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di Insecurity
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** 1. ***
Capitolo 3: *** 2. ***
Capitolo 4: *** 3. ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


 
“Il mio nome è Alya. Porto il nome di una stella, e in arabo vuol dire cielo, paradiso. Ma se mi vedeste in questo momento capireste che non ho proprio nulla di appariscente e luminoso, né di celestiale. Così tanti significati in un nome, così poca vita nella persona che lo porta.
Guardandomi allo specchio non vedo niente, se non quello che resta dell’Alya di una volta. Dell’Alya che suonava giorno e notte,  che non si curava nient’altro che della musica e di quegli 88 tasti bianchi e neri che le sue dita toccavano con leggerezza e sicurezza. Dell’Alya che viveva in un mondo tutto suo,  incurante di quello che le accadeva intorno. Vedo il mio riflesso e capisco che mi sto perdendo, piano piano. Il mio viso è scavato e le occhiaie ormai sono diventate permanenti; i miei capelli sono talmente rovinati che sembrano paglia e alzando la maglietta riesco a vedere distintamente tutte le costole.
Ma ormai non mi importa più di niente, da quando Sam non c’è più.”
 
Alya ritornò a letto e chiuse gli occhi, ma gli comparve subito la sua immagine, di quando era un adolescente attraente con lunghi capelli scuri e ridenti occhi verdi. Nell’appartamento sudicio e spoglio non c’era più neanche una foto… ricordare le avrebbe fatto troppo male. Qualche volta, nel gelido silenzio della casa, le pareva di sentire la sua risata roca e sincera, quella risata che le riempiva il cuore, ma sapeva che era tutto frutto della sua immaginazione .E se già il giorno era duro, la notte era ancora peggio, perché neanche nei sogni trovava pace. Erano passati due mesi ma ancora non aveva versato una lacrima, non perché fosse una persona forte, ma perché ancora non voleva crederci, non poteva crederci.

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Capitolo 2
*** 1. ***


1.
Aprì gli occhi molto lentamente Li strizzò forte, ma venne subito colpita dalla luce del primo mattino.
Alya rimase per un po’ a letto. Erano passati dalla sua morte, e in quel periodo non aveva fatto altro che girare per l’appartamento come un fantasma, cercando di sedersi davanti al pianoforte ma non riuscendo a risolvere nulla. Non aveva idea di quello che avrebbe fatto da quel momento in poi… di una cosa era certa: doveva andare avanti con la sua vita, anche se aveva ben poco significato senza Tyler e senza musica. A volte le sembrava di non riuscire nemmeno a respirare, era come se lui andandosene si fosse portato via la sua anima, e avesse dimenticato lì il corpo…
Scacciando quei pensieri malinconici, si alzò dal letto, aprì la finestra della stanza, chiuse gli occhi e inspirò profondamente. Fece un piccolo sorriso, forse il primo da molto tempo. Adorava le mattine d’autunno: era sempre stata la sua stagione preferita, le foglie che cadono dagli alberi, il vento che scompiglia i capelli, il profumo delle caldarroste in ogni angolo della città.
Sarebbe uscita, si sarebbe gustata il sole del primo mattino, avrebbe fatto una passeggiata e non avrebbe pensato a nulla. Andò verso l’armadio, ma i pochi vestiti rimasti erano sporchi o stracciati, o le stavano decisamente larghi. Si guardò allo specchio, ma quello non poteva essere il suo riflesso. Un viso pallido e smunto la stava osservando, con quegli occhi verde intenso contornati da ciglia foltissime, forse un po’ troppo grandi per quel viso affilato; i lunghi capelli scuri erano tutti rovinati e un po’ le dispiacque, erano sempre stati la parte migliore di sé. Quella ragazza allo specchio era così magra che si potevano contare le costole.. Alya non si stupiva che i vestiti le andassero come dei tendoni. Distolse lo sguardo, imbarazzata e continuò con la ricerca di un vestito decente. Alla fine scelse un maglione grigio, che le arrivava a metà coscia e dei semplici pantaloni neri, raccolse i capelli un una coda di cavallo e si avvicinò la porta. Mise la mano sulla maniglia, ma quel senso di oppressione si fece avanti ancora una volta.
 - Respira, Alya. Cosa direbbe Sam se ti vedesse in questo stato? Disse a bassa voce.
Facendo un grande respiro, uscì all’aria aperta.
Era il momento di tornare a vivere, in un modo o nell’altro.
 
