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Sono nato
il dodici gennaio 1945 a Tokyo, in un paese distrutto dalla guerra. Come lo era
il mio del resto.
Mia madre
era italiana, figlia di una nobilissima famiglia, il cui unico errore fu quello
di innamorarsi della persona sbagliata.
Non ho mai
conosciuto mio padre.
Era un
ufficiale dell’esercito americano, un giovane come tanti, giunto in Italia per
combattere i crucchi, onorare l’America, e forse anche alla ricerca di qualche
bella italiana da castigare a dovere.
Si
chiamava Theodor Flyer; ho preso da lui il mio cognome.
Mi hanno
sempre detto che mio padre fosse sinceramente innamorato di mia madre, e io
voglio crederci. Ad ogni modo, quando era impegnato sulle colline di
Montecassino, una pallottola vagante gli passò il cranio da una parte all’altra
proprio un attimo prima che lui e i suoi prendessero ad esultare per la
vittoria.
Nel frattempo
però lui e mia madre Serena avevano già avuto modo di conoscersi…
intimamente.
Il guaio è
che mia madre non era un essere umano.
Mia madre
era un vampiro.
E per
nostra disgrazia, suo padre era Augusto Lorenzi da Cassino, il bigottismo e l’ipocrisia
della spocchiosa e arrogante nobiltà vampirica
incarnati.
Mia madre
dovette scappare dall’Italia con un esercito di assassini alle costole e riparò
in Giappone, dove stava un suo amico, tale Hiroki. Ora
è lui che cerca di fare la parte del padre nei miei confronti, ma della cosa
non è che mi importi più di tanto.
Io odio i
vampiri.
Perché li
odio? Perché sono dei mostri. Si ritengono un gradino al di sopra della catena
evolutiva, ma per come la vedo io sono solo un vicolo ceco dell’evoluzione che
prima sparirà, e meglio sarà per tutti.
Ma non è
solo per questo.
Io odio i
vampiri perché… perché anch’io sono come loro. Sono anch’io
una creatura della notte, anche se i geni di mio padre mi rendono più umano dei
miei simili.
All’età
umana di tredici anni fui rimandato in Italia per ordine di mio nonno in cambio
della salvezza per me e per mia madre, a sedici scoprii la verità sul conto di
mio padre.
Quando
avevo diciassette anni quel sant’uomo di mio nonno si fece pizzicare a cercare
di mettere sottosopra gli equilibri di potere dei vampiri di tutta Europa, ovviamente
a suo vantaggio e anche se è riuscito a fuggire il buon nome della nostra
famiglia andò in pezzi come un cristallo.
Come le
acque si furono calmate, il consiglio dei nobili mi rispedì in Giappone, dove
mia madre intanto si era rifatta una vita. Ma non ci rimasi a lungo.
Ormai avevo
deciso quale sarebbe stata la mia vita, e andai a bussare alla porta della
locale associazione dei Cacciatori.
Non avevo
certo in mente di scatenare una guerra, ma più miei simili avrei ammazzato più
mi sarei sentito sereno; avevo accumulato tanta di quella rabbia dentro di me,
che quello mi parve l’unico modo in cui poterla sfogare.
Quei tipi
fecero i salti di gioia nel vedermi; un vampiro che li aiutava a cacciare altri
vampiri. La maggior parte furono estasiati dall’idea, altri un pochino meno.
Ora sono
un apprendista. Viaggio da una parte all’altra del mondo in lungo e in largo,
facendo saltare la testa ad ogni succhiasangue
bastardo impazzito di Livello E mi si pari davanti.
Sono parecchi
anni che non vedo mia madre o il mio patrigno, ma nell’ultimo breve periodo che
abbiamo trascorso assieme i nostri rapporti non sono stati particolarmente
sereni.
Ho sentito
dire che da qualche tempo è tornata in Italia; a quanto pare i Livello A hanno deciso
di perdonare i Lorenzi, e hanno affidato a lei l’incarico di ricostruire la
famiglia.
Quanto a
me, in questo momento mi trovo a San Pietroburgo. Ultimamente sta succedendo
qualcosa di strano nel nord Europa, e l’associazione ha mandato me e alcuni
altri quaggiù a dare un’occhiata.
A quell’epoca
però, non avevo la benché minima idea di quello che sarebbe successo in quei
giorni.
Era
come un incubo, un incubo terrificante dal quale si sarebbe tanto voluta
svegliare.
Quegli esseri erano piombati dal nulla nella
tranquillità della sua casa, facendo strage della sua famiglia, e lei, che in
quel momento era uscita un momento per andare in cantina, era fuggita
terrorizzata per le strade della città, praticamente deserte a quell’ora della
sera e con un tempaccio simile, dopo aver visto da una finestra i suoi genitori
e il suo fratellino venire sbranati come animali.
Non sapeva se quei mostri si fossero accorti o
meno di lei, ma in ogni caso confidava nel favore del buio e nel fragore della
tormenta di neve per riuscire a far perdere le sue tracce.
Dove andare o cosa fare non erano cose delle
quali si preoccupava: voleva solo fuggire, fuggire lontano, ma per quanti passi
mettesse tra sé e ciò che aveva visto quelle immagini terrificanti intasavano
la sua mente.
Di tanto in tanto gridava aiuto, usando quel
po’ di fiato che la corsa le lasciava, ma la sua voce veniva completamente
oscurata dal fischiare del vento, e in ogni caso nessuno avrebbe osato aprire
le serrande con una tempesta di tale forza ad imperversare sui tetti della
città.
Le lacrime scendevano copiose dai suoi occhi,
ghiacciando quasi istantaneamente a causa del freddo pungente; erano lacrime di
disperazione, ma anche un sintomo della follia nella quale scene tanto orribili
l’avevano fatta sprofondare.
L’ultimo frammento di lucidità che le rimaneva
continuava a ripeterle di scappare, scappare senza guardarsi alle spalle, nella
speranza di essere il più lontana possibile quando quei lupi rabbiosi si
fossero messi alla sua ricerca.
Il freddo era insopportabile, soffiava un
forte vento gelido e i fiocchi di neve erano come un nugolo di punte di metallo
che le trafiggevano il viso, la sola parte scoperta del suo corpo.
Più passava il tempo più correre si faceva difficile,
a causa della neve alta, che rendeva le strade scivolose, e della fatica, fino
a che la sua fuga non si trasformò in una procedere lento e disperato; alla
fine, però, anche la forza della disperazione, la sola cosa in grado di farla
andare avanti, cominciò a venire meno, sopraffatta da forze più grandi di lei,
e la piccola Katyusha, dopo aver trovato un ramo
sconnesso sulla sua strada, cadde esausta sulla neve.
Avrebbe voluto rialzarsi, riprendere a
correre, ma le gambe ormai erano completamente prive di forza, e si
immobilizzarono del tutto nel momento in cui la ragazzina sentì quei versi
animaleschi avvicinarsi sempre più, accompagnato da rumori come di rapide
falcate.
Il respiro le si paralizzò, e i suoi occhi si
riempirono di terrore nel momento in cui vide quei quattro mostri sbucare dalle
tenebre come i lupi mannari che tante volte aveva visto nei suoi incubi di
bambina.
Anche se all’apparenza potevano sembrare
umani, in realtà di umano non avevano niente.
Abbigliati come rispettabili gentiluomini
della società dabbene, con impermeabili marrone scuro sopra a dei completi neri
da ricevimento, avevano una pelle nera e secca, come se si fossero rotolati sui
carboni ardenti, mani cadaveriche armate di cinque affilatissimi artigli
ricurvi e volti contornati da capelli scuri che parevano quelli di diavoli
infernali, con scintillanti occhi rossi e bocche provviste di due file di denti
da squali dai quali colava una saliva fangosa che scioglieva la neve come fosse
stata acido.
Si spostavano a due o a quattro zampe a grande
velocità, potevano correre e arrampicarsi sui muri con agilità assolutamente
inumana e ringhiavano come bestie invece di parlare.
Katyusha li vide
mentre, avvicinandosi, sembravano già pregustare il loro prossimo pasto,
schiumando e sbavando ancor più vistosamente.
Quello più alto, forse il capo, se davvero
avevano una qualche struttura sociale, reclamando forse il suo diritto di
servirsi per primo, avvicinatosi più degli altri corse fulmineo verso di lei,
afferrandola e costringendola a piegare la testa da una parte, in modo da
poterle azzannare il collo come avrebbe fatto un vampiro.
La ragazzina pensò che fosse davvero la fine,
e gridando chiuse gli occhi, consapevole in sé che ormai non c’era più nulla in
grado di salvarla.
Se non che, all’improvviso, l’aria fu riempita
del rumore di uno sparo, e subito dopo essere stato trafitto dietro la testa il
mostro emise un ruggito assordante prima di trasformarsi in cenere, lasciando
dietro di sé solo i propri vestiti.
I suoi compagni, colpiti e infuriati, girarono
gli sguardi alle loro spalle, e altrettanto fece Katyusha,
che lottando con la paura trovò la forza di aprire gli occhi.
Dal nulla, semi-nascosta dalla tormenta, era
comparsa la figura di un giovane uomo che indossava un impermeabile blu lungo
fino alle caviglie, aperto sul davanti e furiosamente mosso dal vento.
Doveva avere sedici o diciassette anni, la
pelle insolitamente scura, i capelli nero corvino leggermente lunghi e
scompigliati dal vento, il corpo robusto e ben costruito, occhi neri che
trasudavano determinazione, ma che allo stesso tempo erano lo specchio di
un’anima fredda e all’apparenza senza remora alcuna, messa ulteriormente in
risalto da quella sua espressione leggermente malevola, ma non per questo
minacciosa.
Vedendola, i mostri superstiti si girarono
nella sua direzione, ringhiando con maggiore rabbia e bestialità. La donna li
guardò con aria di sfida.
«Bestie dall’aspetto umano. Vampiri. Voi che
avete perso il vostro raziocinio mutandovi in bestie cacciatrici di sangue,
avete perso il vostro diritto di esistere».
Uno di loro, di colpo, gli corse contro a
bocca spalancata, usando la sua grande velocità per tentare di saltarle
addosso.
Dapprincipio lui non si mosse, non fece
neppure una piega, ma un istante prima di essere ghermito evitò elegantemente
il balzo del mostro con un leggero spostamento di lato; il suo impermeabile ondeggiò
più di prima, rivelando una selva di lunghi paletti di un metallo luccicante,
forse argento, assicurati alla cintura dei calzoni, ed il giovane, recuperatone
uno, lo conficcò con forza nella schiena del nemico prima ancora che questi
tornasse a terra dopo il suo balzo felino.
Quello urlò da spaccare i timpani, per poi
divenire a sua volta cenere.
I due superstiti a quel punto parvero
spaventarsi a morte, ma per uno di loro non vi fu il tempo di fare alcunché
perché l’uomo, con la medesima rapidità e scioltezza di movimento dimostrata un
attimo prima, recuperò dall’interno dell’impermeabile una coppia di machete
lunghi e scintillanti, la cui lama sembrava quasi arroventata, poiché solo
sfiorandola i fiocchi di neve che cadevano dal cielo parevano mutarsi
istantaneamente in aria.
«Che siate vampiri decaduti o ex-umani vi spedirò dritti all’inferno!» disse lanciandosi
contro di loro e decapitandone uno con un solo, rapidissimo fendente.
A quel punto l’unico rimasto urlò con tutta la
sua forza, sprigionando dal suo corpo una specie di muro di vento che
sollevando la neve e riuscendo persino a sventrare l’asfalto sottostante
investì in pieno il giovane, scagliandolo in aria; lui roteò su sé stesso e
ritornò a terra, ma nel frattempo il mostro si era già dileguato, spiccando un
salto altissimo che lo aveva portato a sovrastare anche i palazzi più alti.
«Nagisa!» disse il
giovane, e un secondo dopo un nuovo sparo riecheggiò tutto intorno, ed il
fuggitivo esplose letteralmente, al punto tale che di lui non rimasero neppure
gli abiti.
Katyusha
assistette all’intera scena con lo stupore e l’incredulità dipinti sul viso, e
quando finalmente tutto ebbe fine vide quel giovane avvicinarsi a lei, ma non
ne ebbe paura, neppure quando, inginocchiatosi, furono faccia a faccia.
La sua espressione cruda e fredda aveva fatto
posto ad una un po’ più gentile, ma pur non sentendo di averne paura la
ragazzina non riusciva a trovare la forza per parlare.
In quella, quasi come se quei mostri fossero
stati la causa della furia della natura, la tormenta passò, lasciando il posto
da una romantica nevicata invernale.
Alla fine, dopo molte esitazioni, Katyusha riuscì a pronunciare un grazie; appena ebbe finito
di parlare il giovane le passò una mano davanti al volto, e immediatamente la
colse una stanchezza incontrollabile, come se non avesse dormito per giorni, e
senza rendersene conto si ritrovò con la testa placidamente appoggiata fra le
sue braccia.
«Come… come ti
chiami?» domandò prima di addormentarsi «Ti prego…dimmelo…»
«Eric.» rispose lui subito prima che chiudesse
gli occhi «Eric Flyer».
Pochi minuti dopo una macchina grigio perla di
grossa cilindrata con le insegne del governo russo raggiunse il luogo dello
scontro, illuminando il ragazzo e la bambina con i propri fanali, e ne scesero
due uomini di corporatura robusta, uno dei quali piuttosto avanti con gli anni.
Il giovane, alzatasi da terra con Katyusha addormentata in braccio, si girò verso di loro.
«Perché ci avete messo tanto?»
«Non è stato facile trovarvi.» disse l’anziano
«Purtroppo, noi non possiamo contare sui tuoi sensi di vampiro.»
«Ad ogni modo.» disse con un pizzico di ironia
il giovane, un ragazzo di bell’aspetto con corti capelli neri e occhi azzurri
nascosti dietro ad un paio di occhiali «Pare proprio che il nostro intervento
fosse del tutto inutile.»
«I Livello E sono stati eliminati, ora
bisognerà cancellare le tracce e riparare i danni.»
«La questione adesso è di nostra competenza.»
disse il vecchio «Da questo momento in poi si occuperà di tutto la nostra
squadra d’intelligence».
Il giovane si avvicinò dunque al ragazzo e le
mise Katyusha tra le braccia.
«Riscrivete i suoi ricordi e affidatela a
persone di fiducia. Le servirà una nuova famiglia.»
«Non c’è problema. Lascia fare a noi».
Subito dopo che la macchina se ne fu andata,
da un vicolo laterale sbucò fuori una ragazzina dell’età apparente di sedici
anni che indossava un abito gotico di colore nero; aveva i capelli biondi
tagliati piuttosto corti e gli occhi marroni, e la sua era un’espressione
enigmatica, gentile ma senza emozioni apparenti; in mano teneva un enorme
fucile anticarro ancora fumante, ma nonostante quell’arma dovesse pesare
diverse decine di chili non sembrava avere alcun problema a maneggiarla.
«Ben fatto, Nagisa.»
disse il giovane rinfoderando i suoi due machete
«Grazie, mio signore.» rispose lei con vocina
sommessa appena percettibile
«La nostra missione qui è finita. Possiamo
tornare a casa.»
«Come desiderate».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Lo so, forse potrà essere considerato leggermente
egocentrico realizzare una fan fiction dedicata espressamente al personaggio
che ho creato per la Round Robin di Ly.
Ma vi assicuro che l’ho fatto in assoluta buonafede.
La verità è che io, questa fiction, l’avevo in mente già da
diverso tempo, seppur, lo ammetto, leggermente diversa da come sarà alla fine,
così come il personaggio di Eric. Quando poi ho visto l’idea di Threatsof Fate mi sono detto “perché
non usare il mio pg?” e così ho fatto.
Però mi mancava il pensiero di questa fic,
e mi spiaceva lasciarlo inutilizzato. Così l’ho ripreso in mano, l’ho rimaneggiato
cambiandone i protagonisti (inizialmente Eric doveva essere solo un
comprimario, e i soliti Kaname, Yuki
e Zero i protagonisti) e l’ho riproposto per farne una sorta di prequel, ambientato
circa due anni prima del capitolo Extra che ho scritto per la Round Robin.
Spero che mi perdonerete^_^.
Non c’è nessun secondo fine, lo giuro.
E poi, io ho il brutto vizio di creare personaggi
terribilmente complicati, con una coscienza ingarbugliata e difficile da
comprendere. Forse questa mini-fic (stiamo parlando
di 8-10 cap al massimo) aiuterà un pochino.
Il
frastuono prodotto dall’elicottero squarciò il silenzio della crepuscolo che
dominava incontrastato sulle distese sconfinate della Groenlandia, non lontano
dal Circolo Polare.
Destinazione finale era una radura isolata
alle pendici di un ghiacciaio, dove lo attendeva una jeep a bordo della quale
attendeva un giovane uomo di bell’aspetto, occhi azzurri e capelli biondi
abbastanza lunghi.
Una volta che l’elicottero fu atterrato ne
scesero due persone, un uomo anziano prestante e dall’aspetto reverendissimo,
ben vestito e con un lungo cappotto a fargli da mantella, e un giovane
bellissimo dallo sguardo vitreo, magro e slanciato, capelli castani e occhi
rosso spento.
Non sembravano sentire minimamente il freddo,
nonostante ci fossero quasi venti gradi sotto zero e indossassero abiti
piuttosto leggeri, di certo non adatti a un luogo simile.
Il giovane biondo scese dalla jeep,
avvicinandosi ai nuovi venuti.
«Benvenuto, eccellenza.» disse porgendo la
mano all’anziano, che tuttavia non la strinse.
«Lo avete trovato?».
Quello allora sorrise quasi beffardo, e fatto
un cenno ai due li invitò a salire sul suo mezzo, quindi salì a sua volta e la
macchina partì.
«Trovare il punto esatto è stato un problema.»
disse il biondo mentre viaggiavano «Come può immaginare, in questo posto non ci
sono elementi o punti di riferimento che potessero aiutarci nella ricerca.
Siamo dovuti andare a caso, sfruttando le
poche informazioni che possedevamo, ma proprio il mese scorso finalmente
abbiamo trovato quello che stavamo cercando».
Il vecchio strinse un po’ più forte le mani
attorno all’impugnatura dorata del suo bastone e guardò in basso, mentre una
goccia di sudore gli rigava la fronte rugosa.
Dopo circa un’ora di viaggio la jeep raggiunse
quello che sembrava un piccolo accampamento di fortuna, costruito tutto attorno
ad una specie di sito di scavo, costituito da un enorme foro nel ghiaccio che
scendeva inesorabilmente verso il basso perdendosi nell’oscurità.
Tutt’attorno erano stati costruiti argani e
paranchi, mentre il braccio di una gru si protendeva fino al centro del
cratere.
Quando i tre uomini scesero dalla jeep c’era
grande fermento tutto attorno al buco e tra gli operai, quasi tutti gente del
posto; proprio in quel momento, infatti, la gru sembrava intenta a tirare fuori
qualcosa.
Doveva essere qualcosa di molto grosso, perché
il braccio tremava e scricchiolava, e l’operazione doveva essere svolta molto
lentamente.
Poi, lentamente, cominciò a venire alla luce
qualcosa, e dalle ombre dei ghiacci eterni riemerse qualcosa di incredibile.
I cavi d’acciaio della gru erano aggrovigliati
attorno a quello che sembrava un gigantesco blocco di diamante grezzo, molto
opaco ma ancora dotato di una strana lucentezza, come un bagliore ultraterreno.
L’enorme blocco fu dapprima sollevato in aria,
e poi abbassato dolcemente fin su di un ripiano appositamente realizzato, e
prima ancora che il giovane biondo potesse fare un cenno l’anziano vi era già
davanti, intento a rimirarlo passandovi sopra una delle sue mani ossute.
A guardar bene, sembrava quasi che vi fosse
qualcosa al suo interno, come una specie di ombra, e fu quella all’apparenza ad
attirare maggiormente la sua attenzione.
«Quanti anni sono passati. Quanti secoli di
ricerche e di speranze.» disse con la voce rotta dall’emozione.
Il giovane castano si avvicinò, ed il vecchio
volse lo sguardo nella sua direzione.
«Qui c’è il nostro destino, giovane Kuran. Il futuro e la speranza della nostra specie».
La
macchina nera si fermò davanti ad una squallida abitazione nella periferia di
San Pietroburgo, l’alloggio che la sede locale aveva concesso ad Eric Flyer e
alla sua succube durante la loro permanenza in città.
Erano arrivati in Russia solo da due
settimane, ma già si erano fatti conoscere.
Ne scesero un uomo e una donna vestiti
elegantemente, lui castano e sulla quarantina lei mora un po’ più giovane. La
donna recava con sé una ventiquattrore nera e rimaneva sempre un passo dietro
al suo compagno, verso il quale sembrava provare un misto di sottomissione e di
rispetto.
L’uomo guardò la stamberga, quindi, salitane
la piccola scalinata d’ingresso assieme alla propria compagna, suonò il
campanello; dopo una decina di secondi Nagisa venne
loro ad aprire, e lo stesso uomo esibì il distintivo dell’associazione.
«Buonasera.»
«Buonasera.» disse la ragazza
«Chiedo perdono per l’ora piuttosto tarda. Eric
è in casa?»
«Prego, entrate».
Fatti accomodare i due ospiti la ragazzina li
condusse nel salotto dove il suo padrone era intento a leggere un libro
comodamente seduto in poltrona.
Eric si volse a guardare i nuovi arrivati
appena questi entrarono in salotto, riservando loro uno dei suoi sguardi
glaciali, poi si rivolse a Nagisa.
«Chiedo scusa per essere giunto qui senza
preavviso e ad un’ora così poco cortese.» disse l’uomo mentre Eric riponeva il
libro sul tavolino accanto alla poltrona con aria annoiata «È un onore fare la
sua conoscenza, signor Flyer. Mi chiamo Alfred Hachcomb,
e lavoro per l’Interpol. Inoltre, curo i rapporti fra
la vostra organizzazione e le autorità britanniche.»
«Ho sentito parlare di Lei, signor Hachcomb. La sua fama di diplomatico e negoziatore la
precede.»
«Lo stesso vale per Lei, signor Flyer. Per
quanto frequenti poco gli ambienti dell’associazione, il suo nome è molto noto.
Lei invece è Helen, la mia fedele partner».
La donna fece un cenno di saluto, al quale
però Eric non rispose, e dopo poco il signor Hachcomb
fu invitato a sedersi.
«Allora, signor Hachcomb.»
disse Eric «Adesso che abbiamo fatto le presentazioni, vuole dirmi che cosa
vuole da me l’Interpol?»
«Va’ diritto al sodo. Una qualità comune fra i
cacciatori di vampiri.»
«Ebbene?».
Il signor Hachcomb,
al secondo richiamo, fece sparire quel suo sorriso di circostanza, facendosi di
colpo tremendamente serio.
«Il fatto è che è sopraggiunto un problema
improvviso e del tutto inaspettato. Vista la possibile gravità della cosa e la
necessità di agire il più rapidamente possibile potevamo ricorrere ai canali
convenzionali, così siamo venuti direttamente da lei».
Doveva trattarsi veramente di qualcosa di
serio, pensò Eric, se per porvi rimedio si era disposti a dare un calcio al
protocollo.
Negli anni recenti, e con il procedere della
civiltà, l’associazione si era sempre mossa nel mezzo, cercando di agire il più
possibile nell’ombra tentando però di ottenere quanto più aiuto possibile dalle
proprie conoscenze e dai propri infiltrati nei maggiori potentati del mondo,
oltre che naturalmente dagli stessi uomini di potere che, venuti in un modo o
nell’altro a conoscenza dell’organizzazione, accettavano di appoggiarne e
coprirne l’operato nel nome dell’interesse e della sicurezza nazionale.
«Allora, cosa è successo di così grave?»
chiese Eric.
Il signor Hachcomb
fece un cenno alla sua attendente la quale, aperta la sua valigetta, mise sul
tavolino fra le due poltrone alcune foto di cadaveri orrendamente dilaniati e
squartati rinvenuti in qualche bosco, abbandonati alle intemperie e agli
animali.
«La situazione è questa. Da qualche tempo,
sulle montagne bulgare, stanno avvenendo fatti strani ed inquietanti. Solo
negli ultimi due mesi, quattro persone originarie dei villaggi nella zona
nord-occidentale del Paese sono state uccise e mutilate da un assassino che non
si è ancora riusciti a identificare. L’esame autoptico condotto da personale
fedele all’agenzia ha riscontrato segni riconducibili ad attacchi di vampiro.»
«L’associazione non ne sapeva nulla.»
«Per ora non è stata ancora diramato
l’annuncio ufficiale».
Eric prese le foto e le guardò attentamente;
chiunque le avrebbe trovate raccapriccianti ed inguardabili, ma lui le scrutava
come se niente fosse.
«È un vampiro di basso livello. Probabilmente
un Livello E. E forse, non si tratta di un unico individuo.»
«Nei villaggi della zona sono tutti molto
preoccupati e spaventati. Lei capisce, è gente superstiziosa. Credono che il
diavolo sia arrivato in mezzo a loro. Se le cose andassero avanti di questo
passo, potrebbe scoppiare il caos.
L’associazione e la stessa Interpol
richiedono che il problema sia risolto rapidamente e in silenzio, per non
creare scandali o eccessiva pubblicità».
Il Signor Hachcomb a
quel punto prese una lettera dall’interno della sua giacca e la mise sul
tavolino.
«Qui ci sono le direttive di missione e
l’autorizzazione ad agire firmata dal capo dell’associazione.
Un jet privato la sta aspettando.
Siamo qui per accompagnarla in aeroporto».
Eric rimase in momento soprapensiero, poi si
alzò dalla seria, raggiunse una mensola ed aprì la cassetta di legno scuro
finemente decorata con intarsi d’oro che vi era appoggiata sopra, prendendone
fuori i suoi due machete, che ripose nei rispettivi foderi ed assicurò alla
cintura.
«Andiamo allora.» disse infilando il cappotto.
Il
villaggio che era stato teatro dell’ultimo omicidio si trovava da qualche parte
tra le montagne al confine tra l’Bulgaria e la Serbia, un agglomerato di case
piccole e semplici raccolte tutto attorno alla piccola chiesa sulla collina più
alta.
Davvero un posto dimenticato da Dio, dove
tutti andavano a messa la domenica e giravano con il rosario in tasca, pronti a
farsi il segno della croce al primo fenomeno sopra alle righe e a guardare di
sottecchi ogni faccia straniera.
Eric e Nagisa
arrivarono sul posto in un uggioso e freddo pomeriggio autunnale, con la nebbia
e le nuvole basse a lambire le cime e un’umidità che faceva scricchiolare le ossa,
guidando una vecchia berlinetta scassata messa a loro disposizione all’arrivo
in aeroporto.
«Non è certo un paese che esprime simpatia.»
disse Eric notando gli sguardi obliqui dei pochi paesani che sostavano nella
piazza.
Stando alle informazioni ricevute durante il
volo, un altro cacciatore, un professionista, era in viaggio per la Bulgaria,
ma non sarebbe arrivato prima della tarda notte o il mattino successivo al più
tardi.
Mentre Eric e Nagisa
finivano di scaricare i loro pochi bagagli, venne loro incontro il sindaco del
paese, un tipo grassottello e baffuto ma estremamente cupo.
«Benvenuti.» disse stringendo la mano ad Eric
«Voi siete gli inviati del Washington Post, vero?».
I due ragazzi si fissarono complici; quella
era la storia di copertura ideata per giustificare la loro presenza laggiù.
«Esatto.» rispose Eric
«Prego. La vostra stanza è già pronta».
Il villaggio disponeva di una pensioncina per
i forestieri con meno di una decina di camere.
Eric e Nagisa ne
chiesero una a testa, il che non fu un problema visto che non c’era nessun
altro a parte loro, e subito andarono a chiudersi dentro quella del ragazzo.
«Posso fare qualcosa per voi?» chiese ancora
il sindaco
«Se non è un problema, vorrei vedere il corpo
dell’ultima vittima. Non è stato ancora sepolto, vero?».
Il sindaco esitò, guardando in basso e
mordendosi una mano, ma alla fine non fece resistenza ed acconsentì alla
richiesta di quelli che credeva essere solo giornalisti in cerca di una buona
storia.
Lungo il breve viaggio a piedi dalla
pensioncina all’obitorio annesso allo studio del medico, un tale dottor Pevlov, Eric poté notare ancor meglio l’atteggiamento
diffidente e sospettoso dei pochi abitanti di quel paese, quasi tutti vecchi;
vedendoli, molti si scostavano, guardavano altrove o addirittura si segnavano.
«Dovete perdonarli.» disse il sindaco «È gente
semplice e timorosa. La maggior parte di loro non ha mai visto nulla al di
fuori di queste montagne. E ora sono molto spaventati.»
«È comprensibile.»
«Credono che un demonio si sia annidato nella
foresta che li circonda, e ne temono la collera. Fino ad ora sono riuscito a
tenerli buoni, ma ormai la situazione è in procinto di esplodere».
Il dottor Pevlov era
un simpatico e arzillo medico di città, che passati i settant’anni aveva voluto
trasferirsi in quell’eremo sperduto dimenticato da Dio alla ricerca di un luogo
dove condurre serenamente e pacificamente la propria vecchiaia continuando a
fare del bene.
L’obitorio accanto al suo studio era provvisto
anche di una cella frigorifera, l’unica nel raggio di cento miglia, che aveva
fatto realizzare di tasca propria, e all’interno della quale era stato riposto
l’ultimo corpo finora ritrovato.
Con l’aiuto del sindaco, questo fu tirato
fuori, appoggiato sul tavolo anatomico e infine scoperto.
La sua vista avrebbe scioccato chiunque, e
infatti il sindaco dovette girare subito gli occhi, trattenendosi a stento dal
vomitare.
Anche se il dottore aveva ricucito alla meno
peggio le ferite, i segni dello smembramento erano più che evidenti; il braccio
destro era quasi staccato, la mano sinistra non aveva più le dita, e diverse
altre parti presentavano segni come di masticamento.
«L’abbiamo trovato in un fosso, un chilometri
circa dal villaggio, nelle foreste a nord.»
«Chi è la vittima?»
«Un cacciatore del posto. Una sera di cinque
giorni fa è uscito come al solito per andare a caccia, e alla mattina è stato
ritrovato così da un collega di passaggio.»
«Scusate.» intervenne il sindaco «Credo che vi
aspetterò fuori».
Il dottore aveva uno sguardo strano, e parve
quasi tirare un sospiro di sollievo quando vide il primo cittadino lasciare la
stanza tenendosi lo stomaco.
«Dunque.» disse Eric «Questa è la quarta
vittima.»
«No, signore.» rispose cupo l’anziano «Questa
è la decima».
Eric e Nagisa
alzarono gli occhi perplessi.
«È così. Ufficialmente sono solo quattro, ma
in realtà altre sei persone sono state attaccate ed uccise negli ultimi due
mesi. Erano cacciatori e allevatori che vivevano in baite sperdute in mezzo al
nulla, così nessuno si è accorto della loro scomparsa.»
«Vi siete fatti qualche idea su chi possa essere
il responsabile.»
«L’ampiezza dei morsi e lo stato delle vittime
mi fa pensare ad un animale di grandi dimensioni. Un orso forse. Anche se in
certi casi verrebbe da pensare più ad un leone.»
«Il che è impossibile.
Dove sono state compiute le aggressioni?»
«In un’area di circa sessanta – settanta
chilometri quadrati, nelle montagne e nelle foreste tutto attorno. In un caso
si è spinto fino nel centro abitato, e ha assalito una donna che passeggiava
per le strade dopo il tramonto».
Eric poi, incredibilmente, chiese i poter fare
un giro nei boschi dove erano avvenute le aggressioni, cosa che il dottore ed
il sindaco non mancarono di trovare come terribilmente pericolosa.
«Avete detto che aggredisce solo di notte.»
rispose allora il giovane «Quindi non dovrebbe esserci pericolo».
Così, senza aggiungere altro, il ragazzo e la
sua fedele assistente gambe in spalla si inerpicarono su per il crinale che
dominava il villaggio dalla parte ovest, in prossimità del luogo dove era stata
rinvenuta l’ultima vittima.
Il silenzio lì dentro era raggelante, e la
nebbia che continuava ad aleggiare tra gli alberi secolari gettava su tutta la
foresta un’atmosfera decisamente spettrale.
Eric e Nagisa
camminarono per una mezz’ora, senza mai bisogno di doversi fermare per prendere
fiato nonostante l’estrema pendenza del terreno, fino a che non raggiunsero un
po’ meno densa di alberi.
Qui, entrambi si guardarono attorno, cercando
di cogliere ogni più piccolo segnale trasportato dal vento; nel frattempo
quella fastidiosa pioggerellina era cessata, anche se il tempo continuava ad
essere decisamente uggioso.
A saperli trovare, i segni del passaggio di un
vampiro c’erano tutti in quel luogo. Strani graffi sugli alberi, orme ed
impronte nel terreno fangoso, rami spezzati e, soprattutto, un forte odore di
sangue.
Nuovamente, Eric e Nagisa
si guardarono tra di loro; a quanto pare l’intelligence non si era sbagliata. In
quel posto stava davvero succedendo qualcosa.
Appena
tornati in albergo, Eric si mise immediatamente in contatto con i suoi
superiori; poiché in Bulgaria non esisteva una sede dell’associazione il
ragazzo dovette fare riferimento a quella più vicina, ovvero la sede di
Budapest, in Ungheria.
«È confermato. In questa regione si è
insediato un vampiro. Probabilmente, anche più di uno.
Sono cani sciolti. Sicuramente dei Livello E
impazziti. Hanno preso possesso della zona, e ne hanno fatto il loro territorio
di caccia.
Attaccano e mangiano di tutto. Ho parlato con
alcuni cacciatori, e mi hanno detto di aver trovato diverse carcasse di animali
sventrati nelle foreste circostanti. Inoltre, sono state profanate anche alcune
delle tombe più recenti del cimitero locale.»
«Hai già identificato i vampiri in questione?»
chiese dall’altro capo della linea il capo della sezione
«Ancora no. Si fanno vivi solo la notte. A giudicare
dall’odore, alcuni di loro se non tutti non devono essere molto lontani da qui,
quindi è probabile che stanotte tenteranno di attaccare il villaggio. Mi farò
trovare pronto.»
«Il tuo uomo di rinforzo dovrebbe arrivare
entro domattina. Fino ad allora, cerca di tenere la situazione dotto controllo.
Chiudo».
Erik si tolse l’auricolare e si buttò sullo
scomodo letto, perennemente seguito con lo sguardo da Nagisa.
«Conviene riposarsi un po’. Sarà una lunga
notte».
Al
calare delle tenebre, il villaggio piombò nel buio e nel silenzio più assoluti.
Tutti le luci erano spente, le finestre
sprangate. Qualcuno aveva messo sbarre e inferriate per sentirsi più sicuro,
qualcun altro aveva messo dei grossi pezzi di carne sanguinante davanti alla
casa, nella speranza che il predatore misterioso si accontentasse e passasse
oltre, qualcun altro ancora, i più superstiziosi, aveva inciso croci sulle
porte e lasciato rosari a pendere all’esterno.
Ogni mezzo era lecito per proteggersi da
quella specie di piaga che da mesi terrorizzava le montagne.
Nessuno osava mettere il naso all’esterno, ed
il villaggio stesso era persino più silenzioso delle foreste che lo
circondavano.
Appostato nel buio, sotto ad un telo che ne
nascondeva la vista e l’odore nel bel mezzo del cimitero, Eric restava in
attesa delle sue prede.
La trappola era già piazzata.
Il corpo dell’ultima vittima era stato sepolto
in tutta fretta, la terra ancora smossa e l’odore perfettamente percettibile;
una preda troppo ghiotta per poterla ignorare.
Quel trucco glielo aveva insegnato un altro
cacciatore, che per un breve tempo era stato suo maestro; per acchiappare un
Livello E ormai diventato nulla più che una bestia, era sicuramente il metodo
migliore.
Dall’alto del campanile, invece, Nagisa scrutava l’oscurità con il mirino ad infrarossi del
suo fidato fucile anticarro, pronta ad incenerire ogni creatura della notte che
si fosse avvicinata troppo al centro abitato.
L’attesa non si rivelò molto lunga.
Poco dopo mezzanotte, infatti, ombre
minacciosa cominciarono ad aggirarsi attorno al basso cancelletto che
delimitava il camposanto, ed entro qualche minuto cinque vampiri comparvero
dall’oscurità accalcandosi attorno alla tomba affamati di sangue.
Si trattava senza dubbio di Livello E, poco
più che animali; sicuramente vampiri ex umani.
Subito presero a scavare, ma ben presto la
loro attenzione fu attratta dalla comparsa improvvisa di un odore minaccioso. Giratisi,
videro Eric comparire dinnanzi a loro con i suoi machete già tra le mani.
«Mi dispiace, la cucina è chiusa.» disse
sommessamente, ed alzati gli occhi piombò su di loro come un dio della morte.
Quelli tentarono una confusa reazione, ma non
erano certo avversari all’altezza di un vampiro sangue puro come Eric, che ne
fece scempio in meno di dieci secondi; solo uno tentò un assalto alle spalle,
ma fu prontamente intercettato ed incenerito da Nagisa
con un colpo ben piazzato che gli disintegrò la testa.
«Missione compiuta.» disse Eric «Bersagli
eliminati».
Magari fosse stato così.
Neanche il tempo di rinfoderare i machete, che
Eric avvertì una nuova corrente di minaccia, mentre un numero imprecisato di
altre presente cominciavano a comparire intorno a lui.
Occhi rossi si accesero nell’oscurità della
notte, e dalle tenebre uscirono non uno, ma decine di altri vampiri, tanti
quanti Eric non ricordava di averne mai visti tutti insieme in tutta la sua
vita.
«Oh, merda.» disse vedendosi circondato.
Non ce la cosa lo preoccupasse o lo
impensierisse più di tanto, ma certo affrontare tutti quegli avversari in una
volta sola non era certo un’impresa da poco.
I nuovi venuti sembravano più normali di quelli
che Eric aveva appena ucciso, più razionali, ma ciò nonostante restavano
comunque dei Livello E, o dei Livello D volendo esagerare.
Anche Nagisa restò
colpita nel vederli, ed una strana sensazione si impadronì di lei nella forma
di un improvviso formicolio in tutto il corpo, accompagnato da una sensazione
di pesantezza al centro del petto.
«L’avevo detto che sarebbe stata una lunga
notte.» disse Eric facendo roteare i due machete «Fatevi sotto».
Per nulla intimoriti, i quindici e più nuovi
avversari si scagliarono all’attacco, piombando addosso al giovane cacciatore
da tutte le direzioni.
Eric li affrontò tutti a spada tratta e senza
esitazioni, mulinando le sue lame a destra e a sinistra con mortale precisione.
Come era facile intuire, non si trattava di comuni armi da taglio; la polvere d’argento
di cui erano in parte composte le rendeva estremamente pericolose per qualsiasi
vampiro, cosicché anche solo un piccolo taglio risultasse doloroso quanto un
arto strappato di netto.
Dal campanile Nagisa
dava una mano, anche se in quella confusione persino la sua mira micidiale
veniva messa a dura prova; Eric faceva molto affidamento sulla copertura che la
sua inseparabile compagna gli garantiva dall’alto, quindi le cose per lui si
complicarono non poco quando il fucile della ragazza si inceppò
improvvisamente, lasciandolo sguarnito.
«Maledizione!» mugugnò vedendo come i nemici
si facessero sempre più audaci.
Quella faccenda rischiava di farsi più difficile
del previsto, se non che all’improvviso un fulmine a ciel sereno si abbatté sul
cimitero nella forma di un giovane uomo dall’aspetto austero ma gentile,
capelli biondi piuttosto lunghi raccolti in un lungo codino e occhi chiari, che
piombò dal nulla armato di spada prendendo subito a fare strage di vampiri con
una scioltezza e una facilità straordinarie.
Eric non stette troppo a lungo a fare il
sorpreso, e rifattosi coraggio tornò a menare fendenti, fino a che non rimase
neanche un mostro in vita.
Solo allora, il giovane vampiro volle guardare
meglio chi lo aveva appena aiutato.
La sua espressione era risoluta e pregevole
allo stesso tempo, indossava un cappotto color terra, e la spada che impugnava
era chiaramente un’arma ammazza-vampiri.
«Mi era parso che avessi bisogno di una mano.»
disse quello mettendo una mano in tasca e cavandone fuori un paio di occhiali
da vista che infilò con un gesto rapido e pacato
«Sei tu l’uomo di rinforzo che dovevano
inviare quaggiù?» chiese Eric mentre rinfoderava le lame
Non aveva mai visto quell’uomo, ma la sua fama
all’interno dell’associazione era quasi leggendaria; correva voce che avesse
abbandonato da tempo l’attività di cacciatore per dedicarsi interamente alla
gestione di quella scuola che aveva voluto con tutto sé stesso, e il fatto che
si trovasse lì era la dimostrazione che anche ai piani alti avevano avuto il
sospetto che quella fosse qualcosa di più dell’ennesima magagna prodotta da uno
o più Livello E usciti di testa.
«Sembra che le cose qui siano piuttosto
serie.» disse Kaien sistemandosi gli occhiali «Questi
non erano fin troppo forti per essere comuni Livello E.»
«Infatti».
Eric si avvicinò ad uno dei corpi, uno non
ancora inceneritosi, osservandone le caratteristiche.
Il tratto comune che distingueva i vampiri ex-umani era che il segno del morso non riusciva a
cicatrizzare, rimarginandosi; l’unico modo per chiudere la ferita era apporvi
un sigillo magico, altrimenti la cicatrice sarebbe sempre rimasta in bella
vista.
Nel caso di quel vampiro il segno del morso
era ben visibile, e oltretutto chiaramente recente; eppure, chissà come, la
ferita si era parzialmente richiusa in modo apparentemente naturale.
Sia Eric che Kaien
strinsero i denti nel vedere quella cosa, dimostrando a chiare lettere che
quella non era la prima volta che si imbattevano in qualcosa del genere, per
quanto apparentemente impossibile.
In quella sopraggiunse anche Nagisa, la quale, vedendo ella stessa quel fenomeno così
anormale, serrò le labbra come inebetita per poi toccarsi un momento il collo,
mentre uno sguardo truce si accendeva nei suoi occhi.
«Maledizione.» mugugnò il ragazzo «Ci
risiamo.»
«E dire che speravo fosse una storia chiusa.»
disse Cross.
La vicenda risaliva a circa tre anni prima,
quando Eric aveva iniziato da poco la sua vita nell’associazione.
Per molto tempo, le coste occidentali del
Giappone e quelle più settentrionali della Cina erano state tormentate da un
misterioso ed imprendibile vampiro che, pur essendo un comune Livello B,
riusciva chissà come a vampirizzare comunque le sue vittime, creando oltretutto
dei Livello E molto più forti rispetto alla media, ma anche estremamente più
aggressivi.
Erano serviti alcuni mesi per riuscire a
stanarlo, ma alla fine il vampiro in questione era stato preso ed ucciso, anche
grazie alla collaborazione dello stesso Eric, che con quell’azione si era
guadagnato il diritto di entrare a pieno titolo nell’agenzia diventando un
apprendista; si era sempre pensato ad un evento eccezionale, una mutazione
genetica anomala come avveniva talvolta anche tra gli stessi esseri umani, ma
ora che il fenomeno si stava ripetendo a distanza di così poco tempo la cosa
cominciava a farsi davvero preoccupante.
«Questi erano tutti dei Livello E.» disse Eric
mentre anche l’ultimo corpo si mutava in cenere«E sono pronto a scommettere che
erano tutti o quasi come questo qui.»
«Il che significa.» replicò Cross guardando
verso il villaggio «Che chiunque li abbia creati quasi sicuramente si trova
ancora da queste parti».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Eccoci dunque al primo
di (credo) 11 capitoli che comporranno questa breve fanfic
dedicata al personaggio inventato per la RR di Ly.
Allora, che ve ne
pare?
Molto lugubre, direi.
Per creare il villaggio mi sono ispirato, oltre che ai molti film
horror-thriller, anche a tanti paesini di montagna persi nel niente di cui le
mie dolomiti venete sono piene da scoppiare. Avendoci anche vissuto per un
certo periodo ne conosco l’atmosfera, anche se ovviamente ho voluto calcare un
po’ la mano.
Mi fa piacere che la
storia sia piaciuta, e spero che continuerà ad esserlo.
Al
mattino, nel villaggio, nessuno si era accorto di nulla.
Eppure, gli abitanti sembravano aver percepito
che qualcosa era accaduto, per non parlare del nuovo, ennesimo straniero
comparso dal nulla durante la notte.
Kaien prese
alloggio nella stessa pensione di Eric, nella stanza accanto a quella di Nagisa, ma quando il ragazzo fece per avvisare la sede di
Budapest di quanto scoperto incredibilmente fu fermato dallo stesso Kaien.
«Non credo sia una buona idea.»
«Per quale motivo?»
«Se diffondiamo la notizia, l’associazione
vorrà inviare qui eserciti di cacciatori per stanare questo vampiro. E non
credo sia il caso, visto che la situazione mi pare già abbastanza tesa».
Anche se con riluttanza Eric seguì il
consiglio, per non dire il monito, del suo superiore, e riagganciò il telefono.
«Allora, come ci muoviamo?» domandò dunque
«Si è detto che il vampiro anomalo dovrebbe
trovare da queste parti. Allora cerchiamolo.»
«E come? Ha mascherato il suo odore.»
«Un vampiro lascia sempre tracce del suo
passaggio. Basta saperle cercare».
Le tracce di cui parlava Kaien
erano ovviamente le opinioni del gentil sesso.
Come tutti i predatori, anche i vampiri
avevano le loro armi di caccia. La prima e più importante era ovviamente il
loro bellissimo aspetto, frutto di una selezione naturale durata migliaia di
anni; oltre a questo, però, gli studi condotti dall’associazione con
esperimenti non sempre del tutto etici avevano provato che i loro corpi
secernevano ininterrottamente una sostanza inodore e incolore simile al
feromone, che tuttavia aveva il potere di attrarre umani del sesso opposto in
modo pressoché infallibile.
«Deve trattarsi di un uomo.» disse Kaien mentre uscivano
«Come fai ad esserne sicuro?»
«Proprio tu mi fai questa domanda? I vampiri
maschi possono vampirizzare molti più esseri umani delle femmine a parità di
tempo. E solo un uomo può aver creato un simile esercito di Livello E in così
poco tempo».
Il tempo era l’altra grande incognita che
spingeva a considerare il vampiro in questione un essere diverso dai suoi
simili.
Oltre ad essere una prerogativa dei soli
vampiri di Livello A, la vampirizzazione di un umano
non era certo un fenomeno rapido, infatti occorrevano diversi giorni perché
potesse completarsi.
Alcuni dei vampiri uccisi durante la notte,
però, si erano rivelati essere abitanti provenienti da varie parti di quella
regione e dalle regioni vicine, dati per scomparsi in un tempo variabile tra i
due mesi e la settimana.
Questo dimostrava non solo che il vampiro
ricercato era all’opera già da diverso tempo, ed aveva colpito su di una scala
ben più vasta di quanto si fosse inizialmente pensato, ma anche e soprattutto
che il suo morso era terribilmente veloce.
Se non lo si fosse individuato e fermato
quanto prima, avrebbe avuto di sicuro il tempo di creare un nuovo esercito di
assatanati cacciatori di sangue, destinati magari ad agitare le acque dando
modo a lui di agire indisturbato.
Come al solito, gli abitanti si mostrarono
fortemente avversi ai nuovi venuti, guardandoli storto e scostandosi da una
parte mentre camminavano per il paese.
«Non c’è che dire, è davvero gente molto
aperta.» osservò ironico Kaien
«Evidentemente Lei non è mai stato in sperduti
paesi di montagna come questo, dove anche una macchina mette paura. Altrimenti,
saprebbe che è assolutamente normale.»
«Ragazzo, con chi credi di stare parlando?»
replicò il direttore gonfiando il petto e alzando la cresta.
Con il passare dei minuti, Eric stava
scoprendo un lato di quell’uomo che non gli avrebbe mai attribuito.
Ogni volta che aveva sentito parlare di Kaien Cross si era sempre immaginato un individuo schietto,
austero ed impassibile, che in buona sostanza erano le qualità che aveva
manifestato al suo arrivo la notte scorsa.
Ora, invece, sembrava quasi un’altra persona;
faceva il romantico e il donnaiolo, per non dire l’ebete, nella speranza di
scucire informazioni alle donne del paese.
Doveva aver affinato i suoi trucchi e il suo
charme tutto particolare in anni di esperienza, peccato solo che quella non
fosse una città di avvenenti signorine, ma un paese di vecchie e gracchianti
bigotte brutte come la fame, che alle moine del direttore rispondevano
ignorandolo, o nel peggiore dei casi con un diretto al mento.
Al dodicesimo tentativo, Cross tentò
l’impensabile; notata una donna che stava annaffiando i fiori del suo balcone,
recuperata una scala gli comparve davanti con un sorriso a trentadue denti,
chiedendo con molta gentilezza se avesse mai incontrato un uomo che l’avesse
fatta scaldare, a parte suo marito.
Un secondo dopo, il direttore precipitava al
suolo come una meteora, un segno al centro della faccia e qualche dente in
meno.
«Tentativo fallito.» disse sorridendo
«Ma sei sicuro di essere Kaien
Cross?» disse Eric incredulo guardandolo dall’alto.
In quella un auto si fermò inchiodando accanto
a loro e da essa scese il sindaco, pallido e sconcertato come se avesse visto
un fantasma.
«Signor Flyer!» disse andandogli incontro
«Signor sindaco, che succede?»
«Alcuni giorni fa, un villaggio situato più in
alto rispetto a noi è rimasto isolato a causa di una tempesta. Proprio
stamattina abbiamo ripristinato quantomeno le linee telefoniche. Ma non sono
riuscito a mettermi in contatto con nessuno.»
«Che cosa!? Ne è sicuro!?»
«Assolutamente. Anche mio fratello abita in
quel villaggio. Ho provato a cercarlo per ore, ma senza riuscirci.
Deve essere successo qualcosa.»
«Gli abitanti lo hanno già saputo?»
«No, ovviamente. Sarebbe il panico. Ma ora
comincio ad avere paura anch’io, e tanta. Anche perché, a questo punto, non
potremmo andarcene neanche se lo volessimo.»
«Che intende dire?» chiese Cross
«È caduta una frana durante la notte. La
strada che porta a valle è stata spazzata via.
Siamo isolati».
Eric, Nagisa e Kaien si guardarono tra di loro, cercando di non far
trasparire la loro preoccupazione.
«Grazie di averci avvisati.» disse il giovane
Flyer con un sorriso di circostanza
«Dovere».
Come furono rimasti soli, invece, i tre
poterono esternare i loro reali pensieri; e non erano per nulla pensieri
positivi.
«Ha delimitato il suo recinto.» disse Eric
«E si prepara alla mattanza.» disse Kaien
«Dobbiamo fermarlo.»
«E dobbiamo farlo prima di notte».
L’unica
speranza, con il tempo misurato fino a quel punto, era cercare nei boschi.
Che fosse o meno un vampiro diverso dagli
altri, se davvero il suo obiettivo era quello di crearsi un nuovo esercito di
succubi vampirizzando il villaggio non poteva farlo nelle sue condizioni.
Vampirizzare un essere umano richiedeva una
enorme quantità di energia, e se il vampiro in questione lo voleva fare su
larga scala era obbligato a mangiare per accumulare le forze necessarie a
riuscirci.
Per questo motivo, e tenendo conto di come si
era comportato finora, era altamente probabile che avesse una riserva di cibo
nascosta da qualche parte; trovandola e distruggendola, avrebbero segato le
gambe al suo piano.
La soluzione più ovvia, non essendoci posti
nel villaggio che facessero al suo caso, era che tenesse il suo cibo da qualche
parte nella foresta, probabilmente in qualche grotta o anfratto.
Stavolta lo charme del direttore aveva fatto
centro, e seducendo a dovere una avvenente e disinibita signora di mezza età
aveva scoperto che c’era una caverna a ovest del villaggio, lungo il crinale
della montagna più alta tra quelle che circondavano il centro abitato; anni
addietro era stata la tana di un orso molto aggressivo, che aveva ucciso
parecchi cacciatori e fatto strage di bestiame, e così ora tutti ne stavano
lontani per paura.
La salita non fu per niente facile.
Il terreno, oltre che coperto di alberi, era
incredibilmente ripido, tanto che a più riprese si era costretti a mettersi a
quattro zampe per riuscire a proseguire verso l’alto.
«Spero solo che questa fatica non risulti
inutile.» mugugnò Cross ansimando per la fatica.
Chi procedeva senza un lamento era Nagisa, silenziosa ed impassibile come sempre, che
oltretutto si portava appresso quel suo enorme fucile, caricato con proiettili
che sarebbero potuti passare attraverso ad una corazza d’acciaio tanto erano
pesanti.
«La tua amica qui è di poche parole.» disse
ancora il direttore all’indirizzo di Eric, che procedeva qualche passo avanti a
lui
«Per lei parlano le azioni. Nagisa è fatta così».
Kaien si era
accorto subito che quella ragazza aveva qualcosa di strano, ma per il bene di
tutti decise che era meglio non indagare, né fare domande inopportune, quindi
lasciò che finisse lì e riprese a camminare, anche perché il fiato gli serviva
tutto.
Servirono quasi cinque ore di camminata, ma
alla fine i tre raggiunsero la grotta in questione.
L’ingresso, scavato nella viva roccia della
montagna, era davvero imponente, e dava l’idea di una cavità che si perdeva per
centinaia di metri nel cuore della terra. Alzando gli occhi, si poteva scorgere
il limitare del precipizio situato un centinaio di metri più in alto, mentre
tutto attorno il terreno era leggermente più in piano.
La nebbia e la fitta vegetazione impedivano la
vista, ma se si fosse potuto vedere distintamente non vi era dubbio che da lì
era possibile scorgere l’intera vallata dove si trovava il villaggio, se non
addirittura dell’intero circondario.
Già prima di arrivare laggiù, Eric e Nagisa avevano capito di stare andando nella direzione
giusta.
Quel posto odorava di sangue e di morte da far
paura, e come i tre gettarono uno sguardo all’interno alla luce di una
rudimentale torcia composta da un bastone e da poche sterpaglie ed erbacce
arrotolate attorno ad esso, si resero conto di quanto il loro amico si fosse
dato daffare.
Persino loro non riuscirono a restare
impassibili di fronte ad un simile spettacolo; le bocche erano socchiuse, gli
occhi spalancati come se fossero stati sul punto di piangere, e i volti
paralizzati dall’orrore.
«Mio dio, che strage.» balbettò Kaien.
Di fronte a qualcosa del genere, persino la
sua ferrea convinzione che vampiri e umani potessero convivere in pace parve
scricchiolare. Cercò di pensare che questo era un caso speciale, e che la
maggior parte dei vampiri non era così, ma ciò nonostante non riusciva a non
essere sgomento; come si poteva essere così bestiali.
Quasi subito dovettero rinunciare a guardare
dentro la caverna, traendo alcuni respiri profondi per calmare i conati che si
agitavano nei loro stomaci.
«Dobbiamo fermarlo subito.» disse Kaien «Immediatamente.»
«Sono d’accordo.»
«E ci serve vivo».
Eric guardò il direttore con occhi stralunati.
«Vivo!?» ringhiò in preda alla rabbia «Sei
impazzito!? Ma hai visto cosa ha fatto?»
«Cerca di capire. Se si tratta davvero di una
mutazione dobbiamo cercare di scoprirne la causa, o presto potrebbero essercene
altri come lui.
Pensa se si trattasse di una mutazione dovuta
ad una malattia. Quanti altri vampiri potrebbero diventare così?
Dobbiamo studiarlo. È indispensabile».
Eric, rosso di rabbia, afferrò Cross per il
bavero, ma questi non si scompose minimamente.
«Io lo ammazzo quel bastardo! E se ne
appariranno altri, ammazzerò anche quelli! Meno vampiri ci sono sulla Terra, e
meglio è!»
«Ma anche tu sei un vampiro, o sbaglio?»
replicò pacatamente ma severamente il direttore.
Colpito al cuore, Eric restò di sasso, allentò
la presa e guardò il terreno, per poi tirare urlando un pugno alla parete che
mandò in briciole un buon metro cubo di roccia.
«L’organizzazione non esiste per soddisfare la
sete di vendetta di chicchessia, e non voglio pensare che tu vi sia entrato
solo per ammazzare quanti più vampiri possibili.
Non so il motivo di questo tuo odio
indiscriminato per la tua stessa razza, e non voglio saperlo. Quello che so, è
che come cacciatore hai dei doveri e degli obblighi da osservare, i quali ti
impongono anzitutto di preservare la pace vigente tra vampiri ed esseri umani.
E in nome di questa pace, è vitale scoprire
cosa vi sia all’origine di questi vampiri mutanti.
Mi sono spiegato?».
Eric storse il naso e sputò in terra stizzito.
«Se è un ordine di un mio superiore, sono
costretto ad accettarlo».
Data la situazione, Kaien
decise di non insistere oltre. Era evidente che quel ragazzo covava un grande
odio dentro di sé, e visto che lo conosceva da soli due giorni non era il caso
di fare la parte del maestro di vita, almeno per il momento.
Per ora bastava averlo convinto ad obbedire.
«Allora avanti, prepariamo la trappola».
Nagisa, oltre al fucile anticarro, aveva con
sé anche un grosso zaino militare, che aperto rivelò contenere un vero arsenale
di munizioni di vario tipo, dai proiettili all’azoto a quelli esplosivi e
incendiari.
Fu necessario un colpo con uno di questi
ultimi, che immediatamente la caverna ed il suo macabro contenuto si accesero
come un faro, sprigionando, oltre ad un odore nauseabondo, una enorme colonna
di fumo che elevandosi sopra gli alberi fu vista fin dal villaggio, attirando
l’attenzione della persona giusta.
Costui, lasciata perdere ogni altra cosa, si
inerpicò su per la montagna come se avesse avuto la morte alle costole, e
giunto al limitare della caverna non poté fare altro che osservare impotente la
distruzione irrimediabile di tutte le sue riserve di cibo.
Neanche il tempo di assimilare lo shock o
sbollire la rabbia, che l’individuo in questione avvertì una minaccia alle sue
spalle.
«Ha perso qualcosa, dottor Pavlov?»
domandò Eric comparendo da dietro un cespuglio.
L’anziano dottore si volse sgomento ed
incredulo, e dopo due secondi dai loro nascondigli sbucarono fuori anche Kaien e Nagisa, bloccandogli ogni
possibile via di fuga.
«S… signor Flyer.»
disse lui pallido come un morto «Che sorpresa.»
«Che cosa ci fa qui, dottore?»
«Ecco…» replicò lui
guardandosi attorno sempre più spaventato «Ero alla ricerca di funghi. Ho visto
il fuoco, sentito l’odore, e così…».
Eric non stette a perdere tempo. Affondata una
mano nella cintura, prese fuori uno dei suoi paletti d’argento e lo scagliò con
forza contro il dottore, ferendolo lievemente ad un fianco; nonostante poco più
di un graffio, il vecchio urlò come se gli avessero staccato un dente, e la
carne attorno alla ferita quasi si carbonizzò: una prova più che sufficiente.
«Puoi anche smetterla con la commedia.»
A quel punto il gentile ed arzillo dottore
cambiò radicalmente; il suo viso gentile divenne una maschera di odio e follia,
due canini affilatissimi spuntarono nella sua bocca, unghie taglienti crebbero
alle estremità delle sue dita e la pelle si raggrinzì.
I tre assistettero impassibili.
«Alla fine ti sei rivelato.» disse Eric
«Quando avete scoperto che ero io il vampiro?»
«Puoi nascondere il tuo odore con erbe ed
estratti, ma del fetore di sangue non ci si libera facilmente.»
«Gran brutta cosa la fame.» commentò Kaien «Può spingerci a fare cose davvero stupide. Come per
esempio andare a caccia pur sapendo di avere ben tre cacciatori a girarti
intorno.»
«È tutta colpa di voi ficcanaso. Stava andando
tutto per il verso giusto.»
«Tutto quello che volevamo era portarti
lontano dal villaggio».
Pavlov ringhiò
di rabbia, furioso per essere stato messo nel sacco; d’altra parte, sapeva di
non potere nulla contro ben tre cacciatori tutti insieme, di cui uno era senza
dubbio un suo simile.
«È inutile.» disse ancora Cross vedendo che il
vampiro guardava angosciato verso la caverna «Del tuo esercito, così come del
tuo pasto, è rimasta solo la cenere.»
“Non sembra soffrire la luce.” pensò invece
Eric alzando lo sguardo al cielo, dove da qualche istante il sole stava
cercando di fare capolino tra le nubi “E anche l’argento non ha avuto l’effetto
che speravo.”
«Ci sono molte cose di cui dovrai parlare.»
disse poi il ragazzo «Scegli. Puoi venire con noi tutto interno, puoi venirci
con qualche arto in meno, o puoi morire qui.»
«Non fare tanto il gradasso, ragazzino!»
ringhiò furente il dottore «Sono in vita da più di mille anni! E ne ho uccisi
cento come te! E se credete di avermi messo all’angolo, beh vi sbagliate!».
Il dottore schioccò le dita, e quasi
istantaneamente ombre nere cominciarono a materializzarsi nella nebbia come un
esercito di fantasmi; queste ombre divennero sempre più tangibili, emergendo
dal buio fino ad assumere le fattezze di uomini, donne e bambini.
Una vera e propria armata di Livello E, al
quale il vampiro che li aveva creati aveva concesso di bere una goccia del
proprio sangue, e che così facendo era riuscito a legare a sé; tutte cose che
solo un vampiro di Livello A poteva fare, mentre invece il dottor Pavlov era chiaramente un Livello C.
«Ecco che fine hanno fatto gli abitanti
dell’altro villaggio.» disse Kaien a denti stretti
«Bastardo.» disse Eric vedendosi circondato
«Ha mangiato metà del paese, e vampirizzato l’altra metà».
C’era da dire che quella specie di mutazione
stava presentando anche dei prevedibili difetti; un vampiro legato ad un suo
superiore tramite un patto di sudditanza molto raramente regrediva fino a
diventare un Livello E, poiché il sangue del suo padrone consentiva il
mantenimento della coscienza.
Forse era colpa del sangue povero del dottore,
forse un problema genetico, fatto sta che quelle persone dovevano essere
regredite a Livelli E in modo quasi istantaneo, al punto che ora sembravano
poco più che zombi.
Probabilmente i vampiri affrontati nel
cimitero non avevano fatto a tempo a ricevere il sangue del loro padrone, e
privati di una guida si erano mutati in poco più che animali con l’unico scopo
di cacciare e nutrirsi.
I nuovi venuti strinsero sempre più il cerchio
attorno ai tre cacciatori, mente Pavlov osservava
ghignando di soddisfazione.
«Avete finito di fare i gradassi, non è vero?».
Ad un nuovo cenno del dottore, tutti quei
vampiri si scagliarono contro i tre cacciatori, che dovettero purtroppo
rispondere con le maniere forti; già diventare un vampiro per un essere umano
era quasi una condanna, ma una volta che la trasformazione regrediva al Livello
E, tutto quello che si poteva fare era dare a quei poveri sventurati una morte
rapida e indolore.
Eric, Kaien e Nagisa furono immediatamente sommersi di avversari, che
cercarono per quanto possibile di contrastare, ma appena ne eliminavano uno
subito altri due ne prendevano il posto. E ovviamente, Pavlov
immediatamente ne approfittò per scappare.
«Nagisa, vagli
dietro!» ordinò Eric.
La ragazza, lasciata perdere ogni altra cosa,
si mise subito all’inseguimento del fuggitivo, liberandosi anche dello zaino e
del fucile per potersi muovere più agilmente, mentre Kaien
ed Eric continuavano a tenere a bada quella mazza impazzita.
Come tutti i vampiri, anche il dottore poteva
spostarsi a velocità considerevole, questo nonostante la sua età; nonostante
ciò, Nagisa riuscì comunque a mettersi sulle sue
tacce, saltando tra un ramo e l’altro per rendere più rapidi gli spostamenti e
riuscendo a fiutare la presenza del nemico anche senza vederlo.
Nagisa riuscì a
seguire le tracce di Pavlov per alcuni chilometri, ma
poi, improvvisamente, perse le sue tracce; evidentemente quel codardo aveva
nuovamente mascherato il proprio odore, rendendolo così debole che i suoi
intorpiditi sensi di vampiro non riuscivano a percepirlo.
Nel tentativo di recuperare la traccia la
ragazza scese a terra, prendendo a guardarsi attorno con tutti i sensi tesi
allo spasimo. Purtroppo, nella foga di cercare segnali della presenza del suo
nemico nel silenzio e nella nebbia, la ragazza non si accorse che questi,
approfittando della sua momentanea invisibilità ottenuta mascherando il suo odore,
le stava arrivando proprio addosso prendendola alle spalle.
Il tempo di accorgersene, e tutto divenne
nero.
Nel
frattempo, all’ingresso della caverna, Kaien ed Eric
stavano incontrando più difficoltà del previsto.
C’erano davvero più Livello E di quanti se ne
potessero desiderare, e anche se loro erano sicuramente più forti era un fatto
noto che a lungo andare il numero vinceva sempre sulla forza.
«Così non và, non ne usciamo!» disse Eric
mulinando senza sosta i suoi machete.
Anche Kaien
cominciava a sentire la fatica; se le voci sul fatto che avesse più di duecento
anni erano vere, non c’era da stupirsi che uno sforzo eccessivo, per quanto di
breve durata, arrivasse a metterlo a dura prova. O forse, più probabilmente, il
lungo periodo trascorso lontano dai campi di battaglia lo aveva un po’
intorpidito, e ancora non riusciva ad ingranare.
Eric capì che la soluzione poteva essere solo
una, e si preoccupò.
Prima di allora non aveva mai fatto ricorso al
suo potere di vampiro su un campo di battaglia, per molteplici ragioni, anche
se nel tempo e con la pratica ne aveva ottenuto un discreto controllo.
Tutti i vampiri di alto ceto sociale avevano
dei poteri particolari, e quelli dei Livello A come lui in particolare potevano
essere davvero distruttivi, se non fosse per il fatto che richiedevano un
considerevole dispendio di energia.
Ma in quella situazione particolare, non
c’erano alternative.
Dal punto di vista di Kaien,
fu una specie di prodigio.
Da un momento all’alto, alzato lo sguardo dopo
l’ennesimo scontro per cercare il suo compagno di missione, lo vide come
scomparire nel nulla, e un istante dopo i Livello E tutto intorno presero a
incenerirsi uno dietro l’altro a velocità impressionante; prima ancora che uno
iniziasse a decomporsi, un altro dalla parte opposta del campo di battaglia già
lo seguiva meno di mezzo secondo dopo.
Neanche il più veloce dei vampiri sarebbe
stato capace di muoversi ad una tale velocità.
Passò un secondo, forse un secondo e mezzo, ed
Eric ricomparve; in quel lasso di tempo, tutti i Livello E sembravano essere
stati investiti da una mortale pioggia di fendenti, e uno dopo l’altro finirono
in cenere come in una mortale caduta di tessere.
Il direttore era senza parole; negli anni
aveva assistito a molte manifestazioni del potere di molti vampiri, ma non
ricordava di aver mai visto nulla del genere. Degno di un Livello A, senza
dubbio. Forse Eric non era del tutto contento del sangue che gli scorreva nelle
vene, ma certo sapeva come utilizzarlo.
«Ma come…come… mi spieghi come hai fatto!?»
«Te lo spiegherò un’altra volta. Ora devo
trovare Nagisa. Ho un brutto presentimento.» e senza
dire altro Eric corse via senza neanche rinfoderare i machete
«Aspetta!» tentò di dire Kaien,
ma ormai il ragazzo era già lontano «Accidenti ai vampiri. Talvolta non si
rendono conto di quanto sono speciali.» e tentò di raggiungerlo.
Era stato proprio il sopraggiungere di quella
brutta sensazione, come un presagio di imprevisto incombente, a spingere Eric a
fare ricorso al suo potere di vampiro per liberarsi in fretta di quegli
scocciatori e poter correre in soccorso della sua compagna, che percepiva
essere in pericolo.
Correndo quanto più possibile, il giovane
attraversò la foresta a tutta velocità, per poi immobilizzarsi di colpo alla
comparsa, tra la nebbia, del dottor Pavlov, che
bisturi alla mano minacciava Nagisa tenendola davanti
a sé; la ragazza era assente, frastornata, come se si fosse appena ripresa dopo
essere svenuta.
«Non muoverti!» urlò stringendo più forte Nagisa a sé «Un altro passo, e giuro che le taglio la
gola».
Eric non osò intervenire, ben sapendo quanto
una persona in quella situazione fosse capace di tutto.
«È tutta colpa loro.» disse il dottore dando
chiari segni di uno squilibrio crescente «Non avrei mai dovuto prestarmi al
loro gioco!»
«Loro chi!?»
«Il futuro della nostra specie!? Ma non farmi
ridere! Anche se devo ammettere che tutto questo potere dà davvero una bella
sensazione.»
«Ma di che stai parlando?»
«E dire che mi aveva anche promesso che non
sarebbe successo nulla! Mi aveva detto che avrei potuto fare quello che volevo,
senza preoccuparmi delle conseguenze.
Che ci avrebbe pensato lui! Ma mi stava solo
prendendo in giro!».
Il dottore ghignò follemente, mentre Nagisa ancora non riusciva ad essere padrona del proprio
corpo.
«Mi rifiuto di morire così.» e guardò Eric
pieno di odio impazzito «Mi rifiuto di morire per mano di un sangue puro
bastardo come te! È colpa di quelli come te se stiamo morendo!».
«È finita.» disse Eric «Puoi arrenderti e
vivere, o continuare e finire ammazzato.»
«Non fare tanto lo sbruffone! Fai una mossa, e
ammazzo questa cagna!».
Eric avrebbe potuto usare il suo potere come
aveva fatto poco prima, ma era passato troppo poco tempo e non aveva ancora
recuperato completamente le forze; se lo avesse fatto conosceva i rischi, e non
voleva assolutamente arrivare a quel punto.
«Perché lo fai?» domandò ancora Pavlov «Perché combatti dalla parte degli umani? Sei anche
tu un vampiro, dopotutto».
Il ragazzo non rispose e abbassò il capo,
lasciando cadere uno dei suoi due machete.
«Hai ragione. Anche io sono un vampiro.» disse
avvicinando l’altra lama alla mano
«Non muoverti!»
«E sai una cosa?».
Eric alzò gli occhi; erano pieni di fuoco.
«Tra tutti i vampiri, quello che odio
maggiormente sono proprio io.» e detto questo, si incise egli stesso il palmo
procurandosi una profonda ferita.
Il sangue sgorgò istantaneamente, rosso e
copioso, diffondendo nell’aria un profumo forte e pieno che stuzzicò il naso
dello stesso dottore; un aroma degno di un sangue puro.
La fragranza giunse fino alle narici di Nagisa, che lo respirò quasi senza accorgersene,
apparentemente fuori dal mondo com’era. Ma come quell’odore le arrivò al
cervello, qualcosa dentro di lei parve accendersi violentemente, liberando un
fiume di fuoco in tutto il suo corpo.
I suoi occhi divennero rossissimi, i muscoli
si tesero allo spasimo, e il suo viso assopito si mutò di colpo nel muso di una
bestia feroce.
Pavlov quasi non
si accorse di nulla; Nagisa, con uno scatto rabbioso
e aggraziato al tempo stesso, si liberò dalla stretta, quindi, voltatasi,
affondò i canini senza pietà nel braccio che fino a quel momento l’aveva tenuta
imprigionata.
I denti penetrarono la carne dell’avambraccio
con forza inaudita, e come la ragazza inflisse un violento strattone l’arto fu
strappato letteralmente via poco sopra il gomito. Il dottore era sgomento, la
bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite, ma si rese pienamente conto di
quello che era accaduto solo quando vide un torrente di sangue, il suo sangue,
fuoriuscire dal moncone.
L’urlo di Pavlov era
così forte da spaccare i timpani, e caduto a terra il dottore prese ad agitarsi
furiosamente mentre il terreno tutto attorno a lui si colorava di rosso.
Non poteva certo sapere che Nagisa era la succube di Eric, e che le sarebbe bastato il
semplice odore del sangue del suo padrone per liberare il suo lato più
selvaggio, oltre che tutti i suoi poteri di vampiro.
La vista del sangue, però, colpì anche Eric,
che rimase come pietrificato nel vedere quel mare vermiglio crescere e agitarsi
tutto attorno a lui. Per quanto cercasse di tenerli sotto controllo, i suoi
istinti erano sempre lì, pronti a riprendere forza alla prima occasione per
spingerlo a tradire i suoi principi.
Dovette sforzarsi per riuscire a mantenere la
piena padronanza di sé, una distrazione che Pavlov,
combattendo con il dolore, riuscì a sfruttare a suo vantaggio, alzandosi e
scappando via.
Nel tempo che Eric impiegò a riottenere il
controllo di sé, con lui in quel pezzetto di foresta c’era solo Nagisa, irriconoscibile con tutto quel rosso a colorarle la
bocca, il volto solitamente così grazioso e gentile, i capelli biondo oro, e il
suo bel vestito gotico bianco e nero.
