Dietro la pelle

di Eralery
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Aprile 1977 - Maggio 1978 ***
Capitolo 2: *** Ottobre 1978 - Giugno 1979 ***
Capitolo 3: *** Agosto 1979 - Ottobre 1979 ***
Capitolo 4: *** Dicembre 1979 - Maggio 1980 ***
Capitolo 5: *** 5. Giugno 1980 - Luglio 1980 ***



Capitolo 1
*** Aprile 1977 - Maggio 1978 ***


dietro la pelle

Autore: Eralery.
Titolo: Dietro la pelle.
Personaggi: L’Ordine della Fenice, Marlene McKinnon, Mangiamorte, Regulus Black, Un po’ tutti.
Pairing: Marlene/Regulus.
Contesto: Malandrini/Prima guerra magica – da aprile 1977 ad agosto 1980.
Avvertimenti: Het, What If?, forse OOC.
Genere: Drammatico, Sentimentale, Introspettivo.
Rating: Giallo.
Prompt utilizzati: Prigionia, animo, libertà, spavento (inteso come ‘paura’), malvagità.
Beta: Blankette_Girl
Introduzione:
 
E nonostante tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.

NdA:
Cara mia, preparati a delle note un po’ lunghine.
Allora, come ti ho già detto, il titolo della storia, Dietro la pelle, è una doppia citazione: a te, con Sulla tua pelle, e a Skins, perché Effy nella 4x05 dice quelle parole. Dietro la pelle, però, non è solo una citazione; in questa storia, infatti, ho cercato di mostrare quel che loro hanno dietro la maschera, dietro la pelle, di mostrare la loro anima, in un certo senso. Non so se ci sono riuscita, comunque.
Comunque. La storia percorre l’arco di tempo tra l’aprile del ’77 all’agosto del '80: questa shot (posso chiamarla così? D:) è in ordine temporale, e ogni pezzettino equivale ad un mese diverso – ma vaaaaa *capitan ovvio*.
Ecco, vorrei chiarire una cosa: Voldemort non ha ancora il ministero dalla sua parte, in quel tempo, lo acquisterà, per me, solo dopo la morte di Regulus. ^^’’
Un’altra cosuccia: ci sono dei pezzi non Reglene, perché comunque credo che l’evoluzione di Regulus sia una parte importante sia per il suo personaggio che, in un certo senso, per la coppia. I motivi per cui Regulus inizia ad avere dei dubbi e a cambiare idea sono spudoratamente ispirati alla meravigliosa fan fiction su Regulus di Julia Weasley, “Eroi non si nasce, si diventa”, così come i dialoghi del mini pezzo tra Severus e Regulus. Volevo metterlo in chiaro fin da subito perché il merito va tutto a quel genio, senza la quale io mi sarei persa completamente. C:
Ho paura di essere andata un po’ OOC. Mi spiego: la mia Marlene è una nata babbana, perciò probabilmente Regulus non l’avrebbe calcolata più di tanto. Ma se Marlene è babbana, è perché, a mio parere, da più spessore alla coppia. Il come lo vedremo più avanti.
Comunque… Il prompt su cui mi sono soffermata maggiormente, anche se non da subito, è prigionia. Prigionia perché Marlene, essendo, appunto, Nata Babbana, fuori da Hogwarts si ritrova più volte le strade sbarrate. Prigionia, perché Regulus ha avuto un’educazione ferrea, chiusa e severa: una prigione dell’anima, e Marlene è l’unico modo che ha trovato per uscirvi e trovare un po’ d’aria non viziata. Prigionia, perché il loro rapporto non sarà mai semplice e, in fondo, del tutto vero: avere gli occhi chiusi non aiuta a trovare la luce.
Ma ora come ora, rileggendo questa storia, io direi anche animolibertà: la liberta di Regulus, che sta nelle sue scelte, e molte di esse sono dovute a Marlene; la libertà di Marlene, limitata, costretta, ma comunque talmente grande da bastare per due.
Animo perché qui credo ci siano loro.

 

 

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Dietro la pelle
.

 

«Sai perché le particelle subatomiche non obbediscono
alle leggi della fisica?
Si muovono secondo il caso, il caos, la coincidenza.
Si scontrano l’una con l’altra nel mezzo dell’universo
e poi c’è il
bang! e l’energia.
Noi siamo come loro»
.
(Skins UK)

1.

Aprile 1977 (quinto anno)

Seduta per terra, sul pavimento di pietra di uno dei corridoi del quarto piano, Marlene si rigirava la propria bacchetta di legno d'acero tra le dita, facendo partire, di tanto in tanto, qualche scintilla dalla punta. I capelli mossi e biondi erano raccolti in una treccia disordinata dalla quale scappavano molti ciuffi, visto che se li era fatti da poco scalare da una sua compagna di dormitorio. Il bordo inferiore della camicia, lasciato scoperto dal maglione forse un po’ troppo corto, era stropicciato, così come anche le maniche candide che spuntavano fuori da quelle grigio scuro.
Quando la porta accanto a lei si aprì, Marlene sollevo in alto il mento. Jenny, una delle sue più care amiche, era un Prefetto, e lei non poteva certo aspettare il ritorno in stanza per raccontarle tutto!
Non appena la testa riccioluta e castana dell’amica spuntò fuori dalla porta, Marlene scattò in piedi, sfoggiando uno dei suoi soliti, enormi sorrisi raggianti. Jenny sgusciò fuori dalla piccola folla di Prefetti e la raggiunse, mentre quella riponeva la bacchetta in tasca.
“Léne!” esclamò, ricambiando il sorriso.
Marlene la travolse in un abbraccio per qualche secondo, prima di lasciarla andare e iniziare a spostare il peso da una gamba all’altra. Marlene era così: non riusciva mai a stare ferma, aveva bisogno di muoversi e di avvertire movimento attorno a lei; l’immobilità la deprimeva, Jenny a volte pensava le facesse addirittura paura. Poi, la bionda disse: “Ti devo raccontare un sacco di storie, Jenny!”
“Andiamo in camera?” domandò allora quella, inclinando appena la testa di lato.
“Sì, ti racconto mentre andiamo,” annuì, e sembrava una bambina a cui viene donato uno di quei lecca-lecca grandissimi e coloratissimi.
“D’accordo,” le sorrise Jenny. “Prendo una cosa in aula e torno subito.”
Marlene annuì di nuovo e mentre l’amica rientrava, si passò una mano sui capelli e sul collo. Poi si osservò le punte delle scarpe, dondolandosi leggermente in avanti ed indietro. Ancora, si guardò attorno, chiedendosi perché l’amica ci stesse mettendo tanto – okay, erano passati solo due o tre minuti, ma ormai Jenny avrebbe dovuto sapere quanto odiasse aspettare.
“Hai perso qualcosa?” la richiamò una voce piatta.
Si girò rapidamente, con una mezza giravolta come suo solito, sorridendo affabilmente al ragazzo dai capelli neri che la guardava da qualche metro più in là: “Sì, la stanza mi ha rubato l’amica!”
Regulus inarcò le sopracciglia, scettico, per poi scrollare le spalle e andarsene. Mentre Jenny usciva nuovamente dall’aula, Marlene urlò un allegro: “Comunque ciao anche a te, Black!”

*

Settembre 1977 (sesto anno)

Regulus era seduto in uno degli scompartimenti del quarto vagone, quando sentì una risata allegra e forte accompagnare il cigolio della porta che si apriva. Alzò lo sguardo dal libro, mentre una testa bionda faceva capolino dal corridoio con altre due more dietro.
“Micetto!” esclamò – o meglio, quasi urlò – la voce di Marlene McKinnon. “Possiamo sederci?” aggiunse poi, accennando a se stessa e alle sue due compagne.
“No,” rispose pacatamente Regulus, riaprendo il libro all’ultima pagina che aveva letto.
Lei si corrucciò, arricciando le labbra in una smorfia da gatto insoddisfatto: “Ma i posti sono tutti vuoti! Ci sei solo te!”
“Su, Black, per favore!” s’intromise anche una delle altre due – Jenny Mc-qualcosa, ricordava vagamente Regulus, che in quel momento stava inarcando ancor di più le sopracciglia scure.
“Fallo per quella lezione di Pozioni in compagnia della sottoscritta!” continuò Marlene, riprendendo a sorridere, raggiante come sempre – aveva un bel sorriso, Marlene, e ti chiedevi come avesse fatto a mantenerlo, in un periodo del genere.
“Il calderone è esploso,” le ricordò il ragazzo, parlando lentamente, come se avesse davanti un bambino di cinque anni. “È esploso in faccia a me, mentre tu controllavi se per caso qualcosa ti avesse rovinato lo smalto blu.”
Marlene aprì la bocca per ribattere, pronta a difendersi – e difendere il proprio smalto, perché diamine, lo smalto è importante! – ma una sua compagna sbuffò sonoramente e strattonò le altre due per un braccio. “Léne, Jenny, andiamo, su,” sbottò con malagrazia – tipica dei Grifondoro, pensò Regulus come se fosse la cosa più naturale del mondo (e forse, per lui, lo era).
La ragazza di nome Jenny annuì e seguì l’altra, palesemente stizzita. Marlene rimase un attimo lì, ricambiando l’occhiata scettica del ragazzo con il solito sorriso tutto denti: “Tanto lo so che avresti detto di sì, se potessi!”
“Ah, sì?” chiese Regulus, mentre la voce di una delle altre due chiamava ancora Marlene. “E perché?”
“Perché blu,” rispose Marlene, andando poi via con passo vagamente saltellante.

*

Gennaio 1978 (sesto anno)

Il volto di Marlene era rigato da lunghi fili di dolci appesi al soffitto. Gli occhi azzurri, grandi e truccati con matita e rimmel, erano limpidi ed ingenui come al solito. Mielandia le era sempre piaciuta: per lei, nata e cresciuta fino agli undici anni nel mondo Babbano, quello era il paradiso – rane di cioccolata che saltavano, caramelle che ti sollevavano da terra, scarafaggi di gelatina a grappolo: era meraviglioso.
“Marlene, hai fatto?” la chiamò Audrey, una ragazza di Tassorosso con cui aveva fatto amicizia il mese prima.
“Sì, quasi,” rispose calma lei. “Se vuoi uscire, mi aspetteresti fuori? Devo prendere alcune cose!”
“Certo. Ti aspetto fuori, intanto mi faccio una sigaretta,” rispose, uscendo dal negozio, seguita dal rumore di una porta che sbatteva e di campanellini che si scontravano tra di loro.
Marlene rimase così ancora un po’, giusto due minuti, osservando i mille colori e le varie forme delle caramelle appese che aveva davanti. Solo quando la caramella che aveva preso come ‘misura’ ripeté un colore già visto, si raddrizzò e si sistemò meccanicamente la gonna con un gesto della mano.
“Che stavi facendo?”
“Blacky!” esclamò, raggiante, con un sorriso a trentadue denti. Vedendolo storcere la bocca in una smorfia, aggiunse senza scomporsi: “Preferisci Regghy? O lisca di pesce?”
“Scusa?”
“Scusa cosa?”
Regulus aprì la bocca per replicare, ma la richiuse dopo poco, limitandosi ad una scrollata di spalle e ad un appena accennato abbassarsi di palpebre. “Che stavi facendo, comunque?” chiese nuovamente, raddrizzando un po’ la schiena.
“Guardavo le caramelle,” rispose con semplicità la ragazza, annuendo alle proprie parole e facendo così muovere le ciocche bionde che aveva lasciato libere sulle spalle, coperte da un cappotto di fattura Babbana.
“Hai sedici anni o ne hai sei?”
Marlene arricciò il naso, un po’ infastidita. “Mi stai dando della bambina?”
“Forse,” sillabò Regulus, impassibile. Immobile – pensò Marlene. Quelle labbra raramente si piegavano in un sorriso, mai in una risata – lei, perlomeno, non l’aveva mai udito ridere – e il movimento più usuale di quel volto era quello scettico e dannato inarcare le sopracciglia.
“Blacky,” iniziò con fare amorevole, inclinando la testa di lato e sorridendo. “Ti sembro una bambina?”
Regulus si soffermò sul volto, scendendo poi fino alle spalle. Giunto a quel punto, rialzò lo sguardo, imperturbabile, mentre la risata trillante della ragazza gli giungeva alle orecchie.
“Merlino, poi sono io la bambina,” rise Marlene, afferrando un pacchetto di Cioccorane e passargli accanto per andare alla cassa. Così facendo, gli pizzicò un fianco, facendolo piegare appena.
Sorrise. Ti sei piegato, non sei immobile come vuoi sembrare.

*

Febbraio 1978 (sesto anno)

“Perché ti parla?” le domandò Astris, con gli occhi verdi sgranati e l’espressione confusa.
Marlene si strinse nelle spalle, spazzolandosi i capelli e controllandosi nello specchio del bagno del terzo piano. “Boh,” si limitò a rispondere e rimise la spazzola dentro la borsa. Si controllò nuovamente, passandosi un dito sotto l’occhio destro per cancellare un piccolo sbafo di matita.
“È strano.”
“Mmh, Blacky non mi è mai sembrato molto normale. O sbaglio?” ridacchiò Marlene, voltandosi verso l’amica, che era seduta per terra con la schiena poggiata al muro, e appoggiandosi al lavabo dietro di lei.
“Un po’ strani lo siamo tutti,” commentò l’altra, sbattendo le palpebre velocemente. “Anche io e te siamo strane. Anche Xeno è strano. Siamo tutti strani.”
Marlene rise forte, gettando la testa all’indietro e socchiudendo gli occhi. “Forse hai ragione.”
“Tu cosa vuoi fare?” chiese ancora Astris, mentre l’altra si accendeva una sigaretta con un accendino Babbano.
“Non so,” rispose, aspirando del fumo. “Niente, credo. È troppo magro.”
“Non intendevo quello,” disse Astris, guardandosi con attenzione una ciocca di capelli biondo sporco. “Non hai paura di legarti?”
“Legarmi? A Black?” esclamò, ridendo con maggiore intensità. “Non corro nessun pericolo, Ast, tranquilla. È un misantropo, quello.”
“Secondo me, ha solo troppi Gorgosprizzi per la testa,” ribatté l’altra, con quell’aria perennemente spaesata. Marlene l’adorava anche per quello, perché, nonostante molti la credessero matta, Astris ti faceva ridere, con quelle sue uscite quasi ad effetto. Distraeva, in un certo senso; distraeva dalla guerra e dal destino che Marlene sapeva già di avere.
 