                                                                                 * * *
Alya volse il viso al sole; da quanto tempo non ne sentiva il calore sulla pelle, non respirava il profumo fresco dell’aria. Arrivò a Victoria Park e si sedette sulla prima panchina; si mise comoda, incrociò le gambe come faceva sempre e cominciò a osservare le persone che le passavano davanti. Sapeva che non avrebbe dovuto, ma lei lo trovava interessante: dai gesti e dalle espressioni, si poteva capire molto di una persona.
Un signore distinto, dall’aria cupa, le passò lentamente davanti, e mentre camminava non alzava mai lo sguardo. Teneva le spalle curve, come se dovessero sopportare un peso troppo grande per lui. Spesso Alya dimenticava che non era l’unica al mondo a soffrire…
Una donna alta e secca, con i capelli lisci e biondo platino, certamente non naturali, camminando col naso all’insù, portava a spasso un bassotto con il collare rosa shocking. La ragazza si stupì che quel povero cane non avesse una tutina addosso, magari abbinata ai vestiti della padrona.
Poi..poi un ragazzo attirò la sua attenzione. Stava facendo jogging e anche da un bel po’, pensò Alya osservando la sua felpa sudata. Stava facendo il giro del parco, così ogni cinque minuti se lo trovava davanti e, nonostante i suoi sforzi, lo seguiva con lo sguardo. Non riusciva a vederlo bene in volto, in parte coperto dai capelli color mogano scuro, ma c’era qualcosa che l’attirava verso quel ragazzo. Proprio mentre passava davanti alla panchina si girò verso la ragazza e.. non era possibile. Se non sapesse per certo che Tyler era morto, avrebbe detto che quel ragazzo era lui.  Si alzò lentamente, con la bocca spalancata e gli occhi sgranati;  iniziò a camminare, prima lentamente poi sempre più velocemente. Il ragazzo se ne stava per andare così cominciò a correre fino a fermarsi davanti a lui. No, non era suo fratello, non gli assomigliava nemmeno un po’. Il ragazzo si fermò un attimo, Alya sentì distintamente la musica metal che stava ascoltando. la guardò irritato ricominciò a correre come se niente fosse, mentre lei si accasciò a terra. Nascose il viso tra le mani.
Che illusa. Sapeva, sapeva che l’avrebbe cercato, nei riflessi delle vetrine dei negozi, per strada, nei bar. Ma doveva rassegnarsi al fatto che lui non avrebbe mai più fatto parte della sua vita.
Ad un tratto si sentì toccare la spalla da un dito leggero. Si girò, con aria interrogativa e si trovò davanti un bimbetto paffuto dall’aria arrabbiata.

