con la preside.

Avvampai.

- Io ... Niente! Dai, Lizzy! - La pregai e, vedendo la porta dell'atrio che conduceva all'esterno, feci dietrofront. - Oh, sei arrivata! Ci vediamo più tardi! Ciao! - E, letteralmente, scappai.

- Tanto vivi a casa mia! Ti ribecco quando voglio! - Mi urlò dietro, in un modo fin troppo minaccioso.

E in effetti mi fece davvero paura.

 

 

Avevo atteso con ansia, quel giorno, l'arrivo dell'ora di Trigonometria, tamburellando, sempre ansiosa, le dita sul banco e cercando di ignorare le occhiatine che ricevevo da tutto il giorno.

Volevo vedere Francy, soprattutto dopo aver assistito al suo bacio con Alex – mi sembrava passato così tanto tempo, da quella scena, con tutte le cose che erano successe, - e anche parlare con Parker.

E no, non volevo parlarci in modo serio, né chiarire niente.

Avevo solo bisogno di parlarci - non l'avevo ancora davvero fatto, dopo essere uscita dalla sgabuzzino, - di sapere che era tutto a posto, che non era niente di grave essere stati beccati in quel modo dalla preside, che ... Semplicemente, anche, non c'erano motivi: volevo parlarci e punto. Risentire la sua voce dopo la conversazione con la preside e tutto quel silenzio che aveva dominato la scena.

- Ehy! - Salutò Francy, interrompendo i miei pensieri e sedendosi di fianco al mio banco, come sempre. Sorrideva e non mi sembrò come quella mattina: ansiosa di saltarmi addosso per sapere di Parker; anzi, qualcosa in quegli occhi grigi la faceva sembrare persa in ben altri pensieri, lontana. Quel cambiamento mi risollevò e le sorrisi, ricambiando il saluto.

Mi chiesi, mentre tirava fuori il libro e quaderno, solo in quel momento, se avrei dovuto raccontarle dello sgabuzzino e della successiva camminata fino all'ufficio della preside. L'ansia risalì in fretta.

- Come procede la giornata? - Domandò, distratta, non sapendo di aver colto proprio il punto giusto in cui mirare.

- Un po' particolare ... - Risposi, deglutendo a fatica. - A te? Alex? - Buttai giù, prima che potesse iniziare a parlare di Parker. Non avevo intenzione di rivelare tutto quello che era successo: non lì, in un'aula.

Francy arrossì e i suoi occhi sembrarono di nuovo con me. - Eh ... Ecco ... Diciamo che ... Sai il bacio di ieri sera? - Mi ricordò, tossicchiando. Annuii, spronandola a dirmi quello che sapevo già. - Beh, c'è stato un bis! - Spiegò, gettandosi con lo sguardo di nuovo sul banco.

- Dovevi proprio dirlo come se stessimo parlando di cibo? - Chiesi, ridendo.

- Colpa di mia madre e dei suoi dolci. – Si giustificò, con fare drammatico.

Non potei che essere d'accordo e sorrisi, rincuorata di poter finalmente parlare in modo normale con lei, quel giorno.

In quel momento sentii un mormorio e mi voltai, riconoscendo, probabilmente senza accorgermene, la voce: dalla porta stavano entrando Billy e Max, parlando insieme nel loro solito modo.

Quando, messo piede in aula, gli occhi verdi si posarono sui miei, Francy mi diede una gomitata, facendomi perdere il contatto visivo.

- Ah, aspetta! E Parker?! - Sussurrò, osservandolo circospetta. - Prima siete andati via insieme.

Mi era sembrato strano ...

Sospirai riguardando verso Max, mentre mi passava davanti dando un colpetto al mio banco, ma continuando a sorridere a Billy con cui stava parlando.

- Vieni da me questo pomeriggio? Ho fin troppe cose da spiegarti ...

- E non ti converrebbe iniziare adesso?! - Mi propose, con entusiasmo, sperando di farmi cedere.

- Siamo giovani, ne abbiamo di tempo ... – Ribattei e le sorrisi, smettendo di pensare al ragazzo che, in quel momento, si era seduto a pochi banchi di distanza dal mio, in ultima fila.

- La Trigonometria fa male, potrebbe essere lei ad accelerare la mia morte, portandomi al punto di collasso esattamente qui, alla tua destra. QUI. Parla, Evelyne!

Ignorai quello sproloquio melodrammatico, guardando Hoppus che entrava in classe, chiudendosi la porta dietro.

Feci così, con nuova attenzione, caso all'assenza di qualcuno di cui normalmente non mi sarebbe mai importato niente. O almeno non mi era sembrato di vederlo passare tra i primi banchi.

Mi voltai velocemente e diedi un'occhiata alle mie spalle, a un banco dell'ultima fila che era evidentemente vuoto.

- Cosa guardi? - Provò ad informarsi Francy, seguendo i miei occhi.

- Niente. – Risposi, tornando al professore che aveva già iniziato a biascicare parole, facendo sbattere il gesso contro la lavagna.

Clark non c'era.

 

- Quindi dopo vengo da te? - Chiese ancora Francy, appena la campanella finì di suonare.

Annuii, cominciando a mettere i libri nella tracolla. - O devi uscire con Alex? Non credo di permettertelo, in quel caso, sono un'amica gelosa! - Scherzai, dando una vaga occhiata a Max che continuava a starsene seduto, in una posa stanca, Billy al suo fianco che blaterava qualcosa.

Avrei voluto aspettare che si alzasse, che mi passasse di fianco, che mi guardasse, almeno.

- E cosa dovrei dire io?! Sono mesi che Parker ti rapisce di continuo! - Si lamentò, fin troppo ad alta voce e spostai violentemente lo sguardo dai due ragazzi.

- Comunque no. Aveva un impegno o qualcosa ...

- Ah! - Esclamai, cercando di dissimulare il disagio appena avuto e sorridendo con più malizia possibile. - Quindi avevate pensato di uscire, eh? Un'uscita intima? Un appuntamento? - La punzecchiai.

Lei s'imbarazzò fin troppo facilmente, facendomi ridere. Era la prima volta che Francy aveva seriamente a che fare con un ragazzo e non sapevo se i suoi continui rossori sarebbero stati presenti con chiunque o se era Alex il caso speciale.

- Sai, di solito! La gente si piace, si bacia e poi esce! Si mette insieme! - Brontolò, sulla difensiva, mettendosi lo zainetto in spalle e marciò velocemente fuori dalla classe.

Con quel suo darmi le spalle, non notò la mia reazione.

Mi bloccai un attimo. Il sorriso ora incerto.

Si baciano e poi escono? E alla fine si mettono insieme?

Certo.

Non diedi più altre occhiate in direzione di Parker e seguii Francy.

- Si mette insieme, hai detto? Ma allora andate sull'ufficiale! - Continuai, sorridendole appena fuori dalla porta, fingendo che quel cambiamento d'umore non ci fosse appena stato.

Lei, fin troppo impegnata a guardare davanti a sé, per schivare gli altri ragazzi, e fin troppo imbarazzata, non si accorse di quel disagio che probabilmente avevo ancora scritto in faccia.

- Lui me l'ha ... Okay, diciamo che me l'ha anche già chiesto, prima, in corridoio, ma ...

- Ti sembrava poco romantica la location? - Scherzai.

Si nascose il labbro inferiore con quello superiore, in una strana smorfia, e scoppiai a ridere, capendo che era proprio così, e lasciai un po' perdere i miei pensieri.

- Cos'è successo alla mia darkettara preferita?! Una volta eri meno sensibile!

Mi mandò a quel paese, con un piccolo gesto della mano e si fece spazio tra la folla con una violenza che non sembrava possibile, data la sua statura.

Arrivammo vicino all'uscita, sistemandoci in una parte del corridoio dove non circolava nessuno, aspettando un attimo lì che la gente cominciasse ad andarsene: il traffico nel parcheggio, a quell'ora, era peggio di quello in qualsiasi altra zona della nostra città.

- E quindi quando uscite? - Chiesi ancora.

- Domani. – Spiegò, guardando la folla davanti a sé, non riuscendo probabilmente a incrociare i miei occhi.

Sorrisi, sinceramente contenta per lei e di tutto quell'imbarazzo sincero.

- Evelyne! Francy!

Entrambe impiegammo un paio di secondi prima di capire chi ci avesse chiamate.

- Oh, Nick! – Salutai, riconoscendo alla fine il morettino con gli occhiali che stava emergendo dalla folla.

- Nicky! - Esclamò come sempre con troppo entusiasmo Francy – probabilmente anche contenta di poter cambiar argomento.

- Come mai non sei ancora corso a casa? Di solito sei tra i primi!

Ci guardò, all'inizio spaesato e poi sospirò, rassegnato. - Non ve lo ricordavate proprio?

- Cosa? - Chiesi io, sgranando un po' gli occhi e provando a fare mente locale di cosa potevo essermi dimenticata. Ma in effetti non riuscivo a visualizzare altro che non fosse Max o Clark o la festa o la preside.

Ero davvero Evelyne Gray?

- Il giornalino ... - Ricordò.

Il giornalino.

Rammentai all'improvviso della settimana prima quando, scegliendo un giorno tra quelli che sarebbero seguiti, che andasse bene a tutti e quattro, avevamo optato per Mercoledì 24 aprile.

E quelle due parole erano sembrate una doccia fredda.

Per l'ennesima volta mi resi conto di quanto Max avesse stravolto la mia vita, cambiando le mie abitudine e priorità: riuscendo addirittura a farmi dimenticare del giornalino.

- E' vero! - Fece mente locale anche Francy, prima che io riuscissi a parlare.

 - Ah beh, niente ... Avviso mia madre e restiamo anche se ce n'eravamo dimenticate, no, Eve? - Chiese, sospirando e tirando fuori il cellulare.

Annuii, facendo lo stesso per mandare un messaggio a Lizzy.

- Luke? - Mi informai, cominciando a camminare per andare coraggiosamente contro corrente, sfidando la massa che continuava ad uscire.

- E' già là, è andato a prendere le chiavi. – Rispose, conciso come sempre.

- Vi fidate così poco di noi, da venire a cercarci?! - Fece Francy, fingendo uno sguardo di delusione ad indirizzo di Nick. Lui impallidì, a disagio.

Risi alla reazione e mi decisi finalmente a infilarmi tra la folla che, fortunatamente, iniziava a diminuire.

- Moriremo! - Esclamò Francy, drammaticamente. Ma mi trovai d'accordo con lei.

Riuscimmo a girare solo il primo corridoio, con molta fatica, quando mi sentii toccare e fermare per un braccio.

Mi girai, sorpresa, ma invece di un paio di occhi verdi ne trovai due marroni.

- Pensavamo fossi scappata via! - Disse Billy, sorridendo, fermo nel bel mezzo del corridoio, come se non ci fossimo trovati nel pieno della corrente, con alti rischi di morte.

- No, devo rimanere qua per il giornalino. – Spiegai, dando un'occhiata veloce a Francy e Nick che mi avevano sorpassato. Si girarono a guardarmi perplessi.

- Ve la rubo un attimo! - Proclamò il biondo, mollandomi il braccio, ma avvicinandosi al muro, dove passava meno gente, e invitandomi a seguirlo.

Francy sollevò le sopracciglia, ma se ne andò comunque, seguita da un esitante Nick.

Feci i pochi passi che mi separavano da Billy, parandomi di fronte a lui. - Non sono merce che può essere rubata.

- Ah, lo so bene! - Ironizzò su qualcosa che non fui sicura di capire. - Era un modo di dire, non prenderla male.

Scossi la testa, con un abbozzo di sorriso. - Devi dirmi qualcosa?

- Sì! - Esclamò, sempre sorridendo. - Cos'hai intenzione di fare?

La domanda diretta mi lasciò un attimo impreparata.

 - Per cosa? - Chiesi per guadagnare tempo.

Alzò gli occhi al cielo, nel suo solito modo scherzoso. - Max. Tu e lui.

Evitai il suo sguardo, mantenendo il silenzio che sarebbe stato assoluto, se non fosse stato per i ritardatari che velocemente uscivano, sfilandoci davanti.

- Evelyne? - Mi richiamò, ridendo.

- Niente. – Confessai.

- Niente, non stavi evitando di rispondere o niente, non farai niente? - Precisò, ma mi sembrò inutile.

Scossi la testa. - Non farò niente.

Billy mi osservò per un po' e di nuovo cercai di evitare il suo sguardo.

 - Come mai?

- E' quello che farà anche lui e mi adeguo. - Feci spallucce e mi staccai dal muro.

- E a te va bene? - Chiese e trattenni un attimo il fiato.

Tardai un po' a rispondere, ma alla fine lo feci, un po' come tutto:

- E' meglio così.

Non disse altro e mi arrivò uno strano sguardo; gli sorrisi e mi girai per andarmene. Ma ci ripensai, presto, voltandomi di nuovo e trovandolo ancora appoggiato al muro, intento ad osservarmi. - Billy, lui cosa ti ha detto?

Billy sorrise, facendosi sfuggire una risata. - Assolutamente niente, infatti cercavo di capirlo da te. - E subito dopo quella frase si staccò dalla parete, andandosene verso casa.

Lo guardai allontanarsi con una specie di sensazione strana, simile a un misto di incredulità e leggero risentimento: aveva cercato di fregarmi e di farmi sfuggire gli accaduti di bocca, senza dirmi assolutamente niente; ma soprattutto lui e Max non ne avevano parlato.

Alla fine la sensazione strana nello stomaco si stabilizzò, a quell'ultimo pensiero, e la riscoprii essere, stranamente, felicità: perchè quella notte era diventata un segreto.

 

 

Nell'aula 108 c'era una strana atmosfera, quel giorno.

Francy apriva e chiudeva cartelle del suo computer, in uno strano modo assorto, fingendo male di eseguire il compito che le avevo dato; Nick scriveva, fermandosi ogni tre parole e piegando le gambe sotto la sedie in uno strano tick che aveva sempre, quando cercava ispirazione; Luke invece schiacciava con forza i tasti del computer, dalla sua postazione alla mia destra, lanciandomi ogni tanto occhiatacce; io fingevo che tutto fosse come al solito e stavo revisionando tutti gli articoli già pronti, sistemando intanto la grafica delle pagine e inserendo foto.

Dalla "profezia di Luke", quella che diceva che "Parker mi avrebbe fatto stare male, davvero male", i rapporti tra me e il rosso si erano un po' freddati. All'inizio mi ero sentita solo inutilmente assillata dalle sue preoccupazioni. Neanche fossi stata una debole, capace di cadere con una delle possibili cattiverie macchinabili da Max. In seguito, al principio inconsciamente, poi sapendolo, avevo capito che in realtà la profezia era stata vera e con Luke mi ero sentita solo a disagio.

Anche in quel momento cercavo di evitare il suo sguardo: sapevo che avrebbe voluto commentare qualcosa, a riguardo di tutte le voci – ormai vere, - che circolavano su me e Parker, ma si tratteneva.

Così mi arrivavano solo occhiatacce.

Sì, Luke, avevi ragione. Avrei voluto tanto dirgli. Se non mi fossi arrischiata troppo, con quelle poche parole, se non fossi stata orgogliosa, se non fossi stata la Gray.

- Luke, smettila, dai fastidio a me! - Si lamentò Francy, sorridendo scetticamente e mollando il mouse.

- Visto che non parlo, voglio comunque farle capire! – Proclamò, con uno sbuffo, il rosso.

- Preferivo le parole. – Mormorai tristemente.

Luke mi sentì chiaramente e colse la palla al balzo.

- Vuoi davvero metterti nei guai?! - Esclamò, non trattenendosi più.

Lanciai uno sguardo che scongiurava aiuto a Francy – lei lo ignorò con un ghigno, - poi mi girai verso l'altro.

- Dai, Luke, per favore! Lo sai anche tu di esagerare!

- Non esagero! Un pugno a Clark! - L'ultima frase era sinceramente scandalizzata.

- Non gliel'ho dato io! – Mi ritrovai stupidamente a difendermi.

- Sanno tutti che è stato Parker, ma tutta la scuola ha visto, oggi a mensa, che ce l'ha a morte anche con te! Soprattutto con te, visto che sei stata la prima da cui è andato.

Mi ricordai con particolare evidenza il perchè cercassi di evitare le conversazioni con lui, in quel periodo: Luke metteva ansia. Sempre.

Scossi la testa, più che per negare la sua frase, per cercare di convincermi che non era vero. Con scarsi successi. - Non è stupido. E' arrabbiato, ma non è così stupido da mettersi nei guai per una vendetta.

- Nelle vendette, quando lo sono davvero, ci si assicura di uscirne vincitori e di fare del male all'altro, in ogni modo.

Ebbi una specie di brivido. Ripensai a come aveva in parte indovinato cosa sarebbe successo con Parker; che stesse per succedere lo stesso?

- Dai, Luke, vuoi portare sfiga?! - Mi lamentai. Diedi un'occhiata a Francy, che ascoltava con una smorfia; Nick mi lanciava sguardi nervosi, evidentemente d'accordo con l'amico.

- Non è questione di sfortuna, è questione che sei nei guai. Soprattutto perchè non saprei nemmeno come potresti uscirne. Gli hai chiesto scusa?

- Gli ho detto una cosa che suonava più a un "siamo pari", in realtà ... - Borbottai.

Lo bloccai, prima che riaprisse bocca: - Ma smettila, davvero. Ormai è andata. Io confido nel fatto che non sia un idiota: le vendette di solito tornano sempre indietro a chi le fa; e si sa questo – spiegai per poi bloccarmi subito dopo. A Max la sua vendetta gli si era ritorta contro?

Pensai a Max che mi ricattava, che mi prendeva in giro, che mi sfruttava, che mi punzecchiava, che mi sfiorava, che mi baciava, che mi spogliava. Non trovavo niente di negativo, in tutto quello. Non per lui. O forse c'era e non riuscivo a vederlo, non dal mio punto di vista?

- Spero per te. – Disse alla fine, anche lui, in uno sbuffo. Ma era così irritato per non venir ascoltato, che non credetti ci stesse sperando poi molto.

- E' tardi! – Fece notare Nick, dopo un breve silenzio.

Guardai l'orologio, notando che in una mezz'oretta sarebbe finito il tempo che la scuola dava a disposizione per le attività extrascolastiche.

 - Andiamo allora.– Concessi, alzandomi in piedi e gli altri tre mi imitarono subito.

Furono sistemati gli ultimi fogli, spenti i computer e poi, davanti alla porta dell'aula, chiudendo a fatica, salutammo i due ragazzi. Io abbozzai un breve sorriso a Luke, dispiaciuta per come mi comportavo, ma non potendo evitare di farlo.

Francy rimase lì, con me, e mi accompagnò a rimettere le chiavi al suo posto.

Arrivate davanti alla scrivania del bidello Joe, in uno dei corridoi, mi bloccai un attimo, ripensando a quella mattinata. Sistemai le chiavi nella cassettina alla parete, guardando però Francy.

- Ieri Max è venuto da me, abbiamo litigato e alla fine, continuando ad urlargli contro, ha detto di essere andato con Dawn perchè pensava sempre troppo a me. L'ho baciato. – Confessai, sputando tutte le parole di seguito, per paura di ripensarci a metà.

A dirle, tutte quelle fasi sembrarono stupide, incoerenti, quanto sul momento erano sembrate spontanee e giuste. Soprattutto nella parte finale.

Francy mi guardò un attimo sorpresa, forse non aspettandosi che avrei iniziato a confessare così, nel corridoio, davanti alla scrivania del bidello Joe.

Continuai, vedendo che non diceva niente: - E lui ha baciato me e ... Non so, forse per quello che avevo bevuto, forse perchè ... No. - Incespicai nei miei stessi pensieri. - Perchè sono innamorata ed era quello che volevo sentirmi dire, l'unica cosa per cui avrei potuto perdonarlo – feci, ancora di getto e non riuscendo più a guardarla. - E quindi ... - Non riuscivo a dirlo o ad andare oltre. L'immagine di Billy si presentava davanti ai miei occhi, mentre diceva che a lui Max non aveva detto niente.

- Eve, scusami – sussurrò Francy.

Mi bloccai definitivamente, tornando a guardarla negli occhi.

Era davvero dispiaciuta, per qualcosa, addirittura triste.

- Mi dispiace per stamattina, per esserti stata così addosso e per aver voluto sapere tutto quello che era successo. Non dirmelo e non perchè non lo voglia sapere, ma perchè è giusto così.

Non seppi cosa rispondere, ma alla fine semplicemente mi sfuggì un sorriso. - Va bene. Grazie.

E quella notte era mia, i particolari solo miei. Miei e di Parker. E lo sarebbero sempre stati, anche dimenticandocene, col tempo, all'università; anche con vite separate. Nostri.

Ma le conseguenze Francy le doveva sapere. Le poteva sapere, perchè lei ad aiutarmi a sistemare il disastro doveva esserci.

- In ogni caso, mia zia ci ha scoperti. Dopo pranzo poi ci siamo infilati nello sgabuzzino di Joe, per parlare, ma siamo finiti a baciarci e Joe e la preside ci hanno beccati – informai, con un disagio diverso questa volta.

Francy dopo quell'attimo di tristezza, mista ad affetto, stava tenendo la bocca spalancata, incredula. La labbra si chiusero e scoppiò a ridere. - Non ci credo! - Urlò, non riuscendo a trattenersi. - E cosa vi ha detto?!

- Detenzione per entrambi, due settimane. – Dissi piattamente, con rassegnazione.

- E voi cosa vi siete detti? Avete parlato sul serio prima o siete passati direttamente alla lingua? - Chiese e quella domanda me la fece sentire come la solita Francy, lontana dall'imbarazzo appena passato.

Risi, nonostante tutto. - Abbiamo provato a parlare ... - Vidi il suo sguardo. - E no, non nel senso che siamo passati subito alla "lingua"! Ci abbiamo provato, ma poi mi sono esposta io e ci siamo bloccati lì. Sai, prima hai detto che la gente di solito si piace, si bacia e poi esce e si mette insieme, no?

Il sorriso di Francy si spense e quasi impallidì. - Sì, però ... Io non ...

La tranquillizzai con un cenno. Mi ritrovai ad avere più controllo della situazione di quanto mi sarei immaginata. O forse fingere davanti a qualcuno è più facile che farlo da sole.

- No, tranquilla. Volevo solo dire che Max ed io siamo bloccati al "si bacia" e rimarremo lì. – Dissi e sembrò una sentenza. Ammetterlo ebbe un retrogusto cattivo.

Francy mi osservò. - E perchè?

- Perchè abbiamo paura. – Spiegai e mi ritrovai a sorridere, un po' amaramente.

- Non si può avere paura a 18 anni. – Ribatté Francy. - Se non ci si butta a questa età, quando non si ha ancora troppo da perdere, quando lo si fa?

Esitai un attimo. - Abbiamo paura entrambi, ma forse non è la stessa paura. Se mi butto e perdo tutto?

- Forse è comunque meglio che non farlo. - E sorrise. Mi stava chiaramente spingendo a quello che mi immaginavo, ma sapevo bene che non l'avrei fatto.

Sembrò capirlo e sospirò, alzando gli occhi al cielo. Mi afferrò una mano e facendola dondolare, come se fossimo state bambine, cambiò discorso, lontano da ragazzi, e mi trascinò verso l'atrio, verso casa.

Ridevo e sorridevo e in quel tragitto fu facile non pensare più alle parole appena dette e sentite.

- Ti giuro che non è così facile cucinare la carne!

- Ma, Francy, solo tu ci riesci! Come farai da grande, fuori da casa di tua madre? - La sgridai, un po' scherzando e un po' no, mentre mi informava sui suoi peggioramenti nell'arte culinaria. Un po' mi ricordava Elizabeth.

- Sarò ricca, mi riuscirò a permettere un cuoco personale.

- E se non lo diventassi? - Insistetti.

Alzò gli occhi al cielo, teatralmente. - Allora cucinerà mio marito! Sarà bello, sexy e un ottimo cuoco. E lo sfrutterò, ma non se ne accorgerà, accecato come sarà dall'amore.

Risi ancora ed eravamo nell'atrio, vicino alla porta che portava fuori.

In quel momento ci passarono di fianco un piccolo gruppo di ragazzi, tutti con la stessa espressione scocciata e irritata.

Li guardammo un attimo, ma in realtà poco interessate.

- Detenzione? - Azzardò lei, più per parlare che per altro.

Quella semplice parola mi fece scattare. Francy sembrò notarlo, ma cercò di non darlo a vedere.

- Vabbè, vado, Eve, a domani. – Mi salutò sorridendo e lanciandomi un'occhiata che voleva intendere qualcosa, ma non capivo.

O forse non volevo capire.

Pensai alle sue parole di prima.

E avevo davvero 18 anni, se non mi buttavo adesso quando l'avrei fatto?

Presi un respiro più profondo e girai sui tacchi, cominciando a dirigermi verso l'aula dove sapevo ci fossero le ore di detenzione.

Camminavo, alternando passi svelti a passi lenti, indecisa su cosa fare o semplicemente se raggiungerlo sul serio. Dopo tutto forse era già uscito e non l'avevo incrociato e stavo facendo quei corridoi inutilmente!

Il coraggio iniziale, che mi avrebbe fatto arrivare in quella stanza e parlargli chiaramente, confessando tutto, si era già affievolito. Come un palloncino e il rumore con cui tutta la carica era uscita sembrava molto simile ad aria: sapeva di delusione, ma soprattutto fiasco.

Vidi la porta spalancata da lontano e, mettendo molto del mio ormai poco coraggio in quei passi, arrabbiata forse un po' con me stessa, arrivai alla soglia della porta.

E quello che vidi mi lasciò di stucco.

- Capito tutto?

- Sì, va bene, sì! - Sbottò, scuro in volto, Max e, vedendomi casualmente ferma sulla porta, la sua espressione cambiò in una che non riuscii a capire.

Il ragazzo che gli stava davanti, Clark, si girò e, notandomi, sorrise. Che mi stesse sorridendo mi sembrò già terribilmente sospetto.

- Oh, Gray! - Mi chiamò, allontanandosi da Max ed accennando ad andarsene.

- Ci vediamo in giro. Divertitevi. – Augurò, per poi passarmi di fianco e uscire dalla porta.

Guardai la schiena del moro che si allontanava, poi tornai a Max che, ancora più cupo in viso, guardava per terra, pensando chissà a cosa.

- Cosa vi siete detti? - Chiesi. Mi sentii di nuovo coraggiosa, con quella domanda e feci passi all'interno della classe, avvicinandomi a lui.

Alzò lo sguardo e c'era davvero qualcosa di strano.

 - Lascia perdere. – Borbottò, passandosi una mano davanti agli occhi.

Sembrò stanco, come l'avevo già visto una volta, pur non ricordando quando. Mi avvicinai ancora, arrivando a pochi centimetri da lui.

- Va bene. – Mi arresi, sperando comunque che cambiasse idea e mi dicesse.

Tolse la mano e i suoi occhi, ora vicini, sembrarono spenti, inchiodati nei miei.

- Mi sembrano secoli che non ci vediamo ... – Dissi e subito dopo averla pronunciata mi pentii della frase. La mia era stupidità o il coraggio adolescenziale di cui aveva parlato Francy, che ogni tanto riaffiorava?

Abbozzò un sorriso e allungò una mano, sfiorandomi un fianco, il braccio. Mi avvicinò e finii contro di lui, piano, con delicatezza.

- Anche a me. – Rispose e soffiò la risposta sui miei capelli, facendomi salire i brividi.

Ma la risposta non mi fece felice quanto avrebbe dovuto, perchè lo guardai ancora, notando che quell'alone grigio sul suo viso non se ne andava, ed era preoccupato per qualcosa, con altri pensieri in testa. Mi chiesi cosa fossero, continuando a guardarlo.

- Cosa c'è, Max? - Chiesi alla fine.

Scosse la testa, chiudendo gli occhi e abbassandosi verso di me, così tanto da arrivare ad appoggiare la fronte alla mia; il suo braccio mi circondò i fianchi; una mano mi sfiorò i capelli. Quando aprì gli occhi e rividi il verde, mi sembrò di star venendo toccata in ogni modo, fisicamente e dentro, nell'anima, quasi avesse voluto memorizzarmi.

Quella sensazione mi fece salire l'ansia, più delle parole di Luke. - Max? - Pregai, sperando che parlasse finalmente.

Mi strinse ancora più forte; il suo naso sfiorò il mio, le sue labbra cercarono le mie, in una carezza e poi con più forza, appoggiandosi, baciandomi, assaggiandomi, facendomi schiudere la bocca.

E anche il baciò sembrò strano.

Ma solo all'inizio. Poi le sue mani mi strinsero più leggermente, con delicatezza, nel suo solito modo; mi tirò i capelli, nel suo tipico dispetto; mi morse un labbro e alla fine abbozzò un sorriso, contro la mia bocca.

Si allontanò, di pochi centimetri, per permettermi di nuovo di guardarlo negli occhi e anche quelli sembrarono più vicini a come erano di solito. Ma quell'ombra sembrò esserci comunque, solo attenuata.

- Quindi ti sono mancato? - Mi prese in giro e mi sorrise contro una guancia: sembrò il solito nella battuta, ma mi teneva troppo stretta per essere normale e continuava a farlo.

- Per niente. – Negai, incoerente, ma sperando di strappargli un altro sbuffo divertito.

E lo fece, sbuffando sul mio viso, facendomi sentire il suo odore alla frutta.

- Bugiarda, Evy. – Mi canzonò e le sue mani mi lasciarono.

Traballai un attimo, dopo tutto quel contatto e già abituatami ad appoggiarmi a lui. - No. – Ribattei.

Lui sorrise, passandosi una mano tra i capelli; mi sorpassò, facendo per uscire e, appena lo raggiunsi, si girò, a guardarmi.

- Evy? – Chiamò.

Lo guardai un attimo, spaesata da quell'aria strana che continuava ad avere, ma che ora cercava chiaramente di camuffare. O forse me lo immaginavo. Era per l'episodio della preside tutto quello? O per Clark? O per altro? - Uh?

- Ti va se stasera usciamo?

Sgranai gli occhi, la bocca mi si spalancò, probabilmente mi uscì qualche strano verso imbarazzante dalla bocca e nelle orecchie mi risuonò la frase di Francy.

E c'era evidentemente qualcosa di strano.

Solo che non capivo se era qualcosa che andava bene oppure no.

- Sì.

A me andava bene.

E per un secondo mi illusi che magari c'eravamo appena sbloccati.

Quello dopo rividi il grigio.




*Angolo autrice:

EHEHEHEH .
Okay, sì, c'è un piiiccoolo ritardinooo.
No, scherzi a parte, scusate, ma lo stage mi ha tenuta occupata seriamente per tre settimane (sono stata pagata con due buoni da 5 euro da utilizzare da Pimkie, alla fine .), e quando ero a casa cercavo di uscire o comunque non avevo voglia di mettermi a scrivere; subito dopo lo stage invece ho avuto una sorta di "problema personale", e non ero davvero dell'umore per scrivere. Insomma, tutto questo e il capitolo è arrivato solo ora.
La mia idea iniziale era più lunga, il capitolo che avete appena letto è infatti la metà di uno più grande, ma alla fine ho deciso di tagliare, per arrivare più lentamente alla fine del prossimo ...
E' un capitolo di passaggio: la scena dalla preside, la punizione, l'accenno al futuro di Evelyne, l'università, il giornalino, Luke e le sue teorie, Evy e Francy parlano, Clark e Parker e alla fine, dopo un intero capitolo, Evy e Max. 
Ci sono molte cose qui che ritorneranno, pur essendo di passaggio.
Cosa credete che succederà? L'uscita è un appuntamento? I due si sono sbloccati dal punto dove credevano di essere o c'è qualcosa di strano?

Spero che vi sia comunque piaciuto, come sempre.
Grazie per continuare a leggere, nonostante i ritardi e nonostante la stia tirando ancora avanti, dopo tutto questo tempo!
Alla prossima, carissime.


*Yale: una delle università più prestigiose dell'America, si trova a nord di New York a circa due ore e mezza (GOOGLE MAPS). La mia scelta è stata dettata da esperienza in film e telefilm, credo sia possibile con una bella borsa di studio riuscire ad andarci per capacità, anche se con scarse risorse economiche ... Nel caso non fosse così, chiedo venia!


Gruppo della storiahttps://www.facebook.com/groups/326281187493467/

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Capitolo 29
*** Io ***


Non è lungo, di più . PREPARATEVI. Ahahah

 


28. Io

 

 

Pur non nutrendo un gran affetto per i miei capelli, avevo sempre pensato che pettinarsi fosse una delle attività quotidiane più rilassanti al mondo.

Fin da piccola, quando zia Lizzy mi lasciava da sola in bagno, ancora ricoperta di schiuma, perché lei doveva correre a rispondere al telefono di casa, a una delle solite chiamate di lavoro, e allora toccava a me cominciare a sistemarsi.

Afferravo il pettine, mi davo una vaga occhiata ai capelli, agli occhi, al naso, alla bocca, e mi pettinavo.

Avevo sempre avuto i capelli lunghi forse anche per quello: per metterci più tempo.

Districavo i nodi come forse volevo fare con la mia vita.

Ogni nodo era un problema, un pensiero, una preoccupazione.

Col pettine era facile risolvere tutto, perché non potevo fare altrettanto io?

Anche in quel momento, appena uscita dalla doccia, mi stavo pettinando.

Ma con fin troppa fretta. Non riuscendo bene a sciogliere i nodi tra i capelli ancora fradici.

E non riuscendo a togliermi di testa il grigio.

Ero arrivata di corsa a casa, subito dopo il sì a Max.

Di corsa anche per evitare Elizabeth che sembrava essersi appostata in cucina, con l'apposito obiettivo di placcarmi appena avessi messo piede in casa. Non sapevo ancora come fossi riuscita a salvarmi.

Sapevo solo di trovarmi in bagno: porta chiusa a chiave, zia Lizzy che si aggirava di sicuro nel corridoio, osservando minacciosamente la porta – mi sembrava di sentire il suo sguardo attraverso il legno e ne avevo i brividi, - e Maxyne tra i piedi che si irritava se le arrivava qualche goccia, ma senza allontanarsi.

Mi diedi una seconda pettinata, il più veloce possibile, spostandomi tutti i capelli indietro, scoprendo il viso come facevo poche volte, mentre sbloccavo il cellulare, per vedere l'ora.

Mezz'ora.

Mancava mezz'ora.

Mi ritrovai a cercare i miei occhi nel riflesso: trovai puro terrore.

Non avevo ancora ben realizzato cosa sarebbe successo da lì a poco. Ero solo convinta che Max mi avesse dato così poco tempo, da quando me l'aveva chiesto fino all'evento effettivo, per non farmi rimuginare troppo in me stessa.

In quel momento infatti, nonostante tutto, sapevo solo di dover pensare ad asciugarmi, a vestirmi – e con che cosa?! - e ... Cos'altro si faceva prima di un appuntamento?

Mi bloccai, l'asciugacapelli in mano; cos'avevo appena pensato?

Scossi la testa abbastanza violentemente, riuscendo quasi a schiaffeggiarmi coi miei stessi capelli bagnati.

Non era un appuntamento, figuriamoci!

Uscita.

Un'uscita.

Sospirai, lasciandomi perdere e cercando seriamente di sistemarmi i capelli nel miglior modo possibile.

Max l'aveva definitivamente fatto apposta a darmi così poco tempo. Con un giorno d'anticipo, sapendolo, non avrei fatto altro che pensare al perché, al significato e al grigio.

Il grigio, che avevo visto nel suo viso non molti minuti prima, non era stato ancora chiarito e non lo sarebbe stato probabilmente mai, come fin troppe cose che riguardavano quel ragazzo.

Il colore lo vedevo guardandomi intorno, lavandomi i denti, cercando il deodorante, ma non riuscivo a focalizzarmici. E non ci sarei definitivamente riuscita, non prima di ritrovarmi di nuovo Parker davanti.

Con i capelli ancora umidi e di un'indefinita forma – lasciai solo che un ciuffo cadesse strategicamente, in modo da coprirmi quel maledetto succhiotto, - uscii di corsa, rischiando di uccidere la micia, pestandola.

Evitai ancora Elizabeth, per grazia divina, e, tra miagolii che sembravano davvero irritati, mi chiusi anche in camera, sempre a chiave.

Probabilmente per mia zia, che poteva non avermi visto ma di sicuro sentito, cominciavo a sembrare pazza.

Sospirai, aprendo violentemente l'armadio e cominciando a spostare lo sguardo su ogni capo.

Come delle piccole finestrelle iniziarono ad apparirmi davanti agli occhi i ricordi di film e telefilm, su cosa la gente normalmente si sarebbe messa ad un appuntam ...

Mi interruppi bruscamente, di nuovo.

Ma a cosa stavo pensando?!

Era un'uscita; ed era Parker; ed ero soprattutto io.

Dandomi una piccola sberla in fronte, afferrai semplicemente un paio di jeans e una maglietta, di quelle più decenti. E così era anche tanto.

Mi vestii di fretta, buttando l'occhio sull'orologio appeso e vedendo come mancasse ormai pochissimo.

Mi misi alla ricerca delle scarpe, le solite, ma imbattendomi nelle ballerine, esitai.

Indecisa, mi mordicchiai le labbra per qualche secondo, per poi infilarmele senza pensarci oltre.

Ero pronta?

Diedi un'occhiata alla mia immagine riflessa, vedendomi non poi tanto diversa al solito, tranne per le ballerine che in quel momento sembravano risaltare con fare colpevole.

E così andava benissimo: sarebbe stato stupido fare molto di più solo per un'uscita, - uscita, mi ripetei ancora mentalmente, - con un ragazzo che dopo tutto mi vedeva di continuo e sapeva com'ero.

O almeno era quello di cui mi stavo convincendo.

Un'uscita. Semplice uscita.

Guardai ancora l'orologio e meno di una decina di minuti mi distanziavano dall'evento x.

Girai la chiave nella serratura e aprii la porta, con un piccolo sospiro.

E quasi urlai, vedendo il viso di zia Lizzy a pochi centimetri da me, appena fuori dalla camera, dal piccolo spiraglio che si era aperto.

- Cosa stavi facendo?! - Chiesi, quasi urlando e portandomi una mano al cuore e superandola. Pregai che non vedesse le scarpe, se non l'avesse fatto forse ero salva.

- Io?! Cosa stai facendo tu! E ... - Si avvicinò, arpionandomi e annusandomi. - Ti sei messa del profumo?! Sospetto!

Mi dimenai per farmi mollare, perdendo probabilmente tutto il contegno possibile. - E' bagnoschiuma e basta, quello che usi anche tu!

- Sì, certo, certo. - Assecondò. - Non evitare la domanda come fai con Cecilia! Cosa stai combinando, Eve? Dove stai andando, Eve? Con chi, eh, Eve? - Cominciò a domandare, seguendomi mentre scendevo le scale, quasi pesandomi sul collo.

- Esco. - Provai a limitarmi a quello, infilandomi in cucina, aprendo il frigo e prendendo una bottiglia

- Dove e chi? Sono una giornalista, le so bene le Ws questions*, te ne sto risparmiando anche alcune, limitati almeno a queste! - Cantilenò.

Cercai il più possibile di ignorarla, bevendo un lungo sorso d'acqua.

- Eve! - Mi richiamò, mettendo su il broncio e appoggiandosi al ripiano della cucina con fare disperato. - Parla con la tua mammina! - Supplicò, con tono abbastanza patetico.

Misi giù la bottiglia, dopo averla quasi svuotata per metà. - Ti ho detto che esco!

- Non ti faccio uscire se non mi dici con chi vai! E tanto so chi è! Ammettilo!

- Sono maggiorenne! Esco se voglio! - Mi uscì.

Sgranò gli occhi di colpo, facendomi quasi sobbalzare dallo spavento.

- Cosa?!

- Queste frasi da crisi adolescenziale?! Ommiodio, sei in piena fase di ribellione! Ho un libro su quell'argomento, ma ... Dai, Eve, mi hai risparmiato di leggerlo per così tanti anni, adesso non mi va d ...

- Qualcuno ti obbliga?! E non sono in nessuna crisi adolescenziale e ...

A salvare entrambe, da una probabile crisi isterica, arrivarono dei colpi alla porta.

Ci bloccammo.

Tirai fuori il cellulare di scatto e non vidi né chiamate né SMS: non poteva essere Max ...

Prima che potessi aprir bocca, mia zia si era già precipitata ad aprire.

- Zia! - La chiamai, inseguendola e arrivando alle sue spalle proprio mentre la porta si apriva.

E ai nostri occhi si presentò, come non mi sarei mai aspettata, proprio Parker.

Capelli spettinati, forse più del solito, maglietta scura, un paio di jeans che usava spesso e Iphone in mano che era impegnato a guardare.

- Andiamo? - Chiese, ancora prima di alzare lo sguardo e, quando lo fece, gli occhi verdi sgranarono.

Mi sembrò di morire.

- Buonasera, Max! - Salutò, più allegra che mai, Elizabeth, appoggiandosi allo stipite e passando con gli occhi da me a lui.

- Sera. - Rispose lui, dopo un attimo d'esitazione, e, forse per la prima o seconda volta, da quando lo conoscevo, lo vidi seriamente in difficoltà. I suoi occhi trovarono i miei e probabilmente lessero la parola "idiota", solo per lui.

- Come mai qua? - Rincarò la dose mia zia, che sapeva benissimo cosa stava succedendo, ma faceva la finta tonta solo per torturarmi.

- E ... - Parker esitò e mi chiesi davvero perché fosse venuto a suonare a quella maledetta porta, invece di mandarmi un semplice messaggio!

- Uscite? - Insistette Elizabeth.

- Andiamo insieme a Francy ed Emily e ad altri amici di Max a vedere un film! - Inventai, sorpassando la mia malefica parente che se la rideva più che mai.

- Oh, un film ... Ai miei tempi si preferiva dire “andiamo a guardare le stelle”; al giorno d'oggi si dice così, invece? - Chiese, quasi seriamente interessata.

Volli far finta di non aver capito.

- Non torno tardi, a dopo, ciao! - Provai a farla smettere, raggiungendo Parker.

- Divertitevi! - Augurò Lizzy, sventolando la mano, e quella piccola parola mi suonò familiare; Max accennò un saluto, provando a tornare ai suoi sorrisi abbaglia-idioti, ma con scarsi risultati.

La porta si chiuse, ma tanto sapevo che le finestrine della cucina sarebbero state perfette, per lei. Si stava lentamente trasformando in una specie di copia della madre di Francy. Forse più inquietante.

Arrivammo alla macchina di Parker in silenzio: io terrorizzata di sentirmi gli occhi di mia zia addosso; lui forse pensando alla cazzata che aveva appena compiuto.

- Perché, Parker? - Chiesi, a bassa voce, raggiungendo la portiera ed aprendola. - Perché?! Saremo entrambi tormentati fino alla morte, da mia zia, ora è sicuro!

Sospirò, facendo come me ed entrando nell'abitacolo. - Eravamo condannati a quella fine da stamattina ... - Mi fece notare, guardandomi. - No, comunque, tua zia non è mai in casa ed ero distratto. Sono andato alla porta senza nemmeno pensarci … - Si giustificò, con una smorfia, infilando le chiavi nel cruscotto.

- Ma l'hai vista oggi! - Obiettai, incredula.

- Avevo altro a cui pensare, in quel momento. - Continuò, concentrato sulla macchina. - Ho agito per abitudine e basta. - E sembrò voler tagliare corto lì.

Aprii subito la bocca per ribattere, ma l'immagine di Max col cellulare in mano, davanti alla mia porta, mi tornò in mente.

Era stato impegnato a pensare a qualche messaggio appena arrivato?

Di seguito mi si parò davanti agli occhi il ricordo di lui e Clark che parlavano, nella classe.

Chiusi la bocca, sentendomi la gola secca ed osservando Parker.

Sembrava normale, così normale mentre accendeva il motore e la radio; così normale in confronto a com'era stato a scuola. Ma nel tono qualcosa sembrava aver stonato.

Come un'ora scarsa prima, mi chiesi se il grigio ci fosse mai stato – se continuasse ad esserci, - o se la mia fantasia si fosse limitata a viaggiare troppo.

Sospirai, sapendo che le domande non avevano risposta.

- E' già tanto, allora, che tu non abbia provato a cercare le chiavi di scorta. Sarebbe stato troppo per Lizzy vederti piombare in casa, senza bussare né niente. - Commentai, piattamente, provando a dare alla conversazione una normale sfumatura ironica, sia per compensare quei secondi di silenzio sia per testare il terreno e i miei sospetti su Max; mi allacciai la cintura di sicurezza solo in quel momento, nonostante la macchina fosse ormai partita da un po'.

Sorrise. - Mi avrebbe cacciato, dici?

Scossi la testa, provando a incrociare il suo sguardo e capire qualcosa con quelli. - Nah, lo sai benissimo. Sarebbe stato troppo per il suo cuoricino: morta dall'esagerato entusiasmo.

Rise e finalmente trovai i suoi occhi.

Erano davvero normali come sembravano?

- Visto? Dovresti comportarti come lei, ogni volta che mi vedi!

Scossi la testa, sbuffando. - Mai! - E un po' suonò a bugia.

Tornò alla strada, con un mezzo sorriso pennellato sulle labbra. - Immaginavo.

Seguì silenzio, ancora, riempito solo dal rumore della macchina e musica alla radio.

Lui guidava, battendo le dita sul volante; io lo guardavo di sfuggita, alla luce del tramonto che dava sfumature rossicce ai suoi capelli e gli faceva socchiudere gli occhi. In quel gesto mi sembrò di rivederlo, in qualche modo, nella notte del suo compleanno e rischiai di arrossire.

- Perché questa cosa? - Chiesi alla fine, non riuscendo a trattenermi e capendo di non voler nemmeno provarci a farlo.

- Cosa? - Finse di non capire, guardando la strada con attenzione.

- Questa … Uscita. - Continuai, insistendo su quella definizione, come avevo fatto a casa.

Fece vagamente spallucce, girando a un incrocio. - Mi andava. A te no? Eppure hai detto di sì! - E mi lanciò un sorriso voltandosi appena e spostando come sempre l'attenzione da lui a me. - Anche con un interessante entusiasmo.

Ignorai la provocazione. - Non me l'hai mai chiesto in tutti questi mesi, quindi scusa se lo trovo un evento eccezionale!

- Mi ripeterò: pensi troppo. - E rise.

Esitai un attimo, mordicchiandomi le labbra mentre la risata si spegneva.

La sensazione avuta a scuola potevo davvero essermela immaginata?

E se stava fingendo, cosa stava nascondendo?

Mi tornò di nuovo in mente Clark. E parlai: - Non ha a che fare con quello che tu e Clark vi siete detti, vero?

La domanda non sembrò nemmeno metterlo a disagio: parcheggiò tranquillamente e, appena finì, mi guardò, un po' perplesso. - Perché dovrebbe? Non sai nemmeno cosa ci siamo detti. - E sbuffò, quasi divertito dal fatto che avessi potuto anche solo pensarci.

Aprii la bocca per ribattere e lui spalancò la portiera, uscendo.

Lo imitai di fretta, ma non bastò a interromperlo: - Che dici, è presto per mangiare? - Chiese, chiudendo a chiave e non guardandomi.

Esitai, solo non sapendo se tornare sull'argomento o lasciar perdere, di nuovo. Alzò lo guardo e i suoi occhi trovarono i miei.

- Forse un po'. - Mi arresi, dopo quella ricerca inconcludente nel verde.

Mugugnò, come d'accordo, affiancandomi e rimanendo a una distanza neutra: né troppo vicino né troppo lontano. - Allora, sai, potremmo davvero fare quello che hai detto a tua zia. - Propose, con un mezzo sorriso divertito.

- Film? - Suonai ironica.

- Perché questo tono? - Si lamentò, divertito. - Li guardo anch'io i film!

Sbuffai, cominciando a camminare verso il cinema più vicino, a un solo isolato da quel parcheggio. - L'ultima volta che abbiamo provato a guardarne uno, non hai fatto altro che criticare la trama e l'amore e … - Tentennai, un po' per aver pronunciato quella parola, un po' per quel che seguiva.

Non sembrò farci caso, per mia fortuna. - Sì, e ho provato a fare qualcosa di più divertente su quel divano, ricordo. - Finì lui, bello come il sole e facendo spallucce.

- Per poi essere rifiutato. - Sottolineai. Rifiutato come non era di certo stato il giorno prima.

Mi rivolse una smorfia. - Solo per orgoglio. - Ed era vero.

- Sempre meglio che provarci per puro capriccio. - Mi impuntai, pensando a quello che mi aveva detto il giorno dopo: che aveva semplicemente avuto voglia di una ragazza e c'ero stata io.

In risposta mi arrivò del silenzio e mi girai a guardarlo. Lo trovai all'improvviso di nuovo strano e gli occhi verdi mi squadrarono un attimo. Mi sentii tirare un ciuffo e notai quanto si fosse avvicinato, camminandomi a fianco.

- Non hai ancora capito quand'è che mento e quand'è che dico la verità? - Domandò e forse fu lo sguardo strano a far sembrare la domanda più seria di quel che in realtà fosse.

- Purtroppo no. - Confessai.

Se avessi sempre scorto la verità e la menzogna nelle sue parole, con certezza, sarebbe forse cambiato tutto? Saremmo stati sempre lì, bloccati? Oppure definiti, in una qualche categoria che non riuscivo nemmeno a immaginare?

- Non so nemmeno se ci hai provato, a capirlo … - Disse e abbozzò un sorriso. - Forse hai sempre e solo dato per scontato che le cose brutte fossero la verità. - E gli occhi continuavano a guardarmi con fin troppa insistenza.

- Si dice tanto delle donne, ma sei tu troppo complicato. Non ti sarebbe bastato non dirmi semplicemente bugie? E' molto più semplice che aspettare che io estrapoli la verità.

Fece una specie di sospiro e la sua mano salì veloce fino alla mia nuca, sfiorandomi ancora i capelli e facendomi sobbalzare.

- Ma te li sei asciugati? - Chiese scettico, cambiando completamente discorso.

Lo guardai un attimo disorientata, poi corrucciandomi. - Dammi tempo, la prossima volta! - Mi lamentai, voltandomi verso la strada e cercando di non pensare a quello che c'eravamo appena detti. O forse avrei dovuto farlo?

- La prossima volta? - Mi canzonò e si era avvicinato perché la voce mi arrivò da davvero molto vicino.

Mi girai di scatto, trovandolo a pochi centimetri e mi sentii subito tendere. - E' da non credere come me la stai rivoltando contro, quando mi hai chiesto tu, oggi, di uscire!

- Sei tu però che hai espresso il chiaro e intenso desiderio di ripetere questa emozionante esperienza!

- Ma muori!

- Non lo vorresti. - Continuò a stuzzicarmi, col sorriso da schiaffi davvero a pochi centimetri.

Aprii la bocca per ribattere, ma ad impedirlo fu lo scontro ravvicinato con un distributore di giornali. Per poco non volai dall'altra parte.

Parker scoppiò a ridere, allontanandosi, e io finalmente mi guardai attorno: eravamo davanti al cinema e avevo camminato per tutto quel tratto senza guardar davanti nemmeno una volta. Era già tanto che non avessi beccato un palo.

Mi scostai dal distributore, fingendo bellamente che non fosse successo niente, e, superando lo sfigato, che continuava a ridersela, quasi deliziato, entrai dentro al multisala.

- Evy! - Mi chiamò, correndomi dietro poco dopo e cercando di smetterla con le risate.

Lo fulminai, in fila alla cassa. - Che film guardiamo? - Chiesi seccamente.

Lui sorrise ancora, cercando subito i miei occhi e dandomi una specie di buffetto in fronte.

- Non so … - Si guardò intorno, alla ricerca delle locandine. - Uhm, Oblivion? - Propose.

Cercai il poster appeso lì vicino. - E di cosa parlerebbe?

Fece spallucce. - E' un film, andrà bene.

Lo guardai scettica, avanzando nella coda. - Dai, se dobbiamo sprecare soldi che sia almeno decente …

Rise. - Avara come sempre, eh?

- Io non ho …

Mi interruppe di nuovo. - Te lo pago io il biglietto, tranquilla.

Mi bloccai un attimo: Max aveva sempre pagato tutto ogni volta che avevo avuto a che fare coi soldi, nei suoi stupidi incarichi, ma quello era diverso. E dopo tutto era solo un'uscita.

- Non voglio approfittarmene. - Ribattei.

Alzò gli occhi al cielo. - Se paghi i popcorn sei contenta?

- Mi stai dando il contentino? - Chiesi, accigliandomi.

Si avvicinò, afferrandomi per una guancia. - Ma sai che non ti va mai bene niente?

- Mnon è mvero! - Mugugnai, provando a liberarmi.

Una coppietta dietro di noi ridacchiò guardandoci e in effetti lo spettacolo doveva sembrare strano, così come noi.