*

Maggio 1978 (sesto anno)

La pioggia che continuava a battere e la scopa sulla spalla coperta dall’uniforme della propria squadra, Regulus stava percorrendo la distanza che c’era tra il campo da Quidditch e gli spogliatoi. I vestiti gli si erano appiccicati al corpo magro e un po’ gracilino, i capelli neri e lunghi ricadevano ai lati del volto infervorato e le labbra erano dischiuse in una smorfia seccata.
Quando arrivò agli spogliatoi e vide una ragazza bionda poggiata al muro, riparata appena dalla pioggia scrosciante, sbuffò. “Salazar, mi perseguiti.”
Marlene si corrucciò: sporse il labbro inferiore in avanti come era solita fare e aggrottò la fronte. Poi arricciò gli angoli delle labbra e ribatté: “In realtà stavo aspettando Smith.”
Regulus rimase immobile per un attimo, e in quell’attimo Marlene l’odiò con tutta se stessa: Regulus poteva permettersi di rimanere fermo, immobile, ed aspettare finché voleva, perché non c’erano scadenze sulla sua testa, sul suo cuore, sulla sua vita. A Marlene, invece, tutto ciò non era permesso: a volte pensava addirittura di avere un foglietto appiccicato sulla nuca con su scritta la data di scadenza – come sui prodotti che puoi comprare al supermercato.
“Buon per te,” sviò Regulus, alzando le spalle. Un po’ di fastidio, sotto sotto, quelle parole gliel’avevano procurato: era strano, il legame che si era creato tra di loro. Forse legame è una parola troppo forte per descrivere una situazione come la loro, ma a Regulus non venivano in mente altre parole. E nonostante tutto, che si trattasse di un legame o meno, in questo c’era qualcosa di malsano: qualcosa che andava contro i principi con cui era cresciuto, qualcosa che lo avrebbe o distrutto o aiutato definitivamente, qualcosa che lui non sapeva ben definire. Qualcosa che forse avrebbe potuto afferrarlo e potarlo via, alla luce del giorno, fuori da una prigione che gli era cresciuta attorno senza che lui se ne accorgesse – un giorno, semplicemente, si era svegliato e si era ritrovato circondato: circondato da muri di parole su parole che sapevano di rabbia, superiorità e disprezzo che doveva provare.
Ma stava a lui decidere, in fondo.
Fuori o dentro, Regulus. Luce o buio. Imprigionato o libero, fuggitivo.
Marlene, intanto, annuì impercettibilmente e le sue labbra si mossero appena nel mormorare parole che mai giunsero all’orecchio di Regulus; poi si raddrizzò, si sistemò la gonna della divisa ed i capelli e lo oltrepassò dicendo semplicemente: “Già.”
Forse non era quello il giorno della luce. Forse non lo sarebbe stato mai.






***

La fanfiction partecipa al contest "A White Rabbit whit pink eyes ran close by Alice", indetto da Daphne Kerouac sul forum di Efp.
Per chi fosse interessato, QUESTA è la mia pagina, dove ogni tanto potete trovare qualche novità sulle storie in corso e in pubblicazione. 

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Capitolo 2
*** Ottobre 1978 - Giugno 1979 ***


Dietro la pellus

2

Ottobre 1978 (settimo anno)


C’era Marlene che correva verso la serra con i libri in mano ed Astris di fianco, mentre ridevano con allegria ed i capelli finivano sugli occhi e sulle guance e sulle labbra. Non sapeva perché stessero ridendo così, Marlene, sapeva solo che si sentiva bene. Astris era arrivata, quella mattina, sorridendo nonostante tutto quel che stava succedendo fuori da Hogwarts e le aveva mostrato una foto di lei, con un retino da farfalle in mano, e Xeno che la stringeva, e Marlene l’aveva abbracciata ed era scoppiata a ridere senza un perché.
Non sempre bisogna avere un motivo per ridere, Marlene. Si ride e basta.
Astris le prese la mano e iniziò a correre più forte, con Marlene che vedeva solo la sua massa di capelli biondo sporco al vento, al contrario dei suoi, legati in una coda alta e approssimativa.
Lo fai se ne hai bisogno.
Marlene rise ancora, rise più forte, forse per dimenticare sua madre e ricordarne solo le rare perle di saggezza che le aveva impartito prima di lasciare lei e i suoi fratelli per sempre.Lo fai se ne ha bisogno qualcun altro.
Regulus passò in quel momento, e quando incrociò lo sguardo azzurro di Marlene fu solo per un istante: abbassò gli occhi di colpo, lanciando un’occhiata al proprio avambraccio sinistro. Ma Marlene non sapeva, non poteva sapere – Marlene era ingenua, Marlene era considerata una ragazzina che pensava solo a divertirsi e a se stessa –, e gli sorrise con spensieratezza mentre continuava a correre.
Lo fai se senti di voler veder sorridere qualcuno.


*

Marzo 1979 (settimo anno)

“Oggi non ti sei truccata,” decretò un Regulus apparentemente annoiato, mentre si fermava, in piedi, accanto a lei, sui gradini di pietra della Guferia.
Marlene nemmeno alzò gli occhi dal Lago che s’intravedeva in lontananza, seduta proprio di fianco alle gambe di Regulus. Poi rise appena, con le spalle che si alzavano e si abbassavano, finendo con il poggiare una tempia sul ginocchio di lui.
“Che c’è?”
“Grifondoro ha perso la partita di Quidditch,” sviò allora lei, giocando con la sciarpa rosso ed oro che aveva al collo.
“Già,” commentò Regulus, sforzandosi di non ghignare al ricordo della schiacciante sconfitta dei Grifondoro. “Senza Potter siete delle mezze calzette.”
Marlene trattenne a malapena un sospiro: Regulus Black non era una persona empatica, lo si poteva capire anche da come, in quell’ultimo anno, aveva preso ad isolarsi. Prima lo si poteva vedere in giro con Barty Crouch, Effy Stonem e, di tanto in tanto, con Severus Piton, che si era diplomato l’anno prima. Poi, sin dall’inizio del nuovo anno scolastico, Regulus aveva iniziato ad allontanarsi anche da loro – Marlene ricordava di aver sentito, una volta, verso dicembre, i singhiozzi della Stonem provenienti da un gabinetto chiuso.
“Sta’ zitto, Black,” sbottò allora lei, con malagrazia. Regulus sgranò gli occhi – forse sorpreso dalla risposta secca di quella ragazza sempre allegra, forse semplicemente infastidito dall’essere trattato così. “Tu non sei meglio,” aggiunse poi, e Regulus pensò che fosse tutto normale, che forse quello di prima era stato solo un momento no.
“Come no,” convenne ironicamente il ragazzo, alzandosi improvvisamente e pulendosi i pantaloni – Marlene lo guardò sgranando gli occhi: perché si era pulito i pantaloni anche dove aveva poggiato la testa lei? “Vado. Buona serata, McKinnon.”
Se ti faccio tanto ribrezzo, perché sprechi il tuo tempo con me?


*

Marzo 1979 (settimo anno)


Marlene lo evitò come la peste.
Il sorriso le si cristallizzava sulle labbra quando Regulus entrava nella sua visuale, assumeva d’improvviso un’aria stanca e reticente, si raddrizzava sulla schiena ed irrigidiva la postura delle spalle.
Regulus non se lo spiegava: aggrottava la fronte ed inarcava impercettibilmente le sopracciglia.
Fu ad aprile che si parlarono nuovamente.
Si scontrarono a cena, proprio nel bel mezzo della Sala Grande. Si urtarono per sbaglio. Fu perlopiù un tocco ed uno “Scusa” da parte di Regulus appena mormorato – dopotutto, restava un Black, e un Black non chiede scusa ad una SangueSporco.
C’era troppa gente, lì, per dare spettacolo – Marlene l’avrebbe anche fatto, probabilmente: l’impulsività era sicuramente l’unica qualità Grifondoro che possedesse. Perciò si limitò ad un: “Datti fuoco,” sputato, un sorriso sarcastico sulle labbra.
Sul momento, Regulus rimase fermo, non sapendo bene cosa fare. In quel momento il suo amico Barty lo richiamò dal tavolo, e Regulus si limitò a lanciarle un’occhiata strana prima di apprestarsi a raggiungere l’amico.
“Che voleva quella?” gli chiese, non appena si fu seduto.
“Ci siamo solo scontrati,” rispose con calma Regulus, prendendo poi il libro che l’altro gli stava porgendo – era per quello che Barty l’aveva richiamato.
“Mmh,” mugugnò Barty, prima di tornare a sorridere come se niente fosse ad una Cassandra Harper lusingata e dopotutto anche un po’ infastidita.
Regulus sgusciò fuori rapidamente – pensava di metterci più tempo – e non appena vide una testa bionda allontanarsi in direzione della Guferia, la seguì senza pensarci – lo faceva troppo spesso, meditò, quando c’era lei: non sapeva, tuttavia, dire se fosse giusto o meno.
“Black?”. Non si era accorto che si fosse girata, Regulus, finché non la vide guardarlo da poco lontano con gli occhi azzurri colmi di sospetto – e rabbia, forse? Regulus non avrebbe saputo dirlo – forse non avrebbe voluto e basta.
“McKinnon,” disse semplicemente, muovendo appena il capo per cercare di darsi un’aria un po’ spavalda – in realtà non aveva idea di cosa stesse facendo, tutto ciò non era premeditato. E ciò era strano, molto. Aveva provato ad imitare un po’ il comportamento che suo fratello Sirius assumeva quando Mary MacDonald, che a quanto pareva era l’unica che fosse stata in grado di colpirlo davvero, era arrabbiata con lui. Non sapeva recitare molto bene, stimò, vedendo l’altra sogghignare appena.
“Blacky, sei talmente patetico che potresti sembrare tenero,” gli fece notare, e lui si sentì giusto un poco più leggero: non l’avrebbe mai, mai detto – e sarebbe stato così davvero –, ma a lui quei soprannomi piacevano, sotto sotto.
“Questo sarebbe un complimento, McKinnon?” chiese, inarcando un sopracciglio assumendo finalmente la propria aria un po’ distaccata e vagamente nobile – lato che Sirius, Regulus ci tenne a precisarlo nella propria mente, non aveva ereditato.
“Prendilo come ti pare,” storse la bocca lei, sistemandosi poi la borsa sulla spalla. “Ci si vede,” disse, e fece per andarsene, ma Regulus la trattenne, dopo aver controllato che in giro non ci fosse nessuno: “Mi stai evitando.”
Lei sembrò cristallizzarsi sul posto, ma poi si girò lentamente, guardandolo in modo strano. “Sì,” si limitò a rispondere, spiazzandolo per un attimo. Certo, Marlene non era una di quelle ragazze che si potevano proprio definire ‘comuni’, ma quella risposta l’aveva colpito particolarmente.
“Scusa?”
“Scusa un cazzo, Black,” sbottò allora lei – Regulus si chiese quanto potesse essere lunatica una donna: per Merlino, Marlene in quel momento sembrava una Banshee, mentre solo pochi minuti prima aveva quasi sorriso a lui dopo secoli. “E se proprio vuoi scusarti, scusati per avermi trattato di merda alla Guferia! Ah, no, giusto, tu sei Regulus Black! Perché dovresti scusarti con una lurida Sanguesporco? Che sciocca che sono stata. Dovrei essere io a doverti chiedere scusa solo perché respiro la tua stessa aria, no?”
Se non si fosse contenuto, Regulus era sicuro che in quel momento la sua mandibola avrebbe potuto toccare terra. Non l’aveva interrotta, l’aveva ascoltata fino alla fine, per poi guardarla cercare di ritrovare aria, con le guance rosse per la rabbia.
“Io non intendevo scusa per…” si morse la lingua e si corresse velocemente, giusto prima che lei aprisse la bocca. “Sta’ zitta un attimo, McKinnon, Salazar. Scusa, okay?”
“Sei solo un coglion…” iniziò, prima di sgranare gli occhi azzurri. “Eh?” chiese quindi con voce acuta.
“Scusa,” ripeté, già scocciato. “Non ho intenzione di ripeterlo, comunque. Okay? Quindi fattelo bastare.”
“Io… Sei strano, Regghy.”
“Io?” chiese, inarcando le sopracciglia, perplesso.
“Sì, tu. Sei… criptico,” – Regulus sbuffò una risatina al sentire ciò – “E non fare così! Comunque, sembri un rebus. No, niente, roba Babbana,” si affrettò a spiegare Marlene, nel vederlo così spaesato. “Dicevo che… oh, sì, che sei un rebus, vabbe’. Mi piacciono i rebus, comunque. Ciao.”
Mentre Marlene se ne andava, lasciandolo lì da solo con un’aria che stupida era dire poco, Regulus si chiese cosa fosse un rebus e se per caso gli piacesse anche lui. Per la prima volta non scacciò il pensiero dalla mente.