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Capitolo 3
*** 2. ***


Alya e il bambino si scambiarono un occhiata. Il bambinetto era cicciottello, con guance rosse e occhi scuri. Aveva la bocca contratta in una smorfia che lo faceva sembrare un criceto; con vocina irritata, disse:
-  Scusami, signora, sei in mezzo alla strada!
Alya si guardò intorno, poi si girò nuovamente verso il bambino che si appoggiava con aria orgogliosa al suo monopattino. Doveva essere nuovo di zecca e molto costoso.
-  Oh, mi dispiace, ora mi sposto. - In realtà, la strada era abbastanza grande perché lui potesse passare, ma Alya preferì non contraddirlo.
Il bambino la guardò bene in faccia e, con aria preoccupata chiese: - Oh, ma sei triste signora? È per colpa mia? Vieni con me, signora, mi farò perdonare! -.
Le prese la mano e la strinse alla sua, fresca e morbida e iniziò a trascinarla attraverso il parco.
-  Oh no piccolo, davvero non è colpa tua, non c’è bisogno di..
Ma il bimbo la interruppe:
-  Io comunque sono Artie e ho quasi sei anni. - Fece un piccolo sorrisino, fiero della sua età. - E tu signora?
-  Il mio nome è Alya e.. lo sai che i gentiluomini non chiedono l’età alle femmine?
-  Allora vuol dire che sei vecchia, sennò mi rispondevi.
-  Ok, ne ho 26!
-  Sì, sei vecchia. Però sei tanto bella!
Alya si fermò di colpo, stupita dalle parole del bambino. Si era dimenticata di quanto i bambini fossero schietti e spesso… sinceri.
Arrivarono vicino ad un grosso albero. Addossato al tronco c’era una scala bianca. Il bambino era già salito e si era già messo a cavalcioni su uno dei rami più bassi.
-  Vieni, non c’è paura, sali!
Sconcertata, Alya obbedì a quel bambino così strano. Si sedette di fronte a lui e strinse le gambe intorno al ramo.
-  Ma lo sai che è pericoloso arrampicarsi qua su? Potresti farti davvero male! E dove sono i tuoi genitori?
-  Oh io ci vengo sempre qui, è il mio posto segreto segretissimo. Promettimi che non lo dici a nessuno, nessuno!
-  Va bene, prometto, ma..
-  Croce sul cuore?
-  Sì, sì. Croce..
Non la lasciò finire che cambiò discorso:
-  Vengo qui con la mia tata, ma è antipatica e cattiva, non mi compra mai il gelato. Va sempre a sedersi davanti all’edicola. Credo gli piaccia il giornalaio..
-  E tu come fai a saperlo? Come fai a sapere certe cose, sei ancora piccolo!
Artie cambiò nuovamente discorso:
-  Mia mamma non c’è più da quando ero piccolo così. – alzo la mano, distese il pollice e l’indice per farmi capire. – E mio papà è sempre via, non mi vede mai.
-  Oh, mi dispiace per tua mamma..
-  Ma non è mica morta! È solo andata via. Ma non so cosa è successo, nessuno me lo dice, sono “troppo piccolo”. Si affrettò a rispondere, facendo una smorfia irritata.
-  Sai, anche io non ho mai conosciuto realmente mio padre.. e mia madre.. per quanto le possa volere bene, non mi ha mai capita realmente.
-  Papà quando è a casa si chiude nel suo studio a lavorare. Che noia! Non gioca mai con me e non mi parla, mi guarda sempre in modo strano.
-  Oh, sono sicura che non sia così, molto probabilmente è impegnato… ma che ore sono? Le 11! Ma tu non dovresti andare a scuola, o qualcosa del genere?
-  No, io studio a casa. Il maestro viene per me e mi insegna tutto. Ma è barbone, non mi fa mai giocare…
-  Vuoi dire.. barboso?
-  Sì sì, quella cosa lì!
-  Vieni, scendiamo e andiamo a cercare la tua tata.
Girarono per tutto il parco, ma non la videro da nessuna parte.
-  Artie, sai la strada per tornare a casa? Ti accompagno io, visto che la tata si è dileguata…
-  Vieni, da questa parte, così ti faccio vedere i miei giochi!
Iniziò a correre con le sue gambette corte e Alya dovette raggiungerlo in fretta e prenderlo per mano, per evitare che si facesse male.
Dopo un pezzo, si fermarono davanti ad un enorme casa in stile vittoriano: un grande portone era preceduto da una scalinata in marmo, il palazzo era altissimo, enfatizzato dai pinnacoli sul tetto. Le finestre erano alte e strette, chiuse e coperte all’interno da spessi tendoni.
-  Artie, ma.. tuo papà cosa fa esattamente?
-  Beh, lui.. non lo so, però so che è ricco, tanto! Vieni, entra, andiamo a fare colazione!
Così Alya venne nuovamente trascinata dentro quell’enorme palazzo da un uragano di nome Artie.
E per tutta la mattina non aveva pensato a Sam.
                                                                                              ***