- Invece sì! - Ribatté e sorrise, guardando da vicino quella smorfia ridicola che dovevo avere. - Prendi i popcorn, dai, e io pago questo. - E mi lasciò andare.

Sbuffai a suo indirizzo e in cambiò ricevetti una smorfia scettica.

Arrivai all'altra fila, continuando quello scambio di occhiatacce con Max, da una parte all'altra della grande stanza che conteneva tutto in quel cinema, tranne le sale di proiezione, e mi misi dietro a due ragazze, senza quasi accorgermi di loro. Solo quando si girarono, probabilmente, colsi i loro sguardi e alzai il mio.

Trovai due paia di occhi leggermente sorpresi e io impallidii di riflesso.

Entrambe erano mie compagne di scuola, del mio stesso anno; avevo ore in comune sia con l'una che con l'altra; e ovviamente mi conoscevano.

Si girarono di scatto, quasi fingendo di non avermi notata e volli assecondare il loro gioco.

La fila avanzò e toccò a loro ordinare da mangiare. Mi chiesi, aspettando, a cosa fosse dovuta quella leggera ansia che mi era presa, riconoscendole: avevo paura davvero che mi vedessero con Max? Di quello che avrebbero pensato? O forse a preoccuparmi era di più la reazione di Parker che, quando nelle vicinanze c'era qualcuno conosceva, passava sempre dagli “Evy” ai “Gray”?

- Ehy, ma ti sei messa le ballerine!

Sobbalzai, presa alla sprovvista, sentendo la voce di Max proprio alle mie spalle, e mi girai di scatto, come le ragazze davanti a me.

- E allora? - Chiesi, sulla difensiva, mentre lui mi affiancava col suo sorriso ironico.

- Allora fai tanto la sostenuta, ma ti sei davvero emozionata per questa serata, da metterti in tiro. - Continuò a prendermi in giro e non avendo evidentemente ancora notato le nostre compagne di classe.

- Non mi sono emozionata un bel niente! E questo non è mettersi in tiro! - Obiettai, lanciando un'occhiata veloce alle ragazze che non rispondevano più al cassiere.

- Beh per te, più o meno … - Insistette, solo per farmi arrabbiare di più.

- Semplicemente non trovavo più le all star e …

- Bug … Giarda … - Commentò, soffocando la parola tra finti colpi di tosse.

- E' vero! Poi sono comode!

- Se lo sapesse il Dittatore, cosa fa la sua cocca mentre lei non c'è ... - Continuò, fingendosi esasperato e scuotendo la testa.

Gli diedi un colpo sul petto, ma non mi suonò più a rimprovero, com'era sempre stato, il gesto, e probabilmente con la mano esitai una decina di secondi di troppo sulla sua maglietta. - Ci mancherebbe che mi mettessi nei guai ancora, con la preside!

Sorrise, pronto a ribattere, ma all'improvviso una strana smorfia gli si dipinse in volto. Lo guardai perplessa, non capendo. Deviò lo sguardo da me e trovò così, in quel momento, le nostre coetanee.

- Lilly! - Salutò una delle due, tornando di nuovo a un mezzo sorriso. - Non ti avevo vista! Potevi dirmi qualcosa! - La accusò e io non potevo fare a meno di guardarlo. Era appena successo qualcosa o me l'ero immaginata io?

- Non volevo disturbare! - Si giustificò una delle due, non seppi quale visto che non mi voltai nemmeno.

- Ma no, figurati. Film anche voi?

- Sì! - Confermò quella che, essendomi finalmente girata, riconobbi come Lilly; non fece notare a Parker quanto la domanda fosse stata idiota. - Voi due, invece ... - E ci squadrò, soffermandosi un po' di più su di me. - State uscendo insieme?

L'amica di Lilly la guardò con una finta occhiata di rimprovero, sgranando gli occhi e nascondendo un sorriso: in realtà entusiasta dell'intraprendenza dell'altra.

Io mi bloccai e sperai di non essere arrossita.

- Siamo venuti per un film. - Spiegò Max, senza esitare e senza spiegare in realtà un bel niente. E sorrise. - Ci vediamo dopo, dai: siamo arrivati tardi e ormai il nostro inizia. Salutami Scott! - Disse, per poi sorpassarle e prendere il loro posto alla cassa, congedandole velocemente così come le aveva interpellate.

Lilly e l'amica si allontanarono lentamente, girandosi a guardare Parker con una specie di broncio.

Io respirai, cercando di far finta di niente e sistemandomi al fianco di Max, con i gomiti sul bancone.

- Se dovevi smollarla con così tanta fretta, potevi anche evitare di dirle qualcosa ... - Gli feci notare vagamente, più per dire qualcosa che per altro, mentre il commesso ci riempiva la scatola più grande di popcorn.

Fece spallucce, ignorandomi e passandosi la mano tra i capelli.

- E ehy! Che roba enorme hai chiesto?! Mi mandi in rovina!

Sorrise leggero, ma continuando a non guardare niente di preciso, come pensando ad altro. - Taccagna. Devo offrirti anche questo?

- Mai.

- Prevedibile.

Poco dopo camminavamo fianco a fianco, come prima, verso la sala che ci spettava. Eravamo un po' in ritardo e, dietro la tenda scura, ci accolse il buio.

Demmo i biglietti al ragazzo all'entrata, che ci accompagnò, facendo luce con la piccola torcia, verso gli ultimi posti in sala.

Max ed io ci accomodammo nella fila vuota, pressoché in silenzio.

Mi sedetti, imitata da Parker, e mi tolsi la giacca leggera, lentamente, senza guardarlo e piegandola me la sistemai per bene dietro la schiena: per usarla come cuscino, ma stropicciandola il meno possibile.

Percepii prima l'odore più forte e il calore vicino alla guancia, che il suo tocco ai miei capelli, per scostarli, e la sua voce. Mantenni lo sguardo dritto verso lo schermo, cercando di non sciogliermi per il suo essersi avvicinato così all'improvviso e il suo sussurro contro l'orecchio: - In realtà volevo vedere questo film perché ho complessi d'inferiorità nei confronti di Tom Cruise: mia madre era innamorata di lui, quand'ero piccolo, e avevo seriamente paura che mi vendesse in cambio di un appuntamento con lui, in qualche modo. - Le parole, una pura idiozia, stonarono completamente con i brividi che mi avevano causato.

Risi, forse un po' troppo istericamente. - Quindi vuoi rivivere il tuo complesso? E sai, non pensavo che potessi seriamente temere qualcuno, dall'alto della tua vanità ...

Mi sentii pizzicare un fianco, da sotto il braccio e mi voltai a guardarlo, lentamente, cercando di accigliarmi, ma trovandolo troppo vicino per farlo davvero.

- Non è vanità, è realismo! E voglio farmi passare il trauma, comunque: basterà che tu dica che sono molto più bello di quel vecchiaccio e di sicuro mi sentirò meglio!

Scossi la testa, provando a non pensare alla vicinanza fisica, ma a quanto fosse stupido, e sorrisi. - Non te lo dirò mai, egocentrico.

- Scommettiamo? - Mi sfidò, con il solito sorriso da schiaffi e il suo viso mi sembrò più vicino.

Mi allontanai leggermente, per la mia sanità mentale. - Ah, visto? Non hai complessi d'inferiorità, sei solo un maniaco con cattivi propositi. - Lo accusai, di getto.

Soffocò uno sbuffò divertito. - E questo l'hai dedotto da uno “scommettiamo”?

- Le tue scommesse hanno sempre scopi malvagi! - Gli feci notare.

Il sorriso gli si cancellò all'improvviso e smise per un attimo di guardarmi, ma prima ancora che riuscissi a reagire a quella strana reazione, stava già sbuffando, facendo spallucce. - A volte, non sempre. Adesso volevo scommettere solo perché so che l'ammetterai anche tu, la mia netta superiorità.

- Stai male! - E risi, facendo finta che quello strano attimo non ci fosse appena stato.

Un signore davanti a noi, moro, con un paio di baffi altrettanto scuri, si voltò, zittendoci con un'occhiataccia cupa, nascosta e resa più scura da sopracciglia folte.

Max finse uno sguardo colpevole e sistemò la scatola di popcorn tra le sue gambe, cominciando a mangiare, mentre il film iniziava.

E così gli diedi un'occhiatina, sempre di nascosto, come avevo fatto in macchina, dissimulando un sorriso. Ed era ingiusto come anche la luce dello schermo gli donasse, a lui e ai suoi occhi.

Dopo un bel po' di secondi, arricciò le labbra, trattenendo una risata, e si volse, anche lui, avendo colto il mio sguardo. - Sì?

Riuscii a non arrossire e, mantenendo contegno, allungai solo una mano per raggiungere il cibo. - Niente. - Risposi. - Popcorn.

- Ah, pensavo fosse uno sguardo da chi spera in “scopi malvagi”, come hai detto prima. - Mi prese in giro, stravaccandosi un po' di più sulla poltroncina.

- Non sono come te. - Mi difesi, sbuffando e afferrando altri popcorn.

Lo vidi, anche nel buio, alzare le sopracciglia, . - Sempre ad accusare me? Tu hai proposto di andare al cinema!

Scossi la testa, ma sorridendo. - Ehy, io dicevo a mia zia, tu hai ritirato fuori il posto!

- Ma solo perché sapevo che volevi un luogo buio.

- Pieno di telecamere, certo … - Finsi di dargli corda, scetticamente, ma sentendomi quasi più elettrica alle insinuazioni.

- Sei anche esibizionista, Gray? Questa non la sapevo!

- Ma taci! - Lo sgridai, provando di nuovo a dargli un piccolo colpo dei soliti.

- Ho vinto. - Decretò, afferrando due popcorn e non avendo minimamente sentito il mio schiaffo sul braccio.

Un colpo di tosse del signore davanti suonò ad evidente lamentela.

Ci zittimmo per pochi secondi, continuando a guardarci. Lui mentre mangiava, con un leggero sorrisetto; io con la bocca socchiusa, pronta a ribattere e, alla fine, dopo aver controllato il tizio davanti, lo feci.

- No, vinco io. Sei tu il malintenzionato qui: hai scelto i posti nell'ultima fila, completamente vuota. - Lo accusai, sussurrando e continuando quella specie di giochetto.

Rise ancora, a bassa voce anche lui per non far voltare di nuovo il signore, e mi sentii sfiorare la mano. Percepii il sale dei popcorn, ma non mi diede fastidio, o forse, semplicemente, in ogni caso non mi sarei mai voluta staccare dal tocco.

- So di deluderti, ma sinceramente non ho cattive intenzioni … - Mi informò, piano, avvicinandosi per farsi sentire meglio, con la voce roca che caratterizzava i suoi sussurri.

Non ascoltai più le chiacchiere in sale, o la musica del film che iniziava; mi concentrai sulle sue dita che toccavano le mie, delicatamente, su ogni centimetro di pelle. Sentivo anche in quel momento la stessa sensazione allo stomaco che provavo sempre quando Max mi toccava. Passò l'indice sulle nocche, poi lentamente fino all'estremità del dito, delicato, così tanto da solleticarmi la pelle. Ma come sempre l'ultima cosa che mi faceva provare era il solletico.

- E che intenzioni hai? - Chiesi, riferendomi a quell'uscita, ma la domanda suonò più generale.

Esitò, come faceva ogni volta, quando era indeciso se dire la verità o mentire. Trattenni il respiro, sperando che scegliesse la prima cosa.

- Volevo stare con te. - Ammise, ma continuai a non respirare. - Stasera, finché posso.

Mi inumidii le labbra e sperai di non essere arrossita. - Finché puoi? Suona molto drammatico. - La buttai sul ridere.

Mi sembrò di vederlo leggermente sorridere, nella penombra. - Sei tu la drammatica: è semplicemente un “finché non torni a casa”.

- Lo so. - Abbassai gli occhi sulle nostre mani che si sfioravano, poi tornai al suo sguardo, fisso su di me, così vicino.

Ci osservammo, in silenzio; il film era iniziato da un po', ma ero convinta che, uscita da lì, non avrei saputo dire a nessuno di cosa parlasse, solo per essere stata seduta di fianco a Max, incapace di non concentrarmi su di lui.

I suoi occhi avevano la capacità di distrarmi, da tutto, così come i suoi lineamenti, le sue labbra, il neo, le sue dita sempre così calde che continuavano a giocare con le mie, nel solito modo incurante.

Il verde mi allontanò così tanto dal resto, che quasi non mi resi conto di parlare, mentre il suo pollice mi disegnava piccoli cerchi, leggeri, contro il palmo: - Non avevi detto che non tenevi per mano nessuna, Max?

Si bloccò: le sue dita si fermarono, ma non le ritirò, e gli occhi sfuggirono un attimo ai miei, per poi tornarci.

- Oggi hai intenzione di rinfacciarmi tutte le mie frasi? - Chiese, con una specie di mezza risata.

Mi ritrovai ad essere più entusiasta di quanto fosse lecito: per tutto quel disagio che sprizzava evidentemente da ogni poro e che non fece altro che rendermi più sicura. E più assettata di quelle frasi a metà che volevo così tanto sentire.

Mi avvicinai al bracciolo e quindi più a lui, arrivando a pochi soffi dal suo viso senza quasi rendermene conto. - Non si risponde a una domanda con un'altra domanda! - Lo sgridai, ironica.

In risposta arrivò un'occhiata torva, mal camuffata. - Sì, l'ho detto. Ma anche adesso non ti sto tenendo per mano, infatti.

La risposta mi fece arretrare di qualche millimetro, quasi delusa. Calai lo sguardo sempre sulle nostre dita, a cui sarebbe bastato così poco, come quella volta in fiera, per incrociarsi.

Così poco.

- Non posso tenere davvero qualcuna per mano … - Aggiunse, piano, riattirando la mia attenzione sul suo viso, dopo quei secondi di silenzio. Mi sembrò di vederlo di nuovo strano.

- Non puoi o non vuoi? - Chiesi e una specie di sorriso tirato mi fece distendere le labbra.

- Non ho mai voluto. - Spiegò, continuando ad avere gli occhi incatenati ai miei.

Sfuggii però, abbassando lo sguardo. - Lo so.

- Ma ora non posso, Evy … - Disse, ancora più a bassa voce, tanto che mi sembrò quasi di essermelo immaginato.

Di nuovo, con quel fare altalenante che stavo avendo, mi ritrovai a guardare il suo viso.

- E perché non potresti? - Domandai, e mi sentii il cuore in gola e probabilmente era lì davvero, pronto ad uscire e scappare a una risposta troppo chiara, che non andasse bene con quello che speravo, illudendomi come una bambina.

Esitò; la sua mano mi strinse le nocche, facendomi piegare le dita e sentire così piccola.

- Si pensa che stringere la mano a qualcuno sia rassicurante, che dia una sensazione di protezione, sollievo, che serva ad evitare del dolore, a tenere qualcuno vicino. - Cominciò e il battito lo sentivo fin nelle tempie. - Ma non è così. - Spiegò, gli occhi fissi nei miei, così tanto che sarei dovuta essere in grado di capirli, ma qualcosa continuava a sfuggirmi. - E' cominciando a stringere una mano, che si inizia a perdere qualcosa. E ci sono cose che non vorrei perdere. Non adesso.

- Shhh! - L'ennesimo ammonimento minaccioso, del signore davanti a noi, non poté essere più indesiderato e improvviso di così. - Se dovete parlare, uscite! - Ci sgridò, esplicitamente.

Max lo guardò, altrettanto esplicitamente infastidito. - Noi non urliamo, almeno!

E la sua mano scivolò dalla mia, mentre si rimetteva composto.

Io intanto non respiravo.

 

 

Da quando avevo a che fare con Max Parker, soffrivo decisamente di difficoltà respiratorie. E cardiache, ma su quelle avrei voluto evitare di approfondire.

Per il resto della durata del film – così come tante volte in quei mesi, - mi era infatti sembrato di non aver ispirato ed espirato nemmeno una volta, che nemmeno un soffio d'aria fosse circolato nei miei polmoni.

Entrambi eravamo rimasti fermi ai nostri posti, guardando il film, rivolgendoci solo qualche breve frase.

O almeno Max aveva guardato il film, fulminando l'uomo davanti a noi, ogni volta che si girava, sentendo un bisbiglio; io non ero riuscita a fare caso ad altro che che non fosse il frastuono nella mia testa, ma provavo a comportarmi più normalmente possibile. Probabilmente con scarsi risultati.

Un fischio acuto infatti mi risuonava da dentro, contro le orecchie, e chiedeva, a gran voce: le hai davvero capito, le parole di Max?

Il caos interiore cercava di rispondere di “sì”, ma l'aria assente nei polmoni, che non mi permetteva di pronunciare quel monosillabo nemmeno a bassa voce, non sembrava esserne convinta.

E tutta quell'agitazione era solo esagerata, in realtà: perché anche se Max avesse sul serio voluto dire che non poteva tenermi per mano, solo per paura di perdermi … Io cosa ne guadagnavo?

Niente. Un bel niente.

Il “game over” era davanti ai miei occhi, in quel caso.

- Ceniamo? - Mi chiese, interrompendo il silenzio che durava ormai da un po', mentre scendevamo le scalinate davanti al cinema.

Annuii, abbozzando un sorriso in sua direzione.

All'improvviso quello che rischiava di essere strano non era più lui, ma io.

Ma era inutile.

Avevo deciso di non sapere, di continuare con quelle mezze frasi, di godermi quel che c'era, finché non sarebbe arrivata l'inevitabile fine. Perché dovevo deprimermi per aver solo scorto il “game over”?

Bastava solo ignorarmi: smetterla di pensare di voler tornare sull'argomento e approfondirlo. Fermarmi prima che fosse tardi.

Il mio sorriso si sforzò di diventare più sincero. - Dove?

Sembrò notare il mio cambiamento e il suo braccio, camminando, sfiorò casualmente la mia spalla.

- Andiamo a prenderla d'asporto, la cena, mangiamo, poi dopo vediamo che fare. - Spiegò, evidentemente divertito e intenzionato a non spiegare altro.

- Posso almeno sapere in cosa consiste la cena? - Tentai.

- Posso darti indizi. - Continuò a giocare.

Alzai le sopracciglia, scettica, e alternando le occhiate dai suoi occhi al marciapiede, per non ripetere l'episodio di prima. - Vai.

- Non c'è purè.

Scoppiai a ridere, naturalmente, senza bisogno di sforzi e sapevo già di non star più pensando alle cose di prima; gli diedi un colpo sul braccio, fintamente infastidita. - Non avrei mai dovuto dirtelo, stronzo! Da quando sai che è il mio piatto preferito, devi sempre nominarlo, eh!

- Sennò che divertimento ci sarebbe ad avere quella roba come cibo preferito?! - Mi chiese, con una smorfia.

- Parla quello che adora il pollo alle mandorle! - Ribattei, incrociando le braccia e facendo la sostenuta.

- E' meglio del purè, Evy, sei tu l'anormale … - Mi offese, tranquillamente, e prima che dalla mia smorfia si potesse passare agli insulti, continuò: - Comunque, un po' hai indovinato!

- Ma non ho … Ah ... - Mi bloccai, scettica. - Cinese?

In cambio mi arrivò un sorriso soddisfatto. - Sei felice?!

- Di sicuro meno di te. - Gli feci notare, scuotendo la testa e continuando a seguirlo, camminando verso il suo ristorante.

- Non fare la modesta e non trattenere la gioia.

Lo ignorai. - Comunque hai parlato di un dopo, alla fine della cena, ma ti rendi conto che ieri non abbiamo dormito e … - Mi bloccai, parlando, per aver nominato, con così tanta naturalezza, quello che era successo la notte scorsa, a casa mia.

Incrociai i suoi occhi e il verde mi guardò in maniera diversa. - E? - Incitò e mi sembrò davvero strano che non fosse passato alle sue battute ironiche, per provare a imbarazzarmi, tenendomi su quei ricordi.

Provai a riprendermi, inumidendomi le labbra. - E sono già le 9, non so se faremo in tempo a fare molto altro. - Spiegai, incespicando da sola sul “molto altro”, che sembrava alludere a chissà cosa. Mostravo ormai chiari segni di pazzia.

- Invece ce ne sarà. - Iniziò a spiegare, smettendo di guardarmi e tenendo quello sguardo strano davanti a sé. - Non voglio tornare a casa, ti rapirò per un bel po'. - Finì, ma la voce suonò strana.

In qualche modo mi sembrò preoccupato e lo guardai, non capendo. - Per tua madre? - Chiesi.

Si voltò verso di me, perplesso. - Mia madre?

- E' a casa ed è arrabbiata con te per la storia della preside? - Tentai. - Hai detto di non volerci tornare ...

Esitò, con la bocca socchiusa, poi si morse le labbra. - No, per essere arrabbiata non lo è. Non particolarmente, almeno ...

- Tuo padre? - Insistetti, un po' più piano.

Sogghignò amaro. - Sono riuscito a convincere Claire a non dirgli niente. La tregua la vuole anche lei e le sta bene. Soprattutto ultimamente, dato che ce n'è una spontanea da quella partita di basket.

Capii senza bisogno di spiegazioni, di quale stesse parlando. Anche dal suo sorriso, più sincero.

- Allora mi strappi dal sonno per quali motivi? - Domandai, cercando di dissimulare il fatto che, nonostante le mie occhiaie sarebbero aumentate, quel rapimento non potesse rendermi triste.

- Ti dispiace? - Fece, divertito, e come sempre a dissimulare ero una frana.

Misi su una smorfia. - Oggi hai la mania di fare domande in risposta?

Rise, piano. - Quando uno non vuole rispondere, deve fare così. - Disse e con un sorriso che potevo voler dire tutto, fece i pochi passi che lo separavano dal ristorante, aprendo la porta.

Lo guardai circospetta, mentre ironicamente mi faceva il gesto cavalleresco di passare per prima.

- Perché mai non vorresti dirmelo? - Continuai, entrando e guardandolo con insistenza.

- Ti stressi troppo, Gray, ti verrà l'ulcera. - Mi ammonì, superandomi e andando verso il bancone. - Cosa vuoi da mangiare? - Chiese, in fretta, e, anche se l'occhiata sembrava tranquilla, probabilmente voleva allontanarsi dal discorso.

Mi arresi, perché in effetti un qualcosa mi sarebbe potuto venire davvero, continuando a quel modo. - Mi fido del tuo gusto. Non farmene pentire.

Rispose con un sorriso, mettendosi poi a parlare con una donna asiatica dalla dubbia età.

Una ventina di minuti dopo stavamo uscendo, col caldo e l'odore di fritto addosso, e l'aria di poco più fresca, nel buio della notte, fu un leggero sollievo.

- Fa caldino per essere aprile. - Commentai, tentata di togliermi la giacchetta a vento.

- Questa frase è stata molto inglese*, Evy. - Notò, ridendo e prendendomi di mano la busta con la cena.

Gli rivolsi una smorfia, ma durò poco. - Ti devo pagare la metà. - Feci presente; alla cassa aveva aperto velocemente il portafogli, sbrigando il conto da solo.

- Hai sempre preteso che pagassi tutto io e stasera cambi idea? - Chiese scettico.

- Era diverso. - Spiegai, corrucciandomi. - Quanto ti devo? - Ripetei, parecchio decisa.

Mugugnò, fingendo di assecondarmi e non rispondendo alla domanda. Poi gli occhi tornarono ai miei e sorrise, fin troppo divertito per essere rassicurante. - Propongo una cosa.

- Dico già di no.

- Come preferisci. - Fece spallucce. - Ma non ti dico quanto ti toccherebbe pagare a meno che tu non vinca una piccola gara.

Aprii la bocca, accigliata. - Che gara?!

- Sai il gazebo del parco? - Chiese, il sorriso sempre più ampio.

Feci mente locale della sottospecie di parchetto, vicino al centro, la cui unica attrazione, tralasciando alcuni giochi per bambini, era appunto un gazebo bianco e bello, seppur datato.

- Sì. - Annuii, circospetta.

- Se ci arrivi prima tu, paghi la tua parte; se arrivo prima io, allora rimane com'è adesso. - Propose quella semplice scommessa, sempre più ironico: era ovvio chi avrebbe vinto.

- Non è leale! Io sono negata a correre, mentre tu giochi a basket! - Mi infiammai.

Tirò fuori il cellulare dalla tasca, per la prima volta da quando me l'ero trovato davanti alla porta di casa. - Correndo ci vorranno cinque minuti di corsa, io te ne due e mezzo di vantaggio. - Propose. - Hai anche possibilità di vincere, se lo sfrutti bene. - Fece notare, continuando col suo sorriso.

Scossi la testa, fermandomi sul posto. - O fai una sfida equa o non ci sto!

- Così tanta paura di perdere? - Mi provocò, col sorriso da schiaffi. - Per una cosetta del genere, non hai nemmeno intenzione di provarci? Che codarda, nonostante tu non perda niente! Non me lo sarei mai aspettato da Evelyne Gray e …

E ci cascai in pieno, o forse volli cascarci eccitata dal suo sguardo: scattai subito, di corsa, sperando anche di guadagnarmi dei secondi, in direzione del parco. Alle mie spalle sentii la risata di Parker e, più che di presa in giro, suonava a semplice divertimento, sincero.

Mi mossi subito più in fretta di quanto sapevo avrei retto, in quei cinque minuti, sentendomi una bambina per aver ceduto a una provocazione così infantile e per star correndo, come non facevo seriamente, con quell'entusiasmo, da anni. Sorridendo, sentendo sempre di più il fiatone e lanciando occhiate all'indietro, sperai che i primi due minuti non passassero.

Contro quasi ogni mia aspettativa riuscii a non fermarmi nemmeno una volta, pur non provando nemmeno più a respirare correttamente per il naso e limitandomi a boccate d'aria, e arrivai in piazza, riuscendo a vedere da lontano il gazebo bianco.

Mi sfuggì un colpo di tosse e rallentai un attimo, guardandomi alle spalle.

Proprio mentre elaboravo il pensiero euforico di poter vincere, non vedendo ancora Parker alle mie spalle, lui svoltò l'angolo.

Sgranai gli occhi, seriamente nel panico per quel giochetto e ripresi a correre, più di prima, rischiando di inciampare ed uccidermi.

Sentii ancora la sua risata, da dietro, che si avvicinava sempre di più, e, senza rendermene conto, a quella si unì la mia.

Com'era ovvio che fosse, quand'ormai i nostri piedi toccavano l'erba e i metri dal gazebo erano pochi, lo vidi raggiungere il mio fianco e superarmi, per poi arrivare primo.

Nonostante la sconfitta, frenai la corsa solo poco prima delle scalette bianche di legno e cercai di riprendere fiato.

Alzai lo sguardo, trovandolo già in cima, con gli occhi verdi, di un colore più intenso e vivo del solito. Mi sorrideva, con la busta di plastica saldamente tra le braccia, e lo immaginai, in un attimo, mentre correva, cercando di non far cadere niente, né tanto meno di distruggerci la cena.

Aveva spudoratamente vinto.

Feci i pochi scalini che ci separavano, senza nemmeno un po' di frustrazione, solo esausta. - Basta! - Ansimai, lasciandomi cadere sulla panchina dentro il gazebo. - Io con te … Mai più!

Rise, ma col fiato corto anche lui: probabilmente per raggiungermi di fatica ne aveva fatta. - Ammettilo di esserti divertita!

Lasciai cadere la testa all'indietro, respirando profondamente e lasciandomi sfuggire un sorriso. - No.

Lo sentii sedersi di fianco a me, mentre realizzavo, per un non trascurabile male ai piedi, di aver sul serio corso con le ballerine. A quel pensiero mi resi conto che la vittoria me la sarei potuta benissimo meritare anch'io.

- Mi muori? - Chiese, e mi spostò un ciuffo di capelli, dalla faccia, indietro. E pur così stanca, il suo tocco lo notai tanto, rilassandomi di riflesso.

Chiusi gli occhi e abbozzai un qualche tipo di espressione – di sicuro simile a una smorfia, - e finii di stabilizzare il respiro.

- Non mi piace l'attività fisica. - Mi lamentai. Ma mi ero divertita: con l'idea di lui che probabilmente mi era alle calcagna, pensando alla gara, all'idea di vincere o di vederlo raggiungermi. - Ma ci ha visti qualcuno? - Chiesi, ridendo e sollevando finalmente il viso, per guardarlo.

- Di sicuro, ma ero più impegnato a cercare di raggiungerti per farci davvero caso. - Disse, sorridendomi.

Era vicino, tanto, e con il respiro ancora vivo, un colorito leggermente più acceso sulle guance, gli occhi così verdi, lì, mi venne voglia di avvicinarmi e baciarlo.

Mi morsi le labbra, trattenendomi con fin troppa fatica. E mi trattenni senza saperne davvero il motivo: forse per non interrompere quel momento in cui riuscivamo entrambi a sorridere così facilmente; per non appesantire il tutto con altri baci che avrebbero portato solo a conseguenze più grandi.

- Mangiamo? - Proposi velocemente, sentendomi in difficoltà e accaldata.

Lui forse lo notò, ma fece finta di niente e sistemò la busta, che aveva salvato, tra di noi. - Comunque ti farò cambiare idea sull'odio per l'attività fisica. - Mi avvertì, sorridendo.

La lattina, che avevo velocemente pescato tra tutto, quasi mi scivolò per terra a quella frase. - Eh?! - Chiesi, guardandolo di scatto e sentendo davvero il bisogno di bere.

Ricambiò lo sguardo, un attimo perplesso, poi scoppiò a ridere. - Evy, cos'hai capito?

Avvampai, provando ad aprire la lattina. - Non avevo s … - La linguetta di alluminio svolse la sua funzione, aprendo la bibita, ma quella, per tutto il movimento subito durante il trasporto, esplose e, dall'apertura, cominciò a scendere una cascata di coca cola e bollicine.

Spostai il braccio in tempo, prima di sporcarmi i vestiti, emettendo un semplice verso di fastidio. Max rise ancora di più.

- Sei agitata, Evy, o cosa? - Insistette, prendendomi chiaramente in giro.

Lo mandai a cagare con la mano asciutta, mentre con l'altra appoggiavo la lattina fradicia sul pavimento del gazebo.

Max mi passò dei fazzoletti, continuando a ridacchiarsela tra sé e sé e, appena finii di asciugarmi le mani il più possibile, tornai finalmente a guardarlo.

- No. - Risposi alla domanda di prima.

Annuì fingendo di assecondarmi. - Comunque, intendevo che ti avrei fatto amare l'attività fisica perché adesso, cenando, avresti notato che dopo dello sport il cibo è più buono. - Spiegò, innocentemente, continuando a sorridermi ironico.

- Infatti era esattamente quello che avevo inteso. - Concordai, tossicchiando e aprendo la busta di plastica, per smetterla di guardarlo.

Non rispose, lasciandosi solo sfuggire uno sbuffo divertito.

E c'era evidentemente qualcosa che non andava in me, da quando avevo a che fare con Max Parker.

Cominciammo a dividerci il cibo e dopo quello i fazzoletti, scambiandoci qualche breve frase.

Solo tirando fuori il pollo alle mandorle – mi sembrò quasi di veder Max illuminarsi, - notai le bacchette, in fondo, che entrambi avevamo ignorato.

Ne presi un paio, staccandole; con quel gesto mi tornò in mente la serata chiusi nella palestra, a mangiare cinese sui gradoni.

Provai a tirare goffamente su qualche pezzo di pollo, pensando al modo idiota in cui Max quella volta aveva provato a mangiare gli involtini, e mi sfuggì un sorriso.

Quella sera mi ero divertita, in qualche modo, pur odiando Parker; mi ero divertita e avevo provato quasi una strana simpatia nei suoi confronti. Almeno finché Clark non mi aveva spiegato la scommessa tra loro due: la ragione per cui ero stata chiamata a restare a cena in palestra, e trattata in quel modo quasi carino, era stata infatti un bacio.
Alzai gli occhi su Max, che tentava di valutare se aprire o no la sua lattina.
L'aveva già detto anche lui che ero sembrata intenzionata a rinfacciargli ogni sua frase, quella sera; quindi, ormai, tanto valeva fare lo stesso anche con le sue azioni, no?
- La scommessa tra te e Clark … - Iniziai.
A Parker però scivolò di colpo la lattina di mano, che cadde per terra, rimbalzando, e finì accanto alla mia; mi bloccai.
Mi guardò e non riuscii a capire la sua espressione. - Eh?

Lo osservai, perplessa, per qualche secondo, poi lui si chinò semplicemente a raccogliere la bibita e mi rivolse un mezzo sorriso. - Cosa c'è?

Di nuovo mi sembrò di essermi immaginata tutto.

- Niente, volevo solo dire che tutto questo mi sta ricordando la sera in palestra, a mangiare cinese … - Borbottai.

- Ah ... - Sorrise, come al solito tendente all'ironico. - Eri stata quasi carina e simpatica, sai?

- Tu quasi decente, ma poi si è scoperto che c'era di mezzo una scommessa. - Gli ricordai.

Rise, guardandomi divertito. - Hai tirato fuori l'argomento solo per potermi offendere un po'?

Feci spallucce, come valutando l'idea, mentre lui iniziava il pollo. - Non sarebbe male, in effetti.

Mugugnò, come se se lo fosse aspettato, ma ormai concentrato sul cibo, così provai di nuovo ad usare le mie bacchette.

- Sai. - Iniziò, dopo un breve silenzio, appena finì di mangiare, come al solito a una velocità esagerata. - Di simile a quella sera c'è anche il fatto che, tra una balla e l'altra, non siamo mai riusciti a berci una coca cola intera a testa. - Mi fece notare, ridacchiando e guardando la mia lattina svuotata quasi del tutto e la sua che, potenzialmente, avrebbe, con molte probabilità, fatto la stessa fine.

- Pensavo volessi evitare quell'argomento per non essere offeso. - Scherzai, mandando giù gli ultimi bocconi.

- Se non mi attacchi, senza motivo, a me va bene parlare di tutto. - Spiegò, con finta aria innocente, chinandosi ad afferrare la coca cola e dandole colpetti con l'indice.

Mi accigliai. - Quello non è senza motivo, te ne saresti merit …

- Manca il bidello Joe, però! - Esclamò, all'improvviso, di sicuro per salvarsi dalla mia ramanzina. Con una scatto aprì la lattina e niente esplose. Odiai il karma che come sempre lo favoriva.

Alzai gli occhi al cielo, lasciando perdere e lui in risposta rise; mi sentii i suoi occhi addosso.

- Però c'è un'altra cosa uguale a quella sera ... - Aggiunse, appena finii, e, tornando al suo viso, illuminato solo da due lampioni a qualche metro di distanza, lo trovai a sorridere, in un bel modo. E anche quello sapeva di già visto. - Solo che tu non la puoi vedere ...

Socchiusi la bocca, non sapendo che dire.

I suoi occhi calarono sulle mie labbra e a quel gesto ebbi di nuovo un déjà vu.

- Cosa? - Chiesi, a bassa voce, ma avendo già capito.

- Sei sporca, sopra le labbra, qui, di salsa. - E si indicò il punto, continuando con la stessa espressione, ma alternando lo sguardo da me alle mie labbra.

Battei in ritirata, con gli occhi, come quella sera in palestra, e allungai una mano per cercare un fazzoletto, ma la sua mano mi sfiorò il polso, bloccandomi.

Lo guardai di colpo, elettrica per il tocco.

Fu un battito perso ritrovarmelo così vicino; la sua mano mi attiro a lui o, forse, fui semplicemente io a muovermi, scontrandomi con le buste di plastica tra noi, facendole scricchiolare.

Era a pochi centimetri quando parlò, ancora: - E c'è un'altra cosa uguale a quella sera … - Continuò e non riuscivo a non fissare il verde, illuminato com'era dalla luce del lampione.

- Quale? - Chiesi e fu meno di un sussurro.

- Quello che avrei voluto fare, per aiutarti ... - Spiegò, pronunciando ironicamente l'ultima parola, con un sorriso, e si avvicinò, ancora, arrivando a millimetri dalla mia bocca e dai miei occhi; sfiorandomi il naso; sentii l'odore familiare del suo shampoo e la sua mano che arrivò ad accarezzarmi la spalla, spostarmi i capelli all'indietro, liberandomi il collo.

- Anche quella sera? Ma era per la scommessa … - Dissi, avendo capito, ma cercando di mantenere il controllo; capii di non esserne in grado appena mi sentii parlare e vidi la mia stessa mano ancorata alla sua maglietta.

Sbuffò e il respirò mi solleticò la pelle. - Ho detto “avrei voluto”, non “avrei dovuto”.

- Scusa se non ho badato al verbo, ma conoscendo quello che di solito dici e poi intendi, non c'è da farci molto caso, alle tue parole … - Provai a lamentarmi, ma la voce era troppo bassa.

Sorrise, dando anche un'altra occhiata alle mie labbra, e vedere Max così da vicino, in quel modo, avrebbe potuto uccidere quasi chiunque. E me?

- Cioè?

Probabilmente avrebbe posto fine anche alla mia, di vita, ma riuscii a parlare: - Sempre a darmi della brutta, ma già in quella palestra volevi baciarmi? Se è vero, non c'è molto da fidarsi di quello che dici.

Gli sfuggì l'ennesima risata e pensai quasi che lo facesse apposta, per farmi impazzire a sentirlo anche in quel modo così vicino.

- E' sempre la storia che non hai ancora capito quando mento e quando no ...

- Illuminami tu, allora. - Lo pregai, tentando di fare l'ironica, ma suonò quasi serio.

- Troppo facile così. - Si oppose. Ed era ridicolo come riuscissimo a continuare a parlare, stando vicini, sfiorandoci, sentendo il suo tocco sul collo, occhi l'uno nell'altro. - Potrei però aiutarti ad imparare, con le cose basilari ...

- Quanta bontà! - E il tono scettico, che avrei dovuto assumere, suonò come un singulto: il viso di Max infatti si spostò, accarezzandomi la guancia con le labbra e arrivando, alla fine, contro il mio orecchio.

Aprii la bocca, senza dire subito niente; alla fine si decise e pronunciò la prima parola così vicino da farmi fremere. - Odio i tuoi capelli, sai? Non vorrei mai, nemmeno una volta, passarci una mano in mezzo, sfiorarti la nuca ed avvicinarti. - Fece, toccandomeli e tirandomeli leggermente, delicato come sempre. - Li detesto, soprattutto sciolti … - Sentii una leggera e morbida pressione poco più sopra, sulla cute: seppi senza pensarci che era stato un bacio.

Le parole e le sue labbra che avevo appena percepito mi scombussolarono più di quanto fosse normale e tardai quasi una vita per rispondere. - Sarebbe una dimostrazione di bugia? - Chiesi, con la gola secca.

Lo sentii sorridere, contro la mia guancia, e la sua bocca scivolò giù, sfiorandomi il mento, raggiungendo il collo; sobbalzai sentendolo sfiorarmi la pelle sensibile dal succhiotto; la sua mano raggiunse il mio polso e per fortuna la giacca mi copriva le braccia, nascondendogli la pelle d'oca.

- Vorrei poterti toccare di nuovo, come ieri, su ogni centimetro; lentamente, con tutta la notte davanti, di nuovo, per sfiorarti ed accarezzarti ancora ed ancora, fino a domani. Vorrei che tutti questi vestiti sparissero, in un attimo, per sentire pelle contro pelle. - Sussurrò e se prima avevo avuto i brividi, al secondo bacio, contro il collo, mi sentii morire.

Deglutii, chiudendo gli occhi. - Verità …? - E più che a domanda, suonò a speranza.

Era così vicino che lo sentii ancora sorridermi, pur non vedendo niente tranne le luci sfocate dietro le mie palpebre.

La busta di plastica scricchiolò e, sentendo il suo respiro, capii di avercelo di nuovo di fronte.

Tenni gli occhi chiusi, per cercare – invano, - di salvarmi almeno un po'; mi morsi le labbra e le sue mi sfiorarono il mento.

- La tua bocca non mi tenta minimamente e non vorrei, ogni volta che la vedo, baciarti, senza aspettare altro. - Aprii gli occhi trovando i suoi socchiusi, vicinissimi, e smettendo di respirare. - Non sei bella, pur sforzandoti così tanto di esserlo; non penso decisamente fin troppo spesso a te, fino a livelli normali. Non mi piaci, per niente, e vorrei che questa notte finisse il prima possibile, perché non vedo l'ora di staccarmi da te e che arrivi domani. - Finì, più piano delle altre due volte ed era possibile che non mi avesse mai guardata così?

- Bugia? - Chiesi e in quella domanda si trovava il mio cuore.

Lo sentii di nuovo sorridere, senza vederlo, fin troppo vicino per riuscirci e con i miei occhi che non sembravano intenzionati a starsene aperti.

- Tre su tre ... - Mi fece notare e le sue labbra sfiorarono le mie.

- Non sei così intenzionato a farti capire, di solito … - Dissi e lasciai che le palpebre si chiudessero, mentre la mia mano saliva, fino al suo collo, toccandogli la pelle; la busta di plastica si schiacciava di più.

- Lo sono quasi sempre; e come l'hai capito adesso, potresti capirlo la prossima volta …

Mugugnai, in cerca di spiegazioni, ma incapace di parlare; la sua mano mi circondò il fianco per avvicinarmi e il buco d'aspettativa nello stomaco si spalancò.

Agognai, con tutta me stessa, il bacio che ...

- Papà! Quei due si baciano!

Entrambi sobbalzammo, più dalla sorpresa che per la frase, e le nostre prese si sciolsero, velocemente quanto lentamente si erano create.

Lontana da Max mi ritrovai accaldata e spaesata; cercai con gli occhi da ogni parte chi avesse parlato e alla fine trovai, poco più in là, sul gioco da bambini più vicino, un marmocchio, seduto su un cavallino che si muoveva avanti e indietro

- Sì, ho visto, ma tu gioca. - Rispose il padre, cercando di far voltare il bambino che ci osservava fin troppo curioso. Guardai incredula il signore, riconoscendolo in quello coi baffi che aveva continuato a lanciarci occhiatacce durante il film, così come in quel momento.

- Non so se dovremmo iniziare a preoccuparci di essere pedinati … Chi è che porta i figli al parco a quest'ora?! - Chiese Parker. La voce era normale ma lo sguardo, troppo intenso, tradiva quello che era stato sul punto di succedere; e c'era sconcerto e irritazione, nel complesso, ma quello non c'entrava con me.

- Ah non lo so ... - Commentai e la voce mi uscì così strana che dovetti recuperarla con un colpo di tosse. - Io smetto di guardarlo, intanto: mi inquieta. - Provai a sistemarmi sul posto, afferrando un fazzoletto per pulirmi, e scoprii di essermi irrigidita, rivolta per troppo tempo verso Max. Sentii poi ancora terribilmente caldo e feci scendere velocemente la zip della giacca: tentai di dare la colpa all'aria primaverile, ma sapevo benissimo di starmi mentendo.

- Andiamo, dai, sento i suoi occhi addosso in ogni modo; ho i brividi. - Si lamentò, piattamente, e cominciò a raccogliere le nostre cose da terra e dalla panchina – notai, in quel momento, di aver quasi del tutto schiacciato la busta, avendo tentato di avvicinarmi a Max il più possibile.

Annuii, d'accordo, alzandomi di colpo per aiutarlo e per dissimulare il disagio.

Poco dopo stavamo scendendo le scalette del gazebo, avviandoci a casaccio dalla parte opposta al baffuto.

Max lasciò cadere la busta nel primo cestino dell'immondizia che trovammo, poi mi guardò. - Che si fa? - Chiese, sorridendo divertito. - Se fosse estate proporrei di andare a fare il bagno di nascosto, nella casa con piscina di un'amica di mia madre; vive qua vicino!

Lo guardai male. - E' proprietà privata anche d'estate e non si può. - Gli feci presente. Pensai alla faccia che avrebbe fatto mia zia, venendomi a prendere in cella, per violazione di proprietà privata: forse, sapendo con chi ero stata, avrebbe anche riso.

- Non hanno mai beccato me e Billy! - Mi rivelò, convinto quindi che non ci fosse niente di grave.

- Cosa ci andate a fare tu e lui, da soli, in una piscina, di notte? - Chiesi, scettica, guardandolo.

Si accigliò. - Cosa stai insinuando?

- Niente! - Scherzai, un po' divertita, mentre passavamo nella parte più simile a un parco di quelle chiazze d'erba. - Comunque direi di cominciare ad andare verso casa … - Proposi, tornando a guardarlo.

Prima ancora che riuscissi a visualizzare per bene i suoi occhi, mi aveva afferrata per i fianchi, bloccandomi.

Sobbalzai, scottata dal tocco, e provai a lamentarmi, sentendomi trascinare contro l'albero più vicino.

- Cosa c'è? - Chiesi, a disagio e col respiro accelerato, guardandolo dal basso, mentre mi si parava davanti, continuando a tenermi stretta.

- No che non andiamo a casa. - Si oppose, con uno strano broncio.

Respirai più normalmente, anche se le sue mani erano ancora sui miei fianchi. - Con quella faccia sembri un bimbo viziato! - Lo offesi, cercando di rilassarmi in quel modo.

- Come vuoi, ma è presto e quindi non te ne vai. - Sembrò minacciarmi, avvicinandosi ancora di più e facendo scontrare le gambe con le mie.

Lanciai un'occhiata verso il gazebo e il signore di prima: il bianco risaltava nel buio – ancora più intenso in quel lato, - ma l'uomo non si vedeva e probabilmente nemmeno lui vedeva noi.

Tornai a Max. - Mi stai rapendo o cosa? - Gli sussurrai, piano per qualche strano motivo che nemmeno sapevo.

- Esatto. - Rispose, e non vidi la sua faccia: mi strinse infatti ancora di più, all'improvviso, appoggiandosi col viso ai miei capelli, facendomi finire contro il suo petto, sentendo le sue mani dietro la schiena e su un fianco. Non era un abbraccio, anche se da fuori poteva sembrarlo: gli abbracci erano dolci e calmanti; quello con cui Max mi stava stringendo era qualcosa di più forte, agitato, e esattamente agitazione era quella che mi stava trasmettendo.

Mi aggrappai alla sua maglietta, per quanto il poco spazio che mi stava lasciando lo permettesse e non aprii bocca.

Per l'ennesima volta mi sembrò che ci fosse qualcosa che non andava, e probabilmente era così sul serio: quando mai Parker mi aveva afferrata in quel modo? Tenuta stretta così?

Provai ad ignorare quella sensazione d'angoscia alla pancia, concentrandomi sul rumore delle poche macchine in strada, sul suo respiro, sui battiti del suo cuore che percepivo perfettamente. Era tutto un assordante battito, tra il suo e il mio: così disarmonici da completarsi, riempiendo le pause dell'uno e dell'altro. Sentivo un cuore ovunque. Sentivo me e Max ovunque. E sentivo entrambi così tanto, che mi sembrava impossibile non riuscire a pensare a quella sensazione, che avevo avuto anche a scuola: perché c'era quel retrogusto amaro, in quasi tutto?

- Max … - Provai a chiamare, dopo minuti di silenzio.

- Uh? - Borbottò, pianissimo.

Avevo così tanto la sensazione che l'avrei perso presto e che lui stesso lo sapesse, ma nonostante tutto non riuscivo ad aprire bocca per dirgli quelle due semplici parole. Le uniche necessarie. Non sarebbe dovuto essere facile, in quel momento? Sospettando di perderlo?

- Quando … - Iniziai, non sapendo nemmeno che specie di discorso stessi per fare. - Quando ad ottobre sei spuntato, in quel parcheggio, insieme alla foto, avrei voluto ucciderti e ti detestavo davvero tanto. - Feci e lui rimase in silenzio, aspettando che continuassi quella conversazione alla cieca con lui: senza vedere gli occhi l'uno dell'altra. - Sai, tra me e me ti definivo la mia personale punizione divina: scesa dal Cielo per tormentarmi e rovinarmi la vita. - Gli spiegai, senza sapere perché.

Sentii un abbozzo a risata. - Addirittura?

- La trovavo anche gentile come definizione, in realtà, sai? C'era quel “divina” che sembrava alludere a qualche tua strana caratteristica. - Continuai, e le mie mani scivolarono in una posizione più comoda, sulla sua schiena. - Ma poi pian piano ho cambiato idea … - Confessai.

Ci mise un attimo a rispondere: - Non pensi più che sia qui per rovinarti, in un modo o nell'altro? - Chiese e il tono suonò quasi spento, ancora strano.

- No, perché alla fine non l'hai mai davvero fatto, pur avendone avuto la possibilità. - Sussurrai. - E anzi, mi sono ritrovata a ringraziarti, io; ad avere bisogno, in un qualche modo, di te. - Aggiunsi, con un piccolo sorriso, contro il suo petto.

Mi strinse ancora più forte e trattenni il respiro, mentre le sue labbra si appoggiavano sui miei capelli.

Restammo in attesa, di chissà cosa, poi lui tornò a parlare: - Se non posso rapirti, conosci almeno un qualche modo per governare il tempo? - Mi domandò.

Corrucciai la fronte, perplessa e disorientata dal suo calore e da tutto quello che avevo appena detto. - Ti servirebbe?

- Non sai quanto ...

E ci zittimmo, in muto accordo, continuando a stare lì, contro quell'albero, nella notte; in quel silenzio che non era in realtà un silenzio.

 

 

- Grazie. - Borbottai, abbozzando un sorriso, appena arrivammo davanti a casa mia.

In qualche modo si era fatto tardi, fin troppo tardi - guardai di nuovo l'orologio in macchina che segnava l'una - e non sapevo come, dato che c'eravamo limitati a stringerci e a sussurrare solo qualche frase, per interrompere, a volte, il silenzio, quando diventava troppo.

- Niente. - Mi guardò provando a farlo come al solito, ma risultando strano, come dopo tutto ero io; e forse sarebbe stato impossibile essere diversi, dopo quelle ore.

Aprii la portiera, lentamente, facendo entrare nell'abitacolo l'aria ormai fredda. Prima nemmeno l'avevo notata.

Esitai, girandomi. - Mi …

- Accompagni? - Completò lui, ridendo e togliendo la chiave dal cruscotto. - Va bene. - Assecondò e nell'ennesima occhiata che ci scambiammo, scendendo, capii quanto ormai entrambi avessimo paura di allontanarci; ma io i miei motivi li conoscevo, quali erano i suoi?

- Siamo stati bravi, comunque. - Notai, camminando sul mio corto vialetto, per arrivare alla porta, con Max a fianco. - Abbastanza pacifici per sopravvivere a un'intera serata!

- Siamo sopravvissuti per mesi, in realtà; meriteremmo un premio. - Ribatté e con quelle due frasi eravamo già arrivati.

- Ma di solito come minimo litighiamo. - Mi fermai, voltandomi a guardarlo e Max mi sembrò più bello di quanto fosse mai stato prima di quel silenzio e quelle occhiate mancate, al parco.

I nostri occhi si incrociarono. - Se ti mancano così tanto possiamo sempre recuperarne una: sei facile da provocare. - Mi prese in giro, sorridendo.

- No, per una sera provo a riposarmi mentalmente! - Dichiarai, continuando ad esitare con le chiavi in mano.

Si guardò alle spalle, verso la macchina, durante il breve silenzio che seguì. - Vado, dai ... - Disse impassibile.

- Okay. - Risposi, cercando di far finta di niente.

- A domani. - E abbozzò un sorriso; si girò lentamente, dandomi le spalle.

In quel momento ripensai all'intera serata: al cinema, alla cena, al parco, all'abbraccio.

Mentre camminava, allontanandosi, con le mani in tasca, pensai a come mi fossi ostinata a definire quella sera un'“uscita”.

Ma non era un'uscita.

E nemmeno un appuntamento, come avrebbe detto zia Lizzy o Francy.

Era un addio.

Ne fui convinta, in quel momento.

Un addio.

Scattai, con lo stesso impeto avuto per raggiungere il gazebo, e in un attimo ero aggrappata alla giacca di Max.

Si girò, sorpreso, e ripensai alla sera a casa sua, quando, compiendo lo stesso gesto, l'avevo fermato, prima che uscisse da camera e casa sua: avevo pensato, come in quell'esatto momento, che se se ne fosse andato l'avrei perso, definitivamente. Stavo per perderlo?

Prima che potesse dire qualcosa, o anche solo aprir bocca, mi ero gettata sulle sue labbra, baciandolo, ancorandomi ai suoi vestiti, alzandomi in punta di piedi.

Esitò, ma fu un attimo, poi il braccio mi circondò i fianchi e mi avvicinò di più, in un modo simile a quello avuto nel parco.

Arretrai, sospinta dal suo viso, nella foga del bacio, rischiando di inciampare sui miei piedi, con la testa che girava e il cuore che batteva all'impazzata.

Schiusi la bocca, cercando di più e mi chiesi come avessi fatto ad aspettare tutto quel tempo: a stargli vicina e riuscire a non arrivare a quel punto.