*

Giugno 1979 (settimo anno)


Le feste non erano certo il suo passatempo preferito, ma Effy l’aveva praticamente costretto ad accompagnarla a quella di ‘fine Hogwarts’. Che poi, accompagnarla? Non sapeva nemmeno dove fosse, quella ragazza: era sparita di botto, con la scusa di dover prendersi da bere – Regulus pensò si trattasse ancora della celebre, per lui e Barty, cotta di Effy per Davies, il quale in quel momento si trovava proprio davanti alle bibite.
Poi dicono che Silente non ha preferenze… E nemmeno la McGranitt, eh… Come se non lo sapessero che nella Sala dei Grifondoro si tiene una festa ogni anno per la fine della scuola – pensò ironicamente, facendo una smorfia.
“Sempre quella faccia, Blacky?”. Marlene McKinnon era quella che si poteva definire una ragazza da festa: ballava sempre, rideva sempre, aveva un drink sempre in mano ed era sempre circondata da qualcuno. Sempre. Stranamente in quel momento no – Regulus vide due delle sue amiche sdraiate su un divano con il viso contratto in una smorfia a causa delle risa provocate da una probabile sbronza.
“Sai com’è, è la mia, McKinnon,” ribatté, sorprendendo se stesso nel reggerle il gioco. Anche lei, inizialmente, apparve piuttosto sorpresa, ma poi gli sfilò dalle mani il bicchiere che teneva in mano e ne bevve qualche sorso, prima di sbuffare. “Burrobirra? Mi stai prendendo in giro, Black?” Marlene scosse la testa, e lo afferrò per un polso – Regulus si divincolò appena, ma tanto era buio e praticamente tutti i presenti erano già mezzi o del tutto sbronzi.
La ragazza si fermò davanti al davanzale di una delle finestre, che avevano allargato così da poterci mettere su gli alcolici. Guardò le varie bottiglie sul banco, prima di stringersi nelle spalle, prendere un bicchiere e versarvi un po’ di tutto.
“Tieni,” sorrise poi, raggiante, porgendogli il bicchiere. Lui la guardò, scettico, e Marlene rise forte: “Non è veleno.”
Regulus non era del tutto convinto, perciò ne bevve solo un sorso, tanto per assaggiare. Marlene doveva avervi versato tutti gli alcolici più pesanti, perché la gola iniziò subito a bruciargli; tuttavia, dopo aver ingoiato, in bocca gli era rimasto un aroma fruttato decisamente non male.
“Com’è?” gli chiese Marlene, mentre lui ne beveva un altro po’, abituandosi così a quel bruciore che in fondo si rivelava ad ogni sorso sempre più piacevole – come Marlene, con il suo sorriso e i suoi occhi limpidi e i capelli biondi ed il suo essere così Marlene.
“Buono.”
“Sì?” gli occhi di lei si illuminarono. “Fammi assaggiare.”
Marlene gli tolse di mano il bicchiere e bevve un po’, con aria concentrata, prima di aprirsi nell’ennesimo sorriso. Gli restituì il bicchiere ed iniziò a tastarsi il vestito, sotto lo sguardo perplesso di Regulus; alla fine riuscì a trovare ciò che stava cercando, ovvero una matita per occhi, ed iniziò ad annotarsi sul palmo sinistro i vari alcolici con cui aveva creato quello di Regulus.
“Bene!” esclamò a lavoro finito, riponendo la matita dove l’aveva presa e preparando un altro drink.
“Vuoi ubriacarti?” domandò Regulus, scettico e divertito – sentiva l’alcol scorrergli già nelle vene ed arrivare al cervello.
“Mmh, no. Voglio andare in vacanza,” rise lei, che stava già finendo il bicchiere, ma nonostante ciò si sentiva ancora molto sobria.
“Da domani saremo in vacanza,” le fece notare, lasciandosi sfilare ancora il bicchiere dalle mani: Marlene lo riempì nuovamente per poi ridarglielo.
“Tu, magari,” disse lei, sorridendo. “Io no,” e si versò qualcos’altro nel bicchiere – piuttosto forte, vista la smorfia che fece subito dopo e la risatina che successivamente le sfuggì dalle labbra piene.
Stavolta Regulus, il bicchiere, lo svuotò talmente in fretta che la testa prese a girargli appena, mentre al quarto bicchiere non ci capiva già nulla – non lo reggeva bene, l’alcol, non come Marlene, che in quel momento si stava preparando il quinto drink ridacchiando tra sé.
Mentre lei beveva il sesto bicchiere, Regulus barcollò pericolosamente e Marlene gli risparmiò la caduta trattenendolo per un braccio.
“Regghy Blacky barcollino,” mugugnò lei, ridendo ancora e senza lasciargli il braccio – la mano di Marlene era caldissima, e non importava il fatto che ciò che stava dicendo non aveva un senso, perché nonostante tutto andava bene così.
“Mmh.”
La testa vorticava e la musica continuava a pompargli nelle orecchie, stordendolo sempre di più. A malapena vide Marlene ridere e prendere una bottiglia prima che lo afferrasse per un braccio e lo trascinasse da qualche parte. La ragazza, dopo vari tentativi, aprì una porta e poi la richiuse dietro di loro; lei si sedette rumorosamente sul gradino di una scala a chiocciola che assomigliava a quella che conduceva al suo dormitorio a Serpeverde e si attaccò alla bottiglia.
Marlene bevve qualche lungo sorso, prima di porgergliela; una volta ch’ebbe le mani libere, si appoggiò ai gradini successivi ed iniziò a ridere senza sosta. Regulus ridacchiò un po’ e guardò la bottiglia che teneva in mano, e poi lei lo strattonò per la stoffa dei pantaloni, costringendolo a sedersi accanto a lei. Marlene lo guardò bere, prima di soffiargliela di nuovo.
“Voglio un Ippogrifo,” disse Marlene, chiudendo gli occhi e sollevando il mento verso il soffitto. Poi ridacchiò appena, mentre Regulus beveva ancora qualche sorso. Ormai la bottiglia era già a metà.
“Perché vuoi… perché vuoi un Ippogripo?” ciancicò Regulus, strofinandosi gli occhi. Non ci capiva più niente: a malapena si ricordava chi era lui. E che lei era Marlene, ma nient’altro. Aveva anche caldo, a dire il vero: si sentiva quasi soffocare. Slacciò il nodo della propria cravatta e l’allargò, aprendo un po’ la camicia bianca.
“Non lo so,” ammise Marlene, stiracchiandosi sulle scale come un gatto. “Però sarebbe… sarebbe, uhm, bello, no?” domandò ancora, ridacchiando ed appoggiandosi al braccio di Regulus.
“Non lo so,” sgranò gli occhi lui, finendo poi con il ridere davvero assieme a lei. Marlene annuì e buttò giù un altro po’ di vodka – le sembrava fosse quello, l’alcol all’interno della bottiglia –; poi gli strofinò la guancia sulla spalla, salendo poi con il viso fino al suo collo e soffiandovi appena sopra.
“Mmh,” si lamentò lui, infastidito. Si raddrizzò sul posto, finendo inevitabilmente con il far sollevare anche lei, e le fregò nuovamente la vodka. Ne bevve ancora – qualcosa ancora ci capiva, in quel momento, e lui non voleva capirci più niente: sarebbe stato più facile, più semplice, più bello, e per una volta voleva provarci.
La sentì passargli le braccia attorno al collo e ridere contro il proprio petto magro, mentre lui sollevava il fondo della bottiglia verso l’alto per berne anche le ultime gocce. Non sapeva cosa fare: l’alcol sembrava aver preso le sue vene per strade ad alta velocità, gli girava la testa, aveva una ragazza – una Sanguesporco – appesa al collo e non gli dispiaceva niente di questo.
Ma non lo disse, non lo disse mai.
Non lo disse quando le labbra carnose di Marlene si posarono sulle sue. Non lo disse quando ricambiò quel bacio che sapeva d’alcol – e forse qualcos’altro. Non lo disse quando si alzarono in piedi, mentre la bottiglia s’infrangeva sul pavimento, e iniziarono a salire le scale l’uno abbracciato all’altra. Non lo disse quando posò le mani alla base del collo di Marlene ed entravano in una stanza – probabilmente quella di Marlene e le sue compagne, ma non importava. Non lo disse quando sentì le mani di Marlene sfilargli cravatta e sbottonargli la camicia. Non lo disse quando si ritrovò la pelle del torace a contatto da quella di lei, ormai coperta solo dall’intimo.
Non lo disse quando si stesero sulle coperte rosse, anche se avrebbe voluto urlarlo a tutti.
Il giorno dopo era già troppo tardi.

Si svegliò presto, quella mattina, Regulus. C’era troppa luce, più di quanta i suoi occhi fossero abituati ad incontrare appena svegli. Fece per tirarsi a sedere, quando si accorse di avere ancora il braccio di Marlene attorno al collo ed il suo corpo morbido appoggiato al proprio.
Se si sforzava, riusciva anche a riportare alla mente qualche spezzone della notte precedente: le pelli a contatto l’una con l’altra, i capelli biondi di Marlene tra le dita, le sue labbra morbide sulle proprie e tutto il resto.
Cercando di non prestare attenzione al fiato caldo di Marlene sulla propria pelle, Regulus si sciolse dalla sua presa e scostò appena le tendine del baldacchino, giusto per vedere se ci fosse qualcuno. A quanto pareva, l’unico letto occupato era quello più vicino alla porta, visto che era l’unico a sua volta avente le tendine tirate.
Gli pulsavano le tempie – sicuramente per via della sbronza della sera prima – ma nonostante ciò cercò a tastoni i propri vestiti e poi sgusciò fuori dal letto. Si rivestì in fretta, senza indossare però la cravatta, e lanciò uno sguardo alla sveglia sul comodino di Marlene: erano le sei e quattro minuti – per i corridoi non doveva esserci nessuno.
Si chiuse la porta alle spalle proprio quando lei aprì gli occhi e nascose il viso nel cuscino, stanca.










Note:
Ooookay. Fatemi prendere un bel respiro profondo, perché, nonostante questa storia non stia avendo un grande successo qui sul sito, sul forum sembra essere piaciuta. Eh già. Perché non solo è arrivata SECONDA al Contest di Daphne, ma ha anche vinto il PREMIO GIURIA. E sì, io ora sono strasupermegaiper-fomentata, perché è la seconda volta che una mia storia riceve un giudizio del genere che mi fa commuovere e kdhakja - senza contare che questa storia mi piace da impazzire, proprio come l'altra (che, tra parentesi, è la Sirius/MARLENE - sì, sembra che Marlene con me faccia 'furore', e mi vanto pure, yeeeeH - che si chiama Tutti i sogni che tenevamo stretti sembrano finire in fumo e che ha partecipato al contest di Tefnut)
MA COMUNQUEH.
Nel primo capitolo ho postato il MERAVIGLIOSO banner che mi ha fatto Daphne - è tanto bello che tra poco scoppio a piangere ;A;
POOOOOI. Che ne pensate di questo capitolo? Fatemi sapere, a me piace abbastanza, tranne il primo pezzo - non ha senso, lo so, quel pezzo non ha un briciolo di senso -, ma degustibus.
Ora  però mi ritiro che devo studiare e sistemare il capitolo di una mia Long.
VI AMO IMMENSAMENTE ;A;

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Capitolo 3
*** Agosto 1979 - Ottobre 1979 ***


dtp

3.


Agosto 1979


Orion Black lo guardava, seduto sulla poltrona dietro la scrivania del suo studio, con le sopracciglia folte e scure perfettamente arcuate come sempre ed il solito bagliore un poco sinistro che v’alloggiava. Davanti a lui, posizionate ordinatamente sulla superficie scura della scrivania, stavano scartoffie di vario genere, e ciò che vi era scritto, a Regulus, non interessava più di tanto.
“Allora,” intavolò la conversazione suo padre, poggiando i gomiti sulla scrivania e congiungendo le mani. “Sai perché siamo qui, no?”
“Sì, padre,” rispose Regulus, annuendo appena e con educazione.
Orion parve soddisfatto: arricciò le labbra in un sorrisino e continuò a parlare. “Bene, così ci evitiamo inutili giri di parole, Regulus. Ho già parlato con gli Hardgraves, sono d’accordo con il fissare il matrimonio l’anno prossimo, verso settembre od ottobre. Vogliono aspettare che Lavinia finisca gli studi, cosa comprensibile, dopotutto.”
“D’accordo.” Risposte semplici e dritte: erano queste quelle che piacevano più a suo padre, specialmente se concordavano – praticamente sempre, quindi, perché bisognava essere d’accordo con Orion Black – a quel che stava dicendo lui. E non importava che tu fossi contrario, perché dovevi essere d’accordo e basta: non importava se a lui, di sposare Lavinia Hardgraves, non andava proprio. Ma alla fine lo sapeva, lo sapeva che la sua era una vita già scritta, e lui non poteva che attenersi al copione e andare avanti. E Marlene – perché, per quanto lui si sforzasse di non pensarci mai, lei c’era stata – era stato solo un errore commesso quando si era dimenticato quelle fottute battute.
“Perfetto, direi,” sorrise Orion, sistemando meglio i fogli fittamente scritti in una pila. “Puoi andare, Regulus.”
Il giovane si alzò dalla sedia e si avviò verso la propria camera, senza riuscire – per l’ennesima volta – però a non lanciare prima uno sguardo alla porta di quella di Sirius. Forse, se fosse stato smistato a Serpeverde anche lui, in quel momento sarebbe stato lì, l’avrebbe ascoltato.
O forse, se lui, Regulus, fosse stato smistato a Grifondoro, non sarebbe stato lì, a Grimmauld Place, ma con Sirius.
E con Marlene.