Teneva ancora in mano il braccio strappato
alla sua vittima, leccandolo come un gelato e ingoiando violentemente tutto il
sangue che riusciva a trovare.
«Nagisa!» tuonò il
ragazzo con tono di ordine.
Solo a quel punto la ragazza parve riprendere
a sua volta il controllo, consapevole e inorridita allo stesso tempo di quello
che aveva appena fatto; i lunghi canini parvero sparire, il viso si distese, e
gli occhi rossi tornarono del loro solito colore azzurro.
Eric avrebbe voluto restare con lei nell’attesa
che si riprendesse completamente, ma il nemico si stava già allontanando, e
comunque tutto quell’odore di sangue era davvero troppo per riuscire a
sopportarlo, così il ragazzo si rimise all’inseguimento.
Nel
mentre il dottore, tenendosi stretto il moncone con l’unica mano rimasta, aveva
ripreso nella sua corsa disperata verso una qualche salvezza.
La ferita, orribile per un essere umano, non
era certo un problema per un vampiro, ma in quel momento la minaccia era altra.
Sapeva bene di non avere speranze contro quel
livello A, quindi doveva allontanarsi da lì il prima possibile.
Corse, corse senza fermarsi e a perdifiato,
cercando di scendere quanto prima dalla montagna, quando all’improvviso avvertì
una sensazione terribile, come di essere osservato.
Pensò che fosse quel cacciatore maledetto, ma
capì quasi subito che quella presenza era mille volte più pericolosa e
spaventosa; e, quello che era peggio, la conosceva.
Neanche il tempo di pensare di fare qualcosa,
che una figura tetra e minacciosa gli sbarrò la strada; anche solo vederlo
metteva terrore, e le sue intenzioni non parevano per nulla amichevoli.
«Che ci fai tu qui?» balbettò Pavlov facendo qualche passo indietro con il terrore nello sguardo
«Tu mi hai ingannato. Dicevi che non sarebbe successo niente…
Aspetta? Che cosa vuoi fare? No… no, ti prego. Non
voglio morire. Aspetta… No!».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Onestamente, non credo che questo sia il momento migliore per aggiornare.
Immagino che in questo momento metà della sezione sia da
tutt’altra parte, vista anche la giornata fantastica; purtroppo, il povero
sfigato qui presente potrà andare in vacanza soltanto ai primi di settembre, di
conseguenza per ora posso solo ingoiare e sopportare.
Comunque, questo capitolo è parecchio lungo, e lo sarebbe
stato ancora di più se fossi arrivato dove volevo, ma visto le nove e passa
pagine già raggiunte ho deciso di fermarmi qui.
Nel prossimo, altra faccia nota in arrivo.
Se và tutto bene, dovrei poter aggiornare per mercoledì.
Un
urlo disumano squarciò la foresta, venendo udito fin quasi nel villaggio, una
specie di grido infernale che si sarebbe detto provenire dallo stesso
oltretomba.
Eric, ancora all’inseguimento, lo sentì, e
senza neanche perdere tempo a domandarsi quale ne fosse la causa corse in
quella direzione.
Quando però arrivò in una piccola radura
circondata dagli alberi, l’unica cosa che trovò furono i vestiti insanguinati e
strappati del dottore; il suo corpo, infatti, era già sparito. Accanto ai
vestiti c’era un giovane, bellissimo, capelli castani un po’ lunghi e occhi
rosso scuro.
Vedendolo, Eric si immobilizzò; già solo il
portamento bastava a indovinarne lo status, e quello sguardo ne era la prova
inconfutabile. Solo un nobile poteva avere occhi così.
Una cosa era certa: non aveva assolutamente
nulla di amichevole, nonostante quell’espressione distesa e lo sguardo gentile.
«Chi sei?» domandò il ragazzo.
Quello alzò gli occhi; erano glaciali nel loro
distaccamento dal mondo.
Poi, come se nulla fosse, girò i tacchi e fece
per andarsene.
Era una più che palese dimostrazione di poco
rispetto nei suoi confronti, e di tutta risposta Eric lanciò un paletto contro
un tronco lì accanto, mancando volutamente il nuovo venuto, che quindi si fermò
nuovamente.
«È cortesia rispondere ad una domanda».
Il vampiro dagli occhi di ghiaccio a quel
punto, finalmente, si risolse ad obbedire.
«Kuran. KanameKuran».
Eric sbiancò nel sentire quel nome.
Del resto, tutti conoscevano KanameKuran, il patriarca e, per
quanto si sapeva, ultimo superstite della famiglia Kuran.
La sua abilità era quasi leggendaria tra gli altri vampiri, e tutti gli
portavano rispetto.
Da quando il suo casato era stato distrutto
non si era più saputo nulla di lui, e adesso improvvisamente ricompariva in
quell’angolo d’Europa fuori dal mondo e dimenticato da Dio.
Ma che cosa ci faceva uno come lui in un posto
simile?
«Perché hai ucciso Pavlov?».
Di nuovo, Kaname non
rispose, una condotta che faceva salire il sangue alla testa al giovane Flyer
più di qualsiasi altra cosa; non c’era niente che odiasse più dei modi di fare
dell’aristocrazia, con quel loro atteggiamento superficiale e superbo, e quel
loro guardare tutti, compresi i propri parigrado, dall’alto in basso con
incredibile sufficienza.
«Quale rimpianto.» disse improvvisamente Kuran
«Cosa!?»
«Un fratello di sangue, un vampiro, che
rinnega la sua stessa natura».
Eric tentennò, visibilmente colpito.
«Pur essendo una creatura della notte,
disprezzi e combatti ciò che il destino ti ha donato, rifiutandolo al punto da
rinunciare a nutrirti.»
«Questo non è un dono.» replicò Eric alzando i
machete, mentre il fuoco si accendeva nei suoi occhi «È una maledizione!»
«Perché odi così tanto i vampiri? Non
comprenderai mai le potenzialità e la vastità dei tuoi poteri, fino a che non
imparerai ad accettarti.»
«Io sto bene così.»
«Ne sei sicuro? Credi davvero di poter
affrontare un tuo parigrado come me, pur rinunciando a possibilità che egli
invece non ha alcuna paura di sfruttare, anche se significa liberare la sua
vera natura?»
«Mettimi alla prova!».
Senza rifletterci oltre, e ignorando il fatto
stesso di non essere esattamente al top delle sue energie, tra il combattimento
appena sostenuto e l’emorragia alla mano che non smetteva di sanguinare, il
ragazzo partì alla carica come un toro infuriato.
Kuran non si
mosse, seguitando a mantenere quel sangue freddo e quell’aria distaccata che
tanto irritavano il suo avversario, e quando Eric calò su di lui si limitò a
schivare tutti i fendenti e gli affondi con sconcertante noncuranza, quasi per
gioco per come gli veniva facile.
Dal canto suo Eric era troppo stanco e
arrabbiato per impostare un’azione realmente pericolosa, e maneggiava i suoi
machete come un autentico principiante.
Kaname continuò
a schivare i fendenti per qualche minuto, poi arrivò un doppio colpo
orizzontale da destra a sinistra che teoricamente poteva colpirlo; per nulla
intimorito, Kuran prima si spostò indietro, poi
incredibilmente protese il palmo in quella direzione, mettendolo proprio sulla
traiettoria del colpo.
Le armi cozzarono violentemente contro la
pelle candida del vampiro come su di una parete d’acciaio, e quasi subito,
sotto gli occhi sgomenti e terrorizzati di Eric, andarono entrambe in frantumi;
quelle armi così potenti, che aveva ottenuto il giorno del suo ingresso nell’associazione,
erano ora ridotte a schegge frantumate, che come pioggia caddero sul terreno
tutto attorno, lasciando il giovane Flyer con nulla altro tra le mani che le
due impugnature.
«Non... non è possibile…».
Per la forza del contraccolpo il ragazzo
rovinò a terra, ritrovandosi come non avrebbe mai voluto in tutto il suo
orgoglio; in ginocchio.
Non riusciva a crederci; mai prima d’ora aveva
subito un’umiliazione simile, e peggio di tutto l’aveva subita da un Livello A,
i vampiri che più odiava tra tutti quanti.
Proprio in quel momento sopraggiunse Kaien, appesantito dal fardello di Nagisa;
l’aveva trovata nel mezzo della foresta già svenuta, una cosa piuttosto seria
oltretutto, ed era stato costretto a caricarsela in spalla.
«Kuran!» urlò
vedendo Kaname sovrastare Eric.
Non che fosse preoccupato o in pensiero per la
sorte del giovane Flyer, visto e considerato che se Kaname
avesse voluto ucciderlo non lo avrebbe certo trovato lì, ma sapeva quanto il
divario tra i due fosse abissale, e voleva fermarli prima che qualcuno si
facesse male.
Kaname allora si
girò verso di lui.
«Direttore. Hanno assegnato a Lei questa
missione?»
«Che ci fai tu qui? Erano anni che non ti si
vedeva.»
«Avevo una faccenda da sbrigare».
Poi Kuran guardò
Eric, ancora inginocchiato a terra con l’espressione fuori dal mondo e gli
occhi piantati su quanto restava delle sue armi.
«Confido che tu ora abbia capito. È questo
quello che succede quando si soffocano i propri istinti. Non puoi cambiare il
fatto dell’essere un vampiro, e prima accetterai la tua natura prima ne potrai
sfruttare i benefici».
Detto questo, Kaname
si girò e fece per andarsene; le sue parole, però, avevano acceso nuovamente la
rabbia e l’orgoglio di Eric, che digrignando i denti si rimise in piedi dopo
aver stretto con forza le impugnatura dei suoi machete fino a sbriciolarle.
«Questo non succederà! Non osare mettermi sul
tuo stesso piano, sudicio schifoso vampiro! Ho giurato a me stesso che non
avrei mai più bevuto sangue, né ingoiato le vostre maledette compresse! Non me
ne frega niente della tua filosofia malata! Se è vero che devo bere sangue per
liberare tutti i miei poteri, allora ne faccio volentieri a meno!
Ma questo non toglie il fatto che la prossima
volta che c’incontreremo, io ti ucciderò!».
Kaname si fermò
e volse leggermente il capo, fissando enigmatico Eric, che serrò i denti e lo
guardò con occhi ancor più carichi di sfida.
«Staremo a vedere. Sono curioso di scoprire
fin dove può arrivare questa tua filosofia. Dimostrami che hai ragione, e fammi
vedere se la tua parte umana è davvero così forte.
Ma la prossima volta, sappi che neppure io mi
tratterrò.
Ti saluto».
A quel punto Kuran
scomparve mutandosi in nebbia, lasciando i due cacciatori da soli.
Per interminabili secondi dominò un silenzio
spaventoso, rotto solo dal soffiare del vento attraverso i rami degli alberi.
«La missione è conclusa.» disse infine Kaien con un filo di voce «Sarà meglio fare ritorno a San
Pietroburgo».
Eric stette qualche altro istante ad osservare
il punto dove Kaname era sparito, poi, con gli occhi
inondati di lacrime, si buttò nuovamente in ginocchio sventrando il terreno con
i pugni, diffondendo un urlo agghiacciante in tutta la valle.
Nella
parte meridionale della Croazia, al confine con la Bosnia, c’era un vecchio
maniero di epoca medievale, perso tra le montagne e le foreste che
caratterizzavano quello sperduto angolo d’Europa.
Un luogo sconosciuto a chiunque non sapesse
dove cercarlo; secondo la leggenda era stato costruito dagli ungheresi per
difendersi dalle invasioni mongole, ma a giudicare dal disegno e dalla
raffinatezza tutta particolare dei bastioni e degli edifici era più probabile
che risalisse al periodo della dominazione veneziana di quelle terre.
Per secoli era rimasto deserto, nascosto dalla
foresta agli occhi di chi abitava o transitava nei suoi pressi, ma di recente
era diventata la dimora di messer MilosManovic, un ricco magnante croato
che come tanti aveva fatto i soldi con la fine del comunismo e la disgregazione
dell’ex Yugoslavia.
Strano uomo questo messer Manovic.
Nessuno conosceva il suo volto, poiché quasi
nessuno aveva, nemmeno i suoi soci e i membri del consiglio d’amministrazione
del suo sterminato impero, aveva mai avuto il privilegio di incontrarlo, mentre
i pochi che invece avevano avuto questo onore non erano mai stati messi al
corrente dell’identità di chi avevano di fronte.
Conduceva una vita isolata, quasi eremitica,
in quel remoto castello che aveva comprato e rimesso a nuovo in meno di due
anni. A nessuno era permesso di accedervi; chi voleva mettersi in contatto con
lui poteva farlo solo attraverso la rete, e in ogni caso a rispondere era
sempre la sua fedele segretaria, una giovane molto bella dai corti capelli nero
vermiglio e dallo sguardo di ghiaccio di nome Shezka,
che il più delle volte parlava e deliberava in sua vece.
Altra cosa insolita, era reperibile unicamente
la notte; dopo il tramontare del sole, con un po’ di fortuna, era possibile
parlare direttamente con lui, per quanto se ne potesse sentire solo la voce, ma
per il tutto il resto del giorno ad essere disponibile era solo la signorina Shezka.
Certo, tutti conoscevano e dibattevano circa
l’eccentricità di messer Manovic, ma nessuno sarebbe
mai arrivato ad immaginare quale fosse il reale segreto all’origine del suo
comportamento, gelosamente custodito sia da lui che dai pochi fedelissimi ai
quali era concesso di transitare per quelle mura.
Durante la notte, il cavaliere, altro titolo
onorifico con il quale era internazionalmente conosciuto, trascorreva gran
parte del suo tempo nella ricchissima biblioteca del castello, leggendo un
libro dietro l’altro; la sua materia preferita era la magia, e sull’argomento
poteva vantare la più ricca collezione al mondo.
Anche quella notte era intento a leggere,
seduto comodamente ad una elegante poltrona affacciata al grande finestrone
della stanza, immerso in una oscurità quasi totale, e con accanto un tavolino
su cui era appoggiato un bicchiere di quello che solo a prima vista poteva
sembrare vino rosso.
D’un tratto nella stanza entrò proprio Shezka; oltre all’aspetto leggermente enigmatico, l’abito
attillato color lilla che indossava rendeva la sua bellezza ancor più sinistra.
«Mi scusi, padrone. Il signor Kuran è ritornato. La attende nella sala della pietra.»
«Grazie di avermi avvisato».
Qualche minuto dopo il cavaliere, seguito
sempre dalla sua fedele attendente, uscì dalla stanza, quindi, una volta
nell’androne principale, tramite una stretta scalinata a chiocciola scese nei
sotterranei, fino a raggiungere un’immensa sala a volta al centro della quale
si trovava il gigantesco diamante grezzo che la sua spedizione aveva ritrovato
in Groenlandia anni prima, e che lui aveva fatto portare fin laggiù in tutta
fretta.
Tutto attorno vi erano macchinari ed
apparecchiature di vario genere, destinati sicuramente a compiere studi sulla
pietra, posta su di una specie di pedana circondata da cavi e tubature.
KanameKuran era in piedi di fronte al cristallo, quasi a cercare
di scorgerne meglio le strane sfumature che si intravedevano al suo interno, e
che rassomigliavano vagamente ad un corpo umano.
«È tutto sistemato?» domandò avvicinandosi al
ragazzo e volgendo a sua volta lo sguardo alla pietra
«Assolutamente. Il vampiro mutante è stato
abbattuto.»
«Questo incidente ci ha prodotto una bella
seccatura. D’altra parte però, ci ha anche permesso di approfondire le nostre
conoscenze, e mettere alla prova il risultato delle nostre ricerche iniziali.»
«Purtroppo, il dottor Pavlov
non è stato l’unico. Altri sono fuggiti dal centro di ricerca.»
«Non c’è problema. Se ne sta occupando Hanabusa. Per quelli che rimangono, è solo una questione di
tempo. Le nostre squadre di ricerca sono già al lavoro».
Entrambi poi stettero per un po’ in silenzio
ad osservare il diamante; anche Shezka, sempre un
passo indietro rispetto al suo padrone, fece altrettanto.
«Certo, speravo che dopo tutti questi anni di
lavoro i risultati fossero un po’ più incoraggianti.»
«Forse questa non è la soluzione, dopotutto.»
ipotizzò Kaname
«Ti sbagli, ragazzo. Questa è davvero l’ultima
speranza che ci rimane».
Poi, Manovic sospirò
un momento come pensieroso, quindi tornò a fissare il cristallo.
«Dobbiamo accettare la verità. La nostra
specie sta morendo. Negli ultimi diecimila anni il nostro numero non ha fatto
che diminuire, mentre al contrario gli umani sono diventati sempre più
numerosi. Ad oggi, il rapporto tra noi e loro è di uno a mille. Se andiamo
avanti di questo passo, nel giro di poche migliaia di anni saremo completamente
estinti.
Questa ricerca è l’unica cosa che può dare un
futuro all’intera stirpe della notte».
Il cavaliere fece una nuova pausa, e di nuovo
sospirò.
«Ma ora dimmi, che ti è parso di mio nipote?»
«Ha del talento.» rispose Kaname
dopo un momento di esitazione «Del resto, è pur sempre l’erede dei Lorenzi.»
«Già.» replicò Manovic
con espressione contrariata «Nonostante il sangue bastardo che ha nelle vene,
dispone di un potere inimmaginabile. Ed è questo che mi fa maggiormente
arrabbiare. Chissà cosa sarebbe stato, se avesse avuto un vampiro anche come
padre.»
«Ma quel potere lui lo reprime. Così come
reprime la sua sete di sangue, e la sua stessa natura.»
«Non fa alcuna differenza. Può lottare quanto
gli pare, ma prima o poi si dovrà arrendere all’evidenza. Non potrà combattere
per sempre la sua vera natura.»
«Se volete sapere come la penso» disse con
voce gioviale ma saccente il giovane biondo che aveva ritrovato la pietra in
Groenlandia comparendo dalla porta d’ingresso della sala «State tutti
decisamente sopravvalutando quell’incompetente.»
«Kilyan.» intervenne
Shezka «Non dimenticare che stai parlando di un tuo
superiore.»
«Un vampiro che non beve sangue e non và a
caccia, ma ci pensate? Se la maggior parte dei nobili sono così, non c’è da
meravigliarsi se i vampiri stanno morendo.»
«Hanabusa, non avevi
un incarico da svolgere?» domandò invece Kaname col
suo solito tono pacato ma fermo
«Già tutto risolto. Ogni singola cavia da
laboratorio fuggita dal centro e rifugiatasi in America è stata eliminata.
Dovevate vedere le facce di quelli
dell’associazione! Quando arrivavano loro, io avevo già finito da un pezzo».
Il cavaliere sorrise di approvazione.
«Ben fatto. A questo punto, mancano solo
quelli fuggiti in estremo oriente. Ma li abbiamo già rintracciati quasi tutti,
e comunque non dovrebbero essere molti. Possiamo tranquillamente lasciare che
se ne occupi l’associazione.
Vista la situazione, non è il caso di esporsi
ulteriormente.» poi il cavaliere si volse verso Shezka
«Comunque, per sicurezza, vorrei che tu andassi laggiù. Non serve che tu
agisca. Limitati ad osservare.»
«Come desiderate».
Manovic a quel
punto tornò a guardare la pietra.
«Questa ricerca è la nostra salvezza. Non
permetterò che venga vanificata».
«Come
sarebbe a dire non fare niente?» sbraitò Eric battendo i pugni sulla scrivania
del direttore Ivanov, capo della sede di San
Pietroburgo
«Gli ordini sono chiari.» rispose schietto
l’austero superiore
«Ma avete capito o no quanto la situazione sia
seria? Questi vampiri sono diversi da quelli che conosciamo. Si muovono senza
problemi alla luce del sole, e possono vampirizzare chiunque nonostante il loro
basso livello. Ma peggio di tutto, chiunque mordono diventa istantaneamente un
livello E.
Uno solo di questi vampiri potrebbe crearsi un
intero esercito in poche ore. Se ci è riuscito Pavlov
in uno sperduto eremo dei Carpazi, cosa potrebbe fare uno come lui in una città
come questa!?»
«Siamo già a conoscenza dell’esistenza di
questi vampiri mutanti.»
«Che cosa!?» esclamò il ragazzo
«E non solo noi. Anche il senato e l’alta aristocrazia
dei vampiri sanno di questo problema. Attualmente ci troviamo nel bel mezzo
dell’indagine, e stiamo cercando di capire chi o che cosa sia all’origine della
loro comparsa.
In ogni caso, questo è un problema che non la
riguarda più.»
«Che intende dire?».
Il direttore prese allora un foglio da un
cassetto e lo porse ad Eric, che come lo lesse divenne rosso di rabbia.
«Sospensione dal servizio!?»
«Cos’altro si aspettava dopo quello che è
successo? Non solo hai mancato di rispetto ad un vampiro d’alto rango come KanameKuran, ma hai persino
combattuto con lui. Onestamente non so come tu faccia ad essere ancora vivo.»
«Quel bastardo ha ucciso Pavlov!
Potevamo ottenere informazioni importanti da lui, e invece…»
«Ciò non toglie che il nobile Kuran si trovasse laggiù su mandato e ordine del senato dei
vampiri. Attaccandolo, è un po’ come se tu avessi ostacolato la sua missione.
E dando un’occhiata alla tua scheda, questa
non è la prima volta che la tua mancanza di autocontrollo causa dei problemi.
Di solito più richiami portano all’espulsione
immediata, ma tenendo conto dei tuoi risultati si è deciso, almeno per questa
volta, di passare sopra i tuoi metodi altamente discutibili, in cambio di una
piccola ammenda».
Senza rendersene conto Eric fece scomparire il
foglio per la rabbia e serrò i denti.
«Mi mettete in castigo?»
«Consideralo un periodo di riposo. E anche un’occasione
per riflettere sulla tua condotta. Sei sospeso per tre mesi. Rientra in
Giappone, e resta in attesa di nuova comunicazione».
Eric ringhiò come un drago infuriato, ma poi
dovette ingoiare il boccone amaro e se ne andò.
«Al diavolo!» sbraitò mentre usciva sbattendo
la porta.
Fuori dalla stanza trovò ad attenderlo Kaien, appoggiato al muro braccia conserte ed occhi chiusi;
sembrava stranamente felice, o quantomeno ironico.
«Che dicevi a proposito dei doveri dell’associazione?»
disse Eric facendogli il verso
«Farti rompere le ossa da Kuran
non rientrava nelle direttive di missione, o sbaglio?
Comunque, puoi ritenerti parecchio fortunato. Ho
visto molti vampiri più forti di te finire inceneriti per molto meno da quel
ragazzo».
A quel punto Kaien
alzò gli occhi, fattisi terribilmente severi e preoccupati.
«KanameKuran ha rinunciato alla sua anima molto tempo fa. Se
ritiene di stare facendo la cosa giusta, non esita a passare sopra tutto e tutti
pur di arrivare al suo scopo».
Il solo pensare a Kuran
fece inalberare ulteriormente Eric, che si sfogò sventrando la parete lì
accanto con un pugno. In particolare, non riusciva a togliersi dalla testa le
sue parole.
«Se essere un vero vampiro significa essere
come lui.» disse ripensando al suo sguardo senza emozioni «Allora sono felice
di non esserlo».
Poi, una volta calmatosi, pensò alla sua
partner; Nagisa non si era più ripresa dopo quanto
successo in quel bosco, e una volta tornata a San Pietroburgo era stato
necessario sottoporla a cure mediche appropriate. Lo choc derivato dalla
liberazione senza freni dei suoi poteri di vampiro in modo così improvviso
aveva indebolito il suo fisico, già gravemente provato da tutte le prove che
quella ragazza aveva dovuto sopportate nel suo recente passato; la
somministrazione di sangue fresco, che anche lei come il suo padrone si
rifiutava di consumare, le aveva evitato conseguenze più gravi, ma perché potesse
riprendersi del tutto sarebbe servito ancora del tempo.
«Come sta Nagisa?»
«Abbastanza bene.» rispose Kaien,
che era appena andato a trovarla «Le ci vorrà un po’ per smaltire quell’esperienza,
ma in un paio di settimane sarà di nuovo in piedi».
Eric, però, non poteva aspettare due
settimane.
L’ordine era di fare immediatamente rientro a
Tokyo, e disobbedire poteva voler dire la radiazione.
«Tu cosa farai?» chiese allora al direttore
«Credo che me ne ritornerò alla mia accademia.
Questa breve parentesi è stata anche troppo per i miei gusti. Ormai non ho più
l’età per cose simili.
E tu invece? Ti concederai un po’ di riposo?».
Eric guardò i foderi alla sua cintura, ormai
privati del loro contenuto.
«Una cosa è certa, mi serve una nuova arma. Per
prima cosa credo che contatterò un mio vecchio amico. Poi, si vedrà. Di certo
non intendo starmene con le mani in mano.»
«Sta attento, ragazzo.» disse Kaien mentre Eric si allontanava «Mi dispiacerebbe se un
domani mi fosse dato l’ordine di usare le maniere forti per rimediare alle tue
intemperanze.
Se posso darti un consiglio, approfitta di
questo tempo per riflettere su quanto accaduto».
Il ragazzo non rispose, ma non visto digrignò
i denti per la rabbia ed il senso di impotenza; a volte quel lavoro faceva
proprio schifo.
Erano
almeno due anni che Eric non metteva piede a Tokyo.
La città era sempre la stessa; caotica e
frenetica. Una combinazione che non gli era mai piaciuta.
E sì che ci aveva vissuto nei suoi primi anni
di vita.
Aveva visto quella città risorgere dalle
macerie alla fine della guerra, espandendosi sempre di più, fino a diventare la
megalopoli che era ora; persino la casa dove era vissuto, alla nascita persa
nella semi-periferia, ora si trovava quasi in centro, al limitare del quartiere
di Ikebukuro, stretta tra i palazzi che negli anni le
erano cresciuti intorno distruggendone il panorama.
Eric giunse in vista di casa sua a sera
inoltrata, quando ormai la capitale del Giappone era illuminata solo dalle sue
miliardi di luci, trovandola, come si aspettava, deserta.
Negli ultimi tempi sua madre e il suo patrigno
facevano continuamente avanti e indietro tra l’Italia e il Giappone, per
cercare di rimettere insieme i cocci dell’impero dei Lorenzi che sua madre
aveva deciso, nonostante tutto, di fare rinascere.
Mise una mano in tasca, prendendone fuori le
chiavi; nonostante tutto non se ne era mai separato, e fu quasi sorpreso nel
vedere che fossero ancora buone.
Non che tornare lì gli facesse piacere; al
contrario, la cosa non lo entusiasmava minimamente. Ma gli ordini erano chiari;
per i successivi tre mesi avrebbe alloggiato in quella casa e frequentato un
qualsivoglia liceo come un normale studente.
Forse i capi speravano che in questo modo i
suoi bollenti spiriti si sarebbero raffreddati, invece questo comportamento
riusciva solo a farlo inalberare ulteriormente.
Entrò.
Non era cambiato niente, dopo tre anni. Gli stessi
mobili, lo stesso arredamento; la stessa atmosfera. Eric era sicuro che persino
la sua camera fosse rimasta uguale, ma non aveva certo voglia di scoprirlo.
Non c’erano molte luci, ma non che la cosa
dovesse sorprendere; in fin dei conti, era pur sempre la casa di una coppia di
vampiri.
Entrato in cucina, trovò un biglietto affisso
allo stipite della porta, risalente come minimo a due o tre mesi prima; era di
sua madre, che gli augurava il bentornato e gli diceva che in casa c’era tutto
quello che gli poteva servire, dal cibo ai medicinali.
Chissà quanti altri simili ne aveva scritti in
quei tre anni, sempre nella speranza di non ritrovarli al proprio rientro in
Giappone, a testimonianza del fatto che il suo unico figlio si ricordava ancora
dove fosse quella casa.
Guardò l’orologio, lì dove era sicuro che ci
fosse ancora; era ancora piuttosto presto, e poteva già recarsi dal suo
fornitore abituale. D’altronde, meno tempo trascorreva lì dentro meglio si
sarebbe sentito.
In verità, era ancora molto contrariato per
tutto quello che gli era capitato in quegli ultimi giorni.
Prima l’umiliazione con Kaname,
poi la sospensione, e infine la lavata di capo sul suo comportamento.
Ma tutte queste cose non lo toccavano
minimamente, almeno per quanto riguardava la filosofia malata di Kuran: aveva fatto una scelta di vita, e l’avrebbe portata
avanti a qualsiasi costo.
Anzi, ora più che mai era determinato a
seguitare nel sentiero che si era scelto, per dimostrare a quel nobile
arrogante che poteva essere alla sua altezza senza bisogno di diventare come
lui.
Ma non poteva certo affrontarlo a mani nude;
gli serviva un’arma, se non altro per compensare a quei poteri di cui non
poteva usufruire per il suo rifiuto a bere il sangue.
Per la prima volta in tanti anni si sentiva
inadatto, inferiore. Incontrare un Sangue Puro come Kaname
aveva drasticamente ridisegnato la sua percezione del mondo nel quale si
muoveva, e contribuito in un certo senso ad accrescere il suo desiderio di essere
il quanto più diverso possibile da quei Livello A così arroganti e
superficiali.
Preso il treno, arrivò a Shinjuku, dove il suo
contatto aveva il proprio rifugio-bottega, ma mentre attraversava il parco
lungo una strada deserta e poco illuminata, di colpo, sentì un odore molto
strano.
Era odore di sangue, senza dubbio, ma
particolare; era stranamente dolce, sicuramente attraente, e a giudicare dalla
forza chi lo stava producendo non doveva essere molto lontano.
Lì per lì non ci fece troppo caso, preso com’era
dai suoi pensieri, ma dopo neanche un minuto quell’odore, affievolitosi
leggermente, venne coperto da un altro, uno molto più minaccioso, che lo fece
trasalire, spingendolo a guardarsi attorno preoccupato.
«Livello E!» esclamo.
D’improvviso, un urlo di ragazza, accompagnato
da una disperata richiesta di aiuto, squarciò il silenzio tutto intorno, e
senza rifletterci ulteriormente il giovane cominciò a correre in quella
direzione.
I
Livello E potevano pure essere delle bestie assetate di sangue, ma era anche
vero che non erano stupidi al punto da attaccare una potenziale vittima lì dove
potevano essere facilmente scoperti.
Quella situazione, poi, era doppiamente
insolita; non solo quei Livello E avevano deciso di punto in bianco di attaccare
una giovane ragazza delle superiori che rientrava a casa dai corsi serali, ma
per farlo si erano addirittura radunati tutti insieme, una cosa che nella loro
coscienza bestiale non facevano quasi mai.
Il suo sangue doveva averli fatti
letteralmente impazzire, perché oltre ad attaccare lei avevano ucciso e fatto a
pezzi chiunque potesse frapporsi fra loro e la loro preda, tra cui un
poliziotto di una stazioncina del parco dove la
ragazza si era recata per chiedere aiuto.
Ora quella poveretta era lì, da sola, seduta
in terra, con la schiena appoggiata alla parete del casotto e una decina di
Livello E a circondarla con le bocche schiumanti e gli artigli snudati.
Era davvero molto carina, capelli neri molto
lunghi raccolti con un nastro poco sopra le punte e occhi di un blu
intensissimo pieni di terrore per quella creature mostruose e sconosciute;
annodato attorno ad un ginocchio aveva un fazzoletto leggermente insanguinato. Probabilmente
si era ferita camminando, e doveva essere stato quello a far impazzire i
Livello E.
Uno di questi, quello che aveva ucciso il
poliziotto, era salito sul tetto del casotto, la bocca e le mani ancora
insanguinate e gli occhi fuori dalle orbite per l’ansia e l’attesa di riempirsi
ancora lo stomaco. Pazzo di fame saltò giù tentando di ghermire la sua preda
dall’alto, ma proprio in quel momento Eric giunse sul posto piombando dall’alto
e portandogli via la testa con una poderosa artigliata che lo incenerì all’istante.
Come il ragazzo si frappose tra i vampiri e la
ragazza, i Livello E arretrarono spaventati, comprendendo immediatamente il
potenziale e la pericolosità del nuovo venuto.
«Mi dispiace per voi.» disse rialzandosi dalla
posizione inginocchiata «Ma oggi mi avete trovato con le palle girate».
Contro avversari simili non c’era neanche
bisogno per Eric di fare ricorso al suo potere, ma come detto da lui stesso
quella sera aveva tanta di quella rabbia in corpo che sentiva il bisogno di
sfogarsi.
La ragazza, sempre più attonita, lo vide
dapprima scomparire per un istante, e subito dopo tutti quegli strani essere
vaporizzarsi davanti ai suoi occhi, lasciando dietro di sé solo i vestiti.
Passata la minaccia, Eric volse lo sguardo
verso di lei, la quale dal canto suo non parve per niente intimorita da quel
ragazzo dagli occhi così tristi e profondi, così cupo ma dall’aria
apparentemente tanto nobile e gentile.
Eric le si avvicinò, porgendole la mano.
«È tutto apposto? Ti hanno morsa?».
Poi, però, accadde qualcosa.
Quando il fetore emesso dai livello E si
dissolse, quell’odore che Eric dapprima aveva avvertito solo di sfuggita gli
arrivò invece dritto al cervello come una freccia, provocandogli una sete come
non ricordava di aver mai provato in vita sua.
Era un aroma così dolce, così irresistibile. Nessun
vampiro avrebbe potuto restargli indifferente.
Esistevano diverse gradazioni di purezza e
dolcezza con cui i vampiri classificavano il sangue umano; più il sangue era
dolce e puro, più potere e appagamento si ricavava dal berlo, e un sangue dolce
come quello di quella ragazza non era facile da trovare.
Il giovane Flyer sentì di stare perdendo il
controllo; anche i suoi occhi si stavano tingendo di rosso.
«Ti senti bene?» domandò la ragazza vedendolo
girarsi nascondendo il volto dietro ad una mano
«Non ti avvicinare.» mormorò lui trattenendosi
a fatica.
Doveva andarsene subito, o rischiava di fare
qualcosa di cui avrebbe potuto pentirsi. Come fece per scappare, però, la ragazza
lo fermò.
«Aspetta!» ed esitò un momento, poi fece un
inchino «Grazie di avermi aiutata. Io mi chiamo Izumi.
Izumi Asakura.»
«Io… sono Eric.»
rispose lui «Eric Flyer.» e detto questo spiccò un salto altissimo scomparendo
nella notte.
Nota dell’Autore
Salve a tutti.^_^
Non vi aspettavate un
aggiornamento così rapido,eh?
Beh, siamo in estate
dopotutto, e visto che non posso andare in vacanza cerco comunque di
valorizzare il mio tempo libero (anche perché da settembre e fino a natale ne
avrò ben poco, temo).
Allora, che ve ne pare
fin qui?
Eric ha ricevuto una
bella lezione, ma state certi che la cosa non finisce qui. Tra lui e Kaname non è affatto finita, anzi.
Per il prossimo
capitolo datemi qualche giorno. Questo lo avevo già tutto in testa, il prossimo
invece (un po’ di anime scolastico, per chi piace) sarà un po’ più complesso,
ma spero di farcela per la settimana.
Il
contatto e fornitore di Eric, così come della maggior parte dei cacciatori
giapponesi, era Kogoro Negi, uno svampito e
apparentemente superficiale quarantenne ritiratosi dalle operazioni sul campo a
causa di una ferita ad una gamba che da allora lo costringeva ad una zoppia
mediamente pronunciata.
Anche se i suoi proventi come fornitore di
armi, equipaggiamenti e altre cose all’associazione era più che sufficiente per
garantirgli uno stile di vita decoroso, lavorava anche a tempo perso come
insegnante di scienze alla Toyama, dove si occupava anche
del club di pugilato, attività nella quale in gioventù aveva militato a livello
agonistico.
Fisicamente era una persona assolutamente
normale: capelli castani leggermente sparati, occhi marroni, pelle leggermente
scura, aspetto vagamente trasandato ed espressione asciutta, quasi asettica.
Aveva fama di essere un gran donnaiolo,
nonché, nella maggior parte delle occasioni, una persona terribilmente
superficiale, che dava poca importanza a qualsiasi cosa gli capitasse attorno.
Abitava in un appartamentino a due passi dalla
scuola, ma nel garage, che aveva personalmente e segretamente ampliato, aveva
un vero arsenale a libero accesso dei suoi ex colleghi; in cambio di tutte
queste forniture, che solo lui riusciva a procurarsi attingendo dai giusti
canali, l’associazione si assicurava a suon di bustarelle che nessuno andasse a
controllare il sospetto andirivieni di gente in quella palazzina.
Quella sera Kogoro non stava facendo
assolutamente nulla; stravaccato sul divano del suo salottino, circondato dal
solito, preciso e puntiglioso disordine da scapolo, faceva zapping fissando il
televisore con sguardo annoiato, di chi non sa come far passare il tempo.
Un improvviso e violento bussare alla porta lo
fece quasi cadere a terra per lo spavento, e con lo sguardo chiaramente
scocciato andò ad aprire la porta.
«Quale rara visione!» commentò vedendo Eric
palesarsi davanti a lui «Il ritorno del figliol prodigo.»
«Ho bisogno del tuo aiuto.» tagliò corto il
ragazzo
«Lo immaginavo.» disse sospirando Kogoro
«Entra».
Il ragazzo entrò dunque in casa, cercando per
quanto possibile di non incespicare in tutto quel disordine.
«Accidenti, questo posto è rimasto una
discarica.»
«Immagino che tu non sia venuto qui solo per
fare acide osservazioni sul mio stile di vita.»
«No, infatti.» ed Eric mostrò quanto restava
dei suoi machete «Ho bisogno di una nuova arma».
Kogoro guardò sorpreso quei due monconi
spaccati, per poi passarsi sconfortato una mano sulla fronte.
I casi erano due: o quello scapestrato di
vampiro ne aveva abusato, il che non avrebbe dovuto sorprendere, o aveva
incontrato sulla sua strada qualcuno di terribilmente fuori dal comune, perché
non c’erano molte cose in grado di resistere ad una coppia di armi così potenti
come yin e yang.
Lo sapeva bene; gliele aveva procurate lui.
«Quando imparerai ad avere cura delle tue
cose?» domandò sconsolato, visto e considerato che quella era la seconda volta
che Eric mandava in pezzi il suo equipaggiamento «Se ti serve un’arma, perché
non chiedi direttamente all’associazione? Loro non hanno problemi a
fabbricarle.»
«C’è stato un piccolo problema».
Eric allora raccontò, brevemente e mestamente,
quello che gli era capitato, e al termine del racconto Kogoro non riuscì a non
trattenere una risata.
«Non mi dire! Ti hanno messo in castigo?»
«Hai per caso voglia di litigare?» mormorò
Eric con una strana ed inquietante aura viola a circondarlo
«Non… non fare così…» replicò spaventato l’uomo, per poi rifarsi serio «Comunque,
capiti male. In questo momento non ho nessuna arma tra le mani».
Eric aggrottò le sopracciglia, visibilmente
contrariato.
«Me ne è rimasta qualcuna, ma di certo non al
tuo livello».
I due provarono a scendere nel magazzino,
nella speranza che Kogoro si sbagliasse, ma dopo aver provato i pochi strumenti
di lotta disponibili tra pugni di ferro, rivoltelle e pugnali, nessuna di
queste rivelò di possedere le caratteristiche necessarie per rispondere alle
esigenze di Eric, che restava pur sempre un vampiro dopotutto.
«Questo è ciarpame.» commentò il ragazzo
gettando via l’ultima della lista
«Te l’avevo detto. Questa è roba per novellini
e cacciatori di bassa lega, non certo per un vampiro superforte come te.
Posso fare un’ordinazione ai miei soliti
canali, ma potrebbe volerci del tempo. Per non parlare del costo».
Eric non volle neanche stare a discutere, e
infilata una mano in tasca ne prese fuori un bel mazzo di banconote, oltre ad
alcune bottigliette di liquore che aveva portato con sé dall’Europa, che con
Kogoro rappresentavano sempre un ottimo ed ulteriore incentivo.
«Però, ti sei dato daffare. Direi che si può
fare qualcosa.» disse soddisfatto quella specie di spugna recuperando gli
alcolici «Per i soldi non c’è fretta, me li darai alla consegna della merce.
Nel frattempo, che ne diresti di frequentare Toyama per questi tre mesi?»
«Cosa!?»
«Ti hanno ordinato di frequentare una scuola,
giusto? Perché non la mia. Tanto più che ho proprio bisogno di un aiuto in
questo momento.»
«Di che aiuto stai parlando?».
Kogoro prese allora una foto dal taschino
della camicia e la mostrò ad Eric, che vedendola sussultò per lo stupore; era
la ragazza che aveva incontrato solo poco prima nel parco.
«Si chiama Izumi.» disse Kogoro
«Izumi Asakura, sì lo so.» lo anticipò il
ragazzo
«Ah, dunque la conosci.»
«Anche tu, a quanto vedo.»
«Tutta l’associazione la conosce. Sono stati
proprio loro a mandarla nella mia scuola».
Eric non faticò certo a capirne il motivo.
«Questa ragazza ha un sangue che funziona
meglio degli steroidi con i vampiri. Basterebbe una goccia per far perdere la
testa a qualunque succhiasangue nel raggio di cinque
miglia.
Come sicuramente sai persone come lei sono
rare, e potenzialmente attaccabili praticamente in ogni momento.»
«E lei è l’unica qui in Giappone?»
«No, ce n’è un’altra. Yuuki
qualcosa. Ma se ne occupa già il mio amico Kaien.
L’associazione sta portando avanti una ricerca per trovare il modo di
mascherare l’odore prodotto dal sangue di questi individui mettendoli al sicuro
dagli attacchi dei Livello E e dei vampiri più
indisciplinati. Nel frattempo però, devono restare sotto stretta sorveglianza,
e lei è stata affidata a me.
Come immaginerai è un compito terribilmente
spossante e gravoso, e un po’ di aiuto mi farebbe comodo».
Eric ci pensò attentamente; per la verità la
cosa non lo entusiasmava per nulla, perché si era reso conto di persona quello
che rischiava nel stare vicino a quella ragazza.
«Non credo sia una buona idea.» disse
restituendo la foto
«Io invece ritengo di sì.» replicò Kogoro
«Ma mi hanno sospeso, te lo sei dimenticato?»
«L’ordine di sospensione ti obbliga solo a
frequentare una scuola. Se poi frequenti la mia, beh, si potrà sempre parlare
di coincidenza. E inoltre, non è scritto da nessuna parte che tu non possa
aiutarmi nel mio lavoro.
Posso prepararti una copia falsa di tutti i
documenti che ti servono entro dopodomani, e lunedì sarai già in classe».
In certi casi Kogoro era una forza della
natura, e quando si metteva in testa qualcosa, soprattutto se questo qualcosa
limava o limitava i propri obblighi ed incarichi, non c’era verso di riuscire a
tenerlo. Eric fece qualche altra resistenza, ma alla fine dovette arrendersi.
«Fa un po’ come vuoi.» borbottò tornando sui
suoi passi «Io me ne torno a casa. Ho sonno.»
«Questa è bella. Un vampiro che dorme la
notte.»
«Io sono per metà umano. Giorno o notte, non
fa molta differenza.»
«Sì, come no».
Rimasto solo, Kogoro fece per chiudere tutto e
andarsene anche lui a dormire, quando, appena spenta la luce, gli parve di
intravedere uno strano bagliore rosso sangue provenire da un angolino della
stanza.
La luce proveniva proprio da sotto il muro,
come se dietro quella parete, completamente ostruita da scaffali e cianfrusaglie,
ci fosse stato qualcosa.
E infatti, qualcosa c’era.
In una stanzetta segreta appositamente
realizzata, chiusa da una robusta porta e tappezzata di talismani, vi era una
katana, completamente avviluppata da una selva di catene assicurate al muro che
la mantenevano in posizione verticale e sospesa a mezz’aria. Sull’impugnatura
dell’arma, seminascoste tra le strisce di lacci che l’adornavano, apparivano
gli ideogrammi, incisi in oro, イザナミの村正.
Era quella spada ad emettere il bagliore, che
si accendeva e si spegneva come il battito di un cuore, travalicando in parte i
confini della sua prigione e diffondendo quel chiarore dalle fessure nel muro.
Kogoro non volle crederci, ma quando si avvide
da dove veniva la luce poté solo riconoscere che stava accadendo davvero.
«Non posso crederci.» mormorò, e guardò verso
la porta da cui Eric era uscito «Che sia… lui!?».
Il
lunedì successivo, come ogni giorno, gli alunni del Liceo Toyama
di Shinjuku stavano rientrando a scuola dopo il finesettimana.
Le vacanze di natale ormai erano alle spalle,
e l’anno scolastico andava finendo. Ancora poco e sarebbero iniziate le
verifiche finali.
Era una scuola piuttosto elitaria, sicuramente
la migliore di Shinjuku, dove le facce nuove erano piuttosto rare, e dove di
certo non era facile incontrare nuovi allievi, soprattutto in n periodo ormai
così vicino alla fine delle lezioni.
Così, qualcuno notò fin da subito l’austero ed
attraente giovane che quella mattina si presentò ai cancelli, sguardo piantato
a terra e portamento composto, di chi vuole fare di tutto per passare
inosservato.
Ma passare inosservato era, come detto, quanto
mai difficile, soprattutto quando si nasceva geneticamente predisposti per
avere un fisico destinato ad attirare l’attenzione, ed infatti furono parecchie
le studentesse che girarono gli occhi alla vista di quel ragazzo dai capelli
neri con quell’espressione severa e rude, da cavallo selvaggio.
La terza sezione del primo anno, di cui Izumi
Asakura era capoclasse, era gestita dal professor Negi
Kogoro, un tipo dall’aria decisamente svogliata ma con molta passione per il
suo lavoro, che quando era in giornata di grazia riusciva a fare molto bene.
Izumi, come al solito, era arrivata molto
presto, questo nonostante abitasse a parecchi isolati di distanza.
«Stai bene?» le domandò la sua amica, TomomiMikaze «Hai un’espressione
strana.»
«No, tranquilla. Non è niente».
In realtà Izumi era ancora molto turbata da
quello che le era successo ormai una settimana prima, in quel parco deserto.
Più di tutto, non era riuscita a levarsi dalla testa il ragazzo che l’aveva
salvata, e in particolare i suoi occhi; erano occhi così belli, gentili ma
determinati, di chi fa solo finta di essere cattivo e irreprensibile, ma che in
realtà nasconde una grande forza d’animo.
Quella mattina il professore aveva la prima
ora, e si presentò in aula stranamente soddisfatto, per non dire felice.
«Molto bene, ragazzi.» disse appoggiando il
registro sulla cattedra «Anche se ormai siamo quasi alla fine dell’anno, ho il
piacere di annunciarvi che avete un nuovo compagno.» e si volse verso la porta
«Entra pure!».
L’uscio si aprì, e come il nuovo venuto entrò
in classe un’onda di entusiasmo attraversò gli altri studenti; certo, i ragazzi
non furono molto felici di sentire tutte le loro compagne o quasi sospirare
come tante locomotive, ma il suo aspetto prestante e ben costruito non poteva
non attirare anche la loro attenzione.
Il ragazzo si portò al centro dell’aula, si
girò e fece un accenno di inchino.
«Mi chiamo Eric Flyer. Piacere di conoscervi».
Izumi quasi saltò sulla sedia riconoscendolo,
una reazione che la sua amica Tomomi non mancò di
notare.
Le inevitabili domande arrivarono a raffica, e
l’entusiasmo fu subito tanto.
«Da dove vieni? Sei straniero?» domandò una
studentessa
«Sono americano.» mentì lui per restare fedele
alla sua falsa scheda, che lo identificava come studente trasferito
«Che sport fai?» chiese un’altra
«Nessuno in particolare.»
«Cosa leggi?»
«Niente in particolare.»
«Avanti, avanti!» sbottò Kogoro imbizzarrito
«Non siate così timidi! Chiedete pure tutto quello che volte! Dove può capitare
di vedere un così bel ragazzo, dopotutto, e poi…».
Kogoro non ebbe il tempo di finire:
letteralmente. Un istante dopo, mentre stava ancora finendo di parlare, sentì
un dolore tremendo tra le gambe, e poiché conosceva il potere di Eric immaginò
subito cosa doveva essere accaduto.
«D’accordo, direi che può bastare.» disse
sibilando e cadendo in ginocchio con le mani sui gioielli «Trovati pure un
posto a sedere».
Il ragazzo obbedì, accomodandosi sul fondo
della classe in un banco accanto alle finestre, e a quel punto la lezione poté
iniziare.
Alla
pausa per il pranzo tutti erano ansiosi di fare domande al nuovo arrivato, ma
non fecero neanche in tempo a girarsi che questo se n’era già andato.
Eric infatti si era rifugiato sul tetto, anche
se pure qui non era riuscito a passare inosservato, restando appoggiato alla
rete ad osservare verso l’alto.
In cielo splendeva un bel sole, e anche se
avvertiva un po’ di fastidio riusciva a sopportarlo senza troppi problemi; un
normale vampiro sicuramente non avrebbe retto a lungo, senza parlare poi del
fatto che i vampiri comuni soffrivano di stanchezza congenita che rendeva loro
molto difficile riuscire a stare svegli durante il giorno, o quantomeno a non avvertire
una certa sonnolenza.
Era un po’ come per gli umani che lavoravano
la notte; potevano farci il callo quanto volevano, ma ogni tanto i bisogni
fisiologici tornavano a farsi sentire.
Tutto merito dei suoi geni umani.
Non si era portato niente per pranzo, ma visto
che non aveva assolutamente fame il problema non si poneva.
Era quasi sul punto di mettersi a dormire in
un angolo ombreggiato, impulso della sua parte vampirica
che bene o male alla fine risultava sempre più forte di quella umana, quando, appena
chiusi gli occhi, avvertì un passo che si avvicinava leggermente, quasi a non
voler rischiare di fare troppo rumore.
«Mi dispiace.» disse una voce gentile e
famigliare come aprì gli occhi.
Izumi aveva con sé il proprio bento, e sembrava piuttosto sorpresa di aver trovato lì il
suo nuovo compagno di classe.
«Non volevo disturbarti.»
«Non fa niente.» rispose lui massaggiandosi la
testa.
Infatti adesso non c’era più problema.
Non solo la ferita che Izumi si era procurata
era ormai guarita, ma subito prima di uscire di casa Eric aveva preso un
inibitore dell’olfatto procuratogli da Kogoro; in questo modo, anche se fosse
capitato qualche imprevisto, la sua sete non si sarebbe risvegliata.
Izumi, quasi mortificata, si sedette poco
lontano, un po’ più al sole, che nonostante il freddo dei primi di febbraio si
sforzava di diffondere quanto più possibile la forza del suo tepore. Dal canto
suo Eric non le tolse un momento gli occhi di dosso; non riusciva a capire come
una ragazza all’apparenza così semplice potesse invece essere tanto speciale.
Gente come lei, con un sangue talmente dolce,
erano una su un milione, eppure lui l’aveva incontrata quasi per caso; il
giovane Flyer non aveva mai imparato a credere al fato o al destino, ma certo
era che l’aver trovato Izumi sulla sua strada era stato il frutto di una bella
serie di imprevisti e coincidenze.
«Lo sai.» disse Izumi, guadagnandosi
un’occhiata enigmatica «Questo è il luogo preferito. Vengo sempre qui quando
voglio stare tranquilla».
In effetti era un posto molto appartato,
dietro ad un casotto che probabilmente ospitava materiale vario, e molto
lontano dall’ingresso alla terrazza.
Izumi poi guardò un momento Eric.
«Hai già mangiato?»
«Non ho fame.» tagliò corto lui.
La ragazza lo osservò un momento, poi prese uno
dei suoi onigiri, si alzò e sorridendo glielo porse
con gentilezza.
«Questo è per l’altro giorno. Grazie per
avermi aiutata».
Lui la fissò basito, senza sapere cosa fare e
come comportarsi. Poi, con sua stessa incredulità, raccolse esitante la palla
di riso, sicuramente casereccia ma preparata molto bene, assaggiandone un
pezzo: non solo era ben fatta, ma anche molto buona.
Poi, Izumi non riuscì a trattenersi dal fare
quella domanda che per quasi una settimana non aveva mai smesso di ronzarle in
testa.
«Ma tu… chi sei
realmente?».
Eric rispose con il proprio silenzio, e guardò
in basso quasi rammaricato.
«Non ti conviene saperlo.» rispose alzandosi
«Dammi retta, restami lontano».
E detto questo se ne andò, chiudendo nel
peggiore dei modi un incontro che invece era iniziato sotto i migliori auspici,
e lasciando Izumi da sola con espressione perplessa e molto rattristata.
Mentre percorreva il corridoio all’indietro
per fare ritorno in classe, il ragazzo urtò inavvertitamente un suo coetaneo
che proveniva dalla direzione opposta.
«Scusa.» si affettò a dire «Colpa mia».
Era un tipo strano, molto pallido e
dall’aspetto non molto curato, capelli neri con un’ampia frangia e occhi scuri
quasi spenti.
Lì per lì non ci fece troppo caso, anche se
provò una sensazione sgradevole, e mentre lo osservava allontanarsi sentì
qualcuno toccargli la spalla.
«Ti sei fatto il tuo primo amico!» commentò Tomomi col suo solito modo di fare squillante ed estroverso
«Tra novellini si và d’accordo, a quanto vedo.»
«Novellini!?»
«Quello è Chouno. Anche lui si è trasferito
qui da poco. Non parla molto, ma sotto sotto è un
tipo simpatico. Se non altro perché ogni tanto mi passa i compiti».
Eric lo guardò un'altra volta, e di nuovo
provò qualcosa di strano, ma il suono della campanella interruppe i suoi
pensieri e lui, convintosi che non c’era niente di cui preoccuparsi, tornò in
classe.
Al
termine delle lezioni, al pomeriggio inoltrato, una buona metà degli studenti
si intrattenne a scuola per le quotidiane attività dei rispettivi club.
Izumi faceva parte del club di calligrafia,
mentre la sua amica Tomomi di quello di kyudo, di cui era anche presidentessa.
Il professor Negi
aveva cercato di convincere Eric ad entrare nel suo club di boxe, tenendo conto
anche del fatto che entro poco sarebbero iniziati i tornei interscolastici, ma
il ragazzo aveva rifiutato, e recuperata la sua cartella aveva ripreso la via
di casa dopo essere transitato un momento davanti alla porta chiusa della sala
di calligrafia, assicurandosi che non fosse successo niente e che Izumi stesse
bene.
Lungo il tragitto dalla scuola al cancello
passò accanto ai campi di tiro, dove fu immediatamente notato da Tomomi, che gli corse incontro con l’arco in mano.
«Ehi, bellone!» gli disse tutta pimpante «Perché
non ci mostri di che cosa sei capace?»
«Non ne ho voglia.» cercò di tagliare corto
lui
«E dai, non fare storie. Metà delle ragazze
della scuola già ti sospirano dietro solo per il tuo bell’aspetto da attore di
Hollywood, se ci aggiungi anche il talento sportivo sei a cavallo.» e gli porse
l’arco «Avanti, solo un tiro».
Anche se di malavoglia, alla fine il ragazzo
accettò, letteralmente travolto dall’esuberanza di quella furia scatenata,
molto diversa dalla sua migliore amica sotto questo punto di vista.
Come predetto da Tomomi,
le ragazze iscritte al suo club divennero tutte rosse quando videro Eric
entrare nel dojo, sospinto, o per meglio dire
trascinato, dalla loro presidentessa.
«Forza, mostraci cosa sai fare.» gli disse Tomomi porgendogli il proprio arco.
Il ragazzo, quasi scocciato, lo prese,
incoccandovi una freccia, ma non assunse nessuna posizione né diede segno di
volendo fare, restando con il capo chino, il braccio a penzolare e gli occhi
semichiusi.
«Ehi, ma ci sei? Pronto?».
Per interminabili secondi Eric parve aver abbandonato
il proprio stesso corpo, fino a quando, talmente improvviso da far quasi cadere
Tomomi per lo spavento, sollevò la testa e sparò
letteralmente la freccia, centrando il bersaglio con precisione quasi
millimetrica.
Tutti, nessuno escluso, rimasero attoniti, e
lo sarebbero stati ancora di più se si fossero accorti che la freccia, oltre a
centrare il bersaglio, aveva anche trafitto in pieno una mosca incautamente
transitatavi sopra; tutto merito, oltre che di una buona mira, anche dell’acuta
vista dei vampiri, che in certi casi era meglio di un mirino.
«Ma è… è incredibile…» disse sconvolta Tomomi
«Sei un fenomeno! Ma come hai fatto?».
Lui non rispose e riconsegnò l’arco.
«Ecco fatto. Ora ti saluto.»
«No, aspetta! Non ti piacerebbe unirti al
nostro club?»
«Non mi interessa.» replicò il ragazzo
andandosene
«Dai, ti prego. Sarebbe una grande
opportunità. E poi…».
Tomomi non ebbe
il tempo di finire la frase.
All’improvviso, come un fulmine a ciel sereno,
una strana ed inquietante luce rossa avvolse ogni cosa, riempì ogni angolo, e
tutti i presenti, ad esclusione dello stesso Eric, caddero a terra svenuti lì
dove si trovavano.
«Ma che…» disse il
ragazzo guardandosi attorno.
Provò ad avvicinarsi a Tomomi
per svegliarla, ma era fredda come la roccia, e su tutta la superficie del suo
corpo andavano formandosi piccoli puntini rossi, che il ragazzo non faticò a
riconoscere come sangue, scomposto e sminuzzato al punto da poter uscire
attraverso i pori della pelle.
«Ma questo è…» disse
sconcertato.
Subito uscì all’esterno, ed alzati gli occhi
al cielo si avvide che l’intera scuola era stata completamente avviluppata all’interno
di una cupola rosso sangue, e tutti quelli che si trovavano al suo interno
erano svenuti.
Da fuori, però, sembrava che nulla fosse
successo, e la gente continuava a camminare oltre il cancello aperto senza
rendersi conto di niente, poiché ai loro occhi la scuola ed il suo cortile
parevano assolutamente normali.
«Il BloodChalice!» esclamò Eric.
Il BloodChalice era uno strumento di caccia estremamente efficace
usato dai vampiri per raccogliere sangue, ma che era stato vietato dall’alto
consiglio dei vampiri in virtù della sua elevatissima pericolosità, per non
parlare dell’inutile sperpero di vite umane che richiedeva.
Con questo potere, un vampiro era in grado di
creare una sorta di recinto rinchiudendo una vasta area all’interno di un
recinto che, allo stesso tempo, generava un’illusione a specchio per coloro che
si trovavano all’esterno, in modo da non creare alcun tipo di allarme e
permettere al suo creatore di agire indisturbato.
Tutti coloro che avevano la sventura di
trovarsi all’interno del BloodChalice
erano condannati a venire dissanguati letteralmente poco a poco, senza poter
far niente per impedirlo, poiché l’incantesimo comportava anche un
indebolimento tale da causare la perdita di coscienza.
Solo un vampiro di Livello A disponeva del
potere necessario per creare un BloodChalice di quelle dimensioni, e immediatamente Eric pensò
allo strano ragazzo che aveva incontrato quella mattina, dandosi immediatamente
dell’idiota; si era accorto subito che c’era qualcosa di strano, e se non
avesse preso quel maledetto inibitore dell’olfatto si sarebbe accorto subito
che si trattava di un vampiro.
«Maledizione!» imprecò, e subito tornò sui
propri passi dirigendosi verso la scuola.
Rientrato nell’edifico, vide come si aspettava
che non c’era più una sola persona ancora in piedi; essendo un vampiro il BloodChalice non aveva effetto su
di lui fino a quel punto, ma non essendone il creatore era probabile che in
breve tempo anche lui avrebbe cominciato a sentirne gli effetti.
Mentre stava attraversando un corridoio una
porta si spalancò di botto e ne uscì il professor Negi,
che a stento si reggeva in piedi appoggiandosi ad un sostegno di fortuna; dopotutto,
pur essendo a sua volta parzialmente immune all’incantesimo in quanto
cacciatore era pur sempre un essere umano.
«Allora ho fatto bene a…
a chiedere il tuo aiuto, dopotutto.» disse a denti stretti
«Come ti senti?»
«Sopravviverò… è una
cosetta da niente.»
«Dobbiamo fare presto. Entro dieci minuti
tutte le persone all’interno della barriera saranno completamente dissanguate».
A quel punto però anche Kogoro dovette
arrendersi, e rantolò sul pavimento tossendo sangue.
«Tieni duro!» disse Eric cercando di
sostenerlo
«Devi sbrigarti. Il nostro amico è di sicuro
sul tetto. Da lassù… può assorbire tutto il sangue
che riesce a rubare.
Fai… fai presto.»
ed anche lui svenne.
Rimasto solo, Eric si diresse immediatamente
verso il tetto, ignaro del fatto che, oltre a Kogoro, anche qualcun altro era
riuscito a sfuggire al potere della barriera.
Izumi aveva visto le sue amiche e compagne
cadere a terra quasi contemporaneamente subito dopo la comparsa di quella
strana luce, e dopo aver tentato senza successo di svegliarle si era messa a
vagare per i corridoi alla ricerca di qualcuno che potesse aiutarla.
Ad un certo punto la ragazza, affacciatasi
dalla finestra per guardare in cortile, intravide una figura sul tetto dell’edifico
di fronte, e credendo che fosse una persona amica vi si diresse in tutta
fretta, non immaginando minimamente che quello era invece il responsabile di
ciò che stava accadendo.
Izumi impiegò meno di trenta secondi per
arrivare lassù, ma quando spalancò la porta non c’era anima viva.
«C’è nessuno?» domandò facendo dei passi
avanti «Mi sentite?».
Poi, di colpo, avvertì una presenza alle
proprie spalle, e voltatasi fulminea la riconobbe subito.
«Chouno!?».
Era molto diverso dalla persona che ricordava,
così timida, schiva e riservata; l’espressione spenta era stata sostituita da
un ghignò di soddisfazione, gli occhi scuri erano diventati rosso sangue, e il
tuo aspetto in generale sembrava essersi fatto molto più inquietante di prima.
«Questa sì che è una sorpresa. Come fai ad
essere ancora in piedi?»
«Chouno, che sta succedendo? Tu sai cosa sia
questa strana nebbia rossa!?»
«È evidente che tu non sei un vampiro. Quindi devi
possedere qualche caratteristica particolare. Certo è che non me l’aspettavo.»
«Un vampiro!?» ripeté lei sconcertata,
cercando però di riacquistare subito il senno «Chouno, la scuola è piena di
gente svenuta. Dobbiamo fare qualcosa. Dobbiamo aiutarli.»
«Aiutarli!?» rispose ghignando lui «Quelle
persone tra poco diventeranno il mio pasto».
Neanche il tempo di rendersi conto di quella
frase che Izumi si ritrovò avvinghiata a Chouno, che la immobilizzò senza
scampo stringendola a sé; solo a quel punto la ragazza vide gli spaventosi
canini che sporgevano dalla sua bocca.
«Tu sei… un
vampiro!?»
«Sarai davvero un ottimo antipasto».
Chouno spalancò la bocca, preparandosi a
mordere, ma proprio in quell’istante una presenza gli arrivò addosso
costringendolo a mollare la sua preda e voltarsi per respingere un affondo di
lancia che per sua fortuna andò a vuoto.
Non avendo con sé un’arma di qualunque tipo, e
non sentendosela di combattere a mani nude, Eric non aveva avuto altra scelta
che riadattare l’asta di uno spazzolone, spaccandola e affilandola alla meno
peggio.
«Ancora tu?!» ringhiò Chouno riconoscendolo
«Bastardo, sei un Livello A non è vero?»
«Dovresti sapere che il BloodChalice è una tecnica proibita. Se ti fermi adesso,
forse eviterai la condanna a morte.»
«Tecnica proibita!?» replicò il nemico ridendo
sguaiatamente «È proprio a causa di queste stupide regole ideate da voi nobili
spocchiosi se la nostra specie sta lentamente morendo!».
C’era qualcosa di molto strano.
Chouno non era sicuramente un vampiro nobile né
particolarmente potente, eppure, proprio come il dottor Pavlov,
riusciva a fare cose che sfidavano i suoi stessi limiti.
Eric sentiva di non essere al pieno delle sue
forze per colpa della barriera, ma anche se non era sicuro di poter reggere lo
scontro non poteva certo tirarsi indietro, e subito attaccò. Il nemico tuttavia
si rivelò più agile del previsto, riuscendo a schivare molti degli attacchi e a
rendersi a sua volta pericoloso combattendo ad artigli sguainati.
“Un altro vampiro mutante.” pensò il giovane
Flyer durante un momento di pausa “Ma quanti ce ne sono?”
«Che c’è, Livello A? Non dirmi che sei già
stanco!».
Purtroppo era vero; Eric si sentiva sempre più
stanco e spossato. In altri tempi gli sarebbe bastato niente per avere ragione
di quel vampiro di basso livello, ma la barriera stava ormai iniziando ad avere
effetto anche su di lui. Aveva sperato di poter risolvere la faccenda prima che
passasse troppo tempo, ma quel vampiro mutato stava rivelandosi più forte del
previsto.
Eric guardò Izumi, che assisteva al
combattimento appoggiata alle reti di protezione non sapendo cosa fare.
Ancora non capiva perché lei fosse immune al
potere del BloodChalice,
ma doveva fare presto; se anche il suo sangue iniziava ad uscire e Chouno lo
avesse assorbito sarebbe andato fuori di testa, diventando ingestibile, per non
parlare del fatto che anche agli altri studenti non restava molto tempo.
A quel punto Eric non ebbe altra scelta che
tentare un attacco spregiudicato sperando di chiudere la questione quanto
prima, ma Chouno non concesse nulla e rispose colpo su colpo, riuscendo infine
ad approfittare dell’estrema stanchezza del suo avversario per assestargli un
colpo tremendo che lo lanciò via come una piuma, sparandolo letteralmente
contro la rete, che per poco non cedette.
«Chi ti credi di essere, sangue puro? Questa barriera
ha effetto anche su di te! Qui dentro non sei nessuno!».
Eric si sentiva sempre più come uno straccio,
e non riusciva a trovare la forza per rialzarsi; quando poi vide Chouno
avvicinarsi a lui, pensò che forse non c’era davvero più nulla da fare.
All’improvviso però, proprio quando Chouno era
sul punto di scattare, Izumi, raccolto tutto il suo coraggio, gli si scagliò
contro, buttandolo a terra nel tentativo di rallentarlo. Cercò anche di
immobilizzarlo bloccandogli le braccia, ma lui era più rapido e sicuramente più
forte e le afferrò il collo.
«Levati di torno, sgualdrina!» sbraitò il
nemico, che sollevatala la lanciò con forza contro il casotto delle scale
facendola svenire.
Calmatasi la situazione Chouno guardò un
momento Eric, troppo stremato e provato dal BloodChalice per poter essere una minaccia.
«Ormai sei più morto che vivo.» e guardò un
momento Izumi «Credo che mi toglierò lo sfizio di ucciderti più tardi. Per ora,
voglio solo gustarmi un buon pasto.» e detto questo si avvicinò alla ragazza.
Eric sentiva la rabbia montare dentro di lui;
voleva fare qualcosa, fermarlo, ma era talmente sfinito da non riuscire neanche
ad alzarsi.
«Non la toccare! Lasciala stare, bastardo!».
Ma era tutto inutile, e anzi le sue grida
eccitavano ancora di più il suo nemico.
Chouno raggiunse Izumi, la guardò un momento e
quindi la prese, avvicinandola a sé e scoprendone il collo.
«Buon appetito!»
«No!» urlò Eric mentre le prime lacrime dopo
tanti anni rigavano i suoi occhi.
In quel momento, a decine di chilometri di
distanza, lo scantinato di Kogoro venne nuovamente investito da una vampata di
luce rossa, ma molto più potente e luminosa di quella che il professore aveva
visto pochi mesi prima.
Nella stanza segreta, la spada brillava con
tutta la sua forza e tremava tutta, quasi stesse cercando di liberarsi.
Le catene presero a riempirsi di crepe,
qualcuna saltò via dalla parete, e uno dopo l’altro i talismani che
tappezzavano la stanza finirono in cenere.
All’improvviso, la luce divenne fortissima, e
una specie di cometa si sollevò velocissima dall’alto sotto gli occhi increduli
dei passanti, disegnando un’ampia volta nel cielo per poi ripiombare a terra
attraversando il BloodChalice
ed investendo in pieno Eric, che se ne ritrovò avvolto.
«Ma che succede!?» esclamò Chouno notando il
fenomeno.
Neanche Eric aveva idea di che cosa stesse
accadendo, ma quando la luce si dissolse, e lui poté aprire gli occhi, vide che
ora le sue mani stringevano una superba katana dall’impugnatura rosso sangue, e
rinchiusa in un fodero nero.
Emanava un’energia spaventosa, che quasi
subito parve diffondersi nel corpo del giovane restituendogli le forze, e
permettendogli di rimettersi in piedi.
«Ma che…» disse
Chouno sempre più spaventato.
Capendo che la situazione rischiava di
capovolgersi lasciò andare Izumi e si scagliò nuovamente contro Eric, cercando
di infilzarlo con i suoi artigli; il ragazzo rimase immobile, ma un attimo
prima di essere colpito sfoderò la spada a sorprendente velocità, tranciando di
netto la mano a Chouno che urlò per il dolore.
La lama era anch’essa superba, riflettente e
lucida come uno specchio ma affilata oltre ogni limite; solo estraendola, Eric
aveva sentito ritornare tutte le forze.
Ora era Chouno ad essere terrorizzato, anche perché
l’aura scura che andava formandosi attorno ad Eric lasciava intendere quali
fossero le sue attenzioni.
«No, aspetta! Ti… ti
prego…»
«La mia idea originale» disse Eric tenendo lo
sguardo basso «Era di interrogarti per capire da dove vengano quelli come te.»
ed alzò gli occhi, nuovamente infuocati «Ma dopo quello che hai fatto, per te
non può esserci altro destino!».
Chouno ebbe a malapena il tempo di urlare dal
terrore, che nello spazio di un battere di ciglia Eric gli fu addosso e lo
decapitò, portandogli via la testa con un solo, implacabile fendente.
«Maledetti… Livello
A!» urlò un attimo prima di scomparire.
Con la morte di Chouno anche il BloodChalice si dissolse, e
tutti gli occupanti della scuola ripresero i sensi inconsapevoli di quello che
era appena successo.
Anche Kogoro si risvegliò, e come vide che la
cupola era scomparsa corse come un fulmine verso il tetto per sincerarsi delle
condizioni del suo amico.
Una volta arrivato, vide Eric intento a
deporre delicatamente Izumi a terra per permetterle di riprendersi.
«Meno male che ce l’hai fatta.»
«Diciamo che ho avuto molta fortuna».
Poi, Kogoro si accorse della spada che Eric
aveva alla cintura, spalancando gli occhi per lo stupore.
«Ma quella è…»
«Sai che cos’è?» chiese Eric vedendo la sua
espressione «È piombata dal cielo all’improvviso. Ero ridotto ad una pezza, ma
come l’ho impugnata mi sono sentito rinascere.»
«Tu non sai di che cosa si tratta, vero?»
«Che vuoi dire?».
Kogoro allora la prese, stando ben attento a
non sguainarla, mostrando al ragazzo gli ideogrammi raffigurati sull’impugnatura.
«Questa è Izanami. MuramasaIzanami.»
«Izanami!?» esclamò
Eric, che ne aveva già sentito parlare «La leggendaria ammazza-vampiri!?»
«Questa spada è stata forgiata nel sedicesimo
secolo da MuramasaSengu. È
stata intagliata dalle ossa cristallizzate di cinquecento vampiri, e bagnata
nel loro sangue.
La sua creazione venne commissionata a Muramasa da Oda Nobunaga.»
«Ho sentito parlare di questa storia. Dicono che
sia una spada maledetta.»
«E lo è, infatti. E la sua vittima è stata proprio
Nobunaga. Chiunque impugni questa spada, viene pervaso dalla sete di sangue e
di morte dei vampiri che ne sono stati il materiale. Questa sete finì per
sopraffare e corrompere il signore di Owari, che per
questo venne ucciso dal cacciatore di vampiri Akechi
Mitsuhide.
Questi, però, commise lo sbaglio di raccoglierla,
e così la sua aura malvagia corruppe anche lui. Poi, quando Mitsuhide venne
ucciso, la spada fu portata via e nascosta dagli altri cacciatori dell’epoca, perché
non potesse essere più ritrovata.»
«Perché ce l’hai tu?»
«Recentemente, Iznami
è stata rinvenuta durante i lavori di scavo per la costruzione di un palazzo
qui a Tokyo, e vista la mia familiarità con spade e affini era stato deciso di
affidarla a me, almeno fino a quando non le si fosse trovata una sistemazione
più appropriata».
A quel punto Kogoro la restituì ad Eric.
«Ma ora, credo che non servirà più.»
«Che vuoi dire?»
«Questa spada è viva. Ha una coscienza tutta
sua. Ma soprattutto, è affamata di sangue. L’energia del BloodChalice deve averla attirata qui, ed ha scelto te
come suo nuovo proprietario».