- Era la buonanotte? - Chiese, staccandosi un secondo, quasi ironico ma con gli occhi troppo accesi per esserlo davvero; non gli risposi nemmeno e lo recuperai subito, tirandogli i capelli, con foga, quasi come rimprovero.

Lo sentii sorridere contro le labbra, prima di approfondire di nuovo, con più necessità di prima.

Ci ritrovammo a scontrarci contro la porta di casa mia senza quasi averci fatto caso; o almeno io non ci avevo fatto caso, troppo concentrata su Max, sulle sue labbra, sui brividi.

Mi staccai un secondo, a malincuore, all'ennesimo colpo contro la maniglia di casa; trovai i suoi occhi intensi e vicini. Ci guardammo.

- Entro a salutare Maxyne? - Chiese, troppo velocemente per essere normale.

Annuii, lasciandomi sfuggire, nonostante tutto, una risata e mi prese le chiavi di mano, quasi scottandomi con le dita. Tornò a baciarmi, ma sul collo, sfiorandomi la scapola, e la risata fu sostituita da un sospiro strozzato.

Solo quando la porta cedette, alle mie spalle, mi ricordai del mazzo che mi aveva appena rubato.

Incespicammo nell'atrio buio, e le chiavi, ributtate al loro posto da me, fecero fin troppo rumore.

Provai a staccarmi, in un attimo di lucidità, per controllare se mia zia fosse davvero su in camera a dormire, ma Max non mi lasciava più, non allontanando un attimo le labbra dalle mie, le braccia dalla mia schiena, e mandai tutto a cagare, arrendendomi e spostandomi, camminando a fatica, a destra e a sinistra, verso la sala.

Non accendemmo nemmeno una luce, muovendoci al buio, guidati solo dalla memoria e dai respiri secchi.

Andai a sbattere contro il divano e, aggrappandomi a Max, mi ci lasciai cadere: lui si sbilanciò solo un po', tenendomi per un fianco, ma alla fine mi seguii volontariamente, e sentii la pressione sui cuscini quando il suo ginocchio si sistemò di fianco alle mie gambe, per non pesarmi addosso.

Continuammo a baciarci e io ero sempre più inebriata dalla situazione, da lui, dal suo odore, dal suo tocco sul fianco, quando le dita si infilavano sotto la giacca e la maglietta sfiorandomi la pelle del ventre.

Ci fermammo dopo minuti, a riprendere fiato, e mentre la testa mi girava e sentivo prossima la morte, lui continuava a lasciarmi baci leggeri sul mento, sullo zigomo, sull'orecchio …

In quel momento, sospirando, tenendo gli occhi chiusi, incapace di fare altro, mi tornarono in mente gli attimi prima di fermarlo e baciarlo: mossa dalla quasi convinzione che quella notte fosse un addio. Ma era giusto trovarsi su quel divano, baciarsi, accarezzarsi, se quella era l'ultima sera?

Mi strinsi alle sue spalle, a quel pensiero, spingendolo all'indietro. Si bloccò disorientato.

- Siediti. - Gli sussurrai, con una strana ansia addosso.

Non era giusto tutto quello, non se quella notte era sul serio l'ultima, per qualsiasi motivo potesse essere così.

Non era giusto, non era la cosa che Evelyne Gray avrebbe normalmente fatto.

Ma se era l'ultima notte, volevo godermela, Evy voleva godersela: tenermi stretto Max, finché potevo; baciarlo se ci riuscivo ancora, assaggiandolo; sentirmi toccare e respirare ancora il suo odore; sentirlo tutto; sentirlo mio. E, mentre lui si tirava all'indietro, appoggiandosi con le ginocchia e io mi aggrappavo a lui, a cavalcioni, infilando le dita tra i suoi capelli, capii forse perché non avesse voluto così tanto che quella notte finisse. Non lo volevo nemmeno io.

Era davvero l'ultima? Avrei voluto chiederglielo, mentre gli lasciavo baci sul collo risalendo lentamente; e le mani mi tremavano.

Era davvero l'ultima?

Mi sentii sfilare la giacca, a fatica, troppo di fretta, mentre lui sospirava un po' più forte appena raggiunsi l'incavo del mento.

Era davvero l'ultima?

Ed era crudele pensare a come il tempo passasse, in ogni caso, durante quei baci, mentre sfioravo per sbaglio una sua mano, sentendolo addosso, così vicino.

Potevo bloccare il tempo e rimanere così, per sempre?

Raggiunsi con i baci finalmente il bordo della sua bocca e, prima che potessi finire il percorso a cui avevo pensato, con lentezza, godendomi la sua pelle il più possibile, lui me lo impedì, finendo il gioco e chiedendomi subito di approfondire il bacio, con urgenza ed eccitazione.

Probabilmente la era sul serio, l'ultima notte.

Portai le mani verso i bordi della sua maglietta, per sollevargliela e cercare la pelle nuda, ma mi incastrai con le sue braccia, intente a fare lo stesso con me. Entrambi ce la facemmo e ci sfuggì una risata, staccandoci di pochi millimetri, per permettere ai vestiti di essere sfilati; ci ritrovammo subito, sfiorandoci coi nasi e la sua mano mi accarezzò i fianchi, facendomi tremare.

- Evy … - Mi chiamò, con la voce bassa, roca, facendo scorrere le labbra sul mio viso, sul collo, scendendo e spingendomi di nuovo indietro, sdraiata.

Mugugnai, ricadendo di schiena sul divano.

- Non dirmi che l'unico interruttore è quello vicino alla porta … - Mi pregò, sussurrando, e la sua mano salì lungo la schiena, arrivando ai gancetti del reggiseno.

- Non te lo dir … - Iniziai, ma interrompendomi a causa della mia voce. - Direi, ma è così …

Sbuffò, soffiandomi quasi sul seno, e risi. - Non credo di avere la forza di allontanarmi così tanto, quindi … - Suonò rassegnato e mi fece ancora ridere.

Ridevo anche se era l'ultima volta.

- Max … - Lo chiamai, mentre cominciava a lasciarmi baci sulla pelle accaldata, scostando il reggiseno. - Max … - Ripetei e sembrò una cantilena.

- Sì? - Chiese e cominciò una tortura più lenta, sul mio seno.

- Max … - Feci dopo pochi secondi, e un gemito strozzato si unì al suo nome.

- Dimmi … - Sussurrò, continuando a lasciarmi baci umidi e a farmi fremere.

L'ultima volta.

Ed era sbagliato, ma il mio cuore voleva quello: l'ultima volta, ma anche la prima.

- Fai l'amore con me?

 

 

 

Ero appena arrivata a scuola.

Come ogni mattina, l'afflusso in entrata era lento, scocciato e sparpagliato, tra quello ero compresa anch'io.

- Davvero ve ne siete stati così tanto al parco? - Chiese Francy, a cui avevo cominciato a fare, al bar, un breve riassunto della serata; aveva parlato con uno strano tono, tra il sorpreso e intenerito.

Annuii, inumidendomi le labbra, assonnata, e cominciando a camminare verso gli armadietti. - Il tempo è volato, in un qualche modo che non saprei ben spiegare … - Borbottai.

- L'amore! - Sospirò lei, dandomi di gomito.

Abbozzai una specie di sorriso, evitando di spiegarle come in realtà quegli abbracci fossero stati strani.

- Comunque, dopo siete andati a casa? - Si informò, saltellandomi a fianco, di evidente buonumore.

Annuii, guardando fisso davanti a me.

- E …? - Indagò ancora, sperando di cogliere qualche dettaglio “piccante”, come avrebbe detto normalmente.

Aprii la bocca per rispondere, ma una voce, alle nostre spalle, ci interruppe: - Francy! - Kutcher arrivò quasi di corsa, per poi rallentare in vicinanza della sua morettina; le appoggiò una mano sotto il mento, sollevandoglielo e le lasciò un bacio a fior di labbra. - Buongiorno! - Esclamò, e mi sembrava di vederlo emanare fiori o qualche altro simbolo spastico di felicità. Oltre a zucchero.

Francy arrossì, allontanandosi un attimo, a disagio, e lanciandomi un'occhiata, quasi avessi potuto disapprovare e guardarla con disprezzo.

Risi, invece, del suo sguardo e mimai il gesto di coprirmi gli occhi e le orecchie, per dirle di non badare a me.

Lei sorrise e tornò a guardare Alex. - 'Giorno! Oggi usciamo? - Gli chiese e anche lei mi sembrò emanare zucchero. Una darkettara così non si era mai vista.

Lui annuì, entusiasta. - Dove vuoi andare?!

Provai a nascondere una smorfia, mentre tentavo di far finta di non ascoltare la loro conversazione: quello era il passo successivo, il “poi escono”, nelle sue caratteristiche basiche e necessarie: entusiasmo, niente ansia, felicità. Pensai a me e a Max, che di certo non gettavamo amore da ogni parte, e non rispondevamo ai requisiti. Ma avrei dovuto già saperlo.

Mi morsi le labbra, ritrovandomi, in quel breve spazio di tempo, da sola coi miei pensieri.

Se la sera prima era stata l'ultima, come avevo così tanto creduto, cosa sarebbe successo tra Max e me, quel giorno?

Ma anche se non fosse stato così, cosa sarebbe successo, in generale?

Mi passai una mano tra i capelli, chiudendo gli occhi, e ricordai i dettagli di ciò che era successo a casa mia: le labbra e le mani di Max, i respiri, il divano fin troppo piccolo per entrambi, il mio reggiseno slacciato; la mia domanda.

Aprii gli occhi, mordendomi le labbra.

Avevo voluto sbagliare, dandogli tutta me stessa, per poterlo sentire mio, in quella che ormai avevo percepito come l'ultima notte.

Ma … Ma Max aveva detto di no, una seconda volta.

Ricordai con particolare chiarezza il suo bloccarsi, stringendomi un attimo di più e poi lo scuotere la testa, il “Non posso” e i pochi baci successivi, amari, per poi andarsene.

C'era qualcosa che non andava, in me? Evidentemente sì, visto che non trovavo altre spiegazioni.

- Evelyne? - Mi chiamò Francy e dal tono doveva essere almeno la seconda volta che lo faceva.

- Uh? - Chiesi, riscuotendomi.

- Hai detenzione, oggi?

Feci una smorfia, ricordandomene. - Sì, purtroppo.

Kutcher rise, guardandomi. - Ieri ho chiesto a Max perché doveva restare a scuola e mi ha guardato malissimo, dicendo che la preside era un'esagerata e che voi due non stavate facendo niente; è vero?

Provai a sembrare il più innocente possibile. - Certo che lo è.

Alex diventò scettico, e intanto la prima campanella suonò.

- Ah, devo andare! - Si lamentò, chinandosi ancora verso Francy e lasciandole un altro bacio. - A dopo! - E, facendo un cenno anche a me, si allontanò.

- Non avevi detto che non vi eravate messi insieme? - Chiesi, guardandola ironica.

Sbuffò, dissimulando con un gesto. - Ma non è semplicemente ufficiale …

Risi, scuotendo la testa e cominciando a prendere i libri dal mio armadietto.

- Comunque, te e Parker? - Tornò all'argomento di prima.

Esitai un mezzo secondo. - Ci siamo dati un bacio e poi separati. - Risposi, di getto, sentendomi di seguito in colpa più che mai.

Annuì, guardandomi contenta e cercando di spingermi ad esserlo di più. - Dai, allora è andata anche abbastanza bene!

Feci cenno di sì.

 

A parte l'aver incrociato Clark, alla prima ora di Storia, che mi rivolse uno strano sguardo non ben decifrabile, arrivai alla terza ora tranquillamente, come ogni mattina.

Apparentemente tranquilla, chiacchierando ogni tanto a mezza voce con Emily, in realtà fremendo dalla voglia della pausa pranzo, per incrociare finalmente Parker e capire se mi fossi immaginata tutto o se avrei trovato le conseguenze della mia domanda.

- In detenzione, quindi? - Ripeté Emily, guardandomi dispiaciuta: a lei non avevo ben spiegato il perché della punizione, ma sapevo che se la immaginava.

- E' un po' traumatico perché è la prima volta, ma due settimane passano in fretta … - Borbottai, dando intanto occhiate alla professoressa che spiegava.

All'ennesima volta che mi ritrovai a guardare verso la cattedra, qualcuno bussò alla porta.

La classe si accese, come ogni volta che qualcuno veniva ad interrompere; io feci una smorfia, ricordandomi di quando la preside aveva aperto, per chiedere di me e farmi sapere dell'incidente di zia Elizabeth.

Dopo l'“avanti” della professoressa, la porta si aprì, mostrando il solito Joe, imbronciato e scocciato più che mai: forse era la vecchiaia a peggiorarlo.

- Desidera? - Chiese la signorina Granger, l'unica professoressa, forse per la giovane età, a mostrare un qualche tipo di cortesia nei confronti del bidello.

Joe squadrò la classe, senza degnare di molta attenzione la donna.

Quando vide me, si fermò, il mio sguardo annoiato mutò.

- C'è bisogno di Evelyne Gray, in presidenza.

Mi alzai di scatto, mentre la signorina Granger annuiva, e il primo pensiero corse a mia zia e mi trovai ad impallidire, uscendo di classe.

Joe, come ogni volta che chiamava qualcuno, si limitò a borbottare di andare dritta filato, e mi lasciò sola, a percorrere i corridoi.

Cercai di darmi una calmata, pensando che Elizabeth era lì in città e che le fosse successo qualcosa era molto improbabile.

Che fosse dunque per la faccenda Sgabuzzino del giorno prima? O c'entrava Yale?

Arrivai, ignara di tutto, nel corridoio della presidenza.

Feci gli ultimi passi e, arrivata alla porta, bussai.

La voce del Dittatore, ferma e fredda come sempre, mi annunciò di poter entrare. Eseguii, abbozzando un sorriso di circostanza e avviandomi verso le sedie di fronte alla sua cattedra.

Provai a guardare l'espressione della preside, per capire, ma lei si mostrava impassibile come sempre.

- Gray. - Mi salutò e io annuii.

- Di cos'ha bisogno?

Rimase subito in silenzio, poi estrasse semplicemente un foglio, da sopra una pila e me lo porse davanti agli occhi.

Guardai prima perplessa la donna, poi la fotocopia di quella che sembrava essere una pagina del computer. Un'email, di preciso.

Dopo la breve occhiata, guardai il mittente, uno strano indirizzo fatto di numeri, e il titolo mi saltò all'occhio: si chiamava “Evelyne Gray”.

Sgranai un attimo gli occhi, per poi correre al breve testo sotto:

Sono in possesso di foto che provano un piccolo scandalo nella vostra scuola.

La vostra miglior studentessa, Evelyne Gray, ha passato, per mesi e mesi, sotto ai vostri occhi, e con la vostra apparente approvazione (dato che si approfittava della vostra fiducia), le soluzioni dei test agli studenti, in cambio di soldi.

Non ci credete? Ne ho le prove.

Ma tanto per cominciare chiedetelo a lei.”

La prima reazione fu terrore; cercai di mantenere lo sguardo fisso sul foglio e di non mostrare niente, né un minimo movimento di sopracciglia, né un piccolo sgranamento degli occhi. Quando credetti di avere il più possibile controllo della mia espressione e del mio corpo, alzai il viso, trovando subito gli occhi freddi della preside.

Provai a non pensare ad altro che alle bugie che stavano per aggiungersi all'elenco.

- Cosa sarebbe questo? - Chiesi, scegliendo l'offesa, come sentimento.

- E' quello che volevo chiederti anch'io, Gray. Hai qualche idea di che cosa significhi?

- Che sono tutte frottole, quello di sicuro. - Ribattei, decisa. - Mi conoscete e … - Iniziai, sentendomi male per puntare come arma vincente sulla Fiducia, la Fiducia che non mi meritavo.

- Sì, ti conosco, Evelyne. Ma conoscevo la Gray che non si sarebbe mai trovata in uno sgabuzzino, chiusa con Max Parker. - Rispose, fredda più del ghiaccio, ma me lo meritavo. - Questa email, in questo momento, non era la cosa migliore: non so, davvero, se fidarmi.

Il mio sguardo cedette e sperai non mi tradisse. - E' solo un email, anonima e …

- Infatti non ti ho ancora accusata di niente e spero di non doverlo fare mai. Se non hai fatto niente e non hai nulla da temere, le cosiddette prove in possesso dell'anonimo non dovrebbero preoccuparti; in caso contrario, ci rivedremo, in questo ufficio, per parlare.

La campanella di iniziò pranzo suonò e sembrò il martelletto di un giudice, che rinviava la corte fino al prossimo giudizio.

- Esatto. - Risposi, sorridendo.

Il Dittatore mi osservò un attimo, per poi congedarmi, con un cenno di mano.

Uscii dall'ufficio e solo dopo aver chiuso la porta mi appoggiai al muro con una mano, gli occhi sgranati.

Un solo nome mi rimbalzava davanti agli occhi: Seth Clark.

Era stato lui, spudoratamente lui!

Mi ritrovai ad odiarlo come non credevo fosse possibile odiare qualcuno.

La colpa era mia, mia per aver fatto tutte quelle cose sbagliate, ma perché dovevano ritornarmi indietro? Perché aveva deciso di rovinarmi in quel modo?

Marciai, a passo svelto, sentendomi andare a fuoco per il sangue in testa.

Volevo solo vedere quel ragazzo, tutto il resto era in secondo piano; scesi le scale, bruciante di rabbia.

- Eve!

Fui quasi tentata di non girarmi, ma mi bloccai, voltandomi verso Francy. Fremetti sul posto, troppo vicina alla mensa e probabilmente a lui.

Sgranò gli occhi, avvicinandosi. - Cos'è quella faccia? Emily mi ha detto che ti hanno chiamata in pr …

- Clark ha mandato un'email alla preside dove dice di avere le prove che passavo i compiti agli alunni! - Le spiegai, di getto, provando però a non alzare la voce per non far degenerare ulteriormente la situazione.

Francy impallidì. - Eh?!

- Hai capito bene! - Mi tirai i capelli all'indietro, provando a respirare profondamente.

- Ma non ce le doveva avere solo Max quelle foto?! E ha intenzione di inviargliele?!

- Non ne ho idea! - E quella volta quasi cacciai un urlo, incapace di contenermi.

Francy boccheggiò, a disagio.

- Scusa … - Sussurrai, chiudendo gli occhi con forza e cercando di non pensare a tutto quello che c'era il rischio si sgretolasse, irrimediabilmente.

Il mio futuro. La posta in gioco era tutta la mia vita.

- Se non gliele ha inviate subito vuol dire che vuole parlarne con te, Eve, ne sono sicura! Nessuno sarebbe così cattivo da ...

- Non lo so … Non lo so davvero … Non so niente … - Continuai, così piano e con un groppo in gola che di sicuro mi rendeva incapibile.

Molti studenti passavano, guardandomi perplessa.

- Vado a parlargli e ad ucciderlo. - Decretai, probabilmente seria, dando le spalle a Francy e tornando a marciare verso la mensa.

- Eve! Non esagerare che qua ti vedono tutti!

Ma nemmeno l'ascoltai, troppo in preda a un giramento di testa che mi impediva di ragionare.

Entrai di getto nella mensa e, come a volte succede, i miei occhi mirarono immediatamente su quello che volevo: Clark, in fondo alla sala, vicino alla porta che portava al giardino dei fumatori, appoggiato al muro, tranquillo come mai, intento a parlare con un amico.

Mi diressi verso di lui, come una furia, non pensando, come aveva detto Francy, a chi potesse vedermi o sentirmi.

- Clark! - Urlai e probabilmente tutta la scuola si girò in mia direzione: compresi gli occhi blu e quelli sembrarono quasi sorpresi; ci avrei forse creduto se la verità non fosse stata così schifosamente evidente. - Sei uno stronzo! Tu …

Delle braccia mi afferrarono per i fianchi, bloccando la mia corsa quasi alla fine, a pochi metri dalla fonte del mio odio; quelle mi sollevarono, girandomi dall'altra parte, impedendomi di vedere Clark. Era Max.

Le immagini della sera prima mi tornarono tutte davanti agli occhi, così diverse da come appariva lui in quel momento; le sue mani sul mio corpo, totalmente estranee a quelle del ragazzo della notte prima.

Mi disorientò, ma non abbastanza per impedirmi di ribellarmi alla presa.- Lasciami, Parker! Non è il momento di …

- Stai zitta. - Mi riprese, gelido.

Mi bloccai, riuscendo a vedere Clark che ci guardava scettico e gli occhi verdi di Max, fissi nei miei.

- Zitta?! Non hai idea di cosa …

- E invece ce l'ho. - Ripeté.

Lo mandai a cagare con un gesto, troppo arrabbiata. - Clark … - Tentai di nuovo di urlare, ma la mano di Max fu con forza sulla mia bocca, lo sguardo a pochi centimetri, serissimo. - Ti ho detto di ...

Mi dimenai di nuovo, riuscendoci di quel poco per parlare. - Smettila, Parker! Non starò zitta! Non sai cos'ha appena fatto! Ha mandato le …

Mi interruppe ancora, ma questa volta solo parlando:

- Lo so benissimo, ho detto! Perché non è stato Clark: sono stato io.

 


*Angolo autrice:

E' STATO UN PARTO

E tra 30 minuti esatto parto per la Spagna, fanciulle . (un mese, dai nonni, come sempre …) quindi non riesco a commentare ... Se avete dubbi scrivetemelo!

Attente ai particolari, a tutto.

Alla prossima, avrò internet là e aggiornerò <3 (in Spagna sono sempre molto ispirata, la storia l'ho iniziata lì, infatti! Ahahah)

*Cosa, chi, quando, dove, perchè, come?

*Gli inglesi hanno la fama di parlare sempre del clima, per occupare i momenti di silenzio.

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Capitolo 30
*** Bugie e verità ***


Uhm.

Eh.

Vi starete chiedendo 'ma chi è questa qui? Josie5? Punizione divina? Che cos’è?'

Eccomi di nuovo qua! Una pausa lunghissima, imperdonabile, lo so.

Non saprei bene cosa dire: è mancata l’ispirazione, è mancata la voglia, è mancata Evelyne nella mia testa. Avevo paura del finale che avevo pensato, della vostra opinione. Mi era sfuggito il punto di efp, del mio iniziare a scrivere e di me stessa: non importa se il finale non è degno o se non piace, importa che Evelyne e Max si meritano una fine. Importa che anch'io devo portare a termine qualcosa che mi ha reso immensamente felice e che spero abbia avuto lo stesso effetto su di voi. Se il finale non avrà la stessa efficacia, quel che importerà sarà comunque il percorso che mi ha portata esattamente qui. Non devo più scappare.

Spero solo di farmi perdonare dicendo che Evelyne è di nuovo qua, che la storia sta per concludersi davvero.

Spero di avere ancora qualcuna delle lettrici di prima. Anche solo rivedere un nome non mi farebbe sentire una pessima persona. La fine se la merita anche chi una volta mi leggeva e purtroppo, come me, ha smesso di frequentare questo sito, ma ancora si ricorda di “punizione divina” e di Max ed Evelyne.

L'unico favore che chiedo a te che leggi è di dire ad eventuali altre lettrici di questa fine. Non per pubblicità o altro, ma solo perché vorrei che la fine ce l'abbiano tutti.

Detto questo, spero che basti.

Spero di poter essere all’altezza. Spero di non sembrarvi strana: perché è passato tanto tempo e ho smesso di scrivere nel tempo libero, se non per appunti o esami. Forse sono più “matura” (solo sulla carta) e non credo più in certe cose. Ma ho voglia di scrivere. Di scrivere questa storia. Di finire di creare quell'unica cosa che sono riuscita a creare e portare per così tanto tempo avanti.

Questo è il penultimo capito, manca il finale e l'epilogo. Probabile che divida tutto in 3 capitoli, massimo 4 se il prossimo dovesse diventare troppo lungo. Devo sistemare i prossimi capitoli per bene, ma non sparisco più. Cerco poi di rispondere in questo periodo a tutte le recensioni ricevute.

 

Comunque, vorrei farvi sentire, anche se non è possibile, come se questi anni non fossero davvero passati.

Per chi potesse, vi chiedo di rileggere quanto è già successo, per cercare di capire davvero quanto segue. Per chi non avesse tempo, spero che gli spezzoni che seguono bastino a immergervi di nuovo nella storia che c'è stata finora.

Buona lettura (si spera)

 

 

- Non posso tenere davvero qualcuna per mano … - Aggiunse, piano, riattirando la mia attenzione sul suo viso, dopo quei secondi di silenzio. Mi sembrò di vederlo di nuovo strano.

- Non puoi o non vuoi? - Chiesi e una specie di sorriso tirato mi fece distendere le labbra.

- Non ho mai voluto. - Spiegò, continuando ad avere gli occhi incatenati ai miei.

Sfuggii però, abbassando lo sguardo. - Lo so.

- Ma ora non posso, Evy … - Disse, ancora più a bassa voce, tanto che mi sembrò quasi di essermelo immaginato.

Di nuovo, con quel fare altalenante che stavo avendo, mi ritrovai a guardare il suo viso.

- E perché non potresti? - Domandai, e mi sentii il cuore in gola e probabilmente era lì davvero, pronto ad uscire e scappare a una risposta troppo chiara, che non andasse bene con quello che speravo, illudendomi come una bambina.

Esitò; la sua mano mi strinse le nocche, facendomi piegare le dita e sentire così piccola.

- Si pensa che stringere la mano a qualcuno sia rassicurante, che dia una sensazione di protezione, sollievo, che serva ad evitare del dolore, a tenere qualcuno vicino. - Cominciò e il battito lo sentivo fin nelle tempie. - Ma non è così. - Spiegò, gli occhi fissi nei miei, così tanto che sarei dovuta essere in grado di capirli, ma qualcosa continuava a sfuggirmi. - E' cominciando a stringere una mano, che si inizia a perdere qualcosa. E ci sono cose che non vorrei perdere. Non adesso.

 

 

- La tua bocca non mi tenta minimamente e non vorrei, ogni volta che la vedo, baciarti, senza aspettare altro. - Aprii gli occhi trovando i suoi socchiusi, vicinissimi, e smettendo di respirare. - Non sei bella, pur sforzandoti così tanto di esserlo; non penso decisamente fin troppo spesso a te, fino a livelli normali. Non mi piaci, per niente, e vorrei che questa notte finisse il prima possibile, perché non vedo l'ora di staccarmi da te e che arrivi domani. - Finì, più piano delle altre due volte ed era possibile che non mi avesse mai guardata così?

- Bugia? - Chiesi e in quella domanda si trovava il mio cuore.

 

 

 

- Ma poi pian piano ho cambiato idea … - Confessai.

Ci mise un attimo a rispondere: - Non pensi più che sia qui per rovinarti, in un modo o nell'altro? - Chiese e il tono suonò quasi spento, ancora strano.

- No, perché alla fine non l'hai mai davvero fatto, pur avendone avuto la possibilità. - Sussurrai. - E anzi, mi sono ritrovata a ringraziarti, io; ad avere bisogno, in un qualche modo, di te. - Aggiunsi, con un piccolo sorriso, contro il suo petto.

Mi strinse ancora più forte e trattenni il respiro, mentre le sue labbra si appoggiavano sui miei capelli.

Restammo in attesa, di chissà cosa, poi lui tornò a parlare: - Se non posso rapirti, conosci almeno un qualche modo per governare il tempo? - Mi domandò.

Corrucciai la fronte, perplessa e disorientata dal suo calore e da tutto quello che avevo appena detto. - Ti servirebbe?

- Non sai quanto ...

E ci zittimmo, in muto accordo, continuando a stare lì, contro quell'albero, nella notte; in quel silenzio che non era in realtà un silenzio.

 

 

 

 

- Max … - Feci dopo pochi secondi, e un gemito strozzato si unì al suo nome.

- Dimmi … - Sussurrò, continuando a lasciarmi baci umidi e a farmi fremere.

L'ultima volta.

Ed era sbagliato, ma il mio cuore voleva quello: l'ultima volta, ma anche la prima.

- Fai l'amore con me?

 

 

 

Quella sera mi ero divertita, in qualche modo, pur odiando Parker; mi ero divertita e avevo provato quasi una strana simpatia nei suoi confronti. Almeno finché Clark non mi aveva spiegato la scommessa tra loro due: la ragione per cui ero stata chiamata a restare a cena in palestra, e trattata in quel modo quasi carino, era stata infatti un bacio.
Alzai gli occhi su Max, che tentava di valutare se aprire o no la sua lattina.
L'aveva già detto anche lui che ero sembrata intenzionata a rinfacciargli ogni sua frase, quella sera; quindi, ormai, tanto valeva fare lo stesso anche con le sue azioni, no?
- La scommessa tra te e Clark … - Iniziai.
A Parker però scivolò di colpo la lattina di mano, che cadde per terra, rimbalzando, e finì accanto alla mia; mi bloccai.
Mi guardò e non riuscii a capire la sua espressione. - Eh?

 

 

 

- Non è stato Clark: sono stato io.

 

 

 

 

29. Bugie e verità

 

Le parole, l'avevo sempre saputo, avevano una gran importanza.

Non erano solo un mezzo per riempire il silenzio o il vuoto, per usare in qualche modo l'aria: era un tramite con cui un'anima poteva comunicare con un'altra, rompendo l'isolamento, esistendo, dandosi un senso, facendosi ricordare.

Le avevo sempre considerate al di sopra dei gesti: perché certe lettere, in un determinato ordine, in una certa sequenza e quantità, riuscivano a trasmettere molto più di certi comportamenti e di certe azioni. Anche per quello preferivo i libri ai film.

E anche per quello avevo sempre voluto fare la giornalista: per informare, comunicare, aiutare, salvare; usando parole.

Ma, da quando conoscevo Max Parker, l'importanza dei gesti, nella mia testa, era notevolmente aumentata: perché anche quelli potevano comunicare così tanto; far battere il cuore; anche quelli potevano farti innamorare.

Poi, sempre Max Parker, mi aveva fatto scorgere l'altro lato della medaglia nelle parole: il lato negativo.

Le mie adorate parole, che avevo sempre così tanto voluto imparare a maneggiare, non avevano infatti solo lati positivi.

Le parole, loro, potevano anche uccidere.

Con molta più crudeltà, anche se il sangue non era visibile.

- Eh?

Quello fu l'unico verso in grado di uscirmi di bocca.

All'improvviso non mi dibattevo più tra le braccia di Parker, mirando a Clark e alla sua faccia da schiaffi; all'improvviso ero ferma, con la bocca spalancata.

Gli occhi di Parker lasciarono un secondo i miei, volgendosi in direzione del ragazzo che pochi secondi prima avevo voluto morto, poi furono di nuovo con me. Impassibili.

Non fiatò.

- Tu? - Chiesi, quasi volendomi accertare di aver capito bene.

Non rispose, ancora, ma io scoppiai a ridere, brevemente, in maniera scettica ma nervosa.

- A che gioco stai giocando? Non puoi essere stato tu. - Tagliai corto e cercai di allontanarmi dalla sua presa, che quasi non notavo travolta dalla rabbia, per ritornare a Clark dopo quell'esitazione fin troppo lunga.

Max però non mi lasciò andare. Le sue mani mi strinsero i fianchi con più forza, ma non col tocco che ero solita conoscere, e i suoi occhi così vicini erano diversi, tremendamente diversi dal solito. Continuò: - Posso eccome evidentemente, perché sono stato io.

Sentii crescere all'improvviso una rabbia insana, impregnata di qualcosa di più amaro, simile alla paura. - Non puoi essere stato tu! Non lo faresti mai! - Insistetti e il tono di voce si stava alzando; l'ultima sillaba tremò.

Gli si dipinse uno strano sorriso ironico, freddo, che stonava con tutto e richiamava tanti mesi prima. - Continuerai a ripeterlo per molto? Sono stato io, mettitelo in testa. - Quasi sillabò.

- Lo ripeterò quante volte voglio! - Urlai, sempre più agitata, più di quanto fossi stata entrando nella mensa.

Il sorriso gli si spense e si guardò di nuovo attorno; la sua mano mi spinse di lato, disorientandomi, e mi sentii più instabile di quel che credevo. - Stai urlando! Andiamo a parlare fuori!

Mi scostai bruscamente dalla sua presa, rischiando di cadere. - No! - Ma abbassai la voce, notando all'improvviso il silenzio che ci circondava: creato da orecchie tese; o forse ero io ad immaginarmelo, non riuscendo a sentire altro. - Non c'è bisogno di andare da nessuna parte: perché non sei stato tu e adesso lasciami stare!

Guardai verso Clark che rideva con i suoi amici, notando l’inizio del nostro litigio. Fui sul punto di scattare per essergli subito addosso.

- Sono stato io, Gray! - Fece di nuovo, sempre più fermamente e tornai in modo brusco a lui. - Non cambierai i fatti!

- Non lo faresti mai! E i fatti sono quello che mi hai dato ieri! Dopo quello che mi hai detto ieri, dopo quello che hai fatto ieri, dopo quello che abbiamo… - Mi bloccai. - Tu non avresti mai potuto fare qualcosa del genere! – Misi in chiaro e gli portai come prova, in un modo all'improvviso disperato, più di quanto avessi mai voluto, quell'uscita insieme.

Portai come prova lui stesso: Max che mi diceva che ci teneva a me, che non voleva perdermi, che gli piacevo.

Quella volta esitò un attimo e mi sentii sollevata: avevo capito la bugia? Proprio come mi aveva insegnato il giorno prima? Si stava per complimentare? Saremmo poi andati finalmente da Clark a chiarire tutto?

Ma l'esitazione c'era stata solo per anticipare una risata.

Max infatti scoppiò a ridere.

- Erano bugie. - Spiegò, con così poche parole, appena il riso si spense.

Avvampai, sentendo il sangue ormai alla testa. - Sono bugie quelle che stai dicendo adesso!

- Ne sei sicura? - Mi provocò, sorridendo in quel modo che avevo così tanto odiato in passato e non riuscii a rispondere.

- Sai durante quello stupido gioco? Quelle che hai definito bugie erano la verità. Non ne hai mai indovinata una.

Affondò il coltello nella piaga e fece all’improvviso male, quasi si fosse aperta una vera ferita. Quasi mi sembrò di sentire l’odore del sangue.

- Non ti credo.

Anche se sentivo odore di sangue, la mia reazione non poteva cambiare. Non dovevo credergli: non era possibile in alcun modo credergli. Non era possibile che fosse stato lui.

- Bugie, tutte. – Continuò, con la stessa faccia.

- Non ti credo! - E volevo tapparmi le orecchie, come una bambina, e continuare a insistere, a non ascoltarlo, a non credergli. - Smettila, Parker! Smettila! Non è possibile che tu, per tutto questo tem…

- Perché mi sarei preso la briga di dirne così tante, per così tanto tempo, vorresti ribattere? - Mi anticipò, in una cantilena ironica che feriva le mie orecchie e ulteriormente me. - Non riesci a immaginarlo? E' facile e capibile, sai? A questo punto direi che è l’unica risposta possibile. – Lasciò nell’aria un secondo di silenzio: drammatico come al suo solito; drammatico come quel pomeriggio nel parcheggio, prima di sventolarmi le foto sotto il naso. - Perché era tutta una scommessa.

Il respiro divenne all'improvviso più difficoltoso, come se le gocce di sangue fossero scese davvero da quella ferita immaginaria e come se fossero anche aumentate, cominciando a soffocarmi. Il colpo era di certo stato all'altezza del petto, vicino ai polmoni.

Ricordai tutte le strane esitazioni che aveva avuto nei giorni precedenti.

- Non ti credo. - Insistetti, appena ne trovai il fiato.

E io stavo crollando e lui mi fissava con un sorriso, impassibile.

- Era una scommessa: dovevo farti cedere, come tutte le altre. Sai, sei stata particolarmente difficile, Gray, ne sono serviti tanti di mesi, ma qualche parolina in più alla fine funziona sempre. Anche con te.

Feci un passo indietro, mentre uno strano scroscio mi risuonava nelle orecchie.

- Una scommessa. - Ripeté; gli occhi ricoperti da una patina impenetrabile, non sembravano più nemmeno verdi. - E' la stessa che va avanti da Halloween, Gray. Solo che ti ho mentito, non era questione di baciarti, era altro, molto di più, con la scadenza di un anno. Era farti cedere definitivamente a me.

- Non ti credo! - E quella volta urlai sul serio, cercando di sentirla il più possibile quella frase, anche dentro, anche con quel sangue che agitava tutto.

Il silenzio nella mensa era ormai assoluto, non lo immaginavo solo io.

Mi afferrò ancora un braccio, mi dimenai, ma mi prese anche l'altro, avvicinandomi e mi arresi, di colpo.

- Allora dimmi perché avrei dovuto inviare quell'e-mail, se tutto il resto fosse stato vero? - Sussurrò, sorridendomi a pochi centimetri dal viso. Una distanza che gli avevo concesso così lentamente. - Lo sai che le foto ce le ho solo io. Chi altro potrebbe minacciarti con quelle?

Boccheggiai, poi la risata di qualcuno mi saltò alle orecchie: mi girai, di colpo, vedendo Clark che cercava di dissimularla con rapidi colpi di tosse.

Clark.

- Lo stai coprendo! Non so perché, né niente, ma lo stai coprendo! Stai coprendo lui! Ammettilo, Max! So che stai mentendo adesso! - Continuai, a denti stretti, e ormai suonavo disperata, in ogni singola cellula: pregavo perché mi dicesse che avevo ragione, perché ponesse fine a quel supplizio, perché fermasse finalmente quell'emorragia interna. - Non puoi essere stato tu! Non ti posso credere! Stai mentendo! Sono successe altre mille cose che provano che non si trattava di una scommessa!

Lo guardai dritta negli occhi, ma non vedevo niente, solo verde.

L'ancora di salvezza, la pezza che bloccava il dilagare del sangue, erano solo i ricordi: gli abbracci al parco, i baci, le carezze, la sua mano. Ironicamente avevo in mente solo i suoi gesti, era rimasto solo quello; se i gesti non mentivano, allora Max non aveva mentito a me.

Mi avvicinò di nuovo e quella volta non tentai nemmeno di opporre resistenza. Ritrovai i suoi occhi così vicini e mi sentii salire le lacrime in un attimo di debolezza. Ma dovevano rimanere bloccate lì.

- Allora se fosse stato tutto vero, perché non sono andato a letto con te?

E la stoccata finale, dritta alle mie insicurezze, non si limitò a sfiorare i polmoni, centrò direttamente il cuore, con precisione e con mira infallibile, e il sangue dilagò.

Le parole potevano uccidere.

Non risposi più, non reagii nemmeno.

Tutte le mie paure, tutte le mie domande senza risposta sui suoi comportamenti ebbero all'improvviso una risposta, e vinsero contro la mia volontà di non credergli.

- Che problema avrei avuto al riguardo se mi fossi piaciuta davvero? Mi serviva solo farti arrivare a quello che mi hai chiesto ieri, e basta.

Perché non era voluto venire a letto con me? Dopo tutto aveva sempre fatto così con tutte; se gli fossi piaciuta davvero perché con me no? Perché si era dovuto trattenere? Perché, dopo tutto quello che mi aveva detto e fatto capire? Perché non aveva mai voluto parlare seriamente di noi? E Dawn? E tutte quelle prese in giro?

- Non mi sei mai piaciuta, Gray. A sufficienza per quel che ho fatto, ma per il resto sei stata solo un passatempo divertente. Accettalo.

La risposta ora l'avevo, ed era stata ovvio, fin dall'inizio, avevo solo voluto cercare delle scuse, o non vedere la semplice verità.

Mi sembrò di sentire la presa delle sue mani ammorbidirsi e scivolare un attimo in basso, i suoi occhi meno freddi, con qualcosa di diverso, ma probabilmente tutto era uguale e mi sembrava solo meno duro; perché niente poteva essere orrendo e fare così male quanto quello che aveva appena detto, quanto quello che le sue parole mi avevano fatto capire.

L'ancora di salvezza, le sue parole si trasformarono in quello che propriamente erano: l'ancora non salvava, mi portava solo a fondo. I gesti si trasformarono in menzogne, come tutte le frasi dette.

Ripensai alla sera prima, quando mi aveva parlato di bugie e verità: le bugie che avrei dovuto capire erano state semplicemente tutte le frasi che mi avevano fatto battere il cuore, in qualunque modo.

E se niente era vero, io di cosa mi ero innamorata?

Dove finiva il mio “Ti amo”?

Lo scorgevo, in mezzo a tutto quel dilagare, come se fosse stato vero, palpabile nella sua “T” alta e rigida e nella sua “o” rotonda e finale.

Continuò, forse vedendo tutto quello: - E ormai con quello che mi hai chiesto ieri era diventato chiaro che avessi ceduto: la e-mail era solo per farti capire com'erano andate in realtà le cose; al momento esatto del tuo game over. Per toglierti di mezzo. Non lo capisci? Comunque non ti preoccupare, non manderò le foto sul serio, non mi interessa. Volevo solo vedere la tua faccia, dopo, e dirti che era tutto chiuso e che io avevo semplicemente vinto. - Concluse, senza mollarmi e con sufficienza, come se avesse parlato del tempo. - Solo questo. Di altro non mi importa.

Ma non lo guardavo più in viso, nemmeno più negli occhi.

- Ah…

Rimase in silenzio alla mia prima reazione dopo tanto.

- Quindi… Volevi vedere la mia faccia?

Non rispose subito, le labbra si schiusero pian piano. - Sì, godermela, dopo tutta questa fatica e tempo perso.

Reagii, senza nemmeno pensarci. - Allora ricordatela bene. – Dissi, senza niente nella voce e, da come la sua presa cedette definitivamente, seppi di averlo preso alla sprovvista. – Perché non ho più intenzione… - Continuai e un nodo alla gola mi cresceva sempre più. – Perché io non ho più intenzione di farmi vedere da te. Di incrociare il tuo sguardo o di rivolgerti la parola. Volevi godertela? Goditela adesso. – Sollevai per l’ultima volta lo sguardo, dritto nei suoi occhi. Non volli leggere niente e cercai di ricordarmi in quel modo i suoi occhi. Solo occhi verdi. – Sarò stata un'ingenua, ma io sono sempre stata me stessa.

E il sangue dilagava. Ormai coagulava.

Ma perché nonostante fossi morta quelle mie stesse parole facevano male?

Avevo già distolto lo sguardo con forza, quando lo sentii prendere fiato per ribattere, ma lo interruppi di nuovo, presa da una strana ansia di parlare: - E sai cosa? Tuo padre ha solo ragione.

Ero morta, sanguinavo, soffrivo, ma nonostante tutto avevo la spada dalla parte del manico, all'improvviso.

Non fiatò e per la promessa che mi ero appena fatta mi rifiutai di guardarlo.

- Sei solo un fallito. Io avevo conosciuto qualcuno dietro a Parker, avevo conosciuto il Max con qualcosa di più e di quel Max io mi ero… - Mi bloccai e mi sentii di colpo gli occhi caldi, e la vista, fissa sul pavimento della mensa, sui suoi piedi, mi si offuscò. Dovevo parlare e basta. - Quel Max che conoscevo io valeva tanto, valeva qualcosa, avevo bisogno di lui, più di chiunque altro. Non di Parker. Era tutto una bugia? Bene. Allora tu non sei niente: sei esattamente quello che dice tuo padre, un bel visino che pensa solo alle ragazze e non ha cervello e non ha cuore. Un fallito. Un fallito che non combinerà mai niente di buono in tutta la sua vita. Tuo padre ha solo ragione, l'aveva solo capito meglio di tutti. Mi fai schifo.

Mi girai, avviandomi fuori dalla mensa, ancora prima di aspettare un'improbabile risposta o scorgere un’ancora più impossibile reazione. Iniziai a correre dopo due passi, schivando volti che non riconobbi.

La vendetta non doveva essere dolce?

Perché stavo solo peggio?

 

 

La vendetta sapeva di vomito.

- Tieni ... - Borbottò Francy, allungandomi l'ennesimo fazzoletto.

Lo afferrai senza fiatare, continuando a tenermi i capelli all'indietro, chinata sul lavandino.

Non volli dare nemmeno una vaga occhiata allo specchio, perché sapevo come mi sarei vista e sapevo anche che non avrei retto: senza colore in volto, bianca come non mai, le labbra gonfie e socchiuse, con gli occhi rossi, pur non avendo pianto.

Ero riuscita a non piangere.

Forse perché le lacrime mi avrebbero solo ricordato l'ospedale, zia Lizzy, Parker che veniva a trovarmi; o il suo compleanno, appena due giorni prima, quando avevano rischiato di uscirmi sul serio. O forse no, perché, dopo tutto, tutte quelle cose erano marchiate a fuoco e non riuscivo a non sentirle, pur con gli occhi non umidi di lacrime.

Ero riuscita a non piangere, ma la rabbia, la tristezza, e, chissà, forse anche quell'amore che non poteva essere vero, mi erano ribolliti così tanto dentro che ero dovuta correre in bagno, a rimettere. Il corpo si era ribellato a quel rifiuto di sfogarsi, di far uscire tutto, nel più schifoso dei modi.

Mi asciugai il viso che avevo appena finito di rinfrescare, provando a recuperarmi.

Le labbra mi tremarono un attimo, mentre ci passavo sopra il fazzoletto, risentendo le cose che avevo detto a Parker, prima di uscire dalla mensa.

La vendetta sapeva di vomito: amara, rivoltante e il suo sapore durava in bocca e temevo non sarei riuscita più a togliermelo di dosso, così come quelle parole.

Si poteva essere più stupide?

La vendetta non sarebbe potuta essere più dolce, in una qualsiasi altra situazione al mondo, eppure stavo male io, in quel bagno, con Francy, chiuse a chiave.

- Va meglio? - Mi chiese, con una dolcezza nella voce che non sentivo realmente, ma percepivo per riflesso.

- No. - Risposi, secca. - Non va meglio: non va bene.

Rimase un attimo in silenzio. - Non farà vedere le foto, Eve, è finita, non devi più preoccuparti.

Questa volta non aprii bocca, mi limitai a continuare a pulirmi.

Sospirò. - Massimo c'è il problema di tutti quei professori a mensa: ti stavano tenendo spudoratamente d'occhio, e, nonostante quello là parlasse piano, tu all'inizio hai urlato e la tua reazione, se riferita alla preside, potrebbe essere sospetta.

La guardai, trovandola pallida, con lo sguardo piantato per terra.

- Francy, io sinceramente non ci stavo più pensando a quelle dannate foto, o a questa scuola o a quella borsa di studio o... - Mi bloccai e la guardai con fare scongiurante, ma non sapendo veramente cosa le stessi chiedendo. - Anche se so che dovrei. Non riesco ad essere Evelyne Gray in questo momento.

Alzò gli occhi, trovando i miei, e in qualche modo mi sentii un poco meglio. - Lo sei, non devi riuscirci.

Scossi la testa, lanciando il fazzoletto umido davanti a me. – Mi capisci se ti dico che ormai mi ero abituata ad essere Evy? Non la Gray del giornalino! Quella fredda ed insensibile a cui importa solo della sua borsa di studio! Che fa copiare e non ha cuore! Ma Evy! Solo Evy. Ed Evy è un sacco più stupida e credeva nell’amore, ma mi piaceva di più Evy, davvero! E adesso è morta e io…

- Evelyne. – Mi chiamò, sfiorandomi il braccio e fermandomi la mano che passava nervosamente tra i capelli. – Evelyne… Tu non sei mai stata la Gray. Sei Evelyne e basta... E sei una ragazza normale, con i suoi difetti e i suoi pregi, come tutte... Non eri fredda e insensibile prima di Parker. Non sei diventata migliore e non sei diventata Evy grazie a lui. Tu eri Evelyne e rimani Evelyne, la mia Evelyne, la mia migliore amica, che combatteva per la propria vita e per un futuro. Sei l’Evelyne che aveva già dimostrato di credere nell’amore, anche se non verso un ragazzo. Parker non ti ha fatto diventare niente e quindi non può aver ucciso nessuna parte di te. Tu sei tu, sei Evelyne, e un ragazzo non può ucciderti, perché non può nemmeno cambiarti. Non dargli questo potere, perché non ce l’ha. E tu sei molto più forte, la ragazza più coraggiosa che conosca. Sei Evelyne.

Crollò di nuovo il silenzio, riempito solo dalle gocce d'acqua che colavano dal rubinetto chiuso male.

Poi crollai io, a terra.
Mi lasciai scivolare, come se le gambe non avessero potuto reggermi più, sul pavimento sicuramente lurido di quel bagno.

Francy mi seguì, come mi aveva seguita fuori dalla mensa, correndo e affiancandomi subito, prima che riuscissi a raggiungere qualunque altra cosa. Quella volta mi raggiunse, rannicchiandosi a terra: una di fronte all'altra.

Sentii le sue braccia circondarmi i fianchi e il suo viso affondarmi tra i capelli, senza quasi rendermene conto. Con quell'ultimo gesto sembrava darmi il permesso di piangere, facendomi capire che non mi avrebbe guardata; si sarebbe limitata ad ascoltarmi e a parlarmi, lì, così vicina al mio orecchio, per sussurrarmi in risposta, se avessi voluto.

Qualcuno cominciò a bussare fuori dalla porta del bagno, reclamandolo e avendo capito che non era stato di certo chiuso per pulizie, come Joe non faceva mai.

- Ma era ovvio alla fine, sai? - Sussurrai, così piano da essere coperta da tutto quel baccano che mi circondava.

La tizia fuori continuava a bussare, ignara di tutto, urlando.

- Cosa? - Chiese, scostandosi lievemente.

- Che le sue erano bugie. Tutto. – Ripetei, cercando di essere incolore. - E' tutto più normale e logico, così.

Esitò e ci sarebbe stato un lungo silenzio, se non fosse stato per quel caos, la porta che ormai stava per venir sfondata.

- Ma è davvero possibile?

Risi, brevemente, in risposta. La stretta di Francy non sembrò diminuire e capii che se l'amore per Parker non poteva essere stato autentico, quello doveva esserlo, a tutti gli effetti.

All’amore avrei potuto continuare a crederci.

E lì, in quel momento, tradii definitivamente le parole di Francy.

Non ero evidentemente la ragazza più coraggiosa che potesse conoscere. Di coraggio in realtà non ne avevo.

Se lo avessi avuto, non ci sarebbe stata quella paura i giorni prima, con Parker, e forse non mi sarei fatta poi così tanto male. Se fossi stata coraggiosa non avrei provato a fare del male a Parker, parlando di suo padre prima.

Non ero evidentemente coraggiosa, né la persona buona che pensavo di essere.

Ma forse dovevo in ogni caso smetterla di darmi etichette: ero Evelyne, punto.

Cosa importava poi?

Importava forse che mi fossi sempre detta che Evelyne Gray non piangeva?

No.

Soprattutto perché Evelyne, lì, in quel momento, era appena scoppiata a piangere.

 

 

Mi scostai i capelli all'indietro, inumidendomi le labbra e chiudendo per qualche breve secondo gli occhi.

Mi bruciavano.

- Gray, ti senti bene? - Chiese il professor Hoppus, giratosi in quel momento dalla sua postazione alla lavagna, con il gessetto sollevato e indeciso. Aveva lasciato a metà una "x".

Tentai di sorridere e mi ritrovai a riuscirci discretamente. - Certo.

Mi sembrò di sentire una qualche specie di risata, in classe, ma non volli identificarla.

Era strano come le cose cambiassero col tempo.

L'ora di Trigonometria era sempre stata particolare: c'era uno strano miscuglio di fauna, tra quei banchi, di cheerleader, membri del coro, Francy ed io, poi i popolari: Clark, Billy e Parker, nei loro ultimi banchi; quattro file precise dietro la mia testa.

Quella varietà a inizio anno mi aveva lasciata indifferente, per poi essere odiata a causa della presenza di Parker, ma pian piano sopportata e alla fine passata quasi piacevolmente; quel giorno però l'ora di Trigonometria non era umanamente possibile che riuscissi ad affrontarla.

Ma non avevo potuto perdere nemmeno un secondo delle lezioni successive alla pausa pranzo, successive al tentativo di recupero in bagno, prima che suonasse la campanella: Francy mi aveva fatto capire, pur con tutto l'affetto del mondo, che mi stavano controllando, i prof e la preside, e la scenata a mensa era già stata di troppo oltre gli schemi. Se l'e-mail fosse stata veritiera io l'avevo dimostrato definitivamente con quelle urla e quella rabbia; non erano prove, ma di sicuro indizi. E non potevo fornirne altri assentandomi dalle lezioni quando non succedeva mai.

Nemmeno Trigonometria era evitabile.

E nemmeno Parker.

Mi passai ancora la mano tra i capelli, che sentivo sempre più sporchi, quasi risentissero di tutte le bugie che mi avevano circondato, per poi cadermi addosso, come una patina unta.

Non era evitabile, ma avevo mantenuto la promessa e non l'avevo guardato.

