Ricominciamo da qui - Storia sulle seconde occasioni di Kiyomi (/viewuser.php?uid=138962)
Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.
Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** Su svolte e routine quasi normali ***
Capitolo 3: *** Wile Coyote è testardo ***
Capitolo 1 *** Prologo ***
Ricominciamo
da qui
Storia sulle
seconde occasioni
Prologo
Hayato non ha
mai creduto alle seconde occasioni, le ritiene
solo un modo per sentirsi un po’ meno perdenti. Ti
è andata male? Bene, fattene
una ragione, non ti sei sforzato abbastanza.
Probabilmente non si
tratta neanche di rassegnazione, la sua è solo una visione
più cinica e crudele
di quel mondo che effettivamente circonda tutti noi, e che qualcuno
scambia
ancora per la luna. No, per Hayato la luna è lontana, forse
anche più distante di
quel cielo di cui, in fin dei conti, ha sempre avuto un po’
di paura. Ogni volta
che prova anche solo a pensarci gli sfugge dalla mente, e da quelle
dita che in
realtà non l’hanno mai neanche toccato.
È troppo immenso – infinito – per essere
contenuto in una mano, e questo non gli piace. Tutto deve avere un
inizio e una
fine, essere misurabile e non eccedere mai. Come le occasioni.
È inutile
elargire possibilità su possibilità a persone che
non le sfrutterebbero mai. Se
hai sbagliato una volta sei destinato a rifarlo fino alla fine, o
almeno fino a
quando non ti sarai accorto di aver irrimediabilmente corroso te stesso
e tutti
coloro che ti appoggiavano. E magari anche a quel punto continuerai.
Forse però
tutti questi bei ragionamenti sono solo scuse, lenti per filtrare
– o nascondere,
a discrezione di chi guarda – una realtà che a
lui, una seconda occasione, non
gliel’ha mai concessa. Non che ora si strugga per questo, non
sia mai: ha imparato
già da molto com’è che gira il mondo, e
cerca solo di tenere il passo, per non essere lasciato indietro. Ha
imparato
anche quali siano le cose da evitare per non essere rallentato,
emozioni per lo
più, e quasi tutte ad essere sinceri.
In alcuni
momenti però gli sembra tutto troppo lontano, e capisce
– solo per qualche secondo, qualche attimo che fugge alla
svelta – quanto tutto
ciò sia inderogabilmente assurdo. Gli viene
l’impulso di fermarsi e mandare a
farsi fottere quella vita che continua a correre senza aspettarlo,
lasciando
affannato e annaspante. Ma poi tutto passa e lui si ritrova sempre nel
bel
mezzo di quel mondo che lo vuole attento e scattante, proiettandolo in
una
corsa di cui non vede il traguardo.
Sono poche le circostanze in
cui riesce – anche se per poco –
realmente a fermarsi, e sono proprio quelle circostanze in cui si
lascia trasportare
(che gran parolone, forse sarebbe meglio dire accompagnare) dalle
emozioni. Strano
poi che ciò generalmente avvenga solo con la presenza di una
precisa persona. Probabilmente
è proprio quel sorriso senza tempo, appartenente a un mondo
ancora più distante
del cielo, forse alla luna, a fargli riprendere fiato. E quando lo
guarda,
quando tutto si ferma, può credere ancora alle seconde
occasioni.
______________________________________________________________________________________________
Prima
di cominciare do un breve avvertimento. Questo è il prologo
di una storia che potrebbe piacermi molto e alla quale potrei
affezionarmi, ma non assicuro di poterla finire, e anche se
così fosse ci metterei un bel po'. Non mi frintendete, ho
tutte le buone intenzioni e prometto e ce la metterò tutta,
ma non voglio illudere nessuno, e per questo mi scuso con Hibari
Kyoite.