*

Settembre 1978


“Oh, giovane Black,” disse Lord Voldemort, un sorriso sgradevole sul volto pallido, rigirandosi la bacchetta di tasso tra le mani, seduto a capotavola di Villa Lestrange. “Sei arrivato, finalmente.”
“Scusi il ritardo, Signore,” rispose a voce ben chiara, esibendosi in un piccolo inchino non appena entrò nella vasta sala da pranzo. Alcuni dei maghi seduti al tavolo assieme al Signore Oscuro – sebbene a debita distanza – lo guardarono, chi con disprezzo chi con ironia, e lui resse i loro sguardi uno ad uno, quasi sfidandoli a dire qualcosa.
“Problemi d’amore?” sputò Riddle, ovviamente sarcastico, scoppiando poi in una risata bassa e ancor più sgradevole di quel suo sorriso. “Quell’amore che Silente va tanto millantando… Non ha ancora capito nulla… Ma tu, giovane Black, tu scommetto che hai capito. O no?” lo chiese, e Regulus tentennò un attimo, prima che l’altro scoppiasse a ridere facendogli così capire che la sua era una domanda retorica. “Ma bando alle ciance!” Voldemort allargò le braccia. “Ora che sei arrivato, sappi che stasera tocca a te.”
“D’accordo, mio Signore.”
“Vai, giovane Black. Ti aspettano fuori.”

“Sei eccitato, Black?” gli domandò Mulciber, mentre uscivano con attenzione da Villa Lestrange, che si stagliava, nera ed austera, nel mezzo di una radura verdeggiante che la nascondeva bene. “La tua prima vera missione… Ricordo ancora la mia, l’anno scorso…” concluse, con un baluginio strano.
A Regulus, Mulciber non era mai piaciuto. Era di un anno più grande di lui, e da quel che si vociferava aveva attaccato Mary MacDonald, una volta, al quarto anno. Senza pensarci, Regulus si chiese se per caso la MacDonald e suo fratello stessero ancora insieme, se avessero una loro vita e capì che avrebbe voluto farne parte.
Ma io sono il buio, vero, Sirius?
Yaxley, accanto a lui, lanciò un’occhiataccia a Mulciber, sibilando: “Sta’ zitto, Mulciber, una buona volta. Vuoi farmi scoprire?” – Mulciber sbuffò e roteò gli occhi – “Ora muoviamoci, abbiamo poco tempo. Ci smaterializzeremo subito fuori il cancello.”
Regulus strinse la bacchetta senza accorgersene e si strinse nel lungo mantello scuro. Non si sentiva pronto a compiere quel che stava per fare. Ad esser sinceri, pensava che non si sarebbe mai sentito pronto per fare ciò.
Paura, Regulus?
Non ho paura.

Perché un Black non può avere paura, ad un Black non è permesso. Perciò alzò il capo al cielo, e prima di smaterializzarsi sperò con tutto se stesso di non dover uccidere nessuno, di non dover condurre nessuno nel buio.
Ti ricordi di quando, da piccoli, ti dicevo che il buio mi faceva paura? Te lo ricordi, Sirius? Perché mi fa ancora paura.

*

Ottobre 1979


Marlene era davvero l’ultima persona che si sarebbe mai aspettato di incontrare alla Testa di Porco, eppure quel piovoso lunedì sera la trovò lì, seduta ad uno dei tavoli più nascosti della sala. Fu lui a vederla per primo, e fu lei ad affievolire il proprio sorriso prima di guardarsi attorno con aria circospetta.
“Sono da solo,” l’avvisò, avvicinandosi a lei con il capo chino per non farsi riconoscere – anche se, tra quegli ubriaconi, dubitava ci fosse qualcuno di sua conoscenza – ed un bicchiere di whisky in mano.
Marlene sembrò tranquillizzarsi, poiché gli sorrise – dopo tanto tempo, e fu doloroso, perché in quel momento Regulus capì quanto Marlene fosse più forte di lui, quanto riuscisse a reggere tutto meglio di lui.
“Sono riuscita a traviarti all’alcol, vedo,” buttò lì la ragazza, appoggiando la schiena alla sedia e sorseggiando il proprio bicchiere di whisky.
“Sarebbe successo comunque,” disse lui, inarcando un sopracciglio e sedendosi davanti a lei, la schiena rivolta verso la porta: non era bene farsi vedere con una Sanguesporco, lo sapeva, e si chiedeva perché lei, al contrario suo, sembrasse così tranquilla.
“Probabile,” acconsentì lei, inclinando appena la testa. “Però l’ho fatto io.”
“Sarebbe suc—”
“Sarebbe successo comunque,” gli fece il verso lei, roteando gli occhi. “Non me ne frega niente. Sono stata comunque io a traviarti, quindi sssh.
“Mi hai appena fatto sssh?” chiese, allibito.
“Proprio così, Blacky,” sorrise ancora, raggiante, e Regulus per qualche assurdo motivo sentì il bisogno di dirlo:
“Tra un anno mi sposo.”

Marlene aggrottò la fronte e bevve ciò che rimaneva del suo whisky, continuando a guardarlo dritto negli occhi, prima di stringersi nelle spalle, ghignare e dire: “Be’, almeno la tua futura moglie avrà del buon sesso garantito.”
“Eh?” domandò, guardandola accendersi una sigaretta sotto lo sguardo truce di Aberforth – Regulus sapeva, però, che non avrebbe detto niente, visti tutti i traffici illeciti che si tenevano all’interno del locale.
“Eh?” ridacchiò lei, aspirando un po’ di fumo e rilasciandolo dopo, continuando: “Ricordo abbastanza da poter affermare con certezza quasi assoluta che quella rientra tra le migliori tre scopate della mia vita.”
Regulus inarcò, ancora le sopracciglia, cercando di dissimulare l’imbarazzo e il lieve compiacimento che l’avevano colto solo a sentire le parole di Marlene. E nonostante avesse dissimulato spesso – sempre –, quella volta gli sembrò più difficile, forse per quegli occhi azzurri che non la smettevano di guardarlo o forse per il ricordo delle coperte rosse e il corpo di Marlene a contatto con il proprio.
“Grazie?” tentò, mostrandosi il più distaccato possibile. Lei si strinse nelle spalle e tirò un’altra boccata di fumo dalla sigaretta. Regulus non riuscì a trattenersi dall’osservare la scena con aria critica e dire: “Ti uccideranno, quelle cose, lo sai, vero?”
Il sorriso sul volto di Marlene parve allargarsi maggiormente, a quelle parole, e lei ribatté: “Sempre che li battano sul tempo, no?”
Regulus si irrigidì sulla sedia ed il suo sguardo corse rapidamente e senza volerlo all’avambraccio sinistro. Era agghiacciato, davvero. Il sorriso di Marlene, poi, non lo aiutava: sembrava dire io lo so, ma lei non poteva sapere. O sì?
“Certi dettagli non te li dimentichi, anche se dopo una bevuta particolarmente abbondante,” gli disse, quasi fosse in grado di leggerli nel pensiero. “Non l’ho detto a nessuno, comunque. Però qualcuno lo sospetta già.”
Sotto lo sguardo apparentemente calmo di Marlene, Regulus iniziò a sentirsi strano ed agitato. Lei non era al sicuro, ma ora non era al sicuro nemmeno lui. Come faceva a sapere che Marlene non l’avrebbe detto a nessuno? Si guardò attorno, la stessa espressione di un cane in gabbia.
“Vuoi calmarti?” domandò allora lei. “Vuoi dare spettacolo, per caso?” – Regulus scosse appena la testa, e Marlene allora posò sul tavolo i soldi del suo whisky e si alzò dal tavolo, facendogli segno di seguirla – “Ti aspetto fuori, raggiungimi tra cinque minuti.”
Per un attimo fu tentato di dirle di no, solo per il gusto di farlo – e lei avrebbe arricciato le labbra in una smorfia irrisoria come faceva anche ad Hogwarts –, poi però, quando la ragazza si chiuse la porta del locale alle spalle, sentì il desiderio di seguirla subito. Scostò la manica della giacca dal quadrante dell’orologio e aspettò che i minuti passassero, gli occhi grigi che guardavano la lancetta dei secondi muoversi lentamente dietro al vetro.
Non appena furono passati quei maledetti cinque minuti, Regulus si strinse nel cappotto ed uscì dal locale senza far rumore e senza attirare l’attenzione di qualcuno su di sé – o sarebbero stati guai.
Marlene era appoggiata al muro della casa di fronte alla Testa di Porco: i capelli biondi e mossi erano mossi dal leggero vento di ottobre e ai suoi piedi giaceva la sigaretta che aveva fumato dentro, ormai spenta. Al vedere quel sorrisino ancora sulle sue labbra, Regulus sentì la rabbia e la paura salire ancora; le si avvicinò con passo veloce, e quando le fu di fronte parlò a bassa voce:
“Non lo devi dire a nessuno, capito? A nessuno.”
“Cosa, Blacky?” domandò lei, con aria fintamente innocente. “Non capisco.”
“Lo sai, McKinnon,” sibilò lui, sbiancando appena quando sentì la propria voce tremare notevolmente. Anche Marlene dovette accorgersene, perché scoppiò a ridere forte, mentre il vento si rubava quel suono così come se ne sarebbe beato Regulus in un altro momento.
“Seriamente, Reggy-Reg, perché dovrei dirlo a qualcuno? Cosa ci guadagnerei?”
“Merlino, ma cosa ci facevi a Grifondoro?” Regulus era basito, completamente basito: quello non era un comportamento da Grifondoro, un Grifondoro non avrebbe mai detto nulla del genere. Marlene parve offesa, offesa davvero, e qualcosa in lei sembrò spegnersi: le spalle s’incurvarono appena, il sorriso crollò per un istante.

Si riprese subito, fulminea, però, e scrollò le spalle con indifferenza. “Tu non sai niente di me, Blacky.”
“Sì,” rispose, dopo essersi reso conto che Marlene aveva ragione, che lui la conosceva a malapena, che di lei, a parte il nome e la Casa e lo stato di sangue, non sapeva niente. Si rese anche conto che sapere qualcosa in più non gli sarebbe dispiaciuto, ma lo tenne per sé, come tenne per sé anche molte altre cose.
“Ti va un giro?” gli chiese lei, quindi, dopo poco, disinvolta.
“McKinnon,” iniziò lui, “Tu sai cosa sono. Perché vuoi rischiare così tanto?”
“Rischio lo stesso, alla fine.”
“Ma io no.”
“Ne sei così sicuro? In una guerra rischiano tutti.”
“Non ho paura,” stabilì lui, cercando di porre fine a quel discorso insensato.
“Davvero?” chiese lei, sarcastica. “Allora facciamo così: tra una settimana qui. Arriva alle sette e mezza, stanza numero sette. Vediamo chi non ha paura,” concluse, prima di sorridere ancora e smaterializzarsi.

*

Ottobre 1979


Ormai, Regulus Black era diventato quasi una sfida. Sempre così statico, fermo, immobile, farlo crollare sarebbe sicuramente entrato tra i migliori risultati mai ottenuti. Lui le sembrava sempre troppo pacato e freddo, come ghiacciato in quella sua aura di algida superiorità; era riuscita a scheggiarlo – se ne intendeva, lei, di ragazzi, e l’aveva visto, nonostante lui avesse cercato di nasconderlo –, e ora doveva solo scagliare il colpo finale.
Eppure, per la prima volta, non si sentiva pronta. Sarà stato il pericolo ogni giorno sempre più opprimente e presente, sarà stata la paura, sarà stato qualcos’altro: lei non lo sapeva, ma non si sentiva pronta. Forse, però, lo sarebbe stata se lui si fosse davvero presentato, quel giorno.
Lanciò un’occhiata all’orologio appeso alla parete del salone, e quando vide le lancette indicare le sette meno un quarto si alzò dalla scrivania, lasciando i propri libri a loro stessi, e prese borsa e cappotto. Uscendo, si fermò prima davanti allo specchio, sistemandosi con una mano i capelli mentre con l’altra afferrava le chiavi.
Una volta che fu sufficientemente lontana dalla propria casa, roteò su se stessa e si smaterializzò.
Il sorriso di Marlene fu la prima cosa che vide, quando la ragazza aprì la porta. Dietro di lei, la camera numero dodici della Testa di Porco era forse anche meglio di come se l’era immaginata – perlomeno era pulita.
“Ehilà,” lo salutò Marlene, spostandosi per farlo entrare. Regulus si richiuse subito la porta dietro le spalle, mentre Marlene domandava ironicamente: “Che c’è, paura che ti vedano con una come me?”
Regulus la guardò in silenzio, prima di rispondere lentamente. “Per ora, ho paura che vedano te con me. Io rischio di meno.”
“Casomai, rischi di più,” ribatté lei, sedendosi sul bordo del letto. Regulus si appoggiò al muro, accanto alla finestra chiusa e coperta da delle tende e davanti alla ragazza. “Ma che ne dici di cambiare discorso?”
“Non era per questo che eravamo qui?” domandò lui, un po’ spaesato. “Per chiarire?”
“Cosa c’è da chiarire? Tu hai fatto una scelta, tutti devono scegliere,” Marlene si strinse nelle spalle, e a Regulus parve di vedere un lampo di malinconia attraversarle gli occhi mentre continuava: “Me lo diceva sempre Astris: tutti, prima o poi, si ritrovano a dover fare i conti con qualcosa di più grande di loro, e allora dovranno solo scegliere cos’è meglio per loro.”
Regulus preferì non commentare: non era ancora del tutto sicuro che la sua scelta fosse stata dettata da quel che desiderava. O forse sì: voleva rendere orgogliosi i propri genitori, e in quel modo ci era riuscito. Eppure spesso gli sembrava di aver sbagliato, come quando ascoltava quel che diceva il Signore Oscuro o quel che facevano gli altri Mangiamorte durante le missioni.
“Astris?” chiese quindi, giusto per sviare.
Marlene annuì, prima di sorridere ancora – ed in quel sorriso traspariva affetto e nostalgia, come se stesse ricordando qualcosa di talmente dolce che in un momento del genere la faceva rattristare. “Era di Corvonero.”
“Era?” domandò lui, ricordando vagamente il volto pallido di una ragazza dai capelli biondo sporco. “È… è morta?”
Marlene ridacchiò appena, sebbene il suo sguardo fosse ancora un poco perso. “No, per carità… Ma è in viaggio con il fidanzato. Si sposerà a giugno… Comunque, non importa,” disse poi, battendosi le mani sulle cosce. “Siamo qui, caro Blacky, per parlare.”
“Parlare?” chiese Regulus, basito, prima di portarsi le mani ai capelli. “Tu sei matta! Ti rendi conto che stiamo rischiando tutto per stare qui, ora? E tu mi dici che dobbiamo parlare? Parlare di cosa, poi?”
Marlene sorrise allegra, nel vederlo in quello stato. “Su, Blacky, rischiamo la vita ogni giorno, non dovresti preoccuparti per qualcosa del genere. E poi oggi non avevo niente da fare, mi andava di chiacchierare.”
“Come facevi a sapere, una settimana fa, che oggi avresti voluto parlare con me?”
“Beccata,” rise lei, alzando le mani in segno di resa. “Ma ora, visto che sei qui, che ne dici di restare, chiacchierare un po’ e farci compagnia?” chiese, e Regulus avvertì chiaramente un pizzico di malizia nel tono assunto da Marlene.