Avevo sentito, mentre entrava in classe, non la sua presenza, come in un fantascientifico film rosa, ma le occhiate di scherno dell'intera classe.

Perché, seppur nessuno fosse venuto a conoscenza dei particolari, tutti si erano resi conto del tono della conversazione: ed era sembrato molto simile a un rifiuto. A un'umiliazione pubblica. La Gray che veniva respinta da Parker.

Le occhiate erano poi di sicuro rivolte unicamente a me: e come sempre era la prova che le parole pesassero solo su di me; su di lui mai.

Risi da sola, piano, amaramente: perché lui ne usciva sempre vincitore. Sempre. Lui era la mia punizione, senza il divina, solo una punizione, e io ero la vittima, eternamente la vittima destinata a soccombere: non c'era via d'uscita. Niente di più ingiusto. Niente che avrei voluto cambiare di più, pur non riuscendo a farlo.

- Vengo a casa tua oggi? Ci guardiamo "L'esorcista" con tua zia e mangiamo una pizza. - Propose Francy, scarabocchiandomi leggermente su una mano.

Scossi la testa, sentendomela quasi rimbalzare all'interno del cranio. - Ho detenzione. - Ricordai a entrambe e cercai invece di eliminare dalla memoria il motivo per cui ci ero finita.

A Francy sfuggì un verso di fastidio. - Vero. Non puoi semplicemente evaderne?

E' curioso come si cerchi di comportarsi normalmente, quando le cose non vanno.

In realtà risultava tutto anche più facile di quanto avessi creduto. Il merito era del pianto in bagno, ma a quello cercavo di pensarci il meno possibile.

- Carino il riferimento al carcere, ma no, non voglio subirmi qualche settimana in più di punizione per averla saltata, a poche dagli esami finali. - Risposi e prendendo un bel respiro mi misi a copiare gli appunti nuovi sul quaderno. Fui in parte grata al professor Hoppus che ci stava evidentemente sentendo chiacchierare, ma fingeva di non accorgersene. - Poi, in ogni caso, tu dovevi uscire con Kutcher ...

Esitò e capii il suo stupido disagio: lei che aveva praticamente il ragazzo, amico di Parker; io che stavo male per il secondo.

- Non ci pensare nemmeno. – Misi in chiaro, senza guardarla. - Non dargli buca. Ci esci, te lo baci e ti diverti.

- Ma... - Provò ad opporsi, in fretta.

- Sto bene. - Proclamai, continuando a non incrociare i suoi occhi. - Il peggio è passato: in bagno mi sono sfogata. Adesso finiscono le lezioni, subisco detenzione studiando un po' per domani, poi vado a casa e dormo. Tutto va bene, sul serio.

- Non posso uscire tranquillamente se...

La bloccai ancora e finalmente mi voltai verso di lei. - Sto meglio a sapere che non ti tormenti inutilmente per me e che sei fuori a divertirti! E' meglio così, Francy; grazie per tutto il resto, ma non preoccuparti. Sto bene, sul serio. - E sorrisi: il gesto suonò finalmente naturale. Abbastanza da ricevere un'occhiataccia da Hoppus.

Il rumore stridulo di una sedia che si spostava interruppe però il silenzioso ammonimento del professore.

Francy si girò lievemente, per guardare chi fosse stato; io mantenni lo sguardo saldo sul quaderno, per non correre il minimo rischio di incrociare un paio di occhi verdi. Ma che li visualizzassi così nitidamente in testa, al solo pensiero, non era già una trasgressione alla mia promessa?

Passarono solo un paio di secondi e vidi sfrecciarmi di fianco Billy che, serio, si lasciò cadere su uno dei banchi in prima fila, vuoto, sistemando le sue cose come se niente fosse.

In classe partì un lieve brusio e anch'io ne sentii uno simile in testa: anche senza girarmi infatti sapevo che Max era rimasto da solo.

Clark si era messo, appena entrato in classe, come il giorno prima, in un banco il più lontano possibile da quello di Parker, e ora anche Billy, che era sempre stato alla sua sinistra, come una presenza fissa, aveva cambiato postazione.

Le motivazioni di Clark erano evidenti, ma quelle di Billy...?
Mi persi un attimo a guardare i corti ciuffi biondi, mentre lui, impassibile, apriva il libro a casaccio, non badando alla lezione che continuava nonostante quell'interruzione.

Francy non commentò e fece finta di niente, per non dare peso a quel ragazzo che poteva facilmente essere collegato a Parker.

Anch'io provavo a non pensarci e a guardare la lavagna, ma gli occhi mi tornavano sempre sui capelli chiari a poca distanza; la testa alle quattro file dietro di me. Guardavo i ciuffi biondi e intanto pensavo, ancora, a tutte le bugie che Parker mi aveva raccontato: al fatto di avergli dimostrato, come una perfetta stupida, idiota e debole, quanto tenessi a lui, quanto mi piacesse.

Mi ritrovai col respiro accelerato, come se stessi correndo insieme a tutte quelle immagini e a tutte quelle parole che mi risuonavano nell'orecchio.

Parker aveva parlato di "cedere", nella sua scommessa, ma non si era limitato a quello: sarebbe bastato interrompere tutto dopo il bacio a casa sua, sul ripiano della cucina, lì avevo già ceduto a lui, fisicamente; ma no, lui era dovuto andare avanti, fino a farmi innamorare di quello che avevo creduto fosse lui. Era stato crudele; era stato orrendo; era stata la mia rovina, più di tutte. E l'aveva voluto: aveva voluto che mi innamorassi di lui e sapeva di avercela fatta, nonostante si fosse limitato a parlare di "cedere".

Poi ebbi un'altra specie di rivelazione, in quel momento: le parole di Parker avevano funzionato infatti come un passe-partout e tanti lucchetti si erano aperti; lucchetti che mi avevano reso incomprensibili certi suoi comportamenti, certe parole.

E capii, in quel momento, che lui invece aveva solo voluto farmi cedere fisicamente all'inizio: non aveva forse smesso di parlarmi, subito dopo quel bacio a casa sua? Poi mia zia era stata male e lui era tornato da me, ma, se non fosse stato per quello, tutto si sarebbe chiuso lì.

Fissai il quaderno e la punta della mina appoggiata al foglio.

Se non fosse stato per quella visita all'ospedale, mi sarei salvata? Lui aveva vinto la sua scommessa, con quel bacio, e io non mi sarei mai accorta di quello che provavo per Parker, né di altro.

Avrei continuato ad essere arrabbiata, furiosa con lui e con quei comportamenti che non avevo capito – ma in quel momento ci riuscivo, - per qualche giorno, settimana, forse un mese. Poi basta. Mi sarei salvata.

Invece aveva dovuto continuare. E adesso quando mi sarebbe passata davvero?

Perché era venuto a trovarmi?

La mina oscillò avanti e indietro e continuò a farlo, come se non fossi stata io a tenere in mano la matita.

Mi aveva voluto così tanto male, per continuare quella presa in giro?

E che senso aveva avuto quel regalo di compleanno? Solo per farmi innamorare?

E la storia delle mani? Che me le avesse strette, seppur per così poco, baciandomi? Aveva trascurato la sua regola di non farlo con nessuna solo perché io mi ero dimostrata un osso più duro delle altre?

E quando mi aveva dato le spalle, prima di dirmi di essere andato con Dawn solo perché pensava troppo a me, in quel momento, non guardandomi negli occhi, aveva elaborato l'ennesima bugia?

Di sicuro doveva avergli fatto un gran schifo baciarmi, sfiorarmi, togliermi i vestiti, così tanto che era ovvio che non fosse riuscito a fare di più.

Ma così aveva avuto la prova che io ero innamorata di lui: io, una povera verginella, acida, che gli avevo chiesto per due volte, prima senza parole, poi con quelle, di fare l'amore.

E avevo detto amore.

L'avevo detto ad alta voce.

Mi ero chiesta dove sarebbe finito il mio "Ti amo", che non gli avevo mai detto e che in quel momento si rivelava inutile, falso, perché mi ero innamorata di qualcosa che non esisteva, ma quelle due parole le avevo già dette, la sera prima, con quella richiesta.

E poi c'era stata l'e-mail, dove mi accusava: aveva avuto ragione, non poteva esserci modo migliore di farmi capire la verità e tutte le sue bugie, che quello.

Non capivo solo perché non avesse inviato anche le foto, già che c'era. Gliene poteva importare qualcosa, alla fine?

No, ovviamente no.

La matita si muoveva sempre più e appoggiai con forza la mano sul banco, per fermarmi.

Cercai di nuovo con gli occhi, con uno strano nodo in gola, i capelli di Billy, ma finii per sbaglio sul profilo di Clark, vicino alla finestra, impegnato a guardare fuori.

E il pugno a Clark? Anche quello era stato parte del piano?

Probabile. Stupido, però praticamente certo.

E mi sentii in colpa, tremendamente: per essermi accanita così tanto su di lui, per colpa di un ragazzo che alla fine mi aveva mentito, che era stato peggiore di quanto immaginavo fosse Seth.

E ricordai le parole di Luke: io a Clark non avevo davvero chiesto scusa.

Non ancora.

Provai a cancellare ogni traccia di Parker dalla mia testa, concentrandomi su quel che rimaneva della lezione e sull'idea di chiedere scusa a Seth.

Non sollevai più la mano dal banco, per controllare se avessi smesso o no di tremare, ma mi sentii meglio.

Mentre realizzavo tutto quello, la campanella suonò.

- Quindi, sicura? - Chiese Francy, scattando in piedi come il resto della classe, non aspettando nemmeno che il professore finisse di parlare.

- Io a detenzione, tu con Kutcher: così dev'essere e così sarà. - Provai a scherzare, ma la voce mi uscì così roca che temetti, impallidendo di colpo, di aver appena pianto.

Francy fece una smorfia, cominciando a sistemare le sue cose nello zaino. Io mi passai velocemente una mano sulla guancia, ma non sentii traccia di lacrime e ripresi a respirare.

- Va bene... - Si arrese, alla fine. - Ma se cambi idea ceniamo insieme stasera. - Propose, abbozzando un sorriso.

- Vuoi davvero mangiare quello che cucina mia zia? - Feci, e con tutto quel sollievo di non essermi trovata lacrime, mi arrischiai anche a fare una risata.

- Ovviamente prenderemmo pizza d'asporto. - Precisò.

- Ah, ecco! - Infilai il libro nella tracolla e finalmente mi alzai anch'io. - Ti dirò, comunque.

Francy annuì, ma guardò alle mie spalle, incupendosi di colpo.

Capii dalla sua occhiata che Parker fosse a pochi passi, probabilmente vicino a Billy. Non mi girai: non l'avrei più guardato, mi ripetei.

- Allora a dopo o a domani. - Tentò in fretta di recuperarsi e mi schioccò un bacio sulla guancia, provando a fare come al solito; mi strinse però un po' troppo il braccio per sembrare davvero normale.

Annuii, fingendo di non essermi accorta di nulla, e in quello stesso momento, con la coda dell’occhio, vidi una testa bionda passarmi di fianco.

Mi ritrovai ancora a concentrarmi su Billy.

Poi, il pensiero di chi avessi alle spalle mi scosse e uscii, seguendo a ruota Francy.

Oltrepassata la porta una parte di me si congratulò, l’altra, quella ferita, continuava a sanguinare.

 

 

 

La professoressa Gardiner, quella di Storia, si occupava quel giorno di vigilare i giovani teppisti della nostra scuola.

Tra cui mi trovavo io.

Un po' spaesata, mi trovavo in un angolo della classe, vicino alle finestre, con il libro di Biologia davanti, lontana dalla maggior parte degli studenti che preferivano stare attaccati alla porta, pronti a fuggire, io ero invece pronta ad evitare contatto umano. Il ragazzo a due banchi di distanza guardava prima accigliato le mie pagine evidenziate e annotate e poi con fare ironico me.

- Conoscete le regole, direi. - Iniziò la prof, camminando avanti e indietro, osservandoci. I suoi occhi si fermavano spesso su di me, in uno strano modo esitante. Ero sempre stata la sua cocca, ma chissà se sapeva perché ero finita lì: in quel caso dubitavo che avrei ricevuto altri sorrisi pieni e amichevoli.

In risposta ci fu un coro stonato d'assenso.

La Gardiner continuò comunque: - Per un'ora dovrete stare in questa classe, per meditare sulle motivazioni che vi hanno portati qui, e possibilmente pentirvene e capire che non dovreste tornare a farlo mai più!

Seguì un silenzio ben poco interessato: vedevo già due ragazzi in ultima fila appoggiati con stanchezza sul banco; una tirare fuori la limetta dallo zaino.

Io invece annuii, muovendo il capo di pochi millimetri e rendendo il gesto quasi impercettibile: me n'ero già pentita di ciò che mi aveva portata lì.

- E' vietato uscire, messaggiare, a proposito, passatevi questa scatole di banco in banco, voglio tutti i cellulari! E poi mangiare, bere e soprattutto chiacchierare. Un'ora di silenzio. - E finì così, sedendosi alla cattedra, dopo aver allungato la scatola fino al primo banco.

Tutti obbedirono, visibilmente scocciati, e la scatola si riempì di un bel e ricco carico, per poi ritornare fino alla professoressa.

La Gardiner abbandonò in parte la divisa da dura e ci sorrise.

A quel punto la porta dell'aula si aprì.

Ci voltammo tutti, chi più o chi meno interessato per l'interruzione.

Io in particolare rimasi di sasso nel vedere Luke. Il Luke del mio giornalino.

Gli occhi scuri guardarono con fare di scuse la professoressa: - Ho fatto tardi!

La prof abbozzò un'occhiata di rimprovero, per poi agitare lo scatolone con i cellulari: Luke fece rapidamente i pochi passi che lo distanziavano dalla cattedra e poi, con noncuranza, come non pensandoci, tornò verso gli ultimi banchi e si sedette nell'unico vuoto al mio fianco.

- E ora silenzio! - Ricordò la prof Gardiner, ma sorrise tirando fuori il giornale.

Luke finì di sistemarsi, appoggiando lo zaino a terra, sfilandosi la giacca; continuavo a guardarlo, sconcertata per la sua presenza.

- Cosa ci fai qui? - Bisbigliai velocemente. La professoressa o non sentì, nonostante l'assoluto silenzio, o l'articolo che stava leggendo era più interessante del normale.

- Sono qui per te. - Rispose, con un tono altrettanto basso. Mi guardò dopo un principio d'esitazione, ma mi evitò un'ulteriore domanda. – Non dovrei davvero essere qui. Non sono in un punizione. – Mi informò.

- E perché allora? – In realtà avevo anche paura di sapere la risposta. Mi agitai sul posto toccando il libro di Biologia che in quel momento sembrava così didatticamente rassicurante.

- Sai di mia zia?

La risposta mi lasciò sconcertata. – Tua zia?

- Sì, mia zia! Quella che lavora in segreteria e che ogni tanto bazzica per i nostri laboratori. Miss Powell. Ieri mattina ha scoperto di essere incinta. – Mi informò.

Lo guardai, continuando a non capire come io potessi essere coinvolta in tutto quello. – Forse me l'avevi accennato in passato, ma quindi? Cioè, okay, congratulazioni, ma…

– Ho saputo della tua punizione da lei! Sai è stata anche colpa sua se la preside ti ha beccata. Diciamo che ha avuto una leggera nausea proprio nel suo ufficio e la preside, schifata, ha accompagnato Joe verso lo sgabuzzino.

Non seppi bene se arrabbiarmi con quella parente di Luke o se incupirmi del tutto per il riferimento allo sgabuzzino e a quello che era accaduto al suo interno. A togliermi il dubbio intervenne la professoressa Gardiner che, girando con forza una pagina del giornale, ci fece capire che il nostro tono iniziava a essere troppo alto.

Cominciai a capire di essere ancora nelle sue grazie, e che la mancanza di intervento era dovuta solo al suo amore incondizionato.

Luke guardò circospetto la prof di storia prima di proseguire, con più cautela. – Ma non è veramente questo il motivo per cui sto sprecando del tempo per te.

Sgranai leggermente gli occhi, sorpresa da quella sua improvvisa serietà, che lo faceva sembrare più grande, e dalla frase.

Deglutii, persi un attimo tempo lanciando un’occhiata verso la cattedra e verso il ragazzo lì vicino che stava chiaramente origliando.

- Cosa? – Mi decisi finalmente a chiedere.

Luke si sporse ancora di più verso di me, distogliendo però lo sguardo e puntandolo verso la lavagna. Con quel modo di fare mi ricordò comicamente qualche telefilm poliziesco e, probabilmente, se fossi stata dell’umore giusto, ne avrei riso.

- Ti ho detto che mia zia è una delle segretarie, no?

Annuii, un po’ frustrata da quel suo continuo tentennare. – Vai avanti, Luke.

- Beh, anche se in teoria non potremmo, stamattina, io e mia zia…

Mi passarono davanti agli occhi disgustose scene di incesto.

- Eravamo nel suo ufficio, prima che iniziassero le lezioni, e la stavo aiutando perché ha dei problemi al computer e con certe cose me la cavo abbastanza bene – spiegò e in qualche modo mi sentii sollevata, mentre eliminavo le immagini precedenti. – E beh, ha poi guardato sulla posta elettronica della scuola. Devi sapere che tutte le segretarie e la preside hanno libero accesso all'unico indirizzo e-mail scolastico. E’ fatto apposta perché la Generalessa, essendo negata anche lei col computer, si perdeva spesso molte e-mail e…

- Hai visto l’e-mail su di me… - Conclusi quello sproloquio, incupendomi.

Luke rimase un attimo zitto, poi annuì. – E’ stata proprio mia zia a farla poi notare alla preside… Perché non mi hai mai detto niente di tutto questo? – Chiese, realmente ferito, dal tono di voce e dallo sguardo.

Boccheggiai, sentendomi arrossire, ma di una vergogna sporca, colpevole. Alla fine parlai: - E cosa potevo dirti? Luke, di quei soldi, dei compiti… Lo sapeva solo Francy e… - Feci, ammettendo chiaramente le mie colpe, non avendo la forza di trovare altre scuse, di dire altre bugie.

Mi guardava, ma non riuscivo a capirne lo sguardo. – E quelli a cui passavi i compiti… Quanti sono stati? – Chiese, prammatico, senza nessun giudizio, indicatore ciò della sua preoccupazione: Luke di solito commentava e giudicava tutto. E portava sfiga.

- Non tanti… Ho iniziato l’anno scorso, avevo… Avevo davvero bisogno di soldi, mi ci sono ritrovata in mezzo senza nemmeno sapere come.

La Gardiner tossicchiò e Luke mi fece un cenno nervoso, invitandomi a tagliare e a dire il minimo indispensabile.

- Quattro ragazzi, l’anno scorso, erano dei Senior, se ne sono tutti andati da questa scuola. L’unico ancora presente è Seth Clark. – Spiegai, sentendomi a disagio a pronunciare il nome, proprio davanti a Luke.

Sgranò gli occhi, collegando quel fatto ai problemi in cui mi ero messa con Clark, due giorni prima. – E’ stato lui! – Concluse, con la stessa logica semplice che avevo usato anch’io, all’inizio, prima di scoprire…

Mi sentii di nuovo male, e desiderai di nuovo il mio oblio, quella specie di atarassia a cui mi avevano portato le lacrime, in bagno con Francy, e l’assenza fisica di Parker.

Mi sentii peggio, sapendo che avrei anche dovuto spiegare tutto. Dovevo, lo dovevo a Luke e a quella premura che non mi sarei mai spiegata.

- No. – Scossi la testa, per poi inumidirmi le labbra. – Clark… Le foto le aveva fatte Parker, a me insieme a Clark. Parker mi ha poi minacciata, da ottobre, con quelle foto, è per quello che abbiamo iniziato a farci vedere insieme e…

Mi interruppe, sollevando bruscamente la mano. – Mi spieghi allora cosa cazzo ci facevi in uno sgabuzzino con Parker?! Che ricatto era?! Dio mio, Evelyne! – Alzò il tono, arrabbiatissimo, e la prof Gardiner ci guardò a disagio, senza però dire niente. - Lo sapevo dall'inizio che con Parker c'era qualcosa ben al di là della norma. Ma questo? Avresti dovuto parlarne per lo meno con noi! Come hai potuto pensare di cedere a ricatti del genere?!

Lo pregai con lo sguardo di calmarsi e si morse le labbra, tacendo e invitandomi a proseguire. Aspettai che la prof tornasse al suo giornale, poi continuai, più cauta di prima. – No, non è come pensi. Dovevo semplicemente fare della roba che a lui rompeva fare, tipo fare il bucato, pulirgli camera, portargli lo zaino… - Avvampai, sentendo come quel ricatto fosse in parte ridicolo. – Poi pian piano ha smesso, credevo fossimo diventati amici e poi… - Esitai, sempre più triste. – Poi siamo finiti in quello sgabuzzino. – Conclusi.

Lui tacque per un minuto che sembrò eterno, cercando di ragionare su quello che gli avevo, per la prima volta, spiegato.

- Fammi capire. Passi che non hai detto nulla a nessuno e ti sei fidata di questo patto con lui. Passi il potersi affezionare a una persona, nonostante l'inizio più che burrascoso. Passi che siate diventati amici o di più. Ma allora, se è come dici, perché avrebbe mandato quell'e-mail?

- Perché in realtà io sono arrivata da sola a questo punto. C’era una scommessa in gioco parallelamente. Volevano solo occupare il tempo con me. Parker non è mai diventato mio amico. – Spiegai, con poche parole. – Voleva farmi “cedere”, farmi … - Non riuscii a pronunciare la parola “innamorare”, e quella rimase sospesa in aria.

Luke, sempre più sorpreso, sembrò capire.

- Ha inviato quell’e-mail solo per farmi capire come mi avesse mentito e... basta. Ha promesso che non manderà le foto, quello non gli interessa.

Palesemente stanco, si sfregò gli occhi, come faceva sempre quando pensava. – Che cazzate.

Lo guardai non capendo, un po’ scioccata da quel ripetuto uso di parolacce che non gli sentivo mai dire. – Non sono…

- Okay, non lo sono, ma lo sembrano! – Fece, agitandosi e controllandosi le mani in un gesto nervoso. – Non ha senso. E’ complicato da morire e ci sono… Bah. – Scosse la testa, chinandosi verso la borsa, mentre guardava la Gardiner che ormai aveva perso le speranze di imporre un qualche tipo di autorità sulla classe, che chiacchierava tutta, avendo seguito il nostro esempio. – Visto che sai allora che è stato Parker rimane tutto un po’ inutile – si lamentò.

Lo guardai senza capire.

Colse il mio sguardo, porgendomi un foglio: c’era scritto sopra un indirizzo e-mail e un altro paio di appunti.

- Ho avuto poco tempo e sono riuscito solo a ricopiarti l’indirizzo del tizio, insomma, di Parker, ero riuscito a scoprire che è stato creato in un luogo pubblico, probabilmente la biblioteca in centro, o uno dei computer della scuola e avevo intenzione di lavorarci ancora sopra, ma visto che sai che è stato Parker rimane tutto un po’ inutile…

Guardai il foglio e poi Luke, leggermente incredula. – Come hai fatto?

- Ragazzi? – Pregò la Gardiner, piagnucolando a indirizzo dell’intera classe. Tutti noi, anche se me ne dispiacque, la ignorammo.

Fece spallucce. – L’indirizzo mi è bastato copiarlo. Ti ho detto che mia zia è la segretaria, la aiuto di continuo. Quindi niente, poi ho provato a risalire all… - Si bloccò, vedendomi spaesata. – Vabbè, ti evito i dettagli, ma si tratta di un luogo pubblico appunto, al 90% la biblioteca in centro. Parker non voleva farsi beccare ovviamente. Ma in ogni caso avrei potuto provare a risalire alla password e ad entrarci, ma a questo punto non serve più… - Sembrò deluso da se stesso.

Elaborai quello che mi aveva appena detto e finii per sorridere. – Grazie comunque, Luke.

Lui sembrò tornare il solito, perdendo la veste dell’hacker improvvisato che aveva momentaneamente assunto. – E’ da un anno che ci tieni nascosto delle cose, si notava e, dopo aver visto quell’e-mail… Insomma, volevo aiutare… - Borbottò. - D'ora in poi, per favore, ricordati che non sei sola a combattere contro queste cose.

- Grazie – ripetei e guardai l’indirizzo che Parker aveva scelto. Cercai di trovare un senso alle lettere e ai numeri, ma non collegai niente a niente: mi resi solo conto di come tutte le cose che pensavo di aver capito su di lui fossero solo frottole, non avevo niente di veramente suo. Non avevo capito niente. Non avevo conosciuto nessuno.

- Anche perché, se davvero Parker è riuscito ad arrivare a tanto, non vorrei che anche questa nuova promessa di non inviare più nulla si riveli essere fasulla.

Impallidii, accasciandomi leggermente sul banco. - Luke, ti prego. Non hai mai portato fortuna.

In risposta sollevò le mani in segno di resa, ma decisamente innervosito. Esitò un attimo: - Comunque come stai?

Incrociai ancora le lenti di Luke, ma non risposi.

- Insomma, se l’e-mail è per la fine della scommessa, allora tu hai… - Blaterò, bloccandosi di colpo, probabilmente capendo tardi, forse anche dai miei occhi, di aver sbagliato ad aggiungere quelle cose.

- Sì. – Confermai, sapendo solo come sarebbe continuata quella frase. – Ma erano tutte bugie, quindi …

Non sembrò capire il mio “quindi”, ma non mi chiese ulteriori spiegazioni.

Distolsi lo sguardo e infilai il foglio tra le pagine del libro di Biologia.

Poi, con fare stanco, dopo aver dato un’ultima occhiata all’indirizzo e-mail, mi misi a studiare.

In qualche modo, mi sentii un po’ meglio.

 

 

L'ora di detenzione sembrò eterna.

I minuti sembravano non trascorrere, come quando si aspetta qualcosa con tanta ansia. Non pensavo di star aspettando qualcosa di preciso però.

- Potete ritirare i vostri cellulari. - Ci annunciò la professoressa Gardiner che si era calmata da quando era riuscita, alla fine, con non poco impegno, a imporre il silenzio al resto della classe.
Io, seppur dispiaciuta, non ero riuscita a spiaccicare più parola con Luke.

Mi alzai insieme a lui, dirigendomi muta verso il mio cellulare.

Trovai subito in anteprima un messaggio di mia zia che mi chiedeva quando sarei riuscita a tornare a casa.

- Eve. - Mi chiamò di nuovo Luke, distogliendomi dai nuovi pensieri. Ora temevo più che mai l'incontro con mia zia, ma non per le motivazioni del giorno precedente.

Lo guardai, ma aspettò che ci incamminassimo fuori dall'aula prima di continuare a parlare. - Io nei prossimi giorni cercherò di tenermi buona la zia e di risolverà i problemi che ha sul pc il più lentamente possibile, così magari riuscirò sempre a dare un'occhiata a cosa succede sull'indirizzo di posta, non si sa mai.

Rabbrividii di nuovo. - Luke, le tue profezie mi hanno sempre portato male, ripeto, smettila. - Il tono mi uscì così sinceramente alterato, da farmi sorridere leggermente.

Lui sospirò. - Appunto per questo dovresti ascoltarmi. Comunque la generalessa è tendenzialmente sempre la prima ad arrivare, quindi teniamo conto anche di quello.

Continuai a camminare, pensando seriamente alla questione. Anche con l'aiuto di Luke, come avremmo fatto a monitorare la situazione?

Ero inoltre sinceramente disgustata all'idea di dover proseguire per giorni con questa ulteriore ansia che mi teneva sempre legata a Parker.

Avrei voluto credergli e chiuderla lì. Dimenticare il prima possibile.

Però quel che diceva Luke restava vero.

Non avrei mai creduto che Parker potesse andare oltre, come gli avevo confidato il giorno prima, ma non avrei mai nemmeno pensato di ritrovarmi in quell'esatta situazione.

- Senti, Luke... - Iniziai, mentre ci avviavamo ormai verso l'uscita dell'edificio. - Hai detto di essere a conoscenza delle credenziali per accedere alla posta scolastica. Non potremmo controllarlo da casa anche? Prima che magari lo vedano nell'ufficio stesso la mattina presto.

Lui scosse la testa. - L'accesso è consentito solo da quei specifici computer.

Ammutolii, non sapendo nemmeno che qualcosa del genere fosse possibile. - Ah...

Lui abbozzò un sorriso. - Eve, però è una buona cosa, considera che loro possono così controllare le notizie soltanto quando sono a scuola e, così, almeno teoricamente, non dovremmo preoccuparci di tutti gli orari extra scolastici.

Storsi un po' la bocca, non capendo come potessero aver ideato un sistema del genere, che andava contro la stessa efficienza scolastica. - In effetti hai ragione... Anche se non capisco bene come funzioni il tutto.

- Per quello lascia fare a me...

- Grazie. - Sorrisi, sempre un po' mestamente e stringendomi alla giacca primaverile che avevo addosso.

Fuori dal cancello scolastico ci salutammo e io mi diressi verso la mia solita postazione auto.

Cercavo di pensare il meno possibile, intenta così a fissarmi i piedi che per lo meno avanzavano.

Notai quasi all'ultimo la presenza di un'altra persona e, alzando lo sguardo, sobbalzai alla vista dei capelli chiari del ragazzo che mi fronteggiava.

Persi un battito, ma lo recuperai subito focalizzando meglio chi mi si parava di fronte.

- Hans, cosa vuoi? - Chiesi, molto freddamente.

Era appoggiato alla mia macchina, esattamente dalla portiera, senza alcuna intenzione di spostarsi per permettermi l'accesso. Non rispose.

- Togliti, non ho proprio voglio di vedere te né nessuno della tua combriccola.

- Io non c'entro nulla. - Fu la prima cosa che ribatté.

Sentii montarmi la rabbia e cercai contemporaneamente di sedarla il più possibile.

- Credi che mi importi? E, soprattutto, pensi che ti creda? Sei il suo migliore amico, lo sapevi e come minimo l'avrai anche sostenuto. Non ho mai pensato né preteso che fossimo amici, ma mi disgusti anche tu per aver sempre finto di essere in rapporti amichevoli con me e di sostenermi in quella baggianata con Parker. - Sputai tutto d'un colpo, andando dal retro della macchina per aprire il baule e sistemare la mia borsa. - Hai collaborato anche tu perché cadessi completamente nella sua trappola.

Quando feci per chiudere il baule, il suo braccio bloccò il gesto, parandosi di fronte a me, in una presa di posizione fisica, quasi minacciosa.

Lo guardai bene in volto.

- Non ho finto nulla e non ne sapevo nulla. - Rispose a tono, serio più che mai. Non ero abituata a vederlo così.

- Perché dovrei crederti? - Rincarai la dose, parandomi dietro a un tono ironico, dissimulando il disagio e la strana soggezione. - E' il continuo del vostro scherzetto?

Palesemente irritato, mi fulminò. - No e sei una stupida, Evelyne. Ti sto dicendo che non ne sapevo niente e proprio per questo non credo a una singola parola di quello che Max ti ha detto oggi. - Come a ribadire il concetto, fu lui a chiudermi con un colpo secco il baule ancora aperto.

Finsi di guardarmi intorno con apprensione. - Oh, dov'è Parker? Sta continuando lo scherzone? Pensate che sia così fessa da ricascarci?

Lo superai, volevo sicuramente fare la dura, ma il mio cuore aveva sobbalzato ad ogni singola parola. Cercai di tenerlo a bada, iniziando a soffrirne fisicamente.

- Evelyne, sono serio! - Il tono era sempre più alterato. - Non so perché è successo questo oggi e non me l'ha voluto spiegare. Mi ha semplicemente ripetuto la storiella che ha detto anche a te. E che la scommessa con Clark di Halloween era ben diversa da quel che mi aveva raccontato, non era un semplice bacio quello richiesto. Ha anche detto che non me l'aveva spiegato per bene solo perché sapeva che l'avrei considerata una vera e propria cazzata. Ma non è vero, Evelyne. Ti sto dicendo di non credergli.

Nonostante la mia volontà di proseguire dritta verso casa e di iniziare il prima possibile il mio processo di guarigione da Max Parker, non potei fare a meno di starmene impalata lì, ad ascoltare, con la mano ferma e quasi tremante sulla maniglia della portiera.

- Non so cosa abbia combinato davvero, ma c'è qualcosa sotto. Mi sono anche incazzato con Max perché continuava a insistere e a non dirmi la veri...

Lo interruppi bruscamente: - Non sarai troppo innocente anche tu, Hans, a sto punto?

Mi guardò incredulo, non capendo.

- Magari non hai semplicemente capito le persone intorno a te. Hai questa mania di cercare di essere sempre due passi avanti alle mosse e decisioni degli altri. Se stavolta non ci sei riuscito, non significa per forza che siano gli altri a mentire. - Aprii la portiera, in realtà rossa in viso per come mi stavo comportando con Billy.

Infatti, inconsciamente ormai, dopo quelle poche frasi, gli credevo: Billy non c'entrava con quello che era successo.

Mi bloccò per un braccio, strattonandomi e avvicinandomi. A fatica, nel silenzio, sollevai lo sguardo verso lui.

- Evelyne, so che stai male.

Un ormai familiare calore cominciò a irrorarmi gli occhi. Mi morsi le labbra per trattenermi.

Lui chiaramente lo notò e alleggerì la serietà dei lineamenti, accennando un sorriso. - Mi dispiace per star infierendo ora. Lo so che non avresti voluto più sentir parlare di Parker.

Mi sfuggì un piccolo singhiozzo dalle labbra e sentii le braccia di Billy che mi avvolgevano.

La sorpresa interruppe l'inizio di pianto e, dopo un attimo di esitazione, mi lascia avvolgere dal calore, appoggiando il viso contro la sua giacca.

- Non volevo farti del male anch'io. Però volevo dirti davvero che è successo qualcosa. Tu non devi credere a quello che Max ha detto oggi.

Risi senza allegria. - Mi ha sempre presa in giro. Ieri mi prendeva per il culo, dicendomi appunto che non sono mai riuscita a capire quando mi mente o meno. Infatti non l'ho mai capito in questi mesi, altrimenti non sarei a questo punto.

Si interruppe. - E se appunto avesse voluto dirti qualcosa, per prepararti a oggi invece?

Mi tolse il fiato il palese desiderio che fosse come diceva Billy.

Le sue braccia continuavano a stringermi. Il ricordo di altri abbracci, con un ben altro ragazzo, mi diede un altro colpo al cuore. Billy mi teneva tra le braccia e non provavo nulla, sentivo le sue mani sulla schiena in una stretta protettiva ma fraterna. Un'altra volta mi ritrovai a paragonare i gesti di Parker a quelli dei suoi amici, capendo sempre più come fossero stati diversi quelli del primo. O meglio, come li avessi sentiti diversi. Li avevo solo sentiti diversi, me l'ero inventato io. Tutto. Da stupida.

Sentì la mia esitazione, pur non capendola a pieno. - Secondo me è successo qualcosa. Non sarebbe logico tutto quel che è successo, tutto quel che ha fatto. Vorrei provartelo, ma non ne ho la minima idea, in queste circostanze, su come risalire a chi sia stato.

Mi allontanai leggermente, per guardarlo in volto. - Luke ha l'indirizzo da cui proviene l'e-mail di oggi. E' stata inviata da un luogo pubblico, probabilmente una biblioteca, non si capisce nulla. - Detto quello, mi staccai anche dal suo petto.

Non fece caso ai miei gesti e continuò a guardarmi, come pensando a qualcosa. - Eve, so che sei sconvolta da quel che è successo oggi, ma ragioniamo un attimo.

Il suo tono mi irritò e invece di ascoltarlo, salii in macchina. - Grazie, Billy, per ora, ma io sinceramente non so più a cosa credere o di chi fidarmi. Ho bisogno di tornare a casa e non di cedere a congetture o di cadere in altre trappole.

Mi bloccò la portiera per evitare che scappassi come avrei voluto.

- Ragioniamo un attimo! Per favore. Ieri Parker è stato in detenzione e poi doveva uscire con te, no? Quando avrebbe avuto il tempo di andarsene nella biblioteca e prendere tutte le precauzioni per inviare una e-mail di cui non fosse facile trovare il mittente alla prima?

Lo fissai, cogliendo il punto, ma non convinta. Anzi, ormai sentivo un'irritazione prudermi ovunque. - Billy, ho detto che non riesco a crederti. Poi come ho avuto tempo di tornare a casa e prepararmi io, così sarebbe riuscito lui a fare quel che voleva.

Lessi una quasi sincera esasperazione nei suoi occhi. - Ma se non fosse stato lui?! Eve, deve esserci qualcosa sotto. Io lo so che prova davvero qualcosa per te, non l'ho mai visto co...

- Vattene! - Urlai, esasperata e ferita, quasi bruciata, da quelle parole che non potevo sentire in quel momento. - Vattene, lasciami stare. - Ripetei, con un tono di voce più basso.

Restò a fissarmi. Non so cosa vide, ma lasciò la presa e mi permise di chiudere la portiera.

Nessuno disse più nulla e misi in moto la macchina.

Billy restò, lo vidi dallo specchietto, fermo a guardarmi mentre me ne andavo.

Mi lasciai uscire un verso d'esasperazione. Perché mi aveva detto quelle cose?

Per il resto del viaggio pensai a Parker. Cercando di cogliere note di certezza nei suoi gesti, nelle sue parole. Ormai però i miei pensieri portavano sempre alla sera prima.

Non potevo più credere a Parker.

Nemmeno a Billy.

Era stato Parker.

Tutto riportava sempre alla sera prima.

Potevo solo credere che avesse avuto qualche lieve senso di colpa, dovuto chissà a cosa. Ma era stato lui.

Parcheggiai nel mio cortile, ricordando con chiarezza Parker e il suo desiderio di avere una macchina del tempo, espresso mentre mi abbracciava nel parco.

Sbuffai amara, restandomene seduta. Piegai leggermente il viso verso il volante, appoggiandomici.

Aveva detto qualcosa di simile anche il giorno dopo essere andato a letto con Dawn. Entrambe le volte mi aveva ferita, per poi continuare col suo piano, ma aveva avuto quei piccoli pentimenti. In ogni caso, quello provava che mi avesse effettivamente fatto qualcosa prima di vederci.

Cioè inviare l'e-mail.

Esitai un attimo coi pensieri, ricordandomi di Billy. Quel ragazzo e le sue frasi mi ronzavano in testa e mi impedivano, in qualche modo, di cadere di nuovo nel buio, completamente, come mi era successo ore prima.

Mi morsi le labbra, cercando di ignorare quella luce, quella piccola speranza.

“Non sarebbe logico tutto quel che ha fatto”, risentii la voce di Billy.

In effetti, c'era qualcosa che stonava. Pur non considerando l'incoerenza dei comportamenti, i regali, Lizzy, le confidenze.

Perché mi aveva chiesto di uscire la sera prima?

Aveva già inviato l'e-mail. Infatti nella notte, dopo l'appuntamento, non avrebbe chiaramente avuto l'occasione di andare in biblioteca. Ma dunque perché aveva voluto vedermi, dopo avermi già fregata? I baci della mattina potevo spiegarmeli, con quelli mi aveva mandata in detenzione e fatto traballare la borsa di studio. Ma la sera? Gli era bastato quel che era successo dopo il suo compleanno? Avrei logicamente pensato di sì, ma...

Ma Parker quella mattina aveva parlato della notte precedente, riferendosi al vincere la scommessa, al mio “cedere”.

Avevo capito che faceva riferimento alla mia richiesta di “fare l'amore”. Quella aveva il significato di “cedere”.

Però, c'era qualcosa che non andava.

Scacciai via quei pensieri, prima che andassero troppo oltre con la fantasia e mi portassero solo a soffrire ulteriormente.

Capivo, terribilmente, di dover starmene con i piedi per terra e riprendere prima di tutto il controllo di me stessa.

 

 

Lizzy intanto doveva aver intuito qualcosa.

Mi aveva accolta col suo sorriso sarcastico, avevo evitato le solite domande insinuatrici, ma, invece di insistere come al solito, la sua foga si era presta calmata.

Ero sul divano insieme a lei a guardarmi un film. I capelli mi venivano accarezzati piano, a mo' di coccola.

Si guardava qualche programma a caso, mentre banalmente mi cullavo nel suo calore.

Maxyne tra le nostre gambe dormiva. Incredibilmente anche quella volta si era salvata dal diventare un gatto randagio. Tra le altre cose ormai anche Elizabeth la amava.

In quella bolla rassicurante intanto cercavo di non pensare a tutto quel che era successo, a Parker, Billy, Luke, Clark... Ma era chiaramente una impresa impossibile.

Ero sempre più confusa, ma di qualcosa ero certa.

Parker mi aveva ferita. Mi aveva direttamente uccisa. Aveva dimostrato di non tenerci a me, di avermi mentito.

All'ennesima brutta sensazione che mi pesava sul petto, mi alzai di scatto, facendomi quasi girare la testa. Lizzy, che si era evidentemente assopita, sobbalzò, facendo quasi volare Maxyne.

- Che fai? - Biascicò.

- Vado a fare un po' di spesa per stasera. Vuoi qualcosa? - Mi girai a malapena per lanciarle un breve e calcolato sorriso.

Mi osservò un attimo. - Vedi te, Eve.

Annuii, avviandomi verso il corridoio per prendere velocemente giacca e borsa.

Mi bloccai al suono della sua voce e ritrovandomela sorprendentemente alle spalle.

- Va tutto bene, tesoro?

Normalmente avrei riso di quel “tesoro” che tra noi stonava. Ma le vedevo in faccia che anche per lei non era un giorno qualsiasi.

Abbassai la testa, non essendo più convinta di scappare come prima.

- Niente, solo che non vedrai più Parker intorno a me. - Mi convinsi a dire.

Esitò. - E' per quello che è successo ieri? Eppure mi è sembrato che ieri sera fossi uscita tranquilla con lui e anche stamattina ti ho vista bene.

Scossi la testa, continuando a non guardarla. - Mi ha presa in giro.

Non rispose e il silenzio mi portò a guardarla in faccia. Trovai la perplessità in persona.

- In che senso?

- Lizzy, lascia stare. Mi ha mentito e mi sono fatta prendere in giro. - Cominciai a infilarmi la giacca.

- Ma a me non sembrava per nulla!

Le sorrisi aprendo la porta. - Nemmeno a me, ma è così.

 

Circa un'oretta dopo, mi infilai nell'ascensore, con una busta per mano.

Chiusi gli occhi insieme alle porte automatiche. Sospirai.

Ero contenta di essere uscita, riuscendo a svagarmi periodicamente di quei pochi secondi ogni volta prima che le immagini dei giorni passati e di quella stessa mattina ripiombassero su di me con violenza.

Però era da un po' che stavo vivendo quella permanenza fuori casa con una leggera angoscia. Il peso sul petto continuava ad aumentare, insieme alla sensazione di dover buttare qualcosa fuori.

Mi sentivo l'ansia addosso. Non il bisogno di piangere, ma di muovermi e fare qualcosa e non bastava fare la spesa e riempire buste.

Proprio mentre iniziavo a sentirmi mancare il respiro e una vera e propria ansia allo stato puro mi arrivava fino al viso, le porte si riaprirono e così i miei occhi.

Chi mi trovai di fronte mi scombussolò più dei miei pensieri.

Lui mi notò con ritardo, ma sorprendentemente ebbe la mia stessa reazione. Nonostante questo, non mi salutò nemmeno ed entrò, io gli passai di fianco, uscendo.

Me ne restai impalata mentre le porte si chiudevano alle mie spalle, mettendosi tra me e Seth Clark.

Non seppi bene cosa fare o pensare.

Nel dubbio, pur contenta di quella brutta sensazione che mi aveva cancellato l'ansia, andai verso la macchina.

Lasciai le buste, aprii la portiera ed esitai al momento di entrare nell'abitacolo. Ci volle poco prima che tornassi sui miei passi, chiudendomi alle spalle la macchina.

Riconobbi in poco tempo quella appartenente a Clark, grazie alle troppe forzate convivenze, e mi lascia cadere lì di fianco, abbracciandomi le ginocchia, senza però sedermi al suolo.

Appoggiai la fronte tra le braccia incrociate e respirai a fondo, cercando di recuperare un certo tipo di autocontrollo.

Mi ci volle un minuto, o forse più, per calmarmi; restai decisa sul posto, pronta ad aspettarlo e quando le gambe mi ressero mi sollevai.

Non so esattamente quanto passò prima di vedere uscire da quell'esatto ascensore la persona che aspettavo.

In un altro momento avrei riso della coincidenza, non aspettandomi che anche uno di quei ricconi potesse frequentare un supermercato da plebei, in quei secondi però riuscivo davvero a pensare a poco.

Nemmeno a ciò che esattamente avessi intenzione di dirgli.

Mi vide a metà strada, ma ovviamente continuò a ostinarsi nel far finta di nulla.

Quando ormai aveva aperto la macchina a distanza, per infilare le poche buste nel baule, mi decisi ad avvicinarmi.

- Seth, posso parlarti?

Mi guardò con sufficienza, con una smorfia che capii poco, ma che si abbinava al livido in volto, e senza nemmeno rispondere restò lì in attesa.

Respirai a fondo, cercando il coraggio per... non sapevo nemmeno cosa

- In privato? - Avanzai la richiesta, perché ci trovavamo pur sempre in un parcheggio sotterraneo e ogni parola rimbalzava tra pareti e colonne, con il rumore delle gomme che stridevano.

- Perché dovrei? Mi sembra già tanto che stia qui ad ascoltarti. - Sbuffò, spavaldo come nelle sue giornate migliori e chiudendo il baule.

Cercai di bloccarlo mentre si dirigeva verso la portiera del guidatore. Con un guizzo, mi parai di fronte a lui, bloccandogli l'accesso.

Mi guardò seccato, ma con una nota ironica impressa ai lati della bocca.

- Penso che tu ti sia già umiliata abbastanza, Gray. Sicuramente oggi non puoi avere le palle di sostenere un confronto alla pari con me.

Cercai di respingere la repulsione che avevo nei suoi confronti e mi limitai a dire quel che sentivo: - E' vero.

Sembrò sorpreso dalla mia docilità, in realtà nemmeno io la capivo, e mi guardò più curioso di prima, praticamente divertito. Il suo sguardo ispirava ben poca fiducia, però sostenni lo sguardo.

Sembrò soppesare qualcosa mentalmente. - Sali in macchina, parliamo qui cinque minuti e poi te ne vai. - E l'ordine aveva un non so che di sadico.

Ubbidii, ignorando il fatto che normalmente non avrei più voluto starmene da sola da qualche parte con Clark, però l'immagine di Luke in testa e la conversazione che avevamo avuto continuavano a rimbalzarmi in testa.

Lui non incentivò più la conversazione e si limitò a mettere su della musica di sottofondo. Non per creare atmosfera, ma per distrarsi e mostrare la noia nei miei confronti.

Ci badai poco perché avevo altro a cui pensare. Mi guardai le mani strette forte sopra i jeans.

- Volevo dirti...

- Che sono uno stronzo e blabla... - Mi fece il verso candidamente, sembrando minimamente toccato e continuando a ridersela. - Non hai visto ancora nu...

- Volevo chiederti scusa. - Lo bloccai invece, alzando lo sguardo.

Il suo ghigno traballò, preso alla sprovvista.

- Mi dispiace, davvero e sinceramente per tutto quel che è successo, fin dall'inizio, tra noi.

Aspettai una risposta che non venne, continuò a fissarmi e non capii l'espressione.

Continuai cercando di andare a ruota libera: - Mi dispiace per averti incolpato dal primo giorno delle mie scelte. Sono stata io a mettermi nei casini passando i compiti a te e ad altri, ho sbagliato io e totalmente. Tu hai detto le cose a Parker, ma non hai mai approfittato personalmente della situazione, non mi hai mai fatto direttamente del male come avresti invece potuto fare. Non sei mai andato a dirlo a professori o alla preside. - Mi sentii tremare le labbra a quelle parole, ma cercai di mantenere un contatto fermo con i suoi occhi azzurri. Stavo sicuramente degenerando, Clark non si meritava davvero delle scuse per quello, ma dopo quel che era successo con Parker, mi sembrava di aver fatto del male all'unica persona che fosse stata sicuramente coerente con se stessa fin dall'inizio. Sicuramente più di me.

- Evelyne... - Cercò di interrompermi e lessi una gran dose di disagio nel suo volto.

Sollevai la mano interrompendolo io. - Ti sono sempre stata antipatica, lo so, ma tu, al contrario di Parker, non mi hai mai mentito. Non mi hai mai fatto credere nulla che non fosse vero e avrai giocato comunque con lui, ma non hai mai influenzato il mio percorso. Mi ci sono spedita da sola nella fossa e ho incolpato anche te. Anzi, per un bel po' ho incolpato soltanto te.

Mi scappò un singhiozzo e lui iniziò a guardarsi attorno palesemente nel panico.

- Mi dispiace terribilmente anche di essere venuta a cercare te alla festa di Parker. Mi sono comportata da idiota e vi volevo far litigare e non mi importava nulla delle conseguenze che avrebbero avuto i miei gesti su di te. Non mi importava di dividere degli amici. Sono stata terribile, stupida e cattiva. Non mi sono comportata diversamente da Parker che ha giocato con i miei sentimenti. Io ho giocato con i vostri ed ero anche convinta che fosse la cosa giusta da fare.

Non credendoci nemmeno io, iniziai a piangere all'ennesima nomina del ragazzo che aveva stregato il mio cuore. Ritornavo sempre e ovviamente lì. Mi sentivo male, credendo di assomigliargli per aver sfruttato in qualche modo le persone intorno a me.

Ormai quasi delirando, per le lacrime e i pensieri, continuai: - Scusa, Seth. Scusa per il pugno che ti ha dato Parker. - Intervallavo ogni tre parole a un singhiozzo. - Scusa per essere corsa subito da te stamattina. Ero convinta che fossi stato tu dopo le litigate a mensa e ti avrei voluto davvero uccidere. Quello che non capivo è che anche fossi stato davvero tu, stavo di nuovo scaricando ogni mia colpa su un'altra persona. Ma poi...

Lui, con le due mani sul viso, nemmeno mi guardava più. Alla mia interruzione all'ennesima mancanza di fiato, sospirò e aprì il cruscotto di fronte a me: prese fuori un pacchetto di fazzoletti e me lo passò senza dire nulla.

- Grazie. - Blaterai, estraendone uno. - Dicevo... E poi, non sei nemmeno stato tu! - Piagnucolai, soffiandomi finalmente il naso e cercando di acquistare, inutilmente un po' di controllo.

Non mi riconoscevo nemmeno più: per star piangendo e per starlo facendo davanti a lui. Intanto la faccia di Clark era incomprensibile.

- E' stato Parker! Tu almeno è da sempre che mi fai capire di odiarmi! Parker invece... Io mi sono innamorata di lui! E' sempre stata una causa persa, ma io ci credevo e lui me l'ha voluto far credere che potesse cambiare! - Ormai deliravo, parlando di cose che nemmeno a Francy ero riuscita a raccontare così a cuor leggero. - Ci credevo che provasse qualcosa nei miei confronti, che fosse buono. E mi ha solo presa in giro. Per una scommessa! E rovinandomi così davanti alla preside! A me serve la borsa di studio per avere un qualche minimo di futuro! Non so però nemmeno se me lo merito a questo punto! Mi dispiace per quel che ho fatto, mi dispiace per te, Clark, mi dispiace da morire. Se potessi tornerei indietro, ma non posso e non potevo andare avanti senza fare tabula rasa di tutto, senza chiedere perdono a te. Non voglio più creare capri espiatori. Voglio assumermi ogni responsabilità e migliorare e crescere.

La smisi con quel monologo, cercando di calmare i nervi a pezzi.

Vidi Clark allungare leggermente la mano. Esitò, proprio mentre mi giravo per capire i suoi movimenti, ma si bloccò a pochi centimetri dalla mia testa e la ritrasse.

- Porca puttana! - Quasi urlò e, nell'impeto della frase, sbatté i pugni contro il volante, facendo anche risuonare per il parcheggio un breve colpo di clacson.

Lo guardai, lacrimante e ormai avendo perso ogni lato del carattere di cui ero sempre stata certa. - Almeno accetta le mie scusa. - Blaterai, partita del tutto per la tangente, immaginando solo che fosse arrabbiato con me

- Evelyne... - Sospirò, guardandomi finalmente dopo una lunga pausa, pronto a rispondere.

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Capitolo 31
*** Insieme ***


 

Ormai quasi delirando, per le lacrime e i pensieri, continuai: - Scusa, Seth. Scusa per il pugno che ti ha dato Parker. - Intervallavo ogni tre parole a un singhiozzo. - Scusa per essere corsa subito da te stamattina. Ero convinta che fossi stato tu dopo le litigate a mensa e ti avrei voluto davvero uccidere. Quello che non capivo è che anche fossi stato davvero tu, stavo di nuovo scaricando ogni mia colpa su un'altra persona. Ma poi...