Passando
al prologo: lo so, è corto, lo so, non dice praticamente
nulla, e lo so, fa abbastanza - scusate per il termine - ammosciare le
palle, ma l'idea mi è venuta oggi, e, avendo paura di
lasciarla fuggire, l'ho buttata su carta, o meglio, su computer (Cristo
santo sono veramente triste). Comunque penso che avrete capito il filo
conduttore, e anche se non ho una trama delineata, mi sono venute
parecchie idee. Avverto che non sarà una storia con colpi di
scena e capitoli eccitanti, prevedevo di fare una cosa semplice,
ma spero buona e pulita. Sì, magari...
Chiedo
anche scusa per non aver risposto alle recenzioni di "Sguardi dal
mondo". Ma ora vi saluto.
Un bacio, Kiyomi.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 2 *** Su svolte e routine quasi normali ***
Capitolo uno
Su svolte e
routine quasi normali
C’è
una teoria molto diffusa
che sostiene che ogni azione del nostro presente sia condizionata dai
gesti
passati. Se non studi finisci a pulire i cessi di qualche autogrill, se
cedi
alle tentazioni diventi un tossicodipendente, se non ti sforzi
abbastanza per
quello che ami ti ritrovi a quarant’anni con
un’imminente crisi di mezza età, e
forse anche solo. L’influenza maggiore la ha però
sulle scelte. Non
esiste decisione presa dall’uomo che non
comporti prima un’approfondita analisi del proprio vissuto.
Siamo talmente
ancorati al nostro passato da sembrare prigionieri condannati ai lavori
forzati, legati con grevi catene ad un carico che non si vuole staccare.
La cosa
più assurda poi, è che
varia il suo peso in misura della nostra opinione. Ci hanno concesso la
libertà, eppure non sappiamo ancora sfruttarla.
Ogni
esperienza, ogni ricordo,
costituisce un’inderogabile parte di noi, come mattoni di un
palazzo o di un
grattacielo che continuerà a crescere, finché la
morte non vi porrà sopra il
suo tetto. Ripensare continuamente ai vecchi mattoni, quelli ancora
alla base,
frenerebbe la costruzione e il nostro vivere nel presente. Ogni mattone
è a sé
stante, unito con gli altri attraverso cemento. Cosa succederebbe
però se le
fondamenta fossero state distrutte?
*
«Torno
in Italia» dice Bianchi
dietro un’espressione assente, forse anche troppo per una
frase del genere.
Hayato non può far altro che fissarla negli occhi, o meglio,
nelle lenti scure
che – sia ringraziato il cielo – ha ricordato di
indossare, con un turbamento
sul volto che cela un qualcosa d’indefinito. Gli piacerebbe
capire cosa sia, ma
non c’è tempo, non ora. Quando la sorella riapre
la bocca e pronuncia, tutto
d’un fiato, l’ultimatum A casa, sente quel qualcosa
farsi più forte. Vede nascere mille domande, tra cui molti perché, e
qualcun’altra che non esplicita neanche a se stesso;
eppure, l’unica cosa che riesce a chiederle davvero,
è solo quanto resterà
fuori.
«Un
paio di settimane, giusto
il tempo per salutare i parenti e gli amici» risponde lei,
poi riapre le
labbra, come per continuare, ma le parole le muoiono in gola. Hayato le
sente
quelle parole, ancor prima che nascano, e gli verrebbe quasi da ridere
se non
fosse per la riconoscenza che riserva al tatto di Bianchi. Difficile a
dirsi,
ma in fondo lei lo ha sempre capito. Ricorda ogni virgola del discorso
fattogli
durante la permanenza nel futuro, carico di sfumature amorevoli e
insieme critiche
che avevano continuato a turbarlo anche a giorni di distanza. Peccato
che ora non
riesca ancora a guardarla negli occhi, o a tornare a casa per riparlare
con un
padre che non rivede da anni, ma che resta comunque un padre. Tornare
in buoni
rapporti col proprio passato non è così facile
come aveva previsto. A volte,
durante quei giorni uggiosi e malinconici, torna persino a pensarci, al
suo
passato, eppure non lo vede. Sembra una di quelle vecchie fotografie
scolorite
in cui non distingui più i volti, o un graffito su un muro
corroso dal tempo. Ha
dimenticato la voce della cameriera, i giochi nei parchi e
l’aspetto degli
amici d’infanzia, ma una cosa la ricorda ancora, come quella
parte della
fotografia – la più importante – ancora
ben distinguibile. È la musica, e
quelle dita eleganti che la suonavano con una tale maestria da
affascinare
chiunque. No, quelle sinfonie sono ancora ben impresse nel ricordo di
un
passato che ha cancellato, rimosso dalla sua vita, ma a cui
è ancora
inesorabilmente legato. Perché c’è,
fisso in qualche vicolo della sua testa.