Kogoro si fece di colpo terribilmente serio,
per non dire minaccioso.
«Stai attento. Questa spada è terribilmente
pericolosa. Visto che sei un vampiro, non dovrebbe essere in grado di
corromperti come fece con Nobunaga e Mitsuhide, ma non dimenticare che si nutre
di sangue, e non ne è mai sazia. Per questa volta si è nutrita grazie al BloodChalice, ma da ora in poi,
ogni volta che la estrarrai, dovrai darle del sangue da bere, e fino a che non
lo avrai fatto si prenderà il tuo».
Eric guardò l’arma, per ora al sicuro all’interno
del suo fodero.
«Tu pensi davvero che riuscirò a maneggiarla?»
«Se ti ha scelto, un motivo ci sarà. E poi,
non volevi un’arma?»
«Potresti passare dei guai.»
«Figurati!» replicò Kogoro tornando quello di
sempre «È talmente tanto che ce l’ho, che secondo me si sono anche dimenticati
della sua esistenza.
Meglio darla a te che a qualcuno che potrebbe
finire per ripetere gli errori degli altri che l’hanno usata.» quindi si rifece
nuovamente serio «Ad ogni modo, come ti ho detto, abbine la massima cura, e fai
attenzione a come la usi.
Izanami può dare
un grande potere a chi la possiede, ma allo stesso tempo può essere la sua
condanna».
Qualche istante dopo, mentre Eric era ancora
intento ad osservare la spada, domandandosi ancora come mai avesse scelto
proprio lui per brandirla dopo più di quattrocento anni, il ragazzo sentì
squillare il proprio telefonino.
«Flyer.» disse rispondendo.
Passarono alcuni secondi, e la sua espressione
di colpo cambiò, facendosi molto preoccupata.
«Che avete detto!?» esclamò, guadagnandosi un’occhiata
di stupore da parte di Kogoro, impegnato a vegliare su Izumi in attesa che si
riprendesse «D’accordo, ho capito. Grazie di avermi avvisato. Sì, me ne
occuperò io.»
«Cosa è successo?» chiese il professore quando
il ragazzo ebbe chiuso la conversazione
«Nagisa è scappata dal centro medico di San
Pietroburgo.»
«Che cosa!?»
«Se ne sono accorti proprio adesso. Ieri era
ancora svenuta, e oggi quando sono andati nella sua stanza non l’hanno più
trovata.»
«Forse sta cercando di raggiungerti.»
«No, io non credo».
Eric guardò in alto, verso occidente.
«Se Nagisa è scappata, c’è un solo posto dove
può essere andata».
Poi, il giovane Flyer guardò un’ultima volta
Izumi, ormai in procinto di risvegliarsi.
«Per favore, occupati di lei.»
«Rischi grosso, ragazzo.» disse Kogoro
intuendo quello che il suo amico aveva in mente di fare «Non si era detto che
non potevi lasciare Tokyo?»
«E chi se ne frega. Se ho ragione, quello che
sta accadendo ora a Nagisa è solo colpa mia. Devo aiutarla.» e detto questo
saltò giù dal balcone.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Capitolo
eccezionalmente lungo, anche se spero che sia l’unico di questa lunghezza
oscena.
Ok, sono capitate un
po’ di cose, e da ora in avanti la storia procederà in maniera piuttosto
spedita, con molta azione e tante botte da orbi.
Vi annunciò fin da ora
che nei prossimi giorni potrei avere qualche difficoltà ad aggiornare in tempi
rapidi, sia perché c’è la possibilità che possa riuscire a ritagliarmi due
meritatissimi giorni di vacanza sia perché da qui a ferragosto ho un lavoretto
da fare che non so quanto mi terrà impegnato.
Spero di metterci il
meno possibile, ma in ogni caso cercherò di tornare quanto prima.
Eric
fece velocemente ritorno a casa, si tolse quella scomoda divisa scolastica che
lo aveva tormentato per tutto il giorno e tornò ad indossare vestiti a lui più
graditi e funzionali; jeans, maglietta bianca a maniche corte, e un giubbotto
marrone e nero con colletto di pelo.
Quindi, si recò nel garage, dove a distanza di
due anni era conservata l’unica cosa che il giovane avesse tenuto della sua
breve ma molto infelice esperienza italiana presso il palazzo di suo nonno,
nascosta sotto un telo impolverato.
Con un gesto rapido rimosse la copertura,
liberando una nuvola di polvere e gesso che, una volta posatasi, svelò un
ottimo e raro esemplare di harley da corsa color
argento, dalla linea elegante e sportiva, un piccolo gioiello dalle grandi
prestazioni.
Suo nonno gliel’aveva fatta appositamente
costruire perché sosteneva che uno nella sua posizione dovesse sempre e
comunque apparire, con ogni mezzo, e lui alla fine ci si era affezionato,
portandola con sé in Giappone dove però aveva finito per scomparire sotto quel
telone.
Il ragazzo la guardò un momento, ammirandone
il disegno, quindi la portò all’esterno e la mise in moto; anche dopo tre anni,
il motore cantava ancora come un’allodola.
«Aspettami, Nagisa.» disse infilando il casco
«Sto arrivando.» e partì a razzo.
Nella
Penisola di Noto, nell’ovest del Giappone, vi era fino a poco tempo prima una
piccola cittadina, o forse sarebbe meglio dire un villaggio, placidamente
adagiato sul fondo di una valle bassa e circondato da montagne, ruscelli e
torrenti.
Il suo nome era Ogurayama.
Una specie di paradiso in terra, un’oasi di
tranquillità e pace dove tutti si conoscevano e la vita scorreva serena.
Per molti anni nessuno sembrava essersi
neanche accorto della presenza di quelle quindicimila o poco più persone che
abitavano quel remoto angolo di Giappone, dove si viveva di legname, qualche
industria e un po’ di turismo, fino a che un bel giorno una casa farmaceutica
europea aveva deciso di impiantare proprio lì un centro di ricerca.
Era stata una specie di manna dal cielo per
gli abitanti, visto che non solo il centro dava lavoro a molte persone, ma
addirittura la società aveva deciso di costruire anche un grande ospedale che
sostituisse quello poco funzionale già esistente.
In pochi anni Ogurayama
era letteralmente esplosa, e la sua economia aveva preso a viaggiare come un
treno lanciata verso il progresso.
Poi, era accaduto qualcosa.
Nessuno sapeva cosa, poiché nessuno era
vissuto abbastanza a lungo per poterlo descrivere.
Qualcuno aveva parlato di una fuga virale, forse
una quale forma di rabbia, fatto sta che all’improvviso, nello spazio di due
notti, gli abitanti di Ogurayama sembravano essersi
volatilizzati, e quando i primi soccorritori erano giunti sul posto richiamati
da anonime e terrorizzate richieste di aiuto avevano trovato uno spettacolo
spaventoso, fatto di corpi straziati, morte e devastazione.
Adesso, di quella bella cittadina non restava
altro che uno sparuto gruppo di case abbandonate, mentre una vasta ed interminabile
recinzione impediva e proibiva a suon di cartelloni l’accesso all’area a
chiunque in un raggio di due chilometri; anche se nessuno era riuscito a capire
cosa fosse successo c’era il timore che potesse esservi ancora un elevato
rischio biologico.
La compagnia non aveva mai dato spiegazioni
molto chiare in merito all’accaduto, anche se aveva provveduto a risarcire i
danni morali e materiali e ad occuparsi a proprie spese alla messa in sicurezza
dell’area, che secondo gli ultimi comunicati sarebbe rimasta off-limits almeno
per i successivi trent’anni.
Come aveva riaperto gli occhi sul mondo, al
termine di due lunghissime settimane di coma, il primo impulso di Nagisa era
stato quello di dirigersi lì, ma ora che lo aveva fatto non riusciva ancora a
capirne bene il motivo, e restava immobile in un punto della recinzione a
ridosso della strada, osservando sovrappensiero il villaggio che si intravedeva
all’orizzonte, oltre gli alberi, adagiato sulla propria vallata, e con quanto
restava del vecchio centro per le ricerche a sovrastarlo.
La gente poteva parlare finché voleva, e la
verità poteva essere nascosta da lì all’eternità, ma lei sapeva.
Lei sapeva cosa era successo realmente.
Quello, dopotutto, era stato il momento in cui la sua vita era cambiata per
sempre, o almeno per il tempo che le restava.
L’incubo
era iniziato nel cuore della notte.
Un boato improvviso aveva svegliato l’intero
villaggio, e tutti, accorsi nelle strade per capire cosa stesse accadendo,
avevano visto una colonna di fumo e di fuoco alzarsi dal centro ricerche,
trasformatosi di colpo in una gigantesca torcia.
Ma quello era solo l’inizio.
Pochi minuti dopo, d’improvviso, ombre nere
avevano iniziato ad aggirarsi per il villaggio, e da un istante all’altro
l’orrore più incredibile che si potesse immaginare si era scatenato; eserciti
di strani e spaventosi cacciatori si erano avventati sugli abitanti mordendoli,
azzannandoli e dilaniandoli.
I più, travolti da quella specie di orda
impazzita, erano morti quasi subito, ma alcuni invece, quelli sopravvissuti, si
erano trasformati a loro volta in cacciatori, cosicché gli abitanti di Ogurayama avevano finito in breve tempo per aggredirsi e
mangiarsi tra di loro.
Era l’inferno in Terra.
Genitori che mangiavano figli e viceversa, le
strade tramutate in giganteschi carnai, con sangue alle pareti e corpi
sventrati, incendi e distruzione.
Il primo giorno, coloro che erano sfuggiti
all’attacco iniziale avevano tentato di lasciare il villaggio in cerca di
salvezza, ma per un tragico quanto beffardo scherzo del destino all’improvviso
la grande diga che sovrastava la valle aveva ceduto, ed un fiume di fango ed
alberi si era abbattuto sul centro abitato.
Essendo situata in un punto leggermente più
rialzato rispetto al resto della valle la cittadina aveva evitato di finire
sommersa, ma l’onda nella sua furia distruttiva aveva completamente spazzato
via, oltre ai tralicci dell’alta tensione, le centraline e tutti i ripetitori,
anche e soprattutto le uniche strade che conducevano all’esterno, lasciando
coloro che non avevano trovato la morte all’interno delle loro macchine isolati
e senza possibilità di scampo.
A quel punto, era stata una sanguinosa e
spaventosa mattanza.
Quei mostri, molti dei quali erano le stesse
persone che fino a poco prima si era chiamate amiche, per due giorni avevano
vagato senza sosta per le strade, assalendo e dilaniando qualunque creatura a
sangue caldo in cui si imbattevano.
Al minimo rumore o segno delle vita si
scagliavano sulla vittima con furia bestiale, e anche rinchiudersi in casa era
inutile a cercare di tenerli lontani; se volevano qualcosa se la prendevano,
indipendentemente da quello che si faceva per tentare di fermarli.
Nagisa Mikaze, che
all’epoca aveva tredici, era vissuta ad Ogurayama per
tutta la vita; i suoi genitori gestivano una caffetteria in stile europeo, dove
anche lei saltuariamente lavorava, quando non era impegnata a stare dietro al
suo scalmanato fratellino Sota, che invece
frequentava ancora le scuole elementari.
Avendo anche la passione per la caccia, il padre
di Nagisa teneva in casa anche alcuni fucili, ed era stato grazie a questi se
per due giorni erano riusciti a resistere agli assalti di quei mostri
divoratori di sangue, trasformando la loro casa in una sorta di fortino, dove
erano riusciti anche a dare rifugio ad alcuni amici in cerca di salvezza.
Ma al terzo giorno, le munizioni erano finite,
così come le provviste.
L’unica speranza a quel punto era stata
tentare la fuga, approfittando del fatto che quei mostri sembravano odiare
particolarmente la luce, muovendosi soprattutto di notte.
Ma ancora una volta, il destino aveva voluto
essere beffardo; quando tutto sembrava stare andando per il verso giusto,
nuvole nere si erano improvvisamente addensate in un cielo fino a poco prima
terso e soleggiato, e quei mostri erano immediatamente sbucati fuori dai loro
nascondigli, assalendo la colonna in fuga da ogni direzione.
Nessuno si salvò. Tutti furono assaliti e
sbranati come bestie, uccisi senza pietà.
Nagisa vide morire sotto i suoi occhi tutta la
famiglia, per poi venire a sua volta aggredita e brutalmente morsa sul collo,
lì dove i mostri avevano il loro bersaglio preferito.
La ragazza era convinta che sarebbe morta, se
non che qualcosa di colpo sembrava aver attirato l’attenzione di quegli
animali, che interrotto il loro infernale banchetto erano scappati via tutti in
un’unica direzione.
Ora Nagisa era lì, distesa sulla schiena, in
mezzo alla strada, con il collo ed il vestito inondati di sangue, che la
pioggia ininterrotta, quasi un pianto celeste per tutto quell’orrore, solo in
parte riusciva a lavare via.
Guardava in alto, verso il cielo, dove i suoi
genitori e il suo fratellino già si trovavano, e dove presto sperava di
raggiungerli.
Purtroppo, il destino aveva altro in serbo per
lei, negandole quell’ultimo atto di misericordia; d’un tratto, mentre non
attendeva altro che di chiudere gli occhi per sempre, la ragazza sentì di colpo
uno strano formicolio in tutto il corpo, seguito poco dopo da un dolore
lancinante ed insopportabile, quasi avesse avuto lava nelle vene.
Di colpo le forze parvero tornarle, e lei si
ritrovò inginocchiata a terra, tossendo senza sosta sangue nerissimo, mentre
quella sensazione di intensissimo bruciore diventava sempre più forte.
Quella tremenda sofferenza andò avanti per
parecchi minuti, durante i quali Nagisa continuò a contorcersi e a dimenarsi
furiosamente sull’asfalto bagnato come in preda a violente convulsioni.
Poi, di colpo, tutto parve calmarsi, e per un
breve istante Nagisa avvertì una sensazione di profondissima pace, come se
fosse stata la persona più felice e appagata del mondo. Incredula, si rimise in
ginocchio, incontrando quasi subito con lo sguardo il corpo senza vita del suo
adorato fratellino, riverso poco lontano a faccia in giù con gli occhi
spalancati e la solita, orrenda ferita sul collo.
Incredula, gli si avvicinò, forse nel
tentativo disperato di soccorrerlo, ma come vide il sangue nel quale era
immerso e che nonostante la morte continuare ad uscire dalla ferita una nuova,
orribile sensazione la attraversò violentemente, nella forma di una tremenda ed
incontrollabile sete.
Ma non era sete di acqua.
A stimolare la sua sete era…
il sangue. Avete sete di sangue.
La gola le bruciava come nel deserto, la bocca
era secca, impermeabile alla saliva, e l’odore del sangue che riempiva la zona,
fattosi di colpo più forte e percettibile, rendeva quel tormento ancor più
insopportabile.
Quasi per caso, mentre si dimenava furiosa da
una parte dilaniata dalla sete e dall’altra nel tentativo di tacitare un
istinto che si faceva ogni secondo più forte, Nagisa posò gli occhi su di una
pozza d’acqua, e il riflesso che vi scorse dentro le trafisse il cuore.
La sua pelle, la sua belle pelle né chiara né
scura, si era fatta pallidissima, gli occhi erano diventati rosso vermiglio, e
due canini lunghi ed appuntiti sporgevano dalle sue labbra.
Non era possibile!
Non poteva succederle anche questo!
Stava diventando…
stava diventando come loro!
Aveva visto già altri prima di lei andare
incontro a quel destino orrendo, e come ebbe realizzato appieno la sua
situazione si rese conto che non le restava molto tempo.
Entro poco la sete avrebbe avuto il
sopravvento, il raziocinio l’avrebbe abbandonata, e lei sarebbe diventata a sua
volta un mostro.
No! Non poteva succedere!
Doveva assolutamente togliersi la vita prima
che succedesse.
Provò a tagliarsi le vene, ma la pelle era
diventata di colpo dura come l’acciaio, tanto che neanche con un coltello di
fortuna le riuscì di scalfirla. E intanto, la sete diventava sempre più forte.
Dopo vari ed inutili tentativi di porre fine
alla sua orrida esistenza prima ancora che potesse iniziare, Nagisa sembrava
ormai essersi completamente rassegnata, e caduta in ginocchio per l’ennesima
volta pianse tutte le lacrime che aveva.
D’un tratto avvertì dei passi che si
avvicinavano, poi un’ombra la sovrastò, spingendola ad alzare lo sguardo.
Davanti a lei era apparso un ragazzo, giovane,
molto bello, capelli neri che ondeggiavano al vento e carnagione leggermente
scura, occhi scintillanti rosso vermiglio come quelli che ora aveva lei e in
mano, grondanti di sangue, una coppia di machete.
Aveva un’espressione seria, quasi minacciosa,
ma la cosa non turbava minimamente Nagisa, che anzi si augurava che quel
ragazzo fosse lì per ucciderla.
«Il tuo sangue è stato infettato.» le disse
mentre lei lo guardava stralunata e confusa «Ti sei trasformata in un vampiro.
Ed entro pochi minuti, diventerai anche tu un Livello E».
Che cosa voleva dire?
Cosa intendeva con diventare un Livello E?
Sicuramente diventare uno di quei mostri.
No! Non poteva permetterlo!
«Una scelta. Puoi morire qui, di una morte
rapida e indolore, o puoi rinascere ad una nuova esistenza, fatta di sangue ed
oscurità. Ma sappi fin da ora, che sarai legata a me e alla mia volontà fino al
giorno della tua morte.
Fino a che i tuoi occhi non si chiuderanno per
sempre il tuo cuore, la tua anima e il tuo corpo apparterranno a me. La tua
libertà non esisterà più. Non potrai fare a meno della mia presenza e del mio
sangue, perché altrimenti il tuo vergognoso destino si compirà, ed in quel caso
ti ucciderò con le mie mani».
Nagisa, confusa e in preda al dolore com’era,
non riusciva a capire tutto di quello che le veniva detto, ma buona parte di
quel discorso lo aveva compreso, e nel poco tempo che sentiva le restasse
preponderò le varie alternative.
In sostanza, si trattava di scegliere se
morire lì e subito, anima e corpo, o rinascere ad una nuova vita, che però con
la vecchia non avrebbe avuto nulla a che fare.
Ma che senso poteva avere vivere una vita che,
stando alle parole di quel ragazzo, sarebbe stata di sangue ed oscurità?
Avrebbe conservato il raziocinio, d’accordo,
ma sarebbe stata pur sempre un mostro.
Poi, però, un pensiero le illuminò la mente.
Vivendo, poteva scoprire il perché di tutto
quell’orrore.
Da attenta e perspicace osservatrice quale
era, si era resa conto fin da subito che molte cose di questa sanguinosa e
tragica storia dell’orrore non coincidevano.
Tralasciando il fatto che sicuramente quel
centro di ricerca avesse qualcosa a che fare con tutto quell’orrore, e che il
suo vero scopo andasse ben oltre la sua attività di facciata, come era
possibile che proprio nel bel mezzo di quell’apocalisse da diga, che mai aveva
dato problemi, fosse saltata, isolando Ogurayama dal
resto del mondo e condannandone gli abitanti a morte certa?
Se fosse vissuta, forse Nagisa avrebbe avuto
la possibilità di sollevare il velo sul mare di menzogne e di cospirazioni che
aveva distrutto quella cittadina che tanto aveva amato, e di vendicare altresì
la morte dei suoi amici e della sua famiglia.
Nagisa sentiva di non avere più molto tempo, e
intanto quel ragazzo continuava a fissarla, i capelli fradici d’acqua e la
pioggia che lavava via il sangue dalle sue armi.
«Ho…sete…» furono le sole parole che riuscì ad articolare.
Era più che sufficiente.
Il ragazzo lasciò cadere i machete, si
inginocchiò davanti a lei e si sbottonò parte del giaccone, scoprendosi il
collo.
«Vieni. Placa la tua sete».
Lei non se lo fece ripetere, e obbedendo
all’istinto che montava dentro di lei affondò i denti nella pelle e nei muscoli
del ragazzo, prendendo a succhiarne immediatamente il sangue; era dolce e
corposo, pieno di forza, e più ne beveva più la bestia dentro di lei, invece
che rafforzarsi, sembrava ammansirsi, costretta all’obbedienza da una ancora
più forte.
«Qui e ora, suggelliamo il nostro contratto.»
disse il ragazzo «Il mio sangue ti purificherà e ti alimenterà. Non potrai mai
farne a meno. Da oggi, tu sei la mia serva, ed io il tuo signore».
Nagisa
si portò istintivamente le mani alla bocca, sfiorando con l’indice i suoi denti
di vampiro.
Era passato un sacco di tempo da quel giorno
di pioggia.
Da allora aveva lottato, con le unghie e con i
denti, per tenere a freno la sua bestia, e sforzandosi nello stesso tempo di
ricambiare il suo padrone della misericordia provata nei suoi confronti.
Per un po’ era andato tutto bene, e da quel
giorno erano accadute tante cose, ma con il tempo la bestia aveva ripreso
forza, costringendola ad attingere sempre più spesso al sangue del suo padrone
per poterla domare.
Ma quello che era accaduto in quel bosco
l’aveva sconvolta. Per un istante, per un terribile ed interminabile attimo, il
mostro dentro di lei si era risvegliato completamente, tramutandola in ciò che
non avrebbe mai voluto essere.
Probabilmente neanche Eric si aspettava una
cosa del genere, altrimenti non ci avrebbe neanche provato, e quel fatto doveva
aver inquietato profondamente anche lui.
Ormai era inutile negarlo.
Il suo destino era segnato. In ogni caso.
Se fosse stata morsa da un vampiro normale, il
sangue puro del suo padrone sarebbe stato più che sufficiente per permetterle
di continuare a condurre un’esistenza pacifica.
Ma, ormai era chiaro, a morderla era stato uno
di quei vampiri mutanti, comparsi per la prima volta proprio ad Ogurayama, il cui morso era assai più velenoso.
Per molto tempo il sangue di Eric aveva
opposto resistenza, ma ora la malattia, perché questo era, stava avendo il
sopravvento.
Eric lo sapeva, ma non sapeva che lei sapeva;
aveva origliato di nascosto la conversazione avuta dal suo padrone con un
medico dell’associazione circa sei mesi prima, e in quell’istante si era
sentita cadere il mondo addosso.
«Quanto le rimane?» aveva domandato Eric, che
faceva di tutto per non sembrare sconvolto
«Un anno. Forse meno».
Il suo tempo andava ormai esaurendosi.
E ciò nonostante, Nagisa non aveva concluso
niente. Quello che le faceva più male, però, era il pensiero di essere giunta
in prossimità del traguardo proprio ora, ora che qualcosa stava finalmente
cominciando a muoversi dopo più di tre anni.
Forse era per questo che era voluta tornare
lì.
Perché quello era il luogo dove tutto era
iniziato, ed era quello dove tutto doveva finire.
Per ora Nagisa aveva ancora il controllo del
suo corpo e della sua mente; non sapeva per quanto ancora, ma se era arrivata
al punto che ormai le bastava vedere del sangue per uscire di testa allora non
doveva mancarle ancora molto.
Certo era che, come si era ripromessa, non
avrebbe permesso che succedesse ancora; nel momento esatto in cui avesse
compreso che era ormai giunta la fine, avrebbe posto fine alla sua vita con le
proprie mani.
«Nagisa!?».
Quella voce, così improvvisa e gentile, la
fece trasalire, spingendola a volgere lo sguardo alla propria destra.
Accanto a lei c’era un ragazzo, di forse
sedici o diciassette anni, seduto sul sellino di una vecchia bicicletta da
passeggio, capelli castani ben pettinati e occhi marroni, aspetto gentile ed
austero, da vero gentiluomo; indossava abiti sportivi, e aveva con sé il
sacchetto pieno di un vicino minimarket assicurato al manubrio.
Nagisa lo guardò con i suoi soliti occhi
sommessi e quasi impauriti, ma dapprincipio non riuscì a capire chi fosse;
questo perché parte dei suoi ricordi relativi alla sua vita umana erano spariti
dopo la mutazione, altri erano parzialmente annebbiati.
Il ragazzo scese, continuando a guardarla
perplesso e meravigliato.
«Sei tu, Nagi-chan!?».
Poi, finalmente, i ricordi tornarono; dapprima
furono brevi immagini di momenti felici, su di una pista di atletica, in un
parco o ai piedi di un ciliegio, poi, finalmente, un nome.
«Himuro…kun?».
A quel punto il ragazzo sorrise come un
bambino, e lasciata cadere la bici corse ad abbracciarla stringendola forte.
«Nagi-chan! Mio Dio,
che sorpresa! Allora sei viva!».
HimuroOgasawara era stato il sempai di
Nagisa negli anni delle scuole medie. Di tre anni più vecchio di lei, si
conoscevano fin da piccoli, ed avevano sempre passato molto tempo insieme.
Avevano condiviso insieme la passione per lo sport, e in particolare per
l’atletica, e lui qualche volta le aveva anche dato delle lezioni private di
recupero.
Abitava anche lui a Ogurayama,
ma giusto qualche mese prima che accadesse quell’inferno lui e la sua famiglia
si erano trasferiti in una cittadina vicina, proprio perché suo padre era
sempre stato un convinto avversore del centro di
ricerca e della sua attività sospetta. Non l’aveva più visto da quel giorno,
come era naturale che fosse, così come non aveva visto tutte quelle poche
persone che non erano morte nella carneficina.
«Nagi-chan! Non posso
crederci! Questo è un miracolo! Pensavo che fossi morta!».
Nagisa non riusciva ancora bene a capire;
certo è che sentì uno strano tepore abbracciando il suo vecchio amico e sempai, dimenticando per un attimo tutte le cose brutte che
l’avevano condotta lì.
Qualche
ora prima, più o meno nello stesso momento in cui Eric lasciava casa propria,
Izumi aveva ripreso i sensi, ritrovandosi distesa su di un divanetto nella sala
professori della sua scuola.
Come riaprì gli occhi si mise subito a sedere,
ancora spaventata da ciò che aveva veduto un attimo prima di perdere
conoscenza, ma il professor Negi, seduto accanto a
lei, la tranquillizzò.
«Rilassati. Và tutto bene. È passato».
Lei si guardò attorno, confusa e disorientata.
«Dove sono?»
«Nella sala professori».
Il suo pensiero andò immediatamente a ciò che
aveva visto, e a tutte le sconvolgenti verità che aveva comportato.
«Tieni.» disse il professore porgendole del tè
che aveva preparato nel frattempo «Ti aiuterà a riprenderti».
Izumi prese la tazza, ma esitò a bere, troppo
presa dai suoi pensieri.
«Quello… era un
vampiro?»
«Dammi retta, dimentica ciò che hai visto. È
molto meglio.»
«Come posso dimenticare?».
Poi, un pensiero l’assalì.
«E Eric!? Cosa gli è successo?»
«Rilassati, Eric sta benone. Gli è servita un
po’ di fortuna, ma è riuscito comunque a stendere quel vampiruncolo
da due soldi.»
«E dov’è adesso?»
«È dovuto partire in tutta fretta. Nagisa, la
sua partner, pare si sia cacciata nei guai.»
«Partito per dove?».
Kogoro non voleva rispondere, sia perché non
voleva che quella ragazza si mettesse nei guai, sia perché Eric lo avrebbe
sicuramente ammazzato se ciò fosse caduto.
Per questo, cercando di ignorare la domanda,
andò a recuperare le sigarette dal cassetto, ma neanche il tempo di girarsi e
Izumi era lì, a guardarlo con due occhioni
supplicanti ai quali era impossibile dire di no.
«La prego, professore. Ho un brutto
presentimento».
I
genitori di Himuro erano entrambi affermati uomini
d’affari, e perciò stavano spesso fuori casa anche per lunghi periodi.
Già quando lui e Nagisa erano più piccoli
capitava che il sempai passasse molto del suo tempo
da solo, e forse era anche per questo che aveva cercato di combattere la
solitudine dedicandosi anima e corpo ai suoi hobby preferiti, che spaziavano
dal calcio all’astronomia.
Ma non c’era niente che Himuro
amasse più dei fiori.
Nagisa aveva dei bellissimi ricordi del suo
giardino di Ogurayama, ma anche quello che aveva
realizzato con fatica e pazienza nella sua nuova casa sembrava un piccolo
angolo di eden, da lussureggiante che era; alla luce del tramonto, che ormai
andava avanzando, le decine di piante che lo riempivano facevano sfoggio di
tutta la loro bellezza.
Il sempai vi si
dedicava con tutto l’amore possibile, ed i fiori lo ripagavano con una bellezza
senza pari, che avrebbe allietato e meravigliato qualsiasi spettatore.
Senza rendersene pienamente conto, Nagisa si
ritrovò seduta nel salotto della casa di Himuro, con
una tazza di tè e un vassoio di dolcetti. La ragazza si sentiva a disagio,
quasi fuori posto, e non riusciva a trovare la forza di essere contenta per
aver rivisto il suo sempai, il quale invece sembrava
in preda alla più completa euforia.
«Aspetta che la mamma ed il papà lo sappiano.»
le disse sedendosi alla poltroncina di fronte al divano «Anche loro credevano
che tu fossi morta.
Come mai non ti sei fatta viva per tutto
questo tempo?»
«Ho… ho avuto
daffare.» rispose lei con un certo imbarazzo, e non sapendo che altro dire
«E i tuoi genitori? Come stanno? Sono vivi
anche loro?»
«Sì.» mentì la ragazza cercando di nascondere
le lacrime
«D’accordo, non voglio tediarti con tutti
questi discorsi tristi. Dopotutto oggi è un giorno di festa.
Dimmi, dove abiti ora?»
«Non… non sto in
nessun posto in particolare. Mi sposto spesso.»
«Capisco. È un peccato. Ma se volete, in
questa cittadina ci sono molte case in vendita a pochi soldi. Di questi tempi
fanno di tutto per ripopolarlo. Dopo quello che è successo».
Nagisa abbassò ancora di più gli occhi,
stringendo le mani attorno alla ginocchia.
«Scusami.» le disse Himuro,
consapevole di aver parlato troppo «Non è il genere di cose di cui dovrei
parlare. E poi, non credo che questo sia un posto capace di risvegliare dei bei
ricordi, per te e per la tua famiglia.
Mi dispiace.»
«Non fa niente. Davvero».
Nagisa non sapeva cosa fare. Cosa dire.
Come poteva spiegare al suo sempai che la Nagisa che conosceva era realmente ed
effettivamente morta? Che quella di fronte a lui era una persona totalmente
diversa da quella che ricordava?
«Lo sai.» disse ancora Himuro
«Sembra quasi che per te il tempo non sia trascorso. Sei proprio come ti
ricordavo».
Quella frase la fece sussultare.
Del resto, non che ci fosse da esserne
sorpresi, vista la famosa longevità dei vampiri; ai suoi occhi il sempai era indubbiamente cambiato, più grande e maturo di
come lo ricordasse, ma viceversa per Himuro lei era
rimasta assolutamente uguale.
Il ragazzo parve accorgersi dell’improvvisa
ombra apparsa negl’occhi della sua cara amica, e volle fare qualcosa per
risollevarle il morale.
«Vieni.» disse porgendole la mano «C’è una
cosa che voglio farti vedere».
Lei esitò a lungo, guardandolo perplessa, ma
poi, quasi tremante, raccolse quella mano, così calda e gentile.
Himuro la
condusse nel giardino, che proprio in quel momento cominciava ad accendersi
della luce dei faretti notturni, portandola dinnanzi ad uno stupendo e
lussureggiante roseto che ricopriva interamente una porzione del muretto di
cinta.
La cura che vi era impressa era visibilmente
maniacale.
Non un ramo fuori posto, non una spina di
troppo.
E poi quelle rose, tantissime rose, di un
colore rosso molto opaco, vagamente bordeaux, che malgrado l’inverno non ancora
passato brillavano di una bellezza primaverile.
Veniva chiamata sekketsu,
e cresceva solo in quel particolare e sperduto angolo di Giappone; oltre al suo
particolare colore aveva la capacità di crescere in ogni momento dell’anno, ma
soprattutto in inverno, quando tutti gli altri fiori morivano.
Vedendo quel roseto, Nagisa restò interdetta.
«Lo riconosci?» le disse dolcemente Himuro.
E come poteva non riconoscerlo?
L’aveva creato lei!
Un giorno di tanti anni prima, vincendo la
timidezza, aveva regalato una di quelle rose al suo sempai,
teoricamente per ringraziarlo di averla aiutata a superare un compito
difficile, e lui, accettatala, aveva promesso di prendersene cura, dedicandovi
un posto speciale nel suo giardino.
Quando poi la sua famiglia si era trasferita,
però, era stato costretto a lasciarla lì, nella vecchia casa, proprio nel
momento in cui stava cominciando a crescere.
«Dopo l’incidente di tre anni fa, ho voluto
andare a cercarla.» le disse Himuro «Credevo che tu
fossi morta, e volevo conservare qualcosa di speciale di te.
Non ci crederai, ma era ancora lì. Nonostante tutto
quello che era successo, l’incuria e le intemperie, aveva resistito al passare
del tempo, come se fosse rimasta in attesa del mio ritorno.
Così l’ho trapiantata e portata qui, e da quel
giorno non ha fatto altro che crescere. È cresciuta e cresciuta, più bella e
forte ogni anno che passava.
Poi, improvvisamente, due mesi fa, ha smesso
di crescere».
Himuro la guardò
in modo dolce, facendola arrossire, e Nagisa sentì il cuore cominciare a
batterle forte.
«Ora che ti ho ritrovata, non ho più bisogno
di guardare queste rose per ricordarmi di te».
Quella frase mandò a mille il cuore della
ragazza, che non riuscì a distogliere gli occhi da quelli di Himuro, così caldi e confortanti; guardandoli, sentiva una
sensazione di pace sconfinata, quasi assoluta.
Il ragazzo a quel punto prese le forbici e
tagliò una rosa, porgendola a Nagisa.
«È per te. Un ricordo del giorno in cui ci
siamo ritrovati».
Lei divenne rossissima, mentre il cuore
minacciava di uscirle dal petto. Guardò la rosa, così piena di vita, così apparentemente
perfetta, e per un attimo le parve di ritornare nel passato, a quei giorni
lontani e felici, con i suoi genitori, il suo fratellino, e il suo sempai.
Dopo qualche attimo allungò la mano, facendo
per prenderla, ma all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, un ruggito
parve rimbombarle nella testa, risvegliando una forza che faticò a contenere.
Tagliando la rosa Himuro
si era punto un dito, ed un rivolo di sangue sbucando dalla ferita scorreva ora
lungo lo stelo reciso.
Gli occhi di Nagisa si accesero, la sete
minacciò di farla impazzire, e la bestia di colpo si risvegliò, resa forte ed
indomabile da una voglia irrefrenabile di sangue; di quel sangue.
«Nagi-chan.» disse
preoccupato Himuro vedendo la ragazza stringere i
denti di colpo e portarsi le mani all’altezza del ventre, come in preda al
travaglio.
Tentò di avvicinarsi per prestarle soccorso,
ma lei lo ricacciò indietro con rabbia.
«Stammi lontano!»
«Nagi-chan…».
Non poteva restare. Aveva paura. La bestia
stava diventando sempre più forte; doveva andarsene subito, prima che riuscisse
a dominarla.
Che stupida che era. Si era davvero illusa che
nulla potesse succedere? Che tutto potesse davvero tornare come prima?
Himuro cercò di
nuovo di aiutarla, prendendole il polso con delicatezza e fermezza insieme, ma
toccandole il corpo con il dito insanguinato non fece altro che rendere il suo
dolore ancora più dilaniante.
«Non mi toccare!» urlò dandogli uno spintone,
e subito dopo scappò via saltando il cancelletto che dava direttamente sulla
strada
«Nagisa!».
Ma nel tempo che Himuro
impiegò a scavalcare a sua volta il recinto, la ragazza era già scomparsa
inghiottita dal crepuscolo.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Credevate di esservi
liberati di me, eh?
Fortunatamente, ho
scoperto di avere ancora qualche giorno a disposizione, e immediatamente l’ho
sfruttato, anche perché ero troppo ansioso di scrivere questo capitolo.
Forse farò in tempo a
scriverne anche un altro prima di dovermi mettere al lavoro, ma non vi prometto
niente, a parte che cercherò di fare del mio meglio.
Che altro dire. Grazie
ai miei affezionatissimi lettori. Felicissimo che la storia vi piaccia.
Bruciando
le tappe e procedendo a marce forzate, Izumi era riuscita a raggiungere la sua
destinazione a tempo di record.
Prima la Shinkansen
fino a Nagano, poi il treno veloce per Kanazawa,
quindi il treno regionale veloce per Nanao, e infine
verso le ventitre, con indosso ancora l’uniforme scolastica, in taxi era
arrivata nella cittadina di Suzunokawa, la più vicina
a quanto restava della vecchia e abbandonata Ogurayama.
Solo dopo essere scesa dal taxi, ritrovandosi
in quello sperduto agglomerato di case di montagna dall’altra parte del
Giappone, le venne da domandarsi seriamente cosa stessa facendo, e perché fosse
arrivata fin lì.
Parlando col professore era riuscita a
scoprire che Eric si stava dirigendo ad Ogurayama per
cercare Nagisa, la sua partner, ma in ogni caso, anche dopo essere riuscita ad
arrivare fin laggiù, non aveva la benché minima idea di come trovarlo.
L’unica cosa che sapeva era che aveva una
brutta sensazione, come un presentimento che qualcosa di brutto era in procinto
di accadere.
Fin da bambina aveva dimostrato di possedere
una specie di sesto senso, che le permetteva di percepire, come vibrazioni
nell’aria, minacce e pericoli, per sé stessa e per gli altri. Forse era il
caso, forse l’intuito, fatto stava però che spesso, troppo spesso, le sue
sensazioni si rivelavano fondate.
Era accaduto due settimane prima, quando era
stata assalita nel parco, era accaduto quel pomeriggio, poco prima che apparisse
il BloodChalice, ed era
accaduto al suo risveglio, nell’istante in cui le era venuto in mente Eric.
Forse era merito dei suoi antenati.
La sua famiglia vantava progenitori illustri,
samurai e signori feudali, gente che aveva imparato dall’esperienza a fiutare i
pericoli, al punto da farne una sorta di talento genetico passato di padre in
figlio fino a lei.
Per prima cosa, doveva trovare un modo per
raggiungere Ogurayama.
Il tassista che l’aveva condotta lì si era
rifiutato di andare oltre, per timore delle conseguenze che si diceva
comportasse avvicinarsi troppo all’area infetta, e stando alle sue parole
mancavano come minimo cinque chilometri per arrivarci, che certo non potevano
essere percorsi a piedi.
Ma come fare allora?
Nello stesso momento, poco lontano, il calare
della sera preoccupava e angosciava Himuro, che
seduto nel suo salotto restava immobile ad osservare la tazza da cui Nagisa
aveva bevuto e la rosa che le aveva offerto, ora appoggiata sul tavolino,
guardando di tanto in tanto ora l’orologio ora fuori dalla finestra.
Per quanto ci pensasse, non riusciva a
comprendere la ragione di una simile reazione da parte di quella ragazza, che
per quanto ricordava era sempre stata una persona estremamente pacata e
composta, che a momenti non scacciava neanche le mosche.
Che cosa aveva fatto per farla scappare via in
quel modo?
Più di tutto, però, era preoccupato da morire
per lei. All’inizio si era detto che era solo un momento, che le sarebbe
passato e tutto sarebbe tornato apposto, ma con il passare dei minuti la sua
preoccupazione aumentava senza sosta.
Tanto più che, a ben rifletterci, c’erano
molte cose in quella storia che decisamente non tornavano, e che sulle prime,
troppo inebriato dal pensiero di aver finalmente ritrovato la sua cara amica,
non aveva considerato.
Com’era possibile che Nagisa fosse rimasta
tale e quale all’ultima volta che ricordava di averla veduta, solo poco tempo
prima di quel giorno maledetto?
Anche per lei dovevano essere passati tre anni
e più, eppure era ancora la minuta, seppur atletica, tredicenne di allora.
E poi ancora, perché era tornata proprio
adesso?
Spinto dalla curiosità, andò a sedersi al
proprio computer in cerca di risposte.
La storia diffusa a mezzo stampa e nei
comunicati ufficiali sull’Incidente di Ogurayama,
come era passato alla storia, non lo aveva mai convinto del tutto, e così da
quel giorno aveva iniziato una serie di indagini personali nel tentativo di
scoprire cosa fosse realmente stato all’origine di quel fatto dai contorni così
torbidi.
Per questo motivo, sapeva bene cosa e dove
cercare, e negli anni aveva messo su un piccolo archivio personale, con nomi,
date, luoghi e altre informazioni.
Tra le altre cose possedeva anche una lista
dettagliata delle vittime dell’incidente, o quantomeno di quelle che era stato possibile
identificare.
Himuro stette a
scorrere quella sfilza ininterrotta di nomi per interminabili minuti, quasi con
lo sguardo di chi conosce già la risposta alle proprie domande ma si rifiuta di
accettarla, fino a che la risposta in questione non le comparve davanti.
Era proprio come ricordava.
I genitori ed il fratello minore di Nagisa,
oltre a lei stessa, erano presenti nella lista delle vittime stilata sia dalla
polizia che dalla ImagawaZaibatsu,
la società che aveva costruito l’impianto; dei parenti della ragazza Himuro ritrovò persino le foto dei funerali, mentre come si
aspettava i rapporti identificavano la stessa Nagisa come deceduta, benché non
ne fosse stato mai ritrovato il corpo.
Himuro non
sapeva cosa pensare.
Non riusciva a trovare un nesso a tutta quella
storia; perché Nagisa era ricomparsa all’improvviso? Perché aveva mentito su sé
stessa e sulla sua famiglia? Come faceva ad essere ancora viva, il che ne
faceva l’unica sopravvissuta a quell’incidente?
Più preoccupato per quello che la sua amica
poteva fare che per le risposte alle sue domande, il giovane decise che non era
affatto il caso di restarsene in casa ad aspettare l’evolversi degli eventi, e
uscito in giardino recuperò in fretta e furia il suo scooter preparandosi ad
uscire.
Lui e Izumi, ancora intenta a girovagare per
la cittadina in cerca di una soluzione, si incontrarono casualmente mentre Himuro stava mettendo in moto.
«Aspetta!» disse Izumi correndogli incontro
«Sto cercando qualcuno che mi conduca ad Ogurayama.
Potresti darmi un passaggio?»
«Perché vuoi andare proprio laggiù? Non lo sai
che è pericoloso?»
«Sto cercando una persona. Mi hanno detto che
potrebbe essere laggiù.»
«Una persona!?» disse sobbalzando il ragazzo
«Si chiama per caso Nagisa!?»
«La conosci!? Veramente, sono venuta in cerca
di un suo amico. Sembra che anche lui dovrebbe trovarsi qui».
Himuro squadrò
bene la ragazza da capo a piedi; una ragazza di città in quell’eremo sperduto
non era certo una cosa normale, a riprova e testimonianza che quella storia
aveva delle implicazioni che andavano ben al di là di quanto lui avesse in un
primo tempo immaginato.
«Dai, salta su.» disse lanciandole il suo
casco di riserva «Se ci sbrighiamo possiamo essere lì per mezzanotte».
Negli
anni della sua gloriosa ascesa, con l’arrivo della ImagawaZaibatsu, Ogurayama,
soprattutto in virtù della consolidata tradizione della floricultura praticata
dagli abitanti, aveva assunto il soprannome di Sen-shoku
no machi, la città dei mille colori, il quale era stato anche trascritto sui
cartelli che ne delimitavano i confini dando il benvenuto a turisti e
vacanzieri.
Invece, ora, gli unici colori a dominare erano
il grigio cemento, il rosso ruggine e il verde delle piante che un po’ ovunque
avevano cominciato a crescere in mezzo alle macerie.
Nagisa era tornata lì, in quel luogo di morte
e desolazione, dove l’unica luce era quella della luna, dove la sua bestia era
nata, e dove non poteva fare del male a nessuno. Sedeva da sola, appoggiata al
muro diroccato della sua vecchia casa, raggomitolata in posizione fetale, le
braccia attorno alle gambe e la fronte poggiata sulle ginocchia, piangendo come
non aveva mai fatto nella sua vita.
Aveva sete, una sete tremenda.
Ormai sapeva bene cosa le stesse succedendo:
era in astinenza.
All’ospedale in Russia l’avevano alimentata
con il sangue che Eric aveva lasciato loro, ma da quando era scappata, attratta
verso quel posto come un’ape con il miele, non si era più nutrita, e questo
aveva permesso alla bestia di risvegliarsi.
Che stupida che era stata.
Davvero si era illusa che tutto potesse
tornare come prima?
La sua vecchia vita era morta, proprio come la
sua cittadina; e presto, molto presto, lo sarebbe stata anche quella nuova.
Sarebbe morta così, in modo atroce ed
impietoso, uccisa dal suo padrone o da chi per lui, divorata dalla sete di
sangue al punto da essere paragonata a un animale.
Ma peggio di tutto, sarebbe morta senza sapere
cosa era davvero successo, e chi o che cosa avesse provocato quella spaventosa
mattanza in cui aveva perso famiglia ed amici, e che aveva segnato
inesorabilmente il suo destino.
Se era giunto il suo momento, allora che fosse
così.
Almeno se ne sarebbe andata lì, tra i resti di
quel villaggio che aveva tanto amato, e si sarebbe finalmente ricongiunta ai
suoi cari.
Ma l’avrebbero mai riconosciuta?
Pensandoci ora, faticava quasi a pensare alla
vecchia e alla nuova lei come ad una stessa persona; la vecchia Nagisa era
mite, pacata, esuberante quando serviva, piena di amore per la vita e per tutto
ciò che essa poteva offrire, a cominciare dai sentimenti e dalle emozioni di
un’adolescente, mentre quella nuova era un mostro sanguinario, le cui mani
erano lorde del sangue di molti suoi simili.
Come si sarebbe presentata ai suoi genitori e
al suo fratellino, ridotta in quello stato? L’avrebbero mai riconosciuta se
l’avessero vista in quel momento?
Piangere le sembrava in quel momento l’unico
modo per non pensare alla sua sete, ma questa era ormai divenuta quasi
insopportabile.
Le sembrava di morire.
A quel punto, se proprio era destino che
scomparisse, meglio farlo in silenzio, e lontano da tutti. Avrebbe aspettato
fino all’ultimo, fino a che non avesse sentito il proprio raziocinio farsi
ormai quasi impercettibile, quindi avrebbe fatto ciò che tre anni prima non le
era stato possibile; avrebbe piantato una mano nel petto e si sarebbe cavata il
cuore.
Quello era l’unico modo per un vampiro di
porre fine alla propria vita.
Intanto il respiro le veniva sempre più
difficoltoso, la sete aumentava, ed i suoi occhi già brillavano di quel bagliore
vermiglio che precedeva la completa sottomissione ai propri istinti.
Nagisa era quasi sul punto di lasciarsi
andare, quando un rumore di passi, quasi impercettibile nonostante il silenzio
per un normale orecchio umano, la fece trasalire, e con gli occhi che
scintillavano scattò in piedi rivolta in quella direzione.
Passò qualche istante, mentre il rumore si
faceva sempre più vicino, e dal buio di una stradina laterale uscirono due
giovani vampiri dall’età apparente di sedici anni o poco più, un ragazzo e una
ragazza; il ragazzo era magro, longilineo, i capelli rosso vino e gli occhi
azzurri, la ragazza invece era leggermente più bassa, quasi minuta, rossiccia e
vagamente goth, espressione pacata ma sicura di sé
arricchita da occhi ugualmente azzurri.
A giudicare dal loro odore, dovevano
appartenere di sicuro alla nobiltà; forse erano addirittura dei Livello A; ed
il motivo per il quale si trovavano lì, poteva essere soltanto uno.
«Siete già arrivati?» domandò Nagisa
provocatoria.
I due la guardarono qualche momento senza
proferire parola, facendo in questo modo irritare maggiormente Nagisa, che
messa una mano dietro la schiena ne prese fuori una piccola semiautomatica di
emergenza.
«Comunque, sappiate fin d’ora che non sarò una
preda facile».
Finalmente, i due nuovi venuti si degnarono di
parlare.
«Shiki, occupatene
tu.»
«È sempre la solita storia, Rima.» rispose lui
facendo qualche passo avanti «Alla fine il lavoro sporco tocca sempre a me».
Il ragazzo si morse leggermente l’indice
destro, e come il sangue sgorgò dalla ferita questi si tramutò istantaneamente
in una lunghissima frusta che fu scagliata violentemente contro Nagisa. Lei
però non si fece trovare impreparata e schivò, così come schivò anche i cinque
colpi successivi, spostandosi velocissima da una parte all’altra sfruttando la
sua agilità.
Shiki fece
qualche altro tentativo, pur senza dare l’idea di starsi impegnando più di
tanto, ma Nagisa risultava sempre più veloce di lui e riusciva ad evitare i
colpi.
Quella specie di gioco a rimpiattino andò avanti
per circa un minuto, poi improvvisamente Nagisa decise di rispondere, e
schivata l’ennesima frustata sparò cinque colpi in rapida successione,
riuscendo a mirare con grande precisione al cuore e alla testa del nemico
nonostante stesse volando a mezz’aria. Shiki però non
si fece trovare impreparato, e velocissimo agitò nuovamente il suo lazo, che
come animato di vita propria intercettò e bloccò tutti i proiettili facendo
deviare la loro traiettoria.
Uno di questi, però, non era diretto a lui, e
libero nella sua traiettoria puntò dritto su Rima, la quale tuttavia non si
scompose minimamente; la pallottola continuò a viaggiare, ma giunta quasi a
trafiggerle la fronte venne prima bloccata ed in seguito disintegrata da una
specie di maglia di fulmini comparsa dinnanzi al viso della ragazza, che non
dovette neanche muoversi.
«Sta un po’ più attento.» disse a Shiki, colpevole di non aver deviato anche l’ultimo colpo
«Almeno così farai qualcosa anche tu.»
«Sei molto sgarbato, lo sai?».
Tutta quella superficialità e spavalderia
irritavano oltre ogni modo Nagisa; quei due vampiri la vedevano come un
comunissimo Livello E, uno dei tanti che sicuramente avevano già ucciso, e la
cosa la faceva infuriare all’inverosimile, spingendola in questo modo sempre di
più verso quell’abisso dal quale non si poteva uscire.
Non c’era altro da fare.
Quella piccola parte di sanità mentale che la
sete le aveva lasciato le diceva che doveva andarsene da lì alla svelta, e
tentare un nuovo approccio che le desse qualche speranza in più; con le sue
armi abituali e nella sua forma ottimale sarebbe stato uno scontro ad armi
pari, ma in quelle condizioni era una causa persa.
Guardatasi attorno, la ragazza vide un muro
pesantemente crepato proprio accanto a sé, e colpitolo con un pugno spaventoso
riuscì ad abbatterlo, producendo un polverone tale da ricoprire l’intera
strada; Shiki e Rima si coprirono gli occhi un
momento, e quando li riaprirono Nagisa era già sparita.
«È scappata.» osservò Shiki
«L’odore è ancora forte.» commentò Rima «Deve essersi
nascosta qui intorno.»
«Accidenti. E io che pensavo sarebbe stato un
compito facile.» e detto questo i due si separarono, scattando fulminei in
diverse direzioni.
Nel
mentre, Himuro e Izumi erano arrivati alle recinzioni
che delimitavano l’area contaminata, un quarto delle quali correvano parallele
alla strada che scendeva verso sud.
Il problema era che erano alte più di tre
metri, di solido acciaio rinforzato, e provviste tutte di filo spinato;
impossibile tentare di scalarle, e per tranciarle ci sarebbe voluta come minimo
la fiamma ossidrica.
«E ora come facciamo ad entrare?» domandò
mentre Himuro imboscava lo scooter dietro a dei
cespugli
«Non preoccuparti. Seguimi».
Alla luce di una torcia i due ragazzi si
incamminarono nel bosco, fino a raggiungere una porzione di recinzione coperta
da alcune frasche, le quali, una volta rimosse, rivelarono dietro di esse un
foro abbastanza grande da poterci passare.
«Possiamo entrare da qui. Fai attenzione a non
tagliarti.»
«Lo hai trovato per caso?»
«No, l’ho aperto io.» disse mentre aiutava
Izumi a passare «È dal giorno dell’incidente che cerco di scoprire quello che è
realmente accaduto a Ogurayama.»
«Cosa intendi dire?»
«Ho fatto delle ricerche. Ci sono molte cose
che non tornano in tutta questa faccenda.»
«Per esempio?»
«Questa cittadina, così come tutta la regione,
sono vissute nell’indifferenza più assoluta per diversi decenni.
Poi, all’improvviso, qualcuno arriva qui e
decide di costruirci un importante centro di ricerche.»
«In effetti, è parecchio strano.»
«Per come la vedo io, l’intento era chiaro.
Volevano un posto dove poter condurre indisturbati esperimenti di qualsiasi
genere, ma dove poter contare allo stesso tempo sulla collaborazione e
disponibilità di mezzi di uno stato molto ricco e potente come il Giappone.»
«Perché avrebbero dovuto fare una cosa del
genere?»
«Non è ovvio? Perché lì dentro evidentemente
si faceva qualcosa che andava ben oltre i normali limiti dell’etica e della
ricerca scientifica».
Izumi rimase di sasso, e pian piano ogni cosa cominciò,
almeno ai suoi occhi, ad acquisire un senso.
«La ImagawaZaibatsu ha portato in questa valle fiumi di soldi. Ben più
di quelli strettamente necessari. Hanno praticamente rimesso a nuovo la città,
rilanciandone l’economia e aumentandone i servizi. In questo modo, si sono
assicurati la benevolenza e la fedeltà della popolazione.
In questo modo, hanno anche gettato fumo negli
occhi a tutti, così che nessuno si facesse troppe domande.
Era questo che mio padre aveva capito. È per
questo che cene siamo andati».
Himuro si fermò
un momento, esitante.
«Se solo fossimo riusciti a convincere anche
Nagisa e la sua famiglia ad andarsene. Forse tutto questo non sarebbe
successo.» poi riprese «Inoltre, pare che all’interno di quel centro i
dipendenti si comportassero in modo sospetto.»
«Che intendi per sospetto?»
«Sembravano fare dei turni strani. Durante il
giorno il centro sembrava quasi disabitato, o comunque ci lavoravano in pochi.
Era di notte che veniva svolta la maggior parte del lavoro.
Un altro motivo per essere sospettosi, a parer
mio».
Izumi a quel punto si bloccò, pensierosa; ora
tutti diventava un po’ più chiaro.
«Cosa c’è?» chiese Himuro
vedendo che la ragazza si era fermata
«Forse so cosa è successo realmente in questo
posto.»
«Cosa vuoi dire?» rispose sobbalzando il
ragazzo
«Qui è realmente successo qualcosa. Ma non ciò
che potresti immaginare.»
«Avanti, non tenermi sulle spine. Di che cosa
stai parlando?»
«Ecco… potresti non
crederci, ma… ma io credo che potrebbe essere opera
dei vampiri.»
«Vampiri!?» esclamò Himuro.
Il suo sguardo, quando si fu calmato, parlava
da sé.
«Ti assicuro, se mi avessero detto una cosa
del genere anche solo questa mattina, io stessa non penso che ci avrei creduto.
Ma dopo quello che ho visto, e con quello che
mi hai raccontato, sono quasi sicura di non sbagliarmi».
Himuro si grattò
la testa perplesso; anche se la conosceva da poco, quella non gli sembrava
affatto una ragazza capace di inventarsi una cosa simile, e neppure una
svitata.
«Non chiedermi di essere più specifica, perché
neanche io ne so molto. Ma da quello che ho potuto capire, esistono vampiri
molto aggressivi, che attaccano gli umani per berne il sangue come un predatore
farebbe con la sua preda.
Forse sono stati questi vampiri predatori ad
attaccare il villaggio.»
«Quindi.» disse Himuro
dopo averci riflettuto «Mi stai dicendo che il centro di ricerca potrebbe non
c’entrare niente?»
«Ecco… non lo so.
Però hai detto che al centro lavoravano prevalentemente di notte. Forse anche
il centro di ricerche era gestito dai vampiri. Da quelli normali, intendo.»
«Tutta questa storia non ha senso.» sbottò il
ragazzo «E comunque, ora l’importante è trovare Nagisa. Di questo ci occuperemo
dopo».
In quella, un fragore molto forte arrivò da
quanto restava della cittadina, collocata leggermente più in basso e visibile
attraverso gli alberi; sembrava quello di una parete che crollava, per non dire
un intero palazzo.
Himuro rimase di
stucco, e subito dopo si mise a correre col terrore negl’occhi.
La
fuga di Nagisa era durata davvero molto poco.
Shiki e Rima
avevano impiegato solo pochi minuti per ritrovarla, e ora la stavano
martellando senza sosta, pur meravigliandosi della sua più che agguerrita
resistenza.
Dal canto suo, Nagisa non sembrava neppure più
la stessa persona, tanto la sete si era impadronita di lei; i suoi occhi
scintillavano, i canini sporgevano dalle labbra anche più del solito, si
spostava sia a due che a quattro zampe, e soffiava come una gatta messa
all’angolo e desiderosa di battersi.
Senza rendersene conto, aveva finito per
soccombere alla sua bestia, e tutto quello al quale pensava in quel momento era
riuscire a vincere, al punto che una volta esauriti i proiettili della sua
pistola era passata direttamente agli artigli, cresciuti fulmineamente.
I suoi due avversari stavano però incontrando
più difficoltà del previsto, al punto che anche Rima si era infine vista
costretta a portare assistenza al suo compagno scagliando fulmini e scosse
elettriche che sbriciolavano i vetri e bucavano muri che la frusta di Shiki faceva poi crollare.
Nagisa si difese con tutta la forza di cui era
capace, e con po’ di raziocinio che le era rimasto, ma più passavano i minuti
più veniva messa all’angolo.
Alla fine, la superiorità tecnica dei due
vampiri che l’affrontavano si rivelò determinante,e la ragazza, subito dopo aver schivato un
fulmine di Rima, si vide venire contro la frusta di Shiki,
che invece la centrò in pieno.
Normalmente un colpo simile avrebbe
significato la morte per qualsiasi Livello E, ma forse grazie al suo essere
così speciale Nagisa riuscì in qualche modo ad uscirne viva, seppur molto
debilitata; quando la polvere si posò, era riversa su di un fianco tra le
macerie del muro contro il quale era stata lanciata, quasi incosciente e
tremante per il dolore e la fatica.
Shiki e Rima le
si avvicinarono, fermandosi a distanza di sicurezza.
«Ci è voluto più del previsto.» disse Shiki
«Ma, bene o male, ci siamo riusciti.»
«È davvero forte per essere un Livello E.
Ammetto che cominciavo a divertirmi».
Nagisa alzò gli occhi, guardando i due
ringhiando e con aria di sfida.
«Incredibile.» commentò ridacchiando Rima
«Ancora non si arrende. Avanti, facciamola finita e andiamocene. Mi sono già
stancata di questo posto».
Shiki alzò il dito,
facendo per obbedire, ma proprio in quella il ragazzo venne letteralmente
investito da Himuro, che gli si scagliò addosso
cogliendolo di sorpresa e buttandolo a terra.
Contemporaneamente, Izumi comparve da dietro
una casa, mettendosi davanti a Nagisa nel tentativo di proteggerla.
«Non fatelo!» urlò contro Rima
«Stupida, togliti di lì!» gridò la vampira
«Vuoi forse morire?».
Intanto Shiki si era
liberato senza troppe difficoltà di Himuro
allontanandolo con un calcio, ma il ragazzo, che tra le altre cose era nella
squadra universitaria di pugilato, non si fece spaventare e partì nuovamente
alla carica.
Shiki non
sapeva come comportarsi; la differenza tra lui e Himuro
era chiaramente abissale, e avrebbe potuto stenderlo quando voleva invece di
limitarsi a schivare diretti, ma in quanto vampiro nobile sapeva bene cosa
poteva succedergli se avesse arrecato danno ad un essere umano.
Ugualmente, anche Rima era combattuta;
teoricamente poteva ancora colpire Nagisa pur con Izumi di mezzo, ma non era
certa di poterci riuscire senza fare del male a quella ragazza sconsiderata.
Intanto Nagisa si stava riprendendo, e vedendo
Izumi davanti a sé sentì crescere ancora più forte la sete di sangue.
Ma poi, il suo sguardo si posò su Himuro, che nonostante tutte le botte ricevute da Shiki nel vano tentativo di costringerlo ad arrendersi
continuava storicamente a rialzarsi; come lo vide, qualcosa nella sua mente si
riaccese.
Dapprima delle immagini, poi dei ricordi:
ricordi della sua vita umana, e delle emozioni che in essa aveva provato,
emozioni bellissime ed ormai lontane, ma il cui calore riusciva ancora a
scaldarle il cuore.
I suoi occhi, da luccicanti che erano,
tornarono ad essere vagamente umani, e la sua volontà tornò a rafforzarsi, nel
tentativo di rimettere al suo posto quella bestia sanguinaria alla quale la
sete continuava a dare forza e vigore.
«Hi…Himuro…» balbettò tentando di recuperare il controllo del
proprio corpo.
Shiki e Rima se
ne avvidero, restando comprensibilmente stupiti nel vedere, per la prima volta
da che ne avevano memoria, un Livello E riacquistare apparentemente il senno, e
ancora una volta non seppero come comportarsi.
«Perché volete ucciderla?» chiese Izumi
«Non capite, non c’è altra scelta.» replicò Shiki «È diventata un Livello E. Non è più la persona che
avete conosciuto. Se la lasciamo fare attaccherà e aggredirà gli esseri umani. Anche
voi!»
«Ti sbagli!» urlo Himuro
ansimando e togliendosi il sangue dalla bocca «Nagisa è una mia carissima amica,
e di certo non è così debole come voi la immaginate!».
Era una situazione quanto mai ironica; due
esseri umani che proteggevano un Livello E che stava tentando di riprendere il
controllo, e due vampiri con degli ordini che non sapevano cosa fare.
A quell’insolito stallo che si era venuto a
creare seguì un istante, uno solo, di quiete assoluta, e subito dopo Rima cadde
in avanti, colpita alle spalle da una specie di paletti di ghiaccio che le
avevano trafitto tutto il corpo.
«Rima!» urlò il suo partner vedendola
rantolare al suolo sputando sangue.
Seguì, improvvisa, una lugubre e sguaiata
risata, e Shiki, voltatosi, vide che sul tetto di un
edificio vicino era comparso un giovane dai capelli biondi, molto somigliante
ad una persona che già conosceva, ma leggermente diverso.
«Capite ora?» disse il nuovo venuto «È questo
il potere di un vero vampiro.» poi ghignò malevolo «Gli inetti e gli incapaci,
è molto meglio che spariscano.».
A quel punto il ragazzo biondo mosse una mano,
e centinaia di nuovi spuntoni si materializzarono tutto attorno a lui, puntando
tutti contro Shiki.
Il ragazzo, voltatosi, prese ad agitare la sua
frusta di sangue nel tentativo di difendersi, ma dopo solo pochi secondi le
forze lo abbandonarono e fu a sua volta colpito più e più volte come la sua
partner, rovinando a sua volta sull’asfalto.
Un normale essere umano al loro posto sarebbe
sicuramente morto, ma dopotutto restavano pur sempre dei vampiri.
Izumi e Himuro
rimasero paralizzati per lo sgomento, e dopo poco il nuovo venuto si palesò
davanti a loro in una la sua superbia e sicurezza di sé.
«Ero venuto qui per scoprire chi mi avesse
rubato la mia preda di Tokyo, ma nonostante tutto non sembra essermi andata
tanto male.
Se non altro, ho ripulito questo mondo da
altri due vampiri inutili».
Himuro, pur se
spaventato, tentò di attaccare, ma al ragazzo biondo bastò un pugno all’addome
per lasciarlo inginocchiato a terra a trattenere i conati.
A quel punto, restarono solo Izumi e Nagisa,
ormai tornata quasi completamente padrona di sé, che si mise davanti ad Izumi
come a volerla proteggere.
E fu proprio Nagisa che, vedendolo, quasi non
riuscì a credere ai suoi occhi, spalancando la bocca per lo stupore; anche il
ragazzo, dopo poco, ebbe una reazione simile.
«Kilyan!» esclamò
Nagisa
«Hidemasa!?» disse
invece il ragazzo, che poi rise di soddisfazione «Ma tu guarda che
combinazione! Pensavo che fossi morta!».
I due si conoscevano fin troppo bene.
Si erano visti per la prima volta proprio lì,
molti anni prima.
KilyanHanabusa aveva detto di essere il figlio del direttore del
centro di ricerche, e nel breve periodo in cui si era fatto vedere ad Ogurayama aveva frequentato spesso il bar dei genitori di
Nagisa.
Poi, come tutti, era scomparso dopo l’Incidente.
Nagisa aveva sempre creduto che fosse morto
anche lui, e dapprincipio non le era mai venuto in mente di collegare il suo
vecchio e caro amico con la potente famiglia degli Hanabusa,
che era confermato avesse un solo figlio; ma ora, tutto sembrava farsi
drammaticamente più chiaro.
Questa era la prova definitiva.
La prova che in quel centro era davvero successo
qualcosa di poco chiaro, e che andava ben oltre quello che era a conoscenza del
consiglio dei vampiri o della stessa associazione.
«Avevo sentito dire che fossi diventata un
vampiro.» proseguì Kilyan «Ma che fossi caduta così
in basso, questo ancora non lo sapevo.
Per quale motivo sei tornata in questa fogna?»
«Fogna!?» ringhiò Nagisa «Questa era la mia
casa! La mia città!»
«Adesso è solamente un cimitero. L’ho sempre
detto io, bisogna diffidare della generosità eccessiva. Gli stupidi paesani che
vivevano qui avrebbero dovuto capire subito che c’era qualcosa sotto.»
«Che vuoi dire!?»
«Ovviamente non era previsto che si arrivasse
a questo punto, ma era chiaro che in un modo o nell’altro fosse destinata a
finire.
Certo però, che coprire le tracce è stata una
vera faticaccia».
Di colpo, un sospetto atroce si fece largo
nella mente di Nagisa.
«Sei stato tu!» urlò in preda alla rabbia «Sei
tu che hai distrutto la diga intrappolandoci qui dentro!»
«Devi capire. Non potevamo certo lasciare
testimoni. La discrezione era già andata a farsi benedire, e non era certo il
caso di scatenare un vespaio».
La ragazza si sentì ribollire il sangue nelle
vene, al punto di non ragionare più.
«Maledetto!» gridò scagliandosi all’attacco.
Ma Kilyan era su un
altro pianeta rispetto a lei; prima schivò, quindi con un paio di colpi la
costrinse nuovamente all’obbedienza buttandola a terra.
«Tieni duro.» le disse Izumi cercando di
aiutarla
«Mi sei sempre piaciuta, Nagisa. E ora, mi
piaci ancora di più.» disse a quel punto Hanabusa,
che poi sorrise enigmatico «Dimmi, non ti piacerebbe avere salva la vita?».
Lei alzò gli occhi, incredula e confusa.
«I vampiri mutanti che attaccarono questo
villaggio avevano il mio sangue nelle vene. Il che, di conseguenza, fa
indirettamente di me il tuo creatore. E come tutti sanno, un vampiro ex-umano
può evitare di regredire al Livello E bevendo il sangue del vampiro che lo ha
trasformato.
Inoltre, per ragioni che non starò a
spiegarti, il mio sangue è speciale. Basterà un sorso, e sarai libera dai tuoi
istinti da qui all’eternità, inoltre otterrai un potere inimmaginabile.
Tutto quello che devi fare, è legarti a me».
Nagisa sentì un colpo al cuore.
Allora, salvarsi da morte certa era ancora
possibile; ma come poteva anche solo pensare di salvare la propria vita
mettendosi al servizio di colui che aveva appena scoperto avergliela distrutta?
«Allora? Sto aspettando».
Seguirono istanti di assoluto silenzio,
durante i quali sembrò che potesse accadere di tutto.
Poi, un frastuono assordante riecheggiò nell’aria,
accompagnato dalla luce di un faro, e all’improvviso una moto color argento
sopraggiunse rombando sul campo di battaglia.
«Eric!» esclamò Izumi riconoscendone il
pilota.
La moto piombò giù dal tetto su cui era salita
per scavalcare le macerie, sgommando a lungo sull’asfalto umido prima di
riuscire a fermarsi, e immediatamente il suo occupante, fucile anti-materiale alla
mano, prese a scaricare colpi su colpi in direzione di Kilyan,
che tuttavia riuscì ad evitarli saltando più e più volte.
Anche Shiki, Rima e Himuro restarono colpiti, domandandosi chi fosse il nuovo
arrivato.
«Pa…padrone…» mormorò Nagisa alzandosi in piedi
«Sembra proprio che sia arrivato al momento
giusto».
Kilyan dal canto
subito capì subito chi gli stava davanti, soprattutto per via della forte
somiglianza con qualcuno che ben conosceva. Facendo due più due, poi, intuì che
chi gli stava davanti era anche colui che probabilmente aveva ucciso il vampiro
di Tokyo che era stato mandato a stanare.
«Allora sei tu che hai ucciso Chouno e Pavlov.»
«Chiunque tu sia, farai meglio a sparire prima
che mi arrabbi».
Passarono alcuni secondi, durante i quali tra
i due vampiri parve instaurarsi una gara di nervi per vedere chi dei due fosse
più saldo, ma quando Eric, seppur con una leggera titubanza, lasciato cadere il
fucile avvicinò la mano all’impugnatura della katana che portava dietro la
schiena, Kilyan, riconoscendo anche l’arma in
questione, decise che per il momento era meglio lasciar perdere.
«Lasciamo stare.» disse agitando le braccia
«Anche se sono sicuro delle mie capacità, non mi sento certo nelle condizioni
di affrontare un Sangue Puro di Livello A. Non ora, almeno.»
«Un… Sangue Puro!?»
ripeté incredulo Shiki.
Kilyan si
rivolse poi nuovamente a Nagisa.
«Hinemasa. Il mio
invito è ancora valido, comunque. Allora, cosa mi rispondi?».
Nagisa a quel punto si alzò in piedi, seppur
con l’aiuto di Izumi, quindi, dopo aver fissato un momento Hanabusa,
si diresse invece verso Eric, che la osservò restando in silenzio.
«Mi dispiace, Kilyan.
Io ho già un padrone, che intendo servire fino all’ultimo respiro.» e detto
questo piantò i denti nel collo di Eric, che non si ribellò né obiettò, ma che
anzi la strinse un momento a sé.
La ragazza bevve un sorso di sangue,
assaporandone estasiata il sapore sopraffino, e calmando così definitivamente
la propria bestia, almeno per un altro po’.
Quindi, con le labbra e i denti ancora rossi
del sangue bevuto, tornò a fissare Kilyan.
«E sappi questo. Il giorno che pianterò i miei
denti nel tuo collo, sarà per strappartelo via. Così vendicherò quello che hai
fatto alla mia città».
Il ragazzo non controbatté, ma anzi scrollò
ironicamente le spalle.
«Poco male. Quand’è così, vi saluto!» e
scomparve avvolto da un vortice di cristalli di ghiaccio.
Appena la situazione si fu calmata, tutti
tirarono un sospiro di sollievo.
«Izumi.» disse alla ragazza «Che ci fai tu
qui?»
«Il professore mi ha raccontato quello che è
successo, e mi ha detto dov’eri».
Poi Eric si avvicinò a Nagisa, che intanto
aveva aiutato Himuro, piegato da tutte le botte ricevute,
a rimettersi in piedi.
I due si guardarono, poi Nagisa, accertatasi
che l’amico riusciva a stare in piedi, lo lasciò, facendo un leggero inchino.
«Chiedo scusa, padrone. Mi dispiace per aver
agito di testa mia. Ti chiedo di perdonarmi».
Lui restò un attimo in silenzio, poi le tirò
uno schiaffo.
«Che fai?» protestò Himuro,
ma fu la stessa Nagisa a fermarlo.
Nagisa si aspettava un rimprovero, e invece
Eric dopo quella piccola punizione le passò una mano sulla nuca, carezzandola
come un padre con la propria figlia.
«Padrone…» disse
arrossendo
«Non provare mai più a farmi prendere uno
spavento simile, ci siamo capiti?»
«S…sì…» rispose lei, felice per la prima volta dopo tanto
tempo.
Nel mentre, Shiki e
Rima erano riusciti a togliersi i paletti dal corpo e a rigenerare le proprie
ferite, anche se erano ancora molto deboli; di colpo poi, come alzarono gli
occhi, videro Eric che li sovrastava minaccioso.
«Chi sei tu?» domandò Rima, che non aveva
sentito il discorso di Kilyan sul Livello A e sul
Sangue Puro
«Per i più, sono Eric Flyer, membro dell’associazione
Hunter.» rispose il ragazzo guardandoli severamente «Per voi, invece, sono
Enrico Lorenzi da Cassino.»
«L… Lorenzi!?»
balbettò Shiki sconvolto, e subito tutti e due si
inginocchiarono
«Mi perdoni, Enrico-sama!»
si affrettò a dire Rima «Se lo avessi saputo, non le avrei mancato di rispetto
in quel modo.»