Lui, con le due mani sul viso, nemmeno mi guardava più. Alla mia interruzione all'ennesima mancanza di fiato, sospirò e aprì il cruscotto di fronte a me: prese fuori un pacchetto di fazzoletti e me lo passò senza dire nulla.

- Grazie. - Blaterai, estraendone uno. - Dicevo... E poi, non sei nemmeno stato tu! - Piagnucolai, soffiandomi finalmente il naso e cercando di acquistare, inutilmente un po' di controllo.

Non mi riconoscevo nemmeno più: per star piangendo e per starlo facendo davanti a lui. Intanto la faccia di Clark era incomprensibile.

- E' stato Parker! Tu almeno è da sempre che mi fai capire di odiarmi! Parker invece... Io mi sono innamorata di lui! E' sempre stata una causa persa, ma io ci credevo e lui me l'ha voluto far credere che potesse cambiare! - Ormai deliravo, parlando di cose che nemmeno a Francy ero riuscita a raccontare così a cuor leggero. - Ci credevo che provasse qualcosa nei miei confronti, che fosse buono. E mi ha solo presa in giro. Per una scommessa! E rovinandomi così davanti alla preside! A me serve la borsa di studio per avere un qualche minimo di futuro! Non so però nemmeno se me lo merito a questo punto! Mi dispiace per quel che ho fatto, mi dispiace per te, Clark, mi dispiace da morire. Se potessi tornerei indietro, ma non posso e non potevo andare avanti senza fare tabula rasa di tutto, senza chiedere perdono a te. Non voglio più creare capri espiatori. Voglio assumermi ogni responsabilità e migliorare e crescere.

La smisi con quel monologo, cercando di calmare i nervi a pezzi.

Vidi Clark allungare leggermente la mano. Esitò, proprio mentre mi giravo per capire i suoi movimenti, ma si bloccò a pochi centimetri dalla mia testa e la ritrasse.

- Porca puttana! - Quasi urlò e, nell'impeto della frase, sbatté i pugni contro il volante, facendo anche risuonare per il parcheggio un breve colpo di clacson.

Lo guardai, lacrimante e ormai avendo perso ogni lato del carattere di cui ero sempre stata certa. - Almeno accetta le mie scusa. - Blaterai, partita del tutto per la tangente, immaginando solo che fosse arrabbiato con me

- Evelyne... - Sospirò, guardandomi finalmente dopo una lunga pausa, pronto a rispondere.




30. Insieme

 

- Evelyne, devo essere io quello a chiederti perdono, - concluse Clark e sospirò di nuovo, lasciandosi cadere sul sedile.

Non collegai e sorrisi tra le lacrime. - Non ne hai motivo. Ti sei comportato male nei miei confronti in passato, ma possiamo dire di essere pari già da tempo...

- Evelyne, sono serio...

- Anch'io, e ripeto: non hai motivo di dire altro. Davvero, Clark. Dovevo chiederti scusa per poter andare avanti. Vedilo come il mio ultimo gesto egoista questo venirti a chiedere scusa.

- Ne ho di motivi. - Mi squadrò prima di continuare. - E la smetti di piangere? Cristo! Non pensavo nemmeno che fossi capace di versare una lacrima.

Ridacchiai, continuando sempre a non capire, spaesata come non mai. - Non avrei mai pensato di reagire così. Oggi penso di essere definitivamente crollata a pezzi. Perdonami.

Tentennò. Si guardò le mani, poi tornò su di me con i suoi occhi chiari. Di nuovo il volante davanti a sé, poi ancora i miei occhi offuscati per il pianto recente. Alla fine si decise e aprì bocca: - ero io a volere che crollassi in questo modo.

Lo guardai, un po' perplessa.

Si portò le mani ai capelli. - Quello che sto per dirti è abbastanza difficile da spiegare...

Restai muta.

Rise brevemente, a disagio. - Ti preferivo prima.

- Clark? Dimmi...

Sospirò nuovamente. - Dobbiamo andare; ti porto dopo qua a riprendere la macchina, ma ora serve che andiamo in un certo luogo.

Non pensai minimamente alle pizze surgelate in baule e mi allacciai la cintura, fissandolo fermamente.

Aspettò di uscire dal parcheggio prima di iniziare a parlare. Aveva spento la radio.

- Gray... Io ti odio, lo sai?

Annuii. Clark ogni tanto mi dava occhiate nervose.

- Gray. Non so come iniziare. Io volevo vederti così! Piangere, a pezzi. Lo giuro! Non hai idea di quanto ti abbia odiata dopo quello che è successo a casa di Parker. Giuro che volevo vederti così. Dopo essere stato umiliato davanti all'intero istituto. Ma in questo esatto momento a sentirti chiedermi scusa...

- Clark, che cazzo hai fatto?

Si addentrò in una via residenziale che non mi era familiare, ma il movimento della macchina non mi toccava minimamente.

- Non mi aspettavo di sentirmi così a vederti piangere! E non pensarmi più sensibile del dovuto, ma mi sono davvero... reso conto, sinceramente, che... ho esagerato.

Mi portai le mani ai capelli. Un semino iniziava a piantarsi nella mia testa. - Non ci voglio credere!

- Aspetta! Ascoltami! - Deglutì innervosito, girando per l'ennesima via. Lo vidi esitare nel continuare il discorso.

- Dove cazzo stiamo andando, Clark?! - Iniziai ad incazzarmi, innervosita dall'ennesimo silenzio.

- Ascolta. - Mi guardava sempre più nel panico e parcheggiò velocemente davanti a una villetta, finendo con un lato della macchina sopra al giardino.

- Ho esagerato! E' vero: mi hai umiliato, mi hai preso per il culo, me ne hai fatte di ogni e mi sei sempre stata sul cazzo, ma ho esagerato.

Scossi la testa, con il diavolo negli occhi, e senza attendere oltre uscii velocemente dall'abitacolo pur non sapendo dove fossimo né dove andare di preciso.

Era ormai ora di cena e tutte le villette del quartiere avevano le luci accese. Nel buio quello sfondo di luci sarebbe stato lo scenario perfetto per l'omicidio che stava per aver luogo. Quasi romantico.

Lui mi seguì immediatamente; mi girai, cercando di calmare i bollenti spiriti, prima di fare una scenata in grado di risvegliare i morti.

- Non lo sapeva nessuno e Parker nemmeno se lo ricordava più. Le avevo prese all'inizio di tutto, per farmi due risate, quasi per ricordo, dal suo cellulare...

- Parla, - incitai, fingendo calma all'ennesima esitazione.

- Beh, le foto ce le avevo anch'io, - pigolò.

Mi portai le mani al viso, dandogli le spalle, per evitare di utilizzarle in una ormai prossima azione violenta.

- Non ci credo che ho appena pianto davanti a te! - Gli ringhiai in faccia, girandomi infuriata ma cercando di non alzare troppo la voce.

- Gray, per fortuna che mi hai pianto davanti, perché non avevo intenzione di confessartelo mai in vita mia! Porca vacca, mi hai fatto sentire una merda!

Cercai di trattenere in bocca il “Infatti lo sei”, aspettando almeno che finisse il discorso.

Respirai a fondo, cercando di mostrarmi calma, non volevo che il ritorno alla solita Evelyne, già lì ben presente, gli facesse ritirare quella confessione in arrivo. - Finisci di spiegare, per favore.

Borbottò qualcosa sotto voce senza guardarmi e poi continuò: - Volevo vendicarmi, quindi dopo tutto quel che è successo, dopo l'umiliazione, dopo aver visto che praticamente tutti i miei migliori amici mi voltavano le spalle, io non potevo farcela a vederti di nuovo vittoriosa, Gray. Sinceramente ci avevo goduto quando Parker all'inizio aveva iniziato a sfruttarti. E alla fine vedere che anche con lui le cose erano finite per andare bene... Poi questa cosa. Ti ho detestata.

Mi morsi di nuovo la lingua per non ribattere con un “sei un bamboccio del cazzo”.

Osservò la mia mancanza di reazione materiale e continuò, trovandone il coraggio. - E quindi, ecco... Volevo prendere due piccioni con una fava.

Non potei evitare alle mie sopracciglia di volare fino alla stratosfera.

- Ho inviato io l'e-mail alla presidenza, - borbottò. - Dalla biblioteca centrale. Mi era già capitato con degli amici di usare quel metodo per non farci rintracciare facilmente e comunque non credevo che la Generalessa si sarebbe impegnata più di tanto per scovare la fonte. Insomma, ero a posto.

Sentivo un prurito alle mani sempre più impellente per il bisogno di sfogarsi. - Continua.

- E... beh... Ho aspettato che Parker finisse con la detenzione e... insomma, gli ho detto che se non si fosse preso la colpa il giorno dopo, avrei inviato le foto direttamente. Che non me ne fregava se rischiavo di rimanerci in mezzo io, l'importante era separarvi e farvela pagare. Io potevo cambiare anche scuola, soprattutto grazie al basket e ai miei genitori, tu ti saresti rovinata.

Non ebbi parole.

Ormai lui si decise a sputare tutto il rospo. - Ovviamente ha resistito e mi stava anche per prendere a botte, ma mi sono inventato che un mio amico aspettava mie notizie e che se non mi avesse visto entro un tot orario a casa sua, aveva l'ordine di inviare già tutto.

Persistetti nel silenzio, incredula. Poteva essere la giornata più sconvolgente della mia vita?

- Gli ho anche detto di far finta di nulla fino al giorno dopo. Io pensavo aveste anche scopato, quindi gli ho lasciato lì la scusa della scommessa in più.

Mi osservò circospetto. - Beh, ecco. Più o meno questo è quanto. Adesso chiamo la persona di cui abbiamo decisamente bisogno entrambi. - Mi sorrise, con le mani davanti a sé come a tenermi ferma, e mi passò oltre, senza darmi le spalle fino all'ultimo, e andò a suonare alla porta della villetta davanti alla quale ci eravamo fermati.

Io continuai a restarmene impalata, non sapendo sinceramente come reagire.

Ero quasi in catalessi, finché non sentii alle mie spalle qualcuno rispondere sorpreso alla chiamata.

- Cosa ci fate qua? - Mi girai, trovando Billy, abbastanza perplesso, che fissava me e Clark.

A quella scena e al modo in cui tutto ciò prendeva concretamente piega, mi lasciai cadere a terra.

- Ohi? - Billy e Clark si avvicinarono. Il primo sempre più confuso, il secondo sempre più terrorizzato. - Che è successo? Seth?

Scoppiai a ridere, in un modo che rasentava la follia mentale e indicai Clark.

- Evelyne? - Billy ormai stava uscendo di senno, probabilmente non abituato a non controllare la situazione e, anche per lui, quella era stata una giornata curiosa.

Io iniziai ad alternare stati di risa e pianto, mentre sentivo Clark spiegare le stesse cose a Billy.

Il tutto terminò paradossalmente con Seth inginocchiato sull'erba che chiedeva pietà, Billy in piedi davanti a lui come un prete pronto a liberare dai peccati e io lì di fianco, sempre a terra, ormai intenta a fissare il vuoto, troppo incredula per fare altro.

- Non so cosa dire. - Si limitò a rispondere Billy, dopo un lungo silenzio. - Sinceramente non credo nemmeno di essere la persona adatta a trovare la soluzione al casino che hai combinato. C'entrano Evelyne e Max in tutto questo.

- Lo so! Ho sbagliato! Me ne sono pentito, ho avuto già quel che volevo! Ma sai che non posso più presentarmi davanti a Max, non senza un intermediario. Ho bisogno del tuo aiuto!

L'altro sospirò. - Beh... Qua sono da risolvere un attimo i problemi che hai creato, tra quei due in particolare, ma concretamente potevi fare di peggio... Andrà tutto bene.

Risi amaramente. - Certo! Ha solo messo in allerta la Generalessa contro di me e io e Parker abbiamo litigato a vita!

Billy mi appoggiò una mano sulla testa, sempre più simile a un prete. - Non avete litigato a vita. Lui ha sbagliato a sottostare a un ricatto, ma l'ha fatto per te, dovresti provare a capirlo.

Sospirai, nascondendo il viso tra le gambe. - Gli ho detto che suo padre ha sempre avuto ragione su di lui. Che è un fallito e non si merita nulla dalla vita.

Dopo un attimo di silenzio, accompagnato solo da un breve suono sofferente proveniente da Clark, mi sentii fare un grattino consolatore sul capo. - Evelyne, nessuno poteva pretendere qualcosa di diverso da te in quel momento.

Cercai di credergli e sollevai il mento per incrociare il suo sguardo marrone, così simile al mio.

Nel frattempo udii Clark ridacchiare nervosamente.

- Comunque Hans ha ragione... Andrebbe tutto bene in realtà. Ma veniamo al punto della mia visita qui... L'intermediario mi serve già ora... - Giocherellava nervosamente con le dita.

Mi concentrai totalmente su di lui. Roteai il bacino, appoggiandomi sulle ginocchia, sentendomi un po' come un felino mirante alla preda.

- Il punto è che... Insomma, dopo quel che ho visto stamattina: Max prendersi così sul serio la questione, fingendo magistralmente; la Gray praticamente distrutta davanti a tutti; il mondo che se la rideva e i professori così agitati... C'ho preso un po' di gusto...

- Seth, cos'hai fatto? - Sentii Billy piagnucolare per la prima volta.

- Diciamo che poco prima di beccare oggi la Gray al supermercato... Ho inviato le foto.

Mi ero già tesa, pronta allo scatto, e infatti in due secondi netti fui addosso a Clark.

Quel che seguì fu abbastanza confuso. Io provai sinceramente, per la prima ed ultima volta in vita mia, ad uccidere un essere vivente; Billy si comportò da perfetto arbitro di wrestling; Clark invece tentò di sopravvivere alle mie manate e graffi, mentre nel frattempo continuava a giustificarsi.

- E' che ormai ho pensato di completare quel che era iniziato! Non avresti più creduto a Parker e non avreste nemmeno risolto! E se avessi perso la borsa di studio infondo te lo meritavi per non essere stata onesta durante la tua carriera...

- Clark, TACI! - Urlò Billy, che mi teneva stretta in una presa ferrea dalla quale cercavo di svincolarmi come un'anguilla.

- E sei un idiota! Come cazzo facciamo adesso?! Ci vai di mezzo anche tu! Ci metteranno due secondi a capire con chi è Evelyne in quelle foto! Ma sei coglione?!

Clark si lasciò cadere di schiena sul prato.

Erano probabilmente le 9 di sera passate e la situazione era quella.

Mancavano meno di 11 ore alla mia probabile morte.

 

 

Meno 10 ore alla mia morte.

- Grazie, signora Hans. - Cercai di sorridere alla paffutella signora dai capelli rossi, che ci aveva appena portato da bere.

- Grazie, ma', però non entrare più a meno che non ti chiami io.

Sentii in quel momento il campanello suonare, mentre la mamma di Billy si allontanava scoccandogli un'occhiata truce.

Ci guardammo, eravamo Billy, Clark ed io attorno al tavolo nello scantinato di casa Hans. Davanti a noi bibite, cibo, un pc e dei fogli.

- Vado io, - esordì Clark. Ovviamente voleva evitare che Billy lasciasse noi due da soli: avevo smesso di provare a picchiarlo da un abbondante numero di minuti, ma nemmeno io ero sicura che non potesse venirmi un altro raptus omicida.

Evitai di commentare, ticchettando nervosamente con la gamba al suolo.

Appena uscì, il biondo rimasto parlò: - Stai tranquilla, adesso arrivano tutti ed elaboriamo un piano d'azione. C'è tempo e la situazione non è irrisolvibile.

Annuii, consapevole che fosse solo un tentativo di consolarmi e continuai ad avere i nervi a fior di pelle.

Avevo avvisato zia Lizzy dell'impegno imprevisto che mi avrebbe tenuta fuori fino a tardi. Mi aveva chiamata sempre più preoccupata per lo stato in cui mi aveva vista uscire di casa e, poi, per il mio tono di voce al telefono.

“Va tutto bene”, le avevo detto.

Sì, certo.

Pensai anche alla mia macchina, ormai rinchiusa nel parcheggio sotterraneo del supermercato a causa di quello spiacevole imprevisto.

Entrarono in quel momento Francy, Alex, Luke e Seth di ritorno.

- Eve! Tutto bene!? - Francy come prevedibile mi si piantò di fianco.

- Sì, l'importante è risolvere... - Sospirai mentre mi abbracciava.

- Clark, comunque sei uno... - Iniziò, fulminandolo.

- Clark ha capito e ci aiuterà a risolvere questo pasticcio enorme in cambio dell'impunità. - Interruppe Billy, cercando di alleggerire l'atmosfera con una breve risata.

Il diretto interessato si grattò la testa e non commentò.

Alex e Luke si sedettero in silenzio, lanciandogli solo una breve occhiata.

- Sì. - Sospirai, dopo una fin troppo lunga parentesi. - Nonostante tutto lo ringrazio, - soffiai tra i denti. - Per avercelo detto con abbastanza anticipo, in modo da cercare di salvare la situazione.

Francy mi guardò scettica, ma dato che quella era la mia nuova presa di posizione, si limitò a lasciarsi cadere sulla sedia di fianco a me.

- Cominciamo? - Chiese Alex.

- Manca Max.

Alle parole di Billy mi saltò un battito.

Sapevo che si era deciso di chiamare il piccolo cerchio di persone fidate che potessero aiutare a sistemare quel che era successo, almeno prima che qualsiasi persona all'interno della presidenza se ne accorgesse. E sapevo anche che era stato chiamata Parker.

Quel che non sapevo era come affrontarlo. Avevo capito il concetto, il perché mi avesse detto quelle cose, ma non potevo non detestarlo per quel che aveva fatto. Si sarebbe potuto trovare una soluzione insieme, invece aveva accettato così facilmente di perdermi e di farmi del male.

Inoltre, le parole che ci eravamo scambiati sapevo che le avrei ritrovate nell'aria tra noi e che ci avevano cambiati per sempre.

Non sapevo nemmeno come fare per guardarlo in faccia. Non dopo avergli promesso da così poche ore di non farlo mai più.

Proprio mentre sospiravo, presa da quei pensieri, il campanello suonò per la seconda e ultima volta.

Billy si alzò senza dir nulla e andò ad accogliere l'ultima persona che avrebbe composto quella sottospecie di tavola rotonda.

I due ragazzi non ci misero molto a far la loro comparsa: lo sentii dai passi e dalla porta che si chiudeva; non trovai il coraggio di girarmi però, come paralizzata.

Si levò un lieve saluto e anche Parker si sedette al fianco di Billy e Francy.

Sentii il suo sguardo verdognolo addosso, ma, senza controllare veramente le mie azioni, mi ritrovai a farmi cadere i capelli davanti al viso, dal lato in cui lui sarebbe riuscito a vedermi.

Ci fu un altro silenzio imbarazzante e pensai a quanto lui li odiasse.

D'impeto quindi tossicchiai, interrompendolo.

- Luke, quindi?

Avevamo chiamato solo lui e non Nick per evitare di spargere ulteriormente la notizia. Non che non ci fidassimo, ma le cose erano già fin troppo complicate e a Nick, così come a Emily, avremmo dovuto spiegare tutto fin dall'inizio. Poi era stato Luke stesso a indagare più di tutti noi messi insieme quella mattina stessa e la sua presenza era sicuramente essenziale.

- Allora. - Ci guardò. - La cosa buona è che potranno leggere quello che è stato inviato solo domattina. La cosa brutta è che c'è il rischio che ci battano sul tempo. Dobbiamo arrivare in presidenza prima di loro, direttamente nell'ufficio della preside o in quello delle segretarie.

Francy si intromise: - Non puoi sfruttare tua zia anche questa volta? Devi aiutarla, no? Puoi direttamente entrare con lei e approfittarne.

Luke storse la bocca. - C'è il rischio che non sia tra le prime ad arrivare, anche oggi è stata male e ha fatto un leggero ritardo. Poi rischierei di insospettirla e quando controllo il suo computer lei non mi lascia spesso da solo. Ogni tanto capita e infatti avevo detto ad Eve che avevo la possibilità di darci un'occhiata per lei, ma domani saremo di corsa, non abbiamo tempo di aspettare che forse mi si presenti così presto l'occasione di cancellare ogni prova senza che nessuno se ne accorga, mia zia compresa.

- Quante sono le segretarie?

La voce mi fece tendere e non capii bene il sentimento che provai a sentirla di nuovo così vicina. Non era passato tanto dall'ultima volta che avevamo parlato normalmente, addirittura baciandoci, ma quelle ore sembravano cariche di mille sensazioni, pensieri, paure.

Quanto mi avevano cambiato? Quanto lo avevano cambiato? Quanto ci avevano cambiato?

Per quella breve distrazione non sentii la risposta, ma sì la seguente domanda di Parker.

- Quindi quale pensi che sia la postazione più facile da raggiungere?

Gli lanciai una breve occhiata, non credendo a come mi stessi dimenticando che su quel tavolo c'era la mia intera vita in gioco.

Non mi ero però dimenticata di Parker e lo vidi bene: la felpa scura, il viso serio, le mascelle serrate, il gesto nervoso delle mani sul tavolo.

Le dita lunghe tamburellavano in modo sordo sul legno. Le labbra erano screpolate e rotte in un taglio centrale. Le ciglia folte sembravano pesare sulle sue palpebre e gli occhi davano l'impressione di essere stanchi, leggermente socchiusi.

Parker sentì probabilmente il mio sguardo addosso, perché si girò. Riuscii ad evitare per un attimo il contatto visivo e cercai stupidamente di dissimulare iniziando a scarabocchiare qualcosa sui fogli che avevo di fronte.

Cosa stavo facendo?

Sentii lo stomaco contorcersi per l'ansia e il nervoso dell'intera giornata e per l'incapacità che avrei avuto di tornare a guardare Max negli occhi come prima.

Ma volevo tornare a guardarlo negli occhi?

Sentivo che le colpe continuava ad averle e non riuscivo a togliermele di testa.

- Sinceramente? Penso che la cosa migliore sia andare direttamente nell'ufficio della preside, - rispose infine Luke e quella volta colsi la sua risposta.

- Sei pazzo?! - Alex ci guardò uno ad uno, cercando uno sconcerto pari al suo.

- No. La presidenza è tutta nello stesso corridoio, ma le segreterie sono quasi tutte collegate. Per cancellare l'e-mail da uno di quei computer, rischieremmo non solo di essere beccati dal legittimo possessore, ma di farci vedere da altri. L'ufficio della preside è invece chiuso e separato, da lì potremmo essere visti solo al momento dell'entrata e uscita. Poi è vero che potrebbero essere le segretarie stesse a leggere per prime la nuova e-mail, ma quando si tratta di qualcosa di particolarmente importante hanno l'ordine di evitare di leggerlo e limitarsi ad avvisare la preside. Le manie di controllo della dittatrice torneranno utili per una volta.

- Il titolo dell'e-mail è sempre lo stesso: Evelyne Gray. Le foto sono nell'allegato.

Regnò un breve silenzio all'aggiunta di Clark.

Sentii una sedia spostarsi indietro, all'improvviso. Vidi con la coda dell'occhio Parker che si alzava, chiaramente innervosito.

- Max, - lo ammonì tacitamente Billy.

- Quindi, leggendo immediatamente quel titolo e l'indirizzo di provenienza, collegherebbero tutto a quanto successo oggi e avviserebbero solo la preside, senza fare altro? - Chiesi, lanciandomi nella conversazione, più per stendere quella tensione che si era creata nell'aria che per altro.

Max cominciò a camminare intorno al tavolo, senza dire nulla. Sentivo i suoi occhi addosso e mi ostinavo a ignorarli. Ero sempre più nervosa, ma la cosa importante era che non fosse partita l'ennesima litigata con Clark.

- Esatto, - commentò infine Luke. - Non è una scommessa certa, ma è quello che ritengo essere più probabile. Purtroppo niente di quel che faremo domani sarà certo al 100%. Sarebbe già un miracolo se riuscissimo a muoverci protetti da un cinquanta e cinquanta per ogni nostra azione.

- La stanza della preside è normalmente chiusa a chiave, - parlò di nuovo Parker.

Mi concentrai nuovamente sull'interessante penna di fronte a me, pur cercando di recuperare il controllo della situazione.

- Le chiavi dell'ufficio della preside, le ha solo lei o anche Joe?

- Solo lei probabilmente. Ma posso solo presumerlo. Forse anche le segretarie, ma non lo so. - Fu Luke a rispondere, graziando i miei nervi.

- Quindi dovremo probabilmente aspettare che sia lei ad aprire? - Concluse Francy.

Piombò di nuovo il silenzio tra noi.

Kutcher sospirò pesantemente, appoggiandosi coi gomiti alla tavolata. - E' impossibile...

Avrei voluto ribattere, ma sinceramente ero sempre più demoralizzata anch'io.

- Non è impossibile. - Fu Parker a tagliare corto.

Dalla sorpresa sollevai lo sguardo su di lui. Mi stava guardando e i nostri occhi si incrociarono.

Mi ricordai tutte le parole spese quella mattina.

- Dobbiamo risolvere tutto questo insieme, a ogni costo, - continuò e sembrava essere una conversazione solo tra me e lui.

Alla fine ruppi il contatto visivo, fragile come un filo di vetro, e mi ripresi grazie alle successive parole di Billy:

- Lavoreremo insieme. Come una squadra.

 

 

- Eve? Dove sei?

- Scusa zia... - Sussurrai, nel porticato davanti a casa Hans.

Mancavano sempre meno ore all'alba e, cercando con gli altri di elaborare tutto, si era fatto fin troppo tardi. Troppo anche per Lizzy.

- Non so cosa ti stia succedendo, ma la situazione ti sta decisamente sfuggendo di mano. Torna a casa. Immediatamente. Ora.

Sentire di colpo la linea che cadeva dall'altro lato mi fece capire quanto potesse effettivamente essere arrabbiata. Sapevo anch'io di aver tirato troppo la corda in quei giorni, anche per una come Lizzy che mi aveva concesso praticamente ogni libertà possibile e immaginabile per una teenager.

Io intanto ero esausta, faticavo a tenere gli occhi aperti per la privazione di sonno dei giorni precedenti. Poi, ne ero consapevole, con quel che era appena successo anche quella stessa notte non sarei stata in grado di chiudere occhio.

La porta alle mie spalle si aprì piano.

- Andiamo, Eve, mia madre mi ammazza, mi sta aspettando da ore. - Mi superò Francy, seguita da Kutcher e Luke e diretta alla macchina del primo ragazzo. Ci avrebbe riportato a casa lui.

- Domani ti passo a prendere io, ricorda.

Annuii alla mia amica.

- Mi raccomando, abbiamo poche ore di tregua, ma approfittatene per riposare. Domani che nessuno resti a letto, per carità. - Billy si affacciò anche lui dalla porta d'ingresso.

Aveva paradossalmente proposto di passare la notte insieme nello scantinato per partire così domani in orario tutti insieme, ma l'idea non era chiaramente realizzabile.

In realtà, l'unico a passare la notte lì sarebbe stato Clark. Per aiutare Billy, secondo quanto detto da questi, ma era palese che fosse solo un modo per tenerlo d'occhio ed evitare altri casini.

Per lo meno le foto in suo possesso erano state cancellate interamente e di quello non si sarebbe più parlato, nemmeno in caso di un suo ulteriore cambio di bandiera.

Mentre mi allontanavo dietro gli altri, subito dopo un breve saluto, sentii altri passi sul legno del porticato.

- Evy!

Mi girai scombussolata dall'utilizzo di quel soprannome, trovando Parker che si infilava di fretta la giacca. Avevo sperato che quella sua iniziale mancanza nell'atrio per salutarci significasse semplicemente che era meglio rimandare qualsiasi parola tra noi. Io la pensavo così e mi ero convinta che lui la pensasse allo stesso modo. Non ci eravamo infatti parlati direttamente in tutte quelle ore, in realtà nemmeno più guardati davvero.

Nelle ore precedenti aveva più che altro ascoltato, assorto nei suoi pensieri. Ora i capelli erano piegati in maniere improbabili, a causa del suo continuo passarci la mano in mezzo, con fare innervosito.

- Ti accompagno a casa io.

Mi irrigidii, non capendo cosa gli fosse successo per risvegliare all'improvviso quella reazione.

- Eviterei, - risposi e basta, cercando di dargli le spalle, in realtà col cuore in gola. Cercai di mettere a tacere il battito folle che mi assordava da dentro.

Nonostante quello, lo sentii seguirmi e, invece di prendermi per un braccio o afferrarmi, come avrebbe fatto normalmente, me lo ritrovai davanti a bloccarmi la strada.

- Parker, ha detto che non vuole! Lasciala stare! - Francy intervenne subito, facendo due passi avanti ma venendo bloccata dalla mano di Alex. Colsi comunque lo sguardo della mia amica.

Parker come me restò in silenzio alla provocazione di Francy. Cercai così di evitare di guardarlo in faccia e provai ad aggirarlo senza dir nulla.

Non mollò e si parò sempre davanti a me.

- Mi guardi, per favore?

Mi ritrovai a fissare il suolo. Avevo già incrociato i suoi occhi prima, ma ora, così da vicino, dopo quel suo comportamento, non ce l'avrei fatta.

Ero troppo confusa, troppo stanca, troppo ferita. Non volevo parlarci. Non sapevo nemmeno cosa fare o come comportarmi con lui.

Non volevo sbagliare nuovamente, sia a usare le parole, sia a perdonarlo o cacciarlo senza prima ragionarci sopra.

- Parleremo un'altra volta, devo andare da Lizzy.

- Dobbiamo parlare, almeno un attimo. Anch'io volevo rinviare, ma non avrebbe senso andare a letto senza nemmeno capire se riusciamo a scambiarci due parole.

Le parole mi colpirono, ma finsi di ignorarlo; cercai di scansarlo e lui tentò di bloccarmi nuovamente e, nella fretta che animava entrambi, finimmo per scontrarci. Per il tocco, sollevai di scatto lo sguardo.

Mi ritrovai così a pochi soffi di distanza dal suo viso. Lui, con la bocca socchiusa, pronto a dire qualcosa, si interruppe fermandosi nei miei occhi.

A riportarci alla realtà, dopo chissà quanto, fu il borbottio soffocato di Francy. La vidi all'ultimo, trascinata a forza da Alex verso la macchina.

- Ti aspettiamo dentro! - Mi gridò quello con un sorrisone, mentre infilava Francy, a cui aveva tappato la bocca, nell'abitacolo della macchina. Luke, un po' accigliato, stava già aprendo la portiera senza però commentare.

In cerca di un alleato mi voltai verso la casa alle mie spalle: di Billy e Clark non c'era più alcuna traccia.

Incrociai le braccia sentendo all'improvviso freddo nelle ultime ore della notte, lì, di fronte a Parker.

Quella giornata era stata un continuo altalenarsi tra un'emozione e un'altra.

- Ho bisogno di stare un po' da sola, Max...

Mi morsi le labbra per averlo chiamato, senza pensarci troppo, col suo nome. In quei mesi avevo involontariamente giocato molto sul modo in cui lo chiamavo. In una semplice differenza tra i modi in cui appellarlo andavano tutti i miei sentimenti: io amavo Max e detestavo Parker, quello che si era presentato davanti a me a ottobre, quello che avevo visto la mattina stessa e che mi aveva ferita deliberatamente.

Non mi capivo più. Max o Parker?

- Evy... - Soffiò, a disagio. Non lo guardavo più in volto, ma vidi chiaramente la sua mano sollevarsi tra noi. Resto lì, come le parole, nell'aria.

- Sei stato un idiota, - conclusi io. - Come posso fidarmi di te, ora?

La sua mano tornò di fianco al busto.

- Non lo so.

Mi sfuggì una risata amara.

- Però l'ho fatto per te. Volevo solo dirti questo ora.

Mi agitai a quelle parole. - Non l'hai fatto per me. Se l'avessi fatto per me, non mi avresti ferita in quel modo e non avresti detto quelle cose.

- L'ho fatto per te, Evy. Non volevo che la preside vedesse quelle foto.

- Se me l'avessi detto, avremmo trovato una soluzione insieme! - Esclamai, un po' irrazionalmente, tornando a guardarlo.

Lui, come io trovai il coraggio di guardarlo, trovò la forza di toccarmi: mi ritrovai le sue dita, forti ma in una presa non dolorosa, sul braccio.

- Cosa potevamo fare contro una persona così irrazionale? Uno che poi ha inviato comunque le foto il giorno dopo? Nonostante fossi stato a tutti i suoi patti. Evy, non so nemmeno come tu abbia fatto a fargli cambiare idea. Lui era convinto e voleva solo distruggerti. Io le ho viste quelle cose nella sua faccia e non ho avuto il coraggio di sfidarlo. Preferivo perderti io, ma farti avere il tuo futuro.

Rimasi un attimo senza parole, finché non ritrovai l'altra mano di Max sulla mia guancia.

Mi sentii di nuovo debole. Un po' per il suo tocco, un po' per il suoi occhi di nuovo così vicini.

Avrei voluto dirgli che io avevo visto lui nel mio futuro. Dunque, abbandonandomi in quel modo, non lo aveva preservato.

Scossi la testa, sentendomi gli occhi lucidi. - Io ho creduto davvero alle cose che hai detto. Come faccio ora a tornare così facilmente indietro?

- Non dovevi credermi, Evy.

Mi irritai, cercando di scansarmi dal suo tocco, ma mi afferrò nuovamente, questa volta con entrambe le mani, per i fianchi.

- Max, lasciami.

Sembrò davvero esasperato, sofferente. - Dovevo allontanarti per via di Clark, ma io ho provato per tutta la sera precedente a farti capire che non mi avresti dovuto prendere sul serio! Non potevo dirti nulla, ma ho provato a non ferirti.

- Max, come potevo pensare stamattina che mi stessi mentendo?! Puoi capire quanto fossi sinceramente confusa? O ferita?

Ci stavamo strattonando entrambi, non riuscendo a tornare alla breve tranquillità di pochi secondi prima. Ero arrabbiata, ma cercavo di mantenere un tono di voce adeguato all'orario e alla situazione. Ero infuriata con lui per avermi lasciato andare così; dall'altro lato ero però felice di poter essere di nuovo con lui. Il mio corpo esultava per la semplice vicinanza, non potendosi dimenticare quanto successo tra noi.

- E lo capisco! Ma erano cose troppo orrende quelle che ti ho detto stamattina! Ho anche esagerato di proposito, volevo salvarti, ma giuro che speravo che, esagerando in quel modo, tu potessi razionalmente capire la verità.

Scossi la testa, non abbandonandomi però alle sue braccia. - Come vuoi che le interpretassi? Io ho provato a resistere, ma dopo... dopo quel che mi hai detto su ieri sera, sul...

Lui capì senza bisogno che precisassi e la sua mano tornò sul mio volto. - Evy... Se non avessi davvero tenuto a te, pensi davvero che le due notti passate ti avrei detto di no? Pensi davvero che avrei evitato di andare oltre?

Nell'agitazione, nella rabbia, nell'insicurezza, in tutto, mi ritrovai paradossalmente ad arrossire e cercai di abbassare lo sguardo. I suoi lineamenti erano duri, ma belli come sempre.

- Se non potevo credere alle tue parole, dovevo per lo meno poter credere ai tuoi gesti. Quel non volere nemmeno... Quel non volere nemmeno far sesso con me, mi sembrava un gesto eloquente.

Cercò di sollevarmi il mento e sfuggii un paio di volte, cercando di ribellarmi. Lui insistette, e dopo qualche ulteriore inutile resistenza, riuscì nell'intento di guardarmi fin dentro.

I suoi occhi erano particolarmente scuri, ma li riconoscevo. Riconoscevo il volto, le labbra, il naso, il neo. Mi sembravano sinceri. Potevo crederci?

Clark aveva confessato. Francy, Billy, Luke, Lizzy e poi Clark, concretamente, avevano cercato di spazzare via ogni mio dubbio.

Ma una paura primordiale mi bloccava. Una paura simile alla sopravvivenza mi gridava di allontanarmi a causa del dolore che avevo provato.

- Evy... - Iniziò, scostando per un paio di secondi gli occhi a disagio; poi tornò su di me, più deciso di prima. Sapevo quanto costasse a Max parlare, soprattutto per mettersi a nudo in quel modo.

- Dopo il mio compleanno, avrei voluto fare l'amore con te mille volte.

Come un'idiota mi ritrovai ad avvampare a quell'utilizzo di parole e cercai di nuovo di allontanarmi. Lui mi fermò deciso e non continuò finché non ebbe la mia attenzione e il mio sguardo.

- Però, per quel che era successo, perché avevi bevuto, perché non si capiva nulla e, soprattutto... Soprattutto perché non sapevo se avrei avuto il coraggio di prenderti per mano; io non potevo farlo con te.

- Cosa vorresti dire?

Sospirò, zittendosi e sicuramente intenzionato a tacere su qualcosa.

- Poi, il giorno dopo, essendo stato minacciato da Clark, consapevole di quel che sarebbe successo, come potevo fare qualcosa del genere? Seth mi aveva detto di usare la storia della scommessa, ma la volevo usare a mio vantaggio. Speravo tu non fossi così tonta da credere che una persona che davvero vuole farti del male, arrivando a tanto, dopo mesi poi si fermi davvero a quel punto. Davanti a del sesso.

Portai le mani sul suo petto, cercando di allontanarlo, punta sul vivo. - Non è questione di essere tonta o meno! Ma hai mirato... hai mirato alle mie insicurezze.

- Se fossi stato davvero lo stronzo che ho finto di essere stamattina, ti avrei portata a letto alla prima occasione, proprio per farti del male.

- Me ne hai fatto comunque. - Mi lamentai. Ormai sentivo però una specie di vergogna strana, ci misi un po' a identificarla nel silenzio, mentre mi rifiutavo ulteriormente di guardarlo.

- Mi dispiace di averti fatto anch'io del male. - Confessai infine, riferendomi a quanto detto su lui e suo padre.

- Guardami mentre lo dici, - disse e lo ritrovai davanti a me con un piccolo sorriso che sembrò portare luce all'inquietudine che avevo dentro.

- Mi dispiace per quel che ti ho detto.

- Ti lamenti che ho mirato alle tue insicurezze. Stupide, tra l'altro. Poi guarda chi fa lo stesso... - Tentò una specie di presa in giro, cercando di alleggerire i toni con un'occhiata circospetta. C'era però un'ombra sul suo viso e sapevo che le parole che gli avevo lanciato contro avevano lasciato feritea perte.

Mi spostai un ciuffo dal volto, provando a prendere tempo. - Non avevo più davanti la persona che pensavo di conoscere. Ti sei mostrato come il Parker degli inizi di cui non sapevo nulla.

I suoi occhi si appesantirono nuovamente.

- Tu sai chi hai davanti, Evelyne; l'hai sempre saputo.

- Non è vero, ho continuamente cambiato idea su di te. - Risi un po' amaramente.

- Certo. Ma non saremmo arrivati a questo, se fin dall'inizio non avessi sentito che c'era almeno qualcosa di positivo in me. Qualcosa di buono che ti facesse aprire.

- O forse sono troppo buona io... - Provai a scherzare.

Sorrise un attimo, ma continuando a guardarmi con insistenza.

Io compresi pian piano la situazione: le sue parole stavano arrivando alla testa dopo essere passate prima per le mani, ormai stabili sul suo petto, e per il cuore, un po' rischiarato.

Mi staccai e questa volta assecondò il mio gesto. Era però sorpreso.

- Devo andare a casa.

Stette in silenzio per qualche secondo che sembrò interminabile.

- Domani, dopo aver risolto, dobbiamo parlare. Però per bene, non così, tra i nostri amici.

- Lo so.

Abbozzò un sorriso. - Notte.

Con quelle ultime parole corsi finalmente verso la macchina di Kutcher.

Parker non guardò più verso di noi, ma finché fu a portata di vista dal mio finestrino, non lo vidi più muoversi.

Nessuno commentò nulla all'interno della vettura.

Io ero sempre più scombussolata.

Non sapevo come mi sarei dovuta comportare con Max.

Non sapevo come sarebbe andato il nostro piano l'indomani.

Non sapevo nemmeno cosa mi avrebbe atteso a casa da Lizzy.

Non sapevo cosa aspettarmi da Parker il giorno dopo; sempre che arrivassi viva e vegeta al momento di parlarci.

Non sapevo infine che mancassero 5 ore al mio probabile fallimento.

 

 

- Oggi non hai detenzione dopo le lezioni, quindi vieni direttamente a casa, Eve; senza scuse.

L'orario in cui avevo finito per rincasare era stato esagerato anche per la mia fin troppo comprensiva zia.

In particolare quell'orario, ripetuto con le trasgressioni dei giorni precedenti, l'avevano portata al suo limite.

Non aveva poi sicuramente aiutato il fatto che fossi tornata accompagnata dagli altri, senza la mia macchina che era ancora rinchiusa nel parcheggio sotterraneo e pronta essere liberata solo una volta che fosse arrivato l'orario di apertura del supermercato.

Non avevo potuto spiegarle la situazione con chiarezza, in modo razionale, e lei fiutando le bugie si era arrabbiata come l'avevo vista fare poche volte. La paternale era iniziata da quando ero rincasata e non sarebbe finita presto.

Normalmente mi sarei sentita notevolmente in colpa: Lizzy sarebbe partita domenica per pranzo, dovendo tornare a lavoro a New York. Quella settimana era riuscita a restare a lungo, lavorando in casa, ma il problema era che tra i vari eventi di quei giorni il tempo passato insieme era stato minimo e le avevo dato solo preoccupazioni: non mi ero goduta quelle eccezionali e lunghe giornate insieme.

Purtroppo però non avevo tempo nemmeno per preoccuparmi di qualcosa di così essenziale come mia zia.

Mi infilai la giacca e la guardai un po' a disagio. - Okay, zia. Scusa.

La sua espressione non mutò e continuò a guardarmi nello stesso modo dal fondo del corridoio.

- Poi perché esci così presto? Le lezioni iniziano tra più di un'ora.

Infatti le nostre occhiaie testimoniavano le pochissime ore di sonno di entrambe.

- Devo arrivare prima per concludere un progetto.

Colse di nuovo la bugia. Elizabeth scosse la testa e schioccò la lingua, per poi andarsene in cucina a bere il caffè, irata come non mai.

Le chiesi mentalmente scusa, sapendo però che non sarebbe arrivato facilmente il giorno in cui poterle spiegare tutto ed essere capita e perdonata.

Uscii di casa di corsa con la tracolla in spalla e mi precipitai in macchina di Francy.

- Dai, Eve!

Mise in moto praticamente subito.

- Siamo in ritardo, per sicurezza sarebbe stato meglio arrivare una decina di minuti prima, - borbottò, lanciando un paio di occhiate sopra lo stereo.

- Lo so, scusa, ma mia zia era molto più arrabbiata del previsto.

Francy sospirò. - Dai, tra poco sarà tutto finito. - Il suo sguardo, stanco come il mio, faceva capire che anche lei non fosse riuscita a chiudere occhio.

L'agitazione per quel che stavamo per fare aveva probabilmente mangiato per ore tutti noi, immischiati nello stesso folle piano. Ai miei tentativi di dormire si erano poi opposti anche i tormenti vissuti in quella giornata. In particolare, com'era ovvio, Max Parker aveva tormentato la mia notte, non facendomi minimamente chiudere occhio.

Avevo sognato le litigate, le sue frasi a notte fonda, le sue mani, i suoi occhi: lui, lui e lui.

L'amore faceva decisamente impazzire. Ero terrorizzata per la questione delle foto, per la preside, per il mio futuro; eppure il mio subconscio mi aveva presentato per tutta la notte solo le immagini di quel ragazzo, come se dentro fossi stata più preoccupata su quale fosse il nostro esito finale. Su quello che ci saremmo detti.

Ero ormai sicura che Parker volesse recuperare il rapporto con me. Paradossalmente tutto il dolore del giorno precedente provava che lui ci teneva. Però, dopo quel che era successo, dopo quel male, potevo riprendermi una persona che non era nemmeno in grado di prendermi la mano?

Avevo accettato quel lato di Parker, avevo deciso anche di ignorare l'impasse in cui eravamo caduti per crogiolarmi nel calore del suo abbraccio.

Ma ora, vedendo dove eravamo arrivati e quel che era successo, sentivo di non voler più un amore che, alla lunga, mi avrebbe portato a soffrire in quello stesso modo.

Mi serviva qualcuno che scegliesse di stare con me. Insieme a me.

Parker aveva detto che, cedendo al ricatto di Clark, aveva dimostrato di rinunciare a me per permettere il mio futuro.

Solo a ripensarci il cuore mi batteva a mille, ma sarebbe bastato?

Io volevo un futuro insieme. Qualcuno che non rinunciasse a me, ma che lottasse con me.

Aveva detto di tenerci e di non aver approfittato della situazione: di non essere andato a letto con me perché non era sicuro nemmeno che avrebbe mai avuto il coraggio di stringermi la mano.

Forse era a causa del dolore del giorno passato, ma non sarei riuscita a tornare con leggerezza a baciare Parker.

Continuavo ad essere follemente innamorata di lui, probabilmente più di prima, però quel dolore, quelle situazioni mi avevano fatto capire che dovevo amare più me stessa.

Non potevo accettare quello che c'era stato prima tra noi. Quell'impasse, quell'equilibrio precario ci aveva portato esattamente lì.

La notte era trascorsa insonne in quel modo, perché sapevo che quel qualcosa in più non mi sarebbe mai arrivato da Max Parker. E senza quello io non potevo accettare di tornare indietro.

Lui non prendeva la mano a nessuna, no?

- Eve, mi ascolti?

Francy mi riportò velocemente alla realtà e cercai di fare mente locale. Sicuramente quei pensieri erano importanti, ma l'ordine delle cose voleva che risolvessi prima la questione delle foto. Soltanto risolvendo quello avrei poi potuto affrontare Parker e lui sarebbe riuscito ad affrontare me.

- Scusa. Allora... ho sentito Billy: lui e Clark sono già davanti alla biblioteca. Aprirà prima dell'inizio delle lezioni, dunque pensano di fare in tempo.

Il nostro lavoro di squadra si divideva essenzialmente in due parti: prima di tutto si era pensato, come diversivo, di mandare molte più e-mail all'indirizzo scolastico; in secondo luogo, noi a scuola avremmo provato a introdurci nell'edificio scolastico e poi nell'ufficio della preside.

Della prima parte si sarebbero occupati Clark e Billy. Volevamo evitare, con quella specie di spam, che le segretarie leggessero proprio l'e-mail incriminata. Eravamo quasi certi che queste si sarebbero limitate ad avvisare la preside, senza procedere autonomamente alla lettura, ma, anche nel caso, volevamo provare in questo modo a diminuire le probabilità che fosse letta esattamente la prima e unica e-mail incriminante.

Inoltre, avevamo pensato all'ulteriore eventualità che fosse effettivamente comunicata la presenza di una e-mail alla preside, prima della sua cancellazione.

In quel caso, anche fossimo riusciti secondo i piani a eliminarla prima che la generalessa effettivamente la leggesse, sarebbe apparsa poi sospetta l'assenza nella casella postale di qualsiasi traccia. Si sarebbe intuita forse una manomissione e, insospettendo un intero istituto, non volevamo rischiare che qualcuno di più esperto di noi fosse chiamato e fosse in qualche modo in grado di rintracciare quanto era stato inviato.

Nessuno di noi era veramente un esperto del settore, chi possedeva qualche minima conoscenza al riguardo era sicuramente Luke, ma non potevamo parlare assolutamente di un ragazzo in grado di controllare una situazione così delicata.

Come ulteriore precauzione, avevamo poi elaborato l'idea di spedire comunque le e-mail sempre dallo stesso luogo.

Dubitavamo che potesse essere mai chiamato un qualche tipo di esperto, ma volevamo tutelarci così anche da un'eventuale intervento successivo, in grado di individuare la provenienza delle e-mail.

Era chiaro che, volendo indagare, sarebbero infine risaliti a Clark per via del suo utilizzo dei computer e dei server della biblioteca comunale, ma quantomeno una verifica di tal tipo sarebbe stata meno incriminante della rilevazione di e-mail spedite successivamente da casa Hans o di qualcuno legato a me.

Probabilmente si trattava di misure di sicurezze eccessive o paradossalmente inutili, soprattutto per il fatto che io potevo essere distrutta dal fallimento della sola seconda parte del nostro piano e non tanto dalla prima.

In ogni caso, Clark con le sue credenziali avrebbe proceduto in quel modo, accompagnato da Billy.

Perdevamo sicuramente l'aiuto di Hans a scuola, ma, anche se nessuno lo aveva espresso a parole, non ci fidavamo a lasciare un compito delicato di quel tipo solo a Clark che, pentito o non pentito, con o senza foto, rischiava ancora di combinare guai.

Avevano quindi in progetto di spedire almeno una decina di e-mail e, una volta provveduto, Billy avrebbe pensato ad avvisare tutti noi rimasti a scuola.

- Perfetto. - Francy sospirò. - Mi sento molto 007, ma vabbé.

Ridemmo insieme, in realtà entrambe super innervosite dalla situazione.

Arrivammo così nel parcheggio del nostro istituto e Francy si fermò di fianco alla macchina di Kutcher, a sua volta di fronte a quella di Parker. Entrambe erano posizionate a distanza di sicurezza rispetto al cancello del cortile scolastico, ancora chiuso per l'orario. La vicinanza al bar di Jack e la presenza di qualche avventore mattiniero, apparentemente estranei all'ambiente scolastico, ci lasciavano in una specie di check in protetto.

Scendemmo e lì, appoggiati al baule della macchina di Alex, trovammo i proprietari dei veicoli e Luke.

L'aria era decisamente tesa.

Scambiai una breve occhiata con Max, mentre partiva un saluto generale.

- C'è traccia di Joe? - Chiese Francy, guardando con circospezione oltre la macchina, verso il cancello.

- Ancora no. - Si lamentò Luke, dando un'ulteriore occhiata all'orologio.

- Sarà abbastanza problematico superarlo. - Alex sospirò, appoggiandosi a Francy solo per il gusto di toccarla.

Max continuava a guardarmi, come indagando sul mio umore. Cercai di ignorarlo il più possibile e in quel modo non potevo capire nemmeno io cosa gli passasse per la testa quel giorno.

- Abbiamo tutti presente il piano d'azione?

Tutti annuirono, anche se non convinti, alla mia domanda.

C'era sicuramente un piano d'azione: erano state individuate delle linee guida per tutti noi, in modo da non ritrovarci dispersi, senza alcun tipo di orientamento, all'interno dell'edificio scolastico. Nonostante questo, eravamo ben consapevoli del fatto che ci fossero troppe incognite e la mancanza di convinzione era dovuta a quello. Non eravamo minimamente a conoscenza di cosa accadesse di prima mattina, di come si “risvegliasse” il nostro liceo, di quante persone avremmo potuto incrociare.

Era praticamente certo che le cose non sarebbero filate lisce e, anche nel migliore dei casi, qualcuno sarebbe stato sicuramente beccato.

Il piano infatti prevedeva un certo numero di “pali”. Ci saremmo mossi tendenzialmente a coppie e, a evenienza, uno dei due avrebbe dovuto rallentare l'eventuale ostacolo, per permettere agli altri di avanzare.

Senza contare il fatto che Max sarebbe stato necessariamente sgridato.

Moralmente tutto quello mi dava più di un problema: non avrei voluto portare qualcuno con me nella tomba e non avrei voluto risolvere tutto per me stessa incasinando però uno dei miei amici.

Tutti però avevano espresso fermamente la loro volontà di continuare.

Proprio mentre meditavo su quello, come del resto gli altri, notammo movimenti familiari.

Un pick up arrivò dalla strada principale, introducendosi nel nostro parcheggio, nei pressi della palestra.

Noi cercammo di restare dietro le macchine, senza però nasconderci in un modo che fosse sospetto.

Joe, come immaginavamo, scese dalla vettura e ondeggiando si diresse prima di tutto verso la palestra.

Ci scambiammo varie occhiate. L'uomo, ignaro, maneggiava quello che era probabilmente un mazzo di chiavi e si apprestava ad aprire la palestra.

Ci trovavamo a una certa distanza che non poteva essere accorciata brevemente se non di corsa.

Ci preparammo, chiudendo le macchine coi nostri rispettivi zaini all'interno. L'unico a restare in “divisa” da studente, borsa in spalla, fu Luke.

- Vado? - Ci chiese esitante.

- No, - risposi. - Non sapremmo dove nasconderci noi. Deve aprire il cancello e la scuola prima che tu possa distrarlo.