C’è come tutti gli scheletri
nell’armadio, come i demoni che non ha
esorcizzato, come quel pianoforte inutilizzato nel soggiorno. Ed
è inutile
vaneggiare o tentare di dimenticare, perché
riemergerà. Questo Hayato lo sa bene.
La
voce di Bianchi lo riscuote
dai suoi pensieri. Non ha capito bene cosa abbia detto, forse che
partirà tra
una settimana, ma non ne è del tutto sicuro. È
sicuro solamente del punto che
raggiungerà quella conversazione. Vede infatti la sorella
avvicinarsi e
infilargli un biglietto nella tasca lacerata dei jeans.
«Pensaci.»
dice
solo prima di uscire. Dovrebbe tornare indietro anche lui, lo sa bene,
è un po’
troppo che è in quella stanza e gli altri potrebbero
preoccuparsene. Ma a dirla
tutta ora non gliene frega un cazzo degli altri, neanche del Decimo. A
volte
c’è bisogno di alcuni fottuti momenti per
sé, giusto per estraniarsi dal mondo
e da tutte le preoccupazioni che durante il giorno arrovellano lo
stomaco e il
cervello. Momenti in cui la mente si libera da tutto e tu non desideri
altro
che rimanere così, in quello stato vicino alla veglia,
lontano da ogni cosa e
da ogni persona. Peccato che poi ci sia sempre qualcosa pronto a
interromperli,
e quel qualcosa, nel suo caso, ha il suono di pugni leggeri battuti sul
legno,
che non lasciano neanche il tempo a un risposta prima spalancare la
porta. Quel
qualcosa ha il nome di Yamamoto Takeshi, e Dio solo sa quanto Hayato
odi le
interruzioni.
«Oi,
Gokudera! Che
fine hai fatto? Ti stavamo cercando».
Gokudera
si
riscuote dai suoi pensieri abbozzando un’espressione
irritata. È quel dannato
buon umore a farlo andare ogni volta fuori di testa.
«Non
mi sento bene,
e comunque sto andando. Saluta il Decimo da parte mia»
Yamamoto
da dietro
lo osserva titubante, e lui vuole sbrigarsi ad uscire per non dirgli la
possibilità di pronunciare le parole che ha ormai sono in
bocca, pronte a venir
fuori.
«Allora
vengo
anch’io. Il mio vecchio oggi ha chiuso presto il
ristorante»
Ma
non è mai stato
forte nella velocità.
È
per questo che
ora si trova fuori casa Sawada, su una delle tante strade tutte uguali,
accompagnato
l’ultima persona che, in momenti come questi, vorrebbe anche
solo vedere da
lontano. Camminano e camminano in silenzio, quasi timorosi che la loro
voce
possa stravolgere quella precaria tranquillità. Camminano
senza guardarsi,
conviti che la notte estenda il velo scuro sui loro occhi. Camminano
insieme,
come estranei, sconosciuti persino a loro stessi. E in questo percorso
fatto di
silenzi e sguardi persi non
possono far
altro che pensare a quell’assurda situazione. Poi accade una
cosa strana, accade
che a un certo punto Yamamoto
si blocca, così, in mezzo alla strada, senza preavviso, e
guarda a terra prima
di parlare.