***

Maaaaacciao.  
Sì, so di essere molto simpatica a postare il nuovo capitolo praticamente dopo un mese, ma ecco a voi la terza parte di Dietro La Pelle. Oddio, abbiamo superato la metà! Ho piuttosto paura, visto che d'ora in poi si va molto sull'introspettivo - specialmente di Regulus, piccolospoiler - ed io ho sempre paura di sbagliare alla grande. Mi fiderò di Daphne e fingerò di sapere di aver fatto un lavoro decente (lei dice più che buono, ma lei è troppo gentile è_è). 
Ecco.
E ci avviciniamo anche al mio compleanno *non gliene frega a nessuno*, che è il dodici giugno *gente (se c'è) che pensa "ma a noi che ce ne frega?"*, e quindi posterò l'ultimo capitolo proprio quel giorno *cori di "oooh" un po' scettici*. Muahahah. Come sono originale. NO, per niente, ma shalla.
Sì, sto sclerando, ma ora fuggo, perché domani mi interroga scienze sicuro, ho il compito di inglese, correggiamo i compiti di greco (e il mio è andato una mmmerdaH ;A;), e rischio di essere interrogata pure in epica. Al peggio non c'è mai fine, porca miseria.
Perciò addio, e alla prossima settimana ù_ù
A.

Non scherzare, McKinnon,” disse quindi, la gola secca. “Non ho intenzione di rovinare tutto solo per una sbronza. Quel che è successo a giugno è… è successo e basta.”
“Lo so,” annuì Marlene, e Regulus avrebbe voluto cancellarle quel sorrisetto dalle labbra piene. “Posso dirtela una cosa, però, Blacky?”
“Sentiamo un po’!” sbottò lui, lanciando uno sguardo alla porta. Perché c’era qualcosa, negli occhi di Marlene, che lo attiravano ma allo stesso tempo lo respingevano; erano di un azzurro brillante, e così pieni di vita e di libertà e di Marlene che lui avrebbe voluto stare lì a guardarli per tutto il tempo del mondo ma allo stesso tempo scapparne per sempre.
Lei piegò le labbra in un ghigno appena accennato, prima di parlare: “Vedi, Blacky, tu ti preoccupi troppo. E questo non è un bene, Micetto. Fammi indovinare: tu pensi che quel che sia successo a giugno non possa più capitare perché ti rovineresti la vita? Merlino, era sesso. Dillo con me: ses-so. Non è il sesso che rovina tutto, ma i sentimenti. Niente sentimenti e il gioco è fatto”. Concluse il proprio discorso con un’aria soddisfatta, Marlene – forse per l’aria attonita di Regulus, o più semplicemente perché sapeva di essere lei il vento di Regulus, in quel momento.
“Io…” iniziò Regulus, con le intenzioni migliori – almeno secondo lui –, ma si bloccò vedendola alzarsi dal letto e avvicinarsi a lui. Mentre la ragazza si scioglieva i capelli, domandò: “Che stai facendo?”
“Ti mostro come il sesso possa essere diviso da tutto il resto,” rispose lei, sorridendo. Regulus fece per respingerla, ma lei posò le sue mani alla base del suo collo e lui non ci pensò più – non pensò più a niente.

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Capitolo 4
*** Dicembre 1979 - Maggio 1980 ***


dietrolapelle

4.*

Dicembre 1979.

 

Il tintinnio delle posate sui piatti di ceramica gli rimbombava nelle orecchie, mentre Orion e Walburga s’intrattenevano con i coniugi Hardgraves e cercavano, di tanto in tanto, di rendere partecipi lui e Lavinia, la figlia dei due ospiti, nonché sua futura sposa.
Di tanto in tanto, Regulus alzava gli occhi dal proprio piatto e li puntava di nascosto e con discretezza sulla figura della ragazza: i capelli biondi erano sciolti sulle spalle, gli occhi erano di un grigio chiarissimo e il corpo era piccolo e minuto.
Quando la guardava, Regulus non poteva trattenersi dal fare paragoni. Perché se una volta era il colore degli occhi, dopo era la linea delle labbra, e poi i capelli, e dopo ancora tutto il modo di fare. Lavinia aveva un’aria distaccata, simile alla sua, mentre Marlene era una di quelle persone esuberanti, che si fanno prendere spesso dall’entusiasmo. C’era una differenza abissale tra le due, e Regulus era sicuro che i suoi genitori avrebbero sempre preferito Lavinia – anche se Marlene fosse stata Purosangue –, mentre lui avrebbe scelto Marlene comunque.

Marlene, Marlene, Marlene
. Quando era in missione non ci pensava mai, un po’ perché non voleva un po’ perché quel che vedeva era talmente raccapricciante da impedirgli di pensare a qualcosa di bello. Aveva paura, Regulus, ce l’aveva sempre, perché bastava poco, uno sbaglio, un errore, una parola, un pensiero e tutto sarebbe finito e lui sarebbe morto – e con molte probabilità sarebbe morta anche Marlene.
Ci pensava troppo spesso, da quando si vedevano. Era solo sesso, quel che c’era tra loro, se lo ripetevano a vicenda ogni volta, quasi avessero paura di scordarlo. Eppure, nonostante ciò, Regulus spesso sentiva di essere come ossessionato da lei: Marlene, per lui, rappresentava l’unica cosa che avrebbe sempre voluto, la libertà. Questo significava per lui Marlene, ed era per questo che non la voleva lasciar andare via, in un certo senso: quando era con lei, in quella camera impolverata e ormai piena di loro due, era come se non appartenesse a nessun posto, come se potesse essere quel che voleva dove voleva.
“Mi passeresti il sale?” chiese Lavinia, con voce pacata, distogliendolo da quei pensieri. Regulus, dopo un attimo di smarrimento, le passò la saliera, nascondendosi dentro tutto – tutti i pensieri, tutte le parole, tutte le carezze. 

*

 Gennaio 1980.
 

“Passate buone vacanze?” domandò Marlene, appoggiata al cornicione della finestra della solita stanza della Testa di Porco, la bacchetta con cui aveva aperto la porta ancora in mano.
“Ovviamente,” rispose lui, neutro, togliendosi il cappotto e appoggiandolo allo schienale di una sedia vicino al tavolino. Si arrotolò le maniche della camicia fino ai gomiti e lanciò appena un’occhiata al vassoio pieno delle prelibatezze di Aberforth che si trovava sul tavolo. “Tu?”
“Non mi lamento,” disse, stringendosi nelle spalle ed alzandosi in piedi. Gli si avvicinò, rapida e senza far rumore, allacciandogli poi le braccia dietro la nuca e piegando le labbra in quel suo sorriso da gatta. Marlene avvicinò il proprio viso al suo, e per l’ennesima volta non servirono parole.

Marlene si staccò da lui, i riccioli biondi che gli solleticarono il torace magro, e si allungò verso il comodino, cercando di afferrare il pacchetto di sigarette là sopra. Si tirò a sedere, appoggiandosi con la schiena nuda alla testiera del letto, e, dopo aver sfilato una sigaretta dalla confezione, l’accese con l’accendino. Regulus la guardò aspirare e trattenere il fumo per una decina di secondi, prima di rilasciarlo e guardarlo espandersi sopra di loro. Poi Marlene scoppiò a ridere, scivolando appena verso il basso e dando un’altra boccata alla sigaretta.
“Ti uccideranno, quelle cose,” le fece notare Regulus, guardandola con le sopracciglia scure inarcate.
Marlene alzò le spalle, sbuffando un risolino e un poco di fumo, e ribatté come tempo addietro aveva fatto: “Penso che lo farà prima qualcun altro.”
Regulus sbiancò appena, ancora, al sentirla pronunciare tali parole, e si coprì un po’ di più con le coperte del letto. Lo impressionava il modo di parlare di Marlene: sembrava essersi come rassegnata alla morte, quasi non avesse possibilità di scamparla e di salvarsi. Però non sapeva, Regulus, come lo impressionava: a tratti la considerava una stupida, perché volendo avrebbe potuto combattere, a tratti sveglia, perché nonostante tutto si godeva la propria corta vita.
“Non è detto,” rispose infine, con studiata calma, la voce piatta. Non lasciar trapelare nessuna emozione, era questo il trucco. Era sempre stato quello.
“Oh, sì che lo è,” commentò lei, ciccando in un posacenere fatto apparire poco prima. “E tu dovresti saperlo meglio di me,” aggiunse, lanciandogli un’occhiata penetrante. E Regulus si sentì scoperto da tutte le maschere che indossava, perché sapeva che lei era al corrente di tutto e che non perdeva occasione di ricordarglielo. Era una cosa che odiava, e ogni volta avrebbe voluto urlare che non era una cosa che aveva scelto lui, ma che gli era stata praticamente imposta.
“Sarà,” si limitò a controbattere, girandosi a pancia in sotto ed affondando il viso nel guanciale. Sentì Marlene – che aveva posato la sigaretta nel posacenere – muoversi verso di lui; gli si sdraiò accanto, accarezzandogli poi la schiena con una mano e sistemando una gamba tra le sue.
“È così,” mormorò Marlene, posando le labbra prima sulla sua spalla, poi un po’ più verso la nuca e poi sotto l’orecchio. “Ma ora non importa.”
 

*
 

Febbraio 1980.
 

Regulus sgranò gli occhi, mentre il suo viso perdeva colore. Accanto a lui, Severus Piton osservava la scena con un’espressione disgustata: poco distante da loro, stava Greyback, ormai noto come uno dei peggiori Lupi Mannari del tempo – se non il peggiore.
“Cosa ci fa lui qui?” domandò a bassa voce, osservando con orrore i denti acuminati del Licantropo.
Severus voltò il capo verso di lui e gli intimò: “Abbassa la voce, Black. A quanto pare è uno dei nostri. È entrato da poco tra le schiere dell’Oscuro Signore.”
Il viso di Regulus si tramutò in una maschera di stupore misto a ribrezzo e terrore. “Ma come… è… è un ibrido,” sussurrò, mentre Greyback diceva qualcosa ad un Rabastan Lestrange piuttosto schifato. “Non può stare qui.”

Il Signore Oscuro non lo permetterebbe mai.
O forse sì?
Ma lui vuole liberarci dalla feccia… e Greyback fa parte della feccia. Perché è qui?

Seveurs si strinse nelle spalle, e rispose: “Non ha il marchio. Ma è a capo di un branco di Licantropi, e altri alleati potranno tornarci utili.”
Regulus annuì impercettibilmente, per nulla convinto. Quel che aveva appena scoperto aveva fatto crollare un po’ di quel suo muro fatto di convinzioni che i suoi genitori gli avevano inculcato sin da quand’era solo un ragazzino. Aveva sempre pensato che i Licantropi, essendo degli ibridi, sarebbero stati esiliati; non aveva mai nemmeno immaginato che un giorno il suo Signore avrebbe anche solo preso in considerazione l’ipotesi di unirsi a loro.

Eppure l’ha appena fatto
-  pensò, mentre dubbi e supposizioni si accavallavano nella sua mente. Cosa vuole in realtà?
 

*
 

Marzo 1980.
 

Marlene gli baciò le labbra, le mani poggiate sulle sue guance, mentre lui le stringeva la vita con le braccia. Tuttavia, Regulus non era in grado di pensare ad altro che non fossero le parole di Kreacher, spezzate dai singhiozzi sfuggiti all’elfo.

“Kreacher…” mormorò, mentre l’elfo si stringeva le ginocchia, rannicchiato sotto le proprie coperte. “Kreacher, che succede? Kreacher, parla, che è successo?”

“Padron… Padron Regulus,” gracchiò la creatura, torturandosi le dita ossute delle mani. “Cose orribili, padron Regulus… C’erano mani bianche, e c’era acqua dappertutto… Kreacher voleva gridare, ma Kreacher doveva bere la pozione… Kreacher aveva tanta paura…”

Regulus sentì la rabbia montare in lui, guardando l’elfo che l’aveva cresciuto preda di un dolore tanto grande. Era sempre stato molto affezionato a Kreacher, lo trattava bene e lui si prendeva cura di lui, si premurava che stesse sempre bene.

Ma io non sono riuscito a fare lo stesso.

“Kreacher,” disse a voce bassa ma perentoria. “Dimmi che è successo.”