«Chi è stato a mandarvi qui? Per conto di chi
date la caccia ai livello E? Per il Consiglio?».
I due giovani vampiri esitarono titubanti, e
allora Eric avvicinò minaccioso la mano alla spada.
«Scegliete. Potete parlare, e andarvene sulle
vostre gambe, o restare in silenzio, e vi ammazzo per aver aggredito la mia
succube. Se non sbaglio, la legge me lo consente».
Eric faceva chiaramente sul serio, e Shiki e Rima erano ancora troppo inesperti e giovani per
mettere la fedeltà sopra la loro vita, tanto più che il loro padrone non aveva
comandato la segretezza, qualora fossero stati interrogati.
«Noi…» disse Shiki «Noi agiamo per ordine del nobile KanameKuran, capo della famiglia Kuran.»
«Kaname!?» ripeté
Eric «Quand’è così, portategli un messaggio da parte mia. La prossima volta che
ci rivedremo, ha la mia parola che andrà diversamente.
E ora, sparite».
I due non se lo fecero ripetere e se ne
andarono.
«Perché Kaname ha
inviato quei due ad attaccare i Livello E?» chiese Nagisa
«Non credo fosse per questo.» rispose Eric «Credo
piuttosto che volesse tenere pulito questo posto dagli intrusi».
Ormai cominciava ad albeggiare, e il disco
solare iniziava a materializzarsi ad oriente sbucando da dietro le montagne.
«Comunque sia.» disse Eric «Ora mi sono
stufato di aspettare. Voglio delle risposte.»
«Sono con voi, padrone.» disse Nagisa facendo
un inchino.
I due si avvicinarono quindi a Himuro e Izumi.
«Te ne devi andare?» chiese Izumi
«Come ho detto, ci sono delle cose che voglio
sapere. È evidente che c’è qualcosa di molto grosso in ballo, e voglio scoprire
di che si tratta.» quindi si rivolse a Himuro, al
quale diede una banconota da diecimila yen «Ho un favore da chiederti. Assicurati
che questa ragazza torni a Tokyo quanto prima.»
«Ma, Eric…» tentò di
protestare lei
«È meglio se resti fuori da tutto questo,
Izumi. Il mondo in cui vivo io è molto pericoloso, come hai potuto vedere.
Non temere, Kogoro avrà cura di te. Del resto,
è quello che gli è stato ordinato.»
«Ordinato da chi!? Ma potrò rivederti?».
Lui non rispose a nessuna domanda, e voltate
le spalle tornò alla propria moto rimontando in sella.
Himuro e Nagisa,
invece, stettero ad osservarsi a lungo, in silenzio, guardandosi negli occhi.
«E così, te ne vai un’altra volta?».
Nagisa fece cenno di sì, e Himuro
guardò in basso.
«Senti, Nagisa, io…»
tentò di dire, ma stavolta la ragazza lo fermò
«Lascia perdere. Ormai ho fatto la mia scelta.
Ora viviamo in due mondi diversi. Due mondi che in alcun modo, e che per nessun
motivo, devono incrociarsi».
In quella il sole si elevò abbastanza da
diffondere il suo bagliore sulle rovine della vecchia Ogurayama,
e quando vide la pelle della sua cara amica fumare leggermente al contatto con
i raggi di luce Himuro capì completamente il senso di
quelle parole.
Ma non poteva lasciare che finisse così, senza
che accadesse nulla, e vinta la timidezza che per anni si era tenuto dentro la
abbracciò, stringendola a sé; Nagisa restò chiaramente di sasso, e anche quando
l’ebbe lasciata non parve voler credere a ciò che era successo.
«Allora… buona
fortuna, Nagi-chan. Io non ti dimenticherò mai.»
«Himuro…kun…».
Una lacrima rigò gli occhi della ragazza, la
quale però la fece rapidamente sparire nel tentativo di non darlo a vedere. Quindi,
rivolto un ultimo sguardo ad Himuro, raggiunse il
proprio padrone, salendo con lui sulla moto e coprendosi immediatamente le mani
ed il volto con guanti ed un casco per proteggersi dal sole.
Lei ed Himuro ebbero
il tempo di osservarsi un’ultima volta, ed anche Izumi ed Eric si guardarono,
poi i due giovani vampiri partirono, diretti alla ricerca di preziose risposte.
Destinazione, Hong Kong.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Lo so, avevo promesso
capitoli più corti, e non altri mostri preistorici da dieci pagine e più.
Ma purtroppo, quando
mi metto a scrivere, non ci sono santi né madonne che riescano a fermarmi, e a
dire il vero non sono ancora riuscito a capire se questo sia un bene o no.
Allora… immagino che la maggior parte dei lettori
in questo momento stiano folleggiando in vacanza.
Se è così, dico… beati loro.
I poveri sventurati
come me invece devono restare a casa in attesa del proprio momento, e intanto
continuo a scrivere.
Ora, però, quell’impegno
di cui vi avevo parlato non può più essere procrastinato, quindi mi ci vorrà
almeno qualche giorno per aggiornare di nuovo, tanto più che il prossimo
capitolo dovrebbe essere ugualmente complicato e lungo da scrivere.
Abbiate pazienza solo
qualche giorno! Cercherò di liberarmi il prima possibile!
Il sole aveva ormai quasi completamente
ultimato la sua discesa oltre le montagne orientali, e la megalopoli si era
accesa di colpo di tutte le sue innumerevoli luci.
Un ossuto ed asciutto vecchietto leggermente
gobbo, quasi pelato ma con due occhi rossi che scintillavano come quelli di un
gatto, salì su di un treno della TsuenWan, a quell’ora quasi completamente l liberato dei
pendolari di ritorno a casa al termine della giornata lavorativa.
Come entrò si guardò attorno, scorgendo tra le
non molte persone presenti un ragazzo in occhiali da sole e giacca col colletto
di pelo che come lo vide gli fece un cenno impercettibile. Lo raggiunse,
sedendosi accanto a lui, ma entrambi rimasero in silenzio fino a che il treno
non fu partito.
«Ne è passato di tempo, ragazzo.» disse il
vecchio senza guardarlo
«Ti trovo in forma, JunFat.» replicò Eric
«Che sei venuto a fare ad Hong Kong?»
«Sto cercando informazioni sulla ImagawaZaibatsu.»
«A che proposito?»
«A proposito dell’Incidente di Ogurayama.»
«Su quella storia si è già fatta luce, mi
sembra. La Imagawa è controllata e gestita
interamente dai vampiri, e collaborava e collabora tuttora con il consiglio
degli anziani e il Collegio Cross allo sviluppo delle compresse ematiche.
Era questo che veniva studiato nel centro di
ricerche in Giappone.
Ma allora era ancora uno studio ai primi
stadi. Alcuni soggetti che le hanno testate sono impazziti, e hanno fatto una
strage.»
«È quello che si è sempre voluto far credere.
Io invece sono convinto che abbiano qualcosa a
che fare coi vampiri mutanti».
JunFat sgranò gli occhi per lo stupore.
«Ne sei sicuro!?»
«Se non sbaglio, quello che tre anni fa mise a
ferro e fuoco le coste cinesi passò anche da queste parti. E guarda caso, la
sua comparsa avvenne proprio pochi mesi dopo l’Incidente di Ogurayama.
Allora si pensò che fosse un caso isolato, ma di recente questi vampiri mutanti
hanno iniziato a spuntare come funghi in tutte le parti del mondo.»
«La sede cinese non ne sapeva niente.»
«L’associazione e il consiglio preferiscono
tenersi per sé informazioni di questo tipo. Dovresti saperlo. Qualsiasi cosa
che possa mettere in pericolo l’equilibrio è una potenziale bomba a orologeria.
Cercheranno di risolverla alla solita maniera,
con discrezione e in silenzio. Ma io temo che questa faccenda sia molto più
grossa di quanto ci si potrebbe immaginare, e per come si stanno mettendo le
cose prima che riescano a fare qualcosa probabilmente sarà già scoppiato un
altro finimondo.»
«Ma che cosa ha a che fare tutto questo con la
Imagawa?»
«Se l’Incidente di Ogurayama
è davvero legato ai vampiri mutanti, come ormai sono sicuro che sia, allora è
chiaro che la Imagawa ha le mani in pasta in qualcosa
di cui nessuno, neppure il consiglio, è a conoscenza.
Dopotutto, è una casa farmaceutica specializzata
nei prodotti per vampiri. Potrebbero benissimo aver deciso di svolgere delle
ricerche tutte loro.»
«Ricerche di che tipo?»
«Manipolazione genetica. Lo sappiamo bene
tutti e due che molti vampiri sono ossessionati dall’idea di correggere le
anomalie e le debolezze proprie della loro specie. Forse anche il presidente
della Imagawa o chi per lui la pensa allo stesso
modo.»
«Quel panzone opulento di Imagawa!?
A quello l’unica cosa che interessa sono i soldi. Fa talmente schifo nel suo
modo di comportarsi che è riuscito a disgustare i suoi stessi simili.
Non ce lo vedo proprio a condurre una ricerca
di questo tipo.»
«Forse sì, se di mezzo c’è il profitto. Certo
è che in qualche modo è coinvolto, e voglio scoprire quanto e cosa sa.»
«È una parola. La sede della ImagawaZaibatsu è più
sorvegliata di una fortezza. Dovresti avere cento vite per riuscire ad entrare
là dentro senza invito.»
«Per questo mi sono rivolto a te.»
«Che ti serve?».
Eric mise una mano in tasca, cavandone fuori
un bel mucchio di dollari e una busta chiusa.
«Ho bisogno di documenti falsi e di tutto il
necessario. Voglio infiltrare una mia talpa all’interno di quel grattacielo.
La tratti ancora questa roba, vero?».
Il vecchio fece una strana smorfia, poi prese
i soldi e li contò velocemente.
«Il prezzo è aumentato negli ultimi anni. Da
quando i cinesi hanno preso il potere, sono cambiate tante cose da queste
parti.»
«È tutto quello che ho, al momento. Di più non
posso darti. Ma posso sempre rivolgermi a qualcuno con meno pretese. Oppure
potrei informare chi di dovere dei tuoi passatempi e dei mezzi coi quali ti
arrotondi lo stipendio.»
«D’accordo, moccioso.» ringhiò JunFat ingoiando il rospo e
infilandosi in tasca i soldi «Anche stavolta hai vinto tu.»
«Così mi piaci».
In quella la metropolitana raggiunse la
fermata successiva, le porte si aprirono e la gente cominciò a defluire. Anche
Eric si alzò per scendere dal treno.
«Vieni domattina al solito posto. Troverai
tutto quello che ti serve.»
«Capito.»
«Ragazzo.» disse poi il vecchio un attimo prima
che Eric varcasse le porte «Stai in guardia. Ho saputo che l’associazione ti
sta dando la caccia.»
«Che vengano pure.» replicò Eric sistemandosi
gli occhiali per poi andarsene.
ShingoImagawa, il
potente signore della ImagawaZaibatsu,
era esattamente come Eric lo dipingeva; un tronfio e grasso vampiro che aveva
saputo dilapidare, caso più unico che raro, la proverbiale bellezza fisica
della sua specie.
Il problema era che non gli piaceva bere
sangue, che a suo dire gli lasciava in bocca un cattivo sapore, e per questo
ovviava divorando quintali di carne cruda o semicruda, con risultati facilmente
prevedibili.
Peggio di tutto, non era più giovanissimo, e
con il passare degli anni aveva tramutato i piaceri derivatigli dalla sua
posizione sociale in veri e propri vizi, che ne avevano compromesso ormai
irrimediabilmente la prestanza fisica.
Con un doppiomento
molto pronunciato, una leggera calvizie e una pancia che debordava oscenamente,
riusciva ancora a conquistare le donne solo grazie ai suoi soldi e all’opulenza
del suo stile di vita, fatto di macchine lussuose, villoni
in giro per il mondo e un ufficio all’ultimo piano del suo grattacielo che
avrebbe fatto invidia ad un emiro arabo.
Il consiglio degli anziani e l’associazione lo
tolleravano solo per la sua ricchezza e gli scienziati che poteva vantare, ma
per il resto nessuno voleva avere niente a che fare con lui.
Eppure, conoscendolo, avrebbero dovuto
prevedere che prima o poi avrebbe tramato alle loro spalle, pronto a vendersi a
chi era disposto a pagarlo di più.
Quella notte, come al solito, stava dandosi da
fare con l’ultima delle tante escort che facevano avanti e indietro dalla
Marble Tower, quando all’improvviso una giovane donna
dai tratti cinesi coi capelli di uno strano colore azzurro e dagli occhi
terribilmente severi entrò nella stanza da letto attigua all’ufficio cogliendoli
sul fatto.
«È questa la maniera di entrare?» sbraitò
coprendosi in parte il suo corpo inguardabile
«C’è una chiamata urgente.» rispose calma lei
«Adesso sono impegnato! Che chiamino più
tardi!».
Quella però, all’apparenza una segretaria o un
attendente, lo guardò in modo molto severo, tanto che Imagawa,
sudando freddo, alla fine si arrese.
«D’accordo, ho capito.» sbottò, e dopo aver
cacciato via a pedate la escort si infilò una vestaglia ed uscì dalla stanza.
Dall’alto di quei centodue piani, il panorama
di Hong Kong immersa nella notte ma piena di luci era bello da togliere il
fiato.
Imagawa, pur
visibilmente scocciato, e sempre tallonato dalla sua severa e taciturna segretaria,
si accomodò alla sua lussuosissima e comodissima poltrona e accese il monitor
del computer, sul quale apparve in videochiamata la figura austera e composta
del cavalierManovic,
anch’egli seduto in poltrona e vestito del suo solito gessato bianco sporco,
con cravattino e camicia rosso vino.
«Augusto-sama.»
disse accennando un inchino
«Come procedono le sperimentazioni?»
«Ormai non manca molto, signore. Gli ultimi
test hanno dato un discreto successo, e siamo ad un passo dal correggere molte
delle anomalie.
Il problema principale resta il rigetto.
Ancora adesso, la cura e le manipolazioni genetiche causano il rigetto da parte
di quasi tutti i soggetti testati.
La maggior parte non sopravvive.»
«Era ampiamente previsto. Del resto occorrono
volontà e resistenza sopra la media per sopportare un cambiamento genetico di
questa portata.»
«Ma con qualche altro rimaneggiamento,
dovremmo poter alzare sensibilmente il margine di successo.»
«Quello che conta davvero è il problema dei
Livello E. Che cosa può dirmi riguardo a questo?».
Stavolta Imagawa non
seppe cosa rispondere, e si guardò un momento attorno visibilmente preoccupato.
«Ecco… il fatto è
che non riusciamo a venirne a capo».
Manovic aggrottò
le sopracciglia, chiaro segno di disapprovazione.
«È come una specie di antifurto. Per quante
manipolazioni e correzioni ci sforziamo di applicare, non riusciamo in alcun
modo ad accrescere l’efficacia del processo di vampirizzazione.
Fino ad ora siamo stati in grado di stimolare
il potere vampirizzante anche ai vampiri non di sangue puro, ma questo ha
comportato una drastica involuzione della capacità in questione, se capisce
cosa intendo.»
«Questa ricerca ha lo scopo di gettare le basi
per un aumento esponenziale della nostra popolazione. E fino a quando non
saranno stati trovati mezzi di più alta efficacia, la vampirizzazione
degli esseri umani è l’unico modo in cui possiamo sperare di non veder
ulteriormente ridurre il nostro numero.
Pertanto, questa ricerca ha la massima
priorità.
Credevo che ormai lo sapesse, signor Imagawa».
Il grassone si tirò il colletto, nervoso e
preoccupato.
«Comunque, l’ho chiamata anche per avvisarla
di un pericolo.»
«Di che pericolo!?» disse spaventato Imagawa
«Mio nipote ha iniziato ad interessarsi alla
questione dei vampiri mutanti fuggiti dal centro di ricerche di Ogurayama. E secondo i nostri informatori, in questo
momento si trova lì ad Hong Kong.»
«Non c’è nulla di cui preoccuparsi.» rispose
il direttore sicuro di sé «Le mie guardie sono dappertutto, sia dentro che
fuori dell’edificio, e la sorveglianza è strettissima.
Nessuno può entrare o uscire da questo posto
senza che io lo sappia.»
«Se fossi il lei non sottovaluterei Enrico. Ha
dimostrato in più occasioni di poter essere un avversario ostico, senza contare
che è un Lorenzi.
«Farò la dovuta attenzione. Anche se ammetto
di non essere eccessivamente turbato.» e il direttore guardò un momento la sua
segretaria «La guardia del corpo che il nobile Kaname
ha messo a mia disposizione ha già dato prova di saperci fare, dopotutto.»
«Spero per il suo bene che non stia
sottovalutando il problema.
Nel frattempo, si dia da fare. Ogni giorno che
passa senza che vi siano dei risultati, sono dei soldi che io ci rimetto.»
«Le garantisco che faremo tutto il possibile.
Può contare su di me».
Terminata la comunicazione il cavaliere spense
il televisore, restando a lungo seduto alla sua poltrona ad osservare lo
schermo nero.
Dalle tende, chiuse, entravano alcuni raggi di
sole.
«Senti, nonno.» disse Kylian
col suo solito modo di fare sbucando dal buio «Di solito non discuto i tuoi
ordini né commento le tue decisioni, ma credi sia stata una buona idea affidare
il cuore del progetto a quel grassone?»
«Imagawa ha i
migliori scienziati e ricercatori al suo servizio. È la persona più
qualificata. Inoltre, come hai avuto modo di vedere, ricerche di questo tipo
finiscono sempre per attirare l’attenzione, prima o poi. Per questo, molto
meglio che siano altri a prendersi i rischi.»
«Forse. Però, anche così…»
«Ad ogni modo, non mi aspettavo davvero una
percentuale di successo così bassa.»
«Colpa di questi inutili e insulsi vampiri di
oggi. Una massa di incapaci buoni a nulla schiavi delle loro paure e di una
mentalità bigotta.
Dove mai sta scritto che un nobile non dovrà
mai eguagliare in potenza un Sangue Puro? È stato proprio attenendosi a queste
ridicole leggi se la nostra specie sta andando in malora in questo modo.»
«Non essere così avventato e miope, ragazzo.
È vero, queste leggi ormai superate sono un
freno al potere della nostra razza, ma se ci stiamo estinguendo il problema è
soprattutto genetico.
I problemi che attanagliano da secoli la
stirpe della notte, e che ne stanno lentamente causando l’estinzione, sono
sostanzialmente tre.
Il primo, è che pur essendo molto longevi la
nostra capacità di riprodurci è molto limitata. Una femmina della specie può
dare vita solo ad un numero limitato di eredi prima di divenire sterile, mentre
al contrario le femmine di qualsiasi altra specie, inclusi gli umani, può
generare tutta la prole che vuole, e per un tempo relativamente lungo se
soppesato con la speranza di vita.
Il secondo, la nostra debolezza e
vulnerabilità alla luce del sole. L’allergia congenita della specie dei vampiri
ai raggi ultravioletti limita fortemente le nostre possibilità evolutive, visto
e considerato che questo mondo distribuisce in egual misura luce e tenebre.
Il terzo, è il progressivo impoverimento del
nostro potere trasformante, che non solo al giorno d’oggi è appannaggio di un
ristrettissimo numero di elementi, ma per di più ha una percentuale di successo
prossima allo 0%, ilche di conseguenza
ci priva della possibilità di accrescere il nostro numero tramutando gli umani.
Eppure, è storicamente dimostrato che i nostri
antenati più antichi non avevano nessuno di questi problemi.
Mentre la totalità delle altre specie viventi
affronta un continuo e inesorabile processo di evoluzione, la nostra al
contrario ha ad un certo punto iniziato a percorrere la strada opposta, dando
inizio ad una progressiva involuzione in negativo. Così facendo la nostra progenie,
invece che più forte, è venuta al mondo sempre più debole, fino a diventare
quella che è adesso.
L’unico modo per interrompere questo ciclo
autodistruttivo è correggere le anomalie che stanno condannando a morte tutti i
vampiri sfruttando le conoscenze apprese dallo studio sui nostri antenati, ed è
a questo che serve la nostra ricerca.»
«Però, a ben pensarci, che senso potrebbe mai
avere salvare questa banda di incapaci?
Anche quei due vampiri che ho regolato in
Giappone. Erano vampiri autentici e di nobile stirpe, eppure…»
«Non tutti possono vantare una forza e una
volontà d’animo come le tue. Lo dimostra il fatto che sei stato il solo assieme
a Shezka a superare le sperimentazioni.»
«Ovviamente. Ma di certo, non grazie ai geni
di quell’incapace di mio padre. Scommetto che il mio fratellastro, nonostante
tutta la sua boria e il suo sedicente sangue nobile, sarebbe sicuramente
morto.»
«Chi può dirlo.
Ora però, se non ti spiace, vorrei restare un
po’ da solo.»
«Come vuoi».
Kilyan a quel
punto lasciò la stanza, trovando Kaname ad aspettarlo
nel corridoio. I due si guardarono in modo enigmatico, per non dire minaccioso.
«Ho saputo che hai attaccato due dei miei
servitori.» disse Kuran
«Se non sbaglio ti era stato affidato un
incarico. Impedire a chiunque di mettere piede nell’aria recintata. E visto che
i tuoi cosiddetti vampiri non ne sono stati capaci, ho pensato che avessero
bisogno di una lezione.
In ogni caso, se quei due incapaci sono il
meglio che ti puoi permettere, allora avevo decisamente sopravvalutato il
casato dei Kuran.»
«Correggimi se sbaglio.» replicò Kaname con due occhi penetranti «Ma credo di poter dire che
nulla di tutto questo sarebbe mai accaduto se il centro per le ricerche non
avesse avuto quell’incidente».
Punto sul vivo, Kilyan
aggrottò le sopracciglia, mentre l’aria attorno a lui si faceva talmente fredda
da generare condensa, e un secondo dopo una sottile punta metallica si conficcò
nel muro accanto all’orecchio di Kaname, che non si
mosse.
«Non provocarmi, Sangue Puro.»
«È dunque questo il potere di un vampiro
mutante?»
«Tu fai tanto il gradasso.» disse Hanabusa sorridendo malevolo «Ma in confronto a Valopingius sei solo uno sgorbio come i tuoi lacchè.»
«Può darsi.» rispose Kaname
con sufficienza
«Giusto per mettere in chiaro le cose. Tu non
mi piaci. E se non fosse per gli ordini del vecchio, ti ammazzerei con le mie
mani».
Poi, Kilyan
sogghignò beffardamente.
«E per tornare alla questione del Centro per
le Ricerche, a distanza di tre anni ancora non capisco cosa sia davvero successo.
Tutto quello che si sa è che qualcosa è andato storto, e tutti gli esemplari
sono scappati.»
«Stai forse insinuando qualcosa?»
«Io non insinuo niente. Del resto la famiglia Kuran non ha mano fatto parlare bene di sé quando si
trattava di preservare la sopravvivenza della nostra specie».
Kaname non
rispose, e dopo qualche attimo tornò sui propri passi lasciando solo Hanabusa.
«E comunque, non c’è niente di che essere
preoccupati.» disse Kilyan mentre Kaname
si allontanava «Ho saputo che l’associazione ha messo qualcuno sulle tracce del
nostro ficcanaso, e se lo trovassero non vorrei essere nei suoi panni.
Alla fine saranno loro a fare il lavoro sporco
al nostro posto».
Alla
periferia orientale di Hong Kong, nella zona del porto, c’era un vecchio dojo ormai abbandonato e in disuso, che nonostante
l’esplosione urbanistica della città e la continua ricerca di nuovi spazi
nessuno si era ancora deciso a rimuovere.
Era una struttura senza pretese, un’unica
stanza con un tatami di paglia e le pareti tappezzate di appoggi per armi di
vario genere, ormai tutte scomparse.
Sovrastava ogni cosa una grande statua del
Buddha in terracotta, raffigurato in piedi e con la mano destra in atto di
meditazione.
Nagisa sedeva ai piedi della statua, Izanami stretta tra le braccia come fosse stato il suo più
grande tesoro; Eric era al centro del dojo, come in
meditazione, lo sguardo a terra e la mano sinistra nella stessa posa di quella
del Buddha.
Nelle ultime settimane, da quel giorno in
Bulgaria, non aveva mai smesso di allenarsi. Erano anni che quasi non lo faceva
più, troppo sicuro dei suoi mezzi e della sua superiorità contro i soliti
avversari, ma quello che era successo gli aveva fatto aprire gli occhi,
facendogli comprendere tutta la sua inadeguatezza; forse l’unica cosa buona che
si sentisse di attribuire ad uno come Kuran, con il
quale ora non sognava altro che un secondo confronto.
Eppure, non se la sentiva ancora di usare Izanami.
La prima volta che aveva provato ad estrarla,
gli era sembrato quasi che le sue vene ed arterie fossero uscite dai palmi e
dai polsi per entrare nella spada, sì da nutrirla col suo stesso sangue, e gli
era bastato un minuto di esercizio per crollare sfiancato.
Così, per ora, si esercitava con le katana
normali, nell’attesa di sentirsi abbastanza pronto da poter usare quella che,
ormai, era chiaro sarebbe diventata la sua prossima arma anti-vampiro.
Portando al massimo la concentrazione, e
sempre sotto l’occhio vigile e gentile allo stesso tempo della sua succube, il
ragazzo prese ad esercitarsi in una serie ininterrotta di kata
provenienti da varie discipline, alcuni storici altri da lui personalmente
ideati; impugnare un’arma tutta nuova era un’esperienza difficile, anche per un
veterano del combattimento come lui, e doveva migliorare la scioltezza ed i
riflessi.
Continuò ad esercitarsi per diversi minuti,
quasi si aspettasse l’arrivo prossimo di un avversario, e d’improvviso
l’avversario arrivò.
Nel mezzo di un kata
Eric si bloccò di colpo, la lama di media fattura ma ancora bella da vedere
immobile nell’aria, volgendo lo sguardo verso le vecchie porte del dojo, che lentamente si aprirono.
La luce dei lampioni all’esterno penetrò
ancora di più all’interno della stanza, mentre un’ombra, palesatasi sull’uscio,
avanzava lentamente, lasciando la porta aperta dietro di sé, e mantenendo in
questo modo la sua figura avvolta nell’oscurità.
Il nuovo venuto si portò, lentamente, al
centro del dojo, sempre seguito con lo sguardo da
Eric, che ad un tentativo di reazione di Nagisa le fece invece segno di restare
calma, e di non muoversi.
«Sapevo che avrebbero mandato te.» disse Eric
assumendo una posa più rilassata e meno minacciosa.
Kaien sorrise,
sistemandosi gli occhiali, poi mise la mano sull’impugnatura della sua spada.
«Eric Flyer.» disse estraendo l’arma «Il
consiglio ti ordina di rientrare immediatamente in Giappone, e di attenerti
all’ordine di sospensione emesso nei tuoi confronti.»
«Non posso farlo, mi dispiace.» rispose calmo
il ragazzo.
Il direttore, di nuovo, sorrise, e un attimo
dopo le due lame saettarono nell’aria, dirette l’una verso l’altra.
Lo scontro fu leggiadro, a malapena accennato,
e si interruppe quasi subito, scavando un solco nella distanza tra i due
avversari.
«Potrebbero sospenderti. O anche peggio.»
disse Kaien mentre camminavano in tondo, continuando
a guardarsi negl’occhi
«Non mi interessa. Ora voglio vederci chiaro».
Alla seconda volta fu Eric ad attaccare, ma il
direttore si fece trovare pronto e rispose.
Non c’erano cattiveria né aggressività nel
loro duello.
Sembravano quasi una coppia di ballerini,
impegnati in una danza superba e letale al tempo stesso, fatta di schivate
armoniose, fendenti leggeri e precisi e movimenti senza fallo.
«Che cosa hai scoperto?» chiese ancora Kaien durante un breve confronto di forza, mentre i due erano
viso a viso
«La ImagawaZaibatsu è coinvolta nella questione dei vampiri mutanti.
Voglio scoprire quanto e perché.» e detto questo si separarono nuovamente,
riprendendo a duellare mentre parlavano
«Potresti parlarne con l’Associazione. Così
facendo, forse, sarebbero più clementi.»
«Non intendo parlarne con nessuno. Almeno fino
a quando non avrò capito per intero l’intera questione.»
«Spiegati meglio.»
«Sappiamo bene tutti e due che quel porco
tronfio e idiota di Shingo non dispone certo di una
mente tanto aperta da voler portare avanti una ricerca di questo livello.
Deve avere un committente. Qualcuno che gli ha
affidato la ricerca per non doversi sporcare le mani.»
«Qualcuno chi?»
«È quello che voglio scoprire».
Continuarono così, a battersi senza volontà di
prevalere ma con tanta determinazione, eseguendo quella specie di coreografia
artistica che in presenza di pubblico avrebbe fatto crollare il soffitto.
Ma era destino che dovesse finire.
L’ultimo assalto, più violento degli altri, si
risolse con la lama di Kaien appoggiata sulla spalla
di Eric.
«Ti sei scoperto.» disse sorridendo il
direttore
«Anche tu.» rispose Eric, e solo allora Kaien si avvide di avere la lama di Eric a sfiorargli le
parti intime.
A quel punto, entrambi si allontanarono l’uno
dall’altro, riponendo le proprie armi.
«Questa storia è molto più grossa di quanto si
potesse immaginare.» disse Eric «E non escluderei a priori che anche qualcuno
interno all’associazione potrebbe esservi coinvolto.»
«Come fai ad esserne così sicuro?» chiese Kaien non senza preoccupazione
«Prova a rifletterci un momento. Non ti sembra
che la questione dei vampiri mutanti, oggi come tre anni fa, stia sollevando
molta meno polvere di quanto ci si dovrebbe aspettare, data la gravità del
problema?
Forse qualcuno con il potere e l’influenza
necessari per farlo sta cercando di insabbiare la questione per evitare che si
faccia troppo rumore. Qualcuno che ha cercato di mettere me a riposo e spedito
te a recuperarmi perché non possa andare infondo alla questione».
In quella, una nuova ombra comparve sulla
porta, una a prima vista assai meno minacciosa.
JunFat, da reietto ricercato quale era per i suoi metodi poco
ortodossi, quasi si spaventò nel vedere qualcuno come Kaien
Cross dinnanzi a sé, ma conoscendo la nomea di quell’uomo non si preoccupò più
di tanto; se lo avessero mandato lì per ucciderlo, a quell’ora sarebbe
sicuramente già morto.
Il direttore guardò un’ultima volta Eric, poi
Nagisa e lo stesso JunFat,
quindi, chinata la testa, si volse e tornò sui propri passi.
«Sta attento, ragazzo.» disse andandosene «La
corda è tirata al massimo, e molto presto si spezzerà. E quando succederà,
potresti andare incontro a conseguenze ben peggiori.»
«Sono pronto a correre il rischio.»
«Spero che tu non ti stia sopravvalutando. Lo spero
davvero. Nell’associazione c’è gente molto più pericolosa di me, e se
decidessero di metterla alle tue costole, non scommetterei sulla tua
sopravvivenza».
JunFat fu l’ultimo a staccare gli occhi da Kaien,
seguendolo fino a che non ebbe lasciato il dojo
scomparendo nel buio della stradina squallida in cui sorgeva.
«Ci hai messo troppo.» fu il primo commento di
Eric
«Ehi, non prendertela con me. Te l’avevo detto
che qui ormai non è più come un tempo.»
«Hai tutto l’occorrente?».
Il vecchio cinese porse allora al ragazzo la
busta che aveva con sé; Eric la prese e vi guardò dentro, quindi chiamò Nagisa
vicino a sé.
«Conto su di te.» disse porgendogliela
«Sì, padrone. Non vi deluderò».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Il famoso lavoro che
doveva tenermi occupato per un bel po’ di tempo si sta rivelando più semplice
del previsto, e così sono riuscito a trovare il tempo per scrivere ancora un po’.
Meglio spassarsela finché si può visto che ormai ci avviciniamo a ferragosto e
presto dovrò rimettermi a studiare.
Per non parlare poi
del fatto che da settembre a natale sarà un vero calvario, quindi ne approfitto
adesso.
Tenendo conto della
velocità con cui riesco ad aggiornare, non escludo di riuscire a concludere
questa storia entro settembre, per poi dedicarmi a cose un po’ più complicate e
rognose.
Allora, che ve ne è
parso? Ho rispolverato la mia vecchia passione per i grandi film di arti
marziali, ed era un pezzo che sognavo di raccontare uno scontro come quello tra
Eric e Kaien.
Svettava come un monumento alla grandezza e al
prestigio della ImagawaZaibatsu
nel cuore del quartiere economico di Hong Kong, e faceva sembrare tutti gli
altri grattacieli degli innocui e piccoli steli d’erba.
All’interno, poi, il lusso dominava
incontrastato.
Una volta entrati dall’ingresso principale, ci
si ritrovava in una gigantesca, spaventosa tromba che arrivava fin sul
soffitto, sapientemente illuminata da specchi e ampie vetrate, e sulla quale si
affacciavano le terrazze di tutti i piani.
Disponeva anche di un parcheggio sotterraneo e
due livelli inferiori, destinati quasi esclusivamente a centri di stoccaggio e
sgabuzzini.
Sia di giorno che di notte, la sicurezza era
integerrima, e soprattutto dopo il tramontare del sole, quando alle guardie
umane subentravano i vampiri, rendendo quel posto quasi inattaccabile per
qualsivoglia intruso.
Ad un certo punto, una delle guardie addette
al controllo degli ingressi vide avvicinarsi una giovanissima ragazza dall’aria
innocente e spaesata, ma abbastanza sicura di sé, abito grigio da segretaria,
valigetta appresso, capelli biondi raccolti in una crocchia e un paio di
occhiali da vista.
Malgrado da quel posto andasse e venisse una
miriade di gente, e lì dentro lavorassero oltre duemila persone, le facce che
si vedevano girare erano più o meno sempre le stesse, quindi la guardia non
faticò a riconoscere quella donna come un volto nuovo.
Per questo le andò incontro, fermandola col
palmo aperto.
«Posso vedere i suoi documenti?».
Quella non disse niente, ma messa una mano nel
taschino della giacca ne prese fuori una carta d’identità di Hong Kong che
esibì alla guardia; questi la prese e la controllò attentamente.
La carta era intestata a LiuHe, di Hong Kong.
Passarono alcuni secondi, durante i quali la
guardia non fece altro che fissare ora il documento ora la ragazza, che
seguitava a guardarlo negl’occhi senza timore né, all’apparenza, nulla da
nascondere.
«D’accordo, è tutto apposto.» disse
restituendo infine il documento «Le chiedo scusa.»
«Non fa niente.» rispose calma lei
«Buona giornata».
A quel punto la ragazza poté entrare nel
complesso, restandone non troppo sorpresa.
Era incredibile; nessuno avrebbe detto che
quella composta segretaria e Nagisa fossero la stessa persona. Si era anche
spalmata del filtro solare sul corpo, per evitare che il sole potesse darle
eccessivo fastidio.
«Mio signore.» disse sfiorando l’auricolare
nascosta nell’orecchio sinistro «Sono dentro.»
«D’accordo.» rispose Eric dal suo rifugio «Dai
un’occhiata in giro. È probabile che conducano le ricerche da qualche parte in
quell’edificio».
Facendo attenzione e cercando di non dare
nell’occhio, Nagisa prese ad esplorare un poco per volta i vari settori
dell’edificio.
Se qualcuno l’avesse fermata, o le avesse
chiesto spiegazioni su chi fosse e cosa volesse, la risposta era già pronta;
era una nuova impiegata che si era persa e non sapeva dove andare. In un posto
così grande non sarebbe stata certo una novità.
Nello stesso momento, Eric era seduto davanti
ad un computer all’interno del loro rifugio.
Tra le varie cose che suo nonno lo aveva
costretto ad imparare c’erano l’informatica e l’hackeraggio,
e così era riuscito senza troppe difficoltà a prendere il controllo di uno dei
satelliti spia dell’associazione e usarlo a suo vantaggio per analizzare e la
struttura della Marble Tower tramite l’invio di
segnali radio a ritorno diretto.
In questo modo, gli era stato possibile
realizzare una versione tridimensionale e abbastanza accurata di buona parte
dell’edificio, accorgendosi subito di due cose interessanti: la prima era che
la parte emersa della Marble Tower era solo la punta
dell’iceberg, e che al di sotto vi era una specie di enorme struttura
sotterranea che si diramava come una rete sotto le strade e i palazzi di Hong
Kong, a quasi un chilometro di profondità; la seconda, era che tutta questa
struttura, e anche alcune zone dell’edificio superiore, erano schermate dalle
trasmissioni radio, il che poteva significare solo che lì dentro doveva esserci
qualcosa di molto importante, e soprattutto segreto.
«Dovrebbe esserci un ingresso ai sotterranei
da qualche parte.» disse Eric osservando la mappa «Prova a cercarlo.»
«Sì.» rispose lei.
Nagisa provò con gli ascensori,ma come era
prevedibile scendevano solo fino ai livelli sotterranei conosciuti, quindi si
portò nell’atrio e si sedette su una delle panchine tutto attorno a un
giardinetto artificiale interno, facendo finta di niente e aspettando
l’occasione buona.
Passò circa un’ora, poi Nagisa intercettò tra
il mare di persone una ragazza che catturò immediatamente la sua attenzione, e
che dal fiuto riconobbe subito come un vampiro. Aveva capelli e occhi blu, ed
un’espressione marcatamente minacciosa.
Aspettò che le fosse passata davanti, quindi,
come la vide defilarsi dietro ad una porta a scorrimento da cui entrava e
usciva pochissima gente, immediatamente le si accodò.
La porta conduceva in una stanza secondaria,
che a sua volta disponeva di altri tre ingressi, uno per ogni lato, uno dei
quali provvisto di un cartello che limitava l’accesso; la ragazza prese quest’ultimo,
e Nagisa la imitò dopo qualche istante, ritrovandosi in una tromba di scale che
scendeva di alcuni piani verso il basso.
La ragazza sembrava sparita nel nulla, e di
lei non vi era traccia; probabilmente aveva usato il proprio potere di vampiro
per saltare direttamente sul fondo evitandosi la scarpinata. Facendo attenzione
che non ci fosse nessuno, Nagisa prese a scendere la rampa, dove l’unico rumore
era quello prodotto dal leggero tacco di quelle scarpe da ufficio che si era
vista costretta ad indossare.
Più Nagisa scendeva verso il basso, più il
contatto via etere con l’auricolare si faceva difficoltoso, ma bene o male lei
ed Eric riuscivano ancora a parlarsi discretamente.
Entrambi credevano che quella scala li avrebbe
portati direttamente al laboratorio, ma invece si fermò all’ultimo dei tre
livelli sotterranei conosciuti, quello destinato ai centri di alimentazione e
ad uso deposito.
Nonostante tutto, una volta varcato l’ennesimo
portone, Nagisa si trovò comunque in un luogo sufficientemente lussuoso, forse
anche troppo per essere un semplice sgabuzzino.
Della ragazza che aveva seguito continuava a
non esserci traccia, e allora Nagisa provò a guardarsi attorno in cerca di
indizi.
A prima vista non c’era niente di insolito;
solo tante stanzette disposte lungo un unico corridoio piene di ciarpame vario,
qualche piccolo archivio e qualche porta chiusa a chiave.
Eppure, quel posto sembrava molto più piccolo
di quanto ci si sarebbe immaginato; per la precisione, doveva occupare poco più
di un quarto della reale superficie del piano.
Incuriosita Nagisa provò a tastare i muri
portanti, scoprendo come si aspettava che si trattava di semplici pareti
divisorie, ma anche che non vi era ingresso alcuno ad unire le due parti del
sotterraneo.
Ora tutto cominciava ad avere un senso.
Quella piccola porzione di piano era
raggiungibile solo dalla tromba di scale che Nagisa aveva percorso, mentre al
resto del sotterraneo si poteva arrivare con gli ascensori e le altre rampe
riportate sulle mappe. Visto che si trattava di un posto molto poco frequentato
nessuno probabilmente si sarebbe mai accorto della differenza, e comunque
c’erano i cartelli a fare da deterrente.
Nagisa seguitò a camminare lungo il corridoio,
fino ad imbattersi come si aspettava in una pesante porta blindata chiusa
ermeticamente e provvista sia di lettore di schede che di pulsantiera per
digitare un codice di sicurezza, cosa assai insolita per uno scantinato.
Era ancora intenta a guardarla, quasi a
cercare di capire se fosse possibile riuscire ad entrare ugualmente, quando
questa si aprì violentemente, quasi investendola, e lei dovette saltare
all’indietro.
Il tempo di rialzare gli occhi, e la ragazza
che aveva inseguito era davanti a lei, occhi severi e indagatori piantati nei
suoi ed il corpo che emergeva per metà da oltre l’uscio rimasto socchiuso. Per
poco Nagisa non sudò freddo; se non fosse stato per il filtro che mascherava
anche il suo odore, si sarebbe sicuramente accorta di avere davanti un suo
simile.
«Lei chi è?» domandò quella con una severità
quasi annichilente
«Mi dispiace.» si affrettò a rispondere Nagisa
«Sono appena arrivata, e mi sono persa. Cercavo di arrivare al parcheggio.»
«Questo luogo è ad accesso limitato. Per
andare al parcheggio deve tornare al pianterreno e prendere la rampa di scale
quattro, o gli ascensori da uno a tre.»
«Capisco. La ringrazio».
Nagisa a quel punto non ebbe altra scelta che
tornare sui suoi passi, ma ragazza in azzurro stette ad osservarla finché non
se ne fu andata prima di chiudere la porta e scomparire nuovamente dietro di
essa.
Al
calare del sole, Nagisa fece ritorno al vecchio dojo
diroccato, in parte insoddisfatta degli scarsi progressi che era riuscita ad
ottenere.
Ma al suo arrivo Eric. Invece di
rimproverarla, la ringraziò, facendole i complimenti, cosa che la fece
arrossire e la confortò. Il primo giorno di ispezione, a conti fatti, non era
andato troppo male.
Ora Eric e Nagisa avevano la prova che la Imagawa aveva sicuramente qualcosa da nascondere, e che in
quel laboratorio sotterraneo dovevano venire compiute per forza quelle ricerche
sui vampiri mutanti che prima erano state condotte ad Ogurayama,
ma che poi, forse per scongiurare altri incidenti, erano state spostate
direttamente nella sede centrale.
Chissà cos’altro veniva fatto in quel
gigantesco complesso. Ma per ora, la priorità restava scoprire la verità sul
conto dei vampiri mutanti.
Il problema restava quella porta, quell’unico
punto d’accesso; ce n’erano anche altri in verità, quasi sicuramente ascensori
e montacarichi, ma erano tutti collocati all’interno di stanze e zone
dell’edificio ad alta protezione, le stesse che non era stato possibile mappare
neanche con il satellite, come camere blindate, centri di sicurezza e lo stesso
ufficio del direttore generale. Tutti posti assolutamente inarrivabili, a meno
di non scatenare una guerra.
«Non c’è niente da fare.» disse Eric
osservando al computer le foto della porta che Nagisa aveva scattato usando la
fotocamera nascosta nei suoi finti occhiali «Se vogliamo entrare, dobbiamo
farlo da qui.»
«Ma come possiamo fare?»
«Il codice di sicurezza non è niente di serio.
Ma resta il problema della tessera magnetica. Probabilmente solo chi ha accesso
a quella zona ne possiede una. Ho chiesto a JunFat, e mi ha detto di non poter fare nulla senza un
esemplare originale da clonare.»
«Ma noi non lo abbiamo un originale.»
«Potremmo procurarcelo, ma ci vorrebbe troppo
tempo. E in ogni caso, non siamo qui per fare un lavoro con guanti. Quello che
ci interessa è solo scoprire se là sotto vengono davvero condotte ricerche su
questi nuovi tipi di vampiro.»
«E allora come facciamo?».
Eric ci pensò un momento, passandosi di tanto
in tanto la mano tra i capelli.
«Vorrà dire che resteremo sul classico».
Nagisa lo guardò enigmatica, ed Eric dopo un
attimo si alzò dalla sedia.
«Ora però andiamo a letto. È stata una
giornata lunga, soprattutto per te. Meglio dormirci sopra per stanotte.»
«Ma padrone, io non ho sonno. Se volete,
possiamo procedere anche subito.»
«Fidati, vai a dormire.» le rispose
gentilmente Eric «Ne hai bisogno. Anche perché domani potrebbe essere una
giornata molto lunga».
Una
delle cose che ShingoImagawa
amava di più era gustare una fetta colossale di carne al sangue poco dopo
mezzanotte, comodamente seduto alla poltrona del suo ufficio, sorseggiando nel contempo
un’ottima bottiglia di qualcuno dei numerosi vini pregiati della sua cantina.
Dopotutto, era proprio per questa sua mania
che era diventato talmente tanto grasso e lardoso.
Mentre pranzava, come ogni notte, l’anziano
direttore del centro di ricerche sotterraneo venne ad esporgli il resoconto
quotidiano sull’andamento degli studi.
«Non ci sono grandi progressi, a quanto vedo.»
disse gettando da parte le scartoffie che il dottore aveva portato con sé
«Come le ho spiegato, si tratta di una ricerca
complessa. Ma almeno siamo riusciti a scoprire la causa dell’involuzione
improvvisa e incontrollabile dei vampiri umani.»
«Davvero? E dunque?»
«Non ne siamo ancora del tutto sicuri, ma
crediamo che si tratti di una versione potenziata e molto più aggressiva del
virus PZS102, o Vermillion.
Cresce e si moltiplica all’interno dei vampiri
modificati geneticamente poco dopo l’inizio delle sperimentazioni, e viene da
questi diffuso agli esseri umani attraverso il morso. Una volta all’interno
dell’organismo umano aggredisce le cellule cerebrali, danneggiandole
irreparabilmente e provocando in questo modo la regressione a Livello E.
Nei vampiri modificati questo processo è
sensibilmente più lento, ma in ogni caso quasi sempre inesorabile, a meno che
il soggetto non sia in possesso di eccezionali capacità fisiche e mentali, che
permettono al ceppo originario di annientare l’effetto di quello esterno.»
«E questo virus può essere debellato in
qualche modo?»
«Stiamo cercando di sviluppare un antisiero
che ne limiti l’efficacia. Ma è un lavoro molto lungo, e i mezzi su cui
lavorare sono pochi.»
«Continuate le sperimentazioni e le ricerche.»
rispose noncurante il direttore «Non preoccupatevi dei costi.»
«Ma, signor direttore…
il costo di tutto ciò rischia di essere altamente proibitivo. Persino per Lei.»
«Non è un problema, dal momento che non sono
io a pagare.
Puoi andare».
Il dottore esitò un momento, constatando una
volta di più la superficialità e l’avidità del suo principale, quindi, fatto un
inchino, se ne andò. Nello stesso momento in cui usciva, nell’ufficio entrò
invece il capo del servizio di sicurezza.
«Scusi se la disturbo, direttore. Ma è
urgente.»
«Mai che possa consumare il mio pasto in santa
pace.» commentò Imagawa poggiando le posate e
pulendosi la bocca circondata di sangue «Allora, di che si tratta?»
«Riguarda JunFat».
Nel sentire quel nome, il direttore aggrottò
le folte sopracciglia, e uno sguardo malevolo si accese nei suoi occhi.
«I nostri informatori ci hanno comunicato che JunFat proprio in questi giorni
avrebbe confezionato e consegnato dei documenti falsi a qualche elemento
sconosciuto, tra cui un tesserino di riconoscimento di questa società.»
«Che cosa!?» sbraitò Imagawa
scagliando il piatto di carne in faccia all’uomo, che non fece una piega
accettando lo sfogo «Di chi si tratta!? A chi li ha consegnati?»
«Non lo sappiamo ancora. Lo abbiamo fatto
seguire, ma ha fatto perdere le sue tracce».
Un sospetto, anzi una certezza, si insinuò
come un tarlo nella mente del direttore.
«È quel cacciatore! È sicuramente quel
cacciatore!» quindi emanò i suoi ordini «Limitate gli accessi all’edificio!
Aumentate la sorveglianza! Quel bastardo non deve poter riuscire neanche ad
avvicinarsi alla Marble Tower, ci siamo capiti?»
«Sì, signore.»
«Dannato Lorenzi. Dovrebbe mettere il
guinzaglio a suo nipote. Come pretende che possa fare bene il mio lavoro?»
«Signore, come ci comportiamo con JunFat? Vuole che continuiamo la
sorveglianza?»
«Niente affatto.» rispose ringhiando Imagawa «Quel vecchio ubriacone mi ha già causato abbastanza
problemi, coi suoi depistaggi e i suoi atti di sabotaggio.
Questa è l’ultima goccia.»
«Faccio mobilitare le nostre squadre
speciali?».
Il direttore ghignò malvagiamente.
«No. Ho un’idea migliore.
Dopotutto, il nostro sotterraneo è pieno di
scarti da laboratorio. Questa sarà l’occasione giusta per trarne qualcosa di
buono».
JunFat aveva
la sua base in uno squallido palazzetto semidiroccato
non troppo lontano dal dojo che Eric aveva sempre
usato come nascondiglio durante le sue precedenti missioni ad Hong Kong.
I giorni gloriosi all’interno
dell’associazione erano ormai solo un ricordo.
Troppi giudizi affrettati, troppi errori, ma
soprattutto un eccessivo ricorso a mezzi poco ortodossi; tutto questo aveva
affossato il suo buon nome e la sua reputazione, e anche se non era mai stato
del tutto scacciato ormai erano anni che non gli venivano assegnati nuovi
incarichi.
Ormai si manteneva più che altro con affarucci di bassa lega nella malavita locale, o lavorando
per conto di chi, come il giovane Flyer, non stava troppo a badare al suo
curriculum.
Nonostante tutto aveva persino due discepoli, Wei e Bao, uno alto e muscoloso,
con capelli ricci e lunghi da hippie mancato, e l’altro una specie di armadio
di centoventi chili con barba e baffi alla cinese; in verità erano più i suoi
allievi che i suoi apprendisti, ma sapevano menare le mani e lo aiutavano a
tenere pulite le strade dai vampiri indesiderati.
Quella notte sembrava tutto tranquillo, e i
tre se ne restavano seduti in una delle stanze disastrate della loro stamberga
a non fare nulla; Wei sfogliava una rivista porno con
la bava alla bocca, Bao dormiva buttato su un vecchio
divano scassato e JunFat
fissava il pavimento come sovrappensiero.
La sua guerra personale con la ImagawaZaibatsu, legata agli affari
sporchi condotti dal presidente, rischiava di essere ad un punto di svolta, e
l’arrivo inaspettato di Flyer poteva finire per distruggere il delicato
equilibrio che negli anni si era instaurato tra i due contendenti, una cosa che
allo stesso tempo eccitava e preoccupava il vecchio.
Ma troppe cose aveva fatto, e troppo grosse,
perché il suo potente avversario potesse soprassedere sulla sua ultima impresa,
permettere ad un estraneo di intrufolarsi nel suo impero.
Questa non gliel’avrebbe fatta passare liscia.
Certo, non si aspettava che sarebbe successo così presto, né in che modo Imagawa intendesse far finire una volta per sempre quel
conflitto decennale.
D’improvviso, la luce nell’edificio si spense
di colpo, lasciando il palazzo al buio.
«Che sta succedendo?» domandò Wei, che tirato Bao giù dal letto
volle andare fuori a dare un’occhiata.
Ma JunFat, invece, aveva capito. Ma più dei lamenti, e del senso
di minaccia che si stava avvicinando, a terrorizzarlo maggiormente fu l’odore:
odore di vampiro.
«Wei! Bao!» urlò scattando in piedi «Sono qui!».
Passò meno di un secondo, e un vero esercito
di esseri spaventosi, a metà tra vampiri e zombie, con i tratti somatici e la
fisionomia propri delle creature della notte ma il corpo devastato da pelle
rinsecchita, squarci da cui si intravedevano le ossa e altre menomazioni
sbucarono da ogni dove, addirittura sfondando i muri e il soffitto, e
circondando in questo modo i tre senza dar loro via di scampo.
Wei fu
sorpreso al pianterreno, Bao sulle scale, e JunFat nella stanzetta dove si
erano trovati fino a poco prima, e subito tutti e tre, prese fuori le loro
armi, si buttarono nella mischia: sapevano bene di non avere speranze contro
tutti quei mostri, ma non sarebbero morti senza avere la certezza di poterne
portare con sé quanti più possibile.
Wei
combatteva usando una coppia di chakram, che lanciava
e maneggiava con grande precisione, mozzando arti e segando teste, Bao invece disponeva di un gigantesco bonbori
che a dispetto della sua mole riusciva a maneggiare con sorprendente agilità e
scioltezza, fracassando crani e maciullando qualunque cosa gli capitasse a
tiro.
Entrambi si batterono valorosamente, riuscendo
ad abbattere venticinque e più nemici ciascuno, ma alla fine furono
irrimediabilmente travolti dopo aver combattuto con tutte le loro forze.
JunFat, forte della sua esperienza, riuscì a resistere più a
lungo, seguitando a mulinare nell’aria i suoi guanti artigliati fino a che gli
rimasero le forze per farlo, ma anche lui alla fine dovette arrendersi.
«Ragazzo.» disse nei suoi ultimi istanti di
vita «Meglio per te se arrivi infondo a questa storia».
Quella
notte, Nagisa sedeva alla stessa panchina dove si era accomodata il giorno
prima, nell’atrio della Marble Tower, in attesa di
una potenziale vittima.
Nonostante fosse ormai quasi mezzanotte
nell’edificio c’era ancora parecchio fermento, e non ci voleva un genio per
accorgersi che la maggioranza delle persone che transitavano da quelle parti
fossero vampiri.
La sorveglianza era parecchio aumentata nelle
ultime ventiquattro ore; guardie armate sorvegliavano ogni angolo, e
controllavano ogni volto, e anche se questo non aveva impedito a Nagisa di
riuscire ad entrare avrebbe dovuto fare molta più attenzione del solito.
Ad un certo punto un uomo, un ricercatore
sicuramente, uscì dalla famosa porta che immetteva nel corridoio con la rampa
di scale, valigetta in mano e diretto verso gli ascensori.
«Procedo.» sussurrò all’auricolare, ed
alzatasi dalla panchina andò volontariamente addosso alla sua vittima fingendo
uno scontro casuale «Mi scusi.»
«Non fa niente».
Veloce come un serpente, Nagisa gli infilò le
mani nelle tasche del camice, sfilandovi la tessera e nascondendola in tutta
fretta, e dopo un attimo quello, non accortosi di nulla, se ne andò come se
niente fosse.
A quel punto Nagisa scese nuovamente nei
sotterranei, raggiunse il portone ed infilò la tessera nel lettore, quindi
concentrò gli occhi sulla pulsantiera sfruttando la sua vista di vampiro per
riuscire a vedere gli aloni lasciati dalle dita di chi l’aveva usata.
I pulsanti dove erano presenti le impronte
erano il 2, il 6 e lo 0; tre numeri per una combinazione di quattro cifre. L’unica
cosa da fare era provare ad oltranza, sperando di non metterci troppo; alla
peggio, se non ci fosse riuscita, l’unica cosa da fare sarebbe stata nascondersi
ed aspettare che entrasse qualcun altro per vedere di persona di persona il
codice esatto e poterlo replicare.
Per fortuna, una volta tanto, la buona sorte
decise di fare l’occhiolino ad Eric e alla sua succube, che riuscì ad
indovinare la combinazione giusta (2260) dopo appena sei tentativi. La serratura
di sicurezza scattò, la porta si aprì leggermente e Nagisa poté finalmente
entrare.
«Mi raccomando, fai attenzione.» le disse Eric
mentre lei varcava la soglia.
Quello che Nagisa né Eric potevano immaginare
era che qualcuno, fin dal principio, aveva iniziato a sospettare di loro.
La guardia che aveva fermato Nagisa il giorno
appresso non era mai riuscito a togliersi dalla testa quella ragazza,
continuando a ripetersi che qualcosa non lo convinceva, e alla fine, vinto
dalla curiosità, dopo averla vista gironzolare anche nel mezzo della notte
aveva voluto fare qualche indagine, se non altro per far passare il tempo e
combattere la noia.
Gli era bastata una piccola ricerca all’anagrafe
di Hong Kong, dove aveva digitato il nome di LiuHe e la relativa, presunta data di nascita, per veder
comparire sul suo schermo la dicitura No Match Found,
mettendosi subito in allarme.
Ne era sicuro.
Afferrò immediatamente l’interfono, mettendosi
in contatto con il centro di controllo.
«Abbiamo un problema».
Come
ebbe attraversato il portone, Nagisa si ritrovò all’interno di uno stretto e
lunghissimo corridoio bianco, leggermente pendente verso il basso, al termine
del quale trovò un ascensore. Vi salì, spingendo l’unico bottone che scendeva
verso il basso, e solo quando la cabina si mise in modo si avvide che essa era
fatta quasi per metà di vetro rinforzato.
Di vetro divenne anche, ad un certo punto, il
condotto nel quale l’ascensore scorreva, e da un momento all’altro Nagisa rimase
immobile per l’incredulità e lo stupore.
Non si trattava di un semplice centro per le
ricerche nascosto, ma di una vera e propria città sotterranea, disposta su più
livelli collegati alla superficie da diversi ascensori e rinchiusa all’interno
di una gigantesca cupola.
«Questo posto… è
gigantesco.» mormorò meravigliata e atterrita.
Ora era chiaro come facesse Imagawa a compiere tutti i suoi intrallazzi e i suoi doppi
giochi al riparo da sguardi indiscreti. Con un simile impianto a propria
disposizione proprio nel centro di Hong Kong, cosa poteva mai temere?
Nonostante la vastità e l’immensità del posto,
Nagisa una volta raggiunto il primo dei vari livelli cominciò subito ad
esplorarlo, afferrando e indossando alla prima occasione buona un camice da
laboratorio pescato in un angolo per cercare di dare nell’occhio il meno
possibile.
Il laboratorio brulicava di vita, e gli
occupanti, quasi tutti vampiri, facevano avanti e indietro tra i corridoi e gli
innumerevoli laboratori, stanze di osservazione e impianti vari, chi in camice
chi rinchiuso in una tuta protettiva.
Nel suo girovagare senza meta in cerca di
risposte Nagisa vide scienziati intenti a compiere vari ed ignoti esperimenti,
osservando ai microscopi, lavorando al computer o testando delle cavie.
Poi, vide qualcosa che catturò ancora di più
la sua attenzione, spaventandola a morte.
Quasi per caso, buttò senza volerlo l’occhio
in uno strettissimo anfratto tra un laboratorio e l’altro, largo a malapena per
potervi infilare un braccio, scorgendo al suo interno, abbastanza lontana da
non essere illuminata dalla luce del corridoio, una specie di piccola scatola
rettangolare; incuriosita la osservò meglio, scoprendo con sgomento di cosa si
trattava.
«Padrone…» mormorò
«Qui c’è una bomba.»
«Che hai detto!? Una bomba!?».
La ragazza fece qualche foto, che venne
immediatamente inoltrata ad Eric, il quale rimase ugualmente sconcertato.
«Esplosivo al plastico C4.»
«Che sia un deterrente contro le intrusioni?»
«Potrebbe essere.» rispose Eric, che però non
ne sembrava eccessivamente convinto.
Nagisa proseguì per una mezz’ora nella sua
esplorazione, imbattendosi in altre bombe nascoste in anfratti e altri luoghi
invisibili, fino ad imbattersi, giunta quasi all’ultimo livello, in una stanza
chiusa ermeticamente, l’unica che avesse incontrato finora provvista a sua
volta del lettore di tessere, il che poteva significare solo che al suo interno
doveva esserci qualcosa di importante.
Per fortuna, almeno qui, non c’era c’erano da
digitare codici di sicurezza, quindi, dopo aver controllare di non avere
addosso occhi indiscreti, la ragazza infilò nuovamente la tessera ed entrò.
All’interno era completamente buio, fatta
eccezione per alcune strisce luminose sul pavimento che partendo dalla porta
sembravano indicare una specie di sentiero che procedeva dritto davanti a sé. Inoltre,
ai lati di questo, si potevano intravedere una specie di contenitori, alti e
cilindrici, ma che cosa fossero o cosa contenessero questo non era possibile
stabilirlo.
Cautamente, quasi avesse paura che in tutta
quell’oscurità potesse nascondersi qualche nemico, la ragazza avanzò
lentamente, usando i suoi sensi di vampiro per orientarsi nonostante il buio,
certa che lì dentro avrebbe trovato qualche risposta.
Forse c’era una fotocellula, forse calpestò
senza volerlo un qualche interruttore, fatto sta che d’improvviso tutti quei
cilindri,rivelatisi di vetro, si illuminarono dall’interno, mettendo a nudo uno
spettacolo orribile e spaventoso, che sconvolse letteralmente Nagisa, al punto
da farla trattenere a stento dal vomitare.
Ognuna di quelle capsule, perché di questo si
trattava, conteneva i resti di quelli che solo con molta fantasia si capivano
essere dei corpi, sia di esseri umani che di vampiri; erano decine, centinaia
di cavie da laboratorio, i cui segni dei tentativi di studio e di manipolazione
erano più che evidenti. Alcuni erano incompleti, altri orrendamente sfigurati,
altri rivoltati dall’esterno all’interno, con gli organi e i muscoli in bella
vista, gli occhi fuori dalle orbite quasi del tutto e i cervelli parzialmente
esposti.
Nagisa era così sconvolta che quasi si mise a
piangere, cadde in ginocchio e dovette guardare a terra, perché non ce la
faceva ad alzare lo sguardo; quale fine, quale ricerca poteva giustificare un simile
scempio, un tale orrore?
«Nagisa, che succede? Nagisa?».
Eric tentò più volte di mettersi in contatto
con lei, ma la sua succube non aveva neanche la forza di parlare.
L’ultima cosa che il ragazzo sì fu il rumore
sommesso di una porta che si apriva, poi un colpo improvviso, ed infine un
tonfo sordo, come di un corpo che cadeva inerme sul pavimento.
«Nagisa? Nagisa!» ma Nagisa non rispose più, e
dopo poco il silenzio divenne totale.
Non ci voleva un genio per capire che era
accaduto qualcosa.
Passarono solo pochi minuti, che Eric spese
rimproverandosi di essere stato un idiota a far rischiare in quel modo
sconsiderato la vita alla sua succube, quando d’improvviso la porta del dojo si aprì violentemente.
Il ragazzo, colto di sorpresa, saltò per lo
spavento, allungando immediatamente la mano verso Izanami,
appoggiata lì accanto, e volgendosi pronto ad estrarla.
«Chi sei?» domandò sconcertato vedendo entrare
nella stanza un uomo coperto di sangue e ferite.
In qualche modo, Wei
era riuscito a sottrarsi alla furia omicida di tutti quei Livello E, ma sapendo
che non gli restava molto da vivere aveva voluto spendere i pochi minuti che
gli restavano per trascinarsi fino da Eric a riferirgli quello che era
successo; sapeva dove si nascondeva perché JunFat glielo aveva detto, ma nelle sue condizioni era occorsa
una enormità di tempo per percorrere quelle poche centinaia di metri.
Appena entrato, e provato all’inverosimile, Wei rantolò sul tatami colorandolo di rosso, e venne
immediatamente soccorso da Eric, che tuttavia non poté fare altro se non
constatarne la morte imminente.
«Ci… ci hanno
scoperti. Il vecchio… è morto…»
«Il vecchio!? Vuoi dire JunFat?».
Wei fece
cenno di sì, e subito dopo, ormai esanime, spirò.
Tutto quello che Eric poté fare a quel punto fu
chiuderne gli occhi con un rapido gesto della mano, per poi alzarsi in piedi
fermo della sua decisione.
Il suo vecchio amico JunFat era morto, ma Nagisa era ancora viva, perché in
quanto suo padrone ne percepiva ancora l’essenza; in nome di entrambi doveva
fare quello che sentiva giusto, e al diavolo tutto il resto.
Probabilmente, anzi di sicuro, stavano
preparando una trappola tutta per lui, ma non gli importava: Nagisa non era
solo la sua succube, ma anche, e lui stesso si meravigliava di pensarlo, una
cara amica, che tante volte lo aveva tirato fuori dai guai. Era giunto il
momento di ricambiare.
Guardò Izanami. Ancora
non si sentiva pronto; così, optò per l’altra katana, quella con cui aveva
affrontato il direttore, e raccoltala se ne andò dopo aver coperto il corpo di Wei con un telo e gettato uno straccio infuocato alle
proprie spalle mentre usciva, così da non lasciare nessuna traccia.
Quando
Nagisa riaprì gli occhi, la prima cosa che avvertì fu un tremendo mal di testa
all’altezza del collo, lì dove qualcuno sbucato improvvisamente dal buio l’aveva
colpita.
Come ebbe piena coscienza di sé provò a
muoversi, ma quasi subito si accorse di essere immobilizzata, con le gambe
unite e chiuse da una specie di anello e le braccia alzate quasi in
orizzontale.
Lottando con il dolore, la ragazza aprì
leggermente gli occhi, e la prima cosa che vide fu il volto ripugnante di Imagawa che la osservava standole leggermente più in basso;
Nagisa era infatti legata non ad una sedia, ma ad una sorta di croce nell’ufficio
del presidente.
«Ben svegliata, piccola.» disse Imagawa leccandosi i baffi.
Accanto a lui c’era anche la ragazza coi
capelli azzurri, e quasi sicuramente era stata lei a stenderla in quel
sotterraneo.
Nagisa avrebbe voluto provare a liberarsi, ma
per qualche motivo si sentiva terribilmente debole, tanto da non riuscire quasi
a tenere la testa sollevata.
«È inutile che ci provi.» disse il presidente
vedendola che cercava di spezzare gli anelli che le incatenavano i polsi «Mi
sono preso la libertà di farti iniettare un sedativo sperimentale. Per un po’,
sarai parecchio stordita».
Il presidente, da uomo lascivo quale era, non
riuscì a stare indifferente all’indubbio fascino di Nagisa, che prese per il
mento guardandola da far venire i capelli bianchi per il disgusto.
«Sei proprio un bel bocconcino. È un peccato
che tu sia sprecata con quel buono a niente di un Lorenzi. Io potrei darti
molto di più».
Di tutta risposta Nagisa gli sputò, e allora
lui le assestò un tremendo ceffone prima di pulirsi col suo fazzoletto da
taschino.
«Sgualdrina. Mi occuperò di te a dovere appena
quel moccioso impiccione sarà morto.»
«Lui non verrà.» rispose lei guardando in
basso
«Sicura?» replicò il presidente sorridendo
beffardo.
Proprio in quel momento, dall’esterno giunse
un rumore come di esplosione, seguito subito dopo da raffiche di colpi e urla
di dolore che risuonavano appena fuori della stanza.
«Non ha perso tempo».
Quando, qualche minuto dopo, Eric sfondò la
porta della stanza, trovò Nagisa ancora legata a quella specie di croce, e
tenuta dalla ragazza in azzurro sotto la minaccia di una jian.
La stessa Nagisa rimase sorpresa nel vederlo comparire.
«Dovresti imparare a bussare.» disse il
direttore facendo roteare la sua poltrona, rivolta in quel momento verso i
vetri alle sue spalle «Benvenuto, giovane Lorenzi».
Eric istintivamente fece per ricorrere alla
sua capacità di manipolazione del tempo, come già aveva fatto fino a poco
prima, ma nell’istante in cui cercò di concentrarsi avvertì subito una strana
sensazione, come se là dentro ci fosse stato qualcosa che limitava il suo
potere.
«È inutile che ci provi.» disse Imagawa, che subito dopo indicò al ragazzo alcune strane
semisfere di vetro simili a lampadine disposte a distanze regolari lungo la
sommità di tutte le pareti «Quegli inibitori di energia non ti rendono più
pericoloso di qualsiasi altro vampiro».
Preoccupato, pur cercando di non darlo a
vedere, Eric cercò di pensare ad una soluzione; sapendo che poteva essere una
trappola aveva cercato, per quanto possibile, di essere prudente, ma a questa
eventualità non aveva minimamente pensato.
«Ora, ti spiacerebbe gettare l’arma?».
Il ragazzo purtroppo, anche dietro minaccia
della ragazza in azzurro, dovette obbedire, e lasciò cadere la sua katana.
«Sei stato molto sciocco a venire qui, solo
per salvare questa sgualdrina. Anche se a dire il vero non credevo sarebbe
stato così facile. Tuo nonno deve averti sopravvalutato, dopotutto.»
«Che cosa!?» esclamò Eric ad occhi sbarrati
«Mio nonno!?».
In
quello stesso momento, sul tetto di un palazzo non troppo lontano, un’ombra
minacciosa osservava la Marble Tower che si stagliava
in tutta la sua imponenza.
Questa, dopo essere rimasta immobile per
qualche attimo, ad un certo punto prese fuori una specie di telecomando, e
piegate le labbra in un enigmatico sorriso spinse un pulsante.
Un secondo dopo, un boato riecheggiò nel
sottosuolo di Hong Kong, e la torre, così come molti degli edifici attigui,
furono investiti da una tremenda scossa di terremoto che durò parecchi secondi.
«Ma che…» strillò
incredulo Shingo venendo sbalzato via dalla sua
sedia.
Anche la ragazza in azzurrò barcollò, ed Eric,
accortosi che il terremoto doveva aver danneggiato anche i limitatori di potere,
approfittò immediatamente della situazione piombandole addosso e assestandole
un poderoso colpo a mano aperta al ventre che la scagliò contro il finestrone
alle sue spalle.
I vetri, molto robusti resistettero, e a conti
fatti la ragazza ne uscì quasi indenne, ma nell’istante in cui Eric stava per
infliggerle il colpo di grazia il direttore, rialzatosi, lo stese con una
specie di pistola elettrica, che dimostrò di possedere gli stessi poteri
inibitori dei dispositivi montati nella stanza.
«Non contarci, ragazzino!» sbraitò il
direttore.
Poco dopo il televisore affisso al muro si
accese su di uno scenario apocalittico; il direttore del laboratorio
sotterraneo in primo piano sembrava una maschera di halloween, coperto com’era
di fumo e bruciature sul volto e sulle mani, il suo camice era tutto strappato
e alle sue spalle si vedevano fuoco e macerie.
«Ma che diavolo succede laggiù?»
«Signor presidente, il laboratorio sotterraneo
è stato sabotato!»
«Sabotato!?»
«Ci sono state esplosioni a catena in tutta la
struttura. Ci sono incendi ovunque, e numerose vittime!»
«Fate qualcosa, per Dio! Dovete salvare i
campioni! E le ricerche!»
«Signor presidente, questo è impossibile! Il laboratorio
ormai è un inferno!»
«Gli ascensori sono bloccati!» urlò
improvvisamente qualcuno alle sue spalle
«La prego, signor presidente! Deve aiutarci! Ci
tiri fuori di qui, per fa…».
In quella il direttore fu improvvisamente
travolta da una pioggia di detriti infuocati, subito dopo vi fu una esplosione
vicinissima, e l’immagine scomparve.
Il presidente Imagawa
era fuori di sé per lo sconcerto.
«Tu, maledetto!» sbraitò verso Eric, che
cercava di rialzarsi nonostante la scarica appena ricevuta «Questa è opera tua,
non è vero?» e buttatolo a terra prese a tirargli violenti calci «Tua! Tua! Tua!».
Ma non era ancora finita.
L’ombra appostata sul tetto attiguo, infatti,
spinse un secondo bottone del suo telecomando, e d’improvviso anche la torre fu
squarciata da un susseguirsi di violente esplosioni, che come in un letale
effetto domino si susseguirono dal pianterreno al ventesimo piano, producendo
un nuovo terremoto ed un vastissimo incendio che prese subito a diffondersi
anche ai piani più alti.
Questa volta fu il capo della sicurezza ad
avvisare di quanto accaduto irrompendo nella stanza del presidente.
«Signore, il palazzo è in fiamme! Qualcuno ha
piazzato delle bombe in tutto l’edificio!»
«Cosa, bombe!?»
«L’incendio si sta propagando! La torre non
resisterà ancora a lungo!»
«Maledizione, devo andarmene di qui!»
«C’è un elicottero sul tetto, pronto a
partire! Aspettano lei.»
«D’accordo. Seiren,
occupati di loro! Assicurati che non escano vivi da qui!» e detto questo Imagawa se la diede a gambe scortato dal suo gorilla.
Rimasta sola, Seiren
fece per obbedire all’ordine, e dare ad Eric, che ancora non si era ripreso del
tutto, il colpo di grazia.
Alzò la spada, guardandolo severamente, ma nel
momento in cui la abbassò trovò sulla sua spada una seconda jian;
Nagisa nel frattempo aveva recuperato buona parte delle sue forze, e grazie a
questo prima si era liberata, e subito dopo si era frapposta tra il suo padrone
e Seiren usando una delle numerose spade da
collezione affisse alla parete.
«Nagisa…» disse Eric
alzandosi in piedi
«Padrone, voi inseguite Imagawa!
A lei ci penso io!».
Eric non era del tutto sicuro, perché aveva
capito subito che Seiren era un avversario
pericoloso, ma volle avere fiducia nella sua succube e l’assecondò, lasciando a
sua volta la stanza per correre dietro al presidente.