Il suo viso rifletteva il suo immenso stupore, quando entrò in casa di Artie. Il suo piccolo appartamento sembrava uno sgabuzzino al confronto. La sala principale era non grande, era davvero gigantesca. Rimase per qualche minuto con il naso all'insù, come i bambini che guardano verso le nuvole; un ricco lampadario di cristallo pendeva dal soffitto, davanti a Alya possenti scale in marmo portavano al piano di sopra. Al salone d'entrata, di forma circolare, erano connesse la sala da pranzo, la cucina, il salotto e quello più sfarzoso per i ricevimenti e sulle pareti erano appesi quadri famosi... Alya non era nemmeno convinta che fossero solo riproduzioni, dalla casa, sicuramente il padrone avrebbe avuto i soldi per comprarsi un quadro originale!
Si avvicinò ad un dipinto, I papaveri di Monet. Era il suo artista preferito, adorava i giochi di luce nelle sue rappresentazioni.. Tutto è differente sotto una luce diversa.
- Signora Alya, vieni ti faccio vedere la mia stanza! - Urlò Artie e proprio mentre stava per salire sul primo gradino, una voce rimbombò nel salone:
- Arthur, si può sapere cosa stai facendo?
La voce era profonda, come solo quella di un uomo poteva essere. E...veniva proprio da dietro di lei. Si girò lentamente e si trovò davanti quello che le parve essere un leone. L'uomo che la stava fissando con intensità  aveva i capelli piuttosto lunghi, arrivavano fino al colletto della camicia perfettamente inamidata. Non riusciva a vederlo bene perché era in penombra, ma Alya riusciva a sentire la forza che emanava: la sua figura, piuttosto minacciosa dominava la sala. Non poteva che essere il padre di Artie. Quando le si avvicino non se sentì altro che il rumore delle sue costose scarpe in cuoio.
- Ora porti anche delle sconosciute in casa, figliolo? - parlò al figlio, anche se stava ancora guardando Alya
Il bambino, che era rimasto paralizzato su quello scalino provò a parlare, ma Alya lo anticipò:
- Mi dispiace signore, è colpa mia. Suo figlio non c'entra. - Allungando la mano verso di lui si presentò: - Immagino che lei sia il padre di Artie, piacere di conoscerla. Il mio nome è Alya -.
L’uomo la guardo con aria interrogativa; facevano tutti così sentendo il suo nome. Ricambiò la stretta; la sua mano era forte e calda e strinse con decisione quella di Alya. Lei odiava le persone che davano una stretta di mano molle e debole, secondo lei era sintomo di mancanza di carattere.. cosa che sicuramente non mancava al padrone di casa. Non che avesse avuto bisogno della stretta di mano per conoscerlo. Le mani ancora intrecciate, quando si guardarono negli occhi Alya sentì il suo cuore farsi più pesante e lo stomaco... lo stomaco brontolare.
Ritirando la mano, abbozzò un sorriso e si scusò:
- Mi dispiace, non ho fatto colazione stamattina, nemmeno un goccio di caffè.
Ignorandola, continuò:
- non avete ancora risposto alla mia domanda. Che ci fa lei qui, signorina?
- Beh, stavo passeggiando nel parco e.. - il viso rabbuiò improvvisamente, distolse gli occhi dall'uomo - .. per sbaglio sono inciampata e Artie mi ha dato una mano. Non siamo riusciti a trovare la tata, così l'ho accompagnato a casa, non volevo lasciarlo lì su quell'alb... lì da solo.
L'uomo alzò il mento per capire se stesse dicendo la verità. Poi con un sospiro disse:
- La ringrazio per il suo aiuto, signorina. Artie è a casa ora, può andarsene.
Artie, sperando di poter stare ancora un po' con la sua nuova amica, corse davanti al padre:
- Ma papà, non può rimanere a fare colazione almeno? Non l'hai sentita la sua pancia?
Alya fu grata alla penombra della sala, sperava davvero che l'uomo non vedesse che era arrossita.
- ... E va bene, andiamo tutti a fare colazione! CARLA! - urlò - Dove sei?
- SONO QUI SIGNORE... STO.. ARRIVANDO!
Una donna bassina e tonda entrò di corsa, senza respiro.
- Mi dica signore
- Prepara la tavola per favore. E apparecchia per tre, oggi abbiamo un'ospite.
Guardando dalla mia parte, la donna sorrise: - Bene signore, due minuti ed è tutto a posto! parlò con una vocina stridulo.
Annuendo, l'uomo si girò verso Alya e Artie e con un cenno ci indicò di seguirlo.
Aveva una camminata aggraziata, per essere un uomo, ma faceva dei passi davvero lunghi! Rincorrendolo, Alya gli si avvicinò:
- Grazie per l'ospitalità, ma non mi ha ancora detto il suo nome, insomma mi sembra buona educaz...
- Mi chiamo Klaus, Alya.
Ora riusciva a scorgere un lato del suo viso. E il cuore le si fece ancora più pesante.
 