Le mani calde di Marlene si facevano largo sotto la sua maglietta, e, sebbene non stesse pensando a lei e a quel che stava accadendo in quel momento, Regulus inarcò maggiormente la schiena, permettendole di sfilargliela. Lui fece scorrere le mani sulla pelle candida e scoperta di lei, i polpastrelli che intanto ne saggiavano la morbidezza per l’ennesima volta.

“E… e il Signore Oscuro è andato via, lasciando Kreacher da solo. L’acqua era fredda e a Kreacher faceva tanto male la gola… Mani bianche sono spuntate dal lago e hanno afferrato Kreacher… E Kreacher ha provato a resistere, ma loro erano di più… E poi… E poi a Kreacher è stato ordinato di tornare a casa, e Kreacher ha fatto come gli era stato detto.”

Regulus aveva ascoltato il racconto di Kreacher in silenzio, il viso contratto in una smorfia schifata e rabbiosa. Non riusciva a credere a ciò che il suo Padrone aveva fatto a Kreacher, era qualcosa di troppo vergognoso da poter capire o dimenticare.

“Non devi dire a nessun altro quel che è successo in quella caverna, Kreacher, mi raccomando,” disse quindi, con la voce tremante di rabbia. L’avrebbe pagata. “E nasconditi. Non farti vedere da qualcuno che potrebbe farti del male, okay?” L’elfo annuì, impaurito, stringendo con forza la propria coperta rattoppata. “Ora vai a dormire, Kreacher. Hai bisogno di riprenderti,” aggiunse, sinceramente dispiaciuto.

Kreacher annuì ancora e, dopo essersi alzato in piedi, si avviò, barcollante, verso l’armadio dove dormiva.

Regulus non dormì, quella notte, pensò solo a chi aveva sacrificato la propria vita.

Ti sei mostrato per quel che sei davvero, ed è troppo tardi.

Ma la pagherai.

Marlene gemette contro la sua spalla, i capelli biondi sparsi sul cuscino sotto la sua testa e le palpebre velate di trucco calate sugli occhi azzurri. Regulus diede qualche altra spinta, con i gomiti poggiati ai lati della testa della ragazza per non pesarle addosso; alla fine, arrivò l’orgasmo e Regulus si sdraiò accanto a lei con il fiatone.
Accanto a lui, Marlene si passò le mani tra i capelli, il petto che iniziava ad alzarsi e ad abbassarsi ad intervalli regolari. Poi la ragazza si girò di fianco, posando la testa sulla sua spalla e passandogli un braccio un po’ sopra la vita; lui la imitò, stringendola a sé e aspirando il profumo dei suoi capelli.
Riflettendo, Regulus pensò che effettivamente il suo momento preferito era il dopo orgasmo. Regnava la pace, in quei minuti, e c’era talmente silenzio che lui poteva anche contare i respiri di Marlene accanto a sé; e poi c’era proprio Marlene, che gli si accoccolava vicino e le sembrava la persona più vicina a lui in quel tempo. Non sapeva cosa gli stava accadendo, ma nascondere tutto al Signore Oscuro – solo a pensarci, la rabbia s’impossessava ancora di lui – diventava ogni giorno più difficile.
“Blacky, è tardi…” mormorò appena Marlene, parlandogli sulla pelle.
Lui lanciò un’occhiata all’orologio, prima di tirarsi a sedere, trascinandola così con lui. Lei gli scoccò un lieve bacio sul collo, ridacchiando appena ed accendendosi la solita sigaretta, mentre lui si rivestiva e, dopo aver aperto la porta, controllava che non ci fosse nessuno. Nessuno doveva vederlo lì, con Marlene, o sarebbe stata la fine.
Perché era tardi per tutto, ma per loro era ancora troppo presto.

(E forse, lo sarebbe stato sempre.)
 

*
 

Aprile 1980.
 

“Tutto bene?” le chiese Emmeline, versandole del tè. Erano sedute al tavolo della cucina del quartier generale dell’Ordine da ormai una mezzoretta, ma fino ad ora avevano passato il tempo lancia dosi occhiatine di sottecchi – nel caso di Emmeline – o guardando fuori dalla finestra – nel caso di Marlene.
A scuola, loro due non si erano mai parlate. Emmeline aveva due anni più di lei ed era stata una Corvonero, perciò oltre a non avere corsi in comune non l’aveva mai nemmeno incrociata in luoghi comuni. Avevano iniziato a legare quando, circa sei mesi prima, era stata coinvolta in un attacco dei Mangiamorte ed Emmeline l’aveva tratta in salvo, portandola da Silente. Lui aveva proposto a Marlene di entrare nell’Ordine, ma lei ci aveva messo qualche settimana a decidersi. Da allora, Emmeline era diventata la sua più grande amica: Astris era ancora in viaggio – doveva tornare a luglio, e Marlene non vedeva l’ora di rivederla e poterla riabbracciare – mentre le altre sue amiche di Hogwarts sembrano essere scomparse, inghiottite dalla guerra.
“Oh, sì,” sorrise Marlene, tranquilla, soffiando sul proprio tè. “Grazie,” aggiunse poi, indicando la tazza con un cenno del capo. Emmeline scosse la testa, come a farle intendere che non c’era nulla per cui ringraziare. “Tu?”
“Bene, bene,” rispose Emmeline, sistemandosi una ciocca scura dietro l’orecchio. “Senti… è da un po’ che ti vedo strana. C’è qualcosa che vorresti dirmi?”
“Mmh? Strana?, in che senso?” chiese Marlene, sorseggiando il tè, assumendo un’aria curiosa.
“Non lo so,” ammise Emmeline, sorridendole dolcemente. “Sei sicura che non ci sia niente? Con me puoi parlare, se c’è qualche problema puoi dirmelo.”
Marlene scosse la testa, i riccioli biondi che si muovevano sulle spalle. “Ehi, tranquilla,” ridacchiò quindi. “Non succede nulla.”
Emmeline si morse il labbro inferiore, osservandola con un’espressione decisamente poco convinta. Aveva paura per lei, glielo si leggeva negli occhi velati di un misto di dispiacere e paura. Marlene si chiese perché avesse paura Emmeline, se non ce l’aveva neppure lei; o almeno, lei non l’aveva per se stessa, ma non poteva negare di essere terrorizzata dall’idea della morte della sua famiglia. E sapeva, Marlene, che stare nell’Ordine sì, conferiva loro maggiore protezione, ma allo stesso tempo erano più ambiti tra i Mangiamorte.
Alla fine, Emmeline parve convincersi, perché sbuffò e si raddrizzò sulla sedia. Poi le sorrise, quasi volesse parlare per risollevarle il morale. Marlene si era a malapena trattenuta dall’aggrottare le sopracciglia, nascondendo tutto dietro il solito sorriso sfacciato e sicuro di sé.
“Vabbe’, ma che mi racconti?” chiese, infatti, ora curiosa. “A volte sparisci per pomeriggi interi… Impiccio?”
“Non lo definirei proprio un impiccio,” sorrise Marlene, bevendo un altro po’ di tè.
“Oh,” Emmeline si illuminò. “Quindi è qualcosa di più serio!”
“Non esageriamo,” la bloccò la bionda, perché Emmeline, quando ci si metteva, sapeva parlare finché non crollava. “È solo… niente, già,” annuì, pensierosa, per poi posare la tazza sul tavolo e battere le mani. “E tu, invece? Ragazzi?”
Emmeline arrossì ed iniziò a parlarle di un certo Samuel, che seguiva il suo stesso corso al Ministero. Marlene, prima di poterselo impedire, si chiese perché lei non potesse fare lo stesso con Regulus. Poi si ricordò chi erano entrambi.
 

*
 

Maggio 1980.
 

“Avrei un incarico per voi, spero lo svogliate con l’attenzione e la precisione necessarie,” si premurò di dire Voldemort, guardando i quattro Mangiamorte davanti a lui. Regulus, Bellatrix, Rodolphus e Severus annuirono. “Dobbiamo ringraziare Peter, che ha deciso di unirsi a noi e collaborare,” aggiunse, senza degnare di uno sguardo Peter Minus, che lo guardava, tremante, da un angolo poco lontano. “Li abbiamo scovati, finalmente. Agirete domani.”

 
Quella volta fu Marlene ad alzarsi per prima da quel groviglio di coperte, vestiti e talvolta anche cenere. Si rivestì rapidamente, prendendosi solo il tempo di fumare una sigaretta accanto alla finestra.
Regulus la guardò lasciar uscire il fumo fuori, coperta solo dall’intimo, i capelli biondi che le arrivavano quasi a metà schiena in onde morbide e profumate – odoravano di mela, i capelli di Marlene, ormai l’aveva capito.
Mentre la ragazza si rivestiva, Regulus non riusciva a staccarle gli occhi di dosso. Era bella, Marlene, e lo sapevano entrambi: snella, slanciata, bionda e dall’aria fresca. Una di quelle bellezze che colpiscono al volo, e lei aveva sempre usato questa sua dote a proprio vantaggio, ad Hogwarts; fuori da scuola era stato più difficile: non sapeva chi fossero i Mangiamorte, a parte qualche persona grazie al suo ruolo nell’Ordine, e a volte aveva paura di essere riconosciuta. Di solito dava la colpa al suo spiccato egocentrismo.
Allacciandosi i bottoncini della camicetta, Marlene si sedette sul bordo del letto, accanto a Regulus. Poi gli prese il viso fra le mani e catturò le sue labbra in un bacio dolce, forse anche troppo per loro due. Lui non disse niente, limitandosi a ricambiare e poi a guardarla uscire via.

Perché gli era sembrato tutto un addio?
 

Regulus seguì sua cugina e il marito attraverso la stradina di una cittadina semi-magica piuttosto piccola. Si trovavano vicino Tinworth, gli era parso di capire. Lungo i cigli della strada, le foglie degli alberi erano verdi, ed il cielo diventava mano a mano sempre più scuro.
Si fermarono davanti ad una casa come tutte le altre: le luci del salone e due del piano di sopra erano accese, e a volte si vedevano delle ombre proiettate sui muri. Regulus sentì sua cugina Bellatrix ridere ed estrarre la bacchetta.
“Ancora non si sono accorti delle barriere,” commentò, sarcastica. “Che sciocchi”. Con un incantesimo, Bellatrix aprì il cancelletto che dava sul cortile della casa. Regulus aveva la pelle d’oca e non sapeva perché: si guardava attorno con aria circospetta, e più che tutto cercava di capire di chi fosse la casa in cui stavano entrando.
Rodolphus fece scattare la serratura di casa, aprendola senza far rumore: erano entrati in una specie di atrio lungo e un po’ stretto. Dalla porta un po’ più avanti verso la destra arrivò il rumore di passi affrettati e sussurri decisi.
A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che solitamente li emanava, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era stata spenta.

Marlene non gli avrebbe più illuminato la strada.






***

Me tanto tristeMe tanto triste perché questa storia - che giuro, amo con tutta me stessa - è già arrivata al penultimo capitolo, e io non mi sento ancora pronta a postare l'ultimo: Dietro la pelle significa così tanto per me, ma mi tengo il discorso chilometrico per l'ultimo discorso.
Però, ai pochi che seguono questa fanfiction (solo la mia Tef
), prometto che presto o tardi mi vedrete tornare con un'altra Reglene, perché li amo troppo e, nonostante il loro ciclo si stia chiudendo - già, nonostante sia morta Marlene, loro non sono ancora finiti, e per me non finiranno mai -, non potrò mai lasciarli. 
Comunque.
Non avete idea di quanto sia stato difficile scrivere la morte di Marlene - lei, così vitale: vederla spezzarsi in questo modo mi ha distrutta, sebbene, ovviamente, essendo l'autrice, sapessi già come sarebbe successo. Ci tengo solo a specificare che NO, manca ancora un pezzo, e Marlene purtroppo non comparirà, ma ci sarà solo Regulus - e non con i suoi soliloqui su Marlene, ma alle prese con qualcosa di più importante che la morte di Marlene gli ha fatto finalmente vedere.
La parte di Greyback è ispirata, come detto nelle note di inizio ff, a Eroi non si nasce, si diventa di Julia Weasley - la amo, il suo Regulus è il migliore del mondo, leggetela, merita davvero!
Ora vado a finire Hunger Games (o almeno a tentare di finire di leggere HG), oppure a scrivere qualcosa - qualcosa farò, in sostanza.
Ai lov iu oll, ai suer (sto sclerando, non fateci caso)

Eralery

LA MIA PAGINA E' QUESTA.