- Limitiamoci al cancello, poi restiamo dietro gli angoli del recinto scolastico. Luke, quando lo allontani o distrai abbastanza, parla forte così noi possiamo capire in qualche modo di poter avanzare, nel caso non riuscissimo a vederti. - Fu Max a correggere e notai in che stato di tensione fossimo ormai tutti. Notai anche che Alex e lui la stavano vivendo con una certa lucidità, quasi gli anni da sportivi li avessero un po' temprati alle situazioni di tensione.

- Per fortuna c'è solo Joe.

Un sorriso ci scappò alla constatazione di Alex. In effetti sarebbe potuta andare molto peggio. Dubitavo che lavorasse solo lui, ma evidentemente il personale di pulizia, da noi visto solo raramente, giungeva al termine delle lezioni e non di mattina presto.

Passarono un paio di minuti che sembrarono eterni, poi potemmo vedere di nuovo Joe.

Il bidello si avviò verso il cancello: lo aprì e, un po' a fatica, lo spalancò del tutto, da un lato e dall'altro; fatto quello, si introdusse all'interno del cortile scolastico.

Noi ci spostammo subito dopo. Luke si avviò verso l'entrata dissimulando calma, mentre noi cercammo di portarci al punto cieco a cui aveva pensato Max, con un passo svelto ormai simile a una corsa.

Joe fortunatamente restò fuori dalla nostra portata visiva: probabilmente stava aprendo la scuola.

Appena raggiunsi la parete controllai, appoggiandomi di spalle ai mattoni umidi, che non fossero arrivate altre macchine. Il parcheggio continuava ad essere relativamente vuoto, con una certa animazione solo nei pressi del bar.

Francy mi appoggiò una mano sulla spalla, facendo cenno a Parker. Mi girai in sua direzione: era davanti a me, appoggiato con la schiena alla parete; dava ogni tanto occhiate di sfuggita alle sue spalle, dietro l'angolo, per controllare la situazione nei pressi dell'entrata.

Nessuno disse nulla e nessun altro interruppe il silenzio.

Vidi con la coda dell'occhio Kutcher che prendeva per mano Francy in modo dolce e tranquillizzante.

Cogliendo quel gesto, la mia attenzione tornò su Max al mio fianco. Si girò in quel momento.

- Che ora è? - Fu la prima domanda diretta che mi rivolse quella mattina. Non capii se fosse a disagio o semplicemente troppo concentrato su quel che stava per accadere, ma era fin troppo serio per essere il Parker a cui ero abituata io.

Evidentemente esitai troppo perché a rispondere fu Francy dopo una rapida occhiata all'orologio da polso. - Tra una quindicina di minuti dovrebbero aprire per tutti, circa mezz'ora prima delle lezioni.

Max mostrò segni di nervosismo come tutti noi. Eravamo sicuramente stati fortunati fino a quel momento, non c'era ancora anima viva e quello ci avrebbe permesso sicuramente di continuare a passare inosservati. Forse ci era complice la casualità che si trattasse di un venerdì e che quindi tutti tendessero a prendersela più comoda, ormai prossimi al weekend. Nonostante quello e nonostante la permissività che accompagnava quel giorno della settimana, era questione di pochi minuti prima che arrivassero preside e segretarie e gli alunni e professori più mattinieri.

Proprio in quel momento iniziammo a sentire quella che sembrava essere la voce di Luke.

- Non osare entrare da solo! - Quello era Joe, praticamente urlante nella sua versione standard.

- Ma non c'è bisogno che mi accompagni, Joe! Vado da solo in palestra e controllo se ho lasciato il cellulare, sarà una cosa veloce. Fidati di me.

- Ho detto di no! Vi conosco voi studenti, chissà cosa combineresti...

Max, che si stava sporgendo sempre dall'angolo, ci fece cenno con la mano di stare pronti.

Francy ridacchiò e un leggero divertimento inclinò anche le mie labbra.

Luke, che conosceva il bidello quanto noi, aveva facilmente trovato il modo per farsi seguire da Joe: dirgli di non volerlo con sé e di lasciarlo vagare liberamente nell'edificio scolastico adiacente.

Sentimmo ancora un qualche tipo di discussione allontanarsi man mano, finché Parker stesso non ci fece segno e uscì allo scoperto.

Lo seguii di getto, però appena svoltai l'angolo vidi a non molta distanza, proprio davanti a noi, la schiena di Luke e Joe nei pressi della palestra. Nessuno dei due era ancora entrato e sarebbe bastata la minima occhiata perché il bidello ci notasse. Terrorizzata da quella constatazione, mi bloccai immediatamente sul posto. Francy e Alex, che avevano appena svoltato l'angolo, mi finirono addosso, facendomi quasi cadere a terra per il contraccolpo.

Max si girò e vide sorpreso che mi ero appena bloccata.

- Fate piano e andiamo! Muovetevi!

Mi prese per il polso e mi tirò a sé: ancora prima che potessi realizzarlo stavamo avanzando, senza correre per non attirare attenzione, ma a un passo deciso che sicuramente non poteva essere accostato ad alunni che si avviano serenamente a scuola.

Non resistetti alla presa e alla direzione che mi fece prendere e mi sentii subito seguire dagli altri due.

Joe fortunatamente era entrato in palestra, seguito per ultimo da Luke che, chiudendosi la porta dietro, non si era nemmeno voltato per non rischiare di attirare l'attenzione dell'uomo al di fuori di quella struttura.

A parte distrarre il bidello per quanto necessario a consentirci l'acceso a scuola, il ruolo di Luke prevedeva l'attesa della zia davanti all'entrata, per introdursi così il prima possibile anche lui o, nel peggiore dei casi, per avvisarci dell'arrivo della preside prima che potesse coglierci impreparati nella stessa presidenza.

Proprio mentre oltrepassavamo il cancello, entrando così nel cortile scolastico, vidi di sfuggita arrivare le prime macchine, chiaramente intenzionate e fermarsi nei pressi della scuola.

- Sta arrivando qualcuno! - Squittì Francy e lei e Kutcher ci affiancarono.

- Non guardatevi indietro e andiamo. - Tagliò corto Max, accelerando però il passo. Fu imitato da tutti noi.

Solo una volta entrati, dopo aver aperto la porta cercando di fare meno rumore possibile, Max lascio sciogliere la presa dal mio polso.

- Non pensavo fosse possibile, ma la prima parte è andata, - sospirai dopo un breve silenzio, cercando di rassicurare tutti e me per prima. Vidi gli altri leggermente increduli e spaesati come me. Parker era quello all'apparenza meno agitato, ma ero a conoscenza del modo in cui sapeva celare i propri sentimenti.

- Allontaniamoci da qua intanto...

Nessuno aggiunse altro, ma ci spostammo dall'atrio, avviandoci verso l'interno della scuola.

Tutto era stranamente silenzioso. Le luci ancora tutte spente, ma avendo ormai albeggiato non c'era effettivamente bisogno di attrezzarci diversamente. I raggi opachi del primo mattino tagliavano gli angoli delle finestre e i corridoi, allungando le nostre ombre al passaggio.

- Grazie, - aggiunsi dopo un po' a indirizzo di Max, camminando e distogliendo finalmente lo sguardo dal pulviscolo che vibrava nella luce solare.

Mi guardò sorpreso, poi sorrise e per un secondo mi rasserenai sinceramente. Per l'ennesima volta, in quello scenario, in quel silenzio, cancellai tutto. La sensazione di benessere durò però pochi secondi.

Arrivati al primo incrocio di corridoi ci fermammo e io tornai con i piedi per terra.

- Ci dividiamo qui allora, - disse Max, di nuovo serio.

Francy ed io annuimmo.

- Muovetevi prima che rientri Joe.

Da quel momento in poi le cose si sarebbero complicate. Io pregai con tutto il cuore di poter trovare la presidenza aperta, in modo da risolvere tutto il prima e più facilmente possibile.

Il punto era che difficilmente le cose sarebbero andate in quel modo e per quello ci saremmo separati.

Parker e Alex sarebbero andati a prendere le chiavi dell'aula multimediale: da lì ci sarebbe stata la possibilità, per lo più inutilizzata nella nostra scuola, di usare gli altoparlanti. I comandi erano stati inseriti lì per la volontà iniziale che fossero adibiti alla rapida trasmissione di notizie all'intero edificio o per far risuonare radio o musica in particolari occasioni. L'inutilizzo finale in cui era sfociata quell'apparecchiatura era dovuto al semplice fatto che la preside, dovendo camminare fin lì, avesse sempre preferito mandare una delle sue segretarie se era necessario chiamare qualcuno o fare qualcosa nello specifico. Tra l'altro non avrebbe poi avuto motivazioni, a suo dire razionali, per far sentire della musica allo studentato.

Noi speravamo che funzionassero ancora bene. Erano stati utilizzati per l'ultima volta a dicembre, per la trasmissione di canzoni natalizie l'ultimo giorno prima dell'inizio delle vacanze. Chi avesse potuto convincere la preside a porre in essere un comportamento così fuori dal suo carattere non c'era dato saperlo. A cercare più indietro nel tempo, riuscivamo a ricordarci la comunicazione di un messaggio per microfono a inizio anno scolastico, come ben augurio.

Il piano prevedeva che, una volta impossessatisi delle chiavi, Kutcher facesse da palo, mentre Max avrebbe parlato, facendosi sentire per tutto l'edificio, con lo specifico obiettivo di richiamare la nostra amata dirigente scolastica.

Era chiaro che Parker ne sarebbe uscito inevitabilmente punito, ma se le cose fossero andate secondo i piani, avremmo così evitato che la preside controllasse la propria posta subito dopo essere entrata in ufficio.

Avrei voluto che un compito del genere fosse assunto da Clark, come compensazione per tutto quel che era successo, ma nessuno si era veramente fidato della sua effettiva realizzazione in maniera autonoma di qualsiasi parte del piano.

Detto questo, se la generalessa non si fosse occupata di Parker? Se non fossimo riusciti noi a far capire ai ragazzi il momento giusto in cui iniziare la comunicazione, in quel breve lasso di tempo tra l'apertura dell'ufficio e l'accensione del computer? Se loro fossero stati beccati prima del dovuto, non riuscendo Alex ad allontanare Joe o chiunque altro? Se le chiavi dietro la scrivania di Joe fossero state richiuse al sicuro, come il bidello avrebbe poi dovuto fare sempre?

In tutti quei casi per noi ci sarebbe stato un probabile game over.

- State attente. - Ci mise in guardia Kutcher, visibilmente preoccupato.

Non risposi, più ansiosa io per loro, e guardai Max. - Avvisate con un messaggio quando siete pronti, tu nell'aula e Alex pronto a vedere se la preside arriva o meno. Non iniziate poi, mi raccomando, finché non sentite qualcosa da noi o più probabilmente da Luke.

Annuirono. Gli occhi di Max continuavano a essere fissi nei miei.

- Cercate di evitare di farvi trovare lì dalla preside. Se anticipate il suo arrivo, basta solo distrarla, non c'è bisogno di arrivare a una vostra cattura, - disse Francy, dando voce ai miei pensieri.

Sorrise alle parole, guardando però sempre me. - Una sgridata in più o una in meno, cambiano qualcosa? Comunque voi pensate a cancellare le e-mail, io la richiamerò a me facilmente: sapete benissimo che la preside mi riconoscerà subito e che non può resistere al mio richiamo. In particolare perché so come esasperarla.

Sentii in qualche modo di potermi immedesimare in quella povera donna.

Fui sul punto di ribattere, ma, a forza di chiacchiere, sentimmo dall'atrio i rumori della porta che si apriva.

Ci fu un verso di sorpresa tra noi, poi ogni coppia andò di fretta verso la sua strada. Mi salutò uno sguardo verdognolo.

Il verde portava fortuna, no?

 

Poco dopo, a passo di corsa, cercando però di fare meno rumore possibile, avevamo raggiunto la presidenza.

Anche quella zona sembrava essere deserta: principalmente perché tutto davanti a noi era spento e, con le tapparelle delle finestre abbassate, il buio iniziava a pesare sulla nostra vista.

Non avevamo idea di chi fosse appena entrato nell'atrio: poteva essere solo Joe o altro personale scolastico; chiunque fosse poteva essere diretto verso il lato opposto dell'edificio, oppure esattamente lì dove ci trovavamo noi.

Feci cenno a Francy. Entrambe avevamo il fiatone, dovuto principalmente al batticuore per la corsa e l'ansia.

Lei annuì e mi seguì guardandosi alle spalle. Giungemmo finalmente alla porta dell'ufficio della preside, il primo a cui si arrivasse entrando in quell'ala. Successivamente c'erano altre tre stanze: due a sinistra, una a destra, riservate tutte alla segreteria. In fondo al corridoio una piccola porta con un cartello scritto a mano indicava la presenza della toilette.

Cercai di aprire la porta.

- Merda, - imprecai, girando più e più volte il pomo.

I piani ovviamente si complicavano, come da prognostico.

Francy non aggiunse altro e velocemente si diresse verso gli uffici. Lei controllò quello a destra: chiuso. Io intanto l'avevo affiancata e, in un attimo, trovai le altre due porte nelle stesse condizioni.

Ci lanciammo uno sguardo veloce: ce l'aspettavamo. Avevamo dubitato anche durante l'elaborazione del piano che, per quanto sprovveduti, lasciassero tutti gli uffici e il materiale al loro interno così a libero accesso durante ogni notte.

Come anticipato dunque, tentammo l'unica via rimasta: il bagno.

Sentimmo proprio in quel momento un rumore di tacchi provenire in lontananza e un leggero chiacchierio.

Aprii subito la porta, trovandola fortunatamente aperta. In caso contrario ci saremmo infatti trovate in un vero e proprio vicolo cieco, non potendo avanzare e non potendo tornare indietro verso chi ci stava raggiungendo.

Francy ed io ci precipitammo all'interno nel modo più veloce che il cigolio della porta ci consentisse.

Quando la porta si chiuse alle nostre spalle, sospirammo di sollievo.

Lì l'unica finestra, davanti ai lavandini, illuminava l'ambiente.

Ci chiudemmo dietro una delle varie cabine, quella più lontana dalla porta. Lo spazio era poco, al centro si trovava giusto il water e lo spazio per noi due.

- Luke non ha ancora detto nulla?

- Forse è ancora impegnato con Joe. Aspetta... - Estrassi il cellulare, confermando la mancanza di nuovi messaggi.

- Cazzo... - Borbottò Francy, palesemente innervosita.

La stessa tensione colse anche me. C'era qualcuno in presidenza e non sapevamo chi; poteva trattarsi della generalessa stessa. Luke teoricamente avrebbe dovuto anticipare il loro arrivo dall'entrata.

- Calmiamoci. Ieri prima di vedere l'e-mail hanno tardato un po' di ore, se Clark l'aveva effettivamente inviata il pomeriggio precedente. - Cercò di rassicurarmi.

Quel che diceva Francy era sicuramente vero, però ero anche sicura che quel giorno sarebbero stati tutti più sull'attenti.

In quell'esatto momento mi arrivò un messaggio. Scattammo entrambe.

- E' Billy, entrano ora in biblioteca. - Bofonchiai, seccata della mancanza di notizie da parte di Luke.

Inviai così un messaggio a tutti gli interessati informandoli di aver trovato la porta chiusa e di essere in attesa in bagno.

Restammo per un numero imprecisato di minuti in silenzio, con i cellulari in mano alla ricerca del minimo segnale.

Nel bagno regnava la calma e, a concentrarci, ci sembrava di sentire ogni tanto rumori al di là della porta, mentre la scuola stessa si risvegliava.

Avevo appena iniziato a mangiarmi le unghie, in un gesto di nervosismo che mi era estraneo, quando gli schermi dei cellulari si illuminarono, il mio dopo una brevissima vibrazione.

- “Ho dovuto aiutare Joe ad aprire la scuola e non mi ha lasciato un attimo. Iniziano ad arrivare studenti. Mi avvicino e aspetto mia zia nei pressi della presidenza”, - lesse sottovoce Francy.

Lo star ricevendo un qualche tipo di notizia ci consolò.

Quella separazione in gruppetti, necessaria ai nostri fini, mi innervosiva per la mancanza di comunicazione diretta.

Proprio mentre stavo iniziando a preoccuparmi perché la scuola si sarebbe riempita man a mano di più, sentii il cellulare vibrare leggero per la telefonata di Billy.

La seconda parte de piano era per lo meno andata a buon fine: le e-mail spam erano state inviate.

Sorrisi alla mia amica e lei ricambiò con un sospiro.

- Alex e Parker non ci stanno mettendo troppo? - Chiese Francy, dopo altri minuti di interminabile silenzio.

In quel esatto momento la porta del bagno si aprì.

Francy ed io ci lanciammo occhiate di puro terrore.

Cercai di riprendermi il prima possibile e le feci cenno di restare in silenzio appoggiando l'indice sulle labbra; controllai nuovamente di aver chiuso la porticina a chiave.

A essere entrate erano state due donne: iniziarono una piccola conversazione distratta, una volta che la porta si richiuse alle loro spalle con un tonfo.

- La preside dovrebbe arrivare presto, no? - Aggiunse una delle due.

- Sì, diciamo è strano che non sia già qui.

Regnò per qualche breve minuto il silenzio, dopo che sentimmo altre due cabine aprirsi. Per fortuna non avevano provato a entrare in quella occupata da noi.

Approfittai del rumore di fondo per abbassare la tavoletta del wc e, seppur non entusiasta, feci cenno a Francy di sederci entrambe lì. Da sotto la porticina di legno che ci divideva dalle altre due donne avrebbero potuto notare i nostri piedi.

Molto piano e complici dei loro rumori, riuscimmo a sederci entrambe e a sollevare le gambe di quanto fosse necessario.

A un certo punto sentimmo di nuovo gracchiare le porte e subito dopo l'acqua scrosciare giù dal rubinetto.

- Comunque sì, è particolarmente strano che oggi non sia ancora arrivata. - Tornarono dopo quella breve pausa al discorso di prima.

- Perché?

- Perché ieri mi era sembrata molto innervosita dalla storia della studentessa minacciata...

- Ne ho sentito parlare da Hilary, ma non ho capito bene cosa sia successo, non ero presente.

- Ah, nemmeno io ho capito molto. Ma riassumendo: dovessi vedere qualche nuova e-mail su questa Evelyne Gray, ricordati di avvisare subito la preside.

L'altra ridacchiò. - Dubito che le troveremo già lì pronte per noi, come un regalo. Quindi prendiamoci un caffè e poi accendiamo i pc.

In quello stesso momento il mio cellulare vibrò. Cercai di mettere immediatamente giù la telefonata di Parker.

- Cos'è stato?

Ci fu una piccola esitazione.

- Boh.

Francy ed io ci scambiammo un'occhiata nel panico e non riuscimmo nemmeno a essere contente di quella chiamata che indicava solo l'avanzamento del piano. Per sicurezza misi immediatamente il cellulare in silenzioso, maledicendomi per aver preferito di accorgermi subito di messaggi e chiamate a discapito della discrezione.

Proprio mentre vedevo le scarpe di una delle donne avvicinarsi a noi, forse chiedendosi all'improvviso perché quella cabina fosse chiusa, sentimmo qualcuno aprire la porta scricchiolante del corridoio.

- Ragazze! Stavo controllando le cose per oggi e... sono arrivate altre e-mail dall'indirizzo di ieri!

Impallidii e, girandomi, notai la stessa reazione in Francy.

I piedi delle donne si allontanarono.

- Davvero?! Di già? Hai letto?

Le voci e i passi si allontanarono rapidamente, dimentiche del rumore sospetto. La porta restò aperta ancora un po', permettendoci di sentire altro.

- No, aspetterei la preside, che dite?

- Forse è meglio, non vorrei combinare un casino.

Da quel momento in poi le voci giunsero ovattate da dietro la porta.

Francy ed io rimettemmo immediatamente i piedi a terra.

- Come facciamo a capire da questo momento in poi quando arriva la preside?! - Chiese, a bassa voce, ma esasperata.

- Era sempre compito di Luke! - Le risposi innervosita col cellulare in mano e, un po' presa dal panico, feci partire una chiamata verso quest'ultimo. Non aveva più scritto nulla e non sapevamo se avesse finalmente raggiunto la segreteria o dove fosse.

- Eve! - Mi sgridò Francy.

Le lanciai un'occhiata che non ammetteva repliche. - Francy, dobbiamo sapere qualcosa, altrimenti...

Mi venne all'improvviso un'idea, un po' folle, presa dal panico, e misi giù al primo squillo, prima ancora che Luke potesse effettivamente rispondere.

- Non penso funzionerà, ma tu rimani qui. - Uscii dalla cabina in cui c'eravamo infilate e prima di chiudermi dietro la porta la guardai: - io farò finta di aspettare la preside. Tengo il cellulare in tasca e appena mi fa entrare in ufficio chiamo Parker. Se dovesse davvero corrergli dietro, dubito che mi lasci lì da sola, ma in quel caso ci penserei subito io a eliminare tutto. Altrimenti, se ti arriva uno squillo da parte mia significa che noi ci siamo allontanate e devi provare tu ad arrivare a quel computer, okay? Se non senti nulla resta invece qua.

- Non sarebbe meglio seguire i piani come da programma? Forse Luke non è in segreteria ma se è dall'entrata può comunque vedere quando arriva la preside.

Scossi la testa. - Ho paura che sia rimasto bloccato da qualche parte, tutto questo silenzio è strano. Comunque se senti sue notizie, procedi tu secondo i piani. Forse non mi avrai come palo ma ce la dovremmo fare. Grazie, Francy!

Chiusi la porta vedendo come ultima cosa il suo viso nel panico.

Io mi avvicinai all'uscita; quatta quatta, aprii leggermente uno spiraglio.

Chiaramente una persona dall'altro lato, facendoci caso, avrebbe visto una porta che misteriosamente si apriva da sola, capendo così tutto, ma ormai c'era poco a cui potessi fare davvero attenzione.

La fortuna aiuta gli audaci e volle che il corridoio mi si presentasse vuoto. Uscii quindi velocemente e, dando occhiate alle varie porte delle segretarie, ora tutte e tre socchiuse, andai oltre, fino alla presidenza.

Sbirciai nella direzione da cui sarebbe dovuta arrivare la generalessa e tentai di nuovo d'aprire l'ufficio.

L'insuccesso nel cercare di ruotare il pomello quella volta mi rassicurò.

Respirai dunque a fondo e mi allontanai, andando verso i divanetti poco oltre, in un'improvvisata sala d'attesa sempre ai lati del corridoio. Dissimulai una specie di tranquillità: la scuola era aperta e come studentessa potevo perfettamente trovarmi già lì ad attendere la preside.

Sentivo intanto dalla segreteria varie voci, ma non potevo capire né di chi, né per cosa fossero.

Passarono vari minuti senza alcun cambiamento. Durante quelli non seppi se pentirmi o meno della scelta che avevo appena fatto. Preparai comunque il cellulare: lo infilai nella tasca della giacca con il numero di Parker già inserito e un dito già pronto a far partire la chiamata. Mi sarei dovuta limitare a schiacciare il tasto verde e speravo così di proseguire col piano senza attirare l'attenzione della donna che mi si sarebbe presentata davanti.

Prima che i dubbi mi potessero portare a cambiare di nuovo idea, sentii nuovi passi e poi voci e vidi arrivare sia la preside della nostra scuola, sia una delle segretarie. Deglutii giù le paure e mi alzai, cercando di essere il più serena possibile.

La preside ci mise un attimo a focalizzarmi e mi guardò prima sorpresa, poi con un cipiglio ironico.

- Evelyne... parlavamo giusto di te.

Me lo sarei dovuta aspettare, dato che la segretaria al suo lato era senza giacca e borsa e chiaramente era andata ad accoglierla direttamente, per comunicarle il prima possibile la notizia che proveniva dalla presidenza.

- Ah sì? - Cercai di simulare perplessità e controllai di sentire ancora bene e con precisione il tasto del cellulare sotto il pollice.

- Sembrerebbe che il tuo... ammiratore abbia provveduto a spedirci altre e-mail.

Sorrisi. - Che buon spasimante.

La preside continuò a osservarmi, non facendo trapelare in che modo considerasse tutti quegli eventi. Finì per oltrepassarmi a passo lento senza mollarmi un attimo con gli occhi e, dopo aver tirato fuori di tasca un mazzo di chiavi, aprì l'ufficio lì vicino.

Io mi avvicinai e mentre la porta si apriva con un sordo ciocco cliccai sul tasto.

Pregai che le mie mani, seppur sudate, non stessero sbagliando.

- Avrei preferito delle rose però, invece di menzogne, - continuai. Una leggera inflessione della mia voce tradiva il nervosismo, ma si trattava di un dettaglio così piccolo che non pensavo la donna di fronte a me potesse notarlo.

Lei poi, più che cercare indizi nella mia voce, sembrava analizzare ogni mio gesto. I suoi occhi parevano perforarmi in tale modo che temetti follemente che potesse vedere all'interno della giacca quel piccolo movimento che le mie dita avevano appena compiuto.

- Adesso vediamo insieme. - Mi fece cenno di entrare e io e la donna che era andata a cercarla obbedimmo

La segretaria corse a tirar su le tapparelle alle spalle della scrivania, mentre la preside spostò la poltrona e accese il computer.

Partii il ronzio sordo del meccanismo di accensione. Io me ne restai impalata lì, ondeggiando da un piede all'altro.

Non potevo controllare che la chiamata fosse andata a buon fine, soprattutto perché rischiavo di dover fare un ulteriore squillo, questa volta a Francy, ed ero consapevole che ogni mio movimento avrebbe potuto determinare la fine del nostro folle piano. Risparmiai quindi l'unica occhiata in apparenza innocua che potessi lanciare al cellulare per un momento successivo.

Intanto sperai che quella mancanza di qualsiasi suono dagli altoparlanti del corridoio alle nostre spalle, non fosse dovuta al fatto che Kutcher e Max fossero stati scoperti o che, quasi peggio, il sistema di trasmissione non funzionasse.

- Come mai eri qui, Gray?

La segreteria si congedò, sorridendo alla preside e fulminando me.

Esitai un secondo, sentendomi in gattabuia ancor prima del verdetto e sperai che quel computer ci mettesse ancora un'eternità prima di essere pronto ad accendersi. - Volevo soltanto discutere di quanto successo ieri.

Per un attimo pensai all'eventualità non considerata fino a quel momento che ci potesse essere anche una password per accedere al computer, ancor prima di quella della casella postale, da noi tutti imparata a memoria grazie a Luke. Mi terrorizzava vedere come tutto stesse velocemente precipitando in un mare di incognite.

Anche si fosse verificato il peggiore dei casi, sperai comunque di non portare a fondo con me tutti i miei amici. Solo per Clark ovviamente non avrei pianto.

- Del tipo? - Continuò la donna, pronta col mouse e sguardo fisso sullo schermo, in attesa di poter procedere.

- Volevo capire se si potesse risalire a chi aveva inviato...

Mi interruppi.

Anche la preside sobbalzò.

Nonostante sapessi già che doveva succede, mi sorpresi ugualmente a sentire il fischio proveniente dagli altoparlanti.

Alla sorpresa si sostituì gioia, ma, mordendomi le labbra, cercai di nascondere l'ampio sorriso che mi sentivo sbocciare in viso.

- Prova? Prova?

Pian piano la voce trasmessa in tutta la scuola si stabilizzò e avrei riconosciuto quella di Max Parker ovunque.

In quel momento non importarono i problemi tra noi, le incertezze, le litigate, le conclusioni a cui ero arrivata, la mancanza di un futuro che prevedesse un “noi” insieme. Sentii solo di amarlo e lo ringraziai per avercela fatta.

- Cosa? - Gracchiò la preside, sorpresa come l'avevo vista solo quella volta nello sgabuzzino. Non pensavo si fosse ancora resa conto di chi parlasse, ma era davvero sempre Parker a tirarle fuori quelle emozioni così tremendamente umane.

- Sì, direi che si sente. Buongiorno a tutti! Manca ormai poco all'inizio delle lezioni, spero che siate già numerosi qua a scuola; io intanto vorrei ringraziare la nostra amabile preside per lo spazio personale che mi ha gentilmente concesso.

Max partì a manetta, come un vero e proprio speaker radiofonico e mi scappò quasi da ridere, anche se la situazione era tragica.

- PARKER?! - Urlò la donna di fronte a me. Aveva lasciato cadere il mouse a terra dalla sorpresa e il computer ronzava sempre meno, ormai probabilmente acceso, ma completamente ignorato.

Si mosse dal posto e fece per correre fuori, infuriata come non mai. Solo passandomi di fianco si ricordò di me.

- Gray, seguimi immediatamente, - ordinò fulminandomi.

Io soffocai di nuovo il sorriso. Purtroppo avevo ragionevolmente previsto quell'ulteriore esito, ma avevo sinceramente sperato di poter essere lasciata lì da sola.

Ovviamente annuii, non potendo fare altrimenti, e seguii la preside al di fuori dell'ufficio.

Intanto Parker aveva continuato a blaterare a ruota libera.

Pensai in quel momento che non si era minimamente discusso su cosa avrebbe dovuto dire. L'obiettivo infatti era prevalentemente attirare la donna e per farlo doveva semplicemente non smettere di parlare: per il resto si erano tutti fidati della logorrea di Parker.

Dopo un inizio altalenante tra sport e meteo, il tutto sparato a mitraglia come dal presentatore che deve concludere qualcosa di importante prima dell'inevitabile arrivo della pubblicità, Max tacque per un paio di secondi.

Noi eravamo quasi a metà tragitto da quanto la preside correva e, alle sue spalle, con molta più facilità del previsto, avevo già fatto la chiamata dovuta a Francy.

Ero sempre più entusiasta: la donna non aveva chiuso a chiave la porta del suo ufficio ed ero riuscita a informare la mia amica senza il benché minimo ostacolo.

Incrociammo vari studenti che ascoltavano ridendo tutto quel teatrino e ormai riempivano numerosi i corridoi.

Immersa in quei pensieri, capii con ritardo quello che Parker aveva nuovamente iniziato a raccontare: solo quando sentii il mio nome mi risvegliai.

Ormai eravamo praticamente dall'aula, ma Max aveva iniziato un nuovo discorso.

- E' ormai questione di pochi secondi prima che mi blocchino. Però volevo approfittare di questo spazio per dire una cosa a Evelyne Gray. Ho paura infatti che non mi voglia più stare a sentire faccia a faccia e quale metodo migliore di questo per costringerla a prestarmi di nuovo attenzione?

- Evelyne! Sei in combutta con lui?! - Mi gridò la preside, svoltando in uno degli ultimi corridoi. Non fui in grado di risponderle, troppo sorpresa.

Dietro l'angolo incrociammo Joe e Kutcher; quest'ultimo tenuto fermo dal bidello per il colletto della felpa. La differenza di altezza era ridicolarmente a favore di Alex, ma, in quel modo, il secondo sembrava un bambino appena beccato con le mani nella scatola dei biscotti.

Nonostante la situazione, mi fece un cenno di saluto con un sorriso a trentadue denti; la preside ordinò con un gesto secco a entrambi di attenderci lì.

- Ieri Evy ed io abbiamo litigato. Litighiamo sempre. Mi sono sempre divertito a stuzzicarla e a prenderla in giro. All'inizio non ero serio, ma poi è diventato sempre più un modo per averla vicina.

Avvampai, ormai a bocca spalancata e scoccando occhiate a ogni altoparlante che incrociavamo.

- Questa volta abbiamo litigato ed è stato diverso. Per questo lo voglio dichiarare come penitenza davanti a tutta la scuola: scusa Evy, a me piaci davvero da morire. E con questo non voglio dire quello che normalmente avrei detto per qualsiasi altra ragazza, ma, davvero, io...

Non potei sentire il continuo. La generalessa spalancò la porta dell'aula multimediale in quel momento, interrompendo “Radio Parker”.

Si sentì qualcosa volare per aria: forse un banco o una sedia che erano stati appoggiati contro la porta per ostacolare l'entrata. Tutto fu però scaraventato via senza molta fatica dalla furia della generalessa.

- Ops, - scappò di bocca a Max, col microfono in mano, appoggiato alla scrivania dell'aula. - Preside, glielo giuro che ho avuto un lapsus: volevo parlare di lei e non della Gray. Non sia gelosa. - Ammiccò e fece risuonare anche quelle parole al microfono.

La donna gli si scagliò contro; io, alle sue spalle, ormai rossa e sciolta come lava fumante, guardavo Max incredula.

Incrociai brevemente i suoi occhi, prima che Hitler lo sbattesse fuori dall'aula al suo seguito.

Mi guardò sorpreso, il verde nei suoi occhi limpidissimo. Inclinò le sopracciglia con fare interrogativo mentre la preside lo spintonava avanti e gli faceva perdere ogni nota di divertimento dalle labbra e dallo sguardo.

- Voi due! Non so cosa aveste in mente di fare, ma l'ho capito che c'è qualcosa sotto, - rimbeccò la preside furente. - Kutcher! Tu, a rapporto insieme a loro!

Troppo scombussolata, capii in ritardo la reazione di Max: io avrei dovuto essere in presidenza a cancellare l'e-mail, non di certo lì. Cercai di riprendermi e scandii un “ti spiego dopo”. Lui purtroppo sembrò preoccuparsi e quell'ulteriore reazione mi fece riprendere contatto col pianeta terra.

Sperai che a Francy fosse andato tutto liscio.

- Muovetevi!

Alex si unì staccandosi da Joe e sbuffò.

Ci avviamo tutti a passo di marcia verso l'ufficio della generalessa, in totale silenzio. Feci fatica anche a scambiare qualsiasi altro cenno d'intesa con gli altri due, dato che la donna osservava ogni nostro gesto in modo nervoso.

Quando svoltammo nella presidenza, quello che trovammo davanti a noi andò contro ogni mia qualsiasi previsione.

C'era Francy, a braccia incrociate, con lo sguardo a terra, una segretaria di fianco a lei con un cipiglio severo.

Quella vista mi fece impallidire.

- Cos'altro è successo qua?! - La preside stava dando chiaramente di matto.

Noi quattro ci scambiammo occhiate silenziose seppur eloquenti.

- Ho visto questa ragazza uscire dal nostro bagno. Non ho nemmeno idea di quando possa essere entrata.

- Mi serviva il bagno... - Sbuffò Francy, simulando bene il fastidio.

- Preside, era semplicemente con me ad aspettare ed è andata in bagno urgentemente prima che lei arrivasse... - Provai velocemente a giustificarla, ma la donna mi fulminò.

- Continuo a non capire cosa abbiate voluto combinare, ma ora voglio tutti e quattro dentro il mio ufficio.

Si interruppe e il suo sguardo fisso alle nostre spalle ci portò a girarci: Billy e Clark, d'impeto, smaglianti, avevano appena svoltato l'angolo.

Vedendo la situazione si bloccarono perplessi. Clark accennò anche un dietro-front dopo aver rapidamente squadrato la generalessa.
- Perché?! - Mi uscì, incredula, e mi tappai subito la bocca, sollevando entrambe le mani.

- Anche voi! Filate dentro! Tutti e sei! - Urlò la preside indicandoli.

- Ma noi in realtà... - Provò a spiegare Billy.

Non servì e la preside ripeté solo l'ordine, indicando il proprio ufficio.

Stipati in quel modo, ben sei ragazzi si ritrovarono davanti alla preside. Non potevamo nemmeno accomodarci essendoci solo quattro piccole poltrone, su cui in realtà nessuno di noi ebbe il coraggio di prendere posto.

Io intanto cercai come gli altri di lanciare sguardi a Billy, per chiedere silenziosamente spiegazioni.

Lui però sembrava solo comunicarci di far attenzione alla preside in quel momento e il suo sguardo non si perse nemmeno un secondo su di noi.

- Io non so davvero cosa voleste combinare.

La donna prese posto dietro la scrivania. Non ci aveva perso di vista nemmeno un secondo.

- E vedo anche come vi guardate, bimbetti. Lo vedo che siete nervosi e che qualcosa è andato storto. - Ci squadrò, uno ad uno.

Mi resi conto del mio probabile comportamento e cercai di acquistare il controllo della situazione. Non aveva senso cercare di capire in quel momento cosa fosse successo a Billy e Clark per essere venuti lì così a cuor leggero. Non capivo nemmeno dove diavolo fosse finito Luke, l'unico mancante all'appello.

Quindi feci due passi in avanti e mi lasciai cadere su una delle sedie a disposizione.

- Signora preside... penso che lei abbia frainteso. Io volevo solo parlarle; Francy era qua con me, okay, ma io non avevo la minima idea di quello che Parker e Kutcher avessero intenzione di fare. Poi non capisco nemmeno perché Hans e Clark siano qua, eppure non penso sia un crimine dirigersi verso la presidenza, o sbaglio?

- Mi pensi stupida, Gray? - La generalessa stava riacquistando la sua pace mentale e le sue espressioni non trasparivano più con chiarezza i suoi pensieri.

- Ho visto lo sguardo di Parker al vederti. Ho visto il tuo al trovare la Reeds qui. Ho visto Hans e Clark sorpresi di trovarvi con me.

Max si mosse e si sedette nella poltrona di fianco alla mia.

- Io volevo semplicemente scusarmi con Evelyne per la litigata di ieri, dovuta alla storia dello sgabuzzino. Il metodo è stato discutibile, ma non penso sia la prima volta che le faccio saltare i nervi per qualche scelta avventata, signora.

- Parker, ti sei dovuto procurare delle chiavi di prima mattina per poter fare questo. Non so nemmeno come e quando. Temo quasi che tu sia entrato prima del bidello stesso.

Max fece spallucce, mimando una faccia che sembrò quasi seriamente sarcastica. - Se l'ho fatto evidentemente non richiedeva così tanto sforzo l'impresa, no?

Billy appoggiò le mani dietro allo schienale di Parker.

- Noi abbiamo solo sentito la trasmissione di Max e siamo venuti a vederne le conseguenze. Giusto per ridere un po'. Non ci aspettavamo di trovare il corridoio così affollato e abbiamo pensato di tornar indietro per non essere d'intralcio.

La preside a questa nuova obiezione esitò un attimo.

- Beh... - Riacquistò subito la proverbiale decisione e si chinò dietro la scrivania per riportare sopra al tavolo il mouse caduto in precedenza. - Adesso vedremo. Io ho qualche sospetto, però se è tutto come dite voi non avrete motivo di preoccuparvi. Sarà solo una coincidenza che mi sia stato riferito giusto oggi dell'arrivo di nuove e-mail dal curioso ammiratore di Evelyne. Controlliamo insieme cosa dicono. - E ci sorrise, glaciale, guardando ogni nostra espressione.

Io cercai di restare il più impassibile possibile; sperai che gli altri riuscissero a fare lo stesso, ma chiaramente non potei indagare, rischiando altrimenti di insospettirla ulteriormente.

In realtà iniziai a sudare freddo. Se eravamo tutti lì, se Francy non era nemmeno riuscita ad avvicinarsi a quel computer, significava che tutto, davvero tutto era ancora lì in quel server.

Era fattibile sperare che quella più vecchia, l'unica incriminante, le sfuggisse?

Ovviamente no.

- Bene. Noto del piacevole silenzio ora. Coincidenze anche queste immagino.

La vidi sorridere quasi sadica e sentimmo cliccare col mouse varie volte. Inserì digitando sulla tastiera quelle che erano probabilmente le credenziali.

Poco dopo ci lanciò uno sguardo, entusiasta e pieno di aspettative: seguì un primo “click”.

La prima e-mail era stata aperta.

In teoria, secondo i piani, i ragazzi avrebbero dovuto inviarne circa una decina.

Sentii le mani sudarmi sempre più. Con la coda dell'occhio vidi anche Max, al mio fianco, mostrare segni di nervosismo con la gamba.

La preside evidentemente non trovò nulla e, con una strana smorfia, aprì probabilmente la seconda e-mail. Poi la terza, la quarta, la quinta, la sesta.

- Ma è una presa in giro? - Esclamò.

Deglutii, cercando di riprendermi. - Potrei sapere cosa dicono? Dato che sono bugie che mi riguardano in prima persona. - Ebbi la faccia tosta, quasi credibile, di aggiungere.

La donna non rispose, lanciandomi però uno sguardo accigliato.

Per la settima volta si sentì il click e l'attimo di attesa per la lettura. Ottavo click, nono... E decimo.

Si bloccò di nuovo.

- Ci sono foto.

Quasi sobbalzai, la mano di Max si appoggiò, calda e rassicurante, sopra il dorso della mia. Mi strinse forte e mi sembrò di essere abbracciata.

- Foto di gatti.

Il tremore che mi aveva avvolta si fermò.

Accigliata come non mai, la preside iniziò a spostare il mouse con foga.

- E' tutto qui? Dieci inutilissime e-mail, intitolate Evelyne Gray, con dei gattini?

Ero incredula, così tanto che continuai a non notare la presa di Max.

Regnò il silenzio nella stanza, interrotto da due risate: quella di Billy e quella di Clark.

Ci girammo tutti, ammutoliti, verso di loro.

- Scusi, preside... - Cercò di giustificarsi Billy, con quasi le lacrime agli occhi. - E' che sembrava fosse successo chissà che cosa, che ci fosse stata chissà quale combutta e in realtà... Si è preoccupata per dei gatti...

Anche Clark rideva e, nella risata, mi lanciò un'occhiata un po' pentita, un po' divertita. Sguardo che poteva permettersi solo perché consapevole che la situazione era stata risolta.

Ma come? Da chi? Da loro due? Non erano stati in biblioteca?

Nel mezzo del panico che evaporava via come acqua, mi ricordai di Luke.

Era stato lui.

Sorrisi, girandomi anch'io verso la preside.

- Bene... Quindi... Forse si tratta davvero di un ammiratore segreto: i gatti ultimamente mi piacciono molto. - E risi.

Sentii la mano di Max stringere scherzosamente la mia. Mi ricordai di quel contatto e lo guardai, entusiasta per quell'esito. Anche lui sorrideva.

- In effetti hai modestamente un bellissimo gatto.

Scossi la testa in sua direzione e pian piano a ridere dell'intera situazione furono anche Alex e Francy.

L'unica a non trovare il tutto molto divertente era chiaramente Hitler.

Si portò silenziosamente le mani in viso, come per pensare.

Noi a vederla così pian piano ci zittimmo di nuovo, in attesa della sua reazione.

La mano di Max scivolò via dalla mia e notai in quel momento come anche la sua presa fosse stata sudata per l'agitazione.

- Non so cosa sia successo. Non sono ancora convinta della vostra spiegazione. Ma andatevene a lezione prima che cambi idea. - Sospirò in segno di resa e ci guardò scettica da oltre gli occhiali sottili.

- Grazie, signora preside, - rispondemmo in coro.

Uscimmo dall'ufficio e nessuno fiatò finché non fummo nell'atrio scolastico, ora pieno di gente.

In mezzo a quel caos, in un angolo, finalmente si iniziò a parlare.

- Cos'è successo? - Chiese Francy, ridendo, ebbra anche lei per l'entusiasmo. Incrociò il mio sguardo e mi abbracciò.

In quel momento, quasi dal nulla, vedemmo dei ciuffi rossi spuntare tra Billy e Alex. Luke si fece così spazio tra noi.

- Ragazzi! Ma che casino avete fatto?

- Tu piuttosto che fine hai fatto?! Io e Francy stavamo aspettando tue notizie in bagno; abbiamo improvvisato e sono uscita allo scoperto io.

Luke, soddisfatto come l'avevo visto poche volte, scosse la testa.

- Scusate, colpa mia. Dopo avervi inviato il messaggio ho incrociato subito mia zia e l'ho seguita direttamente: non potevo stare al cellulare visto che già non era particolarmente entusiasta che andassi ad aiutarla subito di mattina così presto. Comunque l'ho convinta, seguita e, dopo averle acceso il computer, è stata proprio lei a vedere per prima quell'e-mail.

Francy sobbalzò. - Ma allora era lei la donna che è entrata in bagno per avvisare le altre!

Luke annuì, gongolante. - Esatto! E ho approfittato giusto di quell'assenza per cancellare la prima e-mail. Tempo di far quello ed era già tornata. Per fortuna non mi ha visto, ma chiaramente ho dovuto finire il lavoro e non riuscivo ad avvisarvi. Solo con tutto quel bordello che avete scatenato con l'altoparlante mia zia ha finito per cacciarmi. Ho mandato pochissimo dopo il messaggio, ma a sto punto capisco che Francy si fosse già messa allo scoperto. Era inevitabile che la beccassero, si erano tutte agitate in segreteria per quel che stava facendo Parker.

- Nemmeno noi abbiamo letto nulla: io ero troppo impegnato a parlare e Kutcher era sotto sequestro del bidello... - Si rese conto Max, tirando fuori il cellulare.

Fu imitato da tutti noi e vedemmo effettivamente quello che Luke ci aveva appena spiegato: il messaggio della vittoria.

- Gli unici ad esserne a conoscenza eravamo evidentemente noi. - Ne rise Billy. - Eravamo già di ritorno a scuola, siamo andati diretti verso la presidenza perché non vi trovavamo dall'entrata. Peccato che ci siamo persi il monologo di Max...

Capii perché i due fossero stati relativamente calmi fin dal primo momento nell'ufficio della preside, al contrario di noi altri.

- Non so nemmeno come, ma sembrerebbe che ce l'abbiamo fatta, - blaterai, incredula.

In quel momento suonò la prima campanella che avvertiva dell'inizio delle lezioni.

Ognuno di noi si scambiò un'occhiata con ogni membro di quel gruppo improvvisato.

- Vi ringrazio, - dissi finalmente, un po' in imbarazzo e gli occhi tutti si posarono su di me. - Mi dispiace se ci saranno conseguenze visto che la preside sospetta di noi; mi dispiace se... Parker verrà punito, - borbottai, faticando a pronunciare il suo nome. - Però vi sono immensamente grata per quel che avete fatto per me oggi. Con te decisamente meno, Clark, - aggiunsi alla fine, un po' ridendo e un po' no, cercando di alleggerire l'atmosfera.

Seth alzò gli occhi al cielo. - La mia parte l'ho fatta. Non è successo nulla alla fine.

Fu interrotto dallo schiaffo di Billy sulla nuca. La restante parte del gruppo lo ignorò mentre lui si lamentava per il dolore.

- Non ci devi ringraziare, Eve. E' stato come proteggere una parte di me, figurati se permettevo una tua espulsione, - cantilenò Francy e mi prese a braccetto. Ricambiai la stretta, sentendo i suoi capelli contro la guancia.

- Dovevamo tutti rimediare al... pasticcio del nostro amico, - aggiunse Alex.

- Si spera di esserci riusciti, - disse Billy e dal sorriso sghembo capii che si trattasse dell'ennesima insinuazione.

- Avremmo poi dovuto chiudere il giornalino scolastico, senza te. - Fu la replica di Luke, incapace come sempre di mostrare i propri sentimenti.

Risi. - A proposito, penso che toglierò la foto del mese, - informai, un po' più seria con quelle parole. - Forse è ora di crescere e chiuderla con tutto ciò che mi ha portato guai.

Più o meno tutti facemmo qualche passo nel corridoio verso le aule.

Nessuno rispose a quel che avevo detto: senza volere sembrava che avessi dato uno spunto di riflessione a tutti noi; ma ero pur consapevole che da quella frase ognuno avesse tratto conclusioni diverse per se stesso.

Mentre ero immersa in quel turbinio di eventi, iniziammo a separarci e non pensai a molto finché non sentii una presa sul braccio non occupato dalla presenza di Francy.

Mi girai trovando inevitabilmente Max Parker.

Sentii Francy vibrare al mio fianco, come un gatto che si inarca e rizza i peli alla presenza di un altro animale sgradito.

- Sì?

- Se vuoi ringraziarmi davvero per quel che è successo oggi, ricordati che dobbiamo parlare.

Guardai davvero il ragazzo di fronte a me. Come sempre mi sormontava in altezza e la soggezione che mi trasmetteva mi riportava a tanti mesi prima.

Il viso era quello che conoscevo, così come gli occhi. Ripensai al sorriso che ci eravamo scambiati in presidenza; alla sua mano.

Anche la voce calda era quella di sempre. La ricordai mentre veniva trasmessa in ogni angolo della scuola.

- Parker, le puoi dare tempo? - Intervenne Francy vedendo come esitavo.

- Reeds, magari la smetti di parlare al posto suo? - Ribatté Parker. Vidi tutta l'urgenza nel suo volto e nel suo tono, ma la risposta a Francy mi irritò.

- Dopo scuola, - risposi, chiudendola lì e tornando a camminare.

Avevo cercato di restare calma, ma dentro me stessa una calamità aveva già stravolto tutto.

- Ho detenzione dopo le lezioni e io ho bisogno di tempo. - Non si arrese, riprendendomi per il gomito. - Aspettami, per favore.

Mi girai, incrociando i suoi occhi così vicini ai miei.

Avevo imparato a conoscere ogni espressione di Max in tutti quei mesi e, anche se ero arrivata a dubitare di tutto il giorno prima, non potei non ammettere che il vento che vedevo agitare il prato dei suoi occhi fosse sincera tristezza.

Ricordavo a che conclusioni fossi arrivata e sapevo anche di non voler scendere più a patti con me stessa, ma dopo quel che era di nuovo appena successo, la risposta poteva essere solo una.

- Okay, - risposi alla fine. - Ti aspetterò.

Sentii Francy agitarsi al mio fianco, ma, per quanto potesse essere protettiva nei miei confronti, anche lei era consapevole della necessità di un confronto tra me e Parker.

Non mi sentivo ancora pronta ad affrontarlo e a subirne le conseguenze, ma ero d'accordo con Max: il trascorrere dei giorni avrebbe solo peggiorato le cose, allontanandoci dalla verità e prolungando la mia agonia.

Se anche lui stesse soffrendo come me non mi era dato saperlo, ma un tremolio sotto pelle spingeva per riemergere alla luce. Tremore che si nutriva dei ricordi felici, delle sue frasi quella notte stessa e di quello che aveva detto all'altoparlante.

Il mio incubo personale, nei panni di quel ragazzo castano dagli occhi verdi, mi guardò profondamente, finché un piccolo sorriso non gli illuminò i lineamenti.

- Grazie, a dopo.




Nota autrice:

Eccomi di nuovo qua, non sono sparita un'altra volta come qualcuno di voi avrà sicuramente temuto! Ahahah
Grazie prima di tutto per avermi accolta ancora con così tanto calore, ve ne sono veramente grata. Sono stata sorpresa dal numero di recensioni e dai commenti positivi anche su fb :) 
Do poi il benvenuto ad eventuali nuovi lettori! Spero che la storia stia piacendo e come sempre mi auguro di ricevere un qualche tipo di feedback (mi trovate anche su fb - Josie Efp, gruppo Punizione divina - o anche per messaggio privato)
Allora, questo come vedete non è ancora il capitolo finale, come sempre sono troppo lunga e in queste settimane ho allungato il capitolo e deciso di fare così. Penso di chiudere con il prossimo, che è ancora in fase di scrittura, ma non anticipo nulla perché non si sa mai cosa possa tirare fuori la mia testolina. (insomma, in teoria col prossimo chiudo, ma magari al prossimo aggiornamento vi dico "ehehe mancano ancora 5 capitoli, ma ok" ahahah)
Volevo commentare poi questo capitolo facendo riferimento a una recensione che ho ricevuto e apprezzato molto: mi è stato detto che il senso del capitolo scorso era probabilmente da rinvenire nella preparazione di un colpo di scena, che sotto tutti gli avvenimenti ci fosse un indizio celato che portasse alla colpevolezza di qualcun altro. Invece semplicemente è stato Clark, come ormai si poteva ben anticipare; il senso dello scorso capitolo, di tutto quel dolore qual è stato dunque? 
A parte far chiaramente avanzare la storia, con sviluppi che vedremo prossimamente, lo scorso capitolo, così lungo, con così tanti pianti e sentimenti, serviva a far crescere Evelyne, a farla arrivare alle conclusioni di questo capitolo. Tutto quel dolore infatti l'ha cambiata. Vi ricordate com'era Eve prima dell'episodio della foto? Perché tra tutto quel che è successo, e la mia pausa lunghissima, potremmo dimenticarcelo. ma Eve era a nascondersi in uno sgabuzzino con Max, ad accettare di non parlarci nemmeno per godersi i baci e gli abbracci, rinunciando a capire cosa fossero loro. Rendendosi conto che lui non poteva prenderle la mano (le ha chiaramente detto che non può perché è convinto che a prendere per mano qualcuno poi si arrivi a perderlo), che lui pensava a lei, la desiderava, ma poi? Ulteriori conclusioni erano solo tratte da lei deliberatamente. Max le ha detto fin dall'inizio di non credere all'amore. Però le bastava.
Evelyne ora ha sofferto e, anche se Max ha fatto tutto per il suo bene, non si può fare più marcia indietro e tornare ad essere quelli che si godono il momento insieme, quelli che si baciano e basta. Non sono più le persone che erano prima di questo episodio.
Riusciranno a trovare un nuovo punto di incontro? O ormai è perduto tutto? Evelyne si è fatta troppo male? Max non può darle quello di cui lei ha effettivamente bisogno? Evelyne sa che è così ora.
Al prossimo capitolo, carissime. (tra circa due settimane)
Un bacione.