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Capitolo 4
*** 3. ***


 
3.
 
Alya avrebbe voluto trovarsi ovunque, tranne che in quella sala da pranzo. Non sapeva come comportarsi, non aveva idea di come reagire alle occhiate insistenti e penetranti del padrone di casa. La cosa peggiore era che non le trovava irritanti. Anzi.
Quando erano entrati in sala e si erano seduti, aveva avuto modo di osservare l’uomo, che si era seduto di fronte a lei. Era da un po’ che non si faceva la barba, ma quell’aspetto un po’ rude gli donava. Sembrava in sintonia con il suo carattere poco allegro. Aveva gli occhi scuri, tanto scuri, da non distinguere pupilla e iride. Aveva una piccola cicatrice sulla guancia sinistra, quasi impercettibile… non che Ginevra avesse passato tutto il tempo ad osservarlo, ovviamente.
Mentre rispondeva alle domande del piccolo Artie, non faceva altro che sperare che lui dicesse qualcosa, qualunque cosa. E che quella maledetta colazione finisse al più presto. Accidenti, perché quella mattina non era rimasta a casa a compiangersi ancora un po’ addosso?!
In realtà, se non fosse stato per la sua presenza, si sarebbe senz’altro goduta tutto quel ben di Dio.
Marmellate alla fragola  e all’albicocca, nutella spalmata su sottili fette di pane, croissant ripieni e coperti da uno strato di zucchero a velo e ancora uova, bacon, latte caldo e the. Ecco, stranamente, Ginevra odiava il the, al contrario di tutti gli inglesi. Trovava il suo odore nauseante e il suo sapore.. meglio non parlarne.
Si abbuffò, era da tanto che non mangiava così. Anzi, forse era arrivato il momento di mettere su qualche chiletto, tra poco sarebbe sparita dallo specchio..
Una voce, quella voce, interruppe i suoi pensieri. Lo guardò e probabilmente stava aspettando una risposta. Ad una domanda che non aveva minimamente sentito.
-          Come scusi?
-          Le ho chiesto che lavoro fa, signorina.
-          Oh, mi può chiamare Alya. In realtà, non ho un lavoro. Ho insegnato per un po’ ma..
-          E con chi vive?
Non sapendo dove volesse andare a parare, rispose ironicamente:
-          Da sola, abito in un piccolo e orribile appartamento sopra una pasticceria italiana, al confronto, casa sua sembra Versailles. Terzo piano senza ascensore, i gradini sono quelli alti, quelli faticosi insomma. Porta a sinistra, sullo zerbino c’è un gatto che dice: “Welcome!”. Vuole sapere anche il mio codice fiscale, Klaus?
Con un accenno di sorriso, rispose:
-          Mi spiace se le sono sembrato scortese, Alya, mi stavo solo mostrando curioso.
Arrossendo e al colmo dell’imbarazzo, cercò di scusarsi:
-          Mi scusi lei. Sa, non sono molto abituata alle domande, solitamente nessuno si mostra così interessato a me da rivolgermi la parola.
Vorrebbe sprofondare. Ma che diamine sto dicendo ? pensò. Sembro una stupida, patetica e ridicola ochetta.
Grazie al cielo Artie, che fino a quel momento aveva seguito con scarso interesse il dibattito, decise di intervenire:
-          Papà, papà, può essere lei la mia tata?
Sam e Alya si girarono verso il bambino contemporaneamente e insieme esclamarono:
-          Cosa?!
                                                                           ***
Il bambino spalancò gli occhioni, si guardò le mani e disse balbettante: 
-   Beh, insomma.. l’altra.. l’altra tata non è..è.. t..tornata. Per me è andata via co..con quello l..à. – Prendendo coraggio, continuò: - E Alya non lavora e a me piace, credo di piacergli anche io un pochino…
I due adulti si guardarono e si girarono nuovamente verso il bambino, che abbassò la testa e strinse forte le mani.
-   Oh Artie, non dire stupidaggini, Sarah si sarà fermata in qualche negozio a provarsi vestiti che non potrà mai permettersi..
-   Ma non è giusto, Sarah è cattiva e Alya è buona! Lei mi ascolta, solo lei! Non..non è giusto!
Con le lacrime agli occhi, saltò giù dalla sedia, spargendo i cuscini ovunque.
-   Mi dispiace – dissero insieme Sam ed Alya.
-   Da quando ci siamo conosciuti, ovvero circa mezz’ora fa, non abbiamo fatto altro che scusarci. – disse lui con tono divertito. – comunque non si preoccupi, Artie è solo un po’ capriccioso, tra cinque minuti piangerà per un altro giocattolo..
-   Mi sta per caso paragonando ad un giocattolo? No, non risponda nemmeno. Senta, davvero non volevo creare problemi, volevo solo aiutare Artie, tutto qui. E adesso credo proprio che dovrei andare.. ho.. ho molte cose da fare..
-   Sì, immagino che la sua giornata sia piena di impegni. – ovviamente era ironico.
Alya si alzò, un poco alterata: - riesce a dire qualcosa di serio, signor “Il-sarcasmo-è-la-mia-arma-vincente”? Sa che le dico? Io non la conosco nemmeno, come lei non conosce me e per quel poco che ho visto non mi sorprende che Artie voglia un po’ di attenzione. Da quando siamo arrivati non gli ha ancora rivolto una parola gentile, non gli ha chiesto nulla! E sa cosa mi ha detto al parco? Crede che lei non gli voglia bene. Quel bambino oltre a non avere una madre, sembra non avere nemmeno un padre! -.
Si fermò e respirò, aveva parlato in fretta e senza staccare le parole. – E se spera che io mi penta di quello che ho appena detto e le chieda scusa, beh.. aspetterà per un bel po’. Ora, con il suo permesso, mio signore. – si inchinò scherzosamente.
-          Aspetti.. aspetta Alya. – disse con voce calma – Torni indietro. Credo che lei mi abbia valutato un po’ troppo in fretta, ma per sua sfortuna adoro la sincerità. Per favore, siediti, così possiamo parlare del suo nuovo lavoro.
 