A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!”
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che solitamente emanavano, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era stata spenta.
Marlene non gli avrebbe più illuminato la strada.
A Regulus parve di sentire un: “Chiama gli altri” dal tono dannatamente familiare, e mentre sentiva i propri battiti accelerare strinse maggiormente la bacchetta, fino a farsi sbiancare le nocche.
“Lo sappiamo che siete qui,” canticchiò Bellatrix, ridacchiando, malevola. “Uscite fuori, su. Fate i bravi, oppure Silly vi metterà in punizione!”
I rumori cessarono e calò un silenzio innaturale, che poi venne spezzato da un urlo: “Prendi Sally! Prendi Sally e scappa! Mi hai sentito, Marlene? Prendi Sally e scappa! Ti prego!”
Se non avesse indossato la maschera, Regulus non avrebbe saputo spiegare il motivo per cui sbiancò notevolmente. Il suo corpo era scosso da un leggero tremore: Marlene, qualcuno aveva chiamato Marlene. Ed era di Marlene la figura che corse fuori dal salotto e salì le scale – a Regulus mancò l’aria per un attimo, e non solo per il singhiozzo che aveva udito benissimo uscire dalle labbra di Marlene.
Rodolphus e Rabastan entrarono nel salotto, le bacchette spianate, e dopo poco delle urla agghiaccianti riempirono la casa. Bellatrix invece si affrettò in direzione delle scale, le labbra piegate in un sorriso sardonico, e Regulus avrebbe davvero voluto che si fosse messa la maschera, solo per non vedere quel ghigno.
“Marlenuccia, non potrai scappare in eterno…” ridacchiò la donna, iniziando a salire le scale e facendo cenno a Regulus di seguirla. Passando di fronte al salotto, il ragazzo vide un uomo dai capelli biondi come quelli di Marlene che si contorceva a terra, urlando a pieni polmoni.
Il piano superiore era completamente buio, fatta eccezione per la luce che filtrava da sotto l’ultima porta del corridoio, chiusa con la magia. All’interno, la voce di Marlene e di qualcun altro erano a malapena percepibili, ma la paura era palpabile in quei loro mormorii. Quando Bellatrix fece saltare in aria la porta, Regulus avrebbe voluto scomparire: il volto di Marlene era totalmente bianco, così bianco da far paura, e gli occhi erano umidi di lacrime che premevano per scivolarle lungo le guance; aveva un braccio attorno alle spalle di una ragazzina che non doveva avere più di tredici anni e che tremava forsennatamente.
Bellatrix mosse la bacchetta, dalla cui punta scaturì un getto verde che però Marlene parò rapidamente, lasciando andare la bambina – Regulus capì che si trattava della Sally di cui aveva parlato l’uomo sotto – e urlandole: “Usa la bacchetta, Sally!”
Quando Bellatrix puntò la bacchetta contro la ragazzina, tuttavia, Marlene urlò forte un: “Non toccare mia sorella, puttana!” e un gettò verde partì dalla sua bacchetta. Subito dopo, mentre la donna parava il colpo ridendo di lei, Marlene lanciò un altro Anatema, e Regulus, ancora fuori dalla porta, nascosto nel buio, vide nei suoi occhi la disperazione di chi è pronto a tentare il tutto per tutto per la propria vita.
Bellatrix le lanciò contro un incantesimo di ostacolo, e Marlene lo evitò per un soffio, gettandosi di lato, ma la Mangiamorte, approfittando del momento, scagliò un secondo Anatema verso Sally. E questa volta, la ragazzina non fu così fortunata: cadde a terra nel giro di pochi secondi, mentre l’urlo di Marlene gli riempiva le orecchie.
Regulus si costrinse a guardarla, e così facendo entrambe le donne all’interno della stanza si accorsero di lui. Bellatrix gli disse di entrare, mentre Marlene lo guardava fisso, spaventata: non aveva speranze, ormai lo aveva capito. Dopotutto lo sapeva da tanto, che un giorno quel giorno sarebbe arrivato, ma aspettarselo era diverso dal dover vivere quel momento.
“Vuoi avere l’onore?” gli chiese Bellatrix, giocando con la propria bacchetta. Marlene scattò in piedi di scatto, evitando appena un altro incantesimo della Mangiamorte, per poi lanciare una fattura contro Regulus. La sua maschera cadde per terra, e gli occhi di Marlene si sgranarono alla luce della luna davanti a quel viso conosciuto; le sue labbra si socchiusero, come se stesse per dire qualcosa, ma se anche così fosse stato si sarebbe portata quel qualcosa nella tomba, perché in quel preciso istante Bellatrix gridò:
Avada Kedavra!”
Gli occhi di Marlene, sgranati e colmi di lacrime, persero la luce che solitamente emanavano, mentre il suo corpo si afflosciava sul pavimento. Bellatrix si avvicinò al cadavere, per poi pestarle una mano e ringhiando: “Così imparate, luridi Sanguesporco.”
Regulus tuttavia rimase lì, mentre Bellatrix lo ignorava ed usciva dalla stanza. Ci mise qualche secondo a realizzare che la risata di Marlene non esisteva più: che non esisteva più quel sorriso, che non esistevano più quei baci, quelle parole e quegli incontri.
E si odiò, Regulus, senza riuscire ad impedirselo – perché lei non aveva mai voluto sentimenti, ma alla fine lui si era attaccato a lei, come se fosse la sua ancora, e dopotutto lo era. Ora era perso nel buio, e anche la luce era stata spenta.
Marlene non gli avrebbe più illuminato la strada.

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Capitolo 5
*** 5. Giugno 1980 - Luglio 1980 ***


cap 5 dlp

5.

Giugno 1980. 

Regulus girò velocemente la pagina del tomo che stava leggendo. Era passato un mese dalla missione, e in quei giorni aveva scoperto più di quanto avesse mai potuto immaginare. Era successo tutto una sera, dopo un discorso ambiguo da parte del Signore Oscuro.

“Forse, un giorno, anche voi scoprirete i segreti della morte,” stava dicendo Voldemort, la bacchetta di tasso stretta fra le dita bianche. “Anche se, ad essere sincero, non credo riuscirete ad ingannarla come me.”

Ci aveva riflettuto a lungo, Regulus, ed era andato a parlare con l’unico che potesse dire di conoscere almeno in parte chi era prima Lord Voldemort, Tom Riddle: Horace Lumacorno.

Imperio,” sussurrò Regulus, la bacchetta puntata di nascosto verso il vecchio insegnante, il cui sguardo divenne improvvisamente vacuo. “Cosa sa di Tom Riddle?”

Horace parve impaurirsi, nonostante la maledizione, ma fu obbligato a rispondere: “Era… Tom Riddle era uno studente brillante ed incredibilmente dotato, non c’è che dire… Era anche molto bravo a…”

“No,” lo interruppe Regulus, rapido, guardandosi attorno con aria guardinga. “Intendo sul suo rapporto con la Magia Oscura.”

“Io… All’inizio pensavo fosse solo un interesse scolastico. Ricerche e cose del genere… Qualche volta mi chiese anche alcune cose.”

“Ad esempio?” insisté Regulus. “C’è qualcosa di… di molto pericoloso che le chiese?”

Regulus sentiva l’adrenalina scorrergli nelle vene, mentre una goccia di sudore gli scivolava lungo la tempia. Si sentiva euforico: era in procinto di scoprire il segreto del Signore Oscuro. Ma nonostante ciò, era anche preoccupato: ormai aveva capito che il Signore Oscuro era in grado di fare qualunque cosa gli potesse garantire maggior potere o più forza.

“Lui… lui mi chiese qualcosa riguardo una magia tanto potente quanto oscura…”

Regulus lo incitò a continuare, mentre iniziava a tremare appena.

“Gli Horcrux,” rispose il vecchio, e non appena lo disse Regulus spezzò l’incantesimo per cambiargli la memoria.

All’inizio si era scoraggiato, perché non aveva mai sentito parlare di Horcrux. Aveva provato a cercare qualcosa su di loro nei libri che aveva a casa, ma, nonostante essi fossero piene di magie oscure, non aveva mai incrociato la parola Horcrux. Era anche andato da Magie Sinister con l’intento di trovare qualcosa, ma non aveva avuto fortuna.
Alla fine, aveva preso il coraggio a due mani ed era andato a casa di Lucius Malfoy. Villa Malfoy era grande, e sapeva bene quanti libri contenesse la sua biblioteca privata.
Lucius l’aveva guardato un attimo, colpito dalla richiesta di fare una ricerca, ma alla fine aveva acconsentito e l’aveva accompagnato alla biblioteca. Lì gli aveva chiesto se avesse bisogno di una mano e gli aveva indicato gli scaffali riguardanti il tempo, l’amore, il buio, la morte e tanti altri. Regulus, dopo che Lucius se ne fu andato, corse immediatamente a quello sulla morte.
Dopo svariate ricerche, aveva trovato qualche accenno a ciò che stava cercando. Fu un pezzo in particolare a fargli capire fin dove si era spinto il Signore Oscuro: Con la parola Horcrux si definisce un oggetto in cui qualcuno ha riposto parte della propria anima. Un Horcrux, quindi, impedisce la morte del mago che lo ha creato: il frammento d’anima che risiede al suo interno, infatti, resterà illeso e permetterà al mago di sopravvivere. La via per la creazione di un Horcrux è crudele e dolorosa, e per questo motivo non ne parleremo in questo libro.
Questo era stato tutto ciò che era riuscito a trovare in un intero pomeriggio, e nonostante avesse controllato anche in altri volumi – tra cui quello che teneva aperto sul tavolo – non era stato in grado di ricavare altre notizie su gli Horcrux. Ma erano bastate quelle frasi a fargli capire quanto si fosse spinto in là Lord Voldemort.
Mentre chiudeva il libro che aveva letto fino a quel momento, un pensiero gli balenò per la mente: Non vincerai.
Non avrebbe permesso che Voldemort vincesse la guerra, avrebbe fatto di tutto per impedirlo. Stava cambiando rotta, se ne rendeva conto, ed era impaurito da ciò; un poco alla volta si stava distaccando dagli insegnamenti dei suoi genitori.

“Io non sono come loro, e se lo vuoi non lo sei neanche tu,”
gli aveva detto Sirius, un giorno, e in quel momento si rese conto di volerlo. Afferrò il libro dove aveva trovato l’accenno agli Horcrux e, dopo aver ritrovato la pagina, la strappò e se la ficcò in tasca.
Nessuno doveva sapere cosa aveva scoperto.

 

*

Giugno 1980.

 
Le labbra di Marlene erano morbide e piene, e quando si piegavano verso l’alto le donavano un’aria tanto bella quanto fuggente.

Regulus si rigirò nel letto, cercando di addormentarsi – cosa che ormai tentava di fare da quasi un’ora.

Negli occhi di Marlene c’era il cielo, ed ogni emozione era come una nuvola bianca: ballerina, e di tanto in tanto le velava gli occhi di una malinconia che se ne andava quasi subito.

Regulus si tirò le coperte fin sopra la testa, quasi sperasse che così tutti i ricordi lo lasciassero in pace.

Le pallide lentiggini sul viso di Marlene erano tante quanto i dubbi e le incertezze di Regulus, solo che le ultime due erano molto più marcate.
Regulus sentì qualcosa stringergli appena lo stomaco – e forse anche qualcosa un po’ più in alto, verso sinistra.
Marlene aveva contribuito ad accentuare le sue paure.
Regulus si rannicchiò sotto le coperte, mentre sentiva Morfeo prenderlo finalmente con sé.
Ma la morte di Marlene le aveva sollevate tutte completamente.

 

*

Luglio 1980.

Era strano non dover più andare una volta alla settimana alla Testa di Porco, nonostante fossero passati quasi due mesi dalla morte di Marlene. A volte – ma non lo avrebbe mai detto a nessuno, come non avrebbe mai detto niente di loro a nessuno – gli sembrava anche di rivederla, magari sull’altro ciglio della strada; e quando si girava e una macchina passava, lì non c’era che la polvere sollevata dalle ruote che correvano.
Stava ancora cercando il modo per tenersi impegnato tutti i giorni. Cercava di limitare, per quanto possibile, la sua presenza a Villa Lestrange, e quando aveva del tempo – se ne aveva – e Marlene gli tornava in mente lui si chiudeva nella biblioteca di casa Black per fare qualche altra ricerca sul medaglione.

“Com’era fatto il medaglione, Kreacher?” gli chiese un giorno, mentre sua madre dormiva e l’elfo rimetteva in ordine le stoviglie. Kreacher si era irrigidito ed aveva preso a tremare, perciò Regulus gli posò una mano sulla spalla gracile.

“D’oro,” gracchiò dopo un po’. “Con delle porticine davanti, come quelle del ciondolo della Padrona. E c’era una ‘S’ di smeraldi. Kreacher… Kreacher non ricorda altro.”

Ancora non sapeva bene cosa fare delle informazioni in suo possesso, ma ogni giorno si diceva che ci avrebbe pensato il giorno seguente. La verità è che proprio non ne aveva idea. Non sapeva cosa fosse quel medaglione – se non che era l’Horcrux di Lord Voldemort – o come arrivare alla caverna.
Ogni giorno, però, diventava sempre più difficile fare finta di nulla davanti all’Oscuro. Se n’era accorto, Regulus, degli sguardi indagatori che alcuni Mangiamorte gli lanciavano. Barty, poi, che era stato un suo caro amico ad Hogwarts, lo aveva quasi minacciato, dicendo che se avesse tradito l’Oscuro avrebbe tradito anche lui. A Regulus era dispiaciuto tantissimo, ma lui non poteva farci niente, ormai lo sapeva.
Lo sapeva, e sapeva anche che presto sarebbe morto, perché Voldemort, prima o poi, avrebbe scoperto tutto. Ma aveva già deciso che non si sarebbe fatto rincorrere e poi uccidere, no, se avesse dovuto sarebbe andato incontro alla morte.
Mentre pensava ciò, l’occhio gli cadde su uno dei tomi che ancora doveva leggere, Oggetti magici preziosi. Lo afferrò al volo, iniziando a sfogliarlo con impazienza, finché non trovò l’immagine di un grosso medaglione d’oro come quello che gli aveva descritto l’elfo.
Con il cuore che batteva forte, Regulus chiamò: “Kreacher!”
“Il padrone ha chiamato?” chiese l’elfo, una volta apparso di fronte a lui.
“Io – sì, ti ho chiamato,” rispose, annuendo, prima di fargli segno di avvicinarsi. “È questo?”
L’elfo sgranò gli occhi, iniziando ad annuire freneticamente. A Regulus dispiacque molto provocargli tanto dolore, ma doveva farlo.
“Sì, è questo, Kreacher lo ricorda bene.”

Il Medaglione di Serpeverde…

Il giorno dopo Regulus decise di far forgiare un doppione del medaglione, nel caso potesse tornare utile.

 

* 

Luglio 1980.