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Capitolo 32
*** Bene e male ***


Scusate per l'attesa.

L'ultimo capitolo :)

 

 

31.Bene e male

 

 

Tornare a lezione dopo quel che era appena successo non fu chiaramente qualcosa di semplice.

Ero corsa alla prima ora di storia con solo il libro di testo che di solito conservavo nell'armadietto. La mia tracolla era infatti ancora nella macchina di Francy e avrei potuto recuperare il mio materiale scolastico solo al cambio d'ora.

Ma non era per l'assenza di matite o penne con cui prendere appunti che i miei pensieri si ritrovavano a vagare per quell'aula e per l'intera scuola.

La mia testa volava perché mi sentivo libera.

Quel che avevo fatto nel corso degli anni non era stato cancellato dalla realtà dei fatti, ma era come se finalmente mi fossi allontanata dalle foto, dai compiti copiati e da quel che follemente avevo iniziato a fare in passato.

Al termine della lezione, di cui non avevo ascoltato una singola parola, andai verso il banco di Clark: l'unico del gruppo di quella mattina a condividere l'ora con me.

Mi guardò e il suo stesso viso non seppe come comportarsi: in parte le sopracciglia si stropicciarono per il fastidio di dovermi parlare ancora; dall'altro lato i lati della bocca gli si sollevarono in un abbozzo di sorriso.

- Sì, Evelyne?

Già l'utilizzo del mio nome al posto del cognome indicava una certa mansuetudine che apprezzai.

- Tra noi è tutto a posto, ora? - Chiesi, quasi stupidamente.

Sapevo di aver appena chiuso davvero con quella parte del mio passato, ma ne ero troppo sopresa per crederci davvero. Ero incredula e lo ero stata per tutta quell'ora, non potendo realizzare che ce l'avessimo fatta.

La parte superiore del suo viso vinse e mi guardò con sospetto, imbronciato.

- Mi prendi in giro? Sì, è tutto a posto. Mi dispiace, - borbottò, un po' a fatica. Si notò che le cose ormai si fossero davvero risolte dal modo in cui masticò la parola in bocca, con fastidio. - Non parliamone più. Sono contento davvero che le cose siano finite bene per tutti noi, ci sarei finito in mezzo anch'io alla fine. Ho voluto strafare. Ti direi che non so cosa mi sia preso, ma non sarebbe vero. So perché l'ho fatto, ma era sbagliato. Non farmelo ripetere troppe volte...

- Non volevo accusarti di nulla, Clark... - Sospirai, ignorando i suoi toni che avrebbero potuto facilmente farmi salire il sangue alla testa. - Voglio solo confermare che possiamo andare avanti e che davvero quel che è successo è stato cancellato. Non saremo mai amici, ma in queste ore sei stato mio alleato e di questo te ne sono grata.

Si grattò la testa, a disagio; però il sorriso leggero che gli si dipinse sulle labbra tradiva una certa soddisfazione.

- Penso di aver fatto riserva delle tue scuse e dei tuoi ringraziamenti per il resto della mia vita...

Mi uscì un piccolo verso divertito.

Mi osservò bene per un po', poi allungò la mano in mia direzione. Il palmo inclinato, la mano aperta.

Esitai un attimo e gliela strinsi.

- Pace? - Blaterò, quasi gli costasse fatica pronunciare quella parola così breve e all'apparenza così semplice.

Mi limitai a sorridere.

Uscii dall'aula sentendomi alleggerita.

Ora potevo dire di aver definitivamente chiuso quel capitolo della mia vita. Clark avrebbe sicuramente dovuto far pace con un lato di se stesso, ma io non avrei dovuto averci più a che fare per il resto dei miei giorni.

Fui raggiunta poco dopo da Francy; andammo a prendere le nostre borse insieme, nel parcheggio, nella breve pausa tra un'ora e l'altra.

Facemmo fatica a parlare per la prima metà del viaggio, ognuna di noi persa nel proprio mondo.

- Davvero toglieremo la foto del mese? - Chiese, dopo poco, mentre ci dirigevamo di nuovo verso scuola.

Arrossii lievemente e poi la guardai. - Non avrei voluto dirlo così senza prima consultarvi, lo so. Però sì, è quello che voglio fare. Manca poco più di un mese alla fine dell'anno scolastico e mi sento già fortunata a potermelo godere serenamente: a pensare agli esami finali, alla richiesta di borse di studio, alle candidature da inviare alle università in queste settimane. In realtà quell'angolo di giornale è parte del motivo per cui siamo arrivati a stamattina, per questo lo voglio eliminare con oggi.

- Sono Clark e Parker il motivo di stamattina, - ribatté Francy, un po' piccata.

Scossi la testa, cercando di ignorare come mi facesse sentire la sola nomina del secondo ragazzo; avevo deciso di affrontare un problema per volta.

- No. O meglio, è anche colpa loro, ma se avessi seguito un certo tipo di morale fin dal primo momento, nulla di questo sarebbe accaduto. Mi piace chi sono stata fino all'altro ieri e non pretendo di essere diversa oggi, ma sento che Evelyne, ora, trova sbagliato pubblicare foto di altri per incassi e successo. Le vendite mi hanno sicuramente aiutata a piacere alla preside e a prendere la borsa di studio, ma non è stato il metodo giusto da utilizzare, non per la persona che voglio diventare.

Francy mi guardò seria. - Ho capito. E' possibile che ti veda già una donna matura, Eve?

Risi. - Non dirlo così! Già faccio fatica a prendermi sul serio io; in una notte purtroppo non si diventa adulti.

- In una notte no, ma con gli eventi sì. - Mi afferrò di nuovo il braccio e con un sorriso soddisfatto si avvicinò.

Meditai su quel che era successo. Mi rendevo conto anch'io che in effetti quei due giorni mi avessero insegnato tanto su me stessa, forse di più di tutti quei mesi e anni messi insieme.

- Comunque grazie, Francy. Voglio precisare che la foto non è più quello di cui abbiamo bisogno per il giornalino, ma sono grata a quell'idea per avermi permesso di conoscere te.

Si bloccò. - Si vedeva così tanto che stavo pensando a quello? - Cercò di ridacchiare per alleggerire la situazione.

- Stupida! - La sgridai, abbracciandola stretta.

Sbuffò e il suo fiato mi agitò brevemente i capelli.

- Sì, un po' lo sono. Però prova a capirmi.

- Tu devi capire me! Non so come avrei fatto senza di te in questi anni, davvero. Sei stata indispensabile per me sia come presidente del giornalino scolastico, sia come Evelyne... Voglio togliere la foto del mese per il bene mio e di tutti, ma tornassi indietro la rimetterei cento mila volta solo per conoscerti di nuovo, Francy.

- Dai, Evelyne! - Si staccò e me la ritrovai davanti con gli occhi lucidi. Anche quello era una vista rara.

Il giorno prima mi si era definitivamente aperto il rubinetto e, a vederla così, iniziai a sentire gli occhi gonfi anch'io.

- Non so come avrei fatto io senza di te, Eve! Sei stata la mia prima e unica vera amica qua a scuola...

- Sai che è lo stesso anche per me!

- Ma è diverso! Tu avevi il giornalino, lo studio, le tue cose a cui pensare... Lo so che anche senza di me saresti comunque andata avanti e saresti stata felice...

- Francy, ho mille esempi da farti, solo dell'ultimo anno, di situazioni dalle quali non sarei uscita viva o mentalmente sana senza di te... - Risi, col groppo in gola però. - Non ci credo che ti sottovaluti così tanto. Io avevo bisogno di trovarti.

Mi strinse più forte. - Lo stesso vale per me, lo sai.

- Mi mancherai all'università, Francy...

- Smettila, stupida! Siamo ancora al liceo e... e c'è tutta questa estate...

Come delle idiote però iniziammo a piangere, tenendoci abbracciate davanti all'ingresso della scuola.

Forse qualcuno dal cortile, dal parcheggio o dalla palestra ci guardava perplesso, non potendo capire cosa fosse successo. Magari immaginavano una discussione, un fraintendimento...

Noi però eravamo ben consapevoli di quel che stava accadendo: stavamo crescendo e, anche se lontane, anche se con mille difficoltà, anche se avessimo preso strade diverse, speravamo solo di poter restare l'una nella vita dell'altra.

 

 

 

Arrivò la fine della giornata scolastica con una certa serenità.

Era divertente notare come la scuola continuasse a vivere come se nulla fosse successo, mentre invece sei dei suoi studenti avevano cercato di violarla quella mattina stessa.

Nessuno si era accorto di niente, né alunni né professori, e le pareti e le aule dell'edificio fingevano indifferenza.

Quel discorso chiaramente non valeva per Parker.

Ero al mio armadietto a sistemare le cose e pensavo a quel che era accaduto anche a pranzo.

Chiaramente l'unico fatto di quella mattina che fosse noto a tutti era la trasmissione tramite altoparlante del monologo di Parker.

Avevo sorpreso molte ragazze e ragazzi a guardarmi: chi sorridente, chi curioso, chi sorpreso, chi chiaramente irritato.

Capivo che il comportamento di Max potesse non avere senso ai loro occhi e si chiedevano probabilmente come facessi a finirci sempre di mezzo io. Un po' me lo chiedevo anch'io.

Anche per la preside il comportamento di Parker non aveva avuto senso, ma sapevo che aveva richiamato Max durante la pausa pranzo e immaginavo che per lo meno le settimane di detenzione si fossero prolungate.

A dirmelo era stato Billy. Si era avvicinato proprio a mensa e quel suo movimento aveva attirato gli sguardi dell'intero istituto.

Mi aveva spiegato, un po' divertito, dell'ennesimo richiamo e poi come al solito aveva cercato di deviare l'argomento sui miei sentimenti nel modo più ambiguo possibile.

- Billy, lasciami stare.

L'avevo chiusa così, seriamente scocciata; al che lui si era limitato a sorridere in segno di resa.

Avevo evitato anche di toccare l'argomento con Francy ed Emily. Emily mi guardava non capendo, ignara di molti dettagli, ma sperando che io e il ragazzo facessimo pace, conquistata da Radio Parker quella mattina; Francy sbuffava e digrignava i denti, simile a un cane rognoso, completamente infuriata con Max.

Nonostante fosse Francy quella più aggiornata e quella più vicina a me, avevo insistito per evitare di sapere la sua opinione al riguardo.

Per quanto fosse arrabbiata con Parker e per quanto potesse pensare al mio benessere, sapevo che anche nella sua testa i sentimenti si mischiavano in un turbinio colorato, non permettendole di capire cosa fosse meglio per me.
Io stessa non lo sapevo.

Spesso per le questioni di cuore, ridevo un po' a definirle così, il punto di vista esterno è quello più utile: si vede tutto con distacco e freddezza e si riesce a bilanciare meglio, in maniera oggettiva, il “bene” e il “male”.

L'avevo sempre pensata così.

Però Max ed io non potevamo essere studiati col misurino. Ci eravamo fatti tanto male e tanto bene, uscendo da qualsiasi schema standard.

Io comunque ero sempre più convinta delle conclusioni che avevo tratto la notte precedente e proprio quelle mi stringevano lo stomaco in una morsa ferrea.

Da un lato ero entusiasta e certa: mi sarei messa finalmente al primo posto, sul piedistallo. Non ero disposta a soffrire di nuovo, a cercare baci e carezze e contemporaneamente a non parlare, a non ascoltare, a non vedere.

Non volevo essere amica di Parker.

Non mi accontentavo dell'affetto.

Non accettavo altri giochetti.

Niente più bugie. Niente più vie di mezzo.

Volevo essere amata, volevo qualcuno che stesse con me. Insieme a me. E volevo che fosse Max e solo Max ad amarmi in quel modo.

Dall'altro lato, con quelle stesse conclusioni, lo stomaco mi si contorceva nel terrore: perché sapevo di star per perdere Max Parker.

Perché per quanto potesse essere affezionato a me, per quanto potessi piacergli come detto da lui stesso anche all'intera scuola, Max non mi amava. Quello che era successo, il fatto che avesse ceduto così facilmente a quel ricatto, lo dimostrava.

Poi, ancora, si apriva alla mia mente una terza via e la testa mi girava per la sua ridicolezza e improbabilità; ne ridevo al solo pensiero.

Però il dubbio si insinuava ugualmente in me.

Ma se Max fosse stato disposto a prendermi per mano?

Ad amarmi?

A parlarmi? A dirmelo?

Alla sola idea sentivo dentro di me le ceneri di quella speranza, ora sgretolata, che mi aveva riempita giorni prima. Erano ceneri, ma con il soffio di quei pensieri, dalle ceneri si alzava di nuovo una piccola fiamma. Quel calore mi riscaldava poi lo stomaco, mi scioglieva il nodo in gola e arrivava fino alle dita dei piedi e alle punte dei capelli.

Poi tutto da capo. Infatti soffocavo quella fiammella con un semplice pensiero: avrei mai potuto crederci genuinamente?

No, non riuscivo a credere a un mondo in cui Max mi amasse, non dopo quello che era successo.

Per quello poi tornavo al solito finale: avrei detto addio, quel giorno stesso, a Max Parker.

Quello che avevo voluto fin da ottobre.

Avevo deciso di chiuderla con la foto del mese e l'ironia della sorte voleva che quel giorno stesso chiudessi definitivamente anche con Max.

Girando due pagine, quella parte della mia vita si sarebbe conclusa, come un lungo capitolo del libro della mia esistenza.

Con quei pensieri in testa, chiusi l'armadietto davanti a me e mi sistemai meglio la tracolla sulla spalla.

Guardai l'orario: le lezioni erano finite da pochi minuti, la detenzione di Parker lo avrebbe fatto tardare un'ora e lo avrei aspettato, come promesso.

- Eve!

Mi girai trovando Francy, anche lei con giacca e zaino pronta a tornare a casa. Al suo fianco c'era, ormai immancabilmente, Kutcher. Mi ricordai solo in quel momento, iniziando a crogiolarmi nella ritrovata normalità, che il giorno prima erano usciti e probabilmente avevano anche ufficializzato il loro status. Il fatto che Francy ed io non avessimo avuto ancora il tempo di aggiornarci al riguardo, palesava quanto la situazione fosse stata fuori dalla norma.

Sorrisi. - Ehi.

- Lo aspetterai davvero? - Mi chiese e il suo sorriso si trasformò subito in una smorfia.

Alex la guardò sorpresa e poi si rivolse a me. - Max? Aspetti Max? Parlerete? - Domandò il tutto con un sorriso e un entusiasmo che mi misero in difficoltà. Boccheggiai.

Francy diede una gomitata al suo ragazzo.

- Ahi! Cosa c'è? Sono contento se risolvono! Mi dispiacerebbe da morire altrimenti: Max alla fine ha fatto tutto per Evelyne e sarebbe stupido se si perdessero per colpa del casino che ha combinato Clark.

Io continuai a restare senza parole per la semplicità con cui stava dicendo tutto quello.

Mi guardò e continuò rivolto a me: - okay che Clark ha chiesto scusa, ma sarebbe come darla vinta a lui, no?

- Non è questione di darla vinta a qualcuno, - ribattei prima che intervenisse Francy. - Comunque ci parlerò, prometto solo questo.

Il sorriso del ragazzo si spense e, trasparente come al solito, sembrò seriamente rattristito dalla mia risposta.

- Alex, sei sempre il solito comunque... - Francy sospirò, dandogli una spintarella. In quello stesso momento il suo sguardo fu catturato da qualcosa alle spalle di lui.

- Parlando del diavolo... - Si lamentò.

Gli sguardi di tutti e tre si spostarono su chi si stava avvicinando in quel momento: Max e Billy. Un'altra inseparabile coppia.

Sembrava che le bugie che il primo aveva raccontato anche al suo migliore amico, il giorno precedente, non avessero intaccato il loro rapporto. Ero convinta che ne avessero discusso, data l'incapacità di Hans di lasciar correre qualsiasi cosa, ma il round aveva chiaramente dato per vincitori entrambi, come nella migliore delle amicizie.

Al pensiero fui contenta per loro, ma confermai per l'ennesima volta come da situazioni difficili potessero emergere come vincitrici solo relazioni solide come quelle; tutto il resto si sarebbe inevitabilmente distrutto.

Pensai a Clark che non sarebbe mai tornato a essere amico di Max e pensai a me e a lui, diretti al medesimo esito.

Salutarono con un cenno e tutti ricambiarono; io esitai guardandomi le punte dei piedi.

Alex e Billy iniziarono a parlare di qualcosa che non sentii e che non mi impegnai ad ascoltare.

- Ehi...

Alzai gli occhi e trovai Max lì vicino, appoggiato all'armadietto. Avevo già visto i suoi piedi avvicinarsi, ma fui comunque sorpresa. Forse anche perché non ero abituata a vederlo così remissivo e i suoi occhi erano pacati. Mi scrutavano e studiavano. Gli occhi erano come sempre da predatore, ma in quel momento facevano le fusa.

Max era stato, fin dalla notte precedente, così delicato, attento, premuroso da sembrare quasi irreale.

Arrossii senza volere. - Ciao, - risposi con una timidezza che mi fece sembrare una deficiente.

Accennò un sorriso.

- La preside? - Chiesi.

Mi sentii stupida per aver iniziato così tranquillamente una conversazione; a lui invece morì il sorriso.

- Ho detenzione fino all'ultimo giorno di scuola. Appena tu finisci le tue due settimane, devo iniziare ad andarci tutti i giorni. Unica eccezione è concessa per gli allenamenti di basket. Anche se gli scrutinatori mi hanno già fatto le loro proposte per le rispettive università, abbiamo ancora l'ultimo paio di partite del torneo distrettuale che le interessano, - rispose, con la mano dietro la nuca a sfiorarsi i capelli. Sembrò all'improvviso pensieroso e per qualche secondo i suoi occhi guardarono un punto imprecisato degli armadietti al nostro lato. - Anche il quarto anno sta per finire, - ricordò. Forse a entrambi, forse solo a se stesso.

Annuii.

- Allora mi aspetti, no? - Chiese e le labbra gli si piegarono in una piega incerta. - Adesso devo correre a detenzione. Un'ora esatta e ci sono.

Stavo per fare un nuovo cenno di assenso quando Francy intervenne, scuotendosi dalla posa plastica che aveva assunto per guardare da un altro lato e darci una sembianza di privacy. Il suo scatto attirò anche l'attenzione degli altri due che avevano chiacchierato fino a quel momento.

- Eve, ma quindi per tornare a casa? - Guardò Max. - Torni davvero con lui dopo?

All'inizio non capii.

- Non mi sembra il caso, ma perché?

- Non hai lasciato la macchina nel supermercato? - Rispose Alex al posto della mia amica, ricordando quel dettaglio di cui erano tutti a conoscenza e che anch'io avevo avuto ben presente, ma di cui mi erano sfuggite le conseguenze fino a quel momento.

- Ah, cavolo... - Mi lamentai. Effettivamente non sarei potuta tornare a casa da sola.

Proprio mentre Max apriva bocca per rispondere, mi ricordai solo in quel momento di un altro dettaglio inevitabilmente legato alla “questione macchina”.

Sobbalzai.

- Cazzo! Lizzy!

Con tutto quel che era successo solo quel giorno, forse complice anche la mancanza di sonno, mi ero completamente dimenticata di mia zia e della sua rabbia e in particolare del suo ordine di tornare immediatamente a casa subito dopo lezione. Ormai erano passati una ventina di minuti e presto sarei stata bombardata dai messaggi di mia zia, ben consapevole che non avrei dovuto tardare così tanto per tornare a casa se avessi rispettato davvero il suo rimprovero.

Mi girai verso Max e trovai i suoi occhi verdi e confusi.

- Max!

Esattamente in quel momento, a complicare ulteriormente le cose, arrivò dal corridoio ancora affollato l'ultima persona che mi sarei aspettata.

Seguita dalle sue amiche, la testa bionda di Dawn si fece spazio tra Billy e Alex. Li scansò drammaticamente ai suoi lati e marciò dritta fino a Parker. Quasi lo serrò contro gli armadietti e vidi lui irrigidirsi dalla sua posizione rilassata.

La sua presenza in qualche modo mi fece arretrare di un passo e la spiegazione che stavo per dare mi morì in bocca. La mia reazione non era dovuta alla solita antipatia, ma anche ai fatti, in realtà ancora freschi, del compleanno di Max. Mi ricordavo bene cosa fosse successo e quanto ne avessi sofferto.

Quanto dolore mi aveva provocato Max in quei pochi giorni?

Il pensiero e la vista di Dawn mi agitarono e innervosirono.

- Finalmente ti trovo! E' dal tuo compleanno che sembri nasconderti! Poi scusa, ma che teatrino hai tirato fuori stamattina con l'altoparlante? - Sputò tutto fuori.

Dal contenuto pareva una fidanzata gelosa, ma i toni erano comunque tranquilli e quasi dolci: non era capace di arrabbiarsi con lui.

Io non riuscii a reagire, come nemmeno Max e nessuno intorno a noi.

Erano successe così tante cose e così importanti, che le paranoie fuori luogo di Dawn sembravano provenire da un altro pianeta, anche se in realtà si trattava di qualcosa di normalmente all'ordine del giorno.

Si voltò nell'esitazione generale e mi fulminò. - Oh, Gray... io non so cosa tu abbia fatto, ma ci sei sempre di mezzo tu!

Alzai le mani in aria e scuotendo la testa mi allontanai da quel ridicolo cerchio che si era formato e mi diressi verso l'uscita. Non ne potevo più di quella giornata e sicuramente non sarei stata ad ascoltare lei e i suoi deliri.

- Gray! - Mi urlò dietro.

Sentii anche Max e gli altri chiamarmi e seguirmi.

Prima che potessero raggiungermi o prima che potessi io girarmi dall'esasperazione, vidi stagliarsi dall'ingresso ormai vicino una figura familiare.

Era ancora sulle scale, in realtà ferma lì in attesa, a braccia incrociate; la sagoma controluce era disegnata con linee rigide. Ai suoi fianchi gli studenti uscivano, scivolandole ai lati come acqua di un ruscello davanti a una roccia solitaria.

Mi bloccai a pochi metri di distanza e impallidii.

- Dawn, ma te ne vai?!

- Max! Cosa ti ha fatto?! Ieri ti ho visto rimetterla al suo posto e ho pensato che fossi finalmente tornato in te, avevi anche detto che non ci avresti più avuto a che fare...

- Dawn, per favore, vuoi capire che se Max ed Evelyne passano del tempo insieme è perché lo vogliono?

- Billy, è inutile che cerchi di farla ragionare...

- Eve, ti riporto a casa?

- Reeds, deve parlare con me, non può andare a casa! La porterò io dopo detenzione.

- Parker, ti giuro che ti tiro un pugno se non la smetti!

- Max?! Cosa significa che ci vuoi parlare?!

- Dawn, vattene e dammi tregua, per carità! Evy, cosa stai facendo?

Fui travolta da quel mare di voci e mi arrivarono tutti alle spalle.

Io purtroppo vedevo solo zia Elizabeth e il suo sguardo infuriato davanti a me.

Fece qualche passo in avanti.

- Evelyne. Ora. A casa. Sono passata a prendere la macchina io per venirti a dare il passaggio ed evitare appunto che tutti i tuoi amici ti intrattenessero qualche altra ora come al solito. Andiamo! Immediatamente!

Solo in quel momento il resto del gruppo notò Lizzy e tutti, tranne Dawn che continuava a strepitare mettendo alla dura prova il mio già delicato equilibrio mentale, si zittirono.

Feci qualche passo in sua direzione, lanciando alle mie spalle un breve sguardo.

Non potei andare però molto oltre perché fui bloccata da Max che mi si parò davanti.

Persi un battito a quel nuovo segno di insistenza.

- Elizabeth, scusa ma io dovrei davvero parlare con Evelyne! - Spiegò a suo indirizzo. Non era però a conoscenza davvero della situazione tra me e lei.

- Max, non mi importa un bel niente. Parlerete poi Lunedì. - Lizzy, ferma come non mai sulla sua decisione e diventando severa nel momento più sbagliato della mia vita, fece ulteriori passi in mia direzione.

Un po' nel panico restai ferma lì, indecisa sul da farsi.

- Max, andiamo via! - Insistette Dawn, piazzandosi al suo fianco e afferrandogli il braccio.

Lui con un gesto cercò di scacciarla, ma, non volendo farle del male, non fu abbastanza deciso e le mani di lei restarono piantate sulla sua giacca leggera.

Irrazionalmente mi irritai alla scena e feci la mia scelta incamminandomi verso mia zia.

Max mi fermò rapidamente bloccandomi per il braccio e si creò tra me, lui e Dawn un simpatico trenino.

- Evelyne, non possiamo aspettare Lunedì!

Per il nervoso, per l'agitazione, per i brutti pensieri che avevo in testa fin dal giorno prima, vidi anche in modo deformato la smorfia sul suo viso e sputai semplicemente fuori la verità: quello che pensavo su noi due in poche, semplici e fin troppo riduttive parole.

- Tanto è inutile, Max!

Sbatté gli occhi un paio di volte e il verde era così familiare. Sapevo però che avrei presto dimenticato anche solo il ricordo del suo colore e della sua intensità. Forse era meglio chiuderla il prima possibile.

- Non ho capito...

- Max, è inutile. Non cambierà nulla anche se parliamo.

- Perché fai così? - L'espressione sul suo volto si agitò come avevo visto accadere poche volte. Un po' con suo padre e un po' proprio in quei due giorni con me. - Perché devi complicare ulteriormente le cose?

- Le hai complicate tu, Max!

- Ti ho detto che devo parlarti proprio perché voglio districare ogni nodo! Ma cosa complicarle? Sei tu che mi eviti come la peste da ieri, Evelyne! Vuoi mettere da parte il tuo orgoglio per una volta e parlarmi?! - La voce che conoscevo bene, calda e rassicurante, che avevo imparato ad amare così tanto, mi fece sobbalzare. Era infuriato.

Max era sempre stato bravo a nascondere le sue vere emozioni, scambiandole per altre o dissimulandole. In quel momento c'erano però solo e soltanto lui e la sua rabbia.

Dawn intanto aveva lasciato la presa e si era allontanata di un passo; gli altri non parlarono e dato che Lizzy non mi aveva ancora raggiunta, evidentemente anche lei si era un attimo bloccata. Nel corridoio calò il silenzio anche tra i pochi alunni rimasti.

- Non è orgoglio. Non cambierebbe niente. Da quel che è successo ieri dobbiamo semplicemente trarre le nostre conclusioni. In tutto c'è sempre un fondo di verità, Max, anche in quello che ci siamo detti ieri.

Non so con che sentimenti, con che pensieri quelle parole mi uscirono di bocca.

Ero spaventata dalla reazione di Max. Ero terrorizzata dalla nostra discussione imminente. Ero innervosita dalla minima questione, come Dawn, fino ad arrivare a mia zia che non avevo mai visto guardarmi così. Ero poi incazzata con me stessa per non riuscire a fare pace con le mie stesse idee e da un lato avrei voluto tornare a baciare e ad amare Parker come prima, ma dall'altro lato sentivo di doverlo scacciare e allontanare per potermi salvare prima che fosse troppo tardi.

Avevo voluto parlare con Max per chiudere quel capitolo fino a pochi minuti prima, ma in quel momento il casino che avevo in testa mi faceva solo pensare che alla fine fosse tutto inutile.

Era inutile perché la verità era che non mi avrebbe mai presa per mano e che alla prima difficoltà, come il giorno prima, mi avrebbe lasciata scivolare via dalla sua presa.

L'espressione di Max cambiò ancora e mi spaventò ancora di più.

- Cosa vuoi dire?

Ammutolita alla vista dei suoi occhi, non riuscii a rispondere.

- Te l'ho già detto e ridetto che non intendevo nessuna delle parole che mi sono uscite ieri.

- Non è quello...

- Evelyne, andiamo, - intervenne Elizabeth che, dopo evidentemente un attimo di esitazione, mi aveva raggiunto.

Scossi la testa e in piena agitazione tornai a guardare Max.

Sembravo pazza: gli avevo appena detto di non voler parlargli, ma un vero e proprio terrore aveva preso il sopravvento alla vista della sua reazione.

- Se non è quello, allora il fondo di verità sarebbe quello che hai detto tu a me? Spiegamelo, Gray.

L'utilizzo del cognome mi ferì quasi più dei suoi occhi e del suo tono e rimasi immobile, completamente zittita.

- Anzi, no. Non c'è nulla da spiegare, - tagliò corto.

Si girò e si diresse verso l'interno della scuola.

Non seppi ancora descrivere quello che avevo visto nel suo sguardo.

Boccheggiai.

In quel momento di tensione mi ero buttata come sempre sulla difensiva e non mi ero resa conto di come lui avesse cercato per tutto il tempo di evitare di incolparmi per qualsiasi mia parola del giorno prima. Mi ero sempre lamentata dei modi di fare di Parker e invece quella volta era stato lui a cercare il dialogo. Io però non riuscivo ancora a perdonarlo e lottavo e ringhiavo per ritorcergli il mio dolore contro come avevo appena fatto in quel momento.

- Max! - Urlai, facendo a mia volta dei passi nella sua direzione, ma venendo bloccata da Elizabeth.

- Ho detto in macchina, Evelyne!

- Lizzy, aspetta!

Dawn scambiò qualche significativo sguardo con le sue amiche e si allontanarono tutte in silenzio, forse arrendendosi per quel giorno.

Billy scosse la testa,mi lanciò un breve sguardo e si avviò verso l'uscita, dopo aver sistemato lo zaino sulla spalla.

Alex, dopo aver dato un breve bacio sulla testa di Francy, seguì il biondo.

- No! Andiamo! - Rimbeccò Elizabeth, totalmente e ingenuamente ignara della gravità di quanto fosse appena successo.

Francy abbozzò un sorriso e restò ferma sul posto mentre mi giravo al seguito di mia zia.

- Risolverete la vostra scaramuccia un'altra volta.

Se ne fossi stata in grado, avrei riso. Ma Max se n'era andato davanti ai miei occhi e Lizzy continuava, nonostante tutto, a guardarmi con rimprovero.

- Andiamo... - Blaterai infine, spostandomi i capelli dietro le orecchie e abbassando lo sguardo.

Arrivammo alla macchina in silenzio e soltanto una volta salite lei tornò a parlare.

- Non avrei voluto arrivare a fare la mamma che va a prendere la bimba a scuola, ma oggi c'è stata definitivamente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Ti sembra normale che la preside mi abbia chiamata anche oggi?

Quella domanda mi fece addirittura uscire dallo stato di catalessi in cui ero caduta.

- Cosa ti ha detto? - Chiesi, ormai evidentemente sempre più pallida.

Lizzy notò qualcosa perché mise in moto la macchina guardandomi con attenzione.

- Mi ha chiamata per dirmi che anche oggi sono successe cose strane a scuola. Che sembrava volessi introdurti nel suo ufficio di nascosto e mi ha addirittura spiegato che sono state mandate delle e-mail che ti accusavano di far copiare dei test ai tuoi compagni per dei soldi! Perché non me l'hai detto che erano arrivate queste e-mail? Ed è successo ieri, non avevi nemmeno la scusa di dire che mi trovavo a New York e non volevi preoccuparmi.

Come il giorno prima, dopo la litigata con Max, iniziai a sentire un po' di nausea e, mentre la macchina si inseriva in strada, abbassai di un paio di dita il finestrino del passeggero. Quella brezza leggera in qualche modo mi fece tornare a respirare.

- Non ti ho detto nulla perché erano bugie, Lizzy. - Riuscii a rispondere alla fine, continuando a mentire e consapevole, anche dopo quei secondi che parvero anni, che non avrei mai potuto dire la verità a mia zia. - Infatti oggi si è scoperto che era tutto uno scherzo.

Non era solo questione di preservare l'opinione che lei aveva di me o la sua fiducia o stima. Sapevo che il suo affetto sarebbe rimasto sempre invariato nonostante qualsiasi mia azione. Ma semplicemente ed egoisticamente non volevo peggiorare la mia situazione.

Non volevo trovarmi a piangere quella notte per il modo in cui Lizzy mi avrebbe considerata da quel momento in poi.

Non volevo che si assumesse la responsabilità, come sapevo avrebbe inevitabilmente fatto, per i soldi che mi aveva dato in quegli anni mensilmente.

Non volevo nemmeno preoccuparla ulteriormente per il mio modo di vivere.

- Non so cosa tu stia combinando o se stai combinando qualcosa, ma se devo mettermi a usare il pugno di ferro per salvare la tua borsa di studio, allora sii pronta a vederlo nel mese che resta. Tu andrai a Yale. Non so se ti stai auto sabotando per quella stupidità che hai in testa di voler venire a New York negli anni dell'università, ma hai un futuro splendido davanti a te e non sopporto di vedere mentre provi a distruggerlo a così pochi metri dalla meta.

Non riuscii a rispondere subito, chiedendomi se cacciare Max come avevo appena fatto facesse parte del mio tentativo di rovinarmi il futuro o di preservarlo.

Se avessimo accettato il fatto che Lizzy cercava di salvarmi, allora avrei dovuto scegliere la seconda risposta.

A me però veniva solo da piangere.

- Mi dispiace...

Lizzy mi lanciò qualche breve occhiata, continuando a guidare a bassa velocità nel suo solito modo.

La sua presa sul volante si ammorbidì.

- Dispiace anche a me di comportarmi in questo modo, lo sai.

Con la mano destra mi fece una piccola carezza sulla guancia.

- Lo so... - Risposi, ed era vero.

- Però sono davvero preoccupata. Quindi per favore, fammi vedere che sei la mia Evelyne almeno per questo weekend. Domenica purtroppo sai che devo tornare a New York e già tremo all'idea di lasciarti di nuovo da sola. Non hai mai fatto nulla per farmi preoccupare; adesso invece ho il terrore di ricevere qualche chiamata mentre sono in ufficio. - Sospirò.

- Non accadrà più, Lizzy. Te lo posso assicurare.

Abbozzò un sorriso e, accendendo la radio, fece capire che la conversazione per quel momento era finita.

Io lasciai cadere la testa di lato, appoggiando la fronte al finestrino.

Guardai le persone, i pali, le case e i quartieri sfilarmi davanti agli occhi.

Tutti quei colori, quei materiali, quelle persone: eppure mi sentivo vuota, dai miei occhi fin dentro.

Avevo anticipato la fine inevitabile con Parker.

Sapevo che sarebbe andata così.

Eppure faceva così tanto male, più di quanto credevo me ne avrebbe fatto sentire un “non ti amerò mai” da parte sua.

 

Realizai in quel momento cosa avessero voluto trasmettere i suoi occhi: era dolore.

 

 

 

 

- Dammi il cellulare.

Ebbi un déja-vu e zia Lizzy mi ricordò per qualche momento la prof Gardiner che ritirava i cellulari per l'ora di detenzione.

Glielo consegnai con una mezza risata. Io e Max stavamo probabilmente vivendo la stessa situazione, peccato che la sua detenzione sarebbe finita in meno di un'ora e la mia sarebbe durata l'intero weekend.

Mi odiai per aver pensato di nuovo a lui.

- Mi dispiace, Eve, ma ho letto nei miei libri sull'adolescenza che questi cellulari iniziano fin troppo ad alienarvi dal mondo reale e spesso vi portano ad arrabbiarvi o a isolarvi come normalmente non fareste, - spiegò mentre lo spegneva.

Con quell'accenno ai libri di psicologia spicciola che si comprava da anni, cercando di accompagnare le mie fasi della crescita e tra l'altro informandomene, capii che la sua ira si era già di molto sopita.

Appena varcata la porta si era chiaramente rilassata, sentendosi nella propria tana e consapevole dei giorni di calma che ci avrebbero accompagnate. Calma per lei quantomeno.

- Zia, quel discorso varrebbe se avessi per lo meno uno smartphone, ma ti faccio notare che non è il mio caso.

Si accigliò osservando il mio cellulare e ne trasse le sue conclusioni: - ti informo che è sequestrato anche il tuo pc.

Fece dietro front, probabilmente per andare a ritirarlo da camera mia e mi lasciò da sola in cucina.

Io cercai di confortarmi con i gesti della mia routine: aprii il frigo, presi una bottiglia, versai in un bicchiere l'acqua e ne bevvi un sorso.

Continuavo a sentirmi male e mi aspettava un intero weekend, un intero mese di scuola e un'intera vita così.

La consapevolezza di quel che avevo fatto continuava ad essere lì e mi sentivo avvelenata dallo stomaco alla gola.

Quando sarebbe passata quella sensazione di angoscia?

Probabilmente era troppo pretendere una risposta quando erano passati ancora così pochi minuti dalle ultime frasi che avevo scambiato con Max.

Mi spaventava però quel malessere che provavo, ben diverso da quello che mi aveva accompagnata il giorno prima, dopo la finta confessione di Parker.

Il giorno prima mi ero sentita tradita, ferita e uccisa.

In quel momento la tristezza che mi pervadeva era calma, fredda e mi perforava da dentro.

Avevo creduto che una mia scelta mi avrebbe rasserenata e invece paradossalmente mi sentivo solo peggio.

Ricordare gli occhi di Max mi faceva sentire dalla parte del torto, come se fossi io la carnefice.

Eppure non poteva essere così. Ero consapevole che fosse affezionato a me, ma, data la diversità dei nostri sentimenti, il dispiacere che provava lui non era minimamente paragonabile al profondo dolore che sentivo io.

Lizzy tornò presto giù, con davvero il mio portatile sotto braccio e seguita da Maxyne che si era svegliata solo col suo arrivo al piano di sopra.

Non commentammo niente per un po' e semplicemente imitò i miei gesti in cucina.

- So poi che ce l'avrai con me per non averti fatto parlare col tuo ragazzo, ma...

Per fortuna avevo smesso di bere, altrimenti avrei rischiato di soffocare.

- Zia... Max non è e non è mai stato il mio ragazzo. Poi non ce l'ho con te, è stato meglio così, - la corressi innervosita.

Mi guardò un po' scettica, non credendomi davvero.

- Non guardarmi così, sono seria.

Mi chinai sul posto per accarezzare la gatta che mi salutava strusciandosi contro le mie gambe.

- Come ti pare. Comunque risolverete poi un'altra volta, quindi non avercela con me!

Il tono con cui lo disse era sempre più lontano dalla rabbia con la quale mi era venuta a prendere a scuola.

Cercai di sorriderle e per l'ennesima volta decisi di non darle preoccupazioni.

- Sì, dai... hai ragione.

Passammo in quel modo, in una sorta di tregua, il venerdì pomeriggio e la sera.

Feci la lavatrice, pulii la cucina e studiai fino a orario di cena con Maxyne che mi gironzolava attorno.

Cucinai per zia Lizzy, evitando come al solito che le sue doti culinarie degenerasse in un'esplosione e arrivammo addirittura a scherzare e a ridere.

Dai suoi occhi chiari vedevo che una volta passata la rabbia iniziale si fosse pentita dell'irruenza dei suoi gesti.

In ogni caso non riuscivo a fargliene una colpa. Era normale che si fosse preoccupata e con tutte le libertà che mi erano state concesse in quegli anni di liceo, probabilmente fin troppe, non potevo accusarla di nulla. Da un lato mi ero sempre aspettata da parte sua quella severità che vedevo nelle altre madri e che difficilmente trovavo in una “mamma” così giovane, cresciuta di pari passo con me.

Quindi andava tutto bene. Era quello che cercavo di ripetermi.

Anche dopo cena studiai fino a notte fonda. Solo al momento di andare a letto, con Maxyne che attaccava i miei piedi che si muovevano sotto le coperte, mi chiesi cosa effettivamente stesse succedendo fuori da quelle quattro mura.

Sapevo che Francy sicuramente mi aveva scritto e chiamata e aveva immaginato infine l'esito, rassegnandosi almeno fino al giorno dopo.

Avrei voluto parlarci, ma sentivo che quel weekend di isolamento avrebbe avuto effetti positivi su di me per prima.

Prima forse dovevo sfogare il malessere iniziale da sola e solo successivamente sarebbe arrivato il balsamo della mia migliore amica.

Inevitabilmente i miei pensieri finirono anche su Max.

Dubitavo che avesse provato a contattarmi. Sapevo benissimo che un telefono irraggiungibile non l'avrebbe mai fermato dal parlarmi se l'avesse voluto, quindi si era semplicemente adeguato a quello che gli avevo sputato addosso io.

Ricordai quante altre volte ci fossimo comportati così, in un continuo tira e molla, in una continua battaglia al gatto e al topo.

Mi addormentai fissando la finestra da cui lui era entrato più di una volta ignorando le mie lamentele, le mie offese e i miei tentativi di cacciarlo.

Rimase chiusa e nessuno entrò da lì.

La corda si era rotta.

 

 

Il giorno dopo mi svegliai presto, nonostante non avessi quasi chiuso occhio.

Andai in bagno, mi feci la doccia, mi vestii, scesi a fare colazione e lasciai anche qualche crocchetta a Maxyne che si era svegliata attirata dai rumori in cucina. Lizzy dormiva ancora, me la immaginavo esausta per la sfuriata innaturale del giorno precedente.

Andai a lavarmi i denti, presi la giacca, tracolla e mi avviai verso il mall per lavorare come ogni weekend.

Arrivai in anticipo dei soliti venti minuti. Mi cambiai negli spogliatoi con la maglietta del negozio e mi sistemai allo specchio la coda di cavallo per l'ennesima volta. Mi misi quel velo di trucco in viso che mi imponevo per i turni di lavoro in negozio. Non prestai particolare attenzione ai miei lineamenti o ai sentimenti che il mio viso probabilmente faceva trapelare.

Misi in ordine la merce, servii le clienti, mi sistemai alla cassa, feci chiamate e andai a cercare articoli in magazzino.

Arrivò la pausa pranzo con naturalezza. Sorrisi alle mie colleghe e usai il coupon da dipendente nel bar più vicino. Mangiai un tramezzino guardando i ragazzi, le coppie e le famiglie che passeggiavano, ridevano, parlavano per ammazzare il tempo nel centro commerciale, come un qualsiasi altro sabato pomeriggio.

Tornai prima che la pausa potesse finire.

Impilai scatoloni e ne aprii altrettanti. Ordinai gli scaffali, pulii i camerini, chiusi delle vendite, cambiai la merce e feci notare a una cliente che aveva sporcato una canottiera da notte di rossetto.

A metà pomeriggio venne a trovarmi Francy e riuscì leggermente a distogliermi dalla trance in cui mi ero immersa.

Si parlò del più e del meno; parlò più che altro lei. Io sorrisi e le spiegai del telefono sequestrato: aveva immaginato. Risposi alle sue domande dicendo di star bene e lei alzò i lati della bocca fingendo di crederci.

Chiesi di Alex mentre sistemavo l'ennesima pila di biancheria, lei banalizzò spiegando che avevano ufficializzato il giorno precedente e che mi avrebbe raccontato meglio quando non fossi stata impegnata col lavoro. Sapevo che mentiva e che cercava solo di stare attenta a come potessi sentirmi.

Ripetei che stavo bene e che ci saremmo viste direttamente lunedì per bene: Lizzy sarebbe andata via domenica, ma dovevo lavorare e studiare.

Francy annuì e mi salutò dopo essere stata lì un bel po' di tempo.

Tornai a ordinare, sorridere, rispondere, pulire e arrivò l'orario di chiusura.

Rientrai a casa e Lizzy aveva già ordinato le pizze.

Mangiammo, chiacchierammo con leggerezza e in qualche modo mi rilassai davvero.

Giocai con Maxyne e quando mia zia si addormentò come al solito sul divano, salii su in camera. Accesi la luce, presi fuori i libri di trigonometria e tornai a studiare. Gli esami finali si avvicinavano.

Studiai di nuovo fino a tardi. Smisi solo quando gli occhi chiesero pietà, già provati da tutte le notti precedenti.

Andai a svegliare mia zia e la convinsi ad andare a letto.

Maxyne seguì i vari movimenti in casa e decise di optare di nuovo per il mio letto come cuccia.

Chiusi gli occhi infine per sfinimento.

La sveglia suonò di nuovo presto.

Andai in bagno, mi feci la doccia, mi vestii, scesi a fare colazione e lasciai altre crocchette a Maxyne che però non si era ancora alzata dopo aver cambiato postazione nel corso della notte. Lizzy uscì da camera sua e la vidi sbuffare mentre radunava i vestiti per finire di fare la valigia per New York.

Andai a lavarmi i denti, presi la giacca, tracolla e mi avviai verso il mall; salutai ad alta voce mia zia e in risposta mi schioccò un bacio.

Arrivai in anticipo dei soliti venti minuti. Mi cambiai negli spogliatoi con la maglietta del negozio e mi sistemai allo specchio la coda. Mi misi il solito velo di trucco in viso, ma ignorai con forza di capire come apparisse la mia immagine allo specchio.

Misi in ordine la merce, servii le clienti, mi sistemai alla cassa, feci chiamate e andai a cercare articoli in magazzino.

Quando arrivò la pausa pranzo volai via. Passai a prendere il mio solito tramezzino col coupon, ma lo mangiai camminando verso la macchina.

Mi diressi a casa, passai a prendere Lizzy e l'accompagnai in stazione.

Parlammo allegramente e fui contenta di vederla partire serena. La salutai finché il treno non fu completamente sparito dalla vista.

Tornai in macchina e corsi di nuovo verso il mall. Arrivai questa volta al limite della fine della pausa pranzo.

Cercai di recuperare il controllo della situazione e impilai scatoloni e ne aprii altrettanti. Ordinai gli scaffali, pulii i camerini, vendetti, cambiai la merce e sorrisi cordiale a clienti palesemente nel torto.

Francy passò di nuovo nel pomeriggio a salutarmi, quella volta accompagnata da Alex. Parlammo e scherzammo brevemente e lei di tanto in tanto si fermava qualche secondo di troppo a guardare il mio sorriso.

Sembrai convincerla più del giorno precedente e presto mi salutarono.

Ordinai, sorrisi, risposi, pulii e arrivò l'orario di chiusura.

Quando tornai a casa, trovai ovviamente solo la gatta ad accogliermi e le sue fusa.

Un po' sentii una leggera angoscia prendere piede.

Cercai però di ignorarla e diedi da mangiare a Maxyne e cucinai qualcosa per me.

Mentre aspettavo che la carne si cuocesse, accesi il cellulare che Lizzy aveva lasciato per restituirmelo e mi scoprii a trattenere il respiro.

Trovai molti messaggi di Francy, addirittura chiamate perse; alcuni messaggi di Luke e uno di Emily.

Nient'altro.

Tornai a respirare e l'ombra dell'inquietudine aleggiava sempre più pesantemente su di me.

Mi immersi nella solita routine un'altra volta, per cercare di allontanarla.

Mangiai, pulii i piatti e salii al piano di sopra.

Controllai l'orario e, senza rispondere a nessuno dei messaggi ricevuti, mi sedetti alla scrivania.

Di nuovo il silenzio mi avvolse.

Chiusi gli occhi e raccolsi le gambe al petto, appoggiando i piedi sopra la sedia. Premetti la fronte sulle ginocchia, abbracciandomi le gambe.

C'era così tanto silenzio in quella stanza, in quella casa, che sentivo il battito del mio cuore.

Non avevo mai sofferto la solitudine o il silenzio, ma una volta staccato il pilota automatico, che mi aveva mossa senza pensieri per quei due giorni, restavo poi solo io.

Non andava bene. Non andava bene nulla.

Avevo provato a soffocare ogni pensiero nei gesti quotidiani e in qualche modo aveva funzionato, mi ero sentita completamente alienata da me stessa e mani e gambe avevano continuato a muoversi da sole. Avevo vissuto senza però sentire davvero nessuno dei miei gesti.

In quel momento, senza Lizzy, senza Francy, senza le colleghe, le clienti, senza il rumore di fondo della vita che scorreva comunque nonostante le mie vicissitudini, in quel momento c'ero solo io. C'ero solo io e quel che mi era successo. C'ero solo io e il battito del mio cuore.

Io e Max.

- Cazzo... - Borbottai, sollevando il viso e spostandomi i capelli. Tirai un po' sul col naso, ma avevo recuperato abbastanza il controllo di me stessa da evitare di piangere. Sentii solo un leggero fastidio agli occhi, ma era tutto controllabile.

Controllabilissimo.

Sospirai e cercai di aprire uno dei mille libri che mi si paravano davanti.

Mancava davvero poco alla fine dell'anno scolastico, gli esami finali si avvicinavano e dovevo anche iniziare a valutare le università.

C'era effettivamente stata l'offerta di Yale e sarebbe stato da vera idiota rifiutarla, lo sapevo ed era l'opinione anche di mia zia. Però mi ero ripromessa di non starle lontana dopo l'incidente.

Sfogliai le pagine del libro davanti a me.

Avevo la nauseante sensazione di aver pensato troppo a me stessa in quegli anni. Non che fosse sbagliato, era la mia vita, ma anche Lizzy era parte della mia vita ed era così errato volermi avvicinare a lei per vivere finalmente insieme come una famiglia?
Elizabeth però mi amava da morire, come io amavo lei, ne ero consapevole, e non avrebbe mai permesso che il mio futuro non prendesse la strada migliore possibile.

Provai a distrarmi immaginandomi effettivamente a Yale.

Avvicinai il pc, di cui avevo ripreso il controllo dopo la partenza di mia zia, e iniziai a vagare per la pagina dell'università. Su google maps controllai la distanza da New York, ed effettivamente non era poi di molto superiore a quella che ci separava ora. Con una smorfia continuai ad esplorare i corsi di lettere e giornalismo, l'università era particolarmente nota per le materie umanistiche e lo notai con evidenza.

L'idea iniziò a stuzzicarmi più del dovuto.

Riuscii però a godermi poco quei pensieri che mi distraevano e che allontanavano l'angoscia.

Presto infatti, ricontrollai la mappa e zoommai all'indietro, vedendo il Connecticut, New York, i vari stati confinanti e infine gli Stati Uniti nel suo insieme.

Dove sarebbe andato a finire Max Parker?

Mi odiai per il modo in cui la mia testa finisse sempre lì. Max era ormai un centro di gravità verso il quale rotolavano tutti i miei gesti e pensieri.

Quella mania però mi sarebbe presto passata: avevamo finalmente chiuso ogni rapporto e presto il liceo sarebbe finito. Poi probabilmente non ci saremmo visti mai più.

Risi amaramente pensando e volando con la fantasia. Forse un giorno sarei diventata una giornalista e lui un giocatore famoso e mi sarei ritrovata a parlare di lui, a doverlo nominare o a dover sapere qualcosa sulla sua vita.

Mi chiesi se le cose tra noi sarebbero andate a finire diversamente se ci fossimo conosciuti all'università o a trent'anni.

Mi immaginai più grande e disinibita, lui magari più maturo e responsabile. Forse avremmo litigato meno, forse ci saremmo capiti prima.

Scossi la testa per l'assurdità dei pensieri. L'esito sarebbe stato sempre negativo invece, perché se lui non mi amava ora, con la serenità dei diciott'anni, quando mai avrebbe potuto farlo?

Mi crebbe un nodo in gola.

Io evidentemente non ero la persona giusta per lui, ma un giorno si sarebbe innamorato di qualcuno e sarebbe stato ricambiato.

Era impossibile per me riuscire a immaginarlo felice con una donna, ma era quello che sarebbe successo prima o poi.

Mi consolò solo il pensiero che prima dell'arrivo di quel giorno, tutto il dolore che ora provavo sarebbe finalmente svanito.

Sospirai chiudendo il pc.

Non sapevo come né quando, ma un giorno mi sarei svegliata e non sarei stata più innamorata di Max Parker e non mi avrebbe fatto star male il solo pensiero di lui.

Con quella convinzione in testa, provai a prendere in mano la matita e a immergermi di nuovo nei libri che avevo davanti, come i giorni precedenti.

Riuscii a leggere due frasi e poi di nuovo la concentrazione svanì.

Sbuffai esasperata, stropicciandomi gli occhi. Sapevo che andare a letto non sarebbe nemmeno servito. Era ancora presto e i pensieri mi avrebbero travolta: potevo vincere l'insonnia solo esaurendomi dalla stanchezza.

Ma lo sfinimento era lontano. Purtroppo sentivo dentro di me una smania crescente, un'agitazione sempre maggiore.

Mi mossi inquieta sulla sedia e dalla stizza chiusi di getto il libro di fronte a me.

Forse era il silenzio assordante, forse i pensieri sul mio futuro, forse invece il modo in cui ero arrivata fin là, ma qualcosa non si incastrava bene.

Il pezzo sbagliato del puzzle erano gli occhi di Max nel momento del nostro ultimo saluto.

Mi alzai in piedi.

Feci avanti e indietro per la stanza un paio di volte. Mi bloccai. Piantai le mani sui fianchi.