«Senti
Gokudera, se
hai detto che non ti senti bene puoi venire a dormire a casa
mia.»
Anche
Gokudera si
ferma, a pochi passi da lui. «E perché dovrei
dormire a casa tua?» chiede di
rimando.
«Dicono
che dormire
insieme faccia bene»
«Scemo,
quello è
per i bambini» e quasi non scoppia a ridere dicendolo.
Poi
però ci
ripensa, si ripete mentalmente quelle parole, e stranamente riesce a
trovarne
un senso. Riflette su ciò che è lui, su
ciò che è il mondo, e su come in fondo
siano simili sotto il cielo dell’universo. Due minuscole
formiche che hanno
tanto da imparare, e tanto ancora da dover scrivere. L’unica
differenza è che
la Terra ha qualche anno in più, mentre lui, in fondo,
è un bambino. Non dice
più nulla, ma si gira e continua a camminare, sentendo solo
in lontananza l’eco
di parole regalate al vento. Quando però, invece di girare
per casa sua,
continua dritto, il sussulto lo avverte bene, come avverte il sorriso
che è
nato nel volto dell’altro seguendo un’espressione
un po’ turbata. Gokudera non
lo guarda, non gli darebbe mai questa soddisfazione, ma continua a
andare
avanti fino a casa dell’amico, senza mai spostare gli occhi
da un orizzonte
coperto dalle ombre dei palazzi. Quando si trova sulla porta lo lascia
andare
avanti, per poi ripetere quei gesti che ha già fatto mille
di volte. Due passi
prima di togliersi le scarpe, altri cinque per arrivare alla scala,
quindici
scalini, ancora undici passi, la porta che si chiude ed è
nella stanza
dell’idiota. Non sa da quando questo sia diventato una
routine, né come,
semplicemente non riesce a dirgli no.
Si è rammollito, e c’è qualcosa di
estremamente sbagliato in tutto ciò: percepisce
qualcosa, ma ha deciso di non scavalcare la sua siepe questa volta. Ha
deciso
di non rischiare. Chissà se anche Yamamoto se ne
è accorto, che c’è qualcosa
che non va, ma questo lui non lo capirà mai, è
sempre imperturbabile, anche
quando posa la brandina accanto al letto creando un talamo a due
piazze, quasi matrimoniale.
Anche quando si prepara per una notte insieme e si spoglia di fronte a
lui, come
se non ci fosse nulla di strano in quelle situazioni. Forse
è la routine a
spegnere ogni scintilla di malizia, a rendere le cose più
noiose, ma Gokudera
non riesce a trovare tutto questo poco ambiguo. Sarà colpa
sua, e della suo
cervello depravato. Vorrebbe dirglielo, Ehi, cretino, abbi almeno la
decenza di
cambiarti in bagno, ma sarebbe fiato sprecato, fiato sprecato e tempo
perso. Il
pudore lo mantiene lui per entrambi, chissà poi se con il
buon esempio riuscirà
ad insegnargli qualcosa, come l’utilità del bagno.
Qualche
minuto dopo
che sono entrambi pronti – che poi per cosa devi essere
pronto quando dormi? – Yamamoto
fa una domanda, probabilmente riguardo ai letti, ma Gokudera non gli da
neanche
ascolto. Si sdraia e si ricopre sperando che le coperte nascondano ogni
fibra
del suo corpo. E sta bene così, lontano dagli occhi e da
ogni possibile luce. Alla
luce della luna non ci ha mai dato troppo conto.
«Sei
sicuro di non
voler venire qui? Guarda che è più
largo.»
Si
gira appena. «Qui
dove?»
«Sul
letto.»
«Sono
attaccati,
non cambierebbe niente.»