                                                                                  ***
-          Su, chiuda la bocca, faccia tornare gli occhi nelle orbite e torni indietro.
-          Beh, capirà..capirai il mio stupore, credo..
-          Sì, lo trovo divertente effettivamente!
-          Se ha intenzione di continuare a prendersi gioco di me, conosco la strada. – dio, quanto era irritante quell’uomo.
-          Oh dai, non faccia la permalosa!
-          E lei la smetta . Vuole davvero offrirmi il lavoro? Non ho neanche un briciolo di esperienza!
-          Ma riesci, diamoci del tu per favore, sta diventando imbarazzante la cosa, a capire Artie più di quanto io o chiunque altro abbia mai fatto.. e poi, avrai pure bisogno di un lavoro, no? Insomma, la casa e tutto il resto non si pagheranno da soli. Non farti pregare!
Tralasciando il piccolo dettaglio che in realtà non aveva poi così bisogno di lavorare, aveva ragione.
-          Ma, che devo fare esattamente?
-          Beh, quello che hai fatto stamattina, devi semplicemente stare un con lui e fare in modo che non si vada ad infilare in un qualche bidone della spazzatura, o che si arrampichi sugli alberi.
Ecco, aveva già iniziato male allora. – E con l’altra tata?
-          Oh per quanto Sarah sia brillante e affascinante – dal suo tono di voce sembrava che fosse esattamente l’opposto – diciamo che fare la babysitter non è il suo lavoro; le darò un po’ di soldi e lei se ne andrà contenta.
-          Va bene, accetto. Quando si comincia?
-          Domani mattina – concluse lui, porgendole la mano. La stretta fu di nuovo calorosa, sicura.
Finalmente Alya aveva l’occasione di ricominciare.
 

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