L'angoscia stava diventando foga.

Capii in quel momento che la brutta sensazione che mi aveva pervaso in quei giorni non fosse solitudine o tristezza: era pentimento.

Io volevo parlare con Max.

Un giorno non sarei più stata innamorata di lui, l'avrei visto felice con un'altra donna senza provare nulla al riguardo e forse avrei anche scritto serenamente un articolo su di lui in quanto ex compagna di liceo.

Però per arrivare a tutto quello io dovevo prima parlare con Max.

Era inutile, tutto inutile, ma ci dovevo parlare, dovevo dirgli di averlo amato con tutta me stessa. Solo in quel modo un giorno mi sarei riuscita a svegliare felice, senza rimpianti e finalmente serena.

Solo in quel modo sarei riuscita ad andare avanti e innamorarmi di nuovo.

Senza nemmeno permettere alla mia testa di pensare ad altro, mi precipitai fuori dalla camera e giù per le scale.

Oltrepassai Maxyne, presi di corsa la tracolla e uscii di casa.

Aprii subito la macchina e misi in moto.

Soltanto poco dopo, raffreddandomi un attimo, mi resi conto dell'impulsività con cui stavo facendo tutto quello.

Accostai più di una volta sul ciglio della strada, ogni volta fermandomi a riflettere.

Era davvero quello che volevo fare? Parlarci?

Sì, mi rispondevo sempre e ripartivo.

Poi quasi mi tremavano le mani sul volante e accostavo una volta in più.

Ti rendi conto che è inutile, Eve?

Sì.

Vuoi farlo uguale?

Sì.

E se ti ride in faccia?

E' uguale.

Sicura?

Okay, non così tanto...

E la pausa al lato della strada durava qualche minuto in più.

Ormai mancava poco a casa di Max e feci l'ennesima fermata.

Innervosita da me stessa e dalla situazione cercai il cellulare, rendendomi conto solo in quel momento di averlo dimenticato.

Sbuffai, abbandonando la testa all'indietro e fissando lo specchietto del guidatore.

Non ero poi così convinta di volergli davvero spiattellare i miei sentimenti. Dopo tutto li avevo conservati per mesi con cura maniacale. Però ero consapevole del fatto che in quel modo non potessi continuare. Forse rivelargli tutto non era la cosa giusta, ma sicuramente mi avrebbe permesso di chiudere anche quel capitolo.

Capivo perché avessi provato a scappare, soprattutto nella situazione di Venerdì, circondata da tutti, con la mano di Dawn sul braccio di Parker e gli occhi furenti di Lizzy addosso, però non era quello che mi serviva.

Mi chiesi in quel momento poi per la prima volta se Max sarebbe stato disposto ad ascoltarmi.

Ricordai la rabbia nel suo tono e temetti di sapere già la risposta. Dopotutto non mi aveva nemmeno più cercata.

Esitai ancora qualche minuto, poi ripartii.

Arrivai davanti a casa di Max poco dopo e...

Notai l'assenza della sua macchina.

- Cazzo... - Imprecai nuovamente.

C'era il suv appartenente ai genitori, ma Max chiaramente non era in casa. Ero poi sufficientemente a conoscenza delle sue abitudini da sapere che non avrebbe mai parcheggiato in garage.

Per un attimo mi ritrovai spaesata, non sapendo bene come comportarmi.

Misi in moto poco dopo e, a memoria, mi diressi verso casa di Billy.

Arrivai lì davanti sentendomi una maniaca o quantomeno una stalker, però nemmeno lì c'era traccia della macchina rossa di Max.

Mi maledissi per non aver preso il cellulare: non ero sicura che avrebbe risposto a una mia chiamata, ma insistendo l'avrei acciuffato per sfinimento.

Esitai prima di decidere nuovamente sul da farsi, in realtà un po' indecisa se prendere o meno tutto quello come un segno di una volontà divina che cercava di impedirmi di portare a termine quel folle pensiero che mi aveva travolta. Risi rendendomi conto che se avessi creduto in Dio, Lui non voleva nulla tra me e Max. Max era la mia punizione divina, non dovevo avere alcun lieto fine con lui.

Cercavo di ridere della situazione, però quei fallimenti mi avevano in realtà demoralizzata.

Ero consapevole di avere ancora il giorno dopo a disposizione e quello dopo ancora e ancora, però avevo una paura, quasi viscerale, che fosse solo quello il momento giusto. Forse perché ero consapevole di poter perdere presto il coraggio, la risoluzione, o che Max potesse facilmente rifiutarsi di parlarmi, in quei suoi continui cambi di umore. Poi era arrabbiato, si era arrabbiato come non mai con me.

Tornai in quel modo a casa. Parcheggiai come al solito nel vialetto ed entrai.

Lasciai cadere la tracolla e Maxyne venne come al solito a darmi il benvenuto.

Bevvi qualcosa in cucina, più per mandare giù l'amaro in bocca che per sete, e lasciai passare dei minuti interminabili, con lo sguardo perso, prima di decidermi a tornare al piano di sopra.

Provai a convincermi che ci sarebbe sempre stato il giorno successivo.

Entrai in camera, stropicciandomi di nuovo gli occhi e sentendo un velo umido sotto i polpastrelli, poi afferrai il cellulare e sbloccandolo trovai quel che non mi sarei mai aspettata.

Chiamate perse di Max.

Quasi lasciai la presa dalla sorpresa.

Erano recenti ed erano tre.

Rimasi imbambolata, incredula per come ci fossimo pensati nello stesso momento. Mi resi conto che lui doveva credere che lo stessi ignorando per rabbia e, senza pensare a molto altro, di getto, feci partire la telefonata.

Non sapevo nemmeno più cosa dirgli, ma bastarono pochi squilli per permettermi di sentire la sua voce di nuovo e realizzai di aver trattenuto il respiro fino a quel momento.

- Evelyne?

Pronunciò due volte il mio nome prima che mi ricordassi di dover rispondere. Iniziai a camminare nervosamente per la stanza.

- Ehi... Ero uscita, non avevo il cellulare.

- Capito... - Borbottò e dal tono sommesso capii che anche lui non sapesse bene come comportarsi, cosa dirmi.

Qualcosa dentro di me però si rischiarò, almeno potevamo parlare.

- Ero uscita a cercare te, - azzardai.

Per un po' non rispose. - Me?

Annuii; poi mi resi stupidamente conto che non potesse vedermi. - Sì. Ma non eri in casa...

- E perché mi sei venuta a cercare?

Come al solito riusciva a rigirarmi sempre tutto contro: era stato lui a chiamarmi, ma io dovevo stare a spiegare qualcosa per prima. Il suo tono però era all'improvviso più caldo e mi accarezzò l'udito, travolgendo tutti i miei sensi e sentii Max fino alle punta delle dita che reggevano il cellulare.

- Volevo parlare.

- Non era inutile? - Ribatté subito.

Un po', nonostante tutto, lo odiai di nuovo.

- Lo è ancora, - mi impuntai.

Stette un po' in silenzio, ma non ebbi paura nemmeno per un secondo di aver esagerato con la risposta.

- Lo è, ma volevo parlarti ugualmente, - specificai.

Altri silenzi furono riempiti solo dal leggerissimo ronzio della telefonata.

- Anch'io. Sono sotto casa tua, Evy.

Di nuovo sentii perdere leggermente la presa del cellulare, ma fu una sensazione causata dall'improvviso sudore freddo che mi travolse.

- Ora?! - Pigolai

- Sì, stupida, ora. Aprimi.

Immaginai la sua espressione e gli riattaccai la telefonata in faccia senza dir nulla, avendo bisogno di quegli attimi che mi separavano dalla porta di ingresso per recuperare un po' di controllo.

Non mi sarei mai aspettata di trovarlo lì.

Ricordai la finestra di camera mia che giorni prima avevo guardato con insistenza, senza vederlo però comparire: all'improvviso mi sembrò di vederla spalancarsi davanti ai miei occhi.

Scesi con circospezione le scale e per la mente mi volarono mille pensieri su cosa dire e su cosa stessi per sentire.

Sapevo cosa mi avrebbe detto, l'avevo immaginato per bene ed ero arrivata alle mie conclusioni Venerdì in base a quello. Però non ero di nuovo sicura di essere pronta alle sue scuse e soprattutto a dei “torniamo come prima”, perché sapevo di non poterli accettare; eppure avevo deciso di affrontare Max e chiudere davvero in modo pulito i conti con lui, nonostante non mi sentissi pronta.

Arrivai dopo interminabili secondi ad aprire la porta di casa.

Davanti a me trovai, inevitabilmente, Max Parker. La vista mi lasciò di nuovo col fiato sospeso.

Era lì, con una t-shirt e i pantaloni da basket che usava per stare per casa in quei giorni caldi di primavera.

I capelli erano stropicciati e gli occhi stanchi ma luminosi come sempre.

- Ciao, - blaterai.

Lui mi squadrò un attimo e il suo sguardo addosso bruciò come mai; ressi però il contatto quando gli occhi verdi tornarono nei miei.

- Hai un aspetto orrendo.

Un po' mi punse sul vivo

- Anche tu. Hai delle borse enormi sotto gli occhi. Sono firmate?

- Sembra che ti abbiano presa a pugni.

Sbuffai esasperata, avendo perso l'ansia di qualche secondo prima. Con le mani gli feci un gesto per scacciarlo ed entrai in casa, lasciando però la porta aperta.

Max mi seguì subito e quando mi girai stava chiudendo la porta alle sue spalle.

Lo guardai di nuovo circospetta, appoggiandomi con la schiena a uno dei mobili dell'entrata.

I suoi occhi vagarono distratti per l'atrio illuminato, su Maxyne che lo notava e si avvicinava ruffiana, poi finirono di nuovo su di me.

- Perché non eri a casa? - Chiesi, di punto in bianco.

- Volevo pensare, - rispose semplicemente. Non sorrideva o ridacchiava come al solito, ma i suoi lineamenti sembravano rilassati, un po' ammorbiditi dopo lo scambio di battute appena avvenuto. Lo stesso valeva per me che, seppur a braccia incrociate, lo analizzavo da lontano.

- Pensi?

Un po' rise. - Ti ha fatto bene questo weekend, noto. Come mai volevi parlarmi ora? - Aggiunse a bruciapelo.

Esitai, abbassando lo sguardo. - Perché finché si hanno cose da dire, forse bisognerebbe parlare.

Con gli occhi puntati a terra, vidi i suoi piedi fare qualche passo in mia direzione. Mi innervosii e senza guardarlo mi spiaccicai contro il mobile alle mie spalle facendolo traballare rumorosamente.

Lui chiaramente lo notò, perché si bloccò.

- Tu perché sei qua? - Aggiunsi, cogliendo quel suo momento di esitazione.

- Perché sono stufo dei nostri tira e molla, - disse seccamente.

I miei occhi trovarono i suoi. Persi un attimo il respiro, per l'ennesima volta, trovandolo vicino e bello come sempre.

- Ma è così che funziona tra noi. Non siamo fatti per andare d'accordo, - ribattei alla fine.

La sua bocca si piegò in una smorfia che non capii. - Noi andiamo d'accordo, Evy.

- E in che modo? - Risi sommessamente, scostando di nuovo lo sguardo di lato e ricordando delle sue parole così simili, pronunciate però mesi prima la sera stessa in cui mi ero resa conto di essere innamorata di lui.

Come liberato dal macigno dei miei occhi, lo sentii fare qualche passo in avanti e quando tornai su di lui era vicinissimo, di fronte a me.

- Max, - lo ammonii e provai a liberarmi da quella posizione scomoda, bloccata tra lui e il mobile che mi pungeva la schiena.

Le sue mani però mi fermarono e il suo tocco bruciò.

Prima che potessi ribellarmi ulteriormente, continuò a parlare: - Non avremmo mai parlato, scherzato o passato il tempo insieme come abbiamo fatto, se non andassimo d'accordo.

Cercai di evitare di guardarlo, arrendendomi però fisicamente al suo calore.

Odiavo Max e il modo in cui riusciva a influenzarmi, nonostante tutto il male, nonostante la consapevolezza di quel che stavamo per dirci.

- Se fosse vero, non avremmo vissuto anche di continue litigate, arrivando a tutto questo male, - aggiunsi.

Si avvicinò ulteriormente e il mio viso si piegò contro il suo petto, sentii il suo respiro sui capelli e la voce mi accarezzò l'orecchio. Se avessi aperto la bocca avrei sospirato.

- Se non fosse vero, non ci saremmo sempre cercati di nuovo...

- Tu mi cercavi solo per la storia della foto... - Blaterai.

Sollevai leggermente il viso, sentendo il suo profumo familiare; lui si piegò di conseguenza e i nostri occhi si incrociarono in quel rifugio buio e riparato che i nostri corpi creavano.

- La storia della foto sono mesi che non vale. La tiravo solo fuori al momento giusto per farmi valere sul tuo caratteraccio, lo sai. - Prima che potessi reagire alle sue parole, continuò: - Tu invece perché tornavi da me?

Il cuore ormai batteva all'impazzata, un po' per la vicinanza, un po' per come sentissi Parker ovunque intorno a me. Una delle sue mani mi arrivò alla guancia, spingendomi a non allontanare lo sguardo.

Sarebbe stato perfetto in quel momento rispondere con due semplici parole. Ma non riuscivo a pronunciarle. Non ancora.

- Non valeva più la storia della foto? A me non sembrava così palese.

A quelle parole ci fu un movimento da parte di entrambi e ci separammo da quella posizione così intima.

Sospirò. - Quando è partita la storia della foto, volevo solo farti abbassare la cresta... Fin dall'inizio doveva essere solo uno... scherzo per poco più di un paio di settimane. Non l'avevo presa sul serio fin da subito. E anche per questo non avresti mai dovuto credermi Giovedì... Non poi dopo tutto quel che è successo tra noi.

Mi allontanai definitivamente da lui e le sue mani mi lasciarono scivolare via.

- E' ovvio che ti abbia creduto, Max! Doveva essere uno scherzo? Beh, è durato da ottobre fino adesso! - Feci qualche passo lontano da lui, dandogli le spalle e non si oppose ai miei movimenti. - Poi cosa dovrei pensare ora? Che ti sei divertito più del previsto a prendermi in giro ed è per questo che l'hai tirata avanti così per le lunghe? - Mi girai e lo guardai seria, un po' ferita e un po' arrabbiata.

Max sospirò, passandosi le mani tra i capelli. - Perché devi portare all'estremo ogni singola cosa che dico?

- Perché non ti capisco!

- Mi capisci! Mi capisci davvero, renditene conto; sono la persona che tu credi. - Un altro sospiro si aggiunse alla serie e Max si mosse nervosamente davanti a me.

Gli occhi continuavano a sondarmi. Aprì e chiuse la bocca un paio di volte, indeciso su come continuare. - Ho rischiato di rovinare tutto, lo so. Ho tanti dubbi sul mio passato e su quel che ho fatto nella mia vita, ma per una volta sono convinto di una cosa: ora e per sempre da questo momento in poi ne sarò convinto.

Restò di nuovo in silenzio, gli occhi fissi nei miei.

- Di cosa, Max? - Chiesi, avendo ormai dimenticato qualsiasi altra questione portata in campo fino a quel momento. Ipnotizzata dai suoi occhi chiari, dalle espressioni e dalle sue parole.

Abbozzò un sorriso. - Non ti farò mai più del male.

Sentii la linea della mia bocca piegarsi in una smorfia e fuggii al suo sguardo.

- Davvero, Evy, - insistette, avendo notato la mia reazione.

Scossi la testa e la sua mano raggiunse la mia. Non la strinse, come sempre rendendosi ben conto di ogni suo gesto, ma bastò a farmi ritrovare il verde dei suoi occhi.

- Non puoi promettermi una cosa del genere. Non dopo quello che ho successo...

- E invece posso!

Feci di nuovo cenno di no con la testa e il mare di pensieri di quei giorni stava iniziando a infrangere la barriera che avevo costruito.

- Le parole non mi bastano. Me ne farai ancora di male, e anche tanto.

Esitò di nuovo e le due dita si aggrapparono al palmo della mia mano in una strana presa, ambigua come lui ed ogni suo gesto.

- Perché dovrei fartene?

- Perché non dovresti? Non sono io a dover dirti perché dovrebbe cambiare tutto da questo momento in poi, Max.

- Evy, io volevo solo assicurarti un futuro! - Si agitò, capendo su cosa volessi andare a parare, e strinse di più la mia mano.

- Eri tu il... - Mi bloccai, capendo come fossi stata sul punto di rilevare tutto in preda all'agitazione, nel modo sbagliato.

Lui sgranò un po' gli occhi e io portai la mano libera davanti alla bocca.

Ero arrivata a quel punto con l'intenzione di dirgli tutto, ma continuavo a non farcela e in quel momento, andandoci così vicina, anche fisicamente cercavo di bloccarmi dall'andare oltre.

Abbassai lo sguardo e premetti le dita sulle labbra, per essere sicura che nient'altro potesse uscire da lì.

- Io cosa? - Chiese, avendo ovviamente intuito qualcosa.

L'agitazione di pochi secondi prima sembrava già essersi sopita.

- Continua la frase, per favore, - insistette anche fisicamente.

Feci un ulteriore cenno negativo, continuando a non allontanare la mano dal volto. Lui ormai vicinissimo a me si chinò un po' cercando di arrivare all'altezza del mio viso. Sollevò la mano che stringeva la mia, portandole entrambe tra noi.

Mi persi un attimo a osservare quell'incastro, ancora non perfetto, delle nostre mani, poi ingenuamente trovai i suoi occhi.

Prima di potermene rendere conto delicatamente allontanò le mie dita dalla mia bocca.

- Io? - Chiese di nuovo.

Qualche ulteriore secondo di silenzio accompagnò il nostro scambio di sguardi.

- Eri tu... Tu facevi parte del mio futuro, - riuscii a rispondere, quasi non credendo a me stessa. Persi il coraggio di guardarlo in faccia e non mi sentii né arrossire, né in imbarazzo, né felice: niente, ero solo in attesa. - Non era lasciarmi andare la cosa giusta da fare.

Il silenzio che seguì durò così tanto che trovai di nuovo la forza di guardarlo. Max, bello come sempre, aveva un'espressione addosso che faticavo a riconoscere. Le labbra erano sul punto di schiudersi e gli occhi bruciavano.

- Invece era la scelta giusta, - formulò alla fine.

Ma io nel suo sguardo non avevo letto una risposta simile.

Tentai di allontanarmi, scottata come sempre da lui, dalla sua occhiata e dalle sue parole, ma mi bloccò facendo traballare il mobile alle mie spalle che avevo nuovamente raggiunto.

- Come, Max?! - Chiesi, incredula di avergli aperto in quel modo il mio cuore senza ricevere, come sempre, nulla in cambio.

- Perché, stupida testarda idiota, ti sto dicendo che la tua felicità era la mia priorità!

- Vuoi capire che io ti sto dicendo che ho bisogno di te per essere felice! - Mi alterai, lasciando andare senza volere un'altra bomba.

A questa nemmeno esitò. - E io di te, cogliona! Vuoi capire quindi che stavo rinunciando alla mia di felicità per permetterti quello che avevi sempre voluto!

Mi ingarbugliai in quel discordo che sembrava senza fine, praticamente perdendo il significato delle sue parole. - Qual è il punto, Max?!

Mi guardò decisamente incredulo. - Evelyne, per piacere! Davvero?!

- Davvero?! - Provai a dargli un colpo col pugno chiuso. - Sei un idiota, cosa pensi che possa risponderti ormai!

La sua espressione restò la stessa per qualche altro infinito secondo, mentre io continuavo a infierire contro di lui sia fisicamente che verbalmente.

Infine sospirò, bloccandomi di nuovo. - Possiamo ricominciare da capo?

A quella frase, che mi ero così tanto sentita dire in tutte le mie simulazioni mentali, cercai di allontanarlo nuovamente. - No! Non si può tornare come prima, Max! Non lo voglio nemmeno, non mi basta e non lo accet...

Mi fermò facilmente, in realtà con una certa esasperazione. - Da capo, Evy, non da dove eravamo. - Sollevò gli occhi al cielo, ma il gesto non era ironico né scherzoso.

Provai ad assestargli un calcio in risposta e sorprendentemente lui rise, tornò con gli occhi su di me e parò anche il mio secondo tentativo di menarlo.

In tutto quel trambusto, mi allungò la mano destra. La guardai come se si fosse trattato di vero e proprio materiale alieno.

Lui rise di nuovo e io ero incredula per la deviazione che all'improvviso stava prendendo l'intera situazione.

- Piacere, Max Parker. - E la sua mano strinse la mia in un vero e proprio segno di saluto.

Mi ripresi dalla perplessità iniziale e letteralmente gli ringhiai contro, incazzata nera per la presa per il culo e l'incapacità che costantemente dimostrava di prendermi seriamente. - Max, sono seria! Noi siamo qua e non ripartiamo da un bel niente e a me non basta quello che...

Mi interruppi però sentendolo proseguire.

- Sono il capitano della squadra di basket. Tu sei Evelyne Gray, la ragazza del giornalino. Ti conosco bene per la storia di quest'estate, ti odio parecchio, sai?

- A che gioco stai giocando?! - Cercai di ribellarmi alla sua presa, ma fisicamente serrata tra le sue braccia non riuscivo a svincolarmi. - Li odio i tuoi giochetti! Non...

- So che stai per pubblicare un'altra foto di Billy e so anche del tuo segretuccio coi compiti, quindi prenderò due piccioni con una fava!

Quel forte senso di spaesamento che stavo provando non impedì comunque alla mia rabbia di continuare a scoppiettare. - Possiamo parlare seriamente?! Tu, io, ora!

Ma lui continuò imperterrito.

- Ti farò credere di voler pubblicare la foto per prenderti un po' in giro, poi ci prenderò gusto, prima a tormentarti e poi ad averti intorno... Passerà un bel po' di tempo; saprò che dovrei smetterla di ricattarti, ma sarò anche ben consapevole del fatto che non mi parleresti più se non fosse per queste foto.

L'ennesimo tentativo di svincolarmi dalle sue braccia si interruppe a metà, perdendo all'improvviso forza. Stretta a lui in quel modo goffo, mi ritrovai a guardare i suoi occhi da così vicino e sorrideva come divertito, ma c'era qualcosa di tremendamente serio nel suo sguardo e finalmente iniziavo a percepirlo anche dalle sue parole.

- Cosa ti stai inventando? - Blaterai.

Mi ignorò e proseguì: - mi inizierai a piacere, anche un bel po'... Mentre ti vedrò pulirmi camera o seguirmi o lamentarti in giro, desidererò sempre più di poterti avere nel mio letto.

Avvampai e persi del tutto la forza di ribellarmi, le sue braccia che mi stringevano ancora mi avvolsero, non costringendomi più con durezza a stare ferma.

- Quel pensiero mi stuzzicherà sempre di più e, come avrei fatto con chiunque altra, proverò a portartici in quel letto. Ti vedrò un po' tentennare e farmi assaggiare quello che per mesi ho desiderato, ma poi come poche altre hanno fatto mi sfuggirai... Infine farai una cosa che nessun'altra ha fatto: resterai al mio fianco, senza volere nulla in cambio. Solo per me. Davvero me. Max.

Ammutolii cogliendo il riferimento a quella sera a casa sua, in cui ero rimasta a dormire dopo la litigata con i suoi genitori, per convincerlo a restare.

- Proverò ad allontanarmi da questa strana situazione, perdendo subito la voglia di giocare con te. Sentirò che sta diventando tutto strano, se non addirittura pericoloso. Ma poi succederà qualcosa che mi farà rendere conto che preferisco comunque averti al mio fianco. E mi farò delle maledettissime ore di macchina, anche nel traffico Newyorkese, pur di vederti. Non mi importerà più di rischiare che il gioco non valga la candela. Sarai mia amica e vederti sorridere quella sera alla fine compenserà ogni dubbio.

- Max...

- Seguirà un certo impasse, quell'equilibrio mi piacerà... Ma vedrò sempre più come mi guardi... arriverai persino a darmi un bacio di tua spontanea volontà, eppure quell'equilibrio fasullo sarà molto più rassicurante di provare a infrangere un'altra volta la muraglia che ci separa da... da altro. Mi piacerai quanto prima. Anzi, mi piacerai addirittura di più, però non vorrò più portarti con quell'angoscia di prima nel mio letto. Non solo quello almeno, ma lo capirò dopo ancora.

- Max, non prendermi in giro... - Sussurrai.

Scosse il viso e continuò con un abbozzo di sorriso. All'improvviso non rideva più.

- Poi grazie a te potrò continuare a giocare a basket e mio padre smetterà un po' di parlarmi di medicina. Solo un po', ma sarà un grande traguardo. Sarò felice, ma sarà sempre tutto più strano. Mi piacerai tanto. Da impazzire. Diventerai il mio pensiero fisso. Per questo prenderò una decisione che sarebbe stata normale fino a pochi mesi prima. Una decisione che sarebbe perfettamente normale per il Max di ottobre, dell'inizio, che stai conoscendo di nuovo ora. Però il giorno dopo, vedendoti, capirò quanto fosse sbagliata quella scelta così normale. La normalità non esisterà più e non desidererò altro che le tue labbra per poter cancellare tutto. E me le prenderò. Mi piacerà da morire e me ne vergognerò come un ladro.

Non seppi più nemmeno come comportarmi: se rispondere, se reagire, se fare qualsiasi cosa. Riuscii solo a continuare a guardarlo e iniziai a sentire gli occhi lucidi per l'ennesima volta in quei giorni, ma il motivo sembrava completamente diverso.

Durante quell'esitazione di entrambi, una delle sue mani iniziò a giocare con la mia.

- Mio compleanno: la verità verrà a galla. Mi farai del male come penso non me ne abbiano mai fatto e la triste verità è che probabilmente sarà solo la metà del dolore che io avrò fatto passare a te. Ma nonostante tutto, il pugno se lo prenderà Clark e non io. Io mi prenderò due schiaffi e poi riuscirò ad avere te. Non avrò però il coraggio di sgualcirti di più, mi sembrerà di averti già sporcata abbastanza. Ma mi andrà bene così, non vorrò che cambi nulla e mi prenderò solo i tuoi baci. Tutto questo almeno finché il conto non mi sarà presentato da Clark stesso, da cui tutto è iniziato, e capirò che l'unico modo per scontare la mia pena sarà perderti e permettere a te di stare bene senza di me. Finalmente, perché probabilmente di male te ne avrò fatto abbastanza.

- Così me ne stai facendo ancora, Max... - dissi, davvero sull'orlo delle lacrime.

Max scosse la testa e mi sorrise. - Non te ne voglio fare. Se tutto il casino che c'è stato da ottobre finora ti ha fatto solo del male e non riesci ad andare avanti, ti propongo di cancellarlo e iniziare da capo. Non mi importa.

- Che stupidate stai dicendo, Max? - Cercai di nuovo di allontanarmi. - Adesso io sono seria, non mi va bene tornare indietro, non mi va bene far finta di nulla, non mi va bene cancellare, tornare quello che eravamo... Io...

- Evy, io potrei anche cancellare tutto quello che c'è stato, perché so che tanto la conclusione sarebbe esattamente la stessa.

- Che conclusione, Max? Ma cosa stai dicendo?

Si morse le labbra e continuò.

- Probabilmente quello che abbiamo vissuto è stato il peggior percorso immaginabile. Ci siamo feriti, allontanati, fraintesi... Ma qualsiasi percorso sia, ci porterebbe a questo momento. Per questo possiamo ricominciare da capo. In qualsiasi modo io, al momento di stringerti la mano per la prima volta, lo capirei che questo è l'esito inevitabile. Ti ricordi il giorno in cui abbiamo siglato l'accordo, perché tu ti eri intestardita e volevi le tue regole? Quel giorno probabilmente, pur non sapendolo, pur non potendolo minimanente immaginare, già lo sapevo che sarebbe stato così. Nel momento stesso in cui le mie dita hanno toccato per la prima volta le tue, loro lo sapevano che era quello il posto in cui stare.

Questa volta ammutolita, col sangue alla testa, le orecchie che fischiavano e le labbra tremanti, mi ritrovai a sentire la mano di Max intrecciarsi davvero alla mia. Dita tra dita, dolcemente.

Sorrise, all'improvviso imbarazzato, appoggiandosi a me e chinandosi un po'.

- Non so dirlo...

- Dillo, - ordinai, ma in realtà la parola mi tremò così tanto in gola da uscire quasi incomprensibile. Non capivo nemmeno quale potesse essere il modo in cui avrebbe proseguito, ma sentivo di volerlo sapere.

Sentivo di volerlo sapere, perché la sua mano aveva appena stretto davvero la mia.

Sollevò la mano, intrecciata alla mia, tra noi, quasi a riprova di quello che avevo appena pensato. Il dorso si appoggiò alla mia guancia bollente e la mia mano accarezzò il suo viso. Era così vicino che sentivo il suo respiro addosso e i suoi occhi erano un mare di verde. Mi morsi le labbra provando a frenare ogni mio sentimento. Il mio cuore malandato non avrebbe potuto reggere altri colpi e se ne stava lì, col battito sospeso.

- Ricominciamo anche da capo, Evy, so perfettamente cosa proverei e cosa ti direi... Sono Max Parker, piacere, il ragazzo che già ora sa che si innamorerà perdutamente di te. Per la prima volta nella sua vita. E' inevitabile e anche se non lo fosse è l'unico futuro che vorrei. Non c'è altro futuro al mondo che vorrei se non quello in cui io mi innamoro di te e, come uno stupido, blaterando roba senza senso, spero solo di sentirti rispondere “anch'io”.

Mi scappò un singhiozzo dalle labbra. La testa mi girava così tanto da non capire se avessi la febbre, se stessi sognando, se fosse un'allucinazione.

E probabilmente era tutto quanto insieme, perché non riuscivo a credere che fosse vero. Che fino a poche ore prima fossi lì a crogiolarmi nel dolore; fino a pochi giorni prima a piangere; fino a poche settimane prima a fantasticare.

Però sembrava tutto vero. Max mi guardava come non l'avevo mai visto fare, gli occhi luminosi, in attesa; la bocca piegata in una smorfia, come a trattenere altre parole; la mano, beh, la mano stretta nella mia, davvero.

- Dimmelo da persona normale... - Blaterai. - Dimmelo da persona normale perché io possa davvero crederti!

Nonostante fino a poco prima fossi stata certa dell'impossibilità di un mondo in cui Parker potesse provare qualcosa per me, non riuscii a fermare il mio cuore. Perché non riuscivo a non vedere i suoi occhi, la sua espressione e la sua mano che era una promessa. E sapevo fermamente che tutto quello stava davvero accadendo e che non si trattava di un sogno. Che era vero.

Max sorrise e si avvicinò, accorciando le distanze e baciandomi. Prima indeciso, poi assaggiandomi nel modo che avevo imparato a conoscere così bene.

Mi aggrappai a lui, con naturalezza e bisogno, ricambiando il bacio caldo e salato che seguì. Mi sentì ubriaca come non mai e sorrisi anch'io.

- Queste non sono le modalià da persone normali... Non mi basta sta dichiarazione improvvisata... - Borbottai, tra un bacio e l'altro che non riuscivo e non volevo evitare, spiaccicandomi sempre più contro il mobile alle mie spalle e stringendo disperatamente le sue spalle. - Non dovrei nemmeno crederti, davvero!

Sbuffò, incredulo e divertito allo stesso tempo. - Ma se tu non mi hai nemmeno risposto!

- Non sarò io la prima a parlare!

- Ah, allora è un “anch'io”... - Mi prese in giro, strappandomi altri baci.

Sbuffai, ebbria di lui e di quelle parole, ma con un sorriso enorme stampato in faccia. - Lo sapevi già...

Rise, scuotendo la testa, e restò fermò per un po' a guardarmi, così vicino fisicamente da sentirlo parte di me. Probabilmente lo era.

- Ti amo, Evy.

Di nuovo sentii le labbra tremare e la voglia di piangere mi travolse. Ogni tristezza, ogni pensiero negativo, tutto in quel momento svanì per non tornare mai più.

Il ragazzo davanti a me, senza spavalderia, esposto come non mai, mi guardava con occhi grandi e indagatori. Quelle parole gli erano uscite di bocca a fatica, incerte. Nessuno l'avrebbe riconosciuto in quel momento come Parker, nessuno tranne me che in quel verde sereno vedevo finalmente e senza ombra di dubbi il Max di cui ero innamorata da mesi e mesi. Seppi di non aver mai preso un abbaglio.

- Ti amo anch'io, Max. Da morire. Davvero.

Il borbottio, probabilmente incomprensibile, gli arrivò comunque perché fui investita da altri suoi mille baci e dalle nostre risate fuse insieme.

E le mie famose paroline erano uscite in quel momento leggere e naturali come l'aria. Capii che mi si erano sempre bloccate in gola perché non era mai stato davvero il momento giusto e non perché la persona a cui dovevo dirle fosse sbagliata. Nessuno potevo essere più giusto di Max. Non potevo essere nessun altro a parte Max.

Quanto eravamo stati idioti? Quanto per arrivare fino a quel punto e per quasi rischiare di perderci?

Afferrandomi per la vita, dopo aver finalmente lasciato andare la mia mano, mi sollevò alla sua altezza.

- Quindi...

- Cosa? - Blaterai, cercando di mandare giù le lacrime.

- Sbaglio o mi era stata fatta una esplicita richiesta sessuale poco tempo fa? Posso adempierla?

Gli feci volare uno schiaffone addosso e, mentre ridevo, lui iniziò davvero a trascinarmi di peso su per le scale.

- Posso pretendere un po' di serietà da parte tua almeno ora?!

- Intendi ora che sei la mia... bleah... fidanzata? - Chiese facendomi ricadere davvero a letto con lui.

Cercai di dargli un'altra botta, ma mi pesava di proposito troppo addosso. - Bleah?! - Mi finsi stizzita, beccandomi nel mezzo un altro suo bacio a fior di labbra.

- Sì, dammi un po' di tempo e forse mi abituo, - scherzò, ammiccandomi con lo sguardo e cercando di rubarmi altri baci. - Comunque la serietà mai, avrai lo stesso e identico Max che hai conosciuto finora, mi dispiace!

Protestai un po', ridendo, poi cercai di nuovo di parlare. - Quindi sono la tua fidanzata? Non mi sembra che tu me l'abbia chiesto e non mi sembra di aver acconsentito. Posso fidarmi?

Lo stavo prendendo in giro, ma un fondo di verità c'era anche in quelle parole. Lui sembrò colpito in pieno e un po' tentennò.

- Puoi fidarti. - I suoi occhi mi inchiodarono al letto e sapevo davvero di potergli credere. - Per quanto riguarda il resto... Ma devo stare a dirti tutto così esplicitamente? - La sua espressione comicamente sofferente mi fece ridere. - Sai quanto mi è costato quello di poco fa? Sai che non pensavo di essere in grado di dirlo mai in tutta la mia vita? O anche solo di pensarlo? Pretendi troppo, cara mia...

- Lo so, ma me lo merito tutto... - Finsi di mettere su il broncio. - Anche perché mi sembra di stare un po' sognando, - aggiunsi, questa volta sincera e lanciandogli un'occhiata di sottecchi.

Scosse la testa, nascondendo il viso contro il mio collo e facendomi venire i brividi. - Io sono già solo tuo, Evy... tu vuoi essere mia?

Risi, ma seriamente un po' commossa annuii leggera per fargli sentire la mia risposta.

Sollevò di nuovo il volto e sorrise, un po' sghembo.

A quell'espressione non seppi resistere. - Sono tua, Max, lo sono sempre stata e lo sarò sempre.

- Mi dispiace aver dovuto rischiare di perderti per realizzare tutto questo... Ma ora non ti farò mai più del male, giuro, - disse, tornando serio e giocando coi miei capelli, innervosito.

Gli diedi un bacio e vicinissima, tanto da non distinguere bene i suoi occhi, continuai: - anche nella migliore delle ipotesi ce ne faremo un po', Max... Ma non mi importerà mai, perché se continuerai ad amarmi, qualsiasi ostacolo lo potremo affrontare e il male diventerà sempre bene...

Ricambiò il bacio e infilai la mano tra i suoi capelli. Non riuscii nemmeno a vergognarmi di quelle parole, ora naturali e serene come forse non era mai stato nulla in vita mia.

- Te lo prometto.

Gli sorrisi, sentendomi però sempre più accaldata dalle sue labbra e dal suo tocco.

- Sai che sembrava quasi una promessa di matrimonio la tua, comunque? - Aggiunse, rovinando del tutto l'atmosfera.

Cercai di fargli arrivare un ceffone avvampando, ma lui scansò il colpo e rubò di nuovo le mie labbra.

- Ti piacerebbe avere la fortuna di sposarmi un giorno! - Azzardai, tra una lotta e l'altra.

Rise, incredulo. - Io?! Ma hai visto il manzo che puoi avere la fortuna di chiamare il tuo ragazzo?!

- Sì, il manzo che ha mille cose di cui farsi perdonare, prima che possa davvero definirmi fortunata...

Si finse offeso all'ennesima insinuazione, ma cercò di strapparmi altri baci e io continuai a ridere.

Felice.

Felice di essere lì.

Felice di essere con Max.

Felice di aver vissuto quella punizione divina.

 

Anch'io probabilmente l'avevo sempre saputo, dalla prima volta che vidi i suoi occhi verdi, che inevitabilmente sarebbe stata questa la fine.

 

 

 

Fine

 

 

 

 

- Max! Stammi lontano!

- Non sto facendo nulla!

- Lascia... Lascia stare la mia maglietta, deficiente!

- Ma scusa, me l'hai chiesto tu qualche giorno fa!

- Ma come puoi essere così cretino?! Non ridere, sono seria! Ho detto che... Max!

- Adesso che sei la mia ragazza, non ho mica la coscienza che mi frena, eh... Anzi, io direi che per fare pace è proprio perfetto...

- Non te lo meriti!

- Ma mica è un regalo che me lo devo meritare, scema! Poi oh, se proprio non vuoi... Basta che mi fermi... Quando vuoi...

- … Max...!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

…......

 

(altro posto e altro momento)

 

Entrambe si zittirono, continuando però a fissare lo schermo. Regnò per quache minuto il silenzio nella stanza piccola e deserta, accompagnato in realtà solo dal ronzio dell'unico computer acceso.

- Cosa ne pensi? - Azzardò la rossa, alla fine.

- A parte il finale esageratamente melenso? - Precisò la bionda, seduta nella sedia a fianco.

- L'hai pensato anche tu? Bleah. Diabete a parte, cosa ne pensi?

- A parte l'intera settimana in cui abbiamo sprecato ogni pomeriggio per finire di leggere questa roba? - Chiese ancora, appoggiandosi stancamente allo schienale. - Okay che volevo anche vedere come andava a finire, ma starsene ogni pomeriggio a scuola, davanti al computer... Un computer così vecchio poi, si legge malissimo...

- A parte questo? - Insistette.

- A parte che questi due idioti avrebbero potuto chiuderla molti capitoli prima, ammettendo semplicemente tutto e baciandosi e scopando?! - Aggiunse con particolare foga la bionda. - Che tra l'altro io stavo continuando a leggere soprattutto per la fatidica scena di sesso e invece nulla! Ma ti sembra normale che non l'abbia nemmeno descritta?!

- Sarah, a parte quello! - Esclamò, esasperata, la rossa. - C'è sinceramente qualcosa che salta all'occhio dai primi capitoli. Non ti ho detto niente perché prima volevo finire di leggerla tutta!

Sarah alzò gli occhi al cielo poi li rivolse all'amica. - Ma cosa? Che è un amore vero? Sei così romantica, Jess?

Jess, irritata, sbatté le mani sul tavolo. - Sarah, i nomi!

- I nomi?

- Sì, idiota! Evelyne Gray, ma soprattutto Max Parker!

Sarah guardò Jess abbastanza perplessa. - E...? Sono i nomi dei protagonisti della storia che abbiamo appena letto.

Jess sospirò. - Conosci qualche Parker, Sarah? Pensa un attimo, per favore.

L'altra sbuffò, appoggiandosi alla scrivania che ospitava l'ormai datatissimo computer portatile. - Spiderman?

L'occhiata glaciale di Jess le fece capire di dover cambiare risposta.

- Ma è un cognome comunissimo, Jess! C'è la prof di biologia, una ragazza che fa Soccer con me, il ragazzo di Stephanie, e almeno un'altra decina di persone in tutta la nostra scuola. - Si interruppe. - E i fratelli Parker, ovviamente, - aggiunse, ricordandosi subito dopo di loro e ritenendo necessario nominarli esplicitamente.

Jess si illuminò. - Oh, finalmente! E hai capito cosa c'è di incredibile in tutto questo? Questa storia non è un racconto di fantasia. E' vera!

Sarah sembrò continuare a non capire. - E perché mai?

- I fratelli Parker, idiota. Cecilia e Derek.

- Sì, li so i loro nomi...

Jess si portò le mani tra i capelli, lasciandosi scivolare anche lei sulla scrivania. Un sospiro esasperato le sfuggì dalle labbra.

Sarah sembrò spazientirsi anche lei. - Oh, insomma, parla chiaro!

- Non ti sembra un po' troppo strano che una si chiami Cecilia, il nome della madre di questa Gray, secondo la storia che abbiamo appena finito di leggere? Che il padre dei fratelli che conosciamo noi sia stato un giocatore di basket professionista? Ma soprattutto che la madre dei fratelli sia una giornalista! Lavora al New York Times e si chiama Evelyne Gray. Non li leggi i giornali, scusa?

L'occhiata dell'altra sembrò una risposta sufficiente.

- Scusa, dimentico sempre quanto tu sia ignorante. Ma insomma è una storia vera, Sarah! Questi due, Max Parker ed Evelyne Gray, si sono sposati e i loro figli sono probabilmente i fratelli della nostra scuola! Questa che abbiamo trovato e letto è la loro storia! Presumibilmente questa una volta era la vecchia aula del giornale scolastico e questo file è stato lasciato da Evelyne. Chiaramente lei per qualche motivo si è sfogata e ha scritto tutto qua sopra. Dopotutto era ed è una giornalista, deve sempre aver avuto il pallino per la scrittura.

Sarah spalancò la bocca, per poi tornare a guardare il computer. - Hai ragione! Ommiodio!

Jess le augurò finalmente il buongiorno, tanto le era sembrato tutto così ovvio dai primi capitoli, leggendo il nome della protagonista e il cognome di lui.

- Dovremmo dirglielo, - fece notare Sarah, ridendo. - A Cecilia sarà un po' difficile, perché è andata all'università, ma con Derek possiamo parlare domani a mensa. Sai che cosa strana sarà per lui leggere la storia d'amore dei suoi? Soprattutto dati certi particolari… - E rise ancora.

Jess la interruppe, alzando una mano e ghignando. - Dirglielo? Faremo molto più di questo...

Sarah, che conosceva bene quello sguardo, si bloccò fissandola. - A cosa stai pensando, Jess?

L'altra rise, amaramente. - Io odio Derek.

- Lo so, ma è comunque la storia dei suoi... E nemmeno avremmo dovuto leggerla. Questo pc l'abbiamo trovato per caso tra gli scatoloni da buttare; non avremmo nemmeno trovato il modo per accenderlo se non ti fossi intestardita tu a cercare il caricabatterie e soprattutto se non fossi una dannata pettegola e non ti fossi messa a spulciare in ogni angolo del sistema prima di resettarlo...

Jess ignorò come sempre ogni insinuazione e iniziò a mordersi le unghie pensiorosa. - Mi hai proprio fraintesa... Derek avrà indietro la storia dei suoi genitori...

Sarah la lasciò fare, sapendo che non sarebbe riuscita ad averci una conversazione normale finché non avesse finito con le sue meditazioni.

- Cecilia comunque è bella, alta, occhi verdi: una figa. In effetti ci sta che sia la figlia di questi due, assomiglia alla descrizione di Parker e i capelli sono quelli di Evelyne.

- Derek è uscito male, invece. - Sbuffò Jess, interrompendo la divorazione delle sue unghie per quel breve commento. - Castano, occhi marroni, alto solo come la sorella pur essendo un uomo.

Sarah rise. - Sì, non è un gigante, ma ha ancora la faccina da ragazzino, secondo me deve finire di crescere... Poi non è vero per nulla che è brutto, scusa.

L'altra espresse con un verso il proprio disgusto. - Mezza calzetta. Schiappa.

- Lo dici solo perché ti ha fregato il posto da Presidente del Consiglio Studentesco... Tutta la scuola lo adora, Jess, arrenditi, - fece notare Sarah guardandola con fare scettico.

La chioma sembrò bruciare ulteriormente di rabbia mentre Jess avvampava. - Io non lo adoro! E io sono la più adatta per quel ruolo! Sono intelligente, intraprendente, meticolosa e la migliore studentessa della scuola.

- Jess... Derek ti batte ogni volta, lo sai. Poi hai un caratteraccio e la gente...

- Ma da che parte stai tu, scusa?! - Ribattè, stridula. - E anche se la gente non mi ha votata come Presidente, sono la migliore di sicuro per svolgere il ruolo da vice e voglio esserlo! Ma lui mi ha detto, sorridendo in quel suo modo odioso, che mi farà sapere, ma pensa che sia meglio scegliere qualcuno di più "propenso alle relazioni interpersonali" rispetto a me. Lo ammazzerò un giorno.

Sarah soffocò una risata. Derek aveva fatto bene anche a prenderla lievemente in giro. Lei e la rossa erano amiche fin dai tempi della culla, Sarah le voleva un mondo di bene e anche per questo poteva permettersi di parlarle in modo così schietto, ma Jess per il resto, alquanto viziata e prepotente, era sopportata da ben poche persone: probabilmente solo da lei e Robert.

Sarah infatti, per quanto le litigate fossero all'ordine del giorno, era ben a conoscenza del tipo di persona che si nascondeva sotto quella dura scorza ed entrambe non avrebbero potuto vivere senza l'altra.

Robert beh... Robert si portava semplicemente a letto Jess: erano fidanzati e, come insinuato apertamente più volte da Sarah, la rossa doveva essere sicuramente brava per permettere a quel povero cristo di sopportarla e di esserne anche innamorato.

- Quindi... quindi adesso sarà costretto a mettermi come vice! - Esclamò Jess vittoriosa. Senza rendersene conto era però in preda a un vero e proprio delirio.

- E perché mai? - Chiese l'altra, non capendo e riprendendosi dai suoi pensieri.

Jess piantò il dito contro il computer, sorridendo. - Questo. Questo computer è nelle mie mani. Quando lui lo saprà, sarà costretto a fare quello che voglio, perché altrimenti...

- Altrimenti rivelerai la storia d'amore dei suoi al mondo intero? Wow, di sicuro tremerà appena glielo dirai... - Commentò Sarah ironica.

L'altra rise, quasi avendo previsto quell'obiezione. - Ma sai se si venisse a sapere cosa faceva sua madre? Una giornalista così rispettabile, quand'era al liceo?

Sarah spalancò la bocca, incredula. - Ma lascia stare Evelyne! Poveraccia! Per quella storia l'hanno tormentata già abbastanza!

- Non voglio rivelarlo sul serio, idiota! Poi sinceramente dubito che potrebbe essere davvero utilizzata contro lei, sono passati secoli ed è pur sempre una storia che sembra di fantasia. Ma mi basta solo che Derek lo creda possibile e che, sapendo la storia, pensi che io sia in possesso delle foto. Dopo è fatta: non dirà niente ai suoi e sarà completamente in mio potere. Sarò la Vicepresidente solo in apparenza, ma in realtà dirigerò io tutta la baracca e lui dovrà fare solo quel che voglio. - Si alzò in piedi di scatto per cercare la sua borsa e l'USB.

- Non funzionerà, Jess... - Cercò di farle notare Sarah. - Lo racconterà a sua madre e...

- Non lo farà. Ho detto che il ricatto funzionerà alla perfezione e Derek sarà in mio potere.

Anche Sarah si rese conto che Jess stesse delirando.

La rossa però infilò imperterrita la chiavetta nel computer e cominciò a copiare i file.

- Ma stai provando ad imitare Parker? - Chiese, dopo un attimo, Sarah.

Jess esitò con la risposta, continuando però nel suo operato. - Mi ha ispirato okay? Lo ricatterò, sarò la vera Presidentessa del Consiglio Studentesco e... non sorridere in quel modo, Sarah, ti avverto. Mi sono ispirata a Parker, ma non finirà male come a questi due e non sono nemmeno interessata a simili esiti raccapriccianti con Derek.

Finì con la chiavetta e cancellò anche l'intero documento: sul pc non rimaneva più traccia di quella storia che era stata salvata anni prima, d'estate, da Evelyne Gray. Lei e il computer erano stati entrambi ignari di quello che sarebbe seguito e di come sarebbe arrivato tutto fin lì.

Ignara era anche Jess, ma di ben altri fatti, seppur sempre futuri.

- Sai, credo che anche Max Parker pensasse una roba del genere, prima di iniziare a ricattare Evelyne, - disse Sarah, di nuovo divertita.

- Parker se la voleva già fare dall'inizio, ne sono convinta. Io non corro alcun rischio e Derek mi fa ribrezzo e mi sta sul cazzo e... Non osare sorridere in quel modo! Ho il mio Robert: molto più alto, bello e intelligente. Non osare, Sarah, - minacciò, sempre col dito puntato; poi prese in spalla lo zaino e si avviò verso la porta. - Domani sarà la prima cosa che comunicherò a quel montato; ti terrò informata. E non ridere in quel modo ho detto! Non andrà a finire come questa storia, nel più assoluto dei casi! - Il tono da soddisfatto qual era inizialmente, era finito sulle solite tonalità alterate che caratterizzavano così tanto Jessica.

Sarah alzò le mani in segno di resa; Jess uscì.

La bionda si trovò da sola davanti al computer che era stato svuotato dell'unica cosa interessante.

Dopo un attimo di esitazione, sorrise tra sé e sé e aprì un nuovo documento di testo su quello stesso pc.

Sarah era probabilmente solo influenzata da quanto letto per tutta la settimana, ma era sempre più convinta che anche Max Parker l'avesse pensata esattamente come Jess.

Ed era sempre più convinta che l'esito fosse già scritto.

Non sapeva se davvero Jess sarebbe riuscita a fregare Derek, lo dubitava, ma era davvero sicura che, in qualunque modo, Jess sarebbe stata una Punizione Divina, ma questa volta di Parker.

 

Divertita, iniziò a scrivere quanto appena successo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE:

 

Fineeee!

Avrei tanto da dire, prima di tutto che c'ho messo tanto a pubblicare perché non sono mai stata soddisfatta dell'esito, in realtà non lo sono ancora, ma eccomi qua perché la storia doveva avere una fine, non sarà perfetta, magari non come la immaginavate, ma è la fine che Josie5 è riuscita a scrivere. Spero vi basti :)

 

Ci sono questioni non risolte, lo so, e non vorrei nemmeno risolverle. Per quanto questa sorta dell'epilogo finale sia più che altro scherzosa (non temiate un continuo della storia, non ci sarà), è vero che ho sempre immaginato la storia come scritta direttamente da Evelyne che sceglieva in qualche modo di sfogarsi. Per questo trovo logico che non tutto venga chiarito (Alex e Francy; questione università; genitori di Max), perché una volta arrivata al lieto fine a Evelyne non serviva aggiungere altro!

Quindi per questo metto che la storia è conclusa, maaa... non escludo che in futuro possiate vedere un aggiornamento, per chiarire quanto rimasto sospeso o per farvi vedere quanto successo subito dopo questo capitolo tra Max ed Evy.

Non ve lo assicuro però, e dovesse arrivare sarebbe in tempi probabilmente lunghi (come purtroppo è accaduto con questo capitolo, ne sono davvero desolata!).

L'epiloghetto su Jess e Sarah potrà sembrare fuori luogo, ma era scritto dal 2014. Mi divertiva particolarmente l'idea e anche se so quanto sia banale lo stereotipo della storia che si ripete per i figli, era qualcosa che avevo pianificato da così tanto che non potevo ora evitare di inserirla. Spero abbiate apprezzato.

Lo stile da parte centrale del capitolo è diversa dal solito: tutto è monotono e veloce per quel che Evy sta provando e volevo renderlo così. Spero pero non vi sia sembrata solo una lista della spesa.

Fatemi sapere pure se vi è piaciuto, cosa ne pensate e anche se vorreste sapere altro su Maxi ed Evy!

 

 

Detto questo...

Spero di avervi divertite, magari commosse e fatte innamorare dell'amore e di voi stesse. Soprattutto di voi stesse.

L'amore non sarà mai nella vita reale quello delle favole, ma esiste. Potrà non essere quello del principe azzurro, potrà non essere addirittura quello di un vostro ipotetico futuro partner, ma del bene ci sarà sempre ed è quello che spero arrivi per tutte voi.

Grazie per avermi letta.

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