C’è
una pausa in
cui nessuna parla, e quasi potrebbero sentire il rumore delle stoviglie
al pian
terreno, i passi della gente che ancora cammina per la strada, la
finestra che
si chiude nella casa al lato opposto. E rimangono aggrappati, per
infimi
secondi, a quei rumori della notte a cui nessuno da mai ascolto, e che
sono lì,
in quel momento, solo per loro.
«Fai
come vuoi». E nessuno
parla più.
Poco
a poco, in un
atto molto lento, per far abituare tutti, spariscono anche quei suoni
inascoltati che per un momento gli sono appartenuti, e Yamamoto e
Gokudera
rimangono soli, insieme.
Ricorda bene la
prima volta in cui è andato a dormire in quella casa,
Gokudera, e come mai
potrebbe dimenticarla? Si sa che le cose belle non si scordano, e
quelle
spiacevoli ancor meno, specie se si tratta di dolori intestinali. Poi
c’era
stata la scomparsa di quella stupida mucca, e la menzogna che, in
comune
accordo con l’idiota, aveva dovuto dire al Decimo. E da
lì è diventato quasi
normale per entrambi. Ti va di rimanere a dormire? Tanto già
ci sei. Oggi festeggiamo
al ristorante, rimani anche la notte. Mi sono dimenticato le chiavi e
non
voglio svegliare il vecchio, posso dormire qui da te? Ma quasi, perché per il
Guardiano della Tempesta, dormire tante volta
con un’altra persona non è cosa comune, specie poi
se quella persona la si
detesta. Specie se durante la notte si finisce uno accanto
all’altro, spalla
contro spalla, e ci si sveglia come se non fosse stato niente.
|
Ritorna all'indice
Capitolo 3 *** Wile Coyote è testardo ***
Capitolo
due
Wile Coyote
è testardo
Glielo
ha detto sempre
il vecchio, non impicciarti che vivi meglio. Glielo ha detto sempre, da
quando
era bambino, con una certa intonazione, come fosse una filastrocca. E
ora lui,
ogni volta che ripensa alle sue parole, ha in testa quello strano tono
che
somiglia alla melodia di una canzone senza testo, o con un testo che
nessuno
ricorda più. Il vecchio gliel’ha ripetuta tante
volte, che ormai quella melodia
ha perso il suo significato, è una convenzione, ora,
qualcosa da dire quando si
esauriscono le parole. Chissà che fine ha fatto la signora
Nakayama, è un po’
che non si vede. Non impicciarti che vivi meglio. La cosa
più buffa è che lui,
poi, quel consiglio non l’ha mai ascoltato. Sarà
che è
uno che fa di testa sua, sarà negazione
adolescenziale, sarà il suo rifiuto innato
all’indifferenza, ma lui, gli affari
suoi, non se li riesce proprio a fare. Se sia un bene o un male, non se
lo è
mai chiesto, ma ora sa che la signora Nakayama rimane a casa per
accudire il
marito con la polmonite, così il sushi glielo porta a casa.
È una vita che si
impiccia, e non smetterà di certo ora. Se lo è
ripetuto da tutta la mattina, da
quando ha trovato sul pavimento della sua stanza quel biglietto un
po’
stropicciato, che ha rimesso in tutta fretta nella tracolla
dell’amico. Se lo è
ripetuto perché appena Gokudera saprà che ha
trovato quel biglietto come minimo
lo farà saltare in aria. Perché lui è
uno che se li fa gli affari propri, e
soprattutto non vuole che gli altri si facciano i suoi. Che poi magari
saltare
in aria è divertente, o se non proprio divertente almeno
è una nuova
esperienza. In ogni caso, se è per il suo bene,
può saltare in aria anche cento
volte. Deve solo aspettare che restino soli, poi chiederà a
Gokudera perché se
ne sta andando.