«Fa attenzione.» disse Nagisa appena lei e Seiren furono rimaste sole «Non pensare minimamente che io
sia un nemico da poco, solo perché sono un’ex umana».
Per nulla intimorita, Seiren
si scagliò in attacco, ma Nagisa dimostrò di non aver parlato a vanvera e
respinse il suo attacco; in altri tempi non ci sarebbe mai riuscita, non contro
un vampiro così abile e di così alto ceto sociale, ma dopo quello che era
successo ad Ogurayama aveva deciso che avrebbe
imparato a controllare tutti i suoi poteri senza per questo cedere alla sua
bestia, ed era esattamente ciò che stava facendo.
«Ti avevo avvertita!» urlò costringendola ad
allontanarsi, e tra le due ragazze a quel punto iniziò un violento confronto
alla pari.
Intanto,
il direttore ed il suo gorilla erano arrivati sul tetto, dove l’elicottero era
già in moto e pronto a decollare.
Ma non fecero neanche in tempo ad avvicinarsi,
che la porta da cui erano entrati si spalancò nuovamente, ed Eric comparve alle
loro spalle.
«Maledetto!» gridò il presidente «Sei ancora
vivo?».
Il gorilla, estratto dalla giacca un grosso
coltello da guerra, provò a scagliarsi contro il ragazzo, ma questi prima
schivò senza difficoltà e infine assestò al nemico un colpo mortale piantandogli
la spada fino all’elsa dietro la schiena.
A quel punto, Shingo
rimase solo, e ritrovatosi seduto a terra osservò pieno di terrore Eric che si
avvicinava a lui.
«No! Ti prego! Non uccidermi!»
«Adesso tu parlerai. Mi sono spiegato?»
«Sì! Sì! Parlerò! Ma ti prego, risparmiami!»
«Che cos’è questa ricerca sui vampiri mutanti?
A che cosa serve?»
«Noi… noi stiamo
solo cercando di creare un nuovo tipo di vampiro per salvare la nostra specie.»
«Chi è il tuo complice in questi
esperimenti?».
Imagawa esitò,
consapevole che se avesse parlato non ne sarebbe comunque uscito vivo.
«Parla!»
«Ti prego! Non è stata un’idea mia! È tutta
colpa di Lorenzi! Augusto Lorenzi!»
«Come sospettavo.» ringhiò il ragazzo a denti
stretti «Allora c’è lui dietro a tutta questa storia.
Ma è evidente che neppure lui può aver
concepito un progetto simile, non senza delle basi solide da cui poter partire.
Da dove è iniziata questa ricerca?».
Di nuovo, Imagawa
cercò di trovare un pretesto per non dover rispondere, anche perché era troppo
terrorizzato per poterlo fare.
Nel mentre, alcuni piani più in basso, Seiren e Nagisa erano ancora impegnate in combattimento,
senza che nessuna delle due riuscisse a prevalere sull’altra. Seiren era chiaramente colpita, perché se rare volte le era
capitato di incontrare qualcuno alla sua altezza, di certo quello era l’unico
Livello D che avesse mai conosciuto in grado di metterla così in difficoltà.
Le sarebbe piaciuto continuare a battersi, se
non altro per vedere fin dove quella ragazza così determinata potesse arrivare,
ma all’improvviso una voce parve risuonarle nella testa.
«Basta così, Seiren.
È ora di eliminare gli elementi pericolosi.»
«Sì, mio signore.» rispose lei con il
pensiero.
In quella, l’incendio che divampava sempre più
vicino incrinò ulteriormente la stabilità del palazzo, che tremò nuovamente
sbilanciando Nagisa, e Seiren immediatamente ne
approfittò; gettata la spada, con un colpo della pistola che aveva con sé
fracassò i finestroni della stanza, quindi, gettata anche quest’altra arma, si
gettò all’esterno, prendendo a risalire velocissima lungo la parete del palazzo
sfruttando agilmente ogni più piccolo appiglio, e salendo come neanche il più
abile scalatore o l’animale più agile avrebbe saputo fare.
«Dove stai andando?» gridò Nagisa andandole
dietro, ma non riuscendo purtroppo ad essere altrettanto veloce.
In pochi secondi Seiren
raggiunse il tetto, e spiccato un salto altissimo piombò su Imagawa
come un angelo della morte, trapassandolo da parte a parte con il proprio
braccio d’acciaio; il poveretto non ebbe neanche il tempo di capire cosa era
successo, e come Seiren ritirò l’arto rovinò a terra moribondo
all’indietro.
«Tu!?» esclamò Eric assistendo impotente.
A quel punto, conclusi i propri obblighi, e un
attimo prima che Nagisa arrivasse a sua volta, Seiren
si gettò giù dal palazzo, scomparendo nel buio.
Vedendo che Imagawa
era ancora vivo, Eric tentò di soccorrerlo, se non altro per cavargli qualche
altra informazione prima che morisse.
«Ehi, tieni duro!»
«Ma… maledetto.»
mugolò riferendosi a Manovic il grassissimo vampiro
tossendo sangue «Mi elimini perché non ti servo più…»
«Da dove è cominciata la ricerca? Che cos’ha
in mente mio nonno? Dimmelo!».
Shingo, però,
fece a malapena in tempo a pronunciare una parola.
«Va…lopingius…» e detto questo morì, tramutandosi in polvere.
Vedendolo spirare così, senza potergli capire
niente di più, Eric batté violentemente il pugno a terra pieno di rabbia, ma
non era quello il momento per recriminare. Le esplosioni si facevano sempre più
vicine, e avevano ormai quasi raggiunto il tetto e le sue cisterne di
combustibile.
«Padrone, dobbiamo andarcene da qui!».
Purtroppo non c’era altro da fare.
Eric e Nagisa si lanciarono in tutta fretta
dentro l’elicottero, riuscendo ad allontanarsi appena in tempo per evitare l’ultima
esplosione della Marble Tower, il colpo di grazia,
che fece precipitare l’edificio su sé stesso tra il fumo e le fiamme,
seppellendone e distruggendone per sempre tutti i segreti.
Al
sorgere del sole, i due ragazzi erano al sicuro sulle colline ad ovest di Hong
Kong, lungo il confine cinese.
La città si stava risvegliando, e dal suo centro
si sollevava senza sosta una inquietante e funerea nuvola di fumo, visibile a
chilometri di distanza fino in mare aperto.
Ancora una volta, non era stato possibile per
loro trovare le rispose che erano venuti a cercare, nonostante tutti i
sacrifici fatti e tutte le vite spezzate per cercare di riuscirci.
Per non parlare poi dei rischi.
Come la notizia di quello che era successo
laggiù si fosse diffusa, con ogni probabilità Eric sarebbe diventato la persona
più ricercata del mondo sia dall’associazione che dal consiglio degli anziani.
A quel punto, scoprire la verità per cercare
di discolparsi era l’unica cosa che avrebbe potuto salvargli la vita, perché sperare
di riuscire a sfuggire al consiglio e all’associazione era pura utopia.
Ma non tutto era stato vano, almeno a voler
cercare di trovare qualcosa di positivo.
Ora sapeva che suo nonno, che da anni ormai
non faceva più parlare di sé, era coinvolto, che probabilmente qualcun altro,
sia tra la nobiltà dei vampiri che tra gli Hunter, sapeva di tutta quella
storia, come KanameKuran. E
poi c’era quel nome: Valopingius. Un nome che Eric
ben conosceva, ma che non immaginava potesse saltare fuori in una questione
simile.
«E adesso cosa facciamo, padrone?» domandò
Nagisa quasi affranta «Sicuramente ci staranno già cercando.»
«Non abbiamo scelta. Dobbiamo andare avanti. È
l’unica alternativa che ci resta.»
«Ma dove possiamo andare? Non sappiamo quasi
niente.»
«Ci servono altre rispose.» rispose Eric
togliendosi dagli occhi una fastidiosa ciocca di capelli «E forse so chi può
aiutarci a trovarle».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Aggiornamento a tempo
di record.
D’accordo, a questo
punto non fidatevi più quando vi dico che non scriverò più capitoli
chilometrici, perché è chiaro che non riesco a mantenere questa promessa.
Ma stavolta è anche
colpa mia. Nell’ultimo capitolo ho avuto così tanta fretta di aggiornare che ho
voluto fermarmi leggermente prima del previsto, e così il risultato è stato di
produrre un capitolo di 7 pagine e un altro di 14.
A onore del vero non
immaginavo (come al solito, direte voi^_^) che questo sarebbe stato così lungo,
ma che volete: una parola tira l’altra, e così…
Allora, piaciuta
questa breve parentesi alla MissionImpossible!? Colpa dei miei amici che l’altra sera mi hanno
costretto a vedere Protocollo Fantasma!^_^
Ora datemi un giorno o
due per sistemare quella famosa questione (e per godermi se non altro il
ferragosto) e poi tornerò con un capitolo con lo strabotto.
Prossima fermata di
Eric e Nagisa, la bella (e mia) Venezia!^_^
Manovic aveva preso l’abitudine, quando era
pensieroso o preoccupato, di ritirarsi nel sotterraneo del suo castello ad
osservare in solitudine il grande monolito di diamante nero.
La perdita della ImagawaZaibatsu e la morte di Shingo
si stavano rivelando meno disastrosi per il progetto di quanto si fosse in un
primo momento pensato; tutti i dati sulle ricerche e tutte le informazioni
sensibili erano stati distrutti o si trovavano in luogo sicuro, ed erano più
che sufficienti a mantenere in vita le speranze di una conclusione positiva.
Tuttavia, non si poteva negare che ci sarebbe
stata sicuramente una violenta battuta d’arresto, e che vi sarebbero voluti di
sicuro molti mesi per poter riprendere seriamente le sperimentazioni.
Ma non era solo quello ad inquietare e turbare
il cavaliere; da qualche giorno a quella parte, uno strano pensiero aveva
iniziato a farsi largo nella sua mente.
Tutto riguardava suo nipote.
Un tempo, non avrebbe scommesso un soldo su
quel bastardo mezzosangue.
Lo aveva preso con sé per il semplice motivo
che era l’unico erede possibile per ricevere un domani la guida del casato dei
Lorenzi, ma il solo guardarlo gli aveva sempre fatto salire il sangue al
cervello.
Ne ammirava le capacità e le potenzialità,
d’accordo, ma fremeva di rabbia al pensiero di cosa sarebbe potuto diventare se
fosse nato come un vampiro completo, e soprattutto se non avesse rifuggito e
represso in quel modo il suo vero potere.
Si era avvicinato troppo. Le sue attività
stavano creandogli anche troppi problemi, e visto che ormai non doveva neanche
più preoccuparsi del fatto di dover dare un erede al suo casato non c’era più
neanche motivo di trattarlo coi guanti.
Il suo piano era già pronto.
Sapeva perfettamente dove Eric stesse andando,
e la trappola era prossima a scattare; se tutto fosse andato bene, in un solo
colpo, e con la collaborazione dei suoi molti amici, avrebbe sistemato per
sempre suo nipote e fatto il vuoto attorno alla sua ricerca, impedendo a
chiunque altro di arrivare così vicino.
Ora che conosceva i rischi, voleva evitare
assolutamente che simili incidenti si ripetessero di nuovo.
Ma c’era anche un’altra cosa.
Anche se odiava Eric, lo stuzzicava l’idea di
scoprire fino a dove la sua ostinatezza e la sua perseveranza, oltre che il suo
indubbio potere, lo avrebbero condotto, e per questo, abbandonata l’idea di un
omicidio o una congiura di qualche tipo, voleva invece per lui il migliore
degli avversari.
«Mi hai mandato a chiamare?» domandò Kaname sopraggiungendo alle sue spalle.
Il cavaliere strinse un po’ più forte il pomo
del suo bastone, seguitando a guardare l’ombra nel centro del diamante, che
diventava giorno dopo giorno sempre più nitida.
«Tu ora vai a Venezia. Voglio che sfidi
nuovamente mio nipote.»
«Signore!?» disse Kaname
a metà tra l’incredulo e il sarcastico
«Sul serio, questa volta.» disse Manovic voltandosi verso di lui con il fuoco negl’occhi
«Senza limiti di alcun genere. Spronalo e costringerlo a dare tutto quello che
può.»
«Potrebbe anche morire, lo sai?»
«Senza dubbio. Ma prima che ciò accada, deve
far vedere tutto quello che ha, tutto quello che può sprigionare.
La sua esistenza è una macchia indelebile
sull’onore mio e della nostra famiglia, ma prima che scompaia voglio almeno
vedere quel potere nel quale tu sembri credere così tanto.
Fai quello che ti pare, ma costringilo a dare
tutto. E poi, uccidilo.»
«Se questo è quello che vuoi».
In quella Kilyan,
che per tutto il tempo aveva origliato la conversazione da dietro la porta dopo
aver seguito Kaname, irruppe nella stanza quasi
sfondando l’uscio.
«Aspetta, ti prego!» esclamò interrompendo la
discussione «Lascia che sia io ad occuparmi di questo incarico.»
«Resta al tuo posto, ragazzo.» disse
severamente Manovic «Questi non sono affari che ti
riguardano.»
«Ma io so combattere. Sono un vampiro di
classe superiore. Potrei schiacciare quel moccioso incapace se solo lo volessi.»
«Ne sono consapevole.»
«E allora perché…»
«Il fatto è che ho bisogno di qualcuno che
possa spingere mio nipote al massimo delle sue possibilità. Voglio uno scontro
pulito e all’ultimo sangue. Mio nipote sarà pure un bastardo, ma è un livello
A. E in quanto capo, nonostante tutto, di uno dei più antichi casati nobiliari
al mondo, non posso permettere ad un rappresentante del popolo di misurarsi in
singolar tenzone con un nobile.
Sarebbe una violazione del codice della
nobiltà».
Kilyan rimase di
stucco, come pietrificato, gli occhi fuori dalle orbite e la bocca spalancata
per lo sgomento.
Purtroppo il potere aveva finito per
inebriarlo, facendogli dimenticare quale fosse il suo posto nella rigida e
gerarchizzata piramide sociale della Stirpe della Notte. Lui, dopotutto, era un
figlio bastardo, esattamente come Eric, ma a differenza sua non era mai stato
riconosciuto come erede ufficiale del proprio casato, e di conseguenza restava
un comunissimo plebeo.
Non si aspettava che proprio quell’uomo
avrebbe detto qualcosa del genere, ma come non aveva probabilmente mai capito
il Duca di Cassino si opponeva ad alcune delle ideologie della società dei
vampiri, ma non ne aveva mai rinnegato, né mai lo avrebbe fatto, la struttura
gerarchica.
«La discussione è chiusa, Kilyan.»
tagliò corto il cavaliere «Puoi andare.»
«S… sì, signore.»
balbettò il ragazzo prima di uscire.
Come ebbe lasciato la stanza, però,
l’incredulità quasi subito si mutò in rabbia, al punto che tornato nel cortile
finì senza volerlo per congelare ogni cosa, rinchiudendo alberi, siepi, e
persino uccellini, dentro una spessa bara di ghiaccio.
Avrebbe voluto tanto disobbedire agli ordini,
fare di testa sua come già aveva fatto altre volte, ma rispettava e temeva
quell’uomo decisamente troppo per venire meno ai suoi comandi.
«Che tu sia maledetto, Kuran.»
ringhiò a denti stretti.
Era
proprio come si diceva.
Era durante il crepuscolo, quando il sole
iniziava a scomparire oltre la terraferma ad occidente, che Venezia si colorava
della sua luce più magica.
In pochi lo sapevano, ma la Regina
dell’Adriatico era conosciuta come una delle Cinque Capitali, il che stava a
significare che era una delle cinque città al mondo ad ospitare il più alto
numero di vampiri.
Quasi tutte le scuole disponevano di corsi notturni
ispirati al collegio istituito dal direttore Cross, e si poteva dire
tranquillamente che una buona metà della città fosse in mano alla Stirpe della
Notte.
Anche per questo Eric si sentiva a disagio in
quel posto.
Era certo che il consiglio degli anziani si
fosse già messo sulle sue tracce per chiedergli conto di quanto accaduto ad
Hong Kong, e tra tutti quei vampiri che iniziavano a spuntare come funghi in
tutta la laguna appena il sole scompariva per una buona metà sotto l’orizzonte
era difficile stabilire se ve ne fosse qualcuno arrivato lì apposta per
spiarlo, o peggio ancora per fargli la pelle.
Cercando di non dare nell’occhio, e facendo
attenzione a tutto quello che gli capitava intorno, lui e Nagisa appena messo
piede fuori dalla stazione raggiunsero in tutta fretta una chiesa poco
distante, affacciata su di un campetto rientrato e deserto.
«Era da parecchio che non venivo qui.» osservò
il ragazzo guardando in alto «Ma non è cambiato niente».
La facciata non era molto ben messa, ed erano
evidenti i segni di un maldestro tentativo di ripulitura dalla sporcizia
accumulatasi nei secoli.
«Mio signore, chi ci vive qui?»
«Ora lo vedrai».
Eric a quel punto spinse leggermente i
portoni, che si aprirono.
All’interno era tutto deserto, fatta eccezione
per un paio di vecchine inginocchiate a pregare.
Due file di panche vuote percorrevano la
navata centrale fin sull’altare, arricchito da una pala di discreto prestigio e
da una seicentesca croce in legno e marmo. Colonne rosate sorreggevano il
soffitto, e affreschi leggermente sbiaditi coloravano le pareti.
Nagisa si sentiva un po’ a disagio.
Ovviamente tutte quelle storie sui vampiri che
morivano a contatto con luoghi santi o alla vista delle croci erano solo
leggende, ma provava comunque un certo malessere a mettere piede in luoghi
simili, forse per via della sua scarsa fede religiosa.
D’un tratto, prima ancora che i due ragazzi
potessero muovere un passo dentro la chiesa, da una porticina sul lato destro
della sala, proprio accanto all’altare, uscì un uomo di mezza età piuttosto
imponente, capelli castano scuri e occhi marroni, con una sorta di lungo
cappotto scuro sormontato alla tonaca con tanto di colletto bianco e di
crocefisso al collo, che prese ad avvicinarsi con fare minaccioso recitando
senza sosta versetti dei Vangeli.
«Molti verranno in mio nome, dicendo: “Sono
io”, e inganneranno i deboli e gli oppressi. In verità, in verità vi dico: Se
chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà, e nel suo nome
saranno predicati a tutte le genti la conversione e il perdono dei peccati. I
settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome. Se chiederete
qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. Chiunque invocherà il nome
del Signore sarà salvato. E Pietro disse: “Pentitevi e ciascuno di voi si
faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per la remissione dei vostri peccati.
E allora Barnaba lo prese con sé, lo presentò agli
apostoli e raccontò loro come durante il viaggio aveva visto il Signore che gli
aveva parlato. Ed egli disse, Voi sarete odiati da tutti a causa del mio nome,
ma chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvato. Farò su di loro terribili
vendette, castighi furiosi, e sapranno che io sono il Signore, quando eseguirò
su di loro la vendetta sopra di loro!».
Il sacerdote che intanto si era avvicinato
fino a sovrastare i due ragazzi con la sua mole considerevole, concluse quel
rapidissimo ed interminabile sproloquio strappandosi la croce e sbattendola
davanti alla faccia di Eric, che restò immobile ad osservarlo.
Seguirono lunghissimi istanti di imbarazzante
e confuso silenzio.
«Hai finito?» domandò il ragazzo.
A quel punto il prese si abbandonò sconfortato
e con le lacrime agli occhi.
«Sei crudele. Sempre a tirare pugnalate a
tradimento.»
«Ne è passato di tempo, Padre Caster.»
«Padre…Caster!?» esclamò incredula Nagisa.
Non lo aveva mai conosciuto, ma aveva sentito
parlare di lui mentre era nell’associazione.
Padre Amedeo Caster
era conosciuto come l’Erudito, e assieme al direttore Cross e a pochi altri era
colui che si era fatto ambasciatore del tentativo di creare una pacifica
convivenza tra umani e vampiri.
Lo chiamavano l’Erudito perché la sua cultura
era quasi leggendaria; se uomini come Yagari e Cross
erano il braccio armato dell’associazione, quelli come Padre Caster ne erano i filosofi.
«Allora, che cosa ti porta qui a Venezia dopo
tutto questo tempo?»
«Valopingius.»
rispose semplicemente Eric.
A sentire quel nome il prete si fece scuro in
volto, e un’ombra nera si materializzò nei suoi occhi.
«Ho bisogno di informazioni. Forse tu potresti
darmele».
Padre Caster si
guardò un momento attorno, poi guardò Nagisa, che si fece quasi indietro come
intimorita.
«Ha qualcosa a che fare con quello che è
successo ad Hong Kong la scorsa settimana?»
«C’entra mio nonno. È tornato.»
«Lei resta qui.» disse guardando la ragazza
«Aspetterà nella canonica.»
«Perché?» chiese lei
«Dove dobbiamo andare non lasciano entrare
tutti, e inoltre è un posto dove le facce nuove si notano facilmente».
Anche se di malavoglia, Nagisa accettò di fare
la brava bambina e fu fatta accomodare nella canonica, una casetta senza
pretese attigua alla chiesa, quindi Eric e Padre Caster
si avviarono per la fondamenta in direzione di Piazza San Marco.
«Allora? In che guaio ti sei messo questa
volta?»
«Sarebbe troppo lunga da spiegare».
Il sacerdote notò poi il fagotto lungo e
stretto che il giovane portava con sé, e dal quale emergeva l’impugnatura di
una katana; aveva accumulato tanto di quel sapere nella sua vita, che gli bastò
uno sguardo per riconoscerla.
«Vedo che però ti sei dato da fare nel
frattempo.
Quella non è forse Izanami?»
«Come ho detto» rispose Eric guardandola un
momento, mentre salivano su di un taxi acquatico «Sarebbe troppo lunga da
spiegare. Ma sono successe un po’ di cose.»
«Ho sentito alcune storie, riguardo a quella
spada. Ad esempio riguardanti la sua gemella, la Masamune
No Izanagi.»
«Questa spada ha una gemella?»
«È solo una leggenda. Si dice che, quasi mille
anni fa, il leggendario fabbro Masamune creò una lama
rifulgente di vita e di forza celestiale. A questa lama diede il nome di Izanagi.
Quasi subito però Masamune
si rese conto che la sua creazione, per quanto nobile fosse il suo potere,
poteva ancora essere usata per fare del male, così decise di nasconderla.
Cinquecento anni dopo, Muramasa, desideroso di
eclissare la fama del leggendario maestro forgiatore, creò una spada dal potere
uguale e contrario a quello di Izanagi. Così facendo,
diede vita ad Izanami.
Mentre Izanagi è
fonte di vita, Izanami è dispensatrice di morte».
A quel momento di serietà e compostezza il
sacerdote fece tuttavia seguire subito dopo uno dei suoi proverbiali sorrisi da
ebete.
«Comunque, è solamente una favola. Tutti sono
convinti che Izanagi non sia mai esistita».
Ma Eric in quel momento non aveva voglia né
tempo per pensare a certe cose. Quello che voleva era solo cercare di scoprire
cosa stesse tramando suo nonno, e che cosa c’entrasse Valopingius
con la faccenda dei vampiri mutanti.
Il taxi in una mezz’ora approdò in Piazza San
Marco, e da qui Eric e Padre Caster raggiunsero
l’entrata della Biblioteca Marciana.
Ma quella non era una semplice biblioteca, per
quanto antica e di onorabilissima importanza.
In un’ala a sé stante, al termine di un lungo
corridoio sorvegliato da due guardie armate, c’era qualcosa di estremamente
importante e segreto; tutti credevano che si trattasse di una sezione destinata
ad opere di particolare importanza e delicatezza, ma in realtà ospitava una
delle più antiche e vaste collezioni di antologia vampirica
di tutto il mondo.
Tutta la storia, la scienza, la letteratura ed
il sapere della stirpe della notte, o ad essa collegata.
L’Archivio di Venezia; uno dei tre grandi
archivi letterari e storici dei vampiri, assieme a quelli di New York e
Gerusalemme.
Padre Caster esibì
la propria tessera e fu fatto passare, garantendo anche per Eric, che si vide
guardato di sottecchi dalle sentinelle ma fece finta di niente.
All’interno c’erano anche altre persone,
eruditi soprattutto, ma anche giovani e nobili che in questo modo si
assicuravano di assimilare e conservare il sapere della loro razza.
Eric e il sacerdote si sistemarono in un
angolo a parte, incominciando subito a fare delle ricerche sul conto di Valopingius; e per fortuna di Eric, padre Caster aveva trascorso così tanto tempo in quel posto da
sapere bene cosa e dove cercare.
«Valopingius non è
l’antenato della famiglia Lorenzi?» domandò il prete arrampicandosi su di una
scala
«Questo è quello che si dice.» replicò Eric
sfogliando alcuni volumi «E secondo questo albero genealogico, sembra sia
proprio così.»
«Una cosa è certa, quel vampiro è decisamente
famoso. Ha fatto parlare di sé molte volte, e mai in modo troppo lusinghiero».
Padre Caster
appoggiò quindi sul tavolo un pesante e voluminoso manoscritto del tredicesimo
secolo, il Codicisaeternanocte, una sorta bestiario mitologico delle antiche
leggende dei vampiri e sui vampiri.
Vi erano anche molte incisioni e miniature di
eccelsa fattura, ed una di queste, occupante un’intera pagina, catturò
immediatamente l’attenzione dei due; raffigurava un vampiro affascinante e
spaventoso al tempo stesso, capelli lunghi e dritti, un lungo mantello scuro,
due grandi ali nere da angelo della morte e una gigantesca falce dalla doppia
lama stretta in una mano.
Il basso, all’interno di una piccola incisione
a forma di pergamena, c’era il suo nome: Valopingius.
«La storia risale al Primo Secolo Avanti
Cristo. Valopingius Ego Ephifanes
era il capo della più potente e nobile famiglia di vampiri dell’epoca.
In quel periodo gli attriti tra le due ali
della nobiltà, quella che cercava un compromesso con gli umani e con gli Hunter
e quella che invece premeva per una nuova stagione di caccia, erano
particolarmente forti.
Valopingius
apparteneva alla seconda categoria, e in particolare usò la sua influenza e la
sua grande abilità di scienziato per condurre esperimenti sul Vermillion.»
«Il virus Vermillion!?»
ripeté Eric
«Esatto. Il virus con il quale i vampiri di
sangue puro si infettarono con le loro mani per impedire a sé stessi e ai
propri discendenti di dare vita ad una nuova genia di vampiri umani.
Si dice che Valopingius
riuscì a trovare un modo per bloccare l’effetto regredente del virus, e a
sfruttarne addirittura il potenziale per aumentare a dismisura il potere
distruttivo di qualsiasi vampiro.
Sotto la spinta delle sue scoperte, l’ala
radicale riacquistò forza, ed ebbe inizio una nuova guerra civile. Valopingius usò i risultati delle sue ricerche e li
sperimentò su sé stesso, riuscendo in poco tempo a radunare attorno a sé un
esercito di vampiri ex umani che sottoposti alla forma mutata di Vermillion da lui inventata acquisirono un potere in grado
di competere persino con quello di un Sangue Puro.
Il conflitto andò avanti per quasi un secolo,
ma alla fine le altre famiglie nobili e l’ala moderata riuscirono ad avere la
meglio; l’esercito mutante di Valopingius fu annientato
fino all’ultimo elemento, e le sue ricerche distrutte».
Eric indugiò a lungo sull’immagine del suo
antenato, cercando di carpirne l’essenza attraverso quelle poche ed antiche
linee d’inchiostro e nello stesso tempo di cogliere ilsignificato di quella storia per ciò che
stava accadendo ora, nel presente.
«Ci pensi?» domandò ad un certo punto Padre Caster «Creare un esercito di vampiri potenti quanto i
Sangue Puro, e in grado di vampirizzare qualunque essere umano senza tramutarlo
in un Livello E.
Questo pianeta diventerebbe la Terra dei
Vampiri in un batter d’occhio, se una cosa del genere dovesse arrivare alla
portata delle persone sbagliate.»
«Temo sia già successo.» disse Eric sia
pensieroso che preoccupato
«Che intendi dire?»
«È questo che deve stare facendo mio nonno.
Ora si spiega il perché della comparsa di tutti questi vampiri mutanti.»
«Tuo nonno avrebbe ripreso in mano le ricerche
di Valopingius?»
«Quell’uomo ha un’intelligenza e un’ambizione
inarrivabili. È riuscito a sottrarsi alla vendetta dei membri del Consiglio
quando il suo tentativo di golpe è stato scoperto, e anche se ha perso il
controllo della famiglia non mi sorprenderebbe che sia stato capace di
costruire in poco tempo un nuovo impero sotto un altro nome e abbia ripreso le
sue ricerche.
Chissà da quanto tempo stava portando avanti
questo progetto.»
«Se quello che ipotizzi tu fosse vero, allora
la faccenda è terribilmente seria.»
«Mio nonno deve aver fatto un accordo con la ImagawaZaibatsu perché
contribuisse allo sviluppo del progetto con le sue competenze farmaceutiche. La
Imagawa ha costruito quel centro di ricerche in
Giappone, dove nessuno, neppure il consiglio, avrebbe notato nulla.
Ma poi c’è stato quell’incidente, e la verità
ha rischiato di venire fuori. Ecco perché hanno dato personalmente la caccia a
tutti i vampiri mutanti da loro stessi creati, e ora dispersi in giro per il
mondo.
Se il piano fosse stato scoperto anzitempo, è
verosimile che il Consiglio e l’Associazione avrebbero fatto di tutto per
impedirlo.
Per questo Kuran si
trovava nei Balcani il mese scorso. Voleva eliminare Pavlov
prima che potessi scoprire la verità.»
«Aspetta un momento, non starai mica parlando
di KanameKuran!?»
«Esatto.»
«Non ci credo. Quindi sarebbe coinvolto anche
il casato dei Kuran!?»
«E non solo lui, temo. Sono quasi sicuro che
ci sia qualcuno, nel Consiglio o nella stessa Associazione, che sa di questa
storia, e fa di tutto per insabbiarla perché non faccia eccessivo rumore. Proprio
come accaduto tre anni fa, alla comparsa del primo vampiro mutante.»
«Mio Dio. Da una parte sono felice di aver
scoperto una cosa simile, perché se non altro ci da il tempo di poter fare
qualcosa, dall’altra però non riesco a non pensare che abbiamo ficcato il naso
in qualcosa più grande di noi.»
«Però, c’è una cosa che non capisco.» disse
Eric soprapensiero «La leggenda dice che le ricerche di Valopingius
furono distrutte dopo la sua sconfitta.
Allora come ha fatto mio nonno a riprendere in
mano il progetto del nostro antenato?».
Padre Caster a quel
punto si alzò dalla sedia, raccolse alcuni di quei documenti ed infine si mise
in tasca il suo block notes, sul quale aveva preso un mare di appunti per tutto
il tempo.
«Porterò subito tutte queste informazioni alla
locale sede dell’Associazione. Questa storia potrebbe diventare una questione
molto seria.»
«Aspetta! Potrebbero esserci dei corrotti.»
«Tranquillo, so a chi rivolgermi. E comunque,
dopo che avrò parlato, anche tu sarai scagionato da tutte quelle accuse.
Per quanto riguarda la violazione della
sospensione, con quello che hai scoperto sono sicuro che chiuderanno un occhio,
almeno per questa volta».
Eric non sapeva cosa pensare, e dapprincipio
non si sentiva tranquillo. Poi, però, pensò che la persona che gli stava di
fronte era quasi una leggenda, un uomo temuto e rispettato da tutti gli Hunter
e da molti vampiri influenti; se lui gli dava una mano e garantiva la buona
riuscita del piano, allora c’era da stare sicuri che non sarebbe accaduto
nulla.
«Ora sarebbe meglio che tu tornassi in
canonica. Di notte questa città può diventare pericolosa, se capisci cosa
intendo.»
«Ti ringrazio. Ma voglio fare qualche altra
ricerca. Rientrerò più tardi.»
«Come preferisci. Avviserò le guardie, e dirò
loro di fare attenzione. Nessun malintenzionato metterà il naso qui dentro.»
«Per chi mi hai preso? Io so difendermi.»
«Ovviamente. Ma ci terrei che non accadesse
nulla a questa biblioteca.
Allora, ti saluto».
A quel punto, padre Caster
lasciò la biblioteca diretto verso alla sede dell’Associazione, situata nella
terraferma, poco lontano da Venezia.
Mentre camminava per le calli della città,
ancora piuttosto affollate nonostante l’ora, il sacerdote ripensava a tutto
quanto aveva appreso, cercando di cogliere il nesso dell’intera questione e di
immaginare chi, se davvero c’era un traditore nell’Associazione, potesse essere
la talpa.
Di sicuro era qualcuno con abbastanza potere
da pilotare le inchieste e l’operato di tutti gli Hunter, e con le conoscenze
necessarie a far sparire qualunque prova potesse minacciare la segretezza della
ricerca.
Era meglio fare molta attenzione, o a dispetto
della sicurezza che aveva ostentato inizialmente avrebbe rischiato di rimanere
scottato.
«Ehi, padre Caster.»
sentì dire improvvisamente alle sue spalle, mentre attraversava un vasto campo
pieno di persone.
Il tempo di voltarsi, e vide Eric in piedi
dinnanzi a lui, che pistola alla mano gli scaricò addosso un intero tamburo. La
gente tutto attorno, al sentire il rumore degli spari, si mise a correre in
tutte le direzioni in preda al panico, mentre qualcuno, nella follia dell’adrenalina,
rimase immobile a filmare tutta la scena con telecamere e cellulari.
Padre Caster fu
colpito tutte e sei le volte, sempre in pieno petto, e persino per un uomo
dalla tempra e dalla possenza come le sue tutte
quelle pallottole risultarono mortali. Sanguinando, e stringendo i denti per
reprimere le grida, il religioso prima barcollò all’indietro, poi, reggendosi a
stento sulle gambe, avanzò verso il suo assassino, che restò immobile senza
battere ciglio lasciandosi avvicinare.
«Tu…perché…» disse cadendo in ginocchio ai suoi piedi.
Poi, però, vide i suoi occhi, due sfere di
vetro senza emozioni né sentimenti, e capì.
«Chi…sei…tu…» ebbe il tempo di
mormorare, e subito dopo, accasciatosi sui lastroni resi umidi dalla recente
pioggia, morì.
Eric stette un momento ad osservarlo, sempre
sotto gli occhi spaventati ed eccitati al tempo stesso di chi era rimasto a
guardare, quindi recuperò in tutta tranquillità tutti i documenti, i faldoni e
il block notes che il religioso aveva in tasca, per poi allontanarsi di corsa
dal luogo del delitto, giusto in tempo per evitare l’arrivo della polizia.
Ora
che sapeva cosa suo nonno avesse in mente, Eric doveva anzitutto riuscire a
trovarlo.
Non voleva aspettare che le rivelazioni di
Padre Caster lo tirassero fuori dai guai; anche nel
caso in cui le sue rivelazioni gli avessero permesso di sfuggire alla punizione
tanto dell’Associazione quanto del Consiglio degli Anziani, voleva concludere
quella vicenda con le sue stesse mani, non tanto e non solo perché la
considerava una questione di famiglia, quanto soprattutto perché lo doveva a
molte persone, e a Nagisa in primis.
Lasciati perdere volumi antichi e secolari
manoscritti, il ragazzo preferì votarsi alle nuove tecnologie, iniziando una
ricerca su internet alla caccia di informazioni che lo aiutassero a trovare suo
nonno.
Per come conosceva quell’uomo, sapeva per
certo che nonostante il mandato di cattura di entrambe le fazioni e tutta la
marea di accuse che gravitavano sulla sua testa fosse riuscito in qualche modo
a ricostruire buona parte del suo impero.
Soldi e potere non gli mancavano, e nemmeno l’influenza
su molte figure influenti, soprattutto in Europa.
Intanto, la biblioteca si era ormai quasi
svuotata, almeno per la sezione nota a tutti, e presto avrebbe chiuso.
Eric era quasi sul punto di rinunciare, almeno
per quella sera, quando per puro caso si imbatté in un articolo che parlava del
misterioso presidente della ManovicIndustry, una multinazionale croata di recente istituzione
ma già diventata famosa per le sue attività spregiudicate e ardimentose, ma
sempre redditizie.
A fare da contorno all’articolo era la foto di
una giovane donna, identificata come la segretaria del misterioso cavalierManovic, e vedendola
Eric sbiancò.
«Shezka!» esclamò
riconoscendo in quel volto una delle servitrici che a suo tempo avevano
popolato la residenza dei Lorenzi prima della caduta.
Ora sapeva con certezza chi e cosa cercare, e
anche dove, e al primo richiamo della guardia che annunciava l’imminente
chiusura della biblioteca si alzò e se ne andò in tutta fretta.
Con passo spedito e sicuro, come se avesse
avuto una spia alle calcagna che cercava in ogni modo di seminare, il ragazzo
fece ritorno alla chiesa di padre Caster, arrivandovi
attorno a mezzanotte.
«Nagisa, ci sei?» domandò aprendo la porta d’ingresso
della canonica «Andiamo in Croazia».
Quasi subito, però, Eric si accorse di ciò che
aveva attorno, restandone sconvolto.
L’abitazione, piuttosto piccola, era immersa
nel buio, con il sistema elettrico e gli allarmi sabotati, ed ogni singola
stanza era letteralmente sottosopra. Erano evidenti i segni di uno scontro
breve ma estremamente violento; mobili ribaltati, divani e sedie capottate,
suppellettili a terra e addirittura bruciature e fori di proiettile nei muri.
E di Nagisa, nessuna traccia; Eric,
sconcertato, fece qualche passo avanti, trovando in terra la pistola della sua
partner, scarica e bloccata.
«Che cosa diavolo è successo qui?».
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Tranquilli, stavolta
ho intenzione di essere di parola. Questo capitolo è stato di otto pagine, e il
prossimo vi prometto che sarà al massimo di poco più lungo, quindi niente
obbrobri e sproloqui interminabili.
Inoltre, come è facile
intuire, nel prossimo cap botte da orbi, e vi
prometto uno degli scontri più adrenalinici e pirotecnici che io abbia mai
scritto.
Dopo questo, ci
avvieremo all’inevitabile conclusione, distante, escluso il prossimo, solo
altri 3 capitoli, breve epilogo escluso.
Un
consiglio. Per leggere questo capitolo, vi suggerisco di usare come sottofondo
il ritornello della sigla iniziale di AquarionEvol reperibile a questo indirizzo
http://www.youtube.com/watch?v=fcvG-UWXEWI
Io l’ho
fatto mentre lo scrivevo, e l’ispirazione è venuta come un fiume in piena,
inoltre mi pare abbastanza evocativa.
X
Quasi
subito, Eric trovò un messaggio indirizzato a lui, scritto sul muro con il
fuoco.
Era una vera e propria lettera di sfida, ed
intuì subito chi gliel’avesse mandata.
Diceva, Vieni sull’Isola di Poveglia. Ti aspetterò lì.
Il ragazzo strinse i pugni, mentre il sangue
prendeva a ribollirgli nelle vene.
«Stavolta la facciamo finita.» disse a denti
stretti.
Guardò Izanami,
ancora al suo fianco e riposta nel fagotto di tela; questa volta, niente
ripensamenti o esitazioni. Questa volta l’avrebbe usata.
La tolse dall’involucro, assicurandola alla
cintura.
«Sto arrivando.» disse, e come era entrato
uscì, spiccando subito un salto altissimo che lo condusse fin sul tetto della
chiesa, prendendo a saltare agile come un gatto da un cornicione all’altro.
Giunto al limitare della laguna, saltò sulla
prima barca a motore che vide, mise in modo e si diresse a sud, fendendo la
notte e l’oscurità che lo circondava con la sicurezza di un esperto navigatore.
Quella sarebbe stata la resa dei conti.
L’isola
di Poveglia sorgeva a sud della laguna, non lontano
dal celebre lido, al punto che di notte ne si potevano scorgere le luci.
Più che di un’unica si trattava di tre isolotti
l’uno vicino all’altro, due più grandi collegati tra loro da un ponticello di
legno e uno artificiale a forma di ottagono, che ai tempi della Serenissima
ospitava un forte difensivo ormai crollato.
Entrambi gli isolotti principali erano quasi
interamente coperti di vegetazione, ma su quello a sud vi erano ancora i resti
di alcuni antichi edifici, tra cui un campanile, una cappella e una specie di
ricovero.
Tra gli abitanti della laguna si vociferava
che fosse un luogo infestato, e dopo il calare del sole evitavano cautamente di
passarvi accanto. Per secoli aveva funzionato da lazzaretto e da ricovero per
appestati, poi si diceva avesse ospitato una casa per malati di mente, e infine
era stata completamente abbandonata.
Eric raggiunse il piccolo approdo,
insolitamente illuminato da alcune lanterne disseminate per tutta l’isola, e
spada alla mano si avventurò tra le edere, gli alberi folti e le strutture
pericolanti, guardandosi attorno e lasciandosi guidare dall’odore.
Il silenzio era assoluto, e si respirava sul
serio un’atmosfera spettrale, che sapeva di morte e disperazione. Pareva quasi
di sentire ancora le urla e i lamenti della gente che vi era morta, e le
lanterne che gettavano tutto attorno una debole luce riuscivano solo a rendere
il panorama ancor più tetro.
Dopo qualche minuto, raggiunto il ponte, il
giovane intravide una figura stagliarsi su di esso, al limitare della sponda
opposta, e senza timore vi andò incontro, avvicinandosi fino a che non la vide
con i suoi occhi.
«Bene arrivato.» disse Kaname
«Dov’è Nagisa?».
Kuran sorrise,
indicando alle spalle di Eric, che guardò in quella direzione; la sua partner
stava pendendo dalla guglia del campanile murato, incatenata e sospesa nel
vuoto con una esile corda ad impedirle di precipitare sul mare di spuntoni,
pali arrugginiti e altre superfici affilate che le stavano sotto.
«Nagisa!» esclamò notando che non si muoveva,
quasi fosse priva di vita
«Rilassati. È solo svenuta.»
«Questa messinscena non era per niente
necessaria.» disse Eric tornando a concentrarsi su di lui «Ti avrei affrontato
comunque.»
«Senza dubbio.»
«E allora che significa?»
«Sappi fin da ora che se non riuscirai a
sconfiggermi in questo scontro, ucciderò prima te e poi lei.»
«Che cosa!?» esclamò incredulo il giovane
«Consideralo una specie di incentivo. Un
aperto invito a fare del tuo meglio».
Eric ringhiò di rabbia; non avrebbe mai
immaginato che Kuan fosse capace di comportarsi in
modo tanto sporco.
Aveva già capito che tipo di persona dovesse
essere, ma fino a quel punto proprio non credeva che si sarebbe spinto.
Poi, calmatosi, sfoderò Izanami.
«Come ho detto, non ce n’era bisogno.» disse
gettando via il fodero «Non ho ancora capito quale sia il tuo ruolo in tutto
questo, ma se hai davvero a che fare con mio nonno e il suo progetto…
ti fermerò.»
«Avanti, allora.» rispose Kuran
sorridendo e facendo mulinare nell’aria la sua spada, a metà tra uno stocco e
una lama medievale, con una bella e complessa impugnatura «Ti aspetto».
Ancora una volta, come impugnò Izanami, Eric sentì quasi i suoi vasi sanguigni emergere
dalle mani e penetrare nell’impugnatura della spada; sapeva di dover fare
presto, perché era solo una questione di tempo prima che Izanami
lo dissanguasse fino a pregiudicare i suoi sensi.
Passarono pochi istanti, poi i due avversari
corsero l’uno incontro all’altro, scontrandosi al centro del ponte e facendo
vibrare violentemente le assi di legno con la potenza prodotta dall’urto delle
loro armi.
Erano entrambi vampiri di livello A, membri di
nobilissime famiglie con secoli di tradizione alle spalle, ed i colpi che
presero a scambiarsi avrebbero fatto invidia a qualsiasi maestro spadaccino.
Eric era visibilmente migliorato.
Non era più il ragazzino presuntuoso e sicuro
di sé che Kaname aveva visto in quella foresta nei balcani; era diventato più serio, in un certo senso più
umile, ed erano evidenti i segni di un duro allenamento per affinare e
perfezionare la propria abilità.
«Sei migliorato.» commentò Kuran
mentre duellavano «Questo è vero.»
«E non hai ancora visto niente!».
Di norma il giovane Flyer non si serviva mai
del proprio potere così a cuor leggero, ma conoscendo la pericolosità di Kuran, e volendo sapere Nagisa al sicuro il prima
possibile, voleva chiudere la questione ora e subito, anche perché con Izanami tra le mani non conveniva protrarre la cosa troppo
a lungo.
Per questo, approfittando di un momento di
stallo Eric sprigionò improvvisamente una specie di vuoto d’aria, cosa che
precedeva sempre il ricorso al suo potere, e che nella pressoché totalità del
casi aveva sempre significato una rapida e decisa vittoria.
Invece, qualcosa accadde.
Il ragazzo, come al solito, scomparve, e Kaname restò un momento immobile, come pietrificato, gli
occhi chiusi e le braccia distese verso il basso.
Poi, d’improvviso, il giovane Kuran menò un fendente violento e preciso alla propria
sinistra; apparentemente, lì, c’era solo il vuoto, ma invece da un istante all’altro
in quel punto preciso Eric si rimaterializzò così
come era sparito.
Il ragazzo, visibilmente incredulo, riuscì a
difendersi mettendo Izanami davanti a sé, ma l’urto
fu così violento che quasi subito Kaname riuscì a
spararlo letteralmente via, scagliandolo contro un muro pericolante che, non
riuscendo a reggere all’urto, finì in pezzi, sollevando un fitto polverone.
Tornata la calma, Kaname
si avvicinò lentamente, e come il polverone si fu diradato poté vedere il suo
avversario riverso tra i mattoni, un po’ dolorante e con qualche ferita da poco
ma ancora vivo.
«Avresti dovuto immaginarlo. Io non sono uno
dei Livello E coi quali ti misuri abitualmente».
Eric capì quasi subito cosa era successo, e si
diede dello stupido per non averci pensato prima.
Il suo potere, detto DrainingTime, non era altro che la capacità di creare tutto
attorno a sé una sorta di barriera, una bolla all’interno della quale il tempo
scorreva più lentamente.
Più si era deboli di corpo e di spirito, più
il tempo rallentava, di conseguenza lui, essendo un Sangue Puro, ne era
praticamente immune.
Ma anche Kaname era
un Sangue Puro, e di conseguenza anche per lui la barriera era del tutto
inefficace.
«Se questo è il meglio che sai fare, ti ho
decisamente sopravvalutato.» disse Kaname con un
certo sarcasmo.
Eppure, negli occhi di Eric, passato il
momento di comprensibile stupore, c’era tutto meno che la volontà di
arrendersi.
«Questo non è che l’inizio.» ringhiò.
Kaname, per
nulla spaventato, alzò la spada e vibrò il colpo di grazia, ma Eric fu più
veloce, saltò all’indietro e gli piombò addosso, e lo scontro riprese.
A quel punto, divenne chiaro che forse era
stato Kaname a calcolare male la pericolosità del suo
nemico. Eric sembrava una furia scatenata, colpiva senza sosta con fendenti che
ad un essere umano comune avrebbero come minimo portato via le braccia anche a
pararli, e quando colpiva il terreno o qualche albero provocava crolli o,
quando andava bene, produceva squarci e fenditure nel terreno.
Dal canto suo però anche Kaname
aveva parecchio da offrire, e passato il momento iniziale prese a battersi
mettendoci molto più impegno ed abilità del solito, una cosa che nella sua vita
aveva fatto pochissime volte, non riuscendo mai a trovare un avversario capace
di costringerlo a tanto.
Il duello andò avanti per diversi,
interminabili minuti, e ognuno cercava senza mezzi termini di prendere la vita
dell’altro; non c’era posto per la pietà. Solo uno di loro due doveva andarsene
da quell’isola; l’altro sarebbe andato a fare compagnia alle centinaia di anime
tormentate che la infestavano, e che ora sembrava quasi di scorgere mentre
osservavano, restando nascoste nel buio, quello scontro senza esclusione.
Purtroppo quella che Eric brandiva, per quanto
potente, era pur sempre una spada maledetta, che rubava il sangue del suo
padrone fino a che non ne avesse trovato dell’altro da bene, e in tutto quel
tempo il massimo che il giovane Flyer aveva ottenuto era stato qualche graffio
di poco conto al collo o alle mani del suo nemico.
La stanchezza iniziò a farsi sentire, e
sarebbero occorsi solo pochi minuti perché divenisse insopportabile.
Non c’era più tempo per le finezze.
«Che ti prende?» domandò in quella Kaname «Non dirmi che sei già stanco. È questo il massimo
che il casato dei Lorenzi ha da offrire?»
«Affatto!» disse Eric a denti stretti.
Il ragazzo assunse una posa di guardia, i suoi
occhi si illuminarono di rosso sangue, e nel tempo che Kaname
impiegò a capire che era determinato a fare sul serio il ragazzo era nuovamente
sparito.
Stavolta, però, la bolla temporale non c’entrava,
almeno in apparenza.
Kaname si guardò
attorno confuso; a differenza di quanto accaduto poco prima non avvertiva
alcuna variazione nello scorrere del tempo tutto attorno a lui, né percepiva la
presenza della barriera.
Ringraziando il cielo, i suoi riflessi ed i
suoi istinti erano quelli di un vero vampiro Sangue Puro; chiunque altro
probabilmente non avrebbe mai fatto in tempo a realizzare la presenza di una
minaccia, voltarsi fulmineo in una direzione e riuscire a respingere almeno in
parte una minaccia mortale.
Giusto il tempo di uno spostamento d’aria,
come una specie di violento risucchio in un unico punto di tutta l’atmosfera
circostante, ed Eric era ricomparso in quel preciso punto, proprio alla destra
di Kaname.
Kuran meno un
fendente difensivo, riuscendo a deviare un affondo che altrimenti gli avrebbe
trapassato il cuore senza lasciargli scampo, ma dovette pagare l’averla
scampata con una profonda ferita all’avambraccio causata dall’aver inviato la
spada nemica su di una traiettoria non completamente sicura.
Il dolore stavolta ci fu anche per lui, ma non
abbastanza da spingerlo a scoprirsi, e infatti riuscì a parare anche il secondo
fendente, stavolta completamente.
Capendo che il suo attacco fulmineo era stato
respinto Eric però arretrò quasi subito, lasciando che Izanami,
che finalmente aveva potuto nutrirsi di sangue altrui, gli restituisse un po’
di forze.
Era questo il potere della spada maledetta del
mastro forgiatore Muramasa.
Se nutrita, tramutava il sangue dell’avversario
di cui era sporca in energia che poi conferiva al suo padrone; in questo modo,
più nemici si uccideva più forza si otteneva. Per questo era maledetta: perché dava
la vita ad una sola persona sacrificandone altre cento.
Kaname dovette
approfittare a sua volta di quel momento di pausa e si portò una mano sulla
ferita, e anche se usò i suoi poteri per curarla il dolore era impossibile da
cancellare.
«Che c’è, Kuran?»
disse Eric facendogli il verso «Non mi dire che sei già stanco».
Dal canto suo Kaname
non riusciva a capire cosa una cosa del genere fosse stata possibile, ma dopo
qualche istante di riflessione, e conoscendo anche i trascorsi ed i poteri
particolare della famiglia Lorenzi, credette di aver
indovinato.
«Disgregazione temporale.» disse con la voce
di chi ha avuto l’illuminazione «Hai la capacità di scomporre la tua essenza, e
di ricomporla in un altro punto dello spazio e del tempo.»
«Il casato dei Lorenzi è maestro nella
manipolazione della materia e dello spazio.» disse Eric scrollando il sangue
dalla lama di Izanami «Per noi queste cose sono la
norma.»
«Non c’è che dire, davvero notevole».
Kaname a quel
punto si preparò a riprendere, per nulla intimorito dalla dimostrazione di
abilità del suo avversario.
«Và bene, lo ammetto. Ti avevo sottovalutato. Dopotutto
sei pur sempre un Lorenzi, e un Sangue Puro».
Di colpo, il corpo di Kuran
venne avvolta da una sinistra ed inquietante aura rossa, che pulsava di
energia.
«Adesso, però, anche io farò sul serio.
Preparati.»
«Non chiedo di meglio».
Un istante dopo, Eric scomparve nuovamente, ma
stavolta Kaname non si fece sorprendere e riuscì a
farsi trovare pronto, anche se a fatica, e il combattimento riprese.
Il problema restava l’imprevedibilità degli
assalti di Eric.
Logicamente, nel momento in cui decideva di
fare il salto, doveva sapere fin da subito dove e quando intendeva ricomparire;
inoltre, poteva spostarsi solo in avanti nel tempo, entro un raggio d’azione
limitato alle poche decine di metri, e comunque solo in un futuro distante non
più dieci o venti secondi al massimo, in caso contrario il rischio era di non
riuscire più a ricomporre la sua essenza finendo letteralmente disintegrato.
Ciò nonostante la sua restava un’abilità più
unica che rara, e monto pericolosa, perché Kaname non
aveva alcun modo di prevedere dove e quando sarebbe ricomparso; l’unico indizio
era lo spostamento d’aria verso un unico punto, provocato dalla curvatura dello
spaziotempo all’interno della quale Eric si muoveva.
Ma si trattava di istanti, e anche se come
vampiro aveva una percezione ed un tempo di risposta impensabili per qualsiasi
essere umano si trattava di un margine di tempo troppo basso per poter
impostare una difesa realmente capace di portare un successivo contrattacco.
Per i successivi cinque, sei minuti, Eric non
fece che scomparire e ricomparire in ogni direzione, costringendo Kaname a mettersi spalle al muro e a respingere i colpi che
gli piovevano addosso da ogni direzione.
Nel frattempo il combattimento si era spostato
più a sud, verso il campanile, dove ad un certo punto Nagisa, lottando con il
dolore, riuscì a riprendere gli occhi.
«Mio signore!» gridò vedendo Eric impegnato in
combattimento.
Istintivamente cercò di liberarsi per correre
in aiuto di Eric, ma Kaname l’aveva legata fin troppo
bene, e neanche con tutta la sua forza di vampiro sarebbe riuscita a spezzare
quella selva di catene che l’avvolgevano.
Eric da parte sua continuò ad impegnare Kaname per lungo tempo, ma dopo i primi minuti di dominio
quasi assoluto cominciarono ad intravvedersi le prime crepe nella sua
strategia.
Non solo Kaname sembrò
riuscire a trovare sempre più il bandolo della matassa, riuscendo ad anticipare
buona parte delle mosse e degli attacchi del suo nemico, ma gli assalti stessi
di Eric iniziarono a farsi sempre più sporadici e confusionari.
Forse era la foga del combattimento, forse la
ferrea volontà di vincere per salvare la vita a Nagisa, fatto sta che Eric
stava dimostrandosi molto meno prudente e guardingo di quanto si fosse
ripromesso di essere d’ora in avanti senza peccare di superbia e presunzione. Sapeva
bene quanto fare ricorso al suo potere lo stancasse, e nonostante il
considerevole aumento nelle sue capacità e nel suo potenziale stava iniziando a
sentire sempre più il peso della fatica.
Tutta colpa, probabilmente di Izanami, che ormai esaurita l’energia assorbita dal sangue
di Kaname aveva ripreso a bere il suo, spossandolo
senza pietà.
Kaname se ne
accorse, e forte anche dell’aver ormai memorizzato i movimenti del ragazzo
impose la propria risposta.
Servirono solamente pochi minuti perché la
situazione subisse una drammatica ed improvvisa inversione dei ruoli. Se prima
era Eric a condurre le danze, ora invece era Kuran
che attaccava, costringendo il giovane Flyer ad una difesa che si faceva di
secondo in secondo sempre più disperata.
Alla fine Eric, sentendosi troppo stanco per
poter continuare a combattere sul serio, dovette fare quello che nel suo
orgoglio non avrebbe mai neppure considerato fino a solo un mese prima: scappare.
Approfittando di un momento favorevole il
ragazzo raccolse da terra un pugno di sabbia e la sbatté in faccia a Kuran, e nel momento in cui Kaname
riaprì gli occhi il suo avversario era già sparito, scomparso nel buio del
vecchio edificio diroccato e pericolante all’interno del quale si era nel
frattempo spostato lo scontro.
Per nulla intimorito, Kaname
si mise alla sua ricerca, prendendo a camminare lentamente e sicuro di sé per i
corridoi, le scale senza ringhiera e le stanze piene di vegetazione della
struttura.
«Nasconderti non ti servirà a niente.» disse
ad alta voce mentre camminava e saliva le scale «Stai solo rimandando l’inevitabile.
Dimmi, Eric. Pensi sul serio di poter mettere
fine a tutto questo con il poco potere che ti ritrovi?
Lo sai benissimo di non essere all’altezza di
questo compito. Presto potresti trovarti a dover affrontare molto più
pericolosi e potenti di me? Credi sul serio di poterli battere nelle tue
attuali condizioni?».
Eric nel frattempo si era nascosto in una
stanzetta stretta ed angusta al primo piano dell’edificio, probabilmente un
vecchio convento o un monastero, dove le pareti erano state letteralmente
invase da una pianta di menta che entrando dalla finestra ormai prima di
vetrate aveva invaso l’intera stanza.
I passi di Kaname si
facevano sempre più vicini, e se non trovava una soluzione al più presto il suo
nemico non ci avrebbe messo molto a trovarlo.
E infatti Kuran,
seguendo l’odore, dopo poco si presentò nel corridoio dove si trovava la
stanzetta in questione, lungo e stretto e costellato da una ventina di porte
poste tutte ad uguale distanza. Kaname era sicuro che
Eric fosse nascosto lì; essendo Eric un vampiro poteva schermare il proprio
calore per sfuggire alla visuale termica, ma l’odore, quello, non si poteva
nascondere, neanche con la forte fragranza di menta che saturava l’aria.
Con passo falsamente guardingo Kaname percorse il corridoio, poi, velocissimo, giunto in
prossimità di una porta si volse fulmineo, l’arma in mano pronta a colpire.
All’interno della stanza, appesa ad una
sporgenza e mossa dal vento, c’era solo una giacca marrone con un colletto di
pelliccia, e nell’istante in cui Kuran si volse in
quella direzione Eric comparve come un angelo della morte dalla stanza alle sue
spalle, talmente satura di menta da aver mascherato in parte il suo odore anche
all’olfatto di un vampiro Sangue Puro.
Ma la messinscena, la trappola, aveva
funzionato in senso inverso.
«Mi credi davvero tanto ingenuo?» disse Kaname sorridendo beffardo e girandosi alla velocità del
fulmine.
Eric quasi non si accorse di nulla, se non del
fatto che era caduto come un vero dilettante nella trappola tesagli dal nemico.
Da un istante all’altro, si ritrovò improvvisamente investito da una specie di
tempesta, una selva interminabile e tremenda di lame di vento che lo sollevò in
aria e lo sparò via con la forza di una cannonata.
Un essere umano come minimo sarebbe stato
tranciato e squartato vivo senza rendersene conto, ma a lui non andò molto
meglio; scagliato via come un proiettile, sfondò la parete e volò nell’aria,
precipitando infine sulla terra sassosa e ghiaiosa per terminare la propria
corsa contro un albero, stremato e coperto di ferite più o meno serie dalla
testa ai piedi.
Si sentiva come se lo avesse investito una
mandria di tori, gli faceva male dappertutto e la stanchezza si era ormai fatta
quasi insopportabile.
Kaname, qualche
attimo dopo, saltò giù dallo squarcio nel muro da lui stesso causato, planando
dolcemente fino a raggiungere il terreno, ma invece che infliggere il colpo di
grazia al giovane Flyer si limitò a guardarlo, quasi a voler aspettare che le
sue ferite si rimarginassero e potesse rimettersi in piedi.
«Devo ammetterlo, però. In pochi prima di te
sono riusciti a mettermi alla prova in questo modo.
Ma forse, dopotutto, ti avevo davvero
sopravvalutato. Da un Lorenzi mi sarei aspettato qualcosa di più. Dopotutto
però, resti pur sempre per metà umano».
Quella frase accese Eric, che si sentiva ormai
ridotto ad una pezza, e se già prima era forte la volontà di non arrendersi ora
quella volontà si era fatta anche più forte.
«Hai… ragione.»
disse rimettendosi faticosamente in piedi, e senza voler aspettare
ulteriormente la guarigione delle ferite «Per metà…io… sono umano.» e, di colpo, i suoi occhi nuovamente si
accesero «Ed è proprio per questo che ti devo battere.
Così forse quelli come te la smetteranno di
ritenersi superiori agli umani!».
Purtroppo, la minaccia di Eric si rivelò quasi
subito il classico fumo negli occhi, perché l’arrosto ormai era andato bruciato
insieme alle sue energie.
Kuran, al
contrario, sembrava quasi inesauribile, e per quanto Eric cercasse di metterlo
alle corde o per quante volte fosse riuscito a colpirlo continuava ad essere
pericoloso e fresco come a scontro iniziato.
Ora il giovane Flyer cominciava a capire la
tattica del suo nemico.
Forse, anzi sicuramente, Kaname
si era trattenuto apposta all’inizio del combattimento, conservando ed
accrescendo la propria forza nell’attesa che lui consumasse la propria, per poi
liberarla violentemente e chiudere la questione nel minor tempo possibile.
Ormai era quasi una causa persa.
Eric si ritrovò quasi subito a subire nuovamente
gli attacchi di Kuran, venendo ferito più e più
volte, mentre Izanami continuava senza sosta a
prosciugarlo della poca forza che gli restava.
Dopo un solo minuto Kaname
lo colpì nuovamente con le sue lame di vento, e lui si ritrovò di nuovo a
terra, riverso sul torace, coperto di sangue e ferite.
«Allora? Dov’è la forza dell’essere mezzo
umano del quale sembri andare così fiero?
Al contrario. Forse proprio per l’essere mezzo
umano, non sarai mai in grado di usare per davvero il tuo vero potere.»
«Se… se fare ricorso
al mio vero potere significa essere come te…» ringhiò
Eric alludendo alla freddezza ed all’apparente assenza di emozioni del giovane
erede dei Kuran «Sono felice della mia metà umana.»
«Questione di punti di vista.» rispose freddo Kuran, che subito dopo alzò la spada per vibrare il colpo
decisivo.
E ci sarebbe riuscito, se all’improvviso una
specie di tornado non gli fosse piombato addosso da un fianco costringendolo ad
allontanarsi.
«Non osare toccare il mio signore, sporco
vampiro!» tuonò Nagisa fuori di sé dalla rabbia.
Vedendo le sofferenza che Eric stava patendo,
restando sordo ai suoi appelli di lasciarla perdere e scappare, Nagisa aveva
sentito centuplicare le forze, e di fronte a quella scena era riuscita infine a
spezzare le catene; quindi, recuperato un vecchio tubo di ferro reso appuntito
dalla ruggine, si era immediatamente scagliata contro Kaname
usandolo come una lancia.
La ragazza sapeva di non potere nulla contro
quel vampiro Sangue Puro, ma se questo poteva servire a salvare la vita del suo
padrone, allora era un sacrificio accettabile.
E invece, fu proprio il suo padrone a
richiamarla.
«Restane fuori, Nagisa.» mormorò a denti
stretti rimettendosi in piedi
«Ma, mio signore…»
«È fra me e lui».
Nagisa non ricordava di aver mai visto una simile
determinazione ed un simile fuoco negli occhi di Eric, e alla fine, seppur
recalcitrante, ubbidì, facendosi da parte.
«Avresti dovuto accettare il suo aiuto.»
commentò Kaname quando i due furono nuovamente viso a
viso
«E io dovrei lasciar morire gli altri per
adempiere al mio scopo o proteggere me stesso?» disse Eric respirando profondamente
«Credi davvero che io sia come te?»
«Un vampiro di qualsiasi altro livello al
posto tuo sarebbe già morto.» disse Kuran osservando
tutte le ferite e i segni sul corpo di Eric
«Se credi di avere visto tutto di me, allora
sei fuori strada. Il potere della famiglia Lorenzi non è così misero come credi
tu».
Eric piantò leggermente la sua spada a terra,
ponendovi sopra entrambi i palmi aperti, poi chiuse gli occhi recitando una
strana nenia.
I’m the soldier of
night
Hell is my home,
heaven is my hope
I walk in this world,
knowing and forgiving
Crossing time, judging
history
Beyond happiness,
beyond rest
Thisismy fate.
Poi, di colpo, riaprì gli occhi, tornati a
brillare del rosso più splendente.
«TimeCarousel!».
Lo spostamento d’aria che si generò tutto attorno
a lui fu dieci volte più impetuoso dei precedenti, tanto da far tremare anche i
tronchi degli alberi più solidi, e la cupola temporale che si generò fu così
grande da avvolgere tutta l’isola.
Ma era diversa.
Il tempo al suo interno sembrava scorrere
normalmente, ma la sua superficie era vagamente distinguibile, perché lungo
essa si potevano notare strani riverberi simili a nuvole di luce che apparivano
e scomparivano di continuo descrivendo sinuosi disegni.
Anche Nagisa restò interdetta, non avendo mai
visto niente di simile.
«Ancora la manipolazione del tempo?» commentò Kaname «Credevo di averti detto che era inutile.»
«Non parlare, Kaname.»
replicò Eric riprendendo in mano la spada «Fatti sotto, piuttosto!».
Quasi fosse tornato in possesso delle sue
forze, Eric ripartì all’attacco apparentemente sicuro di sé, e Kaname da parte sua non si tirò indietro.
Di colpo, il duello sembrò farsi un po’ più
equilibrato, e ad ogni colpo che i due avversari si scambiavano i riverberi
della cupola si facevano un po’ più forti e visibili.
Ma ben presto la differenza di energie e il
peso della stanchezza tornarono a farsi sentire, mettendo Eric nuovamente in
difficoltà.
Nagisa osservava senza intervenire, quasi nel
timore che facendolo avrebbe offeso il suo padrone: d’altra parte, però, aveva
fiducia in Eric, e qualcosa in lei le diceva che non tutto era perduto.
E invece, d’improvviso, sembrò materializzarsi
l’esatto contrario.
Approfittando di una disattenzione di Eric, Kaname schivò un affondo, poi un altro, ed infine, con la
strada ormai spianata, si preparò a decapitare il suo nemico con un unico,
poderoso fendente.
«Mio signore!» urlò Nagisa col terrore nello
sguardo
«Ora!» urlò Eric guardando la lama che stava
per calare su di lui.
Ci fu un lampo, poi tutto, senza distinzioni,
si fermò, congelato in un tempo fattosi improvvisamente immobile.
Nessuno fu risparmiato questa volta, neanche
Eric e Kaname. Anche loro si ritrovarono immobili,
cristallizzati assieme a Nagisa e a tutto il resto.
Il tempo si era fermato per tutti.
Ma non dappertutto.
Se il corpo di Eric era immobile, non era così
per la sua mente, per la sua coscienza.
Quella, era ancora viva e senziente.
Il ragazzo, da un istante all’altro, si
ritrovò da solo, immerso in una sorta di oceano oscuro, gli occhi chiusi e
rivolti in basso, come in meditazione.
Quello era il suo limbo; la sua mente. Nel momento
in cui il suo corpo era stato congelato dal tempo, la sua mente vi si era
rifugiata dentro, lì dove il tempo fisico non aveva alcun potere.
Era quello, e solo quello, il suo vero potere.
Ogni vampiro nobile ed ogni casato aveva la
propria, personale capacità, ma tutti i vampiri di Sangue Puro avevano
qualcosa, qualcosa di speciale, che apparteneva solo a loro, e che li elevava
migliaia di metri al di sopra del resto dei loro simili.
Come i suoi antenati, Eric poteva giocare con
il tempo, ma solo lui aveva il potere di fermarlo completamente, riuscendo nel
contempo a rifugiarsi nell’unico posto in cui questa regola era inesistente:
nella mente.
Ma non c’era solo quello.
Passò qualche attimo, ed il giovane aprì gli
occhi, pronunciando un comando.
«Visualizzazione».
Come per magia, tutto attorno a lui,
comparvero decine di schermi, come degli ologrammi, all’interno dei quali era
impresso come in una foto ciò che stava accadendo nel mondo esterno, dentro la
cupola.
In questo modo gli fu possibile vedere Kaname pronto a decapitarlo, lui scoperto e pronto a subire
il colpo, lì nel momento in cui il tempo si era fermato, e da dove sarebbe
ripartito nel momento in cui lui lo avesse deciso.
Stette a lungo ad osservare quella scena
cristallizzata, quasi a volerne cogliere appieno l’essenza; poi, parlò di
nuovo.
«Elaborazione».
Al nuovo comando gli schermi si
moltiplicarono, diventando innumerevoli migliaia, che gravitavano attorno al
ragazzo formando una enorme sfera, e l’immagine, prima immobile, tornò a
muoversi. Ma la cosa incredibile, era che ognuna di quelle finestre proiettava
una storia differente, così che non ve ne era una uguale all’altra; in una Eric
veniva effettivamente decapitato all’istante, in un’altra schivava il colpo, in
un’altra ancora lo subiva solo in parte.
Ecco.
Era quello il suo potere; il vero TimeCarousel.
Il tempo, in fin dei conti, non era altro che
una successione di eventi che si ripetevano seguendo una concatenazione logica in
base al principio di causa ed effetto.
Quello che il TimeCarousel faceva era sondare, prevedere ognuna delle
innumerevoli, possibili variabili che correvano attorno ad un determinato
momento, analizzando e studiando le migliaia di ramificazioni nelle quali
avrebbe potuto svolgersi, tenendo conto ogni volta di diversi fattori e
applicandovi ipotesi di soluzione sempre diverse.
Erano i Futuri Possibili. Ogni cosa avrebbe
potuto capitare da lì in avanti, Eric l’aveva davanti agli occhi, e poteva
prendersi il tempo di analizzare e rianalizzare ogni
fotogramma, ogni possibile soluzione, confidando nel potere illimitato della
mente, che funzionava in un modo che neppure lui riusciva a controllare, per
trovare quella più congegnale.
«Teorizzare».
Quando tutte le possibili soluzioni furono
prese in considerazione, la mente ne scartò la maggior parte, lasciandone solo
poche decine, che comparvero davanti ad Eric scorrendo in sequenza.
Il giovane le osservò tutte una per una, poi
infine trovò quella che gli sembrava più efficace, applicandovi qualche
modifica per portare la percentuale di riuscita all’81%.
A quel punto trasse un respiro.
Ora sapeva cosa fare. Aveva avuto il tempo di
analizzare e teorizzare una via d’uscita senza che nessun altro potesse
accorgersene; tutto quello che restava da fare era metterla in pratica.
«Terminare.» disse chiudendo gli occhi.
All’esterno, il tempo era ancora immobile,
bloccato.
Poi, d’improvviso, gli occhi dei due
contendenti, che si erano spenti nell’istante in cui tutto si era fermato,
tornarono a scintillare, la cupola crollò ed il tempo riprese a scorrere.
Kaname vibrò il
suo fendente, sicuro della vittoria, ma quando colpì l’unica cosa che tagliò fu
l’aria, perché Eric era già scomparso.
«Ma cosa…» disse, ritrovandosi
spiazzato ed attonito per la prima volta in vita sua.
L’erede dei Kuran
non sapeva cosa pensare, ma confidava nel fatto di percepire lo spostamento d’aria
per bloccare Eric prima che potesse sorprenderlo.
Purtroppo, il problema era che Eric non aveva
usato il salto nel tempo; Kaname poteva pure essere immune
alla normale bolla temporale, ma altrettanto non si poteva dire per l’ambiente
attorno a lui, quindi finché Eric non gli si avvicinava gli era impossibile
riuscire a capire dove si trovasse.
Questa doppia combinazione di fattori segnò la
svolta nello scontro.
Da un secondo all’altro, Kaname
avvertì nettamente la minaccia, dritta alle proprie spalle, ma questa volta la
tempistica non era dalla sua parte.
Si girò, il più velocemente possibile, la
spada già saettante per riuscire a bloccare quella di Eric, comparso ancora una
volta alle sue spalle e determinato a finirlo.
Le due armi si scontrarono, un urto
violentissimo, ma mentre Kaname vide la sua volargli
via di mano Eric riuscì invece a tenere Izanami
stretta a sé, e con essa si preparò a menare un secondo fendente, pur con una
traiettoria irregolare per via della deviazione del primo colpo.
Kaname rispose
facendo emergere i suoi artigli, e lanciando un affondo in avanti diretto al
cuore.
I due furono talmente veloci che Nagisa quasi
non si accorse di nulla, e tutto quello che le riuscì di sentire e vedere
furono una specie di flebile fischio nell’aria seguito da un improvviso getto
di sangue.
A quel punto, la scena si calmò, e come i due
contendenti si furono allontanati la ragazza rimase di sasso.
Eric era in ginocchio, dolorante, con una mano
piantata nell’addome per tutta la lunghezza delle dita, Kaname
invece gli era di fronte, intento a stringersi il polso destro, nel tentativo
di fermare l’emorragia.
Alla fine, pensò Eric stringendo i denti per
il dolore, non era andata come il TimeCarousel aveva previsto; dopotutto non c’era il 100% di
probabilità di successo, senza contare che spesso il destino poteva riservare
risvolti che neanche la mente più acuta sarebbe stata in grado di prevedere.