 
Alla fine aveva preso la sua decisione.
O meglio, aveva capito cosa doveva fare.
Era accaduto durante la riunione dei Mangiamorte, mentre Benjy Fenwick veniva trucidato e tagliato a pezzi da alcuni seguaci dell’Oscuro, che li guardava, vagamente compiaciuto, accarezzando la testa del suo serpente Nagini.
Regulus era rimasto fermo, paralizzato da quella visione tanto oscena e ributtante. Non solo avevano ucciso quell’uomo, ma poi avevano anche infierito su quel corpo già martoriato e ormai ridotto allo stremo.
Era tornato a casa stremato, ma deciso a dare un contributo per finire quella guerra sanguinolenta che imperversava già da troppo tempo, annegando il mondo magico nel terrore più puro. Aveva chiamato Kreacher, la voce alta ma tremante, e quando l’elfo si Materializzò davanti a lui, Regulus vide nei suoi occhi un’orrenda consapevolezza.
E qualcosa scattò in lui.
“Portami alla caverna,” ordinò, perentorio, cercando di tenere ferma la voce e di non far trapelare alcuna emozione da quelle parole. Regulus guardò Kreacher cercare di ribellarsi e alla fine cedere, non prima di chiedergli se fosse sicuro. “Lo sono.”


Non era come se l’era immaginato – era mille volte peggio.
Le onde si infrangevano sugli scogli, l’acqua schizzava ovunque e l’odore salmastro entrava nei polmoni. La rientranza era in ombra, e Regulus – che tremava sia per il freddo che per la paura – era sicuro che in pochissimi l’avessero mai vista, nascosta tra le rocce com’era.
Regulus osservò le pareti rocciose, cercando con gli occhi l’entrata alla caverna, ma dopo molti ed inutili tentativi si girò verso l’elfo. Kreacher tremava forte, molto più di lui, e si guardava attorno con aria terrorizzata; gli occhi scuri erano lucidi e brillanti, e mai a Regulus erano parsi più grandi di allora.
“Fammi strada,” gli disse, dispiaciuto per il dolore che stava provocandogli.
Seppur riluttante, Kreacher annuì e gli indicò un punto preciso nella parete. Regulus annuì ed estrasse la bacchetta, sapendo già quel che aveva da fare poiché era una delle cose che Kreacher gli aveva riferito prima di cadere in preda ai singhiozzi.
“No!” gracchiò l’elfo, tirandolo per una manica. “Non lo faccia, padron Regulus! Non entri là dentro, la prego. Kreacher non vuole che padron Regulus entri lì, è pieno di cose bruttissime! Kreacher non vuole!”
Regulus sorrise appena, mentre l’aria insolitamente fredda per il mese in cui si trovavano gli scompigliava i capelli che si era lasciato crescere negli ultimi tre mesi. Sapeva quel che lo aspettava, una volta varcata la soglia, sapeva cosa lo aspettava alla fine.
“Kreacher, devo farlo.”

Non posso permettere che altra gente muoia per colpa sua.
“Allora lasci che lo faccia Kreacher, lasci che lo faccia Kreacher,” singhiozzò forte l’elfo.
“No, Kreacher,” Regulus scosse la testa, mentre con la bacchetta si apriva una ferita nel palmo della mano destra. Quella si aprì davanti ai loro occhi, permettendo ai due di vedere il buio che dominava all’interno. “Sai tu la strada,” gli disse poi, facendogli segno di precederlo.
Kreacher annuì, nolente, ed entrò. Regulus lo seguì subito dopo, e, quando la parete si fu richiusa alle loro spalle e l’unica luce all’interno della caverna era verde e proveniva dal centro di un lago, alzò la bacchetta e mormorò: “Lumos.”
Seguì Kreacher vicino al Lago, dove l’elfo gli indicò una catena che usciva dall’acqua. Regulus si piegò sulle gambe e iniziò a tirare la catena, che sbatté più e più volte a terra, provocando un sinistro clangore, finché una piccola imbarcazione non uscì dall’acqua scura. Tirando, Regulus la fece avvicinare a loro.
“Saliamo,” mormorò, e per la caverna rimbombarono quelle quattro sillabe miste ai singhiozzi di Kreacher – che salì sulla barca come gli era stato detto, il piccolo corpicino che tremava violentemente, sussurrando frasi sconnesse.
La barca si mosse da sola non appena furono saliti entrambi, conducendoli sempre più vicini al centro del lago, proprio verso l’origine di quella pallida luce. Nel breve tragitto, Regulus ebbe il tempo di pensare davvero a ciò a cui stava andando incontro: nessuno avrebbe mai saputo quel che avrebbe compiuto di lì a poco, alcuni lo avrebbero considerato un codardo, altri un traditore, suo fratello uno stupido che non si era reso conto di star sbagliando sin dall’inizio.
E gli dispiacque, perché sapeva che avrebbe recato disonore alla sua Casata, che avrebbe posto fine ai Black, che sarebbe stato l’ennesima delusione dei suoi genitori. E anche di Sirius, perché nonostante cercasse di nasconderlo anche a se stesso lui non voleva che suo fratello lo ritenesse un idiota senza spina dorsale.
Sarebbe stato ancora in tempo per tornare indietro, uscire e andare a dire tutto a Sirius, a qualcuno, ma ormai aveva preso la sua decisione. E doveva continuare, nonostante quel che la gente avrebbe pensato di lui.
Una volta giungi nell’isolotto al centro del lago, Kreacher precedette ancora Regulus, scendendo dall’imbarcazione ed aspettandolo, cercando di tenersi il tenersi il più lontano possibile dall’acqua, purtroppo memore di quel che era successo l’ultima volta.
“Padrone…” tentò debolmente l’elfo, quando Regulus l’ebbe raggiunto. “Non c’è bisogno che lo faccia… La prego…”
“Ce n’è bisogno, invece,” ribatté lui, avvicinandosi al bacile di pietra che si stagliava, netto e chiaro, in mezzo all’isolotto. Al suo interno, un liquido verdastro brillava, ed in fondo si intravedeva un medaglione identico a quello che aveva tenuto in tasca e che stava tirando fuori in quel momento. “Kreacher, fa’ attenzione,” disse ancora, attirando così l’attenzione dell’elfo. “Adesso io berrò tutta la pozione – e anche se mi dimenerò, tu dovrai farmela bere, sono stato chiaro? – e, una volta che l’avrò finita, tu dovrai scambiare il medaglione con questo qui,” – gli porse il falso Horcrux – “Poi porterai quello qui dentro a casa e dovrai distruggerlo. Okay?”
“S-sì, padron Regulus.”
Regulus gli mise in mano il medaglione finto – che Kreacher infilò in una delle pieghe del suo straccio – e, prendendo in mano il calice sul bordo del bacile, disse infine: “Una volta scambiati i medaglioni, torna a casa. Dovrai lasciarmi qui.”
Kreacher annuì, senza riuscire a parlare, iniziando a singhiozzare ancora più forte mentre le lacrime iniziavano a scendergli da quegli occhi enormi.

Mi dispiace
– pensò, ed era vero. Gli dispiaceva per Sirius e quel che gli aveva detto l’ultima volta che si erano visti, per i suoi genitori ed il dolore che gli avrebbe portato, gli dispiaceva per Marlene e il dolore che lui non aveva potuto alleviarle, per Kreacher e per la tortura che consapevole e nolente gli stava costringendo a subire.
Mi dispiace.

Il primo sorso bruciava, scottava le pareti della gola e a Regulus si annebbiò la vista per un attimo. Ma non poteva fermarsi: perché se anche lo avesse fatto, Kreacher avrebbe dovuto obbedire agli ordini e fargli bere la pozione fino all’ultima goccia. Perciò Regulus immerse per la seconda volta il calice nel liquido verdastro, riempiendolo il più possibile e portandoselo poi alle labbra.

“Voglio un Ippogrifo.”

Svuotò il calice per la seconda volta, la gola che ardeva come se delle lingue infuocate la stessero lambendo dall’interno. Gli occhi avevano iniziato a bruciare, e nella sua testa si accavallavano voci e parole, che andavano a superare ciò che diceva Kreacher.

“Starò sempre con te, fratellino. Non ti lascerò da solo al buio.”

Regulus poggiò una mano sul bacile di pietra fredda appena in tempo, impedendosi di scivolare a terra. Non si era nemmeno accorto che i suoi sensi avevano iniziato ad intorpidirsi, tanto era preso ad ascoltare le voci nella sua testa.
Il terzo sorso fu l’ennesimo fiume di lava lungo la sua gola secca e bruciante. Non riusciva già quasi più a reggersi in piedi, ma tentò di farsi forza appoggiando una mano al bordo mentre l’altra corse verso il liquido, riempiendone ancora il calice.

“Non toccare mia sorella, puttana!”

Regulus iniziò a perdere coscienza al quarto bicchiere, mentre delle urla – le sue – echeggiavano nell’ombra della caverna; il raschiare del calice contro il fondo del bacile gli provocava, però, uno strano senso di soddisfazione, eppure ogni volta che alzava lo sguardo il liquido nel bacile gli sembrava sempre troppo.

“Ti uccideranno, quelle cose.”
“Come ti ho già detto, penso che lo farà prima qualcun altro.”

“Acqua…” mormorò, crollando a terra. Avrebbe voluto solo dell’acqua fresca, dell’acqua con cui dissetarsi. E intanto le voci continuavano a riempirgli la testa, più concitate di prima, e si susseguivano l’una dopo l’altra, veloci, rapide. E facevano male.

“Tu non sei più mio figlio!”
“Erano anni che aspettavo che tu lo dicessi!”

“Beva questo, padrone,” gracchiò Kreacher. “La farà stare bene…”
Regulus lasciò che Kreacher gli avvicinasse il calice alla bocca semiaperta e ne lasciasse scorrere il contenuto in bocca e lungo la gola. Ma fu ancora fuoco: fuoco che divorava, che massacrava e che non lasciava pace.
E tremava, Regulus, continuando ad urlare.

“Li abbiamo scovati, finalmente. Agirete domani.”

Avrebbe solo voluto farle smettere. Avrebbe solo voluto dimenticare per non soffrire ancor di più, perché ogni volta che sentiva qualcosa il vuoto che avvertiva all’altezza del petto sembrava ampliarsi maggiormente.

“Comunque ciao anche a te, Black!”

Il viso di Marlene gli apparve un attimo, e poi comparve quello di sua madre, contratto, arcigno, che gli urlava di essere stato l’ennesimo disonore dei Black.

“In una guerra rischiano tutti.”

Non ce la faceva più, ad ogni sorsata – ormai non ricordava neppure quando avevano iniziato – gli sembrava di perdere parte di se stesso. E la cosa non gli piaceva per niente, e poi fu il caos, nella sua testa.

“Il mio unico fratello si chiama James.”
“Regghy!”
“Non devi avere paura, fratellino, ci sono io con te. Noi siamo più forti, insieme.”
“Tu hai fatto una scelta, tutti devono scegliere.”
“Se dovessi cambiare idea… vai da Silente.”

Le urla continuavano, mentre Kreacher gli metteva fra le mani il calice – per l’ultima volta.
“È tutto… è tutto finito, padrone,” singhiozzò, e Regulus neanche avvertì il tintinnio del falso medaglione che andava a cozzare con il fondo del bacile. Kreacher si mise in tasca l’Horcrux, come gli era stato detto di fare.
La pozione scese per l’ultima volta lungo la sua gola, mentre l’unica cosa che desiderava era poter bere acqua. Per terra, si trascinò fino al bordo dell’isolotto, nonostante la resistenza di Kreacher, che cercava di trattenerlo tirandolo per le vesti scure. Allungò le braccia verso l’acqua salmastra e, le mani congiunte a calice, prese più acqua che poté; si portò le mani alla bocca, ma quando bevve l’acqua presa non avvertì alcun sollievo impossessarsi di lui.
Riprovò e riprovò, mentre Kreacher urlava, disperato, finché delle mani bianche e morte lo afferrarono per le spalle e iniziarono a tirare. Cercò di opporre resistenza, di non farsi trascinare giù, nel baratro, perché aveva ancora troppe cose da dire, ma ormai aveva fatto la sua scelta e doveva andare avanti – nonostante quel che sarebbe successo e nonostante sapesse che non avrebbe più fatto ritorno.
Le mani lo tirarono con forza verso di loro, e alla fine lui cadde. L’acqua era fredda, gelida, e le mani che avevano infranto la superficie si erano come triplicate, una volta dentro. Le caviglie, i polsi, le spalle – sentiva le loro mani ovunque, sul suo corpo ormai stremato e freddo quanto loro.
Non sentiva più Kreacher – le sue urla erano ormai del tutto attutite dall’acqua sopra di lui.
Gli dispiaceva, per il dolore che avrebbe procurato a qualcuno – Regulus non sapeva dire a chi, con precisione, ma sperava, sebbene potesse sembrare crudele, che Sirius facesse parte di loro.

E mentre l’acqua gli riempiva i polmoni e l’aria finiva del tutto, a Regulus parve di udire la risata di suo fratello e di vedere gli occhi di Marlene.








*


Già, è finita. E' proprio finita. Ancora non ci credo. E' finita. Mi fa strano dirlo, ma andiamo avanti.
Ringrazio Hayley Black, la mia SvergognataH, che mi è stata sempre accanto durante la stesura di questa storia.
Ringrazio Daphne Kerouac, per le belle parole che ha speso per questa storia.
Ringrazio Tefnut, che anche prima di leggerla credeva in questa storia.
Ho amato Dietro La Pelle con tutta me stessa, ci ho messo tutto l'impegno possibile e immaginabile, e credo di aver fatto un buon lavoro.
Qui trovate un altro banner, stavolta creato da me. (E sì, quella è la mia pagina, se vi interessa il gruppo basta chiedere in bacheca)
Baci,
Eralery.

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