Sarà
che è un tipo fortunato,
sarà Giove in congiunzione con Saturno, sarà che
in fondo le coincidenze
avvengono di continuo, e noi ce ne accorgiamo solo quando abbiamo
voglia, in
ogni caso, qualunque sia la ragione, ci è rimasto solo con
Gokudera, solo, sul
tetto, e senza Tsuna. Dovrà ringraziare Sasagawa il prima
possibile, e magari
offrirle del sushi, dopotutto gli ha regalato un’occasione
d’oro, e un po’ di
sushi non si nega a nessuno. Ma se la invita al ristorante deve
chiamare anche
Tsuna, che magari ci scappa fuori un appuntamento. D’altronde
è a questo che
servono gli amici, a combinare appuntamenti e a risolvere problemi,
anche si
trattasse di trasferimenti.
«Promettimi
che non
ti arrabbi»
Gokudera
sputa
fuori il fumo, poi si gira stranito. Non si era accorto che fossero
così
vicini.
«Cosa
intenti?»
«Qualunque
cosa
dica, tu promettimi che non ti arrabbi»
«No.
Se non so di
che si tratta non posso promettere nulla. Poi mi fai incazzare
sempre.»
«Hai
ragione, ti
incazzi sempre.»
Yamamoto
lo guarda
sconsolato e per qualche attimo si fissa su di lui. Sul suo corpo
incurvato
sulla ringhiera, sulla sigaretta stretta tra le dita, sulla bocca che
butta
ancora fuori fumo, sui i suoi occhi assenti, che guardano lontano,
qualcosa che
lui probabilmente non vedrà mai. E poi
un’illuminazione, un pensiero, di quelli
che arrivano e se ne vanno come se non fossero mai passati, senza
lasciare
tracce, solo la vaga consapevolezza che qualcosa
c’è stato, anche se talmente
evanescente da non avere forma. Semplicemente si accorge che Gokudera
è bello,
e si innamora. Si innamora di Gokudera, di quella sua espressione
imbronciata e
della puzza di fumo, si innamora come fa un temporale estivo,
improvviso e
veloce. Poi come un temporale estivo se ne va, con la
rapidità con cui è
arrivato, rimanendo solamente una minuscola parentesi. Come altre mille
prima
di quella. Sa che questi innamoramenti lampo non gli fanno bene,
perché tante
parentesi alla fine fanno un discorso, ma alla fine non fa mai niente.
È un po’
come la tosse, che ce l’hai, ma non prendi mai sciroppi. E
vai uno, e vai due,
e vai tre giorni, alla fine ti ritrovi senza voce, e la tosse ce
l’hai ancora.
Ma lui ora starà attento, non si ammalerà di
certo per un po’ di tosse. Quindi
continuino anche questi innamoramenti, tanto sono solo pochi attimi,
non può
andare storto nulla.
«Perché
torni in
Italia?» gli dice veloce, come fosse un’ unica
parola. E capisce subito di aver
fatto un grosso errore. Lo capisce perché a Gokudera cade la
sigaretta dalle
mani, e va a finire nel cortile della scuola, sulla scarpa di una
ragazzina con
cui probabilmente non ha mai parlato, perché aspetta prima
di reagire, perché
quando si gira ha stampata in faccia l’espressione peggiore
che gli abbia mai
visto. Forse doveva evitare di essere così schietto.
«Tu
che cazzo ne
sai?»
«Ti
caduto il
biglietto sta mattina, quello per l’aereo. Però te
l’ho rimesso a posto»
«Non...
non lo
dovevi leggere. Non ne avevi il diritto...»
«L’ho
trovato per
terra, non potevo fare altro»
«Non
ne avevi il
diritto!»
Nel
frattempo la
faccia gli è diventata più rossa, si è
accesa di rabbia. Yamamoto vede l’amico
stingere i pugni sulla ringhiera, ed è sicuro che si sta
trattenendo. Lo
capisce perché le mani gli tremano e se non fosse per quella
ringhiera gli
avrebbe già dato un pugno.
«Mi
dispiace
Gokudera, non volevo farmi gli affari tuoi, ma l’ho trovato
sul pavimento».