Ciò nonostante, aveva ottenuto comunque un
risultato; era uscito vivo da una situazione che altrimenti sarebbe stata
mortale, ed era riuscito a mettere alle corde un Sangue Puro tagliandogli una
mano, proprio come aveva preventivato.
Purtroppo, non gli era stato possibile trovare
alcuna opzione che prevedesse la possibilità di riuscire a uccidere Kaname, non senza rischiare considerevolmente la vita, e
per il momento non era ancora giunta l’ora di morire.
Alle volte si sorprendeva persino lui.
Il TimeCarousel era davvero qualcosa di incredibile.
Purtroppo, proprio per la sua incredibile
portata, rischiava di essere per Eric anche un’arma a doppio taglio.
Anche la mente più forte e determinata aveva i
suoi limiti, ed i vampiri erano pur sempre degli esser viventi. La potenza di
calcolo e di elaborazione necessaria ad usare il TimeCarousel, oltre all’immane dispendio di energie,
metteva a dura prova anche il fisico e lo spirito allenati e temprati di Eric.
Tenendo conto dello sforzo fisico e
psicologico necessari per il suo utilizzo, Eric aveva calcolato poco tempo
prima che avrebbe potuto farvi ricorso solo per otto volte in tutta la sua
vita, dopo di che, al successivo utilizzo, le sue cellule cerebrali si
sarebbero letteralmente sgretolate. Purtroppo, aveva dovuto usarlo quattro
volte prima di rendersene conto, quindi contando anche quella gli restavano
solamente tre utilizzi, poi, a meno di non voler morire, avrebbe perso quel
dono per sempre.
Non che conservarlo gli importasse, visto che
tornare ad essere un uomo gettando via quanto c’era di vampirico
nel suo sangue era la sua principale aspirazione, ma sapendo quanto questo dono
potesse essere determinante era conscio che doveva sfruttarlo con molta
attenzione.
Sfortunatamente, a quel punto era chiaro che
lo scontro non poteva proseguire oltre.
Kaname non
poteva certo continuare a combattere senza una mano, ed Eric, già provato dallo
scontro, tra l’uso del TimeCarousel
e tutte le bastonate già prese trovò a stento la forza per togliersi l’arto
amputato al nemico dall’addome e gettarlo a terra.
«D’accordo, Flyer.» disse Kaname
a denti stretti «Questa volta mi hai sorpreso. È chiaro che per stavolta sarà
necessario chiuderla qui.»
«Sì, forse…» disse
Eric ansimando «Ma non credere che sia finita.
Un giorno o l’altro, risolveremo la questione
una volta per sempre».
Kaname sorrise,
poi, apparentemente insensibile al dolore, si volse e se ne andò, scomparendo
nel buio.
Come se ne fu andato, Nagisa corse incontro al
suo padrone, che per la stanchezza e il dolore rovinò a terra per l’ennesima
volta.
«Mio signore, come vi sentite?»
«T…tranquilla…» disse trovando la forza per rinfoderare la
spada «Per questa cosa non morirò di certo».
Alla fine, Nagisa fu costretta ad aiutarlo a
rialzarsi e a sorreggerlo perché non cadesse, ed entrambi stettero per qualche
attimo a guardare nella direzione in cui Kaname se ne
era andato.
Non riusciva a capire perché, ma Eric sentiva
che una parte di lui era felice che lo scontro si fosse concluso in quel modo,
con entrambi i contendenti in vita.
Duellando con Kaname,
nella furia dello scontro, gli era parso di sentire qualcosa, come una sorta di
malinconia che attanagliava il cuore dell’erede dei Kuran,
un cuore che stranamente aveva percepito più caldo e puro di quanto si fosse
aspettato all’inizio.
«Mio signore, dobbiamo andare.» disse Nagisa
vedendo che ormai iniziava ad albeggiare
«Sì, hai ragione. Andiamo».
Fecero appena in tempo a fare qualche passo,
che all’improvviso si accesero attorno a loro una miriade di luci, fortissime
ed accecanti, prodotti da altrettanti fari.
«Ma che…» disse Eric.
Quasi subito, sia lui che Nagisa si sentirono
privare di quasi tutte le loro forze, cadendo in ginocchio quasi privi di
sensi.
«L… lampade ultraviolette…» ringhiò il ragazzo tentando di restare
sveglio.
Pochi secondi dopo, decine di uomini in assetto
da guerra comparvero da ogni direzione, circondando i due ragazzi e tenendoli
sotto la minaccia delle armi.
Erano chiaramente dei membri dell’Associazione.
Il gruppo ad un certo punto si aprì
leggermente, proprio davanti ad Eric e Nagisa, e da dietro di esso comparve una
giovane donna sulla trentina, abito nero formale da manager, scarpe con un
tacco leggero, occhiali da vista e capelli marroni raccolti in una coda di
cavallo.
Era molto carina, ma la sua espressione seria
ed il suo viso mettevano paura.
Eric e Nagisa trovarono a malapena la forza
per riuscire a guardarla in volto.
«Apprendista Hunter Eric Flyer.» disse la
donna «Sono Vittoria Gabrielli, comandante della sede
italiana di Roma. In nome dell’Associazione Hunter, ti dichiaro in arresto per
l’omicidio di Padre AmadeoCaster».
Nota dell’Autore (II)
Eccomi qua!^_^
Come ho detto nella
prima nota, per questo capitolo mi sono sentito letteralmente toccato dalle
muse, e l’ho buttato giù alla velocità della luce come illuminato.
Avevo promesso uno
scontro adrenalinico, il padre di tutti i combattimenti che abbia mai
descritto, e spero di essere stato di parola.
Allora, che ve ne è
parso?
E del colpo di scena
finale?
Tranquilli. Nel
prossimo capitolo si spiegherà tutto, e a quel punto saremo ad un passo dal
finale. Inoltre, in arrivo tanti altri colpi di scena.
Ecco, ho detto tutto.
Ora voglio partecipare
al contest indetto da Ly per la Main
Story (vi anticipo già che fin dalle prime righe capirete di cosa si parlerà,
visto che riguarda un momento che avete già avuto modo di conoscere in parte).
Due
giorni dopo, Eric era rinchiuso nella sede italiana dell’Associazione
nell’immediato entroterra veneziano, situato in un’avveniristica torre di
recente costruzione che sia affacciava direttamente sulla laguna.
Per due giorni lo lasciarono chiuso in una
cella bianca e senza finestre, di tre metri per cinque, costantemente tenuto
d’occhio da una telecamera.
Al terzo giorno, due agenti si presentarono da
lui, lo ammanettarono e lo portarono in una piccola saletta per gli
interrogatori, dove c’era ad attenderlo lo stesso direttore Gabrielli.
Quella ragazza era una vera arpia; malgrado
potesse sembrare la personificazione dell’innocenza e dell’ingenuità, al di
sotto dell’aspetto nascondeva una personalità caparbia e determinata, oltre che
freddamente cinica.
«Dov’è Nagisa?» domandò subito dopo che lo
ebbero fatto sedere
«È qui.» si limitò a rispondere Vittoria «Non
le sarà fatto niente, a patto che tu ti decida a parlare.»
«Che cosa volete che vi dica?»
«Ad esempio, perché ha ucciso padre Caster.»
«Ve l’ho già detto, non l’ho ucciso io.»
«Eppure, ci sono dei testimoni che giurano di
averla vista mentre lo faceva.» e per provarlo la donna sbatté in faccia al
ragazzo alcune foto e fermo immagini recuperate su internet
«Quante volte dovrò ripetervelo, quello non
sono io. Io ero alla biblioteca Marciana a consultare alcuni antichi volumi.
Quando padre Caster se n’è andato io sono rimasto lì,
e ci sono stato fin’oltre mezzanotte.»
«Eppure, nel registro d’accesso all’area
riservata non figura il suo nome.»
«Perché sono entrato insieme a padre Caster. Lui ha firmato per tutti e due.»
«Insomma lei dice che qualcuno l’avrebbe
incastrata.»
«Ovviamente.»
«E chi, se è lecito chiedere?».
Eric dovette soppesare i rischi prima di dare
una risposta; a quel punto, però, era inutile tenere tutto segreto, e tanto valeva
parlare. Almeno forse, in questo modo, sarebbe riuscito se non altro a farsi
ascoltare, sperando che tra quella donna non fosse tra i corrotti.
«Il conte Augusto Lorenzi da Cassino.» iniziò
allora a raccontare «Mio nonno… è ritornato. Ha
creato un nuovo impero economico con il falso nome di MilosManovic, riacquistando tutto il potere e l’influenza
politica che aveva prima.
Non so ancora per quale motivo, ma sono certo
che stia conducendo delle ricerche sul conto dell’antico vampiro Valopingius, e sugli studi da lui fatti circa l’anatomia
dei vampiri.»
«Valopingius è solo
una leggenda.» tagliò corto Vittoria
«No, non è una leggenda. È il mio… il nostro antenato. Lui è esistito davvero.
A suo tempo fece delle ricerche nel tentativo
di migliorare il potere trasformante dei vampiri manipolando il virus Vermillion. E ora credo che mio nonno stia facendo la
stessa cosa.»
«E che cosa avrebbe a che fare questo con la
sua recente condotta? E in particolare, con quanto accaduto ad Hong Kong la
settimana scorsa?»
«È mio nonno il responsabile della comparsa
recente di tutti questi vampiri mutanti.»
«Vampiri mutanti?»
«Circa cinque anni fa, ha fatto un accordo con
la ImagawaZaibatsu per
farsi aiutare nelle ricerche, e la Imagawa ha
costruito quel centro per le sperimentazioni nella Penisola di Noto.
Sicuramente ne avrà sentito parlare.
Dicevano che il centro serviva a portare
avanti gli studi sulle compresse ematiche, ma è una montatura. Lì dentro in
realtà portavano avanti le ricerche sul Vermillion e
sulla manipolazione genetica.
Poi è successo qualcosa, non so bene cosa; c’è
stato un incidente. I vampiri mutanti che erano stati sottoposti alle
sperimentazioni sono fuggiti, e si sono dispersi per il mondo.»
«Non mi risulta che sia mai stato redatto
alcun rapporto circa presunti vampiri mutanti.»
«Perché non lo permettono. La maggior parte
dei vampiri fuggiti da quel centro è stata uccisa dai loro stessi creatori, per
non alimentare sospetti.
Noi ne abbiamo preso solo uno, a Macao, tre
anni fa. Ero presente anch’io. All’epoca pensavamo fosse un caso isolato, ma
ultimamente ne sono comparsi sempre di più.
Ho cercato di infiltrarmi nella ImagawaZaibatsu per scoprire
qualcosa di più, ma i tirapiedi di mio nonno hanno ucciso Imagawa
per evitare che potesse parlare. Così come hanno ucciso il dottor Pavlov in Bulgaria. Hanno anche messo delle guardie a
sorvegliare quanto resta del centro di ricerche, per essere sicuri che nessuno
vada a ficcare il naso.
Sono stati loro a provocare tutto quel caos ad
Hong Kong, non io.»
«Mi parli di questi vampiri mutanti.»
«Sono vampiri di basso livello. Livello C, o
addirittura ex-umani. Nei loro corpi è stata inserita
una versione del virus Vermillion creata in
laboratorio e manipolata a livello genetico. Questo li ha resi più forti, più
resistenti alla luce del sole e ai comuni studenti anti-vampiro.
Inoltre, li ha dotati del potere di
vampirizzare gli esseri umani. Ma si tratta di un potere trasformante molto
debole. Chi viene morso si tramuta quasi istantaneamente in un Livello E.
Questo impedisce loro di accrescere il loro numero, ma di contro permette ad
ognuno di loro di crearsi in poco tempo un vero esercito di servitori.»
«Lei capirà che, senza prove, mi risulta
difficile credere alle sue affermazioni. Tanto più che, come le ho già detto,
all’associazione non è mai stato inoltrato alcun rapporto circa questi presunti
vampiri mutanti.»
«Perché c’è un complotto.»
«Un… complotto!?»
«Ci sono delle mele marce nell’Associazione. E
anche tra l’alta aristocrazia dei vampiri, credo. Non so ancora chi e quanti
siano. Ma so che ci sono. Sono stati pagati da mio nonno per insabbiare
sistematicamente ogni aspetto relativo a questa storia. E anche per fare fuori
chiunque arrivi troppo vicino alla verità.
Come hanno fatto con Padre Caster.
E come hanno tentato fino ad ora di fare con me.
Provate a pensare. Come a facevate sempre dov’ero?
Cosa stavo facendo?»
«Lei sottovaluta la portata e la competenza
dell’Associazione. Non abbiamo bisogno di agenti doppi o presunti traditori per
fare bene il nostro dovere.
Siamo un gruppo organizzato e molto ben
inserito. Potrebbe considerarci il miglior servizio segreto del mondo.»
«Che funzionerebbe anche meglio se non ci
fossero questi traditori.»
«Adesso basta, signor Flyer. Questa storia è
andata avanti anche troppo. L’ho ascoltata perché credevo che avrebbe finito
per dire la verità.
Perché ha ucciso padre Caster?
Perché ha combinato quel casino ad Hong Kong? Lo sa che è imputato anche per l’omicidio
di JunFat e dei suoi
apprendisti, nonché per aver instaurato contatti con elementi giudicati
altamente pericolosi?
Inoltre, so che a causa sua il soggetto
Asakura per poco non è stato ucciso. Sa quanto siano importanti ragazze come
lei per le nostre ricerche sulle armi anti-vampiro? E della sua Succube che mi
dice? Se non sbaglio i suoi ordini erano di uccidere tutti gli elementi
pericolosi di Ogurayama, invece lei ne ha portato uno
in giro per il mondo per tre anni come se niente fosse».
A quel punto Eric, forse anche per via dello
stress e della tensione venutasi ad accumulare, perse il controllo, e con uno
scatto rabbioso si liberò delle manette, tentando di assalire Vittoria.
«Adesso basta, mi sono stufato! Nagisa e Izumi
non c’entrano niente in questa storia!
Dì la verità, tu sei una di loro! Sei una di
quei corrotti!».
Eric metteva davvero paura, tanto che
Vittoria, pur con tutta la sua baldanza, cadde dalla sedia con sguardo
terrorizzato, ma per fortuna i suoi uomini furono più veloci del ragazzo; uno
di loro, sfoderata una specie di pistola paralizzante, fulminò in pieno Eric
dietro la schiena, facendolo crollare esanime sul pavimento.
«Signora, sta bene?» chiese l’altro aiutando
la Gabrielli a rialzarsi.
Eric intanto si sentiva sempre più debole,
tanto da far fatica a restare cosciente.
«Una brutta sensazione, vero?» disse Vittoria
ansimando e sforzandosi d recuperare l’autocontrollo «Quella che ti ha colpito
è un’arma sperimentale sviluppata dall’Associazione. È stata pensata per i
Livello E, ma più in generale è efficace contro tutti i vampiri ex umani ed i
mezzosangue. Blocca temporaneamente i poteri di vampiro di chi viene colpito,
lasciandolo un essere umano come tutti gli altri.
Se non sbaglio, è esattamente quello che
volevi».
Eric fu sollevato di peso dai due energumeni e
costretto in piedi.
«Ti lascerò qualche altro giorno per decidere.
O parli, o ti metterò nelle mani di gente molto più persuasiva di me.» e detto
questo la donna fece un cenno ai suoi uomini, che condussero il ragazzo fuori
dalla stanza ributtandolo in cella.
Qui, mezzo svenuto e riverso sul pavimento
freddo, trovò qualcuno ad aspettarlo.
«Accidenti.» sentì dire vedendo un paio di
eleganti scarpe da passeggio «Ti sei ridotto davvero molto male».
Confuso, il ragazzo alzò lo sguardo,
incrociando quello sbarazzino e confortante di una figura a lui famigliare, con
capelli scuri e lenti da vista rettangolari.
«Ivan!?» disse Eric riconoscendo il suo amico
e compagno d’armi della sede di San Pietroburgo
«Come va’, Wander
Boy? Ho saputo che hai avuto qualche problemino dall’ultima volta che ci siamo
visti».
Eric cercò di alzarsi, ma il mal di testa era
insopportabile, inoltre si sentiva così debole che le gambe a malapena
riuscivano a reggerlo.
«Calma, calma.» gli disse Ivan «La roba che ti
hanno dato era bella forte. Non sforzarti.»
«Devi aiutarmi ad uscire, Ivan. C’è in gioco
qualcosa di molto importante.»
«Sì, lo so. È per questo che siamo qui.»
«Siamo!?».
Nello stesso momento, infatti, qualcuno
bussava alla porta dell’ufficio della Gabrielli, una
bella e sfarzosa stanza circolare situata all’ultimo piano della torre.
«Signor Ivanov!?»
disse la donna riconoscendo la figura austera e rispettabile che le si palesò
dinnanzi mentre si concedeva una tazza di tè.
In verità non era troppo contenta di vederlo, perché
sapeva per quale motivo fosse arrivato fin lì da San Pietroburgo.
«Ho saputo che ha in custodia uno dei miei
agenti. Con il suo permesso, gradirei riaverlo indietro.»
«L’agente Flyer è sottoposto alla mia
custodia.» fu la secca risposta di Vittoria «Lo lascerò partire solo dopo aver
valutato la sua posizione circa l’omicidio di Padre Caster.»
«L’agente Flyer è ancora ufficialmente
assegnato alla sede di San Pietroburgo, di conseguenza deve essere internato ed
interrogato in Russia. Non dovrei essere io a spiegarle il regolamento,
direttore Gabrielli».
Vittoria ringhiò per il disappunto, consapevole
di avere le mani legate. Ma da donna determinata e amante della carriera quale
era, volle fare quanto era in suo potere per riuscire a ricavare il massimo del
risultato da quella situazione, per non parlare della sua ferrea volontà a non
lasciare impunita la morte di un suo carissimo amico e mentore.
«Forse l’incidente ad Hong Kong e l’accusa di
disobbedienza all’ordine di sospensione sono affare suo in quanto suo supervisore,
ma l’omicidio di padre Caster ricade direttamente
sotto la mia giurisdizione, e fino a quando non sarà stata valutato appieno il
coinvolgimento dell’agente Flyer in questa storia non intendo chiudere le
indagini».
Ovviamente si trattava di un bluff bello e
buono, visto che tale coinvolgimento era chiaro come il sole; ma se non altro,
questo costituiva la scusa buona per ottenere qualche altro giorno di tempo.
«Non le conviene iniziare una guerra con me,
direttore Gabrielli. Lo dico per il suo bene.»
«Si ricordi che è in Italia, signor Dragunov. Qui l’unica autorità che conta è la mia.» e detto
questo Vittoria allungò provocatoriamente la mano verso il telefono «Se vuole,
possiamo sempre chiamare la presidentessa dell’associazione, e rimetterci al
suo giudizio.
Sono sicura che saperci in guerra per un
prigioniero aumenterà considerevolmente la nostra immagine ai suoi occhi».
Anche questo era un bluff, visto e considerato
che Vittoria sapeva che la presidentessa le avrebbe dato sicuramente torto, ma
confidava nel fatto che Dragunov si era già rovinato
abbastanza la carriera con tutte le accuse rivolte al suo adepto, e che altre
grane erano l’ultima cosa di cui avesse bisogno.
«Due giorni.» disse l’anziano direttore a
denti stretti «Poi riporterò quel ragazzo in Russia, a costo di scardinare la
porta della cella.» e detto questo se ne andò sbattendo la porta.
Rimasta sola, Vittoria trasse un respiro di
sollievo, consapevole del rischio che aveva appena corso, buttandosi a sedere
sulla sua poltrona.
Almeno per un po’, la tempesta era evitata.
Augusto
sedeva in solitudine nel suo salone, rivolto alla finestra, dalla quale
entravano i raggi della luna.
Non sapeva più cosa pensare.
Tutto stava andando al diavolo.
La sua vita. Il suo impero. Quella ricerca
nella quale aveva scommesso tutto.
Ogni cosa che avesse mai avuto gli stava
venendo portata via da quel suo nipote bastardo.
Per fortuna, presto, tutto sarebbe finito.
In quel momento si sentì felice di aver voluto
prendere quella precauzione con padre Caster, quell’ultima
assicurazione sulla vita nel caso qualcosa fosse andato storto.
Ancora una volta, suo nipote era riuscito in qualche
modo a sovvertire un destino già scritto, ma almeno grazie al piano di riserva
avrebbe smesso comunque di essere un problema.
A conti fatti, andava bene anche così.
Presto quel rompiscatole sarebbe morto, e
tutto sarebbe potuto ricominciare daccapo.
Ora, però, erano altri i suoi problemi.
Passato il momento dello sconforto, era
evidente che le cose non stavano procedendo più come aveva preventivato.
La perdita del prezioso contribuito della Zaibatsu rischiava di essere davvero la pietra tombale
della sua ricerca, e non era sicuro di poter trovare qualcuno in grado di
fornire uguali supporto e collaborazione.
Più di tutto però, il vecchio cavaliere si stava
rendendo conto giorno dopo giorno di quanto quella ricerca si stesse rivelando
infruttuosa.
A tre anni di distanza, e nonostante tutte le
informazioni, le ricerche e gli esperimenti condotti, non era ancora stato
possibile correggere il male originario della stirpe della notte.
Il Vermillion
continuava ad essere il cancro dei vampiri, e malgrado gli esperimenti fatti
usando il sangue dell’unico vampiro che era riuscito a vincerne gli effetti non
si era stati ancora in grado di realizzare lo stesso obiettivo.
Erano riusciti a dotare anche i vampiri di
basso rango del potere trasformante, aumentando anche considerevolmente i loro
poteri preesistenti, ma ancora non si era riusciti ad ottenere la vampirizzazione perfetta, l’unica cosa che per il momento
potesse dare qualche garanzia di sopravvivenza in più alla stirpe della notte.
Il vecchio Lorenzi continuava a rifletterci
senza sosta, e ormai era giunto alla conclusione che c’era solo un modo per
riuscire ad ovviare a questo problema.
L’unico modo per capire come rendere innocui
gli effetti del Vermillion era rivolgersi all’unico
vampiro che fosse stato capace di riuscire a quest’impresa.
Ma non era per niente facile.
Quando gli antichi membri del consiglio degli
anziani, impotenti di fronte al potere devastante di Valopingius,
avevano ovviato al problema riuscendo a sigillarlo, lo avevano fatto in modo da
essere sicuri che non potesse in alcun modo riuscire a liberarsi.
Anche nel caso in cui si fosse riusciti a
distruggere il blocco di superdiamante nel quale era rinchiuso, i suoi sensi ed
il suo stesso corpo erano stati come spenti, e non sarebbe sicuramente bastato
del semplice sangue per rimetterli in moto.
Il meditare del vecchio conte fu interrotto
dall’arrivo di Kilyan.
«Ehi, vecchio.» disse porgendogli il telefono
che aveva con sé «Il nostro amico a Venezia chiede disposizioni».
Augusto allora prese la cornetta.
«Pronto? … Sì … Procedete come stabilito. …
Sapete cosa fare. … E questa volta, non voglio intoppi.»
«Cos’è quella faccia lunga, vecchio?» chiese
il ragazzo quando il cavaliere ebbe riagganciato «Dovresti essere contento. Ancora
un giorno o due, e ti sarai liberato per sempre di quella mosca fastidiosa.»
«Che ne è stato di Kuran?»
domandò Augusto guardando fuori dalla finestra
«Non ha più dato notizie. Certamente, dopo una
tale figuraccia, sarà andato a nascondersi da qualche parte.
Dico, ti rendi conto? Faceva tanto il
gradasso, e per poco non ci ha rimesso la pelle.»
«Già…» disse l’anziano
vampiro come soprapensiero «Proprio così…».
Poi, Augusto posò gli occhi sul bicchiere di
cristallo appoggiato al tavolino, recuperandolo e sorseggiando un goccio di
sangue.
«Vero sangue di vergine.» disse assaporandolo
«Un aroma sopraffino, un gusto dolce e vellutato, che riempie la bocca ed
accende lo spirito.
Eppure, neanche un simile trionfo dei sensi
sarebbe sufficiente per fare ciò che ho in mente».
In quella, a Kilyan
tornò in mente una cosa che aveva notato fin da subito in quello sperduto paese
fantasma in Giappone, ma che fino a quel momento aveva voluto tenersi per sé;
forse, si disse sogghignando di soddisfazione, data l’aria che tirava questo
sarebbe servito a fargli guadagnare preziosa considerazione ai danni di quell’incapace
di Kaname.
«Ehi, vecchio.» disse sorridendo «Se è sangue
speciale quello che cerchi, credo di avere la persona che fa per te».
Da
quando Eric aveva lasciato il Giappone, e tenendo conto anche di quello che
stava succedendo, Izumi e Kogoro si incontravano molto spesso, a volte in
classe a volte in casa di lui.
Erano passate solo due settimane da che Eric
se n’era andato, e già tutti lo stavano cercando.
Una sera Kogoro aveva anche ricevuto la visita
di due membri dell’associazione sulle tracce di quello scapestrato, ma era
riuscito a salvarsi dicendo di non avere la minima idea di dove fosse e di
averlo incontrato solo per pochi giorni.
Izumi dal canto suo era terribilmente
preoccupata, perché quella sensazione di minaccia che l’aveva spinta ad andare
ad Ogurayama non se n’era mai andata, ma anzi giorno
dopo giorno era diventata un po’ più forte.
Quella sera, andò a trovare Kogoro nella speranza
di avere notizie.
Il professore aveva appena finito la lezione
settimanale del suo club di boxe, e si era attardato per fare un po’ di ordine
prima di andare a casa.
«Ti avevo detto di non uscire con il buio.» le
disse vedendola entrare in palestra «La scuola e casa tua sono protette da
barriere magiche, ma all’aperto basterebbe un taglietto per diffondere il tuo
odore ai quattro venti.»
«Professore, ha notizie di Eric?».
Kogoro abbassò gli occhi, preoccupato.
«Temo che stavolta quel ragazzo si sia ficcato
in guai molto grossi. Dopo quello che è successo in Cina, ora lo cercano tutti.
Però è già da un paio di giorni che non
vengono a chiedermi di lui.»
«Che cosa intende dire?» domandò preoccupata
la ragazza «Che potrebbero averlo preso?»
«Non ne ho idea. Ma è ciò che temo.»
«E che cosa gli faranno?»
«Questo proprio non lo so. Ma visto quello di
cui è accusato, per lui le cose potrebbero farsi maledettamente serie».
All’improvviso, uno strano rumore giunse alle
orecchie di entrambi, come uno sbatter d’ali, talmente forte che fece tremare i
vetri della palestra.
«Che è stato!?» chiese Izumi.
Al secondo rumore, purtroppo, Kogoro capì di
che cosa si trattava, ed aperto un cavallo riposto in un angolo ne prese fuori
un AR10 già carico, quindi afferrò Izumi e si portò assieme a lei al centro
della stanza.
«Restami vicino».
Seguirono interminabili attimi di silenzio, interrotti
solo di tanto in altro da altri rumori simili.
Poi, di colpo, andò via la corrente, ed il
lucernario della palestra esplose letteralmente, facendo piovere schegge più o
meno grandi.
«Attenta!» gridò Kogoro allontanando Izumi
dalla traiettoria di un grosso pezzo di vetro appena in tempo.
Subito dopo, decine di vampiri, bassa
manovalanza sicuramente, presero a saltare giù dal tetto in grande numero
avventandosi sui due umani, venendo accolti dal professore a suon di
proiettili.
Trattandosi di vampiri poco più che dilettanti
non erano niente di impossibile per un cacciatore professionista, per quanto
arrugginito, come Kogoro, che prese a farne strage come li vide comparire; il
problema semmai era il loro numero, perché per quanti ne uccidesse continuavano
ad arrivare.
Il peggio, però, era che non si trattava per
niente di Livello E, la cui presenza avrebbe potuto in qualche modo essere
giustificata, ma di veri e propri vampiri, il che non lasciava presagire niente
di buono.
Capendo a cosa mirassero, cercò di attirare l’attenzione
su di sé, creando nel contempo un corridoio verso l’uscita.
«Vattene di qui!» urlò ad Izumi
«Ma Lei che cosa farà!?»
«Non preoccuparti per me! Tu vai!».
Nel momento stesso in cui Kogoro pronunciava
queste parole, dieci e più vampiri gli saltarono addosso scavalcando le sue
difese e travolgendolo senza scampo.
Terrorizzata, ma capendo nello stesso tempo di
non poter fare nulla per opporsi a quelle belve, Izumi approfittò della
distrazione dei nemici per scappare, correndo a perdifiato verso la porta della
palestra.
Il tempo di spalancarla ed uscire fuori, che
si vide piantare contro gli occhi azzurri e suadenti di un bellissimo giovane
dai capelli biondi e dal volto apparentemente gentile, ma che avvertì subito
essere nulla più che una maschera sotto alla quale si nascondeva un aspetto ben
diverso.
«Benvenuta, piccola».
La ragazza cercò di distogliere lo sguardo, ma
per quanto si sforzasse non ne trovasse la forza, e anzi più quegli occhi
diventavano rossi più non riusciva a smettere di guardarli.
Poi, sopravvenne la stanchezza, che la spinse
a cadere senza volontà, come una bambola, tra le braccia del ragazzo.
«Scusa, ma abbiamo bisogno del tuo aiuto».
Izumi sentiva di stare perdendo il contatto
con la realtà. E aveva paura. Molta paura.
“Aiuto.” riuscì solo a pensare prima di
addormentarsi “Eric. Aiuto”.
Eric,
stremato per i continui interrogatori e gli effetti di quel maledetto
inibitore, quelle poche volte che veniva lasciato in cella non riusciva a fare
altro che dormire, contorcendosi sulla branda scomoda dilaniato dal mal di
testa e da dolori lancinanti ai muscoli.
Peggio di tutto, nel tentativo di farlo
parlare il direttore Gabrielli aveva autorizzato l’uso,
fino a quel momento deprecato e anzi combattuto, di ogni sorta di intruglio
chimico, ed ora il giovane era continuamente preda di allucinazioni che lo
lasciavano in un insopportabile stato di dormiveglia.
Durante quei terribili momenti di follia
rivedeva tante cose.
Il volto gentile di sua madre, sorridente ed
amorevole, quello sprezzante e spaventoso di suo nonno, ma anche frammenti
della sua infanzia, sia quella felice in Giappone che quella traumatica in
Italia.
Ma vedeva anche molti altri volti, spaventosi
ed angoscianti; i volti di tutti coloro che aveva ucciso, o comunque di coloro
che aveva visto morire, che urlavano e si contorcevano davanti ai suoi occhi
come demoni infernali.
Eric sentiva di stare impazzendo, e che non
sarebbe riuscito ad andare avanti ancora a lungo.
D’un tratto, mentre cercava di dormire, un
fulmine a ciel sereno accese la sua mente.
Era una voce. Una voce famigliare e spaventata
che implorava aiuto. Pensò di stare sognando un’altra volta, ma più cercava di
convincersene più quella voce si faceva nitida, in tutto il suo agghiacciante
terrore.
La riconobbe.
«Izumi!» urlò scattando in piedi.
Dapprincipio, intontito e sedato com’era, non
si rese conto di dove si trovasse, ma poi, guardandosi attorno, lentamente
realizzò.
Quasi subito, quella voce tornò a tormentare i
suoi pensieri; cercò di pensare che fosse stata solo l’ennesima allucinazione,
che non era successo nulla.
Izumi era in Giappone, al sicuro accanto a
Kogoro.
Cosa poteva esserle successo di male? Era assurdo.
Ma allora perché aveva così tanta paura?
Corse alla porta, come nel tentativo di
aprirla per uscire, ma se già coi suoi poteri di vampiro era impossibile anche
solo provare a scardinarla, ora che quei poteri non li aveva neanche più non
riusciva neanche a pensare di spostarla.
«Aprite!» urlò fuori di sé «Fatemi uscire maledizione!».
Ma nessuno rispose, e allora tutto quello che
poté fare fu urlare con tutta la sua voce.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
Lo so, forse non è un
buon momento per aggiornare, visto che probabilmente tre quarti della sezione
in questo momento starà folleggiando al mare o in montagna, ma ormai non ce la
facevo più a tenermi dentro questo capitolo e così l’ho scritto, anche perché nei
prossimi due giorni sarò leggermente impegnato.
Parto subito col dire
che i capitoli, da 13 che dovevano essere inizialmente, ora diventeranno 14
(epilogo escluso), questo perché il capitolo in questione si è rivelato come al
solito più lungo da scrivere di quanto avessi inizialmente pensato.
Come detto, nei
prossimi due giorni sarò impossibilitato a scrivere, ma spero di poter
aggiornare ancora entro martedì.
In ogni caso, per il 9
settembre spero di aver concluso.
Forse la direttrice sperava che Eric avrebbe finito
per cedere, sottoposto ad un tale e totale isolamento, o forse temeva che non
fosse in grado per ora di subirne ancora, imbottito com’era di psicofarmaci dei
quali stava ancora smaltendo l’effetto.
La verità era che Vittoria non si sentiva per
niente tranquilla.
Oltre al suo giovane attendente quasi omonimo,
Ivanov si era portato dietro dalla Russia un vero
esercito, oltre una ventina di guardie e cacciatori russi armati fino ai denti
che ora pattugliavano e sorvegliavano l’edificio assieme alle guardie italiane.
Le aveva giustificate dicendo che servivano per assicurare l’incolumità del
direttore e dello stesso Flyer, una volta che fosse stato scarcerato per essere
condotto in Russia, il che non era del tutto campato in aria visto quello di
cui quel giovane vampiro era capace.
Non sapeva quali fossero le intenzioni di
quell’uomo, ma non voleva correre il rischio di farsi cogliere in contropiede,
così aveva preferito almeno per quel giorno tenere Eric chiuso in cella,
sorvegliato a vista da uno dei suoi uomini migliori; sarebbe andata ad
interrogarlo entro qualche ora, passata la mezzanotte, quando la sorveglianza
fosse stata più stretta.
Anche l’inibitore non lo lasciava in pace, e
in quelle condizioni non sarebbe stato capace di riottenere i suoi poteri per
almeno altre ventiquattro ore.
Era una situazione quanto mai ironica.
Per tutta la vita aveva sognato di tornare ad
essere un uomo, o quantomeno di assomigliarci il più possibile, e ora che ci
era riuscito rimpiangeva quelle sue capacità di vampiro che altrimenti gli
avrebbero permesso con un niente di andarsene da lì.
Ora sedeva da solo, impotente, cercando di
ignorare quella richiesta di aiuto che come un suono impossibile da scacciare
gli risuonava senza sosta nella testa, perché temeva che ascoltandolo avrebbe
finito per impazzire.
Sentiva che Izumi era in pericolo, che lo
stava chiamando, ma lui non poteva fare assolutamente nulla.
Aveva provato in ogni modo ad uscire da quella
cella, ma non c’era stato niente da fare; per questo, cercava per quanto
possibile di mantenere il controllo su sé stesso e recuperare le forze, nella
speranza di riottenere quanto prima i suoi poteri e poter approfittare della
prima occasione buona per tentare la fuga.
Fuori dalla sua cella, la guardia non staccava
mai un momento dal suo lavoro, sorvegliando senza sosta quella piccola porta
posta alla fine di un breve corridoio che più in là si congiungeva a T con
quello principale.
Ad un certo punto, verso le ventitre, Ivan
raggiunse la cella con passo deciso e sicuro di sé; aveva visto già due volte
Eric in quegli ultimi due giorni, ma pur sapendo che dopo il tramonto scattava
il coprifuoco, visto e considerato che inibitore o meno i vampiri diventavano
più forti al calare del sole, chiese di poterlo incontrare nuovamente.
«Nessuno può entrare, mi dispiace.»
«È indispensabile che lo veda.» rispose
pacatamente il giovane «Devo consegnargli i documenti per il suo trasferimento
in Russia di domani mattina.»
«Gli ordini sono chiari. Il prigioniero non
può ricevere visite fino all’alba».
A quel punto Ivan iniziò a perdere la
pazienza, ed una strana luce si accese nei suoi occhi.
«Sono un Hunter di grado più alto della sede
di Pietroburgo. E ti ordino di lasciarmi passare.»
«L’ordine proviene direttamente dalla
signorina Gabrielli, direttrice della sede italiana.
Questa sede. Io obbedisco solo a lei».
La guardia fece per mettere mano al manganello
elettrico, in realtà solo a scopo intimidatorio, ma di colpo si udì un suono
sordo, come uno schioppo leggero, e l’uomo sbarrò gli occhi, cadendo in avanti
e rantolando sul pavimento bianco, che subito prese a colorarsi di rosso.
«Era meglio se mi lasciavi passare.» disse
ironico Ivan prendendogli dalla tasca la tessera di riconoscimento.
Qualche attimo dopo Eric, ancora seduto sulla
branda come fuori del mondo, sentì la serratura magnetica scattare, e la porta
che si apriva con quel suo rumore sibilante.
«Ivan!?» disse vedendo comparire il suo amico
tutto trafelato ed ansimante.
Poi, si avvide anche del corpo senza vita
oltre l’uscio.
«Che è successo!?»
«Avevi ragione tu, Eric. C’è un complotto
all’interno dell’associazione. E la mela marcia è proprio la Gabrielli.»
«Che cosa!?»
«Abbiamo trovato le prove. Quella sgualdrina ha
complottato con Augusto Lorenzi per tutto questo tempo. Ha messo a tacere tutte
le voci sui vampiri mutanti, e su richiesta di tuo nonno ti ha incastrato per
l’omicidio di padre Caster per toglierti di mezzo.
Stava pianificando di ucciderti, spacciandolo
poi come un suicidio. Per fortuna, siamo arrivati in tempo.»
«Non ci credo.» disse il ragazzo guardando in
basso
«Ora non c’è tempo per questo. Dobbiamo
andarcene. Il direttore si sta occupando della Gabrielli,
ma presto ci saranno addosso.»
«Sì, d’accordo.» rispose Eric, che poi mostrò
i suoi polsi ammanettati «Già che ci sei, non potresti anche fare qualcosa per
queste?»
«Dopo. Ora l’importante è andarsene da qui».
Eric però esitò, continuando a fissare il
pavimento.
Quasi non gli sembrava vero; aveva parlato con
quella donna in più occasioni negli ultimi giorni, e anche se imbottito di
farmaci e con i sensi assopiti non gli era parso di scorgere una simile
bassezza nel suo animo; al contrario, semmai.
«Non temere.» disse Ivan dandogli una pacca
sulla spalla e volgendosi verso l’uscita «Vedrai che una volta fuori di qui,
sistemeremo tutta questa faccenda. Incastreremo tuo nonno, e daremo il
benservito a KanameKuran».
A quel punto il giovane russo fece per
avviarsi verso l’uscita, accorgendosi però quasi subito che Eric non si
decideva a seguirlo, restando seduto sulla branda con gli occhi piantati sul
pavimento.
«Allora, ti muovi? Presto ci saranno addosso!
Non possiamo stare qui fino a domattina!».
Solo allora Eric si alzò, lentamente, ma non
seguì Ivan; al contrario, quando alzò il capo lo fulminò con uno sguardo
raggelante, provando insieme un misto rabbia, compatimento e rassegnazione.
«Io non ho mai fatto parola del coinvolgimento
di Kuran».
Ivan sgranò gli occhi, spiazzato, e fiumi di
sudore si materializzarono sulle sue tempie.
La bocca gli si spalancò di riflesso, e gli
occhi per poco non gli uscirono dalle orbite.
«Come fai a sapere che KanameKuran è coinvolto? A parte il direttore Cross,
nessuno a parte me sa di questo particolare».
Ormai era fatta.
Eric si aspettava che Ivan avrebbe tentato di
dissimulare, o quantomeno di giustificarsi; a ben pensarci era possibile che in
qualche modo lo fosse venuto a sapere.
Invece, il giovane russo infilò d’improvviso
le mani dietro la schiena, prendendo fuori una pistola con silenziatore. Per
fortuna Eric aveva i riflessi pronti, e come la vide comparire si gettò
immediatamente addosso all’ex amico impedendogli di sparare.
Ne nacque uno scontro estenuante, reso ancor
più violento dalla ristrettezza della cella, con i due avversari che si
confrontavano in un infinito braccio di ferro.
Senza poteri e ancora ammanettato, Eric poteva
usare solo un millesimo delle sue vere capacità, ma facendo appello alla sua
conoscenza delle arti marziali riuscì a sfilare il caricatore dalla pistola e
ad espellere il colpo in canna rendendola inutilizzabile, per poi allontanare
l’aggressore con un calcio.
Per nulla domato, e ancora pieno di risorse,
Ivan sfilò dalla tasca un coltello a serramanico, prendendo a sventolarlo
minaccioso in faccia ad Eric.
«Avrei dovuto farlo tanto tempo fa.» disse
ringhiando.
Il giovane russo tentò un paio di assalti,
riuscendo anche a ferire leggermente Eric, ma quest’ultimo, pur ammanettato,
riuscì comunque ad avere la meglio, proprio grazie alle manette; usandole come
una morsa, riuscì ad imbrigliare il polso armato di Ivan, storcendoglielo e
costringendolo a mollare il coltello.
Colto alla sprovvista, imprigionato e pazzo di
dolore, Ivan riuscì a liberarsi sbattendo in faccia ad Eric il vassoio del pasto
che il ragazzo aveva lasciato lì, e approfittando del momento si avventò sulla
pistola abbandonata in terra, riuscendo ad rinfilare il caricatore; ancora una
volta, però, Eric lo anticipò, e come Ivan si girò per sparargli lo centrò in
pieno torace con il coltello a serramanico, lanciato con le precisione di un
cecchino.
Ivan sgranò gli occhi, la pistola gli cadde di
mano, e mentre il suo bel completo da distinto gentiluomo si colorava di sangue
attorno alla ferita cadde esanime sul pavimento, morto.
Eric respirò profondamente, sia per la fatica
e la concitazione dello scontro sia atterrito dal pensiero di aver appena
ucciso quello che aveva sempre considerato uno dei suoi pochi amici.
Ma ora, quello che era fatto era fatto.
Tutto quello che poteva fare era andarsene di
lì alla svelta, e raccolta la pistola di Ivan si avventurò fuori dalla cella.
In giro non si vedeva nessuno, almeno lì
attorno.
Il suo primo pensiero fu di trovare Nagisa e
assieme a lei andarsene alla svelta, ma poi un pensiero lo fulminò.
Non poteva lasciare lì Izanami.
Quella spada poteva essere molto pericolosa se abbandonata a sé stessa, e
comunque nel momento in cui l’aveva scelta come propria arma si era
automaticamente assunto il compito di impedire che potesse finire nelle mani sbagliate.
Inoltre, era evidente che stava accadendo
qualcosa di molto grosso.
Ivan era una persona influente, d’accordo, ma
non fino al punto di riuscire ad esercitare un tale controllo sull’operato
dell’Associazione.
Doveva esserci qualcun altro, qualcuno che lo
aveva mandato ad ucciderlo, e che sicuramente si sarebbe accertato di far
nuovamente scomparire le sue tracce per non essere scoperto.
In quel momento, Eric valutò una possibile
soluzione.
Forse, fermare i piani di questo corrotto
portandolo alla luce poteva essere l’unico modo per riuscire a discolparsi,
dimostrando la propria innocenza.
Incastrare chi l’aveva incastrato.
Certo, non sarebbe stata un’impresa facile,
senza i suoi poteri ed in un edificio traboccante di hunter e guardie.
Gli servivano armi.
Sicuramente c’era un’armeria, da qualche parte
in quel palazzo; il problema era trovarla.
Il ragazzo esplorò cautamente tutto quel
piano, facendo sempre attenzione a non farsi vedere da guardie o semplici
addetti che popolavano le stanze e giravano per i corridoi. Non voleva correre
il rischio di incontrare qualcuno, pur sapendo che probabilmente in quella
torre non c’era nessuno in grado di nuocergli anche così, eventuali hunter
professionisti a parte; la sua situazione era già abbastanza grave, e non era
proprio il caso di rischiare altri fraintendimenti.
D’improvviso, giunto ad un corridoio a T,
mentre era appiattito contro la parete scorse una guardia intenta a pattugliare
la zona camminando avanti e indietro. Stava ancora pensando ad un metodo per
tentare di aggirarla o distrarla, quando avvertì il colpo sordo di un corpo che
cadeva, e subito dopo una sensazione di vera minaccia.
Non perse tempo a domandarsi chi fosse o cosa
volesse, ma tratto un lungo respiro si gettò all’esterno pistola puntata,
trovandosi però con la mano aperta di una delle ultime persone che si
immaginava di vedere lì appoggiata alla gola.
«Tu!?» disse riconoscendo Seiren.
La ragazza lo guardò con quei suoi occhi
glaciali, molto simili a quelli del suo padrone; alle sue spalle, la guardia,
fortunatamente solo svenuta.
Eric si convinse che fosse la fine; se avesse
potuto contare sui suoi poteri di vampiro Seiren non
sarebbe stata una grossa minaccia per lui, ma così era improponibile pensare di
batterla.
«Kuran ti ha mandato
a finirmi?» ringhiò il ragazzo a denti stretti.
Lei socchiuse un momento gli occhi, poi
finalmente parlò.
«L’armeria è al piano di sopra. Terza porta
del corridoio B. Izanami invece è all’ultimo piano,
nell’ufficio del direttore».
Eric rimase senza parole: perché lo stava
aiutando?
Come se non bastasse, Seiren
allontanò la mano dal suo collo, poggiandola sulle manette del ragazzo, che al
semplice contatto andarono in pezzi.
«E Nagisa?» chiese Eric massaggiandosi i polsi
«Di lei mi occupo io. Tu sbrigati. Non ci
metteranno molto ad accorgersi della tua fuga. E quando succederà, questo posto
diventerà un inferno.»
«Chi mi dice che posso fidarmi?»
«Nessuno.» e detto questo la ragazza se ne
andò scomparendo lungo il corridoio.
Eric non sapeva cosa pensare.
Prima Kaname e la
sua servitrice fedele sembravano essere schierati con suo nonno, ora invece
sembravano stare aiutando lui.
Cosa diavolo stava succedendo?
Ma in ogni caso, non c’era tempo per pensarci.
Doveva muoversi.
E poi, non sapeva perché, sentiva di potersi
fidare davvero.
Correndo, ma facendo sempre attenzione a non
farsi scoprire, il ragazzo raggiunse le scale, salì al piano superiore e
percorse il corridoio B, trovando la porta con su scritto armeria proprio lì
dove Seiren gliel’aveva indicata.
A differenza degli altri uffici e zone
protette l’armeria non aveva un tastierino numerico o un lettore di schede, ma
solo una serie di pesanti e robuste serrature, oltre ad una serie
impressionante di talismani magici anti-vampiro.
Ad Eric venne quasi da ridere; per una volta,
l’avere la propria metà di Creatura della Notte momentaneamente sopita lo
avrebbe aiutato, visto che come vampiro a quel posto non ci si sarebbe neppure
potuto avvicinare.
Tutto quello che dovette fare fu sparare ad
ogni singolo lucchetto e serratura, consumando il caricatore, ma riuscendo
infine ad aprire la porta.
Dentro c’era un inesauribile ben di Dio: armi
leggere e pesanti, sia bianche che da fuoco, paletti esplosivi pieni di polvere
d’aglio, proiettili perforanti al nitrato d’argento, cartucce anti-vampiro da
pistola, da arma d’assalto e da fucile di precisione, e infine persino alcuni
lanciarazzi B-300 con munizioni perforanti.
«Accidenti, che arsenale.» osservò il ragazzo
basito «Ma dove credono di essere, in Vietnam?».
Comunque, tutto quel bel di Dio gli sarebbe
tornato comodo.
Alle
venti e un minuto, come da previsione, il direttore Ivanov
si presentò nell’ufficio della sua parigrado per reclamare il maltolto.
Si aspettava di trovare Vittoria seduta alla
sua poltrona, pronta alla battaglia per strappare almeno qualche altra ora di
tempo, invece quando entrò la vide in piedi, intenta a riattaccare il telefono.
Accanto a lei, appoggiata sulla scrivania, Izanami,
che non sentendosi sicura a lasciarla nell’armeria aveva ordinato di farla
portare nel suo ufficio, dove sarebbe stata molto più al sicuro.
«Le ventiquattro ore sono passate.» esordì
«Adesso, se non le dispiace, porterei Eric via con me. Erano i patti.»
«Direttore Ivanov.»
disse Vittoria guardandolo in modo molto enigmatico, quasi sarcastico «Proprio
lei cercavo.»
«Non me ne voglia a male, ma è la procedura.
Non le ho fatte io le regole.»
«Quelle ufficiali no.» rispose beffarda la
donna «Ma di sicuro ne ha fatte di sue.»
«Come, prego!?» disse incredulo il direttore
«Ho appena riattaccato al telefono con la sede
centrale in Giappone. A loro non risulta che sia mai stata autorizzata la sua
presenza qui. Al contrario, mi hanno informata che aveva fatto richiesta anche
a loro di poter estradare l’hunter Flyer in Russia, ma che le sia stata
rifiutata».
Ivanov strinse i
pugni e digrignò i denti.
«Allora? Che cosa c’è sotto? Perché tutta
questa fretta di mettere a tacere quel ragazzo?» poi, Vittoria gli lanciò
un’occhiata di malevole complicità «Non sarà forse per quello che potrebbe raccontare?».
Di nuovo, il direttore rispose con il suo
silenzio e guardando in basso, come a voler nascondere i suoi occhi.
Poi, all’improvviso, li rialzò, ed erano molto
diversi.
«D’accordo. Quand’è così…»
e senza dire altro sparò a Vittoria, che colta alla sprovvista prese in pieno
il proiettile, fortunatamente ad un fianco, ma abbastanza per farla rantolare
sulla moquette tenendosi la ferita e mugugnante per il dolore.
«Mi dispiace.» disse il direttore avvicinandosi
alla sua scrivania «Non volevo che finisse così.»
«Ba… bastardo.»
ringhiò la donna «Allora Eric aveva ragione. Sei tu…
il traditore…»
«L’ho sempre detto che quel ragazzo era solo
una fonte di problemi.» disse Ivanov mentre si
infilava un’auricolare nell’orecchio «Se fosse dipeso da me, gli avrei tagliato
la testa nel momento in cui è venuto a bussare alla porta dell’Associazione.»
quindi si mise in contatto con i suoi uomini disseminati in tutto l’edificio
«Procedete come stabilito».
Al comando del direttore, gli uomini che
l’avevano seguito dalla Russia rivelarono le loro vere intenzioni, cogliendo
alla sprovvista i loro compagni italiani e prendendo a scaricare su di loro
fiumi di proiettili iniziando a farne strage.
Il piano era semplice.
Provocare una strage nella sede italiana ed
uccidere nel contempo Eric, facendolo passare per il responsabile di tutto; un
tentativo di fuga finito nel sangue. In questo modo si sarebbero ottenuti ben
tre risultati utili: quella spina nel fianco morta, tutte le prove scomparse, e
una patata a dir poco bollente per l’associazione, che per un bel po’ non
avrebbe potuto portare avanti altre indagini.
Per rendere il tutto ancor più credibile, il
direttore Ivanov, seguendo le disposizioni che
venivano dalla sede della Fondazione Manovic, avrebbe
applicato il Protocollo Armageddon, un piano messo
appunto da ogni singola base dell’associazione nel mondo per prevenire
eventuali minacce interne in caso di emergenza.
Ivanov si
avvicinò quindi a Vittoria, che tentò vanamente di opporsi, strappandole la
piccola chiave d’argento che aveva al collo ed infilandola in una minuscola
serratura incastonata sul ripiano della sua scrivania, svelando la consolle
accanto al computer che controllava i duecento e più ordigni disseminati in
tutta la torre.
«Perché… fate
questo?» chiese Vittoria a denti stetti
«È inevitabile, direttore. Guardiamo in faccia
alla realtà.
Questa cosa succederà comunque. Lei non ha
idea dei progressi che hanno fatto negli ultimi tre anni. E le intromissioni di
quella scheggia impazzita li hanno solo spinti a lavorare con più
determinazione e volontà di prima.
E quando il supervampiro che vanno cercando
vedrà infine la luce, beh… molto meglio essere dalla
parte giusta della barricata.
Perché le garantisco che contro quello che
stanno preparando, non c’è niente che si possa usare per fermarlo.»
«Sei solo… uno
schifoso codardo.»
«Sono un realista. Anche questo è un modo per
garantire l’equilibrio. In cambio di qualche sacrificio, alcuni umanisaranno risparmiati.
Non le sembra un sacrifico accettabile?».
Poi, all’apparecchio del direttore giunse una
comunicazione che non lo mise per niente di buonumore.
«Che cosa!?» urlò all’auricolare «È scappato!?
Beh, comunque non ha importanza».
Detto questo, Ivanov
azionò il timer della bomba, fissato sui cinque minuti.
«Fra trecento secondi, quel maledetto
mezzosangue sarà comunque morto».
Nel
mentre, alcuni piani più in basso, la sala di sorveglianza era già stata
occupata da due uomini di Ivanov, che non trovando
niente di meglio da fare stavano ammazzando il tempo sorseggiando delle lattine
di birra trovate su di un tavolo, proprio accanto ai corpi senza vita della
guardie che avevano appena ucciso.
Sui monitor, qualunque dei tanti si guardasse,
correvano immagini da guerriglia, con i mercenari russi, perché di questo in
realtà si trattava, intenti a fare strage delle guardie italiane; persino gli
Hunter, che teoricamente avrebbero dovuto essere avversari più difficili,
venivano inesorabilmente uccisi, travolti uno dopo l’altro, dalla differenza di
numero, visto e considerato che il direttore aveva portato dalla Russia non
venti, ma oltre duecento uomini, che ad un suo segnale erano sbucati dai camion
merci dove si erano nascosti dando il via alla strage.
Era tutta gente altamente specializzata, che
sui campi di battaglia ci era praticamente vissuta, e tra loro c’erano anche
molti veterani russi dell’associazione, più alcune guardie della Fondazione Manovic e persino qualche vampiro.
D’un tratto, le due guardie avvertirono un rumore
provenire da oltre la porta chiusa della stanza, cosa strana dal momento che in
quel piano non doveva esservi più nessuno vivo.
«Chtoetobylo? (cosa è stato?)»
domandò quello seduto alla poltrona del sorvegliante
«YA proveryu. (vado a controllare)»
rispose l’altro, che mitra alla mano aprì la porta ed uscì.
Passò solo qualche secondo, e dall’esterno giunse
un nuovo rumore, accompagnato da un rantolo di agonia.
La prima guardia fece a malapena in tempo a
realizzare che il suo compagno era morto, quando la porta venne letteralmente
sfondata, e un’ombra gli piombò addosso arrivando dall’alto.
«Synsuka! (figlio di una
cagna!)» riuscì ad urlare prima di venire trafitto da parte a parte al collo e
morire.
Seiren si scrollò di
dosso il sangue quasi con stizza, quindi scostò il cadavere e prese ad
armeggiare alla consolle, fino a che su uno dei monitor non comparve Nagisa,
ancora seduta sulla branda della sua cella come ipnotizzata, o forse perché
paralizzata dalla sua impotenza di fronte a quella situazione.
A quel punto Seiren
spinse qualche tasto, e come per incanto Nagisa vide la porta della sua cella
aprirsi lentamente davanti a lei.
«Ma cosa…» disse
alzandosi in piedi
«Eric sta dirigendosi all’ultimo piano.» sentì dire
di colpo dall’altoparlante della cella «Faresti meglio a raggiungerlo».
Nagisa non aveva mai sentito la voce di Seiren, quindi non la riconobbe, ma dando per buona
l’informazione non si fece pregare e fece come le era stato detto.
Conclusi i propri obblighi Seiren
prese il telefonino dalla tasca e compose un numero, continuando a pulirsi del
sangue dei due mercenari mentre aspettava.
«Pronto?» disse una suadente voce dall’altro capo
della linea
«Mio signore? Ho fatto come mi avete chiesto.»
«Li hai liberati entrambi?»
«Con lui non ce n’è stato bisogno.» rispose la
ragazza sorridendo e con una punta di ironia
«Molto bene. Ora esci da lì. Le forze speciali in
arrivo da Vienna saranno lì entro un’ora.»
«Come desiderate».
Uscendo dall’ascensore all’ultimo piano della torre non si incontrava
altro che un lunghissimo e stretto corridoio, che esattamente al centro
dell’edificio si divideva in due tronconi per fare spazio ad una enorme sala
circolare con tanto di colonne, volta affrescata con immagini celestiali di
angeli e divinità; sul fondo, dalla parte opposta, c’era la porta dell’ufficio
del direttore.
Alcune guardie italiane che erano riuscite a
rompere l’accerchiamento ai piani inferiori avevano tentato di raggiungere il
loro direttore per accertarsi che stesse bene, ma giunti nel salone si erano
trovati la strada sbarrata da trenta e più soldati nemici intenzionati ad
impedire a chiunque di avvicinarsi all’ufficio.
Ne era nata una battaglia furiosa, nella quale però
le guardie stavano avendo drammaticamente la peggio.
Non solo erano in inferiorità numerica, ma tra i
loro avversari c’erano anche dei vampiri, per quando di livello medio-basso e senza alcun potere particolare; la maggior
parte dei mercenari se ne stavano al riparo sul fondo della sala, protetti
dalle colonne o dai pesanti scudi d’acciaio portati da alcuni di loro, altri
erano riusciti a guadagnare terreno, abbastanza da poter insidiare seriamente i
vicini con pallottole e granate.
Tra le guardie c’era anche il secondo in comando
della sede italiana, Vincenzo Seravere, ma neanche la
sua esperienza riusciva a permettere a lui e ai suoi uomini di uscire da quella
specie di trappola mortale.
«Signore, sono scarico!» urlò d’improvviso uno dei
suoi mostrando il suo fucile
«Comandante, se restiamo qui siamo carne da
macello!»
«Maledizione, ma chi diavolo sono questi qui!?».
D’improvviso, come se non bastasse, alle loro
spalle si udì il classico campanello dell’ascensore, quasi una sorta di gong
che sancì una momentanea interruzione dello scontro; perché anche gli
assalitori restarono un momento basiti, per non dire terrorizzati, nel veder
comparire, mentre le porte si aprivano lentamente, un giovane sulla ventina,
capelli neri come la notte, occhi blu che trasudavano fierezza, e con tante di
quelle armi con sé da far spavento.
Vincenzo e i suoi restarono ugualmente attoniti, e
quando il giovane, con spaventosa e quasi imbarazzante nonchalance, prese ad
avanzare lentamente verso di loro, alcuni istintivamente alzarono i fucili
verso di lui, ma fu il loro stesso superiore a dissuaderli.
«No, aspettate.» disse facendo loro segno di
abbassare le armi.
Infatti, per qualche motivo, Vincenzo non riusciva
a vedere quel ragazzo come una minaccia; si era convinto di questo fin dal momento
in cui lo aveva arrestato, e qualcosa dentro di lui gli diceva che ora ne
avrebbe avuto la conferma.
Eric lentamente oltrepassò la stremata linea
difensiva delle guardie, facendo qualche passo all’interno del salone sotto gli
occhi increduli dei mercenari, facendo ringhiare di rabbia e disapprovazione i
pochi vampiri tra di loro.
Seguirono lunghissimi attimi di quiete assoluta.
Poi, d’improvviso, l’inferno.
Uno dei vampiri spiccò un altissimo salto piombando
addosso ad Eric dall’alto, il ragazzo prima schivò, poi spezzò entrambe le
gambe al vampiro e infine, quando era a terra, gli piantò un paletto dritto nel
cuore, uccidendolo.
A quel punto, tutti i mercenari staccati dal gruppo
iniziarono a sparare senza tregua, facendo piovere proiettili da ogni direzione.
Fulmineo, Eric rispose al fuoco, sfoderando prima
una coppia di beretta, poi, quando queste furono scariche, un fucile d’assalto,
tutti caricati con proiettili d’argento, facendo una strage sia tra gli umani
che tra i vampiri.
I suoi avversari tentarono in ogni modo di metterlo
sotto, ma lui, forte anche dell’appoggio di Seravere
e dei suoi, riuscì ad avere ragione di tutti loro, fino a che non restarono
solo quelli a presidio del corridoio che andava verso l’ufficio del direttore.
Era quasi una scena da inferno.
Eric in piedi al centro della stanza, attorniato da
cadaveri, con l’aria satura di sangue e fumo di polvere da sparo, osservato con
sgomento dai nemici rimanenti.
Questi però, erano ancora in numero considerevole,
forti delle loro difese e corazzati all’inverosimile, oltre che armati di tutto
punto.
Riuscire ad abbatterli rischiava di non essere una
sfida da poco.
«Ne dvigatʹsyamonstr!(Non ti muovere,
mostro!)» urlò il loro comandante.
Eric, che capiva il russo, parve obbedire, gettando
a terra il fucile ormai scarico.
Tutti gli altri soldati allora alzarono le armi,
pronti a crivellarlo, ma all’improvviso, veloce come il fulmine, il giovane
fece rotolare verso di loro alcune granate a gas, che immediatamente saturarono
il salone con una fitta coltre maleodorante.
I mercenari, che tra le altre cose avevano dei
caschi ermetici con respiratori, restarono immuni ai lacrimogeni, ma rimasero
comunque accecati per alcuni secondi.
Poi, quando la coltre si dissolse, il loro capo si
avvide che ora avevano un lanciarazzi puntato dritto su di loro.
Eric sorrise beffardo, quindi tirò il grilletto.
«Votderʹmo!
(Merda!)» fece in tempo ad urlare.
Il missile centrò in pieno il gruppo, producendo
un’esplosione che fece tremare tutto il piano, facendo cadere per poco anche lo
stesso Ivanov, ancora in piedi di fronte alla
scrivania del direttore Gabrielli.
«Che cosa…» disse
cercando di non cadere.
Qualche istante dopo, la porta si aprì lentamente,
ed Eric si palesò davanti a lui con una spada medievale stretta tra le mani. A
Vittorio e i suoi aveva detto di starne fuori, che ci avrebbe pensato lui, e di
tornare ai piani inferiori, dove i loro compagni avevano sicuramente bisogno di
aiuto.
Tuttavia, Ivanov non
parve più di tanto sconvolto né preoccupato nel vederselo comparire davanti.
«Sei davvero una seccatura, ragazzo. Lasciatelo
dire.»
«Avevo fiducia in te. Ti credevo un Hunter nobile e
virtuoso.»
«Nobiltà e virtù sono solo parole. Quello che conta
nel nostro mondo è solo restare vivi.»
«No. Quello che conta è preservare la pace tra
umani e vampiri».
L’anziano direttore sorrise, quindi, sotto gli
occhi di Eric e di Vittoria, ancora seduta in terra con la schiena al muro a
tenersi la ferita, raccolse Izanami.
«A modo mio, è quello che sto cercando di fare.» disse
accarezzandone l’impugnatura «Puoi credermi.»
«Sei una vergogna per l’Associazione.»
«No. La vera vergogna è aver accettato un bastardo
mezzosangue come te.» e detto questo, il direttore sguainò la spada,
dimostrando fin da subito una scioltezza ed una maestria quasi inusuali per la
sua veneranda età.
Contemporaneamente, spinse alcuni pulsanti del
computer, facendo comparire sul grande schermo piatto alle spalle della
scrivania il timer del Protocollo Armageddon.
«Ti restano meno di due minuti, ragazzo. Ora farò
quello che avrei dovuto fare molto tempo fa».
Eric sfoderò la spada a sua volta, e dopo un attimo
di studio i due contendenti si corsero incontro.
Fu un duello estremamente acceso, ma fin da subito
Eric si ritrovò in una situazione di svantaggio; senza i suoi poteri, e con Izanami come avversaria, non era per niente un’impresa
facile, tanto più che Ivanov era un provetto
spadaccino.
E intanto, i secondi correvano.
Vittoria cercò di trascinarsi fino alla poltrona
per disattivare la bomba, ma come tentò di muoversi, la investì un dolore tale
da farle credere che sarebbe sicuramente morta se ci avesse provato di nuovo, e
l’ultima cosa che vide prima di perdere i sensi fu il timer che iniziava a
scandire l’ultimo minuto di tempo.
Intanto, Ivanov si era
portato in deciso vantaggio su Eric, ma ormai Izanami
stava iniziando a reclamare il suo tributo; il direttore poteva pure essere un
Hunter con secoli di esperienza alle spalle, ma restava pur sempre un essere
umano, e agli esseri umani Izanami non toglieva solo
il sangue, ma anche il raziocinio.
Gli occhi dell’anziano direttore iniziarono a
colorarsi di rosso, ed il suo viso si mutò in una maschera di sadica follia
omicida.
«È fantastico.» disse in un momento di quiete
«Questa sensazione… questo potere…
mai provato niente di simile!».
Sapendo di non avere più molto tempo, Eric si
decise a chiudere la questione ora e subito, tanto più che in quelle condizioni
Ivanov poteva essere meno pericoloso di quanto
apparisse.
Ormai pazzo, il direttore menò un fendente che
spezzò in due la spada di Eric come fosse stata di legno, ma il ragazzo girò su
sé stesso, colpì violentemente il polso dell’uomo allentandone la presa,
recuperò Izanami e, giratosi nuovamente, lanciò un
potentissimo fendente verticale dall’alto verso il basso, senza apparentemente
colpire Ivanov.
Questi, tuttavia, si immobilizzò, come folgorato,
poi cadde in ginocchio, e dopo qualche secondo la sua faccia, ancora piegata in
quella sadica espressione di follia, si staccò dal resto del corpo, recisa di
netto assieme alla sua vita.
Nel frattempo, Eric aveva già iniziato la sua corsa
disperata verso il timer, nel tentativo di fermare l’inevitabile. Ma ormai, i
secondi rimasti erano meno di tre, insufficienti per poter raggiungere il
dispositivo e premere l’arresto d’emergenza.
Eric si sentiva impotente, e anche se una parte di
sé gli diceva che era inutile fece appello a tutti i suoi poteri, perché solo
con quelli poteva sperare di fare qualcosa.
«No!» urlò con tutta la sua voce mentre il timer
segnava 0.00.99
Un fuoco infernale parve accendersi dentro di lui,
gli occhi divennero del colore del sangue, e un’onda d’urto si propagò per la
stanza.
Lui divenne più veloce, il tempo più lento, e
quando riuscì finalmente a spingere il bottone il timer era a 0.00.53
«Arresto di emergenza confermato.» disse la voce
robotica dell’intelligenza artificiale «Protocollo Armageddon
rientrato».
Eric tirò un sospiro di sollievo, guardandosi le
mani e passandosele sul cuore; non si era ma sentito tanto felice di essere un
vampiro, e di sentire quel potere scorrere dentro di lui.
Forse era vero, come gli aveva detto il direttore
Cross, che forse un giorno avrebbe potuto trovare qualcosa di buono nella
bestia che aveva dentro di sé.
Passata la tempesta, il ragazzo si chinò accanto al
direttore Gabrelli, ancora svenuta, e toccatole
l’addome con una mano sanificò istantaneamente la sua ferita, quindi la sollevò
delicatamente ponendola su un divanetto accanto alla scrivania, dove la donna
dopo qualche attimo si riprese.
«Non si agiti.» le disse vedendola che cercava di
alzarsi «È ancora debole.»
«Il Protocollo Armageddon…
la bomba…»
«È disattivata. Stia tranquilla. Il peggio è
passato».
Vittoria guardò un momento in basso, come mortificata,
compatendosi e vergognandosi per essere stata così prevenuta con quel ragazzo,
ed essersi rifiutata di credere alla sua storia. Ma era troppo orgogliosa per
ammetterlo.
«I miei uomini!?»
«È tutto sistemato.» rispose Eric dopo aver sentito
via radio la notizia che anche gli altri mercenari in giro per il grattacielo,
alla notizia della morte di Ivan e Ivanov si erano
arresi «La maggior parte è sopravvissuta».
Non si erano salvati tutti, ma date le circostanze
era già un miracolo che ne fossero sopravvissuti alcuni.
Eric si alzò in piedi, cercando di riprendere
fiato, ma d’improvviso una nuova sensazione di minaccia gli illuminò la mente,
e fulmineo si volse alle proprie spalle; Ivan era lì, miracolosamente vivo, con
il coltello che Eric gli aveva lanciato ancora conficcato al centro del petto,
e una nuova pistola puntata alla testa del suo vecchio amico, che colto alla
sprovvista si ritrovò indifeso.
«Umeretʹ , ublyudok! (Muori, bastardo!)» urlò pazzo di follia.
Vi fu uno sparo.
Ma il colpo non partì dalla pistola di Ivan, che
anzi dopo qualche attimo cadde morto in avanti, fulminato dietro la nuca.
«Nagisa.» disse Eric vedendo comparire la sua
salvatrice
«State bene, mio signore?» domandò lei con la sua
solita aria mite e quasi mortificata
«Sì, grazie a te».
Ma ora non c’era più tempo.
La notte era ancora giovane, e mettendosi in
viaggio subito poteva raggiungere suo nonno prima che fosse finita.
«Aspetta.» disse Vittoria vedendolo che se ne
andava «Dove stai andando?»
«È ora di chiudere i conti con mio nonno una volta
per sempre.»
«Perché non aspetti? Quando avrò parlato con
l’Associazione, potrebbero decidere di aiutarti.»
«Non mi rimane molto tempo. Inoltre, temo che una
persona alla quale tengo sia in pericolo.
Però le sarei grato se facesse confluire quanto
prima tutti i cacciatori possibili alla sede centrale della Fondazione Manovic in Croazia.»
«Farò il possibile.»
«D’accordo».
Eric a quel punto si avvicinò un momento al
direttore e la guardò, facendola quasi arrossire, poi le sfilò dal taschino le
chiavi della sua potente due posti.
«Se non le spiace, avrei bisogno della sua
macchina. Niente di personale.» e detto questo si avviò nuovamente verso
l’uscita
«Hunter Flyer!» disse invece Vittoria con tono di
ordine.
Lui allora si volse a guardarla, e lei, scacciato
il rossore, sorrise beffarda.
«La rivoglio.»
«Ci proverò.» rispose lui sorridendo a sua volta,
per poi lasciare definitivamente la stanza assieme a Nagisa.
Izumi
fu portata rapidamente al castello della fondazione Manovic,
e qui subito posta sotto analisi da parte dell’equipe medico-scientifica del
cavaliere.
Nonostante le affermazioni sensazionaliste e
rassicuranti di Kilyan circa l’unicità di quella ragazza
e del suo sangue occorrevano esami specifici per accertare la sua compatibilità
con il progetto che Lorenzi aveva in mente, che per fortuna potevano essere
svolti in poche ore.
Osservando il volto della ragazza, sedata e
rinchiusa all’interno di una capsula medica, il cavaliere non riusciva a non
pensare a sua figlia; somigliava davvero molto a Serena, all’epoca in cui era
una giovane e testarda vampira erede del suo illustre casato. A quell’epoca
Augusto l’amava alla follia, e in un certo senso nulla di tutto ciò sarebbe mai
accaduto se, una volta tanto, non avesse dato retta come al solito alla sua
maledetta ostinazione e alle sue fantasie da romantica sognatrice.
Nel momento in cui l’aveva persa, il vecchio
Lorenzi, già vedovo da molti decenni, non aveva trovato altro rifugio che quel
suo sogno di una nuova rinascita per i vampiri, che da allora, senza più
affetti né una famiglia, era diventata la sua unica ragione di vita.
Forse, si disse, non era un caso che la sua
strada si fosse incrociata con quella di suo nipote, anche se lui al destino
non ci aveva mai creduto.
«Allora?» domandò al capo dell’equipe
«Questa ragazza possiede un sangue dal valore
energetico incredibile.» commentò l’uomo seduto al suo computer «Non ho mai
visto niente del genere. Il valore medio del sangue di un normale essere umano
di buona costituzione e in buona salute si aggira attorno al 20% per litro; il
sangue di questa ragazza invece ha un valore che supera il settanta.»
«In questo caso, passiamo alla sperimentazione
pratica».
Ad Izumi venne prelevato un campione di
sangue, alcune gocce del quale vennero lasciate cadere su di una coltura di
cellule cerebrali di vampiro prelevate ad un Livello E da laboratorio; i corpi
dei vampiri si vaporizzavano e si incenerivano istantaneamente al momento della
morte, ma le parti del corpo espiantate in vita si conservavano più a lungo, e
potevano essere preservate più facilmente.
Terminata questa procedura il dottore infilò
l’occhio nel microscopio; a livello organico, il sangue portava le cellule
cerebrali ad una momentanea iperattività, il che era anche la causa
dell’euforia che colpiva alcuni vampiri nell’atto di alimentarsi, ma anche con
il contatto diretto tra il sangue e le cellule normalmente servivano ben più di
quelle poche gocce per ottenere una reazione significativa.
E invece, come le molecole di sangue
riuscirono a farsi strada nella soluzione alla formalina, la coltura di neuroni
si accese come un albero di natale, producendo una reazione elettrica e
generando attività.
Ma non era ancora finita.
«Non ci posso credere!» disse sconvolto il
dottore «I neuroni… si stanno riproducendo!»