Usa
un tono
tranquillo perché con lui non vale la pena arrabbiarsi,
basta la sua di rabbia
per entrambi. Quindi rimane tranquillo, che magari calma anche Gokudera.
«L’ho
trovato sul
pavimento e mi sono preoccupato.»
«Io
faccio quello
che mi pare, non devo certo spiegazioni a un idiota come te»
«Anche
Tsuna si
preoccuperebbe, soprattutto se partissi senza dire niente»
«Infatti
non
parto.»
Si
è arreso. È
stato più facile del previsto, si aspettava
un’interminabile discussione,
magari anche qualche pugno, credeva che dopo qualche esplosione, lo
avrebbe
mandato a quel paese lasciandolo solo, invece si è
semplicemente seduto e si è
arreso. Si siede anche lui, proprio accanto Gokudera, e lo sbircia con
la coda
dell’occhio. Sì, si è davvero arreso,
ha il tipico sguardo basso di chi ha
perso una guerra.
«E
perché avevi il
biglietto?»
«Me
l’ha dato mia
sorella, per tornare qualche settimana a casa, ma io non ci
vado.»
Scatta
qualcosa, la
situazione si capovolge, Yamamoto cambia subito umore. Ha fatto un
errore,
nessun trasferimento, nessun grande viaggio, solo una piccola innocua
vacanza.
Si sbriga a scusarsi e a dire che aveva frainteso. Se devi tornare dai
tuoi
cambia tutto, i parenti son pur sempre parenti, poi tanto torni.
«Ti
ho detto che non
ci vado, ma sei stupido?»
«Come
non vai? E la
tua famiglia?»
«Chi
se ne frega.»
Non
poteva
pretendere che fosse tutto rosa e fiori tra Gokudera e la sua famiglia,
l’aveva
sentita la storia da Bianchi, ma comportarsi così
è esagerato. Va bene
discutere, ma la parola non si nega a nessuno! Poi stiamo parlando
della
famiglia. Devi tornare!
«E
tu devi farti i
cazzi tuoi, stupido maniaco del baseball»
«Lo
dico per te, è
assurdo non voler ritornare a casa propria!»
«E’
assurdo che non
ti abbia ancora fatto saltare in aria»
«Cavolo,
Gokudera,
ma è casa tua! Non puoi comportarti così con le
persone che ti hanno cresciuto»
«Stai
superando il
limite»
«A
volte non ti
capisco proprio, hai dei comportamenti assurdi»
«Ti
sto avvertendo»
Poi
ha detto
l’ultima frase, quella che non doveva dire, la goccia che ha
fatto traboccare
il vaso. Perché Yamamoto è uno che gli affari
suoi non li sa fare, ma non ne
aveva mai assaggiato il lato negativo. Alla Signora Nakayama
farà pure piacere
ricevere il sushi a casa, ma Gokudera... Gokudera è tutta
un’altra storia. Gokudera
non è una vecchietta che deve accudire il marito, Gokudera
è un’esplosione, un
uragano di umori diversi. E lo sa bene, lo sapeva da prima di quella
discussione, come sapeva di dover rimanere tranquillo e di non dover
alzare i
toni, ma si è fatto prendere, non ci può far
nulla, quando si tirano in ballo
certi argomenti per lui è impossibile star zitto.
Però, forse però questa volta
ha esagerato, non ha saputo controllarsi. Gokudera è
un’esplosione, e dirgli
che deve finirla di scappare da tutto l’ha acceso.
L’ha acceso come si
accendono i fuochi a capodanno, avvicini un po’ la fiamma e
vai che vola in
cielo, vola in cielo e poi esplode, ha i suoi dieci secondi di gloria e
si
spegne soffocato dal buio, si spegne e chi se ne frega. Yamamoto sente
il pugno
arrivare, lo sente ancor prima che le nocche tocchino il suo zigomo, e
ancor
prima che il dolore gli arrivi al cervello è sicuro che gli
farà male. Lo
incassa, se lo è meritato, ma subito dopo gli prende le mani
e lo blocca. Ha
acceso la miccia e ora non vuole che il fuoco si spenga. Al diavolo i
dieci
secondi, al diavolo il buio. Non vuole che il fuoco si spenga, quindi
lo bacia.
*
«Poi
gli ho dato un
altro pugno»
Shamal
ha in mano una
piccola scatola di medicinali. Non sa cosa ci sia dentro, e a dir la
verità neanche
gli interessa. L’ha presa da qualche scaffale senza un reale
motivo, e ora se
passa e se la ripassa tra le mani. Forse l’aveva da prima che
entrasse Hayato,
ma di questo non ne è certo.
«Cosa
altro avrei
dovuto fare?»
Posa
la scatolina
sulla scrivania e comincia a girarsi i pollici. Più che
girarseli pare che ci
giochi, li fa muovere con gesti irregolari, sconclusionati, come se
ballassero.
«Diamine,
di’
qualcosa!»
O
forse stanno
solamente facendo l’amore.
«Cosa
dovrei dirti?»
«Non
lo so,
qualcosa, qualunque cosa! Vengo qui, ti racconto una cosa del genere e
tu te ne
stai zitto?»
«Non
so cosa ti
aspetti. Vuoi una paternale o qualche consiglio materno? Ti conosco da
quando
eri alto quanto una bottiglia di Whiskey, diciamo che qualche idea
sulla tua identità
sessuale me l’ero fatta»
«Sulla...
mia
identità sessuale?»
Ora
le mani se le
porta alle tempie e comincia a massaggiarle con piccoli movimenti
circolari. Lenti,
sempre più lenti. Poi le ritira giù e riabbassa
la testa. Ha lo sguardo
annoiato e gli occhi fissi su quelli di Hayato. L’espressione
di quel ragazzino
però è davvero spettacolare, con la bocca aperta,
le sopracciglia incurvate,
avrebbe fatto prima a scrivere su un cartello
“Sorpreso!” e poi ad incollarselo
in faccia. Che poi quale motivo abbia di essere sorpreso non
l’ha ancora
capito.
«Non
prendiamoci in
giro. Non hai cinque anni, con tutte le ragazze che ha questa scuola
avresti
dovuto fidanzarti da un pezzo.»
«Di
cosa cazzo stai
parlando?»
«Non
devi scaldarti,
ti sto facendo ragionare»
«Stai
cercando di
farmi incazzare, come sempre»
«Dici
sempre che le
donne ti fanno schifo...»
«Ma
non intendo
quello!»
«Cosa
intendi
allora?»
Hayato
ha staccato
dalla faccia il cartello, ne ha preso un altro e ci ha scritto
“Incazzato”. Non
arrabbiato, o furibondo, proprio incazzato, con tutta la
volgarità che ne
consegue. Per qualche strano motivo gli ricorda incredibilmente uno di
quei
cartoni animati con gli animali, quello col coyote e lo struzzo blu. Ma
questo
preferisce non dirglielo.
«Non
intendo
quello!»
Alla
fine si è
sempre ritrovato a prendere le parti del coyote, che per quanto sfigato
non si
è mai arreso, neanche con un masso in testa, neanche col
mondo addosso.
«E
il bacio, quello
col tuo amico, come è stato? Non mi dirai mica che ti sei
staccato subito, no?».
Non si è mai
arreso, neanche di fronte all’evidenza.
__________________________________________________________________________________________________________________
Note sul punto di crisi
Solo
a me gli ultimi capitoli di Reborn sembrano molto più
shonen-ai?
Caspita però,
sono addirittura riuscita ad aggiornare, sarà la pioggia , o
le giornate così ad avermi sempre ispirata.
|
Ritorna all'indice
Questa storia è archiviata su: EFP /viewstory.php?sid=1039166
|