«Che cosa!?» esclamò il cavaliere gettandolo
letteralmente via «Ma questo è impossibile. I neuroni non si possono
riprodurre.»
«Invece, sta succedendo.» disse il dottore
sedendosi nuovamente al computer «Non mi spiego ancora come sia possibile, ma
il sangue di questa ragazza è talmente puro da aver stimolato una mitosi
spontanea nelle cellule cerebrali.»
«Mio Dio.» disse Augusto volgendosi nuovamente
a guardare Izumi, poi fissò nuovamente il dottore «Allora? Con il suo sangue
sarebbe fattibile?»
«Ecco…» rispose lui
esitando e sistemandosi gli occhiali «Io direi che…effettivamente…sì… si potrebbe
anche tentare.»
«Perfetto! Allora procediamo!»
«Aspetti, la prego. Questo sangue è
assolutamente unico, come ha avuto modo di vedere. È impossibile prevedere
quale effetto potrebbe avere se inserito nel corpo di un vampiro vivente,
soprattutto in grandi quantità e per via endovenosa come dovremmo fare.
Ci vorrebbe qualche test.»
«Non abbiamo tempo per i test, dottore!»
sbraitò il cavaliere afferrandolo per il bavero «Eric è appena scappato dalla
sede di Venezia, e ora sta venendo qui! E per Dio, non mi lascerò sfuggire
questa occasione neanche a dover morire!
Quindi ora ci dia un taglio coi timori e si
metta al lavoro!».
Il cavaliere scaraventò praticamente il povero
medico contro la sua scrivania, e questi, ormai più spaventato dal suo
principale che dalle conseguenze di un esperimento del tutto nuovo e dai risvolti
imprevedibili, si risolse a procedere.
«Preparatela per l’operazione.» comandò ai
suoi assistenti indicando Izumi.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
E così, siamo giunti a
soli 2 capitoli dalla fine di questa mini-fic estiva
che ha catturato più consensi di quanto mi aspettassi.
Prometto che questo è
l’ultimo capitolo mostruoso che vi propino. I prossimi due, e anche l’epilogo,
dovrebbero essere nell’ordine di 7-8 pagine al massimo, o anche qualcosa meno.
Un gruppo di operai esperti, servendosi di una lega
sperimentale messa a punto dalla Fondazione Manovic,
riuscirono ad intaccare la durissima parete del blocco di superdiamante,
praticando un foro di circa mezzo centimetro che dall’esterno arrivava a
sfiorare il corpo che ormai si intravedeva nitidamente al centro del monolito
all’altezza del collo.
Normalmente ci voleva ben altro per riuscire ad
avere ragione del materiale più resistente mai conosciuto, che i membri
dell’antico consiglio erano riusciti a reperire casualmente tra i resti di un
meteorite schiantatosi sulla Terra attorno all’anno 0, nel bel mezzo della
guerra civile contro Valopingius.
La particolarità di questo materiale, però, era che
perdeva gradualmente la propria durezza man mano che restava esposto
all’atmosfera, e proprio per questo, una volta riusciti ad imprigionarvi dentro
il loro nemico, gli anziani lo avevano sotterrato nelle profondità dei ghiacci
eterni, dove credevano che non sarebbe mai stato trovato.
Augusto, affiancato anche da Shezka
e Kilyan, assisteva ai lavori stando dirimpetto al
suo antenato, impaziente come non mai di vederlo risvegliarsi dopo più di
duemila anni.
Terminato il proprio lavoro gli operai se ne
andarono, lasciando il posto agli scienziati e all’equipe medica
dell’associazione, che ultimarono i preparativi posizionando apparecchiature e
strumenti di monitoraggio tutto attorno al monolite; infine, fu fatto scivolare
nel foro praticato nel superdiamante un ago collegato ad un lungo tubicino
semitrasparente, che raggiunto il collo di Valopingius
riuscì a perforarlo senza difficoltà, a testimonianza che anche dopo venti
secoli il corpo si era conservato alla perfezione.
«È tutto pronto, signore.» disse il capo
ricercatore
«Molto bene.» rispose Augusto senza staccare gli
occhi dal monolite «Procedete».
Pur titubante, lo scienziato raggiunse dunque
l’interfono della stanza, dopo essersi assicurato che il tubicino infilato nel
monolite fosse stato collegato a sua volta ad un apparecchio di forma
cilindrica simile ad un generatore.
«Laboratorio? Parla il dottor Vertikof.
Procedete».
Due piani più in basso, nel laboratorio, Izumi,
nuda e ancora incosciente, era rinchiusa ora in una specie di cilindro di vetro
e acciaio, immersa in uno strano liquido rosastro che in realtà era un composto
chimico capace di drenarla letteralmente del suo sangue tramite i pori della
pelle, pur mantenendo nel contempo inalterate le sue funzioni vitali.
«Ricevuto, dottore.» disse uno dei due ricercatori
lì presenti.
L’altro, ad un cenno del suo compagno, armeggiò al
computer, e dopo un attimo il liquido nel cilindro prese come a ribollire,
mentre l’apparecchio produceva un rumore simile ad un ronzio.
Viaggiando attraverso delle tubature che si
dipanavano attraverso le mura e le intercapedini del castello assieme al
liquido rosato che ne preservava le proprietà, il sangue prelevato ad Izumi
raggiunse il macchinario cilindrico nel salone circolare, dove fu drenato e
sublimato per poi essere sospinto, tramite il tubicino, direttamente nel corpo
di Valopingius.
A quel punto, iniziò l’attesa.
Nessuno sapeva con esattezza quanto sangue, per
quanto eccezionalmente puro, sarebbe stato necessario per risvegliare le
cellule di Valopingius, sigillate con la magia e in
stato di animazione sospesa da ormai due millenni.
Il sangue di Izumi poteva persino non essere
sufficiente, ma era un’ipotesi che il cavaliere non voleva neanche prendere in
considerazione.
Si era calcolato che dovesse avere poco meno di
quattro litri di sangue nel corpo, una quantità considerevole data la sua età,
ma anche se esso era solo una piccola parte del composto che veniva iniettato
nel corpo di Valopingius, e che la sostanza in cui
era immersa aveva anche la funzione di fare da accelerante per la produzione di
sangue supplementare, c’era il rischio che non bastasse; proprio per questo,
tra i vari monitor e computer disposti tutto attorno al monolito ce n’era anche
uno collegato direttamente con il cilindro di vetro due piani più sotto, che
misurava le funzioni vitali della ragazza e calcolava la quantità di sangue
presente nel suo corpo.
Passò circa un minuto, senza che accadesse nulla.
Il cavaliere era sempre più nervoso, e stringeva
con forza le mani attorno al pomo del suo bastone.
«Siamo a un litro di sangue iniettato.»
«Nessuna risposta.» rispose un altro osservando le
funzioni vitali
«Di più.» ordinò allora Augusto.
Più sangue si vedeva sottrarre, più Izumi, pur
incosciente, dava segni di sofferenza, piegando la bocca in un’espressione di
dolore.
A due litri non c’era ancora stata alcuna reazione.
«Di più.» continuava a ripetere il cavaliere ad
ogni risposta negativa.
Ben presto, tutti iniziarono a preoccuparsi.
Dopo tre litri e oltre di sangue iniettato non si
vedevano segni di reazione, l’elettrocardiogramma e l’elettroencefalogramma
seguitavano a restare immobile, e ormai Izumi era quasi dissanguata.
«La lancetta è sul rosso.» fece notare quello che
monitorava i parametri vitali della ragazza
«Di più.» disse nuovamente Augusto
«Vecchio.» osservò Kilyan
«Se la ragazza muore, non otterremo nulla.»
«Se morirà, vuol dire che non ci serviva.» fu la
risposta schietta e secca del cavaliere.
Ormai persino Shekza
sembrava stare preoccupandosi, se non altro perché pensava che infondo quella
povera ragazza non aveva alcuna colpa, e il pensiero che dovesse morire in quel
modo atroce non riusciva a lasciarla indifferente.
Dopo cinque minuti, ad Izumi restava in corpo meno
di un litro di sangue.
«Se ci spingiamo ancora oltre, la uccidiamo di
sicuro.» osservò il capo ricercatore
«Un momento!» esclamò improvvisamente l’osservatore
delle funzioni «Rilevo una reazione! Ritmo cardiaco in movimento. Anche le
funzioni cerebrali si sono messe in modo.»
«Che cosa!?» esclamò Kilyan
«Siamo a dieci pulsazioni al minuto…Quindici… Ora è a trenta, e aumenta ancora».
In quella, due luci rosso vivo si accesero
all’interno del monolito, che da un momento all’altro prese ad aumentare sempre
più la sua lucentezza, fino a che lafigura al suo interno non fu quasi completamente rivelata; doveva essere
alto almeno un metro e novanta, e indossava una specie di tonaca grigio scuro
come quella dei preti anglosassoni. Le mani erano giunte sul petto, come una
mummia o un corpo in una bara, i capelli color argento, e gli occhi aperti che
scintillavano di sangue.
Alcune crepe cominciarono ad aprirsi sulla
superficie del superdiamante, mentre tutta la stanza venne di colpo scossa da
un piccolo terremoto.
«Attività cerebrale e cardiaca stabile.» disse
l’operatore «Nessuna anomalia né attività insolita.» poi si volse verso Augusto
«È sveglio e cosciente».
Il conte chiuse un momento gli occhi, tirando come
una specie di sollievo, e cercando nel contempo di assimilare ed assaporare
pienamente le emozioni di quel momento così importante, per la sua vita e per
il destino di tutta la stirpe della notte.
Valopingius era tornato.
L’esperimento portato avanti tutta una vita forse non era andato nella
direzione inizialmente sperata, ma ciò non di meno si era rivelato un completo
successo.
Il bagliore negli occhi del vampiro ibernato
divenne un po’ più forte, e subito dopo una voce riecheggiò nella mente di tutti
i presenti; era una voce piena, possente, e degna di rispetto.
«Dove mi trovo? Che anno è questo?».
Tutti, compresi Kilyan e Shezka, provarono un certo senso di soggezione, e non
osarono aprire bocca per lo sgomento ed il timore.
Solo il conte rimase impassibile, fermo ed eretto
come si conveniva di fare di fronte ad un illustre ospite.
«Nobile Valopingius, vi
trovate in un palazzo nel mezzo dei Balcani, all’alba del ventunesimo secolo.»
«Il ventunesimo secolo? È passato così tanto
tempo?»
«I membri del consiglio degli anziani, dopo avervi
rinchiuso in questa bara, vi hanno sigillato nelle profondità dei ghiacci
polari.
Io, Augusto Lorenzi da Cassino, vostro undicesimo
discendente, vi ho cercato senza sosta per innumerevoli anni, e alla fine sono
riuscito a ritrovare il luogo in cui vi avevano sepolto.»
«Credevo che gli anziani avessero spento
completamente l’energia all’interno del mio corpo ponendovi un sigillo magico.
Come siete riusciti a spezzarlo?»
«È merito delle più recenti scoperte nel campo
della medicina, ma anche del sangue speciale di una giovane ragazza individuata
durante le nostre ricerche.»
«Quando sono stato rinchiuso qui dentro, credevo
che vi sarei rimasto fino alla fine dei tempi. I miei avversari erano più
deboli di noi, ma erano anche più numerosi di noi.
Dopo avermi portato via tutto ciò per il quale mi
ero tanto battuto, non riuscendo ad avere la meglio su di me usarono un
incantesimo proibito per imprigionare la mia mente all’interno del mio stesso
corpo a discapito della loro stessa vita, prima di rinchiudermi qui dentro per
essere sicuri che nessuno dei miei seguaci mi potesse liberare.»
«Ma noi ci siamo riusciti, mio signore. E vi farà
piacere sapere che in tutti questi millenni altri hanno tentato di portare
avanti le ricerche da voi iniziate.»
«In ogni caso, quando potrò uscire da questa bara
maledetta?»
«Abbiate solo un altro po’ di pazienza. Pur
essendosi conservato praticamente intatto per duemila anni, il vostro corpo è
pur sempre indebolito dalla lunga prigionia. I miei scienziati lo stanno
rafforzando per permettervi di sopravvivere, e di tornare a poter esprimere
appieno il vostro potere.
È questione di poche ore.»
«Immagino che tu, in quanto mio discendente, non
sia il genere di persona che agisce senza un secondo fine. Che cosa vuoi in
cambio della libertà che mi hai nuovamente donato?»
«Nulla di particolare.» disse il conte con una
strana ed inquietante espressione «Solo un piccolo aiuto da parte vostra. Per
soddisfare un dubbio che certamente susciterà anche il vostro interesse».
La macchina del direttore Gabrielli era un
vero bolide, e in poco meno di quattro ore, quando ancora era notte fonda, Eric
e Nagisa erano già al confine tra Bosnia e Croazia, non lontano dal Parco dei
Laghi di Plitvice così noto ai turisti.
Il castello sede del fondatore della Fondazione Manovic era arroccato lungo le pendici di una bassa
montagna, e l’ultimo tratto di strada era così impervio che poteva essere
percorso solo a piedi o in fuoristrada, così i due giovani vampiri non ebbero
altra scelta che abbandonare la macchina e avventurarsi lungo il sentiero che
si inerpicava dal fondovalle fino all’ingresso del maniero.
La salita fu piuttosto faticosa ed impegnativa, e
non solo per il timore e la volontà di evitare eventuali trappole. Oltre all’oscurità
pressoché totale, visto che le nuvole coprivano anche la luna, le recenti e
copiose piogge avevano reso il sentiero viscido e fangoso, ed il bosco
circostante talmente umido che l’acqua grondava giù dagli alberi solo a
sfiorarli.
Eric procedeva a passo spedito, apparentemente
sordo alla sua proverbiale prudenza in casi del genere; sembrava che volesse
arrivare al castello il prima possibile, una condotta che Nagisa non mancò di
notare, restandone stranamente delusa, per non dire rattristata.
Ma anche se aveva fretta di scoprire se Izumi fosse
davvero in pericolo come temeva Eric non aveva perso del tutto il proprio
sangue freddo.
«Da qui in poi.» disse notando che il castello era
ormai molto vicino «Meglio proseguire lungo il bosco. Eviteremo di essere
notati.»
«Sì, mio signore.» rispose lei con molta meno
passione del solito.
Eric se ne accorse, ma non volle indagare, anche
perché c’erano già troppi pensieri ad intasargli la mente.
Passare attraverso gli alberi fu incredibilmente
difficile, e anche con la superiore vista dei vampiri l’oscurità tutto attorno
era talmente fitta da essere quasi insondabile.
Ma se la vista poteva essere offuscata, gli altri
sicuramente non lo erano, infatti i due ragazzi si erano accorti subito di
avere qualcuno a pedinarli.
Inoltrarsi nel bosco era stato un modo per tentare
di depistare il suddetto inseguitore, nella speranza anche di sfruttare
l’ambienta accidentato per spingerlo a commettere qualche imprudenza e poterlo
cogliere sul fatto.
Eric e Nagisa seguitavano a tenerlo d’occhio con il
fiuto e l’udito, e quando furono certi di averlo abbastanza vicino prepararono
la trappola.
Si fermarono, fingendo di volersi riposare, poi
improvvisamente sparirono, lasciando l’inseguitore con un pugno di mosche.
Questi raggiunse il luogo dove li aveva persi, sperando di ritrovarne le
tracce, quando una sensazione di minaccia lo fece trasalire, spingendolo a
sguainare la spada che aveva con sé.
Un secondo dopo, il misterioso inseguitore ed Eric
avevano ognuno la spada dell’altro puntata contro, ma Eric aveva comunque il
vantaggio di avere con sé Nagisa, che teneva il nemico sotto tiro con una delle
numerose armi che si era portata dietro dalla sede di Venezia.
«Che ci fai qui?» domandò il ragazzo
«Potrei chiederti la stessa cosa.» replicò il
direttore Cross.
Entrambi abbassarono le armi. In verità sia Eric
che Nagisa dopo poco avevano capito dall’odore chi fosse a pedinarli, ma
avevano voluto in ogni caso esserne sicuri.
«Ho saputo quello che è successo a Venezia.» disse
Cross allontanando l’arma «Certo che provocare casini sembra essere davvero la
tua specialità.»
«Se stai cercando di fermarmi, è fatica sprecata».
Il direttore abbozzò un sorriso ironico.
«Chi l’ha detto che sono qui per fermarvi?»
«Come!?» disse Nagisa
«Kogoro è venuto da me al collegio. Era un po’
ammaccato, ma ci vuole ben altro per mettere sotto uno come lui. Mi ha
raccontato quello che è successo, e mi ha pregato di fare qualcosa. E allora,
eccomi qui.»
«Quindi, Izumi è là dentro!?» esclamò Eric
«Non so per quale motivo l’abbiano presa, ma deve
essere qualcosa di molto importante. Per riuscire ad averla hanno mandato un
vero esercito. È una fortuna che Kogoro sia sopravvissuto».
Senzaaggiungere altro Eric girò i tacchi e si avviò nuovamente verso il
castello.
«Dove pensi di andare?»
«Secondo te?»
«Lassù ci sono almeno un centinaio di vampiri
mutanti che vi aspettano, e c’è tuo nonno. Pensi di entrare e riprenderti la
ragazza come se niente fosse?».
Messo davanti al fatto compiuto il ragazzo si
bloccò, ringhiando; in altre circostanza non ci sarebbero stati problemi, ma
non aveva recuperato del tutto i suoi poteri, per non parlare del fatto che suo
nonno era tutto meno che un avversario da poco.
«Non fare lo sconsiderato, ragazzo. Capisco che tu
voglia salvare quella ragazza, ma facendoti ammazzare non l’aiuteresti certo ad
uscire da lì».
Poi il direttore non riuscì a trattenersi dal fare
l’ebete come suo solito.
«Del resto però, come posso darti torto? È naturale
per un giovane fiorente e di bell’aspetto essere in ansia per la propria
ragazza».
Una pietra lo centrò in piena fronte buttandolo a
terra.
«Finiscila di fare lo scemo. Non è questo il
momento.»
«D’accordo, come non detto.» replicò il direttore
rifacendosi serio «Allora, vogliamo andare?».
Nagisa, però, aveva trovato quella battuta ancor
più di cattivo gusto di quanto non avesse fatto Eric, tanto che quando si
rimisero in marcia il suo padrone dovette chiamarla per farla rinsavire e farsi
seguire.
Insieme, i tre continuarono la salita attraverso il
bosco, fino ad arrivare in vista dell’ampio muro di cinta che delimitava il
cortile del cancello, chiuso con una robusta e pesante cancellata di ferro e
sorvegliato a vista da decine di guardie.
Si appiattirono tra le fronde, al riparo da occhi e
nasi indiscreti, protetti dal buio e dall’odore dell’erba bagnata.
«Però.» osservò Kaien
«Sono anche più di quanto mi aspettassi.»
«Con calma.» disse il direttore «Se attacchiamo
tutti insieme è buona che ci circondano e ci finiscono in una volta sola.
E poi, quel castello è immenso. Sarà necessario
dividersi se vogliamo esplorarlo tutto e sperare di trovare Izumi.
Eric. Tu attaccherai da questo punto. Nagisa, tu
invece passerai dal retro. Io esplorerò i sotterranei.»
«È sicuro che dividerci sia una buona idea?»
domandò Nagisa
«Direi che è l’unica soluzione. Così anche loro
saranno costretti a dividere le loro forze, e noi avremo più possibilità di
prevalere».
Eric, contrariamente al solito, sembrava molto
nervoso; a Kaien bastò guardarlo per capire a cosa
stesse pensando, e malgrado la situazione non riuscì a fare a meno di fare
l’ebete ancora una volta.
«Non temere, mia adorata.» disse sottovoce parlando
con una voce suadente e sprezzante, oltre che volutamente echeggiata «Sto
arrivando a salvarti. Sarò il tuo cavaliere nella splendente armatura, e ti
strapperò dalle grinfie de cattivi».
Questa volta però Eric perse sul serio la pazienza,
oltre ad arrossire visibilmente, e invece di un sasso scaraventò sulla testa
del direttore un gigantesco pietrone strappato a forza dal terreno.
«Dacci un taglio con questa storia!»
«Lo sai…» mugugnò Kaien con la testa infilata nella terra «Più passa il tempo,
e più mi ricordi qualcuno..».
Purtroppo un fracasso del genere non passò
inosservato, ed i tre intrusi furono immediatamente scoperti dalle guardie.
«Accidenti.» disse Kaien
«Spero che voi siate pronti, perché si comincia.»
«Non vedevo l’ora.» commentò Eric, ed anche Nagisa
sembrava dello stesso avviso.
I tre cacciatori a quel punto scattarono
all’attacco, e per quanto in inferiorità numerica riuscirono ben presto a fare
una strage di tutti i vampiri nemici, liberandosene in una trentina di secondi.
L’ultimo venne ucciso da Nagisa, che sfoderando
come ultima arma un enorme fucile anticarro sparò una vera e propria cannonata
contro il vampiro in questione; il poveretto fu letteralmente sparato via,
sfondando col suo stesso corpo il cancello d’ingresso per poi diventare cenere
appena toccata nuovamente terra.
«Come riscaldamento non c’è male.» disse il
direttore «Ma da qui in poi, le cose rischiano di farsi anche peggio.
Sarà meglio sbrigarsi.»
«Sono d’accordo.» disse Eric
«Mi raccomando, fate entrambi attenzione. Sicuramente
sono pronti a darci il benvenuto».
Detto questo, Nagisa e il direttore scattarono in
opposte direzioni, lasciando Eric da solo a proseguire attraverso il cortile.
Il ragazzo, la mano già sull’elsa della spada,
prese ad avanzare lentamente, con circospezione, verso il maestoso ingresso
principale.
Regnava il più assoluto silenzio, e si respirava
un’atmosfera strana, piena di tensione; inoltre, da qualche minuto era calata
sulla zona una nebbia leggera, che rendeva ancor più difficile riuscire a
guardarsi attorno.
Eric continuò ad avanzare lentamente, quando
d’improvviso avvertì distintamente una presenza malevola, e potente come non
ricordava di averne mai sentite.
Spinto da una specie di curiosità, si avviò a passo
spedito proprio in direzione di quella presenza, fino a raggiungere la parte
più profonda del cortile, dirimpetto al vasto scalone che conduceva
all’ingresso del castello.
Qui, proprio ai piedi delle scale, vi era un vasto
spiazzo circolare, in realtà una sofisticata pedana di alcuni metri di diametro
che poteva salire e scendere a comando collegando tra di loro la superficie ed
il primo piano sotterraneo.
Al centro della pedana, il monolite di
superdiamante, con il suo inquietante contenuto, i cui occhi scintillavano
della luce del sangue, e sembravano fissare con freddezza e determinazione il
nuovo arrivato.
«Mio Dio…» balbettò il
ragazzo.
Un istante dopo, vi fu un violento spostamento
d’aria che Eric non mancò di trovare famigliare, come una bolla che esplodeva,
ed il conte Augusto Lorenzi da un momento all’altro gli comparve dinnanzi,
proprio accanto al monolito.
«Tu!?»
«Ne è passato di tempo, nipote».
Se davanti vi era un cortile in stile giardino inglese, con prati
verdeggianti, camminamenti e belle siepi, alle spalle il castello aveva un vero
giardini giapponese, una delizia per gli occhi per chiunque lo avesse visitato.
Viottoli di sassi attraversavano piccoli prati e
collinette, ponticelli di pietra si alzavano su bassi laghetti pieni di pesci
colorati e piccoli alberi crescevano qui e là in modo solo apparentemente
disordinato.
Nagisa avrebbe tanto voluto che il suo animo fosse
in pace e sereno come quel giardino.
In verità, troppe emozioni contrastanti si
agitavano nel suo animo, quasi tutte fosche e tristi.
Ormai era inutile negarlo.
Eric era cambiato da quando tutta quella storia
aveva avuto inizio, ed in particolare da quando Izumi era comparsa nelle loro
vite.
Dal canto suo, Nagisa non sapeva se sentirsi felice
per l’umanità che il suo padrone stava iniziando a dimostrare ogni giorno di
più, o triste per il fatto che per la prima volta nella sua vita era comparso
seriamente qualcuno che non fosse lei.
Negli ultimi tre anni erano vissuti solo l’uno per
l’altra, senza nessuno attorno, ma ora che altri stavano iniziando ad entrare
nella vita di Eric, cosa ne sarebbe stato di lei?
Una lugubre e famigliare risata la fece scattare
per lo spavento, e velocissima puntò il suo fucile in una direzione, trovandosi
a tu per tu con colui che riteneva il responsabile di tutto, con colui che le
aveva distrutto la vita condannandola ad una che, giorno dopo giorno, sembrava
destinata a diventare sempre più misera e vuota.
«Hanabusa!»
«Benvenuta, mia piccola rosa selvatica.» disse Kilyan facendo qualche passo avanti «Hai cambiato idea riguardo
alla mia proposta?»
«Bastardo. Hai distrutto la mia casa. Hai ucciso la
mia famiglia.»
«Ancora con questa storia? Te l’ho detto, è stato
un incidente.»
«Avremmo potuto salvarci, se tu non avessi fatto
saltare la diga?»
«Per fare cosa? Diffondere la notizia? Far sapere
ai quattro venti quello che stavamo cercando di fare? Sarebbe stato già
abbastanza difficile riuscire a far sparire tutte le prove. Se non altro
quell’incapace di Ivanov ha fatto bene il suo dovere
in tutti questi anni.»
«La mia cittadina e la mia famiglia non avevano
niente a che fare con tutto questo. Non avevate alcun diritto di coinvolgerci.»
«Come ho sempre detto… un
piccolo prezzo per un traguardo più grande».
A quel punto Nagisa non ci vide più dalla rabbia, e
puntato il fucile sparò tra colpi in direzione di Kilyan.
Il giovane Hanabusa non
si mosse, limitandosi a sorridere in quel suo modo sufficiente e beffardo, e
prima ancora di raggiungerlo i proiettili sparati dal fucile si fermarono,
bloccandosi a mezz’aria per poi cadere inermi al suolo coperti da una spessa
patina di ghiaccio.
Nagisa restò di sasso.
«Maledetto!» urlò riprendendo quasi subito a
sparare.
Kilyan schivò una dopo
l’altra tutte le pallottole, forte della sua velocità, avvicinandosi nel
contempo sempre più alla ragazza; quando Nagisa ebbe finito tutti i colpi Kilyan le era davanti, e colpendola violentemente prima al
volto e poi allo sterno la lanciò via come un rametto, scagliandola in aria.
Il divario tra di loro, oggi come un mese prima,
sembrava ancora immenso.
«Allora, bambolina. Quanto ti dovrò picchiare prima
di riuscire a spezzarti?».
I sotterranei del castello erano vasti almeno quanto l’edificio
esterno, ed articolati in una serie di corridoi, stanze e cunicoli dove
perdersi era di una facilità disarmante.
Per sua fortuna il direttore aveva sempre amato i
labirinti, e sapeva come orientarsi anche nelle situazioni più complicate.
In questo modo, e seguendo l’unica presenza umana
che riusciva a percepire, raggiunse il laboratorio al secondo livello sotterraneo,
trovando Izumi ancora rinchiusa nel cilindro di vetro ed acciaio e immersa nel
composto chimico.
«Ma cosa diavolo staranno facendo qui!?» si domandò
sgomento vedendo tutti quei macchinari avveniristici, che quasi stonavano con
l’immaginario comune degli esseri umani in fatto di vampiri.
Armeggiando ad uno dei vari computer Kaien riuscì fortunatamente a trovare i comandi per il
controllo dell’incubatrice, e come la aprì il composto chimico si propagò come
un’onda sul pavimento della stanza, liberando anche Izumi.
Il direttore le misurò immediatamente le funzioni
vitali, e accertatosi che stesse bene la coprì alla meno peggio con il proprio
cappotto. Proprio mentre la stava sollevando, la ragazza aprì gli occhi,
confusa ed infreddolita.
«Dove… dove sono?»
«Tranquilla. Sei al sicuro. Io sono un amico di
Eric.»
«Eric!?».
Izumi era ancora troppo provata e stanca per
riuscire a muoversi, quindi Kaien la adagiò
delicatamente sopra un tavolo, e nell’attesa che si riprendesse iniziò a
frugare per curiosità tra gli archivi dei computer alla ricerca di qualche
risposta.
Trovò molti documenti e informazioni, attinenti
soprattutto alle ricerche della Fondazione Manovic attorno
agli antichi esperimenti condotti da Valopingius e
sui vampiri mutanti.
La cosa più importante che il direttore riuscì a
trovare, però, fu una lista, una lunga serie di nomi tra i quali capeggiavano
quelli di molti personaggi illustri sia tra la nobiltà e la media borghesia dei
vampiri sia all’interno della stessa Associazione.
«Questa sì che è dinamite.» disse prendendo da una
tasca una chiavetta di memoria e scaricandovi dentro tutto quello che poteva.
L’aveva appena recuperata, quando avvertì un rumore
proveniente dall’arco che immetteva nel lungo e buio corridoio dal quale era
arrivato, e che fungeva da unico punto d’ingresso.
Subito scattò in piedi, arma alla mano, e come
intravide una figura che avanzava lentamente nella sua direzione si preparò a
combattere.
Quando però la figura in questione uscì allo
scoperto, mostrando le proprie fattezze, il leggendario Hunter sbiancò,
spalancando gli occhi.
Di fronte a lui c’era una giovane e bellissima
donna, i capelli lunghi di un colore marrone rossastro e gli occhi che
sembravano due lucenti rubini, un’espressione gentile e compassionevole.
Non riuscì a crederci.
«J…Juri…»
disse riconoscendo in lei JuriKuran.
La donna sorrise, e avanzò verso di lui. Kaien era così sconvolto che abbassò l’arma, come
inebetito, prendendo a camminarle a sua volta incontro quasi barcollando.
Si sfiorarono, per poi perdersi in un breve
abbraccio, con Kaien che sembrava diventato un’altra
persona, totalmente perso nei ricordi del passato, preso da sentimenti mai
sopiti e da rimpianti che a distanza di anni ancora facevano male.
Per fortuna, lo sgomento e l’incredulità non riuscirono
a scalfire la proverbiale prudenza del famoso cacciatore, né tantomeno la sua
fredda e per certi versi cinica convinzione sull’impossibilità di poter riportare
in vita qualcuno già scomparso già da molti anni.
Proprio per questo, Kaien
riuscì ad afferrare il polso della giovane donna prima che questa potesse
affondare dentro di lui il pugnale che stringeva tra le mani, guardandola in
volto con espressione a metà tra il triste ed il rassegnato.
«JuriKuran
è morta».
L’espressione sul volto della donna murò
improvvisamente, facendosi freddo ed inferocito, e questa, liberatasi dalla
stretta, riuscì a spiccare un salto all’indietro, sottraendosi al fendente di Kaien; poi, il suo vestito, e tutto il suo aspetto
esteriore, si frammentarono, rompendosi come una superficie di vetro,
rivelandosi nulla più che un semplice feticcio, una scorza esteriore realizzata
estrapolando ricordi dalla mente del direttore.
«Dovevo aspettarmelo, dal leggendario Vampiro Senza
Zanne.» disse Shezka facendo fischiare nell’aria la
lama del suo pugnale «Ma non illuderti che le mie abilità si fermino qui».
Eric seguitava a guardare suo nonno, gli occhi pieni di rabbia e
determinazione, mitigati però dalla terribile sensazione che continuava a
provenire dall’interno del monolito.
D’improvviso, istintivamente, provò a corrergli
contro per affrontarlo, ma come mosse un passo il conte batté a terra il suo
bastone, e di colpo la gravità tutto attorno ad Eric si tramutò in una sorta di
camicia di forza che lo immobilizzò, impedendogli di muoversi.
«Quegli occhi.» disse il conte «Io l’ho sempre
saputo, che un giorno o l’altro quegli occhi mi avrebbero tradito.
Ma del resto, si può dire che il tradimento sia
parte del tuo DNA. Che cosa ha fatto dopotutto Serena, se non tradire e
rinnegare la sua stessa famiglia?»
«Lei lasciala fuori, maledetto. È una questione tra
me e te.»
«Lo sai, Enrico? Quando ti vidi per la prima volta,
quando varcasti le porte del nostro palazzo, non avrei scommesso un centesimo
su di te e sul tuo futuro.
Anzi, più passava il tempo e più mi rendevo conto
che il nostro casato sarebbe andato incontro alla rovina, nel momento in cui
fossi stato costretto a cederti il potere.»
«Era un potere che non mi interessava fin
dall’inizio.»
«Ma interessava a me. I Lorenzi sono la famiglia
più antica e rispettata d’Europa. Discendiamo dallo stesso Valopingius.
Nelle nostre vene scorre il sangue dei progenitori di tutta la stirpe della
notte. Anche nelle tue.»
«Un sangue maledetto. Del quale farei volentieri a
meno.»
«Per me non sei mai stato altro che un rifiuto,
ragazzo. L’ho sempre pensato, e in parte lo penso ancora.
Anche quando hai iniziato a mettermi i bastoni tra
le ruote, ho pensato che non saresti mai stato una minaccia per i miei piani,
ottuso e stupido come sei.
Ma poi, contro ogni mia previsione, hai continuato
a progredire.
Ciò che io non ero riuscito a fare in tanti anni di
faticoso addestramento, hai finito per farlo tu stesso in pochi mesi.
Ogni passo che compivi verso questo castello, era
un frammento in più del tuo vero potere che si risvegliava. Un potere del quale
io stesso rimanevo di volta in volta sorpreso.
Sei riuscito persino a fare ciò che non avrei mai
creduto possibile; ti sei confrontato ad armi pari con uno dei vampiri più
potenti che io abbia mai conosciuto.
Ho messo davanti a te ogni ostacolo possibile, ti
ho scagliato contro le prove più difficili. Eppure, eccoti qui.
E tutto questo, senza mai fare ricorso una sola
volta a tutto il tuo potere.
Da una parte, questa cosa mi ha fatto infuriare
oltre ogni limite. Ogni volta che mi ricordavo del fatto che sei per metà un
essere umano, ribollivo di rabbia al pensiero di che cosa avresti potuto
realmente fare, se fossi nato in tutto e per tutto come un figlio della notte.»
«Dopo quello che ho visto, e quello che ho scoperto
sul tuo conto e su quello che avete fatto, sono più che contento della mia metà
umana.
Almeno, so ancora cosa voglia dire provare dei
sentimenti.»
«Dall’altra, però, un pensiero ha iniziato
all’improvviso ad insinuarsi nella mia mente. Era come un tarlo che mi scavava
nel cervello senza darmi pace.
Io ho dedicato tutta la vita alla ricerca di un
modo per salvare la nostra specie dal suo inesorabile destino. Perciò ho creato
tutto questo. Anche quando il Consiglio degli Anziani, quella massa di inutili
conigli senza coraggio terrorizzati da qualsiasi cosa che vada al di là della
loro mentalità ottusa e retrograda, mi haprivato di tutto, non m sono tirato indietro.
In poco tempo ho ricreato il mio impero, e
ricominciato daccapo. Ma per quanti tentativi facessi, tutto quello che
riuscivo ad ottenere erano vampiri incompleti, non molto diversi dai Livello E.
Poi, sei arrivato tu. E un giorno, una domanda si è
accesa nella mia testa.
Che fosse davvero mio nipote la chiave per salvare
i vampiri dall’estinzione?».
Eric spalancò gli occhi, visibilmente incredulo.
«Come nobile e membro di una delle più antiche
famiglie mi disgustava anche solo pensare che una cosa del genere fosse
possibile, ma come freddo e determinato calcolatore ben presto mi trovai costretto
ad ammettere che forse era davvero così.
Più cercavo di non pensarci, più questo pensiero mi
tormentava, e ciò che è successo negli ultimi mesi non ha fatto altro che
rafforzare questa convinzione: hai sconfitto tutti gli avversari che ti ho
mandato contro; hai fatto tuo il potere dell’antica spada Izanami;
hai persino costretto KanameKuran
alla fuga».
Il conte strinse più forte il pomo del bastone,
poggiando una mano sulla superficie del monolito.
«Questa pietra, ed il suo contenuto, sono ciò per il
quale ho così a lungo lavorato. Tu lo sai cosa custodisce, vero?».
Eric non rispose; non a parole almeno.
«Potremmo quasi dire che, mentre il nostro antenato
rappresenta il passato della nostra razza, tu ne rappresenti uno dei possibili
futuri.
Per questo, voglio essere sicuro.
Voglio vedere fin dove può arrivare il tuo potere».
A quel punto, il monolite prese a riempirsi di
crepe, segno che chi era rinchiuso al suo interno ormai fremeva per uscire.
«Tu o Valopingius? Quale
di voi due rappresenta davvero la speranza per il futuro?
Ora, voglio che me lo diciate. E lo farete qui, e
subito.»
«Nonno.» ringhiò Eric «Sei fuori di testa!».
Augusto parve abbozzare un ironico sorriso, e messa
una mano nel mantello ne prese fuori una bella bottiglietta di cristallo, e
all’interno della quale vi era circa un quarto di litro di sangue ancora
fresco.
Malgrado il contenitore fosse chiuso con un tappo,
l’odore era talmente forte e particolare che Eric non riuscì a non sentirlo,
facendogli accendere gli occhi di rosso.
«Lo riconosci, vero? È il sangue di quella ragazza.
Grazie ad esso, se lo vorrai, potrai liberare il tuo vero potere. Quella enorme
parte delle tue potenzialità che fino ad ora ti sei sempre scioccamente
rifiutato di voler fare tua».
Augusto posò la bottiglietta in cima ad una
colonnina di marmo, seguito con lo sguardo da un impotente Eric.
«Ora, sta a te scegliere. Continuerai ad avere
paura, e a comportarti da codardo, o una volta tanto sceglierai di comportarti
come un vero vampiro.
In ogni caso, ricordati che comunque vada stavolta
ne andrà della tua vita».
Detto questo, il conte se ne andò come era venuto,
e contemporaneamente il suo controllo su Eric finalmente cessò.
«Fermati, maledetto!».
Intanto, il monolito era ormai tutto una crepa, e
all’improvviso questi esplose letteralmente, sparando in tutte le direzioni
frammenti che scalfirono i muri e mandarono in pezzi i vetri di alcune
finestre.
Eric si coprì il volto, e quando tornò a guardare Valopingius era davanti a lui, nella sua veste nera, i
lunghi capelli d’argento ritti sopra la testa, gli occhi iniettati di sangue e
i lunghi artigli ricurvi all’estremità delle dita lunghe e affusolate.
Il vampiro si guardò attorno, quasi a non voler
credere di essere nuovamente libero, poi si concentrò su Eric.
«E così, tu sei il mio ultimo discendente.»
«Con mio grande rammarico.» replicò sprezzante
Eric.
Valopingius sorrise.
«Hai del carattere. E questo mi piace.
Al mondo ci sono già troppi vampiri inutili.
Sciocchi che o si beano del loro potere fintanto che non incontrano qualcuno
più potente di loro, o codardi ai quali preme solo di continuare nella loro
grigia ed inutile esistenza.»
«Attento. Potresti scoprire che il mondo è un po’
diverso rispetto a duemila anni fa.»
«Può darsi. Ma le brutte abitudini sono dure a
morire».
Il sangue delle guardie che Eric e i suoi compagni
avevano ucciso inondava ancora il piazzale antistante il cancello; questo, d’un
tratto, sembrò prendere vita, formando lunghe e sinuose spire che come un
esercito di serpenti presero a confluire verso Valopingius,
concentrandosi dinnanzi a lui.
«Lo sai, io sono perfettamente d’accordo con il
conte Lorenzi.» disse il vampiro mentre tra le sue mani compariva la stessa
enorme falce a due lame che Eric aveva visto nel vecchio libro di leggende «Uno
di noi due potrebbe rappresentare davvero il futuro della Stirpe della Notte.
Se è così, significa che l’altro è semplicemente un
vicolo ceco dell’evoluzione, e che quindi non ha alcun motivo di esistere».
Ad Eric tutta quella storia non interessava minimamente;
d’altra parte, però, se voleva andare a salvare Izumi, e a regolare una volta
per sempre i conti con suo nonno, non aveva altra scelta che combattere, quindi
estrasse la spada.
«Io sono venuto qui per chiudere definitivamente
col mio passato, e per aiutare una persona che non deve avere nulla a che fare
con tutto questo.
E se per riuscire a passare oltre questo punto
dovrò prima uccidere te… allora, così sia.»
«Perfetto. Fatti avanti, allora».
Eric sapeva perfettamente di avere davanti un
avversario neanche paragonabile a tutti gli altri incontrati finora.
Si trattava pur sempre di uno dei Vampiri
Leggendari.
Probabilmente era anche più forte di Kaname.
Ma d’altra parte, non era da lui esitare o tirarsi
indietro, e dopo qualche attimo di studio scattò all’attacco a spada tratta.
Valopingius replicò con
la stessa determinazione, e tra i due ebbe inizio un violentissimo scontro
corpo a corpo, fatto di affondi, fendenti, scatti improvvisi e brevi intervalli
per recuperare le forze.
Fisicamente Valopingius
faceva paura; sovrastava Eric di almeno dieci centimetri, era robusto ed agile
al tempo stesso, e mulinava quella sua falce di sangue come fosse stata una
parte di lui.
Usava uno stile di lotta molto sciolto, fatto di
affondi continui e ripetitivi, roteando continuamente la falce per colpire da
varie direzioni.
Eric dal canto suo aveva ormai completamente
recuperato le forze, e non risparmiava colpi.
Per alcuni minuti vi fu una situazione di
sostanziale parità, con entrambi gli avversari più impegnati a difendersi che a
tentare seriamente di prendere la vita dell’altro, ma fin da subito emerse
tutta la straordinaria abilità di Valopingius, che
tuttavia non mancò di sottolineare la bravura e il talento del suo giovane
avversario.
«Sei bravo.» disse in un momento di quiete «Sarebbe
stato bello averti al mio fianco durante la Guerra Civile.»
«Così che potessi portare avanti il tuo disegno
malato? No, grazie.»
«Non fare tanto l’arrogante, ragazzino. Credi di
essere il solo che si trattiene dall’usare il suo vero potere?»
«Che cosa!?».
Fu questione di un attimo.
Valopingius scomparve, e
un secondo dopo Eric si sentì come se lo avesse investito un treno, tanto che
fu letteralmente sparato contro la parete del castello, un urto tremendo che
per fortuna riuscì ad assorbire almeno in parte.
«Come può essere!?» mugugnò mentre Valopingius ricompariva davanti a lui «Non è stato un salto
temporale».
Poi, capì, rimanendone scioccato.
“Ha rallentato il tempo!?”
«Sei sorpreso?» chiese il vampiro «Non dovresti. Dopotutto,
sei un mio discendente».
La risposta era di una chiarezza sconvolgente. Come
Eric ben sapeva, la potenza della bolla temporale era inversamente
proporzionale al potere di chi la creava; più si era potenti, più la bolla era
efficace. Di norma, come Eric aveva imparato a proprie spese, era impossibile
creare una bolla tanto potente da avere effetto su un Sangue Puro, eppure Valopingius ci era riuscito.
«M…mostro…»
mugugnò rialzandosi
«Fa uno strano effetto.» replicò Valopingius facendo mulinare la sua arma «Essere chiamato mostro
da un essere che ha per metà sangue umano e per l’altra metà vampiro».
Punto sul vivo, Eric attaccò nuovamente,
determinato a vincere con ogni messo.
Le provò tutte; la bolla ed il salto temporale, ma
ogni volta il suo nemico riuscì ad anticiparlo.
Dopo dieci minuti di scontro, il ragazzo era già
allo stremo delle forze. Ma quello che più lo terrorizzò, era che man mano che
comprendeva la sua impotenza di fronte a quel nemico, più spesso il suo sguardo
incrociava la bottiglietta di sangue, ancora lì dove suo nonno l’aveva
lasciata.
No! Assolutamente no!
Non poteva permettere alla sete di averla vinta.
Tentò un altro paio di salti temporali, usando le
poche forze che gli restavano, ma tutte le volte Valopingius
riuscì ad anticiparlo.
«Se questo è il massimo che sai fare, allora
avrebbe dovuto vincere l’altro.» commentò il vampiro riferendosi a Kuran «Ora, se permetti, tocca a me».
A quel punto fu lui a fare ricorso al salto
temporale, e ne furono sufficienti solo tre per mettere definitivamente Eric
con le spalle al muro; la sua velocità e la sua padronanza dello scorrere del
tempo erano a dir poco disarmanti. Neanche suo nonno era capace di qualcosa di
simile.
Dodici minuti dopo il primo incrocio di spade, Eric
era in ginocchio, pieno di ferite e tagli in ogni parte del corpo, i vestiti
strappati ed il sangue che colava da ogni dove, privandolo di ulteriori energie
oltre a quelle che Izanami, assetata come lui, già
gli sottraeva.
Non gli restava che una possibilità.
«TimeCarousel!»
urlò, e proprio nell’istante in cui il nemico compariva alle sue spalle il
tempo si fermò.
Al sicuro nella sua mente, Eric si sforzò in ogni
modo di trovare una soluzione.
Doveva pur esserci la maniera per riuscire a
prevalere.
«Visualizzazione. Elaborazione. Teorizzazione!».
Al comando teorizzazione, però, le ramificazioni
temporali possibili stentarono ad apparire.
«Ho detto Teorizzazione».
Alla fine, ne comparve solo una, il cui contenuto
fece sbarrare gli occhi al ragazzo.
Aveva appena sprecato una delle ultime possibilità
che gli restavano per fare ricorso al suo più grande potere.
Poco dopo, il potere insito nel TimeCarousel si esaurì inesorabilmente, ed Eric,
riportato bruscamente alla realtà, ricevette un tremendo colpo in pieno petto,
fortunatamente solo con il manico della falce, ma talmente forte da rompergli
quattro costole, scaraventandolo in aria con la potenza di una cannonata.
Il giovane precipitò verso il basso come una meteora,
terminando la sua corsa proprio contro la colonnina di marmo, e quando lottando
col dolore, riuscì a riaprire gli occhi, lo sciagurato contenitore era caduto a
terra proprio lì, davanti a lui; davanti ai suoi occhi, e alla sua bocca
assetata.
«Non riesco a capire.» disse Valopingius
«E dire che tuo nonno sembrava avere così tante speranze in te. È davvero tutta
qui la tua forza?».
Allora… non c’era davvero
altra possibilità?
Forse suo nonno aveva ragione, dopotutto. Forse l’unico
modo che aveva per sperare di vincere era fare ricorso a quel potere che per
anni aveva represso dentro lui, e che lo spaventava più di qualsiasi altra cosa
al mondo. Ma come poteva venire meno ad un principio che fin dall’inizio si era
sempre ordinato di seguire?
Tuttavia, si disse, non ne andava solo della sua
vita.
C’erano Nagisa, il direttore.
C’era Izumi.
Cosa sarebbe loro accaduto, se avesse perso? Lo doveva
fare per loro.
Sì. Lo stava facendo per loro. Solo per loro.
Con la mano che tremava, e gli occhi resi lucidi
dalle lacrime, come un pianto disperato della sua metà umana, allungo una mano
verso quel liquido infernale. Messosi a sedere con la schiena appoggiata al suo
colore, fece saltare il tappo con il pollice, per poi alzare il contenitore fin
sopra alla sua testa, osservandone i riverberi rossastri.
Lo stava facendo per loro. Solo per loro.
«No, fermati!» sembrò urlare la sua parte umana.
Ma fu tutto inutile, e lasciò pendere il bordo
verso il basso, aprendo nel contempo la bocca e scoprendo le sue lunghe zanne
affilate.
Non ricordava neanche più l’ultima volta che si era
nutrito di sangue o compresse ematiche, forte della sua metà umana per poterne
fare a meno.
Era dolce.
Dolcissimo. Un sapore sopraffino. Gli sembrava
quasi di avvertire tutto il calore, la gentilezza e la purezza d’animo del suo
padrone, che ne rendeva la fragranza ancora più inebriante.
Lo bevve tutto, anche se una parte scivolò fuori
dalla bocca, ingoiandolo a forza per sentirne il sapore il meno possibile.
Gli effetti non tardarono a farsi sentire.
Le ferite si sanarono, le forze ritornarono, e lui
riuscì a rimettersi in piedi, credendo per un attimo che null’altro potesse
cadere.
Ma si sbagliava.
Prima, la gola iniziò a fargli male, come se invece
che sangue avesse appena ingoiato acido puro, o lava incandescente, la stessa
lava che sembrò iniziare a scorrergli in tutto il corpo.
Stava bruciando.
Si sentiva avvolto dalle fiamme, sia dentro che
fuori.
La testa gli rimbombava, sembrava che dovesse
esplodergli.
Urlò.
Urlò come non aveva mai fatto prima d’ora, un urlo
disumano e terrificante che fu udito in tutto il castello e squarciò come un
grido di morte il silenzio che dominava in quelle desolate montagne europee.
Valopingius restava a
guardare, stranamente sorridente, quasi soddisfatto di ciò che aveva fatto il
suo avversario.
«Guarda un po’.» osservò con incredibile sufficienza
«Non sarà per caso che…».
Eric sentì come se una bomba gli fosse esplosa nel
corpo, liberando un mare di energia.
Era una sensazione terribile…
ma anche bellissima.
Sì. Era bellissimo.
Tutto quel potere. Tutta quella forza.
Come poteva immaginare di avere a sua disposizione
qualcosa di simile?
Di colpo, i suoi lineamenti gentili si mutarono in
un’espressione spaventosa, e quando risollevò gli occhi la parte umana che
aveva sempre dimorato dentro di loro era ormai del tutto scomparsa, distrutta
dalla sete di sangue e potere. I capelli divennero bianchissimi, e rifulgenti
come i raggi della luna, e bagliori rosso vermiglio comparvero qua e là sia su
di essi che in varie parti del corpo del giovane.
Non c’era più niente.
Non c’era definitivamente più niente di umano in
lui.
Se ne rendeva conto. Per il potere, aveva ucciso
con le sue mani ciò che negli anni aveva considerato la sua cosa più preziosa.
Valopingius, dal canto
suo, sorrise.
Quasi gli venne da ridere.
Il giovane mezzosangue che deprecava tutti i
vampiri, si era trasformato con le sue mani in qualcosa anche peggiore di loro.
Non un Livello E.
Un vampiro che ha ceduto interamente alla sua sete
di sangue, ottenendo in cambio di poter disporre di tutto il suo enorme potere,
fino alla più piccola briciola.
Eric Flyer era diventato un Fallen:
un Caduto.
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Solo due parole,
questa volta.
Dopo quello che avevo
scritto nella precedente nota, devo solo che stare zitto.
Sono una bestia, un
mostro disumano.
Le alternative, però,
erano due. O facevo tre capitoli da 7-8 pagine ognuno, o due da 13-14, e
siccome oggi volevo assolutamente arrivare a questo punto (anche perché lo
avevo preannunciato a Flea) ho scelto la seconda
opzione.
Tutto qui.
Carlos Olivera non è una persona di parola: segnatevelo!^_^
Eric, o quanto restava di lui, sollevò gli occhi, iniettati di sangue
da far accapponare la pelle.
Il Fallenera l’espressione più orrenda e spaventosa delle
creature della notte.
Così come gli esseri umani evitavano
inconsapevolmente di fare ricorso a tutta la loro forza fisica per non
danneggiare il proprio corpo, così i vampiri non facevano mai ricorso a tutto
il loro potere magico per non cadere preda della furia ceca e dell’insaziabile
sete di sangue che questo comportava.
Di solito era impossibile per un vampiro tramutarsi
volontariamente in un Fallen, anche bevendo in un sol
colpo litri e litri di sangue purissimo come quello di quella ragazza.
Forse era colpa della natura mezzosangue di Eric,
che aveva resto quel naturale istinto di autoconservazione più debole rispetto
che negli altri vampiri, o forse c’entravano qualcosa gli esperimenti che a suo
tempo Valopingius aveva condotto sul proprio stesso
sangue, e che tramite discendenza dovevano aver finito per manifestarsi anche
nel suo pronipote.
In ogni caso, Valopingius
non fu per niente scosso né dispiaciuto per ciò che era accaduto dinnanzi ai
suoi occhi.
Al contrario, era quasi felice; non solo avrebbe
potuto confrontarsi finalmente con un avversario alla sua altezza, ma quella,
alla luce anche della parvenza di raziocinio che il ragazzo sembrava aver conservato,
poteva essere considerata una prova della buona riuscita delle sue ricerche,
volte a migliorare e fortificare il corpo e la mente dei vampiri per fare
raggiungere loro un nuovo stadio di evoluzione.
«Questa è una sorpresa inaspettata, ragazzo.» disse
per nulla intimorito da quegli occhi così minacciosi «Ammetto che non me lo
sarei mai immaginato.»
«Io… io ti uccido…» mormorò Eric con una voce che ricordava solo in
parte quella di un tempo «Ti uccido… con le mie mani…»
«Molto bene».
Valopingius mulinò la sua
falce, pronto alla combattere.
«Ora sì che sarà un vero scontro».
Il rumore appena udibile di un pezzo di vetro che
si infrangeva al suolo staccandosi da una finestra in frantumi fu come il
rintocco di un gong, e i due contenti si volarono letteralmente contro,
scomparendo entrambi subito il primo, violentissimo incrociare di spade.
Nagisa stava sperimentando ancora una volta l’estrema differenza di
potenziale che c’era tra lei e Hanabusa.
Passato l’iniziale momento di rabbia, la ragazza
aveva cercato come suo solito di battersi con giudizio e sangue freddo, così
come le era stato insegnato, ma anche in questo modo la superiorità di Kilyan sembrava schiacciante.
A complicare ancora di più la situazione c’era il
fatto che i pensieri di Nagisa erano per gran parte altrove, impegnati a
confrontarsi con emozioni e sentimenti che non le riusciva di tacitare.
Kilyan se ne era accorto,
e non perdeva occasione per gettare ulteriore benzina sul fuoco.
«Se ti vedessi. Sei quasi patetica.
Dov’è finita tutta la tua furia? La tua voglia di
vendicarti?» domandò dopo averla costretta ad arretrare per l’ennesima volta.
Nagisa ringhiò di rabbia, attaccando ancora, ma Kilyan non ebbe alcun problema a respingerla, e fatta
comparire una spada di ghiaccio nelle proprie mani la usò per ferire gravemente
la ragazza ad un fianco; nulla di serio per un vampiro, ma neanche una cosa da
poco, infatti Nagisa urlò dal dolore, venendo allontanata ancora una volta.
«Perché lo fai, piccola?
Perché rischi la vita per quello stupido ragazzino
idealista?
Saresti potuta morire felicemente, avresti smesso
di soffrire. Invece, lui ti ha trasformata nella sua serva fedele. Ti ha tolto
la libertà, e ti ha condannando a questa esistenza miserabile.
Kilyan quasi rise
vedendosela venire contro, gli artigli delle mani snudati e le zanne spalancate
come a tentare di morderlo, ma questa volta decise di non trattenersi; prima
schivò e parò tutti i suoi sconclusionati attacchi e colpi d’artiglio, tanto
potenti da incidere gli alberi e spaccare le rocce, poi, apertosi un varco,
colpì, senza pietà.
E questa volta, non fu una cosa da niente.
Nagisa sentì la punta della spada nemica farsi
strada nel suo ventre, perforare la sua pelle scavandole la carne da una parte
all’altra, procurandole dapprima una sensazione quasi piacevole, ma subito dopo
un dolore talmente forte da farle pensare che l’avrebbe uccisa.
Anche i vampiri avevano i loro limiti, e una ferita
del genere era più di quanto il potere di guarigione avesse la forza di
risanare.
Probabilmente non sarebbe morta subito, visto che i
vampiri coagulavano molto più in fretta degli esseri umani, ma di sicuro la
ferita non si sarebbe mai richiusa in tempo da evitarle di morire dissanguata.
Quasi a sfregio dei sentimenti che diceva di
provare per lei, Kilyan piantò ancora più forte la
spada nel corpo della ragazza, e quando la ritrasse dovette solo darle una
spinta leggera perché quella poverina rotolasse come un sasso giù dalla collina
dove si stavano battendo, rimanendo distesa a terra mugolante mentre l’erba
attorno a lei si colorava di rosso.
«Perché lo fai? Perché rischi così tanto per lui?
Credi davvero che avrebbe fatto tutto questo se
fosse stata la tua vita ad essere in pericolo?
A lui ora interessa una cosa soltanto. Tu ti sei
sempre sacrificata per proteggerlo, e l’hai tirato fuori dai guai migliaia di
volte, ma nonostante ciò lui non ti ha mai visto minimamente considerata. Per
lui sei come uno strumento.
La verità è che io e te siamo uguali. Entrambi
siamo stati abbandonati da coloro che avrebbero dovuto starci maggiormente
vicini. Ci hanno usati quando gli è servito, e alla prima occasione ci hanno
buttato via».
Quella frase spinse involontariamente Aidou a ricordare quali circostanze lo avessero condotto
lì, dove si trovava in quel momento, e d’improvviso lo colse una grande rabbia;
la temperatura nel cortile calò violentemente, coprendo le piante e l’erba di
una patina di brina.
«Anche io ero un membro della famiglia Hanabusa. Anzi, ne ero l’erede. Mio padre era andato con
un’altra donna proprio perché sua moglie non riusciva ad avere figli.
Ma poi è nato quell’incapace di Aidou,
e all’improvviso io sono diventato un figlio scomodo, un bastardo. Così, mi
hanno buttato fuori senza troppi complimenti.
È per questo che sono qui. È per questo che ho
accettato di sottopormi a questo esperimento!».
Kilyan non riusciva a
rendersene conto, ma il suo declino era già incominciato.
Forse era la parte povera del suo sangue, forse lo
sforzo dovuto ad combattimento in ogni caso piuttosto impegnativo, fatto sta
che, d’un tratto, qualcosa nella sua figura cominciò a cambiare; gli occhi
divennero di un rosso più violento, i tratti si imbestialirono, e dentro di lui
il semplice astio si stava trasformando in furia distruttiva.
Stava subendo lo stesso destino che altri avevano
subito prima di lui.
Altri erano stati inoculati con il sangue di Valopingius, ma a distanza di poco tempo si erano tutti
tramutati in Livello E, proprio come quelli fuggiti dal centro per le ricerche.
Solo lui e Shezka erano
sopravvissuti, ma evidentemente era destino che quella ricerca fosse destinata
fin dall’inizio ad essere infruttuosa.
«Io la distruggerò! Ridurrò in macerie questa
maledetta società di vampiri arroganti e superficiali che mi hanno voltato le
spalle lasciandomi solo!».
Anche Nagisa, che seppur a fatica si stava un po’
riprendendo, si era resa conto di quello che stava capitando al suo avversario,
e vedendolo così, sempre più divorato dalla furia, un brivido le scese lungo la
schiena; un giorno, anche lei avrebbe fatto quella fine.
Ma cosa stava facendo?
Aveva rinunciato anche alla possibilità di una
morte indolore, pur di trovare la persona responsabile di aver distrutto tutto
quello che aveva; i suoi amici, la sua famiglia, la sua stessa vita.
Ora quella persona era lì, davanti a lei.
Non poteva né doveva arrendersi.
Con la forza della disperazione, unita alla sua
incrollabile determinazione, la ragazza richiamò a sé tutte le energie che le
restavano, e lottando con il dolore riuscì dapprima a mettersi in ginocchio, e
poi a sollevarsi sulle proprie gambe; il suo bel vestito nero era mondato di
sangue, così come i suoi capelli e la sua pelle candida.
«Forse hai ragione.» disse rialzandosi a fatica
«Forse io sono solo uno strumento per il mio signore.
Ma, dopotutto, è solo merito suo se oggi io sono
qui, davanti a te, pronta a vendicare quello che tu e i tuoi compagni avete
fatto alla mia città.
Ho accettato spontaneamente di camminare lungo il
sentiero dell’oscurità. Allora non ero del tutto consapevole di quello al quale
stavo andando incontro. Ma è stata una mia scelta».
In quella, Nagisa cominciò ad avvertire qualcosa di
strano.
Tutto attorno a lei era un mare di sangue, eppure
quel sangue, per qualche motivo, le sembrava di sentirlo. Non per l’odore, o
per via della sete, come poteva sembrare; era come se quel sangue, di colpo,
fosse diventato una parte di lei; una parte del suo corpo.
«Non mi importa cosa pensa di me il mio signore.
Non mi importa se per lui io sarò sempre e solo uno
strumento. Una bambola.
Io lo proteggerò, e sarò sempre al suo fianco,
perché questo è il mio destino.
Ma soprattutto… perché è
quello che ho scelto!».
Anche Kilyan, pur nel
preludio di follia che si stava impadronendo di lui, si accorse che qualcosa
era cambiato in Nagisa; se fino a poco prima sembrava ad un passo dalla morte,
ora, pur stremata, pareva essere tornata a nuova vita, forte di un potere mai
dimostrato prima.
«Maledetta sgualdrina!» urlò generando tutto
attorno a sé decine di piccole sfere azzurro brillante, più gelide dei ghiacci
polari «Che scherzi sono questi?».
Ad un comando del ragazzo i globi partirono in
direzione di Nagisa, ma prima che potessero colpirla il sangue tutto attorno a
lei, come animato di vita propria, si innalzò improvvisamente, creando una
specie di muro che la protesse fino a pericolo cessato.
«Ma cosa…» disse Kilyan.
Appena terminata la sua funzione, la barriera si
sgretolò, proprio come sangue rappreso staccato da una ferita ormai asciutta
con un colpo d’unghia, e Nagisa era ancora lì, immobile, e con uno sguardo di
assoluta severità.
Sotto lo sguardo sbigottito di Kilyan,
anche il sangue che ancora ricopriva il corpo della ragazza iniziò
improvvisamente a muoversi, scivolando sinuoso anche fuori dalla ferita ancora
aperta sul ventre e concentrandosi sulla sua mano destra, dando vita in questo
modo ad una sorta di lancia di sangue.
«Non può essere! Come puoi avere un tale potere!?».
Era una domanda che, in verità, anche Nagisa si
stava ponendo.
Forse era merito del sangue del suo padrone.
Avendo bevuto innumerevoli volte il sangue di un
Livello A, forse in qualche modo era riuscita ad acquisirne parte del potere,
fino a sviluppare una propria personale capacità innata, in questo caso il
potere di manipolare il proprio sangue, dandogli qualsiasi forma volesse.
«Se sono arrivata fino a qui…»
disse mentre i suoi occhi si coloravano di rosso «Se sono diventata quello che sono… la colpa è solo tua.
La mia casa. Il mio destino. La mia vita. Tutto
quello che avevo… mi è stato portato via.
E la mia famiglia. I miei amici. Io… li vendicherò.
Pagherai per quello che hai fatto!»
«Aspetta! Sei impazzita!? Nelle tue condizioni, se
usi ancora un potere instabile come quello morirai di sicuro!».
Ma a Nagisa, questo non importava.
Tutto quello che aveva fatto, fin dal giorno in cui
aveva accettato per la prima volta il sangue del suo signore, lo aveva fatto
solo in previsione di quel momento; il momento in cui avrebbe potuto vendicare
sé stessa, i suoi affetti, e tutto ciò che Kilyan e
quelli come lui avevano distrutto in nome della loro ricerca malata.
Con le lacrime che inondavano i suoi nuovi occhi di
vampiro, Nagisa corse incontro a quell’avversario che aveva cercato e bramato
più di ogni altra cosa.
«HANABUSA…».
Il giovane, quasi atterrito da tanta audacia, tentò
vanamente di difendersi, e caricato il braccio menò un violento fendente; la
sua spada, però, fu intercettata dalla nuova lancia della sua avversaria, che
la mandò in pezzi, tramutandola in freddo cristallo, e lasciando il suo
proprietario senza più difese.
«…KILYAN!».
La punta affilata penetrò senza pietà nel cuore del
giovane Hanabusa, trafiggendolo implacabilmente per
poi ricomparire dietro la sua schiena. Kilyan sgranò
gli occhi, la bocca spalancata in un urlo di loro che non gli riuscì di
lanciare, tale era il dolore che gli devastava il corpo.
Seguì un attimo di silenzio assoluto, mentre un
vento leggero si sollevava sul campo di battaglia, trasportando con sé petali
di ciliegio strappati ai rami degli alberi tutto attorno.
Così come accaduto con il muro, anche la lancia,
terminati i suoi obblighi, si dissolse, lasciando dietro di sé una spaventosa
ferita, che ben presto iniziò ad esigere il suo tributo.
Kilyan ben presto non avvertì
più alcun dolore, e ne capì subito il motivo: era risaputo che i vampiri non
sentivano nulla quando stavano per morire.
Alzò gli occhi, fattisi di colpo molto più umani,
incrociando quelli di Nagisa, a loro volta rinsaviti dell’orribile luccichio
delle creature della notte, e ridivenuti così simili a quelli che per tanti
anni avevano riempito i suoi sogni.
Come era buffa la vita.
Nel breve periodo che aveva trascorso al suo
fianco, il giovane Hanabusa per qualche tempo si era
sentito pervadere da un calore mai provato, una sensazione bellissima che aveva
sperato potesse durare per sempre.
Nagisa era stata l’unica persona capace di
accendere nel suo cuore ormai congelato una flebile fiamma, che tuttavia dopo
la sua apparente morte si era definitivamente spenta, e che solo adesso, nel
momento fatidico, tornava finalmente a bruciare.
Sorridendo, le portò una mano sulla guancia,
carezzandogliela dolcemente, e lei non si sottrasse.
«Tu… eri l’unica cosa… che mi importasse davvero.» disse mentre,
inesorabilmente, scompariva «Volevo averti solo per me.
Ti vedevo… come una rosa.
Una rosa fragile e profumata.
Ma dopotutto… le rose
hanno le spine. Forse è per questo… che sono così belle…».
E fu così che, con un’ultima, inaspettata
manifestazione d’affetto, e con gli occhi azzurri insolitamente bagnati da
fredde lacrime, HanabusaKilyan,
l’originale futuro erede della famiglia Hanabusa,
morì.
Nagisa stette ad osservare quel pulviscolo
luminescente che lentamente scompariva, trasportato dal vento assieme ai petali
di ciliegio, tornando con la mente a quel giorni lontani, quando HanabusaKilyan, era solo un
conoscente, un compagno di scuola, con il quale sorridere e scherzare, che la
invitava a bere una cosa o a studiare insieme.
Ciò che aveva detto forse era vero.
Forse lei era davvero solo una bambola.
Ma anche così, le andava bene.
Poteva restare accanto al suo padrone, e continuare
a proteggerlo, così come non era stata in grado di fare con i suoi genitori e
il suo fratellino.
O forse no.
Forse, era giunto davvero per lei il momento di
riunirsi a loro.
Augusto era da solo, immerso nell’oscurità della sua adorata
biblioteca, rivolto ad osservare il solito panorama che si stagliava al di là
della grande porta finestra dirimpetto all’entrata.
Non aveva voglia di assistere allo scontro, anche
perché non ce n’era alcun bisogno.
Si trattava solo di un banale esperimento; ne aveva
condotti tanti nel corso della sua, e come si svolgessero o quali variabili mettessero
in gioco non gli interessava; quello che gl’importava era solo il risultato.
E poi, non poteva farsi desiderare.
Doveva restare lì, dove era certo che il suo ospite
lo avrebbe cercato.
Era certo che stesse arrivando.
Doveva essere così. Come ogni grande architetto,
che giunge a dare il tocco finale all’opera da lui costruita, così lui sarebbe
venuto ad osservare il risultato del suo lungo e minuzioso lavoro.
«E così, sei arrivato infine.» disse sentendo
aprirsi la porta alle sue spalle.
Kaname fece qualche passo
avanti, l’espressione asciutta e bellissima di sempre, e con indosso l’uniforme
della Night Class.
«Ben ritrovato, conte Lorenzi.»
Il conte si girò, osservandolo coi suoi occhi
piccoli e scuri, più affilati di una coppia di pugnali.
«Ho saputo che mio nipote ti ha fatto un po’
penare, nel vostro ultimo scontro.
Immagino che nel frattempo, i segni saranno
spariti».
A quella domanda Kaname,
quasi beffardo, sollevò il braccio sinistro, mostrando la sua nuova mano
perfettamente ricostruita.
«Per tutto questo tempo, hai agito alle mie spalle.
Prima hai provocato l’incidente al Centro per le Ricerche, quindi hai sfruttato
l’incidente per entrare nelle mie grazie fingendo di aiutarci a rintracciare
gli esemplari fuggiti.
Una volta divenuto un mio seguace, hai cercato
continuamente di sabotare il mio progetto, con vari atti di sabotaggio. Hai
persino usato i tuoi legami nell’associazione per far mandare quella ragazza
speciale nel bel mezzo di un posto dove prima o poi l’avremmo sicuramente
notata.
E infine, una volta che tutti i pezzi erano al loro
posto, ti sei servito di mio nipote per far crollare un pezzo alla volta tutto
il nostro lavoro».
Kaname non rispose, né
mostrò una qualche traccia di emozione.
Ma del resto, non ve n’era alcun bisogno.
«Degno della famiglia Kuran,
certamente.
Agire alle spalle della propria stessa razza.
Qualsiasi cosa tu stia cercando di ottenere, la
ricerca che io stavo tentando di portare avanti ai tuoi occhi doveva
rappresentare un ostacolo. Per questo hai cercato di farla naufragare.
Ma hai fallito, ragazzo. Nonostante tutti i tuoi
sforzi, il mio piano procede ancora. Valopingius è
rinato, e mio nipote è più potente che mai.»
«Tu hai sempre sottovalutato Eric. Ma non ti
biasimo.
Del resto, l’ho fatto anch’io.
Forse hai ragione, quando dici che potrebbe
rappresentare il futuro della nostra specie. Ma di certo, non per i motivi che
immagini tu.»
«Risparmiami questa moralità spicciola, schifoso
nobile decaduto.
Io ti ho dato la possibilità di ridare lustro al
tuo casato, e tu me l’hai ributtata in faccia».
Kaname a quel punto alzò
la mano destra, facendovi comparire i suoi affilatissimi artigli di vampiro.
«Mi dispiace, conte. Ma non c’è più spazio per voi
in questo mondo».
Dal canto suo Autusto
strinse più forte il pomo del suo bastone, mentre i suoi occhi di illuminavano
di rosso.
«Dì un po’, con chi credi di stare parlando,
ragazzino?».
Di colpo, un’aura rosso sangue avvolse il corpo
vecchio ed austero del conte, mentre tutto attorno a lui si aprivano come degli
squarci nel vuoto dal quale uscivano, contorcendosi come un nido di serpi,
enormi mani che sembravano fatte della stessa materia dell’universo.
«Io sono Augusto Lorenzi da Cassino. Io discendo da
Valopingius.
Potevo ucciderti nel momento stesso in cui hai
rimesso piede in questo castello!».
Il conte batté a terra il bastone, e veloci come
fulmini quelle mani scattarono all’attacco cercando di ghermire Kuran, che riuscì ad evitarle saltando in varie direzioni.
«Ora farò quello che Rido non è riuscito a fare
sette anni fa!».
Il direttore guardò meglio la sua giovanissima avversaria.
Non sapeva perché, ma c’era qualcosa di molto
famigliare in lei, inoltre emanava un odore strano, per certi versi molto simile
a quello di Eric.
«Non ti permetterò di lasciare vivo questa stanza.»
disse Shezka alzando il pugnale «Non interferirai con
i piani del mio signore».
La ragazza tentò un assalto, ma a dispetto della
sua agilità e della sua indubbia abilità non era certamente al livello del
direttore, che infatti riuscì a schivare tutti gli attacchi senza neanche dover
estrarre la spada, come in ogni caso non aveva alcuna intenzione di fare.
Un tale modo di comportarsi ben presto irritò
notevolmente Shezka, che ringhiando di rabbia seguitò
a menare un fendente dietro l’altro, al quali tuttavia Kaien
continuò ad opporsi semplicemente schivandoli.
«Estrai la tua spada!» urlò ad un certo punto
sempre più arrabbiata «O forse non mi consideri degna di venire uccisa da te?»
«Che cultore del pacifismo e della pacifica
convivenza sarei, se estraessi la mia spada davanti a una ragazzina?»
«È così che mi vedi,dunque? Come una ragazzina indifesa?»
«Beh, più che indifesa…
direi piuttosto affascinante. Anzi, molto affascinante…
alla quale sarei felice di offrire un drink… o magari
una cena… o forse…»
«Basta, smettila!» urlò lei rossa di rabbia e di
imbarazzo.
In realtà, Kaien non si
limitava a fare l’ebete; quello che voleva era guadagnare tempo, per cercare di
ricordarsi dove avesse già visto quella ragazza, perché era sicuro che la sua
non fosse una faccia nuova.
«Dimmi.» non riuscendo a ricordare «Questa è la
prima volta che noi ci incontriamo?»
«No.» rispose lei «Ci siamo già visti una volta,
cacciatore Kaien Cross. Molti anni fa, in
Inghilterra».
Il direttore cercò di fare mente locale, rievocando
i suoi molti viaggi nella vecchia Inghilterra, ma ne aveva fatti così tanti che
ricordarli tutti era impossibile. Poi, però, ebbe un abbaglio.
Ora cominciava a ricordare qualcosa. Un viaggio
fatto molti secoli prima, durante una delle sue prime missioni come membro dell’Associazione.
Ricordava una giovane donna, molto bella e
intelligente, una maestra; e una bambina, piccola, ma dagli occhi di ghiaccio,
molto diversi da quelli della madre.
«Non è possibile…» disse
sgranando gli occhi
«Il mio nome completo...» disse la ragazza intuendo
che Cross avesse ormai indovinato «È Shezka Murray Harker.»
«Harker!?» disse quasi
sospirando il direttore, ricordandosi finalmente «La figlia di Mina Harker.»
«Esatto. Mio padre invece era Vlad
III di Valacchia».
Ora era tutto chiaro, pensò Kaien
tornando indietro con la memoria di quasi duecento anni.
Quella era stata la sua prima missione; un vampiro
che per anni aveva terrorizzato Londra era stato ucciso, ma il cacciatore
artefice della sua morte aveva smarrito la ragione, e aveva preso a minacciare
l’amante e la figlia del vampiro in questione.
Kaien si era recato a
Londra per prendere entrambe e portarle al sicuro, mentre il suo compagno si
sarebbe occupato di eliminare il cacciatore impazzito. Questi, però, aveva
ucciso il suo aspirante uccisore, quindi si era avventato sulla famiglia in
fuga; il direttore era riuscito a finirlo, ma non aveva potuto impedire che
questi riuscisse ad uccidere la donna, una giovane di inumana bellezza che gli
aveva scaldato il cuore.
La bimba era stata affidata a persone di fiducia,
ma dopo poco tempo aveva appreso della sua fuga, e da allora non ne aveva più
avuto notizia.
Ora, quella bambina era davanti a lui, ormai giovane
donna, così simile per molti versi a sua madre, eccezion fatta per quella parte
del suo sguardo così fredda e cupa, retaggio del padre.
«Non ho più saputo nulla di te…
pensavo fossi morta.»
«È tutta colpa dell’associazione!» gridò Shezka piena di rabbia «Prima il professor Van Helsing uccise mio padre, poi convinse il mio patrigno a
ripudiare mia madre quando seppe che ero la figlia di Vlad,
e infine tentò di uccidere anche noi!
Tutto quello che avevo mi è stato portato via da
voi, maledetti cacciatori!»
«Shezka, il professore è
morto. Ha pagato per i suoi crimini. Perché vuoi vivere nel dolore e nell’odio?»
«Allora non capisci!? Io sono un mezzosangue! Io non
appartengo a nessuno dei due mondi! Da chi dovrei andare? Che cosa potrei fare?
Questo è l’unico posto dove non mi sono sentita disprezzata e cacciata via! Come
potrei abbandonarlo, o permettervi di distruggerlo?»
«Non è vero, Shezka. Solo
perché tu sei un mezzosangue, non sei condannata a vivere da sola. Un altro
mezzosangue come te lo ha capito, e ora sta combattendo ciò che ha imparato ad
amare.»
«Bugiardo! Non esiste niente di simile per me!».
Shezka, furente, si
scagliò contro il direttore, che stavolta non fu altrettanto rapido, rimediando
una stilettata ad una spalla che lo costrinse in ginocchio mugugnante di
dolore.
Proprio in quella Izumi, che aveva perso i sensi a
causa della mancanza di sangue, si risvegliò, restando di sasso alla vista del
direttore in ginocchio e di Shezka che lo sovrastava
brandeggiando il pugnale insanguinato.
«Sta indietro, Izumi!» le ordinò Kaien «È pericoloso.»
«Io non ho nessuno.» disse Shezka
con la voce rotta dal pianto «Il conte è stata l’unica persona a trattarmi con
affetto. A dirmi che potevo stare al suo fianco senza essere giudicata ad ogni
sguardo.»
«Apri gli occhi, Shezka. Il
conte ti voleva con sé perché la tua metà umana ti rende più adatta a
sopportare i suoi esperimenti sul sangue dei vampiri.»
«No! Stai mentendo!»
«Vieni con me, Shezka. Vieni
nella mia scuola. Lì ti prometto che sarai accolta con tutto l’affetto di
questo mondo. Hai la mia parola. Io voglio creare un mondo dove tutti si
considerino uguali, indipendentemente dalla razza.»
«Bugiardo! Non è vero!».
Shezka, con le lacrime
che le inondavano il viso, alzò il pugnale per vibrare il colpo decisivo, in
realtà più per rabbia e disperazione che non per volontà vera e propria di
uccidere; prima che potesse farlo, però, il direttore, fermo e risoluto, la
colpì allo sterno con il pomo della sua spada, un colpo secco e violento quanto
bastava per far perdere i sensi alla ragazza, che si adagiò placidamente tra le
sue braccia come una bambina addormentata.
«Non sono riuscito a proteggere tua madre.» le
disse stringendola delicatamente a sé «Che Dio mi fulmini se non riuscirò a
proteggere almeno te».
Tutto sembrava tornato alla normalità.
Poi però, all’improvviso, una specie di piccolo
terremoto fece tremare la stanza, e sia Izumi che il direttore volsero gli
occhi verso l’alto, verso la superficie, dove sentivano stesse succedendo
qualcosa di terribile.
Izumi in particolare sentì un nodo alla gola,
accompagnato da una sensazione di vera paura.
«Eric!»
«Ferma, dove vai!» gridò Kaien
prendendo Shezka tra le braccia e correndole dietro.
Nel cortile, il combattimento tra Eric e Valopingius
aveva raggiunto livelli probabilmente inarrivabili per qualunque altro vampiro.
I due avversari non facevano altro che spostarsi
continuamente attraverso il tempo tramite il salto temporale, ricomparendo solo
per brevissimi istanti, durante i quali tuttavia le rispettive difese
riuscivano sempre a bloccare l’assalto del nemico, costringendo entrambi a
ricominciare daccapo.
Eric ormai era completamente cambiato, e anche
Izumi, quando raggiunse finalmente il cortile, non riuscì a riconoscerlo, con
quei capelli bianchi riverberati di rosso e quegli occhi vermiglio che
trasudavano oscurità e spietata determinazione.
Eppure, nonostante tutto quel potere, il giovane
Flyer ben presto sembrò non essere ancora in grado di poter avere la meglio sul
suo potentissimo antenato, che ad un certo punto diede l’idea di starsi
portando in deciso vantaggio, riuscendo a sferrare un colpo ogni volta che le
loro armi di incrociavano.
Ormai guidato dalla sete di sangue, Eric non
combatteva quasi più usando il suo solito metodo tattico e strategico, e questo
alla lunga finì per penalizzarlo.
«Sei migliorato, questo è vero.» disse Valopingius con un po’ di fiato corto «Ma anche così, non
sei al mio livello. Devo ammettere che sono in parte stupito del mio stesso
potere. Di sicuro il sangue speciale che tuo nonno mi ha dato deve aver fatto
la sua parte».
Eric ringhiò, troppo preso dalla foga della
battaglia per dare ascolto al suo avversario, e quasi subito attaccò
nuovamente, ma questa volta Valopingius non volle
girarci attorno e dimostrò subito tutta la sua forza: prima evitò senza
problemi tutti gli assalti del ragazzo, fattisi sconclusionati e privi di qualsivoglia
tattica, quindi, svanito nel nulla tramite il salto, gli ricomparve alle
spalle, pronto a vibrare il fendente decisivo.
«Flyer, attento! Dietro i te!».
Il ragazzo, per fortuna, si accorse in tempo della
minaccia, riuscendo a sottrarsi a morte sicura; quello a cui non riuscì a
sfuggire, però, fu l’affilatissima punta della falce di Valopingius,
che nonostante il suo spostarsi repentino gli incise la schiena come un
coltello con il burro.
Fu, malgrado tutto, un colpo violentissimo, dall’alto
verso il basso e da destra verso sinistra, e molto profondo, che riuscì a farlo
urlare, nonostante la furia selvaggia lo avesse reso quasi del tutto
insensibile al dolore.
Dopo essere stato colpito, il giovane fu anche
sbalzato violentemente in avanti, rotolando a lungo sul fango e l’erba bagnata
per poi finire riverso a faccia in giù, con l’orribile ferita in bella vista
dietro la schiena. Forse non colpo non mortale, non per un vampiro almeno, ma
talmente grave che di certo sarebbe rimasta una vistosa cicatrice.
Vedendolo così, ferito e apparentemente morto,
Izumi fu presa dall’angoscia, e senza rifletterci gli corse incontro per
tentare di aiutarlo.
«No, aspetta!» tentò di dire il direttore.
Valopingius cercò di
cogliere al volo l’occasione per finire una volta per sempre il suo avversario,
ma Kaien si mise in mezzo a spada tratta sbarrandogli
la strada.
«Non fare un altro passo!»
«Levati di mezzo, umano.» ringhiò seccato il
vampiro, e tra i due ebbe inizio uno scontro piuttosto equilibrato, nel quale
il direttore diede il meglio di sé sfoderando tutto il suo quasi insospettabile
talento di guerriero.
Izumi, intanto, aveva raggiunto Eric, constatando
con suo grande sollievo che non era morto, ma solo molto provato e indebolito
dal colpo ricevuto, tanto da riuscire a stento a restare sveglio.
Si inginocchiò, sollevandogli delicatamente la
testa e guardandolo in volto.
Anche se quella… cosa,
non rassomigliava se non lontanamente al ragazzo che aveva conosciuto,
avvertiva ancora un barlume di umanità in quegli occhi lordi di sangue, che
solo in parte erano riusciti ad intaccare la gentilezza e la velata tristezza
del volto che contornavano.
«Eric…».
Il ragazzo la guardò, gli occhi pieni di
sofferenza; sembrava che non la riconoscesse.
Però doveva aver riconosciuto quel profumo, quella
fragranza irresistibile.
Tremando, allungò una mano verso di lei,
stringendole la spalla, e cercando in questo modo di portare le sue zanne
malamente aperte fin su quel candido collo, così invitante e indispensabile.
Izumi si sentì morire, nel vedere quel giovane di
così buon cuore ridotto in un simile stato.
Non ce la fece; afferatolo,
lo strinse a sé, abbracciandolo stretto, e guidando lei stessa la sua bocca lì
dove voleva arrivare, invitandolo a morderla.
«Se hai sete bevi il mio sangue. Non te lo negherò.
Ma ti prego, torna quello di prima. Tu non sei così, Eric. L’Eric che conosco
io è un ragazzo gentile, mite, silenzioso, introverso, che piace alle ragazze».
Di fronte ad una determinazione tanto pura, il
ragazzo restò come basito, gli occhi sbarrati per lo stupore, e la bocca che
nonostante tutto non voleva saperne di chiudersi su quel collo, frenata da una
volontà che dentro di lui stava risorgendo.
No! Non poteva permetterlo!
Izumi aveva ragione. Lui non era così.
Lui odiava bere sangue. Non l’aveva più bevuto, dal
giorno in cui aveva saputo la verità, e si era ripromesso che mai più lo
avrebbe fatto.
Come aveva potuto rompere quella promessa.
Non doveva permetterlo. Non poteva permetterlo.
Non avrebbe permesso al suo sangue di vampiro di
avere il sopravvento. Ed il primo passo da fare per rimettere quella bestia al
suo posto, era ricordare il nome di quella ragazza, una delle poche persone che
era stata in grado, per un breve istante, di farlo sentire un essere umano.
Le lacrime innocenti e sincere che dal volto di
Izumi giunsero ad imperlare i capelli bianchi di Eric furono la molla che
spinse definitivamente la sua metà umana a tornare in vita, ricacciando il
Caduto nell’eremo oscuro del suo animo dal quale era venuto fuori, e
ripristinando in questo modo in normale equilibrio che restituì ad Eric Flyer
il dominio della sua volontà e del suo corpo.
I capelli tornarono al loro solito colore, e così
anche gli occhi, i segni sul corpo simili a tatuaggi vermigli scomparvero, ed
il volto del giovane, pur ancora straziato dal dolore dello scontro, riprese i
suoi vecchi lineamenti, allo stesso tempo gentili e malinconici, quei
lineamenti che Izumi ricordava, e che rivedere accese di gioia il suo cuore.
Eric mugugnò, trattenendo a stento le urla di
dolore; la ferita alla schiena si stava già richiudendo, ma la sofferenza
restava, ed era quasi insopportabile. Inoltre era debolissimo, sia per i
postumi dello scontro sia per la dura lotta con il Caduto per riprendere il
controllo.
«Non ti muovere.» gli disse Izumi vedendo che cercava
di rialzarsi puntellandosi alla spada
«Non…posso…arrendermi…» replicò il ragazzo con una
determinazione che probabilmente anche Nagisa avrebbe detto di non avergli mai
visto «Non adesso…».
Intanto, Kaien stava
avendo il suo bel daffare contro Valopingius.
In duecento e passa anni di vita, quella era la
prima volta che incontrava un avversario di tale livello, e a stento riusciva a
difendersi.
Valopingius da parte sua
sapeva di essere decisamente superiore al suo nuovo rivale, e per questo
volutamente si tratteneva, anche perché ormai era solo una questione di tempo
prima di dover concludere quella storia ed uscire vincitore.
«Se questo è il massimo che l’Associazione è in
grado di offrire.» commentò riguardo alle prestazioni del direttore «Vi siete
decisamente rammolliti in questi duemila anni».
All’improvviso, proprio quando si stava preparando
a vibrare l’ultimo attacco, Valopingius sentì di
colpo qualcosa, come una specie di dolore improvviso al centro del petto, all’altezza
del cuore.
Era un dolore strano, pulsante, che ad ogni nuova
pulsazione diventava più forte, irradiandosi in tutto il corpo.
Serrò i denti, sgranando gli occhi per lo stupore;
era la prima volta che provava qualcosa del genere.
«Ma cosa…» mugugnò.
Tutto il suo corpo di colpo prese a tremare, un
tremore incontrollabile, la falce gli cadde di mano, e quel dolore divenne in
breve fortissimo; era come se ci fosse qualcosa, dentro di lui, qualcosa di
enorme, che come rinchiuso in uno spazio troppo piccolo per contenerlo sembrava
volerlo fare a pezzi per cercare di uscire.
In breve, capì.
«Non è possibile! Perché? Perché sta succedendo?»
urlò mentre un vortice rosso sangue gli compariva attorno, avvolgendolo
completamente.
Eric e gli altri assistettero allibiti, mentre il
vortice diventava sempre più grande e minacciosa.
D’un tratto, da dentro di essa giunse un urlo
bestiale, degno di un demonio, e come si diradò comparve dinnanzi ai tre la
cosa che probabilmente maggiormente si avvicinava ad un demone infernale.
Era enorme, talmente gigantesco da ergersi fin
quasi al di sopra del castello, arrivando a sfiorare le torri più alte, due grandi
ali membranose si aprivano dietro la sua schiena, così vaste da oscurare la
luna, il corpo era possente, ridondante di muscoli; aveva solo quattro dita per
mano, armate di artigli lunghi oltre un metro, e al posto di piedi umani aveva
zampe simili a quelle dei felini; il volto era una maschera demoniaca, e sia
gli occhi che la pelle avevano il colore del sangue.
«Mio Dio…» disse Eric «Ma
che cosa…»
«Deve essere colpa del sangue di Izumi.» ipotizzò
il direttore «A contatto con il suo corpo alterato e modificato, deve aver
provocato una trasformazione incontrollabile.
È diventato anche lui un Caduto».
Eric e Kaien
rabbrividirono all’idea.
Se era già così potente come vampiro umano, quale
forza poteva arrivare a possedere come un Caduto?
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
E così, un’altra volta
mi sono smentito, dimostrando la mia cronica incapacità di mantenere la parola.
Il fatto è che, una
volta arrivato ad 11 pagine, e non essendo sicuro di quante ne restavano prima
di giungere alla conclusione, ho deciso che stavolta era il caso di fermarsi.
Ora, cosa accadrà
adesso?
Onestamente non lo so,
per il semplice motivo che non ho idea di quante pagine avrò bisogno per far
terminare lo scontro.
Dipende. Se al termine
della battaglia sarò rimasto attorno alle 5 pagine, allora inserirò di seguito
l’epilogo così da farne un maxi-epilogo di 8-10 pagine, in caso contrario ci
sarà il vero ultimo capitolo e in seguito, a parte l’epilogo.
Vedrò.
In ogni caso, è certo
che ci avviciniamo alla fine.
Eric avrebbe voluto combattere, ma con quella
tremenda ferita alla schiena era già tanto se non crollava svenuto, e quindi
tutto quello che poteva fare, una volta tanto, era stare ad osservare.
Valopingius, come tutti i
Caduti, era dominato dalla sete di sangue, e con il suo olfatto così sviluppato
non faticò, pur nella più totale follia, a riconoscere quello di Izumi, sulla
quale votò immediatamente le sue attenzioni.
Tentò di afferrarla, ma Eric, con le poche forze
che gli restavano, la afferrò, saltando via giusto in tempo per non finire
schiacciato.
«Tieni le mani lontane da loro, Caduto!» urlò Kaien correndogli contro.
A quel punto Valopingius
tentò di colpire anche lui, facendogli piovere addosso una manata che colpì il
selciato con la potenza di un maglio da guerra, sventrando le mattonelle; il
direttore schivò, e contemporaneamente saltò sul braccio del nemico, lo
percorse velocissimo e arrivato al gomito spiccò un nuovo salto, arrivando a
sovrastarlo.
Con tutta la forza che aveva, piombò sulla fronte
del mostro piantandovi dentro la sua spada, che spinse in profondità finché la
lama non fu completamente scomparsa al suo interno.
Valopingius ringhiò come
una bestia ferita, un urlo disumano che riuscì persino a fracassare i vetri,
dimenandosi furiosamente nel tentativo di disarcionare il suo assalitore.
Eppure, neanche questo fu sufficiente per ucciderlo,
e dopo essere stato sballottato in tutte le direzioni Kaien
fu costretto ad arrendersi e ad abbandonare sia il campo che la sua arma, che
restò conficcata nella fronte del mostro.
Ma uno dello stampo del direttore non era certo
tipo da non avere un piano di riserva. Oltre alla spada, aveva con sé anche
un’altra arma anti-vampiro, la Bloody Rose, che
appena tornato coi piedi per terra estrasse dalla cintura e prese a svuotare
senza sosta contro a Valopingius.
I proiettili d’argento esplosivi a rilascio di
energia erano armi micidiali, letali per qualunque vampiro, e anche Valopingius, pur con tutto il suo potere, incassò
pesantemente quella scarica di colpi.
Purtroppo, a livello di danno effettivo anche
questo risultò un assalto piuttosto blando, che ebbe come unico effetto quello
di farlo arrabbiare più di quanto già non lo fosse.
Lanciato un urlo infuriato, prese a sventrare il
terreno con raffiche di pugni, colpi d’artiglio e piccoli globi di luce
vermiglia che apparendo dietro le sue spalle partivano in tutte le direzioni
distruggendo ogni cosa in cui si imbattevano.
Il direttore evitò i colpi finché ne fu in grado,
ma ad un certo punto, mentre era ancora a mezz’aria per aver schivato l’ennesimo
colpo, ne arrivò immediatamente un altro, un tremendo ceffone a mano aperta che
lo scaraventò come un proiettile contro la parete del castello.
Fu un colpo molto duro, anche per uno come lui,
infatti si ritrovò impossibilitato a rialzarsi dalla posizione inginocchiata in
cui quella manata paurosa lo stava costringendo.
Immediatamente, Valopingius
ne approfittò per rivolgere nuovamente le sue attenzioni su Izumi, e come lo
vide voltarsi verso di loro Eric, pur tremante e ancora lordo di sangue, si rimise
in piedi, tenendo Izanami davanti a sé.
«Eric, non farlo!» tentò di dirgli Izumi «Ti prego,
voi andatevene! È me che lui vuole!»
«Non scherziamo. Che razza di cacciatore sarei se
voltassi le spalle ad un nemico? E poi… e poi non
posso abbandonarti. Questo non me lo puoi chiedere!»
«Eric…»
«Io non sono mai riuscito a proteggere nessuno. Non
ho mai fatto niente di buono nella mia vita.
Ma ora sarà diverso. Io ti proteggerò, Izumi. Anche
se dovesse costarmi la vita, non permetterò mai a nessun vampiro di metterti le
mani addosso!».
Di fronte a quelle parole, Izumi sentì un calore
improvviso accendersi dentro di lei.
Forse era per l’emozione, o forse per lo stupore,
ma una cosa era certa: non aveva mai provato niente del genere.
Il cuore prese a batterle forte, e per un attimo
ebbe come l’impressione di averne uno, ma ben due, che battevano quasi
all’unisono annunciando la loro insolita presenza; ma quello che era più
incredibile, era che questa specie di secondo cuore che sentiva battere dentro
di lei sembrava battere non per il suo corpo, ma per il suo spirito; per la sua
anima.
“Cosa… mi succede?” si
domandò, non riuscendo a capire.
Eric sapeva perfettamente di non essere in grado di
tenere testa ad un nemico simile, conciato com’era, ma era pronto qualsiasi
cosa per proteggere non solo Izumi, ma anche tutto ciò che in quei mesi aveva
imparato a conoscere, e a cui si era affezionato.
Il mostro alzò il braccio, lanciando un colpo a
mano aperta contro Eric nel tentativo di schiacciarlo; il ragazzo non si mosse,
né diede segno di volerlo fare: lo avrebbe respinto o sarebbe morto, perché
altre soluzioni non ce n’erano.
«Eric!» urlò Izumi capendo cosa il ragazzo volesse
fare.
In quel momento, quella specie di suo secondo
cuore, per un istante, smise di battere, e poi subito dopo sentì come se le
fosse uscito violentemente dal petto; e fu proprio dal centro del suo petto
che, d’improvviso, si sprigionò una luce tanto forte da illuminare a giorno
l’intero castello, fino a raggiungere anche la biblioteca dove Kaname e Augusto stavano ancora lottando.
«Ma cosa…» disse Augusto
tentando di proteggersi dal baglio che arrivava dal portone d’ingresso, ormai
sventrato dal combattimento «Che cos’è questa luce?».
Anche Kaname si domandava
la stessa cosa, tanto più che quel bagliore trasudava letteralmente energia di
una purezza quasi impensabile.
Come fu sprigionata, quella luce parve trasformarsi
in una sorta di barriera, che avvolse i due ragazzi come una cupola
costringendo Valopingius a sospendere il suo attacco
e a coprirsi gli occhi; come se non bastasse, nell’istante in cui aveva toccato
lo scudo la sua mano per poco non aveva preso fuoco, e pur tentando di
proteggerseli i suoi occhi bruciavano come se avessero avuto il fuoco dentro.
Al contrario, tutti gli altri trovarono quella luce
calda ed estremamente piacevole, e per nulla fastidiosa neanche per gli occhi.
Eric, incredulo, si volse verso Izumi, che fissava
il vuoto con sguardo stralunato ed incredulo; al centro del suo aperto sembrava
essersi aperta una specie di porta, dall’interno della quale spuntava
l’impugnatura, blu e con legacci bianchi,di una katana.
«Ma cosa…» disse.
Neanche Izumi capiva; eppure, sentiva come se
quella cosa che pareva emergere da dentro il suo corpo fosse quasi una parte di
lei. Eric si avvicinò, ed entrambi osservarono attoniti l’impugnatura di quella
spada; in particolare, il giovane restò basito quando, semi-nascosti dai
legacci ed incisi a lettere apparentemente d’oro, intravide gli ideogrammi che
componevano quello che doveva essere il nome della spada.
«Ma…» lesse «Masamune No Izanagi!?».
Anche il direttore, seppur leggermente distante,
sentì, ma a differenza dei due ragazzi capì quasi subito cosa stava
probabilmente accadendo.
«Dunque…» disse incredulo
«La leggenda era vera. Masamune aveva davvero creato
la lama perfetta. E per essere certo che nessuno potesse usarla impunemente, la
nascose nel solo posto in cui era certo nessuno l’avrebbe trovata.
Nel suo stesso corpo.
In questo modo, Izanagi è
passata di padre in figlio all’interno della sua famiglia, e ora giace
all’interno del suo ultimo discendente».
Anche Eric, nel mentre, aveva capito.
«Izumi. Tu… discendi da Masamune?».
Chiamarlo fato sembrava quasi riduttivo, alla luce
delle incredibili coincidenze che avevano permesso quella fortunosa
concatenazione di eventi.
Ma ora non c’era tempo di rimuginare sui disegni
del destino; Valopingius si stava riprendendo, ed era
più arrabbiato che mai.
Eric, capendo che quella spada era comparsa per
lui, la afferrò, e dopo aver rivolto uno sguardo ad Izumi, che gli fece quasi
un cenno d’assenso, la estrasse, scoprendone la lama splendente di vita. Così,
quando la cupola di luce si dissolse, il giovane stringeva Izanami
nella mano sinistra, e Izanagi nella destra; per la
prima volta nella storia, le due armi anti-vampiro forgiate dai due leggendari
maestri spadaccini erano riunite nelle mani di una sola persona.
Nel momento in cui ebbe Izanagi
stretta nella mano, Eric si sentì guarire da tutte le sue ferite, mentre una
nuova forza cresceva dentro di lui.
Così come Izanami
sottraeva la vita di chi la impugnava, allo stesso modo Izanagi
la faceva rifiorire, in modo simile a quanto raccontava il mito, che vedeva in Izanami la creatrice della morte, e nel suo consorte Izanagi il padre della vita.
Eric si sentiva rinato: adesso, forse, riuscire a
vincere non era più un’aspirazione impossibile.
«State indietro.» disse ad Izumi e al direttore
«Lui è mio».
Valopingius, forse
capendo il nuovo potenziale del suo nemico, arretrò come dubbioso, mentre Eric
lo fissava coi suoi occhi azzurri, nuovamente carichi di fuoco.
«Ora fatti avanti, mio antenato. Ti aspetto».
A quel punto Valopingius
si risolse a colpire, tentando ancora una volta di schiacciare il ragazzo;
questa volta, però, il suo nuovo colpo non risultò nulla di impossibile per
Eric, che come se non bastasse, dopo aver schivato la manata, recise di netto
un dito al mostro con un solo, poderoso fendente.
Questo fece infuriare il nemico più di quanto già
non lo fosse, e come sbatté le ali una vera pioggia di sfere nere presero a
piovere in tutte le direzioni colpendo qualsiasi cosa.
Il direttore raggiunse velocemente Izumi,
portandola al sicuro sotto un porticato e rinchiudendosi assieme a lei in una
barriera magica, mentre Eric al contrario prese a schivare tutti i colpi che
gli piovevano contro grazie al salto temporale.
Si sentiva letteralmente rinato.
E non era solo merito del potere curativo di Izanagi. Per la prima volta in vita sua, stava sfruttando
di quel potere del quale aveva sempre avuto paura; un po’ come aveva fatto dopo
essere diventato un Caduto, con la differenza che stavolta era una sua scelta.
Se riuscisse a controllarlo con la sua sola forza
di volontà o col potere combinato delle due armi, non lo sapeva, ma almeno per
il momento questo era secondario.
Più la differenza tra loro si assottigliava, e anzi
si invertiva, più Valopingius diventava
incontenibile; colpiva senza freni, attaccando e distruggendo tutto ciò che gli
capitava a tiro, e ormai la facciata del castello era quasi irriconoscibile.
Eric sapeva di dover fare presto; anche se Izanagi lo aveva temporaneamente guarito stava iniziando a
sentirsi nuovamente debole, segni che forse il suo potere di guarigione era
solo temporaneo.
Quello, sarebbe stato l’ultimo assalto.
Pazzo di rabbia, Valopingius
cercò un ultimo scontro fisico, sferrando un pugno coperto di fuoco che Eric
parò incrociando le sue spade dinnanzi a sé.
L’urto fu tremendo, e produsse una corrente d’aria
capace di sradicare i rami degl’alberi, costringendo Izumi e il direttore a
stringersi alle colonne del porticato per non essere spazzati via.
Alla fine, lo scontro di forza fu vinto da Eric,
che con uno scatto rabbioso allontanò il pugno nemico, lasciandolo scoperto al
contrattacco.
«Và all’inferno!».
Il giovane Flyer menò due potentissimi fendenti nel
vuoto quasi nello stesso momento, uno orizzontale ed uno verticale, che
produssero altrettanti fasci di luce i quali, allargatisi, prima travolsero Valopingius, facendolo barcollare all’indietro, e poi si
fermarono alle sue spalle, disegnando una gigantesca croce.
A quel punto, Eric lanciò entrambe le sue spade con
tutta la forza che aveva, prima Izanami ed infine Izanagi, che abbattutesi sulle mani del mostro lo
trascinarono letteralmente contro la croce di luce, inchiodandocelo. Una volta
che in nemico fu ridotto all’immobilità il ragazzo spiccò un salto,
raggiungendo la spada del direttore Cross ancora conficcata nella fronte di Valopingius, ed una volta estrattala si lasciò cadere,
raggiungendo il cuore nemico e trafiggendolo implacabilmente.
Valopingius urlò con
tutta la voce che aveva, un ringhio bestiale che fece tremare le montagne, e
subito il suo corpo parve disintegrarsi, sprigionando una colonna di luce che
si innalzò fin oltre le nuvole.
Nella biblioteca, lo scontro tra Augusto e Kaname
procedeva senza sosta.
Tra i due sembrava essersi un sostanziale
equilibrio, cosa che in un certo senso aveva stupito entrambi, fieri e
consapevoli dei propri mezzi e sicuri di poter avere la meglio senza troppo
impegnarsi.
«Ora basta! Mi hai stufato, Kuran!».
Il conte batté come al solito a terra il suo
bastone, e d’improvviso alle spalle di Kaname
comparve una sorta di vortice oscuro, che come un buco nero appena formatosi
prese a trascinare inesorabilmente ogni cosa verso di sé, risucchiandola al
proprio interno.
«Sparisci in questa spaccatura dimensionale!»
sentenziò Augusto, l’unico a non soffrire l’effetto del risucchio.
Kaname cercò di tenersi
salto a terra, e di resistere alla potenza di attrazione del buco, ma ad un
certo punto anche i suoi piedi si sollevarono dal suolo, e sembrò che fosse
destinato a scomparire anche lui; all’ultimo momento, però, il giovane Kuran lanciò la propria spada all’interno del vortice, che
permeata della sua energia appena entrata al suo interno provocò uno squilibrio
magico tale da costringere il buco nero a richiudersi, giusto in tempo per
evitare di finirci dentro.
«Cosa!?» ringhiò il conte vedendo Kaname tornare a terra sano e salvo.
Un attimo dopo, la colonna di luce sprigionatasi
nel cortile catturò l’attenzione dei due contendenti, ed entrambi, superato
l’iniziale stupore, capirono subito cosa doveva essere accaduto.
«No…» disse Augusto «Non
può essere…»
«La sfida è finita.» disse Kaname
tornando a fissarlo in volto «E nel modo peggiore, per te».
Il conte serrò i denti per la rabbia.
Mai avrebbe pensato che potesse andare a finire in
quel modo.
Il suo piano, quel piano che aveva portato avanti
con pazienza e sacrifici per tutti quegli anni, era appena andato
definitivamente in fumo. Anni di ricerche, di esperimenti, e di sacrifici,
gettati via come spazzatura; e tutto per colpa di quel maledettissimo di un Kuran.
«Questo non cambia niente.» disse cupo in volto «Mi
sono rialzato già una volta, e posso farlo ancora. Il materiale di ricerca e le
possibilità di studio sono infinite.
In un modo o nell’altro, io riuscirò a dare vita ad
una nuova generazione di vampiri, e quando questo accadrà, questo diventerà il
mondo della Stirpe della Notte.
Questa è la nostra Terra. Non degli esseri umani. E
neanche di quelli come te, sporco traditore».
Kaname, non ancora
soddisfatto, cercò di ultimare ciò per il quale aveva fatto ritorno al
castello, ma Agusuto non aveva alcuna intenzione di
dargli questo piacere.
Approfittando di un momento favorevole, il conte
spalancò gli occhi, dai quali si generò un’accecante luce rosso sangue che
riempì tutta la stanza.
«Non finisce qui, Kuran!
Un giorno o l’altro, te la farò pagare! Dillo anche a mio nipote! Me la
pagherete entrambi!».
Quando Kuran riaprì gli
occhi, il conte Lorenzi era fuggito; ancora una volta, era riuscito a sottrarsi
al suo destino.
La colonna di luce illuminò il cielo per diversi secondi, venendo
scorta in lontananza anche da due grossi elicotteri da trasporto provenienti da
Venezia, e a bordo dei quali c’era anche il direttore Gabrielli,
assieme ad una ventina di cacciatori professionisti.
«Che diavolo starà succedendo laggiù?» si chiese la
donna.
Quando il bagliore finalmente si spense, ed Eric,
Izumi e il direttore Cross poterono guardare di nuovo, il mostro con le
fattezze di demone si era dissipato.
Valopingius era ritornato
alle sue vere sembianze, e ora giaceva, riverso sulla schiena, tra le macerie
della facciata principale, coperto di gravi ferite e con la spada del direttore
ancora piantata nel cuore.
Izanami ed Izanagi, invece, stavano un po’ più distanti, abbandonate a
terra.
Eric si avvicinò al suo avversario, che aperti gli
occhi a fatica lo guardò, sorridendo.
«È buffo. Proprio io, che ho dedicato la mia vita a
forgiare con le mie mani il prossimo stadio della nostra evoluzione, sono stato
sconfitto da chi questo nuovo stadio già lo incarna dentro di sé.
E non solo. Costui è persino un mio discendente.
Forse, a ben pensarci, la risposta era più semplice
di quanto potessi immaginare. I poteri e le capacità di un vampiro, e
l’adattabilità, ma soprattutto il cuore, di un essere umano.
Tuo nonno aveva ragione. Il futuro della nostra
specie potresti essere davvero tu, Enrico.»
«Io mi chiamo Eric. Eric Flyer. E non te lo
scordare».
Di nuovo, Valopingius
sorrise, e quando si avvide che il suo corpo stava iniziando a scomparire il
suo sorriso divenne, se possibile, ancor più sincero.
«È stato un ritorno alla vita molto breve, non
trovi? Ma dopotutto, riflettendoci, forse ho concluso di più in questa breve
parentesi di quanto non sia riuscito ad ottenere in tutto il resto della mia
vita.» poi guardò Eric dritto negl’occhi «Vai per la tua strada, Eric Flyer. Il
tempo ci dirà se tu sei davvero la speranza di tutti noi. Il sogno che avevo,
ora vive dentro di te.
Vivi con onore, vampiro».
Dopo pochi attimi, il corpo di Valopingius,
il vampiro più antico della storia, scomparve, mutandosi in polvere, e
lasciando dietro di sé unicamente le sue vesti.
Il direttore Cross stette un attimo in silenzio,
poi, con una leggera zoppia, si avvicinò alla sua spada e la raccolse.
«E così…» disse
rinfoderandola «È finita.»
«Così sembrerebbe».
Eric, dopo qualche momento speso come
soprapensiero, andò a riprendere le sue due spade; per ultima prese Izanagi, e quando la raccolse da terra Izumi si avvicinò,
osservandola sorpresa.
«Dunque…» disse «Questa spada…»
«Era dentro di te. Lo è sempre stata. Masamune deve averla deposta in forma spirituale nel corpo
di uno dei suoi figli per nasconderla agli uomini, e per generazioni è passata
di padre in figlio fino alla sua ultima discendente.»
«Mi sembra incredibile».
I due ragazzi erano ancora intenti a rimirarla, e
il direttore Cross era appena andato ad assistere Shezka,
che si era da poco risvegliata dopo il termine del loro scontro, quando un
rumore inconsulto, accompagnato da un mormorare sommesso, rimise tutti sul chi
vive.
Tutti si volsero in una sola direzione, e la vista
di ciò che apparve loro davanti li lasciò impietriti.
«Nagisa!» urlò Eric vedendo la sua partner che,
appoggiata al muro, avanzava a fatica con una mano stretta sul ventre, da cui
uscivano fiotti di sangue, stringendo i denti per non urlare.
«Mio… mio signore…» disse accasciandosi al suolo.
Eric le corse incontro, lo sguardo sconvolto per il
terrore, e subito gli altri lo seguirono, nel disperato tentativo di aiutarla.
Come il ragazzo la girò, facendola distendere sulla schiena, la tremenda ferita
comparve in tutta la sua gravità.
«Nagisa, tieni duro! Resisti!».
Il direttore Cross tentò di fare qualcosa, di
aiutarla, ma era una ferita tanto grave che, ma non voleva dirlo, era già un
miracolo che fosse ancora viva, e intanto Nagisa perdeva sempre più conoscenza,
sprofondando nell’oblio.
«Non ti addormentare, Nagisa!» continuava a
ripeterle Izumi «Devi restare sveglia!»
«È inutile.» disse rassegnato il direttore «Questo
genere di ferite sono troppo persino per un vampiro.»
«Non scherziamo!» urlò Eric con gli occhi che
grondavano lacrime «Non possiamo lasciarla morire così!»
«Mi dispiace, Eric. Non c’è niente che possiamo
fare.»
«No! No! Questo non lo accetto!».
Eric non voleva mollare, ma d’altra parte sentiva
che il direttore aveva ragione, e dentro di sé provò un grande senso di
impotenza misto ad una rabbia sconfinata.
Perché? Perché tutte le persone che si avvicinavano
a lui finivano sempre per morire?
Prima il suo amico JunFat, poi Padre Caster, e adesso
Nagisa.
Il suo cuore trasudava sangue per il dolore, ed i
suoi occhi erano pieni di pianto, quando un pensiero lo fece trasalire.
Forse non tutto era perduto.
Guardò Izanami, di nuovo
riposta nel suo fodero, poi Izanagi, stretta tra le
braccia del proprio, e fu proprio a quest’ultima che rivolse le sue attenzioni.
Era un gesto al limite della follia, ma se la
leggenda era vera, allora forse quella era l’ultima speranza rimasta.
«Dammela.» disse facendosela passare.
Poi, sbottonò la giubba e parte della camicetta
della sua partner, mettendo a nudo l’orribile ferita, sicuramente mortale.
La leggenda diceva che la dea Izanami,
furiosa per essere stata relegata agli inferi dal marito Izanagi,
avesse creato la morte, e che il marito stesso per ovviare avesse a sua volta
deciso di dare la vita a più esseri umani di quanti la moglie potesse
ucciderne. Era così che era nata la morte, e forse era così anche per le spade
che di quelle due divinità sembravano incarnare il potere.
«Così come Izanami
sacrifica cento vite per salvarne una» disse osservando la lama a specchio
«Allora forse Izanagi ne sacrifica una per salvarne
cento».
E detto questo, rivolse la punta della spada proprio
contro il corpo si Nagisa, alzandola sopra di sé.
«Aspetta.» disse spaventata Nagisa «Che cosa…»
«Lascialo fare.» le disse il direttore «Credo che
sappia quello che fa».
Eric chiuse un momento gli occhi, quasi a voler
rivolgere una preghiera per sperare di non sbagliarsi, quindi, messo da parte
ogni indugio, abbassò urlando la spada.
La punta penetrò Nagisa come fosse stato un
ologramma, e la ragazza emise un piccolo gemito, avvertendo nulla più di un
leggero fastidio nel punto colpito.
Quasi subito, un tenue chiarore si materializzò
attorno alle mani di Eric, il quale percorrendo la spada da un capo all’altro
raggiunse infine il corpo di Nagisa, diffondendosi a raggiera dalla testa alla
punta dei piedi, e a quel punto, sotto gli occhi increduli di tutti, la ferita
cominciò velocemente a richiudersi, per poi scomparire del tutto.
Eric, che aveva tenuto gli occhi chiusi per tutto
il tempo, come sentì l’energia insita in Izanagi
affievolirsi immediatamente la ritrasse, ma dovette puntellarvisi quasi subito
perché si sentiva talmente sfinito da pensare che sarebbe crollato nel sonno da
un momento all’altro.
«Stai bene?» gli chiese preoccupata Izumi
«Credo di aver appena consumato l’ultima
possibilità che mi restava di usare il TimeCarousel».
Terminato il proprio dovee,
Izanagi scomparve, tramutandosi in pulviscolo di luce
che girò qualche attimo attorno ad Izumi per poi entrare placidamente nel suo
corpo, spegnendosi.
«Cosa… cosa è successo?»
si domandò
«La spada è ritornata nel suo fodero.» commentò
quasi ironico il direttore.
In quella, Nagisa emise un gemito, richiamando di
nuovo l’attenzione di tutti, e quando, timidamente, riaprì gli occhi, le sembrò
per un attimo di essere tornata a tanti anni fa, a quel giorno sotto la
pioggia, quando vide per la prima volta quel volto severo ma gentile, così
bello e confortante.
Ma quello che era più incredibile, era che il
dolore era comparso; del tutto.
«Mio…signore…»
«Non ti avevo detto» disse Eric cercando di
nascondere le lacrime «Di non fare mai niente di avventato? Non mi ascolti mai».
Nagisa sorrise, poi fu aiutata a rialzarsi, ma era
così provata che come cercò di stare ferma sulla proprie gambe fece per
scivolare, finendo proprio addosso ad Eric, che la sorresse; lei, invece,
arrossì terribilmente.
«Mi… mi dispiace. Mio signore…»
«Da oggi in poi.» le disse sorridendole «Cerca di
chiamarmi semplicemente Eric».
Il direttore si guardò attorno, poi volse lo
sguardo a Shezka, che ancora provata osservava tutta
la scena da lontano poggiandosi ad una colonna.
«Ora, credo sia finito tutto per davvero».
Invece, non era ancora finita.
Un rumore di passi, quasi impercettibile tanto
erano vellutati, fece scattare sul chi vive i due cacciatori, che tuttavia
quando videro comparire KanameKuran
dinnanzi a loro si tranquillizzarono.
Eric affidò Nagisa, ancora barcollante, al
direttore, quindi si avvicinò al suo parigrado, osservandolo sprezzante, e
ricevendone un cambio uno sguardo di assoluta sufficienza.
«Immagino che dovrei ringraziarti.» disse Eric
«Senza il tuo aiuto, probabilmente sarei morto da molto tempo.»
«Può darsi.»
«Mio nonno?»
«È scappato. Come al solito, del resto. Ma conoscendolo,
prima o poi si farà rivedere. C’è solo da aspettare».
Detto questo, e sentendo espletati i suoi obblighi,
l’erede dei Kuran fece per andarsene.
«Aspetta.» lo richiamò Eric «Dimmi una cosa, Kuran. Hai mai fatto qualcosa, in tutta questa storia così
come in tutta la tua vita, che non fosse per te stesso?».
Kaname non rispose, ed
Eric lo guardò in modo ancor più severa.
«Io non so che cosa ti abbia spinto a fare tutto
questo. Non so quale sia il tuo disegno, e onestamente non voglio neanche
saperlo.
Ma sappi che se parte di questo disegno dovesse un
giorno arrivare a minacciare ciò che mi è caro, ti do la mia parola che ti
ucciderò con le mie mani.
Spero che tu lo sappia».
Di nuovo, Kaname restò in
silenzio, limitandosi a volgere un momento il capo e a rivolgere ad Eric uno
strano sorriso per poi andarsene sotto gli sguardi silenziosi di tutti.
Pochi minuti dopo, al sorgere del sole, arrivarono gli elicotteri dell’associazione,
e tutto il castello venne perquisito.
Shezka fu arrestata. In fin dei conti, aveva pur sempre
collaborato con un criminale ricercato, per non parlare del fatto che appena il
suo potere camaleontico fosse stato scoperto sarebbe stata incriminata anche
per l’omicidio di Padre Caster.
Mentre la caricavano a bordo di uno dei due
velivoli, la giovane incrociò lo sguardo del direttore, al quale rispose con
occhi a metà tra lo sprezzante ed il rassegnato.
«Puoi anche ridere, se vuoi.» gli disse.
Lui, invece, le rivolse un sorriso sincero, e le
mise una mano sulla testa quasi a volerla accarezzare.
«Tranquilla. Parlerò coi miei superiori. Vedrai che
saranno clementi».
La ragazza arrossì terribilmente, e quando l’elicottero
si alzò stette a lungo affacciata al finestrino ad osservare il direttore che
si faceva sempre più piccolo, continuando a guardarla e a sorriderle.
Nel mentre, Nagisa sedeva ai piedi di un grande
albero, osservando il suo signore da lontano; a differenza di lui, lei non
riusciva proprio a sopportare la luce del sole.
Fino a poco tempo prima, aveva considerato questo
come uno dei tanti impedimenti alla possibilità di esternare ciò che da molto
tempo teneva nel cuore, ma nel momento in cui la vita credeva perduta le era
stata salvata qualcosa in lei era cambiato.
Ora, pensò, non si sarebbe più nascosta, né avrebbe
soffocato le proprie emozioni.
«Ehi.» disse a capo chino ad Izumi, seduta accanto
a lei per accudirla
«Cosa c’è?».
Lei allora alzò gli occhi, osservandola severamente
con tono di sfida.
«Ti avverto. Non ho alcuna intenzione di farmelo
portare via. Perciò, non perderò contro di te».
Izumi la guardò un momento allibita, poi assunse lo
stesso sguardo.
«Tanto meglio. Perché neanche io ho intenzione di
perdere».
Come l’elicottero che trasportava Shezka si fu allontanato il direttore Cross tornò verso
Eric, che osservava la facciata del castello accanto al direttore Gabrielli.
«Direttore.» disse consegnandole la chiavetta che
aveva riempito nei sotterranei «Non voglio sbilanciarmi, ma credo che questo,
unito a tutto ciò che troverete qui dentro, sarà più che sufficiente a scagionare
l’apprendista Flyer da tutte le accuse a suo carico».
Il direttore, col suo solito sguardo severo,
osservò la chiavetta, poi, recuperatala, guardò anche Eric, che contrariamente
alle altre volte non distolse gli occhi.
«Beh, il qui presente Flyer avrà molte cose da
spiegare, ma sono sicura che alla fine la verità verrà fuori. Anche io, del
resto, avrò parecchio da dire alla riunione disciplinare.»
«La ringrazio infinitamente.»
«Aspetti a ringraziarmi. Anche se sarà assolto
dalle accuse di omicidio e cospirazione, l’apprendista Flyer ha pur sempre
trasgredito a vari ordini negli ultimi mesi.
Fossi in Lei, mi preparerei ad una lunga
sospensione. E questa volta, per il suo bene, le consiglio di attenervisi,
Hunter Flyer».
Eric guardò Izumi e Nagisa, poi il direttore, che
gli fece un cenno come di complicità.
«Non sarà un problema».
Ed era vero; per troppo tempo non aveva mai dato
importanza al modo di condurre la sua vita, lontano da affetti ed emozioni. Ma ora,
sarebbe stato diverso.
Non avrebbe più sprecato la sua esistenza.
«E poi, onestamente, sento proprio il bisogno di
una vacanza».
Ad un cenno del giovane, le due ragazze lo
raggiunsero, Nagisa ben protetta da un parasole rinvenuto da Izumi frugando nel
castello, ed insieme i tre si diressero verso l’uscita.
«E adesso, dove andrai?» gli chiese quasi
provocatorio il direttore.
Eric si girò, guardandolo enigmaticamente.
«A casa».
Nota dell’Autore
Salve a tutti!^_^
Ormai ci siamo.
Questo è l’ultimo
capitolo di questa mia fiction con protagonista il personaggio (o i personaggi),
creato per la fiction di Butterfly, ed ambientata circa un anno prima dell’inizio di
quest’ultima.
Visto che a brevissimo
pubblicherò anche l’epilogo, non credo valga la pena di dilungarsi tanto.
Dico solo che l’idea
della spada racchiusa nell’animo di Izumi mi è venuta guardando ShiningTears X Wind,
un bell’anime che consiglio a tutti.
Serena, la madre di Eric, era una donna molto forte.
Sapeva farsi rispettare, era testarda e
determinata, tutte qualità che aveva trasmesso a suo figlio.
Fisicamente lei ed Eric si somigliavano molto;
stesso viso ovale, leggermente appuntito, stesso sguardo gentile ma fermo,
stessi capelli neri, nel suo casto leggermente lunghi, e raccolti in una coda
poco sopra l’estremità.
Solo il colore degli occhi l’aveva preso dal padre
naturale, il tenente colonnello Theodor Flyer, membro del 103mo plotone
paracadutisti dell’esercito americano.
Lui e Serena si erano conosciuti quando gli
americani, durante la guerra, avevano requisito una dependance di Villa Lorenzi
per farne il loro quartier generale, e subito era nato qualcosa tra di loro.
La morte di Theodor le aveva spezzato il cuore, ma
da donna forte quale era si era subito rimessa in piedi, anche per il bene del
figlio che si era resa conto di portare in grembo.
Approfittando del clima di caos che regnava con la
guerra, si era sottratta alla vendetta della sua famiglia ed era fuggita in
Giappone, anche con l’aiuto di Hiroki, un vampiro
della classe media che faceva da attendente a suo nonno.
Anche quando Eric, una volta cresciuto, le era
stato portato via, lei non si era mai persa d’animo.
L’unica cosa che era stata capace di sconfortarla,
per non dire di spezzarle il cuore, erano stati gli occhi con cui si era vista
guardare da suo figlio dopo il suo rientro in Giappone, dove lei si era nel
frattempo accasata con Hiroki.
Sapere la verità, e sapere che quelli che credeva
essere entrambi i suoi veri genitori gliel’avevano sempre tenuta nascosta,
aveva tramutato un sentimento velato di disprezzo nei confronti dei vampiri in
vero e proprio odio, persino nei suoi confronti.
L’ultima volta che si erano visti risaliva ormai a
più di dieci anni prima, quando Eric se ne era definitivamente andato di casa
per unirsi all’Associazione.
Da allora non si erano più visti, anche se di
quando in quando il ragazzo era talvolta passato per la loro villetta di Tokyo,
che nonostante tutto Serena lasciava a sua disposizione.
Forse era proprio merito della forte personalità
della giovane donna se il Consiglio degli Anziani, passata la tempesta che era
seguita alla scoperta dei piani golpisti del conte Lorenzi, aveva concesso e
conferito proprio a lei il permesso di restaurare nuovamente il proprio casato,
cosa che negli ultimi aveva portato spesso lei ed il suo compagno a viaggiare
ininterrottamente tra il Giappone e l’Italia, dove probabilmente si sarebbero
presto trasferiti.
Nel mentre, Serena cercava di affievolire il dolore
per i pessimi rapporti con quel figlio che comunque amava alla follia con l’affetto
che Hiroki non le faceva mai mancare.
Essendo lei una nobile e lui un popolano, per legge
non potevano sposarsi, ma questo non toglieva che si amassero alla follia.
Volendo vivere il più possibile come esseri umani,
avevano persino invertito il loro orologio biologico, dormendo di notte e
lavorando di giorno; mentre lei si dedicava alla casa, lui era impiegato presso
una rispettabile azienda di videogiochi: era sufficiente un po’ di filtro
solare, qualche accorgimento e poteva lavorare alla luce del sole come una
persona qualsiasi.
Avevano provato molte volte ad avere un bambino,
una nuova luce che illuminasse quella casa che a volte appariva così deserta,
Ma in qualche modo Serena all’ultimo si era sempre tirata indietro, forse nella
silenziosa speranza di riuscire, un domani, a ricucire il rapporto con il suo
primo figlio, che nonostante il pessimismo di Hiroki
non voleva saperne di considerare perduto.
Era una mattina come tante altre.
Un normale giorno di primavera.
Le scuole stavano per riaprire, i ciliegi di Tokyo
erano in fiore, e c’era tanta voglia di godersi la vita.
Serena era a casa, intenta a sbrigare le solite
faccende domestiche, e Hiroki al lavoro.
Suonò il campanello.
Chi poteva essere a quell’ora?
Era metà mattina, e Hiroki
era già al lavoro da un pezzo.
Inoltre, non era il campanello che dava sulla
strada, ma quello della porta d’ingresso, fatto strano visto che il cancello d’ingresso
era sempre chiuso.
Asciugatasi le mani, la giovane donna andò alla
porta.
«Chi è?» domandò aprendo l’uscio.
Il suo sguardo si pietrificò in un’espressione di
incredulità e stupore.
Eric era lì, davanti a lei, e la guardava con occhi
strani, incredibilmente gentili, ma anche quasi mortificati e sommessi, proprio
come un figlio dispiaciuto e pentito che viene a render conto dell’ennesima
marachella.
«Eric…».
Per lunghi secondi il giovane non seppe cosa fare, né
cosa dire, troppo confuso e combattuto da sentimenti contrastanti.
Ma aveva preso la sua decisione, e doveva portarla
avanti; per questo, fattosi forza, alzò gli occhi, incrociando quelli di
Serena, alla quale rivolse un sorriso gentile.
«Sono a casa».
Serena sentì lacrime calde scenderle dagli occhi; a
quel punto, ci fu spazio solo per la gioia.
Il nuovo anno scolastico cominciava sotto i migliori auspici alla Toyama.
Molti nuovi iscritti, medie alte, e tanta voglia di
ricominciare tra gli studenti più anziani.
Alla cerimonia di apertura, tutte le nuove
matricole avevano immediatamente catalizzato l’attenzione, ma una in
particolare si era guadagnata più sguardi di altri, soprattutto da parte dei
ragazzi, una ragazzina bionda dalla pelle candida e dallo sguardo mite,
sommesso, degno di una bambolina.
Purtroppo, i più si ritrovarono spiazzati quando,
il primo vero giorno di scuola, videro proprio quella bambolina varcare il
cancello d’ingresso al seguito dell’odiatissimo Eric
Flyer, che come al solito al suo passaggio faceva sospirare tutte le ragazze
che incontrava, e che in poco tempo aveva mandato tutti i suoi compagni di
scuola in crisi d’astinenza da attenzioni femminili.
Gli studenti maschi erano saltati di gioia quando
Flyer era sparito nel nulla dopo appena un giorno di lezione l’anno appresso,
ma la doccia fredda per tutti era arrivata come si era sparsa la notizia che
quel maledetto adone straniero non solo aveva rinnovato la sua iscrizione, ma
avrebbe addirittura parcheggiato alla Toyama fino al
conseguimento del diploma.
Come se ciò non fosse sufficiente, il primo giorno di
scuola, mentre lui e quella ragazza bionda percorrevano il cortile diretti a
lezione, tra due ali di ragazze sospiranti, una di queste uscì dal gruppo,
avvicinandosi ai due con tutta la naturalezza del mondo.
«A…Asakura-Sempai!?»
esclamò qualcuno.
Quello che era troppo era troppo!
Persino la presidente del comitato studentesco, la
moralità e la purezza fatte a persona, era caduta ai piedi di quell’attore
mancato!?
E non solo, sembrava andarci pure d’accordissimo, a
differenza delle altre ragazze, che invece dovevano accontentarsi di ammirarlo
da lontano.
Tra i ragazzi prese a serpeggiare un vistoso
malumore, e il cortile si riempì quasi subito di un’aura fortemente negativa,
legata soprattutto al senso di impotenza da parte di chi avrebbe voluto dare a
quel bellimbusto una lezione coi fiocchi, ma che d’altra parte aveva saputo
quanto fosse bravo a menare le mani.
Quasi indifferente alla bolgia che gli si stava
scatenando intorno, il giovane Flyer raggiunse l’atrio d’ingresso seguito dalle
sue due carissime amiche, l’una sorridente ed allegra l’altra, la nuova
arrivata, con quella sua aria cupa e sommessa.
Come al solito, all’atto di aprire l’armadietto
delle scarpe, Eric lo trovò traboccante di lettere, pensierini e altre cose di
questo genere, ma anche di messaggi di malasorte.
«Siamo alle solite.» disse sospirando
«Essere popolari è dura.» osservò Izumi
«Se questo è ciò che mi aspetta durante il corso dell’anno,
forse mi conviene andarmene subito.»
«Impossibile.» disse sommessamente ma fermamente
Nagisa dietro di lui, come una solerte e pignola segretaria «Parte dell’ordine
di sospensione emesso nei vostri confronti, mio signore, vi obbliga a
frequentare questa scuola per tutti i dodici mesi a venire.»
«Grazie di avermelo ricordato, Nagisa. E per
favore, non farlo più.»
«Piuttosto, Nagisa, come riesci a stare alla luce
del sole?» le chiese Izumi «Credevo che per te fosse difficile.»
«Niente di impossibile.» rispose Eric quasi
scocciato «Basta del filtro solare applicato regolarmente sulla pelle. L’ordine
in verità non obbliga anche a lei a frequentare questa scuola, ma è stata
inamovibile.
Mi domando perché, poi».
Le due ragazze a quell’affermazione si guardarono
un momento, scambiandosi un cenno come d’intesa, poi la campanella obbligò
tutti e tre a separarsi.
Eric e Izumi raggiunsero la loro classe giusto in
tempo, accomodandosi ai rispettivi banchi, e dopo qualche secondo entrò in aula
il professor Negi per la prima ora di lezione; erano
già alcuni mesi che aveva fasciature e incerottamenti
in varie parti del corpo, che tuttavia si erano comunque diradati nel corso del
tempo, ma bene o male era rimasto lo scanzonato estroverso di sempre.
«Bene, ragazzi.
Spero che vi siate goduti le vacanze.
Allora, cominciamo?».
Un anno dopo
Il direttore Cross era preso come non mai.
Il suo grande progetto, per il quale aveva tanto
lavorato, era ormai prossimo alla realizzazione.
Le richieste di ammissione piovevano da ogni parte
del mondo, e starci dietro era di una difficoltà apocalittica.
Meno male che c’era la sua nuova, fidatissima
segretaria a dargli manforte.
Grazie alla sua testimonianza, e alla benevolenza
della commissione giudicatrice, Shezka era stata
graziata dall’Associazione, e affidata alle cure dello stesso direttore che si
era offerto di farle da supervisore per tutta la durata della condizionale che
le era stata concessa.
Sfortunatamente, Kaien si
era accorto troppo tardi di chi si era realmente messo in casa, e ormai era
troppo tardi per tirarsi indietro.
Un pomeriggio di metà inverno, quando la scuola non
era ancora stata spogliata delle decorazioni natalizie, il direttore ricevette
una visita per certi versi inattesa, ma che in qualche modo era nell’aria già
da diverso tempo.
Mentre era intento a destreggiarsi nel mare di
carte bollate, lungaggini burocratiche e messaggi da spedire che intasavano la
sua scrivania, qualcuno bussò alla porta del suo ufficio, una bussata
impossibile da confondere.
«Avanti.» disse tirando un sospiro di sollievo,
felice di potersi concedere una pausa.
La porta si aprì, e nella stanza entrarono Shezka ed una giovane donna, molto bella e dai tratti
gentili.
«C’è un ospite per voi, direttore.»
«Serena!» esclamò Kaien
riconoscendola e correndole incontro «Quanto tempo è passato dall’ultima
volta!»
«Troppo, amico mio, troppo. Ma a quanto pare, non
sei cambiato per niente».
L’affermazione, espressa con perfidia mascherata da
candore, riguardava il posto dove il direttore aveva “casualmente” messo la
mano dopo aver stretto per un attimo quella della sua ospite.
Per fortuna c’era Shezka
a rimediare ai vizietti del suo capo, e per sfortuna di quest’ultimo i suoi
metodi erano decisamente poco ortodossi.
«Si controlli, direttore.» disse mestamente ma
fermamente la ragazza mettendo in bella mostra il frustino che aveva sempre con
sé
«D’accordo, d’accordo!» si affrettò a dire il
direttore «Come non detto!».
Poi, come al solito, il direttore si fece improvvisamente
serio, sistemandosi gli occhiali e mettendosi apposto lo scialle che gli
copriva le spalle.
«Per favore Shezka,
lasciaci soli».
Questa volta, contrariamente al solito, Shezka obbedì immediatamente, e fatto un lieve inchino se
ne andò chiudendosi la porta alle spalle.
«Hai un bel soggetto come segretaria.» commentò
Serena appena furono soli
«Guarda, non me ne parlare.» rispose Kaien facendola accomodare alla sedia di fronte alla
scrivania per poi accomodarsi a sua volta «Maledetto il momento che ho voluto
prenderla con me.»
«Per quanto tempo dovrai farle da garante?»
«Quarantanove anni, un mese e due giorni, partendo
da oggi. Ma di questo passo, è probabile che morirò prima».
Poi, il discorso verté inevitabilmente su Eric.
«E come sta il nostro cacciatore in erba?»
«Abbastanza bene. Anche se purtroppo non ho avuto
molte occasioni di vederlo, negli ultimi mesi.»
«Immagino. Ho saputo che vi hanno restituito gli
stemmi della nobiltà, e che il castello in Italia è ormai pronto.»
«Infatti. Io ed Hiroki vi
ci andremo ad abitare all’inizio della primavera.»
«Certo però, che non immaginavo sarebbero stati
tanto severi nei confronti di Eric. Due anni di sospensione.
Immagino vogliano fargli passare per sempre il
vizio di fare di testa sua».
Poi, il direttore guardò un momento fuori dalla
finestra; aveva ripreso a nevicare, e un delicato manto bianco copriva come un
lenzuolo i cortili dell’accademia, dove alcuni studenti si stavano divertendo a
giocare bersagliandosi di palle.
«Se ci penso, mi sembra incredibile.
È già trascorso un anno.» disse tra sé e sé «In
tutto questo tempo, l’Associazione non ha mai smesso di dare la caccia al conte
Lorenzi. Fino ad ora non sono riusciti a trovarlo, ma se lo conosco bene posso
dare per certo che si stia già preparando alla sua prossima mossa.»
«È ciò che temo anch’io.» disse Serena.
Il direttore sapeva fin troppo bene per quale
motivo Serena fosse venuta fin lì, e girarci ulteriormente attorno era inutile.
A quel punto, Serena decise di mettere le carte in
tavola, anche perché ormai si era spinta troppo oltre per rimangiarsi tutto e
tirarsi indietro.
«Tu lo sai perché sono qui, vero?» domandò quasi
con severità, oltre che con la massima serietà.
Il direttore non rispose, ma assunse il medesimo
sguardo: aveva capito fin troppo bene.
«Fino ad oggi Eric ha avuto gli arresti
domiciliari, con il divieto di allontanarsi da Tokyo per più di ventiquattro
ore.
Ma ho parlato con l’Associazione, e sono riuscita
ad ottenere un compromesso. Eric otterrà la condizionale, e la sospensione gli
sarà revocata. Potrà riprendere parte alle missioni e muoversi liberamente, ma
sarà sottoposto a regime di sorveglianza continua, e dovrà sempre essere tenuto
d’occhio da un altro Hunter».
Kaien, di nuovo, stette
in silenzio, e per interminabili secondi i due stettero ad osservarsi senza
proferire parola, poi il direttore si alzò, andando ad affacciarsi alla solita
finestra.
«Per troppo tempo ho lasciato che mio figlio
andasse alla deriva.» disse Serena continuando a guardare il direttore «In quanto
sua madre, per la prima volta da che l’ho partorito voglio fare ciò che sento
sia meglio per lui. In questi ultimi dodici mesi la presenza di quella ragazza ha
acceso qualcosa di nuovo nel suo animo, ma dentro di sé prova ancora un grande
odio per la sua specie.
Temo non abbia ancora rinunciato all’idea di
ridiventare un essere umano.»
«E sei un’ingenua se pensi che lo farà.
Sono d’accordo anch’io che Eric sia un po’ cambiato
da quando la sua strada si è incrociata con quella di Asakura, ma è proprio per
i sentimenti che quella ragazza sta risvegliando dentro di lui che la sua
volontà di diventare un essere umano, invece che affievolirsi, si è
rafforzata.»
«Se è questo il suo desiderio, non sarò io a
contrastarlo.
Eric ha il diritto di decidere come meglio crede
della sua vita.
Tuttavia, in quanto sua madre vorrei cercare, nei
limiti del possibile, di fargli aprire gli occhi su di un mondo del quale
ancora non si fida.
Il suo cuore non si è ancora liberato delle catene
dell’odio che mio padre ha finito per costruirgli attorno. Vorrei che capisse, che
si lasciasse alle spalle la diffidenza e il risentimento verso la sua razza».
Il direttore esitò, portandosi le mani dietro la
schiena e stringendole forte.
«Ho investito molto in questo progetto.
In esso, sono riposte tutte le mie speranze. Tutti i
miei sogni su di un futuro in cui umani e vampiri potranno coesistere e vivere
in pace.»
«È anche il mio sogno, Kaien.
Anche io voglio vedere un mondo libero dalle guerra tra le nostre due razze. E sono
sicuro che, in cuor suo, anche Eric lo vuole. Ma perché ciò accada, è
necessario che quelle catene si spezzino.»
«Lo sai, vero? Lo sai che anche KanameKuran frequenterà questa scuola.
E se devo essere sincero, la prospettiva di avere
qui nella mia accademia i due più potenti giovani vampiri sulla faccia della
Terra, che oltretutto mal si sopportano, non è che mi faccia saltare di gioia.
Se capisci cosa intendo.»
«Ti prometto che non accadrà niente. Eric non è più
quello di un anno fa. Ora è una persona molto diversa.
Ti prego».
Kaien strinse i denti,
titubante, mentre Serena lo guardava piena di speranza.
Comunque fosse andata, quella scelta avrebbe
sicuramente influenzato il destino di molte persone.
La palestra dell’istituto Toyama, tramutata
per l’occasione in un teatro, era piena in ogni ordine di posto.
Come ciliegina sulla torta del festival della
cultura che salutava la fine imminente dell’anno scolastico, il Club di Teatro
aveva organizzato una romantica e spettacolare rappresentazione teatrale.
Il titolo dell’opera era Il Vampiro di Kyoto, e per
l’occasione la stessa sempai Asakura, che oltre ad
essere la presidentessa del comitato lo era anche del club in questione, aveva
assunto il ruolo della protagonista.
La storia era stata scritta dalla sua amica AnkoShosaki, una specie di otaku del cinema che sognava una carriera come regista e sceneggiatrice,
e ricalcava quelle storie di vampiri tanto care alle ragazze. Era stata proprio
lei a proporre, o per meglio dire a costringere, Izumi come protagonista, così
come aveva scelto anche la maggior parte degli altri attori.
Era una storia a metà tra il dramma storico e il
racconto fantasy, ambientato nel Giappone del Periodo Meiji,
durante la Guerra Boshin, con una ragazza di buona
famiglia che si innamorava di un occidentale, che poi si scopriva essere un
vampiro.
Ad un cenno dalla cabina di regia le luci si
abbassarono, il sipario si alzò e l’opera ebbe inizio.
Seduti tra il pubblico, anche Serena ed Hiroki.
La commedia procedette bene, con commenti positivi
da parte del pubblico e dei dirigenti scolastici, poi fu il momento di una
delle due scene clou, ambientata su di un ponte.
Hideko, ovvero il
personaggio interpretato da Izumi, era inseguita da alcuni membri deviati della
shinsengumi, che ora l’avevano buttata a terra e
minacciavano di ucciderla.
«Fermatevi!» urlò una voce fuori campo.
La luce andò via per un istante, e quando si
riaccese sul palco era comparso un giovane in abiti occidentali, ma armato di
katana.
Non ci fu bisogno di riconoscerlo; nessuno in tutta
la scuola poteva reggergli il confronto.
Vedendolo apparire così, fiero e prestante, le
ragazze tra il pubblico, tra cui molte madri di famiglia, sospirarono come
locomotive, mentre tra i ragazzi il malumore crebbe a livelli spaventosi;
avrebbero lanciato fischi a ripetizione, se non fosse che nel corso di quell’anno
avevano imparato a temere le reazioni violente delle loro compagne ogni
qualvolta si lasciavano sfuggire commenti inappropriati sul loro idolo.
Come il più classico degli eroi, il giovane fece
scempio degli assalitori costringendoli alla fuga, quindi porse la mano alla
giovane per aiutarla a rialzarsi.
«Vi siete fatta male?»
«No…grazie…»
rispose lei, chiaramente colpita dal fascino del suo cavaliere.
«In finzione come nella realtà.» commentò divertito
Hiroki «Eric fa sempre la sua bella figura, non
trovi?».
Serena rispose con una risatina.
La commedia andò avanti per un’altra oretta, poi
verso la fine arrivò l’altra scena clou, quella che avrebbe concluso la
rappresentazione.
I due giovani si erano sposati, ed avevano avuto
una figlia, interpretata dalla fu matricola Nagisa Hidemasa,
che tra le altre cose dava proprio l’idea di un pesce fuor d’acqua, poi una
grave malattia aveva minacciato di uccidere Hideko,
ed il suo sposo William, per non perderla, aveva accettato di trasformarla in
vampiro.
Il palcoscenico era stato completamente oscurato,
fatta eccezione per un faro che illuminava i due protagonisti.
Himeko era seduta in
terra, parzialmente coperta dal futon, sofferente e speranzosa, e William
inginocchiato accanto a lei, a sorreggerla tra le braccia guardandola con
dolcezza.
In quel momento, quasi tutte le spettatrici non
riuscirono a non pensare peste e corna della loro presidente, che tra l’altro
era quella che tra tutte aveva sempre trascorso più tempo accanto al loro
idolo.
«Unisciti a me nella vita eterna.» le disse
William, e come finse di morderla sul collo venne giù il tetto per gli applausi
e le esclamazioni forsennate delle ragazze
«Ehi, cerca di non fare sul serio.» sussurrò Izumi
nel cuore del momento
«Falla finita. È già abbastanza umiliante così».
Terminata la commedia fu un coro di consensi, ma
molti degli attori, e soprattutto i due protagonisti, riuscirono a defilarsi
dalla ressa dei fan e di chi voleva complimentarsi con loro, così da potersi godere
almeno un po’ i festeggiamenti.
Eric si sentiva davvero cambiato.
Durante quegli ultimi dodici mesi erano successe
molte cose, alcune belle altre meno, ma se all’inizio pensava che sarebbe stato
impossibile riuscire a restare tutto quel tempo senza fare niente, ora si
rendeva conto che quel primo anno era passato forse anche troppo in fretta.
Quando era entrato in quella scuola per la prima
volta non lo credeva possibile, ma si era fatto degli amici, amici sinceri, la
maggior parte dei quali non aveva la minima idea di chi lui fosse realmente, e
con i quali aveva speso molti momenti indimenticabili.
Ma, soprattutto, era rimasto al fianco di Izumi,
che di giorno in giorno sentiva sempre più come una parte di lui; anche il
rapporto con Nagisa era cambiato, evolvendosi, al punto che ormai, almeno dal
suo punto di vista, aveva iniziato a vederla come un’amica, per non dire una
sorellina, che non come la propria succube.
La giornata si concluse con i fuochi d’artificio ed
il grande fuoco nel campo sportivo.
Eric e Izumi erano intenti a contemplarlo, mentre
un’ombra furtiva vegliava su di loro nascosta nel buio, quando i due ragazzi furono
avvicinati dai genitori di Eric.
«Complimenti, ragazzo.» gli disse Hiroki «Grande interpretazione. Potresti farlo come
mestiere.»
«Figuriamoci, non ci penso proprio».
Serena sorrise, poi guardò un momento Izumi.
«Ti dispiace? Dovrei dire una cosa in privato a mio
figlio.»
«No, certamente.» rispose lei, che rivolto un
ultimo sguardo ad Eric lì lasciò da soli.
Eric stette ad osservarla per un po’ mentre si
allontanava, poi tornò a guardare i genitori.
«Allora, cosa c’è?»
«Beh, ecco.» disse il suo patrigno «Io e tua madre
abbiamo parlato molto, di te e del tuo futuro, e…
beh, come posso dire…»
«Dunque?» domandò il ragazzo sempre più curioso
«A partire dal prossimo anno.» disse Serena senza
ulteriori giri di parole «Frequenterai l’Accademia Cross».
Eric rispose col suo silenzio, e uno sguardo
inebetito.
Nota dell’Autore
Eccomi qua!^_^
E così, siamo giunti
alla fine di questa breve avventura.
Non è decisamente da
me arrivare alla fine di una fan fiction, visto che ogni volta, nel mezzo del
lavoro, finisco sempre per interromperla per mancanza di ispirazione o per
dedicarmi ad altro, quindi ogni volta che lo faccio è una grossa soddisfazione.
Che dire, spero che
sia piaciuta a tutti coloro che l’hanno letta, e ci tengo a ringraziare i miei
recensori, a cominciare daFlea e Kula, che dall’inizio non hanno mai saltato un capitolo
facendomi sempre sapere cosa pensassero.
Un grazie và però
anche a tutti gli altri, da Chrysantemum a Marx, e in particolare a Ly, che ha indirettamente
permesso la nascita di questa fiction con la sua Round Robin.
Cosa accadrà adesso?
È difficile dirlo.
Una cosa è sicura. Mi
sono affezionato molto al personaggio di Eric Flyer, quindi non me la sento di
abbandonarlo così. Per ora credo che lo lascerò un po’ in naftalina, ma
certamente, oltre che in Threats, avrà modo di
tornare a far parlare di sé.
Certamente ci sarà un
sequel, anche se ciò accadrà probabilmente solo dopo che Ly
avrà concluso la sua storia, o quando essa avrà iniziato a dipanarsi in modo
chiaro e solido, ma per ora avrei in mente una sorta di commedia scolastica ad
episodi ambientata in questi dodici mesi di stop forzato da parte di Eric, una
sorta di versione vampiresca di FMP Fumoffu!